Sansûkh

di determamfidd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventitré ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo Venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo Trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentatré ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentotto ***
Capitolo 39: *** Capitolo Trentanove ***
Capitolo 40: *** Capitolo Quaranta ***
Capitolo 41: *** Capitolo Quarantuno ***
Capitolo 42: *** Capitolo Quarantadue ***
Capitolo 43: *** Capitolo Quarantatré ***
Capitolo 44: *** Capitolo Quarantaquattro ***
Capitolo 45: *** Capitolo Quarantacinque ***
Capitolo 46: *** Capitolo Quarantasei ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Nota di traduzione: la storia appartiene a determamfidd (che decisamente non sono io). La storia originale si trova qua. Le recensioni verranno tradotte e mandate all'autrice. Alla fine di ogni capitolo si potranno trovare le traduzioni da varie lingue della Terra di Mezzo usate e note ad avvenimenti a cui si fa riferimento.
 



Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna, si svegliò con un sobbalzo improvviso e uno strozzato urlo di allarme. Era completamente buio, e il suo grido echeggiò nell'oscurità soffocante. Provò a battere le palpebre, e scoprì che faceva ben poca differenza.

«Pace, Figlio di Durin» disse una voce, e lui strinse i denti.

«Che posto è questo?» chiese, e la voce rise.

Dov'era lo Hobbit? Dov'era il lago ghiacciato? L'ultima cosa che ricordava era dissanguarsi ai limiti del silenzioso campo di battaglia. La sua follia era passata, ma aveva richiesto un prezzo troppo alto. La sua famiglia era distrutta e terminata, i suoi nipoti freddi e induriti dalla morte e squarciati da molte ferite. Il loro Scassinatore dalle mani morbide e il cuore grande l'aveva perdonato, mentre piangeva sul corpo spezzato di Thorin.

Non si meritava quel perdono.

«Sei arrivato in un luogo di riposo, Thorin figlio di Thráin» disse la voce, e Thorin sbatté velocemente le palpebre, tentando di intravedere il proprietario della voce nel buio. La sua eccellente visione nel buio Nanica non funzionava, e iniziò a tirarsi su puntellandosi sui gomiti. Era privo di abiti, e la sua pelle rabbrividì e formicolò nell'oscurità gelida.

«Spiegati» ringhiò «E mostrati!»

«Pazienza» lo ammonì la voce. Non sembrava arrabbiata alla mancanza di rispetto di Thorin. Anzi, sembrava affettuosa, quasi paterna. «Calmati. La tua vista ritornerà.»

«Dove sono?»

«Come ti ho detto, sei arrivato in un luogo di riposo. Qua potrai infine trovare pace.»

«Pace? Non ci sarà pace in me finché non avrò la tua risposta!» ringhiò Thorin. Si stava stancando di questi enigmi. «Parla chiaramente! Dove sono? Nei miei ultimi ricordi ero nella brughiera desolata davanti ai cancelli di Erebor. Mi hai spostato? Cos'hai fatto per rubare la luce dai miei occhi?»

«Forse ho errato quando ti ho fatto così sbrigativo» commentò la voce «Lo dico di nuovo: calmati! Non lo ripeterò un'altra volta – tre è già abbastanza. E tu sei abbastanza vecchio sapere che non devi chiedere domande così stupide, a differenza dei tuoi nipoti chiacchieroni. Come hai fatto a controllare quel temperamento? Sono curiosi quasi quanto gli Hobbit, e non è un eufemismo.»

«C'è un trucco per farlo» disse Thorin, mentre un sospetto strano ed orribile iniziò ad affacciarsi «Ascolti le parole che non dicono. Quelle sono le più importanti.»

«Ah. Naturalmente»

Thorin si fece forza, e chiese: «Sono morto?»

Ci fu una pausa, e poi la voce disse, non senza gentilezza: «Sì.»

Le sue costole si strinsero con forza intorno al suo cuore, e la testa di Thorin gli ricadde contro il petto mentre mormorava: «Sono nelle Sale dei miei Padri.»

«Sì»

Thorin serrò gli occhi. Ovviamente non potevano essere i suoi occhi, non davvero. Quella non era la sua mano, stretta in un pugno tremante al suo fianco. Il cuore che gli martellava nel tentativo di rompergli il petto non era il suo. Questo era un corpo ricreato, rinnovato e purgato di tutti i suoi difetti e debolezze mortali. Non si stupiva di non poter vedere: i suoi occhi non erano mai stati usati prima.

Qua avrebbe aspettato fino alla Distruzione del Mondo, quando i Nani avrebbero ricostruito l'Arda Marred e l'avrebbero ristorata alla sua piena gloria. Qua si sarebbe doluto per sua sorella e i suoi cugini, lasciati indietro per occuparsi dei risultati della sua follia ed orgoglio. Qua si sarebbe piegato sotto il peso della sua vergogna, sapendo che aveva rubato le giovani e luminose vite dei suoi nipoti prima che avessero vissuto anche solo un secolo. Qua si sarebbe distrutto sotto il senso di colpa per ciò che aveva fatto ad una creatura allegra, pacifica e gentile che l'aveva solo voluto aiutare.

«Sei il mio Creatore?» mormorò infine.

La vasta presenza si mosse più vicina, e lui rabbrividì quando il potere che vi era racchiuso gli accarezzò la mente e passò sulla sua nuova pelle. «Lo sono.»

Thorin aprì i suoi nuovi, inutili occhi e lanciò uno sguardo irato nell'oscurità. «Allora perché, se posso chiedere, mi hai fatto così pieno di difetti?»

La voce rimase in silenzio.

La rabbia scintillò e poi avvampò nel petto di Thorin, e si tirò in piedi sulle sue nuove gambe tremanti, deboli come quelle di un cervo neonato. Spingendo in fuori la mandibola alla cieca di fronte a sé, scagliò la sua vergogna ed il suo lutto e la sua rabbia nell'oscurità. «Perché il mio dannato orgoglio? Perché il mio temperamento, il mio risentimento – perché la mia stupida, testarda arroganza! Perché la follia che piaga la nostra Linea? Perché tutto ciò che che faccio, tutto ciò che sperato, si tramuta in cenere prima ancora che io riesca a raggiungerlo? Perché la mia famiglia è stata distrutta ancora e ancora?»

Il potente Vala della Pietra e delle Arti rimase in silenzio.

«Dimmelo!» ruggì Thorin.

«Ti dimentichi delle parti, Re Sotto la Montagna» disse la voce, e aveva un suono triste invece che arrabbiato «Il mio lavoro non era pieno di difetti. Tu sei stato fatto forte e robusto e lento nei cambiamenti, leale nell'amicizia e lungo nei conflitti. Opere di ogni genere vengono create con facilità dalle tua mani, e puoi sentire la terra sotto di te e ascoltare le sue canzoni, non è vero?»

Le unghie di Thorin scavarono nella nuova pelle morbida dei suoi palmi. «Sai che è vero.»

«È così che ti ho fatto» disse la voce del suo grande Creatore «E ciò non può essere alterato. È piuttosto il lavoro del Nemico che rovina tutto ciò che tocca.»

Thorin aggrottò le sopracciglia. «Quale Nemico? Mordor fu distrutta dall'Ultima Alleanza nei giorni di Durin IV, e nessun grande potere ad eccezione dei draghi si è levato da allora.»

La voce fu silente per un altro momento, come se stesse lottando con qualche antica e terribile ferita. «Ricordi l'anello di tuo padre?»

Thorin batté le palpebre. «Aye[1], l'Anello del Potere. Sì?»

«Un tempo ve ne erano sette. Quattro vennero ingoiati dai Draghi del Fuoco. Ma tre, incluso quello di tuo padre, tornarono alla loro fucina originaria.»

Thorin si accigliò. «Non capisco.»

«Capirai» la voce – Mahal – era piena di un'antica malinconia «Vi ho fatto forti per resistere, figlio mio. E l'avete fatto. A dispetto di tutte le macchinazioni del grande Male, i Nani non capitolarono mai e rimasero sempre i padroni di sé stessi. Nessun Nano diventò uno Spettro. Nessun Nano perse mai la sua volontà a causa dell'Ombra. Ma il Nemico è malizioso ed astuto; trova altre maniere per realizzare la propria volontà. E così i Sette Anelli lavorarono in altri modi, modi nascosti, contro i miei figli. Perciò dopo lunghi, lunghi anni l'amore per l'artigianato e la bellezza che vi diedi lentamente si deformò in un desiderio per gioielli e metallo.»

«Io non ho mai indossato quell'anello» disse Thorin.

«Ma tuo padre lo fece. E suo padre prima di lui, e suo padre prima di lui, dal giorno in cui Celebrimbor diede l'anello a Durin nella sua terza vita innanzi» disse la profonda voce addolorata «Ho osservato la tua Linea che lentamente andava alla deriva sotto il suo incantesimo, e me ne addolorai. I discendenti del primo dei miei figli, il più grande dei miei sette figli, forte e resistente e risoluto – e nonostante ciò il Nemico è riuscito ha toccarti.»

«Io non ho mai» ripeté Thorin a denti stretti «indossato quell'anello. La mia follia fu soltanto mia.»

«Lo era?» chiese gentilmente la voce «A parte l'anello, non dimenticarti: l'oro su cui ha dormito un drago ha un potere proprio. I grandi Vermi furono creati nei tempi antichi da un male persino più nero e potente. Furono creati per essere la distruzione dei Nani, e così rimangono la vostra più grande sfida.»

Thorin rimase in silenzio per un momento, e poi alzò leggermente la testa. «L'anello di mio padre non era altro che un anello, e il drago null'altro che un drago. Perché ho perso me stesso nel momento in cui avrei dovuto essere più forte?»

Mahal sospirò. «Questi sono segreti a lungo nascosti, che presto verranno alla luce. Capirai presto. Abbandona la tua rabbia e la tua vergogna, Thorin figlio di Thráin. Qua ci sono molti che ti amano.»

La gola di Thorin si chiuse, e i suoi denti si strinsero quasi dolorosamente. «Non spiegherai?»

«Mi è troppo vicino, figlio mio» disse Mahal, e paterna, potente voce si allontanò nell'oscurità schiacciante. Il dolore echeggiò tra le rocce mentre parlava. «Uno che mi era caro mi tradì completamente, e tutti i suoi lavori si sono ora trasformati in oscurità e menzogna. Non posso parlarne.»

Un lampo di comprensione lo colpì, e Thorin disse ad alta voce: «Quello che creò i Sette?»

«Aye» disse Mahal, e la sua bassa risata tremò nell'aria come un tuono che romba a distanza «Grazie ad Eru ti ho fatto intelligente. Lascia da parte la rabbia verso te stesso. Non ha spazio qui. La tua malattia non è stata una tua scelta, né una di mia creazione. È finita ora.»

«Non sarà mai finita» disse freddamente Thorin, anche se le sue interiore si attorcigliavano ancora e ancora «Non finché non avrò fatto ammenda.»

«Che utilità ha la tua ammenda nella Casa dei Morti? Saluta i tuoi amati, e aspetta il rinnovamento di ogni cosa. I tuoi viaggi e le tue fatiche sono terminati, e la tua casa natale restaurata. Hai avuto una buona morte, figlio mio.»

«Ho vissuto peggio. E un'ammenda non è utile» sputò fuori Thorin «Non è il motivo per cui si fanno!»

«Vero!» Mahal rise di nuovo «Molto vero!» Il potente Vala cadde in silenzio per un momento di pensiero, e Thorin respirò affannosamente per la forza della sua rabbia. Poi Mahal parlò, e la sua voce tremava dal potere:

«Molto bene allora. Per l'amore che ho per te e per le calamità che l'Ombra ti ha portato, ti darò la maniera di fare la tua ammenda»

Il cuore di Thorin gli saltò in gola.

Uno strano calore iniziò a pervadere il petto di Thorin, riempiendolo di un fuoco inestinguibile mentre Mahal continuò a parlare: «Tutti i miei figli possono vedere i loro parenti e amici che ancora vivono nelle terre mortali attraverso il velo. Ti darò il potere di raggiungerli.»

«Raggiungerlo?» Thorin fece un passo avanti alla cieca, una mano premuta contro il punto in cui quello strano fuoco bruciava sopra al suo cuore che correva «Intendi parlare con loro? Davvero?»

«No, quello non potrai farlo. Non posso riprendere il Dono di Ilúvatar una volta che è stato dato. Non potrai attraversare il velo per toccare i viventi»

«Nemmeno per pregare per il loro perdono?» chiese Thorin senza speranza, sapendo già la risposta.

Un'enorme mano dura, rovinata per il lavoro, s poggiò gentilmente sulle spalle di Thorin, e lui tremò senza controllo per la sensazione. La mano del suo Creatore – un tale potere, e un tale amore in quel tocco. «Mi dispiace che non puoi abbandonare il tuo dolore, figlio mio.»

«Mi hai anche fatto testardo, se ricordi» replicò Thorin per coprire la sua soggezione tremante, e il sorriso di Mahal si poteva percepire nel tuono silenzioso dell'aria.

«Aye, l'ho fatto» la mano lo lasciò, e Thorin barcollò leggermente, ubriaco di meraviglia e tristezza e paura.

«Ma» aggiunse il Signore delle Arti e della Pietra «sarai in grado di raggiungere la loro mente più profonda. La mente al di sotto dei pensieri da svegli, la corrente subconscia della loro persona – quella la potrai toccare.»

Thorin esalò un lungo respiro pieno di amarezza. La mente dormiente, il subconscio. Non era l'ideale. Ma meglio di niente.

«Ora, ci sono delle persone che hanno aspettato con ansia di incontrati.»

«Fíli? Kíli?» la vergogna era un cappio intorno alla sua gola, e i nuovamente-fatti occhi di Thorin si bagnarono con improvvise lacrime non versate.

«Tra altri che hanno aspettato molto più a lungo» disse il Vala «Stammi bene, Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna. Ci rivedremo.»

E poi il sommergente senso della sua presenza se ne andò.

L'oscurità premeva su di lui, e Thorin fece un altro passo esitante in avanti. C'era della buona pietra sotto i suoi piedi nudi, e il rumore delle sue piante contro di essa echeggiava attraverso il nulla.

«Fíli?» provò «Kíli?»

L'oscurità ed il silenzio erano assoluti fata eccezione che per il rumore del suo respiro nei suoi polmoni. Thorin fece un altro passo, e un altro.

Poi giovani voci eccitate stavano echeggiando nell'oscurità verso di lui. Thorin fece una risata che era per metà un singhiozzo.

«Zio!»

«Tutti, venite qua! L'abbiamo trovato, finalmente, quanti sepolcri ci sono in questo posto?»

«Solo Mahal lo sa. A dire il vero, probabilmente lo sa davvero. Dovremmo chiedere»

«Thorin, non ci crederai!»

«Abbiamo incontrato Durin! Il vero Durin! È qua!»

«Di nuovo. Non è male – nasci, vivi, muori, ti riposi un po', e poi ne hai un'altra occasione nel giro di un paio di secoli»

«E parlando di questo, hai visto quel centro che ho fatto in battaglia? Non era fantastico? Neanche Bard avrebbe fatto di meglio! Mi piacerebbe vedere quell'idiota elfico biondo riuscirci»

«Kíli» disse Thorin con voce rotta, e barcollò in avanti nell'oscurità «Fíli...» Due corpi familiari come le sue stesse mani gli si scagliarono contro e lui li strinse a sé anche se indietreggiò.

«Attenzione ora» disse una voce ruvida ed amata, e qualcosa gli prese il gomito «Padre, prendigli dei vestiti, i suoi occhi ancora non funzionano.»

«Ah, prendiglieli te, pigra canaglia» la voce di Thrór era burbera come sempre, e Thorin si girò verso di lui, i suoi occhi senza vista larghi.

«Nonno, sei...»

«Aye» disse l'ultimo vero Re Sotto la Montagna «Sono qua. Ho visto che ha preso pure te.»

Thorin chinò la testa sopra i suoi nipoti mentre un'umiliazione bollente lo sommergeva. «Sì.»

«Non era colpa tua, ragazzo» disse il Nano che gli teneva le braccia «Non era colpa tua. Non hai chiesto che queste cose accadessero.»

«E poi» disse Thrór, e un'antica vergogna tinse anche la sua voce «L'hai battuta alla fine, no? Sei morto con la tua mente. Sei stato più forte di me.»

«E me» lo consolò il Nano di fianco a lui, e la forte e così familiare mano sul suo gomito si strinse in rassicurazione.

«No, non ero io. Era.. » Thorin voleva protestare, per parlare di Bilbo, quando il nano che gli teneva il gomito si schiarì la gola e mise l'altro braccio attorno alle spalle tremanti di Thorin.

«Abbiamo visto, ragazzo mio» disse gentilmente «Sappiamo.»

La mano sul suo gomito era senza difetti, nuova e senza cicatrici, ma non ci si poteva sbagliare. Thorin l'afferrò stretta con la sua altra mano, e la risata profonda nel suo orecchio fece bruciare i suoi occhi. «Padre» disse debolmente «Padre, mi dispiace così tanto. Ti ho abbandonato, 'adad. Ti pensavo morto da tempo...»

«Tranquillo ora, inùdoy» disse Thráin gentilmente «Tranquillo. Non pensare a me. Tu hai trovato una strada dura e lunga, ma ora hai tempo per riposare.»

Suo padre. Il suo grande e splendido padre, un Signore e un Principe, che aveva i tatuaggi di un guerriero sulla fronte. Suo padre – la sua testa nobile ed orgogliosa e la sua barba lunga e fiera, il suo occhio buono implacabile e le sue mani come bande d'acciaio. Suo padre – il suo povero, pazzo, orbo padre, intrappolato e affamato e ottuso per nove lunghi anni nelle segrete di Dol Guldur.

«Riposo» ripeté Thorin con voce soffocata «No, io non...»

«Sì, puoi» disse suo padre «Non ci pensare più. Anch'io mi sarei abbandonato. Lascialo andare, figlio mio. C'è tempo per riposare qui. Tempo per guarire.»

«Ti sei comportato bene, nidoyel» disse Thrór «Hai ridato la nostra casa alla nostra gente. Gli hai ridato la loro speranza e il loro orgoglio e la loro eredità. Non è un brutto lascito. Non è una brutta maniera di lasciare il mondo.»

«Li ho lasciati a dover affrontare un'inimicizia vecchia di ere, una casa piena di corpi, un tesoro maledetto e un Re morto» disse Thorin amaramente, e Thráin gli strinse il braccio bruscamente, le sue mani dure come la roccia e potenti come nei primi ricordi di Thorin.

«Hai dimenticato tutte le tue lezioni? Non siamo l'unico rame della nostra linea. È tempo di lasciare i tuoi oneri a qualcun altro»

«Ma...»

«Thorin» disse Thráin, la voce colorata da un sorriso «Non farmi arrabbiare con te. Adesso, cos'è questo? Lacrime, figlio mio? Bene, lascia che cadano! C'è anche un tempo per le lacrime, qua.»

«Avete finito vecchi sentimentali?» si intromise un'altra «Lasciatemi passare, o vi ci obbligherò e per Mahal non vi piacerà!»

«Meglio levarsi» borbottò Thrór, e Thráin rise di nuovo.

«Aye, non sarà paziente ancora per lungo»

«Stai dicendo che può essere paziente?»

«Non insultare mia moglie, vecchio strampalato»

«Piantatela di ciarlare, voi due, e muovetevi. Oh, guardati» mormorò la nuova voce, una voce morbida e femminile, e Kíli strillò quando venne trascinato via dalla stretta di Thorin «Così cresciuto. Così indurito. Oh, mio bel ragazzo. Mio coraggioso, coraggioso bambino.»

Thorin non poté fermare il singhiozzo che gli uscì sentendo la mano che gli si appoggiava sulla faccia. L'odore che lo abbracciò era reale e caldo quanto la mano, e la sua intera anima ne pianse: la dolcezza degli oli che usava per i suoi capelli e la sua barba, l'odore forte del rame e fumo di legna della sua forgia, il caldo, vivo odore della sua pelle. «Madre» disse, e sapeva che stava piangendo apertamente. Lei lo avvolse strettamente nel suo abbraccio, e fece passare una mano tra i suoi capelli.

«Sono molto orgogliosa di te, mio Thorin» disse nella sua bassa, forte voce, e lui si premette contro la sua mano mentre lei lo teneva vicino «Così orgogliosa di te.»

«A proposito, Nonna è abbastanza terrificante» disse Kíli, e poi urlò quando la lady Frís, figlia di Aís, Principessa Sotto la Montagna e moglie di Thráin, probabilmente gli diede un pizzicotto.

«Comportati bene, giovanotto» disse seriamente, ritirandosi indietro per accarezzare di nuovo la faccia di Thorin e infilare le dita nella sua barba tagliata corta «Verrò da voi due in un momento.»

«Terrificante» disse Fíli con ammirazione «Credo di vedere da dove l'ha preso Mamma, ora.»

«La nostra piccola scontrosa Dís una madre» disse una giovane voce ridente, una voce che suonava come campane «Che la Terra di Mezzo tremi.»

Thorin si congelò. La mano di Frís lo rassicurò, correndogli fra i capelli come per calmare un pony nervoso.

«Aye, è qui» mormorò «È stato insopportabile, aspettando te per tutto questo tempo.»

«Sono molto arrabbiato con te, nadadel» disse Frerin, Principe Sotto la Montagna «Ti sei preso tutto il tuo tempo. Che c'è, ti eri perso di nuovo? Mi hai fatto aspettare centoquaranta anni. Lo sai quant'è maleducato?»

«Thorin, maleducato?» Fíli rise «Crepi il pensiero.»

Thorin non riusciva a parlare. La mano di sua madre era sulla sua faccia, i suoi nipoti aggrappati alle sue braccia. Suo padre lo stava praticamente tenendo su, suo nonno gli stava dando delle pacche sulla spalla e il braccio di suo fratello era tranquillamente tirato attorno a lui. Frerin, Frerin.

«Stai boccheggiando» disse Frerin con una sorta di malizia affettuosa «Il mio perfetto fratellone, boccheggiando. Come un grosso Elfo avvilito. Ti sei spettinato i capelli? Qualcuno ha spezzato un ramoscello?»

«Sta zitto» disse Thorin senza fiato, e Frerin gettò indietro la testa e rise la sua risata argentina e oh, a Thorin era mancato, gli era mancato così tanto.

«Tu sta zitto» disse gentilmente, e poi Frerin gli stava tirando la treccia e di colpo Thorin fu colpito da un ricordo così vivido che barcollò per la sua forza, riportato indietro a un tempo vago e dorato di quando aveva cinque anni e il bambino nuovo continuava a masticargli e tirargli i capelli.

«Frerin» ansimò, e le mani calde di suo fratello gli stavano tirando le trecce, tirandolo in avanti finché le loro fronti furono appoggiate insieme. Frerin, il giorno alla notte di Thorin, così giovane, così piccolo, di solo quarantotto anni. La sua pelle era senza rughe e le dita di Thorin tracciarono le sue folte e dritte sopracciglia, il suo naso Durin simile a una lama, i suoi occhi allegri, la sua corta e folta barba a pizzetto con delle trecce sulle sue guance.

«Sembri vecchio, fratello» disse lui «E stanco.»

«Lo sono» sospirò Thorin, permettendo a Frerin di prendersi parte del suo peso da Thráin «Sono così stanco. Pensavo che avrei avuto tempo, almeno qualche decennio...»

«Ecco, questo è quello che succede quando non sono in giro per impedirti di rimuginare» disse Frerin gentilmente «Diventi un Elfo avvilito. È davvero abbastanza patetico.»

Thorin grugnì. Poi tirò indietro la testa e tirò una testata a suo fratello d'improvviso, e la risata morbida di sua madre risuonò.

«Ragazzi» disse, ed era lo stesso esatto tono che aveva usato quando Thorin aveva solo vent'anni e Frerin quindici, due ragazzini che litigavano invece di tenere d'occhio la loro sorellina di sei anni.

«La tua testa è diventata più dura» si lamentò Frerin.

«O la tua è più morbida» replicò Thorin, e una risata incredula ribollì da Kíli.

«Sto sognando, sì?» chiese a nessuno in particolare «Thorin non stuzzica. È stato riportato indietro sbagliato. Mahal ha fatto un errore.»

«Oh, pensi che voi due foste stati così terribili?» chiese Thrór con aria da briccone «Questi due vi battono»

«Perché credete che conoscesse già la maggior parte dei vostri trucchi?» aggiunse Frerin «Noi avevamo pensato a quella roba un secolo prima di voi.»

«Era sempre un'idea tua» borbottò Thorin.

«E tu facevi sempre strada» disse Frerin, e lo spintonò «Un Principe così osservante dei suoi doveri!»

Kíli gemette ad alta voce, e Thorin poteva immaginarsi l'espressione di tradimento sul suo volto. «Tutto quello che sapevo è sbagliato» si lamentò.

Thorin sorrise tra le lacrime e Fíli soffocò una risata. «Povero Kíli. Si sta tirando i capelli di nuovo.»

«Digli di smetterle. Non ne ha abbastanza di scorta» disse Thorin, e l'urlo oltraggiato di Kíli lo fece sorridere di più.

«Hai un aspetto orrendo» disse Frerin con tono da conversazione «Tutto coperto di lacrime e con la faccia rossa e le trecce che si sciolgono.»

«E di chi è la colpa?» ritorse immediatamente Thorin, e percepì piuttosto che vedere il ghigno di Frerin.

«Io sono arrabbiato con te» gli disse Fíli nell'orecchio «Perché tu o Mamma non mi avete mai detto che assomiglio a tua madre e tuo fratello? Ho sempre pensato di essere quello strano!»

«In questa famiglia?» sbuffò Frís «Quando si parla di strano, non abbiamo che l'imbarazzo della scelta.»

«Cara» disse Thráin, abbastanza rigidamente «Non di fronte ai nipoti.»

«La perdita del rispetto viene col territorio» disse Thrór «Abituatici. Thráin, nidoy, dov'è tua madre?»

«Sta tenendo lontano il resto. Non voleva travolgerlo tutto d'un colpo»

«Non siete stati così gentili con noi» accusò Fíli «Assaliti, ecco cosa avete fatto! Pensavo di essere sotto attacco all'inizio! Ho tirato un pugno sul naso a mio padre!»

Quello sorprese Thorin tanto da farlo ridere davvero, anche se gli fece male al petto. «Hai colpito Víli?»

«L'ha fatto. E io ho pestato il piede al Nonno» disse Kíli.

Thráin si schiarì la gola. «E mi hai morso la mano» aggiunse duramente.

«Beh, provaci tu ad essere cieco come un pipistrello e nudo come una talpa e avere tuo nonno morto che fa commenti sulla tua mancanza di barba, vediamo se a te piace» borbottò Kíli.

Thráin fece uno sbuffò fuori una risata, e Thrór fece un verso di sofferenza che Thorin vagamente ricordava da dei lunghi, noiosi incontri del Consiglio nei quali sembrava che Fundin non stesse mai zitto. «Non conosci nessuno di noi, bis-nipote» disse il Re pazientemente «Non fuori da delle storie. Ma il nostro Thorin incontrerà dei Nani che non ha visto in secoli – il suo prozio, i suoi cugini, i suoi amici.»

«È abitudine tenere il primo incontro solo con i parenti più stretti» spiegò Frerin «Altrimenti diventa un po' travolgente. La Nonna sarà con noi tra un momento.»

Kíli fece un suono di assenso che Thorin riconobbe come un “va bene” a malincuore. Allungò la mano nell'oscurità, alla ricerca del suo nipote più giovane, e Kíli tornò tra le sue braccia con facilità. «Kíli» disse Thorin e accarezzò gli spettinati, matti capelli di Kíli – senza trecce come al solito – mentre stringeva Fíli più vicino a sé. I Nani tra le sue braccia erano giovani e forti, alti e dritti, come se li ricordava. Visioni dei loro volti senza sangue e dei loro corpi deturpati e spezzati continuarono a danzargli davanti all'occhio della sua mente. Una grande pietra si incastrò nella sua gola e gli rese difficile respirare. « Fíli, mi dispiace così tanto» sussurrò contro al lato della testa di Fíli «Mi spiace così tanto, ragazzi miei. Perdonatemi, oh, miei nidoyîth. Avevo desiderato così tanto per voi, undayûy. Avrei voluto...»

«Oh, è come Thrór di nuovo, qualcuno lo fermi» si lamentò Frís «Finiremo coll'annegare in tutto il senso di colpa combinato della Linea di Durin prima di posare una pietra di Arda Ricostruita.»

«È qui ora» disse Frerin gentilmente «Guarirà.»

«Ci servirà tempo» disse Thrór, il suo tono sobrio.

«Serve sempre» sospirò Thráin.


TBC...

Note:

Sansûkh(ul) – Perfetta (vero/puro) Vista

[1] i termini 'aye' (sì) e 'nay' (no) sono qui in lingua originale, in quanto sono una caratteristica tipica della maniera di parlare dei Nani che non si poteva rendere altrimenti in italiano. [Torna alla storia]

Sette Anelli dei Signori dei Nani – questo è canon. Quattro dei Sette furono distrutti dal fuoco di drago. Tre alla fine tornarono a Sauron. I Nani stessi – risoluti, resistenti e lenti a cambiare – non finirono mai col soccombere al potere degli Anelli per diventare Spettri. Invece gli Anelli si limitarono ad ingigantire il loro amore per l'oro.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Fu avvolto in una morbida tunica senza forma e guidato in una stanza più piccola.Era in grado di sapere che era più piccola grazie alle eco dolci e tintinnanti. Aveva l'odore di buona roccia profonda. C'era un letto.

Dormì come un morto.

Quando si svegliò, sua madre era lì. Poteva a malapena riconoscerne il volto attraverso una visione sfocata, ma il suo sorriso brillò attraverso la sua cecità ed era glorioso come sempre. I suoi morbidi capelli color grano dorato si arricciavano ancora intorno al suo viso, e gli occhi di lei erano ancora della stessa esatta forma e colore dei propri. Lui era felice – si era chiesto se un vecchio lutto a lungo portato avesse modificato i suoi ricordi. Frís lo aiutò a vestirsi e gli prese la mano, prima di guidarlo fuori in una grande Sala sostenuta da colonne e verso uno schieramento vertiginoso di Nani e calore e rumore e rise.

Ci volle un po' di tempo per abituarcisi.

Nani morti da secoli lo salutarono, e quando la sua vista tornò si trovò a volte di fronte a un volto familiare o a una vaga somiglianza di famiglia. Certo quello era un naso alla Durin – certo quelle erano orecchie di famiglia! Camminò in una nebbia di riconoscimento e stupore. La nonna di Thorin, Regina Hrera, gli fece più smancerie di quando non avesse mai fatto quando era un giovane nanetto. Gli ci volle tutta la sua pazienza per impedirsi di ricordarle che era ora effettivamente più vecchio di lei, e aveva più bianco nei suoi capelli e nella sua barba di quanto lei non ne avesse mai avuto. Non che lei avrebbe ascoltato, in ogni caso. Le donne della sua famiglia erano sempre state pi ù testarde degli uomini. Fíli e Kíli ghignavano un sacco ogni volta che lei riusciva a intrappolarlo e pizzicargli la guancia.

Ebbe la sua vendetta quando Hrera discese su di loro invece e immediatamente iniziò a intrecciare i capelli di Kíli.

Un Nano con una moltitudine di trecce color del miele e un volto malizioso e birbone gli venne accanto, e la bocca di Thorin si aprì in un respiro improvviso. Poi afferrò le spalle del Nano e lo trascinò in un forte abbraccio. « Víli. »

S uo cognato premette silenziosamente le loro fronti insieme. « Grazie per averli cresciuti » disse Víli figlio di Vár « Grazie per essere stato presente quando io non ho potuto. »

T horin annaspò alla ricerca della mano di Víli e la strinse stretta. « Sono la cosa migliore della mia vita » disse, e le sopracciglia di Víli si alzarono e il fantasma del ghigno malizioso che aveva catturato il cuore di Dís gli passo sulle labbra.

«Allora forse dovremmo andare a salvarli da Hrera»

Thorin si girò a guardare l'imbronciato Fíli e il lamentoso Kíli. « No. Gli fa bene. »

Víli ridacchiò e incrociò le braccia, guardando i suoi figli che si lamentavano e borbottavano. I suoi occhi erano affettuosi e il suo sorriso crebbe fino a che non fu l'immagine identica del ghigno che Kíli aveva ereditato. « Sì, lo fa. »

I l buon amico di suo nonno, lo stoico e affidabile Nár (che aveva affrontato Moria per amore di Thrór), afferrò i polsi di Thorin e gli disse che lui era un Nano tra i Nani, un eroe della loro gente. Il suo prozio Grór, primo Signore dei Colli Ferrosi, gli diede una pacca sulla spalla e gli disse “ben fatto!”. Il suo prozio Frór, assassinato da un drago freddo prima della nascita di Thorin, gli sorrise da un orecchio all'altro e inneggiò con la mano finché non gli si intorpidirono le dita.

I suoi cugini Náin e Fundin, entrambi Nani Bruciati di Azanulbizar, istantaneamente lo assalirono con accorate preghiere di avere notizie dei loro figli. Anche se Mahal aveva menzionato che ogni Nano nelle Sale poteva osservare i loro parenti in qualsiasi momento, sembrava che l'immediatezza delle sue storie fosse estremamente apprezzata e ricercata. Anche se gli lacerava il cuore, Thorin gli disse tutto ciò che poteva ricordarsi. Il suo vecchio cugino Farin, padre di Fundin e Gróin, era silenzioso e calmo, con un accenno di sorriso sulle labbra mentre ascoltava le storie dei suoi quattro nipoti eroici nella Compagnia – Balin, Dwalin, Óin e Glóin.

Gróin era comunque il peggiore di tutti. Era così orgoglioso di suo nipote che avrebbe potuto esplodere, e chiese a Fíli e Kíli storie del loro giovane compagno di giochi ad ogni singola occasione. In questi momenti, Thorin prendeva l'opportunità di scivolare via ed esplorare.

L e Sale di Mahal erano di dolce roccia cantante, e i suoni di picconi e martelli si sentivano a tutte le ore. Anche se migliaia e migliaia di Nani si muovevano nelle Sale, nessuna sembrava troppo affollata ed ognuno avevano abbastanza spazio per i lor bisogni. Era tutto un mistero per Thorin. Dov'erano le Sale? Aman, sì, ovviamente – ma dove? Queste grandi miniere e laboratori erano nelle Aule di Mandos, il Giudice dei Valar? Oppure i Nani passavano i loro lunghi anni di attesa all'interno delle montagne di Mahal, loro creatore?

E a questo proposito – da dove mai arriva la legna per le forge? Da dove i tessuti per gli abiti? Da dove il cibo per i pasti? Nessun Nano glielo sapeva dire, e la maggioranza sembravano a malincuore rassegnati a non saperlo mai. Il temperamento di Thorin non era adatto a questi misteri, ed iniziò ad osservare ogni pasto sospettosamente finché sua madre non gli disse di smetterla e mangiare.

Quando la sua forza e vista tornarono, grandi e meravigliose cose gli vennero rivelate. C'erano eleganti corridoi di pietra serpeggiante scavata con una tale delicatezza intricata che sembravano fatti di neve o piume, eppure erano più duri delle scaglie di drago e più antichi delle fondamenta di Khazad-dûm.

Suo padre gli mostrò vaste sale a volta, i loro soffitti coperti di arricciate decorazioni d'oro e con dei pilastri del più puro marmo bianco intagliato in antichi disegni. Víli, Fíli e Kíli lo trascinarono attraverso caverne di cristallo che frantumavano l'oscurità in danzanti prismi di luce al più piccolo tremolio della lampada. Sua madre lo portò nelle profonde e scure come il velluto miniere che producevano i più verdi smeraldi che avesse mai visto e del mithril che pareva la più pura anima della terra, tenuti all'interno del suo palmo.

Suo fratello lo trascinò attraverso laboratorio dopo laboratorio, e Thorin quasi perse il controllo di sé ai sapientemente creati lavori di bellezza e maestria che fiorivano dalle mani dei più grandi della loro razza. Narvi di Khazad-dûm lavorava accanto a Bar di Belegost e Telchar di Nogrod, e meraviglie sbocciavano sotto i loro martelli e scalpelli. Frerin rise apertamente al suo stupore prima di trascinarlo avanti per osservare a bocca aperta un altro prodigio.

Finalmente suo fratello rallentò di fronte ad un grande portale ad arco decorata da perle, diamanti e mithril, e le suo spalle si irrigidirono come se stesse per lanciarsi attraverso il fuoco. Le mura erano rivestite da formazioni calcaree – bianche forme aliene che gli ricordavano drappi di stoffa, o persino morbide ali bianche, scanalate e aggraziate. Il soffitto era coperto da stalattiti bianche che scendevano come cera sciolta verso un grande lago sotterraneo rispecchiato. Dei Nani sedevano intorno ad esso su delle panche di pietra scavata, osservando in profondità nell'acqua.

Alcuni sorridevano gentilmente, mentre altri piangevano nelle loro barbe.

«Questa è la Camera di Sansûkhul» disse Frerin piano « Questa è il Gimlîn-zâram, la vasca riempita della luce delle stelle di nessun cielo terreno. Qua possiamo guardare i nostri cari rimasti ad Arda. »

T horin diede un'occhiata veloce a suo fratello. Il volto normalmente allegro di Frerin era solenne, i suoi luminosi occhi blu oscuri. Notò la considerazione di Thorin e un angolo della sua bocca si contrasse amareggiato « Ho passato un sacco di tempo qui » disse « Sedendo su quella panca. Quella proprio lì. Guardavo te e Dís e Dwalin e Balin, vi guardavo crescere. Più grandi, e più duri... e più freddi » deglutì con forza, e si tirò distrattamente la barba biforcuta « Madre e io quasi piangemmo quando finalmente tu sorrisi di nuovo dopo la nascita di Fíli. C'eravamo quasi scordati che aspetto aveva. »

T horin non parlò, ma strinse la spalla di suo fratello in un supporto senza parole.

«Vuoi vedere?»

La promessa di Mahal gli tornò alla mente, e Thorin esitò. Lo strano calor e che lo aveva soffuso gli bruciava ancora nel petto come se fosse stato fatto di tizzoni incastrati, e si toccò il posto sopra il suo cuore con dita esitanti. La mente dormiente, il subconscio. Ma come? Come avrebbe dovuto raggiungere la sua gente attraverso i mari che li dividevano e dalle Sale dei Morti?

Frerin aggiunse in fretta: « Non devi. Guardare, voglio dire. Nessuno ti sta obbligando a farlo. »

« Guarderò » disse Thorin pesantemente, le parole come tirate fuori da lui con delle pinze. I suoi piedi erano di piombo mentre camminava fino ad una delle panche e si sedette. L'acqua era un foglio di vetro scuro davanti a lui. Non rifletteva la luce ne le stalattiti sopra di loro, e nessuna stella lo salutava dalle sue profondità.

«Cosa devo...?» iniziò, ma Frerin lo silenziò e gli prese la mano.

«Guarda e basta» disse gentilmente.

Thorin aggrottò le sopracciglia, guardando storto l'acqua. Nulla stava succedendo. Questa era un'idiozia. Pensò che forse era uno degli scherzi di Frerin, una perdita di-

Una capocchia di luce iniziò a pulsare nelle profondità nere delle vasca, e lui sussultò. La luce venne raggiunta da un'altra, e poi un'altra ancora, crescendo in luminosità finché finalmente una galassia di stelle luminose luccicava e girava al di sotto della superficie argentea dell'acqua.

«Lo vedi, dunque?» mormorò Frerin.

«Penso di sì» disse Thorin in stupore mentre le stelle divampavano di fronte a lui. «È bellissimo.»

«Lo è» fu la risposta.

Le stelle diventarono troppo luminose per poterle guardare direttamente, e lui socchiuse gli occhi mentre cercava di separare la vasca dal bagliore. Improvvisamente, la luce era svanita, e Thorin rimase a sbattere le palpebre al suo seguito.

Un Nano familiare era seduto di fronte a lui, la sua testa fra le sue mani.

«Dwalin!» esclamò Thorin scioccato, a si lanciò in avanti verso il suo più vecchio amico e cugino, ma il suo braccio passò direttamente attraverso il corpo del leale guerriero. La mano nella sua si strinse come manette di ferro.

«Non possono sentirti» disse Frerin, tirandolo indietro «Non possono percepirti. Loro vivono ancora, e noi non siamo che un sogno di ciò che eravamo.»

« Ma- »

«Non può sentirti» ripeté Frerin «Nostro cugino è un fantasma per noi tanto quanto noi lo siamo per lui.»

«No» ringhiò Thorin «Mi è stato promesso. Mahal mi ha dato un dono. Posso raggiungerli.»

Frerin scosse la testa. « Lo pensiamo tutti all'inizio. »

T horin si girò di nuovo verso Dwalin, che si stava passando le mani sulla testa tatuata. Il suo naso era arrossato, come se avesse pianto, e uno dei suoi occhi era avvolto strettamente da del tessuto, mentre una benda era stretta intorno alle sue costole. « Non sapevo che fosse ferito » disse Thorin.

Frerin sbuffò. « Dwalin lo ammetterebbe mai? »

« Dannato stupido » sospirò Dwalin, e si strofinò la faccia prima di tirarsi in piedi con fatica e camminare con passi cauti fino ad una mensola. Lì prese una fiaschetta, tirò fuori il tappo coi denti, e bevve una lunga sorsata.

«Per qualche motivo non credo che aiuterà, fratello» disse un'altra voce familiare. Thorin girò su se stesso per vedere Balin sulla porta, i suoi capelli bianchi coperti da una benda sporca e parte della sua magnifica barba tagliata corta per rivelare un brutto taglio slabbrato lungo la sua guancia e la sua mascella. « E sono abbastanza sicuro che non era negli ordini di Óin. »

« Lui ha le sue medicine, io ho le mie » ringhiò Dwalin, e prese un altro sorso. Balin sospirò pesantemente, prima di zoppicare fino al letto e sedersi con un grugnito di dolore. Thorin si levò dalla sua strada, e solo allora si rese conto di dov'erano. Erebor.

«Siamo nei vecchi appartamenti di Fundin» mormorò.

«Devono aver iniziato le riparazioni» disse Frerin, ugualmente piano.

Dwalin si sedette di fianco a suo fratello e gli porse la fiaschetta. « La tua barba è ridicola » disse, e Balin fece un verso di assenso mentre prendeva un sorso.

«Aye, azaghâl belkul, e tu ti muovi come un vecchio bacucco di trecento anni»

«Meglio di alcuni»

«Vero. Nori non sarà più così furtivo in futuro, temo, non con quella stampella d'acciaio per piede»

« Gli impedirà di rubare ancora » grugnì Dwalin, e si riprese la fiaschetta.

«Nori ha perso un piede» disse Thorin in completo orrore. Furbo, vanitoso, intelligente Nori aveva perso un piede. Dwalin e Balin erano feriti. Come stava il resto della compagnia?

Balin portò un dito sopra all'apertura della fiaschetta per impedire a suo fratello di bere, e Dwalin lo fulminò con l'occhio buono. « Ti stai nascondendo qua dentro, nadadith » disse gentilmente Balin « Gli altri chiedono e si preoccupano per te. »

«Sto bene» esclamò Dwalin «Digli non sprecare il loro tempo.»

«Non è vero» disse Balin «Sei a lutto. È naturale, fratello.»

Dwalin ringhiò, e i suoi pugni si strinsero. «Nulla è naturale del modo in cui sono morti!»

Balin scosse la testa. «Non è quello che intendevo. Non è giusto che loro non ci siano più, ma è giusto che ti manchino. Mancano anche a me. E anche agli altri. Vogliono condividere il loro dolore col tuo, così che tutti possiamo guarire insieme la nostra grande ferita.»

«Non lo conoscevano come noi» disse Dwalin, il suo volto rosso e rabbioso. Le sue labbra si assottigliarono e la sua gola iniziò a sussultare rapidamente «Non sono cresciuti con lui, non hanno condiviso tutte le sue fatiche...»

«Forse gli altri non gli erano vicini quanto noi» disse Balin, e con una mano gentile portò la fronte di suo fratello contro la propria «Ma hanno condiviso le loro vite in altri modi. Dori ha cresciuto i suoi fratelli nella povertà di Ered Luin, così come lui ha fatto per Fíli e Kíli. Ori usava seguire i ragazzi come un cucciolo smarrito. Bofur e Bombur hanno perso le parole di Bifur agli Orchi, come lei perdette Thrór. Glóin era nello stesso gruppo di addestramento di Dís, e quei due terrorizzavano Dain ogni volta che visitava – non ricordi?»

Dwalin rimase in silenzio per un momento, e poi chinò la testa.

Balin passò la mano sopra alla testa disegnata di Dwalin. « Abbiamo viaggiato con loro – condiviso i loro pasti, le loro canzoni, i loro pericoli. Abbiamo tutti affrontato con coraggio troll e orchi e mannari e goblin e ragni – persino barili – insieme. Gli altri hanno il diritto al loro dolore, e desiderano confortarti nel tuo. Loro... lui non apparteneva solo a noi due. Apparteneva a tutti noi. Era il nostro Re. »

«Aye, il nostro Re» disse Dwalin amaramente, e i suoi occhi si chiusero così strettamente che rughe profonde si scavarono nella sua pelle «Nostro amico, e nostro Re.»

«Shazara, Dwalin, o finalmente ti staccherò la testa, vecchio ubriacone» riuscì a dire Thorin attraverso labbra intorpidite. Frerin se lo tirò vicino, e Thorin seppellì il volto nella calda, viva spalla, respirando pesantemente.

«Stai bene?» mormorò.

«Io» gracchiò Thorin «Io non avevo pensato che avrebbero portato il lutto.»

Frerin sembrò sorpreso. « Perché non avrebbero dovuto? »

T horin alzò la testa e gli lanciò uno sguardo storto, e Frerin sospirò. « Follia dell'oro o no, Thorin, eri loro amico. Sei stato il loro Re per un secolo, sin da quanto Padre scomparve. Ti volevano bene. Certo che piangono. »

T horin seppellì di nuovo la testa, e Frerin gli tirò una treccia per confortarlo. « Andiamo. Chiudi gli occhi. Ci sono altri da vedere. »

T horin chiuse gli occhi, e quando li riaprì stava guardando una sala coperta di corpi fiaccati. Le centinaia e centinaia di feriti riempivano l'aria con i loro gemiti e grida, e Thorin dovette trattenere un urlo a sua volta vedendo il massacro che avevano fatto gli Orchi.

Óin sembrava esausto. Le sue trecce arricciate erano scompigliate e i suoi occhi erano profondi pozzi neri nella faccia scavata. Glóin, Dori e Bilbo si muovevano attorno a lui con movimenti meccanici, lavando i feriti, nutrendoli, bollendo l'acqua e spalmando ungenti sulle ferite. In un angolo su una grande sedia marcia sedeva Nori, strappando tessuto per fare delle bende. La sua gamba sinistra si fermava bruscamente sotto il ginocchio, e una stampella di metallo – ovviamente un lavoro di Bofur – sedeva finita a metà di fianco a lui. Tra i letti si trascinava Óin, debole e senza fermarsi, le sue mani mai ferme mentre cuciva e tagliava e avvolgeva. Nessuno di loro parlava.

La vista dell'Hobbit, i suoi occhi pieni di ombre , causò una grande ondata di rimorso nel petto di Thorin. Bilbo scivolava attraverso i suoi compiti come se fosse stato lui il fantasma, e non Thorin. La sua testa ricciuta era avvolta in delle bende. Ogni tanto Glóin gli poggiava una mano consolatoria sulla sua magra piccola spalla. Il ricordo del soddisfatto, educato piccolo compare che “dondolava sul tappeto” che aveva incontrato nella Contea tutti quei mesi fa lo colpì improvvisamente, e abbassò gli occhi. Non avrebbe mai potuto perdonarsi per ciò che aveva fatto, anche se Bilbo lo avesse perdonato un migliaio di volte.

Glóin si fermò di fronte ad una barella, e Thorin riconobbe l'inconfondibile forma di Bombur. Il largo Nano amichevole era avvolto in bende dalla coscia in giù, e nel sonno la sua faccia era deformata dal dolore. Glóin si morse il labbro inferiore un momento, prima di fare un segnale a Dori. Il Nano dai capelli argentati annuì e venne a tenere giù le spalle di Bombur con le sue mani possenti. Si guardarono negli occhi, e poi Glóin tagliò le bende. Gli occhi di Bombur si spalancarono, ed urlò. Sotto il tessuto, una putrescenza nera stava crescendo sulla gamba di Bombur. Con una dolorosa stretta all'addome, Thorin riconobbe il veleno degli Orchi. Glóin stappò una bottiglia e iniziò a massaggiare il contenuto sulla gamba di Bombur, ignorando le sue strilla di dolore. Del pus uscì dalla ferita, sporco di nero, e Glóin sospirò.

«Dobbiamo aprirla di nuovo, dici?» disse senza emozione.

Il volto di Dori si afflosciò, anche se la sua voce era ferma. « Sì dovremmo, Signor Glóin. Stavolta, però, lo farò io. Cucite in maniera atroce, se mi permettete di dirvelo »

« Sono un banchiere, non un tessitore » replicò Glóin.

Bombur fortunatamente svenne. Thorin strinse i denti finché non scricchiolarono, e i suoi occhi si spostarono verso Bilbo. Lui stava attentamente portando cucchiaiate di zuppa nella bocca di Ori, che era piegato su se stesso mentre il suo respiro soffiava e rantolava. Sembrava che ci fosse del sangue nei suoi polmoni, e dall'aspetto dell'impasto sul suo volto per poco non aveva perso il naso. Sdraiato su una barella accanto a Ori c'era Bifur. Giaceva privo di sensi, il suo corpo sussultava di tanto in tanto. L'ascia che aveva portato per decenni gli era stata strappata dal cranio, e la sua testa era stretta in stracci insanguinati.

Ogni tanto Óin esaminava un Nano ferito solo per girarsi con un'espressione dura. Quel Nano sarebbe stato messo a proprio agio, gli sarebbero state date pozioni per rendere il loro sonno il meno doloroso possibile, e sarebbe stato lasciato solo per scivolare via dal mondo.

Attraverso la sua vergogna Thorin si chiese di quanti sei nuovi residenti delle Sale era responsabile.

Frerin mise la mano sull'avambraccio si Thorin. « Andiamo. »

C on un ultimo sguardo allo Hobbit, Thorin chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, stava guardando la sala delle udienze di Erebor, a forma di alveare e decorata, con i suoi torreggianti sentieri di roccia, e suo cugino lasciato cadere mollemente sul trono, con uno sguardo irato. I suoi selvaggi capelli rossi erano tirati indietro in una coda invece che nelle sue solite trecce fluenti, e sopra di lui vi era il buco aperto dove un tempo l'Archepietra aveva brillato. Dáin sembrava essere invecchiato di un secolo dall'ultima volta che Thorin l'aveva visto. La sua mano si muoveva senza sosta come se stesse cercando la sua grande ascia da battaglia rossa, Barazanthual, mentre ascoltava il Principino Elfico che parlava.

« Aiuteremo » stava dicendo il Principe « Mio padre è d'accordo. Manderemo cibo e medicine a Bard, e lui può mandarle a voi. Dubito che la tua gente si fiderà se ve le mandassimo direttamente. »

« Questo è un cambio di tono » replicò una voce, e per la grande sorpresa di Thorin Bofur era piegato accanto al trono, le sue braccia incrociate e i patetici resti del suo cappello in testa. La sua faccia normalmente piena di allegria era tirata in linee di sofferenza, e la luce nei suoi occhi era cinica e fredda. « Pensavo non credevate di doverci aiutare. »

I l Principe diede a Bofur uno di quegli sguardi Elfici imperscrutabili. « Un'amica mi ha fatto vedere chiaramente » disse infine « Che questa è la nostra lotta. »

«Un tempo conveniente per vedere chiaramente, ora che il drago è morto e tutto il resto è in cenere» ringhiò Dáin.

Il Principe inclinò la testa pieno di rimorso. «Aiuteremo» ripeté.

«Elfi» disse Frerin cupo «Sempre o troppo presto o troppo tardi.»

Bofur sembrava completamente d'accordo. Si raddrizzò la tunica con uno scatto improvviso e un ringhio sprezzante, e se andò.

Dáin osservò con la stanchezza scritta chiaramente sul suo volto, prima di girarsi verso l'Elfo. « Perdonatelo, Principe Legolas » disse « Ha sofferto per via della vostra... ospitalità, potremmo chiamarla? E in seguito, ovviamente, sembrava che sia Uomini che Elfi si sarebbero felicemente arrampicati sui loro corpi per rubare ciò che di diritto appartiene alla nostra gente. I Nani non dimenticano in fretta l'ingiustizia. »

«Spero che i Nani si ricordino anche che abbiamo combattuto per loro, alla fine» disse Legolas piano.

«Aye, è possibile, è possibile» Dáin sospirò e tirò più vicino un foglio di pergamena. «Ma non ci sperare, ragazzino.»

La bocca di Legolas si incurvò del più piccolo accenno.

«Dáin sta... firmando un accordo?» Thorin sputacchiò in oltraggio «Lo sta facendo! Dáin, smettila! Trascina questo Elfo traditore fuori dalla mia montagna! Gettalo dal picco più alto!»

Frerin alzò gli occhi al cielo. « Io non parlerei di gettare chiunque da ovunque, se fossi in te. »

B ilbo . Il senso di colpa lo riempì di nuovo, e la bocca di Thorin si serrò.

«Questo era crudele» sibilò.

«Anche te» gli fece presente Frerin «Dáin farà ciò che deve. Il Re Elfico è potente, e Bosco Atro è tra Erebor e i regni meridionali degli Uomini. Erebor ha bisogno del suo lasciapassare per gli scambi, quantomeno. Almeno questo suo figlio non sembra così male.»

« Questo suo figlio mi ha minacciato di uccidermi! »

«E tu ti sei comportato con tale tatto e diplomazia, sono sicuro. Dáin sa che Erebor è la torre di guardia del Nord. Fa da guardia a tutta la gente libera, non solo gente di Dale e Nani»

« Ma Dale... »

«È una rovina, e potrebbe rimanerlo per parecchio tempo» lo interruppe Frerin «Nel frattempo il cibo deve pur arrivare da qualche parte, e gli Elfi lo hanno e gli Uomini no. Apri gli occhi, nadad. Ha ragione. Potrebbe non piacerti, ma Dáin è più bravo di te in questo genere di cose. Ha regnato sui Colli Ferrosi sin da Azanulbizar – centoquaranta anni di pace e prosperità. Si è mostrato un capo ed un politico, e conosce questa roba come le sue tasche – meglio di te o me, vagabondi che eravamo.»

«Come fai tu a saperlo?» disse Thorin, torreggiando su suo fratello «Odiavi le lezioni!»

F rerin scosse la testa in esasperazione. « Perché ho guardato – guardato per decenni e decenni. Come pensi abbia fatto? »

T horin grugnì e spostò la sua attenzione su Dáin. Il vecchio guerriero brizzolato annuì al Principe, che si inchinò in cambio. Poi l'Elfo se ne andò, i suoi abiti frusciavano dietro di lui mentre camminava con piedi silenziosi il lungo sentiero di pietre spezzate.

Dáin si massaggiò la fronte prima di tirarsi in piedi e superare il trono fino alla porta dietro di esso, aprendola ed entrando nella sala d'ingresso del Re. Qui si fermò e si appoggiò pesantemente su un tavolo, e solo allora Thorin notò le bende attorno alla sua gamba. Del sangue vi stava passando attraverso.

«È ferito» disse. Frerin alzò le sopracciglia.

«Conosci Dáin. Non mostrerebbe una debolezza se ne andasse della sua vita. Quel Nano è completamente di ferro»

«Idiota testardo» disse Thorin mentre Dáin si massaggiava i bordi della ferita con le sue dita enormi.

«È un tratto di famiglia di cui andiamo piuttosto orgogliosi» ghignò Frerin.

«Idiota testardo» disse improvvisamente Dáin, e rise con la sua voce ruvida. Thorin batté le palpebre.

«Ha appena...?»

«Mi avresti staccato la testa per questo, o sbaglio cugino?» continuò Dáin, i suoi occhi fissi in qualche ricordo distante. Thorin seguì il suo sguardo fin dove la corona sedeva sul suo letto di seta marcia. « Gettato dal picco più alto della Montagna, senza dubbio. Beh, spero bene non ci siano Elfi dove sei andato. Altrimenti saresti ancora più torvo in morte di quanto non lo eri in vita! Invece mi hai intrappolato in questo dannato posto puzzolente per mettere a posto questo disastro. Io che devo trattare con quei dannati enigmatici mangia erba e quei pomposi Uomini avidi – e non farmi nemmeno iniziare con gli Stregoni! Se tu fossi qua di fronte a me, Thorin, rigido bastardo, ti ammazzerei io stesso, oh lo farei! »

«Per il martello e le tenaglie di Durin» sussurrò Frerin «Ha... Pensi che possa...»

«Te l'ho detto» disse Thorin serio «Mahal mi ha dato un dono. Percepiranno le mie parole nella loro mente più profonda.»

Frerin lo fissò.

«Lo so» Thorin chiuse gli occhi «Non ne sono degno.»

«Non quello» disse Frerin «Devi stare attento a cosa dici! Questo è un potere che nessun Nano dovrebbe avere.»

Thorin si accigliò. « Perché? Non possono sentire le mie parole direttamente come fai tu. »

«Potresti influenzarli senza che se ne rendano conto» disse Frerin, la sua luminosa giovane faccia insolitamente seria «Devi stare attento Thorin. Potrebbero fare qualcosa senza sapere cosa stanno facendo.»

Aprendo la bocca per rispondere, Thorin si ricordò improvvisamente il sottile potere dell'oro e la sua determinazione disperata nel vedere il tesoro della sua gente al sicuro in mano Naniche. A disagio, si rigirò verso Dáin. « Aye. »

M a Dáin era scomparso. Al suo posto era sdraiata un Nana in lacrime, la sua testa lanciata sui suoi avambracci incrociati, e i suoi capelli scuri, screziati d'argento, le ricoprivano le spalle. La stanza era pulita e modesta, nulla come la grandezza rovinata di Erebor. Questa era Ered Luin.

«Oh» disse Thorin debolmente.

«L'ha fatto anche dopo Azanulbizar» disse Frerin, la sua voce rassegnata « Per mesi e mesi. Tu – tu non l'hai visto – tu stavi tornando da Moria coi morti e feriti. Lei rimase forte di fronte alla corte e guidò la nostra gente in assenza di nostro nonno. Ma pianse nel silenzio delle sue stanze. »

L 'unica sopravvissuta della linea di Thorin singhiozzò nelle sue maniche, e nelle sue urla di disperazione c'era una profonda ed echeggiante solitudine che scosse Thorin nel profondo.

«Sorella» disse miseramente, il senso di colpa quasi un dolore fisico «Sorella, ti prego smettila. Va tutto bene. Andrà tutto bene.»

« No! » Frerin esclamò, e riportò il volto di Thorin al suo « Se può sentirti dentro nel profondo, dille ciò che le serve sentire. Diglielo! » suo fratello prese un respiro doloroso « Diglielo come vorrei poter far io . »

T horin fissò distrutto Frerin, il suo fratello perduto, lì con lui nell'abbraccio condiviso della morte. Poi guardò Dís, la loro testarda sorellina dalla volontà d'acciaio. « Io... »

Dís si portò le braccia attorno al corpo e fece un lungo, basso gemito. Un messaggio era schiacciato nella sua mano. I suoi occhi, del marrone più scuro come quelli di Thráin e Kíli, e bagnati di lacrime che le scendevano lungo le guance per inzupparle la barba complessamente tagliata, e il suo forte naso Durin era rosso dal pianto.

«Dís» iniziò Thorin senza speranza, e poi guardò Frerin.

«Trova il tuo coraggio, Oh Re Sotto la Montagna» disse con voce bassa. Thorin raddrizzò le proprie spalle e poi esitando si sedette tentativamente accanto a sua sorella. Si fermò per un momento per riordinare i suoi pensieri che correvano, e poi iniziò a parlare.

« Dís » disse gentilmente « Ti voglio bene. Mi dispiace di averti lasciata. Mi dispiace di averti portato via i tuoi ragazzi. Le Sale sono una meraviglia, e aspetteremo il tuo arrivo. Víli è qui, e gli manchi. Fíli e Kíli sono qui, e gli manchi disperatamente. Oh Dís, dovresti vederli con Frerin. È una catastrofe che aspetta di accadere, come dicevi sempre tu. Madre parla spesso di te, lo sai. E Padre è qui, ed è se stesso di nuovo. Nonno e Nonna, Fundin e Gróin e il resto. Siamo tutti qui, e ti vogliamo bene. Ti osserveremo finché non sarà il tuo momento di unirti a noi. Ti aspetteremo tutti. Ma anche tu dovrai aspettare noi » fece una pausa, e sollevò una mano per lasciarla al di sopra dei suoi capelli striati di grigio « Sorellina » mormorò « Desidero di non averti lasciata da sola. È uno dei miei rimpianti più profondi, e ne ho tanti. Oh, così tanti. Non ti darò torto se mi odi. »

F rerin osservò in silenzio quando Thorin tentò di accarezzare i capelli di Dís, e la sua mano passò direttamente attraverso le lunghe ciocche annodate.

«Vivi per noi, namadith» disse Thorin, e la sua gola si chiuse attorno alle parole, facendole suonare brevi e stridule «Aspettaci. Guida la nostra gente a casa.»

Dís ricacciò indietro le lacrime, e la sua mano si strinse attorno al messaggio spiegazzato « Quell'idiota orgoglioso » gracchiò, la voce roca dal pianto.

«Aye» disse Thorin, e sorrise nonostante la nuova tempesta di vergogna «Un idiota orgoglioso che ti vuole bene. Anche se sono morto, quello non cambierà mai. Nessun velo della morte può fermarlo.»

«Nulla l'ha mai fermato» disse lei, e seppellì nuovamente il volto fra le mani «Perché non si è mai fermato

«Linea di Durin, sorella» disse lui, e deglutì «Un orgoglioso... tratto di famiglia.»

« Che la Linea di Durin sia dannata alle profondità più orrende di Moria » sibilò tra le mani, e la sua voce iniziò ad alzarsi con disperazione a malapena contenuta « Dannata sia la nostra Linea, e dannato il nostro orgoglio, e dannato il nostro nome, e dannata la nostra cieca, capricciosa follia! Che il drago si riprenda Erebor se solo me li potesse riportare! Li avrei qui ! Quanto ancora sarò solo? I miei figli sono morti! Mio fratello morto! La nostra Linea è finita ed io sono sola! » girò su se stessa e prese una tazza dal comodino e la scagliò contro il muro con urlo di rabbia e miseria.

«Andrai avanti» disse Thorin «Lo farai, figlia di Re, migliore delle sorelle. Sei testarda quanto il resto di noi.»

Lei collassò sul letto, e le sue lacrime ricominciarono. Thorin si alzò e sospirò.

«Mesi, dici» disse cupo.

«Mesi» disse Frerin.

«Pensi che l'abbia raggiunta?»

«Penso che potrebbero volerci qualche altro tentativo» disse Frerin cinico.

Thorin sospirò e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, era su un parapetto che dava sui cancelli di Ered Luin. Sbatté le palpebre stancamente, il vuoto dolore sotto le sue costole pulsante come un secondo cuore. « Ma chi altro c'è? Chi della nostra famiglia non abbiamo visto? »

F rerin inclinò la testa. « Ah, certo. L'ultimo e più piccolo. E certamente uno dei più rumorosi. »

« Chi...? » Thorin si girò.

Un robusto giovane Nano, di neanche settant'anni, accatastando la legna per i bracieri che avrebbero tenuto calde le guardie del turno di notte. I suoi capelli rosso intenso erano tirati in delle tracce da lavoratore, la sua corta barba folta sulle guance e legata in due piccole trecce che sporgevano ai lati del mento. La sua faccia era seria e pallida.

« Il figlio di Glóin » disse Thorin sorpreso.

«Aye» disse Frerin « Te lo eri dimenticato? »

«Una volta che la missione iniziò non ebbi molti pensieri per altro» disse Thorin, e si avvicinò al giovane Nano «Dunque questa è la stella di Glóin. Non ho mai passato molto tempo col ragazzo, anche se conosceva bene Fíli e Kíli. È quasi cresciuto.»

« Ha solo sessantadue anni, anche più giovane del figlio di Dáin » disse Frerin, grattandosi la barba « Voleva andare con voi, se ti ricordi. Si crede abbastanza pronto per un'avventura, ma suo padre gliel'ha proibito. È stata una scena notevole. Mi sono divertito un sacco. »

S tudiando il volto del giovane, Thorin vide tracce della Linea di Durin nelle sue sopracciglia dritte e spalle ampie, e nella posizione alta delle sue orecchie. Il suo naso però non era la lama affilata dei Longobarbi ma il naso tondo e corto dei Vastifasci, e aveva i capelli e la barba infuocati che aveva ereditato dalla madre Barbafiamma di Glóin. « Somiglia di più a suo padre » commentò.

« Ragazzo! » venne urlato da sotto. Gimli si asciugò la fronte sudata e si sporse dal parapetto per guardare dove il Capitano stava appoggiato alla propria lancia nel cortile. « Hai finito con la legna? »

«Quasi!» rispose Gimli. Aveva una voce da uomo, profonda e robusta e toccata dall'accento di Thaforabbad, come quelle di Glóin e Óin. «Cosa devo fare quando ho finito?»

«Acqua per i pony» disse il Capitano «La ronda tornerà in un paio d'ore.»

«Aye, e l'acqua sarà pronta» disse Gimli, e tornò ad impilare la legna.

«Ancora non sa?» si chiese Thorin.

« Gimli? » Frerin alzò le sopracciglia « Lo sa. Guarda quant'è pallido, e quelle macchie di colore sulle sue guance. »

Thorin osservò il giovane Nano lavorare per un altro momento, notando i suoi movimenti meccanici e la persistenza accanita con cui metteva un piede di fronte all'altro. « Il ragazzo porta il lutto per i suoi compagni di giochi, e preferisce lavorare fino ad essere esausto che piangere » disse.

« Ho pianto a sufficienza » mormorò Gimli a se stesso « Aye, e anche rumorosamente! Il lavoro è ciò che mi serve. Il lavoro mi stancherà la mente e terrà i miei pensieri silenti. »

«Thorin!» gli occhi di Frerin si spalancarono in stupore «Ti sente!»

« Mi sente bene, anche più chiaramente di Dáin o Dís » disse Thorin lentamente, e piegò la testa da un lato per studiare meglio il suo cugino più giovane. Gimli incrociò le dita e fece scrocchiare rumorosamente le nocche, e poi osservò un albero segato alla base e slegò l'ascia da legna dalla cintura. Un ragazzo forte, dunque. « Deve essere un ragazzo piuttosto percettivo. Glóin dev'essere orgoglioso di lui. »

« Mio padre farebbe bene a chiamarmi » ringhiò Gimli improvvisamente prima di colpire il legno con un movimento elegante e preciso: Dwalin stesso non avrebbe fatto di meglio. Thorin fu preso di sorpresa dall'abilità del giovane Nano. Tra ogni colpo, Gimli continuava i suoi borbottii arrabbiati. « A mio zio servirà il mio aiuto. Potrei dare conforto ai miei cugini. Avrei dovuto essere stato lì. Loro erano più grandi di me, e più importanti. Avrei dovuto disobbedire a mio padre. Li avrei protetti. Avrei comprato le loro vite con la mia, se ce ne fosse stato bisogno! Nessun Signore dei Colli Ferrosi dovrebbe sedere sul trono di Erebor! »

«Ambizioni elevate» disse Frerin, e si appoggiò al parapetto «Vedi quel movimento? È un combattente d'ascia naturale, ed è già un guerriero di talento. Dwalin lo ha addestrato insieme ai nostri nipoti. È stato piuttosto divertente osservarli – sono entrambi ugualmente cocciuti.»

« È un Nano, certo che è cocciuto » disse Thorin « Ed è anche un Durin, quindi un altro colpo contro di lui. Che altro c'è in lui? »

F rerin fece spallucce. « È onesto, e gentile quando desidera esserlo. La sua lealtà, una volta donata, è dura come il diamante e sincera come il mithril. La sua fedeltà è assoluta, e non infrange mai la parola data. Questo qui sarà un buon Signore dei Nani. Però, non è altro che un bambino, e può essere veloce nell'arrabbiarsi, impulsivo e a volte piuttosto arrogante. »

Q uesto bambino è di quattordici anni più vecchio di quanto tu non sia mai stato , pensò Thorin. Ad alta voce, disse: « Proprio come te, quindi » e Frerin sorrise, anche se era in qualche modo meno luminoso a causa delle sofferenze che avevano visto.

«Io non sono mai stato così rumoroso»

« Tu eri più rumoroso, credimi » disse Thorin, e tornò a guardare Gimli, che stava spaccando legna con convinzione « Dunque. Ce n'è ancora uno giovane rimasto. Non tutti i nostri bambini si sono spenti. »

«Non tutti» fu d'accordo Frerin «Il figlio di Dáin Thorin regna sui Colli Ferrosi come reggente, e la stella di Glóin brilla ancora.»

Gimli impilò l'ultimo carico di legna, e poi si appoggiò pesantemente sulla sua ascia mentre alzava la sua testa rossa nella sottile luce del tardo pomeriggio. «Ah, amici miei» disse piano «Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal. Mi mancherete. Che voi non siate mai dimenticati.»

L e sopracciglia di Thorin si abbassarono, ma prima di poter dire altro, batté le palpebre e venne trasportato via.

La vasca giaceva brillando di fronte a lui, le stelle lampeggiarono e svanirono nelle profondità. Il collo di Thorin era dolorante, e si raddrizzò con un gemito prima di toccarsi il volto con la punta delle dita. Le sue guance erano bagnate.

Frerin gli venne accanto, e tirò per un braccio. « Stai bene? »

T horin lo osservò per un lungo momento, e il peso di tutti i suoi errori era più pesante della Montagna. « No » disse, e si voltò.

Frerin gli prese la mano gentilmente e lo guidò via dalla vasca. Thorin pensò a tutto ciò che aveva visto, e chinò la testa. Rovina e disperazione erano state lasciate dove lui era passato, e sua sorella, i suoi cugini e compagni erano rimasti con quell'intero terribile, doloroso disastro.

L'unico barlume di luce nell'oscurità era un giovane Nano borbottante che tagliava legna con un movimento da guerriero, che portava delle sopracciglia alla Durin e un naso alla Vastifasci e i capelli rosso acceso dei Barbafiamma.

TBC...

Note:

Thaforabbad – le Montagne Grige (dove molti Nani cercarono rifugio direttamente dopo la caduta di Erebor)

Narvi di Khazad-dûm – una grande artigiana della Seconda Era, che con Celebrimbor (il più grande fabbro degli Elfi Noldor) creò le Porte di ithildin di Khazad-dûm

Telchar di Nogrod – Prima Era. Uno dei più grandi fabbri Nanici di tutti i tempi. Forgiò la spada Narsíl (la lama di Elendil, che venne poi riforgiata sotto il nome di Anduríl e usata da Aragorn figlio di Arathorn) e il coltello Angrist che poteva tagliare ogni cosa.

Khazad-dûm – ora conosciuto come Moria (Sindarin), il Pozzo Nero. Regno perduto dei Nani Longobarbi, il Popolo di Durin, dall'Era degli Alberi. Un Balrog vi venne scoperto nei giorni di Durin VI. Uccise il Re, il suo successore Náin I, e spazzò via la maggioranza dei Nani e così il Regno venne abbandonata. Sono stati fatti molti tentativi di riconquistarlo.

Belegost (Khuzdul: Gabilgathol) – Regno dei Nani Vastifasci nelle Montagne Blu (Ered Luin), città sorella di Nogrod. Il Regno fu perduto nelle Guerra dell'Ira, quando le montagne crollarono o gran parte di esse cadde nel mare.

Nogrod (Khuzdul: Tumunzahar) – Regno dei Nani Barbafiamma nelle Montagne Blu, città sorella di Belegost, perduta anch'essa nella Guerra dell'ira. Questi nani furono i responsabili del sacco del Doriath e dell'assassinio di Elu Thingol.

Per i curiosi: l'Albero Genealogico Durin è piuttosto più grande che Thorin, Dís, Fíli e Kíli. Prima di BotFA, Balin è sesto in linea per il trono, e Gimli è decimo!

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


I giorni passarono lentamente. Due Nani che erano morti durante la Battaglia delle Cinque Armate (come la chiamavano ora) si inchinarono a Thorin quando lo incontrarono, e almeno altri sei gli tirano un pugno dritto in faccia. Suo nonno gli diede delle pacche sulla spalla per consolarlo.

«Avresti dovuto vedere questo posto dopo Azanulbizar» fu tutto ciò che disse.

Gli venne mostrata un'area di lavoro nelle forge, e anche se i metalli erano i più belli e puri con i quali avesse mai lavorato, non aveva molta voglia di creare. Il mithril e l'argento lo rendevano malinconico, e la vista dell'oro lo riempiva di una vergogna tale che ne poteva sentire il sapore in bocca. Solo a rame, acciaio o ferro riusciva a dare forma. A volte Thráin lavorava accanto a lui, anche se parlavano poco.

Frerin non veniva alla fucina. Sua fratello evidentemente si era accorto che a Thorin serviva del tempo dopo ciò che avevano visto, e lo lasciò ai propri affari. Quando non era in forgia Thorin passava il tempo coi suoi nipoti. Fíli e Kíli lo fecero sorridere di nuovo, anche se era tirato. Sua madre gli dava conforto come nessun altro poteva, le sue dita abili sulla sua arpa quando suonava vecchie canzoni pacifiche della sua infanzia, non toccate da alcun dolore.

Alla fine, però, Thorin non poté più rimandare, e tornò nella Camera di Sansûkhul per tuffarsi nuovamente tra le stelle annegate.

Andò da sua sorella per prima. Dís piangeva ancora. Lui non riusciva a raggiungerla attraverso il suo lutto. Rimase seduto con lei per lunghe ore, guardando il suo magro viso grigiastro che diventava sempre più magro e sempre più grigio, e la pregava di mangiare. Le non lo fece.

Lui se ne andò, il cuore pesante.

Ad Erebor, c'era un funerale. Thorin guardò mentre l'Archepietra veniva posata sul suo petto freddo e morto, le sue dita avvolte attorno all'elsa di Orcrist, e il suo corpo e quelli dei suoi nipoti chiusi nella tomba.

Bilbo pianse amaramente tutto il tempo.

Quando la pietra bianca passò sopra al corpo martoriato e rigido di Fíli, Thorin si coprì la bocca con le mani, premendole così forte contro le sue labbra esangui che poteva sentire la forma dei denti al di sotto di esse. Con un'imprecazione chiuse gli occhi e fuggì da quella vista.

Li riaprì per vedere una taverna nelle sale di Ered Luin. Lì, triste e confuso, guardò il suo giovane cugino rosso che si ubriacava alla grande. Gimli cantò e ballò, bevve e rise, e si sedette mollemente dietro al suo boccale con la testa fra le mani. A un certo punto diede un colpo poderoso direttamente nei denti di un altro Nano per qualche commento fatto contro la Compagnia di suo padre. I due alla fine barcollarono fino a casa a braccetto cantando una canzone volgare che il ragazzo decisamente non avrebbe dovuto conoscere alla sua età. Rispetto alla desolazione cupa e desolata di Erebor, Gimli sembrava scoppiare di vita, pieno di vigore e forza giovanile. La sua energia era contagiosa, e Thorin riemerse dalle acque stellate sentendosi in qualche modo più leggero.

Ritornò in forgia e piegò la sua lavorazione con volontà rinnovata. Finì una spada. Il suo lavoro migliore.

Poi preparò il proprio cuore e si rituffò nella vasca.

Dís non piangeva più. Sedeva ferma come la pietra sulla sedia ad Ered Luin, approvando carico di bagagli dopo carico di bagagli e convoglio dopo convoglio che partivano per Erebor. Non lo percepiva. I suoi occhi erano come schegge di ghiaccio nel suo volto.

Thorin la pregò di ascoltarlo, ma lei era irraggiungibile come la luna.

I lavori procedevano in fretta alla Montagna. Ovunque Thorin guardasse poteva vedere la devastazione causata dal drago e dagli eco della sua follia. Anche se il Regno si stava lentamente liberando del proprio lutto, Thorin poteva a malapena guardare i suoi compagni viventi senza vedere la luce della malattia dell'oro che un tempo danzava nei loro occhi. Nessuno era stato perduto così completamente come Thorin, certo, ma li aveva trascinati tutti dietro di sé nella sua follia lo stesso.

Vedere il senso di colpa e l'angoscia nei loro volti fece crescere i propri finché gli sembrò di avere una catena di pietra attorno al collo.

Bifur visse. Sotto le cure di Bofur e Bilbo, iniziò lentamente a migliorare. La cicatrice sulla sua fronte era una cosa orrenda, una grande incavatura profonda pollici. Non parlava assolutamente, e persino l'Iglishmêk gli sfuggiva a volte. Ogni tanto si bloccava a metà di un movimento, e la frustrazione sul suo volto era quasi furia.

Bombur avrebbe zoppicato per il resto della vita. Ci sembrava rassegnato, e si impegnò ad intagliarsi un enorme bastone da passeggio. Aveva molti compartimenti intelligentemente nascosti nei quali teneva spezie, forchette, dolci e biscotti.

Ori fu fuori dal suo letto di malattia il momento stesso in cui Óin gli diede il permesso, anche se una tosse tremenda continuava ad assillarlo. Iniziò immediatamente ad aiutare Nori a re imparare a camminare. L'ex ladro era di pessimo umore mentre sferragliava per le loro stanze. Con un braccio attorno alle spalle di ognuno dei suoi fratelli, gemeva e imprecava con ogni passo rumoroso finché alla fine iniziò ad urlare di rabbia e risentimento. Ori non si fece intimidire, tutta la sua timidezza e incertezza bruciate via nei fuochi della battaglia. Affrontò la rabbia di suo fratello con calma finché Nori non fu esausto, e poi lo aiutò a tornare sulla sua sedia. Dori faceva tazza di tè dopo tazza di tè, labbra bianche e rigide, prima di pettinare con attenzione i capelli castano-rossastri dello svuotato e silenzioso Nori nelle sue trecce elaborate. Poi i Fratelli Ri strinsero forte le mani di Nori finché lui non riuscì a piangere.

Dáin diede subito a Glóin, Óin, Balin e Dwalin posizioni di potere. Balin divenne il Siniscalco e Primo Consigliere, Glóin il Tesoriere, Óin diventò un Consigliere e a Dwalin andò il comando dell'Esercito, almeno quanto ne rimaneva nel suo stato ridotto e patetico. Ci furono alcune lamentele dal popolo dei Colli Ferrosi, ma Dáin li incenerì col suo sguardo rigido finché non furono silenti.

Quando la barba di Balin era quasi ricresciuta, la sua Compagnia disse addio al loro Scassinatore, Bilbo era serio e il suo volto tirato mentre li abbracciava tutti a turno e disse loro di chiamarlo se mai fossero stati dalle parti della Contea. Sorrise debolmente. «Il tè è alle quattro, ma voi siete i benvenuti ad ogni ora!»

Óin diede delle pacche sulla testa del piccoletto, e Dori spinse un fagotto di tessuti abbelliti e piegati nelle mani di Bilbo «Cos'è?» disse lui, e ne aprì uno prima di scoppiare a ridere «Fazzoletti da tasca!»

«Beh, non si sa mai quando possano servire» disse Ori, e piegò la testa, tossendo. C'era una nuova cicatrice di un rosso vivido che correva lungo il lato della sua morbida faccia giovanile.

«Viaggia con sicurezza» disse Balin, prima di trascinare lo Hobbit in un altro abbraccio «Sarai sempre uno di noi, Bilbo Baggins, khazâd-bâhel, Amico dei Nani. Che tu possa stare bene.»

Il mento di Bilbo tremò, e lui si aggrappò alla veste di Balin con dita tremanti. «Vorrei...» disse con una voce piccola.

«Lo so, ragazzo» mormorò Balin «Lo vorremmo tutti.»

Con un sospiro, Bilbo si separò e si raddrizzò la sua piccola giacca e cintura della spada. Le dita di Thorin si mossero verso il viso dello Hobbit, e anche lui avrebbe voluto, oh quanto lo voleva.

Bofur gli diede un colpetto sotto al mento, e poi prese il suo cappello distrutto e lo lasciò cadere sulla testa riccia di Bilbo. «Ecco» disse «Tienimelo. Passerò a prenderlo uno di questi giorni.»

Bilbo fece un sorriso acquoso e passò un dito sulla tesa. «Lo farò.»

«Hobbit» disse Dwalin, e schiarì la gola «Non so se qualcuno te l'ha detto» Poi si inchinò davanti allo Hobbit stupefatto e disse, in tutta sincerità:

«Grazie»

«Aye» - «Grazie ragazzo» - «Non ti ringrazieremo mai abbastanza» anche il resto della compagnia si inchinò profondamente. Bilbo sembrava nervoso ed imbarazzato.

«No, non dovete» disse, e gesticolò con le sue piccole mani «No, per piacere, amici miei...»

Balin si rialzò e fece l'occhiolino a Bilbo. «Khazâd-bâhel.»

«Oh, per carità» esclamò Bilbo, e si asciugò gli occhi con uno dei suoi fazzoletti nuovi «Nani! Melodrammatici, tutti voi! Oh, mi mancherete terribilmente.»

«Bilbo» disse Gandalf gentilmente «Tempo di andare.»

Bilbo si girò verso la grande macchia viola che era Bosco Atro e le spire delle Montagne Nebbiose nella distanza. «Andata» disse piano «e ritorno.»

Poi si girò verso ciò che rimaneva della Compagnia di Thorin e li indicò col dito. «Mi piacerebbe non avervi mai incontrato» disse, e rise tristemente «Siete stati un'influenza terribile. Cosa diranno di me, a casa? Chi sarò ora?»

«Sei il nostro Scassinatore» disse Dwalin burbero, e molti altri gli fecero il coro «Ti danno fastidio, mi mandi un corvo. Ci penserò io a loro.»

«Dove troverò un corvo addestrato nella Contea?» sbuffò Bilbo «A parte tutto, penso di essere in grado di badare a me stesso, ora. Ma grazie dell'offerta!»

«Passerò di lì tra un anno o due» promise Glóin «Tornerò alle Ered Luin per prendere la mia famiglia. Anche Bombur verrà. Ci fermeremo a salutarti. Non dimenticartelo!»

Con una spinta da Dori, Bilbo si arrampicò sul suo pony. «Nasconderò i miei piatti in maniera particolare» rise «Addio, amici miei! Scrivetemi ogni volta che potete!»

«Va via, ragazzo, o staremo qua fuori tutto il giorno» borbottò Nori, la sua faccia terribilmente triste.

«Sì, direi» mormorò Bilbo, e giocherellò per un attimo con le redine «Brutta cosa, i viaggi. Sì, prima parto prima finisco.»

«Uccidi un goblin o due per me!» disse Bombur.

«Oh, ma non ti avvicinare troppo!»

«Aye, e stai attento ai Troll!»

«E ai giganti!»

«E ai fiumi!»

«E ai ragni!»

«E agli Elfi!»

«Mandami una copia del tuo libro di erbe, se non ti dispiace!» quello era Óin.

«E la ricetta della torta alla frutta di cui parlavi» aggiunse Bombur.

«Oh, e se puoi, qualsiasi cosa abbia a che fare con la storia degli Hobbit e della Contea!» e quello era decisamente Ori.

«Addio!» e con questo, Bilbo fece girare il suo pony – era ancora un cavaliere atroce – e iniziò a trottare via, lo Stregone e l'Uomo-Orso dietro di lui.

Thorin guardò per l'ultima volta il loro piccolo coraggioso Scassinatore a cui doveva così tanto. «Addio, Bilbo Baggins, rispettabile gentilhobbit della Contea» disse a se stesso «Addio, saggio e gentile figlio dell'Ovest» Bevve nella vista della testa riccia, il piccolo mento pelato, le piccole orecchie simili a foglie, gli occhi furbi e la lingua affilata, mani svelte e grandi piedi pelosi. «Mi dispiace» aggiunse, la sua voce quasi un sussurrò.

Bilbo si fermò di colpo e si girò verso la Montagna, e i suoi occhi erano luminosi per le lacrime. «Addio, Thorin Scudodiquercia» disse, alzando il viso «E Fíli e Kíli! Che il vostro ricordo possa non svanire mai!»

Thorin fece un salto indietro come se fosse stato colpito, e poi chiuse i suoi occhi in fretta. Quando si risvegliò nella Camera di Sansûkhul, barcollò attraverso l'arco intarsiato di perla e via nel buio, caldoconforto della sua camera, dove sedette con le mani e gli occhi serrati per ore.


«Zio?»

«Fíli» disse Thorin, e posò il coltello che stava dettagliando; un set con la spada. Il pomolo gli stava dando dei problemi. «Cosa c'è?»

Fíli si tirò nervosamente una delle trecce dei baffi. «Frerin mi ha detto qualcosa.»

Thorin sospirò. «Devo colpirlo?»

Fíli si accigliò. «Molto forte. Ripetutamente.»

Frerin e suoi nipoti stavano discutendo. Frerin aveva tentato di convincere Fíli e Kíli a chiamarlo “zio” come facevano a volte con Thorin, ma loro si dimenticavano di continuo. Come si era lamentato Kíli: «Non posso chiamare un Nano di trent'anni più giovane di me zio. Sembra sbagliato e basta!» Frerin però non desisteva, e ai suoi nipoti venivano riservate tutte le delizie dell'abitudine più fastidiosa di suo fratello minore – tormentare. Inutile dirlo, si stavano irritando piuttosto in fretta. Thorin aveva scommesso con Gróin che Kíli avrebbe tirato il primo colpo.

«Davvero?» Thorin fissò Fíli con uno sguardo severo che lui conosceva bene, e il Nano più giovane trascinò i piedi sul pavimento.

«Beh. Possibilmente. È sempre così fastidioso?»

«Peggio di Kíli quando aveva venticinque anni?» offrì Thorin, e Fíli rabbrividì.

«Non può essere possibile»

«A parte tutto questo, cosa ti ha detto?» Thorin si pulì le mani, e si appoggiò contro il tavolo.

«Ha detto...» Fíli esitò, e poi esplose «Ha detto che puoi parlare con loro. Che a volte ti sentono, nei pensieri dormienti sotto quelli svegli.»

Thorin si congelò, e mise giù lo straccio lentamente. «Sì» disse «Sì, Mahal mi ha dato un dono.»

«Perché a te?» urlò Fíli «Perché a te sì e non a me o a Kíli?»

Avvicinandosi a suo nipote, Thorin gli afferrò le spalle. Fili si aggrappò a lui, e Thorin poteva sentirlo tremare. «È per via di vostra 'amad?» disse Thorin piano.

«Piange e piange» disse Fíli, la sua voce tesa e scura «Quando non piange, non è altro che un guscio, una statua. È così sola, Thorin, e lo odio!»

«Anch'io» Thorin si portò la testa di Fíli sotto il mento «Ho provato, nipote. All'inizio mi sentiva un poco, nella tempesta più fresca di dolore. Ora è di pietra e non sente altro che la propria solitudine.»

«Non aiuta nulla?» disse Fíli, suonando molto piccolo.

Thorin accarezzò i folti capelli biondi di Fíli. «Nulla che io conosca.»

«Perché Mahal ti ha dato questo dono?» disse Fíli «Un dono che nemmeno funziona?»

«Penso che possa essere stato perché gli ho urlato contro» disse Thorin pensieroso, e a Fíli scappò una breve risata.

«Hai urlato contro il nostro Creatore» disse, e scosse la testa contro la spalla di Thorin «A volte sei incredibile.»

Un sorriso sghembo gli tirò le labbra. «Così mi è stato detto da ottime fonti. Comunque, gli ho urlato contro e lui disse che per via dell'ingiustizia delle nostre morti e dell'amore che ebbe per me, mi avrebbe dato un modo per raggiungerli per fare ammenda. È incerto e incostante, ma lui non può attraversare la barriera della morte più di così. Alcuni mi sentono meglio di altri. Io credo che sia perché conoscono se stessi molto bene e sono in pace col proprio cuore.»

«Uhm» disse Fíli, e si raddrizzò per fissare suo zio «Chi ti sente?»

«Dáin, ogni tanto. A volte anche Balin, Dori e Glóin, e Dwalin abbastanza frequentemente. E Gimli più di tutti»

«Gimli?» la bocca di Fíli si spalancò «Il nostro cuginetto Gimli?»

«Non è più tanto piccolo» disse Thorin, alzando le sopracciglia «Il ragazzo ha più barba di Bofur, è più robusto di Nori ed è decisamente più alto di te, anche se non quanto Kíli. Direi che abbia superato i quattro piedi e sei pollici e debba crescere ancora.»

«Lo so, lo so, ma per me sarà sempre il piccolo Gimli con un temperamento tremendo» disse Fíli, scuotendo la testa «Gimli ti sente! Beh, questo è uno shock» Gli occhi di Fíli si illuminarono. «Oh!»

«Conosco quello sguardo» disse Thorin con sospetto «Non è uno sguardo rassicurante.»

«Gimli è ancora ad Ered Luin, sì?» Fíli afferrò la tunica di Thorin in eccitazione «Dove sta anche Mamma! Potresti fare in modo che la consoli! Sono cugini, lui ci conosceva, e lei non sarà così sola, sono sicuro che aiuterebbe, oh, parlagli – ti prego, ti prego prova!»

«Non “farò in modo che” faccia niente» esclamò Thorin, e scrollò Fíli «Ho finito con la guida e il comando, Fíli. Ho provato di non esserne degno. E poi, non influenzerei il ragazzo a fare nulla che non farebbe normalmente. Quella sarebbe la forma più bassa di coercizione, e cose del genere sono un grande male.»

«Gimli la aiuterebbe se sapesse!» pregò Fíli. Stava praticamente tremando dalla disperazione, e il suo respiro era piuttosto veloce. «Sono morto, tu sei morto, Kee è morto, tutti siamo morti! Non posso essere lì per lei, e nemmeno tu – ma qualcuno deve. Gimli è là, e per quanto la parentela sia lontana, è sempre un Durin, sempre famiglia; l'unica famiglia che le rimane in Ered Luin. Era nostro amico! La chiamava Zia! Sono entrambi così soli, e potrebbe rimediarvi! Ricordagli di lei, è tutto. Farà lui il resto, so che lo farà! Aiutala. Aiutali. Limitati... Limitati a provarci! Se non per me, allora per Mamma. Per favore?»

I loro occhi si incontrarono.

Thorin abbassò la testa. «Per l'amore che ho per te, e il male che l'Ombra ti ha portato» mormorò, e sospirò profondamente. Certo che avrebbe fatto ciò che Fíli chiedeva. Doveva al ragazzo tutto e anche di più, dopo tutto ciò che gli aveva rubato.

«Lo farai?» Fíli si chinò in avanti, con la speranza che gli brillava in volto.

Thorin si strofinò il volto con dita deboli. «Sì» disse, e poi allungò la mano e mise gentilmente una delle trecce di Fíli dietro il suo orecchio «Sì, lo farò. Per te e tuo fratello, e per Dís.»

Fíli esultò e corse verso la porta, i suoi stivali rumorosi contro la pietra. «Vado a prendere Kee! Non andare nella luce stellare senza di noi, veniamo!»

Thorin lo osservò con lo stomaco in una morsa, e si chiese che cosa esattamente aveva accettato di fare.

Fíli tornò dopo pochi minuti, Kíli dietro di lui. I loro volti erano luminosi di speranza, e Kíli disse subito: «Davvero? Possono sentirti?»

Thorin si passò una mano fra i capelli. «È vero, ma-»

Kíli urlò di gioia e diede un pugno all'aria in trionfo.

«Ma» ripeté Thorin «Non possono sentire le mie parole direttamente. Le nebbie che dividono Arda ed Aman non possono essere attraversate così facilmente. Mi sentono solo nel loro subconscio, e anche allora in molti non mi percepiscono.»

«Ma alcuni sì» disse Kíli.

«Alcuni» fu d'accordo Thorin, la sua espressione controllata.

«Gimli lo sente» interruppe Fíli senza fiato «E Gimli è in Ered Luin.»

«Cosa stiamo aspettando?» Kíli fece un altro grido deliziato e prese il polso di Thorin «Andiamo, andiamo, andiamo

Thorin tirò indietro, usando il proprio peso più grande che lo teneva fermo contro gli strattoni entusiasti di Kíli. «La mia forgia...»

«Sarà ancora qua quando torniamo» disse Fíli con impazienza «I fuochi non sono accesi, e il coltello non ha le gambe. Hai promesso, Thorin.»

Thorin dibatté con se stesso se era il caso di far notare che a dire il vero, non aveva promesso, e decise di non farlo. Permise che venisse trascinato nella Camera di Sansûkhul. Kíli si stava mordendo le labbra eccitato mentre osservava le acque del Gimlîn-zâram, e la faccia di Fíli era pallida ma impaziente. Con un altro sospiro, Thorin prese le loro mani e permise alla luce stellare di calmarlo.

Quando la luce svanì stavano guardando Dís. Il respiro di Kíli si fermò, e la bocca di Fíli si assottigliò, ma nessuno dei due parlò. E non ne avevano nemmeno bisogno. La schiena di Dís era rigida e le sue mani ferme e sbiancate mentre sedeva immobile al suo tavolo da gioielliera. Nessuna gemma o pezzo rotto era di fronte a lei, e lei fissava gli avvolti di velluti che contenevano i suoi attrezzi con occhi vuoti.

«Siede lì e basta» disse Thorin senza emozione «Siede e siede» Fíli gli strinse la mano.

«Cerchiamo Gimli» disse Kíli, la sua voce stranamente cupa, e Thorin chiuse gli occhi, costringendo la visione della sua sorella perduta e distrutta a svanire.

Riaprendoli, si trovò ad osservare il giovane Nano in questione. Si accigliò. Non era mai stato in grado di dirigere le acque del Gimlîn-zâram verso un Nano particolare prima, e girandosi verso Kíli lo trovò ugualmente perplesso.

«Forse è perché siamo in tre e tutti vogliamo vedere lo stesso Nano?» suggerì.

Fíli scrollò le spalle. «Forse.»

Gimli era nel bel mezzo di un duello pratico. Il suo opponente era un Nano più vecchio più o meno dell'età di Balin, che Thorin riconosceva vagamente.

«Bravo, ragazzo» ansimò il vecchio Nano «Ma il vecchio qua ha ancora un paio di assi nella manica che potresti non aver mai visto.»

«Non aspetto altro che vederli» ritorse Gimli, e la ascia divenne un movimento sfocato attorno a lui. Era davvero dotato, l'ascia si muoveva negli stretti archi rotanti che richiedevano coordinazione, finezza ed estrema forza muscolare.

«Bene!» lo complimentò il suo avversario quando Gimli parò un brutale colpo dal basso e lo rivolse al contrario, scattando immediatamente all'attacco. «Ma conosci questo?» E le sue mani si mossero rapide, l'ascia girava verso il collo di Gimli.

«Ah, Náli!» ringhiò Gimli, e portò l'impugnatura della propria arma di fronte al viso. Lo schianto fu assordante. «Dovrai fare meglio di così! Dwalin mi avrebbe sconfitto e messo a lavare i dormitori a quest'ora!»

«Non è una sfida sufficiente per te, nidoy?» Náli alzò un sopracciglio e rise. Poi fischiò agli altri studenti che aspettavano sulle panche intorno al cerchio di addestramento. «Lóni, vieni qua! Insegniamo al nostro giovane guerriero una lezione!»

Gimli fece un passo indietro, occhi attenti mentre soppesava la propria ascia. Un altro giovane Nano si alzò e si mosse all'interno del cerchio di addestramento. Era più pesante del loro giovane familiare, con una massa di folti capelli castani in testa e la barba tagliata quadrata. Ghignò. «Stavolta ti batterò finalmente, figlio di Glóin» disse.

«Aye, e i fiumi scorreranno al contrario e gli Elfi vivranno sottoterra e i Nani salteranno fra gli alberi, figlio di Laín» rispose Gimli, abbastanza maleducatamente. Fíli e Kíli scoppiarono subito a ridere, e Thorin sorrise nonostante tutto.

«Capisco cosa intendi quando parli del suo temperamento» mormorò Fíli, che gli fece un rapido sorriso.

«Quell'idiota non lo batterà» disse Kíli, prima di lanciare un'occhiata a Thorin «Vero?»

Thorin ci pensò su. Gimli era il migliore con l'ascia, ma Náli aveva più esperienza e l'altro giovane, Lóni, aveva il peso e la distanza dalla sua parte. «Non so. Vediamo cosa succederà.»

Kíli non si sarebbe dovuto preoccupare. Gimli scagliò l'ascia verso i loro piedi, e loro dovettero saltare per schivarlo. Náli inciampò, e Gimli fu sopra di lui in un secondo, picchiando il piatto della lama contro la testa del suo insegnante. «Morto» disse allegro.

«Aye, ma lo sei anche tu» ringhiò Lóni dietro di lui, e Fíli urlò senza volerlo quando l'ascia di Lóni arrivò ruotando verso la testa di Gimli. Il Nano rosso si abbassò e girò su se stesso, e la sua ascia danzò quando ne spedì l'impugnatura direttamente nella pancia di Lóni, togliendogli tutta l'aria dai polmoni.

«Ti arrendi?» chiese Gimli, la lama premuta contro la gola di Lóni.

Lóni annuì, il suo volto depresso.

«Ha combattuto bene» disse Thorin, mentre Gimli rimise la propria ascia contro la rastrelliera delle armi. Poi andò verso un tavolo dove c'erano degli stracci piegati per gli studenti, e pane e birra aspettavano Náli. Lì prese un asciugamani e iniziò a strofinarsi la faccia sudata. «Combattuto molto bene. Frerin aveva ragione per quanto riguardava il suo talento.»

«Mi chiedo come se la cavi con una spada» disse Fíli, inclinando la testa pensieroso «Mi piacerebbe – attento!»

Perché Lóni si era tirato su dal pavimento e si era lanciato contro la schiena di Gimli, l'ascia tenuta alta sopra la propria testa per scagliare un colpo potente. «Sudûn!» ruggì Thorin, perdendo il controllo di sé per la rabbia. «Shekith!»

Gimli si mosse istantaneamente. Afferrò un boccale di birra e si girò, lanciandola tutta in faccia a Lóni. Mentre l'altro ragazzo sputacchiava, Gimli scattò con un pugno e lo prese dritto sul naso.

«Ikhuzh!» gridò Náli, e Gimli si congelò, la mano alzata per un altro colpo. «Gimli, Lóni, cosa sta succedendo?»

Lóni, tenendosi il naso insanguinato, mormorò: «Volevo finire il duello.»

«Il duello era finito!» Náli si avvicinò ed afferrò l'orecchio del Nano più giovane «Ti sei arreso contro Gimli, e quindi hai perso la sfida. Attaccare un Nano disarmato con la schiena voltata è una mossa da codardo, e ti ho insegnato meglio. Laín ne sentirà parlare, tienilo a mente!»

Lóni gemette. Gimli incrociò le braccia. «E io?»

Náli lo fulminò. «Lo avresti potuto disarmare facilmente, ma nonostante questo hai deciso di colpirlo. Un guerriero non si bea della debolezza del proprio avversario solo per divertimento. E nemmeno si dà a basse vendette!»

Lo sguardo di Gimli era inferocito.

«Gimli, pulisci il disordine che hai fatto. Lóni» e Náli tirò l'orecchio che teneva tra le dita «Avrai il turno di notte per una settimana, e vedrò tutti voi all'alba» Un lamento collettivo si alzò dalle file degli studenti. «Il resto di voi possono ringraziare questi due per doversi svegliare presto! Che questo vi insegni a pensare prima di comportarvi con tale sconsideratezza in futuro. Sono stato chiaro?»

Entrambi i ragazzi abbassarono il capo. «Sì, Náli.»

«Allora dimostratelo» disse Náli, e lasciò l'orecchio di Lóni per andarsene. «Al levar del sole, ricordatevelo.»

Il gruppo di giovani si mosse dietro di lui, e molti sguardi scuri erano indirizzati a Gimli e Náli mentre se ne andavano. Gimli rispose agli sguardi prima di girarsi verso il suo avversario, che ancora si stringeva il naso sanguinante.

«Va bene, scusa» disse senza convinzione, e prese un altro straccio «Tieni. No, non tirare la testa indietro, ingoierai il tuo sangue e ti farà star male. Portati in avanti, si fermerà da solo alla fine. Nel nome di Mahal, cosa stavi facendo?»

«Volevo vincere per una volta» borbottò Lóni, ma lasciò che Gimli gli premesse lo straccio contro la faccia «Ho una certa abilità, ma nessuno lo può vedere all'ombra della tua.»

«Sei un idiota» disse Gimli diretto «Sei bravo, sì, ma comunque un idiota. Sei più grosso di me, e mi avresti potuto battere se mi avessi tenuto a distanza. Guarda, perché non facciamo pratica assieme? Potrebbe farmi comodo un avversario più alto. Voglio fare una sorpresa a Dwalin quando lo rivedrò.»

Lóni rise tristemente. «Non sono certo Dwalin.»

«Sarai alto quanto lui, quindi non vedo perché no» disse Gimli, e scosse la testa «Idiota.»

«Sì, me ne rendo conto» ringhiò Lóni «Non ho bisogno che tu me lo ripeta di continuo.»

«Tieniti il naso, devo pulire questa birra» Gimli diede un'occhiata alla confusione e prese un altro straccio prima di abbassarsi in ginocchio e iniziare ad asciugare la birra versata. «Non mi scuserò per essere bravo» disse mentre puliva, soffiandosi una ciocca di capelli infuocati via dagli occhi «E nemmeno mi sentirò in colpa per un Nano che ha cercato di colpirmi con l'ascia mentre ero di spalle! Ma un compagno di addestramento con più forza e portata di me – ora, quello può interessarmi. Puoi prenderti il riconoscimento a cui tieni tanto quando mi fai cadere di schiena lealmente. Che dici?»

Gli occhi di Lóni si erano illuminati dietro al suo straccio insanguinato. «Aye, come dici, è interessante» rispose.

«Quindi abbiamo un accordo» Gimli si sedette dritto e gettò via dal cerchio lo straccio fradicio, prendendone un altro. «Ah, puzzo come una distilleria e non ho ancora bevuto una goccia! Questo lavoro fa venire sete a un Nano. Se il tuo naso si è asciugato, ti va di andare a prendere un boccale da Borin?»

«Non dovrei» disse Lóni, e le sue spalle caddero «Ho il turno di notte.»

«Ah, già. Un'altra volta allora. Muoviti, va a lavarti. Inizieremo domai, se per te va bene?»

Lóni annuì, e poi cercò di sorridere. «Grazie Gimli. Mi dispiace.»

«Aye, dovresti, dopo che mi hai fatto versare questa buona birra. Un vero spreco!» Gimli rise, e salutò con la mano mentre Lóni se ne andava.

«La vecchia taverna di Borin c'è ancora dunque?» chiese Kíli, e poi si fece piccolo sotto lo sguardo scuro di Thorin. Fili fece una risatina finta e mise una mano sulla bocca di Kíli.

«Solo... un interesse accademico, Thorin»

«Sì, noi non ci abbiamo mai messo piede» disse Kíli, attutito dal palmo di Fíli.

«O rotto un tavolo»

«O una lampada»

«O i denti di Borin»

«Menzogne e congetture»

«Devono essere stati altri due Nani che ci assomigliavano»

«Sì, e con gli stessi nomi. Impostori, senza dubbio»

Thorin alzò gli occhi al cielo e pregò che gli venisse data pazienza.

Gimli continuò a strofinare le pietre bagnate, le sue spalle contratte. Si fermò a un certo punto per grattarsi la corta barba rossa, prima di attaccare nuovamente il pavimento. Thorin fece un passo avanti, vedendo un'opportunità.

«Gimli» disse, e si bloccò in cauta sorpresa quando Gimli si fermò momentaneamente, la sua testa piegata come se stesse cercando di ascoltare qualcosa appena fuori portata. Thorin guardò Fíli e Kíli, che annuirono impazienti.

«Gimli» disse ancora, e ancora una volta Gimli si bloccò. Stavolta, però, il ragazzo si tirò su sulle ginocchia e aggrottò le sopracciglia.

«C'è qualcuno?»

«Barufûn» disse Thorin, e si inginocchiò davanti al giovane «I tuoi cugini sono con te, Gimli figlio di Glóin. Fíli, Kíli e Thorin. Siamo qui.»

Gimli batté le palpebre, e poi scosse la testa. «Di certo non posso ubriacarmi solo per un po' di fumi» si disse, e Kíli rise.

«Non sei ubriaco, ragazzo» disse Thorin, e scosse la testa incredulo «Siamo qui.»

Gimli socchiuse gli occhi, guardando dritto attraverso Thorin. «Devo avere le allucinazioni. Non posso essere ubriaco e non credo di essere pazzo...»

Fíli si colpì la fronte col palmo.

Thorin resistette alla tentazione di fare lo stesso. «Neanche pazzo, cugino. Mahal ci ha permesso questo, possiamo vederti attraverso il velo. A me ha dato un dono più grande. Alcuni possono udirmi.»

«Sono della Linea di Durin» continuò Gimli, la sua fronte piena di rughe di preoccupazione «Potrei essere pazzo. Sono ancora troppo giovane, però.»

«Calmo» disse Fíli piano, mettendo una mano sulla spalla di Thorin mentre lui tremava di rabbia e vergogna.

«Non sei pazzo» disse «Solo molto, molto ottuso

Gli occhi di Gimli si socchiusero, e iniziò a guardarsi attorno. «Se questo sei tu, Lóni» ringhiò «Devo dire che è davvero di pessimo gusto!»

«Oh per carità di Durin!» esclamò Kíli.

«Neanche uno scherzo» Thorin si massaggiò la base del naso e tenne sotto controllo la propria irritazione «Sono Thorin, figlio di Thráin. Sono stato ucciso tre mesi fa e passai oltre i limiti della Terra di Mezzo. Le Sale di Mahal accoglieranno me e i figli di mia sorella fino alla fine del mondo. Da questo luogo possiamo osservare i nostri amici e familiari quando lo desideriamo – e siamo in piedi di fronte a te, giovane idiota!»

Gimli scattò in piedi, tutto il colore che svaniva dal suo volto. «Re Thorin!» sussurrò, e poi si massaggiò la testa. «Perché... perché l'ho detto?»

«Attento, Zio» disse Kíli con un tono teso.

Lui annuì, e poi prese le mani dei suoi nipoti prima di dirigere tutta la sua concentrazione sul ragazzo confuso di fronte a loro. «Gimli, ricordati di Lady Dís. Ricordati la donna che chiamasti Zia, e ora siede da sola. Ha perso molto più di te, parente. Ricorda Lady Dís.»

«Era suo fratello» sussurrò Gimli, e poi si tirò i suoi capelli accesi «Oh, sono un tale idiota! Certo che la mia coscienza non mi avrebbe dato riposo finché io non fossi andato a trovarla. Io ho perso i miei cugini, ma lei ha perso tutto ciò che le rimaneva. Non ubriaco, non pazzo, non preso in giro, ma certo un idiota cieco ed egoista!»

«Lui... Lui pensa che tu sia la sua coscienza» disse Fíli.

Thorin lo guardò impotente.

Gimli si morse il labbro e poi si guardò la tunica e pantaloni macchiati di birra. «Non posso indossare questi per andare a visitare una Principessa» mormorò, e, prendendo gli stracci bagnati e la sua ascia dalla rastrelliera, uscì deciso dal campo di addestramento.

Seguendolo, i tre Nani morti furono in grado di vedere quanto vuota fosse diventata Ered Luin. Gimli li guidò attraverso gallerie e corridoi che un tempo esplodevano di attività. Ora sembrava che le Sale di Thorin si stessero svuotando nuovamente; solo i giovani e i vecchi sembravano essere rimasti. Gimli si fermò di fronte a un gruppo di appartamenti che Thorin riconobbe come di proprietà di Glóin, e aprì la porta. «Madre!» urlò quando entrò «Gimrís? Dove sei?»

«Gimli!» sibilò una voce femminile, e la moglie di Glóin Mizim tirò fuori la testa da dietro una porta. «Cos'è questo trambusto, entri di fretta ed urli!»

«Quella è la moglie di Glóin?» disse Kíli, stupefatto.

«Aye, il gioiello d'argento di Glóin. Vi ha detto molte volte che era una famosa bellezza, o sbaglio?» Thorin sorrise. Mizim aveva spezzato molti cuori prima di trovare il suo Uno in Glóin. Persino Thorin aveva fatto un paio di sospiri per colpa sua. La sua figura era ancora forte, robusta ed orgogliosa e i suoi occhi erano ancora squisiti, anche se linee sottili ne tracciavano ora gli angoli e i suoi capelli e barba pallidi erano screziati di bianco.

«Come ha fatto uno sgorbio con la faccia da sasso come Glóin a finire con una Nana come quella?» disse Fíli, ad occhi sbarrati.

«Era gentile, onesto e rispettoso» disse Thorin «E la faceva ridere.»

Gimli spinse via le mani di sua madre. «Non ora, 'amad, mi serve la mia tunica buona! Mi serve la spilla per capelli d'oro che mi ha fatto Nonno! Dove li tieni?» Gimli lanciò gli stracci fradici nel fuoco ed iniziò a rovistare dentro a scatole e intagliate e sopra alle mensole «Gimrís? Posso prendere in prestito la tua spazzola?» urlò mentre continuava a cercare.

Una giovane Nana di forse cinquant'anni entrò nella stanza, strofinandosi gli occhi. I suoi capelli erano infuocati come quelli di Gimli, e il suo volto era amabile quanto quello di sua madre, anche se era accigliato.

Fíli cadde in silenzio immediatamente, e la sua bocca si spalancò.

«Sono innamorato» dichiarò Kíli con fervore.

«L'ho vista prima io» ringhiò Fíli.

Thorin strinse i denti. «Siete entrambi morti

Kíli gli lanciò uno sguardo ferito. «Quello era un colpo basso.»

«Fratello» ringhiò la ragazza «Spero che tu abbia un'ascia con te, perché dopo avermi svegliata ti servirà

«Gimrís, non ora! La spazzola, per piacere – devo avere il mio aspetto migliore.»

«Puzzi come una taverna» disse Mizim annusandolo sdegnata.

Gimli ringhiò. «Non ho bevuto neanche un bicchiere! Ho lanciato la birra di Náli in faccia a un idiota testa calda – oh, non importa, troverò tutto da solo!»

«Va bene allora, orso con un pessimo carattere, puoi usare la mia spazzola. Qual'è la grande occasione?» disse Gimrís.

Gimli fece una piccola esclamazione di soddisfazione e tirò fuori una tunica formale blu chiaro decorata da fili oro e nero. Guardò su. «Devo vedere la Lady Dís» disse seriamente «Ho trascurato un dovere.»

Le sopracciglia di Mizim si aggrottarono. «La Lady Dís non desidera vedere nessuno, e quale dovere?»

«Beh, forse non un dovere allora, ma una gentilezza» disse lui, levandosi la tunica e lottando per entrare in quella nuova. Era leggermente troppo piccola, ma Gimli non se ne accorse o non se ne curò. «Mi sono reso conto che siamo la sua sola famiglia da questa parte delle Montagne Nebbiose, e ricade su di noi il dovere di darle conforto. Abbiamo perduto il nostro Re e i nostri Principi, ma lei ha perduto suo fratello e i suoi figli. Con tutto ciò che ha perduto, non è una sorpresa che si rinchiuda tranne che per le udienze mattutine. Lei è completamente sola, e io penso che dovrei vederla. Fíli e Kíli erano miei amici, e loro avrebbero voluto che lo facessi.»

«Te l'avevo detto» mormorò Fíli. Thorin grugnì.

Mizim sembrava incerta, ma il volto di Gimrís si schiarì quando comprese. «Pensi che anch'io dovrei venire?» chiese.

«Sei vuoi» disse Gimli, scrollando le spalle «Ma forse è meglio un Nano per volta? Non desidererei una folla se fossi in lei.»

«È molto gentile, Gimli» iniziò Mizim «ma pensi che lei vorrebbe vederti? Non ha parlato con te da quando eri piuttosto giovane.»

«Aye, ed io la chiamavo “Zia” e lei mi faceva rimbalzare sul suo ginocchio, mi ricordo» disse Gimli, e si gettò dell'acqua sul volto «Se non desidera vedermi, allora riproverò in un altro momento. È stata lasciata da sola per tutto questo tempo e quindi lei deve rendersi conto che è sola. Dovrebbe sapere che le pensiamo ancora e che a qualcuno importa ancora di lei in quanto Nana, non solo come Reggente delle Sale di Thorin. Io non sono suo figlio o suo fratello, ma sono della famiglia e mi importa. E anch'io volevo loro bene.»

Nel silenzio che seguì, le stretta delle mani di Fíli e Kíli su quelle si Thorin aumentò fino ad essere dolorosa.

«Bene, andrò la prossima volta» disse Gimrís, e poi scosse la testa guardando la criniera bagnata e selvaggia di suo fratello. «Sei ridicolo. Siedi e li pettinerò per te, sembri un pony che è stato fuori con la pioggia.»

Gli angoli delle labbra di Gimli si inarcarono, e poi lui guardò verso sua madre. «Potrei non essere a casa per cena» disse.

«Suppongo tu debba fare come ti sembra di dovere» disse Mizim, e poi baciò la fronte di Gimli prima di raddrizzargli la tunica sulle spalle «Sei un bravo bambino, figlio mio.»

Lui si allontanò, scacciandola con mani bagnate. «Mamma, tra poco avrò sessantatré anni! Non sono un bambino!»

Lei sbuffò. «Sei un tale bambino, Gimli. Ti troverò i tuoi fermagli. Spero che tu entri ancora nei tuoi stivali incisi.»

«Andiamo, pagliaio, rendiamoti un po' meno orrendo» disse Gimrís, brandendo la sua spazzola. Gimli le lanciò lo sguardo seccato di un fratello maggiore prima di sedersi di fronte a sua sorella. Lei iniziò a intrecciare i suoi capelli in lunghe trecce spesse che seguivano la sua spina dorsale. «Grande Mahal, Gimli, cos'hai qua dentro? Sembra un nido!»

«Ho avuto gli allenamenti!» disse lui, accigliato.

«Devi aver combattuto contro un cespuglio di spine. E qui pantaloni non stanno neanche bene con quella tunica. Non riuscirai a metterla ancora a lungo, sai. Le tue spalle stanno per strappare le cuciture.»

«Non è colpa mia» disse Gimli sulla difensiva «Sono cresciuto troppo in fretta.»

«Hai mangiato troppo, vuoi dire» disse lei, e lui le spedì un gomito dritto nello stomaco.

«Dovevo mangiare, stavo crescendo!»

Lei gli tirò i capelli come vendetta. «Ne sono sicura. Mettiti i pantaloni neri, quelli con dei motivi cuciti lungo gli orli. Volevi indossare i tuoi orecchini da lobo d'acciaio?»

«Dovrei, erano un regalo da parte del Cugino Balin» disse lui, e fece scorrere una mano curiosa sulla propria testa. Lei gliela colpì con la spazzola.

«Non finché non ho finito» esclamò lei «Tieni giù le tue zampe.»

«Gimrís, sei una tiranna» borbottò lui «Pensi che riuscirò ancora ad entrare nella cintura con i granati?»

Lei ridacchiò. «Solo se te la mettessi intorno alla tua testa grassa. Sta fermo, piantala di muoverti! Li stai facendo annodare tutti.»

Anche Fíli e Kíli stavano ridendo, e persino Thorin non poté fermare il piccolo suono di divertimento che gli sfuggì alla vista del volto estremamente irritato di Gimli.

Con un sospiro Gimli si arrese, strofinando i suoi pollici sulle macchie di birra sui pantaloni. Mizim tornò, le sue mani pieni, ed insieme madre e figlia misero una serie di fermagli avvitabili d'oro nei capelli accesi di Gimli. Poi Gimli lottò per infilarsi un nuovo paio di pantaloni neri (anch'essi leggermente troppo piccoli) e si levò i propri orecchini da lobo semplici e pratici e li rimpiazzò con un paio che Thorin riconobbe come il lavoro familiare di Balin. Seguì un paio di caldi stivali ricoperti di pelliccia con le protezioni per le dita intagliate, e la cintura venne trovata e immediatamente scartata.

«Vado bene?» disse Gimli, aprendo le braccia.

Mizim gli sorrise, e mise due perline d'oro sulle corte trecce sporgenti della sua barba. «Hai davvero un bell'aspetto» gli disse.

«Per un troll» aggiunse Gimrís allegra.

«Gimrís!» esclamò Mizim. Sua figli alzò gli occhi al cielo.

«Va bene, scusa. Hai un bell'aspetto, fratellone» poi gli diede un pugno sul braccio «Sembra che tu non sia un completo spreco di spazio; stai facendo una buona azione. Posso mettermi i fermagli d'oro la prossima volta, vero?»

«Solo se io posso pettinarti i capelli» disse Gimli, una luce malvagia negli occhi. Mizim fece il sospiro di pazienza di tutti i genitori.

«Muoviti prima di diventare del tutto troppo grande per i tuoi vestiti» disse «Ti lascerò pane e formaggio nel caso tu torni a casa tardi senza aver mangiato, va bene?»

«Pane e formaggio?» disse Gimli con aria di supplica, e poi si raddrizzò sotto lo sguardo divertito di Gimrís. «Volevo dire, grazie, Mamma. Grazie ad entrambe!»

Con questo se ne andò, camminando a grandi passi via dagli appartamenti di famiglia e verso la città attraverso i livelli più bassi. Non esitò. «Dove siamo?» sibilò Thorin, seguendolo da vicino «Non riconosco questa parte delle Sale.»

«Non dirmi che ti sei perso!» disse Kíli.

Fíli nascose un sorriso dietro la mano. «Le miniere di ferro iniziano sulla nostra sinistra, e le camere delle udienza sono davanti a noi. Le nostre vecchie stanze non sono lontane, ma questi passaggi in genere non vengono usati se non dai minatori. Gimli deve aver lavorato qui.»

«Un minatore?» Thorin aggrottò le sopracciglia «Suo padre è un Signore. Non gli serve estrarre per vivere.»

«Thorin, tutti hanno lavorato, te compreso. Tu hai deciso di essere un fabbro, io ero un gioielliere come Mamma, e Kíli costruiva archi. Senza dubbio Óin ha portato Gimli nelle miniere; so che cura ancora le ferite dei minatori a volte.»

Thorin si ricordò che all'inizio Óin aveva danneggiato il suo udito in un'esplosione in miniera. «Ah. Ma un minatore? Non sembra che abbia la pazienza per estrarre il ferro e raffinarlo.»

«Voleva essere un supervisore o un scalpellino quando eravamo piccoli» disse Kíli «Gli piacciono le caverne le rocce.»

«Andrebbe in estasi per la Camera di Sansûkhul» fu d'accordo Fíli.

«Uhm» Era inusuale. «Non ha un'arte, dunque?»

«Ci sarà abbastanza tempo per seguire una vocazione quando sarò vecchio e non più in grado di usare un'ascia» mormorò Gimli, facendoli sobbalzare tutti «C'è così tanto da imparare sul mondo. Perché dovrei pormi dei limiti prima di aver scoperto cosa mi rende più felice?»

«Shhh!» sibilò Kíli.

«Per la barba di Durin, ti percepisce così chiaramente» disse Fíli, e si passò una mano nella barba «Non lo avrei mai creduto se non lo avessi visto.»

I corridoi diventarono nuovamente familiari, e un senso di agitata apprensione iniziò ad artigliare l'addome di Thorin. Gimli si fermò di fronte a un porta dolorosamente conosciuta e si tirò giù la sua nuova tunica, prima di prendere un respiro profondo. «Eccoci qua» si disse, e bussò.

Si aprì, e un Nano con le asce incrociate delle guardie sulla schiena tirò fuori la testa per guardare Gimli. «Sì?» grugnì.

«Gimli, figlio di Glóin» disse Gimli con un inchino educato «Sono qui per vedere la Lady Dís, se lo desidera.»

«La Signora non vede nessuno» disse brevemente il Nano, ed iniziò a chiudere la porta. Si fermò contro il pesante stivale intagliato di Gimli, e il Nano più giovane fece un sorriso piacevole alla guardia.

«Annunciami» suggerì «Forse farà un'eccezione.»

«Sei sordo, ragazzo? La Signora non vede nessuno» disse la guardia con impazienza, e tirò un calcio al piede di Gimli.

«Forse dovrei rendermi più chiaro» disse Gimli, sempre sorridendo «Gimli della Linea di Durin, qui per vedere sua cugina, se lei lo desidera.»

Il ghigno della guardia cadde come una pietra. «Vi annuncerò.»

«Vedi di farlo»

«Va bene» disse Thorin «Ora riesco a credere che il ragazzo sia imparentato con me.»

La risata di Kíli fu un po' acuta e stridula.

Gimli aspettò, muovendo le dita sopra le decorazioni sull'orlo della tunica troppo piccola. Ciuffi di corta barba folta stavano già iniziando a scappare dalle perline d'oro, e lui si mordeva il labbro inferiore distrattamente. La guardia tornò con un'espressione perplessa sul volto, e guardò Gimli con sospetto.

«Vi vedrà» disse «Ma non vi aspettate che sia piacevole.»

«Non mi aspetto che lei sia null'altro di ciò che è» disse Gimli con una calma ammirabile «Qual'è il tuo nome?»

Il Nano alzò un sopracciglio. «Anchar figlio di Borchar.»

«Grazie, Anchar»

L'altro sopracciglio della guardia si alzò. «Prego, ragazzo.»

«Gentile, quando desidera esserlo» mormorò Thorin, ricordando le parole di Frerin «Aye, e pronto a perdonare.»

Anchar guidò Gimli in una stanza accanto alla camera delle udienze, e aprì la porta. «Gimli figlio di Gróin, Signora» disse con rispetto, e fece segno al ragazzo di entrare.

«Veramente, è Glóin» borbottò Gimli «Gróin era mio nonno.»

«So chi sei, bambino» disse una voce «Entra.»

Dei tre figli di Thráin, dicevano, Mahal aveva donato ad uno la voce di un tuono dorato, ad uno la voce di campane d'argento, ma alla terza – la terza aveva una voce di mithril e diamanti, più bella delle voci degli Elfi e pura quanto la neve sciolta dal picco della Montagna.

La bellissima voce di Dís era morta. Suonava senza vita e vuota, la sua voce un'eco spenta di ciò che era stata una volta. Gimli entrò con un'occhiata alla guardia, e Anchar annuì prima di chiudere la porta. Dís era seduta accanto al fuoco, i suoi occhi fissi sulle fiamme. Non guardò su quando la porta scattò chiusa dietro la guardia.

Ci fu un silenzio spiacevole, e Gimli venne più avanti nella stanza, i suoi occhi spalancati. «Ciao, Zia Dís» disse alla fine.

«Molto tempo è passato da quando mi chiamavi così, figlio di Glóin» raspò Dís.

«Vero» disse Gimli «Sono troppo grosso per starti sulle ginocchia ormai.»

Lei sorrise, ma senza calore. «Hai ragione, non sei più un bambino. Perché sei qui?»

Gimli sbatté le palpebre, e poi guardò le proprie mani. «Non sei mia Zia» disse lentamente «Sei mia cugina. E noi... noi abbiamo perso parte della nostra famiglia. Ci siamo solo io e Gimrís e te ora, perché tutti gli altri...»

«Sono morti» gracchio Dís, e finalmente alzò gli occhi dal fuoco «Tutti sono morti. La mia intera famiglia, tranne che dei cugini come te. I miei figli, il mio ultimo fratello, il mio Uno, mio padre... eravamo così orgogliosi, e forti. Pare che infine Mahal ci abbia puniti per il nostro orgoglio.»

«No!» esclamò Gimli, e fece un paio di altri passi rapidi verso di lei «Non tutti sono morti!»

«Tu?» Dís rise. Era completamente insopportabile da sentire. «Tua sorella? Balin, Dwalin, tuo padre e tuo zio? Non siete la mia famiglia. Siamo parenti, nulla di più. No, la mia famiglia è morta e sepolta. La Linea di Thrór è finita.»

«Non sono tutti morti» ripeté Gimli, e alzò i propri occhi verso quelli di lei «Ci sei tu.»

Lei si congelò, e poi si afflosciò. «Me.»

«Ed è per questo che sono qui» disse Gimli,e fece un altro passo «Perché ci sei tu. Non sei mia madre o mio padre o mio zio o mia sorella. Non siamo vicini. Ma sei della mia famiglia, ed un tempo ti chiamavo Zia. Ti chiamerei ancora Zia, se tu me lo permettessi.»

Fíli prese un respiro corto e improvviso. «Attento, cugino» sussurrò.

«Questa è pietà?» Dís si alzò, e i suoi capelli le ricaddero sulle spalle. Sembrava una donna selvaggia, i suoi occhi scuri arrossati e duri «Pietà per una vecchia rimasta da sola? Puoi tenertela!»

«Non pietà» disse Gimli, stando fermo con aria di sfida «Non oserei avere pietà per te, Signora.»

«E allora cosa?»

Lui esitò, e poi esplose. «Non lo so. È difficile dirlo a parole. Gli altri – alle mie lezioni di addestramento – non parlano nemmeno di loro. Ma erano miei amici, miei cugini, e mi mancano! Vorrei essere andato con loro; vorrei che mio padre me lo avesse concesso. Sono solo un cugino lontano, non un Principe, non un guerriero, non sono importante – ma ho un po' di abilità, avrei potuto fare qualcosa! Avrebbero dovuto vivere. Avrebbero dovuto vivere per vedere la loro casa ripristinata!»

Dís lo fissò per un lungo momento, perdendo tutto il colore dal volto quando notò le sue guance rosse e mento alzato, i suoi pugni serrati, e il tremito rabbioso della sua voce. Poi barcollò all'indietro e collassò nella sedia.

«Madre!» urlò Kíli, e si girò verso Thorin «Aiutala!»

«Aspetta» disse Fíli duramente «Aspetta»

Gimli agì immediatamente. Scattò in avanti e le versò una tazza d'acqua dalla caraffa su un tavolino e si inginocchiò di fronte a lei, tenendola su. «Lady Dís?» disse, la sua voce più dolce di quanto Thorin avrebbe mai potuto immaginare venir fuori dalla bocca di questo giovane Nano impetuoso «Mi dispiace. Prendi.»

Lei prese la tazza con dita tremanti. «Sei in lutto per loro» disse debolmente «Sei in lutto per loro, non i tuoi Principi. I tuoi amici.»

«Aye» disse Gimli, ed abbassò gli occhi «I miei cugini. E, nonostante tutto ciò che hai detto, la mia famiglia.»

«Kíli ti tirava i capelli» mormorò lei «Fíli nascondeva i tuoi giochi.»

«Ed io a mia volta gli tirai un calcio negli stinchi per quello» disse Gimli, e sorrise guardandosi i piedi «Mi mancano. Fíli mi nascondeva i giochi, ma mi mostrava le sue spade nuove quando finiva i suoi allenamenti, e mi insegnò ad usare l'ascia da lancio, e come riconoscere i difetti di una gemma, e tutti i modi diversi per fare un nodo in una corda. Kíli mi tirava i capelli ma mi dava anche i suoi vecchi attrezzi da rifinitura quando aveva finito di usarli, e mi ha mostrato come suonare il violino e come intagliare e accordare un arco. Erano loro che mi portarono a bere per la prima volta e fu Fíli a guidare i miei passi e Kíli a tenermi indietro i capelli quando stetti male. Si presero cura di me. Ero il loro cuginetto rumoroso che li seguiva sempre, ma loro si prendevano curo di me. Io li ammiravo.»

«Ti volevano bene» disse lei con voce rotta. Gimli alzò la testa e i loro occhi si incrociarono – due paia di occhi scuri, gli occhi di Thráin, occhi scuri ereditati da Náin Secondo, ultimo Re di Khazad-dûm.

Gli occhi di Kíli.

«Tuo fratello mi fece la mia prima ascia, per il cinquantesimo giorno del nome» ricordò Gimli, e Dís sbuffò.

«Semplice quanto poteva esserlo, senza dubbio»

«Non una singola decorazione sull'impugnatura o sulla lama» fu d'accordo Gimli «Ma perfettamente equilibrata»

«Grazie» riuscì a dire Thorin attraverso una gola bloccata dal proprio cuore.

«Non ha mai avuto molta pazienza» disse lei, i suoi occhi distanti «Ha potuto aspettare un secolo per un segno, ma odiava dover sprecare il tempo a farsi più di tre trecce nei capelli.»

Gimli rise. «Oh, i capelli di Kíli.»

Per la meraviglia di Thorin, lei rise – ruvida e non usata da molto, ma una vera risata. «I dannati capelli di Kíli. Lottavo con lui ogni mattino per riuscire almeno a levarglieli dagli occhi. Mahal solo sa come faceva a mirare a un bersaglio attraverso quella tenda.»

«Credo che dovrei sentirmi offeso» disse Kíli.

Fíli gli fece un mezzo sorriso. «La verità non offende nessuno se non te, fratello.»

«Non guardare me» aggiunse Thorin «Ricordo i capricci che facevi quando tua madre tirava fuori una spazzola.»

«Mi mancano» disse ancora Gimli, e sospirò pesantemente «Nessuno capisce perché sono così arrabbiato o perché mi alleno ogni giorno finché sono esausto. Ho colpito un altro sul naso oggi, e dovrei essere più maturo di così, anche se lui non lo è. Non sono andato nelle miniere da settimane. Mi sono seduto al tavolo da Borin dove Kíli e Fíli bevevano con me. Le battute sono ancora intagliate nel legno, e i denti di Borin sono ancora mancanti. Mi sembra quasi di poter allungare la mano e toccarli, tanto vicina è la loro presenza. Ma loro se ne sono andati, e io sono qui, e non dovrebbe essere così.»

«Ha sentito una presenza?» disse Kíli,e batté le palpebre.

«Tu andavi da Borin con Gimli?» sibilò Fíli, e Thorin si mise un'espressione innocente sul volto. Apparentemente non era molto convincente, perché Fíli sbuffò. «Vecchio ipocrita.»

«Mi ero dimenticata che c'erano altri che li conoscevano» disse Dís assente, le sue dita serrate intorno alla tazza «Non come gli eredi della Linea di Durin, ma come Fíli e Kíli, figli di Víli e Dís.»

«Fíli e Kíli, miei cugini e amici» disse Gimli in una voce bassa «Sarei dovuto essere stato lì.»

«Non avrei usato la tua vita per comprare la loro» disse lei, e la sua mano si allungò a toccare i folti capelli rossi di Gimli «Non essere così frettoloso nel gettarla via, nydoyith.»

Lui sorrise senza allegria. «Non lo sono, davvero. Ma cos'è un minatore, il figlio di un banchiere, rispetto a un Principe? Cos'è la mia vita rispetto a ciò che le loro hanno portato?»

«Un minatore, un figlio di un banchiere» disse lei «può avere un cuore grande. Un minatore e figlio di banchiere crescerà per fare grandi cose, Gimli figlio di Glóin.»

Lei mise giù la sua tazza d'acqua, e prese le mani di Gimli. «Mi piacerebbe se tu mi chiamassi Zia di nuovo» disse lei piano.

Gimli non disse nulla, ma le sue mani si strinsero su quelle di lei.

Lei si piegò in avanti finché la sua fronte non si poggiò su quella di lui brevemente, e poi si tirò indietro. «Mi dirai di più?»

«Ne sarei felice» Gimli si mise comodo ai suoi piedi e si lanciò nella storia di tre Nanetti e un martello “preso in prestito” da Dwalin. Dís ascoltò con attenzione, e rise della situazione terribile in cui si ritrovarono i tre; dei piani furbi messi in atto che resero solo il problema dieci volte peggiore; della rabbia di Dwalin quando il martello venne ritrovato e della terribile ingiustizia della punizione (pulire tutte le armi che possedeva finché non brillarono). I suoi occhi erano umidi, ma non piangeva più. La sua mano rimase sui capelli infuocati di Gimli, e ogni tanto li accarezzava distrattamente.

Infine Gimli terminò, e la guardò. «Zia Dís?»

«Uhm?»

«Gimrís ha detto che le sarebbe piaciuto venire la prossima volta. Ti farebbe piacere?»

Lei batté le palpebre come se si fosse appena svegliata, e poi sorrise. Era ancora toccato dal suo dolore senza fondo, ma lei aveva smesso di sembrare o suonava più morta che viva. «Sarebbe piacevole. Quanti anni ha tua sorella ora?»

«Cinquantaquattro» disse Gimli con un brivido.

«Ah, cinquantenni. Come capisco la tua povera madre, con due Nani sotto i settanta in casa sua»

«Io sono molto maturo!» protestò Gimli, e Dís rise piano.

«Lo sei. Porta Gimrís, e vi racconterò di quella volta che io e i miei fratelli rubammo l'Olifante giocattolo preferito di Dwalin.»

Gimli si soffocò con la sua saliva, e poi rise forte e felicemente. «Aye, quella sembra una storia che non deve essere persa!»

Lei si alzò, tirandolo in piedi, e poi toccò le cuciture che tiravano sulle sue spalle. «Sei cresciuto troppo per questa tunica. Forse una di Fíli - » lei si bloccò sul nome di suo figlio e chiuse gli occhi, stringendo le labbra.

«Dagli la mia, Dís» disse Thorin improvvisamente «Tieni le belle cose dei tuoi figli e i ricordi che portano. Lui sarà robusto quanto me; dagli la mia tunica delle feste. Non l'ho mai indossata in ogni caso.»

Lei si accigliò. Sia Fíli che Kíli si girarono verso Thorin, le loro sopracciglia alte e le loro bocche spalancate per la sorpresa.

«Zia Dís?» provò Gimli.

«Le mie scuse, akhûnîth» disse lei, aprendo gli occhi e stringendogli le spalle. «Mi ero persa nei mie pensieri. Le cose di mio fratello stanno ancora prendendo polvere e tarme, e le tue spalle saranno quanto le sue tra qualche anno. Dovresti averle.»

«No» protestò lui «Non potrei indossare gli abiti di un Re, sarebbe...»

«Ma potresti indossare gli abiti di un cugino» disse lei, e gli strinse di nuovo le spalle «Te le farò spedire. No, non rifiutare! Sarebbe felice di liberarsene; Thorin odiava le formalità. Troppi ricordi dolorosi. Preferiva mettersi la sua armatura e sputare nell'occhio dell'opinione pubblica.»

Gimli chiuse la bocca. «Se lo dici tu» disse dubbioso «allora li prenderò con gratitudine. Mia madre si sta strappando i capelli nel tentativo di tenermi in uno stato decente ultimamente.»

Lei tirò la treccia sul suo mento, come faceva un tempo coi baffi di Fíli. «Conosco quella sensazione. Kíli diventava troppo grande per la sua tunica mentre lo guardavo – mi fece quasi iniziare a bere.»

Gimli gemette, e Fíli si massaggiò la bocca. «Io conosco quella sensazione» disse in commiserazione «Ahia.»

«Dovrei andare» disse Gimli con riluttanza «È tardi.»

Fece per inchinarsi, ma lei lo bloccò stringendolo in un abbraccio. «Fino alla prossima volta, Gimli.»

Lui si irrigidì per un momento in shock, prima di abbracciarla forte. «Presto. Il giorno dopo domani? Ho degli allenamenti nel pomeriggio, ma...»

«Non ne vedo l'ora» disse lei, e si tirò indietro per toccargli leggermente le sue sopracciglia alla Durin «Vai, tua madre sarà preoccupata.»

Lui annuì e fece per andarsene. Dís lo fermò alla porta chiamandolo per nome. «Aye?» disse lui, girandosi.

«Grazie» disse lei piano «Il tuo nome-usato ti sta bene.»

Lui spalancò la bocca, perdendo il controllo di sé per un momento, prima di farle un ampio sorriso e andarsene.

Thorin guardò sua sorella che affondava nuovamente nella sua sedia. Lei si strofinò il volto con le mani e sedette immobile per alcuni momenti. Fíli e Kíli gli si avvicinarono, a nemmeno tre piedi di distanza da lei, e nonostante ciò lei era irraggiungibile come la stella di Eärendil. Lei esalò un lungo, tremolante respiro e poi si afferrò le ginocchia strettamente con le mani.

«Molto bene, fratello mio» disse a se stessa «Vediamo cos'hai dunque conservato.»

TBC...

Note:

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Thorin finì il suo coltello, e iniziò a lavorare su un paio di pugnali da stivale. Solo per fare il bastian contrario nei confronti di Dís, mise schegge di smeraldo nelle impugnature e incise il simbolo di “famiglia onorata” lungo la lama. Poteva decorare quando lo voleva. Finì col regalarli a Fíli, e quindi fu obbligato a farne anche un paio a Kíli, a meno di non voler venire assordato da lamentele di favoritismi.

E poi, ovviamente, anche Frerin ne volle.

Null'altro cambiò nelle Sale di Mahal. Nulla cambiava mai nelle Sale di Mahal.

Thorin era sempre stato un Nano molto attivo tutta la sua vita. Era stato raramente stazionario, sempre in viaggio o al lavoro o costruendo o facendo piani. Rimanere in un posto stava diventando difficile. Provò la propria mano con progetto dopo progetto, ma ben poco lo lasciava soddisfatto. Mentre gli anni passarono e il secondo anniversario della Battaglia delle Cinque Armate passò e andò, iniziò a forgiare gli anelli di un intero usbergo di maglia solo per darsi qualcosa da fare che non fosse osservare con nostalgia le acqua di Gimlîn-zâram, desiderando in vano i colori della Terra di Mezzo.

Due anni, ed Erebor stava diventando un centro di attività. I membri della Compagnia erano diventati importanti, grazie alla loro grande ricchezza e alla reputazione che la loro Missione gli aveva donato. Ori stava lavorando per restaurare le storie che erano state danneggiate dal drago. Alla sua gente rimaneva così poco della propria storia dopo guerre, draghi, Balrog ed esilio dopo esilio che era una benedizione che ve ne fosse rimasta alcuna. Dori era diventato un potente membro della Gilda dei Tessitori, ed era instancabile nel promuovere gli interessi della Gilda. Nori aveva aperto una taverna e luogo di scommesse dalla reputazione scandalosa, e sedeva con le orecchie aperte ogni sera, passando ogni minima informazione a Balin.

Bofur era uno dei preferiti tra i pochi figli di Esgaroth che si erano stabiliti a Dale. Aveva intrapreso un grande compito, cercando di ricreare i mercati di giocattoli di Dale che un tempo erano stati la meraviglia del Nord. Bifur lavorava con lui la maggior parte della settimana, ma in altre occasioni Bifur poteva essere trovato con Ori. Il giovane Nano stava cercando di aiutare Bifur a riacquistare le sue parole, ma il processo era lento. La comprensione dell'Antico Khuzdul di Bifur era ora confusa e spesso usava una parola completamente priva di contesto quando voleva dire qualcosa di totalmente diverso. Allora ritentava con l'Iglishmêk, ma troppo spesso non riusciva a trovare i segni giusti. Con l'aiuto di Ori mostrava qualche miglioramento, e Bofur e Bombur assistevano ogni volta che avevano tempo.

Bombur era il re dei mercati di Erebor. Nessuno poteva anche solo avvicinarglisi. Sedeva al suo negozio e guardava ogni torta dolce e pasticcio di carne e cicciotto di marmellata sparire dalle mensole. La dispensa di Bilbo quella notte a Casa Baggins aveva di certo fatto una buona impressione, e Thorin riconosceva molti piatti Hobbit accanto a più tradizionale cibo Nanico. La zoppia di Bombur non migliorava, ma il suo bastone da passeggio era diventato una sorta di biglietto da visita tra gli alti venditori. Spesso aveva una catena di salsicce attaccate fra loro o una borsa di dolci che penzolava dalla fine.

Óin era ancora occupato dai feriti della battaglia. Nessun Nano o Uomo era ancora in pericolo, ma molti avevano avuto delle complicazioni. Si era appropriato di una stanza che Thorin vagamente ricordava essere un dormitorio delle guardie, e l'aveva arredata come infermeria. Qua teneva d'occhio e si occupava di quei Nani le cui famiglie non potevano, e mostrava a un piccolo gruppo di Nani più giovani come usare le erbe e la medicina con tutta l'irritabilità e la permalosità di un insegnante.

Balin e Glóin potevano essere visti in disaccordo quasi ogni giorno. Dáin aveva approvato che un quattordicesimo del tesoro andasse a Bard per la ristorazione di Dale ed Esgaroth, e il nuovo Governatore di Pontelagolungo stava diventando abbastanza avido e pieno di richieste quando si trattava di scegliere l'oro e i gioielli. Glóin era in strenuo disaccordo con l'usare eredità senza prezzo e artefatti storici vecchi di secoli come se non fossero altro che monete nei loro scambi con Uomini ed Elfi. Balin scuoteva la testa con rabbia e chiedeva se Glóin sarebbe stato il primo ad offrirsi volontario per mangiarli? Glóin urlava che questo non era un assedio e non era per il dannato oro, era per la loro eredità e tradizioni; avrebbe dato via la loro storia e cultura così facilmente? Balin chiedeva, freddo come il ghiaccio, se Glóin pensava davvero che Balin di tutti i Nani non si rendesse conto dell'importanza culturale di alcuni degli oggetti, Balin li aveva visti venire forgiati coi suoi stessi occhi, aveva conosciuto i creatori in persona, e Balin non era forse stato ad Azanulbizar per carità di Mahal? Glóin fischiava, la sua barba si duplicava di dimensione (che era una vista spettacolare) e ringhiava che anche Glóin era stato ad Azanulbizar, cosa c'entrava Azanulbizar? Balin soffiava, Glóin fumava, e il giorno dopo l'avrebbero fatto di nuovo. Thorin osservava tutto questo con un senso doloroso di déjà-vu.

Dwalin beveva alla taverna di Nori, e non parlava spesso. Faceva funzionare le sue truppe con l'efficienza di una frusta, e si stava guadagnando in fretta la reputazione di persona totalmente senza senso dell'umorismo e molto pericolosa da fare arrabbiare. Aveva aggiunto tre nuovi tatuaggi alla sua collezione – uno suo ogni sopracciglio e un altro sul naso. Thorin era quasi soffocato quando li aveva visti, e il suo cuore cercò di raggiungere il suo vecchio amico. Erano i simboli scelti per Thorin, Fíli e Kíli alle loro nascite ed iscritti sulle loro perline e fermagli. Lui passava tutto il tempo ad allenare i soldati, far uscire le guardie e organizzare i turni. In seconda aveva un Nana Nerachiave di nome Orla; robusta, seria e severa quasi quanto lui.

Erebor era deprimente, e Thorin era impaziente.

Provò ad osservare Bilbo, che girava per il suo giardino e faceva cose incomprensibili come come crescere piante di pomodori, e fallì. Scappò dopo pochi secondi.

Finì ad osservare sempre di più il suo giovane cugino infuocato. Gimli era divertente, ed era anche molto raramente fermo. Il ragazzo sembrava non fermarsi mai, muovendosi senza fatica dalla miniera agli allenamenti alle camere di Dís a casa propria, ridendo e urlando e ruggendo tutto il tempo. Iniziò a mettere su muscoli molto in fretta quando il supervisore della miniera gli insegnò a portare il minerale in raffineria. Simultaneamente, il suo addestramento divenne più intensivo e iniziò a lavorare con la pesante ascia da battaglia a due lame piuttosto che con l'ascia a lama singola da girare. Secondo tutte le previsioni, crebbe per riempire la tunica di Thorin in qualche mese. Il ragazzo non sarebbe mai stato alto, ma compensava in fatto di muscoli.

Dís e Mizim sembravano andare d'accordo splendidamente. Era un pensiero inquietante.

Ogni tanto, Thorin avrebbe visto un barlume dell'anima curiosa, percettiva e piena di compassione che stava al cuore del ragazzo. Il giorno che Lóni buttò a terra Gimli, lui scattò subito in piedi e afferrò le braccia di Lóni e iniziò a ballare in trionfo. «L'hai fatto!» urlò «Dritto sulla mia schiena e senza trucchi! Te l'ho detto che potevi farlo!»

Lóni sorrise intimidito al suo avversario sconfitto che celebrava la sua vittoria molto più entusiasticamente di lui.

Gimli iniziò a mostrare i segni di una certa disposizione poetica, cantando tra sé e sé mentre trascinava carrello dopo carrello di minerale ferroso dalle miniere alle camere superiori dove lo riversava nei vasti calderoni per essere raffinato. Faceva piccoli canti per impedire l lavoro di diventare noioso, il loro ritmo echeggiava con i suoi passi nelle gallerie oscure. Thorin si ritrovò a cantare con lui più di una volta, e si era anche scoperto a cantarne uno come canzone per martellare mentre forgiava un altro anello del suo usbergo di maglia.

La morte era (senza sorpresa) lentamente diventata una routine noiosa, e quindi quando Glóin, Bofur e Bombur scomparvero da Erebor, Thorin fu colto completamente di sorpresa. Li ritrovò accampati oltre a Bosco Atro nelle pianure a nord della casa di Beorn. I loro pony stavano nei prati dietro di loro, e i loro sacchi per dormire circondavano un fuoco che scoppiettava allegro.

«Quanti?» disse Glóin, stupefatto.

«Undici» disse Bombur arrossendo «Oh, no – saranno dodici ora. Alrís avrà dato alla luce l'ultimo, quando... un anno e mezzo fa?»

«Saran due anni quando arriveremo ad Ered Luin» disse Bofur.

«Pietoso Mahal, come ha fatto lei?» mormorò Glóin «Io potevo a malapena sopportare due marmocchi urlanti in casa, figuriamoci dodici!»

«Beh, la maggiore ha quasi sessant'anni. Lei e gli altri più grandi aiutano con i piccolini»

«Sessanta?» Glóin gli lanciò uno sguardo divertito «Tu e Alrís avete iniziato presto, o sbaglio?»

Il rossore di Bombur divenne più intenso.

«Tua moglie ha tutta la mia ammirazione» disse Glóin, attizzando il fuoco allegro «Dodici, che Durin ci salvi. Come facevate a tener tutti nutriti e vestiti?»

Bombur fece spallucce. «Io sono un cuoco, Alrís è una conciatrice. Ci davamo da fare.»

«Bifur e io aiutavamo» disse Bofur «Comunque, le nostre parti faran comodo. I piccoli Birur o Bofrís non cresceran poveri come noi.»

Glóin si accigliò leggermente, e annuì senza parlare. Thorin sapeva come si sentiva. La povertà della famiglia Ur era stata occasione di confronto quando era venuta alla luce durante la Missione, e anche se nessun Nano delle Montagne Azzurre era stato ricco, trovarsi faccia a faccia con una famiglia veramente povera aveva solo aumentato l'importanza della loro missione.

«Penso sarai impaziente di rivedere i tuoi due?»

«Aye, il mio ragazzo coraggioso e la mia adorabile ragazzina» disse Glóin e sorrise «Mizim mi ha scritto. Gimrís ha iniziato a lavorare come apprendista vetraia, e apparentemente Gimli ha fatto amicizia con la Lady Dís. L'audacia di quel ragazzo!»

«La Principessa?» Bofur lanciò uno sguardo a Bombur «Ora questa è una sorpresa.»

«Lo so, m'avreste potuto buttar giù con una piuma quando l'ho letto. E tu, Bofur? Mai pensato a sposarti?»

Bofur scrollò le spalle. «Sempre voluto. Volevo un Uno, volevo figli, tutte quelle cose, sai. Cercate tutta la vita, ma non le ho mai trovate. Non tutti noi siamo fortunati come te o Bombur. Sono da solo suppongo.»

Bofur ebbe un'espressione così triste per un secondo, che sembrava un Nano completamente diverso. Bombur gli mise una delle sua mani come prosciutti sulle spalla prima di spedire un'occhiata veloce a Glóin e scuotere la testa.

«Oh. Beh, è un peccato» Glóin si stiracchiò teatralmente e poi si grattò la sua criniera leonina. «Dovremmo metterci giù, ragazzi. La notte sta arrivando. Prenderò il primo turno.»

«E lasciarmi col secondo? Niente paura!» disse Bombur «Io prendo il primo, e tu puoi svegliarti nel mezzo della notte.»

Thorin non poté impedirsi di sorridere. Questa era una vecchia discussione: il secondo turno era il meno piacevole e meno desiderabile dei tre. A nessuno piaceva dover interrompere una dormita per star sveglio qualche ora, e ti portava ad avere occhi assonnati e pazienza corta il mattino dopo. In effetti, nel loro primo viaggio, “secondo turno” era diventato un sinonimo di “cattivo umore”.

«Hai avuto il primo turno la scorsa notte, grassone» disse Bofur e piantò un dito nel fianco di suo fratello «Io avrò il primo, Glóin il secondo, e tu puoi avere il terzo – e mi aspetto che la colazione sia pronta quando ci sveglieremo!»

«Adesso, io non - » Glóin fece per protestare, ma si fermò con un grugnito quando Bofur si sedette con la schiena contro un albero.

Bombur e Glóin si misero comodi nei loro sacchi a pelo, e Bofur tirò fuori un coltello da intaglio e un giocattolo a forma di guerriero Nano mezzo finito. Con un senso di sbilanciamento e una risata soffocata, Thorin riconobbe il contorno inconfondibile di Dwalin. «Spero tu ti renda conto che ti ucciderà» disse a Bofur.

«Ah, è uno dei più venduti, lo faccio famoso» mormorò Bofur. Thorin scosse la testa.

«Ragazzi?» disse Glóin assonnato «Cos'è la prima cosa che direte a Bilbo quando lo vedrete?»

Bombur mormorò per un momento e poi disse: «Chiedergli quella ricetta della torta al formaggio.»

«Come facevo a sapere che sarebbe stato qualcosa del genere?» disse Bofur, ghignando.

«Mi piace la torta al formaggio» disse Bombur scrollandosi, e si rigirò «Poi abbraccerò il nostro Hobbit, e poi dovremo fare una festicciola.»

«Niente rutti, non gli piacciono i rutti» disse Glóin, la sua voce sempre più trascinata «Lo abbraccerò anch'io. Povero piccolo seccatore, Nani che arrivano e interrompono la sua vita di nuovo. Mai pensato che avrei ripensato a quella festa con tanto affetto. Poi metterò me e la mia famiglia al suo servizio per venti generazioni...»

«'Obbit non vivono così tanto. Una generazione di Nani. Mezza»

«Ah. Non lo sapevo» Glóin cadde in silenzio, e poi disse: «Beh, lo abbraccio lo stesso. Bofur?»

«Mi riprendo il cappello, sicuro» disse Bofur, il suo coltello occupato ad intagliare un tatuaggio sulla fronte del Dwalin in miniatura «E aye, darò anch'io un abbraccio al piccoletto. Ho pensato di fargli un flauto, sapete. Nel caso quel suo buco Hobbit diventi troppo silenzioso ogni tanto.»

«Sarà bello rivederlo» disse Bombur mezzo addormentato.

«Sono d'accordo» disse Glóin «Bene, 'notte ragazzi. Domani è un altro giorno, e rivedremo presto il vecchio Beorn e il suo serraglio.»

«Cibo verde» rabbrividì Bofur «Riposatevi, ci servirà tutta la nostra forza.»

«Torte al miele» mormorò Bombur, e iniziò a russare.


«Entrate, entrate!» disse Bilbo, con un sorriso così ampio che Thorin si preoccupò che stesse per procurarsi uno strappo al volto «Bontà mia, guardatevi, se non siete una vista per gli occhi stanchi! Penso abbiate sete?»

«Aye, ragazzino» disse Glóin «ma prima c'è qualcosa che abbiamo tutti promesso di fare.»

«Di cosa si tratta? Spero che le mie povere tubature siano al sicuro stavolta – le ho appena fatte riparare, sapete»

«Non facciamo promesse per le tubature» disse Bofur, ghignando, e poi tutti e tre i Nani stavano tirando su Bilbo e lo stavano stringendo in un enorme abbraccio. Bilbo squittì, prima di lanciare le braccia attorno a quanto più di loro poteva.

«Oh, voi ridicoli Nani» disse tremolante «Mi siete mancati. Ora mettetemi giù – gentilmente, se non vi dispiace!»

Bombur gli sorrise e si asciugò gli occhi con la lunga, spessa treccia che gli circondava il collo. «Sembri star bene, Mastro Baggins. Non sei cambiato affatto!»

«Me la cavo, me la cavo» disse lui, infilandosi i pollici nelle tasche del panciotto e dondolandosi sui talloni. Thorin notò che i bottoni del suo panciotto ora erano d'oro, e che i capelli di Bilbo erano un poco più lunghi, e i suoi occhi erano un poco più vecchi e tristi. «Andrò a recuperare un barile di birra. È dell'Edera, sapete. Birra migliore del Decumano Ovest! Penso di avere anche un po' di Vecchio Tobia da qualche parte. Oh! Fate come se foste a casa vostra. Beh, lo fate sempre in genere, o no?» rise.

«Non siamo gente timida, di regola» fu d'accordo Bofur.

«Rimarrete a lungo?» chiese Bilbo mentre correva via. La sua voce echeggiò nello smial, e i tre Nani batterono le palpebre e si guardarono intorno confusi. Il senso della pietra e una conoscenza degli eco non si applicavano esattamente a un Buco Hobbit, sembrava.

«Forse qualche notte» disse Glóin «La strada è stata lunga.»

«E non è ancora finita» borbottò Bombur, appoggiandosi pesantemente sul suo bastone.

«Bene, mettete giù gli zaini, appendete i vostri mantelli agli attaccapanni, levatevi quei vostri orribili stivali pesanti e andate a riscaldarvi un po'. Il fuoco è acceso, e c'è un sacco di cibo. Faremo una piccola celebrazione per tutto questo, che dite?» Bilbo riapparve aggrappato a un barile di birra con entrambe le braccia e lottando sotto il suo peso. Bofur glielo prese e se lo mise sotto a un braccio.

«Esattamente ciò che pensavamo» disse, e gli fece l'occhiolino «Spero tu abbia un altro po' di questi.»

Bilbo gesticolò con la mano. «Oh, abbastanza, abbastanza. Ce la caveremo, non è vero ragazzi?»

«Aye, andrà tutto più che bene» disse Glóin.

I quattro si misero comodi. Il cappello di Bofur gli venne presentato in pompa magna (Bilbo l'aveva pulito come meglio poteva, che non era comunque granché), una processione infinita di cibo apparve, e presto una piccola riunione allegra stava progredendo nello studio di Bilbo. Ancora, bene poco era cambiato, ad eccezione del piccolo pugnale Elfico montato sopra al camino invece del ritratto di un Hobbit. Thorin si ricordava stare in piedi a quel focolare e guardare nelle fiamme mentre cantava.

«Ha fatto incidere Pungolo» commentò a se stesso, facendo passare le dita lungo la piccola spada che gli aveva salvato la vita.

«Sì, ho fatto incidere quella vecchia cosa a Gran Burrone mentre tornavo a casa. Non osate lamentarvi del Sindarin o la tirerò giù per usarla» disse Bilbo placidamente «Puoi passarmi le focaccine da tè?»

Bofur si guardò attorno. «Cos'è una focaccina da tè?»

«Oh, e tu chiami te stesso mio fratello» disse Bombur irritato, e passò il cestino a Bilbo (dopo essersene prese tre per se stesso, ovvio).

«Dunque, come vanno le cosa sotto la Montagna?» Bilbo morse la sua focaccina dopo averla ampiamente coperta di marmellata e crema «Tutto va bene, spero? Mi arriva una lettera ogni tanto – scandalizza abbastanza i vicini quando un Ramingo arriva picchiando i piedi a via Saccoforino – ma non è la stessa cosa di essere lì.»

«Stiam tutti bene» disse Bofur, accoltellando una fetta di maiale col coltello e prendendo un morso «Tutti stan bene quanto l'ultima volta che ci hai visto.»

«Alcuni di noi stanno meglio di prima, almeno» disse Glóin con un sospiro, sedendosi e tirando fuori la pipa «La tosse di Ori è sparita, ed è ora responsabile di tutti i rapporti e lettere ufficiali oltre che di mettere ordine tra le storie. Non ho quasi mai visto il ragazzo tranne che al Consiglio, tant'è occupato. Dwalin alla fine a perso l'occhio, ma ti vede così bene con l'altro che non te ne accorgeresti mai.»

«Beh, a parte per via del diamante» aggiunse Bombur «Ha un occhio nuovo fatto di vetro, e ci hanno messo un diamante al centro. Brilla quando la luce lo colpisce alla maniera giusta. Fa perdere dieci anni di vita ai ragazzi più giovani.»

«Dori si occupa di un'ostile conquista in solitario delle Gilde, e che Mahal ti aiuti se sei nella sua strada. Finirà col diventare Mastro delle Gilde di questo passo, ed è tanto forte che tutti saranno troppo spaventati di metterglisi contro o gli verrà spaccata la testa. E il povero vecchio Óin sta ancora lavorando fino alle ossa» continuò Bofur «Sta addestrando un intero gregge di giovanetti. Dice che non ne può più di rimetter insieme degli idioti, e quindi dovrebbero esserci altri idioti a curarli.»

«Bifur?» disse Bilbo piano.

Bombur e Bofur si guardarono l'un l'altro, e poi scossero il capo «Non ci sono molti miglioramenti lì temo, Bilbo» disse Bombur tristemente «Si allontana sempre più spesso. A volte semplicemente diventa vuoto. Ci limitiamo ad aspettare che ritorni da noi, e gli facciamo capire che siamo felici che lo faccia.»

«Mi spiace» disse Bilbo, e abbassò gli occhi verso la sua focaccina.

«Beh» disse Bofur infine «Nori s'è fatto una nuova gamba. È notevole. Ci tiene dentro un pugnale, sai. E una serie di grimaldelli. E un mazzo di carte. E un manganello di pelle...»

Bilbo sorrise. «Ci credo.»

«Ha ancora la sua taverna e fa rapporto a Balin, e Balin sta ancora tenendo informato Dáin» disse Bombur, allungando le gambe e passando a Glóin l'erbapipa. Glóin ringhiò.

«Balin è ancora un vecchio idiota cocciuto» borbottò, e Bofur fece un frettoloso segno di “non chiedere!” dietro la schiena. Bilbo annuì e cambiò argomento.

«E la montagna? Come vanno i restauri?»

«C'è ancora un sacco di lavoro» disse Glóin, tirando fuori la sua miccia e pietra focaia e accendendo «Le aree principali per il pubblico sono pulite e abitabili, e la maggioranza delle case, ma un sacco di danni sono stati fatti all'integrità strutturale dell'intero quarto meridionale, inclusa la sala del trono. Ci vorranno decenni per scavare e puntellare e ricostruite. Stiamo usando i bastioni o la balconata interna per le udienze la maggior parte del tempo.»

Bilbo deglutì, e Thorin distolse lo sguardo. I bastioni di Erebor non erano il suo posto preferito del mondo.

«E che ci dici di te, Mastro Baggins?» disse Glóin, e diede uno schiaffo al ginocchio dello Hobbit «Ti tieni bene? Fai colpo su tutte le ragazze Hobbit con le tue storie?»

«Eh - »

«Ora, ora, il nostro Hobbit è un gentiluomo» disse Bofur, con gli occhi che brillavano «Non andrebbe mai a raccontar in giro le proprie imprese.»

«Io, eh...»

«Guardatelo che arrossisce!» rise Bombur «Rosso come un rubino.»

«A dire il vero» riuscì a dire Bilbo «Non credo che mi sposerò mai, e non mi dispiace neanche più, ad essere onesto.»

«Oh» disse Bofur, e abbassò il capo «Mi spiace. L'hai trovata e l'hai persa, non è così?»

«Perso» mormorò Bilbo.

Il cuore di Thorin fece un balzo, e poi iniziò a galoppare.

«Oh» disse Glóin, e poi mise una mano cauta sulla schiena di Bilbo «Mi spiace, ragazzo.»

Bilbo gesticolò con la mano. «È tutto fatto e finito ormai» disse, e sorrise, anche se era molto tremolante «Non si fa esattamente a quella maniera da queste parti, triste da dire, e lui non era... beh, non poteva... in ogni caso. Sono già abbastanza strano così; non mi servono davvero altri pettegolezzi che girino. Bontà sa che non era proprio il tipo di persona che si sarebbe fermata qua a Hobbiville. Avrebbe causato il panico generale!»

«Non un Hobbit, dunque?» disse Bofur piano, e Bilbo si irrigidì.

«Io... Io vado a prendere un altro barile, che dite?»

Scappò fuori dalla porta, e Thorin lo fissò andarsene. Gli girava la testa.

«Lo sapevo» borbottò Bombur «Lo sapevo.»

«Beh, quello è un mistero risolto troppo tardi» disse Glóin tristemente, e inspirò dalla pipa, osservando le fiamme «Divertente, non credete? Un Hobbit e un Nano. Penso di aver sperato che lui non se ne rendesse mai conto. Sarebbe stato meglio per lui non capirlo mai.»

«Coppia d'idioti» disse Bofur con inaspettata ferocia, e Bombur diede una pacca sulla spalla di suo fratello.

«Calmati. Come Bilbo ha detto, è tutto fatto e finito. Non che ci sia nient'altro da fare a questo punto»

«S'è trovato il suo Uno però, o sbaglio?» ringhiò Bofur, e le sue mani si strinsero attorno al suo boccale. «L'ha trovato ed erano fatti l'uno per l'altro ma hanno aspettato troppo a lungo e si son fatti male a vicenda senza la possibilità di rimediare. E ora è troppo tardi, e non saranno mai insieme.»

«Bofur» iniziò Bombur, e poi lasciò perdere le parole e trascinò suo fratello in un abbraccio da orso. Bofur rimase rigido all'inizio, ma alla fine di rilassò nelle braccia di Bombur.

«Birashagimi» disse Bofur alla fine, e Bombur rise.

«Ovestron, Bofur. Lo sai come infastidisce Bilbo.»

«Bilbo dovrebbe essere abituato ad essere infastidito» disse Bofur, soffocando la propria voce nella grossa spalla di Bombur.

«Credetemi, lo sono» disse Bilbo secco dalla porta, le mani chiuse attorno a un paio di bottiglie. «Cosa stavate facendo ora voi tremendi Nani?»

«Oh, terribili cose scurrili, ti sorprenderesti» disse Bofur allegro, spingendosi via da Bombur e iniziando a cercare dentro al suo giustacuore «Ora, ti ho fatto una cosetta mentre venivam qua, dove l'ho messo...»

Bilbo mise giù le bottiglie e Bofur gli porse il piccolo flauto intagliato. «Santo cielo, è proprio identico al tuo! Grazie mille, Bofur, sei stato tremendamente gentile!» se lo portò alle labbra e provò a fare qualche nota senza soffiare. La quarta fece un fischio acuto, e lui si spostò via il flauto dalla bocca con gli occhi spalancati e una imprecazione della Contea (per quanto fossero ridicolmente insulse). I tre Nani si rotolarono dalle risate, e Bilbo si schiarì la gola e rise imbarazzato. «Va bene, sì, forse mi servirebbe un po' più di pratica.»

«Ti insegnerò un paio di canzoni prima di andar via, eh?» disse Bofur, e si asciugò gli occhi «Così poi non spaventerai tutti gli uccelli.»

«Oh, non so» disse Bilbo, sorridendo «Mi pare una maniera piuttosto efficace di liberarmi dei visitatori indesiderati, non credi?»

Il cuore di Thorin stava ancora correndo, e lui si avvicinò, stando in piedi dietro alla sedia di Glóin per guardare il volto di Bilbo. Lo Hobbit era stato ovviamente sorpreso dalla domanda, e non aveva ancora del tutto riguadagnato il suo contegno. Il suo volto era pallido e c'era una durezza attorno ai suoi occhi che non si era ancora dissipata.

Bilbo aveva conosciuto solo tredici Nani. Tre di loro erano morti.

Il suo cuore gli martellava nelle orecchie, rendendo muto il suono del piccolo flauto di legno. La testa di Thorin gli ricadde fra le mani.

No. No, non poteva essere. Bilbo gli era caro, sì, ma...

Strinse di più gli occhi, e le stelle lo divorarono e lo risputarono fuori nella Camera di Sansûkhul.

Il suo senso del tempo sotterraneo gli disse che era tardi, ma Thorin non si poteva muovere – non si mosse. Sedette sulla sua panca abituale e ascoltò il proprio cuore che picchiava contro la sua cassa toracica, la sua mente a pezzi.

Non aveva idea di quanto a lungo fosse stato seduto quando una mano gli si posò sulla spalla facendolo tornare a se stesso. Lui alzò il volto dalle mani, aprendo e chiudendo gli occhi umidi. La sua faccia gli sembrava gommosa e intorpidita, e il suo cuore non si era per nulla calmato. In effetti di sentiva piuttosto confuso.

«Zio?» disse la voce preoccupata di Kíli, e il volto del ragazzo comparve all'interno del suo campo visivo.

«Tu sapevi?» gracchiò Thorin.

«Sapevo cosa?» disse Kíli, confuso «Sono venuto a prenderti, è ora di cena. Hai già saltato il pasto di mezzogiorno, e Nonna...»

«Di me» disse Thorin, e si leccò le labbra asciutte «E Bilbo.»

Kíli aggrottò le sopracciglia, e poi, veloce quanto Gandalf accenderebbe il suo bastone, la sua espressione divenne controllata. «Cosa c'è da sapere di te e Bilbo?»

«Non prendermi in giro!» ruggì Thorin, e la sua voce rimbalzò sulle bellissime tende e ali granitiche che si drappeggiavano sulle mura «Sapevi?»

Kíli fece un passo indietro all'urlo improvviso di Thorin e il suo mento si alzò. «Sì» disse fermo «tutti l'avevano indovinato. Ma nessuno sapeva.»

Thorin fissò suo nipote e poi si girò, le sue mani serrate tra i suoi capelli. «Ora vai» disse a denti stretti. Il suo cuore stava per esplodergli dal petto «Non mangio.»

«Zio» disse Kíli, facendo un passo avanti prima di bloccarsi e sospirare profondamente «Almeno lo conoscevi» disse «Almeno hai avuto quello.»

«Non sapevo nulla» disse Thorin, la sua voce rotta «Idiota che sono. Ce lo avevo tra le braccia, e non lo potevo vedere!»

Affondò nella panca e si coprì nuovamente il volto con le mani.

Sentì gli stivali di Kíli che si muovevano lungo la pietra della Camera, e poi la mano di suo nipote gli toccò tentativamente la spalla. Lui strangolò spietatamente il singhiozzo che cercò di strisciargli fuori dalla gola.

«Quindi non te ne rendevi conto» disse Kíli piano «Questo spiega un paio di cose.»

Si sedette accanto a Thorin, la mano ancora appoggiata sulla spala. «Sai» disse Kíli nel silenzio «Un tempo mi sembravi sempre così perfetto. Invulnerabile. Implacabile. Non avevo mai pensato a quanto tutto ti fosse costato. Non avevo mai saputo cosa avessi perso. Prima? Eri Thorin, mio Re e Zio, un grande eroe di guerra che aveva impedito alla nostra gente di morire di fame e ci aveva dato la vita migliore che poteva.»

Thorin permise ai suoi capelli di ricadergli sulla faccia per nascondere le lacrime che gli stavano scivolando tra le dita.

«Ora posso vedere tutte le cose che hai perso» disse Kíli, e suonava pensieroso e piuttosto malinconico «Tutte le cose che hai dovuto lasciare andare. Tutte le cose a cui non hai mai pensato avere per te, perché dovevi essere più di quello. Dovevi essere un Re e un eroe e un simbolo per tutti noi. Dovevi continuare a darci speranza e guidarci avanti, da solo. C'eri solo tu. Lacrime di Mahal, Thorin – non ne avevo idea. Avevi solo novantacinque anni quando Thráin scomparve. È, cosa, dodici anni circa più di Fíli? E di colpo eri il Re di un popolo senza casa e vagabondo! Mia madre ti avrebbe aiutato, ma poi nascemmo Fee e io... e tutti gli altri erano morti. Solo tu, da solo. Per un secolo.»

Kíli rise, e si appoggiò contro la sua spalla. «Mi ricordo, quando fummo un po' cresciuti, che tu non potevi più essere Zio Thorin ed iniziare ad essere Thorin invece. Ero così triste; oh, ero così arrabbiato! Ma Fíli mi disse di smetterla di lamentarmi, e alla fine l'ho accettato e basta. Ora so perché hai dovuto farlo. Dovevi smettere di essere solo nostro. Non potevi appartenere a noi. Dovevi essere di tutti.»

«Così quando formammo la Compagnia, dovevi essere di tutti, non solo nostro. Quando fummo confrontati col Re dei Goblin, tu ci dovevi proteggere tutti. Quando Azog ci mise all'angolo, tu provasti a darci tempo. Quando Thranduil ci catturò, tu ti misi tra lui e tutti gli altri. A Pontelagolungo, tu parlasti per tutti. Ti sei sempre messo tra i tuoi Nani e qualsiasi cosa avessimo di fronte. E io non avevo mai realizzato – mai capito perché sembrava essere così ovvio che fosse così»

Thorin permise alle sue mani di ricadergli in grembo, e le fissò per un lungo momento.

«Quindi, vedi, non è un grosso fallimento da parte tua» disse Kíli impaziente, e appoggiò il suo mento trasandato sulla spalla di Thorin, dandogli delle pacche imbarazzate sulla schiena «Dovevi appartenere a tutto il Popolo di Durin dal giorno in cui Thráin scomparve. Perché avresti dovuto aspettarti di appartenere a una persona sola? Perché ti saresti aspettato di avere qualcuno di tuo?»

«Lo sapevate tutti?» disse Thorin ancora, e Kíli fece un suono irritato.

«Certo che avresti ignorato tutto ciò che ho detto! Sono sicuro che non sembrerò mai più così saggio. Vorrei che Balin avesse potuto sentirmi»

«Kíli» Thorin cercò di non ringhiare. Kíli gli premette il suo mento a punta nella spalla.

«Va bene, tieniti il broncio» Kíli voltò il capo finché la sua tempia non fu contro quella di Thorin, e prese la mano di Thorin e iniziò a studiarla distrattamente. Thorin glielo permise, guardando la sua mano che veniva toccata e mossa come se non fosse neanche la sua. «Lo supponevamo. Dopo la Carroccia sembravi più... aperto. Non riuscivo a crederci, e tutti gli altri sembravano altrettanto confusi. Non ti eri mai davvero aperto prima di allora; voglio dire, Dwalin pensa che tu sia chiuso in te stesso. Ma eccoti lì, che cercavi la compagnia di Bilbo. Gli chiedevi cose su di lui. Gli raccontavi cose su di te! Volevi il suo consiglio – tu, che vuoi il consiglio di qualcuno! Gli sorridevi persino! Voi due litigavate come cane e gatto a volte, ma non importava mai, non davvero. Ritornavate sempre assieme.»

Kíli fece una pausa, e mise il proprio palmo contro quello di Thorin, comparando le loro dimensioni. Quello di Kíli era molto, molto più piccolo – e non sarebbe mai diventato più grande. Poi disse piano: «Per la prima volta da quando Fee e io eravamo piccoli, non eri di tutti allo stesso modo. Stavi dando a una persona più di te di quanto io non avessi mai visto.»

«Kíli» disse Thorin, e intrecciò le proprie dita su quelle di Kíli con un sospiro «Ciò che stai dicendo... Io. Io non ci avevo mai pensato. Ti volevo bene, l'ho sempre fatto. Ho provato a trattarti nella maniera giusta, nidoyel. Ma. Avevo il dovere verso la mia gente. Dovevo. Dovevo ridar loro il loro orgoglio e la loro casa. È – era – il mio solo scopo. Ora scopro che ci potrebbe essere stato più del dovere per me... ed è troppo tardi» indurì la propria mascella e guardò verso le loro mani intrecciate, e il suo cuore finalmente la smise di correre e saltare solo per affondare più profondamente nel suo addome come una pietra. «Tremendamente tardi.»

«No, vedi, è lì che sbagli per me» disse Kíli, e lo spinse «Sei morto, giusto?»

Thorin lo incenerì.

Kíli ghignò. «Bilbo è ancora là fuori, ancora vivo, e noi possiamo tenerlo d'occhio. Non è molto probabile che gli succederà mai qualcosa nella Contea, ma meglio essere sicuri, che dici? Quindi. Ci prendiamo cura di lui finché è il suo turno di attraversare il velo.»

«Bilbo è un Hobbit» ricordò Thorin a Kíli «Non può venire nelle Sale di Mahal.»

«Vero. Bilbo è un Hobbit. Bilbo ha ancora sì e no cinquant'anni da vivere. Non è nulla per un Nano, ma» disse Kíli, e sorrise innocentemente «quanto fastidioso pensi che io possa essere in tutto quel tempo?»

Thorin lo fissò. «Tu... tu non puoi...»

«Beh, se tu puoi urlare al nostro Creatore, di certo io posso rendermi un'autentica seccatura?»

TBC...

Note:

L'Edera – un pub a Lungacque nel Decumano Ovest della Contea. Ad Hamfast “Gaffiere” Gamgee piace estremamente la loro birra.

Nerachiave – uno dei Sette Clan dei Nani, con una carnagione scuro, capelli neri ed occhi castani. I Sette Clan consistono di Nerachiave, Barbedure, Pugniferro, Barbafiamma, Piediroccia, Vastifasci, e Longobarbi. La Linea di Durin è la famiglia reale dei Longobarbi.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


«Nani di Erebor!»

Dís era in piedi davanti ai cancelli di Ered Luin, i suoi occhi scintillanti e i suoi capelli che le svolazzavano dietro nella fresca brezza primaverile. L'ultima carovana per Erebor la guardava con attenzione, i loro volti luminosi ed impazienti.

«Andiamo a casa!» gridò nella sua voce melodiosa di diamante e mithril, e un grande urlo di gioia risuonò da ogni gola. Girandosi, Dís iniziò ad allontanarsi dalle miniere svuotate e dalle sale distrutte di Belegost che avevano dato loro riparo in tempo di povertà, e alzò il suo viso verso Est. Non si guardò indietro. I carri la seguirono nel suo cammino quando iniziò a marciare.

«Ora questa è una Nana come si deve» sospirò Frís «Oh, mia coraggiosa figlia» Thráin le prese la mano, e con occhi umidi guardarono assieme l'ultima sopravvissuta dei loro figli che guidava la loro gente via dalle loro vite ridotte e patetiche verso il sole che nasceva, ed Erebor.

Thorin guardò indietro verso l'enorme fila di Nani, carri, pony, capre e persino un gregge di pecore che si allungava dietro a sua sorella. Vecchi Nani camminavano deboli accanto a carri tirati da buoi e pony da lavoro, le loro vecchie mani artritiche chiuse attorno ad asce che non erano state usate da decenni. Famiglie si erano appollaiate tra i loro mobili sopra ai carri letto, e i loro figli più grandi osservavano le guardie e i guerrieri che affiancavano la carovana con espressioni curiose e timide.

«Muovetevi, muovetevi!» urlò Glóin a un carro pesante che stava rallentando. Le pendici delle Montagne Azzurre scivolarono lentamente dietro di loro, e davanti a loro si alzavano le piccole colline morbide degli Emyn Uial e oltre ad esse vi era la grande valle protetta della Contea. «Abbiamo ancora molta strada da fare, ragazzi miei!»

I Nani iniziarono a cantare mentre marciavano, e presto Thorin si ritrovò a cantare con loro:

And her beard was as soft as the downy wing

Of the birds that fly home at the call of spring,

O! Why did I leave her, why did I roam?

For now and forever I'll be marching home!

[The Dwarves Walking Song, scritta da determamfidd e cantata da notanightlight] [Traduzione]

«Non ho mai sentito questa prima» commentò Gimli, marciando accanto a suo padre.

«Questa è una vecchia canzone dei viaggiatori, figlio» disse Glóin, e come ogni volta da quando era ritornato dalla sua famiglia, il suo volto era pieno di orgoglio divertito.

Il suo incontro con Mizim, Gimrís e Gimli al suo ritorno a Ered Luin non era stata altro che spettacolare. Glóin si era avvolto attorno a sua moglie e l'aveva stretta a sé, seppellendo il volto nei suoi capelli pallidi. Lei gli mise le mani sulle tempie e gli tirò indietro la testa, tracciando la vecchia cicatrice sulla di lui fronte col pollice prima di baciarlo profondamente e dolcemente. «Ciao, vecchio orso» disse lei piano, le sue mani affondate nella sua criniera di selvaggi capelli rossi «Sei in ritardo.»

«Gioiello» disse lui, e i suoi occhi si velarono «Sei più bella di quanto tu non sia mai stata, Mizim, corona della mia vita, luce del mio cuore.»

«Non pensare di guadagnarti il mio perdono con paroline dolci, ora» lo sgridò lei, prima di baciarlo ancora. Il volto duro e rugoso di lui si ammorbidì quando lei poggiò la propria testa sul suo petto per un momento. Lui le prese le mani e le baciò una alla volta prima di girarsi verso i suoi bambini – e la sua bocca lentamente formò la forma di una “O”.

Thorin privatamente pensò che quell'espressione fosse esilarante. Frerin, ovviamente, non tenne questi pensieri privati. Suo fratello finì col cadere all'indietro, ridendo a crepapelle.

La meraviglia di Glóin era giustificata. Quasi tre anni portano un grosso cambiamento in un Nano in crescita, dopo tutto. Gimrís ora sembrava più che mai una regina, tutta oro e topazi, il sole infuocato alla luna pallida che era sua madre. E Gimli non era più un ragazzo. Era un forte e resistente giovane Khuzd, le sue braccia grosse dai muscoli e la sua barba in rapido allungamento. Glóin li fissò a bocca aperta per un momento ancora prima che Gimrís si lanciasse verso suo 'adad e Gimli fece lo stesso, e Glóin fu seppellito dai corpi di due Nani quasi cresciuti e gemette.

«Oof! Voi due siete troppo pesanti per me ora, levatevi!» ansimò, e Thorin ridacchiò vedendo il vecchio guerriero ruvido e imponente che sputacchiava e cercava di respirare. Quando fu di nuovo in piedi e fu riuscito a riguadagnarsi un po' di dignità, fece un deliziato respiro riverente e toccò i volti dei suoi figli con le sue grandi mani. «Ora, guarda questi due giganti!» disse piano «Chi è questo poderoso giovane guerriero dalla barba enorme? Chi è questa robusta e possente bellezza con le mani di un'artigiana? Dove sono i due piccoli tassi che mi sono lasciato dietro tre anni fa?»

«Ci sei mancato» esclamò Gimrís.

«Ci sei mancato un sacco» fece eco Gimli, e Glóin se li trascinò vicini e li strinse.

«Inùdoy, nathith» disse contro i loro capelli, i suoi occhi serrati «Gimli figlio mio, Gimrís figlia mia. Mi siete mancati così tanto, tesori miei.»

Mizim si morse il labbro e mise le braccia attorno a tutti loro. «Non andare più in altre Missioni idiote» disse piano, e Glóin si limitò a stringere il suo abbraccio.

La riunione di Bombur con la sua famiglia fu molto più rumorosa. Alrís non ebbe nemmeno la possibilità di salutare suo marito prima che una vera orda di Nanetti sciamasse verso Bombur e Bofur, urlando a pieni polmoni. I figli di Bombur si seppellirono nel suo corpo caldo e morbido, premendosi contro di lui, esaminando il suo bastone con dita curiose e grassocce, tirarono via il cappello a “Zio Bofur” e pregarono per una canzone e un dolce e una storia. Bombur tentò di baciare e fare il solletico a tutti nello stesso momento, la sua raramente udita risata rimbombante che risuonava sopra il frastuono. La più vecchia della tribù tirò pazientemente via i più piccoli, e finalmente Alrís fu in grado di dare un bacio con schiocco a suo marito e mostrargli il nuovo bambino, ora di due anni – un maschietto che lei aveva chiamato Albur. Era una piccola cosetta grassoccia e ridente con capelli castani ed occhi che ballavano come la luce del sole sull'acqua. Bombur diede al piccolo bacio peloso sulla testa, e poi mise un braccio attorno ad Alrís e la tirò verso di sé per un altro bacio rumoroso.

«Ciao, amore» le disse, e strofinò la propria faccia contro quella di lei «Mi sei mancata, tortina mia.»

«Cosa ti sei fatto alla gamba?» disse lei senza fiato.

Lui fece spallucce. «Mi hanno avvelenato. Non lo raccomando.»

«Avvelenato, Babbo?» esclamò uno dei suoi bambini di mezzo, occhi larghi come saliere.

«Non andare troppo vicino agli Orchi» disse Bofur succintamente, e un coro di “oooooh” si alzò dalla folla di bambini.

«Cibo da ospedale» disse Bombur disgustato, e Alrís tirò indietro la testa e rise e rise.

Era per via della sua gambe che Bombur aveva abbandonato il pony e deciso di guidare un carro. I bambini lo attorniavano, e lo si poteva sentire che gli spiegava ricette e raccontava storie mentre guidava i pelosi e robusti pony da lavoro. Le sue recensioni della cucina Elfica erano particolarmente colorite.

La notte, Dís camminava tra i vagoni e i carri e controllava il perimetro e le guardie lei stessa. I molti fuochi facevano apparire la vallata del Lhûn come una ciotola piena di braci dorate. Poi lei tornava al suo posto in testa alla codata e si riposava. A volte Gimli e Gimrís si univano a lei, a volte Mizim, ma la maggior parte del tempo lei era solitaria, un'alta, dritta sentinella che osservava le occupazioni dei Nani al di sotto. Con la mano sul pomolo della spada lei stava in piedi e gli faceva da guardia, i suoi occhi tristi e affezionati e determinati.

Thorin le stava accanto e osservava la loro gente, che finalmente ritornava a casa. «Grazie, sorella» mormorò «Ti voglio bene, nadadith. Prenditi cura di loro per me, sì?»

Lei si sistemò una treccia dietro l'orecchio e sospirò.

Thorin iniziò ad osservare il viaggio con dedicazione religiosa. Doveva ancora fare ammenda, dopo tutto, e anche se aveva iniziato non era ancora convinto di aver fatto abbastanza. La sua famiglia si univa a lui a volte, ma come Dís era spesso da solo. Il suo tempo venne organizzato con ordine: i pasti, la forgia, la famiglia e la Camera di Sansûkhul.

Era una marcia lenta. Viaggiare con così tanti carri e bambini significava che la carovana si muoveva con un passo molto più lento di quello della Compagnia di Thorin. Bofur in particolare sembrava insofferente al “cincischiamento”, come diceva lui, e spesso andava avanti con il suo piccone in spalla. A volte portava con sé uno dei figli più grandi di Bombur, e un paio di volte portò Gimli (per l'eccitazione del ragazzo). Non successe nulla, anche se una volta spiarono un gruppo di Elfi che andava al Mithlond, i Porti Grigi, dove avrebbero lasciato la Terra di Mezzo per sempre.

«Quello è un Elfo?» disse Gimli, storcendo il naso «Ed io che pensavo che fossero bellissimi e gloriosi! Umpf. Sono tutti allungati e pallidi!»

Bofur ridacchiò. «Non farti fregare. Possono sembrarti come insipidi stecchetti pelle e ossa, ma sono più forti di quanto sembrino e la loro vista è molto meglio della nostra alla luce. Un Elfo ti ficcherà una freccia nell'occhio nel momento che ti ha visto.»

«Niente barba» mormorò Gimli sottovoce, e rabbrividì.

La carovana guadò il Fiume Lhûn con grande attenzione ed iniziò a seguire l'Antica Strada del Nord, costruita nei tempi antichi dei Re degli Uomini, passando a sud degli Emyn Uial. Alla fine le terre grigie e rocciose lasciarono spazio a verdi, morbide colline, valli erbose e fattorie curate attentamente. Ancora più a sud, del fumo usciva da piccoli camini. Thorin guardò la pacifica terra fertile e sentì qualcosa che si stringeva da qualche parte nel suo stomaco.

Quando fu quasi il tramonto, Dís diede loro il segnale di accamparsi su una collina coperta di denti di leone e trifoglio. Delle api ronzavano allegre dal loro alveare su un melo solitario coperto di boccioli, e degli uccelli cantavano da un bosco nelle vicinanze. Bombur scambiò un'occhiata con Glóin.

Glóin scrollò le spalle. «Sarà qui. Ha promesso.»

«Da che parte è Hobbiville da qua?» Bofur si coprì gli occhi con la mano. La più grande di Bombur aveva indosso il suo cappello. Era un Nana allegra di sessant'anni di nome Barís, con delle fossette sulle guance e un sorriso solare, e marciava dietro a suo zio con uno dei suoi fratelli sulle spalle.

«Sud-est» disse Glóin dopo un momento «E là! Guardate!»

Una piccola figura stava arrivando lungo i sentieri sinuosi attorno alle colline, correndo veloce quanto i suoi grossi piedi pelosi gli permettevano. Uno zaino pieno fino a scoppiare gli rimbalzava sulle spalle, e le sue mani salutavano allegramente.

«Ohi, Bilbo!» urlò Glóin, salutandolo a sua volta.

«Quello è un Hobbit?» sussurrò Gimrís a suo fratello.

«Ancora, niente barba!» disse Gimli, e scosse la testa in compassione.

Bilbo arrivò fino alla testa della carovana, annaspando e tenendosi una mano sul lato del petto. «Oh, è passato un po' dall'ultima volta che ho corso così, e con addosso tutta questa roba!» disse «Ciao ancora! Bontà mai, vedo perché Odo Bolger era così eccitato. Ci sono un sacco di voi, o no?»

Con quello lo Hobbit venne trascinato in un abbraccio, e ci furono molte pacche sulle spalle e sorrisi. Bombur picchiò la sua fronte contro quella di Bilbo, Bofur gli scompigliò i capelli ricci e Glóin gli sorrise.

Thorin sentì suo padre che si fermava accanto a lui. «Quindi era questo lui?»

Thorin annuì in silenzio.

Thráin osservò lo Hobbit per un momento, poi grugnì e mise una mano pesante sulla spalla di Thorin. «Mi dispiace, figlio mio.»

Thorin si limitò a continuare ad osservare la piccola anima coraggiosa che avrebbe potuto – sarebbe dovuta – essere sua. Le dita forti di Thráin si strinsero sulla spalla di Thorin.

«Ti lascerò da solo» disse gentilmente «Siamo qui se hai bisogno di noi, Thorin. Ricordalo.»

Thorin annuì di nuovo, e deglutì con la gola secca. Le dita di Thráin strinsero ancora una volta, e poi svanì.

«Dovreste sentire la confusione al Drago Verde» stava dicendo Bilbo «Il povero vecchio Odo è convinto che ci sia un'invasione e l'intero pub è in subbuglio. La metà di Villa Brandy – sono i Brandybuck, a proposito – vogliono venir fuori e vedere coi propri occhi. L'altra metà vuole suonare il Corno delle Terra di Buck. I Serracinta stanno agitando le mani e svenendo, gli Scavari dicono che non sono affari loro, i Boffins stanno cercando di organizzare una festa di benvenuto, e i Tuc stanno ridacchiando e provocando tutti indiscriminatamente.»

«E i Baggins?» disse Bombur, sorridendo.

Bilbo rise allegramente. «Stanno facendo finta di non aver mai neanche sentito parlare di Nani, o draghi, o avventure, o ricchi cugini matti. Tutte le volte che qualcuno prova a tirarlo in ballo iniziano a parlare del tempo o di gare di mangia-torta o dei cani del Contadino Maggot o di cose del genere. È orribilmente divertente.»

«In genere non passiamo così vicino alla Contea» disse Bofur «ma dato che è l'ultimo carico, per così dire, avevam pensato di suggerire una gita.»

«Quindi le Montagne Azzurre sono svuotate?» Bilbo guardò giù «Oh. Avevo sperato che avreste fatto avanti e indietro ancora qualche volta.»

«Beh, abbiamo di nuovo casa nostra ora, no?» disse Glóin, e diede una pacca sulla schiena del piccolo compare. Thorin voleva tagliargli la mano.

«Direi di sì» disse Bilbo, e le sua spalle caddero.

«Vieni, Bilbo» disse Bombur nel silenzio che seguì «Dovresti incontrare la mia famiglia! Questa è Barís, la maggiore, e lì ci sono Bomfur, Bolrur e Bofrur, il mio terribile trio di teste rosse, e i due ragazzi coi capelli scuri sono Barum e Barur; poi ci sono Alfur e Alrur e Alfrís e Bomfrís che tormentano quel povero pony. Barum, falli smettere, per favore, prima che il pony abbia un attacco di nervi? E lì c'è la mia adorabile moglie Alrís, e i nostri due più piccoli, Bibur e Albur.»

Alrís accennò un inchino, le sue braccia piene di bambini agitati. «Al tuo servizio» disse allegra.

Thorin si sentiva vagamente confuso dopo tutti quei nomi.

Bilbo sembrò non avere problemi con una folla del genere, e si inginocchiò ad Alrís, sorridendo «Al tuo e della tua famiglia – anche se potrei avere qualche problema ad accontentare tutti quanti. Bontà mia, Bombur! Mi verrebbe da pensare che tu sia in parte Hobbit!»

«Mi piacciono i tuoi piedi» disse uno dell'orda di Nanetti rossi.

«Ma grazie mille» ridacchiò Bilbo «Sono in effetti un paio di piedi estremamente rispettabili, anche se il resto di me non lo è. Quanto pensate di rimanere qua accampati nel Decumano Nord?»

«Ci muoveremo quasi immediatamente» disse Glóin in tono di scusa «Domattina, probabilmente. Sai come va.»

«Decisamente sì» disse Bilbo, e sospirò deluso.

«Beh, rendiamo il massimo da questa notte, che dite?» disse Bofur.

Bilbo si illuminò. «Sì, sì, hai ragione! Ho portato qualche cosetta da dividerci, anche se spero che sia abbastanza...»

«Sappiamo come mangiano gli Hobbit» disse Glóin secco «Sono abbastanza sicuro che basterà, ragazzo.»

«E pensaci, Bilbo! Niente da pulire!» Bofur gli diede di gomito. Thorin desiderava che tutti la smettessero di toccare il suo Hobbit.

Bilbo alzò gli occhi al cielo teatricamente. «Grazie al cielo!»

«Cos'hai portato?» chiese Bombur, sfregandosi le mani impaziente «Torta al formaggio?»

«Con calma! Prima devi incontrare la ia famiglia» disse Glóin «Questo è il mio ragazzo Gimli e la mia ragazza Gimrís. Laggiù che lega il carro c'è la mia dolce Mizim. Mizim, vieni qua! Vieni ad incontrare il nostro Scassinatore!»

«Sono un po' occupata, vecchio idiota» lo rimbeccò lei «nel caso tu non l'abbia notato!»

Glóin sorrise imbarazzato. «Lei è il gioiello della mia vita, lo è.»

«Vado ad aiutarla» disse Gimrís, toccando il braccio di suo padre. Glóin annuì e le accarezzò la mano, e lei andò ad aiutare sua madre a legare i panni oliati e i pony.

Gimli si guardarono l'un l'altro curiosi. «Ciao – Gimli, giusto?» disse Bilbo «Bilbo Baggins, al tuo servizio.»

«Gimli figlio di Glóin al tuo» disse Gimli automaticamente, e poi inclinò la testa, studiando il volto dello Hobbit con un'espressione di fascino leggermente turbato «Non ti viene freddo alla faccia?»

Bilbo scoppiò a ridere.

Glóin si tirò la barba per nascondere un sorriso. «Ah, Gimli ragazzo mio, agli Hobbit non cresce la barba.»

«Oh, alcuni sì, ma solo quelli delle famiglie Sturoi» disse Bilbo, ridacchiando «Ma anche in quei casi, non è nulla di cui un Nano si vanterebbe. Mi ricordo di avervi beccati tutti a fissarmi quando pensavate che io non guardassi per il primo paio di settimane. E a proposito, nessuno di voi è bravo a fare le cose di nascosto – beh, a parte Nori, ma il resto di voi non era per nulla subdolo. Era il mio povero mento nudo, quindi?»

«Quello e la maniera in cui cavalchi, ragazzino» disse Glóin, e rise all'espressione metà di divertimento e metà di esasperazione dello Hobbit.

«Siamo stati tanto maleducati?» disse Bofur, ghignando.

«Siete entrati in casa mia, avete saccheggiato la mia dispensa, mi avete trascinato in un'avventura e cantato una canzone estremamente insultante» disse Bilbo, piantando un dito nel fianco di Bofur «Fissare è stata la cosa più educata che voi abbiate mai fatto!»

«Ah, le mie scuse?» mormorò Gimli, grattandosi la testa.

«Non hai fatto niente di male» lo rassicurò Bilbo «E per rispondere alla tue domanda: sì, la mia faccia diventa abbastanza fredda in effetti, cosa che è estremamente fastidiosa – ma si asciuga meravigliosamente in fretta rispetta alle vostre!»

Bombur scese dal suo carro con movimenti lenti e attenti. Gimli e Bofur andarono ad aiutarlo, e lui spostò il peso sulla sua gamba buona prima di afferrare il suo bastone e zoppicare in avanti. «E dunque cosa ci hai portato oggi, Signor Baggins?»

Gli occhi di Bilbo si illuminarono, e si tirò giù lo zaino strapieno dalla schiena. «Ho formaggio, mele, pane, birra, tre crostate, un cosciotto di agnello cucinato alla maniera di Largo Squarcio, un prosciutto crudo, un grosso dolce alle uvette, e un'intera serie di regali da portare agli altri. Temo sia davvero molto da portare.»

Bofur e Glóin fecero spallucce, e Thorin tentò di non sorridere, ci provò davvero – ma ciò che Bilbo considerava tanto da trasportare era a malapena notabile per i Nani. Lui non aveva mai capito esattamente quanto forte e resistente un Nano poteva essere, anche dopo tutte le prove che ne aveva ricevuto. Lo Hobbit cercò nel suo zaino troppo pieno e fece un piccolo “a-ha!”.

«Ecco» spinse una pila di carte in mano a Bombur «Tutte le ricette di mia madre. Lei era una Tuc, sai, e raccolse ricette da tutta la Contea, fino ad est alle Chiane Ditteri.»

Bombur guardò con occhi sgranati il fagotto spiegazzato e poi lo premette protettivamente contro il petto. «Bilbo!» disse, e la sua bocca si aprì e si chiuse come quella di un pesce.

«Oh, andiamo, era il minimo che potessi fare» disse Bilbo, abbassando la faccia arrossata «Ora, ho... qua!»

Porse a Bofur una strana configurazione di pelle di pecora e pelle colorata, con piccoli punti ordinati nello stile della Contea lungo i bordi. «È il tuo cappello, vedi» disse Bilbo, storcendosi le mani ansiosamente «Ho comprato le pelli dai Tronfipiedi, e l'ho fatto copiare da Bell Gamgee. Il tuo era talmente rovinato, dopo tutto, e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere averne uno nuovo. Spero di non averti offeso?»

Bofur aprì lentamente la tesa piegata del cappello nuovo, tinto di un bel marrone rossastro, e sorrise improvvisamente. Se lo mise in testa, alzando il mento e tirando le falde. «Che pensate, ragazzi?»

«Oh, Mahal sia ringraziato, stavo per bruciargli quello vecchio mentre dormiva» disse Bombur con sollievo.

«Aye, molto appropriato!» disse Glóin e diede di gomito a Bilbo. Thorin ringhiò piano. Qualcuno avrebbe smesso di toccare l'Hobbit? «Sembri una miniera di diamanti, o no?»

«Va bene, non esagerate» disse Bofur piacevolmente «Grazie mille, Bilbo. È davvero un bel cappello. Anzi, non sarò sorpreso se un cappello fatto da un Hobbit porterà fortuna!»

«Glóin, questo è per te» Bilbo gli porse una scatola di legno intagliata, il coperchio e i lati decorati da foglie e grappoli d'uva. Glóin ammirò l'intaglio per un momento, e Bilbo sbuffò. «Sì, beh, la falegnameria è probabilmente l'univa arte Hobbit che voi possiate apprezzare. Comunque, non è vuota. Aprila.»

Glóin la aprì, e Gimli si sporse da sopra la spalla di suo padre per guardare dentro. «Erbapipa?»

«Non semplice erbapipa, mio caro Nano. Quella è Foglia di Pianilungone. È dell'anno '32 – davvero un buon anno!»

«Mio caro Hobbit!» disse Glóin, e guardò la scatola con nuovo apprezzamento «Sono profondamente in debito con te!»

«Oh, non ti preoccupare» disse Bilbo, gioioso «Ora, se non ti dispiace... ecco, Gimli, potresti darmi una mano?»

Dallo zaino di Bilbo uscirono il prosciutto e l'agnello, le crostate, il pudding e i formaggi, mele e un bricco tappato strettamente. «Ora» disse Bilbo, raddrizzandosi le giacca «gli inchiostri sono per Ori, e le bottiglie sono delicate, quindi fate attenzione! Quelle erbe sono per Óin. Lo sono anche le annotazioni. Ho tradotto un paio di testi di guarigione dall'Elfico – ed è stato un sacco di lavoro, quindi non osate buttarli! Ah, questo è per Dori. È un libro sui motivi di ricamo di mia Zia Hildigard, e alcuni di quei motivi sono abbastanza vecchi da impressionare persino Dori, oserei dire. Spero che riesca a trovargli un qualche utilizzo.»

Bofur aprì il libriccino e sorrise ai disegni arricciati coi loro motivi amichevoli di fiori, foglie e vegetali. «Chissà? Magari il ricamo Hobbit diventerà una nuova tendenza esotica. Potresti dare origine ad una moda!»

«Spero ferventemente che i miei giorni di creatore di tendenze siano terminati, grazie mille» disse Bilbo secco «Ora, questo è per Nori, da uno Scassinatore a un altro.»

La fronte di Bombur si accigliò quando prese in mano i candelieri, i coltelli da formaggio e il piccolo piatto da sugo. «Cos'è?»

Bilbo si passò una mano fra i capelli e sorrise un tantino malignamente. «Ho scoperto dopo essere tornato che non sono stati solo i miei terrificanti parenti a prendersi qualche libertà di troppo con le mie proprietà. Un certo individuo dalle dita leggere se n'era andato con qualche cosuccia la notte della festa. Pensavo che gli sarebbe potuto piacere il resto, coi miei complimenti.»

Glóin esplose in ruggiti di risa, e persino Gimli ridacchiò. Bofur si diede un colpo con la mano sugli occhi e non fu in grado di parlare per un momento mentre la sua faccia iniziò a diventare rossa. «Oh, lo odierà!» ansimò Bombur «L'hanno scoperto, e non è nemmeno riuscito a prendere tutto! Oh, sarà di malumore per un mese.»

Bilbo sembrò soddisfatto. «Quella era l'idea.»

Bofur si tirò il cappello nuovo sugli occhi e gesticolò loro freneticamente facendo segno di andare avanti mentre ansimava, cercando di controllare le proprie risa.

«Ho fatto fare questo per Balin» disse Bilbo, tirando fuori un curioso piccolo vaso «Guardate i lati!»

Glóin, Bombur, Gimli e Thorin (Bofur stava ancora vanamente cercando di smettere di ridere) osservarono il piccolo oggetto più da vicino, e Glóin esclamò: «Ma, è il contratto!»

«Certamente!» disse Bilbo, girando l'oggetto così che potessero vedere «Derimac Brandybuck è un gran bravo vasaio, non credete? Ho scritto ciò che mi ricordavo del mio contratto e gli ho detto di ricopiarlo sui lati. Povero Derrin, il suo lavoro in genere consiste di fiori e anatre e a volte una pianta di zucca; non penso si aspettasse tutti quei discorsi su lacerazioni, eviscerazioni o incenerimenti più di quanto non me lo aspettai io.»

«È svenuto?» chiese Bombur, piegandosi in avanti impaziente.

Un piccolo suono fischiante di allegria arrivò da sotto il cappello di Bofur.

Bilbo fece una pausa, e poi disse: «Sì.»

Thorin si strozzò con la propria risata mentre i membri della sua Compagnia eruttarono nuovamente. Glóin e Gimli finirono con le braccia attorno al collo dell'altro, mentre Bofur collassò sul terreno con i talloni che si agitavano in aria. Bombur si asciugò gli occhi mentre Bilbo si teneva i fianchi e ansimava.

Quando le loro risa iniziarono a scemare, Bilbo disse: «No!» e questo li fece partire di nuovo. Bombur iniziò ad appoggiarsi pesantemente sul proprio bastone, e Bofur tirò un pugno al terreno un paio si volte. Glóin stava facendo dei suoni da teiera e Gimli dovette sostenere sempre più del peso di suo padre. Il povero ragazzo stava diventando piuttosto rosso in viso.

«Va bene, va bene!» riuscì a dire Bilbo tra le risa «Bene, andiamo avanti! Non ero sicuro di cosa prendere a Bifur, finché non mi sono ricordato che era un giocattolaio prima di un minatore. E quindi» Tirò fuori una curiosa cosetta con ingranaggi e ruote. I Nani assemblati si avvicinarono con esclamazioni di interesse. «Sì, non è intelligente? È un modello del Vecchio Mulino giù a Hobbiville, sapete. Puoi versarci dell'acqua qua dentro, e la ruota gira e macina.»

«Bene ora» disse Bombur prendendo gentilmente il modello nelle sue mani dalle dita spesse. Bofur fece capolino da sotto il suo cappello. La sua faccia era rosso acceso. «Guarda Bofur. Non è una cosetta carina? Ai miei ragazzi piacerebbe, gli piacerebbe di certo.»

«Ed essendo Hobbit e tutto, sembrerebbe anche speciale e fuori dal comune» disse Bofur, appiattendosi i suoi baffi spettinati «Mi chiedo se potremmo fare un modello di Casa Baggins?»

«Oh no. Oh, no, no, no, no, no! Se mi troverò un'intera generazione di Nani che mi marciano per casa, vi darò la caccia e pungolerò entrambi!» disse Bilbo serio.

Bombur chiuse la bocca con uno schiocco, ma Bofur sembrava decisamente troppo innocente perché fosse credibile.

«L'ultimo» disse Bilbo, fischiettando e tornando a girarsi verso lo zaino quasi vuoto.

«Dwalin» mormorò Thorin.

«Dwalin» disse Bombur con lo stesso esatto tono, annuendo.

«Felice di vedere che uno di voi mi presta attenzione» Bilbo tirò su col naso «Ah, eccoci!»

«Cosa cavolo, ragazzo?» Glóin strizzò gli occhi vedendo la miriade di castagne-cavallo pitturate con colori vivaci, un filo attraverso il mezzo.

«Armi Hobbit tradizionali» disse Bilbo, un luccichio negli occhi «Io in particolare sono piuttosto bravo a usarle. Se volete saperlo.»

«No» disse Bofur incredulo.

«Non...?» disse Glóin.

«Tira-castagne?» disse Thorin, completamente incredulo.

«Tira-castagne?» fece eco Gimli, e poi batté le palpebre confuso.

Thorin maledisse la sua mancanza di attenzione.

«Cosa? Uno di voi è andato in giro a raccontar storie?» Bilbo si mise le mani sui fianchi e ghignò «Vi sfiderei a un gioco, ma non sarebbe un combattimento leale.»

«Oh, davvero?» disse Glóin, tirando in fuori il petto «Piuttosto sicuro di te, Signor Baggins. Beh, vedremo sei hai ragion!»

Poco dopo, Bilbo aveva tutti e quattro, più Gimrís, Barís e Mizim, che litigavano per un gioco di tira-castagna. Il bricco venne aperto per rivelare un liquore forti che incontrò l'approvazione generale («forse non per i più giovani; quello è il brandy all'albicocca distillato in casa del Gaffiere Gamgee, sapete!») e il formaggio e il prosciutto vennero tirati fuori dall'imballaggio e passati in giro. I Nani si lanciarono nel gioco con la loro solita salutare competitività, ma Bilbo non aveva esagerato le proprie abilità. Stava vincendo facilmente, e ghignava trionfalmente ogni volte la sua castagna-cavallo ne tirava un'altra fuori dal gioco.

Thorin osservava con una certa perplessità. «E fanno questo per sport?» mormorò a se stesso «Popolo strano.»

«Adesso, quella è mia! Hai barato!»

«No, io sono quella verde – tu sei quella blu!»

«Ogni idiota vedrebbe che quella è azzurra. Onestamente, chiami te stesso mio fratello?»

«Gimrís, sta lontana! Ha, e con questo sono a tre per me!»

«Peccato, io sono a sette»

«Glóin, non puoi...?»

«Meglio non farsi tirare in mezzo, ragazzo»

Bilbo si tirò indietro, sospirando di soddisfazione e tirandosi degli schiaffi sulle ginocchia. «E il gioco è mio!»

«Tutti gli Hobbit sono così bravi a lanciare e mirare alle cose?» disse Bofur, fissando miseramente la sua castagna-cavallo dimezzata. Non aveva vinto un singolo round.

Bilbo fece spallucce. «A dire il vero, è un hobby per me.»

Il rumore aveva attirato dell'attenzione al gruppo. Molti degli altri nani lanciavano occhiate curiose verso lo Hobbit e il suo strano gioco, la sua faccia imberbe e i suoi piedi pelosi. Thorin venne irritato dal loro interesse e a malapena si impedì di abbaiargli contro di mostrare al loro Scassinatore il giusto rispetto.

Il fissare si fermò di colpo quando un'alta Nana con un mantello orlato di pelliccia attraversò la folla per controllare cosa fosse la confusione. Nani e Hobbit caddero in silenzio, e Dís alzò un sopracciglio scuro vedendo il gioco sul terreno.

«Gimli?» disse, girandosi verso di lui.

«Ah, ciao Zia Dís» disse lui, scattando in piedi e levando la polvere dai calzoni «Stavo solo passando il tempo.»

L'angolo della bocca di lei si contrasse, e lei si girò verso dove Bilbo sedeva sull'erba, giocherellando con una castagna. «Non ci presenti?»

«Ah, aye, certo» disse Gimli, e si schiarì la gola «Dís, figlia di Frís, ti presento Bilbo Baggins della Contea. È uno Hobbit» aggiunse inutilmente.

«Lo vedo, akhûnîth» disse lei, la sua voce pura come il mithril ricca di divertimento, anche se il suo volto a malapena si mosse. «Dís. Al vostro servizio.»

Bilbo si tirò in piedi e cercò di sembrare dignitoso quanto uno Hobbit può esserlo mentre tiene una castagna-cavallo dipinta di giallo acceso. «Al vostro e a quello della vostra famiglia.»

Dís sorrise, piuttosto tristemente. «Lo sei già stato.»

Ci fu un silenzio terribile, e poi Bilbo esclamò: «Gli assomigli così tanto.»

Lei si congelò, e poi abbassò gli occhi.

La bocca di Bilbo si mosse senza emettere suono, e poi anche lui guardò in basso. «Mi dispiace» mormorò miserabilmente «Non avrei dovuto dirlo. Finisco sempre col mettermi un piede nella mia boccaccia stupida.»

Thorin non poté impedirsi inspirare bruscamente; la sua mano si mosse per toccare la spalla di Bilbo. Le sue dita ci passarono direttamente attraverso, e si morse il labbro finché il gusto acido del ferro gli riempì la bocca.

Dís alzò la testa mentre inspirava. «Sì, eravamo molto simili» disse alla fine «Anche se mio fratello era più alto, e aveva gli occhi di nostra madre.»

«Oh, certo... io...» Bilbo si torse le mani «I solo...»

«Calmati, Mastro Hobbit» disse lei, e poi si inchinò di fronte a lui con tutto il portamento del suo rango e la dignità di una Regina. «Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi. Per loro.»

Bilbo tirò su col naso, il suo volto contratto contro le lacrime, le sue rapide piccole mani strette ai suoi fianchi. Thorin si inginocchiò davanti a lui e fece passare la mano sul dorso del braccio di Bilbo. «Grazie, Bilbo» fece eco.

«Io non...» riuscì a dire Bilbo, e poi si seppellì il volto fra le mani. «Oh carità» singhiozzò «Oh carità, oh carità...»

«Gimli» disse Thorin disperato «aiutalo.»

Il giovane Nano spostò il proprio peso tra i suoi piedi per un momento, sembrando incerto. Poi disse: «Il Signor Baggins ci stava mostrando un gioco Hobbit, Zia Dís.»

Tutte le teste si girarono verso di lui, e lui divenne rosso quanto i suoi capelli, prima di continuare coraggiosamente. «È un po' difficile riuscire a prenderci la mano, ma stavo iniziando a capire come funziona. Vuoi provare?»

Bilbo sbatté le palpebre, e Dís sembrava perplessa. «Se il Signor Baggins è d'accordo?» disse, girandosi verso l'Hobbit confuso.

«Certamente» disse lui, dando a Gimli una lunga occhiata sorpresa «Si chiama tira-castagna.»

«Aye, è terribilmente complicato» disse Bofur, trovando finalmente la sua voce.

«Io sono la migliore» disse Gimrís orgogliosa.

«A parte Bilbo qua!» disse Gimli immediatamente, e incrociò le braccia sul petto massiccio, accigliato «E tu ti diverti a spese degli altri.»

«Divertirsi a spese degli altri è parte del divertimento» disse Gimrís scuotendo la testa rossa «Non è colpa mia se non riusciresti a vincere un gioco contro un Orco morto.»

«Gimrís!» esclamò Mizim.

«Ecco» disse Glóin e porse a Dís la castagna-cavallo rossa, le sue mani gentili mentre le lasciava il posto «Siediti, cugina. Vado a vedere se posso trovare una sedia per Bombur.»

«Oh, non ti preoccupare per colpa mia!» protestò Bombur, ma accanto a lui, la giovane Barís annuì vigorosamente. Bombur grugnì e diede un colpetto alla spalla della figlia, e lei storse il naso.

«La tua gamba si schiaccerà tutta seduto così, Babbo. È meglio allungarla»

«Zia Dís?» disse Gimli piano, e lei esitò per un momento prima di sedersi accanto al suo cugino più giovane e dargli una pacca sul ginocchio.

«Non preoccuparti per me, giovane» disse lei «Tempo che tua sorella inizi a guardarsi la schiena.»

«Va bene quindi, se ci siamo tutti?» disse Bilbo, e riprese la sua castagna-cavallo gialla.

Molto, molto più tardi, i brontolii di centinaia di Nani dormienti attraversavano la fresca area della Contea nelle notte stellata. Bilbo era avvolto strettamente in una coperta e rannicchiato tra i sacchi a pelo di Bofur e Bombur in memoria dei vecchi tempi. Thorin si sedette di fronte a loro mentre il russare di Bombur faceva tremare il terreno, e sentì qualcosa dentro si sé che iniziava a rilassarsi e sciogliersi.

Si piegò all'indietro a guardò la lune a falce in alto, e si sentì quasi – quasi – vivo. Avrebbe potuto essere una qualsiasi altra notte durante la Missione, davvero. Potrebbe essere stata solo un'altra notte lungo la strada, facendo la guardia alla sua rumorosa, addormentata Compagnia. Solo lui, e il russare della sua gente, e i richiami degli uccelli notturni sotto il guardingo cielo notturno.

«Proprio come i vecchi tempi» disse Bilbo sbadigliando «Parola mia, quelle stelle sono luminose. Oh, mi è mancato tutto questo!»

Bofur si girò e tirò fuori la testa da sotto la coperta. «Beh» disse piano.

«Uhm?» Bilbo suonava già mezzo addormentato.

«Potresti venire con noi»

La testa si Thorin si girò verso di loro più in fretta di qualunque freccia Elfica.

Bilbo sembrava ugualmente scioccato. «Cosa?»

«Vieni con noi? So che gli altri sarebbero deliziati di rivederti, e lo so che ti siam mancati»

Bilbo batté le palpebre, e poi fece un sospiro pieno di malinconia. «Non posso» disse, e c'era vero rimpianto nella sua voce «Bofur, vorrei rimanere con tutti voi, ma non posso e basta. Erebor, è... è troppo grande. È troppo vuota per me.»

«Si sta riempiendo velocemente su tutti i fronti, ho sentito» disse Bofur.

Il sorriso di Bilbo era tutto tranne che felice. Deglutì forte e disse, coraggiosamente anche se con la voce spezzata: «Non è quel tipo di vuoto.»

«Potremmo anche farti una stanzetta e riempirtela di centrini...»

«È vuota perché lui non c'è» interruppe piano Bilbo, e poi si rigirò e si seppellì profondamente nella sua coperta.

La rabbia tornò come ad allagarlo. L'illusione di fare la guardia alla sua Compagnia nella loro Missione era solo quello – una menzogna, un frammento della sua mente delirante. Thorin era morto, non vivo. Thorin era stato morto per tre anni, e ancora il suo senso di colpa e lutto e rabbia lo laceravano. Fissò impotente le toppe della coperta di Bilbo, e la familiare sensazione di torsione annodò il suo addome. «Io ti proteggerò» disse «Riuscirò a fare ammenda.»

Bofur rimase immobile, e poi diede una pacca sulla schiena di Bilbo. «Mi dispiace» disse piano.

«Sì, beh» sospirò Bilbo, raddrizzandosi leggermente e appoggiandosi le testa sulla mano «Dovrei davvero lasciar perdere quel mio titolo di “numero fortunato”, non credi? Ho avuto tutta la fortuna del mondo, e non è bastata.»

«Non basta mai» disse Bofur con una voce che era quasi un sussurrò.

«Non ti servirà fortuna, lo giuro» promise Thorin con forza «Che Mahal mi sia testimone! Non ti servirà fortuna. Hai me

TBC...

Note:

Mithlond – i Porti Grigi, un porto Elfico sul Golfo del Lune, comandato da Círdan il Carpentiere. Qua le navi lasciano la Terra di Mezzo verso Valinor

Belegost (Khuzdul: Gabilgathol) – regno dei Nani Vastifasci nelle Montagne Azzurre (Ered Luin). Il Regno fu abbandonato durante la Guerra dell'Ira, quando le montagne vennero distrutte e molto di essa cadde nel mare. I rifugiati Longobarbi di Erebor costruirono i loro rifugi nelle rovine e riaprirono molte delle antiche miniere.

Basette Hobbit – in A proposito degli Hobbit viene notato che una delle tre varietà di Hobbit, gli Sturoi, aveva delle basette sul mento (le altre due varietà erano i Paloidi e i Pelopiedi, entrambi senza barba). Le due grandi famiglie della Contea, i Brandybuck e i Tuc, erano famosi per la loro pronunciata vena Paloide

Hildigard Tuc – la figlia maggiore di Gerontius “Vecchio” Tuc, sorella di Belladonna Baggins

Traduzione di "The Dwarves Walking Song":
E la sua barba era soffice come le ali piumate
Degli uccelli che volano a casa all'inizio della primavera
O! Perché la lasciai, perché viaggiai?
Perché da ora e per sempre marcerò verso casa!

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Thorin mantenne la parola. Visitava la Camera ogni giorno. Bilbo continuò con la sua vita, lavorando in fretta nel suo piccolo Buco Hobbit e giardino, allegramente noncurante di ciò che i suoi vicini pensavano di lui. Prestò la propria maglia di mithril a un museo, anche se gli Hobbit lo definivano una "casa di mathom". Da ciò che Thorin capiva, un mathom era qualcosa destinato a prendere polvere; interessante, ma poco pratico. Una maglia di mithril, poco pratica! Scosse la testa alla stupidità della cosa. Davvero, gli Hobbit erano piccole creature ridicole!

Erebor attraversò vari inverni feroci. I restauri si rallentarono fino a fermarsi quando Dáin rediresse tutti i loro sforzi a mantenere la Montagna rifornita e calda. Dori modificò la propria instancabile campagna alla conquista delle Gilde nell'organizzare programmi per i rifornimenti e per la caccia, e Bombur passò un'ora dopo l'altra al mercato, distribuendo piatti di zuppa e grossi pezzi di pane a chiunque. Óin, poveraccio, tirò in alto le mani in disgusto alla nuova ondata di malattie e minacciò di ritirarsi. La gamba di Nori gli causò molti guai nel freddo pungente, e si lamentava ad alta voce con chiunque lo ascoltasse.

Gimli fu immensamente orgoglioso quando la sua barba finalmente raggiunse una lunghezza rispettabile. La teneva legata in trecce da lavoratore, i suoi baffi folti appiattiti in esse. I capelli li teneva legati in una coda la maggior parte del tempo, preferendo non preoccuparsene troppo, anche se in occasioni speciali tirava fuori i fermagli avvitabili d'oro fatti da suo nonno.

Sette anni dopo l'ultima partenza da Ered Luin, Bifur si svegliò nelle Sale di Mahal.

Thorin aspettò fuori dal sepolcro di benvenuto, Fíli e Kíli al suo fianco. Il minatore era andato gradualmente peggiorando sin dalla Battaglia delle Cinque Armate, ed era impressionante che avesse resistito così a lungo. Un testamento della resistenza dei Nani, pensava Thorin.

Era stato difficile da guardare. Verso la fine, Bifur era stato a malapena presente, scivolando via in qualche posto lontano dove nessuno, nemmeno i suoi cugini, potevano raggiungerlo. Le sue parole erano svanite, così come il suo Iglishmêk. Seguiva placidamente ovunque venisse guidato, e doveva essere aiutato in tutto; a vestirsi, a nutrirsi, a lavarsi.

Sì, era stato doloroso da guardare.

I suoi genitori Kifur e Bomrís e suo zio Bomfur (il padre di Bofur e Bombur) andarono a salutarlo, e Thorin si chiese come funzionasse. Mahal te lo lasciava sapere in qualche modo? Oppure l'avevano scoperto come aveva fatto Thorin, guardando nelle acque del Gimlîn-zâram?

Alla fine la porta di aprì e Fíli guardò su. «È qui!» disse, afferrando la mano di Thorin.

«Shhh!» disse Kíli, e Thorin lanciò un'occhiataccia ad entrambi.

«Dategli un po' di spazio» disse serio, erano passati dieci anni, ma si ricordava ancora quanto disorientato e sopraffatto si era sentito. «Ha appena incontrato il nostro Creatore e i suoi genitori, e sarà-»

«Zabadâl belkul!» urlò una voce gioiosa, e Thorin venne interrotto da un corpo pesante ed interamente nudo che gli scaraventò contro di lui e lo fece cadere per terra «Zabadâl belkul, melhekel!»

«Bifur!» riuscì a dire Thorin, sputando capelli bianchi e neri «Bifur, calmati!»

«Zûr zu?» Bifur afferrò le spalle di Thorin e picchiò insieme le loro teste. A Thorin venne il capogiro, delle stelle gli apparvero davanti agli occhi.

«Ah! Fermati, aspetta-»

«Abbad, abbad, sakhab!» strillò Bifur, e poi diede dei colpetti al volto di Thorin «Ah, melhekhel, Thorin-zabad. Sakhab-ti, non avrei mai pensato di rivederti, e così non cambiato. Sì, potresti scuoiarmi con quello sguardo! È davvero fantastico da vedere.»

Thorin smise di lottare e lo fissò, stupefatto. «Bifur... stai parlando Ovestron.»

«Davvero?» Bifur batté le palpebre, e poi sorrise. C'era una sottile cicatrice rossa dove un tempo c'era stato uno squarcio da far rivoltare lo stomaco nel suo cranio, e sembrava molto più lucido di quanto Thorin potesse ricordare d'averlo mai visto – anche se ancora piuttosto strano. «Oh. Lo sto facendo.»

«E sei nudo» aggiunse Fíli.

«Sopra a Thorin» ridacchiò Kíli.

Bifur sorrise loro, spingendosi via da Thorin ed esclamando: «Ragazzi! Fíli, Kíli, shamukh ra ghelekhur aimâ, è fantastico vedervi!»

«Bello vedere anche te» gli disse Kíli, tirandolo in piedi.

«Anche se sarebbe stato persino meglio se non avessi visto così tanto di te» borbottò Fíli. Bifur rise e trascinò i ragazzi in un abbraccio, lanciando le braccia attorno al loro collo e stringendoli forte.

Thorin si alzò in piedi e si strofinò la fronte. «Bene, sembra che tu ritorni al Khuzdul di tanto in tanto» disse a se stesso, prima di sorridere delle facce dei suoi nipoti mentre cercavano di estricarsi dall'esuberanza di Bifur. Alzando la voce, disse «Forse dovremmo trovarti dei vestiti...»

«Niente forse» ansimò Kíli.

Bifur saltò indietro di colpo per fissarsi le mani con un'espressione perplessa. I suoi occhi erano completamente concentrati per la prima volta in dieci anni. «Oh, sì» Poi alzò le sopracciglia e si guardò apparentemente sorpreso. «Aye, va bene. Anche se potrei abituarmici, sapete. Piuttosto... liberatorio. Dovreste provarlo.»

«I miei occhi» gemette Fíli.

«Il mio cervello» piagnucolò Kíli.

Improvvisamente Bifur si fermò, alzando il capo e spalancando gli occhi. «Aspetta, 'ikhuzh! 'amad, 'adad, zio Bomfur... dove sono?»

«Dietro di te, Bifur» disse una voce divertita «Il Creatore ti ha ridato la tua voglia, vedo.»

Bifur rise e si lanciò verso i tre Nani, e poi li trascinò verso Fíli, Kíli e Thorin, nudo come quando era nato. «Ecco ora – Mamma, Papà, Bomfur – questo è il mio Re. Thorin, questi sono...»

«Li conosciamo, Bifur» disse Thorin, e diede una pacca sulla spalla nuda del Nano «Li ho incontrati prima che tu ti svegliassi.»

«E io ho colpito Sua Maestà sul braccio per aver portato il mio ragazzo e i miei nipoti in una missione tanto ridicola tanto per iniziare» borbottò Kifur.

«Dovremmo darti da mangiare, mia piccola cornacchia» disse Bomrís nella sua dolce, bassa voce, scuotendo la testa mentre faceva passare le mani sul volto e sulla barba di Bifur. Era un magra, silenziosa Nana dai capelli neri con grandi occhi scuri e mani indurite dal lavoro. Assomigliava poco a suo fratello minore Bomfur, coi suoi sorrisi luminosi e la sua rumorosa risata allegra. «Stai fermo ora, mio caro.»

Kifur ridacchiò. «Dobbiamo metterti addosso qualcosa prima che Mahal cambi idea.»

«Cibo?» disse Bifur curioso mentre permetteva a suo padre di infilargli la maglia sopra i suoi capelli selvaggi. Sua madre glieli levò dal volto gentilmente, fermando le sue dita un poco più a lungo sulle piccola linea rossa sulla sua fronte. «Possiamo mangiare qui? Per qualche motivo non pensavo che mangiare succedesse nelle Sale dei miei Antenati...»

«Aye, mangiamo» disse Thorin, provando e fallendo di reprimere un sorriso «C'è del cibo, e a volontà.»

«Oh» Bifur si aggrottò le sopracciglia, e poi si illuminò «Ci sono fiori?»


«Idiota

Dáin sbuffò quando la porta si chiuse dietro di lui, e lanciò la corona nell'angolo dell'anticamera del Re. Thorin lo seguiva a gran passo, incandescente dalla rabbia.

«Sei un assoluto idiota!» ringhiò di nuovo «L'oro è maledetto, Dáin, stupido ingenuo!e lui l'ha dato a quell'avido, untuoso, disgustoso Uomo – cosa pensavi sarebbe successo?»

La porta si spalancò, e Dwalin si fiondò dentro, seguito da Óin. «Sei un idiota!» tuonò.

«Quello è il nostro Re» borbottò Óin.

«Sei un idiota, Vostra Maestà» ringhiò Dwalin, facendo scattare i denti attorno alle parole.

«No, Óin» disse Dáin stanco «sta solo dicendo cosa pensate entrambi.»

«Eh?»

«Oh, per carità di Mahal, trova il tuo dannato apparecchio acustico» sibilò Dwalin, prima di aggredire Dáin nuovamente «Cosa pensavi di fare? Quell'Uomo era toccato dalla malattia del drago, qualunque idiota poteva vederlo!»

«Stavo onorando i nostri accordi» disse Dáin con un sospiro, massaggiandosi la fronte «Lo diedi a Bard in buona fede.»

«E lui lo diede al nuovo Governatore di Pontelagolungo in buona fede, il quale scappò con esso in cattiva fede!» Dwalin incrociò le braccia sul petto e incenerì Dáin con lo sguardo.

«Grazie!» disse Thorin, alzando le mani in disgusto, e poi si voltò per incenerire Dáin anche lui.

«Cosa avresti fatto tu, eh?» disse Dáin a denti stretti «Ci serviva quella benevolenza. Non sta a noi decidere cosa fa Bard con ciò che possiede!»

«Quelli erano i preziosi e amati lavori dei nostri antenati» disse Óin rigido «Il mio bisnonno Borin fece quell'elmo. E ora è perso da qualche parte nelle Lande, e non vedremo mai più.»

Ancora una volta Thorin sentì il pozzo del senso di colpa che si apriva nel suo addome. «Sempre, arriva tutto dall'oro» disse amaramente.

«Sempre per via dell'oro» fece eco Dwalin, le sue sopracciglia aggrottate e il suo volto come una nuvola temporalesca. «La nostra eredità è l'oro, e l'oro è la nostra eredità, e non possiamo separare i due.»

«Lo indossò quando i Nani delle Montagne Grigie affrontarono il Drago Freddo. Non possiamo farne di simili. Abbiamo perso quell'abilità» si addolorò Óin.

«Ebbene, è andato» disse Dáin brusco «E faremmo meglio ad abituarci all'idea. Era andato quando lo demmo a Bard.»

«Non avrem dovuto dar via l'elmo di Borin» mormorò Óin, alzando il mento.

«Aye» borbottò Dwalin «Non è una mera pila di cianfrusaglie.»

«Io ho dovuto dare via l'armatura forgiata dal mio bisnonno, Dáin primo del suo nome, ucciso da quello stesso Drago Freddo» disse Dáin fermamente «Era tutto ciò che ci rimaneva di un grande re e di un'era passata, ma vi ho rinunciato. Non siete da soli in questo. Vi sento e vi capisco. So che non è una pila di cianfrusaglie. So che non è avarizia o malattia dell'oro che vi fanno venire qua e urlarmi contro. Ho avuto Glóin e Balin che si ruggivano contro per settimane per via di questo. Un quattordicesimo, cugino – è una grossa parte. Non importa quanto avessimo provato a ritagliarla, non potevamo evitare di lasciar andare alcuni dei nostri artefatti più preziosi.»

«Chiedono altro?» chiese Dwalin, aumentando la ferocia del suo sguardo.

«Nay, barufûn. Ora ci sono abbastanza di noi per resistere anche a due eserciti» disse Dáin lanciandogli uno sguardo storto «Non ci saranno assedi della Montagna in questi giorni vigili.»

Dwalin grugnì e si sedette pesantemente. «Uomini!» ringhiò «Mai capiti, mai ci riuscirò.»

Il volto di Óin era immobile e aggrottato, e i suoi occhi brillavano di rabbia. «Quell'oro è la nostra eredità e identità e cultura e storia, a cui vennero date forma» disse irato, scuotendo un pugno verso sud «Elfi e Uomini possono desiderarlo – ma non possono capire cosa vuol dire vedere il lavoro del tuo popolo, le creazioni delle loro mani... l'armatura di grandi re e il diadema di una principessina, le cose che il padre del padre di tuo padre ha fatto e toccato e indossato... e semplicemente strapparcele dietro la minaccia di fame e guerra!»

Thorin fece un lungo, lento sospiro. «No» disse, appena un sussurro «sotto la minaccia di trattenere quella pietra tre volte maledetta.»

Dáin alzò la mano e aspettò pazientemente. «Calmatevi, cugini. Questo non è il seguito della caduta del drago. Loro non sono senza casa, e nemmeno noi. Non viviamo nella paura gli uni degli altri, e la fiducia tra le nostre genti cresce – lentamente, certo, ma cresce. Prosperiamo. Sarebbero degli idioti nel distruggere la nostra alleanza con altre richieste.»

«Aye, non possono chiederci i nostri tesori ora che siamo più di tredici e un Hobbit» sputò Dwalin.

Dáin alzò un sopracciglio. «Penso che Bard stia iniziando a capirci un po' meglio, sai. Non andrebbe in giro a fare richieste questi giorni.»

«Aye, ha avuto ciò che voleva la prima volta!» disse Óin pieno di risentimento, e si tirò un pugno contro la gamba «Se fossero venuti disarmati – se avessero mandato via i dannati Elfi – se avessero chiesto e non ordinato! Avremmo negoziato!»

«Shazara! Non c'è bisogno di riportare alla luce l'intero disastro» disse Dáin, e i suoi occhi erano stanchi «Siamo Nani d'onore, e abbiamo adempiuto ai nostri accordi con gli Uomini. Abbiamo dovuto dire addio a parte della nostra storia per farlo, e loro sono stati traditi da uno dei loro. Quindi l'armatura del Re di cui io porto il nome giace da qualche parte nelle Lande, insieme all'elmo dorato di Borin e alla cintura di rubini indossata dal perduto Principe Frór, e al corpo del Governatore di Pontelagolungo. È così, e non possiamo farci nulla ora.»

«Sei un dannato idiota» disse Dwalin diretto.

Dáin rise la sua risata ruvida. «Aye, probabile. Ma uno pratico.»

Thorin barcollò all'indietro prima di atterrare pesantemente sulla sua panca di pietra nella Camera di Sansûkhul.

«No» disse con voce spezzata, e il suo senso di colpa e la sua vergogna lottarono contro l'istinto di proteggere la sua gente. «Mi sono sbagliato. Mi sono sbagliato

Ma Dwalin e Óin non avevano tutti i torti. Aveva voluto salvare l'eredità del suo popolo, ed era stato reso furioso dall'aria di superiorità dei Bizarûnh e dalle loro richieste arroganti. Si era davvero offerto di negoziare con Bard un pagamento per il drago e i tesori di Dale, se fossero venuti disarmati e senza la loro scorta di Elfi traditori.

Non lo ascoltarono, e gli insulti volarono avanti e indietro finché Thorin poteva a malapena vedere attraverso il velo rosso della sua rabbia. Ladri, rapinatori e corvi del malaugurio, tutti loro! Con una furia torreggiante, aveva chiesto a Bard cosa (se non nulla) avrebbe lasciato per i Nani, avesse trovato la Montagna vuota e tutti i Nani morti. Bard non rispose alla domanda.

E poi Bilbo aveva messo piede nell'intero attorcigliato, complesso dibattito.

Malattia dell'oro” pensò miseramente “Potrà mai essere separata dal desiderio di proteggere la mia eredità? Saprò mai se sono debole o forte?”

Oh, mio Bilbo, che disastro abbiamo portato”

Nascose il volto fra le mani e pianse.


Gli anni passarono, e Thorin osservò.

Finì un'armatura completa. Era bella; funzionale, e mortale con linee pulite e superfici lisce. La mise su un sostegno in un angolo della sua forgia e abbassò la visiera dell'elmo e poi inclinò il capo, osservandola criticamente.

Quella era stata la sua vita. C'era bellezza nell'abilità, sì – ma da guerra, una vita di difesa e offesa e spargimento di sangue in battaglia, interamente Nanica. Aggrottò le sopracciglia, e poi iniziò a chiedersi cosa uno Hobbit avrebbe potuto trovare utile e bello.

Provò a fare dei bottoni, e fallì piuttosto miseramente. Imperterrito, provò con un aratro. Ci fu un certo miglioramento.


«Cosa sta facendo quel ragazzo?»

Thorin scosse la testa divertito. «Le tue ipotesi sono buone quanto le mie.»

Osservarono mentre Gimli, ottantanove anni e dalla barba folta e il guerriero più allegro che fosse mai vissuto, si arrampicava sui versanti ripidi della Montagna Solitaria con addosso la sua intera armatura.

Hrera sembrava educatamente incredula. «Deve essere tocco nella testa. Questo qui ha decisamente preso troppo sole.»

«È un ottimo giovane Nano» disse Thorin, e poi si chiese perché sentiva il bisogno di difenderlo. Di certo non si era tanto affezionato al ragazzo?

«Ottimo giovane Nano o no, si scotterà così» predisse lei.

Non aveva torto. Gimli era rosso e si stava spellando quando scese nuovamente dalla cima, e Hrera scosse la testa vedendo lo stato delle sue trecce. «Terribile» disse piena di disapprovazione «Guardalo! Il ragazzo ha mai usato oli per capelli nella sua vita?»

«Probabilmente no» disse Thorin «Non gli piacciono agghindamenti e fronzoli, come dice lui.»

Gimli continuò a muoversi nei corridoi agitati di Erebor. Delle voci lo chiamarono, e lui alzò la mano in saluto e continuò a muoversi. Anche se era senza dubbio stanco non rallentò per nulla, e iniziò a canticchiare una delle sue canzoni di marcia preferite. Le sue gambe si muovevano ritmicamente e incessantemente.

Finalmente iniziò a rallentare davanti a un'insegna sbilenca a forma di stella a sei punte decorata da un paio di coltelli dalla punta ricurva. Oltre all'insegna c'era un cortile di pietra pieno di tavoli disordinati, e dei Nani passavano tra di essi portando vassoi con boccali di birra schiumosa.

Un'ovazione salutò Gimli quando si avvicinò a un tavolo in particolare, dove circa sette rumorosi giovani Nani, tutti sotto il secolo di età a vederli, sedevano chiacchierando a bevendo. Picconi, martelli e attrezzi erano gettati e appoggiati attorno e loro, e molti volti erano coperti di sporco.

«E questo sarebbe un comportamento appropriato per la Linea di Durin?» disse Hrera «Tsk! Che posto orrendo. Digli di andarsene, Thorin caro.»

«È un posto tremendamente appropriato» le disse Thorin, incrociando le braccia e guardando le facce stanche e felici della sua gente, che si rilassava e festeggiava. Dopo ventisette anni di lenti, dolorosi restauri e privazioni, inverni crudeli e lavoro duro, la sua gente festeggiava nelle sale di Erebor.

Hrera strinse le labbra. «Molto bene» disse alla fine «Aspetterò a giudicare. Ma attento alle mie parole, il giovane Gimli farà meglio a comportarsi al meglio lui stesso!»

«Quindi, amici miei!» disse Gimli, e si strofinò le mani «Quindi! Sono stato il primo ad arrivare in cima e tornare indietro, dov'è la mia vincita?»

Il gruppo di giovani Nani rilassati sulle panche della taverna di Nori guardò in alto. «Lóni non è con te?» disse uno.

Gimli scrollò le spalle. «L'ho battuto. Il suo marchio non era là, ed io ho lasciato il mio dove nessuno l'avrebbe potuto mancare. “Gimli figlio di Glóin” è ora inciso sul picco. Spero che vi rendiate conto che state bevendo in una Montagna col nome di un altro Nano su di essa. Dovrei iniziare a farvi pagare l'affitto!»

«Credo ti renda Re ciò, allora!» rise uno. Gimli alzò gli occhi al cielo e fece segno di smetterla.

«Non temete! Dovrei essere ubriaco perso per voler essere Re. Avete visto Dáin ultimamente? Sembra del granito preso a pugni da dei giganti! A parte questo, ci sono altri cinque nella linea di successione prima di me, e tutti loro sono molto pericolosi da far arrabbiare.»

Ci fu uno scoppio di risa. «Aye, supponendo che tu riuscissi a sconfiggere Dáin-»

«-e Barazanthual» interruppe un altro, e tutti rabbrividirono al nome della grande ascia da battaglia rossa.

«-dopo c'è il figlio di Dáin, l'Elminpietra» rise un altro.

«Cosa sentono le mie orecchie delicate?» disse Nori, aggregandosi a loro con un vassoio di boccali e un largo ghigno «Il nostro Gimli contro l'Elminpietra? Ora questo pagherei per vederlo.»

«No, non lo faresti!» urlò un Nano «Terresti le scommesse, vecchio ladro!»

«Aye, e noi pagheremmo te

Nori fece l'occhiolino. «Tutte menzogne, miei cari, e mi vergogno di conoscervi.»

«Questa non è una conversazione appropriata» disse Hrera con enorme insoddisfazione.

«Non combatterò con Thorin Elminpietra o con chiunque altro, quindi datevi una calmata, branco di ratti, e lasciate che qualcuno si bagni la barba!» rise Gimli, levandosi l'elmo e lottando per uscire dalla sua veste e maglia di ferro «Arrampicarsi sulle montagne fa venire sete!»

«Quindi vedi, Nori, sembra che sia la montagna di Gimli ora» disse uno dei giovani, prendendo un boccale da Nori e dandogli di gomito.

«Aye, è la mia montagna» disse Gimli, prendendo un sorso e ricadendo indietro sulla sua panca soddisfatto «Molto gentilmente permetterò a tutti di viverci, certo, e credo che lascerò che Dáin continui a far funzionare tutto per me.»

«Oh, ora capisco la discussione sui combattimenti contro l'Elminpietra» disse Nori, accarezzandosi la barba «Bene allora, vi do una quota di due a tre per Gimli contro l'Elminpietra, ma nel terzo combattimento, mi spiace, dovrà scendere a uno a nove.»

«E perché, se posso chiedere?» disse Gimli indignato «Sono il miglior combattente d'ascia della mia età in tutta Erebor!»

«Lo sei, mio giovane Signora» disse Nori mellifluo «ma nel terzo combattimento combatteresti Dwalin figlio di Fundin, e non voto molto per te.»

Un gemito si alzò dal tavolo, e Gimli scosse il capo. «Peccato!» rise «Bene, dovrò scommettere contro me stesso di nuovo – e hai già guadagnato bene grazie a me, vecchia canaglia.»

«Sapevo che avresti battuto Lóni» disse Nori soddisfatto «Molto bene, ragazzi, pagate.»

Con alcune lamentele, il gruppo di bevitori diede alcune monete e Nori. «Grazie mille» disse, ghignando. Mordendole una ad una, annuì a le mise in tasca. Sedendosi su un tavolo, portò la gamba di metallo davanti a sé e improvvisamente gli apparve un coltello in mano. Lo fece girare distrattamente attorno alle dita mentre alzava le sopracciglia intrecciate, ora ampiamente screziate di grigio. «Allora, miei coraggiosi ragazzi? Non scommetterete con me con queste mie generose quote?»

Gimli prese un altro sorso di birra e si leccò la schiuma dai baffi. «Me, contro Dwalin? Devi scherzare. Mi ha insegnato la maggior parte di quello che so. Sarei cibo per mannari prima che il giorno finisse.»

«Saresti cibo per mannari prima che il minuto finisse» disse un Nano, e Gimli gonfiò il petto in indignazione.

«Ti faccio sapere che durerei almeno venti» sorrise di colpo «secondi.»

Il tavolo ruggì dalle risate, e Gimli venne preso a gomitate e pacche sulla schiena. Nori alzò un sopracciglio guardando le sue guance rosse e bruciate dal vento, e si tirò una delle trecce della barba. «Vorrai qualcosa da metterti sulla faccia» disse.

«Come un sacco» ridacchiò un Nano, e Gimli gli diede un calcio sotto al tavolo.

Ancora

«Cosa» disse Hrera con enorme dignità «mi sto perdendo? Perché ciò che vedo è il tuo cugino di terzo grado una volta rimosso[1] che beve in una piccola taverna sudicia coi suoi amici rumorosi.»

«Lo siamo?» disse Thorin, guardando Gimli con una certa sorpresa «Cugini di terzo grado. Davvero.»

«Thorin, caro» disse Hrera in tono di avvertimento.

Lui si girò verso sua nonna, notando che stava battendo un piede e aveva una luce negli occhi castani. «Nori era uno della mia Compagnia» disse semplicemente, e il volto di lei si addolcì immediatamente.

«Oh, capisco» disse, e ritornò a guardare il ladro che divertiva i ragazzi con dei trucchi col coltello «Ha perso la gamba alla Battaglia, dunque?»

«Sì»

«Mi dispiace, mio caro» lei gli diede un colpetto sulla guancia e sospirò «Oh, voi uomini di Durin dalla faccia di pietra. Se solo parlaste

«Nonna» ringhiò, e lei rise e gli pizzicò ancora la guancia.

«Ehi, cos'è che ha fatto tuo fratello, Nori?» disse uno dei giovani, e le parole vennero ripetute da molti attorno al tavolo.

Nori alzò gli occhi al cielo con melodramma. «Intendi quello iperprotettivo o lo scribacchino?»

«Dori, ovviamente – è vero?»

«Quale parte?»

«Che ha tirato un pugno al capo della Gilda dei Minatori per diventare Mastro delle Gilde, e gli ha rotto la mascella!»

«Oh quello» disse Nori distrattamente «Sì.»

Ci fu un silenzio ammirato, e Thorin coprì un sorriso. Dori sarebbe stato il primo Gran Maestro delle Gilde che non fosse stato della Gilda dei Minatori o dei Fabbri in più di cinquecento anni.

«Oh, non fate quella faccia, Dori gli ha rotto la mascella solo un poco» disse Nori «Dovrà anche trovarsi un paio di denti d'oro, ma non è che gli abbia tagliato la gola o cose simili.»

Un piccolo sospiro passò lungo il tavolo, e Thorin scosse la testa alle loro espressioni perse. Il suo compagno tessitore era la personificazione della bellezza Nanica maschile, dopotutto, con i suoi capelli d'argento, classico naso Barbedure, gambe spesse e fisico robusto. Sfortunatamente per i suoi molti ammiratori, era uno di quei molti Nani il cui cuore era donato alle loro arti. Dori amava tessere, i suoi fratelli, il suo vino e il suo tè, e aveva tanto interesse nel romanticismo quanto che nello sci di fondo. Oltretutto, aveva un pugno come un olifante che carica.

«Nori, per favore non prendertela male» disse uno dei Nani, un tantino sognante «ma tuo fratello è una vena d'oro in una miniera di fango.»

«Gli riferirò che l'hai detto, che dici?» disse Nori amichevolmente, iniziando a pulirsi le unghie col coltello.

«Ah, quanto devo darti perché tu non lo faccia?»

Nori ghignò maligno. «Mostrami i tuoi soldi e ti dirò il mio prezzo.»

«A voi idioti serve davvero una nuova ossessione» sbuffò Thorin – e Gimli ridacchiò.

«Diglielo, e avremo Ori, mio padre e mio zio, i miei cugini, Bofur e probabilmente anche Bombur qua che guardano male te e fanno il tifo per Dori» disse, gli occhi che danzavano dall'allegria «Mi piacerebbe fare una scommessa, se posso?»

Nori gli fece l'occhiolino. «Credici, stellina. La Compagnia si dà manforte.»

«La Compagnia è strana» disse un giovane dopo una pausa.

«Anche quello è vero!» rise Nori «Chi vuole un altro giro?»

In quel momento un Nano molto alto e arruffato si trascinò nel cortile, il suo volto rosso acceso e i suoi capelli castani che gocciolavano sotto all'elmo. «Gimli, sei un porco!» ruggì.

«Ciao, Lóni» disse Gimli tranquillo «Ti è piaciuta la vista dalla cima della mia montagna?»

«Ti dovrei strappare la barba!» disse Lóni, lasciandosi cadere accanto al suo amico «ma sono troppo stanco. Nori, ti darò il mio cuore, una birra per favore? Picchierò del senno in questo folle quando avrò ripreso fiato.»

«Oh, belle parole» lo prese in giro Gimli «Non potresti buttarmi a terra coi miei occhi bendati e le mie mani legate.»

«Dovrei legarti assieme le mani, sciagurato» disse Lóni ruvido «Gimli figlio di Glóin, nell'anno 2968 di nostro Re Dáin II Piediferro” inciso in rune alte due palmi sul picco di Erebor! E come se non bastasse, dovevi aggiungere “Lóni figlio di Laín ha sofferto un'umiliante sconfitta per causa sua” Figlio di un Orco rognoso! Dovrei strangolarti!»

«Vergognoso» disse Hrera distrattamente «Che dici di scommettere un fermaglio d'argento per uno dei tuoi pugnali, Thorin caro? Sulla vittoria di Gimli, ovviamente.»

Thorin era troppo impegnato a ridere per risponderle.


«Bene, amico mio» disse Dwalin scontroso al proprio riflesso, tirandosi la barba screziata di grigio «Oggi sono finalmente più vecchio di te.»

Thorin si sedette accanto a lui. «Centonovantasei. Mi hai battuto di uno. Gamilûn Dwalin, ti chiameranno.»

«Centonovantasei» sospirò lui, e poi grugnì «A chiunque mi prenda in giro farà bene piacere il gusto delle mie nocche.»

Thorin sorrise a se stesso, un piccolo sorriso triste. «Mukhuh turgizu turug usgin.»

«Più vecchio di Thorin ora» scosse il capo «Ah, per le grandi palle di Mahal, non diventare sentimentale» ringhiò Dwalin a se stesso «Orla di scuoierebbe se ti trovasse a lamentarti della tua buona fortuna.»

«Dwalin, bâheluh» disse Thorin piano.

Sedettero insieme in silenzio. A loro due non era mai importato granché delle parole.

Né ne avevano mai davvero avuto bisogno per parlare.


Balin stava dritto e orgoglioso, la sua barba tremava. Nessuna traccia del suo abituale umorismo gentile poteva essere trovata nei suoi occhi. «Non può continuare» disse una voce bassa e dura «Non può più essere tollerato. Lasciatemi andare, mio Signore. Riprenderò le nostre Sale ancestrali da quella feccia Orchica, e riavremo i nostri luoghi sacri.»

«No» sussurrò Thrór, e accanto a lui Thorin e Thráin si premettero contro i suoi fianchi, tenendolo in piedi quando si afflosciò fra di loro «No, è follia... una tale follia. Il Flagello di Durin cammina in quelle sale, e gli orchi che mi assassinarono crescono in numero. Ferma questa follia. Fermala ti ordino!»

«Thorin, inùdoy» disse Thráin, guardando suo figlio con occhi supplicanti «Non lasciare che quella maledetta Miniera prenda altri del nostro popolo. Non lasciare che li rovini. Thorin, ti prego

Thorin incontrò lo sguardo pieno di orrore di suo padre e indurì la mandibola. «Aye» disse, e la sua voce si spezzò. Si schiarì la gola e guardò dove sedeva Frerin, studiandosi le mani con un'espressione perseguitata. «Aye, non avremo altre Azanulbizar.»

Dáin si raddrizzò sul trono, il suo portamento rigido. «Non avremo altre Azanulbizar» disse, e Thrór fece un sospiro di sollievo «Balin, la tua saggezza serve qui. Non puoi lasciarmi da solo ad occuparmi sia di Thranduil che di Glóin.»

«Sia ringraziato Mahal per il tuo dono, ragazzo mio» sospirò Thráin, dando un colpetto gentile alla testa di Thorin con una grande mano.

«Abbiamo sparso abbastanza sangue cercando di riprenderci una casa» disse Thorin, cercando di non guardare Frerin. «Nient'altro dovrebbe essere sparso per prendere un'altra.»

Le spalle di Balin si irrigidirono. «La gente ne parla con nostalgia. Sussurrano che siamo di nuovo forti, abbastanza forti da riprendere Moria e riportarla alla sua gloria. Re Dáin, le nostre Sale più amate e riverite, il posto in cui si svegliò Durin stes-»

«Pensi non lo sappia?» Dáin scivolò giù lungo il trono e si massaggiò la fronte. La corona aveva lasciato un segno quasi permanente su ogni tempia, e sembrava che gli desse il mal di testa dopo qualche ora che la indossava. Thorin era segretamente un po' turbato. Anche lui l'avrebbe odiata così tanto?

«Mio Signore» iniziò Balin, e Dáin lo interruppe con una mano alzata.

«Per la barba di Durin, Balin, so leggere bene quanto te! Sì, Dimrill Dale e le acque limpide del Kheled-zâram ci sono negate. Sì, l'Interminabile Scala e le miniere di mithril sono perdute e nelle mani della feccia. Sì, le grandi Sale della Festa e della Forgia sono rubate, e i Sette Livelli e i Sette Fossi sono la casa di Orchi e mostri. Ma Balin! Abbiamo una casa ora. Erebor fiorisce nuovamente, e i Colli Ferrosi prosperano. Per cosa avete rischiato le vostre vite, se non per questo?»

«Ho rischiato la vita per il mio Re. Ho rischiato la vita perché mi ha chiamato» disse Balin, raddrizzandosi e parlando con calma autorità «Ora – ora capisco perché lo desiderava, perché non aveva altra scelta. È un orrore che non può essere tollerato, una vergogna verso noi tutti.»

Dáin sospirò. «Io non sono quel Re.»

La mano di Thorin si strinse sul braccio di Thrór. «Non ho mai avuto la possibilità di essere il tuo Re, Balin» mormorò «Sono stato un guerriero prima; un soldato che ha guidato la sua gente in esilio. Governo, politica, trattati, compromessi, diplomazia – non ho mai praticato nulla di tutto ciò. Dáin sa più di cosa voglia dire essere un Re di me. Ascolta lui, non il ricordo del mio inutile orgoglio! Moria è una trappola luccicante, la speranza di un idiota. Non farlo!»

Thrór fremette di rabbia e orrore a lungo ricordato. «Non farlo, figlio di Fundin» fece eco in una voce rasposa.

Dáin tirò il pugno contro il poggia braccia del trono. «Se la gente sospira di Moria con nostalgia, ne parlano anche con terrore! Sono passati appena centosettanta anni da quando la testa di Thrór venne gettata ai piedi di Nár. Solo centosettanta anni dalla guerra devastante fra Orchi e Nani – e dannazione, abbiamo combattuto un altra grande battaglia da allora! Pensi che potremmo riuscire a vedere almeno una generazione che muore pacificamente nei loro letti?»

Le labbra di Balin si strinsero finché non furono bianche quanto la sua barba. «Nessun Nano sceglierebbe una morte simile.»

«E nonostante ciò io la vorrei vedere» disse Dáin «Per il martello insanguinato di Mahal, Balin! Abbiamo una casa, e i nostri numeri crescono lentamente. No, Balin figlio di Fundin. Non approverò che dei Nani gettino via le proprie vite.»

Thorin osservò con un profondo senso di rimpianto Balin che si irrigidiva di rabbia. Il vecchio consigliere girò sui tacchi e se ne andò, e Thráin diede una pacca sulla schiena di Thorin. «Ecco» disse piano «Aiutami con tuo nonno.»

Thorin lanciò un'occhiata verso il suo stranamente fermofratello, che fissava con rabbia il dorso delle proprie mani. «Frerin...»

«Starà bene, ragazzo. Gli capita a volte» Thráin toccò di nuovo la spalla di Thorin, e insieme riportarono Thrór sui suoi piedi.

TBC...

Note:

Dáin I e il suo secondo figlio, Frór, furono uccisi nel 2589 TE (Terza Era) quando un drago freddo invase le Montagne Grige. Suo figlio maggiore Thrór (nonno di Thorin) poi fondò il Regno di Erebor, e suo figlio minore Grór portò la gran parte del Popolo di Durin ai Colli Ferrosi

Borin – figlio di Náin II e fratello minore di Dáin I. Padre di Farin. Antenato di Balin, Dwalin, Óin, Glóin e Gimli Amico degli Elfi

Linea di successione Longobarba nel 2968 TE: Dáin II “Piediferro”, Re di Erebor e Signore dei Colli Ferrosi

1. Principe Ereditario Thorin “Elminpietra”

2. Balin figlio di Fundin

3. Dwalin figlio di Fundin

4. Óin figlio di Gróin

5. Glóin figlio di Gróin

6. Gimli figlio di Glóin

[1] “cousin once removed” è un'espressione inesistente in italiano usata per indicare i cugini di generazioni diverse, ad esempio il cugino del proprio padre è un cugino rimosso una volta (once removed), mentre il cugino del proprio nonno sarebbe due volte rimosso (twice removed) e così via. [Torna alla storia]

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Incontra una Nana

Frís figlia di Aís

Frís era la figlia di un ricco Mastro delle Gilde, Folgar, e sua moglie musicista Aís. Lei non era alta come le grandi famiglie Longobarbe, essendo alta solo 4'4'' (134 cm). I suoi capelli erano color grano dorato, e i suoi occhi un blu molto intenso. Era eccezionalmente intelligente, molto percettiva e furba, ma anche estremamente compassionevole, anche se aveva la tendenza a fare sogni ad occhi aperti. La sua arte era filare, e faceva anche stringhe e corde per strumenti musicali. Sposò Thráin figlio di Thrór piuttosto giovane ed ebbe tre figli, di cui i due maggiori ereditarono i suoi occhi blu. La sua grande gioia era l'arpa, una gioia che passò a suo figlio maggiore Thorin e a sua figlia Dís (il suo secondo figlio, Frerin, preferiva il violino). Frís fu uccisa quando il drago attaccò Erebor nel 2770 TE.

Frís di Jeza-red


Thorin era morto da trentotto anni.

I preparativi per il centesimo compleanno di Gimli erano stati enormi. Glóin non badò a spese per la sua amata stella, e i regali furono tutto ciò che un giovane guerriero potesse desiderare.

Thorin volle fermamente osservare le celebrazioni per il ragazzo. Fíli e Kíli passarono tutto il tempo a fissare Gimrís, e Frerin non fece altro che lamentarsi che non poteva bere il buon liquore che Bilbo aveva spedito dalla Contea per l'occasione. Bifur si divertiva a camminare attraverso la gente. Era una vista piuttosto snervante.

Balin gli diede una nuova maglia di ferro, le spalle decorate con maglie ricoperte d'oro, gli anelli abbelliti da antichi simboli della Linea di Durin e dei Longobarbi. Gli occhi di Gimli brillarono in apprezzamento al lavoro, e se la mise addosso immediatamente. Dwalin diede al ragazzo un elmo abbinato, con resistenti protezioni per le guance e decorazioni a linee incrociate d'oro. Dáin gli regalò un intero usbergo di maglia d'acciaio, e Gimli esclamò ad alta voce quando lo sollevò. Non era un lavoro nuovo – la maglia era ovviamente parte del tesoro di Thrór. Alla fine trovò il marchio del creatore, e si sedette di colpo. Era stata fatta da null'altro che Náin II, il suo antenato reale. Dís gliela porse, perché Dáin non poté lasciare le udienze serali che molto dopo.

«Non posso accettarlo» ansimò «È troppo!»

«Puoi e lo farai, stellina» disse Dís, scuotendo la testa con affetto «Sarebbe stupido non farlo! Ora, ecco il mio regalo, e che Mahal benedica il tuo giorno del nome.»

«Grazie, Zia Dís» disse lui, stupefatto mentre accettava. La borsa cadde per rivelare un paio di asce da lancio molto familiari. Lui guardò su, i suoi occhi spalancati e bianchi. Lei sorrise.

«A Fíli sarebbe piaciuto che tu le avessi, senza dubbio» disse.

Dietro di lei, le spalle di Fíli si raddrizzarono. «Sì, lui le userà» disse a se stesso «Lo serviranno bene, penso.»

Gimli guardò nuovamente giù verso le asce, e poi le infilò con cautela nei suoi stivali e si alzò. «Grazie» disse, e deglutì.

«Non correrci per troppo tempo» disse Fíli a suo cugino «Ti scorticherai tutta la pelle delle caviglie!»

I Fratelli Ri si erano messi d'accordo e gli avevano fatto una bellissima sopraveste da viaggio in lana con un paio di pantaloni da abbinarci. Le cuciture sugli orli erano resistenti e forti, e il colore era un caldo marrone ruggine che faceva apparire il rosso della sua barba più luminoso. «Grazie!» disse Gimli, e lo tenne in alto per ammirare il filo d'oro cucito negli orli.

«Ecco ora» disse Bombur «Questo è da tutti noi.»

Sua moglie Alrís era una conciatrice, e aveva fatto e Gimli una cintura in pelle con delle cinghie per le nuove asce da lancio. Gimli fece un suono di delizia mentre se la mise sopra alla nuova maglia di ferro e la assicurò fermamente. «Vi siete tutti messi d'accordo gli uni con gli altri, vedo! Ora sono armato da testa a piedi!»

«Non proprio, figlio mio» disse Glóin con un sorriso affettuoso «Tieni.»

Il volto di Gimli si illuminò di gioia e amore quando suo padre gli porse le proprie asce, con una benedizione. «Davvero?» sussurrò il ragazzo – beh, non poteva più essere chiamato ragazzo ormai.

«Usale bene, figlio mio» disse Glóin, e si piegò per premere la propria testa leonina contro quella di Gimli «Sono orgoglioso di te,zspan title="Ragazzo>nidoy.»

Gimrís, novantadue anni e bella come il sole, fece un suono in fondo alla gola. «Beh, tieni» disse brusca, passandogli un pacco «L'ho fatto io.»

Gimli prese il pacco e lo aprì con attenzione. Fu rivelato un meraviglioso calice di vetro col nome di Gimli inciso sulla base in Cirth, e un motivo a stelle intorno all'apertura decorate da diamanti piccoli quanto la cruna di un ago. «Gimrís» disse impressionato lui «Hai fatto questo?»

Lei fischiò «Cosa, mi chiami bugiarda?»

«No, no!» rise lui, e la tirò vicina per un abbraccio «È meraviglioso, un capolavoro! Potresti arrivare al livello di mastro con questo, e lo dai a me?»

«Beh» disse lei, a disagio nell'abbraccio «Suppongo tu non sia completamente orrendo.»

Lui alzò gli occhi, e poi le baciò la guancia. «Namadith. Non sei sempre odiosa.»

«Questo è il più affettuosi che saranno mai l'uno con l'altra, suppongo» disse Mizim con un sospiro, strofinandosi gli occhi.

Gimli tenne alto il calice con orgoglio. «Vedete cos'ha fatto mia sorella? Non è fantastico?»

«Ora, questo è un gran bel lavoro» disse Bombur «Vieni, Alrís! Vieni a vedere ciò che ha Gimli!»

«Un attimo, caro, Albur è entrato nel cinghiale arrosto e sta cercando si star male mangiandolo tutto sa solo» rispose Alrís allegra, inseguendo suo figlio «ALBUR FIGLIO DI BOMBUR, VIENI QUI IN QUESTO ISTANTE!»

«È un gran bel pezzo, Signorina Gimrís» disse Bombur, facendole un inchino malconcio. Stava diventando sempre più difficile per il povero Bombur camminare. La sua ferita e la sua età stavano iniziando a farsi sentire. Alla fine, temeva Thorin, il grosso Nano amichevole sarebbe stato costretto su una sedia.

«Ragazzo mio!» ruggì Óin con affetto, venendo ad afferrare le spalle di Gimli. Sembrava che avesse preso assaggi dei liquori con un po' troppa libertà, e la sua faccia allegra era rossa. Barcollò sul posto dove era in piedi, le sue ginocchia molli e tremanti. «Nidoyel, possa la tu' barba crescer sempre più lunga, nipote mio, khuzd belkul, il nostro piccolo sconroso Gimli! Cento anni! Ah, Glóin, Mizim, vi ricordate il giorno in cui è venuto srillando al mondo? Sapevo che avevam un guerriero con noi – e che voce! Un paio di polmoni che 'rapanarorono persino le mie orecchie!»

«Aye, ed è per quello che l'hai lasciato cadere?» disse Glóin, alzando le sopracciglia. Mizim incrociò le braccia, con gli occhi che brillavano piuttosto pericolosamente. Óin lasciò le spalle di Gimli come fossero carboni ardenti.

«Ah, eh...»

«Óin ha fatto cadere il bambino?» disse Bombur incredulo.

«Aye, dritto sulla sua piccola tenera testa. Fortuna che è un Nano, o si sarebbe potuto fare del male!»

«Fortuna che è caduto di testa intendi» disse Gimrís «Le piastrelle del pavimento di sono rotte?»

Gimli la guardò storto.

«Non la scmetteva di agitarsi!» disse Óin «Non avevo mai fatto uscire un bambino prima. Era 'l primo – ero nervoso!»

Mizim fece un suono incredulo, ed entrambe le sopracciglia si alzarono fino ai capelli. «Tu eri nervoso?»

«Tutto capelli rossi, come la nosra mamma» disse Óin, un'espressione tenera sul volto al ricordo «Non era molto felice del suo primo sguaro sul mondo, e me l'ha fatto capire. Che paio di polmoni!»

«Va bene, puoi smettere ora» disse Gimli cupo.

«Voi due non siete stati di alcun aiuto» disse Mizim, scuotendo la testa e ridendo «Non avevi neanche finito con me, ed ecco che fai cadere il bambino!»

Gimli alzò gli occhi verso il soffitto, prima di coprirsi il volto con entrambe le mani e gemere ad alta voce.

«Povero piccolo, caduto di testa – e Mizim che imperecava come un minatore e tutto, e Glóin che stava per svenire colla paura dei padri per la 'rima volta» biascicò Óin, accarezzando la guancia del mortificato Gimli «E nonosatante questo, non l'ha spaventato per niente! Mi ha ruggito conro di più, e quando lo prendo in braccio l'ha fatta tutta sul mio grembiule per insegnarmi una lezione.»

Kíli e Frerin videro l'espressione uno dell'altro ed esplosero in ululati di risa.

«Ti prego» disse Gimli molto rigido «Basta.»

Gimrís stava cercando in vano di soffocare le risa mordendosi la mano. Gimli la incenerì. «Aspetta il tuo turno. Otto anni, sorella. Guardati le spalle.»

«Aye, non finché non hai raggiunto il tuo centenario, ragazzina» disse Glóin, sorridendole.

Lei tirò indietro la testa. «Se raccontate storie del genere su di me, metterò degli emetici in tutti i vostri cibi.»

«Dire che storie su di chi?» disse Bofur mentre veniva verso di loro, sorridendo «Ho perso una battuta?»

«Sulla nosra ragazza infuocata qui» disse Óin «Mia 'ipote Gimrís.»

«Oh giusto, mi ero scordato che avevi una...» Bofur si bloccò girandosi verso Gimrís, e i suoi occhi si spalancarono enormemente «Nipote.»

Gimrís osservo Bofur di rimando, il suo labbro inferiore molle e la sua espressione in genere sarcastica stranamente giovane e aperta. Glóin e Mizim fecero entrambi un passo indietro, stringendo gli occhi. La bocca di Bombur si spalancò in stupore mentre i due continuarono a fissarsi l'uno l'altro.

Kíli lanciò un'occhiata tra i due, e poi gemette: «Oh no

Óin continuò imperterrito. «Oh, aye! È una vetraia, sai, e lavora da me alla scuola di guarintori. Una buona apprendinsta! E, cetro, non devo pagar così tanto per i vetri e i batrattoli che servon, che non è da buttar via! Una moneta salvata... beh, è salvata, ed è buono, eh?»

«Tua nipote» disse Bofur, con una voce stranamente debole.

«Gimrís, aye» Óin cercò di mettere a fuoco Bofur «Son sicuro che vi siete inconrati.»

Gimrís annuì. «Sì, ci siamo incontrati» disse, e si morse il labbro «Ero una bambina.»

Lui rise. «Mi hai battuto a tira-castagna.»

Anche lei rise, le sue guance si stavano arrossando lievemente. «Sei diverso.»

«Tu non sei nei tuoi abiti da viaggio» disse lui, e poi sorrise «Sei cresciuta.»

Lei abbassò i suoi occhi squisiti. «Ho novantadue anni ora.»

«E io l'ho vista per primo!» esclamò Fíli «Thorin, digli di tenersi strette le sue manacce sudicie!»

Thorin scosse la testa. «Per nulla al mondo.»

«Se lo fai» aggiunse Bifur, il suo volto vivo dalla felicità «Ti rompo ogni singolo dente che hai.»

Il respiro di Bofur si fermò, e poi lui sorrise, anche se non c'era felicità dentro. «Beh, è una celebrazione da ricordare, non credi? Devi esser orgogliosa di tuo fratello. Spero riuscirai a parlar con qualcuno più interessante di questi vecchi.»

«Non sei vecchio» disse lei in fretta – troppo in fretta.

«Cento e sessantuno» mormorò Bofur, fissando ancora Gimrís «Abbastanza vecchio.»

«Non tanto vecchio» disse lei, sorridendogli gentilmente, il suo bel volto illuminato.

«Khuzd tada bijebî âysîthi mud oshmâkhî dhi zurkur ughvashâhu, oh, mai pensato che sarei vissuto per vedere questo giorno» disse Bifur felice.

«Non l'hai fatto» disse Fíli cupo.

«Oh, basta» disse Thorin ai suoi nipoti imbronciati, un nodo nella sua gola «Bofur si sta innamorando, il suo più grande desiderio, e hanno il tempo di essere insieme. Non è cosa piccola.»

Fíli guardò nuovamente Thorin, e poi i suoi occhi si ammorbidirono in comprensione.

«Cosa nel nome di Durin?» disse Gimli a se stesso, arricciando il naso. Poi il suo respiro si fermò e guardò nuovamente sua sorella scioccato.

«Non interferire» disse Thorin serio «Questo è qualcosa che Bofur ha desiderato a lungo. Vorrei vederlo felice.»

Gimli fece un piccolo suono confuso, e poi scosse il capo e andò alla ricerca dei propri amici.

«Vuoi una birra quindi?» esclamò Bofur, e poi si tirò giù il cappello sopra agli occhi «Mahal ci salvi, questo era imbarazzante. Oh, sto parlando a vanvera. Non mi ascoltare.»

Lei rise ancora e lo prese sottobraccio, mettendo la mano nell'incavo del suo gomito. «No, non essere imbarazzato. Sei ridicolo.»

Lui gemette.

Lei gli pizzicò il gomito e sorrise dolcemente. «Ed è tenero. Mi piace.»

Bofur fece un suono da animale schiacciato, e Thorin ridacchiò.

Anche Gimrís ridacchiò, anche se suonava piuttosto nervosa. Alzò la testa infuocata, i suoi occhi brillanti e le sue guance ancora tinte di rosa. «Uhm. Bofur? Io – mi piacerebbe una birra, sì.»

Bofur fece capolino da sotto il cappello per fissare la mano di lei sul suo gomito con un'espressione stupefatta, e poi sorrise così luminosamente che a Thorin fece fisicamente male vederlo. Mentre Bofur portava via Gimrís verso le botti, sospirò profondamente. «Almeno uno di noi ha visto realizzarsi il proprio desiderio, amico mio» mormorò «Ti auguro tutta la fortuna del mondo.»

«Vecchio sentimentale» ridacchiò Frerin, piantandogli un dito nel fianco. Thorin lo ignorò con tutta la dignità di cui era capace – che era molta.

Glóin portò Mizim in un angolo. «Quello che penso sia successo è davvero successo?»

«Hai degli occhi» disse lei sottovoce «Sì, nostra figlia si è gettata di testa in un corteggiamento più in fretta di un martello che cade, e tu, vecchio orso, rispetterai i suoi desideri e lascerai da solo Bofur, mi hai sentito?»

«Non gli farei del male!» protestò lui «Lui è della Compagnia! Mi limiterei a... mi limiterai a spaventarlo un pochino.»

«Non porterai vergogna a nostra figlia in quella maniera» sibilò lei «È la sua vita e ne farà ciò che desidera. Le daremo supporto. Bofur è un buon Nano. Mahal, Glóin, l'hai conosciuto per quarant'anni!»

«Ha settant'anni più di lei» borbottò lui.

«E non è nulla. Alrís ha quarant'anni più di Bombur! Per carità del cielo, Re Dáin è molto più vecchio della Regina Thira!»

«Non mi piace» disse Glóin, e lanciò uno sguardo cupo in direzione di Bofur.

«Non deve» disse lei, e gli afferrò il mento, voltandogli la testa nella propria direzione «Deve piacere a Gimrís. Lo so che sei un vecchio orso protettivo, Glóin, ma devi lasciarla andare alla fine.»

Lui si accigliò, e poi ricadde su se stesso. «Aye. Solo non pensavo così presto.»

«È d'età da ventidue anni, vecchio dolce idiota» disse Mizim dolcemente «Andiamo. Oggi è per Gimli. Potremo forgiare il sentiero per nostra figlia un altro giorno.»

Glóin le prese la mano e la baciò, prima di portarsela al petto. «Aye» disse serio «Aye, gioiello mio» poi grugnì «Meglio Bofur di qualche altro che potrei nominare»

«Questo è lo spirito giusto» disse lei, e lo baciò.

Thorin li guardò andarsene, e poi la sua attenzione venne catturata da una folla di Nani che sussurravano in voci basse ed eccitate, le loro teste vicine. Gimli era fra loro, bevendo birra dal suo meraviglioso calice nuovo. Il suo vecchio insegnante Náli era lì insieme al suo caro amico Lóni, e il nuovo marito di Lóni Frár era una roccia silente al suo fianco.

Per la sorpresa di Thorin, anche Ori era lì. Lo scriba era molto raramente libero dai suoi molti compiti verso Dáin o dai rapporti. Dáin doveva avergli dato una serata libera per andare alle celebrazioni.

«...Flói dice che i loro numeri sono molto ridotti» stava dicendo uno di loro mentre Thorin si avvicinava «Potremmo riprenderla! Immaginatelo!»

Gimli aggrottò le sopracciglia. «La Battaglia è stata quasi quarant'anni fa.»

Questo venne ignorato. «Dáin non ci lascerà andare liberamente» disse un altro «Ma ho sentito che Lord Balin vuole creare una colonia con chiunque andrà!»

Il sangue di Thorin gli si congelò nelle vene.

«Gli Orchi non possono aver ripopolato le Montagne Nebbiose così in fretta» disse Frár nella sua voce calma e profonda «Dobbiamo prendere questa possibilità per riavere ciò che è nostro.»

«Quanti andranno?» chiese Gimli.

«Circa sessanta, sessantacinque per ora» disse Náli, il vecchio maestro di addestramento dai capelli bianchi.

«Troppi» sussurrò Thorin «Un Nano è troppo, figuriamoci sessantacinque.»

Gimli aggrottò le sopracciglia.

«Abbiamo Lord Balin!» disse Lóni con soddisfazione «Dove lui va, molti seguiranno. Tutti sanno quant'è saggio quello.»

«Tranne quando lascia che il suo dannato amore cretino delle tradizioni abbia la meglio su di lui!» disse Thorin, mentre la sua rabbia aumentava.

«Ci andrete tutti?» chiese Gimli, prendendo un sorso della sua birra.

«Aye» disse Náli.

Le sopracciglia di Gimli si alzarono. «Ori?»

«Andrò» disse Ori calmo. Fisicamente era cambiato poco dal Nano che aveva balbettato e esitato nella sala da pranzo di Bilbo così tanto tempo fa, ma il suo comportamento era estremamente diverso. Questo Ori era meno innocente e più sicuro si sé. Thorin desiderò che una cosa non fosse venuta a spese dell'altra. «È un'opportunità che uno scriba e storico non può lasciarsi passare.»

«Sarebbe davvero fantastico vedere le meraviglie di Khazad-dûm» disse Gimli pensieroso.

«No, cugino!» urlò Thorin «Non andare in quel luogo maledetto!»

«Le meraviglie che vedremo» disse Lóni pensieroso «Camminare nei passi di Durin in persona. L'Interminabile Scala, i Sette Livelli e i Sette Fossi, le Sale della Festa e della Forgia...»

«Il Balrog» sputò Thorin.

Le spalle di Gimli si irrigidirono. «Aye, ma per quanto riguarda il Flagello di Durin?»

Molti volti sbiancarono, ma molti Nani sbuffarono. «Una cosa antica da lungo tramutata in polvere! Non dobbiamo temere nulla dalle antiche leggende!»

«Abbiamo riconquistato Erebor da un drago» disse Ori, gli angoli della bocca leggermente alzati «Tredici Nani e uno Hobbit. Ho imparato, sai, cosa vuol dire avere una causa, e i nervi per seguirla. Devi solo avere un po' di ferro nella spina dorsale.»

«Ori» disse Thorin senza speranza, e poi si strofinò il volto con le mani «No, non Ori. Più giovane di noi, piccolo Ori coi tuoi guanti sferruzzati... Ori, hai solo centoundici anni! Non posso... Ori, a Moria, i tuoi fratelli...»

«Frár?» chiese Náli, il suo vecchio mento bianco all'infuori in sfida.

«Dove Lóni va, io seguo» disse Frár semplicemente.

«Gimli, verrai con noi?» disse Lóni, afferrando il braccio di Gimli, i suoi occhi vivi di eccitazione «Pensaci – reclameremo la nostra antica casa, io e te!»

«Parente» disse Thorin distrutto «Ti prego, Gimli. Ti prego. Sei appena arrivato al tuo primo secolo. Vorrei vederti che arrivi a un altro giorno del nome – vorrei vederti raggiungere una veneranda età e trovare la pace e la felicità che io non ho potuto. Gimli, figlio di Glóin, sei la sua stella! Tua madre e tua sorella ti piangerebbero. Dís sarebbe devastata. Gimli, ikhuzh! Ti prego, non farlo! Ti prego – l'orgoglio è la ragione più stupida per morire!»

La testa di Gimli si abbassò e prese un respiro profondo prima di espirare lentamente. «Non temo l'oscurità» disse «Non temo le profondità di Moria. Vorrei vedere l'Interminabile Scala coi miei occhi, e vedere le Sale della Festa e della Forgia, e guardare dal ponte di Khazad-dûm e guardare nell'Abisso Senza Fine.»

«Allora vieni con noi!» disse Lóni «Frár ed io andremo, e Ori si unirà a noi. Flói verrà, e Náli! Ho sentito che Balin sta persino cercando di reclutare qualcuno della Compagnia. Ci servi, Gimli – ci potrebbero far comodo la tua ascia e la tua risata accanto a noi!»

Gimli si umettò le labbra, e il cuore di Thorin gli martellò forte tra le orecchie. «Cugino» disse ancora «cugino, non voglio vederti perdere la tua giovane brillante vita e risvegliarti in queste Sale fredde. Non di nuovo. Non se posso impedirlo. Mi sei caro, azaghîth, piccolo guerriero. Non sopporterei di vederti morire.»

Fu una realizzazione che lo fece riflettere. Era affezionato a Gimli, e il pensiero di perderlo era un colpo di martello allo stomaco. Il ragazzo era stato da principio solo una curiosità; un giovane rude, rumoroso, impetuoso che sentiva la voce di Thorin meglio di ogni altro Nano, e qui finiva la sua utilità. Poi Thorin l'aveva trovato distraente, un balsamo contro la noia schiacciante della morte e la tristezza deprimente di Erebor nuovamente reclamata. Poi era stato divertente, e Thorin aveva iniziato ad aspettare con ansia le sue battute e il suo riso allegro.

In un qualche punto di quei trentotto anni, Thorin aveva iniziato a voler bene al ragazzo. L'aveva guardato crescere da adolescente impulsivo e chiassoso a Nano poetico, perspicace, intelligente, fedele e fermo. Gimli gli era caro. Non sarebbe potuto essere più orgoglioso dei suoi risultati nemmeno se fosse stato lui stesso a raggiungerli.

«Gimli» disse Thorin in una voce bassa e supplichevole. «Inùdoy

Gimli prese un altro sorso della sua birra e si leccò i baffi. Poi mise giù il calice sul tavolo e tornò a girarsi verso Lóni. «Rimarrò» disse infine «Forse un giorno visiterò la vostra colonia. Ma il mio cuore appartiene ancora alla mia famiglia e alla Montagna. Dopotutto, non è forse mia? Ha il mio nome scritto sul picco; non posso lasciarla perché qualcun altro la prenda!»

Lóni sembrava deluso. «Non posso convincerti? Tuo zio sembra interessato...»

«Aye, sì, mio zio è più di un po' affondato nel boccale» rise Gimli, e diede un pacca sulla schiena di Lóni «Richiediglielo quando è sobrio!»


Non molto tempo dopo il giorno del nome di Gimli, Dwalin fu preso completamente alla sprovvista da una proposta di corteggiamento dal suo secondo, la dura, severa Orla. Era stato così sorpreso che aveva persino risposto .

Thorin era stupefatto. Non aveva mai considerato il suo vecchio amico e cugino come una prospettiva di partner per chiunque, e aveva a lungo pensato che Dwalin avesse dato la propria totale devozione alla guerra e all'essere un soldato. A prima vista Orla sembrava identica. Aveva una scura faccia cupa che non dava nessun segno di aver mai sorriso, mani ruvide da guerriera ottime per utilizzare un'ascia o una lancia, un massa di capelli Nerachiave selvaggi legati in maniera pratica sopra la testa, e una sguardo serio che poteva tagliare l'acciaio.

Per la meraviglia di Thorin, sembravano piuttosto felici. Nessuno dei due era particolarmente espansivo, nessuno dei due amava sprecare parole, ed entrambi erano guerrieri dedicati. Insieme erano silenziosi e teneri, rispetto alla seria maschera d'acciaio che dovevano presentare ai loro soldati.

Una delle truppe di Dwalin fece l'errore di fare una battuta sulla loro relazione.

Nessuno fece più quell'errore.

In una notte fredda tre anni dopo il centenario di Gimli e quasi quarantuno dopo la morte di Smaug, Thorin entrò nella vasca del Gimlîn-zâram per sedersi a fianco del suo più caro amico. Non poteva raggiungere la spalla di Dwalin per ancorarlo, ma sperò che le sue parole potessero raggiungerlo e calmargli i nervi.

«Fatti forza, Dwalin» mormorò «Mio braccio destro, non ti è mai mancato il coraggio. Andrà tutto bene; vedrai.»

Dwalin si picchiò i pugni tatuati contro le ginocchia e fissò il fuoco, senza muoversi.

Infine Óin aprì la porta con la spalla, i suoi occhi luminosi dietro gli occhiali. «Va bene, puoi smetterla di essere nervoso; ecco chi faceva tutto quel baccano» disse, sorridendo.

Dwalin accettò il fagotto strillante, le sue mani enormi insicure e tremanti, la sua faccia intimorita e sbiancata. Óin gli diede una pacca sulla spalla.

«Un maschietto in salute» disse semplicemente. L'occhio buono di Dwalin iniziò a brillare e il suo volto a mutare espressione mentre guardava il viso di suo figlio.

«Congratulazioni, amico mio» disse Thorin «È un bel ragazzo. Per fortuna non ti assomiglia per nulla.»

Dwalin guardò su. «Orla?»

«Sta bene. Si sta riprendendo perfettamente» lo rassicurò Óin, e Dwalin guardò nuovamente il bambino. Le sue mani tremavano mentre esaminava le piccole manine, il piccolo mento morbido, il naso appiattito e la faccia rossa con le sue guance paffute. Un ciuffo di capelli castano scuro era sulla testa del bambino, quasi un ricordo della vecchia cresta di Dwalin.

«Ciao, bambino mio» disse piano «Ciao Thorin, figlio di Dwalin.»

«Oh, tu non l'hai fatto» disse Thorin disgustato.


Cinque anni dopo la nascita di Piccolo Thorin (come era ormai comunemente conosciuto), Nori morì.

Fu all'improvviso. Un gioco nella sua taverna andò male, e con la sua gamba mancante non riuscì a spostarsi in tempo. Il Nano Pugniferro affondò il coltello dritto nella gola di Nori, e lui morì quasi immediatamente, un'espressione di shock e irritazione sul volto.

«Dannato stupido imbecille nobile» furono le prima parola di Nori a Thorin, e lui abbassò il capo e rise.

«Aye, colpevole. Ma almeno io non sono stato ucciso per un dannato gioco di tira-castagna.»

«Non parlarmi di quel gioco» esclamò Nori, e poi si allungò alla cieca alla ricerca della mano di Thorin. Thorin lo afferrò fermamente, e poi trascinò il ladro in un abbraccio.

«Benvenuto, Nori figlio di Zhori»

«Tashf!» esclamò Bifur, e poi si lanciò contro Nori e lo strinse fra le braccia. Nori boccheggiò mentre tutta l'aria gli veniva strizzata fuori dai polmoni.

«Mahal al di sotto, che...» ansimò «Bifur, aspetta un dannato secondo, lascia che uno si riprenda un attimo...»

«È un tantino eccitato di vederti» disse Fíli secco.

«No, davvero? Non mi dire» riuscì a dire Nori.

«Pensate che lo farà a tutti quelli che arriveranno della Compagnia?» si chiese Kíli.

«Sì» disse Bifur deciso «Lo farò, e smettetela di parlare di me come se non fossi qui.»

«Aspetta un sec, sta parlano Ovestron...!»

«Lo fa ora» disse Kíli «È farlo smettere che è difficile. Ciao Nori!»

«Ciao, miei cari ragazzi, e suonate in ottima forma. Non credo che voi ragazzi possiate dirmi dove un Nano può trovare una taverna nell'oltretomba? Morire davvero ti leva tutto, e mi piacerebbe riprendermelo, se mi capite»

«Tutto ciò che puoi volere è qua» disse Fíli allegro, dando una pacca sulla spalla di Nori. Nori fece per bloccarsi, ma poi sembrò che si ricordasse che aveva entrambe le gambe, e si rilassò.

«A parte l'ovvio» aggiunse Kíli.

«Ebbene, mi piacerebbe un biglietto per riavere i miei cari soldi. Cari miei, mi sembra di essere improvvisamente un po' in imbarazzo nel dipartimento dei fondi. Non neghereste al vostro vecchio amico Nori una bevuta, vero?»

Thorin si massaggiò le tempie, capendo la frustrazione di Dori per la prima volta. Nori stava esaminando le tasche di Bifur al tatto, mentre stavano parlando. Nemmeno morire poteva cambiarlo.

Morto, sì. Ritirato? Mai.


Ci fu una sorpresa per Thorin il giorno dopo quando fece la sua regolare visita mattutina a Bilbo.

«Chi nel nome di Mahal è quello!?» esclamò il momento in cui posò gli occhi sul ragazzino. Era a malapena cresciuto, probabilmente ancora di minore età, e i suoi capelli ricci erano piuttosto scuri anche se la sua carnagione era molto pallida. Aveva grandi occhi blu dall'aria vagamente triste. Aveva due borse pesanti gettate sulle spalle.

«Frodo?» disse Bilbo, facendo da guida dentro a Casa Baggins con una cartella in mano «Frodo, ragazzo mio, vuoi sceglierti una camera per prima cosa?»

Il giovane Hobbit annuì in silenzio, e seguì Bilbo attraverso lo smial verso le stanze da letto. Thorin seguì, furioso.

«Questa va bene?» chiese il ragazzo, aprendo una porta. Bilbo gli sorrise, facendo aumentare le rughe attorno ai suoi occhi. Thorin voleva tracciarle con le dita, baciarle e sentirle piegarsi sotto le labbra mentre Bilbo rideva.

Voleva sapere chi era quel giovane, che seguiva Bilbo in giro come un cucciolo smarrito!

«Quella che vuoi, caro ragazzo» disse Bilbo «Questa è una stanza particolarmente buona, te lo dico io. Era mia fino a quando non sono cresciuto, sai, e ha delle assi del pavimento mobili tremendamente utili sotto al letto. Ci puoi mettere ogni cosa, lì sotto.»

Il ragazzo sembrò confuso, come se sentire cose del genere dalla bocca di un adulto non fosse qualcosa a cui era abituato. «Non... ti dispiace se ho un posto per nascondere le cose?»

«Cielo no, Frodo ragazzo mio. Ho tanti segreti che mi stanno praticamente uscendo dalle orecchie; perché mai dovrebbe dispiacermi che tu ne abbia qualcuno a tua volta? Vieni, metti giù le tue borse, e andiamo a fare lo spuntino delle undici, che dici?»

Frodo mise le proprie borse sul letto tranquillamente. Thorin lo guardò storto.

Bilbo lanciò la cartella sul letto quasi se ne fosse dimenticato, e mise un braccio amichevole attorno alle spalle di Frodo. «Ora, potrebbe essere piuttosto silenzioso qui dopo Villa Brandy, sono sicuro. Ci sono solo io, e sono un vecchio strambo molto abitudinario. Dovremo solo abituarci l'uno all'altro.»

Frodo stava fissando con una confusa meraviglia tutte le mappe e le immagini sui muri mentre Bilbo lo guidava lungo il corridoio. Thorin li seguiva picchiando i piedi, il suo volto una nuvola temporalesca.

«Cos'è quello?» disse Frodo, impressionato, quando girarono l'angolo e un'immagine di Granburrone fu proprio di fronte a loro.

«Uhm? Oh, quella è la valle di Imlardis, ragazzo mio. Una volta la visitavo ogni tanto; facevo pratica del mio Sindarin, capisci. Anche se sono certo che Elladan fosse piuttosto divertito del mio accento l'ultima volta.»

«Granburrone!» Frodo fece un passo avanti da sotto il braccio di Bilbo, i suoi grandi occhi blu spalancati. «Pensi lo vedrò mai?»

Thorin incrociò le braccia e guardò male la nuca del ragazzo.

Bilbo rise, trascinando via Frodo. «Forse, forse! Nel frattempo, preferirei molto vedere una teiera sul fuoco!»

Thorin guardò Bilbo che girava per la sua cucina mentre il ragazzo studiava meglio l'immagine. Quarantotto anni dopo la Battaglia delle Cinque Armate, e Bilbo non era invecchiato molto. I suoi capelli erano diventati fini e grigi, ma erano ancora tanti e ricci come sempre, e il suo volto aveva un po' di rughe ma la pelle non era sottile come la pergamena, macchiata o molle per via degli anni. Era ancora piuttosto arzillo, soprattutto per un Hobbit che si stava avvicinando in fretta ai cento anni.

«Ci sono dei muffin nella dispensa, Frodo!» gridò Bilbo al ragazzo nell'ingresso e il ragazzo batté le palpebre, riscuotendosi dalla sua meraviglia per il santuario degli (maledetti, dannati) Elfi.

«Sì, Zio Bilbo!» disse Frodo con un ultimo sguardo malinconico a Granburrone, prima di correre via lungo il corridoio. Le labbra di Thorin si aprirono in un piccolo respiro di sorpresa.

E poi si insultò per essere un idiota e un imbecille.

«Uno zio?» si voltò verso Bilbo «Non sapevo che avessi fratelli. Come potevo non saperlo?»

Era un po' sconcertato. Thorin voleva sapere tutto di Bilbo. Tutto. Non avrebbe potuto mantenere fede alla sua promessa altrimenti.

Bilbo canticchiò sottovoce mentre apparecchiava la tavola, prendendo il latte e lo zucchero dalla credenza e recuperando un scatola di biscotti. Poi si appoggiò al tavolo della cucina. Il manto di energia svanì, e Thorin poté vedere quanto stanco fosse il suo Hobbit.

«È la cosa giusta da fare» si disse Bilbo, e toccò il secondo piatto con un polpastrello gentile, un piccolo sorriso pensieroso sulle labbra. «Povero ragazzo, era perso tra quei teppistelli Brandybuck. È un giovane Hobbit avventuroso e intelligente, e si merita di meglio di essere da solo tra quella folla. I miei cugini avrebbero voluto che mi prendessi cura di lui, e chi meglio di lui per ereditare questo vecchio posto?»

«Un cugino quindi» mormorò Thorin, e poi sorrise «E confusione per i Sackville-Baggins.»

Il sorriso di Bilbo si allargò e la sua testa ricadde e lui ridacchiò contro il proprio petto. «Ah! Lobelia mi picchierà in testa col suo ombrello quando sentirà la novità.»

«I muffin ai mirtilli, Zio Bilbo?» arrivò l'urlo dal corridoio.

«Esatto!» Bilbo si riscosse dai propri pensieri «E se non ti dispiace, prendi del formaggio e magari un po' di marmellata di lamponi. Avevo dell'ottimo pane di Michel Delving, e penso che dovremmo fare una festicciola, non credi? Possiamo celebrare il fatto che vieni a vivere qui con me!»

Frodo tornò a braccia piene, e i due Hobbit prepararono il cibo mentre il bollitore iniziò a fischiare. Thorin osservava da sopra la spalla di Bilbo, guardando il suo coltellino che tagliava attraverso pomodori e sottaceti con facilità. Si era da lungo tempo abituato a vedere l'abilità di Bilbo in cucina, ma non falliva mai di fargli spuntare un sorrisino. Perché una lama era così diversa da un'altra? Forse avrebbe dovuto suggerire allo Scassinatore di affettare i nemici.

«Ecco qua!» Bilbo portò i pomodori e i sottaceti insieme a un po' di salsa alle spezie e il formaggio. «Un bel banchetto! Iniziamo?»

Frodo si avvolse una presina sulla mano e portò a tavola il bollitore, e Bilbo alzò il coperchio della teiera per versarvi l'acqua. Poi i due si sedettero, e Thorin si rassegnò ad aspettare. Nulla interrompeva uno Hobbit durante un pasto.

Alla fine Bilbo spinse via il piatto e sospirò soddisfatto. Thorin era compiaciuto di vedere che aveva mangiato più del solito stavolta. Per un Hobbit, Bilbo era rimasto stranamente magro e il suo appetito non gli era mai del tutto tornato dopo la sua “avventura”. «Ora, Frodo ragazzo» disse, prendendo la propria tazza di tè «Non insisterò su regole di qualsiasi genere o cose stupide come quelle. A ventun anni sei abbastanza grande per decidere da solo cosa vuoi fare, e sei un ragazzo intelligente. A parte questo, come ho detto, sono piuttosto strano e vecchio e abitudinario. Ci capiremo meglio man mano che il tempo passa, che dici?»

Gli occhi blu di Frodo si alzarono dal piatto, la sua bocca piena. Ingoiò in fretta. «Sì, Zio Bilbo.»

«Bravo ragazzo! Sono sicuro che riusciremo a fare un po' di spazio per le stranezze uno dell'altro. Ho però qualche richiesta, se a te va bene?»

«Uhm. Sì?» Frodo sembrava un tantino perso, e Thorin capì che il ragazzo non era abituato a sentire ascoltate le proprie opinioni. Incrociò le braccia con un grugnito di approvazione. Bilbo gli avrebbe fatto bene.

«Mangia ogni volta che hai fame, e non preoccuparti di chiedere il permesso! Sei il benvenuto in ogni stanza dello smial, e tu e i tuoi amici potrete esplorare quanto volete. Solo, se sono nel mio studio, cercate di mantenere il volume a non più di un piccolo ruggito? E non mettere in disordine le mie carte! So che sembra un pandemonio, ma in realtà è un sistema molto preciso. So dov'è tutto, e tutto è dove lo voglio. Eh. Oh sì! Curiosa quanto ti pare. Ho un sacco di piccole cose bizzarre dai miei viaggi. La maggior parte hanno una storia, e non sono timido quando si tratta di raccontarle, quindi vienimi a chiedere! Oserei dire che ho fin troppe cose, quindi se rompi qualcosa mi farai un grandissimo favore. Se vuoi leggere qualcosa, non esitare! Puoi sfogliare ogni libro. Ho dei libri davvero interessanti, sai.»

«Ho visto» disse Frodo, giocherellando con la tovaglia «Che la maggioranza sono in Elfico.»

Bilbo batté le ciglia, la tazza a metà strada verso la sua bocca. Poi la rimise sul piattino con un click! «Carità, certo! Non sai leggere l'Elfico, non è vero? Ebbene, ti piacerebbe?»

Gli occhi di Frodo si allargarono fino a una dimensione impossibile, e poi annuì in fretta. «Oh, sì per piacere!»

Thorin fece un suono irritato sotto voce. «Ah, Khuthûzh!» ringhiò, e strinse i denti.

Bilbo alzò un sopracciglio. «Se potessi, ti insegnerei molto più di solamente il Sindarin, Frodo ragazzo, ma temo che il mio Quenya sia piuttosto arrugginito e non ho mai imparato che più di qualche parola di Khuzdul. La maggior parte delle quali imprecazioni, che è piuttosto sfortunato.»

«Cos'è il... Khuz...?» Frodo sembrava stupito.

«Khuzdul» lo corresse Bilbo «Il linguaggio segreto dei Nani. Non lasciargli sapere che lo so!»

Frodo rise deliziato. «Zio Bilbo! Quando mai incontrerò un Nano? Sono solo uno Hobbit!»

Bilbo divenne serio in fretta, e mise la mano su quella di Frodo. «Frodo Baggins» disse, il suo volto molto, molto serio «Non esiste nulla come solo uno Hobbit

«Oh, sai» disse Frodo, e rabbrividì a disagio sotto l'improvvisa, totale attenzione di Bilbo «Sono solo Frodo. Non sono nessuno di speciale.»

Bilbo strinse la mano di Frodo. «Mio caro ragazzo» disse solennemente «Io sono solo Bilbo Baggins, e Bilbo Baggins è solo uno Hobbit. E ti dico ora, Frodo ragazzo mio, che noi Hobbit siamo più di quanto chiunque si aspetti.»

Thorin sorrise a se stesso. «Persino testardi, ciechi, arroganti Nani.»

«Persino idioti con la loro grande testa infilata fermamente nel loro posteriore» aggiunse Bilbo, contraendo la bocca. Thorin lo fissò sorpreso, e poi scosse il capo, ridendo piano sotto voce.

«Dannata creatura» Come desiderava... oh, come desiderava. Le sue braccia facevano male dal desiderio di abbracciare il piccolo Scassinatore irritante. Voleva toccare i capelli ricci di Bilbo, e sentire quelle piccole mani abili contro il proprio collo. Agognava dal desiderio di baciare quella rapida e furba bocca, mordicchiare quella lingua affilata coi denti. «Dannato, ridicolo, assurdo Hobbit.»

«Oserei dire che conoscerai molta gente che ti dirà il contrario» continuò Bilbo «Ignorali. Puoi incontrare Stregoni ed Elfi e Uomini e persino Nani se lo vuoi, e non curarti mai di cosa quelli con una mente chiusa dicono! Il mondo è grande e pieno di cose meravigliose, Frodo, ragazzo mio, e noi siamo molto piccoli. Ma qualcuno piccolo può fare la differenza, ho trovato.

«Quindi, tieni alta la testa! Sei un ottimo Hobbit, e non è una brutta cosa da essere» Bilbo diede un ultima stretta alla mano di Frodo, e poi bevette il suo tè «Oh, cavoli, è freddo. Beh, questo mi insegnerà a diventare filosofico durante lo spuntino delle undici; mi devo ricordare di non farlo più.»

Sia Frodo che Thorin risero, e Bilbo sorrise al ragazzo, compiaciuto di averlo reso più allegro. «Ti dimenticherai» gli disse Thorin con affetto.

«Va bene, potrei dimenticarmelo» concesse Bilbo «Sono vecchio. Posso permettermi di avere la memoria corta a tratti.»

«Non sei tanto vecchio, o sbaglio Zio?» chiese Frodo.

«Abbastanza vecchio, e preferirei se tu non facessi domande impertinenti!»


«...E se lo volessi, Grande Creatore, sarei personalmente molto obbligato se permettessi a uno Hobbit di vivere qui nelle Sale. È uno Hobbit simpatico, e non puzza o niente. Te ne ho parlato l'ultima volta. E la volta prima. E la volta prima di quella. E la volta prima di quella...»

«Mi ricordo»

«Quasi non occupa spazio, e ha dei bei capelli, e ha persino meno barba di me. Francamente potrebbe farmi piacere avere qualche altro compare con la barba rasata qua attorno. Perché mi hai fatto con una faccia così nuda? È così imbarazzate!»

«Se ti do una barba, mi lascerai in pace?!»

«Oh! Oh... scelta difficile. No, no – Zio Thorin viene prima. Sono un Nano leale, e lui si merita di essere felice. Spero che sappia che supremo sacrificio sto facendo per lui»

TBC...

Note:

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Incontra una Nana

Bomrís figlia di Honrís

Bomrís è una Nana piuttosto introversa, gentile e attenta. Una magra, silenziosa Nana dai capelli neri, la sua povertà la rese stanca e rassegnata a volte. Ha cresciuto suo fratello minore Bomfur quando lei stessa era poco più di una bambina, dopo che i loro genitori morirono in un crollo. Ama profondamente la sua piccola famiglia e spesso è rimasta a digiuno così che Bifur, il suo eccitato ed esuberante figlio, potesse mangiare. Bifur (che in temperamento è più simile al padre Kifur) è rumoroso e turbolento con tutti tranne che con lei. Era una minatrice, specializzata in rame e stagno. Bomrís morì dopo aver inalato fumo nero in uno scavo minerario ad Ered Luin.

Bomrís di godofmischieffoal


Il primo fu Flói, il capo chino e le spalle lasciate cadere.

«Dei tali idioti» sussurrò, e la sua voce era roca e piena di orrore «Siamo dei tali idioti. Resi ciechi a tutto tranne che al nostro orgoglio...»

Fu come se l'arrivo di Flói fosse la perdita che dà inizio all'allagamento.

Nano dopo Nano, pallidi in volto e tremanti, si svegliarono nelle Sale di Mahal. I loro inutili occhi ciechi fissavano tutti terrorizzati, ognuno raccontando la stessa storia.

«Non possono uscire!» stillò un Nano di nome Kúlin svegliandosi, e le sue urla risuonarono nelle Sale, echeggiando sopra al suono dei martelli «Non possono uscire! Non possono uscire!»

Thorin strinse le mani di Fíli e Kíli tanto forte quanto osava. Frerin era abbarbicato a Frís, la sua testa nel grembo di lei e i suoi occhi terrorizzati. Lei gli accarezzava i capelli gentilmente e gli cantava. Lui guardava avanti a sé come se non potesse sentire nulla oltre alle urla disperate di Kúlin.

Nano dopo Nano dopo Nano...

Thráin prese un'ascia da battaglia e si lanciò contro alle mura, ruggendo con vecchia, vecchia rabbia e paura. Una scintilla di follia gli danzava negli occhi, e la sue bocca aperta non aveva la forma di un ruggito ma di un urlo. Thrór piangeva senza suono nella sua barba. Hrera teneva la testa di lui stretta contro la propria, anche i suoi occhi umidi mentre gli mormorava in una voce troppo bassa per sentire.

Nano dopo Nano dopo Nano dopo Nano...

«Abbiamo trovato l'Ascia di Durin» disse uno in tono vuoto e cupo «Abbiamo trovato l'Ascia di Durin.»

Non ci fu bisogno che ne dicesse il prezzo.

Troppi, troppi in successione rapida. Thorin chiuse gli occhi e pregò che Mahal li custodisse. I suoi figli erano persi in un'oscurità troppo profonda persino per i Nani, e non potevano uscirne.

Il volto gentile di Balin era deformato dalla tristezza e dal senso di colpa, e quando udì la voce di Thorin cadde come una marionetta a cui hanno tagliato i fili. «È colpa mia» boccheggiò, i suoi occhi senza vista pieni di senso di colpa «Thorin, ragazzo, come farò ad andare avanti? È stata colpa mia, li ho guidati in quel posto! Come posso andare avanti?»

«Come ho fatto io» disse Thorin piano, e lo tirò in piedi. Le dita di Balin lo artigliarono, tremanti e simili ad artigli. «Come ho fatto io. Andiamo avanti perché non c'è altra scelta.»

«C'era una scelta!» urlò Balin,e Thorin strinse il suo vecchio consigliere a sé e lo avvolse tra le proprie braccia stretto quanto poteva. Balin pianse e pianse finché la sua voce non si ruppe.

«Colpa mia» gracchiò.

«Non potevi sapere, non più di me» disse Thorin, e il volto di Balin si deformò.

«Non osare fare delle scuse per me, Thorin Scudodiquercia» raspò, completo odio verso se stesso che gli rendeva la voce dura e affilata «Pensavo che avrei potuto guardare la bellezza del Kheled-zâram e le meraviglie della Valle dei Rivi Tenebrosi senza tener conto degli Orchi. Solo cinque anni – e una freccia alla schiena! Duecento anni fa ho combattuto in quel luogo accanto a te. Ho visto cosa costava quel posto, e nella mia arroganza pensai di poter sfuggire al suo prezzo. Moria, il Pozzo Nero – gli Elfi gli hanno dato un nome adatto!»

«Shhh» disse Thorin, e Balin seppellì la testa contro la spalla di Thorin e tremò violentemente «Shhh, Balin, gamil bâhûn. Shhh. Ormai è fatto. Puoi riposare. Lascia andare – lascia andare.»

«Aye» disse Balin con amarezza «Riposare. Lasciare andare. Così come hai fatto te?»

Thorin rimase in silenzio.

«Lo supponevo» disse Balin con miseria selvaggia, prima di ricominciare a piangere. Fundin incrociò lo sguardo di Thorin e scosse il capo in silenzio, prima di afferrare le spalle di suo figlio e portalo via.

Nano dopo Nano dopo Nano dopo Nano dopo Nano. E arrivavano ancora, i loro occhi spalancati e bianchi dal terrore, le loro parole che inciampavano una sull'altra mentre tremavano dal terrore.

«Mahal, salvaci» sussurrò Fíli, e la risata facile di Kíli era assente.

Arrivò Frár, ululando in cerca di Lóni. Cadde in ginocchio e vomitò di fronte a loro, e le sua preghiere per Lóni divennero sempre più deboli mentre dolci mani gentili lo trascinavano via.

Arrivò Náli, la sua testa bianca che tremava e il suo volto distorto dalla furia. «I tamburi!» ruggì, attaccando alla cieca chiunque gli si parasse davanti. Frerin gli afferrò le gambe, e Thorin e Bifur tentarono di tenergli le braccia, ma il vecchio guerriero aveva la forza di cinque grazie all'ira e al panico. Alla fine ci vollero otto Nani per tenerlo fermo, e solo dopo che Thráin riuscì a tramortirlo.

Arrivò Lóni, e sembrava perso e quasi infantile nella sua angoscia. «Frár» disse, la sua voce piccola e vuota «Frár, non avremmo dovuto... Frár, Óin ha portato tutti ai Cancelli Occidentali. Ori è da solo. Ori è da solo...»

Ori è da solo.

Thorin incrociò gli occhi di Nori. Il ladro era quasi esangue, la sua faccia furba prosciugata e bianca. Senza dire una parola, si voltarono e iniziarono a correre verso la Camera di Sansûkhul.

«Veniamo anche noi!» urlò Kíli, e altri due paia di stivali iniziarono a risuonare sulla pietra delle Sale di Mahal. Si lanciarono attraverso i corridoi e si scontrarono contro alle porte, spingendo altri fuori dalla strada mentre il respiro gli si schiantava nei pomoni. L'arco di perla e diamante apparve dinnanzi, con la sua filigrana piena di grazia di rune in mithril, e Thorin si fermò di colpo di fronte alle acque cristalline del Gimlîn-zâram, ansimando pesantemente.

«Ori» disse Nori, e gli altri annuirono.

«Óin» disse Fíli, e il cuore di Thorin si strinse dolorosamente. Mio cugino.

«Aye. Andiamo» disse bruscamente, e insieme lasciarono che la luce stellare li inghiottisse e li risputasse in un mondo di ombre e follia.

I tamburi martellavano così forte che fecero tremare la mascella di Thorin. Dei movimenti erano a malapena distinguibili nell'oscurità, e il chiacchierio degli Orchi suonava nell'aria. Cercò alla cieca una mano, e ne trovò una che si muoveva nel buio vicino.

«Fíli, Kíli?» ansimò.

«Sono io» disse Nori, la sua voce tesa «Penso i ragazzi siano alla nostra destra.»

«Zio?» disse Fíli, e suonava spaventato quanto un Nanetto «Non riesco a trovare Kee.»

«Sono qua, ma non so dove sia qua» disse Kíli, e Thorin strinse forte la mano di Nori e ricordò a se stesso di essere già morto.

«Seguite la mia voce» disse, cercando di infondere tranquillità e calma. Tenne il suo tono basso e comandante «Venite qui, miei nidoyîth. Va tutto bene. Nulla può farci del male, ricordate?»

Un tocco sulla gamba lo fece sobbalzare, e poi riconobbe il sospiro di sollievo come appartenente a Kíli. «Qua» disse, e allungò la mano per toccare la testa spettinata di Kíli «Sono qua. Sia io che Nori siamo qua.»

Fíli si lasciò cadere accanto a loro, e il ragazzo stava tremando. «Non mi piace» disse.

«A nessuno piace» disse Nori brevemente «Andiamo. Siamo vicini o a Óin o a Ori.»

Persino la loro eccellente visione nell'oscurità era quasi inutile nel nero soffocante che li circondava. Lo sferragliare e lo scontrarsi di armi vicino fece fare una pausa dal suo ritmo folle al cuore di Thorin, e strinse la mano di Nori.

«L'ho sentito» disse.

«Guardate avanti!» urlò Kíli «Vedo una luce!»

«È Óin» disse Fíli «Oh, lacrime di Mahal, per favore no – è Óin, ed è da solo...»

«No, non ancora solo» disse Thorin, riconoscendo le forme di altri Nani nel buio. Stavano respingendo gli Orchi, lanciando colpi caotici ai loro occhi pallidi e bulbosi. Le grandi porte di ithildin di Khazad-dûm erano parzialmente aperte dinnanzi a loro, e il cielo senza stelle non dava luce per guidare il loro cammino.

«Non ancora» disse Fíli cupo.

«Potrebbero ancora uscirne!» disse Thorin, sperandolo disperatamente. Gli Orchi squittivano e strillavano, e un altro Nano cadde, i suoi occhi strabuzzati mentre del sangue gli usciva dalla bocca. Ricadde sui gradini, e poi rotolò nell'acqua oltre alle porte con un tonfo.

«Quello era Urgin» disse Nori, debole dall'orrore «Mi deve dei soldi, il maiale.»

«Respingeteli!» ruggì Óin, il suo bastone che gli roteava sopra la testa. Nell'altra mano aveva un corta daga che lampeggiava e scattava con la velocità di un serpente che attacca. «Respingeteli!»

I tamburi fecero tremare il pavimento sotto di loro, e Óin si liberò di un altro Orco. La sua barba grigia era spettinata e sporca, i suoi baffi arcuati pieni di sangue dal suo naso. La sua armatura era lacerata su una spalla. Un grande Orco con tratti simili a quelli di un insetto si lanciò su di lui, e lui scattò verso l'alto e calciò la cosa orrenda verso e fuori le porte aperte prima di accoltellarla in faccia.

«Io... io non credo stiano cercando di uscire» disse Kíli, e Thorin deglutì.

«No» disse «Stanno cercando di spingere fuori gli Orchi.»

«Possiamo aiutarli?» chiese Fíli, e Thorin cercò di inumidirsi la bocca arida.

«Sono a Moria. Sono oltre a ogni aiuto che noi potremmo dargli»

«Thorin» disse Nori d'improvviso «C'è qualcosa nell'acqua.»

Con un'eruzione di gas tossici e terribili ringhi lamentosi, una vasta forma si lanciò dalla pozza di acqua salmastra. Tentacoli sottili e simili a fruste si contorsero e si mossero verso di loro, e Kíli lanciò un grido di terrore. Il grido divenne uno strillo quando i tentacoli si separarono per rivelare un enorme e orrendo corpo, con un anello di denti giallastri che si mostravano loro. Sia Nani che Orchi strillarono di terrore quando i tentacoli li afferrarono e li trascinarono in aria. La creatura ingoiò un Nano intero, prima di mordere la testa di un Orco e scagliare il resto del corpo a disfarsi contro le scogliere di Khazad-dûm.

Poi un tentacolo si avvolse attorno alla gamba di Óin.

Lui urlò di paura e rabbia, e lo pugnalò. Il tentacolo ricadde e a terra e si contrasse. Il vecchio medico ruvido e allegro ricadde esausto e si appoggiò al bastone, intero e senza ferite. Kíli lanciò un pugno all'aria e urlò di gioia, e Fíli sospirò di sollievo accanto a Thorin.

«Grazie a Durin» disse debolmente «Non può...»

L'acqua esplose. Tentacoli uscirono ribollendo dal fango e afferrarono le braccia di Óin. Venne sollevato in alto nell'aria, lottando debolmente mentre tentacolo dopo tentacolo si avvolse attorno al suo corpo, arrotolandosi attorno alle sue gambe e scivolando oscenamente sul suo volto. Thorin afferrò i suoi nipoti. «Non guardate!» gli ordinò, voltando le loro teste verso di lui e stringendoli quanto strettamente poteva nelle sue braccia.

«Thorin!» singhiozzò Fíli, e i lamenti di Kíli erano acuti e straziati.

L'ululato del vecchio Nano divenne uno squittio, seguito da uno straziante suono gorgogliante che divenne in fretta lo scrocchiare di ossa e armatura.

Thorin chiuse gli occhi, e tentò di non vomitare.

Seppe che si erano spostati dal Cancello Occidentale dall'improvvisa assenza di suoni di Orchi e urla. Stette in piedi, tremante e nauseato; i suoi occhi ancora serrati e le sue braccia strette come acciaio attorno ai suoi nipoti tremanti. I tamburi risuonarono nei profondi, ritmici tremori attraverso la pietra sotto i loro piedi.

«Ori» disse Nori, e la sua voce gli si bloccò in gola.

Thorin aprì gli occhi.

Ori sedeva con una candela, i suoi occhi scuri e senza speranza. Era appoggiato contro a una tomba di pietra bianca e scriveva freneticamente in un grande libro.

«È così giovane» disse Nori, e il suo volto era reso orrendo dalle emozioni represse «È così dannatamente giovane, perché diavolo Dori gliel'ha lasciato fare? Non doveva badare a lui? Ha promesso a nostra Mamma che avrebbe badato a lui!»

«L'ha fatto» disse Fíli, e cercò di toccare il ladro, ma Nori lo allontanò «L'ha fatto. Non ha mai smesso. Ma Ori ha centoventisette anni, Nori. Non è più un Nanetto piccolo...»

Le mani di Nori si serrarono, e si morse il labbro. «Il mio fratellino» disse indistintamente «Mi ha aiutato per otto mesi dopo la Battaglia. Mi ha aiutato a imparare a camminare di nuovo.»

«Lo sappiamo» disse Thorin piano «L'abbiamo visto.»

Nori sbuffò forte, e si asciugò bruscamente le lacrime dagli occhi. «Allora mi avete visto che gli urlavo contro quando voleva solo aiutarmi. Mahal. È così giovane.»

«Aye» Thorin si sforzò di non guardare Fíli e Kíli «Lo è.»

La risata di Nori era un tantino isterica mentre si inginocchiò accanto a suo fratello. Ori non guardò su, la sua mano che scorreva lungo la pagina. «Penso lo sappiate, tutto, no? Sapete che voleva trovarsi qualcuno, un giorno? Io e Dori non abbiamo mai voluto romanticismo – Dori non aveva nessuno stimolo di quel genere e non ne voleva sentir parlare, e io preferivo prendermi cura di quelle cose da solo, ma Ori...» il volto di Nori si deformò momentaneamente, e poi spietato lo fece ritornare impassibile «Ori è un tale romantico. Ama le storie d'amore. Una volta lo prendevo in giro per questo.»

«Nori» disse Kíli tristemente.

«Non possiamo fare niente!» urlò Nori, alzandosi improvvisamente e voltandosi verso di loro «Ori morirà, e morirà da solo, e...»

«Non è solo» disse Fíli con voce debole «Ci siamo noi.»

«Sai quanto bene gli fa» sputò Nori, e si voltò nuovamente verso suo fratello con le lacrime agli occhi.

Quando Fíli aprì la bocca per dire altro, Thorin scosse la testa in fretta. Fíli gli lanciò un'occhiata e cadde in silenzio. Rimasero come testimoni silenziosi mentre Nori si torturava le mani dalle dita rapide, guardando il suo fratellino mentre le lacrime iniziavano a scorrergli nella barba.

La porta della camera di spalancò con uno schianto, e due Nani ci corsero dentro. «Stanno arrivando!» ansimò uno.

«Svelto, chiudi questa porta!» abbaiò l'altro. Doom, doom, dissero i tamburi.

Ori scrisse più in fretta e parlò senza alzare il capo. «Dove sono gli altri?»

«Andati» disse il primo Nano, il suo respiro che usciva in fretta e i suoi occhi erano pieni di lacrime di rabbia «L'Osservatore ha preso Óin – oh dolce Mahal, quel suono. Le acque arrivano fino al Cancello!»

«Non possiamo uscire» disse Ori calmo, continuando a scrivere «Moriremo combattendo. Come Óin.»

«Lui è morto strillando» disse l'altro Nano piatto.

Ori guardò in alto, e c'era un fuoco selvaggio nei suoi occhi. «Se morirò in questo posto orripilante» ringhiò «Venderò cara la pelle, mi capite? Mi porto con me tanti di quei bastardi quanto posso!»

«Sì, Ori» disse il primo Nano, raddrizzando la schiena. L'altro barcollò, la testa fra le mani.

Ori andò fino a lui e gli diede uno schiaffo, forte. «Capito?» ringhiò «Gli diamo un assaggio di ferro Nanico dritto nelle chiappette!»

Riprese in mano l'ascia caduta e la spinse verso il Nano, che la prese con dita senza forza. «Molto bene. Quindi moriremo» disse, e lanciò un'occhiataccia al primo che aveva parlato «Io, te e Grechar. Non c'è uscita. Ma un giorno lo sapranno» annuì verso il proprio libro, la sua mascella serrata e la sua faccia cupa «Un giorno. Non presto, nah – ma un giorno. Un giorno, sapranno cos'è successo qui. Non saremo dimenticati.»

«Non saremo dimenticati» ripeté Grechar.

Il Nano con l'ascia tentò di parlare attraverso i singhiozzi, e Ori lo fulminò con lo sguardo. «Dróin?»

Lui si leccò le labbra. «Non saremo dimenticati.»

Thorin si tirò vicino Fíli e Kíli, e guardò col cuore pesante mentre il più giovane della Compagnia tornava al suo libro, la mano stretta attorno a un martello e un fuoco nel suo volto accigliato e stanco. Ori tornò a scrivere, le sua trecce spettinate e la sua sciarpa di lana in disordine. Scrisse e scrisse, i suoi occhi che brillavano di determinazione. Intelligente, mansueto, educato Ori, figlio di Zhori, più giovane dei Fratelli Ri.

«Non sarai dimenticato» sussurrò.

Kíli fece un lungo, lento respiro e lo esalò contro i capelli del fratello. «Coraggioso Ori.»

«Coraggioso Ori» fece eco Fíli.

Le porte della stanza tremarono, e i tamburi picchiarono la loro canzone di morte. Nori piangeva apertamente, i capelli che sfuggivano dalle sue trecce elaborate.

«Non devi guardare» disse Thorin, e Nori deglutì, il suo volto bagnato e a macchie.

Poi si voltò verso le porte, che traballarono. «Sì che devo» disse, e alzò il mento.

Doom, doom cantarono i tamburi, e le porte si scheggiarono attorno al lucchetto. Ori scrisse un'ultima riga, le parole che scivolavano lungo la pagina, e poi si girò col suo martello per fracassare le costole di un Orco che caricava. Un altro cadde sotto l'ascia di Dróin, e poi, come sabbia davanti a un'onda, sparirono, ingoiati dallo sciame di Orchi.

Thorin si allungò verso Nori che ululava di angoscia. Con tutti e tre fra le braccia chiuse gli occhi. Doom, doom prendevano in giro i tamburi, e la luce delle stelle aumentò e li accecò e li rilanciò nella fredda tranquillità della Camera della Pura e Perfetta Vista.


Nori non avrebbe lasciato suo fratello per nulla al mondo. Permise a malapena perfino alla loro madre Zhori di avvicinarsi. Nessuno poteva passare oltre al ladro protettivo e angosciato per salutare il nuovo arrivato nelle Sale, e quindi Thorin diede il benvenuto a Ori al meglio che poteva, impedì il tentato benvenuto esuberante di Bifur scuotendo la testa, e si voltò per prendere la mano di Óin.

«Ciao, cugino» disse piano, e cercò di non immaginarsi l'orribile vista di questo Nano che penzolava come uno straccio tra orrendi arti che si contorcevano. Il suono nauseante lo avrebbe perseguitato per sempre.

«Eh?» Óin si piegò in avanti, battendo gli occhi inutili, una coperta avvolta attorno a sé. I suoi capelli erano tornati di quel chiaro marrone rossastro che Thorin poteva a malapena ricordarsi nelle sue prime memorie. «Thorin! Beh mai avrei. Bello vederti – ha! Beh, questo è un capovolgimento no? Non vedo una dannata cosa, ma ti sento perfettamente!»

«Idmi, mio amico e cugino» disse, e la bile si spostò nel suo stomaco «È... è bello vedere anche te.»

«Non proprio ciò che mi aspettavo» disse, e sospirò pesantemente «Che branco di idioti che eravamo.»

«Forse riusciresti a convincere Balin» disse Thorin. Óin scosse la testa tristemente.

«Ne dubito. Era il lor Signore, Thorin. Sai cosa vuol dire.»

«Sì» Thorin aveva più conoscenza della maggior parte della gente su cosa volesse dire prendersi tutta la colpa «Sì, lo so.»

Óin sospirò ancora, e la rabbia gli attraversò brevemente il volto. «Sarebbe stato così bello, così glorioso» disse in un dolce tono nostalgico. Poi le sue spalle crollarono e la testa gli ricadde sul petto. «Branco di sordi idioti troppo sicuri di sé. Dáin ha provato ad avvertirci, e non lo abbiamo ascoltato.»

«Avevate la speranza» mormorò Thorin, e Óin socchiuse gli occhi nella sua direzione.

«Oh, aye? Beh, siamo bravi in questo – speranza verso le situazioni senza speranza!» diede di gomito a Thorin, un piccolo sorriso sul volto «Eh?»

Thorin fece un sorriso forzato. Gli orrori che aveva visto non potevano essere dimenticati così in fretta, e invidiava la gioia di Óin nel riunirsi con tutti coloro che lo circondavano. Sarebbe stato un balsamo.

Gróin e Haban aiutarono il figlio mentre barcollava su gambe deboli. Haban volse il volto di lui verso il proprio e gentilmente gli rimise un ciuffo selvaggio di peli nella sua barba arricciata e intrecciata. Gróin sbuffò piano e trascinò Óin in un abbraccio – e Óin ansimò. A quel suono Thorin dovette premersi una mano sulla bocca. Suonava troppo come -

Si voltò e fuggì dai sepolcri quanto velocemente poteva, andando diretto alla Camera di Sansûkhul per rituffarsi nelle acque scintillanti. Erebor. Gli serviva vita, ed Erebor, e Gimli.

A centoquindici anni, Gimli non rideva più prontamente come un tempo, e le sue battute erano divenute meno allegre e più ruvide di prima. Ogni tanto Thorin lo trovava a fissare il vuoto, le sue sopracciglia aggrottate come se si stesse chiedendo dove fossero suo zio, suo cugino e i suoi amici. Scriveva diligentemente ogni quattro mesi, e si rifiutava categoricamente di considerare perché non gli rispondevano mai.

Thorin odiava vedere la sua risata allegra così diminuita. Gimli era luminoso e fiero e gioioso quanto il suo nome. Gimli sarebbe dovuto essere allegro. Gimli avrebbe dovuto ridere sempre.

Però, una cosa aveva sempre la garanzia di farlo sorridere. Quasi otto mesi prima nell'estate del 2993, una piccola creatura dai capelli ricci era nata da Bofur e Gimrís. Era un piccoletto sorridente e allegro con luminosi occhi castani, il naso e il mento di Bofur, capelli rosso scuro e le sopracciglia alla Durin. L'avevano chiamato Gimizh, o “selvaggio”, e Gimli lo adorava completamente.

Piccolo Thorin non ne era tanto innamorato, e guardava il cuginetto con ferocia ogni volta che posava gli occhi su di lui. Dwalin stava iniziando a pentirsi del nome che aveva scelto. I paragoni erano inevitabili.

Thorin era piuttosto orgoglioso. Il suo sguardo truce era stato tramandato a un degno successore.

Gimli prese le piccole manine paffute nelle proprie rovinate dall'ascia e le fece battere insieme. «Ora, Gimizhîth» disse al bambino, e Gimizh lo guardò con delizia sdentata «dici che dovremmo cantare una canzone, io e te?»

«Tiragli la barba, figlio mio!» urlò Gimrís dall'altra stanza «Farà un suono migliore!»

«Tua madre è una terribile, terribile Nana» disse solennemente Gimli, battendo insieme la manine di Gimizh. Il piccolo fece un suono indistinto di eccitazione al sentire la voce di Gimli, e cercò di coordinare le proprie mani da solo, e fallì. «Ah, ah, no. Penso che quello possa essere un tantino ambizioso a questo punto. Facciamo che io farò il lavoro difficile, che dici?»

«Sei davvero ridicolo con quel bambino» gli disse Thorin, scuotendo la testa divertito e incrociando le braccia. Il nodo della nausea e dell'orrore nel suo addome stava lentamente iniziando a sciogliersi.

«Ah, beh, sono suo zio, mi è permesso» mormorò Gimli sottovoce, e poi fece un sorriso idiota al nipotino «Come potrebbe qualcuno non essere ammaliato da questa piccola gemma? Dovrebbero davvero essere fatti di roccia.»

Thorin ridacchiò, e gli concesse che il piccolo era probabilmente un bambino molto dolce e carino, ma Fíli era stato molto meglio. Il suono orribile della morte di Óin stava iniziando a prendere il suo posto assegnato nei suoi ricordi, e si rilassò leggermente mentre ritornò al proprio equilibrio.

Su Gimli si poteva contare per queste cose.

«Ora, che dici di quella canzone?» disse Gimli, pizzicando la pancetta paffuta «A tuo padre piacerebbe questa – è per la miniera. Forse userai un piccone o una pala un giorno, con delle braccione forti come queste!»

La bocca di Gimizh si aprì larga e rosa attorno a una risata quando Gimli gli fece il solletico sotto un braccio. Poi Gimli iniziò a cantare piano, la sua voce che rimbombava, e batté le manine assieme mentre lo faceva:

Bijebruk! Bijebruk!
Sort the iron from the muck!
Pile it in the rattlin truck,
And take it to the fire.

Âdhhyîr! Âdhhyîr!
Can't wait til I'm out of here!
Sipping on a frosty beer,
Is all that I desire!

[Gimli's Ered Luin Mining Song, scritta da determamfidd e cantata da notanightlight ] [Traduzione]

«Quella non va bene, fratello mio» disse Gimrís dalla porta, e Gimli alzò gli occhi al cielo.

«Non capisce ancora una parola. Semplicemente gli piace il ritmo»

«Beh, a me piaceva» disse allegramente Bofur dalla cucina «Era una delle tue, Gimli?»

«Aye, da Ered Luin» disse, e permise a Gimizh di arrampicarsi sopra le sue gambe «L'ho fatta che avevo sessanta e qualcosa anni, non ricordo ora.»

«Ecco» disse Gimrís, nascondendo il suo sorrisino «Verrai usato come sostegno per l'arrampicata in un secondo, e devo lavarlo.»

«Non mi dà fastidio» disse Gimli, ma con riluttanza passò il piccolo alla madre.

Gimrís scosse la testa, facendolo appoggiare sulla propria anca mentre Gimizh faceva dei suoni e si masticava il pugno. «Tra te e Papà, non so chi è l'idiota più grande.»

«Papà» disse Gimli immediatamente «C'è molto più di lui che di quanto ci sia di me.»

«Gimrís, mio rubino! L'acqua è pronta!» urlò Bofur dalla cucina «Dov'è il mio caro ometto quindi?»

«Molto bene, ragazzo mio» disse Gimrís a suo figlio, facendoselo rimbalzare sul fianco «La tua parte più odiata del giorno: il bagnetto.»

«È una donna crudele» disse Gimli, facendo un suono di comprensione «ma deve essere fatto.»

«Dovresti ascoltare i tuoi stessi consigli, faccia da troll» disse lei e diede un colpo nella schiena di Gimli col ginocchio «Le tue trecce sono una disgrazia. Sei venuto qui direttamente dopo un turno di guardia?»

«Beh, ho ucciso un mannaro» disse lui tranquillamente, e si appoggiò contro le gambe di lei per guardare su verso Gimizh e fargli le smorfie «Dovevo lasciarglielo sapere, no? Con tutte le terribili menzogne che gli racconterai, devo assicurarmi che sappia che potente guerriero è suo zio Gimli.»

«Che potente testa grassa, vorrai dire» disse lei secca «Spero per Mahal che ti sia lavato le mani.»

«Per chi mi prendi?» Gimli si mise una mano sul petto in finta offesa, e poi incrociò gli occhi per Gimizh. Il piccolo squittì e rise.

«Sapete quanto amo il vostro amore fraterno, e normalmente farei il tifo per entrambi» disse Bofur, facendo capolino con la testa dalla porta «ma l'acqua si raffredda.»

«Coraggio, nipote» disse Gimli gravemente, e Gimrís gli diede un calcio prima di portare suo figlio a fare il bagno «Donna crudele!»

Bofur riapparve, asciugandosi le mani con un asciugamani. «Rimani per cena? Solo che penso che Alrur e Alfur vengano...»

Gimli si massaggiò il punto della schiena dove Gimrís gli aveva dato un calcio, e poi guardò su verso Bofur. «Penso che preferirei mettermi al posto di Gimizh» disse con un grugnito, e Thorin gli fece eco.

Il figlio di Bombur Alfur aveva sviluppato una cotta per Gimli. Nulla di serio, semplicemente una passione da cucciolo e certamente non l'amore di mithril dell'Uno, ma era abbastanza per far diventare Gimli piuttosto rosso attorno al collo. Aveva provato ad essere gentile col ragazzo e gli aveva gentilmente reso nota la propria totale mancanza di interesse. Alfur aveva annuito tristemente e disse di aver capito, e poi il ragazzo aveva pianto e si era avvilito per Gimli per i due mesi seguenti.

Gimrís lo prendeva in giro senza pietà, e Bofur pensava fosse la cosa più divertente di Arda. Il povero Gimli balbettava un sacco e cercava di rimanere freddo e distaccato; però, freddo e distaccato non erano davvero tratti che gli venivano naturali. Thorin si dispiaceva per il povero Nano, gli dispiaceva sul serio – ma era davvero divertente.

«Non darti la colpa» disse Bofur, ghignando «Tutti quegli sguardi da vitello, penseresti che stessimo servendo carne.»

«Andrò da Nori» disse Gimli scrollando le spalle «Alfur non può prendermi lì dentro. È troppo giovane.»

«Udite la nobile Linea di Durin» disse Bofur e inchinò, battendo le ciglia «A quale dignitosa e rispettabile famiglia reale mi sono unito. Io, un umile minatore e giocattolaio.»

«Te l'ho detto che ti stavi sposando al di sotto del tuo rango» disse Gimli, e si abbassò. Proprio in quell'istante, una spugna a forma di piccola ascia gli volò sopra la testa.

«Va via, enorme cretino, prima che io ti faccia lavare i panni!» sbuffò Gimrís, bambino bagnato e asciugamani fra le braccia. Gimli le baciò la guancia prima di picchiare la spalla contro quella di Bofur.

«E terrorizzi così tutte le balie gratis? Dov'è quella conoscenza della finanza di cui parla sempre Papà?» rise, e si fece sedere il piccolo fradicio sulla testa «Cerca di non credere a troppe di quelle bugie che ti dice lei finché non ti rivedo, mio akhûnîth

«Vai!» disse Gimrís, e fece scattare l'asciugamani contro di lui. Salutando con la mano, Gimli lasciò la piccola famigliole e iniziò a spostarsi dalle corti superiori ai livelli inferiori, dove stava ancora la taverna di Nori.

Aveva cambiato nome dalla morte di Nori, ma nessuno se ne era curato. Il posto era sempre “da Nori”, e probabilmente lo sarebbe sempre rimasto. La notorietà e la fama della Compagnia non sarebbe svanita dopo soli cinquantatré anni.

Gimli si sedette al suo tavolo abituale e fece un segnale al cameriere. «Cosa c'è stanotte?»

«Stufato di pecora» disse il giovane, e Gimli arricciò il naso.

«Va bene» disse cupo «Posso avere un piatto di quello, del pane e un boccale di birra per favore?»

«Subito, Lord Gimli»

Gimli gemette. «Solo Gimli, ragazzo.»

Il giovanotto sorrise timidamente e corse via.

Gimli sospirò e picchiò le dita pesanti sul tavolo. I nomi di Lóni, Gimli, Flói e Frár erano intagliati sulla superficie, e il pavimento era marchiato e rigato dal trascinamento della gamba di metallo di Nori.

«Beh» disse a se stesso «questa è una scena familiare. Nomi su un tavolo, e Gimli figlio di Glóin rimasto da solo.»

Thorin si sedette accanto a lui e notò la ruga preoccupata fra le dritte sopracciglia Durin di Gimli. «Non essere così triste» disse gentilmente «Non sono lontani quanto pensi. Anche se sono sicuro che Nori sarebbe lusingato di sapere che pensi a lui.»

«Chissà cos'ha fatto Nori di quel suo coltello dall'aria malvagia» si chiese Gimli, tracciando disegni sul tavolo con le gocce lasciate dall'ultimo boccale che vi era stato appoggiato. Poi sbuffò. «Sono già diventato un sentimentale, e non ho nemmeno assaggiato un sorso di birra! Ah, mi serve compagnia. Forse dovrei considerare Alfur dopo tutto!»

Thorin fece una smorfia. «Se lo fai, me ne lavo le mani di te» lo avvertì «È un ragazzo per bene, ma è un ragazzo. Tu sei un Nano adulto di centoquindici anni.»

«Oh, non posso nemmeno fare battute con me steso questi giorni!» ringhiò Gimli in frustrazione, e Thorin chiuse la bocca con uno schiocco «Mi mancano i miei amici. Loro ridono e sorridono.»

«Tu mi fai sorridere» disse Thorin, e senza pensare si allungò verso la spalla robusta e forte di Gimli «Mi hai sempre fatto sorridere, stellina.»

La sua mano gli passò attraverso. Thorin fece un lungo sospiro di delusione, e lasciò Gimli al suo pasto.


Dori versò l'acqua calda e fece ruotare la teiera, una volta, due volte. I suoi occhi erano distanti e sfocati. I suoi movimenti erano meccanici mentre prese il suo vassoio e si sedette al suo telaio.

Riprese la spola, prima di rimetterla giù e fissare il reticolo di fili. Rossi e marroni con dei tocchi di bianco e viola vibrarono sotto il suo respiro, e lui alzò la sua grossa mano e accarezzò la lana, una volta, due volte.

«Quello sarebbe un arazzo» disse Nori, e la sua voce normalmente insolente e furba era sommessa e triste.

«Siamo noi» disse Ori, e indicò il viola «Vedi? Sta tessendo noi. Quello sono io, quello sarai te, e lì sono i capelli di Dori...»

«Ah» disse Nori, e le sue spalle si abbassarono pesantemente «Non ho mai avuto la pazienza di vedere nel tessuto come voi due.»

Ori si stropicciò le mani. «Di chi si sta prendendo cura ora?»

«Non li invidio» disse Nori, e deglutì udibilmente «Tutto il curiosare e le scenate e le domande inconvenienti.»

Dori toccò il marrone rossastro della lana, dove sarebbero stati i capelli di Nori, e prese un sorso dal suo tè. Poi riprese la spola ed essa iniziò a schioccare conto il telaio. Delle lacrime erano apparse negli occhi di Dori.

«Non c'è mai stato un tempo in cui non si è preso cura di voi» si rese conto Thorin, e anche se la mascella di Nori tremò lui non disse nulla per confutarlo.

«È tutto solo» gemette Ori «Dori non è mai stato solo. È sempre stato lì – si è sempre preso cura di noi.»

Dori fece cadere la spola con un rumore sordo. La sua mano cadde sul bordo del tavolo e lo strinse forte mentre il suo mento tremava e i suoi occhi si bagnavano. Il legno sotto le sue dita iniziò a scricchiolare.

«Madre Dori» disse Nori amaramente «Nostra Mamma è morta quando avevo cinquant'anni, sai, e Ori solo dieci, non più di un neonato. Dori cercò di crescerci quanto meglio poté.»

«Penso che abbia fatto un buon lavoro» disse Thorin.

Nori alzò un sopracciglia incredulo. «Sì? Dalla tua bocca alle orecchie di Dwalin, allora.»

«Dwalin incolpava Dori?» Thorin si accigliò.

«Nah. Dori dava la colpa a se stesso per le mie scelte di impiego. Diceva che era colpa sua per non avermi cresciuto meglio»

«E poi giurava avanti e indietro e su e giù che io non avrei fatto lo stesso» disse Ori, strofinandosi il naso con la manica «Ricordi? “Scarti dei Reali potremmo essere...”»

Nori si unì a lui «”...con tre padri e nessuna madre e poveri ripara pentole, ma possiamo ancora avere orgoglio nel nostro lavoro e nella nostra educazione. Quello è ciò che rende un Nano un Nano”.»

Thorin lanciò un'occhiata penetrante a Nori. «”Scarti dei Reali”?»

«Re Óin I, e la Concubina Ymrís» disse Ori succintamente.

Ricordandosi le sue lezioni, Thorin gemette. «Ah.»

«A Dori non piaceva tirarlo in ballo tranne che tra noi tre» disse Nori, osservando il fratello piegato sulle proprie mani possenti, il legno del tavolo che si scheggiava mentre lui cercava di trattenere le lacrime «Non voleva che la gente parlasse di noi per un'altra ragione ancora. Abbastanza brutto che nessuno dei nostri padri era mai rimasto in giro.»

«Il suo aspetto si guadagnava abbastanza attenzione» disse Ori, e tirò su col naso «Puoi immaginarti come ci avrebbero trattati se avessero saputo che discendevamo da Ymrís? Come avrebbero tratto lui?»

«Grazie a Mahal per quel suo pugno» disse Nori «Ecco, ti ricordi quando quel vecchio idiota non voleva accettare no come risposta? Diceva che ti avrebbero portato via, che Dori non sarebbe riuscito a prendersi cura di te a meno di non trovarsi un partner. Scommetto che quell'idiota lercioso mangia ancora attraverso una cannuccia.»

«Madre Dori» sussurrò Ori, e si asciugò il naso nuovamente «È stato l'unica mamma o papà che io abbia mai conosciuto.»

«Mi piacerebbe solo che non fosse stato così ossessionato da cosa pensavano gli altri» sospirò Nori, e Ori lo fulminò attraverso occhi arrossati.

«La metà di quello era colpa tua, Nori. Tu, e i tuoi orrendi amici, e Dwalin che ci bussava alla porte ogni due giorni...»

Nori guardò via. «Sì, lo so.»

«Non sa nemmeno che sono morto» gemette Ori, e poi Nori imprecò sottovoce e trascinò il suo fratello più piccolo in un abbraccio. Poi il ladro guardò su verso Thorin, le sue labbra bianche e due macchia di colore sulle guance.

«Ti prego» supplicò Nori, e Thorin gli mise una mano sulla spalla e annuì senza parole.

«Digli» disse Ori, e le sue dita tirarono il giustacuore di Nori «Digli che gli vogliamo bene. Lo aspettiamo. Lo amiamo. Stiamo bene, e lui... lui...»

«Digli che è una vecchia chioccia iperprotettiva, e che Ori non si mette la sciarpa e che io sto causando un sacco di guai» disse Nori, e rise un risata raspante e dolorosa «Dovrebbe farlo felice.»

«A Dori piace sapere che si ha bisogno si lui» disse Ori piano.

Thorin guardò il bellissimo Nano. I suoi capelli argentati gli stavano sfuggendo dalle trecce elaborate, e aveva rotto il tavolo, spezzandolo in due. «A tutti piace» mormorò.

La teiera era in mille pezzi sul pavimento.

TBC...

Note:

Balin, Náli, Frár, Óin, Flói e Lóni sono i nomi dei Nani che morirono a Moria, scritti nel Libro di Mazarbul nella grafia di Ori figlio di Zhori. Questo libro venne infine ritrovato da Gandalf il Grigio e la Compagnia dell'Anello, e dato a Gimli il Nano, che lo riportò ad Erebor.

In “The Hobbit” Movie Companion, viene suggerito che i Fratelli Ri siano imparentati con la Linea di Durin dal “lato sbagliato delle lenzuola”.

Traduzione di "Gimli's Ered Luin Mining Song":
Bijebruk! Bijebruk!
Dividi il ferro dal fango!
Impilalo nel vagone sferragliante,
E portalo al fuoco.

Âdhhyîr! Âdhhyîr!
Non vedo l'ora di essere fuori di qui!
Bere una birra ghiacciata,
E' tutto ciò che desidero!

[Torna alla storia]

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Incontra una Nana

Orla figlia di Ara

Un Nana del clan Nerachiave, Orla è una guerriera esperta. Ha lasciato la sua terra natia nel lontano est e viaggiò fino ad Erebor dopo che venne riconquistata. L'unica Nerachiave nella Montagna, Orla sopportò vari anni di sospetto. Come il nome suggerisce, Orla ha una gran massa di capelli neri che trattiene in una coda alta. Si rasa i lati della testa per tenere i capelli fuori dagli occhi, e tiene la barba corta e la olia in stretti riccioli. Dalla pelle nera e gli occhi scuri, Orla è estremamente severa e seria, e il suo volto non mostra assolutamente alcun segno di aver mai sorriso. Per la sorpresa di tutti, sposò Dwalin figlio di Fundin nel 2980 TE. Hanno tre figli: Thorin, Balin e Frerin.

Orla di Jeza-Red


Frodo crebbe veloce come l'erba. Era un piccoletto curioso, e allegro e avventuroso quanto può esserlo uno Hobbit. Thorin approvava pienamente del suo leale amico Samwise, ma il Tuc e il Brandybuck erano sin troppo simili a Fíli e Kíli nei loro rumorosi trent'anni. Poteva a malapena guardarli senza che gli venisse voglia di sgridarli.

Bilbo invecchiò, ma lo mostrava a malapena. Divenne un tantino recluso con gli anni, e iniziò a scrivere nel suo studio sempre più a lungo. Thorin leggeva da sopra la sua spalla. Non gli venne mai in mente che forse non avrebbe dovuto.

«Adesso, la mia barba non è mai stata così lunga!» protestò a un certo punto, e Bilbo sbuffò.

«Si chiama licenza artistica» mormorò a se stesso, ma cancellò lo stesso la riga.

Il tempo passò e passò, e Bilbo viveva sempre più a lungo. Si preparò per la festa del suo undicentounesimo (come lo chiamava lui) compleanno con la più totale allegria, ridacchiando e mormorando a se stesso giorno e notte e sfregandosi le mane in impazienza. Bofur spedì un intero carro di giocattoli dal suo negozio da dare come regali di compleanno ai piccoli. Thorin non aveva mai capito l'usanza Hobbit di dare regali il proprio giorno del nome – ma ad ognuno il suo.

La sorpresa fu eseguita in perfetto stile, e lui rimase per divertirsi della confusione. Gli Hobbit erano così propri e facilmente da scioccare, e la loro incredulità era decisamente spassosa. Alla fine, Thorin arrivò alla porta di Casa Baggins proprio mentre Bilbo se ne andava. Guardò con un piccolo sorriso mentre il suo Hobbit prendeva il suo bastone da passeggio preferito e iniziava ad andarsene lungo via Saccoforino, cantando mentre camminava.

«Buon viaggio, mio Scassinatore» mormorò, e si voltò per entrare in Casa Baggins un'ultima volta. Questo buco Hobbit era dove tutto iniziò e vi avrebbe detto addio in onore dei vecchi tempi.

Il suo sguardo fu catturato dall'anello, che sedeva innocentemente sul pavimento. Si chinò per studiarlo. Il piccolo anello d'oro di Bilbo? Perché se l'era lasciato indietro?

«Dunque, Thorin Scudodiquercia?»

Thorin si voltò di scatto in shock. Gandalf era ancora in piedi accanto al camino, assurdamente enorme in mezzo alle cose di Bilbo. «Puoi... puoi vedermi?»

«Certo che posso vederti» disse Gandalf «Sei in piedi proprio lì, o sbaglio?»

Thorin fece un passo avanti, i suoi occhi sbarrati. «Nessuno mi ha visto. Nessuno mi ha visto! Non in sessant'anni!»

«Di certo non sei passato a chiacchierare con me o Radagast allora, mio caro ragazzo» disse Gandalf, rubando tranquillamente un po' della buona erbapipa di Bilbo e preparando la sua pipa «Quante volte dovrò ancora ricordare agli altri popoli che sono uno Stregone!»

«Non riesco a crederci» disse Thorin, stupefatto «Ci vedi sempre?»

«Non passo molto tempo in un singolo luogo, di regola, e quindi non rimango mai a lungo nelle terre in cui lo spirito di un Nano potrebbe indugiare» disse Gandalf, allungando le gambe e accendendo la pipa. Fece un anello di fumo. «E no, non sempre, per rispondere alla tua domanda. È una questione di percezione, e cose simili hanno bisogno di concentrazione. A volte potrei guardare un Nano e sapere che lui o lei non è più nel mondo dei viventi. Non li conosco sempre, ovviamente. Di certo non bene quanto conoscevo te.»

«A volte mi chiedo se uno di noi mi avesse mai conosciuto davvero» disse Thorin cupo, e si sedette su una sedia «Non riesco a crederci. Gli Stregoni mi vedono.»

«Tutti noi che un tempo eravamo servitori dei poteri più grandi abbiamo ancora alcuni dei nostri doni» disse Gandalf, alzando un sopracciglio cespuglioso «E non tutti noi siamo amichevoli.»

«Non sapevo che tu lo fossi» ribatté Thorin, e Gandalf ridacchiò.

«Oh sì, Mastro Scudodiquercia. Rispetto ad altri, sono davvero piuttosto amichevole. O almeno provo ad essere un amico.»

«Ti suggerirei di fare un po' più di pratica» ringhiò Thorin.

«Forse, mio caro ragazzo, forse» Gandalf fece un altro anello di fumo, e poi fissò Thorin col suo penetrante sguardo blu «Ed è per questo che sei qui, a guardare il piccolo spettacolino di Bilbo? Ti comporti da buon amico?»

I denti di Thorin si strinsero.

Gandalf sorrise. «Capisco. Come vanno le cose nelle Sale?»

«Come sempre, sono bellissime» disse Thorin frustrato «e senza immutabili, e piene di morti. Mi mancano i colori della Terra di Mezzo, e passo qui tutto il tempo che posso – che è molto, perché, ancora una volta; morto.»

«E hai intenzione di continuare ad osservare Bilbo?» Gandalf si piegò in avanti. Sembrava molto interessato alla risposta. Thorin esitò.

«Osserverò sempre Bilbo» disse infine «Ho un grande debito nei suoi confronti, un debito che non potrà mai essere ripagato. Mi prenderò cura di lui e lo terrò al sicuro.»

«Thorin, mio caro amico, come mi hai con molta irritazione fatto notare, sei morto! Cosa mai potresti fare?»

Il suo mento si alzò bruscamente. «Mahal mi ha concesso un dono. La mia vita è stata rovinata dall'ombra, la mia morte ingiusta. Non so quanti altri hanno ricevuto questo potere, ma io sono stato benedetto così. I viventi possono a volte sentirmi. Non chiaramente, e non sempre. Ma il loro subconscio può udire le mie parole.»

«Bene, bene» disse Gandalf, socchiudendo gli occhi e mordicchiando la pipa pensieroso «Mi chiedo perché Lord Aulë abbia fatto qualcosa del genere... può leggere i segni, e sa che il suo pupillo...» lo Stregone fissò le fiamme e iniziò a mormorare e borbottare sottovoce mentre pensava.

Thorin aspettò che il vecchio Stregone finisse. Quando non lo fece, lo lasciò disgustato. Forse sarebbe riuscito a raggiungere Bilbo prima che si allontanasse troppo.


Dís corse lungo il corridoio. Thorin incontrò gli occhi di suo padre, e insieme di affrettarono a seguirla. Poteva sentire Frerin, Frís e Thrór che seguivano poco dietro.

Lei spalancò le porte della sala delle udienze ed entrò, le sue pesanti gonne che si trascinavano dietro di lei e i suoi capelli grigi che volavano. «Dáin!» urlò, e il Re si voltò verso di lei «Dáin!»

«Dís, cosa...» iniziò lui, ma lei scosse la testa.

«C'è uno straniero ai Cancelli»

Lui esitò. «Non uno dei Bizarûnh

Lei fece un suono brusco dal fondo della gola. «Ha un messaggio.»

Dáin aggrottò le sopracciglia, e poi sembrò riconoscere la paura che danzava negli occhi di Dís. «Un messaggio da dove

Lei deglutì, il suo petto si alzava e si abbassava veloce. «Mordor.»

Thráin boccheggiò e barcollò. La mano di Thorin si mosse veloce, e insieme lui e Frerin sorressero loro padre.

La faccia di Dáin, vecchia e rugosa ma ancora piena di forza, sbiancò drammaticamente. «Mordor!» ripeté in stupore e paura «Ma Mordor non è un Regno! L'oscurità si raccoglie nelle piane del Gorgoroth, vero, ma il Signore di quelle terre cadde tre dannati millenni fa!»

«E lui dice Mordor» La Dama Dís, Primo Consigliere del Re, alzò il capo. La sua bocca era sottile e il suo volto preoccupato, ma lei stette alta ed orgogliosa. «Può essere? Può quel male vissuto un tempo vivere ancora?»

Con un lungo, tremante respiro, Dáin la guardò direttamente negli occhi. «Ho dei rapporti dalle terre del Sud» fu tutto ciò che disse, e Dís lanciò un gutturale urlo di orrore.

«Eru ci salvi, Mahal ci protegga» sussurrò. La sua voce cristallina era spezzata dalla paura.

«Devo incontrarlo» Dáin si fece forza e serrò gli occhi per un secondo, prima di raddrizzare il suo vecchio corpo «Che genere di messaggio?»

«Parlerà solo col Re» disse lei, e le sue mani si serrarono più volte ai suoi fianchi «Veste di nero e cavalca un cavallo nero. È alto come gli uomini, e parla con una voce maschile, anche se sibila come una serpe. Questo è tutto ciò che so.»

Thráin iniziò a tremare. «Cugino, non andare da lui» supplicò «Le menzogne del Nemico – non puoi nemmeno immaginare il loro terrore! Mi hanno spezzato, Dáin – ha mentito, e mi ha spezzato!»

«Shhh, 'adad» disse Thorin, e fece passare la mano lungo l'avambraccio di Thráin «Madre, Nonno...» Frís e Thrór annuirono debolmente.

«Ci prenderemo cura di lui» disse Frís piano, e prese la mano di suo marito «Vieni qui, Thráin amore. Non può ritornare. La follia non può toccarti mai più.»

Thráin rabbrividì e lanciò un'occhiata veloce a Thorin. «Troverò la tua Compagnia.»

Thorin annuì, e poi si voltò verso Frerin. «Trova i ragazzi.»

Frerin annuì.

Guardando nuovamente Dís e Dáin, Thorin strinse la mascella. «Rimarrò qui?»

«Aye» disse Thrór, e posò un braccio consolatorio attorno alle spalle di Thráin «Ci incontriamo nella mia forgia. Portaci tutte le notizie che puoi.»

«Portatelo via da qui» gli disse Thorin, prima di riportare la sua attenzione a Dáin e Dís. Intorno a lui, la sua famiglia svanì, sparendo nello sfondo mentre il Gimlîn-zâram li reclamava.

«...giù da lui» stava dicendo Dáin, i suoi occhi freddi e irati «Non sarei così idiota.»

«Non puoi nemmeno rifiutarlo» disse Dís brusca «I servitori di Mordor non accettano un no come risposta!»

«Fermalo» disse Thorin, e sia sua sorella che suo cugino fecero una pausa «Fermalo! Compra del tempo ad Erebor. Dobbiamo cercare aiuto!»

«Beh, prima dovremmo vedere cosa vuole» disse Dáin, e raccolse la corona e se la mise sulla spettinata testa bianca. Quando toccò i suoi i suoi capelli, Dáin sembrò piegarsi sotto il suo peso prima di raddrizzarsi nuovamente «Gli parlerò dal parapetto meridionale.»

Il cuore di Thorin affondò. Sarebbe mai riuscito a sfuggire a quell'orribile, maledetto parapetto? Lì aveva spiato un drago, e lì aveva alzato la mano contro uno Hobbit. Ora avrebbe guardato suo cugino che vi affrontava un messaggero del Nemico di tutta la gente libera.

Glóin era già in piedi sui bastioni, i suoi occhi senza perdono e la sua armatura scintillante. Dwalin era in piedi dietro di lui, e il suo volto era cupo e duro. Il Principe Thorin Elminpietra, un Nano dal profilo Durin, il collo spesso e lunghi capelli neri sciolti, annuì quando vide suo padre e il Primo Consigliere che arrivavano. Il vento era aspro sul versante meridionale della Montagna, e la magnifica barba bianca di Dáin era tirata dalle sue dita ghiacciate mentre lui andava fino al parapetto e si affacciava. «Messaggero» disse brusco «Sono Dáin, secondo del mio nome, chiamato Piediferro, figlio di Náin e Re Sotto la Montagna. Qual'è il tuo messaggio?»

«Re Dáin» disse il messaggero con un inchino. La sua voce sibilava e raspava, e Thorin rabbrividì al suono. «Ti porto saluti dal Signore Sauron il Grande.»

«Non ho alcun bisogno di saluti» disse Dáin.

«Attento» mormorò Dís.

«Sei saggio, Signore» disse il messaggero nella sua voce sibilante.

«Saggio o no, sono occupato» disse Dáin bruscamente «Dì ciò che devi, messaggero!»

«Il mio Signora Sauron il Generoso desidera la tua amicizia, o Re Sotto la Montagna!» disse il messaggero. Il suo cavallo sbuffò e ruotò i suoi occhi rossi. «Sei un grande Signore dei Nani e hai reso il tuo Regno potente e sicuro in solo alcuni miseri anni. Insieme potremmo fare un'alleanza per assicurarci che sopravviva in pace e prosperità per tutti i tempi a venire!»

«E quale sarebbe il prezzo di tale amicizia?» sputò Dís, e Dáin scosse la testa. Lei si calmò, ma i suoi occhi brillavano.

«Non parliamo al Consigliere del Re, Signora, ma al Re in persona» disse il messaggero «E al Re diciamo: quell'amicizia non ti costerebbe nulla. Saremmo amici per tutti i tempi, portando ricchezza e guadagno a entrambi i nostri popoli. Tutto ciò che il mio signore desidera è un pegno della tua buona volontà.»

«Che pegno?» chiese Dáin sospettoso.

«Una sciocchezzuola, mio Signore. E in cambio, Sauron il Signore dei Doni vi darebbe tesori tali che ti renderebbero l'invidia di tutti i tuoi antenati. Anelli del Potere donerà, come nei giorni antichi.»

Mentre il battito del cuore di Thorin gli rimbombava nelle orecchie e l'ira iniziava ad alzarsi nel stomaco, fu colpito dal pensiero che era molto meglio che suo padre se ne fosse già andato.

«Una sciocchezzuola del genere deve essere davvero preziosa, per guadagnarsi una ricompensa tale» disse Dáin, il suo tono cautamente privo di emozioni «Ti chiedo ancora, cos'è questo pegno?»

«Desideriamo tutto ciò che sai, o grande Re, a proposito degli Hobbit»

Il sangue di Thorin si congelò.

Dáin rimase immobile come la pietra, e il suo volto rugoso senza espressioni mentre il messaggero continuava. «Il mio padrone vorrebbe avere tutto ciò che sai su di loro; dove vivono, cosa sono, e così via. Perché Sauron sa che un tempo voi ne conoscevate uno.»

Bilbo.

«Non dirgli nulla!» urlò Thorin, e scattò verso Dáin per afferrargli il mantello di pelliccia che indossava. Le sue mani vi passarono direttamente attraverso, e lui lanciò indietro la testa e ruggì: «Non dirgli nulla riguardo a Bilbo! Non osare!»

Dáin rimase in silenzio, e il volto di Dís era preoccupato.

Thorin ansimava, tremando per lo shock e la rabbia. Le sue mani stavano tremando. Il suo volto sembrava debole e insensibile quando cadde in ginocchio sul freddo parapetto di pietra.

«Sauron chiede questo come piccolo pegno della vostra amicizia» disse il messaggero, la sua voce che cambiava pericolosamente «Trovate il ladro e prendetegli volente o nolente un piccolo anello, il minore degli anelli, che egli rubò un giorno. È un gingillo che piace a Sauron, e sarebbe un buon modo di dimostrare la vostra buona volontà. Trovatelo, e i tre anelli che i Signori dei Nani possedevano anticamente saranno nuovamente vostri, ed il Reame di Moria tornerà a voi per sempre. Trovate anche solo notizie del ladro, se vive ancora e dove, e sarete grandemente ricompensati dal Signore, e riceverete eterna riconoscenza. Rifiutate, e le cose non si metteranno bene. Rifiutate?»

Dáin rimase in silenzio.

«No» riuscì a dire Thorin «Dáin. Bilbo ha salvato il nostro Regno. Bilbo ci ha ridato la nostra casa – la casa che non hai fatto altro che proteggere! Non possiamo rispondere a ciò con un tradimento simile! Siamo Nani d'onore!»

Dáin rabbrividì. «La mia risposta non è un sì né un no. Devo riflettere sul tuo messaggio e su ciò che implica dietro le belle apparenze.»

«Rifletti bene, ma non troppo a lungo» disse il messaggero «Ritornerò tre volte per ascoltare la tua risposta.»

«Il tempo del mio pensiero è libero, e sono libero di impiegarne quanto voglio» ritorse Dáin.

«Per ora» sussurrò il messaggero, e girò il suo cavallo e si allontanò verso la foresta.

Thorin fissò suo cugino e sua sorella, la sua bocca secca e spalancata e le sue mani aperte dinnanzi a sé. «Dáin» iniziò a dire, e poi strinse i denti per impedirgli di tremare.

Dís si avvicinò al Re. «E ora?» chiese con una voce bassa.

«Tornerà» disse Dáin duro «E ripeterà la sua offerta.»

«Vuole Bilbo» disse Glóin «Perché l'Occhio di Mordor vorrebbe Bilbo Baggins?»

«Un piccolo anello – il minore degli anelli» mormorò Thorin, e il suo battito di bloccò improvvisamente. Dopo il rimbombare assordante nelle orecchie, il silenzio improvviso era scioccante.

«Volere non è avere» ringhiò Dwalin «Siamo Nani d'onore. Non ripaghiamo chi ci ha aiutato con inganno e tradimento. Non trattiamo così i nostri amici!»

La testa di Thorin si alzò di scatto, e guardò il suo più caro amico con sorpresa e speranza nascente.

«Moria, cosa voleva dire con Moria» mormorò Glóin, e il respiro di Thorin gli sfuggì con un soffio «Balin e Óin hanno riconquistato Moria, non può...»

«Il potere che è rientrato e Mordor non è cambiato» disse Dáin, voltandosi verso di loro. I suoi occhi erano infiammati da rabbia e paura. «Ancora menzogne su menzogne! Signore dei Doni si fa chiamare. Aye, e tutti avvelenati! Non ci siamo mai fidati di loro, non lo faremo mai, e i loro doni ci hanno tradito in passato. Non saremo più così ingenui.»

«Cosa dovremmo fare?» disse l'Elminpietra, le sue braccia tese dall'impazienza.

«Tu, ragazzo mio, non vai da nessuna parte, quindi smettila di pensarci. Ci servi come Ambasciatore con la gente di Dale. Devono essere con noi su questo e tu sei il Principe Ereditario, quindi inizia a comportarti come tale» disse Dáin secco. L'Elminpietra si afflosciò. «Ci serve aiuto. Ci serve consiglio.»

Consiglio. La parola gli stuzzicò la memoria. Consiglio. «Lord Elrond» disse Thorin ad alta voce.

«Lord Elrond» fece eco Glóin, e poi tentò di guardarsi la propria bocca in sorpresa.

«Un Elfo!» sbuffò Dwalin, ma Dáin incontrò lo sguardo di Dís, e poi alzò una mano.

«Aspetta, non è una cattiva idea» disse «Mandiamo un giovane guerriero coraggioso da Lord Elrond, prendiamo consiglio, e raccontiamo cosa sta succedendo a Bilbo Baggins allo stesso tempo. Vive lì ora, o sbaglio?»

«Aye» disse Dwalin «Ha lasciato la Contea sedici anni fa. Odio pensare a come il poveraccio avrà mangiato tutto questo tempo.»

«Molto bene» disse Dís, e raddrizzò le spalle «Chi mandiamo? Di chi ci possiamo fidare?»

Ci fu un silenzio assordante.

«Pa', non credi che potrei...»

«Thorin ragazzo mio, se non la smetti di pensarlo, ti farò compilare tutte le scartoffia da oggi al Giorno di Durin!» abbaiò Dáin.

«Mandate Gimli» disse Thorin in un sussurro. Ben presto aumentò fino ad essere un ruggito. «Gimli è l'unico di cui mi posso fidare. Mandate Gimli!»

«Ehi, che dite di Gimli?» Dwalin si girò verso Glóin, che sbiancò.

«Non offrire volontario il figlio di un altro così! Solo perché il tuo non è di età...»

Le sopracciglia di Dáin di alzarono. «Aspetta, Gimli è...»

«Ha centotrentotto anni, sì, ed è mio figlio!»

«Ed è il combattente d'ascia migliore negli ultimi due secoli...»

«Ahem»

«...a parte Dwalin, qui»

«Aye, ed è ancora mio figlio!»

Dís sembrava combattuta, le sue mani strette attorno alle pieghe della sua gonna. «Glóin» disse, e la riluttanza gocciolava da ogni sillaba «Glóin, penso che dovrà essere lui per forza.»

Glóin si voltò verso di lei, il suo volto violaceo. «È mio figlio!»

«Di chi altro ti fideresti per compiere questa missione?» disse Dwalin semplicemente «Chi altro è abbastanza bravo?»

Glóin esitò, e poi si accigliò. «Non ti vedo offrirti volontario.»

«E quando la guerra arriva ad Erebor? Cosa succede allora? E poi, ho quasi duecentocinquanta anni, Glóin» disse Dwalin, e alzò la testa verso la luce. Il diamante nell'occhio di vetro brillò, e ogni cicatrice risaltò contro la sua pelle tatuata e testa calva. Le sue braccia avevano ancora muscoli enormi ma la sua barba era diventata del colore del cielo d'inverno. Sorrise tristemente. «C'era un tempo in cui non sareste riusciti a fermarmi. Ora?» rise senza allegria.

Glóin fece una pausa, fissando il cugino disperatamente. «Mio figlio» disse debolmente «La mia stella» Dwalin gli appoggiò una mano enorme e pesante sulla spalla.

«Glóin, è pronto. Non ti ringrazierà per averlo lasciato indietro, non questa volta.»

«Aye» la bianca testa leonina si abbassò. Poi si rialzò di scatto. «Beh, allora andrò con lui. Almeno fino a Granburrone. Questo compito richiede un Signore dei Nani oltre che un guerriero. Il mio ragazzo è bravo, ma non è un diplomatico.»

Dáin disse seriamente: «Se ne sei certo. Questi non sono tempi sicuri per attraversare le Montagne Nebbiose.»

«Non esistono tempi sicuri per attraversare le Montagne Nebbiose» grugnì Dwalin «Mai pensato che l'avrei detto, ma mi piacerebbe che quel dannato Stregone fosse qui.»

«Glóin?» disse Dís «Cugino? Ne sei sicuro? Non sei più un giovane Nano.»

«Bilbo è stato mio amico per quasi ottant'anni» disse Glóin indignato, gonfiando la barba «Devo avvertirlo!» Poi tirò su col naso «E sono vent'anni più giovane del vegliardo qui.»

Dwalin ringhiò piano.

«Faremo così dunque» disse Dís con un sospiro, e guardò oltre ai bastioni dove il cavaliere era ancora visibile accanto agli alberi molto sotto di loro, prima di venire infine ingoiato dalla foresta.

Thorin ricadde a terra in sollievo, la testa fra le mani. «Oh, amici miei» ansimò «Oh, Gimli. Oh, Bilbo.»

Il giuramento di Thorin gli risuonava nelle orecchie. Mi prenderò cura di te. Farò la mia ammenda. Il suo battito saltò e corse nella sua gola. Poteva sentire le mani gelate del fato che si allungavano per schiacciarli tutti.

Il Grande Nemico, aveva detto Mahal, quasi ottant'anni prima. Colui che fece i Sette. Sauron il Grande, Gorthaur il Crudele, Annatar, Signore dei Doni, l'Aborrito, l'Ombra, l'Ingannatore, il Signore degli Anelli.

E voleva Bilbo.


Thorin arrivò a grandi passi nella forgia di suo nonno, gli occhi duri e infiammati. Il chiacchierio nervoso morì quando entrò, e Balin fece un passo avanti, il suo gentile volto bianco come gesso.

«Ragazzo, è vero?» disse «È il Nemico?»

Thorin lo guardò cupo, prima di annuire una volta. «Lo è.»

Balin lanciò un debole grido di orrore, seguito da Kíli, Nori e Bifur. Il volto sottile di Ori divenne molle dal terrore, e Frerin si morse forte il labbro.

«Dicci» disse Thrór, guardandolo «Cos'è successo dopo che noi... ce ne siamo andati?»

Thorin non guardò verso Thráin. «Hanno mandato via il messaggero senza risposta» disse, tenendo la voce calma quanto poteva «Manderanno una delegazione da Lord Elrond Mezzelfo di Granburrone, per chiedere la sua saggezza e avvisare Bilbo.»

«Bilbo!» esclamò Nori «Cosa vuole il Nemico dal nostro Hobbit?»

Thorin incrociò lo sguardo di Kíli. Il volto di suo nipote era toccato dalla paura, ma i suoi occhi erano pieni di compassione per suo zio. Thorin fece un respiro e si voltò. «Un piccolo anello» disse con la gola secca «Il minore degli anelli.»

«L'anello di Bilbo?» disse Fíli incredulo «Quella piccola cosa d'oro che lo faceva diventare invisibile?»

«Il messaggero ha chiesto tutto ciò che sappiamo sugli Hobbit, ma desidera molto quell'anello. Ha offerto tre Anelli del Potere in cambio» disse Thorin, raddrizzandosi per non tradire il suo tremito. Sia Thráin che Thrór fecero un brusco respiro.

«Tre!» disse Ori stupefatto «Tre dei Sette!»

«Uno dei quali lo prese dalla mia mano» disse Thráin, amarezza e rabbia e miseria scritte su ogni ruga del suo volto «L'Anello di Durin III, datogli da Celebrimbor in persona.»

«Non ci servono i suoi doni» sputò Thrór «Abbiamo visto come ripaga gli amici! È sempre stato un traditore.»

«Dáin, cosa dice Dáin?» Thráin si voltò verso Thorin, le sue mani enormi serrate «Lo tenteranno, lo sapevo.»

«Non ci serve un dannato anello del Potere» ringhiò Óin «Siamo Nani. Troviamo il nostro potere nella terra, non in qualche dannato traditore gioiellino fatto da un serpente nell'ombra!»

«Non capite!» Thráin ruggì, alzandosi in piedi «Hanno una volontà propria!»

«Aye, e anche noi!» anche Óin si alzò.

«Ma mahabhyùr rukhs katakhigeri» ringhiò Bifur, e tutti i Nani riuniti iniziarono a parlare nello stesso momento, le loro voci che si alzavano con la rabbia.

«'ikhuzh!» tuonò Thorin. Tutti loro si rimisero ai loro posti, anche se molte delle facce erano ancora macchiate dalla rabbia. «State litigando per nulla! 'Adad, Dáin non desidera gli Anelli. Come ha detto una volta, i Nani non dimenticano in fretta l'ingiustizia. Sono passati tremila anni da quando Durin IV scoprì il tradimento di Sauron, e in cambio marciammo con l'Ultima Alleanza e schiacciammo il potere di Mordor. Non perdoniamo, e non dimentichiamo. Non ci fidiamo più del Signore dei Doni.»

Thráin si afflosciò, chiudendo gli occhi. Frís e Frerin andarono da lui e gli presero le grandi mani, stringendole forte.

«Cosa ha detto il messaggero a questo?» chiese Hrera, i suoi occhi castani freddi.

«Nulla, perché Dáin non gli ha detto nulla» disse Thorin «Lo tengono in una situazione di stallo. Ritornerà ad Erebor per tre volte.»

«Anelli» disse Óin, tirandosi la barba «E cos'altro? Non può essere tutto.»

«L'amicizia del Signore Sauron» sputò Thorin, e Balin mormorò sottovoce.

«E se questa amicizia venisse negata, e Dáin non gli dicesse nulla del nostro Scassinatore?»

Thrór lo fissò con suo sguardo penetrante. «E a quel punto?»

Thorin alzò le mani. «Non ha fatto nessuna minaccia diretta. Ma l'intenzione era chiara. Se dopo la terza volta si rimarrà senza risposta, la guerra sarà su di loro.»

Balin si accigliò. «Perché il nostro Scassinatore?» si chiese «Perché quel piccolo anello?»

«Perché non volere un anello che ti fa diventare invisibile?» Nori alzò le spalle «Fa molto comodo, quello.»

«Perché il Signore Sauron, che decisamente non è un ladruncolo o un teppista come te, desidererebbe il piccolo gingillo dorato di Bilbo?» disse Balin a malapena nascondendo l'esasperazione.

Nori alzò gli occhi al cielo. «Chiediamo alla biblioteca che cammina. Ori?»

Ori annuì e si schiarì la gola a disagio. «Beh, non è un Anello del Potere – non ha pietra o simboli. Tutti i libri dicono che avevano pietre e rune.»

«Le avevano» disse Thrór brevemente, e poggiò la mano sulla spalla di Thráin. Thráin grugnì.

«Il messaggero nero tornerà, e presto» disse Thorin, e le sue mani si serrarono sul tavolo «È un viaggio di cinque mesi da Granburrone a Erebor.»

«Chi manda Dáin?» chiese Thráin con un voce rasposa ed esitante.

Thorin lanciò un'occhiata a Óin. «Vanno Glóin e Gimli, insieme a tutti coloro che vorranno unirsi a loro.»

Óin scattò nuovamente in piedi. «Mio fratello, e mio nipote, attraverseranno le Montagne Nebbiose contro la volontà di Sauron?!» ruggì, e Nori e Bifur scattarono ad afferrare le braccia del guaritore, tenendolo fermo «Hai suggerito tu questo, Thorin?»

Lui rimase dov'era. «L'ho fatto.»

«Tu...!» gli occhi di Óin si gonfiarono, e Balin annuì pensieroso.

«Gimli è la scelta migliore» guardò Thorin con un'espressione furba «È un onesto, coraggioso e potente guerriero. Sarà la scelta migliore per proteggere Bilbo.»

«Il Nemico può raggiungere Bilbo a Granburrone?» esclamò Kíli. Balin scosse il capo.

«Nay, ragazzo. Lord Elrond tiene la vallata al sicuro. Non sono sicuro del come, ma è protetta da tutti i mali. È risaputo da secoli.»

«Non riesco a credere che stiamo andando dagli Elfi in cerca d'aiuto» borbottò Nori. Bifur sbuffò per dimostrare che concordava.

«Perché Glóin?» disse Óin, la sua espressione disperata «Perché la mia famiglia?»

«Gimli per la sicurezza di Bilbo, e Glóin per quella di Erebor» disse Thorin cupo «È un ambasciatore migliore di qualunque altro. È un Signore dei Nani e un Durin, ed è più calmo dell'Elminpietra e più giovane di Dwalin o Dís. E poi, per quanto forte sia Gimli, non è un diplomatico.»

«Gimli, però?» disse Frís, arricciando il naso «Il piccolo Gimli?»

Per la loro sorpresa, sia Ori che Nori risero. «Piccolo!?» sputacchiò Ori.

«Penso che sarai sorpresa, Nonna» disse Fíli divertito «Gimli è robusto quanto Thorin, forte quanto Dori, ha una barba nella quale potresti perdere un topo di campagna, ed è in grado di usare un'ascia da battaglia a lama doppia con solo una mano.»

Frís batté le ciglia. «Capisco.»

«Gimli proteggerà Bilbo» disse Thorin, e un brivido gli corse lungo la schiena «È l'unico di cui mi fido per un compito simile, dato che non posso farlo io stesso.»

«E ti sente meglio di chiunque altro nel mondo dei viventi» notò Fíli.

Thorin annuì. «Sì. Mi sente bene.»

«Ci sarà davvero la guerra, pensi?» disse Kíli, i suoi occhi sbarrati. Thorin deglutì attraverso una gola stretta e dolorosa.

«Temo di sì» mormorò «La guerra arriverà ad Erebor.»

Balin sospirò gravemente. «Di nuovo. Due volte in una generazione. Questi sono tempi malvagi amici miei.»

«È così, dunque?» disse Frerin, suonando molto, molto giovane. La mano di Thráin si strinse sulla sua.

«Non solo Erebor» disse Frís, i suoi occhi intelligenti sul volto di Thorin «Non solo Erebor. Il Nemico non sarà mai soddisfatto da un piccolo angolo di Arda. Questa è la guerra che coprirà le terre di oscurità. Mordor tornerà.»

Il petto di Thorin si alzò e si abbassò mentre tentava di calmare il proprio respiro. Poi disse: «La guerra che è iniziata tanto tempo fa sta arrivando. La guerra per la Terra di Mezzo.»

«Beh, è una buona cosa che siamo al sicuro dentro Aman» commentò Nori, e venne silenziato dal gomito di Ori.

«Sauron vuole Bilbo» disse Thorin, e le parole gli si bloccarono in gola e lo soffocarono per un momento «Non posso lasciare che succeda. Ho giurato di proteggere lui e tutto ciò che ama. Non posso fallire.»

«Dushel tasatizd bâhûn» mormorò Bifur «Il nostro piccolo Scassinatore.»

Thrór si alzò. Andò fino a Thorin in silenzio, i suoi occhi penetranti e severi. Thorin venne colpito dal ricordo del suo potente nonno, Thrór figlio di Dáin, Re Sotto la Montagna, ricchezze che gli ricadevano dalle dita e dalla barba e la corona sul capo; maestoso, saggio e magnifico.

Con un sobbalzo improvviso Thorin si rese conto che aveva preso diretto controllo della riunione. Nonostante tutto ciò che diceva sul fatto di abbandonare la guida e il comando, con due Signori dei Nani e due veri Re davanti a lui, aveva preso il controllo come se fosse stata la cosa più naturale di tutte.

Thorin abbassò gli occhi mentre Thrór di avvicinava, e Thrór alzò il mento di Thorin con la mano.

«Tuo padre mi ha detto» disse piano «È questo, non è così? Quello che il Cavaliere vuole.»

Thorin annuì una volta, e poi lasciò che i suoi occhi si abbassassero nuovamente.

«Vuoi dire che lo sa?» sentì vagamente Ori che sussurrava, solo per essere azzittito da Fíli.

Thrór inclinò la sua testa regale, pensando. Poi pizzicò il mento dalla barba corta di Thorin con dita gentili. «Perché, ragazzo mio?»

«Ho un debito con lui» disse Thorin, la voce bassa «Devo tutto a Bilbo Baggins. Gli ho portato via così tanto, nonno. Ho rubato la sua pace e la sua tranquillità e la sua sicurezza e la sua soddisfazione, e in cambio lui mi ha aiutato a guadagnare il desiderio del mio cuore e a reclamare la mia casa. E... e io fui cieco a tutto ciò che avremmo potuto essere, e lui è rimasto da solo sin da allora. Non potrò mai ripagare il debito che ho con lui.»

«Ma uno Hobbit?»

Thorin esplose. «Sì, uno Hobbit, un ottimo, coraggioso, leale Hobbit! E un Hobbit non è una brutta cosa da essere!»

Thrór sorrise debolmente. «Beh, ognuno ha i propri gusti, nipote. Comunque, faremo tutto ciò che possiamo. Non lasceremo che nessuno faccia del male al tuo Mezzuomo o a qualunque cosa gli è cara. Guarderemo con te.»

«Guarderemo con te» disse Balin, e si alzò, raddrizzando le spalle.

«Se voi pensate che lascerò mio nipote alle cure di voi miserabili, vi sbagliate alle grande!» dichiarò Óin.

Frís si alzò, il suo viso risoluto e i suoi occhi fissi su Thorin. «Figlio mio» disse «Ti seguiremo. Guarderemo e faremo rapporto, e il tuo dono può fare il resto.»

«Te l'ho detto» disse Thráin ruvido, alzandosi in piedi accanto a sua moglie «Siamo qui se hai bisogno di noi, ragazzo.»

«Beh, avrete bisogno di noi» disse Fíli con un cenno testardo del mento, e Kíli annuì in fretta.

«Avrete decisamente bisogno di noi» dichiarò.

«Ra shândabi!» Bifur si tirò uno schiaffo sulle gambe e poi alzò un pugno, colpendo l'aria.

«Beh, non stavo facendo nulla di importante suppongo» disse Ori, e il sopracciglio di Nori si alzò.

«Ori... siamo morti»

«Quel Gimli è un bravo guerriero, ma ha bisogno di qualcuno che gli ricordi di pettinarsi i capelli e le trecce più di una volta al mese» dichiarò Hrera.

Anche Frerin si alzò e lanciò un braccio attorno alle spalle di Thorin. «Va bene, fratellone» disse «Ci siamo tutti.»

Thorin guardò i suoi amici e la sua famiglia, Signori dei Nani e Re e minatori e ambulanti e ladri, e sentì l'antico acciaio che gli rientrava nell'anima. Aveva abbandonato il comando, ma eccolo nuovamente tra le sue mani. Così sia. Era un guerriero e un generale, e la più grande guerra che Arda avesse visto in tremila anni si avvicinava. Poteva sentire il fuoco che gli bruciava negli occhi per la prima volta in settantasei anni.

Tenendosi alto, sentì il mantello della Regalità attorno alle spalle come mai aveva fatto in vita.

«Dunque iniziamo» disse, e i volti della sua gente brillavano dinnanzi a lui «Per Erebor, e Bilbo.»

Un ruggito gli rispose: «Per Erebor, e Bilbo!»

TBC...

Note:

Alcune parole sono state prese direttamente da “La Compagnia Dell'Anello”: al capitolo “Il Consiglio di Elrond”

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Incontra una Nana

Barís figlia di Alrís

Nata nel 2883 TE, Barís è un'allegra ragazza estroversa che ama vedere felici le persone più di ogni altra cosa. Ha capelli castani e occhi azzurri piuttosto privi di nota, ma un bellissimo e luminoso sorriso. È molto vicina a suo zio Bofur e può essere spesso trovata a scherzare o cantare vicino a dove sia lui. È la migliore amica di Gimrís, figlia di Mizim, che ha solo tre anni più di lei. Barís è campionessa nel domare bambini e come babysitter, grazie al fatto di essere la maggiore di dodici. Le piacciono molto i pony e la musica, e vorrebbe imparare a suonare il flauto e la viola. Sa già suonare il guiterne e la ciaramella, e mostra un vero talento per il violino. Il suo grande dono è, però, la sua voce. Barís ha la voce migliore che sia uscita da Erebor in secoli, con un'estensione vocale di tre ottave e mezza, un'intonazione pura e una flessibilità superlativa. Più avanti nella vita diventerà famosa come Barís Linguacristallina.


«Dannati Elfi»

«Sta zitto, Óin, non riesco a vedere!»

«Perché vorresti?» Óin incrociò le braccia e rimase fermo, irritato. Gli Elfi intorno a loro svolazzarono, graziosi e sereni e remoti. «Tutto ciò che puoi vedere sono altri maledetti Elfi.»

Thorin, Balin, Óin, Ori, Nori, Fíli, Kíli e Thráin erano in piedi dietro al cerchio di sedie, ascoltando con attenzione. Vedere Bilbo a questo grande incontro aveva stretto dolorosamente il cuore di Thorin. I capelli di Bilbo erano diventati bianchi, e il suo volto stava infine mostrando i segni della sua veneranda età. Si muoveva lentamente, e parlava ben poco. La maggior parte delle parole veniva da Gandalf (che o ignorava la Compagnia o non si era reso conto della loro presenza) e da Lord Elrond (il compiaciuto, presuntuoso imbecille Elfico). Sia Bilbo che Frodo sembravano terribilmente piccoli in questo consiglio di popoli liberi e grandi signori, e Thorin voleva ringhiare a tutti quei dannati Elfi (e specialmente a quell'Uomo arrogante) che li guardavano e poi si voltavano con aria di superiorità.

Gimli sembrava molto a disagio, il suo volto duro e irritato. L'espressione di Glóin era cupa e calma, anche se il cucciolo di Thranduil era seduto a solo qualche posto di distanza. Erano entrambi vestiti nei loro abiti formali – i fermagli d'oro che gli adornavano la barba e i capelli sciolti. Thorin notò distrattamente che Gimli, ancora una volta, si era scordato di pettinare i propri.

Per prima cosa Glóin portò le notizie dalla Montagna. Gandalf mormorò pensoso e i suoi occhi si strinsero sotto alle sopracciglia cespugliose. Thorin aspettò con impazienza, ma nessuno nel Consiglio aveva nulla di utile da dire.

«Erebor vedrà la guerra» sospirò a se stesso.

«Sarebbe sempre successo» disse Balin cupo «Non si poteva evitare.»

«Avevo sperato che qualcuno di questi gran Signori ci potesse dare speranza» disse Thráin, guardando gli Elfi con sospetto «Troppo da chiedere a un branco di mangia-erba. Avrei dovuto saperlo.»

«Due volte in una generazione» borbottò Óin «Giorni cupi davvero.»

«Eh, scusatemi, state zitti per favore!» sibilò Ori «Stanno parlando dei giorni antichi!»

«Che giorni antichi?» Fíli allungò il collo «Óin, abbassati, non vedo niente!»

«Allora muoviti! Sto bene dove sono»

«Chi è Isildur?» chiese Kíli, aggrottando le sopracciglia.

«Un Re degli Uomini, un Numenoreano» disse Ori irritato «Non sai proprio nulla?»

Nori ridacchiò.

«Oh, e tu sei così intelligente» disse Kíli, potando in fuori il mento trasandato «Quindi quand'è vissuto?»

«Alla fine della Seconda Era, e all'inizio della Terza, sciocco» esclamò Ori «Era uno degli Uomini che crearono i Regni di Gondor e Arnor.»

«Arnor?» Fíli alzò un sopracciglio «Cos'è Arnor?»

«Non riesco a credere a voi due!» ringhiò Balin «Vi siete scordati tutto quello che vi ho insegnato!»

«Incluso come stare zitti!» disse Thráin, e alla vista del volto seccato del nonno, entrambi i Principi si azzittirono.

Si parlò a lungo degli Anelli del Potere, e Thorin permise alla sua mente di fantasticare. Lasciò che il suo sguardo andasse a Bilbo. Il vecchio Hobbit era avvolto in uno scialle, e sembrava così piccolo e simile ad una bambola nella sedia Elfica troppo grande.

«Quindi cos'è Arnor?»

«State zitti!»

«Porta l'Anello, Frodo» disse Elrond, interrompendo i pensieri di Thorin, e voltò la testa per fissare il giovane. L'anello di Bilbo, quella cosetta innocua, cadde sul piedistallo con un suono sproporzionatamente forte. Lo guardò, e poi guardò Frodo, che stava tornando al suo posto con un enorme sospiro di sollievo.

«Quindi è vero!» disse l'Uomo alto, i suoi occhi fissi sull'anello.

E poi la prole di Thranduil mormorò: «L'Anello di Sauron – l'Anello del Potere!» e Thorin si sentì le ginocchia mancare.

L'Uomo stava ancora parlando, ma Thorin poteva a malapena sentirlo.

Questo non era uno dei gingilli minori sparsi per il mondo. Questa cosetta che Bilbo aveva portato per quasi sessant'anni era l'Anello di Sauron, l'anello più potente, l'Anello.

Attraverso il ronzio acuto nelle sue orecchie, gli venne il pensiero che non c'era da stupirsi se il messaggero nero desiderava tanto Bilbo.

L'altro Uomo, cupo e trasandato, vestito in abiti Elfici, fu rivelato come l'Erede di questo o quell'altro. Thorin poteva a malapena importarsene, ancora stupefatto e confuso all'idea di ciò che il suo Hobbit aveva beatamente portato e usato per così tanto – per evitare i visitatori indesiderati, fra tutte le cose!

Si voltò nuovamente verso il suo Hobbit, vecchio e artritico, e capì ciò che esso aveva fatto. Aveva prolungato la vita di Bilbo. Centoventisette era un'età esorbitante per uno Hobbit, e nonostante ciò Bilbo aveva iniziato a mostrare i segni del tempo solo quando aveva lasciato Hobbiville, e l'Anello.

L'Anello.

«Ho sentito correttamente?» chiese Balin incredulo.

«Il Flagello di Isildur» sussurrò Ori «Oh dolce potente Mahal, dai loro la forza.»

Thráin ringhiò sottovoce, spostando il peso da un piede all'altro e aprendo e chiudendo i pugni. Le sue spalle erano tese da violenza a malapena repressa.

«Distruggetelo» mormorò Thorin «Questa cosa orrenda... è sporca – deve essere distrutta!»

«E allora, che stiamo aspettando?» ringhiò Gimli, e alzò l'ascia da battaglia a doppia lama di suo padre.

Con un urlo selvaggio scattò in avanti e abbassò l'ascia con un colpo di cui Dwalin sarebbe stato orgoglioso. Il respiro di Thorin si bloccò quando Gimli fu scagliato all'indietro e un tintinnio metallico risuonò nell'aria, sussurrando e ridendo.

«Sta bene?» disse Óin ansiosamente «Sta bene?»

Gimli si tirò su sui gomiti e scosse la testa per chiarirsi le idee. L'ascia di suo padre era in mille pezzi.

«Sì, l'idiota sta bene» disse Nori «Non si può dire lo stesso della vecchia ascia di Glóin, però.»

«L'Anello non può essere distrutto qui, Gimli figlio di Glóin» disse Elrond. Thorin lanciò un'occhiata al maledetto Elfo. Nessun capello fuori posto, nemmeno una scintilla di preoccupazione, come se Gimli non avesse appena rischiato molto per liberarsi della cosa. «L'Anello fu creato nei fuochi del Monte Fato, e solo lì può essere distrutto.»

Il primo Uomo – Boromir – iniziò a spiegare (con pazienza ammirabile, pensò Thorin) perché ciò era follia. Mordor non era un luogo in cui degli Hobbit potessero andare a fare una gita. Thorin ascoltò con metà orecchio e guardò con attenzione mentre Gimli si tirava in piedi e si raddrizzava. Sembrava non aver sofferto di alcun danno permanente.

Poi ovviamente, il maledetto figlio di Thranduil doveva dire la sua. «Non hai sentito nulla di ciò che ha detto Lord Elrond? L'Anello deve essere distrutto!»

«Oh, ora vuoi aiutare!» ringhiò Thorin, voltandosi verso di lui. Il suo sangue stava ribollendo. Bilbo aveva portato l'Anello; l'Anello aveva toccato il suo Hobbit, l'aveva alterato; era strisciato nascosto da Elfi e ragni e perfino un drago con l'aiuto di quella sporca, malvagia... La sua rabbia cercava una via d'uscita. Ne trovò una. «Intendi mantenere la tua parola? O ti volterai ancora? Voi Elfi con le vostre false promesse e false amicizie... non ci si può fidare di voi per questo!»

«E suppongo sarai tu a farlo!» Gimli scattò in piedi, la sua faccia furibonda. La stanza eruttò, e Balin sospirò, facendo ricadere la testa fra le mani.

«Bene, ci siamo riusciti» borbottò «Thorin, ragazzo, potresti voler fare qualcosa per questi tuoi scatti di rabbia. Diciamo, forse imparare a contenerli?»

«Sarò morto prima di vedere l'Anello tra le mani di un Elfo!»

L'Elfo alzò un sopracciglio elegante. «Davvero? Allora posso offrirti la mia assistenza, Mastro Nano?»

La testa di Gimli si abbassò, e le sua enormi spalle da toro si tesero dall'impazienza. «Ha! Non potresti atterrarmi nemmeno se ci provassi, rametto pelle e ossa. Non ne hai la forza. Non riusciresti a portare questa cosa per mezzo miglio!»

L'Elfo squadrò il Nano dall'alto in basso, guardando giù freddamente. «Farei meglio di una talpa avida e avara, dalla testa di pietra e dal cuore di pietra» ringhiò.

«Cuore di pietra?» esclamò Gimli «Meglio di senza fede! Mai fidarsi di un Elfo! Ti prometteranno amicizia, e poi ti si rivolteranno contro! Belle parole nascondono cattive intenzioni. Ti conosco, Elfo dei Boschi, e la tua razza infima!»

«Oh, sta andando benone» borbottò Glóin con sarcasmo, affondando nella sedia e coprendosi gli occhi.

Questo Elfo non era impassibile quanto Thranduil, e il suo volto divenne furioso. «Un Nano prenderebbe questa cosa e la terrebbe per sé! L'oro è tutto ciò che amate, o mi sbaglio? L'avarizia è tutto ciò che conoscete, piccolo scava roccia. Non mi sorprende che ti sembri naturale.»

«Belle parole dal figlio di colui che venne armato fuori dai nostri cancelli, richiedendo i tesori della nostra gente sotto assedio – senza una parola si scuse per l'imprigionamento di mio padre!» ruggì Gimli.

«» urlò Bifur.

«Thorin, penso che le cose stiano andando fuori controllo...» mormorò Ori.

«Elfo traditore!»

«Nano avido!»

«Mangia erba bugiardi!»

«Sporchi amanti delle rocce!»

Il rumore stava diventando assordante, e Thorin si voltò per vedere gli occhi di Gandalf su di sé. Il vecchio Stregone sembrava profondamente deluso – e spaventato. «L'Anello» disse gravemente, e Thorin in qualche modo fu in grado di sentirlo al di sopra del ruggito «Ride di questa discordia. Il Nemico si delizia della nostra malafede, Thorin figlio di Thráin. Ama il nostro orgoglio e il nostro conflitto. Aumenta solo i suoi guadagni.»

Thorin lo fissò, e i sussurri malvagi nell'aria si mischiarono col frastuono finché non fu più in grado di distinguere i singoli suoni.

«Lo porterò io!»

La voce limpida risuonò sopra al clamore, e Thorin batté le ciglia.

«Lo porterò io!»

Frodo stava avanzando nella confusione di tutta la Gente Alta che litigava, il suo volto pallido e spaventato, ma determinato. «Porterò io l'Anello a Mordor!»

Tutto fu silente, e i volti si girarono verso lo Hobbit in sorpresa.

Il silenzio improvviso pareva una lunga esalazione, e Thorin lanciò uno sguardo a Gimli. Era in piedi con le labbra separate, e sembrava che in qualche misura si vergognasse di se stesso.

Thorin fece una smorfia. Non era stato un inizio auspicabile. «Mi dispiace, azaghîth» mormorò.

Le spalle di Gimli si rilassarono, e lui alzò il mento. «Non è stato il mio momento migliore» si disse.

«Nemmeno il mio» disse Thorin, e sorrise tristemente alla sua stella «L'orgoglio è sempre stato la mia maggiore debolezza. Impara da me, e non lasciare che sia la tua.»

«Però...» stava dicendo Frodo, e i suoi occhi blu erano larghi e spaventati «Non conosco la strada...»

«Oh mio buon Creatore» disse Kíli tutto d'un fiato, e afferrò la giacca di Fíli «È così piccolo, non è piccolo? Così piccolo e coraggioso!»

«È più alto di Bilbo» fece notare Fíli, cercando di staccare le dita di Kíli.

«È più piccolo di me!» disse Kíli sulla difensiva.

«Io lascio perdere con te» sospirò Fíli, e permise a Kíli di continuare a strizzargli ed afferrargli il braccio.

Thorin vide il volto di Bilbo quando Gandalf fece un passo avanti e si votò alla protezione del giovane Hobbit. Era completamente stupefatto, ricaduto all'indietro nella sua sedia come se l'avessero colpito. La sua pelle era grigiastra e pallida, e stava fissando Frodo con orrore.

Un'ondata di comprensione inondò Thorin. «Frodo è il figlio del tuo cuore» disse senza emozioni.

«Frodo ragazzo» riuscì a dire Bilbo, e le sue mani strinsero il suo scialle strettamente «Oh, Frodo ragazzo, che cosa ti ho fatto?» La sua voce divenne acuta e debole, e i suoi occhi erano pieni di paura per il ragazzo «Cosa ti ho fatto

«Thorin» disse Thráin sottovoce «Una parola.»

Suo padre lo portò in un angolo e mormorò: «Non possono far del male a Bilbo qua a Granburrone. Il potere di Elrond tiene al sicuro queste terre. Ma Frodo è un Baggins, e uno Hobbit della Contea. Gli daranno la caccia il minuto che mette piede fuori da questa valle.»

Dopo un momento, Thorin annuì brevemente. «La missione è troppo importante.»

«Fai ciò che devi, figlio» disse Thráin, e le sue mani poderose si posarono sulla testa di Thorin in benedizione e rassicurazione «Vai. Fallo.»

Lui prese un respiro e si girò nuovamente verso il suo Scassinatore.

«Bilbo» disse Thorin, e si inginocchiò di fronte allo Hobbit, mantenendo gli occhi sulla vecchia faccia rugosa «Bilbo...»

«Oh, per favore» gemette Bilbo, e Thorin non poteva più sopportarlo.

«Lo proteggeremo per te» promise «Ho giurato che mi sarei preso cura di te, e di quelli che ami. Lo proteggerò. Lo giuro.»

«Per favore, Ilúvatar, Mahal, Kementári, proteggetelo» sussurrò Bilbo «Elbereth Gilthoniel, prenditi cura di lui – oh, perdonami! Perdonami!»

«Lo giuro» promise Thorin, ed alzò un dito per farlo passare sopra alle linee del volto di Bilbo.

Poi si alzò e andò da Gimli. «Gimli, inùdoy» disse, la sua voce profonda e cupa e piena di determinazione «Sai cosa deve essere fatto. Questa è la battaglia della nostra Era, e tu dovrai essere il nostro Campione. Figlio del mio cuore, proteggerai il figlio del suo?»

Gimli si alzò, piantando i piedi come ogni Nano dovrebbe. «E la mia ascia!» disse, forte, e prese l'ascia da cammino di suo padre e guardò male l'Elfo. L'Elfo, dal canto suo, lo ignorò con fredda superiorità.

Anche l'Uomo di Gondor decise di andare con loro, e Frodo sembrava dolorosamente piccolo in mezzo a loro. E poi degli Hobbit stavano uscendo dai cespugli e insistevano che sarebbero andati anche loro, e Bifur esplose in ululati di risa.

«Non possono essere seri?» disse Nori, alzando le sue sopracciglia intrecciate fin quasi ai capelli «Quattro Hobbit?»

«Beh, noi ne avevamo uno, l'abbiamo fatto funzionare» disse Óin, scuotendo le spalle.

«Giusto, sì, uno era un buon numero, uno era Hobbit a sufficienza nella mia opinione. Quattro vorrà dire una marea di fazzoletti da tasca, è tutto quello che sto dicendo»

«Non penso che Peregrino Tuc abbia mai usato un fazzoletto in vita sua» disse Thorin secco, guardando il più giovane degli Hobbit che si rendeva un idiota – ancora.

«Sarete la Compagnia dell'Anello» annunciò Elrond, e Thorin resistette all'impulso di alzare gli occhi al cielo. Un nome grandioso per nove viandanti. Semplicemente “la Compagnia di Frodo Baggins” sarebbe stato sufficiente.

Questo sembrò segnare la fine del Consiglio. Molti dei grandi Signori rimasero a parlare fra loro in voci basse. Frodo aiutò Bilbo a scendere dalla sedia troppo alta, e Thorin li guardò andarsene con occhi preoccupati. Bilbo sembrava quasi trasparente dalla tristezza e dall'orrore, il suo viso anche più vecchio di prima.

Poi sentì la voce di Gimli che rimbombava: «Mastro Elfo, se posso?»

Si voltò per vedere il figlio di Thranduil che guardava Gimli dall'alto in basso, la sua faccia senza espressione ma i suoi occhi che brillavano di irritazione. «Nano. Cosa hai da dire?»

La mascella di Gimli si serrò, ma lui non abboccò all'esca. «Vorrei scusarmi. Le mie parole sono state insultanti e scelte male. Non vorrei partire per una Missione simile con esse ancora fra di noi.»

Thorin percepì la propria bocca che si spalancava. Gentile, aye. E pronto al perdono sussurrarono i suoi pensieri da molto tempo prima.

L'Elfo sembrava confuso – e sospettoso. «Capisco. In questo caso, anch'io ritiro le mie parole, e ti offro le mie scuse. Il tuo nome?»

«Gimli figlio di Glóin» disse Gimli, offrendo la minima parte di un inchino. Thorin non poté non notare che aveva omesso il saluto usuale.

«Legolas Thranduilion» disse l'Elfo, inclinando la testa solo leggermente. Thorin lo guardò storto. Quell'Elfo gli aveva puntato contro una freccia e aveva minacciato la sua vita! Come osava Gimli offrire le sue scuse a quella creatura!

«Ben incontrato, Elfo» disse Gimli, ignorando il nome.

Il labbro dell'Elfo si arricciò in disgusto. «Ovviamente no.»

La barba di Gimli tremò, come se stesse sopprimendo un ringhio a sua volta. «Beh, almeno c'è ampio spazio di miglioramento, aye?»


Frís trovò Thorin nella sua fucina, molto tempo dopo. Aveva iniziato a lavorare a un tegame di ferro, e stava andando bene. Aveva dato una forma iniziale, e anche se il ferro grezzo non era un metallo nobile come quelli a cui dava forma normalmente, lo trovava molto fluido da lavorare e si piegava facilmente alla sua volontà.

Si rigirò il lavoro mezzo finito fra le mani. Qua la padella, dove uno Hobbit avrebbe potuto cuocere pancetta o pomodori o uova o funghi o quelle piccole torte piatte che piacevano tanto a Frodo. Qua il manico, dove mani Hobbit avrebbero afferrato sicure e ferme e confidenti. Possibilmente un manico in legno, per ridurre la conduttività del calore. Le mani Hobbit erano rapide ma morbide. Qua un risvolto lungo l'orlo, per versare, e qua il marchio del creatore: Thorin, figlio di Thráin. Qua attorno ai lati, un complesso disegno di linee annodate Naniche, ogni nodo sormontato da fiori Hobbit.

«Stai bene?» disse lei piano, sedendosi accanto a lui. Lui grugnì.

Lei prese il tegame e lo rigirò, osservando i suoi simboli-guida e le decorazioni si lati. «Oh, Thorin» sospirò.

«Gli Hobbit hanno un linguaggio per i loro fiori, così come noi abbiamo il nostro per le gemme» disse lui, e la sua voce sembrava profonda e lontana persino a se stesso.

«Questi cosa sono?» disse lei.

Lui fece una pausa, e poi le prese la mano e la guidò su uno dei fiori. «Bacche di rosa» disse «E gigli della pioggia.»

«Cosa vogliono dire?»

Lui sorrise e non rispose.

Frís mise da parte la padella e girò la mano di lui. C'era una bruciatura sul palmo dal processo di fusione, e lei fece un “tcch!” sottovoce.

«Sto bene» disse lui, ritirando la mano «Sto bene.»

«Non ne dubito» disse lei, e guardò su verso di lui. Lui aveva preso l'altezza di suo padre, e torreggiava su di lei. «Mi preoccupo. Sono tua madre; è un mio privilegio farlo.»

«Sono più vecchio di te» le ricordò lui, e lei alzò un sopracciglio biondo grano.

«Sei ancora mio figlio e ti conosco, mio scontroso piccolo Principe. Parlami.»

Lui rimase in silenzio per un momento. Poi disse: «Bilbo ha portato l'Anello. L'ha portato per quasi sessant'anni. Io l'ho osservato per tutto questo tempo, e non ho mai...»

Gli occhi blu di lei, della stessa sfumatura e forma di quelli di lui, si addolcirono. Poi lei gli tirò giù la testa e gli diede un bacio sulla fronte. «Non sei responsabile, Thorin» disse «Non sei responsabile per ogni cosa brutta che è successa in questo mondo. L'Anello ha una volontà propria, e ha scelto il tuo Hobbit. Che lui è riuscito a mantenere il proprio cuore e la propria mente dice molto su di lui.»

«Non l'avrebbe mai trovato se io non...»

«Oh, per carità di Mahal!» disse lei, amore frustrato che le passava sul volto «Sai quant'è difficile guardarti costantemente mentre ti flagelli per cosa che non sono colpa tua? Hai fatto degli errori, certamente – ma questo non è tuo. Gandalf è stato colui che ha scelto Bilbo Baggins, o te ne sei dimenticato?»

Il respiro di Thorin si fermò mentre espirava.

«Lo sospettavo» disse lei «Per favore, Thorin, smettila. Sei una buona anima, e un cuore forte. Smettila si farti a pezzi dal rimorso.»

«Ma... 'amad, io...» Thorin non sapeva cosa dire, e le sue parole gli uscirono strangolate e per metà un ringhio «Io non ho – mai saputo che...»

Lei gli mise le dita sulla bocca, e poi le lasciò passare attraverso la sua barba tagliata corta, pettinandola gentilmente. «Ho visto di nuovo mio figlio a quella riunione. Ho visto il mio coraggioso, valoroso, determinato ragazzo – il Nano che ha guidato un popolo dimenticato al sicuro, ribaltato una battaglia senza speranza, e sfidato due eserciti senza altro che la propria forza di volontà. Non perderti di nuovo nel tuo senso di colpa, mio caro. Non prenderti dei pesi che sono destinati a essere portati da altri. Nessuno è abbastanza forte per quello.»

Lui batté le ciglia, e poi lasciò che la sua testa ricadesse sulla spalla di lei ed esalò un lungo, tremante respiro. Le braccia di lei si avvolsero quanto potevano attorno alle sue spalle, e lui rimase lì per un altro lungo momento, respirando l'odore che sapeva di sicurezza, di amore e di casa.

Poi si raddrizzò e premette le loro fronti assieme. «Bene dunque» disse «Si torna al lavoro.»

Lei sorrise.


«Ora, Gimli» disse Glóin, la sua voce ruvida che si spezzava «Ecco l'acciarino, e qua la mia vecchia pipa. Gli Hobbit crescono l'erbapipa migliore del mondo, e non ne sono avari. Sarebbe davvero crudele negarti la possibilità di assaggiarla. Ah, guardati ragazzo, le tue trecce sono in disordine! Le hai annodate a occhi chiusi? Le hai almeno pettinate?»

Gimli rimase fermo e permise a Glóin di sciogliergli una treccia, le vecchia dita nodose si muovevano nello schema di una vita. «Dubito che a qualcuno importerà se ho spazzolato i capelli o meno, Papà» disse Gimli.

«Beh, a me importa, e anche a tua madre importerebbe» disse Glóin irritato «Stai rappresentando l'orgoglio della nostra gente ora, figlio. Devi avere l'aspetto che un Signore dei Nani avrebbe.»

«Tutta quella Gente Alta ed Elfi, non sarebbero in grado di capire se fossi un Signore dei Nani o un lattaio» grugnì Gimli, alzando il mento così che il padre potesse inserire più della sua folta barba nella treccia «Perché dovrei indossare i miei fermagli e trecce per un branco di tali ignoranti...»

«Ignoranti che siano, sono nostri alleati» disse Glóin, tirando bruscamente la treccia che stava facendo «Mahal sa che non sarebbero nemmeno in grado di distinguere un Vastifasci da un Barbedure, ma tu ti comporterai in modo degno di mio figlio e di un Nano della Linea di Durin. Ricorda, ciò che farai ora non si rifletterà solo su di te ma su tutti i Nani esistenti.»

Gimli sospirò, e permise a suo padre di sciogliergli l'altra treccia. «Sì, Papà.»

Glóin sbuffò. «Quando dici “sì, Papà” con quel tono di voce mi chiedo se tu non sia ancora un ragazzino di sessant'anni, invece che un Nano che ha più del doppio di quegli anni.»

Gimli allungò la mano e toccò le decorazioni in onice ed oro nella cascata candida dei capelli di Glóin. «Mi sento come un ragazzino di sessant'anni. Sono solo un Nano, Papà, non posso rappresentare tutti i Nani! È troppo da chiedere, io...»

«Ah, shhh. Ti comporterai bene» disse Glóin, e legò la seconda treccia e indietreggiò «Oh, nidoyuh.»

Gimli alzò la testa, facendo scivolare le sue nuove trecce sul petto largo e possente. Rimase immobile, lasciando che suo padre lo guardasse. Poi Glóin si piegò in avanti e afferrò il volto di Gimli fra le mani, e disse piano una parola. Gimli chiuse gli occhi ed espirò lentamente.

Guardando, Thorin fu profondamente scosso. Aveva sentito quella parola.

Era quasi sicuro di aver appena sentito il vero e segreto nome di Gimli, figlio di Glóin.

Glóin premette insieme le loro teste per un momento, e poi baciò la fronte del figlio gentilmente. «Ricordati chi sei. Rimani al sicuro più che puoi. Proteggi il Portatore. Tieni d'occhio l'Elfo, e non incontrare nessun maledetto troll o idiozie simili!»

«Ho delle lettere» disse Gimli, mettendo una mano nella maglia di ferro e ripescandone una pila di carte. Si schiarì la gola. «Una per Mamma, e una per Gimrís e Bofur, e una per Gimizh. Quella, quella in carta blu, è per Zia Dís. C'è anche una nota per Dori, e un'altra per Bombur e Alrís, e l'ultima è per Dwalin, Orla e i loro ragazzi. Ho anche una lettera da spedire a Dáin, se io...»

Glóin le prese, e poi avvolse Gimli in un abbraccio da orso. «Ti voglio bene, ragazzo» disse, piano e commosso «Sono così orgoglioso di te. Tanto, tanto orgoglioso di te.»

Gimli seppellì il volto nella bellissima barba bianca di Glóin, e si strinse al padre con tutta la sua enorme forza. «Anch'io ti voglio bene, 'adad.»

«Non dimenticarti di contattarci quando puoi» disse Glóin contro i capelli di Gimli. «Proteggi quello Hobbit con tutto ciò che hai. È l'unica speranza per tutti i nostri popoli.»

Gimli annuì contro la barba di Glóin, prima di obbligarsi a lasciarlo andare e raddrizzarsi. «Bene» disse, e si schiarì la gola «Dobbiamo partire entro un'ora. Io dovrei... io...»

Glóin sorrise e annuì. «Vai, azaghâl belkul. Vai e aiuta a salvare il mondo.»

Gimli si mise in spalla lo zaino, strinse l'ascia da cammino di suo padre, infilò le asce da lancio e l'ascia barbuta decorata nei foderi in pelle, si mise l'elmo in testa, diede un ultimo, angosciato sguardo al padre, e si trascinò via.

Glóin fissò la vuota porta spalancata per il tempo di due battiti di cuore, prima di affondare nel letto troppo alto.

Thorin esitò, e poi di sedette accanto al cugino. Il silenzio lasciato dietro dalla partenza di Gimli li inondò.


«Quindi chi è l'Uomo?» chiese Óin, grattandosi lo stomaco mentre lui, Ori e Thorin arrancavano dietro agli Hobbit.

«Quale?» disse Ori.

«Questo. Quell'altro. Non stavo davvero ascoltando»

«Il Consiglio più importante da secoli, e tu non stavi ascoltando?!»

«Troppi Elfi»

Ori sospirò e strinse le labbra. «Quello col corno è Boromir, figlio del Sovrintendente di Gondor. Quello che fa i passi lunghi è Aragorn, ed è l'Erede di Isildur.»

«Oh» Óin li squadrò «Poveracci, a malapena un po' di pelo tra tutti e due. Quello di Gondor mostra un po' di potenziale, ma quello di Isildur è messo male quanto Kíli. Come fanno a sapere cosa fanno e chi sono senza una barba da intrecciare?»

Ori scrollò le spalle. «Magari chiedono?»

«Sembra noioso»

Gimli camminava dietro ad Aragorn in silenzio, i suoi occhi scattavano tra gli alberi sconosciuti e la mano sull'impugnatura della sua ascia. L'elmo che gli aveva donato Dwalin era sulla sua testa, e i suoi stivali pesanti si schiantavano ritmicamente contro le foglie che scrocchiavano sotto i piedi. Anche gli Uomini camminavano pesantemente, e Thorin si voltò verso gli Hobbit, che seguivano quasi senza rumore camminando scalzi tra le foglie.

L'Elfo era andato avanti. Le sue scarpe morbide facevano poco rumore anche se non era sovrannaturalmente silenzioso quanto gli Hobbit. I suoi occhi si stringevano mentre osservava tra gli alberi, e a volte si arrampicava sui rami per raggiungere un punto di osservazione più alto.

Dormivano a metà del giorno e si muovevano di notte, confidando che la luce del giorno tenesse al sicuro i dormienti dagli Orchi. I secondo giorno si accamparono sul crinale occidentale di una collina per evitare di essere osservati da Est. Era una buona cosa che Gimli avesse portato la pietra focaia di suo padre, dato che Gandalf scomparve appena dopo aver preparato il campo.

«Dove va?» chiese Pipino, aggrottando le sopracciglia «Un momento curioso per andare ad osservare il paesaggio!»

«Mio padre dice che Gandalf va e viene quando lo desidera» disse Gimli, e sorrise al piccolo Hobbit accendendo la miccia «Non preoccuparti, Mastro Peregrino! Hai me e Boromir e Aragorn a proteggerti.»

«E Legolas» aggiunse Aragorn, i suoi occhi che brillavano divertiti «Hai dimenticato Legolas, Mastro Gimli?»

Gimli grugnì e non rispose, ammucchiando foglie e rametti attorno al suo fuoco nascente.

«Oh, Gimli» disse Thorin e si massaggiò il volto con una mano, cercando di reprimere il suo sorriso «Ti ho influenzato troppo a lungo.»

«Ora Padron Frodo» stava dicendo Samwise, passandogli una striscia di carne essiccata «Non è esattamente una delizia, ma ci riempirà finché Mastro Gimli non avrà acceso il fuoco.»

«Sono pronto quando lo sei tu, Mastro Samwise» disse Gimli, facendo un passo indietro per mostrare il piccolo focolare con la sua fiamma allegra.

«Adesso, questo è notevole!» Sam si grattò la testa «Sono abituato ad accendere fuochi io stesso, ma questo è stato rapido! Anzi, sembra quasi tu ci abbia messo solo un battito di ciglia!»

«Il fuoco è sempre stato un buon servitore dei Nani» disse Gimli, e si levò i suoi guanti pesanti per riscaldarsi le mani sul fuoco.

«Andiamo, Padron Frodo, venite più vicino. Quel vento non scherza!» disse Sam, e poi si voltò verso Merry e Pipino che cercavano nel suo zaino «E voi due, via da lì! Non voglio spiegare a Granpasso perché abbiamo finito le provviste a nemmeno due giorni di distanza da Granburrone!»

Merry sembrò in qualche misura imbarazzato, ma Pipino era completamente a suo agio. «Beh, per me non sarà un problema» disse allegramente «Io avrò lo stomaco pieno, e non c'è molto che si possa dire di male su ciò!»

Gimli ridacchiò. «Mio padre una volta mi disse che per gli Hobbit esistono sette pasti al giorno. È vero?»

Gli occhi di Pipino si illuminarono e lui si sedette di fronte a Gimli, infilandosi i pollici nella giacca con aria di importanza. «Ora, ci sono due scuole di pensiero a proposito» disse, annuendo solennemente «Taluni, i più illuminati, sostengono ci dovrebbero essere almeno sette pasti. Perché, se ti viene un languorino tra la seconda colazione e la merenda? Se ti svegli nel bel mezzo della notte pensando a panini col tacchino? E se la zuppa non era particolarmente soddisfacente la prima volta, e vuoi provare di nuovo?»

«Va bene, va bene!» rise Gimli «Ho capito come funziona. Gli illuminati tra gli Hobbit consiglierebbero di mangiare per tutto il giorno e la maggior parte della notte, se si potesse fare!»

Pipino si illuminò, compiaciuto di aver fatto ridere il Nano. «Assolutamente!»

La testa dell'Elfo si era girata sentendo la profonda, rumorosa risata di Gimli, e una piccola ruga si era formata tra le sopracciglia scure.

«Quanti pasti hanno i Nani, dunque? Siete come gli Uomini, o avete le idee più chiare in proposito?» chiese Sam, mettendo la padella sul fuoco.

Gimli si piegò indietro, i suoi occhi brillavano. «Sono sicuro che ci troveresti davvero molto stupidi, Mastro Gamgee. Normalmente abbiamo solo due o tre pasti al giorno, anche se possiamo facilmente farne a meno.»

«Due o tre!» Merry sembrava scandalizzato «E Bilbo ha viaggiato così per – oh, quel povero vecchio Hobbit!»

«Non lo facevamo morire di fame» borbottò Thorin, e dietro di lui Óin fece un suono di protesta indignata.

«Come cavolo fate a funzionare con così poco!» disse Pipino, avvicinandosi al fuoco e fissando Gimli con gli occhi spalancati «Di sicuro svanirei nel nulla. Due o tre – o niente!»

«Vergognoso, ecco cos'è!» dichiarò Sam, agitando il cucchiaio.

Gimli alzò le grandi mani e rise. «Pace, pace! È ciò di cui ho bisogno, tutto qua. Se mi nutriste come uno Hobbit ben presto sarei largo quanto alto!»

«Non riesco a credere che sei così forte come appari» disse Merry, toccando le enormi braccia di Gimli «Io sparirei completamente!»

«Non è naturale» borbottò Sam, pugnalando la padella col cucchiaio.

«È perfettamente naturale per un Nano, che io sono» disse Gimli, sorridendo ai giovani Hobbit «Mi terrò sugli argomenti che un Nano conosce e lascerò tutta la conoscenza del mangiare agli Hobbit, a cui ovviamente appartiene.»

«E cos'è che conosce un Nano?» disse interessato Pipino e ruotò la testa, fissando Gimli con avida curiosità.

«Pipino, non essere maleducato!» disse Merry, tirando la giacca di suo cugino e alzando le sopracciglia «Scusalo, Mastro Gimli, è solo che non abbiamo mai incontrato un Nano e Pipino qui» piantò un gomito nel fianco di Pipino «non ha assolutamente idea di cosa sia appropriato.»

«Oh, e tu invece sì, ovviamente» mormorò Sam sottovoce. Frodo sorrise debolmente.

«Nessuna offesa, Mastro Merry» disse Gimli, mettendosi comodo e accendendo la pipa «Non mi dispiace affatto. Ci sono un sacco di menzogne che girano sul nostro popolo» e Gimli lanciò uno sguardo torvo all'Elfo «ed è una buona cosa avere la possibilità di combatterle.»

L'Elfo sobbalzò all'attenzione improvvisa, e i suoi occhi si spostarono nuovamente dal piccolo gruppo alla foresta.

«Dunque» disse Gimli, inspirando dalla pipa «Ciò che un Nano conosce. Ciò che un Nano conosce.»

«Rocce e pietre, senza dubbio» disse l'Elfo distrattamente, e Gimli alzò un sopracciglio.

«Aye, rocce e pietre. Ti aspetti che io mi offenda?»

L'Elfo rimase in silenzio.

«Rocce e pietre non sono morte, Mastro Elfo» continuò Gimli «Ognuna ha la propria canzone, e noi la sentiamo sotto i piedi e tra le dita. Tutto desidera. Tutto ha della bellezza al suo interno, ed essa desidera essere libera. Le pietre più dure lottano per diventare, e non possiamo fare a meno di accorgercene. Ogni Nano è attirato da un'arte, e troviamo bellezza e saggezza nel lavoro delle nostre mani e delle nostre menti. Ci viene insegnata presto la nostra storia e le canzoni e i canti della nostra gente. Ogni clan ha le proprie antiche tradizioni, sapete. Amiamo la musica, e la danza. Mia nonna era una famosa danzatrice d'ascia. Riusciva a farne girare quattro allo stesso tempo! La gente di mio padre, i Longobarbi, hanno più probabilità di scavare alla ricerca di oro o ferro, ma i Barbedure amano maggiormente l'argento e ne fanno molti oggetti interessanti.»

«Tu hai un'arte?» chiese Boromir, interessato nonostante tutto «Le mie scuse – ma non ho mai sentito uno della tua razza amante dei segreti che parlava così apertamente prima d'ora.»

Gimli scartò le scuse con un gesto della mano. «No, non ho ancora trovato ciò che fa cantare le mie mani» disse tranquillo «Ma sono ancora giovane – c'è molto tempo ancora!»

«Quanti anni hai, Mastro Nano?» chiese Aragorn.

«Oh, ne ho compiuti centotrentacinque qualche mese fa» disse Gimli, facendo un anello di fumo.

Aragorn sembrava sorpreso. «Ed io che pensavo di essere tra i più anziani del nostro gruppo. Sembra che fra te e Legolas e Gandalf, io sia solo un bambino.»

«Suppongo che tutti noi siamo bambini rispetto a quei due» disse Gimli.

«Bilbo una volta mia ha parlato di una lingua» disse Frodo.

Gli occhi di Gimli si strinsero. «Aye, c'è una lingua, che ci è stata tramandata dal nostro Creatore.»

«Ha detto che non avrebbe dovuto esserne a conoscenza» disse Frodo, e fece un piccolo sorriso «Conosci Bilbo.»

«L'ho incontrato una volta, quando ero solo un ragazzo» disse Gimli, e sbuffò «Non mi sorprende che sia a conoscenza del Khuzdul. Aye, si chiama così. Tra tutte le genti noi siamo gli unici a non aver imparato la nostra lingua dagli Elfi, ma dal nostro Grande Creatore in persona. È sacra, e non dirò altro su di essa.»

«Il tuo creatore?» disse Merry sconcertato «Vuoi dire che qualcuno fa i Nani? È un'arte?»

Gimli sobbalzò, e poi rise a lungo e di cuore. «Ah! Se è un'arte, allora la migliore artigiana che conosco è Alrís figlia di Gerís! Ha dodici figli, un risultato impressionante tre i Nani.»

«Dodici è un numero abbastanza normale nella Contea» disse Pipino «Mia madre era una Banks, sai, ed era la terza di otto.»

«Noi non aumentiamo tanto in fretta» disse Gimli, sempre ridendo «Ah! Devo dirlo ad Alrís e Bombur la prossima volta che li vedo.»

«La moglie di Bombur» disse Frodo, i suoi occhi si accesero di comprensione «Bilbo mi ha parlato di lui. Era uno della Compagnia.»

«Lo era»

«Quindi chi fa i Nani? Se non le signore Nano» disse Merry.

«Nane» lo corresse Gimli, e i tre Hobbit più giovani ripeterono la nuova parola lentamente.

«Non erano voluti» disse Legolas.

Gimli si congelò. E poi disse, con cautela: «non da Colui che creò tutto il resto. No. Noi fummo creati da altre mani.»

«I Nani non erano mai stati destinati ad esistere» disse Legolas, i suoi occhi Elfici brillavano «Loro insudiciano la canzone di Arda con le loro note discordi.»

Thorin ringhiò, e le mani di Óin si strinsero. «No» disse Ori piano «Non influenzarlo. Devono essere una Compagnia, e ciò non può accadere se Gimli perde la calma ogni due secondi.»

«Gimli può perdere la calma senza il mio aiuto» ribatté Thorin, guardando storto l'Elfo.

«Siamo una razza antica, creata da Mahal nei giorni prima che gli Elfi si svegliassero» disse Gimli rigido «Desiderava compagnia, e così creò creature diverse da sé e gli insegnò a parlare. Colui che creò tutto il resto ci scoprì, e disse a Mahal che le sue creature non erano desiderate. E così noi siamo indesiderati, incompresi, per sempre separati dalle altre razze del mondo.»

La bocca di Sam si spalancò. «Ora, questo è crudele, semplicemente crudele» sussurrò.

«È la maniera in cui le cose funzionano» disse Gimli, e fece cadere il tabacco bruciato dalla pipa picchiandola conto il pesante stivale «Avremo un posto nella musica alla fine di tutte le cose, perché così ci è stato promesso. Ma fino ad allora, siamo indesiderati e lo sappiamo» guardò verso l'Elfo con sfida «Ci sono alcuni a cui piace ricordarcelo. Ma che possiamo farci? Smettere di esistere? No. Tutte le cose desiderano diventare. Anche il sasso più orrendo vuole, e i Nani lo sanno meglio di tutti.»

«Non ti fa rabbia?» chiese Frodo piano.

Gimli annuì con la testa accesa. «Aye, a volte. Ma che utilità ha la rabbia? Siamo stati resi forti per resistere. E così facciamo.»

L'Elfo sembrò a disagio per un momento. Poi si alzò e disse: «Andrò a perlustrare l'area.»

«Fallo» grugnì Gimli, e poi si arrotolò nelle coperte. In due o tre secondi stava russando.

«Non ha nemmeno aspettato la zuppa» si lamentò Sam.

«Ha parlato bene» mormorò Ori.

«Ha parlato di Mahal» disse Óin, scuotendo la testa «Non avrebbe dovuto farlo.»

«I piccoli Hobbit erano curiosi» disse Thorin «Sembra affezionato a loro. La loro curiosità non fa alcun male.»

«Quel dannato Elfo porterà guai» predisse Óin. Thorin sospirò.

«Temo tu abbia fin troppa ragione» disse, guardando torvo gli alberi tra cui l'Elfo era sparito.


Prima che le stelle lo lasciassero, si fermò da Bilbo. Il vecchio Hobbit sedeva in una sedia enorme, decisamente troppo grande per lui, e i suoi piedi erano sospesi sopra al pavimento. Aveva una coperta sulle ginocchia, e la sua testa era ricaduta sul petto.

«Ciao mio caro» disse Thorin piano, e si inginocchiò davanti a lui «Stanno viaggiando tranquilli. Gli Hobbit si stanno affezionando a Gimli, e gli Uomini sono forti e valorosi. Tuo figlio è al sicuro.»

La testa di Bilbo si abbassò ancora, e una piccola espressione di tristezza gli lampeggiò sul volto.

«Sembri così stanco, mio idùzhib» disse con tutta la dolcezza di cui era capace. Thorin non era bravo ad esprimere il suo affetto, e le parole non gli venivano facilmente. Ma per Bilbo avrebbe provato. «Dovresti andare a letto. Ci penso io a loro. Non ti deluderò.»

Alzò la mano e la mise con attenzione sopra quella di Bilbo. Solo un soffio d'aria era fra la calda, vivente, rugosa carne dello Hobbit e il freddo palmo fantasma di Thorin, fermo per sempre al massimo del suo vigore. La sua mano era tanto più grande e forte di quella di Bilbo, e chiudendo gli occhi si immaginò di poter percepire la pelle sottile e delicata, la morbida consistenza burrosa.

«Così vecchio, mio Bilbo» disse, e guardò il volto sonnolento dello Hobbit «Non ho mai pensato di chiedermi perché continuavi a vivere. Pensavo solo a maledire il fato che mi ha tenuto separato da te per così a lungo.»

Alzò l'altra mano e la lasciò passare attraverso la bianca ragnatela dei capelli di Bilbo. «Sono felice che sei invecchiato» disse con voce bassa «Quale che sia il motivo, sono felice che uno di noi l'abbia fatto. Però, odio che tu sia invecchiato senza di me. Avresti riso della mia barba grigia, mi chiedo? Ci saremmo barricati ogni inverno, avvolgendoci nelle coperte e lamentandoci delle nostre ossa? Saremmo diventati più simili col passare del tempo; le mie abitudini che diventavano le tue, le tue parole che diventavano mie?»

Le labbra di Bilbo si mossero, e Thorin sospirò senza suono. «Inutile chiedermelo. Però. Come vorrei, Mastro Scassinatore. Come vorrei.»

Bilbo borbottò nel sonno per un momento, e poi i suoni divennero parole.

I sit beside the fire and think
Of all that I have seen,
Of meadow-flowers and butterflies
In summers that have been.

I sit beside the fire and think
Of people long ago,
And people who will see a world
That I shall never know.

I sit beside the fire and think
Of words I never said,
Of promises and wishes made
All locked up in my head.

I sit beside the fire and think
I hear him now and then.
But still I wait to hear that knock
Upon my door again.

TBC...

Note:

Giglio della pioggia – ti amo anch'io, devo farmi perdonare per i miei peccati, non ti dimenticherò mai

Bacche di rosa – scegli il tuo destino, non romperò la promessa fatta, ti amerò per sempre

Isildur – Isildur, suo fratello Anarion e suo padre Elendil erano tutti Numenoreani che rimasero amici degli Elfi e furono perciò chiamati “i Fedeli”. Questa gente fuggì da Númenor con un seme dell'Albero Bianco prima che venisse inghiottito dal mare per l'arroganza, corruzione ed orgoglio dei sovrani (guidati e ingannati da Sauron). Una volta nella Terra di Mezzo, Elendil divenne Grande Re di Gondor e Arnor – Gondor a sud, Arnor a nord. Isildur e Anarion governarono Gondor per il padre, mentre lui regnava nel Regno del nord. Isildur creò una città – Minas Ithil (ora Minas Morgul) e Anarion ne costruì un'altra, Minas Anor (ora Minas Tirith). Comunicavano usando i Palantír che avevano portato via da Númenor. Minas Ithil fu catturata dalle forze di Sauron nel 3429 (Seconda Era), e quindi si formò l'Ultima Alleanza.

Arnor – il grande Regno del nord che fu creato da Elendil si distrusse nei primi secoli della Terza Era a causa delle guerre civili. Le strade rimasero, così come alcune storie (gli Hobbit ricordano che il loro Conte aveva giurato lealtà al Grande Re del Nord), ma poco di quel grande Regno sopravvive oltre a rovine usate come torri di guardia.

Kementári – Yavanna, Vala degli Olvar (piante ed alberi)

Elbereth Gilthoniel – Varda, Vala delle stelle. Particolarmente amata dagli Elfi.

Mahal ed Eru (l'Uno), e la creazione dei Nani – questa storia viene narrata interamente nel Silmarillion

Le prime due stanze della canzone sono di Tolkien, le ultime due di determamfidd. Parte del testo è preso dal copione del film e parte dal libro.

Traduzione della canzone:
Seduto accanto al fuoco, rifletto
Su tutto quel che ho visto
Sulle farfalle ed i fiori dei campi
In estati ormai da me distanti

Seduto accanto al fuoco, rifletto
Ai popoli vissuti tanto tempo fa,
Ed a coloro che vedranno un mondo
Che a me per sempre ignoto resterà

Seduto accanto al fuoco, rifletto
A parole che non dissi mai
A promesse e desideri espressi
Tutti chiusi dentro la mia testa

Seduto accanto al fuoco, rifletto
Ci son volte in cui posso sentirlo.
Ma ancora aspetto di udir bussare
Nuovamente alla mia porta

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Incontra una Nana

Hrera figlia di Frera

Un Nana di classe dolorosamente alta della famiglia reale dei Vastifasci, la Linea di Telphor. Hrera era un'argentiera famosa per i suoi lavori minuti e dettagliati. Si sposò con Thrór, Re Sotto la Montagna, matrimonio combinato dal padre di lei e dal Consiglio di Erebor. Lei si trasferì ad Erebor quando aveva solo ottant'anni, e nonostante ciò non la intimorì minimamente. Educata, composta e attenta alle apparenze, a Hrera piacevano le cerimonie e la tradizione. Non aveva mai paura di dire la sua, e disapprovava di “tutto questo stoicismo Longobarbo”. In effetti, lei disapprovava completamente quasi tutto – a parte i suoi nipotini. Aveva capelli castano scuro e occhi nocciola, e una barba piuttosto elaborata con intrecciate delle perline di diamante simili a gocce che cadono da un ramo. Aveva un solo figlio Thráin. Hrera venne uccisa quando Smaug attaccò Erebor nel 2770 TA.

Hrera di Jeza-Red


«È questo ciò che intendi? I segreti a lungo nascosti?»

La voce del Creatore di Thorin era profonda e morbida, un peso meno oppressivo di prima. «Aye, figlio mio. Ora stanno venendo alla luce.»

Thorin toccò un lato della grande incudine, alta almeno due volte lui. Una volta, Durin si svegliò sul quell'incudine, appena creato e ad occhi spalancati, la sua carne fresca ed inutilizzata. Forse anche Durin era stato lì dove stava ora Thorin, ai piedi del loro Creatore, chiedendosi perché è così?

«Uno che ti era vicino» Thorin ricordò le parole di molto tempo prima «Uno che ti ha tradito completamente.»

«Un mio studente» disse Mahal, e la tristezza riempiva l'aria come fumo «Aveva un altro nome, un tempo.»

«Sauron» disse Thorin «Sauron era tuo studente.»

«Sì»

«Sapevi che il mio Bilbo aveva l'Anello?» la mano di Thorin si strinse attorno allo strano legno ai piedi dell'incudine «Sapevi?»

Mahal fece un pausa, e poi disse: «Sì.»

Il cuore di Thorin sobbalzò nel suo ritmo e le sue mani desiderarono una spada. Poi i suoi occhi si chiusero e chinò il capo. Cosa poteva essere fatto? Cosa avrebbe potuto fare il suo Creatore? I Valar avevano lasciato la Terra di Mezzo per non distruggerla del tutto. Mahal era incatenato dal suo stesso voto.

«Hai imparato la pazienza, figlio mio» disse piano Mahal.

«Ho avuto ottant'anni per imparare» disse Thorin, e l'amarezza si accumulava sulla sua lingua «Aspetto e aspetto per fare ammenda. Aspetto e aspetto il mio Hobbit. Aspetto. La pazienza è stata una lezione insegnata da mani non gentili.»

«Il tuo Hobbit» ripeté Mahal, e sospirò.

Thorin guardò in altro. Come sempre, il volto dell'enorme figura era indescrivibilmente bello, indescrivibilmente antico, e in qualche modo indistinto. Non riusciva mai a ricordarsene gli esatti dettagli dopo. «Pensavi che non l'avrei scoperto?» disse con voce bassa e dura «Potrò non avere la capacità di riflettere su me stesso, ma ero destinato a conoscere il mio cuore alla fine.»

«Quindi infine l'hai capito» disse Mahal, abbassando la mano per alzare il mento di Thorin e voltarlo da un lato e dall'altro. Il tocco era affettuoso, paterno e un tantino critico; un artigiano che osservava una buona creazione. Thorin si irrigidì per reprimere i suoi soliti brividi. Il tocco del suo Creatore era pieno di tale potere e amore... era difficile sopportarlo. «Mi dispiace che tu non l'abbia riconosciuto in vita, figlio mio.»

Thorin lo fissò, e il suo battito gli saltò in gola. «Sapevi.»

«Ho fatto il tuo cuore, Thorin» la mano di Mahal, enorme e indurita dal lavoro, accarezzò la cascata dei capelli di Thorin «Anche se l'hai sepolto in ossessioni e vendetta e senso di colpa e oro, so quando batte con amore.»

Di colpo Thorin dovette appoggiarsi pesantemente con la mano sulla grande incudine. «Sapevi.»

Mahal sorrise, e Thorin lo poteva percepire come un calore nel suo addome e nel suo petto. «Ha scelto di seguirti – di salvarti – lui che non ha mai seguito un altro. Forse dovresti pensarci.»

Thorin non poté fare a meno di emettere un piccolo gemito a ciò, e la sua gola vi si strinse attorno come un cappio facendolo uscire debole e soffocato. «Ha scelto me. me. Avrebbe potuto scegliere un altro, avrebbe potuto essere amato e felice per tutta la sua vita! Invece rimane fedele a un fantasma che l'ha maledetto e ha gettato via tutta la sua lealtà!»

«Shhh» la voce di Mahal attraversò Thorin, e lui rabbrividì. La mano contro la sua testa lo aiutò, tenendolo in piedi. «Shhh, figlio. Non fare così. Shhh.»

Thorin prese un respiro profondo, e poi un altro. Infine fu in grado di parlare di nuovo. «Perché?» chiese senza voce, e forse anche Durin aveva desiderato piangere.

«Alcune cose vanno oltre persino alla mia volontà, Thorin» disse il suo Creatore.

Thorin abbassò il capo nuovamente.

La mano di Mahal gli alzò il mento. «Hai usato bene il tuo Dono finora. Mantieni fede alla tua promessa, figlio mio. Anche nella nostra ora più buia potremmo avere una stella che ci guidi.»

Thorin poteva sentire un piccolo sorriso triste che gli tirava le labbra. «Una stella. Detto molto misteriosamente.»

«Aye» la mano si allontanò, e Thorin guardò la grande, ruvida faccia con la sua espressione tenera «Stai con lui. Il tuo Hobbit è legato all'Anello, e così il fato di tutta la Compagnia. La nostra giovane stella infuocata ha una parte da fare in questo. È solo un Nano, e però io sento che sta per fare qualcosa che cambierà il Khazâd per sempre.»

Thorin fece un lungo, tremante respiro, percependo il proprio cuore nelle ossa della sua mascella contratta e del suo collo. Poi si voltò. Sarebbe andato al Gimlîn-zâram per rivedere Bilboo. Avrebbe cantato al suo Hobbit finché non si fosse addormentato. Avrebbe fatto come sua madre ordinava e non avrebbe pensato più al suo senso di colpa.

«Thorin» disse Mahal «un'ultima cosa.»

Lui fece una pausa, e si voltò. Il grande Vala dell'Arte e della Pietra sembrava, in mancanza di un termine migliore, imbarazzato.

«Per favore, richiameresti tuo nipote?»

Thorin sorrise. «Alcune cose vanno oltre la mia volontà» si inchinò profondamente, e se ne andò.


Erano a due settimane di distanza da Granburrone quando la loro fortuna cambiò.

Iniziò piuttosto innocentemente. L'Uomo Boromir aveva deciso di insegnare ai due Hobbit più giovani una cosa o due sull'uso della spada. C'era meno uso della spada e più risate di quanto Thorin trovasse strettamente necessario.

«Idiozia» borbottò.

«È solo di cattivo umore perché ha scommesso su Pipino» disse Nori «Ogni idiota potrebbe vedere che Merry è quello più feroce.»

«Hai seriamente appena chiamato uno Hobbit feroce?» chiese Óin incredulo.

«Comparativamente feroce» disse Nori «Pipino pensa sia tutto un divertimento, mentre Merry ha le idee più chiare, vedi?»

«Hobbit feroci» disse Óin, scuotendo il capo «Ci manca solo questa.»

«Stanno imparando bene» disse Balin, studiando la loro tecnica «Boromir è un bravo insegnante.»

Quando Pipino diede un calcio nello stinco dell'Uomo e tutti caddero in una pila, Thorin dovette combattere un sorriso. «Forse servono un paio di lezioni anche a lui.»

«La Contea! Per la Contea!» urlarono Merry e Pipino, arrampicandosi sopra l'Uomo e gridando il loro trionfo.

Boromir urlò in sorpresa, e poi la sua risata raramente udita ricoprì la vallata. Era una buona cosa sentirlo ridere; Boromir non dovrebbe essere sempre interessato solo al dovere e al proprio popolo. Thorin capiva le sue preoccupazioni fin troppo bene, e conosceva i pericoli di perdervisi all'interno.

Poi Aragorn si mise in mezzo e gli venne prontamente fatto uno sgambetto.

Frodo rise alla vista ridicola di due Uomini sopraffatti da due Hobbit, e Thorin era sollevato di trovarlo di umore migliore. Era ancora pallido a volte, e ogni tanto la ferita alla spalla gli faceva male. Thorin era quasi esploso quando aveva scoperto che Frodo era stato accoltellato da un Pugnale Morgul. Nemmeno i suoi nipoti gli si vollero avvicinare per un intero giorno.

L'(insopportabile, dannato, maledetto) Elfo si alzò d'improvviso e si appollaiò su un'alta roccia, i suoi occhi fissi sull'orizzonte. Il vento catturò i suoi capelli d'oro pallido mentre lui sembrava attraversare miglia intere col suo sguardo, rapido e sicuro come una delle sue frecce.

«Cosa vedi?» chiese Gandalf, al massimo dell'attenzione.

«Che cos'è?» chiese Sam, aggrottando le sopracciglia. Le sue salsicce sfrigolavano nella padella, ignorate per il momento. Thorin si voltò e strinse gli occhi. C'era una sagoma scura che arrivava da Est nella luce del sole.

«Sarà solo una nuvola» suggerì Gimli, e tornò a bagnare la lama della sua ascia. Thorin gli aveva già detto che stava usando troppa acqua, ma il testardo ragazzo si rifiutava di ascoltare.

«Si muove in fretta» disse Boromir, fermando gli Hobbit con la mano «e contro vento...»

«Crebain, da Dunland!» gridò l'Elfo, e Gandalf si alzò di scatto.

«Nascondetevi!» urlò.

«Al riparo!» disse Boromir, guidando gli Hobbit sotto a un cespuglio. Gimli rotolò immediatamente sotto una lingua di roccia, e Aragorn e Frodo si lanciarono dentro a un piccolo fosso e rimasero molto fermi.

«Come ha fatto a vedere quello?» chiese Nori mentre gli uccelli dall'aspetto malvagio volavano sopra alla scarpata dove solo pochi secondi prima era stato un gruppo di nove viandanti «Erano a miglia di distanza!»

«Gli Elfi vedono bene alla luce del sole» disse Ori «Molto, molto, molto bene.»

Gandalf riemerse, il suo volto tirato in linee di rabbia e determinazione. «Spie di Saruman. Il passaggio a sud è controllato.»

Si voltò verso il grande picco luccicante del Cornorosso, che brillava come sangue al sole. «Dobbiamo prendere il passo del Caradhras!»

«Troppo vicino a Moria» disse Balin, e guardò Thorin con cupa risolutezza «Decisamente troppo vicino.»

«Lo so» rispose Thorin, con un peso nello stomaco mentre guardava Gimli che prendeva in spalla l'ascia e iniziava a muoversi, il suo volto vivo di anticipazione.

L'Elfo si fermò nelle retrovie della Compagnia, e Gimli lanciò un'occhiata indietro. «Hai visto bene» disse rude.

«Non è nulla per coloro che hanno degli occhi» disse l'Elfo, scuotendo una mano.

Gimli rise. L'Elfo si voltò completamente verso di lui. «Perché ridi?»

«Riprovaci al buio, Mastro Elfo, e scopriremo chi del nostro gruppo ha degli occhi» disse Gimli, ghignando.


I picchi del Barazinbar, del Zirakzigil e del Bundushathûr si innalzavano tra i venti gelidi quando superarono i limiti dell'Eregion, e Gimli si fermò per recuperare il fiato e osservarli.

Balin e Thorin seguirono il suo sguardo, e dietro di loro Frerin imprecò piano.

«Perché ti fermi?» chiese Pipino preoccupato «Stai male?»

«Potrei fare una pausetta anch'io» disse Sam, sistemandosi lo zaino e tirando le redini di Bill «Questo posto non è una collinetta.»

«No, non sto male, Mastro Pipino» disse Gimli, dando una pacca sulla spalla dello Hobbit più giovane con un sorriso affettuoso «Stavo solo ammirando la vista. Questi monti sono speciali per noi – per i Nani, ecco. Li avevo visti solo una volta finora, ed era stato quasi ottant'anni fa.»

«Ottant'anni» disse Merry, e scosse la testa «Va bene, dato che ti piace fare lezione, cos'hanno di così speciale quelle montagne?»

Gimli alzò il capo, e i suoi occhi profondi erano lontani e malinconici. «L'immagine di quelle montagne l'abbiamo intagliata in moli lavori di pietra e metallo, nonché descritta in molti canti e poemi. Laggiù si erge Barazinbar, il Cornorosso, crudele Caradhras; al di là vi sono Argentacuspide e Vettanubi, che noi chiamiamo Zirakzigil e Bundushathûr. Fra le loro braccia si estende la profonda valle ombrosa che non possiamo dimenticare: Azanulbizar, la Valle dei Rivi Tenebrosi, e sotto di essi giace il grande Khazâd-dum, il Nanosterro, chiamato Moria dagli Elfi, il più grande Regno dei Nani che sia mai esistito.»

«Quello» disse Balin con disappunto «era decisamente troppo Khuzdul per le orecchie degli Uomini o degli Hobbit, lasciamo perdere l'Elfo. Cos'ha insegnato Glóin a questo ragazzo?»

«Andiamo verso la Valle» disse Gandalf «Se prendiamo il passo del Cornorosso, dovremmo scendere per la Scala dei Rivi Tenebrosi nella profonda gola dei Nani.»

«Là giace il Kheled-zâram» disse Gimli malinconicamente «Là giace la Corona di Durin, e là i miei cugini persero la vita. Il mio cuore trema al pensiero di portar vedere presto tutto ciò!»

Gandalf rise. «Possa la loro vista procurarti gioia, mio buon Nano!»

Frodo fece una pausa, e poi guardò Gimli. «I tuoi cugini?»

«Aye» disse Gimli, e rimise un ciuffo di capelli rossi sotto l'elmo «I miei cugini. Fundin, che era il padre di Balin e Dwalin, e Frerin, che era il fratello sia di Thorin Scudodiquercia che di Dís, Signora della Montagna.»

Gli occhi di Frodo andarono verso di lui, pieni di meraviglia. «Tu eri cugino di quel Re?»

«Ha sentito parlare di te, fratello» sussurrò Frerin «Forse Bilbo ha raccontato qualche storia?»

«Solo quelle buone, confido» disse Balin.

«Ce n'erano parecchie di cattive tra cui scegliere» borbottò Thorin.

Gimli rise. «Sono imparentato in una maniera o nell'altra con tutta la Compagnia di Bilbo, sì.»

«Ma ciò ti rende un Signore!»

«Ah, non me ne faccio nulla di quell'onorificenza» disse Gimli, e ricominciò a marciare «Mio padre è un Signore. Io sono solo un guerriero.»

Thorin diede un'occhiata dura a Gimli. «Sei molto più di un semplice guerriero, nidoyel. Sei più della tua lama, e non parlare in questa maniera di te stesso!»

«Signori e Re e Principe ovunque noi guardiamo, Padron Frodo!» sussurrò Sam «Inizio a sentirmi un po' piccolo, se capite cosa intendo.»

«Non preoccuparti, Mastro Hobbit!» disse Gimli, e sorrise con calore al giardiniere «Io sono solo Gimli il Nano, e questo è un titolo sufficiente per me!»

«L'orgoglio non è la sua debolezza, di sicuro» disse Balin pensieroso.

«Gimli? Lui ha orgoglio, e parecchio» disse Frerin.

«Aye, ne ha. Ma è orgoglio per la sua gente e per la sua famiglia, non per se stesso. No, non c'è una singola vena di vanità nel ragazzo» disse Balin.

«Grazie a Mahal» disse Thorin, guardandolo ancora storto.

«Muovetevi!» urlò Aragorn «La neve cade in fretta fra questi boschi, e dobbiamo marciare in fretta se vogliamo superare il Caradhras prima che ci seppellisca.»

«Sei sempre così allegro, Aragorn» borbottò Gimli, e continuò a camminare.

Per caso Gimli finì col camminare dietro all'Elfo, e tenne la testa bassa mentre attraversavano le terre vuote dell'Eregion. Avevano mantenuto le distanze sin dal primo accampamento, per il beneficio di tutti, pensava Thorin.

«Perché lasci che ti sommergano di domande?» chiese l'Elfo «Chiacchierano in continuazione. Persino la pazienza degli Elfi sarebbe messa alla prova.»

«Ah, sono solo bambini» rispose Gimli con cautela «E mi ricordano qualcuno di amato perduto da lungo tempo.»

L'Elfo inciampò, e poi si voltò nuovamente verso Gimli. «A volte mi dimentico la fragilità della mortalità» disse, e anche il suo tono era cauto «Chi erano?»

Gimli alzò gli occhi e prese un respiro. «Chiedi perché vuoi saperlo, Mastro Elfo, o chiedi perché vuoi fare della conversazione educata? Perché il primo caso è il benvenuto e il secondo no. Non parlerò di loro se non devo.»

L'Elfo disse qualcosa nella sua lingua liquida, prima di dire: «Entrambi. Hai perso un bambino?»

Gimli scosse il capo. «Non ho moglie né marito che mi aspetti a casa. Né figli. Non sono stato benedetto in quella maniera.»

«Dunque forse degli amici?»

«Aye, amici, famiglia» disse Gimli, e poi sospirò e sembrò arrendersi «I giovani Hobbit mi ricordano i miei cugini Fíli e Kíli. Erano così giovani e allegri, e vennero spezzati prima di arrivare a cent'anni. Kíli era molto simile a Mastro Pipino – sempre curioso e allegro, anche se non sempre saggio. Merry è più simile a Fíli, più conscio delle responsabilità che ha dinnanzi a sé. Non credevo che avrei pensato a loro qui, ma eccomi qua.»

L'Elfo rimase in silenzio per un momento, e poi disse: «Le mie condoglianze, Mastro Nano.»

«Non lo diremo mai a Fíli o Kíli» disse Thorin «Mai

Frerin sembrò sconcertato. «Ma-»

«No, Frerin. Non puoi prenderli in giro perché ricordano degli Hobbit a Gimli o viceversa. Oppure io racconterò loro l'incidente col formaggio e le lenzuola e la corona e la barba di Padre.»

«Rompiscatole» borbottò Frerin.

«Gimli! Legolas!» urlò Aragorn «Muovetevi!»

«Non sono fatto per questa velocità» borbottò Gimli «Non mi stupisce che lo chiamino Granpasso.»

Legolas alzò un sopracciglio. «Riesci a trascinarti dietro, o no? Che vantaggi porti dunque? Non hai la velocità né le dimensioni dalla tua, Mastro Nano. Cosa puoi offrire?»

Gimli lo fulminò da sotto l'elmo. «Ora questo non era esattamente educato.»

«Dato che stiamo gettando via l'educazione a destra e a manca, non mi è parso così sbagliato chiedere» disse Legolas «Posso difficilmente piacerti meno di così.»

«Umpf» Gimli continuò a camminare per alcuni momenti in silenzio mentre Thorin tentava di scuoiare l'Elfo con lo sguardo. Come osava! Gimli era un ottimo, leale, nobile Nano e un combattente d'ascia superbo!

Poi Gimli si tolse il guanto e alzò la mano senza dire una parola, aprendola di fronte ai propri occhi per mostrarla all'Elfo. Aveva le grandi, robuste dita di Glóin e Thráin: spesse e potenti. Cercando nel borsellino da cintura tirò fuori una piccola pepita d'oro. Poi, fra pollice e indice e con quasi nessuno sforzo apparente, la appiattì del tutto.

Lanciandola all'Elfo, iniziò a canticchiare una vecchia canzone da marcia mentre inseguiva l'Uomo di Gondor.

Legolas si portò il dischetto davanti agli occhi, e poi provò a morderlo. I suoi occhi si spalancarono, e fissò Gimli con un'espressione stupefatta prima di seguire la Compagnia.

La pepita se la fece scivolare nello zaino.


«Che strano destino. Dobbiamo provare così tanti timori e dubbi per una cosa così piccola...»

Thorin fissò l'Uomo, e il suo cuore cadde come una pietra. «No. No. Non di nuovo...»

«Un oggettino...»

Strizzando gli occhi, Thorin voleva urlare il suo oltraggio ai freddi cieli grigi, ai Valar, al fato, al resto della Compagnia. «Vuole solo salvare la sua gente!» ringhiò «Perché ci mettete alla prova così – e perché dobbiamo sempre, sempre fallire!»


«Io continuo a dire che Frodo assomiglia a Thorin» disse Fíli cocciutamente.

«Io penso che tu sia pazzo» disse Kíli, scuotendo il capo «Frodo è piccolo! E adorabile! Nessuno potrebbe mai chiamare Thorin adorabile!»

«Non se ci tengono alla loro testa» Thorin ringhiò ad entrambi, e i suoi nipoti si limitarono a ridere.

«No vedi, sono i suoi occhi, vedi?» disse Fíli «Hanno entrambi gli occhi azzurri.»

«Anche l'Elfo, e nessuno sta dicendo che lui assomigli a Thorin» ritorse Kíli.

Thorin ringhiò, e i suoi ridicoli nipoti si affrettarono entrambi a seguire la Compagnia, ridacchiando, senza che i loro piedi lasciassero alcun segno nella neve fresca.

Il Caradhras stava facendo del suo meglio per scacciare i visitatori indesiderati. La neve cadeva ogni notte, profonda e pesante, e gli Hobbit affondavano sino alla vita in certi punti. A ogni campo, cercavano di aiutarsi a vicenda coi loro piedi gelati – Pipino e Merry, Sam e Frodo. Thorin si preoccupava per loro, ma non avrebbe suggerito l'ovvia alternativa a Gimli per tutto il mithril di Khazâd-dum.

Sfortunatamente, quello era precisamente il problema.

«Mio cugino è appena sotto di noi» borbottò Gimli «Ci nutrirebbe e ci rifornirebbe grandemente, e saremmo fuori di questa maledetta neve. Il freddo lo sopporto – sono un Nano del Nord, e il freddo è un nemico familiare. È questo essere sempre bagnato che mi sta facendo impazzire!»

«Potresti gentilmente stare zitto, Gimli!» abbaiò Gandalf. Incrociò lo sguardo di Thorin e condivisero un momento di autocommiserazione. Comandare era abbastanza difficile anche senza le continue lamentele.

«Gandalf, potremmo attraversare le Miniere di Moria! Perché rischiamo per questa via?» disse Gimli, e Thorin inspirò di colpo.

«No» disse «No, Gandalf! Non puoi rischiare di passare per le Miniere. Non sono sicure!» pregò che questa fosse una delle occasioni in cui lo Stregone lo udiva.

Sembrò che la fortuna fosse dalla sua. Gandalf disse: «No, Gimli. Le Miniere non sono il posto adatto all'Anello. Non prenderei quella via a meno che non ci fosse alcuna altra scelta.»

«Ma mio cugino Balin regna là, coi miei amici e mio zio Óin!» gridò Gimli, e il cuore di Thorin faceva male per lui «Non li vedo da lunghi, lunghi anni; Lóni, Frár e Flói, il vecchio ruvido Náli e il caro piccolo Ori. Ci darebbero un caldo benvenuto, e Balin darebbe un banchetto in nostro onore e ci presterebbe aiuto, lo so!»

«Quella è una parola che mia piace» disse Pipino.

«Quale, aiuto?» disse Legolas.

«Banchetto» disse Pipino con desiderio.

«A me non dispiacerebbe troppo “caldo”» disse Sam.

«Dovremmo prendere la Breccia di Rohan, e passare da sud verso la Città Bianca» disse Boromir serio «Non avremmo dovuto prendere questa via.»

Boromir doveva essere tenuto sotto controllo. Thorin si era calmato con difficoltà, e aveva osservato l'Uomo da vicino dopo l'incidente con l'Anello. Thorin conosceva l'ossessione per l'oro – nessuno meglio di lui! Aveva visto una scintilla di quella fiamma accendersi negli occhi di Boromir, nascosta dalla disperazione per la sua gente.

E anche quel sentimento Thorin lo conosceva bene. Troppo bene.

«Non ci dirigiamo a Minas Tirith, ma a Mordor» disse Gandalf, e si voltò per guidarli. Boromir si incupì e si sistemò lo scudo, e la paura per il suo popolo brillò brevemente sul suo volto.

Il sentiero diventò persino più sconnesso fino a diventare un basso avvallamento contro il fianco della montagna. La neve diventò torrenti profondi e sotto di essi vi erano i rimasugli morti e scivolosi di erba e radici, un terreno insidioso. Gli Hobbit se la cavavano bene coi loro piedi nudi, ma i pesanti scarponi chiodati di Gimli non erano particolarmente utili e gli Uomini erano messi persino peggio.

«È scivoloso come un pesce! Se solo potessi appoggiare i piedi su roccia solida» borbottò Gimli.

«Mi piacerebbe che tutta questa neve si spostasse a Hobbiville!» ansimò Sam, levandosi la neve dalla faccia «Alla gente lì potrebbe far piacere.»

«Se fossi a letto che guardo la neve cadere attraverso le mia belle, spesse finestre, ne sarei anch'io più contento» disse Merry.

Aragorn alzò una mano, il suo volto duro intento ad ascoltare. «È il vento questo?»

Gandalf guardò attraverso i fiocchi turbinanti, e poi piegò la testa. «Vento o meno, dobbiamo continuare.»

Era una marcia sfiancante. Gli Uomini spingevano via la neve con le loro lunghe, forti gambe, creando un sentiero per i fradici e tremanti Hobbit. Gimli avanzava lo stesso attraverso la neve, il suo elmo a volte era a malapena visibile sopra alla distesa uniforme di bianco accecante. Pipino sembrava piuttosto affezionato al Nano, e gli rimaneva vicino – anche se sarebbe potuto essere il caldo. Era stato notato che rispetto a Hobbit, Elfi e Uomini, Gimli sembrava particolarmente caldo. «I tuoi fuochi devono averti scaldato il sangue, Mastro Gimli» disse Pipino, coi denti che battevano mentre facevano un accampamento patetico contro una rupe.

«Sangue o no, questo fuoco non si accenderà» rispose Gimli di malumore «Il legno è bagnato.»

«State indietro» disse Gandalf, e una scintilla di fiamme verdi e blu uscì dal suo bastone e il legno sibilò e sputò e sputacchiò.

«Bene, se qualcuno sta guardando, ora ho scritto Gandalf è qui in segni che chiunque può leggere da qui a Granburrone» disse, buttando giù la neve dal proprio cappello e appoggiando la schiena contro alla rupe che faceva loro da riparo «Passatevelo tra di voi. Bevete con attenzione! Potremmo averne ancora bisogno.»

«È un cordiale Elfico quello?» disse Gimli con sospetto «Umpf. Io salto.»

«Oooooh» disse Pipino, e si allungò verso la bottiglia con manine impazienti.

«Aspetta, piccolo avido!» lo rimproverò Sam «Padron Frodo è mezzo ghiacciato, e tu ti eri abbarbicato a quel Nano caldo come una cozza. Chiedo il tuo perdono, Signor Gimli.»

Gimli stava guardando il fuoco blu e verde con aria dubbiosa. «Nessun offesa, Mastro Gamgee. Piccolo Hobbit, aspetta il tuo turno. Direi che Aragorn e Boromir ne hanno molto più bisogno di te e me.»

Dal punto in cui stava leggero sulla superficie della neve, Legolas chinò la testa. «Sei stato quasi ingoiato dalla neve, Mastro Nano. Non hai bisogno di riscaldarti?»

«Ce la farò» disse Gimli.

«Rimarremo qui fino all'alba» disse loro Gandalf «Forse allora la neve avrà smesso di scendere.»

Ma il mattino dopo la neve cadeva ancora in grandi raffiche. Gimli si schiaffeggiò gli arti per riscaldarli, e i suoni improvvisi svegliarono Frodo. «È già mattino?» disse Frodo, strofinandosi la faccia «Mi sembra di aver dormito un minuto.»

«Aye, e ci aspetta un'altra giornata di trascinarsi fra la neve!» disse Gimli, e rise «Le avventure non sono sempre così come le descrivono dopotutto. Forse dovrei essere felice di non essere andato all'ultima.»

«Ve lo immaginate Gimli in un barile?» disse Kíli, e lui e Fíli esplosero di risate.

«Uscirebbe dalle prigioni a testate» disse Fíli.

«E funzionerebbe!» fu d'accordo Kíli, ridendo.

Thorin represse il suo sospiro.

«Intendi dire la vacanza di Zio Bilbo?» chiese Frodo mentre lui e Gimli coprivano il focolare e iniziavano a rassettare il campo. Permisero agli altri di dormire, anche se l'Elfo era andato da qualche parte a guardare il sole che sorge o a fare qualcosa di ugualmente frivolo.

«Esatto. Avevo pregato mio padre di lasciarmi venire, però, avevo solo sessantadue anni. Thorin non avrebbe portato nessuno sotto i settanta»

«Oh» disse Frodo, e sembrò confuso per un momento «Sembra così strano. Voglio dire, sessanta è oltre la mezz'età per uno Hobbit, eppure è solo gioventù per un Nano.»

Gimli gli sorrise. «Molto giovane. Tuo zio mi incontrò alcuni anni dopo la Missione, e senza dubbio mi trovò un giovanotto piuttosto selvatico e scatenato. Anzi, potevo a malapena pettinarmi la barba come si deve, ed era raccolta in due ciuffi dritti! Terribilmente imbarazzante. Sono felice che nessuno qui l'abbia mai visto!»

«È molto importante, o sbaglio?»

Gimli fece una pausa mentre arrotolava il sacco a pelo, e poi ridacchiò. «Diciamo, ad esempio, che c'è qualcuno nel nostro gruppo che si può ricordare di quando non eri che un ragazzino Hobbit senza un singolo ricciolo sui suoi piedi...»

«Non dire altro!» rise Frodo.

«Non mi piace questa conversazione» disse Kíli imbronciato. Poi diede un'occhiata a Thorin con un'espressione vagamente martirizzata.

Gli inquietanti occhi aperti di Gandalf si chiusero una o due volte. Poi si sedette d'improvviso. «Che ore sono?»

«Neanche le sei» rispose Gimli.

«E nevica ancora» sospirò Gandalf «Bene, non possiamo farci nulla. Dobbiamo continuare.»

Ben presto il loro gruppo si stava muovendo nuovamente, spingendosi attraverso la neve appiccicosa e lottando lungo i pendii ripidi del Caradhras. La neve iniziò a cadere sempre più abbondante e veloce, e presto divenne difficile persino vedere la persona dinnanzi a sé.

«Non dureranno mai così!» urlò Kíli sopra al triste ululato del vento.

«Devono continuare!» rispose Thorin, e guardò male gli Uomini mentre spingevano via la neve coi loro grandi arti «Devono attraversare il passo!»

«Se Gandalf ci precedesse con una fiamma intensa, potrebbe liquefare la neve e aprirvi un varco!» suggerì Legolas.

«E se gli Elfi potessero volare oltre le montagne, potrebbero andare a prendere il sole per salvarci» ringhiò Gandalf «Non posso bruciare la neve!»

«Guardate laggiù!» urlò Boromir «Aragorn, lo vedi? Là – la neve non sembra così profonda! Il terreno è protetto da quella sporgenza di roccia!»

«Andiamoci, allora!» gridò Aragorn di rimando, e la sua voce era tirata dallo sforzo.

L'Elfo stava guardando con un sorriso sul volto, e Thorin odiava il suo apparente divertimento alle fatiche di Hobbit, Uomini e Nani. Gli Uomini stavano lavorando duro per aiutare gli Hobbit attraverso il terreno scosceso, e tutto ciò che il dannato Principino faceva era sorridere!

«Sembreresti il migliore per questo lavoro, Mastro Talpa» disse a Gimli, che era nella neve fino al collo e sputacchiava «Ma io dico: fate arare il campo al coltivatore, ma scegliete una lontra per nuotare, e per correre veloce su erbe e foglie, o sulla neve... un Elfo.»

Thorin guardò con meraviglia furibonda mentre Legolas saliva sul tappeto di neve, e i suoi piedi a malapena segnavano la neve con le loro morbide scarpe di pelle. Scattò in avanti agilmente e si voltò, quasi ballando sul posto.

«Addio!» rise «Io vado a cercare il sole!»

E con quello se ne andò, rapido come un uccello.

Gimli ringhiò, e Thorin ringhiò con lui.


«Indietro!» ruggì Gandalf. Una valanga venne creata dal suo urlo e ricadde lungo i pendii dove stava in piedi Pipino. Boromir afferrò lo Hobbit mezzo congelato e lo tenne stretto. Il volto di Pipino era l'immagine stessa della miseria.

«Questa tempesta non è naturale!» urlò Boromir, coi fiocchi che gli si attaccavano alle sopracciglia e alle ciglia.

«Quella voce!» disse Legolas «La sentite?»

«Non riesco a sentire nulla che non sia le urla del vento» disse Gimli, la voce ruvida per il freddo. La tempesta colpiva i fianchi della montagna, e il vento pareva davvero strillare.

«Devono attraversarla» disse Thorin, e gli ordinò di continuare a muoversi. I banchi di neve erano più alti della testa riccioluta di Merry.

«Non penso che-» iniziò Fíli, ma fu interrotto dall'Elfo.

«ora! C'è una voce profonda nell'aria!» esclamò, e gli occhi di Gandalf si spalancarono.

«È Saruman!» ruggì, e il rombo di un tuono fece tremare l'aria attorno a loro e scagliò rocce e neve sopra di loro con un enorme schianto. Lo Stregone si alzò immediatamente e iniziò a parlare, scuotendo il bastone verso il lontano sud.

«Cosa sta facendo?» chiese Sam.

«Cerca di fermare Saruman, credo» rispose Frodo, voi denti che battevano «Stammi vicino, Sam. Come stanno i tuoi piedi?»

«Non saprei proprio, Padron Frodo. Non ho contatti con loro da un po', se capite cosa intendo» disse Sam secco.

Le parole di Gandalf aumentarono di volume fino ad essere delle urla, e poi si fermò con un esclamazione quando un fulmine colpì il picco della montagna. La neve cadde tutta in una volta, e davanti agli occhi terrorizzati di Thorin la Compagnia venne inghiottita dalla valanga.

«Gimli!» gridò prima di potersi fermare «Frodo!»

Il bianco e l'immobilità ricoprivano i pendii del Caradhras.

«No...» disse Ori «Stanno bene, lo so che stanno bene!»

«Non si muove nulla» disse Kíli, voltandosi e voltandosi, esaminando il terreno con gli occhi e in faccia una smorfia di preoccupazione crescente «Non si muovono!»

«Thorin!» abbaiò Fíli «Chiamali ancora! Chiama Gimli!»

«Gimli!» urlò Thorin, e Óin gli fece eco «Gimli, qua su! A me, Gimli figlio di Glóin, a me! Segui la mia voce!»

Come strani fiori uscirono lottando dalla neve. Sam per primo, poi gli Uomini e l'Elfo. Gimli si scrollò di dosso la neve con la quantità appropriata di rabbia verso il tradimento dello Stregone Bianco. Gli Hobbit si tirarono fuori rigidamente, e Merry tossiva e sputacchiava. Frodo aveva l'aspetto di uno a cui è stato tolto il respiro, e Pipino sembrava dovesse piangere.

Thorin ricadde addosso alla spalla di Fíli. Aveva quasi pensato...

«Non sono ancora fuori pericolo» mormorò serio suo nipote «Saruman riproverà, e se lui non riesce a prenderli il Caradhras ha dei trucchi propri.»

Thorin chiuse gli occhi. «C'è la Terra dei Signori dei Cavalli.»

Fíli si voltò verso Boromir, che si stava levando la neve dagli abiti e dai capelli. «Davvero?»

Thorin lanciò uno sguardo all'Uomo, e annuì. «Davvero.»

«Dobbiamo scendere dalla Montagna! Andiamo al Passo di Rohan e prendiamo la strada occidentale per la mia città!» gridò Boromir, tirandosi i due Hobbit più giovani vicino e avvolgendovi attorno il mantello alla meno peggio.

«Non puoi portare l'Anello a Minas Tirith» disse Thorin, e si voltò per trovare gli occhi di Gandalf, profondi e ombrosi, che lo fissavano intentamente «Ascoltami! Quell'Uomo teme per la sua città, ma io temo per il suo cuore. Conosco quella speranza e quella paura, Gandalf. Sta cadendo, e sta cedendo in fretta. Non puoi mettere una simile tentazione di fronte agli occhi di un disperato» sorrise, anche se era senza allegria «Sarebbe come entrare ad Erebor dopo centosettanta anni di esilio.»

Le labbra di Gandalf si strinsero, e Thorin ringraziò Mahal. Aveva udito.

«Il Passo di Rohan ci porta troppo vicino a Isengard» disse Aragorn.

«Oh, me ne ero scordato» mormorò Fíli «Vorrei avere una mappa.»

«Le Sale hanno delle mappe?» si chiese Ori «Anche a me piacerebbe molto una mappa.»

«Lo sappiamo» disse Kíli «Ma vogliamo usarla, non coccolarla.»

Ori li guardò male.

«Non possiamo passare sopra alla montagna, allora passiamoci sotto!» disse Gimli «Andiamo verso le Miniere di Moria.»

Thorin sobbalzò, e la sua testa si voltò verso Gandalf.

«Ho preso quella strada una volta» disse lentamente, e incrociò gli occhi di Thorin con uno sguardo serio «Può essere fatto. Non è un viaggio piacevole. Però non vi guiderei a Moria se non vi fosse alcuna speranza di uscirne.»

«Anch'io ho preso quella strada» disse Aragorn con voce cupa, e non disse altro.

Thorin sostenne lo sguardo blu di Gandalf e cercò di tenere la supplica fuori dalla propria voce. «Non c'è altra via?»

Gandalf scosse un poco la testa.

«Nessuna, sembra» Fíli fece scattare la testa in direzione di Ori e Óin «Non gli piacerà.»

«Neanch'io sono particolarmente deliziato dall'idea» ringhiò Thorin «Quei dannati buchi non ci lasceranno mai?»

«Siamo il Popolo di Durin, Thorin» disse Fíli gentilmente «Me l'hai insegnato tu. La casa di Durin ci attirerà sempre come della magnetite.»

«Sì, e ci divorerà ugualmente in fretta» Thorin si voltò verso Gimli, la sua infuocata e luminosa stella «Gli ho impedito di perdere la vita in quel luogo trent'anni fa solo per rimandare il giorno in cui esso la richiamerà?»

«È abbastanza lugubre» disse Fíli «Dovresti avere più fede in Gimli.»

«Non possiamo rimanere qui!» gridò Boromir «Gli Hobbit ne moriranno!»

«Che sia il Portatore a decidere» disse Gandalf infine.

Frodo esitò, i suoi occhi enormi nel suo volto arrossato dal freddo. Poi esclamò: «Andremo nelle Miniere.»

«Così sia» disse Gandalf.

Quando iniziarono l'arduo compito di ridiscendere lungo i sentieri che avevano lottato tanto per scalare, Gandalf si voltò nuovamente verso Thorin. Aveva il coraggio di sembrare impassibile, come se non stesse guidando l'Anello e Frodo e Gimli e i piccoli coraggiosi Hobbit e i due Uomini valorosi in un mattatoio insanguinato. Permise alla furia e alla paura nel suo cuore di mostrarsi sulla propria faccia, aprendo e chiudendo i pugni. Il suo respiro usciva in fretta e a scatti, facendo tremare le costole.

«Non vi troverai Balin, né Ori, né Óin» disse «Nessun Nano vivo vi aspetta nelle Miniere. State andando verso la vostra morte!»

Gandalf grugnì. «Possibile, mio caro Nano, possibile. Nonostante ciò, cos'è la morta se non un'altra via da prendere? Tu fra tutti dovresti saperlo.»

La mascella di Thorin si chiuse di scatto, e guardò la Compagnia che si faceva strada a fatica nella tempesta. Poi guardò con odio il picco della montagna.

«Crudele Caradhras, ti hanno chiamato» ringhiò «Aye; crudele sopra e sotto.»


Il campo quella notte fu miserabile. Thorin si fermò ai suoi bordi, e la Compagnia era troppo stanca per parlare o accendere un fuoco. Gli Hobbit si gettarono immediatamente nei loro sacchi a pelo, e perfino Pipino non disse nulla mentre si rannicchiava tra Gimli e Merry, rubando senza vergogna tutto il calore che poteva. Tutto ciò che poteva essere visto di Sam erano i suoi capelli ricci. Frodo fissava le rocce tristemente e non parlava.

«Ne sei certo, Gandalf?» mormorò Aragorn «Anch'io ho preso quella strada oscura. Non avrei accettato di portare l'Anello a Moria a nessun prezzo.»

«Non è il prezzo che ci guida, Aragorn» rispose Gandalf, la sua antica voce bassa e roca «È la necessità, e lei è una signora molto più crudele di qualsiasi commerciante al mondo. Per fortuna, non sei tu che hai accettato. Questo è il peso di Frodo, e quindi la scelta di Frodo. Siamo solo qui per aiutarlo. Se non ti ricordi nient'altro, ricordati questo.»

Aragorn strinse le labbra e si voltò. I suoi occhi scuri analizzarono l'orizzonte, lungo le zigzaganti linee delle montagne che li deridevano. «Quel vento malato soffia ancora da sud.»

«Saruman, senza dubbio» disse Gandalf, appoggiandosi al bastone «Vuole sapere se i suoi sforzi hanno avuto successo. Però io non sono privo di abilità e ci ho nascosti da lui per il momento. Potrebbe forse pensare che siamo caduti sul Caradhras.»

«Non credo che noi siamo così fortunati» borbottò Thorin cupo.

Aragorn si accigliò. «Saruman non è lo Stregone Bianco senza motivo.»

«Vero» disse Gandalf, e un breve lampo di dolore gli passò sul volto «Però Moria ha un grande vantaggio. Le Porte sono invisibili quando sono chiuse, e nemmeno le arti di Saruman possono trovarle.»

«Un piccolo vantaggio quando tutti gli Orchi delle Montagne Nebbiose aspettano al suo interno» disse Aragorn «Speri di poter trovare i parenti del Nano da qualche parte in quelle Miniere?»

A Thorin si mozzò il fiato, e fu improvvisamente felice che gli altri l'avessero lasciato prima perché lui facesse l'ultimo turno di osservazione da solo. «Non mi hai sentito prima?» ringhiò «Stregone irritante, senti solo quello che vuoi sentire!»

Gandalf era un ottimo attore o non si stava concentrando abbastanza per vedere Thorin al momento. Lui non avrebbe escluso nessuna delle due trattandosi di quel vecchio ficcanaso. «Spero di essermi sbagliato» disse serio.

«Ma non credi di esserlo» disse Aragorn.

Gandalf scosse la testa. «No.»

«Lo spirito di Óin è stato in piedi dietro di te per metà della giornata, grigio seccatore itinerante!» Thorin alzò le mani in frustrazione «Tu – ah!»

«Potete abbassare il volume voi due?» grugnì improvvisamente Gimli «Ho la testa piena del vostro borbottio!»

Thorin imprecò e si schiaffò una mano sulla bocca.

Aragorn sembrava preso alla sprovvista. «Le mie scuse, Mastro Gimli.»

«Non sono il mastro di nessuno, ragazzo» Gimli sbadigliò «Solo Gimli. L'educazione Hobbit è contagiosa, sembra.»

Le labbra di Aragorn fremettero. «Possibile.»

«Mi sorprendi Gimli» disse Gandalf, e si appoggiò contro un albero «È un prodigio che tu riesca a sentire qualcosa sopra a quel vento. Non sapevo che le orecchie dei Nani fossero così acute.»

«Aye, beh, non lo sono» borbottò lui «Lavorare nelle forge e nelle miniere ti fa quell'effetto dopo un po'. Mio zio è sordo come una campana. Ma anche una campana riuscirebbe a sentire quella confusione!»

«Mi ricordo delle piccole difficoltà di tuo zio» disse Gandalf cautamente «Ma stavamo parlando a voce piuttosto bassa.»

«Beh, forse era solo l'ululato del vento» concesse Gimli. Thorin si morse la lingua. Sarebbe mai riuscito a controllarsi?

«Certo che ulula la tempesta» disse Sam con voce assonnata.

«Ulula la tempesta!» disse Pipino da qualche parte sotto la sua coperta «Questa è buona, Sam!»

Improvvisamente Aragorn scattò in piedi. «Ulula la tempesta! Ulula con voci di lupo: i Mannari sono venuti a ovest delle Montagne!»

Gimli scattò in piedi, e Pipino si accasciò dietro di lui con un suono di protesta. «Lo sono! E le mie orecchie sono troppo intontite per riconoscerli!» imprecò «Scappiamo?»

«Rimaniamo» disse Gandalf «Gli Hobbit non riusciranno a muoversi di nuovo prima del mattino. Ma dovremmo raggiungere la cima di quel colle. Riusciremo a difenderci più facilmente. Legolas!»

L'Elfo apparve dalle ombre, il suo volto intagliato dalla luce lunare. «Mithrandir! Ngaurhoth!»

«Non possiamo sfuggirgli. Andiamo in cime alla collina» disse Gandalf.

«Ci sono già stato» disse Legolas, inclinando la testa «C'è un piccolo gruppo di alberi contorti, freddi e antichi. Non ricordano il calore. Qualsiasi fuoco verrebbe visto da miglia di distanza.»

«Beh, l'ultima parte potrebbe essere utile» grugnì Gimli.

Legolas lo ignorò. «Non possiamo evitare i cacciatori. Dovremmo attirarli verso le nostre armi.»

«Dove caccia il Mannaro, anche l'Orco cavalca» disse Aragorn.

«L'Orco muore con la stessa rapidità del Mannaro» disse Boromir.

«Muovetevi!» abbaiò Gandalf, e Thorin sospirò di sollievo quando finalmente tutti la smisero di parlare e iniziarono a correre verso la cima della collina. Gimli stava levando la sua ascia rotante dal fodero mentre correva, e una delle asce da lancio di Fíli era nella sua altra mano.

«Uomini ed Elfi e Stregoni!» sputò mentre caricava a seguito degli Hobbit «Parlerete sempre fino a morire!»

«È abbastanza la luce lunare, Legolas?» chiese Aragorn, sfoderando la spada.

«Quando il Nano avrà acceso il fuoco, sarà meglio» disse Legolas «Vorrei che le stelle fossero più luminose stanotte!»

«Aspetta, non posso fare tutto assieme!» ringhiò Gimli. Raccolse una pila di rami morti dagli alberi malconci in cima al colle. Al centro vi era un cerchio spezzato di pietre, che avrebbe fatto da muro. Sam e Merry trovarono delle foglie secche che erano cadute fra le pietre e con esse be presto Gimli aveva acceso il fuoco. «Ecco! Cosa volevi vedere?»

Legolas si accigliò. «È questo che intendevi con oscurità completa?»

Gimli lo guardò storto. «Beh, che ti aspettavi da una razza sotterranea? Non possiamo scontrarci per sempre. Tanto per dirne una, lavorare in miniera sarebbe ancora più difficile di com'è normalmente.»

«Davanti a noi, Gimli» disse Gandalf «Vedi qualcosa?»

Gimli si spinse più in alto l'elmo sulla fronte, guardando fuori dal cerchio di massi. «Nulla da quel lato. Né a nord.»

«Verranno da est, probabilmente» disse Gandalf.

«Sì, laggiù» disse Gimli calmo, alzando l'ascia da lancio «Un grande capitano-Mannaro, direi. Sta seguendo l'odore.»

«Ha un cavaliere?» chiese Boromir, il suo volto teso.

«No» disse Gimli «È solo.»

Gandalf alzò il suo bastone e avanzò, la sua testa alta e i suoi capelli disordinati e svolazzanti dietro di lui. «Ascoltami, Mastino di Sauron!» gridò «Gandalf è qui. Scappa, se ci tieni alla tua pelle malvagia. Ti scuoierò da coda a muso se oltrepassi quest'anello.»

Il lupo ringhiò, un suono da far venir i brividi pieno di tremenda promessa. Gli Hobbit si strinsero assieme, raggruppati dietro Nano, Elfo e Uomini. Poi il Mannaro tirò indietro la testa e ululò a lungo e forte, come se stesse richiamando il resto del branco al banchetto.

Legolas estrasse una freccia dalla faretra. «Guidami» disse brevemente.

«Vedi il gruppo di alberi morti che abbiamo superato prima?» disse Gimli «È in piedi davanti ad essi.»

«Sì, ora lo vedo» disse Legolas «Hai detto il vero, Mastro Nano. Nella completa oscurità hai degli occhi.»

Poi lasciò partire la freccia proprio quando il Mannaro si lanciava sullo Stregone. Con un suono profondo e musicale, si infilò profondamente nella gola del Mannaro. Ci fu un suono orribile e la grande forma scura si schiantò pesantemente al suolo.

Gandalf si alzò dritto e pronto, ma nessun attacco immediato seguì il richiamo del capitano-Mannaro. Iniziò a ritirarsi verso l'anello di pietre, il suo bastone tenuto alto in guardia e Glamdring sfoderata e luccicante. «Un buon colpo» disse «Spero tu ne abbia altri.»

«Io non sbaglio» disse Legolas in un tono vagamente offeso.

«Sembra una sfida» si disse Gimli «Potrebbe essere interessante.»

Thorin scosse la testa. «Forse questo non è il momento migliore?»

«Nay, forse non ora» concesse Gimli, e sospirò «Sarebbe bello vederlo scendere di una tacca o due dal suo piedistallo, però!»

«Senza la minaccia di morte imminente» sospirò Thorin «Gimli, le tue priorità stanno diventano un tantino oscure.»

«Non mi piace questo nuovo silenzio» disse Boromir «Cosa stanno aspettando?»

«Il loro nuovo capo ordinerà di attaccare, senza dubbio» disse Gandalf «Temo che ben presto ci mancherà il silenzio.»

Il quel momento, tutto attorno a loro esplose un gran ululare, selvaggio e feroce e pieno di crudele piacere. Un grande gruppo di Mannari era arrivato strisciando e aveva circondato il colle, e Gimli strinse forte le sue asce. «Il fuoco cresce troppo lentamente» disse Legolas «Quanti?»

«Troppi per indicarli tutti» ringhiò lui «Fai partire una freccia: colpirà un Mannaro.»

«Non è molto rassicurante» disse Legolas asciutto.

«Oh, scusami. Volevi essere rassicurato?» ritorse Gimli «Non siamo a una delle tue festicciole nella foresta ora, ragazzo!»

Legolas socchiuse gli occhi. «Guidami e basta, Nano.»

«Non contarci, Elfo» rispose Gimli «Lasciare a te tutto il divertimento? Penso di no!»

«Vorreste unirvi a noi prima della fine di quest'Era?» ruggì Gandalf, lottando con due Mannari allo stesso tempo.

Con un grande urlo di Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!, Gimli si lanciò oltre al cerchio di pietre per scagliare l'ascia da lancio di Fíli direttamente nel muso di un lupo all'attacco. Poi roteò a spedì la sua ascia rotante dal manico corto nella gola di un altro, prima di colpire alla bestia ringhiante fra gli occhi col suo pugno corazzato. L'enorme teschio si frantumò sotto alle nocche di Gimli, e poi lui stava girando nuovamente, facendo ruotare l'ascia in rapidi otto che le braccia di Elfi o Uomini non potevano nemmeno sperare di riprodurre. Gimli rimase in piedi come una roccia, i suoi piedi piantati fermamente nel terreno mentre attorno a lui la sua ascia regalava una luminosa morte d'argento. L'Elfo lo fissò per un momento, e Thorin si sentì incredibilmente compiaciuto.

«Gimli figlio di Glóin è il migliore combattente d'ascia degli ultimi due secoli» disse all'arrogante creature con un certo senso di soddisfazione «E tu, figlio di Thranduil, hai avuto l'audacia di chiedere che utilità avrebbe avuto!»

Legolas si riprese in fretta, e l'arco di Bosco Atro ricominciò a cantare la sua profonda e musicale canzone. Per il malumore di Thorin, l'Elfo non si era vantato senza motivo della propria abilità. Le sue frecce non sbagliavano mai, ma volavano dritte e sicure e senza errore verso occhi, gole e tempie. Persino l'oscurità e il fuoco che cresceva lentamente non avevano alcun effetto contro le sue abilità. La sua mano andava avanti e indietro dalla faretra con velocità ultraterrena, sembrando quasi sfocata. A un certo punto scagliò insieme due frecce che uccisero due Mannari diversi, un risultato che Thorin si trovò ad ammirare.

Aragorn era probabilmente il miglior spadaccino che Thorin avesse mai visto. Il suo stile era senza dubbio Elfico, ma Thorin riconobbe una solida mossa dei Rohirrim mischiata ai fluidi movimenti Elfici. Poi iniziò a notarne altre: qua una doppia parata tipica degli Uomini del Nord, là un gambetto di Gondor meridionale. E l'Uomo non si vergognava di combattere sporco. Per la sorpresa di Thorin, Aragorn fece una finta a sinistra prima di sfoderare un coltello dallo stivale e spedirlo nella testa di un Mannaro quando esso si voltò per inseguirlo, prima di estrarlo e lanciarlo nuovamente dentro all'occhio di un altro. «Interessante» mormorò Thorin fra sé e sé, studiando la tecnica e l'efficacia di un misto tanto vario di stili «Innegabilmente efficace.»

Boromir era un combattente molto più rigido di quanto Thorin avesse pensato. La sua spada si muoveva nelle parate e negli affondi dello spadaccino addestrato, ma non aveva la fluidità virtuosa di Gimli, Legolas e Aragorn. Piuttosto si muoveva in maniera simile a un soldato, ogni mossa economica e misurata, ogni passo che parlava di ore di allenamento.

Poi la voce di Gandalf si alzò al di sopra della confusione della lotta, risuonando profondamente. «Naur an edraith ammen! Naur dan i ngaurhoth!»

Con un grande ruggito spezzato, gli alberi attorno a loro presero fuoco. Sembrava quasi che dai loro rami rinsecchiti fossero improvvisamente cresciute foglie e gemme di fiamma. I Mannari ringhiarono e guairono, ma Gandalf si era raddrizzato e circondato del mantello del suo potere – non più un vecchio, ma un grande e tremendo Stregone, potente e pericoloso. La luce improvvisa fece sembrare la collina incoronata di fuoco, e l'ultima freccia di Legolas si accese mentre volava diretta nel cuore di una grande bestia nera con mascelle enormi. Essa penetrò e affondò nel suo petto, e mentre quello ululava e ringhiava in agonia, il resto del branco fuggì.

Gandalf li guardò mentre se ne andavano per un secondo, prima di voltarsi verso gli altri. «State tutti bene?» chiese, improvvisamente un vecchio uomo curvo che si appoggiava al suo bastone.

«Aye, sano e intero» disse Gimli «Non mi sarebbe dispiaciuto un piccolo avvertimento prima di quel lampo di luce. Lo vedrò per giorni!»

Parve che Legolas stesse a malapena reprimendo un commento. Probabilmente qualcos'altro a proposito degli occhi, pensò Thorin acido. Elfi.

«Ce ne andiamo immediatamente» disse Gandalf, e alzò una mano in aria. Lentamente le fiamme morirono fino a che non fu sicuro per gli Hobbit tirar fuori la testa dai limiti del cerchio di pietre.

«Ci sono andati vicini» disse Merry «Facciamo in modo che queste cose non accadano di frequente, che dite? Fa male alla digestione.»

«Andiamo» disse Sam «Cosa ti avevo detto? I lupi non avrebbero mai preso il vecchio Gandalf, questo è certo. Mi ha quasi fatto bruciare i capelli!»

«Un attimo» disse Gimli, e corse verso uno dei Mannari a terra, che si contraeva debolmente. Lo fece rotolare, e poi disse un “ah-ha!”

«Non abbiamo tempo di scuoiare quell'animale, Gimli!» disse Aragorn «Andiamo ora!»

«Aye e a me non serve la sua pelle» disse Gimli «Sto solo riprendendo ciò che è mia proprietà» e si piegò e strattonò l'ascia da lancio per farla uscire dal teschio del Mannaro con un grugnito di sforzo, prima di borbottare sottovoce «L'ha scheggiata. Dannati teschi dei Mannari. Duri come delle dannate rocce, questo sono.»

«Non è da stupirsi che tu sembri così pratico dunque» mormorò Legolas.

Gimli guardò storto l'Elfo senza interruzioni per le due ore seguenti. Thorin pensava che non fosse male come sguardo truce, anche se quello del Piccolo Thorin era ancora di molto superiore.

TBC...

Note:

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


Incontra una Nana

Gimrís figlia di Mizim

Gimrís era una ragazza testarda e chiacchierona che divenne una Nana furba e vivace. In genere il suo umorismo acido è usato contro suo fratello maggiore Gimli. Gimrís non mostra facilmente il proprio affetto, e in genere lo nasconde dietro a battutine e provocazioni. Ha ereditato il famoso corpo voluttuoso di sua madre, ma i suoi capelli sono accesi e focosi come quelli di suo padre e di sua nonna. Slegati, le ricadono fin sotto alle ginocchia. Può essere piuttosto vanitosa del suo aspetto, e ha l'abitudine automatica di pettinare gli uomini della sua famiglia mentre allo stesso tempo li rimprovera. Sua madre le ha anche insegnato come usare i coltelli da lancio, e lei è molto gelosa dei suoi, fatti da suo padre e tenuti in una teca di vetro speciale sul suo muro.

Gimrís è una fantastica vetraia e un'ottima guaritrice che ha imparato sotto la guida di suo zio Óin. Ha sposato Bofur figlio di Bombur, e gli ha dato un figlio: Gimizh. Quando fu avanti con gli anni, suo fratello donò il comando della Valle delle Caverne Scintillanti (Sindarin: Aglarond, Rohirrim: Súthburg) a Gimrís e alla sua discendenza.

Gimrís di pixolith


Il martello colpì il rame incandescente con un enorme clang! Thorin si asciugò la fronte, e guardò male il pesante tegame, prima di alzare nuovamente il martello. Il rame colpito non era liscio nella parte inferiore. Quando messo su un fuoco, non si sarebbe riscaldato uniformemente. Il cibo non sarebbe stato tutto cotto alla stessa maniera. Nessuno Hobbit lo avrebbe mai accettato.

Uno Hobbit aveva scelto te.

Clang! Il martello cadde nuovamente, e Thorin si scrollò i capelli e il sudore dagli occhi. Meglio. Ora la pentola sarebbe stata un bell'oggetto una volta finita – caldo rame e freddo acciaio, le linee intrecciate dell'edera intorno ai manici. Decisamente troppo pesante perché uno Hobbit lo sollevasse da solo. Un Nano avrebbe avuto bisogno di aiuto. Thorin sarebbe stato di certo abbastanza forte.

Stanno andando a Moria.

Clang! Forse la pentola sarebbe potuta essere usata per gli stufati speziati e le zuppe popolari in tutta la Contea. Forse avrebbe contenuto del bollito o del manzo cotto con chiodi di garofano e pepe nero, o forse quel denso dolce porridge che agli Hobbit piaceva annegare nella panna e nel miele. Forse avrebbe potuto, un giorno, contenere un zuppa di pane Nanica, o il tradizionale stufato di gnocchi dei Vastifasci che sua nonna faceva sempre. Bilbo sarebbe stato interessato alla cucina Nanica.

L'Anello sta chiamando Boromir. Gli sussurra all'orecchio.

Clang! I capelli non gli stavano fuori dagli occhi, e il sudore li stava affaticando e bruciando. Mise la pentola sul bordo del fuoco della sua forgia prima di levarsi la maglia e asciugarvisi bruscamente il volto. Poi si legò alla meno peggio i capelli indietro e riprese il suo martello. Il rame si sarebbe legato, o si sarebbe spezzato.

La Compagnia si sarebbe legata, o si sarebbe spezzata.

Clang! Aveva dato la sua parola a sua madre che non avrebbe pensato ai propri sensi di colpa. Ma le abitudini di ottant'anni erano difficili da spezzare. Aveva rifiutato il suo posto di comandante della sua gente e rifiutato la sua parte di ogni bottino che sarebbe stato guadagnato dalla sua missione, eppure stava ancora una volta al comando. Clang! Avrebbe fatto di meglio stavolta. Clang! Non avrebbe deluso il suo infuocato inùdoy Gimli, o il disperato nobile Boromir, o il coraggioso giovane Frodo. Clang! Non avrebbe deluso Bilbo. Non questa volta. Clang! Avrebbe fatto del suo meglio per la Terra di Mezzo. Clang! Il suo Creatore lo sapeva. Clang! L'Anello. Il maledetto, maledetto Anello. Clang!

«Thorin!»

Frerin corse nella forgia, i suoi occhi spalancati. «È Erebor, devi venire!»

Thorin appoggiò il suo martello. «Cos'è successo?» chiese. La sua voce era ruvida e secca per via del calore del fuoco, e la sua mascella gli faceva male per averla stretta a lungo.

«Il messaggero» disse Frerin. Non vi era traccia della sua normale allegria impertinente sul suo volto «È tornato.»

Afferrando la sua maglia, Thorin lasciò la pentola dov'era. I fuochi avrebbero bruciato piano, e la pentola poteva essere scaldata di nuovo. Il rame si sarebbe legato all'acciaio più tardi. «Chi guarda con te?» chiese brevemente, seguendo suo fratello attraverso i corridoi.

«Fundin, nonno, e Balin» Frerin si stava di nuovo mordendo le labbra, e quello inferiore era rosso e gonfio, in forte contrasto con l'esangue labbro superiore. Dimostrava esattamente la sua età. A volte Thorin si dimenticava quanto giovane fosse davvero suo fratello. La vita nelle Sale non era vera vita. Non importava quanto tempo fosse passato, Frerin avrebbe avuto quarantotto anni per sempre. «Chi sta guardando la Compagnia?»

«Nori, Bifur e Kíli» disse Thorin mentre entravano nella Camera. Le figure in ombra di Nani che sedevano immobili attorno alla pozza piena di luce stellare dava alla gloriosa Camera di Sansûkhul un'aria strana, inquietante. La luce fredda brillava sui volti congelati, e gli occhi erano fermi e vuoti mentre fissavano nell'acqua, respirando molto lentamente.

«Ori dovrebbe unirsi a noi» disse Thorin dopo un momento, rimettendosi la maglia e facendosi passare una mano tra i capelli fradici di sudore «Potrebbe sapere qualcosa dei rapporti o dei precedenti che Balin non sa.»

«Vado a prenderlo» promise Frerin «Ci vediamo nelle acque, fratello.»

Thorin annuì, prima di sedersi al suo posto abituale. Il freddo brillare della vasca si intensificò e come sempre Thorin venne accecato e rivoltato prima di svegliarsi, sbattendo le palpebre, nel mondo dei viventi.

Erebor, le sale del consiglio. Dáin era ricaduto mollemente su una sedia, la testa bianca in disordine. Il suo piede di ferro era, per una volta, staccato e appoggiato contro al tavolo. Doveva essere estremamente stanco per lasciare che una debolezza simile fosse vista, pensò Thorin. Dáin sembrava vecchio. Molto vecchio.

Al tavolo vi era anche Dís, anche lei coi capelli in disordine. La sua barba tagliata in disegni intricati era spettinata, e aveva cerchi profondi sotto agli occhi. La sedia mobile di Bombur era in un angolo, e il Nano in questione di massaggiava la fronte con preoccupazione. Anche se aveva dato una strenua battaglia, la vecchia ferita di Bombur combinata con la sua età l'aveva infine relegato a una sedia permanentemente. I suoi figli Bolrur, Bofrur, Barum e Barur in genere aiutavano il loro povero padre a spostarsi (Bofur stava lavorando su un carro a ruote che si muoveva grazie al vapore e all'orologeria), ma al momento non erano in giro. Vicino a Bombur c'era Dwalin, che parlava in tono basso e arrabbiato a Bofur e Gimrís. Il Principe Ereditario Thorin Elminpietra andava avanti e indietro come un leone intrappolato davanti al fuoco, coi tendini che risaltavano sul suo collo spesso. Orla era in piedi di guardia davanti alla porta, il volto impassibile e gli occhi attenti.

«Nipote» disse Thrór, voltandosi verso Thorin ed esalando un lungo, lento sospiro. Il suo volto era serio e solenne. «Non va bene.»

«Frerin ha detto che il messaggero è tornato.»

«Aye, e non è felice delle sue risposte per ora» disse Fundin debolmente.

«Cos'è successo?» Thorin si voltò nuovamente verso Dáin. Suo cugino si stava tracciando lenti cerchi pensierosi sulle tempie con le dita. «Quali sono state le loro risposte?»

«Non sappiamo nulla di Glóin» disse Dís nel silenzio teso «Ancora nulla da Granburrone.»

«No» grugnì Dáin «Ancora nulla.»

«Gli Uomini di Dale se la stanno prendendo comoda» disse Bombur «Ti hanno ascoltato, Thorin?»

Era ancora un po' sconcertante sentire qualcuno che lo chiamava per nome, e avere un altro Nano che rispondeva. L'Elminpietra ringhiò e picchiò il suo grande pugno contro il muro. «Re Brand rimane in silenzio per ora» disse amaramente «Bizarûnh, pah! Pensavo che avessimo superato i giorni in cui non ci fidavamo gli uni degli altri. Pensavo che fosse nostro amico e alleato.»

«Così era. Così è ancora» disse Dáin, guardando severamente suo figlio «Ma unirsi a una disputa tra Nani e il Signore Oscuro Sauron non è una cosa semplice da decidere. Dagli tempo.»

«Tempo? Brand sarà morto prima di decidersi!» ringhiò l'Elminpietra.

«...spariamogli e basta!» stava sibilando Gimrís «Mettiamogli una freccia in faccia! Vediamo come consegnerà il proprio messaggio quando sarà pieno di aghi come un portaspilli!»

«È un messaggero di Sauron» ringhiò Dwalin «Non so nemmeno se può morire.»

«Ebbene, non ho paura di provare» disse Gimrís, alzando il capo.

«Per il nostro ragazzo e per il mio povero vecchio cuore, mio rubino, proviamo in un'altra maniera prima?» suggerì cautamente Bofur.

Gimrís incrociò le braccia. «Se voi oh-così-saggi idioti non potete trovare un modo, i miei coltelli escono dalla loro teca.»

«Dovrebbe fare felice il giovane Gimizh» borbottò Dís.

«I messaggeri di Mordor hanno ogni sorte di arti malvagie» disse Orla nella sua voce bassa e roca «Nessuna lama normale può ferirli.»

«Quindi ucciderlo è fuori questione» disse Dáin, e alzò una mano contro le proteste sia di Dís che di Gimrís «No. Se la guerra deve arrivare, ci servirà ogni ascia, ogni coltello da lancio e ogni spada. Non sprecherò la nostra forza contro un postino.»

Gimrís borbottò qualcosa sottovoce, e Bofur le baciò una tempia. «Ecco il mio rubino infuocato» disse piano «Lo so, ghivasha. Lo so.»

«Casa nostra» disse Gimrís, e strinse i denti. I suoi meravigliosi occhi erano pieni di furia.

«Per le lacrime di Mahal, avevo sperato di poter vedere i miei ragazzi e le mie ragazze crescere senza questo... questo...» Bombur strinse i manici della sua sedia mobile «Questa dannata gamba. Non posso combattere. Non posso nemmeno camminare. Che utilità posso avere?»

«Shhh, non iniziare» Bofur rimproverò suo fratello, prima di afferrargli la grande testa fra le mani e premere forte la propria fronte contro quella di Bombur «Smettila, grosso idiota, o lo dirò ad Alrís e poi sarai davvero in un mucchio di letame.»

«Non abbiamo nemmeno avuto la nostra Montagna per ottant'anni» disse Dís, le sue mani strette sul dorso di una sedia «Questa sarà la terza guerra della mia vita – la seconda alle porte di Erebor.»

«Zia Dís» iniziò Gimrís, e la Principessa scosse la testa.

«Il Re ha ragione» disse con riluttanza «Non possiamo rispondere alle sue minacce con la sua morte, anche se fossimo in grado di ucciderlo.»

«Con cosa hanno minacciato Erebor?» chiese Thorin, guardando sua sorella che deglutiva dolorosamente. Il volto di lei era deformato. Era ovvio che odiava ogni parola che diceva, ma la loro logica non poteva essere negata. La praticità leggendaria di Dáin stava evidentemente spandendosi alla sua corte e al suo popolo.

«Guerra, cos'altro?» disse Fundin, guardando suo figlio con occhi tristi. La rabbia brillava sul volto di Dwalin, ma era mista a riluttanza. Piccolo Thorin aveva solo trentasette anni, Thorin lo sapeva. A malapena fuori dall'infanzia, anche se aveva guadagnato presto l'altezza che avrebbe avuto da adulto, come la maggioranza dei Longobarbi.

«Apertamente?» Thorin si voltò di nuovo verso Dís. Lei respirava in fretta, e le sue trecce spettinate le stavano ricadendo sul viso.

«Aye» Fundin gli diede uno sguardo serio «Nessun trucco. Le parole furono: “lo trovereste inconveniente rendere Lord Sauron vostro nemico, e se non siete nostri amici cos'altro potete essere? Mordor potrebbe distruggere la vostra grande montagna in pochi giorni. Non invitate questa possibilità”.»

«Abbastanza diretto» sospirò Thorin. Dáin stava picchiettando il tavolo con le dita, i suoi occhi preoccupati.

«Va bene, siamo qui» disse Frerin dietro di loro «Cos'è successo?»

«Niente» disse Fundin.

«Gli Uomini non hanno risposto alla chiamata» disse Thorin, e Ori sbucò da dietro Frerin per avvicinarsi a loro, con gli occhi spalancati «Il messaggero ha reso la sua minaccia aperta ora. Quante altre volte verrà?»

«Due» disse Balin bruscamente «Altre due volte, e l'ultima volta porterà un esercito e non un messaggio.»

«Senza dubbio» disse Fundin.

«Perché i Bizarûnh non ci aiutano?» domandò Ori, e chinò il capo pensieroso «Abbiamo un patto fra Dale e la Montagna. È stato fatto dopo la Battaglia delle Cinque Armate – Bard in persona l'ha firmato! Non possono tradirci ora.»

Fundin scosse la testa. «Tutti possono tradire tutti. Le nuvole si addensano sopra Erebor, e gli Uomini si chiedono se possono essere risparmiati.»

«Bene, non è che i Nani non siano abituati a rimanere soli» disse Balin, la sua voce cupa.

«Non è che i Nani non siano abituati al tradimento» borbottò Thorin.

«Hanno contattato il Bosco?» chiese Ori, raddrizzandosi «Lo so – lo so cosa avete appena detto, ma è – potrebbero...»

Thorin incontrò lo sguardo di suo nonno, e Thrór alzò le mani in segno di arresa. «Prova» disse, anche se non c'era speranza nel suo tono «Forse questa volta non ci volteranno le spalle.»

Thorin pensava che fosse inutile, ma parlò lo stesso a colui che più probabilmente lo avrebbe sentito. «Dwalin» disse, voce ferma e seria «Dwalin, gamil bâhûn. Cosa mi dici degli Elfi?»

Dwalin batté le palpebre. Poi fece un passo avanti. «Cosa dite dei Khuthuzh?» chiese rudemente.

«Oh, come se Thranduil correrebbe ad aiutarci» ringhiò Bofur «Non ama i Nani. Non gli importerebbe un fico secco se la Montagna fosse ridotta in polvere. Senza dubbio andrebbe a guardare fra le rovine per vedere se rimanessero delle cose luccicanti da prendersi!»

«Shazara!» esclamò Dáin «Abbastanza! Quante volte devo dirti di lasciare le vecchie ossa dove sono e non masticarle ancora e ancora? Hai ragione, Dwalin, manderemo un messaggio al Re Elfico. Almeno odia Mordor più di quanto odi i Nani.»

«Solo minimamente» disse Bombur, arricciando le labbra.

«Come sta il nostro esercito?» disse Dáin, voltandosi verso Dwalin. Lui alzò la mano e la mosse da un lato all'altro.

«Abbiamo perso un sacco di gente ottant'anni fa» disse seriamente «Non siamo al massimo della forza. Questi sono buoni combattenti, aye, ma ci serviranno delle riserve e a loro servirà addestramento.»

Orla disse: «Ne abbiamo tremila pronti ora. Cinquecento reclute degli ultimi due anni che non hanno finito l'addestramento. Circa centoventi di questi hanno meno di sei mesi di esperienza.»

«Possiamo aumentare i turni di addestramento?» chiese Dáin.

«Io sono disponibile per lezioni di spada» disse Dís, alzando il mento. La sfida non detta rimase nell'aria – dì qualcosa sulla mia età, stava dicendo, e avremo delle lezioni di spada prima del previsto.

Orla si inchinò. «Saremmo grati di avervi, Signora» disse con la sua voce bassa e rigida «La mia ascia è al vostro comando.»

«Prenderò il mio piccone» disse Bofur rassegnato «Qualcuno dei ragazzi alle miniere potrebbe voler venire, senza dubbio. Se la birra è gratis.»

Bombur sospirò.

«Mia madre ed io abbiamo i nostri coltelli da lancio» disse Gimrís, e alzò la mano prima che Bofur potesse protestare «Io ci sono dentro. Ho lo stesso diritto di proteggere casa mia di te, e se dici una sola parola su nostro figlio potrei suggerire che sia tu quello che resta a casa e si preoccupa!»

Bofur lanciò uno sguardo di supplica a Dwalin, e Dwalin scosse il capo in avvertimento.

«Arcieri?» chiese Dáin (con un tempismo estremamente diplomatico, pensò Thorin).

Orla fece una smorfia. «Non molti. Cento al massimo, la maggioranza dei quali preferisce un'altra arma. Ci mancano le difese a lungo raggio oltre alle mura della Montagna.»

«Nessun arciere?» disse Thorin incredulo «A cosa stavi pensando, Dwalin?»

«Non è popolare» disse Dwalin sulla difensiva.

«I miei ragazzi Alrur e Alfur sono abbastanza bravi con un arco, e Bomfrís è più brava di entrambi» disse Bombur.

«Mandali ad addestrare gli altri giovanotti. Forse i loro pregiudizi sono meno stupidi» disse Dáin secco «Le difese delle mura?»

«Non rimane molto dopo il Drago, ad essere onesti» disse l'Elminpietra con un lungo sospiro «Il parapetto ha delle conche per i calderoni, e penso di aver visto dei solchi per le catapulte qua e là...»

Thorin fece una smorfia. Quel dannato, tre volte maledetto parapetto.

«...ma non ne rimane molto. Penso che il metallo sia stato usato per qualcos'altro. È stato fatto con così tanto.»

«Beh, ci servono ora» disse Dáin, e si voltò verso Dís «Chi, pensi?»

Lei si morse l'interno della guancia per un momento e poi disse: «Dori figlio di Zhori. Non è un fabbro, ma nessuno può comandarne tanti quanto lui. Avrà i Fabbri e i Minatori che lavorano per noi più in fretta di un battito di ciglia, e in più saranno organizzati con precisione militare.»

«Questo è mio fratello» disse Ori a nessuno in particolare. Il suo petto si era gonfiato fin quasi al suo mento dall'orgoglio.

«Infine» disse Dáin, e si massaggiò nuovamente le tempie. La corona aveva lasciato segni permanenti nella sua pelle macchiata dall'età. «L'infermeria.»

«Abbiamo ventotto guaritori e due apprendisti» disse Gimrís «Non basteranno.»

«Ancora gli Elfi?» suggerì Dwalin.

Bofur borbottò sottovoce qualcosa di estremamente inappropriato (e probabilmente anatomicamente impossibile).

«Se rispondono alla chiamata, aye» disse Dáin. Fece ricadere indietro la testa e la sua mano si mosse sopra al ginocchio della sua gamba troncata. «Altre idee?»

Il silenzio fu rimbombante, ma almeno era più speranzoso dell'orribile cupezza di prima.

Dáin si schiarì la gola. «Molto bene. Faremo così dunque. Andatevene, devo parlare col mio ragazzo.»

Fundin guardò suo figlio che si piegava con un grugnito di dolore fino al braccio della sedia di Bombur. Bofur, Gimrís e Orla presero gli altri bracci, e insieme sollevarono il Nano costretto alla sedia dalla sala del consiglio. Dáin ricadde indietro, chiudendo gli occhi dalla stanchezza. Non li salutò, e la porta si chiuse con un click quasi silenzioso dietro di loro.

«Cugino» disse Dís piano «Cugino, è molto più di ciò che avevamo.»

«Ma è abbastanza?» disse Dáin stancamente, con gli occhi ancora chiusi «Dís, ho accettato il titolo di Re sapendo che non mi apparteneva. L'ho accettato sapendo che non faccio parte del ramo più anziano della Linea di Durin. Tu avresti tutto il diritto di sedere qui, e io sarei comodo nei miei bellissimi Colli Ferrosi, bevendo la mia birra e ridendo di te.»

«Tu non hai mai osato ridere di me» disse lei, la sua voce meravigliosa asciutta come la polvere «Nemmeno quando eravamo bambini. E io non posso sedere sul trono dei Re. Ho rifiutato quell'onore molto tempo fa. Fu mio fratello, non io, ad amare il suo popolo abbastanza per guidarlo. Io amavo di più la mia famiglia.»

«Aye, beh, devo a tuo fratello un pugno sul naso» disse Dáin, e sbadigliò «Si avvicina il giorno in cui potrò darglielo.»

«Non starai dicendo...» disse l'Elminpietra, angosciato.

«Buono, ragazzo. Sì, tuo padre è vecchio, ed è mortale. Temo che questa sarà la mia ultima battaglia» gli occhi di Dáin si spalancarono, e tutto il peso dei suoi anni giaceva in quelle cupe, oscure profondità «Spero di combatterla bene. Spero di tenere al sicuro la nostra gente. Ma ci costerà molto, e senza dubbio parte del prezzo sarà un Re. Non possiamo avere tutto.»

L'Elminpietra era inorridito. Thorin non poteva dargli torto. «Dáin» iniziò, ma Thrór lo fermò con una mano sulla spalla.

«No» disse gentilmente «Dáin è realistico. Vorrei essere stato preparato anche solo la metà di lui. Forse allora tuo padre non avrebbe compiuto una missione suicida si quel calibro, tutto da solo.»

Thorin diede a suo nonno uno sguardo stupefatto, prima di voltarsi di nuovo verso Dáin. «Dáin, sei stato un grande Re, migliore di quanto io avrei mai potuto esserlo» disse, mangiandosi le parole dalla fretta «Mi puoi colpire quante volte vuoi per averti lasciato in questo disastro se...»

«Pace, nidoyel» disse Thrór. Con la coda dell'occhio, Thorin vide Fundin che prendeva la mano di Balin, e insieme padre e figlio svanirono dal reame dei viventi.

«Cosa vuoi dire, Dáin?» chiese Dís «Anch'io sono vecchia. Potremo perdere molti, ma nessuna morte è certa.»

«Sono solo organizzato» disse Dáin con un sorriso ironico «Thorin, ragazzo mio, sei un ragazzo doveroso e un buon e giusto Principe verso il tuo popolo. Guerra o no, io non rimarrò intorno ancora a lungo. Sono vecchio. Sono stanco. Il mondo sta diventando più buio, e un vecchio Nano non è un granché nel grande schema delle cose. Ma un vecchio Nano diventò Re perché non rimaneva nessun altro. E quindi quando il tempo verrà tu diventerai Re, perché non rimane nessun altro. Capisci?»

Thorin Elminpietra deglutì, e osservandolo Thorin poté vedere i suoi occhi che brillavano di lacrime. «Devo essere forte.»

«Aye, forte va bene» Dáin sorrise «Ma puoi essere debole? Sai quando piegarti? Sai quando trovare una via di mezzo? Ho cercato di insegnarti, figlio mio. Impari in fretta, anche se sei un po' troppo una testa calda a volte. Devi fare attenzione con quella rabbia Durin, ragazzo. Ha dato dei problemi anche a me, quando avevo la tua età.»

«Io... posso provare» l'Elminpietra spostò lo sguardo da Dís a suo padre diverse volte, prima di abbassare il capo «Non lo so, 'adad. Non sono saggio come te. Non sono un eroe, non come il Nano che portò il mio nome. Sono stato un negoziatore e un guerriero e un fabbro, ma non so come essere un Re.»

«Nessuno lo sa» mormorò Thrór «È qualcosa che impari solo con la pratica, nidoy. Vedrai.»

«Un eroe?» disse Thorin, preso alla sprovvista «Cosa?»

Frerin e Ori si scambiarono uno sguardo disperato, e poi Frerin gemette e Ori si coprì gli occhi. «Sei impossibile, nadad» disse Frerin «Impossibile!»

«Non sto pianificando di mettere giù gli attrezzi fra poco, figliolo» disse Dáin, e spalancò le braccia. Thorin Elminpietra esitò, e poi il muscoloso, corpulento giovane Nano si era lanciato verso suo padre e gli aveva stretto la mano nella propria. «Ah, non così stretto! No, mi rimane ancora un po' prima di andare a dare una legnata al vecchio Scudodiquercia sul suo nobile naso. Ma questo è quanto, e tu dovresti saperlo prima di chiunque altro.»

Il respiro dell'Elminpietra si mozzò, e poi si portò la vecchia mano di Dáin al volto, dove la premette brevemente contro la sua guancia spettinata e ne baciò il palmo. «Adesso, basta così» disse Dáin, la sua voce rasposa incredibilmente gentile. Poi si voltò verso Dís. «Anche te, cugina. Più simile a una sorella, sei stata.»

Dís chinò la testa. «Re Dáin Piediferro» disse, e le sue labbra si alzarono in un piccolo, triste sorriso «Re Dáin il Ristoratore.»

«Beh, suppongo non sia così male» sbuffò Dáin, e sbadigliò di nuovo «Re Dáin non ha su il suo Piediferro ora, quindi gli servirà una mano o due per arrivare al suo letto regale con le sue regali cimici del letto. Qua, ragazzo, dammi la tua spalla?»

Thrór toccò il braccio di Thorin, e si voltò. Le stelle gli danzarono davanti, bellissime e ipnotizzanti, prima di rubargli la vista di sua sorella e dei suoi cugini e lui batté le palpebre per liberarsi della cecità una volta tornato nella Camera di Sansûkhul. «Dáin ha duecentocinquantuno anni» disse debolmente.

Thrór annuì. «Aye. Ha ragione ad avvertirli, temo. Guerra o no, non gli rimane molto tempo nel mondo.»

Thorin poteva vagamente ricordarsi suo cugino a trentatré anni. Si erano riparati per un inverno nei Colli Ferrosi dopo Azanulbizar, e Thorin era un arrabbiato e cupo cinquantacinquenne, in lutto per la morte di suo fratello e di suo nonno. Prima della battaglia Dáin era stato un rumoroso e irritabile giovane Nano che si arrabbiava per un nonnulla, e Thorin, che aveva ventun anni più di Dáin, l'aveva onestamente trovato piuttosto stancante. Ciò era cambiato drasticamente dopo la battaglia. Dáin era diventato solenne e stanco, le preoccupazioni del regno di suo padre sulle spalle. Non si era nemmeno fermato per piangere, dedicandosi completamente al suo popolo e al loro benessere. La sua giovane selvatichezza e il suo orgoglio bruciarono, e riapparvero solo sul campo di battaglia dove combatteva come se non gli importasse nulla della propria vita. Un secolo e mezzo dopo aveva risposto alla chiamata disperata di Thorin e si era trovato le ricchezze e le rovine di Erebor lanciate addosso – e così ancora una volta Dáin si era caricato della corona e degli obblighi di un Regno e non era caduto, per quanto essi fossero stati pesanti.

Pratico, intelligente, onorevole Dáin. Thorin poteva sentire il sudore delle sue fatiche di prima che gli si asciugava sulla pelle, e la faceva prudere. «È un buon Re.»

«Migliore di me» disse Thrór con uno sguardo serio «Migliore di molti. L'Elminpietra sarà bravo, penso. È un ragazzo doveroso, e Dáin gli ha insegnato bene.»

«Aye» disse Thorin, e la tensione scivolò via lentamente dalle sue spalle. La guerra stava arrivando ad Erebor, e la Compagnia era ancora nelle Montagne Nebbiose. Che speranza, dunque, poteva esserci?

«Credo farai meglio a prepararti per una legnata sul naso, mio akhûnîth» disse Thrór mentre lasciava che Thorin lo aiutasse ad alzarsi. Thorin rise sorpreso.

«Beh, nulla di nuovo» disse, e insieme andarono a dire le novità agli altri.


Questo turno di guardia non sarebbe stato piacevole.

Thorin aveva ragionato e aveva assegnato Thráin, Frís, Frerin e Fundin a controllare le difese di Erebor. Nori, Fíli e Kíli stavano tenendo compagnia a Bilbo. Thrór rimase con Dáin, e Hrera stava controllando l'Elminpietra nel suo viaggio verso Eryn Lasgalen.

Rimaneva solo la Compagnia – e la loro destinazione.

Bifur si era offerto volontario. Balin e Óin e Ori avevano insistito, anche se i loro volti erano tesi e infelici quando lo dissero. Thorin non protestò. Sapeva cosa voleva dire affrontare i demoni del passato, e quanto dolorosamente seduttivi essi potevano essere.

Le mura si innalzavano davanti a loro, e Gimli fece un sospiro di meraviglia. Agli Uomini, Hobbit ed Elfo, senza dubbio tutto ciò che c'era da vedere era una rupe a strapiombo, coperta di muschi e licheni. Per Gimli, Thorin lo sapeva, vi erano antichi segni di scalpelli, la superficie liscia della pietra lavorata, le piccole depressioni dove un tempo erano state strutture di legno, ora marce da tempo.

«Le Mura di Moria» disse Gandalf gravemente, e Gimli mormorò un'imprecazione senza fiato.

«Beh, suppongo siano carine» disse Pipino lealmente, anche se stava guardando le scogliere e le acque maleodoranti dinnanzi a loro con occhio dubbioso.

Gimli sobbalzò, e poi lanciò indietro la testa e la sua gioiosa, esplosiva risata rotolò sopra di loro. «Ah, povero me! Piccolo Hobbit, non devi dire queste cose per farmi piacere. So bene che non le vedete come me!»

«Ebbene, cosa vedi tu?» chiese Sam, guidando Bill il più lontano possibile dalla pozza puzzolente.

«Qua» disse Gimli, e spostò un pezzo di muschio marcio con la punta di acciaio del suo stivale «Vedi questo marchio? È un vecchio trucco dei minatori. Segnare il muro all'altezza delle mani, o sul pavimento dove uno cammina, e nessuno si perderà mai. Se dei visitatori venissero a questi cancelli nell'oscurità completa, un amico di Khazâd-dum sarebbe sempre in grado di ritrovare la strada.»

«Ora, questo è un bel trucco» disse Sam, grattandosi la testa «Mi chiedo se funzionerebbe da qualche altra parte.»

«Possibile» disse Gimli, e storse il naso pensando «Ma serve qualcosa che duri nel tempo. Vedi come questi marchi sono durati in questa buona roccia? Non durerebbero altrettanto nella terra o nel legno.»

«Rimarresti sorpreso» mormorò l'Elfo «Conosco alberi più antichi delle tue preziose miniere, e si innalzano ancora.»

Gimli lo guardò. «Aye. Suppongo di sì» disse infine.

«Quindi dov'è l'entrata?» disse Pipino, guardando la rupe con scetticismo «Le mura sono belle, ma una maniera per entrarvi sarebbe anche meglio.»

Gimli ridacchiò. «Le porte dei Nani sono invisibili quando sono chiuse.»

«Sì, Gimli» disse Gandalf «Il loro stesso creatore non sarebbe in grado di ritrovarle se i loro segreti venissero perduti.»

«Perché non mi sorprende» mormorò l'Elfo. Gimli fece una pausa, il suo volto si incupì, e poi si controllò con fatica e continuò a picchiettare le mura con l'ascia, ascoltando attentamente la canzone della pietra per cercarne un'eco.

Thorin incrociò le braccia e guardò lo Stregone col suo migliore sguardo truce. «Era un riferimento alle porte laterali di Erebor, ci scommetto» borbottò Óin «Dannato Stregone.»

«Dov'è un tordo quando ti serve?» chiese Bifur a un silenzioso Sam.

«Quell'acqua puzza» disse Pipino, facendo una smorfia di disgusto «Davvero, davvero tanto. Peggiore di tutti i maiali dei Boffins.»

«Quello è ciò che rimane del Sirannon, il Rivo del Cancello» disse Gandalf, girando su se stesso e guardando le scogliere «Deve essere stato avvelenato negli ultimi decenni. Siamo vicini a dove un tempo erano i Cancelli Occidentali. Ah! Ecco – vedete questi agrifogli? Agrifogliere era un tempo chiamata questa terra, e gli Elfi della regione presero l'agrifoglio come simbolo. Questi devono essere stati piantati a ricordo dell'amicizia tra i Nani di Moria e gli Elfi del tempo, in quei giorni lieti prima che svanisse.»

Gimli ringhiò. «Non fu colpa dei Nani se l'amicizia svanì.»

«Mai ho sentito che fosse colpa degli Elfi» ritorse immediatamente Legolas.

Thorin, Bifur, Ori, Balin e Óin ringhiarono all'unisono. «Naturalmente no» sibilò Balin.

«Io ho sentito l'una e l'altra cosa» disse Gandalf con impazienza «ed ora non voglio dare un giudizio. Ma prego almeno voi due, Legolas e Gimli, di essere amici e aiutarmi; ho bisogno dell'uno quanto dell'altro. Le porte sono chiuse e nascoste, e più presto le troviamo tanto meglio sarà. La notte è vicina!»

Gimli e Legolas si scambiarono un'occhiataccia. Il volto di Gimli era livido e risentito, e Legolas appariva sdegnato e vagamente disgustato. Appena si resero conto dell'attenzione dell'altro, i loro occhi scattarono via per fissare le Mura di Moria.

«Vorrei che se ne andassero dall'acqua» disse Óin sottovoce «Quella bestia potrebbe essere ancora viva, venticinque anni o no.»

«Cosa ti dicono i marchi, Gimli?» chiese Merry per rompere il silenzio fastidioso.

«Più avanti» rispose lui, brusco «Sono vicine.»

«Guardate!» disse Legolas, e indicò tra i grandi alberi di agrifoglio «Vedete qualcosa adesso?»

Óin e Ori furono molto silenziosi mentre seguivano la Compagnia lungo le rocce a strapiombo. «Bene, questo è quanto» disse Balin, ed esalò un enorme sospiro «Non sarà piacevole, amici miei.»

«Non è stato chissà quale divertimento la prima volta» borbottò Óin. I suoi occhi osservavano ancora le acque luride e maleodoranti davanti a loro.

«Ah!» Gandalf passò una mano sul muro «Sentite! Questo – ora, aspettiamo un minuto...» fece scorrere le mani avanti e indietro sulla roccia, e borbottò sottovoce per un po'. Poi fece un passo indietro. «Vedete qualcosa ora?»

Gimli si fece ombra sugli occhi. «Quello è...»

La luna riemerse da dietro una nuvola, e la debole, bianca luce tremante illuminò la scogliera, ricoprendola di un alone quasi argentato. Balin sospirò di nuovo.

«Ed eccole» disse tristemente, quando l'ithildin iniziò a brillare, delineando le Porte di Durin con il loro Albero intrecciato, le corona sormontata dalle stelle e l'incudine e il martello. Sotto di essi, vi era una stella a molte punte, più luminosa del resto, e arricciate lettere Elfiche formavano un arco sopra tutto.

«Sii forte, amico mio» mormorò Thorin a Balin.

«Facile da dire per te» ribatté Balin. Poi sbuffò e guardò Thorin con una seria, amara espressione. «O forse no.»

Thorin gli diede un piccolo sorriso di rimando. «Aye, conosco bene quell'emozione.»

«Ecco gli emblemi di Durin!» urlò Gimli.

«E l'Albero degli Alti Elfi!» disse Legolas.

«E la Stella della Casa di Fëanor» disse Gandalf, indietreggiando e guardando le porte con una certa soddisfazione «Ithildin. Riflette solo i raggi di luna e stelle. Ai Nani piaceva usarlo per proteggere i loro segreti.»

Thorin pensò alla mappa di suo padre, appallottolata da qualche parte a Casa Baggins. «Ed è stato molto utile nelle mani di uno Stregone» ringhiò «soprattutto quando racconta i nostri segreti a ogni Elfo sulla sua strada!»

Gli occhi di Gandalf si strinsero e lanciò a Thorin uno sguardo piuttosto duro. «Queste parole non dicono nulla di importante per noi.»

«Cosa dicono?» chiese Frodo, i suoi occhi affascinati «Pensavo di conoscere le lettere Elfiche, ma non riesco a leggere queste.»

«Sono nell'antica lingua Elfica dell'Ovest» disse Gandalf, sempre incenerendo Thorin «Dicono solo: Le Porte di Durin, Signore di Moria. Dite, amici, ed entrate. E sotto in piccoli e sbiaditi caratteri è scritto: Io, Narvi, le feci. Celebrimbor dell'Agrifogliere tracciò questi segni.»

L'espressione meravigliata di Gimli svanì, e lui guardò Legolas. «Un Nano ha fatto i segni di un Elfo» borbottò a se stesso.

«Celebrimbor il grande artista affidò questo lavoro a un Nano» disse Legolas, e non parlò più. Il suo volto era privo di espressione, ma la confusione brillava nei suoi occhi Elfici.

«Cosa significa: Dite, amici, ed entrate?» chiese Merry.

«È abbastanza semplice» disse Gimli «Se siete amici, dite il lasciapassare e le porte si apriranno.»

«Sì» disse Gandalf «Ma quel lasciapassare non è ricordato. No, nemmeno da me!» lo Stregone guardò storto i volti pieni di speranza della Compagnia.

«A che pro ci hai dunque condotti in questo posto maledetto?» gridò Boromir, guardando di nuovo l'acqua scura con un brivido «Avevi detto di aver già fatto questa strada prima d'ora!»

«Sì, ma stavo viaggiando nella direzione opposta» disse lui.

«Quando?» chiese Ori «Certo non abbiamo né visto né sentito Gandalf nei cinque anni che ci stiamo stati noi.»

«Mi chiedo quando esattamente Gandalf abbia messo le mani su quella mappa, e i viaggi che compì prima» disse Thorin serio «Nessuno va a Moria per divertimento.»

Gandalf non udì oppure lo stava ignorando di nuovo. Óin aveva ragione. Dannati Stregoni.

Lui alzò il bastone e lo scosse di fronte alle porte chiuse, urlando: «Annon edhellen, edro hi ammen! Fennas nogothrim, lasto beth lammen!»

Non accadde assolutamente nulla – a parte il fatto che Bifur cadde a terra ridendo.

«Un tempo conoscevo ogni incantesimo nelle lingue di Uomini ed Elfi ed Orchi per questo scopo» si disse Gandalf a senti stretti «Posso ancora ricordarmene almeno un centinaio senza nemmeno doverci pensare! Dovrei solo provarne alcuni, credo – e non mi servirà chiedere a Gimli parole della lingua segreta dei Nani che non insegnano a nessuno...»

«Lo spero bene» disse Balin indignato.

«Cosa facciamo dunque?» disse Pipino.

«Sbatterci la tua testa contro, Peregrino Tuc, e se ciò non le frantuma e a me sarà concesso avere una tregua dalle domande stupide» e qui Gandalf fulminò nuovamente con lo sguardo il piccolo gruppetto fantasma di Thorin «proverò a trovare le parole corrette.»

Poi andò a sedersi su un macigno, e tirò fuori la sua pipa.

«Bene, almeno le Porte sono belle da vedere» disse Merry infine «Io mi prendo qualcosa da mangiare. Vieni, Pip?»

L'espressione delusa di Pipino era svanita alla parole “mangiare”. «Mi dovrai legare in un sacco per fermarmi» disse, e corse dietro a suo cugino.

«Le Porte sono davvero belle a vedersi» disse Gimli piano, guardandole con una luce dolce negli occhi, e Boromir grugnì in accordo.

«Se questo è ciò che i vostri due popoli sono in grado di compiere insieme, Gimli, non sono più sorpreso dal tuo insistere nel prendere questo via oscura» disse, e diede una pacca sulla spalla di Gimli. Il sorriso di Gimli era un po' assente – e un po' confuso.

«Aye, beh» disse ruvidamente, e poi anche lui tirò fuori la sua pipa «Senza dubbio Narvi avrà dovuto fare qualche piccolo ritocco in certi punti.»

Legolas tirò su col naso e disse qualcosa che suonava piuttosto insultante nella sua lingua fluida, e Bifur ridacchiò vedendo la sua espressione.

«Sam» chiamò Aragorn «Vieni qua.»

Sam lanciò uno sguardo a Frodo che sedeva accanto allo Stregone immobile, e poi corse dietro al ramingo. «Signor Granpasso, signore» disse, grattandosi un orecchio «Pensi che passeremo la notte qui fuori accanto a questa scogliera? Vorrei solo iniziare a fare la zuppa, se posso.»

«Non lo so, Sam» disse Aragorn «Ma so che le Miniere non sono il posto adatto a un pony. Temo che dovremo rimandare Bill a Granburrone. Adesso, non fare quella faccia!» perché gli occhi di Sam si erano spalancati, e la sua bocca aveva iniziato a tremare «Conosce la strada, e senza dubbio sarà molto più al sicuro di noi.»

«Oh, non gli occhi tristi» disse Ori, e si coprì la faccia «Gli Hobbit hanno gli occhi tristi peggiori di tutti! Non lo sopporto, oh – fatelo smettere!»

«E tutti quei lupi e Orchi di cui te e il Signor Boromir parlavate?» urlò Sam «Povero Bill! Povero Bill! Non lo lasciò qua per farsi mangiare da qualcosa di brutto!»

«Mi dispiace» disse Aragorn, e si inginocchiò di fronte a Sam e gli afferrò la sua piccola spalla rotonda «Non avrei portato un animale se avessi saputo che avremmo scelto questa strada – e di certo non uno a cui tu vuoi bene. Però, è stato trattato bene a Granburrone, e nessuna creatura dimentica quel luogo. Gli Elfi si prenderanno cura di lui. Conosce la strada.»

«Non possiamo tenerlo fino a stanotte?» gli occhi di Sam erano ora pericolosamente grandi. Ori guardò attraverso le dita, e poi nascose la faccia di nuovo.

«I grandi occhi lacrimosi» gemette «Nooooo. Fatelo smettere.»

Óin gli diede una pacca sulla spalla. «Eh. Va tutto bene?»

«No, Sam. È meglio se lo lasciamo andare ora» disse Aragorn, anche se i grandi occhi dello Hobbit stavano funzionando a giudicare dal tono della sua voce «Vieni, aiutami con gli zaini.»

«Oh» sospirò Sam, e lentamente iniziò a togliere le redini e il carico, accarezzando i fianchi e il naso del pony tutto il tempo. Bill lo guardò tristemente, come se avesse capito.

«No, ne ho fatti sette!» stava dicendo Pipino «Lungo l'Acqua! E Grassone Bolgheri mi ha visto, quindi ho un testimone.»

«Sette!» sbuffò Merry «Una storia realistica, e non pensare che non chiederò a Grassone la prossima volta che lo vedo. Scommetto che ora non ci riusciresti.»

«Spero tu non sia troppo affezionato al portafoglio» disse Pipino, e si chinò per prendere un sasso piatto e lanciarlo sull'acqua. Saltò quattro volte prima di affondare – e Óin fece un suono strangolato.

«Cosa sta facendo quell'imbecille di uno Hobbit?» strillò «No, no – Thorin fermali. Non devono disturbare l'acqua!»

«Quelli erano solo quattro» disse Merry «Ecco, lascia che i più grandi e più bravi ti mostrino come si fa.»

«Lo farei, se solo ne vedessi» rispose Pipino maleducatamente, e incrociò le braccia e alzò il piccolo mento a punta.

Quando Merry prese un sasso a sua volta e iniziò a mettersi in mostra, Thorin ruotò verso Gimli. «Fermali!» abbaiò «Non devono disturbare l'acqua!»

Gimli, che era seduto a gambe incrociate e studiava la filigrana di ithildin delle Porte, sbatté le palpebre. Poi aggrottò le sopracciglia. «Non dovrebbero disturbare quell'acqua» borbottò.

«Diglielo!» ruggì Óin «Stanno ancora tirando i sassi!»

Gimli si appoggiò alla roccia. «Ora, piccoli Hobbit! Smettetela, non c'è bisogno di far uscire ancora più di quell'odore orrendo!» disse, a Aragorn fece partire il pony con uno schiaffo sulla groppa prima di prendere la mano di Pipino.

«Non disturbare l'acqua» disse, e osservò le onde che si dissipavano con occhio attento.

«Non vedo perché no» borbottò Pipino, ma fece cadere lo stesso il suo sasso. Óin si rilassò, e Bifur gli si avvicinò per aiutarlo a stare in piedi.

Improvvisamente Frodo si alzò in piedi, guardando le Porte con una luce pensierosa negli occhi. «È un enigma» disse piano. Poi si voltò verso Gandalf. «Qual'è la parola Elfica per amico?»

«Mellon» rispose Gandalf, e con uno schiocco e una nuvola di polvere, le Porte di spalancarono. Fu rivelata una grande oscurità, che sembrava ingoiare tutta la luce della luna e delle stelle.

«Nel senso che Merry, fra tutti, era sulla strada giusta?» disse Thorin incredulo.

«C'è una prima volta per tutto» disse Balin, suonando ugualmente stupefatto.

«Eccoci qua» disse Óin, e la sua voce era preoccupata «Che Mahal sia con loro per guidare i loro passi.»

«Forse dovremmo chiamare qualcun altro» suggerì Ori «Lóni e gli altri. Potrebbero ricordare alcuni dei tunnel più sicuri.»

«Mi ricordo bene i tunnel Occidentali» disse Balin a denti stretti.

«Aye, anch'io» disse Óin «Meglio tenere gli altri di riserva fino al lato Orientale, vicino alla Valle.»

Gimli si calò l'elmo in testa ancora una volta e si mosse con sicurezza nell'oscurità. «Shamukh!» chiamò allegramente nell'echeggiante nero di velluto «Zio Óin! Cugino Balin! Ori, Lóni, Frár, Flói! Lóni, sono venuto a batterti ancora una volta, sei pronto? Sono io, Gimli, sono venuto a vedere la vostra colonia! Abbad, abbad, buhû!»

«Ah, ancora Khuzdul, Gimli?» Balin guardò male l'allegro giovane guerriero. C'era angoscia e vergogna nei suoi occhi. «Smettila, barufûn. Non devi...»

«Non ci troverà» disse Óin con voce triste «Io sono in quella pozza, se sono da qualche parte. Però Gerin fu ucciso accanto a quei cancelli, insieme a Horís, Urgin ed Erri. Loro li troverà.»

«In qualsiasi momento ora» disse Ori, e si morse il labbro, forte.

«Non posso...» disse Balin,e Thorin mise una mano sul collo di Balin.

«Puoi» disse «Io l'ho fatto.»

Balin gli spedì uno sguardo pieno di odio verso se stesso, e Thorin lo sopportò fermamente. Poi Balin fece un lungo, debole gemito e si voltò di nuovo verso il loro giovane parente. Il volto di Gimli era pieno di gioia e felicità, e i suoi occhi erano luminosi dall'eccitazione.

«Presto, Mastro Elfo, gusterai la famosa ospitalità dei Nani» disse allegramente mentre la Compagnia lo seguiva nel buio «Grandi fuochi, birra di malto, carne essiccata. Questa, amico mio, è la casa di mio cugino Balin.»

Gandalf soffiò piano sul cristallo nella presa nodosa del suo bastone. La chiara luce bianca strisciò lentamente sul pavimento di pietra.

Gimli rise la sua esplosiva, felice risata, la gioia in ogni sillaba. «E la chiamano una miniera. Una miniera

La luce del cristallo avanzò lungo il pavimento, inesorabile come la marea. Il respiro di Thorin gli si era mozzato da qualche parte nella gola. Non voleva vedere il volto di Gimli che passava dalla gioia al lutto. Non voleva vedere la sua giovane fiamma che si spegneva in disperazione.

Non poteva distogliere lo sguardo.

Gandalf alzò il bastone, e lo strano fuoco magico riempì l'ingresso silenzioso. Lentamente, gradualmente, vennero rivelati i segni della battaglia. Erano sparsi lungo la liscia, antica roccia, nudi e polverosi, piantati profondamente nelle ombre. Poi inevitabilmente la luce scivolò sopra alle forme aggrovigliate di armature coperte di polvere, lungo le nude ossa delle dita torse in muta preghiera. Le orbite osservavano e i teschi ghignavano e sbadigliavano, dondolando oscenamente dalle spine dorsali.

Gimli si fermò.

«Ah, nipote» disse Óin tristemente, e si morse la mano per impedirsi di ansimare.

Gimli era congelato, radicato dove stava. La felicità del suo volto era svanita nel nulla. I suoi occhi erano spalancati, e bianchi, e la sua bocca era aperta e tremava mentre guardava i corpi contorti di Orchi e Nani ammucchiati insieme là dove erano caduti. Un urlo addolorato gli sfuggì. Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente.

Thorin voleva prendere le braccia del suo più-che-figlio, stringerlo mentre piangeva i suoi amici e la sua famiglia perduti tanto tempo prima. Voleva toccare i luminosi capelli di Gimli, farlo ridere di nuovo. «Unday» sussurrò, e udì i singhiozzi rasposi di Balin. Gimli era un Nano da solo, come aveva detto Mahal. Gimli era un Nano solo, come aveva detto Mahal. Gimli era solo coi suoi morti.

«Questa non è una miniera» disse Boromir, la voce piena di orrore «Questa è una tomba!»

Gimli aveva trovato Urgin, e con la mano robusta spolverò l'elmo per rivelarne i simboli. Tirò indietro la mano e ululò, un suono privo di parole di disperazione.

Legolas stava guardando il Nano con confusione, quasi fosse sorpreso dal suo lutto. «Tu osi-» sputò Thorin, col cuore che si stringeva di dolore per la sua povera stella «Tu osi guardarlo, il suo dolore, la sua disperazione, come se lui fosse una qualche curiosità che tu puoi-»

«No» ansimò Gimli, e si voltò più e più volte, e i corpi lo salutavano ogni volta «No!»

«Oh Gimli» disse Óin attorno alle proprie dite, e i suoi occhi erano vacui e bagnati «Non sa nemmeno com'è andata, e nonostante ciò ci piange.»

«Certo che piange» ringhiò Thorin, ancora guardando male l'Elfo attraverso il proprio velo di lacrime «Certo che lo fa. È Gimli. Lui prova ogni emozione al massimo grado. A differenza di alcuni

«Devono muoversi ad attraversare il Terzo Livello» disse Ori piano.

«Devono continuare a muoversi, aye» disse Óin, anche se si rifiutava di incrociare lo sguardo degli altri «Fallo alzare, Thorin.»

«Dagli un minuto» ringhiò Thorin, ma Balin scosse la testa. Il senso di colpa, familiare come il respiro, gli brillava sul viso.

«Non si può rimanere qui, ragazzo» disse.

Gimli stava piangendo, ed era caduto in ginocchio davanti a ciò che rimaneva di un bastone conosciuto.

«Oh no» sussurrò Óin.

«Fallo alzare!» abbaiò Ori, e Thorin represse la propria tristezza.

«Su, Gimli» disse, e alzò la voce fino ad urlare «Alzati, figlio di Glóin! Non puoi restare qui! Ci sarà tempo per il lutto più tardi!»

«No!» Gimli lanciò indietro la testa e ruggì il suo dolore verso il soffitto come un leone ferito.

L'Elfo si chinò e strappò una freccia dal petto di Erri. «Yrch!» sibilò.

«Goblin» ripeté Gandalf, e chiuse gli occhi pesantemente. Quando li riaprì stava guardando direttamente Thorin, e c'era il peso di lunghe ere di dolore e perdita nel suo sguardo. Thorin sapeva che la propria disperazione era chiara, con le labbra che ritratte dai denti e i suoi occhi umidi e luminosi.

«Te l'ho detto, Gandalf» biascicò «Camminate in un macello.»

Gandalf inclinò il capo, e forse fu l'immaginazione di Thorin ma gli sembrò che ci fosse una strana, triste rassegnazione nel volto dello Stregone. Una qualche previsione, forse?

«Andiamo verso la Breccia di Rohan» disse Boromir cupo «Non saremmo mai dovuti venire qui.»

In quel momento, Frodo urlò di sorpresa e venne improvvisamente trascinato indietro. «Frodo!» urlò Thorin, e Óin lanciò uno strillo di terrore.

«Lo sapevo, lo sapevo!» strillò «Quell'orrenda bestia, quella cosa dannata vive ancora!»

«Calmati, Óin. Siate pronti, tutti voi!» disse Thorin, e camminò in avanti con determinazione, con la mano che automaticamente si allungava dietro la spalla verso Orcrist. Le sue dita afferrarono l'aria. Per un istante volle ululare al soffitto come Gimli.

«Pronti?» urlò Óin mentre la creatura che gli aveva dato una morte orrenda usciva dalle fetide profondità come un qualche incubo orribile «Pronti per cosa? Nel nome di Mahal, cosa possiamo fare?»

«Zuznel ataman» gemette Bifur, e Ori annuì ferventemente.

«Alzati» esclamò Thorin, coi denti che si scontravano «Gimli. Alzati. Frodo ha bisogno di te! Gimli!»

Occhi marrone scuro tornarono al presente, e per la prima volta Thorin vide l'odio negli occhi di Gimli figlio di Glóin. Gimli si alzò con un movimento fluido, e le sue mani afferrarono le sue asce con movimenti rapidi. Aragorn e Boromir stava accoltellando gli orrendi tentacoli contorcenti che avevano afferrato le gambe e le braccia di Frodo, e Legolas stava scagliando frecce al gonfio corpo che usciva dal fango.

Con un urlo selvaggio, Gimli si lanciò nella lotta, le sue asce roteavano e saettavano. Si muoveva come un pazzo, i suoi occhi erano accesi di rabbia, colpiva e tagliava i tentacoli come un Nano posseduto. Il suo volto era bagnato di lacrime, e la sua espressione era un'esplosione di furia vendicativa.

«Ora lo sa» singhiozzò Ori, e Bifur si tirò vicino il piccolo scriba e lo abbracciò strettamente, facendolo dondolare «Sa che non siamo vivi. Gimli non è stupido.»

«Shhh, nahùba Ori» mormorò Bifur «Shhh.»

«Combatte come se non gli importasse della propria pelle» disse Óin, ancora mordendosi la mano «Ah, potrei dargli una sberla!»

«Non lo farai!» disse Thorin, prima che il suo cuore gli saltasse fin quasi in bocca «Gimli – rukif!»

Quasi troppo tardi, Gimli schivò un tentacolo che si stava avvicinando al suo fianco sinistro e poi ci fece passare le asce attraverso, facendone due fette rotonde che caddero convulsamente nell'acqua.

«Beh, certo che non lo farò» borbottò Óin «Sono morto.»

«Se solo potessi usare la mia spada» si disse Thorin con rabbia. Osservatore inutile era un ruolo a cui non si era mai rassegnato, e doleva nel vedere la sua stella sola e così piena di dolore, circondata da coloro a cui non importava nulla di Nani morti o del luogo sacro per cui erano caduti.

In quel momento Aragorn tagliò il tentacolo che teneva Frodo sollevato, e la grande bestie si contorse mentre Frodo cadeva, urlando di terrore. Boromir afferrò lo Hobbit e Gandalf urlò: «Veloci! Nelle Miniere!»

Gimli udì a malapena, la sua ascia girava e saettava ferocemente contro il mostro, sordo e cieco a tutto tranne il suo cuore svuotato. «Gimli» disse Thorin, piano e secco «seguili. Nelle Miniere, ragazzo mio. Ora!»

«Ti uccido, tu-» singhiozzò Gimli.

«ORA!» tuonò Thorin.

Gimli represse un ringhio e si voltò, i passi pesanti facevano schizzare l'acqua maleodorante. Si lanciò verso le Porte come se nemmeno la roccia solida l'avrebbe potuto fermare, le guance pallide di disperazione e gli occhi ancora pieni di lacrime di rabbia.

«È dentro» disse Balin.

«Sta seguendo!» biascicò Óin, e afferrò il braccio di Thorin.

L'Elfo, col volto concentrato e teso, lanciò freccia dopo freccia verso la bestia mentre essa si trascinava e afferrava le Porte di Durin, i tentacoli che stringevano il meraviglioso ithildin e lo sporcava di fango. Alla fine una freccia attraversò l'occhio destro della cosa ed essa fece un orribile suono di dolore e furia. Tutto il suo peso ricadde sulla pietra antica e la fece crollare sotto il suo squamoso corpo molle, e l'ultima cosa che Thorin vide della Compagnia furono i loro volti: quelli degli Hobbit pallidi e terrorizzati, gli Uomini stavano entrambi respirando affannosamente, i loro occhi crune d'ago nei volti bianchi. Lo Stregone sembrava tristemente rassegnato. Gimli stava piangendo lacrime di rabbia e perdita, il suo volto deformato fino ad essere quasi irriconoscibile.

Poi le antiche, aggraziate, meravigliose Porte, create da Elfo e Nano insieme in Ere passate, collassarono sopra al mostro, intrappolandoli nell'ingresso e scagliando una nuvola di polvere sui loro volti. La Compagnia fu inghiottita dall'oscurità. Il Pozzo Nero li aveva presi.

TBC...

Note:

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


Incontra una Nana

Mizim figlia di Ilga

Mizim, una rinomata bellezza Nanica, era la figlia di Mur e Ilga, entrambi ricchi signori di miniere. I suoi occhi erano molto scuri e i suoi capelli molto pallidi, e la sua robusta e voluttuosa figura era l'invidia di tutte le Nane. Mizim apparteneva alla classe alta e si occupava di tagliare e pulire le gemme. Era pratica e diretta, con un umorismo piuttosto asciutto. Sopportare le reazioni che la sua bellezza causava la portò a sviluppare un odio verso la menzogna e la falsità. Sposò Glóin figlio di Gróin dopo un corteggiamento tumultuoso ed ebbe due figli, Gimli Amico degli Elfi e Gimrís, Signora di Aglarond. Mizim era un'esperta nel lancio dei coltelli, e insegnò l'arte alla figlia. Trasmise anche un interesse duraturo al figlio per la creazione di gioielli e cristalli – un'abilità che gli tornò piuttosto utile.


«Abbiamo ora solo una scelta» giunse nella vecchia voce di Gandalf «Dobbiamo affrontare la lunga oscurità di Moria.»

Il cristallo sul suo bastone si riaccese, e Thorin chiuse gli occhi per l'improvvisa luce bianca. I volti della Compagnia erano ancora tesi e pallidi nell'oscurità. La mascella di Gimli tremava e le sue guance erano macchiate dalle lacrime, ma non piangeva più. La rabbia bruciava ancora nei suoi profondi occhi scuri.

«State vicini, tutti voi» continuò Gandalf «Ci sono cose più antiche e malvagie degli Orchi nella lunga oscurità di Moria.»

La debole luce del suo bastone illuminava solo alcuni piedi attorno a loro, e Thorin batté le palpebre rapidamente mentre i suoi occhi si abituavano. Il cuore gli martellava per via del collasso delle Porte e dell'attacco dell'Osservatore. Il battito del suo cuore rimbombava e gli correva nel collo e nelle tempie.

Óin si leccò le labbra e si avvicinò mentre la Compagnia iniziava a spostarsi dai detriti verso le scale. «Il Primo Livello è qua davanti» mormorò «Non devono andare più in alto del quarto per arrivare dall'altro lato.»

«Da che parte dopo le scale?» mormorò Thorin. La sua voce era secca per aver urlato.

«A sinistra» disse Ori.

«Gandalf» disse Thorin, e aspettò che gli occhi dello Stregone si spostassero su di lui «Qua a sinistra.»

Gandalf alzò gli occhi al cielo e annuì, prima di borbottare: «pensare sarebbe arrivato il giorno, Thorin Scudodiquercia, in cui io avrei accettato qualsiasi tipo di indicazione da te...»

«Accetta il consiglio o meno» rispose Thorin bruscamente «A me va bene entrambe, ma se ignorerai le direzioni di un Nano sottoterra ti rispetterò anche meno di prima.»

Gandalf sorrise cupamente. «Diretto come sempre. Molto bene, dunque a sinistra!»

«Con chi parli?» chiese Pipino, la sua voce allegra piccola e spaventata nell'oscurità. I suoi occhi erano molto grandi e il suo volto molto bianco nella luce del bastone di Gandalf.

«Me stesso, Mastro Tuc» disse Gandalf, con un'occhiata di avvertimento verso i Nani morti «Sto solo pensando alla strada. Qua andiamo a sinistra. Adesso, non essere così spaventato! Ti ho detto che ho già fatto questa strada, e con attenzione e cautela so che può essere fatto. Vi condurrò al sicuro dall'altro lato, non temere.»

«Facile da dire per te» borbottò Pipino, e guardò verso la pietra e deglutì «Non mi piace affatto questo. Non è molto amichevole.»

«E freddo» aggiunse Sam «E questi pavimenti di pietra non vanno molto bene per i piedi, se mi perdoni per dirlo Signor Gimli.»

Gimli non rispose. La sua testa era china e i suoi occhi rivolti verso il terreno. I suoi pugni erano ancora serrati attorno alla sua ascia, e tremava leggermente mentre si trascinava dietro Boromir.

Gandalf lanciò uno sguardo a Thorin, il quale abbassò gli occhi a sua volta. «Lo conosci meglio di tutti, credo» disse lo Stregone con voce a malapena udibile, quasi senza muovere le labbra «Cosa dovremmo fare per lui?»

«Onestamente non lo so» disse Thorin, guardando la sua stella con preoccupazione «Non l'ho mai visto così. Gimli ha un animo allegro. Non credo che abbia mai conosciuto la tragedia così da vicino prima d'ora.»

«Uhm. La tragedia ha la capacità di rivelare le nostre forze più grandi» rispose Gandalf, e alzò il bastone per guardare lungo il tunnel.

«O le nostre debolezze più grandi» disse Thorin.

«Allegro come sempre, vedo»

«Mi sento come se la montagna stesse premendo sopra di me» disse Legolas, il volto tirato e la voce esitante «Quanto sarà lungo questo viaggio?»

«Quattro giorni» disse Gandalf «anche se avremo qualche problema a contarli senza il sole. Gimli sarà la nostra guida quaggiù.»

L'Elfo aggrottò le sopracciglia. «Come?»

«Perché un Nano è in grado di rendersi conto del passare del tempo sottoterra, non lo sapevi?» disse Gandalf, fingendo stupore. Poi fece l'occhiolino a Thorin e ai suoi compagni.

«Vecchia volpe» disse Balin con ammirazione «Se l'avesse detto Gimli...»

«Un'altra lite, senza dubbio» disse Óin, e sorrise, anche se era tremolante e debole «Intelligente. Allora c'è qualche utilità nell'essere uno Stregone.»

Gandalf sembrava piuttosto compiaciuto mentre attraversava un'arcata e li guidava lungo un passaggio che portava verso un'altra camera.

«Guardate!» disse Merry, e indicò una coppia di segni sul muro «Sono questi quelli di cui parlavi Gimli?»

La testa rugginosa si alzò, e Gimli si avvicinò per passare una mano pesante sulle profonde scanalature, intricate e chiare nonostante i secoli. «Aye» raspò «È un segnale minerario. Non lo riconosco, però: troppo vecchio, senza dubbio. Sono cambiati tutti nei secoli. Quelli che usavano allora sono diversi da quelli che conosco.»

«È... carino» disse Merry, e lo occhieggiò timidamente «Guarda, Pip! Non è carino?»

«Dubito che qualcosa qua dentro potrebbe essere carino» disse Pipino, studiando i marchi a sua volta.

Gimli si irrigidì.

«Oh» balbettò Pipino, e Frodo sospirò.

«Forse dovremmo andare» suggerì gentilmente, e Pipino si morse il labbro prima di annuire.

«Mi spiace» esclamò, prima di correre avanti fino in testa alla fila dove camminavano Aragorn e Gandalf.

«È giovane» disse Frodo, e sorrise tristemente a Gimli «Non voleva dirlo.»

«Lo so» disse Gimli pesantemente, e distolse lo sguardo dal segnale. La sua rabbia era ancora luminosa come fuoco nei suoi occhi «Non sono offeso. Solo...»

«Pipino non ha mai conosciuto la perdita» disse Frodo, e allungò una mano per toccare con esitazione l'enorme spalla di Gimli «Dice la prima cosa che gli passa per la testa senza pensarvi, e non gli viene in mente che potrebbe ferire qualcuno fino a dopo che l'ha detta. Aspettati di trovartelo fra i piedi più tardi, che implora il tuo perdono.»

Gimli sbuffò. «Sembra irritante.»

Il sollievo colpì Thorin così forte che quasi cadde. Questo era molto più simile alla sua stella.

Frodo ghignò, e i suoi denti brillarono nell'oscurità. «Lo è.»

Toccando il marchio ancora una volta, Gimli sospirò. La rabbia si stava prosciugando per venire sostituita da un dolore profondo. «Non sono offeso. Davvero. Solo...»

La mano di Frodo si posò nuovamente sulla spalla di Gimli. «Lo capisco.»

La bocca di Gimli si strinse. «Davvero? La mia gente... erano morti e lasciati all'aria e agli Orchi. I loro corpi non erano sotto la pietra, nemmeno bruciati. Conoscevo quel Nano. Il suo nome era Urgin. Se lui può essere là, non seppellito, senza i riti...» si fermò, respirando col naso, e la sua mascella tremava sotto la folta barba spettinata.

«Davvero» disse Frodo sottovoce «Bilbo mi ha cresciuto perché i miei genitori sono stati perduti nel Fiume Brandivino. Non ebbi nemmeno un corpo da seppellire. Un tempo mi chiedevo se il fiume un giorno me li avrebbe restituiti, veloce come quando me li aveva portati via.»

La dritte sopracciglia Durin di Gimli si aggrottarono, e lui chinò di nuovo il capo. «Le mie scuse, dunque. Capisci.»

«Potrebbe ancora esserci qualcuno» disse Frodo, e allargò le braccia «Forse la tua speranza si avvererà dove la mia non l'ha fatto.»

«La speranza di un idiota» disse Gimli e toccò nuovamente il segnale con dita gentili «La speranza di un idiota. Non lasciamo così i nostri morti, non se abbiamo la forza e il respiro per metterli sotto alla roccia. No, non credo che troveremo un solo Nano vivente in queste sale.»

«Qualsiasi cosa troviamo, Gimli» disse Frodo, e diede una pacca sulla spalla di Gimli «noi siamo con te.»

«Aye, lo siete» mormorò Gimli, e poi si raddrizzò «Potrò essere l'unico Nano vivente in Khazâd-dum, ma non sono solo.»

«Mi parleresti di loro?» chiese Frodo, e Gimli fece un breve, improvviso respiro.

«Mio zio, mio cugino...» iniziò, e poi si fermò, con la gola che cercava di deglutire «Forse più tardi.»

Frodo annuì. «Forse più tardi.»

Balin e Óin si erano avvicinati l'uno all'altro, le loro spalle si toccavano e i loro occhi erano abbassati. Ori si stava torturando le mani e borbottava: «vai avanti! Devono andare avanti. Non si può stare qui!»

La mano di Gimli si alzò a afferrò quella di Frodo appoggiata sulla sua spalla. «Grazie, Frodo. La mia famiglia sembra avere l'abitudine di affezionarsi ai Baggins. Sto iniziando a capire perché.»

Balin lanciò un'occhiata a Thorin, che lo incenerì. «Non. Una. Parola.»

«Ho detto qualcosa, ragazzo?» disse Balin innocentemente.

«Non ti serviva, ti ho sentito pensarlo molto forte» mormorò Óin.

«Andiamo» disse Gimli, e iniziò a guidare Frodo «Non possiamo lasciare che gli altri vadano troppo avanti. Vedo meglio di te in questa oscurità: ti guiderò io.»

«Non ne dubito» disse Frodo, tenendo la mano sulla spalla di Gimli «Ma attento ai miei piedi! Sam non stava esagerando parlando di questa roccia fredda.»

Gimli riuscì a ridere, anche se era un suono triste e teso e nessun sorriso toccò le sue labbra. «Aye, beh. Ci sarebbero state delle piastrelle un tempo. Sembra che le abbiano levate, o solo rovinate per il gusto di distruggere. Non comprenderò mai la mente di un Orco.»

«Un peccato» disse Frodo «Sono certo che sarebbe stato molto più comodo!»

Quando loro iniziarono a seguire il resto della Compagnia, Thorin si voltò verso il segnale. Era davvero bellissimo e antico.

«Avevo iniziato a decifrarli» disse Ori piano.

«Cosa dice?» chiese Thorin distrattamente.

«”Vir figlio di Nir è un enorme cretino”» borbottò Ori, e Óin scoppiò in una risata leggermente isterica.

«Forse è meglio se non li può leggere» disse Thorin, mordendosi l'interno della guancia.

Debolmente attraverso il silenzio immobile il rombo della voce di Gimli li raggiunse da dove da dove aveva guidato Frodo.

«Sta cantando?» disse Ori sorpreso.

«È la canzone del pianto» disse Balin, e il nero senso di colpa era di nuovo nella sua voce.

Adùruth, adùruth, nekhushel,

Ayamuhud, ayamuhud, zesulel

[ Canzone del Pianto dei Khazâd, cantata da notanightlight]

Gimli cantò sottovoce, le note profonde come un piccolo tuono nelle miniere vuote.

«Anche quella è carina» disse Pipino sottovoce, e Sam lo fece stare zitto.

«Zitto te, testina» disse «Ricorda cos'ha detto di quella sua lingua. Non ti dirà cosa vuole dire, quindi non aprire quella ciabatta per chiederlo!»

«Non lo farei!» protestò Pipino, e guardò Gimli con occhi preoccupati «Non lo farei sentire peggio per tutta la torta di Tucburgo. È un amico, Sam: non farei mai del male a un amico. Sono uno Hobbit molto sensibile, io.»

«E io sono la Regina dell'Harad» borbottò Merry.

Gimli terminò la sua canzone ed esalò lentamente, e il suo petto a barile si sgonfiò. Le sue spalle larghe erano molli là dove la mano di Frodo era appoggiata in cerca di guida. Il Portatore non disse nulla e si limitò a camminare accanto a lui, offrendo silenzioso supporto e conforto.

La voce di Balin fu un respiro nella pesante, soffocante oscurità. «Come lo affronti, Thorin?» ansimò «Come fai ad andare avanti?»

Thorin fissò le profondità della loro casa ancestrale. «Cosa ti fa credere che io sia andato avanti? Porto il mio senso di colpa con me, vecchio amico. Semplicemente ho imparato a portarlo più a lungo.»

Balin chinò il capo, e poi iniziò a svanire mentre le stelle del Gimlîn-zâram lo reclamavano.

«Nekhushîn» sussurrò Bifur, e Ori si prese la testa fra le mani e annuì.

«Sì, e ora chiama a sé ancora più dolore» disse Óin tristemente, guardando suo nipote che avanzava nel buio profondo e vellutato col suo passo sicuro e gli occhi bassi.

«Però va avanti. I tormenti nell'oscurità non lo fermeranno» fece notare Thorin, e Óin sbuffò.

«Certo che lo fa» disse con uno scatto della testa «È un Nano della Linea di Durin, e questa è Khazâd-dum, nonostante i mostri che vi abitano.»

«Spero che la sua tristezza non rimarrà troppo a lungo» mormorò Ori, e guardò i passi pesanti di Gimli con occhi ansiosi.

Thorin si raddrizzò. Sapeva come infondere forza. Sapeva com'era essere forte per gli altri. Gimli era stato la sua sicurezza e la sua risata: Gimli era stato la sua forza per ottant'anni. Si sarebbe comportato come il Re che sarebbe dovuto essere stato, e avrebbe dato la propria a Gimli.

«Balakhûn, mia stella» disse all'orecchio di Gimli «Khulel, khathuzhâl.»

Gimli sospirò profondamente, e le sue gambe continuarono a muoversi ritmicamente nelle morte, echeggianti Sale del suo più grande antenato. Il rumore sordo dei suoi stivali pesanti risuonava nei corridoi vuoti, echeggiato dai lievi piedi Hobbit, dal leggero fruscio di scarpe Elfiche e dal lungo passo degli Uomini.

«Quasi mezzanotte» mormorò Ori, e Bifur annuì.

«Vado a fare cambio con un altro» disse «Forza a lui, e a voi.»

«Porta altri per prendere il tuo posto» ordinò Thorin, e Bifur annuì prima di iniziare a svanire. Le stelle della Camera disegnarono i suoi contorni per un breve istante, e poi era andato, tornato al mondo dei morti.

Ori rabbrividì. «Non mi sono mai abituato a vederlo.»

Il posto di Balin accanto alla Compagnia fu preso da Frerin, e Fíli venne a dare il cambio a Bifur. Ori e Óin rimasero, anche se le loro labbra era premute assieme strettamente e le loro mani erano strette a pugno.

«Glóin ha superato le Montagne Nebbiose» disse Fíli piano «Ora viaggia nei territori di Beorn.»

«Bene» grugnì Thorin «Erebor?»

«Si prepara per la guerra» disse Frerin «I macchinari vengono costruiti a velocità record: Dori è un capo duro. Gli addestramenti continuano, e Dwalin è più felice di una volpe in un pollaio. Dís ha indetto un torneo di spada per i suoi studenti.»

Thorin sbuffò. «Certo che l'ha fatto.»

«L'Elminpietra è quasi alla corte del Re degli Elfi» continuò Frerin «Sarà lì tra qualche giorno, e vedremo se Thranduil risponderà alla chiamata contro il signore della Terra Nera.»

«Non ci spero molto» borbottò Óin.

«Dove siamo?» domandò Fíli, guardandosi attorno e socchiudendo gli occhi nel buio soffocante.

«Moria» disse Ori bruscamente, e Óin sospirò.

«Le Porte sono distrutte» disse Thorin a suo fratello e suo nipote sottovoce «Gimli inizia a capire che non troverà la sua famiglia o i suoi amici in vita. La Compagnia è a disagio.»

«Come dovrebbero essere» borbottò Ori.

«Hanno ancora tre giorni prima di raggiungere l'uscita» aggiunse Óin. Il suo volto era sbiancato.

«Arriveranno presto al Secondo Livello» aggiunse Ori, e si strinse le mani guantate «La Camera... la Camera di Mazarbul è...»

«Aye» disse infine Frerin, e appoggiò la mano sulla spalla del triste scriba «Non c'è bisogno di dirlo.»

Thorin era felice di come aveva organizzato i turni. Balin avrebbe avuto bisogno di ritrovare il suo equilibrio prima di affrontare nuovamente Moria. Era qualcosa di pesante, un tale carico di senso di colpa. Il tempo aiutava. Il tempo gli avrebbe insegnato come sopportarlo e andare avanti.

Le Miniere continuavano, e anche se l'oscurità era vicina e portava conforto agli osservatori, Thorin poteva vedere la tensione che cresceva nell'Elfo e negli Hobbit. La Compagnia si accampò quella sera alla base di un pilastro crollato, e Gimli si levò il guanto per toccare la pietra polverosa a mani nude. «Ancora liscia» mormorò.

Legolas si voltò verso Aragorn e sibilò: «Perché ci fermiamo qui? Dobbiamo continuare!»

«Calmati» disse l'Uomo sottovoce «Gli Hobbit hanno bisogno di riposo dopo lo spavento alle Porte. E poi, ci sono altre, più sensibili ragioni per fermarci per un po'.»

Il volto di Legolas non cambiò espressione, ma i suoi luminosi occhi blu si indurirono. «Gwaem, Aragorn! Dôl gîn lost. Non dobbiamo fermarci per il Nogoth. Questo spettacolino di tristezza può continuare mentre camminiamo tanto facilmente che da seduto.»

Aragorn si voltò verso di lui con volto severo, e la sua espressione era fredda e signorile. «Questo è al di sotto di te, mellon. Non finge di piangere. Ha perso la sua gente e la sua famiglia, ed è vero dolore sul suo viso. Un po' più di gentilezza da parte degli Elfi a questo punto lo aiuterebbe ad avere un'opinione più alta di te.»

«Nulla gli darebbe un'opinione più alta su un Elfo» disse Legolas. Il suo volto era immobile e calmo, ma le sue spalle si erano strette alla risposta. «Si offende per ogni cosa che dico o faccio. Questo era già un viaggio teso prima ancora di venire in questo maledetto buco!»

«Non capisci?» Aragorn sembrava sorpreso «Gimli ti evita perché tu non sei amichevole nei suoi confronti, Legolas. Lo tratti in maniera diversa rispetto al resto della Compagnia.»

La bocca di Legolas si aprì per inalare improvvisamente, e poi fece un piccolo, rapido passo avanti. «Non è vero» disse, offeso.

«È vero» disse Aragorn, e c'era un triste divertimento nella sua voce «Tu hai, se ricordo bene, insultato l'esistenza stessa dei Nani di fronte a lui.»

Legolas parve voler rispondere per un momento, e poi il suo volto si indurì e lui si voltò con un lampo di capelli dorati per andare a sedersi su una roccia spezzata, borbottando pensieroso tra sé e sé.

Questa era una sorpresa. Thorin incrociò le braccia, osservando l'Uomo pensierosamente. Non si era aspettato una difesa da quel lato. Aragorn ovviamente pensava che l'Elfo fosse una compagnia piacevole, anche se Thorin non ne capiva il perché. Ogni tanto scivolavano in quella confusa lingua da uccelli che cantano per fare conversazione, e ogni volta Gimli si incupiva come una nuvola temporalesca. E nonostante ciò ora Aragorn prendeva le difese di Gimli in questa disputa? Inaspettato, ma non indesiderato.

Aragorn era strano. Thorin non lo capiva. Thorin era stato costretto all'esilio, a vagare perso e distante dalla corona e dal trono che erano suoi di diritto. Certamente non avrebbe mai scelto un simile fato. Ma l'Uomo nato per essere Re optava deliberatamente per la vita nomade del Ramingo?

Gli Uomini erano bizzarri.

Però, questo era un buon comandante, e un abile e astuto uomo d'azione. Sembrava anche avere uno sguardo limpido e un certo senso di giustizia, anche se era stato cresciuto dagli Elfi. Thorin non sapeva quale fosse il giudizio degli Uomini per queste faccende, ma Aragorn gli sembrava tutto ciò che un Re dovrebbe essere: saggio, giusto, forte e buono. Il fatto che fosse anche uno spadaccino superbo non guastava.

Perché allora l'Uomo di nascondeva dietro le pelli lacere e i capelli spettinati del Ramingo?

Gimli dormì a tratti quella notte, una mano sulla liscia roccia antica e l'altra nervosa sull'ascia. Pipino e Merry dormirono vicini (Pipino infilò i piedi nel sacco per dormire di Gimli senza nemmeno un lampo di vergogna). Frodo e Sam si rannicchiarono ai lati di Gandalf, e Boromir scelse il lato esterno, proteggendo gli Hobbit addormentati col suo corpo più grande e difendendoli dal corridoio.

Aragorn prese il primo turno di guardia dopo aver parlato piano con Gandalf e Boromir per qualche momento. Si sedette lungo il bordo Orientale del corridoio, ed iniziò a pulire la sua spada da tutta l'icore e il fango lasciati dall'Osservatore. Óin rabbrividì violentemente.

«Zûr zu?» chiese piano Thorin.

«Ah, ragazzo. Non credo starò mai bene» biascicò lui.

«È morto ora» disse Ori.

«Cosa è morto?» chiese Fíli.

«L'Osservatore» disse Ori «Le Porte gli sono cadute sopra.»

«Shhh, quel dannato Elfo sta tornando» sibilò Frerin, e fece un segno volgare in Iglishmêk dietro la schiena di Legolas. Gli angoli della bocca di Thorin fremettero.

«Smettila» disse.

«Sei sempre così noioso» si lamentò Frerin mentre Fíli e Ori cercavano di non ridere.

«Aragorn» disse piano Legolas «Goheno nin.»

«Iston» rispose Aragorn «Ma non è a me che devi chiedere scusa, Legolas.»

Legolas sospirò in esasperazione e si sedette accanto all'Uomo. Era quasi goffo nella sua irritazione: una cosa decisamente non-Elfica. Senza dubbio Thranduil non avrebbe approvato.

«Non capisco» si confidò Legolas, e si passò una mano dalle lunghe dita tra la morbida seta dorata che erano i suoi capelli e soffiò nuovamente «Non è come ciò che ho sempre saputo riguardo ai Nani.»

«Chi ti ha detto com'è fatto un Nano, Legolas?» chiese Aragorn, e si appoggiò al muro mentre accendeva un fiammifero e lo portava verso la sua pipa. Il naso dell'Elfo si arricciò per l'odore, ma continuò.

«Non parlo di storie o racconti. Non sono giovane, e ho già incontrato dei Nani prima d'ora. Ho guardato il volto di suo padre e vi ho visto solo rabbia e risentimento verso di me!»

«Quelle non erano esattamente le migliori o più amichevoli circostanze» gli fece notare Aragorn.

Legolas lo guardò male, ma annuì irritato. «Sì, questo è vero. Però, e stato saputo per Era dopo Era che un Nano non prova emozioni nello stesso modo dei Figli di Ilúvatar. Non provano amore per nulla che non siano le loro preziose pietre. Non possono nemmeno affezionarsi alla loro famiglia e ai loro amici. Il dolore gli è sconosciuto, così come la gioia. Possono solo bramare e odiare. Ciò è saputo, Aragorn!»

«Tu lurida bugiarda feccia Elfica!» ringhiò Thorin. Vagamente si rese conto che le braccia erano tenute ferme da Ori e Frerin, e che Fíli lo aveva afferrato attorno al petto.

«Du bekâr!» urlò Óin, e Thorin ruggì in assenso.

«Calmati, fratello» grugnì Frerin, usando tutta la sua forza per tenere fermo il braccio di Thorin. Thorin era più alto e pesante di suo fratello, congelato per sempre nel mezzo dell'adolescenza, e stava gradualmente guadagnando il vantaggio. «Calmati! Non puoi toccarli, e tutto ciò che farai è svegliare Gimli. Nessun altro può sentirti. Calmati!»

«Saputo da chi, Legolas?» chiese piano Aragorn «Saputo dagli Elfi? Si sono mai presi il disturbo di chiedere a un Nano?»

La bocca di Legolas si chiuse, e poi disse lentamente: «Non credo. Ed infine ora vedo la prova delle menzogne: lui sta piangendo, ed è vero dolore. Lo vedo nel suo volto, nella maniera in cui canta a se stesso, nei passi pesanti dei suoi piedi. Se può provare vero dolore, cos'altro può provare?»

Ori rimase a bocca aperta, e Óin si sgonfiò come una borraccia vuota. «Le mie orecchie mi stanno di nuovo facendo degli scherzi?» chiese «Non posso aver sentito bene...»

«Cos'altro può provare?» Aragorn prese un'altra boccata dalla sua pipa e lanciò all'Elfo un'occhiata divertita «Tutto ciò che un mortale può provare, immagino. Dici che hai visto vero dolore suo volto. Allora hai visto altro, senza dubbio. Conosco i tuoi occhi di Elfo, amico mio.»

«L'ho visto» disse Legolas, e chiuse quegli occhi luminosi in segno di sconfitta «Non volevo accettarlo.»

Thorin smise di colpo di lottare contro Ori e Frerin, e la sua bocca si aprì leggermente.

«Oh, grazie a Mahal» gemette Fíli, e si allontanò ansimando «Sei troppo dannatamente forte. Se non fossi già morto avresti finito il lavoro.»

«Il cambiamento è più facile per i mortali, temo» disse Aragorn, sorridendo.

«Era tutto lì» gemette Legolas «Ogni sua emozione è scritta sul suo volto così chiaramente che un cieco potrebbe vederla - per quanto le sue guance siano coperte dai capelli! Prova tutto, e con tale forza che è come un fuoco. Lui è come un fuoco - mi brucia, Aragorn, sapere che sono stato talmente cieco.»

«Non è semplice riconoscere di essersi sbagliati» disse Aragorn gentilmente «Ora lo vedi con gli occhi aperti, e nonostante ciò i tuoi antichi pregiudizi continuano a ululare e scuotersi nella tua mente.»

«È piegato dal dolore infinito dei mortali, ma nonostante ciò nessuna oscurità è su di lui» disse Legolas, con le lunghe dita che si tormentavano a vicenda «Fatti forti per resistere, come disse lui. Sono dunque tutti i Nani così, o solo questo?»

La risposta di Aragorn fu una secca scrollata di spalle.

«Affetto, per gli Hobbit, per i suoi amici, per la sua famiglia» mormorò Legolas «Non l'hai visto con suo padre Glóin? L'ho udito parlare con Sam di sua sorella e del figlio di lei, e lui ama quel bambino con tutto se stesso. Non ha parlato di altro che di suo cugino e suo zio e i suoi amici da quando ci avvicinammo al Caradhras. È cresciuto con uno di questi coloni, ha detto. Lóni, era il suo nome. Si sono guadagnati insieme le loro trecce di guerrieri. Era il migliore amico di Gimli, vicino come un fratello.»

Legolas fece una pausa, e poi lasciò ricadere la testa. «Migliore amico» ripeté, e gemette «Cos'altro so di sbagliato? È tutto ciò che conosco sbagliato?»

«Potresti chiederglielo» suggerì Aragorn «Come dici, hai conosciuto dei Nani prima d'ora. Ma quanti di loro rispondevano alle tue domande?»

Legolas batté le ciglia, e poi le sue sottili sopracciglia si aggrottarono. «Nessuno.»

«Nessuno» confermò Aragorn «Fanno la guardia ai loro segreti. Ma Gimli risponde alle domande, o sbaglio?»

Il sorrisetto imperscrutabile degli Elfi passò sulle labbra di Legolas. «Lo fa.»

«Improvvisamente sono molto grato che Balin se ne sia andato» disse Ori.

«Ah, cosa ha detto ora quel ragazzo!» urlò Oin, incredulo.


Thorin dormì e poi si alzò nuovamente. Suo padre lo guardava con occhi scuri e preoccupati mentre lui si ingozzava con acqua e una fetta di pane e formaggio. «Hai passato ventotto ore nelle acque stellate senza pause» disse piano.

«Sì» disse Thorin. Non sentiva il bisogno di difendersi. «E lo farò di nuovo. Gimli cammina a Moria, e io non lo lascerò da solo.»

«Non dimenticarti di riposare» disse Thráin, e spostò i capelli spettinati di Thorin dietro le sue orecchie «Possiamo essere morti, ma tu non sei fatto di roccia.»

Thorin sorrise debolmente. «Conosco alcuni che potrebbero non essere d'accordo con te.»

Thráin gli sorrise a sua volta, prima di fare un cenno verso Frís. Una tazza del suo tè preferito era appoggiata accanto a lei, e li stava guardando entrambi.«Tua madre si preoccupa. Non sparire di nuovo, fallo per lei.»

«So che mia madre si preoccupa» rispose lui, e poteva sentire la sua schiena che si irrigidiva «Anch'io lo faccio.»

«Aye» disse Thráin, e scosse il capo «Bene, farai ciò che devi, figlio mio. Ricordati, noi siamo qui se hai bisogno di noi.»

Thorin afferrò la poderosa mano di suo padre. «Me ne ricordo» fu tutto ciò che disse «Âkminrûk zu, 'adad.»

Thráin gli strinse la mano, e poi sospirò. «Balin, Ori e Óin ti aspettano. Anche Náli, Lóni e Frár sono pronti. Il racconto del viaggio a Moria della Compagnia si è diffuso nelle Sale come un incendio. Praticamente ogni Nano è pronto ad aiutare.»

«Sei stato da Dáin ieri notte?» chiese Thorin, scrollandosi di dosso l'emozione e gli ultimi rimasugli del sonno.

«Aye, per un po'. Poi mi sono fermato da tua sorella. Le manca Gimli» Thráin scosse nuovamente la sua grande testa brizzolata «Non riesco a credere che gli si sia affezionata tanto.»

«Gimli ha questo potere, a volte» disse Thorin «Oh, e questo mi ricorda: non parlare dell'Elfo col nonno! Ha iniziato a farsi delle interessanti – e insultanti – domande sui Nani. Frerin, Fíli e Ori hanno dovuto tenermi fermo. Tremo al pensiero di cosa farebbe il nonno!»

«Il figlio di Thranduil» disse Thráin, e si strofinò gli occhi «Aye, non avrebbe una reazione piacevole. Troppo cattivo sangue. Che genere di domande?»

Il sorriso di Thorin divenne cupo. «Sembra che abbia preso in considerazione l'idea che i Nani abbiano dei sentimenti. Lo stupisce.»

«Quel...!» iniziò Thráin, e poi sputò una selvaggia imprecazione «Ah, Khuthûzh!»

«Davvero» Thorin lanciò un'occhiata pensosa al padre «Come stai tu?»

«Non ti preoccupare, ragazzo» disse Thráin pesantemente «Sto abbastanza bene. I ricordi tornano a perseguitarmi, e a tratti posso sentire il gusto della mia vecchia follia nella gola... ma tua madre è con me, e tua nonna. Mi abbaia contro e mi sgrida e mi pettina finché non sono nuovamente me stesso.»

«Suppongo funzioni» disse Thorin, e Thráin ridacchiò.

«Aye, meglio di qualsiasi medico.»

«Mizùl» disse Thorin, e colpì delicatamente la testa del padre con la sua e rimase lì per un momento, prendendo forza dalla solidità e dal potere di Thráin.

«A te, figlio mio» disse Thráin «A te.»

Balin, Ori e Óin aspettavano nella Camera di Sansûkhul, e i loro volti erano tesi e scuri «Mattino presto» commentò Óin, a bassa voce «Si stanno muovendo di nuovo, senza dubbio.»

«Non si sono fermati tutta la notte?» si accigliò Thorin.

«Sono ripartiti dopo qualche ora, ragazzo» disse Balin «Anche se penso si siano fermati al vecchio incrocio poco fa. Gandalf si è scordato la strada.»

«Scordato la...!» disse Thorin, e poi si massaggiò le tempie.

«Dannati Stregoni» borbottò Óin.

«Non sono lontani» disse Ori, e si morse il labbro prima di fare un cenno verso le due figure stranamente immobili nella brillante mezza-luce «Kíli e Fíli hanno fatto l'ultimo turno.»

Thorin guardò i suoi nipoti, notando i loro volti stanchi mentre dormivano, sdraiati uno sopra l'altro sulla panca. «Ah. Vi hanno detto loto tutto questo?»

«Prima di svenire, aye» disse Óin «È stato sfiancante.»

«Se è sfiancante per noi, lo è il doppio per la Compagnia» Thorin si sedette sulla sua panca e cautamente spostò il piede di Kíli, prima di far passare una mano sui capelli luminosi e quelli scuri che erano caduti sui volti addormentati dei suoi nipoti. Avrebbe lasciato riposare i ragazzi un altro po'. «Andiamo, troviamoli.»

«Ci troverà oggi» disse Balin in un sussurro triste, e poi le stelle stavano brillando e ruotando sotto le acque, eclissando con la loro luce il mondo dei morti.

Quando la luce svanì, Thorin stava guardando tre aggraziati archi nell'antico stile Longobarbo. Gandalf era seduto, fumando, davanti ad essi, il suo volto come un temporale.

«Merry!» sussurrò Pipino.

«Cosa vuoi?»

«...ho fame»

Thorin alzò gli occhi al cielo. Hobbit.

Di colpo Frodo si alzò, con gli occhi pieni di paura nervosa, e andò accanto allo Stregone. Era molto piccolo rispetto alla grandiosità dell'antica Khazâd-dum, e i suoi piedi sussurravano contro la pietra. «C'è qualcosa laggiù» sibilò.

«È Gollum» rispose Gandalf, e Thorin fece un salto indietro. La creatura della caverna? La creatura che aveva tentato di uccidere il suo Bilbo?

«Gollum!» disse all'unisono con Frodo.

«Sono tre giorni che ci segue» continuò Gandalf, uno scintillio nei suoi vecchi, vecchi occhi.

«È fuggito dai sotterranei di Barad-dur?» Frodo era incredulo – e ad essere sinceri, lo era anche Thorin.

«Nulla sfugge alla presa di Sauron» disse con decisione «Mio padre ne è la prova!»

«Fuggito. O lasciato andare?» disse Gandalf, e i suoi occhi si spostarono su Frodo. Continuò a parlare della creatura, e Thorin tremò violentemente quando Gandalf rivelò che l'Anello maledetto era la causa della pazzia di Gollum. Quanto vicino – quanto vicino era stato Bilbo a -

«Calmo» mormorò Balin «Calmo, Thorin. L'ha lasciato andare. Bilbo è stato l'unico in tutta la storia a lasciare andare l'Anello di sua volontà.»

«Quasi non lo fece» disse Thorin, odiando ogni parola.

«Ma l'ha fatto» disse Balin, e diede una pacca sul braccio di Thorin «Calmo.»

«Che peccato che Bilbo non l'abbia ucciso quando poteva» disse Frodo con sorprendente ferocia. Thorin era d'accordo al cento percento.

«Uccidilo!» ringhiò, e la mano di Balin si strinse sul suo braccio «Uccidi quella cosa sozza una volta per tutte. Ha vissuto troppo a lungo – levala da questo mondo!»

«Peccato? È stata la pena che gli ha fermato la mano. Molti di quelli che vivono meritano la morte, e molti di quelli che muoiono meritano la vita» Gandalf lanciò uno sguardo da Thorin da sotto le sopracciglia cespugliose, e Thorin deglutì con una gola resa improvvisamente secca e dolorante «Tu sei in grado di valutare, Frodo?»

Frodo fece una pausa, e un'espressione persa gli passò sul volto.

«Non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi. Anche i più saggi non conoscono tutti gli esiti» la bocca di Gandalf tremò mentre guardava di nuovo Thorin e i suoi compagni «Il mio cuore mi dice che Gollum ha ancora una parte da recitare, nel bene o nel male, prima che la storia finisca. La pietà di Bilbo può decidere il destino di molti.»

«Lui è troppo pronto al perdono» disse Thorin «Ci sono molti che ricevono un tale perdono senza meritarlo.»

Frodo si sedette pesantemente, e la sua espressione persa era diventata disperata. La sua testa si chinò sotto il peso della catenella attorno al suo collo. «Vorrei che l'Anello non fosse mai venuto a me. Vorrei che non fosse successo nulla.»

«Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere» disse gentilmente Gandalf. Il vecchio Stregone sorrise allo Hobbit, prima di incrociare nuovamente lo sguardo di Thorin. Il suo volto era pieno di un'infinita compassione. Improvvisamente Thorin si chiese quale dei Valar Gandalf avesse amato e avuto come insegnante. «Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso. Ci sono altra forze che agiscono in questo mondo, Frodo, a parte la volontà del Male. Bilbo era destinato a trovare l'Anello, nel qual caso anche tu eri destinato ad averlo. E questo è un pensiero incoraggiante.»

«No, non lo è» ribatté Thorin «Questo è l'opposto di incoraggiante – e chi ha deciso che Bilbo doveva trovarlo? L'Anello ha deciso! Perdonami se non mi fido del suo giudizio!»

Gandalf lo ignorò, e disse allegramente. «Ah! Questa è la via!»

«Aspetta, cosa?» Óin sbatté le palpebre «Gliel'avrei potuto dire io!»

«Se l'è ricordata!» disse Merry sollevato.

«No, ma laggiù l'aria non ha un odore così fetido» disse Gandalf, e diede una pacca sulla schiena al giovane Brandybuck «Quando sei in dubbio, Meriadoc, segui sempre il tuo naso.»

«Gliel'avrei potuto dire io!» ripeté Óin, voltandosi verso Ori. Ori aprì le mani in segno di arresa.

«Il Quarto Livello» disse Balin in voce sognante. Anche se le Miniere gli erano costate la vita, la malinconia era ancora sul suo volto mentre Gandalf alzava il bastone e riempiva la vasta Sala della Festa con la sua pallida luce di cristallo.

Gimli, che era stato un'ombra silenziosa fino a quel punto, aprì la bocca in meraviglia quando le alte colonne furono rivelate, meravigliose e complesse oltre ad ogni altra opera che avesse mai visto. I suoi occhi brillavano di rispetto e meraviglia.

«Ti fa spalancare gli occhi, certo» disse Sam, i suoi occhi molto tondi e grandi. Ori lo guardò e poi si voltò in fretta con un piccolo lamento.

«Ditemi quando la pianta con la cosa degli occhi grandi Hobbit» borbottò.

«Ci deve essere stata un'enorme schiera di Nani qua una volta» disse Sam «e ognuno di loro più occupato di un tasso per cinque secoli per fare tutto questo, e la maggior parte è roccia dura! Perché l'hanno fatto? Di certo non vivevano in questi buchi oscuri?»

«Questi non sono buchi» disse Gimli. Il suo volto era alzato e sereno mentre guardava lo splendore rovinato della Sala della Festa. «Questo è il grande Regno e la città del Nanosterro. E nell'antichità non era oscuro, ma pieno di luce e splendore, come è ricordato nelle nostre canzoni.»

Legolas, guardando, piegò la testa in meraviglia mentre fissava il Nano. Le sue sopracciglia erano nuovamente aggrottate, e sembrava sul punto di fare una domanda. Ma prima di poter aprire bocca, Gimli iniziò a cantare dolcemente. La sua voce profonda rimbombava nell'oscurità e echeggiava nel salone intagliato e dalla pietra preistorica. Era come se la montagna stessa stesse cantando, oscura e profonda e antica:

[ La canzone di Durin, cantata da notanightlight ] [Traduzione]

The world was young, the mountains green,
No stain yet on the Moon was seen,
No words were laid on stream or stone,
When Durin woke and walked alone.
He named the nameless hills and dells;
He drank from yet untasted wells;
He stooped and looked in Mirrormere,
And saw a crown of stars appear,
As gems upon a silver thread,
Above the shadow of his head.

The world was fair, the mountains tall,
In Elder Days before the fall
Of mighty kings in Nargothrond
And Gondolin, who now beyond
The Western Seas have passed away:
The world was fair in Durin's Day.

A king he was on carven throne
In many-pillared halls of stone
With golden roof and silver floor,
And runes of power upon the door.
The light of sun and star and moon
In shining lamps of crystal hewn
Undimmed by cloud or shade of night
There shone for ever fair and bright.

There hammer on the anvil smote,
There chisel clove, and graver wrote;
There forged was blade, and bound was hilt;
The delver mined, the mason built.
There beryl, pearl, and opal pale,
And metal wrought like fishes' mail,
Buckler and corslet, axe and sword,
And shining spears were laid in hoard.

Unwearied then were Durin's folk;
Beneath the mountains music woke:
The harpers harped, the minstrels sang,
And at the gates the trumpets rang.

The world is grey, the mountains old,
The forge's fire is ashen-cold;
No harp is wrung, no hammer falls:
The darkness dwells in Durin's halls;
The shadow lies upon his tomb
In Moria, in Khazad-dum.
But still the sunken stars appear
In dark and windless Mirrormere;
There lies his crown in water deep,
Till Durin wakes again from sleep.

«Non la smetterai mai con i segreti, cugino?!» Balin quasi strillò.

«Mi piaceva!» disse Sam «Mi piacerebbe impararla.»

Gimli non disse nulla. Dopo aver cantato la sua canzone, non disse altro. Troppo tardi, pensò Thorin. «Sei irresponsabile, inùdoy» sospirò «E manderai Balin e Óin in un parossismo tradizionalista.»

Gimli si limitò a fissare la Sala, dissetandosi della sua vista, i suoi occhi scuri che bruciavano di meraviglia e dolore.

«Oh, ragazzo» disse Óin tristemente, prima di accigliarsi «Dovrei tirarti le orecchie e poi farti ubriacare. Sai bene come dovresti comportarti.»

«È solo e pieno di dolore» disse Ori sulla difensiva «Troverà consolazione dove può.»

«Non troverà consolazione con nessuno di questi» ritorse Óin «e quindi dovrebbe smettere di dargli cose che non gli appartengono!»

«Shazara» mormorò Thorin «Ciò che è fatto è fatto.»

«Aye, è tutto fatto» disse Óin, e Balin borbottò una rabbiosa conferma «Ciò che dico è che non avrebbe mai dovuto essere fatto!»

«Ci sono dei mucchi di gioielli e cose del genere qua intorno, dici?» disse Merry allegramente.

«Mucchi di gioielli?» Gandalf rise «No! Gli Orchi hanno più volte saccheggiato Moria, e non rimane nulla che possa essere trasportato. Non in questi livelli superiori certamente: da quando i Nani fuggirono, nessuno osa disturbare i livelli inferiori.»

Balin tremò violentemente, e Thorin si allungò e gli afferrò il collo. «Fatti forza, Balin» disse.

«Lo sentivamo» disse Balin con voce rotta «A volte. Non volevo ammetterlo...»

«Shhh» Thorin annuì verso Ori, e lo scriba annuì a sua volta prima di andare avanti alla Compagnia.

«Da questa parte» disse.

«Gandalf» disse Thorin, e lo Stregone annuì impercettibilmente.

«Se non ci sono tesori, perché i Nani vogliono tornare qui?» chiese Pipino, e poi si ritrasse quando sia Sam che Merry lo azzittirono con molte occhiate preoccupate verso Gimli. Il giovane rumoroso Nano lo notò a malapena, ancora perso in contemplazione della foresta di aggraziati pilastri, il posto delle sue antiche e nobili genti, la casa dei suoi antenati.

Thorin poteva capire.

«Per il mithril, tra le altre cose» rispose diplomaticamente Gandalf, e iniziò a seguire Ori attraverso le grandi eco della Sala della Festa «La ricchezza di Moria non era in oro o gioielli, i giocattoli dei Nani: né nel ferro, il loro servitore. Solo qua veniva trovato l'Argento di Moria, o Argentovero: mithril è il nome Elfico. Aveva un valore dieci volte superiore all'oro ed ora è senza prezzo, perché molto poco ne rimane sopra al terreno e nemmeno gli Orchi osano cercarlo in profondità. Bilbo aveva una maglia di mithril che Thorin gli aveva donato. Mi chiedo cosa ne sia di essa? Sta ancora raccogliendo polvere al Museo di Pietra Forata, senza dubbio.»

«Cosa?» urlò Gimli, fatto uscire dalla sua contemplazione silente delle rovine di Khazâd-dum, imponenti e meravigliose anche nella decadenza «Quello era un dono degno di un Re!»

Thorin dovette combattere l'istinto di ritrarsi sotto l'improvvisa attenzione di tre Nani morti e uno Stregone.

«Sì» disse Gandalf, sorridendo «Non glielo dissi mai, ma il suo valore era superiore a quello dell'intera Contea e di tutto ciò che vi è all'interno.»

«Potete smetterla di fissarmi ora» ringhiò Thorin.

«Aye, lasciatelo stare» disse Balin, tentando e fallendo di tenere il divertimento fuori dalla sua voce «Sarà arrabbiato come un orso con una zampa ferita altrimenti.»

«Nel senso che può non esserlo?» ridacchiò Óin, e si piegò quando Thorin cercò di colpirlo con un pugno «Ah, troppo lento, mio Re. Avrò anch'io un bel premio di mithril?»

«Avrai un labbro spaccato tra in un secondo» ringhiò Thorin.

«Nani» disse Gandalf sottovoce.

In quell'istante Gimli lanciò un urlo strozzato, e iniziò a correre verso una porta mezza nascosta. Ori imprecò ad alta voce, e Thorin lo guardò con un po' di sorpresa. Non era normale per il loro scriba.

«Gimli!» urlò Gandalf, e Thorin a malapena dovette pensare prima di correre dietro alla sua stella, mentre il suo cuore iniziava a martellare. Non era... non poteva essere...

Quando entrò nella camera, il suo spirito gli cadde fino al fondo dell'addome. Sì, vi era la tomba bianca, e c'era un sottile raggio della luce del giorno. C'era lo scheletro caduto, e c'era il libro, macchiato di sangue. Un martello era gettato sul pavimento, e il corpo di Grechar era seduto sopra il pozzo.

«No» singhiozzò Gimli, cadendo in ginocchio di fronte alla tomba bianca, e i suoi occhi si stavano nuovamente riempiendo di lacrime «No!»

Arrivando dietro di lui, Gandalf lesse le rune con voce resa pesante dal dolore: «”Qui giace Balin, figlio di Fundin”. È morto dunque. È come temevo.»

Aragorn chiuse gli occhi, e Boromir si fece un piccolo segno sul petto. Il suo volto forte era segnato dalla compassione per il Nano che era inginocchiato ai piedi della tomba, la testa appoggiata alla pietra bianca e gli occhi serrati.

«Non posso...» singhiozzò Balin, e la mano di Thorin scattò per afferrare la spalla di Balin in una presa stretta, quasi dolorosa.

«Rimarrai» ordinò con tono duro «Rimarrai, come io feci. Vedrai che ti piangono. Saprai che eri amato.»

«Non posso!» urlò Balin, e Thorin si voltò per prendergli il volto fra le mani e scuotergli la testa bruscamente.

«Puoi e lo farai! Fa male, lo so – ma ti ci abituerai e diventerà un ricordo d'amore e non di dolore. Ti ho visto piangere per me – ho visto tutti piangere per me e per i miei nipoti, e non mi sono voltato! Non pensi che avrei voluto farlo?» i suoi pollici premettero nella morbida, arricciata barba di Balin «Tutto ciò che vidi era la distruzione rimasta dove io passai. Tutto ciò che vidi fu il dolore che mi ero lasciato dietro. Mi ci sono voluti ottant'anni per capire!»

«Thorin, lasciami andare, maledizione!» ululò Balin, e Thorin lo strinse di più, premendo insieme le loro fronti e guardando negli occhi distrutti dalle lacrime di Balin.

«No» ringhiò «Imparerai. Fa male, ma è necessario. Il tuo passaggio ha fatto del male ad altri, vero – ma tu eri amato. Eri ammirato e rispettato e amato, Balin Fundinul. Non rifiutarlo!»

Balin lo fissò disperatamente attraverso il velo delle sue lacrime, e Thorin udì come in lontananza Ori che sospirava.

«Beh, eccomi qui» disse «Non sono un bellissimo scheletro?»

«Piantala» disse Óin brusco «Sei buono come scheletro tanto quanto io lo ero come merenda.»

«Aye, e quanto io lo ero come puntaspilli per Orchi» disse Thorin a Balin, che infine si accasciò fra le braccia di Thorin.

«Oh, ragazzo» pianse, e Thorin avvolse le braccia attorno al suo caro amico e cugino e lo strinse forte.

Il pianto di Gimli era diminuito, e lui toccò la pietra bianca riverentemente con le sue forti mani. «Signore di Moria» disse, la sua voce profonda spezzata e raspante «Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal.»

«Ah, Gimli, ti bastonerò» borbottò Óin, e si asciugò gli occhi bruscamente «Non so quanti millenni di segreti, e ora tu regali tradizioni e Khuzdul e chissà cos'altro con la stessa facilità con cui un bambino getta via dei ciottoli...»

Thorin alzò lo sguardo dalla testa di Balin. «Sei morto con coraggio» disse a Ori.

«Suppongo» disse Ori a disagio «Il povero Dróin era così terrorizzato.»

«Come lo eri te» disse Thorin serio «Tu hai continuato. Tu gli hai dato il coraggio per resistere.»

Ori alzò il mento. «Sono uno della Compagnia» disse.

Thorin sorrise, anche se sentiva che era molto tirato. «Sono orgoglioso di contarti fra di loro.»

Le guance di Ori diventarono rosa acceso, e si voltò mentre Gandalf cautamente prendeva il libro stretto fra le sue braccia scheletriche. «Avete visto cosa quei dannati Orchi hanno fatto al mio libro?» disse indignato «È vergognoso, ecco! Oooh, avrei fatto di più che schiacciarli con un martello se l'avessi saputo!»

Mai far arrabbiare un bibliotecario, pensò Thorin con cupa tristezza. Quando Gandalf iniziò a leggere la disordinata storia piena di interruzioni della colonia, lui si voltò verso Gimli. La luce della sua stella si era offuscata, e la sua bocca era aperta in un urlo silenzioso di dolore.

Quando Gandalf lesse della fine di Óin, gli occhi di Gimli si chiusero e due lacrime scavarono profondi segni nella polvere e nello sporco sul suo volto.

Aragorn mise una mano sulla spalla del Nano, e Merry tremava, torturandosi le piccole mani. «Oh, mi dispiace così tanto, Gimli» mormorò con una vocina triste. Il suo viso normalmente scherzoso era triste e preoccupato.

Legolas fissava Gimli con sospetto, come se stesse per esplodere. Questa nuova tempesta di dolore sembrava spaventare l'Elfo. «Non possiamo stare qui» disse impazientemente ad Aragorn.

Aragorn annuì, ma rimase dov'era, prestando la sua forza al Nano in lutto.

«Lo sapevo» sussurrò Gimli «Lo sapevo. Ma non volevo crederci.»

«Parlagli?» pregò Óin.

Thorin sospirò. «E cosa vorresti che gli dicessi?»

«Ti sente, o no?» gridò Óin in angoscia «Digli qualsiasi cosa! Fallo stare meglio!»

«Il tempo è l'unica cosa che può farlo stare meglio» disse Thorin. Voltandosi di nuovo verso Gimli, sentendo Balin che tremava fra le sue braccia, sospirò di nuovo. «Se qualcosa può.»

«Dagli un qualche conforto, Thorin – ti prego!» supplicò Óin. Thorin deglutì.

«Proverò» disse. Gentilmente fece spostare Balin perché si appoggiasse contro Ori, e poi si inginocchiò accanto alla sua povera, addolorata stella. «Gimli, nahùba unday» mormorò «Non piangere per coloro che sono morti da tempo. Non addolorarti. Siamo qui con te, e tu non sei solo.»

Gimli non diede segno di averlo udito.

«Hai perso il tuo Dono?» chiese Ori stupefatto, e Thorin si alzò, col cuore che gli affondava ancora di più nello stomaco.

«Non può udirmi» disse, col cuore pesante e le labbra intorpidite «Tutto ciò che può udire è il suo dolore. Anche Dís fu così, per un po'. Ancora, il tempo è l'unico guaritore» oh, faceva male. Questo era il colpo peggiore finora. Gimli era sempre stato in grado di sentirlo. Gimli era il luogo più sicuro che Thorin conosceva – e Gimli era perduto. La sua stella era fuori dalla sua portata.

«Perbacco» ringhiò Óin «Prova ancora!»

In quel momento uno schianto poderoso fece voltare tutti, vivi e morti, verso Pipino Tuc.

«Ops» disse, gli occhi larghi e il volto imbarazzato.

«Ha appena lanciato Grechar giù dal pozzo?» domandò Ori incredulo.

«Quello Hobbit è un parente di Bilbo» ribatté Óin, ed ignorò l'improvviso sguardo scuro di Thorin «Farà cose stupide in maniera spettacolare ogni tanto.»

«Tu ti rimangerai quelle parole» ringhiò Thorin.

«Una parola, vostra maestà» esclamò Óin «Troll

Thorin non poteva davvero trovare alcuna risposta a quello. Decise di limitarsi a incenerire con lo sguardo l'erborista.

«Idiota di un Tuc! Gettati tu la prossima volta e liberaci della tua stupidità!» disse Gandalf, riprendendosi cappello e bastone e fulminando lo Hobbit più giovane. Pipino si ritrasse, prima di congelarsi dal terrore quando un nuovo suono iniziò ad allagare le profondità echeggianti delle Miniere, piano all'inizio, ma crescendo rapidamente finché le antiche rocce sembravano tremare con esso:

Doom... doom...

Il respiro di Ori si mozzò attorno ad un urlo. «No!»

Doom... doom, doom!

«Padron Frodo!» gridò Sam, e Frodo sguainò a metà Pungolo dal suo fodero per rivelare la strana luminosità blu.

Doom, DOOM, DOOM!

«Non possiamo uscire!» disse Gimli.

«Intrappolati, esattamente come loro!» disse Gandalf, e si voltò verso la porta mentre sfoderava Glamdring «Ah, ma io non ero qui, allora.»

Aragorn e Boromir stavano chiudendo le porte distrutte, puntellandole con della legna. Un ruggito echeggiò nella Sala della Festa, e Boromir sobbalzò. «Hanno un troll di caverna» disse cupo.

Il volto di Gimli si era acceso di una sorta di follia mentre i tamburi rotolavano per le Miniere, ed era balzato sulla tomba e aveva estratto le sue asce, ringhiando: «Che vengano pure! Troveranno che qui a Moria c'è ancora un Nano che respira!»

«Quella è...» disse Óin, col volto che cadeva.

«La follia della battaglia, aye» Balin si coprì gli occhi «No, no! Non può essere!»

Thorin fissò Gimli. I suoi denti brillavano, scoperti nella sottile e debole luce, e il suo intero corpo sembrò gonfiarsi dalla prontezza mentre i suoi muscoli si contraevano. La sua barba infuocata sembrava quasi volare mentre roteava l'ascia da lancio in grandi, feroci cerchi. La violenza gli danzava negli occhi, e il suo peso si spostò da un lato all'altro mentre aspettava con impazienza, coi piedi piantati sulla pietra come un Nano dovrebbe.

Legolas, l'arco pronto, si voltò verso Gimli per un istante. I suoi occhi Elfici erano spalancati e allerta, ma la stessa confusione della notte prima danzava ancora nelle loro profondità.

«Prova tutto» disse Thorin all'Elfo debolmente «Al massimo. Gimli non fa nulla a metà. Farai meglio a ricordartelo, Elfo.»

le porte tremarono. Doom-boom, doom-boom! cantavano i tamburi.

«Arrivano» borbottò Óin.

«Ancora» disse Ori con nero sarcasmo.

I tamburi fecero tremare l'aria, e poi le porte si aprirono con uno schianto. Legolas lasciò partire una pioggia di frecce, più veloce del pensiero, e poi i Goblin e il troll gli erano addosso, ululando e biascicando e ruggendo, e Gimli ruggì a sua volta.

Gimli ruotò come un vortice di morte, e le sue asce erano più veloci di quanto Thorin le avesse mai viste. Teste rotolarono, gole schizzarono sangue, braccia caddero contorcendosi sul pavimento. Tutto il tempo i denti di Gimli rimasero scoperti in un ringhio muto.

«A sinistra!» urlò Óin «No – la tua sinistra, la mia destra! Ora abbassati! Ah, abbassati più in fretta! Ora destra! No – la tua destra!»

L'Elfo uccise il Troll di caverna, ma non prima che la bestia riuscisse a trafiggere Frodo con una lancia. Thorin non poté reprimere l'urlo che gli esplose, e, per sua vergogna, tutto ciò a cui riuscì a pensare fu Bilbo – Bilbo, per il quale questo giovane Hobbit era il sole.

«Frodo!» urlò Aragorn, e il Portatore si piegò sulla lancia, i suoi grandi occhi blu stupefatti. Poi cadde confusamente.

Uccidendo l'ultimo Goblin, Gandalf scattò in avanti. Aragorn girò lo Hobbit – e incredibilmente, Frodo gemette.

«Com'è possibile?» disse Aragorn meravigliato «Dovresti essere morto! Quella lancia avrebbe trafitto un cinghiale.»

A questo punto in Thorin sorse un piccolo dubbio, uno che fu confermato quando Frodo tirò la propria maglia per rivelare lo scintillio inconfondibile del mithril sotto di essa.

«Tu sei pieno di sorprese, Frodo Baggins» disse Gimli. Era estremamente arrossato e i suoi occhi scattavano con ferocia, brillando della follia della battaglia. Sembrava stare molto bene – e Thorin sapeva che era una menzogna.

«Oh, Gimli» disse miserabilmente. Óin scosse il capo lentamente.

«Questo richiederà un prezzo più tardi» disse, la sua voce bassa.

«Perché la follia deve sempre seguire la nostra Linea?» chiese Balin amaramente.

Thorin non rispose.

«Al Ponte di Khazâd-dum» disse Gandalf.

Gimli fece una pausa, e poi toccò la pietra della tomba di Balin con la mano guantata. I suoi occhi si chiusero e la sua testa si chinò, e l'euforia della battaglia sembrò cadergli di dosso come una seconda pelle. Un lutto profondo fino alle ossa, fino all'anima, sembrava irradiare da lui in piccole onde.

«Vieni, Mastro Nano» disse Legolas impazientemente, e quando Gimli non lo fece, l'Elfo provò a tirare il suo enorme braccio «Vieni! Non possiamo rimanere qui – o ci sarà un altro Nano morto a Moria!»

Le palpebre di Gimli si alzarono di scattò e lui incenerì l'Elfo, che sostenne lo sguardo senza impressionarsi. «Vieni, Mastro Nano!» disse ancora «Dobbiamo andare!»

«Mio cugino» gemette Gimli, e il volto di Legolas si addolcì.

«Mi dispiace» disse, di certo bruscamente, ma con sincerità. Tirò nuovamente il braccio di Gimli, anche se il Nano non poteva essere spostato. «Ma ora dobbiamo lasciarlo, o ci uniremo a lui.»

Gimli si riscosse, e parte della follia e dell'angoscia gli svanì dagli occhi. «Hai ragione» disse, e deglutì «Fai strada.»

«Da questa parte!» urlò Gandalf, e guidò la Compagnia di nuovo nella Sala della Festa. Voci di Orchi rumoreggiavano fra i pilastri, e la luce sul bastone sembrava piccola e fragile mentre rimbalzava tra malvagi occhi brillanti e enormi, antiche pietre lavorate.

Potrebbe essere stata solo l'immaginazione di Thorin, ma c'era una sorta di inesorabile arresa, un senso di inevitabilità nel volto dello Stregone mentre li guidava attraverso la rumorosa, movimentata oscurità. I tamburi rimbombavano e tramavano nelle profondità e nonostante tutto lo Stregone corse, la sua bocca rassegnata e dura.

Poi un nuovo suono riempì l'aria, facendo correre un gelido rivolo di terrore lungo la schiena ti Thorin.

Balin si voltò verso di lui, e nel suo volto vi era la risposta che Thorin aveva temuto potesse esservi.

«È arrivato» disse, con la voce piena di terrore.

«Cos'è questa nuova diavoleria» sussurrò Boromir. Il grande Uomo era teso e sbiancato dalla paura.

«Un Balrog» disse Gandalf pesantemente «Un demone del mondo antico.»

Il ringhio che echeggiò attraverso la Sala della Festa spedì il cuore di Thorin a martellargli in bocca. Si sentiva mancare. «Il Flagello di Durin» ansimò, e lo sentì ripetere da Óin, Ori e Gimli.

Assurdamente, ciò lo fece sentire meglio. Gimli lo aveva udito. Il Balrog avrebbe potuto ucciderli tutti, ma aveva fatto uscire Gimli dalla sua follia della battaglia e l'aveva restituito a Thorin. «Corri, nidoyel» disse, e gli stivali Nanici di Gimli rimbombarono contro la roccia.

«Non ha la velocità dalla sua, vero» disse Balin, guardando male l'Elfo «ma corre come se potesse attraversare un muro.»

Le Sale si spalancarono su una ripida scalinata che tremava col ritmo dei tamburi. Un abisso si apriva tra due scalini. «Saltate!» gridò Gandalf, e Boromir e Legolas arrivarono con facilità dall'altro lato. Aragorn lanciò gli Hobbit terrorizzati dall'altro lato mentre il soffitto gemeva sotto la venuta della bestia mostruosa che li seguiva.

Aragorn si voltò verso Gimli, che lo fissò insultato. «Nessuno può lanciare un Nano» ringhiò, e poi piegò le gambe robuste prima di prendere la rincorsa.

«Non ce la farà» gemette Óin.

«Ce l'ha fatta!» esclamò Ori.

«Non la barba!» ululò Gimli, e Thorin trasalì per l'affronto mentre Balin fischiava per l'insulto.

«Ha toccato la barba di Gimli!» esclamò «Gimli dovrebbe tagliare la mano del dannato Elfo per quello!»

«Era la sua barba o la sua vita» disse Thorin brevemente, e poi Frodo e Aragorn si schiantarono contro gli altri e stavano correndo, inciampando e ansimando, giù verso il Quarto Livello.

«Il Ponte» ansimò Ori «Là!»

Davanti a loro, l'Abisso Infinito sbadigliava, e là era il Ponte di Khazâd-dum; una singola curva strada di roccia senza ringhiera o parapetto. Al limite Gandalf si fermò, col respiro che gli risuonava nel petto. «Guidali, Aragorn!» ansimò.

L'Uomo si fermò, i suoi occhi confusi, a Gandalf lo azzittì con un movimento del bastone. «Vai, ti dico! Le spade non servono più adesso! Questo è un nemico al di sopra delle vostre possibilità. Devo proteggere la strada stretta.»

Le sopracciglia di Aragorn si aggrottarono, ma lui si voltò e iniziò a guidare la Compagnia avanti.

«Gandalf, cosa-» iniziò Thorin.

«Non ora, Thorin Scudodiquercia» esclamò Gandalf, e aprì le braccia e si voltò nuovamente verso la fine delle scale.

«Oh, Mahal ci salvi» biascicò Balin, quando una grande nuvola fluttuante iniziò a mostrarsi fra le ombre.

«Ahi! Ahi!» gemette Legolas «Un Balrog! È venuto un Balrog!»

Gimli guardò ad occhi spalancati il fumo che si arrotolava nell'aria, condensandosi attorno ad un incubo di fiamme. Si coprì il volto con le mani, e la sua ascia cadde e si schiantò al suolo.

«Prendi quell'ascia, figlio di Glóin!» abbaiò Thorin, a Gimli si mosse verso di essa di riflesso «Nel modo giusto, stupido – ti taglierai le dita. Armati!»

Gimli raccolse l'ascia e se la premette al petto. Gli enormi muscoli delle sue braccia erano tesi, premuti contro la maglia di ferro. Thorin poteva vedere il bianco dei suoi occhi.

Un enorme piede, di oscurità e fiamme avvinghiate, si poggiò sul ponte. Gandalf si voltò verso la bestia, il suo volto deformato da sforzo e rabbia. «Tu non puoi passare» ringhiò.

Il Balrog ringhiò, facendo schioccare la frusta nella sua orrida zampa. Le fiamme leccavano e si gonfiavano sul suo petto.

«Sono un servitore del Fuoco Segreto, portatore della Fiamma di Anor. Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, Fiamma di Udun!» ruggì Gandalf, e iniziò a brillare come una stella nell'oscurità. Era un esserino minuscolo davanti alla mostruosità del Balrog, le cui ali raggiungevano entrambi i lati della caverna.

«Non può farcela contro un tale male!» singhiozzò Balin.

«No» disse Thorin «No, non può» E l'ha sempre saputo.

«Dannati Stregoni!» ululò Óin.

La voce di Gandalf era cupa. «Torna nell'Ombra!» sputò, e il Balrog ruggì in offesa e colpì con la sua spada fiammeggiante la piccola, luminosa figura. Ori, Pipino e Frodo urlarono di paura quando le fiamme ingoiarono lo Stregone, e le dita di Balin erano dolorosamente premute nell'avambraccio di Thorin.

La luce bianca dello Stregone lentamente uscì dalle fiamme, e Gandalf rimase in piedi: sanguinante ed esausto, ma non spezzato. «Tu non puoi passare!» ruggì, e picchiò il bastone sul Ponte. Ci fu un lampo di luce.

Il Balrog rise, e fece un altro passo avanti – e poi l'antica pietra del Ponte di Khazâd-dum, costruito nei giorni antecedenti alla creazione del Sole e della Luna, si crepò nel mezzo dove il bastone di Gandalf lo aveva toccato e si frantumò sotto i piedi del mostro. Ruggendo, ululando, con le fiamme che leccavano la pietra, il Balrog cadde nell'Abisso. La sua ombra discese e svanì.

«L'ha fatto! L'ha fatto! È andato e ha ammazzato il Flagello di Durin!» strillò fuori controllo Óin, saltando su e giù sul posto «Dannati Stregoni! Potrei baciarlo!»

«No» disse Ori con voce debole e tremante «Nessuno ha bisogno di vederlo.»

Gandalf sospirò, le sue spalle di rilassarono e si curvarono dalla stanchezza. Si voltò per incamminarsi lungo il Ponte verso la Compagnia, e si udì lo schiocco di una frusta. Le code infuocate della frusta del Balrog lo avevano catturato.

«Gandalf!» strillò Frodo terrorizzato, e Aragorn lo afferrò per la vita e lo trattenne.

Lo Stregone fu trascinato sino all'orlo, il suo bastone e la sua spada caddero oltre al ciglio mentre lui si artigliava disperatamente con le mani sulla pietra del Ponte. Trovò un appiglio e lo afferrò in vano per un momento mentre penzolava. «Fuggite, sciocchi!» gridò, e poi svanì.

TBC...

Note:

Il Canto di Durin è cantato da Gimli nel capitolo “Un Viaggio nel Buio”. Alcuni brani sono stati presi dal libro e dal film.

Il Canto di Durin:
Giovane era il mondo, e le montagne verdi
Ancora sulla Luna macchia non era da vedervi,
Nessuna parola su fiume o rupe eretta in aria,
Quando Durin destatosi camminò in terra solitaria.
Diede nome ad anonimi colli e vallate,
Bevette da sorgive ancor mai assagiate;
Egli si chinò per guardare nel Mirolago,
E di una corona di stelle vide il contorno vago;
Parean gemme incastonate in argento,
Sulle ombre del suo bel capo intento.

Bello era il mondo, ed alti i monti ignoti,
Prima della caduta, nei Tempi Remoti,
Dei potenti re che son fuggiti via
Da Nargothrond o Gondolin che sia
Dai Mari Occidentali sull'altra sponda:
Ai tempi di Durin la terra era gioconda.

Era re su si un trono intarsiato
Fra saloni dal gran colonnato;
Sul capo i soffitti d'argento,
Su porte le rune del potere, e d'oro il pavimento.
Di sole, luna e stelle il bagliore infocato
Nei lampadari lucidi di cristallo molato,
Che sempre splendidi e imponenti brillavano,
E che mai nubi ed ombre di notte offuscavano.

Ivi colpiva l'incudine il martello,
Ivi l'incisor scriveva, ed oprava lo scalpello;
Ivi forgiata la lame ed all'elsa unita,
Ivi minator scavava e murator costruiva con fatica.
Ivi gemme perle ed opale iridescente,
E metallo lavorato come maglie di rete incandescente.
Ivi scudi e corazze, acse, spade e pugnali,
E le trombe squillavano ai cancelli.

Il popolo di Durin mai non si stancava;
Sotto le montagne la musica suonava:
Fremevano le arpe, cantavano i menestrelli,
E le trombe squillavano ai cancelli.

Il mondo è grigio e le montagne anziane,
Nelle fucine, le fredde ceneri sono del fuoco un ricordo lontano.
Nessun'arpa vibrante, nessun ritmo di martelli.
Regna l'oscurità su miniere e castelli;
Sulla tomba di Durin incombe fosca l'ombra,
A Moria, a Khazad-dûm.
Ma ancora appaiono le stelle morenti
Nel Mirolago oscuro e senza venti.
Là giace in abissi d'acque di Durin la corona,
Lì si risveglierà, quando sarà giunta l'ora.

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


Incontra una Nana

Alrís figlia di Gerís

Una conciatrice. Povera, ma ottimista, Alrís adora essere una mamma, e ama tutto della sua enorme nidiata. È molto allegra ed estremamente abile, e molto di rado si arrabbia o si avvilisce nonostante la sua povertà e la sua grande famiglia. Le sue capacità organizzative non sono seconde a nessuno, ed è la campionessa di Arda in fatto di multitasking. Non sorprende, dato che ha avuto dodici figli con suo marito Bombur. È una vivace Nana con capelli castani e occhi verdi e un sorriso allegro e con le fossette, e in genere ha almeno un bambino in braccio. Canta costantemente mentre lavora, e tutti i suoi figli hanno preso da lei l'amore per la musica.


Kíli osservò con perplessità. Certo era stato anche lui un tantino... impulsivo a volte. Ma a questo andava la torta. Anzi, gli andava l'intera pasticceria.

«Oh andiamo! Potremmo batterlo!» disse Gimizh, coi capelli rosso scuro che gli cadevano negli occhi.

Piccolo Thorin (che a trentasette anni non era più tanto piccolo) alzò gli occhi al cielo. «Gimizh, è un messaggero di Mordor. Chi sa cosa sa fare?»

«Mica volevi diventare un grande guerriero?» lo sfidò Gimizh. Piccolo Thorin incrociò le braccia e lo fissò a lungo.

«Io sono un grande guerriero» disse ruvido «Il mio Pa è Dwalin Fundinul.»

«Pft, il mio 'adad è un minatore e potrebbe mandare tuo Pa sotto il tavolo» ritorse Gimizh, e i due Nanetti si azzuffarono per un momento prima che Gimizh squittisse.

«Che ti sia di lezione» disse Piccolo Thorin, alzando il suo mento spelacchiato «Nessuno batte il mio Pa.»

«Mio zio potrebbe» borbottò Gimizh, tenendosi la testa.

Le labbra di Piccolo Thorin si strinsero. Kíli pensò significasse che Thorin sapeva molto bene che Gimli aveva superato il suo famoso padre, ma non voleva ammetterlo.

«Beh, se non possiamo combatterlo, non possiamo andare su a vedere?» disse Gimizh imbronciato, massaggiandosi ancora la testa. Le sue guance erano ancora lisce come un uovo, ma aveva una gran massa di capelli arruffati in testa che a Kíli ricordava Glóin, anche se Bofur glieli pettinava in trecce come le sue.

«Non andiamo a combatterlo» disse Piccolo Thorin fermamente «Muoviti, prendi il tuo gesso.»

«Non voglio»

«Devi seguire le tue lezioni, Gimizh. Ho sentito che tuo zio sapeva queste storie quando aveva venti anni!»

La testa di Gimizh si alzò. «Davvero?»

«Aye, e tu ne hai già venticinque» gli occhi di Piccolo Thorin brillavano con furbizia giovanile. I suoi capelli erano ancora sparati in aria come la vecchia cresta di Dwalin, anche se aveva ereditato la pelle e gli occhi scuri di Orla. Dei suoi fratelli, era il più alto, anche se il suo fratello minore Balin era il più forte, e il più piccolo, il bimbetto Frerin, aveva preso le enormi mani e braccia di Dwalin. «Puoi interpretare questo pezzo?»

Gimizh gli diede uno sguardo, e poi incrociò le braccia e alzò il mento. «È cirth.»

«È tutto cirth, scemo» ringhiò Piccolo Thorin «Cosa dice?»

«Voglio andare a combattere quello stupido messaggero!»

«Sbagliato. Dice: “Alla Battaglia di Dagorlad, Drór spaccò la testa del Capitano Orco con un'ascia da battaglia”.»

«Drór aveva delle belle idee» ringhiò Gimizh. Aveva un sguardo truce Durin piuttosto buono. «Perché non possiamo andare a vedere? Voglio vederlo.»

Piccolo Thorin sospirò. «Non ti concentrerai sulle tue lezioni finché non andiamo a fissarlo, vero?»

Gimizh scosse la testa cocciutamente, agitando le trecce curve e sporgenti.

Piccolo Thorin si massaggiò gli occhi, e poi sospirò di nuovo. «Va bene.»

Gimizh si bloccò, e poi esultò ad alta voce.

«Ma!» Piccolo Thorin alzò un dito «Devi promettere di seguire le lezioni dopo, o tua madre mi urlerà contro.»

Gimizh annuì rapidamente. «Prometto. Promessa di mithril, possa io essere rasato come un Uomo se la rompo. Andiamo, muoviti!»

«Oh, non buono» mormorò Kíli, e si morse il labbro mentre i due Nanetti corsero fuori dalla stanza verso i livelli superiori che davano sui bastioni. Li seguì con un brutto presentimento, e si chiese distrattamente se Thorin si fosse mai sentito così, mentre teneva d'occhio Fíli e lui.

Probabilmente.

Era deprimente.

«Levati, non vedo!» sibilò Gimizh.

«Non è colpa mia se sei un tappo» ribatté Piccolo Thorin, ma fece comunque posto al suo cuginetto. Gimizh guardò giù dal bordo della muratura per gli arcieri con i suoi grandi occhi castani, la sua bocca una perfetta piccola “o”.

«Non sporgerti tanto, ti vedranno» disse Piccolo Thorin, mettendo una mano nella cintura di Gimizh e tirandolo indietro. Gimizh tirò fuori la lingua, e si sporse di nuovo dal muro. Da sotto, i Signori dei Nani e il messaggero sarebbero stati in grado di vedere i suoi capelli rossi da un miglio di distanza.

«Sono mai stato tanto stupido?» chiese Kíli all'aria, e poi gemette «Mahal, sono felice che non ci sia nessuno a rispondermi...»

«Chi è quello?» si chiese Gimizh, e Piccolo Thorin sbuffò.

«Quello è il Re, scemo»

«Oh. Wow, i suoi capelli e la sua barba sono davvero grandi e bianchi – anche più grandi di quelli di mio nonno» Gimizh socchiuse gli occhi, e poi si illuminò «Potrei fargli cadere un sasso sulla testa da qui.»

Piccolo Thorin e Kíli rimasero a bocca aperta. «Ti hanno chiamato bene, selvaggio» borbottò Kíli «Far cadere un sasso sul Re!»

«Sei matto?» esclamò Piccolo Thorin, e poi le sue parole fecero venir voglia a Kíli di prendere a testate la roccia delle mura di Erebor sino a svenire: «usa un pezzo di legno, un sasso è troppo duro da qua sopra, anche per la testa di un Nano.»

«Scommetto che non farebbe male a mio zio» borbottò Gimizh, e cercò nelle tasche un momento prima di tirar fuori uno dei suoi legni da intagliare (Bofur gli stava insegnando) «Scommetto che rimbalzerebbe e basta.»

«Rimbalzerebbe di certo sulla tua!» quasi strillò Kíli «State seriamente per far cadere un pezzo di legno sul Re mentre lui cerca di allontanare un messaggero di Mordor?!»

«Ti servirà una mano più ferma» sbuffò Piccolo Thorin, e prese il legno da Gimizh. Gimizh squittì e fece per riprenderlo, ma Piccolo Thorin lo bloccò mettendo una mano sulla fronte del ragazzo più piccolo e tenendolo a distanza.

«Ti odio» ringhiò Gimizh.

«Hai avuto quello che volevi, no?» ribatté Piccolo Thorin «Possiamo vedere il messaggero.»

«Non fa nemmeno paura. È solo un grosso sacco di stracci neri. Scommetto che lo potrei battere»

«Scommetto che la tua puzza lo farebbe cadere dal cavallo, vuoi dire» ridacchiò Piccolo Thorin, e i due lottarono di nuovo. Prevedibilmente, Gimizh ebbe di nuovo la peggio.

«Ti odio così tanto» gemette, massaggiandosi la gamba e saltellando su un piede solo.

«Aye, lo so, cuginetto» Piccolo Thorin sorrise. Era il raro ghigno da squalo di Dwalin. «Ora, dobbiamo buttare questo sul Re o no?»

Gimizh si sporse di nuovo dalla muratura (il respiro di Kíli si mozzò e lui gemette). «C'è la Zia Dís lì sotto, e Mamma» disse dubbiosamente «Potrebbe rimbalzare e prendere loro.»

«Grazie!» urlò Kíli, alzando le mani «Un po' di buon senso infine! Ah, chiederò scusa a Thorin ogni giorno per un anno dopo questa cosa!»

«Stai dicendo che non posso prenderlo bene?» Piccolo Thorin gonfiò il petto come un rospo per l'indignazione, e Kíli volle piangere.

«E se colpisce Zia Dís?» chiese Gimizh, e il volto scuro di Piccolo Thorin sbiancò un pochino.

«Eh...»

«Oh, grazie a Mahal e a tutti i Sette Padri» ansimò Kíli e si afferrò il petto.

«Non saprà mai che siamo stati noi» disse Piccolo Thorin dubbioso – e a quel punto qualcuno si schiarì la gola rumorosamente. I due Nanetti e Kíli strillarono per la sorpresa e si voltarono verso le scale.

Dwalin era lì in piedi, con le sopracciglia tatuate e piene di cicatrici alzate e l'occhio di vetro che brillava minaccioso.

Kíli, Gimizh e Piccolo Thorin deglutirono.

«Voi due idioti vi rendete conto che l'intera dannata Montagna può sentirvi, e che i capelli rossi sono come una dannata bandiera» ringhiò Dwalin. Il tono di voce era così familiare che Kíli iniziò a farsi piccolo d'istinto – prima di ricordarsi che per una volta, lui non era uno degli idioti in questione.

Gimizh iniziò a mordersi il labbro, scegliendo di tenere a fremo la lingua e serrare gli occhi. Piccolo Thorin era più saggio, e abbassò la testa. «Mi dispiace, Pa.»

«No, non ancora» disse Dwalin minacciosamente «Voi due: sparite. Ne parlerò con la tua 'amad dopo, giovane Gimizh, attento.»

I grandi occhi castani di Gimizh si spalancarono, pieni di paura. «Oh no!» gemette.

L'occhio buono di Dwalin brillò. «Oh aye. E potrei per sbaglio farne menzione con tuo zio quando ritorna se mai succederà di nuovo.»

La testa color ruggine di Gimizh si alzò, con la protesta scritta ovunque sul suo faccino. Vedendo l'espressione di Dwalin, però, si arrese e scappò via.

Kíli si massaggiò la fronte e fece un lungo, stressato sospiro. Forse avrebbe dovuto fare qualcosa di bello per Thorin.

Probabilmente anche per Balin.

Forse qualcosa per sua madre, quando sarebbe infine entrata nelle Sale. E per Dwalin. E per Bilbo, per scusarsi di tutte le storielle stupide e le prese in giro. E anche per Nonna. Oh, e aveva davvero dato fastidio al suo bisnonno Thrór la settimana prima, e Nori non gli parlava perché aveva rovinato l'inchiostro nuovo di Ori prima che fosse finito.

Magari Fíli avrebbe avuto qualche idea? Oh, aspetta – Fee ce l'aveva con lui perché gli aveva rotto il suo monocolo per tagliare le gemme.

Oh, per la barba di Durin, avrebbe dovuto lavorare da lì alla fine del maledetto mondo.


Gandalf era svanito, e i tamburi martellavano e rimbombavano nell'aria. Le grida di Frodo erano una melodia acuta e addolorata, accompagnata dagli ansiti mentre la Compagnia correva attraverso le vuote e desolate Miniere. Il sibilo e il soffio delle frecce gli pizzicavano le orecchie.

Thorin era corso davanti a loro, urlando le direzioni impartite da Ori. Dietro di lui, Náli, Lóni e Frár erano apparsi nell'oscurità di Arda, e i loro volti erano seri e determinati.

«Qua a sinistra!» disse Lóni bruscamente, e Thorin lo riferì. Gimli si voltò ubbidientemente, e in fondo al gruppo Aragorn combatteva contro gli Orchi alla carica con ferocia terrificante. I suoi denti erano scoperti in una smorfia di dolore.

«Gira quell'ascia, azaghâl, non tenerla ferma!» esclamò Náli, il suo vecchio tono da addestratore ruvido e pieno di rimprovero. Guardò con approvazione mentre Gimli si liberava di un paio di Goblin rumorosi senza scomporsi. «Il mio studente migliore, sapete» disse a nessuno in particolare.

«Non è il momento, Náli!» gridò Lóni.

«Le porte sono davanti» disse Frár con la sua voce profonda. La sua mano era stretta intorno a quella di Lóni mentre i due correvano dietro alla Compagnia, e si rifiutava di guardare i corpi caduti attorno ai Cancelli Orientali. Thorin si ricordò che era qua ai Cancelli Orientali che questi Nani erano caduti, e anche Balin stesso era morto solo alcune centinaia di piedi più in là, sulle sponde del Kheled-zâram.

«Vai, mia stella!» ruggì «I Cancelli Orientali sono davanti a te! Non fermarti!»

Gimli emise un singhiozzo strozzato mentre correva avanti agli altri, con gli scarponi pesanti che risuonavano contro le pietra e le asce fradice di sangue. Il velo dorato della luce solare stava iniziando a dare contorni all'oscurità.

«Come conosci la strada?» chiese Boromir, tagliando con la spada un Orco fin quasi all'ombelico.

«Devono essere ancora segnali minerari» ansimò Merry.

«Oh gli Hobbit – così ingenui!» ansimò Ori «Prendi la seconda biforcazione – vedo la luce del giorno!»

«Avanti – la seconda biforcazione!» sputò Thorin, e Gimli strappò l'ascia dal teschio di un Orco con un grande strattone, schizzando il pavimento di sangue. Urlò senza parole alla Compagnia ed iniziò a dirigersi verso la seconda biforcazione della galleria, con gli Hobbit e l'Elfo al seguito con piedi leggeri e senza rumore.

«Come può leggere i segnali con questa confusione?» ansimò Sam «Io non capisco dove siano su e giù!»

«Vedo la luce!» urlò Legolas, con una nota di gioia selvaggia nella sua voce.

«Non parlate; correte!» gridò Aragorn, e assaltò con un urlo un grande Capitano Orco che, insieme a un piccolo gruppo, stava sbarrando loro la strada. La ferocia spaventosa della sua ira era tanta che molti degli Orchi squittirono e scapparono, solo per essere uccisi da Boromir, Gimli e dai coltelli bianchi di Legolas.

«Molto bene» disse Náli severamente «Avrebbe potuto usare un po' meno di quei passi di danza Elfici. Solo per fare scena, io penso.»

Infine uscirono inciampando dall'oscurità e sbatterono le palpebre per la luce improvvisa. Il cielo era un enorme tetto intarsiato di grigio e blu, e il vento sui loro volti fece sobbalzare e sospirare di sollievo Sam e Legolas.

Guardandosi indietro, Thorin vide il luccichio di occhi di Orco che indietreggiavano nell'oscurità spalancata. Boom, doom risuonarono i tamburi, echeggiando e deridendo, facendo tremare le terra sotto i loro piedi. Sam si accasciò sul terreno e iniziò a piangere silenziosamente, e Pipino si lanciò fra le braccia di Merry e singhiozzò nel suo grembo.

«Torno indietro!» urlò Gimli, col volto contorto dalla rabbia «Lo troverò, e...»

«No, Gimli!» urlò Thorin, e venne imitato da Boromir. L'Uomo strinse Gimli attorno al petto a barile e lo tenne stretto, anche se non vi era speranza che lui potesse trattener un Nano che usava tutta la sua forza.

«Non puoi tornare indietro» disse debolmente il Capitano di Gondor «È una follia. Non possiamo perdere anche te, potente guerriero!»

«Ukhash – oh, Tharkûn, Tharkûn!» ululò Gimli, e poi cadde in terra e si strappò l'elmo dalla testa, seppellendo il volto fra le mani.

Gli occhi dell'Elfo erano luminosi e stupefatti. Sembrava che non sapesse come reagire al proprio dolore, e si guardava intorno con una strana aria persa e orripilata.

Thorin guardò la Valle dei Rivi Tenebrosi, la un tempo bella Azanulbizar, e trovò che era a malapena cambiata. Là, il luogo dove aveva raccolto un ramo di quercia caduto e l'aveva agitato follemente. Là, dove il Dáin bambino aveva resistito fino alla fine e aveva perso la gamba. Là, dove il sangue di suo nonno era entrato fin nella roccia. Là, dove era stato trovato il corpo di Frerin. Là, dove la pira aveva bruciato, alta mezza dozzina di piedi, mentre i feriti urlavano in tende erette alla meno peggio. «Questo luogo è maledetto» si disse sottovoce.

«Legolas, falli alzare» disse Aragorn. La perdita gli colorava la voce e la faceva suonare dura.

Boromir era piegato sulla sagoma prona di Gimli, e il suo volto era distrutto. «Concedi loro un momento, te ne prego!» urlò.

«Stanotte queste colline brulicheranno di Orchi!» rispose Aragorn «Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlórien. Andiamo, Boromir, Legolas, Gimli, falli alzare. In piedi, Sam» disse quanto gentilmente poteva.

«Lothlórien» ripeté Óin, e rabbrividì «No!»

«Quale meraviglia è l'Interminabile Scala» disse piano Lóni «Laggiù è il Mirolago.»

«Il profondo Kheled-zâram» raspò Thorin, e si strofino la bocca.

«Ricordo quello che egli disse: “Possa la sua vista procurarti gioia!”» gracchiò Gimli, e guardò la Valle con occhi cerchiati di rosso «E ah – guardate, là è la Pietra di Durin.»

Frodo si voltò e guardò verso Aragorn. Lo stupore sul suo volto stava lasciando il passo a qualcosa di più profondo e più oscuro e pieno di desolazione. «Concediglielo» disse deciso.

Legolas lanciò un'occhiata malinconica alle vicine chiome dorate degli alberi. «Ma...»

Frodo strinse la mascella. I suoi grandi occhi blu erano pieni di assoluta disperazione. «Concedi questo a lui – e a me.»

«Tolo, Legolas» disse piano Aragorn «Lasciali andare.»

La mascella sottile di Legolas tremò mentre deglutiva. «Boe? Am man theled, Aragorn? Man tôg hí?»

Gli occhi di Aragorn si indurirono. «Farn, mellon nin. Farn.»

Frodo si voltò e andò immediatamente verso Gimli, parlandogli piano e toccandogli il braccio robusto. Gimli lo guardò con occhi desolati e chinò il capo, e insieme andarono lentamente lungo dove un tempo vi era stata una grande strada, anche se era in gran parte rovinata e piena di erbacce.

«E gli Orchi di cui hai parlato? Non dovremmo rimanere qui» disse Boromir sottovoce.

«Abbiamo abbastanza luce del giorno per proteggerci» disse Aragorn, prima di guardare verso gli Hobbit singhiozzanti «E il lutto è un carico pesante da portare.»

«Thorin» disse Balin senza voce «Vanno al Mirolago.»

«Ci vanno» disse Thorin, inclinando il capo e guardando con fermezza il suo vecchio amico «Rimarrai?»

La testa dai lisci capelli si abbassò per un istante, prima che Balin sospirasse e incrociasse nuovamente lo sguardo di Thorin. «Rimarrò» disse con riluttanza «Ma non guarderò in quelle acque.»

«Verrò» disse Lóni, e Frár annuì di fianco a lui.

«Provate a fermarmi» sbuffò Náli. Lóni alzò gli occhi al cielo nel sentire il suo vecchio irascibile istruttore.

«Io andrò, se mi perdonate» disse Ori, e guardò nuovamente i distrutti Cancelli Orientali e sospirò tristemente «Manderò un altro.»

«Aye» disse Thorin, prima di guardare severamente Óin «Anche te, gamil bâhûn. Sei stato in questi corridoi oscuri troppo a lungo. Riposati.»

Óin sbuffò, anche se i suoi occhi si allontanarono da quelli di Thorin. «Se io sono stato qua troppo, tu corri il rischio di piantare radici.»

«Il mio dovere e privilegio» disse Thorin, e cercò di farsi forte contro il doloroso vuoto dentro di sé mentre Óin e Ori svanivano. Gandalf era sparito. Lo Stregone grigio, vecchio e ruvido e potente, piegato come un vecchio albero e forte come una montagna, era caduto.

Mai più i penetranti occhi blu sarebbero scattati verso di lui in irritazione o saluto, o in quella strana e inaspettata compassione. Mai più la vecchia voce graffiante avrebbe offerto quella saggezza frustrantemente opaca, o calmo e gentile conforto, né sarebbe risuonata in quel grande urlo di giusta rabbia. Thorin strizzò gli occhi per un momento, prima di spingere via il lutto testardamente. Gandalf stesso aveva detto che la morte era solo un'altra strada.

Gimli e Frodo si arrampicarono fino al lato delle alte rocce e guardarono la valle riparata. Thorin, Balin, Lóni, Frár e Náli li seguirono a distanza rispettosa, e Lóni fece passare una mano sul monolite, gli occhi lontani. La pietra era crepata ed erosa, e le antiche runa sul lato erano così rovinate che non potevano più essere lette.

«Qui è dove un tempo Durin in persona di alzò in piedi» disse Gimli, con la voce spezzata «Qui è dove il padre di tutti i miei padri chinò il capo e guardò nelle acque del Kheled-zâram.»

«Vorresti...?» disse Frodo, e anche la sua chiara voce Hobbit era rasposa.

«Aye» disse Gimli dopo un lungo e pesante silenzio. Lentamente si inginocchiò e si piegò sulle acque, e dopo un momento Frodo si unì a lui.

All'inizio la pozza oscura non rivelò loro nulla. E poi, come nelle acque del Gimlîn-zâram, l'oscurità fu divisa. Le forme delle montagne circostanti erano specchiate contro il velo dell'acqua, incorniciando un cielo che era di un doloroso e malinconico blu. Sette luminose stelle erano profondamente affondate in quell'eternità blu, come celesti gioielli annegati. Ruotavano e luccicavano contro le profondità, anche se il sole era alto e nessuna stella brillava nel cielo sopra di loro.

Con un lampo di comprensione, Thorin realizzò che questa vasca, il profondo Kheled-zâram, altro non era se non un pallido riflesso della più grande profondità dello stellato Gimlîn-zâram nelle Sale di Mahal.

«Magnifico» disse piano Lóni «Valeva la pena morire per esso, di certo» Frár prese la sua mano e ne baciò il palmo.

«Ghivasha. Nessuna meraviglia di questo mondo, nemmeno la Corona di Durin, si meritava la tua vita» disse piano. Il Nano più alto guardò giù verso Frár, fece un sospiro amaro e poi si voltò nuovamente versoGimli e Frodo.

«Oh Kheled-zâram il bello e meraviglioso» mormorò Gimli «Ivi giace la Corona di Durin finché lui non si risveglierà.»

«È bellissimo, Gimli» disse Frodo, e una lacrima cadde dal suo occhio per increspare la superficie dell'acqua.

«Aye, lo è» Gimli si raddrizzò e guardò su verso il torvo picco del Caradhras, che si profilava dietro di loro. La sua bocca di storse per un momento, e poi riprese il controllo di sé. «Grazie per essere venuto con me a vederlo.»

Mentre lui guidava lo Hobbit giù lungo il sentiero, Frodo appoggiò nuovamente la mano sulla spalla di Gimli e la strinse come se il Nano fosse l'unica cosa solida in Arda. La miseria riempiva i suoi occhi.

«Fatti forza, Frodo Baggins» sussurrò Thorin, e lo sentì ripetuto da Frár e Lóni «Fatti forza, Portatore.»

Quando i due si riunirono alla Compagnia, Legolas si alzò su un'alta roccia e si fece ombra agli occhi. «Là è la sorgente del Nimrodel» disse «Dobbiamo andare a sud.»

Si incamminarono verso gli alberi dorati con pesanti passi trascinati, e Lóni sospirò.

«Beh, ce ne siamo liberati, non importa cosa possa succedere ora»

Thorin guardò il Nano alto con espressione sardonica. «Ciò che succede ora sono Elfi.»

Frár fece una smorfia mentre Lóni sobbalzò. «Ah.»

Náli borbottò in Khuzdul tutto il tempo dai piedi delle colline fino alla piana dinnanzi ai rami dorati finché Balin finalmente gli disse di stare zitto.

«Sia ringraziato Durin» borbottò Lóni.

Il silenzio improvviso fece accorgere Thorin dei sussurri alla sua destra, e si voltò per vedere i due giovani Hobbit molto vicini. Si accigliò e si piegò per ascoltare.

«...tutta colpa mia!» stava sussurrando Pipino a Merry, torturandosi le dita dalle nocche sbiancate «Se non mi fossi incuriosito...»

Cos'era questo? Thorin si avvicinò al più giovane della Compagnia, e il suo cuore affondò ancora di più (se era possibile) vedendo l'espressione colpevole e piena di dolore di Pipino.

«Non l'hai ucciso, Pip!» esclamò Merry sottovoce «Non puoi dirlo. Magari gli Orchi ci avrebbero trovati lo stesso. Non è come se gli avessi messo un cartello intorno al collo o cose del genere!»

«Ma io ho svegliato tutta Moria con quello stupido pozzo» disse Pipino, col labbro che tremava «L'ho fatto io – non un altro! Io, l'idiota d'un Tuc!»

«Oh no» disse Thorin, e sospirò «Oh, piccolo Mezzuomo. Non avresti potuto proteggere Gandalf dagli orrori del Flagello di Durin.»

Alzò il capo per cercare Gimli, e lo vide che si trascinava accanto a Frodo, le loro teste chine nella luce rosata del tramonto. «Mia stella, gli Hobbit-» iniziò, ma venne interrotto da una parte inaspettata.

«No, piccoletto» disse Boromir gentilmente «Rialza il tuo spirito e sorridi di nuovo. Non sei tu l'autore della fine di Gandalf. Quelle Sale sono state a lungo la casa di esseri malvagi, e chi può dire se saremmo passati senza essere notati, con o senza il tuo sfortunato pozzo?»

Pipino si voltò verso l'Uomo, le sue guance erano bagnate. «Ma, io...» balbettò.

Boromir spettinò la testa riccia di Pipino. «Voleva bene al tuo spirito Tuc, piccoletto» disse «Non lasciare che il freddo di quel luogo rubi tutta la tua risata.»

«Aye» gracchiò Balin, e alzò lo sguardo per incrociare gli occhi di Thorin «Aye, non possiamo permettere che quel luogo rubi ancora più del nostro spirito.»

Thorin gli diede un piccolo sorriso d'incoraggiamento. «Ciò è vero.»

Balin inspirò a lungo e tremando, prima di esalare lentamente, il suo petto si alzò e si abbassò. Poi alzò la testa e si raddrizzò. «Non lascerò che rubi ancora il mio» disse per metà a se stesso.

«Bene» disse fermamente Thorin, e si girò nuovamente verso Pipino «E nemmeno dovresti te, piccolo Combinaguai» mormorò allo speranzoso, miserabile volto di Pipino, ricordandosi tutte le storie di Bilbo «Figlio di avventurieri, Gandalf ha dato la vita per salvare la tua Compagnia. Non trasformare la sua scelta in un tuo fallimento.»

«Vorrei non aver...» iniziò Pipino, e poi si mise le dita in bocca per fermare le proprie parole.

«Gettato Grechar giù dal pozzo?» finì Balin, e c'era una traccia del suo vecchio umorismo nella sua voce. Thorin avrebbe potuto piangere di gratitudine sentendolo.

Guardò con apprezzamento Boromir mentre il sole lentamente scivolava dietro i picchi delle Montagne Nebbiose. «Hai imparato lezioni diverse dalle mie» disse «Io non ho imparato l'importanza della compassione finché non fu troppo tardi. Forse tu non sei destinato alla stessa fine; la rovina di coloro che temono per il loro popolo prima che per ogni altra cosa, e si dimenticano di vivere.»

Oh, lo sperava. Boromir era un Uomo troppo forte e troppo buono – una persona troppo buona – per soccombere all'Ombra.

Quando entrarono nella foresta, Gimli divenne più attento e silenzioso e i suoi occhi scattavano avanti e indietro. Passarono accanto a un rapido torrente cui Legolas si fermò accanto, il suo bel volto malinconico e pensieroso. «Questo è il Nimrodel!» disse «Su questo fiume gli Elfi Silvani composero molte canzoni tanto tempo fa, e noi del Nord le cantiamo ancora.»

Gli occhi scuri di Gimli andarono verso l'Elfo, e un ringhio tirò gli angoli della sua bocca. Invece di parlare, si concentrò sull'accendere il fuoco. La notte di avvicinava.

«Gli Orchi non oseranno entrare in questi boschi» disse loro Aragorn con la sua bassa voce piena di autorità «Siate tranquilli e riposatevi!»

«Non riposerò facilmente qui» borbottò Gimli fra sé e sé, a guardo storto gli alberi con una traccia del suo oscuro dolore ancora presente sugli angoli della bocca e nella durezza dei suoi occhi «Non sotto questi dannati alberi.»

Un lungo silenzio cadde e loro poterono udire la musica della cascata che correva dolcemente nell'ombra. Poi il silenzio fu spezzato dalla voce ritmica dell'Elfo,che si alzava sopra alle acque veloci e sembrava quasi unirsi ad esse:

An Elven-maid there was of old,
A shining star by day:
Her mantle white was hemmed with gold,
Her shoes of silver-grey.

A star was bound upon her brows,
A light was on her hair
As sun upon the golden boughs
In Lorien the fair.

Her hair was long, her limbs were white,
And fair she was and free;
And in the wind she went as light
As leaf of linden-tree.

Beside the falls of Nimrodel,
By water clear and cool,
Her voice as falling silver fell
Into the shining pool.

Where now she wanders none can tell,
In sunlight or in shade;
For lost of yore was Nimrodel
And in the mountains strayed.

[The Lady of Nimrodel, cantata da notanightlight] [Traduzione]

C'era dell'altro, ma Thorin smise di ascoltare. Invece trovò molto più interessante osservare il volto di Gimli mentre l'Elfo cantava dolcemente delle dolci acque fresche. La sua stella infuocata portava il peso del suo grande dolore, ma non barcollava sotto di esso, anche se vi era andata vicino. Le sue spalle pesanti gradualmente ricaddero quando la tensione le abbandonò. La durezza nei suoi occhi e sulla sua fronte si rilassò intanto che la voce di Legolas sommergeva la loro Compagnia, e le sue palpebre si chiusero mentre appoggiava la schiena ad un albero e faceva un piccolo sospiro.

Poi Legolas si interruppe, la sua bocca serrata. «Non posso continuare» disse «Ciò che vi ho cantato non è che un parte, e il resto non lo ricordo più. Lunga e triste è la storia, che narra di come la sventura si abbatté su Lothlórien, Lórien dei Boccioli, quando i Nani destarono il male nelle montagne.»

Gli occhi di Gimli si spalancarono, e lui fissò l'Elfo con occhi risentiti. «Ma i Nani non crearono il male!»

Legolas sospirò impercettibilmente, abbassando il petto stretto e magro. «Non li ho incolpati di ciò; eppure il male venne» rispose tristemente.

Thorin strinse i denti, ma Balin e Lóni aggrottarono le sopracciglia. «Aspetta» disse Lóni lentamente «L'Elfo ha appena...?»

«Era quasi... diplomatico» disse Balin con tono confuso «Nel nome di Durin, cosa succede?»

Improvvisamente Thorin ricordò la conversazione di Legolas con Aragorn, e le sue sopracciglia si alzarono. «Il Principino Elfico sta davvero considerando un punto di vista diverso dal proprio? Cesseranno mai le meraviglie?»

Gimli strinse le labbra ma non rispose immediatamente al commento sarcastico di Thorin. Invece si voltò verso Merry e Pipino. «State vicini, giovani Hobbit! Dicono che viva una grande fattucchiera in questi boschi. Una Strega-Elfo con poteri straordinari. Tutti quelli che la guardano cadono sotto il suo incantesimo.»

Balin trasalì, e Lóni gemette. «Eh. Gimli non è mai stato particolarmente diplomatico» disse senza speranza «Il suo metodo abituale per risolvere i problemi consiste in un'ascia, un boccale di birra, o entrambi.»

Thorin sbuffò. «Me lo ricordo.»

Lóni sbatté le palpebra, e poi fece una smorfia, le sue orecchie si arrossarono. «Oh.»

Náli ridacchiò. «Le vostre facce.»

«Questo però era decisamente maleducato» disse Frár «Insultare il signore di un altro nella sua terra!»

«Io l'ho trovato diretto e conciso» disse Thorin, e Balin gli lanciò un'occhiata piena di antica esasperazione.

«Ci credo.»

Thorin lo guardò truce.

«Il mio Re senza diplomazia» aggiunse Balin con calore irritato «La spada mezza sguainata e un piede piantato fermamente in bocca.»

«Dov'è andato tutto il tuo rispetto?» borbottò Thorin, e Balin rise. Era triste e tesa, ma era una vera risata.

«Sospetto di averlo dimenticato a Moria nell'oscurità, ragazzo» scosse nuovamente il capo «Forse non ho mai apprezzato abbastanza Dáin da vivo.»

Lanciando uno sguardo al volto serio e offeso dell'Elfo, Thorin dovette ammettere che forse non avevano tutti i torti. «Gimli» iniziò, ma venne nuovamente interrotto, stavolta da un profondo grugnito di Gimli.

«Beh, ecco un Nano che lei non intrappolerà tanto facilmente» disse cocciutamente.

«Il Nano respira così forte che potevamo colpirlo al buio» disse una nuova voce, vellutata e superba. Gimli si congelò quando una freccia gli venne puntata direttamente sul naso, e Thorin urlò di rabbia quando altre frecce furono messe dinnanzi agli Hobbit e agli Uomini.

Gimli ringhiò quando i nuovi arrivati si rivelarono essere alti e dorati Elfi. Il capitano guardò in basso verso il Nano, la sua espressione fredda e impassibile e nonostante ciò in qualche modo piena di disgusto.

Poi l'Elfo si voltò verso Legolas e i suoi occhi si allargarono impercettibilmente. «Legolas Thranduilion, bene incontrato» disse e piegò la testa in un inchino aggraziato.

Legolas inclinò il capo a sua volta, distante, irraggiungibile ed ugualmente freddo. Tutta l'iniziale antipatia per l'Elfo di Thorin ritornò sommergendolo. Come aveva potuto pensare che il figlio di Thranduil potesse cambiare? «Govannas vîn gwennen le, Haldir o Lórien» rispose Legolas, e non vi era nessuna differenza in lui dalla creatura arrogante e fredda che avevano incontrato per la prima volta a Granburrone.

L'Elfo non era cambiato da quando aveva ringhiato a Thorin e minacciato la sua vita.

«Elfi! Tutti uguali!» sputò, e Balin borbottò un'imprecazione sottovoce prima di alzare il tono.

«Aspetta, Thorin» disse «Aspetta prima di perdere il controllo stavolta!»

«Pensate che Balin avrebbe più fortuna se tentasse di litigare col tempo?» sospirò un'altra voce, e Thorin strinse le labbra quando sua madre camminò fino a lui e gli tirò un orecchio «Comportati bene, inùdoy» disse «Sei stanco e addolorato, e la tua rabbia ti sfugge.»

«Siete qui per prendere il posto di Ori, mia signora?» chiese Frár con rispetto, e Frís sorrise.

«Principalmente sono qui per convincere mio figlio a riposarsi, ma rimarrò per un altro po'. Penso che Nori e Gróin stiamo vogliano prendere il prossimo turno.»

«Mh» grugnì Thorin, e sua madre gli tirò di nuovo l'orecchio.

«Thorinîth, smettila» disse severamente. Poi si voltò verso gli Elfi, che stavano litigando con Legolas e Aragorn nella loro lingua cinguettante, e le sua sopracciglia si alzarono «Cosa sta accadendo?»

«Gandalf è caduto» le disse Thorin, e la sua gola si strinse. Lei lasciò andare il suo orecchio e la sua mano si posò sulla sua spalla, massaggiandogliela dolcemente.

«Lo so. Le Sale sono piene delle canzoni del pianto» disse lei, e chinò il capo, i suoi occhi blu seri «Dove li ha guidati Aragorn?»

«Questo è Lothlórien» disse Balin cupamente, e il respiro di lei si mozzò per un attimo prima che lei alzasse il mento.

«Ah. E questi Elfi fanno in modo che una pazienza già scarsa scarseggi ancora di più vedo»

«Se solo la smettessero di usare quei cinguettii irritanti invece di una vera lingua-!» ringhiò Thorin, e anche Gimli ringhiò.

«La leggendaria cortesia degli Elfi» sbuffò «Parlate parole che tutti possiamo capire!»

Frís si voltò verso suo figlio con uno sguardo irritato, e lui gemette quando lei si allungò di nuovo verso il suo orecchio.

Il capo dei nuovi Elfi fece un inchino grazioso alla Compagnia. «Io sono Haldir» disse «Guardia delle strade del Bosco Dorato. Ci era giunta voce del vostro arrivo, e poi lungo le acque del Nimrodel abbiamo udito la vostra canzone e vi abbiamo riconosciuto come uno dei nostri parenti del nord. Se garantirai per loro, Principe, vi guideremo attraverso le nostre terre, anche se non è nostra abitudine. Quanti siete?»

«Otto» disse Legolas «Io, quattro Hobbit e due Uomini. E il Nano.»

«Ultimo e meno importante» disse Frís e alzò gli occhi al cielo pieno di rametti «Nessuno si sta esattamente ricoprendo di gloria, o sbaglio?»

«Non abbiamo avuto a che fare coi Nani dai giorni oscuri» disse Haldir, arricciando leggermente le labbra mentre guardava nuovamente Gimli dall'alto in basso.

«E sai cosa dice un Nano a questo!» esclamò Gimli, e poi proruppe in un torrente di ritmico, pesante Khuzdul.

Náli inclinò il capo, e le sue sopracciglia si alzarono sin quasi ai capelli. «Ora quello è un insulto come si deve» poi gonfiò il petto «Gliel'ho insegnato io, sapete. Uno dei miei preferiti.»

Frár gemette, e Lóni si coprì la bocca con le mani mentre fissava il suo migliore amico in orrore. «Oh, sei pazzo, Gimli, tu enorme disastro con la testa rossa» gemette «Dovrei farti la pelle e usarla come tappeto, dato che ovviamente a te non importa niente di essa! Per caso vuoi un cespuglio di frecce fra le orecchie? Mahal sa che c'è spazio a sufficienza.»

«Oh no» gemette Balin «Basta segreti! Gimli, ti strapperò la barba!»

Thorin a malapena udì l'insulto, talmente furioso era. «Non gli è permesso passare in queste terre» disse Haldir sopra all'esplosione, i suoi occhi gelidi «Non posso permettergli di andare avanti.»

«Ma egli è della Montagna Solitaria, una delle persone fidate di Dáin!» urlò Frodo, e venne echeggiato da Merry, Sam e Pipino «Lo stesso Elrond lo ha scelto come nostro compagno, ed egli si è dimostrato coraggioso e fedele, anche quando la strada divenne più crudele per lui che per chiunque altro!»

Haldir si voltò verso Legolas, che si stava tenendo molto alto e dritto, e alzò un elegante sopracciglio. «Garantite per lui?»

Legolas esitò. La bocca di Gimli si spalancò momentaneamente, prima che il suo volto si riempisse di offesa e iniziasse a ringhiare: «certo che non lo fa! Sono un Nano, no? Non mi possono crescere delle punte sulle orecchie, e non posso alzarmi di tre piedi, né improvvisamente vivere in eterno, e quindi tutto ciò che ho fatto per questa Compagnia e tutto quello che ho perduto è stato in vano

Legolas si irrigidì. «Garantisco per lui.»

Come una sola entità, tutti i Nani si voltarono per fissare a bocca spalancata il figlio di Thranduil.

«Tu cosa...?» disse Gimli inespressivo.

Haldir sembrò ugualmente sorpreso, ma si controllò magnificamente. «Molto bene, potrà passare. Ma i suoi occhi dovranno essere bendati nel Naith di Lórien, perché non permettiamo a questi mangia-roccia di mettere piede qui dentro. Invero è già venuto molto oltre a quanto noi avremmo permesso, se avessimo saputo che era fra voi.»

I denti di Gimli stridettero. «Non camminerò bendato come un mendicante o un comune prigioniero» disse con un tono basso e irato. Le sue spalle si ingrossarono sotto la tunica quando le tese con fare minaccioso. «Non sono una spia! Il mio popolo non ha mai avuto rapporto con alcuno dei servitori del Nemico. Mai abbiamo fatto del male agli Elfi! È altrettanto probabile che vi tradisca Legolas!»

Haldir si voltò verso Legolas, che non era più freddo e privo di emozioni. Anzi, l'Elfo sembrava piuttosto frustrato. «Mastro Nano» disse a denti stretti, e si massaggiò il naso.

«Aye, un Nano, e questo è il problema, o no?» disse Gimli con calore «Provateci, non lo sopporterò! Non sarò bendato e guidato come un cane per nessun altra ragione oltre ad essere ciò che sono!»

«Mastro Nano» riprovò Legolas, e Gimli ringhiò, basso e profondo.

«Il mio nome è Gimli, figlio di Glóin» rombò pericolosamente «E andrò avanti libero, o tornerò alla mia patria dove sono conosciuto come persona fidata e onesta, anche se dovessi perire da solo nelle terre selvagge!»

Haldir alzò una mano. «Ciò non puoi farlo» disse, la sua voce vellutata severa «Sei giunto fin qui, e non puoi tornare indietro. Dietro di te vi sono sentinelle segrete che non ti lasceranno passare. Saresti ucciso prima ancora di vederle, coi tuoi occhi deboli.»

«Proviamoci di notte, e vedremo» ringhiò Gimli, tirando fuori la sua ascia e piantandola davanti a sé nel terreno morbido «L'oscurità è su di noi. Vuoi tentare?»

«Dannati siano i Nani e la loro caparbietà!» urlò Legolas in frustrazione.

«Oh, sta zitto!» gli disse Lóni irato.

«Suvvia!» disse Aragorn mettendosi in mezzo fra i due Elfi e il Nano (e l'invisibile – e furibondo – gruppetto) «È duro per Gimli che una simile distinzione sia fatta. Sono io ora il capo dato che Mithrandir è caduto, e dovete seguire i miei ordini.»

«Oh, come se fosse facile!» sbuffò Thorin, il suo sangue caldo e il suo battito martellante.

«Forse gli Uomini sono più semplici da guidare che i Nani?» suggerì Frár intanto che si avvicinava a suo marito e intrecciava le dita nei suoi capelli. Lóni si calmò, ancora con sguardo truce.

Frís guardò Gimli, che era in piedi dietro ad Aragorn. Le sue gambe erano piantate come se nemmeno i terremoti lo potessero spostare. «Penso che i gatti siano più semplici da guidare dei Nani» borbottò.

Aragorn aprì le mani. «Saremo tutti bendati, anche Legolas. È la migliore soluzione, anche se renderà il viaggio lento e monotono.»

La testa di Legolas si girò di scatto, e un pallido colore gli scurì le guance.

Improvvisamente, Gimli rise la sua gioiosa, esplosiva risata. Era la sua vecchia risata, quella che faceva volare lo spirito di Thorin. Il dolore non l'aveva rubata. «Avremo l'aria di un'allegra comitiva di buffoni!» rise «Pensate che come si chiama – Halthing qui – ci condurrà al guinzaglio? Mi basterà che la benda ricopra gli occhi di Legolas.»

Náli batté le palpebre, e poi iniziò a ridere. «Gira la frittata piuttosto in fretta, o no?»

«Aspetta!» urlò Legolas, e la sua mano corse verso la sua faretra. Il tocco di colore sulle sue guance si scurì fino a diventare il ricco rossore della rabbia. «Sono un Elfo! Sono un congiunto del signore di questa terra?»

Aragorn sorrise. «Dovremmo ora gridare: “Dannati gli Elfi e la loro caparbietà”?»

Frís strinse la mano di Thorin. «Vedi, caro?» mormorò «Così si fa.»


Bifur guardava da sopra la spalla dell'Elminpietra mentre veniva guidato attraverso i contorti corridoi a volta del palazzo del Re degli Elfi. Non poté fare a meno di guardarsi indietro quando le porte furono chiuse con un rimbombo. Quelle porte magiche riportavano qualche brutto ricordo, dopo tutto.

L'Elminpietra era un Nano robusto, ma sembrava piccolo e infantile quando giunse davanti al trono di corna. Ovviamente si sentiva anche tale, e si fece alto quanto poteva, e i tendini risaltarono sul collo robusto quando deglutì.

Il Re degli Elfi, Thranduil in persona, gli lanciò uno sguardo privo di curiosità quando si avvicinò, i suoi occhi erano luminosi e lontani. Un bicchiere di vino gli dondolava elegantemente in mano. «Salute, Thorin Elminpietra, Principe di Erebor» disse nella sua bassa, fredda voce.

«Salute, Thranduil, Re del Bos... eh, Eryn Lasgalen» l'Elminpietra si inchinò profondamente per nascondere il suo errore, e le labbra di Thranduil vennero toccate debolmente da un sorriso.

«Cosa vi porta nei miei boschi, Principe Thorin?» chiese, e si alzò con un movimento fluido e aggraziato per torreggiare sul Nano.

«Ho delle notizie, Maestà» disse l'Elminpietra, e testardamente si rifiutò di indietreggiare per vedere meglio il volto del Re Elfico. Invece piegò indietro il collo, con gli occhi che brillavano. «Mio padre mi manda a dirvi che un messaggero è per tre volte venuto ad Erebor.»

«Un messaggero?» il sopracciglio di Thranduil si alzò, e poi fece un passo indietro «E che genere di notizia sarebbe questa? Erebor può avere tutti i messaggeri che desidera. Non gli serve la mia approvazione.»

Il respiro dell'Elminpietra accelerò, ma trattenne la sua irritazione con una presa di ferro. «Non ci serve il vostro permesso per dei messaggeri, ma nonostante ciò questo dovrebbe preoccupare tutti i popoli liberi» disse bruscamente «Il messaggero è di Mordor.»

Il bicchiere di Thranduil si frantumò sul pavimento. Thorin Elminpietra sbatté le sopracciglia, e poi guardò in alto verso il Re Elfico con stupore crescente.

Bifur non poteva dargli torto.

Thranduil si era piegato di lato, e si era appoggiato con la mano contro il poggia braccia del suo trono. I suoi occhi blu, normalmente freddi e calmi, erano spalancati. «Mordor» sussurrò.

L'Elminpietra annuì lentamente.

«Se stai mentendo, Nano» iniziò Thranduil, e i pugni di Thorin Elminpietra si strinsero.

«Non mento» disse, e la nota di rabbia nel suo tono era sommersa dalla paura «Tre volte ora ha bussato ai nostri cancelli, e tre volte lo abbiamo allontanato. Desidera la nostra amicizia, lui dice, ma se non la avrà allora si accontenterà della guerra.»

«Dunque vieni a parlarmi dei vostri nuovi amici?» ringhiò Thranduil, e si raddrizzò di nuovo, con le vesti che gli svolazzavano intorno alle gambe.

Il Principe fece un suono frustrato. «Vengo a dirti che Erebor sarà in guerra! E senza dubbio tutto il Nord, perché se Erebor dovesse cadere, allora nulla impedirebbe agli Orchi del Monte Gundabad di sciamare a sud.»

Thranduil lo fissò. «C'è dell'altro. Spiegati.»

L'Elminpietra si voltò e si passò una mano nei capelli spettinati. «Vuole sapere ciò che conosciamo degli Hobbit» sputò «Aye, Hobbit – come lo Scassinatore della Compagnia. So che ti era conosciuto, e che tu facesti un Amico degli Elfi del tuo ladro. Aveva un anello, un piccolo anello che lo rendeva invisibile. Solo un gingillo. Lo ricordi?»

Thranduil si accigliò. «Ricordo. Combatte con noi nella Battaglia delle Cinque Armate indossando quell'anello. Non mi sembrò nulla di più di un'oncia o due d'oro.»

«Il Nemico lo vuole, e sarebbe disposto ad offrire tre degli Anelli dei Nani per averlo» disse Thorin diretto.

Thranduil si voltò di scattò, i suoi capelli disegnarono un dorato arco aggraziato mentre lui portava il suo antico e penetrante sguardo sul Nano. «Gli Anelli dei Nani perduti sono alla vostra portata, e nonostante ciò non accettate?» chiese curioso.

L'Elminpietra gonfiò il petto. «Abbiamo dell'onore» disse orgogliosamente «Noi non tradiamo i nostri amici.»

Thranduil continuò a fissarlo per un lungo, lungo momento, finché il Principe non iniziò ad essere a disagio sotto il suo sguardo. «Nemmeno per assicurarvi della sicurezza del vostro popolo?»

Thorin sbuffò senza grazia. «Quale sicurezza? Anello o no, Hobbit o no, Sauron non può permettersi che Erebor rimanga. È la torre di guardia del Nord, e presidia a tutti i passi. La guerra ci raggiungerà alla fine. Non ci siamo mai fidati di lui, e lui lo sa. Anche se ci giura amicizia, ci tradirebbe alla fine.»

«Invero» disse Thranduil, lento e pensieroso «Invero.»

Poi infilzò Thorin con il suo sguardo frustrante un'altra volta. Guardando in silenzio, Bifur rabbrividì. «Perché mi avverti? Se non tradirete i vostri amici per la sicurezza del vostro popolo, perché venire da colui che lo ha fatto?»

Il collo robusto dell'Elminpietra si contrasse quando deglutì, e poi si inchinò nuovamente davanti al Re Elfico. «Perché un tempo fummo amici» disse, e tenne gli occhi fissi sulla pietra grigia del pavimento «perché noi, almeno, non tradiamo i nostri amici. Perché Mordor è più grande di tutte le differenze fra Elfo e Nano. Perché tutte le nostre case, per cui abbiamo combattuto e abbiamo vinto a caro prezzo, sono ora in pericolo.»

Poi Thorin si raddrizzò e i suoi occhi erano tristi quando guardò verso il grande Re Elfico, Thranduil Oropherion. «Perché sappiamo come essere forti» disse con voce più morbida «Abbastanza forti da frantumarci. Non sappiamo come essere deboli. Non sappiamo come trovare un compromesso. Non sappiamo quando fuggire e non combattere.»

La testa di Thranduil si inclinò di lato mentre guardava il giovane, nobile Nano.

L'Elminpietra sospirò, interpretando il silenzio come un rifiuto. «Ci prepariamo mentre parlo. Se deciderete di combattere con noi, la saggezza degli Elfi sarebbe la benvenuta.»

Si voltò per andarsene, dirigendosi verso gli arricciati passaggi e sentieri di pietra che curvavano attraverso le sale di Eryn Lasgalen.

«Cosa vi serve?» disse improvvisamente Thranduil.

Thorin si fermò. «Chiedo scusa?»

Thranduil fece quattro rapidi, fluidi passi per ritrovarsi dinnanzi al Nano nuovamente. «Cosa» ripeté «vi serve?»

«Medicine» disse l'Elminpietra, sorpreso dalla risposta diretta «Guerrieri, e messaggeri. Cibo. I Bizarûnh – ah, chiedo perdono – il Popolo di Dale non ha ancora risposto alla chiamata. Re Brand ha paura.»

«E cosa ne pensate voi?» disse Thranduil lentamente.

«Io?» le sopracciglia di Thorin si alzarono «Beh. Non gli do torto, ad essere onesto. Mordor è un nome di cui aver paura.»

«Lo è» disse Thranduil, e poi si voltò, curvando il lungo collo mentre abbassava leggermente il capo nel ricordo di antico dolore.

«Mio Signore?» lo chiamò Thorin, confuso.

«Io non lo farei» lo consigliò Bifur «Le sue segrete non sono tanto lontane, sai.»

Infine Thranduil si voltò a metà verso il Principe in attesa. «Ho evitato la vostra gente» disse con tono basso, i suoi occhi si mossero verso il robusto Nano e vi si allontanarono «Ho ignorato voi e la vostra Montagna per quasi ottanta anni. E ora il mio figlio più giovane è stato trascinato al cuore di questa questione, circondato dal pericolo, e la distruzione incombe su tutti noi. Mordor! Avevo sperato di non udire mai più quel nome.»

«Penso che tutti lo sperassimo, ad essere onesto» disse Thorin, e si tirò la barba «Non è mai stato altro che storie per me.»

«Fu qualcosa in più che una storia per me» disse Thranduil distante. Poi girò sui tacchi, facendo svolazzare le vesti, e iniziò ad allontanarsi lungo i curvi colonnati di pietra, elegante e passo sicuro. «Manderò guaritori e messaggeri e guerrieri» disse, e la sua voce echeggiò dietro di lui.

«Tu cosa?» esclamò Thorin, stupefatto, e poi si ricordò della situazione «Ah – la mia gratitudine, Maestà!»

«Non ringraziarmi, Principe Nano» disse Thranduil cupamente «Combattiamo contro l'ombra ancora una volta, e ciò non è ragione di ringraziamenti.»

Thorin Elminpietra si accigliò. «Combatterete con noi? Allora perché non ringraziarvi?»

«Non avrò la gratitudine di un Nano» furono le ultime, dure parole di Thranduil prima che lasciasse la sala delle udienze e il Principe Ereditario di Erebor rimanesse da solo.

«Rallegrati» disse Bifur «Potresti essere in un barile ora.»

TBC...

Note:

La storia di Nimrodel:
Elfica fanciulla d'un tempo passato,
Stella che brilla al vento,
Bianco il suo mantello e d'oro bordato
E le scaroe grigio argento.

Una stella sulla sua fronte,
Una luce nei suoi capelli,
Il sole brilla tra le fronde
A Lórien dei giorni belli.

Lunghi i capelli, bianca la pelle, chiara la voce
Della libera fanciulla volante
Nell'aria e nel vento come luce veloce,
Come sul tiglio foglia vibrante.

Nel Nimrodel fra le cascate
Dalle acque chiare e spumeggianti
La sua voce come gocce argentate
Squillava tra i flutti scintillanti.

Nessuno sa per quali alti valichi
Se all'ombra o al sole ella errando vada,
Perchè Nimrodel smarrita in tempi antichi
E persa fu nei monti e nella rugiada.

[Torna alla storia]

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quindici ***


Incontra una Nana

Haban figlia di Hara

Haban era una mercante Barbafiamma di successo che trasportava merci dai Colli Ferrosi a Ered Luin e viceversa. Incontrò Gróin figlio di Farin, un giovane nobile, durante una sosta ad Erebor e i due si innamorarono all'istante. Lei fece diventare la Montagna Solitaria la base delle sue operazioni, e diede alla luce due figli tra un carico e l'altro: Óin e Glóin. Haban aveva i luminosi e folti capelli della sua gente, che passò al figlio minore Glóin e ai nipoti Gimli e Gimrís. Era furba, estremamente competitiva e amava riuscire a vincere accordi difficili. Fu Haban che per prima mise l'interesse per le banche e gli affari finanziari nella testa di Glóin. Era anche una famosa danzatrice d'ascia, e poteva farne girare anche quattro allo stesso tempo. Haban fu uccisa nella Battaglia di Azanulbizar nel 2799 TE.

Haban di godofmischieffoal


Quella notte dormirono in un alto flet sui rami di un albero mellyrn, e gli Elfi che accompagnavano Haldir nascosero tutti sorrisetti superiori alla vista di Gimli che lottava per arrampicarsi.

«Potreste provare ad aiutare, invece di stare lì a ridere!» esclamò infine Gimli, e tutti gli Elfi risero.

«Qua» disse Legolas in tono neutrale, e lanciò una corda a Gimli. Poi l'Elfo dei boschi lanciò un'occhiata priva di emozioni ai Galadhrim e si voltò.

Solo la mano di Frís sul braccio di Thorin impedì che una furiosa tirata scendesse sulle teste degli Elfi di Lórien.

«Thorin» disse piano «Devi dormire. Venti ore è troppo. Ritorna quando si sveglieranno: non aiuti né Gimli né te stesso vedendo ciò.»

«Sarebbe furibondo se sapesse che l'ho visto così» fu d'accordo Lóni «Andiamo Frár. Náli, torneremo fra poco. Saranno al sicuro in questi boschi.»

«Ne dubito» ringhiò Thorin, ma permise a sua madre di guidarlo dal blu intenso della notte di Arda alle stelle annegate del Gimlîn-zâram.


«Mangia!» abbaiò Hrera, mettendo una ciotola davanti a Thorin il mattino dopo «Ah, Thorin caro, il tuo volto sta venendo ingoiato dai cerchi neri che hai sotto agli occhi! Presto non rimarrà nessun volto e solo cerchi neri e tutti si chiederanno dove sarai finito.»

«Non era divertente nemmeno la prima volta che l'ho sentito, Nonna» borbottò Thorin, ma si sedette al tavolo e prese il cucchiaio. La ciotola era piena dello stufato di gnocchi tradizionale dei Vastifasci di Hrera, e lui si illuminò. Erano passati secoli dall'ultima volta che l'aveva mangiato.

«Avevo pensato che avrebbe potuto catturare la tua attenzione» sbuffò lei e si voltò per colpire le nocche di Frerin con un cucchiaio «Non toccare! È per tuo fratello.»

«Non è giusto» si lamentò Frerin «Perché Thorin può avere lo stufato della Nonna e io no?»

«Perché Thorin ha faticato fino ad essere esausto» replicò Hrera «Tienine fuori le tue dita appiccicose e forse potrebbe avanzarne un po' per te.»

La mano di Frerin si allontanò talmente in fretta che sembrava fosse stata caricata a molla.

«Questa scena mi è stranamente familiare» disse Thrór allegramente «Mi sembra di essere tornato ad Erebor prima del Drago.»

Thorin guardò su con espressione cauta. Suo nonno normalmente non parlava con tanta tranquillità di quel tempo. «Mi ricordo molto poco di quegli anni» disse «Mi ricordo lo sfarzo, e lo stufato ovviamente...»

«Grazie» disse Hrera con dignità, e poi colpì Fíli e Kíli sulla nuca col cucchiaio «Non iniziate anche voi! Quella è per vostro zio.»

«Ma ha un odore così buono!» gemette Kíli.

Thorin, sollecitato da un qualche spirito dispettoso da lungo tempo dormiente, prese una grande cucchiaiata del suo stufato e fece un suono soddisfatto.

«Non riesco a credere che l'hai appena fatto» disse Kíli e si buttò su una sedia per iniziare a lavorare su un notevole broncio.

«Va bene, forze le storie di Frerin sui vostri scherzi non sono del tutto inventate» disse Fíli, incrociando le braccia e lanciando a Thorin una lunga occhiata seria.

«Zio Frerin?» provò Frerin speranzoso, e Fíli e Kíli fecero identici suoni di derisione.

«Continua a sognare, ragazzino» disse Fíli, e ghignò.

Hrera agitò il suo cucchiaio nella loro direzione. «Non combinate guai oggi, bisnipoti, e farò un piatto anche per voi» disse dolcemente.

«Tutto il giorno?» disse Kíli.

Hrera annuì solennemente. «Tutto il giorno.»

«Sii forte, fratello, possiamo riuscirci» disse Fíli, e prese il suo cucchiaio e iniziò a mangiare il suo porridge con l'aria determinata di un Nano pronto alla battaglia «Io avrò quella zuppa.»

«È molto buona» disse Thorin innocentemente.

«Ti odio» borbottò Kíli. Hrera gli colpì nuovamente la testa col cucchiaio, e lui fece un lungo lamento. «Ah, perché tutte le Nane imparentate con noi sono terrificanti?»

«Oh, mi spiace – pensavo sapessi qualcosa della storia della nostra famiglia» disse Frís con calma «Mi passeresti lo zucchero, Thráin caro?»

«Non provate a protestare» consigliò Thrór ai due giovani Nani «Sarà solo peggio.»

«Ah» disse di nuovo Kíli, e la sua faccia si schiantò contro il tavolo.

«Torni là subito?» chiese Frerin a Thorin, prendendo lo zucchero mentre andava verso sua madre e ricoprendone la superficie del suo porridge. Thorin ingoiò una cucchiaiata di zuppa e annuì.

«La Compagnia è a Lothlórien» disse, e dalle espressioni scure intorno al tavolo seppe che nessuno glielo avrebbe impedito.

«Cosa vuoi che facciamo?» gli chiese Frerin. Thorin alzò un sopracciglio.

«Puoi riposare oggi, se vuoi, a meno che Padre non desideri la tua compagnia mentre controlla Glóin più tardi.»

«Quel vecchio Nano si muove come il vento quando vuole» disse Thráin, e scosse il capo «Sfortunatamente, continua a farsi distrarre da dei probabili depositi di oro. Ha mai smesso di essere un bancario?»

«Glóin? No» disse Thorin, e sorrise. Senza dubbio Glóin stava ragionando sulla probabilità che quei depositi contenessero metallo utilizzabile, il profitto e i costi necessari per estrarli, e le differenze fra i due.

«Sarò con quel Dori oggi» disse Thrór «Le difese di Erebor procedono in fretta. Ti terrò informato.»

Thorin sbadigliò, e si strofinò gli occhi. «Grazie, nonno.»

«Io intendo controllare tua sorella e Dáin» disse Frís, e poi scosse il capo «E per piacere copriti la bocca, inùdoy

Frerin ridacchiò fino a che Thorin non gli tirò un calcio sotto al tavolo.


«Ciao, capo» disse Nori quando Thorin si scrollò di dosso l'appiccicosa luce stellare «Si stanno muovendo di nuovo.»

«Da quanto stai guardando?» disse Thorin, e si sfregò di nuovo gli occhi. Dolce Mahal, era stanco.

«Un paio d'ore» disse Nori, e si voltò per indicare la linea di persone bendate che incespicavano nella dorata luce del mattino «Un meraviglioso gruppo di idioti, o no?»

Le labbra di Thorin si strinsero. «In effetti.»

Aragorn era alla testa della processione bendata, guidato da Haldir e altri due Elfi. Dietro di lui era Gimli, poi Boromir, Frodo, Sam, Pipino e Merry. Per ultimo c'era Legolas, il suo volto rilassato sotto la benda ma con le labbra incurvate in irritazione. «Almeno il terreno è in piano e senza ostacoli» grugnì Thorin.

«Almeno quello» disse Nori «Sono un tantino irritato per non poter sfruttare una simile occasione d'oro grazie al piccolo inconveniente di essere morto.»

«Vorresti svuotare le loro tasche?» Thorin lanciò un'occhiata divertita al suo compagno, e Nori scrollò le spalle.

«Non ci sarebbe momento migliore, non credi?»

«Non cambi mai, amico mio» disse Thorin, e scosse il capo in divertimento.

L'espressione di Nori era confusa. «Dovrei?»

In quel momento, un nuovo gruppo di Elfi venne loro incontro, e Haldir scambiò con loro alcune parole prima di voltarsi verso la Compagnia. «Sembra che una strana creatura sia stata scacciata ai confini» disse loro «Una cosa rattrappita che correva con la schiena piegata. Non era un Orco e dunque non l'hanno ucciso, ed esso è svanito lungo l'Argentaroggia.»

«Elfi» ringhiò Thorin «Non ne fanno una giusta!»

«Quello è il vecchio strambo che il nostro Scassinatore incontrò sotto le caverne del Re Goblin, no?» disse Nori, e si grattò la testa «Ormai avrà una certa età.»

«Ha portato l'Anello» disse Thorin «Chissà quanto a lungo è vissuto?»

«Peccato che non l'abbiano infilzato» disse Nori.

Improvvisamente Thorin ricordò le parole di Gandalf, e un dolore acuto lo attraversò. «Aye, forse.»

«Mi portano anche un messaggio dalla Dama dei Galadhrim» continuò Haldir «D'ora in poi camminerete liberamente, anche il Nano Gimli. Sembra che la Dama conosca l'indole di ognuno.»

Si piegò e rimosse per prima la benda dagli occhi di Gimli. «Perdonami!» disse, e fece un inchino elegante «Guardaci con occhi amichevoli adesso! Perché tu sei il primo Nano che veda gli alberi del Naith di Lórien dai tempi di Durin stesso.»

Gimli trattenne la propria lingua, ma i suoi occhi cupi dicevano tutto.

Thorin fece correre lo sguardo sulla grande collina incoronata da alberi che si innalzavano, luminosi e aggraziati, nella luce del sole e nella dolce brezza. Erano incoronati dalle foglie dorate dei mellyrn, e attraverso esse grandi rami d'argento brillavano. Sull'erba crescevano piccoli fiori gialli, a forma di stella e brillanti e separati da altri boccioli bianchi e verdi. L'intero panorama sembrava in qualche modo antico come Khazâd-dum eppure vivente, una reliquia di tempi passati portata al giorno d'oggi, una finestra su un mondo svanito.

«Questa» disse Nori con profondo disgusto «è la cosa più Elfica che io abbia mai visto.»

Thorin grugnì. Era meraviglioso, sì – ma Nori aveva ragione. Il potere degli Elfi irradiava dalla vista, e non poteva fare a meno di sentirsi piccolo, malfatto e ricurvo sotto il suo peso.

«Caras Galadhon» disse Haldir orgogliosamente «Il cuore del potere Elfico in terra, regno del Sire Celeborn e Galadriel, Signora della Luce.»

«Meraviglioso» disse piano Frodo, e fu ripetuto da Sam, Aragorn e, per l'orrore di Thorin, Gimli.

«Stai forse scherzando, Mastro Nano?» chiese Haldir, alzando le sopracciglia.

Gimli scosse il capo. «Nay, è meraviglioso. Le foglie brillano come oro pallido! Invero, questo luogo è bello oltre ogni dire» sembrava a disagio per averlo ammesso.

«Va bene, ma non dirglielo, le loro teste sono già abbastanza grandi!» esclamò Nori, e Thorin si massaggiò la base del naso.

«Mia stella, sei nuovamente piuttosto oscuro» gemette «Ricordati chi sei, figlio di Durin!»

Gli occhi di Gimli si indurirono, e si voltò per guardare nuovamente gli alberi mentre le bende venivano rimosse dagli occhi degli altri.

Il volto di Aragorn era pieno di malinconia. «Qua il mio cuore rimarrà per sempre» mormorò «Oh, Undómiel, perché tu fosti così bella nella luce della sera con l'argentato niphredil intrecciato nei capelli?»

«Se quella non è la faccia di un innamorato, io sono uno Hobbit» disse Nori, e Thorin si accigliò.

«Davvero» disse lentamente «Questa... Undómiel, suppongo. Ma cosa farebbe una mortale qui in questo luogo senza tempo?»

«Chi lo sa?» Nori scrollò le spalle «Non mi preoccupo molto di ciò che fanno gli Uomini. A meno che non abbiano qualcosa che voglio, ovviamente.»

«Venite» disse Haldir «Vi condurrò dal Sire e dalla Dama.»

Si arrampicarono per la collina per tutto il giorno, passando sotto a rami di grandi alberi, ognuno di essi più grande di travi di ferro e ricoperto della stessa corteccia bianco argentata. Qua e là un talan, o piattaforma, poteva essere intravisto fra i rami, e diventarono più numerosi man mano che si avvicinavano alla cime della collina.

Una strada lastricata di pietra bianca giunse serpeggiando attraverso due enormi tronchi, e Haldir li guidò lungo di essa. Gli Hobbit si guardavano intorno meravigliati mentre il sole iniziava a calare e piccole luci iniziavano ad alzarsi nel cielo, blu e argento e brillanti come spiriti in terra.

Infine la strada giunse al più grande degli alberi, con un tronco così grande che si poteva pensare che non fosse qualcosa che era cresciuto ma costruito. Scale aggraziate ne abbracciavano la pelle argentata, arrotolandosi come una carezza.

«Qui abitano Celeborn e Galadriel» disse Haldir «È loro desiderio che voi saliate e paliate con loro.»

«Cosa, vuoi far arrampicare dei viaggiatori stanchi per quelle scale?» esclamò Nori «A me non sembra molto gentile.»

Gimli occhieggiò la struttura delicata con un certo nervosismo, ma poi seguì Frodo lungo le scale senza una parola. I suoi passi pesanti sferragliavano e rimbombavano contro di esse, e lui gemette e imprecò in Khuzdul. Thorin capì che Gimli doveva sentirsi due volte più sgraziato, piccolo e storto di lui.

«Gimli» mormorò, camminando insieme al Nano più giovane «Sei un ottimo Nano e un grande guerriero e una buona anima. Non lasciarti intimidire da questo posto!»

«Chi non si sentirebbe piccolo di fronte a una tale bellezza vivente?» mormorò Gimli, e fece correre le dita lungo la liscia corteccia dell'albero di mellyrn.

«Quant'è alta questa cosa?» ansimò Pipino dalla fine del gruppo «Un tantino sfarzoso per i miei gusti!»

Le labbra di Gimli tremarono, e ricominciò ad arrampicarsi con nuovo vigore.

Finalmente le scale si aprirono su un grande talan come se fosse il ponte di una grande nave. Gimli indietreggiò fino ad essere quasi in fondo alla Compagnia, permettendo a Legolas e Aragorn di stare davanti con Frodo. Merry e Boromir gli diedero degli sguardi comprensivi e Sam gli diede una pacca sulla spalla, ma prima che lo Hobbit potesse parlare due Elfi, alti e gloriosi, iniziarono a scendere dalla piattaforma rialzata dove sedevano.

Le luci che svolazzavano attorno a loro erano quasi troppo luminose, e Thorin socchiuse gli occhi per vedere meglio i nuovi arrivati. Camminavano mano nella mano, e la donna era alta quanto l'uomo. I capelli di lui erano lunghi e argentati, ma quelli di lei erano luminosa gloria: un misto di argento ed oro e brillanti con se fossero di mithril; come l'anima stessa del sole.

«Ah!» sospirò Gimli, e chinò la testa rugginosa. Aragorn si toccò la fronte in segno di saluto, e Legolas fece un passo avanti per inclinare il capo all'uomo con una certa familiarità. Ah, quindi questa era la parentela di cui aveva parlato prima, comprese Thorin.

«Il Nemico sa che siete entrati qui» disse il Sire, e la sua voce era bassa e musicale «Tutta la speranza che avevate di procedere in segreto è svanita.»

Il cuore di Thorin affondò. «Beh, siamo a posto» borbottò Nori.

«Otto sono qui, eppure nove si sono allontanati da Granburrone. Ditemi, dov'è Gandalf?» continuò il Sire. Ma mentre parlava, gli occhi della Dama si spostarono su Aragorn.

«Egli è caduto nell'ombra» sospirò, e se la voce dell'uomo era musicale allora la sua era il suono del cinguettare degli uccelli e dell'acqua che scorreva, bellissima e melodiosa.

Aragorn annuì mentre sosteneva il suo strano sguardo stellato, col dolore che gli danzava negli occhi. Tutti gli Elfi urlarono in orrore e stupore.

«Venne catturato da ombra e fuoco» disse Legolas bruscamente «Un Balrog di Morgoth.»

«Lo vidi, là su quel Ponte» singhiozzò Gimli, e il suo grande dolore era nuovamente sul suo volto «Vidi il Flagello di Durin.»

«Capisco» disse Celeborn «Da tempo temevamo che i Nani avessero risvegliato quel male. Se l'avessi saputo, ti avrei proibito di venire qui. E Gandalf scelse quella strada? Si direbbe quasi che alla fine Gandalf sia caduto dalla saggezza nella follia, inoltrandosi inutilmente nella rete di Moria.»

Gimli chinò il capo, e serrò gli occhi.

«Sarebbe davvero avventato colui che dicesse una simile cosa» disse Galadriel, e la sua voce era fredda come il vetro.

Le sopracciglia di Thorin si aggrottarono, e lui fece scattare la testa per osservare l'aggraziata donna-Elfo.

«Ha appena...?» disse Nori confuso.

«Ha appena difeso un Nano» sussurrò Thorin.

La Dama, circondata di luce, si avvicinò a Gimli, intimorito e triste. «Mai un atto di Gandalf fu inutile in vita sua, e nessuno può riferire per intero il suo scopo» mormorò lei «Non pentirti di aver accolto il Nano. Se il nostro popolo avesse conosciuto un lungo esilio lontano da Lothlórien, quale dei Galadhrim passerebbe nelle vicinanze senza il desiderio di rivedere l'antica dimora, fosse anche divenuta un covo di draghi?»

Celeborn sembrava preso alla sprovvista – e anche Legolas.

«Dolce caritatevole Mahal» disse Thorin in completo stupore.

«Capisce!» disse Nori «Lei capisce – ma è un'Elfa!»

La Dama Galadriel sorrise a Gimli, e i suoi occhi erano pieni di antichi ricordi. «Oscura è l'acqua del Kheled-zâram, e gelide le sorgive del Kibil-nâla, ma splendidi erano i saloni dalle mille colonne di Khazâd-dum nei Tempi Remoti prima della caduta dei potenti Re della roccia profonda.»

Thorin indietreggiò, la sua mente scioccata. «Conosce il Khuzdul!»

«Conosce il Khuzdul!» gli fece eco Nori, con la bocca spalancata. La sua mascella si chiuse di scatto, e deglutì. I suoi occhi erano spalancati e selvaggi. «Davvero felice che Balin non sia qui ora. Troverebbe un modo di morire due volte.»

«Lei... lei non l'ha chiamata con quell'orrendo insulto Elfico» disse Thorin, e si mise la mani fra i capelli e la fissò «Non l'ha chiamata Moria... l'ha chiamata col suo nome...»

Il volto di Gimli si alzò lentamente, ed era coperto di meraviglia. I suoi occhi incontrarono quelli della Dama, e poi sorrise così improvvisamente e così brillantemente che Thorin sussultò alla vista. Aveva pensato perduti i sorrisi di Gimli.

Con quella luminosa e infuocata gioia sul volto, Gimli si inchinò goffamente alla maniera dei Nani, dicendo: «Ma ancor più splendida è la viva terra di Lórien, e Dama Galadriel più preziosa di tutti i gioielli nascosti nei luoghi profondi.»

Il sorriso della Dama si allargò e lei inclinò la testa verso Gimli in segno di rispetto e benvenuto.

«Non riesco a credere a ciò che vedo» ansimò Thorin.

Celeborn fece un passo avanti e alzò le mani. «Che Gimli dimentichi la mia dure parole» disse un po' rigidamente «Il mio cuore era turbato e non riuscì a trattenersi.»

Gimli continuò a guardare la Dama in assoluta meraviglia.

«Ma cosa sarà della Compagnia?» continuò Celeborn «Senza Gandalf, ogni speranza è perduta.»

La Dama Galadriel distolse lo sguardo da Gimli per incontrare gli occhi di Boromir. «La vostra missione è sulla lama di un coltello» disse piano «Una piccola deviazione ed essa fallirà, per la rovina di tutti.»

Boromir tremò, e poi distolse lo sguardo. Attraverso il suo stupore, Thorin riuscì a chiedersi perché. Cosa c'era di così importante negli occhi della donna-Elfo?

«Ma la speranza permane finché la Compagnia sarà fedele» disse lei, e si voltò verso Sam. Lui sostenne il suo sguardo senza spostarsi, il suo volto onesto risoluto, anche se le sue guance si arrossarono.

«Che i vostri cuori non si turbino» disse lei, voltandosi verso Legolas. Lui tremò, ma tenne il suo sguardo su di lei. «Ora andate a riposare, perché siete logori dal dolore e dalla molta fatica.»

I suoi occhi andarono verso gli Hobbit mentre continuava. «Stanotte dormirete in pace» poi il suo sguardo si fermò su Frodo, che tremò e indietreggiò come se qualcosa lo avesse trafitto.

Celeborn alzò le mani e fece segno agli Elfi attorno a loro, e la Compagnia venne nuovamente guidata verso le scale.

«Cosa, fino a su e ora giù di nuovo, dopo solo cinque minuti?» urlò Nori indignato «Beh, mi piace!»


Nori se ne andò dopo il pasto serale, lamentandosi della (nelle sue parole) assurdamente esagerata quantità di Elfi ovunque lui guardasse. Thorin rimase, la sua mente era ancora sconcertata dalle risposte della Dama Galadriel sia al Sire che a Gimli.

Dei canti fluttuavano fra gli alberi, e anche Thorin fluttuava, confuso e stupefatto, guardando la Compagnia come se gli fossero sconosciuti.

[ Elvish Lament, performed by notanightlight ]

«Un lamento per Gandalf» mormorò Legolas, e chiuse gli occhi addolorato.

«Cosa dicono?» chiese Merry, ma Legolas scosse il capo.

«Non ho il cuore di dirtelo» disse.

«Beh, potresti unirti a loro, no?» suggerì Sam.

«Nay» Legolas alzò il mento e aprì gli occhi per guardare gli alberi illuminati dalle stelle «Per me la perdita è ancora troppo vicina.»

«Perché sei arrossito, Sam?» chiese Pipino «Sei diventato rosso come un peperone e non negarlo.»

«Ah, beh» disse Sam, imbarazzato «Quando la Dama mi ha guardato, fu... fu come se mi stesse guardando dentro alla testa. Come se mi stesse chiedendo cosa farei se mi desse la possibilità di andare a casa nella Contea in un bel buco con un giardino mio.»

«Strano» disse Merry «Quasi esattamente la stessa impressione che ho avuto io; soltanto che, soltanto... non credo che dirò altro» concluse debolmente.

«Strano» disse Gimli con la sua voce profonda e le sue sopracciglia erano aggrottate, anche se i suoi occhi brillavano ancora di quella strana gioia «Ho veduto la mia gente, la mia vecchia casa, i miei amici, e. E, no, nemmeno io lo dirò. Mi parve che la mia scelta dovesse rimanere segreta e conosciuta solo a me stesso.»

Boromir si accigliò. «Siate cauti! Non ho molta fiducia in questa Dama Elfica e nelle sue prove.»

«Guardati dal parlar male della Dama Galadriel!» disse Aragorn severamente «Non vi è in lei e in questa terra nessun male, salvo che un uomo non ve lo porti lui stesso.»

Boromir si morse il labbro, e Thorin si svegliò dal suo stupore per guardare Aragorn incredulo. «E tu chiami questa una rassicurazione!» esclamò «A quest'Uomo serve la tua amicizia, non la tua censura!»

Aragorn, ovviamente, non poteva sentirlo.

«Questa canzone dovrebbe anche parlare dei fuochi d'artificio del vecchio Gandalf» disse improvvisamente Sam, e Thorin avrebbe potuto benedire lo Hobbit per cambiare argomento «Sarebbe un crimine lasciarli fuori. Ora, che ne dite?» e si alzò ed iniziò a declamare mentre attorno a loro il canto Elfico si alzava nel cielo notturno.


Il mattino seguente giunse troppo presto. La sua testa gli faceva male per aver dormito troppo poco e i suoi occhi bruciavano, ma Thorin si diresse verso la Camera di Sansûkhul da solo.

Le stelle lo accerchiarono e poi lo rilasciarono in una piccola valle soleggiata. Sbatté le palpebre per la calda luce dorata che filtrava attraverso il tetto di giganteschi alberi, ricoprendo tutto ciò che trovava in un calore luminoso. Il suono dell'Argentaroggia poteva essere udito chiaramente. Era uno scenario pacifico, e lui ne era sospettoso. Si voltò più volte prima di spiare una piccola figura curva sulla riva del torrente.

«Gimli» mormorò, e fece un passo avanti prima di fermarsi come se fosse stato colpito.

Gimli era piegato sul torrente, guardando vacuamente nell'acqua. Aveva in mano il suo coltello da viaggio, e le sue labbra erano quasi bianche tanto strettamente erano premute. I suoi occhi vacui stavano brillando.

«Cosa fai qui, figlio mio?» sussurrò Thorin, prima di obbligarsi a fare un altro passo.

La barba di Gimli era sciolta e gli ricadeva sul petto, e l'altra mano ci giocherellava distrattamente. Apparentemente senza guardare, separò una ciocca dalla sua lunga, folta barba rossa. L'altra mano salì, e con uno scatto improvviso tagliò la ciocca e la lasciò cadere nell'acqua.

«Óin» mormorò.

«No! 'Ikhuzh!» disse Thorin, e si mosse verso Gimli per - per cosa? Fermare il suo lutto? Cosa poteva fare Thorin? Ne aveva anche solo il diritto?

«Perché lo fai?» giunse una dolce voce Elfica, e lui si voltò per vedere Legolas che entrava nella pacifica radura. La testa dell'Elfo era inclinata, e i suoi occhi erano spalancati.

Gimli non rispose, ma tagliò un'altra ciocca della sua barba. Le estremità tagliate facevano capolino attraverso il resto e gli si arricciavano sul mento, setose e morbide come la prima crescita di un bambino. A Thorin faceva male vedere la sua bella barba così massacrata.

«Cugino Balin» sussurrò Gimli.

«Mia stella, per favore non piangere così» disse Thorin, e poi abbandonò la propria dignità e lo implorò senza vergogna «Non devi compiere i rituali. Non devi tagliare una ciocca per ognuno di loro: mantieni il tuo onore e la tua barba!»

Gimli non lo udì. Sospirò e ne tagliò un'altra, prima di mormorare il nome di Lóni e farla cadere in acqua.

«È un qualche tipo di rituale?» chiese Legolas, affascinato. Thorin gli ringhiò contro.

«Questo non è per i tuoi occhi, Elfo!» ringhiò. Poi si voltò nuovamente verso Gimli e disse: «né è necessario! Mia stella, ci sono modi migliori di piangere. Non fare il mio errore! Una barba più corta non è un dolore minore!»

Gimli infine alzò lo sguardo, la mano ancora affondata nella lunga massa della sua barba sciolta e il coltello nell'altra mano stretto talmente tanto che Thorin poteva vedere i tendini tirati lungo le nocche. «Non hai ragione di essere qui» disse Gimli, e la sua voce rombava come una valanga «Lasciami stare.»

«Vorrei solo sapere cosa stai facendo» disse Legolas, alzando le mani per mostrare di non avere cattive intenzioni «Perché ti tagli la barba? Pensavo che un Nano non si tagliasse mai la barba.»

«Ci sono due motivi per cui un Nano si taglierebbe la barba, e questo è il primo» disse Gimli, tornando a guardare l'acqua. La sua voce rallentò e perse emozione mentre si tagliava un'altra ciocca. «Náli» disse, e la sua voce si spezzò.

«È una forma di lutto?» disse Legolas, spalancando gli occhi.

Gimli sospirò di nuovo, e diede all'Elfo un'occhiata triste. «Sto piangendo i miei congiunti e i miei amici e lo Stregone Grigio. Non ho inchiostro né ago e non posso tatuarmi i loro marchi in questo luogo, quindi do una ciocca per ognuno, più preziosi per me del mio orgoglio. Ora vattene.»

«Ben poche cose sono più preziose dell'orgoglio per un Nano» disse Legolas «Posso camminare dove lo desidero.»

Gimli non rispose nuovamente, ma si tagliò un'altra ciocca e la lasciò cadere nelle acque. I peli rossi corsero e brillarono nel torrente bianco come foglie cadute in autunno.

«Dimmi che è l'ultimo!» disse Thorin, e si girò per non vedere «Avrai dei peli che ti escono dalle trecce per più di un anno, inùdoy» gemette «Perché fare ciò?»

«Vuoi rimanere a deridermi?» disse Gimli, alzando gli occhi cerchiati di rosso.

Il volto di Legolas si addolcì. «Nay, Mastro Na- Mastro Gimli» disse «Non sono qui per deriderti.»

«Allora vattene. Il mio lutto non è uno spettacolo per divertire gli Elfi!»

«Ra shândabi!» esclamò Thorin, e incrociò le braccia e guardò truce l'Elfo.

«Io non» iniziò Legolas, e poi sospirò in esasperazione e si passò una mano nei suoi setosi capelli biondi «Io non intendo farti sentire in quel modo» disse con tono più calmo «Mi dispiace.»

A questo punto, Gimli batté le palpebre. Poi il suo volto divenne sospettoso. «Questo mi è nuovo.»

«Sì, e anche per quello mi dispiace» Legolas ripiegò le lunghe gambe sotto di sé, e si sedette a qualche piede di distanza dal Nano, girando il volto verso le rapide acque del Kibil-nâla «Non capivo. Non capisco tuttora.»

«Ma vorresti» disse Gimli senza emozioni. Poi i suoi occhi si indurirono. «E quanti dei tuoi fratelli si nascondono intorno a noi, ridendo al Naugrim nella sua miseria e solitudine? Avete fatto un sorteggio per andare a infastidirlo per divertirvi? Avete qua pronta una benda?»

La testa di Legolas si alzò di scatto, e i suoi occhi brillarono. «No! Non ci sono altri!» urlò «Non ti farei una cosa simile!»

Gimli lo guardò storto.

Le spalle di Legolas si abbassarono, e lui fece una smorfia. «Non è stato corretto da parte loro» disse «Dovresti essere trattato con più rispetto.»

«Allora lasciami solo!»

«Vattene, dannato maledetto Elfo!» urlò Thorin.

«Non lo farò» disse Legolas senza fiato «Gimli, non riesco a capire! Ti ho visto con la Dama... ho visto che lei poteva capire, mentre io... Mi confondi ad ogni svolta.»

«Ecco una direzione che nemmeno tu puoi confondere» ringhiò Gimli «Vai. Via.»

Legolas lo fissò, col petto che si alzava e si abbassava velocemente. Poi si strinse la tunica verde con le lunghe dita e alzò il mento testardamente. «No.»

Gimli lo fissò a sua volta con rabbia per un lungo istante, e la minaccia di violenza era nell'aria chiara come una campana.

Poi Gimli fece un suono di sconfitta, e ricadde su se stesso e si voltò. «Non ho la forza per continuare a discutere con te» borbottò «Rimani e sta zitto.»

«Non mi udirai» promise Legolas.

«Nel nome di Durin, Gimli!» quasi ruggì Thorin «Fallo sparire! Se devi fare questo, non avere questo dannato Elfo come testimone!»

Gimli lo ignorò, e si pettinò la barba sfoltita con la dita ancora una volta, prima di mormorare: «Ori». Poi tagliò una ciocca e la lasciò cadere in acqua.

Solo dopo sette altre ciocche Gimli si fermò, il suo coltello cadde dalla mano debole e la sua testa si chinò. Le sue spalle tremavano dal pianto mentre singhiozzava l'antico nome Nanico di Gandalf, e fece cadere in acqua i lunghi peli rossi con un singulto soffocato.

Legolas rimase in totale silenzio, e guardò con occhi lucidi.

Infine Gimli alzò il capo e si passò una mano sulla barba sfoltita. «Basta» mormorò, i suoi occhi rossi ma asciutti.

«Potrei...» Legolas si piegò in avanti, e le sue dita sottili si allungarono verso il coltello «Potrei prenderlo?»

Gimli lo guardò e basta, esausto e svuotato.

Thorin guardò con crescente sospetto e stupore l'Elfo che si portava il coltello ai suoi capelli pallidi e ne tagliava una ciocca. «Ecco» disse piano, e la lanciò in acqua «Per Mithrandir.»

Un momento di calma discese sulla radura. Legolas inspirò lentamente, e quando espirò una certa tensione svanì dalle sue spalle e si sedette più dritto. Il suo volto, che prima era teso e ansioso, divenne rilassato e calmo mentre guardava i capelli dorati che correvano nelle acque del ghiacciato Argentaroggia.

«Sì» si disse «Sì, va bene.»

«Perché l'hai fatto?» chiese Gimli, la sua voce vuota e spassionata «Le mie tradizioni non hanno alcun valore per te in questa terra di Elfi senza tempo. Se non mi stai deridendo, cosa stai facendo qui?»

Legolas si girò le estremità dei capelli tagliati tra le dita, e poi girò il coltello a lama larga di Gimli con una mossa elegante e pratica per porgere l'impugnatura al Nano. «Questa è una terra di Elfi, sì» disse cripticamente. Poi guardò Gimli come se ciò che avesse detto fosse in qualche modo importante.

«Parla chiaramente!» ringhiò Thorin «Ah, Gimli, non rimanere ad ascoltare queste sciocchezze!»

«Risponderai mai chiaramente a una domanda?» disse Gimli esasperato, con un tocco del suo vecchio fuoco nella voce. Thorin quasi urlò di gioia nel sentirlo.

«Mi hai sentito! Ah, mia stella, sei tornato da me!» disse, e desiderò di poter tenere stretta la testa spettinata di Gimli, di premere insieme le lor fronti. Sembrava lo scherzo più crudele di tutti non poter mai abbracciare o toccare questo Nano, più vicino a lui di un figlio.

L'Elfo rimase dov'era, porgendo a Gimli il suo coltello. «Vedo che devo essere più chiaro» si disse «Mi sembri un tipo piuttosto diretto.»

«Non ho ragione di nasconderlo» disse Gimli, alzando una grande spalla e lasciandola ricadere «Io sono Gimli, e questo è tutto. Perché dovrei fingere di essere diverso?»

«Non è proprio tutto però, o sbaglio?» Legolas scosse il coltello, e Gimli si piegò in avanti e lo prese molto, molto lentamente «Sei più di ciò che appari, Mastro Nano.»

«Preferirei se non mi chiamassi così» Gimli rinfoderò il coltello nel suo stivale con una spinta leggermente più forte del necessario «Ho un nome d'uso, e non è brutto.»

«Mi dispiace» disse Legolas in fretta.

«Questa è la terza volta. Cosa sono, dunque, perché tu mi debba chiedere scusa?»

«Onesto» disse Legolas, e sorrise il piccolo, inscrutabile sorriso degli Elfi «Coraggioso. Gentile. Impetuoso. Leale. Eloquente. Generoso. Mi sorprendi di continuo, Mastro Gimli. Pensavo si sapere cosa e chi fossi, e trovo che quasi tutto ciò che conosco sono menzogne e mezze verità deformate da antichi odi. In tutte le mie estati sotto foglie e rami, non mi sono mai sbagliato tanto.»

Thorin indietreggiò, e la sua bocca si spalancò.

Suonava quasi come-

«Non può essere» sussurrò.

Gimli stava fissando l'Elfo, le sue labbra aperte per la sorpresa. «No, aspetta» disse brusco «Questo è. Io. No, le cose non funzionano così. Ora sono io quello confuso! Torna indietro un attimo e rispondi alle mie domande. Perché sei qui?»

Legolas inclinò il capo, e la sezione tagliata dei suoi capelli gli cadde sulla guancia. «Vorrei esseri amico» disse.

Gli occhi di Gimli si abbassarono. «Anche tu pensi a ciò che ha detto, quindi?»

«Sì» lo sguardo luminoso di Legolas cadde sull'acqua, e in esso vi era tutto il dolore infinito degli Elfi «Ci ha chiesto, prima di entrare a Moria...»

«Di essere amici, aye» sospirò Gimli, e si massaggiò una gamba con la mano larga e forte «Vorrei averlo ascoltato.»

«Anche io» disse Legolas piano.

«Quindi. Gandalf l'ha chiesto. Altre ragioni?» Gimli alzò lo sguardo, e la luce del sole brillava sulle perline nei suoi capelli e sull'orecchino da lobo.

«Per te» disse Legolas «Devi capire, mi è sempre stata data un'immagine dei Nani che...»

«Ah» disse Gimli, col volto che si riempiva di amarezza «Senza dubbio.»

«No, non saltare a conclusioni prima che io abbia finito!» disse Legolas con improvviso e inaspettato calore «Reagisci sempre in questa maniera, e io non ho ancora detto nulla!»

«Non ce n'è bisogno» disse Gimli con sarcasmo «Fammi indovinare, dato che posso probabilmente indovinare qualcuno degli insulti più comuni verso di noi: io sono avaro, avido, senz'anima, traditore, e non ho nessun sentimento. È tutto?»

Legolas cadde in silenzio, e poi esclamò: «no non lo è! Perché mio padre è Thranduil di Eryn Lasgalen ora, ma un tempo fu Thranduil del Doriath, Gimli! Puoi ora immaginare le storie che mi sono state raccontate? Puoi immaginare le parole che mi venivano date insieme al latte e al pane?»

Gimli lo guardò ad occhi spalancati. «Aye» ansimò, e poi si prese la testa fra le mani «Aye, posso.»

«Ma no, tutto ciò era sbagliato, vorrei non averlo detto ora» gemette Legolas e si alzò in fretta con le mani strette nella tunica verde grigiastra che indossava «Non incolpo la tua gente, Gimli. La follia di quell'era cadde su molti, sia Elfi che Nani, tutto per tre gemme e un giuramento di sangue...»

«Mia nonna era una Barbafiamma» borbottò Gimli.

Legolas si strozzò sulle sue parole, e si voltò per fissare Gimli con guance arrossate.

Gimli tolse le mani dal volto e le strinse fra loro. «La loro gente sta svanendo» disse verso l'erba «Furono quasi distrutti dopo la loro orribile azione; la vendetta del Monco fu rapida e terribile. Ma alcuni sopravvissero, anche se Nogrod non fu mai più come prima. La maggioranza scapparono a Khazad-dûm dopo che le Ered Luin furono perdute.»

«I tuoi capelli» disse Legolas, debole e tremante.

Gimli annuì senza parole.

«Tu... tu hai del sangue Barbafiamma» disse Legolas, e si girò per urlare verso gli alberi «Ai, amarth faeg!»

«Nulla è mai semplice» disse Gimli in un sussurro «Quindi, questo è quanto. La tua idea di amicizia era nobile, ragazzo. Penso sia stato molto gentile da parte tua. Ma c'è troppo tra di noi. La gente di mia nonna macellarono la tua, tuo padre imprigionò mio padre e assediò la nostra casa, e gli Elfi cacciarono e assassinarono i nostri cugini, e oltre a queste innumerevoli altre atrocità, sin dall'inizio dei giorni. La Dama potrà non guardarmi con disgusto, ma di certo tu sì.»

Legolas rimase immobile per un lungo, lungo momento, il suo respiro era veloce e le sue mani tremavano. Poi obbligò i suoi occhi a posarsi su Gimli, che sedeva, triste e immobile, davanti alle rive del fiume.

«No, non è così» disse Legolas infine «Il popolo di tua nonna è svanito. Tu sei qui, e ti sei mostrato coraggioso e gentile.»

Le sopracciglia di Gimli si aggrottarono in confusione, e guardò su lentamente.

«Prometto di dirti la verità» disse Legolas, e si avvicinò. Era alto e orgoglioso, una lancia d'oro pallido nella luce calda, ma non sembrava più freddo e distante.

«Non ha senso» gracchiò Gimli «Prima la Dama. Ora questo. La mia testa sta girando, e non so più cosa sia vero o falso. Gli Elfi non guardano i miei simili come pari. Noi siamo gli indesiderati e voi siete i favoriti, e così è come è sempre stato. Gli Elfi non difendono i Nani dai loro simili, ma la Dama l'ha fatto - e contro il suo Sire dinnanzi a tutta la sua gente! Gli Elfi non chiedono scusa ai Nani, e tu l'hai fatto tre volte ora! Agli Elfi non importa delle corte vite dei mortali, e tu mi parli con gentilezza e non mi lascerai! Cosa pensi di guadagnare con ciò?»

«Guadagnerò un amico» disse Legolas, e poi fece tra rapidi passi per sedersi nuovamente di fronte a Gimli, con le lunghe gambe piegate sotto di sé. Erano una vista bizzarra: il robusto, infuocato Nano e il sottile, pallido Elfo.

«Chi ti ha detto che agli Elfi non importa dei mortali?» chiese Legolas.

Gimli batté le palpebre. Poi disse: «Non lo so. Sembra quasi che io lo abbia sempre saputo. È sbagliato, dunque?»

Legolas annuì, e le sue narici di dilatarono in irritazione. «Sembra che anche tu abbia ingoiato menzogne in un sol boccone.»

«Aye» disse Gimli pensierosamente «Perché pensai il male della Dama prima di incontrarla. Ora capisco che lei è in realtà la più saggia e gentile di tutte le creature del mondo, per capire il lutto di un Nano.»

«Era magnifica, Gimli» disse Legolas con voce bassa «Mi dispiace di non averlo detto. Mor... Khazad-dûm era gloriosa anche nella sua rovina.»

Gimli chiuse gli occhi. «Aye. Lo era» poi fece una risata triste «E il tuo accento è atroce.»

«Mi dispiace anche per i tuoi congiunti»

«Beh» gli occhi di Gimli si aprirono e lui parve un po' imbarazzato «Io... io ti ringrazio per avermi trascinato via dalla mia follia e dal mio dolore davanti alla tomba di Balin.»

«Non dovresti ringraziarmi» disse Legolas gentilmente.

«Un Elfo che ha salvato la vita di un mortale?» Gimli sbuffò piano «Aye, credo proprio che dovrei ringraziarti.»

«Perché parlano così di noi?» Legolas non fece la domanda con rabbia. Anzi, sembrava prosciugato e stanco.

Gimli sbuffò. «Per la stessa ragione per cui la tua gente parla male della mia, senza dubbio. Si dice che saremmo sempre gettati da parte. I Nani saranno amici finché saremo utili agli Elfi, e poi saremo messi da parte e le nostre creazioni, più care a noi di ogni altra cosa, trattenute per lunghe Ere. Poi, gli Elfi lasceranno questa terra e tutti i suoi problemi e andranno ai loro porti sicuri oltre ai mari burrascosi, lasciando tutto il dolore e le calamità ai mortali. Non mi stupisce che esistano tali storie.»

Legolas urlò. «No! Non è per nulla vero! Noi lasciamo questa terra perché dobbiamo. I grandi fra noi si indeboliscono, e dobbiamo partire o diventare nient'altro che l'ombra di ciò che eravamo. Molti di noi amano ancora la Terra di Mezzo e le sue bellezze, ma il dolore diventa troppo da sopportare e solo la Casa degli Elfi lavarlo via. Perché i mortali ci spezzano il cuore: siete così luminosi, e così fragili. Non possiamo fare a meno di affezionarci, e rimaniamo desolati quando voi morite e andate nel luogo dove non possiamo seguire.»

Gimli fece un lungo sospiro e guardò Legolas di sottecchi. «Tutte menzogne, dunque.»

Legolas annuì fermamente.

«Mi chiedo cos'altro sia una menzogna» disse Gimli «Forse Gandalf lo avrebbe saputo.»

«Senza dubbio» disse Legolas, e fece un cenno col capo «Per Gandalf, dunque?»

«No» disse Gimli, e scosse il capo, con le perline che danzavano nei capelli spettinati «Gandalf avrebbe voluto che fossimo amici, ma non che creassimo un amicizia nel nome di un morto. Quella non è affatto amicizia» poi socchiuse gli occhi «Non pensi a ciò che gli Elfi di Lothlórien diranno di questo?»

La faccia dell'Elfo si scurì. «Non possono negare le parole della Dama Galadriel, e tutti l'hanno vista salutarti con cortesia e rispetto. E poi, ci sono state amicizie tra Elfi e Nani prima d'ora. Saremmo difficilmente inusuali.»

«Aye, ma pensa a come sono finite quelle amicizie» disse Gimli, e sospirò «Sarai deriso.»

«Non mi importa» disse velocemente Legolas «Hai visto le Porte bene quanto me - meglio, forse, dato che era notte! Il nome di Celebrimbor era su quelle Porte, fatto da mani Naniche.»

«Narvi» ricordò Gimli. Poi le sue sopracciglia si alzarono. «Khelebrimbur, come era conosciuto tra la mia gente, e non creava solo porte.»

Legolas gemette. «No. E la maledizione della sua famiglia lo seguì.»

«Qualche maledizione sulla tua famiglia di cui dovrei essere a conoscenza?» disse Gimli, con un sorriso triste.

«Nay» disse Legolas «Sulla tua?»

«Molte» disse Gimli con secco umorismo «Sono della Linea di Durin, dopotutto.»

Thorin lo guardò male.

«La mia gente non capirà» continuò Gimli, e la preoccupazione gli attraversò velocemente il volto «La tua gente non capirà.»

«La Dama capirà» disse Legolas.

«Ah» sospirò Gimli, e poi annuì lentamente «Sì. La Dama capisce tutto.»

Legolas deglutì, e poi si sporse verso il Nano e allungò la mano. «Possiamo riprovarci?» chiese piano.

Gimli guardò giù la mano, e poi arricciò le labbra. «Ma - quegli Elfi lì fuori - Doriath - il massacro dei Nûlukhkhazâd - l'assedio di Erebor - mio padre - tuo padre!» esclamò «Perché?»

«Perché in questa terra di Elfi, non posso cantare. Devo trovare un Nano che mi mostri come piangere» disse Legolas, e anche se il suo respiro era ancora piuttosto veloce, stava sorridendo «E poi, trovo che non posso guardare i Galadhrim che ti trattano in quella maniera senza desiderare di punirli sonoramente! Per il resto, il Doriath non è più, sono un ricordo dei giorni Antichi. Non so cosa voglia dire quella parola, amico mio. Mi piacerebbe se tu mi parlassi ancora delle abitudini della tua gente: mi sembrano dure, ma bellissime, come una montagna alta e orgogliosa nel più crudele dei venti. Erebor è di nuovo dei Nani e nessun Elfo la minaccia, e mio padre ha tutto il mio amore e la mia fedeltà in tutto tranne che questo. Ti chiedo, Gimli - possiamo riprovare?»

Gimli guardò la mano di Legolas come se fosse piena di serpenti.

«Gimli» disse Thorin con stupore e disperazione. E poi disse quel nome segreto che aveva udito solo una volta prima, detto nell'intimità delle stanze di Glóin a Granburrone.

Il silenzio si allargò, e parve che il mondo intero svanisse in sottofondo. Il respiro di Thorin si bloccò dietro ai suoi denti.

E poi la mano robusta di Gimli atterrò sul palmo di Legolas. «Il mio nome è Gimli, figlio di Glóin, della Linea di Durin e della Montagna Solitaria» disse, e guardò su. Il lutto era ancora presente agli angoli dei suoi occhi, ma ora stava ricambiando il sorriso. «Io sono, ho paura, decisamente un Nano e non c'è molto che ci si possa fare. Però, spero tu non lo trovi troppo offensivo, ragazzo.»

Legolas rise. «E io sono Legolas Thranduilion, e mi dispiace informarti che sono un Elfo, e un Elfo del bosco di Bosco Atro; un Sindar di nascita e cresciuto Silvano, e non posso cambiarlo più di quanto posso cambiare il tramonto o la caduta delle foglie. Spero non sia troppo esasperante.»

Gimli ridacchiò. «Ah, ma gli Elfi sono sempre esasperanti!»

Legolas rise ancora, una piccola onda nella corrente dell'Argentaroggia. «E i Nani sono sempre offensivi!»

Gimli ghignò. «Ben incontrato, Legolas.»

L'Elfo sorrise con calore. «Questa volta.»

La risata di Gimli spaventò gli uccelli sugli alberi, rimbombante e piena di allegria e gioia. Le loro mani rimasero strette insieme, le dita lunghe dell'Elfo pallide come il latte contro la robusta mano marrone di Gimli. Così diverse, così completamente diverse, ma rimasero insieme con la facilità in cui una chiave entrava in un lucchetto.

Thorin fissò i due con incredulità crescente.

«Mi mostrerai altro di questo bosco?» disse Gimli, rompendo il caldo silenzio. Stava ancora ghignando.

«Sarebbe un onore» disse Legolas, sorridendo «Ho trovato un luogo in cui il mellyrn cresce vicino a una strana pietra grigiastra, attraversata da nero simile al vetro. Forse sapresti dirmi cosa sia?»

«Uhm, sembra un qualche tipo di ossidiana» disse Gimli, e poi si tirò in piedi e uso la stretta che aveva sulla mano di Legolas per far alzare anche lui «Mi piacciono i mellyrn. Sono come grandi pilastri di argento e oro, ma si muovono e respirano!»

«Ah, sono meravigliosi, o no?» disse Legolas, e finalmente lasciò la mano di Gimli per fare un cenno verso Est «Da questa parte.»

«Guidami, Mastro Legolas» disse Gimli con un piccolo inchino, e i due risero insieme più piano e fianco a fianco lasciarono la radura.

«Forse potrai anche parlarmi dei tuoi congiunti mentre camminiamo?»

«Se riuscirò a trovare le parole, aye. Ma non ci conterei troppo, ragazzo»

«Nel nome di Durin?» urlò Thorin nel silenzio. Poi si strappò dal mondo vivente per attraversare i corridoi delle Sale fino alla propria stanza, dove si sedette e rimase furioso per ore.


A venire da lui fu sua nonna, durante le prime ore del mattino.

«Ah, cosa ti avevo detto, tesoro mio?» disse gentilmente, sedendosi sul letto accanto a lui e girando il suo volto verso di lei. Lui glielo permise, la sua mente stanca e annebbiata dallo stupore e dalla rabbia. «Divorato dai cerchi neri. Guardati.»

Lui supportò i vezzeggiamenti di lei per alcuni secondi, prima di allontanare la testa dalle sue mani. «Abbastanza» disse piano «Non sono un bambino.»

Lei fece una pausa, e poi si mise le mani sulle anche. «No, non lo sei, ma ne stai facendo una gran bella imitazione» disse «Non ho mai visto una scenata simile da quando tuo padre aveva diciassette anni e aveva deciso che bisognava chiamarlo col suo titolo in ogni occasione.»

L'aneddoto era così assurdo che a Thorin venne quasi da ridere. «Padre aveva fatto ciò?»

Hrera sorrise. «Era molto giovane.»

«Avrebbe scuoiato me o Frerin o Dís se ci fossimo comportati così» disse Thorin.

«Ah, beh, avevate il vostro stile, voi tre» disse lei, e poggiò la mano sul dorso di quella di lui «Ora, dimmi cosa ti fa attraversare le Sale come un'enorme furibonda nuvola temporalesca, terrorizzando tutti con il tuo sguardo truce e i tuoi enormi cerchi neri al posto degli occhi.»

Lui le lanciò un'occhiata sardonica, ma lei si limitò ad aspettare. Poi Thorin girò la mano e strinse quella di lei. «Gimli ha fatto amicizia con l'Elfo» disse bruscamente.

Il suono di sorpresa di Hrera fu molto rumoroso nell'intimità della stanza.

«È abbastanza per far arrabbiare ogni Nano, figuriamoci uno che...» Thorin si interruppe e strinse i denti con rabbia.

Hrera rimase ferma e in silenzio per un istante, e poi si raddrizzò con uno sbuffo, alzando la testa severamente e inchiodandolo con il suo sguardo serio. «Dillo» ordinò «Sono più che stanca della tua censura emotiva, Thorin. Dillo!»

Lui la guardò storto. Lei ricambiò lo sguardo.

«Dillo!» esclamò di nuovo, e la sua mano strinse quella di lui in avvertimento «Voi testardi uomini Durin e la vostra dannata ostinazione! Stoici fino a star male, siete! Cosa ci vorrà perché tu ammetta che ami quel ragazzo come un figlio?»

«Va bene!» ruggì Thorin, e le lasciò la mano di scatto «Sì, gli voglio bene! È la mia stella!»

Lei annuì orgogliosa. «Meglio. Ben fatto, nidoyel

Thorin la guardò male. Lei lo ignorò solennemente e gli diede una pacca sulla mano. «Riuscirò a levarvela a tutti, uno alla volta» si disse, prima di dargli un benevolente sorriso da nonna «Ora, tuo figlio ha fatto amicizia con un Elfo. Perché questo ti dà tanto fastidio?»

«Perché?» gridò Thorin, e lei sobbalzò e gli diede un pizzicotto sul dorso della mano.

«Ci sento benissimo, non serve che urli» disse irritata «E sì, è ciò che ti ho chiesto. Perché ti dà fastidio?»

«Perché...» Thorin si mise una mano fra i capelli «Perché è un Elfo! L'unica cosa che farà sarà deludere Gimli – è innaturale! Sono nemici, per carità di Mahal; Legolas è figlio di Thranduil! Si odiano

Le sopracciglia di Hrera si alzarono. «Uhm» disse distrattamente, e poi lo inchiodò con quello sguardo nuovamente «Sai, io odiavo completamente tuo nonno quando l'ho incontrato.»

Thorin non ebbe nemmeno la possibilità di aprire la bocca per la sorpresa di un'altra rivelazione, perché Hrera continuò: «Oh sì! Lo detestavo – fino alla maniera ridicola in cui si pettinava la barba all'epoca. Era una vista vergognosa, e sono felice di averlo convinto a cambiarla. In ogni caso, eccomi lì, ottant'anni e portata via da casa mia e lanciata in questa nuova corte di Erebor per la volontà di mio padre e del Consiglio. E questo gran villano che non mi ha mai nemmeno parlato educatamente sarà mio marito? Pah! Re o no, non l'avrei toccato con un martello lungo dieci piedi.»

«Tutto questo ha un motivo?» disse Thorin debolmente.

«Ci sto arrivando, caro» disse lei «Un po' di pazienza da parte tua, per piacere. Ora dov'ero...

«Oh, sì. Dunque, io non volevo avere nulla a che fare con Erebor, Longobarbi, tuo nonno e tutte quelle cose. Ma dove potevo andare? Ero alla Montagna e l'inverno stava arrivando, e non avrei potuto tornare a casa finché non fosse arrivata primavera e le nevi nei passi si fossero sciolte.

«Giorno dopo giorno sopportai la corte, e giorno dopo giorno dovetti stare in compagnia di sempre più Longobarbi con la faccia di pietra. E poi la cosa più strana successe: io iniziai a capirli.»

«Familiarità, vuoi dire?» Thorin si strofinò gli occhi «Pensi che sia questo ciò che è successo a Gimli e l'Elfo? Sono diventati amici perché sono stati obbligati a stare in compagnia l'uno dell'altro nella Missione?»

«Grande Telphor, no» disse Hrera, ridendo «Se fosse stato per quello avrei finito con lo sposare il mio lavoro. Voglio dire che col tempo iniziai a vedere al di sotto dei vostri sguardi di pietra e volti stoici e amore di tradizioni incomprensibili, e – francamente – orripilanti scelte in fatto di barba per riconoscere chi fossero davvero i Longobarbi. Tempo, Thorin.»

«Ma un Elfo?» disse Thorin, e scosse il capo senza speranza.

Hrera alzò gli occhi al cielo. «Ignorare i più anziani quando ti hanno appena raccontato una storia molto interessante è estremamente maleducato, akhûnîth. Ora, sii pratico per un momento e pensa con il tuo cervello, invece che con il tuo sottosviluppato senso di ingiustizia e storia. Il tuo ragazzo e l'Elfo prima o poi avrebbero riconosciuto i tratti positivi l'uno dell'altro, dato abbastanza tempo. Nessuno è così cieco» lei lo guardò di sottecchi «Anche se voi Longobarbi vivete per darmi torto.»

«Ah, ma grazie a voi, mia signora nonna, ho anche del sangue Vastifascio» disse lui, e lei incrociò le braccia.

«Allora non hai proprio scuse, sbaglio?»

«Cosa successe dopo?» chiese Thorin, interessato nonostante tutto.

«Cosa?»

«Con la corte, e te, e nonno»

«Oh, quello» Hrera sbadigliò, e si coprì la bocca «Scusami, è molto presto. Io finii col tirare dei fermagli di argento su cui stavo lavorando addosso a tuo nonno un giorno, e lo colpirono dritti in faccia. Il giorno dopo giunse a corte indossandoli» lei sorrise con affetto «Si intonavano molto bene col suo occhio nero.»

Thorin non riuscì nemmeno a trovare la forza di essere stupito per qualcos'altro.

«Troppe sorprese oggi» borbottò.

«Va tutto bene, va tutto bene» lo coccolò lei.

Hrera gli baciò la fronte, e poi lo spinse sul cuscino con un dito. «Dormi» disse fermamente «O siederò qui e ti parlerò di quando eri piccolo finché non lo farai.»

Lui chiuse gli occhi istantaneamente, e poi si accigliò quando udì la morbida risata di lei. «Sei una Nana tremendamente crudele, nonna» mugugnò.

Lei spense le candele con un soffio e si alzò. La sua mano rimase sulla fronte di Thorin per un momento. «Sì, caro. Lo so» disse gentilmente.

TBC...

Note:

Un sacco di dialogo preso dai capitoli “Lothlórien” e “Lo Specchio di Galadriel”.

Celebrimbor – Un Noldor, figlio di Curufin e nipote di Fëanor, il più grande fra i fabbri Elfici. Fu Celebrimbor a creare gli Anelli del Potere con l'aiuto di Sauron nel suo travestimento Annatar, Signore dei Doni. Celebrimbor creò i tre Anelli degli Elfi in segreto, e così Sauron non li toccò mai.

Aragorn e Arwen – I due si innamorarono a Lothlórien. Leggete le Appendici per l'intera storia d'amore iper-triste.

Doriath – Il grande regno dei Sindar su cui regnavano Elu Thingol e Melian la Maiar. Celeborn e Oropher (padre di Thranduil) vengono entrambi da questo regno. Quando Thingol chiese ai Nani di Nogrod di inserire il Silmaril in una collana (la Nauglamir), si rifiutarono di consegnare il loro lavoro. Quando Thingol cercò di prenderlo, lo uccisero e saccheggiarono il palazzo.

Per tre gemme e un giuramento di sangue – il Silmaril, e il giuramento dei Noldor che li portò all'esilio da parte dei Valar (esilio da Aman).

Nogrod (Khuzdul: Tumunzahar) – Regno dei Nani Barbafiamma nelle Montagne Azzurre, città sorella di Belegost, perduta durante la Guerra dell'Ira quando le montagne sprofondarono nel mare. Questi Nani furono i responsabili del sacco del Doriath e dell'assassino di Elu Thingol.

Monco – Beren Erchamion, l'amante mortale di Lúthien Tinúviel, l'Elfa più bella che sia mai vissuta. Lúthien era la figlia di Elu Thingol, Re del Doriath. Quando Thingol fu ucciso dai Nani di Nogrod, Beren diede la caccia e uccise i Barbafiamma responsabili e riprese la Nauglamir.

Nûlukhkhazâd – I Nanerottoli erano un popolo simile ai Nani, più piccoli dei loro cugini, erano meno socievoli eppure davano liberamente i loro veri nomi. Gli altri Nani li consideravano brutti e pigri, ed è possibile che essi siano stati Nani di varie case che erano stati esiliati per ragioni sconosciute. Quando gli Elfi li incontrarono per la prima la volta, pensarono fossero poco più che animali, e li cacciavano per sport. Alla fine della Prima Era, erano completamente estinti.

Telphor – uno dei Sette Padri dei Nani, primo antenato del clan Vastifasci.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedici ***


Incontra una Nana

Dís figlia di Frís

Un tempo Principessa di Erebor, ora Primo Consigliere del Re, Dís ha vissuto le stesse terribili perdite e sofferenza che indurirono tanto suo fratello maggiore, Thorin. Lei divenne molto severa e doverosa, e con gli anni piuttosto fredda. Inoltre, perse il suo Uno (Víli figlio di Vár) dopo solo vent'anni insieme, e quindi dovette crescere i suoi giovani figli Fíli e Kíli da sola. Istruita in storia e nell'arte di governare e non in guerra o tattica, Dís in origine era stata cresciuta per condurre una vita da politica. La caduta di Erebor interruppe quei piani e quindi lei divenne una gioielliera. Creò uno scandalo sposando Víli, un povero scalpellino di umili origini, il quale non era una scelta adatta per un'erede Reale secondo il Consiglio. La famiglia di Dís difendette la sua decisione, ma fu lei a mettere la parola fine alla questione quando decise di rinunciare al proprio posto nella successione per passarlo ai suoi figli. Dís non era rapida ad arrabbiarsi come gli uomini della sua famiglia, anche se aveva abbondanza della determinazione d'acciaio e della testardaggine della sua Linea. Dís ereditò gli occhi e i capelli scuri di Thráin. La sua arma preferita è la spada, anche se è in grado di usare l'arco con una certa abilità.

Dís aspettò di notanightlight


Thorin non si preoccupò di mangiare la mattina dopo. Si mise una tunica, vi aggiunse una cintura, si legò i capelli in una coda (non si ricordava nemmeno l'ultima volta che li aveva pettinati e oliati) e infilò i piedi negli stivali senza allacciarli. Fu solo dopo aver iniziato a camminare verso la porta che si accorse di essersi dimenticato di mettersi i pantaloni.

Una volta messo a posto il suo abbigliamento, andò direttamente al Gimlîn-zâram e ignorò tutti coloro che chiamavano il suo nome. Una delle voci sembrava quella di suo nonno, ma lui proseguì lo stesso. Le novità di ieri di Erebor potevano aspettare qualche altra ora.

La sua testa era leggera e confusa. Evidentemente non aveva dormito abbastanza un'altra volta. Lo ignorò e si sedette alla sua panca abituale, con la mano sinistra accanto alla sua gamba come sempre. Le sue dita avevano finito con l'indentare la liscia arenaria.

Col suono della mano di Gimli che atterrava nel palmo dell'Elfo nelle orecchie, si tuffò nella vasca ed emerse, tremante e accecato, a Granburrone.

La casa di Elrond aveva sempre fatto sentire Thorin risentito. Sapeva di non essersi comportato in maniera esemplare (e come lui nessuno dei suoi, con la possibile eccezione di Ori), e il ricordo lo faceva imbufalire invece che riempirlo di senso di colpa. Elrond stesso aveva aiutato la sua Compagnia, per quanto non lo desiderasse. Thorin avrebbe dovuto comportarsi in maniera migliore.

Ma il dannato Elfo era così arrogante!

Bilbo capiva gli Elfi. Bilbo avrebbe aiutato Thorin a capire. Bilbo. Dov'era Bilbo?

Si sforzò di vedere attraverso i raggi di dolce luce dorata che riempiva i sentieri graziosi dell'Ultima Casa Accogliente. Bilbo non era da nessuna parte, ma un'alta e magra ragazza-Elfo si stava muovendo velocemente tra le cupole estrose. Il suo abito blu le svolazzava dietro, e i suoi lunghi capelli neri erano sciolti. Il suo volto era meraviglioso, anche senza la barba, e i suoi occhi erano quasi al livello di quelli di Mizim. Aveva un piatto coperto fra le mani.

«Signor Bilbo?» disse piano, fermandosi davanti a una porta e bussando.

«A... perbacco! Oh cara, solo... aspetta un momento, per favore?» giunse l'anziana voce querula del suo Uno.

Infine la porta si aprì, e la testa bianca fece capolino. Bilbo aveva in mano un bastoncino, e i suoi capelli erano persino più sottili dell'ultima volta che Thorin lo aveva visto. «Oh, Lady Arwen» disse, e il suo volto si riempì di rughe quando sorrise, con delle fossette attorno agli occhi e alle labbra «Entra pure! Mi spiace tremendamente per l'attesa: le ginocchia non sono più come un tempo, capisci.»

La donna-Elfo sorrise, e Thorin fu sorpreso nel vedere affetto genuino nel suo viso. «Non c'è bisogno di scusarsi» disse con voce dolce «Ecco, ti ho portato le torte che volevi provare. Temo non siano le mie migliori.»

«Sarò io a giudicare, grazie tante!» disse Bilbo, guardandola divertito «Dopotutto, chi è lo Hobbit qui?»

«Non discuterei mai con te in fatto di cibo, mio idùzhib» mormorò Thorin. Poi guardò l'Elfa e si chiese se se ne sarebbe andata «Bilbo, ghivashel, tu capisci questi dannati Elfi. Devi aiutarmi, con la tua mente e le tue parole intelligenti. Gimli ha deciso di seguire questa follia, e io devo iniziare a capirli troppo tardi.»

Il vecchio Hobbit trotterellò fino a una piccola panchina e si sedette, mettendosi una coperta sulle ginocchia e guardando l'Elfa impazientemente. «Dunque? Non posso aspettare per sempre, sai! Assaggiamole!»

«Pazienza, Signor Bilbo!» disse lei, sorridendo «Vorresti del tè?»

«Oh certo, certo» disse lui, appoggiandosi in grembo le mani «Solo spero che tu non ti aspetti di vedermi di nuovo in piedi.»

Lei rise e si alzò, andando al lungo sottile sostegno appeso sopra al camino. Il sostegno era Elfico, ma il bollitore che vi era attaccato era decisamente Hobbit. Thorin pensò che quello che lui aveva creato era molto, molto migliore sia in forma e in funzionalità.

«Va tutto bene, Lady Arwen?» disse Bilbo, piegandosi in avanti sul tavolo e guardando il piatto di tortine che aveva portato «Non sorridi spesso quanto un tempo, se me lo lasci dire: penso questa sia la prima volta che ti ho sentito ridere in più di un mese.»

Lei si fermò mentre spostava il bollitore sul fuoco, e poi sospirò. «Mi preoccupo» disse.

«Ah» disse Bilbo, battendo le palpebre in comprensione «Oh, non dovresti preoccuparti, mia cara! Starà bene, vedrai. Lui è un grande guerriero, e più feroce di un – un – uno Hobbit!»

Lei sorrise ancora. «E poche cose a questo mondo sono più feroci di uno Hobbit, Signor Bilbo. Però, io non temo per la sua sicurezza quanto per il suo cuore. Potrebbe essere indeciso tra ciò che deve fare, e ciò che vuole fare.»

Le sopracciglia di Bilbo si alzarono. «Lo fa? Davvero? Beh, suppongo che si potrebbe dire così. Pensi che la Missione lo fare fuggire dal suo dovere?»

«No» disse lei immediatamente «Lui non ha mai dimenticato il suo dovere. Ma si nasconderebbe da se stesso e dal suo destino per sempre, se potesse. E lungo quella strada vi è solo oscurità e sofferenza per entrambi noi.»

Thorin guardò lo Hobbit e poi l'Elfa, aggrottando le sopracciglia.

«Perché?» chiese Bilbo, arrendendosi alla tentazione e prendendo una delle tortine dal piatto coperto «Perché rinuncerebbe al suo destino?»

«Ha paura» sospirò Arwen, e poi si voltò per guardare il bollitore sul fuoco «Teme la debolezza della sua Linea; di soccombere allo stesso male di Isildur.»

Il naso di Bilbo si arricciò, e poi ingoiò in fretta un boccone della torta in fretta. «Beh, è un sacco di sciocchezze e frottole, se mi permetti un vecchio detto del Decumano Nord» disse con aria di importanza, e Thorin non poté fare a meno di sorridere. Bilbo era sempre Bilbo, a dispetto di quanti anni potessero essere passati. «Aragorn è un buon uomo e un grande guerriero. Non è il suo antenato! Spero che tu lo abbia rassicurato.»

«L'ho fatto. Non credo mi abbia sentito»

«Ah, beh, nella mia esperienza, è abbastanza difficile che i Re ti ascoltino la prima volta che dici una cosa» disse Bilbo, annuendo e mordendo la sua torta.

Le sopracciglia di Thorin si alzarono, e poi lui borbottò: «Hobbit impertinente.»

Poi batté le palpebre. «Aspetta, Aragorn

Bilbo sbuffò. «Lascia che io ti dica un paio di cose sulle debolezze delle Linee e delle paure e dei Re e di tutto il resto, mia cara. Aragorn teme il suo lascito, ed è una buona cosa. È quando iniziano ad ignorare il brutto che viene con tutta la gloria che diventano pericolosi, e lui non è mai stato il tipo, o sbaglio?»

Arwen scosse il capo.

«Questa donna-Elfo – questa Arwen – è l'Undómiel di cui parla Aragorn?» disse Thorin meravigliato e confuso «Lui è un Uomo, e lei è un'Elfa... e aspetta un attimo, cosa intendi con ignorare il brutto? Che tipo? Creatura irritante, mi stai insultando implicitamente? Di nuovo?»

Bilbo si appoggiò contro lo schienale della sua panca e sospirò. «Si comporterà bene. Lady Arwen» disse, e la sua voce debole tremò «Meglio di... beh. Vedrai. Non cadrà in nessuna trappola messa giù dalle vecchie generazioni. Aragorn è stato un ramingo e un soldato, un uomo della gente, un uomo comune. Ha nascosto il suo nome e i suoi antenati a tutti. Lui non annuncia il suo potere. Lui non vuole essere Re. Quindi probabilmente ne diventerà uno fantastico.»

Thorin si sedette pesantemente accanto al suo Hobbit, con la testa che gli girava. «Bilbo. Hai sempre pensato così?»

Bilbo sospirò ancora e le sue dita spezzettarono distrattamente la tortina. «Io... io non voglio insultare nessuno. Solo è così che la vedo io.»

«Vedi molto, mio Uno» disse Thorin, col cuore che gli affondava negli stivali.

«Come sai tutto questo, Signor Bilbo?» disse Arwen, distogliendo lo sguardo dal fuoco «Io ho visto molte vite degli alberi passare, eppure so meno in fatto di Re e delle loro paure di te.»

Gli occhi di Bilbo si abbassarono. «Conobbi un Re» borbottò «Tre, a dire il vero!»

«Un Re dei Nani» disse lei, togliendo il bollitore dal fuoco e portandolo alla teiera «Un Re degli Uomini, e un Re degli Elfi.»

«Sì, esatto» disse lui, e morse la sua tortina per non dover rispondere.

Arwen ovviamente conosceva questa tattica, quindi fece il tè mentre Bilbo finiva di masticare. Poi lui non poté più fingere di mangiare, e quindi lei lo guardò impazientemente. «Si sono confidati con te?»

«Con me!» Bilbo rise, anche se era un po' forzato «Se pensi che Re Thranduil avesse mai avuto qualcosa di personale da dirmi, mi verrebbe da chiedermi se tu non sia stata in giro a tra-la-la-la-lare un po' troppo.»

«Signor Bilbo» disse lei gentilmente, e mise la sua mano sottile sul braccio di lui. Lui la guardò, e poi i suoi occhi divennero lucidi, pieni di vecchi, vecchi rimpianti.

«Penso che lui si fosse affezionato a me, sì» disse dopo una pausa «Noi due non abbiamo avuto il più... amichevole degli inizi, possiamo dire? In ogni caso, infine arrivammo a una sorta di amicizia. Io non ero un Nano, quindi suppongo di essere stato un confidente sicuro. Mi parlò della gloria della sua casa e della sua gente, di come doveva salvarle. Parlò delle meraviglie che avrebbe costruito. Voleva così tanto per loro. Voleva disperatamente reclamare la sua eredità e il suo diritto di nascita.»

«Lo volevo» disse Thorin «Sì, lo volevo.»

«Fu solo in seguito che io scoprii che l'orgoglio nell'eredità di famiglia può fare più male che bene» disse Bilbo pesantemente, con la vecchia voce che si spezzava attorno alle parole «Troppo tardi.»

Thorin deglutì a fatica e cercò di ricordare le parole di sua madre. Il suo senso di colpa non aiutava nessuno. Avrebbe dovuto ricordare il buono che aveva fatto in vita oltre al male.

«Però, non era senza ragione quell'orgoglio» continuò Bilbo, i suoi occhi vacui, che guardavano ottant'anni nel passato. C'era una certa nostalgia piena di rimpianto nel suo volto. «Era un Nano tanto potente e determinato, maestoso e tenace. Amava così tanto il suo popolo; li amava con la forza di una tempesta di fuoco, luminosa e potente e devastante. Essere sotto la sua protezione e nelle sue grazie era come essere alti un milione di piedi e cavalcare i venti di quella tempesta.»

«Adulatore» disse Thorin, sorridendo «Tu e la tua lingua argentina, Scassinatore.»

Bilbo ridacchiò. «Oh bontà mia, aveva un tale caratteraccio. Poteva scattare come una delle tartarughe nel Fiume Brandivino quando era nervoso, ed era quasi sempre nervoso! E come una tartaruga, aveva un guscio quasi impossibile da attraversare. Aveva dovuto soffrire tanto, ed era talmente triste a volte, ma nulla lo fermava. Niente avrebbe mai potuto fermarlo, niente. Era implacabile come la marea. Non dimenticava mai, e non perdonava mai» Bilbo fece un lungo, silenzioso sospiro, e il suo petto si sgonfiò «Però. Il suo sorriso era così raro, ed era ancora più meraviglioso per la sua rarità. Oh, e quella voce splendida. Mi piacerebbe che tu avessi potuto udirlo cantare. Avrebbe potuto convincere persino i morti a seguirlo.»

Le dita di Arwen si strinsero sul braccio di lui. «Bilbo» disse «Conosco quello sguardo. Lo vedo allo specchio ogni mattino.»

«Non devi ricordarmelo, grazie tante» Bilbo tirò su col naso «In ogni caso, amava il suo popolo; Aragorn ama il suo popolo. Amava la sua terra d'origine; Aragorn ama la sua terra d'origine. Erebor era stata conquistata da un drago. Gondor è assediata da Mordor. Lui era orgoglioso e forte e potente, discendente da una lunga e nobile linea. Anche Aragorn è orgoglioso, forte e potente e discende da una lunga e nobile linea. La differenza è, Aragorn conosce le proprie debolezze, e Thorin avrebbe mangiato carboni ardenti piuttosto che ammettere le proprie.»

Udire il suo nome d'uso nella bocca di Bilbo dopo tanto fu come un pugno allo stomaco.

«Ora le conosco, Bilbo, mio adorato» disse con labbra intorpidite «Come non potrei, quando mi sono costate tutto? Ti mostrerei ciò che ho imparato, come sono cambiato, âzyungel. Te le reciterei tutte se solo ciò ti rendesse felice.»

«Temo che lui non riesca mai a trovare la grandezza dentro di sé» disse Arwen, e abbassò il capo; il suo collo si arcuò, in una curva forte come l'acciaio e graziosa e delicata al tempo stesso «Temo che soffocherà per sempre la sua vera essenza.»

«Non tutto quel ch'è oro brilla» mormorò Bilbo, e la sua espressione divenne lontana e malinconica «L'ho scritta io, sai, per il Dúnedan. Una delle mie migliori, direi.»

«Io non l'ho mai udita» disse Thorin, e alzò una mano per tracciare le linee che si intrecciavano attorno agli occhi luminosi di Bilbo «La reciteresti per me?»

«L'ho udita» disse Arwen, e alzò la testa scura. Tutta la sua preoccupazione e la sua paura erano sul suo bellissimo volto. «Non parla né di oscurità, né di distruzione, e dice che tutte le nostre speranze si avvereranno. Mi conforterebbe. Potresti?»

«Se vuoi» disse Bilbo, e si schiarì la gola:

All that is gold does not glitter,
Not all those who wander are lost;
The old that is strong does not wither,
Deep roots are not reached by the frost.

From the ashes a fire shall be woken,
A light from the shadows shall spring;
Renewed shall be blade that was broken,
The crownless again shall be king. [Traduzione]

«Né gli erranti sono perduti» ripeté Thorin, e chinò il capo. Così tanti errori, così tanti rimpianti. «Bilbo Baggins, come vorrei...»

«Non pensi ad Aragorn quando parli» disse Arwen «I tuoi occhi, Mastro Periannath. Essi non guardano al presente.»

«Potrebbe essere intesa per un altro, suppongo» concesse Bilbo, e poi prese un sorso del suo tè per nascondere il volto «Vorrei...»

«Tu lo amasti» disse Arwen piano.

«Gli Hobbit non approvano questo genere di cose» disse Bilbo bruscamente, con la faccia ancora nella tazza «E ti ho detto che non c'è bisogno che tu me lo ricordi.»

«Mi amasti» disse Thorin, con la riverenza di una preghiera. Lui aveva saputo – saputo per molti lunghi anni – ma udirlo, vederlo nel volto di Bilbo... Le sue costole si serrarono senza pietà intorno al suo cuore, e il suo stomaco si strinse. «Bilbo, mio Uno, mia piccola brillante anima coraggiosa. Tu mi amasti davvero.»

Bilbo non rispose a parole, ma annuì una sola volta. Poi si spinse il resto della torta in bocca e non parlò più.

Thorin chiuse gli occhi.


Afferrando Frerin per il polso, Thorin scattò attraverso i corridoi delle Sale di Mahal verso la Camera di Sansûkhul. «Thorin, cosa-» esclamò Frerin, trascinandosi dietro di lui.

«Vieni con me» ringhiò Thorin.

«Beh, non è che io abbia molta scelta al momento, o sbaglio? Vorresti dirmi qual'è il problema?»

«Vedrai» disse cupamente. Il suo stomaco si stava ancora rivoltando dopo la visita mattutina a Bilbo. Un pasto era fuori questione.

«Potresti almeno metterci meno forza? Penso di star perdendo la circolazione alla mano...»

Thorin lasciò Frerin e continuò di gran passo verso la Camera. Frerin si massaggiò il polso per qualche secondo, prima di correre per raggiungerlo. «Va bene, allora è qualcosa di brutto. Qualcosa di brutto è successo. Molto brutto. Stiamo parlando di brutto al livello di Smaug? Brutto al livello di Azanulbizar

«No» disse Thorin, e il suo umore nero migliorò un pochino «No, nulla di così tremendo.»

«Ma brutto comunque» disse Frerin. Le sue trecce erano in disordine dopo il ridicolo viaggio per le Sale.

«Sì» disse Thorin cupamente «È brutto comunque.»

«Aspetta, erano a Lothlórien, giusto?»

«Corretto. Sono ancora a Lothlórien»

«Allora – Elfi?»

«I tuoi poteri di deduzione non smettono mai di stupirmi» grugnì Thorin.

«Cattivo, fratello. Ti hanno mai detto che diventi crudele quando sei preoccupato?»

Thorin si fermò e si girò verso Frerin, fulminandolo con lo sguardo. «No, mai.»

Frerin alzò gli occhi al cielo, senza essere minimamente intimidito. «Oh giusto – Re e tutto il resto. Beh, diventi molto cattivo, se vuoi saperlo.»

Thorin mise un dito contro il petto di Frerin e aprì la bocca per replicare, quando un ricordo lo colpì con tanta forza da farlo quasi barcollare. È stato perduto dal momento in cui ha lasciato casa sua. Non avrebbe mai dovuto venire. Non ha alcun posto fra di noi.

Abbassò la mano. «Sì, suppongo tu abbia ragione» borbottò «Forse è una mia debolezza.»

«Davvero?» Frerin sbatté le palpebre. Poi si raddrizzò. «Giusto. Sì, certo che ho ragione.»

Girandosi di nuovo verso la Camera, Thorin sbuffò. «Non abituartici troppo, fratello.»

«Ma avevo ragione! Non puoi negarlo ora!» urlò Frerin, e poi iniziò a camminare accanto a Thorin «Quindi per cosa stai ringhiando e sbuffando stavolta?»

La rabbia iniziò a ribollire sotto la sua pelle, ma Thorin la tenne a freno. «Gimli» disse, e poi strinse la mascella.

Frerin fece un suono maleducato. «Beh, certo che è Gimli. Cos'ha fatto?»

Thorin lo guardò con sospetto. «Hai parlato con Nonna?»

«No, dovrei?» Frerin sembrava davvero confuso «Sei molto riservato in questo momento, nadad.»

«Ho i miei motivi» Thorin spinse Frerin attraverso l'arco in diamante e perla della Camera, e poi strinse suo fratello minore a sé mentre si sedevano sulla panca che era oramai di Thorin e di nessun altro «Vieni, te lo mostrerò.»

«Smettila di tirarmi il braccio» disse Frerin cocciutamente quando le stelle iniziarono la loro lenta danza ipnotizzante sotto alla superficie dell'acqua scura. Sembravano quasi uscire dalle profondità per venire a lampeggiare davanti agli occhi degli osservatori, aumentando la loro luminosità prima di inghiottirli.

Furono trascinati nella luce e rilasciati in un'altra calda radura illuminata dal sole. Frerin si guardò attorno e le sue spalle si rilassarono. «Beh, non sembra pericoloso.»

«Lo dici ora» disse Thorin con tono cupo, prima di sentire delle voci che si avvicinavano.

«...si era talmente offeso! Avresti dovuto vedere la sua faccia.»

«Non riesco a credere alla tua audacia. Hai davvero inciso un simile messaggio sul picco di Erebor?»

«Aye, ed è ancora lì. Lóni si metteva sempre a borbottare tutte le volte che qualcuno ne parlava»

Era una strana coppia da veder entrare nella radura. Legolas era alto e bello e vestito in verde e argento, i suoi piedi quasi non facevano un suono mentre lui si muoveva nell'erba lussureggiante. I suoi capelli pallidi erano sciolti e non portava il suo arco né i suoi coltelli. I capelli infuocati di Gimli erano adornati senza molta cura dalle sue perline e fermagli d'oro, ma la sua barba era stata nuovamente legata nelle sue trecce da viaggio. Dei ciuffi sfuggivano alle trecce dove aveva tagliato le ciocche. Lui camminava con passo pesante per la radura con la sua tunica senza maniche rossa e blu, e le sue braccia poderose, spesse quanto le cosce dell'Elfo, erano per una volta spoglie dell'armatura.

Gimli aveva perso peso durante il viaggio, notò Thorin, anche se aveva guadagnato persino più muscoli. Le privazioni del viaggio e le battaglie iniziavano a farsi vedere.

«Questo sembra un buon punto per una fumata» disse Gimli, guardando i torreggianti mellyrn con un piccolo sorriso. Legolas fece una smorfia.

«Non so come tu faccia a sopportare l'odore di quella cosa»

«Ci si fa l'abitudine, te lo garantisco» rise Gimli «Ma anche gli Hobbit e Aragorn fumano quindi tu non puoi lamentarti della testardaggine dei Nani stavolta.»

«Oh, tu credi?» scherzò Legolas, e poi saltò un tronco caduto ed iniziò a camminarvi sopra con la facilità con cui un ragno cammina sulla ragnatela.

Gimli si sedette su un'estremità del tronco e iniziò a preparare la sua pipa. «Beh, magari potrai raccontarmi tu qualcosa di te mentre io fumo. Il Sire Celeborn è tuo congiunto, hai detto?»

L'espressione allegra di Legolas divenne solenne. «Sì. Anche lui era del Doriath.»

Gimli si congelò, con la pipa a metà strada verso la bocca. «Oh.»

Un silenzio nervoso discese sulla radura, e poi Legolas sospirò. «Finiremo sempre con il trovare argomenti dolorosi, o no?»

Gimli abbassò la pipa, e poi annuì. «Probabilmente. Però, finché siamo onesti...»

«Devi dirmi se ti offendo» disse Legolas impazientemente.

«Aye, e viceversa» anche Gimli sospirò, e poi si accese la pipa con uno sguardo truce «Quest'amicizia non sarà sempre semplice, Legolas.»

«Amicizia?!» disse Frerin, rimanendo a bocca aperta.

«Ecco cosa volevo farti vedere» disse Thorin, contraendo e rilassando la mascella e con il respiro veloce.

Frerin si voltò verso di lui con stupore e meraviglia negli occhi. «Ma questo... questa è una buona cosa, giusto? Elfo e Nano, amici di nuovo dopo tanti lunghi secoli.»

«Sei ingenuo» esclamò Thorin «Una buona cosa, dici?»

«Beh, non riesco a vederne il lato negativo» disse Frerin e alzò il mento «E Gimli non è un Nano privo di importanza. Lui è il figlio di un Signore, e questo Elfo è il Principe del Reame Boscoso – Thorin, questo potrebbe cambiare tutto!»

La nostra giovane stella infuocata ha una parte da fare in questo. È solo un Nano, e però io sento che sta per fare qualcosa che cambierà il Khazâd per sempre.

Le parole di Mahal ritornarono alla mente di Thorin, e lui ingoiò la propria risposta, guardando l'improbabile coppia con sospetto e preoccupazione. «Sai cosa succede quando agli Elfi non servono più i Nani» borbottò «Non durerà.»

«Cinico» ribatté Frerin «Pensavo ti fidassi di più di Gimli.»

«Io ho fiducia in Gimli» ringhiò Thorin «È l'Elfo quello di cui non mi posso fidare.»

«Sì, sì, è un Elfo, è il figlio di Thranduil, conosco la solfa» disse Frerin distrattamente, e si voltò nuovamente a guardare i due.

«Nell'interesse dell'onestà» disse Legolas, ogni sillaba detta con riluttanza «Io credo di doverti dire qualcosa. Non ti piacerà.»

Gimli lo guardò, con i capelli che gli ricadevano su una spalla spoglia e robusta. I suoi tatuaggi di maggiore età erano molto scuri contro la pelle chiara della spalla che così raramente vedeva la luce. «Dovrei preparami?» disse asciutto.

Legolas fece una smorfia. «Forse. Ma ti prego, non prendere le tue asce!»

«Ora sono davvero preoccupato» disse Gimli, e respirò profondamente dalla sua pipa «Beh, dimmelo ragazzo, prima di esplodere.»

«Facevo parte delle guardie che catturarono la Compagnia di Thorin Scudodiquercia ottant'anni fa» disse Legolas d'un fiato «Ero il capo.»

Gimli batté le palpebre. «Per qualche motivo, non era questo che mi aspettavo» disse «Quindi, hai catturato la banda di mio padre?»

Legolas annuì, il suo volto tirato.

«Oh, piantala di fissarmi così, non sto prendendo le mie asce» disse Gimli «No, non ne sono felice, ma cosa posso farci ora?»

Legolas si rilassò.

«Siediti, Elfo» ordinò Gimli, e prese un'altra boccata dalla pipa prima di guardare Legolas seriamente «Se dobbiamo essere onesti, non possiamo ignorare questi fatti dolorosi. Sono accaduti, e non li possiamo negare. Tu hai catturato mio padre e i suoi compagni e gli hai ingiustamente imprigionati. Beh, eccoci qua. Lo sapevo già, solo non sapevo che eri stato tu.»

«Ho puntato una freccia contro il tuo Re e ho fatto minacce verso la sua vita» disse Legolas, e sospirò ancora «Ho preso un ciondolo da tuo padre.»

Gimli alzò un sopracciglio. «Hai preso il ciondolo di 'adad? Non mi sorprende che non sia il tuo più grande ammiratore. Beh, suppongo di aver parlato troppo presto mentre chiacchieravo con Mastro Frodo settimane or sono. C'è uno nel nostro gruppo che mi ha visto con la barba cresciuta a metà. Ti è piaciuto il mio ritratto?»

Legolas sobbalzò. «Quello – ma certo, quello eri tu!»

Gimli ridacchiò. «Aye, chi altro? Avrò avuto, oh, forse vent'anni in quell'immagine.»

«Ho insultato tua madre» disse Legolas, e si coprì il volto mentre le punte delle sue orecchie si arrossavano.

«Canaglia!» Gimli si raddrizzò «Hai insultato mia madre? Cos'hai detto, nel nome di Durin?»

«Io... potrei aver insinuato che fosse brutta» disse Legolas, il suono soffocato dai suoi palmi.

Gimli batté le palpebre, e poi tirò indietro la testa e ruggì dalle risate.

La testa di Legolas emerse dalle sue mani, e sembrava vagamente offeso. «Perché ridi? Ti sto dicendo che ho insultato tua madre!»

«E fu un insulto ridicolo» disse Gimli, asciugandosi gli occhi «Ragazzo, mia madre è famosa per la sua bellezza.»

La bocca di Legolas si aprì leggermente, e poi anche lui iniziò a ridere. «Vedo di essermi reso un idiota» disse allegramente.

«Aye, beh» disse Gimli, e scosse il capo «Meglio essere un idiota e saperlo che continuare a esserlo senza rendersene conto. Sai, mia sorella assomiglia incredibilmente a mia madre quando era giovane, anche se i suoi capelli sono dello stesso colore dei miei e di 'adad. Sono meravigliosi a vedersi. Non li slega in genere, perché quando lo fa gli arrivano fin sotto alle ginocchia.»

Legolas sorrise, e i suoi occhi brillavano per la gratitudine verso il rapido perdono e il cambio di argomento. «Gli Elfi amano i capelli lunghi. Usiamo capelli Elfici per i nostri archi, sai.»

«Non ci credo!» Gimli si piegò in avanti «Non si rompono?»

«No, no» disse Legolas «Sono più resistenti di quanto sembrino, e leggeri e sottili. Di che colore sono i capelli di tuo nipote?»

«Ah! Quel piccolo monello li ha di un rosso più scuro del mio, con li occhi marrone chiaro di suo padre. Il mio piccolo selvatico guerriero! Mi chiedo quanto sia alto ormai?»

«Quanto ci vuole perché un Nano raggiunga l'età adulta?» chiese Legolas, e si avvolse le braccia attorno alle ginocchia.

«Oh, raggiungiamo la maggior età a settant'anni. È allora che mi sono fatto questi» disse Gimli, e si colpì la spalla con la pipa. Non fu infastidito dalla temperatura, dato che era da lungo tempo abituato al tremendo calore dei forni raffinatori del ferro.

«Non ho mai visto tanti tatuaggi prima» disse Legolas, e guardò curiosamente i simboli e disegni neri che decoravano le enormi spalle di Gimli «Cosa succede se cambi idea?»

Gimli ridacchiò. «Beh, ormai ce li hai, no? È il motivo per cui dobbiamo ridisegnarli con inchiostro ferrogallico ogni giorno per un mese prima che siano permanenti. Così abbiamo molto tempo per cambiare idea. Il tuo popolo non usa simboli simili, o sbaglio?»

«No. Alcuni Elfi usano delle pitture, ma io le metto raramente» Legolas guardò Gimli per chiedere permesso, e quando lo vide annuire tocco il tatuaggio con un dito «Ha fatto male?»

«Non è stato come una birra, una pipata e una canzone allegra, no» disse Gimli secco.

«Hai dei marchi di lutto?»

«Tre» Gimli abbassò gli occhi, e Legolas si ritrasse prima di andare delicatamente avanti con il suo interrogatorio.

«Dunque, questi sono per la tua maggiore età. Eri già completamente cresciuto fisicamente allora?»

«Aye, quasi. Un pochino meno alto e robusto di ora, e di certo non così forte. Diventiamo più robusti man mano che invecchiamo, vedi. Però, tutti sono diversi. Io ho raggiunto la mia altezza più tardi di molti Longobarbi. Mio cugino Piccolo Thorin ha solo trentasette anni, ed è già alto quasi quanto suo padre Dwalin»

«Temo bisognerà modificare il nome allora» disse Legolas, sorridendo.

«A Balin e Óin verrà un colpo, e Padre andrà in combustione spontanea» sussurrò Frerin, fissando Gimli con orrore.

Thorin non rispose. Si stava tenendo la testa fra le mani.

La risata di Gimli era allegra e rilassata. «Ah, ormai non riuscirà mai a levarselo, povero ragazzo, non dopo tutti questi anni. È stato chiamato come il Re di cui parlavi, sai. Anche Dwalin era della Compagnia.»

«Era quello con i capelli biondi e le trecce nei baffi?»

Il respiro di Gimli si mozzò udendolo. «No. Quello era Fíli. Dwalin è molto più alto, con la testa calva e dei tatuaggi sulle tempie e sulle nocche.»

«Oh, quello» disse Legolas e scosse la testa «Ci ha causato problemi a non finire.»

«Forse dovrei dirglielo. Gli farebbe molto piacere»

Legolas sorrise ancora, e poi guardò Gimli. «Quello biondo, Fíli – era uno di coloro che sono morti. Uno dei cugini di cui mi hai parlato. Merry te lo ricorda.»

«Esattamente» disse Gimli, e prese una boccata dalla pipa.

«Suo fratello... quello giovane con un enorme ghigno...»

«Kíli»

«Kíli. Lui e la mia amica Tauriel sembravano andare d'accordo» gli occhi di Legolas divennero lontani «All'epoca pensai che fosse impazzita.»

«Erano molto giovani» disse Gimli, e diede dei colpetti con la pipa contro il suo stivale «Davvero molto giovani. Kíli aveva solo settantasette anni, e Fíli solo cinque di più. Ora mi sembra strano pensarci. Ho quasi il doppio degli anni di Kíli quando morì, eppure mi sentirò per sempre il giovane e stupido Nano che li tallonava nella povertà di Ered Luin. Chi è Tauriel?»

Gli occhi di Legolas si indurirono. «Era.»

«Oh, per il dannato martello di Mahal, mi dispiace ragazzo. Il mio turno di mettermi un piede in bocca. È andata, dunque?»

«Sì. Morì dopo la Battaglia delle Cinque Armate» disse Legolas, e la sua testa ricadde indietro «Mio padre le era affezionato, e la crebbe insieme a me. I miei fratelli maggiori la chiamavano la nostra pîn gwathel, o sorellina. Era una gran combattente, e a differenza della maggioranza degli Elfi dei boschi i suoi capelli erano rossi quasi quanto i tuoi» fece una pausa «Fu Tauriel a credere che la lotta e le difficoltà dei Nani fossero anche nostre. A mio padre non fece piacere spezzare il nostro lungo isolamento.»

«Lo spezzò abbastanza volentieri per la Gente del Lago, soprattutto quando ci fu dell'oro da guadagnare dopo le nostre morti» borbottò Thorin. Frerin lo azzittì.

«Basta, Thorin» disse «Hai masticato quelle ossa particolarmente vecchie fino a renderle lucide e sottili come un filo. Lascia perdere, sì?»

«Mai» ringhiò Thorin, e guardò male il figlio di Thranduil.

«Sei un tale raggio di sole, fratellone» borbottò Frerin «Dai la colpa a te stesso, dai la colpa agli Elfi, dai la colpa agli Uomini, dai la colpa al destino, ma per Mahal non osare provare ad andare avanti.»

Thorin lo ignorò e si voltò di nuovo verso Gimli. Il Nano più giovane si era appoggiato con la schiena al tronco dopo aver rimesso la pipa nel giustacuore, e stava guardando il cielo dolorosamente blu con occhi meravigliati e sereni.

«Meraviglioso» disse piano «Non avrei mai pensato di poter provare una tale pace in una terra di Elfi.»

«Il potere della Dama mantiene tutta la Lothlórien al sicuro» disse Legolas «Forse è questo ciò che percepisci.»

«Non ne dubito, cugino» giunse la bassa, pura voce della Dama in persona. Galadriel entrò nella radura camminando scalza, il suo vestito passava leggero sui fili d'erba dietro di lei. «Perché Gimli figlio di Glóin percepisce molte cose, sia visibili che invisibili.»

Sia Legolas che Gimli scattarono in piedi. «Híril nín» disse Legolas, inchinandosi profondamente. Gimli guardò nei suoi occhi luminosi, col cuore sul volto.

«Mia signora» disse, e poi abbassò il capo in segno di totale rispetto.

«Alzatevi» disse lei, e la sua mano si poggiò delicatamente sui capelli di Gimli, alzando nuovamente il suo volto verso il proprio. Lui deglutì, e un altro ciuffo gli scappò dalle trecce. «Ah, hai pianto, vedo. Non lasciate che i vostri cuori rimangano troppo a lungo nell'oscurità. Non è bene passare troppo tempo con i morti.»

«Aye» disse Gimli con voce debole.

«Sta per svenire?» sussurrò Frerin «E chi è la nuova Elfa?»

«Quella è la Dama del Bosco Dorato» sussurrò Thorin di rimando. A Frerin quasi sfuggì un'imprecazione, e iniziò a mordersi il labbro.

«Beh. Non è esattamente come la descrivono le vecchie storie»

Fu il turno di Thorin di azzittire suo fratello.

«Tolo» disse Galadriel, e poi indicò entrambi «Ti ho cercato, Gimli, poiché c'è qualcosa che percepisco, qualcosa che desidero sapere. Tuttavia non desidero darti l'impressione di voler conoscere tutti i segreti dei Nani. Dimmi, figlio di Durin, vorresti guardare nel mio specchio?»

«Uno specchio?» Gimli sembrava perplesso e si voltò verso le Legolas con la confusione scritta sul volto.

Il volto di Legolas era diventato neutro e freddo. Thorin stava iniziando a riconoscere l'espressione come un'indicazione di stupore e non come segno di assenza di emozioni. «Vorreste che lui guardasse, mia signora?»

«Se lo desidera, Legolas Verdefoglia» disse lei senza voltarsi indietro. I suoi piedi a malapena schiacciavano l'erba mentre camminava. A malapena sembrava un essere terreno: piuttosto un antico spirito fatato venuto per incantarli. «Non è lontano.»

«Cosa vuol dire tutto ciò?» sibilò Gimli, e Legolas gli lanciò un'occhiata di avvertimento e iniziò a seguire la Dama lungo i sentieri sinuosi tra le enormi forme di alberi d'argento. Gimli giocherellò con le dita per un attimo, prima di fare un suono d'arresa e correre dietro di loro.

«Che specchio?» chiese Frerin.

«Qualche stregoneria Elfica, senza dubbio» disse Thorin, e si avvicinò a Gimli «Questa Dama può testare gli altri solo col suo sguardo. Può misurare le speranze e i sogni dei loro cuori. Non mi fido fido lei.»

«Gimli sì» gli fece notare Frerin.

«Gimli sparge in giro segreti più in fretta di quanto un ubriaco non sparga in giro la birra» ringhiò Thorin «È un Nano molto più aperto di me.»

«Oh, mi stupisci, fratello» disse Frerin asciutto.

Galadriel li guidò fino a un piccolo spazio tra i grandi alberi, dove dei gradini erano stati creati dalle radici e da lastre di roccia grigio chiaro. Nel mezzo della radura c'era un piedistallo, e su di esso una grande bacinella d'argento. Dell'acqua scorreva con un gorgoglio allegro verso una piccola pozza all'angolo opposto della radura.

«Questo è lo Specchio di Galadriel» disse lei, e poi prese un'otre d'argento e la riempì con l'acqua del ruscello «Non so dirti cosa vedrai, perché lo Specchio mostra ciò che esso desidera.»

«Beh, se mi perdonate, Dama, non è di grande aiuto» disse Gimli, piantando i piedi a larghezza spalle e guardandola dal basso. Era così chiaramente Nanico in quella posizione, con le braccia dai grandi muscoli coperti di tatuaggi e i capelli selvaggi e la lunga barba. Faceva venir voglia a Thorin di esultare.

«Ecco un Nano come si deve» disse Frerin con approvazione «Non l'ho visto far girare la sua ascia in più di trent'anni, sai.»

«Allora ti aspetta un gran bello spettacolo» disse Thorin, guardando con orgoglio la sua stella «È il combattente con l'ascia migliore che io abbia mai visto.»

Galadriel sorrise. «Lo Specchio può mostrare ciò che è stato, ciò che è e ciò che deve ancora essere. Guarderai?»

Gimli esitò. «Perché io, Signora?»

«Perché tu sei circondato da voci, Gimli di Erebor» disse lei cripticamente «Ma deve essere una tua scelta.»

Gimli spostò lo sguardo da lei a Legolas, e poi alzò il mento. «Aye. Guarderò allora. Senza dubbio non vedrò altro che gli alberi e il cielo, ma non può far male provare, eh?»

Lei rise. «No, non farà male» versò l'acqua dall'otre nella bacinella in una lunga, liscia cascata. L'acqua sembrava quasi una splendente striscia d'argento. «Non toccare l'acqua» mormorò lei facendo un passo indietro.

Gimli deglutì di nuovo, e poi andò accanto al piedistallo. «Un po' alto, questo» mugugnò. Si voltò, accigliato, e trovando una roccia adatta la spostò accanto al piedistallo per salirvi sopra.

«Riesci a vedere ora, mellon nín?» disse Legolas.

«Aye, riesco... cosa, aspetta? Quelle sono le Ered Luin! Anzi, lì è mio padre, e i suoi capelli non sono ancora diventati bianchi!»

Il battito di Thorin iniziò a martellare. «Vede il passato?»

«Óin, Balin, Lóni, Náli, Ori, Frár... oh, amici miei, amici miei!» singhiozzò Gimli «Oh, perché mi mostri ciò?»

«Deve vedere il passato» disse Frerin, aggrottando le sopracciglia.

«Aspetta... la scena è cambiata» disse Gimli, respirando a fatica «Perché sono su una barca? I Nani non salgono sulle barche. Mi verrà il mal di mare, senza dubbio. Ora, quel tunnel... non mi piace l'aspetto di quel tunnel. Non l'ho mai visto prima, eppure mi fa gelare sino al midollo!»

«Che tunnel? Che barba?» Frerin si premette una mano sulla testa «Cosa succederà a Gimli?»

«Legolas, sei in questo Specchio! Cavalchi un cavallo grigio -aspetta, io cavalco dietro di te! Ugh, non è che proprio non veda l'ora di farlo. Non mi piace cavalcare. Chi è quell'Uomo? Ah, questo Specchio salta da un'immagine a un'altra come una rana su una roccia calda!»

«Non so» disse Thorin, con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie «Una nave, un cavallo, l'Elfo, un tunnel, un Uomo... non ci capisco nulla.»

Improvvisamente Gimli ruggì: «Erebor! No, no – Erebor è sotto assedio! Erebor è in guerra! Un'enorme esercito di Orchi si accalca sui suoi versanti!»

«Sii calmo» disse piano Galadriel «Potrebbe non accadere.»

«No, oh no» sussurrò Gimli, i suoi occhi spaventati. Poi si raddrizzò quando presumibilmente la scena cambiò nuovamente. «Un albero? Un albero morto. Devo chiedere all'Elfo degli alberi morti. Ora, cos'è questo...?»

Improvvisamente Thorin sentì qualcosa che lo tirava nello sterno, una piccola ma insistente spinta che divenne un forte strattone.

«No, non può essere» disse Gimli incredulo, e poi guardò dritto negli occhi di Thorin «Thorin Scudodiquercia.»

«Ah» mormorò la Dama «Dunque è questo ciò che ho percepito.»

«Non capisco» disse Thorin, e la sua voce era a malapena un sussurro «Gimli – puoi vedermi? In questo Specchio Elfico?»

«Voi siete Thorin figlio di Thráin, detto Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna» disse Gimli, e in qualche modo stava ancora guardando Thorin dritto negli occhi, dopo ottant'anni di essere ignorato e guardato attraverso, avere la sua stella che lo guardava negli occhi era incredibile, un terremoto nel suo cuore. Era Thorin nello specchio? Gimli lo vedeva davvero?

«Non vi ho mai visto da quando ero piccolo, e siete morto da molti anni, Signore» disse Gimli con rispetto, aggrottando le sopracciglia «Eppure siete l'unico fra tutte le immagini a parlarmi.»

«Aye, sono morto» ansimò Thorin, trafitto da quegli occhi che finalmente – finalmente – incrociavano i suoi, e senza un suo comando razionale la sua mano si alzò per andare a toccare i capelli di Gimli.

Vi passò attraverso, e abbassò la mano con un'imprecazione angosciata. Però, avrebbe sfruttato al massimo l'opportunità. Aveva imparato. Non avrebbe ripetuto gli errori della sua vita e lasciato parole importanti non dette.

«Gimli» disse, basso e fervente «abbiamo lasciato Arda, ma non siamo andati del tutto. Ti ho osservato dalla mia caduta, cugino, e la tua forza e il tuo fuoco e la tua risata mi hanno salvato dallo scomparire nell'abbraccio oscuro di senso di colpa e disperazione. Sei amato, mia infuocata stella» strinse la mascella e si obbligò a tenere gli occhi fissi su quelli di Gimli, scuri e profondi e pieni di vita «Sono orgoglioso di te, mio campione» fece un profondo tremante respiro, e il suo tono di voce scese fino ad essere quasi un sussurro. «Ursuruh inùdoy kurdulu.»

Gli occhi di Gimli si spalancarono, e lo strano incantesimo svanì.

«Cos'hai visto?» chiese Legolas con ansia «Stai bene?»

«Sto abbastanza bene» disse Gimli, battendo le palpebre confuso «Dammi un momento!»

«Thorin?» disse Frerin, con voce preoccupata, e per un breve confuso istante Thorin non seppe più dov'era o anche solo da che parte erano l'alto e il basso. Poi una mano si appoggiò sulla sua spalla e Frerin lo stava tirando a sé. «Thorin! Hai lampeggiato. Mai visto niente... stai bene?»

«Sono morto» biascicò Thorin, con la testa che girava. I suoi occhi persero fuoco. «Definisci “star bene”.»

Infine Gimli alzò la testa, con le sopracciglia aggrottate per la confusione. «Perché... Perché ho visto il mio congiunto, che da lungo riposa nelle Sale dei nostri Antenati, e perché ha parlato? Che genere di Specchio è mai questo?»

«Non temere, Gimli» disse Galadriel con la sua dolce voce melliflua, e la donna-Elfo si abbassò e gli spostò una ciocca di capelli rossi dagli occhi. «Lo Specchio non può farti del male.»

«Non sono ferito, né spaventato» disse Gimli velocemente «Solo...»

«Sei stato benedetto, Figlio di Aulë» continuò lei, sorridendo gentilmente «So cosa hai visto, e hai ricevuto una benedizione oltre ogni dire. Le voci che ti circondano sono quelle della tua famiglia.»

«La mia famiglia...!» Gimli quasi cadde dalla roccia «State dicendo, che per tutto questo tempo io li ho pianti e loro mi hanno guardato

«Loro non possono raggiungerti» disse lei, e si raddrizzò per lanciare un breve sguardo a Legolas «Si stringono a te, vicini come il pensiero, ma non possono essere veduti né uditi dai viventi. Attraverso il potere e la grazia donatemi molto tempo fa io ho potuto percepire la presenza che ti abbraccia, quel grande amore che ti circonda, e ho potuto sentire le voci anche se non compresi le loro parole. Non so come o perché rimangano con te, Gimli, ma l'affetto che ti sommerge è potente e devoto.»

«La sua voce» disse Gimli, perso e confuso «La conosco. Conosco quella voce, bene quasi quanto la mia. Sembra che io l'abbia ascoltata da sempre.»

Le mano di lei si posò sulla sua spalla. «Lo conosci più di quanto tu ti renda conto.»

Il volto di Gimli divenne vulnerabile e meravigliato. «Disse. Disse che sono amato. Mi ha chiamato stella. Mi ha chiamato...»

«Thorin, davvero non hai un bell'aspetto» disse Frerin. Thorin lo spinse via, barcollando come un ubriaco, i suoi occhi fissi su Gimli. Gimli che sapeva.

«Lo sa» disse Thorin «Lo sa. Frerin, lo sa.»

«Aye» il giovane viso di Frerin sorrise «Lo sa.»

«Gimli» biascicò Thorin, andando verso la sua stella. La sua visione si offuscò. Le sue gambe erano molli e deboli. «Gimli. Gimli» - e poi le stelle lo inghiottirono e lo strapparono via e lui venne scagliato barcollando e girando nell'accecante, ruotante galassia del Gimlîn-zâram.


Thorin si svegliò con un gemito. Io suoi occhi erano impastati, e gli faceva male la testa. Stava fissando il soffitto della sua camera.

La sua testa gli faceva molto male.

«...esagerato» disse una voce ruvida. Óin. «Deve riposarsi di più.»

«Idiota» disse Thráin con preoccupazione, e qualcuno si sedette sul bordo del suo letto e mise una mano sulla sua gamba.

«Thorin» disse piano Frís «Thorin, lo so che sei sveglio. Ho visto i tuoi occhi muoversi. Andiamo, inùdoy. Qua c'è del cibo.»

«Quanti...» biascicò Thorin, e lei apparve davanti a lui. Le sue trecce erano in disordine.

«Frerin ha svegliato tutte le Sale strillando. Sembra che nessuno sia mai svenuto nella Vasca prima»

Il cuore di Thorin affondò. «Fantastico.»

«No, non essere imbarazzato, va tutto bene. Ora tutti sanno cosa fai ogni giorno, e quanto sia importante la Missione ad Arda. Ne parla ogni Nano» disse Frís, e gli sistemò le coperte sul petto. «Prova a sederti.»

Thorin cercò di non gemere mentre lottava per sedersi, e fallì. Óin si fece avanti, spingendo via Fíli e Kíli. «La tua testa? Lo sospettavo. Aspetta, bevi questo» una tazza di qualcosa che aveva un vago odore di corteccia gli venne messo davanti al naso, e Thorin la prese e la bevve con gli occhi che lacrimavano. Il dolore diminuì.

«Devi imparare a delegare, figliolo» disse Thráin, tenendo fermi i nipoti di Thorin «Non puoi continuare così.»

«No, stavo bene. È stato lo Specchio della donna-Elfo» gracchiò Thorin. Thráin scosse il capo.

«Lo sappiamo. Frerin l'ha detto a ogni livello delle Sale»

Frerin fece una smorfia. «Scusa. Ero un po' eccitato.»

«Ho parlato col nostro Creatore» disse Óin, mettendo una mano esperta sulla fronte di Thorin «Lo Specchio non ti avrebbe fatto quest'effetto se tu non fossi stato già esausto. E non sei stato spesso a tavola, quindi senza dubbio non hai mangiato, mulo cocciuto.»

La testa di Thorin stava meglio, ma stava ancora pulsando. Premette la fonte contro la mano di Óin, il dolore diminuiva con la pressione. «Perché devo? Sono morto!»

«Probabilmente è ancora nervoso per via di Gimli» sussurrò Frerin in fondo alla stanza. I suoi occhi blu erano spalancati.

«Aye, morto per la Terra di Mezzo, idiota» disse Óin, e levò la mano per guardare male il suo Re «Ma il tuo corpo qui è un corpo fatto di nuovo, o te lo sei scordato? Viviamo nelle Sale. Tu sei vivo, grandissimo idiota regale!»

Thorin lottò per raddrizzarsi. «Allora perché l'attesa infinita? Perché non possiamo davvero vivere? Perché non posso toccarlo?»

«Shhh» disse Frís, e lo aiutò a stare su e gli sistemò le coperte attorno ai fianchi «Aspettiamo la Seconda Musica, mio caro, quando infine saremo completamente accettati. Aspettiamo di avere un nostro posto nel mondo che verrà. Lo sai.»

«Prima però dobbiamo farcela attraverso la Dagor Dagorath» aggiunse Fíli.

«Sarà fantastico» disse Kíli cupo.

«Ma, Arda – l'Anello, il potere che vi cresce...»

«Aye, è importante, ma lo sei anche te» disse Óin, e diede una sberla leggera sulla spalla di Thorin «Enorme idiota. Un corpo immortale, e tu hai trovato nuovi modi per rovinarlo. Perché ho deciso di seguirti ancora?»

«Ciò ti rende l'idiota più grande» borbottò Thorin, e riuscì a guardare truce Óin. Il guaritore lo ignorò completamente. «Se sono così eterno perché preoccuparsi?»

Óin sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Guarda, siamo morti, sì? E ci siamo svegliati qui, con questi corpi. Ma non sono immutabili, e quindi noi non siamo invulnerabili. Mangiamo, dormiamo, sanguiniamo, ci stanchiamo, ci scottiamo alle fucine, facciamo tutte le cose che facevamo ad Arda, ma siamo stati rinnovati e rifatti. I miei capelli sono del colore che erano quando avevo centoventi anni, e tuo padre non sembra un giorno più vecchio di centottanta. Torniamo all'età in cui eravamo migliori, Thorin.»

Thorin ricadde conto il suo cuscino, con la testa che martellava. «Io sono ancora...»

«Aye» disse Óin infine, e sorrise «Ancora il mio Re.»

«Non penso che l'ultimo anno della mia vita sia stato il mio migliore» borbottò Thorin, e Óin lo colpì di nuovo.

«Scusami, credo di aver sentito qualcuno che insultava il mio Re. Colpirò chiunque osi farlo» disse, con gli occhi che brillavano.

«Quale lealtà» disse Thorin, e sbuffò.

«Quindi, cos'è questo storia dello Specchio che ti ha fatto diventare uno Hobbit, comunque?» chiese Kíli. Fíli immediatamente gli diede una gomitata nelle costole.

«Mi ha visto, Gimli mi ha visto» disse Thorin, e allungò una mano. Fíli gliela prese. «Mi ha visto, ma non potei toccarlo. Mi ha sentito – lo sa!»

«Calmati, nidoy» disse Thráin, e tirò una delle trecce di Thorin «Prendi, mangia. E riposati. Se provi ad andare in quelle acque nelle prossime ventiquattr'ore, mi siederò su di te, non pensare che non lo farò.»

«Ma-»

«Devo ordinartelo, inùdoy?» disse Thráin, alzando le sopracciglia. Thorin sbuffò frustrato.

«'Adad, gli eventi si muovono più in fretta ora. Gimli, la Compagnia... lo sa, 'adad, e non posso» si interruppe, senza riuscire a trovare le parole «E poi c'è Erebor, e Bilbo» Bilbo, Bilbo «Si muove così in fretta, e Aragorn, e Boromir – dovrei essere lì, il mio Dono è necessario. Non posso essere ancora così egoista.»

Bilbo aveva detto il suo nome per la prima volta in ottant'anni, e aveva scosso Thorin nell'anima. Bilbo l'aveva amato, nonostante lui fosse stato crudele e distante. La mano di Thorin si strinse di riflesso su quella di Fíli, e il volto di suo nipote si addolcì e lui strinse di rimando.

«Forza, Zio» disse piano.

«Questa è la natura delle cose, Thorin» disse Frís «A volte rimangono immobili, e altre volte corrono. Puoi raggiungerle quando hai ripreso le forze. Il disinteressarsi di sé non è sacrificio, figlio mio.»

«Ma-» era sia confortante che infuriante il fatto che, dopo un secolo come autorità più alta ed unico capo del suo popolo, i suoi genitori improvvisamente riuscivano a togliergli tutto il controllo. Thorin cercò di riprenderlo. «Gimli sa! Ed è ancora circondato da... 'amad, ha offerto la sua amicizia a quell'Elfo!»

«Se pensi davvero che ci sia qualcuno nelle Sale che non sa di Gimli Glóinul e dell'Elfo» disse Frís secca «allora stai sottovalutando tuo fratello.»

Frerin arrossì e nascose il volto dietro ai capelli dorati.

«Dovrei essere lì per lui» disse Thorin, con la testardaggine che gli gonfiava il petto. Poi sbadigliò.

«Perché sei in forma perfetta ovviamente» disse Óin, incrociando le braccia e guardando Thorin con sarcasmo «Ora, non preoccuparti del mio stupido nipote. Lo terrò sotto controllo, puoi contarci!»

«Óin non è molto felice dell'Elfo» disse Fíli sarcastico.

«Nemmeno Balin, Lóni, Nori, Náli, Bisnonno, Fundin, Gróin, Náin, Nonno, il mio stupido fratello, e oh, praticamente ogni altro Nano nelle Sale» aggiunse Kíli sardonico.

«Ma Ori, Bifur, Frerin, Frár, Bisnonna, e il mio stupido fratello sono tutti allegri» disse Fíli, mettendo un dito nel fianco al fratello «Però, Nonna non ha ancora scelto.»

«Non mi fido di quell'Elfo con la mia stella» borbottò Thorin. La sua testa sembrava essere troppo piccola per il martellare all'interno.

«Aggiungine un altro per la fazione “contro”» disse Fíli.

«Tu, mio testardo bambino, non vai da nessuna parte, quindi fattene una ragione» disse Frís fermamente, e mise il vassoio che aveva portato più vicino alla sua mano.

Thorin guardò su, con una protesta sulle labbra. Sei paia di occhi decisamente non impressionati lo fissarono si rimando.

«Oh, va bene» borbottò, e si coprì gli occhi con la mano libera.

«Ori e Nori stanno guardando Gimli» disse Kíli, e diede una pacca sul ginocchio di Thorin «La Compagnia non va da nessuna parte per qualche giorno almeno, sembra. E Hrera sta guardando Glóin. Dice che più tardi verrà a parlarti.»

Thorin e Frerin gemettero all'unisono.

«Balin sta guardando l'Elminpietra mentre torna ad Erebor» disse Fíli «E controlleremo Erebor e Dáin per te, se vuoi.»

Thorin guardò i suoi nipoti attraverso le dita, e loro sembravano allo stesso tempo orgogliosi e preoccupati, e lui sentì che il suo cuore cercava di raggiungerli. Nella sua ossessione e paura per la Compagnia e Gimli, aveva quasi scordato i suoi nipoti, i suoi undayûy. «Qua» disse, e si tirò Fíli più vicino con la stretta che aveva sulla sua mano «Dovreste rimanere qua, con me.»

Fíli sembrava dubbioso, ma Kíli era estatico.

«Non sono sicuro quanto questi due possano aiutarti a riposare» disse Óin, ma alzò le mani in segno di resa «Non ti fermerò, anche perché non credo ci riuscirei. Andrò da Dáin e Dís, allora. Ti farò sapere come vanno le cose, aye?» poi indicò Thorin col dito «Domani.»

Thorin si portò la testa dorata di Fíli sotto il mento e annuì. «Domani

Óin gli lanciò un'occhiata sospettosa, e poi se ne andò, borbottando: «mi spaventi quando sei d'accordo così in fretta. Voi due canaglie, assicuratevi che non lasci il suo letto! Tutti gli altri, andiamocene, lasciamo che l'idiota mangi in pace.»

«Grazie, Óin» gli urlò dietro Thorin. Il tono gli fece pulsare di più la testa, e lui ricadde indietro con un lamento.

«Hai un aspetto orrendo» disse Kíli «Davvero, davvero orrendo. Ti ha fatto così male lo Specchio?»

«È stato... è stato come le stelle del Gimlîn-zâram, ma invece di essere raccolto e rilasciato, sono stato tirato» Thorin si massaggiò il punto sopra il cuore dove la stregoneria della donna-Elfo lo aveva trascinato nel mondo vivente.

«Davvero Gimli ha fatto amicizia con quell'Elfo?» chiese Fíli piano.

Il respiro di Thorin si mozzò, e poi deglutì a fatica e annuì.

Kíli si accigliò. «Magari durerà. Magari è cambiato.»

«Dijnu hyadâkh ghivasha» citò Fíli, e scosse il capo «Urùthûkhikizu hyêmrûr

Kíli si accigliò e completò il detto, incrociando le braccia testardamente: «Ra hurumizu tada khajimuhîzd ana zu.»

«Solo perché hai un punto debole per gli Elfi» disse Fíli con calore.

«Uno» contò Thorin piano.

«Potrebbe cambiare tutto!» ribatté Kíli.

«Due»

«Sì, in peggio! Povero Gimli, almeno lui ha la scusa di essere circondato da Elfi senza un singolo Nano come compagnia. Non come te!»

Al “tre”, Kíli ringhiò e si lanciò su suo fratello e i due iniziarono ad azzuffarsi sul pavimento della camera di Thorin. Riportava alla mente vividi ricordi della loro infanzia nelle Ered Luin. Lui sospirò, ignorando il duo, e si tirò vicino il vassoio che gli aveva lasciato sua madre. Carne e pane e patate, coperte da una salsa, lo salutarono. Il suo stomaco borbottò.

«Tenete basso il volume» ordinò loro, e iniziò a mangiare.

TBC...

Note:

La seconda musica degli Ainur – Prima che il tempo fosse creato, i Valar (Ainur) composero una grande musica. La musica era il mondo stesso con tutta la sua storia dall'inizio alla fine. Con una parola di Eru Ilúvatar, la musica prese forma e sostanza nel vuoto, e così nacque il mondo. Quando la prima musica terminerà e il mondo sarà devastato dalla Dagor Dagorath, il secondo tema sarà rivelato e un nuovo mondo perfetto verrà creato. Nessun Valar sa come sarà la seconda musica, oltre che più bella della prima.

Dagor Dagorath (“Battaglia delle Battaglia”) - Secondo la seconda profezia di Mandos, un giorno Melkor (Morgoth) sfuggirà alla propria prigionia nel vuoto. Melkor, ora conosciuto come Morgoth, era l'Ainur che si ribellò ad Eru e alla propria parte nella prima musica. Tutti i suoi lavori si volsero all'oscurità, e fu il padron ed insegnante di Sauron. Porterà la istruzione sul mondo. Dopo la sua morte, i Silmaril saranno ritrovati, tutti gli Elfi torneranno, e Arda sarà rinnovata. I Nani credono che aiuteranno il loro Creatore a ricostruire Arda come sarebbe dovuta essere.

L'Enigma di Granpasso:
Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza
E le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla,
Nuova la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciassette ***


Incontra una Nana

Thira regina di Erebor

Thira era la figlia dei grandi fabbri Hori e Theki, entrambi Nani Bruciati nella Battaglia di Azanulbizar. Dopo la perdita dei suoi genitori, lei andò ai Colli Ferrosi come rifugiata. Arrivò giovane, povera e determinata nel farsi un nome. Il suo talento è nelle sue abilità da fabbro: Thira è la migliore e più talentuosa lavoratrice dell'acciaio che sia emersa dai Colli Ferrosi in decenni. I suoi lavori erano molto ricercati, e vi sono stati alcuni Re fra i suoi clienti. Uno dei suoi lavori migliori fu una cotta di maglia donata al Re in esilio, Thorin Scudodiquercia, da suo cugino Dáin.

Tranquilla, molto privata, ma onesta e forte e determinata come l'acciaio che ama, Thira è alta, asciutta e mora, con pelle pallida che è stata resa rossa dai decenni in forgia. Incontrò Dáin, il nuovo Signore dei Colli Ferrosi, grazie al suo lavoro. Lui non riconobbe la sua Uno, per via del suo lutto e del peso della morte del padre e dell'arrivo di così tanti rifugiati. Thira, però, fu paziente. Gli donò un nuovo piede di ferro, con aggiunti dei tiranti per rendergli più facile camminare. Mentre Dáin camminava con nuova forza, fu in grado di riconoscere la gentilezza di un tale dono. Iniziò a frequentare la sua forgia sempre più spesso. I due si sposarono nel 2814 TA, e loro figlio Thorin, detto Elminpietra, nacque nel 2866. Thira si trovava a disagio con questa elevazione alla nobiltà, soprattutto dopo la riconquista di Erebor, e in genere rimaneva nella sua fucina lontano dalle luci dei riflettori. Il suo perspicace marito lo accettò, e cercò i suoi consigli in privato.


«Quindi» disse Kíli, a disagio.

Il suo Creatore sospirò, spostando gli occhi sul giovane Nano. «Sei tornato ancora, figlio mio?»

Kíli si rimpicciolì sotto il peso di quello sguardo ultraterreno, e poi si morse il labbro e si raddrizzò. «Beh. Sì?»

Mahal rise piano. Kíli ne sentì il tremito nella cassa toracica. «Per farmi di nuovo la tua richiesta, senza dubbio.»

«Beh. Un po', sì» ammise Kíli, e si mise comodo alla base dell'incudine. La toccò con curiosità, seguendo le incisioni complesse con le dita. Formavano parole che la sua mente non comprendeva e respingeva. Aveva l'impressione che nessuno, Nano, Uomo, Elfo o Hobbit le potesse leggere. Le loro teste probabilmente sarebbero esplose.

«Come sta tuo Zio?»

Kíli alzò lo sguardo. «Si sta riprendendo» disse, e storse il naso «È diventato un tantino... ossessivo. Lo fa a volte.»

«Sì, lo so» Mahal tirò fuori qualcosa di brillante dalla sua forgia con mani gentili, qualcosa che brillava e luccicava. Gli occhi di Kíli si allontanarono da esso. Era come guardare il sole – gli danzavano delle lucine davanti agli occhi. «L'ho fatto testardo, dopotutto.»

«Mi sembra ti piaccia quel tratto» si lamentò Kíli, e si strofinò gli occhi «Ahia.»

«Vi è stato utile» disse Mahal «Non guardare direttamente la luce, Kíli. I tuoi occhi non sono fatti per essa.»

«Avresti potuto dirmelo prima» borbottò Kíli, premendosi le dita contro le palpebre.

«Thorin sta riposando ora, confido»

«Sei puoi chiamare quello che sta facendo riposare» disse Kíli, ancora strofinandosi gli occhi. Piccole scintille e stelline gli esplosero dietro le palpebra. Davvero carine. «È tornato in forgia perché il nonno lo prenderebbe a sberle se si avvicinasse alla Camera di Sansûkhul oggi. Sta facendo un pentolone» fece una smorfia «Ha dei fiori sul coperchio.»

Mahal rise ancora, il tuono rimbombò nuovamente attraverso il petto di Kíli.

«Penso sia molto nervoso» continuò Kíli, e aprì gli occhi. Gli lacrimavano un po', e pizzicavano «È nervoso per Gimli e quell'Elfo, ed è nervoso perché Gimli l'ha visto – anche se nel nome di Durin non capisco perché – ed è nervoso per via di Bilbo per qualche motivo. Non ne parla. Beh, Thorin non parla molto quando è nervoso. Diventa solo scontroso. Più scontroso.»

«Sta iniziando a capire, figlio mio» disse Mahal, e la grande mano si abbassò per toccare gentilmente la spalla di Kíli. Kíli tremò quando la mano gli passò davanti al viso, ma i suoi occhi smisero di bruciare e lacrimare immediatamente. «Inizia a capire molte cose.»

Kíli incrociò le braccia. «Eh? Sei misterioso quanto Gandalf, lo sai?»

Mahal sorrise, e Kíli lo percepì come calore sul volto. «Lo prendo come un grande complimento. Olórin è un saggio consigliere.»

«Ha un altro nome?» disse Kíli, accigliato, prima di riscuotersi «Va bene, quindi cos'è che sta iniziando a capire? E cos'ha a che fare col suo Dono, quindi?»

Il suo grande Creatore prese il martello, più denso e scuro del buio della notte. Lo soppesò in mano. «Inizia a capire che il suo senso di colpa e le sue penitenze non servono a nulla. Inizia a capire nel suo cuore che era amato, e che in vita e in morte ha compiuto molte cose buone. Inizia ad andare avanti.»

«Thorin – va avanti?» chiese Kíli con scettica incredulità «Seee. Proprio.»

Mahal abbassò il martello con uno schianto come il crollo di un grande ghiacciaio. «Lo sta facendo. Con riluttanza e molto dolore, ma inizia a cambiare.»

Kíli si ricordò le prese in giro di due giorni prima, e iniziò a farsi delle domande. «Suppongo di sì. È per questo che è così nervoso per Gimli? Perché è diverso?»

«Dovresti chiedere a lui, figlio mio» disse Mahal gentilmente «La nostra giovane stella infuocata è attenta. Vede e sente chiaramente; più chiaramente di tutti. Gli occhi di Thorin sono ancora annebbiati, ma stanno iniziando ad aprirsi.»

«E i miei?» chiese Kíli impazientemente, e Mahal ridacchiò, abbassando nuovamente il suo martello.

«Ah, piccolo principe allegro. Tu hai sempre avuto ottimi occhi»

Kíli sbuffò. «Sì, decisamente misterioso come Gandalf.»

«Gimli è invischiato nelle più grandi trasformazioni che il mondo attraversi dall'ultima Era» continuò Mahal «Prevedo che la sua missione cambierò molto più di lui solo. Lo sta facendo. Delle divisioni antiche sono riportate in superficie e antiche menzogne esposte alla luce.»

«L'Elfo, Legolas» mormorò Kíli.

«Aye» Mahal si fermò e fece un passo indietro dalla cosa luminosa, guardandola criticamente «Dovresti andartene, figlio mio. Non potrai vedere il prossimo passo della forgiatura.»

«Tra un attimo» disse Kíli, e si mise più comodo «Quindi, per quanto riguardo quello Hobbit...»


«Thorin?»

Mettendo da parte il metallo che stava modellando (le gambe del pentolone, pronte per essere unite al resto dell'oggetto), Thorin alzò lo sguardo. Suo padre era sulla porta della forgia, con un'espressione profondamente delusa.

«Sì, sì, dovrei riposare» grugnì, e prese un asciugamano per levare i residui di metallo dal tavolo «Non posso rimanere sdraiato a letto tutto il giorno! Non quando Gimli sa che sono con lui. Non quando Elfi stringono amicizie coi Nani, e l'Anello si avvicina a Mordor. Il mio Dono è necessario. Io sono necessario! Non sono fatto per l'inattività, 'adad. Mi farà impazzire.»

L'istante in cui le parole gli lasciarono la bocca, Thorin gemette.

Le spalle di Thráin si tesero leggermente, prima che lui sospirasse. «No, no, non mi sono offeso, non c'è bisogno che tu mi guardi così. E nemmeno io sono fatto per rimanere fermo a lungo, ragazzo mio. Ma hai lavorato fino allo stremo, e non posso vederti farlo di nuovo. Per favore, Thorin. L'ho detto prima e lo dirò un'altra volta: siamo qui se hai bisogno di noi.»

Thorin alzò lo sguardo con una protesta sulle labbra. Quando incrociò lo sguardo di suo padre, ogni parola gli sfuggì. Thráin era triste e stanco, le sue grandi mani aperte e molli lungo i fianchi e la testa chinata. Thorin deglutì, e poi disse: «Non so come lasciarvi aiutare, padre» disse, odiando ogni parola «Non posso...»

«Sei stato solo per tanto tempo, figlio» disse Thráin, e andò da Thorin per trascinarlo in un abbraccio. La schiena di Thorin si irrigidì immediatamente, e dovette obbligarsi a rilassarsi fra le braccia di suo padre. «Hai sopportato i bisogni del nostro popolo per così tanto. Non devi portare quel peso da solo. Hai Nani capaci attorno a te. Lasciali aiutare.»

«Come?» disse Thorin, cupo e basso «La mia mente è nel caos, e non mi lascerà riposare. Non posso lasciar perdere, 'adad. Non posso farlo fare a qualcun altro!»

«Nessuno lo sta suggerendo» disse Thráin, e levò un pezzettino di ferro dalla barba di Thorin «Ma tu non stai sfruttando ciò che hai nella determinazione di fare tutto da solo. Abbiamo scribi e ladri e Signori dei Nani e minatori e guaritori fra di noi. Non credi che Balin sappia un paio di cosette su come organizzare dei turni? Era un Siniscalco, Thorin. Il lavoro obbliga ad essere organizzati. Il giovane Ori sarebbe ottimo per tenere conto delle informazioni, sì? E suo fratello è una spia nata se ne ho mai visto una. Il lavoro in miniera di Bifur l'ha reso paziente come la roccia – picconando in silenzio – e in qualche modo non è mai annoiato. È un osservatore naturale. Tua madre è attenta e furba, e tuo fratello e i tuoi nipoti hanno energia da vendere. Devi usare tutto ciò, figlio. Non puoi fare tutto da solo. Non lo permetterò.»

«Non permetterai!» disse Thorin, allontanandosi per guardare storto suo padre. Suo padre rispose allo sguardo – e ci fu una scintilla dello splendido e potente Principe Sotto la Montagna nei suoi occhi.

«Non lo permetterò» disse severamente «Lo capisco, figliolo. Pensi che non comprenda? Ho lasciato tutti per conto mio per riconquistare Erebor – e guarda cosa mi ha fatto! Tu hai il comando qui, e nessuno andrà contro la tua parola. Però, se pensi che rimarrò a guardare mentre rovini te stesso nel tuo zelo, ti consiglio fortemente di ripensarci. Siamo qui, Thorin – usaci!»

Thorin era furioso, odiando la necessità di dover fare così, odiando quanto senso aveva il discorso di suo padre. Gli occhi di Thráin rimasero sui suoi, e lui strinse forte la spalla di Thorin.

«Adesso. Faremo un'altra riunione. Ori scriverà le nostre decisioni, e insieme te, me, Balin, Óin, mio padre e tua madre faremo del nostro meglio per creare un sistema di turni. Saranno tenute delle conferenze regolari. Dobbiamo condividere le informazioni raccolte. Dobbiamo farcela insieme, o non riusciremo. Non sacrificherò più nessuno della mia famiglia per colpa della nostra testardaggine!»

La bocca di Thorin si aprì leggermente, e poi strinse le labbra. Più imparava, più c'era da imparare. Le sue debolezze. Doveva accettarle, come aveva detto Bilbo. La sola idea gli faceva venire la pelle d'oca, ma l'avrebbe fatto lo stesso. Per Bilbo. «Hai ragione» borbottò, e distolse lo sguardo.

«Lo so. Il tuo senso del dovere è notevole, Thorin. Il tuo amore per Gimli e per il tuo Hobbit è degno di merito. Ma dovere o no, tu sei importante e io non ti vedrò farti a pezzi da solo» disse Thráin, e strinse nuovamente Thorin. Poi arricciò il naso. «E ora tu, mio primogenito, andrai a farti un bagno e lavarti i capelli. Puzzi.»

«Altri ordini?» disse Thorin, cercando di nascondere l'irritazione. Sapeva di non starci riuscendo.

«Sorridi, ogni tanto» disse Thráin gentilmente, e accarezzò la guancia di Thorin con la sua enorme e forte mano «Ti prometto che la tua faccia non si romperà.»

«Credo Nori scommetta il contrario» borbottò Thorin, e Thráin rise.

«Senza dubbio. Vai, allora. Fatti un bagno. Mangia. Riposati un altro giorno e rinfrescati le idee. Poi faremo la nostra riunione, e organizzeremo le forze della nostra gente.»

Thorin annuì in silenzio, strofinando la barba contro il palmo del padre. Thráin premette brevemente la fronte contro quella di Thorin, e poi lo portò via dalla forgia.


«Eeeee tirate, ragazzi miei! Portatelo su!»

L'urlo risuonò per i bastioni di Erebor, e Ori si coprì gli occhi con la mano per guardare su l'enorme trave di legno, mentre si alzava lentamente nell'aria. La corda che la teneva rialzata era tirata da almeno venti Nani, e Orla stava controllando le operazioni con seri, severi, scuri occhi.

«Come sta andando?» disse Dís, arrivando dietro alla sua luogotenente e parlando piano.

«Dobbiamo costruire altre tre manganelle oltre a questa» rispose Orla, senza spostare gli occhi dalla scena. Un sergente con la voce rimbombante stava urlando ordini, e molti Nani erano rossi in volto e ansimavano. «Le catapulte e i calderoni sono completi.»

Dís annuì per un istante, prima di spostarsi accanto a Orla e incrociare le braccia mentre guardava i Nani che grugnivano cercando di mettere in posizione l'enorme trave. «E le piccole armi a lungo raggio?»

«Ottocento balestre» disse Orla, e sospirò «Continua a non essere popolare.»

«La ragazza di Bombur?»

«È a capo di coloro che usano gli archi lunghi. Però, non avremo un intero contingente di arcieri a meno che non arrivino gli Elfi.»

Dís annuì lentamente, prima di alzare il mento per guardare la massa di corpi sotto sforzo. «Dov'è il Quartiermastro Dori?»

«Quartiermastro?» squittì Ori, e si portò le mani alla bocca mentre l'orgoglio gli faceva gonfiare il petto sino al doppio della dimensione originaria.

«È andato a controllare i rifornimenti verso i Colli Ferrosi» disse Orla «Non gli piaceranno i progressi fin'ora.»

«A Dori non piace quando la gente si gratta l'ombelico» disse loro Ori, prima di fare una bizzarra danza di gioia sul posto. Suo fratello, Dori figlio di Zhori, della linea di Ymrís la cortigiana – di umili origini e vittima dei pettegolezzi – ora era Grande Mastro delle Gilde di Erebor e Quartiermastro dell'esercito del Popolo di Durin!

Quando l'avrebbe sentito Nori!

«Come sono le nuove reclute?» disse Dís dopo una piccola pausa. Il volto serio di Orla si rilassò un poco per l'esasperazione. «Oh, così bene?»

«Serve più disciplina» ringhiò Orla, e alzò la testa di scatto per guardare la trave, che si stava lentamente alzando in posizione verticale «Hanno lavorato duramente, glielo concederò» aggiunse controvoglia.

Dís ridacchiò. «È passato molto tempo da quando Dáin guidò l'esercito più disciplinato dei Nani della Terra di Mezzo. Il popolo dei Colli Ferrosi si è ammorbidito, e anche noi. Questo è ben lontano dall'essere la grande armata di mio nonno, ventimila soldati addestrati al massimo. Ne abbiamo persi tanti, e gli anni di pace ci hanno regalato un falso senso di sicurezza. Ora dobbiamo correre per metterci in pare.»

«Voi Longobarbi siete sempre così cupi» disse Orla, ed ignorò lo sguardo educatamente incredulo di Dís «Si addestrano duramente. Combattono bene. Potremmo non avere il più disciplinato degli eserciti, ma sono forti e difendono la loro casa? Cos'altro serve?»

«Noi siamo cupi?» borbottò Dís «Orla, sono stata tua amica per sessant'anni, e non ti ho mai, mai sentito ridere.»

«Non ho sentito una battuta decente in sessant'anni» disse Orla, il volto completamente impassibile «Potrebbe averci qualcosa a che fare.»

«La corda si è rotta!» urlò qualcuno improvvisamente, e Dís imprecò, con i capelli grigi che le scappavano delle trecce mentre scattava in avanti. Altre urla risuonarono nell'aria, diventando sempre più acute. La trave si mosse nel suo nido di corde, traballando alla fine di esso.

«Verrà giù!»

«Tenete! Non verrà giù!»

«Lo farà se non la smetti di muoverti!»

«STATE FERMI!»

«Non posso tenerla!»

«Idioti» soffiò Dís, e iniziò a farsi largo tra al folla verso la trave che ora si inclinava pericolosamente «Tenete forte!» ruggì mentre avanzava.

«Per le calze sporche di Durin cosa sta succedendo qui!?» giunse lo strillo di Dori, e Ori gemette. Conosceva quel tono. «Tu, tieni quella corda! No, la corda – l'altra corda! Oh, lo farò da solo, levatevi di mezzo!»

Il silenzio cadde sulla folla mentre Dori si faceva largo, i capelli pettinati strettamente nelle trecce elaborate, la catena da Mastro delle Gilde sulle spalle, e il bel volto pieno di irritazione. Prese un corda da un Nano ansimante e scosse la testa guardando tutti, con le labbra strette. «Vuoi che una cosa sia fatta, la fai da solo!» annunciò di malumore, e tirò la corda.

La trave si raddrizzò immediatamente, e Dori la tenne ferma con le spalle. «Bene!» ansimò «Legatela – veloci! Non riuscirò a tenerla su tutto il giorno!»

«Impressionante» disse Orla, avvicinandosi a Dís. Il Primo Consigliere rise.

«La forza di Dori non è diminuita col tempo, vedo. La manganella sarà in piedi tra qualche ora, adesso che è qui»

«Cos'è stato quell'urlo?» giunse una voce dalle scale dietro di loro, e Ori si voltò per vedere la Regina, con la barba decorata con l'acciaio che brillava, che veniva verso di loro. Dwalin era accanto a lei, a braccia incrociate.

«Shamukh, Maestà» disse Orla, inchinandosi profondamente «La trave di supporto per l'ultima manganella stava per cadere. Il nostro Quartiermastro l'ha messa a posto.»

«Dannato esibizionista» grugnì Dwalin, e un sopracciglio di Orla si alzò mentre lei si raddrizzava guardando suo marito.

«Geloso, caro?» disse, il suo volto scuro impassibile.

«Sì che sono geloso» disse Dwalin diretto, e Ori ridacchiò dietro le proprie mani «Sono un Nano, sono un Durin, sono fatto per essere geloso.»

«Abbastanza, Generale Dwalin» disse la Regina Thira nella sua bassa voce resa roca dalla forgia. Il suo volto era magro ed elegante, circondato da una pletora di capelli neri legati con un nodo alla base della testa. Altra trecce le scendevano come una cascata dal nodo, sormontato da fermagli d'acciaio decorati di gemme. Era magra, con l'apparentemente asciutta forza del fabbro dedicato. «Come procedono i lavori?»

«Abbastanza bene, ora che Dori è qui» disse Orla senza nemmeno lanciare un'occhiata a suo marito. Guardando il volto di Dwalin, Ori dovette trattenere un ghigno. Chiunque avesse detto che la Nana Nerachiave non aveva un senso dell'umorismo non l'aveva mai vista provocare Dwalin.

«L'acciaio per i supporti è pronto» continuò Thira, e aggrottò le sopracciglia mentre guardava Dori che si sfogava per la quasi caduta dell'enorme trave principale «Le mia forge non hanno avuto tempo di raffreddarsi in settimane.»

«Cosa sta facendo ora?» disse Dís, scuotendo la testa.

«Sta... pulendo la faccia di quel Nano» sospirò Dwalin. Fece ricadere all'indietro la testa bianca. «Ugh, Dori non cambia mai.»

«Oh, Dori» disse Ori tristemente, guardando suo fratello che rimetteva in ordine un gruppo di soldati stupefatti con un fazzoletto e uno sguardo truce. Stanchi dai loro sforzi, affascinati dalla bellezza di Dori e perplessi dalla sua sfuriata, rimasero fermi mentre Dori gli puliva i volti.

«-una enorme disgrazia, tutti voi!» concluse Dori, e li scacciò tirando su col naso «Abbiate un po' più di orgoglio in voi stessi, grazie. Ora, Signor Caposquadra, dov'eravamo? Io avrei tre carri di legna che devono essere immagazzinati da qualche parte, e non c'è abbastanza spazio per un gatto! Cosa intendete, da un'altra parte? Sciocchezze. Ci serve quella legna per scaldare i calderoni, se ve lo siete dimenticato. O vi state offrendo per portare un calderone di metallo fuso dai livelli inferiori al parapetto?»

«Fa da madre a tutta la montagna» disse Thira, contraendo la bocca. I capillari rossi e dilatati dal calore sulle sue guance si mossero mentre cercava di non sorridere.

«Vero» disse Dwalin, e alzò un sopracciglio «In assenza dei suoi fratelli, tutti gli altri nani esistenti gli basteranno.»

«Oh, lo dici come se tu odiassi quando di prende cura di Balin e Frerin per noi» mormorò Orla. Dwalin si schiarì la gola.

«Mai detto nulla del genere»

Dís rise piano e poi si voltò verso la Regina. «Non mi aspettavo di vederti qui oggi, Thira.»

«Non è il mio posto preferito, no» disse Thira asciutta, e si tirò il grembiule di pelle «A dir la verità, preferirei molto essere ancora giù alla mia forgia, ma il lavoro va avanti in fretta ora e tutto è così urgente... Ho preferito rompere le abitudini di una vita e venire a vedere cosa serve.»

«Le armerie?» chiese Dwalin, e Thira sbuffò senza eleganza.

«Oh, per favore. Ho riempito i magazzini delle armature quattro decenni fa, e ho tutti miei mastri che fanno asce e spade più veloce di quanto tu possa sbattere le ciglia»

«Gli apprendisti?»

«Fanno frecce»

Dís si accigliò, guardando Dori che faceva spostare a un gruppo alcune delle pile di legno in un angolo. «Ma non sappiamo se gli Elfi aiuteranno.»

Thira sorrise tristemente. «Lo so. Però, avremo frecce più che a sufficienza per noi se gli Elfi rimangono nelle loro foreste.»

«Cosa che probabilmente faranno. Dannati orecchie a punte non uscirebbero dai loro buchi per pisciare su un Nano se stesse andando a fuoco» ringhiò Dwalin. Orla mise la sua mano piena di cicatrici sul suo braccio, e lui si calmò controvoglia.

«Mio figlio farà del suo meglio» disse Thira, e abbassò leggermente il capo «È un ragazzo persuasivo, quando riesce a tenere sotto controllo la sua rabbia.»

«Che gli Elfi vengano o no, Thorin avrà reso orgogliosa Erebor» disse Dís, la sua voce meravigliosa che si spezzava pronunciando il nome di suo cugino «E molte frecce faranno Bomfrís e i suoi arcieri felici.»

Thira alzò un sopracciglio. «Lo dici ora. Gli apprendisti sono apprendisti per un motivo, dopotutto.»

Orla inclinò il capo, e la grande coda di capelli neri le ricadde sulla spalla nuda. «Dubito che si lamenteranno se una freccia non è perfettamente limata, non quando ne servono così tante.»

«A Bomfrís e ai suoi arcieri non farebbe molto piacere se tutte le frecce andassero ai mangia-erba» commentò Dís, e Thira ridacchiò.

«Dì alla ragazza di Bombur di non preoccuparsi. I miei apprendisti non finiranno il ferro molto presto, non dopo che l'anno scorso abbiamo riaperto i tunnel occidentali»

«Ci sta pensando Bofur» disse Dwalin.

«E continua a portarsi quella canaglietta selvatica d'un figlio là sotto con sé» gemette Orla «E dove va uno...»

Anche Dwalin gemette. «L'altro segue. Piccolo Thorin dovrebbe essere più maturo di così.»

«Lo è» disse Dís, e poi rise tristemente «Ma Gimizh è troppo simile a suo zio. Gli altri lo seguiranno dove lui va, anche se non sono sicuri del perché.»

«Ti manca ancora tuo cugino, vero?» Thira diede una pacca sulla spalla di Dís «Sono sicura che starà benissimo, vedrai.»

«Potrei aver inteso Bombur» disse Dís con voce dura, e Dwalin rise.

«Aye, ma non l'hai fatto»

Dís rimase tesa per un altro momento, prima di arrendersi, abbassando la testa grigio acciaio. «Sì, mi manca. Sono passati otto mesi, e non una parola.»

«Adesso» disse Thira gentilmente «Gimli sta bene, ne sono sicura. Stai tranquilla, sorella.»

Dís sospirò, e poi alzò lo sguardo. «Oh, cosa diamine sta facendo ora?»

«Gli sta... pettinando i capelli?» disse Thira perplessa, e Dwalin chiuse gli occhi.

«Ah, Dori» borbottò sottovoce «Te le suonerò, vedi se non lo faccio.»

«Ora ecco la lotta che tutti aspettano di vedere da ottant'anni» disse Dís «Dori contro Dwalin.»

«Forza Dori!» esclamò immediatamente Ori, e poi si ricordò che a) Nori non era lì, e b) lui era morto e nessuno poteva sentirlo. «Perdinci» borbottò.

«Come fa un Nano così forte ad essere un tale vecchio...» i borbottii di Dwalin si interruppero, e lui fissò i verdi prati che un tempo erano stati la Desolazione del Drago «Laggiù! Lo vedete? Sta arrivando una grande folla.»

«Ancora il messaggero?» disse Dís pesantemente, e si voltò verso sud con rassegnazione nei suoi occhi cerchiati.

«No» disse Orla, e per una volta c'era un sorriso sul suo volto. Era così innaturale su di lei che Ori dovette battere le palpebre. «Quelli sono Elfi.»

«Elfi!» disse Dwalin stupefatto, e si fece largo tra i soldati che chiacchieravano per andare fino al fianco dei bastioni.

«Riesci a vedere?» gli urlò Dori «I miei occhi non sono più come una volta!»

«Non lo sono mai stati!» replicò Dwalin, e Dori grugnì e gli indirizzò un gesto volgare (e Ori esclamò “Dori!” in stupore scandalizzato). «Quelli sono Elfi, o io sono un troll!»

«Qualunque idiota potrebbe vederlo» disse Dori «Voglio dire la figura che li guida. Quello non è un Elfo!»

«Puoi vedere?» disse Dís a Thira «Sei più giovane di noi: ecco, vieni avanti.»

Thira guardò giù dai bastioni, e i suoi occhi si spalancarono. «Inùdoy» ansimò.

«Quello è l'Elminpietra!» disse Dís, e si mise una mano sulla guancia rasata in disegni per lo stupore «Ha persuaso Thranduil! Ma lo credevo impossibile!»

«Thorin Elminpietra!» ruggì Dwalin, echeggiato da Ori, Dori e Orla. L'urlo venne ripetuto per tutti i bastioni mentre l'esercito di Elfi si avvicinava ai Cancelli, attraverso le grandi stature di eroi morti da lungo tempo.

«L'Elminpietra è tornato!» l'urlo giunse da ogni gola «L'Elminpietra ritorna! Aprite i cancelli!»

«Io...» disse Thira, con la bocca che si muoveva senza suono per un momento. Poi lei lasciò perdere le parole e si voltò per correre verso le scale.

Dís alzò la mano, ed ogni occhio si mosse verso il Primo Consigliere, Principessa di Erebor e della Linea di Durin. «Aprite i Cancelli!» gridò, la sua voce gloriosa che si propagava come una campana ed echeggiava sulla liscia roccia delle mura «Erebor dà il benvenuto al suo Principe e ai suoi alleati!»

L'urrà che salutò quella frase fu assordante. Dwalin si accasciò accanto a sua moglie, girando il suo occhio buono verso di lei. «Non siamo da soli» disse, con la confusione e la gratitudine che si combattevano sul suo volto.

«Non questa volta» disse Dís, e la sua mano si strinse sul parapetto «Non questa volta.»

«Sauron troverà che il Nord è un po' più difficile da conquistare di quanto si aspettasse» disse Dori soddisfatto «Gli sta bene!»

«Du bekâr!» ruggì Orla, brandendo la sua pesante spada Nerachiave, e fu ripetuto dall'intera montagna mentre l'Elminpietra attraversava i Cancelli, seguito dal grande esercito di alti Elfi vestiti di verde grigiastro, con gli archi sulla schiena e gli occhi freddi. L'urlo di sfida risuonò nell'aria, facendo tremare la Montagna stessa. Dwalin strinse i denti, ovviamente combattuto per la presenza degli Elfi. Quando Dís alzò il pugno per unirsi all'urlo di gioia, lui gemette in segno di resa e finalmente si unì:

«Du bekâr! Du bekâr! Alle armi! ALLE ARMI!»


Il mattino seguente giunse in fretta, e Thorin si svegliò per trovare suo nonno seduto al suo fianco.

«Sono agli arresti domiciliari ora?» disse sardonicamente, sollevandosi su un gomito «Mi serve una guardia?»

«Ti servirebbe una sberla sulla testa, ma tua madre me lo ha proibito» disse Thrór ruvido «No, ti devo portare alla Camera di Sansûkhul e poi devo farcitene uscire. Niente più veglie di un giorno intero, ragazzo mio.»

Thorin si illuminò. «Quindi posso andare al Gimlîn-zâram

Thrór sbuffò. «Puoi andare da Gimli, vorrai dire. Dopo che hai mangiato, nidoyel. Alzati ora. Ci vediamo a tavola.»

Thorin guardò male suo nonno che usciva dalla stanza. «Smettila di fare quella faccia, Thorin» disse calmo Thrór senza nemmeno girarsi.

Borbottando, Thorin si alzò dal letto e chiuse la porta alle spalle di Thrór. Aveva centonovantacinque anni, era un Re, un guerriero e un condottiero. E la sua famiglia era convinta che lui fosse un bambino disubbidiente!

Però, doveva ammettere di non aver pianificato bene. Si era lanciato a testa bassa nella sua nuova ossessione, cocciuto e determinato come sempre – e si era sforzato troppo. Dwalin avrebbe riso fino a star male.

Molto bene. Si sarebbe sforzato di chiedere aiuto. Si sarebbe... si sarebbe affidato a degli altri. Gli avrebbe concesso di sostenerlo. Avrebbe accettato di non poter fare tutto. Avrebbe preso consapevolezza dei suoi limiti – delle sue mortali debolezze.

Thorin represse un smorfia di disgusto al pensiero, e si vestì con decisione. Si sentiva quasi come se stesse per andare in battaglia che a fare colazione con la sua famiglia.

Entrando nella più vicina delle vaste sale da pranzo, Thorin andò direttamente dove era visibile la grande testa bianca di suo nonno, come un faro tra tutti i Nani attorno.

Sua madre immediatamente prese un piatto e glielo mise di fronte, e suo fratello lo guardò con ansia mentre si sedeva e iniziava a mangiare. «Thorin?» chiese, torturandosi le mani «Ti senti meglio?»

«Sto bene» disse brevemente. Thrór lo prese a calci sotto il tavolo. Thorin lanciò un'occhiata furente a suo nonno, prima di arrendersi. «Lo so che ti ho fatto stare in pensiero, Frerin. Mi... mi dispiace.»

«Thorin ha appena chiesto scusa?» sussurrò Fíli stupefatto, e Kíli gli segnalò di stare zitto. Thorin guardò i suoi nipoti, prima di mettere giù il cucchiaio e appoggiare le mani sul tavolo. Tutti gli occhi andarono a lui.

«Lo so che ho fatto preoccupare tutti voi» disse, e le parole erano insicure ma chiare. Si fece forza. Non era abituato a questo genere di cose, e odiava la sensazione di essere esposto che ne derivava. «Mi scuso. Non permetterò più alle mie ossessioni di prendere il controllo su di me.»

«Lo spero bene» disse Hrera secca «perché ti farò svenire io stessa prima che succeda di nuovo, mio indomito nipote.»

Kíli si piegò in avanti, con gli occhi spalancati e preoccupati. «Vuoi parlarne?»

«No!» esclamò immediatamente Thorin, e Kíli fece un salto indietro. Imprecando sottovoce, Thorin si massaggiò la base del naso. «Di nuovo, mi dispiace» borbottò «Kíli, namadul, io...»

«Gimli ora sa» disse Fíli, mettendo una mano sulla spalla del fratello e stringendo «Non può essere facile per te.»

«No, non lo è» disse Thorin, con la gola che si stringeva attorno alle parole. Mahal nelle profondità, la sensazione di essere spogliato ed esposto era abominevole. Odiava e detestava ogni secondo.

«Francamente sono stupita che un Nano vivente possa sapere qualcosa dei misteri» commentò Frís «Pensavo fosse proibito.»

«Chi sa che poteri ha quella donna-Elfo?» disse Thorin, alzando lo sguardo. I suoi nipoti e suo fratello lo stavano guardando attentamente, e lui represse uno sguardo irritato e tornò a fissare il suo piatto. «Sono felice che Gimli sappia. Sono felice. Ho sperato, molte volte, che lui...» si interruppe e morse il pane col miele. Forse le tattiche di Bilbo avrebbero funzionato meglio con lui?

«Quindi non è Gimli» disse Fíli, il suo volto pensieroso.

«Certo che no» disse Kíli «Lui ama Gimli. Forse ha paura?»

«Sono qui seduto» ringhiò Thorin, e i suoi nipoti fecero spallucce.

«Visto che non parli mai di niente, dobbiamo fare ipotesi» fece notare Fíli con inattaccabile (e impertinente) logica «Quindi, hai paura?»

Thorin esitò, e poi percepì gli occhi intelligenti di sua madre sul volto. «Sì» borbottò.

«Ah, sciocchino» disse Hrera, scuotendo la testa «Gimli non ti scaccerebbe. Gimli è un Nano da solo. Ti ha pianto, e ti ha sempre rispettato e sentito chiaramente. Prendilo come un segnale positivo.»

«Positivo. Thorin» sbuffò Kíli, e all'occhiataccia di Thorin tornò a concentrarsi sul suo pasto.

«Gimli...» Thorin si morse l'interno della guancia «Non desidero parlarne. Lo scoprirò ben presto. E poi, non è quello ciò che mi preoccupa di più.»

«Quindi è l'Elfo?» disse Frerin incerto.

La mano di Thorin si schiantò improvvisamente sul tavolo. «Sì, è il dannato Elfo! Sono nemici! Dovrebbero odiarsi!»

«Thorinîth» disse cautamente Frís, e lui la interruppe, furibondo.

«Non sono un bambino capriccioso!»

«No, non lo sei» disse lei «Ma sei stato di pessimo umore sin da quando Gimli e l'Elfo sono arrivati ad un accordo. Noi non ti abbiamo fatto nulla per meritarci un trattamento del genere, figlio mio.»

Il cuore di Thorin affondò e lui si strofinò il volto, facendo cadere il pane nel piatto. «Mohilâli harubaz hubma» gemette contro il palmo «Perdonami.»

Hrera gli colpì la nuca. «Linguaggio» esclamò.

«Fai la riunione, inùdoy» gli consigliò Thráin «Fare qualcosa di produttivo ti calmerà quella tua rabbia Durin.»

«Non dare la colpa a lui per essere intrattabile per via di quel dannato Elfo» ringhiò Thrór sottovoce. Hrera diede a suo marito un'occhiata seria, e gli occhi di lui scattarono di nuovo verso il suo piatto.

«Sì, sì» disse Thorin, ancora soffocato dalle sue mani. Una mano si poggiò sul suo avambraccio, e lui guardò attraverso le dita per vedere Frerin che lo fissava. Il volto dolorosamente giovane di suo fratello era pieno di preoccupazione.

«Vuoi che venga con te, nadad?» sussurrò.

Thorin guardò suo fratello per un istante, con le parole dei suoi nonni e dei suoi genitori che gli riempivano la testa. Lottavano con la rabbia per l'audacia dell'Elfo nello stringere amicizia col nemico di suo padre, e il terrore per la nuova conoscenza di Gimli. Si sentiva pieno di pensieri in conflitto, assordanti, e lui non era abbastanza grande per contenerli. «Aye» disse infine «Aye, nadad. Mi farebbe piacere. Saresti il benvenuto.»

Frerin batté le palpebre, e poi sorrise. «Allora sono con te.»

Thorin abbassò la mano per prendere quella di Frerin, e non per la prima volta ingoiò lo stupore nel notare la differenza tra la sua mano e quella di suo fratello adolescente. Così piccola, così piccola e senza segni. «Grazie.»

«Meglio» disse Hrera «Ora, mangia. Thrór terrà d'occhio la Camera, quindi voi due non fatevi venire idee strane!»

«Nonna!» protestò Frerin. Lei alzò un dito in avvertimento.

«La mia memoria non è così malandata. Mi ricordo quello che combinavate un tempo»

«Io vorrei saperlo» borbottò Kíli.

Il resto della colazione passò senza interruzioni, e Thorin ben presto si alzò e incrociò lo sguardo di suo nonno. «Quanto?» chiese con voce impassibile.

«Quattro ore» disse lui fermamente «Poi devi fare una pausa e mangiare qualcosa. Verrò a prenderti. Capito?»

Thorin sospirò, ma non fece commenti. Poi si girò verso sua madre e si piegò per spostarle la barba dalla guancia e darle un bacio. «Mi dispiace, 'amad» mormorò.

«Sono orgogliosa di te, inùdoy» disse lei, sorridendo con gli occhi «Lo so che non è facile cambiare. Grazie per aver accettato i nostri consigli.»

Lui annuì, prima di annuire e uscire dalla sala da pranzo. Il rumore degli stivali di Frerin contro la pietra poteva essere udito dietro di lui. «Thorin, aspetta!» disse, e lui rallentò per permettere a suo fratello di raggiungerlo «Non ho finito di bere» si lamentò.

Tenendo presente la sua impazienza e ora controllando strettamente la sua rabbia, Thorin si fermò e guardò suo fratello. «Vuoi tornare indietro?» chiese. Gimli e Bilbo erano a solo qualche secondo di distanza, che aspettavano dall'altro lato del cielo stellato del Gimlîn-zâram.

«Nah, andiamo» disse Frerin, guardando negli occhi di Thorin «Stai per esplodere o qualcosa di simile, e credimi, dopo l'ultimo paio di giornate drammatiche ho un po' paura di cosa succederebbe. Puoi essere molto spaventoso, lo sai?»

Lui sentì l'angolo della bocca che si alzava. «Grazie.»

«Non era un complimento» borbottò Frerin «Vieni. Non sprechiamo tempo prima che il nonno arrivi e ci tiri fuori per le orecchie.»

Attraversando l'arco in perla, Thorin si sedette e Frerin lo spinse perché gli facesse più spazio. Thorin si spostò controvoglia, prima di guardare dove era seduto Ori. Gli occhi dello scriba erano distanti e privi di fuoco, il suo volto mezzo illuminato dal luccichio. «Dov'è? Non ho avuto rapporti in due giorni.»

«Boh. Penso lo scopriremo» disse Frerin «Andiamo, fratellone. Andiamo a trovare quell'infuocato, che dici?»

Cosa pensava ora Gimli, sapendo che un Nano morto sosteneva di osservarlo e conoscerlo e amarlo come un padre ama un figlio? L'apprensione stava nuovamente artigliando lo stomaco di Thorin, ma lui la represse senza pietà. «Sì. Lothlórien.»

Non ci volle nulla perché le lucine danzanti iniziassero le loro acrobazie sotto la superficie argentata della vasca. Le stalle sembrarono dargli il benvenuto dopo la sua assenza forzata, avvolgendolo nel loro luminoso abbraccio e mandandogli brividi di calore fin nel cuore. Thorin aprì le braccia e lasciò che lo ingoiassero, lasciò che lo rivoltassero e lo rispedissero da coloro che amava.

Prima ancora che i suoi occhi si fossero ripresi dalla luce accecante, poté sentire la profonda voce rimbombante della sua stella, amata e familiare, che gli risuonava nelle orecchie.

«Gimli» disse, e fece un passo avanti alla cieca, battendo le palpebre furiosamente. Il cuore gli stava saltando nel petto.

«...così alti!» stava dicendo Gimli, e c'era il suono di pesanti stivali Nanici che colpivano del legno «Perché non fanno delle piattaforme mobili? Non sarebbe difficile: qualche carrucola, qualche corda, un argano o due, e Borin è tuo zio. Scommetto che potrei farne uno schizzo per l'ora di pranzo!»

«Pace, Mastro Nano!» giunse la risata allegra dell'Elfo, e Thorin dovette reprimere un ringhio «Questi boschi sono rimasti gli stessi da millenni. Non credo siano pronti per delle tali ingenuità Naniche e innovazioni.»

«È lungo salire a piedi, sto dicendo» disse Gimli, e gli occhi di Thorin gradualmente misero a fuoco la sua stella. Il suo volto era nervoso mentre si arrampicava su per le scale a chiocciola del grande albero mellyrn verso il flet dove avevano incontrato Galadriel e Celeborn, Gimli come penultimo e l'Elfo ala fine della Compagnia. «Non sono per nulla difficili. Le usiamo da sempre. Beh, non ci vuole molto per mettersi a pensare modi per rendere la vita più semplice in una miniera, lasciamelo dire!»

«Hai lavorato in miniera?»

«Ragazzo, ho lavorato in miniera da quando aveva cinquant'anni, e non sono un picnic» disse Gimli, e allungò una mano per toccare la corteccia argentata del mellyrn mentre saliva, seguendo lo scudo di Boromir «Però, non si riuscirebbe a godere dello scenario e dell'odore degli alberi se si prendesse una piattaforma» disse con voce leggermente più bassa, e le sue dritta sopracciglia Durin si rilassarono «Forse le vecchie maniere son davvero migliori.»

«Ti renderemo ben presto un Elfo, Gimli» sorrise Legolas.

«Ha! Non sarà cosa facile!» ridacchiò Gimli «Ti avverto, sono un pochino troppo pesante per camminare sulla neve come te!»

La risata di Legolas era gentile. «Forse no. Dovremmo scoprire cosa c'è sotto quella tua barba, amico mio, e so che dovrei temere per la mia vita se mai dovessi avvicinarmi a te con un rasoio.»

«Per le benedette palle di Mahal!» esclamò Gimli, e le sue dita si alzarono per intrecciarsi nella sua invidiabile massa di rugginosa, meravigliosa barba «Non dire cose del genere!»

«Stai zitto, dannato mangia-erba» ringhiò Thorin «Non hai idea di cosa voglia dire la barba di un Nano!»

Gimli si fermò di colpo, come se si fosse scontrato contro un muro invisibile. La sua testa accesa si alzò di scatto, e i suoi occhi si spalancarono. Poi sussurrò un'imprecazione sotto voce e i suoi occhi brillarono. «Salute, mio signore» disse con voce che poteva a malapena essere udita «Avevo pensato che mi aveste abbandonato.»

«Mai» disse Thorin, e una grande gioia nebulosa gli crebbe nel petto e nella gola «Mai, mia stella.»

«Gimli, mellon nín?» Legolas si era quasi schiantato contro la larga schiena di Gimli, e guardò il Nano confuso «Perché ti sei fermato? Stai bene?»

«Sto bene» disse Gimli ad alta voce, prima di abbassare il tono sino a un piccolo sussurro «Ma katakluti, melhekhel.»

«Shândi, inùdoy kurdulu» rispose Thorin. Poi si abbassò e le sue dita presero la manica di Frerin. «Sa che sono qui!»

«Ma non ti sente con chiarezza» gli fece notare Frerin. Thorin era troppo sopraffatto per accorgersene.

«Non importa» disse selvaggiamente «Sa che sono qui! Percepisce la mia presenza così chiaramente!»

«Abbadizu» disse Gimli, e sorrise «Baknd ghelekh ra yâdùshun, Thorin Thráinul.»

«Gimli?» disse l'Elfo, il suo bel volto tirato dalla preoccupazione «Cosa c'è?»

«Ah, non ora!» disse piano Gimli, e scosse la testa «Nulla, Legolas» disse, e ricominciò a salire le scale «Un piccolo crampo alla gamba, niente di grave.»

L'Elfo sembrò sospettoso. «E un forte Nano è suscettibile ai crampi alle gambe?»

«Lo è se deve salire tante scale!» disse Gimli con trionfo, e Thorin non poté fare a meno di ridere d'orgoglio per la maniera in cui aveva rigirato la conversazione.

«Il tuo umore ruota più in fretta di un'ascia, ed è ugualmente pericoloso» borbottò Frerin «Ora sei felice?»

«Gimli! Legolas!» giunse la voce di Aragorn da sopra «Muovetevi!»

«Mi stancherò presto di quell'Uomo che lo dice» predisse Gimli, prima di piegare la testa e iniziare a camminare. I suoi stivali facevano un enorme trambusto contro il sottile legno aggraziato.

«Ebbene, sanno che stai arrivando» disse Legolas asciutto.

Gimli ringhiò e si impegnò a salire più in fretta le scale a chiocciola.

Quando giunsero sul largo talan, Thorin fu nuovamente sopraffatto dalla luce che giungeva dal Sire e dalla Dama del Bosco Dorato. Gimli immediatamente si spostò davanti alla Compagnia, e Sam e Pipino si scambiarono occhiate divertite mentre il Nano guardava la Dama Galadriel con qualcosa che sembrava adorazione.

«Sembra che il figlio di Thranduil non sia l'unico Elfo per cui Gimli ha una certa affinità» disse Frerin, e Thorin fece un sospiro.

«La donna-Elfo gli ha parlato giustamente, e nella nostra antica lingua. Gli dato pace in una terra straniera, e ha dato a me il dono della sua conoscenza» disse di malumore «Lei è potente, ma non vuole fargli del male.»

Frerin fece una pausa, e poi si voltò per guardare il volto di Thorin, con espressione seria. «C'è qualcosa di diverso in te, o sbaglio nadad?» chiese «Non l'avresti mai detto prima.»

Thorin incrociò le braccia e fece un'espressione scura come una nuvola tempestosa. «Posso concedere che lui non sia un pericolo per Gimli. Il cucciolo di Thranduil, d'altro canto...!»

«Uhm» disse Frerin, alzando le sopracciglia chiare. Poi si voltò per guardare il Sire e la Dama dei Galadhrim che si muovevano verso la Compagnia, i loro volti sereni e i loro passi senza suono. «Se lo dici tu, fratellone.»

La Dama parlò a lungo con Aragorn, e Thorin si ritrovò a studiare l'altro Re senza corona per un momento. L'Uomo toccò un gioiello intorno al collo e chinò il capo, e Galadriel alzò una mano per toccare la sua testa in segno di benedizione. C'era un avvertimento nei suoi occhi.

Dei mantelli furono dati ad ogni membro della Compagnia, grigio verdi come le tuniche indossate dagli Elfi attorno a loro. Gimli toccò il materiale con curiosità e si portò agli occhi il fermaglio per guardarlo con occhio esperto. «Un lavoro non male» mormorò a se stesso «Un lavoro per nulla male.»

«Questi sono mantelli magici?» disse Pipino, guardandoli con meraviglia.

Celeborn rise nella sua bassa voce musicale. «Non so che cosa tu intenda dire» disse «Sono abiti belli, e di ottima stoffa. Foglia e ramo, acqua e pietra; hanno il calore e lo splendore di tutto ciò che li circonda, immerso nel crepuscolo della nostra Lórien dorata. Li troverete di grande aiuto nel nascondervi dagli sguardi ostili, ovunque voi siate.»

«La Dama ha davvero per voi un particolare affetto, perché lei stessa, aiutata dalle sue damigelle, li ha tessuti. Mai prima d'oggi avevamo visto degli stranieri con abiti uguali ai nostri» disse Haldir, e lanciò un'occhiata a Gimli mentre parlava. Il Nano non aveva occhi per la Guardia, però, ma guardava il suo mantello con nuovi occhi meravigliati.

«Dalle mani stesse della Dama!» mormorò «Ah, zabadel, vedete quanto sono fortunato?»

«Lo vedo, Gimli» disse Thorin di malavoglia «È un bel mantello.»

La testa di Gimli si alzò, e una scintilla di divertimento gli danzò negli occhi. «Ah, non approvate» disse.

«Non mi danno fastidio i doni della Dama» disse Thorin, e ignorò la gomitata che gli diede Frerin.

«Io non ne ho chiesti» disse Gimli, e si votò per guardare Galadriel che porgeva a Pipino e Merry un paio di cinture d'argento con delle affilate lame Elfiche «Ora, questo è del lavoro Nanico! Mi chiedo chi le abbia create?»

«Doni da Moria, molto tempo fa» disse Celeborn, il suo volto impassibile mentre rispondeva al Nano. Gimli si inchinò in risposta.

«Dunque sono felice che il mio popolo sia stato in grado di donare bellezza a una terra che ne è già piena» disse, e Frerin fischiò.

«Ci sa fare con le parole, o no?»

«Oh, non ne hai idea» disse Thorin, e guardò il volto di Celeborn con soddisfazione mentre il Sire cercava di trovare un difetto nell'elegante complimento.

Boromir ricevette una cintura d'oro dalle mani della Dama, e i suoi occhi si alzarono per incrociare nuovamente i suoi. Lei sorrise con rassicurazione, alzando le mani per stringergli i polsi. L'Uomo deglutì, e paura e dolore gli passarono brevemente sul volto. Poi chinò il capo in segno di ringraziamento.

Legolas fu il seguente, e a lui venne presentato un arco lungo, più grande e spesso degli archi del Bosco Atro. «Sono capelli Elfici quelli?» gli sibilò Gimli «Hai detto che incordati con capelli Elfici.»

«Lo sono» disse Legolas, testando la corda e annuendo con soddisfazione «Quali incisioni! Mia signora, vi ringrazio. Nîn velui a lalaith veren nalú en-agovaded vín, Hril nín.»

«L'arco dei Galadhrim è adatto alla grande abilità del nostro congiunto del nord» disse lei, sorridendo «Namárië, Legolas Thranduilion. Troverai il tuo posto, anche se potrebbe essere dove meno te lo aspetti.»

«Enigmi» borbottò Thorin «Non mi piacciono gli enigmi.»

A Sam donò una piccola scatola di legno grigio, piena di una terra così fine che sembrava quasi nebbia. Thorin gli lanciò uno sguardo scettico, ma notò che gli altri tre Hobbit guardavano Sam con invidia. Da parte sua, il giardiniere divenne rosso fino alla punta delle orecchie e balbettò qualcosa di totalmente incomprensibile mentre chinava la testa alla meno peggio. «Cosa sarebbe quello?» soffiò Frerin.

«Non ne sono sicuro» disse Thorin «ma guarda come reagiscono gli altri Hobbit.»

«Eh» Frerin si grattò la testa dorata, gli occhi blu confusi «Gli Hobbit hanno un sacco di entusiasmo per la terra, o no?»

Penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri, e la mia poltrona, e il mio giardino.

«Molto» mormorò Thorin «I giardini... sono importanti.»

Galadriel fece una pausa voltandosi verso Gimli, le labbra leggermente aperte. «Ah» disse, come se parlasse con se stessa.

Poi sorrise a Gimli. «E quale dono un Nano gradirebbe ricevere dagli Elfi?»

«Nessuno, Dama» disse Gimli, alzando il mento con gli occhi che brillavano di una sorta di gioia serena «È per me un regalo sufficiente l'aver veduto la Dama dei Galadhrim, e udito le sue dolci parole.»

Di fianco a Thorin, la bocca di Frerin si spalancò.

«Bravo davvero, inùdoy» disse Thorin, e scosse il capo «La tua audacia ti porterà ovunque, figlio di Glóin!»

«Ascoltate tutti voi, Elfi!» gridò Galadriel, il suo viso luminoso e le sue braccia aperte «Che nessuno osi mai più dire che i Nani sono cupidi e sgarbati! Eppur sono certa, Gimli, che tu desideri qualcosa che io posso darti. Esprimi questo desiderio, te ne prego!»

«Mi avete già donato tanto, Dama» disse piano Gimli.

«Eppure le tue mani sono vuote» replicò lei.

«Ma il mio cuore è pieno»

«Per la barba di Durin» disse Frerin debolmente «Parla come un bardo.»

«Il poeta in lui ha dormito troppo a lungo, penso» disse Thorin, incrociando le braccia con soddisfazione prima di esplodere dall'orgoglio. Sorrise alla sua stella. «Deve sempre venir fuori in maniera spettacolare.»

«Non voglio che tu sia l'unico ospite senza un mio dono, figlio di Aulë» disse Galadriel «Andiamo, dì ciò che potrei darti, e sarà tuo.»

«Non c'è nulla, Dama Galadriel» disse Gimli, inchinandosi profondamente e barcollando leggermente. Le punte delle sue orecchie Durin diventarono rosse. «Solo...»

Il sorriso di Galadriel si allargò. «Ah. Sì?»

La testa di Gimli si alzò leggermente verso di lei, con le trecce che gli cadevano davanti agli occhi. «Nulla – eccetto forse, se mie è permesso chiedere, anzi, esprimere il desiderio, un capello della vostra chioma, che eclissa l'oro della terra, così come le stelle eclissano le gemme delle miniere.»

Il respiro degli Elfi divenne molto rumoroso nel silenzio improvviso.

«Io non chiedo un tale dono» disse Gimli, facendosi piccolo sotto l'improvviso scrutinio «Ma mi avete ordinato di esprimere il mio desiderio.»

Lo stupore era scritto su ogni volto, e Celeborn guardò Gimli con meraviglia. Ma Galadriel rise, e la sua risata era pura e dolce come il canto degli uccelli. «Si dice che l'abilità dei Nani risieda nelle loro mani e non nella loro lingua» disse «non è certo il caso di Gimli. Nessuno mi ha mai rivolto una preghiera così ardita eppure così cortese. Come potrei rifiutare, dopo avergli ordinato di parlare? Ma dimmi, cosa faresti di un tale dono?»

«Lo custodirei come un tesoro, Dama» disse Gimli prontamente «in ricordo delle parole che mi rivolgeste il giorno del nostro primo incontro. E se mai dovessi ritornare nelle fucine della mia terra, lo farei incastonare in un cristallo inalterabile, ed esso sarebbe al tempo stesso un prezioso ricordo per la mia famiglia, e pegno di benevolenza tra la Montagna e la Foresta sino alla fine dei tempi.»

«Sì, se il tuo selvatico nipote non lo mangia prima!» disse Thorin, e alzò gli occhi al cielo «Oh, mia stella, ti sei superato questa volta. Ebbene, sei certamente un membro della mia famiglia! Nemmeno tu sai quando fermarti!»

Galadriel fece una pausa, e poi si raddrizzò. La sua mano andò verso il lungo fiume d'oro e argento che gli ricadeva lungo la schiena, e la sua sottile mano bianca iniziò a sciogliere una delle sue trecce.

«Meleth nín!» disse Celeborn, facendo un passo avanti. I suoi occhi brillavano.

Galadriel portò il suo sguardo ultraterreno su suo marito, e lui si allontanò con riluttanza. Gli Elfi si riscossero e sussurrarono fra loro in meraviglia mentre gli alberi danzavano liberi al vento, brillando come oro e mithril e argento nella luce del mattino.

Gimli sembrava incapace di parlare mentre la Dama si tolse tre capelli dalla testa e li appoggiò sulla sua grande mano rovinata. I suoi occhi li fissarono come se potesse a malapena credere a ciò che vedeva.

Lei gli chiuse le spesse dita sui capelli e si piegò di fronte a lui. «Il dono sarà accompagnato da queste parole» disse «Non predico il futuro, perché ogni profezia è vana: da un lato vi è l'oscurità, e dall'altro solo speranza. Ma se la speranza dovesse non morire, io dico a te, Gimli Glóinul, che nelle tue mani l'oro scorrerà a flutti, eppur non avrà mai su di te alcun dominio.»

L'improvvisa ondata di odio per se stesso fu improvvisa e acida. A Thorin si mozzò il fiato.

«No, fratello» disse Frerin gentilmente, e lo spinse «No. Smettila. Ricorda cos'ha detto nostra mamma, sì?»

«Lo so, lo so» riuscì a ire Thorin, e poi alzò gli occhi per guardare Gimli «Bene dunque, forse la maledizione della nostra Linea è davvero spezzata.»

Frerin sorrise. «Forse.»

Gimli stava guardando i capelli luminosi nelle sua mani con incredulità, e poi guardò di nuovo la donna-Elfo col volto che irradiava di gioia. «Dama» fu tutto ciò che disse, e si inchinò profondamente alla maniera dei Nani e con totale rispetto e gratitudine.

Lei chinò il capo, sorridendo. «Mahzirikhi zu gang ghukhil.»

Gimli rise deliziato. «Aye. Che tutte le nostre strade ci conducano in luoghi più sicuri.»

«Cosa» disse Frerin.

«Lei conosce il Khuzdul» gemette Thorin, e si passò una mano sul volto «Apparentemente non lo conosce abbastanza per saperlo tenere per sé.»

«Beh, ad essere onesti, nemmeno Gimli» fece notare Frerin.

A Frodo diede una fiala piena di una luce argentata, e poi Galadriel si piegò per dare un bacio sulla fronte del Portatore. Nonostante il loro lungo riposo in questa terra pacifica, Frodo appariva stanco. Sembrava molto più vecchio, e i suoi occhi blu erano più profondi e saggi di come erano stati. Un qualche cambiamento era avvenuto in questo Hobbit, uno che Thorin non riusciva a capire.

«Bilbo ne sarà triste» si disse. Il suo Hobbit avrebbe pianto. Non l'avrebbe potuto sopportare. «Bilbo non dovrebbe essere triste.»

Si avvicinò all'orecchio di Gimli. «Gimli, non dimenticarti di Frodo» mormorò alla sua stella mentre la Compagnia si voltava e si dirigeva nuovamente verso le scale. Molto, molto più in basso, un gruppo di Elfi aspettavano per portarli alla bassa insenatura verso il grande fiume Anduin.

«Dimmi, Frodo» disse immediatamente Gimli, voltando il capo verso il Portatore che marciava accanto ad Aragorn «Riesci a crederci? Io non avrei mai creduto, nemmeno in tutte le vite di Elfi e Nani, che il mio desiderio sarebbe stato esaudito! Guarda! Non sono meravigliosi?»

«Molto, Gimli!» Frodo sorrise, e guardò le grandi dita del Nano, in grado di esercitare grande forza e potenza, che attorcigliavano abilmente i capelli in una piccola treccia e li mettevano in una tasca vicino al cuore «Sono davvero un regalo magnifico!»

«Non più del tuo!» disse Merry «Sono sicuro di aver visto quella boccetta che brillava senza che un solo raggio di luce colpisse il vetro!»

«Mi chiedo cosa succederebbe se la bevessi?» disse Pipino. Legolas si strozzò, e poi lanciò indietro la testa e rise la risata argentina degli Elfi.

«Non te lo consiglio» disse Aragorn, con la bocca che si incurvava in un sorriso. Toccò il gioiello sulla sua gola. «Risparmiate il fiato per l'arrampicata. Abbiamo ancora una lunga strada davanti a noi, e ci sono pochi posti come Lothlórien per riposarsi al sicuro. Consiglierei di misurare le forze fino al grande fiume.»

«Sto iniziando a pensare che Gimli avesse ragione su di te» borbottò Thorin, guardando su verso l'Uomo. Aragorn rimaneva un mistero: un Re degli Uomini che scappava dal suo Trono ma mai dal suo dovere, cresciuto dagli Elfi e amato da un'Elfa, eppure un mortale, un grande guerriero e un vero erede di Númenor che si nascondeva sotto le pelli del Ramingo e l'ignobile nomignolo “Granpasso”. «Sei decisamente troppo cupo e torvo.»

«Detto da te, poi» disse Frerin. Thorin lo ignorò.

Non molto tempo dopo la Compagnia stava sistemando gli zaini nelle strette barche usate dai Galadhrim. Gimli le guardava dubbioso. «Non sembrano molto stabili» disse.

«Queste barche sono resistenti e non affonderanno, non importa quanto pesantemente possano essere caricate» disse Haldir, che li aveva accompagnati fino al porto «Però, possono essere capricciose se trattate nella maniera sbagliata. Vi consiglierei di starci attenti!»

Gimli sembrava dubbioso, ma Legolas sorrise. «Vieni, mellon nín, farò io il primo turno ai remi. Senza dubbio troverai presto le tue gambe da marinaio!»

«Temo dovrai aspettare un bel po'» disse Gimli, ma comunque si arrampicò impazientemente nella stretta barca grigia, stringendone i lati con le grandi mani «Sembra tutto a posto per ora» si disse «Ah, ma la vera sfida è l'Anduin! E quanto disterà, mi chiedo?»

Il nome di Gimli fu detto sottovoce dietro di lui, e fece voltare a Thorin la testa verso dove Boromir aiutava Aragorn a caricare le altre due barche, le loro teste chine. «Non comprendo la loro meraviglia» stava dicendo sottovoce Boromir «Perché donare tre capelli li meraviglierebbe tanto?»

Aragorn sorrise ancora una volta, e l'espressione era più naturale sul suo volto di quanto Thorin si aspettasse. «Questa è una lunga storia, e molto antica.»

«Abbiamo ancora un po' di tempo prima di arrivare al fiume» disse Boromir, e rise improvvisamente «Mai avevo visto un Elfo stupefatto prima d'ora. Questo luogo meritava di essere visitato solo per questo!»

Aragorn ridacchiò. «Non accade spesso, no. Bene, brevemente, la Dama di questo bosco è una dei Noldor, Elfi amati dall'artigiano e fabbro dei Valar, Aulë.»

Thorin fece un salto indietro, e di fianco a lui Frerin sussurrò: «Mahal amava degli Elfi? Accadde prima che amasse noi?»

«Lui ci ama» disse Thorin acido «Ci ha dato vita. Ha dato a me il mio Dono. Nessun altro Vala ci ama oltre a Mahal. Lui ci ama!»

«Il più grande ed abile di quella razza fu lo zio di lei, Fëanor. In lui viveva un fuoco che non poteva essere domato, per la rovina di tutti» continuò Aragorn, e il suo sorriso svanì per essere sostituito dalla sua usuale espressione cupa «Non parlerò di quei giorni e degli orrori portati da arroganza e vendetta, non sotto gli alberi dei suoi simili esiliati. Basti dire che molto dolore giunse in questo mondo attraverso sia la sua abilità che il suo orgoglio.»

«Cos'ha questo a che fare col dono di Gimli?» disse Boromir, appoggiandosi contro la fiancata della barca grigia e inclinando il capo.

«Ah» lo sguardo scuro di Aragorn si addolcì «Fëanor per tre volte pregò sua nipote di dargli uno dei suoi capelli, e tre volte lei rifiutò.»

Boromir batté le palpebre. «Gimli non lo sa.»

«No» disse Aragorn, e il suo sorriso crebbe di nuovo «Lui non sa che il dono rifiutato al più grande dei Noldor ora è stato dato a un Nano. Non sa che le mani più abili mai esistite un tempo hanno desiderato ciò che ora lui tiene. Farà tesoro di quei capelli luminosi per amore di colei che glieli donò, non per la loro bellezza o la loro utilità.»

Boromir lo fissò, e così fece anche Thorin. «Ma mahdijn» disse, stupefatto.

«Che tutti noi possiamo trovare tale gioia nelle nostre vite» disse Boromir serio, e Aragorn annuì.

«Dobbiamo lasciarci dietro tutta la gioia per un po', fratello mio, perché ora lasciamo Lothlórien» disse, e indicò la barca sulla quale Pipino e Merry erano seduti, già cercando in mezzo ai viveri «Prenditi cura del nostro Brandybuck e del nostro giovane Tuc sulle acque dell'Anduin, e io guiderò Frodo e Sam. Conosco queste acque.»

Boromir gli diede una pacca sulla spalla, prima di andare dai due Hobbit più giovani, che sedevano nella seconda barca, con le teste vicine. Alzarono il capo improvvisamente e colpevolmente quando lui si avvicinò, con delle briciole sulla bocca. «Avevo fame!» squittì Pipino.

Boromir rise e gli scompigliò i riccioli, prima di arrampicarsi nella barca e spingerla via dalla riva con l'aiuto di Haldir.

«Sto iniziando a capire perché lo ami tanto, Thorin» disse Frerin, a voce bassa «Un solo capello fu rifiutato a un Signore degli Elfi, e tre furono dati a un Nano. Chi avrebbe mai potuto predirlo?»

«Lui non lo sa» disse Thorin, e tornò da Gimli, aggrappato alla barca con un'espressione di estrema trepidazione sul suo volto mentre Legolas li allontanava dalla riva con un remo. Sedendosi sulla panca accanto alla sua stella, Thorin scosse il capo e gli guardò il volto: le sopracciglia Durin, il naso Vastifascio, gli zigomi forti e la bocca testarda. «Ha appena ricevuto qualcosa di straordinario in virtù di ciò che lui è – grazie alla sua onestà e umiltà ed eloquenza – e non lo sa neanche.»

«Ah, ho sofferto la mia peggiore ferita durante questa separazione!» disse Gimli improvvisamente, e la sua mano lasciò la barca e premette contro il petto largo dove i capelli giacevano intrecciati sotto la cotta di maglia «Ho mirato per ultimo ciò che di più bello c'è. D'ora in poi nulla sarà più bello per me, solo il dono che ella mi ha fatto.»

Legolas affondò il remo nell'acqua e inclinò il capo in quella strana maniera da uccello che condivideva con suo padre. Thorin fischiò sentendo la voce dell'Elfo così vicina quando disse: «No, non dirlo! Gimli, io ti considero benedetto, perché tu hai trovato e perduto, soffri della perdita di tua spontanea volontà. Solo la lealtà ti porta su questa via d'acqua.»

«I Nani non sono fatti per le barche, ti dico» ringhiò, e scosse i capelli accesi «Eppure come dissi a Mastro Elrond, sleale è colui che dice addio quando la strada diventa oscura. Ah, perché sono partito per questa missione? Nulla sapevo di dove avrei trovato il pericolo maggiore! La tortura dell'oscurità era ciò che io maggiormente temevo, e non mi trattenne minimamente. Nay, sono andato avanti con l'ascia in mano, pronto anche a morire. Ma oh, i pericoli di luce e gioia! Mi faranno a pezzi là dove gli Orchi hanno fallito. Il mio cuore è spezzato in due. E il mio signore, è qui con me?»

«Sono qui, Gimli» disse Thorin, e strinse forte la mano attorno alla propria gamba per impedirsi di andare a toccare la trecce spettinate di Gimli «Sono qui.»

«È qui» disse Gimli, e sospirò, rilassandosi pesantemente nella barca.

«Questo è il Re che hai veduto nel suo specchio» disse Legolas. Forse era solo un frammento dell'esausta, affaticata immaginazione di Thorin, ma gli sembrò di vedere un lampo di preoccupazione negli occhi dell'Elfo.

«Aye, il mio cugino e Re» disse Gimli. Poi lanciò a Legolas uno sguardo di sottecchi. «Quello che hai minacciato col tuo arco.»

Legolas sobbalzò visibilmente.

«Uh-oh» disse Frerin, e si abbassò.

«Gli offro dunque le mie più sincere scuse» disse l'Elfo con voce tesa e esitante. Poi fece un suono incredulo con la gola. «Ma come? Come può un Nano morto seguirti?»

Le labbra di Gimli si strinsero in una sottile linea bianca. «Eri lì quando io lo vidi e quindi non posso fingere altrimenti» disse lentamente «Ti ho detto molti segreti, perché ora siamo amici e compagni come dovremmo essere sempre stati. Anzi, potrei essere stato un po' troppo imprudente, e detto più di quanto avrei dovuto. Ma questo non posso dirtelo, perché nessun Nano in vita conosce i misteri. Sappiamo che andiamo nelle Sale dei nostri Antenati, e lì aspettiamo il mondo che sarà. Allora, come promesso, saremo infine completamente accettati tra i Figli di Ilúvatar. Saremo voluti e necessari e amati infine, dopo i nostri giorni di estraneità. Ma cosa sono le Sale, o dove: questo non lo possiamo sapere. Non so come il mio congiunto possa essere con me, e nemmeno dovrei saperlo, sospetto» guardò le sponde del fiume che correvano accanto a loro. I canti dei Galadhrim svanirono dall'aria.

«Sei stato davvero imprudente, mia stella» disse Thorin, e si chiese cosa ne sarebbe stato di lui, di questo Nano che aveva ricevuto tre volte il dono rifiutato a un Signore degli Elfi nell'alba dei tempi «Sei sempre stato un po' imprudente. Tuo zio sta scegliendo accuratamente le parole da dirti» improvvisamente la grandezza di ciò che Gimli aveva ricevuto lo colpì, e lui esclamò: «Oh, ma sono orgoglioso di te!»

«Ti prego, Legolas, non puoi menzionarlo agli altri» disse Gimli, il suo volto improvvisamente nervoso «Questo è un segreto che non sarebbe mai dovuto essere detto ad alta voce. Questo è un passo di troppo. Il nostro accordo è nuovo, ma so che non mi tradirai!»

I luminosi occhi Elfici di Legolas divennero preoccupati, e poi rimase in silenzio mentre remava diverse volte. Poi disse: «Manterrò il segreto, mellon, e non una parola uscirà dalle mie labbra, non per nessuna creatura vivente, sia essa Elfo, Uomo o Stregone. Ora sei mio amico, Gimli. Sono onorato di mantenere i tuoi segreti, anche se non li comprendo.»

«Grazie, Legolas» disse Gimli, e la sua mano si alzò per toccare il punto sopra al cuore dove aveva messo i capelli «Non so come» ripeté Gimli piano «Ma non posso fare a meno di essere grato.»

Legolas fece una pausa, e poi sorrise quel piccolo sorriso Elfico. «Sono felice per te, amico mio.»

Gimli annuì, e poi sorrise di rimando. «Amico mio.»

TBC...

Note:

Galadriel e Fëanor – Questo è canon. Gimli non capirà mai il vero significato del dono dei tre capelli, che si diceva brillassero della luce degli Alberi prima della creazione del mondo. Galadriel non partecipò alle atrocità che perpetrò suo zio, ma in quanto Noldor che seguì i suoi simili ad Arda senza permesso finì comunque sotto l'esilio dei Valar. Il suo esilio terminerà alla fine della Terza Era, grazie al suo rifiuto dell'Anello.

Parte del dialogo è preso dal capitolo “Addio a Lórien”

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto ***


Incontra una Nana

Zhori figlia di Yori

Zhori era una tessitrice di classe media, discendente in linea diretta da parte di madre dalla famosa e controversa concubina del XXV secolo delle Terza Era, Ymrís. Questa era una vergogna per la famiglia, che faceva del loro meglio per tenerlo nascosto. Zhori era bellissima, con capelli castano chiaro che divennero argento quando era piuttosto giovane, una barba piena e lucida, e un fisico robusto e massiccio. Era piuttosto simpatica, con una situazione economica stabile, e la sua bellezza le attirò molti ammiratori. Però, Zhori, una grande romantica per tutta la sua vita, fu terribilmente sfortunata in amore. Non trovò mai il suo Uno, e passò tutta la sua vita a cercarlo. Il suo primo marito, un bel giovane minatore, trovò il suo Uno e lasciò Zhori poco dopo la nascita del loro figlio, Dori. I due rimasero in comunicazione, e lei non ce l'aveva con lui. Zhori rimase solo per cinquant'anni prima di ritentare. Il suo secondo marito era una simpatica canaglia e un seduttore, e fu ucciso mentre Zhori era incinta del suo secondo figlio, Nori. Più avanti negli anni fu sorpresa dalle avance di un altro tessitore, e il suo terzo figlio, Ori, fu concepito al di fuori del matrimonio. I suoi figli erano estremamente protettivi della madre, e invece di tracciare la loro parentela in linea paterna (come è in uso per i Nani maschi, come per le Nane si traccia in via materna), si facevano chiamare i “figli di Zhori”. Lei fu una dei pochi Nani che morirono di vecchiaia nel caos dei due secoli precedenti, morendo pacificamente nel sonno nelle Ered Luin quando Ori era ancora molto piccolo.

Zhori la tessitrice di FlukeOfFate


Il rumore era assordante. La forgia era gremita di Nani, tutti che urlavano e gesticolavano e ringhiavano. Era molto caldo e umido, con tutti quei corpi in una stanza. Hrera sembrava piuttosto irritata, e stringeva le labbra piena di disapprovazione per alcune delle parole usate.

Alle porte della forgia, altri Nani cercavano di inserirsi attorno ai corpi di Fíli, Kíli, Frerin e Óin, i loro occhi curiosi si illuminavano vedendo Thorin e si fermavano su di lui.

Era come minimo sconcertante. Thorin non trovava strano essere al centro dell'attenzione, ma questo era diverso. Ora non era il loro Re. Sua madre certo gli aveva detto che la corsa folle di Frerin attraverso le sale aveva fatto in modo che ogni lingua parlasse della Missione e di Gimli e della veglia di Thorin. Però non aveva visto le prove dei pettegolezzi durante il suo riposo forzato. Ora – ora le vedeva. Erano sconcertantemente ovvie.

Thrór alzò le mani, e i chiacchieroni, pettegoli Nani si calmarono (ma non prima che Bifur tirasse una testata piuttosto forte a Nori). «Bene» disse Thrór stanco «Così è abbastanza. Ora iniziamo, che dite?»

Thorin ignorò gli occhi che scattarono verso di lui quando si alzò e andò alla destra di suo nonno. La sensazione di déjà vu era quasi insopportabile. Quanti anni era stato alla destra di suo nonno, poco più di un bambino pieno d'orgoglio, guardandolo emanare sentenza dopo sentenza?

«Un attimo!» urlò Fíli, con evidente fatica «Aspettate un momento, per favore?»

«Che cosa sta succedendo ora?»

«Non riesco a chiudere questa maledetta porta, ecco cosa!» replicò lui, e Thrór si massaggiò la base del naso e fece un suono esasperato fra i denti.

«Va bene» disse Nori secco, e si voltò ed iniziò a camminare lentamente verso la porta, aprendo un lato della giacca e mettendoci dentro la mano libera. Tutti i volti curiosi alla porta sbiancarono per ciò che videro (Thorin si chiese distrattamente che arma fosse stavolta, i coltelli con la punta ricurva o i dardi da lancio) e Fíli riuscì a chiudere la porta.

«Grazie» disse, ansimando. Accanto a lui, Frerin gemette e si appoggiò alla porta.

Nori chiuse la giacca, e ghignò allegramente. «È stato un piacere.»

«Forse ora possiamo iniziare?» disse Thorin, e lanciò un'occhiata a suo padre, che annuì fermamente.

«Cosa sta succedendo, ragazzo?» disse Balin, piegandosi in avanti e inclinando il capo.

Thorin fece un respiro profondo. «Mi è... mi è stato fatto notare che non ci stiamo approcciando al problema nella maniera più efficiente.»

Óin si strozzò, e poi iniziò a ridacchiare. Thorin gli lanciò un'occhiata scura e pericolosa, ma il guaritore era troppo allegro e poté solo scuotere una mano per segnalare a Thorin di andare avanti.

«Non posso continuare come ho fatto finora» disse Thorin seccamente, irritato «Gli eventi si stanno muovendo in fretta, e se dobbiamo assistere la Terra di Mezzo in qualche modo da questo luogo eterno, dobbiamo essere più coordinati.»

«Ah» disse Balin, e si raddrizzò, il volto pensieroso. Poi guardò attentamente Thorin. «Per caso ha a che fare con le voci che corrono?»

«Quali voci corrono?» ribatté Thorin.

Balin sorrise. «Che tu guardi la Compagnia giorno e notte. Che Gimli figlio di Glóin ha allungato la mano in amicizia verso il figlio di un traditore, e per di più un Elfo. Che tu sei svenuto nella luce stellare del Gimlîn-zâram.»

La mano di suo nonno si poggiò sulla sua spalla, e Thorin indurì la mascella. «Tutto vero.»

Le urla eruppero nuovamente per la stanza, e Thorin fece un passo avanti, con gli occhi che brillavano. «Shazara!» ringhiò, e i Nani presenti si calmarono nuovamente con la rabbia sul volto.

«Le voci sono solo una parte» disse Frerin cupo «C'è dell'altro.»

«Altro!» Óin si massaggiò la fronte «Va già fin troppo male. Tremo al pensiero!»

«Aspetta fino a sentire cos'ha fatto tuo nipote ultimamente» borbottò Frerin, a Thorin incenerì Frerin con lo sguardo quando Óin sobbalzò e scivolò dalla sedia.

«Dobbiamo pianificare» disse Thorin, alzando la voce per farsi sentire fino in fondo alla stanza affollata «Dobbiamo capire come condividere le informazioni più efficacemente, come usare il mio Dono quando serve, e come raggiungerci a vicenda più in fretta. Abbiamo dei Nani capaci fra di noi. Balin, tu hai la maggiore esperienza in questo genere di affari. Cosa ci consigli?»

Balin annuì. «È una buona idea, Thorin» disse, e lo guardò da sotto le sopracciglia cespugliose «E credo non sia totalmente tua.»

«Non importa» ringhiò Thorin, mantenendo testardamente lo sguardo lontano da suo padre.

«Vediamo. Dovremmo riunirci regolarmente» disse Balin, e alzò la mano in una vecchia maniera che fece immediatamente cercare inchiostro e carta a Ori «Ci servono delle staffette, come in tempo di guerra. Dovremmo avere delle squadre designate per ogni divisione, e loro dovrebbero fare rapporto a un cervello principale...»

«Stai forse suggerendo che c'è qualcosa di simile a un cervello fra questa gente» disse Hrera, alzando gli occhi al cielo. Balin la ignorò con suprema noncuranza.

«Suggerirei, ragazzo, di non far diventare te il punto focale delle informazioni» disse, e alzò un dito quando Thorin aprì la bocca per obbiettare «No, avrai già abbastanza da fare, guidandoci in questi tempi. Qualcun altro dovrebbe ricevere le informazioni, organizzarle, inviarle dove servono, e metterti a conoscenza dei punti cruciali. Ti servirà qualcuno astuto, qualcuno molto intelligente e pronto. Qualcuno che sa cosa sia importante per me.»

«Qualcuno come me» disse Frís, alzandosi «Mi offro volontaria.»

«'amad» disse Thorin, stupefatto. Frís gli offrì il suo sorriso gentile.

«Buono, figlio mio»

Thráin alzò un sopracciglio. «Forse ora mi crederai quando ti dico che siamo qui per aiutarti?»

Balin li guardò, prima di fare un segno a Ori che lo fece iniziare a scrivere in fretta. Attraverso il suo stupore, Thorin si ricordò che quei due avevano lavorato fianco a fianco per quasi sessant'anni esattamente a quel modo. «Lady Frís sarà dunque la nostra fonte di informazioni centrale» disse, e batté le mani in soddisfazione «Un'ottima scelta.»

«Tutte le informazioni dovranno dunque essere portate a me» disse lei, alzando il mento. I suoi profondi occhi blu erano duri e determinati.

Poteva funzionare, pensò Thorin. Poteva funzionare molto bene.

Frís fece un passo avanti e guardò la folla che annuiva. «Vorrei che fosse notato che Lord Balin qui rimarrà nel ruolo che ha così facilmente ripreso – quello di Siniscalco e Primo Consigliere. Tutti gli ordini dovrebbero giungere attraverso lui, se non sono da Thorin in persona.»

«Sì» si udì dire Thorin. Balin sorrise.

«Alla fine non ho mai potuto davvero servirti, mio Re, o sbaglio?»

«Non hai mai smesso» disse Thorin, e sorrise di rimando «E ora devo affidarmi nuovamente alla tua lealtà, amico mio.»

«Pensavo che non avresti mai chiesto, ragazzo» Balin schioccò le dita verso Ori, che ghignò e scrisse il nome di Balin con uno svolazzo.

«Sembra che anche Ori si sia trovato un lavoro» disse Kíli, e Ori fece spallucce.

«Come i vecchi tempi» disse, e Nori sbuffò.

«Si ricomincia. Si lamenterà per via di penne con la punta storta, si arrabbierà con ogni Nano per inchiostri e carte. Cos'avete fatto?»

«Ora, il vero lavoro» disse Thorin, e sospirò. Thrór gli diede una pacca sulla spalla, alzando le sopracciglia.

«Per prima cosa, zabadâl, dovremmo condividere ciò che abbiamo. Non avrà senso agire senza contesto»

Hrera aprì la bocca per protestare, ma Thrór scosse il capo. Era il Re Sotto la Montagna, non suo marito, colui che disse: «Thorin, Principe Ereditario di Erebor. Rapporto.»

Lui scattò sull'attenti, e la sua schiena si raddrizzò automaticamente. «Gimli e la Compagnia hanno lasciato Lothlórien lungo il grande fiume Anduin» disse «Colui che li guida, l'Uomo Aragorn, non sa che strada seguire una volta che il fiume li porterà alle cascate del Rauros. La Compagnia si sta avvicinando a causa del loro grande dolore per Gandalf. Il Portatore si sta stancando, e l'Anello chiama Boromir di Gondor, che più di ogni altra cosa teme per il suo popolo.»

Fece un respiro profondo, e Thráin disse piano: «forza, figlio mio.»

Thorin fissò le torce sul muro mentre continuava, sentendo le parole come se fossero coperte di verti e trascinate fuori da lui con delle pinze. «Gimli è forte e in salute. Ha fatto l'impensabile, e stretto amicizia con l'Elfo, Legolas figlio di Thranduil. Condivide i nostri segreti con l'Elfo, e i due sono a loro agio in compagnia dell'altro.»

Óin fece un suono di orrore e sconfitta e si coprì gli occhi. Come per un segnale predefinito, l'intera stanza esplose nuovamente in urla e liti, con tutti che parlavano allo stesso tempo. Quelli che supportavano l'amicizia tra Gimli e l'Elfo affrontavano coloro che erano contro – e Thorin non poté fare a meno di notare il lato “pro” era molto più piccolo del lato “contro”. Però, il lato “pro” compensava i numeri persi con il rumore.

«...il tuo dannato cugino, deve prenderlo...»

«Quell'Elfo, non si può aver contare su di lui per...»

«Gimli è un Nano adulto e può fare le sue...»

«Oh, e ti aspetti che un dannato mangia erba mantenga i segreti dei Nani...»

«Potrebbe cambiare tutto! Potrebbe guarire il...»

«Nulla potrebbe cambiare il modo in cui noi...»

«Aye, e il massacro dei Nanerottoli! Potrà mai...»

«Ma noi...»

«L'Elfo discende in linea diretta dagli Elfi del Doriath, eppure lui può superare...»

«Non osare parlare a me del Doriath, ragazzo!»

«Kulhu ma sakhizu ya izzûghizu, ma mahtadadizu ya 'agulhizu!»

«È il figlio di Thranduil!»

«Potrebbero portare la pace tra i nostri...»

«Un Nano, un Elfo – portare la pace! Balderash!»

«Aye, e poi gli alberi cammineranno con le gambe!»

«Follia, non può essere serio...»

Thorin contrasse le spalle. Così non sarebbero andati da nessuna parte.

«È il mio migliore amico! Lui non...»

«Aye, e il tuo migliore amico ti sta sostituendo con uno scopa-alberi ora, o no...»

«Dillo ancora e mangierai la mia ascia!»

«...parlato di Mahal, e lui si fida! Ha promesso!»

«La promessa di un Elfo non vale la carta su cui è scritta!»

«SHAZARA!» ruggì Thorin, e fu ripetuto dalla voce tonante di Thráin, il rombo di Fundin, e, sorprendentemente, l'urlo più acuto di Ori.

«Questo non ci porta da nessuna parte» disse lo scriba nel silenzio che seguì l'esplosione. Fulminò tutti con lo sguardo. «E se pensate che scriverò una cosa qualsiasi di queste, vi sbagliate di grosso!»

«Penne storte» sibilò Nori urgentemente «Vi avverto, non infastiditelo!»

«Saremo d'accordo sul non essere d'accordo» disse Thorin brevemente, fissando tutti con sguardo duro. Molti Nani fischiarono, ma alcuni sembravano vergognarsi dello spettacolo ridicolo. «I fatti rimangono: Gimli Glóinul ha fatto amicizia con Legolas Thranduilion. Può non piacervi. A me non piace. Ma non è nostro il compito di fare scelte per i viventi. Non tutti potranno essere dalla stessa parte, ma tutti noi siamo dalla parte di Gimli, e questo dovrebbe essere ricordato.»

«Non è tutto, però» disse Frerin, e poi si ritrasse sotto l'occhiataccia di Thorin «Uhm. Vuoi che io dica loro dei capelli, nadadel

«Lo dirò io» disse lui, e strinse le labbra e incrociò le braccia «Voglio la vostra parola che che queste discussioni infantili non seguiranno la prossima notizia. Chiaro?»

«Aye» «Scusa, zio» «Aye, ragazzo» «Scusa, Thorin» «Non succederà più» «Potrebbe» «Zitto»

«Molto bene. La strega-Elfo del Bosco Dorato ha fatto un dono a Gimli» disse Thorin, e i suoi denti si strinsero, mentre tendeva i muscoli della mascella «Un dono di tre capelli della sua testa. Da quanto ho imparato ciò non è qualcosa di comune, e lui ha fatto la storia nel riceverli. Un Nano ha ricevuto ciò che era stato rifiutato a un grande Elfo. Gimli non lo sa, ma gli Elfi di Lothlórien lo hanno guardato...» fece una pausa, e scelse le parole attentamente «diversamente.»

«Un Signore Elfico voleva i suoi capelli, tanto tempo fa» mormorò Frerin «Ma lei disse di no.»

«Fu lo stupore» ricordò Thorin, e i suoi pensieri volarono alle stupite, impassibili facce degli Elfi di Lórien, la meraviglia senza parola del figlio di Thranduil «Attraverso il dono di lei e l'eloquenza di lui l'hanno infine visto non come un Naug, ma come un essere di grande nobiltà e sentimenti. Hanno guardato il mio congiunto con meraviglia.»

Ci fu un silenzio nervoso. Balin era rosso dall'orgoglio per suo cugino, e Óin era ricaduto nuovamente nella sedia, il volto stupefatto.

«Potresti voler passare ad altre notizie» borbottò Frís.

«Granburrone – Granburrone rimane com'era» disse Thorin, e poi la sua gola si chiuse improvvisamene e lui si sedette pesantemente sul tavolo da lavoro. Sapeva che il suo sguardo cupo era tornato, ma si sentiva incapace di levarselo. La sua ultima visita da Bilbo era ancora troppo fresca.

«Ben fatto» disse Frís, e gli diede una pacca sulla mano.

«Chi è stato per ultimo ad Erebor?» disse Gróin (con un ottimo tempismo, pensò debolmente Thorin).

«Io» disse Ori, alzando il suo stilo.

«A dire il vero, penso di essere stato io» disse un'altra voce, e Thorin alzò lo sguardo per vedere la testa color miele di Víli figlio di Vár che si faceva avanti tra la folla. Il suo giovane, allegro cognato sembrava intimorito. «Ci sono andato all'alba. Volevo dire buon giorno, sapete.»

Víli non aveva mai saltato una singola visita mattutina a Dís, nemmeno una in tutti i centoquaranta anni dalla sua morte.

Fíli e Kíli lanciarono al padre uno sguardo sorpreso, prima di avvicinarsi ad occhi spalancati. «Cosa succede? Sta bene Mamma?» chiese Fíli.

«Adesso, tranquilli ragazzi miei, vostra madre sta bene» disse Víli, e si strofinò un orecchio con una scrollata di spalle «Io, eh. Sembra ci sia un po' di tensione sotto la Montagna stamattina. Non tutti sono felici che gli Elfi siano ad Erebor, soprattutto la gente di Thranduil. Si parla molto di come ci abbia traditi, tutti quegli anni fa, del Drago e tutto. Dís si sta sfiancando nel tentativo di tenere i... Nani più fanatici fuori dalla loro strada.»

Ori gemette. «Erano piuttosto felici di vederli ieri. L'Elminpietra ha attraversato i Cancelli con gli Elfi al seguito, e tutti esultarono e esultarono e esultarono.»

«Alcune cose non si dimenticano in fretta» sospirò Balin.

«L'Elminpietra è tornato, e ha persino convinto Thranduil?» chiese Thrór, congelato dallo stupore.

«Aye, e l'ha fatto benissimo» disse Bifur, annuendo «Ho visto tutto. È un bravo giovane Signore, quello: ha reso orgoglioso suo padre.»

«Erebor non è da sola» disse Fundin con un gran sospiro di sollievo. Alcuni altri Nani annuirono in approvazione,e Thrór chiuse gli occhi e fece cadere indietro la grande testa bianca con un brivido di emozione.

«Sia ringraziato il Creatore» sussurrò, echeggiato da Balin e Frerin.

«Cosa sappiamo della Gente di Dale?» chiese Thorin, guardando i Nani riuniti. Ci furono vari mormorii, ma la risposta generale sembrò un “niente”. «Quindi supponiamo che Re Brand continuerà a non volersi unire alla lotta contro Mordor» sospirò lui, e si girò verso Víli «C'era dell'altro?»

«No, non mi pare» disse Víli, e sorrise timidamente «Ero un po' distratto. In genere lo sono.»

Thorin annuì. «Grazie.»

«Beh, se ci sarà una guardia per Erebor» iniziò Víli e sorrise il suo luminoso sorriso birbone, con delle fossette nelle guance «Dato che sono già sempre lì...»

«Ci serviranno squadre, e turni» disse Óin fermamente, e Balin alzò un sopracciglio.

«Oh? Come lo sapresti?»

Óin sbuffò. «Perché dirigevo un ospedale, vecchio bacucco. Vuoi sapere come organizzare? Vuoi sapere come dirigere un'attività efficiente ventiquattr'ore al giorno? Vai a dirigere un ospedale.»

«Óin ha ragione» disse Thorin «Cosa suggerisci?»

«Ti serve una squadra di Nani che sanno quale sia il loro ruolo» disse Óin, contando sulle dita «Non vuoi che nessuno cammini sui piedi agli altri. Una persona al comando, è importante, o finirai con ogni idiota che pensa di comandare e non serve che ti dica quanto sarebbe divertente. Lavori diversi per gente diversa. Anche aree diverse e turni diversi. Vuoi essere sicuro che tutti sappiano cosa devono fare esattamente.»

«Va bene» borbottò Ori, scrivendo furiosamente «Molto bene! Quindi come scegliamo le squadre?»

«Beh, io sarò a Erebor di mattina, ovviamente» disse Víli.

«Se così vorrà questo Consiglio...» disse Thrór, alzando nuovamente la testa «Guiderò il nostro contingente di Erebor.»

Ci fu una pausa grata, e fu in quel momento che Thorin si ricordò che un tempo suo nonno aveva compiuto grandi cose. Aveva perso la sua intera famiglia, tranne un fratello, grazie al verme freddo delle Montagne Grigie, ma ciò non l'aveva fermato. Aveva colonizzato la montagna vuoto Erebor, ammassato ricchezze incredibili, e prima che il Drago venisse aveva regnato su una pace prospera per più di un secolo. La maggior parte dei Nani ricordavano quei giorni come dorati e benedetti, e persino le canzoni degli Uomini di Esgaroth lodavano ampiamente Thrór. Non vi era menzione della malattia dell'oro, né di Azanulbizar.

Forse era questo ciò che sua madre intendeva dicendo che c'era del buono da imparare da una vita, oltre al cattivo.

Molti volti brillarono di rispetto. «Aye, Maestà» disse il vecchio guerriero Náli, abbassando il capo.

«Io guiderò la guardia della Compagnia» disse Thorin, e poi alzò le mani contro le proteste che iniziarono a uscire dalle labbra di Fíli, Kíli, Frerin e dei suoi genitori «No, non sarò l'unico osservatore! Mi atterrò all'orario che creeremo. Ma non lascerò la mia stella agli occhi di qualcun altro.»

Le sopracciglia di Óin arrivarono quasi ai suoi capelli. «La sua stella?»

Kíli fece una smorfia. «Eh. Quindi Thorin diventa ossessivo, no? E Gimli è stato una specie di luogo sicuro per quasi ottant'anni...»

«Basta, fratello» sussurrò Fíli, tirandogli la manica «Stai ricevendo lo Sguardo della Condanna.»

«Oh. Te lo dico dopo, Óin»

«Come faremo a sapere chi dobbiamo guardare?» chiese Lóni, ancora guardando storto Fundin. I due erano quasi venuti alle mani nel litigio prima.

«Appenderemo l'orario da qualche parte» disse Ori, ancora scrivendo furiosamente «In un posto che tutti sanno di dover guardare.»

«La porta della mia forgia» offrì Thorin, e alcuni annuirono.

«Se la folla lì fuori se ne andrà mai di lì» borbottò Gróin.

«Posso fare uno schizzo per stasera» disse Ori, grattandosi la testa con la punta in legno intagliato della sua penna «Non dovrebbe essere difficile. Vi farò passare un foglio, e tutti possono scrivere chi e a che ora preferiscono. Non sprecate il mio inchiostro!»

Thrór annuì in approvazione, e Thorin incrociò lo sguardo di sua madre. Lei stava sorridendo.

«Lavoro» ricordò loro Óin.

«Ebbene, abbiamo due comandanti della guardia, ce ne serviranno almeno altri due» disse Balin pensieroso «Erebor, la Compagnia, gli Elfi, e gli Uomini.»

«Qualcuno con un po' di sale in zucca dovrà assicurarsi che voi sappiate cosa fare» disse Hrera imperiosamente, alzandosi.

Thrór sorrise. «Aye, cara, sei proprio la Nana adatta.»

«Allora forse potrei pendere il comando l'ultima, aye?» disse Balin, e scrollò le spalle «Sono sicuro che se tu puoi comandarne una e avere un altro ruolo, allora posso anch'io. Sai, è davvero una buona idea. Avremmo dovuto farlo parecchio tempo fa, invece di andare ovunque tu ci dicessi.»

Sette paia di occhi si voltarono verso Thorin per lanciargli uno sguardo molto, molto soddisfatto. Lui raccolse ogni oncia di dignità che possedeva (che era davvero molta, in verità) e gli ignorò con sublime indifferenza.

«Bene» disse Ori distrattamente «Cos'altro?»

«Staffette, decisamente, nel caso qualcosa succeda nelle acque e il Dono di Thorin sia necessario mentre lui è da qualche altra parte» disse Fundin, tirandosi la barba pensieroso.

«Frerin» disse Thorin immediatamente. Suo fratello storse il naso.

«Staffetta? Suona noioso. Perché io?»

Thorin aprì la bocca per dire “sei il più giovane”, ma sua madre lo interruppe con uno sguardo serio.

«Perché sei il più veloce, caro» disse Frís, dando a suo figlio minore una pacca sulla spalla «Andiamo, sii allegro. I tuoi nipoti condivideranno quel ruolo con te.»

«Cosa? Noi?» esclamò Kíli, ma Fíli si alzò e si raddrizzò.

«Lo faremo» guardò Thorin «Ne saremo orgogliosi.»

Thorin diede ai suoi nipoti uno sguardo grato. «Grazie, namadul

«E ci servirà anche qualcuno in ogni gruppo che scriva cos'è successo durante ogni turno e lo riferisca a Lady Frís» continuò Ori, scrivendo i nomi di Frerin, Fíli e Kíli.

«Beh, allora io sono fuori» disse Bifur asciutto.

«Anch'io» sospirò Náli «Non ho mai capito come funzionasse. Troppo complicato.»

A volte a Thorin sfuggiva che la sua gioventù privilegiata gli avesse donato abilità che lui dava per scontate, come leggere e scrivere. Nascose cautamente la sua sorpresa. Il minatore e il vecchio guerriero non l'avrebbero apprezzata.

«Qualcuno?» disse Ori, picchettando le dita contro la carta «Tutto ciò che dovrete fare sarà lasciar sapere a Lady Frís i dettagli più importanti.»

«Io potrei farlo» disse Óin, chinando il capo «Ho una buona mano coi rapporti. Serve, quando tu-»

«- dirigi un ospedale» si inserirono Frerin, Hrera, Frár, Fundin e Víli simultaneamente. Óin incrociò le braccia e incenerì tutti indiscriminatamente.

«Ci penserò io, figliolo» disse Thráin, e scrollò le spalle «Meglio di essere una staffetta.»

Frerin mise il broncio.

«Io posso fare dei rapporti» disse Frár nella sua bassa voce profonda, e fu echeggiato da Gróin.

«Ora le guardie in sé» disse Thrór.

«Come si assegnano lavori diversi agli osservatori?» chiese Ori «Osservano cose diverse?»

«Qualcuno guarda le cose grandi, qualcuno guarda le cose piccole?» suggerì Lóni.

«No, no, no!» sospirò Nori esasperato «Non si fa così. Ti serve qualcuno che corre, che si muove, che guarda in generale, e poi un altro in un punto fisso dove c'è tutta l'azione. Così si ha un quadro più completo.»

Ori stava guardando suo fratello come se fosse stato una vena di mithril. «Nori!»

«Cosa?»

«Puoi essere il nostro insegnante! La nostra guida!»

«Posso essere cosa?»

«Sai come essere furtivo più di ogni altro Nano vivente!» disse Ori eccitato, e si avvicinò a Nori e gli tirò una manica.

«Ma siamo morti?» sussurrò Kíli, e Fíli lo azzittì.

«Non offrire volontaria la gente così!» ansimò Nori, coprendosi gli occhi con la mano.

«Ma saresti perfetto!» disse Ori, con gli occhi molto tondi. Thorin aggrottò le sopracciglia, e poi capì che Ori stava cercando di imitare l' “effetto Grandi Occhi Tristi Hobbit”, come lo chiamava lui. «Eddai, Noriiiiiii...»

«Oh, no, smettila, ti romperai la faccia» borbottò Nori, e annuì con riluttanza «Devo essere impazzito. Di nuovo.»

«Ci insegnerai?»

Nori fece una smorfia, e poi fece un segno di assenso. «Va bene, sì. Ma vorrei che si capisse che l'ho fatto solo per obbligo fraterno.»

«Cosa ti serve?» disse Hrera.

«Due dei miei ragazzi in ogni squadra, che osservano da vicino per non farsi sfuggire i dettagli. Potranno aiutare a fare i rapporti dopo» disse Nori rassegnato «Mi serve gente che sa essere paziente, sì? Non voi nobili con la voce grande e la pazienza corta.»

«Bifur» disse Thorin, ricordando le parole di Thráin. Suo padre incrociò le braccia in soddisfazione, con gli occhi che brillavano.

«Perfetto» disse Nori con un sorriso piuttosto malvagio.

«Aye, zabadâl belkul?» disse Bifur, confuso. Balin gli diede una pacca sulla schiena.

«Vorresti diventare una spia?»

Bifur si grattò la cicatrice, e poi scrollò le spalle. «Bene quindi» disse Nori «Chi altro?»

Per la stanza varie mani iniziarono ad alzarsi, e Thorin guardò la sua gente che si lanciava nel nuovo lavoro con il loro solito entusiasmo. Ori iniziò a scrivere veloce quanto poteva muovere le dita, e Nori si era alzato e teneva su le mani, scuotendo la testa mentre i Signori Náin e Farin lo assillavano per entrare a far parte del suo gruppo speciale. «Funzionerà» si disse Thorin.

«Lo farà» disse Thráin, dandogli una pacca sulla schiena «Funzionerà.»


«Nonno»

Thrór alzò lo sguardo dalla smaltatura che stava facendo. Come Thorin, Thrór non avrebbe mai più toccato oro o mithril. Ora accontentava l'impulso alla creazione che avevano tutti Nani attraverso altri materiali. «Ah, l'orario è pronto quindi?»

«Ori l'ha messo sulla mia porta meno di dieci minuti fa» disse Thorin, e si massaggiò il collo.

Thrór lo guardò, alzando le sopracciglia cespugliose. «Ah. E tu non sei di turno abbastanza presto per i tuoi gusti, giusto?»

«Sì» non c'era bisogno di negarlo «Iniziamo domani, ma vorrei visitare ora Bilbo e Gimli, se potessi.»

Thrór sospirò e si raddrizzò. La sua schiena scrocchiò udibilmente, e lui ci mise contro una mano gemendo. «Allora, verrò a prenderti per cena. Non voglio sentire storie, chiaro?»

Era fastidioso sentire qualcuno che gli parlava così, anche se era suo nonno e il suo Re. «Capisco» borbottò.

La bocca di Thrór si incurvò. «Ah, punto nell'orgoglio? Devi ancora imparare un paio di cosette, ragazzo mio. Vai, allora, stai sprecando tempo.»

Thorin inclinò il capo, non fidandosi della propria voce, e girò sui tacchi e se ne andò dalla forgia di Thrór diretto alla Camera di Sansûkhul.

La luce fu gentile stavolta, abbracciandolo a guidandolo dolcemente ai giardini di Granburrone. Bilbo sedeva, appisolato, su una piccola panca che era stata ovviamente modificata per le dimensioni Hobbit. Thorin la esaminò criticamente, e tirò su col naso. Una fatta per lo scopo sarebbe stata migliore. Il posto era comunque troppo grande, e lo schienale troppo alto, nonostante le gambe accorciate.

Lui si inginocchiò davanti al suo Hobbit e ne osservò il volto, liscio e rilassato nel sonno. Le mani di Bilbo si chiusero, e la sua bocca si mosse attorno alla forma di parola. «Sogni dunque, mio tesoro?» disse Thorin piano, e il desiderio di toccare quella fronte rugosa, di carezzare le guance rovinate con le mani e baciare dolcemente il vecchio Scassinatore era quasi irresistibile «Spero che siano d'oro.»

Udì una voce bassa, e si voltò per vedere Lord Elrond che parlava con l'Elfo che li aveva accolti, tutti quegli anni fa. Non se ne ricordava il nome. «La sua mente vaga» disse Elrond.

«Sì» sospirò l'Elfo, e guardò Bilbo «Quando è lucido, è lucido come sempre. Però a volte si perde nel passato, e a volte si dimentica i nomi. Ho letto che un problema comune per i mortali, perdere di vista il presente in età avanzata.»

La testa di Thorin scattò verso Bilbo, e le sue mani si strinsero a pugno. «Ti stai perdendo, Bilbo?» disse, triste e pieno di rimorso. Un dolore gli attraversò il petto, e gli si fermò in gola. Per qualche motivo non aveva mai considerato quel particolare pericolo dell'età. Non in Bilbo: mai in Bilbo. Il suo Hobbit era sveglio e astuto, rapido e intelligente, con una lingua argentina e una penna pronta, con parole che scendevano e danzavano dalle sue labbra e dalle sua mani. Il suo Hobbit era a volte imperioso, e saggio, e aveva la memoria di un olifante. Pensare che Bilbo potesse perdere le sue parole effervescenti e mente rapida doleva come una ferita.

«Stai con lui, Lindir» disse Elrond piano «Bilbo Baggins è ancora una creatura grande e degna, non importa quale sia il suo stato mentale. Mettilo a suo agio, e non permettere agli altri di mostrare sorpresa o orrore se perde il filo dei suoi pensieri.»

Lindir annuì seriamente, e Thorin ringhiò come un animale ferito.

«No» ringhiò, e chiuse gli occhi. Non sarebbe rimasto. Non sarebbe rimasto ad ascoltare questi Elfi che discutevano della perdita di se stesso del suo Hobbit.

Non poteva sopportarlo.

Le stelle del Gimlîn-zâram furono persino più dolci con lui quando lo portarono via, come se sapessero quanto fragile si sentiva.

Aprì gli occhi, sentendo il tremore del suo cuore sotto il suo respiro. Una grande distesa d'acqua serpeggiante lo salutò, accecante nel sole del tardo pomeriggio, e si coprì gli occhi per vedere due barche grigie di Lothlórien che si muovevano davanti a lui. Lui era nella terza.

«Anduin» mormorò, e spinse via ogni pensiero di Bilbo e della sua età e della perdita dalla propria mente. Avrebbe potuto essere triste più tardi. Gimli aspettava.

«Non riesco a capire come si fa» ringhiò la sua stella sconsolata, e Thorin socchiuse gli occhi per vedere Gimli che lottava col remo troppo lungo. A poppa della barca, il (dannato) Elfo era seduto con una mano sulla bocca. Le sue spalle sottili stavano tremando per le risate.

«Stai usando troppa forza» disse Legolas quando riuscì a controllarsi, ma il riso era ancora presente nella sua voce «La barca non è pesante come la roccia, e non serve tutto questo sforzo! Non mi stupisce che stiamo girando in cerchio.»

«Sforzo!» sbuffò Gimli, e si soffiò via una ciocca di capelli che gli era scivolata da sotto l'elmo davanti agli occhi «Quale sforzo? Intendi dire che devo usare ancora meno forza?»

Il sorriso di Legolas cadde in un espressione di confusione. «Pensavo...» iniziò, e poi scosse il capo «I Nani sono davvero un popolo robusto. Avevo pensato che tu stessi usando tutta la tua forza.»

«Fammi il piacere» disse Gimli, un tantino soddisfatto «Quindi, queste cose hanno bisogno di un tocco più delicato? Posso farlo. Due remate da ogni lato, giusto?»

«Se la corrente lo permette, sì» disse Legolas, e guardò mentre Gimli afferrava nuovamente il remo nelle sue grandi mani bronzee «Forse se tenessi il remo più alto...?»

«Stai scherzando?» disse Gimli, alzando un sopracciglio «I commenti sulla mia altezza non sono desiderati né gentili.»

«Scusami. Non volevo offenderti» disse Legolas cautamente.

Thorin strinse i denti, ma non commentò.

Gimli ghignò. «A meno che non siano divertenti.»

Legolas sorrise e scosse il capo. «Lo terrò a mente.»

Cambiando presa, Gimli iniziò a remare con estremo controllo. La barca iniziò a muoversi in avanti, e lui fece un piccolo “ah!” di soddisfazione. Poi portò il remo dall'altro lato della barca, e presto stava facendo dei buoni progressi. «Ecco» disse soddisfatto «Credo di aver capito.»

Legolas stava sorridendo. «Davvero, hai delle mani abili, Mastro Gimli. Conosco che Elfi che hanno avuto bisogno di giorni per imparare.»

«Allora non fanno nessun attenzione» disse Gimli, e soffiò contro la ciocca testarda «Questa foglia galleggiante si muove di lato con ogni remata, e il peso si sposta, e la traiettoria. È come spostare il peso di un carrello minerario attorno a un angolo, solo che il tunnel è un fiume e il peso è il nostro e non un carico di ferro grezzo.»

«Hai estratto solo ferro, dunque?» chiese Legolas, e l'interesse che aveva mostrato precedentemente era di nuovo sul suo volto.

«Aye» disse Gimli, e fece un suono irritato mentre si spostava i cocciuti capelli rossi dietro un orecchio «Anche se le miniere di Erebor sono molto più ricche e raffinate di quei buchi nelle Ered Luin. Erano state prosciugate sin da prima che i Longobarbi giungessero in quelle rovine. Però, facevamo ciò che potevamo. Riuscivamo a dar da mangiare alla maggioranza di noi.»

«La maggioranza?» le acute orecchie dell'Elfo avevano notato il problema, e le labbra di Gimli si strinsero.

«Non credo sia bene che tu senta le fatiche del mio popolo dopo la venuta del drago» disse, la sua voce tesa «Penso che ci invischieremmo in argomenti pericolosi se continuassimo.»

Legolas si accigliò, e poi sospirò. «Probabilmente hai ragione» disse tristemente.

«Dove dirglielo, Gimli» ringhiò Thorin, e incenerì l'Elfo «Dì al figlio di Thranduil cosa abbiamo dovuto sopportare, grazie al tradimento di suo padre.»

La testa di Gimli si alzò di scatto. «Melhekhel» disse, con un sorriso sul volto.

«È tornato?» disse Legolas, i suoi occhi si allargarono finché si poté vederene chiaramente il bianco. Sembrava nervoso, e deglutì in un modo decisamente non Elfico. «Oh. È... una buona cosa.»

«Mi chiedo dove tu vada, mio Signore» disse Gimli, e remò altre due volte, e poi scrollò le spalle «Sospetto io non debba saperlo. Sono felice che tu sia tornato. Sai, ci stiamo avvicinando all'Argonath. Ho udito molte storie di quei grandi lavori in pietra fatti dagli Uomini dei giorni antichi, ma non li ho mai veduti.»

«Nemmeno io» disse Thorin, e girò deliberatamente le spalle all'Elfo e sorrise alla sua stella «Hai una nuova abilità, vedo.»

«Non è probabile che un Nano voglia trovarsi mai su una barca» rise Gimli «Però, non è del tutto spiacevole. Rilassante, anzi.»

«Pensavo che saresti stato male» disse Thorin acido. La presenza di Gimli stava compiendo la sua magia. Poteva sentire la tensione che gli scivolava via dalle spalle, le sue mani si aprirono e rilassarono sulla sua cosce. La tristezza portata da Granburrone fu consolata, e l'illusione di una conversazione con questo Nano rese il suo cuore più leggero.

«Non starò male su un fiumiciattolo come questo!» borbottò Gimli, e Legolas fece uno strano suono nella gola.

«È così strano udirti parlare all'aria come se ti rispondesse» disse, scuotendo di nuovo il capo «Strano invero!»

«Ah, un Elfo chiama un Nano strano? Questa sì che è una battuta» sbuffò Gimli, con gli occhi che brillavano «E per tua informazione, il mio congiunto mi risponde. Lo so che lo fa. Lo percepisco, anche se non lo sento con le mie orecchie.»

«Con le orecchie che hai, avrei pensato che tu potessi udire tutto» mormorò Legolas.

«Io non scherzerei delle orecchie altrui se fossi in te, appuntito» disse Gimli tranquillo.

«Appuntito!?»

«Questo ti insegnerà a scherzare dell'altezza di un Nano» disse Gimli, e sorrise di nuovo.

«Appuntito» disse Legolas sottovoce, imbronciato, e una delle sue mani si alzò per toccare la punta del suo orecchio.

«Gli alberi diminuiscono sulla riva orientale» disse Gimli, annuendo «Ci stiamo avvicinando agli Emyn Muil.»

Legolas lasciò il suo orecchio, e si portò le ginocchia al petto. «Aragorn ti ha detto dove andremo una volta che raggiungeremo Tol Brandir e il Rauros?»

«Nay, non ancora» sospirò Gimli «Non so cosa faremo. Mordor è ad est, ma Boromir tornerà alla sua città non importa quale strada l'Anello prenda. So che il cuore di Aragorn desidera la vista di Minas Tirith. L'ho sentito parlarne con Boromir, a Lórien.»

«Anch'io» disse Legolas «Non sapevo che avesse servito nell'esercito di Gondor.»

«Di quanti alias ha bisogno un Uomo?» disse Gimli, e sbuffò «Un peccato che non abbia mai servito col proprio nome.»

«Non penso che sappia più quale sia» disse Legolas tristemente «Lui è Aragorn per la Compagnia, Granpasso nel Nord, Thorongil a Rohan e a Gondor, Elessar per la Dama Galadriel, ed Estel per Lord Elrond. Dev'essere difficile.»

Gimli scrollò le spalle. «Come indossare una giacca diversa» disse.

Legolas batté le palpebre, e portò il suo sguardo snervante sul Nano. «Lo dici come se tu sapessi cosa voglia dire avere un nome diverso» disse.

«Aye, lo so, o no?» Gimli aggirò cautamente una roccia e si girò in avanti, guardando il Grande Fiume «Non importa, ragazzo. Non dovresti saperlo.»

«Non siamo amici?» lo sfidò Legolas «Andiamo, Gimli, dimmelo! Dove e quando allora hai scelto questo nome?»

«Alla mia nascita» disse Gimli brusco, e i suoi occhi divennero duri «E no, non dirò altro.»

Thorin gemette. «Finalmente, stai imparando un po' di discrezione, inùdoy

«Alla tua nascita? Dunque Gimli non è il tuo nome?» Legolas sembrava ferito, abbassò il capo e allontanò gli occhi.

«Gimli è il mio nome, aye» disse il Nano, e poi sospiro, abbassando il capo «Il mio nome d'uso... li chiamiamo “nomi del giorno” o “nomi del cielo”. Mio padre lo scelse per me. Ne ho un altro, più profondo, che posso dire se non al mio Uno e alla mia famiglia; mai detto sotto il cielo aperto; mai scritto, nemmeno sulla mia tomba. Mi dispiace se ti ho offeso. È un...» i suoi occhi si alzarono «argomento delicato tra i Nani. Nessuno dona il proprio Nome Oscuro facilmente.»

Le labbra di Legolas si aprirono in meraviglia, e guardò Gimli con interesse. «Avevamo udito voci dei nomi speciali dei Nani» disse. Gimli grugnì.

«Sono vere»

Thorin fece un urlo di irritazione. «Gimli! Pazzo idiota con la testa rossa! Aveva appena detto che non gli avresti detto altro!»

«Ah, si è arrabbiato. Vedi? Argomento delicato» disse Gimli «Tu non conosci la curiosità degli Elfi, Signore. Mi avrebbe assillato con i suoi occhi tristi e domande impertinenti fino a che non gli avessi detto più di ciò che detto ora.»

«Non so decidere se dovrei essere offeso o meno» disse Legolas.

«Meglio di no» disse Gimli, contraendo la bocca. Thorin poteva a malapena credere che questo Nano oltraggioso stesse nascondendo un sorriso. «Ci sono già abbastanza offese in circolazione.»

«Vero» disse Legolas impertinente «Ma non è sorprendente.

Gimli girò il remo col polso, e un arco d'acqua fu lanciato in aria per bagnare la testa dell'Elfo. Thorin non poté rimanere arrabbiato alla vista di Legolas coi capelli pallidi attaccati al cranio e gli occhi infuocati, mentre Gimli lanciava indietro la testa e rideva la sua allegra risata tuonante.

«Ridi ora, Mastro Nano» disse Legolas a denti stretti «Ti avverto, la mia vendetta sarà rapida e senza pietà.»

«Seee, sto tremando» rispose Gimli, e le sue risate profonde fluttuarono sull'acqua per i seguenti dieci minuti.

Thorin concesse al movimento gentile della barca di svuotargli la mente. Il basso suono della risata di Gimli, i borbottii dell'Elfo, persino il rumore del remo divenne lontano mentre lui si appoggiava meglio e lasciava che i suoi pensieri vagassero. L'acuto dolore della tristezza che Granburrone gli aveva portato era ancora lì. Il suo cuore era ancora addolorato per Bilbo, e non sarebbe guarito presto. Ma la pace di questo momento... Thorin non aveva mai apprezzato la pace in vita. Non l'aveva mai cercata.

Stava iniziando a vederne i pregi.

Improvvisamente Legolas si alzò, i suoi occhi Elfici fissi sul cielo. Gimli imprecò volgarmente in Khuzdul quando la barca si mosse, e Thorin si riscosse dai suoi pensieri.

«Elfo folle, stai cercando di farci cadere in acqua!» abbaiò Gimli.

«Lo vedi?» disse Legolas, la sua voce rapida e acuta. Le sue narici erano strette per la paura improvvisa. «Vedi quella forma scura nel cielo?»

Gimli e Thorin si voltarono, e Gimli fece un suono ruvido. «Non vedo nulla oltre al cielo e alle nuvole. Cos'è?»

«Quell'oscurità...» disse Legolas, e tremò. Il suo volto sembrava anche più pallido coi suoi capelli dorati appiccicati alla testa. Tirò fuori il suo arco e incoccò una freccia con mani rapide come il battito di ciglia.

Gimli si accigliò, e poi alzò la testa, guardando il cielo. Poi sbiancò.

«Lo vedo» sussurrò Thorin.

«Così freddo sembra» disse Gimli, le sua mani immobili sul remo e le dita strette come fosse la sua ascia «Così sporco. Come il Balrog...»

Improvvisamente, nell'aria risuonò un alto, penetrante strillo. Nella barca davanti, Frodo si piegò in avanti, stringendosi la spalla e ansimando. Sam lo aiutò, il suo volto bianco e pieno di terrore.

«Tolo na» mormorò Legolas «Elbereth Gilthoniel!» e poi scoccò la freccia in modo così elegante che sembrò quasi che avesse accarezzato l'aria.

L'acuto, stridulo strillo si mozzò, e la forma scura cadde dal cielo.

Gimli fece un lungo respiro tremante. «Un buon tiro, ragazzo.»

«Ma chissà quale fu il bersaglio?» Legolas rimase in piedi, i suoi occhi acuti ancora cercavano dove la forma oscura era caduta «Quell'urlo! Non ho mai sentito un grido del genere.»

«Ma Frodo sì» disse Thorin, e si voltò verso il giovane Hobbit. Sam gli stava sciacquando il viso con l'acqua del fiume, e Frodo aveva ripreso un po' di colore. Il resistente Hobbit spinse gentilmente via il suo amico a parlò in fretta con Aragorn, che annuì, ma Thorin era troppo lontano per sentire la risposta.

«Ci fermiamo?» urlò Boromir «Cos'era quella cosa?»

«Continuiamo! La corrente è rapida e ci porterà via da esso!» gridò di rimando Aragorn.

«Frodo! Sta bene Frodo?» disse Pipino, sporgendosi dalla barca, il suo piccolo viso birichino tirato dalla preoccupazione.

«Sto abbastanza bene» disse Frodo, e si massaggiò la spalla «Continuiamo.»

«Cos'era quello?» urlò di nuovo Boromir, e il suo volto era pieno di preoccupazione per gli Hobbit.

«Credo... no, non ho intenzione di dirlo» disse Frodo, e si voltò.

«Ebbene, lodati siano l'arco di Galadriel e la mano e la vista di Legolas!» disse Gimli, levandosi l'elmo e massaggiandosi la fronte sudata «Quella di certo non era un'aquila cacciatrice.»

Legolas sorrise. «Grazie, amico mio.»

«Ora siediti prima che entrambi finiamo fradici» Gimli raccolse il remo a guardò l'Elfo. Legolas fece una pausa, e una miriade di espressioni gli passò sul volto: furia, gratitudine, divertimento, stupore. Poi scosse il capo e rise piano, prima di sedersi di nuovo.

«Portaci avanti, Gimli» disse, facendo un gesto con la mano sottile.

La corrente era rapida davvero, e fecero dei buoni progressi per nell'ora successiva. Gimli e Legolas parlarono poco. A un certo punto Gimli iniziò a cantare una vecchia canzone da miniera su una Nana e un lupo. Il ritornello parlava dell'aspetto meraviglioso che aveva lei in inverno nel suo abito in pelle di lupo.

«La tua musica è così profonda e calda, che le rocce potrebbero iniziare a ballare e rotolare» commentò Legolas.

Gimli sbuffò. «È una canzone da miniera, ragazzo. Non è esattamente raffinata.»

«Non ho detto che non mi piacesse»

«Oh» Gimli si accigliò, e poi ricominciò da dove si era interrotto; il suo remo lampeggiava sulla superficie del grande fiume.

Quando finì, Gimli sorrise all'Elfo. «Ora canta tu, avanti! Renderà il viaggio più veloce e il lavoro più leggero.»

«Non credo ti piacerebbero le nostre canzoni»

«Ah, non possono essere tutte alberi e stelle e tragedie, vero?»

«Che osservazione interessante da fare» disse Legolas asciutto.

«Però è vero» grugnì Thorin.

Gimli ghignò. «Mi stai dicendo che non ci sono canzoni che cantano i popolani, nemmeno quando bevono?»

«Conosco una canzone sui barili» disse Legolas, e il suo volto era di nuovo impassibile e freddo e distaccato.

«Osi» ringhiò Thorin. Il ghigno di Gimli scomparve, e il suo volto fu attraversato da un'espressione nervosa.

«Sì, allora forse è meglio di no»

«Il tuo congiunto ne ha preso offesa?» disse Legolas con voce distante.

«Aye, diciamo così» Gimli si passò una mano fra i capelli, che brillavano di rubini e oro e topazi nella luce del sole «Non era la cosa più diplomatica che potessi dire, ragazzo.»

Thorin incrociò le braccia e ringhiò verso l'Elfo. «Ci deridi, e direttamente in faccia. Come osi, figlio di un traditore, cucciolo di uno spezza-giuramenti, prole di un falso alleato! Ti chiami suo amico? Ha! Non sei degno di lavargli i piedi!»

«Pace!» tuonò Gimli, e si massaggiò il naso tra le dita robuste e gemette ad alta voce «Povero me, questo potrebbe essere interessante, o no? Mio signore, calma la tua rabbia. Legolas non voleva offendere. Legolas, non sono irritato, non serve che tu stia seduto dritto come una lancia! Vorrei che ci fosse pace su questa baca tra i vivi e i morti, oppure nuoterò fino a riva e camminerò là, rifiutando ogni compagnia. Aye, perfino la tua, Thorin Scudodiquercia! Urla quanto vuoi, ma non ti risponderò.»

La bocce di Thorin si chiuse e la sua rabbia gli si congelò nel petto. Gimli gli impartiva ordini? Lo minacciava?

Bene.

«Hai imparato bene la lezione» borbottò lui, e si sedette accanto al Nano più giovane «Essere ignorato o allontanato da te è l'unica minaccia che avrebbe potuto funzionare.»

«Sei arrabbiato con me, Signore?» disse piano Gimli.

«No» sospirò Thorin «No, Gimli. Devo rispettare la tua scelta anche se non mi piace. Non mi piace! È un eufemismo.»

«Sono felice che non sei furioso» disse Gimli, e la tensione si prosciugò dalle sue enormi spalle «Ho qua due amici, e non voglio che litighino per la mia lealtà.»

«Sei sicuro, Gimli?» disse Legolas, e la sua freddezza diventò ansia «Ti canterei una canzone se ne conoscessi una che non offenderebbe. Ma come dici, parlano tutte di alberi e luce stellare... e tragedia.»

«Beh» disse Gimli, e si stiracchiò «Tu puoi venire ai remi per un po', e io fumerò, e tu puoi cantarmi degli alberi e delle stelle. Niente tragedie, però. Potremmo finire col vederne fin troppe, prima di terminare i nostri affari.»

«Hai senza dubbio ragione» disse Legolas, e muovendosi lentamente e cautamente si scambiarono posizione. Thorin si trovò seduto accanto all'Elfo dopo pochi secondi, e scattò in piedi e si spostò dietro a Gimli, guardando male la creatura da sopra la spalla di Gimli.

«Perché senti il bisogno di far passare il tempo più in fretta?» disse Legolas ricominciando a remare, la sua testa piegata.

Gimli fece una pausa nel preparare la sua pipa. «Tu non lo fai? Quando tutto è lento e noioso?»

L'imperscrutabile confusione dei Primogeniti passò sul volto di Legolas. «Non capisco.»

«Beh, gli Elfi non si annoiano mai?»

«Sì» disse Legolas «Particolarmente per colpa di Nani troppo rumorosi e del loro russare.»

«Impertinente!» Gimli si raddrizzò, e poi notò che Legolas stava ridendo silenziosamente «Oh, e questa era la tua vendetta? Non era granché.»

«No, no, la mia vendetta sarà terribile, vedrai» disse Legolas, sorridendo «Passando alla tua domanda, però – è difficile da spiegare. Per gli Elfi il mondo si muove, e si muove sia molto veloce che molto piano. Veloce, perché loro cambiano poco, e tutto il resto vola: è un dolore per loro. Piano, perché non contano gli anni che passano, non per loro. Le stagioni che passano sono solo onde ripetute in un lungo lungo torrente.»

«Uhm» disse Gimli, e la sua sopracciglia dritte si aggrottarono mentre pensava «Quindi era un no?»

Legolas ridacchiò. «È un a volte. I Nani si annoiano?»

«Aye, spesso. In genere per colpa della pomposità Elfica»

«Oh, molto intelligente» disse Legolas scherzoso.

«Grazie molte, anche a me piaceva» Gimli chinò la testa educatamente, e poi accese la sua pipa «Un Nano è raramente annoiato. Il lavoro è infinito, e la bellezza chiama da ogni roccia e pietra e metallo. Quando le nostre mani sono impegnate, siamo felici. Però, a volte le nostre mani sono impegnate in qualcosa di molto noioso, e quindi servono delle canzoni per rendere il lavoro nuovamente bello.»

Superarono un'ansa del fiume dove gli alberi erano piegati sull'acqua come dita, e poi il fiume si aprì in un grande bacino. «Guardate!» disse Aragorn, e fece un cenno dinnanzi a sé.

Gimli guardò su, e sussurrò un'imprecazione in Khuzdul. Un piccolo suono di meraviglia giunse dall'Elfo. Thorin si voltò e vide in lontananza due grandi pilastri di pietra, come pinnacoli di roccia, ingrigiti e rovinati dalle Ere.

«Mirate gli Argonath, le Colonne dei Re!» urlò Aragorn, e poi divenne chiaro: due enormi statue, gigantesche figure umane delle leggende, che tenevano le mani alzate in segno di avvertimento. Entrambe guardavano il Nord con fronti nobili e occhi sfocati, il lavoro antico che si sfaldava. I guardiani silenziosi degli antichi regni erano ancora in piedi, a guardia della loro terra, disfacendosi nella pietra eppure ancora pervasi di grande potere e maestosità. Thorin non aveva mai visto lavori in pietra tanto grandi prima, e esclamò in meraviglia e apprezzamento.

«Ukratel» sussurrò e venne ripetuto da Gimli.

«Da tempo desideravo mirare le sembianze di Isildur e di Anárion, antichi re della mia terra» udì vagamente Aragorn dire. Poi l'Uomo sospirò e chinò il capo. «Se Gandalf fosse qui! Quale nostalgia ha il mio cuore di Minas Anor e delle mura della mia città! Ma dove mi porteranno ora i miei passi?»

«Prendiamo la via di trasporto sopra ad Amon Hen?» urlò Boromir. Nella sua barca, Merry e Pipino stavano fissando le grandi statue con occhi tondi e bocche comicamente spalancate.

«Sì» rispose Aragorn, stringendo le spalle. Thorin si accigliò. Il capitano dubitava forse delle sue decisioni?

«Dobbiamo lasciare il fiume prima che la corrente ci faccia superare Tol Brandir e ci porti nelle cascate» disse Legolas.

«La riva sinistra è troppo poco riparata, e i nemici ci hanno seguiti in queste ultime notti» disse Aragorn «Andate verso la riva occidentale. Ci accamperemo qui stanotte.»

Boromir sembrava estremamente compiaciuto della decisione, e con cuore pesante Thorin si ricordò che la sua città era a ovest del fiume, non ad est. Avrebbe presto lasciato la Compagnia per andare dal suo popolo.

«Alla Compagnia mancherà un tale guerriero» mormorò.

«Porteremo le barche?» chiese Legolas mentre il ruggito del Rauros cresceva.

«Non sarebbe facile, nemmeno se fossimo tutti Uomini» disse Boromir.

«Però anche così tenteremo» disse Aragorn.

«Aye, lo faremo» disse Gimli «Le gambe degli Uomini cederanno su un pessimo terreno mentre un Nano va avanti, anche se il peso fosse il doppio del proprio, Mastro Boromir!»

«Thorin» giunse una nuova voce, e lui si voltò per trovare suo nonno in piedi a disagio a prua della barca «Vieni, sei stato qui abbastanza.»

Diede a Gimli un'occhiata piena di rimorso. «Me ne vado ora, mia stella» disse, ingoiando orgoglio e risentimento «Tornerò domani.»

«Se ne va?» Gimli si raddrizzò, e come risultato l'arco d'acqua che giunse dall'aria gli spruzzò il petto robusto e non la testa. La sua pipa sfrigolò quando venne bagnata, e Gimli la guardò e poi guardò l'Elfo ridacchiante con uno sguardo che parlava eloquentemente di asce.

«Te ne pentirai, amico mio» disse lentamente e chiaramente, i suoi denti bianchi tra i baffi e la barba.

«Ma nel frattempo mi divertirà» ritorse Legolas, e alzò la voce ed iniziò a cantare allegramente.

TBC...

Note

Aragorn ha davvero servito negli eserciti di Gondor e Rohan sotto falsi nomi quando era più giovane. Il suo amore per la sua città e il suo popolo nacque allora. Se ne tenne lontano, dedicandosi all'antico reame del nord di Arnor.

Elbereth è il nome che gli Elfi danno a Varda, Valar delle Stelle e Regina di Aman.

La storia di Zhori è stata influenzata dalle interviste degli attori, che supposero che Dori, Nori e Ori avessero padri diversi e fossero piuttosto lontani in età. Ymrís era la concubina di Re Óin, nelle Montagne Grigie (TE 2238 – 2488)

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciannove ***


Incontra una Nana

Bomfrís figlia di Alrís

Bomfrís è l'ottava figlia di Bombur e Alrís (la lista completa, in ordine, è: Barís Linguacristallina, Barum, Barur Panciapietra, Bomfur, Bolrur, Bofrur, Alfur, Bomfrís, Alrur, Alfrís, Bibur e Albur) e la seconda figlia di tre. I suoi capelli sono rosso chiaro come quelli del padre, ma assomiglia a sua madre in tutto il resto, coi suoi grandi occhi castani e il suo sorriso allegro. Crescendo divenne solitaria per sua scelta, sentendosi ignorata e soffocata dall'orda di fratelli, ed eclissata dal talento musicale di sua sorella Barís e le abilità culinarie del fratello Barur. Crebbe amando la solitudine e la libertà, e spesso uscì da Erebor per andare sotto al cielo. Ama gli uccelli, ed è una dei Nani che si prendono cura dei corvi leali alla Montagna. Scelse l'arco, un arma poco popolare fra i Nani, quando era piccola e vide la famosa lanciatrice di coltelli e arciere Mizim figlia di Ilga (madre di Gimrís e Gimli Amico degli Elfi) che uccise un grande gufo che minacciava i nidi dei corvi. Pregò allora Mizim di insegnarle. All'inizio la sua abilità non fu notata, ma lei lavorò duro fino a migliorare. Infine superò la sua mentore per diventare la migliore arciere in Erebor, e capitano del piccolo gruppo di arcieri dell'esercito di Erebor. Diretta, spesso indelicata, irritabile e fiera, Bomfrís ci mette poco ad offendersi. Però, è leale e priva di dubbi verso tutto ciò che ama e di cui è convinta, e sarà la prima a venire in difesa di altri.


Thorin si svegliò il mattino dopo sentendo bussare alla sua porta. Si stiracchiò, e con sorpresa trovò che il suo corpo si muoveva facilmente e senza il peso rimasto dell'esaustione. A dire il vero, si sentiva meglio di quanto non avesse in settimane. Forse c'era un motivo se la sua famiglia insisteva che lui dormisse più di tre ore per notte.

«Vieni»

«Thorin?» era Fíli, che mise la testa dentro «Tutti si stanno assemblando nella Camera tra mezz'ora. Iniziano i turni di guardia a Erebor e dalla Compagnia stamattina.»

«Ah» Thorin si portò i capelli che si erano sciolti durante la notte sopra la testa, e poi si sedette «E tu sei di turno, namadul

«Sì, ad Erebor» disse Fíli. Suo nipote sembrava piuttosto eccitato. «Kíli è verde come uno smeraldo: non è di turno fino a domani.»

Thorin sorrise e lanciò le gambe giù dal letto, grattandosi lo stomaco. «Sopravviverà, ne sono certo.»

«Interessante scelta di parole» disse Fíli asciutto.

«Ha» Thorin prese una tunica e se la infilò sopra ai calzoni per dormire che indossava, prima di voltarsi verso Fíli «Sei impaziente di vedere tua madre, quindi?»

«Papà viene con me» Fíli si appoggiò contro lo stipite «I tuoi capelli sembrano un cespuglio. Almeno hai una spazzola?»

«Alcuni di noi non si interessano di trecce carine e poco pratiche, mio unday» disse Thorin infastidito. Fíli ghignò.

«Certo, è quello il motivo. Beh, ci vediamo a colazione»

«Grazie, Fíli»

Il sorriso di Fíli si allargò e lui annuì, prima di chiudersi dietro la porta.

Voltandosi verso il suo specchio in ottone (aveva primule e caprifogli che ne decoravano i lati, un lavoro di qui Thorin andava piuttosto fiero) dovette concedere che forse Fíli aveva ragione. I suoi capelli erano spettinati quasi quanto quelli di Bifur. Prendendo una spazzola, sospirò e iniziò ad attaccare la massa spessa e disordinata, imprecando violentemente quando trovava dei nodi.

La maggior parte della sua famiglia era a tavola quando Thorin arrivò, anche se Kíli non era presente e nemmeno Thráin. Fíli alzò un sopracciglio divertito vedendo la coda ordinata di Thorin. «Vedo che sei riuscito a vincere la battaglia.»

Thorin ringhiò, e spettinò i capelli dorati di Fíli come vendetta. Fíli lo spinse via con un suono oltraggiato, e Frerin rise con in bocca il brodo.

«Hai un aspetto migliore oggi» disse Hrera «Bene. Mangia.»

Thorin pensò se fosse il caso di dire qualcosa, ma alla fine decise di no e trattenne la propria lingua. La sua tirannica nonna avrebbe solo trovato un nuovo modo di dirgli “te l'avevo detto”. Si sedette e ignorò gli sguardi impazienti e i sussurri che salirono da ogni altro Nano nella Sala. «Dov'è Kíli?»

«Sta dormendo» sbuffò Fíli «Dice che siccome non c'è bisogno di lui stamattina, rimarrà a letto il più a lungo possibile. Penso stia cercando di scoprire se i Nani possono andare in letargo.»

Thorin grugnì, e guardò sua madre. «'Adad?»

«Oh, Mahal solo lo sa» disse lei, scuotendo la testa «È scappato dalle nostre stanze stamattina. Dice che alla fine ha capito come aggiustare i gambali di cui si lamentava ieri notte.»

Fu con sorpresa che Thorin si rese conto che non sapeva nemmeno che suo padre stesse forgiando una nuova armatura. Davvero li aveva ignorati. «Gli farebbe piacere avere qualcun altro che guardasse il suo lavoro?»

«Mi prendi in giro?» disse Frerin «Ha chiesto a Narvi di guardarci.»

Il respiro di Thorin si mozzò, e tossì per un momento. «Narvi?» disse incredulo quando fu in grado di parlare di nuovo «E lei cos'ha risposto?»

«Di non farle sprecare tempo» disse la voce di Thráin dietro di lui, e suo padre si sedette pesantemente al suo posto e guardò male il suo piatto vuoto «Dannata artigiana altezzosa. Solo perché ha lavorato con Khelebrimbur...»

«Adesso, smettila, l'abbiamo già sentito tutti un centinaio di volte» disse Hrera, e riempì il piatto del figlio e poi gli picchiò un dito sulla fronte tatuata «Smettila col broncio, mio nuvolone. Iniziamo oggi i turni!»

«Aye» borbottò Thráin, e iniziò a mangiare come se il brodo gli avesse arrecato un'offesa personale.

«...non capisco perché dev'essere mio nipote sce va a fare amici con dannati scopa ableri!» giunse il suono della voce di Óin da qualche parte alla sua destra, e Thorin si voltò per vedere Haban che teneva su suo figlio, uno sguardo irritato sul volto. Óin traballò un po' mentre si lamentava, spostando il peso sulla sedia, e stava biascicando in un boccale. Gróin era caduto sul tavolo di faccia e russava, e la forma inconfondibile delle scarpe a punta di Balin usciva da sotto un'altra panca.

Fundin era seduto davanti a loro, annuendo violentemente, i suoi occhi privi di fuoco. «Una verogna» biascicava «Una vregogna, ecco cosa. Una vargogna.»

«Oh, sì, c'è anche questo» sospirò Frís «Un po' di Nani hanno provato a consolare tuo cugino. Non hanno avuto i risultati sperati, ma per pietra e acciaio di certo hanno sprecato un sacco di birra provandoci.»

«Perché l'ha fatto?» gemette Óin, e si appoggiò più pesantemente alla sua totalmente non impressionata madre. Lei aveva un bicchiere d'acqua in mano, e il suo volto mostrava chiaramente che stava pensando a versargliela in testa piuttosto di fargliela bere. «Sa. Meglio! Inseato meglio di così. E. E. E va e disce 'utti i nostri sgereti al dannato Eflo. Sporco Thrando di Figluil! Abbiamo isegnato meglio. Ecco cosa scuccede a far carere bambini di testa. Fanno i genliti con dannati Elfi. Segreti. Lo sai?»

«Una vegorgna» disse Fundin con passione.

Óin picchiò il tavolo con la mano e poi ruggì: «Beh, e preché non dorebbe? Eh? Dimmelo! È un Nano adulto! Che 'mporta se è tradizione da... da, eh, da tanto tanto tanto tempo. Può andare bene. Può essere un piano, aye? Fare pensare meglio di noi ai mangia ebra. Farci 'rattare con ripesto.»

«Una» Fundin fece un singulto, e poi si coprì la bocca «È una vegorna.»

«Gimli, Gimli» gemette Óin, e si passò una mano sul volto «Oh, mio nipote, mio piccolo tasso, mio buon azaghîth. Che hai fatto? Che hai fatto? Prego sce Mahal sa cosa che sta faceno. Può salvarci o ronivarci tutti – e porca vacca se so quale sarà!»

«Una vorgogna.»

«Aye» disse Óin, e sospirò tristemente, prima che i suoi occhi gli si girassero. Lentamente, poderosamente, come un albero tagliato, scivolò all'indietro dalla sedia con uno schianto a iniziò a russare.

«Grazie a Mahal» borbottò Hrera «Completamente vergognoso.»

Frerin si era coperto gli occhi e stava cercando di respirare, e Fíli stava ridacchiando. Thorin nascose un sorriso, e si scambiò un'occhiata col padre.

«Forse mio nipote ha avuto una buona idea» disse Thráin «Avrei dovuto rimanere a letto.»

«Veramente, Kíli sarà dispiaciuto di non aver visto una scena simile» mormorò Thorin.

«Sarà fatto a pezzi» rise Fíli «Glielo ricorderemo per secoli.»

«Óin è tuo cugino. Non prenderlo in giro» disse Frís, dando a tutta la tavolata uno sguardo severo «È infelice, e ha il diritto di esserlo. Il suo modo di comportarsi potrebbe non essere il migliore, ma è preferibile ad altri che mi vengono in mente.»

Gli occhi di Thorin tornarono alla sua zuppa, e la guardò male.

Frerin gli si avvicinò e gli toccò il fianco col gomito. «Rallegrati, nadad, sono con te oggi.»

«Sono accampati ai piedi dell'Amon Hen» sospirò Thorin, tornando col pensiero alla compagnia. Guardò sua madre. «Chi altri sono con noi?»

«Bifur e Nori» disse lei «E ad Erebor tuo nonno e tuo nipote sono insieme a Víli e Ori.»

«Uhm» Thorin tornò a guardare il suo cibo, chiedendosi se sarebbe stato in grado di visitare di nuovo Bilbo. Un dolore sordo gli attraversò il cuore, e deglutì il brodo con qualche problema. Al suo fianco, Frerin lo guardava con occhi preoccupati.

«Sto bene» mormorò.

«Oh Thorin, fratello mio. Sei un pessimo bugiardo» disse Frerin gentilmente, e poi tornò al suo pasto.

Gli altri stavano aspettando nella Camera di Sansûkhul quando Thorin, Thrór, Fíli e Frerin giunsero attraverso le arcate di mithril, diamante e perla. Thorin annuì verso Bifur e Nori. «Baknd ghelekh» li salutò, e Bifur sorrise.

«Io rimarrò con te, zabadel» disse allegramente.

«Io andrò e verrò» disse Nori «Bifur sarà il nostro osservatore stazionario, e io andrò in giro.»

«Per qualche motivo la cosa mi sorprende» disse Fíli asciutto. Guardò Thorin mentre Thrór guidava via la squadra di Erebor, e Thorin sorrise a suo nipote.

«Beh, andiamo!» esclamò Bifur «Voglio rivedere i piccoli Melekûnh

«Sei peggio di Ori» borbottò Nori, e Thorin gli lanciò uno sguardo serio.

«Basta. Andiamo»

Si sedettero attorno allo scuro velo simile al vetro che erano le acqua del Gimlîn-zâram, e Thorin fissò la superficie finché le stelle gli fecero l'occhiolino e giunsero a portarlo via dal mondo grigio delle Sale verso la luce vivente della Terra di Mezzo.

Si scrollò di dosso la luce stellare e fu salutato dai rami degli alberi e il suono di canti. Voltandosi, vide Aragorn che canticchiava sottovoce mentre scuoiava un coniglio con facilità. Poco più in là, Gimli stava accendendo un fuoco e Sam stava tirando fuori le sue padelle e guardando male le piccole bottiglie curve di sale e spezie.

«Non le userei per la cena di un cane a casa» si disse «Sono un po' andate. Posso a malapena sentire l'odore del rosmarino.»

«Tranquillo, Sam» disse Pipino «Ho visto del rosmarino qua in giro. Ne troverai altro.»

Sam si accigliò, e poi guardò Frodo che sedeva avvolto nella sua coperta, guardando pensieroso il fuocherello allegro di Gimli. «Non ne sono sicuro» disse lentamente «Mi sembra ci sarà molto meno tutto, visto che andiamo ad est.»

Gli occhi di Frodo si indurirono, e si strinse nella coperta.

Thorin si girò vero Nori, che annuì e iniziò a girare per l'area, facendo scattare gli occhi in giro. Bifur si appoggiò a un albero e si sedette, e Thorin si inginocchiò davanti al Portatore e ne studiò il volto. Frodo sembrava spaventato, ma anche indeciso, come se stesse cercando di fare una terribile scelta.

Dietro di lui, Frerin si preoccupava. «C'è qualcosa che non va con lo Hobbit?»

«Si trova sull'orlo di qualcosa» mormorò Thorin «Qualcosa di vasto e orrendo.»

«Poverino»

Thorin si alzò. «Non conosci gli Hobbit, quindi non sai quanto hai torto. Gli Hobbit sono forti e onesti come l'acciaio. Non cadrà.»

Frerin storse il naso. «Se lo dici tu.»

Nori tornò, soddisfatto. «L'Elfo sta cercando legna, anche se non rompe i rami e prende solo già quelli caduti» disse, sorridendo «E Boromir è salito sulla collina per provare a vedere la sua città dal vecchio avamposto.»

«Ah. Nessun segno degli Orchi o dei servitori di Saruman?»

«Nah, niente»

«Buono» Thorin si voltò verso Gimli, che avanzava verso la riva e si levò gli stivali, affondando i piedi nelle basse acque del fiume. Le sue corte, grosse piante erano bianche come il latte, nascoste dalla luce da così tanto. «Ah, così va meglio» gemette Gimli «Trascinare barche sulla terra non è la mia idea di divertimento.»

«Abbad, nidoyel. Zûr zu?» disse Thorin, e la testa di Gimli si alzò un poco. Poi sorrise.

«Sto abbastanza bene, mio signore. Siamo arrivati alla via di trasporto, e ora aspettiamo la decisione di Aragorn: andare a sud, o dirigerci ad est.»

«Ugh, trasporto» disse Frerin.

Boromir ritornò, il suo volto preoccupato. «La vista è come dice la leggenda» disse lui, e le sue sopracciglia si aggrottarono «L'oscurità che circonda la mia città diventa persino più nera. Devo andare a casa, e presto. C'è bisogno di ogni Capitano di Gondor, di ogni spada e lancia.»

«Rimani con noi ancora una notte, ragazzo» disse Gimli «Perché sarebbe bello avere la nostra Compagnia integra finché possiamo aye?»

Boromir sospirò e si sedette su un tronco muschioso. Le sue mani giocherellarono distrattamente col grande corno che portava alla cintura.

«Rimarremo qui stanotte» disse Aragorn, sedendosi contro un albero a appoggiando il coltello. Guardò la macchia troppo cresciuta, i suoi occhi distanti. «Questo un tempo era il prato di Parth Galen, un bel luogo nelle estati antiche. Potremmo sperare che il male non osi ancora mettere piede qui.»

«Una speranza un po' vana, per me» disse Gimli sottovoce.

«Nessun segno della nostra spia?» disse Sam, guardando Aragorn mentre gli passava il coniglio scuoiato, e Aragorn scosse il capo.

«No, nessun segno. Speravo che l'avessimo seminato lungo il fiume, ma è troppo capace nell'acqua. L'ho udito diverse volte»

Frodo rabbrividì e si strinse nella coperta.

Legolas ritornò, le braccia piene di rami secchi, e gli appoggiò davanti al piccolo fuoco. Sam scosse il capo e spostò via le pile prima di tirar fuori tutte le sue cose per cucinare. Guardandolo, Thorin fu colpito dal ricordo di Bilbo intorno al fuoco con Bofur e Bombur, le mani sulla vita, che li sgridava per “la cenere nella zuppa e bontà sa cos'altro! Se non siete capaci di essere ordinati, siate da qualche altra parte, per favore e grazie!” Sorrise tra sé e sé.

«Nessun segno di Orchi, né di Uruk-Hai» disse Legolas dopo una pausa «Ma gli alberi si muovono nervosamente, e si sussurrano l'un l'altro. Non mi piace questo silenzio.»

«Vediamo che cosa risponde Pungolo» disse Aragorn, girandosi verso Frodo.

Frodo sfoderò la piccola lama che aveva salvato la vita di Thorin tutti quegli anni fa, e per sua costernazione il filo brillava leggermente. «Non molto vicini, eppure troppo vicini, sembra» disse Frodo.

Aragorn si passò una mano fra i capelli sporchi, e sospirò pesantemente. «È infine giunta l'ora: l'ora della scelta che abbiamo continuamente rinviata. Volteremo tutti ad ovest insieme a Boromir, incontro alle guerre di Gondor? Oppure ad est, verso l'Ombra? Oppure la Compagnia si scinderà e ognuno sceglierà la propria via? Qualunque sia la decisione, deve essere presa in fretta. Non possiamo rimanere a lungo qui.»

Ci fu un lungo silenzio nel quale nessuno parlò o si mosse.

«Ebbene, Frodo?» disse Aragorn gentilmente «Purtroppo il fardello pesa sulle tue spalle. Tu solo puoi scegliere la strada. Vorrei poterti dare consigli, ma non sono Gandalf, per quanto abbia tentato di fare le sue veci. Qualunque scelta tu faccia, la rispetteremo.»

Frodo rimase in silenzio per un altro lungo momento, e poi alzò lo sguardo. «So che il tempo stringe» disse lentamente «Eppure non posso decidere. Datemi un'ora di tempo per decidere. Camminerò e penserò, e poi parlerò.»

«Molto bene» disse Aragorn, guardandolo gentilmente «Avrai un'ora, e sarai da solo. Noi rimarremo qui ancora un po'. Ma rimani sempre a portata di voce!»

Frodo annuì, senza parole, ma non si mosse subito. Sam lo guardò attento come un falco per un istante, e poi aggrottò le sopracciglia tristemente. «La scelta è chiara come il giorno, ma è inutile che Sam Gamgee dica la sua per adesso.»

Frodo si alzò, e i suoi occhi erano fissi su un punto distante mentre si allontanava. Thorin lo guardò andare col cuore pesante, e poi annuì verso Nori. Nori annuì di rimando, e lo seguì.

«Ora aspettiamo» sospirò Aragorn.

Gimli si asciugò i piedi nell'erba e si rimise i suoi pesanti stivali borchiati d'acciaio, prima di lasciarsi cadere contro il suo zaino. «Mi chiedo cosa sceglierà» disse «Non lo invidio. Una scelta simile è abbastanza difficile anche senza il peso che la accompagna.»

«Starà decidendo quale via è la più disperata, credo» disse Aragorn pesantemente «Perché tutte lo sono, a parer mio. Se andassimo a Minas Tirith, potremmo difenderla strenuamente. Ma la città non ci porta più vicini al Monte Fato e alla distruzioni di quel peso di quanto non lo siamo qui, e come faremmo a tenerlo al segreto e al sicuro là, quando qualcosa di simile è oltre alle capacità persino di Lord Elrond? E ad est: no. Da quando siamo seguiti da Gollum penso si possa dire che il nostro viaggio è stato scoperto.»

«Ora più che mai ci manca Gandalf» disse Gimli.

«Sì» disse Legolas, e lasciò cadere indietro bella testa e chiuse gli occhi addolorato «Sì, Gandalf ci manca più che mai.»

«Ebbene, quale che sia la sua scelta, lo seguirò» disse Gimli annuendo «Sono arrivato fin qui, e dico questo: ora che siamo arrivati all'ultima scelta, è chiaro che non possiamo lasciare Frodo.»

«Anch'io andrò con lui» disse Legolas «Sarebbe senza lealtà dire addio ora.»

Gimli gli sorrise. «Aye, lo sarebbe.»

«Beh, Pipino ed io abbiamo sempre voluto andare dove andava lui, e continueremo a farlo» disse Merry convinto.

«Quel vecchio stupido Hobbit, dovrebbe sapere che deve solo chiedere» aggiunse Pipino.

«Scusatemi» disse Sam «Non credo sia questo il problema. Non sta esitando per decidere dove andare. Certo che no! Cosa c'è mai a Minas Tirith? Per lui, intendo, perdonatemi, Signor Boromir» si voltò verso dove Boromir era stato, ma il suo posto era vuoto.

«Questo è strano» disse Merry, accigliato «Dov'è andato ora?»

«Si sta comportando in maniera strana ultimamente» borbottò Sam, prima di scrollare le spalle «In ogni caso, lui andrà a casa ora, e non lo si può biasimare. Ma Padron Frodo sa che deve trovare questi Buchi del Fato, se può. Ma ha paura di iniziare.»

«Thorin!» giunse un urlo, e Nori corse attraverso i cespugli, i suoi occhi accesi «Thorin, vieni! Boromir è impazzito! Credo l'Anello l'abbia preso!»

«Cosa!» Thorin si alzò, tutta la sua pace infranta.

Gimli si sedette, imprecando.

«Cosa c'è, Gimli?» disse Pipino curioso.

Le sopracciglia di Legolas erano alzate, ma lui non diede segno di sapere cos'avesse udito Gimli. «Hai sentito qualcosa?» disse, inchiodando il Nano con lo sguardo.

«Aye» disse Gimli, senza fiato «Qualcosa.»

«Questa dev'essere la prima volta che un Nano sente qualcosa che a un Ramingo sfugge» disse Aragorn piano «Cos'era, Gimli?»

«Non è tutto» ansimò Nori «Non è tutto. Ci sono... Orchi sotto la collina. Grossi.»

«Ma è giorno!» urlò Bifur.

«Uruk-Hai» disse Thorin cupo «Gandalf ci aveva avvertito. L'esercito di Saruman.»

«Orchi» disse Gimli, e incrociò lo sguardo di Legolas «Arrivano degli Orchi. Uruk-Hai.»

«Nori, cerchiamo Frodo» esclamò Thorin «Lascio gli Orchi a te, mia stella!» poi si voltò verso Nori «Ora. Corri!»

Nori saltò in piedi e iniziò a correre tra gli alberi, scattando tra i tronchi. Gli stivali di Thorin rimbombavano dietro di lui, e poteva udire il respiro affannoso di Bifur e di Frerin dietro di lui. «Adesso!» ansimò Nori, e Thorin entrò nella radura per vedere l'Uomo che si avvicinava allo Hobbit.

«Voglio solo la forza di difendere la mia gente» sputò amaramente Boromir, e oh, il dolore sul suo volto. Thorin sentì il suo cuore che si stringeva per quel dolore. Lo conosceva bene, oh così bene. «Se solo mi prestassi l'Anello...»

«No!» disse Frodo fermamente, indietreggiando. I suoi piedi strisciavano nervosamente fra l'erba, e la sua mano era su Pungolo.

«Perché scappi?» disse Boromir, confuso «Non sono un ladro.»

«Non sei te stesso» disse Frodo, e si mosse in cerchio nervosamente, il suo sguardo fisso su uno spazio tra gli alberi.

Improvvisamente il bel, forte volto di Boromir divenne contorto dalla rabbia. «Che possibilità pensi di avere? Ti troveranno, e prenderanno l'Anello e tu alla fine pregherai di morire!»

Frodo rimase immobile per un momento, il suo volto teso. Poi si voltò per andarsene.

«Idiota!» ringhiò Boromir, i suoi occhi illuminati da una bollente follia «È tuo solo per un malaugurato caso... avrebbe potuto essere mio. Avrebbe dovuto essere mio. Dammelo!» e si lanciò sullo Hobbit e il suo peso maggiore bloccò Frodo al suolo. Le sue mani, grandi e sicure, che tante volte li avevano difesi, ora si aggrappavano con dita crudeli al collo di Frodo come artigli.

«Dammi l'Anello» sibilò.

«No!» urlò Frodo, e tirò calci e combatte come un animale selvatico.

«Non posso guardarlo» disse Thorin con labbra intorpidite. Anche lui era stato così, perso nella rabbia e follia e disperazione? Anche le sue mani si erano chiuse attorno al collo di uno Hobbit. «Non posso. Non posso.»

«Dov'è Gimli?» disse Bifur disperatamente, guardando la radura «Non ci ha seguito?»

«Io... non gli ho detto di farlo» disse Thorin, e si prese la testa fra le mani.

«No!» urlò Frodo, e poi svanì. Frerin emise un urlo di sorpresa e orrore, voltandosi da una parte e dall'altra.

«Dov'è andato? Dov'è andato?»

«L'Anello» disse Thorin con una gola secca come il deserto «L'ha messo.»

«Ora capisco le tue intenzioni!» urlò Boromir all'aria, voltando la testa, i suoi occhi infiammati «Vuoi portare l'Anello a Sauron! Ci tradirai tutti! Vai verso la tua morte, e verso la morte di tutti!»

«È un grande Uomo, e uno buono» disse Thorin. La sua bocca era secca e i suoi occhi bruciavano «Non è questo. Non lo è.»

«Che tu sia maledetto! Che tutti i Mezzuomini siano maledetti!» ruggì Boromir, e poi inciampò in una pietra e cadde di faccia. Per un attimo rimase immobile come se la sua maledizione avesse colpito lui stesso, e poi alzò il capo. Il respiro gli usciva tremante dalle labbra, e i suoi occhi erano pieni di lacrime.

«Frodo» gracchiò, e il suo volto era nuovamente il suo «Cos'ho fatto...! Frodo, mi dispiace – sono stato colto dalla follia, ma ora è passata. Ritorna! Frodo, ti prego...»

Thorin dovette allungare una mano e metterla sulla spalla di Frerin perché le sue gambe non lo reggevano più. La voce di Boromir era troppo familiare, orribilmente familiare. Conosceva quel senso di colpa. Conosceva il sapore della vergogna, che cadeva come veleno dalla sua bocca.

Le dita di suo fratello affondarono dolorosamente nel dorso della sua mano, e venne fatto voltare per guardare negli arrabbiati occhi blu di Frerin.

«Se stai per pensare in qualsiasi modo che quello che è successo sia colpa tua, più di quanto ciò che è successo a quest'Uomo sia colpa sua, ti colpirò così forte che penserai di nuotare nel Gimlîn-zâram per il resto dell'eternità» ringhiò «Tu non hai chiesto di ammalarti, Thorin. Lui non ha chiesto di ammalarsi. Nessuno chiede di ammalarsi. Non era colpa tua. Ora riprenditi, nadadel

Con un brivido, Thorin annuì silenziosamente, e cercò di bloccare fuori il suono delle urla angosciate di Boromir che pregavano Frodo di perdonarlo.

«Dov'è andato?» disse Bifur, la sua voce bassa e piena di sorpresa.

«Non so dirlo» disse Thorin dopo una paura in cui si calmò al meglio che poteva «Dobbiamo trovarlo. L'Anello lo rende invisibile, ma la sua ombra può essere vista alla luce del sole. Nori?»

Nori non rispose, ma scattò verso l'erba mossa che copriva i pendii dell'Amon Hen.

«Ora dove?» chiese Bifur. Si stava tirando la barba.

«Thorin!» disse Frerin improvvisamente, col panico nella voce «Sento delle lame laggiù! Qualcuno ha sfoderato delle spade!»

Thorin fece un respiro profondo, e poi un altro. Poi annuì, e Frerin li guidò nella direzione da cui erano arrivati.

«Questo è caos» ringhiò, e scosse la testa per schiarirsi gli occhi che bruciavano «Questa è follia. La Compagnia...»

«Là! Sakhab!» urlò Bifur, e loro girarono per entrare nel caos della battaglia.

Gimli e Legolas erano schiena contro schiena, e l'arco di Legolas cantava mentre l'ascia di Gimli copriva i lati. Gli Orchi che li affrontava erano alti e grossi, con grandi braccia pesanti e facce ringhianti. Erano molto più grandi di qualsiasi feccia goblin che Thorin avesse mai visto, e lui indietreggiò. Ognuno era quasi della dimensione di Azog, anche se erano scuri dove Azog era stato bianco. «Mahal ci salvi» ansimò, col cuore che batteva rapidamente contro le costole.

«Mahal li salvi!» disse Frerin, acuto e nel panico, quando una freccia nera giunse pericolosamente vicina alla gamba di Gimli solo per essere colpita dalla sua lama che girava «Ce ne devono essere almeno quaranta!»

«Gli Hobbit» disse Thorin, con gli occhi che scattavano nel mezzo dell'anarchia «Dove sono gli Hobbit?»

«Non c'è segno di loro» disse Bifur, e si tirò di nuovo la barba «E anche l'Uomo è sparito!»

«Forse Aragorn li protegge» disse Frerin, una tenue speranza nei suoi occhi.

«Possiamo solo pregare che sia così» disse Thorin cupamente, guardando Legolas che uccideva un altro dei grandi Orchi «Ah! A destra, Gimli! Una balestra!»

Senza interrompere il fluido, serpentino movimento della sua ascia girante, Gimli tirò fuori l'ascia da lancio di Fíli dalla cintura e la spedì con un lancio fluido nel cranio del balestriere. Frerin squittì e si coprì la bocca con la mano. «Non è così che lo volevo veder combattere» disse debolmente.

«Per quanto sia impressionante» fu d'accordo Thorin «Non saranno sconfitti qui. Ho fiducia nelle abilità di Gimli. Dobbiamo trovare gli Hobbit!»

«Come? È impossibile trovarli quando non vogliono esserlo, me lo ricordo!» disse Bifur.

«Pipino si mostrerà» disse Thorin dopo un attimo «È il più impulsivo. Poi emergerà anche Merry, perché non rimarrà a guardare mentre i suoi amici sono in pericolo.»

«Nel nome di Durin, dov'è Aragorn?!» si disse Frerin n frustrazione, prima di girarsi e scattare fra gli alberi, con gli occhi che sbirciavano tra i rami.

Thorin rimase un po' indietro – suo fratello minore era molto più piccolo e leggero, e quindi più rapido di lui – e vide un piede dietro a un albero. Un piede inconfondibile, grosso e coperto di peli ricci: un piede Hobbit. «Frerin!» ruggì rallentando «Ne ho trovato uno!»

«Anch'io!» rispose la voce di Frerin, nascosto alla vista «Due di loro!»

«È Sam» disse Bifur, raggiungendo Thorin e ansimando «Ascolta! Sta parlando con se stesso.»

Thorin si piegò per sentire.

«Usa la testa, Sam Gamgee» stava dicendo Sam, picchiandosi le mani contro la testa «Le tue gambe sono troppo corte, quindi usa il cervello! Vediamo. Boromir è andato a seguire Padron Frodo, questo è certo. E ora Padron Frodo è scomparso, e non è scomparso normalmente. Qualcosa l'ha spaventato. Ha deciso, così all'improvviso. Ha deciso infine – di andare. Dove? Ad Est. Non senza il suo Sam? Sì, persino senza il suo Sam. Questo è cattivo, cattivo e crudele!»

«Oh, coraggioso dolce piccoletto» disse Bifur, e Thorin scosse il capo, col battito che gli martellava nelle orecchie.

«Potrà essere un contadino, ma questo non è dolce. Questo è un leone con la pelle morbida.»

Sam si passò le mani sugli occhi, asciugandosi le lacrime. «Coraggio, Sam» si disse fermamente «Rifletti, se ne sei capace! Non può sorvolare i fiumi, né saltare le cascate. Non ha il suo equipaggiamento. Quindi deve tornare alle barche. Alle barche! Coraggio, alle barche come un fulmine!»

Il giardiniere si voltò e scattò giù dalla collina, con le padelle sulla schiena che sferragliavano rumorosamente. Thorin trattenne il fiato, sperando che il suono non attirasse altri grandi Orchi a investigare. Per il suo sollievo, nessuno apparve.

«Bifur, seguilo» disse brusco «Controlla che lui e Frodo non finiscano in pericolo.»

Bifur annuì e corse dietro allo Hobbit. Da solo, Thorin continuò cupamente.


Fíli batté le palpebre. Erebor era così diversa da come se la ricordava in vita che anche dopo ottant'anni ancora si meravigliava del cambiamento. Spariti erano squallore e distruzione, i panni marcenti e la pietra crepata, grandiosa persino nella rovina. Ora invece le sale e i corridoi brillavano e nuovi arazzi (cortesia degli sforzi di Dori in quanto capo della Gilda dei Tessitori) coprivano le mura. Incisioni decoravano gli alti soffitti a volta e si ammassavano sulle colonne, i loro schemi meravigliosi e intricati, intarsiati di gioielli e metalli preziosi.

E al centro di tutto quello splendore era Dáin, vecchio e stanco.

I membri della corte erano assemblati lungo le gradinate sopraelevate che davano sulla vasta sala de trono con le sue passerelle a zigzag. Molti erano seri e arrabbiati, ma vi erano alcuni volti che Fíli riconobbe e che non sembravano tanto risentiti. Gimrís era in piedi, i suoi capelli rossi che brillavano, accanto a sua madre Mizim, e Bofur guardava da sopra le loro spalle. Il suo cappello era storto e guardava la folla con sospetto, il suo volto normalmente allegro duro e senza traccia di sorriso.

La sedia di Bombur era dietro e a sinistra del trono, e i suoi figli vi erano affollati attorno protettivamente. Alrís teneva la mano del marito, e la loro figlia maggiore, la famosa musicista Barís, era vestita coi fronzoli tradizionali degli attori di professione, le sue maniche e i suoi capelli toccavano il pavimento e i suoi occhi erano sovrastati da un basso cerchietto di acquamarina. Le pietre erano anche nella sua barba insieme a campanelle d'argento che suonavano quando parlava o cantava.

Dori era in piedi con i capi delle Gilde, la sua catena da Gran Mastro delle Gilde sulle spalle, risplendente di rosso e con un gioiello piuttosto pretenzioso al centro della barba. Ori gli sorrideva orgoglioso, e Fíli pensò che quel gioiello sarebbe sparito nello spazio di qualche secondo se Nori fosse stato ancora in giro.

Dwalin e Orla erano a fianco del trono come sempre, fieri e robusti, vestiti delle loro pelli e pellicce. L'unica concessione che Dwalin aveva fatto per onorare la sua illustre famiglia era dell'argento sulle orecchie. Per il resto era come sempre. La pelle scura di Orla e la gran massa nera dei suoi capelli facevano brillare il bianco dei suoi occhi nell'ombra.

La Regina era assente, così come l'Elminpietra.

Con orgoglio che quasi gli esplodeva nel petto, gli occhi di Fíli caddero su sua madre, seduta a destra del trono in quanto Primo Consigliere. I suoi capelli grigi erano legati in una retina decorata, e la sua schiena era dritta e orgogliosa. Si piegò e sussurrò a Dáin mentre Víli andò accanto a Fíli.

«Ah, sembra un miniera di diamanti, o no?» mormorò.

«Lo sembra» rispose Fíli, col cuore in gola.

Dáin sospirò, e poi si lasciò ricadere sul trono, allungando il suo piede di metallo e muovendosi sul posto. «Fateli entrare» disse, e la sua voce profonda stava diventando piuttosto incrinata. Fíli guardò Thrór, che stava studiando suo cugino tristemente.

«Non gli rimane molto in questo mondo, vero?» disse Ori piano.

«Però ci ha resi orgogliosi» disse Thrór, e la sua voce era dura e secca «Ha fatto tutto quello che doveva e anche si più.»

A volte, pensò Fíli, suo bisnonno era pieno di ancora più odio per se stesso di Thorin.

Le grandi porte si spalancarono, e l'Elminpietra entrò. Il robusto Nano era alla testa di una piccola processione di Elfi, circa venti, tutti vestiti in verde grigiastro. Alcuni avevano delle foglie intrecciate nei capelli, e Fíli storse il naso. Perché qualcuno si vorrebbe mettere della roba verde morta nei capelli? Le foglie nel sacco per dormire erano abbastanza fastidiose.

Non avevano i loro archi. In genere non c'erano restrizioni per quanto riguardava le armi nella sala del trono (a Dáin piacevano, e voleva sempre sapere chi le aveva costruite) ma un arco Elfico vicino al Re era troppo, anche per i Nani più liberali.

L'Elminpietra si fermò dinnanzi al trono, e fece un lento inchino cerimoniale a suo padre per il piacere dei tradizionalisti nella corte. Guardò su, e Ori annuì in approvazione.

«Ha i fermagli e le trecce del Principe Ereditario» disse «Renderà felici i membri più anziani del Consiglio.»

«Non gli piacciono?» Fíli non aveva mai davvero avuto la possibilità di indossarle.

Thrór fece una smorfia. «Pesano,e quei dannati fermagli si impigliano e ti tirano i capelli. Odiavo quelle cose.»

«Oh»

Dáin si alzò con qualche difficoltà mentre suo figlio diceva: «salute a mio padre, Dáin secondo del suo nome, della Linea di Durin, Re di Erebor e dei Colli...»

«Sì, sì» grugnì Dáin, e riuscì a mettersi in piedi «Lo chi sono, ragazzo mio. Hai un bell'aspetto.»

Thorin Elminpietra nascose un sorriso. «Sto bene, 'adad. Sono felice di essere a casa.»

«Felice che sei a casa, figliolo» Dáin diede un rapido sorriso a suo figlio, prima di girarsi verso gli Elfi. Il capo sembrava impassibile di fronte all'improvvisa mancanza di formalità da parte di Dáin. «Benvenuti, miei signori, ad Erebor. Vi ringraziamo con tutto il nostro cuore per averci aiutato in questo tempo oscuro, contro il più nero dei mali.»

«Re Dáin» disse l'Elfo che li guidava, facendo un leggero, rapido passo avanti e facendo un inchino aggraziato «Sono Laerophen, figlio di Thranduil.»

Le sopracciglia di Dís si alzarono, ma lei non commentò. «Vi salutiamo, Laerophen Thranduilion di Eryn Lasgalen» disse Dáin formalmente. Poi si massaggiò sotto la corona e aggiunse: «e dannatamente felici di vederti, se perdoni il mio linguaggio.»

«Non tutto il vostro popolo sembrava così caldo nei nostri confronti» disse Laerophen, guardando le file di Nani borbottanti nella camera.

«Aye, beh, c'è sempre gente così» disse Dáin «Ho ragione nel pensare che sia tu il capo di questo esercito?»

«Lo siete» Laerophen inclinò il capo «Siamo trecento, e tutti armati di arco lungo e spada e coltelli.»

I sussurri divennero più forti. «Solo trecento!» Fíli udì esclamare «Non è nulla!»

«Sono Elfi. Ti aspettavi un aiuto decente?»

«Aye, ma un arciere Elfico è un gran vantaggio! Trecento sono pochi, ma potrebbero cambiare la marea.»

«Sei un idiota, e un idiota cieco. Il vecchio ragno pallido nel Bosco Atro ce li ha mandati solo per farci star zitti!»

«Non doveva mandarcene uno, figuriamoci trecento!»

«Siamo grati» disse Dáin fermamente, superando i sussurri con la voce. Fece un passo avanti dal suo trono e allungò la mano verso Laerophen, che la guardò con sospetto. «Andiamo! Se dobbiamo lavorare insieme, dobbiamo essere migliori di coloro che ci hanno preceduti. Sono solo un vecchio Nano, non avrai paura di me?»

Con movimenti cauti, Laerophen prese la mano del Re. «Come voi dite, dovremo lavorare insieme.»

Gli Elfi dietro al capitano avevano gli occhi spalancati e molti di loro sembravano disgustati o orripilati.

«Ora!» Dáin lasciò la mano di Laerophen e batté insieme le proprie «Ecco cosa sappiamo. Tre volte il messaggero ci ha avvisati. La prossima volta che lo vedremo, sarà alla testa di un esercito. Non ci piegheremo a nessun potere oscuro. Thorin, ragazzo mio, vieni qui, lascia che mi appoggi a te. La mia gamba sta facendo di nuovo degli scherzi, e vorrei camminare.»

L'Elminpietra andò ad aiutare suo padre mentre Dáin iniziava a camminare, il piede che cliccava contro i pavimenti di liscia roccia scura. Dáin mise una mano sulla spalla del figlio e fece un suono tra i denti. «I Corvi ci dicono che l'oscurità si ammassa a nord. Dal Monte Gundabad ogni genere di cosa oscura sciama a sud, e solo Erebor è in mezzo. Non sono lontani, ma non sappiamo quando colpiranno. La nostra migliore stima è tra due mesi, anche se potrebbe essere due settimane.»

«È peggio di quante non sappiate» disse Laerophen, i suoi occhi blu freddi e taglienti «Le nostre foreste sono di nuovo sotto attacco da sud. Dalla fortezza bruciata di Dôl Guldur giunge un odore oscuro e freddo, che non si sente da quando Mithrandir la distrusse molto tempo fa. I ragni crescono in numero, e gli alberi si stringono fra di loro e il vento parla della loro rabbia. I messaggi volano da Imlardis e Lothlórien: l'Ombra sta diventando più forte.»

«Ah, queste sono pessime notizie!» urlò Dáin «Dunque non siamo l'unica terra sotto assedio?»

Laerophen scosse la testa pallida. «No, invero. Il terrore di Mordor sta iniziando a strisciare in ogni terra, e nessun luogo è sicuro.»

Dáin si tirò la barba pensieroso, il nervosismo ancora sul volto. «Abbiamo cercato Elrond di Granburrone perché ci consigliasse» borbottò «Non abbiamo udito nulla di ciò. Non siamo a conoscenza dei piani degli Elfi.»

«Non lo siete?» Laerophen parve sorpreso «Allora ho più notizie da darvi, anche se sta a voi decidere se sono buone o cattive. Lord Elrond convocò un consiglio di tutti i popoli liberi, e in quel luogo una Compagnia di nove viandanti fu formata. Ora loro fanno la guardia al Flagello di Isildur e hanno giurato di rimanere al servizio del portatore.»

«Il Flagello...» disse Thorin Elminpietra, con gli occhi spalancati.

«Hai detto a mio padre che questo messaggero chiedeva notizie del Perian, lo Hobbit a voi conosciuto negli anni del drago»

«Sì?» l'Elminpietra sembrava confuso «Sì, l'ho detto. Il Nemico vuole un piccolo anello, il minore degli anelli. Ma non vorrai dire che...»

Laerophen annuì, arcuando il collo grazioso. «Non sapevate cosa i quattordici compagnia avessero trovato nelle profondità delle Montagne Nebbiose?»

Le file di Nani iniziarono a sussurrare e mormorare, i loro volti sbiancarono e i loro occhi erano larghi e scioccati. Sopra al rumore crescente, Bofur fece un singhiozzo di orrore, e Gimrís dovette tenere su suo marito quando le sue ginocchia cedettero. «Il nostro Bilbo? Piccolo Bilbo Baggins?» ansimò, la faccia bianca come il gesso sotto il cappello.

Bombur si lamentava nelle sue mani. «Quella cosetta, quell'anellino d'oro che usava» ansimò. Barís e Alrís gli diedero dei colpetti sulla schiena mentre lui cercava di respirare.

«Respira, papà» gli disse Barís «Ti serve la tua medicina?»

«Devo sapere cosa intende dire quell'Elfo!» ringhiò Bombur, e si spinse per metà fuori dalla sedia. La sua gamba ferita tremò sotto il suo enorme peso, e Alrís imprecò e lo aiutò mentre i suoi figli correvano anche loro a supportarlo. «Parla chiaramente! Intendi che quell'anello delle leggende, detto il Flagello di Isildur nelle vecchie rime...»

«Giunse nelle mani Bilbo Baggins, sì» Laerophen offrì un piccolo sorriso «E lui lo usò per farvi fuggire dal nostro palazzo e muoversi sotto il naso di un drago.»

«E ora un concilio di gente libera va a proteggere il Portatore» disse Dáin. La sua mano si strinse sulla spalla robusta del figlio per lo stupore, e il suo volto divenne grigio. «Chi di noi è con Bilbo Baggins?»

«Non è lui che ora porta l'Anello» disse Laerophen «Lo ha passato a un suo parente, e loro viaggiano in missione con gran fretta e riservatezza. La Dama Galadriel non dirà altro, né lo farà Lord Elrond, per non distruggere la loro sicurezza e le loro speranze di successo.»

«Chi andò con loro?» disse Mizim con una voce spaventata, avanzando improvvisamente «Chi.»

«Mamma, non era-» Gimrís ansimò, e stavolta fu il turno di Bofur di supportarla.

«Mio fratello minore, Legolas» disse Laerophen «Due della razza degli Uomini. Quattro Hobbit. Gandalf il Grigio.»

«Lo Stregone!» giunse dalle gradinate – la maggioranza mormorii di approvazione, anche se alcuni erano sospettosi. Mizim fissò l'Elfo coi sui occhi scuri.

«Questi sono otto» disse con voce di ghiaccio.

«Mi dicono che il Nano che li accompagna sia chiamato Gimri, figlio di Glóin»

Gimrís gemette, Dís si mise una mano sulla bocca e Bofur indietreggiò in sorpresa. Mizim barcollò come se fosse stata colpita.

«Gimli» raspò, e i suoi occhi si chiusero strettamente mentre il suo respiro diventava affannoso, il suo petto si alzava e si abbassava in fretta «Se mi vieni a dire simili notizie di mio figlio, farai meglio a usare il nome giusto!»

Il volto elegante di Laerophen era impassibile e tranquillo, ma i suoi occhi si addolcirono. «Le mie scuse, Signora. Non lo dimenticherò.»

«Mamma!» urlò Gimrís, avvicinandosi a Mizim. La Nana più vecchia si allungò alla cieca verso sua figlia, e quando la prese la strinse con tutta la sua forza. «Mamma, shhh. Va tutto bene, shhh. Gimli starà bene. È troppo, troppo fastidioso per farsi del male, vedrai. Tornerà, starà bene. Riderà e lascerà gli stivali in mezzo al corridoio e canterà le sue canzoni giorno e notte, facendoti impazzire. Shhh. Va tutto bene» Gimrís sembrava tentare di convincere non solo sua madre, ma anche se stessa. Il suo bel volto era rosso, il colore la prova delle lacrime che erano spietatamente trattenute.

«Mio figlio» ansimò Mizim, e seppellì il volto nella spalla della figlia e tremò.

«Oh no» disse piano Víli. Fíli strappò gli occhi dalla madre e dalla figlia per vedere sua madre che si alzava lentamente dal suo posto, i suoi occhi pieni di paura.

«Non possiamo ringraziarti per queste notizie» disse Dís, la sua gola che si muoveva mentre deglutiva «Gimli è caro a molti qui, ed è duro pensare che forse sta correndo dritto nel cuore di questo male.»

«Capisco, Primo Consigliere» l'Elfo si inchinò, e i suoi luminosi occhi Elfici si chiusero «Il vostro dolore non mi offende. Mio fratello minore sta correndo un pericolo simile.»

«Aye, l'hai detto prima, e lo è anche lui. La Signora non desiderava offendere» disse Dáin, e con cautela prese la mano di Dís «È uno shock sentire ciò, e questo non è il luogo migliore. Dís, cugina. Stai bene?»

Lei strinse le labbra, e poi scosse la testa. «Ho perso troppo, Dáin» gli disse «Non posso farlo di nuovo. Non posso. Non posso.»

Fíli lanciò uno sguardo senza speranza a Thrór, che aveva le mani strette nei suoi folti capelli. «Dís» mormorò sottovoce Thrór, guardando il volto della sua unica discendente in vita con tristezza e senso di colpa «Era la nostra passerotta, con la sua voce dolce e i suoi capelli scuri.»

I sorrisi di Víli erano svaniti e si stava torturando le mani, il suo volto pieno di preoccupazione e dolore. «Oh, mia amata» sussurrò piano «Oh, mia Dís, mia cara, mia determinata dolcezza, mio sorriso. Va tutto bene: sta bene. Non ne perderai un altro, prometto!»

«Non» disse Fíli con voce rotta «Non fare promesse che non puoi mantenere.»

Suo padre lo guardò per un istante, e poi il suo volto allegro crollò e lui si voltò.

«Gimli starà bene» disse Dáin, a abbassò il capo e prese un respiro profondo «Penseremo al nostro congiunto più tardi. Paura e preoccupazione possono aspettare quando ci sarà di nuovo tempo e privacy. Per ora, c'è del lavoro da fare. Cosa vi serve? Le stanze sono adatte?»

Laerophen guardò i tre Nani con trepidazione – giustamente, nell'opinione di Fíli. Colui che portava notizie del genere a quei tre dovrebbe davvero temere per la sua pelle. «Sono più scure di quelle a cui siamo abituati, ma andranno bene» disse, e Ori alzò gli occhi al cielo.

«Anche voi vivete nelle caverne» esclamò «Almeno le nostre caverne sono più grandi!»

Dwalin fece un passo avanti, alzando la testa tatuata. «Hai in mente qualche modifica generale, ora che hai visto le difese?» disse senza preambolo. L'angolo della bocca di Fíli si alzò, e lui scosse la testa tristemente. Dwalin non aveva mai avuto tempo per i convenevoli. Soprattutto non con gli Elfi.

«Le murature di difesa dovranno essere più alte per i nostri arcieri» disse Laerophen, e un lampo di disgusto gli passò sul volto. Ah, dunque riconosceva Dwalin. Il volto del guerriero divenne rosso, e gonfiò il petto in offesa.

«Può essere fatto» Dáin interruppe prima che Dwalin potesse aprire la bocca e annientare qualsiasi possibilità di lavorare insieme agli Elfi «Cos'altro?»

«Abbiamo portato delle frecce, ma ne serviranno altre» continuò l'Elfo, lanciando occhiatine irritate a Dwalin.

«Ah, allora ho finalmente qualche buona nuova» disse Dáin, e strinse la mano di Dís in consolazione «Mia moglie è a capo dell'armeria, e sono due mesi che sfornano frecce. Dubito che finiranno presto.»

Laerophen sembrava stupito – nei limiti di quanto un Elfo potesse sembrare stupito, ecco. «Dunque stavate contando su un accordo con noi?»

«No» sospirò Dáin, e lasciò la mano di Dís per strofinarsi la fronte brizzolata «Fino al vostro arrivo eravamo convinti di essere soli. Le frecce le avrebbero potute usare i nostri arcieri, anche se indubbiamente senza lo stesso effetto.»

Una scintilla si accese negli occhi dell'Elfo. «Avete degli arcieri?»

«Sì» disse Bombur orgogliosamente.

«Guidati da Bomfrís figlia di Alrís» confermò Dáin «Dato che i nostri archi non sono né potenti come i vostri, né lanciano tanto in lungo, abbiamo pensato fosse meglio mettere i nostri arcieri nelle mura inferiori e i vostri nelle superiori?»

Le sopracciglia di Laerophen si alzarono. «Ah. Forse. Ma sarebbe più efficiente mischiare le truppe, così si potrebbero coordinare più ondate di frecce contemporaneamente.»

«Che vuoi dire?» esclamò una nuova voce, e Bomfrís in persone emerse dai suoi molti fratelli «Potremmo coordinarci da aree diverse senza mescolarci. Tutto quello che ti serve è un paio di persone con una buona voce sulle mura. Non ci sarebbe bisogno di mischiare!»

Dáin le lanciò un'occhiata esasperata, e poi la indicò con frustrazione. «Posso presentarti Lady Bomfrís.»

Lei si mise le mani sui fianchi e incenerì l'Elfo. «Voglio sapere cosa intendi con coordinare le ondate» disse.

«È colpa tua, lo sai» borbottò Alrís «Mettere avventure nelle loro teste.»

«Assomiglia più a te che a me» sibilò Bombur «Non dare a me la colpa!»

«Se rilasciassimo simultaneamente una salva a corto raggio e una a lungo» disse Laerophen, guardando la giovane Nana rossa con una certa sorpresa «riusciremmo ad eliminare due orde nemiche allo stesso tempo.»

Lei borbottò, aggrottando le sopracciglia, prima di rialzare lo sguardo verso di lui. «Va bene» disse controvoglia «Ne parleremo.»

«Io parlerò» ringhiò Orla «Tu torna al tuo posto, Bomfrís.»

Lei strinse le labbra, ma si arrese.

Dáin scosse la testa stancamente, prima di indicare il resto della corte. «Ci aggiorniamo. Lord Laerophen, se vorresti per favore unirti a noi insieme ad alcuni al tuo comando nelle sale del consiglio dopo pranzo, potremmo iniziare i preparativi di guerra.»

Mentre gli altri iniziavano a muoversi, Dáin si voltò verso Dís. «Stai bene, cugina?» disse gentilmente, la sua vecchia voce che gracchiava tra le parole.

«Non starò bene finché non l'avrò visto io stessa» disse lei brusca, e si voltò verso dove Gimrís e Mizim erano ancora strettamente abbracciate «Mi rimane poco in questo mondo oltre a lui e a sua sorella. Non sopporterei di perderlo.»

Gimrís allungò un braccio da attorno a sua madre e disse con voce più dolce di quanto Fíli l'avesse mai udita da lei: «Zia Dís.»

Lei fece un respiro tremante, prima di accettare l'abbraccio e stringerle strettamente. Dáin le guardò per un istante con occhi tristi, prima di sospirare profondamente e stringere la spalla di suo figlio. «Beh, ragazzo. Certo sai come creare disordini. Bentornato. Ora andiamo a pranzo.»

Thorin stava fissando gli Elfi, la sua bocca leggermente aperta. «Quel...» disse debolmente.

«Oh, non anche tu?» borbottò Dáin «Sì, lo so che sei preoccupato per tuo cugino. Anch'io lo sono. Ma c'è un'intera montagna di Nani qui e ora di cui ci dobbiamo preoccupare, e tutti loro si meritano...»

«No, non Gimli. Mi preoccupo molto meno per lui che per qualsiasi cosa sia abbastanza sfortunata da farlo arrabbiare» disse l'Elminpietra impazientemente «Intendo Bomfrís.»

Dáin batté le ciglia. «Bomfrís?»

«Aye» sospirò il Nano più giovane, con un'espressione beata sul volto. Le sue spalle massicce si rilassarono quando esalò un lungo respiro. «Non è un nome bellissimo?»

Dáin sembrava stupefatto.

Ori spostò lo sguardo dal Principe Ereditario perso fra le nuvole al Re senza parole, ed iniziò a ridacchiare.

«Non sono sicuro che questo debba andare nel rapporto» disse Fíli debolmente.

«A Frís interesserebbe parecchio però» aggiunse Víli, sorridendo, anche se i suoi occhi erano ancora duri per la preoccupazione. Continuava a guardare Dís, in piedi stretta fra le braccia di Gimrís e Mizim. Bofur si mordeva il labbro, il cappello stretto fra le dita, e la cantante Barís le osservava ansiosamente. Lei era l'amica più cara di Gimrís sin dall'infanzia, e ora guardava con espressione preoccupata mentre la sua migliore amica dava e riceveva conforto.

«Ora sanno della Missione» disse Thrór cupamente mentre l'Elminpietra aiutava il padre a spostarsi dalla grande camera decorata alla piccola anticamera del Re dietro al trono (chiacchierando allegramente di Bomfrís tutto il tempo). Thrór, Ori e Fíli li seguivano, mentre Víli rimase indietro con Dís.

«Sanno dell'Anello» fu d'accordo Fíli «ma non del piano per distruggerlo.»

«Quella vecchia rima ha causato più male che bene» disse Ori, accigliato «Tutto quello che devi fare è dire “Flagello di Isildur” e tutta Arda sa di cosa parli.»

«Nessun Nano tradirebbe Bilbo Baggins» disse Fíli fermamente «Non importa se sanno dell'Anello. Il Nemico non lo sentirà mai da noi.»

«Sì hai ragione» borbottò Ori.

«Quindi. Elfi ad Erebor, eh?»

«Mai pensato che l'avrei visto di nuovo» disse Thrór quando Dáin e l'Elminpietra raggiunsero la porta dell'anticamera «Pensavo che sarebbe... oh!»

Perché aprendo la porta, quattro Nanetti ne caddero fuori, riversandosi ai piedi di Dáin. Ci fu qualche imprecazione soffocata da parte di una vocetta acuta, e poi l'alta allampanata figura di Piccolo Thorin si districò dalla pila e congelò, i suoi occhi molto larghi.

«Vostra maestà» balbettò.

«Levati, grosso idiota! Sei in piedi sulle mie trecce! Come dovrei fare a-oh» anche Gimizh si congelò, la mano premuta sui capelli rossi e la sua bocca aperta «Oh no.»

In quel momento il più piccolo degli intrusi trotterellò fino all'Elminpietra e lo guardò con occhi curiosi e innocenti. Apparentemente passò l'esame, perché il piccoletto disse “su!” con voce imperiosa e alzò le mani.

«Chi...?» disse Principe Thorin, voltandosi verso suo padre mentre prendeva in braccio il piccolo. Il bambino immediatamente iniziò ad esaminare le intricate trecce del Principe Ereditario, e le tirò. Lui gemette.

«A giudicare dall'espressione sulle facce di questi due, direi che stiamo guardando i fratelli minori di questo qui. Quello è lo sguardo di Dwalin se l'ho mai visto, e quelli sono i capelli e i colori di Orla. Il più piccolo in braccio a te è Frerin, e questo bel giovanotto qui che sta esaminando il mio piede di ferro è Balin, giusto?» disse Dáin a Piccolo Thorin, che deglutì.

«Sissignore»

«Tuo padre non ne sarà felice»

«Nossignore»

«E nemmeno lo sarà tua madre»

Gli occhi di Piccolo Thorin si strinsero. «Nossignore.»

«E suppongo che tuo padre sarà entusiasta» disse Dáin a Gimizh, che ghignò senza nessuna vergogna.

«Sissignore!»

«Peccato che riferirò tutto a tua madre» continuò Dáin, e Gimizh gemette.

«Per favore non ditelo? Volevamo solo vedere gli Elfi!»

«E li avete visti?» disse l'Elminpietra, nascondendo un sorriso «Erano come ve li immaginavate?»

«Sono tutti magri e allungati e luccicanti, e non hanno la barba!» disse Gimizh con tono di affascinato disgusto. Dáin rise.

«Non ce l'hanno, e immagino sia motivo di grande dolore per loro»

«Non succederà di nuovo» borbottò Piccolo Thorin «Prometto. Solo per favore non ditelo!»

«Facciamo un patto» gli occhi di Dáin brillarono «Io manterrò il segreto se voi mi fate un grosso favore in cambio. Andate nelle cucine e prendetemi un piatto per tre, e assicuratevi che ci sia un boccale di birra! Poi andate alle forge e cercate la Regina. Ditele che era ora che facessimo un bel pranzetto di famiglia. Chiaro?»

Il volto di Piccolo Thorin si stava rischiarando, e Gimizh annuì rapidamente. «Sissignore! Grazie, signore!»

«Ora via» disse il Principe, mettendo giù il piccolo Frerin «e portatevi questa coppia di diavoletti con le dita appiccicose con voi, e vedete bene di non farvi più trovare qui da noi!»

«Non lo farete» disse Piccolo Thorin, prendendo Balin mentre Frerin prendeva la manina di Frerin.

Con un sorriso di saluto, Gimizh aggiunse: «trovarci, intende!»

Ori guardò la piccola tribù di combinaguai mentre si allontanavano, e poi si voltò verso Fíli con espressione confusa. «Quindi, in che modo quel branco è imparentato con te e Kíli?»

Thrór iniziò a ridacchiare.


L'unico suono era il rumore del suo respiro nei suoi polmoni. Gli alberi sembravano tutti uguali. Da solo, Thorin si fece strada fra gli alberi, cercando qualcuno, chiunque. Il caos regnava. Lui iniziò a muoversi in cerchio, e la sua mente fece lo stesso.

Il suono di un corno attraversò gli alberi, e poi giunse un grande urlo. «Thorin!» strillò Frerin, da qualche parte alle sua destra.

Lui strinse i pugni, e continuò a correre. I suoi pensieri erano nel caos. Una qualche follia sembrava essersi impossessata della Compagnia, e tutti erano sparsi in giro. Lui era inutile. Il suo Dono era inutile. Gimli era l'unico che poteva sentirlo, e al momento era circondato dai nemici e non poteva prestare aiuto. Thorin strinse i denti e continuò a correre, seguendo il lungo, urgente suono del Corno di Gondor.

Entrando nella radura dove si trovava Frerin, si fermò in completo shock, terribile come coltelli e improvviso come un colpo.

I due Hobbit mancanti erano trovati. Merry e Pipino erano immobili dal terrore. Davanti a loro barcollava l'alta figura di Boromir. Une freccia impennata di nero gli attraversava il petto, e lui stava soffocando. Attorno a lui erano i corpi di almeno venti dei grandi Orchi. Su una collinetta era il più mostruoso, la faccia dipinta con pittura bianca nella forma di una mano. Le sue mani tenevano un arco lungo dall'aspetto malvagio.

Boromir fece grandi respiri rasposi, il volto bianco come la morte sotto i capelli sudati. Poi fece un urlo pieno di dolore e alzò nuovamente la spada, le sue parate lente e molli.

«Non può continuare a combattere» singhiozzò Frerin, e Thorin prese suo fratello e lo strinse a sé.

«Non guardare» raspò.

«Dannazione, dovrei guardare, guarderò» strillò Frerin, colpendo Thorin coi pugni sul petto «Se lo merita!»

Mentre Boromir uccideva l'Orco davanti a sé, un'altra freccia gli volò nell'addome con un sibilo malvagio. Thorin non poté reprimere il proprio urlo, e guardò con dolorosa, muta costernazione il grande Uomo che veniva buttato all'indietro, col suo corpo che lo tradiva e la testa piegata in avanti mentre boccheggiava. Del sangue iniziò a cadergli dall'angolo della bocca.

«No, no, no, no, no» disse Frerin, una bassa litania piena d'orrore.

Con enorme sforzo, Boromir alzò nuovamente la spada, ma aveva a malapena tirato un colpo che un'altra freccia nera lo trafisse nel petto. La sua spada cadde dalle dita deboli, e cadde pesantemente in ginocchio. Il suo respiro era diventato un orribile gorgoglio sibilante.

«NO!» ululò Pipino, e alzò la sua piccola spada «Boromir! Boromir!»

Merry unì la sua voce e la sua spada a quelle del cugino, ma fu inutile. Gli alti Orchi li raccolsero e li portarono via mentre loro scalciavano e urlavano. Gli occhi di Boromir li seguirono privi di speranza e pieni di vergogna, i suoi arti troppo deboli per muoversi. Poteva solo rimanere in ginocchio, e lottare per un ultimo respiro.

Il grande Orco con la Mano Bianca sul volto avanzò verso di lui con passo quasi rilassato. Thorin lo incenerì attraverso occhi sfocati dalle lacrime e dall'odio mentre Frerin tremava fra le sue braccia. L'Orco ringhiò verso Boromir per un secondo, e Thorin non aveva mai desiderato tanto Orcrist, non aveva mai desiderato tanto la vita.

Le braccia dell'arciere si piegarono, e l'Orco prese la mira verso la testa di Boromir mentre lui rimaneva in ginocchio, tremante, sulle foglie bagnate di sangue.

«No» singhiozzò Frerin, e infine si girò per seppellire il volto nel petto di Thorin.

Improvvisamente gli alberi di aprirono per rivelare Aragorn, e Thorin urlò in sorpresa e speranza. «Nel nome di Durin dove sei stato!» ruggì, e Frerin fece un salto, imprecando.

«È tornato, è tornato!» balbettò mentre Aragorn colpiva con la spada l'arco nero, scagliando lontano la freccia. Dietro di lui, giunse correndo Nori, il volto rosso e le trecce elaborate spettinate.

«Trovato!» ansimò «Mi c'è voluto un po', non è un Ramingo per niente sa- oh, dolce Mahal al di sotto. Oh no» gli occhi di Nori finirono sulla figura tremante di Boromir.

«Sì» disse cupamente Thorin, e si indurì attorno al proprio cuore urlante. Frerin guardò la lotta fra Aragorn e il grande Orco con occhi larghi e spaventati. L'Orco si strappò un coltello dalla spalla e leccò la lama con un orrendo risucchio, gli occhi fissi in quelli di Aragorn e un sorriso vile sul volto.

«Non gli importa se è ferito» ansimò Frerin, e i suoi pugni lo colpirono «Voglio la mia spada! Spazzerei gli Orchi da Arda in questo momento!»

«Shhh, nadadel» disse Thorin debolmente «Shhh.»

«Devi sentirti anche tu così!» disse Frerin, guardandolo con occhi selvaggi. Thorin gli afferrò le spalle.

«Lo faccio, pensi di no? Ma possiamo solo guardare. Tu stesso me lo hai detto, tanto tempo fa.»

«Ma non se lo merita!» disse Frerin furiosamente «Boromir non si merita un fine simile!» poi i suoi occhi brillarono con un antico, sordo dolore. Fece un suono soffocato e lanciò le braccia attorno a Thorin nuovamente.

«Shhh» disse nuovamente Thorin, e guardò l'Orco che afferrava la lama di Aragorn, ringhiando in derisione mentre la trascinava dentro al proprio corpo solo per portarsi vicino l'Uomo. Il volto di Aragorn sbiancò, e lui fece un passo indietro, estraendo la spada dallo stomaco dell'Orco e facendo un tondo alla veloce di un fulmine per tagliare la testa della bestia.

Aragorn indietreggiò, la spada gli cadde dalle mani, e poi barcollò fino a dove Boromir tremava. Si lanciò in avanti in tempo per prendere l'Uomo di Gondor che cadeva all'indietro su un tappeto di foglia. Era persino più pallido, la sua pelle color gesso. Il suo respiro tremava.

«Hanno preso gli Hobbit» biascicò tra labbra blu.

Aragorn strappò un pezzo della un tempo bella tunica di Boromir, premendola contro una delle molte ferite che gli coprivano il corpo. Le frecce uscivano oscenamente dal suo petto, e Nori tremò violentemente.

«Poveraccio» sussurrò.

«Frodo, dov'è Frodo» disse Boromir, il respiro che sibilava tra i suoi denti.

Le spalle di Aragorn si abbassarono prima che lui rispondesse piano: «Ho lasciato andare Frodo.»

«Allora hai fatto ciò che io non ho potuto. Ho tentato di prendergli l'Anello» disse Boromir, e il disgusto e la totale vergogna nella sua voce colpirono Thorin come uno sciame di insetti. Strizzò gli occhi e premette il volto contro i capelli di Frerin. «Mi dispiace. Ho pagato.»

«L'Anello è oltre la nostra portata ora» disse Aragorn.

«Perdonami» pregò Boromir, la sua voce spezzata «Non ho veduto» la sua testa ricadde tra le foglie e la sua gola si mosse convulsamente, e i suoi occhi erano tormentati «Vi ho delusi tutti.»

Thorin non riusciva a deglutire, e Frerin erano un grande, grande peso fra le sue braccia. Una mano si poggiò sulla sua spalla, e desiderò potersi girare verso Nori, ma i suoi piedi erano pesanti e saldati al terreno.

«No, Boromir» disse Aragorn gentilmente «Hai combattuto con coraggio. Hai mantenuto il tuo onore» si allungò nuovamente verso le ferite di Boromir, ma l'Uomo lo allontanò con un gesto debole.

«Lascia stare!» disse amaramente «È finita! Il mondo degli Uomini cadrà, e tutto verrà ingoiato dall'oscurità... e la mia città dalla rovina» un'espressione di angoscia gli passò sul volto esangue.

«Diglielo» ringhiò Thorin improvvisamente, un fuoco che gli bruciava nel petto «Tutto ciò che desiderava era salvare il suo popolo. Soffrono e muoiono, e lui lo vede senza poter far nulla. Tu – tu che hai scelto l'esilio – tu che potresti essere la loro salvezza! Non puoi sapere come ci si sente, cosa ti fa al cuore. Diglielo, maledetto te, o nega per sempre il tuo sangue! Non lasciarlo morire pensando che la sua vita e la sua morte siano state vane!»

Aragorn fece un respiro profondo, prima di dire lentamente: «Non so quale forza vi sia nel mio sangue. Ma ti giuro che io non lascerò che la Città Bianca cada.»

Boromir lo fissò, con una luce impossibile che iniziava a brillargli nel volto deformato dal dolore.

«Né lascerò il nostro popolo alla rovina» disse Aragorn quasi in un sussurro.

Il fuoco e la tensione svanirono da Thorin in un'enorme ondata, e lui si lasciò ricadere contro suo fratello. La mano di Nori gli strinse la spalla in consolazione. «Ayamuhud zu, Boromir» disse, e chinò il capo. Le sue palpebre erano pesanti.

«Il nostro popolo» disse Boromir, e le sue labbra tremarono «Il nostro popolo.»

Aragorn annuì, e Thorin improvvisamente poté vederlo. «I Signori di Gondor sono tornati» mormorò a se stesso «I Signori di Gondor sono tornati» poi si morse il labbro, forte, mentre Boromir alzava la mano tremante e Aragorn ne chiudeva le dita attorno all'elsa della spada caduta. L'Uomo morente se la tirò contro il petto e lottò per i suoi ultimi, agonizzanti respiri.

Un leggero suono di foglie dall'altro lato della radura segnalò l'arrivo di Gimli e dell'Elfo, ma Thorin non riuscì a distogliere lo sguardo da Boromir. Le esangui labbra blu si tirarono in un sorriso malinconico, i denti macchiati del sangue della sua vita.

«Ti avrei seguito, fratello mio» disse Boromir, guardando Aragorn con una riverenza priva di speranza «Mio Capitano.»

Il suo ultimo respiro gli tremò nei polmoni, e lui sussurrò: «Mio Re.»

Poi la luce svanì dai suoi occhi. La sua testa un tempo orgogliosa rotolò leggermente di lato.

Nori fece un rasposo suono strozzato sotto voce. Frerin tremava di rabbia. Thorin si voltò mentre Aragorn baciava la fronte dell'Uomo morto come un Re dovrebbe. Chiuse brevemente gli occhi, sentendo un sentiero bagnato che gli percorreva la guancia e finiva nella sua barba. Inalando lentamente, aprì gli occhi e cercò la sua stella.

Il volto di Gimli era congelato dall'orrore e molle dallo shock e incredulità. La sua ascia dondolava nelle mani rese intorpidite dal nuovo dolore, e i suoi occhi scuri erano sfocati e larghi, le labbra aperte e il respiro accelerato. Al suo fianco, l'Elfo sembrava stranamente confuso, la testa piegata mentre guardava la triste scena. Il suo volto era un misto di stupore e perdita. Come prima, l'Elfo non sembrava sapere come doversi comportare col proprio dolore.

Aragorn si alzò, e lasciò che le lacrime gli cadessero dagli occhi senza traccia di vergogna. «Aspetteranno il suo ritorno alla Bianca Torre» disse piano «Ma lui non ritornerà.»

«Gli Hobbit?» urlò Gimli «Dove sono? Dov'è Frodo?»

Legolas si fermò, e poi guardò Aragorn coi suoi penetranti occhi Elfici. «Non hai intenzione di seguirli.»

Aragorn si piegò e delicatamente strinse meglio le dita di Boromir attorno all'elsa della spada, prima di fermarsi. Poi iniziò a rimuovere i vambraci dell'Uomo, una nota distante nella voce quando rispose: «Il fato di Frodo non è più nelle nostre mani.»

«Quindi tutto questo è stato in vano» disse Gimli amaramente, e il suo volto si deformò per la rabbia e la tristezza «La Compagnia ha fallito.»

«Non se rimarremo fedeli l'uno all'altro» disse Aragorn, e alzò lo sguardo, i vambraci di Boromir in mano. Una nuova luce, forte e ultraterrena e piena di potere, gli brillava negli occhi. «Non possiamo abbandonare Merry e Pipino al tormento e alla morte.»

«Farai meglio ad onorare il tuo giuramento al morto» ringhiò Thorin, e Frerin lo guardò con occhi cerchiati di rosso.

«Fratello» provò, e Thorin scosse il capo.

«Ora tu dovrai portare il suo peso» disse ad Aragorn, col cuore straziato «Non puoi deluderlo. Non puoi più nasconderti nell'ombra, erede di Elendil.»

«Dobbiamo prenderci cura del caduto» disse Legolas, e perfino la sua dolce voce Elfica era bassa e priva di emozioni «Non possiamo lasciarlo qui tra questi orrendi Orchi.»

«Dobbiamo essere veloci» disse Aragorn, e si mise i vambraci di Boromir attorno ai propri avambracci con un movimento deciso «Lasciamo che giaccia in una barca con le sue armi e quelle dei nemici che ha sconfitto. Il Fiume di Gondor si assicurerà che nessuna creatura maligna disonori le sue ossa.»

Gimli tagliò diversi rami e li legò insieme, e questi divennero una barella di fortuna su cui portarono il loro amico caduto alle barche. Il verde giardino di Parth Galen sembrava un luogo completamente diverso quando raggiunsero il fuoco spento e i resti del loro campo.

Bifur era in piedi sulla riva del fiume, guardando pazientemente la sponda lontana. Annuì a Thorin quando arrivarono, e il suo voltò sbiancò drammaticamente alla vista di Elfo, Uomo e Nano che trasportavano il corpo del loro compagno caduto.

«Eccoli che vanno!» disse Gimli, indicando con una mano la barca tirata in secco dal lato orientale del fiume «Che Mahal li protegga e li guidi, e li tenga al sicuro da ogni pericolo.»

Aragorn lasciò che i propri occhi seguissero le due piccole sagome che svanivano tra gli alberi, e poi sospirò senza rumore e si voltò nuovamente verso il triste lavoro.

«Oh, unkhash, adùruth, nekhushel!» ansimò Bifur alla vista del corpo insanguinato e martoriato di Boromir.

«Aye» disse Nori, chinando il capo «Non è una bella maniera per andarsene.»

Gli ultimi tre membri della Compagnia lo misero in una delle barche, e sistemarono la sua spada e il suo corno spezzato attorno a lui, le lance e le spade degli Orchi ammassate sotto la sua figura prona. Sembrava infine in pace e rilassato, Thorin pensò con grande risentimento, e si chiese dove andassero gli Uomini una volta lasciata la luce di Arda.

Legolas si inginocchiò accanto alla barca e guardò il volto di Boromir con quel misto di lutto e confusione ancora una volta. Alzò una mano a coppa, piena di acqua del fiume, e iniziò a lavare il sangue sulla guancia e sulla fronte dell'Uomo. Aragorn rimase immobile come una pietra, la sua testa china. Poi lentamente iniziò a cantare del Vento dell'Ovest, chiedendo notizie di Boromir che non sarebbero mai giunte.

La pelle di Boromir era stata lavata del sangue e della sporcizia, e Legolas si alzò mentre Aragorn smise di cantare. La sua limpida, dolce, ultraterrena voce Elfica si alzò in un canto, e cantò del Vento del Sud e del mare. Boromir non sarebbe mai più andato in quella direzione; mai più avrebbe cavalcato verso la sua città bianca con le brezze meridionali che gli correvano dietro e gli scompigliavano i capelli.

Aragorn cantò di nuovo, questa volta del Vento del Nord. Era una scena strana e inquietante, pensò Thorin. Elfica fino all'esasperazione, ma profonda e addolorata allo stesso tempo. Le canzoni gli ricordavano Lothlórien: il dolore si mescolava indistricabilmente con la bellezza. Quando Aragorn terminò, si toccò con un dito i vambraci sugli avambracci.

Gimli rimase in silenzio, la sua testa china e le sue spalle piegate come se si stesse difendendo da dei colpi. «Non canterò del Vento dell'Est» borbottò.

«A Gondor, non chiedono notizie al Vento dell'Est, poiché sono sempre cattive» disse Aragorn senza emozioni «Dobbiamo andare.»

«Namárië, Boromir» disse Legolas piano, e insieme lui ed Aragorn diedero alla barca dei Galadhrim una gentile spinta, spedendola nella corrente dell'Anduin.

Poi l'Elfo permise ai suoi occhi di spostarsi nuovamente su Gimli. La stella di Thorin era pallida, il volto tirato di nuovo in linee di dolore. I suoi occhi scuri erano serrati.

«Amico mio» disse Legolas, e si abbassò in ginocchio di fronte al Nano, la sua espressione aperta e piena di dolore e comprensione «Tieni.»

Gimli aprì gli occhi, e vide il sottile coltello bianco di Legolas che gli veniva offerto. Lo fissò, immobile, per un lungo momento, e poi lo prese nella sua grande mano dalle dita robuste, facendo scivolare il palmo sull'elsa.

Legolas guardò, in totale silenzio, Gimli che si scioglieva le trecce della luminosa barba rossa. La sua mano si alzò, il coltello bianco brillò, e una ciocca di capelli rossi cadde nell'acqua bianca mentre Boromir veniva portato via verso le cascate del Rauros, e Gondor.

TBC...

Note

Sindarin

Parte del dialogo è preso dal film e dai capitoli “La Compagnia si Scioglie” e “L'Addio di Boromir”.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 20
*** Capitolo Venti ***


Incontra una Nana

Ymrís, Reale Concubina di Óin I

Figlia di un muratore e di una stagnina, Ymrís era una bellezza straordinaria. I suoi capelli erano di un raro e puro argento, spesso paragonato al mithril, e i suoi occhi di un castano così chiaro che pareva dorato. Poco si sa della sua infanzia, oltre alla sua bellezza e alla sua grande bravura nella danza con l'ascia. Queste due qualità le usò a suo vantaggio, e riuscì a inserirsi nella corte grazie al suo modo di ballare. Lì lei fece colpo sul (sposato) Principe Ereditario, futuro Óin I. Ymrís era furba, bellissima e realizzata oltre misura, e lui si innamorò immediatamente. Però, Ymrís non si sarebbe persuasa a divenire la signora di un Nano sposato. Óin le volle per quasi cinque decenni, nei quali la riempì di bizzarri doni che lei ricambiò – pubblicamente. Divenne un famoso scandalo, e tutti e tre i protagonisti erano miserabili. Infine la moglie di Óin, Greni, una nobile Pugniferro, fu colta da pietà per la coppia e tornò alla propria patria. Creò parecchio scompiglio quando infine Óin dichiarò di aver trovato la sua Uno e si legò a lei dinnanzi alla corte. Il Consiglio delle Montagne Grigie affermò che anche così Óin e Ymrís non potevano sposarsi in quanto lui era ancora legalmente legato a Greni. Ymrís era incinta al tempo, e infine diede alla luce la figlia del re, Óris. Ymrís divenne comunemente conosciuta come la Concubina del Re, un titolo che lei aborriva. Divenne una reclusa e non si allontanava mai dalle sue stanza, un fato triste per una Nana tanto vivace e intelligente. Quando morì, in molti furono sorpresi di scoprire che era stata ancora viva.

Il figlio che Óin ebbe da Greni, Náin, ereditò il trono, e la figlia di Ymrís Óris scappò nell'oscurità dopo la morte dei suoi genitori. Però fu la progenitrice della linea Ri, gli ultimi della quale furono i tre fratelli Dori, Nori e Ori.

Ymrís la Concubina di FlukeOfFate


«Riunione» ringhiò Thorin, afferrando la tunica del primo Nano che trovò e trascinandolo al livello del suo sguardo «Ora.»

Era Lóni, notò vagamente attraverso la sua rabbia. L'alto Nano deglutì. «Eh. Sì, Thorin. Andrò a prendere gli altri, che dici?»

Thorin lo lasciò andare e attraversò le Sale come uno spettro vendicativo, il suo volto scuro. Poteva udire passi che correvano per raggiungerlo, ma li superò. Si diresse verso la sua forgia, il cuore in fiamme.

Una volta entrato, si appoggiò contro al tavolo da lavoro per un istante, il suo respiro gli usciva rapido dal naso. Boromir era morto. Boromir era morto, e il male e la tentazione dell'Anello avevano infine limato la sua nobiltà, e aveva attaccato lo Hobbit. Era tornato se stesso, e poi era morto.

Merry e Pipino erano stati catturati.

Frodo e Sam erano diretti a Mordor. Da soli.

Gimli era con l'Elfo e Aragorn – Aragorn che aveva infine indossato il suo vero mantello. Solo il tempo avrebbe detto se avrebbe mantenuto la sua parola al suo compagno morto. Boromir.

Frerin aveva detto che non era colpa sua. Si sentiva male.

«Non avrebbe dovuto morire!» ringhiò Thorin, premendosi i palmi delle mani contro gli occhi e cercando di soffocare l'urlo di rabbia che gli stava nascendo nell'addome. I suoi occhi inquieti si posarono sul suo martello, e lo afferrò e lo scagliò contro al muro. Ecco. Così andava meglio.

Mahal, ma così faceva un casino. Un enorme buco era ora sul muro della sua forgia, e Thorin rimase immobile e lo fissò per un momento, ansimando e incandescente dalla rabbia.

Il volto dell'Elfo era stato confuso e così addolorato. Gli Elfi provavano dolore come i mortali? O era perfino più profondo e acuto, una ferita per sempre fresca e sanguinante, dato che i loro ricordi non svanivano mai? L'Elfo aveva detto che lasciavano la Terra di Mezzo quando infine li sopraffaceva. Thorin poteva ben crederlo. Lothlórien era una terra piena di gloria e tristezza. Riuscivano mai a superare quell'amara, eterna tristezza?

Aveva dato a Gimli il suo coltello. Aveva mostrato rispetto per le tradizioni del loro popolo.

«Gli Elfi non cambiano se stessi o i loro usi per un Nano» si ringhiò, e si sedette sulla sedia con la testa fra le mani. I suoi occhi bruciavano.

Non aveva idea di quanto a lungo fosse rimasto lì, la testa confusa e il cuore in fiamme, quando una gola che veniva schiarita gli fece alzare lo sguardo. «Continuo a trovarti così» disse Kíli a voce bassa «Ho sentito. Stai bene?»

Thorin fece un profondo respiro, e si alzò. «No. Non sto bene. Ma non ho tempo di intrattenermi.»

Le sopracciglia di Kíli gli salirono fino ai capelli. «Wow, Mahal aveva ragione, stai davvero cambiando» disse. Poi i suoi occhi si posarono sul buco nel muro, e la sua bocca si curvò in un sorriso storto. «O no, a seconda di come la vedi.»

Thorin lo fissò e basta, serio e duro e pieno di rabbia. Kíli alzò una spalla nervosamente. «La riunione è stata convocata. È nella forgia di Thrór, come prima.»

Thorin uscì immediatamente dalla sua forgia. Kíli gli corse dietro, e raggiunse suo zio mentre attraversavano il magnifico eppure smorto mondo dei morti.

Dove andavano gli Uomini quando perdevano il loro filo mortale?

Thorin scosse il capo con un ringhio, obbligando i suoi macabri pensieri ad abbandonarlo. La Compagnia si era spezzata. Lui doveva essere forte.

La forgia di Thrór era di nuovo strapiena, e ogni volto si girò verso di lui quando entrò. Molte voci si alzarono allarmate, curiose e nel panico.

Frerin rimase immobile, il volto duro e teso. La sua tristezza era ancora nei suoi occhi. La rabbia di Thorin gli si congelò nel petto, e immediatamente andò da lui e abbracciò mentre le urla e le domande di informazioni divennero più forti. «Stai bene?» mormorò lui contro i capelli di Frerin.

«No» borbottò Frerin, e loro madre era lì. Voltò le loro teste verso la sua con morbide mani profumate, e fece loro un sorriso triste.

«Bambini miei» disse piano «Oh, bambini miei.»

«Mamma, l'Uomo Boromir, è...» esclamò Frerin, e lei gli accarezzò i capelli.

«Lo so, mio luminoso bambino dorato, lo so. Nori ha fatto rapporto»

«Ho deluso Bilbo» mormorò Thorin «Frodo è partito, diretto a Mordor, solo con Sam. Gimli era il mio campione. Ho deluso il mio Uno.»

«Non è vero» disse lei, e gli tirò piano un orecchio come faceva spesso «Non è vero. Thorin, Frodo ha fatto una scelta. Ricordi, cos'ho detto riguardo al prendersi delle responsabilità per le scelte altrui?»

«Che non dovrei caricarmi di pesi che non sono miei da portare» disse Thorin, e abbassò il capo. La mano di lei si posò sulla sua barba, le sue dita la pettinarono gentilmente. «Che nessuno è abbastanza forte per farlo» Ma dovrebbero esserlo. Per Mahal, io dovrei esserlo.

«Bene» approvò lei, la sua mano in movimento sulla sua guancia e sulla treccia vicino al suo orecchio «Ricordi bene, mia rigida nuvola temporalesca.»

Thorin chiuse gli occhi. Permise ai suoni delle voci che li urlavano attorno di confondersi, seppellendole sotto la sua rabbia tuonante. Si concesse il lusso di un lento respiro, prendendo per un istante forza da suo fratello e da sua madre: dai loro odori familiari e dalla sensazione del loro respiro e del battito del sangue sotto la loro pelle, caldo e vivo sotto le sue mani.

Poi aprì gli occhi e strinse la mascella. Girandosi sulla folla di urlanti, spaventati Nani, alzò le mani. «SILENZIO!» ruggì, e guardo storto tutti loro.

«Davvero, davvero non spingetevi oltre ora» sibilò Kíli alla folla «Davvero.»

«Volete risposte? Eccovele. Boromir è morto» disse Thorin bruscamente «La Compagnia è distrutta.»

Il viso di ogni Nano si svuotò del colore per riempirsi di orrore e incredulità.

«Ah, no!» sussurrò Thrór, e chinò il capo.

«Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal» mormorò Balin, e si mise la mano sul petto in segno di ricordo e rispetto.

«Era – lui ha – l'Anello?» chiese Thráin con terrore, e Thorin annuì brevemente, il cuore che gli rimbombava sotto le costole e la rabbia qualcosa di quasi palpabile. Un silenzio discese sulla folla, e molte teste si chinarono, gli occhi serrati. Lo sguardo di Thráin si posò sulla sua mano sinistra, gli occhi fermi sulle sue dita spoglie con un ricordo di dolore che gli si accendeva nelle profondità scure.

Lóni iniziò a cantare la canzone del pianto, e accanto a lui Frár gli prese la mano e si unì al coro. Fundin lasciò cadere la testa fra le mani, un'imprecazione soffocata che gli usciva dalle labbra. Sembrava che una singola parola sarebbe stata in grado di distruggere Thrór, il volto deformato dal vecchio senso di colpa e dal nuovo dolore.

«Ora cosa facciamo?» disse Ori piano.

Balin alzò il capo, e la sua voce era lontana. «Tutto quel lavoro.»

«Abbiamo usato i nostri orari per un solo dannato turno!» gemette Náli.

«Dobbiamo adattarci» disse Thorin a denti stretti «Dobbiamo creare altri due turni. Frodo e Sam viaggiano da soli verso Mordor, e-»

Non poté continuare. Ogni Nano scattò in piedi, urlando e con gli occhi spalancati. Óin stava picchiando i piedi contro il pavimento. «Doveva proteggerli!» disse, la barba che fremeva «Gimli non può proteggere gli Hobbit se non è nemmeno vicino a loro!»

«Mordor non è un luogo adatto a uno Hobbit!» disse Balin fermamente «Per Mahal, cosa sta pensando quell'Aragorn – o sta almeno pensando?»

«Decisione di Frodo» iniziò Thorin, solo per essere interrotto da Nori.

«No, andranno meglio senza gli altri. Gli Hobbit sono bravi a sgattaiolare! Meno probabilità che vengano trovati. Non so se vi siete accorti, ma Gimli non è esattamente impercepibile, e quel dannato Elfo risalterebbe come tormalina contro a della ghiaia.»

«Ma Merry e Pipino» disse Frerin tristemente, e Kíli sobbalzò per la sorpresa.

«Dove sono?»

«Sono stati catturati» disse Thorin «Gli Uruk di Saruman li hanno presi. Gimli ed i suoi due compagni vogliono inseguirli e riprenderli.»

«Altre due rotazioni» borbottò Ori, e gemette.

«Va bene, sedetevi tutti» ringhiò Thrór «Abbiamo del lavoro da fare.»

«E non abbiamo tempo» disse Thorin teso «Dobbiamo decidere ora, e in fretta. Io rimarrò con Gimli. Nonno?»

«Io rimango ad Erebor» disse Thrór, annuendo.

«Io resto con gli Elfi, e Balin con gli Uomini?» disse Hrera «ma ci servono altre due squadre.»

«Io ne guiderò una» disse Fíli, alzandosi.

La testa ti Thorin scattò verso suo nipote, che era pallido e rigido, ma orgoglioso. «Fíli, unday...»

«Guarderò Frodo e Sam» disse lui, alzando il mento «Zio. Insisto. Posso farlo.»

I suoi nipoti non avevano mai avuto davvero l'opportunità di comandare. Mai Fíli aveva imparato cosa davvero volesse dire essere un Principe del Casato di Durin. C'erano altri Nani qui, Signori dei Nani e Re e comandanti che erano abituati a guidare, che potevano prendere il controllo.

Ma Fíli si meritava una possibilità di caricarsi delle responsabilità della sua nascita. Thorin lasciò che i suoi occhi si posassero su Fíli per un altro istante, e poi annuì lentamente. Gli occhi di Fíli brillavano con la luce della sfida, ma non disse nulla.

«Vado con lui» disse Kíli immediatamente, andando accanto a suo fratello.

«Oh, come se qualcuno avesse mai pensato di potervi separare» sbuffò Bifur «Certo che vai con lui.»

«Non saranno turni piacevoli» li avvisò piano Thorin «Ricordatevi la loro destinazione.»

Kíli deglutì, ma Fíli annuì risolutamente. «Lo farò» disse.

Frerin chinò in capo, un'espressione invidiosa sul viso. Ori borbottò un'imprecazione sottovoce, e iniziò a scarabocchiare sui suoi ordinati orari con rapidi movimenti dello stilo.

Thráin chinò la testa. «L'ultima?»

«Merry e Pipino» disse Thorin con un sospiro. La sua rabbia svaniva lentamente, sostituita da un terribile dolore sordo. «Possiamo sperare che questo turno non sarà necessario a lungo. Gimli e i suoi compagni li raggiungeranno.»

«Gimli non ha le ali ai piedi» disse Nori secco «Quei grossi bastardi hanno un po' di vantaggio.»

«Ci servirà qualcuno di veloce» disse Thorin «Una piccola squadra. Qualcuno che può tenere il passo con gli Orchi.»

La testa di Frerin si alzò, e aprì la bocca. «No» gli disse Thorin.

Lui si incupì, con la gelosia negli occhi blu. Incrociò le braccia. «E perché no?»

«Non ti allontanerò da me» disse brusco Thorin «Mi servi con me, nadad.»

Frerin batté le palpebre, prima che il suo volto divenisse molle e perplesso. «Eh. Va bene» borbottò, e poi ricadde nella sedia, un'espressione confusa e lontana sul volto.

Ori alzò timidamente lo stilo. «Potresti ricordare quanto veloce so essere» disse.

Frár diede di gomito a suo marito, e Lóni fece una smorfia. «E suppongo di essere più veloce di molti» disse con riluttanza.

«Come i vecchi tempi» disse Ori a Lóni, e l'espressione del Nano alto divenne scura.

«Speriamo di no.»

Flói guardò i suoi compagni dei giorni della colonia a Khazâd-dum, e scrollò le spalle. «So muovermi in fretta se voglio, direi.»

«Molto bene» disse Thorin «Fate dei turni. Non sfiancatevi tutti insieme, e fate dei rapporti a Lady Frís.»

«Come una staffetta» borbottò Ori, e scribacchiò di nuovo sul suo ora rovinato orario.

«Io ora torno da Gimli» disse Thorin al gruppo. Lanciò ai suoi genitori preoccupati uno sguardo per tranquillizzarli, anche se era temprato di dura risoluzione. Non sarebbe rimasto più a lungo del necessario, anche se la tentazione era forte. «Chi è con me?»

«Io» disse Frerin immediatamente.

«Ci sono» disse Óin.

«A proposito, come sta la testa?» mormorò Hrera, e Óin fece uno sguardo furioso. C'erano profondi cerchi scuri sotto i suoi occhi.

«E io» disse Náli, alzandosi.

Thorin annuì, e girò sui tacchi per uscire dalla stanza, e il rumore di stivali dietro di lui gli disse che i suoi nuovi compagni lo seguivano.

Frerin gli corse accanto, e si premette spalla a spalla mentre camminavano. «Thorin?»

«No, non sto bene, ma lo starò» disse piatto, rispondendo alle domande non dette prima che Frerin potesse darvi voce «Sì, mi scuso per non averti permesso di avere un tuo turno.»

Frerin si accigliò. «Almeno mi dirai perché no? Perché ti servo con te?»

«Tu sei il solo che ha osato parlarmi di quel tempo» disse Thorin senza rallentare ne voltarsi «Sei il solo che mi ha parlato della follia dell'oro. In ottanta anni, nessuno aveva mai avuto il coraggio. Per tutti questi decenni ho creduto la mia pazzia una mia colpa. Tu, però» Thorin sorrise cupamente mentre davanti a loro si iniziavano a intravedere le porte della Camera di Sansûkhul «Hai detto che la mia follia non era di mia creazione. Non scelsi di essere malato, né lo scelse Boromir. Quando il mio senso colpa si accese nuovamente per la crudeltà e la familiarità del suo fato, sei stato tu, fratello mio – pesante metà di me e più basso di una testa – che mi ha minacciato di colpirmi se avessi osato pensare mai più qualcosa di simile. Mi servi, nadadith. Quando disperazione e rabbia minacciano di sopraffare la mia ragione, posso ancora udire la tua voce.»

Frerin rimase in silenzio per un istante, la testa china. Poi alzò lo sguardo, e stava facendo un sorriso tremulo. «Prego, Thorin.»

Thorin mise la mano sulla piccola spalla del fratello e la lasciò li per un lungo, silenzioso momento di gratitudine. La rabbia e il lutto ancora lo laceravano, ma la sua determinazione era stata riforgiata.

Le stelle erano dure e senza perdono stavolta. Denudarono Thorin e bruciarono la sua pelle e accecarono i suoi occhi, e lo lasciarono a barcollare nell'oscurità. Lui batté le palpebre, respirando la ricca aria di Arda, dolorante in anima e in corpo. Non fece alcuna differenza. Era comunque buio.

«Ancora notte?» si chiese Náli.

«Sì, le ultime ore» disse Thorin, socchiudendo gli occhi «Là!»

Tre figure scure si muovevano nelle ombre, e Thorin fece un cenno ai suoi compagni, indicando di dover seguire. Le seguirono sul terreno grigio e roccioso degli Emyn Muil finché Aragorn si inginocchiò sul terreno, la mano che cercava nella terra e il volto corrucciato.

«Che fa?» sibilò Óin.

«Riesci a leggere i segni?» chiese Gimli quando raggiunse Aragorn. L'Uomo sbuffò piano.

«Gimli, anche un boscaiolo senza alcuna esperienza come te riuscirebbe a leggere questi segni. La traccia è chiara»

«Nessun altro calpesta e distrugge come loro» disse Legolas «Sembra che provino gioia nel falciare e abbattere ogni cosa che ostacoli il loro cammino.»

«Però, si muovono a gran velocità» disse Aragorn, e si alzò.

«Beh, inseguiamoli!» disse Gimli «Anche i Nani sanno essere veloci, e non si stancheranno prima di Orchi. Però, hanno un bel vantaggio.»

«Sì, avremo bisogno della resistenza dei Nani» disse Aragorn, guardando i crepacci rocciosi «Dovremo fare un inseguimento che sarà narrato come una meraviglia tra le Tre Stirpi: Elfi, Nani e Uomini. Avanti i Tre Cacciatori!»

Gimli scoprì i denti in selvaggio accordo, e Legolas scattò in avanti. Seguì il sentiero a malapena visibile che serpeggiava tra le creste, seguendo crepacci e anfratti con leggerezza sicura. Aragorn correva dietro di lui, la testa che scattava da una parte e dall'altra, cercando segni del passaggio degli Uruk. Gimli correva dietro di loro serio come se potesse continuare a muoversi attraverso la roccia.

«Correre» ansimò Óin «Diventerà stancante in fretta.»

«Noi possiamo sempre fermarci, e non abbiamo addosso un'armatura» fece notare Frerin «Pensa a come deve sentirsi Gimli.»

«Può correre con l'armatura» grugnì Náli «Me ne sono assicurato quando lo addestravo.»

«Risparmia il fiato» ordinò Thorin.

«Aye, quello era il trucco»

La notte passò lentamente, e molte volte Aragorn si fermò per leggere un qualche segno. A volte portava Gimli accanto a sé perché usasse la sua visione notturna Nanica. Lentamente il cielo passò dal nero vellutato della notte alla metallica luce prima dell'alba, e Aragorn li fece fermare nuovamente.

«Riposeremo brevemente» disse, Gimli si lanciò a terra e gemette. Perfino Legolas sospirò di sollievo. «Questo ruscello corre verso la terra dei Signori di Cavalli.»

«Da che parte andranno gli Orchi, pensi?» chiese Legolas «Nord è la strada più rapida per Isengard.»

«Non vanno al fiume» disse Aragorn dopo un momento, i suoi occhi che correvano sulla distesa di dolci colline erbose non lontane, tutte macchiate di viola e blu dalla fredda luce amorfa «Eviteranno l'Entalluvio se possono. A meno che Rohan non sia ora sotto il controllo di Saruman, cercheranno di passarci il meno tempo possibile. Nord è la strada più corta.»

«Nord sia» disse Gimli, e si levò l'elmo per asciugarsi la fronte sudata «Grazie a Mahal per piccole fortune. Almeno non correremo verso il sole!»

«Suppongo non sarebbe piacevole per la tua visione notturna, mellon nín» sorrise Legolas, prima di sedersi davanti a Gimli e alzare gli occhi verso le stelle che svanivano.

Aragorn concesse loro solo un'ora, e poi si stavano di nuovo muovendo. Quando superarono i dirupi rocciosi dei pendii delle Emyn Muil, Legolas urlò: «vedete? Ecco alcuni di coloro che cacciamo!»

Cinque corpi, colorati di grigio dalla pallida aurora, giacevano contro una cresta. «Orchi!» esclamò Gimli, e si mise l'ascia sulla schiena e accelerò per raggiungere i suoi più rapidi compagni.

Aragorn si avvicinò e guardò i corpi caduti, straziati dalle ferite e fatti a pezzi, accigliato. «Questo non è un Uruk-Hai» disse lentamente «Quell'Orco ha il Grande Occhio, non la Mano Bianca. Questo è un Orco del Nord.»

«Ah!» sputò Gimli, e fece un segno così volgare in Iglishmêk che Óin sobbalzò in scandalizzata sorpresa «Feccia. Sono una piaga per il nord di Erebor col loro puzzo.»

«Gimli!» ansimò Óin, orripilato.

«Gli ho insegnato anche quello» mormorò Náli.

Frerin represse una risatina.

«Penso che il nemico si sia portato il proprio nemico con sé» disse Aragorn. Alzò la testa e si riparò gli occhi, guardando nella luminosa luce dell'alba in cerca di segni del gruppo di Orchi «Ci sarà stato un litigio. Non è raro, con questo popolo disgustoso.»

«Torniamo alla caccia» disse Legolas.

Thorin continuò a correre, cercando di tenere il passo dei tre cacciatori, ma solo Frerin era abbastanza rapido per mantenere il passo del leggero Elfo e dell'Uomo dalle gambe lunghe. Gimli li rincorreva, anche se non cedeva mai. Come Thorin aveva già veduto prima, le gambe di Gimli si muovevano ritmicamente e senza pausa, i suoi stivali pesanti mangiavano il terreno con passi sicuri. Non era rapido, ma sembrava che non si sarebbe mai fermato.

«Non vado bene per questo» gemette Óin, premendosi una mano sul fianco.

«Suppongo tu rimpianga quelle birre ora, eh?» urlò Frerin dalla sua posizione avanzata, e le labbra di Thorin si curvarono leggermente, anche se non riuscì a fare altro sforzo. Óin non rispose a parole, ma ringhiò piuttosto rumorosamente.

«Vedete laggiù?» urlò Aragorn, indicando il Sud. Una gran catena di montagne si innalzava rosata nella luce del mattino, i picchi incappucciati di neve. «Le Montagne Bianche! Laggiù è Gondor – se solo avessi potuto vederla in un'ora più felice!»

«Quindi. Quella è l'amata casa di Boromir» disse Gimli, la bocca dritta in una linea amara «Era così vicino.»

«Losto vae, Boromir» mormorò Legolas, e chiuse gli occhi e il suo collo orgoglioso si arcuò quando girò il volto.

«Gondor, Gondor! Il mio sentiero ancora non porta verso sud, verso i tuoi fiumi splendenti» disse Aragorn alla fresca aria del mattino, le labbra tirate e arrabbiate. La sua mano si chiuse sul vambrace sul suo braccio. Poi allontanò lo sguardo dal sud e verso il nord-ovest dov'erano diretti.

«Thorin» disse Frerin piano, e si girò verso suo fratello mentre l'Elfo, l'Uomo e il Nano correvano sulle pendici degli Emyn Muil verso il mare verde che era Rohan «Non possiamo fare nulla qui. Gimli correrà che noi lo accompagniamo o no.»

Guardando l'ansimante Óin e il rosso Náli, Thorin strinse i denti. «Tornerò appena posso.»

«Nessuno te lo impedirà» disse Náli esausto, asciugandosi il volto «Mi offro volontario per gli Elfi la prossima volta.»

Óin fece un patetico suono per mostrarsi d'accordo.

«Andiamo» disse Frerin, e prese il braccio di Thorin.

Thorin chiuse gli occhi.


Thorin dormì, ma non rimase a lungo a letto. Sei ore dopo aver lasciato Gimli era di nuovo sveglio e si rituffava nelle acque del Gimlîn-zâram. Nuotò nella luce, cercando la sua stella, e Rohan.

Quando emerse, tremante e accecato, era nel mezzo della giornata. Accanto a lui, suo padre guardava su verso il sole, seminascosto fra le nuvole. Thorin guardò sorpreso intorno a sé. La roccia grigia degli Emyn Muil era stata lasciata indietro, e una ricca terra morbida lo circondava, gonfiandosi e cadendo come un grande mare d'erba.

«Quanto hanno corso?» chiese Thráin.

«Questo è il secondo giorno, e hanno riposato solo brevemente» rispose Thorin assente «Dove – là.»

«Legolas!» urlò Aragorn da dietro all'Elfo «Cosa vedono i tuoi occhi di Elfo?»

L'Elfo era in piedi su una collina senza alberi, i suoi strani occhi Elfici attraversavano il cielo nuvoloso. «Una grande compagnia a piedi» gridò «ma che genere di popolo siano, non so dirlo. Si dirigono a nord est. Se sono gli Uruk, stanno portando gli Hobbit a Isengard, come pensavamo.»

«Non vedo altro che miglia e miglia di dannata Rohan» disse Gimli, scuotendo il capo «Nella luce, Legolas, davvero hai degli occhi.»

Legolas gli sorrise, rapido e luminoso.

«Il giorno si accorcia» disse Aragorn «Abbiamo trovato un segno, la spilla Elfica, e sappiamo che il nostro inseguimento non è vano. Però, non dovremmo sprecare il sole mentre lo abbiamo.»

Gimli sospirò, e fece un gesto con una mano dalle spesse dita. «Va avanti, ragazzo. Le mie gambe sarebbero più volenterose se il mio cuore non fosse così pesante.»

«Stiamo guadagnando terreno» disse Legolas «Gwaem!»

«Piedi leggeri correranno veloci qui» disse Aragorn «Più rapidi di Orchi dalle scarpe chiodate.»

Gimli si guardò i suoi pesanti stivali borchiati d'acciaio, e diede ad Aragorn un'occhiata sardonica che diceva tutto. Legolas si coprì il sorriso con la mano.

«Forza, andiamo» disse Aragorn, e li guidò in fila indiana, correndo come mastini dietro a un forte odore. Le lunghe gambe dell'Uomo divoravano le miglia e Thorin pensò che non ci fosse da stupirsi se la gente del Nord lo chiamava Granpasso. L'Elfo sembrava a malapena toccare il terreno, leggero come un cervo, i piedi che passavano rapidi e senza suono fra l'erba. Dietro di loro veniva Gimli, inesorabile come la marea, le sue gambe robuste si muovevano come pistoni.

Thorin corse dietro di lui, coi pesanti passi di suo padre al seguito. «Un segno?» riuscì a dire Thráin.

«Ha parlato di una spilla Elfica» rispose Thorin, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo fisso sul nord «I mantelli di Lothlórien ne sono fermati. Uno degli Hobbit deve averla fatta cadere, un indizio per i loro inseguitori. Speriamo solo che non abbia pagato troppo il suo coraggio.»

Corsero e corsero, e Thorin si asciugò il sudore pungente dagli occhi e obbligò le sue gambe a continuare a muoversi. Il sole scivolò attraverso il cielo, e correvano ancora sui campi come se tutti i Mannari di Mordor gli fossero alle calcagna. Suo padre si fermò dopo cinque ora, la sua barba fradicia e le sue gambe deboli. Gimli stava diventando grigio, e i suoi passi erano sempre più pesanti. «Forza, inùdoy» disse Thorin, col petto che gli bruciava.

Il sorriso di Gimli era tirato. «Idmi, zabadâl belkul. Sto solo facendo una corsettina al tramonto» gracchiò, senza rallentare.

«Ha» Thorin guardò il sole che calava, passando oltre alle sagome distanti delle Montagne Nebbiose ad ovest «La luce svanirà in poche ore, mia stella. Correrai per un'altra notte?»

«Per la barba di Durin, spero di no» grugnì Gimli, e poi fece una smorfia «Ma il pensiero di quei giovani allegri catturati da quei... quei...»

«Sì, ho veduto» disse Thorin, e cadde nuovamente in silenzio mentre la rabbia gli infiammava il petto.

«Allora hai visto la caduta di Boromir» disse Gimli, e abbassò il capo e tese le spalle come un toro mentre correva, i piedi che tuonavano incessantemente sull'erba morbida «Se fossi arrivato prima! Abbiamo avuto una pessima fortuna in questi giorni.»

«Non potevi saperlo» disse Thorin, e si asciugò di nuovo la fronte «Ora, risparmia il respiro. Questa gente alta potrà essere più veloce di te, ma tu sei un Nano e durerai più a lungo.»

«Ne dubito» disse Gimli «Potrò continuare quando Aragorn cederà, ma quell'Elfo è l'essere più instancabile che io abbia mai incontrato. A malapena dorme!»

Thorin si accigliò e piegò la testa per accelerare.

Frár, Gróin e Frerin apparvero davanti a lui mentre il sole calava, sbadigliando. «Avresti dovuto svegliarmi» mugugnò Frerin, tenendo il passo.

Thorin non aveva fiato con cui rispondere, seguendo la larga schiena di Gimli nella luce calante.

Aragorn alzò la mano quando superarono un'altra cresta, e le nuvole rosa si scurivano fino a diventare viola quando il sole infine raggiunse il suo letto. Si leccò le labbra secche e spaccate per parlare. «È giunto il momento di una penosa scelta» disse quando ebbe recuperato fiato «Proseguire finché la nostra volontà e le nostre forze rimarranno, o ci riposiamo per la notte?»

«Non vedo segni della compagnia di prima» disse Legolas «anche se con questa luce forse sarebbe meglio chiedere a Gimli.»

«Non vedo tanto lontano, luce o buio» disse Gimli e scosse la testa.

«Però senza dubbio anche gli Orchi dovranno fare delle pause?»

«Raramente gli Orchi viaggiano di giorno allo scoperto, eppure questi l'hanno fatto» fece notare Legolas «La notte è il momento che preferiscono. Non si fermeranno.»

«Ma noi non troveremmo segni del loro passaggio» disse Aragorn, sospirando «Non avremmo trovato la spilla nel buio.»

«Aye, e non ci accorgeremmo se qualche traccia si allontana» sospirò Gimli, e si massaggiò le gambe doloranti «Persino io, un Nano che ha molto viaggiato e che sono fra la mia gente uno dei più resistenti, non posso correre fino ad Isengard senza fare una pausa. Anche il mio cuore brucia, e sarei partito più presto, ma ora non dovremmo riposare per poter poi correre meglio?»

«Avevo detto che la scelta sarebbe stata penosa» disse Aragorn, spingendosi via i capelli sporchi resi lisci dal sudore.

«Tu sei la nostra guida» disse Gimli «e tu l'esperto negli inseguimenti. Tocca a te decidere.»

«Il mio cuore mi ordina di continuare» disse Legolas «ma dobbiamo rimanere uniti. Seguirò il tuo consiglio.»

«Affidate la scelta a un cattivo giudice» disse Aragorn pesantemente «Da quando superammo gli Argonath, ogni mia scelta ha avuto un cattivo esito» cadde in silenzio e girò nuovamente gli occhi a nord, come se la forza della sua volontà potesse fare breccia nell'oscurità.

«La luna è coperta stanotte, ed è giovane e pallida» disse infine «Probabilmente non noteremmo le tracce né alcun segno di gente che viene o che va. Riposeremo, e spero di non rimpiangere questa come altre della mie ultime scelte.»

Le sopracciglia di Thorin si aggrottarono, e guardò Aragorn con sorpresa e preoccupazione. «Sembra che anche tu abbia bisogno dei consigli datemi da mia madre» disse al volto stanco dell'Uomo «Non avresti potuto saperlo, Aragorn. Nessuna delle scelte di Frodo è colpa tua, né i tuoi movimenti dopo la morte di Boromir. Non fare come ho fatto io. Non essere il portatore di pesanti fardelli. No, sii un faro di speranza. Sii il loro Re.»

Frerin fece uno strano suono strozzato e si voltò verso di lui con occhi spalancati e stupefatti. «Nadad.»

Thorin gli lanciò un'occhiata storta. «Sì?»

Frerin si limitò a fissarlo a bocca aperta. «Tu... tu...!»

Thorin abbassò la testa, e un piccolo, triste sorriso gli passò sulle labbra. «Ho imparato bene la mia lezione. Non in fretta. Ma bene.»

«Se solo la Dama ci avesse dato una luce, un dono simile a quello di Frodo!» mormorò Gimli «Potremmo continuare allora. Oh, poveri piccoli Hobbit! Mukhuh Mahal bakhuz murukhzu

Legolas sembrava affascinato dall'uso del Khuzdul, e Gróin si prese la testa fra le mani e gemette «Dannazione, nipote» borbottò nei suoi palmi «Non hai discrezione!»

«La Dama non fa alcun dono che non sia necessario» disse Aragorn «La sua è la vera Missione, e il nostro non è che un caso di poca importanza in mezzo ai grandi eventi di questi tempi. Un inseguimento vano sin dall'inizio, forse.»

«Decisamente troppo cupo» grugnì Thorin «Dagli coraggio, non portarglielo via!»

La bocca di Gimli si contrasse sotto i suoi bei baffi. «Beh, se dobbiamo riposare, iniziamo subito! Non mi vergogno di dire che ne ho un gran bisogno.»

Aragorn sospirò e annuì. Poi si lasciò cadere sul terreno e si addormentò all'istante, dato che non aveva riposato sin dalla notte prima al campo a Parth Galen.

Gimli si lamentò allungando le gambe, e si massaggiò i polpacci con le enormi dita. «Mi storcerò come acciaio riscaldato male» borbottò.

«Non lo farai» disse Legolas, i suoi passi rapidi e leggeri come sempre mentre andava ad inginocchiarsi davanti al Nano «Mi hai nuovamente sorpreso, Mastro Gimli. Non avrei mai pensato che un Nano potesse correre così tanto o così veloce.»

«Tanto, mi sta bene» disse Gimli secco «Ma veloce non è una delle mia migliori qualità.»

«È leggermente più veloce di me» disse Frár, premendosi una mano sul petto.

«E di me» disse Thorin. Gróin gemette.

«Io sono più veloce di lui» disse Frerin orgogliosamente.

«Aye, lo sei» disse Thorin, e tirò scherzosamente un orecchio a suo fratello «Ma solo perché lui è grosso il doppio di te.»

Frerin mise il broncio, e poi sospirò cupo. «Beh, non è una novità.»

«Legolas?» disse Gimli improvvisamente, facendo una pausa nel massaggiarsi i muscoli tesi «Grazie per avermi dato il tuo coltello. Sai. Quando io-»

«Non c'è bisogno che tu mi ringrazi» disse Legolas gentilmente.

«Lo farei lo stesso» insistette Gimli, e l'Elfo sorrise.

«Ebbene, chi sono io per rifiutare?»

Gimli ridacchiò. «Davvero, dovresti sentirti fortunato. Che un Nano della Linea di Durin ringrazi un Elfo di Bosco Atro per la sua apertura verso i nostri rituali funebri? Non è qualcosa che succede spesso.»

«Suppongo di no» disse Legolas, e una nuova nota sospettosa era entrata nella sua voce. Si sedette sull'erba accanto a Gimli e fece cadere indietro la testa per guardare le stelle coperte. «E... sei stato solo tutto questo tempo?»

«No» disse Gimli, e ghignò «C'è un Uomo che dorme proprio lì, e un Elfo fastidioso accanto a me che fa domande impertinenti e non lascia mai a un povero Nano un attimo di pace – ah!»

Perché alla fine, Legolas sbuffò e piantò un dito nella gamba di Gimli. I robusti, duri muscoli del Nano erano troppo doloranti per sopportarlo, e lui fece uno squittio strozzato. «Dannato maiale» ringhiò Gimli, e si lasciò cadere sull'erba «Sono troppo stanco per vendicarmi. Sappi che sarò rapido e senza pietà.»

«Tremo di paura» Legolas sorrise «Sei dolo, dunque, in verità? I tuoi congiunti seguono il nostro inseguimento?»

«Aye, seguono» Gimli sbadigliò «Sto iniziando a percepire delle differenze. C'è sempre il mio parente, il grande Thorin Scudodiquercia. Lui è colui la cui voce sento nel mio cuore, se non nelle mie orecchie. Poi c'è una presenza più giovane che non conosco. E altre due – uno o più sono della mia famiglia, questo lo so, ma da che parte non saprei dirlo.»

«Davvero attento, inùdoy» disse Thorin, stupefatto

«Sa che sono qui!» ansimò Gróin «Ma – era così giovane quando sono morto, a malapena quarantenne-!»

«Sa che siamo tutti qui» disse Frár, e la sua profonda voce calma tremò «Devo dirlo a Lóni!»

«Anche me!» squittì Frerin «Come?»

«Mahal solo lo sa» disse Thorin, col fiato mozzato dalla meraviglia e dalla gratitudine.

«Tu lo conoscevi, in vita?» disse Legolas esitante, e Gimli annuì.

«Aye, e no. Era un eroe della mia gente sin dalla Battaglia di Azanulbizar. Lui e Dáin furono coloro che ribaltarono i risultati – Thorin nel campo di battaglia e Dáin ai cancelli. Ma a parte la vittoria, fu un disastro per noi. Quasi metà della mia famiglia morì quel giorno, molto tempo prima che io nascessi» Gimli si massaggiò un orecchio, pensando «Ci salvò. Ci portò nelle Ered Luin. Ci ridiede Erebor. Ci diede la possibilità di avere di nuovo la nostra casa e il nostro orgoglio. Un eroe, come ho detto. Però, nella mia memoria c'è un Nano serio e arrabbiato, con occhi tristi e la voce profonda. Era sempre occupato, e quindi quando trotterellavo dietro ai suoi nipoti lo vedevo di rado. Mi donò la mia prima ascia però» sorrise «Ce l'ho ancora. Un giorno andrà a mio nipote.»

Legolas sembrava preoccupato.

«Oh, piantala con quella faccia, ragazzo» Gimli sbadigliò di nuovo «Eroe del mio popolo o meno, tu ora sei mio amico. Lui è un mio congiunto ed era il mio Re, ma non è lui l'autore delle mie decisioni. Nessun Nano lascerà che un altro controlli il suo destino.»

«Suppongo sarebbe inutile provarci» disse Legolas, rilassandosi.

«Non ne hai idea» borbottò Thorin.

Fu riempito di disgusto sentendosi dare ragione a un Elfo. Legolas stava iniziando a confonderlo. Ora mostrava tutto questo rispetto. I due avevano ancora delle incertezze, ma mai a lungo. La loro iniziale tregua stava diventando una profonda e autentica amicizia.

Thorin aveva visto un nuovo lato di quest'Elfo, e non si fidava delle proprie conclusioni. «Lo tengo d'occhio, Gimli» ringhiò improvvisamente «Diglielo. Mi ricordo le sue frecce, e i suoi sotterranei, e la derisione nella sua voce. Lo tengo d'occhio attentamente.»

Gimli alzò la testa dall'erba. «Non dirò nulla di simile!» disse indignato.

Frerin soffocò una risata sul suo braccio, e Gróin scosse il capo. «Forse non era la mossa più diplomatica» mormorò.

«Dannata la diplomazia! Voglio che quest'Elfo sappia: io sto guardando. Se fa del male a Gimli o abusa della sua fiducia, lo saprò» incenerì Legolas con lo sguardo, e ignorò la vocina nella sua testa che gli diceva che si stava comportando da idiota.

«Legolas non lo farebbe» disse Gimli, e alzò gli occhi al cielo. Poi si voltò verso l'Elfo e disse con tono rilassato: «è un po' irritato. Non si fida ancora di te.»

Gli occhi di Legolas divennero seri, brillando nell'oscurità. «Non eri lì, amico mio» disse «Ne ha ragione.»

Thorin fece una pausa, e le parole che gli affollavano la lingua rimasero non dette per la sorpresa.

Gróin sembrava impressionato. «Beh» disse «Beh!»

«Il passato è un posto pericoloso da visitare» disse Gimli piano, la sua voce profonda impastata dal sonno «Però almeno quando ricordi il passito non si deve correre.»

Legolas rise piano. «Ti lamenti, ma continui. Se fossimo tutti robusti Nani, potremmo correre notte e giorno con le montagne sulla schiena!»

«Ora mi stai prendendo in giro» disse Gimli, e sbadigliò «Mi fa male tutto: una montagna sulla schiena potrebbe liberarmi dalla mia miseria. Legolas, i miei pensieri non smetteranno di andare ai poveri piccoli Hobbit. Porta la mia mente lontana dalle loro sofferenze e dalle mie povere gambe. Parlami della tua famiglia.»

Legolas rimase in silenzio per un attimo, e poi disse rigidamente: «Non hai appena detto che il passato è un luogo pericoloso da visitare?»

«Per il martello di Mahal, Elfo, non intendevo in quel senso! Non tutto in questo mondo deve arrivare ai torti che ci siamo fatti. Voglio dire, hai dei fratelli? Tua madre, com'è? Cos'è che fa passare i secoli senza fine in loro compagnia? Ti assomigliano, o hanno un bell'aspetto?»

Legolas sobbalzò in offesa indignazione, le guance arrossate. Poi batté le palpebre, e rise. «Questa era la tua vendetta?»

«Che ti sia di lezione» disse Gimli pacifico, gli occhi scuri chiusi «Khazâd ai-mênu

Legolas si fece ricadere indietro sui suoi gomiti, sinuoso come un gatto. «Ho due fratelli maggiori» disse, portando indietro la testa in quel modo Elfico da uccelli e lasciando i suoi occhi correre sullo scuro mare d'erba sotto di loro «Il maggiore è Laindawar. È molto privato e molto orgoglioso – molto simile a mio padre. Raramente lascia Eryn Lasgalen, e non gli piace il mondo oltre alle nostre sale o ai confini della nostra foresta. Persino gli Elfi di altri luoghi lo irritano a volte.»

«Sembra simpatico»

«Ha i capelli argento del popolo di mio padre, e occhi blu. Detesta le arie che si danno gli Eldar, e il modo in cui guardando dall'alto in basso i Sindar. Non avevamo alcun anello Elfico, vero, ma nei giorni antichi una delle nostre regine era una Maia, e abbiamo raggiunto pace e saggezza senza aver mai visto la luce di Aman. La nostra storia potrà essere più di sofferenza che di eroismo, ma non è meno nobile di quella dei Noldor o dei Vanyar. Siamo Eldar, non Avari. Non sono meglio di noi»

«Dovrebbe parlare con un Nano. Potrei fargli un discorso di ore sui motivi per cui quel comportamento ci innervosisce»

Legolas scosse la testa, incurvando le labbra. «Dubito che mai succederà. Come ho detto, lascia raramente le nostre caverne e i nostri alberi. Non sopporterebbe di essere lontano a lungo dalla nostra gente, e soprattutto non per parlare con un Nano, nemmeno uno splendido come Gimli figlio di Glóin. Le vecchie menzogne lo hanno ancora nella loro morsa, amico mio, e le ha udite molto più a lungo di me.»

Gimli storse il naso. «Beh, è un problema suo, allora.»

«Glielo dirò» disse Legolas, ridendo «Il mio secondo fratello, Laerophen, è più cosmopolita. Non sarai sorpreso di sentire che ha capelli chiari e occhi azzurri.»

«Sono assolutamente sbalordito, ragazzo»

Legolas sorrise nel buio. «Lui è un grande studioso, e ha letto i lavori di molte razze diverse. In genere è lui che mio padre manda in missioni diplomatiche. Fu una grande sorpresa per me quando mi venne detto di andare a Granburrone.»

«Felice che sia stato mandato te» disse Gimli sonnolento.

«Come lo sono io» gli occhi di Legolas si abbassarono per un momento, e poi ricominciò «Laerophen è erudito, ma non è aperto. È convinto che le storie di altre nazioni e razze servano solo a mostrare la superiorità degli Elfi. Delle nostre lingue, rune, tradizioni. I Sindar inventarono il Cirth usato dai Nani; il Sindarin è la lingua parlata da quasi tutti gli Elfi della Terra di Mezzo, e molte altre razze oltre a loro. In genere considera gli altri popoli primitivi e migliorabili dal contatto con gli Elfi.»

«Non stai esattamente parlando dei loro pregi qui, Legolas»

«Suppongo di no, e quindi il quadro non è completo» disse Legolas pensieroso «Entrambi sono Elfi orgogliosi, ma sono gentili. Laerophen è molto intelligente, e Laindawar è un buon ascoltatore. L'umorismo di Laerophen è tagliente e può essere molto divertente. Laindawar ama il nostro popolo con tutto il suo cuore, e farebbe di tutto per loro. Nonostante tutti i loro difetti, sono i miei fratelli e li amo. Sono stati gentili con un giovane stupido Elfo a cui non importava altro che del suo arco e della sua casa.»

«Parli come se fossero molto più vecchi di te»

«Sì. Erano entrambi adulti quando sono nato»

«Quanti anni hai allora, Legolas? No aspetta, non dirmelo» Gimli si strofinò gli occhi e si rotolò di lato per dare un'occhiata divertita all'Elfo «Fammi indovinare. Un milione di anni? Due milioni?»

Legolas scoppiò a ridere, e poi soffocò il suono guardando la forma dormiente di Aragorn. «Un po' di meno» disse.

«Porti bene la tua età, allora. Forse dovresti essere tu a chiamare me “ragazzo”» disse Gimli.

«Ah, ma mi dispiacerebbe se smettessi» disse Legolas «Ora, cos'altro? Il nome di mia madre era Aelir. Non la ricordo bene, oltre ai suoi lunghi capelli dorati.»

«Oh, mi dispiace» disse Gimli, il suo sorriso che svaniva «Dunque è morta?»

«Morta? No!» disse Legolas «Prese una nave per Eldamar molto tempo fa. Non ricordo perché. Mio padre non ne parlerà, né lo farà Laindawar. Laerophen una volta mi disse che la malattia che si impossessò lentamente del Boscoverde le causò tanto dolore che lei non poté più essere felice ad Arda. A mio padre manca profondamente, ma lui non lascerà il suo popolo alla mercé di ragni e del male nei confini meridionali della nostra foresta.»

«È una roccia dura da smussare. Mi dispiace, Legolas»

«Così vanno le cose» Legolas scrollò le spalle «Ho soddisfatto quell'insaziabile curiosità? Dormirai ora?»

«Aye, dormirò, e ne sarò felice» disse Gimli, e si mise una mano sulla schiena e la inarcò finché non scrocchiò rumorosamente «Grazie per la distrazione, e per le storie. Ah! Ma i miei occhi sono pesanti!»

«Mi disturba il fatto che tu debba dormire ad occhi chiusi» disse Legolas, scuotendo la testa «È così innaturale. Se non fosse per il tuo russare penserei che fossi morto!»

«Chiudi quella bocca menzognera, io non russo»

Thorin bloccò la sua risata in gola.

«Farò la guardia» disse Legolas, e mise una mano sulla spalla di Gimli «Non mi stanco nella stessa maniera dei mortali.»

«Vorrei non farlo nemmeno io» borbottò Gimli, e poi guardò l'Elfo «Buonanotte, Legolas.»

«Buonanotte, amico mio. Elei velui»

Gimli si strinse nel mantello Elfico, e poi si mosse fino a trovare una posizione comoda. Tra un respiro e l'altro, cadde in un sonno profondo. Il profondo, lento rumore del suo russare iniziò a rimbombare nel terreno.

Legolas si raddrizzò, alzandosi pallido e alto nella luce lunare. Guardò Gimli, e poi alzò la testa e disse all'aria: «Non ti fidi di me, Thorin figlio di Thráin» disse chiaramente nella notte fredda, il respiro che si condensava davanti a lui «Imparo sempre più cose di te, e capisco perché. Non ti fidi facilmente degli altri. E nemmeno noi. Ma per carità di colui che è nostro amico, ci proverò. Gimli non sarà mai ferito dalla mia mano, azione o spada. Lo giuro.»

Thorin strinse i denti, sapendo che l'Elfo non poteva udire la sua risposta. «Vedremo se le tue parole saranno sincere» ringhiò.

Legolas guardò la luna d'argento. «Senza dubbio ci muoveremo di nuovo prima dell'alba» disse pensieroso «Apprezzerebbe la tua compagnia. Si preoccupa per gli Hobbit.»

Frár strinse gli occhi. «Per un Elfo è molto considerato.»

Thorin non sapeva cosa credere. L'Elfo aveva rispettato le loro tradizioni, e in un qualche modo le aveva trattate al pari delle sue. L'Elfo era cauto nel parlare dell'ingiustizia storica tra loro, ma non lasciava che incrinasse la loro nascente amicizia. Eppure questo era ancora il figlio di Thranduil: ancora l'Elfo che aveva guardato Thorin dietro a una freccia, perso e affamato, e aveva minacciato la sua vita con fredda tranquillità.

Si morse il labbro per un momento, ma i suoi pensieri erano confusi per la stanchezza. Fece un sospiro frustrato e decise di riposarsi fino al mattino. Guardò i suoi compagni. «Ce ne andremo e torneremo.»

Frerin incrociò le braccia e guardò Thorin. «Ti fidi di lui?»

«No» ringhiò Thorin, e poi fece una smorfia «Non lo so, nadad.»

«Beh, io penso Gimli abbia delle buone idee» disse Gróin «Devo dormire. Le mie gambe non mi reggeranno più!»


Frís prese da parte Thorin dopo che ebbe fatto rapporto sui (pochi) eventi dei suoi turni. (Quante volte un Nano poteva ripetere la parola “correre”?)

«Thorin, Ori è già passato, ma non Fíli e Kíli» disse «Merry e Pipino sono portati dagli Orchi a Isengard, come sospettavate. Sembra che lo Stregone Bianco abbia ordinato che i Mezzuomini gli vengano portati vivi e in salute. Pensa che abbiano l'Anello.»

«Merry e Pipino?» borbottò Thorin sottovoce «Queste sono pessime nuove. Allora sono vivi? Stanno bene?»

«Merry è ferito, ma si riprenderà» disse lei, i suoi occhi seri mentre fissavano quelli di lui «Pipino sta abbastanza bene. Flói pensa sia riuscito a liberarsi senza che gli Orchi lo notassero. È stato lui a far cadere la spilla.»

Le sopracciglia di Thorin si alzarono. «Furbo. Pipino mi sorprende.»

Frís fece un sorriso storto. «Lui è un Tuc – come il tuo amato.»

Il mento di Thorin si abbassò. «Lo è. I Tuc esistono per sorprendermi, sembra.»

La mano di Frís passò sulla fronte di Thorin, e lei premette brevemente insieme le loro teste. «Dormi, inùdoy. Alzati di nuovo domani.»

Thorin fece un suono senza significato, e si trascinò fino alla sua stanza. Non si preoccupò di spogliarsi o anche solo di levarsi gli stivali, ma collassò subito sulle coperte e si addormentò tra un pensiero e l'altro.

Si alzò prima dell'alba e svegliò suo fratello. Nori era con loro, e anche Fundin. Thorin si trovò ad invidiare suo fratello, che si muoveva facilmente e senza la rigidità che lui si portava.

«Mi fa male tutto, e non riesco a credere che tu stia bene» borbottò.

Frerin lo guardò. «Gamilûn Thorin.»

Lui sbuffò. «Attento a come parli, giovanotto.»

«Non so quanto potrò correre» confessò Fundin, tirandosi la barba «Non è esattamente il mio forte.»

«Dovrò dire a Gróin che ha vinto la scommessa allora» disse Nori tranquillo. Fundin si raddrizzò.

«Non farai nulla del genere! Batterò quella vecchia canaglia, vedrete. Cinque ore, o sbaglio?»

«Sette» corresse Thorin distrattamente. Fundin fece una smorfia.

Nori fischiò. «Non so come faccia Gimli. Sette ore di fila, Mahal pianse.»

«No, quello è quanto ha corso Gróin» disse Frerin «Gimli ha corso tutta la notte e tutto il giorno.»

«Mi sento male» mormorò Fundin.

«Ti servirà l'esercizio, vossignoria» disse Nori, e ghignò «Fai strada, mio Re.»

Ancora una volta l'alba riempiva Arda. Legolas era in piedi, guardando a nord. «Sorge un sole rosso» disse quando Aragorn lo raggiunse «Del sangue è stato versato stanotte.»

«Puoi vederli?» disse Aragorn a voce bassa. Dietro di loro, Gimli dormiva ancora, le sue enormi braccia larghe e la testa girata da un lato.

«Sono molto, molto lontani» disse Legolas, scuotendo la testa «Solo un'aquila potrebbe ormai raggiungerli.»

«Noi ad ogni modo faremo del nostro meglio per seguirli» disse Aragorn, e si chinò per svegliare il Nano «Alzati, Gimli. Dobbiamo andare. Le tracce stanno per scomparire.»

«Ma fa ancora buio» borbottò Gimli, ma si sedette e si massaggiò via il sonno dagli occhi «Ah, forse no. Il sole sta sorgendo nuovamente, e la nostra caccia ci aspetta. Puoi vederli, Legolas?»

«L'ha già chiesto Aragorn» rispose tristemente Legolas «Temo che la mia vista ormai non li raggiunga più.»

«Là dove fallisce la vista, la terra forse coi suoi rumori ci può aiutare» disse Aragorn, e si sdraiò per terra e vi premette contro un orecchio «Dovremmo udire i gemiti delle campagne sotto i loro piedi aborriti.»

Gimli si stiracchiò, e fece un'espressione straordinaria. «Sono legato come una fune! Ma dammi un momento per obbligare le mie gambe a obbedirmi, e scopriremo ciò che le orecchie di un Nano possono udire dalla pietra.»

«Ancora segreti» disse Fundin, e alzò gli occhi al cielo.

Né Aragorn né Gimli poterono dare un senso al rumore della terra, e così diedero forza ai loro cuori pesanti e ricominciarono la loro caccia disperata.

«Tre giorni» disse Frerin mentre inseguivano i Tre Cacciatori «Tre giorni interi!»

«È un'impresa che si merita una canzone o due» biascicò Thorin, obbligando i suoi piedi a continuare a muoversi.

Gimli si illuminò. «Ah, sei tornato! Bene. Le ora passano più in fretta in compagnia.»

«Cos'hai detto, Gimli?» ansimò Aragorn senza voltarsi.

«Nulla, stava solo facendomi un'osservazione» disse Legolas in fretta, dando a Gimli un'occhiata penetrante. Il Nano sorrise grato.

«Stavo pensando che questa terra mi ricorda la Contea. Vi passai quand'ero giovane, ed era anch'essa verde e lussureggiante, anche se non così selvatica»

Gli occhi di Aragorn si addolcirono. «Sì, la Contea è una terra verde è piacevole, come Rohan. Ma gli Hobbit preferiscono le loro ordinate fattorie e piccoli boschi. I Rohirrim sono i Signori dei Cavalli, e donano i loro cuori alle vaste pianure e alle brughiere, orgogliose e aspre e selvagge.»

«Darei molto per poter rivedere gli alberi» disse Legolas, rapido e dritto come una lancia mentre correva «Però l'odore verde che sale dall'erba è meglio di un lungo sonno.»

«Ancora nessun segno degli Uruk?» chiese Aragorn guidandoli giù da una piccola conca.

«Corrono come se avessero alle spalle i padroni con le fruste» disse l'Elfo «Non riesco a vederli.»

«Beh, continuiamo!» disse Gimli, e poi mormorò: «grazie, ragazzo.»

«Prego» disse Legolas piano, e poi corsero fianco a fianco per un po', stivali pesanti e scarpe morbide che colpivano insieme la terra.

Il sole picchiava su di loro, e Thorin poteva sentire come le lunghe ore riducevano le sue forze. Persino Frerin, per quanto giovane e leggero, stava iniziando a stancarsi. «Guardate là!» urlò improvvisamente Aragorn, indicando una forma scura alle pendici delle montagne «Quella è Fangorn, a dieci leghe di distanza! La pista degli Orchi si allontana dall'Entalluvio.»

Legolas andò accanto a Gimli, che arrivò ansimante dietro di loro. L'Elfo si fece ombra agli occhi con la mano dalle lunghe dita, e poi disse: «cavalieri! Stanno venendo verso di noi!»

«Quanti?» disse Gimli, premendosi una mano sulla fronte.

«Centocinque» disse Legolas, stringendo gli occhi «Hanno i capelli biondi, e il loro capo è molto alto.»

Aragorn sorrise. «Penetranti sono gli occhi degli Elfi.»

«Nay! I cavalieri distano poco più di cinque leghe»

«Li aspettiamo qui o proseguiamo per la nostra strada?» disse Gimli, guardandoli «Non possiamo sfuggirgli in questa spoglia campagna.»

Aragorn si rilassò, la sua grande stanchezza evidente. «Aspettiamoli. Stanno percorrendo in senso inverso la strada degli Orchi: ci potrebbero dare delle notizie.»

«O dei colpi di lancia» grugnì Gimli.

I tre si appoggiarono contro le pietre scheggiate che uscivano dal terreno, allontanandosi dalla cima del colle per non presentare un facile bersaglio ad una freccia. I tuoni degli zoccoli di cavallo divennero più vicini, e infine un grande gruppo di cavalieri si avvicinò. Erano belli e dalla barba bionda, con lunghe lance e orgogliosi elmi decorati con crini di cavallo. I loro cavalli erano grandi, forti e dalle lunghe zampe, i loro manti brillavano nella luce del pomeriggio.

«Cavalieri di Rohan!» urlò Aragorn, uscendo dal loro nascondiglio fra le rocce «Quali notizie dal Mark?»

In un incredibile spettacolo di destrezza, ogni cavaliere si voltò ed essi accerchiarono i tre. Thorin fischiò quando i cavalli si avvicinarono, eliminando ogni possibilità di fuga. Le loro lunghe dritte lance vennero improvvisamente abbassate per circondare i compagni di acciaio brillante.

Il cavaliere che avanzò era più alto degli altri, e il suo elmo era sormontato da una protezione per il naso a forma di testa di cavallo. Il suo volto era cupo e serio. «Che ci fanno un Elfo, un Uomo e un Nano nelle terre del Mark?» ringhiò «Parlate in fretta!»

Thorin lo guardò male.

Gimli piantò l'ascia tra i suoi piedi e raddrizzò le spalle. «Dimmi il tuo nome, Signore dei Cavalli, e io ti dirò il mio» disse.

Il cavaliere smontò, e avanzò a lunghi passi per torreggiare sul Nano, usando la sua altezza per cercare di intimidirlo. Thorin lo fulminò. La gente alta ci provava sempre. Non capivano mai che un colpo d'ascia alle ginocchia portava tutti alla stessa altezza. «Ti taglierei la testa, Nano, se solo si levasse un po' più alta da terra» ringhiò l'Uomo.

Le mani di Legolas furono più veloci del pensiero. «Egli non è da solo» disse con voce gelida «Moriresti prima di vibrare il colpo.»

La mano di Thorin scattò, e strinse il braccio di Frerin mentre le sue gambe tremavano. «Ho appena sentito...» disse, stupefatto e confuso. La sua lingua era grossa e intorpidita nella sua bocca.

«L'Elfo difende Gimli» sussurrò Fundin.

«Legolas morirebbe l'istante in cui la sua freccia lasciasse la sua mano» disse Nori, incredulo «Perché nel nome di Durin lo farebbe?»

«Thorin, mi fai male» disse Frerin, toccando la mano di Thorin. Lui rilassò la presa ma non si spostò. Il braccio di suo fratello era l'unica cosa che lo teneva ancorato al terreno e non lo faceva cadere in completo shock.

«Difende Gimli» disse «Difende Gimli. Non conosco più il mondo. Non so più cosa sia reale!»

Aragorn fece un passo avanti e fece segno a Legolas di abbassare l'arco. Inclinò il capo verso l'alto cavaliere. «Sono Aragorn, figlio di Arathorn» disse, e attraverso il suo stupore Thorin riuscì a trovare un barlume di approvazione per la scelta dell'Uomo di usare il suo nome e non un alias «Lui è Gimli, figlio di Glóin, e lui è Legolas del reame boscoso. Siamo amici di Rohan e di Théoden, vostro Re.»

Il cavaliere parve triste e arrabbiato per un momento prima che l'espressione fosse rapidamente nascosta. «Théoden non sa più riconoscere gli amici dai nemici. Nemmeno la propria stirpe. Io sono Éomer, figlio di Éomund, della Casa di Éorl» disse, e rimosse il suo elmo. Un volto dai tratti robusti con una fronte alta, occhi scuri e capelli biondi fu rivelato. Thorin ringhiò, prendendolo istantaneamente in antipatia. Signore dei Cavalli o no, quest'Uomo aveva minacciato la sua stella.

«Da dove venite?» disse Éomer, guardandoli ancora con sospetto «Sulle prime avevo creduto che foste Orchi, anche se i vostri mantelli vi tenevano stranamente nascosti. Appartenete alla stirpe Elfica?»

«Vi è un solo Elfo fra noi, come puoi vedere» rispose Aragorn «Siamo però passati da Lothlórien, e i doni e la benevolenza della Dama ci accompagnano.»

Il volto del Cavaliere si riempì di una strana meraviglia, anche se i suoi occhi si indurirono. «Esiste dunque veramente una Dama nel Reame Dorato, come narrano le antiche storie!» disse «Dicono che pochi riescono a sfuggire alle sue reti. Ma se godete della sua benevolenza, potreste essere anche voi tessitori di reti e maghi» la sua mano si strinse attorno alla sua lancia.

«Parli con malvagità di ciò che è bello più di quanto tu possa immaginare, e la tua unica scusa è la poca intelligenze» ringhiò Gimli, afferrando l'ascia in mano.

«Gimli» disse Aragorn stancamente «Pala solo come tu stesso hai fatto.»

«Non udirò parole malvagie sulla Dama Galadriel» borbottò Gimli, e poi incenerì il Signore dei Cavalli «Forse più tardi troverò il tempo di insegnarti la maniera adatta di parlare di una Dama gentile.»

«Dovrò imparare la gentilezza sotto gli amorevoli colpi dell'ascia di un Nano?» disse Éomer, e sbuffò «Questi sono tempi strani, e voi siete gente strana.»

«Non sopravviveresti alla lezione» gli promise Thorin, guardando storto l'Uomo.

«Dicci, cosa preoccupa i Figli di Éorl? Quale ombra è su Re Théoden?» disse Aragorn, muovendosi leggermente davanti a Gimli e bloccando ad Éomer la visione del suo sguardo truce.

La bocca di Éomer era una linea sottile. «Saruman ha avvelenato la mente del Re e stabilito il dominio su queste terre. La mia compagnia è una di quelle fedeli a Rohan... e per questo, veniamo banditi.»

«È un po' drastico» disse Nori.

«Lo Stregone Bianco è astuto» disse Éomer, e una rabbia profonda colorò la sua voce «Vaga qua e là, dicono, come un vecchio con mantello e cappuccio. Ed ovunque le sue spie sfuggono alle nostre reti!»

Aragorn rimase calmo quando disse: «noi non siamo spie. Inseguiamo un gruppo di Uruk-Hai diretti a ovest. Hanno fatto prigionieri due nostri amici.»

«Gli Uruk sono distrutti. Li abbiamo trucidati stanotte»

«Chi era di turno?» esclamò Thorin.

«Penso Ori finisse a mezzanotte» disse Nori «Non so chi andò dopo di lui.»

Gimli sembrò non riuscire più a contenersi, ed esclamò: «ma c'erano due Hobbit con loro! Hai visto due Hobbit?»

«Sono piccoli, dei bambini ai vostri occhi» spiegò Aragorn. Gimli si portò in avanti, i suoi occhi pieni di preghiera. Legolas gli poggiò una mano sulla spalla.

Éomer scosse di nuovo la testa e disse: «Non ci sono vivi» girandosi a nord ovest giaceva l'ombra scura di Fangorn , indicò una sottile colonna di fumo «Abbiamo ammassato le carcasse e dato fuoco.»

Gli occhi di Gimli si allargarono, e il suo respiro si mozzò. «Morti?» balbettò.

Éomer strinse le labbra, e poi si voltò. «Mi dispiace.»

«Tu...!» ringhiò Thorin, e fu il turno di Frerin di stringergli forte il braccio «Nekhushel! Morti! No, no – prima Gandalf, poi Boromir, e ora gli Hobbit, non può essere!»

«Sii forte, nadadel» sussurrò bruscamente Frerin nel suo orecchio «Potrebbero essere sfuggiti. Ricorda, Pipino potrebbe essere riuscito a liberarsi.»

Pipino. Merry. I cuginetti di Bilbo. Altri della famiglia di Bilbo che Thorin non era riuscito a proteggere. Cadde e piegò la testa.

Éomer fischiò, e due bei cavalli risposero, uno grigio e uno sauro. «Hasufel! Arod!» disse l'Uomo «Vi conducano a una sorte migliore di quella dei loro precedenti padroni. Addio!»

Thorin era furioso vedendo l'Uomo girarsi e rimontare a cavallo, rimettendosi l'elmo sulla testa. Prendendo le redini, disse: «Cercate i vostri amici, ma non fidate nella speranza. Ha abbandonato queste terre» facendo partire il cavallo al trotto e alzando la voce, urlò: «Andiamo a nord!»

Con rapide e abili manovre, lo stretto cerchio di cavalieri si separò e seguì il loro alto capo. Aragorn li guardò andare, i suoi occhi seri.

Gimli si levò l'elmo e se lo premette contro il petto, i suoi occhi serrati. «Abbiamo corso fin qui» disse amaramente.

«Pipino» disse Thorin, e si leccò le labbra secche «Mia stella, Pipino potrebbe essere ancora vivo. C'è ancora speranza.»

Gimli annuì impercettibilmente, prima di guardare il cavallo grigio, il volto deformato da un ovvia antipatia. «Prima barche, poi bestie. Dopo di questa vorranno farmi volare!»

«Non lo consiglio» borbottò Nori «Le aquile sono insocievoli, come minimo.»

«Non cavalchi dunque, Gimli?» chiese Aragorn montando sul sauro, facendogli girare la testa e accarezzando la criniera pettinata.

«No! I pony posso controllarli, ma si è mai sentito dire di un cavallo affidato a un Nano? Preferirei camminare»

«Ma dovrai cavalcare ora, o ci rallenterai» disse Aragorn.

«Vieni, Gimli, siederai dietro di me» disse Legolas, già a cavallo del grigio dopo avergli detto alcune parole Elfiche all'orecchio «Così non dovrai essere per nulla in difficoltà sul cavallo.»

Gimli sembrava dubitarne, ma si lasciò tirare per la mano. Poi sedette, aggrappandosi nervosamente all'Elfo, non molto più a suo agio di Sam Gamgee in una barca.

«Non riusciremo a mantenere il passo» disse Thorin, col cuore pesante mentre guardava l'Uomo e l'Elfo giravano i cavalli verso nord, in direzione della tenebra oscurità di Fangorn e del lontano e minaccioso fumo. Le grandi mani di Gimli afferrarono immediatamente la vita di Legolas quando il cavallo si girò, e imprecò sottovoce in Khuzdul.

«Se questa grossa cosa con le gambe lunga sarà la mia rovina, mio Signore» borbottò «Voglio che tutte le mie proprietà vadano a mia sorella e le mia asce a Gimizh.»

«Drammatico» ridacchiò Frerin.

«Ah!» esclamò Gimli quando Arod partì al galoppo dietro una parola di Legolas, e poi i due cavalli correvano sulle grandi verdi colline, con le code che svolazzavano dietro di loro.

Thorin li seguì per un momento con gli occhi, la sua cassa toracica stretta attorno al suo cuore. «Non ci vorrà molto perché raggiungano la pira. Veloci sono i destrieri di Rohan.»

«Abbiamo un po' di tempo» disse Fundin, accigliato.

«Vediamo che notizie ci sono di Merry e Pipino» sospirò Thorin «Forse ci sarà qualcosa di utile da dire a Gimli.»

«Possiamo solo sperare» disse Frerin.

«Sì, la speranza è tutto ciò che abbiamo» mormorò Nori.


«Dunque, figlio mio? Sei pronto?»

Il Nano rimase in silenzio, guardando la luminosa cosa sull'incudine del suo Creatore. «Un'altra volta.»

«Un'altra volta» confermò Mahal, e gli toccò gentilmente il volto «Se il mondo riuscirà ad attraversare quest'oscurità, la tua luce sarà necessaria per portare nuova speranza.»

Il Nano rimase immobile per un altro momento, e poi guardò su. I suoi antichi occhi erano pieni di stanchezza e dolore, ma la sua bocca era serrata in una linea determinata. «Se.»

Mahal sorrise, e il suo calore avvolse il viso del Nano come un raggio di sole o la luce di una fucina. «Ogni ombra non è altro che qualcosa di passeggero. Ogni notte darà il passo a un mattino. Non importa come finisca, vedrai ricominciarlo.»

Il Nano sospirò, e poi si appoggiò contro le grandi dita rovinate del suo potente Creatore. «Sono stanco, padre.»

«Lo so. E questa sarà l'ultima volta, figlio mio. Questa sarà l'ultima esplosione di gloria prima che i nostri figli svaniscano e giunga infine il tempo degli Uomini. Sette è un numero fortunato, non credi?»

Lui sorrise. «Aye, lo è.»

«E sei sicuro? Non ti obbligherò»

Il Nano sospirò di nuovo e chinò il capo. «Mi piacerebbe poter infine riposare. Però, il grande lavoro continua. C'è bisogno di me. Sono pronto.»

«Il tuo coraggio ti fa onore, mio amato figlio»

«Aye, mi piacciono loro» disse il Nano, scrollando le spalle «Lui è un Nano attento e diffidente, nonostante il suo temperamento, e le darà stabilità e la accetterà. Lei è orgogliosa e determinata e gli donerà la sicurezza che gli serve. Faranno dei buoni genitori.»

«Lo saranno davvero» Mahal poggiò la mano sulla fronte del Nano in gentile benedizione, e egli iniziò a svanire.

«Sperò che mettere i denti non faccia così male stavolta» borbottò mentre i suoi contorni diventavano indefiniti, tremolando nell'aria calda come fumo «Non è dignitoso. E meno si parla di imparare a tenerla meglio è.»

La risata di Mahal era morbida come un tuono lontano. «Resisterai, come sempre. Sono orgoglioso di te, Durin.»

«Grazie, padre» disse la figura evanescente, poco più di una vaga presenza nella penombra.

TBC...

Note

Tolkien non creò mai un albero genealogico della Casa di Oropher. Dets ne ha creato due generazioni

Gli Eldar/Gli Avari – Gli Eldar erano quegli Elfi che nell'alba dei tempi seguirono i Valar ad Aman. Gli Avari (“Riluttanti”) rimasero indietro. I Sindar discendono dalla tribù (i Teleri) che decisero di intraprendere il Grande Viaggio, ma non lo portarono a termine.

I Vanyar – Il primo clan degli Elfi, conosciuti anche come gli Elfi Chiari. Questi Elfi non lasciarono mai la luce di Aman

I Noldor – Il secondo clan degli Elfi. Disprezzavano i Sindar. Questi Elfi andarono ad Aman e tornarono nella Terra di Mezzo. Erano grandi costruttori e creatori, ma anche la fonte di molto dolore nella Prima Era.

Sindarin – Questo linguaggio divenne la lingua franca della Terra di Mezzo. Accadde dopo l'editto di Elu Thingol nel reame nascosto del Doriath che non volle mai più udire il dialetto Noldor del Quenya nel suo reame.

Cirth – Queste rune furono inventate dal menestrello Sindar Daeron del Doriath e adottate dai Nani. Le linee dritte erano più adatte ad essere intagliate che le curve del tengwar.

Melian la Maia era la moglie di Elu Thingol. Un membro della classe “angelica” delle creature, fu una dei Maiar che seguì Vána ed Estë, e visse in Lórien curandosi degli alberi che crescevano nei Giardini di Irmo a Valinor. Incontrò il Re dei Sindar, Elu Thingol, nella foresta del Nan Elmoth. Si innamorò, e regnò a suo fianco nel regno del Doriath. Era la madre di Lúthien Tinúviel.

Parte del dialogo è preso dal capitolo “I Cavalieri di Rohan” e parte dal film.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventuno ***


Incontra una Nana

Dwerís figlia di Nerís

Un Nana reclusa, reticente e leggermente ossessiva, Dwerís era la figlia di Nerís, una scriba e una poetessa, e Nár, il grande amico e consigliere di Thrór Re Sotto la Montagna. Era mediocre come fabbro ma talentuosa come spadaccina, e grazie alla sua abilità e alla sua dedicazione scalò presto i ranghi dell'Esercito di Erebor. Era con motivo orgogliosa delle sue abilità, e si allenava circa cinque ore al giorno con diverse armi. Iniziò a correre voce che Dwerís fosse imbattibile.

Comparvero molti sfidanti, e Dwerís concesse di spedirli tutti a terra prima di tornare alla sua solitudine e al suo amato allenamento. Aveva sconfitto novantanove sfidanti quando un giovane nobile, ubriaco e barcollante, venne spinto nel cerchio dai suoi amici. Disgustata, Dwerís se ne andò. Il nobile in seguito cercò Dwerís per scusarsi del suo stato patetico e delle azioni dei suoi amici, e Dwerís fu colpita dalla sua sincerità e dalle sue parole. Si offrì di addestrarlo, e fu così che Dwerís conobbe il suo futuro marito, Fundin figlio di Farin. Le piaceva dire di aver vinto anche la centesima sfida.

Dwerís fu uccisa accanto a suo marito nella Battaglia di Azanulbizar, lasciando i suoi due figli, Balin e Dwalin.

Dwerís di godsofmischieffoal


Le stelle lo rilasciarono nella fredda grandiosità grigia del mondo dei morti. Thorin si strofinò gli occhi e si alzò rigidamente dalla sua panca. Il dolore nelle sue gambe era diventato un sordo pulsare. Attorno a lui, i suoi compagni si svegliarono, lamentandosi dei loro arti doloranti e battendo le palpebre nell'oscurità, drammatica dopo l'accecante luce del Gimlîn-zâram.

Thorin girò il collo per sbloccarselo, e poi guardò le panche che circondavano la vasca vetrosa e immobile. C'era Lóni, seduto guardando l'acqua, immobile come una statua – ah, quindi lui osservava gli Hobbit più giovani. Non lontano da Lóni sedeva Kíli, che era accigliato nonostante la vacuità dei suoi occhi. Forse qualche calamità era caduta su Frodo e Sam. Thorin sperava ferventemente di no, anche se vista la loro fortuna in questi ultimi giorni non poteva escluderlo.

Frerin gli toccò la manica. «Nadad, devi parlare con Mamma» disse piano. Thorin annuì dopo un ultimo sguardo a Kíli, e poi si voltò e obbligò le sue gambe doloranti a portarlo via dalla Camera.

Frís sembrava esausta. «Il tuo inseguimento è finito?» disse, e Thorin alzò la mano e la fece dondolare da una parte all'altra.

«Non so dirlo» disse «Dipende da cosa troveranno. Che nuove dagli altri?»

«Balin ha fatto rapporto» disse lei, girandosi verso un pezzo di carta coperto delle sicure, dritte rune di Balin «A Dale, Re Brand non è colui che esita. Piuttosto è il suo consiglio. Litigano e si accapigliano, cercando di guadagnare più potere politicamente. Re Brand è costretto da tradizioni e ha bisogno che il parlamento appoggi qualsiasi decisione di guerra, e con tali stupide lotte di potere nella sua corte non può venire in aiuto di Erebor.»

Thorin sbuffò. «Uomini, puah. Che altro?»

«Tieni a freno la tua rabbia» disse lei, guardandolo seriamente.

«Un avvertimento simile non mi riempie esattamente di sicurezza, 'amad» disse lui stancamente «Cercherò di tenerla sotto controllo. Cosa c'è?»

«Ori ha fatto rapporto» disse lei, e poi sospirò profondamente «Merry e Pipino erano vivi, almeno l'ultima volta che li ha visti. C'è stata una zuffa con dei cavalieri-»

«Sì, lo so» la interruppe lui, e la confusione che aveva provato davanti alla minaccia di Éomer e alla risposta di Legolas lo riempì nuovamente. Scosse la testa per liberarsi dai suoi pensieri e riportò l'attenzione al presente. «Cos'è successo?»

«Li ha persi» disse lei, e si sedette con uno sbuffo di frustrazione «Ori non riusciva a trovarli nel caos e nell'oscurità e nella confusione di Orchi e cavalli. Li ha cercati fino a mezzanotte, ma gli Hobbit non si riescono a trovare. Ora Lóni sta provando a cercarli, anche se sono passate quasi otto ore da quando ha iniziato.»

«Il Gimlîn-zâram non li porta vicino agli Hobbit quando entrano?» Thorin si accigliò, e poi si massaggiò le tempie. La sua rabbia stava davvero salendo, ma era sfocata dal peso della sue enorme stanchezza.

«Sai che è molto difficile guidare la vasca» disse lei.

«Non ho più problemi ora, anche se ne avevo una volta» disse Thorin «In genere vengo portato dove desidero.»

«In genere hai un'idea generale di dove è quel posto, però» disse lei asciutta «Ori crede siano scappati nella Foresta di Fangorn. Nemmeno un Elfo li troverebbe là.»

Thorin fece una smorfia. «Ci sono brutte racconti su quella foresta.»

Lei annuì, e poi appoggiò la testa su una mano. «È tutto ciò che ho per te, inùdoy. Mi dispiace non sia di più.»

«È abbastanza» disse lui pesantemente, e le diede un bacio sulla testa «Farò il tuo ruolo abituale ora e ti dirò di andare a dormire. Sembri stanca.»

«Lo sono» disse lei, e gli sorrise «Molto strano. Però potrei abituarmici.»

Lui incrociò le braccia e mise un finto broncio che si dissolse rapidamente in un gemito. «Mancanza di rispetto dalla mia stessa madre – ma ah, mi fa male tutto. Seguirò il mio consiglio.»

«Anche questo è strano. Sto iniziando a chiedermi se tu sia davvero mio figlio» disse lei, sorridendo mentre lui la aiutava ad alzarsi «Ori avrà i nuovi orari per domani.»

«Bene» disse lui mentre iniziavano ad andare verso le loro stanza. Poi esitò. «'amad, l'Elfo - ha difeso Gimli.»

«Davvero?» le sue sopracciglia si alzarono «Bene. Da chi?»

«Un Uomo di Rohan, un Signore di Cavalli. Non capisco. È il figlio di Thranduil, un Elfo di Bosco Atro. Ha detto lui stesso che è stato cresciuto per odiarci, eppure ha alzato l'arco e detto all'Uomo di Rohan...»

«Thorin» lo interruppe lei «calmati. Sei confuso e stanco. L'Elfo aspetterà fino a quando non ti sarai riposato.»

Lui sorrise, solo un piccolo movimento delle labbra. «Adesso così è più simile ai nostri ruoli abituali. Sapevo che non sarebbe durata.»

Lei rise piano. «Per quanto ti concederai di riposare?»

«Non molto. Arriveranno presto ai limiti di Fangorn, e devo essere con loro per dare a Gimli le poche notizie di Pipino. Sono a cavallo: appropriato, suppongo, dato che sono a Rohan»

«Gimli ne sarà estasiato»

«Oh sì» disse Thorin, sbuffando «È felice come un Barbedure in una miniera d'argento. Sembra che i cavalli non siano precisamente il suo mezzo di trasporto preferito. Rimbalza come un sacco di grano e si stringe all'Elfo con tutte le sue forze – quasi mi aspetto che gli rompa le ossa con quelle sue mani.»

Lei sorrise. «Cavalcano insieme quindi?»

«Sì» Thorin represse l'espressione irritata che aveva minacciato di passargli sul volto. Avrebbe avuto tempo di pensare allo strano comportamento dell'Elfo più tardi, quando fosse stato più sveglio.

Lei mormorò pensierosa, e poi lo guardò, di nuovo seria. «Non ti sfinire di nuovo, caro.»

«Non intendo farlo» abbassò gli occhi per un istante, prima di fare un respiro profondo e incontrare nuovamente lo sguardo di lei «Ecco la mia camera, e riposerò per un po'.»

Lei sospirò, e gli baciò la guancia. «Manderò qualcuno a svegliarti.»

Lui premette brevemente la testa contro la sua, prima di lasciarla. Il suo letto era sfatto e disordinato, ma non gliene importò nulla quando si levò lentamente gli stivali, e ricadde nei cuscini. Si addormentò in pochi secondi.


«Thorin, svegliati»

Lui grugnì e diede una manata in direzione della voce fastidiosa. Il gesto fu salutato da una risatina.

«Dovrai fare di meglio»

«Víli?» Thorin si svegliò, gli occhi gommosi e la testa che pulsava. Non aveva dormito abbastanza per ridar forze ai suoi muscoli doloranti. «Come sta Erebor?»

«Tesa» disse Víli scrollando le spalle «Gli Elfi stanno nelle loro stanze, l'Elminpietra si comporta come un corvo preoccupato e Bomfrís passa il tempo a litigare con lui e con quel figlio di Thranduil. Hanno fatto una gara di tiro con l'arco, e lei ha perso. Non l'ha presa molto bene.»

Thorin grugnì, e lottò per uscire dalle sue lenzuola annodate. «E Dís?»

Gli occhi di Víli si addolcirono. La sua voce era malinconica quando disse: «Sopporta bene le liti interne e la pressione che aumenta, anche se sta rallentando. Lo nasconde bene.»

Thorin guardò pensieroso suo cognato per un istante. «L'ha sempre fatto.»

Sua sorella e il suo Uno avevano sempre avuto un forte legame, e non sorprendeva minimamente Thorin che dopo tutti questi anni Víli ancora sentiva la mancanza della sua moglie dalla voce di mithril e il volto serio. Lui era stato l'unica cosa che la faceva ridere dopo la doppia tragedia di Erebor e Azanulbizar. Lei aveva rinunciato al suo posto nella successione per lui: un umile scalpellino senza famiglia. Avevano potuto passare insieme solo vent'anni. Solo vent'anni – e poi un Mannaro aveva preso Víli. Solo un esploratore solitario, che viaggiava per le Montagne Azzurre, ma aveva ucciso la risata di Dís.

Víli sospirò senza suono. «Tornerò domani, e spero ci sia altro da raccontare. Thrór era lì: senza dubbio ha capito molto di più di tutte quelle idiozie politiche. Non sono mai stato capace di capirne le ramificazioni.»

«Ti invidio. Da giovane ho spesso desiderato non aver mai dovuto studiare politica» disse Thorin, e mise una mano sulla spalla di Víli alzandosi rigidamente. I suoi muscoli gli urlarono contro. «Ah!»

«Ho sentito parlare della corsa» disse Víli, e ghignò mentre alzava una mano per tenere dritto Thorin «Dovresti vedere Gróin e Fundin. Stanno praticamente piangendo in concerto.»

«Gli sta bene per cercare di superarsi a vicenda» grugnì Thorin, e andò fino al tavolo con gambe doloranti, dove c'erano una fiasca di vino caldo e un pezzo di pane, con olio e spezie pronte lì vicino.

«Alcuni fratelli non cambiano mai» disse Víli, e scosse la testa divertito.

«Parlando di fratelli, come sta Fíli? Non l'ho visto nella Camera di Sansûkhul, ma Kíli è ancora lì»

«Dorme. Ha seguito Frodo e Sam negli Emyn Muil per quasi tutto il giorno ieri, e per citarlo, "almeno Sam ha delle corde!"»

Thorin sorrise, mordendo il suo pane. «Kíli si arrampica meglio di Fíli.»

«Lo è» confermò Víli, appoggiandosi al tavolo «Però Fíli è un miglior nuotatore.»

«Anche se Kíli cerca di compensare l'abilità con l'entusiasmo» mormorò Thorin, ed entrambi i Nani risero.

«Devo tornare da Gimli ora» disse Thorin, e sbadigliò mentre parlava «Tu ti riposi ora?»

«No, non ancora» Víli inclinò la testa «Di nuovo là? Non vorrei essere impertinente, ma – Thorin, non ti stai di nuovo spingendo troppo in là?»

Il sorriso di Thorin cadde. «Non rifarò quell'errore» disse brusco «Potrò non avere sempre l'occasione di fare pause spesso quanto dovrei, ma non supererò i miei limiti. Questi sono giorni difficili. Non mi dimentico che sono necessario, ma non posso essere così egoista da star male quando gli eventi si muovono così in fretta e drammaticamente. È solo» e gemette «quel dannato correre che mi ha distrutto!»

«Ora, calmati» disse Víli alzando le mani «È solo una domanda. Non voglio che i ragazzi si preoccupino di nuovo tanto.»

Thorin deglutì e si girò verso il suo pasto rudimentale. «Hai ragione» borbottò «Nemmeno io voglio vederlo. I miei undayûy si meritano di meglio da me.»

Víli incrociò le braccia. «Adesso, non fare così» disse, accigliato. Sembrava un'espressione piuttosto innaturale sul suo volto scherzoso. «Hanno avuto il meglio da te, e quindi non ti ascolterò parlare così di te stesso. Thorin, sei sempre stato la loro lealtà e il loro amore, e niente lo può cambiare, niente. Ti preoccupi per loro tutto il tempo – non credi che facciano lo stesso? L'affetto non va solo in una direzione, nobile vecchiaccio. Impara a conviverci.»

Thorin fece una pausa, e poi guardò su, un nuovo sorriso sulle labbra. «Sembra che mi vengano impartite lezioni costantemente» disse asciutto «E da persone che non mi aspetterei.»

Víli scrollò di nuovo le spalle, facendo rimbalzare la miriade di trecce bionde. «È per via della mia incredibile bellezza, suppongo. Nessuno riesce mai a credere che sia accompagnata da tale profonda saggezza.»

Gli sfuggì nuovamente una risata, e Thorin scosse la testa, prima di strofinarsi gli occhi stanchi e prendere qualche sorso del vino. Gli pizzicò la gola, e si chiese quali erbe ci avesse aggiunto Óin per dargli energia.

«Bene» disse, asciugandosi la bocca e mettendosi gli stivali (goffamente – Mahal, gli facevano male le gambe!) «Non starò via più di un paio d'ore. Non ce la farei.»

«Se sei messo così male, non immagino come stia Gimli» disse Víli, aprendo la porta.

«Gimli ha sessant'anni meno di me» ringhiò lui «E prima che tu faccia un commento ridicolo, ci ha già pensato Frerin ieri.»

«Dannazione, mi ha battuto» disse Víli, ghignando del suo ghigno malizioso, identico a quello che Kíli aveva ereditato «Vai allora, riverito anziano.»

«Ti farò del male»

«Se riesci a prendermi» disse Víli, e ridacchiò fino ai corridoi principali, dove si separarono.

Nessuno fu con Thorin così presto dopo il loro ultimo turno, e lui si sedette alla panca sul Gimlîn-zâram sentendosi stranamente solo. Si era abituato ad avere compagnia nei suoi viaggi nella Terra di Mezzo.

Represse bruscamente il pensiero, e si concentrò su Gimli. Si sarebbe sentito meno solo con la sua stella.

Gemette quando la luce lo circondò, riscaldando il suo corpo dolorante e rasserenando la sua mente confusa. L'erba sotto i suoi piedi lo riportò a se stesso, e si raddrizzò, scuotendosi dei rimasugli della luce stellare e della propria stanchezza.

La bassa ombra minacciosa della Foresta ora era molto vicina. I Tre Cacciatori stavano cercando in una grande pila di corpi fumanti, puzzolenti e rancidi alla luce del sole. L'aria puzzava di carne bruciata e dell'odore metallico del sangue. I ricordi dei giorni orrendi dopo Azanulbizar riempirono improvvisamente la testa di Thorin. Strinse i denti e li respinse fermamente. I vecchi lutti non erano importanti ora.

«Gimli» disse, e le sopracciglia aggrottate della sua stella si rilassarono un poco.

«Ti unisci a noi in un triste momento, Signore» disse con voce bassa, le sue mani guantate occupate a cercare fra i resti bruciati «Potremmo aver trovato una fine dolorosa al nostro inseguimento.»

«Hai trovato nulla, Gimli?» disse l'Elfo, il suo volto pieno di disgusto per il compito che stavano eseguendo. Le sue mani erano spoglie, ovviamente, e il naso di Thorin si arricciò involontariamente. Né Aragorn né Legolas avevano guanti. Non c'era da meravigliarsi se lasciavano la parte più grossa di questo lavoro disgustoso al Nano.

«No» disse Gimli, più forte stavolta, spostando con le mani una grossa coscia. Poi gli si mozzò il respiro per l'orrore. «Aspetta. Aspetta – oh no. Oh, nekhushel!»

«Cosa succede?» disse Aragorn, alzandosi.

«È una delle loro cinture» disse Gimli, levando la cenere e il fango dalla pelle annodata in disegni Elfici.

Il volto di Legolas perse colore, e chinò il capo. «Hiro hyn hîdh ab 'wanath...» sussurrò, e Thorin si chiese cosa nel nome di Durin volessero dire quelle sillabe liquide.

«Gimli, no» iniziò, ma fu interrotto da un grande urlo di rabbia. Si girò di scatto per vedere Aragorn tirare un gran calcio a un elmo Uruk, le guance rosse per la furia. Poi l'Uomo cadde in ginocchio e rimase in silenzio, le spalle piegate e i capelli che gli coprivano il volto.

«Non eravamo con loro» disse Gimli, la sua voce profonda spezzata. Passò nuovamente il pollice sulla piccola cintura Elfica e strinse gli occhi.

«Non posso vederti piangere di nuovo, Gimli» disse Thorin, basso e fervente «No, non dovresti piangere degli altri, così presto dopo l'ultimo! Mia stella, potrebbero essere ancora vivi – ascoltami! Gimli! Ascoltami, nidoyel

Gimli non rispose, stringendo il pezzo di pelle contro al petto.

Aragorn fece un sospiro alzando leggermente la testa. «Uno Hobbit giaceva qui» mormorò, i suoi occhi privi di speranza. Le sue dita sfiorarono una piccola depressione nel terreno sporco di sangue. «E qui l'altro.»

«Sono persi, ma c'è ancora speranza!» urlò Thorin, prima di lanciare indietro la testa in frustrazione «Gimli, ascolta, ascoltami – ah, figlio di Glóin, sei più sordo di quanto non sia mai stato tuo zio!»

«Hanno strisciato» continuò Aragorn con voce pesante, facendo correre le mani sul terreno. I ciuffi d'erba sradicati dagli zoccoli dei cavalli erano ovunque, e Thorin guardò scetticamente i segni.

«Come nel nome di Mahal potrebbe qualcuno leggere questo?» disse con crescente esasperazione, prima di girarsi verso Gimli «Ascoltami, nidoyel! Pipino non aveva le mani legate. Era riuscito a liberarsi – c'è ancora una possibilità...»

«Avevano le mani legate» disse Aragorn, e Thorin lo fulminò da sopra la sua spalla.

«Sto ancora parlando-»

«Le corde sono tagliate» disse Aragorn, con le parole che diventavano più veloci mentre si muoveva sul terreno, la casacca che gli si gonfiava dietro. Indicò una lunga lama seminascosta nell'erba. Pezzi di corda erano attorno ad essa.

Thorin fermò il suo ruggito di frustrazione. Era troppo, troppo stanco per tutto questo. «Se tu solo -»

«Sono scappati fin qui» disse Aragorn, e la nota di eccitazione nella sua voce era chiara «Sono stati inseguiti. Si allontanano dalla battaglia...»

Tutti e tre i cacciatori alzarono lentamente le loro testa per guardare il solido, enorme muro di spaventoso verde dinnanzi a loro.

«...nella Foresta di Fangorn» finì Aragorn mormorando.

«Fangorn» sussurrò Gimli «Quale pazzia li ha condotti lì dentro?»

«Una battaglia, o non hai più sale in quella tua zucca rossa?» esclamò Thorin, e poi maledisse la propria lingua. Frerin gliel'aveva detto che diventava crudele quando si preoccupava.

«Abbastanza per ignorare quel commento» ribatté Gimli con uguale acidità. Thorin fece una smorfia.

«Birashagimi, inùdoy kurdulu» disse, e si strofinò la faccia.

Il volto di Gimli si rasserenò e inclinò la testa in segno di perdono. «E a te, mio Signore» disse, prima di guardare su verso l'Elfo «Bene, Legolas, avevi detto che avresti dato molto per poter rivedere degli alberi.»

Gli occhi di Legolas brillarono. «Non è esattamente quello che intendevo dire.»

«Ci troviamo quindi una rete sottile» disse Aragorn «Ci hanno avvisato di stare alla larga da Fangorn, ma ora il nostro sentiero ci guida sotto i suoi rami. Andremo?»

«Che lo facciamo o meno, dovremmo legare i cavalli» disse Legolas, voltandosi verso dove essi guardavano oltre alla pira. Però appena lo fece, essi nitrirono e sgropparono come se fossero stati spaventati. Legolas disse una rapida dolce parola in Elfico, ma i cavalli stavano già galoppando via, rendendo ancora più sconnesso il campo di battaglia coi loro zoccoli.

Gimli li guardò e poi scrollò le spalle, tranquillo. «Oh beh.»

«Cos'è successo?» disse Legolas, perplesso «Era tutto tranquillo, e poi sono scattati.»

«Pensi avessero paura della foresta?» chiese Aragorn.

«Spaventerebbe qualsiasi bestia con mezzo cervello» borbottò Gimli.

«No» disse Legolas, aggrottando le sopracciglia arcuate «Li ho sentiti chiaramente. Hanno parlato nel modo in cui i cavalli fanno quando incontrano un amico che non vedono da molto tempo.»

«Non importa» disse Gimli, un po' più allegro «Abbiamo iniziato il viaggio a piedi, e quelli ce li abbiamo ancora.»

La bocca di Legolas fremette. «Non ti è piaciuta la cavalcata, mellon nín

«Diciamo che è stata... indescrivibile, grazie» rispose allegramente Gimli «Quindi? Li seguiamo?»

«Cercheremo Merry e Pipino» disse Aragorn, annuendo e guardando la tetra foresta davanti a loro. Poi entrò nel bosco oscuro seguito da Legolas, e Gimli si tese facendosi strada dietro ai suoi compagni.

«Non può essere tanto oscura quanto Bosco Atro» gli disse Thorin «Forza, figlio mio.»

«Sono felice che l'Elfo non ti abbia sentito» disse Gimli, una luce divertita nei suoi occhi. Poi guardò su verso i vicini rami contorti coi loro rampicanti attorcigliati. «Mi accorgo che l'aria è soffocante. Questo legno è più leggero di quello del Bosco Atro, ma è ammuffito e decrepito.»

«È vecchio» disse Legolas da sopra una vecchia radice contorta. Si era fermato per alzare la testa, i suoi occhi lontani. «Molto vecchio.»

Gimli gli diede un'occhiata dubbiosa, spingendosi su l'elmo lungo la spaziosa fronte Durin con il pollice.

Legolas batté le palpebre e uscì dalla sua strana trance, un sorriso sugli angoli della bocca quando disse: «Così vecchio che mi par quasi di tornare giovane, una sensazione che non ho più provata dopo essermi messo in viaggio con dei bambini come voi.»

Gimli sbuffò. «Erano tre milioni di anni, giusto?»

Legolas rise piano, prima di guardare verso gli stretti, attorcigliati rami. «Non vi è malizia attorno a noi; sento però vigilanza e collera.»

«Ebbene, non ha alcun motivo questa foresta di essere in collera con me. Non le ho mai fatto del male»

«Tuttavia sento che è stata danneggiata» disse Legolas con voce lontana, e la sua mano rimase su un tronco contorto, accarezzandolo gentilmente. «Qualcosa accade o sta per accadere. Non vi accorgete della tensione? Mi mozza il fiato.»

Gimli aspettò per un momento, e poi scosse la testa. «Non sento nient'altro che le lamentele del mio fondo schiena, ragazzo. I cavalli e i Nani non vanno per nulla d'accordo.»

Thorin rise nonostante tutto.

«Così vecchio» disse Legolas, ancora con quella voce dolce e lontana, le dita che accarezzavano la corteccia «E pieno di ricordi. Sarei stato felice qui, se fossi giunto in tempo di pace.»

Gimli sbuffò di nuovo. «Più che probabile. Tu sei un Elfo dei boschi, e comunque tutte le varietà di Elfi sono gente strana. Eppure mi dai un certo conforto. Dove vai tu, andrò anch'io.»

Il respiro brusco di Thorin fu molto rumoroso nel denso, assordante silenzio di Fangorn.

«Ma» disse Gimli amaro, rimettendosi meglio l'elmo in testa «tieni l'arco a portata di mano, mentre io allenterò l'ascia nella cinta. Non per usarla contro gli alberi!» aggiunse velocemente, prima di chinare la testa e iniziare a seguire Aragorn. I suoi stivali pesanti erano molto rumorosi contro il tappeto di foglie che copriva il terreno e si impilava contro gli alberi, bagnato e ammuffito.

«Sono felice di portarti conforto» si disse piano Legolas, e toccò ancora una volta la corteccia rugosa dell'albero contorto ancora una volta, perso nei suoi pensieri. Poi l'Elfo si voltò e corse dietro alla larga, bassa forma del Nano, quasi persa nella penombra degli alberi.

Thorin rimase immobile per la sorpresa per tre respiri, cercando di capire cosa fosse successo. Eppure gli sfuggiva, non importa quanto sforzasse la sua mente stanca in cerca di una risposta. Infine fece un suono frustrato sottovoce e li seguì. La sensazione di essersi perso qualcosa di importante lo seguiva come del fumo. «Elfi!» ringhiò in irritazione «Perché dovete confondere tanto – e Gimli, perché devi tu lanciarti nell'oscurità tutte le volte! Perché nessuno in questo mondo vivente parlerà chiaramente

«Qua!» urlò Aragorn da qualche parte alla sua destra, e Thorin si girò automaticamente, ancora perso nella sua esasperazione. Quasi finì dritto attraverso Legolas quando entrò in una piccola radura dove un ruscello correva fra le radici degli alberi, delineato da erba e fango. «Ho trovato dei segni chiari!»

«Dunque vivono?» disse Thorin immediatamente, tutta la sua irritazione dimenticata in un'improvviso lampo di speranza. Forse non aveva deluso Bilbo: forse i giovani allegri cugini del suo Hobbit erano vicini, e in salute.

«Guardate» disse Aragorn, indicando il terreno «Un'impronta! Di Pipino, direi, dato che Merry è il maggiore dei due ed ha i piedi più grandi. Però, non riesco a trovare alcuna traccia che si allontana da qui. È come se fossero stati sollevati in aria da qualche enorme mano.»

«Speriamo di no» disse Gimli, e guardò in alto gli alberi attorno a loro.


«Bene» disse Flói, e deglutì rumorosamente «Abbiamo trovato gli Hobbit.»

«Ori?» balbettò Lóni.

«Sì?» disse Ori, nervoso quanto lui.

«Tu sei molto erudito, vero?»

«Eh. Credo? B-Balin ha un'educazione molto più classica.»

«Io non credo...»

Ori squittì.

«A Thorin non piacerà» disse Flói, scuotendo la testa così velocemente che le sue trecce quasi si strapparono.

«Ori, cosa nel nome di Durin è quella cosa?» sibilò Lóni.

«Io... Io...» Ori deglutì e cercò di darsi un contegno «Io credo sia un Ent.»

Flói sembrava confuso e terrorizzato. Più che altro terrorizzato. «Cos'è un Nent?»

«No» disse Ori, tormentandosi le mani «Ent. Un. Ent. Penso di aver letto. eh. Erano p-pastori di alberi o qualcosa del genere. I troll sono stati creati da loro.»

«Oh» disse Lóni, e guardò su la cosa. E su. E su. «G-grosso, no?»

«Gli Hobbit lo stanno cavalcando» gemette Flói «Oh, a Thorin non piacere per nulla.»

Ori pensò alle migliaia di ramoscelli rotti e fuochi (e via dicendo) di cui era stato o responsabile, o beneficiario. «Spero non prendano le cose sul personale» mormorò.


L'oscurità era rilassante, e Thorin si trovò ad appisolarsi seguendo la stella. Gimli non esitava, anche se il pallore del suo volto mostrava quanto a disagio si sentisse. Aveva dei cerchi scuri sotto gli occhi, e il dolore era ancora presente sulla sua fronte. Il suo campione ne aveva passate molte nell'ultima settimana, e quasi tutte erano state pessime.

«Khathuzhâl, zu» mormorò Thorin, e se lui era esausto non riusciva ad immaginare come facessero a continuare quei tre. L'Uomo non aveva nemmeno i vantaggi dell'essere un Elfo o un Nano, e Gimli aveva persino un'armatura completa addosso e portava le pesanti asce di suo padre. Tutti e tre portavano gli zaini in schiena, anche se si erano notevolmente alleggeriti da quando avevano iniziato l'inseguimento. Tutto tranne il cibo era stato lasciato al guado di Sarn Gebir. «Balakhûn, Gimli

Le labbra di Gimli si incurvarono un poco sotto la sua barba. «Grazie, grande Signore, anche se non mi sembra di aver fatto granché di buono, nonostante – aspettate, l'avete visto?» si interruppe, guardando nell'oscurità.

Thorin uscì dai suoi confusi, intorpiditi pensieri, e guardò su. La mano di Gimli era sulla sua ascia, e i suoi occhi erano duri e stretti mentre guardava attraverso la penombra degli alberi.

«Visto cosa?» disse Legolas, scendendo da un ramo.

«Là!» indicò Gimli «Un lampo di bianco! Era coperto da un vecchio mantello sporco, ma la copertura si è aperta brevemente e lo vidi!»

«Un vecchio, con un mantello e un cappuccio bianco» disse Aragorn a denti stretti.

«Saruman» sussurrò Thorin, voltandosi verso gli alberi. Un'ombra si mosse tra di essi, e vide la figura di cui parlava Gimli. Mentre il vecchio camminava, un abito di un bianco accecante lampeggiò sotto al mantello scolorito.

«Viene da questa parte» disse Gimli.

«Lo vedo» disse Legolas, il suo volto nuovamente inespressivo, freddo e calmo di fronte al nuovo pericolo «Possiamo essere certi che sia lui?»

«Chi altri potrebbe essere?» ringhiò Gimli.

Aragorn fissò e guardò il buio con determinazione. «Non possiamo attaccare un nemico disarmato.»

«Ma potrebbe essere Saruman!» disse Gimli, e con un movimento pratico tirò fuori l'ascia rotante dalla cintura e la fece girare un paio di volte, riscaldandosi il polso «Si avvicina. Il tuo arco, Legolas – tendilo! Preparati!»

Thorin fece alcuni passi avanti, accigliato. Aragorn chiuse le dita sull'elsa della spada, il volto teso e pronto. «Non lasciare che parli. Ci farebbe un incantesimo» mormorò.

Legolas prese una freccia e la incoccò con un movimento fluido, ma trattenne il colpo. «Non posso tirare su di un vecchio disarmato» disse in un sussurro «Non possiamo sapere se sia davvero Saruman o solo un altro viaggiatore.»

«In questa parte del mondo? Vestito di bianco?» esclamò Thorin «Sei pazzo?»

«Cosa aspetti?» disse Gimli brusco «Che ti sta succedendo?»

Imprecando, Thorin decise di mordersi la lingua. Si era dimenticato che Gimli era abbastanza attento per percepire la sua rabbia.

«Si avvicina» disse piano Legolas, e alzò l'arco al livello dei suoi occhi, guardando lungo la freccia «Viene da noi.»

«Legolas, ora!» urlò Aragorn, e si girarono all'attacco. L'ascia di Gimli fu respinta da una grande esplosione bianca, che la spedì a incastrarsi nel morbido fango muschioso. Legolas esitò per un istante e poi tirò con un lancio dritto e mirato, ma la sua freccia esplose in schegge. Aragorn urlò quando l'elsa della sua spada divenne insopportabilmente calda e la lasciò cadere. Tutto ciò accadde in pochi secondi. Thorin girò su se stesso in confusione, cercando di seguire, il suo cuore che martellava.

«Stregone!» urlò Legolas «Qual'è il tuo nome?» aveva i suoi coltelli bianchi in mano.

«Saruman!» ruggì Gimli, scattando in avanti e prendendo la sua ascia barbuta «Parla! Dicci dove hai nascosto i nostri amici!»

Il vecchio, curvo per l'età, fu troppo rapido per lui. Saltò su una grande roccia e si gettò il mantello sporco che lo aveva coperto. Una furiosa, brillante luce bianca riempì la piccola radura dove erano, e Thorin urlò involontariamente e si coprì gli occhi. Era più luminosa del Gimlîn-zâram, piena di fuoco ultraterreno.

Penetranti occhi blu si fissarono su Thorin prima di andare ai tre cacciatori, e il vecchietto era improvvisamente alto e potente, pieno di quella radiante luce. Le mani di Gimli erano premute contro i suoi occhi e Aragorn poteva a malapena guardare la figura, ma il volto di Legolas era piano di meraviglia ed euforia tale che Thorin non riusciva a crederlo. Certamente nessun Elfo era mai apparso così, con occhi pieni di onesta gioia!

«Mithrandir!» urlò «Mithrandir!»

«Non può essere» gracchiò Thorin, passandosi una mano sugli occhi brucianti. La luce iniziò a svanire, la foresta tornò alla sua ricca penombra, e battendo le palpebre Thorin guardò il volto impossibilmente vivo di Gandalf. La sua grande barba grigia era diventata bianco ghiaccio, e sembrava più giovane e più pericoloso, più allegro di prima eppure più profondo.

«Sei vivo» disse in stupefatta meraviglia, la sua voce un debole sussurro «Sei vivo... come puoi essere vivo?»

«Ben incontrato, Legolas» disse Gandalf, passandosi il bastone da una mano all'altra «Ben incontrati tutti voi» i tre compagni lo fissarono con stupore, paura e gioia, e non trovarono parole da dire.

«Gandalf!» disse infine Aragorn, la sua voce debole «Al di là di ogni speranza tu ritorni a noi! Ma come è possibile?»

Gimli non disse nulla ma cadde in ginocchio, il fantasma del grande dolore che aveva sofferto passò sul suo volto per tramutarsi in confusione.

«Gandalf» disse lo Stregone, masticando il nome nella bocca come se stesse riassaporando un vino pregiato «Gandalf, sì. Era così che mi chiamavano. Gandalf il Grigio.»

«Sei caduto» singhiozzò Gimli, e il gentile sorriso di benvenuto di Gandalf svanì, e i suoi occhi brillarono di nuovo potere.

«Attraverso acqua e fiamme» disse «Dal torrione più basso alla cima più alta ho lottato con lui, il Balrog di Morgoth. Alla fine ho abbattuto il mio nemico e scaraventato la sua carcassa contro il fianco della montagna.»

Thorin sentì la propria bocca che si spalancava. «Allora ha fatto ciò che solo i più grandi eroi dell'antichità hanno potuto, e ucciso un Balrog» sussurrò.

«L'oscurità mi ha avvolto ed ho errato fuori del pensiero e del tempo» continuò Gandalf, guardando la foresta. Una dolce malinconia riempì la sua voce. «Le stelle compivano il loro giro e ogni giorno era lungo come una vita terrena. Ma non era la fine. Ho sentito la vita in me, di nuovo.»

Riportò la sua attenzione sui quattro in piedi, immobili e stupiti, davanti a lui. «Sono stato rimandato finché il mio compito sarà terminato» disse «anche se ho obliato molte cose che credevo di sapere, e appreso molte altre che avevo obliato. Riesco a vedere molte cose assai lontane, e molte altre, vicine, sfuggono alla mia vista. Raccontatemi di voi!»

Egli mise una mano sulla testa china di Gimli, e il Nano guardò su e improvvisamente rise, rise la sua gioiosa, libera e esplosiva risata. «Gandalf» disse con calore «Ah, questo è un insperato miracolo. Ma sei tutto vestito di bianco! Abbiamo pensato che tu fossi Saruman!»

«Invero, io sono Saruman, si può dire» disse Gandalf, sorridendo «Saruman come sarebbe dovuto essere. Sono Gandalf il Bianco, suvvia, raccontatemi di voi!»

Mentre Aragorn iniziò a raccontare la storia della Compagnia a seguito della caduta di Gandalf a Khazâd-dum, Thorin tentò di ingoiare la propria meraviglia e trovò di non potere. La vista di questo Stregone ammantato di tutta la maestà e il mistero del suo terribile potere, eppure reso saggio dal peso delle Ere che passavano e pieno di compassione e pietà, quasi gli rubò l'aria dai polmoni. Non l'aveva mai veduto così, né in vita né negli ottant'anni della sua morte. Gandalf il Grigio era stata una figura ruvida e a volte scorbutica – potente invero, sì, ma discuteva con Thorin più spesso di quanto non lo aiutasse.

Questo era un Maia rinato.

«Tharkûn, zigrâl belkul» disse Thorin, e chinò la testa.

La testa bianca si girò verso Thorin, e i loro occhi si incontrarono. La bocca di Gandalf tremò e lui inclinò la testa a sua volta. «Quindi pare che infine io sia riuscito a impressionarti» mormorò con labbra che a malapena si mossero.

«Sei talmente cambiato» disse Thorin, guardando lo Stregone «Sembri più gioioso, eppure allo stesso tempo più cupo di quanto tu non fossi.»

«La morte tende a cambiare le persone, Thorin Scudodiquercia» disse Gandalf, e un debole eco della sua vecchia ruvidezza confortante era nella sua voce. I suoi occhi brillavano come il sole sulla neve. «Non dovrei doverlo dire a te.»

«Sei tornato» disse Thorin, e fece un lungo, lento sospiro che tremò nel suo petto «Oltre ogni speranza, sei tornato. Grazi a Mahal. Gimli ti ha pianto. Tutti lo fecero.»

«Uhm. E sanno della tua presenza?»

«Gimli sì, sempre» disse Thorin orgogliosamente «La sua percettività è un grande dono per me. Anche Legolas lo sa, anche se non può percepirmi o sentirmi. Aragorn non lo sa, ma penso sospetti qualcosa. Gimli non è molto bravo nel nascondere qualcosa.»

«Io, però, lo sono» Gandalf sorrise, come se stesse ascoltando Aragorn che parlava della loro breve pausa a Lothlórien «Ora dimmi, quand'è che Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna, ha accettato di chiamare per nome il figlio di Thranduil?»

Thorin sobbalzò, e poi lo incenerì con lo sguardo. Si accorse di una faccia curiosa con la coda dell'occhio, e si girò per vedere Gimli che guardava Gandalf pensierosamente.

Gimli batté le palpebre e le sue sopracciglia si aggrottarono. «Ah» si disse «Quindi anche uno Stregone può sentire il mio parente. Buono a sapersi.»

«Anche un tempo talmente breve in Lothlórien fa molte meraviglie, e noi avevamo bisogno di guarire, malati nel cuore e feriti nell'anima» continuò Aragorn, e guardò su «Dovemmo affrontare un grande lutto. La tua caduta, Gandalf, strappò gran parte del cuore della nostra Compagnia. La Dama ci lasciò andare lungo il fiume Anduin con tutte le benedizione che poté darci.»

«Ed esse non dovrebbero essere rifiutate alla leggera» disse Gandalf, guardando di nuovo l'Uomo. Poi guardò giù verso Gimli, con un sorrisetto sulle labbra. «Ti è piaciuto il tuo tempo fra gli Elfi, Mastro Gimli?»

«Fu il gioiello che incorona la mia vita finora» disse Gimli, e si premette una mano contro la casacca con dita riverenti «Non vidi mai un altro luogo così bello e triste, né trovai mai un'amicizia tale dove non avrei pensato di cercarla.»

«Gimli è diventato il campione della Dama del Bosco Dorato» disse Legolas con affetto «Possiamo aspettarci che dia lezioni a chiunque parli male di lei – con la sua ascia, se servisse.»

«Mi diede un dono che la mia mente ancora non comprende» mormorò Gimli «Tre capelli dalla sua testa, luminosi come fiori d'oro, come stelle catturate in una rete di fili.»

Gli occhi di Gandalf andarono a Thorin. «Ricevetti dei messaggi simili, ma lo trovai incredibile. Davvero?»

Fermamente, Thorin annuì. «Non conosce la loro importanza» disse.

«Mio caro Nano, mi sorprendi» disse Gandalf «Non sapevo che tenessi tanto agli Elfi.»

«Aye, beh» disse Gimli, e lanciò un'occhiata a Legolas, con una certa malizia nei suoi occhi scuri «Alcuni di loro non sono male quanto si dice. Però potrei nominarne alcuni che farebbero diventare un Nano un accanito bevitore.»

«Anch'io trovo che i Nani abbiano una reputazione falsa» aggiunse innocentemente Legolas «Sono molto più irritanti di quanto non si dica.»

Per la prima volta, Gandalf parve stupefatto, e spostò lo sguardo sa Legolas e Gimli con crescente stupore.

«Non chiedere» borbottò Thorin, e la testa gli ricadde sul petto «Te ne prego. Non chiedere.»

Gandalf controllò la sua espressione dopo qualche istante, e poi si voltò verso Aragorn. «Quindi, arrivaste a Lothlórien? Riusciste ad arrivare alle cascate?»

«Sì. Ma la fortuna ci si rivoltò contro, e tutte le mie decisioni furono pessime dal momento in cui ci accampammo» continuò Aragorn, e si passò una mano sulla fronte «Ad Amon Hen, gli Uruk attaccarono. Boromir è morto.»

«Ah!» esclamò Gandalf «Ma queste sono pessime notizia! Mi addolorano. Era un grande Uomo.»

«Non sono le uniche notizie che potranno portati dolore» disse Legolas, e chiuse i suoi luminosi occhi Elfici «La Compagnia è stata spezzata. Frodo ha deciso di viaggiare da solo verso Mordor, e Merry e Pipino sono perduti in questi boschi. Sono stati catturati dagli Uruk di Saruman.»

«Non mi meraviglio che mi abbiate attaccato» disse Gandalf, il suo volto pensieroso «Però, potrei darvi del conforto da questo lato. Merry e Pipino sono stati ritrovati e sono al sicuro – molto più al sicuro di noi! Però Frodo è da solo: questa è una pessima nuova.»

«Non è solo» disse Legolas «Pensiamo che Sam l'abbia accompagnato.»

«Davvero?» disse Gandalf, e c'era una luce nei suoi occhi e un sorriso sul suo volto «Bene! Molto bene! Mi rincuorate.»

«Ma i giovani Hobbit» borbottò Gimli impazientemente «Dove sono loro? Al sicuro, ma dove?»

«Ah, vi è un potere dimenticato in questi boschi, uno che Saruman ha stupidamente ignorato. La venuta di Merry e Pipino a Fangorn è comparabile alla caduta di piccoli sassi che scatenano una valanga in alta montagna. Già mentre parliamo odo i primi rombi. Saruman farà bene a non essere fuori casa, quando crolla la diga!»

«In un punto non sei per nulla cambiato, vecchio amico» disse Aragorn, con un raro sorriso agli angoli della bocca «Parli ancora per enigmi.»

Thorin grugnì in assenso.

«Saruman non sa che gli Hobbit catturati non portano l'Anello» spiegò Gandalf «Né ha compreso che non può più raggiungerlo. Sta piegando al suo potere il mondo degli Uomini, perché al posto nostro lui avrebbe viaggiato fino a Minas Tirith e cercato rifugio laggiù. Senza dubbio pensa che le spade degli Uomini sarebbero un grande pericolo per il potere di Isengard. Grazie a lui, Merry e Pipino sono arrivati, a velocità meravigliosa e in pochissimo tempo, a Fangorn, dove altrimenti potrebbero non essere mai nemmeno venuti!»

«Non ci hai ancora detto di questo dimenticato potere che dorme in questi boschi» borbottò Gimli.

«Non dorme più» gli disse Legolas «È sveglio. Ed è arrabbiato.»

Le sopracciglia di Gandalf si alzarono. «Sì, è arrabbiato, eppure ancora adesso Saruman considera gli Uomini la minaccia più grande, non capendo il pericolo che fa capolino alla sua porta d'ingresso. Non sa del Portatore, e questo è un grande sollievo. E ignora anche il Messaggero Alato.»

«Il Messaggero Alato!» urlò Legolas «Lo colpii con l'arco di Galadriel al di sopra di Sarn Begir, ed egli cadde dal cielo riempiendo tutti noi di terrore. Di quale nuovo maleficio si tratta?»

Gandalf sospirò e iniziò a camminare in direzione sud verso i limiti della foresta. «Uno che non può essere distrutto con le frecce. Tu uccidesti solo il suo destriero. Una bella impresa, ma il Cavaliere fu presto nuovamente a cavallo. Egli era infatti un Nazgûl, uno dei Nove che ora montano cavalli alati. Non hanno ancora il permesso di attraversare il fiume, e Saruman ignora questa nuova forma che rivestono gli Spettri dell'Anello. Il suo pensiero è sempre rivolto a Rohan, e all'Anello. Che cosa accadrebbe se giungesse nelle mani di Théoden, Signore del Mark? Era presente nella battaglia? Fu trovato da qualcuno? È questo il pericolo che teme, ed è tornato correndo a Isengard per duplicare a triplicare le sue forze d'assalto destinate ad attaccare Rohan.»

«Perché non mi dirai chi e quale potere ha i piccoli Hobbit?» pregò Gimli, seguendo lo Stregone «Siamo venuti sin qui per cercarli, e venire ora a sapere che sono al sicuro eppure ancora in pericolo? È troppo da sopportare. Dove sono?»

«Con Barbalbero, e gli Ent»

«Gli Ent!» disse Legolas, rimanendo per un attimo fermo per la sorpresa «Nan Belain!»

«C'è dunque un fondo di verità nelle antiche leggende di Rohan!» esclamò Aragorn «Credevo che fossero un tenute ricordo dei tempi che furono!»

«Nel nome di Durin, cos'è un Ent?» disse Thorin, perplesso. Gimli storse il naso.

«Va bene, sto per mostrare la mia ignoranza, e se riderete vi ritroverete senza delle ginocchia. Per favore potreste spiegare a questo povero Nano cosa sia un Ent, e perché l'Elfo ne è tanto eccitato?»

«Ogni Elfo ha inneggiato agli Onodrim e alla loro lunga pensa. Eppure anche per noi essi non sono che un ricordo» disse Legolas, il suo viso vivo per l'eccitazione «Se ne dovessi incontrare uno allora mi sentirei davvero ritornare giovane!»

Gimli ridacchiò, e guardò su. «Dunque, ci avviciniamo ai quattro milioni di anni?»

Legolas scosse la testa e spinse la spalla di Gimli. «Non rendere tutto ciò ancora più ridicolo di quanto non sia.»

«Ah, ma gli Elfi sono ridicoli» disse Gimli con finta tristezza, e spinse a sua volta il fianco di Legolas «Mi dispiace essere il portatore di brutte notizie, ma in tutta onestà pensavo ne fossi già al corrente.»

Legolas rise deliziato. «Nano insolente!»

«E ne sono orgoglioso!» Gimli ghignò, e l'Elfo ghignò di rimando. Thorin li guardava e reprimeva l'impulso di urlare. Cosa nel nome di tutti i Sette Padri stava succedendo tra la sua stella e il figlio di Thranduil?

Ancora sorridendo, Gimli si voltò verso lo Stregone che stava ascoltando lo scambio tra l'Elfo e il Nano con silenziosa meraviglia. «Quindi, cos'è un Ent, Gandalf?»

«Ah – è un gigantesco pastore di alberi, Gimli» gli disse Gandalf, spingendo via un viticcio. La luce del sole stava iniziando a passare fra gli alberi davanti a loro. Il limite della foresta si stava nuovamente avvicinando.

La bocca di Gimli rimase spalancata per un momento, ma si controllò magnificamente. «Capisco. E questo Barbalbero sarebbe un Ent?»

«Invero, lui è IL Ent, dovrei dire. La sua lunga e lenta storia riempirebbe un racconto per il quale ora non abbiamo tempo sufficiente. Barbalbero è Fangorn, il guardiano della foresta. È il più vecchio degli Ent, l'essere vivente più antico che cammini oggi sotto il sole nella nostra Terra di Mezzo. Spero veramente, Legolas, che tu possa incontrarlo»

«Ne sarei onorato» disse Legolas senza fiato.

«Ne sarei sospettoso» disse Gimli «Suona come se questo Barbalbero sia pericoloso.»

«Pericoloso!» esclamò Gandalf, sorridendo ampiamente mentre gli alberi diventavano meno folti e le immense pianure di Rohan iniziavano a vedersi fra i tronchi «Anch'io lo sono, estremamente pericoloso: più pericoloso di qualunque cosa tu possa mai incontrare. E anche Aragorn è pericoloso, così come lo è Legolas. Sei circondato dai pericoli, Gimli figlio di Glóin, perché pure tu sei pericoloso! Anche Barbalbero è pericoloso, eppure è saggio e gentile. Però ora la venuta degli Hobbit farà traboccare la loro lunga ira, e presto essa sarà inarrestabile come un'alluvione. La marea si alzerà contro Saruman e le asce di Isengard. Sta per accadere una cosa che non succedeva dai Tempi Remoti: gli Ent stanno per destarsi, e scopriranno di essere potenti.»

Gimli giocherellò con l'ascia alla sua cintura. «Oh. Bene... va bene. Pensi che facciano delle distinzioni fra i vari tipi di ascia?»

«Hai parlato di messaggi?» disse Aragorn quando misero piede alla luce del sole. Thorin gemette quando la luce strisciò nei suoi occhi stanchi, e sentì nuovamente la sua grande stanchezza che lo sommergeva.

«Oh sì» disse Gandalf, e si girò verso di loro con la luce che dava ai suoi abiti e capelli bianchi una sfumatura dorata «Passai da Lothlórien in seguito alla caduta del Balrog, e lì guarii. La Dama mi chiese di portarvi dei messaggi, anche se potrebbero non tranquillizzarvi molto.»

«Ad Aragorn disse:

Where now are the Dúnedain, Elessar, Elessar?
Why do thy kinsfolk wander afar?
Near is the hour when the Lost should come forth,
And the Grey Company ride from the North.
But dark is the path appointed for thee:
The Dead watch the road that leads to the Sea.
» [Traduzione]

La bocca di Aragorn si strinse, e i suoi occhi erano seri e indecisi. «Lei non mi porta né conforto né guarigione» disse gravemente, e abbassò la faccia perso nei suoi pensieri.

Gandalf mise una mano sulla spalla di Aragorn, prima di voltarsi verso Legolas. «A te, Legolas Thranduilion, inviò questo messaggio:

Legolas Greenleaf long under tree
In joy thou hast lived. Beware of the Sea!
If thou hearest the cry of the gull on the shore,
Thy heart shall then rest in the forest no more.
»[Traduzione]

«A me dunque non ha inviato messaggio?» disse Gimli, e chinò il capo.

«Non riesco ad immaginare perché vorresti ricevere un messaggio simile» disse Legolas, uno strano oscuro dolore nei suoi occhi «Oscure sono le sue parole, ed hanno ben poco significato per coloro che le ricevono.»

«Ti chiedo scusa, Gimli» disse Gandalf, scuotendo il capo «No, stavo ponderando i messaggi per l'ennesima volta. A te mandò queste parole, e non sono oscure né tristi.»

«”A Gimli figlio di Glóin” disse “porta il saluto della Dama. Scrigno della Ciocca, ovunque andrai il mio pensiero ti accompagnerà. Ma abbi cura che la tua ascia colpisca l'albero giusto!”»

«Oh, ora hai superato te stesso» borbottò Thorin mentre la faccia di Gimli si illuminò di nuova felicità.

«Che ora felice questa del tuo ritorno, Gandalf!» urlò, e poi iniziò a cantare la Canzone della Creazione, una delle più antiche e gioiose canzoni in Khuzdul. Picchiava i piedi con un vecchio movimento da danzatore d'ascia, facendo ruotare la sua ascia nello schema che lo accompagnava e lanciandola, facendola girare su se stessa, nell'aria. «Venite, venite!» urlò, gioioso e ridente, girando su un piede mentre prendeva abilmente l'ascia «poiché la testa di Gandalf è ora sacra, troviamone un'altra che possiamo tagliare!»

Legolas sembrava lacerato tra gelosia, interesse e divertimento. «Se solo tutti noi ci meritassimo una tale reazione» commentò.

Gandalf rise. «Bene, andiamo a cercare una testa che Gimli possa tagliare. Non sarà difficile da trovare! Ora dobbiamo affrettarci – abbiamo sprecato abbastanza tempo. La nostra strada porta a Meduseld. Re Théoden deve essere avvertito.»

«Sarà una lunga camminata» disse Aragorn, alzando un sopracciglio.

Gandalf gli lanciò un'occhiata sardonica, prima di girarsi verso le dolci colline. Fece un fischio talmente limpido che gli altri rimasero stupefatti che un suono talmente penetrante potesse arrivare da quelle vecchie labbra barbute.

Debole e lontano giunse un nitrito di risposta.

«Cosa» iniziò Thorin, e le mani di Gandalf si contrassero, alzando le dita per far segno a Thorin di non chiedere. I quattro aspettarono, confusi. Ben presto, giunse il suono di zoccoli sul terreno, solo un tremito all'inizio, ma crebbe sempre più forte.

«Vi è più di un cavallo in arrivo» disse Aragorn.

«Naturalmente» disse Gandalf «Non ci staremmo tutti su uno solo!»

«Sono tre» disse Legolas, guardando la pianura «Guardate, c'è Hasufel, e al suo fianco il mio amico Arod! Il terzo cavallo è davanti a loro – ah! Mai ne ho veduto uno simile!»

«E mai più lo rivedrai» disse Gandalf «Quello è Ombromanto, il capo dei Mearas, principi dei cavalli, e nemmeno Théoden di Rohan conobbe mai un destriero così bello. Viene per me: è il cavallo del Cavaliere Bianco. Combatteremo insieme.»

«Brilla come argento al sole» disse Gimli, meravigliato.

«Ti ho appena udito apprezzare un cavallo, Gimli?» disse Legolas, alzando una mano perché Arod la annusasse.

Gimli sbuffò. «Devi aver iniziato ad immaginare delle cose, Legolas. So che negli anziani a volte l'udito potrebbe venire meno.»

Il grande cavallo trottò fino a loro, la sua criniera libera da trecce e la sua schiena senza alcuna sella. «Ciao, amico mio» disse Gandalf gentilmente, accarezzando il naso morbido del cavallo «È stato un lungo viaggio per te, ma sei saggio e veloce e arrivi nel momento del bisogno. Galoppiamo ora insieme, senza più separarci in questo mondo!»

Legolas e Aragorn montarono nuovamente sui loro cavalli, e Gandalf chinò la testa verso Gimli, che sembrava rassegnato. «Bene, forse potrò metterti davanti a me, Gimli» iniziò a dire, ma il Nano scosse la testa.

«Nay, Legolas mi porterà. Non voglio disturbare un Principe dei Cavalli! Cavalcherò dietro all'Elfo»

La faccia di Gandalf sembrava sia confusa che compiaciuta quando l'Elfo tirò nuovamente su Gimli per la mano. Poi Ombromanto alzò orgoglioso la testa e iniziò a muoversi verso sud. «Andiamo a Edoras!» urlò Gandalf, e Ombromanto nitrì, echeggiato dai suoni di Hasufel e Arod.

Gimli strinse la vita di Legolas, i pollici infilati nella sua cintura. «Sai, Legolas» lo udì dire Thorin «Mi sono appena accorto di una cosa. Questo era nello Specchio della Dama: io e te sulla schiena di un cavallo grigio, che cavalchiamo su colline verdi.»

«Capisco» giunse in risposta la voce di Legolas «Per favore non stringere così, Gimli – le mie costole stanno scricchiolando!»

«Ah, scusami ragazzo. Va meglio?»

«Molto. Mi chiedo quale volta tu abbia visto, se questa o la precedente?»

«Forse ve ne saranno altre»

«Mi piacerebbe»

«Aye, anche a me»

Thorin guardò senza speranza i tre rapidi cavalli, e poi il cielo. Una totale confusione gli scuoteva il cervello, ma non si poteva più negare.

«Sono davvero amici» sussurrò «Legolas e Gimli sono davvero amici.»

I loro nomi avevano un bel suono insieme, come se fossero stati fatti per essere detti uno dopo l'altro.


«Ciao, mio idùzhib. Mi dispiace di non averti visitato per qualche giorno»

Thorin sbadigliò e si sedette sul letto. Il vecchio Hobbit che giaceva sotto le coperte sembrava quasi trasparente e senza peso, come se il suo corpo fosse sottile come i suoi capelli bianchi. Bilbo stava guardando un libro, tracciando le lettere con gli occhi. Ogni tanto tornava indietro dopo aver letto una riga, come se ne avesse dimenticato la posizione.

«Ho dovuto cambiare parecchio, mio Bilbo. I Nani non sono adattabili quanto gli Hobbit» continuò Thorin, e guardò le forme indistinte dei grandi piedi di Bilbo sotto le coperte. Gli veniva freddo così facilmente questi giorni. «Non mi posso piegare e viaggiare coi venti della fortuna come te. Io rimango dritto, e il vento mi colpisce fino a quando non posso più rimanere in piedi. Tanti cambiamenti in ciò che pensavo immutabile – tanti errori che credevo essere veri. Un tempo desiderai che tu mi insegnassi a comprendere questi Elfi. Ora – ora lo trovo troppo impossibile.»

Bilbo sospirò e ricadde contro i cuscini, facendosi cadere il libro in grembo. «Oh, non ci riesco» disse nervoso «Non c'è abbastanza luce, e questo autore si ripete troppo per i miei gusti. Un lavoro squallido, davvero squallido.»

Thorin sorrise. «Immagino tu abbia molte critiche da fargli.»

Bilbo si strofinò gli occhi con le vecchie dite artritiche, e poi lasciò che la sua mano ricadesse sul libro, dandogli dei colpetti impazienti. «Bene, Matto Baggins» si disse «se non sei dell'umore giusto per leggere, forse sarebbe una buona idea scrivere? Sì, sì, forse. Sono certo che potrei fare un lavoro molto migliore di questo sprecatore di ottima carta e inchiostro. Vorrei poterci scambiare qualche parola scelta, se mai lo incontrassi!»

Guardandolo, Thorin notò che il libro era scritto nella sottile, raffinata calligrafia di Bilbo. Si voltò, attraversato da un dolore sordo.

Bilbo spinse via cautamente le coperte e si alzò. Gli ci vollero due tentativi. Thorin guardò, col cuore stretto, l'un tempo rapido piccolo scassinatore che zoppicava con grande sforzo attraverso la sua stanza. Si fermò al tavolo e cercò fra le sue carte, e poi le sue sopracciglia si abbassarono in un'espressione così dolorosamente familiare e confusa che a Thorin si mozzò il fiato. «Perché sono venuto qui» disse Bilbo, girandosi verso il letto accigliato. Era la stessa vecchia espressione perplessa e vagamente offesa.

«Volevi scrivere» raspò Thorin.

«Oh sì, volevo scrivere» ripeté Bilbo in tono sollevato, portandosi una mano al petto per rassicurarsi. «Finirò col dimenticarmi anche la mia testa. Ora, carta, carta...»

Thorin guardò Bilbo che trafficava per qualche minuto. La pace di Imlardis tornò sulla piccola stanza, e si poggiò il mento su una mano, i suoi occhi ancora sul vecchio Hobbit. Bilbo prese foglio dopo foglio, guardandoli, leggendo qualche riga, annuendo o rimettendoli in altre pile.

«Sono confuso, mio Uno» disse infine Thorin «Legolas è un mistero per me. Come fai a capire gli Elfi? Hanno migliaia di anni, sono antichi e saggi e superbi, arroganti e distaccati – eppure ti danno il benvenuto fra di loro anche se secondo ogni logica di dovrebbero deridere. Ora, Legolas è davvero amico di Gimli, e non vorranno di certo separarsi. Persino Gandalf lo vede. Eppure Legolas un tempo è stato un mio crudele nemico, e mi ha puntato una freccia in faccia e mi ha chiamato “Nano” come se fosse un insulto.»

Bilbo starnutì piano. Prese qualche altro foglio, storcendo il naso e rimettendoli a posto, e poi iniziò a canticchiare distrattamente. La sua voce era diventata sottile e tremula, ma la musica era riconoscibile. La gola di Thorin tremò mentre lui deglutiva.

«Avrei cantato ancora per te, se avessi saputo che ti piaceva» disse piano, e alzò lo sguardo per tracciare le linee del volto rugoso. I tratti che aveva conosciuto così bene erano stati ammorbiditi e confusi dal tempo.

«Accidenti!» esclamò improvvisamente Bilbo, smettendo di canticchiare «Non mi ricordo tutte le parole!» colpì il suo tavolino da scrittura con il palmo, facendo saltare la bottiglia d'inchiostro e le carte. Gli occhi di Bilbo erano pieni di totale frustrazione, e in quel momento Thorin capì che Bilbo sapeva. Lui sapeva che stava iniziando a vagare con la mente, a perdere la sua ancora per il presente. E lo odiava.

La sua bocca era asciutta quando iniziò a cantare, lentamente e con esitazione: «il fuoco ardeva, fiamme spargeva, alberi accesi, torce di luce.»

Gli occhi di Bilbo si chiusero, e lui esalò lentamente. «Oh, certo» sussurrò, immobile come una statua. Una malinconica, disperata nostalgia gli riempì il volto. Poi i suoi occhi si spalancarono, e ricominciò a cercare fra le sue carte con più decisione. «Ora, devo scrivermela, devo scrivermela, prima di – di... Adesso, dov'è quella penna, ce l'avevo ieri...»

Thorin la vide, che spuntava da una mensola. Il suo fragile Hobbit non sarebbe riuscito a raggiungerla, anche se Thorin avrebbe potuto. Una volta. «È sulla seconda mensola» disse, e sospirò.

«Non mi piace quella penna, Elladan me l'ha data solo perché lui non la voleva, e graffia la carta. Non posso usare una penna che graffia» disse Bilbo, suonando petulante «Voglio l'altra penna, quella buona. Ha una penna d'aquila, sai.»

La penna d'aquila era andata perduta quando Bilbo si era trasferito a Granburrone, quasi diciotto anni prima. «Sono certo che la troverai. Ho molta fiducia in te» disse Thorin, e la tristezza lo riempì finché non gli parve che sarebbe traboccata.

Bilbo sbuffò. «Bene, è un piacevole cambiamento, devo dire.»

La testa di Thorin si alzò di scatto.

«Bene, non riesco a trovarla. Senza dubbio Frodo l'ha spostata. Frodo si mette sempre a spostare le mie cose, ma poi suppongo che sia perché è così giovane e curioso. Smetterà di farlo crescendo» Bilbo cercò fra le carte sul tavolo ancora per un po', e poi si strofinò gli occhi «Oh, accidempoli. È sparita, ed era la mia preferita.»

«Ti farò una penna» esclamò Thorin, col cuore che gli rimbombava nelle orecchie «Ti farò migliaia di penne, Bilbo mio, se solo lo vorrai, ti prego, ti prego... mi senti, staccato dal tempo come sei? Vai dove io potrò parlare con te?»

«Uhm» disse Bilbo, accigliandosi di nuovo. Poi scosse la sua testa bianca. «Devo far aggiustare le tubature in questo posto. Lo dirò ad Elrond. Il Gaffiere senza dubbio conosce un paio di ragazzi che possano fare questo lavoro. Fanno tanto di quel rumore! Davvero, non mi meraviglio di non riuscire a leggere!»

Thorin fissò ancora per un istante lo Hobbit. Poi, lentamente, si piegò sotto il peso del suo improvviso dolore, le mani premute sul volto e il mento che gli toccava il petto.

TBC...

Note

Parte del dialogo è preso dal capitolo “Il Cavaliere Bianco” e parte dal film.

I troll non furono creati dagli Ent (come gli Orchi che furono creati dagli Elfi) da Morgoth nei giorni oscuri della Prima Era, ma furono creati come imitazione e derisione degli Ent. In effetti, gli Ent sono molto, molto più forti dei Troll.

Il messaggio di Galadriel ad Aragorn:
Elessar, Elessar, dove sono adesso i Dunedani?
Perchè sogliono i tuoi errar così lontani?
E' ora che i Perduti si facciano avanti,
Che arrivino i Grigi Compagni dal Nord su cavalli fumanti.
Ma buio è il sentiero ove dovrai camminare,
I Morti guardan la strada che porta sino al Mare.

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Il messaggio di Galadriel a Legolas:
Legolas Verdefoglia, a lungo nella foresta
Hai vissuto con gioia. Guardati dall'Onda!
Se il gabbiano odi gridar sulla sponda,
Il tuo cuor più non riposerà nella foresta

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Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventidue ***


«La cosa luminosa se n'è andata» disse Kíli, guardando la mastodontica incudine.

Ciò fu salutato da una risata come una valanga lontana. «Aye, l'ho mandata nuovamente nel mondo per aspettare fino a che il tempo sarà giusto. Quando tutte le condizione saranno soddisfatte e gli elementi allineati, allora si farà avanti.»

Kíli aggrottò le sopracciglia verso il suo Creatore. «Oh, tutto ciò non è per nulla criptico.»

La grande mano rovinata gli accarezzò gentilmente i capelli, e Kíli represse un brivido anche se un grande calore gli compare nel petto. «Non posso dirti altro, figlio mio. Se le nostre speranze si avvereranno, tutto sarà rivelato. Anche solo la possibilità della grandezza ha potere.»

«Peggio di Gandalf e Elrond combinati» borbottò Kíli, prima di sbadigliare «Dovrò tornare ad Arda a guardare gli Hobbit fra poco.»

Mahal chinò la testa, e una certa preoccupazione apparve nelle profondità stellate dei suoi occhi profondi e senza età. «Sii cauto con te stesso, Kíli. Sei stanco. Questo è un segno del tuo corpo del fatto che tu abbia bisogno di riposare, non una debolezza.»

Kíli annuì e sbadigliò di nuovo, prima di (piuttosto tardivamente) ricordarsi di coprirsi la bocca. «Lo so. Però, non starò a lungo, non come Thorin.»

«Come sta tuo zio?»

«Oh, come se non lo sapessi» disse Kíli, sbuffando.

«Lo so, ma vorrei sapere i tuoi pensieri» Mahal tolse la mano dalla testa di Kíli, e il grande fabbro dei Valar si appoggiò al suo tavolo da lavoro per un momento, e il suo sguardo incomprensibile penetro la carne e le ossa di Kíli fino a qualsiasi cosa vi fosse al di sotto. «Tu sei il suo unday

Kíli si schiarì la gola, a disagio per un momento. «Beh, credo? C'è anche Fíli – e Frerin, e Gimli...»

«No, piccolo principe allegro» disse Mahal, e il sorriso che toccò quelle antiche, bellissime labbra impossibili da descrivere fece sentire Kíli alto dieci piedi «Tu e tuo fratello lo seguite con totale lealtà e amore, e lui lo sa. Il nostro Thorin non dimentica. Ora, dimmi come lo vedi, in questo momento.»

«Stanco, più che altro» disse Kíli dopo una pausa, prima di guardare con esitazione Mahal «È anche confuso. E poi, la morte di Boromir e Frerin che gli parla della malattia del drago lo hanno molto scosso. Odia ciò che diventò allora e il senso di colpa lo colpisce ancora a volta, nonostante tutto ciò che abbiamo detto e fatto. L'Elfo gli sta facendo dubitare di tutto ciò che conosceva – e non sopporta di vedere Bilbo com'è ora. Ma continua ad andare avanti. Lui continua sempre.»

«Aye, lo fa» disse Mahal con voce pensierosa. Con un suono simile a un gran vento che attraversa una foresta di pini, il Valar sospirò. «Mi sottoporrai ancora la tua petizione prima di andare?»

«Ne sei sorpreso?» disse Kíli maliziosamente «Sai che nemmeno io mi fermerò.»

«Figlio mio, lo so cosa speri» disse Mahal, girandosi «Però i posti che ci sono stati dati da Eru Ilúvatar non possono essere facilmente modificati. Bilbo Baggins andrà da mio fratello Námo per trovare riposo nelle Aule di Mandos, insieme agli altri Mortali e agli Elfi morti. E poi, non sappiamo nemmeno se il Mezzuomo vorrebbe mai venire qui. Non ci sono cose verdi che crescono che possano deliziarlo, e non prova gioia per l'artigianato come i miri figli.»

«Certo che vorrebbe!» urlò Kíli, raddrizzandosi «Certo che vorrebbe! Vorrebbe rivederci tutti, lo so! Non bastano ottanta stupidi anni per recidere i legami della nostra Compagnia. Bilbo e il vecchio Balin erano amici, e voleva un bene tremendo a me e Fíli, ed era così gentile con Ori. E Zio -» Kíli si interruppe, chiudendo la bocca.

«Sì, e poi c'è nuovamente tuo zio» disse Mahal tristemente «Anche se fossi in grado di portare qui Bilbo Baggins, non è certo che possa mai perdonare Thorin per il trattamento che gli riservò.»

Il cuore di Kíli sprofondò e lui chinò il capo. «Non lo sai?» pregò con una vocina piccola.

«Non è uno dei miei figli» disse Mahal «Non posso vedere nel suo cuore, perché non l'ho fatto io.»

«Ma lui ama Thorin»

«Coloro che amiamo sono anche coloro che possono ferirci di più» disse Mahal, e un dolore oscuro passò sul suo bellissimo, indistinto viso «Lo Hobbit ha mai parlato di perdono?»

Kíli deglutì. «Non lo so.»

Mahal inclinò la testa. «Sarebbe crudele portarlo in questo luogo privo di luce senza nemmeno conoscere i suoi desideri, non sei d'accordo?»

Kíli annuì, reso muto dalla tristezza.

La grande mano si poggiò nuovamente sui capelli di Kíli, e lui fece un lungo, pesante respiro. «Non abbandonare la speranza, Kíli» disse Mahal piano «Consolati. Sii di nuovo felice, Nathânûn.»

La testa di Kíli si alò di scatto, e lui deglutì. «Io – Io...»

«Shhh» disse Mahal, e la sua mano racchiuse con facilità l'intera testa di Kíli «Ci sono malvagità e sbagli che non possono essere aggiustati facilmente, ma il mondo non ha smesso di girare. Bilbo non è ancora in Mandos. C'è ancora tempo, Fiume Ridente.»

Ogni Nano era nato sapendo il suo vero nome, il suo nome oscuro, il loro nome profondo, il nome dei nomi. Era un dono del loro Creatore, da sussurrare nell'oscurità e sotto la pietra, mai detto sotto il cielo scoperto. Kíli l'aveva pronunciato solo due volte nella sua vita: a Fíli, e a sua madre e suo zio. «Non mi aspettavo di udire il mio Kherumel, Signore» disse, la sua gola secca.

«Ah» disse Mahal, e sorrise «Esso è il nome che ho scritto in te, e quindi è quello che vedo quando penso a te. Mi dispiace se ti ho sorpreso.»

Una sensazione di protettivo amore paterno veniva emanata dal volto saggio e glorioso, e gli eco del nome che solo la sua famiglia conosceva riempirono Kíli con un senso di correttezza. Lasciò che la sua tristezza svanisse fino a diventare un dolore sordo. «Sto bene. Ma Bilbo – cosa possiamo fare?»

«Tu farai del tuo meglio, figlio mio» rispose Mahal, allontanando dal volto di Kíli una ciocca dei suoi capelli spettinati «È tutto ciò che chiunque possa fare.»


Thorin cercò di concentrarsi sul rapporto davanti a sé. La parola "noioso" era stata sottolineata quattro volte.

«Cosa nel nome di Durin è un'Entaconsulta» disse piatto, e Frár fece una smorfia.

«È un maledetto spreco di tempo, ecco cosa» borbottò Lóni «Hanno gemuto e ondeggiato per quasi un giorno intero, e sembra che si siano solo scambiati qualche convenevole.»

«Questa non è una spiegazione» ringhiò Thorin, e Frár diede dei colpetti sul braccio di suo marito prima di annuire rispettosamente a Thorin.

«È una riunione di Ent» disse, e si tirò i baffi intrecciati «E penso di poter indovinare quale sarà la prossima domanda...»

Thorin lo guardò con occhi completamente non impressionati. «Ho scoperto cos'è un Ent. Intendono portare violenza contro Rohan o gli Hobbit?»

Lóni scosse la testa. «No, sono più preoccupati di Saruman. Non gli piacciono molto le asce, ma sembra che gli Hobbit gli vadano abbastanza bene. Hanno deciso che Merry e Pipino non sono Orchi quantomeno.»

«Questo è un sollievo» disse Thorin, e scosse la testa «Degli Hobbit non possono essere scambiati per degli Orchi. Sono ciechi questi Ent?»

Frár chinò la testa. «No» disse pensierosamente nella sua profonda, dolce voce «Solo molto attenti. Fanno tutto con enormi deliberazioni e devono pensare lentamente e a lungo. Merry e Pipino sono un grande shock per loro – Merry in particolare. Insiste nell'entrare in azione appena possibile, e penso ciò li sorprenda profondamente.»

Thorin sospirò e guardò il rapporto di ori, le rapide linee della sua scrittura che si arrotolavano sulla pagina. «E un Entalluvio?»

Gli occhi di Lóni si illuminarono. «Oh, quello è per loro come cibo. A guardarlo assomiglia a dell'acqua, ma non sembra che loro abbiano bisogno di nient'altro. Gli Hobbit ne hanno bevuto, e giuro di aver visto i capelli sulle loro teste che si arricciavano!»

«Aye, sono cresciuti di almeno quattro pollici in un solo spuntino» sorrise Frár «Gimli avrà la sorpresa più grande della sua vita quando li rivedrà, ora che gli arrivano sopra alla spalla invece che sotto.»

Thorin alzò le sopracciglia. «Davvero.»

Lóni si sfregò gli occhi per la stanchezza, e Frár gli appoggiò una mano sulla schiena. «Ti serve altro da noi?» chiese «È solo che probabilmente dovremmo andare a riposarci. È stata una giornata lunga...»

«Andate, riposatevi» disse Thorin, e guardò nuovamente il rapporto. “Così. Totalmente. NOIOSO!” era stato cerchiato diverse volte, e lui sentì le sue labbra che si alzavano. «Grazie a entrambi.»

Frár si inchinò, e Lóni fece lo stesso, cercando di controllare uno sbadiglio. Poi la coppia uscì dalla forgia Thorin, tenendosi per mano e parlando piano con le teste vicine.

Thorin fissò il rapporto per alcuni momenti prima di accorgersi che non lo stava nemmeno leggendo. Lo mise da parte con un'imprecazione, e poi si girò verso il suo lavoro mezzo finito su una panca. Aveva temprato un piccolo tubo d'acciaio e aveva posto i segni per le decorazioni che desiderava mettervi. Il pennino era difficile, ma non oltre la sua portata.

Bilbo avrebbe avuto un migliaio di penne, ognuna più bella dell'altra, fatte a misura delle mani rapide del suo Scassinatore con tutta l'abilità di cui Thorin era capace.

Lasciò che i suoi occhi rimanessero sulla penna per un altro po', e poi si voltò. Il suo prossimo turno sarebbe iniziato presto.

Ori, Bifur e Frerin lo stavano aspettando nella sala di raccolta, e lui gli annuì in segno di saluto avvicinandosi. Frerin sembrava preoccupato e lo guardava attentamente, ma nessuno dei suoi vecchi compagni sembrò notare le preoccupazioni di Thorin. «Quindi era noioso?» disse a Ori a mo' di saluto.

Lo scriba alzò gli occhi al cielo. «Avevo paura all'inizio, sai» disse con uno sbuffo indignato «e poi ho capito che quelli non fanno mai nulla!»

«Ma Merry e Pipino sono definitivamente al sicuro con loro» disse Thorin, piegandosi in avanti in attesa della risposta.

«Oh sì. Barbalbero gli si sta affezionando molto, credo» Ori si grattò la testa «È difficile capire cosa stia pensando un albero parlante.»

Thorin batté le palpebre e poi decise che era meglio non fare commenti.

«Hai dormito, nadad?» disse Frerin, avvicinandosi e picchiando insieme le loro spalle.

«Aye, abbastanza» disse Thorin, e fece un sorriso tirato a suo fratello «Andiamo allora. Vediamo di scoprire com'è questo Re dei Signori di Cavalli.»

La vasca del Gimlîn-zâram sembrò brillare in segno di benvenuto quando si avvicinò, e lui si sedette e si spostò per fare spazio a Frerin senza nemmeno pensarci. La luce stellare lo attraversò come sempre, e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, stava guardando l'esterno di una grande Palazzo, decorata in altorilievi in oro di teste di cavallo e di eleganti disegni curvilinei, il tetto era fatto di paglia dorata. Lo guardò criticamente mentre gli altri tre Nani del suo gruppo si affollarono dietro di lui.

«Dove siamo?» chiese Frerin con voce bassa.

«Questa deve essere Edoras, la città dei Rohirrim» disse Ori «La Palazzo si chiama Meduseld. Com'è che si chiamava il Re?»

«Re Théoden, Signore del Mark» rispose distrattamente Thorin, e si girò per vedere a grande forma brillante di Ombromanto che attraversava i cancelli al di sotto, seguito dalle forme di Arod e Hasufel «Eccoli.»

«Chi è lei?» disse Frerin, accigliato. Indicò la Palazzo, e Thorin si voltò per vedere una figura alta e pallida, dritta e orgogliosa, in piedi davanti ai pilastri di Meduseld. «È una Nana?»

«Si chiamano donne, nella stirpe degli Uomini» disse Ori, facendosi ombra agli occhi contro la luce pallida che veniva dal cielo coperto «Non so chi sia. È dritta come una bandiera, o sbaglio?»

I suoi capelli e i suoi abiti erano mossi dal vento che sferzava il picco solitario di Edoras, ma la donna non si mosse. Thorin si trovò a pensare a sua sorella, che guidava il loro popolo dalle rovine di Belegost tutti quegli anni prima. «Ha lo stesso acciaio in sé» disse, e annuì in approvazione.

I cavalli arrivarono al trotto su dalle ripide strade e verso di loro, e una guardia fece un passo avanti dal Palazzo per inchinarsi rispettosamente ai cavalieri. «Salute, miei Signori» disse «Io sono Háma. Benvenuti a Edoras.»

Thorin cercò la donna in bianco, ma lei era sparita.

Gimli guardò i volti grigi della gente, che fissavano lui e l'Elfo con occhi stanchi e privi di curiosità. «Troveresti più allegria in un cimitero» borbottò a se stesso.

L'unico segno che Legolas l'avesse udito fu una leggera contrazione delle sue labbra.

Gandalf smontò, e Ombromanto si strofinò contro il suo mantello per un momento prima di lasciarsi portare via. Gimli grugnì scivolando giù dall'alta schiena del cavallo, atterrando fermamente sui suoi stivali pesanti. «Dannata bestia» disse, e si raddrizzò con un gemito.

Legolas fu leggero come la luce dell'alba sulla neve smontando accanto al Nano. «Stai bene, mellon nín?» disse in tono provocatorio. Gimli ringhiò in risposta.

Aragorn alzò gli occhi al cielo.

Gandalf annuì ad Háma, e poi iniziò a camminare verso la porta del Palazzo d'Oro. La guardia gli si mise davanti, e con voce riluttante disse: «Non posso permetterti di andare al cospetto di Re Théoden così armato, Gandalf Mantogrigio.»

Gandalf lo guardò da sotto le sopracciglia. «Non ve n'è bisogno. Siamo amici di Rohan.»

Háma sembrava imbarazzato. «Sono il Custode della Porta di Théoden, e così mi è stato ordinato.»

Aragorn si era irrigidito. «Non è il mio volere» disse piano.

«È il volere di Théoden» disse Háma.

«Davvero? E allora perché riesco a sentire la voce di Vermilinguo sotto le tue parole?» disse Gandalf, e sospirò «Queste sono discussioni inutili. La richiesta di Théoden è superflua, ma è stupido opporsi. Un re nel proprio palazzo ottiene sempre ciò che vuole, sia questo saggezza o follia.»

Thorin sbiancò sentendo ciò, e Frerin sussurrò: «non osare, Thorin. Rimani qui. Resta forte.»

«Non me ne andrò» mormorò lui di rimando, e strinse i denti, con la mascella che tremava sotto la barba. Vecchie ferite ignorate erano state riaperte per rivelare l'infezione al di sotto, e ci sarebbe voluto tempo per pulirle.

Legolas estrasse i suoi coltelli bianchi dai foderi a spalla in un movimento rapido e aggraziato, girandoli così che l'elsa fosse rivolta verso il Custode della Porta. Poi prese il suo arco e la faretra e li depose davanti alla porta. «Custodiscili bene» disse all'Uomo bruscamente «perché vengono dai boschi di Lothlórien, e mi dispiacerebbe molto perderli.»

«Ed ecco Glamdring, creata in Gondolin» disse Gandalf, appoggiando la spada accanto all'arco di Legolas. Aragorn non disse nulla, ma mise la sua spada accanto a Glamdring senza una parola.

«Bene, se la mia asce avranno Glamdring e l'arco della Dama come compagne, allora potranno rimanere qui senza vergogna» decise Gimli, e iniziò a levarsele dalla cintura. Le sopracciglia di Háma si alzarono notando il numero di armi che i viaggiatori portavano. L'ultimo oggetto (il coltello da stivale di Gimli) infine finì sulla pila con un rumore metallico.

Poi Gandalf fece per attraversare la porta, ma Háma lo fermò, il volto chiaramente imbarazzato. «Il bastone» disse.

Gandalf fece un suono incredulo in gola. «La prudenza è una cosa, ma la scortesia è ben diversa. Non puoi separare un vecchio dal suo sostegno per camminare.»

Háma non sembrava convinto, e quindi Legolas fece un passo avanti e offrì premurosamente il braccio a Gandalf. Gandalf lo prese facendo gran mostra di tremante anzianità, e superando i quattro Nani morti guardò giù e fece l'occhiolino a Thorin.

La bocca si Thorin si chiuse di scatto. «Vecchia volpe» borbottò.

Le porte si aprirono per mostrare una grande sala con molte colonne, lunga e larga e piena di ombre. Il pavimento era lastricato di pietre di molti colori diversi, e le colonne erano riccamente intagliate e brillavano tenuamente con riflessi d'oro e colori caldi. Le mura erano coperte di arazzi, e Gimli li guardava curiosamente. «Eorl il Giovane» mormorò Aragorn «Così giunse, cavalcando dal Nord, alla Battaglia del Campo di Celebrant.»

In fondo alla sala, oltre a un focolare scavato profondamente nel pavimento e rivolto a nord verso la porta, era una grande sedia, coperta di intagli di cavalli al galoppo e con i braccioli a forma di teste di cavallo dorate. In essa era rannicchiato un vecchio curvo con capelli sottili, il suo corpo coperto in una vecchia pelliccia puzzolente e una corona sulla testa. I suoi occhi blu erano coperti da un velo per l'età. Accanto al suo gomito era seduto un piccolo uomo rattrappito con con unti capelli e neri e una cerea faccia giallastra.

Nell'ombra dietro di lui giunse un lampo bianco, e Thorin riconobbe la donna che avevano visto prima. «Dunque fa parte della famiglia reale» si disse.

Mentre i viaggiatori si avvicinavano, l'uomo coi capelli neri iniziò a sussurrare furiosamente al Re, e Gandalf alzò una mano in saluto. «Salute, Théoden, figlio di Thengel!» disse «Sono tornato, perché la tempesta è vicina, ed è ora che gli amici si riuniscano per difendersi contro la distruzione.»

Il vecchio si fermò, prima che i suoi occhi andassero al consigliere al suo fianco. «Ti saluto» disse con una voce lenta e tremante che pareva secca come vecchie ossa tramutate in polvere «Forse ti aspetti il mio benvenuto. Ma non lo troverai qui, Gandalf Corvotempesta. Sei sempre stato un messaggero di sventura. Quando Ombromanto era tornato senza cavaliere, mi rallegrai del suo ritorno, ma ancor più dell'assenza del cavaliere. Perché dovrei darti il benvenuto?»

«Parli bene, mio sire!» disse l'uomo pallido al suo fianco, e si voltò per guardarli con palpebre pesanti «Tarda è l'ora in cui questo Stregone decide di apparire. Láthspell, lo chiamo io. Il malaugurio è un cattivo ospite!»

Le labbra di Gimli si arricciarono di disgusto alle parole dell'Uomo. «Scivoloso» grugnì «Legolas, hai notato come l'ha girata?»

«Sì» disse Legolas, il suo volto cupo.

«Silenzio» disse Aragorn, muovendo a malapena le labbra. Le narici di Gimli si dilatarono, ma lui si arrese.

«Uno onesto come te troverebbe quest'Uomo più sgradevole di molti altri» comprese Thorin, e Frerin annuì accanto a lui.

Gli occhi di Gimli si accesero percependoli, e fece un piccolo segnale in Iglishmêk con le dita guantate: Salute, grande signore e amato comandante.

«Ti chiamano saggio, amico Vermilinguo, e indubbiamente sei per il tuo padrone un grande sostegno» rispose Gandalf, con una luce pericolosa negli occhi e la voce ingannevolmente dolce «Ma vi sono due modi per i quelli un Uomo può giungere accompagnato da cattive notizie. Può essere che egli stesso sia artefice di malvagità; o fa parte di coloro che non molestano chi fa il bene, e vengono solo a porgere il loro aiuto nel tempo del bisogno.»

«È come dici tu» disse Vermilinguo «ma vi è una terza razza: raccoglitori d'ossa che si impicciano dei dispiaceri altrui, uccelli avidi di carogne che ingrassano in tempo di guerra. Quale aiuto tu hai mai recato, Corvotempesta? E quale aiuto porti adesso? Da noi cercasti aiuto l'ultimo volta che fosti qui. Il mio sire ti pregò allora di prendere un cavallo di tuo gradimento e andartene; e fra lo stupore generale con la tua insolenza osasti prendere Ombromanto. Il mio sire fu profondamente dispiaciuto, ma alcuni pensarono che pur di allontanarti dal paese il prezzo non era troppo caro. Suppongo che questa volta si ripeterà probabilmente la stessa cosa: anziché portarne, cercherai aiuto. Rechi forse con te Uomini? O cavalli, spade, lance? È questo che chiamerei aiuto, ciò di cui abbiamo per ora bisogno. Ma chi sono costoro che seguono le tue orme? Tre cenciosi viaggiatori in grigio, e tu stesso sei il più simile a un mendicante dei quattro!»

«Silenzio!» disse Gandalf, e i suoi occhi brillarono «Tieni la tua lingua forcuta fra i denti! Non ho attraversato fiamme e morte per scambiare parole inconsulte con un insulso verme!»

E con queste parole, Gandalf mise il bastone davanti al volto di Vermilinguo, abbandonando ogni pretesa di anzianità. «Il bastone» gemette l'Uomo untuoso «Háma, idiota, ti avevo detto di prendere il bastone dello Stregone!»

Dietro di loro giunse un gruppo di guardie, e Thorin esclamò: «Gimli! Sudûn!»

«Ah» ansimò Gimli, girandosi e alzando gli enormi pugni «Aragorn, Legolas» mormorò «Potremmo sentire una mancanza delle nostre armi maggiore di quella prevista.»

«Nessun sangue dovrebbe essere versato nelle Sale di un Re» disse Aragorn, accovacciandosi per tenersi pronto.

«Non vuol dire che non possiamo fargliela rimpiangere un pochino» rispose Gimli con soddisfazione, e Legolas fece una risata tesa.

«No davvero» disse, e i tre si lanciarono quasi all'unisono.

Thorin non aveva mai avuto l'opportunità di vedere la sua stella che combatteva corpo a corpo. Lo spettacolo valeva l'attesa. Gimli aveva le mani enormi e la prodigiosa forza nella parte superiore del corpo della Linea di Durin, e usava entrambi a suo vantaggio, calciando con gli stivali borchiati in metallo per portare i nemici al suo livello e poi prenderli a pugni con la forza di una spranga di ferro. Afferrò una guardia per un braccio e la lanciò addosso a un'altra quasi senza sforzo, e loro caddero gemendo per terra.

«Azaghâl belkul!» urlò Bifur, e Ori squittì prima di unirsi a lui.

Gimli tirò abilmente una testata all'ultimo opponente, facendo un rumore sordo col suo elmo, prima di girarsi verso Aragorn e Legolas. L'Uomo stava eliminando le guardie con movimenti sicuri ed economici, il volto pieno si seria determinazione. Legolas era un movimento selvaggio e sfocato, i capelli biondi giravano mentre le sue mani scattavano ad afferrare le guardie e colpirle con l'ingannevole, asciutta forza degli Elfi.

Quando Legolas finì con l'ultima guardia, Gimli gli fece un gran ghigno. «Bel lavoro, ragazzo» disse.

Legolas sorrise a sua volta. «Anche te.»

«State attenti» disse Aragorn, ansimando e avvicinandosi a loro «Vermilinguo potrebbe ancora avere un asso nella manica.»

Nonostante i capelli sudati e gli abiti laceri, Aragorn sembrava signorile quanto l'Uomo sul trono. Thorin lo guardò criticamente. Sarebbe stato sempre più difficile per lui nascondere la sua vera eminenza con tale potere e saggezza nella sue mani e nel suo volto.

«Bene» si disse «Boromir non si merita niente di meno che la promessa di un Re.»

Molte guardie erano rimaste lontane dalla lotta, incluso Háma e un alto guerriero brizzolato che rimase vicino alla pedana. Quest'ultimo a Thorin ricordava stranamente Dwalin, per qualche motivo. Forse era la totale lealtà che brillava nei suoi occhi.

«Théoden, figlio di Thengel» disse Gandalf, camminando inesorabilmente verso la sedia «Non tutto è oscuro. Abbi fede, Signore del Mark; perché non troverai aiuto migliore. Non ho consigli da dare ai disperati. Eppure a te potrei dare consiglio e pronunciare parole di speranza. Vuoi udirle? Non sono per tutte le orecchie. Ti prego di venire con me davanti alle tue porte e guardare lontano. Troppo a lungo sei rimasto seduto nelle ombre, fidando in racconti contorti e suggerimenti disonesti.»

Guardando, Thorin riconobbe la fredda luce della pazzia negli occhi di Théoden, e rabbrividì.

Con un piccolo squittio di paura, Vermilinguo strisciò via dalla pedana e attraverso il pavimento, lontano dallo Stregone e dal proprio padrone. Alzando gli occhi al cielo, Gimli girò l'Uomo sulla sua schiena e lui guardò il Nano con terrore, sdraiato come una tartaruga girata sul suo guscio. «Io rimarrei fermo se fossi in te» disse Gimli, mettendo un pesante stivale sul petto di Vermilinguo e appoggiandosi leggermente.

«Attento, mellon nín» mormorò Legolas «Non vorrai schiacciargli le costole, dopotutto.»

«Oh, non voglio?» Gimli ghignò verso l'Uomo con la promessa di violenza negli occhi.

«Oooh» disse Ori in approvazione «Molto cattivo. Mi piace.»

«Io ti libero dall'incantesimo» disse Gandalf, e aprì una mano davanti al Re in un curioso gesto di potere. Un tuono senza suono colpì l'aria, e Thorin poté sentirlo che gli faceva tremare i denti.

Il vecchio Re tremò, e poi iniziò a ridere, lentamente e debolmente all'inizio, ma guadagnando forza. «Non hai alcun potere qui, Gandalf il Grigio» ringhiò, c'era un'eco strana nella sua voce che Thorin ricordava dai pendii del Caradhras.

«Saruman» sussurrò, il cuore pesante.

Il volto di Gandalf divenne furibondo, e fece cadere il suo manto grigio con un lampo di luce accecante. Parlò con voce chiara e fredda. «Io ti estirperò, Saruman, come il veleno viene estirpato da una ferita» pronunciò, e abbassò il bastone davanti al cuore del Re.

«Cosa succede?» ansimò Frerin, stringendo forte l'avambraccio di Thorin.

«La sua mente è stata rovesciata» disse Thorin, odiando ogni parola «Saruman ha preso controllo di lui fino a renderlo un semplice guscio di ciò che era. Quest'Uomo ha regnato privo di volontà e intelligenza, per nulla un vero Re.»

Frerin lo guardò seriamente. «Thorin» ringhiò.

Scuotendo la testa, Thorin mise una mano su quella di Frerin. «No, non sto rivisitando il mio senso di colpa, nadad» disse, e deglutì e poggiò la testa contro quella di suo fratello «Almeno provo a non farlo. Però, perdonami se le circostanze mi costringono a ripensarci.»

«Troppe cose simili sono successe ultimamente» mormorò Frerin, e strinse il braccio di Thorin «Più tardi, ne parleremo, vero? Non scapperai da me, non lavorerai invece di arrivare in fondo alla questione. Sei stato in silenzio troppi anni.»

Thorin chiuse gli occhi momentaneamente, e poi fece un lungo respiro. «Molto bene.»

«Davvero?» Frerin fece un salto indietro, battendo le palpebre e guardandolo sorpreso «Non ti metterai a litigare con me?»

Thorin scosse la testa. «No. Come hai detto, sono passati troppi anni. E tu sei l'unico abbastanza coraggioso da ascoltarmi.»

Il petto di Frerin si gonfiò e lui alzò il mento, e poi annuì a suo fratello. «Giusto. Bene. Sì.»

Thorin vide un lampo bianco con la coda dell'occhio, e si girò per vedere la donna di prima che lottava contro la presa di Aragorn. «Aspetta» le disse lui. Il volto di lei era pieno di paura e rabbia.

«Lei vuol bene al Re, vedi? Vuole aiutarlo» Frerin gli diede di gomito, e Thorin sbuffò piano.

«Sì, ho capito. Non c'è bisogno che continui»

Contorcendosi sul trono, Théoden ringhiò: «Se io me ne vado, Théoden morirà!»

«Oh, zuznel» sussurrò Bifur, e fece un passo avanti alla cieca. Ori gli si avvicinò e gli prese la mano.

«Ovestron, Bifur» disse distrattamente, fissando la scena davanti a loro.

Thorin si ricordò che Ori aveva aiutato Bifur a riguadagnare qualche parola dopo la Battaglia delle Cinque Armate.

Gandalf non esitò, ma tenne il suo bastone fermo in direzione del vecchio Uomo. «Non hai ucciso me, non ucciderai lui» disse fermamente.

Il Re gemette, e un volto simile a un teschio si sovrappose al suo, crudeltà scritta in ogni sua linea. «Rohan è mia» soffiò, artigliando i braccioli della sedia. Gandalf non rispose, ma la sua espressione si indurì ancora di più e il Re ululò in dolore.

«No!» disse la donna, il suo volto angosciato.

«Vattene!» comandò Gandalf. Il Re strillò di furia e scattò verso di lui, e un altro lampo di luce accecò gli osservatori. Quando gli occhi di Thorin si ripresero, tutto ciò che vide fu l'alta forma dello Stregone davanti a lui, luminosa come una stella.

«Tharkûn» sussurrò con profondo rispetto.

Il Re era stato scagliato all'indietro nella sedia, ansimante e prosciugato. Mentre Thorin lo guardava con meraviglia, il volto di Théoden si rischiarò e la sfumatura lattiginosa dei suoi occhi svanì, lasciandoli luminosi e blu e liberi di qualsiasi follia.

Cercò di alzarsi, una miriade di domande nella sua faccia improvvisamente lucida, e ricadde. La donna si liberò dalla stretta di Aragorn e corse da lui, tenendolo per le braccia. Lui la guardò, perso e confuso. «Conosco il tuo viso» disse, e la sua voce era di un altro Uomo, un Uomo più forte. Un Re.

Lei sorrise, i suoi occhi pieni di lacrime.

«Éowyn» disse lui, come se stesse respirando per la prima volta in decenni «Éowyn.»

Il sorriso di lei tremò, e lei si appoggiò alla mano di lui premuta contro il suo viso. Théoden le sorrise a sua volta, prima di battere le palpebre e alzarsi. Barcollò leggermente e lei lo tenne vicino, facendogli da sostegno. Théoden alzò la testa e guardò la sua Sala, e ogni testa si abbassò davanti a lui, tranne quella bianca che gli era di fronte. «Gandalf?»

«Ora, sire» disse Gandalf «guarda la tua terra! Respira di nuovo l'aria libera, amico mio!»

«Cupi sono stati di recente i miei sogni» disse lui, quasi a se stesso, e rabbrividì per un momento.

«Le tue dita riconoscerebbero meglio la tua forza se afferrassero la tua spada» disse Gandalf, alzando le sopracciglia.

La guardia che a Thorin ricordava tanto Dwalin si fece avanti, portando un bellissima spada con una guardia simile a due cavalli impennati, le loro criniere mosse dal vento. «Ecco a te, sire, Herugrim, la tua antica lama» disse «La trovammo nel forziere di Vermilinguo. Si mostrò restio a darci le chiavi. Ivi giacciono molte cose che gli Uomini credevano d'aver perso.»

«Menti» disse Vermilinguo «E questa spada mi fu affidata dal tuo padrone in persona.»

«Ed ora egli la richiede» disse Théoden «Ti dispiace forse?»

Gimli mise più peso sul petto di Gríma, e l'Uomo squittì e farfuglio come un codardo.

Théoden guardò la sua spada per un istante, e poi la estrasse dal fodero, sembrando lui stesso più alto e forte con ogni pollice di acciaio brillante che veniva rivelato.

Éowyn pianse, il suo viso pieno di gioia.

«Re Théoden!» urlò la guardia, e fu ripetuto da tutta la Sala.

Théoden liberò la spada dal fodero e la guardò, la sua mano stretta fermamente attorno all'elsa senza esitazione o debolezza. Il suo braccio si alzò in aria, e lui urlò a gran voce:

Desti ora, desti, Cavalieri di Théoden!
Terribili eventi nell'oscuro Oriente.
Sellate i cavalli, suonate le trombe!
Avanti Eorlingas!

L'urlo che seguì fu assordante, e Thorin si ritrovò ad unirsi ad esso, ruggendo la sua approvazione accanto alla sua stella. Gli sembrava che le loro voci, entrambe scure e profonde, facessero tremare la terra sotto i loro piedi. L'alto, stridente grido dell'Elfo salì oltre al rombo di voci Naniche, facendo salire l'urlo fino al soffitto.

«Fate mettere in tavola accanto a me il cibo per i nostri ospiti. L'esercito parte oggi. Che gli araldi lo annuncino! Che chiamino tutti coloro che vivono in queste contrade! Tutti gli uomini, e i giovani forti e capaci di maneggiare le armi, e i proprietari di cavalli!» Théoden baciò la fronte della donna dai capelli dorati, e barcollò scendendo i gradini «Il vostro Re è nuovamente se stesso!»

Poi il suo volto si oscuro e i suoi occhi finirono sul tremante Gríma con luce omicida.

«Ora sei nei guai, ragazzo mio» mormorò Gimli.

«Io vi ho sempre e solo servito, mio signore» si lamentò «Abbiate pietà di chi si è logorato al vostro servizio. Non mi allontanate da voi! Resterò al vostro fianco quando tutti gli altri saranno partiti. Non mandate via dal vostro fianco il fedele Gríma!»

«Ho pietà di te» disse Théoden «E non ti allontano dal mio fianco. Io partirò in guerra coi miei uomini. Ti ordino di venire e provare la tua fedeltà.»

«Caro Signore!» urlò Vermilinguo «È avvenuto quel che temevo. Questo Stregone ha gettato su di voi un incantesimo. Nessuno dunque rimane a difendere il Palazzo d'Oro dei vostri avi e tutti i vostri tesori? Nessuno che protegga il Signore del Mark?»

Il volto di Théoden si deformò, e lui tirò un calcio goffo e Vermilinguo con arti resi deboli dalla lunga inattività. «Se questo è un incantesimo» ringhiò «mi sembra più salubre di tutti i tuoi consigli!»

Fu con estrema soddisfazione che Thorin guardò il Re che lanciava il serpente traditore fuori dal suo Palazzo. «Fra non molto le tue stregonerie mi avrebbero costretto a camminare a quattro zampe come una bestia!» ruggì, e alzò la spada.

«No, mio Signore!» Aragorn fece un passo avanti, e il suo volto era serio «No. Lascialo andare.»

«Sciocchezze» ringhiò Thorin, echeggiato da Gimli «Uccidi quella puzzolente cosa strisciante e facciamola finita!»

«Troppo sangue è stato versato a causa sua» disse Aragorn, e Théoden lo guardò con rabbia, dondolando leggermente nei forti venti.

«Persino un traditore potrebbe avere ancora la possibilità di redimersi» sussurrò Gandalf, le sue labbra immobili e i suoi occhi fissi su Thorin «E una volta morto, è piuttosto difficile che ritorni in vita. Abbi pietà, Thorin. Gríma non è l'autore di questa miseria. Lui è solo un messaggero.»

Thorin strinse i denti. «So cosa vorresti che io pensassi» ringhiò «Io stesso bandii un traditore a torto, e il mio Bilbo ebbe pietà simile vile miserabile. Vorresti che io trattassi quest'Uomo allo stesso modo. Eppure lasciami dire, Gandalf, che se la mia follia fosse stata causata da una qualsiasi creatura vivente, avrei strappato la sua testa dalle sue spalle senza pensarci due volte.»

Le sopracciglia cespugliose di Gandalf si alzarono. «Il tuo Bilbo?»

La bocca di Thorin si chiuse di scatto, e lui guardò fermamente la grande pianura di Rohan, la sua lingua pesante come piombo.

«Bene, bene» mormorò Gandalf, e sorrise a se stesso «Cesseranno mai i miracoli?»

Thorin lo ignorò, anche se Ori e Bifur lanciavano occhiate preoccupate in direzione di Thorin.

«Vecchiaccio irritante» borbottò Frerin, e le labbra di Thorin si alzarono. Lanciò uno sguardo grado al suo giovane fratello, prima che della confusione riportasse la sua attenzione agli Uomini. «Cos'è successo?»

«Vermilinguo ha sputato sulla mano di Aragorn» ringhiò Bifur «Dovrei prendere la sua barba per questo!»

«Se ne avesse una» disse Ori con rabbia «Dovrei rasarlo completamente!»

«Shekûn» sputò Thorin, guardando la figura in nero che scappava «Almeno se n'è andato, e noi ce ne siamo liberati.»

«Non saprei» disse Frerin, guardandolo nella luce fredda «Scommetto che lo rivedremo.»

«I guai tornano sempre» fu d'accordo Ori.

«Shândabi» borbottò Bifur, e fece uno sguardo così feroce e selvaggio che fu quasi come se avesse ancora l'ascia nella sua testa.

Aragorn si lavò le mani in una ciotola che gli venne porta, e si raddrizzò mentre i popolani iniziavano ad esultare per il rinnovamento del loro Re. Théoden era dritto e orgoglioso, vecchio eppure forte e sicuro. La sua testa si alzò contro i dolci rapidi venti di Rohan che mossero i suoi capelli ora biondi e bianchi, e guardò Aragorn con approvazione, eppure con una domanda nei suoi occhi.

Thorin sobbalzò. «Non potrò più nascondersi, no» disse, e si avvicinò ad Aragorn che sostenne lo sguardo di Théoden, con sicurezza e senza orgoglio né rancore «Théoden sa di averlo già visto.»

«Non era stato detto che lui era già stato a Rohan prima d'ora?» disse Frerin.

«Aye, ma non mi ricordo da chi» disse Thorin, e sperò per Aragorn stesso che non rifiutasse colui che egli doveva essere «È difficile per lui. Lui non vuole diventare un Re, ma un Re è.»

«Suppongo lo troveresti difficile da comprendere» borbottò Gandalf. Thorin lo guardò male.

«Lo trovò difficile, sì» ribatté «Per caso ti sorprende?»

«Pace, Thorin Scudodiquercia» disse Gandalf «Non volevo offenderti. Aragorn ha un cammino proprio, che non segue i tuoi passi, anche spesso le vostre strade hanno uno scenario e dei pesi simili. Permettigli di fare delle scelte proprie. Si comporterà bene.»

«Non ne dubito» sospirò Thorin, e si voltò per vedere la forma di Vermilinguo sotto di loro, che spingeva un cavallo nero a correre al massimo della velocità via dalla cittadella «Vorrei potergli risparmiare alcuni dei dolori che io ho sofferto, però, se potessi.»

Gli occhi blu di Gandalf si addolcirono. «È gentile da parte tua.»

«È l'unica cosa che si possa fare» disse Thorin, alzando il mento.

Il sorriso che toccò le labbra barbute dello Stregone era soddisfatto. «Sì, sei davvero cambiato. Ne sono compiaciuto. Ben fatto, Thorin figlio di Thráin. Stai rendendo orgoglioso il tuo popolo.»

Thorin lo fissò fino a quando Frerin gli disse di chiudere la bocca e riprendersi.

«Dov'è Théodred?» disse Théoden improvvisamente, guardandosi attorno «Dov'è mio figlio?»

Dall'espressione di Éowyn, Thorin capì subito la risposta.

Il Re venne guidato via con mani gentili, e la guardia che a Thorin ricordava Dwalin andò dai viaggiatori e si inchinò profondamente. «Sono Gamling» disse ruvidamente «Saranno rese pronte delle stanze per voi. Vi laverete e vi rinfrescherete prima del pasto?»

Aragorn scrollò le spalle, senza preoccuparsene troppo. I suoi occhi seguirono la testa china di Théoden, le sopracciglia aggrottate mentre pensava.

Gli occhi di Gimli si illuminarono. «Aye, sarebbe davvero una gentilezza. In questi giorni mi sembra di avere tutta la polvere di Rohan nella barba.»

«Io rimarrò col Re» disse Gandalf, guardando dove Éowyn aveva condotto via Théoden in lutto «Gli servirà un amico in quest'ora, e potrei dargli delle risposte che altri non avranno. Legolas, Gimli, vorrei vedervi a tavola. Non rimanete a mollo troppo a lungo, o dovrò venire a cercarvi!»

Gimli lo fulminò. «E quella sarebbe l'ultima cosa che chiunque, Stregone o meno, vedrebbe mai» borbottò.

Gandalf sembrava divertito. «Nani» disse con affetto «Sono propri quanto gli Hobbit nei loro modi. Legolas, cerca di non sorprenderlo troppo. Addio fino a cena!»

«Da questa parte» disse Gamling, e li guidò dalla grande Sala fino a una rete di corridoi più piccoli. Li guardava curiosamente ogni tanto, anche se era in genere abbastanza bravo nel fermarsi prima di fissarli apertamente.

«Qualcosa non va, Mastro Gamling?» chiese Aragorn innocentemente.

Gamling tossì, e poi disse con voce brusca: «no, per nulla. Solo non ho mai visto gente simile a Rohan prima. Beh, ho visto molti Uomini, ovviamente, ma mai con simili compagni.»

«Sono davvero passati molti anni da quando i miei simili visitarono queste terre» disse Legolas.

«Non così tanto per i miei» disse Gimli «Ho udito che molte carovane di Nani attraversarono Rohan in cerca di lavoro dopo la caduta di Erebor, anche se non c'era molto da fare in una terra che non scava né raccoglie. Però credo ci fosse bisogno di maniscalchi in quei giorni.»

«E avresti ragione» borbottò Thorin, guardando l'Uomo.

La bocca di Gimli si assottigliò, unico che segno che avesse sentito.

«Perdonatemi» disse Gamling, e si inchinò nuovamente prima di schiarirsi la gola «Ecco i bagni. Ci sarà acqua calda tra qualche momento, ma i bollitori devono essere messi in funzione.»

«Fredda va più che bene» disse Legolas impazientemente, anche se Gimli rabbrividì.

«Parla per te, ragazzo. Se c'è dell'acqua calda, io me la prendo»

«Credevo che il tuo sangue fosse già abbastanza caldo, Gimli» scherzò Legolas, e il Nano sbuffò entrando nella stanza.

«Continua a parlare così, Elfo ossessivo, e presto ci finirai tu nell'acqua calda»

Aragorn sorrise, scuotendo il capo. «Siete entrambi ridicoli» annunciò, e iniziò a levarsi la cintura e gli abiti «Chiunque penserebbe che voi due siate ancora ai ferri corti.»

Gimli ghignò, iniziando a slacciarsi la sua tunica di viaggio. «Dobbiamo mantenere le apparenza, Aragorn. Non vorremmo che qualcuno pensasse che ci siamo ammorbiditi troppo, no?»

L'Elfo andò verso i bagni con uno sguardo perso, facendo cadere gli abiti come foglie. Quando l'ultimo pezzo cadde, Gimli batté le palpebre, e poi fece un suono strozzato e si girò di spalle. «Legolas!» esclamò.

Thorin schiaffò una mano sugli occhi di Frerin.

«Hai visto qualcosa?» sussurrò Frerin.

«Ho gli occhi chiusi» borbottò Thorin.

«Ho chiuso gli occhi appena siamo entrati qui» confessò Ori dietro di loro.

«Io no» disse Bifur compiaciuto.

«Qual'è il problema, mellon nín?» disse Legolas, e fece un suono di divertimento. I rumori di schizzi d'acqua giunsero alle loro orecchie. «Oh, questo è imparagonabile. Cosa ti dà fastidio? Dovresti lavarti – oh, è una gioia essere puliti!»

«Non sei decente!» sputacchiò Gimli.

L'espressione confusa di Legolas poteva essere udita nella sua voce. «Ci siamo già lavati in torrenti prima d'ora...»

«Sì, e tu hai tenuto il tuo...» Gimli si interruppe, e Thorin percepì l'imbarazzo che irradiava da lui in ondate «Non si fa» borbottò infine.

«Ah, ora vedo cosa intendeva Gandalf» disse Aragorn, e la sua voce tremava di risate a malapena contenute «Legolas, è meglio che tu rimanga in acqua fino a che Gimli non avrà finito. Penso le sue orecchie potrebbero prendere fuoco se tu camminassi in giro di nuovo!»

Gimli squittì, e Ori gemette.

«Me ne vado» annunciò «Sono qui per guardare Gimli, non un qualche indecente spettacolo Elfico senza vergogna! Dori sarebbe oltraggiato.»

«Porta Frerin con te» disse Thorin, gli occhi ancora chiusi.

«Cosa? No! Nadad, non è giusto!»

«Hai quarantotto anni» esclamò Thorin, e Frerin fece un suono esasperato.

«Sì, va bene, il mio corpo ha quarantotto anni, ma io ne ho duecentosessantotto se li aggiungi tutti, e deve contare per qualcosa...!»

«Vattene» abbaiò Thorin, e il lamento di Frerin non lasciò dubbi su che età avesse davvero.

«Thoooorinnn!» frignò.

«Ora!»

«Sei un tale prepotente» borbottò Frerin, e la sensazione dei due che svanivano fece aprire gli occhi a Thorin.

Bifur era ancora con lui, ma persino lui sembrava vagamente a disagio. E nel mezzo della stanza era Gimli, la sua tunica in mano e un rossore violento sulle guance. Thorin notò con preoccupazione che Gimli aveva perso altro peso. La lunga corsa sugli Emyn Muil e nelle pianure di Rohan aveva scolpito i suoi muscoli come diamanti. Le sue enormi braccia e petto sembravano prodigiose sopra l'addome piatto, teso e scolpito, coperto da una linea di sottili peli rossi.

«Andiamo, Gimli» disse Aragorn gentilmente «Legolas non ti offenderà oltre, lo giuro.»

«Meglio di no» grugnì Gimli, e si levò gli stivali in fretta prima di esitare con le mani sulle trecce della sua barba. Guardò su. «Farete meglio a non dire che mi avete visto coi capelli sciolti» disse lentamente «Anche quello non si fa molto, tranne che in famiglia.»

Legolas si era seduto nel suo bagno e guardava le dita di Gimli con avido interesse. «Hai più tatuaggi di quanti mi sarei mai aspettato» commentò, i suoi capelli biondi appiattiti contro la testa dalle ossa sottili.

Gimli li guardò senza preoccuparsene molto. «Aye, beh, questi non sono un segreto direi» disse «Solo i capelli. E...» arrossì di nuovo, e continuò: «Non mi leverò perizoma, e facciamola finita.»

Legolas girò la testa. «Perché così timido? Gli Elfi non hanno tanto pudore.»

«Beh, i Nani sì» esclamò Gimli, e si girò di schiena per iniziare a slegare i lacci dei suoi pantaloni.

«Farn, Legolas» sussurrò Aragorn, affondando nella propria vasca «Lui è così, e tali domande lo metteranno solo a disagio.»

Legolas sembrò non voler rimanere in silenzio, ma fu velocemente distratto dai tre tatuaggi sulle corte, robuste ossa delle scapole di Gimli. «Quelli sono i marchi di lutto di cui parlasti, Gimli?»

«Aye» sospirò Gimli, e poi alzò un sopracciglio «Mahal mi salvi dalla curiosità degli Elfi, Signore» mormorò «Mi distruggerà!»

«Si sta comportando in maniera oscena e maleducata» borbottò Thorin in risposta «Du bekâr, mia stella.»

Gimli sorrise, e poi si raddrizzò e lasciò cadere i suoi pantaloni, anche se come promesso il perizoma era ancora al suo posto. Si voltò, e fece un passo verso le vasche. «Qual'è che ha l'acqua calda?»

«Quella» disse Aragorn, indicando pigramente, prima di immergersi sott'acqua e giacere come se stesse fluttuando nella felicità pura.

Infine a Thorin fu concessa piena vista dei tatuaggi sulle scapole di Gimli, e fece un passo indietro per lo stupore. Lì, inchiostrato nella pelle pallida di Gimli sopra le creste e le protuberanze di quella robusta spina dorsale Nanica, era il simbolo che aveva adornato i suoi fermagli e le sue armi, quello che suo padre aveva intagliato quando lui era nato. Ai lati del suo simbolo, quelli di Fíli e Kíli decoravano ogni scapola, come se lo stessero affiancando come sempre avevano fatto in vita, Fíli a destra, Kíli a sinistra. I marchi di lutto di Gimli erano della Battaglia delle Cinque Armate.

«Ursuruh inùdoy kurdulu» singhiozzò, e Bifur sussurrò un'imprecazione e gli si avvicinò.

«Zabadel» disse piano «È stato ben fatto da parte sua.»

«Dovrebbe avere marchi per Óin, per Balin» disse Thorin, una pietra incastrata nel suo petto e una nella sua gola «Non me. Non per me.»

Gimli fece un pausa nel muoversi verso il suo bagno, le gambe robuste piantate sul pavimento. «Aye, per te» mormorò, e lasciò che i suoi capelli infuocati gli ricadessero sul volto «La tua perdita mi ferì profondamente, Signore, e mi serviva un marchio per portare sempre la tua memoria. Ne sei sorpreso?»

«Parli ancora con la tua famiglia?» sussurrò Legolas. Gimli lo guardò, e poi obbligò i suoi occhi a spostarsi avanti nuovamente, arrampicandosi nella vasca (che era un po' troppo alta perché lui ci riuscisse aggraziatamente).

«Aye» rispose, mantenendo fermamente gli occhi lontani dall'Elfo «Il mio signore trova i miei marchi siano una sorpresa. Uno di essi è per lui, vedi.»

Legolas si piegò in avanti ancora, i suoi occhi che brillavano. «Quale?»

«Quello al centro» disse Gimli e diede nuovamente le spalle a Legolas.

«Qual'è il problema nel guardarmi?» disse Legolas dopo un istante. C'era una nota ferita nel suo tono. «Sono tanto brutto ai tuoi occhi?»

Gimli fece una pausa, e poi sospirò. Facendo una coppa con le grandi mani, si lasciò cadere dell'acqua sulla lunga cascata di rame dei suoi capelli e poi li spostò indietro. «No, Legolas» disse con voce che rombò piano nell'aria calda «No, non lo sei. Gli Elfi sono le creature più belle, senza dubbio lo sai già! Semplicemente non si fa fra i Nani. Siamo una razza piena di segreti, e la nostra gelosia si estende a molte cose.»

Legolas chinò la testa, e la sua voce tremò leggermente quando disse: «Quindi mi trovi bello?»

Gimli esitò. Poi ghignò. «Bello quanto qualsiasi cavallo di Rohan!»

Legolas scosse la testa, sorridendo amaramente. «Senza dubbio molti a Rohan pensano che sia un gran complimento, ma so di non doverlo intendere così da un Nano» disse. Poi i suoi occhi si strinsero fissando Gimli. «Sei più magro di quanto pensassi, amico mio.»

Gimli si strofinò forte la testa, e poi sbuffò di nuovo. «Si chiama armatura, ragazzo. Noi non scherziamo su certe cose.»

Legolas chinò il volto, e iniziò a farsi cadere dell'acqua sul torso. Agli occhi Thorin lui sembrava non finito: troppo lungo, troppo pallido, completamente privo di peli e stranamente allungato. «Mi aspetto dunque che sia un'altra delle antiche menzogne» si disse, e l'espressione dei suoi occhi era una che Thorin non riusciva a riconoscere.

«Discutete come un paio di uccelli petulanti. Per favore, amici miei, non fatemi pregare per un po' di pace» disse Aragorn, il volto che galleggiava sopra al pelo dell'acqua e gli occhi chiusi. Il suo viso era, per una volta, riposato.

Legolas e Gimli incrociarono gli occhi dell'altro, e ridendo piano, si misero comodi nelle loro vasche in confortevole silenzio.


«No, no, no! Io non sarò spedita ai livelli più alti come qualche apprendista incapace con a malapena qualche pelo sulle guance!» Bomfrís picchiò i piedi e incenerì l'Elfo.

«Dovremmo essere in grado di coordinare le ondate» disse Laerophen freddamente «Il tuo rifiuto è infantile, e mostra un pessimo temperamento.»

«Pessimo temperamento!» esplose lei, e Thrór si massaggiò la base del naso.

«Tutto ciò è ridicolo» borbottò Dís dal suo posto ai margini della sala del consiglio «Riescono a malapena a stare nella stessa stanza. Lei si arrabbia troppo facilmente, e lui è troppo arrogante.»

Dáin fece spallucce filosoficamente. «Beh, lui è un Elfo.»

«Lady Bomfrís» disse l'Elminpietra in tono supplichevole «Nessuno desidera allontanarti dalla lotta. Le tue abilità sono molto rispettate. Anzi, è per questo che Lord Laerophen suggerisce di mettere te e i tuoi arcieri migliori nelle posizioni più difficili...»

«Difficili, puah!» disse lei, scuotendo la testa rossa. Si girò verso il principe e gli colpì lo sterno con un dito. «Ho tirato da ogni finestra di Erebor, e ti dico che i livelli più bassi sono i più difficili. La visuale è peggiore, l'angolo complicato, il vento ulula attorno ai parapetti inferiori! Ti servono dei bravi arcieri lì, non sopra! Qualsiasi idiota può mandare una freccia in un esercito da là sopra, ma ci vorrà bravura per non mandare la tua freccia dritta nei parapetti dai livelli inferiori. Perché non mi ascolti, altezza? Sei diventato tanto Elfico ora?»

L'Elminpietra si raddrizzò, il suo collo taurino rosso e la barba che tremava. «Come osi...» iniziò.

«Va bene, basta così» disse Dáin stancamente «Bomfrís, avrai anche ragione, ma non ti fai nessun amico con quel tono. Per un momento di ho quasi scambiato per una Durin.»

Lei si incupì, prima di fare in piccolo inchino molto, molto rigido. «Vostra altezza» disse con voce di ghiaccio.

«Parlerò con Bombur» disse Dís, strofinandosi la barba grigia e sospirando «Ancora non capisco come due Nani tranquilli come lui e Alrís abbiano prodotto un tale barile di polvere esplosiva.»

«Non sapremo mai perché» fu d'accordo Dáin, guardando la giovane Nana che se andava furibonda «Non è abituata ad avere intorno altra gente, questo è certo. Ha passato troppo tempo da sola.»

«Forse è questo» disse Dís, e si alzò. Stava iniziando a muoversi più lentamente, e spezzava il cuore di Thrór vederla così.

«Mi scuso se ho offeso la dama» disse Laerophen, anche se la sua voce era arrogante e non vi erano scuse nei suoi occhi.

«Lord Laerophen» iniziò Dáin, ma fu interrotto.

«Ascoltala!» sibilò l'Elminpietra all'Elfo, il volto teso e arrabbiato «Ha ragione. Questa è casa nostra, e lei la conosce tutta. Ricordarlo prima di disprezzarla, creatura arrogante, o non sarò responsabile delle mie azioni!»

Poi diede al consiglio di guerra uno sguardo furioso, prima di andarsene dietro a Bomfrís.

«Però!» disse Dís a bocca aperta.

Dáin sorrise dietro alla sua mano. «Ah, è completamente perso per lei, e lei non riesce a vederlo. Non fateci caso.»

«Non per quello» disse lei, e deglutì «Lui... lui mi ha appena ricordato qualcuno, ecco tutto. Non avrei mai pensato che ne fosse capace.»

I vecchi occhi blu erano perspicaci e compassionevoli quando Dáin guardò sua cugina e Primo Consigliere. «Aye, senza dubbio. Non scordartelo, anche mio figlio è un Thorin.»

«Non l'ho mai fatto» disse lei, prima di andarsene a sua volta.

Thrór guardò dal furioso, teso Elfo al vecchio Re, soli nella stanza tranne che per la figura silenziosa di Orla alla porta. «Bene» disse Dáin allegramente «Ora che tutti i giovani emotivi se ne sono andati, che ne diresti di un bicchiere di vino?»

Laerophen guardò accigliato Dáin per un momento, prima di sedersi improvvisamente. «Per favore. Per favore.»

Thrór ridacchiò, e annuì in direzione di Dáin. «Ben fatto, Re Sotto la Montagna» mormorò, prima che i suono di voci alzate in corridoio catturasse la sua attenzione. Curioso, lasciò i due e seguì le urla fino a trovare Bomfrís e l'Elminpietra in un corridoio laterale.

«...permetterlo!» stava dicendo Bomfrís, i denti serrati «Non sarò una nobile né talentuosa quanto mia sorella, ma sono il comandante degli arcieri di Erebor. Dovrei essere ascoltata!»

«Sono d'accordo» sibilò l'Elminpietra, e allungò la mano e le prese la manica «Bom... Lady Bomfrís, sono d'accordo. Ho urlato contro di loro appena hai lasciato la stanza! Senza dubbio mio padre avrà delle parole da dirmi, ma non potevo lasciare che...»

«Hai cercato di difendere quell'Elfo!» ringhiò lei «Cosa dovrei credere: quello che ho visto con i miei occhi e udito con le mie orecchie, o quello che ora dici?»

L'Elminpietra lasciò andare il suo polso e si passò le mani fra i capelli. «Entrambe le cose!» disse, e fece un suono di estrema frustrazione «Entrambe sono vere, Bom... Lady Bomfrís, non ti mentirei mai, mai!»

«Smettile di chiamarmi così!» urlò lei «Non sono una Lady! Sono solo Bomfrís – solo l'arciera Bomfrís figlia di Alrís, prole di un cuoco e di una conciatrice!»

«Ti chiamerei sempre Bomfrís, se potessi» esclamò l'Elminpietra, e poi sobbalzò e cercò di fissare la propria bocca in orrore.

Lei lo fissò a bocca spalancata. Thrór privatamente pensò fosse un'espressione per nulla attraente.

«Bomfrís» disse l'Elminpietra senza speranza, e poi gemette e si voltò «Mi dispiace. Mi dispiace per qualsiasi cosa io abbia detto o fatto per causarti offesa. Preferirei tirarmi una freccia nel piede che...»

«Zitto» disse lei debolmente. Poi le sue dita si allungarono per toccare quelle di lui, i calli delle frecce scivolarono sul dorso della mano di lui. «Solo... solo sta zitto per un secondo, va bene?»

La bocca di Thorin Elminpietra si chiuse con uno schiocco, e lui guardò Bomfrís figlia di Alrís come se fosse un milione di Archepietre.

«Quand'è successo?» si disse lei assentemente, e poi il suo volto sbiancò «Ma... Ma tu sei il Principe Ereditario!»

Lui deglutì, e annuì.

«Io...» disse lei, e si morse il labbro. La sua lunga treccia si stava disfacendo nel punto dove girava attorno al suo collo. «Ma – ma io sono solo Bomfrís. Tu sarai il Re!»

L'Elminpietra chiuse gli occhi. «Non per un bel po', spero» disse bruscamente, e lei si portò una mano sulla bocca.

«Tuo padre» disse con voce debole, e lui annuì lentamente.

«Bomfrís» disse ancora lui, come se quel nome fosse la risposta a una domanda che si era chiesto per tutta la vita. Poi si guardò i piedi e fece un gran sospiro. «Bomfrís, io sono il Principe Ereditario, sì. Mio padre è il Re, e io un giorno dovrò seguirlo... ma sono anche Thorin.»

Le dita di lei stavano tremando, e lei mimò con le labbra il nome sotto di esse. Poi alzò gli occhi sul volto di lui e disse: «Thorin.»

L'Elminpietra guardò su, la speranza brillava nei suoi occhi come stelle.

Thrór sorrise gentilmente e teneramente, e ripensò al giorno meraviglioso nel quale una Nana bellissima e irritabile gli aveva scagliato dei fermagli d'argento in testa.

In quel momento un grande urlo venne dalle guardie, e Thrór si voltò. Il suo cuore stava iniziando a martellare. Di certo gli eserciti di Sauron non li avevano ancora raggiunti. Era troppo presto, troppo presto! C'era ancora molto da fare. Non erano pronti!

Seguì i due giovani Nani attraverso i tunnel verso i bastioni. Dwalin figlio di Fundin aveva tirato fuori il vecchio Corno di Farin, e lo stava suonando con tutte le sue forze.

«Guardate!» disse Dori, quasi danzando sul posto. Prese in braccio uno dei giovani figli di Dwalin e se lo mise sulle spalle. «Vedete laggiù, tra l'erba! Vedete chi è finalmente tornato?»

Thrór guardò giù nella luce dorata del pomeriggio. Dietro di lui, risuonò un'esclamazione di gioia, e si voltò per vedere Mizim figlia di Ilga che piangeva di gioia.

«Guarda, mia amata figlia» singhiozzò, e strinse forte Gimrís «Guarda, Gimizhîth, mio piccolo selvaggio tesoro! È Glóin. Tuo nonno è finalmente tornato a casa!»

Dwalin si sbracciò dalla piattaforma più alta, e la piccola figura in movimento salutò a sua volta. «Ti sei preso tutto il tempo!» ruggì.

«Beh, c'è un'intera maledetta foresta tra qui e Granburrone, per non parlare delle dannate Montagna Nebbiose!» urlò Glóin di rimando, e Mizim rise e pianse allo stesso tempo nell'udire di nuovo la voce di suo marito, le braccia strette attorno a Gimizh. Il bambino si stava dibattendo e urlava tanto che avrebbe potuto far cadere la Montagna. «Però, ho trovato un altra caverna Troll, e c'è un bel deposito d'argento vicino alla Carroccia che penso dovrebbe essere controllato per bene prima o poi.»

«Non cambia mai» singhiozzò Mizim, sorridendo da un orecchio all'altro «Oh, mio caro vecchio orso!»

Gimrís aveva la faccia sepolta nella spalla di Bofur, ma annuì entusiasticamente anche così. Bofur la strinse fra le braccia, sorridendo. «Va tutto bene, mio rubino» disse gentilmente, e le accarezzò la schiena «Va tutto bene.»

«Non dire “va tutto bene” a me, dolce idiota incappellato» borbottò lei, e le sue braccia gli si avvolsero attorno e lo strinsero.

«Nonno!» strillò Gimizh, e il suono attraversò l'aria assieme alle grandi note del Corno di Farin «Nonno è tornato!»


«Oh no» disse Fíli con labbra asciutte rese intorpidite dal terrore «Oh, Mahal misericordioso, no.»

«Tesssoro...»

TBC...

Note

Parte del dialogo è preso dal capitolo “Il Re del Palazzo d'Oro” e dal film.

Sì, era una scena di un bagno ;)

Farin era l'antenato paterno in comune fra Balin & Dwalin e Óin & Glóin.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventitré ***


Frerin stava aspettando in camera di Thorin quando lui tornò, le braccia incrociate e un broncio feroce sul suo giovane volto. Thorin fece una pausa aprendo la porta e vedendo suo fratello minore. Poi sospirò e si strofinò la faccia con la mano, spettinandosi la barba sotto il palmo.

«Ciao, nadad» disse.

«Thorin» lo salutò seccamente Frerin. Poi alzò le sopracciglia. «Stai bene?»

«Sono stanco» ammise Thorin, e si sedette sul letto e si tirò indietro i capelli. Le sue braccia erano molli e pesanti. «È stata una lunga giornata.»

«Guardando tutte quelle cose che a quanto pare io sono troppo giovane per vedere» disse Frerin piuttosto taglientemente, le labbra strette in una linea sottile.

Thorin alzò lo sguardo. «Mi dispiace se ti ho ferito, ma non potevo permettere...»

«Thorin, anche se io fossi davvero l'adolescente che ero quando sono morto, ero abbastanza vecchio per combattere una guerra» gli fece notare Frerin, facendo passare un po' del suo dolore sul suo volto. Nonostante le sue parole, Frerin sembrava più giovane che mai, e così aperto, così libero emotivamente che Thorin si sentì male per tutti i potrebbe-essere-stato. Frerin alzò il mento, gli occhi blu che brillavano. «Penso di essere abbastanza grande per decidere cosa posso e non posso vedere.»

Vero. «Scusami» disse Thorin ancora, e allargò le braccia «È... un istinto per me. Devo sempre proteggerti, non importa da cosa. Sei il mio nadadith

«Lo so, lo so» borbottò Frerin, ma si sedette accanto a Thorin e gli permise di circondargli con un braccio le spalle molto più piccole «Non avrei guardato quello stupido Elfo in ogni caso. Volevo vedere se Aragorn aveva dei tatuaggi. Ne aveva?»

«No» disse Thorin «Gli Uomini dell'Ovest non hanno questa tradizione, anche se mi sembra di ricordare che gli Haradrim lo impararono dai Nerachiave e dai Barbedure secoli or sono. Non ricordo dove l'ho letto.»

«Probabilmente in uno dei vecchi libri di etichetta di Balin»

«Probabilmente» Thorin strinse le spalle di Frerin, e poi guardò il volto di Frerin. Suo fratello non sembrava più tanto irritato, e un'aria pensierosa gli era strisciata sul volto. «Cercherò di controllare i miei impulsi quando ci sei tu di mezzo, ma non posso prometterti di riuscire a contenerli completamente.»

«Questa è la risposta più onesta che io abbia sentito da te da molto tempo» rispose Frerin con rassegnazione «Grazie, suppongo.»

«Ora, torniamo a te» Frerin si girò nel cerchio del braccio di Thorin e lo fissò con occhi seri «Parlami.»

Il primo istinto di Thorin fu di parare, di scegliere un tono irritato e ignorare la domanda, o rispondere che stava parlando con Frerin. Ma quella non era una risposta, e suo fratello si meritava di meglio da lui. Sospirò di nuovo, e la sua mano libera si strinse sul suo ginocchio. «È... difficile» disse lentamente «Ovunque mi giri, ovunque guardi, c'è qualcosa che mi riporti il ricordo della mia follia. So come si sentono Padre e Nonno, ora. È qualcosa di orribile ricordare come si era diventati.»

Frerin non rispose, ma rimase seduto e ascoltò. I suoi occhi blu non offrivano alcun giudizio, e ciò diede a Thorin coraggio.

«Io...» Thorin deglutì «Quel tempo, quella follia – ero io. Non importa come tu la interpreti, Frerin, il Nano crudele e maligno e pieno d'orgoglio ero sempre io. Posso ricordare di tenere il mio Hobbit sospeso sui bastioni e scuoterlo fino a che i suoi denti tremarono. Ricordo di aver gettato via ogni speranza di pace nella mia arroganza. Nessun sacrificio era troppo e nessuna parola troppo dura. Sapevo senza ombra di dubbio che le mie azioni erano giuste. Pensavo che tutto ciò che servisse fosse la volontà di metterle in atto.»

Fissò il camino nel qual nessun fuoco bruciava. «Che idiota che fui.»

«Non dare tutta la colpa a te stesso» disse Frerin piano «Io guardai tutto, ricordi? Nessuno si comportò in maniera perfetta. Nessuno. Tu ti offristi di negoziare, ma Bard non avrebbe ascoltato le tue preoccupazioni per la nostra storia e eredità. Ignorò le tue domande senza rispondervi. Il Re Elfico non avrebbe fatto spostare le sue armi e i suoi soldati. Persino il tuo Bilbo non si coprì esattamente di gloria – quando prese per la prima volta l'Archepietra voleva tenersela, non scambiarla per comprare la pace. La voleva anche se sapeva cosa significava per i Nani di Erebor. Lo sapeva. Non fosti l'unico a comportarsi da idiota, Thorin. C'è abbastanza colpa per tutti – senza nemmeno contare quel maledetto drago.»

«Lo capisco, è solo-» Thorin si interruppe, e la sua mascella si strinse. Frerin gli si fece più vicino, premendo il suo corpo più piccolo contro il fianco di Thorin e appoggiandogli la testa dorata sulla spalla. «È difficile» disse Thorin infine.

«Ci scommetto» disse Frerin, e mise una mano sul braccio di Thorin «Parlamene?»

«Vorrei essermi sentito diverso, in qualche modo» disse Thorin con voce esitante, le parole raspanti e basse nella sua gola «Ma non fu così. Mi sentivo me stesso, come avevo sempre fatto. Ero io, e solo dopo che la pazzia svanì compresi quanto fosse insidiosa, quanto mi fosse strisciata alle spalle senza che io me ne accorgessi. Siamo sempre stati in guardia contro le debolezze della nostra linea. Io vidi cosa fece al Nonno: come un grande e potente Re che aveva costruito un tale splendore e sicurezza fu ridotto a fissare il suo tesoro giorno e notte, poco più di un mendicante che afferrava un gioiello anche mentre il drago uccideva sua moglie. Conoscevo i pericoli e credetti di esserne al di sopra.»

Frerin aspettò pazientemente che Thorin continuasse, dandogli il tempo e lo spazio di riprendere controllo di sé.

«Ma è un veleno lento, non uno veloce» disse, e si studiò le mani per non incontrare lo sguardo di Frerin. Aveva guadagnato nuovi segni dal processo di tempratura delle penne di Bilbo, e c'era una bruciatura brillante sul suo pollice, che oscurava le spirali della sua impronta. «Striscia dentro di te finché non è una parte di te, e tu non sai nemmeno che è lì. Non puoi combatterla con spade né parole. Vidi nemici attorno a me, ma non capii mai che il vero nemico ero io.»

«No, Thorin» sussurrò Frerin, e Thorin scosse la testa bruscamente. Suo fratello si interruppe, ma poteva percepire la sua riluttanza. A Thorin ci volle qualche altro momento per trovare le sue seguenti dolorose parole, e la sua gola cercò di deglutirle molte volte prima di riuscire infine a pronunciarle.

«Odio essere stato così debole» raspò infine «Odio essere caduto. Più di ogni altra cosa, odio essere stato io, che una tale follia possa entrarmi dentro senza che io me ne renda contro... fino al giorno in cui mi ritrovo ad alzare la mano contro...» si interruppe e lasciò ricadere la testa. Il suo petto gli faceva male.

Frerin strinse il braccio di Thorin. «Non vedi l'intero quadro, fratello» disse contro la sua spalla «Sei sempre stato il tipo da boccale mezzo vuoto.»

Thorin sorrise, anche se era senza allegria. «Non vedo come questo boccale possa mai essere riempito, fratello.»

«Vedi cosa intendo?» Frerin lo spinse, e vedendo la miseria di Thorin si afflosciò un poco e smise di cercare di essere allegro «No, intendo che non guardi a tutto nel suo insieme. Il mondo non è bianco e nero; non è tutto o niente. Stai facendo tanta attenzione alle parti più nere che stai ignorando del tutto il resto.»

Thorin alzò la testa. «Il resto?»

Frerin gli strinse il braccio di nuovo, bruscamente questa volta. «Quindi. La maledizione della nostra linea ti ha preso e ti ha fatto comportare come tanti altri prima di noi. Pensi quindi che nostro padre sia debole? Anche lui è impazzito.»

Thorin quasi si gettò via suo fratello di dosso. «Come osi! Nostro padre è stato torturato fino alla follia da Sauron in persona!»

«E Nonno?» insistette Frerin «Era lui debole, dunque? Anche la sua era la follia dell'oro, dopotutto.»

«Nostro nonno costruì il regno più ricco e stabile di Arda in soli cent'anni! Non avevamo visto un Re simile da millenni!» Thorin si alzò per metà dal letto, la voce che diventava più forte e più stridente.

Frerin ghignò.

Thorin si bloccò, il sangue ancora caldo, prima di guardar storto Frerin e scompigliargli i capelli. «Sì, ho capito.»

Il ghigno di Frerin non svanì. «Quindi, cosa diresti se ti raccontassi di un Nano che costruì una vita prosperosa per il suo popolo in esilio, combatté e sconfisse i nemici della sua stirpe, protesse la nostra eredità e la nostra storia da coloro che le vedevano solo come ricchezze senza significato, riguadagnò una delle nostre case ancestrali e combatté coraggiosamente in guerre amare per un'altra, e fece partire una missione senza speranza con solo altri dodici Nani e uno Hobbit contro un drago?»

«Ti direi che suona come un bastardo arrogante» borbottò Thorin, prima di sedersi di nuovo e riportare a sé Frerin «Capisco cosa stai cercando di fare, Frerin. Madre mi disse qualcosa di simile, come te. Non sono tanto cieco in questi giorni e vedo che la mia vita non fu sprecata. È solo... no, non puoi capire. Non puoi capire la vergogna della follia, di sapere che tu sei impazzito. È una macchia che non sarà mai pulita. Mi fai sembrare tanto forte, e io so di non esserlo. Posso riconoscere la mia debolezza, ora che è troppo, troppo tardi.»

«Sciocchezze» disse Frerin, e la sua voce stava diventando frustrata «Sono sciocchezze. Sei una delle persone più forti che io conosca. In quanti modi diversi devo dirti che non è stata colpa tua!»

Thorin lo guardò, in silenzio.

Frerin iniziò a contare sulle dita, la giovane voce calda e arrabbiata. «Uno: l'oro stesso. A parte la debolezza della nostra linea, hai dimenticato l'altro nome? Malattia del drago. Smaug rese la nostra eredità il suo letto, Thorin – ti meraviglia che ipnotizzò tutti nella tua compagnia, metà degli Uomini di Pontelagolungo e chissà quanti Elfi? Due: l'assedio. Tu volevi negoziare, ma – comprensibilmente – volevi che gli scopa-alberi se ne andassero. Non lo fecero. Tre: Bard non rispose a una sola delle tue domande! Non abbassarono nemmeno le loro armi – un intero esercito contro quattordici, e sapevano che il dannato drago era morto. Non c'era ragione di venire armati. Quattro -»

«Basta» disse Thorin, con voce rotta «Ho sentito tutto questo molte volte. Frerin, non cambia il fatto che io era pazzo. Ero pazzo. Non posso nemmeno promettere si non soccombere mai più; che la debolezza non tornerà in me, persino in questo mondo pacifico e privo di mutazioni.»

Frerin fischiò. «Debole! Thorin, sto per colpirti. Nasconderlo, pensare che sia una vergogna – ecco cosa ti ferisce, ogni volta. Non tratteresti così una ferita fisica. Ti prendi cura di quelle, come Fundin ci ha insegnato, attentamente e nel modo giusto. Ma questo? Lo spingi via e non ammetti mai che sia parte di te, e quindi quando appare qualcosa che ti ricorda di quel tempo, ti ferisce facilmente. La tua reazione a Boromir, a Théoden, la tua faccia tutte le volte che qualcuno parla di Bilbo, il tuo rifiuto di toccare mai più oro o argento: ti smangia e ti rende più arrabbiato e triste che mai. Ma Thorin, devi imparare a conviverci. Puoi farlo. Sei forte, e so che puoi.»

«Come?» chiese Thorin debolmente «Non voglio accettare che la follia dell'oro sia mai stata parte di me, quindi perché lo farei mai?»

«Avrebbe potuto prendere me, sai» disse Frerin diretto «Prese ogni Nano della tua Compagnia. Parlagli. Parla a Nonno e a Padre. Puoi viverci, Thorin. Devi solo imparare come.»

«E le mie male azioni?» Thorin chinò la testa, lasciando che i capelli li ricadessero davanti al volto «Dovrei vivere anche con quelle?»

«Tutti gli altri lo fanno» disse Frerin, e la sua piccola mano si alzò con esitazione e mise una ciocca dei capelli di Thorin dietro al suo orecchio. Poi tirò piano una delle trecce di Thorin. «Aver sbagliato non ti rende una cattiva persona. Tutti sono un misto dei due, e nessuno è completamente buono o completamente cattivo. Tutti fanno errori, nadad.»

«Per lungo tempo io non ebbi quel lusso» disse Thorin, basso e pensieroso.

«Sì, sì, lo so. Lo vidi. Dovesti essere perfetto e più forte delle ossa della terra» Frerin gli diede una pacca goffa sul volto, e poi le sue labbra si incurvarono in un ghigno, contraendo le guance piene di trecce. «Sarebbe così terribile fare errori e essere imperfetto come il resto di noi?»

Thorin fece un lungo respiro, e stranamente di sentì più leggero. «Suppongo di no. Quando sei diventato tanto saggio, fratellino?»

«Prego? Sono sempre stato quello intelligente. Non ti ricordi? “Oh no, Thorin, non dovremmo mettere della cagliata nel letto dell'ambasciatore dei Colli Ferrosi!” “Thorin, Dís ci ucciderà se usiamo la sua spazzola preferita per grattar via la cera caduta dai tappeti!” “Oh ti prego, Thorin, non sfidare i figli di Fundin a una gara del bere, sono famosi per avere le gambe vuote-” ah!»

Frerin squittì quando Thorin si piegò e afferrò suo fratello più piccolo di forza, bloccandolo con una presa intorno al collo e strofinando le nocche sui suoi capelli dorati. «Tho-RIN!» strillò, e Thorin rise «No vale, non vale, non vale! Solo perché sei più grosso...!»

Thorin si allontanò. «Ti dà tanto fastidio? Ancora?»

Frerin si soffiò i capelli via dagli occhi e sbuffò. «A volte» ammise «Vorrei aver potuto crescere. Sono stanco di essere il più piccolo.»

«Se io devo imparare a conviverci» disse Thorin, e picchiò un dito sulla fronte di Frerin «Puoi farlo anche tu. Sei sempre mio fratello, Frerin. Anche se fossi piccolo come uno Hobbit o alto come un Elfo.»

«Suppongo» mugugnò, e poi guardò male Thorin «Sei ancora un enorme prepotente.»

«Sono stato informato da fonti sicure che nessuno è perfetto» disse Thorin «anche se se tu lo dicessi a qualcuno dovrei ucciderti.»

Frerin ridacchiò. «Oh, Thorin. Pensi ci sia qualcuno che non lo sappia già?»


Fíli desiderò ferventemente le sue spade; tutta la pelle del suo collo prudeva per il sudore. La creatura era tutta arti come un ragno e magra quanto un ramo di betulla, ma poteva percepire la malizia della cosa.

«Svegliatevi» sussurrò agli Hobbit «Svegliatevi!»

Frodo e Sam erano avvolti insieme nei loro mantelli Elfici ed erano difficili da vedere al buio, anche per un Nano. Però, Fíli aveva visto i due enormi occhi pallidi che esaminavano i buchi e i crepacci degli Emyn Muil. Che occhi! Chi poteva sapere quanto bene vedesse la creatura dopo tutti quegli anni da solo nell'oscurità?

«Ah, sss!» sussurrò, e Fíli rabbrividì «Cauto, tesoro mio! Più fretta meno velocità. Dove ssei? Dove ssei: tessoro mio, mio tessoro? È nosstro, lo è. Ladri, ladri, sporchi piccoli ladri! Maledetti! Li odiamo!»

«Svegliatevi!» pregò Fíli, e strinse i denti.

La creatura stava strisciando diretta giù dal dirupo come una grossa pallida cosa simile a un insetto, le sue mani morbide e i suoi piedi trovavano appigli tra le rocce affilate come rasoi. Era quasi su di loro. In qualsiasi secondo ormai.

Con un improvviso movimento, Sam fu in piedi con le mani alzate, e con un paio di balzi fu sopra a Gollum. Però scoprì che Gollum era un po' più di ciò che si aspettava, anche preso di sorpresa e con la guardia abbassata. La creatura morse e soffiò e sputò, avvolgendogli le lunghe braccia e gambe attorno, morbide ma orribilmente forti. Le lunghe magre dita si strinsero attorno al collo di Sam e iniziarono a strizzare inesorabilmente. Sam diede una testata all'indietro, e Fíli esultò quando Gollum cadde, soffiando di nuovo. Sam scattò in piedi e si lanciò, facendo volare i pugni.

«Così si fa!» urlò Fíli.

Il vantaggio di Sam non durò a lungo. Gollum saltò di nuovo verso di lui, imprecando e ringhiando e afferrando, una luce terrificante negli enormi occhi pallidi. Sam sbiancò, ma le mani erano su di lui, e i due rotolarono e lottarono fra le rocce. La creatura era feroce e scivolosa come un'anguilla, e il povero Hobbit era completamente fuori dal suo elemento. Le cose si sarebbero messe male per il giardiniere se improvvisamente una piccola lama scintillante non avesse brillato alla luce della luna.

Il volto sporco di Frodo era severo. «Lascialo!» disse «Questa è Pungolo. L'hai veduta altre volte. Molla la presa, o questa volta ne proverai la lama – Gollum.»

Le mani della creatura di alzarono lentamente, le lunghe dita lasciarono la gola di Sam. Poi l'odio sulla sua faccia iniziò a frantumarsi fino a diventare totale disperazione, ed esso pianse come un bambino.

Sam si alzò per andare accanto a Frodo, massaggiandosi il collo. «Bene» ansimò «bene, abbiamo un bella opportunità qui, direi. Leghiamolo e lasciamolo qui!»

«Ma così ci uccideresti, ci uccideresti» urlò Gollum, e poi singhiozzo e deglutì forte con la gola «Crudeli piccoli Hobbit. Legarci nelle terre fredde e gelate e lasciarci soli, gollum!»

«No» disse Frodo, e Fíli batté le palpebre e si girò sorpreso verso lo Hobbit. C'era una nota fredda e signorile nella voce dello Hobbit che non vi aveva mai sentito prima. «Se decidiamo di ucciderlo, dobbiamo farlo immediatamente. Ma una tale azione non possiamo farla così come stanno le cose. Povero disgraziato! Non ci ha fatto alcun male.»

«Ah no?» borbottò Sam, ispezionandosi un morso sul braccio «Comunque ne aveva l'intenzione e scommetto che ce l'abbia ancora. Strangolarci nel sonno, ecco il suo programma.»

«Senz'alcun dubbio» disse Frodo, Pungolo ancora al livello della faccia di Gollum «Però non lo uccideremo. Ora che lo vedo, mi fa pietà.»

Sam fissò Frodo. «No» disse categoricamente.

Gollum alzò la testa, e la speranza aveva iniziato a strisciargli sulla faccia. Lo faceva sembrare meno orrendo e malvagio. Qualcosa di innocente e a lungo rimasto in silenzio iniziò a suonare nella sua voce quando disse: «sì, sì, siamo disgraziati, tesoro – disgraziati e soli! Miseri, miseri! Gli Hobbit non ci uccideranno, cari Hobbit. Noi siamo gentili se loro sono gentili! Andremo con loro, sì. Li guideremo al buio per i sentieri sicuri, sì, sì» poi la sua rugosa testa macchiata dall'età si inclinò «E dov'è che vanno attraverso queste terre fredde gelide, ci domandiamo?»

Frodo lo guardò severamente. «Lo sai dove andiamo, o comunque hai indovinato giusto. Andiamo a Mordor – e tu conosci la strada.»

«Sss!» disse Gollum, e si rannicchiò, coprendosi le orecchie con le mani come se il nome stesso lo ferisse «Indovinato, sì, indovinato» sussurrò «e non volevamo che andassero, vero? No tesoro, no cari piccoli Hobbit. Cenere, cenere e polvere, e sete troverete; e pozzi, pozzi, pozzi, e Orchi, migliaia di Orchi. Cari Hobbit non devono andare in quei – sss – posti.»

«Però a Mordor io devo andarci» disse Frodo, e si raddrizzò «Sam, la tua corda.»

Gollum rimase in silenzio mentre Sam gli faceva passare la corda Elfica sulla testa. L'istante che toccò la sua pelle però, esso iniziò a ululare e strillare, un sottile suono straziato, orribile a sentirsi. Si contorse e cercò di mordere la corda, e strillò e ululò ancora. «Qual'è il problema con te!» esplose infine Sam «Perdinci! Tutti gli Orchi di Mordor sentiranno questo chiasso!»

«Ci brucia!» gemette Gollum, e artigliò il terreno «Ghiaccia, morde! Gli Elfi l'hanno fatta, maledetti! Cattivi crudeli Hobbit! Amici degli Elfi, degli Elfi feroci dagli occhi luminosi. Toglietecela! Fa male!»

«No, non le toglierò» disse Frodo «A meno che-» si interruppe improvvisamente, e un'espressione strana gli passò sul viso mentre pensava.

Fíli si accigliò. «Qualcosa di strano ti sta accadendo, Frodo Baggins» borbottò «Ma che Mahal mi salvi, non sono abbastanza saggio per capire cosa sia. Sento l'odore delle mani di Gandalf su tutto questo.»

Frodo fissò Gollum seriamente, i suoi occhi blu duri e luminosi. A Fíli tornarono improvvisamente alla mente ricordi di Thorin nei suoi umori più regali, e concesse che forse Kíli non aveva tutti i torti per quanto riguardasse la loro somiglianza (a volte) – non che l'avrebbe mai ammesso. «Non c'è promessa che tu faccia di cui io mi fidi» disse alla disgraziata cosa.

«Giuriamo di fare ciò che vorrà, sì» gracchiò Gollum, e le sue dita artigliarono la terra e la corda.

«Giureresti?» disse Frodo, alzando le sopracciglia.

Gollum guardò su, e una strana luce selvaggia era nella sua faccia. «Giuriamo di servire il padrone del Tesoro» disse, e afferrò la gamba dei pantaloni di Frodo «Lo giuriamo sul... sul Tesoro!»

«Sul Tesoro?» disse Frodo, piano e minaccioso «Come osi! Pensaci! Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.»

Gollum balbettò e si contorse, le mani sulla faccia. Però annuì. «Sul Tesoro, sul Tesoro» sussurrò.

«Padron Frodo – no!» disse Sam, scuotendo la testa urgentemente.

«Shhh, Sam» disse Frodo, lanciando un breve sguardo al giardiniere prima di girarsi nuovamente verso il contorto miserabile ai suoi piedi «Affideresti a ciò la tua promessa? Ti costringerà a rispettarla. Ma è più infido di te. Potrebbe travisare le tue parole. Attento!»

A Fíli si mozzò il respiro per l'improvviso potere nella voce di Frodo e per la verità nelle sue parole. «Decisamente cose da Stregoni» si disse, e si grattò i baffi intrecciati «Forse Thorin o Thráin ne sapranno qualcosa.»

Gollum frignò, ma continuò a ripetere: «sul Tesoro, sul Tesoro!»

«E cosa prometteresti?»

«Di essere tanto, tanto buono» disse Gollum, strisciando fino ai piedi di Frodo e guardandolo. Un brivido attraversò Fíli, e le sue labbra si arricciarono per il disgusto. «Giuriamo che mai, mai Lui lo avrà. Mai! Lo salveremo. Ma dobbiamo giurare sul Tesoro.»

«Su di esso?» la risata di Frodo fu cupa «No. Giura in nome di esso, se vuoi. Conosco quel trucco. Tutto ciò che desideri è di vederlo, di toccarlo se possibile. Ora formula la tua promessa!»

«Promettiamo, sì!» strillò Gollum, e si aggrappò alla gamba di Frodo «Promettiamo di servire il Padrone del Tesoro. Buon padrone, buoni Hobbit, gollum, gollum!» iniziò a piangere e ululare, tirando di nuovo la corda.

«Sam, levagliela» ordinò in fretta Frodo.

«Non mi fido di lui» protestò Sam, e Fíli era d'accordo con lui «Ci attaccherà o scapperà, appena ne avrà la possibilità. Leghiamolo e lasciamolo, promessa o no.»

«No, non posso rompere la parola che gli ho dato» disse Frodo, e sorrise un sorriso distante e assente vuoto di ogni calore «Nel bene o nel male, siamo legati ora con legami più forti di qualunque corda Elfica.»

«Se lo dite voi, Padron Frodo» disse Sam, e con riluttanza levò la corda dalla testa di Gollum.

«Andiamo a Mordor, Gollum, e tu ci porterai lì» disse Frodo, guardandolo negli occhi «Ci porterai al Nero Cancello.»

La creatura sedette, stupefatta, per un istante. Poi, rapida come un fulmine, sparì.

«Cosa vi avevo detto?» disse Sam disgustato «Avreste dovuto sapere che quella creatura non avrebbe mantenuto le promesse. Però per ora ce ne siamo liberati.»

Frodo guardò le taglienti scogliere di roccia che li circondavano, e sospirò.

«Bilbo sarebbe orgoglioso» disse Fíli allo Hobbit. Poi arricciò il naso. «Thorin ti tirerebbe un coppino e ti chiamerebbe un giovane idiota senza cervello.»

«Sì, come dici, ce ne siamo liberati» disse Frodo sospirando di nuovo «Usciamo da questo burrone, intanto.»

In quel momento, la calva, rugosa testa fece capolino da dietro un masso. «Non da quella parte, Hobbit!» disse Gollum allegramente. I suoi pochi denti neri risaltarono nel suo sorriso. «Non da quella parte. Seguiteci, noi sappiamo la strada. Noi l'abbiamo trovato, noi. Gli Orchi non lo usano. Gli Orchi non lo conoscono! Fanno un giro lungo decine di miglia! Fortunati che vi abbiamo trovato, sì. Seguiteci!»

Frodo diede a Sam uno sguardo che diceva tutto, e iniziò ad arrampicarsi lungo i massi dove Gollum chiamava e ghignava. Il bastardo era completamente cambiato nel momento in cui la corda gli era stata tolta. Parlava con molti meno sibili e guaiti, e parlava direttamente agli Hobbit e non al suo tesoro. Sobbalzava e indietreggiava per i movimenti bruschi, scappando spesso e nascondendosi; ma era amichevole e dolorosamente deciso a far piacere, facendo capriole e ridendo se Frodo anche solo lo guardava gentilmente. Fíli ne provava repulsione, ma allo stesso tempo uno strana tristezza gli riempì il petto e gli fece fare una pausa.

«Che genere di creatura eri tu, che sei caduto tanto e tanto a lungo» mormorò, studiando la cosa: i segni delle fruste sulla sua schiena, le ossa sporgenti.

Sam lanciò alla creatura un'occhiata sospettosa quando gli passò accanto, e Fíli sentì una certa unità di spirito col coraggioso piccolo giardiniere. «Siamo in due» disse ferventemente.

«Bel Hobbit» disse Gollum, accovacciandosi e sorridendo. Sam si sistemò le padelle in spalla e scosse la testa.

«Lo rimpiangeremo, ci scommetto» disse sottovoce «È sicuro come il fatto che le uova siano uova!»

«Samwise Gamgee, ti nomino Nano onorario per estrema praticità e preveggenza» borbottò Fíli, e si rassegnò ad arrampicarsi ancora mentre la luna lentamente scivolava via dal cielo, sparendo dietro di loro mentre loro avanzavano con esitazione verso est.


Il mattino dopo, Thorin si svegliò lentamente e rimase sdraiato sul suo letto per qualche momento, fissando il soffitto e lasciando vagare la mente.

«Sì, ammetterò le mie debolezze, amore mio» mormorò infine, e sorrise al movimento di ricci fulvi e al piccolo nasale che salutò la sua frase nella sua immaginazione «Ma non lascerò che mi controllino. Non devo più essere la personificazione di tutto ciò che perdemmo. Potrò essere semplicemente me, come non mi è stato permesso per tutti questi anni, e scoprirò di essere molte cose sia buone che cattive insieme. Forse alcune di esse potrebbero persino stupirti, mio intelligente ladro.»

Le sopracciglia del suo Bilbo immaginario si alzarono, e poi le labbra si incurvarono e le guance sbarbate formarono un ghigno. «Sì, come come tu sorprendesti me. Chiamala la mia vendetta» Thorin rise, e disse addio ai ricordi del suo Hobbit per la giornata, sedendosi sul bordo del letto e stiracchiandosi.

Qualcuno bussò alla sua porta. «Thorin, sei sveglio?» giunse la voce di sua madre.

«Sì» rispose lui, e si levò la tunica che usava per dormire, grattandosi lo stomaco.

Frís entrò, e poi espirò bruscamente tra i denti. «A volte mi dimentico, e a volte tu prendi e fai cose del genere» disse, gesticolando in direzione del suo torso «Penso la colpa sia di quella tua barba tosata: è troppo facile per me vederti come eri un tempo. Abbi pietà della tua povera madre e vestiti prima che io mi senta antica.»

Lui sorrise e si mise una maglia, lasciando aperto il collo e facendosi passare una mano fra i capelli. «Sarai sempre giovane e bellissima, madre, perfino se i tuoi capelli diventassero bianchi. Cosa succede?»

Lei lo guardò, socchiudendo gli occhi. «Bene, siamo di buon umore? È successo qualcosa, non è vero inùdoy?»

Lui scrollò le spalle. «Dovremmo trarne vantaggio finché persisterà. Dove sono i miei nipoti? Sento il bisogno di terrorizzarli a morte.»

Lei coprì una risata con la mano. «Aye, sarebbe divertente» fu d'accordo, e gli accarezzò i capelli affettuosamente «Non ti ho visto così allegro da quando eri giovane, mio inflessibile nuvolone temporalesco. Spero non sia una cosa passeggera.»

«Meglio non tentare il fato. Siamo Longobarbi, dopotutto» lui sorrise ancora, appoggiandosi alla mano di lei «Dunque, cosa ti porta qui?»

Lei sospirò, allontanando da lui i suoi occhi blu. «Abbiamo un nuovo rapporto» disse, e le sue dita separarono metà dei capelli di lui e iniziarono a fare una treccia da lavoratore che lui ricordava da molo tempo prima: confusionari giochi infantili e cibo nei suoi capelli e nella sua barba e Frerin che rideva a bocca piena «Fíli è tornato dal suo turno, e porta... notizie inquietanti. Temo che il tuo buon umore non durerà a lungo.»

«Vediamo» disse lui, e mise delicatamente la sua mano su quella di lei, fermando il suo intrecciare «Dimmi.»

Lei sospirò di nuovo, e lo guardò. «Frodo e Sam hanno trovato una guida per uscire dagli Emyn Muil» disse, le parole che le uscivano con riluttanza «Hanno trovato e messo al loro servizio Gollum, e tuttora esso li guida verso Morannon.»

Le dita di Thorin si strinsero su quelle di lei. «Gollum.»

«Sì» disse lei, e scosse la testa «Sembra che gli sia stato fatto giurare sull'Anello.»

«È l'Anello del Potere, e ogni parola detta in suo nome sarà un obbligo» disse lui, accigliato. Lei fece un suono indistinto di protesta.

«Ora, questa è esattamente l'espressione che speravo di evitare» si lamentò, e la sua mano andò ad accarezzare le linee sulla fronte di Thorin «Oh, mio caro. Mi dispiace.»

«Non è colpa tua» disse lui distrattamente, ancora accigliato. Gollum – la piccola, pericolosa bestia traditrice che Bilbo aveva battuto con intelligenza sotto alle caverne Goblin. Una creatura contorta fatta impazzire dal desiderio dell'Anello. Una cosa antica piena di malvagità e disgrazia. «Gandalf vorrebbe che noi avessimo pietà di lui» borbottò, e lasciò la mano di Frís. Lei esitò, e poi ricominciò a pettinargli l'altro lato della testa.

«Da ciò che mi dice Fíli, si merita pietà» disse piano «Sembra che Gollum non sia del tutto maligno. L'Anello non può distruggere tutta la bontà, solo seppellirla.»

Gli occhi di Thorin si alzarono di scatto, e lui studiò attentamente sua madre. Lei sembrò non notarlo, continuando a pettinargli i capelli con aria preoccupata. «Hai parlato con Frerin?» disse lui sospettosamente.

«No» rispose lei, legandogli i capelli con un laccio di pelle e lisciandogli le ciocche sulle tempie che brillavano, bianche e spettinate, in mezzo al nero «Dovrei? Cos'ha fatto ora quella piccola peste?»

«Non chiamarlo così» disse lui istantaneamente, e poi fece una smorfia quando gli occhi di sua madre, penetranti e acuti, scavarono nei suoi «Intendo dire...»

«Ah» disse lei sottovoce, e poi per sua sorpresa avvolse quanto più poteva di lui in un abbraccio «Bene» disse contro il suo petto, e lui alzò le braccia per abbracciarla a sua volta, confuso e perso «Bene.»

«Cosa? Cosa è bene?» chiese lui, e lei rise e diede un colpetto affettuoso al suo petto.

«Solo una madre orgogliosa dei suoi ragazzi. Ecco tutto» disse, e gli sorrise «Ti sei ripreso dalle nuove di Gollum più in fretta di quanto non mi sarei aspettata.»

«Non credo di averle ancora realizzate appieno» disse lui, e lei alzò gli occhi al cielo.

«Non fare l'innocente con me, figlio mio» disse, e gli tirò piano un orecchio «Qualcosa è cambiato, e in meglio. Parla con Fíli dopo. Potrebbe servirgli un po' di rassicurazione.»

«Ora è a letto?» disse Thorin, e una scintilla di preoccupazione per il suo nipote più vecchio, così leale e coraggioso, gli colpì il cuore.

«Sì, il suo turno è finito all'alba. Kíli fa la guardia ora. Meglio che ti sbrighi, inùdoy. Il tuo turno inizia tra meno di un'ora.»

Thorin ingoiò un'imprecazione (avrebbe avuto l'unico risultato di fargli tirare l'orecchio di nuovo) e iniziò ad allacciarsi la maglia. «Ci sono altre novità?» disse, di nuovo pratico.

«Glóin è arrivato ad Erebor» disse Frís, sedendosi sullo sgabello vicino al tavolo. Iniziò a riordinare distrattamente la confusione su di esso: sistemò le spazzole in fila, rimise i fermagli per capelli nella loro scatola in legno con intagli di campanule e peonie.

«Era ora» sbuffò lui, infilandosi un paio di pantaloni e cercando gli stivali. Ne trovò uno sotto al letto, e si sedette per infilarselo. «E quanti depositi remunerativi ha trovato nel suo viaggio?»

«Circa tre, dice tuo nonno, ma senza dubbio sta tenendo segreto il migliore» disse lei, e sorrise.

«Ah-ha. Altro?»

«Il tuo omonimo ha trovato la sua Uno in maniera piuttosto drammatica» Frís prese un martello dal suo tavolo e alzò un sopracciglio «Questo non deve stare nelle stanza da letto, mio giovane Principe.»

«Non sono più né giovane né Principe ormai» ripose lui, e lei mosse il martello in sua direzione.

«Forse, ma sono ancora abbastanza alta per raggiungere il tuo orecchio, ragazzo mio. Gli attrezzi devono stare in forgia, non nelle stanze per dormire»

Lui sbuffò e bloccò un'altra imprecazione. «Sì, 'amad.»

Lei sembrava divertita. «Oh, dev'essere un tale sforzo per te.»

«Sono felice che tu te ne renda conto» disse lui piuttosto altezzosamente, e notò il suo altro stivale dietro la porta. Poi batté le palpebre. «Aspetta. Piccolo Thorin ha solo trentasette anni. Non è che un bambino!»

Lei rise, e rimise il martello sul tavolo con un leggero click. «Il tuo altro omonimo, caro. Il nostro modesto Principe Ereditario ha trovato il coraggio di dichiararsi all'oggetto dei suoi sentimenti, e quella giovane Nana particolarmente irritabile ha finalmente capito perché litiga sempre con lui.»

«Era ora, in questo caso» disse lui, e si alzò «Meglio se vado a colazione. C'è dell'altro?»

«No» disse lei «Anche se tua nonna ha molto da dire sul inefficienza degli Elfi in generale. Non è per nulla impressionata dai preparativi fatti a Granburrone, e non capisce niente di importante a Lothlórien. Conosci altri Nani che parlino Elfico?»

Lui fece una pausa, tenendo la porta aperta così che lei potesse uscire prima di lui. «Forse Gróin potrebbe» disse, pensandoci «Era stato fondamentale quando si trattava di mantenere la pace fra la Montagna e il Bosco nei giorni del nonno.»

«Ah, ricordi bene» disse lei, e fece strada verso la grande sala da pranzo «Chiederò. Povero Ori: se cambiamo ancora i suoi orari, ho paura che strillerà abbastanza forte da far cadere le Sale.»

«Nori ci aveva avvisato di non irritarlo» disse Thorin, e sorrise.

Lei lo guardò. «Bene» disse ancora, una luce oscura e orgogliosa nei suoi occhi. Poi gli baciò la guancia e lasciò che lui andasse a far colazione.

I sussurri e gli sguardi che gli arrivavano da tutti gli altri Nani riuniti erano diventati normali ormai, e Thorin non lasciò che essi lo disturbassero mentre andava verso dove suo fratello, suo cugino e suo padre erano seduti. «Dov'è nonno?» chiese.

«Dorme» grugnì Thráin «Ha osservato a lungo ieri notte.»

«Mio fratello è a casa» disse Óin orgogliosamente «La celebrazione si meritava di essere osservata.»

«Ci credo» disse Thorin «Conosco la tua famiglia, dopotutto!»

«Dovrebbe essere un insulto?» Óin alzò le sopracciglia, e poi fece un “pah!” sprezzante tra i denti «Patetico, mio Re.»

«Aye, il tuo patetico Re» sbuffò Thorin «Fammi il piacere di spostarti, mio patetico Guaritore, o ti ritroverai a indossare quel porridge e non a mangiarlo.»

Frerin si strozzò con una cucchiaiata, e poi guardò Thorin con occhi luminosi «Bene» disse.

«Me lo stanno dicendo tutti stamane» borbottò Thorin, allungandosi per prendere un piatto. Riempiendolo, guardò suo padre. «Cosa osservi oggi?»

«Sono di nuovo a Erebor» rispose lui, e si tirò cupamente la grande barba «Da quanto ho sentito, è una pentola di emozioni in ebollizione in questo momento.»

«Divertiti, 'adad» disse Frerin, ghignando «Rohan inizia a piacermi sempre di più.»

«Vuoi solo vedere quella dama bianca» lo accusò Óin «Ho sentito te e Ori che ne parlavate.»

«Beh, e anche se fosse?» disse Frerin, e tirò su col naso e piegò la testa per concentrarsi di nuovo sul suo porridge.

Thorin si morse l'interno della guancia, e poi si girò verso Óin. «Sei con noi stamattina, o sbaglio?»

«Aye, e speriamo non ci sia nessun maledetto correre» borbottò.

Nori li incontrò fuori dalla Camera di Sansûkhul. Annuì in saluto e poi guardò Thorin attentamente. «Va tutto bene, capo?» chiese.

Thorin si sedette, facendo spazio a Frerin senza pensarci. «Sì?»

«Eh» disse Nori, e si grattò un sopracciglio intrecciato «Bene.»

Thorin trattenne un urlo di frustrazione. «Perché tutti me lo dicono stamattina?» borbottò.

«È la mancanza di sguardo temporalesco, fratello» disse Frerin, mentre le stelle si alzarono dal Gimlîn-zâram per danzare i loro lenti passi ipnotizzanti davanti ai loro occhi «Tutti si stanno chiedendo se Mahal ti abbia scambiato con un altro Nano mentre eravamo girati. Tranne me, ovviamente, io so tutto» aggiunse con soddisfazione.

Thorin sbuffò, e piantò le dita in un punto del fianco di Frerin che ricordava essere particolarmente sensibile. Il guaito di Frerin lo seguì nella luce stellare.

Quando la luce svanì, Thorin era in piedi nel grande spazio intagliato del Palazzo d'Oro. Si voltò più e più volte, prima di trovare un tavolo basso in un angolo. Legolas e Gimli erano seduti a un'estremità. Pane e carne erano davanti a loro su un piatto, e Gimli si stava servendo abbondantemente (anche se ciò necessitava che lui si alzasse in piedi sulla sua sedia ogni tanto). L'Elfo sembrava piuttosto a disagio per la carne, e stava mordicchiando senza convinzione il pane. Aragorn stava camminando per la stanza, la mano sull'elsa della sua spada. All'altra estremità del tavolo erano due bambini, che mangiavano voracemente. Éowyn era inginocchiata accanto a loro.

«Piano» disse dolcemente «Non troppo in fretta, o starete male. Ce n'è in abbondanza.»

«Bambini» disse Thorin senza emozioni «I bambini di chi, e da dove arrivano?»

«Sono Rohirrim, decisamente» disse Óin, studiandoli «Guarda i loro capelli e i loro vestiti.»

Éowyn si alzò, e vi era una furia a malapena contenuta nella sua voce quando disse: «è stato all'improvviso. Erano disarmati. Ora i Bradi attraversano l'Ovestfalda bruciando qualsiasi cosa. Fieno, capanne e alberi.»

«Bradi?» ripeté Frerin, confuso.

«Saruman» sussurrò Thorin «Questa è l'azione più vile. Attaccare dei bambini!»

«Forse Uomini e Stregoni non hanno i nostri stessi sentimenti in certe cose» suggerì Nori, ma Thorin scosse la testa.

«Ricordi come Boromir parlava della sua città? No, anche gli Uomini amano i loro bambini. E uno Stregone dovrebbe comportarsi in maniera migliore»

«Ti dimentichi quanto strani sono alcuni Stregoni» borbottò Óin.

La bambina guardò su. «Dov'è la mamma?» disse, e Éowyn le accarezzò i capelli, tranquillizzandola dolcemente.

«Questo è solo un assaggio del terrore che Saruman scatenerà» giunse la voce profonda di Gandalf, e loro si voltarono per trovare lo Stregone seduto accanto al trono intagliato di Théoden «Sarà sempre più spietato perché ora è spinto dalla paura di Sauron. Monta a cavallo e affrontalo. Allontanalo dalle donne e dai bambini. Devi combattere!»

Théoden gli diede un lungo sguardo, e il dolore combatté con la determinazione nel suo volto. Thorin ricordò improvvisamente che l'Uomo aveva appena perso suo figlio. «Ah, si trova sempre tanto dolore» sospirò.

Frerin si avvicinò. «Aye, sempre» ripeté «ma c'è ancora speranza, nadad.»

«Non per Théodred, non ce n'è» disse Thorin «Per lui, ogni speranza è perduta.»

«Chi sa dove vanno gli Uomini dopo aver perso il filo della loro vita?» disse Frerin, aprendo le mani «Chi sa cosa Arda ricreata porterà agli altri di stirpi mortali?»

«Possiamo lasciare le domande filosofiche fino a dopo aver mangiato?» borbottò Gimli, e la bocca di Thorin si contrasse.

«Baknd ghelekh, mia stella» disse, e Gimli ghignò.

«Baknd ghelekh, melhekhel» rispose, facendogli un brindisi con un pezzo di pane alzato.

«Cosa stai dicendo, Signor Nano?» chiese il bambino a occhi spalancati.

«Ah, sto salutando il giorno nella mia lingua, giovane signore» disse Gimli, sorridendo al ragazzo «Come diresti tu buongiorno nella tua?»

Il ragazzino batté le palpebre e poi divenne timido per l'improvvisa attenzione, guardando giù il proprio piatto. «Lo hai spaventato, Gimli» disse serenamente «Questa gente non ha mai visto prima un Nano, soprattutto non uno con modi così terribili.»

«I miei modi sono perfettamente rispettabili, grazie tante» disse Gimli piuttosto rigidamente «Non di certo come i tuoi, Elfo svergognato. Ora, ragazzo e giovane ragazzina, non voglio spaventarvi. Prometto che non vi farò del male.»

Il ragazzino lo guardò, il volto perso e sopraffatto. Thorin improvvisamente vide un ragazzo lanciato negli affari di grandi signori e strani popoli, a cui era stato detto di prendersi cura di sua sorella e a cui mancava disperatamente sua madre. «Piccolo coraggioso» mormorò «Nahùba nidoy.»

«Mi piace la tua barba» disse forte la bambina, e Gimli rise.

«Grazie molte, giovane signorina. È invero una barba molto bella, ed è l'invidia si tutti gli Elfi. Anzi, direi quasi che il motivo per cui questo qui sembra sempre così amareggiato è perché desidera avere una sua barba così bella. La tua gente, dal canto proprio, ha delle barbe non male: le migliori che ho visto tra gli Uomini, in ogni caso. I tuoi capelli, ora – quello è un colore molto apprezzato tra la mia gente! Saresti decisamente una giovane bellezza, signorina.»

Lei rise. «Non sono una signorina. Sono Freda.»

«Ah, non puoi prendere in giro un Nano. Tu sei una signorina, Signorina Freda» ribatté Gimli, sorridendo «E tuo fratello qui è il Signor...?»

«Éothain» borbottò il ragazzino, e guardò su con esitazione e un sorriso gli tirò le labbra in risposta al ghigno di Gimli.

«Come hai fatto a diventare tanto bravo coi bambini, mellon nín?» mormorò Legolas.

«Ricorda, mio nipote ha solo venticinque anni, e non può essere molto più vecchio del nostro Signor Éothain qui» disse Gimli, facendo l'occhiolino al ragazzo.

Freda rise di nuovo. «Venticinque è un uomo grande e grosso!»

«Non per un Nano, no» le disse Gimli «Venticinque è un ragazzino, con la testa rossa e selvatico e pieno di birboneria e immaginazione. Direi che Gimizh sarà alto quasi quanto te, Signorina Freda, anche se di certo non ha capelli belli quanto i tuoi.»

Le sopracciglia di Éothain si aggrottarono. «Che nome strano.»

«I Nani sono un popolo molto, molto strano» gli disse Legolas solennemente. Éothain fissò l'Elfo, e poi sorrise di nuovo.

«Mi piacete tutti e due» annunciò «anche se siete strani» e con questo tornò al suo pasto, aiutando sua sorella a tagliare la carne.

«Sono dei fantastici giovani Nanetti» disse Óin tristemente «Come potrebbe qualcuno essere tanto crudele da prendergli la loro casa e la loro famiglia?»

«Bambini» corresse Nori, camminando lentamente verso gli arazzi per ispezionarli con occhio critico.

«Ah, avete capito cosa intendo»

Théoden si alzò, e il suo volto era risoluto. «Saranno a trecento leghe da qui ormai. Éomer non può più aiutarci. Lo so cosa vuoi da me, ma non arrecherò ulteriore morte al mio popolo. Non rischierò una guerra aperta.»

Aragorn fece una pausa e si girò verso di lui. «Questa è una situazione diversa da ieri, Re Théoden. La guerra aperta incombe, che tu la rischi o no.»

La bocca di Théoden si strinse, e lui guardò il Ramingo severamente «Se ricordo bene» disse con fredda dignità «Théoden, non Aragorn, è il Re di Rohan.»

Gimli guardò su verso e scambiò uno sguardo con Legolas. «Non sta andando bene» borbottò. L'Elfo annuì lentamente, i suoi occhi luminosi scattavano tra il Re e lo Stregone.

«Allora qual'è la decisione del Re?» chiese Gandalf rigidamente.


«Il Fosso di Helm!» sputò Gandalf, marciando per i corridoi oscuri; le ombre di travi di legno creavano forme strane sul suo volto.

«Fuggono sulle montagne quando dovrebbero farsi avanti e combattere» borbottò Gimli, seguendo pesantemente lo Stregone furibondo. Accanto a lui, Legolas camminava con passo quasi privo di rumore e Aragorn marciava con grande falcate dall'altro lato. Thorin e la sua guardia fantasma seguivano, vicini come il pensiero. «Chi li difenderà, se non il loro Re?»

Aragorn fece una smorfia. «Fa solo ciò che ritiene meglio per la sua gente. Il Fosso di Helm li ha salvati in passato.»

«Non c'è via di scampo da quella gola» disse Gandalf furiosamente, allontanando col bastone un'orda di servitori che cercarono di salutarli alla loro entrata nelle ricche stalle. Un solo sguardo al volto dello Stregone, e fuggivano tutti. «Théoden si dirige verso una trappola. È convinto di guidarli verso alla salvezza, ma stanno andando incontro a un massacro.»

«Non dovresti accantonare le sue paure» disse Thorin, e gli occhi di Gandalf incrociarono i suoi. Il volto dello Stregone era ancora arrabbiato, ma si addolcì mentre Thorin continuava a dire: «Gandalf. Tu temi la venuta e la caduta di grandi poteri e regni, ma lui teme più per altri bambini come quelli nella sala, orfani e bisognosi. Potrà non scegliere saggiamente, ma sceglie con l'amore che ha per loro.»

Gandalf sospirò lentamente, e annuì impercettibilmente. «Forse hai ragione, Thorin Scudodiquercia, ma non deve per forza piacermi» borbottò.

«Ora capisci come mi sono sentito in ogni nostra conversazione mentre andavamo ad Erebor» replicò Thorin.

Gimli tossì e guardò il soffitto, le sue guance sospettosamente rosse.

Gandalf parve trattenere a malapena un commento tagliente. «Théoden ha una volontà forte, ma temo per lui. Temo per la sopravvivenza di Rohan» diede uno sguardo esasperato a Thorin prima di girarsi verso Aragorn «Egli avrà bisogno di te prima della fine, Aragorn. La gente di Rohan avrà bisogno di te.»

Aragorn parve profondamente turbato, gli occhi adombrati e il respiro veloce. Gandalf gli si avvicinò e incrociò gli occhi dell'Uomo. «Le difese devono reggere» disse fermamente.

«Reggeranno» rispose Aragorn, la voce bassa ma certa.

La bianca luminosa forma di Ombromanto era nella stalla seguente, e il cavallo nitrì quando Gandalf si avvicinò. «Il Grigio Pellegrino. Così mi chiamavano» mormorò lo Stregone, accarezzando il collo orgoglioso e arcuato «Per trecento vite degli Uomini ho vagato su questa terra, e ora non ho tempo. Se ho fortuna, la mia ricerca non sarà vana.»

Aragorn si fece da parte mentre Gandalf montava, e Gimli aprì la stalla mentre Legolas spalancava le porte. «Attendi il mio arrivo, alla prima luce del quinto giorno. All'alba, guarda a est» disse Gandalf. Poi si piegò in avanti sul collo di Ombromanto per sussurrare nel suo orecchio, e con un gran nitrito che scosse le stalle, il poderoso cavallo partì e galoppò fuori dalla stalla e nelle strade di Edoras, alzando la polvere con gli zoccoli.

«Ora parte il Cavaliere Bianco, e che possa trovare speranza e riportarla a noi» disse Aragorn, e chinò il capo e andò a toccare il gioiello che portava attorno al collo.

«Rallegrati, ragazzo» disse Gimli, dandogli di gomito «Hai ancora due amici leali accanto a te, e ti ascolteremo anche se i Re non lo fanno.»

Aragorn sorrise. «È davvero una gran consolazione.»

«Hodo hí, Aragorn» disse Legolas, e mise una mano dalle ossa sottili sulla spalla dell'Uomo. «Andiamo. Torniamo da Théoden e vediamo cosa possiamo fare di utile. Quantomeno Gimli potrà fare da balia.»

«Perché mai...!» Gimli si gonfiò in indignazione, e poi iniziò a ridere «Elfo ridicolo. Suppongo di meritarmelo per quel commento sulle barbe di prima.»

Legolas gli sorrise. «Com'è che dici tu? Ah, “Khazâd ai-mênu”

Gimli sbuffò sonoramente, ridendo ancora. «Quel tuo accento è tremendo!»

«Ebbene, non ho fatto gargarismi con della ghiaia a colazione secondo le tradizioni Naniche, quindi perdonami!» il sorriso di Legolas si allargò quando Gimli fece un offeso suono di protesta.

«Ghiaia!» disse «Morditi la lingua!» poi fece un largo sorriso «Sono un Durin dopotutto, e non sarò trovato a fare gargarismi con niente meno prezioso di smeraldi, ragazzo mio, e farai bene a ricordartelo!»

Legolas lanciò indietro la testa, e gli stallieri si fermarono mentre il suono argentino delle risa Elfiche attraversò l'aria.

Óin gemette, facendosi cadere la testa fra le mani. «Non riuscirò mai più a guardare in faccia Balin» si lamentò. Frerin gli diede un pacca sulla spalla per consolarlo.

Aragorn guardò la coppia ridente, e poi per la confusione di Thorin gemette piano. «Sì, torniamo dentro» disse con voce più alta, facendo strada «Con altra gente intorno a noi. Sì.»

«Oh grazie a Mahal non sono l'unico che l'ha notato» borbottò Nori, e fu immediatamente alle calcagna di Aragorn. Tenne fermamente gli occhi lontani da Gimli e Legolas, e la sua schiena era rigida.

«Cosa sta succedendo?» sussurrò Frerin.

«Non ne ho idea» disse Óin, guardando storto suo nipote «Scommetto i miei fermagli nuovi che ha a che fare con Nani idioti che spargono segreti come in autunno un albero sparge le foglie.»

«Accetterò la scommessa» giunse la voce di Nori.

Ciò fece alzare le sopracciglia di Thorin. «Quindi non ha a che fare coi nostri segreti» disse «Uhm.»

«Penso lo scopriremo quando sarà ora» disse Frerin, storcendo il naso «A volte penso Nori sia misterioso solo per tenersi in allenamento.»

«Segreto professionale!» urlò Nori, lontano dalla loro vista.

«Andiamo» disse Thorin, allontanando i misteri dalla propria mente. Come aveva detto Frerin, sarebbero presto venuti alla luce.

Théoden stava dando ordini quando Gimli e Legolas si riunirono ad Aragorn nella sala principale di Meduseld. Il Re era in piedi davanti alla pedana, gesticolando con la mano mentre disponeva che i vagoni di viveri, di legna da ardere e di armi fossero mandati avanti verso l'antica fortezza nascosta nelle montagne.

Infine si fermò a alzò le mani. «Cavalchiamo all'alba» disse, e annuì in segno di riconoscenza all'urlo di “Re Théoden!” che salutò la sua frase.

Éowyn si fece avanti portando del vino, e lo passò a suo zio con occhi luminosi. «Ferthu Théoden hál!» disse «Ricevi ora questa coppa e bevi in questa ora felice. Che la salute ti accompagni e allieti la tua partenza e il tuo ritorno!»

«Éowyn, figlia di mia sorella» disse dolcemente, prima di baciarle la fronte e accettare il calice, bevendo a gran sorsi.

Poi lei la porse ad Aragorn, fermandosi improvvisamente e guardandolo con una strana, lontana luce negli occhi – per metà desiderio, per metà risentimento. «Salute, Aragorn figlio di Arathorn!» disse. Lui guardò il suo bel volto e le sorrise assentemente, e quando la sua mano prese la coppa le loro dita si toccarono, e lei tremò.

«Salute, Dama di Rohan» disse educatamente, e bevve.

«Oh, sarà doloroso» predisse Nori «Aragorn ha quell'Elfa a Granburrone, e questa Dama è orgogliosa.»

«Egli non può nascondere chi è» mormorò Thorin «E lei lo percepisce.»

«Una dama simile si merita più di un amore senza speranza» disse Frerin con calore, e Thorin guardò suo fratello con sorpresa.

«Non credo sia amore» disse infine «Penso invece che lei vorrebbe essere Aragorn, non amarlo. Lei vede un signore degli Uomini leggendario e nobile, con la libertà del Ramingo e la fama del guerriero, discendente dai più grandi eroi mai esistiti. Ella non riesce a vedere tutte le maniere in cui lui è intrappolato quanto lei.»

Frerin storse il naso, e sospirò. «Suppongo. Ma lo stesso, lei si merita di meglio.»

Thorin lasciò che la sua mente vagasse a opportunità mancate e cieca ignoranza, a un amore sventato e destinato alla rovina, separato e scisso da tempo e morte. «Tutti meritiamo di meglio, fratello.»

Gli occhi di Frerin andarono a lui, e si appoggiò contro Thorin in conforto.

«Ai miei ospiti offro ciò che potrebbe servirgli della mia armeria» annunciò Théoden «Che vi servano bene.»

Aragorn inclinò la testa educatamente, anche se Gimli sembrava dubbioso. «Dubito di trovare qualsiasi cotta di maglia migliore di quella che indosso, forgiata dal mio grande antenato nella Montagna molto tempo fa» borbottò.

Théoden apparentemente lo udì, e sorrise. «L'arte dei Nani è ben conosciuta, Mastro Gimli. Però forse c'è qualcosa che io ti possa offrire.»

«Uno scudo, forse» disse Gimli dopo un istante «Io non ne ho uno.»

«Sarà fatto, allora. Spero non ti offenda, ma l'unico scudo che abbiamo adatto alla tua taglia fu fatto per me ai tempi di Thengel, quando ero ancora un ragazzo, e porta il nostro emblema di un cavallo bianco che corre su campo verde.»

Gimli si inchinò, e Thorin venne nuovamente sorpreso da quanto cortese e abile con le parole la sua stella potesse essere. «Sono fiero, Signore del Mark, di portare il tuo stemma» disse nella sua voce profonda «E preferirei comunque portare un cavallo che non montarne uno! Mi sento più a mio agio sui miei piedi. Ma forse giungerò in un luogo dove poter combattere con le mie gambe ben piantate a terra.»

«Quel giorno indubbiamente di avvicina» disse Théoden, e sorrise di nuovo ma stavolta senza allegria.

«Signore, gli ordini sono stati dati» disse Gamling, avvicinandosi e colpendosi il petto con il pugno.

«Bene» annuì Théoden «Dunque preparatevi. Alle prime luci dell'alba – cavalchiamo verso il Fosso di Helm!»

TBC...

Note:

Parte del dialogo è presa dal film e dai capitoli “Smeagol domato” e “Il Re del Palazzo d'Oro”

Malattia del drago: è canon, da “Lo Hobbit”. È anche canon che Bilbo all'inizio avesse preso l'Archepietra con intenzioni non proprio altruistiche, e che Bard non rispose a nessuna della preoccupazioni legittime dei Nani. In linea di massima, l'assedio di Erebor è stato un enorme orrendo disastro.

Campanule – umiltà

Peonie – vergogna, vita felice, matrimonio felice (Thorin sta correndo un po' qui)

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventiquattro ***



Incontra una Nana

Genna figlia di Gorta

Genna era una Nana formosa e vivace con capelli rosso acceso, una risata contagiosa e un grande amore per il cibo e per la cucina. Il suo lavoro era intagliare il legno, ma in realtà non lo trovava minimamente interessante. La sua vera passione era far ridere gli altri. Divenne risaputo che se Genna stava passando del tempo al mercato o in taverna, allora ogni Nano nelle Ered Luin sarebbe dovuto andare lì ad ascoltare le sue storie. Genna sapeva trasformare la tragedia più tremenda in una storia dal tagliente umorismo.

Infine lei trovò la sua metà, un Nano dai capelli scuri e la faccia birbante di nome Bomfur. Era un robusto Vastifascio che si guadagnava da vivere come minatore. Bomfur era anche conosciuto per le sue storielle divertenti, e la coppia iniziò una competizione informale per le taverne di Ered Luin, durante la quale finirono con l'innamorarsi e il solo vincitore fu il loro pubblico. La coppia visse tutta la loro vita in allegria ma in terribile povertà, riuscendo a racimolare appena abbastanza per tenere insieme l'anima e la pelle. Ebbero due figli, Bofur e Bombur, e Genna passò loro il suo amore per le battute e le storielle, le sue abilità nell'intagliare il legno, e il suo insaziabile amore per il cibo. Ella sopravvisse a suo marito di quasi cinquant'anni e morì nel sonno nelle Ered Luin, ancora in totale povertà e ancora scherzando.

Genna di FlukeOfFate


La notte passò in fretta, e Thorin si svegliò vedendo la sua porta mezza aperta e che iniziava a chiudersi. Un lampo di capelli dorati rivelò chi fosse venuto a trovarlo. «Frerin, è decisamente troppo presto» grugnì, la voce bassa e rasposa per il sonno.

La porta si bloccò, e poi si aprì per rivelare Fíli con un sorriso tirato sulle labbra. Sotto agli occhi aveva profondi segni scuri, e le sue trecce normalmente raffinate e impeccabili erano spettinate. Una di quelle dei baffi si era quasi sciolta. «L'altro biondo, temo.»

Thorin si sedette di scatto. «Unday, stai bene?»

Fíli spostò il peso da un piede all'altro, a disagio. La sua mano libera corse tra i suoi capelli disordinati, l'altra ancora stretta sulla porta. «Io...» disse, e poi entrò e si chiuse dietro la porta «Scusami» disse, e cercò di reprimere uno sbadiglio «Volevo solo vedere se stavi...»

«Sono sveglio ora» disse Thorin, e cercò di non sbadigliare a sua volta. Gli sbadigli dei suoi nipoti erano sempre stati contagiosi. Aveva reso la vita piuttosto difficile quando da piccoli si rifiutavano di andare a letto. «Vieni, siediti. Sembri stanco.»

«Lo sono» disse Fíli, e per poco non inciampò nei propri piedi attraversando la stanza per lasciarsi cadere accanto ai piedi di Thorin alla fine del letto.

Thorin si piegò in avanti e si mise i gomiti sulle ginocchia. «Fíli.»

Fíli sorrise di nuovo, ma era quasi una smorfia. «È dura fare la guardia quando si è solo in due. Facciamo a turno. Sto iniziando a dimenticarmi che aspetto abbia Kee.»

Thorin si accigliò. «Non va bene, namadul. Ti serve qualcun altro che vi aiuti. Non voglio che voi due finiate come me nel vostro zelo. Ricordi cosa mi successe quando mi spinsi oltre ai miei limiti?»

La bocca di Fíli si incurvò, e la treccia sui suoi baffi si sciolse un pochino di più. «Sai, prima? Io non credevo tu avessi dei limiti.»

«Oh, Fíli, mio bahyrur akhûnîth. È gentile da parte tua, ma è sbagliato» Thorin scosse la testa, e le sue trecce gli scivolarono sulle spalle. Tirò via un fermaglio da una, e poi fece segno a Fíli di sedersi contro le gambe di Thorin. «Vieni qui.»

Fíli andò, senza proteste e obbediente come sempre, e il cuore di Thorin spinse dolorosamente contro i suoi polmoni gonfiandosi. I suoi nipoti erano sempre stati così leali. Il giovane Nano piegò la testa e sospirò quando Thorin iniziò a pettinare con le dita la confusione sulla sua testa dorata. Gli ricordava silenziose, gelide notti passate nella povertà di Ered Luin: il piccolo corpo di Fíli premuto contro il suo petto, che si addormentava lentamente mentre Thorin gli pettinava i capelli. «Sembri un covone» mormorò.

Fíli grugnì, e poi sospirò di nuovo, la tensione scivolò via dalle sue spalle. «E tu sembri un cane da pastore» mugugnò, e Thorin sorrise alla casuale mancanza di rispetto.

«Così. Rilassati» disse Thorin con tutta le gentilezza che possedeva. Era difficile, ora che i ricordi gli erano tornati alla mente, non tirarsi vicino Fíli e stringerlo come aveva fatto un tempo. Fíli aveva sempre avuto la pazienza per un abbraccio affettuoso mentre Kíli ne era privo, e aveva sopportato che gli venissero pettinati i capelli dando segno di adorare l'attenzione. Eppure ora il suo piccolo Fíli era un Nano cresciuto, forte e orgoglioso e sicuro, e non la creaturina fiduciosa di tanto tempo prima. «Dimmi cosa ti preoccupa, Fíli.»

«Sto bene» disse Fíli immediatamente, e Thorin sbuffò mentre iniziava a re-intrecciare una delle trecce laterali di Fíli.

«Certo che sì. È per questo che sei venuto qui a una qualche ora ingrata per controllare se fossi sveglio.»

Le spalle di Fíli si tesero di nuovo, il suo collo si contrasse mentre deglutiva.

«Kidhuzurkurdu» disse, quanto piano poteva. L'intero corpo di Fíli sobbalzò al suono del suo nome oscuro detto ad alta voce. «Dimmelo, unday.»

Fíli rimase in silenzio per un momento, e poi disse: «Gollum.»

Le dita di Thorin si fermarono. Cercando di non ringhiare, ripeté: «Aye, Gollum» la bile iniziò a risalirgli per la gola.

Fil si girò per metà, gli occhi fissi sulle sue mani che stringevano le ginocchia. Ora che aveva iniziato, le parole inciamparono una sull'altra mentre lui parlava delle proprie preoccupazioni. «Ho fatto bene a non chiamarti? Sam è coraggioso e Frodo è saggio, ma Gollum è una cosa sconosciuta e imprevedibile. Possono sentirti, a parte il tuo Dono? Sono solo due Hobbit, da soli nelle Terre Selvagge.»

Thorin legò la treccia di Fíli col proprio fermaglio, e poi iniziò a slegargli l'altra treccia laterale sopra all'orecchio. «Ti faceva pietà?» chiese con voce bassa.

Fíli si girò del tutto, gemendo quando i suoi capelli tirarono nelle mani di Thorin. «Cosa?»

«Stai fermo. Non voglio strapparti le trecce dalla testa» ordinò Thorin, tirando piano finché Fíli non si girò di nuovo «Ti fa pietà Gollum?»

Fíli rimase di nuovo in silenzio. Kíli non sarebbe mai stato così paziente. Kíli sarebbe scappato da chi lo pettinava molto prima. «Sì» disse Fíli infine «Sì, mi ha fatto pietà. Mi chiedo quanto anni abbia, Thorin. È contorto e pieno di malvagità... eppure è così magro, un cosa tanto debole, solitaria, consunta e pietosa, prosciugata da tutto ciò che non sia l'ossessione per l'Anello. Mi chiedo chi fosse stato.»

«Stato?»

«Quando si voltò, alla luce della luna» disse Fíli, e sbadigliò di nuovo. Thorin gli legò la treccia e si spostò alla successiva. «Mi fece venire in mente un vecchio Hobbit, asciugato come una mela in inverno.»

Thorin fece un respiro, e poi lo esalò lentamente. «Uno Hobbit, dici?»

«Aye» disse Fíli, e Thorin provò a guardarlo in faccia. Sembrava che certe cose non cambiassero mai. Ora che le dita di Thorin si muovevano nei suoi capelli, le palpebre di Fíli si stavano abbassando e la testa gli stava ricadendo sul petto. «Come un vecchio Hobbit, come Bilbo.»

Il cuore di Thorin sobbalzò, e poi distrusse quell'emozione. Bilbo aveva abbandonato l'Anello. Un fato simile non lo aspettava. «Devi dormire di più, inùdoy» disse piano.

«Lo so, lo...» Fíli sbadigliò di nuovo, facendo scrocchiare la mascella «so. Solo...»

«Sdraiati» Thorin si spinse fuori dalle pellicce e lanciò la prima sopra alle gambe di Fíli. Suo nipote sembrava confuso.

«Ma-»

«Dormi» disse Thorin, e lisciò i capelli riordinati di Fíli. Il tocco fece la sua magia, e le palpebre di Fíli si chiusero. Si lasciò ricadere sul letto di Thorin, e poi si accigliò.

«Ma Kíli...»

«Vedrò cosa può essere fatto» gli promise Thorin «Tu e tuo fratello non dovreste osservare da soli. Hai sfruttato bene l'opportunità che ti ho dato, Fíli, e sono orgoglioso. Però entrambi avete ancora bisogno della lezione che ho imparato troppo recentemente.»

«Non ti fermi mai, però» borbottò Fíli, e girò la faccia per premerla contro il cuscino. I suoi baffi ormai si erano completamente sciolti, e si erano impigliati nella sua corta barba. «Voglio farti vedere. Posso essere come te, zio.»

Questo era un vero segnale di quanto stanco fosse Fíli. Si distraeva e chiamava Thorin “zio” molto più raramente che suo fratello. «Ti consiglio vivamente di non farlo» disse Thorin, e sorrise amaramente «Sei molto più bravo a essere te stesso.»

«Ma-»

«Shhh. Dormi, Fíli. Devi essere forte e in salute. Come Óin ha detto molte volte, i Nani non sono davvero fatti di pietra, anche se le nostre teste potrebbero dimostrare il contrario. Dobbiamo riposare e rinfrescarci per lavorare, persino io. Shhh» lasciò che la sua mano restasse per un altro momento sulla testa di Fíli, fino a che il lento suono del respiro del ragazzo gli disse che si era addormentato. Poi si mise dei vestiti puliti e si guardò allo specchio.

I suoi capelli avevano una certa somiglianza a un cane randagio. Sospirando, prese la sua spazzola. Tutto ciò stava diventando una ricorrenza. Non aveva mai avuto problemi del genere in vita. Si chiese se il suo Creatore avesse ricreato i suoi capelli con una mente loro per un qualche suo oscuro divertimento.

Poi un pensiero lo colpì, e le sue dita si strinsero attorno alla spazzola di legno. Bilbo li avrebbe pettinati per lui? Era qualcosa di molto intimo, ovviamente. Una volta, Thorin aveva trovato Víli che pettinava la lunga cascata nera dei capelli di Dís, e se ne era andato in fretta come era entrato, il volto in fiamme. Uno Hobbit avrebbe anche solo saputo cosa fare con dei capelli come quelli dei Nani? I capelli di Bilbo erano corti e ricci, gli facevano da contorno al volto e alle orecchie. Non erano per lui i lunghi, spessi, ruvidi capelli che dovevano essere oliati e pettinati. Non per lui la conoscenza di barbe e trecce e fermagli. Bilbo non aveva mai visto i propri ricci come speciali, no. Bilbo non era rimasto sveglio da giovane, chiedendosi se c'era un paio speciale di mani che un giorno sarebbero affondate nella sua barba, toccando così vicino alla vena vulnerabile che pulsava nella sua gola.

A Bilbo sarebbe piaciuto, o gli sarebbe sembrato strano?

Ovviamente, se Bilbo sarebbe mai stato in grado di venire nelle Sale di Mahal. Se ne avesse anche solo avuto voglia.

«Te li lascerei rasare, mio diamante» sussurrò Thorin, tirando pensierosamente un treccia screziata di grigio «Te li lascerei tagliare, ottanta passate della tua piccola spada, un colpo per ogni anno di solitudine che ti portai. La mia barba l'ho data a Erebor, ma i miei capelli li darei a te.»

Il suo giovane, vitale, completamente immaginario Bilbo sbuffò. «Non essere ridicolo, grosso idiota melodrammatico» disse, la mani sui fianchi. La sua irritazione attraversò le sue labbra, ma i suoi occhi erano affettuosi. «Cosa nel nome del Vecchio Tuc farei mai coi tuoi capelli – un centrino? Lasciali dove sono!»

Sospirando di nuovo, Thorin si portò la spazzola ai capelli e iniziò a domarli. Una volta presentabile, fece una pausa accanto alla figura abbandonata nel suo letto, la sua mano ancora una volta sui capelli dorati di Fíli. La bocca del ragazzo era aperta e le sue braccia si erano allargate. I cerchi sotto i suoi occhi risaltavano, scuri e profondi, ancora più impressionanti ora che erano chiusi.

Thorin accarezzò la fronte corrugata di suo nipote, e poi cautamente e silenziosamente di chiuse dietro la porta.

La colazione passò tranquillamente, per la maggior parte. Thráin parlò di Glóin e del suo ritorno, i suoi occhi che brillavano. «Non credo la sua famiglia l'abbia perso di vista per un secondo negli ultimi due giorni» ridacchiò «Quel suo nipote gli sta alle calcagna come una piccola ombra iperattiva, e sua figlia lo sgrida e lo bacia allo stesso tempo. Quanto a Mizim...»

«Posso immaginare» disse Thorin «Mizim non è una Nana da prendere alla leggera.»

Thrór scosse la sua grande testa bianca amaramente. «Aye, ma non dice una parola! Gli afferra il braccio e poi lo trascina via. Quel Bofur diventa isterico, tutte le volte!»

Thorin sorrise. «È da lui.»

Frerin diede di gomito a Thorin, e poi indicò con la testa loro padre e loro nonno. Thorin alzò gli occhi al soffitto, e poi annuì seriamente. «Presto» disse.

«Farai meglio» disse Frerin, la sua piccola faccia incupita.

Thorin resistette all'istinto di girarsi, di ringhiare, di prendersela con suo fratello. Avrebbe parlato con suo padre e suo nonno coi suoi tempi, quando lo avesse deciso lui, e non davanti a ogni Nano nelle Sale. Avrebbero parlato di menti e follia, di debolezza e di forza. Ci avrebbero provato.

E poi, pensò Thorin con un improvviso moto di desolazione, lui avrebbe probabilmente rotto tutti i muri nella sua forgia.

Frerin gli diede un'altra gomitata, e guardò su. Thorin fece un sospiro silenzioso, prima di seguire il suo sguardo fino ai penetranti, attenti occhi blu di sua madre. Frís li guardava entrambi attentamente. Una volta che l'attenzione fu completamente su di lei, alzò le sopracciglia.

«Dopo» disse Thorin brusco.

Le sue labbra si strinsero, ma lei annuì. «Me lo dirai» disse. Il suo tono non lasciava spazio a obiezioni.

Thorin annuì una volta, e la mano di Frerin si strinse sul suo braccio.

Dopo colazione, Thorin prese la manica di Ori mentre andavano verso la Camera di Sansûkhul. Lo scriba gli diede una lunga, stanca occhiata. «Non un altro cambiamento?» gemette.

«Fíli e Kíli sono da soli. Non possono mantenere ritmi simili in due» disse Thorin, alzando le sopracciglia. Ori storse il naso, ma annuì.

«Va bene, va bene» borbottò «Cambierò di nuovo l'orario. Mi farete perdere qualche rotella, lo sai?»

«Sei sempre così paziente con noi» disse Thorin, cercando di mantenere il suo volto impassibile. Aveva il sospetto di star fallendo.

«Stai ridendo di me?» disse Ori sospettoso, e Thorin dovette piegarsi e schiarirsi la gola per riprendere il controllo di sé.

Thorin e Frerin e Ori sarebbero dovuti essere stati accompagnati da Óin quel giorno, ma Ori disse (nervosamente) che il guaritore aveva fatto cambio con Lóni per guardare di più Erebor e suo fratello. «Non è che mi dia fastidio cambiarlo così tanto» si lamentò Ori «è solo che è un terribile spreco di carta. E non ho idea di da dove arrivi qui, e quindi usarla mi fa accapponare la pelle!»

«Piantala di lamentarti» disse Lóni accanto alle porte decorate di perla della grande vasca illuminata dalle stelle «Come se fosse un gran fatica per te scrivere!»

«Scherza quanto vuoi, ma mi fa tremare le ginocchia» disse Ori alzando la testa «Non mi piace nemmeno masticare troppo la cena.»

Thorin si ricordò di quanto nervoso era stato per la maniera misteriosa nella quale le Sale si rifornivano di cibo e oggetti. «Sospetto che noi non possiamo sapere» disse.

«Non mi piace non sapere» borbottò Ori, sedendosi.

«Fatti più in là» disse Lóni, spingendo la spalla di Ori e sedendosi. Poi guardò Thorin. «Sarà un'altra giornata di corsa? Perché ti avverto, Gimli è sempre stato più veloce di me.»

«Lo so» disse Thorin, lanciando al Nano castano un sorriso asciutto «Tu eri il più alto, ma lui il più veloce. Non temere, dubito che correremo. Ci saranno molti carri e famiglie nella carovana verso il Fosso di Helm, e non si muovono in fretta.»

«No, me lo ricordo» disse Lóni «Divenne noioso durante il viaggio da Ered Luin a Erebor.»

«Andiamo» disse Frerin, la sua gamba destra si muoveva mentre lui sedeva e aspettava con impazienza malamente nascosta «Muoviamoci.»

«Impaziente, nadadith» mormorò Thorin mentre le stelle si allungavano verso di lui con accecanti dita bianche e rubavano la sua vista.

Il suono dei forti venti di Rohan lo salutò prima ancora che lui potesse vedere, e le sue narici si riempirono dell'odore di cavalli e di erba schiacciata. Gli occhi di Thorin bruciarono leggermente mentre si riprendevano, e lui si trovò a guardare una grande linea di cavalli, carri e Uomini. Direttamente davanti e lui era una figura magra, i lunghi capelli pallidi volavano dietro di essa. Socchiuse gli occhi. Era l'Elfo quello?

Frerin fece un passo avanti eccitato, i suoi occhi vivi di anticipazione. La figura gradualmente si rivelò essere Éowyn, in piedi dritta e alta come una spada mentre guidava un grigio cavallo pezzato per le redini. Sulla schiena del cavallo erano i due bambini, Freda e Éothain.

Thorin lanciò a Frerin un'occhiata divertita. «Vedo.»

Frerin tirò su col naso e lo ignorò, guardando ancora Éowyn con un'espressione stranamente timida sul volto.

«Ci sono troppi cavalli» borbottò Lóni, guardandosi attorno «Mai piaciuti. Sono di una dimensione irragionevole.»

«Almeno stanno camminando» fece notare Ori. Poi il suo volto si illuminò, e indicò appena oltre la Lady Éowyn «E anche Gimli.»

Thorin si voltò, e proprio lì la sua stella marciava accanto al cavallo dei bambini, l'elmo appoggiato sopra all'ascia e il suo grande mantello verde grigiastro lanciato sulle spalle. Faceva tanto caldo che Thorin avrebbe preferito cavalcare se gli fosse stata data una scelta. Il sole era alta nel cielo, e poche nuvole offuscavano la sua luce. Eppure ogni passo del Nano più giovane sembrava in qualche modo deciso, come se quella fosse la massima distanza dal terreno alla quale quel piede sarebbe andato.

«Bravo ragazzo!» disse Lóni con approvazione «Sapevo che non avrebbero messo Gimli su una di quelle catastrofi con le gambe lunghe. È più intelligente di così.»

«Gimli ha cavalcato due volte ora» disse Thorin quanto più pacificamente poteva.

Lóni guardò Thorin, e poi incenerì il suo amico. «Completo imbecille. Beh, è una buona cosa che tu abbia una testa tanto dura, gamil bâhûn, per quando quella dannata cosa ti ci farà cadere sopra.»

Le sopracciglia di Gimli si aggrottarono, e poi sorrise. «E ancora, mio signore e familiare, miei amici» mormorò «Siete tornati con me, vedo.»

«Ci vede?» squittì Ori.

«No» disse Thorin, avvicinandosi «Ma ci percepisce. Anzi, diventa sempre più abile nel sentirci. Avete notato come ci ha appena salutati?»

Ori annuì in fretta. «Non è imparentato con Lóni o con me...»

«E fra tutti noi, sente bene solo te» aggiunse Frerin «Ma a volte...?»

«A volte» ripeté Gimli.

Ci fu un rimbombante silenzio.

«Per le benedette palle di Mahal» disse Lóni con voce strozzata.

Gimli ridacchiò, i suoi profondi occhi castani brillarono.

«Qualcosa di divertente, Mastro Nano?» chiese Éowyn, girando la testa verso di lui. I suoi occhi guardarono il Nano con aperta curiosità, anche se era abbastanza educata nel suo scrutinio.

«Gimli, per favore, mia signora» rispose Gimli cortesemente, inchinandosi leggermente mentre marciava «E no, stavo solo pensando.»

Il suono sordo di zoccoli sul suolo annunciò l'arrivo dell'Elfo. «Gimli è un campione nel pensare e parlare con se stesso» disse Legolas, guidando Arod accanto a loro e sorridendo alla scudiera «A dire il vero, è piuttosto difficile farlo smettere. Mai avevo io incontrato qualcuno di tanto loquace: parlerebbe sott'acqua, se potesse.»

«Io?» sputacchiò Gimli, e poi fece un suono innervosito alla risata dell'Elfo «Oh, me lo segnerò! Mi provoca ancora. Non fategli caso, giovane signorina e giovane signore! Gli Elfi sono un popolo strano e sciocco.»

«E i Nani sono, ovviamente, così seri e sensibili e per nulla portati al provocare a loro volta» disse Legolas in derisione.

Gimli si raddrizzò, gonfiando il petto orgogliosamente. «Vedete? Può essere educato!»

Legolas sobbalzò, e poi scosse la testa, ridendo. «Hai vinto stavolta, mellon nin» disse con affetto.

«Perché non cavalchi un cavallo, Signor Nano?» disse Freda. Il volto di Gimli si addolcì immediatamente, i suoi occhi divennero caldi.

«Ah, perché non sono molto bravo a cavalcare, Signorina Freda» le disse, facendole l'occhiolino con aria cospiratoria «Sono, però, molto bravo a camminare.»

«Potresti imparare» disse Éothain, accigliandosi. Il ragazzo sembrava confuso dall'idea che una persona potesse preferire i propri piedi a una sella.

«Potrei, aye» confermò Gimli, anche se il suo naso si arricciò «Ma non lo farò. Sarei un cavaliere penoso, e poi, non penso che il peso che un cavallo può trasportare sia mai troppo per la mia schiena e le mie gambe.»

«Puoi trasportare tanto quanto un cavallo?» disse Éowyn scettica.

«Non lo so sinceramente» Gimli si tirò la barba pensierosamente «Non ho mai scoperto quanto può portare un cavallo. Però, posso portare quanto un pony, e per più tempo, e ciò mi basta.»

«Non tentate si sollevare la sua cotta di maglia» disse Legolas, sorridendo loro «Penso possa pesare quanto Gimli stesso.»

Éothain sembrava impressionato, anche se la Lady Éowyn sembrava ancora dubbiosa. «Suppongo i tuoi piedi non raggiungerebbero le staffe» disse, e poi la sua mano scattò verso la sua bocca «Mi dispiace, era...»

Gimli scosse una mano. «No, non è offensivo. Servirebbe una pessima vista per non notare che sono molto più basso di voi. E comunque, le mie gambe non saranno lunghe quanto le vostre ma funzionano come delle gambe dovrebbero. Almeno gli Hobbit sono più piccoli dei Nani!»

«Cos'è uno Hobbit?» sussurrò Freda, girandosi verso suo fratello.

«Gli Holbytla, intendi?» disse Éowyn «Re Théoden ha menzionato che fossero fondamentali per la vostra missione nelle nostre terre. Sono null'altro che una storia per bambini.»

«Che parola bizzarra» disse Ori, affascinato «Holbytla. Holbytla. È quasi come Hobbit, no?»

Frerin lo azzittì, piegandosi in avanti per guardare su verso la Dama con occhi leggermente sognanti.

«Non sono certo di cosa intendiate con ciò, Signora» disse Legolas «ma gli Hobbit sono un popolo piccolo, più minuti di Gimli, e senza barba. Hanno capelli ricci e piedi lanosi, sono allegri e sorridenti e gentili.»

«A meno che, ovviamente, tu non sia fra loro e del cibo» aggiunse Gimli.

«Che strano» disse Éowyn, scuotendo la testa. I suoi lunghi capelli ondeggiarono mentre la sua testa si muoveva, ricadendole sulla schiena. «Un Nano e un Elfo nel Riddermark dopo tanti secoli, un inseguimento di incredibile resistenza... e ora leggende, dal passato lontano!» mentre parlava, i suoi occhi andarono ad Aragorn, che cavalcava accanto a Théoden in testa alla linea.

«Sapevo che erano reali» borbottò Freda, spingendo in fuori il mento cocciutamente «Lo sapevo.»

«Non è vero» ribatté Éothain, e Freda lo ignorò con meraviglioso disprezzo.

«Signor Nano» disse, sporgendosi tanto dalla sella che suo fratello dovette afferrare il retro del suo grembiule «gli Holbytla fanno regali e cantano canzoni speciali ai bambini buoni?»

Gimli batté le palpebre, e in suo favore non rise. «Non saprei» disse solennemente alla bambina, come se la sua domanda fosse della più grande importanza «Però, non conosco tanto bene gli Hobbit. So che fanno regali non appena hanno una scusa per farlo. Ricordo, quando ero molto giovane, che uno Hobbit fece regali e dieci della mia famiglia e dei miei amici per nessun'altra ragione che perché gli mancavano.»

Gli occhi di Freda brillarono. La bocca di Thorin si incurvò leggermente ricordandosi la scena: le dolci colline impossibilmente verdi del Decumano Nord, la lunga carovana Nanica e le canzone dei vecchi Nani mentre marciavano verso casa, lo sguardo determinato e senza speranza di Dís, e i capelli castano dorato di Bilbo che brillavano al sole. «Tua sorella ti distrusse a tira-castagna» ricordò.

«Ah, non ricordarmelo» borbottò Gimli «Si vantò per settimane.»

«Chi?» Éothain si sporse, la fronte corrugata per la confusione.

«Oh, mia sorella minore, Gimrís» disse Gimli, grattandosi il mento barbuto «Mi batté al gioco di abilità degli Hobbit.»

«Oh» Éothain guardò Freda, e ghignò. I suoi occhi erano ancora tristi e parlavano della nostalgia di sua madre, ma il suo spettacolo di coraggio si rilassò un po'. «Quindi anche tu hai quel problema.»

«Aye» disse Gimli, e sorrise.

«Sei solo un pessimo perdente» disse Freda, alzando la testa biondo grano.

Éowyn batté le palpebre, e poi rise. Fu un suono improvviso e forte e sorpreso, come se lei stessa si stupisse della propria risata. Frerin sorrise involontariamente, e Thorin posò la sua mano sulla spalla di suo fratello. Questa sua piccola infatuazione non l'avrebbe ferito, e francamente Thorin era felice che Frerin potesse finalmente attraversare questa parte della vita, per quanto troppo poco e troppo tardi.

«Una risata amabile» mormorò, e Frerin annuì senza parole, prima di sospirare e appoggiarsi alla spalla di Thorin.

«Lo è davvero, no?» disse malinconico.

«Dovrai mantenere alto l'onore di tutte le sorelle minori» disse Éowyn alla bambina, i suoi denti bianchi lampeggiarono quando sorrise «È un dovere solenne e sacro che ti tramandiamo, Freda. Rendi me e la sorella di Gimli orgogliose.»

«Ah, certo, anche tu hai un fratello maggiore!» disse Legolas, e scosse la testa «Bene, trovo che purtroppo mi devo schierare con le signore, Gimli. Anch'io ho due fratelli maggiori, dopotutto. Tu ed Éothain siete da soli.»

«Ha!» disse Gimli, ghignando all'Elfo «Non è una gran perdita!»

«Tu ed io dovremo parlare, Signora» disse Legolas con molta solennità «del disturbo che sono i fratelli maggiori, e di quanto impossibili e irrispettosi e prepotenti possano essere.»

Frerin si girò verso Thorin con un'aria soddisfatta che non aveva bisogno di parole. Thorin fece un suono nella gola e alzò gli occhi al cielo. «Sì, fratello, sentiti vendicato. Per ora.»

«Oh, come se qualcuno di voi possa anche solo avvicinarsi» borbottò Ori, incrociando le braccia e mettendo il broncio.

Il sorriso di Éowyn fu piccolo e triste, e la sua schiena era dritta e la sua testa orgogliosa mentre i suoi occhi andavano alle terre erbose. «E di come, nonostante ciò, ti manchino terribilmente e non li vorresti cambiare per nulla al mondo.»

Improvvisamente, il volto di Legolas divenne inespressivo e freddo e lui guardò la grande distesa di brughiere verdi e grigie dalla piccola collina erbose coi suoi innervosenti occhi Elfici. Gimli inclinò la testa. «Legolas?» disse, accigliato.

«Dartho ennas» disse Legolas, lanciando una gamba dall'altro lato del cavallo e smontando. Porse le redini a Gimli, che le fissò nervoso prima di alzare la testa e guardare Arod.

«Ah. Giusto» disse incerto.

Il cavallo lo esaminò con le narici.

«Oh, andrà alla grande» disse Lóni, mettendosi una mano sugli occhi.

Gimli spostò il peso da un piede all'altro a disagio, e poi soffiò: «Legolas, cosa nel nome di Durin...!»

«Aspetta» disse Legolas con voce lontana, arrampicandosi con leggeri, silenziosi passi in cima a una delle sporgenze rocciose che punteggiavano le brughiere «Non ne sono certo.»

«Cosa sta facendo il Signor Elfo, Éothain?» sussurrò Freda e suo fratello la azzittì gentilmente, gli occhi sospettosi.

«Gli Elfi vedono molto bene alla luce del sole» le disse Gimli, e guardò le redini che teneva nella mano «Beh, non sembra che io gli stia antipatico – e non credo diventerà violento.»

Éowyn nascose un sorriso.

In quel momento, l'Uomo chiamato Gamling e Háma il guardiano di Meduseld fecero andare avanti i cavalli. I loro volti erano cupi e allerta. «State in guardia!» urlò Háma, il pugno alzato.

«Cosa c'è, Háma?» disse Gamling, la mano sulla spada.

«Non ne sono certo» disse Háma, le labbra strette.

«Là!» urlò Frerin, alzando di scattò un braccio per indicare una forma scura contornata dalla luce del mattino. Si muoveva rapida come il pensiero, un'ombra che passava sopra alle dolci colline di Rohan, e poi con un gran ringhio selvaggio il Mannaro e il cavaliere stavano attaccando il cavallo di Gamling. Il Cavaliere combatteva bene, ma doveva affrontare non solo la lama dell'Orco ma anche le zanne della cavalcatura.

Un thwang musicale annunciò l'Arco di Galadriel, e una freccia spuntò dal collo del Mannaro. La bestia ringhiò e cadde, e poi i coltelli bianchi di Legolas lampeggiarono e l'Orco era morto.

«Un esploratore!» urlò l'Elfo.

«Questo è un bel modo di combattere» disse Lóni controvoglia.

In testa alla colonna, il Re fermò il suo destriero bianco. «Cosa c'è?» urlò «Aragorn, cosa vedi?»

«Mannari!» urlò Aragorn di rimando, e l'urlo venne ripetuto da altri nella lunga coda di donne, bambini e carri. Molte voci gridarono di terrore. «Ci attaccano!»

«Allontanateli!» ruggì Gimli, facendo un passo avanti, e Arod scattò indietro sorpreso anche se le sue redini erano ancora nella presa ferrea di Gimli «Allontanate i Mannari dalla colonna! Cavalcate verso di loro!»

Aragorn annuì, e poi esclamò: «portateli via di qui!»

Théoden alzò in aria la spada, un luminoso stendardo nella pallida luce. «Cavalieri in testa alla colonna! Cavalieri, a me!»

Gimli guardò Arod, che lo guardò a sua volta. «Bene, bestia» disse in rassegnazione «Ci dovremo provare, che dici?»

«Legolas!» urlò Aragorn, facendo girare in cerchio Hasufel «Legolas, avvertici!»

Annuendo, Legolas corse con piedi leggeri in cima alla cresta rocciosa, facendosi ombra agli occhi con la mano mentre guardava le pianure di Rohan.

Gimli si lanciò sulla sella di Arod, goffamente grazie all'altezza e alla larghezza della schiena del cavallo. Thorin pensò che se le braccia di Gimli fossero state meno forti, non ci sarebbe riuscito affatto. «Va bene, per ora tutto a posto» si disse «Ora, sei addestrato come un pony, mi chiedo?»

«Éowyn, figlia di mia sorella» disse Théoden con voce bassa e tesa, afferrandole la manica «Conducili al sicuro.»

Gli occhi di lei brillarono. «Posso combattere!»

«Lo so» disse lui, e la sua mano si strinse sull'avambraccio di lei «E potresti averne bisogno se noi fallissimo. Devi farlo. Per me.»

Prima che lei potesse rispondere, lui girò il cavallo e galoppò davanti alla colonna. Il suo elmo oro e scarlatto si unì presto alla testa scura e sporca di Aragorn.

Le labbra di Éowyn si storsero in frustrazione, prima di girarsi verso alla gente nel panico e alzare le braccia. «Buona gente!» urlò nella sua chiara voce fredda, e i suoi capelli si mossero come un bandiera dorata nei venti sferzanti «Più veloci che potete! A nord ovest! Lasciate i carri – salvatevi la vita!»

«Éorlingas! Cavalieri di Rohan!» ruggì Théoden «Seguitemi!»

Il tuono di zoccoli gli rispose, e Gimli girò goffamente Arod per seguirli. «Avanti» disse «Voglio dire, vai avanti. Ah, stupida cosa!»

«Scendiamo verso la pianura!» gridò Éowyn, balzando in sella con un movimento fluido. Gimli le lanciò un'occhiata risentita, prima di colpire inutilmente Arod con le ginocchia.

«Avanti!» ringhiò, e poi si piegò in avanti impazientemente mentre Arod iniziava a trottare, e poi a galoppare «Aha! Ecco!»

Aragorn si fermò per guardare gli ultimi del popolo di Rohan che scappavano sulle colline, prima di girarsi verso all'imminente allagamento di Mannari ringhianti e galoppanti coi loro cavalieri dal volto maligno. La spada gli apparve in mano.

Éowyn fece una paura sul crinale della collina, il volto indeciso e pieno di invidia e frustrazione mentre lo guardava. Poi con un urlo, si strappò dai guerrieri e andò verso i carri, e il proprio dovere.

«Perché non può combattere?» si chiese Ori «Ovviamente vorrebbe farlo.»

«Forse gli Uomini non rischiano le loro Nane» disse Lóni, la voce stupita.

«Donne» corresse Ori, sospirando.

«Ma lei è una scudiera» disse Frerin, girandosi verso Thorin con occhi confusi «Ho sentito il Re che lo diceva. Può combattere anche lei. Perché mandarla via? E perché non ci sono altre scudiere?»

Thorin scosse la testa. «Non so, nadad» disse, quanto gentilmente poteva «Non ho mai studiato molto le tradizioni degli Uomini.»

«Ori?» disse Frerin, girandosi verso lo scriba.

Ori scrollò le spalle. «I Rohirrim non scrivono molto. Sono saggi, ma poco conosciuti. Tramandano la loro storia con grandi canti e canzoni e non scrivono documenti, e quindi non ho mai trovato molto su di loro nei miei archivi. Solo dettagli dei loro affari con Gondor.»

«Che ha degli archivi» aggiunse Thorin, girandosi di nuovo verso i Mannari che si scontravano col muro di cavalli «Siate allerta. Sono solo una truppa in esplorazione, ma sono abbastanza per causare qualche piccolo guaio.»

«Un Mannaro non è mai un piccolo guaio» borbottò Lóni, e con questo tutti e quattro i Nani iniziarono a caricare giù dal loro punto di vantaggio verso la battaglia.

«Legolas!» urlò Gimli, prendendo l'ascia dalla cintura e facendola girare in un cerchio largo «Legolas, qui!»

L'Elfo stava lanciando freccia dopo freccia verso l'orda di Mannari, e i suoi occhi a malapena si mossero dopo l'urlo di Gimli. Mentre il piccolo galoppo di Arod diventava galoppo vero, Legolas si voltò e con una dimostrazione di enorme destrezza afferrò le briglie e si lanciò su dietro al Nano senza cambiare la velocità del cavallo.

Gimli lo fissò a bocca aperta.

Legolas gli fece un sorriso tirato. «Vedo che sei a cavallo, Gimli.»

«Cosa...!» sputacchiò Gimli «Cosa nel nome di Mahal era quello?!»

Il sorriso di Legolas si allargò, e il suo arco cantò ancora, e ancora. «Ancora non capisci molto degli Elfi, o sbaglio mio carissimo Nano?»

La bocca di Gimli si chiuse, e poi lui rise deliziato. «Nay, non se riescono a contorcersi e girarsi come una donnola che danza per un coniglio ipnotizzato! È stato davvero qualcosa da vedere, amico mio. Ma ora penso che lascerò queste redini a qualcuno che potrebbe usarle con più abilità. La mia ascia è nervosa nella mia mano!»

«Una donnola!» sbuffò Legolas, e poi girò abilmente Arod così che la groppa del cavallo colpì un Orco e lo fece cadere «Ti sei abilmente vendicato per tutte le volte che io ho chiamato una talpa. Ora scendi! C'è molto lavoro qui per la tua ascia!»

Gimli si mise l'elmo in testa, diede una pacca sulla schiena di Legolas, e poi scivolò giù dal cavallo. I suoi piedi borchiati d'acciaio atterrarono con un tonfo sordo sul terreno, e lui si girò verso un Mannaro e i suoi occhi si illuminarono dei fuochi della battaglia.

«Porta il tuo bel faccino verso la mia ascia» ghignò, lasciando che l'ascia danzasse attorno a sé in stretti cerchi luminosi che richiedevano enorme forza e controllo. Le sopracciglia di Lóni si alzarono.

«Non era così bravo l'ultima volta che...» borbottò, e poi incrociò le braccia «È completamente ingiusto.»

«Quello» annunciò Frerin, fissandolo come un idiota «dovrebbe essere impossibile. Dwalin non saprebbe far girare un'ascia così.»

«Te l'avevo detto» mormorò Thorin.

Il combattimento fu rapido e brutale. L'ascia di Gimli attraversava sia Mannaro che cavaliere come se fossero fatti si seta. Il suono sibilante della frecce riempiva l'aria, insieme alle urla stridenti e disperate degli Uomini e agli orrendi ululati degli Orchi. Le strilla dei cavalli e i ringhi feroci dei Mannari riempivano il sottofondo, aggiungendosi alla cacofonia. A un certo punto un Mannaro cadde completamente su Gimli, buttandolo a terra, e Ori imprecò e afferrò il braccio di Thorin.

«Alzati, figlio di Glóin!» ordinò immediatamente Thorin, e si inginocchiò accanto alla testa di Gimli «Rimarrai sotto questa creatura fetida? Sei più forte di quanto io non avrei mai potuto essere! Alzati!»

«Ah, forse è così, ma puzza come una fogna aperta» borbottò Gimli. Poi fece un respiro profondo, tendendo i potenti muscoli di braccia e addome, e iniziò a sollevare il Mannaro sopra i sé. Era un peso premuto su spalle, petto e braccia; una grande dimostrazione di forza.

Gimli lanciò via il Mannaro con una spinta prodigiosa, e poi si muoveva nuovamente, piedi piantati come se avessero messo radici più forti di quelle di una montagna nel terreno. Combatté attraverso la confusione di cavalli e Mannari, gli occhi si muovevano come se stessero cercando un lampo di grigio verdastro e oro.

Théoden urlò in trionfo quando molti dei Mannari fecero dietrofront, alzando la spada insanguinata in aria. Fu echeggiato da un urlo dei suoi cavalieri, stanchi e sporchi. Alcune selle erano vuote, e molti cavalli giacevano morti tra i grandi corpi luridi dei lupi di Isengard.

«Legolas?» urlò Gimli, liberandosi di un Orco con un movimento quasi distratto dell'ascia e girando su un piede «Legolas!»

Nessuno rispose alla sua chiamata, la preoccupazione iniziò a strisciare sul volto di Gimli. «Pace, mia stella» disse Thorin, anche se anche lui esaminava il campo di battaglia con lo sguardo «Senza dubbio l'Elfo starà bene.»

Frerin lanciò un'occhiata incredula a Thorin.

«Cosa?»

«Ti stai preoccupando per l'Elfo?» esclamò Ori.

Thorin strinse i denti e allontanò più che poteva le proprie preoccupazioni. «Sono preoccupato per Gimli» ringhiò «Legolas è suo amico.»

«Aye, ed è più infuriante di...» esclamò Gimli, e si strappò l'elmo dalla testa e urlò più forte «Legolas!»

«Là!» disse Frerin, e iniziò a correre verso una salita dove una forma poteva essere a malapena distinta contro l'erba se non fosse stato per il riflesso sui capelli dorati. Thorin imprecò e seguì, le gambe meno rapide di quelle di suo fratello. Dietro di sé sentì il respiro di Lóni e Ori che giungeva in fretta, e poi i bassi, pesanti passi di Gimli, inarrestabile come la marea.

Gimli rallentò avvicinandosi, fermandosi solo per uccidere un Mannaro che stava lottando debolmente e schioccando le zanne. «Legolas» iniziò.

L'Elfo si alzò, rapido e fluido, e si girò verso il Nano. In mano aveva qualcosa che scintillava e brillava come una stella catturata.

«Oh» disse Gimli, e le sue spalle pensati si abbassarono «Oh no.»

Legolas chiuse gli occhi.

Un suono raspante e gorgogliante giunse dal picco, e i due improbabili amici si voltarono per vedere un Orco che giaceva lì, stringendosi l'addome lacerato.

In un lampo, l'ascia di Gimli gli scintillò in mano. «Dimmi cosa è successo e ti faciliterò il trapasso» ringhiò.

L'Orco tossì un grumo di sangue nero, e sorrise con denti rotti. «È... morto» ringhiò, e tossì di nuovo «Ha fatto un piccolo capitombolo giù dal dirupo» sputacchiò.

Il volto di Legolas si incupì, storcendosi in una maniera che Thorin non aveva mai visto in un Elfo. «Menti!» ringhiò con voce irriconoscibile, e il suo coltello era nella sua mano.

Con improvvisa debolezza, Thorin si rese conto che non erano su un'altra collina, ma su una piccola scarpata. Il ruggito che aveva sentito prima era il fiume al di sotto. Guardò giù. Vapore gelido fluttuava tra le punte di rocce affilate, e distolse lo sguardo con un'imprecazione. Non vi era segno di Aragorn.

«Nessuno avrebbe potuto sopravvivere» sussurrò Lóni miseramente.

Frerin si morse il labbro e strinse il braccio di Thorin, fino a che Thorin si voltò e strinse suo fratello in uno stretto, quasi soffocante abbraccio.

La risata dell'Orco crebbe e crebbe fino a che soffocò sul suo stesso sangue, e con un orribile sospiro gorgogliante ricadde di lato, morto.

«Perduto» sussurrò Gimli, l'ascia dondolava molle tra le sue grandi dita robuste.

Théoden avanzò e gli diede quel poco conforto che poteva venire da delle parole, ma nel suo volto c'era la conoscenza che la sua gente non avrebbe potuto aspettare qui, esposti e vulnerabili a un altro attacco. Thorin scosse la testa bruscamente, cercando di risvegliare i suoi sensi intorpiditi. Aragorn non poteva essere morto. Aragorn aveva troppe cose per cui vivere: cari amici, amore devoto, un futuro. Aragorn aveva un destino grande e nobile.

Come lo avesti tu sussurrò una piccola voce traditrice nella sua mente E guarda cos'è successo. La sfortuna potrebbe distruggere le cause più nobili – perché non la sua?

«Non vuole essere Re. Non ha mai voluto essere Re» disse Thorin ad alta voce, e lasciò che le sue palpebre si chiudessero. Aragorn, il ramingo e il guerriero, l'anima doverosa e piena di preoccupazioni. Perché non aveva provato a capire meglio l'Uomo?

Il respiro di Gimli era pesante e rasposo mentre lui cercava di soffocare i suoi singhiozzi rabbiosi, e la sua testa era china così tanto che il suo mento premeva contro il suo petto. Il volto di Legolas era di nuovo pieno del confuso e incomprensibile dolore degli Elfi: eterno, immutabile e in qualche modo toccato da un'aliena, dolorosa grandezza.

Insieme rimasero sulla scarpata e guardarono le acque schiumose sotto di loro in una veglia silente, la Stella del Vespro stretta debolmente nella mano sottile dell'Elfo.


Il gruppo non riposò al calar del sole, ma continuò. La necessità li obbligava. Cavalcarono con tutta la velocità che potevano, andando sempre più avanti verso la sicurezza del Trombatorrione e delle spesse mura del Fosso di Helm.

Quando la notte era del tutto calata attorno a loro, Théoden diede infine l'ordine di accamparsi. Metà dei Cavalieri dovevano rimanere svegli e fare la guardia alla colonna, e il turno sarebbe cambiato a metà della notte quando Gamling avesse dato l'ordine. Esploratori dovevano cavalcare in ogni direzione, e i corni sarebbero suonati all'alba. Non accesero fuochi.

Era lì che Thorin li trovò dopo la cena. Frerin era alla sua destra, come sempre. Alla sua sinistra era sua madre, i suoi occhi pieni di compassione.

Legolas fermò Arod con una dolce parola in Elfico, e il cavallo sembrò grato di ciò. Gimli tolse i pollici dalla cintura di Legolas e stiracchiò le sue enormi mani, facendo scrocchiare le articolazioni. «È tempo, dunque» disse, e la sua voce normalmente calorosa e rimbombante, profonda e forte come le ossa della terra, era debole e senza emozione.

«Sì» rispose Legolas, e suonava altrettanto inespressivo «Scendi, Gimli. Dobbiamo massaggiare il nostro amico Arod, se non vogliamo che si contragga durante la notte e sia incapace di portarci domattina.»

Gimli fece come gli era stato detto, i piedi atterrarono col loro usuale thud. «Gli massaggerò le gambe» disse «È il minimo che io possa fare per un cavallo che ascolta gli ordini di un Nano.»

«Hai fatto bene» disse Legolas, smontando con la sua normale grazia senza peso. Eppure quando i suoi piedi si posarono sull'erba le sue spalle erano pesanti e piegate. La sua fronte aveva una piccola linea, come se fosse perplesso. «Quasi non riuscivo a credere ai miei occhi.»

«Aye, beh» disse Gimli, e prese una manciata della secca erba ingiallita e iniziò a strofinarla contro le zampe anteriori di Arod «Ha sorpreso anche me.»

Legolas guardò il cielo, fissando le stelle senza battere le palpebre per un lungo, lungo momento. Poi disse: «Savo hîdh nen gurth» in una voce a malapena udibile.

Gimli sospirò e appoggiò la testa alla spalla di Arod. «Aye» disse piano.

La testa di Legolas si girò leggermente. «Mi hai capito?»

«So cosa voglia dire quel tono di voce, ragazzo mio, non importa quali parole siano usate» disse Gimli, e accarezzo distrattamente Arod mentre i fianchi scuriti dal sudore del cavallo tremavano nell'aria fredda «Andiamo, aiutami. Non riuscirò a raggiungere la schiena di Arod, e non dovremmo lasciarlo così.»

Legolas rimase immobile per un momento, e poi si riscosse dai suoi pensieri, avvicinandosi e iniziando a slacciare la sella e le briglie del fedele cavallo grigio, lasciando la capezza morbida attorno alla sua testa.

«Cosa facciamo ora, Legolas?» disse Gimli infine, la mano ancora contro ai fianchi del cavallo «Aragorn era il nostro capitano, e Aragorn abbiamo seguito fin qui. Ora siamo separati oltre ogni conoscenza e speranza, i soli delle nostre razze.»

Legolas rabbrividì, e poi incrociò gli occhi di Gimli. «Non lo so, Gimli» disse piano «Seguiamo la strada che Aragorn ha iniziato, e andiamo verso questa fortezza nei monti con i Signori di Cavalli? Invero, non do cosa avrebbe voluto che noi scegliessimo. Però non mi mostrerò privo di fede, ora che la strada è davvero oscura.»

La mano di Gimli strisciò fino ad appoggiarsi su quella di Legolas. Il suo grande palmo ingoiava completamente la sottile mano dell'Elfo, anche se la dita indurite dall'arco erano molto, molto più lunghe di quelle corte e forti di Gimli. «E poi, questa strada è quella che Gandalf avrebbe voluto che noi seguissimo. Però il mio cuore desidera nuovamente la nostra Compagnia. Ah, Legolas! Sono solo, come mai prima d'ora.»

«Hai la tua famiglia con te» disse Legolas, e fece un sorriso forzato «Non sei davvero solo, Mastro Gimli.»

«No davvero» disse Gimli, e sospirò nuovamente prima di guardare Legolas. I suoi occhi scuri erano illeggibili, anche se brillavano. «Sono con un mio amico, mio ugbal bâhûn.»

Legolas mise la sua altra mano su quella di Gimli e strinse. «Insieme, allora» disse, piano. Poi deglutì, il suo volto incerto in un modo decisamente non Elfico.

Frís inspirò bruscamente, guardando dall'Elfo al Nano con improvvisa comprensione sul volto. «Grande Creatore» sussurrò, gli occhi spalancati.

«'amad?» disse Frerin, facendo un passo verso di lei.

Lei alzò una mano, fermandolo, scuotendo la testa da una parte all'altra. «Oh no, figli miei» sussurrò, pallida per la sorpresa e lo shock «No, non siete pronti per saperlo. Non sarete mai pronti.»

Thorin si accigliò. «Includi anche me?»

Lei gli lanciò un'occhiata silenziosa e in un certo senso rassegnata. «Soprattutto te.»

«Stai bene, Legolas?» disse Gimli, piantando l'impugnatura della sua grande ascia da battaglia nel terreno e legandovi Arod, prima di girarsi completamente verso l'Elfo «Come dici tu, non sono del tutto solo. Sento ancora la mia famiglia attorno a me, persino ora. Ma tu sei un Elfo circondato da mortali...»

Le spalle di Legolas si tesero nuovamente, e si sedette per terra con curiosa ineleganza. «Sì, circondato da mortali» esclamò, e lasciò che i suoi lunghi capelli nascondessero il suo volto piegando avanti la testa «Gimli, le vostre vite volano via più in fretta della venuta della notte o del battito delle ali di un uccello! Mi cadete come sabbia fra le dita. Prima Gandalf – poi il povero Boromir, ah Boromir! E ora questo colpo, ed è il peggiore finora. Noi tre, Gimli – tu e io e Aragorn. Le Tre Stirpi, i Tre Cacciatori. E lui è andato» le sue mani si muovevano nel fino suolo marroncino in modo quasi distratto mentre parlava, la sua voce impassibile anche se il suo volto era ancora nascosto «Non posso sopportare un'altra perdita, così rapida e finale.»

Gimli si inginocchiò accanto all'Elfo, i suoi occhi pieni di preoccupazione, però la sua voce era gentile e morbida mentre parlava. «Adesso, Elfo!» disse «Non soffrirai altre perdite. Merry e Pipino sono al sicuro con gli Ent, e Gandalf ci è stato ridato. Anche ora, Frodo e Sam strisciano verso l'unica speranza che abbiamo, e chi può dire che Aragorn non sia sopravvissuto alla caduta, tanto forte era quell'Uomo? E infine, io sono qui e in salute, e nessun Orco o Mannaro avrà presto la meglio su un Nano, di questo puoi essere sicuro!»

Legolas guardò su. «È così diverso» disse, lentamente e con esitazione «Così diverso. Le nostre vite sono delle eco delle nostre più grandi gioie e dei nostri più grandi dolori, perché sono per sempre limpidi nelle nostra mente come lo erano quando li abbiamo vissuti. Il tempo non cambia il loro morso. E quindi troviamo dolore nella bellezza, e bellezza nel dolore, e abbiamo lunghi anni nei quali legarli assieme. Ma tu...»

Gimli strinse le mani di Legolas, aspettando in silenzio che continuasse.

«Tu provi dolore così fortemente che ucciderebbe un Elfo» disse Legolas, e le sue dita si strinsero su quelle di Gimli «Mi distruggerebbe provare come provi tu, perché non smetterei mai. Eppure trovo che non riuscirei a impedirlo, tanto vicino e caro sei diventato per me! Gimli, ti prego non cadere. Non posso perdere anche te – o perderò me stesso al dolore mortale.»

«Calmati» disse Gimli, e si sedette sull'erba accanto all'Elfo «Legolas, calmati! Non andrò da nessuna parte. Ho dubitato solo per un momento, e ora vedo la strada. Tu ed io andremo al Fosso di Helm, e faremo ciò che possiamo per aiutare questa gente. Io non cadrò, né lo farai tu. Noi vinceremo e il tuo dolore non ti prenderà come temi. Ora, chiudi gli occhi! Io non sento bisogno di dormire, ma tu hai passato troppo tempo con questi brevi e rapidi uccelli e il battito delle loro ali. No, non ti derido, Mastro Elfo – so che puoi battermi molte volte quando si tratta di rimanere sveglio. Però la domanda ora è se dovresti.»

Legolas si accigliò. «Gimli, mellon, sei...»

«Beh, senza dubbio quando arrivi a otto milioni di anni, un po' di riposo ogni tanto ti servirà» disse Gimli sorridendo «Un tetto di stelle sarà la tua camera, cosa potrebbe mai essere più Elfico?»

Legolas rise, e il suo volto sembrava di nuovo il suo. «Grazie, Gimli» disse, e strinse di nuovo le mani del Nano «Svegliami tra un'ora: è tutto ciò che mi serve.»

Gimli sbuffò nella sua maniera più ostinata e Nanica, e i suoi occhi brillarono di soddisfazione vedendo Legolas che sorrideva. «Non contarci, ragazzo. Avanti, chiudi gli occhi! Al buio, vedo abbastanza per entrambi.»

«Vorrei poterti vedere al buio quanto a mezzogiorno» mugugnò Legolas, e i suoi occhi divennero vacui e lontani mentre i suoi arti affondavano nell'erba.

Gimli aspettò qualche istante, e poi il sorriso cadde dalla sua bocca per lasciar nuovamente spazio a linee di dolore. Lentamente separò le proprie mani dalle dita di Legolas e iniziò a sciogliersi le trecce della barba.

«Gimli, no, non di nuovo» disse Thorin, e gemette.

«Cosa succede?» disse Frerin, allarmato.

«Oh» disse Frís, e poi guardò Thorin «Oh caro.»

«Se lo merita» disse Gimli, fermando le dita «Aragorn era il nostro comandante. Di più, era mio amico: il primo Uomo che io abbia mai chiamato tale. Mi mancherà. Avrà una ciocca, non meno di quanto si meriti un Nano.»

«Gimli, è molto nobile da parte tua» iniziò Thorin, e poi si massaggiò la fronte per la frustrazione «Gimli, ascolta per favore. Aspetta prima di farlo. Ho dato la mia barba a coloro che sono morti e ai quali non importava nulla di essa, e so che non può cancellare ciò che provi. Il tuo lutto ti ha portò forse via il dolore di aver perso tuo zio?»

Gli occhi di Gimli lampeggiarono. «Ah. Certo lo sapevi, e io ero troppo lento e stupido per sentire.»

«No! 'ikhuzh!» Thorin quasi urlò «Non hai idea di – Gimli, mia amata stella, tu sei il solo che sente! Il solo in ottant'anni! Altri credono che io sia la loro mente, i loro pensieri, che gli sussurrano all'orecchio. Ma tu mi senti, e sai che sono qualcosa di diverso da te. Puoi perfino percepire mio fratello qui, e i tuoi amici, e riesci a riconoscere le differenze fra noi! E ti chiami stupido?»

Le lucenti trecce rosse della bella barba si mossero col vento mentre Gimli esitava, incerto. «Sai se Aragorn vive?» disse infine.

Thorin abbassò la testa. «No. Non riuscii a vederlo quando il fiume lo prese.»

Gimli rimase in silenzio per un altro lungo momento, e poi sospirò. «Non taglierò ancora un'altra ciocca, dunque» disse con voce pesante «Ascolterò il tuo consiglio. Ma se lui non tornerà a noi in due giorni, finirò ciò che ho iniziato.»

«Sei un Nano di parola, non ne dubito» lo assicurò Thorin, prima di fare un sospiro. Come desiderava poter afferrare quella spalla robusta, tirarselo vicino e dargli conforto. Come desiderava essere la roccia di sostegno per Gimli, facilmente come Gimli lo era stato per Legolas. Anche per Thorin; per ottanta anni era dipeso dall'incredibile forza emotiva di questo Nano. «Gimli, c'è ancora speranza» implorò, sentendosi inutile e ancora meno di inutile. Cosa poteva fare un Nano morto? «Non disperare, ukrâd. Come hai detto, Aragorn è un grande Uomo. Chi sa quali doni e trucchi intelligenti un Ramingo può sapere? Potrebbe anche seguire i vostri passi mentre parliamo, correndo nella notte verso i suoi amici.»

«Forse» disse Gimli, e lasciò che la sua mano cadesse dalla sua bella barba «Forse.»

«Mukhuh turgizu turug usgin» disse Thorin, e la risata di Gimli rimbombò fra le pianure oscure, bassa e amara e triste.

Poi Gimli guardò l'Elfo, con gli occhi aperti e immobile come una statua mentre dormiva, prima di portarsi le ginocchia al petto e alzare il volto al cielo. «Forse gli Elfi hanno ragione» disse, piuttosto oscuramente «Forse c'è qualcosa da dire a proposito delle stelle.»

«Gimli» disse Thorin, prima di sentire la mano di sua madre sul suo avambraccio.

«Vieni, inùdoy» disse piano.

«È tardi, Thorin» fu d'accordo Frerin, la sua giovane voce piena di vecchio dolore. La lotta non era stata facile per lui, e dei vecchi ricordi stavano riaffiorando.

Facendosi forza contro alla frustrazione, Thorin si raddrizzò. «C'è davvero qualcosa da dire sulle stelle» disse alla sua stella «Tornerò, Gimli.»

Il Nano solitario annuì distrattamente, anche se la tristezza danzava nei suoi occhi e il suo volto non si girò mai dalla vasca decorata di gemme della notte. Il mento gli tirava la barba slegata con fredde dita deridenti.


«I tuoi capelli sono più bianchi di quanto non siano mai stati i miei» disse Óin a Glóin allegramente.

«Vieni qui, mia piccola volpe, mio piccolo azaghîth!» disse Glóin, piegandosi in avanti (un po' rigidamente) e allungandosi verso Gimizh. Il Nanetto strillò e andò a correre direttamente contro allo stomaco di Glóin, e il vecchio Nano quasi si piegò in due con un “oof!”.

«Adesso, Gimizh» gracchiò.

«Nonno, possiamo andare a vedere i bastioni, ti prego ti prego ti prego?» disse Gimizh, i suoi occhi castani larghi e imploranti e quasi impossibili da guardare senza sciogliersi (nell'imparziale opinione di Óin) «Non mi lasciano più andare da solo, e Piccolo Thorin dice che è perché hanno più paura di me che degli Orchi, ma Balin dice che è una bugia. Ma i bastioni sono fantastici, Nonno, e c'è un sacco da vedere, e Dori è sempre arrabbiato ed è divertente da morire quando è arrabbiato.»

«Oh, se Nori e Ori ti sentissero» mormorò Óin, e seguì suo fratello e il suo pronipote per i corridoi di Erebor. Pile di armi erano gettate in quasi ogni angolo, messe su mensole alte e fuori dalla portata di piccole manine sporche (Piccolo Thorin era già abbastanza alto, ma una sana dose di rispetto per sua madre gli faceva rifiutare di toccarle tutte le volte che Gimizh lo pregava).

«No, Gimizhîth, non andiamo ai bastioni» disse Glóin a suo nipote, ignorando l'urlo di “aaaaaawwwww!” che salutò la notizia «Potremmo andare alla Vasca delle Canzoni?»

«Ma span title="Vasca delle Canzoni">Kumath-zâram è noiosa» si lamentò Gimizh, e poi si arrampicò in braccio a Glóin «Andiamo, Nonno. Potresti farmi vedere i bastioni, o no? Prometto di fare il bravo, davvero – non toccherei quasi niente, e ti starei attaccato un sacco di tempo!»

Glóin rise e pizzicò la guancia di Gimizh, coperta di lanugine rosso scuro. «Oh, davvero? Sei onesto nel fare promesse, alla fine, ragazzo mio!»

Gimizh si illuminò. «Potrei combattere bene gli Orchi. Andrò a fare missioni come Zio Gimli e sarò coraggiosissimo e diventerò più alto anche di Piccolo Thorin. Vedrai.»

«Mi piacerebbe vederti riuscire» disse Glóin, aggiustando la presa delle sue braccia su Gimizh e alzandosi «La linea di Fundin è sempre stata più alta di quella Gróin, temo.»

Óin si incupì e incrociò le braccia. «Quantomeno entrambi battiamo Balin.»

«Quello era il mio bisnonno, giusto?» Gimizh guardò Glóin, e poi iniziò a giocare con le perline intrecciate nell'enorme massa bianca come la neve della sua barba.

«Esatto. E per i miei poveri vecchi nervi, mio piccolo terrore, per favore rimanda tutte le missioni. Uno per volta è abbastanza» disse Glóin, stringendo Gimizh a sé e guardando fuori dalla finestra il mare di Orchi che strisciavano sul pendio settentrionale della montagna come un vile tappeto rumoroso «E poi» aggiunse «Penso che abbiamo già abbastanza guai qui.»

TBC...

Note

Gli “Holbytla”: i Rohirrim hanno delle leggende su un popolo piccolo, detto Holbytla, nelle loro tradizioni orali. È stato supposto che i Rohirrim avessero conosciuto gli Hobbit nei giorni in cui vagavano nella Valle dell'Anduin, prima di stabilirsi nella Contea. La parola “Hobbit” derivò da “Holbytla”.

Alcune frasi sono state prese dal libro e altre dal film.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 25
*** Capitolo Venticinque ***


Thorin si scrollò di dosso la luce stellare, e alzò un braccio. «Vieni, namadul, appoggiati a me.»

Kíli guardò su con spaventati occhi cerchiati di rosso e quasi cadde dalla collinetta su cui era appollaiato. «Oh mio Creatore» ansimò, premendosi una mano sul petto «Mi hai spaventato da morire!» poi fece una smorfia «Beh, quando dico morire...»

Le labbra di Thorin si contrassero. «Molto divertente. Vieni, hai un aspetto orrendo.»

Kíli borbottò sottovoce, ma lo seguì doverosamente lo stesso. I suoi capelli erano un nido d'uccello, e le borse sotto i suoi occhi erano persino più profonde di quelle di Fíli. Si appoggiò di peso a Thorin e sbadigliò fino a farsi scrocchiare la mascella, ogni molare nella sua bocca visibile nella pallida, fumosa luce del giorno.

«Meraviglioso» ringhiò Thorin.

«Scusa» borbottò Kíli, appoggiandosi più pesantemente a lui «Un po' stanco.»

«Aye, lo so, nidoyel, e sono qui per aiutarti. Dove sono Frodo e Sam?»

Kíli si strofinò un occhio e indicò vagamente con l'altra mano. «Di là. Gollum ha appena fatto un orrendo capriccio perché non voleva mangiare il lembas poco fa, e ora ha messo il broncio. Sam è nervoso perché il piccoletto viscido si è lamentato della sua cucina. Frodo...» Kíli scrollò le spalle «Non lo so. Frodo è distante e triste un minuto, determinato e serio quello dopo.»

Thorin guardò nella direzione che Kíli aveva indicato. «Sono notizie deprimenti» si disse piano «Ha davvero cambiato tanto?»

Kíli fece una smorfia. «Io... non lo so. È difficile da spiegare. Sam è l'unico che riesce ancora a farlo comportare come uno Hobbit, e quei momenti stanno diventando sempre meno e sempre più lontani fra loro. Il resto del tempo è...» si interruppe e fece di nuovo spallucce «Come ho detto, è difficile da spiegare.»

Thorin continuò a guardare il nebbioso, monotono paesaggio, stringendo distrattamente il braccio di Kíli. «Ancora come uno Hobbit» ripeté, e si accigliò. Sì, era vero. Frodo era stato un normale Hobbit, interessato ai funghi e ai bagni caldi e alle canzoni e alla buona erbapipa. Bilbo era stato felice che il suo giovane parente potesse amare la sua terra e la sua gente in un modo di cui lui non era capace.

«Si stanno muovendo?» disse Thorin, scrollandosi di dosso il suo umore e concentrandosi su Kíli. Suo nipote annuì.

«Ti sei perso tutta l'eccitazione prima. Frodo è caduto dentro»

«Caduto dentro?» ripeté confuso Thorin, e poi notò la natura mutevole del paesaggio attorno a loro. Molti dei ciuffi d'erba galleggiavano liberamente tra le acque salmastre, e la bassa nebbia non era solo vapore, ma l'acro odore putrescente di una palude.

Kíli rise amaramente. «Vedi le luci? Non guardarle troppo da vicino. Frodo le ha seguite ed è finito dritto nell'acqua, e furono le dita rapide e le abilità da nuotatore di Gollum a tirarlo fuori.»

Le luci erano stranamente ipnotiche, e chiamavano Thorin allo stesso modo delle stelle della Camera di Sansûkhul. Allontanò lo sguardo. «Cosa successe qui?» disse, la voce bassa e ruvida.

«Gollum dice che è stata una battaglia» disse Kíli, e sbadigliò di nuovo. L'alto mura delle Montagne d'Ombra era davanti a loro, grigio e proibitivo.

«Dagorlad» disse Thorin con un lungo, lento respiro di comprensione «L'Ultima Alleanza. Qui è dove il nostro popolo sacrificò le loro vite per i loro alleati – e in cambio i nostri alleati si dimenticarono completamente di noi a del nostro sacrificio.»

«Pensavo fosse stata per fermare Mordor» borbottò Kíli, e alzò una mano prima che Thorin potesse ribattere «Guarda, sono troppo stanco per ascoltare un'altra predica, quindi possiamo andare a sederci con Frodo e Sam prima che ti inizi a fumare la testa?»

Le sopracciglia di Thorin si alzarono. «Sei diventato sfacciato, o sbaglio» fu tutto ciò che disse, superando suo nipote verso la collinetta erbosa dove potevano essere viste tre piccole forme rannicchiate.

Kíli batté le palpebre, e poi si affrettò a seguirlo. «Aspetta, non sei arrabbiato?»

Thorin sorrise a se stesso mentre Kíli si tormentava le mani, trotterellandogli dietro mentre attraversava le paludi fetide. «No.»

«Perché? Voglio dire, non è che non sia felice del fatto che tu non sia arrabbiato, solo non è... normale per te» disse Kíli ansiosamente.

Thorin guardò alle proprie spalle. «Grazie, sono molto lusingato, namadul.»

«Oh, sai cosa intendo» disse Kíli, alzando le mani «Sei...?»

Thorin si allungò all'indietro senza girarsi e si portò di nuovo suo nipote vicino, stringendo il corpo più piccolo contro al proprio fianco e meravigliandosi nuovamente di quanto fosse alto Kíli. I suoi nipoti sembravano sempre diventare più giovani nella sua mente in loro assenza, e così era sempre una sorpresa essere accanto a loro e vedere i loro volti adulti, i loro arti dritti e le loro teste orgogliose. «Sto bene, Kíli, smettila di preoccuparti. Ci vorrà più che la tua sfrontatezza per innervosirmi.»

«Non è mai stato così» borbottò Kíli, e lo guardò da sotto la sua frangia spettinata «Sembri... più calmo. Di quanto io riesca a ricordarmi.»

Thorin annuì. «Ci sono... problemi, che avrei dovuto affrontare molto tempo fa. Non lo feci. Guarire è doloroso, ma è sempre guarire.»

Kíli sembrava confuso. «Non capisco di cosa tu stia parlando, ma non sei arrabbiato e questo è buono» disse infine, prima di fare un cenno col capo verso dove i due Hobbit giacevano, silenziosi e infelici, in mezzo a un cerchio di strane luci fantasma «Là.»

«Dov'è Gollum?» chiese Thorin, guardando nella nebbia.

«Imbronciato, probabilmente» disse Kíli, appoggiandosi pesantemente alle spalle di Thorin un'altra volta. Thorin poteva praticamente sentire quanto pesanti e lenti fossero gli arti di suo nipote, sfiancato dalla stanchezza. «Ha fatto davvero un capriccio enorme prima.»

«Sam dorme» disse Thorin dopo un momento, accigliato. Non gli piaceva.

«Cosa sta facendo Frodo?» disse Kíli, e guardò oltre alla spalla dello Hobbit. Poi imprecò e barcollò indietro, quasi atterrando sul proprio posteriore.

«Cosa?» abbaiò Thorin, e si voltò a guardare.

Re Sotto la Montagna

Gli sfuggì un urlo strozzato, e alzò le mani mentre barcollava all'indietro. Il luccichio dell'oro gli danzò davanti agli occhi, e il colpo al suo cuore e alla sua quasi dimenticata sete di oro fu quasi insopportabile. «No» ansimò.

Thorin Thráinul, erede di Durin, ultimo Re della tua linea

La voce era così dolce, così dolce! Eppure passò su di lui come una morsa, stringendogli la mente finché non riuscì a udire null'altro. Thorin strizzò gli occhi e cercò di concentrarsi sull'aria che entrava e usciva dai suoi polmoni con tanta forza, sul feroce martellare del battito nel suo collo, sul tremore delle sue gambe. Dietro ai suoi occhi chiusi, una ruota di fuoco stava bruciando.

«È il Nemico» disse con voce strozzata, e dietro di sé sentì vagamente il gemito di orrore e terrore di Kíli «Il Nemico: ci vede, come Gandalf. L'Anello – Frodo deve mettere via l'Anello!»

Poi tremò incontrollabilmente mentre la voce soffiava le sillabe del suo nome oscuro. Vagamente percepì la sua bocca muoversi nella forma della parola “no” - e poi il rimbombo nelle sue orecchie fu interrotto da una parte inaspettata.

«Così brillante. Così bello. Ah, tesssorooo»

La mano di Frodo, sporca e rovinata, si chiuse di scattò sull'Anello come una molla, e rimise la catena nella maglia. La voce svanì.

Thorin cadde a terra, il cuore ancora in gola. Kíli strisciò fino a lui e strinse forte il suo braccio. «Zio...» riuscì a dire. La sua voce era tremula e debole.

«Dammi un minuto» disse Thorin con voce che sembrava piena di polvere. Si girò verso suo nipote e lo strinse, prendendo conforto dalla sua solidità, dalla sua familiarità.

Infine, come sempre, Kíli iniziò a muoversi. Non aveva la pazienza di essere abbracciato a lungo. Stava ancora tremando quando si allontanò, ma i suoi occhi scuri erano pieni di risoluzione e c'era una scintilla della vecchia allegria in essi. Resistenti, i suoi nipoti. «Stai bene?» chiese.

Thorin annuì, e poi esitò. «No» disse, e sorrise debolmente «Mi ha chiamato come nulla ha fatto sin dall'Archepietra. Ho... paura.»

Lo sbuffò di Kíli ruppe ciò che rimaneva della tensione. «Beh, chi non lo sarebbe? Quello è l'Unico Anello. Brrr. Mi servirà una birra dopo questo.»

«Possiamo andarcene tra un attimo» disse Thorin, e afferrò la spalla di Kíli «Quando le mia gambe mi reggeranno.»

Kíli gli lanciò un'occhiata e poi si mise comodo accanto a lui. «A pensarci bene, sì, giusto. Un riposino veloce. E poi birra?»

«E poi birra» confermò Thorin, e scompigliò i capelli selvaggi del ragazzo. Il ghigno di Kíli era meno allegro del normale, ma avrebbe potuto piangere nel vederlo.

Frodo si era tirato in piedi per poi inginocchiarsi accanto alla disgraziata cosa. Gli occhi blu dello Hobbit erano penetranti e acuti, e tutte le tracce di stanchezza erano cadute da lui. «Chi sei tu?» sussurrò.

«Non ce lo chiedere. Non sono affari tuoi» disse Gollum, accarezzandosi gentilmente il palmo della mano con un lungo dito. Thorin si fece forza vedendo il gesto, lo stesso che era passato sul luccichio dorato nella mano dello Hobbit.

«Gandalf mi ha detto che sei un abitante del fiume» insistette Frodo. Kíli scambiò uno sguardo con Thorin.

«Vedi?» sussurrò «Lo sta cambiando. Non so come. Ma è più saggio e più triste di com'era – e anche più forte. Non percepisce quel fuoco né sente quella voce.»

«È uno Hobbit» disse Thorin, e si tirò in piedi. Le sue gambe erano ancora deboli, ma riuscivano a portare il suo peso.

«Fredda la mano, le ossa e il cuore, freddo è il corpo del viaggiatore» canticchiò la vecchia cosa consunta, e Thorin aggrottò le sopracciglia.

«Conosci questa filastrocca?» borbottò a Kíli, che scosse la testa «Sembra vecchia. Molto vecchia.»

«Ha detto che la tua vita era una triste storia» disse Frodo, avvicinandosi a Gollum, i suoi occhi blu decisi.

La bocca della creatura di contorse, e sputò: «non vede quel che il futuro gli porta, quando il sole è calato e la luna è morta!»

«Non eri molto diverso da uno Hobbit una volta» disse piano Frodo, e Thorin indietreggiò. La bile gli risalì in gola. No, non Bilbo, no. «Non è vero, Sméagol?»

Il miserabile si congelò, e i suoi pallidi occhi simili a lampade diventarono persino più grandi, lucenti come se essi stessi fossero lune al buio. «Come mi hai chiamato?» sussurrò.

«Questo era il tuo nome una volta, molto tempo fa» disse Frodo, e una terribile compassione era nel suo volto. Thorin aveva già visto la compassione sul volto di uno Hobbit prima, sul suo letto di morte, e il senso di colpa crebbe in lui in una sensazione familiare. Lo schiacciò senza pietà. Frerin ne sarebbe stato deluso.

«Il mio nome» sussurrò Gollum, e un sorriso tirò le sue labbra rovinate. Lo faceva sembrare una creatura completamente diversa. «Il mio nome. Sméagol.»

Uno strillo tagliò l'aria.

Sam si svegliò di colpo, sedendosi immediatamente. «I Cavalieri Neri!» esclamò, e raccolse le sue padelle con un gran sferragliare e rumoreggiare.

«Via!» strillò Gollum «Via!»

Frodo urlò e si strinse la spalla, e il suo viso era bianco come il gesso e rinchiuso in un qualche ricordo orribile. Sam lo afferrò e lo trascinò fino a quando furono entrambi nascosti sotto all'unico riparo nel raggio di miglia: un minuscolo boschetto di alberi, puzzolenti e ricoperti di fango e rampicanti. Lo stridio del Nazgûl attraversò nuovamente il petto di Thorin, e lui girò sui tacchi, guardando le piatte pianure malsane, desiderando disperatamente la familiare elsa in dente di drago di Orcrist a riempirgli il palmo.

«Guarda!» urlò Kíli, la voce acuta dalla paura. Thorin si girò, ma la mano di Kíli non indicava la pianura, ma l'alto «Guarda!»

«Ci vedranno, ci vedranno» pianse Gollum, e Frodo si piegò in agonia mentre un dolore nascosto gli trapassava il corpo.

«Li credevo morti!» ansimò Sam, tenendo Frodo più fermo che poteva.

«Morti? Aye» ringhiò Thorin, guardando la vasta, orrida cosa. Sfidava a crederci: poteva a malapena comprendere la vista. «Sei circondato dai morti, Samwise Gamgee, e ringrazia il Creatore che non tutti vogliono farti del male» fece una pausa, e strinse la mascella «Questa deve essere la creatura che Legolas colpì sull'Anduin. Una nuova stregoneria di Mordor.»

«Spettri! Spettri con le ali!» gemette Gollum, e si torturò le pallide mani dalle lunghe dita «Stanno chiamando lui. Stanno chiamando il Tesoro!»

«No!» esclamò Kíli, e strinse il braccio di Thorin «Non può...!»

«Diventa più forte» disse Thorin cupamente, guardando il Nazgûl che volava in cerchio «Non poteva chiamarmi prima, eppure ora cerca di tentare i morti. Poté solo chiamare l'Osservatore a Moria. Chi sa cosa può fare ora?»

«Il Nero Cancello è vicino. Non dovrà portarlo molto a lungo» disse Kíli con voce piccola, e non parlò delle sue paure.

Mentre il grande serpente volante di allontanava, Thorin si sentì rilassare dal sollievo e dalla reazione ritardata. «Andiamo» disse infine «Sei esausto, ed è stato un turno difficile.»

«Ho parlato troppo presto quando ti dissi che ti eri perso tutta l'eccitazione» disse Kíli, in tono debole. Si teneva attaccato al braccio di Thorin come se lasciarlo volesse dire attraversare senza controllo il cielo notturno.

Thorin guardò le luci ai suoi piedi, e tremò quando la bella faccia Elfica sott'acqua iniziò a tremare e brillare in modi orribili e indescrivibili. «Andiamo a prendere quella birra di cui parlavi» ringhiò.

Kíli fece un respiro fra i denti. «Se tu non fossi già il mio Re, voterei per te» disse ferventemente.


Il piccolo Frerin Dwainul masticò distrattamente la barba di suo padre, e guardando, il suo zio fantasma sorrise con affetto.

«Ti divertirai con lui quando arriverà ai quaranta» disse a Dwalin, che stava tenendo il suo figlio minore in braccio mentre leggeva i rapporti di Dori sugli sforzi dell'armeria.

«Pa» disse Frerin, masticando ancora la barba di Dwalin «perché non possiamo più andare fuori?»

«Perché non è sicuro, mio piccolo ghivasha. Smettila» disse Dwalin, strappando distrattamente la ciocca della sua barba dalla presa cicciotta del figlio.

«Perché?»

«Perché ci sono un sacco di vecchi orcacci e goblin là fuori che farebbero del male a un bel ragazzo come te»

«Perché?»

«Perché odiano i Nani»

«Perché?»

«Perché li abbiamo fatti a polpette negli anni, e lo faremo di nuovo»

«Perché?»

Dwalin ringhiò, e Frerin ridacchiò.

Balin rise. «Vorrei avergli potuto insegnare storia e lettere, nadad» disse nostalgicamente a suo fratello «Con la tua impazienza, saranno fortunati se sapranno chi fosse Durin.»

«Posso andare a trovare il Signor Dori?» chiese Frerin. Aveva perso un dente solo un paio di giorni prima, e la sua pronuncia era leggermente blesa. Il risultato era adorabile, anche se un po' esasperante per il proprietario del dente mancante, che non poteva più mordere le stecche di caramella al miele che amava tanto e doveva succhiarle invece, diventando “tutto sporco e appiccicoso, bleh!”

«Il Signor Dori è impegnato oggi» disse Dwalin, rimuovendo nuovamente la barba dalla bocca del figlio. Frerin adorava masticare le trecce. I capelli di Piccolo Thorin erano permanentemente pieni di doppie punte grazie all'abitudine di suo fratello minore. «Dovrai fare un po' di compagnia al tuo vecchio Pa, aye?»

«Va bene» disse Frerin, rimettendosi comodo nelle braccia enormi di Dwalin. Il ragazzino stava diventando più grande, ed era chiaro che dei tre figli di Dwalin e Orla, Frerin sarebbe diventato il più alto.

Anche se, pensò Balin orgogliosamente, il suo omonimo era decisamente il più forte.

«Perché devi leggere tutte quelle cose, Pa?» disse Frerin, mettendosi di nuovo la ciocca bagnata in bocca. Dwalin non reagì nemmeno levandogliela, ancora guardando il rapporto.

«Devo fare ordine per il Re e per Zia Dís» disse, e Balin scosse la testa, ridendo. Sembrava che il vecchio soprannome di Gimli per la Principessa si fosse diffuso fino al punto in cui ogni bambino della casata Durin la chiamava “Zia Dís” indipendentemente dalla vera parentela. «Tutti quegli Orchi sulla porta di casa vogliono dire che dobbiamo sapere sempre cosa abbiamo, e...»

Qualcuno bussò alla porta, e Dwalin si interruppe per dire ruvidamente: «è aperto.»

Era Barís Linguacristallina, ed era vestita semplicemente senza i gioielli attraverso il labbro e intorno alla gola che mostravano la sua posizione di Mastro Cantante. «Lord Dwalin» disse, e spostò il peso da un piede all'altro. Non era mai somigliata tanto a Bombur, pensò Balin. «Uhm. Pensavo che forse avrei dovuto parlarvi...»

«Sono un po' occupato» disse Dwalin diretto, e poi dovette tirare di nuovo fuori la sua barba dalla presa di Frerin. Balin dovette mettersi la mano in bocca per impedirsi di ridere tanto da non sentire ciò che diceva suo fratello. Ah, ma era meraviglioso vedere il suo fiero, scontroso, impaziente nadadith come un padre tanto buono e paziente! «Se è per via dei dannati Elfi e le loro canzoni, lo so, lo so, e nemmeno io so che vuol dire “tra-la-la-la-la-la”.»

«No, è per la guerra» disse lei, e abbassò la testa. Il suo sorriso, allegro e umile, era scomparso. «Io... Io ho avuto un'idea. Ho pensato che forse avrei dovuto parlartene.»

Lui aggrottò le sopracciglia. «Beh, suppongo. Barís, forse avresti dovuto parlarne con tua madre e tuo padre prima...»

«No!» esclamò lei, alzando la voce meravigliosa, e poi chiuse gli occhi e strinse i pugni «Mi fermerebbero. Barum e Bomfrís sono i guerrieri: io sono solo una musicista.»

«Ora aspetta un attimo, solo una musicista...» si scaldò Dwalin, per la segreta delizia di Balin.

«Quindi perlomeno quelle lezioni di violino ti hanno dato qualche apprezzamento per la musica» mormorò.

«Ascoltami per favore» implorò lei, e si sedette e avvicinò la sedia al generale brizzolato e al bambino «Ci servono gli Uomini di Dale, vero?»

Dwalin si irrigidì. «Chi te lo ha detto?» ringhiò.

«Nessuno me lo ha detto» disse lei, alzando gli occhi al cielo «È ovvio. Ci servono. Siamo bloccati nella Montagna, e anche se gli Orchi non possono entrare, noi non possiamo uscire. Ci serve una forza dall'esterno, e Bosco Atro non manderà altri. Ha già i suoi problemi.»

«Ce la stiamo cavando finora» iniziò Dwalin, e lei mugugnò irritata.

«Sì, tiriamo frecce all'esercito fino a che non si allontanano troppo anche per gli Elfi» disse, e alzò un sopracciglio fulvo «Io vivo con mia sorella, ricordi?»

«Ah» Dwalin guardò giù, e poi represse un grugnito tirando via la barba fradicia dalla bocca di Frerin «Eh. Ignoralo.»

«Ci serve qualcuno che attacchi da un altro fronte, che ci dia la distrazione che serve perché noi possiamo aprire i Cancelli e attaccare senza esporci a un'invasione» disse lei, toccandosi il labbro.

«Aye, lo so» Dwalin le lanciò un'occhiata stanca «Ho mandato ogni corvo e anche qualche piccione, ma Dale non risponde. Siamo intrappolati.»

Lei sorrise debolmente. «A meno che noi non usciamo di nascosto.»

Lui si accigliò. «Pensi non ci abbia pensato? La Montagna è circondata, Barís.»

Lei scrollò le spalle. «Quindi scaviamo sotto di loro.»

«Aspetta – scaviamo sotto -» Dwalin balbettò, e poi fissò la cantante come se lei gli avesse porto la corona di Durin.

Lei sorrise. «Io sono la figlia di un minatore – e la nipote di un minatore» disse, e si alzò e si lisciò il semplice abito «Comunque, volevo venire a esporre la mia idea.»

Lui la fissò, i suoi occhi spaiati larghi.

Frerin colse l'opportunità di rimettersi la sua ciocca preferita della barba di Dwalin in bocca.

Balin ululò dalle risate fino a piangere.


Attraversarono l'Ovestfalda, raccogliendo rifugiati mentre passavano. Superarono villaggi bruciati, le case devastate con le porte divelte e le finestre spalancate e annerite come occhi vuoti.

«È abominevole» sussurrò Ori, e Bifur si avvicinò a lui, spalla a spalla, un grande cane da guardia bianco e nero.

«Mukhuh Mahal bakhuz murukhzu» disse, guardando tristemente le rovine delle case e i gambi anneriti che erano tutto ciò che rimaneva dei campi, e poi accarezzò distrattamente i capelli di Ori.

I picchi coperti di neve dei Lavamabbad si innalzavano dalle dolci colline verdi, e Thorin li guardò con sollievo. «Le Montagne Bianche» mormorò.

«Un posto decente, direi» disse Bifur, grattandosi la barba annodata «Perché non abbiamo mai messo un Khuzd-ezùleg qui?»

«Non siamo mai stati abbastanza a lungo a Rohan per scoprire se ci sono metalli o gioielli da trovare, credo» disse Frerin, facendo spallucce.

Improvvisamente un urlo salì da ogni gola, e mani furono alzate per indicare una valle profonda nascosta fra le braccia della catena montuosa.

«Il Fosso di Helm!»

Dirupi pieni di cornacchie si innalzavano ai lati dell'enorme, cupa fortezza che bloccava la valle per tutta la sua larghezza. Alte mura di pietra antica li guardavano accigliate, e dentro vi era una grande torre.

Accanto a Thorin, Frerin fischiò piano. «Questo è una gran bel lavoro» disse, impressionato.

«Aye» confermò Thorin, guardando la grande fortezza con occhio critico «Dicono che nessuno abbia mai preso la vallata del Trombatorrione. Sto iniziando a capire perché.»

«È quasi Nanico» disse Ori con soddisfazione «Oooh, mi piacerà qui, penso.»

Gimli sembrava della stessa opinione mentre camminava lungo la strada rialzata e attraverso le porte verso il bastione. C'era una fortezza più piccola all'interno delle grandi mura, scavata nella buona roccia grigia della Montagne Bianche. «Molto buono» mormorò Gimli a se stesso, guardandosi attorno. Passò una mano sulle pietre del muro, e poi gli diede un colpetto di approvazione.

«La fortezza è dunque di tuo gradimento, mellon nín?» disse Legolas, guardando giù verso di lui. Il suo lutto era ancora nei suoi occhi e nella sua voce, ma era tornato se stesso per quanto possibile.

Gimli guardò su e diede un altro colpetto al muro. «Aye, decisamente.»

Guidarono i cavalli verso una grande stalla, e ad Arod fu data acqua e un pastone per il suo lungo viaggio. Mentre Legolas guidava il cavallo che portava i due bambini verso la stalla successiva, si udì un urlo che echeggiò fra le travi intagliate: «Éothain! Freda!»

«Mamma!» strillò Freda, e una donna con capelli lunghi e spettinati e il volto scavato dalle lacrime corse e strinse entrambi i bambini fra le sue braccia e premette il volto ai loro abiti, piangendo di sollievo e gioia.

Gimli sorrise e si spinse indietro l'elmo con un pollice, guardando. «Guarda, Elfo. Non tutto è oscuro in questo mondo.»

«No» disse Legolas, e sospirò senza suono mentre guardava di nuovo Gimli «C'è ancora molto bene da trovarvi.»

Ori fece un respiro improvviso, e lanciò uno sguardo indagatore verso Thorin. Qualunque cosa vide nel volto di Thorin gli fece abbassare le spalle.

Éothain si allungò verso sua madre, e gli coprì il volto di baci mentre Freda si avvolgeva attorno a sua madre e suo fratello come una piccola coperta determinata e singhiozzava e singhiozzava con un sorriso sulle labbra.

«Ah, adesso» disse Bifur, e sorrise dolcemente senza tracce del suo usuale ghigno folle «Non è un lieto fine?»

«Non è ancora finita» Frerin si guardò alle spalle.

«Dagli un momento in cui trovare pace» disse piano «Dopo la perdita di Aragorn, ne hanno bisogno.»

«Dovremmo andare dal Re» disse Gimli infine.

«Potrebbe non aver bisogno di noi» sospirò Legolas, e anche Gimli sospirò e annuì.

«Aye, forse. Ma è il nostro dovere e non lo eviterò» chiamò uno stalliere (che stava fissando a bocca aperta come un idiota il Nano e l'Elfo, e fece un salto indietro quando il Nano gli parlò direttamente) e disse: «ragazzo, ci porteresti alla fortezza? Dobbiamo farci vedere.»

«Di qua» squittì il ragazzo, e quasi corse contro al muro per la sorpresa e lo shock.

Lasciando sola la famigliola, i due furono guidati in una sala dove il signore dell'Ovestfalda, un magro, secco Uomo, era in piedi leggendo una lista di rifornimenti. La sala era meno bella e maestosa di Meduseld, ma era lo stesso grande e ben fatta. Legolas rimase dietro a Gimli mentre i due aspettavano l'arrivo del Re.

Poi l'Uomo sospirò e si passò una mano fra i capelli mentre si appoggiava su un gomito. Infine sembrò notare i suoi strani ospiti, e li guardò con educata curiosità. «Salute, miei signori» disse, e Thorin notò con approvazione che l'Uomo stava facendo un grande sforzo per non fissarli «Sono Erkenbrand dell'Ovestfalda. Posso aiutarvi?»

«Nay, grazie» disse Legolas «Aspettiamo il Re.»

«Dicci se siamo in mezzo ai piedi» aggiunse Gimli.

«Il Re?» Erkenbrand batté le ciglia «Ma il Re è curvo come un vecchio albero sotto la neve, non può...»

Le porte si spalancarono e Gamling entrò, seguito da Háma e dai signori della Éored di Meduseld. Erkenbrand si inchinò rapidamente, e poi rimase a bocca spalancata, perché in seguito al gruppo vi era la forma di Re Théoden, in armatura completa, con l'elmo sotto il braccio e gli occhi duri e luminosi. «Erkenbrand» disse, e la voce era piena e vigorosa «dimmi dei terreni e dello stato dei magazzini. Cosa abbiamo accumulato, e quanto altro ti serve?»

«Mio Re...!» ansimò Erkenbrand, e si inchinò ancora più profondamente «Non avrei mai pensato...»

Théoden rise cupamente. «Pensavi che io fossi nel mio Palazzo con delle coperte sulle ginocchia, che sbavavo in un pitto di brodo. Così era. Ma non ora» strinse l'avambraccio di Erkenbrand e lo raddrizzò «Siamo venuti in aiuto dell'Ovestfalda. Ora dimmi, come stanno le cose?»

Il volto di Erkenbrand era meravigliato, e poi rise una corta, asciutta risata. «Bene, signori» disse a Legolas e Gimli «pare che strana gente dica il vero in questi strani giorni.»

Gimli alzò un sopracciglio ma non disse nulla. Legolas sorrise debolmente.

«Sono molto felice di vederti, mio Signore» disse l'Uomo, girandosi di nuovo verso Théoden e afferrandogli a sua volta la mano in gratitudine «Molto, molto felice. Ecco, prendi la mia sedia, e io ti darò ogni notizia che posso.»

«Re Théoden» rombò Gimli, e il Re fece una pausa nel sedersi, la mano che già prendeva un rapporto «Hai bisogno di noi?»

Théoden diede loro un lungo sguardo pieno di compassione. «Vi ringrazio per i vostri dolori e per essere venuti a vedermi, ma dovreste fare ciò che pensate sia meglio» disse, e la compassione per la perdita di Aragorn era nel suo volto «Vi manderò a chiamare, Mastro Nano e Mastro Elfo, se avrò bisogno del vostro consiglio.»

Gimli si inchinò alla miglior maniera dei Nani. «Al vostro servizio» disse, e Legolas si inchinò con grazia dietro di lui, muovendo il lungo braccio di lato.

Uscendo dalla sala, quasi si scontrarono con Lady Éowyn. Frerin fece immediatamente un sospiro soddisfatto e iniziò a tirarsi distrattamente i capelli dorati. «Finalmente» disse, e ritornò a guardare la Dama Bianca di Rohan come se non si sarebbe mai stancato della vista.

Thorin nascose cautamente il suo ghigno.

«Mia signora» disse Gimli educatamente.

Lei inchinò la testa aggraziatamente, riflesso condizionato dalla sua educazione anche se indossava solo un abito da viaggio e le sue braccia erano piene di un cesto di grano. «Lord Gimli, Lord Legolas» disse, e i suoi occhi andarono dietro di loro, prima di tornare su Legolas con una traccia di panico nelle loro profondità «Lord Aragorn... dov'è?»

La mano di Gimli si strinse sulla sua cintura, e le sue labbra premettero insieme fino a brillare bianche e esangui sotto la sua bella barba. «È caduto» disse infine, le parole secche e strozzate.

Lei barcollò indietro, il volto come colpito.

Legolas chinò la testa. «Mio più caro amico, non hai parole di conforto per lei come quelli che ebbi per me?» mormorò.

Gimli chiuse gli occhi. «Trovo che sono quasi prosciugato di qualsiasi conforto.»

«No» disse Frerin con forza «Aiutala!»

«Mai» disse Legolas, e appoggiò una lunga mano pallida sull'enorme spalla di Gimli «Questo mai.»

«Oh, non buono» gemette Ori, e i suoi occhi andavano da Gimli a Thorin, avanti e indietro, avanti e indietro, finché iniziò ad essere fastidioso.

«Smettila, Ori» ringhiò «Non prenderò fuoco né esploderò solo perché mi guardi così! Gimli si merita tempo per il lutto, né più né meno che qualsiasi altro Nano. Non sarò arrabbiato perché non è felice.»

La bocca di Ori si spalancò, e la mascella si mosse disperatamente per qualche momento. Poi gemette e si prese la testa fra le mani.

«Ma forse me ne rimane un poco» disse Gimli, e guardò la Dama coi suoi occhi scuri, luminosi e profondi come le radici della terra «Se c'è una possibilità in questo mondo che Aragorn sia sopravvissuto» disse «allora tornerà da noi. Non dubitarne mai.»

«Se» disse lei, e gemette addolorata, le dita volarono alla sua bocca e il cesto cadde in terra.

«Oh» disse Frerin angosciato «oh no. Aiutala, ho detto, non peggiorare le cose!»

«Shhh, nadad» disse Thorin, e dolcemente aprì la presa ferrea che Frerin aveva sui suoi capelli prima che se li strappasse dalla testa «Le parole non possono aiutare in momenti simili.»

Frerin gli lanciò un'occhiataccia, e poi si voltò per guardare nuovamente Éowyn con occhi imploranti.

«Ci sono buono possibilità» disse Gimli fermamente «Aragorn è un grande Uomo, e ha affrontato e vinto molti pericoli. Non soccomberò alla tristezza, non ancora.»

Lei batté le palpebre, le lacrime tremarono sulle sue ciglia. «E tu?» disse, voltandosi verso Legolas «Tu che hai visto tanti anni e tanti Uomini morire, anche tu lo credi, o i secoli ti hanno insegnato altro?»

Legolas si irrigidì impercettibilmente. «Gli anni passano» disse, e le sue mano si strinse sulla spalla di Gimli come per rassicurazione «Ma gli Elfi no. Ho meno conoscenza in questa situazione di te, Signora. Ascolta Gimli, e non perdere la speranza.»

Lei li fissò, e poi si voltò, facendosi strada fra la folla per sparire dalla vista.

«Parla con la prima follia del lutto» disse Legolas «Non farci caso.»

Gimli scosse la testa. «Non ne faccio» si strofinò la fronte stancamente, e poi diede un colpetto alla mano di Legolas, ancora sulla sua spalla «Ora, ragazzo, sto bene. Non c'è bisogno che ti affanni.»

Thorin chiuse gli occhi. «Noi non possiamo aiutare qui.»

«Non è vero» disse Gimli, la sua voce profonda morbida e intensa «Mi aiutate.»

Gli occhi di Thorin si spalancarono, e fissò la sua stella per qualche istante, prima di abbassare la testa. «Sono felice di averti dato qualcosa, dunque» disse, e parte della pressione nel suo petto scomparve. Il debito che aveva verso questo Nano improvvisamente non sembrava tanto pesante.

«Wow» disse Ori in un mezzo sussurro senza fiato.

«L'ho detto, no?» disse Frerin, piuttosto soddisfatto. Incrociò le braccia e alzò il suo affilato mento Durin.

«Ai-oi, ulganul mahumb» imprecò Bifur con voce debole, il volto completamente inespressivo.

«Ora, ora, linguaggio» disse Ori debolmente, dando delle pacche sulla mano di Bifur. Poi si girò verso Thorin e deglutì un paio di volte e disse: «è un pochino inquietante quando ti risponde così.»

«Sì, lo so» disse Gimli, e ghignò, anche se era ancora piuttosto malinconico. Ori squittì e si morse i guanti, e Bifur iniziò a ridacchiare.

«È molto strano sentirti parlare all'aria in quella maniera» disse Legolas, facendo strada dalla grande Sala in cima alla fortezza verso le baracche militari «Non penso ci farò mai l'abitudine.»

I baffi di Gimli si mossero, come se le sue labbra stessero tentando di sorridere. «Sei certo di non poterli udire? Perché hanno detto la stessa identica cosa neanche due secondi fa.»

Legolas rise piano. «Ti prometto, mellon nín, che non posso sentire la tua famiglia. Dubito che desidererebbero che un Elfo senta le loro voci.»

Gimli si accigliò, e poi sospirò, seguendo Legolas per i corridoi in pietra grigia. «Aye, senza dubbio hai ragione.»

«Gimli» iniziò Thorin, e poi si interruppe. Non sapeva cosa dire.

«Ah, non farti del male cercando di trovare delle parole» disse Gimli, e sorrise tristemente «Tutta Erebor parla ancora di quanto profondamente tu odiasti gli Elfi di Bosco Atro. Sei il mio amato Signore, e ti devo tutte le mie azioni e la mia lealtà, ma non prenderò parte a ciò. Lui è mio amico e non ascolterò ciò che hai da dire contro di lui.»

«No, io non – non stavo per» balbettò Thorin, e poi ringhiò sottovoce «Gimli, non stavo per dire ciò! Sono felice che tu abbia la sua amicizia!»

Gimli si bloccò improvvisamente, la sua faccia completamente stupefatta. La pausa improvvisa dei suoi passi pesanti sulla pietra lasciò un silenzio pieno di strane eco. «Cosa?» disse, confuso, e poi scosse la testa e disse di nuovo, più forte: «cosa?»

Thorin aprì la bocca, e trovò che non aveva nulla da dire.

«Gimli?» disse Legolas, girandosi per guardarlo con preoccupazione «Cosa succede?»

«Ha detto...» Gimli esitò, e poi si strofinò la fronte e domandò: «cosa ho appena udito? Sto forse diventando sordo come mio zio?»

«Sì, fratello, cosa ha appena udito?» mormorò Frerin, spingendo il fianco di Thorin. Thorin lo incenerì con il suo sguardo più scuro, più nero. Fece ridacchiare suo fratello, e Bifur iniziò a ridere e scuotere un pugno in aria.

«Eh, aspetta un attimo per favore» disse Ori un po' troppo allegramente, e poi spinse con esitazione l'altro fianco di Thorin «Va avanti, dì ciò che hai appena detto» soffiò «Dillo di nuovo. Ha bisogno di sentirlo.»

Thorin li fulminò tutti, e soprattutto Bifur, che era passato a ululare e tirare calci al pavimento.

«Avanti!» ripeté Ori, e Frerin annuì dall'altro lato.

«Devi affrontare certe cose, fratellone» disse, e sorrise il dolce, comprensivo sorriso della loro madre.

Thorin sospirò pesantemente, e lasciò che la sua testa cadesse in avanti. Troppo tardi, si ricordò di essersi legato i capelli quel mattino e quindi non poteva nascondersi dietro di essi. Dannazione.

«Sono felice che tu abbia la sua amicizia» disse, la sillabe ruvide e difficili sulla sua lingua cocciuta «Lo sono. Gimli, è un conforto per me sapere che non sei solo, e che uno di queste Genti Alte si è affezionato a te a modo loro.»

«A modo loro» ripeté Gimli, e sbuffò piano, anche se sorrideva di nuovo «Aye, a modo suo, e io a modo mio. Grazie, mio Signora. Non arei mai pensato di avere la tua comprensione, ma ora ciò mi dà speranza. Se persino tu puoi trovare del merito in lui, allora forse le nostre stirpi non rimarranno separate e la nostra amicizia un segreto.»

Ori gemette, e Thorin fece una smorfia. «Ah, forse ciò potrebbe essere un po' ambizioso» mormorò Ori.

«Davvero» borbottò Thorin. Poi guardò su verso l'Elfo in piedi nervosamente sulle scale «E non ho detto che trovo alcun merito in lui! Solo che sono felice che tu abbia la sua amicizia.»

Frerin gli lanciò uno sguardo senza speranza. «Oh, nadad. E stavi andando così bene.»

Le sopracciglia di Gimli si alzarono, e sbuffò. Incrociando lo sguardo di Legolas, disse seccamente: «il mio Signore non trova sbagliata la nostra amicizia, Legolas. È felice, mi dice.»

Gli strani, penetranti occhi Elfici si allargarono. «Davvero?»

«Però» disse Gimli, ricominciando a camminare e prendendo il suo posto abituale accanto al lato sinistro dell'Elfo «approva solo dell'amicizia per carità mia. Temo tu debba passare qualche altro millennio per averlo dalla tua parte.»

Legolas fece una risata sorpresa, e poi annuì. «Confesso, non ne sono sorpreso» disse «Ti ho detto di ciò che è successo fra noi. Ha molte ragioni per odiare me e i miei. Ma millenni? Gimli, tu persisti nel aumentare le quantità al massimo grado!»

«Non era un'esagerazione, ragazzo» disse Gimli, e sorrise ancora «Andiamo, troviamo qualcosa da mangiare. Ho fame quanto una dozzina di Hobbit!»

«Mai sia – inizieresti a mangiarti la Cittadella, e quali mura rimarrebbero tra noi e Isengard?» Legolas sorrise, e la coppia se ne andò.

Frerin stava fissando Thorin e picchiava un piede.

«Cosa?» disse Thorin brusco, e uscì dalla luce stellare per evitare di dover rispondere a domande fastidiose. Il ringhio esasperato di suo fratello fu l'ultima cosa che sentì prima che la luce del Gimlîn-zâram prendesse la sua vista e lo rilanciasse nel freddo, immobile mondo dei morti.


Si sentì in un certo senso in colpa dopo. Non la grande, insostenibile ondata di senso di colpa e vergogna e rabbia che era salita così tante volte per bloccare la sua gola e riempirgli la lingua per quasi ottant'anni, ma una piccola, calda punta di vergogna. Frerin gli aveva dato tanto. Gimli gli aveva dato tanto, e lui era scappato. Thorin spinse via il suo nuovo lavoro, irritato con se stesso, e guardò per la sua forgia.

«Non avrei dovuto scappare da Frerin e Gimli così» borbottò, e lasciò che i suoi occhi tornassero sul suo lavoro, fissandolo assentemente. I narcisi che aveva intagliato sulla sua nuova penna erano leggermente storti, ma pensava che a Bilbo sarebbero piaciuti così.

«Chissà se gli sarebbe piaciuta l'elanor dorata che cresce nei campi di Lothlórien» si chiese distrattamente, e poi si fermò, premendosi il palmo della mano contro un occhio. Oh, ma era un idiota.

«Smettila, i tuoi occhi mi piacciono dove sono» esclamò Bilbo.

Thorin grugnì, e lasciò che la sua mano ricadesse sul suo tavolo da lavoro. «Ti piacerebbe? Elanor per la tua prossima penna?» chiese, e i ricci rimbalzarono mentre lo Hobbit scrollò le spalle. I suoi pollici premettero nelle piccole tasche del suo panciotto, e Thorin desiderava, oh come desiderava, che questo Bilbo non fosse solo un frammento della sua solitudine e desiderio; che il vero Bilbo, vecchio e scricchiolante e perso nel tempo tra le mura della propria mente, lo potesse udire prontamente come la sua controparte immaginaria – prontamente quanto Gimli. Voleva andare dietro a Bilbo e sentire il piccolo corpo premuto contro il suo, sentire quanto facilmente poteva torreggiare su di lui, abbracciarlo, proteggerlo, eppure poter anche essere distrutto così facilmente. Voleva avvolgere le braccia attorno allo Hobbit e mettere i propri pollici accanto ai suoi nelle piccole tasche del panciotto. Voleva seppellire il naso nei strani, morbidi ricci, così diversi dai capelli Nanici, così accesi. Voleva che quella piccola lingua affilata lo scuoiasse vivo per i suoi crimini e lo rimettesse insieme per il suo futuro.

«Perdinci e accidenti, sei di nuovo melodrammatico» gemette Bilbo, e dondolò sui suoi talloni pelosi «Tu, mia borbottante Maestà, hai delle scuse da fare e qualche urgente conversazione da avere, quindi per favore smettila con tutte queste sciocchezze Naniche, fatti una tazza di tè, e vai.»

«Tazza di tè?» disse Thorin, e rise sottovoce.

«Oh, perbacco, sai cosa voglio dire» disse Bilbo, tirando su col naso. Poi fissò Thorin con uno sguardo truce niente male – per uno Hobbit. «Vai, smettila di cincischiare.»

«Odo e obbedisco» disse Thorin, e sorrise al suo irascibile, intelligente, adorabile piccolo Uno, lasciando che gli riempisse il volto lentamente e calorosamente e oh così facilmente.

Bilbo arrossì. «Oh, non è per nulla giusto» borbottò, e poi si raddrizzò, tirandosi giù fermamente il panciotto «Mi piace l'elanor. Sarà decisamente... soddisfacente. Vai allora!»

Thorin fece un respiro profondo, e un altro, e quando fece il terzo, Bilbo era andato.

Lui rimase lì, senza parole e in qualche modo più vuoto di prima. Il senso di colpa iniziò a tornare, e lui strinse i denti contro di esso. Sentiva il passaggio del tempo nella spinta del sangue nelle sue vene, il tic-tic-tic-tic del suo labbro mentre combatteva contro le linee di rabbia e vergogna nelle quale la sua faccia ricadeva così naturalmente.

Poi girò sui tacchi e uscì dalla sua forgia. Doveva trovare suo padre e suo nonno.

Thráin era nella sua forgia, trasferendo attentamente un contenitore d'oro in uno stampo usando delle pinze. Thorin fece un respiro improvviso alla vista del metallo sciolto, così luminoso e così bello. Poi alzò gli occhi verso quelli di suo padre.

«Ciao inùdoy» disse Thráin, e la sua lingua usciva dall'angolo della bocca. Per qualche motivo Thorin si era dimenticato che Thráin lavorava sempre con la lingua tra i denti. Sembrava un dettaglio tanto importante da dimenticare. «Aspetta ora – aspetta un momento fino a quando ho finito, e poi sono tutto tuo» disse, senza levare gli occhi dal contenitore e dalle pinze.

Thorin aspettò impazientemente, allontanando nervosamente gli occhi dal limpido, luminoso torrente d'oro che scendeva dal contenitore e nello stampo. Appena Thráin finì, lui fece un passo avanti e disse senza preamboli: «Devo parlare con te e col nonno.»

«Va bene, va bene» disse Thráin distrattamente, levandosi i guanti pesanti e stiracchiando le grandi dita robuste. La sua barba gloriosa era legata strettamente e infilata sotto a un grembiule in pelle, e aveva un monocolo da taglia gemme legato in testa. «Lascia che mi pulisca un po'. Il medaglione non era semplice, ti faccio sapere!»

Nonostante la sua impazienza, Thorin si trovò interessato. «Oh?»

«Aye, per tua madre» disse Thráin orgoglioso. Si massaggiò la nuca con un'espressione imbarazzata «Voglio farle una sorpresa per il suo giorno del nome, sai.»

«Ah» era il compleanno di Frís? Dov'era andato il tempo? «Io non ho ancora preparato niente» confessò Thorin mentre Thráin si toglieva il grembiule e metteva via il monocolo.

«Oh, c'è ancora un po' di tempo, ragazzo mio» disse Thráin tranquillo, dando una pacca sulla schiena di Thorin con una delle sue enormi mani «Solo – Thorin, non osare dimenticartene come quando avevi ventun anni!»

«'adad!» ringhiò Thorin, a Thráin rise ancora, una profonda risata rombante.

«Ah, ecco la mia piccola nuvola temporalesca, che inizia a tuonare» disse con affetto «Più vecchio di me, più saggio e duro di me, aye, ma a volte vedo ancora il mio ragazzino in questo Re.»

Thorin abbassò il capo, il volto in fiamme. «Lo stai facendo di proposito» borbottò, e Thráin mise un braccio pesante sulle sue spalle e lo condusse via dalla forgia.

«Certo che sì» disse «Sono tuo padre: fa parte del mio lavoro. Ora, andiamo a cercare mio padre, e potrai guardarlo mentre mi ripaga con la stessa moneta.»

«Splendido» rispose Thorin, e Thráin rise ancora prima che iniziassero a camminare, attraversando i grandi corridoi debolmente illuminati e tunnel serpeggianti delle Sale di Mahal.

«Allora cosa succede, figliolo?» disse infine Thráin, e gli occhi di Thorin caddero immediatamente sui suoi piedi «Ah. Così male?»

«Peggio» disse Thorin con voce bassa, e Thráin grugnì.

«Beh, nessuno può trovare una colpa nel tuo coraggio, se non il buon senso. Affrontiamolo e superiamolo, di qualsiasi cosa si tratti»

Thrór non era nella sua forgia, e nemmeno nelle sue stanze. Hrera non fu felice di essere interrotta. «Dove ti sei nascosto ultimamente?» sgridò, e Thorin immediatamente abbassò la testa «Oh, non tu, caro» disse, dandogli dei colpetti sulla mano, e poi si girò verso Thráin «Tu! Ti sei dimenticato come arrivare a tavola? Dovrei darti una guida?»

«Sto lavorando, 'amad!» disse, e Thorin si mise comodo, incrociando le braccia, per guardare lo spettacolo «Presto sarà il giorno del nome di Frís, e...»

«Oh, è dolce, caro, ma cerca di ricordarti che hai anche una madre» disse lei, e tirò una delle grandi trecce della barba di Thráin «Tsk. Scioccante. Guarda cos'hai fatto, puzzi come una fonderia e sembri una pecora di montagna! Thorin, non iniziare a ghignare lì, ragazzo mio, i tuoi capelli sono una disgrazia.»

«Nonna!» protestò Thorin, e si rassegnò ad avere sempre ventiquattro anni negli occhi di lei e mai uno di più. Era infuriante.

«Meglio non combatterla, inùdoy» sospirò Thráin mentre Hrera iniziava a sciogliergli le trecce da lavoro, borbottando con se stessa tutto il tempo.

«L'ho imparato molto tempo fa» disse Thorin solennemente, e sobbalzò quando Hrera gli pizzicò un gomito con le sue lunghe unghie con la punta d'argento.

«Coppia di disgraziati» sbuffò «Aspetta lì il tuo turno. Non lascerò che la mia famiglia sembri un branco di stagnini. Longobarbi! Come siete fatti!» esclamò, e tirò particolarmente ferocemente i capelli di Thráin. Lui strizzò l'occhio.

Quando finalmente riuscirono a fuggire, i capelli di Thráin erano stati lisciati in un ordinata treccia, e la sua barba era stata lavorata in due intricate parti che cadevano ai lati del suo grande petto. I capelli di Thorin erano stati slegati e oliati accuratamente (“Guarda qua! Vergognoso!”) e poi Hrera aveva passato un bel po' di tempo a lamentarsi delle ciocche grige sulle sue tempie prima di intrecciare una spessa treccia che partiva dalla cima della sua testa e scendeva lungo la sua schiena, lasciando solo la sue trecce laterali davanti alle sue orecchie.

Thráin e Thorin si guardarono l'un l'altro. «Non riderò se tu non lo fai» disse Thráin con la più totale solennità.

«I termini sono accettabili» rispose Thorin seriamente, e poi evitarono accuratamente di guardare la faccia dell'altro per i seguenti dieci minuti.

Infine trovarono Thrór nella sala da pranzo, anche se la testa era piegata su un pezzo di carta e non aveva cibo, solo una caraffa di birra. «Nonno» lo salutò Thorin.

«Uhm» disse Thrór, senza alzare il suo stilo che scribacchiava cirth sulla carta «Cosa? Devo finire questo rapporto. Balin è un dittatore peggiore di quanto suo padre sia mai stato. Perché nel nome di Durin abbiamo deciso che la Linea di Fundin fosse quella dei Siniscalchi? Sono dei tiranni!»

«Sembra tu possa fare una pausa» disse Thráin sedendosi.

«Uhm» disse ancora Thrór, e poi alzò lo sguardo. Le sue sopracciglia immediatamente salirono fino ai suoi capelli vedendoli. «Vedo che Hrera vi ha presi» disse pacificamente.

«Nessun commento» ringhiò Thorin. Il seguente colpo di tosse di Thráin suonava sospettosamente come una risata strozzata.

«Cosa succede allora?» Thrór si mise più comodo nella sua sedia e scosse la mano con cui scriveva, prima di allungarsi verso la birra.

«Non lo so, anche se so che non sarà piacevole. Thorin ha bisogno di noi, e ha lasciato cadere abbastanza indizi perché io mi preoccupi» disse Thráin, e poi si voltò verso Thorin con sguardo inquisitore «Inùdoy? Cosa succede?»

Thorin si congelò, il respiro mozzato dietro ai denti. «Oh» disse Thrór, il volto triste «Così brutto.»

«Peggio, sembra» disse Thráin, e prese la caraffa e riempì altri due boccali «Ecco. Potremmo aver bisogno di una goccia o due di questa.»

Thrór lo guardò male. «Prenditi la tua.»

«L'ho appena fatto» disse Thráin, alzando il suo boccale e spingendo l'altro verso Thorin «Ecco. Ora. Sputa, ragazzo. Andiamo.»

Thorin strinse le mani così strettamente da sentire le unghie che spingevano nella pelle dei suoi palmi. «Io...» iniziò. E poi afferrò la sua birra, prendendo tre lunghi sordi uno dopo l'altro.

«Molto male» giudicò Thrór «Bene. Ciò vuol dire che è lo Hobbit, Erebor, il ragazzo di Glóin o la malattia del drago.»

Thorin sentì tutto il suo corpo che si irrigidiva sentendo l'ultima.

«Bene, ecco la risposta» Thráin sospirò, e prese un sorso della sua birra, prima di girarsi verso Thorin «Perché ora?»

«Cosa?» Thorin parlò sorpreso, e la sua voce raspava come se non fosse la propria.

«Stavo aspettando questa conversazione da quasi ottant'anni, ragazzo mio» disse Thrór dolcemente «Perché ora? Cosa ti ha spinto a farlo?»

Thorin rimase in silenzio per un istante, e poi guardò su. «Molte... molte cose» disse, la voce ancora ruvida e dolorosa «Boromir. Théoden. La mia stella. Ma...» prese un altro sorso di birra, e deglutire faceva male «Ma soprattutto Frerin.»

«Ah» sospirò Thrór, e la vecchia tristezza e il senso di colpa – così, così familiari – iniziarono a danzare nei suoi occhi azzurri «Sì, tuo fratello è come tua madre in quel modo.»

«Di certo non ha la testa dura come il lato Durin della famiglia» disse Thráin, e Thrór sbuffò, e poi i due picchiarono assieme i loro boccali in un momento di umorismo nero.

«Non ho potuto impedirlo» disse Thorin, i denti stretti insieme con tanta forza che poteva sentire i muscoli della mascella che si contraevano «Non ho potuto impedirlo...»

«Aye» disse Thráin, e la sua grande mano dalle dita robuste andò al volto di Thorin per fargli girare i gli occhi verso il suo. Il suo palmo sfregò contro la sua barba, coperto di calli per la spada e rovinato dalla forgia. «Non è qualcosa che puoi combattere, Thorin. La follia non è come... come negarti il sapore della birra, o obbligarti a correre quelle ultime miglia in allenamento. Non è qualcosa che può essere sconfitto solo con la forza di volontà. Non è una questione di forza.»

«Non ti è mai mancata la forza di volontà, nipote» aggiunse Thrór, e si allungò sul tavolo per prendere la mano di Thorin «Ma la follia non rispetta la volontà. Colpisce tutti lo stesso, forti e deboli ugualmente. Non c'è differenza.»

«Ma...» cercò di dire Thorin, ma la sua gola sembrava piena di sabbia e la mano di suo padre sulla sua guancia era calda e solida.

«No, ragazzo» disse Thrór, piano e fermamente, ed era la voce del Re Sotto la Montagna, il grande costruttore, Thrór il Rinnovatore «Lo so, lo so meglio di chiunque altro come sia e come ci si senta e come devi affrontare te stesso dopo. E ho dei giorni buoni e ho dei giorni brutti, ma tutti i giorni devo ricordarmi: io non sono la mia follia, ed essa non è me. Io sono Thrór, io sono Umùhud-zaharâl, e ciò è chi sono davvero. La mia follia non è che una minuscola parte di ciò.»

Thorin lo fissò, e poi si lasciò cadere la testa fra le mani. «Non so chi sono quando non posso essere forte» disse, cercando di non sentire il pozzo senza fondo sotto di sé «E ora mi dici che non importa!»

«Perché è così, inùdoy» disse Thráin e mise di nuovo un braccio attorno alle spalle di Thorin «Essere stato torturato fino a impazzire mi rende debole o forte?»

«Come puoi dirlo» Thorin quasi ringhiò, e Thráin fece un piccolo suono esasperato nella gola.

«Non importa quale» disse con la pazienza di uno che sta insegnando una lezione importante «Ciò che importa è che è successo. Per te, non importa se sei debole o forte. Non è nulla. Il Nano più forte può tremare prima di una battaglia – e il più debole può tenere la testa alta e non esitare mai. Ciò che importa è come ti comporti con ciò che ti è successo.»

E così fanno tutti coloro che vivono per vedere questi tempi, ma non sta a loro decidere. Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare con il tempo che ci è stato dato. La secca, ruvida, gentile voce dello Stregone rimbombò nel teschio di Thorin, e lui strizzò gli occhi.

«Non devi guidare un popolo dimenticato qui, Thorin» disse Thrór con dolcezza infinita «Non devi essere il simbolo di forza per una razza senza radici e disgraziata. Devi essere solo te stesso. Allontana tutte queste inutili domande di debolezza e forza, e vai avanti come te stesso.»

«E se non so chi egli sia?» Thorin guardò su con occhi che bruciavano.

«Lo sai» disse Thráin, divertito «Lo hai sempre saputo. È il dono che il nostro Creatore ci diede.»

Le palpebre di Thorin si chiusero, e in un tono a malapena udibile sussurrò il suo Nome Oscuro.

«Aye» disse Thrór «Ci dice chi eravamo, nel profondo dei nostri cuori, così che noi non lo perdiamo mai di vista.»

Thorin respirò lentamente col naso, sentendo l'aria che gli riempiva i polmoni e poi si prosciugava quando la lasciava uscire. «Io... proverò.»

«È tutto quello che possiamo fare, certi giorni» disse Thrór, e il suono del suo boccale che colpiva il tavolo risuonò attraverso la sala da pranzo «Ora, questa è stata una conversazione molto pesanti e che ha portato molta sete, e quel bruto di tuo padre ha bevuto tutta la mia birra. Fai il bravo e vai a prenderci un'altra caraffa, sì?»

Thorin lo guardò tra le dita, e suo nonno gli sorrise dolcemente e agitò la caraffa vuota. «Prenditela da solo» borbottò Thorin, ma si alzò lo stesso e iniziò ad andare verso i grandi barili che non erano mai vuoti.

Fu interrotto da un corpo che si scontrava contro il suo, e poi ci fu un Nano sfocato che gli afferrava le trecce e parlava rapidamente. «Ètornatoètornatoètornatoètornato!» disse la sagoma in voce acuta, e Thorin scosse la testa e cercò di mettere a fuoco.

«Aspetta, calmati» ordinò, e la figura di rivelò essere Frerin, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro e stava quasi danzando di felicità.

«È tonato! Ci credi? Io non riesco a crederci! Oh, lei sarà così felice!» esclamò Frerin, e Thorin afferrò la spalla di suo fratello per vedere se faceva qualche differenza per la sua iperattività.

Apparentemente no.

«Chi?» chiese «Chi è tornato? Gandalf?»

«No!» sbuffò Frerin, prima di iniziare a saltellare da un piede all'altro «Aragorn! È vivo, ed è tornato!»

«Aragorn!» ripeté Thorin in meraviglia, e poi lanciò indietro la testa e rise in improvvisa, sorpresa gioia. Gimli aveva avuto ragione!

«Ma non va tutto bene» disse Frerin, diventando serio con la velocità con cui era apparso «Arriva al Fosso di Helm con un esercito alle calcagna, e non uno amichevole. Isengard è stata svuotata, dice, e tutti gli Orchi di Orthanc, diecimila in tutto, marciano verso il Trombatorrione.»

La risata di Thorin gli morì in gola, e afferrò strettamente le spalle di Frerin. «Mostrami.»

«Thorin?» lo chiamò Thráin, il volto preoccupato.

«Il Fosso di Helm» disse Thorin brusco, e si girò e lanciò la caraffa vuota a suo padre «Saruman sta per schiacciare Rohan. Devo tornare!»

«Vai» disse Thrór, alzandosi e annuendo fermamente.

Thorin annuì a sua volta, prima di correre dietro alla rapida, piccola di figura di suo fratello che era scattata dritta come una freccia verso la Camera di Sansûkhul.

Óin era già lì, e aveva le labbra bianche e l'aria cupa. «Hai sentito le novità allora?» disse, coi capelli castano rossicci che gli cadevano negli occhi.

«Se intendi la battaglia in arrivo, allora sì» disse Thorin, il respiro rapido mentre si sedeva al suo posto e automaticamente faceva spazio a suo fratello. Frerin si sedette e iniziò a fissare le acque come se stesse cercando di convincere le stelle ad alzarsi ancora più veloce dalle loro profondità.

«Cos'altro?» sospirò Óin, e si sedette mentre la vasca iniziava a brillare come ithildin alla luce della luna «A meno che tu non intenda l'assedio di Erebor.»

«Cosa?» disse Thorin brusco, proprio mentre le stelle lo avvolgevano e strizzavano via tutta l'aria dai suoi polmoni.

Si risvegliò sulle Mura Fossato. Erano alte almeno venti piedi, e così larghe che quattro Uomini potevano camminare affiancati in cima. Erano solide e ben fatte, con fessure fra la roccia dalle quali potevano tirare gli arcieri. Lui guardò il cielo che si scuriva. «Quanti giorni è stato via Gandalf?» disse al cielo violaceo.

«Due» disse Frerin piano «Dovrebbe tornare domani.»

Thorin sospirò, e poi si voltò per guardare le porte del Fosso. La sulla gradinata camminava Théoden, e al suo fianco era una figura malconcia, insanguinata e lurida, eppure alta e dritta e regale. Thorin riconobbe Aragorn, e il cuore gli saltò nel petto. «Non perduto» disse a se stesso, e sorrise «C'è ancora tempo per iniziare a capirti, riluttante Re di Gondor.»

«Voglio che gli Uomini e i ragazzi forti, capaci di reggere le armi, siano pronti alla battaglia entro stasera!» urlò Théoden alla sua Éored «Noi sorveglieremo la strada rialzata e il cancello dall'alto. Nessun esercito ha mai creato una breccia nelle Mura Fossato o messo piede nel Trombatorrione!»

Un grugnito molto Nanico risuonò da dietro al Re, e Théoden si girò per guardare Gimli in piedi con le mani incrociate sulla sua grande ascia da battaglia. «Questa non è una marmaglia di stupidi Orchi. Questi sono Uruk-Hai. Hanno armature spesse e scudi imponenti» ringhiò nella sua bassa voce rombante, e Thorin si voltò verso Théoden e incrociò le braccia.

«Ascoltano, Signore dei Cavalli» borbottò Óin «I tuoi ragazzi sono più alti, ma muoiono anche meglio dei nostri.»

Théoden sembrò non curarsi delle parole di Gimli. «Io ho combattuto molte guerre, Mastro Nano. So come difendere il mio bastione» disse rigidamente.

«Ma questo bastione è di Erkenbrand» sospirò Thorin, e Frerin mise la mano sul braccio di Thorin e tirò piano.

«Vieni» sussurrò.

Aragorn diede una pacca alla spalla di Gimli mentre lui e il Re superavano il Nano. Gimli scrollò le spalle senza speranza, ma la sua bocca si incurvò comunque in un sorriso alla vista del suo amico ristorato. «Beh, ci hai provato» mormorò Aragorn.

«Forse tu potresti avere più fortuna» disse Gimli «Forse le parole di un Uomo saranno più fidate di quelle di un Nano.»

«Morditi la lingua!» esclamò Óin, e Thorin scattò in avanti immediatamente.

«Thùragâl» ringhiò, e gli occhi di Gimli brillarono.

«Birashagimi, melhekhel» disse più piano che poteva, e Óin lasciò che la sua testa cadesse indietro mentre sbuffava.

«Khuzdul. Ancora» disse, e procedette a tentare di picchiare la testa contro la pietra.

«Gimli?» sussurrò Legolas, e Gimli alzò una mano in segno di avviso mentre il Re avanzava, parlando ancora di come potessero ricostruire e ristorare dopo la distruzione portata da Isengard.

«Noi sopravviveremo» finì Théoden, il volto serio e gli occhi determinati.

«Non vengono a distruggere le colture o i villaggi di Rohan» esclamò Aragorn infine «Ma la popolazione, fino all'ultimo bambino!»

Théoden si girò verso di lui e la sua espressione cambiò improvvisamente da determinazione a furia disperata. «Cosa dovrei fare io?» soffiò «Guarda i miei uomini. Il loro coraggio è appeso a un filo. Se dev'essere la nostra fine, allora farò far loro una grande fine, che venga ricordata per sempre.»

«Invia messaggeri, mio Signore» disse Aragorn «Tu devi chiedere aiuto.»

«E chi verrà?» disse Théoden amaramente «Gli Elfi? I Nani? Non siamo fortunati come te nelle amicizie. Le vecchie alleanze sono morte.»

Aragorn parve combattuto per un momento, e poi esclamò: «Gondor risponderà.»

«Gondor!» esplose Théoden, e scattò più vicino ad Aragorn, le guance colorate di rosso per la rabbia «Dov'era Gondor quando cadde l'Ovestfalda? Dov'era Gondor quando i nostri vicini ci hanno circondato?! Dov'era Gon-» si interruppe, respirando pesantemente, prima di calmarsi con grande sforzo «No, mio Signore Aragorn» disse, freddo e amaro «Noi siamo soli.»

Aragorn sembrò sgonfiarsi mentre il Re se ne andava, ancora urlando ordini. Gimli e Legolas andarono accanto a lui, e Legolas lo toccò tentativamente con un gomito. «Aragorn?»

«Ah, nin ú-chenia, Legolas» sospirò Aragorn «Tôl auth.»

La bella faccia di Legolas a malapena si mosse, ma i suoi occhi Elfici brillarono al tramonto.

«Saranno qui stanotte» disse Aragorn, e poi si girò di nuovo verso il fosso. Solo allora Thorin notò che stava zoppicando leggermente.

«Non ci servi mezzo vivo» disse Legolas tagliente «Dovresti riposarti.»

«Dopo» disse Aragorn, e si allontanò «Ora, ci prepariamo per la guerra.»

Gimli lo guardò andare, e scosse la testa. «Aspettalo, ragazzo» disse, e corrugò la fronte «Ha molto per la testa ora.»

Legolas lo guardò brevemente. «Gondor?»

Gimli annuì. «Aye.»

Thorin sentì le proprie sopracciglia stringersi insieme, e al suo fianco Frerin sospirò in comprensione. «Cosa vuol dire?» borbottò nell'orecchio di suo fratello.

«Anche se Aragorn ha passato tutta la sua vita fuori da confini di Gondor, è ancora parte di quel popolo nel cuore» disse Gimli, e si appoggiò contro il muro «Si deve sentire tradito dalla sua stirpe, sapendo che Gondor non può venire in aiuto di Rohan come un tempo.»

«Ah» disse Thorin, e sentì la sua schiena che si raddrizzava nel ricordo della rabbia «So bene come sia.»

Frerin inclinò la testa, un'espressione esasperata sul volto. «Nadad» disse con passione «Te lo dico con tutto il mio rispetto e il mio amore, ma sta zitto, ti prego.»

Thorin batté le palpebre, e si girò a lanciare a Óin che ridacchiava un lungo, freddo sguardo. Quando Gimli ricominciò a parlare, tenne la propria lingua. (Però lui diede una piccola sberla sulla nuca di Frerin)

«Questo luogo è già di mio maggior gradimento» stava dicendo Gimli, e picchiò sulla roccia coi piedi con uno schianto di pesanti borchie «Il mio cuore si rinfranca sempre avvicinandosi alle montagne. È una campagna dalle ossa robuste; le sentivo sotto di me mentre salivamo dalla Diga sino a qui. In un anno e cento della mia razza farei di questo posto una rocca contro la quale gli eserciti si infrangerebbero come flutti.»

Legolas si appoggiò al parapetto, gli occhi cercavano nell'oscurità. «Non lo metto in dubbio» disse pensierosamente «Ma tu sei un Nano, ed i Nani sono gente strana. Io non amo questo posto, e la luce del giorno non cambierà i miei sentimenti. Ma tu mi conforti, Gimli, e sono contento di averti accanto, con le tue robuste gambe e la tua dura ascia.»

Óin fece una faccia straordinaria. «Le orecchie devono farmi degli scherzi di nuovo» si disse.

Thorin non si fidava a parlare.

«Vorrei che ci fosse qualche altro della tua razza con noi» continuò Legolas, e raddrizzò gli occhi lontani «Ma desidererei ancora di più un centinaio di buoni arcieri del Bosco Atro.»

«Mai prima d'ora aveva un Elfo desiderato altri Nani al suo fianco» disse Gimli, sorridendo «Però fa buio per le frecce. È davvero ora di dormire. Dormire! Non avrei mai pensato che un Nano potesse sentirne a tal punto il bisogno. Eppure l'ascia è irrequieta nella mia mano. Datemi una fila di Orchi e un po' di spazio per prendere lo slancio ed ogni stanchezza scomparirà dalle mie membra!»

Una commozione davanti alle porte del Fosso si mosse nell'angolo del campo visivo di Thorin, e si girò per vedere Éowyn che chinava la testa davanti al Re, il volto vivo di risentimento.

«Éowyn, figlia di mia sorella» mormorò Théoden «Non lo faccio per punirti.»

«Allora perché sono sempre io a doverlo fare?» disse lei, la voce dura e amara attraverso labbra stretta «Perché mi allontani come se una Scudiera della nostra linea non sia più adatta alla guerra che una balia?»

«No!» disse Théoden, e le prese la testa fra le mani «No. Éowyn, ho bisogno che tu faccia le mia veci, mi capisci? La gente seguirà la casa di Éorl. Guarderanno te quando si tratterà di proteggerli e tenerli al sicuro.»

«Ci sono altri» disse lei, guardandolo con la ribellione negli occhi.

«Ci sono, ma nessuno è della nostra casata» disse lui gentilmente, e lei chiuse gli occhi contro le sue lacrime di rabbia «Éowyn. Fallo per me.»

«Ho sempre fatto il mio dovere nei tuoi confronti, mio Re» disse lei, gli occhi ancora chiusi e le parole fredde e prive di emozione.

«Sì» disse lui, e le passò il pollice sotto a un occhio, raccogliendo l'umidità che si era accumulata lì «L'hai fatto. E mia amata ragazza, ti darei tutto ciò che tu desiderassi se ci fosse un altro modo, ma non c'è.»

«Dì piuttosto “tu non lo farai” e risparmiami questi discordi» disse lei, aprendo gli occhi e fissandolo «Non allontaneresti Éomer dal tuo fianco.»

Théoden fece un respiro frustrato. «Non posso dire cosa farei, perché Éomer non è qui. Tu sì. Éowyn, tu sei tutto ciò che mi resta.»

Lei si congelò, e poi chinò la testa rigidamente. A Thorin sembrava una donna fatta di ghiaccio, così forte eppure così fragile, luminosa alla luce della luna appena sorta. «Come il mio Re comanda» disse debolmente.

«No» disse Théoden, e le prese di nuovo il volto «Io non comando. Anzi, te lo chiedo, come tuo zio che ti ama e ha bisogno di te: Éowyn. Prenditi cura di loro.»

Lei lo guardò, colpita, e poi annuì di nuovo e si girò con una girandola di gonne verso il Fosso.

«Oh, nârinh» disse Frerin, quasi senza ossa per l'adorazione.

«Dove sta andando?» si chiese Thorin.

«Ci sono delle grotte oltre il Fosso» disse Gimli inaspettatamente, e Óin imprecò e si girò per fissare di nuovo suo nipote «La gente dell'Ovestfalda e la gente di Edoras hanno preso rifugio laggiù.»

«Grotte, eh?» disse Óin, e fissò a occhi socchiusi le ripide scogliere delle Montagne Bianche che li tenevano nelle loro braccia rocciosa «Bene, quindi.»

«Non ora» gli disse Thorin.

Théoden guardò sua nipote per un momento, il volto pieno di rimpianto e risoluzione. Poi abbaiò: «Gamling. Vieni con me!» e andò verso i livelli superiori «Devo prepararmi per la battaglia.»

«Dov'è andato ora Aragorn» borbottò Gimli «È più difficile da tenere sotto controllo del fumo, quell'Uomo!»

«Sarà andato verso l'Armeria» disse Legolas, guardando gli Uomini allineati fuori dai baracconi, che prendevano lance e archi dalle grande pile fuori dalle porte «Vieni, mellon nín. Forse troveremo quello scudo di cui ha parlato il Re.»

«Forse» disse Gimli, e si spinse via dal muro e seguì l'Elfo col suo pesante passo instancabile.

Però sembrava che l'Uomo fosse di pessimo umore quando arrivarono. Litigò con Legolas nella cinguettante lingua Elfica, e il volto di Gimli divenne sempre più scuro per l'irritazione.

Legolas infine si girò verso l'Uomo e urlò: «Natha daged dhaer!»

Aragorn scattò in avanti e ritorse: «allora io morirò come uno di loro!»

L'improvviso respiro di tutti i Nani, morti e viventi, sembrò impossibilmente rumoroso nell'improvviso silenzio.

Aragorn si girò e se ne andò, e Legolas, gli occhi che brillavano di confusione e rabbia, fece per seguirlo.

«No» disse Gimli, prendendo il braccio dell'Elfo e tenendolo fermo. Legolas aveva le stesse possibilità di muovere quella ferrea presa Nanica che di muovere la montagna. «Lascialo andare, ragazzo. Lascialo stare.»

Legolas guardò Aragorn per un altro istante, e poi finalmente sembrò notare i Rohirrim immobili che li circondavano guardandoli. Disse una parola nella sua lingua che Thorin supponeva dovesse essere un'imprecazione di qualche tipo (anche se suonava troppo dolce per essere qualcosa di adeguato) e si sedette accanto al Nano. La sua eleganza Elfica sembrava essergli sfuggita per la rabbia, e i suoi lunghi arti sembravano allampanati, nervosi quasi.

I Rohirrim infine iniziarono a parlare piano fra di loro, e Gimli prese la sua pipa e iniziò a prepararla. «Ora, Legolas» disse con serietà «vuoi dirmi a che pro era tutta questo?»

Legolas si tese, e poi ricadde su se stesso, diventando privo di ossa come un gatto al sole. «Non riesci a indovinarlo?» disse.

«Aye, penso di avere un sospetto» disse Gimli, strofinando l'acciarino di suo padre e accendendosi la pipa «Però vorrei sentirti che lo dici. Fare supposizioni sarebbe ingiusto.»

«Allora se lo sai, non c'è bisogno che io lo dica» disse Legolas.

«Legolas» disse Gimli gentilmente ma fermamente, e la sua mano si alzò per prendere di nuovo il braccio di Legolas.

Legolas guardò il Nano da sotto le ciglia. «Io...» iniziò, e poi chiuse la bocca con uno snap!

«Beh, se tu non riesci a metterlo a parole, proverò io» disse Gimli, appoggiandosi al muro e iniziando a fumare «Vedi tutti questi mortali attorno a te, o no? E ti chiedi quando saranno presi, voleranno via come le foglie d'autunno al vento, così rapidi e silenziosi? E poi diventi arrabbiato e indisponente, perché anche due dei tuoi amici sono mortali, entrambi hanno quella debolezza, e tu non puoi fermare il corso del tempo che ci è dato più di quanto tu non possa fermare il sole. Quindi ti sfoghi con Aragorn, che apparentemente è tornato a noi tramite un miracolo chiamato Brego. Ci sono andato vicino?»

Se gli sguardi potessero uccidere, Gimli sarebbe stato una macchia sul pavimento.

«Ah, vedo che l'ho fatto» disse Gimli, e rise «Legolas, noi non vogliamo gettare via le nostre vite. E inoltre, in battaglia, tu sei in pericolo quanto me. Gli Elfi saranno anche immuni al tempo, ma non all'acciaio. Quel nemico lo abbiamo tutti.»

Il volto di Legolas era di nuovo posseduto da quella strana mistura di tristezza e confusione, e suonava molto più vecchio e Elfico quando disse: «Lo so, mellon nín, lo so. Ma non dà conforto al mio cuore.»

«Allora trova conforto in questo» disse Gimli, e strinse il braccio di Legolas «Trova conforto in me, come hai detto sulle Mura Fossato. Io sono qui. Io sono vivo. Così lo sei tu. Così è Aragorn. Così sono questi Uomini attorno a noi. Così è la pietra sotto i nostri piedi e l'erba sul fianco della montagna. Domani – chi lo sa? Ma ora – qui – noi siamo vivi, ugbal bâhûn

«Aye» disse Legolas, e Thorin batté le palpebre udendo una risposta tanto Nanica che usciva da labbra Elfiche. Legolas si voltò per guardare meglio il Nano, e lasciò che i suoi occhi rimanessero sulla bassa, larga forma di Gimli nelle ombre. Una luce sembrò accendersi nelle loro profondità blu. «Come hai detto, sei qui, e mi dai conforto.»

«Bene!» disse Gimli, e svuotò la pipa e la mia via alzandosi «Allora dovremmo trovare Aragorn ora. Non sarà andato lontano, e la battaglia è troppo vicina perché malumori rovinino la nostra compagnia.»

«Compagnia» ripeté Legolas, e seguì ubbidientemente Gimli fra i tunnel, fidandosi che senso della pietra del Nano guidasse la strada. I suoi occhi non si mossero dalla forma bassa e robusta di Gimli.

«Perché Legolas si comporta così...» disse Frerin sospettosamente.

«È teso per la battaglia» disse Thorin dopo averci pensato un attimo «Lo sono tutti. Non ricordi?»

«Non ricordo di aver mai fissato un altro Nano fino a bucargli la schiena con gli occhi» borbottò Frerin, e Óin si strozzò.

«Cosa hai detto?»

«Ho detto-»

«No, no, ho sentito, volevo solo...» Óin si grattò la testa, e poi guardò tra la silenziosa sottile forma di Legolas, al Nano robusto e muscoloso – e poi, stranamente, i suoi occhi si fermarono su Thorin. Con un suono inarticolato, scosse la testa rapidamente.

«No» disse con calore, scuotendo un dito a caso «No, non è il caso e io non lo avrò. No, mi senti?»

«Óin, cosa nel nome di Mahal» iniziò Thorin, ma Óin fece uno strillo strozzato e si mise le mani fra i capelli.

«No, ho detto!» squittì, e poi le stelle lo avvolsero in luce brillante, e lui scomparve.

«Che reazione particolare» disse Frerin perplesso «Per caso Óin si è dato di nuovo alla birra?»

«No, non che io sappia» disse Thorin, ugualmente confuso.

Gimli infine mise all'angolo Aragorn in una piccola anticamera dell'armeria principale, che si armava con fervida determinazione. Legolas gli porse la sua spada prima che lui potesse prenderla.

Aragorn si fermò, sospettoso. Legolas fu diretto e brusco dicendo: «Finora ci siamo fidati di te. Non ci hai mai delusi. Scusami. Sbagliavo a disperarmi.»

«Ú-moe edaved, Legolas» rispose Aragorn nella lingua Elfica, e i due si afferrarono la spalla in riconciliazione.

«Di ndegithanc ne ndagor» disse Legolas, le sillabe liquide che scorrevano dalla lingua «I beng nîn linnatha a magol dhîn.»

«Ahem» disse Gimli educatamente.

Aragorn rise la sua raramente udita risata. «Scusaci, Gimli. Noi-»

In quel momento, uno strano, limpido corno risuonò sulla valle.

«Non è il corno degli Orchi» disse Legolas, girandosi, una speranza impossibile sul volto, prima di correre via dalla stanza, rapido come un passero.

«Ah, ancora correre» ringhiò Thorin quando Gimli scattò dietro di lui con stivali che rimbombavano, seguito da Aragorn. Le scale andavano dall'armeria a uno sperone di roccia che dava sulla strada rialzata, e là, marciando in perfetto unisono, veniva una fila luminosa di un esercito di leggende.

«Elfi» disse Frerin, meravigliato dalla vista di tanti degli alti guerrieri ultraterreni.

«Verranno in difesa degli Uomini, ma non dei Nani» ringhiò Thorin, la vecchia rabbia che bruciava come sempre. Gimli si accigliò.

«Questi non sono Elfi di Bosco Atro» disse piano «Non vedi?»

Splendente nella luminosa armatura dorata, una familiare alta figura era in piedi in testa alla colonna. «Porto notizie da Elrond di Granburrone» disse l'Elfo, facendo un passo avanti con un aggraziato segno di rispetto. Quando si raddrizzò, Thorin riconobbe improvvisamente il volto e la forma orgogliosa di Haldir, Guardiano di Lórien, che era stato così freddo verso la sua stella.

«Elfi di Lothlórien» disse, e Frerin li fissò a bocca aperta.

«Sono così brillanti» disse.

«Potrebbero avere ancora una benda o due nelle loro belle maniche, quindi non essere così impressionato, nadadith» disse Thorin.

Gimli alzò gli occhi al cielo. «Portano notizie della Dama» disse, mettendo molta enfasi sull'ultima parola. Thorin si arrese con riluttanza, guardando storto Haldir e borbottando.

«Un'alleanza esisteva una volta fra Elfi e Uomini. Moto tempo fa abbiamo combattuto e siamo morti insieme» Haldir alzò lo sguardo per vedere i Tre Cacciatori che si lanciavano giù dalle scale verso di lui, e la sua bocca si incurvò nel piccolo sorriso degli Elfi «Siamo qui per onorare questa lealtà.»

Aragorn non si fermò alla base degli scalini, ma afferrò l'alto ed elegante Elfo e lo trascinò in un goffo, grato abbraccio. «Sei più che benvenuto» disse ferventemente.

Haldir diede dei colpetti imbarazzati sulla schiena di Aragorn, senza apparentemente sapere cosa fare.


Era quasi mezzanotte, e un mare di acciaio scintillante soffiava davanti al Fosso di Helm.

Thorin guardò il tappeto strisciante di Uruk-Hai, il cuore che gli rimbombava nelle orecchie e gli faceva tremare il petto. «Orcrist» borbottò, e poi guardò le nuvole tempestose sopra di loro.

«Avrei voluto non vedere mai più una battaglia» disse Frerin al suo fianco, e Thorin si allungò e prese la mano di suo fratello, avvolgendola nella propria «E ne ho viste così tante ora» continuò Frerin, fissando l'esercito incredibilmente grande davanti a loro «Così tante.»

Thorin strinse la mano di Frerin, e mormorò: «forza, fratello mio. La notte passerà, e Gandalf arriverà.»

«Uno Stregone contro diecimila Uruk» sospirò Frerin, e non allontanò lo sguardo.

Davanti a loro, Aragorn era in piedi, affiancato dai suoi compagni. «Arrivano» disse.

«Potevi scegliere un posto migliore» borbottò Gimli, e guardò su verso Legolas «Non. Una. Parola.»

«Non oserei» disse l'Elfo solennemente. Poi guardò la vallata del Trombatorrione con il sguardo inquietante.

«Beh, ragazzo, qualunque sia la tua fortuna, che superi questa notte» disse Gimli, e toccò l'ascia impazientemente.

«I tuoi amici sono con te, Aragorn» disse Legolas.

«Speriamo che loro superino la notte» mormorò Gimli, e si prese una ginocchiata nella schiena da Legolas come risposta. Lui ghignò all'Elfo, tirandosi su l'elmo alla sua maniera abituale. Legolas fece un sorriso tirato, prima che il suo sorriso svanisse e lui si limitasse a fissare Gimli come se avesse la risposta a lungo cercata di una domanda che non si poteva pronunciare.

Il tuono rombò sulle montagne, e Thorin sentì le prime gocce che colpivano le armature mentre i cieli si aprivano. La pioggia all'inizio era leggera, ma presto divenne rapida e pesante, un velo argentato che fermava la vista. Aragorn alzò la mano e disse qualcosa in Elfico, e gli arcieri di Lothlórien incoccarono tutti insieme i loro archi.

I combattenti si fissarono, aspettando che un errore fosse fatto.

Quando avvenne, fu improvviso e inaspettato. Un vecchio arciere di Rohan, in lotta col suo arco, per sbaglio fece partire una freccia prima degli altri. La freccia colpì un Uruk fra la corazza e l'elmo, e la creatura gemette come un toro moribondo e cadde a faccia avanti, morto.

«Beh, eccoci qui» sospirò Frerin mentre l'esercito di Isengard eruttava in ruggiti e ringhi e in orrende imprecazioni sbavanti nella loro lingua maledetta.

Legolas preparò il grande arco di Galadriel, gli occhi fissi sulla marea di Orchi che veniva verso le Mura Fossato. Una doccia di frecce fu lanciata dagli Elfi, seguita dalla doccia meno efficace dei Rohirrim. Il rumore degli Uruk-Hai e dei tuoni era tremendo, e Thorin dovette premersi le mani sulle orecchie.

Delle scale furono portate contro alle mura, e Gimli ruotò l'ascia pronto mentre esse torreggiavano minacciosamente in aria. Alcuni degli Uruk, troppo impazienti per aspettare, corsero sulle scale persino mentre venivano alzate. «Bene!» ringhiò Gimli, e saltò davanti alla mischia, l'ascia che brillava «Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!» ruggì, e due Orchi caddero senza testa. Il resto scappò dalla terrificante visione del grande Nano illuminato dai fulmini.

Lui tornò al suo posto sulle mura accanto all'Elfo. «Due!» disse, dando dei colpetti all'ascia.

«Due?» disse Legolas «Ho fatto di meglio, ed ora dovrò andare in cerca di frecce perdute: le mie sono tutte esaurite. I miei conti ammontano almeno a venti. Ma ciò rappresenta solo qualche foglia nella foresta.»

Gimli lo guardò, la pioggia che gli colpiva la faccia. «Bene allora» disse, e si strofinò le grandi mani «Non lascerò che un orecchie a punta mi batta. Cosa vuoi scommettere?»

«Niente, per la tua vita» disse Legolas seriamente, e si fermò per guardare Gimli «Non la metterei in palio per tutti i gioielli che sono mai stati o che saranno.»

Le sopracciglia di Gimli si alzarono. «Ve bene allora, per il gusto di vincere» disse, e scrollò le spalle, prima di girarsi per seppellire l'ascia nel cranio di un Orco, e poi un altro «Tre, quattro» contò senza fiato.

Arrivò a diciannove quando un urlo giunse da sotto. «Mastro Nano, Mastro Nano!» arrivò una voce, e Gimli e Thorin si girarono all'unisono per vedere Gamling nel Fosso oltre alle mura. Stava agitando le braccia mentre urlava. «Mastro Nano, il tuo aiuto?»

«Il mio aiuto?» disse Gimli, stupefatto, e si voltò verso Legolas pieno di confusione.

«I Nani godono reputazione di gente esperta di pietre» urlò Gamling, e indicò verso dove una piccola fogna si apriva alla base delle Mura Fossato, dove un sottile torrente scuro scendeva dalle nevi delle Montagne Bianche «Gli Uruk strisciano nella grata ed entrano nel Fosso. Gli Uruk sono dentro le mura!»

«Dentro le mura!» urlò Gimli, e piegò le gambe e saltò giù «Ai-oi, gli Orchi sono all'interno delle mura e ce n'è a sufficienza per ambedue. Vieni Legolas! Khazâd ai-mênu!»

A Legolas si mozzò il fiato vedendo Gimli che saltava. Si era evidentemente scordato quanto resistentemente fosse fatto un Nano. Si premette una mano al petto per il sollievo, e un Orco fu su di lui. I suoi coltelli bianchi lampeggiarono nella debole luce lunare. «Ventidue!» disse, e si girò, tagliando la gola dell'Orco in un gesto così elegante che avrebbe potuto far parte di una danza elaborata.

Sotto, Gamling indicò la fogna. «Dobbiamo chiudere questa tana di topi» disse, la rabbia che gli colorava il volto e il tono «Non hai segreti per noi, Mastro Nano?»

«Sono felice che Óin se ne sia andato» disse Frerin ferventemente.

«Non lavoriamo la pietra con le asce da combattimento né con le unghie» disse Gimli «Ma farò del mio meglio.»

Dietro le direzioni di Gimli, gli Uomini dell'Ovestfalda ammassarono grandi massi e rocce rotte e bloccarono l'argine interno del torrente, mentre combattevano con le lance e le spade appuntite degli Uruk-Hai. Il muro così creato non era una struttura permanente, ma bloccò i tentativi degli Uruk di strisciare nel Fosso. Il Fiume Fossato gonfiato dalle piogge si bloccò come risultato, e iniziò ad allargarsi in pozze dietro alle mura. «Venite!» disse Gimli, alzando l'ultimo macigno come se fosse stato fatto di piume «sarà più asciutto sopra!» e spinse il macigno direttamente in faccia a un Uruk che stava cercando in vano di passare nella nuova barricata. Uno squittio risuonò dall'altro lato.

«Non di molto» grugnì Gamling, e lanciò un'occhiataccia al cielo.

Gimli si arrampicò di nuovo sulle mura, e diede un'occhiata trionfante a Legolas. «Ventuno!» disse.

«Bene!» disse Legolas allegramente, arrossato dal calore della battaglia e in qualche modo più selvaggio e più alieno di quanto Thorin non lo avesse mai immaginato «Ma io ora sono a due dozzine. Il pugnale ha avuto da fare quassù.»

Théoden, in piedi di fronti al fosso, rise di derisione. «È tutto qui? È questa tutta la tua magia, Saruman?» disse, mentre gli Uruk caricavano la fortezza e morivano.

Aragorn combatteva poco lontano, la spada più rapida di un serpente tagliando fra le orde di Orchi che andavano verso le mura. Ancora una volta Thorin rimase colpito dallo strano misto di tecniche che usava: qui un rapido colpo Elfico, là una parata Gondoriana. Improvvisamente la sua spada si abbassò quando Aragorn vide qualcosa nella valle.

«Legolas!» urlò, la voce debole sopra al ruggito delle voci degli Uruk-Hai e al rombo del tuono «Togo hon dad, Legolas!»

Thorin si girò, e al suo fianco Frerin iniziò a tremare. «Cos'è quello?» esclamò, stringendo la manica di Thorin.

«Qualche malvagia stregoneria di Saruman» disse Thorin, guardando la cosa nella mano dell'Orco che sfrigolava e scintillava come fuoco di drago intrappolato, blu e bianco come un lampo e ronzante come un nido di vespe.

Legolas piegò l'arco di Galadriel, mirando all'Orco. Andava dritto verso la fogna che Gimli aveva bloccato prima, sbuffando come un toro furioso mentre correva. L'arco cantò: la freccia volò. L'Orco barcollò all'indietro quando affondò nella sua spalla, ma non rallentò.

«Dago hon!» urlò Aragorn «Dago hon!»

Legolas incoccò l'arco di nuovo, e di nuovo esso cantò la sua canzone mortale. La freccia successiva uscì dall'altra spalla dell'Uruk, ed esso si piegò di lato prima di barcollare in avanti.

«No!» ululò Aragorn, e poi ci fu uno schianto e un lampo di fuoco e fumo. Massi che erano stati sistemati nei grandi giorni di Gondor furono scagliati a dozzine di piedi in aria. Le acqua del Fiume Fossato soffiarono e schiumarono mentre uscivano: non erano più strozzate. Un enorme buco era stato creato nelle antiche, spesse, apparentemente imprendibili Mura Fossato.

«Diavoleria di Saruman!» urlò Aragorn, e si lanciò in avanti con la spada in pugno «Hanno acceso i fuochi di Orthanc sotto i nostri piedi! Elendil! Elendil!» urlò mentre saltava nella breccia. Un fiume di figure scure gli corse incontro, sbavando e ringhiando.

«Ritirata!» ruggì Gamling «Ritirata!»

Una grande scalinata di arrampicava dal Fosso lungo la Rocca dove erano i cancelli posteriori del Trombatorrione, una via per fuggire all'allagamento e ritirarsi verso la Cittadella. Accanto ai piedi delle scale era Aragorn: anche se molti Rohirrim si erano ritirati, lui rimaneva fermo. Oltre agli scalini più alti era inginocchiato Legolas, l'arco pronto di nuovo, anche se la freccia incoccate era nera e con la punta uncinata. L'aveva presa dal campo di battaglia dopo essere sceso rapidamente dalle scale su uno scudo – un'azione alla quale Thorin rimase a bocca aperta e scosse la testa.

«Quello» annunciò Frerin stupidamente «è stato fantastico.»

«Tutti quelli che sono riusciti a fuggire sono ora sani e salvi all'interno, Aragorn» chiamò Legolas, coprendo le spalle dell'amico «Torna su!»

Aragorn si girò e corse su per le scale, gli Uruk alle calcagna, le lunghe braccia allungate e le loro voci dure ringhiavano nella loro orrida lingua. Aragorn fu più veloce, evitò un'altra tempesta di frecce degli arcieri di Lothlórien, e raggiunse la porta. Lui e Legolas la chiusero contro alla carica degli Orchi, e poi Aragorn si lasciò cadere contro al legno.

«Le cose si mettono male» ansimò, asciugandosi il sudore dalla fronte.

«Male sì» disse Legolas, e guardò la porta con i suoi rinforzi d'acciaio «ma non da disperarsi. Dov'è Gimli?»

Aragorn batté le palpebre per levarsi il sudore dagli occhi, e poi sembrò allarmato girandosi per fissare anche lui le porte chiuse. «Non so. L'ultima volta che lo vidi stava combattendo dietro alle mura, ma il nemico ci allontanò l'uno dall'altro.»

Legolas sbiancò così velocemente e drammaticamente che Thorin temette che stesse per svenire. «Nel Fosso?» disse debolmente «Queste sono cattive notizie.»

«È forte e robusto» disse Aragorn, facendo un passo avanti e afferrando strettamente le spalle di Legolas «Speriamo che riesca a rifugiarsi nelle caverne. Lì starebbe al sicuro per un po'. È un tipo di rifugio che dovrebbe proprio piacere a un Nano.»

Il respiro di Legolas era rapido mentre disse in un sussurro: «lo spero veramente.»

«Legolas» disse Aragorn disperatamente, ma l'Elfo scosse la testa bruscamente e il suo volto era così deformato e scavato che Thorin poteva a malapena credere appartenesse a uno dei Primogeniti.

Aragorn scosse le spalle sottili con fermezza. «Legolas, starà bene» giurò.

«Desideravo...» disse Legolas, e alzò la testa per incontrare lo sguardo dell'Uomo, qualcosa di feroce e indomito e disperato nel suo sguardo «Desideravo dirgli che che i miei conti ammontano ora a trentuno.»

«Se riesce a raggiungere le caverne, ti supererà nuovamente» disse Aragorn incoraggiante «Non ho mai visto adoperare tanto un'ascia.»

Legolas annuì silenziosamente, e poi disse: «Devo andare in cerca di freccia.»

Aragorn gli lanciò un'occhiata dubbiosa, ma gli lasciò le spalle e iniziò ad incamminarsi attraverso i tunnel del Trombatorrione.

Legolas rimase dov'era per un momento, e poi si raddrizzò. Il suo volto era ancora bianco come il latte, ma aveva due macchie accese di colore sulle guance e sembrava quasi impazzito dal dolore. «Ascoltami, Thorin Scudodiquercia, se sei vicino» disse con voce che si rompeva e tremava «trovalo. Lascia questo luogo e trovalo! Farò qualsiasi cosa, soffrirò per te qualsiasi penitenza, se solo potrai dirmi che lui è vivo e sta bene! Se ciò non può farti cambiare idea, allora per il bene che entrambi gli vogliamo, trovalo. Proteggilo. Non posso perderlo!»

Thorin fece un breve, rapido respiro che gli fece male ai polmoni tanto fu improvviso. «Ci proverò» disse al figlio del suo vecchio nemico, e prima di potersi fare delle domande si era lanciato attraverso la porta e giù dalle scale verso il Fosso. Tremava e si riempiva di Orchi: un'orribile calderone bollente.

«Thorin, cosa stai facendo?» ululò Frerin dietro di lui.

«Troverò la mia stella» ringhiò Thorin, i fuochi della battaglia che gli accendevano il sangue come non avevano fatto per ottanta anni «Troverò Gimli.»

TBC...

Note

Sindarin

Erkenbrand era il Signore dell'Ovestfalda, e il nobile in carica della fortezza del Fosso di Helm

Narciso – Rispetto, amore non corrisposto, sei il solo, il sole brilla sempre quando sono con te

Parte del dialogo è preso dai capitoli “Il Fosso di Helm” e “L'Attraversamento delle Paludi” e dal film.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 26
*** Capitolo Ventisei ***


Thorin caricò attraverso la ribollente, soffiante massa degli Uruk-Hai, gli occhi che scattavano da una parte all'altra. L'ultima volta che lo aveva visto Gimli era in piedi con le caviglie nel fango lasciato dal bloccato Fiume Fossato, le asce che brillavano nella pioggia, contornate da improvvise saette.

«Gimli!» ruggì, e solo il ruggito degli Orchi gli rispose «Gimli, mia stella! Gimli figlio di Glóin, a me! A me, mio congiunto!»

Un improvviso lampo di verde e oro lo fece fermare e voltare, e vide Haldir attaccato da diversi Uruk, il volto orgoglioso tirato e disperato. La spada si muoveva elegantemente mentre lui danzava fra l'orda in arrivo, capelli biondi che formavano semicerchi aggraziati dietro di lui mentre si girava.

«Thorin!» urlò la voce di Frerin, alta e terrorizzata «Thorin, ti prego!»

«Qui!» urlò lui, e attraversò di nuovo la pressa di corpi di Orchi e i guerrieri Elfici per trovare suo fratello minore premuto contro alle scale, le spalle che si alzavano e abbassavano e il volto esangue.

«Non posso...» esclamò appena i suoi occhi trovarono Thorin, e le sue labbra erano quasi blu «Non posso farlo.»

Thorin imprecò e tirò Frerin su per le braccia, abbracciandolo stretto e permettendo alle piccole mani di aggrapparsi alle sue spalle. Il volto di Frerin andò a seppellirsi nel suo collo, e Thorin lo sentì tremare violentemente: grandi spasmi fuori controllo. «Non ho pensato» disse, e passò una delle sue mani sotto i capelli dorati di Frerin per posarla, ferma e rassicurante, sul suo collo «Scusami, nadadith – non ho pensato. Stai bene?»

Frerin annuì, ma gli spasmi continuarono. Thorin imprecò di nuovo.

«Non guardare su» disse teso «Tieni la faccia nei miei capelli. Ti ho preso, fratello. Sei al sicuro.»

«È stato il suono» borbottò Frerin, e poi il suo intero corpo tremò così violentemente che quasi fece cadere Thorin «Il suono: non posso più sentire quel suono, non posso. Lo sogno, a volte.»

«Shhh. Ascoltami, la mia voce, il mio respiro» disse Thorin, e si alzò cautamente, lasciando che Frerin si premesse ancora di più contro di lui, avvolgendo le braccia attorno alla bella testa dorata. Suo fratello era così leggero, così piccolo. A malapena adolescente. Era stato osceno che avessero mandato un Nano così giovane in battaglia per iniziare. Erano stati disperati. Erano stati orgogliosi. Erano stati dei tali idioti.

Thorin guardò il campo di battaglia, ma non vi era ancora segno di Gimli. Elfi giacevano come foglie schiacciate sotto le brutte armi con la punta uncinata di Isengard. Le urla di battaglia degli Uruk-Hai risuonarono nella notte, e lui si girava goffamente, una mano attorno alla testa di Frerin mentre lo faceva.

«Rimani con me» mormorò, e iniziò a muoversi attraverso il mare di Orchi «Non aprire gli occhi. Ascolta la mia voce, nadad. Solo la mia voce, Abkundûrzud. Tieniti stretto, ora. Muoviti con me, cammina come faccio io.»

Frerin lo strinse ancora di più, ma le sue spalle iniziarono a rilassarsi sentendo il suono del suo nome oscuro.

I grandi dirupi a strapiombo del Trombatorrione si innalzarono davanti a loro, e Thorin si guardò attorno, cercando di vedere oltre al fumo puzzolente e alla massa in movimento di corpi alti che gli bloccava la vista. «Caverne» borbottò a se stesso, e fece fare a Frerin un altro passo avanti. L'odore dolciastro del sangue e gli strilli stavano iniziando a infastidire anche lui. Dov'erano le caverne di cui aveva parlato Aragorn? Lasciò che i suoi occhi sorvolassero le rocce con disperazione sempre maggiore, cercando di vedere i cambiamenti nella grana e nella formazione che solo un Nano avrebbe riconosciuto.

«Thorin, guarda» disse Frerin, la voce piccola e secca, ma presente. Thorin seguì il dito tremante di Frerin verso dove le pendici delle Montagne Bianche uscivano dal terreno. Là, nascoste ai piedi della valle, stranamente piccole tra le pressioni quasi divine che avevano costretto le montagne a uscire dal loro posto nel terreno, erano le inconfondibili forme rotonde del granito che è stato eroso dal tempo e dall'acqua.

«Non ci sono fiumi qui» sussurrò, e poi trascinò Frerin il più velocemente possibile verso i grigi macigni rotondeggianti «Nessun fiume, solo un torrente. Tutti i fiumi sono stati bloccati – o sono sottoterra...»

Frerin gli trotterellò accanto, il volto cupo e pallido e gli occhi tenuti lontani dal massacro attorno a loro. «Usciamocene da qui» disse, e iniziò a accelerare.

«Frerin, aspetta...» iniziò a dire Thorin, ma fu interrotto da uno strano urlo straziato. Si girò, e vide l'alta elegante figura di Haldir in piedi sulla breccia delle Mura Fossato, la mano ancora al suo fianco e il corpo stranamente immobile. Mentre guardava, l'Elfo girò, i suoi occhi blu scuro pieni di orrore e incredulità, e poi cadde a terra. Non si mosse più.

Thorin fissò e fissò.

«Thorin!» urlò Frerin «Thorin, c'è un'apertura! È troppo piccola per un Uruk, ma Gimli potrebbe esserci riuscito – Thorin, ti prego, andiamocene!»

«Non avevo mai visto un Elfo morire» disse Thorin stupidamente, guardando i capelli di Haldir che cadevano sulla sua armatura decorata di foglie come sangue dorato «Non pensavo che... muoiono così facilmente. Potranno vivere in eterno, ma potranno anche essere uccisi da un colpo che non avrebbe fatto cadere un Nano.»

«Thorin!» ululò Frerin «Ti prego!»

«Gimli sarà triste» disse Thorin fra sé e sé, ignorando gli Uruk-Hai che correvano attraverso il suo corpo immateriale verso la fortezza «Vedrà come piange Legolas.»

Poi si riscosse da quello strano umore e si voltò, correndo verso dove Frerin si sbracciava freneticamente. Suo fratello si piegò per entrare nell'apertura di una caverna proprio mentre Thorin arrivava, scivolando fra le pietre e il buio. «Cosa stavi facendo?» esclamò Frerin, la voce acuta e tirata.

«Haldir è caduto» disse Thorin brusco, e poi andò avanti nell'oscurità. Grazie alla notte completa fuori, gli ci volle poco perché i suoi occhi si abituassero. Il piccolo tunnel era davvero troppo piccolo e basso per ogni Uomo o Orco o Elfo che volessero passarvi, ma un Nano o uno Hobbit (o un Goblin, anche) avrebbe potuto farcela abbastanza facilmente. «Va giù e verso sud.»

«Bene» disse Frerin, con uno sguardo feroce ora che la maggior parte dello spavento lo aveva lasciato. Suonava ancora scosso, e Thorin si allungò e prese la sua piccola, minuta spalla per rincuorarlo.

«I ricordi ti tengono ancora fermamente nella loro presa?» disse, e Frerin si irrigidì.

«Io...» disse, e abbassò la testa. Thorin si avvicinò e premette Frerin contro il suo fianco.

«Non sei il solo che soffre così» disse diretto «Io ho solo avuto più tempo per imparare a nasconderlo. Oserei dire che nostro padre, Fundin, Balin e tutti gli altri hanno i loro incubi coi quali confrontarsi. Non vergognarti, Frerin.»

Il respiro di Frerin si mozzò, e poi guardò Thorin con occhi molto larghi. «È così strano» disse in un mezzo sussurro «Mi sembra quasi che noi ci siamo scambiati di ruolo. Non dovrei dire io cose simili a te?»

Thorin scosse le spalle di Frerin, e poi iniziò a muoversi nel tunnel buio. «Impertinente.»

Sentì il respiro di Frerin, e poi le piccole spalle improvvisamente persero tutta la tensione. «Mi chiedo dove porta.»

«Éowyn aveva dovuto portare il popolo nelle caverne» ricordò Thorin.

«Aye, ma quell'entrata era attraverso la fortezza» sbottò Frerin «e solo dei bambini piccoli sarebbero potuti passare in quella fessura stretta.»

«Uhm. Stammi vicino» disse Thorin, e iniziò a farsi strada sulla pietra irregolare coperta di detriti e muschio scivoloso. Il Fiume Fossato un tempo doveva essere passato in questo luogo, o la pioggia era scesa attraverso gli strati rocciosi per creare l'appiccicosa, stantia umidità.

«Chissà come ha fatto Gimli con i suoi scarponi su questa roba» borbottò Frerin, echeggiando inavvertitamente i pensieri di Thorin.

«Senza dubbio ce l'ha fatta» disse, e ignorò la piccola voce in fondo alla sua mente che sussurrava e se non fosse mai arrivato qui? E se fosse sepolto nel fango là fuori, e tu non riuscisti a vederlo tra l'orda lurida di Saruman?

«Ho sentito una voce davanti!» disse Frerin improvvisamente, afferrando la manica di Thorin. Lui girò la mano per prendere fermamente quella di Frerin, e guidarlo avanti.

«Khuzd?» mormorò.

«Non saprei dirlo» sospirò Frerin dopo un momento «Continua ad andare avanti, ti dirò se stiamo andando dalla parte sbagliata.»

I muri divennero più lisci, il muschio sparì. Thorin girò un angolo, e fu obbligato ad arrampicarsi su una stretta frana di roccia che aveva quasi bloccato il tunnel. Aiutò Frerin a arrampicarsi dietro di sé, prima di girarsi. Il suo respiro si mozzò.

«Gloria a Mahal» sussurrò Frerin in meraviglia stupefatta.

Davanti a loro era un'enorme e aggraziata camera, scavata da null'altro che la corsa dell'acqua come presa da una qualche mano divina. Il grande soffitto decorato era tenuto su da stalattiti che si erano unite al pavimento dopo tanti secoli, formando pilastri robusti quanto le gambe di un Olifante. Ognuno di essi aveva una colorazione tanto delicata che Thorin quasi pianse a vederli: un rosa chiaro come l'alba lì, un rosso acceso come rubini là, pesca e blu e ruggine e ocra e terra che si mischiavano e si univano, e bianchi traslucidi quanto il lobo dell'orecchio di uno Hobbit. Una pozza ribolliva tra i molti pilastri, la sorgente sotterranea ovviamente trovava spazio in questo pacifico, meraviglioso luogo. La sua superficie brillava come vetro nero, il suono dell'acqua echeggiava come molte campane tra gli stendardi di marmo scanalato che scendevano, delicati e simili a nuvole, dal soffitto. Da esso e dai muri scendevano le forme di ali d'aquila, lance, bandiere, corde sensualmente attorcigliate di marmo e calcare, grandiosi pinnacoli di palazzi irreali di nessun Re mortale. Era più stupenda di Erebor nei giorni di Thrór, tutta accesa come se illuminata dall'interno e lucente come la pelle sottile tra il pollice e l'indice di Thorin. E tutto attorno, le mura e le colonne e perfino il pavimento della grande camera scintillavano come una manciata di diamanti contro velluto nero.

«Ukratîn» disse Thorin, la bocca asciutta e il volto molle per la meraviglia.

«Perché ignoravamo di un luogo simile?» si chiese Frerin, andando verso uno dei pilastri luccicanti e allungando una mano come per toccarlo con uno sguardo sognante sul volto «Come abbiamo fatto a passare accanto a tanta bellezza per tanti anni, e non conoscerla mai?»

«Guarda come i gioielli hanno una luce propria» si meravigliò Thorin, prima di vedere una piccola figura alla fine della grandiosa camera naturale, che si muoveva lentamente ma costantemente verso sud «Là!»

Frerin si girò, spaventato. Guardò lungo il dito di Thorin, prima di fare un sospiro. «È lui, è vivo, Gimli è vivo!»

Thorin cercò di nascondere l'improvvisa debolezza delle sue ginocchia. «Certo che lo è» disse, e ignorò la secca frattura nella sua voce «Certo che lo è.»

«Ah, nadad» disse Frerin, improvvisamente vicino e strisciando sotto il suo braccio. Sorrise a Thorin, la bocca e gli occhi tesi ma una gioia genuina sul suo volto. «Andiamo a prenderlo prima che tu faccia qualcos'altro di stupido, come tornare correndo in mezzo alla battaglia.»

«Non possono farci del male» disse Thorin automaticamente, ma Frerin sbuffò.

«Ci sono altre maniere di ferire, fratellone» disse cupamente, e incitò Thorin a muovere le gambe, deboli e tremanti dal sollievo come erano.

Legolas non piangerà. Non avrà motivo di tagliarsi quei suoi pallidi capelli Elfici giunse un inaspettato pensiero, e lui si accigliò. Da dove era arrivato?

«Muoviti, lumacone. Mahal al di sotto, sei pesante!» disse Frerin, tirandolo. Thorin si accorse di essersi fermato senza volerlo, e ricominciò a camminare.

«Scusa» disse sottovoce.

Frerin fece uno sbuffò innervosito. «Sei decisamente troppo grande. Ostentatamente, direi.»

Thorin sorrise, e poi avvicinandosi alla forma del Nano solitario nel buio, rise. «Ostentatamente, aye. Ne sono già stato accusato» disse «In genere da Dwalin.»

«Dwalin era un mio grande amico» disse Frerin solennemente, e poi pizzicò le costole di Thorin «Facciamo a chi arriva primo?»

«Vinceresti» disse, e scrollò le spalle «Quindi, no.»

«Ti chiamava anche guastafeste, se non ricordo male» Frerin storse il naso, e poi ridacchiò «Gimli non è andato molto lontano, sembra.»

«Queste caverne sono così meravigliose, non mi sorprende» rispose Thorin.

L'elmo di Gimli era mancante, e il suo volto era coperto di sangue. La vista fece bloccare Thorin per un momento, prima di farsi forza. «Gimli» disse, e la larga schiena del Nano si raddrizzò immediatamente, abbandonando la sua accurata ispezione dei bellissimi, misteriosi gioielli brillanti.

«Mio signore!» urlò gioioso «Vedi dove siamo? Quale bellezza i Rohirrim hanno sotto i loro piedi? Non è glorioso?»

«È bello oltre misura, mia stella» disse Thorin, e bevette dei tratti così ben conosciuti, così animati e vivi anche sotto il velo di sangue «Non devi attardarti, però – i tuoi amici ti aspettano, e si preoccupano.»

Gimli parve colpito per un istante, e poi fece un passo avanti, guardando oltre a Thorin nell'oscurità. «Legolas, sta – lui ed Aragorn sono al sicuro? Stanno bene?»

«Abbastanza bene, quando li ho lasciati» disse Thorin «Il Trombatorrione è perduto, e gli Uruk avanzano verso la fortezza. Queste caverne dovrebbero incrociarsi dietro alla fortezza...»

«Ah, ecco dove porta l'eco» disse Gimli, guardando su e a sinistra «Potevo sentire lo spazio fra la pietra, ma non sapevo dove mi avrebbe portato. Questa montagna però è piena di simili spazi – ne puoi sentire il vuoto sotto le mani e nei piedi quando cammini. Se i migliori dei nostri artisti e scultori vedessero questo! Una sala vasta e bellissima, così intatta che ti fa chiedere se i piedi stessi di Mahal siano passati di qui prima della rovina del mondo...»

«Poetico davvero» mormorò Frerin, e Thorin cercò di bloccare il sorriso di felicità che non voleva smetterla di allargarsi sul suo volto.

«Gimli, questo è un luogo di meraviglia e incanto, ma è assediato da molti nemici» gli ricordò gentilmente «Ci sarà tempo più tardi, mia stella. Abbastanza tempo per meravigliarsi ed esplorare. Ora, c'è bisogno di te, azaghâl belkul. Devi trovare un passaggio per il rifugio del popolo, e da lì alla fortezza.»

«Ah, hai ragione» disse Gimli con rimpianto, e lanciò un ultimo sguardo alla dolorosamente gloriosa camera in tutto il suo mistero scuro e scintillante. La sua mano si alzò, rimanendo sopra a uno dei muri scintillanti, anche se sapeva di non dover toccare per non lasciare il grasso della sua pelle. «Sai la strada?»

Frerin sbuffò forte, e poi si mise una mano in bocca.

Gimli si accigliò. «Qualcuno lo ha trovato divertente. Mio signore?»

«Mio fratello» disse Thorin, asciutto come la polvere. Incrociò le braccia e guardò a lungo Frerin. «Ebbene?»

«Oh! Tuo fratello» esalò Gimli, come in comprensione a lungo anticipata.

«Ah, scusa, è solo che...» Frerin ridacchiò e poi cercò di calmarsi – senza risultati «La maggior parte dei Nani preferisce non chiedere indicazioni a Thorin.»

La bocca di Gimli si mosse sotto i suoi bei baffi.

«Su» ringhiò Thorin «È un'indicazione sufficiente per te?»

«Andrà bene, grazie» disse Gimli con tutta la diplomazia che poteva date le circostanze, e si girò e iniziò a trotterellare verso la fine della camera, i gioielli che brillavano e scintillavano attorno a lui, la loro luce incredibilmente chiara nell'oscurità «Qua c'è una delle eco – la roccia crepa e non può essere seguita perfettamente, ma sembra che – ah, sì! Qua!»

Gimli si strinse nella piccola apertura, solo per ritrovarsi davanti un altro tunnel scosceso. «E su sia, allora» borbottò a se stesso, e si strofinò la faccia sporca di sangue.

«Meraviglioso» si disse Thorin mentre Gimli iniziava a muoversi nell'intimo calore nero del tunnel, le gemme che gli facevano l'occhiolino come una costellazione di stelle.

«A destra e poi, no, c'è un'altra strada» borbottò Gimli, e si girò per tornare indietro sui suoi passi, il pugno che colpiva la cotta di maglia a intervalli regolari, mandando eco metalliche attorno a sé per fargli da guida. Si mosse attraverso il tunnel pieno di detriti per qualche dozzina di passi, prima di strisciare in un buco che incontrava il tunnel all'altezza della vita. Era scivoloso, e le mani guantate di Gimli dovettero afferrare i lati del nuovo tunnel per impedire alle sue ginocchia di scivolare nel muschio.

«Definitivamente un fiume sotterraneo qui una volta» borbottò Frerin.

«Muschio» disse Gimli pensieroso «Questo dovrà collegarsi a qualcos'altro sopra, se le spore possono attecchire nell'oscurità anche per poco. Questo cunicolo ha visto la luce, per quanto sporadica e debole.»

«Uhm» Thorin non si intendeva di cose simili quanto alcuni della sua Compagnia, e nemmeno quanto Gimli, un ex-minatore in gioventù «Si apre sopra?»

Una mano guantata si scontrò con la pietra scivolosa, le eco tornarono verso di loro, e poi Gimli grugnì. «Non sopra» disse, storcendo il naso «C'è un altro piccolo passaggio davanti a noi, contorto e stretto. Va in su, e poi arriva a un'altra caverna più grande.»

«Abbastanza largo per passarci?» chiese Frerin, spingendosi via i capelli dalla faccia e guardando nel buio davanti a loro.

«Aye, penso di sì» disse Gimli, e il suo sorriso era cupo «Sono sempre stato uno studente distratto quando si trattava di imparare a mappare le caverne, ma sono riuscito a portarmi dietro qualcosa.»

«Sei più esperto di noi» disse Thorin brusco «Va avanti, mia stella.»

«Quello che ci serve qui è Bofur» borbottò Gimli, e poi ricominciò a strisciare nel tunnel, l'armatura che faceva suoni metallici contro le pietre mentre si stringeva nei punti più stretti. Le sue spalle larghe non erano d'aiuto in questo spazio umido e limitato, e Thorin si trovò a tenere il respiro a volte, chiedendosi se il Nano sarebbe riuscito a passare in alcune delle aperture più piccole. Fortunatamente il muschio e l'umidità aiutavano, e Gimli riuscì a farsi strada con qualche contorsione ispirata.

Il passaggio successivo si delineò nel buio, le sue superfici brillavano debolmente e illuminavano l'oscurità vellutata di una debole, pallida luce. Gimli se ne accorse senza fare parole, i suoi occhi che scattavano da una parte all'altra. Usava ogni tanto la punta curva della sua ascia per picchiarla contro i muri, ascoltando attentamente le eco.

«Cosa non darei per un piccone ora» mormorò distrattamente, prima di massaggiarsi il collo. Anche il collo di Thorin stava iniziando a far male per la posizione rannicchiata in cui dovevano stare. Solo Frerin sembrava star bene, anche se era chiaramente a disagio nei tunnel sconosciuti.

«Non ero mai stato in un luogo così... intatto prima» sussurrò a Thorin, sedendosi sui talloni e guardando la grandezza ingioiellata che ricopriva anche questo tunnel modesto e normale «Niente scale, niente muri, niente decorazioni o travi o anche solo segni di minatori. Potremmo essere i primi a passare qui.»

«Molto probabile» grugnì Thorin, mettendo testardamente una mano davanti all'altra «Vieni, il tunnel va verso l'alto. Forse presto ci sarà spazio per stare in piedi.»

«Oh, la tua schiena si sta lamentando, vecchio?» lo provocò Frerin, prima di ridere piano e ricominciare ad avanzare «Cerca di tenerci dietro, nadad

«Moccioso» ringhiò Thorin, e Gimli fece uno strano suono strozzato.

«Scusate» disse in tono basso, guardando sempre avanti mentre si muoveva «Solo... mi sorprende, ecco tutto. Tuo fratello. Gli parli esattamente come io faccio con mia sorella.»

Thorin cadde in silenzio, e poi sentì la spalla di Frerin che picchiava contro la sua negli stretti confini claustrofobici del tunnel «Non importa gli anni che ci separarono, siamo ancora fratelli, aye» disse, e poi spinse Frerin a sua volta «Anche se c'è voluto un po' per questo cieco idiota per accorgersene. Dovrò unirmi a te ed Éomer ed Éothain nella vostra confederazione di esasperati fratelli maggiori.»

La breve risata di Gimli sembrò piuttosto sorpresa. «Felice di averti.»

Il respiro di Frerin si fermò senza suono, e poi si strinse a Thorin, il suo piccolo peso una presenza persistente e confortante al suo fianco.

«Qua su» disse Gimli, e si alzò cautamente, la mano sopra alla testa senza elmo per evitare di fratturarla contro al soffitto «Ancora abbastanza basso. Diventa ripido!»

«Attento a dove cammini, Gimli» disse Thorin distrattamente alzandosi, tirando in piedi anche Frerin. Non aveva bisogno di coprirsi la testa immateriale, né di preoccuparsi del terreno scivoloso, ma poteva almeno fare attenzione per Gimli.

«Aye, molto pericoloso» confermò Gimli, e poi iniziò a usare l'ascia per salire lungo la scarpata sempre più inclinata. Rimasero in silenzio. A un certo punto, il tunnel divenne tanto verticale che Gimli dovette premere le spalle contro a un muro e camminare sul lato opposto, l'ascia piantata in un piccolo appiglio e le braccia che scoppiavano per lo sforzo.

Infine il tunnel si aprì su un'altra bella caverna, ma stavolta il mormorio di voci non era di un Nano solitario che esclamava in improvvisa delizia. Invece, una folla di Rohirrim, i capelli spettinati e i volti sporchi, erano stretti nel lato più lontano della caverna.

«Ah-ha!» ansimò Gimli, e fece per andare avanti.

«Eh, Gimli» disse Frerin, mordendosi il labbro «Potresti volerti pulire la faccia. Sei coperto di sangue e fango, e là ci sono dei bambini molto piccoli.»

Gimli batté le palpebre, e poi sorrise. «Molto bene. Non voglio spaventare bambini, dopotutto – sono gli Orchi che voglio terrorizzare!» si piegò e strappò un angolo della calda giacca di lana che i Fratelli Ri gli avevano fatto tanto tempo prima, e lo usò per strofinarsi la faccia prima di bendare la ferita sulla sua testa «Meglio?»

Thorin trattenne una smorfia. «Andrà bene» a dire il vero, era a malapena meglio, a forse la barba selvaggia e il volto coperto di sangue di Gimli non avrebbero spaventato questo popolo duro e selvatico.

Come si scoprì, Gimli non fu salutato da urla di allarme ma da un piccolo strillo di sorpresa, seguito poco dopo da un acuto grido di “Signor Nano!”

Gimli si raddrizzò automaticamente, l'ascia che girava dietro alla schiena, proprio mentre un piccolo corpo arrivava di corsa verso di lui, i capelli biondi che volavano, per poi schiantarsi direttamente contro al suo petto. «Oof» fece Gimli, la mano libera che andava a prendere la piccola figura che si era stretta a lui «Allora, chi è?»

«Signor Nano, sei tutto sporco!» disse la vocina, e la testa bionda si alzò per mostrare una piccola faccia, tirata per la tensione, ma determinata.

Gimli le sorrise sotto alla sua copertura di fango, e le diede un colpetto sul mento con la mano guantata. «Ciao di nuovo, Signorina Freda! Vedo che non hai paura del combattimento là sopra! Anzi, se fossi stata armata oserei dire che mi avresti staccato la testa, tanto forte è stata quella carica!»

Lei gli sorrise, prima di tirargli la giacca sporca. «C'è dell'acqua» disse, e deglutì forte «Abbiamo sentito il grosso scoppio prima. Mamma aveva paura, e Lady Éowyn ha detto una brutta parola. Cos'è successo?»

Gimli lasciò che lei lo trascinasse, per una volta torreggiando sul suo compagno. «Quella è una storia che è meglio dire una volta sola, e a molti» disse, il volto cupo «E io ho già sprecato abbastanza tempo. L'acqua sarebbe una gentilezza, ragazzina, ma dopo devo andarmene.»

«La magia dei Nani ti ha mostrato come entrare nelle caverne?» giunse la voce echeggiante di Éowyn, fredda e tinta della più piccola parte di gelosia «Perché non ti ha potuto guidare nuovamente fuori?»

«La magia dei Nani sta nelle porte nascoste e nelle rune intelligente, Signora» protestò Gimli, alzando le mani mentre Freda gli tirava di più la tunica «Addestramento e fortuna mi portarono in queste meravigliose caverne, null'altro.»

Éowyn fece un passo avanti nella semi oscurità, una caraffa d'acqua in mano e i capelli legati in una crocchia severa. Era vestita semplicemente, senza grandi gonne a rallentarla, e la sua spada era al suo fianco. «E la strada per uscire?» disse, dando la caraffa a Gimli. Lui la accettò chinando cortesemente la testa.

«Le Mura Fossato sono state prese» disse Gimli dopo una pausa, e prese un sorso d'acqua mentre attorno a lui le donne e i bambini di Rohan urlavano di sorpresa e paura «Ero nella breccia quando successe. Saruman ha creato una nuova, malvagia stregoneria che può bruciare anche la pietra. Sono scappato alle pendici delle Montagne Bianche, dove ho trovato una piccola apertura che portava alle caverne.»

«Sei stato seguito?» disse Éowyn, il suo tono duro. Thorin si trovò a stringere la mascella mentre annuiva in approvazione. Questa scudiera sapeva come funzionava la guerra, e chiedeva le domande giuste. Non c'era da meravigliarsi che Théoden si fidasse di lei per guidare il suo popolo in sua assenza.

Gimli si levò i guanti e poi si spruzzò dell'acqua sul volto, facendo scendere il fango per le guance e nella sua barba in rivoli scuri. «No» disse, guardandola «Nessun Uomo, Elfo o Uruk avrebbe potuto seguire la strada che ho fatto. Un goblin di montagna sarebbe la sola altra creatura che avrebbe potuto farsi strada in quei passaggi scuri e contorti, o passare in quegli stretti tunnel.»

«Io potrei passare» disse Freda improvvisamente, e guardò dove Gimli era arrivato con occhi larghi e spaventati «Io potrei passare lì se ci sei riuscito tu, Signor Nano.»

«Aye, ci scommetterei, e anche tuo fratello senza dubbio» disse Gimli gentilmente, pulendosi ancora il volto «Ma Signorina Freda, non sapresti dove andare, o sbaglio? Quelli sono affari da Nano.»

Lei si portò una ciocca di capelli alla bocca e la masticò distrattamente, prima di annuire. «Credo di sì» disse dubbiosamente, anche se non sembrava convinta. Però fu interrotta dal suo nome, sussurrato in voce urgente e mortificata, e improvvisamente sua madre e suo fratello erano lì per prenderla. Il viso di sua madre sembrava confuso alle compagnie che sua figlia aveva.

«Perdonate, mia Dama, mio Signore» balbettò, stringendosi forte Freda e abbassando la testa a disagio.

«È solo il Signor Nano, mamma» giunse la voce di Freda, soffocata dai capelli della madre «È simpatico.»

Gimli sorrise alla donna, e Éowyn le mise una mano tranquillizzante sulla spalla. «Sii tranquilla, signora» disse, e si voltò verso Gimli «Stai sanguinando.»

«Davvero?» Gimli si toccò lo straccio legato intorno alla fronte, e poi fece spallucce «Non è serio. Ora, da che parte devo andare per entrare nella Fortezza? Temo di essermi lasciato indietro i miei amici senza una parola.»

Éowyn alzò un sopracciglio, e si fece da parte per mostrare un tunnel pulito, ben illuminato e spazioso, che portava in alto. «Dimmi, come sta il Re?» chiese con voce bassa mentre lo guidava verso di esso.

«Bene, l'ultima volta che l'ho visto» disse Gimli dopo una pausa «Stava combattendo ai livelli superiori, insieme agli uomini della sua guardia. L'alba arriverà fra poco, e la luce darà forza agli Uomini e la porterà via alle creature di Saruman. Tieni alto il coraggio della tua gente, mia Signora. Anche se le Mura Fossato sono perdute e il Trombatorrione preso, non tutto è caduto nell'oscurità.»

Lei guardò in avanti, la bocca stretta in una linea dura. «Mi sentirei meglio se potessi vederlo coi miei occhi.»

«Allora io ti farò da ambasciatore, Signora, se me lo permetterai. Lascia che i miei occhi siano i tuoi, e ti dirò tutto ciò che vedo» disse Gimli con un altro inchino, e Frerin scosse la testa.

«Ogni tanto mi dimentico quanto cortese e rapida sia la sua lingua» disse sbuffando.

«Quando vuole usarla» disse Thorin, e sorrise al Nano sporco. Gimli era coperto di sangue e muschio di caverna e fango dalle Mura Fossato, eppure era alto e dritto e non piegato, la sua nobiltà e la sua eloquenza ancora visibili.

Éowyn guardò giù, e poi disse rigidamente: «sarebbe una gentilezza, Mastro Gimli.»

«Sarebbe un onore, e i miei amici mi chiamano Gimli» disse lui mentre lei apriva la porta dei magazzini per farlo passare nella fortezza «Tornerò.»

«Nessuno può prometterlo, in guerra» disse lei, e il suo viso era amaro «Dimmi delle grandi imprese che farai in mio nome. Temo sarà tutto ciò che mi mai mi verrà concesso.»

Gimli si fermò sulla porta, e si girò per guardarla, aggrottando le sopracciglia pensierosamente. «No» disse lentamente «Forse è stato tutto il tempo passato con un Elfo, ma solo quello? No, non è qualcosa che vedo per te. Una vita sicura, lenta e piena di agi non ti si addicerebbe. Grandi imprese saranno tue, Dama Bianca dei Rohirrim. Non qua o ora, ma presto. Temo solo che possano costarti più di ciò che tu le puoi pagare.»

Lei lo fissò, i suoi occhi in fiamme. «Qualsiasi presso è migliore che battere le ali contro le sbarre della mia gabbia – una gabbia fatta di dovere e bene e amore, ma sempre una gabbia! Se grandi imprese saranno mie, Mastro Gimli, le cercherò dove e quando potrò e non quando altri decideranno che sarà accettabile.»

Inaspettatamente, Gimli rise. «E pensi che sia questo ciò che facciamo ora? Signora, tu sei bella e coraggiosa, e se la decisione fosse mia ti avrei alle mie spalle e felicemente. Ma nessun Uomo, Elfo o Nano qui ha deciso di combattere per volontà propria. No, nemmeno gli Uruk, nati e cresciuti per questo, senza opzioni né nel loro lavoro che nella lealtà! Io, sono stato mandato a combattere per la Terra di Mezzo, scelto dalla mia gente per rappresentare il Popolo di Durin. Gli Elfi sono venuti per doveri e obblighi vecchi di ere. Il tuo popolo non ha scelta. Il tuo Re non ha scelta. Nessuno qui avrebbe mai chiesto un fato simile.»

Gli occhi di Éowyn divennero duri e freddi, e lei si erse in tutta la sua altezza. «Forse no» disse con voce dura «ma so dove la mia non scelta sarebbe, se fossi nata figlio e non figlia.»

Gimli la guardò. «Aye, e questo mi confonde» disse, facendo spallucce «I Nani non tengono le loro donne lontane dalla guerra, visto che alla fine saranno comunque affari di tutti. Non capisco perché una dama giusta e forte debba essere addestrata come un guerriero e poi tenuta lontano dal campo di battaglia. Ma so che lei è l'unico membro della sua nobile famiglia, oltre al Re, che rimane in questa fortezza. E lei ha un dovere, uno che non ha scelto, ma è suo lo stesso.»

«Io ho sempre fatto il mio dovere» disse lei, ferita e offesa «Non ne sono mai fuggita!»

«Pace! Non è ciò che ho detto» disse Gimli, alzando le mani in conciliazione «Lady Éowyn, è duro essere lasciati indietro. Lo capisco: lo so!»

Lei lo incenerì. «E come farebbe un Nano e un guerriero a sapere come ci sente a essere lasciati indietro con le donne e i bambini?»

Lui inclinò la testa. «Perché mio padre e mio zio e i miei cugini, i miei più grandi amici, marciarono tutti via col mio Re per uccidere un drago e riprendere la nostra casa e mi lasciarono a preoccuparmi nella casa di mia madre in Ered Luin. Non è solo una scudiera che dovrà soffrire il lungo, lento dolore dell'attesa. Almeno non dovrai aspettare notizie per un anno, come feci io.»

Thorin abbassò gli occhi, e poi borbottò: «Non trovo in me senso di colpa per averti lasciato indietro, nidoyel. Avevi solo sessant'anni, e noi avevamo perso abbastanza giovani nei secoli per riempire un oceano col loro sangue. Sono felice che tu sia vissuto, al sicuro, anche se addolorato.»

Frerin andò accanto a Thorin, le sue piccole dita strisciarono contro al pugno serrato di Thorin.

La rossa testa selvaggia di Gimli si abbassò un poco, ma non disse nulla, aspettò e basta.

Éowyn fece una pausa, e poi chinò la testa. «Mi dispiace, Mastro Nano» disse, e si voltò «Sfogo su di te la mia frustrazione, e tu non ti meriti la mia derisione o le mie accuse. Per favore perdonami.»

Gimli fece un passo avanti, posando una mano enorme su quella magra e bianca di lei. «Non c'è nulla da perdonare» disse gentilmente «E per favore chiamami Gimli.»

Lei girò la sua mano per stringere quella di lui, prima di annuire. «Gimli» disse piano, e poi guardò su per incrociare il suo sguardo «Vai. Fammi da ambasciatore, e uccidi quante più puoi di quelle creature senza scelta, per me.»

«Aye, lo farò» disse Gimli, e le sorrise di nuovo. Poi si mise in spalla l'ascia, e sparì nel tunnel.

Esso si apriva su delle scale a chiocciola che si arrampicavano nella buona, solida pietra della montagna, e Gimli iniziò a correre quando i suoni del combattimento, di Uomini urlanti e di lame che si scontravano, li raggiunsero. «Ùhùrud mednu» riuscì a dire girando un angolo prima di caricare nel corridoio aperto che vi trovò.

«Vedo che tutto quel correre gli ha fatto bene» disse Frerin, ansimando leggermente mentre teneva il passo «È come un ariete che carica, o no?»

Thorin non aveva fiato con cui rispondere.

Con un'ultima volata sui suoi scarponi chiodati, Gimli girò un altro angolo per trovare il Re in piedi debolmente su un tavolo. Un grande buco era stato fatto nella sua bella armatura da una lancia, e il suo elmo era davanti a lui, segnato da molte lame. Guardò su quando Gimli entrò.

«Ah» disse senza allegria «Mastro Nano. I tuoi amici saranno felici – ti credevano perso.»

La voce di Théoden era rotta e monotona, e una feroce amarezza senza speranza così simile a quella di sua nipote sotto di loro, gli riempiva il volto. Gimli annuì all'Uomo, e poi si guardò attorno nella Sala affollata. «Dove sono?»

«Dall'altra parte» disse, facendo un cenno verso le porte «Abbiamo perso la Fortezza esterna. Ora si ritirano.»

«Anche la Fortezza esterna!» Gimli si strofinò la fronte, facendo accidentalmente ricominciare a sanguinare la sua ferita «Queste sono pessime notizie!»

«E peggioreranno, temo» disse Théoden, prima di girarsi verso Gamling che era in piedi lì vicino «Preparatevi a bloccare le porte! Arcieri avanti – copriteli!»

«Ci rimangono pochissimi arcieri, mio Signore!» urlò Erkenbrand allontanando un Orco che ringhiava come un tasso rabbioso.

«Allora lancieri, dannazione!» ruggì Théoden «Qualsiasi cosa! Chiudiamo queste porte!»

«Non ancora, spero!» protestò Gimli, e poi alzò l'ascia, gli occhi infuocati dalla determinazione «C'è della brava gente là fuori che difende ancora la Fortezza esterna – sento il canto dell'acciaio e le urla delle loro voci. Coprirò io la breccia. Non chiudete e serrate le porte!»

«Non hai armi a lungo raggio, non puoi tenerli fuori!» esclamò Théoden. Gimli ringhiò in Khuzdul per un momento, prima di avanzare. Con il volto coperto di sangue, i capelli selvaggi e l'armatura sporca di fango, sembrava un antico eroe dei Nani, una figura leggendaria.

«Ho detto, terrò la porta» ringhiò «Guardate e imparate come può essere usata un'ascia dalle mani giuste!»

Théoden fece un urlo di frustrazione, prima di gesticolare bruscamente con un braccio verso le porte. «E allora condannaci tutti a qualsiasi fato ti stia aspettando. Prego che tu possa fare come dici, Mastro Nano, o Rohan è finita.»

«Non sono un bugiardo» ringhiò Gimli, e poi si girò e scattò verso le porte aperte dove Erkenbrand, Gamling e altri combattevano valorosamente per impedire agli Uruk-Hai di entrare nella Fortezza interna «Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!» ruggì avvicinandosi, l'ascia che girava dietro alla sua spalla in preparazione a un colpo poderoso «Indietro, orride creature! Non potete entrare qui!»

Si lanciò sulla ressa di Orchi come un calderone di olio bollente, separando gli Uruk e creando uno spazio che ben presto si riempì di corpi caduti e arti contorti. «Trentatré, trentaquattro, trentacinque...!» contò Gimli mentre la sua girava e ruotava come mai prima d'ora, tenendo a distanza la pressa degli Orchi.

Frerin si girò verso Thorin. «Io non sarò nemmeno stupito» annunciò piatto «Questo non dovrebbe essere possibile, eppure non riesco a trovare in me una singola oncia di sorpresa.»

Thorin rise e mise una mano sulla spalla di Frerin, guardando la sua feroce, magnifica stella fino a quando gli sembrò di dover scoppiare. «Aye» fu tutto ciò che disse, e avrebbero mai potuto Glóin o Óin essere più orgogliosi di Gimli di quanto Thorin lo era in quel momento? «Aye.»

Persino i grandi eroi dell'antichità non avrebbero potuto bloccare gli Orchi per sempre. A lungo andare, Thorin notò che gli archi di Gimli diventavano leggermente più lenti, e non tutti i colpi ferivano. La testa spoglia di Gimli brillava nella luce dell'aurora, ma le ombre sotto ai suoi occhi erano profonde e il sangue sulla sua faccia stava scendendo di nuovo nella sua barba. Un colpo fortunato di un Uruk armato di picca aveva piegato la sua cotta di maglia sulla spalla, e lui la stava tenendo goffamente.

«Ritirati, Mastro Nano!» urlò Gamling.

«Mai!» disse tra labbra tese in un ringhio «Non passeranno!»

«Tutto il nostro popolo è qui! Andiamo, ritirati!» incitò Gamling, ma Gimli scosse il capo.

«Trentanove! No, non tutti! Non ho visto né pelle né capelli dei miei compagni. Qua resterò, radicato a questa roccia, fino a quando non mi passeranno accanto!»

«Dobbiamo chiudere le porte» riuscì a dire Erkenbrand. Un taglio profondo era stato fatto al braccio con cui usava la spada, e la stava tenendo con l'altro in maniera inesperta.

«No!» ruggì Gimli, e raddoppiò i suoi sforzi. La sua ascia ruotò e ruotò, fino a che Thorin non riuscì a vederne chiaramente i contorni in aria. E poi -

«Gimli figlio di Glóin, abbassa le armi!» urlò Thorin, facendo un passo avanti «Sono là, sono là! Hai protetto la porta, Balakhûn. Ce l'hai fatta!»

Gimli si congelò, l'ascia già pronta per un colpo abortito. I suoi occhi si mossero selvaggiamente. «Qua?»

«Là» disse Thorin, ed ecco due figure occupate a bloccare la porta – una scura, e una Elfica.

L'ascia di Gimli gli cadde dalle dita, e lui cadde a terra con un sospiro. «Grazie a Mahal.»

«È finita» sputò Théoden, dando indicazioni agli Uomini che avrebbero aiutato Aragorn e Legolas a sbarrare la porta «Il mondo cambia, e tutto ciò che un tempo era forte si rivela insicuro. Come potrà mai una torre resistere a una tale valanga e a un odio così implacabile? Se avessi saputo quale fosse la forza di Isengard, forse non le sarei corso incontro, malgrado tutta l'opera di persuasione di Gandalf. I suoi consigli non sembrano ora così buoni come mi erano parsi alla luce del mattino.»

Aragorn mise un'altra trave sulle porte, e poi si voltò per guardare Théoden con occhi brucianti. «Avevi detto che non sarebbe mai caduta mentre i tuoi uomini la difendevano. La difendono ancora. Sono morti per difenderla!»

Théoden chiuse gli occhi. «Si dice che il Trombatorrione non fosse mai caduto durante un assalto» disse con amara ironia «La fine non è lontana.»

«Non c'è un'altra via per le donne e i bambini per uscire dalle grotte?» chiese Aragorn mentre Legolas spingeva con una spalla contro le porte tremanti. Il volto dell'Elfo sembrava confuso e perso, e non pareva vedere niente attorno a lui «Non c'è un'altra via?»

Gamling fece un passo avanti. «C'è un altro passaggio» disse, guardando il Re con trepidazione, il quale era in piedi e fissava il tavolo «Porta alle montagne. Ma non andranno lontano – gli Uruk-Hai sono troppi.»

«Uno!» Gimli sbuffò piano «Aye, uno di cui sono a conoscenza, certo.»

Aragorn scosse la testa in frustrazione, e abbaiò a Gamling: «che le donne e i bambini si dirigano al valico fra le montagne. E barricate la porta!»

Gli occhi del Re si alzarono. «Quanta morte» disse lentamente, e poi le sue dita si strinsero attorno all'elsa insanguinata delle sua spada «Ma non morirò qui, preso come un vecchio tasso in una trappola.»

«Vieni fuori con me» disse Aragorn improvvisamente, e uno strano fuoco era nel suo viso. Théoden si girò per guardarlo, un'esaltazione terribile e fatale che cresceva nel suo volto «Affrontiamoli a cavallo.»

«Per la morte e per la gloria» disse Théoden pesantemente, e Aragorn scosse la testa.

«Per Rohan» disse «Per il tuo popolo.»

Gimli esclamò all'improvviso: «il sole sta sorgendo.»

Legolas si raddrizzò improvvisamente, e la sua testa scattò verso il Nano. I suoi occhi, che erano stati distanti e addolorati, d'improvviso brillarono di una gioia brillante. Fece un passo esitante verso Gimli, il quale sorrise dolcemente sotto la sua maschera di sangue.

«Sì» disse Théoden riverentemente, e la luce della battaglia era nel suo vecchio, forte volto «Sì! Il corno di Helm Mandimartello suonerà nel fosso un'ultima volta!»

«Ma, mio Signore, nessun uomo è riuscito a suonare il corno da quando Helm in persona cadde» interruppe uno degli alti guerrieri, e Gimli rise.

«L'hai sentito, Elfo? Nessun Uomo, dice! Bene, grazie a Mahal io non sono e non sarò mai un Uomo! Questo corno, scommetto di potergli dar voce»

La risata di risposta di Legolas fu come una sorgente fresca, e lui sembrò brillare mentre sorrideva al Nano esultante: un guerriero scintillante, crudele e bello e pericoloso oltre ogni misura.

Frerin rimase senza fiato.

«Nadad?» disse Thorin, guardando suo fratello attentamente. Gli occhi di Frerin erano diventati larghi e bianchi, e stava fissando Gimli e Legolas come se gli fossero cresciute corna e coda «Stai bene?»

La bocca di Frerin si aprì.

Poi si chiuse di scatto.

«Nadad?» disse Thorin, girandosi per guardare meglio Frerin, ora preoccupato «Frerin, cosa succede? Non puoi parlare?»

La bocca di Frerin si mosse senza suono per qualche istante, e poi squittì: «tutto bene.»

Thorin si accigliò, raddrizzandosi e guardando Frerin con sospetto. «Sembri istupidito di colpo, ma stai bene?»

Frerin annuì rapidamente, e poi fece un piccolo sorriso malato.

Thorin fissò suo fratello con occhi severi. «Frerin.»

Il sorrisetto di Frerin cadde, e lui si tormentò le dita. I suoi occhi andarono a Gimli e Legolas per un momento, prima di tornare a Thorin. «Eh» disse.

«Stai. Bene?» Thorin prese le spalle di suo fratello «Sono di nuovo i suoni della battaglia?»

Frerin si leccò le labbra ansiosamente, prima di dare dei colpetti deboli alle braccia di Thorin. «Prometto. Io – io sto bene, va bene? Andiamo, sei peggio di Dori.»

Thorin percepì il proprio sguardo che diventava di pietra, ma fece un respiro profondo e lasciò suo fratello comunque. Se Frerin voleva essere misterioso, poteva farlo anche senza che Thorin lo guardasse.

Accanto a lui, Frerin si abbassò un poco e lo sentì borbottare: «oh, questo andrà alla grande, me lo sento. Come nel nome di Durin è mai potuto accadere?»

«Se stai bene, Gimli andrà alla torre» disse Thorin «Lo seguirai?»

Frerin sembrò tornare al presente, anche se c'era ancora una certa selvatichezza nei suoi occhi. «Dove sarai tu?»

«Io seguirò Aragorn, Legolas e il Re in battaglia» disse Thorin, e fece un cenno verso dove il Re si stava mettendo l'elmo e urlava perché gli fosse portato il suo cavallo, Nevecrino «Non ti porterò di nuovo là fuori, fratello mio. Stai con Gimli, mi hai sentito?»

Frerin annuì, e il malumore strisciò nuovamente sul suo volto. La corte trecce bionde della sua barba si mossero mentre lui reprimeva una smorfia di orrore e ricordi. «Ve bene. Grazie.»

«Sì!» disse Gimli gioiosamente, e alzò il pugno guantato. Immediatamente andò verso la nicchia dove degli scalini potevano essere visti portare su, attraverso la torre della cittadella dove il grande corno era fissato alla roccia.

«Vai, seguilo» disse Thorin, e strinse la sua spalla prima di girarsi. Il suono degli stivali di Gimli segnalò la loro partenza.

«Fa che questa sia l'ora in cui sguainiamo le spade insieme» disse Théoden ad Aragorn, che alzò il mento in conferma.

«Gandalf ha di nuovo ragione, il Re ascolta Aragorn» disse Thorin sottovoce, e cercò di reprimere uno sguardo feroce. Il fatto che Gandalf avesse ragione così spesso era, francamente, un affronto personale, in quanto ricordava a Thorin tutte le volte in cui lui stesso aveva ignorato i consigli dello Stregone. «Beh, possiamo essere grati che qua non incontreremo altri troll, se Mahal vuole» borbottò, e incrociò le braccia.

Il Re si voltò e montò a cavallo mentre Arod e Brego venivano portati a Legolas e Aragorn, ed egli sguainò la spada e la tenne alta. «Feroci atti, sveglia!» disse con voce che fece tremare la Sala «Non per collera, non per rovina o la rossa aurora!»

Aragorn alzò la spada, e Thorin si voltò per guardare le porte che tremavano, le travi che le bloccavano scheggiate.

«Avanti Éorlingas!» ruggì Théoden, e il suo popolo urlò con lui. Le porte furono spalancate, e la carica improvvisa travolse le prime file di Uruk-Hai sotto i pesanti zoccoli dei grandi forti cavalli di Rohan.

Sopra, un enorme squillo di corno riempì il Fosso finché le pietre non vi risuonarono, e l'aria stessa ne tremò.

Thorin attraversò le porte spalancate che davano sulla strada rialzata per guardare i cavalli che partivano. Legolas stava danzando coi suoi coltelli bianchi, e una nuova forza libera da vincoli era in tutti i suoi movimenti. Aveva una risata sulle labbra.

«Tsk. Elfi» disse Thorin, e scosse la testa.

Stranamente, la parola non sembrava più tanto amara sulla sua lingua.

Théoden guidava la carica, e accanto a lui era Aragorn. Gli Uruk cadevano dalla rampa dentro al fossato mentre loro cavalcavano testardamente avanti, il passo ininterrotto, verso le Mura Fossato. Il cielo era del grigio acciaio e lavanda dell'aurora, e le montagne attorno a loro erano toccate sui picchi da raggi rosati di luce solare.

«Il sole sorge» ripeté Thorin, la speranza nel petto. Quindi corse lungo la strada dietro ai cavalli al galoppo, attraversando allo stesso modo Uruk vivi e morti. Le sue mani prudevano per Orcrist, ma aveva quasi perso sensibilità a quella sensazione dopo tanto tempo. Anche così, i suoi istinti lo fecero girare con le mani alzate sopra la testa quando un Orco particolarmente grande si alzò in piedi, e fu solo quando la sua testa non rotolò via che si ricordò di non avere alcuna lama fra le mani.

«Dannazione» ringhiò, e represse l'istinto di prendere a calci la cosa. Sarebbe stato inutile. Continuò a correre.

Mentre l'alba strisciava sulle Montagne Bianche, un cavaliere apparve sul crinale, vestito di bianco e illuminato dal sole che sorgeva. Il corno di Helm Mandimartello suonò ancora, e Thorin fissò dal basso in alto il potere che era rivelato. Andata era ogni traccia del vecchio mendicante, e il Maiar era avvolto da tutta la sua maestosità, radiante di luce giunta da prima della rovina del mondo, potente e misterioso e saggio.

«Guardate il Cavaliere Bianco!» ruggì Thorin, e udì l'urlo che veniva ripetuto da Aragorn «Guardate il Cavaliere Bianco! Gandalf è tornato!»

La figura alzò il bastone, e poi un esercito apparve dietro di lui. Chiaramente riconoscibile era l'elmo decorato con crini di cavallo dell'Uomo alto che cavalcava al fianco di Gandalf, vestito con una bella armatura e armato di lancia. «Éomer» disse Thorin riconoscendolo, e poi scosse la testa verso la splendida figura di Gandalf «Vecchio imbroglione! Stai persino prendendo in prestito eserciti da luoghi inaspettati!»

L'esercito di Rohirrim allagò la montagna mentre il corno suonava di nuovo la sua canzone di retribuzione, e gli Orchi girarono in confusione e rabbia, spaventati dalla nuova minaccia. Serrarono le file controvoglia, accecati dalla luce dell'est e dalla radianza di Gandalf, alzando lance e picche per formare una barriera di fortuna.

Fu inutile.

Ombromanto spezzò i ranghi degli Uruk-Hai come se stesse attraversando un'onda dell'oceano, la testa orgogliosa alta e il suo nitrito risuonava per la valle come una tromba. Glamdring girò e il bastone brillò, e Gandalf urlava in incoraggiamento mentre la Éored di Éomer premeva contro gli Uruk-Hai disorientati. Aragorn urlò in saluto senza parole quando incontrò lo Stregone sul campo di battaglia, e Legolas stava ridendo, fatato e selvaggio e gioioso. Tutto questo Thorin guardò dalla sua altezza sulla rampa, e si meravigliò di una tale vittoria strappata dalle fauci di un terribile massacro.

«Du bekâr!»

Un urlo improvviso dietro di lui lo fece sobbalzare, e con un'ondata improvvisa di familiarità una figura stava correndo giù dalla strada rialzata e verso il campo di battaglia. «Gimli» disse Thorin, allarmato dalla vista della sua stella. Gimli era pallido e malconcio e sporco, e il sangue sul suo volto ora lo faceva apparire esangue. I suoi occhi però erano fieri e determinati, e la sua ascia era di nuovo nella sua mano.

«Quaranta!» urlò, decapitando in modo pulito l'Uruk che aveva incrociato Thorin prima, per poi voltarsi e prendersi il braccio di un altro «Legolas! Legolas, dove sei?»

«Thorin» disse Frerin, correndo per incontrarlo e appoggiandosi alla sua spalla «L'hai sentito? L'hai sentito?»

«L'ho sentito» disse Thorin, e sorrise «Ho il sospetto che lo abbiano sentito a Erebor.»

«Va a trovare i suoi amici» disse Frerin, e poi gemette quando i suoni di acciaio che attraversava carne e armatura giunsero alle sue orecchie «Io... Io...»

«Va» disse Thorin dolcemente, e mise una mano sulla testa dorata di Frerin «Va. Va tutto bene. Ti vedrò più tardi. Non devi vergognarti per questo, Frerin. Va e prenditi cura di te. È questo che voglio.»

«Scusa» borbottò, ma Thorin scosse la testa.

«Non sentirò scuse per questo. Vai, e cerca nostra madre e nostro padre e tutto ciò che ti porta fuori dai ricordi che ti feriscono. Va»

Frerin gli lanciò uno sguardo sorpreso e grato, prima che la luce stellare gli facesse da contorno e lui svanisse dal mondo dei viventi.

Gimli stava avanzando cupamente attraverso il mare di Uruk confusi, i denti scoperti in un ghigno. «Ciao bellezza» disse con soddisfazione a un grande Orco con un elmo pieno di punte «sembri una sfida!»

«Gimli, sei esausto» gemette Thorin, e poi si massaggiò il naso con le dita «Tu sei senza dubbio mio cugino. È un qualche difetto dentro di noi, credi, che non sappiamo quando fermarci?»

«Ci sarà più che abbastanza tempo per fermarsi quando questa bestia non disturberà più la terra» ritorse Gimli, e fece scattare il polso, facendo muovere la sua ascia in un mortale, pigro arco «Vieni qui, allora!»

La battaglia che era parsa così senza speranze si stava trasformando in una rissa risibile. La grande forza di Isengard era presa da tutti i lati, e molti cercavano di fuggire, solo per rimanere intrappolati tra la fortezza e i cavalieri di Éomer. L'alto pennacchio di crini di cavallo si avvicinò, e Gimli guardò in alto da dove aveva fatto cadere il grande Uruk per vedere Éomer stesso che attraversava pile di corpi, la lancia pronta nella sua mano.

Mentre i due Nani guardavano, però, un gruppo di Uruk che era giaciuto in silenzio tra i morti si alzò e corse verso la schiena del Cavaliere. Gimli ringhiò in rabbia senza parole, e si lanciò in avanti con un urlo brusco del suo grido di battaglia. Due Orchi caddero senza testa, anche se sull'ultimo colpo si udì un enorme clang!

«Un collare di ferro!» esclamò Gimli, e alzò l'ascia per guardare con rabbia il filo scheggiato «Che sfortuna! Però il mio conto ora ammonta a quarantadue.»

Éomer scivolò giù dal cavallo, gli occhi larghi e l'espressione scossa. «Non sarà semplice per me ripagarti» disse con rispetto.

«Non potevo certo lasciarti morire, o no?» rise Gimli, strofinando la scheggiatura sulla lama dell'ascia col pollice «La questione della Dama Galadriel è ancora fra noi. Devo ancora insegnarti le buone maniere!»

Éomer sorrise, e poi rise a sua volta, piegandosi in avanti per afferrare l'avambraccio di Gimli. «Grazie, Mastro Nano. Aspetterò con impazienza la mia lezione.»

Gimli gli sorrise, prima di guardare il campo di battaglia. «Sembra che sia finita.»

«Sì, il nemico è stato scacciato» disse Éomer, mettendo una mano sul collo di Zoccofuoco, il suo cavallo «Rohan è salva, almeno per ora.»

«Allegri come un funerale, voi Rohirrim!» disse Gimli, e si strofinò la fronte sanguinante «Avete sconfitto un grande nemico, il vostro Re è di nuovo se stesso, e i nemici non vi sono più alle calcagna! Ciò sarà motivo di grandi celebrazioni, sicuramente?»

«Ti dimentichi, Mastro Nano, che Saruman era solo una marionetta, un riflesso di un male più grande» sospirò Éomer, prima di alzare lo sguardo «E dov'è il nostro Re? Gandalf ci disse che le menzogne di Gríma Vermilinguo e gli incantesimi dello Stregone Bianco erano stati annullati, ma io a malapena riesco a credervi. È passato così tanto tempo dall'ultima volta che mio zio mi guardò coi suoi occhi.»

«Credici, ragazzo» disse Gimli, dando una pacca sulla spalla di Éomer in rassicurazione «Ho visto la trasformazione coi miei due occhi. Re Théoden ha una volontà forte e una spada in mano, e non lascerà nessuna delle due mai più nella sua vita, ci scommetto!»

Gli occhi di Éomer si chiusero, e lui fece un lungo, tremante respiro pieno di antica preoccupazione e dolore. «Bene» disse, e si piegò sulla sua spada, Guthwine «Bene.»

Gimli si pulì di nuovo la fronte, prima di imprecare sottovoce e strappare un altro pezzo della giacca per bendarsi la ferita che sanguinava. «Dannata cosa» borbottò legando uno stretto nodo «Non ha smesso per ora, continua ad andarmi negli occhi...»

«Ore? Dovresti farti mettere una sanguisuga» disse Éomer, levandosi il suo elmo mentre l'ultimo degli Uruk-Hai scappava dal campo di battaglia, ringhiando e squittendo dal terrore.

«Quante volte... Ragazzo, cosa sono io?» disse Gimli, fermandosi nell'azione di mettersi a posto la benda.

Éomer si accigliò. «Sei... sei Gimli, un Nano.»

«Aye, un Nano. Non un Uomo. Posso sopportare ferite che un Uomo non può. Credimi, questa guarirà e in fretta, e non è altro che un fastidio e allarmante solo in apparenza.»

Éomer alzò le mani e rise di nuovo. «Vedo che hai dovuto già ricordarlo ad altri prima d'ora!»

«Aye, e diventa stancante» concesse Gimli, sorridendo e scollando le spalle «Però sono sveglio da quasi due giorni, e mi piacerebbe sedermi!»

«La terra è cambiata» disse Éomer improvvisamente, guardando a est e aggrottando le sopracciglia «Lo vedi?»

Gimli allungò il collo, e anche Thorin si voltò per guardare. Il suo respiro si mozzò.

«Da dove è arrivata quella foresta?» chiese all'aria del mattino, prima che il suo sguardo andasse a Gandalf «Da dove è arrivata quella foresta?»

Dove prima era una verde valle, un mare d'erba che portava alle Mura Fossato, ora erano le chiome mosse dal vento di alberi. Erano là fila dopo fila, i grandi tronchi contorti e i rami intrecciati, le folte chiome che si piegavano sotto al sole alla brezza. Erano a nemmeno un miglio di distanza, e Thorin non riusciva a credere che un bosco tanto grande avrebbe potuto crescere, non notato, nel tempo di una terribile notte.

«No, non importa quanto abbia piovuto!» ringhiò, e fece un passo avanti verso Gandalf «Come nel nome di Mahal hai fatto questo? È... è miracoloso, eppure -» Thorin non aveva parole. Questa era davvero stregoneria.

«Pace, amico mio» mormorò Gandalf, e si piegò in avanti come se parlasse con Ombromanto, la mano affondata nella criniera argentata «Davvero non sai nulla di cose che crescono se pensi che una notte di pioggia possa avere qualcosa a che fare con questo! Ma non è opera mia. È qualcosa che va oltre ai consigli del saggio. Un potere antico, che fu dimenticato. No, va molto meglio di quanto io avessi mai pianificato o sperato.»

«Enigmi!» sbuffò Thorin, e Gandalf sorrise a se stesso.

«Sì, enigmi. Sono il modo in cui i vecchi rispondono alle domande per incoraggiare i giovani ad aprire le loro menti. Il tuo Bilbo lo sapeva bene»

«Il mio Bilbo...» la gola di Thorin si serrò.

Gandalf si raddrizzò. «Abbi speranza, Thorin Scudodiquercia. A volte le cose vanno meglio di come noi avessimo pianificato» indicò la foresta con una mano.

«No per me» disse Thorin, e fissò gli alberi impossibili che si muovevano all'alba, le forme rapide degli Uruk-Hai che svanivano fra i loro tronchi «Non ho mai avuto tanta fortuna. Tutto ciò per cui ho vissuto divenne disperazione, difficoltà e possibilità mancate. Non mi fido più della speranza.»

Gandalf portò occhi pieni di compassione su di lui, studiandolo pensierosamente «Suppongo sia così» disse lentamente, e sospirò «Più imparo di te, Thorin, più desidero averti conosciuto quando tu eri qui davvero. Lord Aulë è più saggio di me, e senza dubbio ha dei motivi se ti ha concesso il tuo Dono. Però, ci sono momenti in cui mi chiedo se non sia crudele mostrarti tutto ciò per cui hai combattuto e mai vinto.»

Thorin continuò a fissare il campo di battaglia. «Potrà non servire a nulla, se Mordor dovesse riuscire dove Isengard ha fallito. E non abbandonerei il mio Dono, no, né l'amicizia di Gimli e la forte, orgogliosa Erebor di Dáin, anche se non li potrò mai toccare.»

«Cambiato e ancora cambi» mormorò Gandalf, e poi si voltò mentre Aragorn si avvicinava con Legolas e col Re.

«Come sempre arrivi nel momento del bisogno» disse Théoden, prendendo la spalla dello Stregone per poi tirarlo in un brusco abbraccio.

Gli occhi di Gandalf si allargarono e per una volta parve senza parole. Thorin incrociò le braccia e guardò con enorme soddisfazione. Aragorn rise la sua dolce, ruvida risata e Legolas sorrise un poco.

Poi un grande urlo venne dalla Diga, e da lì vennero Éomer e Gimli, seguiti da un gruppo di Uomini e Elfi malconci e esausti per la battaglia. «Quarantadue, Mastro Legolas!» urlò Gimli con voce forte «Ahimè! La mia ascia è scalfita: il quarantaduesimo aveva un collare di ferro. E tu a quanto sei arrivato?»

Legolas scivolò giù da Arod, e andò verso Gimli, i luminosi occhi Elfici andarono alla benda sulla sua testa. «Mi superi di un punto» disse, e un sorriso luminoso lampeggiò sul suo volto e cadde in avanti per prendere le spalle di Gimli fra le mani e tirarsi più vicino il Nano «Tuttavia non provo rancore, tanto sono felice di vederti in piedi!»

«Benvenuto Éomer, figlio di mia sorella!» disse Théoden «Ora che ti vedo salvo sono assai contento.»

Éomer fissò a lungo suo zio come se non credesse ai suoi occhi. «Salute, Signore del Mark!» disse, prima di abbassare la testa «Io... zio, io...»

«Vieni» disse Théoden, e si portò Éomer vicino per dargli un bacio sulla fronte «Vieni qua, coraggioso. Grazie per tutto ciò che provasti a fare. Se non fosse stato per tua sorella e te, sarei stato perduto davvero, e Gandalf non avrebbe avuto alcun sentiero lungo il quale riportarmi a me stesso.»

Éomer tremò leggermente e quando alzò la sua orgogliosa, selvatica testa bionda i suoi occhi erano pieni di lacrime di gioia.

«Ma ora, Gandalf!» disse Théoden, girandosi verso lo Stregone anche se tenne la mano sulla guancia ruvida di Éomer «Non ci hai detto quale stregoneria ha potato qui questi alberi!»

«Ah, questi non sono solo alberi, Re Théoden» disse Gandalf, e fece un cenno verso il bosco «Guarda!»

Iniziò con un movimento qui, un rametto che si muoveva controvento là. Poi lo scricchiolio del legno e un urlo feroce risuonò, e prima che Thorin potesse comprenderlo il bosco si stava muovendo e rombando come attraversato da una bufera e le strilla e gli squittii degli Uruk-Hai divennero più forti da sotto i rami. Lui rabbrividì e fece un passo indietro dal bosco improvvisamente orribile. «Zuznîn zurmthahor» mormorò, e premette più forte i piedi contro la buona terra di Mahal come protezione.

«Sì» disse Gandalf quasi pigramente, alzando le sopracciglia cespugliose «Io non andrei vicino a quegli alberi se fossi in te.»

«Cos'è questa stregoneria?» sussurrò Théoden, fissando il bosco in meraviglia e orrore. Perfino Legolas, un Elfo dei boschi di Bosco Atro e abituato alle foreste pericolose, si era irrigidito ed era sbiancato alla vista e al suono degli Uruk-Hai che venivano fatti a pezzi di rami.

«Questa non è magia, ma un potere assai più antico» disse Gandalf «Un potere che era sulla terra prima che l'Elfo cantasse o un martello battesse.

Ere iron was found or tree was hewn,
When young was mountain under moon,
Ere ring was made, or wrought was woe,
It walked the forests long ago.»[Traduzione]

«Enigmi!» ringhiò Thorin, e alzò le mani disgustato. Gli occhi di Gandalf luccicarono.

«E quale sarebbe la soluzione?» chiese Théoden.

«Se desideri conoscerla, dovresti venire con me a Isengard» rispose Gandalf.

«A Isengard!» urlarono Legolas e Éomer all'unisono, e Gimli spostò il peso da un piede all'altro, la mano stretta sulla sua ascia.

«Non vi rimarrò a lungo, ma voglio parlare con Saruman al più presto» disse Gandalf, guardando indietro verso est e verso la Breccia di Rohan dove era la valle di Orthanc «Non abbiamo i numeri per assediare la torre, perché fu costruita da arti più grandi in Ere passate. Però non andiamo verso una battaglia. Non serve che veniate con me. Mi troverete a Edoras, se questo desiderate.»

«Non ti diserteremo ora» promise Aragorn, e insieme Gimli e Legolas andarono ai suoi fianchi. Gandalf gli diede uno sguardo orgoglioso e grato, prima di girarsi verso i Rohirrim.

«Nell'ora oscura prima dell'alba io esitai» disse Théoden, e annuì fermamente «Non ci separeremo ora. Verrò con te, se me lo consigli tu.»

«Dato che Saruman ha subito una grande ferita, sarebbe giusto che tu venissi con me» disse Gandalf «Ma fra quanto potrai riprendere il cammino?»

«I miei uomini sono sfiniti dalla battaglia» disse il Re «ed anch'io sono spossato. Ho cavalcato a lungo e dormito poco. Ahimè! La mia vecchia età non è una finzione creata solo dai bisbigli di Vermilinguo. È un male che nessun medico può sanare, nemmeno Gandalf.»

«Allora fa riposare adesso tutti quelli che dovranno partire con me» disse Gandalf «Viaggeremo all'ombra della notte. È un saggio consiglio; perché reputo che le nostre andate e venute debbano d'ora in poi essere coperte da grande segretezza. Ma non farti scortare da molti uomini, Théoden. Andiamo a parlamentare, non a combattere.»

Théoden annuì, prima di guardare di nuovo la foresta sinistra e poi girandosi verso Éomer. «Manda parola a tua sorella» disse «Ha portato il popolo nelle caverne. Ne potranno uscire ora se desiderano, oppure mandare cibo a coloro che non sopporterebbero di vedere un campo di battaglia. Non impedirò nessuna delle due. Manderemo i vecchi e i giovani a Edoras con i Cavalieri che li porteranno. Terrò con me la mia Éored, e ti vorrei al mio fianco, nipote.»

Éomer chinò il capo, la gioia e l'incredulità ancora in lotta sul suo volto.

«Cavalchiamo all'alba» disse Gandalf, prima di seguire il Re e il Terzo Maresciallo verso la fortezza, dove si sarebbero riposati.

«Bene, amico mio, sembra io debba di nuovo condividere con te una sella» disse Gimli, e ghignò mentre Legolas rideva.

«Direi piuttosto, che dobbiamo condividere una sella con Arod. E come va quella tua ferita?»

«Meglio non chiedere, Mastro Legolas!» rise Éomer, e Gimli borbottò sottovoce per un momento.

«Il colpo inflittomi era assai leggero, e il copricapo lo respinse» borbottò mentre Legolas si inginocchiava davanti a lui e spostava la benda improvvisata. Sotto, il sangue usciva ancora lentamente dalle ferita. «Ci vuole altro che un simile graffio d'Orco per trattenermi qui.»

«Lo curerò, mentre tu riposi» disse Aragorn.

Gimli lo incenerì, prima di guardare Legolas. «Ho un aspetto tanto pessimo, dunque?»

«Sei un Nano» disse Legolas con assoluta solennità «non puoi farci nulla.»

Gimli sbuffò e allungò una mano, mandando Legolas a terra nel fango pieno di impronte di zoccoli, ridendo allegramente. «Elfo arrogante.»

«Sta fermo» disse Aragorn stancamente, tirando fuori una piccola borsa dalla sua giacca consunta «Ho ancora dell'athelas, da Granburrone, anche se l'erba è secca e meno potente. Mi serve che tu trovi dell'acqua fresca, Legolas, quindi smettetela di litigare e vai a cercarla!»

Legolas si sedette. «Aragorn, non stavamo litigando. Abbiamo superato le vecchie menzogne...»

«Ah, lascia stare, ragazzo» disse Gimli, prendendo la mano di Legolas e tirandolo in piedi «Va tutto bene, Aragorn, solo una piccola discussione per tenerci in allenamento. Per favore, Legolas, vammi a cercare dell'acqua per mantenere la pace – e per la mia povera gola secca!»

Legolas sembrò voler dire qualcos'altro, ma poi strinse forte la mano di Gimli prima di scattare con piedi leggeri e sicuro come un cervo verso la cittadella.

«Va bene. Ma il vostro provocarvi non prende in giro nessuno, tanto meno me» borbottò Aragorn, girandosi di nuovo verso il Nano e guardandolo severamente «Ora, siediti, cosa testarda» disse, e lo fissò fino a che Gimli si arrese (controvoglia) e si sedette sull'erba «Sei un disastro. Dove sei andato a cacciarti quando il Fosso è stato preso?»

«Ah, quella fu una vera meraviglia» disse Gimli, e fece un enorme sbadiglio «Ah, scusami – sono passati alcuni giorni da quando ho dormito. Sento di poter sonoramente come se le braccia del Creatore mi cullassero! Trovai un modo per uscire dal Fosso alle pendici della montagna. Lì trovai le gloriose caverne del Fosso di Helm, Aragorn, così belle che mi mozzarono il respiro e offuscarono la mente per alcuni lunghi momenti. Lo trovo ancora incredibile che questi Rohirrim camminino con tale bellezza sotto i loro piedi e non la vedano mai; non sappiano che un cielo stellato è là in profondità sotto i loro piedi, tenuto fra cupole piene di echi e... e trovo di perdere modo di parlare di loro. Le mie umili parole non possono catturare nemmeno un decimo della loro bellezza.»

La voce di Gimli diventava assonnata mentre parlava. Aragorn sorrise. «Le tue parole dipingono un quadro davvero vasto e meraviglioso, e quindi esse devono essere dieci volte più magnifiche.»

«Come se il Kheled-zâram si fosse tramutato in tutte le fibre della terra, sottile e sensuoso come la pelle di una mano vivente, stellato come la notte più profonda» sospirò Gimli, e i suoi occhi si chiusero.

Thorin si sedette accanto al Nano esausto, e sentì la sua stanchezza che lo sommergeva. «E io ho riposato più di te» mormorò, e guardò mentre Aragorn delicatamente lavava via la maggior parte del fango e del sangue dalla fronte di Gimli con uno straccio ruvido ma pulito nel quale erano state avvolte le erbe. L'Uomo evitò rispettosamente la barba di Gimli, ma levò lo sporco e il muschio dai suoi capelli per non farli scivolare nella ferita. Gimli a malapena si mosse.

«Sei ancora sveglio, Gimli?» disse Aragorn infine con voce bassa, e Gimli non rispose «Così stanco da addormentarsi sul campo di battaglia» disse l'Uomo, e allungò le lunghe gambe davanti a sé, la spada appoggiata sull'erba calpestata mentre gettava indietro la testa al sole.

Thorin lo guardò per un momento, osservando questo Re degli Uomini che scompariva e sembrava risorgere davanti ai loro occhi, avvolto in pelli macchiate e un gioiello Elfico. «Perché non hai mai voluto il trono?» chiese ad alta voce «Ti sei parso non adatto ad aiutare il tuo popolo? Temi così tanto il passato? Preferisci gli aperti spazi selvaggi dell'Eriador?»

Aragorn sospirò di nuovo, abbassando le spalle mentre la stanchezza della notte lo raggiungeva. Col volto gettato indietro al sole e la luce che colpiva il suo profilo, Thorin fu improvvisamente e per la prima volta colpito dalla somiglianza che Aragorn aveva con le grandi statue degli Argonath. Se avesse lasciato crescere la barba, sarebbe stato l'immagine dei grandi Re del passato.

«Ecco» disse una voce leggera, e Legolas corse su piedi leggeri con una pelle tenuta fra le mani «L'ho chiesta a Erkenbrand. C'è una sorgente nella fortezza, così potrò prenderne altra se serve.»

Smise di parlare per guardare Gimli, e i suoi occhi si allargarono vedendo la piccola, robusta figura sdraiata immobile. «Sta bene?»

«Sì, sta bene» disse Aragorn, prendendo un sorso d'acqua prima di bagnare un poco lo straccio «Non ha una concussione: i suoi occhi sono acuti, le pupille reagiscono prontamente, e la parlata non è intralciata – al contrario! Di certo una testa Nanica non ha bisogno di alcun elmo, così duri sono i loro teschi! Ma il taglio sanguina ancora, e non mi piace quanto a lungo abbia sanguinato, né quanto pallido sia lui. Ma ora dorme, esausto.»

«Mi lasciò dormire prima della battaglia» disse Legolas, prendendo lo straccio da Aragorn e strizzandolo leggermente. Esitò, e poi iniziò a sciacquare il resto dello sporco dal volto di Gimli. Gimli non si mosse, la sua fronte Durin rilassata nel riposo. Sembrava intagliato dalla pietra mentre giaceva silenzioso e fermo. «Ero a addolorato e spaventato dal lutto mortale, e lui tranquillizzò le mie paure. Mi parla a volte, e il mondo diventa un luogo più semplice; un luogo migliore.»

Aragorn prese una piccola ciotola e iniziò a sbriciolare l'athelas secca con l'elsa del suo coltello. «Ho trovato inaspettata saggezza in tutta la nostra Compagnia, a volte» disse, la voce pensierosa «Merry e Pipino, adesso – quello è un luogo inaspettato per trovare saggezza. Ma i loro spiriti allegri e nature indomabili potrebbero insegnarci molto.»

«Non avrei mai pensato di trovare saggezza in un Nano» disse Legolas piano, pulendo la guancia di Gimli. Le sue lunghe pallide dita rimasero sopra ai folti capelli selvaggi di Gimli «No, nemmeno bellezza.»

Aragorn guardò su, sorpreso. «Legolas?»

L'Elfo fece una pausa, e poi parlò con voce a malapena udibile. «De melin, Aragorn.»

Ci fu silenzio, e poi Aragorn scosse la testa bruscamente «Man ebennig?» chiese.

«Ovestron!» ringhiò Thorin.

«De melin» disse Legolas, e chiuse gli occhi «Melin Gimli.»

«Ci vêr?» disse Aragorn, piegandosi in avanti e allungandosi per toccare la fronte di Legolas. L'Elfo scacciò la sua mano irritato.

«Ti dico che è vero!» disse insistentemente, prima di girarsi per guardare il Nano dormiente «Non me ne resi conto, non fino a quando credetti di averlo perduto. Allora divenne chiaro. Lui è quello che ho aspettato, e nulla separerà il mio cuore dal suo, non guerra né morte né il mio popolo o il suo.»

Thorin si congelò. Il suo sangue iniziò a cristallizzarsi nelle sue vene, tranne per le sue tempie, dove pulsava.

Legolas guardò su con la sfida negli occhi. «Disapprovi?»

Aragorn fece un lungo sospiro, e poi rise piano. «Mellon nín, io sono assolutamente stupefatto che tu non te ne sia reso conto prima d'ora.»

Legolas batté le palpebre.

Così fece Thorin.

«Voi due avete reso la mia vita una miseria con la vostra stupidità e cecità da quando lasciammo il Sarn Gebir» continuò Aragorn, sorridendo «Confesso però si non capire la tua scelta. Tu sei un Elfo. Lui è solo un Nano.»

L'ira di Thorin montò immediatamente, ma per la sua assoluta meraviglia Legolas fu miglia avanti a lui. «E perché è un Nano non è degno di me?» ringhiò l'Elfo con voce bassa, il volto contorto in un modo che Thorin non aveva mai visto prima «Perché sono un Elfo, lui sarebbe inferiore a me? Aragorn, tu rimani avvolto nelle antiche menzogne! Lui è il migliore di ogni creatura: la più leale, la più gentile e nobile e bella. Non avrò nessun altro. Non posso avere nessun altro.»

«Non volevo insultarlo! Lui è mio amico e compagno!» disse Aragorn, allarmato «Legolas, io intendevo dire solo che lui è mortale!»

Legolas guardò l'Uomo per un altro momento, e poi si voltò per guardare di nuovo Gimli. I suoi occhi divennero impossibilmente dolci, e disse: «il gioiello che porti al collo – non ti venne dato da un'Elfa, figlio di Gilraen?»

La bocca di Aragorn si chiuse di scatto, e lui deglutì. «Io la amo. Ma lei sacrifica troppo per quell'amore. Non posso sopportare il senso di colpa.»

«Non ve ne è alcuno da portare» disse Legolas, e la sua lunga mano si allungò di nuovo per toccare la ciocca di capelli che scappava sempre dalle trecce di Gimli per cadergli sulla fronte «Nessun senso di colpa da portare. Se un Elfo ama, è un nostro dono e una nostra scelta, e non possiamo riprenderlo. Non puoi prenderti responsabilità per un dono dato liberamente.»

Aragorn parve turbato, e mise una mano sulla Stella del Vespro attorno al suo collo mentre guardava il nuovo giorno. «Io non sono degno di lei.»

«Non sta a te deciderlo» disse Legolas, e guardò su di nuovo «E ora capisco perché pensi che Gimli sia sotto di me. Aragorn, sei stato cresciuto dagli Elfi e conosci i nostri usi. Dimmi, puoi dirmi il nome di un Elfo che sarebbe mai dissuaso dalla verità del suo cuore?»

L'Uomo rimase immobile, e poi ricadde su se stesso. «Dammi la pelle con l'acqua. Dovrei lavargli la testa.»

Legolas gli porse la pelle, e poi si sdraiò accanto al corto e robusto corpo, i suoi occhi corsero sulle braccia e spalle enormi e lungo il petto robusto e la bella barba, e poi alle corte e robuste gambe coi loro stivali pesanti. «Lui è così diverso da tutto ciò che io abbia mai conosciuto» disse infine Legolas, e poi si mise la testa sulle mani e i suoi occhi divennero lontani e vuoti.

Thorin barcollò, strofinandosi la bocca spalancata e intorpidita. La rabbia stava ancora lottando con l'incredulità nel suo stomaco, e sentiva la sua ira che cresceva, cresceva lentamente ma costantemente sotto la superficie della sua sorpresa.

«Figlio di Thranduil» gracchiò, prima di barcollare indietro e allungare una mano alla cieca. Le stelle del Gimlîn-zâram lo presero prima che cadesse.

TBC...

Note

Questo capitolo contiene dialoghi presi dal film, e alcuni dai capitoli “Il Fosso di Helm” e “La Via che Porta a Isengard”.

Traduzione dell'enigma degli Ent:
Prima che si scoprisse il ferro e s'abbeattesse il tronco fosco,
Quando giovane il monte era sotto la luna,
Non forgiato l'anello né scoperta sfortuna,
Lui camminava nel bosco

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Capitolo 27
*** Capitolo Ventisette ***


Non poteva fare nulla. Non poteva fare nulla!

«Non pensare che non ti ucciderei, Nano. Sarebbe un mio piacere.»

Le Sale passarono davanti ai suoi occhi in una confusione indistinta, e i Nani scapparono come formiche davanti alla sua furia. Che idioti che erano – la sua rabbia era senza potere, inefficace. Che cosa poteva fare Thorin, figlio di Thráin, figlio di Thrór? Era morto! Morto! Che cosa poteva fare il suo Dono: che cosa poteva fare lui? Questa oscenità era oltre la sua influenza. L'Elfo desiderava la sua stella.

«Di nuovo!» ruggì, sentendo la propria voce che gli tornava indietro attraverso i serpeggianti, bellissimi, sobri corridoi «Di nuovo! C'è nulla di nostro che gli Elfi non possono rubarci? Il nostro oro e le nostre arti e la nostra dignità non sono abbastanza: devono prendere anche i nostri figli!»

Il ricordo di un Capitano Elfo coi capelli rossi gli brillò nella mente, e lui si mise una mano fra i capelli e ruggì e ruggì e ruggì fino a che gli sembrò che i suoi occhi dovessero prendere fuoco per la forza delle sue urla.

Questo! Questo figlio di Thranduil, che aveva guardato su di loro con superiorità e disgusto! Questa creatura soffiante col sangue di ghiaccio e gli occhi di piatto cristallo, desiderava Gimli. Gimli figlio di Glóin, migliore e più luminoso dei Nani, il porto sicuro di Thorin per ottant'anni. Questa cosa fredda e arrogante, senza età e superba, voleva prendere e tenere la sua stella.

E lui non poteva farci nulla!

«Cos'è questa orrida creatura? Un goblin mutante?»

Un martello trovò la sua mano. Lui lo fece girare, e davanti alla sua furia le urla degli altri svanirono. Un muro crollò. Un porta apparve davanti ai suoi occhi, e lui lo chiuse dietro di sé. La sua spada cadde nella sua altra mano, creata nella sua forgia, con un'elegante curva Elfica alla lama. Era la cosa più simile a Orcrist che lui poteva creare senza la magia degli Elfi; più pesante, di certo, e leggermente più grossa, nonostante i suoi sforzi migliori. I suoi sforzi migliori ora parevano uno scherzo.

Era tutto uno scherzo!

Essa tagliò parte del suo tavolo da lavoro abbastanza bene.

Impossibile! Follia! Un Elfo, trovare bellezza in un Nano! Ah, ma questa era la più orrida delle menzogne. Come se un essere eterno di stelle e luce lunare potesse mai vedere i Figli di Mahal come qualcosa di diverso da brutti, storti, orrendi. Thorin stesso lo aveva udito con le sue orecchie. Legolas li trovava incredibilmente brutti: troppo bassi, troppo pelosi, troppo larghi, sbozzati alla meno peggio e bruti. Per lui, i Nani non erano altro che un goffo primo tentativo di vita, una ripugnante e confusa imitazione dei veri Figli di Ilúvatar. Un goblin mutante! Persino il suo magro e sbarbato nipote era apparso disgustoso a quegli occhi – occhi innaturalmente blu, limpidi come acqua di fiume. Oh, gli Elfi erano bellissimi, non poteva essere negato, ma i Nani erano belli solo per altri della loro stirpe. No, nessun Elfo poteva vedere il selvaggio e ruvido splendore nei capelli spessi di Gimli, nelle sue guance rovinate dal vento, nelle spesse braccia e gambe, le sue dure, rovinate e enormi mani. Come nel nome di Mahal poteva un Elfo – poteva l'alto, fiero, pallido come il latte e dorato cucciolo di Thranduil – riconoscere mai la nobiltà di un volto Nanico: una fronte Durin, un naso Vastifascio, una bella e abbondante barba.

Come poteva il figlio di Thranduil pensare mai una cosa simile?

«Tu! Non hai alcun onore! Ho visto come tratti i tuoi amici! Venimmo da te una volta, affamati, senza casa; in cerca del tuo aiuto. Ma tu voltasti la schiena! Tu ti voltasti dalla sofferenza del mio popolo e dall'inferno che ci distrusse!»

Il figlio di Thranduil! Il dannato figlio di Thranduil, il loro carceriere e cacciatore, colui che si era tanto compiaciuto nel catturarli e umiliarli! Non poteva essere – era osceno. Legolas non poteva essere cambiato. Questo era un piano. Ah, certo! Tutti quei momenti di amicizia e comprensione erano solo un piano elaborato per guadagnarsi la fiducia di Gimli. Ed aveva funzionato! Nessun Elfo nella storia di Arda aveva mai conosciuto tanto del loro popolo. Gimli, quella fiduciosa, aperta anima, aveva dato segreti all'Elfo, tanti segreti che le sue orecchie dovevano trabordarne.

Aveva quasi funzionato con Thorin!

«Gimli non soffrirà mai dalla mia mano, azione o parola. Lo giuro.»

Menzogne! Tutte menzogne! Non poteva essere vero!

Si lanciò verso i suoi strumenti, la lima volò in aria per conficcarsi in profondità nei suoi sacchi di sabbia, tremando. Le mani distrussero i suoi ganci attentamente e meticolosamente organizzati. Catenacci, sostegni e strumenti per la saldatura caddero sul pavimento della forgia come insetti di caverna, e lui prese di nuovo la sua spada pesante e fece a pezzi le sue credenze con colpi rabbiosi e metodici.

«Farò qualsiasi cosa, soffrirò per te qualsiasi penitenza, se solo potrai dirmi che lui è vivo e sta bene! Se ciò non può farti cambiare idea, allora per il bene che entrambi gli vogliamo, trovalo. Proteggilo. Non posso perderlo!»

Legolas non aveva detto quelle parole. No. No!

Era il figlio di Thranduil. Era il figlio di un traditore, cucciolo di un ragno pallido senza emozioni e immobile che si rannicchiava fra le foglie e lasciava che bambini Nanici morissero di fame. Per cosa – vendetta per uno scrigno di gemme bianche? Migliaia di pance scavate, tutte per placare il ricordo di antico fuoco di drago?

Ma aveva imparato a piangere come piangevano i Nani. E aveva dato conforto a Gimli. E aveva tenuto i loro segreti...

«Lui è il migliore delle creature: la più leale, la più dolce e nobile e bella. Non avrò nessun altro. Non posso avere nessun altro»

Gli occhi di Thorin caddero sul suo ultimo lavoro; una penna, ovviamente. La punta era a forma di foglia. A Bilbo sarebbe piaciuta: avrebbe esclamato per la sorpresa e ammirato l'abilità della creazione. I suoi occhi si sarebbero illuminati nel modo di cui erano capaci... e Thorin non aveva mai baciato il suo Hobbit, mai saputo che sapore avesse, mai bevuto da quella piccola bocca intelligente o tenuto quelle piccole mani nelle sue. L'amore era una trappola, e amare era perdere. Amare, ah – era vivere nel dolore.

(Legolas soffriva come soffriva Thorin? No. No)

La punta era a forma di foglia. Nella sua mano, il pesante martello da forgiatura di Thorin, fatto dell'acciaio più denso e troppo pesante perché Frerin lo sollevasse, cadde improvvisamente. Non poteva distruggere ciò che aveva fatto per amore.

Legolas difendeva Gimli, persino contro Aragorn. Aveva alzato l'arco contro l'alto Signore dei Rohirrim. Aveva trovato bellezza nelle loro antiche tradizioni, bellezza strana, aveva detto.

I Nani erano sempre traditi. Persino l'amore non poteva fermare la marcia naturale del tempo: per ogni gioia, un migliaio di dolori.

«Dimmi, puoi darmi il nome di un Elfo che sarebbe mai dissuaso dalla verità del suo cuore?»

Gli Elfi non credevano che i Nani avessero un cuore col quale amare.

La punta era una foglia, una fogliolina delicata. Thorin aveva intagliato linee sottili dentro la sua forma, le sue venature fragili, fino a che parve quasi respirare e tremare su un albero.

Foglie e fiori e stupide smancerie Elfiche!

Thorin ignorò il lampo caldo di dolore sotto al suo cuore, e si mise a distruggere i suoi lavori in determinata sorda disperazione.


Gli occhi di Balin si chiusero. Quel politico consumato, creatore di leggi e trattati, veterano dei consigli più noiosi che la linea di Durin fosse stata in grado di concepire, si stava addormentando in questa corte di Uomini.

Vergognoso si sgridò, raddrizzando la testa curva, e poi sbadigliò Dwalin riderebbe fino a piangere di te, chiamandoti vecchio e infermo.

In sua difesa, la corte di Brand figlio di Bain figlio di Bard era monotona come acqua di fogna e due volte più torbida. Balin trovava di preferire molto la politica dei Nani a quella degli Uomini. I Nani erano molto più diretti in queste cose, e la tradizione guidava là dove la negoziazione falliva. L'unico segno di vita nella corte era una tensione nell'aria: la gente di Dale sapeva che il loro alleato più vicino e potente era assediato, dopo tutto. Gli eserciti di Mordor potevano essere visti facilmente dalle torri della città, accerchiando la Montagna come un vile, malefico fossato. Era solo questione di tempo prima che una seconda forza si separasse dall'assedio per “prendersi cura” della grassa, ricca, isolata città a un mero volo di corvo a sud.

Eppure i cortigiani litigavano furiosamente del caso. Tessevano belle ragnatele di parole attorno al Re, ognuno di loro tentava di guadagnarsi il potere e la posizione più grande. Nessuno ratificava mai la decisione di andare in aiuto della Montagna.

Brand era anziano ora. Era strano vederlo e ricordarsi il ragazzino che un tempo giocava con un cavallino di legno ai piedi di Balin mentre lui parlava con Re Bain di affari della Montagna. I suoi capelli erano bianchi e i suoi occhi circondati da rughe, macchie dell'età segnavano i dorsi delle sue mani leggermente tremanti. La sua voce non era più forte, e rattristava Balin udirla. Nessuna meraviglia se queste farfalle vestite di seta erano così rumorose questi giorni.

«...cercare termini di scambio più favorevoli col Re Elfico» finì un cortigiano, una mano premuta sul panciotto e l'altra che si portava al naso un fazzoletto. A Balin ricordava abbastanza il Governatore di Pontelagolungo, se era onesto – bei capelli e maniere, ma la sua pelle era untuosa dal sudore e i suoi capelli erano flosci e non lavati. «Ora che la Montagna non può garantire a Dale beni e servizi sufficienti ai suoi bisogni, dobbiamo trovare una nuova fonte di scambi. Dale non deve soffrire una riduzione in ricchezza.»

«I mercati di Dale sono la meraviglia del Nord» disse un'affettata donna con la faccia sottile con un sorrisetto «Certamente non possiamo permettere alla nostra reputazione di svanire. Perché, dove sarebbe il popolo?»

«La vostra reputazione è stata guadagnata dai giocattolai dei Nani due secoli fa» ringhiò Balin, e scosse la testa. L'avidità era avidità, non importa chi fosse l'avido: Elfo, Uomo o Nano.

«Certo, il popolo» mormorò l'assemblea piamente «Dobbiamo pensare al popolo.»

«Le vostre parole avrebbero un peso maggiore se non sapessi per certo che voi avete licenziato tre dozzine di lavoratori nei vostri granai solo nell'ultimo mese, Lady Inorna» disse Brand nella sua roca, querula vecchia voce.

«Ho sempre solo desiderato servire questa città, mio Re» disse lei dolcemente, inchinandosi.

Molti volti si girarono, sorridendo in privata incredulità.

«Il Re Elfico» ricordò il primo Uomo con un colpetto di tosse.

«Così rapidamente voltiamo le spalle ai nostri migliori alleati» sospirò il Re, e tutti i cortigiani iniziarono a borbottare scioccate negazioni – non troppo rumorosamente, però. Certamente nessuno voleva essere il campione della Montagna.

Balin si incupì. «Patetici piccoli pappagalli» borbottò «Ai miei giorni, vi avrei confusi con trattati e parole fino a che voi aveste promesso di scavare i nostri nuovi scavi per noi. Se non fosse per Erebor, Dale non esisterebbe oggi! La vostra ingratitudine sarà conosciuta come la meraviglia del Nord!»

«Vogliamo solo servire Dale, mio Signore» disse un altro con un piccolo inchino «Il Re Elfico è sempre stato un amico degli Uomini, e abbiamo molte cose, cose che vanno oltre ai beni e i gioielli e le arti della Montagna, che potrebbero essere gradite agli Elfi. È giusto che noi dobbiamo soffrire per un litigio fra Nani e Orchi? No, non lo è! Non è la nostra guerra. Non dovremmo pagare per essa!»

Ci fu un coro di assenso, e molti annuirono in autocompiacimento. Il cortigiano che aveva parlato si guardò attorno con luminosi occhi trionfanti. La Lady Inorna strinse i denti in gelosia.

Brand sorrise, anche se era senza allegria. «Il Re Elfico ha cose più importanti per la mente in questi giorni. È tornato un tordo.»

A questo, la corte cadde in silenzio. Balin si piegò in avanti. Solo la linea di Girion capiva la lingua dei tordi, motivo di irritazione per i corvi della Montagna. Scostanti e superiori, li chiamavano. Ma poi, i Corvi erano ugualmente famosi tra tutti gli altri per dedicarsi ai pettegolezzi.

«Non è d'accordo con voi» continuò Brand, una nota di cupa soddisfazione nella sua vecchia voce spezzata. Balin annuì fermamente, e incrociò le braccia in approvazione. «Il Re Elfico è famoso per i suoi modi isolazionisti, ma persino lui vede una minaccia in questo esercito di Mordor. Ha mandato aiuti alla Montagna, e i suoi figli ora sono sparsi per le terre: uno ad Erebor, uno in una missione disperata, e uno al Sud. E ci sono nuove che non avete ancora udito, miei Signori. E se vi importa tanto della gente di Dale, forse questo vi incoraggerà a difenderli.»

«L'ombra si raccoglia di nuovo nel Sud della foresta» continuò Brand, e si alzò in piedi «La vecchia fortezza non è più vuota. Siamo presi in una morsa e non possiamo più rimandare per stupide domande di scambi e profitti.»

«Sciocchezze!» urlò un Uomo «Gandalf il Grigio svuotò Dôl Guldur quasi un secolo fa! Che prove sono queste? Gelosia e rabbia! Dale è ricca e prospera, e gli Elfi sono invidiosi! Il Re Elfico desidera solo vedere Dale che muore di fame e le sue casse vuote, ecco cosa sta succedendo!»

«Se solo vi importasse della fame del nostro popolo quanto delle vostre povere casse» disse la voce laconica del figlio di Brand, Bard II, così simile al suo omonimo che faceva stringere la mascella di Balin nel ricordo del senso di colpa «Non capite ancora? Siamo intrappolati tra un esercito alle nostre porte settentrionali, e gli orrori di Dôl Guldur che sciamano attraverso i rami della foresta a ovest e sud. Il Bosco Verde tornerà ad essere il Bosco Atro. Ma cosa succede ad est, direte? Le grandi vaste pianure, spoglie e secche, si allungano verso est, senza riparo né acqua fino ai Colli Ferrosi! Non c'è nessun luogo dove scappare. Siamo intrappolati. Voi pensavate che il drago fosse male? Considerate che il peggio che ci fece mai fu bruciarci vivi. Gli Orchi non saranno così gentili. Se si sentono di buon umore, ci uccideranno prima di iniziare il loro vero sport.»

«Allegro come il primo Bard» borbottò Balin.

«Pace, Bard» disse Brand, alzando la mano ossuta. Poi barcollò per un istante prima di raddrizzarsi il più che la sua vecchia figura piegata gli avrebbe permesso. I suoi occhi fissarono gli eleganti zerbini che erano i suoi cortigiani con aperto disgusto. «Il Re Elfico non è un'alternativa ai nostri trattati e ai nostri scambi con Erebor. Ho aspettato abbastanza a lungo la ratificazione di questo Concilio – troppo a lungo, forse. Ma un messaggero inconfondibile è venuto a noi, e a un gran costo personale. Non aspetterò più. Dale e i suoi alleati non possono aspettare più. Ora fermate le vostre lingue nervose, e ascoltate!»

«Che genere di messaggero, un altro patetico uccello puzzolente, che prega -» iniziò il primo cortigiano, gonfiandosi in indignazione, prima che un altro gli diede una gomitata per farlo stare zitto. Una piccola, sporca figura era emersa da dietro il trono.

«Ma la Montagna è stata tagliata fuori!» borbottò la donna, Inorna.

«Aye, e grazie tanto a voi!» disse il Nano, levandosi il cappello e incenerendoli con lo sguardo. Era un'immagine ridicola: il minatore sporco di terra e brizzolato che guardava storto coi pugni chiusi i mercanti riccamente vestiti e elaboratamente truccati che avevano preso il controllo della corte di Bard. «Abbiamo mandato corvi per maledette settimane, bastardi, e non una risposta! Ho sentito qualcuno parlare dei mercati di Dale prima. Bene, in quel caso sapete chi sono io, o no?»

Balin guardò stupefatto, e poi batté insieme le mani trionfante. «Bofur!»

«Bofur della Compagnia è arrivato fino a noi» annunciò Brand prima di inchinarsi leggermente a Bofur, il giusto gesto di rispetto da un Re a un molto rispettato Consigliere di Erebor e uno dei Nani più ricchi e più famosi (o era infami?) della Terra di Mezzo.

«'Giorno, ragazzi» disse Bofur brusco, ancora levando la polvere dal suo cappello con colpi arrabbiati del suo braccio.

«Bofur, mio caro amico» disse un altro cortigiano in maniera untuosa, ma Bofur era al massimo della carica. Nemmeno una proclamazione firmata e sigillata da Durin in persona lo avrebbe potuto fermare.

«Non dirmi “mio caro amico”, io non il vostro caro niente, branco di maiali gonfiati!» esclamò, allontanandosi e rimettendosi il cappello in testa «Io sono Bofur, figlio di Bomfur, e non è una bella giornata. Sapete quanta terra ho spostato per scavare dalla Montagna a qua? Ve l'immaginate? Indovinate dov'è finita? Sulla mia schiena, per la maggior parte! Ci sono parti di me che sembrano piene di terra, e non parliam neanche della paura di scavare per otto miglia senza svegliar l'esercito sulla tua testa. Sapete quanto legno serve per tener su e render sicure tutte quelle miglia di tunnel? Non penso rimanga un tavolo a Erebor!»

«Mio Signore Bofur» frignò Inorna, ma Bofur spostò il suo sguardo furioso su di lei.

«Oh, zitta, vecchia cicogna, non sono un Signore anche se mia moglie è una Signora» ringhiò, e si pettinò bruscamente i baffi impolverati con le dita «Bene, eccoci qua. Siamo assediati completamente, il tunnel non può far evacuare l'intera Montagna piena di Nani, e noi non scappiam di nuovo da casa nostra, quindi sta così. Non ce ne andiam senza un combattimento da paura, quindi eccomi qua. Veniam a vedere se le nostre alleanze importano agli Uomini quanto ai Nani, praticamente. Certo, niente Nani vuol dire niente gioielli, niente oro, niente mercato dei giocattoli. Se gli Orchi là fuori non si stufano della dura vecchia carne di Nano dopo un po' e decidon di grigliarsi un po' di fresca carne d'Uomo, così vicina e comoda. Io conosco un sacco dei ragazzi che lavorano alle stalle e ai mercati per voi, e ho incontrato i lancieri e gli arcieri. Sono ben bravi, e non mentirò, ci farebbero comodo.»

«Quanti Orchi assediano le Montagne?» disse Bard, piegandosi in avanti attentamente.

Bofur aveva certo trovato del coraggio negli ultimi ottant'anni o giù di lì, perché non esitò o balbettò o cianciò come avrebbe fatto un tempo. «A essere onesti, non so contare tanto in alto» disse con voce seria «Le nostre possibilità son poche. Ci serve cibo, ci servono approvvigionamenti, ci servono messaggeri segreti che non verranno infilzati mentre volano, ci serve un modo di rompere l'assedio. Ci servono i nostri alleati.»

«Se i Nani sono tanto orgogliosamente indipendenti dalle altre razze, perché avreste bisogno di noi?» ringhiò il cortigiano che puzzava di brandy, e Bofur sbuffò forte.

«Aye, è la nostra reputazione, non c'è dubbio. Ma il vecchio Dáin dice che siamo qui e ora nel mondo, e io son d'accordo con lui. Non voglio che il mio ragazzo cresca pensando che sospetto e isolamento sia il modo giusto per vivere» Bofur si picchiò la testa con il palmo della mano, e una doccia di terra nera cadde dalle sue trecce sul pavimento «Mahal sotto, cosa non darei per una birra ora. Comunque, ve lo lascio sapere. Siam a forse due, tre mesi da morir di fame, e quello è quando ci prenderanno. Quando finiscono con noi, passano a voi – beh, se non si dividono e vengono e vi ammazzano prima quindi può anche andare così. Il bastardo con un occhio a Mordor non sarà soddisfatto con solo Erebor se può avere anche Dale. E ci sono... cose... nel Suo esercito, cose che non volete incontrare.»

Balin rabbrividì.

«Dobbiamo combattere assieme, Uomini e Nani e Elfi» continuò Bofur fermamente, piantando i piedi sulla pietra, e premendo i tacchi come se stesse chiamando Mahal per una benedizione «Stiam per essere ingoiati in un boccone, così separati. Molti di noi più vecchi, non possiam vedere Dale com'era un tempo» il suo volto divenne serio «La Lady Dís si ricorda la prima volta che venne distrutta. Mi disse che avrebbe difeso la città personalmente con la sua spada, se necessario.»

«La Principessa, il Primo Consigliere!» il sussurro attraversò la corte, e Balin si raddrizzò in orgoglio per sua cugina. Dís era ancora un nome a cui portare rispetto.

«Miei signori, ratificherete la mozione del Re di andare in guerra» disse Bard, alzandosi e girandosi verso i cortigiani, uno sguardo scuro sul volto «Lo farete ora.»

«Lasceremo Dale senza difese!» urlò una, e venne echeggiata da un coro di assenso «Le nostre case, i nostri affari i nostri beni!»

«Dale è senza difesa, se me lo lasciate dire» disse Bofur, grattandosi il mento. Un'altra doccia di terra cadde sul pavimento. «Avete visto quanti Orchi ci sono là fuori? Non c'è spazio per gatto tra di loro – sono come un tappeto, se un tappeto puzzasse come delle mutande vecchie di un secolo.»

Balin gemette. Sembrava che la paternità non avesse reso il senso dell'umorismo di Bofur meno volgare. «Forse non nella corte di un Re, amico mio» borbottò, e si tirò la barba esasperato.

«E poi, le vostre mura sono buone, ma non così buone» aggiunse Bofur «Per la barba di Durin, ho aiutato a metter giù qualcuna di quelle pietre io stesso e so che abbiamo fatto un bel lavoro. Ma ci sono abbastanza Orchi per tirar giù tutte le pietre dalle fondamenta senza nemmeno sprecare un quinto delle loro forze. Se noi siamo in trappola dietro ai fianchi della Montagna, quanto esposti credete di essere al confronto, qui fuori su questa collina come un brufolo sul posteriore di qualcuno? Per tutti quegli Orchi, voi siete qui con le braghe calate e tutto di fuori e le dita piantate nelle orecchie.»

Balin chiuse gli occhi. «Oh, Mahal pianse» mormorò in disperazione.

Quello catturò la loro attenzione. Molti caddero in silenzio, con volti improvvisamente preoccupati. Però il consigliere che puzzava di brandy e la polemica Lady Inorna non potevano essere messi al silenzio tanto facilmente.

«Noi siamo su un terreno più alto» disse Inorna, alzando la testa «Li distruggeremo prima ancora che possano mettere una lurida mano sulle nostre pietre.»

«Non hanno motivo di girarsi verso di noi» disse l'Uomo pomposamente «Tutti sanno che la Montagna è più ricca di Dale. Erebor avrà la loro attenzione.»

«Aye, ma come io scoprii ottant'anni fa, l'oro è una pessima salsa» disse Bofur, appoggiandosi irrispettosamente al trono del Re mentre si levava uno stivale e lo girava al contrario. Un rivolo di fine suolo nero ne cadde, e Balin gemette di nuovo e resistette all'istinto di tirarsi la barba sugli occhi. «Noi non viviamo esattamente su un terreno fertile, se non ve n'eravate accorti. Anche gli Orchi devono mangiare, e Dale ha i granai e la maggior parte del bestiame da queste parti. E poi, se un Orco vuol fare merenda con un Nano, anche se riuscisse a tirar uno di noi giù dai bastioni che sono alti centinaia di piedi... beh, deve ancora attraversare l'armatura Nanica prima. È un bell'enigma per quelli che non san come funziona!» Bofur fece cadere a terra il suo stivale prima di levarsi l'altro, muovendo le dita dei piedi contro la roccia della sala del trono «Ma un Uomo, ora – a malapena deve essere scartato! Un po' d'acciaio, un po' di pelle, e Borin è tuo zio.»

«È ripugnante» disse Inorna.

«Vedo che non hai incontrato molti Orchi» disse Bofur, ghignando «Lasciatelo dire, non sono esattamente gente che fa conversazioni educate a cena. Però puoi essere contenta che non sian Goblin. Quelli cantano.»

«Signori, Signore» raspò Brand, e il Nano cadde in silenzio mentre il Re camminava in avanti con passi cauti «Ratificherete la decisione di andare in guerra – o vi sostituirò con un Consiglio che lo farà.»

«Ma, mio signore Brand, questa è tirannia!» sputacchiò un cortigiano, e molte urla gli fecero eco. I vecchi occhi di Brand bruciavano e alzò entrambe le mani.

«E se noi verremo tutti uccisi dalle forze della Terra Nera, spero vi sentirete al sicuro sapendo di essere morti come Uomini e Donne ricche» disse Brand sarcasticamente, e Bofur sbuffò forte.

«Avete disonorato le vostre posizioni» continuò sternamente Brand «Avete passato tanto tempo a fare giochi di prestigio con potere e monete, pianificando per quando morirò, che avete perso di vista il vostro vero scopo. Non servite nulla se non voi stessi. Avete lordato i vostri nomi e tradito la nostra lunga amicizia con Erebor.»

«È intollerabile» sputacchiò il cortigiano pieno di brandy, solo per incontrare la spada nera del Principe Ereditario davanti ai suoi occhi.

«Lo è» disse lui, la bocca una linea sottile «Anni fa, eravamo conosciuti per scambi giusti anche se di basso valore, per onestà e lealtà verso i nostri alleati. I vecchi Governatori di Esgaroth lentamente corruppero la loro reputazione fino a farsi diventare un patetico riflesso dei loro modi avidi e avari. Voi siete i loro degni eredi. Dale si merita meglio che voi.»

«Gli assomigli un sacco, lo sai?» commentò Bofur, spostando il cappello e guardando Bard.

Bard sorrise senza allegria. «Così mi è stato detto.»

Brand scese dalla pedana, e annuì a un lanciere in un angolo – un Capitano, se Balin doveva giudicare dalle decorazioni sul suo elmo e sulla sua corazza. «Miei Signori e Signora, temo di avere ben poca scelta» disse, prima di chinare la testa bianca «Dáin mi è stato amico da quando sono nato. Ha tenuto d'occhio la nostra città dai giorni della rinnovazione di Dale, offrendo aiuto e mani e conoscenza liberamente e senza mentire. Siamo stati resi ricchi e sicuri dall'amicizia con la Montagna. Ora, per una volta, gli serve il nostro aiuto. Gli servono le nostre mani. Non sopporterò che voi ci portiate via dai nostri giusti obblighi per carità delle vostre casse del tesoro! Chiamatemi tiranno se volete, ma avete creato la tirannia con la vostra avarizia e la vostra pigra indifferenza. Ora! Scegliete! Dale andrà a combattere, o dovrò trovare nuovi Consiglieri con borse meno pesanti?»

Il rumore che salutò ciò fu assordante, ma i lancieri per la sala del trono alzarono tutti le armi e fecero un solo passo avanti, e ciò la risolse.

«Bene allora» disse Bofur allegramente «Grazie molte, e ci vediamo alla Montagna ragazzi!»


«Da quanto tempo è lì?»

Frerin alzò lo sguardo. Il suo nipote più vecchio era lì, guardando accigliato la porta della fucina di Thorin.

«Ore» sospirò lui, e si sedette contro al muro del corridoio «Ore e ore. Chi ti ha mandato?»

«Nonno» disse Fíli, e poi gemette quando uno schianto particolarmente rumoroso risuonò nell'aria «Attizzatoio, credi.»

Frerin storse il naso e scosse la testa. «Pala. Contro il retro della forgia.»

«Oh, giusto» Fíli esitò, e poi si sedette accanto a Frerin nel corridoio «Niente asce?»

Come risposta, Frerin sbuffò e fece un cenno in alto con la testa. Fii seguì il suo sguardo, e gemette. Uno stretto buco verticale era stato fatto nella porta della forgia, quasi sul soffitto. Aveva centrato un angolo degli orari molto rivisitati e dolorosamente riscritti del povero Ori, lasciando il foglio a dondolare al contrario. Piantata nel soffitto del corridoio stesso era una grande ascia bipenne.

Le sopracciglia di Fíli si alzarono. «Oh.»

«Ti sei perso la mazza ferrata» borbottò Frerin «Quello è stato davvero eccitante.»

Frerin si massaggiò gli occhi, prima di girarsi di nuovo verso Frerin. «Va bene, sai dirmi perché nel nome di Durin lo sta facendo? Nessuno mi dice niente. Óin si lamenta e si sta ubriacando di nuovo, e Ori squittisce e scappa via. Tutto quello che sono riuscito a capire è che è per via di Gimli...»

«E Legolas» finì piatto Frerin, e Fíli lasciò che la sua voce morisse, lasciando un silenzio pieno di aspettative chiedere la domanda per lui.

Infine Frerin sospirò e si girò verso Fíli. «Se non saranno âzyungâlh entro il Giorno di Durin, correrò per sale con indosso i gioielli di Nonna. Solo i gioielli di Nonna.»

La mascella di Fíli divenne molle, i suoi occhi persi e le sue spalle picchiarono contro al muro. «Che...?» riuscì a dire dopo qualche istante.

«Hai sentito.»

Fíli batté le palpebre diverse volte, e poi i suoi occhi andarono alla porta chiuse e scheggiata. Poi deglutì – forte.

«Ora hai capito» disse Frerin sarcasticamente «Lui è semplicemente deliziato dall'idea, come puoi notare.»

«Aspetta, quando...» iniziò Fíli, e poi scosse la testa rapidamente «No. Fermo, aspetta. Gimli e Legolas? Come lo sai?»

Un secondo suono fece tremare l'aria, accompagnato da un breve ruggito. «Armatura?» si chiese Frerin, e Fíli si massaggiò la base del naso.

«Porta-armi» gemette «Aspetta, torna indietro. Non può succedere di nuovo.»

«Tutto quello che ho capito da lui è che Legolas l'ha confessato ad Aragorn» disse Frerin, e lasciò che la sua testa cadesse indietro contro al muro con un clunk «Il resto era più che altro furia incoerente.»

«È piuttosto bravo nella parte della furia incoerente» disse Fíli dopo una pausa.

«Lo è sempre stato» confermò Frerin.

Ci fu un crash stonato, e poi i suoni di fili che si spezzavano.

«Arpa?»

«Dev'essere stata l'arpa»

I due Nani biondi guardarono la porta in sospettoso silenzio per qualche altro minuto, ascoltando i barriti di Thorin che diventavano sempre più disperati e il suono di metallo contro metallo più forte. Nipote e fratello guardavano i propri piedi allo stesso modo, anche se Frerin sobbalzava occasionalmente quando le imprecazioni di Thorin diventavano particolarmente malvagie, e la mascella di Fíli diventava stretta e contratta alla scelta degli epiteti.

«Non mi sono mai piaciuti gli Elfi» disse Frerin, e poi si piegò, le piccole mani che si torturavano a vicenda «Mi guardavano sempre come un verme che aveva imparato un trucco intelligente. Ma quello che ha appena detto... Legolas non lo è. Non è cattivo. È buono.»

«Neanche a me sono mai piaciuti» disse Fíli, e sospirò «E poi una ha salvato la vita di quell'idiota di mio fratello.»

«Legolas ha salvato la vita di Gimli» disse Frerin, anche se il tono era esitante e non certo.

«Aye, e Gimli ha salvato quella di Legolas» Fíli soppresse l'istintiva ondata di repulsione, creata da un milione di storie d'infanzia e insulti non pensati e battute che non erano davvero divertenti «Gimli ricambia le attenzioni dell'Elfo?»

La risposta di Frerin fu solo un lungo sguardo piatto.

«Giusto» disse Fíli, e sospirò di nuovo «Va bene. Perché mi sembra di aver già vissuto questi momenti?»

«Perché quello stesso idiota di tuo fratello è diventato pazzo di un'Elfa» disse Frerin. Fece una smorfia. «E chi può sapere se Gimli farà lo stesso? Ovviamente gli vuole bene, ma potrebbe non...» si morse il labbro «È un figlio della linea di Durin, questo è certo.»

Fíli guardò la porta, e poi fece una smorfia. «Oh. Oh. Come...»

«Sì. Potrebbe non rendersene mai conto»

Fíli disse la parola più volgare che conosceva. La situazione più o meno la richiedeva. Frerin parve scandalizzato e impressionato allo stesso momento. «Wow. Dís ti strapperebbe la lingua per quello! Wow!»

Ci un forte twang metallico.

«Riga d'acciaio» disse la coppia all'unisono.

Il silenzio cadde di nuovo su di loro, rotto solo dai suoni soffocati della rabbia di Thorin.

«Vuoi provare?» chiese Frerin infine.

«Che male può fare?» disse Fíli filosoficamente, alzandosi e andando coraggiosamente verso la porta.

«Può farne alle ossa, carne, legamenti» contò Frerin sulle dita «Alle Sale di Mahal, possibilmente.»

«Ha ha. Sta zitto»

La voce di Frerin era zuccherosa quando disse: «Chiamami zio, e non parlerò mai più.»

«Nei tuoi sogni, piccolo tenero Khuzdith» ribatté Fíli, prima di girarsi verso la porta e farsi forza. Bussò con le nocche. «Thorin? Thorin? Zio, sono Fíli... Volevo sapere se va tutto...»

Un suono tuonante rimbombò dall'altro lato della porta, facendo saltare Fíli indietro per la paura. La voce di Thorin era improvvisamente molto vicina e molto bassa mentre ringhiava una sola parola, piena di violenza:

«Vattene»

«Io... Io ti lascerò solo allora» balbettò Fíli, e barcollò di nuovo fino al lato opposto del corridoio, il cuore in gola.

Ai suoi piedi, Frerin scrollò le spalle. «Beh. Ci hai provato.»

«Hanno ricevuto tutti una reazione del genere?» disse Fíli, fissando la porta. C'era del sudore che colava dalla sua fronte, ne era certo.

Frerin ridacchiò, basso e scuro. «Sì. Sii grato che non ti lanciato un'ascia in testa» si grattò il mento per un istante, e poi aggiunse: «è davvero una buona cosa che il tuo fratello idiota sia così rapido sui suoi piedi.»

Fíli fissò la porta per un altro istante, e poi sbuffò. «Il mio fratello idiota.»

La bocca di Frerin si incurvò tristemente, e incrociò gli occhi di Fíli. Non per la prima volta, Fíli fu colpito da quanto simili erano nell'aspetto, anche se Fíli aveva più di trent'anni più del suo zio più giovane. Occhi azzurri, capelli biondo grano, sopracciglia spesse e l'affilato naso Durin. Sì, molto simili. «Beh, posso capire» disse Frerin, e si alzò con un sospiro, guardando di nuovo la porta della fucina di Thorin prima di voltare la testa «Andiamo, mi serve qualcosa da bere.»

«Ai fratelli idioti» disse Fíli, e Frerin ridacchiò di nuovo e ghignò.

«Ai fratelli idioti»


«BIFUUUUUR!»

L'urlo giunse da una forma sfocata che corse via dalla Camera di Sansûkhul in un tornado di lavori a maglia e capelli castani.

Parecchi Nani sobbalzarono o scapparono via. Avevano imparato a fare attenzione ai Nani che correvano dalla Camera.

(Il ricordo della recente marcia furibonda di Thorin non sarebbe svanito in fetta.)

«Bifur?» implorò la figura, e la povera Nana terrorizzata che aveva messo all'angolo tremò e indicò un corridoio.

«GRAZIE!» disse la figura mentre scattava via a massima velocità.

La Nana si afflosciò, e poi scosse la testa. Questa era la goccia che faceva traboccare il vaso. Avrebbe chiesto un'altra stanza. Questa era troppo vicina a quella dannata vasca delle stelle e agli strambi che la visitavano.

Bifur figlio di Kifur stava mangiando pacificamente i petali di un nuovo fiore delizioso quando la figura si scontrò contro di lui, parlando così in fretta che le parole erano un acuto, continuo muro di suono.

«Ikhuzhûrng, ikhuzhûrng!» disse Bifur, e ingoiò il suo fiore. Un peccato fare così in fretta, davvero, ma comunque - «Ori?»

La figura divenne un Ori tremante. I suoi capelli erano quasi in piedi per il terrore. «HocambiatoideagliEntsonoterrificantiperfavoretipregopuoiabbracciarmifinoacheriescoarespiraredinuovo?»

Bifur si accigliò. «Ma shândi. Scusami? Sei più incomprensibile di quanto io sia mai stato.»

«Ho cambiato idea» disse Ori di nuovo, e guardò giù. Il suo volto esangue iniziò a diventare molto rosso sulle guance, abbassò il volto mentre l'imbarazzo iniziava a scaldare le sue adorabili orecchie a sventola. «Uhm. Scordati il resto, va bene?»

«No, penso che non lo farò» disse Bifur dolcemente «Vieni qui, sanmelek.»

La testa di Ori si alzò di scatto, gli occhi sbarrati. «Come mi hai chiamato?»

«Per una volta, non credo tu debba tradurre» mormorò Bifur, e si tirò il Nano più giovane avvolto di lana fra le braccia. Ci stava molto bene: morbido e caldo e un po' in movimento. «Ecco. Ti piacciono i fiori?»

«Vanno bene» disse Ori, stupefatto «Mi piace tutto ciò che è più piccolo di un albero, in questo momento.»

«Ah. Quindi gli Ent non sono innocui come sembrano» disse Bifur sentendo l'odore dei capelli spettinati di Ori. Carta e legna bruciata.

Ori rabbrividì e si strinse di più nelle braccia di Bifur. «No. Davvero, davvero, davveeeeero non lo sono. Solo. Uhm. Puoi... stringermi e basta, finché finisco di tremare?»

«Certo. Mangia un fiore o due, fai pure» suggerì Bifur «Ti prometto che non reagiranno.»

Ori fece un piccolo suono disperato, e premette il volto nella barba di Bifur.


«Aiutami!» ordinò Thorin, aprendo la porta con l'avambraccio e appoggiandosi. Sentiva il sudore che gli faceva attaccare i capelli e l'enorme vortice dell'incredulità nello stomaco. I suoi arti facevano male per l'esaustione, e sembrava fossero passati giorni dalla battaglia. Le Sale sembravano irreali, quasi un sogno, invece della definitiva realtà che erano; la definitiva realtà che aspettava tutti.

Il suo Creatore alzò lo sguardo, e l'incudine era spoglia, le pinze vuole. Nessuna luce era nelle fiamme della sua forgia, e il suo glorioso, indistinto volto era pensieroso. «Ah.»

«Aiutami!» ordinò nuovamente Thorin, e strinse la mano a pugno e la picchiò contro la porta «Ciò non può essere nei tuoi disegni! Aiutami a capire tutto questo – perché un Elfo guarda la mia stella? No, non un Elfo qualunque, no» Thorin barcollò in avanti, asciugandosi la fronte fradicia e ridendo metà in derisione, metà in incredulità. «il figlio di Thranduil, prole di un ipocrita senza onore e senza fede! Perché – come...

La vasta mano ruvida del grande fabbro dei Valar si allungò, e Thorin tremò e tremò e la sua testa girò quando si posò sui suoi capelli. La dolce voce di Mahal il Creatore rombò nelle sua ossa come tuono senza suono. «Shhh, figlio mio» disse, ma Thorin non poteva – non voleva – rimanere in silenzio. Nemmeno per il suo Creatore.

«E tenere ferma la lingua davanti a questo!» muggì, e una piccola parte di lui guardò con stupore terrorizzato mentre spingeva via la mano del suo Creatore con un urlo acuto e selvaggio «Questo – questo abominio! Gimli non può – se lui – l'Elfo mente! Mente, come mentì suo padre! Desidera qualcosa da Gimli, senza dubbio. La sua apparente conversione, le sue belle parole, tutto un trucco pianificato! Persino io fui ingannato da quello spettacolo impeccabile. Ah, ma ora lo vedo per chi è davvero. Chiederà gioielli bianchi fra un po', segna le mie parole!»

«Basta»

La parola fu detta piano, ma Thorin ne fu colpito furiosamente lo stesso. I suoi occhi si chiusero e lui si mise le mani bruscamente sulle palpebre, prima di cadere in ginocchio goffamente sulla roccia sbozzata della forgia di Mahal. La singola parola, detta piano, era pesante come un colpo di martello sulle sue spalle. Thorin chinò la testa e combatté con la sua rabbia e con la sua terribile, schiacciante paura.

«Stai dicendo follie, e lo sai» non c'era rimprovero nella grande, amata voce, ma non vi era nemmeno dolcezza «Hai visto la vera natura di Legolas Thranduilion, e ori tenti di negare quella conoscenza aggrappandoti a vecchi odi. Smettila di ricadere in abitudini vecchie e insalubri, inùdoy. Sei diventato più grande della loro piccolezza.»

Thorin respiro pesantemente dietro le mani per qualche momento, e costrinse le sue lacrime a rimanere dietro ai suoi occhi. Non avrebbe pianto lacrime per l'Elfo: nessuna. «Aiutami» gracchiò, e si piegò finché la sua testa premette contro la roccia fredda «Aiutami

«Shhh» disse di nuovo Mahal, e Thorin morse le centinaia di parole furibonde che si affollavano sulla sua lingua «Shhh. Thorin. Tu sei pronto per saperlo, e perciò ora lo sai. Prima, non avresti potuto sopportare questa conoscenza. Ti serve poco aiuto da parte mia, se alcuno te ne serve. Imparerai a capire, coi tuoi tempi. Hai già tutto ciò che ti serve nella tua mente e nel tuo cuore.»

«Non lo ho» ringhiò Thorin, e la sua bocca si tirò nelle rabbiose e amare linee che così recentemente avevano iniziato ad addolcirsi «Non posso.»

«Puoi»

«Non sono fatto di simili cose» iniziò Thorin, solo per essere interrotto da una dolce risata come il sussurro di un fiume sotterraneo.

«Se qualcuno da di cosa sei fatto, quello sono io» disse il Valar. Thorin sbuffò in irritazione contro al pavimento, sentendo il respiro caldo e acido che gli rimbalzava in faccia. «Non sei fatto della roccia della terra né dell'acciaio della spada. Tu non sei un sasso, o un'arma, o un ferro recalcitrante a cui sarà data forma dal martellare di un fato ingiusto. Tu sei carne, e la carne è malleabile – sì, persino nei Nani! Ti puoi adattare. Puoi cambiare. Anzi, figlio mio, l'hai già fatto. Semplicemente ancora non ci credi.»

«Mi importa poco di me» borbottò Thorin «La mia stella. Cosa sarà di lui? Vuole bene all'Elfo, ma non può davvero...»

«Gimli è un Nano a sé, e lo è sempre stato» poté sentire il piccolo sorriso nella voce di Mahal.

«Ma... non guarderà a un Elfo?» disse Thorin, e guardò su, odiando la nota di preghiera nella sua voce, odiando che non poteva proteggere Gimli da ciò che era nel suo cuore «Ti prego. Dammi questa sicurezza. La mia stella non guarderà il figlio di Thranduil e vedrà il volto del suo Uno. Ti prego. Ti prego.»

«Ah» disse il suo Creatore, e poi la grande mano gli alzò il mento e fece passare un pollice sulla sua corta barba «I tuoi occhi sono rossi, figlio mio. Il tuo corpo è stanco oltre misura, e non hai mangiato. Quanti dei tuoi fratelli e sorelle hai spaventato oggi?»

«Rispondimi!» ringhiò Thorin, e la mano di Mahal si strinse leggermente sulla sua mascella.

«È così terribile guardare un'altra razza e trovare che è bella?»

Thorin strinse i denti. «E dopo il guardare, e dopo il trovare? Dopo tutte le gioie e tutti i legami e tutti i giuramenti? Seguono disastri, e sempre l'hanno fatto. È questo che vuol dire essere un Khuzd!»

«Lo pensi davvero?»

«Aye» disse Thorin, e guardò rabbiosamente il suo Creatore «Siamo sempre traditi, dal fato e dalle possibilità e da mutevole inconsistenza. Le altre razze possono tener poca fede ai loro voti, ma noi dobbiamo sopportare e soffrire! Non posso vedere ciò per Gimli – non lo vedrò amare e perdere!»

La grande voce penetrò nella sua carne mentre mormorava: «non sempre, figlio mio. A volte l'amore resta, nonostante guerra, morte e età. A volte brucia come tizzoni caldi, per essere rinnovato in giorni di pace benedetta. A volte non è una ferita, ma una promessa.»

Ci fu una breve pausa, e poi il sorriso di Mahal brillò della sua luce sulla fronte di Thorin, caldo come il fuoco in unna fucina, confortante come le braccia di sua madre o la grande barba di suo padre. «Questo tu lo sai, meglio quasi di chiunque. Sai come un promessa possa essere fatta tra dei mondi. La devozione di un Nano non fu mai maggiore.»

Thorin fece un respiro che gli bruciò i polmoni, e poi strinse forte i suoi pugni. «No. Questi non siamo io e Bilbo – questa non è la nostra triste storia di possibilità mancate e speranza svanita. Almeno io so questo: che non ho mai disgustato Bilbo. Ma il mio coraggioso, fedele, nobile Gimli! Guarderà lui un Elfo senza onore, una creatura che lo ha offeso oltre ogni dire e lo trova ripugnante oltre parole, e vedrà il più caro e più vano desiderio del suo cuore?»

«Parli con grande stupidità» disse Mahal, e vi era un leggera nota di rabbia nella sua voce – debole, come un temporale lontano, ma stava crescendo «Un'opinione può cambiare. Dimmi, Bilbo forse ti delizio durante il vostro primo incontro?»

«Lo sai che non è così» ringhiò Thorin, e poi chiuse gli occhi «Uno Hobbit non è un Elfo.»

«E un figlio non è suo padre» disse Mahal «Legolas non è Thranduil. Loro sono diversi come le fasi che Isil traccia nel cielo. Dove Thranduil Oropherion è ferito e segnato, indurito oltre guarigione, Legolas Thranduilion è intero e flessibile quando un germoglio. Pietra e radice, foglia verde e buon terreno scuro, hai sentito col tuo stesso cuore come essi si possono mischiare.»

«Belle parole» disse Thorin, e fece un suono selvaggio di angoscia mentre guardava su, furioso «Begli enigmi! Dovete tutti parlare in cerchi?»

«Mi dimentico a volte che voi non potete vedere i segni come me» disse Mahal, e vi era vero disappunto nel suo grande e glorioso volto «Non vi creai per ascoltare la canzone di Eä.»

Thorin si piegò in avanti sulle mani, la roccia fredda del pavimento gli si infilava nelle ginocchia e nei palmi, i suoi capelli gli caddero attorno al volto mentre combatteva con la furia che tentava di sommergerlo nuovamente.

«Pace, Thorin. Legolas guarda Gimli coi suoi occhi, non con gli occhi di suo padre. Hai visto come sono diventati. Vedono l'uno nell'altro un nuovo e irresistibile fascino, strano, strano ma bello, diverso eppure simile. La nostra luminosa e infuocata stella non brucia senza un pubblico che la apprezzi»

Thorin fece una smorfia di disgusto, arricciando le labbra.

«Non tornare a antiche, confortevoli e contorte maniere di pensare» disse Mahal, di nuovo gentile. Il suo tocco fece congelare il midollo nella spina dorsale di Thorin e correre il sangue sotto la sua pelle. «Sei diventato più saggio di così, figlio mio.»

Thorin chinò la testa, e la scosse bruscamente. «No, non lo sono. Non sono saggio, né mai lo sono stato. Balin è saggio, Bilbo è saggio, Elrond, Galadriel e gli altri intoccabili e incomprensibili Signori e Signore, loro sono saggi. Io non lo sono, o potrei sopportare tutto questo!»

«'ikhuzh, inùdoy» il grande dito calloso si alzò e toccò i suoi occhi, e Thorin urlò involontariamente prima di cadere sui suoi gomiti e tenersi il volto «Aspetta e sii calmo. Ho riparato i tuoi occhi – ti eri rotto dei vasi sanguigni, nella tua rabbia.»

«Óin sarà furioso» borbottò Thorin, strofinandosi gli occhi.

«Tu sei furioso. Metti da parte queste antiche scuse, e dimmi perché»

Thorin sedette immobile come una statua per un momento. Quando la sua voce emerse, era profonda e morbida, quasi senza rumore. «Legolas può credere di amare Gimli, ma se Gimli lo amasse a sua volta?» sussurrò, e poi deglutì «Temo per la mia stella. Temo ciò che potrà accadere. Legolas potrà non essere Thranduil, ma il suo popolo ha mostrato di ignorare i loro voti e le loro amicizie. Io...» si interruppe, il petto dolorante come se Mahal avesse preso le sue costole nella sua grande mano e stesse lentamente schiacciandogli fuori la vita.

«Forza, figlio mio» disse il suo Creatore, e nuova vita sorse in lui udendo le parole.

Alzò lo sguardo. «Ho visto uno che amo aspettare decennio dopo decennio, tenendo il suo amore per sempre intrappolato dietro alla sua lingua, diventando vecchio da solo, l'unica ricompensa per una vita di speranze distrutte e una mente confusa. Quando l'Elfo si stancherà del suo insolito oggetto di amore, che fato avrà il Nano migliore che io abbia mai conosciuto? Legolas potrà dirsi innamorato ora, ma cosa dirà suo padre? Il suo popolo? È stato cresciuto tra luridi insulti contro la mia gente, e l'ho udito con le mie orecchie, che insultava Gimli e lo chiamava orrido come un Orco. Quando Legolas sarà nuovamente circondato da Elfi, quanto bello sarà Gimli per lui quel giorno? Tutta la nobiltà e onestà e coraggio al mondo possono non sopportare il peso della disapprovazione di un genitore, o una vita di disgusto e odio.»

«Abbi fede in lui» suggerì Mahal, e Thorin sbuffò forte.

«Fede. Ho fede in Gimli, perché lui è la fedeltà in persona. Quello posso avere. Il resto? Ho già avuto fede, e ho perso tutto. Quelli a cui voglio bene hanno pagato il prezzo. Non posso più parlare di fede.»

«Dimentichi il tuo Nome?» disse la voce del suo Creatore, rotolando tra la sua carne, attraversandolo e inchiodandolo al pavimento. I denti di Thorin batterono, e lui tremò incontrollabilmente. «Sei il luogo dove viene forgiata la speranza, mio forte, indomabile figlio. Non disperare. Non tutti gli amanti devono essere divisi. Troverai di nuovo la tua speranza.»

«È troppo tardi» disse Thorin, e si voltò. La vergogna che seguiva subito la sua rabbia iniziò a sommergerlo, e si strofinò di nuovo gli occhi brucianti. Si sentiva vecchio, e stanco. «È tutto troppo tardi. Io sono morto, e così la speranza, e non può essere riforgiata. Il mondo cade nell'oscurità, e la mia stella perirà fra i fuochi di Mordor o piangerà fino a che la sua luce si estinguerà per sempre.»

«Tutto può essere riforgiato, Thorin, soprattutto la speranza» disse Mahal, e il tuono lontano rombò sotto le sue parole, come a dirsi d'accordo «E se Varda non permette alle sue stelle di spegnersi prima del tempo, nemmeno lo faccio io.»


Bomfrís attraversò la stanza, la faccia deformata per la concentrazione.

«Bene, bene» disse Barís criticamente «Prova a raddrizzare ancora un po' la schiena. E smettila di guardarti i piedi.»

Bomfrís si raddrizzò più che poteva, irrigidendosi come una tavola. I suoi occhi scattarono verso il soffitto.

«Meglio» disse Barís, ma non appena le parole lasciarono la sua bocca sua sorella inciampò nell'orlo del grande pesane vestito che le aveva prestato e si scontrò col tavolo «Oh, per la barba di Durin!»

«Ahi» disse Bomfrís, in modo confuso e estremamente irritato.

«Eccomi qua» disse sua sorella maggiore ansiosamente, tirando su Bomfrís e levandole di dosso la polvere meglio che poteva «Stai bene? Ti sei fatta male?»

«Oh piantala, sei peggio di Mamma» borbottò Bomfrís, massaggiandosi il ginocchio «Non posso farlo, namad.»

«Ora ora, hai solo iniziato» disse Barís gentilmente, sistemando i capelli infuocati di Bomfrís dietro alle sue orecchie «Non arrenderti così in fretta. Io ero senza speranza quando iniziai.»

«Ma tu ormai l'hai fatto per cinquant'anni» borbottò Bomfrís «Io non posso. Non sono fatta così.»

«Non sei abituata ad avere altri attorno a te, ecco tutto» disse Barís, e gentilmente fece sedere sua sorella «Sei stata da sola così tanto, ti sei dimenticata come parlare a chiunque non sia un corvo. Andiamo, levati questa cosa sciocca e io ti porterò qualcosa di caldo da bere.»

«Spero sia più forte del maledetto tè» disse Bomfrís sottovoce, e iniziò a tirare il collo dell'abito «Lo odio, sembra un cappio. Come fai a sopportarlo?»

«Come hai detto, sono stata a corte per cinquant'anni» disse Barís, andandosene in cucina «Ti abitui alla moda alla fine. Chiederò a Gimrís di aiutare appena ha un momento, se ti fa piacere.»

Bomfrís borbottò, levandosi il vestito e calciando via gli scarponi ingioiellati con crudele soddisfazione. «Perché non posso indossare le mie pelli conciate e la mia armatura?» disse, guardando storto il proprio riflesso nello specchio. Una Nana rossa molto irritata guardò di rimando, vestito solo di una canottiera e uno sguardo truce. «Tutti sanno che sono l'arciera Bomfrís, figlia di una conciatrice e di un cuoco! Perché dovrei darmi delle arie?»

«Perché lui è il Principe Ereditario, namad» disse Barís, dandosi da fare con la teiera. Decise di aggiungere una goccia o due di qualcosa di forte nel tè di Bomfrís. La sua impetuosa sorella minore aveva i nervi tirati al limite in questi ultimi giorni. Era ciò che restava del liquore estivo, ma a cosa sarebbe servito nella bottiglia? Razionare era razionale solo fino a un certo punto: anche l'anima doveva sopravvivere, oltre al corpo. «So che non te ne sei scordato.»

«Thorin» disse Bomfrís piano, e poi si sedette pesantemente e si guardò i piedi. Aveva dei tagli sugli stinchi per essersi arrampicata fino ai nidi dei corvi. «La Lady Dís non fa mai caso a stupide mode. E nemmeno la Regina.»

«La Lady Dís è abbastanza vecchia per fare come preferisce, suppongo» disse Barís allegramente «E tu non sei ancora la Regina, namadith!»

«Questo deve essere lo scherzo peggiore che i Valar abbiano mai fatto alla Linea di Durin» disse Bomfrís imbronciata «Io sono la Nana peggiore del mondo quando si tratta di diventar parte della famiglia reale.»

«Ma lo sapevi, no?» disse Barís, tornando e porgendo una tazza a Bomfrís. Sua sorella la annusò, e poi i suoi occhi brillarono di felicità sentendo il leggero odore di liquore che colorava quello del tè. «Lo sapevi tutto d'un colpo. Che lui era l'Uno.»

«Sì» sospirò di nuovo Bomfrís, e prese un sorso «È solo. Barís, io non sono come te. Io non so essere regale e calma, non posso ipnotizzare una folla solo con la mia presenza, e non posso camminare con una di quelle enormi gonne ingombranti senza guardarmi i piedi. I modi di corte sono stupidi e contorti. Siamo Nani, non Elfi! Ah. I corvi sono più semplici. Non gli importa se ho delle braghe o degli stupidi abiti formali.»

«L'Elminpietra non è un corvo» disse Barís, e spinse la spalla di Bomfrís «E nemmeno è un Elfo.»

Bomfrís lanciò a sua sorella un rapido sguardo irritato che divenne presto un ghigno idiota. «No, non lo è.»

«Sei così fortunata, sorella mia» disse Barís dopo un momento, e mise un braccio attorno alle spalle di Bomfrís «E io sono così felice per te.»

«Vorrei fosse qualcun altro che il Principe Ereditario» disse Bomfrís, e poi prese un altro sorso dalla tazza «Beh, non davvero, perché allora non sarebbe Thorin, con tutte le sue belle parole e i suoi bei modi. Ma – più o meno. Lui è... Oh, Barís, odio tutto questo. Siamo in guerra, e lo conosco a malapena! Ho passato più tempo con quel grande bastardo biondo di Laerophen!»

«Shhh» la calmò Barís, tirandosi Bomfrís più vicina. La Nana più giovane seppellì il volto nella grande nuvola degli spessi, ricci capelli castani di sua sorella. «Shhh. Ciò che deve succedere succederà, e noi faremo tutto ciò che possiamo, namadith. Tu combatterai a modo tuo, e io a modo mio. Avrete tempo di conoscervi meglio quando la vostra parte sarà stata fatta.»

«Sì, ho sentito dell'idea del tunnel» borbottò Bomfrís, prima di allontanarsi per guardare sua sorella con un luccichio negli occhi. «Vecchia furbastra. Allora, l'ha colpita?»

Barís batté le palpebre, e poi sentì un rossore traditore che iniziava da qualche parte attorno alle sue caviglie e lentamente andava verso l'alto alla velocità di un incendio.

«Lo sapevo!» esultò Bomfrís, e batté insieme le mani e picchiò i piedi nudi in allegria «Oh, namad, la tua faccia è tutta scarlatta e viola!»

«Non sono affari tuoi» borbottò Barís, ma Bomfrís non sarebbe stata fermata.

«Oh andiamo, passi tutto il tempo a prenderti cura di noi, lascia che io ascolti mentre tu dai sfogo al tuo povero cuoricino»

Barís guardò su, richiamando ogni oncia di dignità che possedeva in quanto sia membro della Gilda dei Musicisti e Artista Maestro. «No.»

Bomfrís storse il naso. «Barís, non sei più proprio nascosta ormai...»

«Non mi importa» disse Barís tagliente. Era così strano per le irritarsi che Bomfrís fece un salto indietro.

«Barís, scusami» disse dopo un momento «Non sapevo che ti desse tanto fastidio.»

La cantante deglutì, e poi chinò la testa. «A volte vorrei essere come Barur o Bolrur o Alfrís, e avere la mia arte riempire il mio cuore completamente fino a non avere spazio per questo – questo desiderio» disse piano, la sua voce meravigliosa poco più di una folata di vento che attraversava la stanza «Non siamo tutti fortunati come te, namad.»

Bomfrís cercò la mano di Barís, e trovandola la strinse forte. Dita rovinate dall'arco incontrarono calli da guiterne. «Siamo così stupide» disse, lasciando che la sua testa si appoggiasse contro quella di Barís «La Montagna potrebbe cadere domani.»

«Ecco perché ci sembra così importante, credo» disse Barís lontana, stringendo la mano di Bomfrís «Cerchiamo tutte le piccole opportunità di felicità ora, prima che sia troppo tardi.»

«Voglio che tu sia felice, Barís» disse Bomfrís con voce piccola. Barís strinse di nuovo la mano di Bomfrís, meravigliandosi che la sua maleducata, rumorosa, asociale sorellina potesse parlare in tono così basso.

«Anch'io voglio che tu sia felice» disse lei, e fece un pesante sospiro «Mettiti quello che vuoi, Bomfrís, e sputagli negli occhi se non gli piace. Tu sei tu, e non è una brutta cosa.»

Bomfrís batté le palpebre, e poi guardò giù. «Penso glielo dovresti chiedere di nuovo.»

«Vedremo» disse Barís, e pensò malinconicamente a capelli biondo grano e un dolce, storto sorriso cinico «Vedremo.»


Dormì, anche se il suo cuore era inquieto. Si girò e rigirò durante la notte. A un certo punto, giurò di poter sentire delle voci sopra di lui.

«Per favore. Egli mi è caro, e tuo è il dono della pace e della compassione»

«Egli trovò troppo poco nella sua vita» disse la nuova voce, una voce femminile «Il suo è uno spirito di fuoco e di acciaio.»

«Non per nulla gli fu dato il suo Nome, no»

«Proverò»

Una morbida mano con un buon odore, grande per lui come quella di un adulto per un bambino, toccò la sua fronte. Gli occhi di Thorin si riempirono di lacrime, e infine rimase fermo.

«Ecco. Questo è tutto ciò che io posso dargli, ovvero il riposo che già egli conosce anche se non gli dona alcuna pace. Io temo per una simile anima, Creatore. L'ultima volta che uno spirito di fuoco e acciaio bruciò per la rabbia, il mondo stesso fu eternamente reso più oscuro e più freddo.»

«Egli già passò attraverso l'oscurità» disse la voce maschile, e mezzo addormentato, Thorin si voltò verso di essa come un girasole si volta verso il sole. Il suo Creatore. Le mani che gli avevano dato forma l'avrebbero protetto, protetto da questo terribile schiacciante dolore. «E la speranza brucia di luce maggiore là dove è buio. Nienna, per questa gentilezza, io ti ringrazio.»

«Non so se le mie lacrime potranno essere giuste al posto di quelle che egli non ha mai versato, ma io piangerò per lui.» disse la donna, e poi Thorin si addormentò davvero, e non seppe più nulla.

Quando si svegliò, Frís era seduta ai piedi del suo letto.

«Che ore sono?» gracchiò lui. Sua madre sobbalzò per la sorpresa, e poi si piegò in avanti e passò un pollice sotto ai suoi occhi.

«Hai pianto» disse piano, e poi premette la testa contro la sua «Oh, mia nuvola tempestosa. Sapevo. Sapevo che non eri pronto.»

«Non avrei mai potuto essere pronto» disse lui, e allontanò gli occhi. La rabbia ora era sfumata a un vago calore nel suo petto, ma oh, la sua bocca era secca e la vergogna gli chiudeva strettamente la gola. «L'ora?»

«Un'ora dopo mezzogiorno. Hai saltato il tuo turno» disse lei, e sorrise tristemente «Tuo fratello è andato al tuo posto.»

Così tardi! Thorin lottò per raddrizzarsi nelle sue lenzuola, e Frís si alzò e gli versò una tazza d'acqua dalla caraffa sul comodino. «Hai fatto un gran spettacolo nella tua forgia» disse lei tranquillamente mentre lui prendeva l'acqua e quasi la inalava «A malapena vi rimane qualcosa di intero. Sono stata abbastanza colpita quando sei riuscito a spezzare in due un attizzatoio d'acciaio.»

Thorin gemette e abbassò la tazza, piegando la testa.

«La tua rabbia è onesta, figlio mio» disse Frís, sedendosi di nuovo accanto a lui, e spingendogli via i suoi capelli follemente annodati «Ma tu non sei stato mai capace di controllarla: mai.»

«Non ho fatto male a nessuno» disse, e odiò come la fine della frase si piegò in una domanda.

«No» disse lei, e sorrise «Hai imparato. Dimmi, puoi mangiare?»

Come risposta, lo stomaco di Thorin borbottò – forte. Lui chiuse di nuovo gli occhi.

«Non posso affrontare le Sale dopo il mio... spettacolo»

«Zitto, alzati, e lavati» disse sua madre – dolcemente certo, ma un ordine era un ordine «Mi occuperò dei tuoi capelli, inùdoy

Thorin sospirò e spinse via tutti i pensieri dalla sua mente. Completamente vuoto, si mosse attraverso i movimenti del vivere, anche se con quale scopo non lo sapeva dire.

Il pranzo fu un affare sobrio e rigido. La maggior parte dei Nani nelle Sale scapparono quando lui passava, e il minuto in cui entrò nella grande sala da pranzo, un silenzio cadde su di essa e non si dissipò, anche se dei sussurri iniziarono a spargersi non appena Thorin si sedette. Suo padre gli diede una pacca sulla spalla in commiserazione, e dall'altro lato del tavolo Óin scosse solo la testa miseramente quando Thorin annuì in saluto. La sua barba era un disastro, e la tirava nervoso.

«Lo so» gemette «Oh, ragazzo, lo so.»

Thrór ignorò la confusione. Parlava come se non fosse accaduto nulla ieri, ruvido e serio e misurato come sempre. Hrera era rigida e disapprovante. Frerin era silenzioso e di malumore, spingendo distrattamente lo stufato per il piatto. I suoi nipoti erano preoccupati e con gli occhi sbarrati, e continuarono a fissarlo mentre mangiavano. Kíli era così nervoso che quasi si mise un cucchiaio direttamente in un occhio.

Kíli aveva guardato un'Elfa e l'aveva trovata bella come luce stellare, e un'Elfa aveva guardato Kíli e non aveva distolto lo sguardo.

Crrrrack!

Tutte le teste si voltarono verso di lui, e Thorin cautamente, cautamente rilassò la mano che aveva iniziato a rompere lo spesso tavolo di legno. Poi fece lo sguardo più nero di cui era capace (molti Nani squittirono e corsero via), e piegò la testa sul suo cibo, lasciando che i suoi capelli formassero una tenda attorno a lui.

Il resto del pasto trascorse in un teso silenzio.

Frís prese da parte Thorin mentre se ne stava andando, lisciandogli la tunica e poi spingendogli di nuovo indietro i capelli. «Lóni ha fatto rapporto, e anche Balin» disse, e poi sbuffò e gli toccò la fronte «Eccole di nuovo, quelle linee maledette» disse piano tra sé e sé «Come vorrei che sparissero per sempre.»

Thorin non seppe cosa dire, quindi si limitò a rimanere in piedi nel corridoio, le dita di sua madre che correvano sulla sua testa.

Frís si riscosse, e si concentrò di nuovo, la mano scese per correre nei suoi capelli pettinati. «Re Théoden e Gandalf hanno parlato, e viaggeranno verso Isengard con la loro guardia stanotte» disse, evitando delicatamente i nomi dell'Elfo o della sua stella «Brand di Dale ha finalmente costretto il suo Consiglio a prendere una decisione, e le forze di Dale marceranno verso la Montagna in meno di due settimane.»

Thorin si accigliò. «Quello è ben poco tempo per organizzare un esercito.»

Lei sorrise tesa. «Tuo cugino ci riuscì.»

«Dáin non è un Nano ordinario e il suo esercito non era un esercito qualsiasi» rispose Thorin «C'è dell'altro, o sbaglio?»

Lei annuì, e fece una piccola smorfia. «Non sono riuscita a decifrare granché del rapporto di Ori...»

Quello era sorprendente. Thorin batté le palpebre, brevemente riscosso dal suo pessimo umore.

«...ma credo di aver capito che gli Ent hanno portato la distruzione a Isengard e preso le chiavi di Orthanc da Saruman stesso e l'hanno intrappolato nella sua torre. Almeno, credo abbia detto questo» aggiunse lei.

«Uhm» grugnì Thorin, e strinse la mascella «Mi unirò a Gimli ora.»

«Portati tuo fratello» disse lei, la voce ferma come quella di lui. Lui la guardò storto per un istante, e poi annuì una volta.

Frís si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia, prima di tirargli una delle trecce. «Tenere il broncio è una cattiva abitudine, inùdoy» disse in voce severa «Sì, hai motivo di essere nervoso. No, non hai ragione di sfogarti sugli altri. Mi capisci?»

Lui ringhiò. Lei gli tirò più forte la treccia, e lui soffiò. «Sì! Lasciami! 'amad, non sono un bambino capriccioso, so benissimo quanto siano state stupide le mie azioni, e vorrei molto essere da qualche altra parte dove nessuno può fissarmi per la mia maledetta rabbia!»

Lei lo lasciò, accarezzandogli la testa con la mano. «Oh, figlio» disse, e premette di nuovo la fronte contro quella di lui «Sei della Linea di Durin, certo che hai un pessimo carattere. Non è per questo che ti fissano. Per il martello e le pinze di Mahal, molti dei Nani qui sono Barbefiamma, e potrebbero ridurre al silenzio un Longobarbo con l'esplosione della loro rabbia.»

«Perché, dunque?» disse lui, la voce spezzata.

«Per il motivo stesso di quella rabbia» rispose lei, e le sue mani rimasero sopra alle spalle di lui per un momento, prima di stringerlo forte «Sanno di Gimli e dell'Elfo, e sanno quanto gli vuoi bene. Tutti sanno della Missione, Thorin. Tutti sanno cosa fai, e come guardi, un giorno sì e l'altro pure. Non ti rendi conto di quanti qui nelle Sale ammirino te e la tua risoluzione, mio grigio nuvolone. Canzoni sono cantate e racconti sono raccontati della tua dedizione e lealtà verso i viventi. Ognuno dei tuoi amici e compagni è trattato con una certa misura di meraviglia, e nuove offerte di unirsi alla guardia arrivano ogni giorno» lei sorrise al suo sguardo confuso «Oh, Thorin, mio magnifico Thorin – tu davvero sei il Nano più inosservante che sia mai vissuto.»

«Io... Io...» balbettò lui, la mente confusa e la bocca aperta. Poi girò su un tallone e andò verso la Camera di Sansûkhul quanto più velocemente i suoi scarponi potevano portarlo.

«Manderò da te tuo fratello, che dici?» urlò Frís, caldo divertimento e orgoglio nella sua voce.

Era pomeriggio nelle pianure di Rohan, e Thorin si scosse la luce stellare di dosso, cercando di riscuotersi dai suoi turbolenti pensieri. La vista che lo salutò non era rassicurante. Lo strano nuovo bosco davanti al Fosso di Helm si stendeva davanti a lui, una macchia intricata e contorta sul paesaggio. La nebbia era fitta fra gli alberi, e i loro lunghi rami si allungavano come lunghe, avide dita.

Ancor meno rassicurante era la visione di Legolas seduto su Arod, con Gimli posto sicuramente dietro di lui. La testa di Gimli era ancora bendata, ma i suoi occhi erano luminosi e in qualche modo aveva recuperato il suo elmo, che era appeso al pomolo della sella. La sua mano era messa attorno alla vita sottile dell'Elfo, il pollice infilato nella cintura decorata di foglie.

Thorin morse la tirata furibonda che minacciava di sfuggirgli dalle labbra, e si concentrò su respirare col naso.

«Lo attraversiamo» disse Gandalf, alzando il bastone. Accanto a lui, Théoden e Éomer sbiancarono. Aragorn, invece, guardò il bosco con determinazione.

«Attraversiamolo, allora» disse, e guardò indietro verso Legolas e Gimli. Legolas annuì leggermente. C'era una strana confusione semi nascosta nei suoi occhi.

«Sembra un Nanetto che non ha idea di cosa fare della pietra preziosa che gli è stata porta» commentò Frerin, apparendo accanto a Thorin in un lampo di luce stellare. Thorin grugnì. «Mi staccherai la testa a morsi se parlo?»

«Parla quanto vuoi» borbottò Thorin, e incrociò le braccia.

«Oh, l'avrei fatto lo stesso» disse Frerin, scrollando le spalle «Non dovresti terrorizzare tutti tutto il tempo, dopotutto. Fa male al tuo ego.»

Nonostante tutto, la bocca di Thorin tremò. «Grazie per le tue preoccupazioni per il mio ego.»

«Ho sempre pensato fosse mio dovere ferirlo il più spesso possibile» disse Frerin allegramente «Cosa succede?»

Thorin fece un cenno verso la lenta, cauta fila di cavalli che attraversavano la miracolosa, cupa, impossibile Foresta. «Ora stanno andando a Isengard.»

Frerin sobbalzò. «Ad affrontare Saruman? Uno Stregone?»

«È stato sconfitto, mi dice 'amad» disse Thorin, e iniziò a seguire i cavalli che camminavano fra le mutevoli ombre degli alberi «Intrappolato nella sua torre.»

«Oh» Frerin lo seguì, la lingua ferma mentre ci pensava per un momento «Beh, tutto a posto allora. Non mi piacerebbe affrontare uno Stregone a casa sua, no per niente.»

«Fa caldo qui dentro» disse Legolas a bassa voce «Sento intorno a me una tremenda collera. Non senti pulsare l'aria nelle orecchie?»

«Fa caldo, questo è certo» borbottò Gimli, ma guardò gli alberi con occhi sospettosi.

«Questi sono gli alberi più strani che io abbia mai visto» disse Legolas «ed ho visto molte querce da ghiande divenire vecchie piante cadenti. Se almeno ora avesi tempo di camminare fra loro: hanno voce, e forse dopo un po' riuscirei a comprendere i loro pensieri.»

Thorin non poté non notare (con irritazione crescente) che gli occhi di Legolas andarono al suo compagno di viaggio quando finì di parlare.

«No, no!» disse Gimli, allarmato «Andiamo via! Io indovino già il loro pensiero: odio per tutto ciò che ha due gambe, e parlano di stritolare e strangolare.»

«Non odiano tutto ciò che ha due gambe» disse Legolas «Essi odiano gli Orchi. Sanno poco sul contro di Elfi e Uomini, ma conoscono bene le asce di Isengard. È dalle profonde vallate di Fangorn, Gimli, che essi vengono, credo.»

«E cosa delle asce dei Nani? Sanno nulla di quelle?» borbottò Gimli, e guardò gli alberi, la mascella che tremava sotto la barba. Legolas rise piano.

«Sii tranquillo, mio più caro amico! Questi boschi sono una meraviglia!»

Gimli sbuffò. «Tu pensi forse che sono meravigliosi, ma io ho veduto in questa contrada una cosa ancor più stupenda, più bella di qualunque foresta o radura: il mio cuore è ancora pieno del suo ricordo.»

«Strano modo di comportarsi quello degli Uomini, Legolas! Posseggono qui una delle meravigli del Mondo Settentrionale, e come ne parlano? Chiamandole caverne! Caverne! Buchi ove rifugiarsi in tempo di guerra, ove immagazzinare foraggio! Mio buon Legolas, sai che le caverne del Fosso di Helm sono ampie e belle? Vi sarebbe un interminabile pellegrinaggio di Nani per venirle a vedere, se si conoscesse l'esistenza di simili meraviglie! Aye, pagherebbero in oro puro per poter dare appena un'occhiata!»

Frerin sospirò malinconicamente. «Non ha torto.»

«Ed io pagherei oro pur di non entrarvi» disse Legolas «e il doppio per uscirne se vi dovessi capitare!»

«Khuthûzh!» ringhiò Thorin. La piccola mano di Frerin sul suo braccio era un gentile ricordo del fatto che la sua rabbia non era ancora del tutto sotto controllo. Tremò e si costrinse a calmarsi. Non si sarebbe infuriato come uno schiavo senza valore, inutile e impotente. Avrebbe guardato.

«Non le hai vedute, e perdono le tue parole scherzose» disse Gimli «Ma parli come uno sciocco.»

Legolas non disse nulla, ma le punte delle sue orecchie divennero rosso acceso e le sue labbra si premettero strettamente. Thorin volle poter ignorare l'ondata di imbarazzo che si spargeva sul bel volto Elfico. Tante cose che prima non aveva veduto gli erano ora chiare. Beata ignoranza!

Gimli non se ne era accorto. Continuò con tono sognante, un sorriso che gli tirava le labbra mentre parlava. «Pensi forse che siano belle le stanze ove dimora il tuo Re, nei colli del Bosco Atro, e che i Nani aiutarono a costruire molto tempo addietro? Ma non sono che tuguri in confronto alle caverne che ho visto qui: saloni interminabili, pieni dell'eterna musica dell'acqua che gocciola in stagni splendidi come Kheled-zâram al lume delle stelle.»

Il rossore di Legolas svanì mentre Gimli parlava, i suoi strani occhi cristallini brillarono mentre ascoltava intentamente la profonda voce Nanica, risuonando nel tramonto come se stesse recitando un antico poema. Le parole di Gimli fluttuarono attraverso la nebbia e in mezzo agli alberi contorti, basse e rombanti e toccate dal ricco accento di Thaforabbad.

«E, Legolas» rombò piano Gimli «quando le fiaccole sono accese e gli Uomini cammino sui pavimenti sabbiosi sotto le cupole echeggianti, ah! Legolas, allora gemme e cristalli e filoni di minerali preziosi scintillano sulle pareti lucide; e la luce risplende attraverso marmi ondulati. Vi sono colonne di bianco, di zafferano e di rosa-alba, Legolas, plasmate e modellate in forme di sogno; sorgono da pavimenti di mille colori per avvinghiarsi agli scintillanti soffitti: ali, corde, tende fini e trasparenti come nuvole ghiacciate; lance, bandiere, pinnacoli di palazzi pensili! Laghi tranquilli riflettono la loro immagine: un mondo sfavillante si affaccia agli stagni coperti di limpido vetro; città, che la fantasia di Durin avrebbe difficilmente immaginato in sogno, si stendono con viali e cortili circondati di colonnati, sino alle oscure nicchie dove non penetra la luce. D'un tratto – clic!»

Legolas batté le palpebre al cambio di tono, e Arod sbuffò la sua irritazione per la mollezza delle redini. Thorin vide allora che Legolas era stato quasi ipnotizzato dalla descrizione di Gimli, e che il rossore era tornato a macchiargli le gote di rosa chiaro. L'Elfo batté le palpebre e prese più strettamente le redini per coprire la sua distrazione.

Frerin tossì a disagio.

Gimli alzò una grande mano in aria come se stesse lasciando andare una singola goccia d'acqua, un mezzo sorriso sul volto. «Cade una goccia d'argento, e i cerchi increspati sul vetro fanno curvare e tremare ogni torre come alghe e coralli in una grotta del mare. C'è una camera dopo l'altra, Legolas; un salone che dà su un altro salone, una scalinata su un'altra scalinata, una cupola dopo l'altra; e mai i serpeggianti sentieri interrompono la loro corsa verso il cuore della montagna. Caverne! Le Caverne del Fosso di Helm! Felice il destino che mi condusse sin lì! Piango ora di doverle lasciare.»

Legolas batté le palpebre come se si stesse risvegliando da un sogno. Con qualche sforzo tornò al suo tono allegro e provocatorio, e Thorin odiò che ora poteva notare la lotta che gli costava. «E allora per confortarti ti auguro la fortuna, Gimli» disse l'Elfo «di poter tornare sano e salvo dalla guerra a rivederle. Ma non raccontarlo a tutta la tua gente! Dalla tua descrizione sembra che sia poco che si possa fare per abbellirle. Forse gli Uomini di questa regione di comportano da saggi parlando poco delle meraviglie che posseggono: una famiglia di operosi Nani muniti di martello e scalpello potrebbe guastare più di quanto essi non abbiano costruito.»

«No, non capisci» disse Gimli con riverenza, il suono della sua voce basso come una fervente preghiera «Non vi è Nano che rimarrebbe impassibile davanti a tanta bellezza. Nessun discendente di Durin scaverebbe quelle caverne per estrarne gemme e minerali, nemmeno se vi fossero diamanti e oro in abbondanza. Abbatti tu, forse, boschetti di alberi in fiore per raccogliere la legna in primavera? Noi cureremmo queste radure di pietra fiorita, non le trasformeremmo in miniere. Con cautela e destrezza, un colpetto dopo l'altro, un'unica piccola scheggia di roccia e nient'altro, forse, in tutta una giornata ansiosa – tale sarebbe il nostro lavoro, e col passare degli anni apriremmo nuovi sentieri, scopriremmo nuove stanze lontane e ancor buie che s'intravedono ora come vuoto dietro fessure nella roccia. E le luci, Legolas! Creeremmo luci, lampade come quelle che risplendevano un tempo a Khazâd-dum; e secondo il nostro desiderio potremmo allontanare la notte che sommerge le caverne da quando furono innalzati i colli, o lasciarla rientrare per cullare il nostro riposo.»

Ci fu infine silenzio mentre la voce profonda di Gimli echeggiava fra gli alberi, e poi Legolas fece un profondo sospiro ammirato.

«Mi commuovi, Gimli» disse piano «Mai ti avevo sentito parlare in questo modo. Rimpiango quasi di non aver veduto le caverne.»

«Cerca un modo per far rimanere Gimli con lui» comprese Thorin, e le sue mani si strinsero tanto in pugni che le sue nocche scrocchiarono «Non ci riuscirà. Gimli tornerà ad Erebor, nella sua casa e dalla sua famiglia.»

«Non ne essere troppo sicuro» borbottò Frerin, e si piegò quando lo sguardo di Thorin si rivolse a lui «Ah! Piantala!»

«Perché un Nano della Linea di Durin vorrebbe visitare un fastidioso e vendicativo folletto dei boschi?» chiese Thorin a Frerin, e si girò per riportare il suo sguardo furioso su Legolas «No. Gimli tornerà a casa nostra. Casa nostra. A suo padre e sua madre e sua sorella e suo nipote, a coloro che lo conoscono e lo amano. Lui è un Nano, deve rimanere coi Nani. Questo Elfo non può amarlo allo stesso modo; questo Elfo non può capire tutto ciò che lui è!»

«Thorin, ti sentirà!» sibilò Frerin.

«Bene!» ringhiò Thorin, ma la sua voce si abbassò lo stesso «Non può amare tanto l'Elfo a sua volta» ringhiò, le unghie che tagliavano nei suoi palmi mentre stringeva ancora di più i pugni «Non può. Non può.»

Il tramonto stava mandando dita di luce fra gli alberi sinistri, facendo sì che sembrassero toccati d'oro e separava i tronchi mangiati e le spirali di antica corteccia con ombre nere. Gimli li guardò apprensivamente, prima di raddrizzarsi e dare una pacca sulla schiena di Legolas in modo amichevole.

«Questa non sarebbe la via del ritorno che preferirei scegliere, alberi davanti a pietra, nay!» disse allegramente «Ma sopporterò la vista di Fangorn, se prometti di accompagnarmi nelle Caverne e condividere la mia ammirazione.»

«Gimli!» esclamò Thorin, stupefatto «Non puoi!»

«Per piacere non esplodere di nuovo» gemette Frerin, coprendosi la faccia «Stai finendo le cose da rompere, e non vorrei passassi alle persone!»

Thorin ringhiò senza parole, prima di andarsene. La sua mente era in fiamme e il suo intero corpo tremava.

Gimli aveva accettato.


La sua forgia era una rovina.

Thorin attraversò la sua distruzione nelle ore piccole della notte. Il sonno lo eludeva, e la sua rabbia era una cosa quasi vivente che condivideva il suo stesso corpo. Aveva camminato scalzo e senza trecce tra le Sale quasi deserte per calmarsi, vestito solo nei suoi pantaloni da letto, solo per trovarsi davanti alla porta della sua fucina.

La porta rotta della sua fucina.

La spinse aperta con la punta delle dita, e alla visione del carnaio davanti a sé, la sua rabbia sfrigolò e morì, lasciando solo vergogna e rimpianto.

«L'hai fatta grossa, eh?» disse Bilbo tranquillamente, guardando il pesante pezzo di legno che un tempo era stato parte del tavolo da lavoro di Thorin «Molto regale, ne sono certo.»

«Sì, sì» gemette Thorin, e tirò vicino ciò che un tempo era stata la base della sua incudine, e si sedette, prendendosi la testa fra le mani «Un altro rimpianto forgiato nella rabbia. Ne ho così tanti, mio kurdulu idùzhib. Così tanti, e ciò che feci a te è il più pesante di tutti.»

La voce di Bilbo dissentì, e poi il suo respiro si mozzò. «Oh. Tu non... non sei vestito per avere compagnia. Eh.»

Thorin guardò su tra spettinate, aggrovigliate ciocche di capelli. «Le mie scuse» disse, piano «Non volevo scandalizzarti, anche se non sei altro che la mia stessa solitudine. Per favore, non andare. Solo – per favore. Non andare.»

Gli occhi di Bilbo si addolcirono, e i piedi senza suono dello Hobbit fecero qualche passo veloce verso di lui. «Ora, perché farei una cosa così stupida?» disse dolcemente, e sorrise.

Thorin esalò il respiro che stava trattenendo. Sembrava lo avesse trattenuto per secoli. «Ti ringrazio, Mastro Baggins.»

«Sciocchezze, non è nulla, grosso idiota Nanico» disse Bilbo «Spostati. Non c'è un singolo posto qui per sedersi e farsi una pipata che tu non sia riuscito a distruggere. Un lavoro molto accurato, devo dire. Dovrei essere felice che tu non sia arrivato col resto della Compagnia, quella bella serata di primavera? Il mio povero piccolo smial sarebbe ancora in piedi?»

La bocca di Thorin si incurvò per i ricordi, anche se tenne i suoi occhi fissati sui suoi piedi. «Ti ho fatto abbastanza danni senza usare le mani quel giorno.»

«Mi siederò qui, suppongo» borbottò Bilbo, e alzò le sopracciglia e lanciò un piccolo sguardo conoscitore a Thorin, la fronte corrugata in quella adorabile maniera esasperata «Oh un po' di allegria, sei cupo come un Anteapritore umido. Anche se le cose possono andare in modo tremendamente terribile e il sole potrà non brillare mai più, non c'è motivo di non rimetterti assieme, prendere il tuo migliore bastone da passeggio in mano e affrontare il nuovo giorno. E bontà mia, sorridi un po', ti spiace? Sai. Ah – dovresti davvero metterti una tunica, sei molto distraente.»

«Mi scuso di nuovo, Mastro Baggins» disse Thorin, le labbra che tremavano. Il suo cuore sembrava pesante come piombo, ma questo Bilbo del suo cuore, questo Bilbo dei suoi sogni era ancora seduto accanto a lui. Sgridandolo, per essere cupo. «Proverò.»

«Bene» Bilbo tirò su col naso.

Poi esclamò: «Oh, ma dico! Che meravigliosa penna!»

TBC...

Note

Thaforabbad – le Montagne Grigie (dove molti Nani si rifugiarono subito dopo la caduta di Erebor)

Nienna – la Vala piangente. Una degli Ainur e Regine dei Valar. Vive nell'ovest di Aman, e piange per la sofferenza del mondo. Però non piange per se stessa, e tutti coloro che la ascoltano imparano la compassione e la resistenza della speranza. Da lei, il Maia che diventò Gandalf il Grigio (Olórin) imparò la compassione. Lei conforta anche gli spiriti dei morti. È sorella di Námo (Mandos) e Irmo (Lórien). È l'unica dei Valar femmina che non è sposata.

Anteapritore – un mese nel calendario della Contea: il mese prima della festa del Solstizio d'Inverno, e l'ultimo mese dell'anno.

La Canzone di Eä – la musica creata dagli Ainur prima che l'universo fosse creato. La musica fu ampliata con l'esistenza, e fu tramutata e trasformata nel mondo da Eru Ilúvatar. Tutti temi che furono nella grande canzone suoneranno nella storia del mondo – tutti, compresa la dissonanza di Melkor.

Varda – Regina delle Stelle, una degli Ainur e la prima tra le Regine dei Valar. È sposata a Manwë ed è la più amata dagli Elfi, che la chiamano Elbereth, soprattutto gli Elfi Silvani.

Isil – la Luna. Questo vascello fu creato dall'ultimo fiore sopravvissuto di Telperion, uno dei Due Alberi della preistoria che riempivano il mondo con la loro luce. Gli Alberi, la maggiore fra le creazioni di Yavanna, furono distrutti da Melkor/Morgoth nella sua gelosia e divorati da Ungoliant, prima delle gigantesche creature aracnidi. Il vascello Luna è guidato dal Maia Tilion. Isil è riverita dagli Elfi sia perché Telperion era l'Albero più anziano (l'altro, Laurelin, diede un frutto che divenne Anar, il vascello del Sole) e perché la Luna si alzò per prima. Minas Ithil (ora Minas Morgul) e Minas Anor (oro Minas Tirith) sono chiamate così per questo: le torri della Luna e del Sole.

Contiene dialogo dal capitolo “La Via che Porta a Isengard”

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 28
*** Capitolo Ventotto ***


Era terribile ammetterlo, ma a volte Thorin doveva concedere che suo fratello era più intelligente di lui.

Il mattino seguente era iniziato a malapena e prima che Thorin potesse riordinare i propri pensieri, Frerin era arrivato con occhi luminosi e un'espressione di sfida. Nelle sue mani era l'ultimo degli orari del povero Ori, pieno di croci e correzioni e scarabocchi e macchie di inchiostro. Nuove cancellazioni indicavano che dei cambiamenti erano appena stati fatti, e le linee affilate delle parole indicavano che Ori non l'aveva fatto di buona grazia.

Frerin non diede a Thorin tempo di pensare alla sua ultima sorpresa, né al suo comportamento negli ultimi giorni. «Alzati, nadadel» disse, e Thorin gli ringhiò contro – e obbedì. La sua rabbia era quasi terminata, e rimaneva solo un fastidio vuoto. Le torreggianti mura dei suoi fallimenti erano sopra di lui, ma Frerin si rifiutò di lasciarlo giacere lì ad aspettare l'inevitabile valanga. Continuò col suo torrente di parole senza senso, anche mentre Thorin si vestiva e si lavava il viso.

Poi aprì la porta e alzò il mento, facendo danzare le trecce. «Dopo di te.»

Thorin lo fulminò, ma lasciò lo stesso le sue stanze.

Alla Camera di Sansûkhul, Thorin fu salutato da Frís, Balin e i suoi nipoti. Lanciò uno sguardo sospettoso a Frerin, che si limitò a scuotere allegramente l'orario stropicciato come risposta.

«Sono di turno, nadad» disse, innocenza che usciva da ogni suo poro.

Thorin sbuffò. Senza dubbio Frerin aveva frignato e infastidito e inseguito il povero Ori finché lui non cambiò l'orario come lo voleva Frerin, circondando Thorin di tanti dei suoi più vicini e più cari: di tutti coloro che gli davano forza. «Oh, non ho dubbi.»

Frís gli lisciò la tunica distrattamente. «Hai mangiato?» chiese, e Thorin la guardò a lungo e senza rispondere.

Fíli fece una smorfia. «Quello è un no, e non gliene importa niente.»

«Io ho portato pane e formaggio» disse Kíli, cercando nelle sue tasche.

«Puoi portare del cibo nella vasca delle stelle?» disse Balin, sorpreso.

«Non lo so» disse Kíli, facendo spallucce e continuando a cercare «È nella natura di un esperimento.»

«Nessuno si ridurrà a mangiare cose che sono state nelle tue tasche, testa di troll» ghignò Fíli, spingendo suo fratello «Sarebbe un esperimento molto più rischioso.»

Kíli si incupì e diede una gomitata a Fíli. Prima che potessero iniziare a litigare, Thorin si schiarì la gola bruscamente e disse: «Non ho fame. Se ci siamo tutti?»

«Mangerai quando riposeremo, mio caro» disse Frís con voce bassa mentre andavano ai loro posti attorno al Gimlîn-zâram, allungando la mano verso quello di lui e stringendogliela «Mi fido di te, ma mi preoccupo. Per piacere.»

Lui fece un sospiro senza suono, e annuì una volta.

Lei sorrise, anche se non vi era gioia. «Bene. Grazie. Mi rendi orgogliosa, mio inùdoy. Anche questo passerà, come tutto passa.»

«Se vita e morte mi insegnarono qualcosa, 'amad» disse Thorin piano, la luce stellare che si rifletteva sul suo volto e brillava nei suoi capelli e nei suoi occhi «è che nulla dura per sempre.»

La mano di lei si strinse sulla sua, e poi le stelle del Gimlîn-zâram li ingoiarono.

«Alberi» udì dire Balin, con una certa confusione «Altri alberi. Cos'è tutto questo? Cos'è successo?»

Thorin era troppo occupato a levarsi di dosso la luce accecante per rispondere. Forme e ombre erano state scavate dentro alle sue palpebre, e gli odori della terra di mezzo lo assalirono tutto d'un tratto. «Cavalli, argilla, granito, arenaria, ossidiana, acqua, cenere, ferro – ferro di pessima qualità, scaldato con tronchi ancora verdi» borbottò, e si fece forza mentre i suoi occhi si abituavano «Dove siamo?»

«Isengard, sospetto, ragazzo» disse Balin, e Thorin sentì la mano di suo cugino che lo toccava sulla spalla in modo rassicurante mentre lo superava «Beh, benedetta sia la mia barba! Vedo cosa aveva spaventato tanto il giovane Ori. Che disastro!»

Thorin socchiuse gli occhi. Vedeva ancora poco, ma riconobbe il riflesso della luce sull'acqua. La luce del sole di prima mattina rimbalzava su un grande specchio d'acqua, colorando le onde e lanciando in aria fiamme dorate. «Ma Isengard non ha un lago.»

La risata di Fíli era acuta e stridula. «Ora sì.»

Thorin batté ancora un po' le palpebre, e poi gli si mozzò il respiro.

Erano in piedi accanto a un grande pilastro, a forma di una punitiva Mano Bianca. Poco sotto si stendeva la valle di Isengard, proprio come a Thorin era stata descritta nei libri quando era un bambino. Un vasto cerchio di roccia nascosto nelle pendici meridionali delle Montagne Nebbiose, a guardia del passo tra Dunland e Rohan. Una grande torre dell'ossidiana più nera si allungava verso il cielo nel centro della vallata, alzandosi da una piccola isola nel mezzo del cerchio, tutta circondata da alte mura di pietra.

Era piena d'acqua.

«Cos'è successo?» chiese, ma nessuno rispose. Thorin si girò per vedere il Re e Gandalf che si fermavano alla statua della Mano, guardando anche loro il disastro che era Isengard. Dietro di loro era il piccolo gruppo di Rohirrim, compresi Éomer e Aragorn sui loro cavalli. Se il mare stesso avesse scatenato la sua furia contro ai colli, non avrebbe portato maggiore rovina. «Gandalf! Cos'è successo qui?»

«La Mano non è più bianca» mormorò Legolas da dietro a Thorin, e lui si voltò per vedere l'Elfo seduto su Arod con Gimli, come sempre, premuto contro la sua schiena «Gimli, mellon, vedi?»

Gimli grugnì. «Vedo. Beh, sembra si sia messa male per Saruman, o sbaglio?»

Legolas sorrise tra sé e sé e guidò Arod avanti al seguito dello Stregone e di Re Théoden, il cavallo grigio camminava cautamente facendosi strada zoccolo dopo zoccolo attraverso i fitti alberi. «Lo sembra davvero.»

Thorin guardò truce l'Elfo fino a notare gli occhi di Frerin, e allora allontanò lo sguardo per osservare di nuovo la valle allagata.

Aragorn alzò una mano e fermò la loro avanzata. «Aspettate» disse piano «Le porte sono crepate e scheggiate, e potrebbero esservi dei pericoli avanti. I boschi hanno la memoria lunga, e la loro rabbia non sbollisce in fretta. Non dovremmo entrare o potremmo essere catturati dalla loro furia.»

«Ori era molto spaventato» sussurrò Balin, e Thorin fece un brusco suono d'assenso sotto voce.

«Ent» disse Frís, picchiettandosi il labbro con un dito «Ent...»

«Ho sentito che essi sono i figli di Yavanna, come noi siamo i figli di Mahal» le disse Balin con un rispettoso cenno della testa. Poi sorrise debolmente. «Creati per proteggere le creature verdi e senza voce che crescono da creature affamate di legna come noi stessi. Una volta sentii dire che furono creati semplicemente perché i Nani furono creati: perché usiamo tanta legna per le nostre arti e le nostre fucine. E perciò la Danukinh pregò che vi fossero dei protettori alle sue creazioni. E quindi furono creati gli Ent.»

Balin conosceva sempre le antiche storie, pensò Thorin, guardando la devastazione di Isengard. La Danukinh, la Dama Verde. Thorin represse un brivido. «Radici profonde sono più forti della roccia» mormorò a se stesso, e piantò i talloni più profondamente che poteva nel terreno.

«Aspetta» disse Gimli improvvisamente, e la sua mano prese la spalla di Legolas, le larghe dita quasi la coprirono completamente «Guarda! Là, sul muro!»

Thorin si girò, guardandosi attorno, quasi aspettandosi di vedere uno di quei grandi e vendicativi figli della Dama degli Olvar... e spiò due piccole figure sdraiate fra le pietre sul muro, perfettamente a loro agio, piatti e bottiglie sparsi pericolosamente attorno a loro. Una fece un cenno pigro con la testa, e spedì un bel cerchio di fumo blu in aria.

«No!» disse Frerin, afferrando il braccio di Thorin, fissandole con eccitazione crescente negli occhi «No!»

«Elbereth Gilthoniel» sussurrò Legolas, l'intero volto acceso di felicità. Gimli sembrava pronto a urlare, solo pareva non riuscisse a decidere quale parola.

In quel momento, la figura che fumava batté le palpebre e si alzò in cima al muro, il piccolo mantello grigio che svolazzava dietro di lui. Alzò una mano per tenersi in equilibrio e si inchinò lentamente nella maniera più solenne di cui uno Hobbit leggermente ubriaco fosse capace. Poi alzò la testa e annunciò: «Benvenuti, signori, a Isengard! Siamo i guardiani delle porte.»

Gimli fece un suono forte e molto strozzato in gola. Gli occhi di Legolas stavano danzando per la felicità, e per una volta Aragorn stava ghignando apertamente. L'espressione sembrava quasi aliena sul suo volto.

«Il mio nome è Meriadoc, figlio di Saradoc; ed il mio compagno, ahimè stravolto dalla stanchezza» - e qui diede al suo amico supino un colpo con un piede «è Peregrino, figlio di Paladino, della casa dei Tuc. Sire Saruman si trova qui, ma per il momento è rinchiuso con un certo Vermilinguo, altrimenti sarebbe senz'altro venuto ad accogliere ospiti così onorevoli.»

Gandalf si raddrizzò, sorridendo e scuotendo la testa. «Hobbit.»

«Ad ogni modo, è molto occupato, gli ordini li ricevemmo da Barbalbero» continuò Merry con molta dignità, dondolando leggermente sui piedi ricciuti «Ha preso lui in mano la condotta delle cose qui a Isengard. Mi ordinò di dare al Signore di Rohan un degno benvenuto. Ho fatto del mio meglio.»

«E ai tuoi compagni!» esplose Gimli, non più in grado di controllarsi «Nulla per Legolas e me! Mascalzoni, vagabondi, teste di legno, piedi lanosi! Che bell'inseguimento ci avete fatto fare – attraverso battaglie e morte, fuoco e fiamme, duecento leghe senza cibo né riposo, soltanto per salvare voi! Ed ecco che vi troviamo oziosi, intenti a rifocillarvi – e a fumare! Molle e martelli, se non scoppio sarà un vero miracolo!»

«Il maiale salato è particolarmente buono» interruppe Pipino, aprendo un occhio.

«Il maiale salato» ripeté Gimli stupidamente, e poi gemette e appoggiò la testa contro la schiena di Legolas «Mahal ci salvi!»

«Tu parli anche per me, Gimli» disse Legolas, una risata nella voce «Anche se preferirei sapere dove hanno trovato il vino.»

«Una cosa che certo non avete trovata nel vostro inseguimento è la prontezza di spirito» disse Pipino tirando su col naso «Ci troviamo qui seduti e vittoriosi in mezzo a un campo di battaglia, e vi domandate come ci siamo procurati poche comodità ben meritate!»

«BEN MERITATE-» iniziò Gimli, il volto che diventava del colore dei suoi capelli.

Pipino alzò la sua tazza in pigro segno di saluto. La risata di Legolas infine risuonò per la valle allagata, e Gimli fece un suono oltraggiato e iniziò a lottare sulla schiena di Arod.

«Fammi scendere da questa cosa: andrò ad abbracciarli, e poi li ucciderò» ringhiò, e Legolas scosse la testa, debole e paralizzato dal ridere.

«Calmati, Gimli» riuscì a dire ansimando «Stanno bene – Nan aear adh in elin, sono vivi e stanno bene!»

«Non per molto!» borbottò Gimli, scivolando giù dalla schiena del cavallo con un forte suono dei suoi stivali Nanici «Venite qua sotto immediatamente, voi due furfanti, canaglie – coppia di combinaguai coi piedi alati, voi!»

«Indubbiamente assistiamo all'incontro di cari amici» rise Théoden «Sono dunque questi i dispersi della tua Compagnia, Gandalf! Meraviglie giunte dritte da delle leggende! Non sono questi quei Mezzuomini, che alcuni chiamano Holbytla?»

«Hobbit, se non vi dispiace, sire» disse Pipino seriamente. Merry annuì in solenne accordo. I suoi occhi erano lucidi.

«Hobbit?» disse Théoden, alzando le sopracciglia «Hobbit? Il vostro linguaggio è stranamente trasformato, e le leggende non vi fanno giustizia. Tra l'altro, ignoravo che soffiassero fumo dalla bocca.»

«Ah!» disse Merry solennemente, alzando un dita in maniera ingannatrice e respirando più forte dalla sua pipa «Ciò non mi sorprende. È un'arte che pratichiamo solo da poche generazioni. Fu Tobaldo Soffiatromba, di Pianilungone nel Decumano Sud, che piantò per primo nei suoi giardini l'autentica erbapipa... uhm, nel 1070 circa secondo il nostro calendario, o sbaglio Pip?» - e qui Pipino annuì furbescamente «Come scoprì il vecchio Tobia quella pianta...»

«Non sai il pericolo che corri, Théoden» interruppe Gandalf «Questi Hobbit sono capaci di starsene seduti per ore su cumuli di rovine a discutere i piaceri della tavola, o le piccole manie dei loro antenati di nono grado, se li incoraggi con debita pazienza! Merry! Dov'è Barbalbero?»

«Su a nord, credo» Merry agitò una mano «È andato a bere un sorso di acqua pulita. Altri Ent sono di guardia attorno alla torre. Sveltolampo è lì, mi pare.»

«Cercheremo Barbalbero» disse Gandalf, annuendo verso il Re «Avrà molto da dirci.»

«Io non vado da nessuna parte, non ora che vi ho finalmente sotto agli occhi» ringhiò Gimli, spostando ansiosamente il peso da un piede all'altro. Aragorn smontò da cavallo e mise una mano di conforto sulla sua spalla.

«Rimarremo qui, noi Tre Cacciatori» disse, e Gimli guardò su e poi le sue labbra si incurvarono sotto i suoi baffi. Parte della sua energia ansiosa svanì, e si sgonfiò un poco, le spalle pesanti si abbassarono sotto la mano si Aragorn.

«Aye, cacciatori che hanno infine trovato la loro preda» disse, sospirando e levandosi l'elmo «Farà a meglio ad esserci ancora un po' di maiale salato, o non sarò responsabile delle mie azioni.»

«Ce n'è molto, ma farai meglio a muoverti» gli disse Merry «Pipino non è esattamente pigro con una forchetta, sapete.»

Il naso di Legolas si arricciò un poco, ma incrociò lo sguardo di Aragorn e annuì prima di smontare dalla schiena di Arod leggero come una piuma.

Gandalf annuì, e poi iniziò a guidare Théoden e la sua guardia attorno alle grandi mura di pietra verso il nord della valle.

«Dunque questo è il Re di Rohan!» disse Pipino a Merry sottovoce «Un vecchio assai simpatico e molto cortese.»

Dopo che gli Hobbit scesero dal loro trespolo e Gimli li abbracciò tanto strettamente che i loro occhi quasi spararono fuori dalla loro testa (Thorin aveva allontanato gli occhi dall'espressione irritata di Legolas con un ringhio soffocato), i Tre Cacciatori sedettero sull'erba e mangiarono con calma mentre Merry e Pipino raccontavano la loro storia. La maggior parte di essa Thorin la sapeva già dai rapporti di Ori, ma fu di nuovo colpito dalla prontezza di riflessi di Pipino. «Gettare via la sua spilla così» disse con approvazione, e Kíli annuì in accordo.

«Furbo, no?» disse.

«Gli Hobbit tendono a essere furbi e silenziosi» disse Balin, accarezzandosi la barba e annuendo «Forse Bilbo non era tanto diverso dal resto del suo popolo.»

«O forse i Tuc sono una razza a sé stante» disse Thorin, e ignorò il rapido sguardo comprensivo che gli mandò Balin.

«Ciò non spiega Sam, però» borbottò Kíli, e piegò indietro la testa e sospirò malinconicamente quando a Gimli venne porta l'erba rimasta di Pipino «Ooooh, erbapipa Hobbit! Quella mi manca!»

«Shândabi» disse Fíli pensieroso, guardando Gimli che riempiva la pipa e la alzava per salutare pipino in apprezzamento prima di accenderla col vecchio acciarino di Glóin «Posso quasi sentirne l'odore.»

Legolas storse il naso. «Coraggio!» disse, un pochino stizzito «Il tempo scorre veloce, e la nebbia si dirada – o perlomeno lo farebbe se strana gente come voi non si inghirlandasse di fumo.»

«Tu parli con gli alberi» disse Gimli placidamente, fumando dalla pipa presa in prestito.

«E quella è una cosa perfettamente naturale e comprensibile da fare» disse Legolas, un tocco della sua vecchia arroganza nel suo volto e nel suo tono. I suoi occhi scivolarono via dal Nano, socchiudendosi un poco mentre guardava la foresta agitata.

«Adesso» disse Aragorn, la stanchezza in ogni sillaba «Non litighiamo e rimproveriamoci a vicenda, ora che abbiamo recuperato due della nostra Compagnia. Sediamoci al limite della rovina e parliamo. Sento una stanchezza che raramente avevo mai sentito.»

«Chiedere a Gimli e Legolas di smettere di litigare?» Merry rise «Chiedi piuttosto al sole di fermarsi nella sua orbita, o alle maree di fermarsi nell'oceano!»

«Potresti essere sorpreso» mormorò Balin, e sorrise allegramente in risposta a Thorin che lanciò uno dei suoi sguardi più neri in direzione del cugino.

«Se mai la smettessimo, vi chiedereste se fossimo davvero noi stessi» gli disse Legolas.

Gimli abbaiò una risata. «Aye, ci stiamo solo assicurando che i piccoli Hobbit sappiano che siamo noi, Aragorn» disse, tutta finta innocenza.

«Pensaci sopra» disse Legolas, fingendosi triste «Se il nostro robusto Nano si comportasse bene come ha fatto ultimamente davanti ai loro occhi? Potrebbero mettere in dubbio la propria salute mentale!»

Lo sbuffo di Gimli rese il fumo tremante attorno alla sua testa. «Aye, forse tutto quel correre può danneggiare davvero il cervello di un Nano.»

«E il cervello di un Elfo? Ho corso veloce quanto te – anzi, più veloce!» protestò Legolas, girandosi per guardare meglio Gimli. Non si poteva negare l'improvvisa luce nella sua espressione, lo spettro di una risata che gli balzava negli occhi. Thorin fischiò vedendo ciò, e odiò che l'espressione sul bel volto di Legolas era la stessa che lui aveva avuto durante molte visite a Casa Baggins.

«Ah» disse Gimli, scuotendo la testa tristemente «quello era già irrimediabilmente danneggiato. Una causa persa, ragazzo. Come ho detto: parla con gli alberi. Povero sfortunato!»

«Potresti voler cambiare idea in merito, Gimli, quando incontrerai Barbalbero» disse Merry, ridendo. Pipino stava ridacchiando nella sua tazza, guardando il battibecco con occhietti luminosi.

«È una buona cosa che sia Ent che Elfi possano portare pazienza per Ere» disse Legolas, piegandosi più vicino a Gimli e facendo un largo sorriso. La sua mano esitò per un attimo sopra alla larga spalla di Gimli, prima di atterrarvi e stringerla forte. «Come altrimenti faremmo a cambiare la mente di un Nano?»

«Ah, ma io sono un Nano danneggiato, ricordi?» disse Gimli, ridendo «Devo esserlo, per sopportare una simile compagnia! Una mente del genere è di certo abbastanza morbida perché tu le dia la forma che desideri.»

«Se solo fosse così, Nano cocciuto» disse Legolas con quasi un sospiro, raddrizzandosi «Se solo fosse così.»

«Oh, va a parlare del tempo con un cespuglio» disse Gimli, premendo nel fianco di Legolas con un dito robusto «Sei cocciuto quanto me, e lo sai.»

«No, mellon nín, temo tu sia il vincitore ancora una volta» ribatté Legolas «Nessun Elfo potrebbe affrontare un Nano in questa particolare specialità.»

«Davvero? Allora provalo» disse Gimli, e si mise con soddisfazione il braccio libero sul petto, mettendosi la mano sull'altro gomito «Ah ha! Ora se ti rifiuti di accettare la sfida, ti starai solo dimostrando ugualmente cocciuto in un altro modo. Cosa dici ora?»

Legolas aprì la bocca, e poi la chiuse di scatto.

«Ben fatto!» disse Merry, battendo le mani deliziato, e Pipino stava ridendo apertamente.

«Ora dovrai ammettere che siamo alla pari in questo» disse Gimli, indicando l'Elfo con la pipa «Andiamo!»

«Ti rendi contro che stai cocciutamente insistendo che io sono cocciuto quanto te» disse Legolas asciutto.

«Aye, e come hai detto tu, io vinsi l'ultima gara e quindi vincerò anche questa» disse Gimli facendo muovere le sue trecce color ruggine «E i Nani hanno una loro pazienza. Posso aspettare la tua risposta.»

«Ma non puoi aspettare a lungo quanto un Elfo» ribatté Legolas. Un lampo di dolore passò sul suo volto acceso, spegnendo il suo sorriso.

«Dovete sfidarvi su tutto?» gemette Aragorn.

«Naturalmente» disse Legolas allegramente, levando la mano dalla spalla di Gimli e lanciando uno sguardo oscuramente addolorato all'Uomo «Come faremmo a comunicare altrimenti?»

Aragorn scosse la testa unta, un sorriso asciutto che tirava le sue labbra. Si piegò indietro, allungando le lunghe gambe davanti a sé, il mantello grigio avvolto attorno a lui che aumentava il mistero del suo volto avvolto dal fumo. «Se ci fosse una gara su chi irrita meglio i propri compagni, trovo che voi due sareste perfettamente alla pari.»

«Guarda!» disse Pipino, dando di gomito a Merry «Granpasso il Ramingo è tornato!»

«Non se n'è mai andato» disse Aragorn piano, gli occhi che si chiudevano «Io sono sia Granpasso che un Dúnedain, e appartengo sia a Gondor che al Nord.»

Questo era sorprendente. Thorin fece due passi avanti per guardare l'Uomo supino, fissando accigliato il volto rovinato dagli elementi. Aragorn sembrava in pace qui, circondato dalle rovine di Isengard. Le pesanti linee della preoccupazione svanirono mentre un sottile filo di fumo scappava dalle sue labbra. «Sia Gondor che il Nord saranno la tua eredità» mormorò, inginocchiandosi davanti all'Uomo «ma ti avverto, Aragorn figlio di Arathorn della linea di Elendil, un'eredità è un pesce difficile da catturare, e la tua esca è pronta per due. Potresti scoprire che almeno uno scapperà alla tua rete. Arnor è un Regno morto, e Gondor giace sotto alle ombre. Eppure tu appartieni a entrambi, dici. Aye, ma tieni qualcosa per te stesso, perché prenderanno tutto ciò che sei e tutto ciò che hai e ti svuoteranno prima che tu abbia finito, e ancora richiederanno altro da te.»

Gimli batté le palpebre, raddrizzandosi e poi i suoi occhi andarono a Legolas. Le labbra dell'Elfo si aprirono leggermente, e le sue sopracciglia si alzarono in domanda. Gimli annuì quasi impercettibilmente, e poi la sua mano si mosse nei familiari segni Iglishmêk: Idmi, melhekhel.

«Salute, Gimli» rispose Thorin un po' rigidamente, molto consapevole dell'immediata attenzione dell'Elfo alla leggera sorpresa di Gimli e della sua perfetta comprensione di ciò che l'aveva causata.

«Mi chiedo che cosa stia facendo Gandalf» disse Merry, aggrottando le sopracciglia guardando da Elfo a Nano. Un sospetto stava apparendo sulla sua piccola faccia furba. «Il pomeriggio è ormai inoltrato. Andiamo a dare un'occhiata! Ora in ogni caso puoi entrare a Isengard, se vuoi, Granpasso. Ma non è una visione molto allegra.»

«Ent» disse Frís mentre il piccolo gruppo si alzava e stiracchiava dopo il loro pasto, pulendo le pipe (Gimli e Aragorn) e finendo ciò che rimaneva nei boccali (Merry e Pipino). C'era un tunnel rovinato davanti a loro e Legolas fece strada su piedi leggeri. «Una rovina simile in così poco tempo. Non mi meraviglia che siano stati creati come risposta ai Nani, se hanno la forza di spezzare in due la pietra come cram.»

«Cammina con precauzione!» avvertì Merry «Ci sono lastre in bilico che potrebbero rovesciarsi e gettarti in un pozzo se non stai attento!»

Legolas annuì, e poi parlò nella sua lingua liquida. La testa di Arod si alzò da dove pascolava poco distante, e il cavallo grigio nitrì e trottò da lui ubbidientemente.

«Ciao ancora, bestia» disse Gimli con una certa rassegnazione. Poi guardò Legolas. «Non sono stato sui miei piedi per nemmeno un'ora, e vuoi che io risalga su quella cosa?»

«Ad essere onesto, faresti meglio a salire su un cavallo, Gimli» disse Pipino «Nessun Nano o Hobbit potrebbe camminare in acqua in ogni caso. Arriva molto sopra le nostre teste!»

Gimli si incupì. «Non mi fermerebbe. Posso nuotare con tutta l'armatura addosso, se servisse.»

«Non ne dubito, ma ora potresti cavalcare e rimanere asciutto» disse Legolas, e Arod sbuffò sulla spalla del Nano. Gimli sbuffò e accarezzò goffamente il naso vellutato del cavallo.

«Va bene. Non pensare che io mi stia affezionando a questa dannata creatura!»

«Non oserei mai» disse Legolas solennemente, balzando rapidamente in sella e allungando una mano a Gimli. Gimli borbottò sottovoce in Khuzdul per un momento (cosa che fece diventare la faccia di Balin bianca quasi come la sua barba) e lasciò che Legolas lo tirasse su.

Restava poco della strada quando i cavalieri attraversarono il tunnel e arrivarono nel cerchio cadente di Isengard. Merry e Pipino si aggrappavano ad Aragorn mentre lui portava avanti Brego, facendo strada. Pozze fumanti sibilavano attorno a loro, puzzando di qualcosa di malvagio. Si intravedevano le forme di cavalieri non molto distanti. Attorno a loro erano sparse ancora forme scure di alberi, le foglie si muovevano nella brezza.

«Del metallo è stato lavorato in modo crudele qua» borbottò Gimli, e la sua mano si strinse sull'ascia «Senti che odore! Hanno fatto spregio dell'arte.»

«Come fai a dirlo?» chiese Legolas, il volto intrigato. Guardò la piatta distesa acquosa, gli occhi penetranti. «Tutti i lavori di questo genere hanno lo stesso odore per me.»

«Non sapresti cosa aspettarti, quindi perdono le tue parole» ringhiò Gimli «Metalli di base furono torturati qui, con poca cura per il loro vero valore. Il metallo grezzo non fu raffinato, i fuochi furono tenuti male, e in più vennero nutriti con rami e tronchi verdi. Metalli scaldati irregolarmente, premuti e piegati, gettati via per la fretta e raffreddati troppo in fretta. Ricordo che l'acciaio degli Uruk-Hai era scuro e nero come carbone, e al tempo non diedi pensiero al suo aspetto se non per il fatto che tutti i bordi erano limati al massimo. Ora l'altra metà dell'enigma appare. Questa non è una vera forgia. Una forgia è dove abilità e arte e funzionalità possono combinarsi per creare qualcosa che sia utile e anche bello. Questa è una macchina di morte.»

«Gimli!» per metà ansimò e per metà gemette Balin. Poi si prese la testa fra le mani mentre Fíli gli dava delle pacche sulla schiena in segno di comprensione.

«Abituatici, è anche peggiorato» disse.

I cavalieri distanti si rivelarono essere Gandalf, Re Théoden, Éomer e la Éored mentre loro si avvicinavano, e Gandalf annuì loro prima di girarsi verso la sinistra, mastodontica torre di Orthanc. «Stavo per mandarti a chiamare» disse piano ad Aragorn «Vi siete riposati e avete rinnovato i legami della Compagnia?»

«Abbiamo ascoltato un Elfo e un Nano che litigavano e combattevano con le parole» disse Aragorn mentre Éomer spostava Merry su Zoccofuoco, il suo cavallo «Quindi: nulla di insolito. Ma sì, ho riposato. Ora cosa succede?»

«Barbalbero e io abbiamo discusso proficuamente e fatto qualche piano. Ora io ho un ultimo compito prima di ripartire, e non uno piacevole: devo parlare con Saruman. Pericoloso, e probabilmente inutile, ma dovrà essere fatto.»

«Ma qual'è il pericolo?» chiese Pipino «Potrà colpirci, o lanciare fuoco dalle sue finestre; o ammaliarci da lontano con qualche incantesimo?»

«L'ultima ipotesi è la più probabile» disse Gandalf serio «Attento alla sua voce!»

«Barbalbero?» disse Legolas, una nota di impazienza nella sua voce «Hai parlato con lui?»

E poi l'essere più straordinario uscì dalle ombre di Orthanc, e Thorin imprecò ad alta voce, e allungò la mano verso una spada inesistente. «Per il sangue e le ossa di Durin!» gracchiò Fíli, e Kíli stava semplicemente guardando su - e su - e su «Quello è un Ent?!»

Il cuore di Thorin stava battendo al doppio della velocità normale mentre si girava, guardando le figure immobili che punteggiavano il cerchio della valle. Quelli che aveva preso per alberi altro non erano che Ent: immobili e guardinghi e enormi più di ogni sua immaginazione. «Nulla può essere così grosso e vivere» gracchiò «Ci... ci hanno circondati.»

«Sono nostri alleati» disse Frís, ma la sua voce tremava lo stesso «Nostri alleati: combattono gli Uruk e sono dalla parte di Uomini e Elfi e Nani.»

«Sono maledettamente enormi!» squittì Kíli.

«Sì, lo sono» fu d'accordo lei, dandogli dei colpetti sulla mano un po' troppo rapidamente perché fossero rassicuranti, i suoi occhi blu molto larghi.

Frerin si era premuto contro al fianco di Thorin. «Diversi tipi di alberi» disse con una vocina roca «Vedi? Là c'è un pino, e un faggio, e un sorbo e una betulla...»

Thorin non si fidava a rispondergli, invece prese in mano sia la spalla di Frerin che quella di Fíli e le strinse forte.

«Creati per fare la guardia contro i Nani, giusto?» chiese Fíli a Balin, il quale annuì stupidamente.

«Funzionano direi» disse Kíli, e deglutì «Alberi che reagiscono.»

«E che possono strappare in due un Nano, anche» aggiunse Fíli.

«Potete fermarvi qui» borbottò Frerin «Non voglio sapere nient'altro su di loro. Mai.»

Il volto di Gimli era sbiancato sotto la sua bella barba quando il grande Ent aveva fatto un passo avanti, ma aveva tenuto la testa dritta e non aveva urlato o detto nulla di stupido. Legolas sembrò notare il disagio del suo amico e si allungò per toccare lo stinco di Gimli con la punta delle dita. «Pace, mellon nin» mormorò «Ti irrigidisci come un coniglio davanti a un lupo. Non essere nervoso.»

«Nervoso, chi è nervoso?» sussurrò Gimli, e toccò leggermente la mano di Legolas «Lasciami: sto bene

Le labbra di Legolas si incurvarono. «Stai sempre bene, mio più caro amico. Non ne dubito.»

«Giovane Mastro Gandalf» disse l'Ent, e Thorin fu sorpreso di quanto lentamente parlava: come grandi fiumi in piena o il lento scricchiolio del legno che si allunga verso il cielo «Legno e acqua, tronchi e pietre, li posso dominare, ma qui c'è uno Stregone con cui avere a che fare.»

Gandalf chinò la testa rispettosamente a Barbalbero, prima di guardare il tetto di Orthanc. «Sì, in cima a quella torre» lo udì mormorare tristemente Thorin. Poi egli si raddrizzò in sella, la testa bianca che brillava alla luce del sole. «Saruman!» urlò a gran voce «Saruman, fatti avanti!»

Per un po' non vi fu risposta. Poi una voce urlò: «chi c'è? Cosa volete?»

Théoden sobbalzò. «Conosco quella voce» disse a denti stretti «E maledico il giorno che cominciai ad ascoltarla.»

Éomer lanciò a suo zio una rapida occhiata inquisitoria, ma Théoden alzò una mano. «Nay, figlio di mia sorella» disse, alzando il mento «Sto bene. Calmati!»

«Io sono calmo se lo è il mio Signore» rispose Éomer.

Théoden lo guardò con la coda dell'occhio, e le sue labbra si stavano incurvando nonostante l'aspetto cupo. «Mi trovo in compagnia molto migliore ultimamente.»

La schiena di Éomer si raddrizzò, e quando si girò di nuovo verso la torre c'era un orgoglio nel suo volto e nel suo portamento che da molto era stato assente.

«Va a cercare Saruman, visto che sei diventato il suo servo, Gríma Vermilinguo!» stava dicendo severamente Gandalf «E non ci far perdere tempo!»

«Hoom, hum!» disse Barbalbero, aggrottando le sopracciglia legnose «I tuoi affari con lo Stregone sono quindi tanto urgenti? Non essere frettoloso, giovane Mastro Gandalf. Un po' di tempo - un decennio o due, penserei io - farebbero molto bene a Saruman e al suo guardiano.»

«Non piace nemmeno a me, però sì, il tempo stringe» disse Gandalf, stringendo la presa sul bastone «Saruman è solo un pupazzo, una marionetta di una male molto più grande. Nonostante questo, un tempo era potente e saggio, la sua mente meravigliosamente attenta e i suoi pensieri furbi oltre ogni misura. Era invischiato profondamente nei piani del Nemico. Abbiamo bisogno che parli

Barbalbero si raddrizzò con un ruvido: «Hrum, burarum!»

«Fa sempre così» sussurrò Merry quando notò le guance pallide di Gimli «Non farci caso. Mi fece drizzare tutti i peli dei piedi la prima volta che lo incontrai: pensava che fossimo Orchi, sai. Ma una volta persuaso a non ucciderci era perfettamente amichevole.»

«Mastro Merry» disse Gimli, bagnandosi le labbra con la lingua «non sei molto d'aiuto.»

Legolas nascose un sorriso.

Ci fu un lampo di bianco in cima alla torre, e Thorin si piegò indietro per guardare le punte simili a coltelli contro le nuvole grigie. Lì era un Uomo, o una forma simile a quella di Uomo almeno, vestito di abiti sporchi che erano bianchi un momento e di ogni colore immaginabile quello seguente. Il volto barbuto era simile a quello di Gandalf in quanto un potere incomprensibile era sui suoi occhi e sulla fronte vecchia e segnata, ma vi erano delle ciocche nere vicino alle orecchie e alle labbra e una certa crudeltà nella bocca di Saruman assente da quella di Gandalf.

«Non sei dunque così insolito, amico mio» disse Thorin, e Gandalf lo guardò per un momento con espressione aperta. C'era della rabbia lì, e il dolore per un tradimento inaspettato, e una tristezza così profonda che le montagne non la potevano contenere.

«No, non lo ero un tempo. Cinque eravamo, e ora siamo in due. Tempo, distanza e follia hanno rubato gli altri» disse piano, prima che la determinazione spodestasse quell'espressione aperta dal suo volto. I suoi occhi divennero distanti: gentili eppure calcolatori. Ancora una volta appariva come Gandalf, non lo spirito che Gandalf era stato un tempo. Ecco lo Stregone che si affezionava alle sue pedine, ma le portava lo stesso in battaglia.

«Tempo, distanza e follia» ripeté Thorin, umorismo nero che contornava ogni parola «Hai la mia più grande comprensione, Stregone.»

Il sorriso di Gandalf era addolorato. Frerin pestò il piede di Thorin più pesantemente che poteva. Thorin lo ignorò.

«Ebbene?» disse Saruman stancamente, e la sua voce era dolce e gentile e melodiosa. Tutti rimasero immobili a udirne il suono, come stregati. I suoi occhi scuri osservarono ognuna delle figure sotto di lui, studiandole, soppesandole con furbizia da rettile. Lo sguardo era in netto contrasto col tono saggio e ragionevole della sua voce e dall'espressione benevolente sul suo volto scavato dall'età. «Perché disturbare il mio riposo?»

Thorin rimase immobile quando gli occhi di Saruman andarono a lui e si strinsero. Se l'era aspettato dopo la sua esperienza con l'Anello. «Fermi» mormorò mentre Frerin si dondolava nervosamente e il respiro di Balin si mozzava «Non può farci del male – nulla può. Noi osserviamo soltanto. Siamo semplici testimoni.»

Gli occhi di Saruman si allargarono nuovamente, ma non disse nulla in risposta. Invece, si girò di nuovo verso il Re di Rohan. «Ma suvvia, fra voi ve ne sono due di cui conosco il nome» disse piano, dolcemente «Gandalf lo conosco troppo bene per sperare che venga in cerca di aiuto o consigli. Ma quanto a te, Théoden, Signore del Mark, ti riconosco dai nobili ornamenti e ancor più dallo splendido aspetto che contraddistingue la Casa di Éorl. Perché non sei venuto prima, e in qualità di amico?»

Théoden sussultò, e i suoi occhi divennero distanti e ombrosi.

«Ah, zuznel» gemette Gimli «Mio amato Signore, hai visto il suo volto? L'incantesimo è ancora su di lui. Salirà, faranno la pace, e Saruman guadagnerà nonostante aver perso tutto.»

La voce meravigliosa di Saruman si abbassò in un sussurro, adulante e persuasivo. Così saggio sembrava, e così giusto. Thorin scosse la testa per schiarirsi la mente. «È già forse troppo tardi? Malgrado tutte le offese che mi sono state fatte e alle quali, ahimè, gli Uomini di Rohan hanno preso parte, io potrei ancora salvarti, e proteggerti dalla disfatta che si avvicina inevitabilmente se prosegui lungo il sentiero che hai preso. Sono davvero il solo che possa aiutarti.»

Poi Gimli interruppe improvvisamente, la voce Nanica forte e rumorosa dopo il velluto della preghiera dello Stregone. «Le parole di questo Stregone non hanno né capo né coda» ringhiò, stringendo il manico della sua ascia «Nella lingua di Orthanc aiuto significa rovina e salvare significa uccidere, questo è chiaro. Ma non veniamo qui a chiedere favori.»

«Non mi sono ancora rivolto a te, Nano» disse Saruman, e per un momento la sua voce fu meno soave. Il suo sguardo duro andò da Gimli ai Nani morti, e ancora a Gimli, e poi la sua voce si addolcì nuovamente, facendo le fusa per la soddisfazione. «La tua casa è assai lontana e i fatti di questo paese ti riguardano ben poco. Parlo ora a Théoden di Rohan, mio vicino a un tempo mio amico.»

«Hai combattuto molte guerre e ucciso molti nemici, Re Théoden, e dopo hai ristabilito la pace. Non possiamo discuterne assieme come facemmo in passato, mio vecchio amico? Non può esservi pace fra me e te?» disse Saruman, e alzò una mano dalle lunghe dita, pallida come cera.

Ci fu un totale silenzio.

«Tra noi vi sarà pace» disse Théoden in voce roca, e molti dei suoi Cavalieri urlarono di felicità. Poi gli occhi di Théoden lampeggiarono di furia. «Tra noi vi sarà pace quando tu risponderai dell'incendio dell'Ovestfalda, e dei bambini che giacciono morti lì! Tra noi vi sarà pace quando la vita dei soldati fatti a pezzi nonostante giacessero morti davanti alle porte del Trombatorrione sarà vendicata! Quando penzolerai da una forca per lo spasso dei tuoi stessi corvi, tra noi vi sarà pace!»

La voce del Re era ruvida come iuta dopo le dolci adulazioni di Saruman, ma l'effetto fu quello di un secchio d'acqua lanciato sopra agli ascoltatori. La maggior parte dei Cavalieri si raddrizzarono come se fossero usciti da un sogno, e poi la rabbia entrò nei loro volti quando capirono quanto vicini erano stati al cadere in trappola nelle reti di Saruman. «Ho parlato per la Casa di Éorl» disse Théoden aspramente «Sono un erede forse indegno dei grandi antenati, ma non ho bisogno di leccare le tue mani. Rivolgiti altrove.»

«Guardate Saruman!» disse Frís in tono urgente, e Thorin si voltò verso lo Stregone per vedere il suo volto che veniva oscurato dall'ira. La luce nei suoi occhi si infiammò in grande furia, e per un istante parve un grande serpente sul punto di colpire.

«Forche e cornacchie!» sibilò, e loro tremarono all'orrendo cambiamento «Rimbambito! La casa di Éorl non è altro che una capanna di paglia dove i briganti bevono in mezzo al fetore, mentre i loro bambini si rotolano per terra insieme con i loro cani! Da troppo tempo sono scampati alla forca. Ma il nodo scorsoio si avvicina, lento all'inizio, duro e stretto alla fine. Impiccatevi se volete!»

Poi lentamente si raddrizzò di nuovo, i capelli bianchi mossi dal vento. La curva della sua bocca era piena di disgusto. «Non so perché io abbia avuto la pazienza di parlarti. Non ho bisogno di te, né dei tuoi cavallerizzi pronti a fuggire quanto ad avanzare, Théoden Signore dei Cavalli

«Che persona amichevole» disse Frerin debolmente. Thorin sbuffò piano, e si tirò vicino suo fratello.

«Ricorda, non può farci alcun male» disse ancora una volta.

«Chi può sapere cosa può fare uno Stregone?» disse Balin, le sopracciglia aggrottate e le labbra una stretta linea bianca.

Gandalf alzò una mano in aria, e la sua vecchia voce polverosa risuonò, chiara come lo schioccò di una frusta. «Il tuo tradimento è già costato molte vite. Altre migliaia ora sono a rischio. Ma tu puoi salvarle, Saruman. Tu eri addentro ai piani del nemico.»

«E Cosa vuoi, Gandalf il Grigio?» disse Saruman, e ora era freddo e altezzoso «Lasciami indovinare... le chiavi di Orthanc? O forse le chiavi di Barad-Dûr stessa? Insieme alle corone dei sette Re e ai bastoni dei cinque Stregoni, quando ti sarai comperato un paio di stivali assai più grandi di quelli che porti adesso! Un piano modesto. Non è necessario il mio aiuto. Ho altre cose da fare. Se vuoi trattare con me finché nei ancora l'opportunità, vattene e ritorna quando avrai ritrovato il senno! E non portare con te questi tagliagole e tutta la gentaglia che ti penzola dietro! Buongiorno!» si voltò e fece per lasciare il balcone.

«Saruman» disse Gandalf, e c'era un nuovo potere nella sua voce che faceva sembrare persino l'incantesimo di Saruman una sciocchezza «Non ti ho dato il permesso di andartene.»

Saruman si bloccò dov'era, e poi lentamente, controvoglia, si trascinò di nuovo sul bordo dell'alta torre. Il terrore ora brillava nel suo volto.

«Sei diventato uno stolto, Saruman, eppure pietoso. Avresti potuto abbandonare follia e malvagità ed essere utile a qualcosa» disse Gandalf, e una goccia di quella tristezza nascosto attraversò la sua espressione.

«Cerchi informazioni?» disse Saruman, gli occhi pieni di intelligenza animale in fiamme «Ne ho alcune per te.»

Alzò una grande sfera di vetro, scura come una notte d'inverno tempestosa. Un fuoco parve bruciare nelle sue profondità. «Qualcosa di purulento cresce nel cuore della terra di mezzo. Qualcosa che è sfuggito alla tua vista. Ma il Grande Occhio lo ha veduto! Persino ora aumenta il suo vantaggio. Il suo attacco arriverà presto. Tutti voi morirete! Ma tu questo lo sai, dico bene Gandalf?» Saruman rise con crudeltà, e poi sputò: «non puoi pensare che questo Ramingo sedrà mai sul trono di Gondor. Questo esule strisciato fuori dall'ombra non sarà mai Re.»

La gola di Thorin si chiuse per gli improvvisi, dolorosi ricordi, la memoria così vicina e vivida che quasi lo annegava. Era solo debolmente consapevole di aver barcollato di lato. Ne ha il diritto. Ha il solo diritto.

Lo sguardo di Saruman andò su Thorin, e allora i suoi occhi si allargarono in riconoscimento prima di stringersi con soddisfazione felina. Trasudava malizia mentre continuava, la bocca deformata in un freddo sorriso ringhiante. «Gandalf non esita a sacrificare quelli più vicino a lui, quelli che lui professa di amare. Dimmi: quali parole confortanti hai avuto per il Mezzuomo prima di spedirlo alla sua rovina?»

Lontano Thorin percepì i suoi nipoti che gli si facevano vicini, il calore del loro respiro contro al suo volto e l'odore dei capelli di sua madre nelle sue narici. Rimase immobile, il cuore stretto in una morsa.

No. Bilbo è al sicuro. Sicuro a Granburrone.

Frodo.

Parla di Frodo.

Gandalf è sempre stato amico sia di Nani che di Hobbit.

Era bravo a usare la nostra vendetta per i suoi fini.

Smettila! Le ossa vecchie dovrebbero rimanere sepolte!

Frodo. Dov'è Frodo ora?

La voce di Saruman soffiava e ringhiava come quella del Drago. «La strada sulla quale lo hai posto porta soltanto alla morte.»

Le palpebre di Aragorn si abbassarono, e le mani di Thorin si strinsero in pugni ai suoi fianchi. Vagamente riconobbe le mani di Fíli attorno al suo pugno destro, e Frerin che gli aveva messo un braccio attorno alla vita per quanto riusciva. Balin parlava, sagge parole di conforto come sempre, e Frís stava facendo passare le dita nella sua barba. «Torna» disse piano «Thorin, figlio mio. Torna.»

Lui fece un respiro che tremò e si trascinò verso i suoi polmoni. «Sono a posto» disse, la voce rasposa.

«Sei un grosso disastro peloso, non mentire» disse Frerin diretto «Ti senti bene?»

«Tu ti senti bene?» rispose Thorin. Odiava quanto rotta suonava la sua voce.

«Qualcuno di noi si sente bene?» borbottò Balin, prima di alzare lo sguardo. «Stregoni.»

«Confermo» disse Kíli, asciugandosi la fronte.

«Ho sentito abbastanza» disse Gimli, i denti che schioccavano fra le parole. C'era rabbia e preoccupazione nel suo volto, e Thorin si chiese quanto aveva sentito. «Finiscilo con una freccia nel becco!»

Legolas si allungò verso la sua faretra, ma Gandalf lanciò sia a lui che a Thorin uno sguardo di avviso. «No! Vieni giù, Saruman – vieni giù, e la tua vita sarà risparmiata!»

«Conserva pietà e compassione!» ringhiò Saruman «Non so che farmene! Tipico di Gandalf il Grigio: così condiscendente, e tanto gentile. Non dubito che troveresti Orthanc spaziosa e la mia partenza assai conveniente!»

«Rimani allora!» disse Gandalf, e una terribile rabbia fece tremare la sua voce, le ombre si addossarono a lui e lo fecero apparire più alto di come era davvero. Thorin lo fissò, ricordando il giorno in cui l'aveva già visto così.

«Stanno per combattere?» sussurrò Kíli «Perché non voglio vedere un combattimento tra Stregoni. Gli Ent sono già abbastanza spaventosi.»

«Osserva, io non sono Gandalf il Grigio che tu tradisti. Sono Gandalf il Bianco, ritornato dalla morte. Ora tu non hai più colore, e io ti espello dall'ordine e dal Consiglio» tuonò Gandalf, e Saruman indietreggiò davanti al suo potere improvvisamente rivelato.

Gandalf alzò la mano e disse con voce chiara e fredda: «Saruman, il tuo bastone è rotto.»

Nella sua mano dalle lunghe dita dalle unghie simili ad artigli, il lungo bastone nero si spezzò improvvisamente con un forte crack! prima di svanire in fumo. Saruman indietreggiò barcollando per il terrore, e sparì dalla cima della torre.

Pochi secondi dopo, una pesante cosa nera cadde dalla torre per finire in acqua vicino agli zoccoli di Ombromanto. Pipino scese da Brego e corse a prenderla. Aggrottò le sopracciglia tirandola fuori dall'acqua: il globo di cristallo che Saruman aveva brandito prima, scuro ma con un luminoso cuore di fuoco.

«Canaglia e assassino» ringhiò Éomer, ma Gandalf scosse la testa.

«Un tiro d'addio di Mastro Vermilinguo, immagino» disse «Non è un oggetto che Saruman avrebbe desiderato gettare vie.»

«Cos'è?» disse Pipino, guardandolo con curiosità.

«Dai qua, ragazzo mio, lo prenderò io!» disse Gandalf, piegandosi e prendendogli il globo dalle mani e avvolgendovi attorno un lembo del suo mantello.

«Pensate sia la fine?» chiese Merry. Pipino sembrava confuso, fissandosi le mani come se non le avesse mai viste prima. Batté le palpebre quando Aragorn lo sollevò di nuovo sulla sella di Brego, e sospirò lentamente.

«È la fine» disse pesantemente Gandalf.

«Bene, spostiamoci fuori tiro, almeno!» commentò Gimli, e il volto di Legolas, che era stato freddo e impassibile al modo degli Elfi minacciati, si ammorbidì.

«Andiamocene, sì» disse Gandalf, e l'oscura tristezza era di nuovo nei suoi occhi. Girò Ombromanto lentamente, e guidò la lenta cauta processione attraverso il cerchio semidistrutto verso il tunnel.

Thorin si afflosciò, e Frís diede cautamente un bacio sulla parte inferiore della sua mascella.

«Quei vecchi ricordi fastidiosi sono ancora alle tua calcagna come un branco di cani che abbaiano?» disse piano.

«Abbiano molto forte a volte» disse Thorin, guadagnandosi un sorriso tirato da sua madre.

«Così fanno tutti cani trascurati» disse lei, e lisciò la barba spettinata sulla guancia di lui «Zabadâl belkul, Thorin. Ti vogliamo bene. Siamo qui. Non importa quanto selvaggiamente ululino, ricorda che non sono nemmeno lontanamente persistenti quanto noi.»

«Ci proverò» disse lui, e piegò la testa così che Frís potesse rimettergli una ciocca di capelli nella coda in cui li aveva legati «Grazie.»

«Una cosa buona di essere morti» disse Frerin mentre iniziavano ad attraversare la valle inondata dietro alla Éored e ai loro compagni «Posso attraversare questo posto vestito, e non bagnarmi minimamente.»

«Ah nadad» disse Thorin, e per sua sorpresa la sua risata era bassa e genuina e non forzata come sarebbe stata un tempo «cerchi sempre il mithril nella miniera di fango.»

«Qualcuno deve bilanciare tutte le tue tempeste, nadad» ribatté Frerin, e Thorin allungò una mano fulminea e spettinò la testa dorata finché Frerin urlò in protesta e entrambi i loro nipoti stavano ridacchiando.

«Hoom, hum!» disse Barbalbero, scuotendo la vecchia testa canuta quando loro si avvicinarono ai cancelli «Ebbene, avrei potuto dirvi che quello sarebbe stato il modo in cui sarebbe andata...» poi si fermò, chiudendo gli strani occhi, il respiro soffiava come il vento fra i rami.

«Lo fa a volte» disse Merry come se si stesse scusando per un eccentrico membro della sua famiglia. Poi si schiarì la gola. «Barbalbero! Hai della gente da incontrare!»

«...se voi vi foste fermati ad ascoltare» terminò Barbalbero, alzando la testa «Il cuore di Saruman è marcio come quello di un Ucorno nero. Piccolo Mastro Merry, barum! Degli amici tuoi?»

«Tre dei miei compagni» disse Gandalf «Ti ho parlato di loro, ma ancora non li avevi conosciuti» li presentò, uno dopo l'altro.

Gli occhi dell'Ent erano invero molto strani; scuri e neri, ma con dei riflessi d'ambra e di verdi germogli. Barbalbero guardò ognuno dei Tre Cacciatori a turno, lentamente e attentamente, prima di girarsi verso Legolas. «Hai dunque percorso tutta la strada che ci separa dal Bosco Atro, mio buon Elfo? Era una foresta assai bella, un tempo!»

«E lo è ancora» disse Legolas soddisfatto.

Gimli, Thorin, Balin, Fíli e Kíli sbuffarono all'unisono.

Le sopracciglia di Legolas tremarono, e spedì un gomito sottile contro al petto di Gimli. «Ma noi che vi dimoriamo non siamo mai stanchi di vedere nuovi alberi. Desidererei tanto visitare la Foresta di Fangorn.»

Gli occhi di Barbalbero brillarono di piacere. «Spero che il tuo desiderio si realizzi prima che i colli invecchino ancora» disse.

«Verrò, se la fortuna me lo permetterà» disse Legolas «Ho fatto un patto col mio amico che, se tutto va bene, visiteremo insieme Fangorn – col tuo permesso.»

«Accoglierò con piacere qualsiasi Elfo desideri accompagnarti» disse Barbalbero.

«L'amico di cui ti parlo non è un Elfo» disse Legolas, e disse le parole orgogliosamente, quasi con aria di sfida «bensì Gimli figlio di Glóin, che vedi qui.»

Gimli si inchinò per quanto potesse in sella a un cavallo, e l'ascia gli scivolò dalla cintura e cadde in terra.

«Hoom, hm! Ah, vedo!» disse Barbalbero, guardandolo con occhi scuri «Un Nano portatore di un'ascia! Hoom! Sono pieno di buona volontà nei confronti degli Elfi, ma tu chiedi troppo. Questa è un'amicizia assai strana!»

«Ti parrà forse strana» disse Legolas «ma finché vivrà Gimli io non mi recherò in Fangorn da solo. La sua ascia non è destinata agli alberi, ma alle teste degli Orchi. Ne ha tagliate ben quarantadue in battaglia.»

«Hoo! Cosa mi dici mai!» disse Barbalbero «Questa sì che è una storia allegra!»

Thorin si accigliò. Non gli era sfuggito che, ancora una volta, l'Elfo si era messo in mezzo fra il pericolo e Gimli.

«Mentre Gimli vive?» ripeté Fíli, e Frerin fece spallucce.

«Lo rattrista, sapere che Gimli respira la sua stessa aria per così poco tempo» disse Balin, osservando l'Elfo «Perché cos'è la vita di un Nano per costoro? Ent, Elfi, Stregoni: siamo solo particelle di polvere che attraversano le loro vite.»

«Temo che noi dobbiamo partire, e sarò costretto a privarti dei tuoi guardiani» disse Gandalf, e la testa cespugliosa di Barbalbero si abbassò.

«Mi mancheranno, piccola gente rapida» disse, e allungò le lunghe dita simili a rami verso gli Hobbit «Siamo diventati amici in così poco tempo che ho l'impressione di star diventando frettoloso – di far marcia indietro, forse, verso la gioventù. Vedi, sono la prima cosa nuova che ho visto sotto Sole e Luna da molti e molti anni. Non li dimenticherò.»

«E noi non dimenticheremo te!» urlò Merry, e Pipino gli fece eco. Barbalbero mormorò e annuì la grande testa ancora, e Thorin si trovò infine a rilassarsi davanti all'enorme creatura, anche se parte di lui era ancora allerta.

«Strappa la roccia come crosta di pane» si disse, e represse testardamente un brivido.

«Saruman non metterà piede fuori della sua rocca» promesse Barbalbero, i suoi occhi su Théoden «Gli Ent lo sorveglieranno. L'indecenza di Isengard sarà lavata, e nuovi alberi verranno a vivere qui, alberi giovani. Passeranno sette volte gli anni in egli ci ha torturato, prima che ci stanchiamo di sorvegliarlo.»

Frerin tremò violentemente. «Oh, questo è semplicemente inquietante.»


Edoras era più rumorosa e molto più vivace stavolta. Non più le persone rimanevano in piedi e guardavano in silenzio funereo. Ora, carri e carriole attraversavano le strade mentre i Rohirrim tornavano in città. Famiglie piangevano e ridevano insieme nel trovarsi riunite, e c'erano strilli di disperazione che si alzavano nell'aria. Canzoni di vittoria e di compianto fluttuavano attorno a loro, echeggiando nelle grandi pianure erbose sotto di loro. Ogni torcia era in fiamme, incoronando la collina solitaria di fuoco dorato che brillava nel buio.

Thorin si riscosse e guardò gli stendardi decorati di cavalli impennanti sopra di loro mentre la luce stellare scivolava via. Accanto a lui, Nori, Óin e Frerin fecero un passo avanti. Lui li guardò per valutare la loro prontezza. Nori alzò gli occhi al cielo, Óin incrociò le braccia, e Frerin si stava ancora strofinando il volto, mezzo accecato dalle stelle.

«Vorrei poter predire quando Gimlîn-zâram sarà gentile e quando no» si lamentò, e Nori sbuffò.

«Nessuno può, e chissà? Potrà cercare di esser sempre gentile. Noi magari siamo quelli che non hanno sempre un buon sapore»

«Ti spiace» esclamò Óin, alzando il mento.

«Ooops, scusa, m'ero dimenticato che t'hanno mangiato, Óin. Non era molto come dire – delicato – da parte mia»

Thorin ignorò i due, prese il braccio di Frerin e lo tirò avanti. Suo fratello fece un suono di protesta, strofinandosi ancora gli occhi. «Aspetta un minuto» disse, ma Thorin strinse i denti e andò in avanti.

«Ti guiderò io» disse «Non durerà a lungo.»

«Lo so» disse Frerin irritato, ma permise a Thorin di guidarlo per le strade di Edoras senza altre lamentele.

«Ce ne sono così tanti, devono far figli come topi di campo» disse Óin, guardandosi attorno «Dove troveremo il mio nipote idiota e il resto della dannata Compagnia?»

«Saranno a Meduseld» disse Thorin distrattamente, tirandosi più vicino Frerin e infilandolo sotto al proprio braccio «Muoviti.»

«Muoviti tu» borbottò Óin in ribellione, e il suo volto era scuro come una nuvola tempestosa mentre seguiva Thorin fra la folla di Rohirrim celebranti e piangenti.

Quando entrarono nel Palazzo d'Oro, quasi indietreggiarono per il rumore. I guerrieri e le loro famiglie erano ovunque, e i canti riempivano l'aria quasi quanto il fumo nei grandi falò al centro del pavimento. Thorin batté le palpebre guardandosi attorno.

«Troppo alti, tutti loro, non vedo niente. È una foresta bionda qui dentro» borbottò Nori, gli occhi che andavano da Rohirrim ubriaco a Rohirrim ubriaco «Ed è crudele, mostrarmi tutti questi bersagli facili senza che io possa farci niente. Potrei spellarli vivi e convincerli di aver fatto un affare.»

Thorin lo ignorò e si fece strada verso la pedana e la sedia decorata davanti ai grandi stendardi di testa di cavallo.

Théoden era seduto lì, le dita avvolte attorno a un corno per bere e sorridendo allegramente, anche se la preoccupazione e il lutto erano ancora sul suo volto. Accanto a lui era Gandalf, rilassato per una volta mentre parlava col Re con la pipa in mano, e davanti a loro era Éowyn, un calice fra le mani. Anche se non sembrava gelida come al solito, il suo sorriso ancora non era esattamente rilassato mentre guardava la folla dinnanzi a loro. Dei grandi tavoli intagliati erano stati trascinati davanti al trono, e sopra uno di essi -

«Hobbit» disse Óin incredulo.

«Non ho mai visto un ballo simile» disse Frerin, arricciando il naso e guardando Pipino e Merry, che stavano saltando sul tavolo e cantavano una canzone sui bagni caldi «Perché non battono i piedi? Dove sono i musicisti? Chi è il vincitore?»

«Perché qualcuno canterebbe di bagni?» disse Nori.

«Aragorn dovrebbe» mormorò Frerin a Thorin, e lui si morse il labbro per fermare il sorriso che minacciava di allargarsi sulle sue labbra.

«La scritta Bilbo questa» mormorò di rimando.

Frerin lo guardò, e poi le sue piccole dita si strinsero sul polso di Thorin in segno di conforto.

Pipino si girò, con la birra che trabordava dal suo dal suo boccale incredibilmente grosso, ridendo forte. Quasi cadde dal tavolo, e gli Uomini attorno a loro batterono i piedi e esultarono quando un braccio scattò in avanti, veloce come un lampo, per prenderlo e raddrizzarlo. Pipino sorrise a Legolas i cui riflessi Elfici l'avevano salvato da un brutto bernoccolo sulla testa. «Grazie molte!» disse, prima di agitare il boccale verso Legolas «Aspetta, non ti ho ancora fatto un brindisi o sbaglio?»

«Un peccato» disse Merry, ruttando dietro alla mano.

«A Legolas, migliore degli Elfi!» disse Pipino, appoggiandosi più pesantemente alla spalla di Legolas e mettendo il piccolo braccio attorno al collo dell'Elfo.

«Sì, sì!» urlò Merry, echeggiato calorosamente dagli Uomini circostanti. Sembrava che lo Hobbit fosse diventato un loro grande favorito in pochissimo tempo. Molti di loro sembravano affascinati dall'apparizione di queste piccole persone leggendarie, adulte eppure alte nemmeno come un bambino di Rohan.

«Sei pericolosamente ubriaco» rise Legolas «ma non posso dartene colpa dopo ciò che avete passato!»

«Io?» gli occhi di Pipino si allargarono, e poi sedette sul tavolo di colpo «Tu, piuttosto! Tu sei andato in battaglia! Io sarei terrorizzato da una cosa simile.»

Gli occhi di Legolas si rattristarono per un momento. «Sono stato fortunato.»

La mano di Pipino accarezzò goffamente i capelli brillanti di Legolas. «Adesso» disse «Qual'è il problema?»

«Molte cose, mio piccolo amico, non ultima delle quali la morte inutile e brutale dei miei simili» sospirò Legolas. Poi guardò il boccale nelle sue mani sottili.

Pipino si accigliò, guardando gli occhi di Legolas. «Non è tutto, vero?»

«Nay» disse Legolas, a malapena udibile sopra al rumore «Onorabile, anche se terribile, fu la morta di Haldir di Lórien. Piango per lui, eppure non mi turba quanto altro che non posso dire.»

La confusione passò sul volto di Pipino, prima di svanire e lui agitò un braccio facendo un suono poco delicato. «Legolas, Legolas! Sono sciocchezze – e se io ti dico che qualcosa è stupido, puoi essere sicuro che lo è! Perché non lo dici? Andiamo, dillo e buttalo fuori!»

Legolas non si mosse, ma il suo respiro si mozzò dietro ai suoi denti.

«Io non mi sentirò in pena per un Elfo» borbottò Óin «Non lo farò.»

«Non dovrei parlare con un Elfo» disse Legolas, gli occhi lontani «Ci sarebbe tempo immensurabile, tutto il tempo che desidereremmo, per sedersi e permettere ai momenti giusti di venire a noi quando lo vogliono. No dovrei parlare, perché la mia presenza direbbe tutto ciò che mi serve. Non ci sarebbe fretta. Io saprei, e loro saprebbero, e potremmo assaporare l'attesa e le pause fra le parole come se stessimo bevendo del vino più dolce. Ma il tempo corre ora – nay, galoppa come Ombromanto al tramonto! E io ne ho paura.»

«Del tempo?» il volto di Pipino era abbastanza perso. Thorin non gliene dava colpa.

«Sì» sospirò Legolas, e bevette dal suo boccale «Del tempo. Un Elfo, Legolas Thranduilion del Boscoverde, ha imparato ad aver paura del rapido tempo fasullo. Mi è nemico: me lo porta via ogni secondo, ogni respiro, ogni battito del suo grande cuore. E ho anche paura delle parole che non posso dire – perché quanto spesso ci ferimmo a vicenda con le parole? Quanto spesso io dissi qualcosa e lui ne udì un'altra? Non possiamo parlare al modo degli Elfi: senza parlare. Non possiamo lasciare che il silenzio ci dica ciò che noi troveremmo semplice sapere. Ma io sono vento e foglie e lui è terra e roccia. Non c'è una lingua per noi che dica altro oltre ad antico, profondo dolore e mancanza di fiducia. Non so cosa fare. Non so come dire ciò che il silenzio direbbe per me.»

Gli occhi di Pipino persero fuoco, il suo naso si arricciò. Poi scosse i suoi ricci e colpì fermamente l'Elfo sul petto con un dito. «Tu hai bisogno di un'altra birra» proclamò.

E poi una grande mano uscì dalla confusione e strinse la spalla di Legolas. «Ecco, ragazzo, ho già portato a termine quel dovere. Un'altra per te. Non c'è vino, temo!»

Legolas guardò su, un sorriso di nuovo sul volto. «Ah, non importa, mellon nín. La birra è abbastanza forte, anche se non riscalda il cuore come il vino del Dorwinion!»

«La birra scalda bene la pancia» disse Gimli, sedendosi accanto all'Elfo e mettendo una caraffa fra loro, proprio davanti ai piedi ricciuti di Pipino «Anzi, direi che fa già abbastanza caldo qua dentro!»

«Fa caldo!» annunciò Merry, buttandosi di fianco a Pipino e facendo quasi cadere la caraffa «Ballare fa venire sete. Avete un boccale per me?»

«Credo tu abbia già bevuto abbastanza» disse Gimli, gli occhi accesi. Poi Thorin notò la foresta di boccali e caraffe attorno a loro, e sentì la sua bocca che si apriva.

«Questi Hobbit hanno bevuto tutto questo?» disse, stupefatto.

«Mai sottovalutarli quando si tratta delle loro pance» mormorò Gimli, e gli occhi di Thorin andarono alla sua stella. Era la prima volta che Gimli gli aveva risposto direttamente dalle Caverne del Fosso di Helm.

«Nemmeno tu sei esattamente fermo sui tuoi piedi, inùdoy kurdulu» disse, il cuore che si gonfiava contro alle sue costole «Le tue trecce hanno le doppie punte. I tuoi capelli hanno visto giorni migliori.»

«Dannati i miei capelli, sono solo un fastidio» rispose Gimli allegramente «Andiamo, Mastri Hobbit! Dateci un'altra canzone!»

L'urlo fu ripetuto dagli Uomini intorno, e Thorin riconobbe l'alta forma di Éomer fra loro, che rideva e picchiava il suo boccale contro i tavoli.

«Oh, Merry!» disse Pipino, scattando in piedi e tirando il braccio di suo cugino «Questa, questa!»

Picchiò il piedi contro al pavimento un paio di volte, e poi iniziò a cantare: «There's an inn, there's an inn, there's a merry old inn beneath an old grey hill! And there they brew a beer so brown that the Man in the Moon himself came down...»

«Oh, Frodo ci strapperebbe le orecchie!» ridacchiò Merry, prima di girarsi per unirsi a Pipino, la voce anche più forte «One night to drink his fill!»

Gimli sussultò. «Conosco quella canzone!» esclamò. E poi iniziò a picchiare gli stivali borchiati contro al pavimento mentre la sua voce, più profonda della più profonda voce degli Uomini, si unì al coro:

[L'Uomo nella Luna è Rimasto Alzato Troppo Tardi, cantata da notanightlight]

The landlord keeps a little dog
that is mighty fond of jokes;
When there's good cheer among the guests,
He cocks an ear at all the jests
and laughs until he chokes.

«Dove hai imparato questa?» esclamò Óin, prima di seppellire la testa fra le mani «No, no, non voglio saperlo.»

Thorin aveva il sospetto che la vecchia canzone da ubriachi potrebbe essere stata in qualche modo associata all'infame taverna di Borin nelle Ered Luin. «Fíli e Kíli» disse cupo.

«Senza dubbio» confermò Nori, prima di ghignare «Anche se potrebbe averla sentita nella mia piccola attività, o da suo cognato.»

«Uno di questi giorni dovrò dire delle cose a Bofur» borbottò Óin, prima di guardare di nuovo i due Hobbit danzanti, che erano a braccetto e facevano delle specie di saltelli che richiedevano un sacco di sbilanciamenti da parte di Pipino e molte risatine da Merry:

The round Moon rolled behind the hill,
as the Sun raised up her head.
She hardly believed her fiery eyes;
For though it was day, to her surprise
they all went back to bed!

Gimli terminò con un colpo dei suoi grandi palmi contro al tavolo, e poi alzò il suo boccale verso gli Hobbit e ne bevve metà del contenuto. «È stato eccellente, e un gradito tocco di casa! Anche se servirebbe un violino o due, e un guiterne per far davvero tremare il Palazzo» dichiarò ad alta voce, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro «Come facevo a non sapere che gli Hobbit conoscono quella canzone?»

Gli Uomini attorno a loro stavano applaudendo con molto fervore. L'aggiunta di un'altra voce aveva innalzato la coppia di ballerini a vette anche più alte, e Pipino aveva le guance arrossate e Merry rideva senza fiato. «Le Montagne Azzurre sono vicine alla Contea, o sbaglio?»

«Ah, ma è una canzone Nanica, o Hobbit?» chiese Legolas con un sorrisetto, e Gimli sbuffò forte.

«Nanica, ovviamente»

«No, no» disse Pipino, alzando un dito «Quella canzone è stata cantata da sempre dai Tuc! Anzi, se tu mi aprissi la troveresti incisa nel mio cuore!»

«Che cosa particolare da avere nel cuore» disse Gimli piano, e Merry spinse Pipino con una spalla.

«Non essere ridicolo, Pip» disse, e poi ghignò «Se ci riesci.»

Pipino piantò un dito nello sterno di Merry. «Io» disse con grande dignità «sono un Tuc, un Tuc molto importante. Certo che non ci riesco.»

Merry rise ancora, e mise un braccio attorno alle spalle di Pipino. «Ehi, Gimli! Cantaci una canzone Nanica allora! La mia gola è secca come un osso, e questo Tuc molto importante ha bisogno di un'altra birra. Sta iniziando a fare discorsi sensati.»

Gimli rise. «Per carità di Mahal!»

«Andiamo, Gimli, da Nano fra i Nani» ansimò Pipino, e Gimli alzò le mani per avere un momento di pace.

«Molto bene, molto bene! Ma datemi la possibilità di bere la mia birra, per favore!»

L'attenzione di Thorin fu catturata da una parola, e si girò per vedere Éowyn piegata vicino a suo zio, i suoi lunghi capelli che brillavano di oro pallido alla luce delle torce.

«Cerca di capire, figlia di mia sorella» disse Théoden, prendendole il volto fra le vecchie, ruvide mani «Non voglio intrappolarti.»

«Ma lo fai, anche se hai buone intenzioni» disse lei, e i suoi occhi si alzarono «Zio, io ti capisco. Non sono una sciocca. Vuoi che io sia al sicuro; vuoi che uno della nostra linea continui a guidare il nostro popolo; vuoi che la Casa di Éorl continui. Ma tu non capisci me. Non mi capisci per nulla, o vedresti che tutte le tue parole e desideri non sono altro che sbarre tra le quali devo guardare la vita che vorrei.»

«Sbarre?» disse lui, e il suo pollice corse sulla guancia di lei «Éowyn. Éowyn, sei una scudiera della mia linea. Non ti imprigionerei per nulla al mondo.»

«Allora perché devi continuare a farlo, aggiungendo altre sbarre con ogni tua scusa?» disse lei, e la bocca di lui si indurì.

«Dimentichi chi sei?»

«So bene chi sono, zio» rispose lei piano.

Lui sospirò, e poi chinò la testa in sconfitta. «Sì, io creo tutte le scuse che un Re deve. Perché questo è il mio ruolo, Éowyn: mie sono le decisioni, nel bene o nel male, e attorno a me vi sono pochi di cui mi fidi in questi giorni oscuri, anche se alcuni di più rispetto a quando giacevo ammaliato sotto al mantello dei sussurri di Vermilinguo. Io ti amo, figlia di mia sorella, e come zio che ti ama darei te la vita che desideri. Ti darei la luna, se potessi strapparla dal cielo. Ma io sono anche il tuo Re, e il tuo Re ha bisogno di te da un'altra parte. Théoden figlio di Thengel non può fare ciò che desidera, perché il Re, e il Regno, hanno sempre fame e bisogni. E mi è stato rubato Théodred, e Éomer ha la lealtà della sua Éored ma non del popolo. Lui seguirà me, aye. Ma loro seguiranno te.»

Lei rimase immobile per un lungo secondo, e i suoi occhi si chiusero strettamente. «Vedo.»

«Davvero?» disse lui dolcemente, e scosse la testa «Perché io detesto doverti fare del male. Ti ho portato tanto dolore, e tu mi hai solo dato amore e lealtà in cambio e hai solo chiesto questa cosa – quest'unica cosa che io non posso darti.»

Le labbra di lei si aprirono per la sorpresa, e poi ella scosse la sua bella testa. «No, non mi porti dolore» disse, ma era debole, e lei sembrò accorgersene. Il suo sguardo scivolò via, e poi si fissò su un angolo.

Thorin seguì i suoi occhi fino a vedere una figura dietro alle grandi porte dorate, delineata contro al cielo. Una pipa era tenuta fra le sue labbra, e la testa si piegò all'indietro mentre esalava il fumo.

«Aragorn» disse riconoscendolo.

Théoden guardò il ramingo, e poi sorrise dolcemente. «Almeno in questo, io sono felice per te. È un uomo d'onore.»

«Siete entrambi uomini d'onore» disse lei con voce fervente. Di colpo, Thorin riconobbe l'espressione che lei indossava e la luce nei suoi occhi. Era la stessa che brillava nei volti dei suoi nipoti e della sua famiglia. Lealtà.

«Onore, un cuore forte» finì sottovoce, e ignorò il dolore sordo nel suo cuore «Nessuno potrebbe chiedere di più.»

«Non fu Théoden di Rohan a guidare il nostro popolo alla vittoria» disse Théoden, e portò gli occhi sulla forma di Aragorn con uno sguardo pensieroso.

La mano di Aragorn si alzò, come se stesse toccando qualcosa sul suo collo.

Frerin borbottò un insulto piuttosto volgare in Khuzdul, e evitò il colpo della mano di Thorin diretto alla sua testa. «Non la apprezza» borbottò, guardando di nuovo Éowyn con occhi malinconici.

«Oh, sta diventando ridicolo ora» disse Óin irritato «C'è qualcuno qui che non sta diventando sdolcinato?»

Nori ghignò. «Io. Preferisco prendermi cura di certe cose da solo, se capisci cosa intendo. Non serve mettere in mezzo altri.»

Óin fece un suono esasperato. «Bene, questo è il modo logico di essere, per me.»

Thorin li guardò con un mezzo sorriso. «Non tutti noi preferiscono le nostre arti e le nostre famiglie, buhû

«Beh, certo che no. Chi sarebbe soddisfatto a fare il fabbro?» Óin tirò su col naso.

Frerin incrociò le braccia. «Mi stai prendendo in giro?»

Óin guardò il Nano più giovane che era in piedi con le gambe larghe, tremando per l'indignazione. I suoi occhi si addolcirono. «No, ragazzo» disse, e diede un colpetto sulla spalla di Frerin «No. Non è per me, ma se ti fa felice allora sono contento per te.»

Frerin si sgonfiò e guardò Éowyn. «Grazie» borbottò, e poi sospirò malinconicamente mentre Éowyn prendeva un sorso dal suo calice e lo porgeva a suo zio, chinando la testa.

Théoden lo prese con mani delicate, prima di alzarlo verso il Palazzo. «Ai morti vittoriosi» proclamò, e, incrociando lo sguardo di sua nipote, bevve.

«AI MORTI VITTORIOSI!» il Palazzo d'Oro risuonò dell'urlo.

Lei guardò in silenzio, e riprese il calice quando lui ebbe finito. Gandalf guardò con occhi luminosi e incomprensibili mentre lei camminava attraverso la folla fino alla porte, dove Aragorn era appoggiato contro a un pilastro.

Frerin sbuffò e i suoi pugni si strinsero quando lei gli porse il calice con un mormorio di: «Westû Aragorn, hal!»

«Non mi piace per niente» dichiarò ad alta voce.

«Forza, fratello mio» gli disse piano Thorin. Frerin gli lanciò un'occhiata tagliente per controllare se stava venendo deriso, e trovando null'altro che sincerità sul volto di Thorin si sgonfiò.

«Beh, non mi piace» borbottò.

Poi una voce Nanica si alzò sopra alla baraonda, e le sopracciglia di Frerin si alzarono mentre lui fissava Thorin, senza parole per un momento.

«Non ditemi che sta cantando quella!» disse Nori, incredulo.

«Ah, hulhaj, hulhaj, hulhaj!» gemette Óin, e Frerin gli diede delle pacche sulla schiena.

«Eh. Calmati, calmati» disse perplesso.

Thorin poté solo girarsi lentamente verso la sua stella che cantava nella sua voce profonda una canzone che mai nella sua memoria era stata cantata sopra la roccia e di certo mai nell'intera storia di Arda davanti a Uomini e Elfi. Gli occhi di Gimli erano mezzo chiusi, e stava guardando la luce delle torce come se attraverso i suoi occhi vedesse un altro mondo, uno lontano e perduto. La sua voce rotolò sopra la folla, forte e bassa e ricca:

[La Canzone degli Inizi, composta ed eseguita notanightlight]

[La Canzone degli Inizi, composta ed eseguita da muchymozzarella]

[Traduzione]

In the beginning we were stone and the stone was dead,
And the stone was hard and cold.
The stone was taken and the stone was shaped
In the darkness of the days of old.
The hands that loved us made us secret and strong;
The mind that wrought us knew we did not belong;
A discordant note in the primeval Song.
Blessed be Mahal and the mercy of the One.

In the beginning we were stone and the stone was mute
And stone has no will of its own.
Mahal gave us his will and moved us with his love,
And we thought his thoughts alone.
Then we sang with his words and we saw with his eyes;
We felt his great joys and we sighed with his sighs;
And all that we did was as he had devised.
Blessed be Mahal and the mercy of the One.

In the beginning we were stone and the stone was afraid,
For all things desire to grow.
We were found imperfect and cowered in shame,
And we discovered fear and sorrow.
And our thoughts were our own and our will was too;
Away from the fatal hammer-blow we drew,
And we wept as Mahal prepared all his work to undo.
Blessed be Mahal and the mercy of the One.

In the beginning we were stone and the stone became flesh,
And the flesh was new and pure.
The One looked at us with pity and upon Mahal with love,
And permitted us to endure.
The Seven were bound in slumber fathoms deep,
Against the coming of the Children their secrets to keep;
In darkness and in stone they were laid to sleep.
Blessed be Mahal and the mercy of the One.

In the end we will be flesh, and the flesh will fail,
And our lives will return to the stone.
The world will be renewed at the end of all days:
Again our works will be Mahal's alone.
And we will heal the great wounds in the skin of the earth;
We will sing with our words; we will prove our great worth.
We will never forget that we were stone at birth;
Blessed be Mahal and the mercy of the One.

Ci fu una pausa silente, e poi Merry disse piano: «era bellissima, Gimli. Una canzone bellissima.»

Gimli sorrise. «Suona meglio in Khuzdul. Mi avete fatto pensare a casa, quindi la colpa è solo vostra.»

«E ne siamo felici» disse Pipino, i suoi occhi sbarrati e il mento poggiato sulle piccole mani «Meravigliosa!»

«Hai una bella voce, amico mio» disse Éomer, e Gimli agitò una mano in modesta negazione e si allungò verso la caraffa per riempire il suo boccale «Diversa da qualsiasi altra noi abbiamo mai udita. Tutti i Nani cantano così profondamente?»

Gimli scosse la testa. «No, non tutti. Barís Linguacristallina è la cantante più celebrata della mia generazione. La sua voce può volare alta come un'allodola, e diventare bassa come un lago sotterraneo; fioca come il sussurro del vento o forte come una tempesta tuonante, eppure sempre chiara come i diamanti alla luce del sole. È un grande onore udirla suonare e cantare.»

«Vorrei poterla ascoltare» disse Aragorn, lanciando al completamente immobile Legolas uno sguardo divertito «Gli Elfi che mi hanno cresciuto amavano molto le belle voci.»

«Aye, come i Nani. Ma dopotutto, la musica è ovunque» disse Gimli, prendendo un altro sorso «Cantiamo sin dalla culla e portiamo strumenti ovunque. Le mani hanno sempre bisogno di qualcosa da fare, in fondo!» ghignò «Se volete far impazzire un Nano, rompetegli tutte le dita.»

«Tu suoni, Mastro Nano?» Éomer parve sorpreso.

«Aye, il violino» disse Gimli, leccandosi la birra dai baffi «Mio cugino mi insegnò, prima di morire. Ero uno studente piuttosto disinteressato, ma mi piace suonare in sua memoria.»

«Senza dubbio il suono sarà bello come quello della tua canzone» disse Éomer allegramente.

Gli occhi di Gimli divennero imbarazzati. «A dire il vero, non avrei dovuto cantarla. Forse mi sento più come un Nano di Erebor oggi, e meno come uno dei Tre Cacciatori.»

«Non dire così!» disse Aragorn, scuotendo la testa «Tu sei il nostro Nano, delle Tre Stirpi. Abbiamo bisogno del tuo spirito e della tua ascia» colpì deliberatamente la schiena di Legolas col ginocchio «Non è così?»

Legolas non rispose, gli occhi luminosi fissi su Gimli come ipnotizzati e la bocca spalancata e molle.

Thorin fece un passo avanti, e poi ritrovò la sua voce. «Non avresti dovuto cantare la Canzone degli Inizi» ringhiò, e poi si picchiò la fronte «Oh, farai quello che vuoi – lo fai sempre!»

«In fondo non faccio male a nessuno cantandola» disse Gimli, e alzò il capo in un modo leggermente ribelle che disse a Thorin che la sua lamentela era stata udita.

«Sono dei nostri segreti» disse Thorin a denti stretti.

Uno degli angoli della bocca di Gimli si alzò. «Aye, e dannati siano i nostri segreti. Hanno causato solo sospetti e mancanza di fiducia» disse, e deliberatamente si girò verso l'Elfo accanto a sé «Tutto bene, ragazzo? Dovresti cantarci una delle tue canzoni di alberi e stelle e tragedie! È un bel Palazzo nel quale cantare questo.»

Thorin fischiò.

Legolas, il cui sguardo era ancora incollato al Nano, si riscosse improvvisamente. «Io...» iniziò, e poi bevve un gran sorso dal suo boccale per nascondere la sua confusione.

«Io non mi sentirò in pensa per un Elfo!» esclamò Óin, e si mise una mano sugli occhi «Oh, mio coraggioso incosciente nipote, sei duro come il granito!»

«Tu l'hai fatto cadere sulla sua testa» replicò Thorin, e poi un'ondata di costernazione lo travolse «Aspetta, chi sto difendendo?»

Frerin cadde a terra, cercando di controllare le sue risate.

«Non so se le mie canzoni sono adatte a una simile celebrazione» disse Legolas, e guardò il boccale ancora nelle sue magre dita dalle ossa lunghe.

«Oh mahumb» sbuffò Gimli. Thorin notò ora che era molto più ubriaco di quanto non avesse creduto, e che il rossore sul suo naso e sulle sue guance non era dovuto solo al calore «Andiamo, Legolas, io ho fatto la mia parte! Dobbiamo rappresentare il Nord, dopotutto!»

Legolas alzò lo sguardo, e i suoi occhi erano dolci quando si posarono sul Nano. «Vero» disse. Poi rise. «Non penso di poter eguagliare il tuo sforzo.»

«La smetti di dire idiozie?» disse Gimli, sbattendo le mani sui fianchi in modo dolorosamente Nanico e la testa inclinata in aspettativa «Chi ha mai sentito di un Nano che batte un Elfo in una gara di canto? Andiamo, alza la voce, ugbal bâhûn! Ti sento canticchiare incessantemente quando cavalchiamo quello strumento di tortura che chiami cavallo: di certo riuscirai a ricordarti una canzone ora che non c'è solo Arod come pubblico?»

«Ne parli male, ma so che ti ci sei affezionato» lo prese in giro Legolas.

«Aye, affezionato come chiunque può essere a un fondo schiena dolorante e gambe rigide» ribatté Gimli «Canta!»

Legolas rise, e poi alzò la voce. A differenza del profondo rombo sotterraneo di Gimli, la voce di Legolas era fredda e chiara e limpida come un ruscello:

[La Canzone di Lúthien e Beren cantata da notanightlight]

"The leaves were long, the grass was green,
The hemlock-umbels tall and fair,
And in the glade a light was seen
Of stars in shadow shimmering.
Tinúviel was dancing there
To music of a pipe unseen,
And light of stars was in her hair,
And in her raiment glimmering.

There Beren came from mountains cold,
And lost he wandered under leaves,
And where the Elven-river rolled
He walked alone and sorrowing.
He peered between the hemlock-leaves
And saw in wonder flowers of gold
Upon her mantle and her sleeves,
And her hair like shadow following.

Ce n'era altro, ma Thorin aveva notato l'espressione sul volto di Aragorn mentre si voltava. Spinse la spalla di Frerin per farglielo presente, e poi seguì l'Uomo attraverso la folla.

Aragorn spinse fino alla porta nuovamente, e rimase sulla piattaforma di pietra che innalzava Meduseld sopra alle altre case di Edoras. Il suo respiro era rapido e c'era un grande dolore nei suoi occhi.

«Te ne sei andato in fretta» giunse la voce di Éomer «La canzone dell'Elfo ti offende?»

Aragorn rimase in silenzio per un momento, e poi chinò il capo. «No, non mi offende. Ma temo di capirla fin troppo bene.»

Éomer andò al fianco di Aragorn, il suo volto orgoglioso calmo e rilassato. «Ho sentito dire che mio zio ha un grande debito nei tuoi confronti.»

Aragorn inclinò la testa. «Re Théoden è gentile a dire così.»

«Non è il Re che me lo dice» Éomer spostò gli occhi sulla città, i suoi capelli biondi venivano tirati dai feroci venti della pianura «Gli uomini della sua Éored dicono che fu Aragorn figlio di Arathorn a guidare il nostro popolo dai loro rifugi e dritti fra i denti del nemico.»

«Ho solo fatto il mio dovere» disse Aragorn piano.

«E allora io ti ringrazio per questo» disse Éomer.

«Ho sentito dire che devi la tua vita a un Nano» disse Aragorn, girandosi verso il Maresciallo del Mark con un mezzo sorriso sulle labbra, e Éomer rise piano.

«È vero. Quando vi incontrai nelle pianure non avrei potuto prevedere che il Nano che si offese immediatamente e profondamente per le mie parole sarebbe divenuto il mio salvatore. Il mondo funzione in modo strano, e ancora più strano è diventato in questi giorni oscuri» lanciò ad Aragorn uno sguardo serio «Aragorn, figlio di Arathorn, della linea di Elendil.»

Aragorn rimase immobile per un secondo, e poi il suo respiro uscì di colpo. «Dici il vero» rispose, e i due Uomini stettero e guardarono il cielo, ascoltando le canzoni strane e tristi del popolo di Rohan che celebrava la vittoria e piangeva i suoi morti.


Era molto tardi.

Gimli barcollava parecchio mentre camminava fra i corridoi di Meduseld, il suo grande braccio avvolto attorno alla vita di un Elfo ugualmente ubriaco. Ogni tanto faceva un piccolo saltello simile alle danze con l'ascia dei Barbafiamma, e Legolas barcollava e rideva ogni volta.

Thorin aveva rimandato Óin e Frerin alle Sale di Mahal, e solo Nori e lui erano spettatori del bizzarro spettacolo. Era piuttosto felice che Óin se ne fosse andato. Senza dubbio sarebbe esploso dall'imbarazzo.

«Tu» disse Legolas, incespicando fino ad appoggiarsi in qualche modo a un muro con la mano libera «sei davvero di un'altezza perfetta, Mastro Nano. Per un Elfo. Per riposarci sopra. Contro. Appoggiarsi contro.»

«Delicato» sbuffò Nori.

«E tu» rispose Gimli, con il singhiozzo «sei un ubriaco volgare, una disgrazia per gli Elfi e son mortificato di conoscerti. E son davvero di un'altezza perfetta, grazie per notarlo.»

«Il tuo accento diventa più forte più diventi ubriaco» disse Legolas, e le sue dita giocarono coi capelli rossi e completamente spettinati di Gimli. Li guardò con occhi socchiusi, come se si fosse accorto solo allora di cosa stava facendo la sua mano. «E i tuoi capelli sono... ruvidi. Molto ruvidi... e così tanti che non so come fai a passarci una spazzola.»

«Eh?» Gimli guardò su, prima di levare la testa dalle dita curiose di Legolas «Vattene!»

«Non ho detto che non fossero gradevoli» disse Legolas, ferito, e Gimli fece un respiro fra i denti, sgonfiandosi un poco.

«Oh»

La coppia barcollò ancora un po' per il corridoio.

«Ti ricordi qual'era la nostra stanza?»

«Gandalf russa, dovremmo sentirlo bene»

«Tieni le orecchie eh... pronte allora. Il tuo udito è più affilato del mio»

«Sta fermo!» disse Legolas, e si appoggiò per un attimo con la schiena contro una porta «Mi stavi per far cadere, meleth nín, e dubito che sarei riuscito a raddrizzarmi!»

«Ha!» Gimli ghignò «Vuol dire che vinco?»

«No, perché io sono ancora in piedi» disse Legolas solennemente. La risata di Gimli era bassa e deliziata. «Le tue pupille sono enormi e nere come la notte nell'oscurità» continuò l'Elfo in tono sognante «Non ci avrei mai creduto. Non mi meraviglia che tu vedi tanto bene al buio, con occhi del genere.»

«Non parlar di occhi, Signor Vista-lontana» Gimli gli toccò il fianco «Dormire! Mi serve, ora!»

«Russi peggio di Gandalf»

Gimli fece un gesto con la grande mano. «Per favore. Bugie e propaganda Elfica.»

«Temo di no, meleth nín»

«Beh, tu dormi con gli occhi aperti» rispose Gimli, e si tirò su sui piedi instabili «Ah, questo Palazzo gira e ruota come un giocattolo di un bambino! Alzati, Mastro Elfo!»

«Pipino dice che lo dovrei dire e buttarlo fuori» borbottò Legolas mentre Gimli lo tirava in piedi e iniziava a guidarlo per il corridoio «Ai, mellon nîn, meleth nîn... Gi melin, gi melin n'uir. Nogoth vuin. Annon 'ûr nîn angin, Gimli-nîn...»

Gimli lo guardò accigliato. «Ovestron, grazie tante!»

«Ah, non credo vorresti sentirmi dire cose simili» disse Legolas con un sospiro, e la sua mano si alzò di nuovo fino a toccare leggermente i capelli di Gimli «Troverei braccia calde o asce dure ad aspettarmi? Sono un Elfo, dopotutto.»

«Aye, sei Legolas, un Elfo molto ridicolo» corresse Gimli, aggrottando di più le sopracciglia «Adesso, cosa succede? Sospiri – e lacrime? Che mi vuoi dire, ragazzo?»

«Ragazzo» ripeté Legolas con improvvisa amarezza, e si rigirò lentamente una ciocca dei capelli di Gimli attorno al dito, guardando il rosso che brillava, intenso come sangue nella debole luce delle torce «Aye, ed ecco il cuore della questione. Io sono di stirpe Elfica. Tu sei mortale. Io ero adulto quando il padre del padre di tuo padre era solo un bimbo piangente. Ero freddo davanti alle parole di Tauriel e al suo cuore caldo e alla loro situazione disperata. Li imprigionai e derisi, ed ero felice. Ero felice

«Legolas, stai bene?» Gimli mise la mano su quella di Legolas, avvolta nei suoi capelli «Non ha senso quello che dici! Stai piangendo per Haldir?»

«Oh, è così duro, è doloroso da guardare» esclamò Nori. Poi si girò verso Thorin. «Diglielo. Mahal sotto, ti prego, diglielo.»

«Non Haldir, anche se il mio cuore piange per lui» disse Legolas, e i suoi occhi erano sull'enorme, dura mano di Gimli, avvolta strettamente attorno alle sue lunghe dita bianche «Quella tristezza passerà presto, ma questa? - Oh, questa sarà il dolore silenzioso della mia vita, temo.»

«Non avrò pietà per i mutevoli cuori degli Elfi» ringhiò Thorin sottovoce, ma sapeva che la sua voce non era convinta.

La bocca di Gimli si strinse. Poi la sua mascella robusta si tese sotto la sua barba e disse: «il mio Signore è qui.»

Le testa di Legolas si alzò si scatto. C'era vero panico nei suoi occhi.

«Potrei chiedere a lui» disse Gimli, e alzò la mano libera e dolcemente portò la bella testa di Legolas giù fino al suo livello «Lui vede molto e sa molto, il mio grande Re, il mio custode e cugino. Potrei chiedergli così ti ferisce così.»

«Gimli» Legolas stava implorando «Meleth nín, no.»

La fronte di Gimli toccò quella dell'Elfo. «Non lo farò» disse gentilmente «Non ti farei una cosa del genere. Ma dimmi, Legolas. Cosa ti affligge? Cosa ti ferisce qui?»

Il respiro di Legolas divenne un singhiozzo, i suoi pugni si strinsero sui capelli selvaggi di Gimli – e finalmente, finalmente gli occhi di Gimli si allargarono.

«Io» disse in un mezzo sussurro «Legolas, io ti ferisco?»

Nori fece un urlo strozzato in gola, tirandosi le trecce della barba.

«No» disse Legolas debolmente, e chiuse i suoi lucidi occhi Elfici e si appoggiò più pesantemente alla fronte di Gimli, confidando che la grande forza di Gimli l'avrebbe tenuto su «Non mi ferisci. Non mi ferisci mai. Vorrei qualcosa che non può essere, ecco tutto.»

«Cosa non può essere? Cosa ti causa tanto dolore, se non io?» chiese Gimli, e Thorin si irrigidì.

«Vuole scioglierti le trecce, stupido...!» urlò Nori. Thorin gemette.

«Non è nulla» sospirò Legolas «Solo la notte e la birra. Starò bene, mio più caro amico.»

L'espressione di Gimli non era convinta, ma permise all'Elfo la sua dolorosa ritirata e parve accettare le deboli scuse. Si alzò in punta di piedi e diede un bacio ruvido alla bella fronte. «Andiamo allora, povero Elfo affogato nella birra, cerchiamo i nostri letti.»

«Aye» disse Legolas, e si raddrizzò lentamente «Ascolta! Posso sentire Gandalf.»

«Quale porta?»

«L'ultima»

Gimli annuì e fece un grande sbadiglio, strofinandosi un occhi col pugno. «Oh, la mia testa

«Anche la tua testa di pietra deve far male ogni tanto» disse Legolas tentando di ritrovare la sua normale leggerezza, e Gimli ghignò.

«Meglio di avere una testa piena di foglie! Però, potrei dormire per un anno o due. Ti farò strada: c'è qualcuno che dorme sotto degli arazzi davanti a noi, e posso mostrarti dove mettere i piedi.»

Legolas annuì, e Gimli gli diede un colpetto sul braccio prima di fare strada. Poi si fermò e guardò dietro di sé. «Legolas, puoi dirmi qualsiasi cosa. Spero tu lo sappia. Non ti deriderei, ne ferirei per tutto il mithril di Khazad-dûm.»

Legolas fece un sorriso forzato. «Lo so. Grazie. Nessun Ellon ebbe mai un amico simile.»

Gimli sostenne lo sguardo di Legolas per un momento, e poi annuì e inizio a barcollare verso la fine del corridoio.

Il sorriso di Legolas cadde, e lo sguardo sul suo volto era lacerato oltre ogni misura. La sua testa si chinò: l'espressione fu oscurata dalla cascata dorata dei suoi capelli. Poi camminò dietro al Nano con il passo sicuramente più pesante che un Elfo avesse mai avuto.

Mentre seguiva il Nano, le sue dita si alzarono e toccarono la propria fronte con un tocco delicato e pieno di domande.

«L'aveva quasi detto» disse Thorin, sentendo la tensione che lo lasciava solo per diventare... tristezza? Per l'Elfo? Mai.

Ma non poteva negare di conoscere quell'espressione e quel dolore. Sapeva com'era avere il proprio cuore davanti agli occhi ed essere incapace di allungare una mano a stringerlo.

«Cosa l'ha fermato?» disse Nori frustrato «L'aveva quasi detto – e io avrei vinto il giro di scommesse!»

Thorin lo guardò.

«Ve bene, l'ho truccato e vincerò lo stesso» borbottò Nori, e scosse la testa dalle trecce elaborate «Però avrei guadagnato una bella somma in una questione privata fra me e il tuo illustre padre.»

«'adad ha fatto una scommessa privata?» Thorin batté le palpebre. Thráin di certo era stato molto silenzio a riguardo.

«Ci avrei guadagnato anche piuttosto bene» borbottò Nori, guardando male Gimli «Dopo tutte le nostre imprese, mi ripaghi così? Mi vergogno di te, mio caro. Mi vergogno e mi stupisco di te. Quante volte ti ho sponsorizzato nei tornei il Giorno di Durin?»

«Sponsorizzavi anche i suoi rivali» mormorò Thorin.

Nori gesticolò con la mano. «Ma tutti sapevano che le possibilità migliori le avevo col piccolo Signorino! Cosa lo ha fermato? Perché quel dannato Elfo non ha parlato? In genere non riesci a farlo star zitto!»

Thorin cercò di ignorare il groppo nella sua gola e la comprensione nel suo petto quando rispose con voce più ruvida di quanto avrebbe dovuto essere: «Non pensa a se stesso. Pensa a Gimli. Pensa a ciò che c'è fra loro, a tutti i modi in cui siamo divisi da tradizioni e abitudini e tempo. Non l'hai sentito? Ha parlato di mortalità, e della nostra prigionia nel Bosco Atro e del Capitano della Guardia...» si interruppe.

Kíli.

«Devo parlare con mio nipote» disse improvvisamente, e l'impazienza era forte nella sua voce «Devo parlare con lui ora

TBC...

Note:

Ent: della creazione degli Ent si parla nel Silmarillion. Sono i veri figli di Yavanna (e non gli Hobbit, come è diventato fanon popolare – scusate, scusate, scusate!), creati quando ella pianse del terribile danno che i Nani (e in modo minore, gli Uomini) avrebbero e stavano facendo ai suoi lavori più amati, gli alberi. Pregò Manwë perché fossero create creature protettrici degli Olvar (piante) del suo dominio, e a questo punto furono creati gli Ent. Erano le creature più forti di tutte, abili di frantumare la pietra fra le dita come pane. I troll non furono creati dagli Ent (come gli Orchi vennero creati dagli Elfi), ma piuttosto furono un'imitazione della loro forza.

Cram – il pan di via degli Uomini di Dale. Simile al lembas, ma molto meno buono. Descritto come interessante “solo come esercizio masticatorio”.

Istari – gli Stregoni. Questi erano spiriti Maiar mandati attraverso le nebbie tra Aman e Arda per camminare sulla Terra di Mezzo e aiutare i Figli di Ero Ilúvatar contro il male di Sauron. Erano cinque, dei quali Curumo (poi Saruman) era il più grande. Curumo era un Maia di Aulë. Gli altri erano Alatar (Morinehtar), Aiwendil (Radagast), Pallando (Rómestámo) e Olórin (Gandalf). Ognuno di loro prese la forma di un vecchio Uomo, e ognuno aveva un “colore” col quale era conosciuto: Saruman era bianco, Alatar e Pallando erano blu, Aiwendil era bruno e Olórin era grigio.

Alcuni dialoghi presi dai capitoli “La Via che Porta a Isengard”, “Relitti e Alluvioni” e “La Voce di Saruman” e dai film.

La “Canzone degli Inizi” è un lavoro originale di determamfidd. La canzone di Legolas è “Il Canto di Beren e Lúthien”, che parla di una delle unioni più appassionate tra Elfo e Mortale nella storia di Arda. Si parla anche della “Canzone del Bagno” di Bilbo, che è cantata da Pipino nel capitolo “Una Congiura Smascherata” della Compagnia dell'Anello.

L'Uomo della Luna è Rimasto Alzato Troppo Tardi” (La Canzone della Locanda) sembra fosse stata scritta da Bilbo (come detto nel capitolo “All'Insegna del Puledro Impennato”). Però viene cantata da Bofur nell'edizione estesa del primo film de Lo Hobbit. Siccome Ered Luin e la Contea sono abbastanza vicine, è stato raggiunto un compromesso rendendola una canzone in comune dell'Eriador.

Traduzione della Canzone degli Inizi:
In principio eravamo pietra e la pietra era morta,
E la pietra era dura e fredda.
La pietra fu presa e la pietra fu intagliata
Nell'oscurità dei giorni antichi.
Le mani che ci amarono ci fecero segreti e forti;
La mente che ci lavorò seppe che non dovevamo essere;
Una nota discordante nella primeva Canzone.
Benedetto sia Mahal e la pietà dell'Unico.

In principio eravano pietra e la pietra era muta
E la pietra non ha volontà propria.
Mahal ci diede la sua volontà e ci mosse col suo amore,
E noi pensammo solo i suoi pensieri.
Poi cantammo con le sue parole e vedemmo coi suoi occhi;
Provammo le sue grandi gioie e sospirammo i suoi sospiri
E tutto ciò che facemmo fu ciò che aveva progettato.
Bendetto sia Mahal e la pietà dell'Unico.

In principio eravamo pietra e la pietra era spaurita,
Perché ogni cosa desidera crescere.
Fummo trovati imperfetti e coperti di vergogna,
E scoprimmo paura e dolore.
E tutti i nostri pensieri furono nostri e anche lo era la nostra volontà;
Lontani dalla fatale martellata ci ritraemmo,
E piangemmo quando Mahal si preparò a distruggere il suo lavoro.
Benedetto sia Mahal e la pietà dell'Unico.

In principio eravamo pietra e la pietra divenne carne,
E la carne era nuova e pura.
L'Unico guardò noi con compassione e Mahal con amore,
E ci permise di resistere.
I Sette furono incatenati in un sonno profondo braccia,
Contro la venuta dei Figli i loro segreti sarebbero stati mantenuti;
Nell'oscurità e nella pietra fummo messi a dormire.
Benedetto sia Mahal e la pietà dell'Unico.

Alla fine saremo carne, e la carne cadrà,
E le nostre vite saranno riportate alla pietra.
Il mondo sarà rinnovato alla fine dei giorni:
Ancora i nostri lavori saranno di Mahal solo.
E noi guariremo le grandi ferite nella pelle della terra;
Canteremo con le nostre parole; proveremo il nostro grande valore.
Non ci dimenticheremo mai che eravano pietra alla nascita;
Benedetto sia Mahal e la pietà dell'Unico.

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventinove ***


Bifur si mise comodo e guardò suo cugino Barur che preparava piatto dopo piatto di stufato. Il terzo figlio di Bombur e Alrís era un Nano rotondo e robusto con dei baffi tremendamente folti e castani (di cui andava molto orgoglioso). Le sue mani si muovevano con la massima precisione, senza mai esitare. La quantità giusta era versata in ogni ciotola, e non una sola goccia cadde.

«Ecco qua» disse, e sistemò il vassoio, strofinando le mani sullo straccio sotto il suo grembiule. Le sue mani erano piene di più scottature e cicatrici di quelle di qualunque fabbro, con segni di coltello sulle dita, bruciature qua e là, una o due unghie annerite e una callo enorme causato dalla sua mannaia preferita tra il pollice e l'indice. «Portali via. Non mangiare niente!»

Il piccolo Nano davanti a lui batté le palpebre innocentemente. «Non lo farei mai!»

«Ti conosco, cugino» disse Barur Panciapietra, guardando il ragazzino con sospetto «Il vassoio va a tua madre in infermeria, e non ai tuoi amichetti. Andrò a chiedere dopo, vedi se non lo faccio!»

«Barur» frignò il ragazzo, e picchiò il piede e alzò gli occhi al cielo «Non ruberò della zuppa!»

«Uhm» Barur si raddrizzò e incrociò le braccia sulla sua famosa pancia. Non si era guadagnato il suo epiteto per via della sua dimensione (che era considerevole: la robustezza di Barur lo rendeva soggetto di molti sguardi ammirati) ma grazie alla sua abilità di mangiare praticamente qualsiasi cosa – e anzi, cucinarlo in modo che avesse un buon sapore. Si diceva che avesse reso commestibili persino del cibo Elfico. «Direi di no. Conterò i biscotti nel barattolo, però.»

«Baaaaaaarur» gemette il ragazzino, scuotendo la testa rossa «Andiamo, per favooooore?»

«Quando torni, khuzdith, e non prima» disse Barur severamente «Allora darò a te e ai tuoi amici un biscotto a testa e non uno di più. Se non ti va bene, parlane con tua madre.»

Il Nanetto mise il broncio mentre prendeva il vassoio di piatti nelle sue manine robuste. «Oh, va bene» concesse, e storse il naso «Non sembra nemmeno interessante.»

«Non dovrebbe essere interessante, è per i convalescenti. Nutrimento, puro e semplice» rispose Barur nel suo modo scontroso «Muoviti ora, Gimizh, prima che si raffreddi.»

Bifur sorrise mentre il più piccolo dei suoi cugini faceva la linguaccia al più largo, prima di scappare via col vassoio stretto al suo corpo.

«Gliele avrei date col mestolo, se fossi stato in te» commentò Albur. Il piccoletto che Bifur ricordava solo vagamente come bambino era diventato un Nano settantottenne dal volto allegro, coi capelli accesi di Bombur e l'eterno ottimismo di Alrís. Era un cuoco apprendista dal suo famoso fratello, anche se non sembrava fosse molto bravo con il cibo (se non quando si trattava di mangiarlo).

«Beh, tu sei il più giovane, alla fine impari ad essere paziente» grugnì Barur, e accarezzò la testa di suo fratello minore. Poi i suoi occhi si strinsero. «Hai già spennato quei polli?»

«È un lavoro disgustoso» disse Albur, facendo una smorfia.

«Aye, e tutti devono iniziare coi lavori disgustosi. È così che funziona un apprendistato. Mahal pianse, non sei nemmeno a metà!» Barur scosse la testa, i grandi baffi tremarono di irritazione «Levati di mezzo, lo farò io. Pigro! Abbiamo solo un'ora o giù di lì prima che i Signori e le Signore debbano mangiare il loro pasto serale! Dannazione, non avrò tempo per arrostirli. Volevo arrostirli. Ah, li bollerò!» si piegò nel lavandino accanto ad Albur e le penne iniziarono a volare.

Bifur ridacchiò vedendo lo sguardo offeso di Albur. Non spesso il celebrato cuoco parlava bruscamente ai suoi fratelli. Barur non aveva il minimo interesse nell'amore o nei piaceri del corpo, ma era estremamente devoto ai suoi fratelli e sorelle e alla loro enorme orda di figli. Albur in particolare, come minore degli undici fratelli di Barur, era abituato a essere viziato. Era cresciuto nello splendore e nelle comodità di Erebor, e non aveva assaggiato le difficoltà conosciute dai suoi fratelli maggiori.

Per quanto indulgente fosse Barur, però, c'era una cosa che poteva renderlo teso come Orla, ed era la sua amata cucina. «Mizùl» disse Bifur a Albur, mettendosi comodo e incrociando le dita sullo stomaco «Ti servirà, cugino!»

Albur gemette e si abbassò quando le penne iniziarono a finirgli nei capelli e sul naso, facendolo sternutire.

Bifur decise di lasciarli (l'aria attorno a Barur stava rapidamente diventando una tempesta di penne) e vago senza metà per il labirinto che erano le cucine di Erebor. Erano un dedalo di stanze dopo stanze, tutte con uno scopo diverso. C'erano sale per fare il pane coi loro enormi formi e c'erano scale che portavano a scure cantine scavate nella roccia. Nuvole di fumo scappavano da dietro una porta, e Bifur capì che le stanze per l'affumicatura erano di nuovo in uso (tutta la montagna avrebbe puzzato di prosciutto per giorni), e i cuochi si davano da fare ovunque.

Dei vassoi erano passati attraverso ogni porta e messi in mano a ogni Nanetto di età e dimensione ragionevole, tutti chiamati in servizio temporaneo. I messaggeri normali non c'erano più. Tutti i Nani abili che non erano membri attivi del personale delle cucine, delle fabbriche di armi o dell'infermeria erano stati mandati sulle mura a fare da ausiliari, messaggeri e aiutanti sotto lo sguardo attento del Quartiermastro Dori. Ogni Nano lavorava per aiutare i guerrieri; ognuno faceva la sua parte per sconfiggere gli assedianti.

Era come doveva essere. Con così pochi alleati, solo un piccolo contingente di arcieri Elfici, e nessun altro aiuto, ogni mano era necessaria. Il loro esercito era parzialmente privo di addestramento, dopotutto, e avevano perso troppi buoni soldati ottant'anni prima. Per la barba di Durin, ne avevano persi troppi negli ultimi due secoli per sperare di poter ricostruire le grandi armate dei giorni antichi.

Bifur riconobbe il maggiore di Dwalin dal suo ciuffo di capelli neri a mo' di cresta e dalla sua scura pelle Nerachiave, ma il ragazzo corse via dopo solo un momento, le braccia piene di pelli d'acqua. Poi la testa rosso acceso del figlio di Bofur tornò in vista, e Bifur ghignò e accelerò per raggiungerlo.

Il piccoletto stava cantando piano tra sé e sé attraversando le cucine. I suoi piccoli piedi si muovevano a ritmo, e ogni tanto saltellava di lato per evitare uno dei cuochi che passavano di fianco. «Bijebruk, bijebruk, sort the iron from the muck» canticchiò, evitando una Nana con un'enorme pentola bollente, prima di andare in uno dei molti corridoi laterali che portavano via dalle cucine e verso i livelli superiori. Bifur lo seguì. «Pile it in a rattly truck and take it to the fire» cantò, e iniziò a trotterellare tra le sale verso l'infermeria.

Aveva un bel ritmo, e Bifur si trovò a canticchiare insieme a lui dopo un po'.

[Gimli's Ered Luin Mining Song rifatta, come cantata da Gimizh. Composta ed eseguita da notanightlight]

«Cosa ti ho detto di quella canzone?» una voce tagliente interruppe Gimizh, e lui per poco non fece cadere il vassoio per lo spavento.

«Oooh, Mamma!» gemette «Mi hai spaventato a morte!»

«Vivrai» disse Gimrís, divertita. Prese il vassoio da suo figlio e se lo appoggiò contro a un fianco mentre gli lisciava la tunica «Non la devi cantare, mi hai capito?»

«Zio Gimli la canta» disse Gimizh ribelle, sopportando le attenzioni di malavoglia.

«Tu non sei Zio Gimli, mio akhûnîth, e se lui canta ancora una delle sue oscene canzoni di Ered Luin intorno a te, anche il tuo grande eroe scoprirà di non essere troppo vecchio per delle sculacciate» disse Gimrís «Ora dove devi andare?»

«Devo prendere le cose dalla camera del consiglio» disse Gimizh «Odio andarci, Mamma. Tutti sono così seri e tesi, e l'unico che sorride mai è il Re.»

«Ritieniti fortunato» disse lei asciutta «Io ho nove feriti solo in questa sala, uno di loro da una freccia, più una Nana con le doglie. Potresti dover lavorare in infermeria.»

Gimizh fece una faccia straordinaria. «Teso è meglio che urlante tutto il giorno.»

«Esatto, inùdoy» disse lei, e gli rimise una delle sue disordinate ciocche di capelli rossi nelle trecce, prima di accarezzare la peluria sulla sua mascella «Hai dato fastidio a Barur stavolta?»

«Non tanto» disse lui indignato «Sono stato bravo, giuro!»

«Questo è il mio ragazzo» disse lei, e premette il volto nei suoi capelli per un momento, respirando profondamente. Bifur chinò il capo e sospirò. Sarebbe stato sempre difficile per qualsiasi guaritore, ma questi erano giorni particolarmente duri. Oltre alle ferite, il normale ciclo di salute e malattia non si fermava mai, nemmeno per la guerra. La straordinaria bellezza di Gimrís era sciupata dalla stanchezza, e i suoi occhi gloriosi erano quasi inghiottiti da cerchi neri. C'era del sangue sul suo grembiule. «Questo è il caro ragazzo.»

La mano di Gimizh si alzò e prese la treccia di sua madre come rassicurazione, e madre e figlio rimasero immobili in silenzio per un momento.

Poi Gimrís si raddrizzò e fece un sospiro rassegnato. «Va bene, meglio se non fai aspettare troppo quei vecchi barbe bianche. Aspetta il vassoio, mio caro, non ci metterò molto.»

Lei sparì con la zuppa, e Gimizh si morse il labbro mentre aspettava, tirando calci ai muri per un minuto o due. Poi si guardò attorno, gli occhi seri, e la sua mano scese nella sua tasca e tirò fuori un biscotto sbriciolato.

«Barur non ne sarà felice» gli disse Bifur mentre il Nanetto lo divorava in tre morsi, leccando le briciole dalla mano con la linguetta rosa «Posso dirti per esperienza personale che è meglio non sottovalutare un Ur con un mestolo.»

Gimizh si pulì le mani il più in fretta possibile, e sembrava innocente come un agnellino appena nato quando sua madre riapparve col vassoio vuoto. «Tieni» disse, sembrando di fretta «Il parto di Geri ha delle complicazioni, caro – devo andare.»

«Starà bene?» esclamò Gimizh, e Gimrís si passò la mano tra i capelli rosso acceso «E quello della freccia?»

«Non lo so» ammise «Ma al bambino non importa un pezzo di carbone se c'è la guerra o meno. Va ora, inùdoy, ci vediamo a cena. Non dar fastidio a Barur!»

«Non lo farei mai!» disse Gimizh con offesa dignità, e prese il vassoio e corse via per il corridoio.

«Mentire non è una buona cosa, figlio mio!» gli urlò dietro Gimizh, prima di sospirare e correre nella sua ala.

Bifur gemette ai suoni che venivano dall'interno, e poi corse via dietro al suo cuginetto. Gimizh quantomeno era facile da seguire. La sua testa rossa era come un faro mentre attraversava le sale di Erebor sui suoi piedi rapidi, i piccoli stivali che risuonavano contro alla roccia. Presto i corridoi si aprirono nei sentieri aperti e sopraelevati nel cuore della Montagna, e Bifur iniziò a riconoscere luoghi dove era stato molto tempo prima. Intagli elaborati sui pilastri e pietre lucide sui pavimenti annunciarono che erano vicino a aree molto più eleganti delle cucine o dell'infermeria. Stavano andando verso le Sale del Consiglio Reale.

Gimizh rallentò mentre la strada sopraelevata lo portava in una vasta caverna decorata di pietra verde e marmo nero, il soffitto rinforzato e decorato d'oro. Davanti a lui era un grande tavolo, pieno di pergamene e fogli e boccette di inchiostro, e dietro di esso sedeva il Re. Attorno a lui i suoi consiglieri litigavano, e l'alta strana forma dell'Elfo era lì vicina, le mani che si muovevano rapidamente mentre discuteva con la Lady Dís.

Dáin si illuminò visibilmente quando Gimizh si avvicinò. «Ah, cuginetto» disse nella sua voce ruvida «Sei venuto a pulire un po', allora?»

«Sì, Sire» disse Gimizh, e poi guardò la gente che discuteva. Dís aveva iniziato a picchiare un piede (non era mai un buon segno), e Dwalin stava soffiando furiosamente a Bomfrís, che lo guardava con la mascella spinta in fuori in maniera impertinente. La faccia dell'Elminpietra era rossa di furia mentre abbaiava contro Glóin, e il rumore combinato era una totale cacofonia. «Eh. Non va molto bene, quindi?»

«Oh, veramente va abbastanza bene» disse Dáin, scuotendo una mano «Vuoi essere attento quando la politica diventa troppo educata, ragazzo mio. Non è un buon segno, fra i Nani.»

«Quello è un Elfo però» disse Gimizh. Poi arrossì.

«Ben detto» disse Dáin, ridendo «Vedo che non ti sfugge nulla, azaghîth. Forse dovrei renderti un membro del Consiglio?»

«Gimizh!» giunse una voce, e Glóin discese come una coperta affettuosa, prendendo in braccio suo nipote e baciandogli la guancia con uno schiocco. Il crack! che la sua schiena fece raddrizzandosi fu molto, molto forte. «Ecco il mio piccolo guerriero! E sua maestà farebbe meglio ad avere un altro della nostra linea nel Consiglio invece di certi quarzi scheggiati con cui devo avere a che fare...»

«Cosa hai detto?» chiese una vecchia Nana brizzolata che Bifur vagamente ricordava essere veterana della Battaglia delle Cinque Armate.

«Mettimi giù, Nonno» Gimizh si contorse imbarazzato, notando che era diventato il centro dell'attenzione «Devo prendere i piatti e le cose e portare tutto a Barur...»

«Scusami, ne sono certo» disse Glóin, ghignando mentre metteva giù il Nanetto «Presto sarai troppo grosso perché io ti sollevi, mio unday, quindi lasciamelo fare mentre posso.»

«Sono troppo grosso ora» disse Gimizh imbronciato.

«Questo è vostro nipote?» disse una voce limpida, e Bifur si voltò per vedere l'Elfo che guardava Gimizh con qualcosa di vicino alla soggezione.

La barba bianca di Glóin si gonfiò. Era ancora una vista impressionante vedere quei capelli e quella barba che si gonfiavano di giusta furia, pensò Bifur ammirato. «Aye, mio nipote Gimizh» disse Glóin – non maleducatamente, ma con un deciso tono di non provare a fare niente di strano, scivoloso bastardo mangia-erba.

Laerophen sembrò non rendersi conto che ogni Nano stava ora guardando lui e non il giovane. Il suo volto rimase superiore e impassibile, nemmeno un muscolo si mosse, ma Bifur notò il colore vagamente rosato delle punte delle sue orecchie. «Le mie scuse, Lord Glóin» disse con un piccolo inchino «Non intendevo insulto o minaccia. È passato molto tempo dall'ultima volta che il mio popolo vide dei bambini – l'ultimo nacque quasi cent'anni fa.»

Glóin si sgonfiò, sembrando afflosciarsi come un gatto al sole. «Oh. Beh, Gimizh qui non è il più piccolo nella Montagna, decisamente no. Ma il più piccolo della nostra casa. Venticinque anni ora, o sbaglio ragazzo?»

«Sì, Nonno» borbottò Gimizh, guardando l'Elfo con grandi occhi marroni. Poi esclamò: «tu sei davveeeeero alto. Perché non hai la barba? Sei stato vittima di un orribile incidente?»

Ogni Nano fu improvvisamente vittima di una terribile tosse.

«Oh, Gimizh» sospirò Dís, quasi inudibile, e poi chinò la testa grigio ferro verso l'Elfo «Le nostre scuse.»

Ma Laerophen non sembrava minimamente offeso. Stava ancora fissando Gimizh come se il piccoletto fosse in qualche modo miracoloso, e le sue labbra di erano leggermente incurvate. (Bifur non era un esperto quando si trattava di leggere le faccia degli Elfi, ma quello decisamente sembrava un sorrisetto. Forse.) «Non sono offeso, Signora» disse. Poi si girò di nuovo verso Glóin e si inchinò nuovamente. «È un bel bambino, e dovreste esserne orgoglioso.»

«Uhm, questo è da ricordare» si disse Dáin, e la luce nei suoi vecchi, vecchi occhi era luminosa e allegra «I nostri bambini, uhm. Qualcosa che abbiamo in comune infine.»

«Zurkur mahabhyûrizu, abhyûrizu» aggiunse Bifur.

Il Generale Orla, il suo volto scuro impassibile come sempre, fece un passo avanti con la grandi ciotole del loro pasto pomeridiano in mano. «Forse dovrei portare il mio più piccolo al Consiglio» disse tranquillamente, e ignorò lo sbuffò cinico che arrivò da suo marito.

«Non riusciremmo a decidere nulla. Frerin è a quell'età dove deve far notare tutto» borbottò Dwalin a Glóin, che ridacchiò.

«Balin?» suggerì, e le labbra di Orla tremarono.

«Peggio. Non riusciremmo mai a sfuggire alle domande»

Gimizh alzò il vassoio così che Orla potesse appoggiarvi le ciotole, e poi iniziò ad allontanarsi dalle sale del Consiglio ora molto più calme. «Eh. Me ne vado allora» disse con esitazione.

«Ci vediamo dopo, piccolo tizzone ardente» disse Glóin, sorridendo. Bomfrís sbuffò e alzò gli occhi al cielo (ma arrossì in maniera spettacolare quando l'Elminpietra le prese la mano).

«I bambini di Erebor, arruolati in guerra» disse Laerophen mentre il Nanetto teneva in equilibrio vassoio e piatti, prendendo i calici vuoti in giro per la stanza «La situazione è peggiore di quanto ci avevate detto. Mio padre...»

«No, smettila» disse Dáin severo, sedendosi più dritto nella sua sedia «I nostri bambini fanno ciò che devono per tenere Erebor al sicuro. Nessuno è messo in pericolo, ma tutti in questa Montagna, dal più giovane al più vecchio, fanno la loro parte.»

«Ma venticinque anni» protestò Laerophen, sembrando incapace di fermarsi.

«Scusami, sono un Nano grande» borbottò Gimizh, abbastanza forte perché gli altri lo sentissero.

Glóin fece rapidamente il segno per basta in Iglishmêk mentre i Nani circostanti cercavano di non ridere. Poi si incupì e aggiunse: smettetela di ridere ORA o vi rado la barba con la mia ascia!

«Aye, venticinque anni» disse Dáin, e sorrise. Le linee attorno ai suoi occhi divennero più profonde, e si indicò alzando un sopracciglio bianco. «Non lo penseresti mai guardandomi, ma avevo solo sette anni più di questo piccoletto quando combattei ad Azanulbizar. I giovani saranno giovani, ma non pensare che i loro sforzi siano di poco conto. Sanno cos'è importante.»

Bifur batté le palpebre, e poi guardò il vecchio Re con occhi nuovi. «Avevi trentadue anni?» esclamò, e poi scosse la testa. Trentadue era tremendamente – no, oscenamente – giovane per andare in battaglie, tanto meno diventare uno degli eroi. Poi Bifur ricordò che il padre Náin e la madre Daerís di Dáin erano morti in quella battaglia, rendendolo in un colpo solo orfano e nuovo Signore dei Colli Ferrosi.

«Balakhûn» disse con profondo rispetto.

«Ragazzo, ho un compito per te» disse Dáin, alzando la sua vecchia voce, e piegò le dita per chiamare Gimizh. Gimizh barcollò col vassoio per un momento per la sorpresa, e Glóin ebbe pietà di lui e lo prese prima che cadesse tutto.

«Devo, Nonno?» sussurrò Gimizh.

«Temo di sì» disse Glóin solennemente «Quello è il Re. Vai, ci penserò io ai piatti dopo.»

«Dì a Barur che non ho rubato dei biscotti, per favore?» gli occhi di Gimizh erano pericolosamente grandi e luminosi.

Glóin ridacchiò. «Ah, pensi che non conosca quella faccia? Non dirò mai menzogne simili, mio piccolo tesoro. Vai!»

Gimizh sospirò, un'espressione martirizzata sul volto. Poi si girò e andò verso la sedia di Dáin. «Che devo fare?» disse.

Glóin gli fece delle facce urgenti.

«Vostra maestà» aggiunse Gimizh.

Glóin si sgonfiò con un enorme respiro.

L'Elminpietra stava coraggiosamente cercando di non ridere, e Bomfrís non ci provava nemmeno. Stava ridacchiando apertamente mentre Dáin tirò su il mento del ragazzo con una vecchia mano nodosa. «Ora, non servono queste formalità, il giovane Gimizh e io ci capiamo» disse con un sorriso «Puoi rispondere a una domanda, ragazzo mio?»

«Eh» Gimizh guardò i generali e i dignitari attorno a sé, prima di fissare nel panico suo nonno che annuiva rapidamente «Sì?»

«Grazie» disse Dáin solennemente «Pensi di essere troppo giovane per i lavori che ti sono dati e per aiutare i tuoi amici e la tua famiglia?»

Gimizh si gonfiò in modo così simile a Glóin che Bifur dovette ridere e dare una gomitata al suo vecchio compagno. «Niente paura!» disse «Posso farlo! Le cucine vanno bene: meglio dell'infermeria, comunque. Mio Zio Gimli potrebbe ammazzare tutti gli Orchi fuori dai cancelli, e posso farlo anch'io!»

Dís fece una piccola, triste risata. «Oh, akhûnîth» si disse, e alzò gli occhi al soffitto «Me lo fai mancare ancora di più, piccolo monello.»

In quel momento risuonò un enorme boom.

«Un'altra catapulta, versante Nord» predisse Dwalin «Dovremmo distruggere di nuovo i loro motori.»

Dáin annuì, e poi tornò a girarsi verso Gimizh. «Ti ricordi come andare nelle fucine?»

«Posso andare alle forge?» Gimizh si illuminò.

«Ho pensato che l'avresti preferito alle cucine» Dáin guardò Laerophen, che fissava Gimizh con fascino stregato «Mi servono le nuove cifre dalla Regina. E poi, vai all'imboccatura del Grande Tunnel. Questo sarà il tuo dovere. Lascia le cucine ai tuoi amici: tu ora sei i miei occhi e le mie orecchie, figlio di Bofur. Quando tuo padre torna, lo voglio sapere in quel preciso secondo, chiaro?»

Gimizh annuì furiosamente, facendo rimbalzare le trecce. «Sissignore!»

«Bravo ragazzo» Dáin si appoggiò allo schienale, e poi allungò la sua gamba troncata picchiò distrattamente il ginocchio con le dita mentre Gimizh se ne andava «Ah, dannato questo freddo. Thorin, ragazzo mio, quando torni ai bastioni?»

L'Elminpietra guardò Bomfrís, e poi alzò il mento robusto. «Prenderò il turno di notte» disse «Gli Orchi si agitano al buio, e...»

Il tono di Laerophen era leggermente meno arrogante quando finì con: «e gli Elfi vedono meglio alla luce.»

«Hai mangiato a malapena a pranzo. Non ammalarti, tua madre mi scuoierebbe» disse Dáin brusco «Dovresti dormire mentre puoi se devi fare la guardia tutta la notte. Farò io il turno pomeridiano: starò attento a quelle dannate torri d'assedio. Non vanno sottovalutate.»

La testa dell'Elminpietra si alzò. «'adad, non dovresti...» iniziò, i suoi occhi blu Durin che si riempivano di preoccupazione.

«Zitto, inùdoy, ho combattuto più battaglie di quante riesca a ricordarmene. Mi vuoi dire di non difendere casa mia mentre l'armatura mi entra ancora e le mie mani riescono a tenere su l'ascia?» Dáin alzò entrambe le sopracciglia aspettando una risposta che non venne. L'Elminpietra rimase in silenzio, e poi abbassò lo sguardo. «Pensavo proprio.»

«Devo trovare Mizim» disse Glóin, guardando il vassoio nelle sue mani «Sta difendendo Collecorvo dall'alba.»

«Aye, va a cercare tua moglie» annuì Dáin, e poi guardò la Nana brizzolata «E tu, Genild?»

«Non guardare me, mia moglie non mi ringrazierà se la interrompo» grugnì lei.

Dáin fece un piccolo: «Ah ha! Novità dai versanti Orientali?»

«Nulla. Nessun movimento nelle pianure, e nessun motore. Il Fiume Flutti impedisce attacchi frontali» disse lei.

«Bene. Allora ci aggiorniamo» disse Dáin, e sospirò «Giusto, qualcuno mi prenda il piede. Quella dannata cosa è caduta di nuovo.»

Bifur storse il naso quando Dís di piegò lentamente per prendere la protesi e porgerla al Re. Era allarmante quanto rigida stesse diventando – quanto rigidi stessero diventando tutti. Anche se i Nani raramente diventavano fragili con l'età e anzi divenivano forti come vecchio tek, come il tek diventavano anche duri e rigidi e scricchiolanti.

Lui si girò per vedere Bomfrís che tirava dolcemente una ciocca dei capelli neri dell'Elminpietra. «Devo andare» disse piano «Devo rilevare Mizim.»

«Rimani al sicuro» mormorò lui e le baciò la mano callosa e rovinata «Ti vedrò domattina.»

«Non se entro di nuovo di nascosto nelle tue stanze» disse lei, stringendo la mano attorno a quella di lui «Forse dovrei. Forse ti sorprenderò quando torni dai bastioni Settentrionali – e tu tornerai dai bastioni Settentrionali, Thorin. Ti infilzerò con ogni freccia della mia faretra se non lo fai.»

«Quando non mi sorprendi, mio cuore?» disse lui, un po' asciutto, e lei sorrise, battendo le ciglia.

Bifur chinò la testa. «Ah, âzyungâlhith» disse intenerito. Poi si chiese cosa stesse facendo Ori, e se sarebbe riuscito a convincerlo a riposarsi un po' – e magari a farsi coccolare un po'. Non avrebbe dovuto lavorare ogni minuto del giorno che Mahal gli dava: non gli faceva bene. Non c'era da stupirsi se il povero Nano si irritava tanto per il suo orario.

Il Consiglio si stava disperdendo. Nessuno sembrava sapere cosa fosse stato effettivamente deciso, ma sembrava che lo scopo fosse stato condividere informazioni (e LITIGARE) piuttosto che fare dei nuovi piani. Le loro strategie erano già state fatte: ora non era il momento di pensarci ancora. Bifur si guardò attorno mentre Glóin lo superava, vassoio in mano, e la forma silenziosa di Orla scivolava al fianco di Dáin, professionale e taciturna come sempre. L'Elfo girò sui tacchi e iniziò a camminare sui sentieri rialzati, la veste che gli svolazzava dietro. Bifur si fermò e lo guardò.

Non era quella la strada per gli appartamenti dati agli arcieri Elfici.

La curiosità ebbe la meglio di lui, e iniziò a seguire l'Elfo.

Dopo qualche svolta, parve che Laerophen stesse andando verso le fucine. Le sopracciglia di Bifur si alzarono. Gli servivano altre frecce? La risposta si presentò dopo un'altra svolta, quando la piccola forma saltellante di Gimizh comparve davanti a loro.

«Oooooh» sussurrò Bifur, e poi guardò l'Elfo «Sei fortunato che Gimrís non sia in giro. Ti terrebbe in punta di coltello.»

«Piccolo!» lo chiamò Laerophen, ma Gimizh parve non sentirlo. Stava cantando di nuovo, un'altra canzoncina volgare che richiedeva un saltello, un passo e un calcio ogni due parole. «Piccolo!»

Gimizh si fermò e si girò, una mano dietro la schiena. Poi i suoi occhi si allargarono. «Oh. Ciao?»

«Saluti» disse Laerophen, e poi rimase fermo, apparentemente senza sapere cos'altro dire.

Gimizh aspettò un momento, e poi disse: «Ti sei perso? Perché va bene, anch'io mi perdevo. Ma sono migliorato. Però sono un Nano, so girare sottoterra. Scommetto tu non ci sia abituato. Picchi spesso la testa?»

La bocca di Laerophen si mosse, e poi lui sorrise. Era un sorriso piccolo e poco allenato, ma era lì. «Casa mia è sottoterra, piccolo. Non sono così poco abituato come pensi. Mi chiedevo se forse tu ed io avremmo potuto vedere la Regina insieme» disse inclinando un poco la testa. Bifur lo osservò. Il fratello maggiore di Legolas assomigliava a Thranduil più del principe più giovane, con un volto ovale e sopracciglia spesse. I suoi occhi erano blu, ma i suoi capelli erano oro pallido, quasi l'argento dei Sindar e non i colori più scuri degli Elfi Silvani.

«Hai battuto Bomfrís con l'arco» lo accusò Gimizh «Ho perso il mio giocattolo di Dwalin contro Piccolo Thorin per colpa tua.»

Laerophen sembrava confuso. Bifur non gliene dava colpa. «Ah... mi dispiace?»

«Beh, è andata bene, perché ne ho avuto uno migliore. Di mio Zio Gimli. È in Missione» disse Gimizh, gonfiando il petto «Le missioni sono molto meglio di brutti assedi cadenti ogni giorno.»

«Quindi è tuo zio che viaggia con mio fratello» mormorò Laerophen, e chinò la testa verso il piccolo Nano «Entrambi siamo stati privati di qualcuno che amiamo. Vorresti camminare con me e farmi compagnia in loro assenza?»

Gimizh sembrava dubbioso, ma fece spallucce. «Ve bene allora» disse, e tirò fuori la mano da dietro la schiena. Stava tenendo un altro biscotto sbriciolato. «Vuoi?»

L'alto, superbo Elfo si chinò e cautamente prese un pezzo del biscotto. «Ti ringrazio» disse solennemente.

«Va bene, posso sempre prenderne un altro» disse Gimizh, e si mise il resto in bocca «Fi qua» aggiunse fra le briciole, e iniziò a trotterellare per il corridoio.

Bifur guardò l'Elfo che curiosamente si metteva in bocca l'angolo del biscotto, e ghignò quando gli occhi blu si spalancarono in deliziata sorpresa.

Le forge erano enormi e magnifiche come Bifur le ricordava. Le enormi fonderie soffiavano e fumavano come un drago dormiente, e ovunque risuonavano i suoni dei martelli e le urla dei lavoratori. Vi erano Nani ovunque, che lavoravano come formiche. Lui si coprì gli occhi contro alla luce del metallo scaldato.

«Devi attraversarli per arrivare alle forge» urlò Gimizh sopra al caos «È divertentissimo!»

Laerophen non sembrava d'accordo.

Gimizh trottò avanti qualche passo, e il respiro dell'Elfo si mozzò per l'orrore. Un Nano stava arrivando portando un enorme numero di spade, e un altro stava correndo con un secchio pieno di acqua dal pessimo odore, e un altro ancora sollevava pezzi rossi di metallo in aria per essere piegati nella forma corretta dai giganteschi martelli della fonderia. Nel caos camminava il Nanetto, completamente a suo agio.

«Muoviti!» urlò «Va tutto bene! Nessuno ti farà male!»

Il borbottio di Laerophen fu chiaramente udibile per Bifur. «E quanto a te, piccola mela d'autunno? Queste talpe ti vedono qui?»

«Guarda e impara» gli disse Bifur.

Era come una danza. Bifur la ricordava bene, dai suoi anni in miniera. Ogni Nano sapeva dove doveva essere, e ogni cambiamento era immediatamente notato. La completa familiarità del lavoro e del posto di lavoro voleva dire che la minima differenza era come una nota sbagliata in una canzone amata. Anche se la concentrazione non diminuiva mai, i passi si muovevano in risposta a quella nota sbagliata e così la danza sarebbe ricominciata. Il movimento, il lavoro, la completa fiducia nei tuoi compagni, il suono di metallo sulla roccia – Bifur non si era mai aspettato di sentirne la mancanza.

Gli occhi alieni di Laerophen osservarono l'enorme caverna, studiandola. L'istante in cui capì, la sua intera postura cambiò leggermente – solo leggermente, ma Bifur percepì lo stesso che il cambiamento era profondo.

«Nan belain» sussurrò l'Elfo, e poi con un turbine di capelli argentati e abiti verde maggiolino, Laerophen si era unito alla danza.

«Così!» urlò Gimizh avanti «Ora hai capito!»

L'Elfo girava e si abbassava e scattava con grazia, quasi come Legolas coi suoi coltelli. Attorno a lui, i Nani si muovevano in perfetto concerto. L'aria di fredda superiorità di Laerophen era svanita. Al posto della severa concentrazione della battaglia o del disprezzo superbo e impassibile che in genere vestiva, stava sorridendo.

«Ti chiedo perdono» disse, ridendo deliziato quando arrivarono dall'altra parte delle vaste caverne «Davvero è divertente. Ne avevo dubitato.»

«Non l'avevi mai fatto» disse Gimizh, senza fiato e sorridente «Forse non sei così strano: sei andato bene per la prima volta. Vieni! Le fabbriche di armi sono di qua.»

Ancora sorridendo, Laerophen seguì senza lamentele o esitazioni.

Come Barur, la Regina Thira aveva un laboratorio a parte. La sua forgia era luogo di dedizione, di estrema virtuosità nel lavorare i metalli, gioielli e legno. Più piccola e molto più calda della enorme fonderia, la sua forgia era ora sotto il controllo della guerra. Invece di lavori di meravigliosa bellezza e squisiti dettagli, ora centinaia e centinaia di armi non decorate (ma perfettamente bilanciate e affilate come un rasoio) uscivano dalle sue porte in file ordinate e regolari.

Gimizh si coprì gli occhi per la luce della forgia aperta, e poi iniziò a trottare tra i tavoli che riempivano la fucina. «Eccola là» disse, indicando una panca lontana dove due Nane sedevano, le teste chine su qualcosa. Una terza sedeva allo stesso tavolo, poco lontana.

Laerophen e Bifur seguirono la loro piccola guida.

Avvicinandosi, Bifur udì la Regina che diceva. «no, non va bene. Deve essere più lunga, ricordi?»

La piccola Nana bionda accanto a lei si raddrizzò sul suo sgabello e si spinse gli occhiali sulla testa. «Ma altezza, stiamo finendo il legno adeguato» ringhiò, e poi vide l'Elfo che si avvicinava «Parli di un problema e guarda! Appare!»

La Regina Thira, il volto magro sporco di grasso, si alzò di colpo. «Lord Laerophen» disse nella sua voce bassa «Cosa vi porta qui?»

«Un piccolo messaggero» disse lui, indicando davanti a sé.

«Ciao, vostra Reginità» disse Gimizh senza la minima traccia di timidezza «Ancora io.»

«Ah, monello» disse lei, rilassandosi e alzandosi una delle maniche che aveva iniziato a scenderle lungo il braccio «Un messaggio?»

«Il Re vuole le ultime cifre» disse Gimizh, tirandosi le basette mentre guardava l'altra Nana che prendeva il suo lavoro e lo rimetteva in un tornio «Mi ha mandato qui invece che alle cucine di nuovo, che va bene perché Barur probabilmente sarà arrabbiato con me.»

«Biscotti ancora?» disse la Regina «Davvero?»

«Non è colpa mia se sono così buoni» disse Gimizh irritato «Come dovrei fare a fermarmi, non lo so.»

Laerophen sembrava piuttosto stupefatto capendo di aver mangiato parte di un biscotto rubato.

Bifur fece del suo meglio per non scoppiare in una risatina immatura.

«Vedo che il piccolo si è già guadagnato una fama, e a una tale tenera età» disse Laerophen, la voce un pochino strozzata.

«Mezza Erebor conosce Gimizh figlio di Bofur. Se fosse abbastanza grande per un appellativo, sarebbe Gimizh Ladro di Biscotti» confermò la Regina «Aspetta qui, piccolo, e ti darò subito in conti. Cosa vi porta qui con cotanta compagnia, Lord Laerophen? Di certo un Elfo non può essere a suo agio nelle nostre fonderie...»

«Ha ballato la danza» disse Gimizh agitando una mano «Sta bene. Barís, che ci fai qui?»

Bifur alzò lo sguardo. La Nana vicina che condivideva il tavolo era invero nientepopodimeno che la celebrata cantante, Barís Linguacristallina. Lei si tirò su, raddrizzando la schiena. Davanti a lei era una piccola montagna di punte di freccia, e accanto un sacco di legnetti dritti. «Cugino Gimizh» disse, e gli fece l'occhiolino «Cosa ci guadagno a non portarti subito da mio fratello?»

«Ah, Barís, dai, fai la brava» gemette Gimizh, e poi le corse incontro sotto alla panca per darle un breve abbraccio di dovere «Va bene?»

«Non so, non era un pagamento sufficiente» disse Barís, la meravigliosa voce solenne e gli occhi che brillavano. Gimizh ringhiò sottovoce, e poi diede alla sua cugina più grande un abbraccio decisamente più lungo. «Meglio. Considerati al sicuro.»

«Non capisco perché poi a tutti piacciano tanto gli abbracci» borbottò Gimizh, e si piegò quando Barís gli spettinò i capelli «Smettila!»

La Regina si coprì la bocca per nascondere il suo sorriso. «Cercherò i rapporti. Aspetta qui» in un turbine di trecce nere e argento, era sparita nella cacofonia delle fonderie sotto di loro.

«Allora perché sei qui?» chiese la Nana bionda. Bifur non poté evitare di notare che gli occhi di Barís scattarono verso di lei l'istante in cui parlò.

«Sono venuto a offrire il mio aiuto, se posso» disse Laerophen con un piccolo inchino «Non sono un artigiano come il tuo popolo, ma posso intagliare un arco e impennare delle fredde abbastanza bene.»

«Non hai cosa migliori da fare?» disse la Nana irritata.

«Preferirei camminare sotto le stelle e all'aria aperta, ora che me ne parli, ma dato che mi è stata negata la possibilità tutto quello che posso fare è mangiare, combattere e litigare» disse Laerophen con una nota di stizza «Ho notato che la vostra libreria è carente in fatto di parole in una lingua civilizzata, e non sono un guaritore. Ma se il mio aiuto è indesiderato...»

«Uhm» la bionda incrociò le braccia «Mordi quando vieni infastidito, o no? Beh, devo farti lo stesso una domanda.»

«Chiedi» disse Laerophen brusco. Gimli lo guardò accigliato.

«Che è successo? Sei diventato strano di nuovo. Smettile, non mi piace»

Barís si schiarì la gola. «Ti darà il tormento» mormorò «Ti avverto.»

Laerophen si ammorbidì guardando il Nanetto. «Mi dispiace» disse in voce più gentile, e i suoi occhi andarono alla Nana bionda «Trovo che la mancanza di stelle e canti di uccelli abbia un pessimo effetto sul mio umore a volte.»

La bionda immediatamente decise che la questione era senza importanza, e si tirò vicino il suo lavoro. «Passando a cose più importanti» disse impazientemente «Guarda! Stiamo finendo il legno leggero per le frecce, e non possiamo rifornirci. Però i vostri archi lunghi hanno bisogno di frecce più lunghe delle nostre. Andrebbe bene sostituire parte del legno con della bauxite? È leggera e resistente...»

Laerophen si accigliò. «Può essere simile al frassino che usavamo? Se fosse troppo diverso l'equilibrio sarebbe distrutto e tutta l'accuratezza persa.»

«Posso provare» disse la Nana, anche lei guardando accigliata il suo lavoro. Poi sembrò accorgersi di non essersi presentata. «Oh, Bani, a proposito. Bani figlia di Bana.»

«Forse potresti farne un prototipo» suggerì Barís.

«Sì, forse» disse Bani, distratta. Si rimise gli occhiali sul naso e selezionò una delle frecce con occhio pratico. «Odio lavorare col metallo» borbottò, e prese un lungo sottile coltello da intaglio.

«Forse mio fratello Bibur potrebbe aiutare. Lavora con il metallo. Potrei chiedere» disse Barís esitante, e Bani annuì distrattamente.

«Bene, sì, buona idea. Grazie Barís.»

Il volto di Barís si aprì nel suo caldo, dolce sorriso. «Prego.»

Fu un peccato che Bani non alzasse lo sguardo per vederlo.


«Kíli. Vorrei parlare con te.»

Kíli guardò Thorin con occhi preoccupati, le mani strette attorno all'elsa della sua spada. Davanti a lui, Fíli abbassò le sue lame gemelle lentamente. I due giovani Nani ansimavano leggermente, la fronte di Fíli era leggermente umida e i capelli di Kíli erano appiccati alla sua fronte per il sudore.

«Thorin» disse Fíli, battendo le palpebre «Stai bene? La tua faccia...»

«Vorrei parlare con te» ripeté Thorin, e internamente si sgridò per il suono duro della sua voce «Kíli. Vieni con me» venne fuori come ordine brusco invece che come richiesta, e Thorin gemette e aggiunse: «se ne hai tempo.»

«Certo» disse Kíli immediatamente, rinfoderando la sua spada sulla sua schiena e avanzando.

Fíli guardò tra suo fratello e suo zio diverse volte, la fronte corrugata. Fece girare le sue spade una volta prima di rimetterle nei foderi con una pratica mossa del polso. «Hai bisogno di me?»

«Parlerò con te dopo, namadul» promise Thorin, e accarezzò brevemente la testa dorata di Fíli «Avremo tempo per noi. Lo giuro.»

Fíli non sembrava geloso e annuì, guardando Kíli con un'espressione piena di un qualche significato.

«Lo so, lo so» borbottò Kíli, e spinse la spalla del fratello con la sua «Vattene, rompiscatole.»

Fíli sorrise, e poi Kíli stava tirando la manica di Thorin, il mento spinto in avanti e le labbra strette mentre trascinava il Nano più vecchio dalla sala di allenamento.

«Cosa succede?» chiese lui, lasciando che Kíli lo trascinasse dove voleva.

«Fíli pensa di essere divertente» borbottò Kíli, prima di essere tirato improvvisamente quando Thorin piantò i piedi, fermandosi dov'era «Ah.»

Thorin aspettò, sapendo che suo nipote avrebbe capito il messaggio alla fine.

Kíli tirò il braccio di Thorin senza effetto un paio di volte, incapace di spostare il Nano più pesante. Poi alzò gli occhi al cielo e lo lasciò, incrociando le braccia e allontanando lo sguardo. «Vuoi parlare di Elfi, non è così?» disse brusco.

Thorin era così sorpreso da non sapere come reagire. Aprì la bocca, ma non ne uscì nulla. Sentì il suo volto che si tirava nell'espressione scura che assumeva sempre quando veniva preso alla sprovvista.

Per fortuna non parve che a Kíli importasse. «Fíli lo sta dicendo da settimane ora, da quando Nori ha fatto la scommessa o anche di più – sangue di Durin, potrebbe essere da quando Legolas e Gimli sono diventati amici» continuò, strisciando il piede contro al pavimento di pietra «Lo sapeva. E sono stato così attento!»

Ancora nessuna parola venne da Thorin, e poté solo fissare suo nipote in silenzio. Kíli lo guardò, e fece una smorfia a qualsiasi cosa vedesse nel volto di Thorin.

«Va bene» sospirò «Troviamo un posto dove Óin o Balin o Bisnonno non possono trovarci. Avrebbero la mia barba, per quello che è.»

«Kíli...» riuscì a dire Thorin, ma Kíli gli stava tirando un braccio di nuovo.

«La tua forgia» disse «Andiamo.»

Thorin si arrese e gli permise di trascinarlo nuovamente.

La sua forgia era ancora un disastro. Non vi aveva messo piede da giorni, non dalla note seguente la sua rabbia distruttiva, e quindi il pavimento era ancora coperto di schegge di vetro e ceramica. Ovunque erano lanciati pezzi di metallo piegati e contorti in forme bizzarre.

«Però» disse Kíli, sembrando impressionato «Come nel nome di Mahal hai fatto a spezzare in due un attizzatoio?»

Thorin ringhiò.

«Giusto, giusto» disse, e si passò una mano fra i capelli eternamente spettinati. Poi si guardò i piedi. «Eh. Cosa vuoi sapere?»

«Legolas» iniziò Thorin, e poi si interruppe. Si passò lentamente una mano sul volto, e poi si allungò per prendere gentilmente le spalle di Kíli. Ancora una volta, l'altezza e la robustezza del ragazzo lo sorpresero. Anche se sapeva che i suoi nipoti erano guerrieri forti e coraggiosi, era così facile – così facile – vedere le loro faccine sporche che lo guardavano dai suoi ricordi: sentire la calda presa di una manina sulle sue dita.

Le mani di Kíli erano ancora piccole, rispetto alle sue. Settantasette anni, a malapena adulto.

«Avresti potuto crescere ancora» si disse, prima di scuotere la testa «Siediti, mio nidoyel. Non sto per interrogarti. Non è mia intenzione, lo giuro.»

Kíli sembrava ancora preoccupato, ma si lasciò guidare fino al tavolo da lavoro. Un'estremità era scheggiata a causa dei colpi di un'ascia, ma l'altra era stata tagliata di netto dalla spada di Thorin, e il resto era abbastanza resistente da sopportare il peso di un Nano. Thorin lo fece sedere gentilmente ma fermamente, prima di trascinare la colonna di legno che era stata base della sua incudine e sedersi davanti a lui.

«Parlami, Kíli» disse, e poi fece un respiro profondo prima di esalare lentamente «Parlami del Capitano della Guardia. Se vuoi.»

Il giovane Nano esitò, e poi i suoi occhi scuri si chiusero. «Io... non...»

«Hai mantenuto il segreto per ottant'anni» disse Thorin, e spinse indietro nuovamente i capelli matti di Kíli «Di certo vorrai parlarne? Non sei mai stato taciturno prima.»

«Ehi!» protestò Kíli, prima di fare una smorfia «Beh, ne ho parlato con Fee, veramente. Era l'unico a sapere, e a vedere e capire, oltre a Bofur comunque – e lui è ancora vivo. Quindi era Fíli o nessuno, anche se Nonna ascoltava ogni tanto – e Papà qualche volta – oh, e il nostro Creatore – comunque, Fee... probabilmente l'ho annoiato a morte, ad essere onesto.»

«Puoi parlare con me» disse Thorin, quando Kíli esitò di nuovo aggiunse: «Non mi arrabbierò, namadul. Una volta, aye, l'avrei fatto, ma ora – no. Sono arrabbiato, sì. Ma non con te.»

«Per qualche motivo non credo che Tauriel sarà il tuo argomento di conversazione preferito» mormorò Kíli, e poi si fece forza come se si stesse preparando a mettere una mano nel fuoco «Sì. Bene. Eh... non so da dove iniziare.»

«Come lo sapevi?» iniziò Thorin, ingoiando il sapore acido sulla sua lingua «L'Elfa, come sapevi di importarle?»

Kíli si accigliò. Lo faceva apparire più vecchio di decenni, dando forse a Thorin modo di vedere un indizio del grande Signore dei Nani che sarebbe diventato. «A loro importa. È... è ovvio. Provano emozioni come noi, Zio, solo che vivono molto più a lungo.»

«Ma non è un problema questo?» insistette Thorin «Come può una razza così diversa da noi provare emozioni come noi? Noi non siamo nulla per loro.»

«Non è vero» disse Kíli immediatamente «Si tengono sotto controllo, ovviamente. Farebbe male, tutti quegli anni – tutti coloro che sono persi e tutte le perdite. Fa male a te, di continuo, e tu hai vissuto solo due secoli... quasi. Immagine viverne dieci, o venti, o cento! Quanto profondamente potresti essere ferito, e quanto terribili le tue cicatrici!»

Thorin si incupì.

«Quindi penso che tengano le loro emozioni a distanza, per non esserne feriti troppo profondamente» Kíli scrollò le spalle «Ma lo capivo. Lei mi guardava, e io capii che vedeva me. Me, Kíli. Non solo un Nano. Sapevo di averla raggiunta.»

«Ma come facevi a dirlo?» ripeté Thorin, e si raddrizzò.

Lui alzò una spalla. «Allo stesso modo in cui tutti possono. Era sul suo volto, nei suoi occhi» fece un sospiro silenzioso, abbassando le spalle «Era tutto reale e vero, vero come il fatto che io sieda qui e ti veda. Il suo volto si muoveva come quello di chiunque altro, e i suoi occhi non potevano nascondere le sue emozioni. I suoi occhi verdi, verdi come i boschi che amava. Ballavano, sai. Brillavano quando ascoltava. Mi guardava come se le mie parole avessero dipinto un mondo strano e bellissimo per lei. Mi guardava, e io sapevo che lei capiva che la pietra era più di una pietra.»

«Di certo non ti mostrava tanto affetto» sbuffò Thorin.

«Sì invece!» Kíli scattò, e i suoi occhi lampeggiarono «Invece . Lei... lei rise.»

«Rise di te?» ringhiò Thorin. Le sue spalle si tesero di riflesso mentre lui si piegava in avanti «Come ha osato...»

«No, 'ikhuzh! Ha riso a causa mia, sì, perché avevo fatto una battuta!» esclamò Kíli.

«Quindi non eri altro che un diversivo, un divertimento?» i pugni di Thorin si serrarono. Come aveva osato...!

«È una bugia!» per il suo distratto stupore, Kíli gli ringhiò contro «Smettile! Smetti di saltare alle conclusioni peggiori!»

«Di rado mi sbaglio quando si tratta di Elfi» rispose Thorin, e le spalle di Kíli si raddrizzarono di colpo. Il suo intero volto era in fiamme.

«Ti sbagli stavolta» ringhiò «Dici di non credere che loro provino emozioni come noi – non stai solo ripetendo le loro stupide menzogne sui Nani? È sbagliato! E ti sbagli anche su Legolas – e lo sai!»

Thorin fischiò, ma non poté evitare di vedere la completa convinzione nello sguardo di Kíli. Il suo pazzo, incosciente, spettinato nipote senza barba non era mai sembrato tanto un vero Principe. La testa era tenuta orgogliosamente e le sue spalle erano larghe, e il volto brillava, un fuoco feroce era nei suoi occhi.

«Se davvero dicevi la verità» continuò Kíli con voce dura «prima, quando hai detto che avresti ascoltato? Allora ascolta!»

Thorin ingoiò la propria rabbia, che ribolliva lentamente e con calore da qualche parte sotto al suo stomaco. Inclinò la testa e fece segno a Kíli di continuare.

Kíli mantenne il suo sguardo duro su suo zio per un momento come per controllare che Thorin non l'avrebbe interrotto di nuovo né si sarebbe infuriato ancora. Poi si rilassò un poco, piegando le spalle. Il suo respiro era ancora forte e rapido. «Bene. Bene. Tauriel.»

«Tu feci una battuta» disse Thorin con bocca che pareva piena di sabbia. Le parole avevano un pessimo sapore.

«Bene» disse Kíli con voce più dolce, e un piccolo sorriso tirò l'angolo della sua bocca «Bene. Io feci una battuta davvero tremenda. Sai, il genere di battute che facevamo a Gimli e Ori e Mastro Boggins. Per spaventarla.»

Thorin si ricordò degli scherzi. «Gimli sapeva di non dovervi prendere sul serio, e Bilbo imparò in fretta» disse «Cosa fece l'Elfa?»

«Il suo nome era Tauriel» gli ricordò Kíli, anche se non c'era rabbia. Anzi, sembrava nostalgico. «Vuol dire “figlia del Bosco”. Me lo disse Ori una volta, dopo essere morto. Lei non aveva paura di una stupida vecchia maledizione. La sua vita era piena di mostri e pericoli e oscurità, e i suoi giorni passavano combattendo. Cos'è una pietra runica, al confronto?»

«Tauriel, allora» disse Thorin, e i suoi denti si strinsero «Rise, hai detto.»

«Come se si fosse quasi dimenticata come fare» disse Kíli, raddrizzandosi. I suoi occhi si ammorbidirono. «Come se non l'avesse fatto per anni, e così ogni risata era una nuova delizia per lei.»

Fu con un vuoto allo stomaco che Thorin riconobbe il desiderio nella voce di suo nipote.

Lui conosceva quel desiderio.

In malora tutto!

Prima l'amore negli occhi del cucciolo di Thranduil, e ora la luce nel volto di Kíli mentre parlava del Capitano della Guardia. Il cuore di Thorin affondò fino ai suoi stivali. Mahal maledica e condanni tutto alla notte eterna! Non c'era un desiderio che lui non comprendesse? Ogni amante separato gli avrebbe ricordato il suo Hobbit? Nulla – nulla – poteva rimanere com'era?

Si accorse vagamente di stare digrignando i denti udibilmente, e rilassò la mascella con grande sforzo.

Kíli continuò. «Lei – lei sorrideva come se la sua bocca fosse stata fatta per i sorrisi, ma lei si fosse dimenticata da tempo come farne. Sembrava sorpresa del fatto che avrei scherzato con lei. Io rimasi sorpreso quando lei scherzò a sua volta.»

«Lei... reciprocava» disse Thorin lentamente, e poi si massaggiò un occhio a cui era venuto un leggero tic «Ovvio.»

«Era divertente» disse Kíli, e sorrise ancora; non il suo solito ghigno da furfante, ma un piccolo sorriso pieno di tristezza «Lo era davvero. Prendeva quello che le tiravo e me lo restituiva allo stesso modo. Pensava che io fossi incosciente.»

«Tu sei incosciente» borbottò Thorin «E poi?»

«E poi mi parlò delle stelle» disse Kíli lontano «Mi disse di come lei a volte camminava, sotto gli alberi, oltre la foresta, nel cielo notturno dove il mondo intero sparisce. Là poteva sentire il tocco della luce stellare così amata dal suo popolo, così preziosa e pura. Come una promessa.»

«Le stelle sono fredde e lontane» grugnì Thorin. Kíli rise.

«Ah, davvero? Qualcuno potrebbe mai chiamare Gimli freddo? Eppure lui è una stella, o sbaglio?»

La bocca di Thorin si chiuse di scatto.

«Io le dissi della luna infuocata gigante che vidi quando avevo cinquant'anni» continuò Kíli, dolce malinconia nella sua voce «Lei ascoltò. Mi ascoltò, e poi sorrise come se nella sua bocca tenesse tutti i segreti del mondo.»

«Ti salvò» si ricordò Thorin.

«Lo fece» disse Kíli, e le sue mani si rilassarono e si aprirono sulle sue ginocchia «Fíli dice che stavo balbettando cose orrende quando lei arrivò a casa di Bard e uccise gli Orchi. Dicevo ogni sorta di idiozia. Devo essere sembrato proprio un imbecille.»

Thorin poteva immaginarlo – e non voleva. «Ti salvò perché stavi parlando?» disse taglientemente «Cosa le hai detto? Le rivelasti qualcosa della Missione?»

«Nah» disse Kíli, e guardò di nuovo Thorin «Parlavo di lei, veramente.»

Poi fece un respiro profondo e si guardò le mani. Il suo eterno sorriso svanì, e il suo volto divenne lungo e tirato. «Parlo sempre di lei. O lo farei. Se potessi.»

Thorin trattenne la lingua e incrociò davvero lo sguardo di suo nipote – e poi gli si mozzò il respiro. Settantasette anni erano così pochi, ma Kíli sembrava vecchio e debole come mai prima. Solo una cosa poteva ferire un Nano tanto profondamente, senza lasciare segni tangibili. Suo nipote aveva davvero trovato la sua Uno, e poi l'aveva davvero persa.

E per carità di Thorin, aveva tenuto il suo amore un segreto.

«Namadul» disse, colpito, e poi si alzò e si tirò vicino suo nipote «Vieni qui.»

Kíli andò ubbidientemente fra le sue braccia, ma si tenne rigido e teso. Thorin gemette dentro di sé.

«Kíli. Mi dispiace per il mio sospetto» disse, e spostò indietro la spettinata, folta frangia che cadeva sulla fronte di Kíli «Mi dispiace. Perdonami.»

Il respiro di Kíli si mozzò.

Thorin serrò gli occhi per un secondo. Io non sono il mio orgoglio. Io posso ammettere i miei errori. Io ho imparato le mia debolezze, mio Bilbo. Âzyungel, mio amato, una volta io volli mostrarti com'ero cambiato. Ora dovrò anche imparare a ingoiare carboni ardenti?

Lasciò che il respiro uscisse dai suoi polmoni, e aprì gli occhi. Il giovane Nano fra le sue braccia era stranamente fermo e silenzioso, e ciò che rimaneva delle domande e obiezioni di Thorin svanì come nebbia al sole. Questo era Kíli. Questo era il suo leale nipote, il suo unday, che l'aveva seguito fino alla morte per proteggerlo fino all'ultimo respiro. Questo era il Nano che faceva petizioni costanti al loro grande Creatore per l'amore perduto di Thorin, non per il proprio. Diede un bacio alla spettinata testa scura. «Io non sono come te» mormorò «Io non vedo le cose come te, anche se ci provo. Io devo fallire di continuo, sembra. Tu sei sempre stato al mio fianco per tutti questi decenni, mi hai dato supporto a ogni svolta, in ogni umore nero, e ancora non avevi parlato. Mi confortasti quando infine io riconobbi Bilbo come il mio Uno, eppure tu stesso rimasi in silenzio per tutti questi anni... temendo la mia rabbia. Kíli, io sono stato cieco.»

Ci fu un piccolo suono contro al suo petto, come se Kíli stesse cercando di fermare dei singhiozzi.

«Devo chiedere ancora il tuo perdono, nidoyel» disse Thorin nei capelli di Kíli, e sospirò di nuovo «Posso solo sperare te ne rimanga abbastanza.»

«Certo che sì, sta zitto» disse Kíli, soffocato e con voce rotta. Le sue mani strinsero i bicipiti di Thorin abbastanza forte da lasciare dei lividi. «Ti perdono, va bene? Solo...»

«Non restare più in silenzio, Nathânûn» disse Thorin, e alzò il volto malizioso verso il proprio «Lei rise. Lei rise per te, Fiume Ridente» sorrise tristemente «Certo che lo fece. Cos'altro fece?»

Kíli si congelò, e poi le sue mani strinsero le maniche della tunica di Thorin. «Io sapevo» disse con un piccolo singhiozzo. Poi le parole uscirono come un fiume in piena. «Sapevo che era lei, e sapevo che avevo dovuto trovarla e conoscerla. Non ci credevo. Non poteva essere lei, non potevo saperlo così presto, così in fretta. Sapevo di non essere fatto per cose simili – per camminare tra le stelle e toccare il cielo – ma lei ne parlava e io potevo vederlo. Lei parlava ed era come un incantesimo! Io giacevo in delirio e il mondo girava in cerchio, e lei parlava e io sapevo che era lei, anche se lei era un Elfo e io un Nano, e te e Smaug e Thranduil e un milione di altre terribili cose erano fra di noi. Lo sapevo. Lo vedevo, Thorin! Potevo vedere la luce che era in lei, illuminandola come la luce della luna, più luminosa delle gemme, più luminose dell'Archepietra! E pensai che forse era – solo forse, lei poteva...»

Thorin strinse forte suo nipote mentre Kíli parlava contro al suo petto, la sua presa che minacciava di strappargli la manica.

«Ma era solo un sogno» disse Kíli amaramente, e la sua testa cadde contro la spalla di Thorin «Era tutto solo un sogno. Ora la morte stessa è fra noi... e io non saprò mai se lei mi avrebbe potuto amare. Non lo saprò mai.»

Thorin spinse via la sua rabbia e il suo sospetto. Non c'era spazio per loro qui. Cautamente si strinse Kíli ancora più vicino. «Ah, no. Non posso crederci» disse, con tutta la dolcezza che possedeva «Tu sei facile da amare, Kíli.»

«Lei è morta, però» disse Kíli con voce piccola «Lei è morta, e io sono morto, e io non saprò mai se lei mi ritroverà quando il mondo sarà rifatto. Non lo saprò mai.»

«Lei è una cacciatrice» disse Thorin «E non importa cos'altro possano essere o fare, gli Elfi non dimenticano. Non possono. Quindi tieni forte la tua speranza e la tua risata, mio unday. Lei riderà ancora per te, lo giuro.»

«Lo spero» mormorò Kíli «Però ora è troppo tardi. Troppo tardi.»

«Aye, so come ci si sente» disse Thorin, e alzò il mento di Kíli per incrociare di nuovo i suoi occhi «So come ci si sente quando è troppo tardi.»

«Sì, direi di sì» disse Kíli debolmente. La sua fronte si corrugò. «Come fai a non essere arrabbiato ora?»

«Guardati attorno, namadul» disse Thorin asciutto.

«Oh. Oh, giusto»

Non è troppo tardi per Gimli giunse il rapido pensiero intrusivo, ma Thorin lo mise da parte. Poteva aspettare. Kíli aveva aspettato fin troppo.

«Kurdulu belkul, mia piccola gemma luminosa» mormorò «La rivedrai. Riderete di nuovo insieme.»

«Non lo pensi davvero» disse Kíli contro la sua magli, il suo respiro caldo attraverso il tessuto «L'avresti odiata. Tu odi gli Elfi. Li odi completamente, completamente.»

Thorin rimase in silenzio.

Poi la testa di Kíli si alzò di scatto, e fissò suo zio con larghi occhi cerchiati di rosso. «Tu non li odi?» disse in un mezzo sussurro.

Con dolorosa finalità, Thorin chiuse le palpebre e sentì ciò che rimaneva del suo odio che volava via, inutile e lacero.

L'imprecazione di Kíli era completamente stupefatta. «Ma...»

«Odierò per sempre Thranduil per ciò che non fece» disse Thorin, e le parole erano cenere e polvere nella sua bocca «Non posso perdonarlo per le migliaia di bambini lasciati alla fame dopo la venuta del Drago. Non posso perdonarlo per la sua stupida vendetta sulla nostra famiglia che costò tante vite. Lui sarà paziente nel modo della sua razza, ma io sono un Nano della Linea di Durin e non dimentico. Non posso cambiare tanto, nemmeno per Bilbo, nemmeno in più di ottant'anni.»

«Ma gli Elfi» disse Kíli, stringendo ancora di più le braccia di Thorin «Gli Elfi, però?»

Thorin strizzò ancora più forte gli occhi, e poi scosse la testa bruscamente. «No» disse rapido, e con quella piccola parola un terribile peso svanì dalle sue spalle, un peso che non aveva mai notato.

Batté le palpebre per guardare suo nipote davanti a lui. Il suo allegro, imprudente e coraggioso nipote, che aveva amato un'Elfa e non aveva mai visto realizzarsi il suo amore. Un legame tronco; strozzato; nato a metà.

Proprio come quello di Thorin.

Kíli lo stava fissando, la bocca spalancata e il volto completamente, totalmente stupefatto. «Io... io non li odio» ripeté Thorin in comprensione «Non li odio.»

Oh, si sentiva così leggero.


«Prima gli Ent. Ora questo» disse Lóni, la faccia bianca come il gesso.

Frár gli prese la mano e la strinse forte, senza parole.

«Nessuno a casa vorrà crederci» sussurrò Sam, gli occhi sbarrati e il volto onesto molle per lo stupore. Frodo giaceva accanto a lui mezzo nascosto dai sottili, contorti alberi che crescevano in ciò che un tempo era l'Ithilien Settentrionale. La sua bocca era aperta e lui guardava su – e su – e su.

Dietro di loro, Gollum frignava e si rannicchiava.

Il torreggiante muro di grigia carne rugosa di muoveva lentamente oltre la loro piccola scarpata come un'enorme nave di terra. Uomini erano sui ponti delle enormi piattaforme a baldacchino legate sulle creature, sembrando piccoli come topolini rispetto al loro mezzo di trasporto. L'animale più vicino alzò la proboscide e fece un assordante urlo.

«Sono Olifanti» disse Sam in meraviglia.

«No, no! Niente Olifanti, cosa sono Olifanti?» frignò Gollum, tirandosi ciò che rimaneva dei sottili capelli facendosi più piccolo che poteva. I suoi enormi occhi diventarono umidi alla luce del sole – la “Faccia Gialla”, come lo chiamava lui. Si morse le labbra sottili coi pochi denti anneriti.

Sam si schiarì la gola e iniziò a recitare:

"Grey as a mouse,
Big as a house,
Nose like a snake,
I make the earth shake,
As I tramp through the grass;
Trees crack as I pass.
With horns in my mouth
I walk in the South,
Flapping big ears.
Beyond count of years
I stump round and round,
Never lie on the ground,
Not even to die.
Oliphaunt am I,
Biggest of all,
Huge, old, and tall.
If ever you'd met me
You wouldn't forget me.
If you never do,
You won't think I'm true;
But old Oliphaunt am I,
And I never lie."

«Questa» disse, rilassandosi «è una filastrocca che conosciamo tutti nella Contea. Dunque esistono gli Olifanti, e io ne ho visto uno. Che vita!»

Frodo sorrise. Lóni quasi si rallegrò nel vederlo.

«Per fortuna c'è Sam» disse, afflosciandosi contro suo marito «Pensavo non avrei mai più visto Frodo sorridere.»

Frár guardò Lóni, e poi gli baciò gentilmente le nocche. «È davvero una bella cosa, avere qualcuno che ti fa sorridere» disse nella sua bassa, profonda voce.

«Sdolcinato» Lóni ghignò al suo amante più basso e scuro. Poi tornò a guardare la creatura gigantesca, scuotendo la testa. «Guarda quegli Uomini! Pittura rossa sulle loro guance, occhi e capelli neri, mantelli rossi, e anche le bandiere sono rosse. E indossano oro, un sacco d'oro; anelli e orecchini e bracciali. Scudi tondi, come i Rohirrim, ma coperti di punte! E quei tatuaggi – pensavo i Nani fossero l'unico popolo a praticare l'arte?»

«Forse l'hanno imparato dai Nani del sud» disse Frár, aggrottando le sopracciglia «Orla Lungascia è l'unico Nano degli Orocarni ad arrivare così a nord da secoli, ma di certo gli altri quattro clan ancora vivono.»

In quel momento, il terrore di Gollum parve sopraffarlo completamente, e lui corse via nel sottobosco.

Il sorriso di Frodo cadde immediatamente. «Sméagol?» chiamò più forte che osava «Sméagol?»

«Signor Frodo!» disse Sam improvvisamente «Mi sono appena ricordato – ho dimenticato di spegnere il fuoco!»

«Sam, no!» disse Frodo, prendendo il mantello dell'amico, ma appena si allungò uno strano suono sibilante risuonò nell'aria. Poi tutto d'un colpo il cielo si riempì di frecce e Sam barcollò indietro nella macchia, il respiro rapido.

«Siamo rimasti qui troppo a lungo» disse Frodo, e si tirò Sam più vicino e insieme gli Hobbit strisciarono più in profondità fra le felci e si inginocchiarono lì, ascoltando. «Chi sta attaccando i Sudroni?»

«Non saprei dirlo» sussurrò Sam «Non li ho visti.»

«Mi è parso di udire delle voci» disse Frodo, e prese la mano di Sam «Silenzio, ora, Sam!»

Sam trattenne il respiro, e così fecero anche Lóni e Frár.

C'erano davvero delle voci, e i passi pesanti della Gente Alta si avvicinavano alla loro piccola scarpata. Urla e il suono dell'acciaio echeggiarono sopra alla piccola valle, e poi un Olifante strillò di nuovo, accompagnato dalle urla agonizzanti di un Uomo morente. Gli occhi di Frodo erano larghi e cerchiati di bianco, ma quelli di Sam erano serrati strettamente.

«Andiamo a vedere» sussurrò Lóni.

«Noi non dobbiamo sussurrare» gli ricordò Frár. Lóni guardò male suo marito, e insieme strisciarono fuori da sotto le felci.

«Gondoriani» disse Frár, guardandoli.

«Un gruppo di ricognizione?» si chiese Lóni «Ma così profondamente in territorio conteso! L'Ithilien è stato avvelenato dalla Città della Stregoneria da secoli. Ci sono pochi nascondigli e poco da difendere!»

«Una volta però era parte di Gondor» gli ricordò Frár «Mille anni sono passati da quando Minas Ithil rifletteva la luce lunare, ma loro sono qui lo stesso. Non se lo saranno dimenticato.»

Lóni fece un sospiro e guardò le montagne accerchianti. Proprio oltre i picchi più vicini era la Valle di Morgul e la città dei Nazgûl – la città che un tempo era stata bella e meravigliosa, costruita da Isildur stesso molto, molto tempo prima. «Sembra che su certe questioni gli Uomini somiglino più ai Nani di quanto non credessimo» disse, sentendo una valanga di tristezza e comprensione «Non possiamo lasciarci dietro le nostre antiche case più di quanto non possano loro.»

La bocca di Frár di incurvò in asciutto apprezzamento dell'ironia. «Speriamo solo non gli costerà quanto Khazâd-dum costò a noi.»

«È da qui che veniva il fumo!» giunse un urlo molto vicino, e Frodo e Sam si rannicchiarono anche più strettamente «Questo non un campo Harad!»

«Se solo toccano il mio coniglio stufato» borbottò Sam, solo per essere messo al silenzio da una gomitata di Frodo nel fianco.

«Sarà da queste pari. Nelle felci, senza dubbio. Lo prenderemo come un coniglio in trappola»

Sam fischiò silenziosamente.

«Così capiremo infine che razza di creatura è» disse la voce che sembrava vagamente familiare. Era signorile e gentile e orgogliosa, ma stanca come può esserla solo quella di uno che ha conosciuto lunghi anni di fatiche, guerre e delusioni. «Andiamo.»

Improvvisamente quattro Uomini avanzarono fra le felci in direzioni diverse, e Sam e Frodo furono effettivamente in trappola. Si strinsero assieme e guardarono su quando i nuovi Uomini si rivelarono, tirando fuori le loro piccole spade e stando schiena contro schiena.

I volti degli Uomini erano chiaramente stupefatti. Erano alti, e due portavano lunghe lance mentre gli altri due archi lunghi. Erano vestiti di verdi e marroni di sfumature diverse per mimetizzarsi con la terra attorno a loro. I loro volti erano coperti fino al naso e indossavano dei cappucci, ma i loro occhi erano visibili e molto attenti e luminosi.

«Che cosa sono?» disse uno, meravigliato «Non abbiamo trovato quel che cercavamo. Non sono Haradrim, non sono Orchi, non sono quella creatura allampanata – cosa abbiamo trovato?»

«Elfi?» disse uno, gli occhi fissi su Pungolo.

«Nay» disse un altro Uomo – il più alto – avvicinandosi. I suoi occhi grigi erano fissi sui due Hobbit, e si abbassò la maschera che gli copriva il volto mentre si muoveva. La sua voce era quella signorile che avevano udito, e sembrava essere il capo del gruppo. «Questi non sono Nani, non hanno barbe. E nemmeno sono Elfi: non vi sono Elfi a spasso nell'Ithilin in giorni come questi. E poi gli Elfi sono meravigliosamente belli, a quanto pare.»

«Sarebbe a dire che noi non lo siamo, suppongo» disse Sam acido «Grazie infinite. E quando avrete finito le discussioni sul nostro conto, forse ci direte chi siete voi, e perché non lasciate riposare in pace degli stanchi viaggiatori.»

«Insolente» commentò Frár, divertito nonostante la serietà della situazione.

«Se l'è meritato» grugnì Lóni.

L'Uomo alto rise cupamente. «Io sono Faramir, Capitano di Gondor» disse «Ma non vi sono viaggiatori in queste terre: solo i servitori della Torre Oscura o della Torre Bianca.»

«Ma noi non apparteniamo né agli uni né agli altri» disse Frodo «E siamo davvero viaggiatori, checché possa dire Capitano Faramir.»

«Allora affrettatevi a rivelare chi siete e qual'è la vostra missione» disse l'Uomo severamente «Questo non è un posto adatto agli enigmi e alle confusioni. Coraggio! Dov'è il terzo membro della vostra comitiva?»

«Il terzo?»

«Sì, quel tipo scontroso. Ha un aspetto assai sgradevole. È riuscito a sfuggirci con chissà quale astuto stratagemma»

«Non so dove egli sia» disse Frodo, raddrizzandosi «È soltanto un compagno incontrato per caso sulla nostra strada, e io non sono responsabile per lui. Se ve ne impadronite, risparmiatelo – è solo una disgraziata creatura, ma sono incaricato di occuparmene per qualche tempo.»

«E perché mai una creatura simile sarebbe una tua responsabilità in un luogo così pericoloso?» Faramir si piegò. Il volto non mostrava segni di rilassarsi. Era passato molto tempo dall'ultima volta che gli Uomini di Gondor si erano fidati degli sconosciuti, persino quelli apparentemente innocui come un paio di Hobbit. «Perché siete venuti nell'Ithilien?»

La mano di Sam si strinse attorno all'elsa della sua piccola lama. «Signor Frodo» disse, rapido e basso e urgente. Frodo alzò una mano per fermare il suo amico, prima di girarsi di nuovo verso Faramir e aprire le spalle.

«Siamo Hobbit della Contea» disse con un piccolo inchino «Non siamo spie né servitori di Sauron. Il mio nome è Frodo figlio di Drogo, e questi è Samwise, figlio di Hamfast.»

«La guardia del corpo?» disse Faramir.

Sam fischiò. «Il giardiniere.»

Frodo mise una mano sul braccio di Sam prima di girarsi di nuovo verso Faramir. «Siamo giunti percorrendo lunghe strade – da Granburrone, o Imlardis come lo chiamano taluni.»

Qui Faramir sobbalzò e divenne attento. Frár diede di gomito a Lóni e indicò l'improvvisa attenzione dell'Uomo.

«Significa qualcosa per lui» disse «Granburrone. Cosa potrebbe essere?»

«Aye» borbottò Lóni, e storse il naso «Non dirmi che devo andare a correre in cerca del nostro mutûk melhekh Thorin...»

«No, non credo che questo Faramir voglia fargli del male» disse Frár, guardando l'Uomo intento «Non so come... ma... a te sembra familiare?»

«Sì» disse Lóni immediatamente «E Mahal mi aiuti, non ho idea del perché.»

«Sette compagni avevamo» continuò Frodo, cautamente abbassando e rinfoderando Pungolo e alzando le mani vuote per mostrare che non aveva cattiva intenzioni «uno lo perdemmo a Moria, gli altri li lasciammo a Parth Galen sopra il Rauros. Due della mia razza, oltre a un Nano, un Elfo e due Uomini: Aragorn figlio di Arathorn, e Boromir di Gondor. Forse lo conoscevi? Diceva di essere originario di Minas Tirith, una città del sud, e ne parlava spesso con nostalgia.»

«Conoscerlo!» esclamò Faramir.

«Boromir!» ansimarono gli altri quattro «Eravate della sua compagnia?»

«Boromir figlio di Sire Denethor» continuò Faramir, e una strana espressione salì nei suoi occhi «Avete viaggiato con lui? Sono notizie davvero sorprendenti, se sono vere. Sappiate, piccoli stranieri, che Boromir era Alto Guardiano della Torre Bianca, e nostro Capitano Generale, e ne sentiamo profondamente la mancanza. Chi siete dunque, e cosa vi accomunava a lui? Siate brevi, perché il sole sta salendo in cielo e dobbiamo andarcene prima che gli Haradrim vengano a vendicare i loro caduti!»

«Conoscete voi le enigmatiche parole che Boromir portò a Granburrone?» disse Frodo cauto.

Faramir annuì una volta, brevemente, e disse:

Seek for the Sword that was Broken.
In Imladris it dwells.

«Le parole ci sono ben note» si interruppe, e poi guardò gli Hobbit con meno sospetto «Il fatto che le conosciate anche voi testimonia in parte la verità delle vostre parole.»

Frodo deglutì, e poi disse: «noi siamo i Mezzuomini di cui parlava la strofa.»

«Vedo» disse Faramir lentamente «O vedo che sarebbe possibile. E che cos'è il Flagello di Isildur?»

«Ciò non si rivela» disse Frodo, e Sam si rilassò leggermente accanto a lui «Indubbiamente a tempo debito sarà svelato.»

«Non è questo il momento» disse Faramir, annuendo nuovamente, e poi alzò la testa e spinse indietro il cappuccio. Fu rivelata una bella testa, insieme a una mascella forte e un portamento orgoglioso e nobile. «Dobbiamo andare. Siete in pericolo, e non avreste percorso molta strada o attraversato molti campi oggi. Abbiamo del lavoro da fare. Vi lascerò due guardie, per il vostro e il mio bene. Se tornerò, continueremo i nostri discorsi.»

«Addio!» disse Frodo, inchinandosi profondamente. Diede un colpetto a Sam e si guadagnò un grugnito e un inchino cortese come risposta dal giardiniere. «Credete pure quel che volete, ma io sono amico di tutti i nemici dell'Unico Nemico. Vi accompagneremmo, se noi potessimo sperare di aiutare voi, Uomini dall'aspetto così forte e valoroso, e se la mia missione me lo permettesse. Che la luce brilli sulle vostre spade!»

«Le adulazioni ti porteranno ovunque» grugnì Lóni.

L'espressione di Faramir non cambiò, e con due rapidi scatti dei suoi penetranti occhi grigi, un paio dei suoi Raminghi si separarono dagli altri per andare sotto a un piccolo gruppo di lauri scuri che crescevano poco distanti.

«Mablung e Damrod vi terranno interi e al sicuro» disse lui, e infine sorrise. Era tirato e senza allegria, certo, ma era un sorriso. «I Mezzuomini sono, in ogni caso, gente assai cortese. Addio!»

«Beh, direi che siamo decisamente nei guai, Padron Frodo!» borbottò Sam.

«Sì» disse Frodo, e la preoccupazione era nel suo volto mentre l'Uomo alto si allontanava a grandi passi «Sì, temo proprio che lo siamo.»


«Abbassa la spada ora» stava dicendo Gimli mentre Thorin batteva le palpebre alla luce della Terra di Mezzo «Devi difenderti sotto oltre che sopra!»

Thorin si massaggiò il volto e guardava fra gli occhi brucianti ciò che sembrava essere una stalla vuota, le pareti decorate di delicati motivi in legno e i pavimenti coperti di paglia. Non vi erano cavalli nelle stalle, anche se l'aria era piena del loro odore. Accanto a lui, Frerin, Haban, Hrera e Frís apparvero, i contorni delineati d'oro e d'argento mentre il potere della Camera di Sansûkhul li riportava nel mondo dei viventi.

Davanti a loro era Gimli, ascia in mano. Non indossava la maglia di ferro né l'elmo, e Thorin si accigliò. «Si stanno sfidando?»

«No, guarda» disse Frís «Sta insegnando.»

Thorin si strofinò di nuovo il volto, e gradualmente la piccola forma di Merry Brandybuck apparve davanti alla sua stella. Aragorn era in un angolo, le lunghe gambe incrociate davanti a sé e la pipa in mano. «Perché mai dovrei difendermi in sotto?» borbottò Merry «Non ci sono molti Orchi che colpirebbero tanto in basso.»

«Ah, ricorda i goblin di Khazâd-dum, Mastro Merry!» lo avvertì Gimli, e usò l'impugnatura dell'ascia per correggere l'angolo della piccola spada di Merry «Erano alti quanto te e me. Inoltre un avversario più alto ha più punti alla sua portata – e gli Hobbit non mettono scarpe. I tuoi piedi sono un ottimo bersaglio per qualsiasi lama.»

«Dovresti provare un paio di stivali» aggiunse Aragorn «Sicuramente Théoden avrà concia pelle abbastanza bravi per farne adatti anche ai tuoi piedi.»

«Perbacco!» disse Merry indignato «Morditi quella tua lingua insolente! Io sono un Brandybuck della Terra di Buck, e non farei mai nulla di simile!»

«Penso tu abbia accarezzato il gatto contropelo, Aragorn» disse Gimli, ghignando «Sarebbe come chiedere a un Nano di rasarsi la barba!»

Merry scosse la tesa ricciuta tirando su col naso. «Scarpe!»

Aragorn fece il suo sorriso sommesso, abbassando la testa. «Le mie più sincere scuse, Merry.»

Anche Thorin sorrise, prima che qualcosa nel volto dello Hobbit glielo facesse osservare più da vicino. «Merry sta...» si chiese, e poi scosse la testa «Sta trattenendo le lacrime, e gli altri stanno provando a distrarlo. Guardate, ha gli occhi arrossati.»

«Dov'è Legolas?» domandò Frerin.

«E dov'è Pipino?» disse Frís, facendo un passo avanti per guardare pensierosa lo Hobbit solitario «Non è mai molto lontano da suo cugino. È raro che si separino.»

Le sopracciglia di Thorin si aggrottarono mentre lui osservava la tensione attorno agli occhi di Aragorn e il modo in cui Merry serrava la bocca. Persino la mascella di Gimli era più stretta del solito. «Qualcosa è successo» disse brevemente.

Gimli si raddrizzò improvvisamente, e i suoi occhi brillarono di gratitudine il momento in cui si accorse del loro arrivo. Merry prese vantaggio della sua improvvisa distrazione per colpirlo col piatto della sua piccola lama, e Gimli squittì per la sorpresa prima che la sua voce si abbassasse in un ringhio. «Molto bene, come preferisci, Mastro Hobbit! Nessuna esclusione di colpi!»

Merry deglutì.

«Fai piano, Gimli» disse Aragorn, e sorrise attorno al bocchino della sua pipa «Non c'è bisogno di fargli del male.»

«Sono l'unico Hobbit che avete, dopotutto» aggiunse tristemente Merry, e lo sguardo di Thorin si incupì.

«Il più giovane, dov'è andato?» si chiese Haban.

«Pipino, aye» disse Hrera, stringendo le labbra «Senza dubbio una delle sue stupidaggini l'ha fatto finire in acque troppo calde anche per lui!»

«Pace» disse Thorin, guardando il volto di Gimli che si intristiva «Qualsiasi cosa sia successa, non è un affare da nulla. Lo scopriremo presto.»

Hrera lanciò a suo nipote un'occhiata penetrante e pensierosa, prima di raddrizzarsi tirando su col naso e annuendo regalmente in approvazione. «Sono felice di vedere che finalmente mostri una certa misura di buon senso Vastifascio, Thorin caro.»

«Apprezzo quello che state tentando di fare» disse Merry, e guardò da Aragorn a Gimli. La miseria colorava la curva della sua piccola bocca, e la spada si abbassò fra le sue mani. «Ma non sono dell'umore adatto.»

«Come se ai tuoi avversari potesse mai importare un-» grugnì Haban. Hrera le lanciò un'occhiata di disapprovazione, e la Nana Barbafiamma scrollò le spalle senza alcun pentimento. «Che c'è? Non gliene importerebbe.»

«Va tutto bene, Merry» disse Aragorn dolcemente, e Merry scosse la testa, facendo rimbalzare i ricci.

«Mi sono sempre preso cura di lui» disse. Il suo mento tremava. «Mi ha sempre seguito, dovunque...»

«Shhh, melekûnith» disse Gimli, e mise già l'ascia per trascinare lo Hobbit in un grande abbraccio da orso «Shhh ora, piccolo Hobbit coraggioso. Mastro Pipino starà benone. Lui ha lo Stregone Bianco che lo protegge, e presto le mura di Minas Tirith stessa! Che dico, sarà presto più al sicuro lui di noi!»

«Le mura non impediranno a Pip di cacciarsi nei guai» borbottò Merry contro al petto di Gimli «Lui è un Tuc.»

«Temo di dover dargli ragione, anche se solo un poco» disse Frís. Una risata scappò a Thorin, per sua sorpresa.

«E non hai mai conosciuto il mio Bilbo» disse asciutto. L'angolo delle sue labbra tirò verso l'alto. «Dava decisamente molti più guai... almeno all'inizio.»

Sia Frís che Frerin girarono la testa di scatto verso di lui, e lo fissarono in aperta sorpresa.

Il sorriso di Thorin cadde. «Cosa?»

«Sai» disse Frerin lentamente «che io non ti avevo mai sentito parlare di Bilbo Baggins senza sensi di colpa. Mai.»

Un enorme sorriso si stava allargando sul volto di loro madre, e lei cercò la mano di Thorin e la strinse. Non le sfuggì nessuna parola, ma i suoi occhi erano orgogliosi.

«Ah, Merry» sospirò Aragorn, e si alzò con un movimento fluido e andò a inginocchiarsi davanti al Nano e allo Hobbit «Dimmi, c'è qualcosa che possiamo fare per te?»

Merry si sfregò contro la spalla di Gimli. «Potresti abbassarti di quattro piedi e diventare riccio» mormorò, e Gimli rise piano e massaggiò la schiena dello Hobbit.

«In assenza di un miracolo, una bevanda calda andrà bene?»

Merry annuì, il volto nascosto fra la barba rossa.

«Bene. Vieni, lasciamo stare il tuo allenamento. Stai facendo grandi passi avanti, Merry. Asciugati gli occhi: andrà tutto bene, vedrai. Non è facile essere l'unico del proprio popolo fra stranieri, lo so. Ma tu sei parte della Compagnia, e noi siamo con te.»

Merry sospirò, a lungo e tremante, e poi si spinse via dal Nano con un piccolo sorriso acquoso. «Lo so» disse, e incrociò gli occhi di Gimli «Andrà tutto bene.»

«Così si fa, coraggioso!» disse Gimli, e mise la sua mano pesante sulla spalla di Merry «Andiamo a vedere che cibo possiamo mangiare insieme alla nostra bevanda. Un pasto potrebbe farmi comodo – la birra di ieri notte mi ha lasciato la testa piena di ragnatele!»

Al sentir parlare di cibo gli occhi di Merry si accesero, e lui si girò impazientemente e iniziò a trotterellare via dalle stalle.

«Ah, Merry?» disse Aragorn pacato «La tua spada?»

«Oh» Merry tornò indietro e la prese dal pavimento coperto di paglia con un sorrisetto imbarazzato «Eh. Ops?»

«Un bravo guerriero non dimentica mai la sua spada» gli disse Aragorn, sorridente, e il volto di Merry cadde nuovamente.

«Boromir lo diceva sempre» disse.

Gimli lanciò ad Aragorn un'occhiata di avvertimento, prima di girarsi di nuovo verso lo Hobbit e spingerlo nuovamente verso le porte della stalla. «E avrebbe anche detto che è ora di una zuppa! Cosa si cucina oggi nel palazzo, Merry?»

Gli occhi di Merry si schiarirono. «Penso di aver visto un pezzo di carne...» disse, e corse via nuovamente.

«Sai sempre come comportarti coi giovani e con le persone tristi, Gimli» disse Aragorn mentre i due camminavano dietro allo Hobbit impaziente con più calma.

«Nipote, ricordi?» disse Gimli con un ghigno, prima di scuotere la testa «Ah, poveraccio. È difficile per lui.»

«La curiosità di Pipino ha infine catturato l'attenzione di qualcosa di più che Goblin od Orchi» sospirò Aragorn «Se solo non avesse toccato il Palantír!»

«Possiamo solo sperare che il Nemico abbia pensato che sia lui ad avere l'Anello» disse Gimli, gli occhi fissi su Merry mentre lo Hobbit si piegava e si infilava fra la gente di Edoras. Molti dei Rohirrim sorrisero e lo indicarono e esclamarono vedendolo passare. La leggenda degli Holbytla doveva essere piuttosto diffusa. «Dobbiamo sperare che la missione di Frodo rimanga un segreto.»

«Gandalf non vide menzogne nei suoi occhi» disse Aragorn, ma non sembrava sicuro «Dovrei prendere io la pietra. So che dovrei. Ma trovo che la mia mano esita nell'allungarsi e afferrarla, anche se la mia eredità infine si avvicina. Oserò farlo?»

Gimli lo guardò. «Di cosa hai paura, ragazzo?»

Aragorn rimase in silenzio, la testa piegata in avanti.

Thorin, però, capì. «Ha paura di avere tutto ciò che ha sempre desiderato» mormorò «E se non fosse ciò che pensava?»

La fronte di Gimli si rilassò, e lui annuì in comprensione. «Ah» disse sottovoce. Poi schioccò la lingua. «Il mondo cambia in fretta ora, e noi ci ritroviamo ad ansimare quando corriamo per tenergli dietro» disse all'aria.

Aragorn batté le palpebre, e poi guardò confuso il Nano. «Sì, è vero.»

«Alcune cose possono non essere ciò che ci aspettavamo» continuò Gimli col tono più innocente che avesse mai assunto, pulendosi le unghie con la punta ricurva dell'ascia «Ma in quel caso, chi può dire se saranno migliori o peggiori? Per saperlo dobbiamo solo viverle.»

Un'espressione di comprensione attraversò il volto dell'Uomo, e lui sbuffò piano e guardò di nuovo Merry che si piegava sotto a braccia e balle e vassoi per andare verso le scale di Meduseld. «Molto saggio, Mastro Nano. Hai passato troppo tempo fra Elfi e Stregoni: stai iniziando a parlare come loro.»

«Attento, ragazzo, sono armato» ringhiò Gimli, e poi rise «Un tempo l'avrei trovato offensivo. Ora? È una di quelle cose che potrebbero essere cambiate per il meglio. Anche se avrei paura per le mie trecce a dirlo mai nei mercati di Erebor!»

Aragorn rise di nuovo.

Poi il volto di Gimli si indurì, e disse con esitazione: «Aragorn, posso chiederti qualcosa?»

Aragorn alzò un sopracciglio. «Pensavo fossi tu a distribuire consigli oggi.»

«Aye, oggi e ogni giorno, ma nessuno è abbastanza saggio per ascoltarmi» Gimli scrollò la testa rossa «No, sono confuso e preoccupato, e vorrei sapere qual'è il modo migliore di rendermi d'aiuto. Non vorrei causare offesa nemmeno per tutti gli zaffiri nel mondo.»

Con un piccolo “ah” di comprensione, le spalle di Aragorn si afflosciarono. «Dimmi che non è quello che temo...»

Gimli si accigliò. «Non ho idea di cosa tu stia dicendo, ma è per via dell'Elfo.»

Aragorn gemette piano. «Certo che lo è.»

«Tu conosci gli Elfi meglio di chiunque altro qui, ora che Gandalf è andato» continuò Gimli «Cosa mai potrebbe far soffrire Legolas? Ieri sera stava quasi per piangere. Io pensai che fosse colpa della birra, ma le sue parole mi tornarono in mente quando fui di nuovo sobrio. Desidera qualcosa che non può avere, e maledice la propria immortalità – un Elfo, che piange per la sua vita eterna! Nessun Nano mi crederebbe mai – e lui si rifiuta di parlarne oltre. Mi ha evitato tutto il giorno, a causa dell'imbarazzo senza dubbio. Aragorn, dimmi il vero: Legolas è forse innamorato? Perché nient'altro che io possa immaginare potrebbe dargli un tale tormento.»

Aragorn chiuse gli occhi e parve che stesse pregando che gli venisse donata della pazienza.

Thorin aprì la bocca, ma Haban gli lanciò un'occhiata dura. «Non osare» soffiò.

«Cosa?» sibilò lui di rimando.

«Lasciagli vivere la sua vita, mio caro» mormorò Frís, stringendogli di nuovo la mano.

«Ma...» Thorin morse le parole che gli affollavano la lingua. Ma non porto risentimento verso l'Elfo per via del suo popolo. Ma l'Elfo è figlio di Thranduil. Ma i loro nomi suonano bene insieme. Ma lui è il figlio di Thranduil. Ma so come quel desiderio appesantisca il cuore. Il figlio di Thranduil, prole del freddo ragno pallido di Bosco Atro. Ma lo ama, lo ama davvero, nonostante tutto ciò che è fra loro. Ma si dimenticherà del mio coraggioso inùdoy quando Gimli crollerà e tornerà alla pietra, e l'umùrad di Gimli piangerà per sempre nelle Sale. Ma può camminare nella luce stellare – e la mia stella ha sempre brillato con forza. Ma non conosce che il cuore di un Nano, una volta donato, è una perdita che non può guarire.

Ma è il figlio di Thranduil.

Ma non è troppo tardi per loro, come lo è per Kíli...

e per me.

Thorin chinò la testa. La confusione riempiva i suoi pensieri. «Non so cosa fare» mormorò.

«Ti farà bene» disse Frerin, ghignando «Forse così capirai come ci sente a essere chiunque altro; andando avanti alla meno peggio.»

Hrera alzò gli occhi al cielo e tirò una delle trecce di Frerin. «Smettila, non confondere tuo fratello» disse «Non è intelligente come te, Frerin caro, e non è educato deridere gli altri.»

Thorin incenerì con lo sguardo suo fratello e sua nonna fino a quando non udì Aragorn che parlava di nuovo.

«Legolas... ama qualcuno» stava dicendo l'Uomo cautamente «Questo è vero. È triste per via di quel qualcuno, e per via della mortalità.»

«Perché?» Gimli fece un suono incredulo «Chi non sarebbe stupito e gioioso nel sapere che il Principe di Bosco Atro sta offrendo loro il suo cuore?»

Aragorn parve addolorato. «Questo... dipende dal qualcuno.»

Gimli esitò, e poi fece un sospiro. «Sono un insensibile pezzo di carbone» disse, e diede una pazza sul braccio di Aragorn «Mi dispiace: non ho pensato. È un problema che tu conosci bene, non è così?»

Il Ramingo gemette, prima di sospirare. «Sì. Lei... Arwen, lei.»

«Ti diede quel gioiello» terminò Gimli «Me lo disse Legolas, quando eri perduto.»

Aragorn si fermò, le sue spalle divennero tese. «Dovrebbe lasciare queste sponde infelici» borbottò «Dovrebbe andare. Non dovrebbe legare la sua vita alla mia. Sua è la grazia dei Primogeniti, e la rischierebbe per una speranza che io non riesco nemmeno ad afferrare.»

«Ragazzo» disse Gimli con compassione, e mise una mano sul braccio di Aragorn.

«Lei morirà, Gimli» gli occhi di Aragorn incontrarono quelli del Nano «Lei morirà se rimane, perché sua è la scelta dei Mezzelfi. A differenza degli altri della sua stirpe lei può scegliere la vita degli Eldar o degli Edain – e per me, lei sceglierebbe una vita mortale! Si lascerebbe dietro suo padre e i suoi fratelli, il suo popolo, e si legherebbe a me. Parte di una linea difettosa, ultima e più disperata speranza! Mi sposerebbe e quale gioia avremmo! Ma io sono un Uomo, e morirò – e poi morirebbe lei, e così la più bella degli Elfi sarà nuovamente persa all'oscurità. Anche se ascoltasse le mie paure e lasciasse queste sponde infelici, non è certo che la sua vita sarà salvata. Perché mi dice che potrebbe morire se andasse all'Ovest, perché per il suo popolo è possibile morire solo d'amore.»

Thorin fece un respiro improvviso che gli fece bruciare i polmoni.

«Oh Mahal ci salvi» sussurrò Frís «È così terribile?»

«Davvero?» Gimli parve allarmato «Gli Elfi possono morire d'amore?»

«Può succedere» disse Aragorn, il volto pallido e la fronte aggrottata in linee di dolore e stanchezza «Se perdono il loro amore, rischiano la vita. Non è il lungo lento svanire degli Elfi che sono vissuti per millenni; questi Elfi lasciano il mondo perché portano il peso di anni divenuti troppi da portare. No, gli Elfi che muoiono d'amore si sdraiano e il loro fëa lascia il loro corpo. Quindi giacciono come se stessero dormendo, per secolo dopo secolo. Non invecchiano, non si corrompono, ma sono morti e senza vita lo stesso. Hanno lasciato la loro carne, per sempre in cerca del loro amore perduto.»

Il volto di Gimli era pallido. «È orribile» disse in bassa voce terrorizzata.

«Vedi il mio problema» disse Aragorn brusco.

«Vedo» Gimli chiuse gli occhi per un momento, abbassando il mento, e poi guardò su verso i bastioni in legno delle mura intorno alla città. Nel punto più alto brillava un lampo di pallidi capelli dorati, che volavano nei feroci venti di Rohan come uno dei pennacchi in crine di cavallo. «Lo vedo.»

«Io non la legherei alla Terra di Mezzo, ma il suo dono è solo suo, e lei non mi ascolterà» disse Aragorn con voce rotta «Quindi io devo cercare ciò che resta di un passato glorioso, prepararmi contro la speranza che viene meno, e pregare di non essere come i miei antenati.»

«Ayamuhud, Aragorn» disse piano Thorin «Tutti abbiamo dei difetti, in un modo o nell'altro. Sta a noi scegliere come porvi rimedio.»

La mano di Frís si strinse su quella di Thorin fino ad essere quasi dolorosa. «Mio coraggioso figlio» sussurrò.

Frerin intrecciò le sue piccole dita con quelle della sua altra mano, anche se non disse nulla, e Hrera annuiva orgogliosa.

Gimli non distolse lo sguardo dai capelli dorati che volavano e danzavano nella brezza e sotto il sole. «Beh, anche i Nani amano, ma non ne muoiono» si disse, e deglutì, l'intero volto che si induriva di risoluzione «E Legolas non dovrebbe essere legato, non alla Terra di Mezzo e non alla morte.»

L'espressione cupa di Aragorn fu immediata e gli occhi si riempirono di paura, ma in quel momento Merry iniziò a gesticolare dalle porte di Meduseld.

«Andiamo, lumaconi!» urlò «Avevo ragione: c'è del roast beef! Se aspettate ancora un po' dovrò mangiarlo tutto e voi dovrete rimanere affamati!»

Gimli fece un grugnito divertito e iniziò a correre su per la collina, i fermagli che risuonavano assieme.

«Gimli, cosa vuoi fare?» riuscì a dire Thorin correndogli dietro.

«Fare?» ringhiò Gimli, e la determinazione nel suo volto era inquietantemente familiare. Thorin la conosceva bene: l'aveva vista allo specchio per quasi duecento secoli. «Perché, nulla.»

«Gimli...» disse Thorin frustrato «intendi dire che lo sai?»

«So cosa?» rispose Gimli, e non era mai stato tanto un Figlio della Linea di Durin «Devo ammettere che non ti sto seguendo.»

Lanciando tutta la cautela al vento, Thorin ringhiò: «ti ama, giovane idiota con la testa rossa!»

Gli occhi di Gimli non si mossero neanche, anche se la sua mascella tremò con la tensione. «Chiunque sia, Legolas amerà ancora. Deve. Non sarà legato alla Terra di Mezzo: è una cotta passeggera e passerà col tempo.»

«Gimli...»

«Ma katakluti, melhekhel. Scusami, non riesco a sentirti. Dev'essere tutto questo correre» ansimò Gimli, e piegò la testa e scattò in avanti, più veloce di quanto Thorin potesse.

Thorin si bloccò quando la fredda comprensione lo travolse. «Anche lui lo ama» disse improvvisamente «Oh, sangue e barba e palle di Mahal... anche Gimli lo ama!»

E in quel momento Frerin andò a sbattere contro la sua schiena e li fece cadere entrambi per terra e dritti nelle stelle vorticanti del Gimlîn-zâram.

TBC...

Note

Orocarni – Le Montagne Rosse. Secondo il legendarium di Tolkien, tre dei sette Padri dei Nani si svegliarono nell'ovest. Questi erano Durin dei Longobarbi (che si svegliò nelle Montagna Nebbiose) e i progenitori dei Barbefiamma e Vastifasci, che si svegliarono nelle Montagne Azzurre (Ered Luin). Gli altri quattro progenitori si svegliarono nelle Montagne Rosse, lontano ad est, e non appaiono nelle storie di Tolkien. Sono: Piediroccia, Barbedure, Pugniferro e Nerachiave. In questa storia, Orla figlia di Ara (moglie di Dwalin e madre di Piccolo Thorin, Balin e Frerin) è una Nana Nerachiave.

Svanire” vs “Morire di dolore” - questi sono due modi diversi in cui gli Elfi di Tolkien possono morire oltre che per ferite gravi. Gli Elfi non svaniscono quando muoiono di dolore o d'amore. Invece si sdraiano e le loro anime lasciano il loro corpo, che rimane giovane e immutato. “Svanire” si riferisce a quando un Elfo diventa così vecchio che inizia letteralmente a svanire – diventando lentamente trasparenti fino a sparire completamente. Questo è, nella mia opinione, meravigliosamente inquietante :)

Fëa - fëa e hröa sono due parole Quenya per “anima” (o “spirito”) e “corpo”. La forma plurale di fëa è fëar e il plurale di hröa è hröar.

Dáin aveva davvero trentadue anni quando combatté nella Battaglia di Azanulbizar e perse suo padre.

Parte del dialogo è preso dai film e dai libri.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

Orocarni – Le Montagne Rosse. Secondo il legendarium di Tolkien, tre dei sette Padri dei Nani si svegliarono nell'ovest. Questi erano Durin dei Longobarbi (che si svegliò nelle Montagna Nebbiose) e i progenitori dei Barbefiamma e Vastifasci, che si svegliarono nelle Montagne Azzurre (Ered Luin). Gli altri quattro progenitori si svegliarono nelle Montagne Rosse, lontano ad est, e non appaiono nelle storie di Tolkien. Sono: Piediroccia, Barbedure, Pugniferro e Nerachiave. In questa storia, Orla figlia di Ara (moglie di Dwalin e madre di Piccolo Thorin, Balin e Frerin) è una Nana Nerachiave.

Svanire” vs “Morire di dolore” - questi sono due modi diversi in cui gli Elfi di Tolkien possono morire oltre che per ferite gravi. Gli Elfi non svaniscono quando muoiono di dolore o d'amore. Invece si sdraiano e le loro anime lasciano il loro corpo, che rimane giovane e immutato. “Svanire” si riferisce a quando un Elfo diventa così vecchio che inizia letteralmente a svanire – diventando lentamente trasparenti fino a sparire completamente. Questo è, nella mia opinione, meravigliosamente inquietante :)

Fëa - fëa e hröa sono due parole Quenya per “anima” (o “spirito”) e “corpo”. La forma plurale di fëa è fëar e il plurale di hröa è hröar.

Dáin aveva davvero trentadue anni quando combatté nella Battaglia di Azanulbizar e perse suo padre.

Parte del dialogo è preso dai film e dai libri.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

Orocarni – Le Montagne Rosse. Secondo il legendarium di Tolkien, tre dei sette Padri dei Nani si svegliarono nell'ovest. Questi erano Durin dei Longobarbi (che si svegliò nelle Montagna Nebbiose) e i progenitori dei Barbefiamma e Vastifasci, che si svegliarono nelle Montagne Azzurre (Ered Luin). Gli altri quattro progenitori si svegliarono nelle Montagne Rosse, lontano ad est, e non appaiono nelle storie di Tolkien. Sono: Piediroccia, Barbedure, Pugniferro e Nerachiave. In questa storia, Orla figlia di Ara (moglie di Dwalin e madre di Piccolo Thorin, Balin e Frerin) è una Nana Nerachiave.

Svanire” vs “Morire di dolore” - questi sono due modi diversi in cui gli Elfi di Tolkien possono morire oltre che per ferite gravi. Gli Elfi non svaniscono quando muoiono di dolore o d'amore. Invece si sdraiano e le loro anime lasciano il loro corpo, che rimane giovane e immutato. “Svanire” si riferisce a quando un Elfo diventa così vecchio che inizia letteralmente a svanire – diventando lentamente trasparenti fino a sparire completamente. Questo è, nella mia opinione, meravigliosamente inquietante :)

Fëa - fëa e hröa sono due parole Quenya per “anima” (o “spirito”) e “corpo”. La forma plurale di fëa è fëar e il plurale di hröa è hröar.

Dáin aveva davvero trentadue anni quando combatté nella Battaglia di Azanulbizar e perse suo padre.

Parte del dialogo è preso dai film e dai libri.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 30
*** Capitolo Trenta ***


Orla Lungascia camminava rapidamente, la grande coda di secchi capelli neri le svolazzava dietro, mentre i rimbombi e le scosse facevano tremare la Montagna. Il rumore era assordante, e anche se ogni porta della stanza era chiusa e foderata con stracci, gli echi erano ancora presenti nelle mura e sotto i suoi piedi. Fra le sue braccia, il suo secondogenito tremava e rabbrividiva. I suoi occhi erano distanti, e lui faceva smorfie e si premeva contro al petto di lei. Le orecchie erano coperte da un cappello di lana, premuto giù per coprire anche i suoi occhi.

Nell'angolo, uno sbuffo di vapore giunse dalla grande pentola di ferro che ribolliva lentamente, il suono vagamente rilassante serviva a combattere i tuonanti tremori dei massi che colpivano la montagna ancora e ancora.

Balin non riusciva a sopportare a lungo i rumori forti.

Orla spinse la testa del figlio più vicina alla propria, premendo protettivamente una mano contro le sue orecchie coperte di lana. Balin fece un respiro improvviso, le mani che si aprivano e chiudevano rapidamente e spasmodicamente, e premette il volto nel collo della madre per nascondere gli occhi anche dalla luce modesta che veniva dal fuoco. Suo figlio era stato intagliato da una pietra diversa, come si diceva: i suoi pensieri funzionavano in modo speciale e singolare. Molti dei più grandi lavori del loro popolo erano stati fatti da Nani nati con menti simili a quella di Balin, la loro concentrazione determinata e appassionata e affilata come un coltello. Lei era più orgogliosa di lui di quanto fosse in grado di dire a parole. Balin era affascinato dal modo in cui funzionavano le cose, dalla natura e dalle cause prime e dalla pressione sotto la terra e dalle creature che vi strisciavano. Sarebbe diventato un grande Nano, sua madre lo sapeva.

Però c'erano delle difficoltà che arrivavano insieme a questi doni unici. Balin era goffo a volte, occasionalmente perdeva le sue parole, non gli piaceva la compagnia di persone che non fossero i suoi genitori o i suoi amici, e non riusciva a sopportare i rumori forti o le luci troppo brillanti. L'iperstimolazione era fastidiosa, e a volte dolorosa.

Sfortunatamente, Orla non era in grado di decapitare ogni Orco, Troll ed Esterling dall'altro lato delle mura per aver disturbato suo figlio (anche se ci provava).

Balin fece un piccolo suono infelice quando un altro masso si frantumò contro la dura roccia settentrionale di Erebor, e la furia di Orla esplose. Maledetti. Maledetti loro per assediare la casa che aveva viaggiato tanto per trovare, le persone che aveva imparato ad amare, la Montagna per cui suo marito aveva sanguinato. Maledetti loro per far del male a Balin, per terrorizzare il piccolo Frerin e per obbligare il suo taciturno e coraggioso primogenito a compiere i tetri lavori di guerra già così giovane, così terribilmente giovane. Le sue dita prudevano dal desiderio dell'ascia Nerachiave dalla lunga impugnatura che era diventata parte del suo nome. Avrebbe sputato nel Grande Occhio di Sauron in persone, se ne avesse avuto la possibilità. Ma per ora, era più importante che lei rimanesse lì, a stringere il suo ragazzo, ad ancorarlo alla stanza e al suo calore e ai piccoli suoni della pentola.

Il resto avrebbe aspettato.

«Shhh» disse Orla, e Balin tremò istintivamente «Shhh.»

Non parlò. Non sarebbe stato d'aiuto.

Infine l'assalto si fermò, e Orla fece un sospiro silenzioso. Sarebbe ricominciato, certo, ma le grandi armi da assedio dovevano essere ricaricate, e ci voleva tempo. Guardò suo figlio. Balin stava guardando attentamente i tatuaggi sulla clavicola di lei, il volto serio.

«Puoi leggerli per me?» disse lei, con tutta la dolcezza che aveva.

Balin non rispose, gli occhi tracciavano le linee ancora e ancora. Era scivolato in un sogno ad occhi aperti per sfuggire all'assalto del suono, qualcosa che succedeva sempre più spesso questi giorni.

Accarezzando la piccola testa coperta di lana, Orla continuò a camminare.

Avrebbero pagato.


Dunque. Gimli sapeva. Lo sapeva. E amava l'Elfo a sua volta.

Questo... questo cambiava tutto.

«Cosa abbiamo?» disse Thorin bruscamente entrando nel laboratorio di sua madre. Gli occhi di Frís si alzarono su di lui prima di tornare sul rapporto davanti a sé.

«Ciao, inùdoy» disse in modo distratto. C'era uno stilo infilato fra i suoi spettinati capelli dorati. «Molto è successo, sembra. Gandalf e Pipino hanno raggiunto Minas Tirith...»

«Di già?» Thorin non poté fermare l'esclamazione.

Frís alzò lo sguardo. «Sembra che cavalcare uno dei Mearas non sia un cosa da niente. Ombromanto li ha portati alla Città Bianca in un giorno e una notte, e non si fermò un istante, mantenne sempre la stessa andatura.»

Thorin sentì le sue sopracciglia che cercavano di spingersi fra i suoi capelli, e cercò di allontanare lo stupore dal suo volto. Aveva posseduto e cavalcato pony per tutta la vita, sapeva i limiti di un cavallo. Era raro ce un animale potesse galoppare per un ora o due senza aver bisogno d'acqua e riposo, soprattutto con un cavaliere. Frenare il tuo animale era un'opzione migliore: lo stesso pony non poteva galoppare tutto il tempo, ma avrebbe felicemente e tranquillamente mangiato le miglia a un buon trotto. Spingere troppo il tuo pony voleva dire andare al passo il giorno dopo, per permettere alla povera bestia di riposarsi.

Galoppare un giorno e una notte...

«Questi sono giorni pieni di grandi imprese in fatto di velocità e resistenza» borbottò, e scosse la testa in incredulità «Cosa successe loro a Minas Tirith?»

«Ori era preoccupato del loro benvenuto» disse Frís, e si massaggiò la fronte per un istante «Gandalf e Pipino furono ricevuti dal Sovrintendente, Sire Denethor. È un Uomo forte e orgoglioso con una mente penetrante e un'ottima vista, e in lui il sangue di Númenor scorre quasi puro, secondo lo Stregone.»

Thorin non trovò alcun problema con ciò. «Sembra un degno sovrano.»

«Sa della morte di suo figlio» disse Frís pesantemente.

Il respiro gli sfuggì con un fischio. «Oh.»

«Oh davvero» confermò lei «Bifur aveva qualche parola più forte di oh da aggiungere, si può dire. Ori non era convinto dal lutto del Signore, però. Sembra che uno furbo come Denethor possa persino usare il suo dolore per mascherare le sue vere intenzioni. Usa il lutto per ammantellare le sue domande, guadagnando più informazioni da lingue rese libere dalla compassione.»

«Sono stati allontanati?» Thorin si sedette accanto a sua madre, e resistette l'impulso di prenderle il rapporto dalle mani e leggere lui stesso. Lei scosse la testa, facendo volare le trecce bionde.

«Denethor non volle ascoltare il consiglio di Gandalf, ma non li ha allontanati. La morte di Boromir non l'ha privato di tutta la sua furbizia»

«Che altro?»

«Non vuole riforgiare le antiche alleanze» continuò lei, e fece una smorfia. Thorin si chiese quando sua madre era diventata così stanza. «Non accenderà i fari per cercare aiuto a Rohan, e pensare di chiamare gli Elfi è ancora più lontano dai suoi pensieri. Sembra affondato nella disperazione eppure pieno di determinazione. Ori dice che la sua rabbia non è mai lontana dalla superficie, e che è pericolosa e infida quando erutta. Però, i Signori di Gondor hanno una vista più acuta di altri.»

Thorin guardò le mura finemente intagliate e decorate di gioielli, e spinse lontano l'improvviso sentimento di comprensione. Lui non era la sua malattia e Sire Denethor non era il suo riflesso, non più di quanto lo era stato Boromir. «Minas Tirith non ha altro che il suo orgoglio come armatura, allora.»

Sapeva, meglio di chiunque altro, quanto patetico fosse l'orgoglio come scudo.

«I pochi vassalli dei Signori di Gondor sono stati chiamati» disse lei, e schioccò la lingua in compassione «Non saranno abbastanza. Lossarnach e Dôl Amroth sono piccoli feudi, non clan guerrieri. Non hanno i numeri necessari.»

«E la città?» l'immagine finora dipinta era cupa. Era incredibile che la Città Bianca resistesse ancora sotto pressioni così feroci e con così pochi al suo fianco. Non c'era da stupirsi se la disperazione di Boromir era stata così crudele e impaziente.

«Non stanno venendo preparate misure di difesa – né olio né legna, nessun arma o rinforzo. Le antiche catapulte sono ancora intere, ma le mura sono la loro migliore speranza ora. La città lotta per respirare sotto al mantello del buio e del fumo che sempre riempie l'aria» disse Frís, e si prese la testa fra le mani «Un fumo puzzolente soffia dall'est, scrive Ori, e Bifur mi dice che anche il fiume è annerito e malato. Lo poteva vedere dalle mura.»

Thorin mise un braccio attorno alle spalle di sua madre. «Devi riposarti.»

«Tra un momento» disse lei, e sbadigliò «C'è dell'altro. Pipino si è messo al servizio della città.»

Le sopracciglia di lui scattarono in alto nuovamente, nonostante la serietà della situazione. «Pipino? Lo Hobbit, Pipino? Pipino Tuc?»

«C'è un altro Pipino a Minas Tirith? Aye, indossa il nero e argento della Torre Bianca» disse lei, appoggiandosi contro di lui «Bifur dice che ha reso sia Stregone che Sire senza parole quando si inginocchiò e mise la sua spada al servizio di Denethor. Sembra gli siano piaciute le espressioni sulle loro facce.»

Non c'era da meravigliarsi se Bilbo aveva tanto imprecato contro il suo lato Tuc, se una tale impulsività era un tratto di famiglia! Thorin scosse la testa e un sorriso gli tirò le labbra, una risata totalmente inappropriata che gli nasceva da qualche parte nel petto. «Hobbit.»

«Osgiliath è ancora contesa, ed è questo che avvelena il fiume fino al Pelargir a sud» continuò Frís, e represse un altro sbadiglio «Frodo e Sam sono stati trovati da dei Raminghi nell'Ithilien e sono stati portati in un luogo chiamato Henneth Annûn, la Finestra del Tramonto. Non credo che questo Capitano Faramir si fidi facilmente degli altri, ma Frodo sta usando al meglio la sua educazione mi dice Fundin. Un cortigiano non sarebbe in grado di fare di meglio. È quasi un giorno intero che si ballano attorno con parole cortesi. E oh, mi ero dimenticata! Balin ha ordinato un cambio ti turni.»

Thorin si accigliò. «L'ha fatto?»

«Beh, tu... avevi altri impegni» disse lei, e lo guardò con furbizia. Thorin suppose che volesse dire stavi facendo un capriccio come un Nanetto di trent'anni e ignorò lo sguardo. «Ora che gli Uomini di Dale si stanno organizzando, Erebor deve rimanere forte. Devono resistere fino all'arrivo dei Bizarûnh. Gli Orchi non sembrano aver diviso le loro forze per ora, quindi Dale è ancora al sicuro.»

Poi la sua testa cadde contro il petto di lui, e lei fece un respiro profondo. «Thorin... abbiamo scoperto chi guida l'esercito di Orchi.»

Non sembrava rassicurante. Il braccio di Thorin si strinse attorno alle spalle di Frís. «Chi.»

«Dâgalûr» disse Frís, esalando le dure, roche sillabe del Linguaggio Nero nell'improvvisa tensione. La sua voce si abbassò. «Figlia di – di Bolg.»

La mano di Thorin si chiuse a pugno sulla sua mano.

«Birashagimi, inùdoy» sussurrò lei, e la sua piccola mano macchiata di inchiostro si alzò per accarezzargli la fronte e scendere lungo il suo volto «Coraggio, figlio mio.»

«Non sono io che devo affrontare l'ultima generazione di quella famiglia maledetta» disse lui e venne fuori come un basso, scuro ringhio «Non sono io che devo sentire la vendetta nel mio sangue.»

«Ma lo fai lo stesso» mormorò Frís, e gli diede un bacio «Lo so che lo fai, mio nuvolone tempestoso.»

La gola di lui si strinse, e lui si voltò. «Perché loro vivono sempre, quando noi moriamo e moriamo ancora?» chiese al muro, e per il suo orrore la sua voce si spezzò sull'ultima parola.

«Mi dispiace tanto» disse Frís, e gli accarezzò di nuovo il volto «Oh, mi dispiace così tanto, mio caro.»

Lui fece un respiro profondo col naso e lo esalò lentamente. Non sarebbe tornato nuovamente nel familiare pozzo di rabbia e amarezza. La vendetta non era più il suo destino. Gli affari di questa... Dâgalûr, e del feudo che lei portava non erano più suoi. Il suo peso erano stati Azog e Bolg. Dâgalûr spettava a Dáin.

«Forza nella tua lama, cugino» borbottò, e guardò di nuovo sua madre. Frís stava sbadigliando di nuovo, cercando di coprirsi la bocca con una mano. «Mi obblighi a fare di nuovo la tua parte, 'amad. Vai a dormire.»

«Non posso andare ancora» protestò lei stanca.

«E perché no? Sei esausta. Ti serve aiuto?»

«No, no» disse lei, e gli prese la mano nella sua e la strinse «Te lo dirò se mi serve aiuto, stanne pur certo. Ma non posso tornare alle nostre stanze in questo momento. Devo dare a tuo padre un'altra mezz'ora prima di andare a letto.»

Thorin batté le palpebre, e cercò di tenere la nota lamentosa fuori dalla sua voce. «Voglio sapere perché?»

«Sembri tuo fratello» commentò lei, e poi sorrise improvvisamente, gli occhi blu brillarono «No, tuo padre crede di tenere in gran segreto il fatto che mi sta facendo un regalo per il mio giorno del nome. Come se un Nano cieco non sarebbe in grado di vedere le bruciature sulle sue dita o le punte strinate delle trecce da lavoro nella sua barba! Ma non devo rovinare la mia sorpresa. Non vorrei rendere inutile tutto il suo divertimento e duro lavoro.»

«Ah» Thorin pensò colpevolmente alla lampada mezza finita sul suo tavolo da lavoro. Aveva avuto intenzione di completarla, ma c'era voluto tanto per pulire e riparare la sua forgia mezza distrutta (anche con l'aiuto di Frerin e Víli) che il tempo semplicemente era volato.

Inoltre, il suo turno era vicino, che lo tentava come sempre a tornare nelle acque stellari del Gimlîn-zâram. Non avrebbe lasciato la sua guardia di Endor a lungo. Non per tutto l'oro in Erebor.

«Forse potremmo prendere una tazza di tè per passare il tempo, allora?» suggerì, e lei gli sorrise.

«Sarebbe fantastico, caro. Ora, queste erano le mie notizie, cosa mi dici delle tue? Non ho nulla da te ieri – cos'è successo ad Edoras?»

Il cuore di Thorin fece una pausa, e poi i suoi occhi si allontanarono da sua madre. «Tutto è cambiato. Ora tutto è cambiato, perché Gimli...»

La mano di lei che si stringeva sulla sua fu l'unico segno della sua sorpresa. «Mio caro, stai bene?»

Lui deglutì. «Sto abbastanza bene.»

«Ma?» lo incitò lei dopo un momento o due.

«Gimli ama l'Elfo a sua volta» disse lui, ogni parola come tirata fuori dalla sua gola con delle pinze «Lo sapeva.»

Il respiro di Frís fu rapido e improvviso.

Odiando ogni secondo, Thorin continuò. «Non è solo la felicità di Legolas la questione. La mia orgogliosa stella coraggiosa, nârûnuh Gimli... è anche il suo cuore in palio ora, e io non posso sopportarlo. È troppo, troppo.»

Troppo dopo aver sentito le dolci, tristi parole di Kíli di un desiderio per sempre irrealizzato. Troppo dopo aver infine sentito il suo nome sulla bocca del suo Hobbit. Troppo dopo l'enorme ondata di oscurità che si innalzava sul mondo pronta a cadere e distruggere tutti gli amori e le ultime speranze. Thorin chinò il capo.

Frís rimase in silenzio per un altro momento, e poi si alzò e lo tirò dietro di sé. «Bene allora. Tazza di tè. Ora» disse fermamente.

«Ora sembri Bilbo» borbottò lui, e lei diede una rapida stretta calda alla sua mano.

«Bene, sono certa che approverebbe» lei lo trascinò con la pura forza della sua personalità, un cervo che tirava un toro «Tè, e poi letto.»

Thorin le fissò la schiena, la sua piccola, dorata, indomabile madre, e poi per sua stessa sorpresa una piccola risata triste gli sfuggì. «Non dura mai molto» disse.

«Cosa?»

«I miei piccoli soggiorni nel tuo ruolo. Forse non sono fatto per prendermi cura degli altri»

«Ora queste sono sciocchezze. È stato più o meno un secolo che hai passato a prenderti cura di tua sorella, dei tuoi nipoti? Uhm? È peggio di quanto sospettassi: ti serve il tè molto più di quanto non credessi. Forse leverà le ragnatele nella tua mente»

«'amad»

«Thorin» lei scimmiottò il suo tono, anche se il suo tentativo di ricreare la molto, molto più bassa voce di lui non fu proprio un successo «Vieni. Queste notizie di guerra e di affari di cuore stanno diventando troppo pesanti, e dobbiamo metterle giù a volte se non vogliamo romperci le nostre povere schiene sotto il loro peso.»

«E il tè le renderà più leggere?»

«Beh, una tazza non è un gran peso da portare» lei gli sorrise, prima di prenderlo per mano e tirarlo tra le Sale verso la grandi stanze dalle molte colonne dove mangiavano «Il mattino arriverà presto. Abbandona le tue preoccupazioni fino ad allora.»

Lui la guardò camminare per un secondo o due, e poi rimise il suo braccio attorno alle spalle di lei. «Aye» disse, e percepì più che vedere la sua approvazione come un'ondata di calore di una forgia contro al suo cuore «Aye, lo farò.»


L'Uomo sembrava un tipo tranquillo. Haban lo osservò, e poi decise che non le sarebbe piaciuto fare affari con lui, quando era una mercante. Sembrava uno che sarebbe felicemente andato senza soldi se fosse servito ad aiutare quelli a cui teneva. Fare scambi con gente simile la faceva sempre sentire come se fosse stata derubata del suo divertimento (Haban era molto orgogliosa delle sue capacità di negoziatrice, dopotutto) e a volte la riempiva di una terribile pena.

Il posto in cui erano stati portati era una sorta di caverna con una cascata che ne nascondeva l'ingesso. Dentro, la caverna era piena di magazzini di vettovaglie ed armi. Attorno a loro erano i Raminghi nei loro marroni e verdi, i volti ancora coperti. Tutti tranne Faramir, che guardava attraverso l'apertura della caverna la luce dell'alba che risplendeva attraverso l'acqua, riempiendo l'aria di scintille di luce di ogni colore dell'arcobaleno: oro, rubino, zaffiro, smeraldo, ametista, tutti accesi di un fuoco inestinguibile.

«Un altro mattino» disse Óin, e guardò i due Hobbit che dormivano rannicchiati assieme come gattini, le teste ricce vicine «E un altro passo più vicini alla Terra Nera.»

«E un pasto migliore che coniglio stufato nella pancia» aggiunse Haban, e suo figlio grugnì. Da una parte, Fíli e Frerin esaminavano una scatola aperta piena di spade.

«Non so cosa dirti di lui, ragazzo» disse Haban piano, e si accarezzò la barba rosso fuoco arricciata e intrecciata pensierosamente «È troppo silenzioso. Non si fida di loro, e non si beve il riassunto di Frodo del Consiglio a Granburrone. Scommetterei una bella somma che non ha buone intenzioni.»

«Non credo» disse Óin, e storse il naso guardando il Capitano di Gondor «Non si beve la storia, no. Penso che indovini più di quanto non dica. Ma li ha portati qui al sicuro quando avrebbe potuto e dovuto ucciderli. Ho sentito gli altri che parlavano: tutti gli stranieri in queste terre devono essere considerati servitori dell'Occhio, e per ordine del Sovrintendente devono essere ammazzati subito. Non l'ha fatto.»

«Uhm» Haban lanciò un'occhiata ai due Principini biondi che discutevano, e fischiò «Ehi, voi due! Abbassate il volume!»

«Ha iniziato lui» disse Frerin imbronciato, guardando storto suo nipote più alto e vecchio.

«E finisco io» disse Haban severamente «Gli Hobbit si stanno svegliando.»

Acqua e cibo furono portati, e Sam li guardò con sospetto e occhi assonnati. «Ora, Sam» disse Frodo «abbiamo mangiato il loro cibo ieri sera. Se sono avvelenatori, stanno facendo un pessimo lavoro.»

Sam borbottò sottovoce, ma si lanciò lo stesso sul pane e formaggio, carne salata e frutti secchi come se fossero il banchetto di un Re.

«Voglio sapere di più della tua storia» disse Faramir brusco, sedendosi davanti a loro «Ciò che riguarda Boromir riguarda me, così come il mistero del Flagello di Isildur. Le antiche leggende narrano che fu la freccia di un Orco a uccidere Isildur. Ma frecce d'Orchi ce ne sono tante e la vista di una di esse non sarebbe considerata da Boromir di Gondor un segno del Fato. È nascosto, dici. È nascosto perché tu hai deciso di occultarlo?»

«No, non ho deciso io» rispose Frodo cautamente «Esso non mi appartiene. Non appartiene a nessun mortale, sia egli grande o piccolo, tuttavia, se qualcuno potesse reclamarlo, sarebbe Aragorn figlio di Arathorn, il capo della nostra Compagnia.»

«Perché lui e non Boromir, principe della Città fondata da Elendil?» Faramir si piegò in avanti.

«Perché Aragorn discende in linea diretta da Isildur» disse Frodo, la voce ferma.

Ciò causò un mormorio di stupore fra i Raminghi riuniti. «La spada di Elendil!» urlò uno «La spada di Elendil torna a Gondor!» ma Faramir rimase impassibile.

«Una tale pretesa dovrà essere verificata» disse, ugualmente fermo.

Il mento di Frodo si alzò. «Boromir era convinto della fondatezza della pretesa. Anzi, se fosse presente, risponderebbe lui a tutte le vostre domande.»

«Se fosse presente» disse Faramir, e un sorriso senza allegria attraversò il suo volto bello e consumato dalle fatiche «Ma non può essere qui, e non può essere più da nessun'altra parte. Eri tu amico di Boromir, Mastro Mezzuomo?»

«Sì, ero suo amico» disse Frodo, e i suoi occhi stanchi divennero tristi «Da parte mia.»

«Sta diventando più pesante» mormorò Óin «Guardate gli occhi di Frodo, la stanchezza sul suo volto.»

Lo sguardo di Faramir rimase piantato fermamente in quello dello Hobbit. «Allora ti dispiacerebbe apprendere che Boromir è morto?»

«Mi dispiacerebbe davvero» rispose Frodo, e poi il suo respiro si mozzò e lo stupore lo fece diventare bianco come il latte «Morto!» disse «Volete dire che è morto e voi lo sapevate? O state ora cercando di ingannarmi con una vostra invenzione?»

«Non ingannerei neppure un Orco dicendo una menzogna» disse Faramir.

«Com'è dunque morto, e come fate a saperlo?» Frodo si spostò in avanti sulla cassa che gli faceva da sedia. Accanto a lui, Sam lo fermò con una mano.

«Attento, Padron Frodo» mormorò.

«Quanto alla sua morte, speravo che il suo amico e compagno mi avrebbe saputo dire com'era avvenuta» disse Faramir, e li guardò con espressione fredda.

«Era vivo e forte quando ci lasciammo!» urlò Frodo «Per quel che ne so è ancora vivo! Come vi sono giunte queste notizie? Parte della nostra Compagnia è arrivata a Minas Tirith?»

«Non erano arrivati quando io partii» disse Faramir «Ma non mi serve un messaggero per confermare ciò che so nel mio cuore: Boromir era mio fratello.»

Un piccolo suono fece voltare Haban verso il più giovane osservatore. Frerin aveva un'espressione dura e gli occhi asciutti, ma le mani erano strette ai suoi fianchi, tradendo le sue emozioni. «Nidoy» mormorò lei ad Óin, e lui annuì, ma Fíli arrivò per primo.

«Tranquillo» disse Fíli, e toccò il fianco di Frerin «Stai bene?»

Frerin lo guardò storto. «Tu non l'hai visto» disse «Io sì. Io lo vidi. Lui non se lo meritava, e non doveva morire! E ora, questo Faramir – suo fratello...»

«Rammenti qualcosa di particolare appartenente all'equipaggiamento di Boromir?» domandò Faramir.

«Io... ricordo che portava un corno» balbettò Frodo.

«Ricordi bene» disse Faramir, e si girò con un pesante dolore che gli faceva ombra agli occhi «Prima di intraprendere questa missione, udii il suono di quel corno. Tre notti dopo, vidi qualcosa di strano sulle acque dell'Anduin: una barca, grigia e scintillante, e in essa il corpo spezzato di mio fratello, circondato da molte armi e avvolto in un curioso mantello. Vidi molte ferite sul suo corpo, e la sua spada era stretta nelle sue morte mani blu. Riconobbi le sue vesti, la sua spada, il suo amato volto. Un'unica cosa mancava: il suo corno.»

«Le barche... le barche che ci diede la Dama» disse Sam con esitazione «A Lothlórien.»

«Allora voi passaste per quella terra!» disse Faramir, meravigliato e rattristato allo stesso tempo «Quali storie potrebbe raccontare! Ed ora io non lo udirò parlare mai più.»

«Voglio andare» disse Frerin improvvisamente «Non voglio essere qui. Io torno indietro.»

«Frerin...» iniziò Óin, ma Fíli, ancora, fu più veloce.

«Dove, a cercare Thorin? Ti grugnirà contro e basta» disse Fíli «Ultimamente è come un orso con una zampa ferita.»

«Sono grato di avere anche solo quello» sputò Frerin «Tu capisci.»

«Sì, lo so. Andiamo» disse Fíli dolcemente «Fratelli, bleah – tutti i fratelli sono degli idioti e un terribile spreco di preoccupazione. Non ricordi?»

Le labbra di Frerin si strinsero. «Fratelli idioti.»

«Aye, ti ricordi» disse Fíli, e mise un braccio attorno al biondo più piccolo, tirandolo vicino «Stai con me, zietto. Dobbiamo fare fronte unito. Sembra quasi che i fratelli idioti si moltiplichino quando non ci stai attento.»

Gli occhi di Frerin si allargarono. «Mi hai chiamato...»

«Beh, lo sei» disse Fíli, e poi spettinò la testa di Frerin con la mano «Sei assolutamente minuscolo.»

«Non lo sono!» rispose immediatamente Frerin, a c'era una luce calda nel suo volto «Mi – mi hai chiamato zio.»

«Zietto.»

«Sempre zio, però» il luminoso, allegro ghigno di Frerin finalmente si fece largo fra la copertura di tristezza «Ci conto.»

«Va bene, zietto» disse Fíli ghignando a sua volta, il suo sorriso una copia quasi identica di quello dell'altro, solo più vecchio.

«Cos'è questa cosa sui fratelli idioti?» chiese Óin.

«Non farti venire in mente idee sui nomi da dare a Glóin quando arriva» lo avvertì Haban, e gli tirò la treccia piegata all'insù sulla sua nuca.

«Il corno giunse a me lungo il fiume, tagliato in due» continuò Faramir «Ora giace in grembo a nostro padre, seduto nel suo alto seggio, in attesa di notizie. Non puoi dirmi nulla?»

«Non so cosa lo uccise» disse Frodo debolmente «Ora, ciò che dite mi riempi di paura. Se Boromir quel giorno fu ucciso, tanto forte lui era, allora di certo anche i miei compagni sono periti con lui!»

«Padron Frodo» disse Sam subito «no, non pensate cose simili.»

«I miei cugini, la mia famiglia! Aragorn, Gimli e Legolas, quelle anime coraggiose» gemette Frodo, e si mise la testa fra le mani «Perché non abbandonate i vostri dubbi e non mi lasciate partire? Sono sfinito, e purtroppo ora anche pieno di tristezza, e spaventato, così terribilmente spaventato. Ho un'impresa da compiere, o almeno da tentare, prima di essere ucciso anch'io. Ed ancor maggiore è la mia fretta, se è vero che noi due Mezzuomini siamo gli unici superstiti della Compagnia.»

Faramir lo guardò in silenzio.

«Ti prego, lascialo andare» implorò Sam, girandosi verso l'Uomo «Ti prego!»

«Ora dovrei riportarti a Minas Tirith perché tu risponda alle domande di Denethor» disse Faramir lentamente «Ma se questi giorni oscuri mi hanno reso un buon giudice delle parole degli Uomini, allora forse potrò tentare di indovinare quelle dei Mezzuomini. Se prendo una decisione nefasta per la mia città la mia vita ne sarà il prezzo. Perciò non avrò fretta nel decidere.»

Sam fece una smorfia frustrata e si arrese, mettendosi un pezzo di formaggio in bocca con pessime maniere.

«Piccoletto coraggioso» mormorò Haban.

«Indovino dalle tue parole più di ciò che hai detto» disse Faramir, e inclinò il capo e guardò la piccola, sporca coppia davanti a sé «Tu non confermi né neghi nulla sul conto del Flagello di Isildur, e ti poni come se la memoria di Boromir fosse per te dolorosa oltre alla tristezza per la sua morte. Dunque. Non eravate amici con Boromir, o non vi separaste in amicizia. Io lo amavo teneramente, però so quale carattere aveva. Il Flagello di Isildur – oserei dire che il Flagello di Isildur era l'ostacolo fra voi e il motivo della vostra disputa. Una sorta di eredità, se Aragorn potrebbe reclamarlo per primo. Ho colpito nel segno?»

«Furbo» disse Haban, scioccata. Forse negoziare con un Uomo simile sarebbe stato pericoloso, piuttosto che noioso. Forse sarebbe stata fortunata ad andarsene con ancora i suoi fermagli.

«Troppo furbo!» aggiunse Fíli.

«Il sangue di Númenor, forse?» si chiese Óin.

«Vicino» disse Frodo «ma non nel cerchio.»

«Ha!» rise Frerin, mentre Fíli gemeva «Un'ottima battuta!»

«C'è ancora un po' della passione Hobbit per gli enigmi in lui» disse Óin, e sospirò sollevato «Buono. Buono, la situazione non è così brutta, quindi.»

«Non avere timore» disse Faramir, e sorrise «Io non sono Boromir, e non lotterei con te per averlo. Non mi impadronirei di codesto oggetto, neppure se lo trovassi lungo la strada. Io non desidero simili cose, no – io desidererei veder rifiorire l'Albero Bianco nei cortili del re e ritornare la Corona d'Argento, e la pace a Minas Tirith: Minas Anor qual era in passato, reame di luce, alta e risplendente, bella come una regina fra le regine; non una padrona di molti schiavi, no, nemmeno una dolce padrona di schiavi volontari. La guerra è indispensabile per difendere la nostra vita da un distruttore che divorerebbe ogni cosa; ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo: la città degli Uomini di Númenor, e desidero anche che la si ami per tutto ciò che custodisce di ricordi, antichità, bellezza ed eredità di saggezza. Non desidero che desti altro timore che quello riverenziale degli Uomini per la dignità di un anziano saggio.»

«Beh, può mettere una sella sul suo vocabolario e farlo galoppare attorno alla stanza un paio di volte, o sbaglio?» borbottò Fíli.

Haban stava iniziando a ringraziare Mahal e tutti i Sette Padri per non aver mai incontrato Faramir o un suo pari. Avrebbe finito col regalargli tutto quello che possedeva, e poi lavorare per lui!

«Il mio compito» disse Frodo, e guardò su «Solo il mio compito può portare la pace che desideri.»

«Non ne dubito» disse Faramir, e si appoggiò contro a una scatola di mele invernali. Assomigliava molto a Boromir, ora che Haban lo guardava: stesso volto risoluto, stessi occhi grigi, stesso naso. Ma se Boromir era stato impiegabile, coraggioso e imprudente nelle sue azioni, suo fratello sembrava più calmo nell'azione e più profondo nel pensiero. «Devo pensare. Datemi tempo per ragionare bene. Parlatemi di Lothlórien! Cosa vi accadde in quella terra incantata? Avete veduto la Dama che non muore?»

«La Dama di Lórien!» esclamò Sam «Galadriel! Dovreste vederla, davvero dovreste, signore. Vorrei poter fare una canzone su di lei. Granpasso, cioè Aragorn, o il vecchio signor Bilbo potrebbero farlo, perché io non ho le parole. Sapeste com'è bella, signore! Stupenda! A volte come un grande albero in fiore, a volte come un narciso, piccolo ed esile. Dura come diamanti, morbida come luce lunare. Calda come il sole, fredda come il gelo delle stelle. Fiera e distante come un monte di neve, più allegra di una ragazza che in primavera si intreccia delle margherite fra i capelli.»

«Allora dev'essere davvero stupenda» disse Faramir «Pericolosamente bella.»

«Non so se sia pericolosa» disse Sam «Mi ha colpito il fatto che la gente porta sempre con sé il proprio pericolo, e poi lo ritrova a Lórien, perché se l'è portato dietro. Ma forse la si potrebbe definire pericolosa, perché è talmente forte in se stessa. Ci si potrebbe infrangere e distruggere contro di lei, come una nave contro una roccia, o annegare in lei, come uno Hobbit in un fiume. Per esempio, Boro-» si interruppe e divenne piuttosto rosso in volto.

«Sì?» disse Faramir, alzando un sopracciglio «Stavi dicendo, per esempio Boromir? Che lui si era portato dietro il suo pericolo?»

Sam strinse la mascella e incrociò le braccia, anche se indicò l'Uomo con un pezzo di pane prima di parlare. «Sì, signore, vi domando scusa, e vostro fratello era una persona in gamba, se mi posso permettere di dirlo. Mai voi avete subodorato tutto sin dall'inizio. Io ho osservato e ascoltato Boromir in viaggio da Granburrone in poi – senza cattive intenzioni nei suoi riguardi, voi capite bene, ma soltanto per vegliare sul mio padrone – sono convinto che a Lórien comprese per la prima volta quel che io avevo già indovinato: che cosa bramava il suo cuore. Dal momento in cui l'aveva veduto, non desiderava altro che l'Anello del nemico!»

«Shazara!» esclamò Óin, ma era troppo tardi, troppo tardi!

«No!» ansimò Frerin, echeggiato da Haban.

«Sam!» urlò Frodo in orrore.

«Santo cielo!» esclamò Sam, e si mise una mano sulla bocca e le sue guance rubiconde divennero bianche come la luna «Padron Frodo, perdonatemi! Signor Faramir, signore, non approfittate del mio povero padrone solo perché Sam Gamgee è un perfetto idiota – ci avete trattato in maniera onorevole. Ecco l'occasione buona per dimostrare le vostre virtù.»

«Così pare» disse Faramir facendo un lento e strano sorriso «È dunque codesta la risposta a tutti gli enigmi! L'Unico Anello. E Boromir tentò d'impadronirsene con la forza? E voi scappaste? E correndo correndo – cadete nelle mie mani!»

Sam deglutì forte, e fece un passo davanti a Frodo protettivamente, pieno di rabbia coi pugni alti. «Ascolta qui...» iniziò, la voce che tremava.

Faramir si alzò, e la sua altezza rese patetico lo spettacolo di Sam. «Qui in mezzo alle contrade sperdute eccomi con due Mezzuomini, e una schiera di Uomini ai miei ordini, e l'Anello degli Anelli. Un bel colpo di fortuna!» si raddrizzò, molto alto e severo, gli occhi grigi brillavano.

«Preparati a correre da Thorin, zietto» mormorò Fíli.

«Spero tu ti senta veloce» aggiunse Haban.

Frodo iniziò a indietreggiare verso il muro, afferrando goffamente l'elsa di Pungolo mentre Sam cercava di fargli da scudo col suo corpo, piccolo mento buttato in fuori. «Per favore, lasciatelo andare!» ansimò Sam «Per favore, è un tale fardello! Non potete lasciarci andare?»

«Una buona occasione per Faramir, Capitano di Gondor, di mostrare la propria virtù» sussurrò Faramir, e fece un passo avanti per guardare la catena al collo di Frodo e il seduttivo luccichio dell'oro tra i bottoni della semplice camicia della Contea.

«No!» urlò Frodo, e indietreggiò fino alla parete della caverna, il petto che si alzava e si abbassava rapidamente.

«Non capisci?» ululò Sam «Dobbiamo distruggerlo! Boromir ha cercato di prendere l'Anello a Frodo – l'Anello ha portato tuo fratello alla pazzia!»

Ci fu silenzio.

Poi Faramir si sedette di colpo e iniziò a ridere piano. Non c'era allegria però in quella risata, e cessò improvvisamente come era iniziata. «Ahimè povero Boromir!» disse, e il dolore attraversò nuovamente il suo volto «Ahimè mio coraggioso, orgoglioso fratelli! Fu una dura prova. Come avete accresciuto la mia pena, strani viandanti di un remoto paese, portatori del pericolo degli Uomini!»

«Cosa?» sussurrò Óin «Che succede ora?»

«Quindi, devo correre?» domandò Frerin.

«Forse... no?» disse Haban dubbiosa.

«Non scartare la possibilità» disse Fíli, guardando ancora l'Uomo con sospetto.

La testa di Faramir si chinò, nascondendo il suo volto. «Io non m'impadronirei di quell'oggetto anche se lo trovassi lungo la strada. Pur se fossi Uomo da desiderarlo, e benché ancora non sapessi precisamente di cosa stessi parlando, considererei tuttavia quelle parole una promessa vincolante. O forse sono abbastanza saggio per sapere che ci sono dei pericoli dai quali un Uomo deve fuggire.»

Frodo lo fissò, e poi quando la prima ondata di paura svanì, il suo corpo iniziò a tremare. Sam urlò e lo prese fra le braccia, stringendolo forte. «Padron Frodo» esclamò «Sedetevi, sedetevi, Padron Frodo. Andiamo, il vostro Sam è qui.»

«Sam, Sam!» ansimò Frodo, allungando una mano alla cieca, e Sam la prese nella propria, rovinata e abbronzata, e la strinse.

«Ebbene, Frodo, ora infine ci comprendiamo a vicenda» disse Faramir piano «Tu che hai accettato il peso di questo fardello con riluttanza, su preghiera altrui. Tu hai tutta la mia pietà e la mia stima. Andate a riposare. Siete al sicuro qua per un altro giorno, e domani vi aiuterò.»

«Vuoi lasciarci andare?» disse Frodo con una grande speranza nella sua voce «Io devo andare a Mordor, devo andare a Gorgoroth. Devo gettare l'oggetto nell'abisso del Fato. Gandalf me l'ha detto. Non credo che ci arriverò mai.»

Faramir lo fissò per un istante in meraviglia senza parole. Poi si mosse in avanti e prese il piccolo Hobbit che barcollava, e sollevandolo più gentilmente che poteva, lo trasportò di nuovo fino alle sue coperte e lo coprì.

«Capitano, se li lasciate andare, ne andrà della vostra vita» sibilò Mablung, e Faramir si alzò e incrociò gli occhi preoccupati del suo Ramingo.

«Dunque è andata» disse gravemente.

Un piccolo movimento di lato riportò i suoi occhi su Sam, solo e a disagio. Sam esitò per un momento e poi si inchinò profondamente. «Avete colto l'occasione, Capitano, mio Signore» disse umilmente, le mani che tiravano l'orlo del mantello.

La guancia di Faramir si contrasse. «Davvero?»

«Sì, signore, e avete mostrato le vostre virtù: le più alte» disse Sam, il piccolo mento testardo spinto in fuori.

«Impertinente» mormorò Haban «Un piccoletto davvero molto coraggioso!»


«Gimli»

Il Nano seduto sul pagliericcio continuò a cucire senza interrompersi. «Baknd ghelekh. Mi stavo chiedendo quando saresti tornato, mio Signore.»

Thorin fece un lento respiro col naso, e poi cautamente si sedette sul letto accanto alla sua stella. L'ago di Gimli entrava e usciva dal tessuto strappato della sua ricca giacca da viaggio marrone ruggine, cucendo attentamente l'orlo. «Non ti avrei evitato» disse, con tutta la calma che poteva «Non ti avrei mai evitato.»

«Non avevi mai visto uno della tua famiglia che si rende un idiota per via di un Elfo allora»

Il labbro di Thorin tremò. «Non esserne tanto sicuro.»

«Non desidero parlarne» disse Gimli. L'ago entrò, dentro e fuori.

«Non sarò dissuaso, mia stella» disse Thorin, e un peso si posò sulle sue spalle «Se sai qualcosa di me, allora dovresti sapere questo.»

Gimli sbuffò piano. «Aye, si può dire così, suppongo.»

«Da quanto lo sai?»

Gimli non rispose. Dentro e fuori lampeggiò l'ago.

Thorin sospirò. «Non me ne andrò fino a che sentirò la tua risposta, Gimli. Non ti punirò per la scelta del tuo cuore. Non lo farò. Lo giuro. Ma devo sapere.»

«Testardo e intrattabile proprio come mi dissero che eri» borbottò Gimli.

«Lo prenderò come un complimento, parente, dato che è qualcosa che abbiamo i comune» Thorin guardò l'ago per qualche altro istante, prima di commentare: «Non sapevo che tu sapessi cucire.»

«Mi ha insegnato Dori» grugnì Gimli, e lasciò che il suo lavoro gli ricadesse in grembo «Ero giovane, annoiato, e mi stavo rendendo insopportabile un pomeriggio. Mi mise a cucire insieme dei pezzi, per calmare le mie dita impazienti e tenermi ferma la lingua. Non sono molto bravo, a dire il vero, ma meglio i miei goffi tentativi che camminare in stracci. Sono l'unico Nano che molti di questi Uomini vedranno mai, l'unico Nano a sud delle Montagne Nebbiose! Non posso avere i miei abiti stracciati. Che bell'Ambasciatore sarei!»

«Potresti provare a pettinarti i capelli, allora» mormorò Thorin.

Gimli tirò su col naso. «Ah, quello non importa. A chi fra questi Cavalieri importa di trecce e ghirlande e fronzoli? Preferirebbero ammirare una treccia nella criniera di un cavallo. Ma la mia veste – i segni della mia linea e le mie asce, ciò deve essere in buono stato.»

«Ci stai rendendo orgogliosi» disse Thorin, e si girò per fissare il muro della grande stanza da letto. Uno stendardo che mostrava un cavallo in corsa, bianco in campo verde, era lì appeso, i colori grigiastri sotto la polvere. «Io sono orgoglioso di te, nidoyel

«Eppure non mi lascerai al mio silenzio» disse Gimli, alzando lo sguardo.

«Orgoglioso e inflessibile, mia stella» disse Thorin, e sorrise amaramente allo stendardo sbiadito.

«Aye, sei proprio come dicevano che fossi» borbottò Gimli. Poi si spinse indietro i capelli infuocati, prima di gemere. Si strofinò il volto con le mani. «Devo?»

«Sei un Nano da solo, o no – il solo Nano a sud delle Montagne Nebbiose» disse Thorin, e alzò una mano senza pensare per afferrare la spalla muscolosa. Come sempre, la mano vi passò attraverso, e Thorin morse un'imprecazione. «Io sono qui, Gimli. Io sono qui. Parlami, e alleggerisci il tuo peso. I Nani morti non raccontano storie a nessuno.»

Gimli rimase in silenzio, il volto premuto nelle mani. Poi fece un respiro enorme e esplosivo, e iniziò a cercare nella sua tunica. «Mi servirà un pipa per questo» borbottò «Benedetto sia quel Tuc per la sua previdenza!» estrasse la pipa di Pipino e iniziò a prepararla.

Thorin aspettò impazientemente mentre Gimli accendeva la pipa con il vecchio acciarino di suo padre. Il Nano più giovane si mise comodo e spedì una voluta di fuma verso il soffitto, prima di mettere da parte il suo cucito e tirar su le gambe. I suoi gomiti si appoggiarono comodamente sulle sue ginocchia, la schiena premette contro al muro, e tutto sommato, sembrava perfettamente a suo agio.

Thorin non si fece ingannare.

«Rilassati» mormorò, e Gimli rise, il fumo si gonfiò attorno a lui.

«Facile da dire» rispose, e c'era una qualche emozione nella sua voce che generalmente era assente.

Thorin lo guardò per un secondo, questa guida luminosa e inaspettata contro la sua oscurità e disperazione. Poi si fece forza e disse: «Anche il mio cuore si era rivolto a un altro, non lo sai?»

La pipa di Gimli si bloccò a mezz'aria.

«E come è successo a te, lui non era certo un Nano» il cuore di Thorin fece una piccola capriola dolorosa nel suo petto «Forse la Linea di Durin ha delle peculiari predilezioni innate e ben nascoste.»

«Ah, nekhush» disse Gimli, gli occhi sbarrati e stupiti «Non lo sapevo.»

«Aye» disse Thorin, e alzò la testa per inchiodare nuovamente gli occhi sul cavallo impolverato sul muro «L'unico e solo che amo, anche se non lo seppi mentre vivevo. Il mio cuore si aprì tanto in fretta che a malapena lo notai.»

«Non devi...» disse Gimli, il tono strozzato «Mio Signore, non devi dirmi...»

«Ah, ma un segreto per un segreto, non è così?» disse Thorin, e sentì l'angolo della sua bocca che si incurvava in un sorriso di auto derisione «E poi, come tu hai detto, a cos'hanno mai fatto di buono i segreti per noi?»

«Alcuni segreti sono diversi» disse Gimli rapidamente «Melhekhel, questo è tuo e tuo solo. Io non avrei mai la presunzione di doverlo sapere. Anzi, sarebbe intimo quasi quanto conoscere il tuo nome oscuro!»

«Perché no?» il sorriso di Thorin si allargò «Io conosco il tuo.»

Gimli si congelò.

«L'ho sentito a Granburrone» continuò Thorin «Ti sta bene. Beh, difficilmente non lo farebbe, eh?»

«Mio padre» ansimò Gimli.

«Ti ho osservato per ottant'anni, inùdoy» continuò Thorin. La sua voce era molto rumorosa nell'improvviso, testo silenzio. «Ho amato il tuo fuoco e il tuo spirito e il tuo coraggio e il tuo umorismo. Ho preso in prestito la tua forza e stabilità quando le mie mi tradirono. Tu sei così vivo, Gimli – così tanto vivo, e io mi ci sono crogiolato. Sei fiamma accesa per scaldarmi quando devo sopportare l'attesa fredda della morte. Ho preso così tanto da te, figlio di Glóin. Cosa di me non dovrei darti in cambio?»

«No, ikhuzh» disse Gimli, la mano libera stretta a pugno «Non mi devi nulla. Io ho la tua presenza, un miracolo non cercato e mai udito! Non mi serve altro che -»

«Era Bilbo» interruppe Thorin «Bilbo Baggins.»

La parole di Gimli si bloccarono, e la sua bocca rimase leggermente aperta in stupore.

«Sembri sorpreso» disse Thorin asciutto.

La bocca di Gimli si chiuse. «Ah» disse distrattamente, e abbassò la testa mentre la confusione gli attraversava il volto «Non intendevo offenderti.»

«No, è comprensibile che tu ne sia stupito» disse Thorin, e si guardò le mani «Non lo trattai molto bene.»

«No, non...» Gimli si calmò con visibile sforzo, anche se una traccia della sua grande meraviglia era ancora nei suoi occhi «Ma aspetta, sì – lo bandisti, non è così?»

«Aye, lo feci» disse Thorin, e le sue spalle si alzarono protettivamente contro la vecchia, acida ondata di senso di colpa che seguiva questo genere di pensieri. Prontamente, arrivò, seppellendolo in vecchia vergogna.

Stranamente, non fece male come un tempo.

«Ero mezzo accecato dalla rabbia e ammalato per il tesoro del drago» continuò, e quanto era strano, quanto veramente strano! - queste erano cosa che erano successe, erano debolezze e pesi che ancora lo schiacciavano, ancora ferivano con tremenda finalità, ma stranamente Thorin poteva affrontarli ora. Poteva parlarne senza che l'odio per se stesso gli bloccasse la lingua. «Pazzo dalla avidità e dalla vendetta, lo gettai via. Il mio coraggioso, resistente piccolo ladro rubò l'unica cosa che non potevo perdonare – e la diede a coloro che avrebbero preso i nostri tesori da noi dietro il ricatto dell'acciaio. Sì, lo bandii. Poi lo presi e lo scossi sui bastioni meridionali come un coniglio. Poi combattei i miei nemici, salvai la mia casa, e morii.»

Gimli era ancora in silenzio, e il bianco dei suoi occhi era visibile attorno il marrone caldo dell'iride.

Thorin lo guardò. «Ricorda questo, mio coraggioso ragazzo, la prossima volta che pensi ci sia troppo tra te e Legolas per sperare nel perdono. Ricorda cosa io feci al mio sanâzyung

«Io non ho mai...» Gimli si strozzò, mordendo le sue parole, e poi si mise la pipa in bocca e fece un lungo respiro.

«E poi» Thorin deglutì «ricordati che mi perdonò mentre io giacevo morente.»

«Chi altri lo sapeva?» disse Gimli, la voce molto debole.

«Balin, decisamente» gli sfuggì uno sbuffo «Quel vecchio Nano mi conosceva troppo bene, anche quando riuscivo a mentire persino a me stesso. Dwalin forse. Il dannato maledetto Stregone senza dubbio. Alla fine della nostra Missione, metà della Compagnia l'aveva indovinato. Tuo padre, ora – lui lo sapeva. Ma io no.»

Gimli masticò per un momento la pipa presa in prestito, e poi alzò lo sguardo. «E Mastro Baggins?»

«Lui non parlò mai» disse Thorin, e le sue mani si intrecciarono mentre le guardava, le nocche bianche «Non ne parlerà mai ora. Ero cieco e orgoglioso e non vidi, e così la mia unica possibilità in fatto di amore mi scappò fra le mani e io fui perso – perso in un vortice di disperazione, follia e oscurità. La mia storia non è una storia felice, figlio mio. È un racconto di disperazione e speranze infrante, di vendetta e possibilità mancate. La tua, Gimli... per te, non è troppo tardi.»

«Oh mio Re» gli occhi di Gimli si chiusero per un istante «Mio amato Re, vorrei che tu non mi avessi detto tutto questo. Non mi merito di saperlo. Questo era tuo, era solo il tuo cuore. Mastro Baggins dovrebbe saperlo, non io.»

«E come proponi di farmelo dire a Mastro Baggins, eh?» Thorin fece un risata amara «Io sono, come di sicuro tu sai, morto da ottant'anni.»

Gimli gemette.

«Ma sì, glielo direi, se sapessi come» le spalle di Thorin si abbassarono, e lui poteva udire il pesante, lento rumore del suo cuore nelle sue orecchie «Tu hai ora quella possibilità. Sai quanto è preziosa?»

«E il mio amore dovrebbe rubare a Legolas la sua vita?» la mascella di Gimli tremò, e la determinazione indurì il suo volto «No. Qui è dove le nostre storie si differenziano, mio Signore.»

«Hai solo la parola di Aragorn» ribatté Thorin, ma Gimli scosse immediatamente la testa, facendo volare le sue trecce infuocate.

«Che motivo avrebbe Aragorn di mentire?» chiese «Il suo cuore è in guerra per questo motivo, disperato per la sua signora! Perché io dovrei scegliere tanto facilmente dove lui lotta?»

Thorin non aveva risposta.

«E poi» disse Gimli, e la sua testa cadde in avanti «Legolas è un Elfo, ed è il figlio di Thranduil di Bosco Atro. Potranno non esservi azioni imperdonabili fra noi, ma c'è abbastanza in questi due fatti per tenere il Bosco e la Montagna alle gole l'uno dell'altra finché vivrò.»

«E la vita è forse così certa in questi giorni? Finché vivrai, Gimli, potrebbe essere fino a domattina» disse Thorin con un sospiro «Vivi in mezzo a una guerra.»

«Edoras non è così male» disse Gimli, sbuffando «Sono sicuro che vivrò un'altra notte dietro alle sue mura.»

«Gimli» ringhiò Thorin.

Gimli scosse la pipa. «Aye, aye, ho capito. Calmati, mio Signore.»

«Sarò calmo quando tu aprirai gli occhi!» le dita di Thorin si strinsero sui suoi pantaloni «Non ti sto dicendo tutto questo perché tu possa ripetere i miei errori!»

«Tu lo odi» ritorse Gimli «Odi lui e la sua gente e suo padre. Per la barba, le trecce e gli stivali di Durin! Per quanto ne so tu odi il suono stesso del suo nome! Hai voluto che gli dicessi che non ti fidi di lui, e che avresti osservato ogni sua mossa con sospetto. L'hai sempre insultato. Perché ora mi inciti a fare la prima mossa?»

«Io non lo odio!» Thorin cercò di controllare l'ondata di irritazione che montava sotto le sue costole «Io – io mi sbagliavo. Non odio Legolas, per quanto sia un Elfo.»

«Non gli perdoneresti mai la sua parentela» disse Gimli fermamente, e si rimise la pipa in fra i denti «Ti conosco abbastanza, anche senza sentire i tuoi segreti, per sapere almeno questo!»

«Io non lo odio!» ripeté Thorin, e lanciò indietro la testa in frustrazione mentre un ringhio cercava di uscire dalla sua gola. Questo era il frutto di tutta la sua mancanza di fiducia, e oh, era così amaro!

«Hai quasi trascinato il Nord in un massacro per l'odio di suo padre» disse Gimli, basso e scuro, fissando i cerchi di fumo con testarda risoluzione «Spero tu capisca perché io non ti credo.»

«Tu-!» Thorin ingoiò l'imprecazione che gli era balzata in bocca «Sì, lo ammetto, io odio Thranduil e lo farò fino a quando le montagne saranno polvere. Ma Legolas...»

«Figlio di Thranduil» interruppe Gimli, un sorriso amaro sulle labbra «Principe del Bosco Atro.»

Quello era l'ultimo sassolino che faceva iniziare la valanga. «Gimli, io non ti vedrò camminare per il mio sentiero solitario!» ruggì Thorin. Improvvisamente era in piedi davanti al Nano seduto, anche se non ricordava chiaramente essersi allontanato dal pagliericcio o alzarsi in piedi. «Io passerò nel nulla infinito oltre al mondo prima che succeda! Ti ama, dannato idiota testardo, e tu lo ami!»

«LO SO!» urlò Gimli, e la sua testa si alzò e i suoi occhi brillarono di rabbia «Pensi che io non l'abbia capito? Le parole di Aragorn sono state l'ultimo pezzo del puzzle – ho saputo chi era l'altra metà di me da quel fiume maledetto da Mahal! So che desidera – c'è forse un singolo movimento dei suoi occhi, il più piccolo cambiamento in lui, che io non veda? Ogni movimento che da mi affascina; il suo più piccolo sospiro è un tesoro! Certo che lo so!»

Thorin lo fissò. C'erano lacrime negli occhi di Gimli, anche se non cadevano. Le sue guance erano rosse sopra alla barba spettinata, e i suoi denti erano bianchi e digrignati tra le ciocche di capelli rosso acceso. Il ringhio sul suo colto era familiare come respirare. Sembrava – sembrava Thorin, per la prima volta nella sua vita.

«Lo so» continuò Gimli, la voce più bassa anche se il suo respiro era ancora rapido «Lo indovinai, all'inizio della nostra caccia per le pianure di Rohan. L'Elfo sospirava e mangiava e cantava e dormiva come qualcuno innamorato. Io non riuscivo a crederci, ma non era possibile che fosse per qualcun altro. Aragorn, forse, ma per lui è più simile a un fratello – e poi quando lo perdemmo sul dirupo, Legolas si rivolse a me! A me, in cerca di conforto! Non piangeva per un amore perduto, ma per la debolezza della vita. Cercava le mie parole, il mio tocco! Non Aragorn dunque, non un Re degli Uomini con sangue Elfico nelle vene, ma un Nano di Erebor, impossibile. Non poteva essere così, eppure la notte della festa sembrò confermarlo. Ma un Elfo, e me!» aprì le sue grandi mani rovinate dalle asce, e poi si strofinò bruscamente gli occhi «Ah, non ci si poteva credere.»

«Non parlerai male di te stesso» ringhiò Thorin.

«Âkminrûk zu, zabadel – ma io non sono ciò di cui gli Elfi sognano» disse Gimli sardonico.

«Hai una barba che persino tuo padre ti invidierebbe, se solo la pettinassi» disse Thorin, incrociando le braccia e sedendosi pesantemente. La sua rabbia ancora lo artigliava, ma la sottomise con qualche sforzo. «Non fingere di non conoscere i tuoi meriti o quanti occhi ti hanno seguito negli anni; tu, il figlio nobile di una famosa bellezza.»

«Occhi Nanici» corresse Gimli «So di averne catturati, non lo negherò, ma gli Elfi preferiscono altre qualità. Come avrei mai potuto credere che mi vedesse come lo farebbe un Nano?»

Thorin alzò al cielo i suoi occhi. «Non puoi essere serio.»

Le labbra di Gimli si strinsero. «Non sono passati che alcuni mesi da quando mi giudicò capace di provare sentimenti, per non parlare di vedermi come un individuo a sé stante. Perdonami qualche insicurezza e scetticismo.»

Thorin si morse la lingua.

«Dovevo sapere» disse Gimli, e la testa gli ricadde sul petto. Tutta la sua furia sembrò essersi prosciugata: come Glóin, Gimli era rapido ad arrabbiarsi ma anche rapido a perdonare. «Avrei chiesto a Legolas, ma mi ha evitato dal banchetto. Chiesi ad Aragorn, e l'ultimo indizio completò il quadro. Quindi. Ora lo so. Vorrei non saperlo.»

«Gimli, dovresti parlare lo stesso con Legolas» disse Thorin, e la sua rabbia non era tanto facile da ignorare «Gli negherai la sua scelta e la sua voce?»

«Il mio amore costerebbe a Legolas la sua vita» disse Gimli, e fece un profondo respiro tremante. La sua voce si abbassò fino a diventare un triste borbottio quando continuò. «Non deve essere legato a me, né alla mortalità. Non sarà legato dall'amore di un Nano: può trovare un altro, e saranno felici sotto i suoi adorati alberi per tutte le Ere a venire. Non lo trascinerei con me nell'oscurità.»

«Non hai il diritto di scegliere per lui» riuscì a dire Thorin.

Gimli pulì la sua pipa, che si era spenta mentre parlava. «Forse no» disse, e alzò lo sguardo «Ma posso rimuovere la scelta. Legolas vivrà.»

«Gimli» provò di nuovo Thorin, ma l'altro Nano si voltò e riprese a cucire «Gimli, ascoltami: siamo Nani, amiamo solo una volta. Non puoi vivere la tua vita senza mai avere un pezzo del tuo cuore...!»

«Perché no? Molti altri lo fanno» grugnì Gimli, e l'ago iniziò a nuotare nella lana, legando un pulito, fermo nodo «Non è insolito. Dovrò semplicemente dedicarmi alla vita dell'ascia.»

«Non è lì che ti porta il tuo cuore» disse Thorin, e scosse la testa e si passò le mani fra i capelli «Figlio mio, ti prego!»

Gimli ruppe il filo coi denti, e attentamente mise l'ago in un morbido rotolo di feltro che infilò in una tasca del suo bagaglio. Poi si alzò dal pagliericcio, e allargò le spalle robuste. «Quando ti chiedetti di far pace con Legolas, non avrei mai pensato sarebbe finita così» disse alla stanza apparentemente vuota «Mio signore Thorin, tu hai sempre avuto la mia totale lealtà ma in questo non seguirò ordini, nemmeno i tuoi. Se Mahal stesso venisse a dirmi di legare Legolas a me, rifiuterei! Io sarò suo, aye, fino alla fine dei miei giorni. Ma lui non può essere mio. Un giorno mi unirò a te nella fredda attesa della morte, il mio corpo tornerà alla pietra. Questo è il mio fato, e il fato di tutti i Khazâd. Io non voglio – non posso – gettar via tanto facilmente la vita di Legolas, non quando tutte le Ere del Sole sono il suo diritto di nascita. Non per la mia egoistica felicità.»

«E la sua?» sarebbe successo di nuovo – e sarebbe successo alla sua amata stella fiera e infuocata. Thorin non avrebbe guardato senza far nulla mentre Gimli camminava per il lungo, solitario sentiero di Thorin, perdendo il suo fuoco e la sua risata dopo ogni passo stanco. «Il tuo Uno è davanti a te – sai che genere di dono ti è stato dato? Cosa stai gettando via? Gimli, inùdoy, apri gli occhi! Parlagli!»

La testa di Gimli si alzò leggermente. «Alcuni segreti sono diversi» disse semplicemente. Poi raccolse la sua ascia, se la mise in spalla, e iniziò ad andarsene dalla stanza.

«Mi rimangerei le mie parole» urlò Thorin alla sua schiena «Il tuo Nome, Sansûkhâl: non ti si addice affatto! Uno che vede tanto chiaramente non dovrebbe essere così dannatamente cieco!»


I quattro Nani guardarono in alto.

Nori tirò su col naso. «Pessima tecnica. Sarebbe dovuto andare nascosto dall'oscurità.»

«È più silenzioso di quanto tu non sia mai stato» ritorse Lóni. Ciò fece incrociare le braccia a Nori, ma lui non lo negò.

«Uno Hobbit è rapido e silenzioso, se ricordo bene» disse Thráin, grattandosi la testa «Pensate abbia già capito?»

«No» disse il quarto membro del loro gruppo. Non aveva parlato molto, era una Nana di poche parole. Però la sua presenza stava rendendo Lóni stupefatto, e irritava Thráin senza fine. «Non ha capito niente.»

«È già tardi per chiamare aiuto quando sei già sotto assedio» disse Thráin, tirandosi i baffi pensieroso «Ma sia Erebor che Gondor dovranno adeguarsi alle circostanze... ma chi verrà?»

«Thorin gli dirà una parolina all'orecchio, vedrai» disse Nori, e girò la testa. Sopra di loro, lo Hobbit si arrampicava sulla pila di legna alta quanto lui, rimanendo in equilibrio sui grandi piedi. «Non male. Per un novellino.»

«Almeno non l'hanno ancora notato» disse Lóni.

«Io penso noteranno un falò, tu no?»

«Ora, perché hanno l'olio sopra alle fiamme e al legno in quel modo?» disse la Nana con disapprovazione «È un incidente che aspetta di accadere. Un sistema di condutture sarebbe molto più sicuro.»

«Oh, sembri felice di aiutare loro» borbottò Thráin. La Nana grugnì in derisione.

«Perché Mahal sa che posso fare molto per loro, da morta, eh?»

Thráin si accigliò. «Allora perché non aiuti me con i miei gambali? Non ti chiedo molto tempo...»

«Il rifiuto ti fa bene, Oh grande Re di Erebor» disse lei e ghignò, i denti molto bianchi contro la sua faccia dalla pelle marrone.

«Dannata artigiana altezzosa» borbottò Thráin sottovoce, e si girò di nuovo verso lo Hobbit con un volto che sembrava una tempesta.

«Quell'espressione farebbe cagliare il latte» disse Lóni, impressionato.

«Mentre è ancora dentro alla mucca» aggiunse Nori «Mi chiedo se funzionerebbe con qualcuno dei miei, ah, soci d'affari?»

«Oh no» disse Thráin, e alzò una delle grandi dita e la agitò davanti davanti al naso di Nori «Ho finito con le tue sciocchezze. Essere stato spellato da te una volta mi è bastato, grazie tante. Lasciami fuori dalle tue transazioni d'ora in poi.»

«Peccato» disse Nori, picchiandosi contro al panciotto un anello di ferro sulla sua mano (era un anello nuovo – nessuno era molto sicuro di dove l'avesse preso) «Avrei potuto farti qualche piccola commissione molto interessante, qualche probabilità favorevole nelle prossime scommesse, sai...»

«Cosa, solo per intimidire qualcuno?» Thráin strinse le labbra pensieroso, e dietro di lui, la Nana soffocò una risata. Lui si accigliò di nuovo. «E basta anche tu!»

«Oh, non provare nemmeno a darmi ordini, Thráin figlio di Thrór» disse lei allegramente «Non sei il mio Re, dopotutto.»

«Sta accendendo il faro mentre è ancora sopra di esso?» chiese Lóni a nessuno in particolare, suonando estremamente confuso.

Nori guardò per un istante, e poi gemette. «Me lo rimangio – un novellino senza speranza.»

«Gandalf non lascerebbe che si facesse del male» disse Lóni, guardando le alte mura bianche del livello superiore. La punta di una testa dai capelli bianchi e la runa G complessamente intagliata di un bastone potevano essere a malapena riconosciute. Più facile da notare era la livrea argento e nera di un Uomo accanto al bastone. «Chi è quello?»

«Un guardiano della torre, Beregond figlio di Baranor» disse Thráin «Gróin ne ha parlato nell'ultimo rapporto. Pipino ha fatto amicizia con quel tipo. Sembra uno a posto, anche se senza senso dell'umorismo. Pensa che Pipino di un qualche genere di campione: una specie di soldato mezzuomo.»

Ci fu una breve pausa, e poi tutti e quattro i Nani scoppiarono a ridere.

«Oh, oh mi sento male» ansimò Lóni.

«Pipino!» ridacchiò Nori.

«Ora, ora, non dobbiamo essere maleducati» disse la Nana, anche se sul suo volto c'era ancora un enorme ghigno «Il piccoletto è davvero un campione stagionato ora! Guardate quanta strada ha fatto!»

«L'unica stagionatura a cui si interessa ha a che fare con sale e pepe» sbuffò Nori.

«Beh, ha la possibilità di mettersi alla prova ora che è stato allontanato dalle ali di suo cugino» disse Thráin, e scosse la testa «Sì, se non si arrostisce da solo prima.»

«Guardate!» urlò Lóni, e indicò i crinali delle Montagne Bianche. I picchi coperti di neve avrebbero dovuto brillare al sole, ma invece erano rannicchiati sotto il cielo coperto come se si stessero stringendo insieme in cerca di calore. «Là, sulla cima più alta!»

Ci fu una scintilla, e poi un focolare crebbe in risposta – una luminosa scintilla di rosso e oro contro alle minacciose nuvole nere.

«La speranza divampa» udirono mormorare Gandalf.

Dietro a Thráin, la grande artigiana Narvi alzò la testa, scuotendo le trecce. «Avrei potuto fare di meglio» disse.

«Dannata artigiana altezzosa» udirono sussurrare Thráin, prima di incupirsi tanto da poter spaventare tutti i soci d'affari di Nori per qualche secolo.


«Vostra Maestà» disse Balin, inchinandosi profondamente. Thrór agitò una mano distrattamente, notando il saluto. Tutta la sua attenzione era sul rapporto stretto fra le mani del suo giovane cugino lontano. I suoi occhi erano fissi sulle rune, le sue sopracciglia grige aggrottate.

«Cosa succede?» disse Náli a Balin sottovoce.

«Non ne sono sicuro» sussurrò Balin in risposta «Ma non sembra buono.»

«'adad» il Nano che stringeva la missiva alzò lo sguardo, e Balin notò che era l'Elminpietra. Il Principe Ereditario sembrava esausto, ma c'era un fuoco nei suoi occhi che non era mai stato lì precedentemente. Era come se il ragazzo cresciuto tra i racconti di eroi avesse finalmente trovato la sua forza. Il lungo assedio stava cambiando tutta Erebor in modo inaspettato. «Questo rapporto.»

«Eh?» Dáin alzò lo sguardo. La servitrice che stava aiutando il vecchio Re a entrare nell'armatura si fermò con le mani su una fibbia, e Dáin le diede una pacca sulla spalla. «Tranquilla, Berdit, non sono tanto infermo da non riuscire a raggiungere il resto. Cosa succede, ragazzo?»

«È da Froäc, il corvo che osserva la valle» disse l'Elminpietra, guardando di nuovo il messaggio «Gli Uomini di Dale si stanno muovendo.»

«Muovendo!» Dáin allontanò la servitrice e zoppicò fino a suo figlio, il piede di ferro che strisciava contro ai tappetti consunti nell'anticamera del Re «Muovendo verso dove? Quando è arrivata questa?»

«Bomfrís l'ha spedita la seconda ora dopo l'alba» disse l'Elminpietra, e guardò suo padre, notando il pesante gambesone per la prima volta «Oh, Pa, non puoi essere serio. Non devi...»

«Lo sono e lo farò, Thorin. Dammi qua» disse Dáin, schioccando le dita. La servitrice, Berdit, si tormentò le mani dietro al Re come se si stesse scusando silenziosamente di ogni cinghia e fibbia non chiusa.

«La tua schiena» si lamentò l'Elminpietra, ma passò il messaggio lo stesso «Devi promettermelo, Pa. Sii attento. Ci servi per guidarci, non per morire al posto nostro.»

«Che genere di Re si nasconde dietro alle mura della fortezza, eh?» sbuffò Dáin e scosse il messaggio, mettendo bruscamente una mano nodosa e artritica nei lunghi capelli neri del figlio «Tu e tua madre, ah! L'ho detto prima e lo dirò ancora, non starò qui seduto a grattarmi. Combatto in battaglia da quando ero un bambino, e la mia vecchia armatura mi entra ancora, quindi nel nome di Durin perché no?»

«La tua schiena» insistette l'Elminpietra, alzandosi e guardando Berdit «Ci penserò io all'armatura. Vai a prenderti qualcosa in cucina, se il tuo razionamento te lo permette.»

La servitrice batté le palpebre e poi si inchinò, prima di andarsene.

«Che succede?» sussurrò Náli «Non riesco a leggere tutte quelle zampe di gallina. Si gira tutto al contrario se ci provo.»

Balin sapeva di questa difficoltà del vecchio maestro d'armi, e mormorò: «aspetta e calmati. Nessuno può leggerlo ora, non con Dáin che lo guarda attentamente come un gioielliere guarda una gemma.»

«Qualcosa sui guadi del Fiume Flutti» disse Thrór «La scrittura non è esattamente chiara, non mi sorprende che non riuscissi a leggerlo.»

«Ovestron?» chiese Balin.

Thrór scosse la testa. «Nay, Cirth. Molto disordinato e scritto di fretta, direi.»

«Bofur» esalò Balin. Si voltò di nuovo verso Dáin e l'Elminpietra. «So cosa succede. I Bizarûnh hanno completato i preparativi, e ora stanno marciando verso la Montagna.»

«Lodato sia Mahal di sotto» disse Thrór, e si afflosciò in sollievo. La sua mano si alzò come per accarezzare le mura di pietra screziata di verde della camera in cui era. «Erebor sarà salva.»

«Ci sono un sacco di Orchi» borbottò Náli, ma Balin gli fece cenno di tacere.

L'Elminpietra strinse cautamente una cinghia, assicurando la piastra dorsale su suo padre e raddrizzando il gambesone in piuma sotto di essa. Dáin sbuffò sotto sforzo ma il vecchio Nano non si mosse. Dáin era sempre stato duro come tek, anche prima che la sua età lo irrigidisse.

Un profondo boom fece tremare la stanza per un momento, ma entrambi lo ignorarono, troppo abituati alla sensazione dei massi che si schiantavano contro la montagna per reagire. «Sarebbe meglio se indossassi una maglia di ferro» borbottò il Principe, e poi si mosse dall'altro lato per sistemare le cinghie a dovere «Pensi che Brand abbia infine piegato il suo Consiglio?»

«Deve averlo fatto» disse Dáin, e grugnì forte quando l'Elminpietra alzò e iniziò a sistemare la pesante corazza. Grandi segni di spada erano ancora visibili sull'acciaio che era decorato da complessi motivi geometrici sul ventre e sul petto. La bella armatura all'antica era in buono stato, ma segnata pesantemente. Ammaccature troppo profonde perché il martello le lisciasse si vedevano chiaramente sul petto e sul collo, segni di vecchie battaglie che Dáin si era rifiutato di cancellare.

«'adad?» l'Elminpietra esitò, un'espressione preoccupata sul volto.

«Va avanti, ragazzo» grugnì Dáin «Stanno attraversando il Fiume Flutti. Quindi vengono da sud est?»

«Gli Orchi sono in numero minore sui versanti Orientali. Bofur sta solo mostrandosi cauto» disse l'Elminpietra, tirando forte una fibbia «Inspira ora.»

Dáin trattenne il respiro, e l'Elminpietra diede dei pesanti colpi coi pugni sulle spalle del padre, sistemando entrambe le placche. «Oof» ansimò Dáin, e poi ridacchiò «Hai la forza di tua madre, decisamente.»

L'Elminpietra fece un piccolo sorriso storto, e poi prese uno degli spallacci e iniziò a legarlo sulla grande spalla del padre. «Non cambiare argomento, Pa.»

«Cambiare argomento? Io? Perisca il pensiero» Dáin fece un'espressione innocente, e poi ghignò, le rughe attorno ai suoi occhi divennero profonde come crepacci «Andiamo, sistema l'altro. E non pensare che riuscirai a prendermi in giro preoccupandoti per me. I tuoi occhi sono affossati in ombre scure, undayuh. Stai dormendo o sei di guardia sulle mura tutta la notte?»

L'Elminpietra prese l'altro spallaccio e si schiarì la gola. Per il divertimento di Balin, iniziò ad arrossire, delle piccole macchie rosa sulle sue guance sopra alla curata barba rossiccia. «Oh ho» si disse, e si mise le mani sullo stomaco «Questo amante non aspetterà finché il metallo si è raffreddato, ma affronterà le scintille volanti, eh? Qualcuno ha deciso di essere un po' frettoloso, ci scommetto!»

«Frettoloso?» le sopracciglia di Thrór si alzarono, e si girò verso il Principe Ereditario con un'espressione profondamente scandalizzata «Intendi dire...?»

«Bene» disse Náli, ghignando da un orecchio all'altro.

La reazione del figlio non passò inosservata a Dáin. Le labbra del vecchio Re si stavano incurvando. «Thorin» disse severamente, ma la scintilla divertita nei suoi vecchi occhi blu tradiva il suo tono «Hai qualcosa da dirmi?»

«Ah» l'Elminpietra esitò, e poi chinò la testa e iniziò a legare lo spallaccio sull'altra spalla del padre «Eh...»

Dáin lasciò che il ragazzo balbettasse per un altro istante, e poi sbuffò. «Oh, come se metà della corte non ci fosse già arrivata. Non sei bravo a non dar nell'occhio, ragazzo mio, e la tua dama ancora di meno. Solo prova e vedi di dormire almeno un po', eh? Non vorrai appisolarti sui bastioni. Non è una bella figura.»

Le orecchie dell'Elminpietra erano ora di un rosso acceso. «Sì, Pa» mormorò «Noi... non era... io non volevo...»

«Tranquillo» disse Dáin in tono più gentile «Siamo in guerra e tu hai trovato la tua Uno. Non mi sognerei di impervi qualsiasi cosa vogliate condividere insieme, e non lo farebbe nessun Nano sano di mente. Potremmo essere morti domani, dopotutto. Il mondo è sul filo di un rasoio, e di colpo il tuo cuore è davanti a te. Dovrebbero avere fango fra le orecchie per non arrivarci. Voglio che tu sia felice mentre puoi, nidoy

Balin sorrise a se stesso. Náli notò il sorriso, e alzò un sopracciglio. «Non pensavo ti importassero certe cose» borbottò, un po' di malumore «Non hai mai voluto più di un bacio e qualche coccola prima.»

«E non lo voglio, e mai lo vorrò» disse Balin con fredda tranquillità «Ma posso accettare il fatto che altri abbiano desideri diversi, no?»

Náli borbottò sottovoce, troppo piano per essere sentito, e incrociò le braccia. Balin trattenne un sospiro, e si girò di nuovo per guardare padre e figlio, il cuore un po' più pesante. Lui e Náli erano stati vicini durante quei maledetti cinque anni a Khazâd-dum. Però, Náli era stato generalmente incapace di accettare che, anche se a Balin non dispiaceva il tocco, non desiderava avere una relazione fisica. Infine ciò li aveva portati alla distruzione di ciò che era parsa una piccola promettente storia d'amore, nell'opinione di Balin, e anche ora, dopo decenni e morte e oscurità, anni dopo, la questione poteva ancora portare a una certa tensione fra loro.

«Tutto ciò che voglio è che siate al sicuro fra voi due, va bene?» disse Dáin affettuosamente, e mise le enormi mani sul volto del figlio e fece scontrare le loro fronti. Poi aggiunse, come se l'avesse quasi dimenticato: «Oh, e vedi di sposarla prima che un qualche marmocchio inizi a farle gonfiare la tunica. A me non importa molto – né a chiunque sia stato cresciuto nei Colli Ferrosi – ma dopotutto oggi siamo piuttosto in vista. Non vogliamo che qualcuno dei nostri grandi vecchi Signori e Signore muoia di mortificazione, vero?»

L'Elminpietra sembrava sul punto di morire lui per la mortificazione. «'adad!» gemette, e serrò gli occhi come se stesse offrendo una qualche fervente preghiera.

«Rocce e stelle, ragazzo, pensi di essere il primo a scoprire come funziona?» Dáin ghignò, godendosi enormemente il momento «Dovresti chiedere a Bombur quanto passò tra quando si sposò e quando l'amabile Barís Linguacristallina nacque. Ho sentito dire che Alrís aveva un suo orizzonte personale, il giorno che mise le sue mani in quelle di lui! Da come dice lui, la piccola Barís stava provando i suoi nuovi polmoni qualche secondo dopo che Alrís disse i suoi voti. Parla un sacco quando ha bevuto, sai.»

L'Elminpietra afferrò disperatamente un pesante vambrace e lo agitò in aria. «Il tuo braccio?» implorò.

Balin stava cercando di soffocare le sue risate, e poteva vedere la scintilla di divertimento negli occhi di Thrór. Náli stava ridendo a crepapelle.

Era bello vedere Thrór un po' meno serio. A volte era decisamente troppo legato alle pene del suo passato, pensava Balin. La bocca del Re morto stava tremando dietro alla sua grande e bella barba, e si stava tirando un orecchio distrattamente nella posa più rilassata nella quale Balin si ricordasse averlo mai visto da quando era giovane. Forse Nár era più familiare con questo lato di Thrór.

Dáin ebbe pietà del suo povero figlio scarlatto e, ridacchiando, alzò il braccio robusto così che il Principe potesse legare il vambrace attorno al polso e sotto al gomito. Fuori, dei corni potevano essere uditi debolmente, segnalando che una cascata d'acqua bollente doveva essere rovesciata dai bastioni su una nuova carica di Orchi. «Ah, voglio solo felicità per voi due, credimi. Hai così tanto davanti a te, una luce persino in questa oscurità. Come vorrei essere giovane di nuovo» disse lui, lo sguardo che seguiva la testa scura del figlio con un sorriso affettuoso mentre il giovane Principe si dava da fare con le fibbie «A dire il vero, no, dimenticalo, la mia gioventù sembrava la colazione di un maiale. Pensi che la tua amata permetterà a un vecchio Nano di vedere suo figlio sposarsi prima di tornare alla pietra?»

«'adad» ringhiò Thorin, e poi fece una smorfia «Non lo so. Bomfrís è... beh, non le piace l'idea di una corona.»

«E a chi piace?» disse Dáin «Brava ragazza, mostra buon senso! Le corone sono pesanti e brutte e ti lasciano segni dietro alle orecchie. Nessun Nano sano di mente ne vorrebbe una se sapesse quanti guai porta.»

«Senti, senti» borbottò Thrór.

«So che sta imparando ad amarmi» disse l'Elminpietra, e per un momento la sua espressione divenne viva di una gioia selvaggia ed esultante mentre legava i fiancali di ferro simili a un kilt attorno alla vita di Dáin «Ma lei insiste di non essere altro che un arciera. Non posso obbligarla a seguire una vita che non vuole, ma non so come separare Thorin il Nano da Thorin di Erebor e della Linea di Durin... ah. Sembra stupido parlare di certe cose quando un mare di morte ci circonda.»

«Non c'è momento migliore» disse Dáin, l'armatura sferragliò quando scrollò le spalle «La Corona è un dolore nel culo, senza dubbio, ma averne una fa in modo che tu sia ascoltato molto più in fretta di quanto non succeda se sei solo un arciere.»

L'Elminpietra prese il solo gambale e ci giocherellò per un momento, prima di incrociare lo sguardo del padre. «Tu non la vuoi, vero?»

Dáin si limitò ad alzare un sopracciglio bianco come risposta. L'Elminpietra fece un sospiro di comprensione. «Hai mai pensato a passarla a un altro?»

«Ha. No, io non sono mai stato fatto per Erebor» disse Dáin, e il suo sorriso era amaro «Lo so, lo so. Ho passato più di metà della mia vita a combattere per lei ora. Ma la mia casa sono sempre stati i duri crudeli picchi dei Colli Ferrosi. Oh ancora mi mancano. Mi manca il modo in cui il vento faceva note gementi, profonde e vuote, quando soffiava nelle valli. Mi mancano i colori, il modo in cui il rosso ruggine del metallo faceva brillare i monti, la loro rigida bellezza. Mi manca il modo in cui il Fiume Rossacque schizzava e danzava quando la neve sciolta lo faceva correre in piena ogni primavera. Mi mancano i sentieri segreti nei quali camminavo quando ero solo un piccolo mocciosetto, non più grande del minore di Dwalin.»

«Ma sei rimasto qui» disse l'Elminpietra, e si sedette sul bordo del tavolo. La lettera del corvo era ancora lì, dimenticata, mentre il Nano più giovane ascoltava il Re che parlava come mai prima di allora. «Perché?»

«Te l'ho già detto prima, fai attenzione» disse Dáin, e spinse via la treccia folta che ricadeva contro al collo del figlio. Un altro debole corno segnalò una nuvola di frecce dai livelli più alti: anche gli Elfi facevano la loro parte. «Non c'era nessun altro. Conosci la storia, hai avuto gli insegnanti migliori. Chi era il prossimo nella linea di successione, ragazzo?»

Thorin batté le palpebre, e poi disse lentamente: «me.»

«Aye, tu. E avevi solo settantacinque anni, cresciuto ma non ancora provato, uno sconosciuto. I miei soldati non avrebbero seguito un ragazzino in erba, e nessun vecchio Nano di Erebor sapeva anche solo chi tu fossi. Chi era il successivo?»

Balin deglutì.

«Balin figlio di Fundin» disse l'Elminpietra, e poi fece un piccolo “ah” di comprensione e si piegò indietro «Il resto della successione... erano tutti parte della Compagnia...»

«Ed erano tutti in lutto» completò Dáin con un terribile, pesante senso di finalità «Il lutto più profondo. Il loro Re era morto, e così i suoi eredi, e infine la vittoria era più amara della sconfitta. Attorno a noi pile di morti: Uomini ed Elfi e Nani e Orchi – per non parlare delle alleanze infrante e dei patti stretti che non avrebbero mai potuto essere completati dai patteggiatori. Lo vidi prima di allora. Le battaglie hanno bisogno di generali e di gloriosi comandanti, ma dopo? Un campo di battaglia insanguinato ha bisogno di una mano ferma con una scopa. Qualcuno deve riprendere le redini quando il mondo è caduto a pezzi.»

L'Elminpietra batté le palpebre, e poi chiese, molto piano: «chi lo fece per te?»

Dáin sorrise di nuovo, e il sorriso era molto nostalgico e sommesso. «Trentadue anni, avevo. Lo sai?» disse, più piano di quanto avesse mai parlato prima «Solo trentadue anni, solo un ragazzino. Le porte di Durin si chiusero sul mio ginocchio, e così andò a finire – distrutto, perso. Non c'erano abbastanza medicine, e i segaossa non erano la dolce Gimrís, lasciamelo dire. E poi signori che sono ancora in vita, attraversano il sangue e quell'odore dolciastro e disgustoso dei corpi che bruciano per inginocchiarsi davanti a un ragazzino delirante di trentadue anni, e chiedono ordini. Mi dicono che mio padre e mia madre sono morti. Ben fatto, Dáin, sei un eroe – hai perso un piede, ma sei un eroe. Oh, e sei anche un orfano, accidentalmente. E ora non possiamo più chiamarti “ragazzo”, anche se sei ancora mezzo un bambino – ora tu sei il Signore dato che la tua intera famiglia è stata macellata e bruciata. Ci dispiace per il tuo piede, a proposito, ma siamo certi che ti ci abituerai in un attimo. Il conto dei morti? Non lo sa nessuno. I feriti sono impossibili da contare, e sta arrivando l'inverno. Cibo? Non ce n'è. Quindi, che facciamo ora, mio Signore?»

Il silenzio cadde per un orribile, soffocante momento, e Balin non osò guardare nuovamente Thrór. L'Elminpietra fissava suo padre, la bocca spalancata per lo stupore. «Pa...!» disse, la voce piena di orrore.

Un suono soffocato che sembrava decisamente un singhiozzo venne dalla direzione di Thrór.

«E chi altro avrebbe dovuto essere, eh?» Dáin lisciò nuovamente la treccia, e poi tirò il fermaglio alla fine «Chi uscì da quel macello come una figura delle antiche canzoni? Chi si prese la responsabilità di raccogliere quelle redini quando la vittoria ci era costata così tanto? Camminò a gran passi fuori dal sangue e dal fumo, gli occhi rossi e secchi e terribili, abbaiando ordini. Era come uscito da un racconto. Aveva perso suo nonno e suo fratello, e suo padre era distrutto dal dolore. Cinquantatré anni, nemmeno lui cresciuto del tutto. Una battaglia piena di ragazzi, quella. Dovette sopportare un peso peggiore persino del mio. Il mondo era stato distrutto, e lui scelse di rimanere fra noi e l'abisso.»

«Thorin Scudodiquercia» disse l'Elminpietra, piano e riverente. Gli occhi di Balin si chiusero.

«Mi ricordo quel giorno» mormorò.

«Anch'io» disse piano Náli.

«Vorrei poterlo dimenticare» disse Thrór amaramente.

«Quindi è questo ciò che Dáin vide» disse Balin, e l'immagine era ancora scavata nella sua mente nel colore del sangue: il giovane Nano che risaltava contro al cielo pieno di fumo, un ramo in mano, l'elmo mancante «Ciò che vidi io. Qualcuno da seguire. Qualcuno da chiamare Re.»

«Ed è per questo che rimasi, ragazzo mio» disse Dáin, e tirò di nuovo la treccia dell'Elminpietra «Questo è il motivo per cui il tuo nome d'uso è quello che è. È solo una strana coincidenza che tu abbia finito con l'assomigliargli un po'. Sarà quel tuo naso Durin. E la rabbia, certo. Impara a controllare quella rabbia, ragazzo.»

L'Elminpietra batté le palpebre – occhi blu, quegli occhi pallidi e ghiacciati trasmessi da generazione dopo generazione – e guardò il padre. Fece un lento respiro tremante e la sua testa si chinò in avanti, nascondendoli dietro a una tenda di folti capelli neri.

Lo sguardo di Dáin era vacuo, fisso su un punto decenni addietro, e la sua voce lontana e pensierosa. «Da giovane vidi quanto costa una vittoria, e vidi cosa voleva dire raccogliere i pezzi. Lui lo fece per un ragazzino triste e ferito, molto tempo fa. E quindi, quando cadde, io scelsi di fare lo stesso. Dopotutto, ero l'unico che poteva, e glielo dovevo.»

«Vuoi ancora andare a casa però, sbaglio?» disse l'Elminpietra.

«Aye» disse Dáin «Quando mi metteranno nella roccia, senza dubbio muoverà l'intera montagna pollice dopo pollice verso est fino ad arrivare ai miei Colli, segnati le mie parole!»

«Vorrei tu non...» l'Elminpietra borbottò, e poi trascinò suo padre in un abbraccio che sferragliava e strideva a cause delle armature che si scontravano assieme.

«Ah ora» disse Dáin, e prese fra le mani la testa del figlio come se il grosso Nano dal collo robusto fosse ancora un bambino «Shhh. Sei molto più dannatamente pronto di quanto non lo fossi io, inùdoy. So che non ti piace quando ti ricordo che dovrò morire, ma ricorda – qualcuno deve riprendere le redini quando il mondo cade a pezzi. È questo che vuol dire una corona. La tua ragazza ha ragione a temerla.»

«Non ha paura di lavorare» borbottò l'Elminpietra contro la spalla di suo padre. Un altro rimbombante colpo fece tremare la stanza.

«Bene, questo aiuterà» disse Dáin «Sai che anche tua madre odia la corona, ma ha trovato lo stesso un modo per servirla. La tua Bomfrís potrà il suo, senza dubbio. È una ragazza piena di risorse, dopotutto.»

«È cresciuta in una tale povertà» disse Thráin, e sembrò riscuotersi dal suo umore. Si inginocchiò per sistemare il gambale sull'unica gamba che rimaneva al padre. «Io non sapevo che ci fossero Nani tanto poveri...»

«Aye, è buono che ora tu lo sappia» disse Dáin, e fece un respiro improvviso quando il gambale tirò i suoi vecchi muscoli doloranti e le sue articolazioni artritiche per un momento «Dammi un minuto, unday... sì, tu sei cresciuto in tempi grassi, non l'avresti mai saputo. I Colli Ferrosi non hanno mai visto draghi come Erebor e le Montagne Grige. Il ferro è molto meno carino dell'oro, anche se è decisamente più utile se vuoi la mia opinione, e a noi non è mai mancato. Quindi, siamo rimasti tranquilli e al sicuro mentre ogni altro regno cadeva in rovina. Molti di noi si persero a Khazâd-dum in risposta alla chiamata del nostro Re e popolo, ma almeno avevamo un posto dove tornare per guarire le nostre ferite. Loro no. Abbiamo aiutato i rifugiati dopo la Guerra degli Orchi e dei Nani, ma non sarebbero rimasti e se ne andarono presto. Thráin e Thorin volevano la loro casa, dopotutto – Erebor o Khazâd-dum – non la mia. Bomfrís è una Vastifascia, giusto?»

«Sì» disse l'Elminpietra, e scrollò brevemente una spalla.

«Buona gente, i Vastifasci. Ottime zuppe. Mi piace molto quella con gli gnocchi» Dáin mosse la gamba buona, e poi annuì «Va bene, va avanti e preparami la gamba. Non scordartelo mai, Thorin – noi avevamo una casa a cui tornare. Molti qui, non avevano niente – non finché il vecchio Scudodiquercia riprese la Montagna Solitaria. Alcuni? Persino più a lungo. Chiedi a Glóin di sua madre, lei era una Barbafiamma. I Longobarbi sono una cosa: i Vastifasci e i Barbefiamma hanno vissuto senza le loro sale ancestrali per millenni. Siamo un popolo che perde la propria casa, Thorin. Non dimenticarlo mai, ragazzo mio.»

L'Elminpietra annuì, il volto serio. Poi indicò il terreno. «Devi camminarci per sistemarla?»

«Aye, probabilmente» sospirò Dáin. Poi borbottò: «Non mi ricordavo che questa stupida cosa fosse così pesante.»

Il Principe non disse nulla. Si limitò ad alzarsi in un movimento fluido e offrì la spalla alla presa del padre mentre lui zoppicava in giro, sistemando l'armatura.

Un altro tremendo rimbombo scosse la stanza, e l'Elminpietra gemette. «Questo era brutto. Penso che potremmo avere un muro crepato...»

«Aye, beh, speriamo sia uno di quelli alti» disse Dáin, e si raddrizzò e allungò una mano «Tempo di metterli il mio cappello da lavoro.»

L'Elminpietra porse a Dáin il suo elmo – alto, con una corona inserita nella parte frontale e arricciate zanne da cinghiale che sporgevano ai lati della mascella del vecchio Nano. «Vedrò cosa posso fare per ripulire i versanti sud orientali» promise al padre.

«Dovresti dormire, canaglia innamorata» disse Dáin, scuotendo la testa «Ma aye, mi farebbe piacere se facessi sapere a Dwalin e Orla e Dori dei Bizarûnh prima di tornare alle tue stanze. Per dormire, attento. Chiaro? Lo dirò io stesso a Dís.»

L'Elminpietra arrossì nuovamente, ma riuscì ad annuire senza perdere altra dignità o compostezza.

Dáin si mise l'elmo-cinghiale sulla testa, e poi prese la sua enorme ascia da battaglia bipenne rossa, la famosa lama Barazanthual. «Mizùl» disse brusco, diede una pacca sulla spalla dell'Elminpietra, e poi iniziò a zoppicare verso la pota che portava ai vasti camminamenti elevati della sala del trono.

«Mizùl» ripeté l'Elminpietra. La mano gli ricadde al fianco, chiudendosi a pugno nella giacca di pelliccia, guardando il suo vecchio padre rigido zoppicare verso la battaglia. La testa bianca era alta e orgogliosa come sempre.

«Aspettate!» giunse un grido dietro di loro «Aspettate – vostra maestà! Vostra maestà! Aspettate, c'è stato...»

Era la servitrice, Berdit. Stava ansimando, terribilmente senza fiato. «Vostra maestà!» riuscì a dire. Le sue trecce erano in disordine per la corsa fra le sale.

«Rallenta, sei bianca come il gesso» disse l'Elminpietra, mentre Dáin tornava indietro «Cosa succede?»

«Il rimbombo» disse Náli con lento terrore, e incrociò gli occhi di Balin «Quello non era un muro che si crepava sotto un masso...»

«Il tunnel» ansimò Berdit.

La faccia dell'Elminpietra divenne dura come il diamante, e i suoi occhi fissarono la povera servitrice. «Sì? Intendi dire il tunnel di Bofur?»

«L'hanno trovato» disse Berdit in tono di puro terrore. Dáin imprecò ad alta voce, echeggiato da Náli. Balin sentiva lui stesso l'impulso di pronunciare qualche parola d'occasione.

«E?» domandò l'Elminpietra.

«E...» Berdit guardò tra i due reali improvvisamente terribili, due paia di occhi blu ghiaccio fissi su di lei «L'hanno... collassato.»

«No» sussurrò Thrór, e alzò lo sguardo «Trovate Thorin. Portate mio nipote qui. Ora!»

«No» ripeté l'Elminpietra, il volto improvvisamente cinereo «No. I lavoratori... i minatori -»

«Aye» riuscì a dire Berdit, e si asciugò la fronte «Ma è – è anche peggio. Bofur aveva iniziato a portare alcuni degli Uomini di Dale verso la Montagna.»

«Zuznel» gemette Thrór, e chiuse gli occhi «Oh, Mahal buono.»

«'adad...» l'Elminpietra lentamente alzò gli occhi per incrociare lo sguardo pieno di orrore del padre «abbiamo mandato il figlio di Bofur laggiù. Ad aspettare suo padre.»

Berdit sembrava sul punto di star male.

«Portate Thorin ORA!» ruggì Thrór, e Náli si riscosse dallo stupore e svanì improvvisamente dal mondo dei viventi, le stelle del Gimlîn-zâram giunsero a ingoiarlo in un istante.

«Tempo di prendere la scopa allora» disse Dáin a denti stretti, gli occhi accesi di determinazione «Mandate tre truppe di genieri. Portatemi la Lady Genild, portatemi Dwalin Fundinul, e mandate a chiamare la Lady Dís e Lord Laerophen. Non mi importa chi devi svegliare! Mandameli là sotto ora. I genieri per primi!»

«Pa, luci» disse l'Elminpietra bruscamente, e Dáin annuì.

«Portami tutte quelle che puoi – e fai in fretta! Voglio che sembri giorno là sotto – accechiamo quei dannati Orchi, mi senti? Potrebbe servirci la Gilda dei Minatori – manda un uccello a Collecorvo – fallo sapere a Orla – muoviti! Ora!»

Balin strinse i pugni sul suo cuore martellante e fece un respiro profondo.

«Ne abbiamo viste di peggio» si disse «Noi resistiamo.»

«Stanno entrando» ringhiò Thrór a denti stretti, e alzò una mano per accarezzare i muri screziati di verde con la punta delle dita «No. No. Non posso averla. Non di nuovo. Mai più. Non perderemo di nuovo casa nostra!»

TBC...

Note

Balin Dwalinul – il secondo dei tre figli di Orla Lungascia, Generale di Erebor, e Dwalin, Maresciallo di Campo di Erebor. Il giovane Balin ha solo 21 anni all'epoca della Guerra dell'Anello. Balin ha l'Asperger, e anche se la società Nanica è accomodante verso i bisogni delle persone neurodiverse, l'assedio crea situazioni di disagio o anche di dolore per qualcuno con l'Asperger, come forti rumori continui, disturbo della normale routine, e un'atmosfera di costante tensione.

Endor – il nome Quenya della Terra di Mezzo (In Sindarin è Ennor)

Dôl Amroth – governato dal Principe Imrahil, uno stato vassallo di Gondor

Lossarnach – governato da Forlong il Grasso, uno stato vassallo di Gondor

I Nani amano solo una volta, e se non possono avere chi desiderano, allora “non avranno nessun altro”

Dopo la Battaglia delle Cinque Armate, la successione della Linea di Durin era la seguente:

1. Dáin Piediferro

2. Thorin Elminpietra

3. Balin figlio di Fundin

4. Dwalin figlio di Fundin

5. Óin figlio di Gróin

6. Glóin figlio di Gróin

7. Gimli figlio di Glóin

Alcuni dialoghi sono presi dai capitoli “Minas Tirith” e “La Finestra che si Affaccia ad Occidente” e dai film.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 31
*** Capitolo Trentuno ***


Era completamente buio.

«Ehi?» urlò Gimizh, e poi si strofinò la faccia. Sentì la terra che veniva strofinata sul suo naso e che si impigliava nella sua barba (ed era una barba e non solo delle basette ambiziose, non importa cosa dicesse Piccolo Thorin!). Non riusciva a vedere la propria mano davanti agli occhi. La sua voce rimbombava stranamente: non c'era più un tunnel davanti a lui. «Ehilà? Jeri? Agur? C'è qualcuno?»

Nessuna risposta.

Gimizh si tirò in piedi e poi un altra doccia di fine terra appiccicosa cadde da sopra. Lui si congelò.

Suo papà era stato un umile minatore una volta, prima che la Missione e Erebor e la prosperità lo scagliassero nella scena pubblica. Il papà di suo papà era stato un minatore. E anche suo papà prima di lui. Gimizh poteva essere un discendente della aristocratica Linea di Durin da parte di madre, ma nelle sue vene nuotavano anche generazioni su generazioni di minatori Vastifasci.

Ora, solo nel buio, tutti i suoi istinti erano svegli e gli urlavano contro.

«Sta crollando tutto» sussurrò a se stesso, e poi allungò una mano nel buio soffocante «L'aria non durerà. Mi serve la luce, mi serve la luce, mi serve la luce...»

Ci doveva essere una lampada rotta, davanti da qualche parte. Gimizh se la ricordava sospesa su una trave sopra alle teste delle guardie, prima di perdere i sensi. Per qualche motivo sapeva che era importante muoversi il più attentamente e silenziosamente possibile, nel caso la sua miracolosa tasca di spazio sottoterra crollasse.

Le sue mani trovarono roccia scavata, e fece un respiro tremante, e iniziò a cercare le lampade. Il suo battito era molto, molto forte nelle sue orecchie, ma non avrebbe frignato come un bambino. Era un Nano grande ora. Poteva essere coraggioso – coraggioso come suo Zio Gimli.

Non avrebbe pensato a suo Papà, intrappolato da qualche parte in tutta questa terra.

«Ahia!» squittì quando le sue dita trovarono un vetro rotto.

Hissssssss fece il suolo in movimento sopra di lui.

Il cuore di Gimizh si bloccò del tutto, una preghiera intrappolata dietro a labbra tremanti. Il suono del legno scricchiolante e della terra sussurrante era terribilmente, terribilmente rumoroso nel silenzio.

Dopo qualche istante, fermò le sue mani tremanti e si allungò nuovamente. La trave che era caduta si era poggiata contro al muro del tunnel invece che cadere del tutto, sembrava, e ora stava tenendo su le travi di puntellamento del muro invece del soffitto. Era questo l'unico motivo per cui questa piccola parte di tunnel non era crollata. Gimizh lanciò un fervente ringraziamento al Creatore per questo inaspettato colpo di fortuna, e poi le sue dita trovarono nuovamente la liscia consistenza fredda del vetro. Le lampade si erano rotte quando la trave era crollate, e del grasso caldo gli cadde sulle dita. Lui storse il naso. Che schifo.

Però, se era caldo voleva dire che non era passato tanto tempo dal crollo. Forse Jeri e Agur erano ancora avanti, solo sotto al terreno marrone grigiastro di Erebor. Forse stavano tutti bene! Erano dei guerrieri, come Zia Orla e Zio Gimli: certo che stavano bene.

Certo che stavano bene.

Riuscì a spingere un po' del grasso nel contenitore in ottone della lampada, e si tirò i vestiti fino a trovare l'orlo della giacca. Sua madre lo avrebbe sgridato, pensò amaramente mentre strappava a morsi la lana e la faceva rotolare nel grasso prima che si indurisse, lasciandola dondolare sul contenitore. Il vetro rotto attorno ai lati gli morse ancora le dita, e lui trattenne i singhiozzi. I Nani coraggiosi non piangevano durante le avventure.

Il sangue sulle sue mani fece diventare la terra fango mente toccava la trave caduta in cerca della selce. Non aveva acciarino, e sapeva che il suo stoppino improvvisato non sarebbe durato a lungo, ma con un po' di fortuna sarebbe riuscito a fare qualche torcia.

Il suo stinco si scontrò contro la trave, e lui fermò un altro singhiozzo. Era un Nano grande, era un Nano grande, era un Nano grande, era un...

Ci fu un altro sibilo del suolo in movimento, e Gimizh fu colto da un improvviso senso di panico. Si lanciò nella terra attorno ala trave, cercando follemente. «Dov'è, dov'è» riuscì a sussurrare, la dita appiccicose per il sangue e il fango «Dov'è...»

La sua mano si chiuse sulla spigolosa, fredda forma delle selci, due pietre legate insieme da una catenella.

Fece un sospiro.

Fu allora che Gimizh capì che quello che aveva sentito non era il sibilo del suolo.


Quando Thorin giunse correndo attraverso la luce stellare come una cometa, fu salutato da un pandemonio. «Thorin! Sia ringraziato il Creatore!» giunse la voce di Balin attraverso la confusione «Di qua, di qua!»

«Balin, cos'è...» iniziò, solo per essere interrotto.

«Non entreranno» disse Thrór con voce simile a polvere e ghiaia «Non entreranno. Dobbiamo mettere a posto le cose!»

«Ma cosa...»

«Il tunnel che ha scavato Bofur» raspò Thrór, e incrociò lo sguardo di Thorin col terrore scritto lungo la linea delle sue labbra e la tensione delle spalle «l'hanno trovato.»

Il sangue gli si ghiacciò e il suo braccio si alzò, la mano afferrò la spalla di suo nonno decisamente troppo, troppo strettamente. «Non sono entrati ad Erebor» ringhiò «Non entreranno a Erebor!»

«L'Hanno collassato» disse Balin piano «Bofur stava guidando i Bizarûnh, e poi...»

Combattere un nemico al buio, con la terra che ti schiaccia da ogni lato, senza aria, senza luce – Thorin rabbrividì. «Bofur non è arrivato nelle Sale» riuscì a dire «Bifur l'avrebbe detto.»

«Questa è una buona notizia» disse Balin, e ricadde su se stesso.

Thorin alzò lo sguardo per incrociare quello del suo vecchio amico, e si accigliò. «Non è tutto.»

«No» disse Balin, e fece un respiro profondo «Il figlio di Bofur è là sotto.»

Thorin poté solo fissare Balin per un lungo, lungo momento. «Gimizh» disse infine.

Gimli ne sarebbe stato distrutto.

«Thorin» disse Thrór, una nota di disperazione nella voce «Thorin, potrebbero ancora entrare. Erebor non è integra!»

«Hanno messo al sicuro l'entrata?» disse Thorin, spingendo da parte il suo orrore con un enorme sforzo di volontà. Non aveva tempo per esso ora.

Si voltò verso l'orda accalcata alla fine della caverna nella quale erano. Ora che guardava meglio attraverso i corpi dei lavoratori, riuscì a vedere che andavano tutti attorno all'entrata di un tunnel. Terra e roccia cadevano dall'imboccatura come dal secchiello rovesciato di un bambino.

Il rumore era orrendo. Nani urlavano e strillavano gli uni agli altri, molti si stringevano ferite terribili, e un Nano era molle e dondolante, insensibile grazie alla testa orribilmente ferita. I minatori alla porta del tunnel lavoravano furiosamente, e altri stavano correndo avanti e indietro per portare i feriti dai guaritori quando venivano tirati fuori dai detriti. Una Nana dalla voce potente (un'Ingegnere, a giudicare dalle trecce) stava urlando ordini mentre i minatori lavoravano. E dietro di lei, il Re e il Principe erano arrivati per osservare i progressi.

A giudicare dalle loro espressioni, non andava bene.

«Le travi sono state distrutte, facendolo cadere sulle nostre teste e sulle loro» disse Dáin cupamente «Sarà un lavoro lento.»

«Agli Orchi non importa delle loro vite, vogliono solo rubarci le nostre» disse l'Elminpietra.

«A quanto sono arrivati?»

«Quasi trenta piedi, anche se il tunnel nuovo non è sicuro e potrebbe crollare in qualsiasi momento» l'Elminpietra scosse la testa scura «Ci rimane poca legna per sostenere e assicurare i muri e il soffitto. Riescono ad arrangiarsi con i pezzi rimanenti, ma...»

«Sono settimane che ne siamo a corto, non devi dirmelo, ragazzo» grugnì Dáin «I fuochi segnaletici sono accesi con la mia scrivania preferita mentre parliamo, e le forge vengono nutrite con tesori senza prezzo. Il legno è più prezioso dell'oro, questi giorni.»

Guardarono in silenzio per un istante mentre una Nana urlante veniva tirata fuori dai minatori e trasportata via dai guaritori. La sua gamba era stata fatta a pezzi, il piede mancava completamente.

«Beh, non le invidio cosa succederà ora» disse Dáin infine «Brucia come un bastardo, da quanto mi ricordo.»

In quel momento, una luminosa forma pallida giunse di corsa nella stanza. «È vero?» domandò Laerophen, e i suoi capelli dorati erano in disordine. Nessuna traccia della sua abituale superiorità era nel suo volto, e stringeva in pugno i suoi coltelli con le nocche sbiancate. «Il bambino, coi capelli rossi – è vero?»

«E se lo fosse?» disse Dáin piatto, e si girò di nuovo verso il figlio «Non possiamo levare altri dalle mura, ne abbiamo già a malapena per difenderle così.»

«Lo so» disse l'Elminpietra, lo sguardo fisso sul tunnel scuro e sinistro «Dobbiamo arrangiarci con chi ci avanza.»

«Minatori, ingegneri, guaritori» borbottò Dáin, e scosse la testa «Siamo diventati così morbidi. Ottant'anni di pace! Una volta comandavo l'esercito migliore di tutta la Terra di Mezzo. Ora devo chiedere al mio popolo di difendersi con delle pale.»

«Posso aiutare» disse Laerophen, e si raddrizzò «Sono un Elfo, e vedo meglio di qualsiasi Nano.»

«Ti sarà molto utile al buio» esclamò l'Elminpietra «Faresti meglio a vedere i tuoi arcieri.»

«La mia seconda ha i suoi ordini» disse Laerophen, rimanendo testardamente immobile «Lascia che aiuti.»

«Stanno sprecando tempo!» ringhiò Thrór.

Thorin alzò in aria le mani. «Lasciate che il dannato mangia-erba aiuti, smettetela di litigare e muovetevi!» ruggì.

«Va bene, rimani e stai zitto!» esclamò l'Elminpietra. Poi si passò le mani nei lunghi capelli neri per la frustrazione.

«Sii forte, ragazzo» gli disse Balin, e poi si voltò verso Thorin pieno di preoccupazione «E tu: tieni d'occhio la tua rabbia! La situazione è già abbastanza tesa.»

Thorin lo fulminò, ma non sprecò energia in un litigio inutile.

«Come l'hai saputo?» chiese Dáin all'Elfo.

«La messaggera che ha parlato con la Generale Orla» disse Laerophen «Le ho sentite.»

«Ha sentito qualcun altro?» chiese Dáin, e Laerophen scosse la testa.

«Non può trapelare» disse l'Elminpietra bruscamente, afferrando il braccio di suo padre «Il resto della Montagna non deve saperlo!»

«No» disse Dáin a denti stretti, e i suoi vecchi occhi tristi erano duri come l'acciaio mentre guardava storto il mare di scavatori che sciamavano verso l'imboccatura del tunnel «No, non devono. Quelli sulle mura perderebbero coraggio immediatamente, e la città sarebbe nel panico.»

«Rimarrò io» disse l'Elminpietra fermamente «Vai, tu sei il nostro Re. Vai sulle mura. Dagli coraggio con la tua presenza.»

«Ah, bravo ragazzo» grugnì Dáin «Nessuno prenderebbe coraggio vedendo un vecchio Nano rigido, ma tu persisti. Ci servono dei messaggeri veloci. Ci sono dei corvi qui?»

«Sai che odiano rimanere sottoterra» disse l'Elminpietra, e le urla dei controllori risuonarono contro al suono di pale che colpivano metallo «Ne hanno trovato un altro!»

«Fuori dai piedi, fuori dai piedi!» ringhiò Thorin, superando sia Balin, che suo nonno, che i viventi, per fissare la forma così rivelata.

«È Jeri figlium[1] di Beri» disse qualcuno piano «Ha il volto cinereo!»

«Lascitelum respirare!» esclamò un altro «Andate indietro, voi tutti!»

«Jeri, Jeri – mi senti?»

«Chi è questum Nanum?» domandò Thorin.

«Non lo so, ragazzo» disse Balin in voce bassa «Ma quella è la livrea della Guardia Cittadina scelta di persona da Dwalin.»

Thorin fece una smorfia. «Vivrà?»

«E anche questo, non lo so» sospirò Balin «Suppongo che lo scopriremo.»

«Dov'è il messaggero?» ruggì Dáin, e lo sciame di Nani attorno al corpo prono di Jeri iniziò a sfoltirsi mentre alcuni portavano via lum Nanum colpitum, e altri tornavano a scavare «A me!»

Una forma magra e allampanata si separò dagli scavatori, le mani strette sulle proprie maniche. «Sono assegnato io» disse il Nano «Vostra Maestà.»

«Quello è il ragazzo di Dwalin» disse Balin stupito.

«Thorin Dwalinul» disse Dáin, e sospirò, appoggiandosi pesantemente sulla sua protesi di metallo «Ah, per Mahal.»

«Un altro bambino» disse Laerophen, e si raddrizzò con un'espressione di rabbia e disapprovazione sul volto dalle ossa sottili «Ancora persisti in questo... questo...»

«Non abbiamo scelta!» urlò Dáin, e chiuse gli occhi e si voltò «Per la barba di Durin! Di tutti noi, so cosa voglia dire combattere quando si è troppo giovani per farlo! Se vuoi essere utile, Elfo, prega la tua amata Signora delle stelle e chiedile un mondo nel quale i bambini non conoscano la guerra. Forse lei ti sentirà. Mahal sa che ho pregato per lo stesso motivo quando ero ancora più giovane di questo ragazzo, e nessuno dei preziosi Valar ha mai ascoltato me!»

Ci fu un silenzio assordante, nel quale Dáin si strofinò la vecchia faccia rugosa con una mano tremante.

Thorin conosceva quel senso di colpa. Ne conosceva il sapore, il peso: essere l'unico lasciato a respirare in miseria mentre gli altri giacciono freddi e morti. «Dáin» iniziò, ma non riuscì a pensare a nulla da dire.

Laerophen rimase in silenzio, e poi chinò la testa.

L'Elminpietra guardò suo padre, e qualcosa di duro e saggio aveva preso posto nei suoi occhi. «Un'altra battaglia piena di bambini, e nessuna buona scelta rimasta» disse sottovoce «Come se non ne avessimo avuti fin troppi di orrori. Che Mahal abbia pietà di noi, non voglio mai più sentir parlare di, o vedere, un'altra dannata guerra per il resto della mia vita.»

«Posso aiutare» si intromise Piccolo Thorin. Il suo volto scuro era acceso di determinazione. «Voglio aiutare.»

Dáin sembrò sobbalzare impercettibilmente a quelle parole. Per un momento, la sua grande età poté essere vista chiaramente sul suo volto. La maschera dell'indistruttibile re-guerriero si era crepata, e sotto si poteva vedere un vecchio Nano stanco.

«'adad» disse piano l'Elminpietra.

«Cugino» lo incitò Thorin «Cugino, devi piangere dopo. Andiamo, devi raccogliere nuovamente quel pesante mantello! Dáin, vecchio idiota cocciuto – non c'è tempo!»

Dáin sospirò di nuovo, e poi la testa bianca di alzò. La maschera tornò al suo posto e lui apparì forte e orgoglioso nuovamente, un antico Nano fatto di ferro e tek. Si voltò per guardare l'alto, magro figlio di Dwalin e Orla. «Rimani vicino al Principe» ordinò a Piccolo Thorin, gli occhi seri e tristi «Se c'è un pericolo, non voglio tu vi sia vicino. Non voglio sapere che un altro bambino è stato perduto, capito?»

Piccolo Thorin annuì, troppo pieno di preoccupazione per il suo migliore amico per protestare ad essere chiamato “bambino”.

Nuova confusione iniziò all'entrata, e Thrór urlò: «Thorin!»

Correndo alla meglio fra la folla, Thorin arrivò all'entrata. L'oscurità nello stretto tunnel fatto alla meno peggio era assoluta, e lui vi guardò dentro. «Il suono di spade!» abbaiò Thrór «Degli Orchi sono sopravvissuti là sotto!»

«Vai!» urlò l'Elminpietra a suo padre. Dáin annuì, e poi si voltò e lasciò la sala. Non c'era segno della sua vecchiaia nei suoi lunghi passi rabbiosi. Il suono dei macigni che si schiantavano contro la Montagna risuonò sopra alle voci e alle pale mentre se ne andava.

L'Elminpietra guardò per un attimo il padre che andava, e poi si voltò per guardare storto le rovine del tunnel e prese la mano di Piccolo Thorin. «Ora, tu stai dietro di me» disse con voce bassa all'alto ragazzo allampanato «Se combatteremo, tu devi correre da mio padre, capito? Non devi nemmeno pensare a fare l'eroe.»

«Sissignore» disse Piccolo Thorin, e i suoi enormi occhi scuri erano fissi sull'imboccatura del tunnel.

Con un urlo, una Nana uscì dall'entrata e nella sala, e la sua fronte era sporca di sangue. Del sangue le gocciolava anche da uno strappo nella tunica, ed era pallida e sporca. «Possono strisciarci dentro come vermi!» ansimò, e cadde a terra.

Immediatamente dietro di lei giunse un ringhio crudele, e due grandi Orchi sporchi di terra scattarono in avanti. Uno fu decapitato dall'Elminpietra, e l'altro finì con un piccone in mezzo agli occhi.

Laerophen corse dalla Nana ferita e esaminò rapidamente le sue ferite. «Costole rotte» borbottò «Aiutatemi ad alzarla, ma tenetela dritta!»

«State pronti!» urlò il Principe «Potrebbero essercene altri!»

«Ci servono dei soldati!» balbettò un minatore mentre la Nana ferita veniva portata via.

«Non ci servono» rispose l'Elminpietra «Siamo Nani, e questa è la nostra casa. Quale soldato combatterebbe con più fervore?»

«Un soldato probabilmente combatterebbe con qualcosa di più affilato» disse l'ingegnere, strappando il suo piccone che si era incastrato nel teschio dell'Orco «Ci dai una mano, per favore?»

«Prendi questo» disse Laerophen impazientemente, lanciando uno dei suoi pugnali ai piedi di lei. Lei lo raccolse e controllò il filo, annuendo in approvazione.

«Continuate!» ordinò l'Elminpietra, e pulì il sangue nero dalla sua spada «Ogni secondo che passa è un respiro in meno per chiunque sia intrappolato!»

«Ho sentito che c'erano anche degli Uomini là sotto» disse un minatore «Gli Uomini non possono trattenere il respiro a lungo quanto noi...»

«Faremo ciò che possiamo» disse l'Elminpietra «Ma ve lo ripeto: state pronti!»

«Facile per te da dire, non sei là sotto al buio!» disse con voce acuta il minatore nel panico, torturandosi le mani «Tu sei nella tua armatura luccicante con la tua bella faccia pulita, urlando ordini! Non stai scavando nella terra e nel fango al buio! Non guardi tutto il tuo lavoro in rovina e trasformato in un incubo, circondato da urla, non sapendo se qualcosa di orrendo salterà fuori a staccarti la testa a morsi, o mangiarti vivo; se il rumore che hai sentito era un amico o qualcosa di innaturale che striscia...»

«Hregan, datti una calmata!» ringhiò l'ingegnere.

La mascella dell'Elminpietra tremò per un momento, e poi fece un passo avanti. «Levati.»

«Tu cosa?» disse il minatore, interrompendo le sue urla isteriche «Cosa?»

«Blocchi l'entrata» disse l'Elminpietra, paziente come la roccia «Devo superarti.»

«Non puoi essere serio!» urlò Laerophen sopra al caos «Sei il loro Principe!»

«Ed è il mio dovere mettermi fra loro e il pericolo» rispose l'Elminpietra «non lo è, Principe Laerophen?»

L'Elfo lo fissò a bocca aperta per un secondo, e poi le sue labbra di strinsero e chinò la testa per tornare alla minatrice ferita che stava curando.

«Aspetta, aspetta, devo stare con te!» balbettò Piccolo Thorin, e prese il gomito del Principe «Andiamo là dentro?»

«Tu no» disse l'Elminpietra «Io vado.»

«Ma il Re ha detto...»

«Ubbidirai ai miei ordini!»

La testa di Piccolo Thorin si alzò di scatto, e le sue spalle si irrigidirono. «Gimizh è il mio migliore amico! Vengo anch'io!»

I pugni dell'Elminpietra si strinsero. «Io sono il tuo Principe!»

«Quindi? Io ho ordini dal Re!» Piccolo Thorin incrociò le braccia e lo guardò male «Io. Vengo.»

Thorin Elminpietra guardò male il ragazzo a sua volta.

Thorin li fulminò entrambi. «Datevi una mossa!»

Balin guardò fra tutti e tre i Thorin con aria rassegnata, e poi si girò verso Thorin aprendo le mani. «Non vorrei sottolineare l'ovvio qui, amico mio, ma...»

«Giuro su Mahal, questa famiglia» borbottò Thorin, e si prese la testa fra le mani.


Gimizh urlò, un lungo strillo acuto, e corse in avanti con la lampada rotta. L'olio cadde ovunque. Un po' gli finì sulla mano, attraversò il suo guanto e si mischiò col suo sangue. Il resto cadde negli occhi dell'Orco sibilante che era saltato giù dal soffitto del tunnel per soffiargli in faccia. Esso cadde all'indietro, ululando. Gimizh strillò di nuovo, e colpì ancora la cosa in faccia. Vetri rotti volarono in aria, un tintinnio nella totale oscurità. L'Orco gorgogliò in dolore e le sue lunghe braccia cercarono il Nanetto terrorizzato.

Gimizh afferrò la lampada strettamente, e la agitò con tutta la sua forza.

Stavolta, il ringhio dell'Orco terminò in un orribile suono strozzato, e Gimizh indietreggiò a carponi più in fretta di quanto avesse mai fatto. Il cuore gli martellava come un milione di minatori nel petto, e si sentiva confuso e nauseato. La lampada fece rumore contro la trave caduta, e lui armeggiò con la catena della selce nella mano insanguinata cercando il lumino improvvisato, pregando (più ferventemente di quanto avesse mai fatto prima) che rimanesse abbastanza olio, che non l'avesse fatto cadere tutto.

L'Orco fece un orribile suono ribollente.

Gimizh singhiozzò, lacrime e moccio gli scendevano senza controllo sul volto, mentre batteva insieme le selci più e più volte, senza risultati.

«Per favore» sussurrò con labbra intorpidite «Per favore.»

Infine, trovò l'angolo giusto. Una scintilla iniziò a brillare fra le pietre mentre le colpiva, e lui urlò di sollievo. Tenendo le pietre sopra alla miccia, la scintilla attecchì e il resto della lampada sputacchiò fino ad animarsi, anche se l'olio rovesciato scorreva attorno al vetro rotto e quasi spense la piccola fiamma. Lui ci soffiò sopra, il respiro gli si mozzava e si bloccava nel petto. La fiamma tremò per un momento, e poi divenne più grande, sicura e calda.

Fu con mani tremanti che Gimizh prese un pezzo di legno e vi arrotolò sopra la sua giacca sporca. Era stata fatta solo un mese prima, comprata da Dori e decorata con teste di cinghiale in campo verde e marrone. Gli piaceva.

«Oh, Mamma sarà così arrabbiata» singhiozzò, e poi colpì l'Orco svenuto e sanguinante con la torcia ancora spenta per buona misura.

La giacca prese fuoco facilmente, e un po' del freddo terrore nel suo petto svanì mentre si alzava su gambette deboli. Gimizh prese la lampada in una mano tremante e alzò la torcia nell'altra per controllare lo stato del suo nemico.

L'Orco giaceva nel tunnel, la faccia coperta di olio di lampada e sangue, contraendosi leggermente. Aveva del vetro nella testa.

«L'ho fatto» sussurrò Gimizh. Aveva ucciso un Orco, tutto da solo. Però non si sentiva molto avventuroso. Si sentiva un po' male, in effetti.

Alzando il mento, deglutì e si fece forza meglio che poteva. Poteva essere coraggioso. Zittì la piccola voce nel suo petto che urlava disperatamente che doveva andare a casa. Poteva essere coraggioso. Le avventure forse non erano tutto ciò che aveva sempre sognato, ma suo padre era ancora là fuori da qualche parte e Gimizh l'avrebbe trovato o sarebbe scoppiato. Anche se gli faceva accapponare la pelle, si arrampicò sopra all'Orco e iniziò a trottare nel buio. Poteva essere coraggioso. Aveva ucciso un Orco al buio, tutto sa solo! Era un potente guerriero! Era in Missione, come suo Zio Gimli!

Pulendosi la mano sporca e insanguinata sulla fronte, Gimizh andò verso l'ignoto alla ricerca di suo padre.


Il suono delle spade nell'oscurità sembrava venire da ogni lato. Urla risuonavano, confondendo le eco, e le ombre caricavano e giravano in modo nauseante quando le lampade dondolavano sulle braccia dei combattenti.

L'Elminpietra ruggì e si fece strada nell'ammasso di Orchi, la sua grande stella del mattino spinosa lasciava devastazione dietro di sé. «Du bekâr!» urlò, e tutto attorno a lui l'urlo si alzò da centinaia di gole, quasi come se uscisse dalla terra stessa: «Du bekâr!»

Thorin caricò avanti fra i ranghi degli Orchi per guardare nell'oscurità oltre essi. Il tunnel era crollato in molti punti, ma gli Orchi erano strisciati nella terra morbida come talpe orrende fino a dov'erano ora. Le ombre danzanti rendevano difficile vedere, maledetta la vista al buio, ma – una scintilla qua e là – e finalmente riuscì a vedere il buco nel soffitto, piccolo e irregolare e sputante Orchi. Arrivavano così tanti e così in fretta che non uno spicchio di luce poteva essere visto fra i corpi. «Là!» urlò, e si voltò per vedere il Principe e il figlio di Dwalin vicini alla sua posizione.

Piccolo Thorin sembrava sul punto di svenire dalla paura mentre si faceva piccolo dietro all'Elminpietra. Il fischio mortale della grande stella del mattino Amradamnârab, o Mercante di Morte, cantava sopra alla confusione orribile della battaglia mentre girava sopra a teste e si scontrava con arti e attraversava armatura e elmo e carne. Il Principe era in movimento selvaggio, i capelli giravano dietro di lui in aggraziato arco mortale.

«Cugino!» provò Thorin. L'Elminpietra batté le palpebre per levarsi la terra dalle ciglia, e spedì la stella del mattino nel petto di un Orco in arrivo con un urlo selvaggio. I suoi occhi brillavano di rabbia. «Thorin Elminpietra, vieni a me!»

«Troppo preso dal desiderio di battaglia, quello» ansimò Thrór «Prova un altro.»

«Ma è della linea di Durin, la nostra famiglia mi sente meglio» protestò Thorin, e poi notò il giovane figlio di Dwalin, nascosto dietro al Principe con un ascia troppo grande per lui fra le mani.

«Thorin Dwainul» disse senza emozione, e imprecò sottovoce. Poi corse in avanti. «Unday! È lì il posto da cui entrano! Guarda su, guarda su!»

«No» disse Thrór, scioccato. Balin fece un urlo incoerente di rabbia.

«Bambino, ascoltami!» urlò Thorin, spingendosi nel caos.

Balin lo raggiunse appena arrivò al ragazzo. «Thorin, cosa stai facendo?» disse, la rabbia che gli colorava la voce «Quello è mio nipote!»

«E pensi che avrò più fortuna nel raggiungere il figlio di Dáin, no?» abbaiò Thorin, teso e duro «L'Elminpietra non sente altro che la voce della battaglia. Non sentirà le mie parole. Il ragazzo sì.»

«Il ragazzo, come dici tu, ha solo trentasette anni!» gridò Balin, e mise una mano sull'avambraccio di Thorin, la presa inflessibile come manette d'acciaio «Thorin, no!»

«Preferiresti che gli Orchi prendano il tunnel?» ribatté Thorin «Piace me ancora meno di quanto piaccia a te, ma non c'è altro modo! Deve essere bloccato!»

«Deve essere bloccato» borbottò Piccolo Thorin, e aggiustò la sua presa sulla pesante ascia. La punta bipenne era alta quasi quanto lui.

Thorin lanciò a Balin uno sguardo duro di comprensione e determinazione. «Mi dispiace, vecchio amico» disse a denti stretti «Non posso aspettare oltre.»

Le mani di Balin si mossero come se desiderasse l'elsa della sua spada, e poi ringhiò: «fallo.»

Thorin si girò di nuovo verso il ragazzo. «Thorin» gli disse, e com'era strano, chiamare un altro col suo nome del sole! «Thorin, vedi il soffitto dove gli Orchi sono tanto ammassati?»

Gli occhi sbarrati del ragazzo, bianchi per la paura, si alzarono. Poi fece un piccolo respiro. «Là!» ululò, e corse avanti, indicando ansiosamente. I suoi piccoli stivali fecero un gran rumore quando picchiò i piedi, urlando più che poteva. La sua voce si alzò sopra alle grida più profonde dei Nani adulti e ai ringhi degli Orchi. «Là, là sopra, lo vedete? È là l'entrata del loro tunnel! Stanno usando il soffitto collassato come scala verso il nostro! È da lì che entrano!»

L'urlo fu raccolto da altri, e Thorin indietreggiò. «Grazie a Mahal» disse, mentre i difensori correvano verso il punto d'entrata degli Orchi.

Ma l'urlo infantile aveva catturato l'attenzione del nemico. Balin fece un urlo terrorizzato quando una grande Orchessa grigia iniziò a muoversi verso il bambino, un coltello da macellaio dall'aspetto malvagio in mano e un sorriso crudele sul volto. «Ciao, piccola larva» mormorò lei, e si bagnò le labbra con la lunga lingua in una scena disgustosa «Che piccolo bocconcino tenero che sei, eh? Non duro e fibroso come questi più grossi, scommetto...»

«Sparisci, lurida cosa!» ringhiò Thorin, e Piccolo Thorin deglutì e alzò l'ascia con mani tremanti.

«Scommetto di avere un sapore orribile» disse coraggiosamente «Scommetto che ti farei strozzare.»

«Beh, non lo sapremo» ringhiò l'Orchessa, accelerando «finché non proviamo!»

Caricò, e Piccolo Thorin strillò e fece roteare l'ascia. Troppo pesante, la lama colpì il terreno e lui riuscì a sollevarla di nuovo solo barcollando indietro e tirando con tutta la sua forza. L'Orchessa rise, avendo schivato facilmente il colpo. «Ooooh, bocconcino cattivo» lo prese in giro «Mi taglierai in due? Mi farai uscire le budella?»

«Sì» disse il Nanetto «Quindi vattene prima che ti faccia a pezzettini!»

L'Orchessa rise ancora, un suono basso e rasposo. Poi si bloccò improvvisamente, la bocca aperta attorno alla sua ultima risata.

Piccolo Thorin batté le palpebre.

Una figura chiara, quasi luminosa al buio, apparve sopra alla spalla dell'Orchessa e ci fu il suono disgustoso di acciaio che usciva dalla carne. L'Orchessa fece un suono sorpreso, e poi cadde di faccia.

«Pensavo il Principe ti avesse detto di rimanere dietro di lui» disse Laerophen, gli occhi pieni di rabbia.

«Pensavo che gli Elfi combattessero solo con arco e frecce» rispose Piccolo Thorin, l'ascia ancora stretta al petto con mani tremanti «Direi che avevamo torto tutti e due.»

Laerophen sorrise, rapido e selvatico. «C'è poco luce e non abbastanza spazio per tirare in questa oscurità» disse «Stammi vicino, bambino.»

«Non chiamarmi così» disse automaticamente Piccolo Thorin, ma corse lo stesso dietro all'Elfo.

Thorin alzò una mano e tenne fermo Balin che dondolava per il sollievo.

«Hanno collassato il tunnel oltre questo punto!» giunse l'urlo dei Nani all'inizio del tunnel degli Orchi «Stavano scavando giù dalla superficie sopra al nostro – quando i loro scavi hanno incrociato i nostri, hanno fatto collassare il soffitto per avere una scala! Bofur e gli Uomini di Dale devono essere più avanti!»

«Puoi sentirli?» ruggì il Principe. Urla di diniego giunsero tra i tremiti e gli scontri delle armi.

Thorin guardò il muro di terra che aveva dato modo agli Orchi di entrare nel tunnel che era stato una tale fonte di speranza. «Credete che...» si chiese ad alta voce.

Thrór si accigliò confuso, e poi i suoi occhi si spalancarono. «Prova» disse.

«Aspettate, non sto seguendo» disse Balin, ancora confuso e debole per il salvataggio inaspettato di suo nipote «Provare cosa, Thorin?»

«Camminerò attraverso la terra fino ai minatori intrappolati e ai Bizarûnh» disse lui, guardando ancora il muro di travi crollate, rocce e terra fra loro «Li troverò. Forse Bofur riuscirà a sentirmi.»

«E Gimizh?» disse Balin, alzando lo sguardo. Il suo volto era bianco, e la sua barba era stranamente scompigliata «Quanto a lui?»

Thorin esitò, un dolore sordo gli contorse le interiora. «Se riesco a trovarlo» disse.

Nessuno di loro doveva far notare le possibilità che aveva un Nanetto da solo di sopravvivere a un crollo.

Dato che non c'era altro da dire, Thorin camminò avanti oltre ai combattenti e mise la mano sul muro di detriti. Sembrava piuttosto solido, ma tutto il mondo del Gimlîn-zâram sembrava tutto solido e resistente all'inizio. Mura e pavimenti e tera e acqua sembravano ubbidire alle solite leggi per gli osservatori morti all'inizio, almeno finché non venivano messi alla prova. L'illusione era piacevole, ma poteva essere spezzata facilmente.

Thorin deglutì e spinse avanti la mano, dita spalancate. Sparì nella terra fino al gomito.

No, non morirò in questo modo gli giunse l'eco della sua voce da un passato lontano acquattato, arrancando per respirare.

Prese un respiro profondo, riempiendosi i polmoni fino quasi a scoppiare, e poi si lanciò nel nulla soffocante sotto la terra.


Gimizh alzò la torcia più in alto e batté le palpebre.

No, non poteva essere giusto.

Guardò dietro di sé verso i mucchi di terra su cui si era arrampicato, e poi davanti verso il lungo tunnel vuoto in perfetto ordine. Pensò che forse Erebor era dietro di lui, invece che davanti. Doveva aver camminato dalla parte sbagliata.

Gimizh disse una parola che sua madre gli avrebbe tirato le orecchie per aver detto, e si massaggiò ancora la mano sanguinante. La lampada si era spenta da tempo, ma l'aveva tenuta per usare il grasso per la sua torcia. Aveva della terra sulle ciglia, e la sentiva che sfregava contro ai suoi occhi delicati. Stavano diventando umidi, ma lui non li strofinò. Bruciavano già abbastanza.

Gli serviva dell'acqua. Per la barba di Durin, quanto aveva sete.

Quindi gli Orchi avevano fatto crollare il tunnel nel mezzo? Stupidi Orchi. Ora Gimizh non poteva tornare a casa. Si buttò a terra e piantò la torcia nel terreno, tirandosi la maglia. La torcia tremolò, e lui disse di nuovo la brutta parola. Si sarebbe spenta presto.

Riuscì a levarsi la maglia, la sporcò di grasso, e la avvolse appena in tempo attorno alla torcia. Per fortuna, il fuoco non era morto, e lui non lo spense per la fretta.

Nudo dalla vita in su, stava congelando. Si strinse la mano sanguinante attorno al corpo, e raccolse la torcia in quella buona. La lampada era vuota ora. La guardò con rimorso. Aveva ucciso l'Orco per lui, ma ora non gli poteva più essere utile. La lasciò sul terreno e si girò nuovamente verso il tunnel spalancato.

«Non posso tornare indietro» borbottò, e agitò la torcia nel buio. C'era una curva davanti a lui, e nessun segno di altre luci. Era come se il tunnel fosse infinito. «Devo andare avanti.»

Forse suo papà era avanti da qualche parte? Non aveva visto né pelle né capelli degli Uomini di Dale. Tutte le guardie che aspettavano con Gimizh erano scomparse, e lui cercò di non pensare a tutti loro seppelliti sopra al freddo peso della terra. Con un po' di fortuna erano rimasti dall'altro lato del crollo, ed erano già stati salvati. Lo sperava. Jeri era simpaticum, e Agur in genere aveva sempre un dolcetto per un Nanetto con gli occhi grandi e l'aria abbastanza triste e sconsolata.

Iniziò a trotterellare per il tunnel nuovamente, i tremiti gli scuotevano il corpo. Un giorno avrebbe avuto un splendido petto peloso (come Zio Gimli!) che lo tenesse al caldo. Un giorno, si disse fermamente, e cercò di impedire che i suoi denti battessero.

Le missioni erano stupide.

«Chi va là!» urlò una voce nel buio.

Gimizh squittì, riscuotendosi dai suoi pensieri tristi e spaventati. «Non farmi del male ti prego!» disse, il respiro rapido, l'aria fredda gli faceva male alla gola «Sono pericoloso, sì! Ho ucciso un Orco, e sono un grande guerriero, e... ti farò in un milione di pezzettini se ti avvicini!»

Ci fu una pausa, e poi una dolce risata familiare. «Sarebbe terribile.»

Il respiro di Gimizh gli uscì dal corpo come un se un Olifante in carica gli avesse premuto il petto sotto il suo peso. Poi stava correndo avanti alla cieca, la torcia abbandonata da qualche parte nella terra. «'adad, 'adad, 'adad, 'adad» singhiozzò, e le sue mani si allungarono per toccare trecce familiari, dei baffi arricciati, un petto robusto e solido.

«Ooof!» disse Bofur, ed era davvero davvero vero! Gimizh voleva urlarlo dalla cima della Montagna – o avrebbe voluto, se solo fosse stato in grado di smettere di piangere.

«Chi è questo?» giunse un'altra voce, soffiando rabbiosamente, e Bofur scosse la testa.

«Calmati, Bard, nessun pericolo» disse «Questo è il mio ragazzo, Gimizh.»

Mani sconosciute raccolsero la torcia di Gimizh, alzandola e illuminando il corridoio. Gimizh non aveva la forza di chiedersi chi fosse stato. Poteva solo stringere suo padre e seppellire il volto nel petto di Bofur e piangere e piangere e piangere.

«Non sapevo che avessero davvero dei bambini» giunse un sussurro da qualche parte nel tunnel «Pensavo fossero scolpiti dalla pietra e che...»

«Sei un vecchio credulone allora, no?» gli rispose qualcuno «Quello è decisamente un bambino.»

Gimizh non riusciva a smettere di piangere. «Ho combattuto con un Orco, Papà, come Zio Gimli, e non si m-muoveva più perché l'avevo ucciso, io, e ho promesso di t-trovarti...»

«Tranquillo, mio piccolo guerriero, mi hai trovato» disse Bofur, e le sue dita erano stranamente goffe mentre toccava il volto di Gimizh «Stai sanguinando. Perché nel nome di Mahal eri qua sotto?»

«Il Re ha detto, a-aspetta al tunnel e porta messaggi, ma mi annoiavo e s-sono entrato» balbettò Gimizh, e strinse il collo di Bofur mentre le lacrime gli cadevano dal volto e colpivano il suo petto nudo «Il soffitto è caduto su di me, e non trovavo Jeri, e ho ucciso un Orco che mi soffiava contro e mi sono fatto male alla mano. Il tunnel è b-bloccato, quindi sono venuto qua, ho f-fatto una torcia, ma ho perso la maglia e la giacca. Ho sentito dei rumori. Penso ci sia una lotta dall'altro lato.»

«Abbiamo combattuto anche di qua, ragazzo mio, ma sembra che si concentrino di più sulla Montagna» disse Bofur, e c'era molta riluttanza nella sua voce «Sono andati tutti dall'altro lato, confidando che l'aria limitata farà il lavoro sporco per loro. Per fortuna siamo una piccola ricompensa rispetto ad Erebor – e per fortuna non conoscono bene l'ingegneria Nanica. Il mare ci sommergerà prima che il sistema d'areazione fallisca. Una bella fortuna, eh?»

«Sono il Nano più felice della Montagna» disse Gimizh, il volto ancora premuto contro il petto di Bofur. Il broccato della giacca del padre gli strofinò la guancia e le labbra mentre parlava. L'odore familiare che emanava la sua pelle sotto il sangue e lo sporco fece muovere e sciogliere qualcosa nel suo stomaco. Le lacrime finalmente si fermarono mentre Bofur gli accarezzava la schiena con una grande mano, e Gimizh si strofinò gli occhi, e tirò su col naso. «Stai bene?»

«Ecco, tieni la mia giacca» disse improvvisamente Bofur, e si allontanò per levarsi la giacca e avvolgerla attorno alle spalle di Gimizh «Ti prenderesti una polmonite e tua madre mi strapperebbe la barba. Beh, dopo aver finito di sgridarci entrambi per esserci messi in questa situazione, ecco.»

«Diglielo» disse l'Uomo che Bofur aveva chiamato Bard in tono brusco «Non abbiamo tempo, e lui dovrà essere i nostri occhi.»

«Va bene, calmati» rispose Bofur.

Gimizh si accigliò. «Papà, cosa non mi stai dicendo?»

«Mi conosci troppo bene, eh?» ghignò Bofur, guardando assentemente il tunnel «Ora, ragazzo mio, sono incredibilmente orgoglioso di quanto coraggioso tu sia, affrontare un Orco e tenerti la testa. Non voglio chiederti questo, ma non c'è altro modo. Questi Uomini di Dale non sanno nulla su come ci si muove sottoterra. Mi serve che tu sia più coraggioso che mai.»

«Molto coraggioso, coraggiosissimo!» disse Gimizh. Poi fece una smorfia. «Perché?»

Bofur fece un lungo, lento respiro e disse: «Gimizh, mio nidoyel, devi fare qualcosa per me ora. Devi guidarmi.»

In quel momento Gimizh notò qualcosa. «Papà» disse lentamente «Perché non mi guardi?»

«Questo è il problema, undayuh» sospirò Bofur, e alzò il mento come se si stesse preparando «Quando le travi sono cadute, gli Uomini mi hanno dovuto trascinare fuori. Sono tutto intero, solo un braccio rotto, credo, ma qualcosa mi ha colpito la testa. C'è stato un lampo bianco, e poi tutto è diventato nero, ed è rimasto nero da allora. Non posso vedere.»

Gimizh fissò il padre in shock.

«Abbiamo proprio la fortuna di Mahal quando si tratta di essere colpiti in testa» aggiunse cupamente Bofur.


Era un incubo divenuto realtà.

Thorin si spinse fra strati di terra e roccia e legno, un urlo intrappolato fra i denti. Il suo petto si alzava e si abbassava, anche se la sua mente insisteva che lui stava soffocando. Immaginava di sentire il suolo e la roccia e le travi che gli attraversavano pelle e carne e ossa e tendini, con la facilità di una spada Elfica nell'acqua. Si sentì male, e chiuse gli occhi. Avrebbe continuato. Avrebbe continuato.

C'erano delle voci avanti. Gli occhi di Thorin di spalancarono di riflesso, e poi li serrò di nuovo. Troppo presto. Aveva solo dato una minuscola occhiata – solo una frazione di secondo – ma anche quello era troppo.

Per un razza sotterranea, questa era la più grande paura.

Barcollò avanti. I suoni continuavano a crescere, distorti per le sue orecchie come se sentisse nell'acqua. L'eco era modificata dalla roccia e dal suolo, e l'urlo di Thorin stava lentamente ma inevitabilmente strisciando su lungo la sua gola. Ne sentiva il sapore, proprio dietro alla lingua.

Anche se poteva respirare, la sua mente insisteva nel dirgli che stava soffocando. I polmoni gli facevano male come una ferita. Ogni battito del suo cuore gli faceva correre il sangue nelle vene come in una danza folle. Lo sentiva che pulsava dietro alle sue palpebre.

Non morirò in questo modo, acquattato, arrancando per respirare!

«Sei morto!» si ringhiò contro, rivolto alle proprie stupide paure «Sei già morto! Sei solo un pensiero e un sussurro nel mondo vivente. Dís riderebbe per sempre se ti vedesse ora. Fatti coraggio. Fatti coraggio! Nonostante tutti i tuoi difetti, non sei pauroso né codardo, almeno. Riprenditi!»

Acquattato, arrancando per respirare!

Thorin continuò, e i suoni della battaglia dietro di lui e il mormorio delle voce avanti iniziarono a mostrare una distorta incoerenza da incubo. Fece un urlo di protesta per la confusione nelle sue orecchie, la sua voce si aggiunse alla cacofonia di rumore.

«Calmati!» disse Bilbo.

«Oh, grazie a Mahal!» Thorin quasi collassò, la parole si rovesciarono e ricaddero fuori dalle sua bocca «Bilbo, Bilbo mio, grazie, grazie a Mahal, grazie al Creatore...»

«Un piede dopo l'altro» disse Bilbo calmo «Andiamo!»

Thorin barcollò avanti, le mani allungate dinnanzi a sé. Le pietre gli graffiarono le ossa mentre ci passava attraverso, e si morse il labbro, forte. Il sangue gli riempì la bocca. «Bilbo!» ansimò.

«Quasi, quasi» lo chiamò Bilbo. Thorin desiderò essere abbastanza coraggioso da arrischiare un altro sguardo, per vedere se il suo Hobbit scivolava nella terra accanto a lui, ma non osò farlo. Una volta era più che sufficiente. «Continua a continuare, come diceva sempre Hamfast.»

«Il tuo vicino, vero?» chiese Thorin anche se sapeva perfettamente chi era. Non riusciva a pensare a nient'altro da dire. La sua mente era una confusione di roccia e panico.

«Mmm. Il padre del giovane Sam. Si prende cura del mio giardino da prima della mia vacanza, sai. È l'esperto locale di patate»

«Patate» ripeté Thorin.

«Sì, patate» disse Bilbo, e c'era un sorriso sulle sue labbra. Thorin poteva sentire il calore delle sue parole e lo percepiva nel rilassamento dei suoi arti. «Cose bianche e bitorzolute che crescono sottoterra e odiano il sole. Suppongo tu possa riconoscerti in esse.»

«Mi stai chiamando bitorzoluto?»

«Abbastanza. So che aspetto ha un Nano sotto l'armatura, ricordalo»

La bocca di Thorin si incurvò. «E la vista ti era piaciuta?»

«Oh, stai cercando dei complimenti ora? Molto dignitoso, Oh grande Re Sotto la Montagna. E poi, potrei anche chiamarti verdura» Bilbo tirò su col naso.

Thorin lasciò che la sua risata rimbombasse, cacciando ogni ricordo dell'urlo che gli artigliava la gola. «Hobbit impertinente.»

«Nano pomposo. Continua a muoverti»

Improvvisamente ci fu aria attorno a loro, e gli occhi di Thorin si spalancarono di nuovo. La roccia non era più chiusa attorno a lui, e lui cadde in avanti a carponi e ansimò, gemendo.

Riuscì a controllarsi dopo qualche momento, e guardò su per vedere il suo giovane, vitale Uno in piedi nell'oscurità. Il volto di Bilbo era orgoglioso e la sua testa era alzata in maniera arzilla.

«Eccoci qua» disse Bilbo soddisfatto. E scomparve.


Kíli sospirò e si prese la testa fra le mani.

«Un sospiro così grande, figlio mio?» disse il suo Creatore gentilmente, e Kíli guardò su senza pensare solo per allontanare lo sguardo dal volto saggio e glorioso, battendo le palpebre.

«Ahia» mormorò, prima di guardare su ancora con occhi cautamente socchiusi.

«Stai attento» disse Mahal «Ti ho già riparato una volta gli occhi.»

Kíli fece una smorfia, prima di coprirsi gli occhi con le mani. «Gli Hobbit sono davvero minuscoli. Davvero piccoli, anche più piccoli di Frerin. Non hanno bisogno di tanto spazio.»

«Già lo hai detto»

«E sono ottimi cuochi. E hanno dell'erbapipa superba. E fanno della birra fantastica. Ti piacerebbe»

«Senza dubbio»

«E sono sicuro che a Mandos non servono tutti. È molto egoista, e tenerseli tutti per lui. Dovrebbe condividere con te. O sai, dartene almeno uno. Rallegrano molto l'atmosfera»

«Sì, così ho sentito»

Kíli sospirò di nuovo, e lasciò che la testa gli ricadesse in avanti, colpendosi le mani. «Non lo stai rendendo facile.»

«No, figlio mio» confermò Mahal «Non lo sto facendo.»

Kíli borbottò sottovoce per un altro momento, e poi fece spallucce e guardò su di nuovo. «Quindi, la cosa brillante se n'è andata ora, fa quello che deve fare dove io non posso andare? È già nel mondo? Mi dirai cos'era? Non la noteranno tutti – per qualche motivo non credo che una grande cosa luminosa possa essere molto nascosta. Di cos'è fatta? Può bruciare le cose? Posso continuare a farti domande, lo sai. Ne ho a centinaia.»

«Presto» disse Mahal con quella voce che faceva tremare le ossa di Kíli. Il Valar mise giù il suo martello, e poi fece un passo indietro dall'incudine, inclinando la grande testa mentre guardava la forma e l'anima del Nano che stava creando. Poi fece un sospiro come un gran vento e si sedette su una sedia (o era una montagna non completa, con foreste e ghiacciai e nuvole sul picco, che cresceva mentre Kíli la guardava), considerando ancora il suo lavoro. «Presto. Il tempo in cui essa emergerà e sarà nuovamente conosciuta di avvicina. E non è un fuoco come tu lo pensi, ma uno spirito: uno spirito riforgiato e nuovamente in fiamme. Ma non mi stai dicendo perché sospiri così tanto, Kíli.»

Lo sguardo di Kíli si allontanò. «Eh, no, sei molto attento.»

Il suo Creatore si abbassò e tirò i capelli spettinati di Kíli. «In genere non trovi difficile parlare, Kíli. Quale delle tue cento domande ti affligge?»

Kíli rimase in silenzio.

Mahal aggrottò le sopracciglia e fissò il giovane Nano innaturalmente silenzioso. «Nathânûn.»

Un brivido corse sulla sua schiena, e Kíli esclamò: «dove vanno gli Elfi?»

Mahal si interruppe con le dita ancora nei capelli di Kíli.

«Perché... beh» Kíli si fece forza, e poi afferrò una di quelle grandi dita ustionate con entrambe le mani «Sai. Devi saperlo. Non ne ho mai parato prima. Non ne parlerò più, se non devo saperlo. Ma devo provare almeno una volta. Dov'è lei? Per favore.»

La grande testa barbuta si inclinò, e poi Mahal mormorò: «Avrei dovuto prevederlo. Parlare con tuo zio ha riportato il problema alla luce, vedo.»

«È sempre alla luce» disse Kíli, e alzò il mento.

«Certo che lo è» disse Mahal, e sorrise «Certo.»

«Quindi dov'è lei?» incitò Kíli, e poi si morse il labbro «Puoi dirmelo? Voglio dire, ti è permesso?»

«Mio fratello Námo è un mistero» disse il Fabbro eterno «Le sue Aule sono in costante mutamento e allontanamento, parte di questo continente eppure separate da esso, unite al mondo e fuori da esso allo stesso tempo.»

Kíli si accigliò.

«Uomini e Hobbit e coloro di stirpe mortale non sono legati a questa terra come i Primogeniti» continuò Mahal «Nemmeno i miei Nani sono così strettamente connessi alla terra, nonostante ne siano stati creati. Vi è stato dato questo luogo di calma e riposo prima che il mondo sia ricreato, ma li Elfi non lo lasciano mai davvero. Tutte le altre anime vanno avanti, oltre alla Terra di Mezzo, verso un fato che nemmeno mio fratello Manwë conosce. E quindi Uomini e Hobbit e Ent non risiedono nelle Aule di Mandos dopo esservi entrati, ma invece sono liberi di andare dove noi non possiamo. È il Dono di Eru Ilúvatar ai Secondogeniti.»

«Che bel regalo, essere mandati via come un pacco senza indirizzo» disse Kíli impazientemente, masticandosi ancora il labbro «Elfi?»

«Gli Elfi non possono andarsene» disse Mahal, e il suo pollice lisciò la fronte di Kíli «Mi dispiace, Kíli. Gli Elfi non lasciano le Aule come coloro di stirpe mortale. Loro vi risiedono fino alla fine del mondo, e raramente mio fratello ammorbidisce la sua presa. Vive un Elfo a Granburrone che è passato per le sue porte – Glorfindel, dai capelli dorati – ma dalla creazione di Arda Námo non ha mai abbandonato la sua devozione ferrea per il suo compito. Sarebbe come chiedere a me di non lavorare.»

Kíli batté le palpebre. «Alla fine del mondo.»

«Aye»

«Il mondo in cui siamo noi, giusto? Voglio solo essere sicuro»

Mahal alzò un sopracciglio. «Aye?»

«Quello che dobbiamo ricostruire dopo la Dagor Dagorath?»

Le dita giganti si fermarono mentre accarezzavano i capelli di Kíli.

Kíli sorrise. «Lo sapevo.»

«Aspetteresti tanto a lungo?» chiese Mahal incredulo «Gli anni che devono passare sono innumerevoli.»

Kíli strinse la mascella e guardò il volto radiante del suo Creatore senza allontanare lo sguardo. «Aspetterei anche il doppio» disse fermamente.

«Ah, figlio coraggioso» disse piano il Valar «Io misi la lealtà nelle tue ossa. Non sapevo quanto profondamente avesse attecchito.»

«La vedrò ancora» disse Kíli, e sorrise di nuovo, il cuore leggero come un piuma «Chi se ne frega degli anni in mezzo? Con una speranza simile, potrei spostare Taniquetil pietra per pietra! Potrei nuotare negli oceani! Potrei mangiare un intero piatto di insalata! Io rivedrò Tauriel!»


«Li hai trovati?» chiese Frerin.

Thorin collassò su una sedia. Anche la luce grigia senza fonte delle Sale era meglio che i tunnel sotto Erebor. «Aye. Mi serve una birra.»

Frís gli mise in mano un boccale, e Thorin bevve profondamente e si fermò solo quando dei rivoli iniziarono a scendergli nella barba. «Lentamente» lo avvertì Frís «Ti strozzerai.»

«Bofur è davvero cieco?» disse Fíli, la voce piccola e stupefatta.

Thorin si fermò, il boccale a mezza strada verso la sua bocca. Poi annuì. Fíli fece un sospiro e si afflosciò nella sua sedia. «Mahal abbia pietà» disse.

«Non c'è molta pietà in quei tunnel» raspò Thorin «Però Gimizh vive, un vero miracolo. Sono intrappolati da qualche parte oltre il soffitto crollato, e non possono raggiungere Erebor. Devono tornare verso Dale e senza dubbio fra i denti di altri Orchi, o morir di fame nell'oscurità.»

«E il Principe e gli altri, dal lato della Montagna del crollo?» disse Frerin, accigliato «Non possono scavare?»

Thorin sospirò. «Sono tornato da loro e ho parlato con Piccolo Thorin. Il fatto che creda che il suo amico sia vivo non sorprende gli altri. Io ho solo aiutato la sua convinzione. Servirà una lotta feroce per allontanare gli Orchi che ancora continuano a entrare nei tunnel.»

Thrór scambiò un'occhiata con Hrera, e poi chiuse gli occhi per nascondere le sue paure. Attorno a lui, la famiglia sedette in teso silenzio. Nessuno di loro menzionò l'altra possibile opzione: far crollare l'intero tunnel e così tagliare l'entrata agli Orchi.

«Sei distrutto, nadad» disse Frerin, e gli riempì il boccale, rovesciando un po' della birra rimettendo giù la caraffa «Bevi.»

«E la Compagnia?» disse Thorin dopo qualche sorso «Come sta Gimli?»

«Giù di morale» disse Frerin, e fece spallucce «Sapeva che ero lì. Mi ha salutato per nome. Però parla molto con Aragorn, Merry, la Dama Éowyn e Re Théoden. Cavalcano verso Dunclivo per incontrare il resto dei Rohirrim.»

«E Legolas?» Thorin alzò lo sguardo per incrociare quello del fratello «Parla con Legolas?»

Frerin esitò. Poi esclamò: «cavalcano insieme come sempre, ma non parlano più del necessario.»

Thorin piegò la testa in avanti. «Maledizione» disse piano, e poi si alzò con arti doloranti e mise giù il boccale vuoto «Andrò da Bilbo ora.»

«E poi letto» disse Frís, gli occhi che brillavano severamente.

«E poi letto» confermò lui senza emozione.


L'Elfo era alto ed elegante, con lisci capelli scuri e un volto così bello da fermarti il cuore... ma del resto, tutti erano così. Thorin si accasciò esausto accanto all'Elfo e lo guardò con sguardo accusatore. «Potresti spostarti un po'» borbottò. Il cuore gli faceva male. Ogni suo muscolo gli faceva male. I capelli gli facevano male. «E il tuo arpeggiare è noioso e blando.»

L'Elfo, ovviamente, non poteva sentirlo. Thorin incrociò le braccia e si accigliò guardando il suo Hobbit seduto davanti a una scacchiera, un pezzo stretto nella manina rugosa. «Ora, da che parte si muove questo?» si chiese.

«Di qua, Bilbo» disse Arwen gentilmente. I suoi occhi erano affossati in cerchi scuri, e le sue guance si erano svuotate. Thorin la osservò, alzando le sopracciglia.

Bilbo guardò la scacchiera con occhi lucidi mentre lei spostava un pezzo, e poi scosse la testa. «No: non va bene, sono riuscirò a giocare Lanthir, non lo capisco per niente. Dovrai trovarti un'altra vittima, Lady Arwen.»

Lei sorrise. «Non c'è avversario che preferirei.»

«Oh, adesso, mi prendi in giro» Bilbo mise giù il pezzo che aveva in mano e sbadigliò «Bontà mia, che ore sono?»

Arwen controllò l'orologio, e poi si guardò di nuovo verso lo Hobbit anziano con una certa triste comprensione. «Sono passate solo quattro ore da mezzogiorno, Bilbo.»

«Mmm, terribilmente tardi» mormorò lui, e la sua testa iniziò a ciondolare. Poi alzò il mento, battendo le palpebre. «No, no, dovevo fare qualcosa, cosa?»

Arwen scambiò un'occhiata con l'arpista, prima di dire: «forse volevi innaffiare il tuo giardino?»

«Sono certo che fosse importante» borbottò Bilbo, e le sue mani sbiancate strinsero la coperta sulle sue ginocchia «Dannata memoria – ha più buchi che altro, ormai. Sai, davvero non hai un bell'aspetto, Lady Arwen. Spero tu non ti stia ammalando?»

Gli occhi meravigliosi di Arwen si allargarono, e poi si voltò in modo stranamente brusco. Le sue labbra erano strette in una sottile linea di dolore. «Non è nulla» disse.

Thorin aggrottò le sopracciglia. «Non avevo mai visto un Elfo che non fosse in perfetta salute» si disse «Eppure ci sono cerchi scuri sotto i suoi occhi, e le sue guance sono pallide e magre...»

«Potrò essere un po' confuso per quanto riguarda i dettagli oggigiorno, ma non sono stupido né cieco!» disse Bilbo irritato, e poi alzò il mento nel suo modo più altezzoso. Thorin quasi sorrise al gesto: quanto era familiare, e quanto caro. «Non è affatto “nulla” - è ovviamente “qualcosa”, e vorrei molto che mi dicessi cosa!»

Arwen rimase immobile per un momento, e poi la sua testa si piegò in avanti, coprendole il volto con una cascata di capelli neri. «Invero, non sei cieco, ma non è necessaria la vista degli Elfi per notarlo» disse nella sua bassa voce musicale «Io non sto bene, Mastro Bilbo. Potrei non guarire.»

«Non guarire?» esclamò Bilbo «Ma allora, cos'è? Tuo padre ti rimetterebbe in sesto in un attimo, ne sono certo. Anzi, se può aiutare un vecchio Hobbit con le sue ossa doloranti, senza dubbio può farti tornare in salute più in fretta di quanto tu possa dire “cavolo”!»

«Ma mio padre non è qui» disse lei con un sospiro, abbassando di nuovo la testa «Tu non ricordi, ma se n'è andato un mese fa. Ora cavalca verso Edoras, nel regno di Rohan.»

«Davvero?» Bilbo fece una smorfia «Accidenti, deve essermi uscito di mente. Beh, sei una ragazza Elfica comunque: senza dubbio sei forte come un bue. Non avevo mai sentito parlare di un Elfo con... cos'è, comunque?»

La mascella di Arwen si strinse.

Il respiro di Bilbo si mozzò nella sua gola, e lui si piegò in avanti. «Dama, non sarà...?» ansimò.

Lei annuì una volta.

Bilbo la fissò terrorizzato, e poi ricadde nei cuscini, gli occhi enormi nel volto segnato. «Bontà mia» disse debolmente.

«Cosa, cosa succede?» chiese Thorin, e si alzò per esaminare l'Elfa più da vicino, anche se tutti i suoi muscoli protestavano vivamente «Qual'è il suo problema?»

«Non può essere rallentato?» disse Bilbo, la voce tremula «O fermato?»

«Sai bene come funzione, Bilbo» disse lei con un sorrisetto amaro «Sai molto più di noi di tutti i saggi delle razze più giovane, salvo solo Aragorn. Sai che non si può fermare.»

«Ma tu non sei del tutto Elfica» protestò Bilbo, e si torturò le mani, facendo scrocchiare le nocche artritiche «Forse questo lo fermerà.»

«No» Arwen alzò una mano sottile verso l'arpista, e lui chinò la testa e si alzò. I suoi abiti spazzarono le foglie d'autunno sul pavimento mentre se ne andava.

Arwen prese il suo posto, poi mise le mani su quelle di Bilbo. «Non posso fermarlo, né desidero farlo» disse, la voce intensa e gli occhi accesi nel volto pallido e spettrale «Mio padre» sputò, e poi chiuse gli occhi «Mio padre voleva risparmiarmelo. Voleva spedirmi oltre mare, dove non vi è malattia e nessun male può toccarmi. Ma la mia malattia mia avrebbe seguito fin là. Io sono legata alla Terra di Mezzo ora, e nessun potere dell'oscurità o della luce può cambiarlo.»

«No!» disse Bilbo con calore «Questa è una cosa orribile da dire! Immaginalo, gettarti via per una cosa sciocca come l'amore – sciocchezze e nullità! Aragorn potrà essere un tipo notevole, ma non è di certo l'unico. Anzi, il mondo è pieno di tipi notevoli, se sono di tuo gusto. Per carità! Tu stessa sei troppo notevole per desiderare qualcosa fino alla morte!»

«È la mia natura» disse lei, e strinse le mani di Bilbo «E io ho fatto la mia scelta.»

«Beh, scegli di nuovo!» esclamò Bilbo.

«E sarebbe così facile?» disse Arwen piano «Così come tu avresti potuto accettare qualsiasi altro Nano al posto del tuo Re defunto, vero?»

La gola di Thorin si chiuse di colpo.

«Ora, questo non è...» sputacchiò Bilbo, e poi si accigliò «Non è per niente lo stesso, e lo sai! E comunque, io sono ancora qui, sbaglio?»

«Sì» disse lei, e i suoi occhi erano pieni di compassione «Lo sei.»

«Ghivashel» sussurrò Thorin, e la sua mano si alzò di volontà propria per accarezzare quella magra guancia rugosa. Se rimaneva appena sopra la pelle, poteva quasi credere all'illusione di toccare il suo Hobbit.

Un'illusione era meglio di niente.

«Voglio dire...» balbettò Bilbo, e la sua bocca di mosse inutilmente per un momento «Adesso, aspetta un attimo, io non ho mai...»

«No, ma gli Hobbit del resto non sono Elfi» disse Arwen, e si inginocchiò davanti a lui, le mani ancora su quelle si lui. Le sue dita erano ancora più stranamente bianche e lunghe rispetto alle mani rovinate di Bilbo, scure per il sole e piene di calli dovuti ai suoi attrezzi da giardino. «Eppure il tuo cuore è andato avanti senza di te, sbaglio? Tu sai qualcosa di questo tu stesso.»

Bilbo la guardò seriamente. «Gli Hobbit sono infinitamente più pratici degli Elfi» esclamò «E dove il mio cuore sia andato sono solo affari miei!»

«Bilbo» disse Arwen, con dolcezza infinita «Non puoi prendere in giro coloro che hanno occhi per vedere.»

«Tsk, cavolate e stupidate» borbottò «Sciocchezze drammatiche e istrioniche – scommetto che sono tutte in quelle poesie che leggi!»

Le sopracciglia di Arwen si alzarono. «Anche tu scrivi poesie, l'hai dimenticato?»

«Sì, , ma io non andrei a morire solo per uno stupido Nano» continuò Bilbo. Il suo tono rimase indignato e nervoso, ma c'erano lacrime nei suoi occhi sfocati «E nemmeno dovresti tu. Che problemi! Voglio dire, avevo tante cose da fare, no? Avevo i miei libri, e Casa Baggins, e il mio giardino, no? E poi c'era il mio giovane Frodo, dove sarebbe finito se non ci fossi stato io, eh? Perso in quel labirinto polveroso di uno Smial, circondato da quell'orda di Brandybuck fastidiosi, ecco dove! Ma io l'ho messo a posto, sì, ed è stata una gran bella cosa! Tenersi occupati, ecco il segreto!»

«Bilbo» sospirò Arwen «Bilbo, mellon...»

«Ascolta il mio consiglio, mia cara» disse Bilbo, la voce rotta. Si asciugò gli occhi con un brusco scattò della mano «Tieniti occupata. A chi servono, eh? Hai due mani, no? Starai bene, vedrai. Dopo un po' sorriderai di nuovo. Un giorno, riderai. Cosa cambia se la vita è un po' più grigia? Il tempo va avanti, e così dobbiamo fare noi. La Strada non è sempre in piano, ma non finisce mai.»

«Se solo avessi il tuo spirito» disse Arwen «Ma ahimè, io sono un Elfo. E a parte il sangue di mio padre, io vivo la vita di un Elfo, e quindi ne devo sopportare i dolori.»

«Ma potresti vivere la vita di un Uomo, puoi scegliere» protestò Bilbo, e poi le scosse le mani «Pensa! Non sdraiarti lì e appassire come un fiore estivo!»

Lei sorrise, nonostante tutto. «Ho pensato a lungo e attentamente, Mastro Baggins. E sì, quella è la vita che sceglierei. Ma quella vita è sempre più in dubbio, e nella mia scelta vi è un'altra fine.»

«Melodramma e teatralità» borbottò Bilbo, e si asciugò di nuovo gli occhi e alzò il mento in modo impertinente, come a sfidarla a fare commenti sulle sue lacrime «Beh, non si può fare così, proprio no. Dovrò fare qualcosa a proposito.»

Arwen sorrise ancora. «Io credo davvero che ci riusciresti.»

«Beh, sì, dovresti. Ti ho mai detto che una volta ho cavalcato un'Aquila? Non sono uno con cui scherzare» sbuffò Bilbo. Sbadigliò.

«Allora la nostra missione è chiara. Attaccheremo questo problema domani» disse lei, e gli tirò la coperta sopra le ginocchia.

«Mmm, domani. Sì, sono stano» borbottò Bilbo, e la sua testa iniziò a ciondolare di nuovo. Poi aprì un occhio e guardò gli alberi. «L'autunno è arrivato presto, non credi? Sarà la stagione delle mele presto. Dovrò sistemare la credenza, ricordami di parlare con Toby Soffiatromba. Vorrei fare la marmellata di mele della mia bisnonna quest'anno. Sì, così tanto da fare, così tanto da fare...»

La sua voce si affievolì mentre la testa gli cadeva sul petto, e dopo qualche istante il vecchio Hobbit era addormentato.

«Si stanca così facilmente» sussurrò Arwen «Non avrei dovuto farlo arrabbiare.»

«Non l'hai fatto arrabbiare» sospirò Thorin «Credimi, so com'è quando si arrabbia.»

No, la donna-Elfo lo aveva turbato. C'erano differenze sottili, ma dopo molti anni Thorin aveva imparato a distinguere i vari tipi di rabbia e indignazione Hobbit.

Arwen si alzò e voltò il bel volto verso sud. «Tenersi occupati, che strano modo di metterla» disse all'aria apparentemente vuota, i suoi capelli neri di seta le si avvolgevano sulle spalle, tirati dalla fresca aria autunnale «Io non sono come Bilbo. Io ho messo in palio la mia vita per un ultima speranza evanescente, mischiando la mia stirpe a quella degli Uomini. Il mio popolo ora appartiene alla storia, e il mio fato appartiene all'Anello del Potere. Posso continuare come gli Hobbit, anche se le mie speranze sono così lontane?»

«Bilbo ha ragione, sei decisamente troppo melodrammatica» borbottò Thorin quando lei si voltò e iniziò ad attraversare la luce sfocata verso l'Ultima Casa Accogliente, lasciandosi dietro una scia di foglie rosse.

«Oh, bello da parte tua» giunse nuovamente la voce amata, e il respiro di Thorin tornò di colpo nel suo corpo. Un sorriso iniziò a farsi strada sulle sue labbra, senza che lo volesse, mentre si voltava per guardare il Bilbo giovane e vitale dei suoi sogni proprio dietro di lui.

«Dimmi, Oh grande Re, hai mai udito la frase “la pentola che se la prende col bollitore”?» rise lo Hobbit.

«I Nani hanno una frase simile» disse Thorin, e bevve della vista dei ricci biondo scuro, del piccolo volto insolente, della curva furba della bocca, degli occhi vitali «Ciao ancora, sanâzyunguh

«Beh? Non puoi lasciarmi così» disse lo Hobbit, e incrociò le braccia con uno sguardo impaziente sul volto «Seriamente, a volte penso tu sia criptico solo per divertirti.»

«Ah, mi conosci davvero bene» Thorin sorrise «Tienilo per te, ho una reputazione da mantenere.»

Bilbo sbuffò. Dietro a Thorin, l'anziano Hobbit dormiente fece un piccolo suono nel sonno. «Non essere ridicolo, grazie tante. La frase?»

«Diciamo “sia la forgia che il forno mangiano carbone”» rispose Thorin, e guardò il Bilbo dormiente, fragile e perso «Tu qui, e tu lì. Io sono doppiamente benedetto dalla tua presenza. Anche se non sei altro che un'illusione della mia mente, mi trovo più che felice.»

«Preferisco la frase Hobbit» disse Bilbo, e chinò la testa «Un'illusione della tua mente?»

«Aye» disse Thorin secco «Più dolce delle solite illusioni, però. Non ti sei notato, seduto su quella sedia?»

Bilbo guardò dietro a Thorin, e vedendo il vecchio Hobbit decrepito coi suoi fini capelli bianchi i suoi occhi divennero larghi come piattini. «Oh.»

«Sì. “Oh”» confermò Thorin.

«Ma io...» Bilbo si accigliò.

Nel suo sonno, i vecchio Hobbit sulla sedia aggrottò le sopracciglia.

«Aspetta» disse Bilbo, e fece un passo avanti, fissandosi affascinato. Le labbra del vecchio Hobbit si mossero attorno a una parola: aspetta.

Il cuore di Thorin saltò, e poi iniziò a battere più rapido nel suo petto. Un pensiero selvaggio e impossibile si stava formando nella sua stanza testa. «Parla ancora» ordinò, e fissò lo Hobbit dormiente.

«Un “per piacere” non sarebbe stato sgradito» disse Bilbo, e in quel momento, le labbra dell'anziano Hobbit si mossero e la sua faccia rovinata si tirò in familiare linee indignate.

La bocca di Thorin si spalancò per la meraviglia, e si voltò da una parte all'altra, cercando di fissare entrambi i Bilbo allo stesso tempo. «Ma mahdjin... No, non può essere.»

«Sono io, vero» disse Bilbo, e il vecchio Hobbit mormorò nel sonno «Sono io.»

«Non può essere possibile!» esclamò Thorin «Parla, Bilbo!»

«Per piacere» disse Bilbo, e le sue orecchie erano rosse di rabbia «Non sono parole tanto difficili da dire! Davvero! Sei sempre molto più simpatico nei miei sogni. Sei quasi il vecchio te stesso, ed è qualcosa di notevole.»

Thorin si girò per vedere se il suo discorso avesse avuto un qualche effetto sul dormiente – ed ecco, il vecchio Bilbo borbottò irritato sottovoce, e poi tornò a calmarsi.

«Non capisco» disse Bilbo dietro di lui «È solo un sogno, come tutti gli altri sogni. Svaniscono alla luce del mattino.»

«I tuoi sogni» disse Thorin lentamente «Bilbo, io non sono un sogno.»

«E allora cosa sei?» chiese Bilbo «Non puoi essere reale, sei morto come uno stipite e sepolto sotto la Montagna. Questo lo so, ero lì! Non sono tanto senile!»

«Non è possibile» disse Thorin stupefatto «Mahal abbia pietà, ma lascia che sia così!»

«Se non sei un sogno, come puoi essere qui? Tu sei morto!» disse Bilbo, e scosse la testa confuso «E io... aspetta, non riesco mai a ricordarlo...»

«Aye, io sono morto da tempo» disse Thorin «E sembra che i tuoi sogni non siano privi di fondamenti.»

«Non riesco mai a ricordare» ripeté Bilbo frustrato, e poi sbiancò «Intendi dire...»

«Sei tu» sussurrò Thorin, e voleva cantare, voleva ridere, voleva piangere «In tutti questi freddi infiniti anni di guardare e desiderare, non avevo mai osato sperare tanto.»

«Mi stai dicendo che sei stato... con me, tutto questo tempo?» disse Bilbo rigidamente, deglutendo.

«Non ti ho mai lasciato» disse Thorin, e una tale fortuna non poteva essere sua – i Valar non erano mai stati così gentili verso un miserabile Nano – non poteva essere! «E tu davvero sei il mio Hobbit, e non qualche frammento del mio dolore?»

«Il tuo Hobbit?» Bilbo si girò verso di lui, e il suo volto era tirato dalla furia «Il tuo Hobbit?»

Thorin batté le palpebre stupito. «Io... Io...»

«Thorin Scudodiquercia, la tua arroganza!» esclamò Bilbo.

«Bilbo» disse Thorin, saltando indietro per la sorpresa e la confusione – e poi Bilbo svanì «Bilbo! Bilbo! Mi dispiace, Bilbo, scusami – ti prego, ritorna, ti prego – ti prego, idùzhibuh, ti prego!»

Ma il giovane Hobbit non riapparve. Thorin fece un urlo strozzato di frustrazione e perdita, e poi cadde carponi. «Bilbo!»

Il vecchio Hobbit nella sedia piangeva nel sonno.

«Ma ti ho fatto una penna» disse Thorin all'aria, inginocchiato senza speranze tra le foglia autunnali spazzate dal vento.

TBC...

Note

Parte del dialogo è preso dai film

Dunclivo – un rifugio dei Rohirrim nelle Montagne Bianche, era un altopiano sopra la Dunvalle, che dava sul fiume Acquaneve. Un alto sentiero, conosciuto come “Scala del Forte”, portava alla cima dell'altopiano conosciuta come “Firienfield”, dove i soldati e i rifugiati generalmente facevano campo. Oltre a questo luogo vi erano le pietra che segnavano il sentiero del Dimholt, e i Sentieri dei Morti.

Manwë – Re degli Ainur e primo dei Valar (Il Re Antico). Sposato a Varda Elentári (Elbereth), amata dagli Elfi. Il suo regno sono l'aria e i venti del mondo, e le aquile i suoi messaggeri. Di tutti gli Ainur, fu scelto come comandante – anche se non era il più forte. Melkor (Morgoth) era più potente di lui. Lui era un signore gentile e pieno di compassione – ma non riusciva a comprendere il male o la malizia. Per via della sua ingenuità, molti mali furono rilasciati. I Vanyar sono i suoi Elfi preferiti, ed essi vivono con lui sul Monte Taniquetil.

Námo – il Giudice dei Valar. È meglio conosciuto col nome delle sue Aule: Mandos. È il signore degli Uccisi. Vairë la Tessitrice è sua moglie. Nienna la Piangente è sua sorella.

Il Dono agli Uomini – il “dono” di cui parla Mahal è la morte. Anche se fu decretato che gli Elfi avrebbero trovato più gioia e creato più bellezza di ogni altra stirpe, fu grazie a questo Dono che gli Uomini sarebbero diventati i creatori del futuro. Gli Elfi (i Primogeniti) non muoiono fino alla morte del mondo stesso, e se sono uccisi per sbaglio e sfortuna, sono raccolti nelle Aule di Mandos per aspettare la Dagor Dagorath (la battaglia finale fra i poteri – in pratica, il Ragnarok).

Col suo Dono ai Secondogeniti, Eru Ilúvatar fece sì che i mortali non trovassero pace dentro Arda, e quindi avrebbero cercato oltre al mondo e ai suoi legami dopo la morte. Gli Spiriti degli Uomini lasciano completamente il mondo e non ritornano dopo la morte. Gli Hobbit, come tutti i Figli Minori di Ilúvatar, condividono il Dono degli Uomini. Morti mortali cercarono di evitare il Dono – i Nazgûl, persino Sméagol stesso – ma infine, si dice che persino i Valar invidieranno il Dono di Ilúvatar.

Glorfindel - “Dai Capelli Dorati”. Era un signore Noldor, e viaggiò da Aman ad Arda con Turgon e visse a Gondolin. Quando Gondolin cadde, lui uccise il Balrog che la assalì e fu ucciso a sua volta. Ci sono molte controversie sul fatto che quello trovato a Granburrone nei libri sia la reincarnazione dello stesso Glorfindel: qua è stata scelta la teoria della reincarnazione. Era un grande guerriero Elfo che per primo profetizzò del Re Stregone di Angmar: che nessun uomo mortale avrebbe potuto ucciderlo.

Taniquetil – il picco più alto del mondo, parte delle Pelóri in Aman. I troni di Manwë e Varda sono sul picco.

Labirinto polveroso di uno Smial” - Villa Brandy, l'enorme casa della famiglia Brandybuck, scavata da Gorhendad Vecchiobecco. Il Signore della Villa era l'autorità locale tra i villaggi della Terra di Buck. Frodo Baggins visse lì fino a quando il suo cugino di novantanove anni Bilbo Baggins lo adottò quando aveva ventuno anni.

I Mezzelfi – a differenza degli altri Elfi, i Mezzelfi potevano scegliere il loro fato. Potevano essere contati fra gli Elfi Primogeniti (Elrond scelse questa strada) o fra i Secondogeniti, gli Uomini (suo fratello Elros scelse questa strada, e divenne il primo Re di Númenor). Anche i figli di Elrond avevano questa scelta.

[1] Il personaggio di Jeri è non-binary, ovvero una persona che non si identifica come appartenente né al genere maschile né a quello femminile. In inglese per riferirsi a persone non-binary si usano pronomi di genere neutro (“they” usato al singolare, ad esempio, come nella versione originale di questa storia); l'italiano però non solo non ha questi pronomi, ma la stragrande maggioranza dei nomi e aggettivi richiedono la desinenza “-o/-a”. Cercando su internet, ho scoperto l'uso del pronome neutro latino “id” e della desinenza “-um” per riferirsi a persone non-binary in italiano, ed è la soluzione che ho scelto di usare nella storia. Per altre informazioni sulle identità di genere, consiglio Gender Wiki. [Torna alla storia]

L'Orchessa in questo capitolo NON era Dâgalûr figlia di Bolg, ma un soldato comune. C'è più di un'Orchessa in tutta la Terra di Mezzo.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 32
*** Capitolo Trentadue ***


«Thorin?»

Thorin alzò lo sguardo dalle ferme acque scure della vasca del Gimlîn-zâram. Il suo volto era molle e intorpidito, e le sue guance appiccicose per i residui delle sue lacrime.

«Vieni» disse Frís piano, e gli prese la mano.


«Perché? Non è tuo»

«Tu mi fraintendi, Aulë. Potrai essere tu il loro creatore, ma loro sono amati anche da altri. Vedo che Nienna stessa ha pianto per egli: ciò ne è prova, certo»

«Irmo-»

«Con le tue mani tu gli diedi forma, con il tuo respiro tu riempisti i suoi polmoni. Con la tua arte tu gli diedi doni oltre ogni altro, legandolo con un filo alla sua speranza perduta. Cosa feci io, se non rinforzare quel filo?»

Thorin si girò nel sonno.

«La sua voce può toccare la mente dormiente, il subconscio, non è così? Perché questo è il Dono che tu gli diedi»

«Sai che è così»

«E quello è il mio dominio. Una sola voce, che parla da oltre il mare. Una sola anima che nuota controcorrente nel Olórë Mallë. Ovviamente l'ho notato»

«E perciò hai interferito» la voce del suo creatore, dolce come il tuono che scuote l'aria. Thorin fece un lungo sospiro quando la sua agitazione si calmò, e leggero come neve che cade, il sonno lo prese di nuovo.

«Ecco, ora riposerà meglio. Ah, ma non ho interferito nemmeno lontanamente quanto te. Perché fu il tuo lavoro a rendere ciò possibile, mio beneamato amico. Il tuo Dono gli diede il potere di raggiungere il cuore del suo ascoltatore. Davvero non pensasti che il suo cuore avrebbe risposto?»

«Il suo cuore ancora vive. A Granburrone egli dimora. Non è permesso attraversare il velo – così giurasti e così feci io!»

«Eppure egli si è fatto riconoscere oltre al velo, non è così?»

Un altro silenzio.

«La mente dello Hobbit ora vaga. Talvolta vaga nel tempo, e allora egli indugia nei sogni di ciò che sarebbe potuto essere stato, entrando e uscendo dalla realtà dei suoi giorni. Questa mente alla deriva pensa solo a tuo figlio. Il tuo Dono fece il resto»

«Il mio...!»

«Aulë. Tu feci sì che questo Nano potesse raggiungere la mente più profonda, la mente sotto i pensieri svegli, il torrente subconscio del se stesso di un'anima. Lo Hobbit pensa a tuo figlio, e la sua mente perduta lo cercò. Io fui solo una guida nei sentieri dei suoi sogni»

«Ma egli non disse mai di aver veduto lo Hobbit...»

«Egli vide la sua speranza più cara e più impossibile manifestarsi. Da ciò che capisco, questo Nano non si sarebbe mai fidato di una simile speranza. Gli deve essere parso che la sua stessa solitudine si fosse data un volto e una forma. Non si sarebbe fidato delle prove dei suoi occhi e del suo cuore, non dopo che la sua mente già una volta lo tradì così completamente. La vergogna fermò la sua lingua, e la paura della follia. Non è così?»

«Aye, vergogna – Oh, non ho agito bene, ho creato del dolore. È questo ciò che ho fatto. Figlio mio, figlio mio, il dolore non ti abbandonerà mai? Ah, Irmo, mi dispiace per le mie accuse»

«Sei perdonato, perché in questi oscuri giorni perfino l'alba è qualcosa di incerto. E tu hai creato qualcosa di migliore di quanto tu non pensi. Perché lo Hobbit non è l'unico che lo ode»


«Cieco?» ansimò Bifur.

Thorin si allungò e afferrò il collo di Bifur, tirando vicina la spettinata testa bianca e nera e colpendo la fronte di Bifur con la propria. «Mi dispiace, gamil bâhûn

«Ma...» disse Bifur, e i suoi occhi stranamente fissi erano sbarrati e nervosi «Bombur non può camminare, e ora Bofur non può vedere. Barufûnuh, ai, ayamuhud zu. Chi si prenderà cura di loro?»

«Sono Nani anziani ora, Bifur» gli disse dolcemente sua madre Bomrís, e mise la sua sottile, rovinata mano in quella di lui e strinse «Hanno la loro famiglia che si prende cura di loro.»

«Ma...» Bifur si lasciò portare via, il volto confuso e perso «Ma non sono me.»

Ori guardò Thorin, le mani che gli torcevano le maniche per la preoccupazione. Aprì la bocca come per parlare, e poi sembrò decidere di non farlo e corse dietro Bifur e i suoi genitori.

Thorin si voltò verso Genna e Bomfur. La coppia di allegri minatori erano pallidi e tesi per le novità su loro figlio, e Genna aveva delle lacrime nei suoi occhi azzurri generalmente allegri. Sembravano così diversi dal solito. Per una volta, la risata rumorosa di Bomfur era assente. «Grazie» disse lui in voce debole a Thorin, e accanto a lui Genna singhiozzò «Sono al sicuro?»

Thorin esitò per un secondo di troppo, e il respiro di Genna si mozzò, le sue mani volarono davanti alla sua bocca.

Thorin abbassò gli occhi.

La mascella tona di Genna si strinse in determinazione. «Andiamo» disse piano a suo marito «Andiamo a guardarli, allora.»

«Mi dispiace» disse ancora Thorin, sentendo quanto inutili fossero le sue parole.

«Non serve» disse Bomfur distrattamente, la sua attenzione ferma sulla sua normalmente allegra moglie «Non è colpa tua.»

«Andiamo, ora» insistette Genna, e tirò gli scuri baffi intrecciati di Bomfur, e lui annuì a Thorin prima di seguirla attraverso l'arco di perla.

Thorin li guardò andare, e si strofinò gli occhi. Gimizh, Bofur e i Bizarûnh erano ancora nell'oscurità, e l'Elminpietra stava ancora guidando una futile resistenza contro gli Orchi in arrivo. Erebor cantava il suo sangue Erebor è attaccata. Erebor è attaccata. Erebor.

Bilbo ululò il suo cuore, e per una volta era più forte del suo sangue.

«Eh» disse Fíli preoccupato «Thorin, hai un aspetto orrendo.»

Thorin lo guardò e controllò la sua rabbia con uno sforzo mastodontico. «Starò bene» disse, cercando di tenere la durezza e i ringhi fuori dalla sua voce. A giudicare da come gli occhi di Fíli si allargarono, non aveva avuto successo. «Alla fine starò bene» si corresse.

«Cosa...» iniziò Fíli, ma Thorin scosse la testa, bruscamente.

«No, namadul» disse a denti stretti «Non ne parlerò.»

«Ma i tuoi occhi sono rossi, hai pianto» disse piano Fíli, e oh, Fíli non esitava mai ad affrontarlo quando era per qualcosa di importante, no? «Thorin...»

«No, ho detto!» urlò Thorin, e poi fece un passo indietro e si strofinò il volto col palmo, sentendo il raspare della pelle indurita contro la barba «Scusami» riuscì a dire «Scusami, scusami, non intendevo renderti il bersaglio del mio pessimo umore. Perdonami, Fíli.»

Fíli sembrava confuso. «Cosa posso fare, se non mi dirai qual'è il problema?»

«Ah!» Thorin fece un piccolo sospiro, e avanzò per afferrare le spalle di Fíli «Inùdoy. Non ti merito, davvero. Questo non è qualcosa che tu puoi guarire. Non è il tuo peso da portare. Lascia che io mi prenda cura dei miei problemi, e non renderli anche tuoi.»

Fíli fece spallucce, quasi timidamente. «Vecchie abitudini.»

«Aye, e cattive abitudini» Thorin premette la fronte contro quella di Fíli, concentrandosi più che poteva sul calore e respiro di suo nipote, cercando di rimanere ancorato, cercando di respingere l'ondata di emozioni che minacciava di schiacciarlo. I suoi polmoni gli facevano male quando respirava. «Non ti preoccupare per me.»

Fíli sbuffò. «Faresti prima a chiedere alla marea di fermarsi.»

Víli aveva ragione pensò amaramente Thorin Si preoccupano per me, i miei undayûy, e io non ho nulla da provargli. Devo solo esistere, e loro si preoccuperanno per me.

«È qualcos'altro, vero» disse Fíli, e afferrò i polsi di Thorin e lo guardò in volto, gli occhi incerti «Non è Bofur, anche se solo questo è duro da sopportare. Non è Gimli. È successo qualcos'altro, vero?»

Thorin imprecò silenziosamente. Quando i suoi chiassosi ragazzi erano diventati tanto saggi? Prima Kíli e la sua infinita devozione e il suo silenzioso sacrificio. Ora Fíli, fermo davanti alla sua rabbia, in grado di vedere oltre alle sue difese come se non fossero altro che fumo.

«Thorin» lo incitò Fíli, e le sue dita strinsero, insistenti e rassicuranti «Ti terrai tutto dentro fino a quando diventerà veleno?»

Thorin rilasciò il respiro che non si era accorto di trattenere. «Vieni» disse brusco, e si girò verso la sua forgia.

In qualche modo, era diventata il luogo dove lui non solo faceva cose utili o belle, ma anche dove ricreava se stesso.

Sentì Fíli che camminava dietro di lui, silenzioso come sempre. Fíli non sentiva il bisogno di riempire il silenzio, come Kíli.

Aprì la porta mezza rotta, e si fermò. La sua forgia era piuttosto spoglia e austera, ora. Aveva rotto tanto nella sua rabbia che ben poco era stato salvabile, e ora molte mensole erano vuote e i ganci per gli attrezzi e le rastrelliere erano vuoto. La stanza sembrava antisettica e spoglia: vuota in un modo che non riusciva a definire. Sentì le sue labbra che si arricciavano. Quanto spesso la sua rabbia aveva distrutto ciò che gli era più caro? Troppo spesso. Troppo spesso.

Fíli si guardò attorno, e poi fischiò. «Beh, hai fatto un gran bello spettacolo, no?»

«Io...» iniziò Thorin, e poi scosse la testa e prese il suo sgabello da lavoro. Non aveva risposta.

Fíli raccolse uno stretto tubo di metallo che in qualche modo era sfuggito alla ripulita da sotto il tavolo, e lo rigirò fra le dita. Poi alzò lo sguardo, una domanda chiara negli occhi.

Thorin prese fermamente il pennino dalle dita di Fíli e lo sistemò nella propria giacca.

Fíli si accigliò. «Thorin...»

«È una penna, ed è per Bilbo» interruppe lui. Le parole sembravano dure e affilate nella sua bocca, come frecce puntate alla testa del suo povero nipote. «L'ho fatta per lui.»

Le sopracciglia di Fíli si alzarono. «...vedo?»

Thorin si sfregò di nuovo la mani sul volto, sentendo lo sfregare della barba contro la pelle. Stava diventando ancora troppo lunga: l'avrebbe dovuta tagliare presto. «Lo vedo» disse fra le mani.

«Beh, sì» iniziò Fíli, ma Thorin si lasciò ricadere in grembo le mani e continuò.

«No, non l'ho solo guardato dalle acque. Lui è stato qui. Qui in questa stanza. Mi ha parlato»

Fíli esitò, e i suoi occhi si allargarono. «Eh...»

«Pensavo fosse solo una manifestazione della mia immaginazione» continuò Thorin, la voce bassa, gli occhi fissi sulle sue mani «Non pensavo fosse altro che la mia solitudine e la mia stupidità e il mio senso di colpa.»

La bocca di Fíli si chiuse di scatto. Thorin guardò su, e sorrise amaramente. «Ah. Vedo che sei d'accordo.»

«Non – non esattamente» disse Fíli, e fece un passo avanti «Sei stato così stanco, così occupato...»

«No, non era nemmeno la mia stanchezza» esclamò Thorin, e poi chiuse gli occhi e respirò lentamente.

«Aiutami a capire?» disse Fíli, e prese l'incudine e vi si sedette, guardando Thorin.

Chinando la testa, Thorin osservò il suo erede. Fíli lo guardava con la sua vecchia fiducia negli occhi: la fiducia che Thorin quasi aveva perduto totalmente. L'espressione di Fíli era così familiare – piena di devozione e impazienza e del desiderio di dar prova di sé. Guardò assentemente la propria mano che si alzava e affondava nelle curate trecce bionde, e si chinò per colpire la sua fronte contro quella di Fíli. «Namadul» disse, ruvido e grato. Era stato troppo duro con Fíli in vita: non avrebbe ripetuto quell'errore.

«Non posso» iniziò, e poi si bloccò.

Fíli aspettò, il silenzio fece la domanda per lui.

«Non so come possa essere» riuscì a dire Thorin, la voce lenta e irregolare «Ma è Bilbo e non qualche trucco della mia debole mente traditrice. È davvero il nostro scassinatore. Lo stavo osservando a Granburrone, e lui mi rispose – il vecchio e debole Bilbo, il vero Bilbo, il Bilbo vivente – mi rispose.»

«Ma...» Fíli scosse la testa confuso.

«Non so come» disse Thorin, e sospirò «Un qualche potere che non comprendo è al lavoro.»

«Ma è una cosa buona, di certo!» disse Fíli, e afferrò gli avambracci di Thorin e lo scosse piano «Questo è quello che volevi!»

«E come così tante altre cose in vita, il minuto che l'ho avuta, sono riuscita a distruggerla» borbottò Thorin, e si allontanò.

La mascella di Fíli si aprì, e poi gemette. «Cos'hai fatto.»

Thorin ringhiò.

«No, quello non mi spaventerà, non più» disse Fíli implacabile «Cos'hai fatto?»

«Le mie azioni personali non hanno bisogno del tuo scrutinio» ringhiò Thorin.

Fíli alzò gli occhi al cielo. «Bene. Devo andare a svegliare Frerin?»

Thorin gemette. «Meglio di no.»

«Oh, non so» continuò Fíli, incrociando le braccia e raddrizzandosi. C'era una certa calma spietata nei suoi occhi mentre guardava Thorin: se non fosse stata diretta verso di lui, Thorin ne sarebbe stato tremendamente orgoglioso. «Il mio zietto ha una certa abilità nel riuscire a farti dire qualsiasi cosa.»

Thorin batté le palpebre. «Zietto?»

Fíli sorrise un po' timidamente, e si massaggiò il collo. «Sì, beh.»

Nonostante la tempesta dentro di lui, Thorin sorrise a sua volta. «Sì, come tu dici, ha dei modi piuttosto particolari. Abbastanza efficaci per riuscire a far sì che tu lo chiamassi zio, infine.»

«Smetti di cambiare argomento» disse Fíli, e Thorin fece un basso suono irritato «Non è una risposta.»

«Fíli, 'ikuzh» ringhiò Thorin, e si prese di nuovo la testa fra le mani.

Fíli si arrese, e poi Thorin sentì il delicato tocco di dita sui suoi capelli.

«Non sono come me li ricordo» disse Fíli, il tono calmo e pensieroso «Sono anche annodati.»

«Il nostro Creatore evidentemente ha un contorto senso dell'umorismo» disse Thorin, il suono soffocato dalle sue mani. Fíli rise, e poi iniziò a separare le ciocche per pettinare Thorin col suo vecchio stile. «Non posso controllarlo più di quanto non possa controllare la mia stupida lingua.»

«Non me lo dirai?» disse Fíli, la voce a malapena un sussurro «Posso cercare Nonna o Frerin, se per te è meglio. Ma io sono qui, Zio. Voglio aiutare.»

«Hai sempre voluto aiutare» borbottò Thorin, e alzò le mani per fermare le dita di Fíli «Mi hai perdonato?»

«Cosa? Perché?»

«Per averti trattato come ho fatto» spiegò Thorin «Non te ne farei torto se non l'avessi fatto. Non sono stato giusto con te, Fíli. Non sono stato gentile.»

«No, ma tu non sei gentile in generale» disse Fíli tranquillo «E non pensare che non abbia notato che tu stai cambiando di nuovo argomento.»

«Mi dispiace» disse Thorin, e fissò il suo laboratorio vuoto e spoglio. La penna sembrava pesante nella sua tunica. «Mi dispiace così tanto.»

«Lo so. Gira la testa, ora»

«È tutto quello che hai da dire?» Thorin girò la testa, ma non come Fíli aveva indicato. Si voltò verso suo nipote per vedere quegli occhi blu socchiusi in pacifica, stanca contemplazione della treccia fra le sue mani. «Fíli-»

«Cosa, vuoi che ti punisca?» il naso di Fíli si storse «No grazie, non intendo essere lo strumento del tuo odio per te stesso. Questi capelli sono davvero tremendi, sai: riesco a malapena a fare in modo che le trecce non si aprano. Bisnonna deve odiarli a morte.»

«Lo so» disse Thorin debolmente «Dovresti detestarmi.»

«Stai di nuovo per affogare nel senso di colpa per la mia morte, vero?» sospirò fili, e legò una delle trecce con uno di quei nodi complicati che amava tanto «Smettila. Smettila di banalizzare le mie scelte. Sapevo cosa stavo facendo.»

«Smettila di sminuire le mie» rispose Thorin.

La risata di Fíli era affettuosa. Affettuosa! Thorin non poteva crederci. «Oh, ti prego. L'unico motivo per cui le sminuiamo è perché tu tendi a gonfiarle oltre ogni misura. Cosa vorresti che ti dicessi? No, Thorin, non sei sempre stato gentile. Avevi alte aspettative per me, mi spingevi, sei stato duro. Io provai ad essere come te, e invece scoprii di essere fatto di un metallo diverso. Non mi infastidiva che Kíli ricevesse il tuo affetto e la tua protezione, e io ricevessi la tua severità e ambizione. Entrambi volevamo solo proteggerlo. Come avrei potuto esserne risentito? A cosa può servire qui il risentimento, comunque? E poi, qua nelle Sale, sei così diverso. Più simile a com'eri quand'eravamo piccoli, e meno come il mio Re... no, non proprio» Fíli fece un suono innervosito sentendo le proprie parole «Sei il mio Re più qui che ad Erebor. È come se io potessi vedere chi saresti stato, se il drago non fosse mai venuto. Qualcuno più calmo, qualcuno più gentile. Qualcuno più caldo. Mi hai pettinato i capelli – mi hai dato il tuo letto, Th- Zio. Non ero che un bambino l'ultima volta che mi trattasti con tale – tale tenerezza, tale dolcezza. Mi hai dato una mia divisione, un mio posto al comando. Mi hai detto che eri orgoglioso sei miei sforzi, anche se non erano abbastanza. Mi sarei strappato la barba dalla faccia pur di sentire quelle parole, un tempo. Ma qui, ora? Io sono meno... Non so come dirlo. Penso di conoscerti ora, di conoscere chi sei davvero, e non solo il mio ideale di te.»

Capii mai di avere un tale tesoro? Sapevo quanto male avrei fatto nel permettere che mi adulasse tanto? Penserà mai bene di me? Si chiese Thorin, e poi gettò via il suo orgoglio. Che vantaggi gli aveva mai dato? «Questo è bene» disse infine «Non sono qualcuno da idealizzare.»

«Forse non sei sempre stato il meglio che potessi essere» disse Fíli pensieroso «Ma nessuno lo è. Zio, c'è così tanto in te che è – che è meraviglioso. C'è un motivo se tanti nelle Sale ti seguono con tanto zelo e lealtà. Sei conosciuto come un eroe del nostro popolo, per carità di Durin, e non è perché sei un Nano cattivo. Non sei nemmeno stato male come figura paterna, nonostante tutti i tuoi errori. Hai accettato un ruolo per cui non eri preparato dopo che 'adad morì, e tutto sommato l'hai svolto piuttosto bene. Ottant'anni passati ad osservare mette le cose in prospettiva. Penso che ogni genitore faccia degli sbagli, e che ogni figlio debba imparare che i loro genitori sono creature fallibili e imperfette – beh, io ti ho perdonato per i tuoi torti verso di me decenni fa. Nel quadro d'insieme, non erano poi così terribili. Mi hai dato tanto, Zio. E io ti ho amato per questo.»

Poi le mani di Fíli tirarono gentilmente i capelli di Thorin. «E così Bilbo.»

Thorin fece un lungo sospiro. «Sottile.»

«Non siamo della gente sottile. Parlami»

«Fíli»

«Thorin. Smettila di nasconderti. Smettila di cambiare argomento. Parlami»

Thorin rimase immobile mentre le mani abili passavano nella sua chioma selvaggia, pettinandola, ricreando uno stile morbido e regale che non portava da quasi ottant'anni. Poi fece un piccolo suono fra i denti e andò a toccare il polso di Fíli con le sue dita. «Anch'io ti voglio bene, Fíli.»

Le mani di Fíli si fermarono momentaneamente, e poi ricominciarono il loro lavoro, più lente di prima. «So anche questo. Muoviti, rimarremo qui fino alla Dagor Dagorath di questo passo.»

«L'ho fatto arrabbiare» disse Thorin, e guardò su verso il soffitto, la gola che si muoveva rapidamente mentre deglutiva «L'ho chiamato mio. Gli ho detto che l'ho osservato. L'ho fatto parlare ancora e ancora – glielo ordinai, glielo comandai. Lui se ne andò.»

«Tornerà» disse Fíli tranquillo.

«Come fai a saperlo?» chiese Thorin, ancora fissando il soffitto. Sentiva le lacrime che lentamente scivolavano sopra la sua palpebra inferiore, tremando con ogni respiro.

«Bilbo è anche più testardo di te» disse Fíli, e legò l'ultima delle trecce e la lasciò a dondolare davanti al suo orecchio destro «In effetti, potrebbe essere la creatura più testarda e cocciuta che mai sia vissuta. Ecco, ora sembri davvero te stesso.»

«Ma...»

«Dev'essere stata una gran brutta sorpresa» continuò Fíli, e iniziò a raccogliere metà dei capelli di Thorin dentro al fermaglio che denotava la sua linea, nascosto sulla sua nuca «Bilbo non ha mai preso bene le sorprese. Almeno non è svenuto!»

«Non scherzarci sopra» borbottò Thorin, e Fíli tirò i capelli fra le sue mani.

«Non lo sto facendo, più serio di così si muore» poi si interruppe «Più serio di così si muore. Vorrei che Kee l'avesse sentito.»

Thorin ringhiò profondamente.

«Sai già cos'hai fatto, quindi metti le cose a posto» disse Fíli, e Thorin sentì più che vedere il movimento delle spalle di suo nipote quando le scrollò «La prossima volta, prova ad ascoltare Bilbo, non a parlargli.»

«Sembri piuttosto certo del fatto che ci sarà una prossima volta» disse Thorin, e l'umidità sulle sue ciglia tremò. Strinse i denti: non avrebbe pianto, aveva già pianto più che a sufficienza.

«Se ti ha cercato, grazie a qualsiasi potere» disse Fíli, e mise le mani sulle spalle di Thorin «non credo che si arrenderà presto. Lui ti ama nonostante tutto, e Mahal sa quante gliene hai fatte passare, quindi non andare troppo in fretta. È stato al tuo fianco una volta, ha garantito per te, ha rischiato la vita per te, e se ne ricorderà il motivo alla fine. Dagli tempo. Almeno in questo, non c'è fretta.»

«Lui è così vecchio» Thorin sospirò «Il tempo non è mai stato un mio alleato.»

«Aye, è vecchio. Importa?»

«Mai» Thorin fissò cupamente il suo focolare spento «Io sono un tale idiota.»

«Fai delle gaffe spettacolari, te lo concederò» Fíli ridacchiò «O tutto o niente, è così che fai tu.»

«Deve temermi tanto» riuscì a dire Thorin, anche se la sua gola minacciava di chiudersi attorno alle sue parole e strozzarle «Devo essergli parso esattamente com'ero quando io... quando...»

«Riparti da zero e ricomincia, Zio. È questo quello che ci hai insegnato» le mani di Fíli si posarono sui capelli di Thorin e premettero in rassicurazione «La prossima volta.»

«La prossima volta» ripeté lui, e lasciò che il silenzio della forgia vuota lo riempisse. La sua mano si alzò, toccando la forma del piccolo cilindro sotto la sua tunica. Il suo focolare era così spoglio, pulito da tutta la cenere, la pietra grigia, nuda e triste.

Pronto per essere riempito nuovamente. Pronto per essere riacceso.

Inalò profondamente e squadrò le spalle. «Saresti stato un Re saggio, Fíli.»

La risposta di Fíli fu molto bassa. «Âkminrûk zu.»


Era silenzioso, il respiro profondo dopo il tuffo.

«Ce ne sono altri?» giunse la voce dell'Elfo nell'oscurità «Abbiamo fermato la marea?»

«Riusciranno a scavare attraverso alla fine» sospirò un Nano.

«Mi fischiano le orecchie» sussurrò Lóni «Non sento niente!»

«Ci farai l'abitudine» disse Óin.

Frár azzittì entrambi, guardando nel buio.

«Dove siete? Io sono da qualche parte qui, ma non so dove sono» arrivò la voce più acuta di Piccolo Thorin. Gli osservatori udirono la voce del Principe che imprecava piano, e poi i suoni di qualcuno che si muoveva e barcollava nel buio filtrati dal suolo fradicio.

«Siamo al sicuro per ora» disse l'Elminpietra, e imprecò ancora quando scivolò.

«Cos'è successo?» chiese l'Elfo.

«Qualcuno ha fatto crollare il loro tunnel» disse l'Elminpietra cupo.

«Ma ora non possiamo raggiungere il giovane Gimizh e chiunque altro aspetti nei tunnel» aggiunse Laerophen.

«Non è stata una gran scelta ma era l'unica» ringhiò l'Elminpietra «Non ci sono molte buone scelte ora.»

«Non ho detto che fosse quella sbagliata» disse piano Laerophen «Capisco, Principe Thorin.»

«Io vorrei non farlo» borbottò l'Elminpietra «Mio padre ha decisamente troppa ragione ultimamente.»

Ci fu il sssshk di una pietra focaia, e poi una calda luce arancione illuminò il Nano che aveva parlato prima.

«Siete tutti interi?» disse.

«Pensavo fossi feritum, Jeri!» disse Piccolo Thorin stupito «Sei in piedi!»

«Aye, beh, provaci tu a farti colpire in testa da un'esplosione o due, poi vediamo quanto riesci a restare sveglio» ritorse lum Nanum. I suoi capelli marrone chiaro erano intrecciati a partire da una tempia, scendevano lungo il suo zigomo e sotto il naso, e poi su per l'altra tempia in una curva elegante, e la sua barba era tinta del verde acceso che mostrava orgogliosamente che id era Zatakhuzdûn. Questum Nanum era al di fuori delle limitazioni di maschile e femminile, e viveva la sua vita come nessuno dei due.

«Sei statum tu a far crollare il tunnel degli Orchi?» chiese il Principe.

«Ho pensato vi avrebbe tirato fuori dai guai» disse Jeri, e accese la lampada al suo fianco «Mi hanno presum alla sprovvista prima: non ci riusciranno di nuovo!»

Frár incrociò le braccia, impressionato. «Non mi meraviglio che Dwalin l'abbia resum parte della sua guardia d'élite» commentò.

«Dove sei, giovanotto?» disse Jeri, guardandosi attorno e alzando la lampada.

«Qua, sono qua!» disse Piccolo Thorin.

«Avvicinati, henig» disse Laerophen, e Piccolo Thorin guardò l'Elfo sporco, prima di barcollare fino a lui e collassare nella terra molle e smossa.

«Parlami» disse l'Elfo, inginocchiandosi accanto al ragazzo «Stai bene?»

Jeri si voltò verso il Principe, i suoi occhi sospettosi e increduli. «Cosa-» iniziò, ma l'Elminpietra scosse la testa bruscamente, portandosi un dito alle labbra e indicando l'Elfo e il ragazzino.

«Sto bene» disse Piccolo Thorin coraggiosamente, ma gli stava tremando un labbro «Sono solo...»

«Sei un po' scosso, no?» disse l'Elfo, e Laerophen incrociò le gambe sotto di sé «Lo sono anch'io.»

Piccolo Thorin batté le palpebre. «Tu? Ma tu sei tutto...»

Laerophen alzò le sopracciglia e aspettò.

«...sei calmo» finì debolmente il Nanetto «Sei tranquillo.»

«Lo sembro, vero? Io sono un Elfo, ed è così che ci comportiamo» disse Laerophen, e alzò le mani davanti a sé. Erano completamente ferme. «Non è però un vero riflesso delle mie emozioni, te lo assicuro.»

L'Elminpietra chinò la testa, guardando interessato.

«Io non ho lo spirito di un guerriero» continuò Laerophen, e si alzò «I miei fratelli sono molto più pronti al combattimento di me. L'arco è sempre stato solo un passatempo, un gioco di abilità per me, e non una necessità: io rimanevo nelle mie stanze con i miei libri, e i miei fratelli imbracciavano le armi per fare la guardia dai ragni che sempre si avvicinavano alla nostra casa. Io sono uno scolaro, non sono adatto alla guerra. E questa forma schiacciante di guerra, soffocare sotto la terra, è un terrore per me.»

Piccolo Thorin guardò il volto dell'Elfo, tremolante nella debole luce della lampada, la bocca aperta mentre assorbiva le parole. Poi disse: «posso aiutarti.»

Laerophen sorrise il suo piccolo, inscrutabile sorriso Elfico. «Mi piacerebbe.»

«Io troverò Gimizh» disse Piccolo Thorin seriamente «Lui si mette sempre nei guai, e io sono sempre quello che deve tirarlo fuori.»

«Allora sei la persona giusta qui» disse Laerophen solennemente.

L'Elminpietra sorrise brevemente, prima di voltarsi di nuovo verso Jeri. «Qual'è la situazione all'entrata del tunnel?» disse, la voce di nuovo dura.

Jeri si raddrizzò. «I genieri stanno facendo del loro meglio per allargare l'entrata, e c'è un tunnel ausiliario che sta venendo scavato attorno a questo, per incontrare quello di Bofur oltre l'area crollata e il pericolo dei combattimenti. Sarà difficile, però: noi dovremo strisciare sullo stomaco, e per gli Uomini di Dale sarà ancora peggio.»

«Quanto lontani ha detto che erano Thorin?» sibilò Óin.

«Forse cento passi verso est» disse Lóni.

«Dannazione» borbottò Frár «È un sacco da scavare in così poco tempo – non si può assicurare e controllare. Sarà un lavoro alla meno peggio, e pericoloso.»

«Niente di tutto questo è sicuro, ragazzo» disse Óin cupo «Gli Orchi sciamano sopra la Montagna e cercano di entrare ad Erebor, e il mio pronipote è perso da qualche parte sotto terra. No, non è la cosa più sicura che abbiano mai fatto.»

«Chi è in comando?» disse l'Elminpietra.

«Lady Genild ha preso il controllo» disse Jeri.

Il Principe annuì. «Bene. Torniamo all'entrata del tunnel prima che gli Orchi si raggruppino.»

La testa di Piccolo Thorin si alzò di scatto. «Ma...!»

«Devi aiutarmi» disse Laerophen «Io non riesco a vedere al buio, mi devi guidare.»

Il volto di Piccolo Thorin mostrava il suo conflitto, tirandosi per la frustrazione. Poi sospirò forte. «Vieni» disse, senza molto entusiasmo.

«Bravo ragazzo» disse l'Elminpietra gentilmente.

«Di qua» disse Jeri «E state attenti agli Orchi per terra! Alcuni non sono morti o svenuti come sembrano.»

«Ora che si fa?» disse Lóni.

«Rimaniamo con loro» disse Óin, gli occhi duri per la determinazione.


Bomfrís figlia di Alrís corse per gli ultimi gradini fino ai nidi dei corvi in cima alla montagna. Thorin si sarebbe arrabbiato con lei per aver abbandonato la sua postazione, ma non avrebbe potuto rimanere più a lungo.

Cercando sotto al trespolo del suo corvo preferito, Tuäc, trovò la piccola scatola di peltro per cui aveva pagato tanti soldi, e la aprì con dita tremanti. Gli arti le facevano male, e le girava la testa.

Dentro la scatola vi era della radice di zenzero, coperta di miele. Brillava nella debole luce mentre lei se la portò alla bocca. Sentì un sapore dolcissimo, ma la consistenza le faceva venire la nausea e masticare era un'impresa.

Persino l'odore la faceva sentir male.

Una volta averla ingoiata, lei si sedette e aspettò che calmasse il suo stomaco in subbuglio. I suoi capelli le sembravano orribili e annodati, la sua barba era fradicia di sudore. Le braccia erano pesanti per aver alzato troppo l'arco, ma lei non poteva esitare. Solo questa breve pausa, solo ora.

Oh, lei era in guai così grossi.

Passandosi la lingua sui denti, sentì il sapore metallico del sangue. Perché la lingua le stava sanguinando improvvisamente? La stragrande parte di tutto questo era un dannato mistero. Gemette e cercò la sua fiaschetta. Un tempo avrebbe contenuto un forte liquore per tenerla al caldo sulle alture dei corvi. Ora c'era solo dell'acqua.

Il suo stomaco lentamente smise di ballare, e lei lasciò ricadere la testa all'indietro e esalò lentamente, rilassandosi il più possibile. Le sue palpebre si chiusero.

«Devi dirglielo» disse Tuäc.

«Più tardi» disse lei, senza aprire gli occhi «C'è una guerra, è un po' impegnato.»

«Devi dirglielo, ragazza-corvo» disse Froäc, la vecchia corvo in capo, la sua voce rotta severa «Deve sapere.»

«Aye, ma non ora» rispose lei. Froäc sbuffò col becco, e Tuäc gonfiò le penne in irritazione.

«Quando sarà “non ora”? Quando l'uovo si schiuderà? Troppo tardi, troppo tardi» disse Tuäc «Diglielo ora, guerra o no!»

Bomfrís strinse le labbra, ma fu salvata dal dover dare una risposta dall'arrivo di Värc, che entrò nei nidi facendo un gran baccano. Il corvo era scompigliato e le sue penne erano state strappate. I suoi occhi si muovevano rapidamente. «Bomfrís, grazie al guscio» ansimò Värc «Novità! Novità per il Re!»

Bomfrís si alzò immediatamente. «Cos'hai visto?»

«Un altro esercito marcia su Dale!» il corvo mezzo saltò e mezzo collassò nelle braccia della Nana e le beccò un orecchio «Il nemico ha diviso le sue forze prima ancora di lasciare Monte Gundabad – e le difese di Dale sono abbassate, e gli Uomini di Dale intrappolati sottoterra! Dale è sotto attacco!»

«No! 'urrel!» lo stomaco in subbuglio di Bomfrís si ribaltò «Tuäc, al re! Io seguirò con Värc» disse, tesa e rapida, e ignorò i versi dal trespolo di Froäc che la seguirono mentre scattava via dai nidi con tutta la velocità che le sue gambe potevano darle.

«Stupida pulcina» borbottò Froäc, e schioccò il becco.


Pipino tirò le maniche della livrea che indossava, e passò le unghie sopra ai fili argentati che formavano l'Albero Bianco intessuto sul suo petto. «Velluto» borbottò, e scosse la testa «Morirò per il caldo!»

«Sei molto elegante, Mastro Pheriannath» disse il ragazzino seduto su un barile davanti a lui. Aveva la pelle scura e gli occhi allegri, e continuava a muovere le gambe mentre parlava.

«Per favore smettila di chiamarmi così» disse Pipino, e si tirò il colletto a disagio mentre guardava lungo i bastioni «Ne ho già avuto abbastanza dalla città ieri!»

«Ah, ma oggi ne hai l'aspetto» disse il ragazzino, e le sue dita picchiettarono sul barile in opposizione ai talloni «Ernil I Pheriannath, il Principe dei Mezzuomini!»

Pipino fece una smorfia. «Non è molto accurato.»

Accanto a lui, Narvi fissò le grandi piattaforma per le catapulte. «Non sono abbastanza» disse sottovoce «E perché non usano un perno? Spero i loro calcoli siano corretti: scommetto che mirano come un arciere ubriaco.»

«Shhh» soffiò Haban dall'altro lato di Pipino.

Narvi si calmò, ma chiunque avrebbe visto facilmente la sua mente che lavorava, i piani che si formavano dietro ai suoi occhi mentre costruiva torri e armi e meraviglie nella sua immaginazione.

«Il buio è insopportabile giorno dopo giorno» disse Pipino cupo «Come riesci a farcela? Darei molto per poter rivedere il sole!»

«Mi ci sono abituato» disse il ragazzo scrollando le spalle. Poi rise. «Beh, più o meno. A volte non mi ricordo di mangiare: può essere difficile sapere se è metà mattina o pomeriggio tardi!»

Pipino rabbrividì. «Beh, io non mi scorderò le cose importanti» disse fermamente «Anche se cosa c'è di buono nel cibo e nell'acqua sotto questa ombra strisciante? L'aria stessa sembra spessa e marrone! Bergil, io sono già stanco di questa giornata.»

«E il cibo ora è razionato, comunque» aggiunse il bambino, saltando giù dal barile e andando dove sedeva Pipino.

«Perché mai guardai in quella dannata pietra?» sospirò Pipino, e poi guardò le pianure vuote del Pelennor «Sono vicini, vero?»

«Sì» disse Bergil «E non abbiamo abbastanza per difenderci da soli. Li hai visti arrivare, vero? Il vecchio Forlong il Grasso, Dervorin e Hirliun, gli uomini di Anfalas e Lamedon e Dôl Amroth. Non bastano. Vuoi scendere ai cancelli e vederli di nuovo?»

«No» disse Pipino, e fissò di malumore le pianure «Credo che dovrei aspettare qui.»

«Che cosa sta aspettando?» sussurrò Haban all'altra Nana. Narvi fece spallucce.

«Odio aspettare» borbottò Bergil.

Pipino sorrise improvvisamente. «Anch'io» disse «Io ho degli strani impulsi ogni tanto – non riesco a star fermo. L'intero mondo mi chiama, e anche se una vocina nella testa mi dice “che idea terribile, non vedi che è un'idea terribile?” io devo andare a guardare. I miei insegnanti avevano perso ogni speranza quando si trattava di farmi concentrare del tutto su una cosa sola.»

«Anch'io!» disse Bergil, deliziato «Anche se io tendo a concentrarmi sulle cose su cui non mi dovrei concentrare...»

«C'è un pozzo a Moria che è perfettamente d'accordo con te» disse Pipino, e rise sottovoce.

«Non so cosa intendi dire, ma gli adulti sono strani in ogni caso» disse Bergil dopo un momento «Cosa stiamo aspettando? Potremmo essere giù ai cancelli, a guardare i soldati di Pinnath Gelin ora. Hanno i mantelli verdi, come i nostri raminghi!»

Pipino guardò il ragazzo. «Adulto!» sbuffò «Secondo il conto della mia gente, sono ancora un ragazzo, sai.»

«Non ci credo, hai una faccia da adulto!» disse Bergil, stupefatto «Quanti anni hai, allora?»

«Ventinove. Non sarò adulto fino a quando non ne compirò trentatré»

La mano di Haban scattò e afferrò il braccio di Narvi. «Ventinove!»

«È osceno» disse Narvi, il volto scioccato.

«Ventinove!» disse il ragazzo, e fischiò «Ma sei già abbastanza vecchio! Hai l'età di mio zio Iorlas. Eppure» aggiunse speranzoso «scommetto che sarei capace di metterti a testa sotto, o con le spalle a terra.»

«Forse ne saresti capace, se io te lo permettessi» disse Pipino «E forse potrei fare io lo stesso con te: conosciamo qualche mossa di lotta libera nel mio piccolo paese. Dove, lascia che te lo dica, sono considerato straordinariamente grosso e potente, e non ho mai permesso a nessuno di mettermi a testa in giù. Quindi se facessimo la prova e non mi rimanessero altre risorse, sarei forse costretto a ucciderti. Quando sarai più grande apprenderai che la gente non è sempre come sembra; malgrado tu mi abbia potuto prendere per un ragazzo straniero e una facile preda, lascia che ti metta in guardia: non sono come credi, sono un Mezzuomo, crudele, ardito e malvagio!» Pipino fece una smorfia tanto brutta che il ragazzo fece un passo indietro, ma poi ritornò subito coi pugni chiusi e una luce battagliera negli occhi.

«No!» rise Pipino «Non credere nemmeno a ciò che uno straniero dice di se stesso! Non sono un lottatore. E ora mi stai facendo sentire piuttosto vecchio. Cosa direbbe Merry!»

«È un lottatore molto più di quanto non pensi» mormorò Haban.

«Sta cambiando» confermò Narvi, studiando il piccolo Hobbit «Tutti stanno cambiando.»

Haban lanciò un'occhiata alla sua compagna di guardia. «Hai già visto qualcosa di simile.»

«Ho visto persone buone, innocenti e sincere essere rese dure e fredde dal mondo» disse Narvi, e i suoi occhi erano scuri e brillavano stranamente mentre guardava Pipino «Ho visto l'ingenuità essere punita e la dolcezza distrutta. Non è una nuova storia.»

Le dita di Pipino si alzarono per tirarsi di nuovo il colletto. «Ma d'altro canto, a volte mi sembra siano passati anni da quando ero giovane – e decenni da quando ero uno Hobbit dal cuore leggero, poco toccato dai pericoli che attraversavo. Ora sono solo un piccolo soldato in una città che si prepara per un grande assalto, con addosso il velluto della Guardia della Cittadella.»

Bergil aggrottò le sopracciglia. «Andiamo» disse «Dovremmo andare a fare le smorfie alle guardie della Torre Bianca: non possono sgridarti, sai, devono continuare a guardare dritto davanti a sé.»

«Il loro elmi sembrano polli spennati per metà» disse Pipino, piuttosto impertinente, e Bergil ridacchiò.

«Meglio della Guardia della Cittadella, coi loro elmi a punta» disse «Mio padre dice che assomigliano a-»

«Sì, posso immaginarlo» interruppe brusco Pipino, e guardò il ragazzo con rimprovero «Dovresti vergognarti a ripetere tali sciocchezze scurrili. Mia mamma ti sculaccerebbe, lo farebbe davvero, e le mie sorelle finirebbero quello che rimarrebbe di te.»

«Sorelle?» Bergil sembrava interessato «Hai delle sorelle? Io ho solo un fratellino, e per ora è ancora inutile.»

«Io ho tre sorelle, una più terrificante dell'altra» disse Pipino, e iniziò a tirare il filo d'argento che formava il simbolo sulla sua tunica.

«Oh» Bergil batté le palpebre, e poi lanciò indietro la testa e sbuffò forte «Possiamo per favore scendere ai cancelli?»

«Voglio aspettare Faramir» disse Pipino.

Bergil si sedette dritto. «Faramir! Sì, dovremmo aspettare Faramir: tornerà presto, senza dubbio! Faramir è un grande uomo, sa governare uomo e bestia, ce la farà di sicuro.»

«In quanti pezzi?» aggiunse Pipino amaramente «Non eri lì, Bergil. Non hai visto il mio nuovo signore e padrone gettar via suo figlio come... come una vecchia tunica che non si mette più.»

«Non pensi che Lord Faramir riuscirà a tenere guado?»

«Non penso che Lord Faramir intenda tenersi la propria vita ancora a lungo» disse Pipino tristemente «Guardava suo padre come se un'altra parola furiosa avrebbe potuto distruggerlo. Denethor potrà aver perso Boromir, ma ha ancora un figlio. Faramir ha perso il suo unico fratello.»

Haban si accigliò. Le era piaciuta il giovane ramingo astuto con gli occhi attenti e la voce dolce. «Ora, non è così che dovrebbero andare le cose» si disse «Un genitore dovrebbe amare e proteggere, cosa pensa di fare Denethor?»

«Il popolo sussurra» disse Bergil, e arricciò il naso per il fastidio di parlare di Lord Denethor «Dicono che il Sovrintendente non è stato se stesso da quando Boromir è partito.»

«Allora immagino che anche la persona che era prima non fosse esattamente un raggio sole» disse Pipino, e tirò distrattamente il filo che si stava staccando dalla sua tunica «Il volto di Faramir quando se n'è andato era orribile. Non hai idea. Era come se avesse attraversato una grande paura o angoscia, e fosse passato nel silenzio e nella calma che esiste da qualche parte oltre al terrore e alla tristezza.»

«Non assomiglia molto a suo fratello» disse Bergil, e colpì il muro coi talloni.

«No» disse Pipino, e tirò bruscamente il filo «Ma entrambi sono stati miei amici.»

«Cos'è quello, allora?» disse Bergil, e si sporse dalle enormi mura bianche «Laggiù, quelle ombre scure.»

«Forse è Gandalf che ritorna» disse Pipino, ma non c'era molta speranza nella sua voce.

Alla fine erano rifugiati da Cair Andros, che scappavano dalle orde in arrivo. «Stanno arrivando» disse Pipino, e guardò su verso il cielo grigio e ribollente. Sembrava quasi diventare più scuro mentre lo guardavano.

«Faramir ci sarà, Faramir li fermerà» disse Bergil testardo «Ehi, cosa riesci a vedere?»

Piccoli gruppi di gente stanca e spesso ferita venivano verso la città, barcollando per le pianure. Il tempo passava, e Pipino aveva quasi distrutto l'albero d'argento tessuto sulle sua livrea quando una forma bianca finalmente attraversò la pianure fangose, più rapido di ogni altro cavallo vivente. «Il Cavaliere Bianco!» urlò Pipino «Il Cavaliere Bianco!» Bergil si unì al grido, e presto la città intera stava chiamando Gandalf.

Non passò molto tempo prima che Pipino riuscisse a tornare nell'orbita di Gandalf. Le due Nane osservarono mentre trottava alle calcagna dello Stregone, nella grande e rimbombante sala del trono di Gondor dai molti pilastri. «Denethor!» urlò Gandalf «un altro esercito è in arrivo dal Nero Cancello attraversando la pianura da nord est!»

Denethor alzò lo sguardo da dove sedeva ai piedi del trono, incenerendolo da sotto le sopracciglia cespugliose. «Alcuni ti accusano, Mithrandir, di godere nel recare cattive nuove. Ma per queste ormai non sono più nuove: ero al corrente sin da ieri sera.»

Narvi lo fulminò. «Allora perché nel nome di Mahal non hai fatto niente?»

«Il Rammas è stato squarciato in molti punti» continuò Gandalf come se l'Uomo non avesse parlato. I suoi occhi brillarono. «L'esercitò di Mordor farà irruzione da tutte le parti. Bisogna preparare una sortita! Dobbiamo alzarci e combattere!»

«Questo sarebbe il momento giusto per l'arrivo dei soccorsi di Rohan» disse Denethor, il tono sardonico «Ma non verranno. Siamo stati abbandonati.»

«Non grazie a te» borbottò Pipino sottovoce «Mi sono quasi bruciato tutti i peli dei piedi!»

Gli occhi di Gandalf a malapena si mossero, anche se era ovvio per le osservatrici che aveva sentito le parole impertinenti dello Hobbit. «La diga è crollata, e attraversano le brecce alle mie calcagna. E ora hanno un nuovo capitano. Ne è infatti giunto uno che io temevo.»

«Hai finalmente trovato un nemico degno di te, Mithrandir?» lo derise Denethor.

Il volto di Gandalf divenne freddo. «Il più terribile di tutti i capitani al servizio del Signore di Barad-dur è ormai padrone della cinta esterna delle tue mura» disse «Re di Angmar in tempi che furono, Negromante, Spettro dell'Anello, Signore dei Nazgûl, arma di terrore nelle mani di Sauron.»

«Quanto a me, da tempo sapevo chi era il grande capitano degli eserciti della Torre Oscura» disse Denethor «È tutto quanto hai da dirci? O sei forse tornato perché sei stato sconfitto?»

In quel momento, una gran confusione risuonò da fuori le porte del palazzo, e Pipino immediatamente di girò e urlò: «stanno chiamando Faramir, non li senti?»

«Zitto, Peregrino Tuc!» disse Gandalf «Apri le orecchie e non la bocca!»

Pipino spostò ansiosamente il peso da un piede all'altro. «Ma non li senti?»

Gandalf si interruppe, e il suo volto serio divenne spaventato. Guardando un'ultima volta Denethor, si girò sui tacchi, facendo svolazzare il mantello, e uscì dalla stanza.

Pipino guardò il suo nuovo signore, ed esitò di fronte all'improvvisa orribile espressione disperata che riempiva il volto di Denethor.

«Vai» disse Denethor, alzandosi per metà «Portami mio figlio; questo compito io ti do. Se davvero sei la creatura di un mago, allora usa le tue arti e salvalo! Vai!»

Pipino deglutì e annuì, e poi corse con tutta la velocità che gli davano le sue gambe fuori dalla grande e solenne sala al seguito della rapida e lontana forma di Gandalf.

«Gandalf!» urlò, e poi si bloccò per guardare con la bocca spalancata dal terrore. Dalla sua posizione in alto nel Cortile della Fontana, poteva vedere tutto il Pelennor fino alle montagne di Mordor, alte e tetre nella penombra. E strisciando sul Pelennor arrivava un onde più scura che si muoveva e brillava fatta di ranghi dopo ranghi di nemici, tutti diretti verso la Città Bianca: un mortale mare strisciante.

«Oh Mahal di sotto» sussurrò Narvi «Non finiscono più!»

Haban poté solo fissare in terrore confuso.

Pipino si riscosse dalla sorpresa e dalla paura e corse ancora, attraverso la corte e giù verso la città. Si piegò e infilò fra la gente (che correva a sua volta, urlando in preda al panico) e urlava chiamando Gandalf, Gandalf! Ma lo Stregone era sparito.

«Non vedo niente!» disse Haban.

«Vieni qui» disse Narvi, e prese il braccio di Haban e se la tirò vicina «Io ho perso lo Hobbit: riesci a vedere da che parte è andato?»

«Non ne ho idea» sospirò Haban «Troppa Gente Alta.»

Narvi strinse le labbra pensierosa. «Forse se facessi un qualche tipo di scarpa con un rialzo...»

«Non ora» esclamò Haban «Vieni, sarà diretto ai Cancelli.»

Le due Nane si spinsero fra la massa di persone strillanti e correnti. I soldati marciavano attraverso la confusione, le armature brillavano nella debole luce e separavano la folla come un coltello. Ogni tanto giungeva un lontano, vuoto boom, come il passo di un gigante.

«Le porte che si chiudono?» ansimò Haban mentre correvano verso i cancelli.

«Credimi, so come funzionano delle porte, e quello non era una porta che si chiude» disse Narvi cupa «C'è qualcosa di enorme là fuori: molti qualcosa, senza dubbio.»

Ogni tanto i livelli circolari della città davano loro un lampo delle pianure mentre scendevano – e con ogni livello, sempre più Orchi riempivano il campo. Il volto di Haban era bianco come la carta sotto i suoi capelli accesi, e Narvi aveva gli occhi duri e inespressivi, la tensione che vibrava sotto la sua pelle.

Infine i cancelli furono davanti a loro, e lì Gandalf aspettava in groppa a Ombromanto in testa a una cavalleria vestita di grigio e con dei cigni sugli elmi. Le enormi leve a incastro stavano cambiando posizione, e poi gli enormi cancelli si aprirono con uno scricchiolio. «Non sono abbastanza» gemette Narvi, e si massaggiò gli occhi mentre riprendeva fiato «Guarda quelle cose preistoriche! Chiunque è in grado di vedere dove sono! A cosa servono?»

«Shhh» sibilò Haban «Ecco lo Hobbit!»

Pipino era in piedi in un angolo, e i suoi occhi erano pieni di lacrime. «Gandalf!» urlò ancora «Il Sovrintendente, mi dice di andare con te! Devo salvare Faramir!»

Ombromanto si girò, agile come una capra di montagna, e Gandalf improvvisamente si piegò e alzò lo Hobbit perché si sedesse davanti a lui sul collo del grande cavallo. «Tieniti forte» fu tutto ciò che disse.

Pipino era esangue per il terrore, ma le sue mani si strinsero sulla sella e annuì.

«Ombromanto, ora» disse Gandalf, e il Mearas nitrì facendo scuotere la cittadella stessa, prima di lanciarsi nella fredda oscurità. Pipino urlò senza parole, e poi erano andati, più rapidi del pensiero. Dietro di loro veniva il tuono di molti altri zoccoli: i cavalieri del Principe Imrahil di Dôl Amroth seguivano il Cavaliere Bianco, sotto al loro stendardo di una nave a forma di cigno d'argento.

«Amroth per Gondor!» urlarono mentre cavalcavano «Amroth per Faramir!»

Haban e Narvi guardarono il Pelennor. Là, davanti a loro, grandi e orribili bestie con ali puzzolenti stavano beccando e tormentando un lento gruppo di dispersi. Il familiare strillo acuto mozzò loro il fiato e riempì l'aria di terrore.

«Nazgûl» sussurrò Narvi.

Haban premette i talloni nel terreno, e si coprì il volto con le mani.

Il Cavaliere Bianco alzò il bastone e una luce troppo accesa per essere guardata attraversò il fango e il fumo per allontanare gli orrori. I Nazgûl strillarono e volarono via, perché il loro capitano non era pronto per affrontare il fuoco bianco del loro nemico. Le bestie volanti urlarono e si divisero come scintille al vento.

Gandalf abbassò il bastone e guidò la ritirata verso la fortezza, i cavalieri di Dôl Amroth piantarono le spade in quegli Orchi abbastanza coraggiosi da avanzare oltre l'esercito principale. Galopparono avanti, e dalle mura della città risuonò una tromba mentre attraversavano i cancelli.

«Ma dov'è Faramir?» si chiese Haban.

Narvi guardò preoccupata la sua compagna, e poi i suoi occhi andarono di nuovo ai cavalieri che tornavano.

Ultimo di tutti arrivò. La manciata di sopravvissuti delle forze di Osgiliath lo precedettero, aiutati dai cavalieri, ma Faramir aveva tenuto fermi i nemici mentre si ritiravano, e aveva pagato il suo valore a caro prezzo. La sua armatura era coperta di frecce nere, ed era portato in braccio dal suo parente, Imrahil di Dôl Amroth.

«L'ho trovato sul campo» disse Imrahil mentre Ombromanto si avvicinava. Pipino pianse quando vide le frecce che uscivano dal petto e dal fianco di Faramir, e le sue mani andarono alla sua bocca e premettero finché le nocche non gli diventarono bianche. Gandalf chinò la testa.

«Faramir, Faramir!» urlò il popolo per strada, e Bergil era in lacrime. Pipino singhiozzava nelle sue mani. La testa di Faramir ciondolava, e lui non rispose.

Fu in quel momento che Denethor si fece largo fra la folla, i capelli spettinati e gli occhi enormi e pieni di orrore. Fissò suo figlio per un lungo, silenzioso istante, osservando le guance cineree e le terribili ferite.

«Erano inferiori di numero» disse Imrahil freddamente.

Denethor a malapena guardò il fratello di sua moglie. «Faramir...?» disse, la voce tremante «Mio figlio?»

Faramir non emise suono, a parte il lento gocciolio del suo sangue sul terreno.

«Le mie arti possono aiutare...» iniziò Gandalf, ma la testa di Denethor si alzò e fissò lo Stregone follemente.

«Non lo toccherai» ringhiò, i denti bianchi. Poi si girò, barcollando via, e agitò una mano ai servitori che l'avevano seguito. «Voi! Portatelo alla Torre Bianca!»

«Oh, ora è veramente come aver messo un Troll in un negozio di cristalleria» borbottò Narvi.


«Yâdùshun, Zabad» disse Gimli, la bocca incurvata sotto la barba. Era sdraiato di schiena e guardava il cielo, osservando le stelle che gli facevano l'occhiolino. Una coperta di lana ruvida era sotto di lui: senza dubbio un dono dai Rohirrim. La notte copriva ancora la terra.

Erano davvero passate solo poche ore da quando Bilbo lo aveva guardato riconoscendolo davvero?

«Stai zitto, sono arrabbiato con te» grugnì Thorin, e incrociò le braccia e guardo la vallata sotto Dunclivo. Tutto intorno, dei fuori scoppiettavano e gli Uomini parlavano in bassi sussurri, lanciando sguardi spaventati alla montagna dietro di loro. La notte si attaccava alla pelle e il cielo sembrava più nero e grande di prima, le stelle più piccole e più fredde. I nitriti nervosi di migliaia di cavalli aumentavano la sensazione d'irrealtà.

«Come vuoi» disse Gimli placidamente.

Thorin guardò storto la notte. Era scivolato via dalla sua famiglia preoccupata ed era strisciato da Gimli, ma ora Gimli non era un porto sicuro per la tempesta nel suo cuore. Non se la sua stella continuava a comportarsi come un qualche nobile, arrogante, altruista, prepotente, cocciuto... Thorin interruppe i suoi pensieri e si massaggiò le tempie. «Ti stai comportando troppo come me» borbottò.

Gimli scrollò le spalle pesanti. «Beh, mi hanno insultato in modo peggiore.»

Thorin si masticò la lingua per un momento, e poi ringhiò: «parlagli.»

«Pensavo non dovessimo parlare?» dannazione, un sorriso stava tirando le labbra di Gimli. Ragazzino insolente.

«No, tu non devi parlare» esclamò Thorin «Io farò ciò che devo per riuscire a far entrare un po' di buon senso in quella tua testa dura!»

«Sembri mia sorella» Gimli rise «Questa è una cosa che non avrei mai pensato di dire!»

«Se solo lei fosse qui: legherebbe immediatamente te e Legolas per le gambe!» Thorin si passò le mani fra i capelli, accorgendosi solo allora che si era lasciato le trecce di Fíli nei capelli «Ah, mia stella, perché devi amare come tutti in questa famiglia? Perché nessuno di noi ha un po' di buon senso?»

«E ora sembri Zia Dís» disse Gimli, e ci fu una breve pausa «Che non è sorprendente, ora che ci penso bene» aggiunse, con tono di scusa.

«Lei non rimarrebbe con le mani in mano a guardare un di noi due che fa l'idiota» sospirò Thorin «Gimli-»

Un'alta, pallida figura attraversò di corsa il buio, e Thorin si girò per vedere l'Elfo che si avvicinava in stato di grande eccitazione. «Aragorn se ne sta andando! Ha sellato Brego e si muove verso il sentiero oscuro!» disse Legolas. Il suo arco era nella sua mano, la faretra sulla schiena. La testa di Gimli si alzò di scatto.

«Cosa, senza di noi?» urlò «Mai, non deve accadere. Andiamo, Elfo, mostriamoglielo!»

Legolas annuì in fretta, il petto si alzava e si abbassava rapidamente. «Dove pensi che vada?»

«Ricorda le parole della Dama!» disse Gimli, infilando la coperta Rohirrim che gli era stata prestata nello zaino e afferrando le sue asce «Quando la Grigia Compagnia arriverà, allora cercherà i Sentieri dei Morti. Che nome! Allegro come un canto funebre!»

«I Dúnedan arrivati arrivati durante la notte» disse Legolas in comprensione.

«Devono essere la Grigia Compagnia, aye» grugnì Gimli, mettendosi lo zaino in spalla e schiaffandosi l'elmo sulla testa «Beh, sono piuttosto grigi!»

Legolas alzò le sopracciglia. «I figli di Elrond, grigi?»

Gimli agitò una mano. «Ah, non i fratelli Mezzelfi, no. Quel Halbarad. Una faccia come una pietra tombale. Dubito abbia mai sorriso in tutta la sua vita!»

La bocca di Legolas si incurvò. «Ne ha avuto pochi motivi. I Dúnedan hanno vissuto vite difficili.»

«Fanno sembrare quei due signori Elfici vivaci come Hobbit, a confronto» disse Gimli,e guardò la tenda del Re, larga e grande tra i Cavalieri che la circondavano «Prepara quello strumento di tortura che chiami cavallo. Io dirò i nostri addii, e ti incontrerò all'inizio del sentiero.»

«Lo so che ti sei affezionato ad Arod, Gimli» rise Legolas «Ti ho visto che gli davi spicchi di mela quando ti credevi non visto.»

Improvvisamente, Thorin fu scagliato in un'altra surreale notte senza luna. È il nostro piccolo segreto, Myrtle. Non dirlo a nessuno, sh-sh!

«Ah, i ricordi non servono qui» si disse. Bilbo, Bilbo urlava il suo cuore, e lui lo azzittì fermamente.

Gimli fece un'espressione innocente. «Non so di cosa tu stia parlando. Elfo confuso. Andiamo, ora!»

Legolas rise ancora (anche se il suono era un tantino forzato), e corse leggero nell'oscurità.

«Hai dato da mangiare al cavallo?» chiese Thorin, la sua voce il più tranquilla e rilassata possibile.

Mentre Gimli correva verso la tenda rispose ruvidamente: «Non mi piacciono le mele.»

«Gimli, ti ho visto lottare contro il tuo stesso padre per le mele arrostite di Bombur» gli fece notare Thorin.

Gimli lo ignorò, rallentando avvicinandosi alla tenda. I due Cavalieri a lato dell'entrata lo guardarono con aperta curiosità.

«Potrei chiedere udienza a Re Théoden?» chiese Gimli educatamente.

«Lui è dentro» disse uno dei Cavalieri, mentre l'altro lo fissava senza vergogna «Non so se desiderino compagnia...»

Gimli si inchinò profondamente. «Vorrei solo rendere i nostri saluti prima della nostra partenza» disse, e il Cavaliere che lo fissava batté le palpebre.

«Stai partendo, Mastro Nano? E “nostra” di chi?»

«Aye, ce ne stiamo andando – l'Elfo ed io» rispose Gimli «Noi andiamo ovunque vada Aragorn.»

«Chi parla fuori?» giunse la voce del Re da dentro la tenda.

«Gimli figlio di Glóin, Re Théoden» urlò Gimli «Mi concederesti un momento del tuo tempo?»

«Anche di più, Mastro Nano» disse Théoden, aprendo l'entrata della tenda «Perché molto devo alle tue asce dal Trombatorrione. Entra! Ma dov'è il tuo abituale compagno?»

Gimli chinò la testa verso le guardie ed entrò nella tenda. Seguendolo, Thorin prese un momento per guardarsi attorno. Era decorata riccamente, con stendardi di cavalli in corsa sulle mura e tappeti meravigliosi sul terreno duro. Su una sedia sedeva Lady Éowyn, ed era pallida e nervosa. I suoi occhi erano cerchiati di rosso, come se stesse trattenendo lacrime di rabbia.

Éomer era nell'angolo, ma non vedeva l'infelicità di sua sorella. I suoi occhi erano ancora pieni di gioia mentre guardava Théoden che si muoveva e parlava con vigore e decisione. La sua armatura era appoggiata da parte, e indossava una tunica e delle braghe di lana morbida con gli stivali avvolti in pezzi di pelle per tenere fuori il fango. Ah, quindi era stato a camminare per il campo.

E poi Thorin fissò, meravigliato, perché da parte era in piedi Lord Elrond di Granburrone.

«Cosa... perché» iniziò, e poi riprese controllo della sua meraviglia «Quindi è qui che sei venuto.»

Poi socchiuse gli occhi. «Tua figlia ha bisogno di te. Perché sei qui?»

«Miei signori e signora, Legolas prepara il nostro cavallo e mi manda a farvi le nostre scuse e i nostri saluti» disse Gimli, e si inchinò profondamente ancora una volta «Vengo a dirvi addio, anche se di certo non per sempre. Devo ringraziarvi per l'ospitalità mostrata verso uno straniero imbarcato in una strana missione, in tempi ancora più strani. Mi avete mostrato gentilezza quando il sospetto governava la terra. La gratitudine e l'amicizia di Gimli Glóinul e dei Nani di Erebor è vostra, Re di Rohan. Io sarò per sempre al vostro servizio» disse, e si inchinò nella modo appropriato al cospetto di un Re, con le mani premute sul terreno.

Théoden sembrava piuttosto sorpreso da questo spettacolo di maniere di corte Naniche, gli occhi larghi e compiaciuti. Era così facile dimenticare che Gimli era un nobile a volte. Era troppo spontaneo per usare tutti gli artifici formali nella vita di tutti i giorni, ma apparentemente conosceva tutte le risposte e cerimonie appropriate. Thorin scosse la testa.

«Mia nonna sarebbe leggermente meno infastidita dai tuoi capelli e barba spettinati, se avesse veduto questo» disse, e poi sbuffò piano «No, li troverebbe lo stesso un affronto alla sua sensibilità, cosa sto dicendo.»

Le sopracciglia di Gimli si mossero, unico indizio che aveva udito.

«Alzati, Mastro Nano» disse Théoden con calore «Ti ringrazio, ed Edoras sarà amica a te e ai tuoi da oggi fino alla fine dei giorni. Possiamo noi incontrarci ancora oltre alle ombre!»

«Aye, possiamo noi incontrarci ancora» disse Gimli, e si alzò e sorrise. I suoi occhi andarono verso Éowyn, e un'ombra vi passò sopra.

«Devi dunque camminare per il sentiero oscuro?» disse Éomer, cupo «Avevo sperato che Aragorn ed io saremmo partiti in guerra insieme, ma se tu cerchi quella strada allora è giunto il momento di separarci, ed è assai poco probabile che ci si incontri nuovamente sotto il Sole.»

«Non dire così» disse Gimli «Perché ho ancora una lezione da insegnarti, Oh grande Signore dei Cavalli!»

Éomer rise. «Me ne ero quasi scordato: sarà chiara come quella che mi insegnasti al Fosso? Perché non mi dimenticherà in fretta colui che mi ha salvato la vita.»

Gimli ghignò. «Pensò che troverai le mie argomentazioni affilate e taglienti.»

Éomer alzò la mano, e si strinsero gli avambracci. «Prenditi cura di Arod» disse «Che ti porti buona fortuna!»

«Beh, possiamo sognare, giovanotto» disse Gimli, ancora ghignando «I miracoli succedono a volte.»

Éowyn si alzò, il volto pallido. «Abbi fortuna, Mastro Gimli» disse in voce piatta.

Lui si addolcì. «Anche te, grande Dama. Prenditi cura del nostro giovane Hobbit.»

«Cosa?» disse Thorin, allarmato «Cosa, state lasciando qui Merry? Gimli, hai corso per metà Terra di Mezzo solo per trovarlo!»

«Gimli figlio di Glóin» disse Elrond improvvisamente, e Gimli si voltò per guardare il grande Signore Elfico «La tua ascia non può proteggerti dalla verità.»

Ciò che era visibile delle guance di Gimli sopra la sua bella barba sbiancò, e le sue labbra si strinsero. «Chiedo perdono, mio Signore?» disse, il tono strozzato.

«La tua ascia non può proteggerti dalla verità» ripeté Elrond, e fece un passo avanti per guardare il Nano coi suoi occhi penetranti e potenti «Tu sei circondato da un qualche strano potere, Mastro Nano, e io non posso vederlo chiaramente.»

Poi l'Elfo si piegò in avanti in quel modo sinuoso del suo popolo, gli occhi fissi su Gimli come quelli di un serpente. «Ma tu vedi chiaramente, sbaglio?»

Gimli sobbalzò.

«No» disse Thorin, scosso profondamente. Questo Elfo non poteva vedere il Nome Oscuro di Gimli, vero?

Vero?

Una stella, un blu brillante come gli zaffiri, fece per un momento l'occhiolino dal dito di Elrond prima di sparire. Poi il Signore Elfico fece un passo indietro e inchinò la testa in modo aggraziato. «Navaer, fangon» disse «Le maethor veleg a gornui, No dirweg, a av-'osto. N'i lû tôl.»

«Mizùl» rispose Gimli stupidamente, e poi si inchinò ancora una volta e se ne andò in fretta dalla tenda. Il suo volto era ancora pallido e teso, e i suoi occhi erano luminosi per la sorpresa.

«Elfi» ringhiò Thorin, pestando i piedi dietro a Gimli, e poi si dovette fermare e massaggiarsi il naso e fare un respiro profondo «No, non Elfi» si corresse a denti stretti «Solo quello.»

«Ha il dono della preveggenza, dice Aragorn» borbottò Gimli, e si massaggiò la faccia per un momento «Ah, non importa...»

«Gimli, ha quasi...»

«Lo so che l'ha quasi detto!» soffiò Gimli «Ho avuto più gente che mi ricorda del mio kherumel in questi giorni che in anni! Se può vederlo così chiaramente, mi stupisce che non l'abbia preso lì dov'è, che mi galleggia come prima cosa nella mente!»

La bocca di Thorin si chiuse di scatto.

Gimli raddrizzò le spalle e iniziò a correre verso l'imboccatura del sentiero in ombra, fra le alte mura grige del Monte Invasato. A Thorin non piaceva per nulla.

Legolas era in piedi lì vicino, le redini di Arod in mano. «Gimli» iniziò, e poi guardò meglio il volto del Nano «Va tutto bene?» disse, e si accigliò leggermente «Sei infelice...?»

«Sto bene, Legolas» disse Gimli, la voce dura e finale «Andiamo.»

«Dove state andando?!» urlò una voce, e un piccolo corpo giunse in una corsa folle attraverso la notte, schiantandosi contro Gimli e rivelandosi essere Meriadoc Brandybuck «Dove state andando? Non potete arrendervi!»

«Pace, piccolo Hobbit!» disse Gimli, e prese le spalle di Merry «Non ci stiamo arrendendo all'oscurità.»

«Allora perché state andando?» il labbro di Merry tremava, e guardava Legolas con la disperazione negli occhi «Per favore non andatevene!» Anche voi, le parole non dette potevano essere udite da tutti.

«Seguiamo Aragorn» disse Legolas dolcemente, e mise una mano sulla testa riccia di Merry «Il fato ha posto davanti a lui un sentiero più oscuro di molti altri. Solo Frodo cammina per una strada più nera. Noi siamo ancora una Compagnia, Merry. Ci incontreremo ancora, mio coraggioso piccolo amico.»

Merry poté solo fissarli, il volto contorto in una smorfia.

«Va tutto bene» disse Gimli, spezzando il momento «Tieni questa, sì?» e gli porse una delle sue asce da lancio, abbastanza piccola da stare nel suo stivale o nella cintura di uno Hobbit «Dubito che questa montagna tenga qualcosa a cui valga la pena mirare, e quindi dovrebbe rimanere con te. La rivorrò, attento! Era di mio cugino.»

Merry la prese con mani tremanti, e poi la sistemò lentamente nella sua cintura e tirò la giacca di Rohan che indossava sopra all'impugnatura. «A volte credo tu abbia tanti cugini quanti ne ho io, Gimli» disse in una vocetta spezzata. Poi si lanciò in avanti e avvolse il Nano in un abbraccio.

«Va tutto bene» disse Gimli piano «Va tutto bene, ragazzo.»

Merry tirò su col naso, e poi si lanciò verso Legolas e premette la testa contro lo stomaco dell'Elfo. «Non osate morire, capito? E non fate impazzire Aragorn con i vostri litigi. E state lontani da quei Cavalieri Neri. E... oh, cosa farò da solo! Tutti i miei amici se ne sono andati!»

«Non tutti» disse Legolas, e si inginocchiò davanti a Merry e gli prese la mano «Stai col Re: hai trovato un amico in lui. E la Dama Éowyn è una signora grande e valorosa.»

«Non sono partiti da Granburrone con me» borbottò Merry, sfregandosi gli occhi «Non hanno attraversato Moria o Lothlórien.»

«Testa alta, ragazzo, ci rivedremo» disse Gimli.

«Lo spero» disse Merry sottovoce, e fece un sospiro «Va bene, andate a tenerlo d'occhio. Terrà il muso in eterno se non lo fate. Fatelo mangiare di più, è spaventoso quanto poco mangi. E voi due: mettete le cose in chiaro! Ho conosciuto bambini più organizzati di voi!»

Gimli si schiarì la gola. «Sì, eh.»

Gli occhi di Legolas andarono di lato, a disagio.

«Persino lo Hobbit lo vede!» Thorin alzò le mani in aria «Gimli, mia stella, non puoi capire quanto sia prezioso questo tempo! Non sprecarlo!»

«Oh, ora mi metterò a piangere, vuoi vedere» borbottò Merry, e si strofinò il naso «Andate, voi due! E STATE AL SICURO!»

«Anche te, piccolo guerriero» disse Legolas «Buona fortuna, Merry!» e si voltò e portò via Arod verso il sentiero oscuro.

Gimli guardò dietro di sé la figurina triste lasciata solo in mezzo a questi alti Uomini dalle gambe lunghe. «Per qualche motivo non penso starà lontano dai guai» disse.

«È uno Hobbit» grugnì Thorin «Nemmeno Nori accetterebbe quella scommessa.»

«Aha!» disse Legolas trionfante «Eccolo là. Sta portando via Brego dall'accampamento: lo vedi?»

Gimli guardò nell'oscurità e fece un suono di conferma. Il cuore di Thorin affondò. Anche se sembravano amici come sempre, non poté evitare di notare che né Gimli né Legolas incrociavano lo sguardo dell'altro.

«Mia stella, non fai un favore a nessuno rifiutando la chiamata del tuo Uno» disse, osservandoli. Sentiva l'espressione cupa che appariva sul suo volto, e strinse i pugni ai fianchi. «Non capisci cosa stai facendo. Gli rifiuti la sua scelta, lo costringi a desiderare senza fine. Non lo salvi col tuo diniego: ti limiti a prolungare il dolore di due cuori! Tu gli stai facendo del male, non lo vedi?»

Non lo vedi, come non lo vidi io?

«Dove credi di andare, me lo dici?» disse Gimli quando Aragorn li superò, avvolto nel suo mantello.

«Non questa volta» disse Aragorn, il volto tirato e severo «Questa volta devi restare, Gimli.»

«Non hai imparato nulla sulla testardaggine dei Nani?» disse Legolas, avvicinandosi con Arod.

«Tanto vale che ti rassegni» disse Gimli, ghignando «Veniamo con te, giovanotto.»

Aragorn parve sul punto di protestare, e poi si rilassò e sorrise debolmente. «Bene.»

Gimli batté le grandi robuste mani. «Quindi dov'è questa tua Grigia Compagnia?»

Gli occhi di Aragorn andarono a Legolas, e poi alla vicina entrata del sentiero del Dimholt.

Thorin lo fissò. Il sentiero era circondato da alti dirupi, grigi e crudeli, e una strana nebbia malata vi svolazzava. Socchiuse gli occhi, e l'intero mondo parve concentrarsi in un respiro nervoso. Là... c'era qualcosa nella nebbia, una figura, a malapena riconoscibile...

«Che succede?» domandò Frerin al suo fianco. Thorin quasi urlò per la sorpresa.

«Non farlo!» ansimò, tenendosi una mano sul petto e cercando di calmare il suo cuore.

«Scusa» disse Frerin allegramente, e poi ghignò senza rimorso a Thorin «Ha. Avevi paura.»

«Menzogne» grugnì Thorin, e si passò di nascosto una mano sulla fronte.

«Ti sta bene per essere scappato» Frerin ridacchiò per un momento, e poi si guardò attorno «Quindi cosa succede? E perché tu te ne scappi invece di aspettarmi?»

«Questo è...» Thorin fece un sospiro mentre soppesava la sua risposta «Entrambe le domande non hanno risposte semplici.»

«Quindi sentiamole una alla volta» disse Frerin, e guardarono i Tre Cacciatori che montavano a cavallo e iniziavano a cavalcare verso la piccola compagnia all'entrata del sentiero oscuro.

«Cercano i Sentieri dei Morti, ovunque essi siano» disse Thorin mentre seguivano i cavalli «Dal modo in cui questi Rohirrim guardano il sentiero, suppongo sia qui che iniziano, o abbastanza vicino.»

«Che cosa allegra» commentò Frerin, e fece una smorfia alla Grigia Compagnia «E tutti questi?»

«Gimli li chiama la Grigia Compagnia» disse Thorin, e scrollò le spalle «Non so altro, eccetto al fatto che esiste una qualche filastrocca che parla di loro. Il destino di Aragorn ha una voce molto forte.»

«Filastrocche ed enigmi» disse Frerin.

«Odio gli enigmi» borbottò Thorin.

«Non l'avevo notato» disse Frerin secco «E perché sei scappato?»

La bocca di Thorin si chiuse di scatto, e lui tenne lo sguardo fisso avanti come se i suoi occhi potessero scavare un buco nella maledetta montagna.

«Aaaah, allora dovremmo pensarci più tardi» disse Frerin, e deglutì quando si voltò di nuovo verso i Tre Cacciatori, guardandoli che andavano verso l'inizio del sentiero.

«Ragazzo, cos'hai al fianco?» chiese Gimli improvvisamente, e Aragorn guardò la lama appoggiata alla sua coscia «Non è la tua solita spada. Théoden ti ha fatto un regalo?»

«No» rispose Aragorn, e mise una mano stranamente riverente sul pomolo «Questa non è una spada di Rohan. Hai un buon occhio per quanto riguarda le armi, amico mio.»

«Eh? Nano» disse Gimli «Quella non è un comune coltello. Quello è acciaio Nanico.»

Aragorn annuì. «Questa è Andúril.»

«Mai sentita»

«Sì invece» disse Aragorn e sorrise mentre si avvicinavano all'entrata del sentiero. Dietro di loro, gli Uomini di Rohan mormoravano a disagio, guardandoli con occhi spaventati. «Non è stata usata da un bel po' di tempo, ma gli Elfi l'hanno riforgiata con le loro arti. Sembra giusto che porti un altro nome.»

Gli occhi di Gimli si allargarono. «Narsíl?»

«Ma Narsíl era la spada di Elendil» disse Legolas, il volto brevemente confuso.

«Aye, e Narsíl fu forgiata da un Nano» disse Gimli, guardando la spada con nuovo rispetto «Telchar di Nogrod fu il suo creatore, colui che fece il coltello Angrist. In quella lama l'arte di Nani ed Elfi e Uomini si unisce. Portala bene!»

«Nogrod!» esclamò Legolas.

Gimli sbuffò. «Aye, i Barbefiamma sanno fare altro oltre che danni, sai.»

Legolas fece un suono infastidito e si allungò per pizzicare la coscia di Gimli. «Non li disprezzo e lo sai» disse «Sono sorpreso, ecco tutto.»

«Perché vi sto permettendo di venire con me?» chiese Aragorn all'aria «Per favore ricordatemelo.»

«Perché ti mancheremmo» Legolas rise un po' troppo forte, e i suoi occhi si allontanarono da Aragorn.

«E perché serve qualcuno che ti guardi le spalle, ragazzo» aggiunse Gimli «Cosa faresti senza di noi, eh?»

«Senza dubbio riuscirei a sentire me stesso pensare ogni tanto» mormorò Aragorn «Halbarad, siamo pronti?»

All'entrata del sentiero aspettava un piccolo gruppo di Uomini sporchi con mantelli grigi, guidati da un alto guerriero col volto cupo e stanco. I suoi capelli brizzolati erano pettinati all'indietro, e il suo naso era stato rotto almeno una volta, e tutto sommato era magro e nervoso, secco come delle forti radici. Eppure era signorile, nonostante fosse rovinato come una roccia esposta agli elementi. «Pronti» confermò, la voce bassa e profonda. Porse ad Aragorn un lungo sottile bastone avvolto in un panno scuro, e poi lanciò un'occhiata inquisitoria all'Elfo e al Nano.

«I miei compagni» li presentò Aragorn «Halbarad, questi sono Gimli figlio di Glóin, e Legolas Thranduilion. Gimli, Legolas, questo è Halbarad dei Dúnedan, e mio parente.»

«Al vostro servizio» disse Gimli, e Legolas chinò il capo.

«Il figlio di Thranduil, un Ellon di Boscoverde, cavalca con un Nano?» giunse un'altra voce, e un cavaliere dai capelli scuri si avvicinò e alzò le sopracciglia arcuate guardando Legolas «Giorni bizzarri.»

Legolas si irrigidì.

Thorin guardò su, e poi scosse la testa per schiarirsi le idee. Ci vedeva doppio.

«Gemelli?» sussurrò Frerin.

«Elladan, Elrohir» disse Aragorn, e alzò la mano per fermarli. I due magri Signori Elfici, dagli occhi penetranti e orgogliosi, si voltarono all'unisono.

«Estel» disse uno, e che Mahal lo aiuti, Thorin non riusciva a distinguerli. Non aveva mai visto due persone tanto simili nell'aspetto. «Stiamo solo salutando un nostro lontano cugino.»

«Io sono solo parente di Celeborn, la parentela è così lontana da essere quasi inesistente» disse Legolas, raddrizzandosi nel suo modo più altezzoso. Thorin si accigliò.

«Non capisco» disse Frerin, guardandoli «Non sono tutti Elfi?»

«Sembra sia più complicato di così» disse Thorin, e si accigliò guardando dagli alti e fieri figli di Elrond all'Elfo dei Boschi. I gemelli avevano una sorta di immobilità che Legolas non possedeva: un portamento che a Thorin ricordava il loro padre e, stranamente, Thranduil. Rabbia, da lungo divenuta una compagna, bruciava lentamente e pazientemente nei loro occhi. I loro capelli erano scuri e i loro movimenti erano deliberati, lenti e controllati. Legolas, a confronto, era una fiamma più rapida, scattante e veloce e vivace. «Gli Elfi di Lothlórien non sono come gli Elfi di Granburrone, e sembra che quelli di Bosco Atro siano diversi da entrambi.»

Gimli improvvisamente si schiarì la gola. «Adesso, il Nano ha una voce e non si fa problemi ad usarla, quindi forse potremmo smettere di parlare come se lui non fosse qui? Il mio nome è Gimli. Quindi, quale sei tu?» guardò su il fratello più vicino, che sembrava piuttosto preso alla sprovvista.

«Elrohir» disse lui, troppo sorpreso per far finta di nulla.

«Ben incontrato, Elrohir. Potrei averti già visto a Granburrone, ma poi, potrebbe essere stato tuo fratello. Barba e stivali di Durin, potrebbe essere stata tua sorella per quanto ne capivo, in quei giorni!» Gimli si spinse indietro l'elmo col pollice nel suo modo abituale e ghignò verso il gruppo, sembrando piuttosto compiaciuto di aver messo delle espressioni tanto confuse su volti tanto seri «Troverai che sono un po' meno ottuso ora.»

A queste parole, Legolas sembrò rilassarsi di colpo, anche se non un solo muscolo si mosse. Le sue labbra di incurvarono leggermente. «Non molto.»

«Zitto tu» disse Gimli tranquillo «Aragorn, perché la Dama desidera che noi camminiamo per una strada tanto cupa?»

«Nostro padre ci ha dato un messaggio per il nostro fratello adottivo» disse Elladan (almeno, Thorin pensava che fosse Elladan): «Che Aragorn rimembri le parole del veggente, ed i Sentieri dei Morti.»

«E quali sono dunque le parole del veggente?» disse Legolas. Era decisamente più rilassato da quando Gimli aveva parlato, e anche se continuava a non guardare Gimli, c'era un tranquillità sul suo volto che non era stata presente prima.

«Così parlò Malbeth il Veggente, ai tempi di Arvedui, ultimo Re di Fornost» disse Aragorn:

"Over the land there lies a long shadow,
westward reaching wings of darkness.
The Tower trembles; to the tombs of kings
doom approaches. The Dead awaken;
for the hour is come for the oathbreakers:
at the Stone of Erech they shall stand again
and hear there a horn in the hills ringing.
Whose shall the horn be? Who shall call them
from the grey twilight, the forgotten people?
The heir of him to whom the oath they swore.
From the North shall he come, need shall drive him:
he shall pass the Door to the Paths of the Dead."
[Traduzione]

«Oscuro sarà indubbiamente il sentiero» grugnì Gimli «Ma non certo più oscuro del significato di queste strofe.»

«Se desideri comprenderle meglio, ti prego di accompagnarmi» disse Aragorn «quella è infatti la via che percorrerò adesso. Ma non la prendo volontariamente, bensì spinto dalla necessità. Se mi accompagnate, la vostra deve essere una libera scelta, perché incontrerete travagli e grandi paure e forse anche di peggio.»

«Non temo i Morti» disse Legolas.

«Dove Legolas va, andrò anch'io» il mento di Gimli si alzò, come in sfida «Spero che la perduta gente non abbia perduto le armi» disse «altrimenti non vedo perché dovremmo importunarli.»

Gli occhi di Elrohir si spalancarono mentre guardava Gimli e Legolas con sospetto e meraviglia. «Come...?»

«Non chiedere» sospirò Aragorn.

Thorin guardò l'accampamento dei Rohirrim. I Cavalieri sussurravano fra di loro e occhieggiavano la Grigia Compagnia e la montagna maledetta con occhi spaventati. «Gente Elfica» li udì bisbigliare «Che vadano nei luoghi oscuri ai quali appartengono, e non ritornino mai!»

La mano di Frerin improvvisamente prese il polso di Thorin. Perché fra i Rohirrim sussurranti era in piedi Éowyn da sola, i suoi occhi fissi su di loro. C'era tanto risentimento e dolore nei suoi occhi, anche se lei si teneva alta e orgogliosa come sempre.

La mascella di Aragorn tremò anche se non si voltò verso di lei, e girò Brego con una parola e un tocco verso il sentiero nella Montagna. Lentamente, silenziosamente, gli altri seguirono.

Gli occhi di Éowyn erano una tempesta, e il suo respiro le usciva rapido dal petto mentre li guardava andare. Poi si girò, i suoi capelli le svolazzarono dietro, e sparì fra la folla di Cavalieri spaventati.

Frerin si afflosciò, e poi seppellì il volto nella spalla di Thorin. «Nnngh» disse.

«Va tutto bene» disse Thorin, e diede una pacca sulla testa dorata del fratello per confortarlo «La rivedrai presto, senza dubbio.»

«Mmmph» confermò Frerin nella tunica di Thorin.

Riuscirono a tenere il passo con la Compagnia senza problemi, perché i cavalli erano nervosi e dovevano essere incitati e confortati. Legolas smontò a un certo punto, e parlò piano all'orecchio di Arod, accarezzandogli la testa.

Gimli guardò l'alta forma crudele del Monte Invasato ancora più vicino a loro. «Non mi piace qui» mormorò.

«Pensavo saresti stato più felice» disse Legolas, e non alzò lo sguardo.

«Aye» disse Gimli «beh, sembra che non tutte le montagne siano di gradimento a questo Nano. Sento il mio sangue congelarsi nelle vene. Nessuno di questi tipi parla? Sono persino più silenziosi di Aragorn!»

«L'aria stessa sembra rubare le parole prima ancora che siano dette» disse Legolas, la voce bassa mentre accarezzava il naso di Arod «Non lo senti? È come il lungo respiro prima di uno strillo.»

«Molto poetico» borbottò Gimli, e guardò ancora la forma nera del Monte Invasato «Che razza di esercito si attarderebbe in un posto simile?»

Legolas mantenne gli occhi su Arod mentre rispondeva. «Uno maledetto. Molto tempo fa, gli Uomini della Montagna giurarono all'ultimo Re di Gondor di andare in suo soccorso, di combattere. Ma quando arrivò il momento, quando il bisogno di Gondor fu incalzante, fuggirono, svanendo nel buio della Montagna. E così Isildur li maledì. Non avrebbero più trovato pace fino all'adempimento della loro promessa.»

«Isildur non scherzava, allora» disse Gimli sottovoce «Le pietre stesse sembrano malate, mangiate da qualcosa senza nome. Ci sono delle caverne qui, ma non mi interessa visitarle.»

«Potremmo non aver scelta» disse Legolas, prendendo le briglie di Arod.

«C'è sempre una scelta» disse Gimli, e cadde in silenzio guardando la nuca dell'Elfo per un momento.

«Di certo tu non temi i morti» disse Legolas dopo una breve pausa «I tuoi congiunti non desiderano farti del male. Di tutti noi, i tuoi morti non hanno orrori per te.»

«Non temo i morti, no» disse Gimli, la sua voce divenne più profonda mentre guardava la mano di Legolas che si stringeva sulla briglia «Temo...»

La testa di Legolas si voltò un poco verso di lui. «Mellon nín?»

Ma Gimli non disse altro, e la sua bocca era stretta e piatta e infelice. Le sue enormi mani si avvolsero attorno all'impugnatura della sua ascia mentre si muoveva col passo di Arod.

«Sei divenuto un cavaliere molto migliore, Gimli» disse Thorin, cercando di spezzare il silenzio.

«Aye, beh, era questo o cadere» grugnì Gimli.

Legolas si girò davvero verso Gimli, le sopracciglia alzate. Gimli annuì, alzando gli occhi al cielo. «Sì, sono qui di nuovo» fu tutto ciò che disse, e Legolas annuì a sua volta.

«Forse i tuoi parenti spaventeranno coloro che vivono nella Montagna»

«Adesso, non siamo crudeli» disse Gimli, anche se il suo sorriso era minuto rispetto al suo solito ghigno largo.

Legolas chinò la testa per nascondere il suo sorriso. C'era un oscuro dolore nei suoi strani occhi Elfici mentre si muovevano per le rovine in ombra e gli alberi contorti del Dimholt, avvicinandosi sempre di più alla montagna.

Thorin strinse i denti fino a farsi male. «Gimli, parlagli» ringhiò «Devo piegare le leggi del mondo dei viventi per parlarci io stesso?»

Gimli lo ignorò, guardandosi le mani poggiate sull'ascia, le unghie passarono sui pesanti ornamenti.

«Non mi piace molto questo posto» disse Frerin, allontanandosi da dove i morti alberi grigi si allungavano verso i lui con i loro rami nudi, come dita scheletriche.

«Stammi accanto» gli disse Thorin, e se lo tirò vicino mentre la Grigia Compagnia si fermava alla base di una ripida scarpata. Una porta vi era stata messa, e le pietre davano un senso di freddezza e antica malizia che persino gli osservatori potevano percepire. Segni e figure erano intagliate sull'ampio arco, e la paura vi fuoriusciva come un grigio vapore.

«La via è chiusa» lesse piano Elladan «Fu creata da coloro che sono morti, e i Morti la custodiscono.»

Aragorn smontò, e tutti i Dúnedan fecero lo stesso. Gimli atterrò col consueto thud pesante dei suoi scarponi chiodati, e si avvicinò a Legolas. Si poteva vedere il bianco attorno al marrone caldo dei suoi occhi, e fissava la porta con terrore. «Irrîn» sussurrò, e le sue mani si strinsero e si aprirono di riflesso sull'impugnatura dell'ascia.

«Non ho timore della morte» si disse piano Aragorn, anche se a Thorin parve che lo stesse dichiarando per darsi coraggio per attraversare quella terribile porta. Il Ramingo raddrizzò le spalle, facendosi forza, e attraversò l'arco. L'oscurità oltre esso lo ingoiò all'istante.

«Brrr» riuscì a dire Frerin, e strinse il braccio di Thorin.

«Cuore forte, nadad» mormorò Thorin.

«È sparito e basta» sussurrò Frerin in risposta «Come se il buio l'avesse divorato.»

Uno alla volta, tutti seguirono Aragorn nella caverna, e i loro cavalli li seguirono solo per amore dei loro cavalieri. Legolas guardò Gimli, e poi chiuse gli occhi.

«C'è solo una morte che temo» disse ad alta voce, e poi aprì gli occhi e guardò le porte con uno sguardo pieno di una tale rabbia e tristezza che Thorin non riuscì a fissarlo a lungo. Si voltò.

Ci fu il rumore degli zoccoli di Arod, e poi le liquide sillabe dolci di Elfico. «Legolas!» esclamò Gimli, e i suoni svanirono, e poi si bloccarono del tutto.

[Arod's chant, composto e cantato da notanightlight]

Thorin alzò lo sguardo. Gimli era solo: tutta la Compagnia era entrata. La sua stella tremava come posseduta da un terremoto, e il suo volto era diviso fra rabbia e paura. «Questa è una cosa inaudita!» disse, e spostò il peso da un piede all'altro «Un Elfo osa andare sottoterra e un Nano non ne ha il coraggio!»

«Io sono qui, Gimli» disse Thorin «Io sono con te. Qualsiasi cosa affronterai, l'affronteremo insieme.»

«Ah, sarei lo zimbello di tutti» disse Gimli, e si tuffò nell'oscurità.

TBC...

Note

Ernil I Pheriannath – "Principe dei Mezzuomini". La gente di Minas Tirith usava il Sindarin per chiamare così Pipino, un ricordo della loro antica amicizia con gli Elfi.

Estel – "Speranza". Era il nome di Aragorn da bambino, prima che accettasse quello reale.

Narsíl – forgiata da Telchar di Nogrod, un famoso fabbro Nanico della Prima Era, riforgiata da fabbri Elfici, e portata da Uomini, Narsíl ha una lunga storia. I suoi poteri magici sono simili a quelli di Angrist, che poteva tagliare qualsiasi cosa. È possibile che Narsíl in origine fosse la spada di Maglor, figlio di Fëanor.

Forlong – anche conosciuto come Forlong il Grasso e Forlong il Vecchio, era un Uomo di Gondor della provincia del Lossarnach, a sud delle Montagne Bianche. Mandò duecento uomini a difendere Minas Tirith.

Dervorin – un uomo di Gondor, era il figlio del Signore della Valle del Ringlo. Mandarono 300 uomini a difendere Minas Tirith.

Hirliun il Bello – un uomo di Gondor, dei Colli Verdi del Pinnath Gelin. Mandò 300 uomini a difendere Minas Tirith. Era in genere vestito di verde.

Anfalas – una lontana provincia di Gondor. Loro mandarono molti cacciatori e pastori e uomini dei villaggi, mal equipaggiati a parte che Golasgil, loro Signore.

Lamedon – una provincia collinosa di Gondor. Mandarono pochi uomini.

Imrahil di Dôl Amroth – il Principe-Cigno, Signore della provincia più grande e potente di Gondor. Imrahil era fratello di Finduilias, la defunta moglie di Denethor, e perciò zio di Boromir e Faramir. Portò settecento uomini armati, e una compagnia di cavalieri.

Dagor Dagorath – la Fine dei Giorni, il Götterdämmerung della Terra di Mezzo, quando Morgoth spezzerà le sue catene e distruggerà ogni creazione. Dalle rovine sorgerà un nuovo mondo. I Nani credono che aiuteranno a costruirlo.

Irmo – il Valar dei sogni. Irmo vive a Lórien nel continente di Valinor, di cui Lothlórien è solo un'ombra e un riflesso. È fratello di Mandos, il giudice dei Valar.

Olórë Mallë – il sentiero dei sogni. I mortali visitano Valinor solo nei loro sogni, lungo questo sentiero, per arrivare ai giardini di Lórien.

Parte del dialogo è preso dai film e dai capitoli “Minas Tirith”, “L'Assedio di Gondor”, “L'Adunata di Rohan” e “Il Passaggio della Grigia Compagnia”.

La profezia di Malbeth:
Vedo già sulla terra una lunga ombra,
Mutarsi ad occidente in buia tenebra.
Trema la Torre; e vicino è il destino
Alle tombe dei re. Sorgono i Morti,
E giunta è l'ora per i traditori:
Di nuovo, in piedi sulla Roccia d'Erech,
Udran sui colli lo squillar di un corno.
Chi suonerà? Chi, dalle grigie tenebre,
Quella perduta gente chiamerà?
L'erede di colui che allor tradirono
Verrà dal Nord, sospinto dal bisogno,
E varcherà il Cancello che separa
Le nostre vie dai Sentieri dei Morti.

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Capitolo 33
*** Capitolo Trentatré ***


«Questo non è un viaggio adatto a te» disse Théoden, di certo con gentilezza, ma fermamente «Tu hai un cuore grande, Mastro Merry, ma una bassa statura. Andiamo verso una battaglia senza speranza, e proteggerti porterebbe via la mia mente e la mia spada dal massacro. No, tu rimarrai qui ed aiuterai mia nipote a proteggere Edoras.»

«Perché?» urlò Merry, e la sua mascella era spinta in fuori in modo battagliero. Ori aveva già visto un'espressione simile su uno Hobbit, e istintivamente fece un passo indietro. «Perché mi hai accettato come scudiero se non mi vuoi al tuo fianco? E non voglio che più tardi le storie narrino che sono sempre stato lasciato indietro!»

«Ti ho accolto per metterti al sicuro e al riparo» disse il Re, e si inginocchiò davanti allo Hobbit irato e fece un sospiro triste, prima di mettere la mano sulla spalla di Merry e stringerla «Se le battaglie avvenissero innanzi ai miei cancelli, forse le tue gesta sarebbero cantate dai menestrelli; ma Gondor è troppo lontana per le gambe di un pony, anche uno robusto come Stybba.»

Lo sguardo di Merry si indurì, gli occhi lucidi ed enormi.

Ori morse la sua sciarpa. «Occhioni Hobbit» borbottò.

«Shândabi» disse Bifur, e dolcemente tirò via la sciarpa dai denti di Ori «Sfilaccerai la lana se fai così.»

Théoden chinò la testa. «Mi dispiace, mio piccolo amico.»

Merry si inchinò rigidamente. «Mio signore» disse, e la sua voce normalmente allegra era dura. Poi scappò via tanto in fretta che Ori e Bifur quasi persero vista di lui. Gli Hobbit sapevano muoversi molto più in fretta e silenziosamente che tutti quei Cavalieri rumorosi.

«Non ha del tutto torto» ansimò Ori, arricciando il naso mentre si chinavano e infilavano fra gli Uomini dal passo ampio e i cavalli dalle lunghe gambe «Gli Hobbit non sono proprio dei guerrieri...»

«Nemmeno noi» gli ricordò Bifur.

«Anche questo è vero. Ah, eccolo!» Ori si raddrizzò, vedendo Merry, e poi iniziò a tirarsi i guanti mentre le sue spalle si abbassavano immediatamente «Oh, poveraccio.»

Perché Merry stava guardando la marea di persone con occhi infelici, fissava i ranghi dei cavalieri e le tende che venivano sistemate mentre i Cavalieri si preparavano per la partenza. La miseria era scritta su ogni linea del suo corpo. «Tutto solo ora» mormorò, e poi tirò fuori la sua corta spada e ne guardò il filo dritto e luccicante «Non ho alcuna utilità se non come peso, suppongo.»

«Non dovresti sfoderare la tua lama se non desideri usarla» disse una bassa voce, e Merry squittì e si voltò di scatto, la spada tenuta bassa come Boromir gli aveva con molte fatiche insegnato.

«Pace, piccolo guerriero!» rise un Cavaliere dalla voce bassa; una figura alta vestita di pelli e dal mantello verde «Abbassa le armi: non intendo farti del male. Tu desideri andare là dove sta andando il Signore del Mark: te lo leggo sul tuo viso.»

Merry deglutì. «Io... voglio combattere» disse semplicemente «Sì, voglio andare, anche se non ho idea di che cosa potrei fare di utile.»

«Dove vi è la volontà, nulla è impossibile, si dice da noi» disse il Cavaliere «Ti porterò sul mio cavallo, nascosto sotto il mio manto. Tanta buona volontà non deve essere scoraggiata.»

La bocca di Merry si spalancò. «Oh!» disse, e poi rimise la propria espressione sotto controllo «Ti ringrazio, signore, di cui non conosco il nome.»

«Non lo conosci?» disse piano il Cavaliere «Allora chiamami Dernhelm.»

Merry si mise l'elmo sulla testa e allungò un braccio verso il Cavaliere, che lo afferrò e si tirò in sella lo Hobbit. «Allora, Dernhelm, io sono in debito con te.»

«Con un tale coraggio per amore di Re Théoden, il debito è saldato» disse Dernhelm, e girò il grande cavallo grigio sotto di loro per unirsi agli altri.

«Uh-oh» disse Ori.

«Shândabi» disse Bifur.

«L'hai riconosciuta, allora?» disse Ori, allungando il collo per guardare Bifur.

«Sono abbastanza meravigliato che Merry non l'abbia riconosciuta, onestamente» disse Bifur.

«Oooooh, Frerin non ne sarà felice per niente» disse Ori, e seppellì il volto nella spalla di Bifur «Nemmeno Thorin. Nemmeno nessuno. Gli Hobbit non sono esattamente fortunati in battaglia.»

Bifur giocherellò con una ciocca dei capelli di Ori pensandoci, e poi fece un gemito. «Shândabi» disse, e gemette ricordandosi.

Guardarono Merry ed Éowyn che sparivano nel mare di cavalli, e sospirarono all'unisono.

«Nessuno sa che stanno andando anche loro, sbaglio vero?» disse Ori, anche se la sua voce non aveva molta speranza «Qualcuno?»

«Ne dubito» disse Bifur.

«Beh, cavolo» disse Ori.

«Shândabi» disse Bifur, con sentimento.


Il terrore era pesante nell'aria: spessa e densa come fumo. Thorin si spinse attraverso il buio e i tirò vicino suo fratello. La paura gli raspava nei polmoni col respiro, e i suoi piedi si muovevano sul sentiero mentre seguiva la sua stella.

Sussurri infiniti fluttuavano nella ferma, soffocante oscurità, le parole non chiare e appena fuori portata d'udito. Le orecchie di Thorin gli pizzicavano con ogni sillaba mezzo udita e liquido sibilo, e la sua pelle si accapponava. La mano di Frerin stringeva forte la sua, il suo respiro irregolare era forte nelle loro orecchie. Il buio che li avvolgeva era persino più scuro di quello di Moria.

A Thorin sembrava quasi di stare ancora attraversando la terra solida.

Solo il rumore di pesanti, insicuri passi davanti a lui rassicurava Thorin che Gimli davvero faceva strada, al seguito della Grigia Compagnia.

Improvvisamente vi fu il sibilo sputacchiante di una torcia, e il volto di Aragorn fu gettato in una luce tremante mentre alzava un sottile tizzone. «Statemi vicini» disse piano «Non sappiamo cosa troveremo» passò la torcia ad Elladan, e ne accese un'altra per sé e la alzò.

Erano arrivati in una caverna di fredda roccia grigia, e le mura si erano allontanate tanto che pareva fluttuassero senza supporto sotto la terra.

«La pietra è malata» sussurrò Frerin «E anch'io mi sento male.»

«Aye» mormorò Thorin in risposta «I morti sono vissuti qui, senza sonno, per un'Era. La pietra stessa deve desiderare riposo.»

Qualcosa brillò nel buio alla loro sinistra, e Aragorn passò la torcia nella sua mano sinistra e sfoderò Andúril avvicinandosi per vedere.

La bocca di Gimli si strinse mentre deglutiva, e le sue asce erano pronte nelle sue mani. Su ciò che si poteva vedere del suo volto era stato gettato in un'ombra nera, e le sue pupille erano quasi nere per il terrore. «Non conosce dunque la paura?» disse, la voce strozzata e ruvida «In qualsiasi altra caverna Gimli figlio di Glóin sarebbe stato il primo ad accorrere allo scintillare dell'oro. Ma non qui! Che rimanga pure dov'è!»

«Forza» sussurrò Frerin, e la sua piccola mano si serrò su quella di Thorin.

Thorin si fece forza per l'aspettata ondata di senso di colpa al sentir parlare d'oro, ma la sua paura aveva congelato tutto il senso di colpa in questo luogo orrendo. «Come se potessi richiamare la mia follia in questa tomba gelida» borbottò.

Strane forme inquietanti brillarono alla luce della torcia di Aragorn, e presero forma quando l'Uomo si avvicinò. Era uno scheletro, e giaceva su una grande porta chiusa, le dita ancora allungate verso di essa in una supplica contorta, artigliando le crepe. Aragorn si inginocchiò per guardare i sigilli dorati sull'elmo polveroso, e poi scosse la testa e si alzò. «Ecco la porta che lui non poté superare» disse, quasi a se stesso, prima di alzare la voce e urlare nella grande caverna «Ma noi non tenteremo. Tenete nascosti i vostri segreti e i vostri tesori degli Anni Maledetti! Rispondete solo alle nostre domande. Lasciateci passare e poi seguiteci! Vi convoco alla Roccia di Erech!»

Non vi fu risposta, e poi un vento attraversò i tunnel dietro di loro per entrare nella caverna e far tremare le torce. Le fiamme sputacchiarono, e poi morirono. L'ultima cosa che vide Thorin fu il bianco degli occhi di Legolas.

«Non si riaccendono!» urlò Elladan.

«Accendetele!» urlò Gimli, e il grido venne ripetuto da molti dei Dúnedain «Accendete quelle dannate torce!»

«Qua!» urlò Aragorn «Qua, miei amici e congiunti! Seguite la mia voce!»

«Guarda!» Frerin disse improvvisamente, e la sua voce era quasi uno strillo «Le mura! Le mura!»

Perché avevano iniziato a brillare di una malata luce verdognola. Non era la strana luminescenza delle alghe di caverna, né il debole luccichio dei vermi brillanti. Entrambe le luci erano familiari per i Nani come il suono di un martello. Questa luce fece sì che il terrore congelante nel petto di Thorin interrompesse il ritmo folle del suo cuore. Perché vi erano dentro delle forme: grandi edifici a pilastri e facciate ornate, eleganti colonnati e vie e una grande e aggraziato palazzo. Tutto ciò emanava una sensazione di sbagliato. Intanto, la luce verde pulsava e tremava. Thorin sentì la bile nella gola. La carne della sua schiena pizzicava e rabbrividiva.

«Io vi convoco!» urlò ancora Aragorn, e si girò in cerchio con la torcia spenta alzata e Andúril che gli brillava davanti «Vi convoco alla Roccia di Erech!»

I cavalli sgropparono e si impennarono tutti allo stesso tempo e la Grigia Compagnia dovette tranquillizzarli. Halbarad dovette tenere la mano davanti agli occhi del suo destriero e sussurrargli all'orecchio, il suo volto duro si addolcì leggermente mentre parlava piano nelle orecchie appiattite. I signori Mezzelfi stavano accarezzando i musi e mormoravano liquide parole Elfiche ai loro cavalli, ed Elrohir si era avvolto le redini di Brego attorno al polso. Le spalle di Arod tremavano visibilmente, ma lui rimase dietro a Legolas anche se i suoi occhi roteavano e le narici erano dilatate al massimo mentre respirava duramente.

«Cosa gli succede?» chiese Frerin.

«Chi entra nei miei domini?»

Legolas aveva incoccato una freccia più in fretta di quanto l'occhio potesse seguire, ma non c'era nulla su cui tirarla. La voce era venuta dal nulla.

Le mani di Gimli stavano tremando sulle sue asce. «Chi nel benedetto nome di Mahal era quello» sussurrò terrorizzato.

«I morti» disse piano Legolas «Sono venuti.»

«Uno che avrà la vostra lealtà» disse Aragorn orgogliosamente, e alzò il mento. Indossava ancora le pelli lacere di un Ramingo, e i suoi capelli erano unti e il suo volto sporco e rovinato, ma qualcosa della nobiltà degli Argonath era entrato nella sua espressione e lui la vestiva bene.

E poi un'apparizione apparve dinnanzi a loro: uno spettro di carne cadente e marci occhi bianchi, avvolto dalla malata luce verde e con una corona d'ossa sulla testa. «I Morti non consentono ai vivi di passare» disse, e si poteva vedere il suo teschio che si muoveva e scivolava sotto i muscoli esposti della sua guancia.

«Invece lo consentirai a me» disse Aragorn. Non era una sfida. Era solo un'affermazione di ciò che sarebbe avvenuto in futuro.

Il Re iniziò a ridere, e il suono riverberò per la caverna finché il corpo stesso di Thorin parve tremarvi. Poi iniziò a muoversi verso il piccolo gruppo di viaggiatori in grigio, e l'orrenda luce morta brillava attorno al suo ghigno. «La via è chiusa. Fu creata da coloro che sono morti. E i Morti la custodiscono.»

«Thorin!» strillò Frerin, perché tutto attorno a loro davanti alle casa della città innaturale era apparso un esercito di grotteschi incubi: di Uomini mezzo formati coi volti in vari stadi di decomposizione, le braccia poco più che ossa e le labbra marce che si staccavano dai denti ghignanti.

«Fatti forza!» abbaiò Thorin, e strinse suo fratello più strettamente che poteva al suo fianco «Fatti forza, nadad!»

«La via è chiusa» disse il Re, e ghignò il suo ghigno da teschio «Ora devi morire.»

Legolas lasciò partire una freccia, ed essa volò attraverso il fantasma senza ferirlo.

«Inutile» disse Gimli «Questi bastardi non moriranno ora che sono già morti!»

Aragorn rimase fermo mentre i morti gli si avvicinavano, avvolgendolo come un mare putrefacente. Solo il tremito della sua mascella rivelò il suo fastidio mentre il Re dei Morti alzava la sua antica spada verde e la faceva cadere su di lui.

Il clang delle lame che si incontravano risuonò per la caverna.

Aragorn sorrise cupamente sopra alla forma brillante di Andúril.

«Quella lama fu spezzata!» sibilò il Re, e Aragorn si allungò verso quel puzzolente collo distrutto e lo prese nel suo pugno.

«È stata ricostruita» ringhiò, prima di lanciare indietro lo spettro nella massa dei suoi seguaci non morti.

Il mare ansioso dei Morti si fermò, e il Re si raddrizzò per guardare Aragorn con interesse e strana fascinazione. «Combattete per noi, e riacquistate il vostro onore» disse Aragorn, e alzò Andúril all'orda davanti a lui «Cosa rispondete?»

«Ah! Sprechi tempo, Aragorn. Non avevano onore da vivi, e non lo hanno ora che sono morti» borbottò Gimli.

Frerin si accigliò per un momento. «Mi chiedo...»

Thorin lo guardò per un istante, ma la sua attenzione era diretta alla vista di Aragorn che attraversava i ranghi dei guerrieri morti vestiti di un'antica armatura. La sua lunga giacca gli svolazzò ai lati, e i suoi capelli erano fradici di sudore freddo. Non sembrava per nulla una figura di leggenda, eppure lo era completamente allo stesso tempo.

«Nessuno tranne il Re di Gondor può comandarmi» ringhiò il Re delle Ombre.

«Tu guardi Aragorn, figlio di Arathorn» disse Aragorn, e poi fece un respiro profondo e raddrizzò le spalle «Io sono Elessar, l'erede di Isildur di Gondor. Combattete per me, e riterrò rispettato il vostro giuramento.»

«Lo sta facendo davvero» sussurrò Frerin «Accetterà finalmente il suo posto e il suo nome.»

«Fai onore al tuo giuramento a Boromir» disse Thorin, e qualcosa si rilassò dentro di lui. Anche se non desiderava afferrare questi fili del destino, Aragorn stava onorando la sua promessa al suo amico. L'amata città di Boromir avrebbe avuto il suo Re.

Il Re dei Morti fissò Aragorn coi suoi occhi vitrei, e poi l'esercito d'ombra iniziò a svanire. La strana luce tremò e svanì e gli edifici affondarono nuovamente nella pietra mentre Gimli si voltava per guardarli. «Alzatevi, traditori!» ruggì, ma la bianchezza delle sue nocche attorno alla sua ascia tradiva il suo terrore.

«Cosa rispondete?» urlò Aragorn, saltando in avanti, ma il Re dei Morti e tutti i suoi simili erano andati, e solo l'eco gli rispose.

«Aragorn, sono andati» disse Halbarad. Persino la sua espressione cupa sembrava scossa.

«Sono stati convocati» rispose Aragorn, il volto duro e sicuro «Alla Roccia di Erech.»

«Manterranno la parola?» chiese Gimli.

«Vedremo» disse Legolas, e mise una mano sul naso morbido di Arod. Il cavallo nitrì nervosamente e la sua pelle tremava come se mille mosche si fossero posate sulla sua groppa.

«Un miracolo che nessuno di questi animali sia scappato o abbia scalciato finora» Thorin scosse la testa incredulo, e Legolas si accigliò.

«Hai sentito qualcosa?»

«La roccia sotto di noi geme e prega di essere liberata» disse Gimli, e si strofinò la bocca intorpidita «Questo posto è più malato di qualsiasi cosa io abbia mai visto. È avvelenato: completamente marcio! Nemmeno la presenza del Balrog era parsa tanto sporca!»

Il sibilo rasposo di qualcosa senza nome fu portato loro da un'altra folata di vento, e Gimli urlò e cadde in ginocchio.

«Gimli!» disse Legolas, e tirò in piedi il Nano «Sii forte!»

«Ah, girdîn, girdînel, gerdar! Dovrò strisciare per seguire Aragorn?» borbottò Gimli sottovoce «Ora la strada è veramente oscura: io non mi mostrerò privo di lealtà, continuerò il mio viaggio. Se solo i miei piedi potessero portarmi!»

«Coraggio, meleth nín» disse Legolas, e il suo collo si piegò come se volesse posare la guancia sui capelli follemente annodati di Gimli.

«Coraggio, mia stella» ripeté Thorin.

«Aragorn! Ora cosa? Dobbiamo uscire» disse Halbarad.

«Qui c'è un tunnel!» disse Elladan, e Aragorn annuì, prima di far cenno al Signore Elfico di far strada. L'altro gemello, Elrohir, guardò ancora Legolas e Gimli e un'espressione strana e vagamente confusa attraversò brevemente il suo volto, anche se non sembrava una di disprezzo.

«Aye, hai sentito qualcosa» disse Gimli brusco mentre seguivano la Grigia Compagnia. Elladan e Aragorn erano in testa, le torce basse e tremanti, che lanciavano ombre inquietanti sulle mura del tunnel.

«Ah, anche loro sono qui?» mormorò Legolas «Di certo questo luogo è troppo affollato perché vi sia spazio per altri morti.»

Gimli fece una piccola risata, e guardò su verso Legolas e incrociò il suo sguardo. Vi fu un breve momento nell'oscurità in cui il Nano e l'Elfo si limitarono a guardarsi a vicenda, e poi Gimli disse asciutto: «questo veramente non è un gran conforto. Ma ti ringrazio lo stesso per il pensiero.»

«Non vedo né percepisco gli spiriti di quegli Uomini senza fede» disse Thorin a Gimli «Loro non condividono la nostra mezza luce, sembra. La loro è una maledizione che non ha sollievo» poi incrociò le braccia «Diglielo, mia stella. Digli che lo ami, e cessa questa danza snervante!»

«Non sei di aiuto» borbottò Gimli. I movimenti della sua gola tradivano il suo costante terrore. «Il mio Re non vede i maledetti. È come se si fossero sciolti nella loro pietra avvelenata.»

«Non vuol dire che non stiano seguendo» disse Thorin, guardando l'oscurità come se il suo sguardo truce potesse obbligarla a rivelargli i suoi segreti. Poi fissò nuovamente Gimli. «Diglielo!»

«Ah!» disse Gimli, e il suo corpo tremava come una foglia, le spalle tese come se stessero subendo colpi invisibili «Sarò distrutto dal terrore; non posso continuare. Striscerò per terra come una bestia prima che sia tutto finito» la sua voce tremò sulle ultime parole «Mio Signore, mi servi. Mi serve il tuo aiuto. Non rendere tutto più difficile di quanto non lo sia già per me.»

Frerin pizzicò forte il braccio di Thorin. «Davvero, nadad» borbottò «Il tuo tempismo è ancora pessimo.»

«Sento i passi dei piedi d'ombra dietro di noi» disse Elrohir, e gli occhi di Gimli si serrarono per un momento.

«Gimli, gerich 'ûn sui raw, estelion allen» disse piano Legolas «Io sono qui, meleth nín.»

«Perché non hai paura?» esclamò Gimli, e staccò una mano dall'ascia per asciugarsi bruscamente la fronte fradicia «C'è un gelido senso di orrore tutto attorno a noi. La morte è ovunque qui, non lo percepisci?»

«Qualsiasi sarà la mia fine» disse Legolas. La sua voce era lontana – distante – ma la sua mano si mise sulla spalla di Gimli. «io non la temerò né la rimpiangerò.»

«Come fai a dirlo?» chiese Gimli, e le sue dita robuste corsero alla sua spalla per afferrare la mano di Legolas e stringerla «Dovresti vivere per sempre! Perché rassegnarti a una simile fine, una non destinata ad un Elfo?»

Legolas sorrise nell'oscurità, anche se non vi era gioia. «Un tempo, sì. Ora? Ora la mia fine potrà venire presto o tardi, ma di certo verrà.»

«Potremmo ancora vedere la fine di questa guerra» disse Gimli «Legolas, non puoi dar così poca importanza alla tua vita! Non disperare!»

L'Elfo batté le palpebre, e poi rise sottovoce. «Ti è sembrato che io abbia detto così?»

Gimli si limitò a fissarlo, il petto che si alzava e si abbassava rapidamente.

«Scusami, amico mio» Legolas chinò la testa «Non era questo ciò che intendevo.»

Thorin si accigliò. «Allora cosa intendeva?»

«Ma tu, Gimli, non lasciare che questa paura di controlli!» stava dicendo Legolas, e scosse gentilmente la spalla di Gimli «Sei stato fermo davanti a vittorie impossibili e hai riso – hai affrontato più e più volte la morte, e mai hai esitato. Ora perché vorresti scappare?»

«Non ho paura della morte, sciocco Elfo» borbottò Gimli, e si strofinò ancora la fronte sudata. Dietro di lui, Arod nitrì piano. I suoi zoccoli creavano eco nel tunnel. Il rumore del movimento di piedi scheletrici si poteva a malapena sentire. «I miei parenti sono la prova che mi aspetterà un benvenuto. No – no, ho paura di morire. C'è una differenza, ragazzo.»

«Oh» disse Frerin, un'espressione di comprensione sul volto. Thorin strinse gli occhi guardandolo.

«Cosa vuol dire?»

Frerin tirò la manica di Thorin. «Penso di saperlo» sussurrò «Thorin, quello che ha detto Aragorn...»

Ghiaccio freddo scese lungo la schiena di Thorin. «No» disse «No.»

Frerin si piegò in avanti a iniziò a parlare molto in fretta e molto piano. «Ricordi, Aragorn ha detto che gli Elfi possono morire per un cuore spezzato? Ebbene, questi due idioti hanno paura della stessa cosa! Legolas pensa che morirà per il suo desiderio non corrisposto – tutto il “mi-sdraio-e-muoio” - e quindi non gli importa cosa gli succederà ora perché crede di essere già condannato. Ma Gimli ha paura che quando morirà, in battaglia o per l'età, allora Legolas morirà a sua volta per il dolore. Che è il motivo per cui non ha parlato, dopotutto: pensa che se non permette a Legolas di amarlo potrà riuscire a tenere in vita Legolas» poi esitò «Che non funzione in ogni caso, sembra, se Legolas pensa che morirà dal desiderio senza averlo nemmeno baciato...»

Si interruppe davanti all'improvviso e minaccioso silenzio di Thorin.

Thorin fissò suo fratello. Poi disse, in modo molto piatto e tranquillo: «intendi dirmi che questa coppia di imbecilli sta alla fine causando la cosa che temono grazie alla loro idiozia

Frerin fece un sorrisetto nervoso. «Eh...»

«Lalâkh!» esplose Thorin «Lalâkhel! Oh, sei davvero un nobile figlio della linea di Durin – enorme deficiente!»

«Beh, tu non hai nemmeno riconosciuto il tuo quando l'hai visto!» rispose immediatamente Gimli, la voce ruvida e tesa per la paura. Thorin si gonfiò di rabbia e si preparò per un'altra predica alla sua idiota, altruistica, cocciuta stella, quando -

«L'ho sentito» disse Legolas, gli occhi molto larghi.

«Cosa?» dissero Gimli e Thorin e Frerin all'unisono.

«Ho sentito una voce, una voce rabbiosa, una che non sento da ottant'anni» disse Legolas «Ha parlato nella lingua segreta dei Nani, e... e ti ha chiamato deficiente?» il suo naso si storse.

Frerin gemette e si prese la testa fra le mani. «Oh, Thorin.»

Legolas guardò Gimli. «Non mi sbaglio, vero?»

Gimli guardò Legolas per un momento, il volto esangue e pallido nella luce morente delle torce. «No, non ti sbagli, ragazzo» disse. Poi il suo respiro gli si mozzò quando comprese, e iniziò a pregare: «mio Signore, mio Signore – no.»

Thorin si raddrizzò, e guardò direttamente Legolas. Una vecchia, debole voce nel suo stomaco iniziò a urlare: ma è un Elfo! È il figlio di Thranduil! Ha preso la tua arma dalla tua mano, puntato una freccia fra i tuoi occhi, chiamato la tua coraggiosa stella simile a un orco, ti ha chiuso in una cella!

Ma una voce più vecchia, saggia e calma ora affogava quegli antichi, patetici odi, e Thorin poteva vedere Legolas, quello che si era messo in mezzo fra Gimli e Éomer; Legolas, quello che aveva aiutato un Nano morente nei campi di Lothlórien; Legolas, quello che aveva un tempo, brevemente, salvato la sua vita.

«Salute, Legolas Thranduilion» disse, e inclinò la testa. Dietro di sé, sentì il brusco respiro di Frerin. «Avevi giurato di non ferirlo mai con la tua mano, parola o azione, e ti sei mostrato onesto come l'acciaio. Hai la mia gratitudine.»

Gimli fece un piccolo suono disperato e si voltò.

«Salute, Thorin figlio di Thráin» disse Legolas, la voce debole, e poi si raddrizzò i suoi luminosi occhi Elfici andarono alla Grigia Compagnia poco avanti.

«Non se ne sono accorti» disse Frerin, guardandoli «Non credo possano sentirci, tanto lontano. E poi, l'aria è piena di strani sussurri.»

«Porta qui gli altri» gli mormorò Thorin.

Frerin lo guardò seriamente, e gli tirò una delle trecce. «Attento alla tua rabbia.»

Thorin agitò una mano. «Sì, sì, sarò forte. Portali qui, e anche la mia spada. Digli di armarsi. Potremmo ancora dover affrontare questo esercito tra la vita e la morte, e vorrei che fossimo preparati» Frerin annuì e sparì in un lampo di luce stellare.

«Ora, mio fratello è andato, e potrò parlare liberamente» disse Thorin, e raggiunse l'Elfo e il Nano che camminavano nei tunnel claustrofobici.

«Per favore» disse Gimli, piano «Ti prego, mio Signore, non – Melhekhel, ikhuzh!»

«Continuate» gli disse Thorin «Parlerò mentre camminiamo.»

«Te ne prego-»

«No, mia stella, calmati» disse Thorin, con tutta la gentilezza possibile «Non parlerò di ciò che è tuo compito dire.»

Gimli esalò. «Ah.»

«Ho però qualcosa da dire a questo Elfo»

Legolas parve molto, molto più disturbato dal sentire Thorin che dal vedere i morti disonorati. Si irrigidì, sospettoso. «A me?»

«Aye» disse Thorin, e in lui lottarono divertimento e frustrazione. Era così che si era sentita la sua Compagnia, osservando lui e Bilbo tutti quegli anni prima? Inteneriti, eppure ragionando su come meglio picchiare insieme i loro crani?

Non pensare a Bilbo si disse severamente. Intrecciò le dita dietro alla sua schiena e guardò la Compagnia avanti, a un po' di distanza nel tunnel. I pesanti passi di Gimli erano diventati esitanti e spaventati, e le leggere scarpe di pelle di Legolas erano a malapena udibili mentre attraversavano il buio sussurrante e appiccicoso al seguito delle torce. «Mi ascolterai?»

«Sto ascoltando» disse Legolas. Il suo volto era fermo e inespressivo e orgoglioso, ma Thorin ora sapeva che non era perché non provava nulla. «Ascolterò le tue parole.»

«Molto ho imparato in ottant'anni, figlio di Thranduil» disse Thorin dopo un attimo «Ho imparato che molto di ciò che ritenevo vero è falso, e molto di ciò che ritenevo falso è vero. Non sarò irato con te se le dovessi rifiutare, ma ti porgo le mie scuse.»

Legolas batté le palpebre. «Perché dovresti dire a me questo? Sono il figlio di Thranduil, ma non sono mio padre.»

«E ben lo so – ora» disse Thorin, e fece un sospiro fra i denti «Vi credevo tutti uguali nella mia rabbia e risentimento. Senza onore, sleali, traditori. Pensavo foste senza emozioni e col sangue freddo; pensavo l'intero mondo avrebbe felicemente nuotato nel sangue Nanico per avere le nostre reliquie e la nostra storia e il nostro oro, litigando e scendendo a patti mentre noi morivamo di fame. Vedevo tradimenti ovunque guardassi, e soprattutto da coloro di stirpe Elfica. Vi ho odiati.»

Legolas rimase in silenzio.

«Ho imparato come stanno davvero le cose, anche se forse troppo tardi»

«Nay, Signore» Legolas scosse la bella testa «Perché avresti dovuto farti domande su ciò che sembrava vero? Perché io ero lì. Gimli potrà perdonare facilmente come respira, ma io ero lì, e so cosa fu chiesto e cosa fu preso e cosa fu donato e cosa fu rubato. Io ero lì. Ricordo di aver litigato con una cara amica dicendo che i guai dei Nani non erano nulla per loro. Ricordo di aver ammirato una spada nella mia mano e averla presa per me, mentre ti accusavo di essere un ladro e un bugiardo. Ricordo che due eserciti erano accampati davanti alle porte di un Regno distrutto per rubare oro a tredici Nani. Vidi i cancelli distrutti e le aquile urlarono, e un Orco pallido in piedi sul ghiaccio e la mia faretra non aveva più frecce. Io ero lì.»

«Aye, eri lì» disse Thorin e lasciò che l'aria gelida gli riempisse i polmoni finché non gli bruciarono «E ricordi quando in basso caddi io, nella mia follia. Ricordi le mie orecchie assordate dal suono dell'oro, tutte le mie promesse spezzate e tutto il mio risentimento verso il mondo. Nonostante tutto, quella spada tu me la ridiedi, e nel momento migliore possibile. Da parte mia, mi dispiace.»

Legolas chinò la testa. «E anche io da parte mia.»

«Non è stato un processo indolore» continuò Thorin e mantenne gli occhi davanti a sé, sentendo le sue gambe che si muovevano a tempo con quelle di Gimli e dell'Elfo «Serve tempo per far cambiare idea a un Nano, perché noi cambiamo lentamente, e anche di più per cambiare uno della nostra linea. Quando ti unisti alla Compagnia pensai che tu fossi esattamente come tuo padre e mi arrabbiai con te. Ti ritenevo responsabile per le sue azioni e fallimenti. E poi pensai le tue offerte di amicizia una menzogna, e che col tempo si sarebbero mostrate false. I miei occhi vedevano solo colui che prese la mia spada, non colui che me la ridiede.»

«Û, Re Thorin» disse Legolas, alzando una mano «Non mi servono spiegazioni. Se mi hai osservato, allora hai veduto. Pensavo che il vostro popolo fosse brutale, incapace di qualsiasi vera gentilezza di spirito. Ero un idiota ignorante e anch'io ho imparato. Almeno ho questo: sono grato di poterlo dire a te, e non al tuo ricordo.»

«Il mio ricordo» Thorin sbuffò «Parla coi vivi e non coi morti.»

«L'ho fatto» disse Legolas, e i suoi occhi andarono a Gimli che ascoltava leggermente accigliato «Lo faccio.»

«Non dici abbastanza» ringhiò Thorin.

Legolas, così aggraziato e sicuro, inciampò.

«Un tempo, sulle mura del Fosso di Helm, ti mettesti al mio servizio, per qualsiasi cosa io ti chiedessi» disse Thorin, e dietro alla sua schiena le sue mani si strinsero «Per la sua sicurezza, mia pregasti di trovarlo e tenerlo al sicuro. Per l'amore che entrambi proviamo per lui.»

Gimli si bloccò di colpo, e i suoi occhi erano enormi.

«Ora ti incarico, Legolas» disse Thorin, e si girò verso Gimli nel buio e sorrise al volto immobile e terrorizzato della sua stella «di dar voce al tuo cuore.»

Legolas poté solo rimanere a bocca spalancata, stupefatto. Per essere una creatura eterna, dieci volte più vecchia di Thorin, di colpo sembrava molto giovane.

«Onorerai la tua parola? Io non ne sarei arrabbiato» disse Thorin «Ma tu potresti scoprire che la reazione non sarebbe quella che temevi.»

La bocca di Legolas si chiuse di scatto.

«Smettila» ringhiò Gimli «Smettila di fare questi giochetti con noi!»

«Allora sai cosa devi fare, Gimli» disse Thorin calmo «Diglielo.»

La bocca di Gimli si aprì attorno a parole mozze, e poi lui si afflosciò.

«Davvero hai imparato e il tuo perdono è più di quanto avrei mai sperato, ma non sei tu colui al quale dovrei parlare del mio cuore» disse Legolas a denti stretti «E io ancora non so quali parole i mortali usino. In questo, almeno, sono un Elfo proprio come tu ci immaginavi.»

«Ragazzo» disse Gimli, e alzò la mano con aria stanca «Ragazzo, stai tranquillo, non serve. Lo so.»

«Lo sai!?»

«Aye»

Legolas fissò Gimli, ancora una volta stupefatto. Un completo dolore passò sul suo volto, seguito da lampi di incredulità e tristezza, prima che la maschera fredda tornasse a portare i suoi tratti nella pietra. «Vedo.»

«No, non vedi, e tu non pensare che me ne dimenticherò, Thorin Thráinul» sputò Gimli.

«Non hai più paura» gli fece notare Thorin.

«Non di questo orribile posto ghiacciato, no. Ora ho paure nuove e più profonde!» Gimli iniziò a seguire la Grigia Compagnia nuovamente, il volto furibondo e gli occhi in fiamme. Gli stivali colpivano il pavimento freddo come se stessero cercando di romperlo.

«Cosa intendi dire, lo sai?» disse Legolas, duro e rapido, e seguì il Nano «Perché non hai parlato?»

«Perché non l'hai fatto tu?» rispose Gimli.

«Non sapevo come» disse Legolas «Gli Elfi non hanno bisogno di queste goffe parole, quelle dichiarazioni così prone ai fraintendimenti e al rifiuto e altri cose poco piacevoli. Noi sentiamo queste cose nei ritmi fra noi, tra i nostri passi e le nostre risa e i nostri respiri. Sappiamo perché ci cerchiamo a vicenda e perché le nostre canzoni sembrano più dolci quando vengono cantate insieme. Perché dovrei sapere quali parole i Nani usano per l'amore?»

Il respiro di Gimli gli uscì in un basso “ah!” alla parola, e per un secondo parve l'avessero colpito. Poi scosse la testa. «Abbiamo trovato nuove parole per i nostri usi diversi» disse «Perché – davvero, perché?»

Thorin fece un passo indietro e incrociò le braccia soddisfatto, osservando.

Qualcuno apparve accanto a lui, e guardando di lato Thorin vide Lóni che fissava le forme confuse del Nano e dell'Elfo che litigavano. «Oh no, che succede ora?» gemette «Quell'idiota cocciuto ha detto di nuovo qualcosa di sbagliato, vero?»

Attorno a lui, le figure stellate dei Nani apparvero nel buio, e Frerin si fece largo per rimanere in piedi immobile accanto a Thorin notando la vista davanti a loro. «Thorin!» disse irritato.

«Ho tenuto sotto controllo la mia rabbia» gli disse Thorin, combattendo l'istinto di sorridere.

«Cosa hai fatto?»

«Quello che sarebbe dovuto essere stato fatto ad Edoras» disse Thorin, e mise un braccio attorno a suo fratello minore «Sai, questi insalubri buchi scuri potrebbero diventare uno dei miei posti preferiti?»

«Non sei divertente» disse Frerin.

«Sono esilarante» disse Thorin, perfettamente calmo.

«Il mio affetto ti divertiva tanto?» stava chiedendo Legolas gelidamente. La sua somiglianza con Thranduil non era mai stata tanto pronunciata. «Ti faceva ridere, un Elfo così stupido da affezionarsi a te? Sono stato un piacevole diversivo, mio Signore Nano?»

«Smettila, smettila, smettila ora!» soffiò Gimli, e lanciò uno sguardo alla Grigia Compagnia davanti a loro prima di voltarsi e picchiare un dito robusto contro il petto di Legolas «Ho tenuto ferma la lingua per carità tua, litigioso confuso Elfo testa di legno, quindi non mi accusare di essere tanto senza cuore! Mi pensi tanto egoista da guardare i miei amici che soffrono per divertimento? Ebbene, vi ringrazio per la vostra buona opinione di me, Oh Principe Legolas!»

«La mia opinione!» urlò Legolas «Gimli, tu sai che ti amo! Lo sai, e non hai detto nulla!»

«Aye, e se il mio parente impiccione non avesse parlato, Mahal lo maledica, sarei rimasto in silenzio fino alla tomba» Gimli si strofinò gli occhi.

«Nay, lo ringrazio» disse Legolas, e i suoi occhi brillavano di rabbia e dolore anche se il suo volto rimaneva impassibile «Lo ringrazio. Mi senti, Thorin Scudodiquercia? Ti ringrazio per il tuo servizio. Perché non sapevo che stavo donando il mio cuore a qualcuno a cui non importava nulla di esso. Nin gwerianneg, ai, meleth nin!»

Gimli iniziò ad avviarsi per il tunnel, e le sue guance stavano diventando rosse. «Le orecchie a punta non funzionano bene, sembra! Perché mi ricordo chiaramente di aver detto che l'ho fatto per te, stupida folle creatura. Per te, e per nessun altro! Perché mai altrimenti dovrei lasciare che tu ti allontani da me, mi eviti, ci punisca entrambi? Perché mai, se ti vorrei avere sempre al mio fianco?»

«Non fu una gentilezza, Gimli» disse Legolas. C'era una durezza nei suoi lunghi passi che parlava chiaramente della sua furia. Eppure non superò mai il nano, anche se con le sue lunghe gambe sarebbe stato facile. «Abbiamo affrontato oceani tanto vasti di sfiducia e pregiudizi, tu ed io, che questo per me è un tradimento doppiamente duro. Non riesco a vedere come il tuo rifiuto possa essere per carità mai, non se...»

«Io non sarò responsabile della tua morte!» ruggì infine Gimli, e si girò di nuovo verso Legolas e rimase coi pugni stretti sull'ascia «Non posso!»

Le eco risuonarono per il tunnel, ed Elrohir, Aragorn e molti Raminghi si voltarono e alzarono le torce per osservare la coppia. «Gimli, Legolas?» li chiamò Aragorn «Ci maer? Prestad?»

«Ú-iston» si disse Legolas, e poi alzò una mano e urlò: «Gwaem, Aragorn.»

La fronte di Elrohir si aggrottò leggermente e la sua testa si chinò di lato mentre studiava il furioso Nano dal volto arrossato e il gelido Elfo con gli occhi selvaggi. «Non rimanete troppo indietro» disse infine.

Gimli si mise l'elmo in testa, e iniziò a seguire la Grigia Compagnia in rabbioso silenzio. Legolas respirò forte col naso, ancora immobile come una statua per qualche istante, prima di riscuotersi, afferrare strettamente le redini di Arod, e seguirlo.

«Quindi cosa succede?» disse Nori dietro a Thorin.

«Il nostro grande comandante ha lanciato un topo tra i gatti selvatici» sospirò Lóni.

«Oh» Nori ci ragionò per un istante, e poi disse: «quindi chi offre una moneta? Gimli colpisce per primo, tre a uno, il meglio che posso offrirvi, affare speciale perché siamo tutti amici qui, eh?»

«Non ora, Nori» disse Ori, e alla sinistra di Thorin Óin sbuffò.

«Calmati, qualcuno qui sta cercando di sentire!»

«Oh, ti sei ripescato dal tuo boccale, vedo» disse Nori in tono derisorio, e Óin ringhiò.

Thráin si schiarì la gola. «Come interesse accademico, quali sono le probabilità di Legolas che colpisce per primo?»

«Quattro sull'Elfo!»

«Su Gimli – che lo baci!»

Óin picchiò un piede. «Ho detto zitti! Mahal pianse, mi fate venir voglia di essere ancora sordo!»

«Meglio se ci calmiamo, tutti, meglio non litigare» disse Balin nel suo modo dolce e gentili.

«Sembra che a quello ci abbiano già pensato loro» aggiunse Náli.

«Va bene, ci siamo tutti» disse Frís, e accanto a lei Haban alzò le sue asce e le fece girare virtuosamente. Infine, Fíli fece un passo avanti, sferragliando come un'armeria, e porse a Thorin la sua lunga spada ricurva – fatta di sua mano ad immagine di Orcrist ed unica che era scampata alla sua ira. Kíli era come sempre accanto a lui, e Frerin corse avanti col suo pugnale in mano.

«Non osare mandarmi via» disse.

La mano di Thorin si posò sui capelli di Frerin, e lui premette insieme le loro fronti. «No, non oggi» fu d'accordo lui.

«Sembri piuttosto compiaciuto di te stesso» disse Frís, alzando le sopracciglia.

Thorin sentì un sorriso che gli tirava le labbra e lasciò che crescesse. «Stanno parlando alla fine.»

«Speriamo solo tu non abbia fatto più danni che altro» disse Thrór, e Hrera gli tirò un pizzicotto.

«Un po' di ottimismo, vecchio scontroso» gli ordinò severamente «Ci servirà di certo, in questo posto orribile! Thorin, caro, dove nel nome di Telphor siamo?»

«I Sentieri dei Morti» rispose Thorin, legandosi la spada al fianco. Avrebbe dovuto pensare a un nome. Non era leggera né affilata come Orcrist e non possedeva le delicate decorazioni e ornamenti. Nessuna aggraziata parola Elfica era su di essa e di certo non aveva un dente di drago nell'elsa, ma la curva della lama era la stessa. «Abbiamo viaggiato sotto la montagna maledetta e ora andiamo verso la valle dove le bocche dell'Anduin corrono verso il mare. E loro ci sentono.»

«Ci sentono?» le sopracciglia di Lóni si alzarono, e strinse più forte la mano di Frár «Cosa intendi dire, ci sentono?»

«Veramente...» Frerin si grattò la testa «Penso sentano solo te.»

«Nay, sento le voci di molti Nani, anche se il Re è il più semplice da udire» disse Legolas improvvisamente, facendo saltare per la sorpresa metà dei Nani riuniti «Una tale folla, e diventate sempre più comprensibili mentre viaggiamo! Ma come può essere?»

«Non lo so» disse Ori quando ogni occhio andò a lui «Non pensate che io sappia le cose e basta!»

«Beh, tu sai un sacco di cose» gli fece notare Náli.

Il petto di Bifur si gonfiò d'orgoglio, e mise un braccio attorno alla vita di Ori e sorrise da un orecchio all'altro.

«La Roccia di Erech» disse Thráin «C'è qualcosa di innaturale in essa?»

«Non c'è nulla di naturale in questo posto» disse Gimli «Persino l'aria puzza di morte.»

«Cosa intendevi dire, la mia morte?» disse Legolas, più piano. Non guardava giù verso Gimli.

Le labbra di Gimli si strinsero, e non parlò.

«Oh, che disastro» sospirò Frís «Thorin, entrambi i tuoi gatti si sono arrampicati sugli alberi, e ora non scendono.»

Frerin lo stuzzicò. «Cosa ti ho detto? Tempismo, nadad!»

«Il mio tempismo? È tardi, e più tardi ancora» disse Thorin, e lasciò che la sua mano scendesse fino ad afferrare l'elsa della spada. Il suo peso sulla sua vita era quasi una consolazione: si era quasi dimenticato come lo faceva sentire, portarla al fianco. «Non c'è mai tempo. O non è mai il momento giusto. O il tempo ti porta via dal momento, ed è perduto. Ho imparato – oh, come ho imparato! - e imparare è difficile e crudele. Non c'è mai un momento giusto. Tutti i momenti sono giusti, o non lo è nessun momento. E poi alla fine e prima ancora che tu possa sognare, non c'è più tempo. Tutte le possibilità sono distrutte, e tu sei intrappolato oltre ogni speranza d'amore come dietro a vetro trasparente, guardando la vita che va avanti senza di te. Te lo dissi già, Gimli, e te lo dirò tutte le volte che ce ne sarà bisogno: per te non è troppo tardi.»

«Ah, stai scavando dove non c'è metallo. Non ne posso più: troverò un modo per finirla o correrò indietro verso gli orrori laggiù!» ringhiò Gimli «Perché, se mi ami, l'hai obbligato a parlare?»

«Perché non voglio vederti che cammini per il mio sentiero solitario, qualsiasi fato ti aspetti» disse Thorin, e sentì il sussulto di Legolas «Non siamo saggi in amore, siamo della Linea di Durin. La tua testardaggine non è né forza né saggezza, e nessuna misura di nobile intento può farla diventare tale. Aye, figlio di Glóin, ursuruh inùdoy kurdulu: ti amo abbastanza da fermarti. Morirei mille volte prima di vederlo succedere.»

«Vedete nulla?» disse Elrohir, urlando.

«La luce sta aumentando!» disse Halbarad, e iniziò a correre «Siamo vicini alla fine, di certo!»

Improvvisamente vi fu un nuovo suono nel tunnel, il suono di gocce d'acqua. La luce crebbe e crebbe e il passo di Gimli divenne più deciso mentre si lasciava dietro l'orribile posto. Il tunnel si aprì improvvisamente in una bassa e ampia valle, e Gimli batté le palpebre meravigliato quando il vento toccò il suo volto e tirò la sua barba. Era il tramonto, e il cielo stava diventando da viola a blu, le stelle avevano appena iniziato a brillare. «Aria!» disse «Mai ho avuto tanto paura sottoterra. Non deriderò mai più coloro che vivono sulla superficie.»

«Stelle!» sussurrò Legolas, e gettò indietro la testa e permise che la loro luce avvolgesse il suo volto. I suoi capelli gli ricadevano come un panno dorato. «Come possono essere passate solo ore da quando entrammo nella porta nera? Sembra siano passati anni, decenni – o io sono invecchiato da allora.»

«Nove milioni, forse» borbottò Gimli, e finalmente alzò lo sguardo verso l'Elfo «Dobbiamo parlare.»

Legolas non si mosse, guardando il cielo con occhi limpidi. «Sì, dobbiamo» disse, e Thorin tremò sentendo la fredda rabbia nella sua voce.

«Dove andiamo, Aragorn?» urlò Halbarad, e montò a cavallo in un movimento fluido e la fece girare in tondo. Gli zoccoli della giumenta si alzarono molto mentre lei sembrava doversi mettere a correre per i nervi, gli occhi che roteavano. Solo la ferma, dolce mano del Dúnedain la teneva sotto controllo.

«La Roccia è a meno di tre ore, verso la riva del fiume» rispose Aragorn, salendo su Brego «Saremo là appena prima di mezzanotte.»

«Molto appropriato» disse Ori, asciutto.

Legolas accarezzò il naso di Arod, prima di sussurrare una parole all'orecchio del cavallo e saltargli sulla schiena. Poi, perfettamente impassibile, girò Arod verso Gimli e gli porse una mano.

«Cavalchi?» disse, senza che i suoi pensieri fossero traditi da tono o inflessione.

Gimli esitò, e poi disse: «Se non desideri che io sia un peso per te, allora...»

«Cavalchi?» ripeté Legolas, l'espressione dura, e la mano ancora allungata.

Gimli arrossì di vergogna, prima di prendere la mano di Legolas e permettergli di tirarlo sulla sella. Appena seduto al suo solito posto, le sue grandi mani esitarono un attimo sulla vita di Legolas, prima che le mettesse sulle proprie cosce.

Aragorn allora prese il bastone che Elrond aveva portato dalle mani di Elladan, e srotolò lo stendardo che vi era sopra. Se c'era un disegno sulla stoffa, Thorin non riusciva a vederlo: li sembrava nero su il nero del buio, un buco ritagliato nel cielo notturno. «Seguitemi» disse, e fece partire Brego al trotto.

«Possiamo tenere il passo?» disse Frár, e Frerin soffocò una risatina.

«Io posso, voi non so» disse, un tantino compiaciuto.

«Ancora correre» sospirò Óin.

«Tre ore non è tanto male» disse Náli «Almeno non sarà tutto il giorno!»

«Beh, di certo abbiamo fatto il giro turistico di Rohan» commentò Nori secco «Ne ho visto più di quanto avrei mai voluto. Probabilmente potrei organizzarvi dei viaggi.»

Brego nitrì forte, e poi la Grigia Compagnia era in movimento, in movimento nella notte, e la compagnia di Thorin li seguiva. «Questa dev'essere la Valle di Morthond» ansimò Balin mentre correvano dietro ai cavalli «Ci vivono degli Uomini, sotto l'autorità di Gondor.»

«Lo vedete anche voi?» urlò improvvisamente Elladan, ultimo della Compagnia, i suoi occhi attenti rivolti verso i Nani. Thorin si fermò di colpo, incrociando lo sguardo del Mezzelfo.

«Ci vedono?» sussurrò Haban incredula.

«Nah, non possono!» rispose Kíli, agitando una mano «Come potrebbero?»

«Cosa vedi?» disse Aragorn «Legolas, dicci, cosa mostrano gli occhi degli Elfi? Gimli, cosa vedono i tuoi occhi notturni?»

«È buio, ma riesco a vederli» disse Legolas, girando leggermente Arod e fermandosi su una piccola altura. Sulla sua schiena, Gimli guardò nell'oscurità – e incrociò gli occhi di Thorin.

Ti vedo, Signore dissero le mani di Gimli, muovendosi in Iglishmêk.

Segui, non parlare segnò Thorin.

«Cosa?» disse Halbarad, accigliandosi e girandosi sulla sella per guardare dietro di sé.

«I Morti ci seguono» disse Legolas «Vedo le forme di Uomini e di cavalli, e stendardi pallidi come nuvole, e lance come boschi invernali in una notte nebbiosa. I Morti ci seguono.»

«Sì, i Morti cavalcano dietro di noi. Sono stati convocati» disse Elladan.

Thorin lanciò una rapida occhiata dietro di sé, e poi si voltò di nuovo rapidamente. «Non guardatevi dietro» disse piano, e si tirò vicino Frerin e Frís «Non voltatevi.»

«Anche tu li vedi, Legolas?» mormorò Gimli.

«Sì» disse Legolas piano «Un gruppo di Nani, circondati da fuoco bianco, guidati dal tuo parente.»

«Mio zio è alla sua sinistra» disse Gimli, e il dolore attraversò il suo volto «Quello dev'essere il fratello del mio signore, coi capelli fortunati. Là è Balin, e Lóni – ah, amico mio, amico mio, sei così giovane! - l'intelligente Ori e il vecchio Náli, e lì c'è Bifur con la sua grande ferita! Oh unkhash, Fíli, Kíli, miei cugini...! Oh, vedervi qui come se poteste ancora respirare, e anch'io ero tanto giovane? Eravate davvero così quando partiste e moriste e mi lasciaste senza un capo? Nekhushel! È come una coltellata al cuore. Questo è stato un giorno malvagio, e una notte malvagia lo segue!»

«Gli altri non li vedono?» chiese Legolas «Devono essere almeno trenta.»

«Sembra di no» disse Gimli «Forse noi li vediamo perché eravamo connessi con loro?»

«Forse» disse Legolas, e il suo tono era distante e freddo. Girò Arod schioccando la lingua, e seguì la Grigia Compagnia.

«Accidenti» sospirò Hrera «Pare che gli Elfi possano essere stupidamente intransigenti quanto i Longobarbi.»

«Risparmia il fiato e corri» disse Thorin, e accelerò.

«Tu non mi ordinerai nulla di simile, nipote mio» disse lei acidamente, e si tirò su le gonne elaborate e corse avanti, la testa alta «Un “per piacere” ogni tanto non sarebbe sgradito.»

Non pensare a Bilbo!

«Le mie scuse» riuscì a dire Thorin, e abbassò la testa. Sentiva gli occhi di Fíli contro la sua schiena, e li ignorò.

Seguirono alcune ore di disagio. La Grigia Compagnia seguì lo stendardo scuro di Aragorn nella notte, e tutto il tempo un freddo innaturale li seguì. Thorin non guardò più dietro di sé, ma seppe che Frerin l'aveva fatto quando suo fratello squittì e rallentò il passo per stare accanto a loro padre. I Nani corsero tutti il più rapidamente che potevano, confidando nella loro naturale resistenza, e Thorin silenziosamente ringraziò Aragorn per il piccolo favore di non far mai andare la Grigia Compagnia a più che un piccolo galoppo.

La Valle del Morthond era davvero popolata, ma il terrore dei morti fece chiudere ogni porta e spegnere ogni luce in tutti i villaggi per i quali passò la Compagnia. Delle campane risuonarono davanti a loro, e la gente scappava nella notte. Sussurri e strilli strozzati li seguivano mentre le persone si stringevano nelle loro case, e avvicinandosi alla Roccia di Erech i piccoli villaggi diminuirono fino a svanire del tutto. Nessuno viveva in quel luogo.

«Meno persone di quelle che mi aspettavo, dal numero di villaggi» disse Balin, e nella mano teneva una spada larga «Molti di questi edifici sono vuoti.»

«Sono scappati dall'esercito fantasma» disse Thrór «Quelli che vivono vicino alla Montagna di certo conoscono bene la sua leggenda, e saranno scappati dalle loro case a sentire parlare dei Morti.»

«Saggiamente, senza dubbio» confermò Balin, e si asciugò la fronte col braccio «E poi, anche la guerra a sud avrà portato via molti.»

Davanti a loro, era visibile il Colle di Erech e in cima ad esso vi era una vista davvero imponente.

«Dev'essere quella» disse Ori, e nessuno poté negarlo «La Roccia di Erech.»

Era tonda come un grande globo, alta come un uomo, anche se metà di essa era sepolta nel terreno. Sembrava ultraterrena, come caduta dal cielo, come credevano alcuni; ma coloro che ancora ricordavano le leggende dell'Ovest dicevano che era stata portata via dalla rovina di Númenor e posta lì da Isildur al suo arrivo.

Davanti a quella Roccia la Compagnia si fermò nel buio della notte. Poi Aragorn passò lo stendardo ad Halbarad, che lo tenne alto. Elrohir porse ad Aragorn un corno d'argento, e lui vi soffiò e sembrò a quelli che gli erano vicini di sentire il suono di altri corni in risposta, come un'eco nelle profonde caverne lontane. Nessun altro suono si udì, eppure sapevano che un grande esercito si era raccolto attorno al colle su cui erano; e un vento ghiacciato come respiro di fantasmi scendeva dai monti. Ma Aragorn smontò, e stando accanto alla Roccia urlò a gran voce:

«Combatterete?»

Il vento urlò alzandosi di nuovo, correndo attorno alle gambe dei cavalli e spettinando i capelli di Aragorn. Poi il terribile freddo che aveva seguito i Nani dal Monte Invasato sembrò condensarsi e prendere forma, e il Re dei Morti ghignò il suo sorriso da scheletro facendo un passo avanti dall'aria al mondo vivente.

Aragorn alzò la spada. «Fedifraghi, perché siete venuti?»

Il Re non disse nulla, e i suoi occhi lattiginosi fissarono Aragorn. Attorno a lui l'esercito scheletrico dei morti maledetti apparve loro, raggruppandosi attorno alla Roccia come il fossato attorno a un castello.

«Questa è l'ora» sussurrò Thorin «Questo è il momento in cui uscirà dalle ombre ed entrerà nel suo mantello e nella storia.»

«Combatterete?» domandò ancora Aragorn.

Il Re sospirò, il respiro verde si condensò davanti a lui, e poi disse: «Combatteremo. Terremo fede al nostro giuramento e troveremo la pace.»

Poi le palpebre di Aragorn si chiusero, e le sue spalle si abbassarono come se si stesse piegando sotto al peso che ora portava. Poi si raddrizzò e fissò gli occhi grigi sullo spettro e disse: «L'ora è infine giunta. Io vado ora a Pelargir sull'Anduin, e voi mi seguirete. E quando la terra sarà stata ripulita dai servitori di Sauron, io riterrò soddisfatto il giuramento, e voi troverete la pace e lascerete per sempre questo mondo. Questo io lo giuro come Elessar, l'erede di Isildur di Gondor.»

Il Re dei Morti chinò lentamente la testa verso Aragorn, facendo schioccare le ossa della schiena. «Dove tu vai, noi ti seguiremo.»

Aragorn annuì seriamente, e poi rinfoderò Andúril e si voltò verso la Grigia Compagnia. «Ci accampiamo qui» disse, un'improvvisa stanchezza nel volto e nella postura «Cavalcheremo domattina» si voltò verso il Re e chinò la testa, e lo spettro sorrise il suo sorriso inquietante e svanì. Anche se l'esercito d'ombra era di nuovo invisibile, l'aria sembrava ancora spessa e appiccicosa e la tenue sfumatura verde del cielo non era solo luce stellare.

Gimli scese dalla schiena di Arod, i piedi colpirono il suolo con un forte rumore. Legolas fece lo stesso, e silenziosamente iniziò a slacciare la sella di Arod. Gimli sembrò pronto a parlare, ma poi parve cambiare idea. Invece si levò lo zaino e l'elmo. Il sudore aveva appiccicato ciocche di capelli alla sua fronte.

«Gimli» disse Thorin.

«Non sei esattamente la mia persona preferita in questo momento, Thorin Scudodiquercia, se non ti dispiace» ringhiò Gimli, e iniziò a tirar fuori le asce dalla cintura con movimenti bruschi e gettarle sul sacco a pelo.

«È un tuo diritto» disse Thorin, e il suo cuore affondò leggermente «Ma non hai parole gentili per coloro che sono con me?»

Infine Gimli alzò lo sguardo e incrociò di nuovo gli occhi di Thorin. Come nello specchio di Galadriel, la sua stella che lo vedeva, che lo vedeva davvero, era qualcosa di mozzafiato dopo tutti gli anni passati a essere poco più di un sussurro nel vento. «Aye» disse Gimli, la voce rotta, e poi si schiarì la gola «E se non fosse stato per i tuoi stupidi giochetti avrei parole più gentili anche per te, mio amato Signore.»

«Ciò che ho fatto l'ho fatto per te, Gimli» disse Thorin.

«Può essere, ma ciò che io ho fatto l'ho fatto per lui» disse Gimli, mangiandosi le parole per la rabbia. Si voltò, guardando storto le sue asce sul suo sacco per dormire. «Sparisci, Thorin Scudodiquercia. Non voglio più aver a che fare con te stanotte.»

«Vedi di parlare in modo più educato, nidoyel» disse Óin irritato «Quello è il nostro Re. Non essere maleducato.»

Gimli batté le palpebre, e poi iniziò ad arrossire come un sessantenne. «Scusami, zio» borbottò.

«Avrai il temperamento di tuo padre, ma prova a controllarti un po' ogni tanto per cambiare, eh?» disse Óin, e poi sorrise «Ah, guardati. Guardati.»

La testa di Gimli si alzò, come se fosse stata trascinata su contro la sua volontà. Quando guardò Óin, fece un piccolo “aaah!” e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

«Sembri giovane» disse «Più giovane di me.»

«Ci sono ancora un paio di misteri che devi scoprire» disse Óin, dolcemente «Sono orgoglioso di te.»

«Orgoglioso di te» ripeté Balin «Azaghâl belkul

«Balin» sussurrò Gimli.

Thorin fece un passo indietro, e sentì degli occhi piantati sulla sua nuca. Girandosi leggermente vide l'Elfo che spostava lo sguardo da lui a Gimli, un'espressione vagamente confusa negli occhi luminosi.

Lui inclinò ancora la testa, prima di inchinarsi leggermente. Legolas chinò la testa, e poi si mise la mano sul cuore e la allungò in quel gesto elegante degli Elfi. Si fissarono in silenzio per un altro momento, e poi si voltarono verso Gimli.

«...smettila di raccontare tutti quei dannati segreti» stava dicendo Óin.

«Sei più intelligente di così. Ti ho insegnato molto meglio!» disse Balin severamente, e Gimli agitò una mano mentre sbuffava.

«Seh, e che vantaggi ci hanno mai dato? Creano sfiducia, ecco cosa fanno. E non c'è nulla di vergognoso in essi, quindi perché non condividerli a coloro ai quali possono interessare?»

«Perché ci sono quelli a cui non piace l'idea del fatto che li avevamo – quelli che vedono i nostri segreti come un altro gingillo luccicante da portarci via» ringhiò Lóni, e Gimli scosse la testa.

«Sei sempre un tale pessimista»

«Beh, uno di noi deve esserlo»

«Vedi, è per questo che sei mo...» disse Gimli, e la sua voce si spezzò sull'ultima parola. Chinò la testa e premette il mento contro il petto per qualche rapido respiro, e poi guardò ancora il volto del suo migliore amico con un sorriso triste. «Ciao, ragazzo. Sembri in forma. Quel tuo marito ti tratta ancora bene, quindi?»

Frár alzò un sopracciglio. Lóni rise. «Aye, sì, e tu dovresti fare lo stesso. Piantala di osservare la gemma e tagliala una buona volta! Siamo tutti stufi di guardarti che ti struggi nobilmente, grande idiota incosciente!»

L'Elfo fece un passo avanti, e appoggiò la sella sull'erba vicino a Thorin. «Mi diresti chi sono questi Nani, e chi sono per Gimli?» disse piano.

Thorin gli lanciò un'occhiata, prima di annuire. «Quello è l'amico più caro di Gimli, perso a Moria. Il suo nome è Lóni, figlio di Laín, e quello è suo marito Frár. Quello è Ori, figlio di Zhori – anche lui perso a Moria – e là c'è suo fratello maggiore Nori. Entrambi erano nella mia compagnia, potresti ricordarteli. Senza dubbio ricordi anche Balin e Óin. Quella è mia madre, Frís, e il nonno di Gimli...»

Legolas guardò mentre Nano dopo Nano salutava Gimli finché lui iniziò a piangere apertamente. Thorin li nominò tutti, e sentì il respiro di Legolas che si mozzava per un attimo nel vedere Thrór, e poi ancora davanti ad Haban.

«Perché mi hai fatto parlare?» chiese infine Legolas.

Thorin ci pensò per un attimo, chiedendosi come rispondere. Poi disse: «Hai mai incontrato Bilbo Baggins?»

«Sì, a Imlardis» disse Legolas «Era rimasto molto sulle sue dopo la Battaglia e non ne ebbi l'opportunità allora. Perché?»

«Lo amo» Thorin lasciò che le parole infine volassero nel mondo, e si meravigliò della loro semplicità. Era più semplice di quanto non avesse mai pensato. «Lo amo, e non posso essere con lui.»

Quando si voltò, Legolas lo guardava con una nuova compassione nella sua espressione. Si meravigliò di aver imparato a leggere tanto bene i volti Elfici. Gli erano sempre sembrati tanto immobili, prima. «No, non avere pietà per i morti» disse, e sorprese persino se stesso con la gentilezza della sua voce «La mia vita la spesi bene, al servizio del mio popolo. Ciò è una fine migliore e un onore più grande di quanto avessi mai creduto, un tempo, quando l'oro era l'unica cosa che mi sembrava avesse un valore.»

«Però, amare e perdere non è una ferita da poco» disse Legolas piano.

«No, non lo è» confermò Thorin «Non voglio vedere altri soffrire inutilmente in questo modo. Anche tu mi incolpi, come Gimli?»

«Ancora non lo so» disse Legolas «Vedremo.»

«Uhm» ciò l'avrebbe infuriato un tempo: quella stana pazienza Elfica. Ora Thorin spostò il peso su una gamba e incrociò le braccia, guardando Gimli che interagiva con i suoi amici e la sua famiglia. «Non lasciare che ti spinga via.»

«Perché lo fa?» disse Legolas, e alzò nuovamente gli occhi «Mi confonde!»

«Non è il mio compito dirtelo» sospirò Thorin «Io non sono d'accordo con lui, e questa è la base del nostro litigio.»

«Anche tu lo sapevi?» Legolas deglutì, anche se la sua espressione non cambiò «Sapevi che Gimli era... a conoscenza del mio... del mio interesse?»

Thorin esitò, e il silenzio durò un po' troppo.

Gli occhi di Legolas si chiusero. «Ah.»

«Che disastro» sussurrò Frerin.

Infine le lacrime di Gimli sembrarono essere finite. Frerin si tirò distrattamente una delle sue corte trecce sulle guance, prima di guardare il nero cielo notturno. «Forse dovremmo tornare più tardi?»

«Vorrei che restaste» disse Legolas «Se è permesso.»

Frerin fissò a occhi sbarrati l'Elfo.

«Mio fratello, Frerin» disse Thorin, e Legolas si accigliò.

«È così g-»

«Bello» esclamò Frerin «Sì, lo sono, ed è un terribile peso per me ma in qualche modo riesco a sopportarlo.»

Thorin mise una mano sul collo di Frerin e lo strinse in modo rassicurante. «Nadad» mormorò «Non intende insultarti.»

«Lo so, lo so» sospirò Frerin, e lanciò un'occhiata a Thorin.

«Non riesco a crederci» la mano di Gimli si mosse come se volesse toccare la spalla di Fíli, e poi sembrò controllare il movimento «Non riesco a credere di vedervi qui. Sto sognando?»

«No, cuginetto» disse Fíli, sorridendo «E non hai nemmeno bevuto, prima che te lo chieda.»

«Cuginetto!» sbuffò Kíli «È più grosso di noi ormai.»

«Io sarò sempre il vostro cuginetto» disse Gimli, il suo cuore nella sua voce.

«Quei due li ricordo bene» disse Legolas, e Thorin sentì la propria mascella che si contraeva.

«Come dovresti» fu la sua tesa risposta.

La notte passò allegramente per Gimli, almeno: circondato da amici e famiglia, cantò piano sottovoce e parlò dei vecchi tempi mentre puliva la sua ascia da battaglia. Legolas rimase vicino, ma non lo interruppe. Molti della Grigia Compagnia lanciarono occhiate confuse al Nano (che doveva sembrare piuttosto scosso dal viaggio per i Sentieri), ma Legolas scosse la testa verso i loro e loro lo lasciarono perdere. Uno alla volta, la gente di Thorin parlò con Gimli e poi se ne andò per cercare i propri letti nelle Sale.

Thorin rimase. Frís gli lanciò un'occhiata mentre se ne andava, e lui agitò un mano. «Riposerò» le disse.

«Meglio che tu lo faccia, ragazzo mio» disse lei, tirandogli un orecchio. Poi prese Frerin (nonostante le sue lamentele) e la luce stellare li ingoiò entrambi.

Infine, quando l'alba di avvicinava, Aragorn prese Legolas da parte. «Cosa ti tormenta?» chiese «Ci vêr? Non sei te stesso da quando passammo la Porta Oscura. Ciò avrebbe scosso il cuore più forte, ma i Sentieri non ti hanno afflitto come il nostro Nano...»

Legolas andò verso il Ramingo, la sua espressione immobile inquietante in un certo senso. «Perché Gimli crede che sarà lo strumento della mia morte?»

Aragorn si accigliò, e poi il suo volto sbiancò. «Cosa?»

Legolas non si ripeté, ma si limitò a fissare Aragorn con il suo strano e penetrante sguardo Elfico.

«Quando partiamo, Aragorn?» urlò Elrohir «Il sole si alzerà a momenti!»

«Preparate i cavalli» urlò Aragorn, e poi strinse la spalla di Legolas e disse piano: «Sono io l'autore di ciò, e mi dispiace. Gli ho parlato di Arwen.»

La fronte di Legolas si aggrottò leggermente. «Della Stella del Vespro? Ma io non sono un Peredhil.»

La luce dell'alba apparve all'orizzonte, e Aragorn la guardò, prima di dare una pacca sulla spalla di Legolas. «Il giorno finirà in un tramonto rosso» borbottò «Andiamo in battaglia. Non lasciare che le mie parole vi separino, non quando il pericolo è davanti a noi e un bagno di sangue ci aspetta. Fate pace, e più che pace! Ah, sono stanco di guardarvi che girate in cerchio l'uno attorno all'altro!»

Legolas scosse la testa. «Aragorn, cosa...»

Ma il Ramingo era andato, le lunghe gambe si muovevano verso Elrohir che aveva sellato e sistemato Brego.

«Svegliati, mia stella» disse Thorin e si inginocchiò accanto alla testa di Gimli «Il viaggio continua.»

Gimli batté le palpebre e si sedette sulle coperte. «Ah» gemette e si strofinò il volto. La sua barba era un disastro, e si grattò la pancia mentre sbadigliava. «Questa luce è tremenda! E ieri è successo davvero? Non riesco a crederci – da tale terrore a tale rabbia a tale gioia. Mi sembra di essere stato calpestato, eppure la vera battaglia non è nemmeno iniziata.»

«Mi perdoneresti, Gimli?»

Gimli lo guardò da sopra le sue mani. «Non sono molto pronto al perdono di prima mattina, se mi perdonerai, mio Signore» disse secco «Ma suppongo di dovere. Come mio zio mi ha fatto notare, sei il mio Re.»

Thorin si sedette accanto a Gimli e appoggiò le braccia sulle ginocchia. «Non lo sono. Dáin è il tuo Re, ed è un buon Re.»

Gimli rise. «Non hai sentito? Ogni tanto cambiano. E anche Aragorn è il mio Re. Posso averne quanti voglio. Ce n'è in abbondanza qua in giro, dopotutto. Anzi, non era forse Thrór quello che vidi ieri notte accanto ai miei cugini?»

Thorin sorrise. «Grazie, Gimli.»

«Non ringraziarmi. Questa sarà una brutta conversazione, e io non te la lascerò passare liscia. Non dopo il tuo scherzetto»

«Ah-ha» il sorriso di Thorin non diminuì. C'era sempre questo, il grande dono che Gimli gli dava: risate e un cuore più leggero. «Allora sarò giustamente punito.»

«Nnngh» Gimli si buttò di nuovo sul sacco per dormire e si strofinò gli occhi «E l'aria puzza ancora di quegli orridi traditori non morti. Ebbene, devo bere dal boccale che io stesso mi sono versato, suppongo. Non sarò arrabbiato con te per averlo mescolato.»

«Dovreste arrivare presto all'Anduin» disse Thorin, e guardò Gimli che si stiracchiava come un leone pigro «E i tuoi capelli sono atroci.»

«Sono certo che agli Orchi e agli spettri non importerà» borbottò Gimli, ma fece lo stesso lo sforzo di sistemare la nuvola rosso acceso dei suoi capelli in un coda da guerriero.

«Stai facendo un disastro» commentò Thorin.

«Oh, zitto tu» borbottò Gimli, e torse il collo dall'altro lato per recuperare una ciocca che non aveva preso. Il vento la faceva volare avanti a indietro.

«Ecco» disse improvvisamente una voce, e Legolas fece un passo avanti e mise le mani su quella di Gimli «Posso?»

Gimli si congelò.

Thorin si congelò.

«Forse dovresti andartene» disse Gimli sottovoce.

«Non per tutte le gemme di Erebor» disse Thorin non senza soddisfazione «Nemmeno per l'Archepietra stessa.»

La mano di Gimli si ritrasse, e Thorin notò che le sue dita tremavano leggermente. «Fai come vuoi» disse infine Gimli all'Elfo, e Legolas si accigliò.

«Mi sto prendendo troppe libertà?»

«Sì, direi di sì» disse Gimli piano «Ma ne sono felice.»

Legolas esitò per un momento, le mani ancora posate sugli accesi, spettinati capelli di Gimli. Poi incrociò le gambe sotto di sé, muovendosi tranquillamente e deliberatamente come se si stesse sedendo su un altro talan Elfico e non sul terreno freddo e duro, e iniziò a separare le ciocche per fare una lunga, stretta treccia.

Il volto di Gimli era uno spettacolo. Thorin si trovò a non riuscire a fissarlo a lungo. Le sue guance avevano preso colore e le sue orecchie erano di un rosso acceso quasi quanto quello dei suoi capelli, ma le sue labbra erano serrate.

«Perché dovrei morire per amarti?» disse Legolas, un sussurro lieve come l'aria che bisbigliava nella Valle.

«Perché devi essere un Elfo?» rispose Gimli, ugualmente piano.

«Per lo stesso motivo per il quale tu devi essere un Nano: perché è ciò che sono»

«Non può succedere. Non con in palio la tua vita. Aragorn me l'ha detto»

Legolas strinse delicatamente uno dei fermagli di Gimli sulla treccia, e poi continuò a lavorare lungo il resto dei capelli. Le sue lunghe dita volavano, abili e pratiche. Sembravano stranamente restie a lasciare la ruvida e scompigliata chioma Nanica. «Ho parlato con Aragorn. Mi dice che è colpa sua. Perché allora – cosa ti ha detto?»

Gimli chiuse gli occhi e rimase in silenzio per un istante, e poi disse: «Gli Elfi possono morire d'amore.»

Legolas continuò a lavorare, e attorno a loro i Dúnedain riprendevano i loro zaini come se si stessero muovendo in un mondo diverso – come se occupassero la stessa dimensione d'ombra di Thorin, guardando per sempre rimosso dallo stranamente privato e intimo momento. La rabbia era stata messa da parte, raffreddata per ora ma non estinta. Questa strana pace sognante l'aveva sostituita: la calma prima che il tuono faccia tremare l'aria.

«Aye» disse Legolas dopo un momento che si era allungato fin quasi a spezzarsi «Possiamo. È raro, ma possiamo.»

Gimli non disse nulla.

«Allora mi avresti levato la scelta?» disse Legolas, ancora piano, e mise un altro fermaglio sulla treccia, vicino alla metà, tenendola stretta «Mi avresti fatto soffrire e disperare?»

«Se tu non...» disse Gimli, e si interruppe. Si masticò il labbro per un attimo, e poi disse: «se tu non mi ami, allora tu non muori. Non voglio che tu muoia, Legolas. Non puoi morire. Non lo sopporterei.»

«Non hai il diritto di dirmi ciò» mormorò Legolas «Non puoi ordinare al mio cuore di fare ciò che vorresti. Ah, anima coraggiosa, non egoista ma di certo arrogante! Se morirò allora morirò, e lo farò con una canzone sulle labbra. Ma tu non potrai scegliere se accadrà o meno. Solo io posso. E l'ho fatto.»

Gimli fece un suono come se fosse stato preso a pugni. «Oh, Legolas, sanmelekuh, âzyungeluh… birashagimi, birashagimi!»

«Io mi struggerei, Gimli» disse Legolas, e tirò strettamente la grande massa di rosso infuocato per formare l'ultima sezione della treccia «Appoggerei la testa per terra e piangerei per ciò che non è mai stato. Ti desidererei per sempre, e nel desiderio ci sarebbe l'amara conoscenza che tu avevi previsto tutto ciò e non avevi fatto nulla.»

«Non è così» riuscì a dire Gimli, ma Legolas tirò la treccia – un avvertimento: stai zitto.

«E poi, giacerei lì e saprei di essere morto per un sogno» disse Legolas «Preferirei molto poterlo vivere.»

«Ma io sono un Nano, Legolas! Sono mortale!»

«Sì, lo sei» Legolas strinse l'ultimo fermaglio, e poi passò una mano sulla pesante, grossa treccia: il colore sbiadito senza essere gli oli, e senza dubbio la consistenza era secca per le pessime condizioni «Sei molto mortale, e sei in tutto e per tutto un Nano.»

«E quando andrò?» disse Gimli, e fece un grande respiro, e poi un altro «Cosa succederà a te? Cosa succederà allora?»

«Allora si vedrà» disse Legolas serenamente «Io non prevedo il futuro, Gimli – non sono Lord Elrond. Queste cose non sono certe, il rischio esiste, vero, ma non è inevitabile. Non è più certo di sopravvivere in battaglia, e noi ne abbiamo viste molte e molte ne vedremo. Io dirò questo, però: preferirei spirare sapendo cosa vuol dire amare, che morire struggendomi per qualcosa che non è mai stato.»

Gimli sussultò. «Io... non capivo.»

«Avresti dovuto chiedere»

«Eri scomparso!»

«Avresti dovuto trovarmi, Nano esasperante» sussurrò Legolas, e appoggiò il volto contro la treccia «Avresti dovuto trovarmi.»

La mano di Gimli si alzò oltre la sua spalla, e Legolas la prese e la strinse. «E il lutto mortale? Quanto a quello? Ne avevi paura, nei campi di Rohan. E ora io sarò il suo autore. Come pensi io possa sopportare questo senso di colpa?»

«Se il lutto mortale mi prenderà quando il dono mortale prenderà te» disse Legolas, e strinse la mano di Gimli «allora così andrà. Ma avrei una luce da stringere nell'oscurità. Avrei un ricordo di gioia da portare con me contro la marea del dolore. Aragorn parla col suo stesso senso di colpa, ma non ne deve portare. Gli Elfi amano dove desiderano, e questo dono non viene dato alla leggera. Arwen ha fatto una scelta, e così ho fatto io.»

«La Stella del Vespro può vivere come una mortale, grazie alla scelta del suo sangue Mezzelfico» disse Gimli «O così dice Aragorn. Lei non dovrà sopportare lunghe ere dopo che lui tornerà alla pietra!»

«Ere fredde, ere solitarie senza ricordo di fuoco o calore» Legolas si alzò e si mise davanti a Gimli, magro e fiero e orgoglioso «Gimli figlio di Glóin, mi ami?»

Gimli guardò su verso Legolas, e Thorin non l'aveva mai visto tanto perso, o tanto profondamente, completamente adorante. «Devo dirlo?»

«Aye, devi» disse Legolas «In questo, Gimli, devi imparare a fare come gli Elfi. Questo è il presente, e il tempo passerà indipendentemente da ciò che facciamo. Quando tutta la Terra di Mezzo è sull'orlo di un precipizio e la speranza è nelle mani degli Hobbit, qual'è la differenza fra un Elfo e un Nano? Entrambi potremmo non vedere l'alba di domani.»

«Ti legheresti a un vecchio Nano rimbambito, che si asciuga il mento e si massaggia i piedi doloranti?» Gimli scosse la testa «No. No.»

Legolas, incredibilmente, rise. «Le stagioni passeranno e tu invecchierai e io no, e io ti amerò. Gli alberi diverranno rossi e oro e i tuoi capelli argento, e io ti amerò. I tuoi occhi diventeranno spenti e le tue gambe doloranti, e la tua grande forza inizierà a scomparire e io ti amerò ancora. Vuoi spaventarmi con la consapevolezza del fatto che tu invecchierai? Gimli. Non ho paura, e ti amo. Tu mi ami?»

Gimli esitò, e poi si prese la testa fra le mani. «Sì» disse, soffocato, prima di fare un lungo, tremante respiro «Sì. Tu sei il mio Sanâzyung. Ti amo. Ti amo, Legolas di Boscoverde. Con tutto ciò che ho.»

Sorridendo, Legolas si inginocchiò davanti a lui e allontanò le sue grandi mani dal suo volto e baciò il dorso di una, così lentamente, così dolcemente. «Bene» sussurrò «Bene.»

Thorin fece un sospiro esplosivo. «Barba e palle di Durin, finalmente!» ringhiò, e lasciò che la stelle del Gimlîn-zâram lo portassero via.

(Non aveva davvero voluto farsi sfuggire un saltello mentre se ne andava, ma alcune cose non si possono fermare)

TBC...

Note

Alcuni dialoghi presi dai film e dai capitoli “Il Passaggio della Grigia Compagnia” e “L'Adunata di Rohan”.

I Mezzelfi: a differenza degli altri Elfi, i Mezzelfi potevano scegliere il loro fato. Possono essere contati fra gli Elfi Primogeniti (Elrond scelse questa strada) o tra i Secondogeniti, gli Uomini (suo fratello Elros scelse questa strada, e divenne il primo Re di Númenor). Anche ai figli di Elrond fu data questa scelta. Arwen scelse una vita mortale.

Svanire” vs “Morire di dolore” - descrivono due modi diversi in cui gli Elfi di Tolkien possono morire oltre che per ferite mortali. Gli Elfi non svaniscono quando muoiono di dolore o di amore. Invece si sdraiano e le loro anime lasciano il corpo, che rimane giovane. “Svanire” si riferisce a quando un Elfo diventa tanto vecchio che inizia letteralmente a sparire – diventano lentamente trasparenti fino a scomparire del tutto.

Lo scheletro alla porta dei Sentieri dei Morti è del Principe di Rohan, Baldor, che nel 2569 TE (quasi 450 anni prima) aveva deciso di attraversare il sentiero. Non tornò mai, e suo padre Re Brego morì un anno dopo di dolore.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 34
*** Capitolo Trentaquattro ***


Bilbo si svegliò. Di certo si era solo appisolato un attimo? Dannazione. Dov'era il suo libro? Ce l'aveva avuto in grembo solo un attimo fa.

«Se l'hai preso di nuovo, Erestor» disse irritato, e poi batté le palpebre sentendo la sua voce; non più roca e esitante, era chiara e rapida e decisamente infastidita.

Quindi. Era ancora quel sogno, quello che non ricordava mai bene quando si svegliava. Guardò le proprie giovani, lisce mani, e poi se le passò sul volto. Pelle soffice salutò le sue dita, senza la secca mollezza dell'età. Non c'era troppa luce, dovunque lui fosse, e si guardò attorno. Era seduto su un qualche tipo di cassettiera, e l'aria sapeva di chiuso ed era calda e rilassante.

Ci fu un gemito alla sua sinistra.

Bilbo girò la testa di scatto, i suoi ricci castani rimbalzarono ai lati della sua visione. C'era un letto contro al lato della stanza, con sopra un paio di coperte fatte a mano consumate e con una spessa pelliccia nera alla fine. Riusciva a malapena a riconoscere la figura sotto tutti quelli strati.

Si accigliò quando un paio di grandi mani squadrate uscì da sotto le coperte, chiudendosi in aria come se chiunque fosse il proprietario si stesse stiracchiando. La persona (persone?) fece un altro gemito, e poi ci fu il suono di dita che sfregano pelle coperte di pelo. Una grattata? Decisamente.

E poi le sopracciglia di Bilbo si alzarono quando Thorin Scudodiquercia, nudo fino alla vita e coi capelli più spettinati che Bilbo avesse mai visto, si sedette sul letto e si strofinò la faccia. Sbadigliò, e Bilbo avrebbe potuto contargli tutti i denti nella testa. «Avresti dovuto parlare prima, mia stupida stella» disse con voce piuttosto soddisfatta, continuando a grattarsi lo stomaco distrattamente. Sembrava tremendamente compiaciuto di qualcosa.

Oh, cavolo Bilbo non sapeva dove mettere la faccia Non questo, non ora, non lui! Thorin stava muovendo le gambe sotto le coperte, ancora mezzo addormentato, e ovviamente stava per alzarsi. Bilbo sentì le sue orecchie che iniziavano a bruciare, e sapeva che tutto il suo colto era rosso come un pomodoro.

Si ricordò tutto di colpo: in piedi nei prati assolati di Granburrone e fissare il proprio volto, invecchiato oltre immaginazione. Imparare che questi piccoli sogni ad occhi aperti erano più che sogni. Trovare che i fantasmi, per quanto improbabile suonasse, erano molto, molto più delle storielle superstiziose di bambini spaventati e creduloni.

Scoprire che questo pomposo, regale, intollerabilmente maleducato idiota lo pedinava da ottant'anni!

Il momento in cui Thorin lo notò fu ovvio, e si bloccò tanto completamente che avrebbe potuto essere fatto davvero di pietra.

«Devi girare sempre mezzo nudo?» esclamò Bilbo, e incrociò le braccia e guardò via. Insopportabile, insopportabile Nano attraente.

Gli occhi di Thorin andarono sulle sue gambe, dove era ancora posata la coperta. «Ho una coperta.»

«Davvero è tutto quello che hai da dire?» le orecchie di Bilbo tremarono per l'irritazione, e alzò gli occhi verso il soffitto. Era stranamente familiare, anche se non riusciva a riconoscerlo. «Vattene. Non ho nulla da dirti.»

«Bilbo» disse Thorin lentamente, e le narici di Bilbo si dilatarono «Mastro Baggins» si corresse in fretta.

«Non mi hai sentito?» disse Bilbo, continuando a fissare su. Non avrebbe guardato quel Nano ridicolo e sentito le sue scuse ridicole. No grazie! «Ho detto che non ho niente – anche meno di niente! - da dirti, quindi se non ti dispiace, buon giorno e vai! Via!»

«Ti ho sentito, Mastro Baggins. Ti lascerò, allora» disse Thorin, basso e deferente «Se posso vestirmi, me ne andrò. Non rimarrò a causarti dolore.»

«Causarmi – oh tu, tu insopportabile-» Bilbo sputacchiò, e le sue mani si strinsero sulle sue braccia «Gentilmente spariresti e basta? Stava perfettamente bene finché non hai deciso di intruderti, sdraiato lì spoglio come un'arancia sbucciata, addormentato e nella mia stanza! Dovrei -»

«Bilbo» disse Thorin lentamente, e poi sembrò esitare, come irritato con se stesso per averlo interrotto «Scusami, scusami per averti interrotto, ma – sei nelle mie stanze. Non te ne sei accorto?»

Ciò fece tornare gli occhi di Bilbo a Thorin, spalancati per la sorpresa. «Le tue stanze? Aspetta, com'è possibile?»

Gli occhi di Bilbo erano allo stesso livello dei suoi, così, e stava guardando direttamente il volto di Thorin. Il Nano sembrava abbastanza uguale a un tempo, quasi precisamente identico in effetti. Come se tutti quegli anni non fossero passati. «No lo so» gli disse, e Bilbo arrossì di nuovo e guardò via.

Ora che ci stava attento, era ovvio che questo non era Granburrone. Gli angoli erano quelli di rigide forme geometriche associate all'arte Nanica, e non c'era una sola foglia verde in vista. Non era un posto grandioso come l'aveva immaginato: piccolo e stretto e senza nessuna decorazione. Le mura erano di un qualche tipo di pietra grigia, con screziature nero brillante, come certi marmi che si ricordava dalla sua infanzia lontana.

«Allora» disse Bilbo, e si schiarì la gola «Sembrerebbe che sia io il presuntuoso – per una volta.»

«Presumi quanto vuoi» disse Thorin, e mise i gomiti sulle ginocchia e si guardò i piedi nudi «Non te lo impedirò. Mi farebbe piacere.»

Oh per - ! «Non era l'espressione di un desiderio di un qualche sciocco invito, grosso idiota galoppante» disse Bilbo, piuttosto freddamente «Era l'opportunità perfetta per scusarti per il tuo spiare e guardare. Una che hai mancato, naturalmente.»

«Ah» i capelli annodati di Thorin gli ricaddero sul volto, che era toccato da una leggerissima traccia di rossore «Le mie più sincere scuse, Mastro Baggins. Mi sono intruso nella tua vita in modo molto inappropriato, e ne sono dispiaciuto dal profondo del cuore.»

«Bontà, ti scusi molto bene quando decidi di farlo, eh?» commentò Bilbo, e Thorin alzò lo sguardo.

«Mi dispiace» disse, secco e senza alcuna traccia di finzione.

Bilbo strinse le labbra. «Non pensare di essere perdonato!» disse, e agitò un dito minacciosamente. Tutta quella – quella Nanicità, e i muscoli, e le spalle, e capelli dall'aspetto morbido pronti per essere afferrati – basta. «Perché sono molto, molto arrabbiato. Molto arrabbiato, e per un sacco di cose, non solo per il fatto che mi hai spiato, e – oh, per favore, mettiti una maglia, non riesco a parlarti così!»

Thorin batté le palpebre, e poi si strinse la coperta attorno ai fianchi e si alzò. «Molto bene, lo farò...»

Acri di pelle coperta di peli fini, e braccia tatuate e no, no, oh nonononononono. Bilbo strinse i denti e i suoi occhi scattarono di nuovo verso il soffitto. «Oh, dannazione.»

Thorin evidentemente decise di non interessarsi alla questione, mostrando finalmente qualche discrezione. Bilbo fissò il soffitto mentre sentiva l'altro che si muoveva per la stanza, evidentemente vestendosi il più in fretta possibile.

Anche se ad essere onesti, forse Bilbo avrebbe dovuto guardare Thorin che si vestiva? Chi sa cosa quel fastidio arrogante avesse fatto, girando e mettendo il suo naso Nanico fuori misura negli affari di Bilbo senza nemmeno chiedere permesso? C'era una sola cosa della vita di Bilbo che non fosse come un libro aperto per Thorin? Non gli era concesso nessun segreto?

Rimase a in silenzio per un momento, e poi un altro gemito fece tornare i suoi occhi a Thorin che lottava con una tunica blu. I suoi capelli erano per metà impigliati nel collo della tunica e per metà sul suo volto. Era tanto diverso dal Thorin Scudodiquercia che conosceva Bilbo che lui non poté fare a meno di fissarlo.

E poi il Nano, evidentemente imbarazzato dalla sua chioma recalcitrante, afferrò la spazzola sulla cassettiera. La cassettiera su cui Bilbo era seduto. La sua mano era passata direttamente attraverso la gamba dello Hobbit!

Le sopracciglia di Bilbo sparirono fra i suoi capelli, e sentì la sua faccia che ricadeva nella sua espressione più Baggins mentre Thorin lentamente si girava per guardarlo. «Ancora, le mie scuse» disse.

«Non te la stai cavando tanto bene, sbaglio» disse Bilbo, e non era una domanda. Thorin gemette, senza nemmeno cercare di nasconderlo, e si sedette sul letto e giocherellò con la spazzola nelle sue mani.

«Apparentemente no» disse amaramente.

«Nani» sospirò Bilbo.

Thorin non si mosse, seduto sul letto con la tunica messa di fretta tutta spiegazzata sulle spalle, i capelli un disastro e il volto pieno di frustrazione. Bilbo pensò brevemente a lasciare la testarda cosa maleducata al suo malumore, ma qualcosa lo fermò.

Thorin era diverso. Qualcosa in lui... era diverso.

Bilbo si era aggrappato il più forte possibile ai suoi ricordi mentre gli scivolavano via, e quelli di Thorin erano stati i più cari e i più dolorosi di tutti. Li aveva nascosti come se fossero stati premuti sotto a della carta. Gli aveva fatto la guardia come un drago fa la guardia al suo tesoro. Li aveva tenuti segreti e privati per tutti quegli anni, più preziosi e pericolosi di qualsiasi anello.

Aveva pensato di sapere tutto di Thorin Scudodiquercia; nobile, determinato, arrogante, ossessionato, solenne e imponente Thorin Scudodiquercia, che faceva sembrare gli stracci di Pontelagolungo abiti di seta e velluto. Thorin Scudodiquercia, che una volta era cambiato davanti agli occhi di Bilbo e non in meglio.

Ma questo Thorin era seduto lì, senza pretese né solennità. Non era minimamente maestoso. Solo un Nano dopotutto. Era semplicemente seduto lì e aspettava, coi capelli disordinati, le gambe nude sotto la tunica stropicciata e la barba spettinata dal cuscino. Una calma contrizione era scritta su ogni linea del suo volto.

Bilbo non aveva mai associato la pazienza a Thorin – né l'umiltà.

Stuzzicava il suo interesse. Lo intrigava.

«Oh, bene» disse a se stesso, e scese dalla cassettiera.

Thorin guardò Bilbo che si fermò di fronte a lui. Lui deglutì vedendo la scintilla di speranza negli occhi di Thorin, così in contrasto con la sua espressione rassegnata. «Dunque» disse, e represse l'istinto di dondolarsi e l'improvviso imbarazzo. Bontà, quanto assurdo era tutto ciò! «Queste sono le tue stanze? Dove, esattamente?»

«Io sono morto, Bil- Mastro Baggins» disse Thorin gentilmente, e Bilbo sbuffò.

«Sì, questo lo so. Non sono un imbecille, solo un po' smemorato. Non è colpa mia se non mi ricordo mai questi sciocchi sogni quando mi sveglio. Quindi. Dove sono? Mi sembra sia educato lasciarmi sapere dov'è che continuo a finire»

«Queste sono le Sale di Mahal» gli disse Thorin, e tenne gli occhi sulla spazzola fra le sue mani, tenendo i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Bilbo si accigliò, cercando nella sua pessima memoria.

«Mahal, vi ho già sentiti dire questo nome» disse, e si picchiettò il labbro con un dito.

Il volto di Thorin non si mosse, ma i suoi occhi sorrisero e Bilbo soppresse la piccola capriola del suo stomaco nel vederlo. Piantala! «Senza dubbio» disse «Mahal è colui che voi chiamate Aulë. È il nostro Creatore, il padre di tutti i Nani.»

«Oh» Bilbo rimase in silenzio «La tua stanza?»

«Aye»

«È... più spoglia di quanto mi sarei aspettato» disse Bilbo, e colse l'opportunità di guardarsi attorno. Era davvero spoglia, così diversa dalle sale di un re. Thorin apparentemente viveva semplicemente nell'oltretomba. Un letto, sorretto da dei giunchi, quella montagna di coperte, una pelliccia per i piedi. Un baule, in legno e senza decorazioni, per i vestiti forse. Un tavolo con delle carte ammucchiate in una piccola pila. Una cassettiera, lo specchio di ottone con primule e caprifogli lungo i bordi. Quanto... non-Nanico. Un vassoio di legno pieno di fermagli e orecchini, tutti luccicanti dei riflessi grigi dell'acciaio. Stivali vicino alla porta – argh, perché qualcuno dovrebbe indossare cose simili – e dei vestiti gettati su un cesto. Una grossa lima, sul tavolo dove non dovrebbe essere stata. A cosa servirebbe una cosa simile in una stanza da letto? Tsk. «Al confronto il mio angolino a Granburrone è quasi un palazzo.»

La schiena di Thorin si raddrizzò leggermente, e c'era una certa durezza nella sua voce quando disse: «Ho trovato di essere molto meno interessato alla ricchezza ora. Non la avrò vicino a me. Mai più. Mai.»

«Sì, suppongo di sì» disse Bilbo distrattamente, e poi le parole registrarono e lui si voltò per guardare Thorin accigliato. «Oh, di certo non hai ancora paura di-»

Thorin rimase seduto fermo come una pietra.

«Oh» Bilbo si rimpicciolì un poco «Oh.»

«Scusami» disse ancora Thorin, e le parole ora sembravano dure e testarde nella sua bocca «Me ne andrò.»

Oh. Beh, non era questo che Bilbo voleva? Che questa piccola spia impiccione lo lasciasse solo?

La parte Tuc di Bilbo sussurrò: bugiardo.

Zitto gli disse Bilbo fermamente Se non fosse per te, non saremmo in questo posto tanto per cominciare.

Vuoi sapere perché è così diverso. Perché ha osservato te, fra tutte le creature. Perché è stato così maleducato.

Bilbo non era diventato più bravo a resistere alle tentazioni di quanto non lo fosse stato a cinquant'anni. Sospirò e si sedette accanto a Thorin. «No – non andare» disse, e si strinse le mani per tenerle ferme e guardò verso di esse e decisamente non verso Thorin «Andiamo, non ti farei scappare via dalle tue stanze!»

«Ma mi allontaneresti dalle tue, e quindi ti lascerò in pace, Mastro Baggins» disse Thorin, e fece per alzarsi.

«Beh, se facessi a te tutto quello che hai fatto a me, avremmo altri ottant'anni da passare e dovremmo trovarci dei bastioni» esclamò Bilbo «Siediti.»

Dannazione. La sua lingua era sempre stata un po' troppo affilata. Si fece forza per affrontare la rabbia di Thorin, ma non arrivò. Invece, comprensione e rimorso brillarono sul volto di Thorin, e lui rimase calmo mentre si sedeva di nuovo.

Così cambiato! Come aveva fatto a cambiare tanto completamente? Perché non avrebbe ruggito a Bilbo? Dov'era quell'accenno di risentimento che era sempre stato appena sotto la superficie della sua espressione dignitosa; quell'aria di terribile tragedia e di desiderio di vendetta?

Gli occhi del Nano andarono a Bilbo, e poi tornarono davanti a sé. «Mi...»

«Se mi dici ancora che ti dispiace, me ne andrò e non tornerò» Bilbo alzò un dito in aria «Non finché non avrò avuto delle risposte, e fatto sentire una o due delle mie opinioni! Allora ascolterò le tue sciocche scuse, e non prima.»

Thorin aprì la bocca, e allo sguardo furioso di Bilbo, la richiuse.

«E poi, sembri un pony arruffato, usa quella tua spazzola» Bilbo tirò su col naso e incrociò le braccia «Su.»

Thorin lo guardò di sottecchi, e molte espressioni passarono sul suo volto, da arrabbiato ad amaro a leggermente divertito. Ma non disse una parola. Invece, alzò la spazzola e iniziò a passarla nel folto disastro annodato che erano i suoi capelli, gemendo quando se li tirava.

«Bene, ora che hai un'occupazione utile» borbottò Bilbo, leggermente sorpreso. La sua insolenza aveva avuto dei risultati, ma non quelli che si era aspettato. Quindi Thorin non era del tutto diverso: aveva visto rabbia e irritazione lì. Aveva ancora tutto il suo amato orgoglio, ma non sembrava che fosse ancora superiore alla sua ragionevolezza.

Lo Hobbit si mise più comodo e si girò leggermente verso Thorin. «Ho delle domande. No, non parlare ancora!»

Thorin si morse il labbro inferiore.

«Voglio risposte, non motivazioni. Mi capisci?»

«Aye»

«Bene» Bilbo tirò su col naso e scalciò coi piedi pelosi per un momento, lo stomaco pieno di farfalle. Ora che le risposte erano così vicine, non sapeva se le voleva davvero.

Esitando, Bilbo pensò a qualcosa da dire, qualsiasi cosa. Il suo sguardo cadde su una pelosa, nuda gamba Nanica e lui arrossì di riflesso, prima che i suoi occhi andarono a quei piccoli piedi senza peli e con le dita minuscole. Non poté fare a meno di esclamare: «i tuoi piedi sono ridicoli. Nemmeno un riccio. Ho visto bambini con più peli sui pollici.»

«Era una domanda?» la bocca di Thorin si stava incurvando. Confuso, stupido Nano.

«Solo un'osservazione» disse Bilbo altezzoso, e sbuffò quando Thorin lo guardò curiosamente «Prima domanda: perché mia hai spiato? E sto usando molto attentamente la parola spiato. Più che altro perché non vorrei usare la parola perseguitato, per quanto possa essere appropriata. Ebbene?»

Thorin rimase in silenzio mentre ci pensava per un momento. «Mastro Baggins» iniziò, e poi fece un respiro profondo «Perché ti ho ferito, e ti ho lasciato solo. Perché ti amo, e penso – perdonami – penso che tu provassi affetto per me. Perché devo fare ammenda, per tutto il male e il dolore e i pericoli che ti ho portato. E perché... perché mi piaceva. Perché volevo esserti vicino.»

I suoi occhi si chiusero. «Mi faceva felice.»

Bilbo si sentiva come se fosse stato colpito da un fulmine. Una strana sensazione era apparsa nel suo stomaco, facendo muovere le farfalle in modo piuttosto fastidioso. Si leccò le labbra, e poi se le leccò di nuovo.

Bene.

Lo faceva felice, ringhiò a se stesso, mentre una vocina nella sua testa iniziava a strillare perché ti amo, perché ti amo, ti amo, tiamo, perchétiamo; Oh, lo faceva felice, davvero, infilarsi nella vita di Bilbo come ne avesse il diritto! Lo faceva felice chiamare Bilbo suo, come un animale domestico?

Come osava-

- penso – perdonami – penso che tu provassi affetto per me.

Come se importasse! Non aveva nemmeno chiesto! Non aveva nemmeno – di tutta l'arroganza!

Thorin guardò su, e la preoccupazione attraversò quegli occhi chiari. «Bilbo?»

«No» sibilò Bilbo.

Thorin ingoiò le sue parole, e chinò il capo.

«Tu...» la voce di Bilbo si spezzò, e lui fece del suo meglio per far asciugare i suoi occhi sospettosamente umidi per un momento «sai, mi ero dimenticato com'eri quando pensavi di essere quello che sapeva tutto?»

Thorin rimase in silenzio.

Bilbo fece un respiro profondo e tremante, e poi alzò la testa. «Stupido Nano» disse «Beh, almeno stavolta non ti stai tuffando di testa nel pericolo. Solo nella mia vita.»

Thorin posò la spazzola, e si alzò lentamente ancora una volta. «Ti lascerò in pace» disse, e non incrociò lo sguardo di Bilbo.

«Siediti» disse Bilbo, secco come lo schiocco di una frusta.

Thorin si sedette.

«Io sono furioso con te» disse Bilbo, e si voltò per affettare Thorin col suo sguardo. Qualsiasi cosa ci fosse nel suo stomaco aveva preso fuoco. «Mettiamo per un secondo da parte la tua presunzione e il tuo spionaggio e la tua arroganza, va bene? Non ero da solo perché volevo stare con te, grosso sciocco idiota morto. Ero solo perché volevo esserlo. E sì, provo – provavo affetto per te» e pronunciò il più rapidamente possibile quelle parole. Sembravano instabili, come sabbie mobili, e lui continuò: «ma mi piace sapere quando ho compagnia, non importa di chi! Di certo la notte del nostro incontro te ne diede prova? Io non potei di certo dire sì, entrate e benvenuti, oh no, non ho nemmeno avuto scelta: siete tutti entrati come fate sempre voi Nani. Io pensavo di essere solo, Thorin! E ora scopro di non essere mai stato davvero solo. Per tutta la mia vita, la mia privacy non ha mai avuto nessuna importanza per te. Non ne avevi il diritto!»

Thorin sembrava piuttosto pallido, ma rimase seduto e ascoltò, il respiro rapido. «Bilbo, io -»

«Ma a te ovviamente non è importato!» Bilbo alzò le mani «E come ciliegina sulla torta, mi chiami tuo – come se mi possedessi, come se ti portassi la mia vita in tasca!»

Thorin fece un suono di dissenso, nella gola, ma Bilbo continuò senza dargli modo di interromperlo:

«Oh, e esaminiamo quella piccola perla di prima, che dici? Che devi fare ammenda. Ammenda come? Facendomi diventare uno spettacolino per divertirti?»

«No!» Thorin ruggì «mai!»

«E allora come, prego?» Bilbo lo guardò storto, anche se c'era una piccola parte di lui che era in qualche modo sollevata dal notare che Thorin poteva ancora scomporsi.

«Mi – mi è stato dato un dono» disse, e Bilbo lo osservò mentre tremava e faceva un respiro profondo, calmandosi più in fretta di quanto non lo avesse mai visto fare «Posso raggiungere la mente subconscia del mio ascoltatore nel mondo vivente. Ho provato a parlarti molte volte. A volte questo te stesso più giovane – il te stesso subconscio – ascolta. Il te stesso più vecchio a malapena mi sente.»

«E non hai mai pensato di dirmelo» Bilbo scosse la testa, e alzò le sopracciglia in segno di sfida «Non mi ricordo che qualcosa di simile sia successo.»

«Pensavo tu non fossi che la mia solitudine, che si fosse guadagnata forma e voce» sospirò Thorin «Non sono un esperto in questo genere di cose, e la mia mente mi è già stata traditrice prima.»

Oooooooh. Una piccola scintilla di pietà apparve nel petto di Bilbo, e lui si schiarì la gola. Questo... spiega parecchio. «Oh. Oh, capisco. Beh, ha senso, suppongo» Bilbo si torturò il labbro inferiore.

Ma non si sarebbe scusato, però! Nano insolente. Solo perché si sentiva solo non aveva il diritto di entrare nelle vite degli altri senza il loro permesso. «Ammenda, quindi...»

«Per come ti ho trattato» spiegò Thorin «Per averti portato tanto terrore, per trascinarti nella spirale della mia follia e paranoia. Per la mia crudeltà. Per -»

«Sì, sì, mi ricordo, ero lì» disse Bilbo irritato. Thorin avrebbe gentilmente smesso di stuzzicare sentimenti a lungo nascosti? Oh, perché aveva chiesto delle risposte! Accidenti, accidenti, accidenti. «E ne parleremo, segnati le mie parole:-» sul mio cadavere «- ma cosa intendi fare come ammenda?»

«Ho giurato di proteggerti» Thorin scrollò le spalle, e poi lasciò che ricadessero «E poi quando tu fosti al sicuro senza il mio aiuto, nella casa di Elrond, io controllai Frodo e la Compagnia al tuo posto. Ho fatto da guardia ai loro passi. Ogni Nano della mia famiglia e della Compagnia lavora giorno e notte, scrivendo rapporti sulla Guerra.»

Del ghiaccio scese lungo la sua schiena. Gli occhi di Bilbo si allargarono. «Cosa? Frodo è vivo? Sta bene? Sta mangiando?»

«Vive» annuì Thorin, e si girò verso Bilbo «Vive. Il suo peso aumenta di continuo, ma lui si avvicina ogni giorno di più al fuoco. Il mio ultimo rapporto dice che fosse su qualcosa chiamato le “scale di Cirith Ungol”, ai confini di Mordor.»

La mano di Bilbo andò alla sua bocca. «Oh, ragazzo mio» sussurrò, terrorizzato.

Thorin sembrò farsi forza per dire qualcosa di brutto. Più brutto. «Ha trovato una guida.»

«Una guida?»

«Gollum»

Bilbo sentì il suo intero volto che crollava, e un gemito acuto sfuggì alle sue labbra. «Oh no» sussurrò.

«Mi dispiace così tanto» disse Thorin, piano.

«Frodo, oh il mio Frodo» pianse Bilbo «Come puoi proteggerlo a Mordor? Come puoi proteggerlo da quella piccola scivolosa vile bestia? Come puoi proteggerlo da quell'orrore strisciante che è quel dannato, maledetto Anello? Come può chiunque?»

«Fatti forza» disse Thorin, e poi fece una smorfia alle proprie parole inutili «Frodo mi sente a volte, così come Sam. È più difficile ora che Gimli non è con lui, certo.»

Perché, cos'era successo? Si ricordava vagamente quel Nano rosso che si spazientiva facilmente al Consiglio, così simile a Glóin. Perché non era con la Compagnia? «Cosa gli è successo?» Bilbo tirò su col naso e se lo sfregò con la mano «Non è...?»

«Nay, è vivo» la testa di Thorin si chinò, e lui sembrò stranamente rattristato «La Compagnia è stata distrutta, ma vivono tutti tranne uno. Boromir.»

Oh bontà, mi aveva spaventato. Bilbo fece un sospiro di sollievo, e poi gemette. «Oh, mi dispiace...»

«No, è comprensibile. Io li conobbi tutti, mentre tu conosci solo i tuoi parenti» fece un sorrisetto a Bilbo «Tuo cugino Pipino ti somiglia molto.»

«Sciocchezze. Lavati la bocca. È un Tuc» Bilbo sbuffò.

«Lo sei anche tu» Thorin alzò le sopracciglia.

C'era una sola, singola cosa della sua vita che Thorin non conoscesse? Probabilmente sapeva i nomi di tutti i vicini e conoscenti di Bilbo, e quale delle sue piante di pomodori faceva i frutti migliori, quell'irritante spia. «Irrispettosi, invasivi, egoisti, cocciuti, fastidiosi Nani» borbottò Bilbo, e si strofinò ancora il naso «Dovrei rimanere qui tutto il giorno, farti assaporare la tua stessa medicina.»

«Come ho detto, sei il benvenuto» Thorin inclinò la testa «Hai il mio permesso di venire e andare quando lo desideri, senza riserve. Mi dispiace davvero di non aver cercato un tuo permesso. Per la mia presunzione, Mastro Baggins, soffrirò felicemente qualsiasi punizione tu desideri darmi.»

«Punizione!» Bilbo batté le palpebre, e poi si accigliò «Aspetta, pensi che io voglia punirti?»

«Perché no?» disse Thorin, sorpreso.

«Oh per...» Bilbo scosse la testa «Sul serio? Sono arrabbiato, ma non voglio farti del male, testarda creatura idiota.»

«Ho tradito la tua fiducia» obbiettò Thorin, e Bilbo sbuffò ancora.

«Ah, ma non prima che io tradissi la tua, quindi siamo pari. Non serve punizione»

«Pari» disse Thorin, piatto «Bilbo, ti ho isolato dalla mia Compagnia, ho versato il mio veleno nelle tue orecchie, ho stretto le mie mani attorno al tuo collo e cercato di strozzarti. Ho provato a gettarti dalle mura di Erebor. Ti ho portato in una battaglia disperata e ho portato via tutta la gioia che tu avevi nello stare a casa tua. Erebor è ora in mani Naniche grazie a te: il più caro, dolce sogno della mia vita. Ora capisco che ho persino portato via la tua privacy e ho supposto un livello di affetto che – no, Bilbo, noi non saremo mai pari. Ti devo troppo per questo!»

Bilbo ignorò la sfilza di azioni e torti: non era più di quanto non avesse detto a se stesso per quasi ottant'anni dopotutto. I suoi torti erano ancora più gravi, e per ancor meno. Frodo, ah, Frodo.

Ma – supposto un livello di affetto? Bilbo non si era provato, non aveva provato di averne, più e più volte? Non l'aveva fatto?

Così tanto per emozioni sepolte, per i suoi risentimenti e affetti a lungo meditati. Le orecchie di Bilbo si scaldarono, e sentì la sua rabbia che saliva lungo la sua pancia per entrare nella sua bocca. «Supposto un livello di» sputacchiò, e saltò giù dal letto per fissare Thorin. Parte di lui scosse la testa alla sua audacia, ma il resto di lui stava cavalcando l'onda della sua furia. «Scusami, Thorin così-dannatamente-chiamato Scudodiquercia, stai dubitando di me? Dubiti di me?»

«Non dubiterei mai di te, mai più, io-»

«Chi ha portato il tuo miserabile culo peloso fuori da Bosco Atro, eh?» esclamò Bilbo. Lo stesso impulso incosciente che un tempo lo spinse a affrontare draghi e frugare nelle tasche dei troll e rubare eredità reali senza prezzo ora gli sciolse la lingua. «Chi ha impedito che quell'Orco ti tagliasse quella testa piena di sassi? Chi è rimasto con te e ha cercato di farti mangiare, in quella lurida pila di oro avvelenato da una lucertola? Chi era che ha gettato via qualsiasi speranza di avere una buona opinione ai tuoi occhi per la possibilità di salvarti la pellaccia? Io, ecco chi, e ti ringrazierò se non dubitassi mai più del mio “livello di affetto”. La tua impudenza!»

«Lo so – Bilbo, lo so che l'hai fatto, e non potrò mai...» Thorin si strofinò gli occhi coi pugni e gemette «Non potrò mai ripagarti. Mai. Ti devo tutto, e non dubiterei mai di te. Ma. Io ti ho ferito.»

«Sì, mi hai ferito, e sì, ne sono arrabbiato» ringhiò Bilbo «Ma tu stai davvero suggerendo che io non ti abbia mai fatto del male?»

«Io...»

«Perché io ricordo delle lacrime nei tuoi occhi, Thorin Scudodiquercia, e mi hanno perseguitato molto più del tuo fantasma» sibilò Bilbo.

«Tu non hai mai alzato le mani contro di me, nemmeno quando ero sotto l'effetto dell'oro» disse Thorin rabbiosamente, e scosse la testa «No. Bilbo, no: non è lo stesso – e tu lo sai!»

Le mura di pietra rimbombarono con le ultime parole.

Ancora bravo ad arrivare al punto. Ancora bravo a far discorsi. Bilbo cercò di controllarsi, ma fu un completo fallimento. Aveva represso tutto per così tanto. Certo, Thorin dannato Scudodiquercia doveva solo parlare, e la sua diga era incrinata Ora? Ora aveva rotto gli argini e tutto stava esondando. Tutto ciò che aveva tenuto nascosto per settantotto lunghi anni stava uscendo: rabbia, dolore e risentimento fischiavano nelle sue orecchie. Il privato calore nascosto e il decennale desiderio profondo fino alle ossa battevano nel suo cuore.

Chiuse gli occhi e cercò di farsi forza.

«No, non è lo stesso» disse infine, e la sua voce era piatta e controllata. Ne era piuttosto orgoglioso. «E sei andato a farti uccidere prima che io avessi occasione di arrabbiarmi con te, per davvero. Sei morto, Thorin, e io non potei mai vederti cambiare, imparare a perdonarti, fidarmi ancora di te. Invece, sono invecchiato e ho tenuto tutto dentro e mordevo e ringhiavo a tutti quelli che provavano a parlarmene. Sono stato un vecchiaccio sospettoso per più di quanto riesca a immaginare, e non so nemmeno se posso ancora cambiare.»

«Mi dispiace» ripeté Thorin «Mi dispiace così, così tanto.»

«Lo dissi allora, e lo dirò ancora: sono stato felice di aver condiviso i tuoi pericoli» disse Bilbo, e guardò via. Andiamo, Matto Baggins. Sei abbastanza vecchio per scambiare onestà per onestà, verità per verità. «Ma sono meno eccitato di aver tutto questo tirato su. Pensavo di aver nascosto per benino tutto nei miei ricordi, di non toccarli mai più. I miei piccoli segreti» aggiunse, e sospirò «I miei segreti sono distruttivi quanto i tuoi alla fine, sembra.»

«L'Anello» disse Thorin piano.

«L'Anello» confermò Bilbo «Ah, che cosetta utile e furba che è! E così leggera, troppo leggera quando consideri tutto il male che porta. Smaug lo disse per primo, lo sai. Ho dei bei modi per un ladro e un bugiardo. Tu di certo non sei stato la fine di quella piccola avventura.»

Fissò le sue giovani, lisce, chiare mani. «Non mi meraviglio di essere diventato un tale vecchiaccio paranoico.»

«Io non dubito di te, Bilbo, né sottovaluto l'influenza dell'Unico Anello» disse Thorin, e guardò lo Hobbit «Ho udito la sua voce dolce, e conosco i tentacoli striscianti dell'ossessione e della sfiducia meglio di molti. Ma tu parli di affetto, e di dolore, e balli attorno ai significati con le tue parole. Inizi litigi e non incontri il mio sguardo. Volevi risposte, e ore le eviti.»

La bocca di Bilbo si chiuse.

Giuro, Thorin è veramente cambiato.

«Non ti metterò pressione» disse Thorin, e guardò completamente Bilbo. Il suo volto era serio e bellissimo sotto i suoi riottosi capelli screziati di grigio. «Non mi aspetto nulla – non mi merito le tue spiegazioni. Ma ti dico questo: Bilbo Baggins, io ti amo. Ti amavo quando non sapevo cosa fosse che provavo. Senza che me ne rendessi conto sei entrato nel mio cuore, Mastro Scassinatore.»

«Per carità, di nuovo i melodrammi» disse Bilbo, debolmente. Tutte queste dichiarazioni! Il suo cuore non poteva reggerlo; era troppo.

Ma Thorin stava ancora parlando. «Circondato da tradimento, maledetto dall'avidità del drago e pieno di rabbia, non potevo capire in vita perché fossi attratto da te, sempre di più. Perché, quando la mia mente fu spezzata, cercai te e non la mia famiglia. Perché mi sentivo infine in pace sul ghiaccio, con la tua mano sui miei capelli e la tua voce nelle mie orecchie» i penetranti occhi chiari di Thorin andarono al pavimento, ai suoi stupidamente adorabili piedini «Fui violento, e stupido. E non mi sono comportato bene nemmeno in morte, sembra.»

«Non... non esattamente, no» disse Bilbo, e il suo volto sembrava molto caldo. Era troppo, troppo in fretta. Si sentiva molto scombussolato. C'era qualcosa come il tè fantasma? Ne avrebbe voluto una tazza. «Perché? Non... non l'amore» la parole corsero fuori dalla sua lingua, malferme e scivolose «Dimmi perché fai la guardia a Frodo per me, perché ne hai fatto una questione di tale importanza.»

Thorin rimase in silenzio per un momento, e poi disse: «Non sarò sorpreso se non mi crederai, ma dico il vero quando dico che il mio senso di colpa mi avvelenò. Sono stato chiuso nella vergogna e nell'odio per me stesso. Ho strappato ogni parte buona del mio passato nella mia fretta di condannare i miei difetti. Non mi sono permesso alcuna pace, guarigione, comprensione. Mi sono portato ai limiti della mia resistenza e punito in modo che chiamerei crudele se fosse inflitto a coloro ai quali voglio bene. Se non sono stato gentile verso gli altri, sono stato mostruoso verso me stesso.»

Gli occhi di Bilbo si strinsero. Questo... suonava più come il Thorin Scudodiquercia che ricordava: implacabile in tutto ciò che faceva, sia il buono che il cattivo. O era una preghiera per compassione? No, era stato detto in modo serio e pieno di rimorso. Questo Thorin non desiderava pietà più di quello vecchio. «Oh, davvero?»

Thorin sorrise. «Temo di sì. Sono più saggio ora, spero, anche se evidentemente devo ancora crescere. Sono fortunato ad avere l'amore incondizionato della mia famiglia.»

«I tuoi nipoti»

La gratitudine brillò per un momento negli occhi di Thorin, e lui annuì. «Mi sono vicini, come mio fratello e mia madre.»

«Hai un fratello?» Bilbo era estremamente irritato ora. Davanti a lui c'era Thorin, che sapeva assolutamente ogni cosa di Bilbo – e lui non sapeva quasi nulla di Thorin!

«Sì» il mento di Thorin si abbassò, e la sua bocca tremò. Affetto, forse. «Devo loro molto per il modo in cui mi vedi oggi. Se non fosse stato per la loro devozione io sarei ancora sepolto dal senso di colpa, incapace di uscirne. Ma tu non dovresti dar poca importanza all'amore come motivazione, Mastro Baggins. I Nani hanno una certa singolare devozione.»

Un lampo di memoria (oh, inaffidabile!), e Bilbo ricordò un accampamento nei boschi oltre alla Contea, e un allegro volto rotondo che parlava con nostalgia di casa, e di Alrís. «Bombur me l'aveva detto» disse Bilbo rigido.

«Allora sai che io ti amerò in eterno e non rivolgerò mai il mio sguardo a un altro» Thorin parlava così tranquillamente di come amava Bilbo, come se fosse semplice. La disapprovazione nata nella Contea di Bilbo si infiammò nella sua mente, e lui si morse la lingua. Lui, almeno, aveva un po' di discrezione, anche se aveva abbandonato molto tempo prima la propria reputazione (e pace ad essa).

Thorin continuò, abbassando la testa finché il mento non gli toccò il petto. «Non ho il diritto di avere il tuo affetto, e non lo reclamo. Non ho nulla nella mia tasca, Bilbo – non posso possederti, né voglio farlo. Ho imparato quanto sia folle essere troppo possessivo. A questo amore non serve una tua risposta. Non è un obbligo per te. È così che fa il mio popolo.»

Poi gli occhi di Thorin si alzarono, e c'era una nuova scintilla nelle loro profondità, qualcosa di acceso e saggio e limpido come acqua di fiume. «Parli di affetto, e io sono felice. Mi dà la speranza che forse un giorno tu potrai perdonarmi, e imparare a fidarti di me nuovamente.»

Oh, onestamente! Il volto di Bilbo era in fiamme. Non poteva reggere tutte queste – smancerie! Schiacciò fermamente la sua parte Tuc, che era abbastanza pronta a partire per un'altra avventura finché fossero stati quegli occhi a chiederlo. «Non puoi nemmeno toccarmi, quindi direi che sono al sicuro» disse, piuttosto stizzosamente «E gli Hobbit non parlano di queste cose, non apertamente. Non è... appropriato.»

Lo sguardo che Thorin gli lanciò era compassionevole. «Lo so.»

Bilbo si incupì di riflesso. «Oh naturalmente, certo che lo sai, fastidioso ficcanaso. Sei peggio di tutti i miei conoscenti irritanti. E non so se ti perdonerò mai. Mi hai ferito, mi hai spaventato a morte, e mi hai insultato e chissà cos'altro, e poi ti sei fatto uccidere, se non ti dispiace, e poi anche da morto sei riuscito a mostrare una terribile mancanza di considerazione. Sto iniziando a capire perché ti sembrasse qualcosa di necessario, ma non credere che mi piaccia, a parte le drammatiche dichiarazioni Naniche di affetto. Ma non dubiterai mai più di me, mai più.»

Thorin sembrava di nuovo confuso, e si accigliò. Un'espressione familiare finalmente! «Mi rimangerei ancora le mie parole e le mie azioni...»

«Dici così, però rimangono lo stesso dette e fatte» Thorin parve terribilmente pallido nel sentirlo, e il nuovo calore nel cuore di Bilbo lo spinse ad aggiungere: «Non sto dicendo che devi essere del tutto senza speranza.»

La testa di Thorin si alzò e lui liberò l'intero devastante effetto di quel sorriso, e oh perbacco, dannazione, cavoli e accidenti! «Allora intendevi davvero quello che avevi detto. Sul ghiaccio.»

«Sì, beh, stavi morendo in quel momento, no? Dovevo dire qualcosa» disse Bilbo, e poi chiuse gli occhi e fece una smorfia, detestando immediatamente le sue parole «Sì lo intendevo. Smettila di dubitare di me.»

«Non dubito di te, e mai lo farò» disse Thorin subito, e guardò Bilbo come aveva già fatto una volta, nel cuore di una montagna con una ghianda appoggiata innocentemente sulla sua mano, mentre una pietra rubata gli bruciava nel panciotto e un Anello tramava nella sua tasca «Non farò nulla senza il tuo permesso. Non supporrò né presumerò più nulla. Aspetterò fino a che ti farà piacere, Mastro Baggins.»

Bilbo arrossì drammaticamente. «Cielo» balbettò.

«Cosa vorresti che faccia?»

«Non voglio – non ne ho idea. Ci penserò» gli occhi di Bilbo si abbassarono, e poi guardò nuovamente il soffitto «Ma a pensarci bene c'è una cosa che potresti fare per me in questo istante.»

«Sì? Qualsiasi cosa, sabannimi»

«Per piacere» disse ancora Bilbo, e deglutì «potresti gentilmente metterti dei pantaloni?»


Fíli guardò nel tunnel oscuro, e tutto in lui si ribellò e urlò di non entrarvi. «Non mi piace.»

Dietro di loro, Sam tirò su col naso. «Ugh! Questa puzza!» disse «E sta diventando sempre più insostenibile?»

«È questa l'unica via, Sméagol?» disse Frodo. Il volto dello Hobbit era pallido e le sue guance erano svuotate. I suoi occhi erano orribili a vedersi: enormi e cerchiati di rosso e pieni di dolore.

«Oh, fidati di lui» sbuffò Nori.

Gollum saltellò. «Sì, sì! Sì, da qui bisogna andare adesso.»

«Intendi dire che sei già passato da questo buco?» disse Sam «Puah! Ma forse tu non fai caso ai cattivi odori.»

Gli occhi di Gollum luccicarono. «Lui non sa a cosa facciamo caso, nevvero tesoro? No, non lo sa. Ma Sméagol sa sopportare. Sì. È passato da qui, oh sì, fino in fondo. È l'unica via.»

Kíli guardò il tunnel e poi suo fratello. «Siamo sicuri di questo?»

Fíli scosse la testa. «No. Ma andiamo lo stesso.»

Le labbra di Kíli si incurvarono in un sorriso rassegnato. «Non mi mandi da nessuna parte, mettiamolo in chiaro.»

«Ora ci servirebbe il nostro zietto» disse Fíli, e alzò le mani «Tu sei il più rapido, tu dovrai essere tu la staffetta.»

«Solo perché le mie gambe sono più lunghe» obbiettò Kíli «E il funghetto dorato dorme, e lo sai quant'è scontroso quando si sveglia.»

«Andrai se e quando te lo dico» borbottò Fíli, e spinse Kíli «Muoviti.»

«Come ho fatto a finire bloccato con voi due» borbottò Nori, e si tirò la treccia centrale della barba infastidito.

Facendo un respiro profondo entrarono, seguendo il lieve rumore dei piedi Hobbit. Dopo qualche passo erano nel buio più completo e impenetrabile.

«È persino più buio di Moria» sussurrò Kíli.

«Non quanto i Sentieri dei Morti però» rispose Nori «Fatevi forza, ragazzi, li abbiamo passati entrambi.»

Fíli alzò una mano e la appoggiò sulla parete. «Liscia» disse sorpreso «Le pareti sono lisce. L'imboccatura del tunnel non sembrava fatta artificialmente però.»

«Noi tre non siamo bravi a leggere la pietra» giunse la voce di Nori nell'oscurità «Bifur lo saprebbe.»

«Io non vado a infastidire Bifur» commentò Kíli «Non se vuol dire infastidire Ori.»

«Non me lo ricordare» disse Nori, piuttosto amaramente «Dori darà di matto.»

«Se prometti di dirci quando inizieranno i fuochi d'artificio, ti pagheremo per vedere lo spettacolo?» disse Kíli, e Nori sbuffò divertito.

«Non ci avevo mai pensato. Grazie, ragazzi»

«Figurati»

«Aspettate, dov'è finito Gollum?» disse Fíli improvvisamente.

Perché il debole rumore dei suoi movimenti era scomparso, e tutto ciò che si sentiva erano i passi di Sam e Frodo, e i loro respiri nervosi. I due Hobbit si muovevano come storditi dall'orribile puzza. Un brivido freddo corse lungo la schiena di Fíli: cos'era? Cos'era questo posto?

«Padron Frodo» disse la voce di Sam «ecco, prendete la mia mano. Così, vi ho trovato!»

Il respiro di Frodo era il più forte: stava quasi ansimando, inspirare sembrava fosse laborioso ed era doloroso a sentirsi. Era quasi come se si stesse obbligando a continuare a muoversi attraverso la puzza.

Poi sentirono Frodo urlarle, e il rumore di arti che colpiscono il pavimento. E poi disse: «qua, Sam! Su, su – proviene tutto da qui, il lezzo e il pericolo. Scappiamo! Presto!»

«In piedi, Padron Frodo» disse Sam, devoto anche nel completo terrore.

«Cosa» iniziò Kíli, ma poi un orrendo ticchettio risuonò nel tunnel, rimbalzando sulla pietra liscia e facendo scorrere eco evanescenti lungo il collo di Fíli.

«Non mi piace come suona» sussurrò Nori.

«Andiamo!» abbaiò Fíli, e corse dietro al sussurro dei piedi di Sam e Frodo. Il ticchettio sembrava seguirli, mordicchiando orribilmente le loro orecchie.

«Ah!» disse Sam, e poi: «cavoli e patate!»

«La galleria si biforca qui» disse Frodo, rassegnato «Stai bene?»

«Ho picchiato il mio orgoglio più della mia testa, Padron Frodo» ansimò Sam, e Fíli poteva immaginarsi la sua espressione coraggiosa, la faccia migliore che poteva mettersi sul terrore per carità del suo amato Padrone «Che direzione ha preso Gollum? Perché non ci ha aspettati?»

«Forse dovremmo cercare Bifur» sussurrò Kíli «Ori magari continuerà a dormire, chi può dirlo.»

«Non riuscirà a capire molto da roccia che non può davvero toccare» disse Nori. Poi la sua voce si abbassò e disse: «e davvero preferirei non doverli vedere.»

«Sméagol!» cercò di chiamare Frodo «Sméagol!» ma la sua voce gracchiò e si spense appena uscita dalle labbra.

«Se n'è andato davvero questa volta» borbottò Sam «Scommetto che questo è esattamente ciò che intendeva fare. Gollum! Se mai riesco a metterti le mani addosso, ti assicuro che la pagherai.»

«Samwise Gamgee, Nano onorario, ve lo dico io» disse Fíli. La sensazione fastidiosa sulla sua nuca stava peggiorando, e si dondolò a disagio.

Ci fu un attimo di indecisione, e poi Frodo disse: «la via a sinistra è bloccata: un qualche grande macigno vi è stato rotolato davanti. Giusta o no, dobbiamo prendere l'altra galleria.»

«E presto!» balbettò Sam «C'è qualcosa assai peggiore di Gollum nei paraggi. Ho la netta sensazione di essere osservato.»

«Non sono solo io allora» mormorò Fíli.

«Vedi nulla? Sei tu quello con gli occhi migliori» disse Nori, e Fíli sbuffò.

«Chiedi all'arciere, è lui il più giovane»

«Non riesco a vedere la mia mano davanti alla mia faccia, figuriamoci un bersaglio» disse Kíli «Muoviamoci: stanno andando nel passaggio a destra.»

«State vicini» ordinò Fíli, e percepì piuttosto che vedere Kíli che alzava gli occhi al cielo.

Avevano fatto appena qualche metro quando udirono alle loro spalle un orribile rumore raccapricciante squarciare il pesante e ovattato silenzio: un gorgoglio, un ribollire, un lungo sibilo velenoso. Si voltarono bruscamente, ma non videro nulla. Rimasero immobili come pietrificai, con lo sguardo fisso, aspettando chissà che cosa.

«È una trappola!» urlò Sam.

«Mi prendi in giro, avrei potuto dirglielo io tre settimane fa!» urlò Nori, e i tre Nani si strinsero, sforzando gli occhi nel buio soffocante.

«Quella puzza!» ansimò Frodo, e barcollò e indietreggiò. Il soffio gorgogliante divenne più vicino, e ci fu un gemito come di una grossa cosa articolata che si muoveva lentamente nell'oscurità.

«Padron Frodo!» urlò Sam, e la vita e la fretta tornarono nella sua voce «Il sono della Dama! La fiala-stella! Disse che doveva essere per voi una luce nel buio. La fiala-stella!»

«La fiala-stella?» borbottò Frodo, come se fosse mezzo addormentato e a malapena udisse Sam «Ma sì! Come ho potuto dimenticarla? Una luce dove tutte le altre luci si spengono!»

Poi ci fu una tremolante, fievole luce – debole contro il buio, che lottava per uscire fra le dita magre. Sembrava flebile all'inizio, e poi come una stella nascente il suo potere crebbe e bruciò, fino a brillare come un piccolo cuore di luce.

Il buio recedette finché essa sembrò brillare al centro di un globo di cristallo d'aria, e la mano che la teneva brillava di fuoco bianco.

«Il Creatore ci salvi» sussurrò Fíli, e sentì Nori che sobbalzava di meraviglia.

«Questa è una bella cosa» disse ammirato.

Il volto di Frodo era contornato di un bianco azzurrognolo dalla luce stellare, e fissava la sua mano con meraviglia. C'era un brutto livido sulla fronte di Sam.

«Aiya Eärendil Elenion Ancalima!» urlò Frodo, come in un sogno.

«Che cheion chealima?» disse Kíli sottovoce.

«Elfico, direi» rispose Fíli, fissando la piccola fiala che brillava come la speranza stessa.

«Ragazzi» raspò Nori, e si schiarì la gola «Ragazzi. Ragazzi.»

«Cosa?»

Nori si limitò a indicare, nella direzione da cui erano arrivati. Il suo dito tremava leggermente, qualcosa che nessuno nella Compagnia aveva mai visto. Persino davanti a un'intera città di Goblin, Nori era rimasto composto.

Fíli si accigliò e guardò nel passaggio scuro. «Che c'è?»

E poi la mano di Kíli scattò e si serrò sul suo bicipite, le dita come acciaio. Perché la luce stellare aveva rivelato due grandi grappoli di molti occhi sfaccettati. Brillavano con malvagità: bestiali eppure pieni di decisione e di orrida delizia, di godimento alla vista delle prede intrappolate senza speranza di scampo.

Frodo e Sam, terrificati, retrocedettero lentamente. Poi d'un tratto i loro nervi cedettero, e loro scapparono come lepri spaventate. La luce ondeggiò e traballò come una fiamma di candela sotto una brezza leggera, lanciando ombre folli lungo le lisce pareti della galleria.

«Veloci!» disse Fíli, e spinse suo fratello e Nori davanti a sé «Muovetevi!»

Kíli non rispose. Stava già allungando una mano sopra la spalla come verso una freccia, e imprecò quando le dita si chiusero sull'aria. «Corri e basta!» gli disse Fíli brusco.

Kíli imprecò ancora e scattò dietro alla rapida forma di Nori, Fíli alle calcagna. Si arrischiò a guardarsi dietro, e immediatamente volle non averlo fatto.

«Gli occhi ci seguono!» urlò.

«Da che parte?» ansimò Sam, e il suo piccolo coltello era alto davanti a lui. Nella mano di Frodo Pungolo iniziava ad emanare un leggero bagliore azzurro.

«Non lo so!» disse Frodo, e girò su se stesso, gli occhi disperati e la fiala alta in una mano «Non lo so! Sméagol! Sméagol!»

«Non serve chiamarlo» esclamò Nori, e i suoi capelli elaborati avevano iniziato a spettinarsi per la corsa «Voi due riuscite a sentire il passaggio?»

«Poco» disse Kíli dubbioso.

Fíli si concentrò, spingendo il più forte possibile i tacchi contro la liscia, umida roccia. «Sinistra...?» disse.

«Ci è quasi addosso!» disse Sam.

«Fermo! Fermo!» disse Frodo, e si pulì la faccia sporca con la manica e si voltò per affrontare l'orrore in arrivo «Correre non serve a nulla.»

Lentamente gli occhi si avvicinarono.

Frodo si raddrizzò, e alzò la Fiala. «Galadriel!» sussurrò, e si girò verso il mostro, il mento liscio rigido e determinato. Fece un breve respiro e lentamente tornò indietro per il passaggio verso la luminosa malevolenza di quella miriade di occhi.

Fíli lo fissò in costernazione. «Cosa sta facendo?»

«Non posso guardare» gemette Kíli. Fíli gli afferrò il polso e se lo tirò vicino.

«Si sono fermati» disse Nori sorpreso.

«Cosa?»

«Tutti gli occhi! Si sono fermati, come se la luce li ferisse. E poi sono scomparsi!»

«Padron Frodo!» esclamò Sam, e si mise una mano sul petto per il sollievo «Stelle e gloria! Gli Elfi comporrebbero una canzone, se sapessero come si sono svolte le cose!»

«Elfi?» Fíli sbuffò, reso brusco dal sollievo «Te la canterò io una canzone, meglio di qualsiasi tra-la-la-lallare.»

«Eh» disse Kíli.

«Tra-la-la-la-la era un po' stupido, devi ammetterlo» mormorò Nori.

Kíli sbuffò e incrociò le braccia.

Sam tirò indietro Frodo, e poi gli spazzolò con la mano la giacca macchiata. «Usciamo da questo immondo buco!»

«Sì» disse Frodo distrattamente, guardando il passaggio dov'era scomparsa la vasta cosa dai molti occhi «Sì; verso Mordor.»

«Sinistra!» ripeté Fíli, e grazie a un qualche miracolo, gli Hobbit scelsero quella strada.

Ricominciarono ad avanzare, barcollando e inciampando per la stanchezza, prosciugati oltre ogni dire dall'avvenimento. «È la mia immaginazione» sussurrò Kíli «O il tunnel sta andando in salita ora?»

«Sento dell'aria sul volto!» disse Sam improvvisamente «L'uscita è avanti a noi, di certo!»

«Ah!»

Sam per poco non trapassò con la spada il suo padrone. Perché Frodo era stato intrappolato da una qualche densa ombra che la fiala-stella non riusciva a illuminare; sembrava assorbire la luce invece di rifletterla. «Cosa...?» disse, e fece un passo indietro per osservarla.

Da un lato all'altro e dal soffitto al pavimento si stendeva un'immensa ragnatela, tessuta forse da un enorme ragno, ma più fitta e assai più grande e dai fili grossi come corde.

Sam rise sarcasticamente. «Ragnatele!» esclamò «Tutto qui? Ragnatele! Ma che ragno! Via, distruggiamole!»

«Oh no» disse Nori, e si morse una treccia.

«Oh non di nuovo» gemette Fíli «Odio quelle cose.»

«Non ci sono Elfi qua in giro, temo» disse Kíli senza molta speranza. Fíli guardò suo fratello, e notando la malinconia nei suoi occhi gli spinse una spalla.

«Andiamo, ghiaia-per-cervello, abbiamo un lavoro da fare» disse quanto più allegramente poteva in questo luogo orribile.

Kíli tirò fuori un ghigno da qualche parte. «Disse il sassolino alla roccia.»

«Siete entrambi degli idioti e affronterò la vista di Ori che giace accanto a Bifur se vuol dire avere un altro turno la prossima volta» borbottò Nori, torturandosi la barba con le mani «Ragni? Presente? Buongiorno?»

«Ci sta pensando Sam» disse Kíli, e fece spallucce.

Ma sembrava che il coltello di Sam non potesse rompere i fili. Tre volte Sam vibrò colpi furibondi, e tre volte volte le corde rimbalzarono e tremarono e scossero Frodo, catturato nel messo, e non si ruppero.

«Lasciami provare Pungolo. Ecco, tieni fiala-stella. Non temere. Reggila in alto e sorveglia!» disse Frodo, e lottò con la sostanza appiccicosa fino a riuscire a muovere il braccio che teneva la spada. Poi abbassò il braccio con tutta la sua forza. Il bagliore azzurro le squarciò come una falce nell'erba, ed esse rimbalzarono, si arrotolarono, per poi penzolare giù. Era stata creata una grande apertura, e Frodo si liberò i piedi e poi era di nuovo libero.

Con un colpo dopo l'altro riuscì a infrangere tutto ciò che si trovava alla portata della sua spada, mentre la parte superiore pendeva e ondeggiava come un leggero velo in preda a un forte vento. La trappola era aperta.

«Coraggio!» urlò, e corse avanti nel tunnel in pendenza «Siamo quasi fuori! Riesci a sentirla? Aria fresca!»

«Se una qualsiasi aria di Mordor possa essere detta fresca» borbottò Sam, ma si sistemò lo zaino e corse dietro a Frodo.

«Vedo il cielo!» disse Kíli allegramente «Ce la faranno!»

«Sono scivolati fra le reti di quel piccolo verme, ha!» urlò Fíli «Melekûnîth belkul!»

«Io non mi fido» disse Nori.

«Tu non ti fidi nemmeno di quello che hai davanti al naso, vecchia cornacchia» rise Kíli, e saltellò in una mossa di danza mentre correva «Ce l'hanno fatta!»

«Non sono ancora fuori» disse Nori cupamente.

«Guarda, Sam! Il valico!» disse Frodo, e indicò davanti a sé. Era di buon umore, e correva con tutta la velocità che i suoi piedi pelosi potevano dargli verso i grandi cigli irregolari dei dirupi. Proprio sopra di loro era la luce rossiccia di un fuoco: la torre di Cirith Ungol.

«Padrone, la spada, ci sono Orchi in giro e peggio che Orchi!» disse Sam, scattando in avanti con una mano alzata in avvertimento. Pungolo brillava più luminosa che mai – un faro nella fumosa nebbia di Mordor. Frodo, però, era troppo avanti: il sollievo e la gioia di scappare lo avevano reso incauto, ed era lontano almeno venti piedi. Sam imprecò e si mise la fiala-stella – che ancora teneva – nella giacca, prima di correre dietro a Frodo con un avvertimento ancora sulle labbra.

Sam aveva appena nascosto la luce della Fiala quando lei comparve.

Da sotto una fessura nella rupe uscì la forma più abominevole che Fíli avesse mai veduta: più orribile degli occhi di Smaug, più terrificante del coltello di Azog. Assai simile a un ragno, ma più immensa dei grandi animali da preda, e molto più terribile a causa del malvagio intento che covava nei suoi occhi senza rimorso. Aveva grandi corna, e dietro al tozzo e corto collo ondeggiava il suo immenso corpo gonfio, un immenso tumido sacco straripante fra le sue gambe; era una massa nera, macchiata di segni di lividi, ma la parte inferiore, pallida e luminosa, emanava un orrendo fetore. Curve le gambe dalle enormi giunture nodose, e come spine d'acciaio i peli irsuti, ed un artiglio all'estremità di ogni membro.

«Improvvisamente i ragni di Bosco Atro mi sembrano abbastanza docili» balbettò Nori, e si infilò entrambe le trecce laterali nella bocca e le morse più forte che poteva.

«Cerca Thorin!» ordinò Fíli, e Kíli annuì rapidamente e scomparve in un lampo di luce stellare quando il Gimlîn-zâram lo portò via.

Il rumore viscido, schioccante, ribollente di colpo aveva un terribile senso. Nori e Fíli si strinsero vicini mentre l'enorme ragno arrivava alle spalle di Frodo, separando Sam dal suo padrone. O lei non vide il giardiniere, o lo evitò in quanto portatore della luce dolorosa.

Sam sussultò e raccolse tutto il fiato nei propri polmoni per urlare. «Guardatevi alle spalle!» gridò «Attento, Padrone! Sto-» ma la sua voce fu d'un tratto soffocata.

Una mano dalle lunghe dita l'aveva afferrato alle spalle, chiudendosi sopra la sua bocca e il suo naso e rendendogli difficile respirare. Lo tirò indietro con un'orribile forza, asciutta e nata da un bruciante risentimento che avrebbe potuto fare a pezzi le montagne.

«Mahumb» sussurrò Nori «Odio avere ragione.»

«Preso!» sibilò Gollum «Infine, tesoro mio, l'abbiamo preso, sì, il cattivo Hobbit. Noi ci occupiamo di questo. Lei se la vedrà con l'altro. Oh sì, sarà Shelob a prenderlo, non Sméagol: Sméagol ha promesso, non farà male al Padrone. Ma a te ti ha preso, lurido, cattivo, piccolo, infido!» sputò sul collo di Sam.

L'allegra faccia abbronzata di Sam, che era sbiancata per la rabbia al tradimento, di colpo divenne rossa. Furia e disperazione per la sicurezza di Frodo gli diedero una violenza e una forza improvvisa, che prese Gollum completamente alla sprovvista.

Gollum stesso non si sarebbe svicolato con maggiore rapidità o furore. Sam si svicolò dalla bestia e disperatamente cercò di voltarsi per accoltellare il suo nemico. Ma Gollum era furbo e aveva avuto anni per fare pratica. Si riprese in fretta. Il suo braccio si alzò e lui afferrò il polso di Sam: le sue dita erano come una morsa; piano ma inesorabilmente curvò in avanti la mano, finché con un grido di dolore Sam lasciò cadere la spada; nel frattempo l'altra mano di Gollum lo strangolava lentamente.

«No, no, no» gemette Nori.

«Muoviti, Kee» sussurrò Fíli «Muoviti!»

Allora Sam giocò l'ultima carta. Usò tutta la sua forza per liberarsi leggermente e piantare i piedi per terra; poi d'un tratto spinse proiettandosi all'indietro. Gollum cadde sulla schiena e il peso del robusto Hobbit gli piombò sullo stomaco, mozzandogli il respiro. Giacque confuso, gli arti secchi molli sul terreno.

«Sì!» esultò Fíli, e si girò e tirò una testata a Nori esuberante. Poi si rese conto di cosa avesse fatto esattamente, e si allontanò. Il volto di Nori era sardonico.

«La prossima volta aspetta finché tuo fratello non è qui, va bene?»

Sam non aveva finito. Colpiva coi pugni, uno-due, uno-due, nel modo più semplice possibile. L'abilità di Fíli, guadagnata da migliaia di dure lezioni con Thorin e Dwalin, si disperò alla semplice tecnica. Ma il resto di lui stava esultando rumorosamente mentre Gollum sibilava e sputava come un gatto spaventato. Apparentemente era fuori gioco quando non poteva afferrare e strangolare la preda alle spalle, e uno Hobbit furioso e robusto come Sam Gamgee era un pasto troppo difficile – sopratutto quando Sam raccolse la sua spada e la alzò.

Con uno strillo, Gollum si mise carponi e saltò via come una rana. Prima che Sam potesse colpirlo già correva con rapidità stupefacente in direzione della galleria.

«Maledetto te, Puzzone!» ruggì Sam, e una luce rabbiosa era nei suoi occhi onesti «Ti troverò e ti infilzerò come uno dei maiali del Vecchio Tronfipiedi, vedrai se non lo faccio!»

«Sam Gamgee, guarda il tuo padrone!» giunse una profonda, autorevole voce da dietro Fíli. Tutta la tensione nel suo stomaco si rilassò di colpo, e si voltò per vedere Kíli in piedi dietro a Thorin. Suo fratello si stava torturando le mani ansiosamente.

Ma c'era un potere e una forza e una vita in Thorin che Fíli non aveva visto da-

No, non aveva mai visto Thorin così.

Era come se tutti i suoi pensieri preoccupati e nervosi finalmente avessero trovato pace. Suo zio era in disordine, con pantaloni semplici e la tunica che indossava era spiegazzata e i suoi capelli erano pettinati a metà, ma vestiva il suo disordine con una grazia naturale. Sembrava più vivo che – beh, che mai.

«Mahal pianse» disse Nori, echeggiando i pensieri di Fíli «L'ha fatto? Dopo aver lottato per tutti questi decenni?»

Sam per poco non fece cadere la spada, fermandosi davanti al buco scuro del tunnel. «Frodo» disse, e poi si voltò e corse più velocemente di qualsiasi altro Hobbit prima d'ora «Padron Frodo!»

I Nani corsero dietro di lui, ma nessuno di loro era abbastanza rapido da raggiungere uno Hobbit nemmeno nel massimo delle loro forze. L'enorme sacco nero e puzzolente che era l'addome di Shelob si ergeva davanti a loro, e Fíli vide una piccola forma tra quelle gambe schioccanti, che girava e girava e girava.

«Sono arrivato troppo tardi» disse Thorin, gli occhi in fiamme e la bocca dura e preoccupata.

«Odio le ragnatele» borbottò Nori «Ci si mette secoli a tirarle via dalle sopracciglia.»

Il mostro era così intento sulla sua preda ce non fece caso a Sam e alle sue grida. In terra giaceva Pungolo, inutilizzata. Sam esitò, e raccolse il piccolo tagliacarte Elfico e corse avanti con esso in mano. «Vieni qua, sporca creatura!» urlò «Hai fatto del male al mio padrone, bestia, e la pagherai per questo!»

Il mastodontico ragno parve riscuotersi dai suoi sogni gongolanti dal grido di Sam, e lentamente volse l'immonda malvagità del suo sguardo verso di lui.

«Cosa possiamo fare?» disse Kíli disperatamente, e la mano di Fíli stava cercando nella giacca una lama inesistente.

«Aspettate» disse Thorin, e anche se la sua voce era bassa mise comunque al silenzio il piccolo gruppo «Questa lurida carcassa non sa ancora che c'è un leone sotto questa pelle di Hobbit. Lo scoprirà ben presto.»

Gli occhi di Sam bruciavano di rabbia, e corse sotto agli archi di quelle schioccanti, puzzolenti gambe per scivolare sotto quell'antica testa con i suoi grappoli di occhi. Con un rapido colpo verso l'alto, uno di essi si spense, e il gigantesco ragno strillò di rabbia e agonia.

«Nessuno aveva mai piantato una spada in quella disgustosa carne, scommetto» disse Thorin soddisfatto «Spero le sia piaciuto il sapore.»

Sam stava ancora urlando a pieni polmoni, l'intero volto rosso di rabbia. Era ancora sotto al mostruoso ragno, piegandosi e rotolando e scattando per evitare i suoi artigli. L'immensa pancia lo dominava con la sua putrida luce, e Fíli lo vedeva sentirsi male per l'odore. Tuttavia la sua furia lo sostenne, dandogli vigore per un altro colpo, e sferrò un colpo selvaggio verso l'alto.

«Presa!» urlò Fíli.

Ma la bestia non era come i draghi, e non possedeva altro punto delicato che gli occhi. Pieni di fossi, di bozzi e di putridume era la sua vecchissima pelle, ma protetta all'interno da innumerevoli spessori di orrendi tumori. La lama aprì un terribile squarcio, ma era impossibile per Sam trafiggere quelle coriacee pieghe. Dopo aver ricevuto il colpo, lei sollevò l'enorme sacca del suo ventre in alto sopra la testa di Sam.

Schiuma e bolle di veleno sgorgavano dalla ferita. Poi, divaricando gli arti, piombò di nuovo con tutta la massa su di lui. Troppo presto. Sam era ancora in piedi, ed aveva lasciato la sua spada per tenere con ambedue le mani la spada Elfica puntata verso l'alto contro lo spaventoso soffitto; e così Shelob, con tutta la potenza del suo malvagio volere, con una forza più immane di quella di un guerriero, si lanciò su di una punta aguzza.

Profonda, sempre più profonda s'immerse, e Sam lentamente fu costretto ad accasciarsi per terra.

Uno strillo, mai udito nel mondo dall'alba dei tempi, uscì dal corpo del ragno. Un brivido la percorse. Sollevandosi di nuovo, allontanando il dolore, curvò sotto di sé gli arti e balzò indietro con un movimento convulso.

«La fiala-stella! Da Lothlórien!» disse Fíli, e Thorin si voltò e ripeté: «la fiala di Galadriel!»

Sam frugò nella giacca lacera e la estrasse di nuovo, e il colossale ragno si contorse in agonia quando le colpì l'occhio ferito. I suoi arti si contorsero, disgustosi e sgraziati e molli, mentre strisciava via verso la sua galleria e lontano da quella preda che le era costata più di qualsiasi altra nella sua vita. I suoi arti schioccanti e l'odore insopportabile furono le ultime cose che videro di lei, e poi scomparve.

«Sangue, ossa e barba di Durin» disse Kíli, stupefatto.

«Frodo, Padron Frodo!» ansimò Sam, e cadde in ginocchio accanto alla testa di Frodo «Svegliatevi, Padron Frodo, mio caro padrone!»

Frodo non parlò.

Sam iniziò a strappare le corde appiccicose che avvolgevano Frodo, avviluppandolo in una mortale crisalide. Riuscì a liberare solo l'area attorno al volto di Frodo. Lo Hobbit più vecchio era cinereo e immobile come marmo.

«Padrone, caro padrone» disse Sam, e aspettò in silenzio, ascoltando in vano. Poi fu preso dal panico, e premette l'orecchio contro al petto di Frodo e trattenne il respiro, e poi mise una mano davanti alla bocca di Frodo. Gli scosse il volto, strofinò le mani, e sentì la fronte.

«Non può essere» Fíli sentì dire Thorin, basso e addolorato «Non Frodo...!»

Sam sollevò la testa avvolta dalla seta del ragno di Frodo e se la premette contro al petto. Le lacrime stavano iniziando a gonfiarsi nei suoi occhi onesti, e Fíli riusciva a malapena a guardare il dolore nel suo volto. «Frodo, Padron Frodo!» singhiozzò «Non mi lasciate qui solo! È il vostro Sam che vi chiama. Non andate dove io non vi posso seguire! Svegliatevi, Padron Frodo! Oh, per favore, svegliatevi, Padron Frodo, povero me, povero me. Svegliatevi!»

Fíli non seppe dire quanto rimasero lì, a guardare Sam chino sul terreno nella sua nera disperazione. La mano di Thorin sulla sua spalla lo fece sobbalzare, e si rese conto di star piangendo. Cercò di fermare le sue lacrime, ma continuarono lo stesso a corree nella sua barba. «Namadul, vieni» disse Thorin, e gli asciugò gli occhi con un pollice «Non è una vergogna provare dolore» disse, e i suoi stessi occhi luccicavano sospettosamente e la sua voce era piena di dolore. Accarezzò per un attimo la guancia di Fíli, e poi se lo tirò contro al fianco. Kíli era premuto contro l'altra sua spalla, il volto nascosto fra i capelli spettinati di Thorin. La sua schiena tremava, come scossa da singhiozzi.

«Tutto questo osservare, tutto questo, questo» esclamò Nori, e strinse i pugni «Bilbo ne sarà distrutto. Arrivare fin qua, eravamo tanto vicini!»

«Tanto vicini» disse Kíli, soffocato dai capelli di Thorin «Il valico è lì! Oh, maledetto Gollum, perché Frodo si è mai fidato di lui?»

«Perché doveva credere che potesse essere salvato» disse Thorin, e si sistemò la testa di Fíli sotto al mento. Il suo odore familiare ricordava a Fíli la sua infanzia, e lui fece un respiro profondo, e poi un altro. «Perché l'oscura tentazione dell'Anello è ciò che ha creato Gollum, e persino gli Hobbit possono sentire l'avidità. Perché tutti noi ci meritiamo un po' di compassione ogni tanto, persino i peggiori.»

«Oh cosa devo fare ora, Padron Frodo?» disse Sam dolcemente, e accarezzò il volto immobile di Frodo «Sono dunque giunto sin qui con voi inutilmente?»

«Frodo Baggins» disse Thorin, e chinò la testa, il mento premuto contro i capelli di Fíli «Ah, nekhushel. Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal.»

Kíli iniziò a cantare piano una canzone di lutto, e Nori e Fíli si unirono a lui.

«Cosa posso dare?» riuscì a dire Sam col respiro irregolare e gli occhi lucidi «Cosa posso fare? Non certo lasciarvi qui senza sepoltura sulla cima di una montagna, e tornarmene a casa. O proseguire? Proseguire?» ripeté, e per un momento fu scosso da un tremito di paura e di dubbio «Proseguire? È dunque questo il mio compito? E dovrei lasciarlo qui?»

«Aye, azaghîth» disse Thorin piano.

«Cosa? Io, solo, andare fino alla Voragine del Fato e tutto il resto?» singhiozzò Sam «Come? Io togliere l'Anello dalla sua mano? Il Consiglio lo affidò a lui.»

«La missione deve continuare, piccolo curatore del suolo, leone della Contea» disse Thorin, e la sua voce si ruppe «Nessuno è più adatto a questo compito. Il Consiglio ha dato questo peso a Frodo, ma a Frodo furono dati dei compagni affinché la missione non fallisse. E tu sei l'ultimo della Compagnia.»

«Se soltanto non fossi io l'ultimo!» gemette Sam «Che cosa darei perché il vecchio Gandalf o qualcun altro fosse qui!»

«Persino gli Stregoni temono questo compito, Samwise Gamgee» disse Thorin, e Fíli sentì il movimento della sua gola mentre deglutiva «Devi andare. Non c'è alternativa.»

«Sono certo di sbagliare. E poi non tocca a me prendere l'Anello, farmi avanti» le dita di Sam tracciarono la fronte fredda di Frodo, e poi sospirò «Ma non t stai facendo avanti; sei stato spinto in avanti. In quanto a non essere la persona adatta, nemmeno Padron Frodo era proprio quel che si potrebbe definire la persona più indicata, e nemmeno il Signor Bilbo. Non furono loro a decidere.»

«Se Frodo verrà trovato con quella cosa su di lui, supponendo che Gollum non lo derubi, beh – il Nemico lo prenderà. E anche se Gollum ottenesse il suo desiderio, la Torre Oscura lo vedrebbe lo stesso. E quella sarebbe la fine» disse Thorin, mentre piangeva per Frodo. Le lacrime scendevano liberamente lungo il suo volto, ma la sua voce era implacabile. «Non hai tempo, e i giorni diventano corti e insanguinati. La guerra arriva ovunque, e tu sei l'ultima speranza rimasta.»

Sam rimase seduto, immobile come la pietra, per un lungo, lungo momento. Poi si riscosse come uscito da un sogno oscuro.

«Se devo andare avanti» disse «allora, col vostro permesso, ho bisogno di prendervi la spada, Padron Frodo; ma al vostro fianco depongo quest'altra; e poi avete la bella cotta di maglia di mithril del Signor Bilbo. E la fiala-stella, Padron Frodo, ma l'avete prestata e ne avrò bisogno, perché ormai sarò sempre nell'oscurità. È troppo preziosa per me, e la Dama la donò a voi, ma forse comprenderà. Mi capite, Padron Frodo? Devo andare avanti.»

Poi Sam si fece forza come se stesse per mettere la sua mano nel fuoco. Molto dolcemente aprì il fermaglio che stringeva la tunica attorno al collo di Frodo, infilandovi la mano; poi, sollevando con l'altra mano il capo, depose un bacio sulla gelida fronte e tirò delicatamente fuori la catenella.

Nessun cambiamento apparve sul volto tranquillo di Frodo – e questo, più di qualsiasi altra cosa, convinse Fíli che Frodo fosse davvero morto. Non avrebbe mai lasciato che l'Anello gli fosse tolto così-

Cuore Dorato, erede al Trono di Durin

Fíli urlò, e si mise le mani sulle orecchie.

Principe Ereditario, principe leone, oro è il tuo nome e oro potrebbe essere il tuo dominio, potere e legge possono essere tuoi

«Namadul!» urlò Thorin, e girò Fíli perché fissasse il suo volto. Fíli fissò gli occhi di Thorin, e il respiro rapido e irregolare. «Su di me, concentrati su di me, sulla mia voce! Non può farti nulla!»

Kidhuzurkurdu sussurrò la voce, sinuosa e seduttiva. Fíli boccheggiò per l'aria, e disperatamente pregò che smettesse, smettila!

«Su di me, Namadul!» ordinò Thorin, e premette insieme le loro teste «Occhi su di me!»

«Fee!» urlò Kíli, e sentì vagamente le braccia di suo fratello che si avvolgevano attorno a lui «Non la ascoltare!»

E poi Sam mise la catenella nella tasca, e Fíli cadde come una marionetta senza fili. Kíli dovette lottare sotto il suo peso per un momento, prima che Nori gli mettesse un braccio attorno alle spalle e lo tirò su.

«Bene, questo è stato intenso» fu tutto ciò che disse. Gli si vedeva il bianco degli occhi, e stava di nuovo tremando. Fíli per un istante si chiese cos'avesse sentito Nori, e poi rabbrividì.

«Ci ha già provato con noi» disse Kíli, guardando preoccupato il volto di Fíli «Non è arrivato a niente allora, quindi credo stia chiamando più forte ora. Non ho sentito nulla stavolta. Deve aver cercato un nuovo giacimento.»

«Può solo mentire e distruggere» disse Thorin cupo, e accarezzò le trecce di Fíli. «Siete stati bravi. Tutti voi. Stai bene, Fíli? Nori?»

Fíli annuì, e cercò di ricomporsi. La voce era stata una tenaglia, che gli strizzava fuori ogni pensiero dalla testa. Come aveva fatto Frodo a portare quella cosa un solo giorno? «Quindi, non lo senti più?» biascicò, e Kíli scosse la testa.

«Mi chiama, ma non risponderò» disse Thorin fermamente «Avete bisogno di andare?»

Fíli esitò, e Nori si morse il labbro.

«Allora andremo» disse Thorin, e guardò nuovamente la scena «Sam è il Portatore ora. Non possiamo fare altro.»

Sam si stava alzando, come barcollando sotto un grande peso. Poi si asciugò delle nuove lacrime e guardò malinconicamente il calmo, immobile volto di Frodo. «Addio, Padrone adorato!» mormorò «Perdonate il vostro Sam. Tornerà in questi luoghi a lavoro finito – se assolverà il suo compito. Allora non vi abbandonerà mai più. Riposate tranquillo finché torno; e che nessuna creatura malvagia venga a disturbarvi! E se la Dama potesse udirmi e realizzare un mio desiderio, mi farebbe tornare qui a trovarvi. Addio!»

«Perdonami, Bilbo» Fíli sentì Thorin che lo sussurrava mentre la luce stellare arrivava a portarli via dolcemente.


«Ci hanno fatto spezzare i ranghi» ringhiò Dáin, e spedì Värc il corvo nel cielo con un movimento del braccio «I soldati degli Uomini di Dale sono intrappolati nel tunnel, e noi siamo ancora bloccati su questa dannata pila di roccia. Martelli e tenaglie! Immagina, gettar via un intero esercito solo come diversivo! E ora Dale è senza difese, spoglia come un neonato, mentre loro portano qui la loro seconda divisone!»

Bomfrís ansimò, la mano stretta al fianco. Sulla sua spalla, il corvo Tuäc gracchiò ansiosamente.

«Dov'è Thorin?» disse lei quando ritrovò il respiro «Pensavo che dovesse comandare le mura?»

«C'è stato un cambio nei pieni, ragazza» disse Dáin, e alzò la mano e la abbassò nuovamente con uno schiocco delle vecchie dita. Giunsero urla quando il segnale fu riferito lungo le mura, e grandi pentoloni di metallo liquefatto furono gettati dai bastioni sulla rumorosa, puzzolente orda di sotto. Le urla e l'odore era terribile, e Bomfrís si mise un braccio sopra la bocca. «Il tunnel è stato preso.»

Bomfrís fissò il Re. «E lui è là sotto?»

«Aye» Dáin guardò gli Orchi strillanti sotto di loro, il volto rugoso duro come il granito «Ha i nostri genieri migliori con sé, e quel Principe Elfico la cui compagnia tu ami tanto.»

Bomfrís si incupì di riflesso al sentir parlare di Laerophen, e poi comprese le parole di Dáin e sbiancò, facendo risaltare le lentiggini sulla sua pelle. «Da quanto tempo?»

«Ore» disse Dáin, e le diede una pacca distratta su un braccio «È un ragazzo forte, mio figlio. Tornerà da te.»

«Come lo sai?» chiese lei.

Dáin si voltò verso di lei, e lei riconobbe l'incredibile età nei suoi occhi blu sbiaditi, la stanchezza. «Perché deve» disse, e le strinse il braccio «Ora, vai con gli altri arcieri, ragazza mia. Stai al sicuro. Ci serve il tuo arco per coprire il nostro assalto.»

«Il nostro assalto?» disse lei allarmata, ma il Re stava camminando lungo le mura verso Dwalin, in piedi come un macigno inamovibile, facendo segno al vecchio generale di chinare la testa per parlare.

«Cosa pensi intenda dire, il nostro assalto?» sussurrò Tuäc.

«Non lo so» disse lei, e si tormentò le mani «Ma devo andare al tunnel.»

«No no, tu non mi porti là sotto!» gracchiò Tuäc, le ali aperte in indignazione «E il Re ha detto di andare su!»

«Allora rimani qui, testa pennuta» sibilò lei, e girò sui tacchi così in fretta che il corvo cadde dalla sua spalla.

Tuäc svolazzò per un momento, girando e osservando la Nana che correva via, vestita della sua giacca e nei suoi pantaloni di pelle e di una maglia di ferro messa in fretta. «Oh, lo rimpiangerò» disse a se stessa, facendo schioccare il becco «Bomfrís! Aspetta!»

Dáin lanciò un'occhiata indietro verso Bomfrís che correva nella Montagna, e sospirò. «Beh, dannazione.»

«Non è tornata alla sua postazione, vero» disse Dwalin, e non era una domanda. Grugnì. «Posso mandare uno dei miei a prenderla.»

«Abbiamo problemi più grossi» disse Dáin, e si levò l'elmo e si strofinò la fronte per un momento o due «Quindi. Sei d'accordo?»

Dwalin gli fece un ghigno storto. «L'ho già fatto una volta, no?»

«Aye, ma non ero io a chiedertelo» Dáin guardò giù dai bastioni per un momento. Una grande Orchessa bianca gli ringhiò in mezzo alla massa tumultuosa davanti alla Montagna, le labbra tirate indietro a scoprire denti insanguinati. Nella mano teneva un grande mazzafrusto e sul suo volto vi erano delle cicatrici scavate in disegni orribilmente familiari. Dwalin guardò il Re, e poi seguì il suo sguardo.

«Dâgalûr» disse Dáin, e scosse la testa «La figlia di Bolg. Questa famiglia è peggio delle mosche su una carcassa.»

«Aye, e noi siamo la carcassa» ringhiò Dwalin «Bene, andrò a ucciderla.»

Dáin ghignò. «Aye, ma lascia andare me prima. Prerogativa reale.»

«Imbecille reale, al limite» mormorò Dwalin, e guardò l'enorme Orchessa con uno sguardo nero come una tempesta.

Dáin si rimise l'elmo e raddrizzò le spalle. «Dov'è Dís?»

Dwalin fece un cenno con la testa, e Dáin si voltò per vedere il Primo Consigliere, in piedi dritta come una polena su una prua. Indossava un'antica maglia di ferro e schinieri che portavano il sigillo del suo antenato, Thorin I, e con un mantello e dei pantaloni blu non era mai somigliata tanto a suo fratello. I suoi capelli grigi volavano nel vento mentre lei alzava la spada e uccideva l'Orco che aveva provato a strisciare sul pendio come un qualche scarafaggio gigante. «Serve aiuto?»

«Un – attimo!» grugnì lei, e infilzò l'Orco con la spada come un insetto su una tavola. Poi si appoggiò pesantemente su di essa e si asciugò la fronte. «Sono troppo vecchia per queste cose.»

Dwalin rise. «Aye, tu come tutti noi. Però siamo qui.»

«Perché voi due mi state dando fastidio ora» borbottò lei, e si levò i capelli dalla faccia con uno sbuffo. Il sudore aveva fatto colare polvere e sporco nelle profonde linee di dolore e amarezza attorno alla sua bocca, ai suoi occhi e sulla sua fronte. «Sono occupata.»

«Come temevamo» disse Dáin semplicemente, e lei si congelò per un secondo. Poi le sue spalle si abbassarono.

«Ah»

«Non mi sembrate sorprese, entrambi voi, se posso dirlo» disse Dwalin, e diede distrattamente un calcio in faccia a un Orco per farlo volare giù urlando dai bastioni.

«Non lo sono» disse Dáin, e si voltò per tirare una testata a un altro, mandandolo ululante dietro quello di Dwalin «Solo un po' rassegnato, ad essere onesto.»

«Dáin, per favore, non farlo» disse Dís, e strappò la spada dall'Orco che aveva ucciso e fece due passi verso suo cugino «Non...»

«Brand è circondato» disse lui, e il volto di lei si deformò per la rabbia.

«Non ci hanno nemmeno mandato aiuti!»

«Alla fine l'hanno fatto» mormorò Dwalin, e Dáin annuì. Dís sbuffò, agitando una mano.

«Alla fine! Mesi dopo, mesi dopo l'inizio di questo assedio. Solo parte delle loro forze, intrappolati sottoterra. Abbiamo dovuto mandare Bofur a implorare!»

«E non è una vergogna» disse Dáin, e afferrò l'Orco piuttosto confuso che era arrivato in cima alle mura, battendo le palpebre per la sorpresa, e gli tirò una testata. La creatura divenne molle fra le sue mani. «Gli stavo solo ricordando i loro accordi. Stavo facendo il bravo vicino, diciamo.»

«Tu e i tuoi accordi!» ringhiò lei «Sempre i tuoi dannati accordi!»

«Beh, c'è un motivo se li facciamo» disse Dáin tranquillamente, e usò l'essere che aveva in mano come scudo dalla lancia che era stata scagliata verso di lui. Fece uno suono simile a uno schlock! quando entrò nel corpo dell'Orco. «Li facciamo per onorarli.»

«Ignorali!» urlò Dís, e si girò e decapitò un altro Orco, calciando via la testa con più veemenza del solito «Siamo ancora circondati, vecchio idiota pazzo, è un suicidio! Abbiamo già abbastanza problemi!»

Dáin si scambiò un'occhiata con Dwalin. «Non posso, Dís.»

«Il tuo maledetto onore!» sputò lei, e ancora si voltò per colpire la faccia di un Orco col pugno coperto dall'armatura. Esso si strinse la testa e cadde dalle mura, e lei scosse via il sangue dalla sua spada con un movimento del polso. «Dáin, dannazione – l'onore ti ucciderà!»

«Come mi hai già detto molte volte» disse Dáin, e fece un giro su se stesso per spedire Barazanthual, la sua famosa ascia rossa, nel teschio di un altro scalatore.

«Dwalin, non puoi essere d'accordo» lo implorò lei. Dwalin spostò il peso da un piede all'altro, a disagio. «Sei il nostro Generale. Devi capirlo: questa azione non ha alcun senso militare! È follia!»

«Beh, dicono che corra nella nostra famiglia» disse Dwalin dopo un momento, e la faccia di Dís sbiancò completamente.

«È per via di Thorin» disse lei, mangiandosi le parole per la furia «Dáin, maledetto te...»

«No, non è per lui» disse Dwalin brusco «È per Dale. Tutti e tre conosciamo Brand da quando era un neonato. Tu lo facevi saltare sulle tue ginocchia, e Dáin gli aveva regalato uno dei soldati giocattolo di Bofur. È un nostro amico. Abbiamo promesso di difendere casa sua, cugina. Hai promesso di difenderla personalmente con la tua spada.»

Lei li fissò.

Poi chiuse gli occhi. «Sì, è vero» disse, quasi a se stessa «L'ho promesso.»

E poi, ancora più piano: «Devo seppellire anche te?»

Dáin fece un passo avanti per metterle una mano sulla spalla e guardarla in faccia. «Smettila, ora» disse «Smettila, non ci sono garanzie, e chi lo sa? Potrei non rimetterci la pelle.»

«Non abbiamo una storia incoraggiante per quanto riguarda Re che sopravvivono alle battaglie» disse lei amaramente, gli occhi ancora chiusi «Ci hai preparati: Thira, me, tuo figlio, Bomfrís. Hai pianificato. Perché devi essere un tale...»

«Una tale testa dura?» Dáin finì la frase per lei, ghignando apertamente. Lei aprì gli occhi per incenerirlo con lo sguardo.

«Buffone» disse, la meravigliosa voce spezzata.

Lui strinse le dita sulle sue spalle. «Non ti ho ancora lasciata» disse «E tu sei più vecchia di me.»

«Non che qualcuno lo direbbe» rispose lei «Sono stata ghiaccio per più a lungo di quanto tu possa immaginare. Tu lasci ancora che il mondo ti cambi: lasci che il mondo ti muova. Io non posso.»

«Lo so, namaduh kurdulu» disse lui, facendo un passo avanti «Ho occhi e testa buoni, e li uso. Ma vieni con me in ogni caso.»

Lei lo fissò ancora, il petto che si alzava e si abbassava rapidamente.

Dwalin iniziò a cantare piano con voce ruvida ma piacevole:

[La canzone dei soldati dei Colli Ferrosi (coro), eseguita e arrangiata dall'autrice]

[La canzone dei soldati dei Colli Ferrosi (assolo), eseguita e arrangiata da notanightlight]

"My home is no great hall of stone:
No golden treasures greet me.
Nor an ancient place of great renown
No grandeur in its history.

My home may not seem much to you
And pretty poor you think her
But gold and gems will turn on you
Where iron will not falter…"

Dáin sorrise. «Stai cercando di rendere un vecchio nostalgico ora?»

«Sta funzionando?» rispose Dwalin.

«Vi odio entrambi» sussurrò Dís «Aprite quei dannati cancelli allora. Andiamo a salvare Dale.»

«Cercate Thira, ditele di venire ai bastioni esterni» disse Dáin, prendendo un guerriero di passaggio per il braccio e soffiandogli all'orecchio «Sii rapido!»

Dwalin alzò il suo martello da guerra, e lo fece cadere su un tamburo vicino con un rimbombo tuonante che sembrò far tremare persino l'aria, prima di far seguire due colpi rapidi, e poi quattro lenti.

Il silenzio che seguì il colpi fu completo e stupefatto.

«Siete sicuro, Maestà?» chiese un soldato.

Dáin lo ignorò, e iniziò a zoppicare dai bastioni ai Grandi Cancelli.

«O but take me where the falcons scream» cantò piano Dwalin, seguendolo. Dáin sbuffò, e poi si unì con la sua vecchia voce rotta:

"And the wind rips round the mountains,
Where the waters run as red as blood
And cascade in crashing fountains."

«Vecchi sentimentali!» sputò Dís, e quando i versi successivi iniziarono a salire da ogni gola attorno a loro, lei chiuse gli occhi e tuttavia una lacrima riuscì a sfuggirle da sotto la palpebra.

"My home is hard and poor and free
And untamed as any lion.
No gold nor gems does she have for me,
Her proud hard heart is iron.

My home is far away from here
My hearth it calls me sadly
My forge it lies so cold and drear
When it used to echo gladly."

Ai Grandi Cancelli era il Generale Orla, insieme a Glóin, Dori, Gimrís e ai guaritori militari. La sua ascia dalla lunga impugnatura era tenuta mollemente nella sua mano e i suoi occhi erano confusi osservando il contingente di guerrieri dai bastioni, tutti che cantavano piano e guidati dal Re.

«Cosa succede?» sibilò a Dís, la quale lanciò alla sua amica un'occhiata dura piena di amarezza.

Glóin si tirò la sua vasta barba bianca e sospirò, gli occhi lontani. «Questa è una vecchia canzone dei soldati dei Colli Ferrosi.»

«E quello è Dáin che fa l'idiota nobile e va a morire per la gloria e per l'onore e per Erebor come tutti gli altri» ringhiò Dís «Andrà avanti così finché non saremo morti tutti!»

Orla rimase in silenzio per un secondo, la sua abituale maschera severa si incrinò per mostrare una profonda e presto nascosta tristezza. «Ah» fu tutto ciò che disse.

La Regina Thira era accanto alle porte, e prese la vecchia testa bianca del Re fra le mani, e lo baciò a lungo. Nessuno era abbastanza vicino da sentirli parlare, ma lei piangeva quando si allontanò e il suo volto sottile era angosciato.

«Hai sempre saputo che non sarei morto nel mio letto, amore mio, e hai sempre saputo che sarei andato prima di te» Orla poté sentire Dáin che parlava, e cercò di tapparsi le orecchie «Perché sposasti un Nano tanto vecchio, Mahal solo lo sa. Prenditi cura del nostro ragazzo, va bene?»

«Non tornerai da me, non stavolta» disse lei, e lui sorrise.

«Penso di essere arrivato alla fine. Questa dannata pila di roccia che Scudodiquercia ci ha mollato mi ha prosciugato, ma c'è un'ultima cosa che posso darle, eh?»

«Dáin» disse lei in un mezzo singhiozzo, e lui le lisciò la barba nera sulle guance con un pollice.

«Ti amo» fu tutto ciò che disse.

«Torna indietro» gemette lei, e gli prese le mani. Lui premette la sua fronte contro quella di lei, e si fece passare le sue trecce nere fra le mani, lasciandole cadere liberamente «L'hai sempre fatto. Torna ancora, mostra a tutti che hanno torto un ultima volta!»

«Ci proverò» disse lui, ma non suonava ottimista «Ci proverò.»

I soldati giungevano a frotte dai bastioni per ammassarsi dietro al Re, Orla, Dwalin e Dís. Il volume della canzone divenne più alto mentre il Re baciava ancora la Regina, e le labbra si lei si attardarono su quelle di lui e le sue piccole mani gli presero il rugoso, saggio, stanco volto.

"O I long for where the sun beats down
And the rivers roar with fierceness
Where the earth is painted red not brown
And the weather scares me beardless.

For gems and gold and mighty halls
The great will bid us roam.
And every time we obey their call
We pray that we come home."

Dáin fece un cenno ad Orla, che alzò l'ascia. Sopra la porta, Dori suonò il grande corno di battaglia e i giganteschi ingranaggi dietro ai Cancelli iniziarono a scricchiolare quando il meccanismo fu messo in modo per la prima volta in mesi. Dáin baciò ancora una volta Thira, e poi accettò il coltello di Dwalin e se lo portò fra i propri capelli bianchi. Si tagliò una treccia, e la mise fra le mani di lei, e poi incrociò lo sguardo di Dís.

Il suo volto era così contorto che sembrava stesse ringhiando, e i suoi occhi scuri nuotavano nelle lacrime mentre attorno a loro ogni gola si apriva nella tuonante, trionfante canzone:

"Soon the drums will sound again
And out we'll trot like cattle
The lordly need that iron blood
For watering their battle.

O I'll turn my feet towards the north
Like a compass ever true!
I'll never roam again henceforth
From my land of red and blue!"

«Andiamo allora» disse Dáin, e si mise in spalla Barazanthual «Andiamo ad affrontare un'altra volta quella feccia.»

«L'hai sempre saputo» lo accusò lei «l'hai sempre...»

«Dís» disse Dáin, e la sua voce fu quasi ingoiata dai canti attorno a loro «Questo feudo è vecchio di secoli, e non vi siamo mai scappati, mai. Il suo bisnonno ha decapitato mio padre, e io l'ho scannato a mia volta. Suo nonno ha ucciso Thrór e Fíli e Thorin, e Thorin l'ha ucciso a sua volta. Suo padre ha ucciso Kíli! Potremmo mai sfuggirvi? Io sono il prossimo, e lo so. Il bersaglio è sulla mia testa ora. L'ho scampata per un sacco di tempo – ma non puoi correre più di tanto quando hai una gamba mozza come me.»

«Sei un bastardo!» urlò lei, e lui chinò la testa.

«Aye» disse lui dolcemente, e strinse la mano di Thira «Ma pratico. Dobbiamo salvare Dale, cugina. Se Dale cade, noi siamo perduti. Non possiamo mangiare oro e non possiamo farcela da soli, l'abbiamo imparato. Quindi, Dâgalûr è il rischio che dobbiamo affrontare, e so da quando ho imparato il suo nome che lei aveva un biglietto col mio nelle sue mani sporche. Ma ti dico questo, Dís: se quella feccia prende me, conto su di te per prenderla a tua volta.»

«Ti farai uccidere, dannato idiota» ringhiò Dís, e lui rise.

«Forse. Mi sembra un giorno fortunato!»

Le voci si alzarono fino a diventare un muro di suono, e lui si girò per guardare i Cancelli con la determinazione in quei pallidi e sbiaditi occhi blu.

"O! I dream of jagged rusty skies,
And her savage wild beauty.
I see her when I close my eyes;
The Iron Hills for me!"

«The Iron Hills for me» cantò Dáin a se stesso, la voce bassa e roca, e l'elmo decorato a forma di cinghiale si abbassò per un attimo.

Poi alzò l'ascia nel cielo e urlò con voce grande e terribile:

«BARUK KAHAZAD! KHAZAD AI-MENU!»

I Cancelli si aprirono con uno schianto e il ruggito scosse l'aria attorno a loro mentre Dáin guidava i Nani fuori verso il campo di battaglia. Dís strinse i denti e alzò la spada e seguì attraverso la nebbia delle sue lacrime di rabbia.

TBC...

Note

C'è un riferimento a “Lo Hobbit” nel quale Thorin dice: “Dori è il più forte, ma Fíli è il più giovane e ha gli occhi migliori”

Dialogo e descrizioni prese da “La Tana di Shelob” e “Le Scelte di Messer Samwise”.

Il motivo della relativa stabilità dei Colli Ferrosi era l'assenza di un Anello dei Nani. Gli anelli portavano grandi tesori, che a loro volta portavano draghi.

Sotto il governo di Dale, i Nani della Montagna Solitaria di guadagnarono la reputazione di essere persone di fiducia.

I Nani dei Colli Ferrosi furono gli ultimi ad arrivare alla Battaglia di Azanulbizar. Là, all'entrata di Khazâd-dum, il padre di Dáin Náin fu decapitato davanti ai suoi occhi da Azog. Allora Dáin (allora un ragazzo di trentadue anni) uccise Azog. In questa storia il libro e il film sono stati riconciliati supponendo che Azog del libro fosse in realtà il padre di Azog del film. (Questo vuol dire che Azog del film sarebbe potuto essere chiamato Junior).

"The Iron Hills for Me" è un lavoro originale dell'autrice.
Traduzione:
Casa mia non è una grande sala di pietra:
Nessun tesoro d'oro mi saluta.
Né è antico luogo di grande fama
Nessuna grandiosità nella sua storia

Casa mia potrà non sembrarvi molto
E male pensate di essa
Ma oro e gemme vi si rivolteranno contro
Mentre il ferro non vi lascerà mai.

O ma portami dove il falco grida
E i venti soffiano fra i monti,
Dove acque corrono rosse come sangue
E cadono in fragorose cascate

Casa mia è dura e povera e libera
E indomabile quanto un leone.
Né oro né gemme ha per me,
Il suo orgoglioso cuore è in ferro.

Casa mia è lontana da qui
Il mio cuore mi chiama con tristezza
La mia forgia giace fredda e spoglia
Quando un tempo risuonava felicemente

O mi manca dove il sole picchia
E i fiumi ruggiscono con ferocia
Dove la terra è dipinta di rosso non marrone
E il tempo mi fa perdere la barba per la paura.

Per gemme e oro e grandi sale
I grandi ci ordineranno di vagare.
E ogni volta che ubbidiamo alla loro chiamata
Preghiamo di tornare a casa

Presto i tamburi suoneranno ancora
E trotteremo via come bestiame
Ai signori derve quel sangue di ferro
Per innaffiare le loro battaglie

O girerò i miei piedi verso nord
Come una bussola sempre vera
Non me ne andrò mai d'ora in avanti
Dalla mia terra di rosso e blu

O sogno frastagliati cieli rugginosi,
E la sua feroce selvaggia bellezza.
La vedo quando chiudo i miei occhi
I Colli Ferrosi per me.

 

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 35
*** Capitolo Trentacinque ***


«Tu cosa?» Frerin sembrava preoccupato, e Thorin non gli dava torto. La storia era irrealistica, dopotutto. «Ma, nadad...»

«Lo so come suona» disse lui, forzandosi a tenere il suo tono di voce tranquillo. Scattava troppo facilmente sulla difensiva. «Ma non dico altro che la verità.»

«Ma come farebbe uno Hobbit vivente – un vecchio Hobbit vivente – un vecchio Hobbit vivente che riesce a malapena a camminare e vive dall'altro lato del mondo a entrare nelle Sale?» Frerin si strofinò la fronte, chiaramente perplesso «Non sto dicendo che non ti credo, ma...»

«Ma stai dicendo che non mi credi» disse Thorin asciutto.

Frerin sbuffò, ferito. «No, non è vero! Giuro che ti credo. È solo molto, ecco... insolito.»

«Aye, è un modo per dirlo» grugnì Thorin, e voltò un angolo della contorta, luccicante miriade di corridoi che creavano le Sale di Mahal, Frerin che gli trotterellava dietro. La forgia di suo nonno era poco più avanti. «Chiederei al nostro Creatore, ma non c'è tempo. Bilbo stesso non sapeva com'era arrivato nelle mie stanze. Disse che mi vede ogni volta che sogna, e questo è un pensiero inquietante. Aspetto e temo il suo ritorno allo stesso tempo. Devo dirgli della morte di Frodo, appena dopo aver raggiunto un accordo...»

«Aspetta, lui cosa... accordo?» il naso di Frerin si storse mentre pensava «Quindi, non è felice di vederti?»

Thorin girò la testa per lanciare a suo fratello uno sguardo sardonico. Frerin chinò la testa e lo fissò con occhi penetranti. «Non è una risposta, nadad.»

Thorin fece una smorfia. «Non lo so. Credo sia più complicato di così. Forse parte di lui era felice di vedermi e parlarmi, sapendo che ero io. Parte di lui è ferita, e parte di lui desidera ancora tenersi i suoi segreti, un'abitudine che ora per lui è naturale come respirare. Mi sembrava anche arrabbiato – come ha ragione di essere – ma Bilbo sa usare anche la sua rabbia come scudo, nascondendo ciò che non desidera che gli altri sappiano. È compagno di conversazioni scivoloso, quando vuole esserlo.»

«Beh, d'altronde ha preso in giro sia Gollum che un drago» disse Frerin, e diede una pacca esitante sulla schiena di Thorin «Va tutto bene?»

Thorin esitò davanti alla forgia di Thrór. «Sto abbastanza bene» disse, e la sua voce era pesante e addolorata persino alle proprie orecchie «Sono in lutto per Frodo, più che altro. Soffrire tanto e arrivare fin lì, solo per essere abbattuto da un male tanto sporco e antico. Il mondo è crudele.»

Il volto di Frerin cadde. «Oh, Thorin» disse, e appoggiò la spalla contro quella di Thorin per un momento.

Thorin rimase per un istante sull'orlo di quella voragine di disperazione che l'aveva trattenuto tanto a lungo, il cuore che lo tirava verso il basso e il dolore che gli fischiava nelle orecchie. Poi le piccole dita di Frerin si poggiarono sulla sua mano, e lui fece un respiro profondo.

«Grazie, nadad» disse, poco più di un borbottio del suo petto.

«Quando vuoi» disse Frerin, basso e serio «Entriamo?»

«Aye» Thorin aprì le spalle «Vediamo cos'altro ha il mondo per noi.»

La forgia era piena zeppa di Nani. Tutta la famiglia e gli amici di Thorin si fermarono quando lui entrò e poi ci fu una cacofonia che riempì l'aria. Poi il rumore raddoppio quando tutti si misero a urlare nello stesso momento:

«THORIN, L'ELFO E GIMLI, NON È -»

«C'È UN ALTRO ORCO BIANCO GIGANTE FUORI DA EREBOR -»

«THORIN, SAM È ENTRATO IN UNA TORRE PIENA DI ORCHI E -»

«GLI ESTERLING CIRCONDANO DALE, UN SECONDO ESERCITO CHE -»

«LA LADY ÉOWYN, LEI E MERRY SONO-»

«ARAGORN CONTINUA A DIRE “ERA ORA” E IO -»

«FARAMIR STA MORENDO E SUO PADRE -»

«ED HA GUIDATO LA CARICA, E CANTAVANO -»

Thorin fece un passo indietro, cercando di capire il senso di tutte quelle urla isteriche che gli arrivavano nello stesso istante. «Shazara!» ruggì, ma con tutta quella confusione nessuno poteva sentirlo «SHAZARA!»

Ci fu un enorme, assordante CRASH!

Dei tintinni seguirono l'improvviso silenzio. Hrera era in un angolo, le sopracciglia alzate e gli attrezzi di Thrór erano sparsi sul pavimento.

Lei incrociò le braccia e fulminò tutti con lo sguardo. «Zitti.»

Thrór gemette. «Cara, davvero, dovevi proprio usare i miei attrezzi buoni?»

Lei lo ignorò. «Uno alla volta, grazie tante. Tu» indicò Ori «Tu stavi facendo molta confusione, qual'è il problema?»

Ori guardò Thorin, che alzò le mani. Mia nonna è un caso a parte, e io non posso darle ordini cercò di comunicargli con gli occhi. Ori fece una smorfia, come per dire va bene, e si schiarì la gola.

«Éowyn e Merry si sono uniti ai Rohirrim in guerra» disse, e Thorin sentì il brusco respiro di Frerin «Éowyn si è camuffata e Merry è nascosto sotto il suo mantello. Nessun altro lo sa» aggiunse timidamente.

Tutti fecero un respiro profondo, le bocche spalancate per la sorpresa. «Ma – il suo dovere...!» esclamò Balin, e Thráin stava scuotendo la testa.

«Oh, signora coraggiosa» sussurrò Frerin, e Thorin mise una mano sul collo di Frerin «Oh, no no no.»

«Forza, fratello» mormorò Thorin.

«Oh, smettila, sto bene» disse Frerin, la voce più rabbiosa del solito. Solo Thorin era abbastanza vicino da vedere il tremito del suo mento, il suo deglutire, o la preoccupazione nei suoi occhi blu. «Sto bene.»

«Il prossimo» iniziò Hrera, ma Fíli la interruppe senza aspettare.

«Thorin, Frodo non è morto! È vivo! Sam l'ha seguito fino alla Torre di Cirith Ungol, il veleno, è uno paralizzante come quello di Bosco Atro, gli Orchi l'hanno trovato e l'hanno preso prigioniero...»

Lui sentì a malapena il resto, troppo preoccupato dell'improvvisa debolezza delle sue ginocchia. Tutto parve di colpo lontano e confuso, e la sua mano sulla spalla di Frerin di colpo lo stava tenendo in piedi.

Frerin fece un «Ooof!» strozzato, ma le sue giovani gambe lo ressero sotto il peso inaspettato. «Thorin, sei troppo pesante, non posso...»

«Dillo ancora» ordinò, e cercò di reggersi sulle sue gambe tremanti.

Fíli si interruppe, e poi incrociò lo sguardo di suo zio con tanta comprensione che Thorin istintivamente ne ebbe timore. Dovette obbligarsi a continuare a guardarlo. «Frodo vive» disse Fíli piano «Vive.»

Thorin sospirò di sollievo, e il cuore cantava di gratitudine. Grazie al Creatore. Grazie al Creatore.

«Sì, è un sollievo ma io sto per essere schiacciato qui» ansimò Frerin, e Thorin si rimise in piedi in fretta.

«Stai bene?»

«Pesi una tonnellata. Sto bene» disse Frerin, e si massaggiò la spalla.

«Non è il momento di star qui a guardare Thorin che ha delle emozioni» ringhiò Óin. Thorin quasi sbuffò, allegro e incurante dal sollievo. Quanto rispetto. «Minas Tirith è in fiamme.»

«In fiamme!» esclamarono diverse persone.

Si parlava del sollievo. Thorin si ricompose. Frodo era vivo, e lui non avrebbe dovuto dire quelle orribili parole davanti a Bilbo. Il tempo era poco. Ora, il resto.

«Faramir è gravemente ferito. Suo padre guarda lui e solo lui, e non farà nulla in difesa della città. Stanno venendo massacrati!» disse Haban, la voce dura.

«Per la mia barba, sta succedendo tutto ora» sospirò Víli «Le mie novità non sono migliori: Dáin ha aperto i Cancelli di Erebor e sta cercando di arrivare fino a Dale attraverso l'esercito assediante.»

«COSA?» Balin cadde per l'orrore, e Thrór rimase scioccato.

«Lui cosa! E ha lasciato la Montagna senza protezioni?» Thorin fece un passo avanti, gli occhi fermi su suo cognato «Dimmi altro! Quand'è successo? Perché?»

«Stamane, forse due ore fa» disse Víli, e si grattò la nuca «Sono appena tornato.»

«Fai rapporto ora, e in fretta!»

«Bene» e gli occhi di Víli andarono ai suoi piedi «Dáin ha saputo che un secondo esercito andava a Dale, una nuova armata di Esterling e bestie da guerra.»

Thrór si alzò, gli occhi terribili. «Questa Dâgalûr è intelligente. Ha tenuto i Nani nella Montagna, assicurandosi che non potessero fortificare la città. Gli Uomini di Dale hanno rimandato troppo per rifugiarsi ad Erebor... ed ora Dale è senza difese, il perfetto punto di vantaggio per assalire Erebor.»

Víli annuì. «C'è il fiume lì, e sono in una posizione privilegiata, e hanno spazio per molte truppe, e viveri. Possono sedersi lì a Dale e usarla come fortezza del Nord. Perché non è solo Erebor in pericolo se Dale è presa...»

«Lago Lungo» disse Balin, il terrore negli occhi «Bosco Atro.»

«Le loro forze potrebbero unirsi a quelle di Dôl Guldur» disse Hrera «Gondor e Rohan sarebbero prese da tutti i lati!»

«Aye» Víli annuì «Quindi, Dáin sente che Dale è minacciata, e quindi apre i cancelli e guida l'esercito dei Nani nella valle. Si sono anche chiusi dietro i Cancelli: solo roccia dietro di loro, e Orchi davanti a loro. Non possono uscirne se non combattendo. Quindi questo è tutto. È vittoria – o morte.»

«È andata anche Dís, vero» disse Frís, pallida.

La mano di Víli si strinse sul suo ginocchio finché i tendini risaltarono come corde. «Sì» disse, duro.

Kíli appoggiò la fronte contro la spalla del padre, facendo un piccolo suono teso.

Thorin pensò in fretta. «Due battaglie, ognuna delle quali con molti fronti» disse «Dobbiamo andare dove saremo più utili.»

«Io rimarrò nella Camera di Sansûkhul» si offrì Hrera «Posso indicarti dove sono quelli che hanno bisogno di te, Thorin caro.»

«Se le stelle non ci guidano, aye» confermò Ori «È una buona idea.»

«Bifur, vai da quelli che sono sottoterra ad Erebor» ordinò Thorin «Lóni, Frár, voi andate con lui.»

«Io vado ad Erebor» disse Thrór piatto, e il suo volto era acceso di determinazione. Thráin raddrizzò le spalle e si alzò, e Frís gli prese la mano. Anche Víli si alzò, il volto allegro teso e duro.

«Io terrò d'occhio Dale» disse Balin, e dietro di lui Ori e Náli annuirono.

«Io vado da Gimli» dichiarò Óin, incrociando le braccia «Provate a fermarmi.»

Haban scosse la testa. «Io tornerò a Gondor. Chi è con me?»

«Verrò anch'io» disse Narvi, e Thorin inclinò la testa rispettosamente.

«Vengo con te, amore» disse Gróin, e accanto a lui suo fratello Fundin sospirò e alzò gli occhi verso il soffitto.

«Beh, suppongo ci si aspetti che io venga e faccia tutto il lavoro allora?»

Gróin fischiò. «Oh, come se tu riusciresti mai a far qualcosa di utile-»

«Basta» Thorin li interruppe «Fíli, Kíli, tornate da Frodo e Sam. Prendete Nori con voi, è il più bravo a scappare dalle stanze chiuse a chiave.»

«Non è che mi diverta» borbottò Nori.

Thorin alzò un sopracciglio. «Ho torto?»

«Nah. Ho solo detto che non mi diverte»

«Io sarò con Óin e Gimli» disse Thorin, e si voltò verso Frerin «Tu non devi venire, se una battaglia...»

«Oh, dannazione» ringhiò Frerin «Andiamo.»

I Nani si muovevano in fretta quando serviva. Thorin guidò la corsa verso la Camera di Sansûkhul, la mente vuota di tutta se non l'urgenza della guerra. Quasi si gettò nel suo posto abituale, la pietra della panca ormai liscia sotto di lui, e sentì a malapena il leggero peso di Frerin accanto a lui prima che le stelle della vasca iniziassero a brillare, scintillando, crescendo in luminosità fino a portarlo via.

Arrivò nella Terra di Mezzo al buio.

Battendo le palpebre, aspettò che la sua vista si abituasse. I suoni che sentiva non erano incoraggianti: imprecazioni, i movimenti di terra e pietre. Batté ancora le palpebre, e le macchie davanti ai suoi occhi sparirono.

«Di qua, ora» sentì dire Bofur «Qua è spesso solo un piede o due.»

«Spero tu sappia cosa stai facendo, Mastro Nano» giunse una voce acida, nell'accento di Dale.

«La prossima volta lo scavi tu un tunnel lungo otto miglia in una settimana» ritorse Bofur «Sta zitto, questo è un lavoro da Nani. Vai a... essere alto e fastidioso da un altra parte, o qualsiasi cosa piaccia fare agli Uomini.»

«Siamo sotto la Desolazione» disse Thorin, accigliato. Si era fidato del Gimlîn-zâram per andare nel posto dov'era più necessario; di certo Bofur e i Bizarûnh non erano in pericolo immediato? Erano intrappolati, ma avevano aria...

«Abbassati, Pa!» arrivò la vocina di Gimizh, acuta e spaventata. Thorin si voltò, e vide una mano che attraversava il suolo collassato, con dita tozze dall'aria malvagia.

«Troll!» urlò qualcuno, e Bofur imprecò e cadde. Gimizh era al suo fianco dopo qualche secondo, tirando la giacca del padre e portandolo via.

Si sentiva il rumore dell'acciaio, e Thorin socchiuse gli occhi nel buio per vedere gli Uomini di Dale che si univano alla lotta. Gli Orchi entrarono nel buco insieme ai loro arieti Troll, sibilando e sputando nella loro orrida lingua. Le frecce soffiavano nell'aria, colpendo le mura e il soffitto più spesso dei nemici.

Bifur era ai margini del tunnel, che si torturava le mani. Incrociò gli occhi di Thorin, lo sguardo pieno di terrore, ma non parlò. Dietro di lui, Lóni e Frár stavano guardando nel buio. Lóni sembrava sul punto di raccogliere delle armi e assalire i nemici lui stesso, e Frár era rigido e infelice.

«Ritirata!» urlò uno degli Uomini?

«Verso dove? Anche dietro sono tutti detriti!» urlò Bofur.

«Dove dovremmo andare allora?» ringhiò l'Uomo, e trapassò un Orco prima di danzar via dalla presa del Troll. La bestia ringhiava e urlava, la testa che si girava da una parte all'altra mentre cercava di vedere coloro che lo attaccavano al buio.

«Sinistra!» strillò Gimizh, e Bofur fece girare il suo piccone in quella direzione. Un Orco cadde con uno squittio.

«Hanno finito di tirar giù quelle pietre o cosa?» urlò Bofur, e Gimizh gli prese la vita e lo girò dall'altra parte. Il piccone si abbassò nuovamente sulla testa di un Orco.

«Quasi!» giunse un urlo dalla fine del tunnel, e ci fu un'esclamazione «L'abbiamo attraversato!»

«Uscitene allora!» ruggì Bofur, e poi cercò la spalla di Gimizh «Corri, ragazzo. Esci da qui!»

«Papà, di qua!» disse Gimizh, tirando la manica di Bofur «Vieni!»

«Devo rimanere a fare la guardia al tunnel, inùdoy» insistette Bofur testardamente, gli occhi ciechi stretti per la determinazione.

«Non vedi nemmeno cosa ti sta arrivando addosso» ringhiò Gimizh, e tirò ancora la manica di Bofur «Vieni, Papà!»

«Vi copro io!» esclamò l'Uomo che aveva parlato prima, e Thorin riconobbe Bard, Principe di Dale «Muoviti, Mastro Nano, mi stai bloccando il tiro.»

«Archi, sottoterra?» disse Frerin scettico, ma per una volta parve che le circostanze fossero dalla loro e non contro di loro. Bofur si lasciò trascinare nel buco fatto nei detriti (Gimizh stava imparando in fretta a dirgli dove mettere mani e piedi), e poi gli Orchi scesero di nuovo. Ma se prima potevano muoversi liberamente, ora dovevano passare per la nuova entrata uno alla volta. Bard li bloccò con facilità.

«Dove ora?» disse una donna, gli occhi che brillavano nella luce delle torce.

«Erebor è dall'altra parte» disse Bofur cupo «Quindi, è il campo di battaglia o niente.»

«Almeno non siamo più in trappola» disse un altro con un sospiro «Dobbiamo solo riuscire a tornare a Dale...»

«Campo di battaglia, ti dico» ripeté Bofur «Non lo sentite?»

«Sentire cosa?»

«C'è un sacco di movimento sopra le nostre teste ora» disse Gimizh, e la mano di Bofur si mise sulla sua spalla e strinse «Un sacco di grossi piedi che camminano. Il terreno sta tremando.»

«Mi fiderò ti te» disse la donna dubbiosamente. Degli altri guardavano con allarme i due Nani.

«Che succede là sopra» borbottò Bard, e fece partire un'altra freccia nei denti di un Orco «Siamo inutili qui. Dovremmo collassare questa trappola per topi e tornare al campo di battaglia.»

«E lasciare che tutti questi dannati Orchi invadano la nostra Montagna? Te lo scordi» rispose Bofur.

«Papà, non possiamo rimanere però» disse Gimizh, e Bofur sbuffò.

«Mi rifiuto di rischiare ancora la tua vita, ragazzo mio» disse fermamente «Noi non andiamo nemmeno vicino a quella battaglia.»

«Non c'è altra uscita!» urlò Bard, e scoccò un'altra freccia «E la mia faretra si sta svuotando. I tunnel non sono fatti per un arco lungo, se non te n'eri accorto Mastro Nano!»

«Papà» disse Gimizh, il volto sporco di terra pallido e preoccupato.

«Bifur, cosa ti dice la terra, da che parte?» urlò Thorin, e Bifur strinse i denti.

«I Bizarûnh hanno ragione» disse con riluttanza «Non ci sono altre uscite. Il tunnel si muove in modo traditore ora. Sento i gemiti dei piedi di Orchi più avanti, e ancora più avanti dei Nani...»

«Sarà l'Elminpietra» sussurrò Frerin.

«Non possono superare le aree collassate» sospirò Bifur «L'unica possibilità è bloccare l'entrata e tornare verso la città, o cercare di far crollare l'entrata degli Orchi.»

Lóni si tirò i capelli. «Perché non abbiamo mai costruito un'uscita di emergenza? Tutti questi anni, e non un solo passaggio segreto per uscire dalla Montagna?»

«Passaggio segreto» ripeté Thorin, e il suo cuore martellante si fermò.

Frerin ansimò. «Thorin, non...»

«Teneteli qui» ordinò Thorin, e chiuse gli occhi.

L'ultima cosa che sentì fu Frár che diceva esasperato: «teneteli qui come?» prima che la luce stellare lo ingoiasse, premendo la sua radianza contro le sua palpebre.

Tornò nuovamente nel mondo, la luce stellare che gli scivolava di dosso come acqua di fiume. Fu salutato dal tunnel scuro e dai suoni del combattimento, indistinguibili da quello che aveva lasciato. Girò su se stesso, cercando di vedere nell'aria polverosa. Si sentivano delle urla.

«Ritirata!» sentì urlare Jeri «Ritirata!»

«Sono arrivati a metà del tunnel, hanno bloccato la strada a Bofur!» ruggì l'Elminpietra «Continuate, continuate!»

«Sono superiori di numero, non possiamo tenerli fuori!» giunse l'urlo più acuto dell'Elfo, e Thorin distinse il movimento dei capelli oro e argento nel buio mentre Laerophen uccideva un altro Orco.

«Collassatelo!» urlò Thorin, e si trattenne dal cercare di afferrare suo cugino per scuoterlo «Collassatelo e ritiratevi! C'è un'altra strada, un'altra strada per uscire!»

«Non possiamo tenerlo!» gridò Laerophen, e dietro di lui Piccolo Thorin respirava irregolarmente, l'ascia ancora stretta nelle piccole mani e la schiena premuta contro le mura del tunnel «Principe Nano, il tunnel è perso!»

«No, non finché io respiro!» ringhiò l'Elminpietra, e Thorin si massaggiò gli occhi frustrato.

«Uscitene, e collassatelo! Metterai in pericolo tutta Erebor con la tua testardaggine?» urlò «Il passaggio segreto è sopra le loro teste – potete prenderli quando entrano nel tunnel! Attaccateli da sopra!»

«Non possiamo tenerlo! Dobbiamo ritirarci!» disse Jeri, e uccise un altro Orco. Arrivavano come le mosche su un cadavere, accalcandosi e spingendosi e ridendo.

«Non abbandoneremo la nostra gente!» rispose l'Elminpietra, la voce roca per la furia «Vuoi che muoiano sottoterra? Li ammazzerò fino all'ultimo, che Mahal mi sia testimone; questa feccia non vedrà l'alba di domani! Non finché io vivo!»

«Ah!» Jeri strillò quando una lama arrivò troppo vicina e aprì un taglio sulla sua guancia «Mio Principe!»

«Thorin Elminpietra, sta attento al tuo temperamento Durin!» ruggì Thorin «Porterai gli altri alla morte con la tua rabbia? Ritirati, ti dico!»

Il volto dell'Elminpietra era una smorfia di odio e angoscia, e scosse la testa per levarsi il sudore dagli occhi. Infine si voltò e ruggì: «ritirata! Ritirata!»

«Finalmente!» esclamò Laerophen, e spinse via Piccolo Thorin con una mano. Il Nanetto era rigido per il terrore, ma si riscosse e corse via abbastanza in fretta. L'Elfo lo seguiva, e l'Elminpietra e Jeri coprivano la loro ritirata.

Gli Orchi urlarono in trionfo e sbavarono mentre li inseguivano. «Feccia dei Nani, ora morirete!» urlarono, gli occhi luccicanti.

«Voi prima» disse amaramente l'Elminpietra, e la sua grande mazza ferrata girò, distruggendo una trave con un rumore assordante. La terra scese dal soffitto in un rivolo sopra alle ora spaventate facce degli Orchi, e poi il tunnel collassò dolcemente.

Il silenzio cadde sui difensori.

Piccolo Thorin stava boccheggiando, grandi singhiozzi di reazione ritardata. «Gimizh» gemette, e poi la sua faccia si deformò e lui si girò. Laerophen sembrava non sapere cosa fare, e mise una mano dalle lunga dita sulla palla del Nanetto.

«Ascoltami, cugino» disse Thorin «Il passaggio segreto, sui pendii Occidentali della Montagna. Si apre nelle sale superiori. Devi portare là la tua gente prendere gli Orchi da sopra!»

«Ci serve un'altra strada» disse l'Elminpietra in un sussurro «Non possiamo lasciarli a morire così, ingoiati dal terreno.»

«Almeno ora gli Orchi non possono entrare» disse Jeri, e si toccò con le dita il taglio sulla guancia «Bastardi.»

«Il passaggio segreto!» disse ancora Thorin, e strinse le mani a pugno «Thorin Elminpietra, ricordati di me, ricorda le storie che ti hanno raccontato! Il passaggio segreto!»

«Aspettate» disse lentamente l'Elminpietra, e si mise una mano sulla fronte come se stesse cercando di afferrare un ricordo «Aspetta... c'è un altro modo per entrare nella Montagna. C'è un altro modo per uscirne!»

Thorin soffocò l'istinto di picchiare la testa contro a un muro. «Ah, tu e Kíli siete uguali, dovete sempre ripetere l'ovvio? Muoviti, o li perderai!»

«Di qua!» l'Elminpietra iniziò a correre per il tunnel ora libero, e Laerophen scambiò un'occhiata confusa con Jeri, che fece spallucce e iniziò a seguirlo.

«Dove» balbettò Piccolo Thorin.

«Vieni, piccolo coraggioso» disse Laerophen, e strinse la spalla di Piccolo Thorin «Il Principe ha un piano. Il tuo amico non è ancora perduto.»

«Lui si perde sempre» borbottò Piccolo Thorin, e poi indurì gli occhi e alzò il mento «Ve bene, andiamo allora.»

La corsa per il tunnel fu rapida e tetra, e Thorin correva dietro ai viventi col cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Le sale familiari si aprirono davanti a loro, le luci accecanti dopo il buio totale. Alla bocca del tunnel vi erano molti Nani, tutti in incerta attesa. Urlarono quando l'Elminpietra corse in mezzo a loro. «Altezza, altezza!» urlarono, e poi seguirono strilli spaventati quando si resero conto che né gli Uomini di Dale né Bofur era con loro.

«L'abbiamo collassato» ansimò l'Elminpietra, e fissò duramente i presenti «Ora andiamo da Bofur e dai Bizarûnh per un'altra strada. Lasciate delle guardie all'imboccatura nel caso gli Orchi riescano a scavare nella terra.»

«Nessuno riuscirà a passarci» disse Jeri sbuffando «Sono piatti come una torta del Giorno di Durin.»

«Gli altri, con me» continuò l'Elminpietra, brusco «Andiamo verso i saloni superiori Occidentali.»

Laerophen strinse gli occhi. «Superiori? Ma di certo-»

«C'è una via poco conosciuta» lo interruppe l'Elminpietra «Una via segreta. Non ricordi la storia?»

«Oh!» gli occhi di Piccolo Thorin si spalancarono «La porta!»

«Aye, la porta» l'Elminpietra si fece largo fra la folla e ricominciò a correre «Seguitemi! Potrebbero essere in pericolo, e il tempo scarseggia!»

«Devi rimanere al sicuro» disse Laerophen a Piccolo Thorin, che deglutì ma scosse la testa.

«Aiuterò» disse coraggiosamente. Il suo viso scuro era serio e determinato. «Devo trovare Gimizh. Sono sempre io a tirarlo fuori dai guai.»

«E lo farai» promise Laerophen «Vai dagli Elfi. Parla alla mia seconda, ha la pelle scura, i capelli neri e un manto rosso. Si chiama Merilin, e ti aiuterà. Portala alla via segreta con quanti più arcieri possono essere portati via dalle mura. In fretta!»

Piccolo Thorin parve sul punto di protestare, ma poi alzò l'ascia troppo grande e corse via senza una parola.

«Ha fatto bene» disse Thorin, osservando questo fratello di Legolas. Il secondo figlio di Thranduil si raddrizzò, il bel volto Elfico privo di espressioni e freddo mentre guardava la folla di Nani agitato che seguivano l'Elminpietra. Sembrava che anche il cuore di Laerophen stesse cambiando. La sua precedente cortesia rigida e altezzosa era del tutto svanita, e Thorin riconobbe una profonda preoccupazione in quegli occhi luminosi.

Con una scossa dei lunghi capelli pallidi, Laerophen corse dietro all'Elminpietra e ai Nani. Thorin abbassò la testa e si iniziò a seguirlo.

«Non sai se si aprirà» disse Frerin, apparendo con un lampo di luce al suo fianco «E poi, sono dovuto andare da nonna a dirle dov'eri! Puoi avvertire la gente prima di sparire così?»

«Le mie scuse» rispose lui brusco «E si aprirà dall'interno.»

«Pensavo che Smaug avesse distrutto quel versante della montagna» disse Frerin, e iniziò a correre.

«Ci ha provato» disse Thorin, e l'incertezza lo attraversò per un istante «Non ci è riuscito.»

I corridoi voltarono e cambiarono mentre correvano verso i livelli superiori. Molti Nani furono sorpresi nel vedere il Principe che guidava la carica tra sale e mercati e luoghi di riunione, e molti si unirono a loro. La Montagna risuonò del rumore degli stivali che colpivano i pavimenti di pietra, e le urla riempirono l'aria. Avvicinandosi alle piccole stanze dei versanti occidentali, nuove figure si unirono a loro, alte e rapide e sottili: gli Elfi erano arrivati.

Laerophen fece un cenno all'Elfa che li guidava, un'alta arciera con la pelle scura e un lungo mantello rosso. Il suo volto era impassibile ma i suoi occhi erano perplessi mentre inclinava la testa al suo Principe. Dietro di lei, il gruppo di Elfi scattò sull'attenti. Avevano le spade ai fianchi e gli archi sulla schiena.

«Che folla!» disse Frerin, cercando di non camminare attraverso nessuno nello spazio limitato.

«La porta» si disse Thorin «Dovrebbe essere qui...»

L'Elminpietra passò le mani sul muro liscio. Non apparve nulla a mostrare la posizione del magico cancello Nanico. Le vecchie arti erano potenti, e avevano resistito per molti secoli. Le tradizioni erano ora perdute. «E ora?» sussurrò una vocina, e Thorin si girò per vedere Piccolo Thorin che ansimava, come incollato al fianco di Laerophen.

«Dev'essere qui» borbottò l'Elminpietra, e spinse con poca forza il muro «Deve esserlo.»

«La magia funzionerà ancora?» disse Laerophen, e ricevette un centinaio di sguardi irritati dai Nani «Era una domanda.»

«Si apre verso l'interno» mormorò Thorin «Alta cinque piedi e larga abbastanza per tre persone...»

L'Elminpietra si raddrizzò. «Ci serve qualcuno della Compagnia» disse.

«Il mio Pa era nella Compagnia» disse Piccolo Thorin.

«Sono tutti sulle mura» disse Jeri facendo spallucce «Sei sicuro che è questo il posto giusto?»

«Deve essere qui!» ripeté frustrato l'Elminpietra.

«Non pensi che si aprirà solo il Giorno di Durin, vero?» disse Frerin, e i Nani attorno a loro iniziarono a sussurrare nervosi. Gli Elfi rimasero immobili, i volti seri e inespressivi.

«Bombur è ancora nella Montagna, però» disse Piccolo Thorin, e si fece piccolo quando tutti si voltarono verso di lui «Non può combattere, quindi è dentro...»

«Trovate Bombur! Ora!» abbaiò l'Elminpietra, e spinse ancora il muro. Molti Nani corsero via in una confusione di scarponi chiodati.

L'attesa era snervante. La Montagna tremava ancora sotto i macigni, e tutti rimasero in silenzio quando lamenti e urla e strilli da fuori iniziarono a raggiungere le loro orecchie. «La roccia è sottile qui» bisbigliò Frerin.

Thorin mise una mano sulla testa di Frerin, passando le dita nei capelli biondi. «Stammi vicino, e non esitare ad andartene se sarà troppo per te» disse, piano.

Frerin deglutì. «E te?»

«Io devo rimanere qui» disse Thorin, e studiò il muro con gli occhi socchiusi «Devo rimanere qui.»

«Allora anch'io devo» disse Frerin, e spinse fuori la mascella testardamente.

Le labbra di Thorin si incurvarono un poco. «Sono felice di averti con me, nadad.»

Un rumore scricchiolante li allertò dell'arrivo di altri Nani, e girò l'angolo una grande portantina, spinta da dietro da tre robusti genieri. «Che succede?» chiese Bombur, guardando il muro con sospetto «Perché siamo qui?»

«Ci serve che tu apra la porta» disse l'Elminpietra semplicemente.

«Beh, non farai molta strada a spingere, si apre verso l'interno» disse Bombur «Ed è un po' più un là comunque.»

Thorin batté le palpebre. «Oh.»

«Là, fra quelle lanterne» indicò Bombur «Quella cosa è enorme, non so se riuscirete ad aprirla senza un tordo e l'ultima luce del Giorno di Durin, che a me sembra inutilmente complicato, ma non sono un esperto. Che sta succedendo?»

«Andiamo a prendere Bofur» gli disse Jeri, e il tondo volto allegro di Bombur sbiancò.

«Allora vengo anch'io» ringhiò.

«Bombur, riesci a malapena a camminare» disse Thorin incredulo, ma il vecchio Nano stava cercando di uscire dalla sedia, la gamba debole che tremava sotto il suo peso «Bombur!»

«Vengo anch'io!» ruggì Bombur, e tutti rimasero in un silenzio stupefatto. Nessuno aveva mai sentito il vecchio, allegro, reticente Nano alzare la voce, non in tutti gli anni della Montagna. «Bofur è mio fratello, pensate di potermi fermare? Me? Ero qui quando questa dannata Montagna era sotto assedio ottant'anni fa: pensate che quel patetico ammasso di feccia mi impedirà di trovare Bofur? Aiutatemi ad alzarmi, datemi una spada. Vengo anch'io!»

L'Elminpietra parve combattuto, ma annuì brusco. «Bombur della Compagnia, hai quest'onore e nessuno ha il diritto di fermarti» concesse, ma chiaramente non desiderava che il vecchio Nano si mettesse in pericolo. Nonostante ciò, fece un cenno a uno dei Nani vicino a lui. «Dategli un'arma.»

Bombur prese la spada che gli era stata offerta e alzò il mento. «Grazie, mio Principe» disse.

L'Elminpietra annuì ancora, e mentre si voltava c'era un barlume di tristezza nei suoi occhi. «Lo capisco sempre di più» lo sentirono mormorare mentre passava di nuovo le mani sul muro «Le uniche buone scelte rimaste sono quelle che riguardano l'onore.»

«Qua» Bombur zoppicò avanti, e colpì la roccia con la spada «Forse c'è una parola d'ordine?»

«Se c'era, è stata perduta» sospirò l'Elminpietra «La mappa è svanita, e con essa ogni indizio di quale fosse la magia di queste porte. Qualcuno qui conosce le antiche arti della roccia?»

«Óin le conosceva» disse Frerin, e Thorin si massaggiò la base del naso.

«Non abbiamo tempo» disse «Non possiamo aspettare che arrivi Óin, sta osservando Gimli e Legolas.»

Bombur diede un altro colpo, e poi fece un “aaah” senza suono. Facendo un passo indietro e appoggiandosi pesantemente sulla spada, fece un cenno verso il muro. «La chiave è ancora nel muro là fuori. Tutto quello che serve è che giri.»

«Posso farlo io!» disse una nuova voce, e Thorin si girò per vedere Bomfrís. Si teneva una mano sul fianco e i suoi capelli erano spettinati per aver corso. Tuäc le svolazza sopra la testa.

L'Elminpietra sbiancò drammaticamente. «Bomfrís, non puoi andare là fuori senza-»

«Non io» lo interruppe Bomfrís sbuffando, e Tuäc batté le ali.

«Io» disse, schioccando il becco.

«Oh, grazie a Durin» sussurrò l'Elminpietra, e fece un passo avanti «Tuäc, lo faresti?»

«Qualsiasi cosa per scappare da tutta questa roccia» disse il corvo. Saltellò sulla spalla di Bomfrís, e mosse la testa da un lato all'altro. «Una chiave?»

«Aye»

«Vola dalle postazioni degli arcieri occidentali, farai più in fretta» le disse Bomfrís, e il corvo schioccò di nuovo il becco irritata.

«Lo so, non sono un uovo!» con questo, il corvo prese il volo, girandosi goffamente nel passaggio strapieno, prima di volare via gracchiando.

«Ancora aspettare» gemette Frerin.

«Le battaglie sono per la maggior parte aspettare, lo sai nadad» disse distrattamente Thorin. Stava osservando l'Elminpietra. Il Principe si era avvicinato alla sua innamorata, alzando una mano prima di abbassarla.

«Perché non sei rimasta con gli arcieri?» disse piano l'Elminpietra, con voce quasi troppo bassa perché Thorin la udisse.

«È arrivato un messaggio» disse Bomfrís, e deglutì «Dale è stata attaccata dagli Esterling. Tuo padre...»

L'Elminpietra si congelò, gli occhi blu sbarrati.

«Ha aperto i Cancelli e ha guidato la carica, non hai sentito i canti?» disse lei in fretta, e poi gli prese la mano «Thorin, no, non fare quella faccia! Starà bene!»

Lui la prese e la tirò in un abbraccio, seppellendo il volto nella sua spalla. «Bomfrís» disse contro i suoi capelli rossi, e lei gli accarezzò la schiena imbarazzata.

«Starà bene» ripeté «Lui è Dáin Piediferro! Starà bene! »

«Sono mesi che mi avverte» disse lui, le parole un mezzo ringhio «Mesi. Sapeva che sarebbe potuta finire così.»

In quel momento si udì il gemito della pietra che si apre. Un buco apparve nel muro, una piccola fessura di luce che riempì la penombra. «La serratura!» esclamò Jeri.

«Oh, Tuäc, brava ragazza» disse Bomfrís.

«Rimani qui!» disse Laerophen a Piccolo Thorin, la voce dura e secca «Devi rimanere qui!»

«Ma...!» protestò il Nanetto, e poi si fece indietro vedendo lo sguardo duro dell'Elfo.

Bomfrís si mise il braccio del padre attorno alle spalle, e lanciò al suo innamorato uno sguardo ribelle, come sfidandolo a commentare.

Il Principe si limitò a guardarla con una certa disperazione, prima di chiudere gli occhi per un istante. «Silenzio totale fino a quando non siamo su di loro, non vogliamo darci via troppo presto» fu tutto ciò che disse, e poi lui e Jeri stavano aprendo la porta e la fredda luce del giorno riempì la piccola galleria.

Il piccolo spiazzo davanti alla porta era nero per il fuoco del drago, anche decenni dopo, ma non era stato danneggiato. Le scale che correvano giù per il fianco della Montagna erano ancora chiaramente visibili, dietro alla spalla della grande Sentinella di Roccia.

«Oh, hai occhi acuti, Mastro Baggins» canticchiò Frerin.

Thorin diede una sberla sulla nuca di suo fratello.

Bombur zoppicava pesantemente muovendosi dietro al Principe, appoggiandosi a sua figlia a ogni due passi. Fece un respiro profondo mentre guardava la Montagna. Sotto di loro, fino a Dale, tutto era coperto da un tappeto di Orchi striscianti e ululanti. Il secondo esercito di Esterling era visibile dietro le pendici della montagna, in avanzata inesorabile. Corvi e avvoltoi volavano sopra di loro. «Mai pensato che avrei guardato di nuovo questa vista» disse Bombur piano, e Bomfrís gli massaggiò il braccio.

«Ce la farai a scendere le scale?» gli chiese, e lui agitò una mano.

«Certo che lo farò. Ti ho mai detto che ero più veloce di tutti gli altri membri della Compagnia messi insieme?»

«Solo settanta volte prima che compissi novant'anni» disse lei, alzando gli occhi al cielo. Sopra di loro volava Tuäc il corvo. «Andiamo, Pa.»

Era straziante guardare il vecchio Nano che strisciava giù per le scale. Bombur ansimava e imprecava sottovoce, il sudore che gli colava negli occhi. Bomfrís non disse nulla, ma lo aiutava per quanto possibile. L'Elminpietra li osservava, la sua espressione combattuta. Infine, Laerophen scambiò un'occhiata con la sua seconda. «Merilin» sussurrò «Non si può andare avanti così. Non avrà più le forze di usare quella spada quando arriveremo alla fine se le esaurisce tutte nel lottare per questi gradini.»

Lei annuì, e poi toccò il braccio di Bomfrís. «Signora Nano» disse, bassa e musicale «Siamo più forti di quanto non sembriamo, e vorremmo aiutare tuo padre.»

«Oh no, non mi riportate indietro!» Bombur agitò un dito, rosso in faccia. Laerophen scosse la testa.

«No, no!» poi si rivolse sia a Bomfrís che a Bombur «Mastro Bombur, Lady Bomfrís, lasciateci aiutare. Siamo più alti e rapidi e possiamo portarlo più in altro di te, via da queste scale.»

Bombur esitò.

Bomfrís lo guardò e poi annuì in fretta. «Fatelo» disse, e poi si girò verso Laerophen «Non osare fargli del male!»

Lui la guardò serio. «Abbiamo avuto le nostre divergenze, Signora, ma non farei del male a tuo padre» disse, freddo e tranquillo. Solo il leggero rossore delle punte delle sue orecchie lo tradiva.

Lei tirò su col naso. «Vedi di stare attento» poi abbassò lo sguardo «E. Eh. Grazie.»

Lui si mise la mano sul cuore, prima di piegarsi e insieme ad altri due Elfi sollevare Bombur. Il considerabile peso del vecchio Nano li fece barcollare per un momento, e poi si raddrizzarono e ricominciarono il lento viaggio verso il basso.

«Mi ricordo com'è stato trascinarlo per Bosco Atro» disse Thorin, incrociando le braccia con una certa soddisfazione «Soddisfa qualche conto vedere degli Elfi di Bosco Atro che lo fanno.»

«Vendicativo» sbuffò Frerin, prima di dare una gomitata a Thorin «Andiamo.»

Lentamente, il gruppo scese in silenzio lungo le strade. Gli Elfi erano piuttosto rossi in volto quando arrivarono alle ultime svolte. A poca distanza dai piedi delle scale tutti si fermarono e gli Elfi misero delicatamente giù il loro peso. Laerophen stava chiaramente soffocando un gemito, e Merilin raddrizzò la schiena con un'espressione dolorante.

L'Elminpietra alzò una mano. Poi segnò in Iglishmêk: Sotto di noi, nemici, troppi-per-contare.

Laerophen scosse la testa, innervosito.

«Sono sotto di noi» disse Bomfrís, poco più che un sussurro «Più di quanti si possano contare» si girò di nuovo verso il Principe e segnò tunnel, seguito dal piccolo gancio con le dita che lo faceva diventare una domanda.

L'Elminpietra annuì, prima di strisciare il più silenziosamente possibile fino alla base delle scale. Le urla e gli squittii degli Orchi sembravano estremamente rumorosi, echeggiando dalle mura della scalinata. In lontananza di udivano frammenti di voci Naniche alzate in canti e in urla di battaglia. Il Principe tenne fuori la testa per non più di due secondi, prima di tirarsi indietro. Il suo volto era molto pallido e molto duro mentre premeva la schiena contro il muro.

Bomfrís gli tirò impazientemente una manica. «Allora?» sussurrò.

Lui la guardò in avvertimento. Poi fece un passo avanti e alzò le mani. Tunnel, a destra. Controllato. Nemico.

Bombur strinse i denti. «Non peggio di ciò che ci aspettavamo» mormorò.

«Cos'è tutto questo, fare segni, questo» e Laerophen agitò una mano in aria, la voce un sibilo «Cosa vuol dire?»

«Shhh! Vuol dire che sono a destra, il tunnel è controllato» sussurrò Bomfrís.

Jeri li guardò entrambi duramente, e si portò un dito alle labbra in un gesto che non aveva bisogno di traduzioni.

L'Elminpietra si fece forza per un momento, e poi alzò la spada in una mano. Nell'altra dondolava la sua stella del mattino, già sporca di sangue nero.

Tutti fecero lo stesso, alzando le armi e preparandosi.

L'Elminpietra annuì, e poi girò su un tallone. Con un urlo selvaggio, si lanciò nella lotta, Amradamnârab uccise tre Orchi prima ancora che capissero di essere sotto attacco.

Frerin sobbalzò sentendo il suono delle ossa che si rompevano, ma rimase al fianco di Thorin mentre si facevano largo nell'improvvisa esplosione di violenza. L'Elminpietra si fece largo fra gli Orchi come un ariete che carica, gli occhi in fiamme. Quelli che sopravvivevano alle sua stella del mattino perivano sotto la sua lama, che roteava subito dietro. Al suo seguito venivano Laerophen e Jeri. Le mani dell'Elfo presto furono fradice intorno ai polsi mentre i suoi coltelli danzavano e scattavano. Jeri era freddum e professionale, uccidendo ogni nemico in arrivo senza sprecare troppa energia.

Più indietro, Bomfrís era al fianco di suo padre, tirando freccia dopo freccia. Bombur era pesantemente appoggiato sulla sua gamba buona, ma i colpi della spada presa in prestito erano ancora poderosi. La sua fronte era ancora bagnata di sudore, ma i suoi occhi gentili erano tetri e determinati. «Du bekâr!» ruggì, e un urlo si sollevò da tutti gli altri Nani in risposta.

«Oh!»

Thorin scosse la testa, ma no, ecco Bilbo – giovane, forte, bellissimo Bilbo – in mezzo a una campo di battaglia nei suoi eleganti abiti della Contea. Il suo volto era l'immagine della paura. «Bilbo!» urlò Thorin «Stai sognando di nuovo!»

«Oh, grazie tante! Dove siamo in questo bel mondo verde?» esclamò lo Hobbit, facendosi da parte con un certo disgusto quando la testa di un Orco volò dalla sua parte «Un'altra battaglia? Davvero?»

«Cosa, è qui?» esclamò Frerin.

«Aye» disse Thorin, e strinse il braccio di Frerin «È vicino a quell'Orco con un dente nel suo orecchio...»

Frerin guardò per un istante l'Orco, sussultando quando Jeri lo scannò. Poi fece spallucce e ammise: «non vedo niente.»

Bilbo corse verso Thorin, saltellando di malavoglia ogni tanto per evitare di camminare su qualcosa di spiacevole. «Beh, suppongo sia... comprensibile» disse, piuttosto scocciato. Poi guardò la sagoma della Montagna, e i suoi occhi si allargarono. «Questa è Erebor.»

«Sono mesi che è sotto assedio» gli disse Thorin.

«Cosa, ora è qui?» disse Frerin, e agitò una mano in aria. Attraversò il torso dello Hobbit, e lui fece un passo indietro e schiaffeggiò (inutilmente) la mano di Frerin.

«Smettila, smettila, è terribilmente maleducato!» disse irritato.

«Questo è mio fratello, Frerin» gli disse Thorin, prima di mettere una mano sulla spalla di Frerin «Non... no, non rifarlo. Lo trova fastidioso.»

«Non riesco a crederci» disse Frerin, battendo le palpebre.

«Tuo fratello? Allora non mi meraviglia che si maleducato» disse Bilbo, scuotendo la testa. Poi la abbassò, fissandoli pensieroso. «Assomiglia a Fíli.»

Thorin sorrise a metà. «Sono sicuro che Frerin direbbe che Fíli assomiglia a lui, considerando che è arrivato lui per primo.»

Le sopracciglia di Frerin si alzarono, e poi sbuffò. «Beh, sì. Sì, lo direi» poi si massaggiò la nuca, spettinando i capelli biondi «Eh. Ciao?»

«Quindi, lui non mi vede come te, eh?» Bilbo si girò verso il campo di battaglia, e oh. Thorin non si era mai reso conto di quanto gli fosse mancato. La sensazione di Bilbo al suo fianco. Quella piccola presenza e enorme personalità, insieme a lui davanti a un'impresa impossibile. «Beh, è un bel problema! Questi qua non vedono te, e i tuoi non vedono me.»

«Almeno io posso vederti, Kurduluh» mormorò Thorin, e Bilbo lo guardò.

«Non ho idea di cosa voglia dire, quindi gentilmente non parlare lingue che gli altri non conoscono davanti a loro. O mi rivolgerò a te solo in Sindarin» poi si schiarì la gola «Sembri... teso.»

Thorin abbassò lo sguardo. «Molto è successo dall'ultima volta che ci siamo visti. Frodo...»

Il respiro di Bilbo si mozzò. «Sì?»

«Vive, ma è stato catturato. L'Anello non era con lui» si affrettò a dire Thorin. Uno sguardo terribile era negli occhi di Bilbo: un fuoco che lui capiva fin troppo bene. «Lo ha Sam, per tenerlo al sicuro.»

«Farà meglio a darlo -» Bilbo si interruppe, e poi si passò una mano sul volto «No. No.»

«Bilbo» disse Thorin, preoccupato «Respira.»

«Sto bene» disse Bilbo, e rabbrividì «Oh, quella cosa maledetta. Quando ti prende, non ti lascia mai più.»

Thorin gli diede un momento, molto conscio delle spalle abbassate di Bilbo e dei movimenti di Frerin. Suo fratello doveva morire di curiosità, ma stava facendo un lavoro ammirabile nel tenere a freno la lingua. «Frodo è vivo» ripeté Thorin infine, e guardò Bilbo che annuiva mentre lo Hobbit riprendeva controllo di sé.

«Grazie» disse dopo una pausa, e poi si raddrizzò e si sistemò il panciotto con un movimento brusco. Poi sobbalzò. «Non è Bombur quello, vero?»

Thorin seguì il suo sguardo. «Aye, è Bombur» disse, e fece una smorfia quando il vecchio Nano per poco non venne massacrato da un Orco. Bombur aveva iniziato a piegarsi pericolosamente, e il tremito della sua gamba ferita era visibile anche da lontano. Bomfrís si era messa accanto alla sua spalla, e lui ogni tanto si appoggiava a lei con la mano libera, riprendendo fiato. Le impediva di prendere bene la mira, ma lei continuava lo stesso.

«È così vecchio» disse Bilbo meravigliato, e poi sbuffò «Beh, suppongo di esserlo anch'io. Tutti lo siamo.»

«Bofur è sotto di noi ora» disse Thorin, e sentì il nervosismo che riempiva nuovamente il suo petto, spingendo via ogni pensiero di Frodo e persino di Gimli «Ha scavato un tunnel verso gli Uomini di Dale, per cercare il loro aiuto. Hanno mandato parte delle loro forze, ma gli Orchi li hanno trovati e hanno collassato il tunnel in vari punti. Non c'è più pericolo che Erebor sia invasa, ma loro sono ancora intrappolati sottoterra. Ora loro vanno a salvarli.»

«Usando un vecchio trucco e una vecchia porta, vedo. Mai pensato che avrei rivisto questo posto» Bilbo si toccò il labbro con un dito.

«È la cosa più strana di sempre» sussurrò Frerin «Ora so come si sente Legolas quando parli con Gimli.»

«Vai al tunnel!» urlò Merilin a Jeri, che teneva aperta la strada verso la scale. La barba verde di Jeri era disordinata, e le sue guance erano rosse per lo sforzo. «Tu – Signore o Signora, vai al tunnel!»

«Nessuno dei due!» rispose Jeri «Né signore né signora, e ricordatelo!»

Merilin fece un passo avanti, saltando sopra a un Orco abbassato e tagliandogli la gola mentre correva. I suoi lunghi capelli neri le volavano dietro mentre si muoveva. «Le mie sincere scuse, onorato Nano: io stessa sono passata da Signore a Signora» disse brusca «Serve la tua forza all'imboccatura del tunnel, e io sono inutile per quel che riguarda terra e pietra. Terrò io le scale! Vai!»

Jeri guardò sorpresum l'alta Elfa, l'ascia tenuta in mani esitanti. Poi la guardia scelta annuì e iniziò a farsi largo attraverso i corpi puzzolenti verso l'imboccatura del tunnel.

Sembrava che un altro paio di mani Naniche fossero proprio quello che serviva. Passarono solo pochi istanti prima che un urlo si alzasse da coloro che si erano affollati attorno al tunnel. «L'abbiamo attraversato!» urlò Laerophen, e giunse un grido di trionfo dai combattenti. Delle mani si allungarono nella terra mentre gli schianti e lo sferragliare dell'acciaio continuavano.

Il primo a essere trascinato confuso nella luce fu un Uomo alto, così familiare che Bilbo sobbalzò.

«Ma è morto da tempo, sbaglio?»

«Questo è il suo pronipote, Bard, Principe Ereditario di Dale» disse Thorin.

«Gli hanno dato persino lo stesso nome: che cosa divertente» Bilbo scosse la testa «Sono uguali come due piselli!»

L'Uomo era coperto di terra, ma si alzò dal terreno con un urlo e l'arco alzato che cantava la sua canzone mortale. Presto degli Elfi erano al suo fianco, coprendolo mentre i Nani tiravano fuori gli altri.

Bifur emerse, seguito da Lóni e Frár. «È stato orrendo!» dichiarò Lóni «Teneteli qui? Teneteli qui come? Te lo sei scordato che noi non possiamo parlare coi viventi?»

Bifur grugnì, e si mise davanti al buco mentre sempre più Uomini ne emergevano confusi e barcollanti.

Infine, un cappello coperto di terra uscì dal buco e Thorin fece un sospiro di sollievo. «Bene, dimmi dove sono, e io li demolirò!» stava urlando Bofur «Otto miglia, una settimana di spaccarsi la schiena, metà di questa maledetta terra nella mia maglia, e questi bastardi lo fanno crollare! Bene, gli mostrerò perché il piccone di un minatore ha una lama dall'altro lato, dannazione!»

«Pa, no!» giunse la vocina acuta di Gimizh, e il volto del bambino si riconosceva a malapena sotto lo strato di sporco. Era rigido per il terrore. «Aspetta, sono tantissimi!»

«Bene! Allora non importa dove miro!» ringhiò Bofur, e agitò follemente la sua spada davanti a sé.

«Bofur, calmati!» urlò Thorin «Bofur, non mettere in pericolo tuo figlio!»

«Che ci fa lì un bambino!» disse Bilbo scioccato. Thorin lo guardò.

«Dáin l'aveva mandato al tunnel per tenerlo al sicuro – perché pensava fosse un segreto» disse, con un amaro apprezzamento dell'ironia «Aveva provato a tenere Gimizh fuori dai guai. Questo qua, però. Questo qua ha pensato sarebbe stata una buona idea entrarci.»

«Cosa che è andata alla grande per tutti» aggiunse Frerin. Thorin strinse il polso di Frerin mentre suo fratello cercava di allontanarsi dai suoni della battaglia. I suoi occhi blu però erano determinati, anche se il vecchio terrore vi ballava attorno.

«Quello è figlio di Bofur?» la bocca di Bilbo si aprì, e poi per la sorpresa di Thorin sorrise «Bene. Sono felice che abbia trovato chi cercava.»

«Speriamo che sopravvivano, e poi tutti potremo essere felici» borbottò Thorin.

«Pa!»

Thorin si girò di scatto verso Gimizh e Bofur, ma erano ancora interi e senza un graffio. L'Elminpietra, però, si congelò per una frazione di secondo.

Poi il Principe tornò a correre verso le scale. I suoi occhi erano sbarrati, e il respiro rapido e irregolare.

«Pa, no!»

Con un orribile presentimento, Thorin si voltò.

Bombur era immobile sul terreno, sua figlia gli tirava la giacca furiosamente. «Pa, alzati!» strillò «Pa, alzati!»

«Oh» Bilbo barcollò, e poi svanì.

«Bomfrís!» ululò l'Elminpietra, e uccise un Orco sbavante mentre correva verso dove giaceva Bombur.

Bifur fece un passo avanti, e poi rimase immobile. Il suo volto era molle per lo shock. «Nekhushel» disse, la voce priva di emozioni «No. No.»

Gli occhi ciechi di Bofur si girarono verso il nome. «Ma Bomfrís...» sussurrò, incredulo, e poi allungò una mano e afferrò Gimizh, trascinando il ragazzino contro al proprio stomaco «Non guardare!»

«Pa, devo vedere, devo dirti dove andare» balbettò Gimizh, ma poi arrivò Laerophen.

«Ascolta tuo padre, non guardare!» ordinò «Vi porterò via io!»

Bofur stava tremando. «Ci sono speranze che...»

Laerophen mise una mano sulla spalla di Bofur. «Mi dispiace» fu tutto ciò che disse.

Il cappello di Bofur si abbassò, e le sue labbra scoprirono i denti mentre lottava con la nuova tempesta di dolore. Poi annuì. «Prendilo» disse, la voce straziata «Portalo via di qua.»

«Vi porteremo entrambi» disse Laerophen, e prese Gimizh in braccio «Gli Uomini di Dale hanno riaperto la strada verso le scale e la porta segreta è sopra di noi. Vi porteremo via entrambi.»

Bofur non rispose mentre le lacrime iniziavano a scorrergli lungo il volto, ma lasciò che un Elfo lo prendesse fra le sue braccia. Laerophen abbaiò un ordine nella liquida lingua Elfica. Tutti gli arcieri si voltarono e iniziarono a coprire la ritirata dei salvatori e degli Uomini di Dale. Era un caos disorganizzato, ma parve che la maggioranza di coloro che erano stati intrappolati fosse uscita indenne e ora stavano andando verso la scala nascosta.

Thorin non aveva occhi per loro. Tutta la sua attenzione era sul suo compagno caduto.

«Pa!» Bomfrís scosse suo padre, e lo scosse, e le sue trecce si stavano sciogliendo. Ciocche dei suoi capelli erano rimaste appiccicate attorno ai suoi occhi e al suo naso mentre lei urlava e lo pregava di alzati! Alzati! Pa! Ti prego, ti prego alzati!

«Bomfrís!» l'Elminpietra infine arrivò da lei, e la tirò in piedi. Lei lo strinse per un attimo, e poi iniziò a lottare contro di lui. «Bomfrís, no, dobbiamo andare, dobbiamo andarcene!»

«Ma, ma, non posso lasciarlo lì!» singhiozzò lei, e Thorin non poté più guardare. Sentiva le lacrime sulle sue guance, e il dolore gli stringeva lo stomaco. Frerin stava singhiozzando accanto a lui, la labbra morse a sangue. Bifur era fermo come una statua, gli occhi fissi sul volto senza vita di Bombur.

Lóni chinò la testa, e Frár lo abbracciò cautamente. La coppia scintillò di luce stellare, e poi erano scomparsi.

«Bomfrís, andiamo, ti prego, non posso perderti!» la implorò l'Elminpietra, la voce ruvida e piena di dolore «Ti prego!»

Bomfrís si lanciò per un attimo sul corpo di suo padre, e baciò l'allegra, pacifica faccia.

Poi si alzò e corse verso le scale al seguito degli Elfi e degli Uomini, piangendo a dirotto.

Frerin toccò la spalla di Thorin. «Andiamo» disse.

Thorin guardò Bifur, che ancora non si era mosso. «Bifur» lo chiamò piano «Bifur, quando si sveglia nelle Sale, avrà bisogno di te.»

Lo sguardo di Bifur si spostò su Thorin, ed era quasi folle per il dolore. Poi improvvisamente cadde su se stesso, e le stelle lo portarono via.

«Andiamo, Thorin» disse Frerin, tirandogli la manica.

Thorin guardò per l'ultima volta Bombur, sdraiato nella terra calpestata. Il vecchio volto era in qualche modo trionfante in morte. La mano stringeva ancora la spada, come in segno di sfida.

«Hai combattuto bene, gamil bâhûn» mormorò.

Poi chiuse gli occhi.


«A me! A me!» giunse il familiare ruggito, e Thorin si svegliò nuovamente nel mondo. La sua stanchezza lo fece barcollare, e sembrava che il suo cuore lo trascinasse verso il basso, come piombo nel suo petto. Accanto a lui Frerin piangeva ancora silenziosamente, e lui allungò una mano e la mise sul collo di suo fratello.

«Dove siamo ora?» disse Frerin, singhiozzando.

Thorin si guardò attorno per vedere un altro campo di battaglia, lo scontro dei guerrieri a malapena riconoscibile attraverso il velo sui suoi occhi. Ma no, non era la sua vista: queste erano le nebbia del Nord, familiari come il palmo della sua mano. Da bambini lui e Frerin si svegliavano immersi in queste nebbie, abbastanza spesse da nascondere Dale dai bastioni. Sentiva in bocca il sapore metallico che prometteva neve.

«Siamo ancora a casa» mormorò, e il clamore della battaglia si alzò attraverso la nebbia: spade che si scontravano e le urla dei feriti. Poi sentì nuovamente la voce familiare.

«A me, Nani di Erebor! Per il Nord! Baruk Khazâd!»

«Dáin» sussurrò.

Ed ecco, poteva riconoscere l'orgogliosa figura di suo cugino nella confusione della battaglia. Dáin si muoveva come un Nano posseduto, l'armatura ammaccata sporca di sangue nero, davanti ne era ricoperto. Aveva perso l'elmo da qualche parte, e sulla sua guancia un taglio profondo sanguinava lentamente. Si girava e scattava e scalciava, l'ascia rossa portava morte con ogni colpo. Sembrava avesse superato il reso dei Nani, spingendosi sempre più avanti senza la sua guardia verso la confusa forma che era il colle di Dale.

Beh, Dáin aveva sempre combattuto come se la sua vita non avesse valore.

«È diventato più lento» disse Thorin, e poi sussultò quando Dáin distrusse il teschio di un Orco con una testata.

«Non è tanto lento» disse Frerin, e si guardò attorno e deglutì «Fin dove sono arrivati?»

Thorin guardò la vasta forma della Montagna, a una certa distanza da loro. «Sono fra Dale ed Erebor ora. Hanno aperto una strada nell'esercito assediante, e li hanno portati via dalla Montagna» disse, e aggrottò le sopracciglia «Rischiano di essere circondati. Da quanto dura la battaglia?»

«Quello non è un Orco» Frerin indicò un nuovo esercito, acquattato attorno alle mura di Dale «Quelli sono Uomini.»

«E non Uomini di Dale» confermò Thorin cupo «Quello deve essere l'esercito Esterling. Muoviamoci.»

In qual momento risuonò un corno. I Nani nella valle alzarono lo sguardo, e Orchi e Esterling esitarono confusi. Il corno suonò ancora, profondo e fiero, e poi i grandi Cancelli fatti dai Nani di Dale si spalancarono. Con un rumore simile a un tuono, gli Uomini ne uscirono. Niente fanteria, vero – quelli ora erano al sicuro nella Montagna con Bard e l'Elminpietra – ma almeno ottocento dei bassi, robusti cavalli del Nord. Sulla loro groppa erano gli Uomini di Dale, archi in mano e il fuoco negli occhi.

«Era ora!» ruggì Dáin, e alzò in aria Barazanthual «Ancora! Distruggiamo questa feccia nel mezzo!»

I Nani urlarono la loro conferma, il loro morale basso si alzò alla vita dei cavalli che scendevano dalla collina in loro aiuto. Dáin uccise un altro Orco, e si asciugò il volto con la mano libera. Il sangue si era sparso sulla sua fronte e gli aveva dato un aspetto inquietante, macchiando la sua barba bianca.

«Dove nel nome di Durin sei stato!» urlò quando il cavaliere in testa si avvicinò. Thorin piegò il collo per vedere, e si spaventò notando che il cavaliere era un Uomo in età estremamente avanzata, rugoso e macchiato per la vecchiaia. Una donna di mezz'età era al suo fianco, il volto vagamente familiare.

«Dov'è l'esercito che ti ho prestato?» rispose l'Uomo in voce ruvida, e portò il pomolo della sua spada sulla testa di un Orco, lasciando che il peso facesse il resto.

«Sottoterra. I dannati Orchi hanno trovato il tunnel» disse Dáin, e si girò per mandare Barazanthual in un grande arco attraverso il petto di un Esterling, facendolo cadere all'indietro sopra ai corpi caduti che ora circondavano il Re Nanico «Sono ancora vivi, ma non possiamo contare su di loro.»

«Vedi se ti presterò mai più qualcosa» gracchiò l'Uomo, e dietro di lui la donna incoccò una freccia e colpì un Orco che correva verso di loro.

«Bel colpo» le disse Dáin, e ghignò verso l'Uomo «Hai un aspetto orribile.»

«E tu sei la cosa migliore che vedo in mesi» l'Uomo ghignò a sua volta. Poi sospirò e scosse la testa calva. «Ho dovuto lottare con il Consiglio, Dáin. Non avrebbero mandato nulla – ho dovuto minacciarli per far funzionare qualcosa. Metà di loro potrebbero ancora osteggiarmi.»

«Dobbiamo uscire da qui per prima cosa, ragazzo» disse Dáin, e diede un colpetto sul ginocchio dell'Uomo «Non bere alla vittoria prima che la battaglia sia vinta, eh? Ciò che è fatto è fatto, Brand.»

«Tuttavia» Brand scosse di nuovo la testa «Dannati idioti.»

«Aye, ma di quelli ne abbiamo a volontà, noi due compresi» disse Dáin, e poi alzò di nuovo la sua grande ascia rossa «Bene, è stato molto piacevole, ora torniamo al lavoro!»

Brand rise, l'affetto brillava nei suoi occhi. «Vedo che la tua cattività non ti ha cambiato molto.»

«Dáin l'avrà visto crescere» sussurrò Frerin «L'avrà conosciuto quando era un ragazzo.»

«E anzi, erano amici» disse Thorin, guardando i due vecchi Re combattere assieme «Hanno combattuto insieme – guarda come si muovono all'unisono!»

«Dale! Dale! A me!» urlò Brand, la vecchia voce rotta, e la donna si alzò sulle staffe per soffiare nel suo corno. Gli Uomini di Dale urlarono e si voltarono, le loro frecce impennate con penne di tordo spuntarono dalle fronti degli Orchi mentre andavano verso il loro Re.

Poi un orrendo odore riempì la pianura, e urlarono di paura.

«Meglio che non siano altri di quei dannati mangia-terra» ringhiò Dáin, e fece girare Barazanthual.

«Guardate!» urlò la donna, e indicò un punto nella valle.

Dalle nebbie invernali giunse un grande ringhio, e il cavallo di Brand nitrì nervosamente. Un altro ringhio, e poi l'enorme sagome di una grande bestia apparve nella nebbia.

«Cosa nel nome di Durin» disse Thorin a denti stretti.

«Quello è un Mannaro» disse Frerin, e strinse la manica di Thorin.

«Nessun Mannaro è mai stato tanto grosso» sbuffò Thorin, ma la sua voce era debole e lo sapeva. Perché ora riconosceva la pelliccia grigia e le enormi zampe artigliate, un muso corto pieno di zanne e occhi pieni di un'allegra, intelligente malvagità.

Era anche più o meno delle dimensioni di Ombromanto.

«Qualche abominevole arte di Sauron» disse lui, piano «Dicono che sapesse come creare mostri simili, in tempi andati...»

Si accorse che ora gli Orchi stavano cantando qualcosa, un nome, ancora e ancora. Colpivano il terreno con le lance e picchiavano i piedi, e i versanti della Montagna ne rimbombavano. «Da-ga-lur...! Da-ga-lur...!»

«Ha un cavaliere» sussurrò Thorin.

Sulla schiena dell'enorme Mannaro sedeva una grande Orchessa bianca, dalle braccia robuste e le spalle enormi. Delle cicatrici le tracciavano il volto e correvano lungo le sue spalle e il suo petto, e il sangue era corso in quei canali per dipingerli di un malato marrone rossiccio. I suoi occhi erano di un terribile grigio pallido, e sulla testa aveva un elmo fatto di un teschio Nanico orribilmente dipinto. Sporchi capelli rosso sbiadito le cadevano sulla spalle.

«La figlia di Bolg» balbettò Frerin.

Thorin chiuse gli occhi per un momento, cercando di controllare l'improvvisa ondata d'odio che aveva infiammato la sua mente.

Dáin sembrava terribilmente piccolo davanti all'enorme bestia. Si vedeva il bianco dei suoi occhi, e deglutì. Poi alzò Barazanthual. «Buon pomeriggio» disse, alzando il mento. Lo spettacolo di coraggio era quasi perfetto, se non fosse stato per il terrore nei suoi occhi. «Ti aspettavo.»

«Re dei Nani» disse l'Orchessa, e scoprì i denti. Erano macchiati di rosso, affilati e crudeli.

«Parli Ovestron, è una sorpresa» disse Dáin, e ghignò «Non pensavo vi preoccupaste di impararlo.»

«Non serve parlare quando lame e denti dicono tutto» ringhiò l'Orchessa.

«Vuoi scendere e fare una piccola conversazione?» disse Dáin, e alzò l'ascia e la puntò direttamente verso di lei «Ho un paio di cosucce da dirti.»

«Piccolo Re dei Nani» chiocciò l'Orchessa, e ringhiò, dondolando la testa da una parte e dell'altra mentre guardava Dáin. Il suo volto orribilmente sfigurato era pieno di disprezzo e di gioia selvaggia. «Vecchio Re dei Nani, debole Re dei Nani. Ti sento scricchiolare.»

«I Nani sono di pietra, scoprirai» rispose Dáin «Facciamo male ai denti.»

«Selga!» abbaiò Brand, e l'arciera incoccò una freccia e la puntò all'Orchessa «Uccidila!»

La donna scoccò la freccia, ma il Mannaro si girò e morse e la freccia cadde a terra. «Altra carne vecchia!» urlò Dâgalûr, e alzò il grande mazzafrusto mentre l'enorme Mannaro iniziava a muoversi verso il Re di Dale e la sua onoraria «Dura e senza sapore! Siete per la pentola, da cucinare come vecchie ossa di pollo!»

«Stai fermo, zio!» urlò la donna, e incoccò e tirò ancora. La freccia colpì la pelle del Mannaro, ma la bestia non rallentò. Ringhiò e si scosse, e continuò i suoi spaventosi movimenti.

«Continua a tirare!» urlò Brand «Dale, Dale! A me!»

Ma senza che se ne accorgessero, mentre parlavano per quei pochi secondi erano stati tagliati fuori. Gli Orchi e gli Esterling avevano riempito lo spazio dietro al mastodontico Mannaro, e i cavalieri di Dale erano bloccati da un enorme Troll.

Il momento in cui Dáin se ne accorse fu chiaro. Si raddrizzò, e la sua espressione divenne rassegnata. «Ci sono cascato in pieno» borbottò «Mi insegnerà a non andare avanti per i fatti miei.»

Dâgalûr iniziò a ridere, bassa e soddisfatta. «Facile!» disse «Due vecchi sacchi di ossa per la pentola, così facile. Perché abbiamo aspettato? Piediferro è niente. Dale è niente. Guardatevi! Antichi. Consumati. Niente!»

«Dillo al tuo bisnonno» ringhiò Dáin. E alzò Barazanthual. «L'ho quasi tagliato in due con questa. Guardala bene. Succederà la stessa cosa a te.»

Dâgalûr ringhiò, il fuoco bruciava nei suoi occhi pallidi.

«Attento!» urlò Thorin, e non un attimo troppo presto. Il grande Mannaro girò la testa per mordere Dáin, che saltò indietro al pelo. Il Mannaro avanzò, e Dáin lo colpì con grandi movimenti dell'ascia che colpirono il suo muso e aprirono grandi squarci che macchiarono la sua pelliccia grigia e sanguinarono sul terreno gelato.

«Dáin!» ansimò Brand, e girò il cavallo «Selga, coprimi!»

«Zio, no!» urlò la donna, ma Brand stava caricando, la spada alta e il volto acceso di determinazione.

Dáin era nei guai. Evitò per un pelo i denti del Mannaro, il mazzafrusto dai ganci crudeli fischiò passandogli vicino al volto. Thorin quasi non riuscì a guardare quando il piede di ferro si impigliò nel suolo congelato, e suo cugino cadde indietro. Non lasciò l'ascia anche se gli si mozzò il fiato, e usò il manico per spalancare le feroci mascelle che sbadigliavano davanti a lui. «Ugh!» gemette, e girò la faccia mentre lottava per alzare la grande testa «Questa cosa puzza!»

«Re dei Nani» disse Dâgalûr, il volto aperto da un sorriso che era quasi beato «Ora morirai.»

«Sta... zitta!» ansimò Dáin, e calciò il mento del Mannaro col piede di ferro. La bestia ringhiò per il colpo ma continuò a premere sul manico di Barazanthual con le fauci. La lingua uscì e si attorcigliò sull'impugnatura, e sbavò sul volto di Dáin.

Le frecce crebbero sul muso del Mannaro, ferendolo, e Brand gridò il suo urlo di battaglia nella sua vecchia voce rotta: «Per Dale e il Nord!» girò il robusto cavallo di montagna verso l'enorme fianco del Mannaro e mise entrambe le mani sull'elsa della spada. Poi spinse la spada nel fianco del Mannaro con tutta la sua forza.

L'enorme bestia ora saltò indietro immediatamente, scattando e contorcendosi con tutte le sue forze. Scosse la coda e agitò la testa alla cieca. Un ululato strozzato gli sfuggì e le zampe posteriori cedettero. Dáin indietreggiò, asciugandosi la bava dal volo col braccio. Il suo respiro era rapido e gli tremavano le gambe mentre si rotolava su un fianco. «Brand vattene da qua!» ruggì.

Brand estrasse la spada con uno strattone e il cavallo indietreggiò, gli occhi che roteavano per la paura. Alzò di nuovo la spada per il colpo finale, ma il Mannaro, contorcendosi in agonia, girò le sue gigantesche fauci verso di loro alla cieca. La sua testa colpì il cavallo e lo fece cadere.

Brand colpì il terreno con un rumore nauseante.

«Brand!» urlò Dáin.

«Zio!» strillò la donna, il volto una smorfia di orrore «No! No!»

Thorin guardò il Re di Dale. La sua testa era piegata a un angolo innaturale, e non si mosse.

Frerin fece un singhiozzo soffocato e premette il volto contro il fianco di Thorin.

La donna, Selga, scese da cavallo per barcollare verso il Re. Gli afferrò le spalle e strillò, e poi collassò su di lui di colpo. Le sue lacrime giunsero in fretta. Poi i suoi occhi si indurirono e si alzò in un movimento fluido e incoccò una freccia più rapida del pensiero.

«Vai nell'abisso!» urlò, la voce piena d'odio.

La freccia andò direttamente nell'occhio del Mannaro.

Il grande animale cadde con un suono simile a una roccia che cade, e l'Orchessa fu scagliata via dalla sua schiena. La testa del Mannaro ciondolò, le fauci spalancate e la lingua rossa che usciva fra i denti. Gli sfuggì un grugnito, e poi i grandi muscoli divennero molli e fermi.

«Hai ucciso il mio cucciolo, bambina, piccola casalinga» disse Dâgalûr, il volto sfregiato contorto e orrendo mentre si alzava. Gli occhi pallidi si fissarono sulla donna con orribile intento.

«E ucciderò anche te» disse Selga coraggiosamente, e incoccò un'altra freccia. Le mani le tremavano e le lacrime le correvano lungo il volto senza controllo. «Lurido demone!»

«Demone» ringhiò Dâgalûr «Ssssssì, quello è il mio nome. Ti darò molto dolore, piccola casalinga. Piangerai lacrime migliori di queste.»

«Dáin, alzati!» lo incitò Thorin «Dáin! Dáin, Re Sotto la Montagna, dovrai essere ancora l'ultimo sopravvissuto!»

Dáin stava imprecando mentre si alzava. Si teneva un braccio, e le zanne del Mannaro gli avevano tagliato il volto. Zoppicava leggermente. Sembrava confuso.

«Dovrei tagliare il suo corpo, casalinga!» disse Dâgalûr, e fece un passo verso Selga. I suoi denti si scoprirono in un sorriso malvagio. «Dovrei strappargli la testa dalle vecchie spalle? Dovrei prendere le sue ossa e renderle la mia armatura?»

«Morirai prima!» strillò Selga, e scoccò un'altra freccia. Fece un tang! quando Dâgalûr la allontanò col suo mazzafrusto dall'aria malvagia. La grande Orchessa fece un altro passo verso la donna tremante, sovrastandola.

«Bambina piangente, piccolo casalinga» disse Dâgalûr, piano e dolcemente e disgustosamente «Ma ora non siamo in casa. Siamo dove sono i demoni. Piangerai sangue tra poco?»

«Lasciala stare» rombò Dáin, e si tirò dritto e alzò di nuovo l'ascia «I tuoi affari sono con me.»

«Dopo, Re dei Nani» disse Dâgalûr, gli occhi fissi su Selga «Ora faccio piangere le bambine.»

Gli occhi di Dáin caddero sul corpo di Brand, spezzato sul terreno gelato come una bambola gettata via. Il dolore attraversò il suo volto.

«Ah, anche a te importa delle vecchie ossa, Re dei Nani?» canticchiò Dâgalûr «Un Re fortunato, a scamparla tanto facilmente. Non vedrò cosa faccio alla sua casalinga. Non sentirò cosa farò alle sue vecchie ossa. Snap, crack, crunch farà!» si leccò le labbra e rise.

«Fai un altro passo verso di lui» disse Dáin piano. Invitante. «Per favore provaci.»

Dâgalûr esitò, e un'espressione incerta le attraversò il volto. Dáin Piediferro era un nome da temere, il nome di una leggenda, dopotutto. Poi i suoi occhi brillarono nuovamente di quella gioia malvagia, e fece un altro passo verso il corpo prono del Re.

Dáin sorrise. «Grazie mille.»

Poi alzò Barazanthual e caricò con tutta la ferocia di una valanga.

Dâgalûr ovviamente si aspettava l'attacco, ma persino lei fu sorpresa dalla ferocia di Dáin. Dopo pochi secondi dovette indietreggiare, obbligata a piegarsi e contorcersi sotto la lama rossa. Urlò quando l'ascia fece un tagliò profondo sulla sua spalla, facendole cadere il mazzafrusto. Estraendo un coltello ricurvo dalla cintura, lo agitò follemente verso la faccia del Nano e riuscì a tagliare parte della barba lurida di Dáin.

«Quelli erano i miei baffi, tu-!» ansimò Dáin, e raddoppiò i suoi sforzi.

«Mahal sotto» sussurrò Frerin, e Thorin poté solo confermare con il suo silenzio meravigliato. Perché Dáin sembrava in fiamme per la furia, e i suoi colpi avevano tutta la rapidità della gioventù e la furbizia della sua età. Metteva all'angolo l'Orchessa di continuo, l'ascia le tagliava le spalle e le braccia ancora e ancora. Si muoveva con Barazanthual come in una danza – come se fosse una delle strane, volteggianti, selvagge danze dei Colli Ferrosi.

L'ascia infine tagliò l'elmo di teschio Nanico, distruggendo le ossa e scagliandole per il campo di battaglia. Dei frammenti tagliarono il volto di Dâgalûr, e lei urlò di paura quando il piede di ferro le fece lo sgambetto. Cadde male, la spada le sfuggì di mano. Prima che riuscisse ad alzarsi, l'ascia rossa era premuta contro la sua gola.

«Finisce» ringhiò Dáin, ansimano «Finisce con te.»

Lei lo guardò coi suoi pallidi, pallidi occhi. «E con te, Re dei Nani» disse, e il suo sorriso era folle «Non lo senti?»

I vecchi occhi duri di Dáin la fissarono.

«Il veleno» disse lei in ovvia delizia «Il Mannaro. Non lo senti, che ti scorre nel sangue? Uccidimi, Re dei Nani, piccolo uomo di pietra. Ma io uccido te.»

«Sangue di Durin!» Thorin barcollò, orripilato. Veleno! La lenta, amara morte! «Non può essere!»

«Un Mannaro?» Dáin scosse la testa, la mano libera si alzò per toccare i segni delle zanne sulla sua fronte «Non hanno le zanne avvelenate...»

«Il mio padrone sa fare molte cose; serpenti, bestie, corpi» lo derise Dâgalûr, e rise una bassa e lunga e brutta risata «Uccidimi, Re dei Nani. La tua fine seguirà.»

Dáin rimase fermo e in silenzio per un momento. Poi sorrise cupamente. «Ah, non peggio di quanto mi aspettasi. Che modo per andare, però. Un Mannaro gigante. Non è così male» e guardò Dâgalûr «Tu, però. Tu sarai l'ultima in una lunga seria di Orchi uccisi dalla Linea di Durin. Ti fa piacere?»

Lei sibilò. «Finisce con te!»

Dáin rise ancora, con calore e forza. Era come se si fosse gettato di dosso duecento anni per rivelare il giovane e famoso guerriero sotto. «Io ho un figlio! Un bel figlio, un bravo ragazzo, e sarà Thorin Terzo, detto l'Elminpietra, Re Sotto la Montagna! I Nani resistono, Orchessa. Siamo pietra, e resistiamo, e né tu né alcuno della tua razza può impedirci di fare ciò che detta la nostra natura. E tu, lurida prole di mostri, tu sarai morta e ne saremo felici. Saluta il tuo bisnonno da parte mia.»

Lei ansimò, e poi urlò quando Dáin iniziò a mettere peso sulla lama di Barazanthual.

Non fu una cosa rapida.

«Grazie per la conversazione» mormorò, e poi le grida dell'enorme Orchessa gorgogliarono fino a svanire.

Dáin si piegò sul manico dell'ascia, e la sua testa si abbassò. Il momento si allungò all'infinito, sospeso in aria come le note di un'arpa.

«Sta iniziando a nevicare» sussurrò Frerin.

I fiocchi caddero sui capelli di Dáin e sul corpo del suo nemico caduto. Il corpo del Mannaro giaceva su un fianco, e Lady Selga era in ginocchio accanto al corpo di Brand, le lacrime le si congelavano sul volto.

Dáin si raddrizzò lentamente, e alzò una mano per toccare i tagli sulla sua fronte. «Dannazione» disse piano.

Poi raccolse Barazanthual, ancora gocciolante sangue, e zoppicò fino al corpo del suo amico.

«Lady Selga» disse, serio e gentile «Lady Selga, devi riprendere le armi. La battaglia continua.»

«È morto» singhiozzò lei, e lisciò ciò che restava dei capelli bianchi di Brand.

«E vorrebbe che tu sopravvivessi» disse Dáin, e guardò i versanti della Montagna «Suppongo che il tempo sia adatto.»

Selga abbassò la testa e i singhiozzi la scossero.

Un Esterling, i capelli disordinati e il volto disperato, corse alle spalle della donna indifesa e Dáin imprecò e bloccò l'attacco. Il suo colpo era lento e debole, e lui era piegato su un fianco mentre girava l'ascia verso il basso per colpire l'Uomo nelle costole. L'attaccante cadde, e Dáin ansimò. La sua ascia cadde sul terreno, la lama tagliò il suolo congelato.

«Dannato braccio» sputò, e riprese l'ascia con l'altra mano mentre un altro Orco lo attaccava. Riuscì a liberarsene, ma si piegò quando lo atterrò. La sua mano si strinse sul braccio ferito per un istante, e poi scosse la testa per levarsi il sangue dagli occhi e si concentrarsi sulla forma tremante della donna di Dale.

«Selga, in piedi!» abbaiò «Alla Montagna! Vai alla Montagna! Cerca rifugio!»

Lei alzò la testa, il volto rosso e sporco. «Non lo lascerò!»

«Lo proteggerò io»

Lei esitò, e Dáin tagliò il braccio di un altro Orco, prima di girarsi di nuovo verso di lei. «Hai la mia parola! Ora, VAI!» ruggì Dáin.

Con un ultimo urlo angosciato Selga baciò la fronte di Brand, raccolse il suo arco, e corse via.

Dáin si trascinò vicino a Brand, e lanciò un'occhiata al suo amico. «Ah, ragazzo» disse in un sussurro strozzato «Mukhuh bekhazu Mahal tamrakhi astû. Riposa in pace. Non lascerò che questi avvoltoi ti becchino.»

Il tempo passò in modo confuso, o così sembrava a Thorin. Poté solo guardare in triste meraviglia mentre Dáin parava attacco dopo attacco, i movimenti sempre più deboli. Stava rallentando gradualmente: l'ascia ruotava con meno precisione, i colpi avevano meno forza. Ogni Orco era più difficile da uccidere.

«Non posso» mormorò Frerin «Lui. Lui giocava in questi campi con noi. Eravamo – eravamo bambini.»

Thorin guardò giù e vide le lacrime negli occhi di Frerin. Sapeva che anche i suoi erano umidi.

Dáin fece una pausa, ansimando. Si appoggiò sull'ascia e boccheggiò, il corpo tremante. Poi si raddrizzò e alzò l'ascia per quella che parve essere la milionesima volta – ed essa cadde da dita molli.

L'Orco in arrivo parve sorpreso quanto Dáin quando la sua spada entrò nel fianco del vecchio Nano.

Dáin fece un suono strozzato, e poi afferrò il collo dell'Orco e lo tirò giù per dargli una testata. L'Orco cadde, privo di sensi, e Dáin urlò quando la spada uscì dalla sua carne.

«Vuoi» iniziò Thorin. La mano di Frerin si strinse sul suo braccio.

«Rimango» disse a denti stretti «Sarò testimone!»

«Aye» disse Thorin, e sentì le lacrime che scendevano nella sua barba e lungo il suo collo per bagnargli il collo della tunica «Un eroe della nostra Era sta morendo.»

Dáin barcollò e cercò l'impugnatura di Barazanthual. L'ascia era scivolosa per il sangue, e le sue dita sembravano incapaci di coordinarsi. La strinsero inutilmente, e Dáin dovette sistemarle attorno al manico usando l'altra mano. Imprecò un paio di volte, la voce confusa.

Un altro Orco sibilò, e spinse in fuori il petto facendosi avanti.

«Oh Mahal» gemette Dáin, frustrazione e rassegnazione nelle linee del suo vecchio volto rugoso. Poi si raddrizzò di scatto e alzò l'ascia in un arco folle, il suo intero corpo seguì il suo movimento, e la piantò nella testa del suo nemico.

Rimase incastrata.

«Dannazione!» biascicò Dáin, e la tirò inutilmente per un momento. I suoi piedi spaiati scivolarono e barcollarono quando il suo sforzo gli fece perdere l'equilibrio, il piede di ferro si incastrò nel suono spoglio. Un cerchio strano e solenne si era eretto attorno al Re morente, come se persino gli Orchi non riuscissero a credere che fosse ancora in piedi. Se l'avessero attaccato tutti insieme, non sarebbe vissuto. Ma quest'incredibile prova di resistenza di meritava il loro stupore, pensò Thorin.

L'Orco che si fece avanti era una creatura enorme con pelle simile a corteccia e grossi fili che gli legavano le guance. Alzò la spada e urlò una parola nella lingua di Mordor, e Dáin alzò lo sguardo mentre cercava di liberare la sua ascia. La sua ferita sanguinava abbondantemente, e lui batteva le palpebre come se non riuscisse a mettere a fuoco.

«Un attimo» disse irritato «Devo tirar fuori l'ascia dal tuo amico prima di occuparmi di te.»

L'Orco ringhiò, e corse in avanti.

Una lama di acciaio scintillante uscì dalla sua gola, e lui fece un guaito scioccato prima di cadere.

«Non toccherete la mia famiglia» ringhiò una voce familiare, rasposa per la rabbia.

«Dís» sussurrò Dáin, e un vero sorriso attraversò il suo volto tirato dal dolore. Poi iniziò a cadere, lentamente, inginocchiandosi come una marionetta i cui fili sono stati infine tagliati dopo un lungo spettacolo.

Dís corse in avanti e lo prese, mettendolo giù delicatamente. Attorno a loro, il ruggito dei Nani riempì l'aria. Le forze di Erebor finalmente erano riuscite a farsi strada. Si vedeva Dwalin, e Glóin e Orla; Mizim coi suoi coltelli, Dori e il suo mazzafrusto, e Genild e il suo martello. Gli arcieri Elfici erano fra loro, ma non portavano i loro archi. Combattevano con lunghe spade o sottili lame gemelle che lampeggiavano nella nebbia come pesci argentati. Le urla di battaglia facevano tremare il terreno, e Orchi e Esterling furono portati via dal Re caduto e dai corpi del grande Mannaro, Dâgalûr e Brand.

«Cosa nel nome di Durin ti sei fatto» sussurrò Dís, gli occhi sbarrati e furiosi. La sua mano si premette contro il fianco sanguinante, e Dáin scosse la testa e soffiò.

«Lascia perdere, non serve» gracchiò.

«Zitto, sei sopravvissuto a cose peggiori» esclamò Dís. Alzò la testa e chiamò: «Dwalin! Dwalin! Orla! Glóin! Qualcuno! Dobbiamo riportalo alla Montagna!»

«Non farai nulla del genere» disse Dáin, e la sua voce stava diventando biascicata «Ho detto che non serve e sono serio. È veleno, Dís.»

Lei lo fissò, il volto bianco. «No» disse piatta «Ho detto zitto. Dwalin!»

«Dís!» Dáin cercò la sua mano, e la afferrò strettamente quando la trovò «Dì a Thira... ah! Dille che ho fatto del mio meglio per tornare da lei, e... quasi l'ho fatto. Dì al mio ragazzo... che... deve sempre esserci qualcuno... a ripulire...»

«Dáin!» Dís scosse la testa «Glielo dirai tu!»

«Ho ucciso Dâgalûr, però» disse Dáin, e sorrise. Era un sorriso pacifico. «È fatta ora. Posso finalmente andare a fare bop a tuo fratello sul suo... nobile naso.»

«Dáin, no, zitto» disse Dís disperatamente «Andiamo, queste scene non sono da te.»

«È stata una bella lotta» disse Dáin, e deglutì. Le sue labbra erano secche, e c'era un fluido bianco sugli angoli della sua bocca. La sua barba sembrava sbagliata senza le zanne di cinghiale legate nei baffi. «Spero ne faranno una canzone.»

«Le canzoni parleranno di Dáin figlio di Náin, detto Piediferro, Re Sotto la Montagna e Signore dei Colli Ferrosi» gracchiò Thorin, e chinò la testa e lasciò che le sue lacrime scorressero «Ma non si canterà di che astuto, nobile, onesto, cocciuto vecchio bastardo potesse essere.»

Dís poté solo mordersi il labbro e stringergli la mano. «Devi vivere» gli ringhiò.

«Fammi» Dáin iniziò a deglutire compulsivamente. Thorin prese Frerin fra le braccia e si strinsero insieme: tre fratelli che curavano il loro cuginetto nella valle verde all'ombra della Montagna, come in giorni passati da lungo tempo. «Fammi un favore, eh? Non... lasciare che mi mettano nella pietra in quel... vecchio mausoleo freddo. Lasciami riposare... a casa. Mettimi nella terra rossa... non – non pietra nera.»

Dís singhiozzò, angosciata. «Dáin, nadad, resta» lo implorò «Resta!»

«Sorella mia» disse Dáin dolcemente, e le toccò il volto con un dito insanguinato «Prenditi cura di loro.»

Lei lo guardò fra le lacrime, il volto aperto in un silenzioso urlo di dolore.

«O I dre...» biascicò Dáin in un sussurro senza ritmo, il respiro ora sibilante e gorgogliante. Dal naso gli correva un lento rivolo di sangue. «Dream... of jagged... rusty skies, an' her... savage... wild beauty...»

«Non posso guardare» singhiozzò Frerin, ma non si voltò.

Con terribili sussulti, Dáin cercò le sue ultime parole. I suoi occhi blu un tempo luminosi erano fissi su una vista lontana con infinita malinconia. «I see her when... I close my eyes...»

La sua voce morì. La testa bianca cadde di lato.

«The Iron Hills for me» finì Dís, ruvida e singhiozzante. Poi si prese il volto fra le mani con un urlo angosciato.

TBC...

Note

Sindarin

Merilin – Usignolo

Nota: Merilin è un'Elfa trans.

Khuzdul
Amradamnârab – Mercante di Morte

Kurduluh – mio cuore

Nekhushel – dolore di tutti i dolori

gamil bâhûn – vecchio amico

Bizarûnh- Uomini di Dale

nadad - fratello

Shazara - silenzio

Mukhuh bekhazu Mahal tamrakhi astû – Che il martello di Mahal ti protegga (buon viaggio)

Sansûkh(ul) – Perfetta/Pura Vista

Gimlîn-zâram – Vasca delle Stelle

Inùdoy – figlio

Linguaggio Nero

Dâgalûr – Demone

Dall'Appendice A del Signore degli Anelli – il Popolo di Durin:

[Gandalf dice] “e ora apprendiamo che Re Dáin è caduto, combattendo nella Valle, mentre noi combattevamo qui. La chiamerei una grave perdita se non considerassi piuttosto degno di meraviglia il fatto che alla sua età potesse ancora maneggiare un'ascia con l'abilità che gli attribuiscono, ergendosi innanzi al corpo di Re Brand sino al calare delle tenebre davanti al Cancello di Erebor.”

Coccole fra Nani! Bifur e Ori, Bofur e Gimris, Dwalin e Orla di Chess-ka

Orla, Gimris WIP di Gremlinloquacious

Gimizh adulto e Laerophen di foxinsocksinabox

Legolas e Laerophen stanno seriamente preoccupando loro fratello maggiore, Non dar mai tuo figlio a Laerophen di mandel21

Laerophen e Thorin Dwainul di Ursubs

Laerophen Thranduilion di Kilisbovv

Merilin di bilbodear

Bomfris vede suo padre di poplitealqueen

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Capitolo 36
*** Capitolo Trentasei ***


Thráin guardò il bambino che portava via suo padre accecato per i corridoi. Gli occhi di Bofur erano cerchiati di rosso e il suo respiro era irregolare mentre barcollava dietro a Gimizh. Il bambino stava tirando su col naso e piangeva contro al suo braccio, ma non esitò mai, mormorando ogni tanto con una vocina piccola per avvertire Bofur di pericoli o scale. Piccolo Thorin teneva l'altra mano di Gimizh, il volto scuro serio e determinato, come se fosse pronto a combattere qualsiasi nemico che osasse provare a portargli via di nuovo il suo amico.

Laerophen li guardava con la triste confusione degli Elfi.

Coloro che si erano riuniti sulle mura superiori erano silenziosi e solenni. Persino gli Uomini di Dale bisbigliavano, piangendo i loro compagni persi nella terra e nel buio.

Le persone si seguivano a vicenda senza scopo, perse e incerte e scioccate. Barcollavano, o si sedevano sulla pietra nuda dei pavimenti e si tenevano la testa fra le mani. Tutti i volti sembravano di fantasmi nell'oscurità della Montagna, coperti da ombre lanciate dal tremolio delle molte torce. L'atmosfera era sognante e ultraterrena, come se nessuno riuscisse a credere a cosa stesse succedendo.

Bomfrís aveva il volto sepolto nella spalla dell'Elminpietra, e la sua schiena tremava e sobbalzava mentre cercava di soffocare i suoi singhiozzi. Il Principe aveva un'espressione dura, ma i suoi occhi erano pieni di angoscia mentre le accarezzava la testa con dita dolci.

«Dobbiamo trovare un posto per questa gente di Dale, e dei guaritori per i feriti» disse piano, e Jeri annuì.

«Me ne occupo io» disse, e fece un cenno a un paio dei soldati confusi e incerti. Loro parvero grati di aver avuto delle indicazioni, e seguirono la guardia senza protestare.

Thráin sospirò, e si tirò la barba. «Così tante perdite» disse «Molti nuovi volti nelle Sale di Mahal stasera.»

Thrór e Frís non risposero, anche se la testa di Thrór si abbassò un poco in cupa conferma.

«Perché non l'ho fermato» disse Bomfrís contro all'armatura del Principe, e lui le diede un bacio sulla testa «Perché non ho... perché mai è...»

L'Elminpietra era abbastanza saggio per non darle risposte che lei non fosse pronta a sentire, e si limitò a stringerla mentre piangeva.

«Perché piange? Dov'è Bombur?» sussurrò Piccolo Thorin, e Gimizh scosse la testa. Al suo fianco, Bofur sussultò con un nuovo singhiozzo.

Ci fu un improvviso boom quando i grandi Cancelli furono chiusi ancora una volta, e molti dei tremanti Uomini di Dale urlarono spaventati. Gli occhi dell'Elminpietra si alzarono, seri. «Sono rientrati» mormorò.

«Cos'è stato?» chiese Brand, rapido e teso. L'Elminpietra aprì la bocca per rispondergli, ma si fermò.

Fra le eco risonanti della chiusura dei Cancelli arrivò un nuovo rumore, sempre più vicino. Lo sferragliare dell'armatura e delle armi e i passi pesanti dei Nani risuonavano come martelli. Le teste di Laerophen e Merilin si alzarono all'unisono.

«Ah, cos'è ora» gemette Piccolo Thorin.

La testa di Frís era china, e si scambiò un'occhiata con Thráin. «Vengono da questa parte» disse.

L'Elminpietra deglutì, e lentamente si voltò per guardare i nuovi arrivati.

Lungo i grandi passaggi sopraelevati, un esausto gruppo di guerrieri sporchi di sangue marciava verso di loro. I loro volti erano tesi e duri, ma molti avevano occhi umidi nonostante le espressioni serie. Dwalin, Glóin, Orla, Mizim e Dori si fermarono all'unisono: gli ultimi della Compagnia erano ancora insieme.

«Oh no» sussurrò Thrór.

In testa c'era Dís. I suoi occhi erano troppo terribili per guardarli, e la sua armatura era sporca di sangue. Dietro di lei c'era la sua sempre fedele ombra: Víli.

Nelle mani di Dís era la Corona Corvo.

Thráin incrociò lo sguardo di Víli, e lui scosse tristemente la testa.

Dís andò direttamente dall'Elminpietra, e la tenne davanti a lui. Con voce che sembrava acciaio trascinato sulla ghiaia, disse: «Vostra Maestà. C'è bisogno di voi sui bastioni.»

L'Elminpietra, le braccia ancora attorno a Bomfrís, fissò Dís con occhi enormi e terrorizzati.

La bocca di Dís si strinse. «Vostra Maestà» ripeté, e tutti gemettero nel sentirlo «Prendetela. Prendete questa maledetta cosa, mettetela in testa, e venite sui bastioni. Tra Orchi ed Esterling siamo inferiori di numero, e Dale è stata saccheggiata. Abbiamo dei soldati nella valle e dobbiamo dare rifugio sia a tutta Dale che ai nostri. Devono tornare dentro.»

La bocca di Bomfrís era spalancata, e stava guardando la corona come se fosse un cappio.

«Devono salvarli tutti» disse Thrór «Devono tornare tutti dentro...»

«Calmati, 'adad» disse Thráin piano «Calmati. Il ragazzo ha appena perso suo padre.»

«Ed Erebor ha perso il suo Re» disse Thrór, e si massaggiò gli occhi «Ancora. La Montagna non può essere vulnerabile in tempo di guerra. Non hanno il lusso di poter piangere ora!»

«Le tue lacrime dicono altro, Thrór» disse Frís, e fece un passo verso sua figlia dagli occhi selvaggi e dalla faccia dura «E anche le loro.»

Il volto dell'Elminpietra era bianco come pergamena, e le sue mani tremavano leggermente mentre si allontanava da Bomfrís e le alzava con riluttanza verso la corona.

Poi lasciò cadere le mani. «Lo farai tu» disse a Dís, e lei sembrò sorpresa per un momento dall'ordine diretto. L'Elminpietra in genere non aveva molta sicurezza, non fuori dagli addestramenti. Era sempre stato troppo diffidente per sfidarla. «Tu mi devi incoronare, se qualcuno deve. Perché chi altro conosce il suo peso e il suo costo meglio di te?»

Lei esitò, osservandolo per un momento, e i loro occhi si incrociarono. Il silenzio si allungò.

Poi lentamente, così lentamente, lei si inchinò. «Come desiderate, vostra Maestà.»

«Oh, mia Dís» disse Frís piano, coprendosi la bocca con una mano. Thráin la prese fra le sue braccia e si aggrappò al suo odore familiare, che saliva dai suoi capelli dorati.

«Forza, figlia mia» sussurrò, e cercò di non pensare a quanto forte fosse già stata, per quanto tempo, di fronte a tali perdite. Guardò Dís che stringeva la corona fra le mani per un momento, come se volesse farla a pezzi.

Poi fece un passo avanti e la alzò. «Tuo padre mi ha detto di dirti: ci deve sempre essere qualcuno a ripulire» ansimò.

La gola dell'Elminpietra si mosse mentre deglutiva, e poi annuì. Piegò la testa quando la corona fu sollevata sui suoi capelli neri, e fece un sospiro quando fu appoggiata sulla sua fronte. Gli occhi di Bomfrís erano di nuovo umidi, e lei dovette voltarsi e chiuderli. Le lacrime le avevano macchiato il volto e appiattito la barba.

L'Elminpietra alzò la testa, la corona che gli stringeva i capelli. Le punte premevano nella sua pelle e attorno alle sue orecchie. «Lui...» iniziò, e Dís prese il suo volto fra le sue mani e premette insieme le loro fronti, la Corona Corvo fra di loro.

«Per ora è nelle cripte» disse Glóin, e la sua voce normalmente rombante era gentile e morbida «Tua madre è con lui.»

L'Elminpietra deglutì ancora, e poi disse in un sussurro quasi inaudibile: «Un vecchio Nano divenne Re perché non rimaneva nessun altro. E quando il tempo è arrivato tu - tu - non rimane nessun altro.»

Dís fece un passo indietro e lo fissò coi suoi duri, gelidi occhi. «Voi sarete Thorin Terzo, detto l'Elminpietra, Re Sotto la Montagna e Signore dei Colli Ferrosi» disse, e la sua voce gocciolava rabbia e dolore. Tremò per un attimo sul suo nome. «Lunga vita a Re Thorin!»

«Lunga vita a Re Thorin!» risuonò l'urlo nella stanza, ma quasi ogni occhio era umido e molti erano piegati di dolore per la perdita di Dáin. Il nuovo Re chiuse gli occhi brevemente, e poi guardò su sentendo una mano sulla sua spalla.

«Quindi tu sei il numero cinque» disse Dwalin brusco. Il suo naso era rosso. «Non andare nel panico. Tuo padre è qualcuno difficile a cui fare onore, ma tu sii te stesso e usa quello che ti ha insegnato. Noi siamo qui. Usaci» dietro Dwalin, Glóin gli sorrise. Orla si appoggiò l'ascia dalla lunga impugnatura sul cuore e chinò la testa formalmente.

«Al vostro servizio» disse Dori con un elegante inchino, seguito da Mizim e Genild.

L'Elminpietra li guardò senza parole, e fece un lento tremante respiro. Poi indurì la mascella. «Vado ai bastioni» disse, e lanciò un'occhiata preoccupata a Bomfrís, prima di raddrizzarsi. Le sue parole erano più sicure quando disse: «cerimonie e lutto dovranno aspettare fino a dopo. Ora, portiamo la nostra gente al sicuro. Aprite i Cancelli!»

Dwalin ghignò, anche se senza allegria. «Bell'inizio» poi alzò la voce fino a un ruggito «Aprite i Cancelli!»

Laerophen storse il naso. «I Nani devono urlare sempre tanto?»

«Smettila di essere strano» singhiozzò Gimizh, e si pulì il naso con la manica «Scommetto che posso urlare più forte di te.»

«Accetto» rispose immediatamente Piccolo Thorin «Aprite i Cancelli!»

«Portateli dentro! Tutti!» urlò Glóin, alzando l'ascia «Aprite i Cancelli!»

«Aprite i Cancelli!» ruggì la folla, e le armi furono alzate ancora e scosse in sfida. Il loro Re era morto, e così molti altri di loro, ma loro erano ancora in piedi.

«La Montagna non cadrà» disse Thrór, e ai suoi fianchi le sue mani si aprirono e si chiusero «Non deve cadere!»


«Restiamo solo un momento, nadad» mormorò Thorin a Frerin «Per salutarli. Poi ritorniamo alle acque.»

«Lavoro, lavoro» rispose Frerin, e si strofinò il naso. Era ancora un po' rosso.

I corridoi erano moto silenziosi mentre i presenti si raccoglievano. Molti erano assenti: ancora a osservare la guerra nella Terra di Mezzo, senza dubbio. Thorin si guardò intorno per vedere Náin e Daerís vicino a una delle grandi porte sepolcrali intarsiate d'oro, i volti solenni e pallidi. «E se si ricordasse a malapena di noi?» sentì Náin che sussurrava a sua moglie, e Daerís gli strinse la mano.

A poca distanza davanti a un'altra porta era Bifur, il volto ancora rosso e sporco di lacrime. Bomfur e Genna erano vicini a lui, e spostavano il peso da un piede all'altro ansiosamente.

Bomfur incrociò la sguardo di Thorin, e annuì distrattamente. Accanto a Bifur, Ori si dondolava nervosamente. La sua espressione era piena di preoccupazione.

Nessuno disse nulla. Nessuno ne ebbe bisogno. Thorin ricordava ancora il freddo sulla sua nuova pelle, camminare nudo e tremante e cieco. Ricordava barcollare su gambe tremanti come un cerbiatto, pieno di dolore e rabbia e senso di colpa, la grandiosa voce del suo creatore che gli rimbombava nella carne.

Infine una porta si aprì con uno schiocco e uno scricchiolio. Oltre era una grande oscurità, come un vuoto.

Genna corse immediatamente verso di essa, sparendovi dentro in un lampo di capelli rossi e un urlo di benvenuto. Bomfur le era alle calcagna, seguito da Bifur.

Náin e Daerís aspettarono alla loro porta, e ancora una volta Thorin si chiese come facevano a saperlo. L'avrebbe saputo anche lui, quando fosse venuta l'ora di Dís? Si sarebbe sentito attratto da una di quelle grandi porte fredde senza sapere nemmeno perché? La conoscenza sarebbe stata improvvisa e sua, come se fosse stata parte dei suoi ricordi?

Dietro di lui, Frerin si grattò il volto. Le lacrime si erano asciugate sulla sua pelle, lasciandola appiccicosa e pruriginosa sotto la sua barba. «Pazienza, nadad» gli disse piano Thorin, e Frerin fece una smorfia.

Improvvisamente la porta si chiusa fu spalancata con un bang!, e ne uscì a gran passi una figura. Era un poderoso Nano nel vigore degli anni, il petto e la testa coperti di tatuaggi e la gamba che terminava in una bella protesi del più puro mithril, i capelli luminosi e rossi come nei giorni passati.

Era anche, svergognatamente (anzi, orgogliosamente) e completamente nudo.

«Bene!» ruggì Dáin «Dov'è lui, allora!»

«Inùdoy!» urlò Daerís, e Dáin fece un passo indietro, alzando una mano.

«'amad...?» disse, stupefatto. La meraviglia gli attraversò il volto per un istante, e poi un enorme ghigno gioioso. «'amad!»

«Dáin, Dáin - !» disse Náin, quasi strozzandosi sul nome.

«'adad!» e la famiglia che era stata distrutta per più di due secoli si scontrò uno con l'altro come onde. Dáin prese in braccio suo padre e lo sollevò in aria, premendo insieme le loro teste. Poi si girò verso sua madre, lacrime nei suoi occhi mezzo ciechi, e le diede un bacio con uno schiocco. «Voi... siete qui, ah, mia madre, mio padre! Le vostre voci! Non le ho mai scordate, mai – Mahal mi salvi, mai avevo pensato di udirvi ancora. Mi siete mancati tanto. Mi siete mancati tanto!»

«Oh sono così orgogliosa di te» ansimò Daerís, e gli prese il volto fra le mani e lo baciò ancora «Così orgogliosa – così tanto, tanto orgogliosa – oh, Dáin...»

«Mio figlio, mio grande figlio, tu...» disse Náin in voce rotta, quasi esplodendo di orgoglio e amore. Poi li avvolse entrambi con le braccia e li strinse forte.

In quel momento, una famigliola emerse dall'altra porta spalancata. Bombur aveva un braccio attorno a sua madre, una coperta sulle spalle. Genna piangeva con un sorriso sull'allegro volto tondo. Bomfur era dall'altro lato di Bombur, e stava solo sorridendo come se non potesse più smettere.

Bifur stava sistemando la coperta sul collo di Bombur e gli accarezzava i capelli con mani nervosi. «Sei sicuro che puoi camminare» stava dicendo «Non è lontano, barafun belkul...»

«Bifur, sto bene» disse Bombur, e cercò la spalla di Bifur e la scosse quando la trovò «Posso camminare ora, guarda! La mia gamba! Tutto a posto, come la tua ascia!»

«Ma...» disse Bifur nervoso, torturandosi le mani. Bombur sorrise il suo sorriso solare, non più vecchio o dolorante.

«Sto bene» ripeté «Non fare la chioccia, Bifur. Sto bene ora.»

«Nidoy» disse Genna, il labbro che le tremava, e gli lisciò le basette «Mio carissimo bambino, mio coraggioso ragazzo...»

«Perché sei andato là?» gemette Bifur, e Bombur fece spallucce.

«Dovevo cercare di recuperare Bofur, no? Tu avresti fatto lo stesso»

Bifur scosse la testa nervosamente, e poi si fermò quando Ori gli mise una mano sul collo, accarezzando i capelli bianchi e neri spettinati.

«Respira, Bifuruh» disse, e Bombur batté le palpebre.

«Ori? Ori!»

«Sono io» disse Ori, annuendo anche se Bombur non poteva vederlo «Eh. Ciao, Bombur.»

«Avrei voluto che tu non...» disse Bifur, e fece una smorfia «Ah, ukrâd, nahùba Bombur.»

«Sono qui ora» disse Bombur, e allungò una mano goffamente, alla ricerca del braccio di Bifur. Quando lo trovò lo strinse forte. «Niente può farmi del male ora, cugino.»

«Aye» sospirò infine Bifur «Suppongo.»

Bombur esitò, e poi chiese in voce leggermente tremante: «Bofur e Bomfrís sono usciti di là?»

«Aye, entrambi, sono al sicuro» rispose Thorin senza pensare, e la testa di Bombur si alzò.

«Thorin!» urlò in gioia sorpresa.

«Cosa?» giunse l'urlo dall'altro gruppetto.

«Uh-oh» mormorò Frerin, e fece un passo via da Thorin.

«Lui è qui? Bene, portatemici!» l'urlo echeggiò dalla buona pietra come una campana, e Dáin si tirò via dai suoi genitori per marciare determinatamente nella loro direzione approssimativa.

«Ora, cugino...» disse Thorin, e alzò le mani «Cugino, sii gentile...»

«Vieni qui, bastardo regale, dannato idiota, maledetto imbecille» ringhiò Dáin, socchiudendo gli occhi mentre cercava di capire dove fosse Thorin «C'è qualcosa qui che voglio darti da lungo tempo!»

«Tempo di sentire la musica, nadad» sussurrò Frerin con un ghigno, e Thorin lo incenerì. Poi sospirò e fece un passo avanti, alzando le mani.

«Eccomi qui, fai del tuo meglio» disse rassegnato.

Dáin fece un enorme sospiro, come se avesse aspettato secoli per esalarlo. Poi fece tre lunghi passi verso Thorin e lo catturò in un abbraccio che gli mozzò il fiato.

Thorin rimase di sasso per un momento, sorpreso oltre ogni dire. Poi avvolse le braccia attorno alla schiena di Dáin e lo strinse. «Grazie» disse nell'orecchio più vicino «Grazie, Dáin. Grazie per esserti preso cura di loro, per ricostruire Erebor, per la sua grandezza e splendore e bellezza, per tutti i tuoi sacrifici...»

«Non ringraziarmi ancora» grugnì Dáin, ancora abbracciando Thorin come se non volesse mai lasciarlo. Thorin, senza parole, strinse suo cugino e sperò che Dáin sentisse tutto ciò che non riusciva a dire. Piediferro il Ristoratore, hai fatto ciò che io non ho potuto. E hai sofferto per me. La tua nostalgia senza fine, il tuo umorismo, la tua saggezza, ah – non potrò mai ripagarti...

Poi Dáin si tirò indietro e diede una testata contro il naso di Thorin.

«Ah!» Thorin barcollò, le mani alzate sulla sua faccia «Dáin, dannazione, tu...!»

«Sono quasi ottant'anni che ti doveva arrivare, cugino» disse Dáin, ghignando.

Thorin grugnì, e tirò via la mano per controllare se c'era sangue. Niente, grazie a Mahal. «Mi sembra giusto» concesse.

«Bene allora, alzati, andiamo a bere qualcosa» disse Dáin, e Náin scosse la testa.

«Ah, inùdoy? Potresti volerti mettere dei pantaloni prima» disse.

«Ti offrirò da bere un altro giorno, ora devo andare» disse Thorin, e si controllò di nuovo il naso «L'hai rotto?»

«Sta fermo, cugi', sei tutto confuso. Nah, è affilato come sempre. Potrei averlo migliorato. Dovresti ringraziarmi» Dáin gli diede una pacca sulla schiena e sorrise alla sua espressione irritata «Andare? Andare dove?»

«Oh, ha sempre da fare. Te ne parleremo noi» disse Ori, guardando Bifur «Eh. Pantaloni prima?»

«Poi birra» disse Dáin fermamente.

«Poi birra» confermò Daerís.


«Quindi ci siamo» disse Sam, guardando le grandi pianure desolate. Sembrava rassegnato.

«Palle, barba e stivali di Mahal» confermò Kíli.

Erano dietro allo Hobbit su uno spuntone di roccia, e per la prima volta videro gli ampi spazi del Gorgoroth. La grande pianura era punteggiata di fuochi, e non c'era segno di cose verdi viventi. E all'orizzonte era un grande picco, simmetrico e a forma di cono. Fuoco e fumo uscivano dalla sua cima.

«Monte Fato» Sam sistemò il suo zaino, e sfoderò Pungolo. La lama brillava blu. «Beh, sono decisamente bravi a dare il nome alle cose. E suppongo quella là sia Barad-Dûr. Meraviglioso.»

«Che sta facendo?» soffiò Kíli a Fíli «Frodo è in quella torre là! Cosa aspetta?»

«Si sta facendo coraggio» disse Nori. Poi guardò i due fratelli che lo fissavano perplessi. «Non vi siete mai intrufolati in posti dove non avreste dovuto? Sam sta per entrare in quel letamaio infestato di Orchi e fregargli il prigioniero più importante. Non ho mai incontrato un ladro che fosse anche codardo.»

«Beh, ora che lo dici, sembra ovvio» commentò Fíli. Nori sbuffò.

«Cosa fare, cosa fare» disse Sam, infilandosi la mano libera in tasca. Poi esitò.

«Oh no, aspetta-» iniziò Fíli, allarmato. Ma era troppo tardi: Sam tirò fuori la catena dalla tasca e con un'imprecazione svanì.

«Siamo appena entrati a Mordor» sibilò Kíli, e girò su se stesso, cercando segni dello Hobbit invisibile «Lo troveranno!»

«L'Occhio sta guardando da un'altra parte ora» disse Fíli, ma Nori stava già scuotendo la testa.

«Quell'Anello è un Occhiolino» disse cupo «E chiama sempre più forte. Sam non può tenerlo a lungo. Nemmeno uno Hobbit può ignorare per sempre quella voce.»

«Là!» disse Kíli, indicando col dito. I suoi occhi acuti avevano visto il movimento della ghiaia ai piedi della Torre di Cirith Ungol. «Eccolo!»

«Veloci!» abbaiò Nori, e i tre corsero verso la debole traccia.

Lì vicino, la Torre era piegata come un vecchio. Mostrava segni di essere stata un tempo molto bella. Ma ora era crepata e puntellata con ferro arrugginito e legno scheggiato, e la pietra grigia era coperta di sporcizia. Dei graffiti in lingua degli Orchi coprivano i muri, e puzzava.

La porta bassa era aperta, e i Nani la attraversarono cautamente. Anche se sembrava silenziosa, e deserta, sentivano il pizzichio di occhi sulle loro schiene. «Puzza qui» borbottò Nori «Sono stato in abbastanza latrine per un'altra vita, grazie tante.»

Sam ricomparve improvvisamente, rimettendo la mano in tasca. I suoi occhi onesti erano sospettosi. «Sembra ci sia stata una lotta» si disse, e guardò un Orco sdraiato e gemente in una pozza di sangue «Bei vicini da avere, senza dubbio! Suppongo succeda di continuo con questa gente sporca.»

In quel momento, uno strillo acuto si alzò in aria. Sam si girò, sussultando. «Beh, che bellezza!» urlò «Ho suonato il campanello alla porta!»

«Non metterti l'Anello!» urlò Fíli «Nasconditi, Sam! Nasconditi!»

Che Sam l'avesse sentito o che il suo buon senso Hobbit fosse al lavoro, Fíli non l'avrebbe mai saputo. Ma Sam non si rimise l'Anello. Invece, corse sotto una scala e si nascose nel suo mantello, coprendo Pungolo.

«Un grande guerriero Elfico, direi!» disse una brutta voce «Ha fatto a Sua Maestà un brutto scherzo!»

«Chi stai chiamando un brutto scherzo» borbottò Nori.

«Abbiamo preso il cucciolo e lasciato scappare il gatto» ringhiò qualcun altro. Due Orchi arrivarono davanti a loro, uno marchiato con un Occhio Rosso, e l'altro con una Mano Bianca. «Insegnerà a voi talpe di pianura a venire qui e far finta di sapere qualcosa di Sua Signoria.»

«Un Elfo coi terribili occhi luminosi, con una spada Elfica e forse anche un'ascia! E gironzola libero nel tuo territorio, senza che tu l'abbia nemmeno intravisto. Molto divertente, hawr!»

«Chiudi la bocca, Gorbag!»

«Non dimenticare, ho visto io il nano per primo. Se c'è da divertirsi, voglio partecipare»

«Calma, calma, ho i miei ordini. Cucciolo o no, non è per noi. Non conviene né a me né a te infrangerli. Il prigioniero deve essere custodito al sicuro e intatto, sotto pena di morte per ciascun membro della guardia, fin quando Lui non viene personalmente. Mi sembra chiaro, ed è ciò che ho intenzione di fare.»

«Spogliare, eh?» disse Gorbag, ghignando «Anche denti, unghie, capelli...?»

«No, niente di tutto questo!» esclamò l'altro «Lo vogliono intero e intatto.»

«Sei un codardo, Shagrat» sputò Gorbag, e l'altro Orco ringhiò.

«Dillo ancora e ti taglio la gola. Tutti i tuoi ragazzi si sono messi a dormire fra loro. Nessuno è vicino a te ora!»

Gorbag ringhiò, ma Shagrat si limitò a sorridere malvagiamente. Infine l'altro Orco scivolò via. Shagrat sputò per terra dietro di lui, e poi si appoggiò al muro per pulirsi i denti con un pugnale dall'aria crudele.

«È sulle scale» sussurrò Kíli «Cosa facciamo?»

«Sam deve superarlo» disse Fíli, accigliandosi e studiando l'aspetto della Torre «Qua è tutto piegato all'indietro. Scommetto che Frodo è nelle stanze superiori.»

Gli occhi di Sam brillarono nel buio, e poi batté le palpebre. «Bene, Padron Frodo» disse a denti stretti, e saltò in avanti.

Shagrat fu preso completamente alla sprovvista. Cadde di schiena sulle scale e picchiò la testa, e poi strisciando iniziò a guaire. Fíli poteva solo immaginare cosa stesse vedendo nella debole luce: una grande forma silenziosa, coperta di un'ombra grigia, con la luce dietro di sé; in una mano una spada, la cui luce era un amaro dolore, l'altra stretta al petto, ma nascondeva qualche arma innominata di potere e distruzione.

Per un momento, Shagrat lo fissò, e poi con orribili gemiti di paura si voltò e scappò via.

Sam urlò di felicità a quella fuga inaspettata. «Sì! Il guerriero Elfico è qua!» urlò «Sto arrivando. Fammi vedere come si va su, o ti scuoio!»

«Devo ricordarmi di dire a Óin che ho trovato uno Hobbit feroce» commentò Nori, accarezzandosi la barba «Sono sicuro che mi varrà qualcosa.»

«Hai una buona memoria» disse Kíli ammirato «È stato secoli fa.»

Nori scrollò le spalle. «Devo, col mio genere di occupazioni.»

Sam inseguì Shagrat su per le scale a chiocciola, e calciò tutti gli Orchi sdraiati che poteva. «Nano onorario davvero» disse Fíli, un po' impressionato dalla sua feroce ascesa.

«Molto bene» commentò Nori «Anche se avrebbe dovuto scannare un paio di questi mentre passava. Gli Orchi sopravvivono alle cadute meglio di quanto non si possa pensare. Peggio degli scarafaggi.»

Su, e su andarono, e ancora più in alto. Infine raggiunsero una torretta, e Sam si guardò attorno. «Padron Frodo!» urlò «Padron Frodo!»

«Smettila di squittire, topo di fogna!» ringhiò una voce, e Shagrat apparve di nuovo, ancora tremante di paura. Sam si nascose dietro alle scale. «Verrò a darti un'occhiata. Forse quella maglia lucente sarà un buon prezzo per tutti i guai che mi dà tenerti vivo, eh?»

Poi l'Orco si allungò e tirò giù una scala a pioli dal soffitto. Scese con un rumore sordo, e lui iniziò a salire. «Sta buono, o la pagherai! Non vivrai a lungo, suppongo; ma se non vuoi che il divertimento inizi ora tieni quel buco chiuso, eh?»

Ci fu uno squittio, e Shagrat sparì nella sala sopra. «Smettila di lamentarti! Prendi questo! Per rinfrescarti la memoria!»

Ci fu un suono come di una frusta.

Sam si congelò. «Ops» sussurrò Kíli.

«Non vorrei essere Shagrat ora» confermò Nori.

Sam esplose, Pungolo lampeggiò nell'oscurità. Corse per la scala più rapido del pensiero. I Nani udirono il suono del metallo che entrava nella carne, e poi il gemito di un ultimo respiro.

Poi il corpo di Shagrat cadde per la scala a pioli per atterrare disordinatamente.

«Non male» disse Nori con approvazione «Anche se devo levare punti per essere stato visto.»


Hrera alzò lo sguardo dai suoi fili d'argento quando di avvicinarono. Era seduta comodamente su una grande sedia a schienale alto che era stata trascinata nella Camera di Sansûkhul perché: “se pensate che starò seduta ora dopo ora sulla pietra fredda da sola, mi troverete seduta su di voi.”

La sedia era comparsa a tempo record. C'era anche un cuscino.

«Tornate?» Hrera sembrava disapprovare – più del solito.

«Devo» disse Thorin stanco «Le battaglie continuano, e non ho ancora trovato la mia stella.»

«Oh, non ne sono preoccupata» lei tirò su col naso, e gli lisciò i capelli «Non spingerti troppo, Thorin caro.»

Lui chinò la testa ubbidientemente, permettendole di sistemargli i capelli come voleva. «Non lo farò» disse, e sbadigliò.

Lei gli tirò un orecchio. «Ne sono certa. Vai allora. Se devi.»

Thorin fece a sua nonna un sorriso di scuse e cadde su una panca. Sentì Frerin che sussurrava qualcosa a Hrera mentre le stelle iniziavano la loro danza ipnotica. Poi tutto fu sommerso dal fischiare delle sue orecchie mentre veniva riportato nella Terra di Mezzo.

Le strilla furono il primo suono. Thorin aprì gli occhi e poi gemette quando la fredda luce del giorno li accoltellò. Non vi era segno di sole. Il cielo era pieno di nuvoloni neri, gonfi e dall'aria malvagia.

«Dove...» disse Frerin, socchiudendo gli occhi e riparandoli dalla luce con la mano.

«Seguiteli! Seguiteli!» giunse un urlo, e Thorin si voltò per vedere Aragorn con la spada sguainata, che spingeva avanti la Grigia Compagnia «Siamo quasi al porto di Pelargir! Spingete avanti questi alleati dell'oscurità, spingeteli nel mare!»

«Ai-oi, venite ad assaggiare la mia ascia, servitori di Sauron!» giunse la familiare risata, e il cuore di Thorin fece un balzo mentre si girava per guardare la sua stella. Gimli era su una piccola altura, la sua ascia dava colpo dopo colpo. Dietro di lui, l'Elfo era come una lancia di fuoco pallido, l'arco colpiva nemici più lontani.

«Questi non sono Orchi, questi sono Umbari» disse Thorin, accigliato «Corsari.»

«Ce l'hai fatta alla fine» disse Óin, e fece un cenno verso Gimli «Un vero piacere guardarlo al lavoro, non è vero?»

«Aye» Thorin osservò Gimli che lottava coi corsari per un momento, l'ascia luccicante nella pallida luce del giorno. La sua stella girò su un piede per affondare la lama in un altro, inarrestabile come un toro che carica. Liberò l'ascia con uno scatto, e poi la girò sopra la sua testa per un momento, il sangue sporcò i volti dei suoi nemici. I suoi capelli erano legati in una treccia sconosciuta, e Thorin la osservò per un istante.

«Ventuno!» urlò Legolas, e Gimli rise deliziato.

«Sono più avanti di te, ragazzo, datti da fare! Sono già a ventitré!»

Legolas alzò l'arco, rapido come il pensiero, e il corsaro che correva verso la schiena di Gimli cadde con una freccia in gola. «Meglio guardarti le spalle, meleth nín» ansimò Legolas, ghignando.

«Perché, quando lo fai tu per me?» Gimli ghignò a sua volta, gli occhi luminosi.

Aragorn lanciò uno sguardo ai due, e alzò gli occhi al cielo. «Alle navi!» urlò, e corse avanti. Andúril scintillò come una lingua di fuoco bianco.

«Ancora barche» gemette Gimli, e la risata di Legolas risuonò sopra alla lotta, limpida come una campana d'argento.

«Ti terrò la mano, che dici?»

«Oh per carità» borbottò Óin, e si tirò la barba «Nauseanti, tutti e due.»

«Sono stati così tutto il tempo?» disse Thorin. Accanto a lui, Frerin sbuffò.

«Stanno flirtando con ascia e arco, ecco cosa stanno facendo» borbottò Óin «Gimli sta facendo tutte le scene e gli imbellimenti che può mentre lotta senza cavarsi un occhio da solo, e l'Elfo è più vanitoso di un pavone. Come fanno a saltare e girarsi così? Sono in parte gatti?»

Legolas si contorse e si voltò, i capelli fecero un arco dietro di lui mentre tirava fuori i coltelli. Si muoveva come musica liquida, quasi troppo aggraziato perché si potesse pensare stesse combattendo se non fosse stato per i corpi che si lasciava dietro.

Gimli esitò per un secondo, l'ascia alzata a metà, per guardare l'Elfo che si muoveva.

«Pensa a quello che stai facendo» gli disse Thorin.

«Ah, mio re» disse Gimli, e sorrise «Non puoi darmi colpa per ammirare tale abilità.»

«Non credo fosse proprio la sua abilità che stavi ammirando tanto» grugnì Thorin.

Il sorriso di Gimli divenne scocciato. «Ah, beh, non puoi darmi colpa nemmeno per quello. Non sei stato tu a incitarci tanto?»

Thorin incrociò le braccia e sbuffò.

«Nauseanti» borbottò ancora Óin, e poi agitò una mano verso il fiume non lontano da loro, che scintillava come una serpe d'argento «Quelle sono le foci dell'Anduin. I bastardi stanno risalendo il fiume.»

«Vogliono attaccare Gondor non visti» disse Thorin, e poi una puzza abominevole riempì l'aria. Il vento si alzò con un improvviso ululato, facendo volare i capelli dei combattenti, artigliandoli con dita gelide.

Poi la malata luce verdognola dei morti senza pace iniziò a salire come nebbia di palude dal terreno. Aragorn esitò, e poi alzò Andúril. Scintillava contro al cielo scuro. «Prendete le navi!»

I corsari sulle navi risero e fischiarono. «Chi ci fermerà allora!» urlò uno, la voce rauca per aver urlato sopra ai venti del mare «Voi disgraziati? Chi siete voi per negarci il passaggio verso Gondor, eh?»

«Legolas, un avvertimento che sfiori le orecchie del nostromo» disse Aragorn, e Legolas alzò ancora l'arco.

«Attento alla mira» mormorò Gimli, vicino al fianco di Legolas.

La freccia seguì una strana traiettoria, e colpì un marinaio in gola. Lui fece un espressione straordinaria, e cadde morto.

«Ops» disse Gimli innocentemente «Venti terribili, vero?»

Legolas guardò storto Gimli per un momento, ma non riuscì a controllarsi a lungo. La sua risata esplose, mentre i corsari fissavano il loro compagno morto. «Ah, meleth nín, né la paura dei morti né la condivisione dei segreti del proprio cuore possono far tremare lo spirito di un Nano!»

Il naso di Gimli si arricciò. «Il mal di mare potrebbe riuscirci. Barche. Ugh» poi scosse la testa e alzò la voce in un ruggito, parlando nuovamente ai corsari «Beh, vi abbiamo avvertiti! Preparatevi all'abbordaggio!»

«Sembra eccitante» mormorò Legolas. Gimli si strozzò e le sue guance divennero rosse quasi quanto la sua barba.

«Elfi» borbottò con uno sbuffo scandalizzato e alzò l'ascia. C'era una luce nei suoi occhi scuri, però, che diceva a Thorin che quella particolare freccia di provocazione aveva colpito il bersaglio.

«Abbordati?» schernirono i corsari «Da voi e da quale esercito?»

Aragorn sorrise. «Questo esercito.»

Il Re dei Morti si materializzò in una folata di aria gelida, e i suo volto scheletrico era aperto in un ringhio di rabbia. La sua spada antica di alzò, e dietro di lui l'esercito dei Morti apparve come un veleno freddo. Presero le navi in pochi secondi.

«Utili, no» commentò Gimli, appoggiandosi alla sua ascia. Il sorriso di Legolas fu dolce e segreto.

Óin li fulminò entrambi. «Coppia di idioti invaghiti» borbottò «Mi sento male. Thorin, devo davvero guardarli che si fanno gli occhi da vitello a vicenda? Di certo possono farlo anche senza spettatori.»

«Penso sia dolce» disse Frerin, alzando la testa e guardando Óin in sfida.

«Dolce» disse Óin piatto «Gimli. Dolce.»

Thorin fece del suo meglio per trasformare la sua risata in un colpo di tosse.

«Dolce, oh aye, è questo che ogni guerriero sogna di essere. Dolce. Dannati Elfi e dannata luce della luna e stupide guerre e dannati ancora gli Elfi, la luce delle stelle e gli alberi e la poesia, Mahal li danni tutti» borbottò Óin nella sua barba, il volto furioso. Continuò a borbottare senza interruzioni mentre la Grigia Compagnia saliva sulle loro nuove navi e spingeva i fedeli cavalli nelle stive.

«Ti dà tanto fastidio?» chiese Frerin, e Óin fece una smorfia.

«No – beh, non più» concesse «Vorrei solo che quell'idiota di mio nipote avesse più discrezione! Sono qui all'aperto dove tutti li possono vedere!»

«Non hanno fatto nulla di improprio» disse Thorin. Poi esitò. «Vero?»

«Non lo diresti se vedessi come si guardano a vicenda» borbottò Óin «Ti sembra di essere di troppo solo perché respiri la stessa aria. Peggio di Glóin il giorno del suo matrimonio, e non sto esagerando.»

Una volta sulle navi vi trovarono un nuovo e tremendo orrore. C'erano schiavi legati ai remi, miseri e sporchi. Con voci dolci e mani gentili la Grigia Compagnia li liberò e li aiutò ad alzarsi, portandoli a terra per sdraiarsi sull'erba dolce. Divorarono il cibo che gli diedero dai loro zaini, e Thorin poteva a malapena guardare alcuni di loro in faccia. Avevano uno sguardo che gli ricordava fin troppo Thráin nei suoi momenti più oscuri.

«Tranquilla, ragazza» disse gentilmente Gimli a una donna magrissima che si strozzò con l'acqua che le aveva dato. La sua bocca rovinata era troppo secca anche per piccoli sorsi. «Tranquilla. Non la rivoglio. È tutta tua ora.»

Il volto di Aragorn era duro per la rabbia. «Andate, e siate liberi» disse loro, e loro lo fissarono senza capire.

«Rimarrò io» disse uno dei Dúnedain, e si voltò verso gli esausti schiavi spaventati e parlò loro, il volto rovinato dolce «Se lo volete, vi mostrerò dove vive la gente di questa vallata. Là potremo trovare cibo e riposo, e delle comodità che vi erano negate.»

«È lunga da qui ai villaggi» sussurrò Frerin, e Thorin chinò la testa.

«Aye» disse, piano e furioso «Ma è una lunga camminata in libertà.»

Gli ex-schiavi parlarono fra loro per un momento, e poi una donna alta si fece avanti. Aveva un marchio a fuoco sul volto, ma era dritta e teneva la testa alta come una Regina. «Verremo con te» disse «Ma solo con te. Nessun altro.»

«Quando il terrore dei Morti avrà lasciato queste terre, si spargerà parola dell'Erede di Elendil» gli disse Aragorn «Prendete i nostri animali da soma, i nostri viveri, e date loro questo segno. Dite alla gente del Lebennin che il Re vi dà il permesso di vivere qui, come anime libere. Io ora andrò in battaglia. Se tutto va bene, ci prenderemo cura di voi e sarete cittadini di Gondor, se lo desiderate. Se volete tornare alle vostre case, anche questo potrà essere fatto. Avete la mia parola.»

La donna sostenne il suo sguardo per una lunga pausa sospettosa. L'incredulità lottò con la meraviglia, e poi alzò la mano in uno strano saluto. «Che la fortuna ti aiuti nelle tue guerre» disse. Poi si voltò e guidò il gruppo di ex-schiavi via dal fiume. Il giovane Ramingo annuì ad Aragorn, e poi li seguì.

«Questo» disse Gimli, e chinò tristemente la testa rossa «Ah, quando credevo di aver visto ogni crudeltà di questo mondo.»

«Nekhushel» disse Thorin, guardandoli partire, zoppicanti e spaventati eppure pieni di speranza. La rabbia bruciava nel suo stomaco, tenuta a freno solo dalla presenza di Frerin al suo fianco. «Non ci sono parole in nessuna lingua per descrivere tale orrore.»

Legolas mise una mano sulla spalla di Gimli, e la strinse in rassicurazione.

«Sauron è l'autore di ciò, ed è ancora più crudele di così. Non tutti coloro che combattono lo fanno di loro scelta. Combattiamo per la loro libertà oltre che la nostra» disse Aragorn, e un odio tetro era nei suoi occhi «Alzate le vele! Andiamo alla Città Bianca!»

Lentamente la loro nave si allontanò dalla riva, e iniziò a risalire il fiume. I remi ora erano manovrati dalla Grigia Compagnia, che lavorava tenacemente contro la corrente.

«Siamo lenti» disse Gimli cupo, guardando l'acqua «Farei un turno ai remi, ma questa gente non ha bisogno di un novizio. E poi, senza dubbio remerei troppo forte – supponendo che i miei piedi raggiungano il pavimento!»

Legolas saltò sul ponte rialzato, i capelli si gonfiavano al vento salato. «Tira su la barba, figlio di Durin!» disse, tenendosi a una cima e osservando le acque «Perché si dice: spesso la speranza nasce, là dove tutto è perduto.»

«Molto bello, e non molto d'aiuto» grugnì Gimli, e picchiò i pesanti stivali contro al ponte un paio di volte. Poi annuì soddisfatto. «Beh, non sembra probabile che vada in pezzi sono di noi, almeno.»

Legolas sorrise e tornò sul ponte, leggero come una piuma. «Allora tutti noi ammireremmo un Nano che si trascina in un fiume con tutta l'armatura? Così pesante come sei, affonderesti come un sasso.»

«Scusami, so nuotare come un pesce!» esclamò Gimli «La Montagna è alla fonte del Fiume Flutti, se non te lo ricordi!»

«Ah, ciò spiega la tua... insolita inclinazione per l'acqua» lo provocò Legolas «L'ho notato ad Edoras.»

«Hai notato-? Impertinente! Elfi svergognati!» Gimli rise «Quindi è il mio turno di chiederlo: sono tanto brutto ai tuoi occhi?»

«E ora cerchi di farmi rimangiare le mie parole» disse Legolas, scuotendo la testa in finta tristezza mentre le navi saltavano fra i flutti, le prue verso Gondor «Dovrò risponderti come facesti tu? Perché di certo ti trovo bello come qualsiasi cavallo di Rohan!»

«Insolente» disse Gimli, ridacchiando «La criniera di Arod non è di certo bella quanto la mia. Ma ti ringrazio per avermi tirato su di morale, comunque» poi si fece ombra agli occhi «Ah, Aragorn sta facendo legare quello stendardo nero al grosso palo.»

La bocca di Legolas tremò. «L'albero maestro, Gimli.»

«È il palo più grosso, lo chiamo col nome appropriato» rispose Gimli «Ah, guarda, lo stendardo brilla al sole! Quello è mithril, o io sono uno Hobbit. Guarda, Legolas!»

Legolas si voltò per guardare lo stendardo, e poi si irrigidì come una statua. I suoi occhi si allargarono.

«Quindi è questo che Arwen gli ha mandato. Un dono da Re invero» commentò Gimli, guardando con apprezzamento lo stendardo «L'Albero Bianco e la stella di Elendil, se non sbaglio. Dev'essere stato un lavoraccio: il mithril è più sottile dell'oro, e anche se è più resistente dell'acciaio non deve essere un filo facile da usare! Se l'avessi saputo, le avrei parlato a Granburrone. Perché non sapevo che trova diletto nei metalli? Quello è un capolavoro senza dubbio... Legolas?»

L'Elfo era immobile, il corpo intero tremava come un cervo spaventato. Le pupille erano come spilli. Il respiro usciva rapido dalle sue labbra.

Gimli si accigliò. «Legolas, ragazzo, che c'è? Puoi rispondermi? Legolas? Legolas!»

Perché l'Elfo non rispondeva. Sembrava appoggiarsi ai venti marini, come cercando il loro tocco.

«Legolas!» ora davvero preoccupato, Gimli prese la mano molle di Legolas e la strinse fra le sue «Legolas, stai bene? Per favore, ghivasha, per favore rispondimi! Legolas!»

Infine Legolas si riscosse e batté le palpebre come un dormiente che si risveglia da uno strano sogno. «Ah» disse debolmente. Poi di colpo le sue ginocchia cedettero e lui collassò.

Gimli imprecò e lo prese, appoggiandolo piano sul ponte. «Dimmi, cosa c'è» disse, il volto ansioso «Cosa posso fare? Cosa ti affligge, kurdulu?»

«Parla, sì» balbettò Legolas, e si passò una mano sugli occhi «Parla... Parlami. Forte. Devi parlare più forte!»

Gimli fissò l'Elfo, e poi sembrò riprendere controllo di sé. «Beh, non è un problema, non per me almeno» disse, non c'era segno di preoccupazione nella sua profonda voce rombante, anche se i suoi occhi brillavano d'ansia «Mia madre dice sempre che sono più rumoroso di un porcile di maiali da battaglia. E mia sorella aggiunge che puzzo il doppio. Una ragazza simpatica, mia sorella. Una rara, ma con una lingua affilata come i suoi coltelli! Non ti costringerei a sopportarla senza uno o due boccali prima, e credimi ti servirebbero. Ma è la responsabile di quella gioia che è mio nipote, e quindi la devo sopportare.»

«Non... non mi prendi in giro» disse Legolas, e i suoi occhi andarono su, su verso il cielo «Tu ami tua sorella.»

«Aye, nel modo in cui alla fine ti affezioni alle scintille in una fucina: bruciano, ma sono carine» disse Gimli, e strinse più forte la mano di Legolas «Ti ho mai detto che sono lo studente peggiore che Mastro Garin abbia mai avuto? Dammi un'ascia e la farò ruotare, dammi un piccone e troverò il metallo – ma non chiedermi di farne una. Ammacco e rompo l'acciaio quando martello. È il colpo, vedi; ho passato tanto tempo con l'ascia che uso un martello come se dovessi tagliare un'armatura! Ho una buona mano coi gioielli, però. Mia madre è una gioielliera, sai.»

«Una grande... bellezza» gracchiò Legolas. I suoi occhi correvano per il cielo, come in cerca di qualcosa.

«Aye, Elfo ignorante e maleducato. La mia 'amad è ancora una famosa bellezza, anche nei suoi giorni argentati. Li chiamiamo giorni argentati perché i capelli e la barba diventano d'argento. Mio padre la chiama “gioiello” - è questo che vuol dire il suo nome, Mizim. Significa “gioiello”.»

«Di certo non dovresti dirmelo» disse Legolas, e chiuse gli occhi e allontanò lo sguardo dal cielo blu «Dimmi di più però. La tua voce è la terra, e io posso starci sopra. Dimmi di più.»

«No, davvero non dovrebbe dirlo a Legolas» disse Frerin, tirandosi una treccia bionda. Thorin strinse le labbra.

«Cosa lo affligge?» chiese, senza aspettarsi davvero una risposta.

«Ah, di certo il mio amore non lo ha già portato a questo punto» sussurrò Gimli, a malapena udibile persino per Thorin. Il suo mento di abbassò per un istante.

«Gimli, parla» lo incitò Thorin, guardando l'Elfo «Lo aiuta. Richiamalo da te, mia stella!»

Gimli rimase immobile per un altro momento. Poi alzò la testa, e ricominciò a parlare, la sua voce di nuovo rombante e sicura: «Aye, ma tu sei il mio Uno, e c'è un po' più di tolleranza. Ci sarà qualcuno che si annoderà la barba perché un Elfo sa dei nostri modi e delle nostre parole, di certo. Ma altri confermeranno che dato che appartieni a un Nano e lui a te, dovresti poterlo capire. Quindi. Prima lezione. Mizim vuol dire gioiello.»

«E il tuo?» disse Legolas, e premette il volto contro il petto di Gimli dove la sua voce risuonava di più «Il tuo vuol dire qualcosa?»

Gimli esitò.

«Non il tuo nome nascosto» disse Legolas in fretta «Il tuo... nome del giorno, l'hai chiamato? Il tuo nome del cielo?»

«Oh» Gimli tossì «Aye. Il mio vuol dire “stella”.»

Legolas si spinse su con braccia tremanti per guardare Gimli in faccia. «Stella! Davvero?»

«Aye, in Khuzdul, “Gimli” vuol dire “stella”» imbarazzato, Gimli si strofinò il mento, spettinando la barba «Mi è stato detto che in un vecchio dialetto del Nord, vuol dire anche “fuoco”.»

«Com'è appropriato» disse Legolas in meraviglia, e lasciò cadere la testa sulla spalla di Gimli «Com'è appropriato. Gli Elfi hanno sempre amato le stelle.»

Óin alzò gli occhi al cielo e gemette.

«Legolas, ragazzo, sei di nuovo con me?» disse Gimli, e strofinò le lunghe dita dell'Elfo fra le sue mani «Mi hai fatto spaventare. Cos'è successo?»

«Mi aveva avvertito» disse Legolas, e seppellì il volto nella tunica di Gimli «Mi aveva avvertito che sarebbe successo. Attento al mare, aveva detto. Perché ho sentito quel canto, e perché ora? Perché mi hanno chiamato, così presto dopo che ho finalmente trovato un motivo per rimanere?»

«La Dama?» Gimli lisciò i capelli di Legolas con dita che dicevano molto di quanto fosse preoccupato. Nel suo volto vi era una profonda meraviglia per avere il solo permesso di toccarli. «Nel suo messaggio?»

Legolas rabbrividì. «I gabbiani.»

«If thou hearest the cry of the gull on the shore» disse piano Gimli, citando il criptico messaggio di Galadriel. Legolas tremò come una foglia al vento. «Legolas, cosa-»

Non disse altro. Perché Legolas si tirò su con braccia tremanti, e premette la bocca contro quella di Gimli in una mossa che parlava più di disperazione che di desiderio.

Óin grugnì. «C'è voluto troppo flirtare per arrivare a questo punto. Almeno ora staranno zitti.»

La bocca di Frerin si chiuse di scatto. «Uh» disse, e Thorin era piuttosto divertito nel vedere le sue orecchie che diventavano rosse.

«Sei imbarazzato, nadad?» disse, e Frerin lo fulminò.

«No» disse, incrociando le braccia «Solo... non è privato.»

«Maledetti Elfi» sospirò Óin.

Era vero. La Grigia Compagnia era stata in movimento, muovendo i remi, tirando cime e angolando vele da una parte e dall'altra. Ora le cime era molli dato che tutti fissavano a bocca aperta lo spettacolo sconvolgente davanti a loro.

Aragorn fece un enorme sospiro, e premette la testa contro l'albero maestro. «Finalmente.»

Halbarad guardò il suo signore e parente. «Tu sei... a conoscenza di ciò?»

«Metà di Rohan ne è a conoscenza, a dire il vero» disse Aragorn, la testa ancora contro l'albero. I suoi occhi erano chiusi. «Sono i compagni meno perspicaci esistenti. Più duri della quercia o della roccia, quei due! Eppure non li cambierei mai, tanto generosi e puri di cuore sono. Anche se forse non acuti di vista!»

«Un Elfo e un Nano?» disse Halbarad dubbioso.

«Molte strane meraviglie sono accadute negli ultimi giorni di questa Era» mormorò Elrohir «I giorni degli Elfi sono al termine. I Nani diminuiscono di numero anno dopo anno. Forse infine troveremo comprensione fra di noi, prima che l'opportunità svanisca per sempre.»

Thorin batté le palpebre, e poi guardò il Signore Mezzelfico, in piedi accanto a suo fratello. I Peredhil non sembravano né disgustati né sorpresi; e Thorin ricordò i grigi occhi acuti di Elrohir che andavano da Legolas a Gimli sulla strada del Dimholt. «Uhm» disse, corrugando la fronte «Sembra che Gimli non sarà disprezzato dalla stirpe Elfica dopotutto.»

«Loro hanno anche un po' di Uomo dentro di sé» gli ricordò Frerin «E anche Maia, se credi alle vecchie storie.»

«Scommetto che sono imparentati con Gandalf» borbottò Óin «Ficcanaso, tutti loro. Senza vergogna.»

«Loro padre ha il dono della preveggenza» disse Thorin, studiandoli. Elladan si piegò per sussurrare qualcosa all'orecchio di Elrohir, e i fratelli si scambiarono un sorrisetto cospiratore. «Chi sa che genere di doni abbiamo questi due?»

«Gli serve un anello per vedere il futuro, e non è comunque utile» disse Óin, scrollando le spalle «Elrond non ha previsto nulla sul mio nipote e il dannato figlio di Thranduil attaccati per le labbra su una nave corsara, sbaglio?»

«Ne – ne dubito molto» disse Thorin, e strozzò la risata inappropriata che minacciava di risalirgli per lo stomaco. Ora non era il momento.

«Hanno finito?» frignò Frerin.

Óin guardò sopra la sua spalla, e fece un suono sollevato. «Grazie a Mahal. Hanno finito.»

Gimli aveva la fronte premuta contro quella di Legolas, e il suo respiro era leggermente accelerato. «Come se avesse di nuovo corso per tutta Rohan» sbuffò Óin.

Legolas alzò un dito e tracciò la linea dei baffi di Gimli. Il respiro di Gimli si mozzò, ma lui non protestò. «Oh, ora è anche peggio!» urlò Frerin.

«Vuoi andare?» suggerì Thorin, e Frerin gli lanciò uno sguardo molto ferito «Va bene, nadad, era solo un'idea.»

«I gabbiani» disse Legolas indistintamente, e si accasciò fra le braccia di Gimli «Ahimè, i gabbiani.»

«Vorresti spiegarti, ragazzo?» disse Gimli. La sua voce era un po' ruvida. «Con delle parole questa volta?»

«Se gli Elfi sapessero quanto sono fini» disse Legolas, allontanando gli occhi da Gimli. Toccò ancora i folti baffi rossi con un lungo dito. «non avrebbero mai deriso i Nani. Abbiamo sempre ammirato dei bei capelli. Che capelli! Spessi come la criniera di un cavallo, eppure morbidi, caldi e vivi.»

«Smettila di adularmi, Legolas, e dimmi cos'era, perché i gabbiani ti hanno fatto tremare di paura» ringhiò Gimli, catturando la mano. Le sue enormi dita avvolgevano completamente il polso dell'Elfo. «Per piacere. Per piacere, ghivasha.»

Lo sguardo di Legolas tornò a Gimli, e poi si mise seduto e fece un respiro profondo. Gimli gli lasciò la mano, ma Legolas cercò nuovamente la sua all'istante.

«La mia gente» iniziò «Ti ho detto che stava abbandonando queste sponde.»

«Aye, per mare» disse Gimli, e fece spallucce «Dev'essere bello, se riesci ad arrivare dall'altra parte, credo. Cos'ha uno stormo d'uccelli a che fare con questo?»

Legolas batté le palpebre, e poi rise sottovoce. «Sei un'infinita miniera di preziosi» disse, scuotendo la bella testa «Anche in un momento simile, riesci ad alleggerire il mio cuore.»

«In questo siamo alla pari, perché fosti tu a darmi conforto sui Sentieri dei Morti» disse Gimli ruvidamente «Vai avanti!»

«Molto bene, oh Nano impaziente!» Legolas strinse la mano di Gimli «Partono per Aman, dove la loro tristezza viene cancellata. Per la maggioranza è una chiamata che ha una facile risposta: andiamo felicemente, perché infine dovremo, e le nostre vite saranno per sempre felici là. Ma alcuni rimarrebbero per amore della Terra di Mezzo. Fino ad ora, non avevo mai sentito...»

Gimli sbiancò. «Hai sentito questa chiamata?»

«Il desiderio del Mare, lo chiamiamo» mormorò Legolas «Quando gli Elfi si svegliarono, nei giorni prima del sole e della luna, furono chiamati dai Valar ad Aman. E molti risposero alla chiamata, e ancora vivono lì. Ma altri restarono, anche attraverso guerre e tragedie innumerevoli, perché la bellezza di questa Terra di Mezzo è resa ancora più grande dal suo dolore. Eppure tutti conosciamo la chiamata.»

«E questo desiderio fa in modo che un Elfo rimanga fermo come la pietra e pianga?» chiese Gimli con voce rotta «Dovrò vedere di nuovo quello spettacolo?»

Legolas fece un sospiro. «No» disse «No, quello non era che lo stupore iniziale. Non è un incantesimo malvagio. È la conoscenza che devo andare, prima o poi. Devo andare. Ora i gabbiani grideranno sempre nei miei sogni, e grideranno il mio nome finché non rispondo.»

«Ah» sussurrò Gimli «Oh, Legolas.»

«Perché ora?» disse Legolas, improvvisamente arrabbiato «Perché ora, quando ho finalmente compreso il mio cuore? Perché ora, quando ho appena iniziato a scoprire tutto ciò che sei? Perché ora?»

«Shhh, calmati ora, kurdulu» disse Gimli,, e alzò una mano per accarezzare ancora i capelli di Legolas «Se il desiderio ti prenderà, lo affronteremo. Non lascerò che quegli uccellacci volino via con te.»

La bocca di Legolas si incurvò, come se il sorriso gli fosse sfuggito nonostante la sua rabbia. «Li combatteresti, meleth nín?»

Gimli alzò le sopracciglia. «Sono un Nano, sono della Linea di Durin, e sono stato il campione di lancio dell'ascia di Erebor per sei anni consecutivi. Quegli uccelli dovranno scappare in fretta, o saranno la mia cena dopo poco.»

«Quello» disse Legolas, arricciando il naso «è disgustoso.»

«Oh, zitto, mi hai baciato davanti al Re di Gondor» ritorse Gimli «E la mia barba ti ha fatto arrossare la pelle.»

La risata di Legolas era meno allegra del solito, ma risuonò lo stesso lungo il fiume.

«Oh grazie a Mahal, sei qui» ansimò una nuova voce, e Thorin si girò per vedere Haban piegata con le mani sulle ginocchia, ansimando «Devi venire, devi venire subito!»

Thorin sentì il suo cuore battere più in fretta. «Cosa succede? Frodo?»

«No» lei agitò una mano, ancora cercando di respirare abbastanza per parlare «Faramir, è Faramir. Suo padre ha ordinato che sia portato nel luogo delle sepolture!»

«È morto?» disse Frerin, rattristato «Oh, mahumb.»

«No!» Haban si raddrizzò e si spostò la grande massa di capelli rosso acceso sulla spalla, fissandoli esasperata «Non lo è! Suo padre è completamente uscito di senno, sputa ogni genere di previsione di disperazione e rovina. Suo figlio vive, ma lui vuole bruciare entrambi a morte!»

«Portaci là» disse Thorin. Prese la spalla di Frerin con la mano e chiuse gli occhi – e pregò il Gimlîn-zâram di essere gentile.

Forse lo udì, perché per stavolta, la vasca fu dolce nel portarli via.

Thorin si scosse di dosso la luce restante e batté le palpebre. Sentiva altre voci avanti, e lo scoppiettio del fuoco e del legno. «Io sono il Sovrintendente della casa di Anárion. Così ho camminato, e così ora dormirò» disse qualcuno, piano e senza emozione.

«Veloci, veloci!» disse Haban, tirando la spalla di Thorin «Stanno già facendo la processione! Muoviti, dannato lumacone Longobarbo, muoviti!»

Thorin lasciò che la Nana Barbafiamma lo trascinasse, ancora battendo le palpebre mentre i suoi occhi finalmente si abituavano alla penombra. Le nubi di fumo di Mordor erano ancora più cupe qui, ed era buio come la notte.

«Dove nel nome di Durin sei stato!» esclamò Fundin «Abbiamo bisogno del tuo dono, ragazzo.»

«Zitto, zitto, sta parlando di nuovo» sibilò Gróin, e Fundin ringhiò.

«Non dirmi di stare zitto, vecchio-»

«Penso il mio nuovo lavoro sarà una museruola» ringhiò Narvi, da qualche parte a sinistra.

Thorin batté le palpebre ancora e ancora mentre la voce tornava: «Perché gli sciocchi fuggono? Meglio morire prima che dopo. Perché morire dobbiamo.»

«Là!» disse Haban ansiosamente, e indicò. Thorin guardò, e riuscì a distinguere il volto stupefatto di Pipino. «Parlagli, parla allo Hobbit!»

«E dirgli cosa?» Thorin si guardò attorno in fretta, e il suo sangue di ghiaccio a ciò che vide. Denethor guidava una processione di soldati verso uno spuntone tetro, coperto di tombe ed effigi. Su una barella giaceva Faramir, la fronte coperta di sudore. Il giovane soldato si muoveva debolmente nel suo sonno febbricitante, e i suoi capelli erano fradici sotto la sua testa. Entrarono in una delle tombe proibitive, le torce brillavano nelle loro mani. «Mahal di sotto.»

«Te l'ho detto!» esclamò Haban «Fai fare qualcosa allo Hobbit!»

«Pipino, non puoi lasciare che succeda!» disse Thorin, e fece un passo verso lo Hobbit terrorizzato «Ferma questa mostruosità!»

Quando i soldati poggiarono la barella su un grande altare di pietra, Pipino fece un suono furioso e corse avanti. Si lanciò su corpo in debole movimento di Faramir, gettando via fasci di legna. «Ma – non è morto!» urlò «Non è morto!»

Denethor afferrò lo Hobbit scalciante e lo trascinò per il colletto verso le scale. «Addio Peregrino figlio di Paladino» disse con voce priva di vita.

Pipino ululò a pieni polmoni: «no! NO!»

Ma anche se lottava con tutte le sue forze, Pipino non poteva battere il Sovrintendente. Denethor sembrava essere persino più forte nelle profondità della sua disperazione: tutta la sua risoluzione e determinazione erano ora rafforzate dalla mancanza di speranza. «Ti esonero dal mio servizio» disse, e gettò Pipino dalle scale delle tombe «Ora va e muori nella maniera che ti sembrerà più giusta.»

«Pipino non ha il potere di comandare il Sovrintendente di Gondor» disse Thorin frustrato, e poi si raddrizzò quando un corno risuonò nell'aria «Cos'era?»

«Ci sono dei cavalieri all'orizzonte!» esclamò Fundin, correndo verso il cortile dei Re, e Gróin lo spinse da parte per poter guardare oltre il grande sperone del Mindolluin.

«Sono i Rohirrim! Sono arrivati!»

«Sono arrivati tardi per Faramir» disse Thorin, voltandosi dal campo di battaglia e stringendo i denti.

«I Nazgûl vanno verso di loro!» urlò Fundin, e alzò un braccio, il pugno chiuso «Du bekâr!»

«Sei utile quasi quanto una scoreggia al vento» gli disse Gróin in tono derisorio. Haban quasi urlò per la frustrazione.

«Thorin» disse Frerin, tirandogli una treccia «Thorin, se i Nazgûl se ne vanno da Minas Tirith per attaccare gli Éorlingas... allora lo Stregone potrebbe...»

«Gandalf, aye» sussurrò Thorin, e diede una pacca sulla schiena a suo fratello, prima di correre di nuovo da Pipino, congelato dall'orrore con lacrime che si asciugavano sul suo volto.

«Pipino! Pipino Tuc!» urlò, e a malapena resistette all'impulso di scrollare le spalle dello Hobbit «Vai da Gandalf! Lo Stregone Bianco è colui che ci serve qui!»

Pipino si riscosse, e immediatamente iniziò a correre. Si abbassava e contorceva, più rapido di quanto qualsiasi Nano potesse sperare di essere. Persino Frerin, avanti a tutti, trovò impossibile stargli dietro. «Perso» ringhiò Gróin, e si bloccò davanti a un grande masso che era aveva distrutto parte delle mura.

«Altro... dannato... correre» gemette Fundin, piegandosi e ansimando.

«Va bene, inizio a capire perché non si è mai davvero preoccupato di essere catturato» ansimò Frerin, tenendosi il fianco.

In quel momento, un enorme Troll attraversò l'edificio a cui erano appoggiati, e Narvi imprecò e si abbassò di riflesso. «Per la barba di Durin!» disse, e poi fissò Thorin «Lo Stregone sarà dove la lotta è più dura. Se quel Troll è dentro, allora il primo livello è caduto. Dobbiamo arrivare ai Cancelli. Sono stati aperti.»

«Cosa si può fare per riprenderli?» chiese lui, spingendosi fra i popolani urlanti che correvano dall'altra parte.

Narvi fece una smorfia. «Non molto. Potrebbero usare qualcuna di queste rocce che gli Orchi gli hanno lanciato addosso per bloccare l'entrata, ma è un po' difficile da fare quando qualcuno sta cercando di riempirti di buchi.»

«Suppongo lo sia» disse Frerin, debolmente.

«Andiamo, di qua» disse Narvi, e si voltò verso il grande buco che il Troll aveva aperto.

«Come fa a sapere già com'è fatta la città?» ansimò Gróin mentre seguiva la rinomata artigiana per le strade distrutte di Minas Tirith.

«È costruita nel modo più ovvio possibile» disse Narvi senza nemmeno rallentare o girarsi.

«Non chiedere mai a Narvi come fa a sapere le cose» sussurrò Haban a suo marito «Genio, ricordi?»

«Aye, aye» borbottò Gróin, e piegò la testa e corse più veloce «Solo è strano, ecco.»

Se Narvi lo sentì, non gli prestò molta attenzione.

Infine i grandi Cancelli di Minas Tirith furono davanti a loro, e sotto era una lotta furiosa di Orchi, Troll, Uomini e cavalli. Un enorme ariete a forma di lupo ringhiante aveva distrutto l'antico meccanismo e il fuoco delle sue fauci aveva dato alle fiamme alcune delle case vicine.

«Adrân mamahulu sanzigil» disse Gróin, facendo uscire Thorin dal suo stato terrorizzato.

Il bastone dello Stregone era come un faro. «Là!» urlò Haban, indicando «Ecco Pipino!»

Invero c'era una piccola figura che correva fra i combattenti, i capelli ricci lo identificavano. «Gandalf!» urlò Pipino «Gandalf!»

«Peregrino Tuc! Cosa stai facendo qui? Questo non è posto per uno Hobbit!» disse Gandalf «Non stabilisce forse la legge della Città che coloro che vestono di nero e d'argento devono restare alla Cittadella, a meno che il loro signore non dia loro il permesso di allontanarsi?»

«Me lo ha dato» disse Pipino «Mi ha mandato via. Ma io ho paura. Il Signore mi sembra fuori di sé. Brucerà vivo Faramir!»

«Bruciarlo vivo?» disse Gandalf «Che storia è questa? Sii rapido!»

«Denethor è andato alle tombe» disse Pipino in fretta mentre Gandalf lo sollevava e lo sistemava davanti a sé sulla sella «e su è portato Faramir, e dice che dobbiamo bruciare tutti, e che lui non vuole aspettare, e ha ordinato di accendere un rogo e bruciarlo insieme con Faramir!»

«Pipino dice il vero» aggiunse Thorin, e ringraziò tutti i Valar quando gli occhi di Gandalf scattarono verso di lui «La disperazione ha preso il controllo di Denethor. Dice che ogni difesa è inutile davanti al potere di Mordor, e ucciderà il suo stesso figlio nella sua disperazione!»

«Puoi salvarlo?» implorò Pipino «Ti prego!»

«Forse posso» disse Gandalf pesantemente «ma se lo faccio, altri moriranno, purtroppo. L'Oscuro Luogotenente mi aspetta, ma il suo sguardo è stato portato altrove – per ora. Ebbene, devo venire, poiché non potrà avere altro aiuto. Ma ciò sarà causa di eventi nefasti e dolore. Persino nel cuore della nostra fortezza il Nemico possiede armi capaci di colpirci: questa infatti è una conseguenza del suo volere.»

«Come? Come ha potuto Sauron portare un Uomo come Denethor a una così totale desolazione?» chiese Thorin, ma Gandalf stava già girando Ombromanto via dai Cancelli.

«Nadad...» iniziò Frerin, accigliandosi. Thorin non lo guardò mentre correva dietro al cavallo bianco.

«Non ho il tempo di pensare alla mia vergogna ora, Frerin» abbaiò, e allungò una mano e si trascinò dietro Frerin «Muoviti!»

«Oh. Bene, eh. Bene» Frerin sembrava abbastanza perplesso «Comunque non è la stessa cosa, e lo sai.»

«Similitudini disturbanti a parte, siamo occupati» ringhiò Thorin, e si coprì gli occhi quando una bestia orrenda attraversò il cielo sopra di loro «Nazgûl!»

«Stanno uscendo dal Pelennor!» urlò Narvi «Di qua!»

Corsero dietro a Narvi, il sangue gli si ghiacciava nelle vene quando le strilla assordanti del Nazgûl riempirono l'aria. Il manto bianco di Ombromanto poteva essere visto ogni tanto attraverso i combattimenti. Narvi li guidò con completa sicurezza per il labirinto di strade, i suoi occhi scuri pieni di vecchi, vecchi ricordi.

Infine le Tombe furono nuovamente davanti a loro. «Perché hanno costruito questa cosa su un'enorme collina, e perché siamo dovuti correre dalla cima fino alla base e poi di nuovo su» gemette Gróin, e accanto a lui suo fratello fece un suono simile a palloni che si sgonfiano.

«Noi viviamo nelle Montagne, caro» ansimò Haban.

«Metti fine a questa follia!» tuonò Gandalf entrando nella tomba. Denethor alzò lo sguardo, coperto da un velo di olio. I suoi occhi erano rossi e disperati.

«Da quando in qua il Signore di Gondor risponde a te delle sue azioni, Mithrandir?» disse con voce vuota.

«Sei un Sovrintendente, non un Re» disse Gandalf severamente «E solo quei Re schiavi dell'Oscuro Potere si comportavano in questo modo, suicidandosi in preda all'orgoglio e alla disperazione, assassinando i loro cari per facilitare la propria morta.»

«Mio figlio, mio figlio» singhiozzò Denethor, e si piegò per guardare il volto di Faramir con un amore tale che Thorin rabbrividì nel vederlo. Un amore così contorto e avido non era reale. «Non si risveglierà. La battaglia è vana. Perché desiderare vivere ancora? Perché non avviarci alla morte fianco a fianco?»

«Denethor» disse Gandalf, ora con più calma «Tu sei un grande Uomo. Sei della linea di Anárion, e il sangue dell'Ovesturia scorre quasi puro nelle tue vene. Faramir vive, e la città non è ancora presa. Potresti dar loro speranza. C'è ancora molto che puoi fare. Non lasciare che la tua disperazione di porti alla pazzia.»

Poi improvvisamente Denethor rise. Fu nuovamente dritto e alto, e cercò nella sua lunga manica e ne tirò fuori un globo rotondo che lampeggiò di familiare, terribile fuoco. I suoi occhi brillarono. «Orgoglio e disperazione!» urlò «Credevi forse che gli occhi della Torre Bianca fossero ciechi? No, ho veduto più di quanto tu non sappia, Grigio Stolto. La tua speranza non è che ignoranza. Va dunque, datti da fare per sanare gli altri! Va a combattere! Vanità. Per breve tempo trionferai sul campo, per un giorno. Ma contro il Potere che sta sorgendo non esiste vittoria.»

«Simili decisioni non potranno che rendere certa la vittoria del Nemico» disse Gandalf.

«Continua a sperare, allora!» rise Denethor «Forse non ti conosco, Mithrandir? La tua speranza è di governare al mio posto, di essere dietro ogni trono, a nord, a sud, a ovest. Non so forse che ordinasti a questo Mezzuomo di spiarmi sin dentro la mia stanza? Eppure nel nostro della nostra conversazione ho appreso il nome e lo scopo di ognuno dei tuoi compagni.»

Gandalf lanciò a Pipino uno sguardo molto esasperato. Lo Hobbit si fece piccolo.

Denethor prese una torcia da una guardia, e la alzò sopra la barella. «E così con la mano sinistra vorresti servirti di me per qualche tempo come scudo contro Mordor, mentre con la mano destra intendi soppiantarmi con questo Ramingo del Nord. Ma sappi, Gandalf Mithrandir, che io non voglio essere uno strumento nelle tue mani. Non cederò innanzi a un uomo simile, l'ultimo di una cenciosa dinastia priva da tempi immemorabili di nobiltà e dignità!»

Gandalf fece un lungo, pesante sospiro. «Allora davvero sei diventato uno sciocco, Denethor figlio di Ecthelion.»

E improvvisamente incitò Ombromanto, e fece cadere Denethor dalla barella. La torcia cadde sulla legna bagnata d'olio, ma Pipino non esitò. Lo Hobbit si lanciò sul corpo prono di Faramir e iniziò a tirarlo via dalla pira.

«Di qua! Rotola!» urlò Thorin, e Pipino lo fece, rotolando dove il fuoco non era divampato e facendoli cadere. Poi spense le fiamme sui loro abiti in fretta, e Gandalf li trascinò entrambi al sicuro.

Denethor non fu tanto fortunato. Stava facendo corte, stupite urla di dolore ora che il fuoco che aveva tanto desiderato gli strisciava sulla carne. Ben presto stava strillando, i suoi ricchi abiti completamente in fiamme. Ululando a pieni polmoni, Denethor strinse il globo che aveva prodotto con tanta pompa e lo appoggiò sulla barella. Tutti scapparono dalle Tombe, anche le guardie, mentre le fiamme si alzavano a leccare il soffitto – e con un ultimo strillo le porte si chiusero dietro di loro.

Il silenzio cadde sia sui vivi che sui morti quando le urla dentro alla Tomba infine morirono.

«Avrebbe potuto essere un grande Uomo» disse Thorin. Le ossa gli facevano male. I suoi occhi erano irritati e ruvidi quando li chiuse.

«Ma non uno buono» rispose Haban «Grandezza senza bontà? No grazie.»

«Un Palantír» sussurrò Frerin. Pipino tremava e si voltò. «Ecco come faceva a sapere tanto.»

«Ed ecco come Sauron ha piantato la disperazione nel suo cuore» disse Thorin, e si asciugò la fronte. Il sudore freddo l'aveva resa fradicia e appiccicosa. «Ah, questo giorno oscuro diventa ancora più crudele.»

«Faramir vive, però» disse Frerin, e premette la fronte contro la spalla di Thorin. Thorin mise un braccio attorno a suo fratello e se lo tirò vicino, prima di guardare i suoi compagni.

Gróin e Fundin erano, per una volta, tristi in volto e silenziosi: non un singolo commento passò dalle loro labbra. Haban stava stringendo le labbra. Gli occhi di Narvi erano pieni di antico odio e rabbia, le sue mani strette ai suoi fianchi.

«Non c'è nulla che non farei» iniziò questa con voce che tremava di rabbia. Poi si controllò e si allontanò.

«Cosa-» disse Fundin, grattandosi la nuca, ma Haban alzò una mano.

«Non uno di noi» disse piano «potrà mai anche solo andare vicino a odiare Sauron quanto Narvi.»

Nell'improvvisa strana calma, Thorin sentì la propria stanchezza che iniziava a sopraffarlo. «Una lunga giornata» borbottò, e si passò una mano sul volto.

«Puoi dirlo forte» disse Frerin, e soffocò uno sbadiglio nella sua spalla «Possiamo andare?»

Per quanto tentato Thorin fosse di dire sì, non era ancora finita. «La battaglia va ancora avanti» ricordò a suo fratello «I Rohirrim stanno attaccando, ma nessun'altra forza è qui ad aiutarli. Il giorno non è ancora finito.»

«Dannazione» disse Frerin, e si strofinò il volto.

«Portatelo alle Case di Guarigione» disse Gandalf alle guardie. Dolore e rassegnazione passarono nei suoi occhi mentre parlava, ma il suo volto era risoluto. «Faramir è ora il Sovrintendente di Gondor. Non ditegli nulla di suo padre quando si sveglierà: tali notizie rallenterebbero la sua guarigione, e inoltre, devo farlo io e di persona. La nostra amicizia lo richiede.»

Pipino aveva il respiro irregolare: lenti sussulti di reazione ritardata. Poi strinse la sua piccola spada. «Beh, mi avrà allontanato, ma indosso ancora i colori della città» disse e il suo mento si alzò in determinazione «Ora cosa facciamo?»

L'orripilante strillo del Nazgûl attraversò l'aria, e tutti, vivi e morti, rabbrividirono.

Gandalf si voltò verso Est. «Il campo di battaglia.»

«Oh, meraviglioso» commentò Frerin, ma i suoi borbottii furono interrotti improvvisamente da un nuovo arrivo. La luce stellare lampeggiò brevemente, e poi sputò fuori la forma di Ori.

«Thorin!» urlò «Thorin!»

«Calmo, Ori, sono qui» disse, e afferrò il Nano più piccolo che lo stava guardando «Cosa succede?»

«Non piove ma diluvia» borbottò Frerin dietro di lui.

«Sul Pelennor» Ori deglutì «Éowyn – Merry – Il Re Stregone...!»

«Cosa!?» Frerin quasi strillò, raddrizzandosi di colpo «Andiamo, andiamo!»

Senza aspettar risposta afferrò il polso di Thorin, e improvvisamente erano lanciati fra costellazioni di stelle. Ruotarono e corsero davanti ai suoi occhi confusi, fino a che cadde di faccia sul terreno. Il suo naso gli fece male colpendo il duro terreno invernale.

«Dáin, la tua testa è dura come sempre» grugnì a se stesso, e lo controllò cautamente. Dolorante, ma ancora non si era rotto.

«Andiamo, alzati!» disse Frerin, acuto e agitato «Thorin, alzati, al- oh no...!»

«Cosa?» Thorin si spinse su con le mani, e immediatamente il freddo puzzo dell'Alito Nero lo avvolse.

«A me!» giunse un ruggito, e Thorin riuscì a barcollare in piedi e girarsi verso di esso. Théoden, l'armatura coperta di sangue e i capelli spettinati sotto l'elmo dal pennacchio in crini di cavallo, teneva alta la spada. Il suo stendardo era dietro di lui bloccato nella pressa di Sudroni e Orchi. Enormi Olifanti, le schiene coperte di capanne di guerra, torreggiavano sopra cavalli e Uomini e Orchi. Le loro grida nasali facevano tremare l'aria. «A me!» urlò ancora Théoden, e girò Nevecrino «Avanti Éorlingas! Non temete l'oscurità!»

Un'ombra coprì il cielo.

Ori strinse Thorin. «Là c'è Merry!» ansimò, indicandolo «Là!»

«Avanti!» urlò Théoden, ma i cavalli dei Rohirrim si impennarono e nitrirono, e i loro cavalieri erano a terra tremanti «A me!»

Con uno schianto assordante, una grande squamosa bestia nera atterrò sui suoi orridi artigli davanti al Re di Rohan. Le sue ali non erano che ragnatele di pelle tirate fra dita artigliate. Il collo era simile a un serpente, e la sua testa ricordava quella di Smaug in un certo modo – e più animale, più bestiale di quanto non fosse stato Smaug. Perché il drago, almeno, era furbo; i suoi occhi avevano brillato di intelligenza. Gli occhi di questa creatura fetida brillavano solo di desiderio di distruggere.

Su di esso sedeva una figura, ammantata di nero, enorme e minacciosa. Una corona d'acciaio portava, ma fra essa e il mantello non vi era nulla da vedere, eccetto un mortale luccichio di occhi: il Signore dei Nazgûl. Era armato di una grande mazza ferrata nera.

Théoden tremò, e poi il suo volto si indurì di determinazione. Con un selvaggio urlo di guerra sulle labbra, spinse avanti il cavallo. Ma Nevecrino era pazzo di terrore e danzava da una parte all'altra. L'enorme mazza fischiò in aria: il cavallo si impennò, nitrendo terrorizzato; la mazza colpì; il pelo bianco divenne scarlatto.

Con un grande urlo Nevecrino cadde di lato. Il Re cadde sotto di lui.

«NO!» giunse un urlo da qualche parte a sinistra, e fu ripetuto da Ori e Thorin. Frerin aveva gli occhi sbarrati ed era silenzioso, la bocca spalancata dal terrore.

«Ma. Lei piangerà» balbettò.

Il cappuccio vuoto si voltò lentamente verso Thorin, Frerin e Ori e vi uscì un sibilò derisorio e soddisfatto. «Avete persssso la vosssstra possssssibilità» risuonò nella mente di Thorin «Tre degli Anelli dei Nani e amicizia eterna, persssso per un nome e un ladro...»

Le gambe di Thorin sembravano acqua, ma lui si raddrizzò. «Io sono Thorin figlio di Thráin, detto Scudodiquercia» disse, con tutto l'orgoglio che poteva «Tu pensi di avere qualcosa che voglio? Tutti i tuoi doni e tutte le tue parole sono veleno. L'Anello sulla tua mano non è abbastanza per dirtelo?»

E poi sia orgoglio che paura lo abbandonarono e fu sommerso dalla rabbia, il sangue bollente. Thorin aveva visto così tanta morte oggi, e ora questa creatura parassitica osava parlare di Bilbo come un premio da barattare! «Lurido essere! Pensi che tradirei mai qualcuno che mi sta a cuore? Quanto poco la Terra Nera sa dei Nani!»

Il Re Stregone soffiò di sorpresa. Il grande e malvagio mago parve preso alla sprovvista dal fatto che qualcuno osasse parlargli con tanta sfrontatezza. L'Alito Nero raddoppiò, e le gambe di Thorin infine cedettero quando il terrore lo sommerse onda dopo onda. Sentì Ori sussultare, e i rapidi, soffocati gemiti di Frerin.

Poi la testa coronata si alzò soddisfatta, e si girò verso il cavallo caduto. «Ssssaziati delle ssssue carni» disse il Nazgûl alla sua bestia. Il lungo collo si incurvò, e le enormi mascelle si aprirono.

«Vattene, orrido dwimmerlaik, signore delle carogne! Lascia in pace i morti!» urlò la stessa voce di prima, e il giovane Cavaliere Dernhelm apparve, mantello verde al vento.

«Veloce, Ori, dove hai visto Merry» sussurrò Thorin «Mentre è distratto – dove?»

«Là accanto a quel Mûmakil morto» sussurrò Ori «A sinistra, e un po' indietro.»

Thorin si girò, e vide lo Hobbit che strisciava sulla pancia. Il suo elmo era assente e non si potevano confondere quei capelli ricci. «Gli Hobbit devono imparare a tenersi gli elmi in testa» borbottò «Non c'è da meravigliarsi se Bilbo era svenuto.»

«Non metterti fra il Naaaazgûl e la sssssua preda» giunse la voce sibilante, dita ghiacciate che scavavano nella mente di Thorin. Si mise la mani sulla orecchie con un urlo. «O lui ucciderà te. Ti condurrà alla casssse del lamento, al di là di ogni tenebra, ove la tua carne verrà divorata e la tua mente raggrinzita verrà essssspossssta nuda all'Occhio Ssssenza Palpebra.»

Il giovane Cavaliere deglutì, gli occhi bianchi dal terrore. Poi alzò la sua spada. «Fa ciò che vuoi; ma io te lo impedirò, se posso.»

La grande bestia attaccò il Cavaliere, ma quella spada cadde con un colpo preciso. In due grandi movimenti, il collo squamoso fu reciso e la testa grottesca rotolò e rimbalzò sul freddo terreno. Il corpo si contorse e collassò, contorto. Dernhelm fece un passo indietro, la spada bassa, osservando attentamente.

Dalla carcassa di alzò il Cavaliere Nero, alto e minaccioso, torreggiante su di loro.

Gli occhi di Dernhelm si congelarono di terrore mortale alla vista della mazza che penzolava, crudelmente appuntita, dalla mano del Re Stregone.

«Merry, forza» disse Thorin il più forte che poteva «Merry, il coraggio degli Hobbit è lento ad accendersi ma vero. Una persona a te cara è in pericolo! Merry! Muoviti ora!»

Con un urlo di odio che bruciava le orecchie come veleno, il Signore dei Nazgûl abbassò la mazza verso la testa di Dernhelm. Dernhelm si piegò, rapido e agile, ma la mazza colpì il suo scudo al terzo colpo. L'oggetto decorato con un cavallo in corsa fu fatto a pezzi. Dernhelm gridò, stringendosi disperatamente il braccio dello scudo; era rotto. Il Cavaliere barcollò e cadde in ginocchio, e il Nazgûl torreggiò su di lui come una nuvola malevolente.

La mazza era pronta a uccidere.

«Pazzo» sussurrò il Re Stregone, afferrando il giovane Cavaliere per la gola e tirandolo su verso il cappuccio vuoto. Dernhelm rabbrividì e si voltò e artigliò la mano metallica attorno al suo collo. «Nessssun uomo vivente può impedirmi nulla!»

Ma quando la mazza si alzò per far uscire le cervella di Dernhelm, il Nazgûl emise uno strillo di dolore, e cadde a terra.

Thorin rimase a bocca aperta, stupefatto, mentre con uno strattone Merry Brandybuck della Contea estraeva la sua piccola spada dal ginocchio del grande Re Stregone di Angmar.

«Mahal ci salvi» disse Ori stupidamente «L'ha fatto.»

Sembrava che infilare lama in quella carne non morta fosse pericoloso. Merry cadde sulla schiena come lanciato da una grande esplosione, la mano immediatamente si avvolse attorno al braccio della spada con un urlo di agonia. Giacque confuso e intorpidito, rotolandosi sul terreno. La lama si dissolse in schegge nere che volarono via come polvere al vento.

Poi il giovane Cavaliere Dernhelm si alzò sopra al suo terribile nemico, e si levò l'elmo dalla testa. Capelli oro pallido caddero sulle sue spalle, incorniciando occhi grigi come il mare. Erano duri e severi, eppure le lacrime brillavano sulle guance senza barba.

«Io non sono un Uomo» disse Éowyn, figlia di Éomund.

E con le sue ultime forze, spinse la spada in quel nulla fra mantello e corona. La spada esplose in molte schegge. La corona cadde con uno schianto sordo.

Éowyn cadde avanti sul suo nemico caduto. Ma colpì il terreno: mantello e usbergo era vuoti. Ora giacevano senza forma sul terreno, strappati e sporchi; e un urlo risuonò nell'aria tremante, e scomparve con uno strillo acuto, perso nel vento, una voce debole e senza corpo che morì, e fu inghiottita.

«Karzûna» sussurrò Frerin, e il suo sguardo mentre fissava Éowyn passò da aperta adorazione a pura meraviglia.

«Merry!» urlò Éowyn, tirandosi in ginocchio, i capelli che le cadevano ovunque. Il suo braccio rotto era tenuto stretto contro il suo addome, e lei sembrava confusa e nauseata. «Merry!»

Poi cadde in avanti nuovamente e urlò quando il suo peso finì sul suo braccio. Una terribile macchia nera stava strisciando sulla mano che si era liberata del Nazgûl, e i suoi occhi erano vacui.

«Éowyn» giunse una voce debole.

Lei si guardò attorno, e poi strisciò verso il corpo prono del cavallo Nevecrino. Sotto di esso era Théoden, il sangue usciva in un lento rivolo dalla sua bocca. Il suo corpo era immobile, ma il suo volto era sveglio e consapevole. «Éowyn» mormorò ancora.

«Oh, adùruth!» singhiozzò Frerin «No, non posso. Per favore, per favore, ha già perso così tanto!»

Théoden sorrise quando sua nipote lo raggiunse. La guardò con tanto amore e orgoglio che sembrava ineducato essere lì. Thorin allontanò lo sguardo.

«Conosco il tuo viso» disse Théoden, e Éowyn riuscì a fare un sorriso, tremante e triste «Éowyn.»

Poi fece un respiro e disse amaramente: «la vista mi si oscura.»

«No» disse lei immediatamente «No, vedrai, ti salverò.»

Lui sorrise ancora, e le toccò il volto con una mano gentile. «Lo hai... già fatto.»

Poi lasciò cadere la mano, come se pesasse più del cavallo sul suo corpo. «Éowyn. Il mio corpo è spezzato. Devi lasciarmi andare.»

«No» singhiozzò lei.

Frerin piangeva.

«Vado dai miei padri, nella cui gloriosa compagnia non dovrò più vergognarmi» disse Théoden, e una luce toccò il suo volto mentre la guardava.

Il suo respiro si mozzò. «Éowyn» disse.

Poi giacque immobile.

Éowyn lo fissò per un momento, prima che le sue spalle iniziassero a tremare. Premette il volto contro al petto immobile di Théoden. Poi infine tra i singhiozzi fu sopraffatta e si accasciò. Il suo volto era sporco e tirato da più del dolore: l'Alito Nero era ancora su di lei, avvelenandola oltre la tristezza.

«Non è giusto!» urlò Frerin.

«Così tanti sono morti oggi» disse Thorin, e sentì Ori che iniziava a canticchiare la vecchia Canzone del Pianto «Così tanta morte.»

Frerin cercò nella cintura. In un movimento impulsivo estrasse il piccolo pugnale che gli aveva fatto Thorin, tutti quegli anni addietro. Se lo portò al volto e tagliò una delle sue corte trecce sulle guance, e poi guardò su in sfida.

«Sembrerai un po' scemo fino a quando non tornerai come prima» disse Ori, stupito e confuso.

«Non mi importa» Frerin strinse la treccia nel suo pugno, e se la premette sulla fronte. La sua guancia ora era spettinata e strana. Thorin gli lisciò la barba con una mano dolce, come avrebbe fatto loro madre.

Poi tirò Frerin in uno stretto abbraccio, e lo tenne. Suo fratello all'inizio era rigido e teso, e poi iniziò a crollare poco a poco fino a singhiozzare nel petto di Thorin.

«Vieni» disse infine «Andiamo a casa.»


Era molto tardi.

Hrera aveva visto Frerin e l'aveva immediatamente avvolto nel caldo vortice del suo affetto. Thorin guardò suo fratello che veniva portato via, la sua treccia ancora stretta nel suo piccolo pugno.

Le sue palpebre si facevano pesanti e la sua vista era confusa, e si raddrizzò di colpo rendendosi conto che stava per addormentarsi in piedi lì dov'era.

«Devi andare a letto» disse una voce. Era piuttosto irritata – ma sembrava che il proprietario stesse cercando di nascondere una certa preoccupazione.

«Lo so, lo so» grugnì Thorin, e guardò giù per vedere Bilbo che lo fissava con le labbra strette «Dov'eri andato?»

«Ecco» Bilbo si massaggiò la nuca riccioluta «Vedere Bombur, ah. Mi ha fatto svegliare?»

«Oh, certo» Thorin sbadigliò, e iniziò a barcollare per le Sale verso le sue stanze. Doveva appoggiarsi al muro con una mano: le sue gambe erano molli e doloranti. Bilbo aggrottò le sopracciglia, prima di trotterellare per raggiungerlo.

«Nano ridicolo» lo rimproverò, e la preoccupazione nella sua voce era ancora più chiara «Sei morto in piedi!»

«Chiaramente» disse Thorin, e guardò sarcasticamente il suo Hobbit.

«Non intendevo in quel senso» disse Bilbo, e fece un sospiro esasperato «Beh, non c'è nient'altro da fare, ti dovrò aiutare.»

«Aiutarmi?» Thorin aprì la porta della sua camera, e quasi gemette alla vista del suo letto. Sembrava fossero passati anni da quando Bilbo era apparso sulla sua cassettiera. «Bilbo...»

«Ti serve il mio aiuto, guardati» disse Bilbo, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio «Questa tua cocciutaggine ti fa terribilmente male.»

«E tu, Mastro Baggins, sei così privo di ossessioni insalubri» borbottò Thorin. Poi ringhiò e si lasciò cadere sul letto e seppellì il volto fra i cuscini. «Scusami per la mia insolenza, Bilbo. Non sono nello stato di usare belle parole oggi. Ho guardato troppi morire. Ho visto troppo dolore.»

Bilbo rimase in silenzio per un lungo momento. Quando parlò nuovamente, sembrava più vicino. «Vuoi parlarmene?»

Thorin si rotolò per vedere Bilbo seduto ai piedi del suo letto. Sembrava a suo agio quanto un Nano in un talan Elfico, le ginocchia premute una contro l'altra strettamente e le mani incrociate in grembo. Ma il suo volto era, per una volte, dolce e comprensivo.

«Mio cugino è morto oggi» disse, e si massaggiò ancora il naso. Ancora un po' dolorante. «Ha dato la vita per la mia casa, e ora mia sorella piange ancora una volta.»

«Tuo cugino? Quale?»

«Dáin» sospirò Thorin.

«Oh, quello che...» gli occhi di Bilbo si allargarono, e Thorin annuì stancamente.

«Aye, lui. È morto da eroe. Come Bombur. Come Théoden. Denethor... ah, ciò che può fare la disperazione! La distruzione che la disperazione porta!»

«Shhh» lo calmò Bilbo, e si fece più vicino. Ora era apertamente preoccupato. «Thorin, non...»

«Puoi cantare, Mastro Baggins?» riuscì a dire Thorin con labbra intorpidite. I suoi occhi bruciavano. «Lo faresti?»

Bilbo esitò, e poi si fece ancora più vicino. «Non sono te ma non sono tanto male, per come la vede la mia gente» disse «Cosa vorresti che cantassi?»

«Una delle tue canzoni, Scassinatore, se vorresti essere tanto gentile» mormorò Thorin, e chiuse le palpebre pesanti e lasciò che la voce limpida di Bilbo lo cullasse, cantando piano:

"The Road goes ever on and on
Out from the door where it began.
Now far ahead the Road has gone,
Let others follow it who can!
Let them a journey new begin,
But I at last with weary feet
Will turn towards the lighted inn,
My evening-rest and sleep to meet."

TBC...

Note

Khuzdul

Kurdulu – mio cuore

nadad - fratello

Gimlîn-zâram – Vasca delle Stelle

Inùdoy - figlio

ukrâd, nahùba Bombur – Il cuore più coraggioso, eroico Bombur

Bifuruh - mio Bifur

Barufûn belkul – grande parente

Adrân mamahulu sanzigil – il tempo è fatto di mithril

Mahumb – scarti

Karzûna – Signora Gloriosa

Adùruth – Lutto

Nekhushel – dolore di tutti i dolori

Ghivasha – tesoro

Kurdu – cuore

Du bekâr – Alle armi

Sindarin

Meleth nîn – amore mio

Alcuni dialoghi sono presi dai film, e da “Il Ritorno del Re”, capitoli “La Battaglia dei Campo di Pelennor”, “La Pira di Denethor” e “La Torre di Cirith Ungol”. Inoltre, da “Le Due Torri”, capitolo “Le Decisioni di Messer Samwise”.

Dwimmerlaik – una parola Rohirrim, si riferisce a uno spettro o un fantasma.

Anárion – il secondo figlio di Elendil, fratello minore di Isildur. I Sovrintendenti non erano veramente di questa linea, perché terminò con l'ultimo Re di Gondor, Eärnur. I Sovrintendenti però governavano in suo nome, piuttosto che in quello di Isildur, poiché prima di essere stata Minas Tirith (“Torre di Guardia”) era stata chiamata Minas Anor (“Torre del Sole”) ed era stata fondata da Anárion.

La città costruita da Isildur era chiamata Minas Ithil (“Torre della Luna”) ma fu presa da Mordor. Dopodiché venne sempre chiamata Minas Morgul (“Torre della Stregoneria”). È alla base delle scale di Cirith Ungol.

Ovesturia – il nome nella lingua comune di Númenor. L'isola fu donata alla razza degli Uomini dai Valar, e in seguito affondò nel mare durante la Seconda Era. Aragorn discende dalla nobiltà Númenoreana.

Mindolluin – Minas Tirith è costruita sul lato est di questa montagna. “Torreggiante Testa Blu”, in Sindarin.

La canzone è, ovviamente, “The Road Goes Ever On” di Tolkien.

Thira da giovane di flamesburnonthemountainside

Narvi pinup di Bofurs-wife

La ninna nanna di Dís di grimminsanity

Araldica per la linea di Durin di rohnoc

Dori da vecchio di Aviva0017

Dís di mephistominion

Legolas e Gimli, Dopo il canto dei gabbiani, I Sit Beside The Fire And Think cantata da lacefedora

Dís di piyo-13

Incoronazione dell'Elminpietra di ursubs

Legolas che combatte di val-kiri

Nella stanza di Thorin di fishfingersandscarves

Dís, Oin, Gloin e Haban, Haban di courtugger

La presentazione di Thrain di thebagginshieldacorn

Dis e Dáin di silentunicornspeaks

Dis e Dáin, Nadad Ame (canzone) di goldberry-in-the-rushes

Narvi e Celebrimbor di christmashippo

Laindawar Thranduilion di punsbulletsandpointythings

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Capitolo 37
*** Capitolo Trentasette ***


«Svegliati, inùdoy» giunse una dolce voce nei sogni di Thorin, e lui si mosse a gemette.

«Bilbo?» biascicò, voltandosi.

Il volto di sua madre apparve davanti a lui, le sopracciglia alzate. «Purtroppo no» disse, e gli offrì un sorriso stanco ma divertito «Solo io. Mi dispiace, mio caro – non vorrei svegliarti, ma ci sarà bisogno di te fra poco. Ho pensato fosse meglio darti tempo per mangiare e lavarti.»

«'amad» Thorin sbadigliò, soffocandolo contro al suo braccio, prima di sedersi e massaggiarsi gli occhi con le mani «Cosa succede ora?»

«Óin ha finalmente lasciato la sua postazione» disse lei, e gli porse una tazza di qualcosa di caldo. Un vapore profumato si alzava da esso. Lui bevve grato. «Le navi si avvicinano al porto di Harlond. Gimli sta per entrare in battaglia.»

Thorin batté le palpebre per un momento, le parole ci misero un po' a guadagnare un senso. Poi si svegliò di colpo. «Devo essere lì» disse immediatamente, lanciando via le coperte e scoprendo di essere ancora vestito tranne che per i suoi stivali. Lui ingoiò un sorso del suo tè mentre ne infilava uno senza allacciarlo, e iniziò a cercare l'altro.

«Devi lavarti» sospirò Frís «Thorin, vai a farti un bagno prima. C'è ancora un po' di tempo.»

Lui guardò su. «'amad, è tutto a posto? Stai bene?»

«Aye» lei agitò una mano, prima di premerla contro la propria fronte «Solo stanca, amore mio. E triste. Molto è stato perso in questi giorni.»

«Vero» la stanchezza di Thorin lo avvolse nuovamente e lo nascose prendendo un sorso del suo tè. Poi esitò, prima di chiedere timidamente: «come sta Frerin?»

«Un disastro, ma gli passerà» disse Frís, sorridendo «Ero con lui poco fa. Ora tuo padre rimane con lui.»

«Bene» le spalle di Thorin si rilassarono, solo un poco. Thráin era la persona perfetta per Frerin in questo momento. Avrebbe permesso a Frerin di essere a lutto e triste senza giudicarlo, dandogli spazio e silenzio se ne aveva bisogno, e inoltre sapeva meglio di molti altri come comportarsi con il dolore e la nostalgia. «Padre lo aiuterà.»

«Sembra un cucciolo randagio senza un treccia in volto» disse Frís, e scosse la testa «Non riesco a capire cosa gli fosse preso. Per Théoden?»

«Anche per Éowyn» disse Thorin «Per Dáin, e per Bombur, e per Brand e per Merry – per tutti quelli che abbiamo visto cadere, e quelli che li hanno perduti.»

Frís non disse nulla per un istante, e poi fece un passo avanti e si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla fronte. Poi storse il naso. «Lavati.»

Thorin si annusò una spalla. Ah.

Mentre lui si levava gli stivali e iniziava a togliersi la tunica, sua madre si sedette e coprì uno sbadiglio con la mano. «Fíli dice che Sam ha salvato Frodo dalla Torre di Cirith Ungol» disse «È scosso e ha qualche livido, ma per il resto sta bene.»

Bilbo ne sarebbe stato felice. «Bene.»

Frís sospirò, come facendosi forza per dire il resto delle notizie. «Apparentemente l'Elminpietra si muove in fretta nel suo primo giorno da Re. Ha spalancato i Cancelli e guidato un'altra carica nella valle verso Dale. Là fra i combattimenti hanno aperto una via per la sicurezza.»

Thorin si massaggiò di nuovo gli occhi. Grande Mahal, quanto aveva dormito? Non molto, di sicuro!

Frís continuò. «Ora tutta Dale ha trovato rifugio nella Montagna, e i Cancelli sono chiusi dietro di loro. Elfi, Uomini e Nani, tutti insieme.»

Thorin si accigliò, grattandosi il petto. «Non hanno abbastanza per altre persone. I magazzini erano già al limite. È per questo che Bofur ha scavato quel tunnel.»

«Per ora è più importante che siano tutti in vita» disse Frís esausta «I guaritori stanno lavorando al massimo, e Dori abbaia a tutti quanti mentre organizza sistemazioni e abiti e letti per i Bizarûnh. Bard di Dale e Laerophen degli Elfi aiutano l'Elminpietra: è un inizio.»

Thorin esitò, stringendo le labbra. Un Bard di Dale, un Signore degli Elfi di Bosco Atro e un Thorin di Erebor, che lavorano insieme. Che strano mondo in cui viviamo. Meglio tardi che mai.

«Cos'altro?» disse, piuttosto che dire ciò che pensava «Come sta Faramir?»

Gli occhi di Frís si abbassarono. «Non bene. Trema e suda, ma vive per ora. Il Signore di Dôl Amroth, un Uomo di nome Principe Imrahil, ha preso il comando della città e dà ordini per la sua difesa. Nel nome del Sovrintendente di Gondor.»

Thorin sapeva di non dover imprecare davanti a sua madre. «E che genere di Uomo è questo Principe Imrahil?»

Lei fece spallucce. «Tutto ciò che mi hanno detto è che è di sangue misto, sia Uomo che Elfo. Lo chiamano il Signore dei Cigni, perché ha una grande nave simile a un cigno sul suo stendardo. Dol Amroth è sulla baia di Belfalas, dopotutto. Oh, e sua sorella, Finduilas, era la madre di Boromir e Faramir.»

Questo gli fece girare la testa verso di lei. «È loro zio?»

Lei sorrise. «In genere funziona così, sì.»

«Non vuole tenere il comando della città, vero?» quella sarebbe stata una brutta situazione, soprattutto con Aragorn quasi alle porte di Minas Tirith. Un Sovrintendente aveva già tentato di impedire il ritorno del Re, e ciò aveva quasi causato la distruzione della città.

«Non credo» disse Frís «Ascolta tutti i consigli di Gandalf, con attenzione, e fa decisioni nel nome di Faramir e non nel suo. Non che ci sia il lusso di tramare complotti nel bel mezzo di una guerra. La marea sta cambiando, soprattutto dopo la morte del Nazgûl, ma sono ancora inferiori di numero e quegli Olifanti sono devastanti.»

Poi si alzò ancora e scosse la testa. «Ridicolo, il modo in cui mi dimentico che sei così cresciuto. Ah! Devi mangiare, guardati. E no, non fare quella faccia con me, mio nuvolone. Devi mangiare. Lavati, poi vai nelle sale da pranzo. Dopo puoi andare da Gimli.»

Thorin decise di non rispondere.

Lei gli diede un altro sorrisetto stanco e teso, e gli accarezzò una mano. Poi i suoi occhi brillarono di divertimento. «Bilbo?»

Lui decise di non rispondere neanche a quello (anche se aveva il sospetto che le sue orecchie stessero diventando rosse).

Un bagno lo fece sentire meglio, e così anche dei vestiti puliti. Si sentiva un po' più sveglio e attento sedendosi al tavolo abituale della sua famiglia in una delle sale da pranzo più grandi. Erano molte sparse per le sale: alcune grandi, alcune piccole, alcune rumorose e confuse, altre silenziose e calme e intime.

Per sue sorpresa, anche Dáin era lì, e c'era un enorme maiale grigio seduto accanto a lui. La sua testa era appoggiata in grembo a Dáin, e lui gli stava grattando un orecchio distrattamente mentre guardava la grande sala.

«Thorin!» disse, ghignando mentre si avvicinava «Come sta il tuo naso?»

«Bene, grazie per averlo chiesto» rispose lui «Penso una zanzara l'abbia punto ieri, ma quasi non si nota.»

Dáin rise. «Ah, mi sei mancato» poi agitò una mano verso la stanza mozzafiato, luminosa e imponente e strana «È davvero qualcosa di fantastico, eh?»

«Ci fai l'abitudine in fretta» Thorin si sedette e levò il coperchio dalla grande pentola al centro del tavolo. Il porridge con mele e frutta secca di Hrera: eccellente. «Dove hai trovato il maiale?»

Dáin lo ignorò. «Ori mi ha detto che hai visto tutto. Ha usato la parola “ossessivamente” quattro volte.»

Thorin fece un sospiro. «Sì, è vero.»

Dáin si piegò in avanti, e il suo geniale cugino divenne improvvisamente lo stanco Re Sotto la Montagna. «Come stanno» chiese, basso e nervoso «Come stanno? Stanno bene? Li hai visti?»

«Mi sono appena svegliato» disse Thorin, e afferrò il polso di Dáin «Devo ancora visitare le acque. Ma mia madre mi dice che tuo figlio ha portato tutta Dale nella Montagna. Sono al sicuro. Sono tutti al sicuro.»

Dáin si raddrizzò con un sospiro. «Grazie a Mahal» disse piano «Bravo ragazzo.»

Il maiale grugnì, infastidito dal movimento. Dáin tornò ubbidientemente a grattargli le orecchie.

«Quando ti sentirai pronto, ti mostrerò il Gimlîn-zâram» promise Thorin «Potrai vederli coi tuoi occhi.»

Dáin rimase zitto e fermo per un momento, e poi disse: «dev'essere difficile. Molto difficile. Vedere e non parlare mai. Vedere e non toccare mai. Vedere, e non essere mai visto.»

Vedere Dáin e parlargli, come nei giorni passati, era così strano per Thorin. Studiò suo cugino mentre mangiava, notando che i suoi tatuaggi decoravano ancora la sua fronte e le sue dita, e le zanne di cinghiale erano nuovamente nella sua barba. Era difficile notare la differenza tra lui e il Nano che aveva riso in faccia a Thranduil e lo aveva insultato, tutti quegli anni prima. C'era una serietà e una saggezza negli occhi di Dáin, però, che parlava della sua vera età, anziché segni fisici.

Thorin spinse via il ricordo di questo Nano sdraiato nel fango, i capelli bianchi e sporchi del suo stesso sangue.

«Immagino che sia come essere intrappolati in una gabbia di vetro» disse Dáin allora, piano «Dev'essere triste.»

«Non è sempre facile, no» Thorin guardò il suo porridge, e poi di nuovo Dáin «Ma posso aiutarti io. Il mio Dono.»

Gli occhi di Dáin divennero enormi mentre Thorin gli parlava della stana benedizione di Mahal. «Quante volte l'hai usato su di me, dannato scalpello spuntato?» esclamò. Il maiale grugnì in segno di protesta. «Dovrei farti un altro bop sul naso per questo!»

«Dáin, pace!» Thorin alzò le mani «Dáin! Sono a malapena un sussurro al vento, non posso obbligare altri a fare ciò che voglio! E poi, devo ancora incontrare il Nano, Uomo, Elfo o persino Messaggero di Mordor che potrebbe riuscire a forzarti a fare una cosa che non vuoi.»

Dáin strinse le labbra, socchiudendo gli occhi. Poi si rilassò. Il maiale sbuffò, offeso, e si lasciò cadere sul pavimento. «Non hai torto. Quindi ora torni a usare la tua voce magica?»

Thorin sentì una risata indignata che si gonfiava nel suo petto. Voce magica! «Aye. Vado da Gimli.»

«Gimli!» il volto di Dáin si aprì in un sorriso «E che sta facendo ora quella canaglia? Un esercito di un Nano, quello. Le ultime notizie che ho avuto arrivavano da Rohan, ed erano piuttosto scarse.»

«Viaggia ancora con ciò che rimane della Compagnia che uscì da Granburrone» disse Thorin, e si infilò un po' di porridge in bocca «Hanno superato le gallerie maledette sotto il Monte Invasato. Ora portano a Minas Tirith un esercito di non-morti per spezzare l'assedio.»

«Ora sono geloso» disse Dáin, impressionato «Vorrei averne avuto uno. Dannazione. Dannazione!»

«Non è tutto» disse Thorin, e si fece forza per affrontare l'inevitabile esplosione «È innamorato.»

«Aspetta, è cosa?»

«Innamorato. Dell'Elfo. Legolas Thranduilion.»

La bocca di Dáin si aprì, e lui fissò Thorin per un lungo momento.

Poi gettò indietro la testa e ruggì di risate.

Sorpreso, Thorin mise giù il suo cucchiaio. «Eh. Dáin?» questa non era la reazione abituale, per nulla. Si era aspettato qualcosa di più simile alle opinioni di Óin in materia.

Il maiale grugnì all'esplosione di rumore, e diede a Thorin lo sguardo più intelligente e infastidito che lui avesse mai ricevuto da un animale. Era come se capisse che quel suono che arrivava da Dáin fosse colpa di Thorin.

«Aaaaah, i miei fianchi» riuscì a dire Dáin asciugandosi gli occhi «Oh mio dolce Creatore, è qualcosa di impagabile. Thorin, vecchio mio, questa è la migliore che io abbia sentito in decenni.»

«Non è una battuta, Dáin» disse Thorin, ora molto confuso e abbastanza irritato. Inoltre, il modo in cui lo guardava quel maiale era sconcertante. «Ti assicuro, è la verità.»

«Oh, ti credo, ragazzo» lo assicurò Dáin, ancora ghignando «Solo. Beh. Te li immagini Thranduil e Glóin?»

Thorin esitò.

Poi iniziò a ridacchiare. «Aye, beh. Sì.»

«Quella macchia sottile di latte acido contro il cespuglio da assalto?» Dáin si sfregò le mani allegramente «Voglio un posto in prima fila per lo spettacolo.»

«Sospetto Nori farà un giro di scommesse»

«Naturalmente» Dáin rise ancora, uno sbuffo d'aria, e accarezzò affettuosamente il maiale un'ultima volta. Poi si alzò e si tirò giù la tunica bruscamente. «Bene, allora, non c'è momento migliore del presente, eh? Mostrami questa pozzanghera stellare.»

Pozzanghera! Thorin si strozzò col porridge. «Ora?»

«Perché no? Tu ci vai, tanto vale che io venga a vedere cosa succede»

«Io non vado ancora ad Erebor» disse Thorin, accigliato «Forse tuo padre, o mio nonno...»

Dáin si fermò, e quei vecchi occhi saggi (ora in un volto decisamente troppo giovane) si chiusero per un secondo. «Dammi un momento prima di vederli» disse, piano eppure fermo «Dammi altri pensieri a occuparmi la testa prima di dover vedere cosa rimane dietro di me, eh?»

Thorin guardò il suo porridge. «Aye, bene. Allora seguimi.»

«Felicemente» Dáin si guardò gli abiti e poi storse il naso «Non sono proprio vestito per nuotare...»

Thorin sorrise al piatto vuoto. Poi spinse via la sedia, e fece un cenno verso la porta. «Da questa parte.»

Muovendosi per le Sale, Thorin percepiva tutti gli occhi che li seguivano. «Perché mi stanno fissando tutti» borbottò Dáin «Guardano te come se tu fossi la settima venuta, e guardano me come se cagassi diamanti. Qual'è il problema?»

«La mia guardia è piuttosto... conosciuta» disse Thorin, con tutta la delicatezza che poteva. Poi diede di gomito a suo cugino. «E tu, Oh eroico Re di Erebor, sei una leggenda ora. Come ci si sente?»

«Freddo» disse Dáin dopo un attimo «A questo posto servirebbe del riscaldamento. Ne ho abbastanza del freddo.»

«Detto come un vero Orientale»

«Sta zitto, Scudodiquercia» disse Dáin tranquillamente, e gli spinse la spalla con la sua «Da che parte ora? Mi devo fidare di te per mostrarmi la strada?»

«Vedo che il tuo spirito è terribile come sempre» disse Thorin, e ghignò «Di qua.»

Sembrava che il nuovo piede di Dáin fosse qualcosa di straordinario. Non doveva sistemare la sua andatura, e teneva tranquillamente il passo con Thorin. Il leggero click del mithril sulla pietra non era fastidioso. Dáin vide Thorin che lo fissava, e l'angolo della sua bocca si incurvò. «Aye, una gran bella cosa, eh? Scommetto non ci sia nemmeno bisogno di pulirlo. Non fa male per nulla: nessun dolore, nessuno sfregamento o peso di troppo. A malapena mi serve l'imbottitura sul moncherino. Chissà, forse potrei indossarlo per tutto il tempo che voglio senza fatica! Vorrei averne avuto uno così per gli ultimi quarant'anni: il mio vecchio piede di ferro stava iniziando ad arrugginirsi. Beh» rise, e afferrò una ciocca dei suoi capelli nuovamente colorati per osservarla «Suppongo lo stessi facendo anch'io.»

«Non hai chiesto che la tua gamba fosse ricreata?»

«Nah. Ho chiesto di rimanere così. Il nostro Creatore è saggio» Dáin guardò il suo nuovo piede luccicante con affetto «Sono stato Dáin Piediferro più di quanto non sia stato Dáin il Nano con due gambe. Non riesco a vedermi diversamente: è parte di chi sono. Ma Mahal sapeva cosa volevo, e ha levato le parti brutte lasciandomi come sono. Non posso volere più di così.»

Alla porta decorata di perla della Camera di Sansûkhul, Thorin si fermò. «È bello parlarti di nuovo, Dáin» disse, serio per un momento.

Il volto di Dáin si addolcì. «Vale lo stesso per me.»

Poi diede di gomito a Thorin. «E muoviti, questo stagno si sarà asciugato ora che ci arriviamo.»

Le panche attorno alle limpide, luminose acque del Gimlîn-zâram erano mezze vuote. Né Fíli né Kíli erano al loro solito posto, ma Nori era seduto poco distante. Le sue sopracciglia erano aggrottate. La stanchezza aveva dipinto profondi cerchi neri sotto gli occhi di Haban. Narvi era al suo fianco, e fissava le acque come se stesse cercando di risolvere un enigma complesso. Thrór e Hrera era seduti mano nella mano a un'altra panca, e Lóni era appoggiato a Frár. Sulla sponda più lontana della grande vasca, sedevano Fundin e Dwerís. Tutti i loro occhi fissavano le acque senza battere le ciglia, i loro petti si alzavano e si abbassavano lentamente.

«Inquietante» si pronunciò Dáin «Decisamente inquietante.»

«Vieni» disse Thorin, e si sedette. Era come salire su un pony conosciuto, tanto abituale era l'azione. «Siediti qui, il più comodo possibile, e guarda la superficie dell'acqua.»

«Va bene» Dáin si sedette, e immediatamente si levò lo stivale e stiracchiò le dita del piede, muovendole un po' mentre si grattava la pancia «Cosa?» disse, notando il divertimento di Thorin «Hai detto di mettermi comodo.»

«Guarda l'acqua» ripeté Thorin. Dáin si stiracchiò un po', prima di sistemarsi e fare come gli era detto. I suoi occhi azzurri si strinsero.

«È...»

«Non lottare» mormorò Thorin «Lasciati andare. Fatti portare via.»

Le stelle iniziarono la loro danza ipnotica sotto l'acqua, diventando sempre più luminose fino a che il loro fuoco bruciò affamato. Thorin fece un respiro e lasciò che lo consumassero.

La vasca capricciosa fu gentile stavolta portandoli nella Terra di Mezzo, ma Dáin ansimava lo stesso quando riemersero alla luce. «Cosa nel nome delle mutande sudate di Durin era quello?!» ansimò, piegandosi e stringendosi le ginocchia «Non c'è niente in questo maledetto posto che non cerchi di portarmi via la vista?»

«Batti le palpebre, ti passerà» gli disse Thorin, e gli diede una pacca sulla spalla «Va tutto bene.»

«Questa è una vendetta per il tuo naso, vero» borbottò Dáin, raddrizzandosi e strofinandosi un occhio «Ahia.»

Poi i suoni della battaglia arrivarono fino a loro. All'unisono si raddrizzarono e si fecero attenti. Il volto di Dáin passò da irritato a determinato in una frazione di secondo. «Dove siamo?» disse sottovoce.

«Minas Tirith» rispose Thorin, coprendosi gli occhi confusi con la mano «E là c'è il fiume.»

Dáin si accigliò. «Cos'ha il fiume a che fare con noi?»

«Gimli è su una nave, arriva dalla baia di Belfalas» Thorin guardò attraverso i suoi occhi brucianti e confusi verso le nebbie e il fumo della battaglia «Mia madre sta raccogliendo tute le informazioni mentre parliamo. Mi ha detto che le navi erano quasi arrivate. Spero di non averle perse.»

«Su una nave» disse Dáin «Gimli.»

«Aye» Thorin lo guardò, sentendo il bisogno di sorridere «Cavalca anche un cavallo.»

Le sopracciglia di Dáin si alzarono. «Qualcuno dovrà staccare Glóin dal soffitto» disse infine.

I due andarono verso il fiume attraverso la lotta. I Rohirrim si stavano stancando – la battaglia era andata avanti durante l'assenza di Thorin, e i loro cavalli erano coperti di schiuma e tremavano dalla stanchezza. I Mûmakil torreggiavano e barrivano, lasciando distruzione dietro di sé. Gli Uomini urlavano mentre frecce e enormi macigni cadevano dalle mura della Città Bianca.

La bocca di Dáin era una linea sottile. «Vorrei avere Barazanthual con me» borbottò «I numeri sono impossibili da contare, saranno sconfitti. Gli servono dei rinforzi.»

«Non so dirti quante volte ho desiderato avere Orcrist» rispose Thorin, guardando ancora la confusione di Uomini e bestie. E allora, come in risposta, vele nere lentamente apparvero davanti a loro. «Là!» sussurrò.

«Ottimo tempismo» commentò Dáin, e incrociò le braccia per guardare.

Un Orco si fece largo, il volto contorto in un ringhio. «In ritardo come al solito, feccia dei pirati!» abbaiò «Ci aspetta un lavoro di coltello. Forza, topi di fogna, scendete dalla nave!»

In quel momento, tre figure avvolte in mantelli verde grigiastri saltarono dalla fiancata della nave. Legolas atterrò sulle punte, aggraziato come sempre – ma Gimli colpì il terreno come se non volesse più staccarsene. I suoi stivali chiodati rimbombarono quando fecero contatto, e stringeva l'ascia in mano. I suoi occhi erano accesi per la sfida e il fuoco della battaglia era in essi mentre guardava il mare di nemici fra loro e Minas Tirith.

Aragorn sfoderò Andúril, e iniziò a camminare senza una parola. Gli Orchi fissarono in muta confusione l'Uomo che si avvicinava.

«Ce n'è in abbondanza per tutti e due» mormorò Gimli, lanciando uno sguardo serio all'Elfo. Poi iniziò a correre dietro Aragorn, inarrestabile come una valanga. «Che vinca il Nano migliore!»

Legolas rise, e il suo arco iniziò a cantare la sua canzone mortale. Tutto attorno a loro, l'aria tremò e sibilò di fuoco verde – e poi, come la marea, il Re dei Morti guidò l'esercito di spettri dietro ai Tre Cacciatori e sugli Orchi. La Grigia Compagnia li seguì, correndo dietro all'Elfo, Uomo e Nano che si facevano largo nella lotta, le spade risuonavano e lampeggiavano.

Sulle navi, lo stendardo nero svolazzava e brillava della luce del mithril, e l'Albero Bianco su di esso catturava la debole luce del sole e brillava come una stella.

Dáin annuì la sua approvazione. «Non ha sprecato parole. Mi piace. Chi è lui?»

«Quello è Aragorn, figlio di Arathorn» Thorin fece un passo indietro per permettere a uno scheletro verde di correre oltre. Esso annuì educatamente e poi mozzò la testa a un Orco. Thorin batté le palpebre, prima di decidere di far finta di niente. «È un Ramingo del Nord, e l'erede al trono di Gondor e Arnor, discendente in linea diretta di Isildur, figlio di Elendil.»

«Cosa, stai scherzando!» Dáin si girò per fissare Aragorn per un momento, prima di fare spallucce «Beh, gli servirà una barba migliore di quella peluria che porta ora. I Nani non rispetteranno mai una barbetta come quella.»

«Sembri mia nonna»

«Tua nonna è terrificante. Sono felice si sentirlo» Dáin ghignò. Poi annuì verso Gimli. «È anche migliorato da quando se n'è andato: non pensavo fosse possibile. Quello dev'essere il miglior lavoro di ascia che ho visto in tutta la mia vi- eh, la mia esistenza. E non devo chiedere chi sia l'Elfo. Riconoscerei ovunque quei capelli. Il resto chi sono?»

«Si chiamano la Grigia Compagnia, hanno seguito Aragorn per i Sentieri dei Morti» disse Thorin, piegandosi e infilandosi per arrivare a Gimli «I figli di Elrond Peredhil, e i Dúnedain di Arnor.»

«E ti sentono tutti?»

«No, solo ogni tanto, e mai chiaramente» sospirò Thorin. Poi sorrise quando Gimli apparve, la sua ascia sfocata nell'aria attorno a lui e il volto vivo per l'adrenalina. «Ma Gimli mi sente sempre, e alla perfezione.»

«Idmi, Melhekhel» disse Gimli come in riprova delle sue parole, ansimando mentre uccideva un altro Orco «Non ti do colpa per essertene andato per un po' prima. Le barche non saranno mai il mio mezzo di trasporto preferito, penso.»

Thorin sentì Dáin che inspirava bruscamente, ma la sua attenzione era tutta sulla sua stella ora. «Come sta Legolas?»

Gimli si fermò per levarsi il sudore dagli occhi, e poi alzò nuovamente l'ascia per tagliare tranquillamente il braccio di un Orco prima di decapitarlo con un colpo a una mano. «A dire il vero, non lo so» disse, e c'era preoccupazione nella sua voce profonda «Non ho mai visto né sentito nulla del genere. Mi dice che non avrà più episodi come il primo, però. Sarà più simile a una strana ossessione. E sentirà sempre quei dannati ratti volanti che gli urlano nelle orecchie quando la avrà.»

«Che c'è che non va con l'Elfo?» borbottò Dáin, vicino all'orecchio di Thorin. La fronte di Gimli si aggrottò.

«Questa è una nuova voce, eppure la conosco»

Thorin si bloccò per un momento, gli occhi andarono alla solida, rassicurante presenza di Dáin al suo fianco.

Dáin sospirò. «Diglielo. Lo scoprirà alla fine.»

«Sei sicuro?» mormorò Thorin, e Dáin fece spallucce.

«Lui è l'unico qui a cui potrebbe importare, quindi perché no?»

Gimli si girò e uccise un altro Orco, e poi un altro, prima di appoggiarsi all'ascia per riprendere fiato. «Dunque è un qualche grande segreto? Perché devo dire, stanno iniziando a stancarmi!»

«No, nessun segreto, mia stella» disse Thorin, anche se il suo cuore era pesante. Questa era la prima volta che avrebbe portato notizie di una morte recente a questo coraggioso ragazzo, e scoprì di temerlo. «Presto darà il giro del mondo: Dáin Piediferro è giunto nelle Sale del nostro Creatore.»

«Drammatico» grugnì Dáin, mentre Gimli sbiancò e i suoi occhi brillarono di sorpresa e dolore.

«Zabadâl belkul, Uzabadâl» disse con totale rispetto, e chinò la testa «Birashagimi. Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal.»

«Ah, non fare così, ragazzo. È stata una buona morte, e ho venduto cara la pelle» gli disse Dáin, un po' a disagio «E non guardare giù, per carità di Mahal: sei su un campo di battaglia, tieni gli occhi su quello che stai facendo!»

Gimli sospirò, prima di alzare la testa e l'ascia.

«Così va meglio» disse Dáin ruvido «Lulkh.»

La bocca di Gimli tremò, come se un sorriso stesse lottando contro la sua tristezza. Poi raddrizzò le spalle e caricò attraverso l'orribile armata luminosa dei morti senza pace, un urlo di guerra sulle labbra. «Baruk Khazâd!»

«Tua stella?» disse Dáin tranquillamente, e i due si voltarono per guardarlo combattere nella ressa di Orchi, spettri non morti e Uomini e cavalli urlanti «Non pensavo gli fossi vicino.»

«Gimli è stato...» Thorin cercò le parole per descrivere ciò che Gimli era diventato per lui «Un posto sicuro per me. Gimli è stato la mia sicurezza dalla mia morte. Quando tutto il resto sembrava fato di cenere e polvere e lutto, c'era un luogo luminoso ed era sempre lui. Non è perfetto, no. Non è un genio, vero, ed è spesso rapido ad arrabbiarsi e a diventare scontroso. Può essere testardo.»

«Disse Thorin Scudodiquercia» lo interruppe Dáin, gli occhi che brillavano «No, va avanti.»

Thorin lo guardò storto, prima che una meravigliosa sequenza d'ascia di Gimli catturasse la sua attenzione e si trovò a sorridere nuovamente. «Lui è uno dei migliori di noi, uno dei migliori che io abbia mai conosciuto. Darà tutto ciò che ha, e ancora di più, e poi scaverà ancora più in profondità. Non importa le probabilità o gli affronti o i dolori che deve affrontare, andrà avanti. Andrà nel mezzo del terrore assoluto; non c'è nulla che non sopporterà per coloro che ama. Combatterà fino all'ultimo respiro, e poi lo userà per cantare e risollevare il cuore dei suoi amici. È la fedeltà in persona; è la sicurezza oltre immaginazione. Troverà la più piccola speranza nel mezzo della distruzione, e la porgerà a qualcun altro. Rapido ad arrabbiarsi, aye – ma rapido a perdonare, e rapido a ridere, e rapido a capire, e rapido alla compassione.»

«E ora tu sembri Glóin» Dáin chinò la testa, osservando Gimli che raggiungeva gli altri, finendo gli Orchi agonizzanti che l'Esercito dei Morti si lasciava dietro «Vorresti spiegarmi il problema dell'Elfo?»

«Complicato» Thorin si guardò attorno, cercando Legolas «Dov'è finito? Ha a che fare con la natura degli Elfi, e il mare. Vedi, c'è una malattia tra...»

Si interruppe, boccheggiando come un pesce.

«Penso di averlo trovato» disse Dáin, suonando ugualmente stupefatto.

Come aveva fatto Thorin a dimenticare il folle coraggio di quell'Elfo? E come aveva dimenticato quanto innaturalmente rapido e acrobatico fosse? Mentre guardavano, Legolas saltò sul fianco di uno degli enormi Olifanti, usando le sue stesse frecce come scala. Là l'Elfo tagliò la cinghie che tenevano la grande torre sulla sua schiena. Con un urlo e uno schianto, l'oggetto cadde, gli Uomini ulularono quando furono spediti sul terreno sotto di loro.

Con un balzo, Legolas fu sulla schiena ora spoglia dell'animale. Tre frecce nella parte posteriore del teschio, e le zampe dell'enorme bestie cedettero. Con un grido, barcollò e cadde a terra, le gambe posteriori inutili collassarono sotto si lui. La sua proboscide si allungò, e l'Elfo ne scivolò giù come portato da un leggero venticello.

«Lo odio» disse Dáin, stupefatto e senza fiato «Era meraviglioso. Voglio una birra e una pipa dopo averlo visto.»

Gimli aveva combattuto lì vicino, ma si era congelato vedendo Legolas uccidere l'Olifante. L'Elfo stava riguadagnando il suo equilibrio sul terreno e sembrava un po' sorpreso che questa sua incosciente prodezza avesse funzionato.

La bocca di Gimli era aperta, e c'era onesta e aperta ammirazione nei suoi occhi mentre guardava Legolas.

Legolas chinò la testa verso Gimli. I suoi occhi danzavano maliziosamente.

«Comunque» disse Gimli senza fiato «conta per uno.»

«Capisco cosa intenda Óin» commentò Thorin «Imbarazzante condividere l'aria con loro.»

«Il tuo conto?» disse Legolas, ansimando e sorridendo orgogliosamente.

La bocca di Gimli si chiuse, e la determinazione gli attraversò il volto. Poi fece un passo avanti e tirò giù la testa di Legolas per un rapido bacio passionale.

«Conterà per uno per me» mormorò, e ghignò. Poi si lanciò nuovamente nella lotta.

Legolas rimase immobile per una frazione di secondo, le dita si mossero verso la sua bocca. Poi rise, prima di alzare l'arco e ricominciare a tirare.

«Ora mi servono davvero quella birra e quella pipa» disse Dáin, scuotendo la testa. Poi lanciò uno sguardo a Thorin. «Mi meravigli, davvero. Non riesco a credere che tu la stia prendendo tanto bene.»

Thorin lottò con la sua espressione e pensò con colpevolezza alla sua forgia spoglia per un momento. «Ah. Beh.»

Gli occhi di Dáin si strinsero. Poi grugnì. «Rimane qualcosa in piedi?»

«Sì!» esclamò lui, prima di gemere e tirarsi un orecchio «Qualche penna. La maggior parte della porta. La mia spada...?»

Dáin ridacchiò e diede una pacca sulla spalla di Thorin. «Aye, mi sei proprio mancato.»

Parve che la battaglia fosse al termine. Nessun Orco o Uomo poteva rimanere fermo davanti all'inarrestabile forza dell'esercito del Monte Invasato: nemmeno i Troll o gli Olifanti potevano sfuggire alle loro grinfie. Il vapore verdastro e malato si alzava dalla terra, e tutto attorno a loro le urla di guerra divennero presto strilli di terrore. I gemiti presto diventarono gli abituali suoni che seguivano una battaglia: urla di aiuto, il lontano sferragliare delle armi, i lamenti dei feriti. Gimli si spinse indietro l'elmo, la maglia di ferro sporca di sangue d'Orco. «Abbiamo finito, dite?» disse, guardando attraverso la nebbia innaturale.

«Dietro di te!» abbaiò improvvisamente Dáin, e Gimli si voltò, l'ascia bassa e pronta. Una forma si avvicinava nella nebbia, e poi un Troll, ferito e pazzo di rabbia, corse verso di lui.

«Barba di Durin!» imprecò Gimli, e saltò di lato. La sua ascia colpì la pelle spessa della creatura, ed essa strillò e la sua testa si girò verso di lui. Il suo respiro era rapido e fetido.

«Gimli, attento!» urlò Thorin, e Gimli si abbassò e scattò e rotolò via quando il Troll lo attaccò, la sua enorme mazza chiodata colpì il terreno.

«Penso di poter notare un maledetto Troll, ma grazie per l'avvertimento» ansimò, prima di cercare la sua ascia da lancio.

Ma il fodero era vuoto – l'aveva data a Merry, per proteggerlo. Imprecando ancora, Gimli estrasse il suo coltello dalla cintura e lo lanciò con mano abile. Esso ruotò da una parte all'altra per colpire la guancia del Troll, e quello ululò di rabbia e dolore.

«Dannazione, mira storta» ansimò Gimli «Avrei dovuto tenermi l'ascia – ah!»

Il Troll attaccò alla cieca e quasi colpì Gimli. Il Nano rotolò di nuovo, e poi corse avanti con la testa bassa e l'ascia pronta. Un rapido colpo orizzontale e il Troll cadde in ginocchio, gli spessi legamenti non potevano competere col migliore acciaio Nanico.

Gimli schivò di nuovo la mazza, prima di raccogliere le gambe e saltare. I suoi stivali colpirono la pelle del Troll. Non perse tempo a salire sulla spalla dell'enorme creatura, ma abbassò immediatamente l'ascia in un arco luminoso. L'enorme testa cadde rotolando.

«Salta, Gimli, devi...» iniziò Thorin, ma Gimli non si mosse al momento giusto. Il corpo del Troll barcollò in avanti, e Gimli fu scagliato per terra. I suoi stivali la colpirono con fermezza, ma lui dovette usare una mano e la sua ascia per fermarsi in una posa da corridore. Uno dei suoi ginocchi affondò profondamente nel suolo.

«Urgh» disse, alzandosi con una smorfia e guardandosi la mano. Era affondata nel fango fino al polso «Beh, è meraviglioso. Benvenuti a Minas Tirith.»

«Meleth?»

Gimli guardò su.

Legolas lo baciò, brevemente. «Due» sussurrò, prima di sparire nuovamente in un vortice di capelli pallidi.

Gimli batté le palpebre, e poi ghignò al nulla.

«Decisamente finita» disse Thorin, e quella sorta di pesante dolore che aveva sempre sentito dopo una battaglia iniziò a farsi sentire nelle sue ossa «Lo puoi sentire ora.»

«Aye» disse Dáin, basso e serio «Senti la marea che cambia. Questa città resisterà.»

«Ora raccoglieranno i loro morti» Thorin si girò verso la bianca forma di Minas Tirith, intera alla luce del sole, anche se terribilmente danneggiata. Il fumo si alzava da molti punti lungo le mura: gli Orchi al saccheggio accendevano sempre i fuochi. «Ora dovremo aspettare il Portatore.»

«Il cosa?» disse Dáin irritato «Un'altra cosa che non conosco?»

«Ah» fu il turno di Thorin di dare una pacca sulla spalla di Dáin «Te ne parlerò dopo.»

In quel momento un ululato straziante risuonò nella nebbia.

Entrambi i Nani sospirarono all'unisono, i cuori pesanti. Entrambi i Nani conoscevano fin troppo bene ciò che seguiva a una guerra.

«Si comincia» borbottò Dáin.

«Quello era Éomer, nipote di Théoden di Rohan» disse Thorin, e trascinò suo cugino per il campo coperto di corpi verso il luogo dove il Maresciallo del Mark si era lanciato sul terreno.

Il volto di Éomer era aperto in un urlo di angoscia, anche se nessun suono ora usciva. Nelle sue braccia, dondolava il corpo molle di Éowyn.

Dai Cancelli distrutti della città uscì il popolo di Gondor, camminando con passi incerti per il fango e il sangue. Risuonarono altre urla di dolore quando persone amate furono trovate, e altre urla ancora mentre le persone amate venivano cercate.

«Mi fa pensare» disse Dáin, la mascella che tremava «se qualcuno dei nostri mi abbia trovato così, gettato da una parte come una vecchia bambola rotta nel fango.»

«Lo hanno già fatto» disse Thorin piano, senza guardare Dáin. Era troppo presto: ah, come aveva lasciato che Dáin l'avesse convinto? Troppo furbo, sempre troppo furbo e persuasivo sotto la sua geniale franchezza. Era stato morto solo per un giorno. «Dís ti ha riportato alla Montagna, con Dwalin e Orla. Giaci con onore, nelle tombe per ora.»

Bombur, però – Bombur giace all'aria aperta. Bombur non risposa sotto la pietra.

Thorin finse di non sentire come il respiro di Dáin divenne irregolare e singhiozzante. «Dannazione, le avevo detto di non farlo» disse infine con voce rotta.

«Conosci Dís» Thorin lo guardò cautamente. Gli occhi di suo cugino erano lucidi, ma sembrava avere il controllo di sé. «Dáin, vuoi tornare indietro?»

«Aspetta un attimo» disse Dáin, ed era molto serio mentre guardava nella nebbia qualcosa di piccolo e rannicchiato in posizione fetale, tremante nella fredda aria invernale. «Quello non è un bambino, vero?»

Thorin si voltò – e il suo cuore fece un balzo. «Quello è Merry, Merry Brandybuck» disse, e girò sui tacchi e iniziò a correre verso la città «Rimani con lui! Io ritornerò!»

«Aspetta! Cos'è un Merry Brambleduck?» urlò Dáin.

«Uno Hobbit!» urlò Thorin «Devo trovare Pipino!»

La voce di Dáin era molto, molto irritata quando urlò: «e cos'è un Pipino?»

Correndo via, Thorin non rispose. Fece il meno attenzione possibile al campo di battaglia (anche se ciò che vide gli fece ringraziare Mahal e la provvidenza e la piccola gentilezza del fato che aveva fatto sì che Frerin fosse con Thráin, e non al suo fianco come al solito). I resti distrutti dei Cancelli erano davanti a lui, e lui corse più in fretta di prima. Dov'era Pipino? Con Gandalf, certamente.

Piegò la testa mentre correva, e cercò di non pensare quanto strano fosse non avere più suo fratello al suo fianco. Era strano non correre dietro a una piccola, agile figura che rideva della sua lentezza. Gli mancavano i commenti irriverenti di Frerin, la sua saggezza inaspettata, e persino il suo occasionale frignare.

Dove poteva essere Gandalf?

Chi lo sapeva. Óin aveva ragione. Dannati Stregoni.

«Pipino, Pipino, Pipino» disse a se stesso fermandosi in una grande piazza, girando su se stesso e cercando con gli occhi «Pipino, dove potrebbe-»

«Thorin!»

Era Narvi, e il suo volto era preoccupato quando lo raggiunse. «Thorin, sei tornato, grazie alle stelle – Pipino è sparito, è corso via dopo che Faramir è stato portato alle Case di Guarigione. Gandalf è col Principe Imrahil di Dôl Amroth, fanno dei piani per coloro che sono abbastanza in salute per raccogliere i morti dal Pelennor, non può lasciarlo...»

Thorin scosse la testa, cercando di ascoltare l'inondazione di parole e comprenderle. «Narvi, ferma, ferma, rallenta – Pipino è sparito?»

«È corso via, sveglia!» esclamò lei, gli occhi che brillavano di irritazione «È scappato, e Haban ed io non l'abbiamo più trovato in mezzo alla folla. Gli Hobbit sono impossibile da trovare! Lo cerco da almeno mezz'ora. Haban è con Faramir, controlla se ci sono miglioramenti.»

«E ce ne sono?»

Narvi scosse la testa, il volto scuro serio e infelice.

«C'è ancora speranza. Gandalf mi riportò indietro una volta: conosce arti che noi non possiamo comprendere» disse Thorin, e guadò i Cancelli. I Rohirrim stavano entrando nella Città, il corpo di Théoden su una barella, Éowyn avvolta da coperte e stretta dolcemente contro il petto di suo fratello. Éomer era devastato, il volto rigato dalle lacrime.

«Oh, nekhushel» disse Narvi, facendo un passo indietro dall'orrore.

«Troppi giovani diventano Re in guerra» ringhiò Thorin, e scosse nuovamente la testa. Questo non era il momento adatto a pensieri oscuri: ora era il momento di salvare i viventi. «Rimani con Éowyn, per favore? Troverò il Tuc mancante. Merry è sul campo di battaglia, il suo braccio è nero fino al gomito. Hai sentito, dunque, della sua grande impresa?»

«Aye, e di quella di lei» Narvi si strofinò il volto, e chiuse gli occhi «Vorrei averlo visto. Vorrei aver visto una lama dare una fine a uno di quei luridi, malvagi...» si interruppe, le narici dilatate.

Non uno di noi potrà mai anche solo andare vicino a odiare Sauron quanto Narvi” disse la bassa voce di Haban nella mente di Thorin. Lui mise una mano rassicurante sulla spalla della grande artigiana. «Forza, zarakâl.»

Lei non disse nulla, ma la sua spalla si rilassò leggermente sotto la sua mano.

«Rimani con Éowyn, lascia Pipino a me» disse lui, e la girò gentilmente verso la cittadella.

Narvi sospirò, prima di guardarlo criticamente. «Va bene» disse infine «Ora capisco perché tutti stiamo seguendo te.»

Thorin rimase sorpreso da ciò, e non riuscì a trovare una risposta. Guardò senza parole la leggendaria artigiana che annuiva e tornava a grandi passi in mezzo alla folla. Rapidi gruppi di Uomini e cavalli, tutti con indosso livree e armature diverse, la nascosero presto alla vista.

«Come nel nome di Mahal dovrei fare a trovare uno Hobbit qua?» si chiese lui, prima di fare un respiro profondo e tornare attraverso la massa verso i campi aperti del Pelennor. Sull'orizzonte Orientale, ribollente oltre i picchi irregolari di montagne lontane, l'aria fumava e si gonfiava come in rabbia impotente. Il fumo copriva ancora l'Ephel Dúath, riempiendo il cielo di un orrido gas.

Avvicinandosi alle impalcature crollate che un tempo avevano tenuto su i Cancelli, Thorin sentì la voce di Gandalf sopra alla confusione. Si girò per vedere lo Stregone che si avvicinava, seduto su Ombromanto. Era leggermente piegato, sfiancato dalla fatica. I suoi occhi sembravano in qualche modo più scuri e profondi, come se parti del vecchio ruvido Gandalf il Grigio stessero facendo capolino da dietro il volto di questo Gandalf nuovo e rinato. «...fatto ora!» stava dicendo severamente lo Stregone.

«La decisione dovrebbe essere lasciata a Faramir» rispose l'Uomo che cavalcava al suo fianco, le labbra storte testardamente. Era alto e orgoglioso, un cigno navigava sulla sua corazza. «Non la farò io per lui. Avrei metà della città a caccia della mia testa!»

«Ci sono cose in movimento nelle ombre che tu non conosci, Principe Imrahil, e grandi nomi ancora da pronunciare» disse Gandalf, la frustrazione udibile in ogni sillaba «Ogni momento che tu esiti è un'altra vita che scivola via. Non possiamo aspettare Faramir.»

«Sono nostri nemici!»

«Sauron è il nostro nemico! Questa gente è stata portata lontano dalle loro case, molti contro la loro volontà, per morire per un padrone a cui non importa nulla di loro! Condannerai gli ignoranti, gli ingannati e gli schiavizzati a morte?»

«Dovrei prendermi cura degli Orchi, poi?» disse con fervore Imrahil «Avrò una rivolta fra le mie mani se porterò qua dentro quei Sudroni!»

Gandalf si immobilizzò, e poi disse con voce lontana: «un giorno, sì. Un giorno, ci sarà abbastanza pietà anche per gli Orchi. Per ora, non puoi guardare un altro Uomo, e mostrargli compassione?»

Imrahil strinse i denti. «Non posso aiutare così tanti, Gandalf. La città non può guarire nemmeno i nostri, non possiamo dare supporto nemmeno ai nostri feriti!»

«Come lo sai» disse Gandalf, guardandolo da sotto le sopracciglia cespugliose «se non ci provi?»

«Faramir dovrebbe fare questa scelta» ringhiò Imrahil, e si massaggiò la base del naso «Non sta a me decidere! Non è questo il mio ruolo!»

«Allora permettimi di rilevarti da esso» disse una nuova voce. Una sagoma alta era incorniciata da ciò che rimaneva dei Cancelli distrutti. La figura si fece avanti, e un gioiello brillò sulla sua gola.

Gandalf si rilassò, il volto si addolcì. «Aragorn.»

«Chi...?» disse Imrahil, osservando sospettosamente questo sporco straniero dal volto tetro con il portamento severo e una stella sulla gola. Lo affiancavano come sempre la robusta, massiccia figura di Gimli e il tronco di betulla che era Legolas. Dietro di loro veniva la Grigia Compagnia, i vestiti e le lame sporche di sangue nero.

Aragorn sorrise a Gandalf, e poi osservò seriamente Imrahil. «Non portarli nella città. Hai ragione sul fatto che ci sarebbero delle sommosse. Lascia che i guaritori vadano da loro invece, con cibo e tende, medicine e acqua. Dobbiamo iniziare nel modo in cui continueremo. Che i crimini di Sauron rimangano con Sauron: questa gente si merita gentilezza e compassione.»

«Compassione?» esclamò Imrahil «E chi sei tu per comandarmi?»

Gandalf sbuffò, sistemandosi in sella. «Uno che è parente di Sire Denethor dovrebbe saper usare meglio i suoi occhi. Non hai visto ciò che sventolava sulle Navi Nere? Le storie si stanno già diffondendo: non dirmi che non le hai sentite, Imrahil il Bello!»

Gli occhi di Imrahil andarono ad Aragorn, che sorrise debolmente. Poi si allargarono in meraviglia.

Immediatamente, il Signore dei Cigni smontò da cavallo, l'armatura sferragliò, e cadde in ginocchio. «Maestà» disse, e chinò la testa «Permettetemi di essere il primo a darvi il benvenuto – benvenuto a casa, infine!»

Il volto di Aragorn si illuminò di paura e meraviglia e sorpresa (e forse un po' di tristezza?) e poi afferrò il braccio di Imrahil e lo tirò in piedi. «I tempi non sono ancora maturi, temo» disse piano «E non desidero lottare con nessun altro oltre al nostro Nemico e i suoi servi.»

Imrahil sembrava dubbioso. «Ma il vostro stendardo mostrava l'Albero Bianco e la stella di Elendil, chiara come il giorno! E voi consigliereste pietà verso coloro che vennero a ucciderci?»

«Sì» Aragorn guardò nuovamente la pianura col suo tappeto di feriti gementi e striscianti «Non sappiamo nulla delle ragioni di questa gente: che menzogne gli sono state dette, che terrori porterà il loro fallimento. Ma abbiamo una possibilità – una piccola finestra di opportunità – per dargli sicurezza e una fuga dalla loro situazione di schiavitù. Quando vedi le manette attorno al polso di uno schiavo non desideri liberarlo, anche se lo schiavo stesso non riesce a vedere le sue catene?»

Imrahil fissò Aragorn, e poi si inchinò con rispetto. «Saggio è invero il nostro Re» disse, e poi guardò su e le sue labbra si incurvarono «Anche se forse non abbastanza saggio per nascondere la sua nobiltà quando viaggia in incognito?»

«È un commento interessante, in effetti» mormorò Gimli, e Legolas coprì un sorriso con la mano.

Aragorn ridacchiò amaramente. «Era una promessa fatta e mantenuta. Ora vieni! Mostrami dove sono le Case di Guarigione. Ho sentito che vi sono alcuni a cui serve il mio aiuto.»

Il suo aiuto? Cosa potrebbe fare Aragorn che Gandalf non può?

Lo Stregone non gli stava prestando attenzione, e sarebbe stato inutile cercare di distrarlo quando la città e tanti feriti erano sul filo di un rasoio. Thorin si premette la mano contro la fronte per un momento, prima di lasciare quegli Uomini alle loro deliberazioni e ai loro piani. Gimli era con loro: Gimli avrebbe potuto dargli consigli. Lui aveva uno Hobbit da trovare.

Per la sua meraviglia, uno Hobbit apparve, barcollando attraverso il cancello come evocato dai suoi pensieri – anche se non lo Hobbit che stava cercando.

Merry si appoggiò a un blocco di pietra caduto per un momento, il volto scintillante dal sudore e gli occhi vacui. Poi barcollò senza scopo, inciampando ogni qualche passo, nella città. Il suo braccio era tenuto stretto contro la sua pancia, e le dita erano di un terribile nero.

Dietro di lui era Dáin. Quando notò Thorin, agitò un braccio verso Merry. «Ha seguito la colonna funebre» disse, pieno di preoccupazione «Questi Hobbit sono fatti di roba resistente, eh? Si è svegliato da solo, e quando si è accorto che lo avevano scordato ha trottato fin qui da solo.»

«Più resistenti di quanto tu non immagini, cugi» disse Thorin, e sobbalzò quando Merry inciampò di nuovo. Merry non sembrava rendersi conto di dove fosse, e la sua testa ciondolava. «Merry qui ha pugnalato un Nazgûl con quel braccio. È stato colpito dall'Alito Nero; gli servono medicine, cure, gli serve Gandalf.»

«Sei molto protettivo nei suoi confronti» disse Dáin, alzando le sopracciglia.

«Lui è cugino di Bilbo» rispose Thorin, osservando ansiosamente Merry.

Dáin esitò. Poi disse: «ah.»

Thorin guardò su, pronto a difendersi. Ma Dáin si limitò ad afferrargli una spalla e premere le loro fronti insieme: una rapida, ferma rassicurazione. «È ingiusto» disse «È crudele, ecco cosa.»

«Ci sono cose più crudeli» disse Thorin senza voce.

Dáin annuì, e poi guardò il confuso ed esausto Merry. «Va bene, cosa vuoi che faccia?»

«Stai con lui, come hai fatto finora. Troverò Gandalf: lo Stregone ci sente quando decide di concentrarsi» disse Thorin, deglutendo. Poi dopo un attimo disse: «grazie, Dáin.»

«A cosa serve la famiglia, eh?» Dáin osservò le strade distrutte e i feriti urlanti e gementi che venivano portati nella città. «Tu riesci sempre a organizzare riunioni così... uniche.»

Thorin poté solo guardarlo male. Dáin ghignò, impenitente.

Lo Hobbit scosse la testa come per schiarirsi la mente dalla nebbia, i suoi ricci fradici si erano appiccicati alla sua fronte sudata. Batté le palpebre per un momento, e poi barcollò verso un stradina laterale.

«Dove va?» disse Dáin, e Thorin poté solo scrollare le spalle.

«Non credo lui lo sappia» disse, e sospirò «Tornerò appena posso...»

«Aspetta, aspetta, guarda là!» lo interruppe Dáin, e indicò nella stradina «Guarda, un altro! Non ci credo!»

«Cosa?» Thorin si voltò di scatto – ed eccolo lì, il suo Tuc assente, ancora vestito della sua livrea della Torre «Piccola scivolosa canaglia riccioluta! Piccolo Combinaguai – piccola anguilla, dovrei chiamarti! Dove nel nome di Mahal era finito?! Ti temevo perso!»

«Un altro dei cugini di Bilbo, allora?» disse Dáin innocentemente.

Thorin non si girò nemmeno verso di lui. «Sì.»

«Lo sospettavo. Ti preoccupi un sacco per qualcuno che dice di essere solo “un sussurro al vento”, eh?»

«Merry!» urlò Pipino, e corse verso di lui il più velocemente possibile «Merry! Ringraziamo il cielo che ti ho trovato!»

Merry si mosse nella sua confusione, i suoi occhi si rischiararono un poco. Batté le palpebre guardando Pipino, e poi si strofinò gli occhi. «Dov'è il Re?» disse in modo confuso «Ed Éowyn? Pensavo di star camminando in un tunnel verso una tomba...»

Poi si sedette si colpo, lasciandosi cadere sulla soglia di una porta. Le lacrime gli riempivano gli occhi, e se le asciugò con la mano. «Sono saliti nella Cittadella» disse Pipino, torturandosi le mani «Credo tu ti sia addormentato in piedi, ed abbia sbagliato strada. Ma sei sfinito, e non ti seccherò con le mie chiacchiere. Ma dimmi, sei ferito o sofferente?»

«No» disse Merry «Insomma, non mi pare. Ma non posso adoperare il braccio destro, Pipino, non da quando ho colpito quello lì. E la mia spada è diventata cenere come fosse un pezzo di legno.»

Il volto di Pipino era ansioso. «È meglio che tu venga con me al più presto» disse «Se almeno riuscissi a portarti in braccio. Non sei in grado di camminare. Non avrebbero assolutamente dovuto lasciarti camminare; ma li devi perdonare. Sono successe tante cose così terribili nella Città, Merry, che è facile che un povero Hobbit tornato dalla battaglia passi inosservato.»

«Non è sempre una sfortuna passare inosservato» disse Merry, e la sua testa ciondolò di nuovo. Poi iniziò a tremare. «Proprio adesso mi è successo di – no, non posso parlarne. Aiutami, Pipino! Sta diventando di nuovo tutto buio, e il mio braccio è freddo.»

«Appoggiati a me, Merry mio!» disse Pipino «Coraggio! Un piede dopo l'altro. Non è lontano» riuscì a rimettere in piedi Merry, e gli mise un braccio attorno alla vita «Di qua, ora. Con calma.»

«Mi volete seppellire?» disse Merry con un vocina molto piccola.

«No davvero!» disse Pipino, e la nota di allegria nella sua voce era troppo forzata per coprire la sua paura o la sua pietà «No, ti salverò.»

«Dove stiamo andando?» mormorò Merry mentre Pipino iniziava a tirarlo gentilmente.

Pipino gli sorrise. «Andiamo alle Case di Guarigione.»

«Povero piccoletto» disse Dáin sottovoce, accigliandosi «Davvero non avrebbe dovuto camminare, sarebbe dovuto essere stato portato.»

Thorin lo guardò con comprensione. «Lo so» disse «Ed eccoci. L'hai detto tu: intrappolato in una prigione di vetro. Tu lo porteresti, se potessi. Non è così?»

«Aye, che genere di domande sono? Certo che sì» Dáin sospirò mentre i due Hobbit si muovevano dolorosamente piano lungo la strada e iniziavano ad arrampicarsi verso la cittadella «Ma sai come si dice: se i desideri fossero maiali, tutti cavalcheremmo.»

Passo dopo passo, Pipino guidò Merry mentre Merry barcollava e mormorava come se stesse dormendo. «Non riuscirò mai a portarlo sin lassù» mormorò Pipino, guardando l'enorme salita «Non siamo nemmeno arrivati al quarto livello, e ce ne sono sette!»

«Andiamo, Merry» lo incitò Thorin «Andiamo, coraggioso, puoi farcela. Hai pugnalato il Re Stregone di Angmar: lascerai che questa collina ti sconfigga? Fatti forza, piccolo eroe. Puoi farcela!»

Merry si riscosse un poco, gli occhi che giravano. Poi barcollò avanti per qualche passo con energia inaspettata.

«Così!» disse Pipino «Così!» ma il breve sforzo presto consumò le energie di Merry, e lui ricominciò a dondolare e inciampare. Il suo respiro era rapido e irregolare.

«Oh, Merry» gemette Pipino, prima che i suoi occhi andassero alla folla attorno a loro: la gente portava secchi d'acqua per spegnere i fuochi, il cibo veniva passato di mano in mano, bambini piccoli piangevano, bambini più grandi correvano eseguendo compiti. «Non c'è nessuno che possa aiutarmi? Non posso abbandonarlo qui!»

Poi batté le palpebre. «Bergil?»

«Non posso fermarmi!» urlò il ragazzino correndogli accanto «Sto facendo delle commissioni per conto dei guaritori, devo tornare su!»

«Davvero?!» Pipino quasi saltellò sentendolo «Bene! Quando arrivi, dì loro che ho con me uno Hobbit ferito, un perian, bada bene, di ritorno dalla battaglia. Non credo che ce la faccia a camminare sin lì. Se Mithrandir è da quelle parti sarà contento di ricevere il messaggio.»

Gli occhi di Bergil andarono a Merry e lui annuì. «Lo farò!» urlò, e corse via «Ci vediamo dopo!»

Pipino lo guardò andare, e poi sospirò.

«Non farlo muovere oltre» lo consigliò Thorin «Pensiero rapido, Pipino, ben fatto. Aspetta qui, e cerca di tenerlo al caldo.»

Fu allora che Pipino parve accorgersi del fatto che Merry tremava, e lo strinse le braccia attorno a suo cugino e dolcemente lo fece sedere, strofinandolo per tenere calda la sua pelle sudata. «Oh, la tua povera mano» gemette quando vide il colore di cui era diventato il braccio della spada di Merry «Ora, appoggiati a me, Merry mio. Spostati un pochino così riuscirai a prendere l'ultima luce del giorno. Così. Appoggiami in grembo la testa.»

Merry si afflosciò con la testa sulle gambe di Pipino, e i suoi occhi erano vacui. Sembrava non sentire Pipino che dolcemente gli accarezzava i capelli, e dopo un po' tornò a piangere, senza rumore, le lacrime gli scendevano lungo le guance.

«Perché non abbiamo fermato lo Stregone quando l'abbiamo visto» disse Dáin frustrato.

«Faccio ancora degli errori, vecchio mio» Thorin sospirò e lo guardò «Non sono tanto cambiato.»

Gli occhi di Dáin si socchiusero. «Questa è una menzogna» disse, in quel suo modo infuriante onesto eppure opaco «Sei diverso. Non in tutto, no. Sei ancora impulsivo, aye: ancora pronto a fare le cose senza pensare. Ancora determinato. Sei anche ancora un vecchio scontroso. Ma sei più calmo e più controllato. Più sicuro di te in un certo senso. E non ricordo tu sia mai stato così sentimentale, né abbia mai parlato apertamente delle cose che ami.»

Lo sguardo di Thorin andò alla pietra sotto i loro piedi. «Sei gentile, ma hai torto. Non avresti detto cose simili se mi avessi visto dopo che Legolas aveva dichiarato i suoi sentimenti: il controllo era la cosa più lontana da me. I pensieri oscuri ancora mi artigliano. Perso me stesso, persino ora. Le mie lezioni sono state lunghe e dure, e io sono uno studente imperfetto» disse, e Dáin sorrise.

«Aye, molto più aperto» disse «Esattamente ciò che dicevo.»

Thorin si rese conto che, ancora una volta, Dáin aveva gentilmente rigirato la conversazione a suo favore. Era bravo in queste cose. «Bastardo» disse senza troppa convinzione, e sorrise amaramente a sua volta.

Dáin fece spallucce. «Ti dico solo quello che vedo, ragazzo.»

«Ragazzo? Dáin, ho trent'anni più di te»

«Thorin, quando sei stato decrepito come me, tutti ti sembrano dei mocciosetti sbarbati. Ah! Ecco di nuovo lo Stregone! Se l'è presa con calma!»

Gandalf si fermò nel mezzo della strada, i suoi occhi fissi sui due Nani. Fece un gran respiro, e poi chinò la testa verso Dáin. «Re Piediferro» disse nella sua voce profonda «Sono addolorato di vederti qui.»

«Meglio che ti dai una mossa, o anche lo Hobbit finirà nella fossa» disse Dáin, alzando le sopracciglia. Poi sussurrò a Thorin: «non pensavo ci avrebbe visto così rapidamente.»

«Gli Stregoni sono imprevedibili. Suppongo che tutti i suoi sensi siano concentrati nel cercarci» disse Thorin, e poi alzò la voce «Gandalf! Pipino e Merry sono là, su un gradino.»

«Ah» Gandalf sospirò in tristezza vedendo lo stato di Merry. Si inginocchiò immediatamente per premergli una mano sulla fronte, e poi prese gentilmente la sua mano scolorito. Pipino si morsicava il labbro ansiosamente. Infine Gandalf si raddrizzò, appoggiandosi al suo bastone. «Ben fatto, Peregrino Tuc. Ora, permettimi di portarlo. Avrebbe dovuto essere trasportato con grande onore alla Case di Guarigione, perché le sue azioni lo hanno messo tra gli eroi di questa terra.»

«È così freddo» disse Pipino con voce tremante.

«Shhh. Aragorn è là, lo guarirà» Gandalf mise per un momento una mano sulla testa riccia di Pipino, prima di piegarsi e sollevare il confuso Merry «Di qua.»

«Ora cosa?» disse Dáin, guardando lo Stregone che se ne andava, Pipino che gli correva dietro.

«Per ora torniamo alle Sale, suppongo» disse Thorin «Torneremo più tardi. Per ora, non c'è altro su cui fare rapporto.»

Dáin si tirò la barba. «E a me sta venendo un po' fame...»

Thorin chinò la testa per nascondere un altro sorriso. «Chiudi gli occhi, le stelle faranno il resto.»


 

Bussando piano alla porta della forgia di suo padre, Thorin la aprì con esitazione sentendo il “aye, entra”. Lo stesso caldo silenzio che ricordava dagli anni passati lo avvolse, l'odore di legna bruciata, quello più acido dei metalli. Thráin era piegato su un tavolo da lavoro, e il suo monocolo era sistemato sul suo occhio buono. Guardò su quando entrò Thorin, e annuì stancamente. «Ciao, inùdoy.»

«'adad» Thorin guardò in angolo, dove Frerin era avvolto in una coperta ruvida (senza dubbio un lavoro di Hrera: lavorare a maglia non era mai stato il suo forte). Una grossa gatta color marmellata, affettuosamente chiamata Crema, faceva le fusa fra le sue braccia. Le dita di Frerin erano sepolte nella sua pelliccia. Il suo viso era rigato dalle lacrime ma asciutto, e fece a Thorin un piccolo sorriso di benvenuto.

«Siamo uguali ora» disse, e indicò il lato della sua mascella dove la sua barba era corta e spettinata.

Thorin si sedette accanto a lui. «Come stai, Frerin?»

Suo fratello si strinse nella sua coperta con un sospiro. Crema guardò Thorin con l'espressione soddisfatta di un gatto felice.

«Sta facendo esattamente ciò che dovrebbe» disse Thráin tranquillo, la sua voce profonda un conforto «Mi sta guardando per essere sicuro che io non faccia errori.»

«Come se me ne accorgerei» disse Frerin sbuffando, e le sue dita grattarono le orecchie di Crema. La gatta gli strofinò la testa contro la mano.

«Ora, ragazzo mio» disse Thráin, e si raddrizzò e accarezzò la guancia spelacchiata di Frerin «Non parlare così di te stesso.»

Frerin storse il naso, facendo per parlare, ma Thráin lo azzittì con un bacio sulla fronte. «Sei sempre il benvenuto qui» disse, dolce e serio «Non devi fare nulla che tu non voglia. Rimani e sii triste, e io sarò triste con te. Oppure vai con tuo fratello. Io sono qui in ogni caso.»

«Anch'io, nadadith» disse Thorin, e prese una delle mani di Frerin.

«Sto bene» disse Frerin, ma il suo mento stava tremando di nuovo, e i suoi occhi blu erano troppo lucidi «Solo. Lei. Non voglio vedere un'altra battaglia, Thorin. Non posso. Non posso.»

Thorin chiuse gli occhi e maledisse la sua determinazione cieca per una frazione di secondo. «E allora non vedrai più battaglie, Frerin» disse, e incrociò le dita con quelle di suo fratello. Come sempre, il pensiero così piccolo gli attraversò la mente. «Mi dispiace.»

«No, ho detto che stavo bene» protestò Frerin, e strinse la mano di Thorin «L'ho detto, no? Non solo ora, intendo, ma prima della battaglia, l'ho detto. Mi ha chiesto e tutto. E io ho detto che sarei rimasto. Pensavo di poterne sopportare un'altra. Ma ci sono tanti – ci sono così tanti morti ora, Thorin. Così tanti – fratelli e sorelle e zii e figli e mogli e madri – e io non posso vederli morire senza – senza-»

Il respiro di Frerin era accelerato, e Thráin schioccò la lingua. Crema immediatamente si alzò, la coda cespugliosa dondolava come un pino al vento, e poi strofinò la testa contro il mento di Frerin. Le sue fusa erano come un tuono.

Frerin sospirò e seppellì il volto nella sua pelliccia.

Thráin si sedette accanto a Frerin e aprì la mano. «Che ne pensi? Quasi finito?»

Il pendente per il giorno del nome di Frís era nella sua mano, luminoso e scintillante. Frerin lo guardò attraverso le nuvole di pelo arancione, e fece un suono indistinto.

«È bellissimo, padre» Thorin guardò l'oro e i diamanti e gli zaffiri, e sentì solo tristezza «Davvero bellissimo. Le piacerà.»

Thráin tenne la mano aperta, e infine Frerin si raddrizzò per guardarlo meglio. «Aprilo» disse Thráin, piano e senza ordinarlo.

La manina di Frerin si alzò, e poi lo aprì. Cadendo in due metà esagonali, il pendente si rivelò essere un medaglione. Dentro vi era uno schizzo di tre Nani: un alto guerriero dalla testa scura, una Nana grigia con un cipiglio severo, e il più piccolo un giovane dorato con un sorriso solare.

«È bellissimo» disse Frerin infine.

Thráin sorrise e gli baciò ancora la testa. «Aye, è il contenuto che lo rende tale.»


 

Frerin non sarebbe venuto ad Erebor, e preferiva rimanere con Thráin per il momento. «Presto, nadad» disse «Presto, va bene?»

«Prenditi tutto il tempo che ti serve» disse Thorin, e premette insieme le loro fronti per un momento «Tutto il tempo che ti serve.»

Frerin lo guardò, il suo labbro si incurvò e un riflesso della sua normale allegria fece capolino nei suoi occhi. «La prossima volta che vai a vedere Gimli vengo anch'io. Ha aiutato te: forse aiuterebbe anche me.»

Thorin sorrise. «Gimli è generoso. Riposa, Frerin. Ti voglio bene.»

«Oh, zitto, sentimentale» Frerin sbadigliò e si sistemò con Crema «Io vado a dormire se tu continui ad essere emotivo e imbarazzante con me.»

Thorin rise, e poi gli spettinò i capelli dorati. Poi si alzò e annuì verso Thráin, il quale gli fece l'occhiolino, e li lasciò nel loro intimo, tranquillo silenzio.

Dáin lo stava aspettando impazientemente fuori dalla Camera di Sansûkhul. «Va bene, rifacciamolo» disse senza preamboli «Erebor, sono pronto. Ho aspettato abbastanza.»

Thorin alzò una mano, e poi la mise sulla spalla di Dáin e la strinse in rassicurazione. «Rilassati, cugino» disse «Calmati. Erebor non cadrà nel tempo di un pasto.»

Dáin lo guardò da sotto le sopracciglia. «Andiamo ora, prima che io perda coraggio.»

Thorin non chiese se Dáin era sicuro. Insieme tornarono al posto abituale di Thorin. La camera ora era del tutto deserta: era tardi, e la maggioranza era a letto.

Stavolta Dáin non perse tempo, ma fissò con intenta concentrazione le acque della vasca stellare.

«Sta attento» disse Thorin, mentre le stelle si rialzavano, la loro luce come nebbia di palude sotto la superficie del lago sotterraneo «Il Gimlîn-zâram non è sempre gentile...»

Non ebbe la possibilità di finire. Le stelle lo ingoiarono come in vendetta, e lui fu scagliato fra lampi di fuoco verso la terra dei viventi.

Cadde a gattoni, e scosse la testa. «Ah!» sentì dire «La mia testa!»

«Ho provato ad avvertirti» gemette, e Dáin grugnì di dolore «Batti le palpebre. Non si può fare niente per il mal di testa, temo. Non siamo mai stati in grado di predire quando le stelle saranno gentili o crudeli.»

«Quindi è come qualsiasi altra cosa» disse Dáin sottovoce, e poi si raddrizzò con un gemito e si strofinò gli occhi.

Thorin lo lasciò perdere, e batté le sue palpebre per schiarirsi gli occhi. Poi si accorse di una voce che parlava piano: «sei sicuro?»

Un'altra voce, una che Thorin riconobbe come l'Elminpietra, rispose. «Aye, fallo.»

Thorin sentì il lamento di dolore di Dáin, e si allungò per aiutarlo con una mano sulla spalla.

«Qual'è il significato di ciò?» sussurrò Laerophen abbastanza vicino a loro, e Thorin guardò con occhi annebbiati per vedere l'Elfo in piedi con Merilin. Erano su una delle grandi piattaforma che circondavano la galleria principale, e affollati lungo le mura erano Uomini ed Elfi e Nani. Molti occhi erano umidi. Erano accalcati strettamente senza differenza di razza: questa guerra aveva fatto dimenticare ogni differenza.

«Non lo so» rispose lei, e poi fu zittita da Piccolo Thorin.

«Si sta levando le trecce di Principe Ereditario, zitti» disse, e diede loro un assaggio del suo ottimo sguardo truce «È importante.»

«Riesco a vederli» disse Dáin allora, e la malinconia nella sua voce era così nuda che Thorin si sentiva come un intruso «Lui è davanti al trono.»

Anche Thorin lo vedeva, piccolo davanti all'enorme, freddo trono vuoto. «Aye.»

Thira era davanti a lui, ed era lei ad aver parlato prima. «Ma li hai sempre tenuti così, sin da quando eri piccolo» disse, e la sua mano gli lisciò i capelli su cui erano stati i fermagli simbolo del suo essere principe. Erano rovinati per essere stati rimasti in una treccia per tanto tempo.

«Lo so» l'Elminpietra fece un respiro profondo, e poi mise qualcosa nelle mani di sua madre «E io non sono più un bambino. Non devo più imitare i miei eroi. Devo diventare un Nano diverso, e non misurarmi in base alle loro imprese.»

Il labbro inferiore di Thira tremò per un momento, e poi chinò la testa. «Mi mancheranno» disse, e le sue parole erano rotte «Ma è un piccolo prezzo da pagare per l'orgoglio che provo per te ora.»

«Sono sempre tuo figlio, 'amad» disse lui, nel tono più dolce immaginabile.

«Sei molto più suo figlio ora» disse lei, e la sua mano si strinse attorno a qualsiasi cosa fosse che le aveva dato «Lui sarebbe così... così o-orgoglioso, mio Thorin.»

«Mettimele» disse lui «Non voglio le mani di nessun altro.»

Fu in quel momento che Thorin si rese conto che l'Elminpietra non indossava il suo giaccone di pelliccia, né la tunica blu che aveva sempre indossato da quando era arrivato ad Erebor. Invece era vestito di grigio scuro, il colore del ferro appena raffreddato, con decorazioni blu sulla sua tunica. La sua meravigliosa barba rossiccia era sciolta, come i suoi capelli neri, che si alzavano in un ciuffo sopra la sua fronte. Assomigliava meno a...

«Ho sempre pensato che ti somigliasse molto» disse Dáin con voce rotta «Ti idolatrava, sin da quando era un bambino. Aveva un giocattolo di te che si portava ovunque: era così felice di avere il tuo stesso nome. Pettinava i capelli come i tuoi, si metteva quella tunica finché non si consumava del tutto e poi un'altra identica..»

«Assomiglia così tanto a Thira» disse Thorin sorpreso «Ha la sua fronte e la sua bocca, la sua carnagione scura e la sua altezza. Non me ne ero mai accorto.»

Lentamente Thira alzò le mani e iniziò a pettinare i capelli di suo figlio. Dai suoi occhi scendevano lentamente lacrime che correvano nella sua folta barba nera mentre lavorava, e l'Elminpietra piegò la testa per aiutarla.

«Oh, Thira, mio amore, mia bellezza di ferro» sussurrò Dáin, e il suo volto si deformò per un momento prima di riprendere il controllo «Ho provato – ho provato davvero, mia cara.»

Thorin non aveva mai visto il suo intelligente, spiritoso, rilassato cugino così angosciato, e non sapeva cosa fare. «Forza» disse infine, e sapeva quanto fosse inutile «Lo sanno, Dáin. Sanno che hai provato.»

«Aye» Dáin tirò su col naso, e poi fece un sospiro tremante. Il suo sguardo non si allontanò mai da sua moglie e suo figlio. «E questa è una delle verità più crudeli che esistano: puoi provare più che puoi, e fallire lo stesso.»

«Non devi dirlo a me» Thorin strinse ancora la spalla di Dáin. Era tesa e tremava sotto la sua mano.

«Puoi spiegarmi?» sussurrò Laerophen, e Piccolo Thorin gli lanciò un'occhiataccia più intensa.

«Shhh» disse, molto fermamente «Dopo. Ora ricordiamo.»

Merilin prese il gomito di Laerophen e scosse la testa. Lui rimase in silenzio, aggrottando le sopracciglia in confusione.

Infine l'Elminpietra si raddrizzò, e permise a tutti di vederlo. Se un tempo si sarebbe dondolato incertamente, insicuro di se stesso e della sua posizione, ora era fermo con una solidità e una calma confidenza che gli si addicevano. La sua barba era ancora sciolta, ma i suoi capelli erano stati intrecciati strettamente a lato della sua testa e lasciati a rimanere alti sopra la sua fronte. Ricadevano sulla sua schiena come la criniera di un leone, fiero e dall'aria pericolosa.

Dove un tempo aveva avuto delle trecce, legati davanti alle sue orecchie, erano due zanne di cinghiale che si curvavano all'ingiù e sporgevano ai lati della sua mascella.

«Oh» disse Dáin debolmente.

Dís si alzò e i suoi occhi erano come pietre nel suo viso. «Ricordiamo» disse, la sua voce di mithril risuonò per l'enorme sala affollata «Ricordiamo.»

«Ciò un tempo sarebbe stato solo per gli occhi dei Nani» disse l'Elminpietra, guardando le migliaia di persone accalcate, tutte che lo fissavano con avido interesse «Ma in questo giorno guerra e perdita e dolore ci hanno resi un solo popolo sotto questa montagna. E dunque, in questo giorno lasciamoci aprire gli uni agli altri per condividere il nostro dolore.»

«Sarà ricordato nella storia» disse Dáin, battendo le palpebre rapidamente «Potrebbe persino diventare una festa del ricordo, se riusciremo a sopravvivere all'assedio. Il giorno in cui Elfi, Nani e Uomini hanno pianto come un popolo solo.»

«E fu tuo figlio a iniziare» Thorin guardò con approvazione il suo omonimo.

«Esploderò da un momento all'altro» borbottò Dáin sottovoce «Oh, ragazzo mio, hai imparato così bene – oh, inùdoy.»

L'Elminpietra si voltò verso Bomfrís, e annuì.

Lei fece un passo avanti col volto rigato dalle lacrime, e alzò un coltello. Dopo un altro cenno di permesso, lei gli prese la barba con una mano e fece passare il coltello nella grande massa rossa. I peli finirono a terra, cadendo attorno a lui come nebbia rossa.

L'Elminpietra la guardò, e poi le accarezzò il volto con una mano. La sua barba era tagliata irregolarmente e terribile a vedersi, ma stava sorridendo un poco nonostante la sua tristezza.

«Già la odio» singhiozzò Bomfrís «Farai meglio a fartela ricrescere in fretta.»

Lui toccò la barba accorciata di lei. «Aye, e anche tu. Un crimine, tagliare una barba lunga, bella e ricca come la tua.»

«Non ci metterà molto» disse lei «Nella nostra famiglia abbiamo sempre avuto barbe che crescono in fretta. E anche folte, viene dalla parte di Papà...» la sua voce si ruppe, il suo petto si alzava e si abbassava. Lui le lisciò una guancia con mano dolce.

«Bene» mormorò quando lei controllò le sue nuove lacrime «Vorrei vederla ricrescere coi miei occhi.»

«Ricordiamo!» urlò Dwalin, e alzò il suo pugnale e lo tenne fermo. I suoi occhi erano fermi su ricordi lontani, invece che sulla scena davanti a lui.

I coltelli furono presi in mano, e poi furono abbassati mentre quasi all'unisono ogni Nano si tagliò una ciocca in ricordo delle loro perdite. Poi giunsero le lacrime, e tutti ricordarono.

«Ahi» gemette Gimizh, che si era tagliato il pollice.

«Ah, aspetta, piccolo» disse Laerophen, piegandosi. Si raddrizzò all'improvviso sguardo furibondo che ricevette da Gimrís, ma si limitò ad aprire la mano. Su si essa era uno dei famosi coltelli degli Elfi: sempre affilato e luminoso. «Questo funzionerà meglio, e non scivolerà.»

Gimizh tirò su col naso. «'azie» prese il coltello e si tagliò cautamente una ciocca di capelli. Poi scoppiò in lacrime. «Non gli ho mai chiesto di farmi un giocattolo di lui» pianse «E l'avrebbe fatto! L'avrebbe fatto!»

«Shhh, mio piccolo terrore, mio prezioso inùdoy» disse Gimrís, e lo avvolse nelle sue braccia e lo fece dondolare avanti e indietro. Gimizh singhiozzò contro di lei, disperato. «Tuo zio sapeva che gli volevi bene. Lo sapeva.»

Accanto a lei, Bofur guardava senza vista il nulla. Stretto nelle sue mani era un grande bastone: il bastone di Bombur.

Merilin si guardò attorno, i suoi occhi Elfici spalancati in comprensione e compassione. «Capisco» sussurrò «Capisco. Non siamo così diversi dopotutto.»

Lentamente la folla riprese il controllo quando il rito di lutto terminò. Il silenzio cadde nuovamente su di loro quando l'Elminpietra prese la corona dalle mani di Jeri e se la rimise in testa. Poi il Re salì la pedana che portava al trono, si voltò per guardare la folla – e si sedette.

Ci fu un sospiro che echeggiò per la stanza quando lo fece, come se ogni Nano vedesse la forma del futuro là seduto. L'Elminpietra mise le mani sui braccioli del trono e Thorin vedeva le sue dita che si stringevano: i tendini risaltavano sulle nocche. Poi disse: «Che le barbe siano tagliate, che le lacrime cadano. Per coloro che si sono rifugiati qui, per coloro che sono venuti in nostro aiuto, e per coloro che se lo meritano. Per coloro che ci tennero al sicuro, per coloro che ci tengono al sicuro, per coloro che hanno perso la vita nel farlo. Nani e Uomini ed Elfi, siate uniti nel nostro lutto. Questo giorno e tutti i giorni: ricordiamo.»

Un movimento improvviso fece sobbalzare Thorin, e i suoi occhi scattarono per vedere Bard, Principe (ora Re, probabilmente) di Dale, che si alzava di colpo dalla sua sedia, messa in un posto d'onore al lato destro del Trono.

Il volto severo dell'Uomo era distrutto dalla tristezza, dalla pietà, e dalla mutua comprensione quando si fermò davanti al trono. «Re Thorin» disse, e si premette una mano contro il petto «So che tu sei un guerriero inarrestabile, un nemico temibile e un amico leale. Possiamo» si interruppe per un secondo, deglutendo compulsivamente «possiamo noi continuare come i nostri padri prima di noi: come amici.»

L'Elminpietra si alzò e afferrò la mano di Bard. «Sì» fu tutto ciò che disse, ma il ruggito che si alzò dalle mura era potente e fiero. Sì! Sì, non cadremo, nemmeno se voi ci lanciate addosso tutti gli eserciti neri e uccidete i nostri amati e i nostri Re! Non ci inginocchieremo davanti a voi! Anche se ci uccidete, noi non siamo sconfitti! Non siamo soli!

«Re Thorin» urlò Laerophen in voce limpida, alzandosi «Gli Elfi di Bosco Atro sono con te. Combatteremo come uno!»

Le grida raddoppiarono, e l'Elminpietra guardò meravigliato l'Elfo. «E parli anche per tuo padre quando lo dici?» disse, quasi ingoiato dalla baraonda.

Il volto di Laerophen si storse per l'incertezza – un'espressione senza dubbio quasi invisibile a questi Nani, ma ora inconfondibile per gli occhi più pratici di Thorin. «So essere molto persuasivo» fu tutto ciò che disse.

«Dategli un biscotto» singhiozzò Gimizh. Per qualche colpo di fortuna lo aveva detto in un momentaneo silenzio, e grazie all'eccellente acustica della sala fu udito praticamente da tutti. Le risate che ne risultarono erano abbastanza isteriche, ma erano genuine.

L'espressione dura di Dís si addolcì leggermente. «Oh, Gimizh, nidoyel» mormorò. Fra la folla, Barur Panciapietra stava ridendo e piangendo al tempo stesso.

Accanto al trono, Jeri si coprì la bocca con la mano per nascondere un improvviso sorriso. «Piccolo monello» disse con affetto.

L'Elminpietra alzò le mani. «Grazie, Principe Laerophen. Combattiamo come uno» poi le sue labbra si incurvarono «Faremo scorte di biscotti – giusto in caso.»

Laerophen sorrise al Re – un sorriso sincero. «Potrebbe essere saggio.»

L'Elminpietra sorrise a sua volta, prima di tornare serio e alzare la testa verso l'enorme e insolita folla tutta attorno. Molti erano vestiti con abiti presi in prestito o avvolti in coperte, e alcuni si stavano ancora stringendo delle ferite. «Ci prenderemo questo breve momento per ricordare» disse, e la sua voce risuonò fino ai livelli più alti «Ricordateli! Ricordate la loro saggezza, la loro forza, il loro umorismo, il loro amore! Ricordate ciò che abbiamo perso oggi!»

«Non l'avrei fatto così io» disse Dáin, ma il suo mento era alto e i suoi occhi erano pieni di amore «Ha iniziato a usare delle inutili formalità nordiche a un certo punto. Sciocco ragazzo.»

«Dovresti essere orgoglioso» gli disse Thorin.

Dáin lo guardò. «Non potrò mai» disse con fervore «dire quanto orgoglioso. Non c'è una lingua al mondo che abbia le parole adatte.»

Una chiara, incredibilmente dolce voce iniziò a risuonare per l'enorme sala, e poi Thorin vide la celebrata cantante Barís Linguacristallina alzarsi lentamente. I suoi occhi erano cerchiati di rosso e la sua meravigliosa voce era strozzata dal pianto. Non era un capolavoro musicale che cantava, nessuno spettacolo di virtuosismo, abilità o estensione vocale.

Alla prima nota, tutti i molti figli e nipoti di Bombur scoppiarono in lacrime.

[Broadbeam Cradle-song, eseguita e composta da determamfidd]

It was a very special day
The most special beyond measure
Because it was upon that day
That Mahal made a treasure

He took the diamonds from the sky,
And made them glow and glow
Then he put them in your eyes
And how I love them so

In un angolo, Thira stava piangendo piano. Il braccio di Bani era avvolto attorno a lei, e la sua testa era appoggiata sulla spalla dell'amica.

He took the shine of silver
As bright as bright can be,
He fashioned it into your smile
And then gave you to me

He took the gentle gleam of gold
And cupped it in his hands
And made a loving little heart
The best in all the lands

Dáin ansimò. «No, mi sbagliavo» disse «Non sono pronto. Non lo sono. Non lo sono!»

Una strana calma si posò su Thorin. «Una volta dissi a Balin» disse «che sarebbe dovuto restare e osservare il dolore di Gimli a Khazâd-dum. Sai perché?»

Il volto di Dáin era quasi irriconoscibile. Scosse la testa.

Thorin gli sorrise debolmente. «Per capire quanto era amato.»

He took the mithril sweet and pure
And made a little soul
And then he saw my empty arms,
And so he made them whole

I thank him for you every day,
And love you through and through
And with each morning sun that dawns
I am more in love with you

Bofur si tolse il cappello, e lo tenne sopra il suo volto mentre le sue spalle tremavano violentemente. Dori gli si avvicinò. «L'ultimo» singhiozzò, il suono soffocato «Mai pensato... Bombur era più giovane di me, come posso esser io l'ultimo...!»

Il volto di Dori era molto serio mentre metteva un braccio attorno alle spalle di Bofur. «Se mai troverà una risposta, Signor Bofur mio caro amico» sospirò «Me lo lasci sapere.»

«Anche a me» disse Glóin dietro di loro, il naso rosso per il pianto. Mizim gli stringeva la mano, la sua gloriosa barba bianca sciolta. Un corto ricciolo indicava il punto dove aveva tagliato una ciocca.

«Anche a me» aggiunse serio Dwalin. Orla incrociò il suo mignolo con quello di lui, e lui si rilassò leggermente.

Dís non disse nulla.

Wherever you may wander,
And whatever you may mine,
You are always loved, my baby,
Until the end of time

Bard si stava fissando le mani. «Mi ricordo questa canzone» disse, accigliato «Come...?»

L'Elminpietra rise piano, e poi alzò una mano per stringergli il polso. «Una vecchia ninna nanna Vastifascia» disse «Senza dubbio mio padre la cantava ogni tanto. So che ti conosceva sin da quando eri piccolo, ed era molto bravo a far addormentare gli infanti capricciosi.»

Bard batté le palpebre. «Mi... sembra così strano. Non è – era la sua reputazione.»

«Lui amava i bambini» disse Thira inaspettatamente. La sua voce tremava. «Amava la loro risata. Gli faceva le smorfie anche nel bel mezzo di incontri solenni.»

«Oh, Mahal, lo faceva, quel vecchiaccio» sbuffò Glóin «Incrociava gli occhi, e ridacchiava sentendo il modo in cui ridevano loro.»

Jeri rise e si appoggiò alla sua ascia. «Li faceva sedere in braccio e poi faceva finta di consultarsi con loro sulle decisioni. “No, non si fa niente”, diceva, “il capo dice che non si fa. Va via e porta condizioni migliori”. E che la sciagura colga l'idiota che osasse parlare al Re invece che al bambino. Rendeva i turni di guardia molto più interessanti, lasciatemelo dire.»

«Era molto divertente vedere i burocrati più pieni di sé interrompersi e balbettare» disse Orla. Il suo cappuccio era stato messo sopra ai suoi capelli – una tradizione Nerachiave per i funerali.

«Tasche piene di dolci» aggiunse nostalgicamente Piccolo Thorin.

«Aveva fatto un patto con me» disse Gimizh, e Bofur cercò la mano di suo figlio «Io ho fatto un disastro, però.»

Jeri scosse la testa. «Non è stata colpa tua, piccoletto» disse dolcemente «Non sentirti in colpa.»

«Ah» sussurrò Dáin, e poi la bellissima voce di Barís – ruvida e piena di emozioni e non vellutata come sempre – si abbassò in un sussurro.

It was a very special day
The most special beyond measure
Because it was upon that day
That Mahal made a treasure

«Portami via di qui, non posso essere Balin» borbottò Dáin «Perché devono piangermi così?»

Thorin guardò Bomfrís che saltava in piedi per correre ad abbracciare sua sorella. Si strinsero insieme, le loro teste sepolte nella spalla l'una dell'altra. «Io guardai» disse «Non pensavo che mi avreste pianto. Vi guardai piangere per me e Fíli e Kíli – lo sopportai a malapena, ma guardai. E ora sono felice di averlo fatto. Perché fu il primo passo verso la comprensione del valore della mia vita e di me stesso.»

Dáin lo guardò sorpreso. «Vecchio idiota, certo che abbiamo pianto» disse.

Thorin alzò le sopracciglia. «Eri amato, Dáin. Sei amato.»

Dáin lo guardò con occhi lucidi per un momento, e poi proprio come aveva fatto con Balin fuori dai cancelli di Moria, Thorin lo avvolse in un abbraccio e lo tenne mentre si lasciava andare.

L'enorme folla iniziò a disperdersi mentre Dáin piangeva.

«Ti odio così tanto per averla cantata» disse Bomfrís con voce rotta, e Barís rise nei suoi capelli.

«Lo so, sapevo che l'avresti detto. Mi serve qualcosa da bere. È stata la cosa più difficile che io abbia mai cantato»

«Ah, per la barba di Telphor, anche per me» disse Bomfrís, e prese la mano di sua sorella «Muoviamoci allora, se ne vanno tutti. Tempo per iniziare a bere.»

Barís rimase immobile come la pietra e lasciò che sua sorella le tirasse la mano. «Oh no, non per te» disse decisa «Sei fuori?»

Bomfrís si congelò. «Eh.»

Barís alzò gli occhi al cielo, e poi guardò sua madre con pura esasperazione. «Seriamente? Pensava non lo sapessimo. Bomfrís. Sei parte della peggiore famiglia che esista quando si tratta di nascondere certe cose.»

Bomfrís deglutì, i suoi occhi andarono da Alrís a Barís all'Elminpietra – che sembrava perplesso.

«Acqua per te, piccola cornacchia» disse Alrís fermamente «E stai lontana dal pesce.»

Il volto di Dáin si era bloccato in un'espressione indescrivibile. «Cosa. Cosa.»

Alrís scosse la testa. «Seriamente, Bomfrís. Quanti figli ho io?»

Bomfrís sbiancò quando la bocca dell'Elminpietra lentamente si aprì in meraviglia e comprensione. «Te l'avrei detto!» esclamò lei, e si girò per guardarlo «Lo prometto, te l'avrei detto! Solo... è successo tutto così in fretta e c'è una guerra e tu sei il Principe Ereditario e io sono assolutamente l'ultima Nana in tutta la Terra di Mezzo che dovrebbe diventare Principessa dannazione – e ora sei il RE, e io non posso – Thorin, non guardarmi così! Non guardarmi così – mi dispiace! Scusami, per favore...»

Bard aveva iniziato a ridacchiare. Diede una pacca sulla schiena dell'Elminpietra. «Sembra che delle congratulazioni siano dovute!»

L'Elminpietra parve non accorgersene. Quasi barcollò verso il punto dove era la sua amante. «Sei sicura» disse con voce piena di emozioni represse.

Lei tirò su col naso, e annuì.

«Forse due mesi» disse Alrís con aria esperta «se i rumori che arrivano dal bagno sono un'indicazione. Pasti più piccoli, ragazza mia, ma più spesso. Ti aiuteranno a tenere dentro il tuo pranzo» si addolcì «Tuo padre sarebbe così felice, Bomfrís.»

Gimrís scosse la testa esasperata. «Oh, per carità di Mahal, me lo avresti dovuto dire!» esclamò «So mantenere un segreto – sono una guaritrice!» le puntò un dito contro «Tu vieni da me domani mattina, capito? Niente scuse. Barís, falla venire. Trascinala se devi!»

Bomfrís si morse il labbro mentre l'Elminpietra la fissava senza parole per un lungo istante.

Poi lui la strinse in un'enorme abbraccio che la sollevò da terra. Lei squittì sorpresa, e poi gli afferrò il volto e lo baciò con disperato abbandono. «Allora, sono incinta» disse senza fiato.

«È meraviglioso» disse lui, ugualmente senza fiato, e poi chiuse gli occhi e premette insieme le loro fronti «Oh, Bomfrís.»

Il volto di Dáin non si era ancora sbloccato. «Lo sapevo, lo dicevo, glielo detto maledizione» disse come confuso «Il Consiglio avrà un'apoplessia collettiva.»

Thorin gli sorrise. «Sarai nonno.»

«Gli infesterò la stanza, ecco cosa farò» borbottò Dáin. E poi saltò in aria, facendo schioccare insieme i tacchi spaiati «Sarò nonno! Sarò nonno! Thorin, sarò nonno!»

Thira fece un sorriso tremulo, la sua mano si alzò per stringere quella di Dís, incrociando le loro dure dita rugose. «Lui amava tanto i bambini» fu tutto ciò che disse.

TBC...

Note

Khuzdul

Nekhushel – dolore di tutti i dolori

Nidoyel – ragazzo di tutti i ragazzi

Gimizh – Selvaggio

Bizarûnh- Uomini di Dale

Zabadâl belkul – Potente comandante

Uzabadâl – Il più grande comandante

Melhekhel – Re dei Re

Idmi - benvenuto

Birashagimi – mi dispiace

Nadad – Fratello

Nadadel – Fratello di tutti i fratelli

Nadadith – fratellino

Inùdoy - figlio

Gimlîn-zâram – Vasca delle Stelle

Sansûkh(ul) – Perfetta (vera/pura) Vista

Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal – Possiamo noi incontrarci ancora nella grazia di Mahal (saluto formale)

Khuzd – Nano

'adad – padre

'amad – madre

Baruk Khazâd! – Famoso urlo di battaglia Nanico "Le asce dei Nani!"

Zarakâl – Colui/colei che è maestro di qualcosa

Lulkh - idiota

  Sindarin

Meleth – amore

Alcuni dialoghi sono presi dai film e da Il Ritorno del Re, dal capitolo “Le Case di Guarigione”.

Nelle Appendici viene confermato che tutta Dale si rifugiò ad Erebor durante la guerra del Nord, e Dale fu saccheggiata.

Il Principe Imrahil era davvero zio di Faramir e Boromir, e si dice avesse sangue Elfico.

La canzone è un lavoro originale dell'autrice.

Crema esiste grazie all'immaginazione di liketotessecret. Non vi sono spiegazioni al maiale.

Varda, Nienna, Gimizh e Laerophen, Barís, La Ninna Nanna di fishsingersandscarves

Gimizh in una maglia del mostro dei biscotti di FlukeOfFate

Bilbo lascia Erebor, I gabbiani, Lungo il fiume di fullmetalnation

Bomris, Kifur e Bifur di chess-ka

Thorin si risveglia nelle Sale, Il bacio, Salvando Frodo, Solo dormendo di kazi

Varda di mirandatam

Bilbo (Espressioni), Non detto, Dis combatte, Dís, Dopo il canto dei gabbiani di lacefedora

Dís di foxinsocksinabox

Bacio Gigolas di courtrugger

Bacio Gigolas di mamma-scandinavia

Schizzi, Dain, Thorin e un maiale inquietante, Frerin e Crema di ursubs

Tre Fratelli Durin e Tre Cacciatori di ceeeeleeeebriiiaaaan

I marchi di lutto di Narvi di Christmashippo

Dain e Thorin di Piyo-13

Merry e Pipino di kazimakuwabara

Bofur di Aviva0017

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Capitolo 38
*** Capitolo Trentotto ***


Erano stati portati dei messaggi ai Cancelli, e Aragorn era stato portato via più velocemente del pensiero verso le Case di Guarigione. I Dúnedain rimasero nelle rovine della corte. Legolas e Gimli erano in piedi, a disagio; per ora, sembrava, dimenticati.

«A quanto ammontano i tuoi conti?» mormorò Legolas, e guardò Gimli. Non avrebbe dimenticato presto la vista di lui in ginocchio nel mezzo della battaglia dopo aver abbattuto il grande troll, ancorato alla terra come un forte albero.

«Due» disse Gimli, e i suoi occhi brillarono di allegria «Per quanto riguarda il numero di nemici che ho ucciso, non mi importa. Non era quello che stavo contando.»

Legolas sentì le sue orecchie diventare calde.

Elladan li stava guardando con l'aria di qualcuno che la sa lunga. «E ora, signori?» disse «Aspettate con noi, o seguite Aragorn?»

Legolas lanciò un'occhiata dura al figlio di Elrond, ma l'espressione di Elladan era tranquilla, priva di malizia o disgusto. Dietro di lui, Elrohir si era appoggiato all'edificio dove avevano sistemato i loro cavalli, e sul suo volto era un piccolo sorriso. Legolas sentì i peli del collo che gli si rissavano. I due erano un fattore sconosciuto, e a Legolas non piaceva l'ambiguità. L'accettazione di Aragorn era certa, ma questi Elfi discendevano da eroi e nobili... come avrebbero guardato un Elfo che aveva donato il suo cuore a un Nano? O non gli sarebbe importato nulla di ciò, essendo loro stessi di stirpe mista?

Gimli sospirò. «Suppongo dovremmo seguirlo. Non si può mai sapere in che guai si infila senza noi che gli guardiamo le spalle» poi si dondolò un poco «E vorrei rivedere Merry e Pipino sani e integri, da parte mia.»

«E anche io» aggiunse Legolas «Ma saremmo d'intralcio. Sarebbe meglio aspettare.»

«Senza dubbio» disse Gimli, un po' cupamente «Aspetteremo, allora.»

Ma in quel momento un Uomo vestito della livrea della Torre andò verso di loro. «Siete voi i compagni del Sire Gemma Elfica?» disse, e dopo che loro annuirono lui si inchinò «Vi saranno date stanze e vivande. Se mi volete seguire?»

«Per delle vivande potrei seguirti ovunque, ragazzo» disse Gimli con fervore «Facci strada.»

La Grigia Compagnia raccolse in fretta le proprie cose. Seguirono l'Uomo lungo le strade della città, su e su sopra vie distrutte e cancelli divelti, attraverso sei dei livelli che portavano alla cittadella. Per la maggior parte del tempo camminarono in silenzio, le lingue troppo stanche per parlare.

«Sarà il lavoro di Mahal pulire questo posto» disse Gimli, guardandosi attorno «Dovrei portare alcuni del mio popolo qui: gli piacerebbe la sfida.»

«E gli alberi sono assetati di luce per colpa di quel fumo maledetto da est» confermò Legolas «Gli Elfi farebbero molto per aiutarli.»

Infine l'alta torre fu dinnanzi a loro. Oltre si poteva vedere un basso edificio in pietra bianca: le Case di Guarigione.

«Avete sentito notizie dai Guaritori?» chiese l'Uomo guidandoli per sale di marmo nero e bianco. Gimli scosse la testa, e Legolas abbassò gli occhi.

«Ahimè, no» disse «Dei tuoi familiari sono stati portati là?»

«Non familiari, no» l'Uomo deglutì, fissando davanti a sé «Lord Faramir, lui è amato da tutti in questa città. È risaputo che suo padre non amava altrettanto la sua vita, e quindi le storie stanno volando ovunque. Vive lui?»

«Aye, da ciò che abbiamo sentito» disse Gimli «Vive.»

L'Uomo fece un sospiro. «Questo è tutto ciò che possiamo sperare, allora. Avevo pensato che forse i due insoliti compagni del Sire Gemma Elfica avrebbero potuto sapere di più...»

«Benedetta la mia barba, siamo appena arrivati!» esclamò Gimli. L'umore di Legolas, come sempre, si rialzò a questa esplosione di puro spirito Nanico. «Dammi un posto per lavarmi il fango di dosso, e anch'io correrò subito alle Case, bada bene. Mi siederò sui gradini se devo. Perché anche noi abbiamo un caro amico fra i pazienti.»

L'Uomo li guardò curioso. «Oh?»

«Un Mezzuomo, Perian nella lingua Elfica» spiegò Legolas «Era nel mezzo della battaglia.»

«Mezzuomini!» inaspettatamente, l'Uomo sorrise «Ah, il mio figlio maggiore Bergil è un buon amico del loro principe! Anch'io sono onorato di conoscerlo. Peregrino figlio di Paladino è un ottimo guardiano della Torre Bianca, e gli dobbiamo la vita di Faramir.»

Gimli si inchiodò, tossendo. «Guardiano?! Principe?»

Legolas diede una pacca sulla schiena di Gimli, prima di girarsi di nuovo verso l'Uomo. «Il tuo nome?»

«Beregond, figlio di Baranor» disse lui orgogliosamente.

«Peregrino figlio di Paladino, Principe fra gli Hobbit» borbottò Gimli «In cosa è andato a infilarsi quel furfante? Hobbit! Diventerò bianco come mio padre.»

«Pipino ha fatto il suo ingresso nel mondo, sembra» mormorò Legolas. Era ancora lievemente irritato col suo Nano. Il non richiesto, testardo sacrificio che aveva tirato fuori era ancora fra di loro, ignorato, non detto. Però la natura calda di Gimli e il suo umorismo e il suo semplice essere Gimli stava lentamente distruggendo la sua ira, come onde contro una scogliera.

No. Non come onde. No.

Gimli lo stava guardando con quel suo sguardo penetrante. Legolas si controllò e ricominciò a camminare dietro la Guardia della Torre. «Dove andiamo, Beregond?» chiese.

Beregond si guardò alle spalle. «Il Principe Imrahil ha ordinato che voi siate portati in una casa nella parte alta della cittadella per ora, anche se si possono trovare altri luoghi se non sono di vostro gradimento?»

«Perché, cosa c'è che non va nella cittadella?» disse Gimli, e cercò nella cintura e tirò fuori la sua pipa «Ah.»

«Non qui, certamente?» Legolas storse il naso.

«Pipa dopo la battaglia, è così che funziona ragazzo» disse Gimli, e ghignò «Ma forse hai ragione: aspetterò finché non sarò a mio agio e sistemato. Non mi è mai piaciuto molto fumare all'interno in ogni caso. Mastro Beregond, calmati! Sono certo che la cittadella va benissimo.»

«Siamo sul picco più alto della città» disse Beregond in tono di scusa «Mi spiace: non pensavo che... Potremmo ospitarvi nei quartieri più bassi se sono di vostra preferenza?»

«E camminare di nuovo fin laggiù? Grazie molte, ma faremo a meno» disse Gimli scuotendo la testa.

«Siete sicuri? La luce può essere molto fastidiosa di mattina...»

Legolas scoppiò a ridere. «Oh, Gimli, sta cercando di metterti a tuo agio, non vedi? Mastro Beregond, anch'io un tempo pensavo come te, ma lascia che ti rassicuri – i Nani non hanno bisogno di strato su strato di roccia sopra le loro teste per essere a loro agio. Gimli starà benissimo nella cittadella.»

Il volto di Gimli era uno spettacolo. Si schiarì la gola. «Aye, beh, strati su strati di pietra non fanno male a nessuno, in ogni caso» borbottò, e poi guardò li guardò entrambi. I suoi occhi brillavano. «E gli Elfi possono vivere tranquillamente senza un singolo ramoscello nelle vicinanze, quindi non metterti ansia per Legolas. Anche se non sarei sorpreso se tutto questo posto sarà invaso dalla boscaglia per quando ce ne andiamo!»

Elladan ed Elrohir risero. «Forse!» disse Elrohir «Anche se ci onori con tale complimenti! Non avevo idea che tenessi in tanto conto le nostre abilità con le cose che crescono, Mastro Gimli.»

Gimli scosse la testa. «Dopo Fangorn e Isengard, anche voi non vi aspettereste altro che stranezze dalle cose che crescono, come le chiamate voi!»

«Mi dispiace se vi ho offeso» disse Beregond, e le sue guance erano piuttosto rosse «Siete i primi Elfi e Nano che io abbia mai visto.»

«E siamo degli ottimi esempi, sporchi dalla battaglia e conciati come siamo» disse Legolas, sorridendo. Le macchie della guerra e del duro lavoro erano ancora su di loro, i loro abiti fradici di sudore, sangue e fango e cose ancora peggiori, i loro volti sporchi. I capelli e la barba di Gimli erano diventati incredibilmente crespi e arricciati, e Legolas sapeva che le sue trecce si stavano sciogliendo.

«Non siamo offesi, ragazzo» disse Gimli, addolcendo la sua espressione. Oh, la sua grande compassione, il suo perdono: Legolas ne era meravigliato. Così tante piccole offese e tutte gettate via come se nessuna di esse potesse mai ferire la sua pelle dura, far tremare il suo sorriso, o rallentare il suo forte braccio. «Non arrossire così! È quindi questo il nostro flet soleggiato fra le nuvole?»

Perché erano arrivati ai corridoi interni della cittadella e un corridoio era davanti a loro. «Sì, questi sono gli appartamenti degli ospiti» disse Beregond «C'è un bagno in ognuno di essi, anche se l'acqua non è calda...»

Gimli fece una smorfia, ma Legolas disse prontamente: «va bene. Grazie, signore. Daremo i tuoi saluti a Pipino.»

«Vi porterò del cibo e ve lo lascerò per quando vi sarete lavati. Grazie» disse, e si inchinò davanti a loro, prima di andarsene.

Elladan chinò la testa. «Vi rivedremo più tardi?»

«Sì, dopo che avremo riposato» gli disse Legolas.

«No veren» disse Elrohir in modo fin troppo innocente aprendo una delle porte. Elladan fece un piccolo sorriso andandosene, e Legolas arrossì. Uno dopo l'altro la Grigia Compagnia sparì nelle stanze, e Legolas e Gimli rimasero soli.

«Quale vuoi tu, allora?» disse Gimli, guardandosi attorno.

Legolas esitò, la mano già su una porta. «Vuoi avere una stanza per te?» cercò di non mostrare la sua improvvisa delusione, ma Gimli aveva imparato a leggerlo fin troppo bene.

«Nay, Legolas» disse, e alzò una mano per metterla sulla spalla di Legolas «Mi sveglierei nel bel mezzo della notte e non saprei dove sono, senza te al mio fianco con i tuoi occhi spalancati come sempre. È passato tanto tempo da quando abbiamo dormito da soli: sembrerebbe sbagliato. Voglio dire, quale di queste stanze dovremmo prendere come nostra?»

Nostra. La parola diede ali al suo cuore, e lui sorrise di nuovo a Gimli. Oh, suo padre sarebbe stato così irritato nel vedere Legolas comportarsi così liberamente! «Pensavo questa» disse, e aprì la porta.

Nella stanza era buio e fresco, la mura erano bianco grigiastro. I mobili erano ricchi, con legni scuri e velluti sulle mura e sul letto. Gimli guardò il morbido materasso con aperto desiderio per un momento, e poi entrò nella stanza davanti a Legolas e si guardò meglio attorno. «Non è stata usata da molto tempo» disse «Vecchia pietra fredda, questa. L'aria non è stata disturbata se non per pulizie recenti...»

Legolas appoggiò delicatamente il suo meraviglioso arco Galadhrim davanti al letto, e il suo zaino su un basso tavolo. «Questa grande cittadella mi sembra fredda» disse «E io non soffro il freddo come te.»

«Aye, ma soffri altre cose» disse Gimli sottovoce, e appoggiò le sue asce in un angolo «Legolas-»

«Fra un momento, Gimli-nin» disse Legolas, e una fredda paura gli strinse le viscere per un secondo. Non poteva affrontare di nuovo il desiderio, non stanco e distrutto com'era. «Devo essere riposato per una conversazione simile, temo. Può aspettare?»

Gimli lo guardò per un momento, prima di annuire. «Come vuoi, ragazzo.»

Poi mise lo zaino sul pavimento e alzò le braccia sopra la testa, inarcando la schiena. I suoi pugni si strinsero, i suoi polsi si girarono mentre i suoi muscoli si rilassavano. Il suo volto si storse. «Aaaah, è tutto il giorno che voglio farlo! Mi fanno male le braccia. Voglio la mia pipa, e un bagno, e una birra. E del cibo. E non mi interessa in che ordine arrivano.»

Legolas guardò con aperto interesse Gimli che si stiracchiava quanto la sua figura gli permetteva. Gimli era così acceso, così incredibilmente vitale. Così completamente diverso da lui. Erano il completo opposto l'uno dell'altro. Sembrava che ovunque Legolas era allungato Gimli fosse robusto. Pesante, non leggero. Dalle braccia enormi e il collo spesso, con forte gambe robuste e incredibilmente largo di spalle, sì – e con una vita spessa, non sottile come quella degli Elfi – tutto muscoli densi sotto la pelle pelosa e uno strato di grasso, senza dubbio.

La sua pancia sarebbe stata morbida o dura al tocco? Lui sapeva già com'erano le spalle di Gimli sotto la sua mano: dure come il granito.

«Smettila di fissarmi, Elfo»

Legolas batté le palpebre, e si accorse che Gimli stava ghignando. «Anche tu mi fissi» disse, cercando di non lasciare che una nota di accusa entrasse nel suo tono. Sospettava di star fallendo.

«Non è vero!»

«Lo fai invece. Quando pensi che io non stia guardando»

Gimli agitò una mano, levandosi l'elmo e lasciandolo ricadere sul pavimento. «Beh, catturi molto l'attenzione. Tutto dorato e ammiccante e luccicante e tutto. Molto distraente. È un po' troppo sfarzoso, per me.»

Le sopracciglia di Legolas si alzarono, e lui cercò di non ridere. «Sarei luccicante?»

Gimli si voltò, borbottando nella ritmata lingua Nanica mentre iniziava a rimuoversi l'armatura. Quella lingua un tempo era parsa tanto dura alle orecchie di Legolas: ora, sembrava più una profonda e antica musica, come stivali che colpivano il terreno, come il lento scorrere dei fiumi sottoterra e il bagliore del metallo nel buio. Legolas sorrise ancora, prima di tornare alle sue preparazioni.

«Ancora acqua fredda» disse Gimli tristemente, scalciando via gli stivali, infine rimasto solo in calze e tunica. Legolas aveva perso il conto di quante cose si fosse levato. «Senza dubbio ne sei felice, però.»

«Sono abbastanza felice di potermi lavare senza che mi importi della temperatura dell'acqua, qualunque essa sia» disse Legolas. Poi esitò.

Gimli sembrò accorgersi immediatamente del suo disagio, e i suoi occhi tornarono a lui. «Legolas?»

«Io sono ancora molto irritato con te» disse, decidendo di essere franco. Gimli non parlava come gli Elfi: non girava attorno al punto, ascoltando il significato tra i respiri e le parole. Avrebbe preferito la verità diretta. «Ma sono troppo sollevato che entrambi siamo vivi perché mi importi.»

Gimli chinò la testa. «Aye, so cosa intendi» disse, lento e profondo «Non fare mai più una di quelle scene con gli Olifanti. Pensavo mi si fosse fermato il cuore.»

Legolas sentì la sua irritazione che veniva stuzzicata. «Se non farai più delle decisioni per me, aye» rispose.

Con un sospiro rassegnato, Gimli si sedette sul bordo dell'alto letto. I suoi piedi toccavano a malapena il pavimento. «Non ne abbiamo parlato» disse, e si girò verso la finestra. Gli uccelli cantavano le loro tristi canzoni invernali nel cortile sotto di loro. «Sono stato troppo felice, e poi troppo spaventato, e poi troppo preoccupato – dannazione, sono stato troppo occupato.»

«C'è una guerra» gli ricordò Legolas, e lasciò che la sua frustrazione lo lasciasse. Si sedette accanto al suo Nano – il suo bellissimo, coraggioso, testardo, orgoglioso Nano – e gli prese la mano.

Gimli guardò le loro mani intrecciate – una sottile e chiara, l'altra scura e robusta. «Mi dispiace Legolas. Pensavo di fare la cosa giusta.»

«Quando camminammo per i boschi di Lothlórien insieme, tu dissi che dovevamo essere onesti l'uno con l'altro. Non potevamo ignorare il dolore, perché esiste che ci piaccia o meno. Sapevi che ti amavo, Gimli, e sapevi che non riuscivo a trovare le parole. Gli Elfi non sono diretti, come ti piace tanto ricordarmi. Eppure mi hai lasciato soffrire.»

Gimli gemette. «Lo so. Era per amor tuo, però. Pensavo che avrei potuto salvarti...»

«Scelta mia» disse Legolas, e la sua mano strinse più forte quella di Gimli «Mia, non tua. La mia vita, e il mio cuore, coi quali posso fare ciò che voglio.»

Il Nano rimase immobile, e poi annuì. «Non rinuncerei a questi attimi rubati di felicità con te, nemmeno se la morte mi dovesse cogliere domani. Capisco ora, givasha. Ero accecato da paura e orgoglio.»

«Eri, come diresti tu, un “dannato idiota”» esclamò Legolas.

Gimli ridacchiò cupamente. «Beh, siamo conosciuti per una certa idiozia cocciuta, nella mia famiglia. Te lo giuro, Legolas. Non ti porterò mai più via una tua scelta, non importa quanto io pensi sia saggio farlo.»

«Bene» Legolas lasciò che le parole affondassero in lui, sentendo il loro peso e la loro verità. Poi strinse nuovamente le loro mani intrecciate. «Non ucciderò mai più un altro Olifante.»

Le labbra di Gimli si incurvarono. «È un sollievo sentirtelo dire, ragazzo.»

Poi si chinò in avanti e dolcemente – oh, così dolcemente – avvolse quelle calde, enormi braccia attorno a Legolas e appoggiò la propria fronte contro la sua. «Amrâlimê» disse piano «Sono felice che sei al sicuro. Sono felice che sei con me. Sono felice che hai messo un po' di buon senso in questo idiota cieco.»

Legolas si congelò. «Ho già sentito quella parola prima» disse.

«Cosa?» Gimli batté le palpebre. Così vicino, i suoi occhi erano color bronzo nella debole luce. «Ne sei sicuro? Io sono un po' incosciente, ma la maggior parte dei Nani non parlano Khuzdul sopra il terreno...»

«Sì, l'ho sentita...» il ricordo tornò, luminoso e feroce come fuoco di drago «Ho sentito tuo cugino pronunciarla. A Tauriel.»

L'amato, rovinato volto si tirò indietro (e come aveva fatto Legolas a trovarlo brutto e volgare un tempo? Gentilezza e umorismo e forza irradiavano da esso – come una stella, sì, come la stella di cui aveva il nome). Gimli si accigliò. «Chi – Kíli?»

«Sì»

Il suo volto sbiancò, e Legolas fu sorpreso quando Gimli si allontanò si colpo e si coprì la bocca con le mani. «Ah» disse, quasi troppo piano per essere udito «Mio giovane impulsivo parente, avevi amato come me?»

«Penso di sì» disse Legolas, ugualmente piano, e deglutì «Tauriel... lei. Non ti raccontai tutta la triste storia.»

«Avevo sentito delle storie» disse Gimli, il tono lontano «Bofur in particolare disse delle cose strane... ma non vi feci mai molta attenzione. Così tante cose dopo la Missione erano coperte di dolore, e pensarci troppo sembrava solo invitarne di più.»

Poi scosse la testa. «Dimmi di più domani. C'è già stata troppa tristezza oggi. Théoden è freddo e immobile, e la città piange e celebra al tempo stesso. Dovremmo pulirci: io puzzo come un mattatoio, e tu non sei tanto meglio.»

Legolas ricadde su se stesso. «Sarai a lutto stanotte?»

C'era uno sguardo vecchio negli occhi scuri di Gimli quando si girò nuovamente verso Legolas. «Aye» disse, e fece scivolare una mano sotto la cascata dei capelli di Legolas per accarezzargli la mascella. La pelle della sua mano era dura, e calda. «Théoden, e Denethor, e molti altri. Ho anche avuto notizie dal mio congiunto. Dáin Piediferro è stato ucciso. Il mio Re ora giace nell'abbraccio di Mahal – e questo – no, non posso ancora parlare di questo lutto. Ahimè i Nani! Non rivedremo più uno simile.»

Legolas allungò una mano, esitando, e poi mise un dito nella barba spettinata di Gimli. Il Nano rimase immobile, permettendo il tocco. «La taglierai per lui, vero» non era una domanda.

«Aye, quando sarà il tempo della memoria» Gimli sospirò ancora, e poi guardò gli occhi di Legolas «Ma prima, bagno.»

«Bagno» ripeté Legolas, e si piegò in avanti di nuovo, rubando un rapido bacio dalla bocca di Gimli «Non sbircerò, se non lo desideri.»

Il sorriso che attraversò il volto di Gimli era piccolo e triste. «Ah, ma quando abbiamo trovato il nostro amore? Ci è permesso metterci in mostra quanto vogliamo. In effetti, è anche incoraggiato» disse, e la nota scherzosa era genuina, anche se un po' stanca «Basta segreti, kurdulu. Andiamo ora, abbastanza chiacchiere. Gli Elfi faranno passare le ore col loro parlare, mentre il sangue gli si asciuga sulla pelle! L'acqua del bagno non diventerà più fredda, quantomeno.»

«Tu parli quanto me» rispose Legolas, ma rubò un altro bacio (labbra asciutte, calde e vive, e lui era deliziato dal loro benvenuto privo di esitazioni) e si alzò «I bagni sono da quella parte, penso.»

«Fai strada, ragazzo» anche Gimli si alzò «Penso che potrei sbirciare anch'io un pochino; anche se Mahal sa che ti sei già mostrato tanto, che potrei anche farne a meno!»

«Non posso derubarti dell'opportunità di fissarmi, no?» con questo, Legolas uscì. Lo sbuffò di affettuosa irritazione di Gimli lo seguì.


«L'Alito Nero, lo chiamano» sussurrò una vecchia donna, una dei guaritori. Haban era in piedi dietro di lei, guardando senza capire le boccette e le erbe messe in riga su mensole e in piccole scatole. «Viene da quegli orrendi Nazgûl. Non importa ciò che facciamo, non importa che arti usiamo, uno alla volta scivolano via. Non ho mai visto niente di simile!»

«No, neanch'io» sussurrò un'altra dei guaritori, le mani in un barattolo «Ed è anche peggio su Lord Faramir e Lady Éowyn e quel piccoletto, il Perian. Perderemo anche loro. Maledetta quella malvagia cosa!»

L'anziana si torturò le mani e guardò di nuovo il letto dove giaceva Faramir, il volto luccicante per il sudore e la pelle di un colore orribile. «Ahimè! Se dovesse morire! Se almeno Gondor avesse un Re come quelli che pare regnassero in passato! Perché le antiche saghe dicono: le mani del Re sono mani di guaritore. E in tal modo si poteva sempre riconoscere il vero Re.»

«Oh, non piangere, Ioreth» gemette l'altra, e strinse le spalle dell'anziana «Non piangere! Se tu piangi io piangerò, e c'è del lavoro da fare!»

«Gli Uomini ricorderanno forse a lungo le tue parole, Ioreth» disse una nuova voce, e Haban si girò di scatto per vedere Gandalf che emergeva dalle ombre, il bastone alto e il volto rugoso sorridente «Forse un Re è davvero tornato a Gondor; non hai forse udito le strane notizie dalla Città?»

Lei tirò su col naso e si raddrizzò. «Sono stata troppo occupata con una cosa e l'altra per dar retta a tutte le grida e le esclamazioni» rispose «L'unica cosa che spero è che quei diavoli assassini non vengano in questa Casa a turbare i malati!»

«Io non porto guai, ma speranza» disse Gandalf, e Haban sbuffò forte, prima di coprirsi la bocca. Accanto a lei, Narvi alzò gli occhi al cielo.

«Posso pensare a almeno tre persone che direbbero il contrario» mormorò.

Aragorn entrò nella stanza, seguito da Imrahil e Éomer. Era avvolto nel manto verde di Lothlórien, senza altro ornamento che la pietra verde di Galadriel. Sembrava lurido e mal tenuto in confronto alla pulizia della Casa, ma i suoi occhi erano chiari e determinati. «Sono venuto qui perché Gandalf me l'ha pregato» disse, piano «Mostrami.»

La compagna di Ioreth fece un smorfia di disgusto alla vista dello sporco Ramingo spettinato, ma in quel momento un gran urlo giunse da una piccola figura. Era seduta su uno sgabello accanto a un piccolo letto in un angolino. «Granpasso! Che meraviglia! Sai, avevo indovinato che eri tu sulle navi nere. Ma tutti continuavano a urlare corsari e non volevano darmi retta. Come hai fatto?»

«Pipino!» Aragorn andò fino a lui e si inginocchiò per abbracciare lo Hobbit «Piccolo furfante, un felice incontro davvero!»

«Granpasso?» soffiò Imrahil a Gandalf «Dunque è così che ci rivolgeremo ai nostri Re?»

Gandalf fece spallucce, gli occhi luminosi.

«Avresti dovuto esserci per il nostro primo incontro» disse Éomer con cupo umorismo.

«Aragorn, puoi aiutarlo?» implorò Pipino, e si fece da parte per mostrare la piccola figura sul letto. Merry giaceva lì, confuso e pallido, smunto come una vecchia mela invernale.

«Ci proverò, Pipino» promise Aragorn, e poi si alzò e si girò verso Ioreth «Avete dell'athelas?»

«Non lo so di certo, mio signore» rispose lei, i suoi occhi sbarrati per la comprensione «o comunque non conosco questo nome. Andrò a chiamare l'esperto in erbe: lui conosce tutti i vecchi nomi.»

«La chiamano anche foglia di re» disse Aragorn «e forse la conosci sotto questo nome, perché ormai la gente delle campagne la chiama così.»

«Oh, quella!» disse Ioreth «Se la vostra signoria me l'avesse detto subito avrei potuto rispondere. No, sono certa che non ne abbiamo. Non ho mai sentito dire che possedesse grandi virtù; anzi, quante volte ho detto alle mie sorelle, quando la trovavamo nei boschi: “foglia di Re, strano nome, chissà perché la chiamano così. Fossi io un Re terrei in giardino piante più belle”. Ma quando si strofina fa un buon profumo dolce, vero? Ammesso che dolce sia la parola giusta, salubre forse è più adatto.»

«Salubre in verità» disse Aragorn «Ed ora, donna, se ami Lord Faramir, corri veloce come parli e vammi a prendere della foglia di re, anche se ce ne fosse un'unica foglia nella Città!»

Ioreth deglutì, raccolse le gonne, e corse via.

Pipino rimase a guardare mentre Aragorn andava verso Faramir, il quale respirava a malapena. L'Uomo mise una mano sulla fronte di Faramir, e poi si allontanò, accigliato. «Sta per spegnersi» disse, girandosi verso Gandalf «Ma non a causa della ferita. Vedi: quella sta guarendo. Se fosse stato colpito da un dardo dei Nazgûl, come tu credevi, sarebbe morto la notte stessa. Questa ferita è dovuta a una freccia dei Sudroni, io credo. Chi strappò il dardo? Fu conservato?»

«Lo strappai io» disse Imrahil «e tamponai la ferita. Ma purtroppo non conservai la freccia, perché avevamo molto da fare. Ricordo che era un dardo simile a tutti gli altri adoperati dai Sudroni. Qual è dunque la tua diagnosi?»

«Stanchezza, dolore per lo stato d'animo del padre, una ferita, e soprattutto l'Alito Nero» disse Aragorn «È un Uomo di forte volontà, perché già si era trovato molto vicino all'Ombra prima ancora di partire per la guerra. L'oscurità dev'essere lentamente penetrata in lui, mentre combatteva, lottando per salvare il suo avamposto. Se fossi arrivato prima!»

Pipino guardò da Aragorn a Merry e Faramir, e si morse forte il labbro. Gandalf gli si avvicinò e mise una mano sulla piccola spalla di Pipino, dandogli conforto senza parole.

In quel momento entrò l'esperto di erbe: un vecchio dall'aria seria con pochi capelli rimasti e piccoli occhialetti. Ioreth era dietro di lui, ansiosa. Lui stava consultando un libro, il naso affilato quasi premuto contro le pagine. «La vostra signoria ha chiesto della foglia di re, poiché tale è il nome che gli incolti danno a questa pianta» disse, guardando le pagine «nella lingua nobile viene chiamata athelas, e coloro che comprendono qualche parola di Valinoreano...»

E andò avanti a avanti, parlando della nobile storia dell'erba, di Númenor e pezzi di vecchi versi, e altro ancora. Il volto di Aragorn divenne duro, e i suoi occhi scavarono buchi nell'altro come se stesse cercando di farlo arrivare al punto. Narvi iniziò a sembrare abbastanza irritata. Pipino fece un suono inarticolato di frustrazione.

«Oh per carità di Mahal» ringhiò Haban. Poi si girò verso Gandalf per guardarlo. «Fallo stare zitto, per favore.»

«...nella fantasia delle vecchie comari» disse il pallone gonfiato «Lascio che tu stesso ne interpreti il significato, ammesso che ne abbia uno. Ma ci sono dei vecchi che la adoperano tutt'ora come un infuso contro il mal di testa.»

«Allora, in nome del Re, va a cercare qualche vecchio meno erudito ma più saggio che ne tenga in casa qualche foglia!» urlò Gandalf.

«Peggio di Odovacar Bolgheri ubriaco» borbottò Pipino, e guardò implorante Aragorn «Non c'è nulla che puoi fare?»

«Io non sono Lord Elrond, temo» disse Aragorn con pesantezza, ma si inginocchiò accanto a Faramir e chiamò il suo nome.

Ad Haban sembrava che ci fosse una qualche lotta invisibile in corso. Il volto di Aragorn divenne grigio per la stanchezza; e ancora e ancora chiamò Faramir. Ogni volta la sua voce diventava più debole, e come se si allontanasse da loro, seguendo Faramir nel luogo oscuro dove si era perduto.

Infine il giovane Bergil arrivò di corsa, con un piccolo involto nelle mani. «Ecco della foglia di re, mio signore, ma temo non sia fresca. Dev'essere stata raccolta almeno da due settimane. Spero che possa servire, signore!» poi guardando Faramir scoppiò in lacrime.

Ma Aragorn sorrise. «Servirà» disse.

Bergil, Imrahil, Pipino, Éomer, Haban, Gandalf, Narvi e Ioreth si rilassarono tutti, quasi all'unisono. «Non può prenderli tutti, quel mostro oscuro» Haban sentì Narvi sussurrare, e si avvicinò alla sua amica e premette le loro spalle una contro l'altra «Non può.»

Tutti osservarono senza fiatare Aragorn che prendeva due foglie e alitava su di esse, prima di schiacciarle fra le mani. Una freschezza invase la stanza, come se l'aria stessa si fosse svegliata e avesse brillato per la gioia.

Un respiro sfuggì a tutti.

«Ebbene, chi l'avrebbe mai creduto?» sussurrò Ioreth all'altra guaritrice «Quell'erba è migliore di quanto non pensassi. Mi fa ricordare le rose dell'Imloth Melui, quand'ero ancora una ragazza, e non vi era Re che potesse prendere fiore più bello.»

«Shhh!» sibilò la sua amica, stringendole il braccio.

«Non dirmi di star zitta, Polina» rispose Ioreth, ma rimase in silenzio quando Aragorn poi prese una ciotola di acqua fumante «Oh!» disse, stringendo il braccio dell'amica.

Aragorn mise le foglie nell'acqua e le fece ruotare, una, due volte. Un dolce odore caldo ne uscì, uno che tirava la memoria. Aragorn non si affrettò ma si mosse con movimenti rapidi ed economici, inzuppando uno straccio e tirandolo fuori. Appoggiando lo straccio sulla fronte di Faramir lo chiamò ancora: «Faramir, torna!»

Lentamente, Faramir si svegliò, lottando contro al peso della disperazione e dell'oscurità che lo schiacciava. Infine aprì gli occhi, ed erano limpidi e presenti. Guardò senza capire Aragorn per un lungo momento, e poi la luce della comprensione gli riempì il volto di meraviglia.

«Mio sire, mi hai chiamato» gracchiò «Cosa comanda il mio Re?»

Ioreth singhiozzò. «Oh l'avevo detto!»

«Shhh!» disse Polina, con più vigore.

Aragorn gli sorrise dolcemente. «Non camminare più nelle ombre, svegliati! Sei molto stanco. Riposa adesso, e prendi del cibo, e sii pronto quando tornerò.»

«Lo farò, mio signore» sussurrò Faramir, affondando nei suoi cuscini «Perché chi potrebbe rimanere ozioso, ora che il Re è tornato?»

«Addio, per ora!» disse Aragorn «Devo recarmi da altri che mi attendono.»

Bergil si lanciò ai piedi del letto, ancora piangendo. «Stai bene, starai bene!» singhiozzò, e Pipino accarezzò la testa del ragazzo.

«Re!» esclamò Ioreth, stupefatta «Hai sentito cos'ha detto? Che ti dicevo? Le mani di un guaritore, dicevo.»

«SHHH!» disse forte Polina – guadagnandosi l'attenzione di tutti i presenti. Lei arrossì. «Eh. Forse potrei mostrare al Lord Gemma Elfica gli altri che hanno bisogno urgente di aiuto.»

Ioreth fissò Aragorn a bocca aperta mentre la sua amica lo portava via.

Imrahil e Bergil rimasero con Faramir, e la guaritrice Polina portò Aragorn, Gandalf ed Éomer dove giaceva Éowyn. Lei respirava a malapena, e sembrava morta.

La bocca di Éomer tremava, e si sedette lentamente accanto alla sorella. I suoi occhi non lasciarono mai il volto di lei.

«Qui vi sono una brutta frattura e una forte contusione» disse Aragorn lentamente «Il braccio rotto è stato curato con molta abilità e si aggiusterà col tempo. Il male peggiore viene dal braccio che brandiva la spada. Ho forse il potere di sanare il suo corpo, e di condurla via dall'oscura valle. Ma ciò che seguirà il risveglio, speranza, oblio, disperazione, non posso dire. Ahimè, perché le sue gesta l'hanno portata fra le regine di grande fama.»

«Puoi guarirla» disse Éomer, in voce così pesantemente controllata che era quasi un ringhio.

Aragorn guardò seriamente il nuovo Re di Rohan. «Se lei ne avrà la forza di volontà, sì. Ma la malattia di Éowyn risale a prima di aver affrontato il Re Stregone, non è così, Éomer?»

Gli occhi di Éomer si chiusero, e lui annuì. Le lacrime correvano lungo il suo volto nonostante i suoi sforzi, ma la mano che teneva sui capelli di Éowyn era dolce.

«Sembra un fiore di cristallo, lì sdraiata» disse Haban, e chiuse una mano a pugno e se la premette contro la bocca.

«Il cristallo si rompe» disse Narvi cupa.

Aragorn allora prese altre due foglie di athelas e le fece ruotare nell'acqua, prima di alzare le mani e poggiarle sul viso di lei, chiamandola piano: «Éowyn figlia di Éomund, destati! Il tuo nemico è partito per sempre!»

«Non si muove» disse Narvi, e chinò la testa.

«Aspetta, sta respirando meglio» disse Haban, sperando che fosse vero.

Aragorn la chiamò ancora, e poi bagnò la fronte pallida di Éowyn e il suo braccio destro che giaceva freddo e nero sulle coperte. «Éowyn, Éowyn! Dama Bianca di Rohan, destati! L'ombra è scomparsa, e ogni oscurità è stata cancellata!»

«Nulla!» urlò Narvi, e si mise una mano fra le trecce.

«Non mi sentirà» Aragorn si alzò, il volto come pietra. Poi il suo sguardo cadde sulle spalle tremanti di Éomer. «Sentirà solo coloro che lei ama davvero.»

Le alzò delicatamente il braccio, e mise la sua mano su quella di Éomer. «Chiamala!» disse bruscamente, e fece un passo indietro. Éomer parve sorpreso, e poi si piegò su sua sorella, stringendo la sua mano nelle proprie.

«Éowyn, Éowyn!» pianse «Éowyn, non andartene! Non andare, migliore e più coraggiosa delle sorelle. Non seguire Re Théoden! Mi lascerete tutti da solo? Éowyn, ritorna!»

Una voce debole disse allora, come drogata: «Éomer?»

Il respiro di lui si mozzò, i suoi occhi sbarrati.

Le ciglia di Éowyn stavano tremando. «Éomer? Che gioia è questa? Mi dissero che eri stato ucciso. Ma no, erano solo le tetre voci del mio sogno. Per quanto tempo ho sognato?»

«Non molto, sorella mia» disse Éomer, il suo cuore sul suo volto «Ma non pensarci più!»

«Merry» disse lei allora, biascicando, e lui annuì «Merry – Éomer, lo nominerai Cavaliere del Riddermark, perché è un valoroso... dove...?»

«Giace qui accanto in questa Casa» disse Gandalf «Éomer rimarrà qui con te. Ma non parlare di guerre o di sventure, finché non sarai guarita.»

Lei fece un lungo sospiro pieno di dolore, e si strinse nelle sue coperte. «Finché non avrò di nuovo una spada, non sarò guarita.»

Éomer si portò la sua mano al volto. «Stai benissimo così come sei» disse, e diede un bacio sulla mano di lei.

Le spalle di Aragorn si rilassarono leggermente mentre li guardava. Poi annuì a Pipino. «Va bene, Pipino. Portami da lui.»

Quasi inciampando per la fretta, Pipino li portò verso l'angolo silenzioso dove era quel piccolo letto con la piccola figura su di esso. «Povero vecchio Merry!» singhiozzò Pipino, e corse accanto al letto «Sembra sia peggiorato in questo poco tempo, e il suo volto è grigio!»

Aragorn si inginocchiò in fretta accanto al piccolo letto e prese la mano dalle vene scure di Merry fra le sue. Poi sorrise. «Non temere. Sono arrivato in tempo. La sua ferita è simile a quella di Lady Éowyn, poiché entrambi hanno osato colpire quell'essere nefando. Ma lui è uno Hobbit, è Merry Brandybuck, e il suo nome gli è appropriato. Lui è allegro e forte!»

Poi mise una mano sulla testa di Merry e accarezzò i ricci castani, e lo chiamò per nome. L'odore dell'athelas riempì la stanza, come la luce che apre una via tra le nuvole o il luminoso scintillio di un opale sottoterra. Haban trattenne il respiro. Di certo tre miracoli erano impossibili. Eppure-

Improvvisamente Merry si svegliò, i suoi occhi si spalancarono. E disse: «Ho fame. Che ore sono?»

Gandalf ridacchiò.

«Hobbit!» esplose Haban, completamente distrutta dalla tensione e dalla preoccupazione «HOBBIT!»

«È passata l'ora della cena» disse Pipino «ma direi che posso portarti qualcosa da mangiare, se me lo permettono.»

«Bene!» disse Merry, e sbadigliò «Allora vorrei prima la cena e poi una pipa» a questo il suo volto si incupì «No, non una pipa: non credo che fumerò più.»

«Perché no?» disse Pipino.

«Ebbene» rispose lentamente Merry «Egli è morto. Mi sta tornando tutto alla mente. Io – io non ho mai potuto parlare della scienza delle erbe con lui. Non sarò mai più capace di fumare senza pensare a lui e a quel giorno, Pipino, quando arrivò a Isengard e fu così cortese.»

«Allora fuma, e pensa a lui!» disse Aragorn «Perché era un cuore gentil e e un grande re che manteneva tutte le sue promesse; e uscì dalle ombre e avanzò verso il suo ultimo splendente mattino.»

Merry sospirò, e si strofinò gli occhi. L'orribile traccia strisciante già stava iniziando a sparire dal suo braccio. «In tal caso» disse «se Granpasso fornisce il necessario, fumerò e penserò. Avevo nel mio fagotto un po' del miglior tabacco di Saruman, ma chissà che fine avrà fatto nella battaglia.»

Le sopracciglia di Aragorn si alzarono. «Merry» disse, e la sua bocca tremava, come se stesse a malapena trattenendo le risate «se credi che io abbia attraversato le montagne e il regno di Gondor con fuoco e spada per portare delle erbe a un soldato noncurante che getta la sua roba, ti sbagli.»

«Oh, quell'impertinente» disse Haban. Accanto a lei, Narvi stava ridendo silenziosamente.

«E ora devo riposare» continuò Aragorn, e le sue spalle si rilassarono mentre appoggiava i gomiti sul letto di Merry «Perché non ho dormito da quando lasciai Dunclivo, e non ho mangiato nulla dal tempo delle tenebre che precede l'alba.»

Merry gli afferrò la mano e la baciò. «Sono desolato» disse, contrito «Va subito! Sin da quella notte a Brea non abbiamo fatto che procurarti fastidi. Ma è nel carattere della mia gente adoperare parole leggere in momenti come questi e dire meno di quel che pensiamo. Temiamo di dire troppo.»

Aragorn sorrise. «Lo so, Merry. Per quanti anni abbiamo pattugliato la Contea? Tutti i Dúnedain lo sanno.»

«Vai, su!» Pipino agitò le mani «Dormi!»

Aragorn infine rise, e lasciò che gli Hobbit lo allontanassero dalle Case. Gandalf fece loro l'occhiolino e lo seguì. Infine i due Hobbit furono soli.

Pipino si sedette di nuovo sul suo sgabello accanto al letto, e ghignò a suo cugino. «Mio caro asino, il tuo fagotto è accanto al tuo letto, e lo portavi sulle spalle quando ti incontrai. Lui naturalmente l'aveva subito visto. E in ogni modo ho anch'io della roba mia. Coraggio! È Foglia di Pianilungone. Riempi la pipa mentre vado in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. E poi stiamocene tranquilli per un po'. Povero me! Noi Tuc e Brandybuck non ce la facciamo a vivere a lungo sulle alture!»

«No» disse Merry, e c'era una nota lontana e bizzarra nella sua voce mentre giocherellava con la coperta. Pipino si mise all'opera nel cercare nello zaino di Merry, mentre lui continuava a parlare in modo quasi sognante. «io non ci riesco. O comunque non ancora. Ma perlomeno, Pipino, ora possiamo vederle e onorarle. Suppongo che sia meglio cominciare con l'amare ciò che si è fatti per amare: devi mettere radici da qualche parte, e la terra della Contea è profonda e abbondante. Eppure vi sono cose più profonde e più alte, e senza di esse nessun vecchio contadino potrebbe coltivare il suo giardino in quella che chiama pace, anche se ne ignora l'esistenza. Io sono contento di conoscerle, almeno un poco.»

Gli occhi di Narvi si strinsero mentre guardava lo Hobbit, e poi lei grugnì.

«Cosa?» chiese Haban.

«Frodo non è l'unico Hobbit che sta cambiando, sembra»

Poi Merry scosse la testa e batté le palpebre. Sembrava molto più se stesso quando disse: «Ma non so perché io debba parlare in questo modo. Dov'è quella foglia? E tira fuori la pipa dal mio fagotto, se non si è rotta.»


Il bel volto di Lóni era preoccupato. Frár gli strinse forte la mano, facendo correre il pollice sulle sue nocche. «Stai bene, amore?» mormorò.

Lóni gli lanciò un rapido, asciutto sorriso. «Solo non troppo felice di essere ancora in una foresta.»

«Beh, è abbastanza comprensibile» soprattutto dopo le cose che avevano visto «Almeno questa non è Fangorn. Niente Ent qui.»

«No» Lóni storse il naso «Solo altri maledetti Elfi.»

Il piccolo gruppo di Elfi era serio e pesantemente armato. A differenza della maggior parte degli Elfi che Frár avesse visto, questi non cantavano, né ridevano. Avevano un'aria pericolosa raccogliendosi sotto il silenzio degli alberi, congregandosi attorno a una vecchia quercia contorta. Stavano tutti ansimando, e c'era del sangue sulle loro lame.

Non parlarono, ma si medicarono le ferite in silenzio e con movimenti rapidi che parlavano di molta pratica. Infine il piccolo gruppo fu raggiunto da un ultimo Elfo. Tutti gli occhi andarono a lui quando si fece avanti, pulendo la spada in movimenti rapidi e arrabbiati.

«Chi è quello» disse Lóni, il suo volto abbronzato curioso «Mi sembra quasi familiare...»

«Mi sembra anche piuttosto feroce» mormorò Frár.

Lóni gli strinse la mano. «Siamo morti, mio caro. Non ci può prendere.»

«Non me ne preoccupo troppo» rispose secco Frár «Essere morto ha i suoi momenti piacevoli.»

Lóni gli lanciò uno sguardo malizioso. «Tutti quelli che posso desiderare.»

«Smettila» sfacciato.

«Raggruppiamoci» disse bruscamente il nuovo Elfo a uno che gli era accanto «Non possiamo respingerli. Non con i nostri numeri. Dobbiamo ritirarci e attaccare di nuovo, in massa.»

«Ma... altezza, gli alberi...!» protestò l'Elfo, e l'altro lo silenziò con uno sguardo.

«Non pensi che senta anch'io le loro urla?»

«Non sono abbastanza per prendere Boscoverde» predisse l'altro.

«La penombra dei rami dà loro forza» disse l'Elfo feroce, e alzò la spada davanti agli occhi. Brillò di luce mortale, prima che lui la lasciasse scivolare nel fodero al suo fianco. Era un Elfo basso, per quanto possibile. Frár non ne aveva mai visto uno così basso prima. I suoi capelli erano argentati, quasi bianchi, e aveva uno sguardo serio e severo che sembrava attraversarti l'anima. Indossava un'armatura completa, scintillante come foglie d'acciaio, e la sua voce era bassa e tetra. «Non devono aspettare la notte per attaccare. Dôl Guldur si sta svuotando. La foresta meridionale sarà di nuovo persa all'oscurità.»

Molti sussultarono, e alcuni gridarono per l'orrore.

«Mi serve qualcosa da bere» disse l'altro debolmente «Altezza. Siete sicuro?»

L'Elfo feroce disse alcune parole nella lingua Elfica, e un giovane cervo orgoglioso andò ad annusargli la mano. Lui gli accarezzò il naso. «Torniamo al palazzo» disse, e alzò lo sguardo «Mio padre deve essere avvertito.»

«Dovremmo mandare messaggi a Lothlórien» disse l'altro Elfo, che sembrava essere il secondo in comando. L'Elfo feroce si accigliò.

«Galion. Non hai veduto anche tu la torre che si svuotava? La maggioranza degli Orchi andavano verso ovest, non nord. Il Bosco Dorato non ci aiuterà. Saranno anche loro sotto assedio, fra non molto. Se solo non avessimo spedito tanti arcieri a difendere quella tre volte maledetta pila di roccia Nanica! Ora ci servono più che mai.»

«Oh per carità! Se non fosse per quella pila di roccia Nanica, come la chiami tu» disse una voce querula «ora avresti molti più problemi di quegli Orchi di Dôl Guldur!»

«Chi...» l'Elfo feroce si girò, e la sua spada uscì dal fodero come un pesce che salta. La tenne davanti a sé. «Mostrati, spia fra le ombre!»

«Spia! Mi piace!» esclamò la voce «Ora, che stavo dicendo... Oh, sì, dovevo dire qualcosa a qualcuno. Sì, importante. Importante...»

«Quello... non è lo Stregone bruno?» disse Lóni meravigliato.

«Suppongo sia lui» disse Frár, e si grattò la testa «Un posto di mercato, questa foresta. Non sai mai chi ci incontri.»

«Oh sì!» Radagast il Bruno batté le mani, e sorrise agli Elfi tetri «Devo parlare con Thranduil. Volevo avvertirlo degli Orchi – ma sembra li abbiate già visti voi, perbacco. C'era anche qualcos'altro...»

E poi lo Stregone si bloccò, il suo corpo fermo come un Uomo che diventa pietra. I suoi occhi divennero vacui.

«Vostra altezza, sconfinare è contro le leggi di vostro padre» sussurrò Galion, ma l'Elfo feroce scosse la testa e abbassò la spada.

«Aiwendil» disse «Ritorna al presente. Hai un messaggio?»

Radagast batté le palpebre. Poi disse: «povero me, povero me, povero me – mi sa che l'ho dimenticato. Mi tornerà in mente. Qualcuno ha delle nocciole? Reginald adora le nocciole.»

Una sorta di squittio arrivò dagli sporchi abiti marroni, e poi una testolina rossa fece capolino da una tasca. «Quello è uno scoiattolo?» disse Lóni, guardandolo.

«Oh, per la barba di Durin» disse Frár, alzando gli occhi al cielo «Arriverà mai al punto?»

Per la sua totale meraviglia, Radagast scosse la testa irritato. «E tutte le persone morte possono tenersi per sé le loro opinioni, grazie mille.»

Il respiro di Frár gli si mozzò in gola, e lui finì col tossire.

«Stregoni» sussurrò Lóni, e il suo volto era un po' sbiancato «Impossibili predire le loro mosse. Può sembrarti confuso, ma è sempre della stessa razza di Gandalf.»

Radagast tirò su col naso.

Gli Elfi apparentemente non sapevano cosa pensare di ciò, ma furono abbastanza educati da non commentare. «Io sono il Principe Laindawar» disse il basso Elfo serio con un inchino «Gîl síla erin lû e-govaded vín. Sarei felice di ritornare alle sale di mio padre in tuo compagnia. Forse le tue notizie ti torneranno in mente per quando saremo arrivati.»

«Il fratello di Legolas?» disse Frár, e lo osservò meglio. Sì, c'era una certa somiglianza – anche se questo Elfo sembrava molto più duro e severo di Legolas, che amava cantare e rideva con facilità. Qualcosa nella forma dei loro volti.

«Eh? Oh sì, sì. Forse. Niente nocciole, allora?» Radagast guardò speranzoso i guerrieri, i quali lo guardarono tutti con volti gelidi «Penso sia un no alle nocciole, Reggie.»

«Come sei arrivato in questo luogo?» disse Laindawar, e si guardò alle spalle fra gli alberi fitti «Siamo abbastanza lontani dalla tua dimora.»

Radagast lo guardò male, e per la prima volta, lo Stregone sembrava vagamente pericoloso. «Ragni» disse, e Laindawar soffiò piano in risposta «Sono tornati. Sono scappato prima che potessero prendermi, anche se ho lasciato loro una sorpresina o due. Non frugheranno fra le mie cose, questo te lo prometto.»

«Mi dispiace» disse il Principe, inclinando la testa «Ti offro rifugio.»

«Fantastico, grazie, così gentile» disse Radagast, toccandosi distrattamente le tasche «Oh sì, ecco – c'è solo un po' di pane, mi spiace tanto, Reggie. Oh sì! Ora ricordo!»

Il volto del Principe non si mosse.

Radagast si girò leggermente, guardando sud. I suoi occhi brillavano stranamente. «Ombre in movimento» mormorò, e c'era un potere profondo nella sua voce – così completamente diverso rispetto al querulo confusionario che a volte appariva essere «Un male invisibile, che striscia lontano dalla vista. Si allunga e muove i suoi pezzi. Dôl Guldur, Dôl Guldur... fu distrutta, fu abbandonata. Ma ora sibila e si contorce nuovamente, i ragni la ammantellano in ragnatele d'ombra... un esercito oscuro si avvicina, armato di fiamme e acciaio, per distruggere le ultime fortezze rimaste agli Elfi. Perché odia gli Elfi, sempre... sempre... coi loro occhi luminosi e lunghe memorie e infinite ribellioni... odia gli Elfi... e ora il suo braccio si sta allungando. Si sta davvero allungando. E cerca di... afferrare.»

«Cosa nel nome di Mahal?» disse Lóni, facendo un passo indietro. Frár rabbrividì.

«Non lo so» disse «Zitto!»

Radagast si scosse, come un cane che si asciuga il pelo. «Ho catturato anch'io un Orco» disse, e l'angolo della sua bocca si incurvò «Persona simpatica. Ho scoperto molto da lui.»

«Dimmi» disse Laindawar in fretta.

Radagast strinse il suo bastone e lo guardò da sotto il cappello. «La maggior parte degli Orchi vanno a Lothlórien, la quale mentre parliamo sta respingendo il secondo attacco» disse «Il potere degli Anelli degli Elfi è troppo grande perché gli venga permesso di bloccare la via a Mordor, anche in segreto. Una piccola guarnigione rimarrà qui, e impedirà agli Elfi di Boscoverde di andare in loro aiuto.»

«Rhaich» sussurrò Laindawar «Vedo dal tuo volto che c'è dell'altro. Continuerai?»

«Non ti piacerà» lo avvisò cupo Radagast, e sospirò «Devono essere raggiunti da un altro esercito, più grande. Attraverserà Boscoverde e lo ridurrà in cenere – ramo, albero e foglia.»

Molti Elfi fecero dei respiri improvvisi. «Tiro ven Elbereth» balbettò Galion, gli occhi sbarrati «Ora mi serve davvero qualcosa da bere.»

Radagast sembrò non rendersi conto dell'inquietudine che aveva causato, e si levò il capello. Socchiudendo le labbra cinguettò agli alberi, un fischio identico al canto di un uccello. Un piccolo scricciolo andò a posarsi sui suoi capelli, che erano, come sempre, un nido sporco.

«Che esercito?» chiese Laindawar «Da dove arrivano? Dobbiamo rafforzare i nostri confini!»

«Oh, quella è la parte migliore!» Radagast diede a tutti un sorriso solare «Al momento hanno un... beh, un impegno precedente? Suppongo si possa chiamare così. Sono tutti seduti attorno a quella “pila di roccia Nanica”, come l'hai tanto gentilmente chiamata. Esterling di Rhûn, Orchi di Gundabad, troll e mannari e peggio ancora – sono tutti li bloccati nel Nord, ancora a fissare la porta d'ingresso dei Nani. L'esercito dovrebbe attraversare Boscoverde Settentrionale per incontrare le forze di Dôl Guldur, ma sono fermi lì come se qualcuno ce li avesse incollati. Non possono lasciarsi una fortezza come la Montagna dietro di sé – e gli uccelli mi dicono che Erebor è ancora in piedi, anche se Dale è caduta. Quindi vedi, è solo perché Erebor resiste che Boscoverde resiste.»

Le sopracciglia di Laindawar si strinsero, e lui guardò lo Stregone. Poi disse: «Mi pento delle mi parole.»

«Nessuno ha della nocciole?» piagnucolò Radagast. Poi sospirò. «Pessima fortuna, Reginald.»

«Andiamo alle sale di mio padre» disse allora Laindawar, e si inchinò ancora. Poi saltò, agile come uno scoiattolo, sulla schiena del giovane cervo e prese le redini. «Hannon le. Grazie per le tue notizie, e per il loro tempismo. Puoi unirti a noi, se riesci a starci dietro. Siamo di fretta. Non ci accampiamo» poi annuì al piccolo gruppo di Elfi, e girò il cervo e lo spinse a un rapido galoppo «A nord! Aphado nín!»

«Scusami – se riesci a starci dietro?! Se riesci a starci dietro?!» sbuffò Radagast, e si rimise il capello in testa «A me! Quell'impertinente! Aspetta che capisca dove sono quei conigli con la mia slitta!»

Frár poté solo scuotere la testa di nuovo mentre Radagast si tirava su il mantello e correva dopo gli Elfi. «Stregoni» sospirò.

«Pensavo di averti detto di tenerti per te le tue opinioni!» giunse la risposta irritata fra gli alberi.

Frár deglutì. «Giusto.»


Bilbo sbadigliò, e i suoi occhi si aprirono. «Oh.»

Thorin guardò su, e parve sorpreso. «Ciao, idùzhib – non mi aspettavo di rivederti così presto.»

«Beh, almeno sei vestito – e non stai morendo di sonno stavolta» disse Bilbo, e sbadigliò ancora «Siamo ancora nelle Sale?»

«Aye» Thorin si raddrizzò «Il mio laboratorio. Sei già stato qui prima d'ora.»

«Stai lavorando su qualcosa?» Bilbo cercò di non sembrare troppo curioso, e poi si arrese. La sua curiosità era ciò che l'aveva messo in questa situazione, dopotutto. «Cos'è?»

«Un regalo. Per il giorno del nome di mia madre»

La sorpresa di Bilbo doveva essere visibile, perché Thorin sbuffò forte e tornò al suo lavoro. «Sì, al contrario di ciò che la gente dice, io ho una madre» disse sardonico, e fece ricadere il piccolo martello tondo sul metallo delicatamente curvato che stava lavorando. Alle orecchie di Bilbo il suono del martello sembrava un po' petulante.

«Beh, ovviamente ne hai una, intendo» Bilbo si massaggiò il naso «Hai un fratello e una sorella. Quindi per forza devi avere dei genitori.»

Thorin grugnì, e continuò a lavorare.

Bilbo guardò in silenzio per un po', e poi chiese: «Ti assomiglia?»

Thorin fece spallucce, e poi sorrise. Un sorriso triste, ma era sempre un sorriso. «No. E sì. Non abbiamo un aspetto simile, se è questo che intendi. Lei è piccola, per una Nana. Solo una spanna più alta di te, direi. Ero più alto di lei a vent'anni, dato che ho l'altezza di mio padre. Lei ha i capelli fortunati; cioè, capelli dorati, come Fíli. Io ho i suoi stessi occhi.»

Automaticamente, gli occhi di Bilbo andarono a quelli di Thorin, e poi allontanò lo sguardo. Non sarebbe dovuto essere possibile l'esistenza di occhi tanto blu. «Vedo» disse invece, il più vagamente che poteva.

Thorin appoggiò il martello, e le sue spalle si rilassarono lentamente. «Mi ha insegnato a suonare l'arpa quand'ero piccolo» disse, e poi prese una lima e tornò a lavorare su... qualsiasi cosa fosse «Adora la musica e il canto. Si fa prendere fin troppo da ciò che fa, e spesso lavora tanto da essere esausta: un tratto che rimprovera agli altri ma a cui non pensa quando si tratta di se stessa. Non riesce a sopportare le sciocchezze» Thorin guardò Bilbo «Il suo nome del giorno è Frís.»

«Frís» ripeté Bilbo. Poi si dondolò. «Su cosa sono seduto?»

Thorin chinò la testa. I suoi capelli erano legati in una coda sulla sua nuca, e sembrava decisamente troppo intimo poter vedere così il suo collo. «Mi sembra una pinza. Le mie scuse.»

«Non è colpa tua» Bilbo si spostò un poco, e si guardò attorno. Sembrava fosse apparso sul tavolo di Thorin – stava diventando un'abitudine? - e indossava i suoi vecchi abiti da viaggio stavolta. La vecchia giacca blu che aveva finito col buttare, dato che era diventata più terra che filo alla fine. Chissà cosa sarebbe successo se l'avesse lavata. La cintura l'aveva tenuta, insieme alla piccola spada – ma quelle le aveva poi date a Frodo. Eppure eccole lì, alla sua vita.

Tutto ciò era completamente, assurdamente confondente.

Perlomeno la fibbia era familiare sotto le sue dita, e lui si mise a giocherellarci mentre Thorin continuava a lavorare. Sembrava che il Nano non avesse problemi col suo essere lì. Mi farebbe piacere aveva detto quella voce profonda, e lui rabbrividì.

Thorin lo guardò. «Hai freddo?»

Bilbo si accigliò. «Io... no? Sai, non lo so di preciso.»

Non lo sapeva. Non aveva caldo, né freddo, non... non sentiva niente.

Ma Thorin parve capire, e annuì, prima di tornare al suo lavoro. Bilbo giocherellò ancora un po' con la sua fibbia, e poi saltò giù dal tavolo. «Come. Uhm.»

Thorin si fermò ancora, e mise giù la sua lima. Poi si sedette e si strinse insieme le mani. «Volevi parlare, Mastro Baggins?»

«Come sta Bombur?» esclamò Bilbo.

Thorin sospirò. «Si sta... abituando. È un grosso cambiamento. Ma si sta abituando. Ha qui amici e familiari. Óin e Ori passano il tempo con lui, e la sua famiglia non è mai molto lontana.»

«E Dáin?»

Il volto di Thorin divenne improvvisamente triste. «Non è felice, ma guarirà. E nel mezzo delle sue perdite, c'è anche gioia. Sarà nonno.»

«Oh, congratulazioni!» disse Bilbo, battendo le mani allegramente. Poi si congelò. «Oh... non potrà mai tenere in braccio il bambino, vero...»

Thorin rimase in silenzio.

«Oh» balbettò Bilbo. Poi toccò la sua fibbia. «Come mai non stai... guardando?»

«Ti sto lasciando da solo, come volevi» disse Thorin, e chinò la testa. Così posato, così regale, quando voleva esserlo. Quel grosso ficcanaso fastidioso. «Ho passato molti giorni nelle acque, a osservare. Sono stanco, e ho imparato a non spingermi oltre i miei limiti. Una grande battaglia è stata combattuta e vinta a Minas Tirith, e per ora ho visto abbastanza. Abbastanza sangue, abbastanza dolore, abbastanza morte.»

Questo spiegava l'umore cupo, allora. «Sai nulla di Frodo?»

«Si è travestito, e ora è sulle piane del Gorgoroth» disse Thorin «Sam è con lui. È stanco oltre misura e comprensione, ma vive.»

Preoccupazione e sollievo lottarono nel cuore di Bilbo. «Bene. Ciò... ciò è bene.»

«Aye»

Bilbo dovette sedersi in fretta, e deglutì. «È quella cosa dannata, vero» disse. Non era una domanda. «Quella lo sta stancando tanto. Non il viaggio.»

Thorin si alzò e andò da lui. Esitò per un momento prima di sedersi accanto a Bilbo: con cautela, come se Bilbo potesse esplodere se si muoveva troppo in fretta. «L'Anello, sì. Il viaggio non è stato piacevole, e porta anche delle proprie stanchezze. Ma il suo fardello cresce con ogni passo che fa. Mi dispiace, Mastro Baggins. So che lo ami come un figlio.»

Bilbo strinse le labbra. «Sì, io. Ma. Era leggero un tempo, quando lo portavo io. Era leggero, ma una leggerezza che minacciava di diventare pesante, tutto il tempo. Come un secchio può essere leggero fino a quando non lo riempi di terra.»

«Allora è quasi pieno» disse Thorin pesantemente.

«Non usare le mie metafore contro di me» esclamò Bilbo, e tirò su col naso.

Inaspettatamente, Thorin ridacchiò. «Mi ero dimenticato che lo fai. Non l'avevo visto da tanto tempo.»

«Faccio cosa?»

«Il tuo naso. Si muove quando tiri su» Thorin gli sorrise «Lo trovo assurdo, e assurdamente adorabile.»

«Non è un altro discorso del genere coniglio, vero?» Bilbo si strofinò gli occhi e guardò Thorin col suo sguardo peggiore «Ti avviso, non sono dell'umore.»

«Mai, Mastro Baggins»

«Bene» Bilbo tirò su col naso ancora, solo per vedere il modo in cui gli occhi di Thorin danzavano nel vederlo. Faceva saltellare qualcosa nel suo stomaco, come un pesciolino eccitato. «E bontà mia, chiamami Bilbo, che dici? Parli come se ci conoscessimo a malapena.»

«Non volevo mostrarmi presuntuoso»

«Mi stai facendo complimenti su come tiro su col naso, penso che chiamarmi per nome non mi farà alzare le sopracciglia a questo punto»

«Molto bene, Bilbo»

Oh diavolo, perché l'aveva fatto? Ora avrebbe dovuto ascoltare quella bella voce che pronunciava il suo nome, invece del molto più impersonale “Mastro Baggins”. Avrebbe dovuto guardare quella bocca formare la “l” e quelle labbra sottili arrotondarsi attorno alla “o”. Cavolo, accidenti e maledizione! «Meglio» fu tutto ciò che disse. Il pesciolino nel suo stomaco sembrava essersi moltiplicato.

Le sopracciglia di Thorin si alzarono. «Bilbo» disse ancora – il pesce saltò - «sembra che tu ti stia mordendo la guancia.»

«Davvero?» la voce di Bilbo suonava acuta e irritata anche alle sue orecchie, e si tirò uno dei lobi, infastidito «Lo faccio a volta. Non farci caso. Dimmi che stai facendo?»

Thorin lo guardò per un altro momento, prima di alzarsi e andare al tavolo. Tirò su il... quello che era, e lo tenne alto perché Bilbo lo vedesse. «Una lampada per leggere» disse «Acciaio. Sarà lavorato fino a brillare quando ho finito. Madre legge senza abbastanza luce a volte. E in questi giorni, lei ha infiniti rapporti a cui pensare invece della musica che ama. Preferirei che non si sforzasse troppo gli occhi.»

«È molto gentile da parte tua» disse Bilbo, e la guardò. Riusciva a intravedere la forma, se ci faceva caso.«Sembra un qualche tipo di fiore a gambo lungo, con petali che si aprono.»

Per la sua meraviglia, Thorin deglutì e le sue mani si strinsero un poco attorno alla lampada. «Eh.»

«Lo è, non è vero?» Bilbo si fece più vicino, il suo interesse nella lampada raddoppiato «Oh, è splendido! Non pensavo che ai Nani piacessero i fiori, ma è delizioso.»

«Ad alcuni... piacciono. Uno o due. Uno di sicuro» disse Thorin, piuttosto rigidamente. C'era un rossore sul suo collo che si stava diffondendo rapidamente. «Non è ah, comune. Fra i Nani. Ecco.»

«Sembra un po' un garofano» commentò Bilbo.

«Camelia» corresse Thorin brusco.

«Oh sì, certo» Bilbo annuì con entusiasmo, guardando ancora il bel lavoro. Era meraviglioso! Non sapeva che Thorin potesse fare cose così belle e delicate – era sempre sembrato uno solo da cose affilate – ma questa cosuccia non sarebbe sembrata fuori luogo... a Casa Baggins...

I suoi occhi andarono al volto rosso di Thorin.

«Camelia» disse in una voce che sembrava un po' strozzata.

Thorin annuì, senza espressioni. Anzi, sembrava che arrossisse ancora di più.

«E lo sai cosa-»

«Eccellenza senza pretese» disse Thorin, imbarazzato e esitante «Perfetta amabilità.»

Il pesce nella pancia di Bilbo danzò allegramente.

«Parola mia» balbettò Bilbo «Hai fatto i tuoi compiti, vero.»

Lo sguardo di Thorin andò alla lampada. «Mi...»

«No, no, non ricominciare» disse Bilbo in fretta. Si schiarì la gola.

Thorin rimase in silenzio. Il suo rossore diceva molto, però.

Non c'era motivo di chiedere perché. Perché ti amo, e penso – perdonami – penso che tu provassi affetto per me. Quelle parole erano state dette, e Bilbo non le poteva ignorare, no? Ed ecco la prova, vera prova di devozione; prova che un Re Nanico amava uno Hobbit, ottant'anni dopo essere morto.

Thorin sapeva il linguaggio dei fiori della Contea. Conosceva il linguaggio dei fiori degli Hobbit, e l'aveva premuto nel metallo dei Nani, e bontà del cielo, come poteva succedere una cosa simile?

Ti amerò in eterno e non rivolgerò mai il mio sguardo a un altro.

Bilbo si premette le mani contro il volto, e cercò di far smettere di battere il suo cuore, solo per un momento, per poter respirare.

«Non avevo mai» iniziò Thorin, e poi guardò la cosa nelle sue mani, girandola da una parte e dall'altra, lisciando i petali con le sue grosse, tozze dita.

«Va avanti» mormorò Bilbo.

Thorin sospirò. «Mia sorella un tempo mi prendeva in giro, dicendo che non si era mai sentito di un principe e di un Nano con così poco interesse per le decorazioni. Lei è una gioielliera, vedi. Io non sono mai stato molto attratto da ornamenti e abbellimenti: una spada con un buon equilibrio è un risultato migliore di una sontuosa, ed è più bella ai miei occhi. Ma» si interruppe di nuovo.

Bilbo aspettò per un altro insopportabile momento, e il pesce saltellò in giro, giocando allegramente nel vuoto sotto le sue costole.

«A cosa ti servirebbe mai una spada? Ne hai una. Avevi» si corresse Thorin.

«Tagliacarte» borbottò Bilbo.

Le labbra di Thorin si incurvarono per un momento, e fece un piccolo: «ha. Sì. La tua Pungolo. E così mi chiesi: cosa trovano bello gli Hobbit? O utile? Non le armi da guerra, e nemmeno i duri angoli e i diamanti dell'arte Nanica.»

Nani con il volto serio e gli occhi blu, che arrossiscono come un pomodoro e esitano prima di parlare: quelli li troviamo tremendamente belli disse una vocina nella mente di Bilbo E siamo abbastanza certi di poter trovare un utilizzo a uno.

Bilbo si morse il labbro, e incolpò il pesciolino per quel pensiero. «E?»

«Ho fatto molte cose, negli anni» Thorin girò e rigirò la lampada nelle sue mani «Ho imparato le dolci, lente vie della terra. Ho imparato come gli Hobbit trattano i loro giardini e come li usano per parlare. Ho trasformato quella conoscenza in pentole e padelle, bacinelle e penne. L'ho fatto per decenni ora» scosse la testa, e sorrise «Non mi ero nemmeno reso conto che si fosse infilata nel mio regalo per 'amad. Mi chiedo cosa direbbe ora Dís?»

«L'ho incontrata una volta» disse Bilbo «Ti assomiglia.»

«È vero. Frerin era quello strano. Ha ereditato i capelli fortunati di mia madre» la sua bocca si strinse in linee infelici «Non furono molto fortunati per lui, alla fine.»

«Come è, ecco...»

«In battaglia, come molti di noi» Thorin scrollò le spalle «So che Balin te ne ha parlato; vi avevo sentito parlare.»

«Ne ho letto qualcosa» disse Bilbo «In seguito – molto, molto più tardi. Non avevo capito che tu fossi stato così giovane.»

«Cinquantatré» gli occhi di Thorin divennero lontani «Molto tempo fa, ormai.»

Bilbo si accigliò. Poi si batté le mani sulle ginocchia con uno sciaff! e disse: «bene, ecco allora, ho deciso.»

Thorin parve confuso. «Deciso?»

«Quello che puoi fare» disse Bilbo, alzando un dito «L'hai detto prima. “Voglio farti piacere, Mastro Baggins” eccetera, eccetera. Ho detto che ti avrei fatto sapere. Bene, ho deciso, e ti sto facendo sapere.»

Gli occhi blu lo fissarono, e poi Thorin disse, un po' preoccupato: «sì?»

«Tu sai assolutamente tutto quello che c'è da sapere su di me» Bilbo alzò la mano e le sue dita sfiorarono i petali di metallo della lampada «Assolutamente totalmente tutto – e non pensare che non lo trovi ancora un po' fastidioso, già che ne stiamo parlando. Probabilmente sai i nomi di tutti i miei dannati cugini. E ce ne sono tanti.»

Thorin parve imbarazzato. «Ah, la maggior parte? Anche se i Tuc mi hanno sconfitto, devo dire. La loro produttività mi meraviglia.»

Bilbo sbuffò, e poi lo guardò. «Bene, io voglio che tu ricambi il favore. Parlami di te. Voglio sapere tutto. Le cose sciocche, le cose imbarazzanti, le cose brutte – non tralasciare nulla, nemmeno una sola cosa.»

La bocca di Thorin si aprì leggermente.

Bilbo strinse la mascella. «Sono serio. È assolutamente insopportabile sapere che non ho un solo segreto per te, anche se non so praticamente niente di te. C'è un linguaggio per... oh, le rocce? Come noi lo abbiamo per i fiori? Quanto anni hai più di tuo fratello e di tua sorella? Hai mai avuto un soprannome? Qual'è il tuo piatto preferito? E così via.»

La bocca di Thorin si chiuse.

«Sono onorato di poter fare questo per te, Bilbo» disse infine. Le sue spalle si raddrizzarono e alzò il mento come se stesse affrontando una sfida. «C'è un linguaggio per i gioielli, aye. Ognuno ha un significato, come i vostri fiori. Io ho cinque anni più di Frerin, e quattordici più di Dís. Mia madre spesso mi chiama “nuvolone tempestoso” - gentilmente non ridere di me. Mi piace molto l'agnello e la zuppa di mia nonna – una vecchia ricetta Vastifascia, gelosamente tramandata da generazioni...»

«E cosa sarebbe un Vastifascio?» Bilbo alzò le mani «Oh, è insopportabile!»

«Una delle sette case dei Nani» disse Thorin pazientemente «Io sono erede dei Longobarbi, il clan discendente da Durin, ma mia nonna è una nobile Vastifascia.»

«Va bene» Bilbo si grattò il naso «Uhm. Dimmi una cosa bella ora. Un bel ricordo.»

Gli occhi di Thorin si strinsero pensierosamente per un momento, e poi fece un largo sorriso. «Un tempo Fíli si nascondeva sotto il mio tavolo, a Ered Luin, e si addormentava lì. Era molto piccolo. Dovevo sempre stare attento a dove mettevo i piedi.»

Bilbo annuì in approvazione. «Bene. Ora una sciocca.»

Thorin guardò il soffitto, ovviamente strizzandosi il cervello. Poi fece un risatina. «Dwalin e io una volta facemmo una gara uno contro l'altro in una sorta di... danza in ginocchio, con dei movimenti lenti e controllati e dei calci trascinati per terra. Il perdente comprava la birra. Siamo durati diverse ore, ma nessuno di noi voleva ammettere di aver perso. Il mattino dopo potevo a malapena raddrizzare le ginocchia, tanto avevo contratto i muscoli. Tutti e due passammo giorni interi a gemere quando camminavamo, e Dwalin camminava come un orso di trecento anni. Dubito che fossi messo molto meglio. Dís e Víli risero fino a perdere la voce.»

Bilbo sentì le sue orecchie che si scaldavano. Oh, poteva immaginarselo. Quelle cosce devono essere tremendamente forti sussurrò la vocina impertinente nella sua testa. Spinse via in fretta quei pensieri e disse: «Parlami del tuo posto preferito.»

Il sorriso di Thorin cadde. «Un tempo era Erebor» disse.

«Non fare così» esclamò Bilbo «Parlami del tuo posto preferito a Erebor. È una montagna abbastanza grande, se ricordo bene.»

«La forgia di mio padre» disse Thorin immediatamente, e ovviamente aveva sorpreso anche se stesso con quella risposta. Batté le palpebre diverse volte, e poi fece un sospiro. «Me ne ero quasi dimenticato. A volte lo guardavo lavorare, e c'era un completo silenzio tranne che per il suono dei suoi attrezzi. A volte lui suonava il suo flauto. Era... calmo. Pacifico.»

«Bene, ora» soddisfatto, Bilbo si morse il labbro, e cercò di trovare altre domande. La sua mente era stranamente vuota. «Non ho finito! Sto solo pensando. Non credere che io abbia già finito di ficcare il naso nei tuoi affari.»

Le sopracciglia di Thorin si strinsero. «Ti dà tanto fastidio, vero?»

«Non darebbe fastidio a te?» disse Bilbo, e si voltò.

Ci fu un lungo silenzio, e poi:

«Dohyarzirikhab»

Bilbo scosse la testa irritato. «Cosa? Non so cosa voglia dire, lo sai che non par-»

«Noi abbiamo un... un nome segreto» la voce di Thorin era molto, molto bassa. Quasi senza suono, in effetti. «Ci fu dato dal nostro Creatore. È una promessa del suo amore, un segno di affetto personale e individuale. È scritto dentro di noi alla nostra creazione, forgiato nelle nostre ossa. Siamo nati conoscendo i nostri nomi. Sono... sacri.»

Il cuore di Bilbo si bloccò.

Ancora parlando con quella voce dolorosamente dolce, Thorin mise giù la lampada sul tavolo da lavoro e vi appoggiò entrambi i palmi. «A volte – no, non spesso – li condividiamo. Con parenti stretti, o con amici. O amanti.»

Il volto di Bilbo sembrava caldo. Oh, sembrava anche che quello sciocco pesciolino nel suo stomaco potesse mordere.

Thorin si bagnò le labbra con la lingua. «Li pronunciamo solo sotto la roccia, perché sono sempre in Khuzdul, la lingua che Mahal ci donò, e non va parlata in altre terre. Quindi li chiamiamo nomi oscuri, da pronunciare al buio e in segreto. Sono... il nostro tesoro più prezioso. Possiamo dire a coloro che amiamo il nostro nome profondo, ma non è. Non è comune. Non si fa sempre, ed è un dono, da amare e difendere, sentirne uno» interruppe le sue parole tremanti e fece un enorme respiro. Le sue mani tremavano sul suo tavolo.

«Speciale» gracchiò Bilbo.

«Aye» la voce di Thorin si ruppe «Speciale. Molto.»

«E quello era...»

«Il mio nome» Thorin si voltò per guardare Bilbo. Ogni traccia di rossore era scomparsa, e il suo volto era serio e pallido. «Il mio nome oscuro. È... è il mio cuore, la mia anime. È scritto in ogni mia cellula; il mio sangue scorre con esso, il mio cuore batte al suo ritmo.»

Cielo. E io che pensavo che io fossi il poeta.

Lui alzò una mano tremante e la mise poco sopra la guancia di Bilbo. «Significa “Incudine della Speranza”.»

«Incudine della Speranza» Bilbo alzò la mano e coprì quella di Thorin. Un respiro li separava, eppure anche interi mondi, interi oceani. «Dohyahkhir...»

«Dohyarzirikhab» gli occhi di Thorin brillavano, e Bilbo rabbrividì «Doh-yah-zirik-khab.»

«Doh-yah-zirik-khab» ripeté Bilbo, e si meravigliò nel vedere gli occhi di Thorin chiudersi come se stessero ascoltando musica invece che il borbottio balbettante di uno Hobbit.

«Ora sai tutto quello che c'è da sapere di me, Bilbo Baggins»

Bilbo deglutì e abbassò la mano. «Temo... temo che continuerò a macellarlo ancora per un po' prima di pronunciarlo giusto.»

«Va tutto bene» Thorin sorrise «Mi piacerà sentirti fare pratica.»

«Incudine della Speranza» disse Bilbo, e arricciò il naso «Bisogna pensarci un po' su.»

«Niente affatto» anche Thorin abbassò la mano, guardando l'enorme camino nel muro. Davanti a esso era un'incudine, il fianco annerito e la base crepata. «Le incudini sono strumento di creazione. Io desideravo portare speranza al mio popolo. Non è molto complicato.»

«Quindi è come una profezia?»

«No, niente di così formale. Non c'è un destino nel nostro nome. Solo amore»

Bilbo guardò amaramente l'incudine. «Le incudini sono colpite di continuo, vero?»

Thorin chinò la testa. «Aye, a volte.»

«Oh no. No, no, no, no, non farlo!» Bilbo agitò un dito verso Thorin, e borbottò finché lui non incrociò di nuovo gli occhi di Bilbo «Le incudini non si rompono nemmeno, per quanto ne so io!»

Un sopracciglio scuro si alzò. «Io non sono davvero un'incudine, Bilbo.»

«Questa è la tua metafora, sciocco Nano» sbuffò Bilbo, e incrociò le braccia «Dopo il disastro che hai fatto con la mia, sto iniziando a credere che tu non ti ci dovresti nemmeno avvicinare.»

Thorin si passò una mano fra i capelli, un certo conflitto sul volto. «Non è proprio una metafora, è-»

«E grazie» aggiunse Bilbo, addolcendo il suo tono «Grazie per avermelo detto. Doyka-zirik-hab.»

Thorin esitò, e poi sorrise nuovamente: quel caldo, adorabile, ipnotizzante sorriso. «Prego.»

Bilbo sorrise a sua volta, nonostante tutto. Sembrava giusto e familiare sorridere uno all'altro. Quasi come i vecchi tempi.

Poi Bilbo disse: «Ho sbagliato di nuovo, vero.»

«Sì, è vero. Ma non tanto»

«Accidenti. Dillo di nuovo, per favore? Più piano, stavolta. E se sarai tanto gentile, vorrei molto poter vedere quella penna, e puoi parlarmi ancora di tua madre»

TBC...

Note

Alcuni dialoghi presi dal capitolo “Le Case di Guarigione” ne Il Ritorno del Re.

Il nome di Polina è ispirato a Pauline Letts, che diede la voce a Ioreth nell'adattamento radiofonico del 1981 del Signore degli Anelli (con Ian Holm nella parte di Frodo Baggins).

Sudrone – questo termine si riferisce ai popoli dell'Harad, Khand e Umbar, tutti a sud di Gondor. Esterling è usato invece per i popoli di Rhûn, a est del Rhovanion.

Imloth Melui – una valle nel Lossarnach, Gondor, famosa per le sue rose.

Le camelie rosse vogliono dire “eccellenza senza pretese”. Le camelie bianche vogliono dire “perfetta amabilità”.

Il concetto dei Nomi Oscuri è spiegato in questo paragrafo dell'Appendice F del Signore degli Anelli:

Ma nella Terza Era esistevano tuttavia stretti legami fra gli Uomini e i Nani; e il carattere particolare dei Nani faceva sì che, viaggiando e commerciando per i vari paesi, come fecero dopo la distruzione delle loro antiche dimore, cominciassero a usare i linguaggi degli Uomini fra i quali vivevano. Eppure in segreto (un segreto che, a differenza degli Elfi, non rivelavano a nessuno, nemmeno ai loro amici) essi adoperavano ancora il loro strano idioma, che attraverso gli anni aveva subito ben pochi mutamenti (diventando piuttosto un linguaggio degli eruditi) in luogo della Lingua Corrente; e lo curavano e lo custodivano gelosamente come un prezioso tesoro del passato. Pochi sono coloro che, al di fuori dei Nani, riuscirono ad apprenderlo. Nella nostra vicenda appare solo nei nomi citati da Gimli ai propri compagni e nel grido di battaglia che egli lanciò durante l'assedio al Trombatorrione. Questo in ogni caso non era un segreto, e lo si era udito gridare nel corso di molte battaglie da quando il mondo era ancora giovane. “Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!” = “Asce dei Nani! I Nani vi assaltano!” I nomi di Gimli e di tutti gli appartenenti alla sua razza sono di origine settentrionale, derivati dai linguaggi degli Uomini. I loro veri nomi segreti non furono mai rivelati dai Nani a gente di razza diversa, e nemmeno scritti sulle pietre tombali.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 39
*** Capitolo Trentanove ***


«Non possono venire» disse infine Galadriel, raddrizzandosi e gettando indietro la testa. I suoi occhi vedevano ancora con quella strana e potente altra vista. Celeborn guardò lo Specchio, e come sempre, vide il volto di sua moglie riflesso verso di lui.

«Allora cosa faremo?» disse ad alta voce, e tutta la sua anima la cercava. Lei gli toccò dolcemente la mente in rassicurazione, e poi iniziò ad allontanarsi dalla piccola radura.

«L'ho già fatto una volta. Ora dovrò farlo di nuovo» disse piano «Sembra che ci sia ancora bisogno del fuoco dei Noldor.»

«Meleth» la chiamò Celeborn, sorpreso.

Lei si voltò per guardarlo, i suoi piedi nudi schiacciavano l'erba bagnata di rugiada. «Thranduil è bloccato dall'oscurità di Dôl Guldur, come noi. I Nani sono sotto assedio nella loro fortezza. Gli Uomini hanno respinto i loro assalitori, ma ora l'ira e la vendetta del Nemico cadrà su di loro, e rapidamente.»

Celeborn contemplò le nuove per un momento, sentendone il peso sulle sue spalle. «E quanto a Lórien del bocciolo?» disse infine.

Il Bocciolo già appassisce, amore mio” disse lei nella sua mente, e tornò da lui per accarezzargli la guancia con la mano “Lo sai come lo so io”

Lui non poté dire nulla a questo.

Non si può salvare Lothlórien” disse lei, triste e dolce e finale.

Lui annuì, e poi guardò negli occhi stellati di lei. «Allora lascia che noi mostriamo che questo fiore ha ancora delle spine.»

L'ho già fatto una volta, e sembra lo dovrò fare di nuovo” le palpebre di Galadriel si abbassarono. «Thranduil sarà irato dal tempo che ho aspettato per usare la mia forza.»

«Thranduil non comprende appieno il prezzo che paghi per usarla» disse Celeborn con vigore. Senza che lei lo avesse detto, lui sapeva dov'era la sua mente. «Vuoi andare a Dôl Guldur.»

«Sì»

Celeborn prese le mani di lei nelle sue e respirò del suo odore. Tra i respiri, tra i battiti di cuore, poteva sentire la grande stanchezza di lei, il suo grande sforzo. Il suo potere era l'unica cosa che proteggeva questi boschi dorati. Lei lo portava senza mai lamentarsi.

Come sempre, lei rispose al suo pensiero. «Userò il potere e la grazia che ancora mi rimangono in un'ultima azione decisiva, prima che lo sforzo di difendere i nostri confini mi porti oltre ogni speranza di grandi azioni. Gli Anelli degli Elfi si indeboliscono. Presto io cadrò davanti agli instancabili, invadenti tentacoli di Mordor. Vorrei essere io a mettere a segno il primo colpo, e vorrei che fosse uno dannoso.»

Celeborn alzò la sua mano e la baciò. Non c'era bisogno che parlasse.

Se userò tutta la forza che mi rimane a Dôl Guldur, e fallisco” disse, e lui sapeva perché non aveva parlato ad alta voce “allora Lothlórien e Boscoverde cadranno”

«Non fallirai» non era una rassicurazione, quanto una preghiera «Non fallirai.»

Lei gli sorrise, serena e bellissima e dorata, una lancia di luce resa carne. «Ho superato le mie prove» disse, e lo baciò «Ho visto la tentazione, e l'ho rifiutata. Cos'è questa prova, rispetto a quella? Cos'è la morte rispetto alla corruzione dell'Unico Anello? No, non temere per me, mio argento. Temi per la Terra di Mezzo piuttosto. Loro ne hanno più bisogno di me.»

«Anche io ho bisogno di te, e sempre ne avrò e sempre ne ho avuto» disse Celeborn, e appoggiò la testa contro alla tempia di lei per un momento. Lei era calda e viva nelle sue braccia.

«Non puoi perdermi» sussurrò lei al suo orecchio «Non possiamo essere separati per sempre, e tu sempre mi troverai ad aspettare alla fine di ogni mare. Ma io devo farlo.»

«Sì» Celeborn chiuse gli occhi, e percepì i lunghi secoli dietro di sé; tutti quegli anni, tutte quelle guerre, tutte che preparavano una strada a questo luogo e tempo «E non lo dovrai fare da sola.»


Era molto freddo nelle tombe. Bombur si guardò attorno, e rabbrividì. La sua testa girava ancora per le stelle del Gimlîn-zâram.

«Perché qui?» si chiese.

«Forse non è stata poi una grande idea» disse Bifur preoccupato, e accarezzò distrattamente la schiena di Bombur mentre parlava «Forse è troppo presto. Dovremmo...»

«Sto bene, barufûn» disse Bombur con la sua voce bassa, e raddrizzò le palle e alzò il suo volto tondo e allegro «Sto bene.»

«Vorrebbe che le sue trecce fossero fatte bene – in modo appropriato, intendo» disse la Nana davanti a loro, accorgendosi del suo errore e correggendolo quasi distrattamente «Posso farlo. E poi, non è che io possa farlo per mio» si interruppe, e poi guardò le sue dita.

«Non devi spiegarmelo, bambina» disse la Regina – no, la Regina Madre – con stanchezza.

«Sembra invecchiata di un secolo» sussurrò Bifur, ma Bombur non aveva occhi che per sua figlia maggiore.

«La nostra rondinella speciale, la nostra bambina sorpresa» disse, fissandola. I suoi capelli castani erano legati in una semplice treccia da lavoro, la barba era disadorna e il suo abito vecchio e semplice. Le sue maniche erano arrotolate fino al gomito. L'uniforme di un lavoro brutto e sporco.

La Nana sospirò e si strofinò gli occhi per un momento, e poi tornò alla sua occupazioni di intrecciare spessi capelli bianchi in due lunghe trecce. Le braccia di lui facevano male tanto sentiva il bisogno di abbracciare di nuovo la sua bambina. Lei tirò su col naso, e se lo strofinò. Era rosso.

Bombur strinse il braccio di Bifur, e i suoi occhi pizzicavano e bruciavano. «Ah, Barís. Non piangere, cucciola.»

Barís si passò di nuovo il braccio sugli occhi, e poi si interruppe con un'imprecazione per cercare un fazzoletto. Il borbottio che ne risultò fu tremendamente rumoroso nella cripta fredda e silenziosa.

«Mi spiace» mormorò, e si rimise in tasca il fazzoletto mentre le sue guance diventavano rosa.

La Regina era seduta accanto a lei, la sua mano teneva strettamente una fredda e senza vita. Bombur guardò sulla panca davanti a loro ancora una volta – e poi allontanò in fretta gli occhi dal disastro che erano i resti del Re. «Non c'è bisogno di scuse» disse.

«Solo» Barís agitò una mano verso il corpo. Il braccio caldo di Bifur sotto le sue dita era l'unica cosa che impediva a Bombur di correre da lei e cercare di abbracciarla.

«No, niente scuse» ripeté Thira, e infine guardò verso Barís «Io non potei seppellire i miei genitori. Erano Nani Bruciati: non potei mai prepararli per tornare alla pietra. Nemmeno io ho mai fatto una cosa simile prima» deglutì «Non mi aspettavo di doverlo fare per lui. Non per lui.»

Gli occhi di Barís si abbassarono. «Era sempre sembrato così. Beh. Invincibile.»

Thira sorrise. Non vi era calore. «Aye, sì. Era bravo a far finta.»

«Almeno tu puoi riportarlo alla pietra» disse Barís infine «Almeno tu hai questo.»

Thira mise una mano sul braccio di Barís. «Li riporteremo qui. Lo riporteremo. Barís, mio figlio se ne occuperà. Te lo giuro! Avrai il corpo di tuo padre, per piangerlo e per seppellirlo.»

La labbra di Barís si strinsero. «Vorrei-» esclamò, e poi si controllò. Poi si strofinò di nuovo la faccia. «Che utilità ha desiderare, però? Il mio Babbo è morto, e desiderare non lo riporterà indietro.»

«Bombur – khulel, abbad. Sono qui» disse Bifur, piano «Sono qui.»

Bombur quasi si tagliò l'interno della guancia mordendolo.

«Se i desideri fossero maiali, cavalcheremmo tutti» disse Thira, e rise senza allegria «Lo diceva spesso.»

«Mi chiamava cucciola» disse Barís. La sua bellissima voce era ruvida e rotta. «E io ho avuto quella idea maledetta da Mahal. E l'ha ammazzato. Il mio babbo.»

«Oh no, no non puoi farti questo, cara ragazza» disse Bombur con improvviso calore «Non era colpa tua. Non era colpa tua che non abbia funzionato, e non era colpa tua che io abbia deciso di andare là fuori con la mia gamba ferita e tutto!»

Lo sguardo di Thira era duro e affilato. «Hai cercato di salvarci tutti. Non vedo coltelli nelle tue mani, Maestra Cantante.»

Barís chinò la testa. «Vorrei» disse ancora.

«Mio marito fece la stessa cosa: cercò di salvarci tutti. Così fece anche tuo padre» Thira scrollò le spalle: un movimento così rilassato, anche se la sua espressione non lo era affatto «Così hanno fatto molti altri, molti che provarono e morirono. Ti darai colpa anche delle loro morti?»

La bocca di Barís si contorse mentre lei lottava con i suoi singhiozzi. «Mio zio...»

«Aye» Thira guardò di nuovo la pallida, prosciugata, scavata forma di suo marito. Senza l'enorme forza della sua personalità, era facile vedere quanto vecchio fosse – quanto stanco e spossato. «Ha fatto una scelta. Scelse di salvare i Bizarûnh. Non annoverare la sua scelta fra i tuoi fallimenti. Negherai loro le loro decisioni nel tuo desiderio di condannare te stessa?»

Barís fece un orribile suono spezzato, nella gola.

Thira continuò a guardare con malinconia infinita ciò che era stato Dáin Piediferro, Re Sotto la Montagna. La sua barba bianca era pulita e intrecciata ordinatamente, coprendo le terribili ferite sul suo petto e sulle sue braccia. La sua pelle era pulita dal sangue e dal fango, pallida e secca alla vista, le palpebre chiuse, dei vuoti iniziavano a scavarsi sulle sue guance e ai lati del suo naso Durin.

«A volte le cose non funzionano» disse lei piano, in voce lontana, quasi sognante «A volte le idee migliori, le intenzioni migliori, sbagliano. E ciò non è colpa di nessuno – o dovrebbe essere colpa di tutti. In un altro mondo, avrebbe potuto funzionare. Chi può dirlo? Senza il tunnel, il Popolo di Dale sarebbe arrivato al santuario della Montagna? Dale sarebbe un cimitero fumante ora, se non fosse stato per Bofur e Bombur e per il mio vecchio sciocco cinghiale? Il piccolo allegro Gimizh sarebbe morto, o forse il Principe Ereditario di Dale sarebbe morto, tutti intrappolati sottoterra e massacrati, se non per il mio Thorin e per tuo padre? Se non per il diversivo di Dáin? Se Brand non avesse deciso di andargli incontro?»

«E in ogni caso – cosa importa? Le cose sono come sono. Loro sono tornati alla pietra, e noi siamo qui. E la vita va avanti. Ricordiamo. Hai cantato quella canzone, sbaglio? Te la porterai con te per sempre ora. Quel momento... è una parte di te. Questo momento è una parte di me» gettò indietro la testa e i suoi occhi si fermarono sul tetto con le sue decorazioni solenni e ornate «Siamo tutti dei momenti e delle scelte, alla fine.»

«E ora so perché il vecchio furbo e perspicace Dáin Piediferro scelse di sposare un'artigiana dell'acciaio sconosciuta e timida» sussurrò Bombur. Bifur grugnì in conferma, il volto serio e duro.

Barís chiuse gli occhi, e infine annuì. La sua bocca era ancora premuta in una brutta linea, tremava ogni tanto mentre lei controllava le sue emozioni a malapena. «Lo so, Maestà» disse in un sussurro «Ma vorrei ancora non averci mai pensato.»

«Posso capirti. Spesso desidero – desideravo – che il mio stupido marito non avesse la passione di salvare tutti all'ultimo momento» disse Thira, e sorrise un poco. A differenza di prima, era un sorriso sincero. «Andiamo, Barís. Saremo una famiglia, non devi essere così formale. Mio figlio e tua sorella, eh?»

«Piccola idiota» Barís tirò su col naso, e legò una lunga treccia bianca, appoggiandola rispettosamente sul petto fermo e senza vita del Re «Non riesco a crederci.»

«Io penso sia meraviglioso» la mano di Thira cercò di nuovo quella fredda e dura, e trovandola la strinse «Così meraviglioso. Lui ne sarebbe stato estasiato.»

«Anche Babbo» Barís si strofinò gli occhi un'ultima volta, e poi sospirò, a lungo e con stanchezza «Viziava tutti i miei nipoti in modo oltraggioso, e loro si arrampicavano sulla sua sedia e gli tiravano il naso e la barba e gli chiedevano dolci e storia.»

«Non mi chiamava Babbo da più di trent'anni» disse Bombur con voce debole «Ero Papà o 'adad, mi chiamava... dopo la Missione, dopo i soldi...»

«Non ce n'era bisogno però, vero?» disse Bifur «Tu sei sempre rimasto Babbo.»

«Ma cambiò tutto, cambiammo tutti così tanto» Bombur si tirò la sua lunga treccia «Noi... le fu insegnato a parlare in modo più appropriato, e smise di chiamarmi Babbo.»

«A me sembra che non abbia mai smesso di farlo dove conta» Bifur si voltò verso suo cugino, e massaggiò dolcemente la schiena di Bombur «Va tutto bene, ragazzo. Ti ci abituerai.»

«Il Consiglio vorrebbe un matrimonio a tutti i costi» sbuffò Thira, e poi scosse la testa e sorrise al volto immobile di Dáin «Come avresti riso di loro, caro. Insistere sul protocollo appropriato di Erebor nel bel mezzo di una guerra.»

«Bomfrís è ancora un po' nel panico. Beh, quando dico “un po'”...» Barís rise, e poi sospirò di nuovo. Le sue spalle si rilassarono dalla loro postura rigida e difensiva. «In cos'altro posso essere d'aiuto? Lui è pulito, e i suoi capelli sono come dovrebbero essere...»

Gli occhi di Thira brillarono. «Sempre così servizievole, vero?»

Barís batté le palpebre.

«Non credere che non mi sia accorta di come sei sempre attorno alla mia fucina, Maestra Cantante. Per tutte le tue meravigliose scene da spettacolo, sei piuttosto umile, no? Sempre servizievole, sempre che aiuti gli altri» Thira chinò la testa «Ora, cosa c'è di così interessante nei miei laboratori in particolare, mi chiedo? Non una vecchia secca che lavora l'acciaio, per Durin.»

Un rossore salì sul dolce volto tondo di Barís, e lei tossì a disagio. «Io... voglio rendermi utile.»

«A una delle mie artigiane in particolare, eh» Thira sbuffò una risata «Neanche quello è passato inosservato, giovane Alrísul. Per quanto artista di talento, non sei esattamente una grande attrice.»

«Dobbiamo parlarne ora? Qui?» disse Barís implorante. Poi si strofinò di nuovo gli occhi «Oh, non serve a nulla in ogni caso.»

«Ora è il momento migliore per parlarne» disse Thira «Questa è una fine. Vai a fare un inizio, bambina.»

«Facile per te da dire» Barís guardò giù il pacifico colto di Dáin.

«No. Non è facile per me da dire» disse Thira, e la sua voce era improvvisamente fredda e tagliente, come acciaio contro acciaio «Questo non è il mio inizio; per me, questa è una fine. Il mio amore giace davanti a noi, senza vita né respiro. Non è facile per me da dire.»

«Perdonami» disse Barís in fretta «Voglio dire, è solo. Non so da dove iniziare. A volte credo che Bani non conosca nemmeno il mio nome...»

Gli occhi di Thira si addolcirono. Poi la sua mano si alzò nuovamente, e lei strinse la spalla di Bomfrís in rassicurazione. Le sue dita dure e sottili erano secche e callose. «Ricorda, scelte e momenti, Barís» disse gentilmente «Bani è una ragazza molto concentrata, e tende a perdersi nel suo lavoro. Si irrita facilmente se viene interrotta in qualsiasi modo, e spesso di dimentica di mangiare nel suo zelo.»

Barís ci pensò un attimo, e poi guardò la Regina Madre in modo piuttosto disperato. «Cosa dovrei fare con queste informazioni?»

Thira strinse ancora la spalla di Barís. «Ti verrà in mente, bambina. Il momento arriverà, e con esso, la tua scelta.»

«Quindi è lei quella di cui è infatuata Barís?» chiese Bombur «Alrís si rifiutava di dirmelo.»

Bifur annuì. «Bani figlia di Bana, falegname. Molto intelligente, molto maldestra, molto impaziente. E molto distratta» aggiunse amaramente.

Barís fece una smorfia di indecisione. «Ma... se va di nuovo tutto male?» mormorò.

«Allora sarà così che andranno le cose, no?» Thira lisciò il ciuffo di capelli bianchi di Dáin, sparati in aria sulla sua fronte. Le sue dita ruvide rimasero lì un istante. «Ma ricordati questo, Linguacristallina. A volte, se sei molto coraggiosa, molto onesta, molto fortunata... a volte, per una volta, va tutto bene.»

Poi la Regine Madre alzò lo sguardo e sorrise alla cantante. C'era tristezza in quel sorriso, ovviamente – ma Bombur poteva intravedere l'ombra di un giovane fabbro con determinati occhi toccati dal fuoco e la pelle liscia in esso: il fantasma della Nana che aveva rubato il cuore di Dáin Piediferro. «E se sei molto, molto fortunata?» disse piano «allora continua ad andare tutto bene, e continua. Ed è semplicemente – semplicemente , sempre giusto, per tutta la tua vita. Fino a un giorno, magari centotrenta anni dopo, quando infine la tua fortuna si esaurisce. E finisce.»


Haban cercò di non appisolarsi per la stanchezza. Le Case di Guarigione erano troppo pacifiche, e lei troppo esausta. Non ricordava di essere mai stata così stanca in tutta la sua vita o la sua morte – nemmeno quando i suoi ragazzi erano piccoli. I suoi occhi bruciavano. Era una sensazione nuova.

«Stai bene?» sussurrò Narvi accanto a lei. Haban alzò la testa di scatto, battendo le palpebre rapidamente.

«Sono sveglia, sono sveglia» borbottò.

Narvi la guardò seriamente, le sopracciglia corrugate. Qualcosa – forse quel pozzo senza fondo di rabbia e dolore – la faceva andare avanti, pensò Haban. Narvi non sembrava nemmeno lontanamente stanca quando dovrebbe. «Dovresti dormire» fu tutto ciò che disse.

Haban sbadigliò, e poi agitò una mano. «Aye, tra un po'. Voglio assicurarmi che stia bene.»

Narvi alzò gli occhi al cielo. «Dubito che qualcosa succederà qui. A meno che quel vecchio erborista ronzante non lo annoi a morte con le sue chiacchiere.»

Haban grugnì, e poi si girò di nuovo verso Faramir, sdraiato sotto le coperte, la testa girata leggermente. «Non è quel genere di ferita» disse. Lo sguardo di Narvi fu sorpreso, e poi annuì con aria pensierosa.

«Aye. Davvero non è quel genere di ferita» come sempre, la mente acuta della sua amica vide esattamente dov'erano rivolti i pensieri di Haban.

«Ebbene, io non so cosa stia succedendo» disse la loro compagna inaspettata. Frís stava guardando accigliata il giovane Uomo, muovendo i piedi esasperata. Era venuta per dare il cambio ad Haban, ma la Nana Barbafiamma sarebbe testardamente rimasta fino a quando non fosse stata sicura che Faramir stava bene.

L'aveva impressionata, quel giorno nei boschi dell'Ithilien. E Haban non era facilmente impressionata. Lo guardò in modo quasi materno, prima di soffocare un altro sbadiglio sotto la mano.

«Haban, spiega» disse Narvi con quei suoi modi bruschi. C'erano stati vari fraintendimenti fra loro prima che Haban capisse che la brevità di Narvi non era effettivamente maleducazione: solo lei era sempre tre passi avanti a tutti gli altri, e diventava impaziente.

Frís alzò un sopracciglio al tono di Narvi, ma Haban scrollò le spalle con un sorriso. «È solo il suo modo di fare» disse, e si strofinò un occhio «Va bene, allora: Faramir sta guarendo bene, ma non sa ancora di suo padre... di come è morto.»

Frís, benedetta lei, capì al volto. Grazie a Mahal per delle compagne intelligenti. «Oh» disse, e osservò l'Uomo «E stai aspettando di vedere come prenderà la notizia?»

«Aye» Haban guardò i due piccoli Hobbit seduti con le pipe in mano, che chiacchieravano allegramente accanto all'Uomo «E con quei due, non passerà molto tempo prima che venga fuori.»

«Sono più saggi di come erano» aggiunse Narvi improvvisamente «Faranno un lavoro migliore di altri, con notizie del genere.»

«Se qualcuno può addolcirgliela, suppongo siano loro» sospirò Haban. I suoi occhi le facevano davvero male. Anche il suo collo. Perché la altre razze erano così dannatamente alte! Le faceva venire dei dolori alla schiena che nessun genere di esercizio riuscivano a calmare.

Frís strinse le labbra per un momento. Poi fece un cenno verso una figura che giaceva immobile poco lontano, completamente ferma sotto le coperte. «Sta ascoltando» disse.

«Aye, da un po' ormai» Narvi incrociò le braccia «È molto brava a passare inosservata, ma non abbastanza brava.»

«Immagino abbia avuto ampie opportunità di far pratica nella Edoras di Gríma Vermilinguo» disse Frís cupa. Poi si voltò verso Haban. «Perché ti importa tanto?»

«Ad Haban piace Faramir» disse Narvi, e ghignò allo sguardo furioso e tradito di Haban «Pensa sia uno bravo. Lo fissa come un tagliapietre davanti a una gemma senza prezzo da quando ha scoperto chi fosse.»

«Avrebbe potuto fermare Frodo e Sam, e li ha lasciati andare» disse Haban, alzando il mento «Il ragazzo non aveva nessuna cura della sua vita. Suo fratello era l'unico a cui sembrava importasse di lui, e ora non ha più una sola anima al mondo. E poi, non incontro spesso qualcuno abbastanza furbo da ingannare me nelle trattative.»

«Vedi?» Narvi rise, prima di stringere il braccio di Haban «Aspetta, cos'ha detto quel piccoletto ora?»

«Qualcosa sui peli dei piedi rovinati?» chiese Frís, e tutte e tre si avvicinarono per ascoltare.

«È incredibilmente vergognoso, ovvio» disse Pipino, ghignando «Non riuscirò a guardare nessuno negli occhi nella Contea. Dovrò rimanere ai confini fin quando i miei piedi non saranno di nuovo rispettabili.»

«Penso che ci daranno noie più grosse che per la nostra mancanza di peli dei piedi perfettamente pettinati, Pip» ridacchiò Merry «Non mi hai detto come gli hai persi, però. Non mi avevi detto che eri in battaglia!»

«Oh no, non temere!» Pipino si raddrizzò e indicò il cugino con la pipa «Ve le lascio tutte a voi Cavalieri incoscienti e ai vostri cavalli e ai vostri tremendi, sciocchi spettacoli eroici. No grazie! No, era» e poi si fermò, il suo volto sbiancò al ricordo. I suoi occhi andarono a Faramir prima di scivolare via.

«Eeeeee eccoci» sospirò Narvi.

«Povero» Frís si massaggiò il naso e fece un respiro.

Faramir sembrò rendersi conto che la storia di Pipino girava attorno a lui in qualche modo, e guardò i due Hobbit con sospetto. «Cos'era?»

«Pipino!» soffiò Merry, e Pipino gemette.

«Mi dispiace, mi dispiace così tanto, non volevo...»

Faramir si sedette meglio sul letto. «Mastro Pipino, non mi dirai ciò che intendi? Ha a che fare con me, non è vero? Stai parlando di me in qualche modo, è ovvio.»

«Lui è sempre molto ovvio» confermò Merry, guardando storto suo cugino.

Pipino gemette. «Mi sono messo di nuovo il piede in bocca, vero?»

Faramir lo fissò per un momento con sguardo serio, e poi le sue labbra si aprirono leggermente in comprensione e si voltò. «Ah.»

«Faramir?» disse Pipino «Stai. Stai bene?»

«Non era un sogno delirante dunque» mormorò Faramir, e si sdraiò di nuovo e si tirò le coperte fino alle spalle «Era reale.»

Merry e Pipino si guardarono preoccupate. «Cosa?» disse Merry.

«Fiamme» disse Faramir, la voce spenta «Fiamme, e il volto di mio padre deformato da dolore e disperazione. È successo davvero dunque?»

Pipino si strinse il ginocchio con una mano, le nocche bianche. Poi si fece forza e disse chiaramente e con dolcezza: «sì invero. Ero lì, ti ho fatto rotolare via dal fuoco. Ma, tuo padre... lui...»

Gli occhi di Faramir si chiusero con terribile finalità. «Vedo. Allora devo ringraziarti per avermi salvato la vita.»

«E Gandalf» disse Pipino, e il suo viso era l'immagine dell'infelicità «Faramir, io-»

Merry si piegò in avanti e prese la mano di Faramir, stringendola. «Starai bene» disse, in voce chiara e ferma «Davvero. Li renderai orgogliosi.»

«No» disse Pipino, e il suo volto era sincero e preoccupato «Tu li rendi già orgogliosi.»

Faramir fece una smorfia.

Haban fece un respiro, e lo rilasciò bruscamente. «Dannazione, non dovrebbe importarmi tanto» ringhiò «La morte di Denethor non è stata una gran perdita per il mondo. Dev'essere la mia stanchezza, che mi fa sentimentale.»

«Era il padre del ragazzo, non importa quanto pessimo fosse» disse Frís gentilmente.

«Ed era stato avvelenato dalla disperazione di Sauron» sputò Narvi «Se non fosse stato per il Palantír e per le menzogne di Mordor, Denethor avrebbe potuto essere il Sovrintendente che serviva nell'ora del bisogno? Gandalf una volta disse che un tempo era stato un Uomo saggio e intelligente...»

«Un'altra vita persa all'ombra dunque» disse Frís infine, e le tre Nane si girarono verso Faramir, silenzioso e immobile, sotto le sue coperte.

«È solo al mondo» disse Haban nel silenzio «Sua madre, suo fratello, suo padre – tutta la sua famiglia, ormai.»

«Il popolo lo ama» disse Frís «Gli vogliono bene.»

«Aye, c'è quello» Haban sospirò, e poi un movimento in un angolo catturò la sua attenzione. Gli occhi di Éowyn erano ora spalancati, e lei stava guardando accigliata il soffitto.

«Sta ancora ascoltando» mormorò Narvi.

«Mi dispiace tanto, Faramir» disse Pipino misero. «Ci ho provato davvero.»

Faramir non disse nulla, ma annuì.

Poi i due piccoli Hobbit si stavano arrampicando sul letto e stringendo Faramir, come avrebbero fatto per Boromir. «Mi dispiace tanto» ripeté Pipino, e Faramir fece un piccolo suono strozzato nella gola.

«Va avanti e piangi. Ti sentirai meglio dopo» disse Pipino, accarezzando la testa di Faramir con mani dolci e goffe. Dopo un altro singhiozzo soffocato, Faramir lo fece.


Víli si massaggiò la fronte, davanti al loro tavolo abituale nella grande sala da pranzo nelle Sale di Mahal. «Lo sapete che la politica non è mai stata il mio punto forte» disse a disagio «So come funziona in generale, ma ci sono correnti e interessi e trucchi lì che non capisco a basta. Penso che mi servirebbe un po' d'aiuto per questo.»

Thrór si alzò dal tavolo di scatto, la fronte corrugata e gli occhi determinati. Hrera trattenne un piccolo sospiro accanto a lui, e si alzò a sua volta. «Tanto vale» disse con voce brusca, e poi toccò suo marito sulla spalla «E tu: cerca di non farti innervosire.»

«Più facile a dirsi che a farsi» disse Thrór, e scosse la criniera cespugliosa con uno sbuffo «Va bene, figliolo, facci strada.»

«Verrò anch'io» disse una voce inaspettata, e Dwerís si alzò da una panca vicina. La madre di Dwalin e Balin era una Nana alta e brizzolata, con spalle enormi e una bella barba castana con una linea tinta di verde al centro e due uguali sulle tempie. La sua pelle era coperta dai segni delle battaglie e della spada. «Non vado a controllare mio figlio minore da un po' di tempo.»

«Lady Dwerís» disse Víli, sorpreso «Non credevo avresti voluto...»

Lei lo guardò seriamente. «Mio marito ha passato il tempo a litigare con suo fratello, aye, ma io non sono stata con le mani in mano. Ed non è Lady, grazie mille.»

«Le mie scuse, Guerrierum Dwerís» disse Víli in fretta, e si diede un calcio mentalmente. Maleducato!

«Nessuna offesa, ma tienilo a mente» lei guardò Thrór e Hrera, prima di concentrarsi di nuovo su Víli «Qual'è il problema principale della discussione?»

«Cibo» Víli sospirò, e si strofinò di nuovo la fronte. Oh, la politica gli dava l'emicrania. «Non basta per tutti i rifugiati della Montagna. Stanno litigando per quello, e c'è un piccolo gruppo di Gente di Dale che è tremendamente ciarliero. Bard sembra non riuscire a far leva su di loro.»

«Ebbene, è Re solo da qualche giorno» disse Hrera pratica «Avrà per forza qualche guaio.»

«Stiamo sprecando tempo» disse Thrór, e spostò il peso da un piede all'altro.

«Calmati, caro» disse Hrera, senza guardarlo, anche se la sua mano si posò delicatamente sul suo polso in un gesto di conforto «Andiamo a vedere perché tutta questa confusione.»

Le panche attorno al Gimlîn-zâram erano affollate. Sembrava che tutti stessero dando il massimo, guardando ogni volta che potevano, mentre gli eventi nella Terra di Mezzo iniziavano ad accelerare e cadere verso la loro conclusione. C'era a malapena spazio attorno alle acque, e tutti e quattro i Nani dovettero affollarsi su una panca.

«Leva il gomito dal mio fianco»

«E dove dovrei metterlo? Sulla tua faccia?»

«Impertinente»

«Bambini» disse Hrera con stanchezza «Non voglio dovervi mettere in punizione.»

Víli fissò l'acqua, e sperò che si sbrigasse, in fretta. Dís stava ancora aspettando, dopotutto.

La prima cosa che udirono, arrivando ad Arda con la luce stellare ancora negli occhi, fu il suono della voce di Dwalin, che borbottava. Dwerís fece un mezzo sorriso e fece un passo verso di lui.

«Così simile a suo padre» la udirono mormorare – anche se Víli ne fu perplesso. Dopotutto, Dwalin era praticamente identico alla sua alta e fiera madre, mentre Balin era più simile al suo serio, pacato padre.

«...non riesco a credere a quei due» stava ringhiando Dwalin «Sei sicura che non posso affondargli l'ascia in testa? Ci risparmierebbe due fastidiose bocche da sfamare, dopotutto.»

Orla scosse la testa leggermente. «Niente spargimenti di sangue nella sala del trono.»

«Peccato» Dwalin guardò dritto davanti a sé, le sue sopracciglia aggrottate in un'espressione rabbiosa.

«Tranquillo, tranquillo» Orla sembrava divertita.

«Ero terzo in linea di successione una volta» mormorò Dwalin «Mahal sa che Balin avrebbe rifiutato all'istante. Ho schivato una bella freccia.»

«Sei secondo in linea di successione ora, no?» chiese Jeri innocentemente «Intendo, finché non arriva il piccoletto, sei tu ora l'erede.»

«Non temere! Ascoltare queste idiozie patetiche e lamentose tutto il giorno?» lo sguardo di Dwalin divenne persino più nero «Io non sono Dáin, non ho la pazienza per queste sciocchezze. Gli farei passare la voglia di essere drammatici molto in fretta.»

Jeri ghignò. «Sarebbe una Erebor interessante, diciamo.»

Orla alzò gli occhi al cielo.

«Non importa come la mettiamo» disse Dori frustrato, le braccia incrociate e la voce alzata «noi non abbiamo cibo! Tutte le lamentele del mondo non cambieranno questo fatto!»

«E la colpa di chi è?» disse una alta donna secca di Dale in tono stridulo «Eh? Chi ha spedito tutti i nostri soldati in un orribile tunnel, e ci ha lasciati senza protezione? Chi ha aperto i Cancelli di Dale e ci ha gettato fuori dalle nostre case?»

«Questa è tutta colpa di Brand!» disse un altro Uomo di Dale, un tipo dal volto untuoso e la puzza sotto il naso «Sua! E sì, Bard – tu gli hai dato il tuo supporto, ci hai minacciato per farci stare zitti quando obbiettammo... e ora guardaci!»

«Non posso sopravvivere così» gemette la donna «Ho una costituzione delicata! Sverrò!»

«Va avanti» ringhiò Dwalin.

«Oh, Lady Inorna mia cara» piagnucolò l'Uomo untuoso «Calmati! Sii forte!»

«Svenire non vi darà altro cibo» esclamò Dori «Non ce n'è abbastanza nemmeno per noi Nani: pensate davvero che vogliamo far morire tutti di fame di proposito? Stiamo dividendo nel modo migliore possibile; nessuno viene scelto per un trattamento preferenziale, nemmeno noi.»

I denti di Bard erano serrati quando disse: «se fossimo rimaste, le nostre difese sarebbero state distrutte e i nostri soldati massacrati come maiali-»

L'Elminpietra si schiarì la gola.

«Va bene, forse non come maiali» si corresse Bard «Ma saremmo stati sconfitti. Avete visto quanto era grande quell'esercito Esterling, come me. Saremmo stati annientati!»

«Tutto ciò che ti importa è la tua reputazione!» lo accusò Inorna con lacrime negli occhi «Non di noi, non di coloro che si meritano molto più di questo... questo lurido buco nel terreno, questa tomba polverosa! Io sono una nobile!»

Ogni Nano, sia vivo che morto, fischiò per l'affronto.

«Inizio a pensare che Dwalin dovrebbe fare come vuole» borbottò Thrór.

Hrera si massaggiò il naso. «Longobarbi.»

«Abbiamo provato, sì. E abbiamo fallito. Ma se fossimo rimasti dov'eravamo e non avessimo fatto nulla, morte e distruzione e peggio ancora sarebbero stati su di noi» disse Bard, con voce molto controllata «Ciò che è fatto è fatto. Dobbiamo arrangiarci come possiamo.»

Lady Selga di Dale si alzò allora dal suo posto al tavolo del consiglio, il volto ancora teso per il lutto. «Almeno abbiamo provato» raspò «Almeno abbiamo fatto qualcosa.»

«E fallito!» ringhiò l'uomo untuoso «Le nostre case, il nostro oro, i nostri affari! Perduti, per i vostri fallimenti!»

«Lord Krummet, temo che gli Orchi abbiano avuto più a che fare con la perdita del vostro prezioso oro che noi» disse l'Elminpietra vagamente irritato.

«Oh, sverrò, aiutami Krummet!» gemette Inorna, e si mise una mano sulla fronte in una posa così esagerata che diversi Nani dovettero trattenere delle risatine «Il mio cuore mi batte così forte: mi serve del vino, mi serve del formaggio e della frutta e dei pasticcini – dovete aiutarmi, dovete salvarmi! A nessuno importa?»

«Oh, mia cara signora!» Krummet andò verso di lei e la sorresse in un'unticcia parodia di galanteria «Ecco, mia cara, respira ora!» poi riportò i suoi occhi porcini sul Consiglio «Come osate essere tanto crudeli verso un'anima così dolce, generosa e delicata!»

«Generosa!» Selga rise «Oh sì, è certamente ciò per cui è così famosa, Inorna. Generosità e gentilezza. Oh, assolutamente.»

«Mio Re, mio Re» frignò Inorna, guardando Bard con occhioni luccicanti «Dovete dirgli di – no, dovete obbligarli ad aiutarmi! Mio adorato Bard, vi prego! Ho sempre creduto in voi!»

«Lo stava insultando due secondi fa» disse Glóin in aperta confusione «E ora cosa, pensa di poter essere una buona Regina per Bard di colpo?»

«Non ha fatto altro che insultare tutti dal minuto in cui ha messo piede nella Montagna, e senza dubbio si pensa più speciale e meritevole di ogni altra Regina mai vissuta» disse Mizim sottovoce «Voglio le mie frecce.»

Glóin la guardò divertito. «Ora, in genere sono io a dirlo, mio gioiello.»

«Ho sacrificato così tanto» gemette Inorna, stringendo la giacchetta sporca di Krummet «Sono stata così benevolente. Mi merito molto più di questo, circondata da queste bestioline vili e i loro modi avidi e gelosi...»

«Come osi» disse Dís, e la sua voce di mithril cadde come una mazza di pietra nella conversazione, bloccandola all'istante. Il cuore di Víli si strinse. «Come osi. Non sai nulla – nulla – di ciò che abbiamo perso. Non sai nulla di cosa noi abbiamo sacrificato per salvare le vostre vite.»

«Dís» disse Víli, a malapena un respiro.

La mano di Thrór si posò sulla sua spalla. «Lo so» disse, piano «Lo so.»

Víli fece un respiro profondo.

«Se pensi» disse Bard, con voce che era controllata a malapena «che voi siate le uniche persone di Dale che hanno perso, e sofferto-»

«Non solo Gente di Dale» disse Jeri dal suo posto accanto al trono, bassum e durum «Non c'è un solo Nano sotto questa Montagna che può dirsi intoccato dall'assedio e dai nostri sforzi di spezzarlo. Non uno.»

«Siete vivi, idioti» disse Bofur «Mi sentite? Siete VIVI. Ora, andate a esser vivi da un'altra parte, mi fa male le testa ad ascoltarvi.»

«Per quanto?» disse Inorna, premendosi una mano sul petto, i suoi occhi pieni di lacrime «Questo non è vivere, nascosti in questi sporchi buchi!»

«Io lo faccio» disse Dwalin.

«Io potrei non fermarti» mormorò Orla. I suoi occhi erano duri per il disgusto.

«E ora siete tutti in cospirazione contro di me, è chiaro!» strillò Inorna «Perché dovrei essere trattata in questo modo? Sono delicata, sono speciale, non ci si può aspettare che io faccia come i miseri e bifolchi!»

«Questa è la brutalità dei Nani messa in evidenza, mia cara» disse Krummet con quello che probabilmente pensava essere un tono duro. Invece uscì come una specie di lamento imbronciato. «E tu sei così saggia, dolce Inorna, così saggia... sì, sono tutti in combutta contro di noi, non c'è altra spiegazione al loro comportamento bruto. Brand e Bard e Dáin devono aver tramato in segreto, non c'è dubbio. Ma io sono qui, gentile signora, dolce signora! Io ti difenderò dalle loro-»

All'unisono, Dwalin e Orla fecero un passo avanti dalle loro postazioni. Poi, in un inquietante silenzio, Dwalin estrasse la sua enorme ascia da battaglia e Orla alzò l'ascia dal lungo manico da cui veniva il suo soprannome. In perfetta sincronia, presero due sassi e iniziarono ad affilare le armi.

Zzzick. Zzzick. Zzzick.

Inorna e Krummet misero subito fine alle loro scenate.

«Questo è il mio ragazzo» disse Dwerís orgogliosamente.

Selga allontanò lo sguardo da loro, le labbra arricciate in disgusto. «Ad ogni modo, il Primo Consigliere ha ragione. Brave persone hanno pagato il prezzo di rimediare ai nostri fallimenti» disse, e i suoi occhi andarono verso il terreno.

Sia le spalle di Bard che quelle dell'Elminpietra si abbassarono. «Aye» disse l'Elminpietra «L'hanno fatto.»

«Troppi» aggiunse Bofur, e il suo volto era duro «Decisamente troppi.»

Dori picchiò un piede irritato. «Scusatemi! Buongiorno? Torniamo al punto? NON C'È ABBASTANZA DA MANGIARE. La Montagna morirà di fame in meno di tre settimane se non troviamo altre risorse!»

Glóin si schiarì la gola. «Aye, Dori ci riporta al succo del discorso – per così dire. Cosa possiamo fare? Idee?»

Merilin improvvisamente fece un passo avanti dal sinora silenzioso gruppo Elfico. «Abbiamo ancora del pan di via. Lembas. Sazia in fretta, è nutriente, e la ricetta è molto semplice. La condivideremo coi vostri cuochi.»

«Bene, bene» Glóin si accarezzò la barba e annuì «Ora, potrebbe esserci qualcosa nascosto nelle credenze della gente...»

Bard parlò. «E il rimpinzimonio? C'è abbastanza farina?»

Bofur rabbrividì. «Io non ho rischiato la vita per mangiare del rimpinzimonio. Preferisco provare la roba Elfica prima di offrirmi volontario per quell'inutile esercizio masticatorio di un pasto.»

L'Elminpietra si passò una mano fra i capelli e si appoggiò sui gomiti, il volto pensieroso. «È inverno, e ci sono pochi pesci nel Fiume Flutti» disse «ma potrebbero esserci. Nelle pozze profonde ci sono strani pesci con antenne e occhi enormi: dovremmo madare degli esploratori.»

«Non ne voglio più di pesce» giunse un borbottio petulante vicino alla sedia di Laerophen.

«Mangerai ciò che c'è, ragazzo mio» disse Bofur.

Genild chinò la testa bianca. «Mia moglie è brava quando si tratta di fare sottaceti e conserve. Ne abbiamo una credenza piena. Senza dubbio Barur Panciapietra potrà farli durare per molto.»

«Ma» disse Jeri, gemendo.

«Zittum, carum, Ma sta lavorando» disse Genild, e si piegò in avanti e picchiò un dio sul tavolo «Ecco qualcosa da considerare: so per certo che i Nani possono durare molto di più con meno cibo degli Uomini, anche se non saprei per quanto riguarda gli Elfi. Forse le conserve di Beri potrebbero aiutare ad allontanare almeno per un po' quei disturbi da deficienze...»

«Buona idea, chiederò anche a quelli del mercato, senza dubbio hanno qualche magazzino nascosto» disse Glóin, e se lo appuntò.

«Signor Bofur, odio chiederglielo» iniziò Dori, toccando Bofur su un braccio. Bofur sospirò e abbassò la testa.

«Aye, parleremo con Alrís, vedrò se posso dare un'occhiata all'inventario di Bombur. Era bravo quando si tratta di tenere cose speciali. Potrebbe avere persino della marmellata da qualche parte»

«Pagherò per averla, allora» disse Inorna immediatamente «Pagherò, anche se il cielo sa che dovreste darmela e basta... ma se devo giocare secondo le vostre sordide regole, allora vi darò oro per razioni migliori, sono ricca, posso...»

«Il cibo sarà diviso equamente» disse l'Elminpietra con voce che non ammetteva repliche. Thrór annuì in approvazione.

«Non comprato da coloro che hanno ricchezze e potere» disse Dori.

«E nessuna minaccia o lamentela o persino svenimenti cambierà questo fatto» concluse Bard.

Inorna tremò, raddrizzandosi. «Questo... questo è...!» sputacchiò per la rabbia e il suo contorto narcisismo.

«Sta andando bene» mormorò Thrór a Hrera, che gli prese la mano «Finora sta rendendo onore al trono.»

«Bard va meno bene» disse lei piano «Quei due idioti egoisti non lo vedono ancora come il loro Re. Temono i Nani, però, anche se ci disprezzano. L'Elminpietra dovrà guidare questa sortita. Deve usare quella paura per ridurli al silenzio, o loro guadagneranno un posto da cui soffocare ogni tentativo di ragionamento.»

Víli si massaggiò le tempie. «Non lo sopporto» borbottò «Non so come facciate voi a farlo.»

«Pratica. E birra – molta, molta birra» disse Thrór asciutto, e poi Hrera zittì entrambi.

«Vedi cosa avevamo contro di noi?» disse Bard, piegandosi per sussurrare all'orecchio dell'Elminpietra. I nuovi Re si scambiarono uno sguardo di comprensione, e poi l'Elminpietra diede una pacca sulla spalla di Bard.

«Hai la mia più profonda compassione» disse.

«E comunque, con cosa ci vorresti pagare? Bottoni? Aria calda?» aggiunse Glóin, un po' maleducatamente. Mizim ridacchiò.

«Eccolo il mio vecchio orso, sapevo che non ti saresti controllato per sempre» lei sorrise.

Dori picchiò il piede. «A-hem!»

«Giusto. Torniamo al punto» Dwalin si grattò la pelata «Penso che noi abbiamo dei liquori e del vino da qualche parte. Sarà dura separarcene – sono degli anni in cui sono nati i nostri ragazzi – ma saranno più utili nelle mani di Barur. Li farà durare.»

Bofur sospirò pesantemente. «E io credo di avere della birra in dispensa.»

«Durerà molto, stufati e zuppe e simili» disse Dori, annuendo. Glóin fece un altro appunto.

«Ci serve una distribuzione centralizzata» disse l'Elminpietra, parlando sopra ai nuovi sussurri mentre il suo espanso Consiglio iniziava a pensare a un piano «Senza dubbio molti nasconderanno il loro cibo, ed è comprensibile. Ma altri ne potrebbero soffrire. Dobbiamo rendere chiaro il fatto che dobbiamo agire tutti insieme.»

«Possiamo fare una grande pubblicità al contribuire» suggerì Mizim «Magari farlo in pubblico?»

«Aye, buona idea» l'Elminpietra annuì «Ciò che non abbiamo è la carne...»

«Ci sono degli uccelli sulla Montagna...» disse Laerophen, e Glóin fece una smorfia.

«Aye, ma se colpisci un corvo o un tordo, probabilmente desidererai essere preso dagli Orchi»

Laerophen lo guardò senza battere le palpebre. «Sono un Elfo. Se non sarò in grado di distinguere un'anatra, un piccione, un corvo o un tordo da quattrocento passi, potrai limarmi le orecchie e chiamarmi un Uomo.»

Ci fu una risatina sotto la sua sedia. «Questa era buona.»

La bocca di Glóin tremò, come se stesse lottando contro un ghigno. «Piccolo traditore, nipote» disse.

«Se vi serve una distribuzione centralizzata, allora io ho dell'esperienza...» iniziò Krummet in tono untuoso.

«Grazie per l'offerta, Lord Krummet, ma i tuoi servigi non sono necessari» disse l'Elminpietra in tono che non ammetteva discussioni.

«Ah, vedete, vedete!» Inorna li indicò tutti col dito «Questo è BLATANTE favoritismo, e pregiudizio verso gli Uomini!»

Bard si alzò di colpo, il rumore della sua sedia molto forte. «Sparite» disse, chiaramente e fermamente «Smettetela con queste lamentele, smettete di infilarvi dove non siete voluti, e. Sparite.»

Loro sbiancarono vedendo l'espressione sul suo volto, e quando Dwalin alzò la sua ascia in modo tranquillo e minaccioso, entrambi gli sciocchi leccapiedi egoisti girarono sui tacchi e corsero.

«Grazie a Mahal» disse l'Elminpietra ferventemente «Sei molto più paziente di me, Bard.»

«Non avrei avuto il potere di farlo, se non fossi stato al mio fianco» disse lui, chinando la testa «Perciò questa vittoria è tua.»

L'Elminpietra ghignò improvvisamente, un lampo di denti bianchi fra la corta barba rossa. «Scommetto è stato piacevole, vero?»

Bard ghignò a sua volta. «Sono quindici anni che lo volevo fare, ma quei due sono sempre stati troppo ricchi e potenti da allontanare. Hanno usato mio padre come uno zerbino nei suoi ultimi anni, tanto vecchio e stanco era. Dannazione. È stato fantastico.»

«Bene, almeno ce ne siamo presi cura» grugnì Dwalin, e si rimise l'ascia sulla schiena «Potremmo usare le mie truppe per distribuire il cibo, se vi serve gente coordinata e centralizzata.»

Dori strinse le labbra. «Non credo, Signor Dwalin» disse, pensandoci su «L'Esercito ha già abbastanza da fare, grazie mille. Ci sarà anche un assedio, ma non ricordo di aver dichiarato la legge marziale.»

«Penso abbiamo superato da un po' quel punto ormai, no?» disse Orla.

«Possibile, possibile» Dori agitò una mano «In ogni caso, in quanto rappresentante eletto delle Gilde e in quanto Quartiermastro delle forze di Erebor, vorrei offrire i miei servigi. In congiunzione con Barur Panciapietra e i rappresentanti degli Uomini e degli Elfi, ovviamente...»

Dís si lasciò ricadere nella sedia, e poi si girò verso il nuovo Re. «Perfetto» disse semplicemente.

«Aye» disse lui, annuendo «Mastro Dori, ci fai onore.»

Laerophen, dopo un breve momento di sussurri con Merilin, disse: «la mia seconda in comando Merilin è felice di rappresentare gli Elfi e lavorare insieme a Mastro Dori per assicurare giustizia e correttezza.»

«Inoltre, io so la ricetta del lembas, e lui no» disse Merilin asciutta.

«Io rappresenterò la Gente di Dale» disse Selga, guardando Bard, che annuì.

«Nessuno meglio di te. Posso presentarvi formalmente Lady Selga, nipote della Principessa Sigrid e mia cugina.»

«Incantato» disse Dori, con un rapido inchino «A dopo il tè: lavoro per prima cosa. Glóin, sembra lei abbia già iniziato a fare un inventario: potrei chiederle di tener conto dei numeri e dei rapporti?»

Glóin ridacchiò. «Aye, mio vecchio amico. Mi annoio a morte in pensione.»

«Anch'io voglio aiutare Dori!» giunse uno squittio da sotto la sedia di Laerophen.

Dori fece una smorfia.

«Nell'interesse di mantenere Dori sobrio, forse è meglio di no» disse Dís «Gimizh, tu puoi aiutare me nel dire alla gente della raccolta del cibo. Tu e i tuoi piccoli amici.»

Un sospiro petulante arrivò da sotto la sedia dell'Elfo. «Oh, ve bene.»

«Vi servirà qualcuno per fare la guardia ai magazzini» disse Genild, tirandosi la treccia della barba «Lo farò io. C'è poco da fare sulle mura oltre a tirar frecce, e io non sono mai stata brava come arciere.»

L'Elminpietra si voltò verso Laerophen e Bard, e disse: «Lady Genild è veterana della Battaglia delle Cinque Armate, e la conosco dalla mia infanzia nei Colli Ferrosi. La sua lealtà è impeccabile e indistruttibile, e io personalmente garantisco per lei. È anche una pericolosa guerriera.»

Jeri fece una smorfia. «Va bene, ammetto che Ma è una buona scelta per fare la guardia ai magazzini.»

«Aspetta che lo dica alla tua 'amad» disse Genild, gli occhi brillanti nel suo duro volto rugoso.

Jeri alzò gli occhi al cielo. «'amad vorrà fare la guardia assieme a te.»

«Mmmh. Ci conto»

Jeri storse il naso.

Dori, Selga e Merilin si guardarono cautamente. «Molto bene allora» disse Dori infine «vogliamo iniziare?»

Dís si alzò, e iniziò ad andare. «Lady Dís?» la chiamò Selga «Ve ne andate?»

«Non penso di poter essere molto utile ai procedimenti, Lady Selga» disse Dís in voce senza emozione, senza nemmeno fare una pausa «Potrebbe essere per via del fatto che non sono affamata ultimamente.»

Il cuore di Víli affondò un poco nel suo petto, e lui strinse le mani ai fianchi.

«Non molto» disse Hrera gentilmente, e gli accarezzò la spalla «Non molto ormai.»


«È la pausa fra le martellate» mormorò Gimli, e strinse la pipa fra i denti «Lo sento nelle ossa. La roccia trema sotto i miei piedi.»

«Per una città che è stata appena salvata dalla rovina, c'è poca gioia nell'aria» disse Legolas, e guardò la grande pianura rivoltata che era il Pelennor. Erano seduti nel giardino in cima al settimo livello, guardando la città. La cittadella era alle loro spalle, e un vento ghiacciato soffiava contro i loro volti. A Gimli c'erano voluti quattro tentativi per accendere la pipa.

«Almeno Merry sta guarendo bene» disse Gimli cupo, e prese una boccata dalla pipa e si lisciò i ciuffi della barba che stavano, nuovamente, scappando dalle trecce «Dopo tutti i dolori che ci sono costati, sarei rattristato nel trovarlo ancora a letto.»

«Saresti rattristato ben oltre i dolori che ci sono costati, non prendi in giro nessuno» disse Legolas, sorridendo.

«Aye, è stato bello visitarli, e parlarvi» concesse Gimli «E la riserva di Foglia di Pianilungone di Pipino è sempre benvenuta.»

Legolas storse il naso. «Per te, forse.»

Fu a queste parole e questa vista che Thorin arrivò: l'Elfo e il Nano seduti nella debole luce del sole sotto un antico albero bianco. A un osservatore casuale, senza dubbio apparivano come sempre: due amici, che passavano il tempo insieme e respiravano un po' d'aria fresca. Però, Thorin ora poteva vedere i dettagli più sottili: il modo in cui Legolas si appoggiava leggermente alla spalla robusta di Gimli, il modo in cui Gimli sembrava rilassarsi contro il fianco di Legolas, i piccoli segreti tocchi tra mani rapide.

Sembravano abbastanza contenti, e la tensione abbandonò le spalle di Thorin.

«Hanno fatto la pace e sistemato le faccende fra di loro» disse, quasi a se stesso «Bene. Questo è un bene.»

«Ed eri felice di vedere Arod, non far finta di nulla» rise Legolas.

Gimli tirò su col naso. «Lui è un cavallo di Rohan, no? È abituato a un certo stile di vita. I Rohirrim trattano i loro cavalli come dei parenti, alcuni di loro. Volevo assicurarmi che stesse bene, ecco tutto.»

«Non sono stato io a portargli le carote e mele che erano nei nostri piatti»

«Io non le avrei mangiate, e non mi piace sprecare cibo» Gimli toccò il ginocchio di Legolas «Avrei potuto fare a meno di tutta la gente che fissava ad ogni modo. E tu! A cantare per tutta la strada dell'andata e del ritorno, come se non sentissi tutti gli occhi che seguivano ogni nostro passo!»

Legolas chinò la testa. «Ti davano fastidio? Mi era sembrato di vederti camminare a ritmo e accarezzarti la barba...»

Gimli morse la pipa, e inspirò un paio di volte. La sua faccia dava tutte le risposte.

«Meleth» sussurrò Legolas, e si piegò fino a quando il suo mento non fu sulla testa rossa di Gimli «Fissano un Elfo e un Nano, i primi che abbiano mai visto, gli strani compagni del misterioso Sire Gemma Elfica. Se posso portare della musica in questo luogo triste dopo i tumulti della guerra e il suono dei macigni, perché non farlo?»

Gimli borbottò qualcosa di indistinto, e poi toccò di nuovo il ginocchio di Legolas. «Gentile, ghivashelê. E io non ho nulla contro di loro e dei loro sguardi: sono solo stanco di essere una curiosità, ecco. Almeno qui nella Cittadella solo le guardie possono fissarci.»

«Allora potrò cantare qui?» chiese Legolas.

Gimli rise, un rombo profondo. «Come se qualcuno potrebbe mai impedirti di cantare!»

Thorin guardò su. Le Guardie della Cittadella erano nel cortile come sempre, risplendenti nei loro mantelli e elmi alati. Metà della loro attenzione era fissa sulla strana coppia, anche se per il resto erano immobili.

«Si è tagliato di nuovo la barba» mormorò Frerin accanto a Thorin, e Thorin annuì e se lo tirò vicino. Si rendeva conto che Frerin era ancora scosso, ancora ferito, ma confidava che il suo furbo, intelligente fratello minore conoscesse i limiti della propria forza.

E, inoltre, non c'erano battaglie qui.

«Sarà per Dáin, suppongo» continuò Frerin, e la sua bocca di strinse leggermente. La sua mano si alzò per toccare le basette corte e ruvide su un lato del suo volto, e i suoi occhi andarono a occhieggiare il terzo membro del loro piccolo gruppo.

Dáin aveva il volto teso, e la sua mascella tremava. «Non l'avrebbe dovuto fare» mormorò «Non serve.»

«Gimli osserva le tradizioni, anche fra stranieri» gli disse Thorin. Poi fece a suo cugino un mezzo sorriso triste. «È Nano come sempre, nonostante le sue compagnie attuali.»

«Come se l'amore di un Elfo potrebbe cambiarlo» Dáin sbuffò piano. Qualcosa catturò la sua attenzione, e fece un cenno verso le porte della cittadella. «Guardate là.»

Frerin socchiuse gli occhi, più acuti dei loro. «Aragorn» disse, e poi sussultò «Ha un aspetto orribile.»

La testa di Thorin si allontanò da Dáin, e là c'era davvero Aragorn. Il suo volto era esausto e tirato, e i suoi occhi erano terribili. «Gimli» disse, rapido e brusco.

La testa di Gimli si alzò immediatamente. «Mio Re?»

«Guarda il tuo amico» disse, e Gimli si alzò (con qualche sforzo – sembrava che la battaglia lo avesse lasciato abbastanza rigido e dolorante), e cercò con gli occhi fino a notare il loro comandante.

«Ragazzo» disse piano, e fece cenno a Legolas, prima di iniziare a correre.

Legolas, che stava fissando il vecchio albero bianco, batté le palpebre. Poi si girò per vedere Aragorn appoggiarsi pesantemente contro le mura della cittadella, e presto stava correndo verso di lui, superando Gimli con facilità.

«Mellon nín, cosa succede?» disse, afferrando il braccio di Aragorn e sorreggendolo.

La testa di Aragorn si alzò, e i suoi occhi erano lividi sul suo volto. «Io...»

«Bene, fallo sedere» disse Gimli brusco, arrivando subito dopo Legolas «Le risposte aspetteranno, ma lui sta per collassare.»

«Ha dormito?» chiese Dáin «Era nelle Case di Guarigione...»

«Haban dice che andò a dormire dopo averle visitate» disse Thorin, grattandosi la testa «Non riesco a pensare a nessun altro impegno, né alcuna emergenza a cui sarebbe servita la sua attenzione. Pochi lo conoscono di vista, anche se si sta spargendo la voce in città dopo che il suo stendardo era stato visto sulle Navi Nere. E i guaritori delle Case, Haban dice che c'erano delle pettegole di prim'ordine: avranno fatto la loro parte, e le lingue si muoveranno fino a tarda notte. Però solo Imrahil e Faramir, di tutti gli Uomini di Gondor, conoscono il suo vero volto e il suo nome. Per tutti gli altri è solo il Sire Gemma Elfica.»

«Le voci sono solo voci» confermò Dáin, e si morse il labbro per un momento «Questa non è semplice stanchezza. C'è qualcos'altro.»

Gimli, che stava facendo sedere Aragorn sul cerchio di pietra attorno all'albero morto, sbuffò. «Sarebbe bello lasciare a dopo le speculazioni, almeno finché il ragazzo non preso un po' d'acqua e una boccata d'aria e fumato un po'. Avremo presto le nostre risposte. Voi altri! Andate da qualche altra parte!» alzò la voce per parlare alle Guardie della Cittadella, che sembrarono davvero molto sorprese di ricevere un ordine simile da un Nano.

Forse fu la loro sorpresa che li fece obbedire, o forse fu Legolas che aggiunse: «faremo noi la guardia all'Albero Bianco. Non dovete temere nessun tradimento da noi, perché non siamo forse giunti in aiuto di Minas Tirith nell'ora del bisogno? Rimanete vicini, ma dateci spazio, per favore.»

Loro si inchinarono leggermente, e se ne andarono. Uno o due lanciarono sguardi curiosi dietro di sé entrando nella caserma vicino alla Cittadella.

La testa di Aragorn dondolava in avanti, e Legolas doveva sostenerlo con una mano sul petto per impedirgli di cadere. «Non l'ho mai visto così prima d'ora» disse, lanciando a Gimli uno sguardo preoccupato.

«No, nemmeno io» disse Gimli, e cercò nel suo borsello da cintura con dita goffe e frettolose, estraendone una fiasca «Ecco, acqua.»

Legolas la prese e la portò alle labbra di Aragorn. Lui bevve due grandi sorsi, e poi si lasciò ricadere indietro. Il suo colore era un po' migliorato: più simile al suo normale marrone abbronzato, e non quel grigio sporco e malaticcio.

«Adesso, respira, e poi dicci cosa nel nome di Mahal hai fatto a te stesso» disse Gimli, e si sedette accanto all'Uomo e scambiò uno sguardo preoccupato con Legolas.

Aragorn bevve un altro sorso d'acqua, e poi alzò la testa con un certo sforzo. «Ho guardato nel Palantír.»

Thorin fu paralizzato dall'orrore.

Gimli no. «Hai fatto cosa?!»

«Perché avresti fatto qualcosa del genere?» domandò Legolas «Quella pietra è piegata alla volontà di Sauron: è lo strumento della disperazione di Denethor! Perché, Aragorn? Perché, quando la vittoria sul campo è stata nostra?»

«La vittoria su questo campo, sì» gracchiò Aragorn «Ma non di questa guerra.»

Ci fu un respiro brusco dalla parte di Dáin, ma Thorin non poteva prestargli attenzione. Qualsiasi cosa suo cugino avesse realizzato, avrebbe dovuto aspettare.

«Parla chiaramente» disse Gimli, anche se le sue mani gentili tradivano la sua preoccupazione «Non sprecare forze per motivi e ragioni. Cos'è successo?»

Aragorn chiuse gli occhi e si appoggiò di nuovo a Legolas e Gimli, lasciando che lo sorreggessero... come, Thorin poteva vedere ora, si era sempre appoggiato a loro per tutto il loro viaggio. «Minas Tirith è al sicuro per ora» disse, la voce debole ma sicura «Ma anche un battaglia come quella che abbiamo combattuto è vana se la vera missione non viene compiuta.»

«Frodo e Sam» disse Legolas, annuendo.

«Frodo e Sam» confermò Aragorn «Sappiamo da Faramir che hanno preso il passo di Cirith Ungol. Se sono sfuggiti sia alle attenzioni di Minas Morgul e al terrore che vive in quel passo, ora devono attraversare tutte le orde di Mordor raccolte sulle piane del Gorgoroth...»

«Una finta» grugnì Dáin «Sta provocando il nemico, lo attira fuori.»

«Basta motivazioni, ho detto» lo zittì Gimli, e si bagnò le mani per posarle sulla fronte di Aragorn «Non ho le tue abilità, ma tu scotti. Ecco, così dovresti sentirti meglio.»

«Sì» Aragorn si appoggiò alle ruvide, callose mani di Gimli «Chi avrebbe detto che i Nani hanno tanta gentilezza in loro?»

«Mi sorprende sempre» disse Legolas dolcemente, e Aragorn rise debolmente.

«Ci avete messo fin troppo, coppia di muli testardi»

Quando le orecchie di Legolas diventarono scarlatte e Gimli si schiarì la gola, Aragorn sorrise e aprì gli occhi. «Sono pieno di gioia per voi due» disse semplicemente.

«Sei pieno di sciocchezze e banalità, sciocco Uomo» borbottò Gimli, e mise altra acqua sulle fronte di Aragorn «E mio zio è – era – un guaritore. Non siamo completamente fatti di pietra, sai.»

«Sono sicuro che Legolas potrà confermarlo» disse Aragorn, e la sua voce era un po' più forte – e un po' maliziosa.

Legolas tossì. «Torniamo alla tua storia. Noi siamo solo un dettaglio secondario.»

«La felicità non è mai un dettaglio secondario» disse Aragorn, eppure fece un gemito di sconfitta «Molto bene.»

«Un altro sorso» disse Gimli, premuroso come un uccello col suo pulcino «Poi possiamo riempire la mia pipa...»

«No, niente pipa» disse Aragorn, anche se ubbidì e bevve un altro sorso d'acqua «Lui è circondato da fiamme e oscurità e fumo. Ora non riuscirei ad affrontare nemmeno le scintille familiari dell'erba della Contea.»

«Gli hai parlato» disse Legolas.

«Io non dissi una parola» Aragorn si lasciò ricadere indietro, sostenuto dai suoi amici, e la borraccia dondolò debolmente nelle sue mani.

«Ha lottato con l'Ombra» disse Thorin, e Frerin si strinse al suo fianco «Ecco perché è così prosciugato, così stanco. Per tutta la sua forza, Aragorn non è che un Uomo mortale, e ha ora affrontato la volontà di Sauron in persona.»

«L'hai visto, allora» disse Gimli, e i suoi occhi erano duri e spaventati «Ragazzo, respira ancora un momento.»

«Smettila di preoccuparti, Gimli» disse Aragorn, e diede una pacca sulla spalla di Gimli «Starò bene... fra un momento o due.»

«Sei quasi caduto di faccia, e non pensare che non abbia capito che eri venuto a cercarci» replicò Gimli «Qualcosa in quella tua testa spelacchiata sa che devi cercare i tuoi amici se sei nei guai. Quindi zitto e lasciami preoccupare se voglio. Mi piacerebbe vederti cercare di fermarmi – fai paura quanto un gattino in questo momento.»

Aragorn sorrise di nuovo. «Nani» disse Legolas con affetto.

Gimli tirò su col naso, e Frerin fece lo stesso. «Aye, va bene, sì, possiamo tutti ridere si me più tardi, quando stai meglio» disse severamente «Se voi due la smetteste di farmi spaventare a morte, sarebbe fantastico. Anzi, siamo in una città liberata da ogni pericolo, e tu trovi comunque un modo di farmi diventare i capelli bianchi!»

Dáin alzò gli occhi al cielo. «Oh, è uno di quel genere. Maleducato per il sollievo.»

«Anche tu saresti maleducato, se i tuoi amici avessero l'abitudine di spaventarti a morte così spesso» rispose immediatamente Gimli – e poi un'espressione di puro orrore attraversò il suo volto quando si rese conto di aver parlato con la sua famiglia ad alta voce davanti ad Aragorn «Ah, io...»

«Voglio delle risposte, e presto» Aragorn si raddrizzò per guardare Gimli a lungo e severamente «Sul perché parli come se stessi rispondendo all'aria, perché borbotti fra te e te così spesso. Non mi dissuaderai, Gimli figlio di Glóin.»

Gimli deglutì. «Prima tu finisci la tua storia, e poi potrai sentire la mia» promise, e la sua voce era molto più calma della sua tempesta di preoccupazione e panico.

Legolas si premette una mano contro il petto, l'espressione sincera. «Non è nulla di pericoloso, lo giuro» disse.

«Quindi tu lo sai? Che sto dicendo, certo che lo sai» Aragorn si levò i capelli dagli occhi, e poi si passò una mano tremante sul volto. Non aveva potuto usare gli strumenti che gli Uomini usano per radersi in qualche settimana, e la sua normale peluria stava iniziando a diventare una barba rispettabile. Raspava sotto la sua mano. «La mia storia... non è lunga. Guardai nella pietra, e le fiamme mi portarono in un regno oscuro. Lì mi aspettava. Sauron, ammantato di ombre e incoronato di fuoco, il suo occhi un terribile marchio bruciante nella mia mente. Non avevo mai sentito nulla di simile, mai provato tanta paura nella mia vita. Ci vollero tutte le mie forze, ma non gli dissi alcuna parola, non gli diedi alcuno spunto.»

«Ma egli ti mostrò qualcosa, come lo mostrò a Denethor?» chiese Legolas.

«Lo fece» il volto di Aragorn si indurì, e parve più simile che mai alle statue degli Argonath. Duro, mortale, antico e freddo. «Gli mostrai l'Anello di Barahir, la Spada che fu Spezzata. Lo udii sussurrare i miei nomi, uno dopo l'altro, finendo sempre con Elessar, Elessar. E mi tagliò fino al midollo e congelò il mio sangue, e io lottai contro i suoi sussurri. Ma non fu abbastanza per spezzare la mia volontà.»

«Mi mostrò grandi regni e eserciti, tutti miei da comandare» la risata di Aragorn era vuota «Non dissi nulla. Quando mai nella mia vita ho desiderato eserciti e regni, anche se seguono la mia stirpe come cani da caccia? Le pelli dei Raminghi del Nord furono abbastanza per i miei antenati, e sono sempre state abbastanza per me. Quando si rese conto che il potere non è una tentazione per me, provò con un'altra tattica. Mi mostrò ricchezze oltre ogni misura, e mi disse che sarebbero state mie se avessi abbassato la mia spada. Mi mostrò la forza della Torre Oscura, infinite orde di Orchi tutti in marcia, in marcia. Il Palantír non può mentire, può solo essere costretto a mostrare ciò che il suo padrone desidera. Non ho dubbio che queste cose fossero vere: la ricchezze, gli eserciti, tutto. A per tutto il tempo, mi incitò ad abbassare la mia spada. E in quello, io ritrovai il mio coraggio.

«Teme la Spada che fu Spezzata. Teme il sangue nelle mie vene, nonostante tutte le sue debolezza» Aragorn sembrava meravigliato e perplesso «Lo sentivo. Il dolore di perdere la sua forma non lo lasciò mai, e non ha mai perdonato Isildur per quello. Come deve aver gioito della rovina di Isildur!»

Thorin mise una mano cauta sulla spalla di Frerin, e lasciò che le sue dita si stringessero protettivamente.

«Allora cosa di mostrò, mellon?» chiese Legolas, a malapena un sussurro «Cos'è che ti ha ferito tanto?»

«Arwen» le labbra di Aragorn si strinsero, e quel poco colore che aveva riguadagnato lasciò le sue guance «Mi mostrò Arwen.»

Il respiro di Legolas si mozzò, e Gimli lo guardò con occhi scuri e inespressivi, prima di girarsi di nuovo verso il loro amico.

Aragorn continuò con voce piena di angoscia, ma il suo volto rimase risoluto. «Ha speso talmente tanto della sua grazia, delle sue arti, proteggendo me e la sua casa. Sapevo di averla percepita quando il fiume Isen mi portò via, lo sapevo.»

«Spiega la tua straordinaria fortuna, suppongo» grugnì Gimli, anche se la sua espressione era ancora preoccupata.

«Fece promesse a te» disse Legolas «E minacce a lei.»

Aragorn annuì una volta, lentamente. «Mormorò che avrei dovuto solo abbassare Andúril, e lei sarebbe stata guarita, il dono mortale e destino mortale portati via, e noi avremmo vissuto insieme e in pace per l'eternità. Ma se avessi continuato a oppormi...»

«Mente» disse Gimli.

«Mente, ma nelle sue menzogne c'è un grano di verità, ed è questo che le rende tanto facili da ingoiare» disse Aragorn con voce rotta «Sta morendo. Lord Elrond me lo disse, quando ci incontrammo. La vita di Arwen è legata al destino dell'Anello... e il destino dell'Anello è legato a due piccoli, coraggiosi Hobbit.»

Improvvisamente, Thorin ricordò una conversazione – sembrava anni prima, non settimane – fra il vecchio Bilbo e la donna Elfo. La sua bellezza luminosa era diminuita, persino allora, e lei sembrava triste e debole e scontenta. «Ecco cosa la affliggeva.»

«Hobbit che hanno le piane del Gorgoroth davanti a sé, e quell'infinito mare di Orchi che hai visto» disse Gimli con un sospiro «Verità mista a bugie. Inizio a capire meglio Denethor. Che cosa deve aver visto, che lo portò a tanta disperazione!»

«Allora mostrarti a Sauron e dichiarare la tua stirpe non è servito a nulla? Ha distrutto il nostro vantaggio, credi?» disse Legolas, e corrugò la fronte «Abbiamo confidato nella segretezza per tanto tempo. La tua discendenza è rimasta nascosta, e al sicuro, per secoli.»

«Un segreto va tenuto solo se protegge, altrimenti non è altro che un peso. È un sacrifico necessario, e la decisione di dichiararmi fu fatta quando alzai il mio stendardo davanti alla Rocca di Erech» Aragorn sorrise, un sorriso teso e infelice «Non abbiamo i numeri per affrontare la Terra Nera. Non possiamo invaderla. Non possiamo distruggere il Cancello. Ma possiamo attirarli fuori. Possiamo forzare la sua mano.»

Gimli fece un lento “ah” di soddisfazione. «È vendicativo, e se, come dici, non si è dimenticato quella spada e cosa gli è costata, allora perderà completamente la testa. Vorrà schiacciarti solo perché sei tu. Orgoglio e rabbia. Una debolezza utile, quella.»

Orgoglio e rabbia. Orgoglio e rabbia. Schiacciarti solo perché sei tu. Una debolezza utile. Orgoglio e rabbia...

Frerin pizzicò il braccio di Thorin. «Smettila» ringhiò.

Thorin lo pizzicò di rimando. «Tu smettila» borbottò «Sto bene. Smettila di preoccuparti.»

Frerin alzò un sopracciglio. «Tu per primo.»

«Ne hai parlato con Gandalf?» chiese Legolas.

«Non ne ho visto il bisogno» disse Aragorn, e la sua voce risuonava, pesante e regale, per quanto stanca «Questa è la mia ora, anche se non l'ho cercata. La pietra è mia di diritto, e la decisione era mia da fare. Se posso fare una scelta sola per il bene della Terra di Mezzo, che sia questa. Se potrò salvarli, lo farò. Il mio dovere è chiaro.»

«Mi sembra familiare» mormorò Dáin, e guardò Thorin con occhi scintillanti.

Frerin ridacchiò. «Effettivamente.»

«Quindi, marceremo contro il Nero Cancello?» disse Legolas, e soffiò piano fra i denti «Un topo che sfida un leone.»

Il Morannon era impenetrabile. Non avevano nessuna speranza di successo. Tutto dipendeva da Frodo – l'ha sempre fatto. Thorin incrociò lo sguardo di Dáin, e vide le sue stesse conclusioni riflesse in esso.

«Questo topo ha una spada famosa, e amici fedeli» disse Gimli, e si sedette di nuovo «Stai il meglio possibile senza una birra e una notte di riposo, suppongo. Per favore evita di scioccarmi per la prossima ora o due, se ce la fai.»

Aragorn rise. Era debole, ma reale. «Ci proverò, amico mio.»

«Allora sono contento»

«E ora ho delle domande» Aragorn si raddrizzò, e fisso seriamente il Nano «Con chi parli quando nessuno è lì per risponderti?»

«Un'ora, ho detto!» protestò Gimli «Non è passato nemmeno un minuto!»

«Meleth nín» mormorò Legolas, e la sua mano dalle lunghe dita toccò la spalla di Gimli, leggera come una foglia che cade «Hai promesso.»

Aragorn aspettò, silenzioso e impaziente.

Gimli sospirò. «Vero» poi lasciò che il mento gli ricadesse al petto «Perdonami, mio Re.»

«Diglielo, Gimli. Non fa del male a nessuno, e potrebbe aiutare» disse Thorin, e Frerin lo guardò con espressione curiosa. Dáin fece un suono sorpreso.

«Ne sei certo?» insistette Gimli, e Thorin lottò contro l'istinto di dire no, tieni i nostri segreti, tienili al sicuro nel tuo cuore oltre la portata di coloro a cui non importano davvero. Ma no. C'erano cosa più grandi, e bisogni più grandi, dei segreti. Il fato della Terra di Mezzo era uno di essi.

Alzò il mento. «Hai avuto ragione prima d'ora. E io confido che tu avrai di nuovo ragione. Aragorn dice il vero: la nostra segretezza è solo un peso quando non ha motivazioni. Proteggere il nostro popolo è una cosa. Proteggere la Missione di Frodo è un'altra. In questo, tu sei stato più saggio di me, mia stella. Vedi davvero chiaramente. Parla ora, e dai ad Aragorn la speranza di cui ha bisogno.»

Dáin lo guardava molto curiosamente, ma infine annuì anche lui. «Aye, diglielo, ragazzo. Lasciaci aiutare come possiamo. Ci sono cose più importanti del nostro orgoglio.»

Gimli deglutì. «Molto bene» poi si voltò verso gli altri membri dei Tre Cacciatori, strinse la mascella e le spalle e disse senza preamboli: «sento le voci dei Morti.»

Gli occhi di Aragorn si spalancarono.

«Oh, per carità di Mahal, il ragazzo tiene il cervello nei bicipiti?» gemette Dáin «Avrebbe dovuto arrivarci con calma.»

«Gimli non è sottile» borbottò Frerin. Si stava coprendo il volto con le mani. «Per niente.»

«È figlio di Glóin: la sua ascia è più sottile di lui, è vero» Thorin si massaggiò la fronte. Trovò che stava sorridendo un po' stupidamente. Oh, mia stella, mi rallegri sempre quando ne ho bisogno! «Diretto e onesto, è fatto così.»

«Diretto!» Dáin sbuffò forte «Thorin, io sono diretto, e riesco comunque a fare una finta o due. Gimli è come un ariete verbale.»

«Non lo sono» borbottò Gimli, il volto diviso fra rabbia e divertimento «Non vedo il motivo di scheggiare la pietra poco a poco. Meglio tagliarla subito e farla finita.»

«I morti?» disse Aragorn cautamente.

Gimli alzò una mano. «Ora, prima di pensare che io sia impazzito, dovrei spiegarmi meglio» disse «I Nani Morti, i miei congiunti. Hanno un qualche modo per vederci, qui nella Terra di Mezzo, attraverso le nebbie sul mare e la morte stessa. Non so come. Ma sin da Lothlórien-» qui, Aragorn si raddrizzò stupefatto «-ho riconosciuto le loro voci, e udito le loro parole. Col tempo ho imparato a percepire la loro presenza al mio fianco, e ora riesco a distinguere coloro che seguono i miei passi. Uno in particolare è stato la mia guida e la mia luce...» Gimli si leccò le labbra e le sue parole si fermarono.

«I Sentieri dei Morti» disse Aragorn, come se stesse capendo in quel momento «Eri rimasto indietro non solo per paura, ma perché li potevi sentire vicini dopo...»

«Aye, e vederli, come vedemmo i disonorati, anche se loro sparirono una volta che lasciammo la Montagna maledetta» disse Gimli «Sono qui, mentre parliamo.»

Aragorn si voltò verso Legolas. «Tu credi a questo?»

«L'ho visto coi miei stessi occhi» disse Legolas, alzando il mento come se stesse difendendo Gimli da una qualche critica «Gli hanno dato notizie da altri regni che lui non avrebbe potuto sapere in nessun altro modo, e io riuscii a riconoscere le forme di alcuni Nani nella penombra della Rocca di Erech; Nani che so personalmente essere morti.»

«Notizie?» Aragorn saltò sulla parola come un gatto che caccia «Allora hanno visto...»

Gimli annuì. «Aye. Vedono tutto.»

«Possono dirci di Frodo e Sam?» disse Aragorn, e Gimli fece una smorfia.

«Quando e se vorranno. Quando e se lo permetteranno»

«Frodo Baggins vive, ed è libero» disse Thorin immediatamente «Lui e Sam sono ancora insieme. Sono entrati a Mordor, e ora stanno attraversando i monti verso la piana oscura. Diglielo, Gimli.»

Gimli ripeté, e poi si strofinò la fronte. «Così dice il mio Re. Ecco, uno di loro. Sembra che li stia collezionando ultimamente.»

«Grazie a Elbereth, non ho agito incoscientemente e gettato tutto nella rovina» Aragorn si rilassò, e poi aggrottò le sopracciglia «Il tuo Re?»

«Thorin Scudodiquercia» disse Gimli, orgoglioso e forte e Nanico come la musica stessa della terra «Melhekhelê, il mio re dei re, la mia guida, il mio mentore. È la sua voce che sento, più forte e più chiara di tutte; la sua voce mi porta luce e speranza.»

«Sono quasi ottant'anni che è morto» disse Aragorn stupefatto «Mi ricordo delle notizie a Granburrone quando non ero che un bambino!»

«Aye» la voce di Gimli ora tremava di orgoglio «È vero. Ma nemmeno la morte può fermare un Nano quando sono decisi a fare qualcosa.»

Se i suoi occhi andarono a Legolas mentre parlava, beh, nessuno di loro ne fece menzione.

«Lasciami vedere se ho capito bene. Tu senti la voce di un grande eroe defunto del tuo popolo, che parla nella tua mente?» disse Aragorn dubbioso.

«Tu ci hai guidati dentro e fuori dal Bosco Dorato, ci hai portato lungo la via del Dimholt e comandato un esercito di spettri, e una donna Elfo ha usato le sue arti per proteggere il tuo culo gracile da mezzo mondo di distanza» disse Gimli, incrociando le braccia e alzando le sopracciglia «Quindi cosa vorresti dire?»

Legolas coprì il proprio sorriso con la mano.

«E Thorin Scudodiquercia non è che una delle voci che sento. Lo sento da decenni, da quando ero uno spelacchiato ragazzo sciocco e piuttosto incosciente nelle Ered Luin. Non lo riconobbi fino a Lothlórien, quando mi fu concesso di guardare nello Specchio della Dama e lo vidi lì. Negli ultimi mesi molti altri si sono uniti a lui. Questo, o l'orecchio della mia mente è molto più attento di prima.»

«Parlamene, allora» disse Aragorn, avendo evidentemente deciso di fidarsi della parola di Gimli. Sembrava che aver menzionato lo Specchio di Galadriel lo avesse fatto riflettere. Thorin si chiese se non trovava strano che un Nano avesse potuto guardare in uno dei grandi misteri degli Elfi.

«C'è anche Dáin Piediferro, Zabadâl belkul, il Ristoratore della mia casa» Gimli chinò la testa «Lui è una nuova voce, e un nuovo dolore per me. Sento anche mio zio, e mio cugino Balin. Nori e Ori, Lóni e Frár, tutti i miei amici e i miei familiari che ora dormono nella roccia. Sono tutti vicini, e a me è concesso il grande dono di percepire la loro vicinanza. Non so come, ma mi fa chiedere: per quanti secoli i nostri amati ci hanno osservati, vicini come il respiro, e lontani come la luna? E noi non ne sapevamo nulla.»

Legolas mosse un mano, e le sue dita si strinsero attorno al grosso polso di Gimli in rassicurazione.

Battendo le palpebre, Aragorn disse lentamente: «deve essere un conforto. Sapere che sei amato, e che coloro che furono prima di te sono orgogliosi di te. Avere il sangue del sangue che ti osserva, e non sentirti indegno davanti ai loro occhi. Non temere la debolezza, perché la loro forza è parte di te.»

«Non direi» disse Gimli ruvido «Ho fatto delle cose decisamente stupide, e sono stato tremendamente spaventato. Sono stati irritati con me tanto quanto orgogliosi, ma non c'è nulla di strano in questo. Ti faccio sapere che si dice spesso che un gruppo di Nani sono una Mandria di Nani[1], e non è molto sbagliato. Ma aye, è un conforto. Ero un Nano solo prima di saperlo. Ora so che nessun Nano è mai davvero solo, non importa quanto strano sia il suo cammino.»

«Gimli» disse Thorin «digli di non temere il suo sangue. Esso è solo il suo sangue. Difetti e fallimenti non vengono tramandati per generazioni come un naso di famiglia. Ora che si è dichiarato, che sia il Re che è e non il Re che altri sono stati. Deve governare come se stesso, come chiunque e qualsiasi cosa desideri essere. Non è il pallido riflesso di coloro che furono prima di lui; non deve imitarli, né rendere propri i loro fallimenti» il ricordo della pesante armatura d'oro di suo nonno sulla sua schiena apparve nella sua mente, e lui la spinse via con determinazione «Lui è una persona a sé, è completo così com'è. Lui è Aragorn, e Aragorn è più che sufficiente.»

Frerin premette insieme le loro spalle, e lui sentì la presenza ferma e rassicurante di Dáin dietro di sé.

«Il mio Re ha delle parole per te, Aragorn» e Gimli ripeté precisamente il messaggio di Thorin. Alla fine, Aragorn sembrava ancora più scosso di prima.

«Tutto questo è difficile da credere, ma lo trovo meno strano del tuo comportamento ultimamente» disse, pallido in volto, e scosse la testa «Vi ringrazio, Maestà, dal profondo del cuore. Ma Gimli, di tutte le risposte che mi avresti potuto dare, questa è una che non avrei mai previsto. Sentire i morti! Avevo pensato che forse tu fossi stato sotto il sole per più tempo di quanto un Nano dovrebbe.»

«Stupidaggini» sbuffò Gimli «Come se un po' di luce potesse confondermi.»

«Disse colui che osò chiedere tre dei capelli dorati della Dama di Luce come suo desiderio» mormorò Legolas.

«Chiudi quella bocca impertinente, Elfo» disse Gimli senza rancore «Ora, ragazzo, ti ho sorpreso a sufficienza? Possiamo riportarti alla Cittadella?»

«Se vi torno, dovrò essere di nuovo Sire Gemma Elfica. Dovrò tenere un consiglio» Aragorn gemette, e si spinse in piedi su gambe tremanti. Gimli lo sorresse, e Legolas mise una delle braccia del Ramingo attorno alle proprie spalle. «Devo dire a Gandalf ciò che ho fatto. Imrahil dovrà ricevere istruzioni chiare su cosa fare dei Sudroni che sono sopravvissuti. Non ci sono abbastanza tende, né abbastanza traduttori – e ci sono ancora tre o quattro Olifanti ancora vivi, anche se feriti, e bisogna fare qualcosa anche di quelli... e Gandalf, sì, Gandalf deve sapere, ci serve il suo consiglio, dobbiamo raccogliere tutte le nostre forze... ma non troppe per lasciare Gondor senza protezione, perché Éomer non disse che c'era un secondo esercito in attesa? Saremo così pochi, forse solo qualche migliaio...»

«Zitto ora, un piede dopo l'altro» disse Gimli, e insieme lui e Legolas aiutarono il loro amico ad attraversare il cortile e tornare al grande edificio in marmo nero e bianco.

«Sta già pensando come un Re. Povera anima» disse Dáin, con sentimento.

Thorin grugnì. «Aye, con tutto ciò che porta. Speriamo che la corona non pesi su di lui quanto lo fece su di me o su di te.»

«Questo è il motivo per cui non ho mai voluto il tuo maledetto lavoro, Thorin»

«Però l'hai fatto così bene, e ti si addiceva tanto» rispose Thorin. Le vecchie provocazioni scherzose gli venivano così naturali.

«Dovevo farlo bene, no? Mi stavi letteralmente perseguitando» rispose Dáin, e sorrise a Frerin «E poi certo, non potevo deludere i miei cugini grandi.»

La bocca di Frerin si spalancò. «Cugino grande?» squittì.

«Aye, beh, sei sempre mio cugino grande, no?» Dáin chinò la testa in modo deferenziale: un guerriero grosso e brizzolato, nel pieno dei suoi anni, che mostrava solenne rispetto verso un adolescente mezzo cresciuto con la barba mezza tagliata «Sei più vecchio di sedici anni, dopotutto. Certe cose non cambiano.»

Frerin sembrava molto giovane, e molto compiaciuto. «Lo sono, no?»

Thorin alzò un sopracciglio verso Dáin, come per dire lo so cosa stai facendo, vecchia volpe.

Dáin gli fece l'occhiolino. Fidato di me. Lo farà felice.

Thorin sospirò, e alzò gli occhi verso il cielo grigio e cupo.

«Cugino grande» disse Frerin felicemente, e gonfiò il petto.

«Che succede qui?» giunse una nuova voce – e una bollicina di aria luminosa riempì il petto di Thorin. Si voltò per vedere Bilbo che guardava perplesso i presenti. «Chi è... non sarà il Dúnedan, quello?»

«Se intendi dire Aragorn, aye» disse lui. Frerin lo guardò curioso per un momento, e poi fece un piccolo “oh” di comprensione.

«Aspetta, cosa, perché parla così» disse Dáin confuso, e Frerin andò da loro cugino e lo prese per un braccio.

«Te lo spiego io, solo sta zitto per un momento» sibilò, e iniziò a sussurrare all'orecchio di Dáin. Thorin non gli prestò attenzione. Era tutta fissata sullo Hobbit – lo Hobbit che ora teneva il suo Nome nelle sue morbide, sicure manine.

«Ciao Bilbo» disse, dolce e profondo.

Le palpebre di Bilbo si abbassarono, le sue guance divennero rosa. Si schiarì la gola. «Sì, eh. Ciao di nuovo» si tirò l'orlo del panciotto, e poi disse: «non so ancora dirlo.»

«Non mi importa» disse Thorin, sorridendo «Sono felice di vederti.»

«E io di vedere te, eh. Dohyarzirikub»

«Quasi» disse Thorin, e si obbligò a non sorridere a Bilbo come un idiota, ma tornò a guardare Legolas che aiutava Aragorn a salire per le scale della grande Sala. Gimli stava portando la maggior parte del peso dell'Uomo mentre l'Elfo li guidava. «Dohyarzirikhab. L'ultima sillaba. Khab.»

«Khab» ripeté Bilbo «Dohyarzirikhab» poi fece uno dei suoi piccoli suoni impazienti, il volto molto irritato «Sembra di lavarsi la bocca con sabbia e ghiaia, cielo...»

«Lo dirò al nostro Creatore, la prossima volta che ci parlerò» rise Thorin «Senza dubbio sarà offeso dal sentire che pensi così male della lingua che ci donò.»

«Penserei piuttosto che una descrizione simile sia un complimento per lui, e non un insulto, o non è stato sempre lui a fare la sabbia e la ghiaia?» disse Bilbo, e incrociò le braccia. Sembrava piuttosto compiaciuto della sua risposta intelligente... più o meno. «Ed è l'ultima sillaba quella che mi dà tanti guai.»

«Forse ora perdonerai Kíli per averti chiamato Mastro Boggins, uhm?»

«Mai» Bilbo tirò su col naso. Un sorriso gli stava tirando gli angoli della bocca.

«Lo Hobbit è qui?» Thorin sentì Dáin esclamare.

«Quello è tuo cugino, me lo ricordo» disse Bilbo, annuendo verso Dáin, e poi guardò le scale «Aspetta, ed ecco il tuo ragazzo Gimli.»

Il mio ragazzo Gimli, lo chiama pensò Thorin, e non lo corresse.

«Perché...» Bilbo si accigliò e strinse gli occhi, facendo un paio di passi verso le persone che si allontanavano. Poi sussultò in sorpresa e fece una corsetta, dicendo: «no, no, no, non è possibile! Non può essere giusto!»

«Bilbo?» lo chiamò Thorin, confuso.

«Si stanno tenendo per mano?» disse Bilbo, e si voltò (Mahal lo salvi, gli Hobbit erano agili!) di scattò per guardare di nuovo Thorin, pieno di confusione «Si stanno tenendo per mano! Ma Legolas è un Elfo?»

Oh, eccoci. «Aye, è vero.»

Bilbo lo guardò incredulo. «E Gimli è un Nano!»

«Sembra che la tua vista sia acuta come sempre, Mastro Baggins» rispose lui, secco come la polvere.

«Ma...!» Bilbo agitò le mani in aria senza parlare «Come mai tu non stai uccidendo qualcuno, allora?»

Thorin fece finta di nulla, e ignorò le risatine che venivano da Dáin e Frerin poco lontano. «Uno Hobbit erudito come te sa di certo che gli Elfi hanno avuto relazioni con membri di altre stirpi prima d'ora» disse, il più calmo possibile.

«Tu! Ma – ma» sputacchiò Bilbo e gli agitò un dito in faccia, e poi lo scosse verso il trio ora scomparso «Quello...!»

«Abbastanza» abbassando la voce, Thorin disse: «e certo, un Nano non può scegliere di nuovo, una volta che ha scelto.»

Bilbo lo fissò. «Non ti credo» dichiarò piatto, e poi alzò le mani, come per dire a tutta Minas Tirith «Non ti credo! Mi confondi sempre, impossibile, stupido...»

«Sì, sì, sciocco, confuso, insolente vecchio Nano, lo so» mormorò Thorin, e sorrise all'espressione stupefatta su quella cara faccia espressiva «Ad essere onesto, mi ci è voluto del tempo per accettare la cosa. Gimli ama chi ama. La sua scelta non è una che avrei previsto, né una che ho accettato facilmente. Conosco Legolas meglio di quando morii, però, e ha dato prova di sé più volte. È degno del migliore di noi. Hanno la mia benedizione. E sarei il più grande degli ipocriti se punissi Gimli per amare qualcuno che non è della nostra razza.»

Bilbo, stupefatto e interrotto a metà predica, chiuse la bocca di scatto. Un piede peloso grattò il terreno. «Oh, eh. Bene allora. Bene» balbettò «Eh. Buono? Sì, suppongo sia qualcosa di buono.»

«E certo, mio nipote mi ha aiutato a vedere le cose più chiaramente» Thorin guardò a Est, dove le grandi nuvole si gonfiavano e confondevano sopra ai picchi delle montagne «Sta tenendo d'occhio il tuo, anche ora. Potremmo andare a vedere come sta.»

Improvvisamente, Bilbo fu di nuovo serio. «Bene» disse, gli occhi pieni di quell'acciaio Hobbit che sembrava sempre rinascere nelle circostanze più avverse «Andiamo a vedere come sta Frodo, allora.»

«In un momento. Lo dico agli altri» Thorin annuì, e poi tornò da Frerin e Dáin (che lo guardavano con identiche espressioni divertite).

«Aspetta – Kíli ti ha aiutato a capire?» urlò Bilbo, il tono dubbioso.

«Sì» rispose Thorin senza fermarsi, e poi alzò le mani e diede sia a suo fratello che a suo cugino una sberla sulle spalle «Smettetela voi due.»

«Se ricordo bene, tu non eri proprio la simpatia fatta a persona quando ero in ansia per chiedere a Thira di sposarmi» disse Dáin acido, e Frerin ridacchiò.

«Sei ridicolo, a fare gli occhi da pecora all'aria»

Thorin fece un respiro profondo e si rassegnò ad essere la fonte del loro divertimento per un po'. «Come ho fatto a dimenticarmi di quanti scherzi voi due siete stati responsabili» ringhiò «Meraviglioso.»

Dáin e Frerin ghignarono.

«Andiamo a controllare Frodo e Sam ora» disse Thorin, ignorando i loro volti allegri e occhi brillanti (senza dubbio avrebbe trovato un vassoio di metallo, freddo come il ghiaccio, ai piedi del letto stanotte, che aspettava solo il tocco dei suoi piedi nudi) «Bilbo vorrebbe vedere suo nipote, e Fíli e Kíli si meritano una pausa.»

«Da quello che mi dice, è Nori che avrebbe bisogno di una pausa da Fíli e Kíli» disse Dáin, ancora ghignando.

«Kíli ti ha aiutato a capire» borbottò Bilbo, scuotendo la testa «Beh, in ogni caso sono felice. Felice che finalmente riesci a vedere il buono negli Elfi. Anche se confesso che sono ancora stupito nel non vederti fortemente contro l'idea di Gimli che cammina con il figlio del Re degli Elfi.»

«Kíli ha una sua saggezza, per quanto inaspettata» disse Thorin, sentendo il bisogno di difendere il suo namadul.

Frerin lo guardò scetticamente. «Non è quello che dice Fíli. Fíli lo chiama un idiota. Sempre.»

«Fíli ha dovuto scusarsi per l'incoscienza di suo fratello per quasi centocinquanta anni» disse Dáin alzando le spalle «Non mi sembra strano.»

«Fíli deve avere la pazienza delle montagne, allora»

«Una parola» disse Bilbo «Pony.»

«Andiamo da loro ora» Prima che tutti voi iniziate a unire le vostre forze nel prendermi in giro non aggiunse Thorin. Chiuse gli occhi, e confidò che le stelle li raccogliessero tutti e li guidassero nell'oscurità.

Il vento era identico, soffiava gelido sul suo volto. Quello era però tutto ciò che era rimasto identico, e Thorin aprì gli occhi per vedere la scena di un incubo. Fumo nero riempiva l'aria, e nulla cresceva fin dove l'occhio poteva arrivare. Erano su un'alta collina, e le pietre erano sciolte in forme contorte sotto i loro piedi, come se la terra d Mahal stesse lottando contro gli orrori che le erano stati gettati sulla schiena. La pianura si stendeva davanti a loro, coperta da sagome di tende e luccichii deboli di armi. Ogni tanto si poteva vedere il barlume di fuochi in fosse profonde, come bocche di drago che respiravano nel cielo notturno.

E all'orizzonte – nemmeno a quaranta miglia di distanza – erano i pendii della grande montagna di fuoco, che si innalzava nelle proprie ceneri sporche, apparendo enorme e tetra e finale. Dietro di essa, mezza nascosta nell'ombra e coperta da un proprio manto di pericolo, era il dente rotto che era Barad-dur.

Frerin si congelò, e la parola “irrîn” uscì senza suono dalle sue labbra.

Dáin lo guardò, e poi mise un braccio amichevole attorno alle spalle del giovane Nano. «Orrendo, vero?» disse, in voce bassa ma sicura «La cosa più brutta che io abbia mai visto. Sua Signoria Monocola non è un grande architetto, questo è certo: io e te avremmo potuto fare un lavoro migliore bendati e ubriachi. Guarda quant'è scomoda! Spero che quelle inutili spine lo infilzino dritto nel suo vecchio Occhio.»

Frerin lo guardò con gratitudine, e annuì.

«Questo è tutto ciò che rimane, a parte il pan di via Elfico. Abbiamo finito il cibo che ci ha dato Faramir» Thorin udì Sam che diceva, e poi li vide. Erano per metà coperti dal manto di Lothlórien di Sam, e vestiti nelle pelli luride e nell'armatura di piccoli Orchi.

Il volto di Frodo era così magro, più magro di quanto uno Hobbit dovrebbe mai essere. I suoi occhi, enormi e blu, erano iniettati di sangue e nervosi e vacui, e cerchi così profondi da essere quasi neri scavavano la pelle attorno a essi. Le sue labbra erano secche e screpolate, e mormorava sottovoce ogni tanto.

Bilbo coprì il suo lamento con mani tremanti, e i suoi occhi erano pieni di dolore. «Ragazzo mio» sussurrò fra i suoi palmi. La voce era piena di senso di colpa.

«Shhh, ora» Thorin desiderava poter abbracciare lo Hobbit e dargli conforto «Lo so che è terribile. Ma lui vive. Vive, e ha ancora Sam.»

«Che cosa ti ho fatto» sussurrò Bilbo, e le sue piccole spalle si piegarono sotto il suo dolore.

«Non è stata colpa tua, Bilbo» disse Thorin, e si voltò per guardare direttamente negli occhi dello Hobbit. Bilbo lo guardò con riluttanza. «Non sei responsabile delle opere dell'Anello. Questa non è. Colpa. Tua.»

La gola di Bilbo si mosse furiosamente mentre fissava Thorin. Poi serrò gli occhi.

«Ecco, Padron Frodo, prendete un altro sorso» disse Sam dolcemente, e portò una borraccia alla bocca di Frodo. Frodo non sembrò accorgersi di aver bevuto tutta l'acqua, porgendo la borraccia vuota a Sam e ricadendo contro la piccola rientranza rocciosa nella quale si nascondevano.

«Non ne vuoi un po'?» chiese debolmente.

«Non ho sete» disse Sam in quel suo modo diretto e coraggioso, rimettendo a posto la borraccia e sorridendo «In ogni caso, a voi serve di più.»

«Ciao ancora zio, zietto, cugino» disse Fíli, e indicò gli Hobbit «Li avevano quasi trovati, forse mezz'ora fa. Una piccola lite fra un Orco e un guerriero Morgul. Però l'hanno scampata.»

Thorin si girò verso suo nipote e premette insieme le loro fronti per un momento. «Come stai tu?»

Fíli sorrise, anche se debolmente. «Meglio di Frodo.»

«Ne ho avuto abbastanza di questo deserto puzzolente» disse Nori, e dondolò da un piede all'altro «È troppo aperto.»

«Anch'io» borbottò Kíli, e poi guardò su verso il fuoco inquieto in cima a Barad-dur «Odio quando il suo Occhio ci passa sopra. Mi fa sentire... più che nudo, se sai cosa intendo.»

«Aye, lo so» Thorin guardò di nuovo Frodo e Sam «Com'è il fardello?»

«Chiama e chiama» disse Fíli «Frodo dice che lo vede sempre ora, come un anello di fuoco tenuto davanti ai suoi occhi.»

Un suono afflitto giunse dalla direzione di Bilbo.

«Dovremmo fare un altro sforzo» disse Frodo, senza aprire gli occhi.

«Riposate un momento, caro Padrone» disse Sam, e guardò la pianura con la disperazione sul suo volto onesto «Così tanti, e tutti in movimento come insetti in estate. Non mi piace affatto l'aspetto di tutto ciò. Però, dove vive tante gente ci devono essere pozzi o acqua corrente, e naturalmente della roba da mangiare. E questi sono Uomini, non Orchi, se non erro. Ebbene, qualunque cosa abbiano da mangiare o da bere non possiamo ottenerla. Non c'è modo di scendere se non per quella strada, ed è troppo aperta.»

«Eppure dobbiamo tentare» disse Frodo.

«Mi immagino come sarà» disse Sam cupo «Dove la pianura è più stretta, gli Orchi e gli Uomini saranno semplicemente ammassati gomito a gomito. Vedrete, Padron Frodo.»

«Lo vedrò, se arriveremo fin lì.»

Sam sospirò e iniziò a rimettere le loro poche cose nello zaino sulla sua schiena. Esitò, e poi chiese: «Vi chiedo perdono, Padron Frodo, ma avete idea di quanta strada dobbiamo ancora fare?»

«No, nessuna idea precisa, Sam» rispose Frodo, arrotolato su se stesso con le braccia attorno al petto «A Granburrone, prima di partire, mi mostrarono una pianta di Mordor disegnata prima che il Nemico tornasse qui; ma la ricordo molto vagamente. Temo, Sam, che il fardello si farà molto pesante, e che avanzerò con ancor maggior lentezza man mano che ci avvicineremo.»

«È proprio ciò che temevo» borbottò Sam, e guardò le cose nel suo zaino, scuotendo la testa «Ebbene, per non parlare dell'acqua, dobbiamo mangiare di meno, Padron Frodo, o altrimenti muoverci più rapidamente.»

«Cercherò di essere più veloce, Sam» disse Frodo, facendo un respiro profondo «Coraggio! Incominciamo un'altra marcia!»

Tirandosi in piedi a vicenda, iniziarono a camminare lentamente nell'oscurità. «Ed è tutto quello che possono fare» disse Fíli, e le sue mani si strinsero e si riaprirono «Mi sento così inutile. Tutto quello che possiamo fare è camminare accanto a loro, ora dopo ora e miglia dopo miglia.»

«È tutto quello che chiunque di noi possa fare» rispose Thorin, e accarezzò il volto di Fíli «Non disperare, namadul. Non sono soli, anche se non lo sanno. Possiamo onorarli così.»

«E li aiuta molto» borbottò Nori, e poi il silenzio cadde su di loro mentre barcollavano nella Terra Nera.

Passò ora dopo ora, e il sentiero era crudele. Frodo barcollava, e si appoggiava continuamente a Sam. Thorin e i suoi compagni non dissero nulla mentre li seguivano passo dopo passo, e nel profondo del suo cuore Thorin urlava per l'ingiustizia di questa Missione e per ciò che aveva fatto a queste due pacifiche, gentili, allegre creature.

Lo sguardo di Bilbo era troppo terribile da sopportare.

Quando il debole bagliore del sole era quasi scomparso dietro le montagne occidentali alle loro spalle, qualcosa cambiò. «Aspettate un momento» disse Sam inaspettatamente, mettendo una mano contro il petto di Frodo e guardando accigliato gli eserciti «Forse è solo il buio che mi gioca uno scherzo, ma non potrebbe essere che si stanno muovendo?»

In quel momento risuonò un corno, echeggiato da altri che risuonarono per l'enorme valle deserta. Frodo dondolò, il rumore parve levargli l'equilibrio.

«Ebbene, ecco un po' di fortuna» disse Sam, stupefatto, e si sistemò lo zaino sulle spalle «Usiamola bene!»

«Aye, stanno andando a Nord» disse Dáin, e si voltò verso Thorin con un ghigno sulle labbra «La finta di Aragorn ha funzionato. Sua Signoria sta correndo spaventato, e lancerà tutto verso i Cancelli.»

«Non ha ancora funzionato, e Aragorn non ha nemmeno raccolto le sue forze» disse Thorin, mentre i molti campi iniziavano a svanire e lunghe, scintillanti, sferraglianti file fatte solo di soldati iniziavano a muoversi per le pianure, come serpenti in armatura.

«L'ha fatto Aragorn?» chiese Kíli, e si raddrizzò un poco «Beh, grazie a Mahal. Non penso che avrebbero mai avuto una possibilità di attraversare quel tappeto di acciaio.»

«Speriamo fossero troppo di fretta per portarsi via il loro cibo» aggiunse Nori.

Dopo un'altra ora di cauto attraversamento dei Morgai, Sam infine imprecò. «Non abbiamo altra scelta, Padron Frodo» disse «Dobbiamo prendere la strada che avevano visto prima da sopra. Non c'è modo di scendere né a est né a ovest, e tornare indietro ci riporterebbe dritti in quel nido di vespe – solo che ora lo abbiamo colpito con un bastone.»

Frodo guardò avanti a sé, ansimando. Ogni respiro scuoteva il suo piccolo corpo.

La preoccupazione attraversò il volto di Sam, e lui prese la mano di Frodo. «Padron Frodo? Padron Frodo?» disse, il più gentilmente possibile «Dobbiamo prendere quella strada. Dobbiamo prenderla e tentare la fortuna, se la fortuna esiste a Mordor. Meglio consegnarci che continuare a vagare, o cercare di tornare indietro. Il cibo non ci basterà. Dobbiamo fare una corsa!»

«Va bene, Sam» disse Frodo, con una voce inespressiva che produsse con qualche sforzo «Conducimi, finché ti rimane ancora della speranza. La mia è scomparsa del tutto. Ma non posso correre, Sam. Ti seguirò stancamente.»

«Prima di incominciare a marciare avete bisogno di riposo e cibo, Padron Frodo. Prendete!»

Sistemando Frodo all'inizio della strada, mezzo nascosto da una sporgenza, Sam gli diede una razione del loro prezioso pan di via, e fece un cuscino del suo mantello Elfico. Frodo mangiò meccanicamente, e quando finì scivolò in un sonno agitato e nervoso.

Quando fu certo che il suo Padrone stava dormendo, Sam si alzò e la guardò in modo malinconico. «Ebbene, Padrone» borbottò Sam fra sé e sé «Ti dovrò lasciare per qualche ora di tempo e tentare la fortuna. Devo procurare dell'acqua, o non potremo andare avanti.»

«Sam» disse Fíli, la mascella che tremava «ha mangiato a malapena negli ultimi due giorni. Continua a dare tutto a Frodo.»

Thorin non osò guardare Bilbo. «Leone della Contea» mormorò, ed era tutto così ingiusto.

Sam strisciò fuori dal loro nascondiglio, e scattò da roccia a roccia con un silenzio e velocità tipicamente Hobbit. Nessun Nano avrebbe potuto seguirlo, nemmeno quelli fantasma. Bilbo si voltò verso Thorin, e i suoi occhi chiesero la domanda. Thorin annuì, e Bilbo scomparve dietro il giardiniere, rapido e agile e sicuro come ai vecchi tempi.

Thorin lo guardò andare: una macchia accesa di rosso e verde e oro tra la polvere nera di Mordor, e cercò di ignorare la piccola parte di sé che gioiva di quanto facilmente fossero ricaduti nel loro vecchio rapporto: sapere la direzione dei pensieri dell'altro, seguire senza domande la guida dell'altro.

«Thorin!» urlò Frerin, riportando la sua attenzione a Frodo.

Gli occhi giovani di suo fratello avevano notato una figura scura, dalle mani grandi e sibilante, che strisciava sulle rocce sopra il nascondiglio di Frodo. «Dannazione!» imprecò, e guardò la direzione nella quale Bilbo e Sam erano spariti «Sono troppo lontani!»

«Scappati, sì» soffiò Gollum, e i suoi occhi brillavano della luce dei folli «Bene, ce ne prenderemo cura noi, vero tesoro? Gollum, Gollum!»

La voce sibilante della creatura era una sporca carezza contro le loro orecchie, e Thorin rabbrividì di disgusto. «Seguiteli, ci serve Sam!» esclamò a Frerin e Kíli, che iniziarono subito a correre.

«Ah – sono i più veloci, hanno le possibilità migliori» disse Dáin, fissando Gollum «Quello...»

«Un tempo era uno Hobbit» finì Thorin «O qualcosa di molto simile.»

«Quello è ciò che l'Anello può fare» aggiunse Fíli, e odio sincero era sul suo volto.

«Calmati» gli disse Thorin. Gli occhi di Fíli andarono a lui.

«Ormai ho visto Frodo Baggins lottare con quella cosa per settimane e settimane, l'ho visto divorarlo vivo dall'interno» disse, basso e feroce «Non ho mai odiato nulla quanto quel piccolo cerchio d'oro.»

«È quasi su di lui» disse Nori bruscamente, riportandoli al presente.

Le mani di Gollum si muovevano, morbide e forti e avide, sopra la pietra torturata mentre strisciava sempre più vicino all'addormentato Frodo. Tutto il tempo mormorava. «Chiamano il povero Sméagol spia, sì, e poi loro vanno a ssssspiare dove non dovrebbero! Oh, molto bello, molto giusto, quanto è giusto, oh sì Tesoro! Sporchi Hobbit, non devono... non devono... e il grassone porta i ssssuoi occhi cattivi via, porta via la spada Elfica e la luce Elfica e lascia il Padrone tutto sssssolo! Ora è il momento, mio tesoro, mio caro! Sssssì, ora!»

«Allontanati!» giunse l'urlo di rabbia, e Sam giunse con Pungolo che brillava blu nella sua mano «Sparisci, schifoso!»

Gollum fece uno strillo di terrore, e sparì in un secondo, i piedi prensili svanirono oltre la sporgenza.

«Appena in tempo» sospirò Kíli, e si strofinò il volto «Deve smetterla di rischiare così!»

«Ebbene, la fortuna non mi ha tradito» disse Sam, guardando il luogo dove Gollum erano scomparso «Non basta essere circondati da migliaia di Orchi, senza che anche quel fetido essere non venga a ficcare qui il suo naso?» strinse le mani e tornò picchiando i piedi dove Frodo dormiva, e si sedette con un'espressione irritata sul volto.

«Ha trovato dell'acqua?» chiese Thorin a Frerin, e lui annuì.

«Acqua sporca e puzzolente, aye. Ma si può bere, ne ha provata un po'. È il meglio che troveranno da queste parti, direi»

Bilbo aveva gli occhi sbarrati e tremava di rabbia fissando le sporgenze. Sembrava incapace di trovare parole con cui esprimere la sua furia, e il suo respiro usciva rapido e forte dal suo naso.

«La Missione non è finita» disse Thorin, il più piano possibile «Gandalf una volta disse a Frodo che la tua fu una pietà che un giorno avrebbe potuto governare il fato di molti. Non pentirti di aver salvato una vita, Bilbo – nemmeno quella. È un disgraziato e un mostro, ma sai che non lo è sempre stato.»

Bilbo batté le palpebre, e poi rabbrividì. «Oh, accidenti, perbacco, dannazione» gemette, e poi la sua voce si alzò fin quasi a un grido «Certo che lo so! Lo vidi quando lo risparmiai: era identico a un vecchio Hobbit rachitico, triste e solo... e io ho portato quella cosa malvagia per quanto, Thorin Scudodiquercia, non puoi dirmi una sola maledetta cosa di cosa possa farti al cuore, cosa faccia alla mente e al corpo! Certo che avevo pietà di lui! Ma lui ucciderà Frodo, vuole uccidere il mio coraggioso ragazzo...» le sue mani si infilarono nei suoi capelli, e lui iniziò a piangere «Come sei riuscito a farlo? A guardare tutto questo orrore e tristezza e follia, incapace di impedire che accadesse, per così tanto?»

Thorin lasciò che la tempesta di dolore e orrore e rabbia passasse su di lui – non si era anche lui sentito così? Poi andò verso dove Bilbo ansimava e tremava, sentendo gli sguardi degli altri sulla sua schiena. La sua mano si alzò, dita che sfioravano i capelli ricci di Bilbo. «Te l'ho già detto, idùzhib» disse serio «L'ho fatto per te.»

Bilbo lo guardò con guance bagnate di lacrime, la bocca spalancata.

Poi svanì.

La piccola mano di Frerin strisciò sulla spalla di Thorin e rimase lì. Da poco lontano veniva il suono di centinaia di stivali, che marciavano sempre più vicini.

TBC...

Note

Dúnedan – "Uomo dell'Ovest", ovvero Numenoreano – è così che Bilbo chiama Aragorn nel capitolo "Il Consiglio di Elrond"

[1] il termine originale era “Quarrel of Dwarves”. “Quarrel”, oltre a riferirsi a un gruppo di animali, può anche voler dire “litigio”. [Torna alla storia]

Morgai – parte orientale degli Ephel Duath, i monti che formano un recinto attorno a Mordor.

Dwerís – Nanum nonbinary che utilizza pronomi femminili. Il verde nella sua barba lo simboleggia, ed è anche un omaggio all'originale barba blu di Dwalin nel libro.

Genild e Beri – Dal blog di determamfidd: “Jeri è l'unicum figlium di Beri figlia di Kori, concepitum quando Beri aveva solo 72 anni nelle Ered Luin. Beri era una giovane rabbiosa, impulsiva e incosciente – un soldato e l'ultima di una famiglia un tempo rispettata che aveva perso gran parte della loro ricchezza in esilio. I modi aggressivi e imprudenti di Beri dovettero fermarsi di colpo, e dovette calmarsi in fretta dopo la nascita del figlium. Beri non parlò mai di chi fu il padre se non con Jeri stessum. […] Nonostante le circostanze, Beri fu un'ottima madre per l'avventurosum, curiosum, intortodossum, logicum e indipendente Jeri. Beri era determinata a dare la vita migliore possibile al figlium, e spesso faceva la minatrice in luoghi pericolosi e andava di pattuglia ai confini per pagamenti extra. […] Fu quando Jeri aveva quasi cinquant'anni che la Missione a Erebor ebbe successo. Beri e Jeri si mossero in una delle grandi carovane Naniche da Ered Luin alla Montagna Solitaria. Fu in questo periodo che la piccola famiglia iniziò a cambiare vita, la fortuna di Jeri iniziò e le sue capacità [di soldato] iniziarono a essere notate. […] [Quando Jeri aveva circa settant'anni] Beri incontrò e sposò Genild figlia di Gorild, una vecchia compagna di Dáin II Piediferro. Genild era una Nana dei Colli Ferrosi e veterana della Battaglia delle Cinque Armate. Come Beri, Genild era una Nana non più giovanissima, e aveva abbandonato l'idea di trovare l'amore. A Jeri piacque subito Genild e gioì della fortuna della madre. Jeri in genere chiama Beri “'amad” e Genild “Ma”.”

Parte del dialogo è preso dal capitolo “La Terra d'Ombra”. Sono stati fatti riferimenti al capitolo “L'Ultima Discussione” (in particolare, la visita di Legolas e Gimli a Merry e Pipino, e la loro camminata per Minas Tirith) e alle Appendici.

Si è stato scelto di usare la linea temporale del film invece che del libro per quanto riguarda l'uso del Palantír di Aragorn (nei libri, lo usa prima di attraversare i Sentieri dei Morti).

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 40
*** Capitolo Quaranta ***


Dopo lunga attesa, finalmente ecco il nuovo capitolo! Sto cercando di mettere un po' di ordine nella formattazione della storia, come si può notare se guardate questo capitolo o i primi della storia. Se provate a passare col mouse sopra una parola in Khuzdul o Sindarin dovreste vederne la traduzione, e sto nascondendo i vocabolari alla fine sotto il pulsante per rendere l'effetto generale un po' più gradevole. Se qualcuno ha suggerimenti da fare, o se ho saltato una parola (capita), potete dirmelo. Buona lettura!


Ori guardò l'enorme rotolo di pergamena. Era coperto di cancellazioni, e piccole note erano scritte lungo tutti i margini in un assortimento di diverse mani. Poteva riconoscere la grafia larga di Thrór, i confusionari segni che erano di Óin, e le curve aggraziate di Frís. Nel suo complesso, era un disastro irriconoscibile e illeggibile. Una sensazione calda e pesante nacque da qualche parte nel suo addome.

Con un ringhio improvviso, alzò la mano e strappò l'orario dalla porta della forgia, lasciando gli angoli attaccati sotto i chiodi che l'avevano tenuto su. «Tutto quel... tutto quel... ARGH, e non sono nemmeno dove – Thorin non è nemmeno – oh, Durin ci salvi, sul serio?»

Bifur, al suo fianco, iniziò ad allontanarsi cautamente. Ori lo ignorò, e passò qualche soddisfacente momento a strappare in pezzi il suo lungo lavoro.

«Ghivashelê?» disse Bifur – piuttosto nervosamente.

«Metterò questa stupida cosa nel didietro di qualcuno» sbuffò Ori, e prese i pezzi stracciati in mano. Poi girò sui tacchi e iniziò ad andare verso la Camera di Sansûkhul. «Andiamo!»

«Oh, mahumb» sospirò Bifur, e poi corse dietro la sagoma borbottante del suo normalmente pacifico piccolo amore «Ori! Aspetta!»


«Non andrà a finire bene» disse Balin in tono piatto, fissando la forma dei due nobili di Dale accucciati in un angolo del mercato insieme, sussurrando ferocemente.

«Temo tu abbia ragione» sospirò Thrór, e la sua mano si poggiò sulla spalla di Balin in goffa rassicurazione «Ma cosa si può fare di loro?»

«Forse gli Orchi li troverebbero divertenti» grugnì Balin, e guardò i due pomposi, idioti palloni gonfiati con intenso disgusto.

«Forse gli Orchi troverebbero piacevole la loro compagnia» aggiunse Hrera acida «Dáin ha appena liberato il mondo del loro capo: non dargliene di nuovi.»

Gli argomenti della loro discussione sembrarono essere arrivati a un qualche accordo. Il loro furioso sussurrare si fermò, e con un cenno della testa e un ghigno crudele Lord Krummet di inchinò sulla mano di Inorna, e se ne andò a grandi passi. Lei lo guardò con una tragica aria di dolcezza ferita, anche se i suoi occhi brillavano di soddisfazione. Poi anche lei girò sui tacchi e scappò fra le ombre.

«Non mi piace» borbottò Balin «Stanno creando tensione fra la Gente di Dale, diffondendo ogni genere di vile pettegolezzo. Non stiamo nascondendo loro del cibo, e lo sanno!»

«Il Popolo di Dale è troppo saggio per credere a tali ovvie menzogne» disse Hrera «E Lady Selga è ancora parte del consiglio. La loro gente si fida di lei, anche se non dei nostri.»

Balin sbuffò nella barba, mordendosi il labbro. «Non mi piace lo stesso. E stanno facendo troppo attenzione ai consiglieri... soprattutto a Dori.»

«Ebbene, non riusciranno facilmente a superare Beri e Genild, non importa quanto tengano il broncio» Thrór si grattò la guancia per un momento, prima di girarsi verso il quarto membro del loro piccolo gruppo «Víli, ragazzo, andresti ad ascoltare ciò che dice la gente? Sei sembra stato il migliore a capire l'umore del popolo.»

Víli arricciò il naso. «Preferirei tornare nelle camere del Consiglio per vedere come sta Dís. Non è molto divertente essere seduto in una taverna quando le tue mani passano attraverso i boccali.»

«Ti porterò personalmente un barile di birra se fai un giro per il mercato con le orecchie aperte» disse Balin, e alzò le sopracciglia guardando Víli «Siamo seduti su un barile di polvere nera, e quei due hanno appena fatto cadere una lampada. Dobbiamo sapere se la Gente di Dale crede a queste menzogne, e dobbiamo sapere se gli Elfi o i Nani sentono tensione o risentimento per questo.»

Víli sospirò e guardò il tetto decorato di smeraldi. «È perché sono comune come il fango, vero?»

«È perché io non so cosa dovrei ascoltare, Thrór anche meno, e Balin analizzerebbe troppo tutto, cercando politiche e angoli e interessi finché tutto non gli si polverizza fra le mani» disse Hrera «E anche perché sì, sei un ottimo Nano, Víli, e il mio nipote acquisito preferito... e sei anche comune come il fango.»

Víli ghignò. «Grazie mille, Maestà.»

Lei gli fece un sorriso teso. Le sue linee di preoccupazione non si lisciarono. «Di nulla. Ora corri.»

«Sì, signora» Víli fece un piccolo inchino, e poi sparì nel mercato rumoroso.


«Solo settemila» giunse il borbottio di Gimli mentre Thorin, Dáin, Frerin e Óin si scrollavano di dosso la luce stellare appiccicosa del Gimlîn-zâram. La loro notte era stata quieta nelle Sale. Ogni Nano che non stava facendo la guardia si era radunato nella forgia di Thrór – non per pianificare o parlare, ma solo per sedersi insieme in silenzio. La tensione era troppo pesante per fare discorsi, e sembrava che una sola parola avrebbe potuto farli crollare. «Come nel benedetto nome di Durin dovremmo assaltare la Terra Nera con solo settemila guerrieri? È follia.»

«Lo sarebbe, se questo fosse davvero un assalto» giunse la voce di Legolas. Thorin socchiuse gli occhi mentre la luce svaniva, e riuscì a riconoscere le forme di cavalieri e fantieri, tutti insieme sotto la pallida luce di metà mattino. «Ma sai bene quanto me che questa non è altro che una incosciente scommessa.»

«Ebbene, ho tirato a sorte a volte, suppongo» sospirò Gimli. Dopo un momento, Thorin riuscì a riconoscere la forma della sua stella. Gimli e l'Elfo erano a piedi piuttosto che a cavallo, e Pipino stava trotterellando su piedi rapidi accanto a loro. Dietro di loro venivano le alte lance dagli occhi grigi che erano i figli di Elrond, le loro armature a foglie luccicavano debolmente.

Gimli rise improvvisamente. «Ti ho mai detto del mio amico Nori? Organizzava tutte le scommesse di Erebor, e anche qualcuna che non era tanto onesta. Scommise anche su di me qualche volta, e mi piace pensare di avergli fatto guadagnare più di quanto non gli abbia fatto perdere!»

Legolas alzò le sopracciglia. «Un altro della compagnia di tuo padre?»

«Aye» Gimli guardò dietro lungo le file e file di soldati fino a Minas Tirith, qualche miglio più indietro «Darei molto per averli al mio fianco, considerando il nostro compito.»

«Tu hai alcuni di loro» disse Thorin, piano e dolcemente. Gimli sorrise.

«Idmi, Melhekhel»

Gli occhi di Legolas andarono verso il basso, e poi chinò impercettibilmente la testa. «Re Thorin ha fatto ritorno, suppongo» mormorò.

«Aye, è qui, insieme a uno o due altri. Dunque posso infine unirmi alla Compagnia, mio Re? Ah, ma siamo molto lontani dai giorni in cui ero ancora troppo fresco e verde per seguirvi in un grande viaggio per affrontare un mortale nemico»

«Avevi sessantadue anni, e mai un ragazzo più incosciente e irritabile ha camminato per Ered Luin» borbottò Óin «Saresti finito sotto i piedi di un Troll prima ancora di arrivare alle Montagne Nebbiose – o avresti persino cercato di lottare con Beorn.»

«Pace, zio. Non sono arrabbiato!» Gimli girò lo sguardo da Minas Tirith, e fece un lungo sospiro che gli fece piegare un poco le spalle «Sto solo ricordando.»

«Mi preoccupa» sussurrò Frerin «Vuol dire... intendo dire, se sta pensando al passato...»

Dáin lo zittì, anche se i suoi acuti occhi blu andavano da Gimli a Thorin.

«Beh, io so chi è arrabbiato, e quello è Merry» disse Pipino. Doveva fare tre passi per ognuno di quelli di Legolas, e stava praticamente trottando mentre camminavano. «Aragorn e Gandalf dicono che non può venire. L'avranno dovuto legare per impedirglielo!!»

«E non dovrebbe!» disse Legolas «Ha già compiuto una grande impresa, e gli è costata caramente nonostante il suo coraggio. Deve riposare, e tornare forte e in salute. L'Alito Nero è qualcosa di terribile da sopportare.»

«Esattamente quello che gli ho detto io!» disse Pipino annuendo decisamente «E anche Aragorn. E poi, devo mettermi alla pari con lui ora. Non posso permettere che i Brandybuck si prendano tutta la gloria quando torniamo a casa! Sarebbero degli insopportabili palloni gonfiati, e non posso permetterglielo, per niente. Devo tenere alto l'onore dei Grandi Smial di Tucburgo, ecco.»

Gimli sbuffò, e Legolas rise apertamente. Poi Legolas si fermò in un lampo, serio velocemente quasi quanto aveva iniziato a ridere. «Quando torniamo a casa» ripeté lentamente, e abbassò gli occhi.

Gimli toccò la mano di Legolas con un dito cauto. «Legolas? Ragazzo?»

«No, non sento i gabbiani, Gimli» disse Legolas, e rimase in silenzio per un pensieroso momento. Poi disse: «Dimmi, cosa farai quando tornerai a casa?»

«Quando tornerò...» la bocca di Gimli rimase aperta. Il dolore entrò nei suoi occhi scuri, e scosse la testa spettinata. «Âzyungelê, non ci sono molte possibilità di...»

«Fingi» disse Legolas, brusco e freddo «Fingi, per me, per carità mia.»

Gimli rimase in silenzio, e poi alzò il mento per guardare le forme proibitive delle Montagne di Mordor, che crescevano sempre di più. «Beh» iniziò, il tono pensieroso e lento «per prima cosa andrò dalla mia famiglia. Li saluterò, e saremo infine insieme dopo quest'anno terribilmente lungo. Mio padre urlerà e riderà e piangerà, e mia madre inizierà immediatamente a sgridarci tutti indiscriminatamente. Anche te» aggiunse, e toccò ancora la mano di Legolas – un tocco caldo e rassicurante.

Le labbra di Legolas si incurvarono, e la sua espressione si addolcì leggermente mentre ricambiava il segreto sorriso di Gimli. «Non vedo l'ora di incontrare tua madre.»

Gimli sbuffò piano. «Sarà orripilata nel vederci, quando noterà quanto magro sono diventato. Ci nutrirà per una settimana senza pause prima di essere soddisfatta! Mio nipote correrà e danzerà e si arrampicherà su di noi, e forse in fine riuscirò a sorprendere mia sorella abbastanza da fermarle quella lingua affilata.»

«E poi cosa?» Legolas girò la mano per stringere le grosse dita di Gimli.

«Poi vedrò il mio nuovo Re, e racconterò la mia storia» disse Gimli «e forse faremo una festa. Visiterò Dwalin e Dori, e mostrerò loro il libro scritto nella grafia di Ori, e dirò loro di ciò che trovammo a Khazâd-dum...» Gimli si interruppe e strinse la mano di Legolas. Anche se il suo tocco rimase gentile, spinse la mascella in avanti in modo determinato, come se si stesse già preparando per una battaglia. «Dirò loro di te, e tutti ci accetteranno con braccia aperte e cuori aperti. Ti vorranno bene, come me. Aspetta e vedrai.»

«E quel giorno, io darò a Thranduil un grosso bacio bagnato sulle labbra, no?» borbottò Óin.

«Andremo a casa» disse Legolas, e fissò le montagne davanti a loro con qualcosa di simile a rabbia negli occhi «E saremo insieme.»

«Aye, ogni giorno» promise Gimli «Ogni giorno. E andremo alle Caverne Scintillanti sotto il Fosso di Helm e ti mostrerò come le rocce crescano e sboccino meravigliosamente come i fiori in un giardino; se non di più, perché la loro fioritura ha bisogno di molte migliaia di anni. E tu mi presenterai a tuo padre e ai tuoi fratelli, e loro ti faranno le congratulazioni per il tuo gusto eccellente in fatto di mariti.»

«Sì» sussurrò Legolas «Ti vedranno come ti vedo io. Andremo a Fangorn e cammineremo fra gli alberi così antichi che mi fanno sentire giovane come l'alba. Ti insegnerò come ascoltare le loro parole...»

«Quella è l'idea, Kurdulê» disse Gimli, e si portò la mano di Legolas alle labbra per baciarla.

Poi si fermò quando la realizzazione gli attraversò il volto, e i suoi occhi scattarono in giro. «Eh.»

Le orecchie di Pipino erano rosse, e i suoi occhi erano enormi. «Quindi, voi...» disse in tono strozzato.

L'unico segno del nervosismo di Legolas era un certo biancore delle sue nocche dove stringeva la mano di Gimli. Per il resto, pareva rilassato mentre camminava per i campi devastati del Pelennor.

«Aye» disse Gimli, come sfidando Pipino a commentare. Guardò cautamente anche Elladan e Elrohir. «Così stanno le cose.»

«Oh» disse Pipino, e parve molto giovane in quel momento, battendo le palpebre stupefatto. Poi un largo ghigno iniziò a formarsi sul suo volto. «Aspetta, voi siete – oh, gloria e trombe, come direbbe Sam! Beh, congratulazioni a tutti a due!»

«Sei il secondo ad offrirci la sua benedizione» disse Legolas, e sembrava confuso per la reazione di Pipino «Non eravamo sicuri del fatto che avresti approvato.»

«Approvare? Certo che approvo!» Pipino mise i pollici nelle spalline del suo zaino e sorrise loro orgogliosamente «Sono un Tuc, miei cari amici, non qualche fastidioso Boncorpo o noioso Tronfipiedi, sempre a fare pettegolezzi come fanno loro a Crifosso! Lo scandalo è stato il mio pane da quando sono nato: chiedete a Merry se avete dei dubbi. E poi, state ignorando la cosa davvero importante qui.»

«Aye?»

Pipino si strofinò assieme le mani. «I matrimoni hanno le danze migliori e il cibo migliore! Dunque, ora che è chiaro, quando possiamo iniziare a fare piani? Penso che dovreste farlo appena potete, prima che ce ne andiamo da Minas Tirith. Altrimenti come faremmo a esserci tutti?»

Gimli sbuffò forte. «Sarebbe come mettere il gatto fra i corvi, te lo dico io!»

«Mio padre non me lo perdonerebbe mai» disse Legolas, ma il suo sorriso era compiaciuto, anche se un po' confuso.

Pipino fece un suono maleducato. «Ed è così probabile che lui te la faccia passare liscia anche così?»

«Perché lo Hobbit è l'unico che usa la testa?» chiese Óin all'aria.

«Beh, farete come volete, ovviamente» continuò Pipino, e scrollò le spalle «Ma tuo padre sarà livido non importa quello che fai, quindi il mio consiglio, per quanto possa valere, è di ignorare tutte le urla e fare quello che ti rende felice. Almeno, per me ha sempre funzionato.»

«Questo spiega molto, Piccolo Combinaguai» disse Thorin, reprimendo un sorriso.

Gimli e Legolas si guardarono, e poi Gimli disse: «c'è una qualche saggezza in ciò che dici...»

Pipino fece uno sbuffo soddisfatto. «Naturalmente.»

«...ma sono sicuro che mi sarebbero strappate le trecce dalla testa» Gimli si grattò il mento «O la barba pelo per pelo.»

«Ed io» Legolas guardò i gemelli Peredhel «Io non sono certo che d'ora in poi sarò il benvenuto nelle sale di mio padre. Non posso parlare per tutti i regni degli Elfi, ovviamente...»

Tranquillamente, Elladan disse, come se stesse parlando con l'aria: «anche se molto è stato detto della nostra eredità mista, sembra spesso che gli altri non si rendano conto che nostra sorella presto si unirà a uno di sangue mortale.»

«E non abbiamo nulla contro l'unione, né nessuno del nostro popolo» aggiunse Elrohir. Poi il suo volto serio si corrugò un poco. «Anche se credo che sarebbe una prova persino per l'incredulità di mio padre, se vi vedesse in cerca di protezione a Imlardis. E lui ha visto molte cose.»

«Molte, molte, molte cose» aggiunse Elladan.

Pipino gonfiò il petto. «Ora, dovete considerare tutti i fattori. Qualsiasi cosa voi facciate, probabilmente sorprenderete tutti quelli che incontrerete. Siete qualcosa di davvero nuovo, in caso vi sia in qualche modo passato di mente in tutti questi discorsi terribilmente tristi di cosa farai, eccetera. Se veniste nella Contea sorpassereste persino il Signor Bilbo in quanto cosa più strana vista negli ultimi secoli, ed è un fatto.»

«Gentile da parte tua» disse Gimli a denti stretti. Dáin rise.

«Mi piacciono questi Hobbit, a voi?» disse allegramente «Il mio genere di persone.»

«Non tanto nuova» disse Legolas, e strinse più forte la mano di Gimli «Ci furono altri. Mio padre derise il loro amore, e esiliò lei dal suo regno.»

«Io non credo che tuo padre ti esilierebbe, Thranduilion» disse Elladan «Lui ti ama troppo, e Thranduil stringe forte ciò che ama.»

«Mio padre è orgoglioso» disse Legolas «E non ha amore per i Nani.»

«Ah, ma è il suo orgoglio più grande del suo amore per te?» disse Elrohir, e scosse la testa «Abbi cuore! Perché affrontiamo un pericolo più grande dell'ira di Thranduil, e ogni discorso del domani è solo fumo nel vento.»

«Allegro» disse Frerin amaramente «Se questa è la loro idea di conforto, lascia molto a desiderare.»

«Il fumo nel vento è una bella idea» borbottò Gimli «Quando ci fermiamo?»

Thorin considerò mentalmente le parole del Signore Elfico. «Ma c'è questo: Gimli e Legolas non saranno esclusi da tutti gli Elfi» disse, e poi ringhiò e si strofinò la fronte. Sono più che stanco di dover cambiare la mia opinione su questi dannati, dannati scopa-alberi. Maledizione.

Però, era una buona cosa che Legolas non sarebbe stato separato dal suo popolo. Ma cosa fare con Thranduil, il ragno pallido di Bosco Atro, che sarebbe rimasto fermo a guardare Nani che morivano di fame ma avrebbe nutrito Uomini senza pensarci?

Pipino si sistemò la spada, e poi strinse le mani. «Ora, tornando a questioni veramente importanti, per favore: cosa pensate di servire al matrimonio? Perché, in quanto vostro amico, sarei estremamente mancante se non vi facessi la ricetta di mia nonna per i funghi ripieni al burro con salvia e basilico.»

Gimli e Legolas si guardarono, e si affrettarono a soffocare le loro risa.


Víli guardò con preoccupazione e nervosismo crescente mentre Inorna sussurrava all'orecchio di un Uomo di Dale dall'aspetto tartassato. Lei si toccò il naso e scappò via tenendosi alte le gonne. L'Uomo di Dale storse il naso e scosse la testa in disgusto, ma continuò a spostare barili verso la grandi piattaforme che si alzavano fino ai bastioni.

«Nessuna gioia qui, Inorna» disse Víli, e ghignò fra sé e sé andando avanti.

Si fermò brevemente alla vecchia taverna di Nori, che era per la maggior parte vuota. Le mura tremarono per l'impatto di macigni quando le catapulte ripresero il loro lavoro. Víli si tirò le trecce dei baffi, e si chiese se gli Orchi e gli Esterling erano infine riusciti a raggrupparsi dopo la morte di Dâgalûr.

Probabilmente no, decise, e si piegò per ascoltare una coppia di vecchie donne di Dale pettegolanti. «Dubito ci sia tutto quel cibo nascosto di cui parlano» disse una «Sarebbero visiti mangiarlo in seguito e lo sanno, e porterebbe a ogni genere di guai, quindi perché fare tutto il lavoro di organizzare i silo e i magazzini in quel caso?»

«Non ha senso, per me» disse l'altra, annuendo a labbra strette e bevendo un sorso del suo tè annacquato «I Nani della Montagna sono sempre stati di parola sin da quando possa ricordarmi, sin da quando ero piccola. Qualche gattaccio nervoso non cambierà i fatti!»

Víli fece un sospiro di sollievo, e iniziò a tornare indietro per le silenziose sale di Erebor. La maggioranza delle persone erano ancora a difendere le mura o lavorare nelle forge, sembrava, e la maggior parte dei corridoi erano deserti. Un frammento di conversazione gli giunse all'orecchio quando passò oltre l'entrata delle cucine, e guardò dietro l'angolo per ascoltare meglio.

«...non un maiale arrosto?» giunse la voce fastidiosa di Krummet «Li abbiamo visti tutti in giro, grassi come il burro e sfrontati! È una prova di quello che dico, questa. C'è cibo, e molto, e i Nani stanno nascondendo la nostra parte! Possiamo sopportare questo egoismo? Il Popolo di Dale non ha più orgoglio?»

«Non so» disse la donna incerta «Ho aiutato nelle cucine, e gente che ha cibo in abbondanza non fa solo zuppa per nove giorni di fila. La fanno perché dura, riempie, e non servono poi molti ingredienti...»

Krummet la guardò storto. «I maiali!» sibilò, gli occhi sbarrati «Ignorerai delle prove così ovvie?»

«Quei maiali non sono cibo, da quanto mi dice Barur Panciapietra» lei si asciugò le mani sul grembiule, e scosse la testa «Non ignorerò le regole dell'ospitalità uccidendo gli animali domestici del mio ospite senza un te-lo-concedo. Vi auguro una buona giornata, grazie» disse seria, e sparì nella cucina.

Krummet ringhiò in furia impotente, e se ne andò a grandi passi con il collo paonazzo.

«Ratto di fogna» borbottò Víli alle sue spalle, sentendo una nuova ondata di disgusto per quel tipo spiacevole. Poi mise da parte pensieri dell'untuoso nobile di Dale e iniziò ad andare verso i livelli superiori.

«...sempre intorno alle mie stanze come un pessimo odore» giunse la voce di Dori da una sala di riunione della Gilda. Víli quasi continuò per la sua strada prima che il suo cervello tornasse al passo con le sue orecchie. Si fermò rapidamente e mise la testa attraverso la porta.

Seduti dietro a un tavolo coperto da un pesante libro con borchie in ottone, Glóin si stava massaggiando le tempie, un'espressione stanca sul volto. Attorno al tavolo erano Dori, Mizim, la Lady Selga e il Capitano Elfico Merilin. «Non saprei come risolvere il problema» disse Glóin, e Dori borbottò fra sé e sé dei vili piccoli rompiscatole «Anche se probabilmente non sarebbe diplomatico da parte mia suggerire un buon pugno.»

«Sarei felice di eseguire» disse Dori bruscamente.

«Se pensate che potrebbe creare un incidente, forse potrei offrirmi volontaria» disse Lady Selga. Gli occhi scuri di Merilin andarono verso di lei, brillando con un lampo di divertimento.

«Mi piacerebbe vederlo» disse, piano.

«Potresti averne occasione» disse Glóin cupo, e fece correre un dito lungo una colonna del suo grande libro, trovando e picchiando sull'ultima cifra «Non ci rimane abbastanza per durare una settimana per come stanno le cose. Temo che noi stiamo sopravvalutando largamente i nostri viveri. Ci rimangono solo le ossa del culo, ragazzi.»

«Hai delle copie di queste informazioni?» disse Merilin; la sua espressione passò da ammirazione a serietà quando girò lo sguardo da Selga a Glóin.

Il vecchio Nano parve incredibilmente indignato. «Io sono un banchiere. Ho tre copie di queste informazioni, e una copia è data in custodia di una persona rispettabile di grande segretezza.»

Fu il turno di Selga di essere divertita, quando Merilin disse: «le mie più sincere scuse, Mastro Glóin.»

«Se ho delle copie» sbuffò Glóin, rilassandosi mentre Mizim gli accarezzava la mano distrattamente.

«Non avete centrato il punto, voi tutti» disse, e si piegò in avanti per guardare di nuovo il libro, prima di raddrizzarsi «Quando finiremo il cibo, cosa pensate faranno i nostri due piccoli pettegoli vendicativi?»

Dori gemette in comprensione. «Accusarci di nasconderlo, naturalmente. E probabilmente non smetteranno mai il loro infernale spiare le mie stanze.»

«E quando le cinture di tutti saranno un po' più larghe, è quando inizieranno a trovare qualche altro orecchio amichevole» disse Selga.

«Perché stanno dando fastidio a voi, però?» disse Merilin a Dori, il quale fece un suono di frustrazione impotente «Voi siete il Mastro delle Gilde e il Quartiermastro di Erebor, la vostra reputazione è senza macchia...»

Gli occhi di Glóin si allargarono. «E tu sei il Mastro delle Gilde, e il Quartiermastro dell'esercito, e vivi solo, e sei seduto su una miniera d'oro di informazioni che potrebbero usare.»

Dori sbiancò di colpo. «Questo...»

«Non lo escludo da loro» disse Selga, il tono piatto. Si alzò e si raddrizzò il vestito con un movimento brusco. «Sono conosciuti per le loro pratiche immorali negli affari, a casa. Non si fermerebbero a pettegolezzi e menzogne.»

«Pensate che si introdurrebbero nelle mie stanze?»

«Penso che ci proverebbero» disse Selga, e si allontanò dal tavolo con passi rapidi e rabbiosi «Quei due! Ci hanno ostruiti in tutto. Ora artigliano il potere e giocano giochi idioti! C'è una guerra fuori!»

«Evidentemente non sanno abbastanza di te se pensano che tu sia un bersaglio facile» disse Mizim a Dori, che sembrava assolutamente furioso.

«Ebbene, Dori non è come sembra, no?» disse Glóin, e si appoggiò allo schienale della sua sedia e si mise i suoi vetri da lettura sopra la testa bianca «Sospetto che rimpiangeranno aver preso di mira il puntiglioso, educato burocrate quando scopriranno che ha un gancio destro come una sbarra di ferro.»

«Puntiglioso!?» sputacchiò Dori, e Glóin fece spallucce.

«Ti conosco da abbastanza tempo per essere diretto, gamil bâhûn»

Dori lo incenerì, prima di dover concedere il suo punto con un borbottio.

«Che informazioni ci sono nelle vostre stanze, Mastro Dori?» disse Merilin, piegandosi in avanti e chinando la testa, quegli scuri occhi Elfici concentrati.

«L'inventario delle armi» sospirò lui, e si tirò la stretta treccia nella sua barba «Accordi delle Gilde. E sfortunatamente, la posizione dei magazzini» quando un urlo seguì la notizia, Dori si gonfiò difensivamente «Come nel nome di Mahal avrei dovuto predire questo? E qualcuno deve informarne Beri e Genild!»

«Ah, dannazione» gemette Glóin «Smettila di essere così dannatamente competente, Dori, e lascia che qualcun altro faccia le cose per una volta.»

«Io sono la più rapida, andrò alle vostre stanze per vedere se sono state disturbate» disse Merilin, raddrizzandosi. Il suo mantello rosso frusciò contro i suoi polpacci quando si girò e andò alla porta.

Un altro impatto risuonò contro il versante della montagna come il suono di un enorme martello, e Selga sobbalzò. «Muoviti, capitano» incitò l'Elfa.

Merilin si fermò a metà di un passo, e chinò la testa. Poi svanì in un lampo di mantello e lunghi capelli neri.

Dori aprì le spalle e si girò verso Glóin e Mizim. «Potrei chiederle un'arma, vecchio amico?» disse nella voce più controllata che Víli avesse mai sentito.

Glóin scoprì i denti in un ghigno feroce, e fece un cenno verso il muro. Dori non rispose, ma andò diretto verso le rastrelliere piene di armi che erano lì appese. Le sue mani esitarono su un mazzafrusto per un momento, prima di scegliere un enorme, pesante martello.

Alzandolo senza segno di sforzo, si girò verso Glóin, Mizim e Selga, e fece loro un cenno cortese. «Ora, se mi volete scusare...?»

«Prego, Dori caro» disse Mizim, ugualmente educata.

«Fai loro il culo» aggiunse Glóin.

Dori si inchinò educatamente verso Selga, poi ringhiò e corse dietro Merilin, gli occhi infuocati per la furia.

Víli ingoiò le sue imprecazioni più scelte, e chiuse gli occhi e lasciò che la luce stellare lo trascinasse via. Thrór doveva sapere.


«Come fa ad essere ancora in piedi?» si chiese Kíli ad alta voce, il tono diviso equamente in disperazione e meraviglia.

Fíli non ne aveva idea, ma guardò Frodo che barcollava in avanti mentre il capo Orco faceva di nuovo schioccare la frusta contro le gambe in movimento dei soldati. Lo Hobbit parve non sentire nemmeno i colpi, come se fosse già morto per il mondo dei vivi – o come se interiormente fosse già al limite del dolore, e quindi il carezza di una frusta non faceva nessuna differenza.

E per tutto il tempo, l'Anello chiamava.

«Questa è agonia» disse, e fece un altro passo e un altro ancora, obbligandosi a rimanere al passo con Sam e Frodo. Quando aveva scelto questo dovere, non si era aspettato tali orrori. Non aveva saputo quanto sarebbe stato difficile essere testimone di tanta sofferenza, incapace di aiutare. Troppe volte aveva desiderato voltarsi, permettere alla luce stellare di portarlo via dalla vista del volto pallido di Frodo, dal suo respiro rasposo, dai suoi occhi senza vita.

No. Questo coraggio – questo sacrificio – si meritava un testimone. Frodo e Sam non sarebbero rimasti soli, e lui li avrebbe onorati. Se Fíli avesse potuto, l'intera creazione li avrebbe onorati.

Frodo barcollò, e Sam lo sorresse. «Dove c'è una frusta, c'è una volontà, fannulloni!» ruggì il capo degli Orchi, e la rabbia di Fíli montò mentre gli altri Orchi urlavano.

«A quel tizio serve un appuntamento coi miei coltelli» borbottò Nori. Era avanti a loro, i suoi occhi acuti osservavano la piana affollata avanti. Fíli rimaneva a destra di Frodo, e Kíli fiancheggiava Sam a sinistra.

«Sento il bisogno di un arco in mano, per qualche motivo» confermò Kíli, guardando tetramente il comandante.

Mordor sembrava infinita, la marcia insopportabile. In qualche modo gli Hobbit barcollarono e si trascinarono avanti, strisciando i piedi nella polvere. Il tempo passava come ghiaccio che si scioglie lentamente. Il sole avanzava lungo il suo corso, enorme e rosso e rabbioso dietro il cielo perpetuamente puzzolente e pieno di fumo.

«Dovranno fermarsi prima o poi» disse Nori. Il suo volto furbo e allegro era tetro e aggrottato, e tutti e tre avevano degli orribili segni sotto gli occhi. «Un esercito può andare avanti solo al passo del soldato più lento – per non parlare di tutti i vagoni di viveri o cose del genere. Gli eserciti sono lenti, e c'è sempre molta confusione: una bella opportunità per scappar via, spero.»

«Speri» ripeté Fíli, e fece un altro passo, e un altro. A volte gli sembrava che tutto ciò che facesse fosse camminare accanto a Frodo, inutile e inefficace come uno scudo di vetro.

«Cosa c'è là avanti! Nori?» disse Kíli improvvisamente, spezzando la monotonia. Nori guardò fra i corpi degli Orchi in marcia, e soffiò fra i denti.

«Un incrocio – e sta arrivando qualcuno! È la loro occasione!»

Proprio in quel momento, un nuovo gruppo di Uruk, correndo a un trotto ritmico, si scontrò con la loro colonna. Tutto fu gettato nella confusione, con ogni Orco che strillava e picchiava e sputava agli altri. «Padron Frodo!» sussurrò Sam, e tirò l'intontito Frodo «Andiamo, ora: scendiamo in quel fosso, non riusciranno a vederci oltre quell'alto muro. Ma dobbiamo farlo ora!»

Frodo si riscosse, e poi i due Hobbit strisciarono via dalla confusione, con gli Orchi che gli inciampavano sopra e imprecavano tutto il tempo. Poi si arrampicarono oltre il bordo della strada, e rimasero immobili, coperti nei loro mantelli Elfici, mentre le due colonne si riorganizzavano con molte urla e minacce.

«Se ne sono accorti?» chiese Fíli a Nori sottovoce.

«Nah, nessuno ha visto niente. Troppo occupati a cercare di infilzare gli altri in un occhio» sbuffò Nori «Gente amichevole, eh? Penso che se non fosse per l'influenza di Sauron, gli Orchi si estinguerebbero fra loro in un paio di decenni.»

«Se solo fossimo così fortunati» disse Fíli, e indicò Sam che stava incitando gentilmente Frodo a strisciare un po' più lontano dalla strada «Se solo lo fossero loro.»

«Ha ancora tanta speranza in sé» disse Kíli, piano «Sam, intendo.»

Fíli guardò suo fratello per un momento, e poi si girò di nuovo verso gli Hobbit. Frodo si era mosso di nuovo grazie all'incitazione di Sam, e stava andando un pollice alla volta verso la roccia irregolare. «Sono contento che almeno uno di loro ne abbia, in ogni caso» si disse «Se non possono avere fortuna, almeno hanno quella.»

«Ed eccola di nuovo, cosa dannata» disse Nori cupo, e guardò la tetra forma dell'Orodruin – così vicina ormai, molto vicina «Odio quella montagna.»

Era una cosa strana da dire per un Nano, ma Fíli sapeva esattamente come si sentiva Nori. Con laghi di lava attorno a ogni versante, i fianchi irregolari come pelle scabrosa e malata, e la luminosa bocca aperta che era senza dubbio l'entrata all'abisso di fuoco, il Monte Fato era orribile da vedere e orribile da percepire. Il senso della roccia di Fíli era sempre stato migliore di quello di Thorin, Dís o Kíli, e gli si accapponava la pelle a pensare alla roccia dentro a quella deforme, malevolente fornace. Tutta la terra qui era stata avvelenata per talmente tanto tempo, e quel posto più di ogni altro.

«Andiamo» disse, e si fece forza mentre gli Hobbit iniziavano a strisciare verso di essa.


Ori si scrollò di dosso la luce del Gimlîn-zâram e alzò un dito, pronto a dire a chiunque avrebbe trovato esattamente cosa gli passava per la testa. Poi si fermò.

«Dove siamo?» disse Bifur, strofinandosi gli occhi.

«Questi sono gli appartamenti della mia famiglia» disse Ori lentamente, e si girò confuso «Erebor. Ma erano Thrór e la Regina Hrera a essere di guardia qui, pensavo? Perché le stelle ci hanno portati qua e non a Gondor?»

Gli occhi di Bifur si allargarono, e indicò un punto dietro la schiena di Ori. «Forse quello è il motivo.»

Ori si girò, e la sua bocca si spalancò in rabbia alla vista dell'untuoso Uomo che cercava nei cassetti della scrivania di Dori. Le carte che erano state sistemate sulle mensole erano gettate sul pavimento. Persino lo sbiadito disegno che Ori aveva dato a Dori il suo centesimo compleanno era stato strappato dal muro, e ora giaceva a terra lontano dalla sua cornice. «Come osa!» sputacchiò lui, e i suoi pugni tremavano ai suoi fianchi «Come OSA!?»

«Quello è uno dei due nobili di cui ci ha parlato Dáin» disse Bifur, le labbra arricciate in disgusto. Un rumore dall'altra stanza catturò la sua attenzione, e spiò la donna che svuotava una scatola di carte. «Ed ecco l'altra.»

«Avrò i loro capelli, gli sporchi – le bestie traditrici, i – NO!» ululò Ori quando gli occhi di Inorna caddero un un vecchio porta penne. Si frantumò al suolo quando lei aprì la scatola sotto di esso. «Quello era di nostra madre!»

«Ori! Ori, Âzyungelê!» Bifur fece un passo avanti e mise una mano sul braccio di Ori, fermandolo «Il drago non era nemmeno lontanamente pericoloso quanto te» mormorò in ammirazione e preoccupazione «ma sanmelek, possiamo solo guardare e fare rapporto a Thorin. Ma ikhyij thaiku khama nurt ze' suruj!»

«E allora TROVIAMO Thorin» ringhiò Ori, e si girò verso la porta. Che fu improvvisamente occupata da una alta, elegante figura in rosso, piegata per passare sotto il basso stipite.

«Lord Krummet» disse Merilin nella sua voce calma e limpida «Cosa pensate di fare?»

Krummet si bloccò, la mano infilata fino al polso in un portamonete. Il respiro di Inorna si mozzò, e lei immediatamente si premette contro il muro, nascondendosi.

Il mento di Krummet si alzò, e lui gonfiò il petto. Un pugnale gli scintillava in mano. «Ciò che deve essere fatto» ringhiò «Ci sono delle prove da qualche parte, ci scommetto il mo nome. E le troverò e porterò alla luce questi mostri!»

Merilin alzò una mano e si avvicinò all'Uomo, il corpo teso e allerta. «Vedete cospirazione dove non ve ne sono» disse, dura e calma «I Nani di Erebor hanno fatto affari onesti con il tuo popolo, e lo fanno ancora nonostante le loro perdite, nonostante tutti i costi per loro e il loro popolo. Non c'è nessuna congiura, nessun magazzino nascosto, nessuno schema segreto. Il cibo era già scarso prima che Dale cadesse. Ora, nonostante tutte le collette e gli sforzi, è quasi finito. Eppure voi non state morendo di fame.»

«Menzogne!» Krummet alzò un dito verso la donna Elfo, il volto illuminato dal fervore degli ossessionati «Allora perché non ci hanno ascoltato quando si sono radunati per imporci la loro volontà? Nani, che si impongono su di me!» fece una brutta risata di derisione «Deforme, avida piccola feccia, che pensa di essere più forte di loro superiori, tenendo per sé un potere che è mio di diritto!»

Inorna aggrottò la fronte, e si incupì nel suo nascondiglio. Però non mosse un muscolo.

«No, ho cambiato idea, uccidilo» grugnì Bifur.

Ori era troppo preso dalla rabbia per dare una risposta coerente.

«I Nani di Erebor si sono comportati correttamente» ripeté Merilin, e fece un altro cauto passo avanti «Tu e la tua compagna, invece, non lo avete fatto. Avete cercato di usarli per i vostri scopi. Avete cercato di sfruttare la loro generosità e il loro dolore. Pensavate che il dolore di Bard e Thorin sarebbe stato così completo che avreste potuto fare i vostri comodi nella casa di un altro. Strisciate e vi contorcete in cerca del potere, e diffondete menzogne ovunque possiate. La Montagna vi ha dato riparo nel momento del bisogno, ma voi l'avete solo derisa.»

Il pugnale si alzò verso di lei. «Complete menzogne!» urlò Krummet, gli occhi che scattavano da un lato all'altro, cercando una via di fuga «Voglio un compenso per tali offese!»

«Devi solo dirmi il momento, se la vendetta è tutto ciò che vuoi» disse Merilin fredda «C'è un esercito di Orchi oltre queste mura, e noi moriremo di fame fra una settimana.»

«Ti dico che c'è-»

«Io sono una di coloro che ha fatto da testimone alla raccolta» disse lei, e fece un altro passo avanti, e un altro «Io sono un'Elfa. Non servo gli interessi degli Uomini o dei Nani, e ti dico, i silo sono quasi vuoti. La colletta di cibo non ha raccolto quanto si sperava. Le tue accuse sono false. Le tue delusioni di grandezza sono errate e patetiche, e i tuoi metodi vili.»

Krummet ringhiò per l'indignazione, il pugnale che si muoveva avanti e indietro. «Parli di cose che non conosci, Elfo! Voi non avete cuore, voi immortali, nessuna simpatia per le lotte di coloro il cui sangue è più fiero e fresco del vostro. Fatti di ghiaccio e cera, tutti voi! Non puoi nemmeno immaginare cosa io abbia perso: il mio oro, i miei affari, i miei servi, il mio posto nella corte...»

«Se ciò che dice Balin è vero, il suo posto nella corte consisteva nel tiranneggiare ed estorcere al povero vecchio Brand finché il Re non fu troppo stanco per lottare» disse Bifur.

«Se potessi mettergli un sasso» ringhiò Ori «dritto fra gli occhi, se avessi la mia fionda...»

«Il tuo oro e la tua influenza non sono nulla qui» disse Merilin, e rapida come un serpente la sua mano si alzò e prese l'elsa del pugnale. Le sue dita si strinsero su quelle di lui, e lui urlò e strappò via la sua mano. Lei si piegò in avanti e disse, lentamente: «questa montagna è piena di oro. Ora vale meno di una manciata di piselli.»

Krummet si tenne la mano al petto, ansimando pesantemente. «Cosa hai intenzione di fare?» disse a fatica.

«Fare?» giunse un ringhio dall'entrata dietro di loro «Cosa non farò?!»

«Dori!» urlò Ori, e tirò un pugno all'aria «Sì!»

«Attento, non dimenticare Inor-» gridò Bifur, mentre Dori correva verso la scena col martello che fischiava davanti a sé. Merilin si fece da parte, rapida come un lampo, e Krummet squittì e si nascose sotto la scrivania – che si frantumò sotto il pesante colpo di martello.

«Fuori! Da! Casa! Mia!» ruggì Dori, e alzò nuovamente il martello e si avvicinò all'Uomo, che stava strisciando via sul fondo schiena, squittendo terrorizzato «Tu vile, traditore...»

«Mastro Nano!» urlò Merilin, e girò il pugnale nella sua mano per tenerlo basso e pronto «Controllatevi! Dobbiamo portarlo davanti ai nostri Signori! Risponderà delle sue azioni e delle sue parole. Che la saggezza di Bard sistemi questa situazione. Che le questioni degli Uomini rimangano fra gli Uomini.»

Dori dondolò avanti a indietro, il martello pronto ad abbassarsi. Krummet stava quasi balbettando dal terrore.

Il respiro di Ori si mozzò, e fece una smorfia. «Mahal lo maledica» gemette, e sentì la mano di Bifur che ancora una volta gli dava forza, il suo calore contro la propria spalla «Dovremmo liberarci del suo veleno...»

«Dori non è un assassino» gli ricordò Bifur, e le sue dita strinsero la spalla di Ori ancora una volta, dolcemente «Né lo sei tu, Ghivashelê.»

Infine, Dori abbassò il martello, anche se i suoi muscoli ancora tremavano di rabbia repressa. «Legatelo» ringhiò, e andò verso dove le sue carte erano state gettate per terra «Non mi fido di occuparmene io stesso, se mi perdonate, Signora Merilin.»

Il volto di Merilin era, come sempre, composto, ma il suo corpo si rilassò nuovamente. «Come volete, Mastro Dori» disse, e la sua bocca si incurvò «Non posso biasimarvi, considerando tutto.»

Dori fece un enorme respiro, le sue spalle si abbassarono, quando il suo sguardo cadde sul ritratto a inchiostro strappato di sé con i suoi fratelli, gettato come tante altre vecchie cose. «Portatelo fuori di qui» raspò. Con movimenti lenti e dolci lo prese e lisciò i bordi strappati col pollice, sistemando il volto allegro di Nori. «Prima che io cambi idea.»

Prendendo un lungo pezzo di tessuto caduto dal tavolo di Dori, Merilin prese le braccia tremanti di Krummet e lo tirò in piedi. Poi gli legò fermamente mani e piedi. «Non farai nulla di stupido» gli disse mentre strappava un altro pezzo di tessuto e glielo infilava fra i denti, e lui scosse la testa con incredibile rapidità.

Ori non aveva tempo per loro, però. Tutta la sua attenzione era su suo fratello, che era ancora in piedi furioso e triste, guardando il muro nella rovina della sua casa. Dori si morse il labbro e strinse al petto il vecchio ritratto. Fece un sospiro.

«Nadad, sono qui» gemette Ori, e la mano di Bifur gli strinse la spalla nuovamente «Oh, non lo sopporto» esclamò, e si girò per seppellire il volto contro il petto di Bifur. Accarezzando i capelli di Ori, Bifur gli baciò la fronte e appoggiò la guancia sulla morbida testa castana.

Ci fu un suono strozzato.

Bifur si girò in tempo per vedere Inorna che piantava un coltello nella schiena scoperta di Dori.


Una nocciola volò nell'occhio di un Orco, e ci fu un piccolo suono acuto di trionfo.

«Bel colpo, Reggie!»

«Non riesco a credere che lo Stregone abbia portato uno scoiattolo in battaglia» disse Lóni, anche se la sua voce aveva un ché di rassegnato «Voglio dire, posso crederlo – ma vorrei non potere.»

«Sempre a criticare» borbottò lo Stregone, e si girò di nuovo, il bastone si schiantò contro i denti del grande Orco settentrionale che stava attraversando gli alberi per arrivare a lui «Dol Guldur è avanti a noi! State attenta, mia signora!»

Thráin fissò la grande forma minacciosa di Dôl Guldur. Gli si vedeva chiaramente il bianco degli occhi.

«Siamo troppo vicini per gli arcieri!» urlò Celeborn, e la sua spada girò attorno a lui in cerchi aggraziati «Dovremo combattere fino ai cancelli!»

«Non c'è nulla di nuovo su questo» ansimò Radagast «Per carità, maleducato – aspetta il tuo turno!» urlò a un Orco che stava correndo verso di lui con la spada alta. Un lampo di fuoco bianco e viola dalle sue dita lo fece cadere all'indietro, coprendosi gli occhi, e fu ucciso da un altro colpo del bastone.

«Non sono abbastanza» disse Thráin. Le sue mani erano strette sull'orlo della sua tunica, e il suo volto era duro e pallido. Frís gli era vicina, il braccio attorno alla vita di lui. «Dol Guldur è troppo ben difesa, e loro sono troppo stanchi. Hanno combattuto sin qui, dai margini del Bosco Dorato...»

Radagast si raddrizzò e guardò con espressione rassegnata dove Celeborn stava guidando la loro avanzata. Dietro ai ranghi era la Dama Galadriel. La sua spada era insanguinata, ma ora era separata dalla lotta, persa nei suoi pensieri. L'anello sul suo dito brillava come la bocca di un drago, e il suo corpo dondolava mentre raccoglieva le sue forze. «Maledizione. Sono quasi esausti.»

Un ragno saltò giù dagli alberi in quel momento, e Lóni urlò: «sopra di te!»

Radagast fece una smorfia. «Non voglio fare questo» disse all'aria «Davvero non voglio, non dovrei usare così la nostra amicizia...»

«Qualsiasi cosa tu voglia fare, Stregone» urlò Frár mentre un altro enorme ragno correva verso gli Elfi circondati «fallo e smettila di preoccuparti! Non c'è tempo!»

Radagast si accigliò. «Gandalf vi sta molto più simpatico» esclamò «Piccolo insolente Nano morto.»

«Il ragno!» urlò Lóni, quando quello sopra di loro infine lasciò la sua tela per cadere su Radagast «Per la barba di Durin, continuerebbe a parlare!»

Con un altro lampo di fuoco viola, il ragno cadde all'indietro, e poi Radagast si tirò in piedi. «Reginald» chiamò, e c'era un'inaspettata nota nota di potere nella sua vecchia voce querula «Ora!»

Lo scoiattolo saltò fuori dalle vesti dello Stregone per sistemarsi sul cristallo sul suo bastone. Poi Radagast si piegò e strane parole iniziarono a uscire dalla sua bocca. L'aria divenne scura e tremò, parve piegarsi davanti a loro come il calore che usciva dalla bocca di un forno. La voce di Radagast divenne più profonda e sonora mentre il cristallo iniziava a pulsare di fuoco.

«Oh, non può essere buono» mormorò Frís.

Poi Radagast alzò la testa e fischiò fra i denti: un suono flautato e alieno. Lóni poteva a malapena credere che venisse dallo Stregone. Echeggiò fra gli alberi, ma invece di svanire parve crescere in intensità, finché l'intero Bosco Atro meridionale ne risuonava.

Il bosco esplose. Piccoli animali e uccelli eruttarono da ogni tronco vuoto e ogni nido, volando e mordendo e graffiando. «Non fatevi del male!» urlò Radagast, mentre il suo fischio saliva e saliva nell'aria, per mischiarsi alle strilla degli uccelli e ai cupi ringhi dei tassi «Non stavo parlando con te» aggiunse irritato a un Orco che si era scontrato con lui nella confusione. Lo Stregone gli spaccò la testa col bastone. L'Orco cadde come un sasso.

Tutto attorno a loro, gli Orchi furono gettati a terra dai rami e dei tentacoli li legarono al terreno, e le creature li beccarono e morsero. I ragni erano stretti nei rampicanti penzolanti, solo per poi essere riempiti di rapide frecce Elfiche.

Ci fu un urlo stanco dai Galadhrim quando infine riuscirono a farsi strada fra gli Orchi e i ragni. Celeborn alzò la sua spada ricurva. «Prendiamo la fortezza!» gridò «State attenti a cosa troverete. L'oscurità ha dormito a lungo qua, indisturbata. Ci saranno delle trappole!»

«E più che trappole» disse Thráin, respirando forte col naso «Vi ingannerà i sensi e la mente. Nulla qua è come sembra! Ci sono menzogne costruite su menzogne.»

«Meleth» disse Celeborn con voce più bassa, e andò dove era Galadriel, scalza come sempre, i suoi occhi serrati e il corpo scosso da qualsiasi potere lei possedesse «Siamo arrivati al Cancello.»

Lei annuì senza parole, e poi il suo volto calmo fu toccato da una debole nota di sorpresa. «Altri arrivano» disse. La sua voce non era forte, ma premette sulle loro orecchie in modo più pesante ancora del fischio acuto di Radagast. Aveva la stessa strana, opprimente qualità del tuono lontano; la sua dolcezza faceva tremare l'aria.

«Riformate i ranghi!» abbaiò Celeborn con un'altra occhiata preoccupata a sua moglie «No dirweg!»

I Galadhrim si mossero in un'unica ondata, estraendo gli archi all'unisono. Celeborn passò fra di loro verso la prima riga, l'armatura luminosa e macchiata di icore e sangue nero. «Chi è là!» urlò nella foresta «Daro! Man le carel sí? Mostratevi!»

Una fredda voce rispose: «è così che salutate i vostri alleati?»

«Oh, a Thorin non piacerà» mormorò Frís.

Fra gli enormi tronchi apparve l'inconfondibile forma di un enorme cervo. I suoi zoccoli si poggiarono delicatamente fra i corpi caduti di Orchi e ragni, e la sua grande testa cornuta era alzata orgogliosamente. Nella penombra dietro di esso erano luminosi occhi Elfici e arti vestiti di verde, in movimento come un sussurro di vento nell'oscurità del Bosco Atro.

Celeborn abbassò leggermente la spada, e respirò con più tranquillità. «Thranduil.»

«Cugino» il Re Elfico inclinò la testa, freddo e remoto come sempre. Alla sua destra cavalcava suo figlio, il forte e fiero Laindawar. Entrambi indossavano un'armatura che li avvolgeva come foglie piegate. «Le mie scuse per essere stato trattenuto: abbiamo respinto gli Orchi che cercavano di attraversare il fiume nero. C'era anche la piccola questione di un incendio nel bosco» inclinò la testa «Vedo che vi siete divertiti prima del mio arrivo.»

«Divertiti!» disse Radagast indignato «Reggie è stato quasi mangiato!»

Lo sguardo penetrante di Thranduil andò allo Stregone, che lo guardò male. «Non cercare di intimidirmi» borbottò, agitando il mantello attorno alle sue gambe. Un topo di campagna ne corse via. «Sono stato fissato da gente molto peggiore di te.»

«Aiwendil» disse Thranduil, e il suo mento si abbassò leggermente – un enorme gesto di rispetto, da parte sua, pensò Lóni «Mio figlio mi aveva detto che eri tornato nei confini meridionali della mia foresta.»

«Certo che sì, sono residente a lungo termine!» esclamò Radagast. Si grattò sotto il cappello sporco, prima di schiacciare un pidocchio fra le dita. «Ce ne avete messo di tempo ad arrivare. Confido che d'ora in poi non ci saranno più offese nei confronti dei miei conigli.»

«La tua foresta?» disse Celeborn, piano.

La testa di Thranduil si girò di nuovo, lentamente e severamente. «Il mio popolo ha sanguinato per essa, e lottato per essa, per molti lunghi mesi. Questa lotta dura da più di quanto tu non possa immaginare» disse, i suoi occhi pallidi fissi sul Sire di Lothlórien «Perché non dovrei chiamare mio ciò che mi appartiene?»

«Non è tua, che sfacciataggine» sbuffò Radagast «Gli alberi e le creature che vivono qui non rispondono a te, né a me, né a nessuno. Questa foresta è stata qui sin da quando apparvero le stelle e durerà molto oltre la memoria Elfica. E poi» e qui fece un cenno alla forma piegata e rovinata di Dôl Guldur «quel pezzo lì ha dei nuovi governanti, sembra.»

Thranduil estrasse la spada. «Allora dovremo persuaderli del contrario.»

«Avevo paura che lo avreste detto» borbottò Galion, da qualche parte nell'oscurità dietro il Re Elfico.

«Quell'Elfo potrebbe iniziare a piacermi» disse Frár pensieroso.

«Non pensavo che sareste stato qui, Sire» disse Laindawar a Celeborn, prima di guardare nuovamente dove Galadriel ansimava e dondolava «Aiwendil ci aveva parlato della vostra situazione. Avete lasciato il Bosco Dorato senza protezione?»

«Mai» disse Celeborn, e si mise fra il Principe e sua moglie, il mento alzato e lo sguardo serio «Lo difendiamo ancora, anche se tre volte il nemico si è gettato contro le nostre mura di magia.»

Gli occhi di Thranduil si socchiusero leggermente, e alzò una mano per segnalare a suo figlio di fare silenzio. «Vedo» fu tutto ciò che disse, anche se c'era una certo non-so-ché di basso e soddisfatto nel modo in cui lo disse. Celeborn si irrigidì.

«Mi sono perso qualcosa, adesso» disse Lóni, confuso.

«Oh, per carità di Nessa, è perfettamente semplice» disse Radagast irritato «La Dama sta espandendo il suo potere più di quanto abbia mai fatto. Sta mantenendo i confini di Lothlórien dal di fuori contro le orde che ancora cercano di distruggerlo, persino mentre si prepara ad assaltare questa pila di feccia. Thranduil sta commentando senza commentare quanto le debba costare portare l'Anello Elfico senza dire una parola. È un po' infantile e sciocco, se volete la mia opinione, anche se dobbiamo concedergli che sia probabilmente scosso dall'aver dovuto affrontare di nuovo del fuoco. Ma, anello o meno, lui è Re dopotutto, e nessun altro Elfo vivente nella Terra di Mezzo porta quel ti...»

«Stregone, penso dovresti fermarti» disse Frís, in tono molto deciso «Ora.»

Radagast si fermò. Poi guardò dall'espressione seria di Celeborn allo sguardo omicida di Thranduil. «Oh, va bene» borbottò, e iniziò a controllare il terreno coperto di foglie «Reggie, dov'è finita la mia scarpa?»

Si sentirono nei paraggi i suoni strozzati di Galion, che cercava di soffocare le sue risa isteriche.

Celeborn e Thranduil si guardarono in silenzio per un lungo, teso momento, prima che Thranduil infine chinasse la testa e abbassasse gli occhi. «Siamo con voi» disse, semplicemente.

«Tutti noi» aggiunse Laindawar. Il suo giovane cervo colpì il terreno con uno zoccolo.

La mascella di Celeborn tremò, e poi si girò sui tacchi e tornò da sua moglie. «Meleth» disse, e le prese la mano. Lei si piegò come un fuscello al vento, il volto che lentamente si muoveva verso quello di lui. I suoi occhi erano ancora chiusi, e il respiro le usciva affannoso. «Meleth, Thranduil è venuto col suo popolo.»

«Thranduil» ripeté lei nella sua dolce, terribile voce «Bene. È una buona cosa. Mi va me?»

L'espressione di lui non cambiò, ma in qualche modo Lóni seppe che gli si stava spezzando qualcosa dentro. «Siamo al Cancello, mio amore» disse ancora, e lei annuì.

«È una buona cosa» disse lei. Poi infine aprì gli occhi.

Stavano bruciando.


«DORI!» ululò Ori «DORI!»

Inorna strappò il coltello, e si voltò per puntarlo verso Merilin. «Lascialo!» sibilò, il volto selvaggio dalla paura e dal disprezzo «Ora!»

Merilin rimase immobile.

«Ho detto ora!» strillò Inorna, mentre Dori cadeva bocconi, ansimando per il dolore «Fai come dico! Sono io che comando, Elfo, e mi obbedirai!»

Con perfetta calma, Merilin alzò il pugnale che aveva preso da Krummet. «Non hai potere su di me» disse, e chinò la testa da un lato «Mastro Dori, non si muova.»

«Non... l'avrei fatto» mugolò lui. Il sangue gocciolava lentamente sul tappeto sotto di lui. Ori piangeva.

«Lo ucciderò!» disse Inorna, la voce tremante «Lo farò, non mi sfidare, gliel'ho detto, gliel'ho detto cosa sarebbe successo se l'avessero fatto! E ora guarda cosa hai fatto!»

Merilin rimase in silenzio, ma la sua lama non si mosse.

Il volto di Inorna si storse. «Oh, sì, è tutta colpa tua! Tua e del tuo prezioso comitato, vi tenete la parte più grossa per voi e non vi curate di nessun altro! Egoisti e malvagi...»

«I vostri discorsi sono sempre più idioti e privi di senso» la interruppe Merilin, e non era mai suonata tanto come un Elfo del reame di Thranduil: perfettamente e gelidamente disprezzante «Finisci questa chiacchierata e colpiscimi. Dubito che saresti altrettanto abile non potendo accoltellare la tua vittima nella schiena.»

Inorna ansimò, il volto pieno di disperazione. Poi in un unico movimento lanciò il coltello al volto di Merilin, raccolse le sue gonne, e si diede alla fuga.

Il coltello mancò ampiamente e cadde per terra. Merilin a malapena dovette muoversi per evitarlo e immediatamente corse da Dori. «Mastro Dori» disse urgentemente, e tenne cautamente una mano sopra la sua schiena «Mastro Dori, siete ancora sveglio?»

«Certo... ah! Lo sono!» giunse la risposta irritata «Questo graffietto non è abbastanza per sconfiggermi – nnnh – sono un Nano, per carità di Mahal!»

Ori quasi collassò fra le braccia di Bifur per il sollievo.

«Potrei toccarvi?»

«Aye, farete meglio» grugnì Dori, e soffiò di dolore quando le mani di Merilin si appoggiarono sulla sua schiena «Era il mio tagliacarte preferito. Maledizione. I miei fratelli mi dicevano sempre che il mio lavoro mi avrebbe ucciso...»

«Lei è scappata, anche se oserei dire che non sarà l'ultima volta che la vedremo» disse Merilin, e con cautela allargò il buco nella tunica di Dori per poter vedere la ferita fra le sue grosse scapole e la sua spina dorsale. Era piccola, ma profonda, e stava gocciolando sangue in un rivolo costante sul fianco di Dori. «Ha mancato la vostra spina dorsale, e non state sanguinando tanto da far pensare che siano state colpite delle arterie. Respirate bene?»

«Molto dolorosamente, grazie molte» esclamò Dori.

«Volete tossire, o vi manca il fiato?» Merilin si sporse per guardargli il volto coperto di sudore, e Dori la guardò male a sua volta.

«No»

«Allora ha mancato anche i vostri polmoni» Merilin si sedette, e premette una mano sulla ferita. Dori fece un respiro brusco e gemette di nuovo. «Sembra che siate molto fortunato. Però, non dovrei lasciarvi. Potreste andare in stato di shock.»

«Stupidaggini. Bendatemi e tiratemi in piedi» ringhiò Dori. L'Elfa esitò come se stesse per protestare, ma allo sguardo feroce di Dori scosse la testa.

«Penso non sia una buona idea» lo avvertì, e strappò un altro pezzo di tessuto da uno dei rotoli lì vicino.

«E sapete molto della resistenza dei Nani, vero?» chiese Dori irritato, anche se smise di parlare appena la benda improvvisata gli fu stretta attorno con mani abili «Siamo molto, molto più duri di quanto voi non – ah! - ammettiate mai. Ho visto di molto peggio di questo graffio. Ero nella Battaglia delle Cinque Armate, se ricordate.»

Merilin lo aiutò ad alzarsi, sorreggendolo cautamente. Dori mugolò e ansimò un poco, e il suo volto era coperto di sudore, ma rimase in piedi. «Il più forte della Compagnia» sussurrò Bifur all'orecchio di Ori «Starà bene, vedrai.»

Le mani di Ori strinsero le sue, e non disse nulla.

«Ora» ansimò Dori, e si appoggiò un attimo contro il muro, prima di raddrizzarsi e accettare di appoggiarsi al braccio di Merilin «Cosa faremo di questo serpente?»

Merilin guardò Krummet con disgusto. «Non possiamo lasciarlo qua. La sua complice è ancora in libertà.»

Un improvviso schianto contro la montagna li fece sobbalzare tutti sorpresi. «Gli altri saranno di nuovo sui bastioni» disse Merilin infine, e Dori fece una smorfia al prospetto di camminare per quella distanza con una ferita aperta sulla schiena.

«Sì, c'è anche la piccola questione degli eserciti assedianti» grugnì. Esitò e ansimò per un momento, prima di annuire con riluttanza. «Non c'è altro da fare. Dovremmo bloccargli le gambe, anche se deve camminare comunque.»

«Lo incatenerò così che possa usarle, ma non potrà correre» disse Merilin, prima di fare un piccolo sorriso a Dori «Il tuo coraggio è ammirabile, Mastro Dori.»

«Certo che lo è. Sono un Ri» disse lui, alzando il mento con orgoglio. Ori sorrise fra le lacrime. «Assicuriamo questa canaglia alla giustizia.»


Il Morannon li sovrastava, una fila di denti scoperti spinti fuori dal suolo desolato. Sembrava vuoto e abbandonato, ma tutti sapevano che le Torri dei Denti erano pieni del nemico, e che l'Occhio guardava sempre, assetato di violenza.

Inoltre, appollaiato come un avvoltoio su un picco vicino era l'immobile figura di una grande bestia dalle ali di cuoio. Il Nazgûl li guardava a sua volta, contando il loro tempo.

«Non avremmo dovuto mandare via quegli Uomini ai Crocevia» borbottò Gimli, e strinse forte l'ascia nel pugno «Pensavo che settemila fossero troppo pochi. Ora siamo meno di seimila.»

Thorin fissò i Cancelli di Mordor. Erano serrati, torreggiavano sulla piana come un dirupo di acciaio. Non c'era modo di assaltarli. L'esercito di guerrieri di Rohan e di Gondor si mosse a disagio nei loro ranghi. I cavalli nitrivano nervosamente nell'aria fredda.

«Non abbiamo altra scelta che recitare la nostra parte sino alla fine» disse Aragorn con la sua voce bassa. I suoi capelli erano stati pettinati indietro, e non portava più l'equipaggiamento da viaggio che aveva indossato per tanto a lungo. Ora indossava un'armatura completa di argento scintillante, e l'Albero Bianco di Númenor era sul suo petto. Era in ogni cosa il Re di Gondor e Arnor, anche se la sua voce era ancora quella del Ramingo. «Dobbiamo organizzarci meglio che possiamo. Ci sono poche alture qui, ma quelle due pietre dannate potranno esserci utili.»

«Aye, ma c'è anche un'enorme palude fetida fra noi e Mordor» disse Gimli, osservandola «Ai cavalli non piacerà molto, Aragorn. Francamente, non piacerà neanche a me.»

«Dobbiamo farli uscire, piuttosto che assaltare il Cancello» disse Legolas, e Aragorn annuì.

«Metterò la nostra esca in posizione» disse.

«Qual'è l'esca?» sussurrò Frerin.

«Aragorn stesso è l'esca, cugino» rispose piano Dáin «Ricordi il Palantír?»

Gli occhi di Frerin andarono ad Aragorn, e deglutì.

Facendo cenno di avvicinarsi a Imrahil e Éomer, Aragorn parlò con loro a voce bassa. Ci fu qualche protesta, ma era chiaro che Aragorn non sarebbe stato dissuaso. Rassegnato, Imrahil annuì. Éomer sembrava più cocciuto, ma infine anche lui capitolò. Ci fu una serie di ordini, e poi il suono delle trombe rimbombò contro le Montagne d'Ombra.

«I Capitani dell'Ovest sono giunti!» urlarono gli Araldi «I Capitani dell'Ovest sono giunti! Che il Signore della Terra Nera esca!»

Il cancello rimase chiuso e silenzioso. L'unico suono era il fischiare del vento sulla pianura. I pennacchi sugli elmi dei Rohirrim si mossero con quel vento, come le code dei loro cavalli.

«Nay!» disse Gandalf, facendo un passo avanti «Non dite, I Capitani dell'Ovest! Dite invece: Re Elessar.»

Imrahil sorrise senza allegria. «Sarebbe vero, anche se lui non si è ancora seduto sul trono; e darà al Nemico più da pensare, se gli araldi usano quel nome.»

I vecchi occhi acuti di Gandalf corsero verso Thorin, e il suo volto si addolcì. «Un Re è un Re, mio Principe Imrahil» disse «ovunque egli si sieda.»

«Gandalf ti ha appena fatto un complimento?» chiese una voce stupefatta, e Thorin si riscosse dalla sorpresa nel vedere Bilbo che si arrampicava oltre una macchia di erba marcia «In ritardo come sempre, vedo.»

«Bilbo» Thorin si massaggiò la nuca «Stai bene?»

Bilbo non lo guardò. «Bene, perfettamente, comunque tu voglia dirlo» disse in quel modo brusco che avvertì Thorin senza parole che Bilbo non voleva parlarne «Dove siamo ora?»

«Siamo a Mordor» Thorin fece un cenno verso di essa, e Bilbo si girò e deglutì guardando su – e su – e su.

«Quella è una porta d'entrata impressionante» disse debolmente «Sono abbastanza sicuro che non gli serva un cartello di “Divieto d'Entrata”.»

«No» Thorin fissò gli enormi cancelli appuntiti «Hanno solo seimila guerrieri. È un tentativo destinato alla rovina.»

«Era sempre stato destinato alla rovina» disse Dáin, osservando le Torri dei Denti, le braccia incrociate «A parte tutto, noi siamo esperti quando si tratta di tentativi destinati alla rovina.»

«Non ha torto» disse Bilbo, incurvando la bocca.

«Che succede?» Óin voleva capire, e Frerin lo tirò da una parte e sussurrò per un momento. Poi Óin esclamò: «Cosa? Qui? Il mio vecchio amico, qui?»

«Mi sto abituando a queste reazioni» disse Bilbo asciutto «Dì ciao a Óin da parte mia, per favore?»

Thorin riferì, ma fu interrotto da dei corni. «Il Re Elessar è giunto! Che il Signore della Terra Nera si faccia avanti!» urlarono gli Araldi «Giustizia sarà fatta. Egli ingiustamente ha attaccato Gondor, imponendosi sulle sue terre. Il Re di Gondor esige quindi che paghi il male fatto e se ne vada per sempre. Avanti!»

Non ci fu risposta dagli enormi cancelli. Rimasero silenzioso e lontani quanto le stelle.

«Beh, neanche questa è andata bene» disse Frerin, storcendo il naso.

«Non dubito che sua Monocola Signoria si stia strofinando l'occhio incredulo» disse Dáin.

Óin sbuffò. «Singolarmente scioccato dalla vista, scommetto.»

Dáin ghignò. «Aye, probabilmente non riesce a credere al suo occhio.»

«Starà battendo la palpebra in meraviglia... o forse lampeggerà»

«Aye, aye»

«No, ne ha solo uno[1]»

«Bontà del cielo, siete terribili» disse Bilbo, grattandosi la fronte in divertimento confuso.

«Come fate a scherzare?» disse Frerin, spostando il peso da un piede all'altro per la preoccupazione quando le trombe suonarono ancora «Io riesco a malapena a respirare, e il mio cuore sta cercando di uscirmi dal petto.»

Dáin si fermò, prima di fare un sorriso storto. «È la cosa migliore da fare, cugino mio» disse «Stiamo affrontando la rovina di ogni speranza. È solo naturale deridere il bastardo che la causa.»

«Guardate!» disse Thorin bruscamente.

Con un echeggiante crack! i grandi cancelli del Morannon si aprirono. Si aprirono appena abbastanza perché un cavaliere ne uscisse. Seduto su un cavallo nero, era un Uomo in aspetto... almeno, a prima vista.

Però, quando uno lo guardava meglio... Thorin sentì la pelle della sua schiena che si accapponava. «La sua bocca» disse in orrore.

«È come se la sua pelle si fosse aperta» sussurrò Bilbo, e il suo piccolo volto sbiancò, anche se non allontanò lo sguardo «Che genere di creatura è quella?»

«Era un Uomo» rispose Gandalf cupo «Un tempo. Ha lo stesso sangue di Aragorn, ha una lunga vita e una mente acuta, ma il suo popolo si volse all'adorazione di Sauron molto tempo fa. Lui è il Luogotenente della Torre Nera, il Numenoreano Nero. La sua bocca è distrutta dal veleno delle sue parole.»

«Fermi!» urlò Éomer ai suoi Rohirrim, prima di girare Zoccofuoco verso Aragorn «Che risposta diamo?»

Aragorn non aveva distolto lo sguardo dall'Ambasciatore di Sauron. «Dobbiamo recitare la parte» disse, serio e calmo «Ogni secondo potrebbe essere prezioso per la Missione. Gandalf, sarai il mio Araldo in capo? Éomer, ti vorrei al mio fianco, e anche Imrahil. E Legolas, Gimli e Pipino, così che tutti i nemici di Mordor siano testimoni.»

«Andrò anch'io» disse Thorin determinato, e Gimli annuì leggermente in risposta.

«Non mi avvicinerei di più a quella cosa senza di te» disse.

Il cavallo nero si fermò a poche lunghezze dal Cancello, gli occhi rossi che roteavano. Quando il piccolo gruppo di avvicinò, la vile bocca distorta si aprì in un sorriso crudele.

«Il mio signore Sauron il Grande vi dà il benvenuto» disse.

«Disse il ragno alla mosca!» sputò Óin.

Bilbo rabbrividì. «Non parliamo di ragni, eh?»

Aragorn fissò con immenso odio il Numenoreano Nero. «Senza dubbio vede un riflesso contorto» disse Thorin «Aragorn, no, non essere un idiota.»

L'orribile figura soffiò divertita. «Io sono la Bocca di Sauron» disse, e le sue labbra si aprirono attorno a denti affilati e simili a uncini che erano neri e marci «Vi è qualcuno in questa folla che abbia l'autorità di parlare con me? O addirittura il cervello per capirmi?»

«Non siamo qui per trattare con Sauron, infedele e maledetto» disse Gandalf severamente «Dì questo al tuo padrone. Gli eserciti di Mordor si devono arrendere. Egli deve lasciare queste terre, per non tornare mai.»

«Ah, vecchio Barbagrigia» lo derise il Messaggero «Sei tu quindi il portavoce? Non abbiamo forse udito parlare di te, e dei tuoi vagabondaggi, sempre intento a tramare tranelli e meschinità a debita distanza? Ho degli oggetti che mi è stato chiesto di mostrarti – se avessi avuto l'ardire di venire fino a qui!»

Primo a emergere fu il coltello di Sam, e poi il mantello di Lothlórien. Poi per la rabbia di Thorin, gli sventolò davanti agli occhi l'inconfondibile luccichio lunare del mithril.

«Frodo» disse Bilbo senza voce, le mani sul volto. Poi urlò: «quella è la mia maglia, tu dannato – tu lurido-»

«Frodo vive» abbaiò Thorin, e si girò verso dove Gimli era ugualmente gelato dall'orrore «Gimli, Bilbo – Frodo è vivo! Gandalf, mi senti? Fu catturato, e quella maglia gli fu presa. Ma Sam l'ha liberato, e lui vive ancora!»

Gli occhi di Gandalf si mossero.

«Come osi metterci su le tue mani sporche! È stata data a me!» gridò Bilbo «Una delle uniche cose che mai...» si fermò di colpo.

Thorin non lo guardò, ma sentì le sue guance che si scaldavano sotto la sua barba. Crudelmente (o forse bonariamente, era difficile da capire), Dáin gli diede una gomitata nella schiena. «Non regalasti tu quella maglia allo Hobbit?»

«Sì, grazie, lo sappiamo tutti» disse Thorin bruscamente. Óin stava ridacchiando in modo leggermente isterico, e Gimli stava alzando gli occhi al cielo.

Ma un'altra voce si alzò sopra lo stupore e confusione, e Thorin si voltò per vedere gli occhi di Pipino pieni di lacrime. «Frodo» singhiozzò.

«Silenzio» borbottò Gandalf.

Ma il volto di Pipino era addolorato. «Frodo!» gemette, e la Bocca di Sauron esultò.

«Silenzio!» sibilò Gandalf, ma il danno era fatto.

«Il Mezzuomo vi era caro, vedo» disse la Bocca di Sauron, con terribile soddisfazione «Sappiate che ha sofferto terribilmente alle mani del mio padrone. Chi avrebbe mai pensato che un essere così piccolo potesse provare tanto dolore?»

Gli occhi di Aragorn brillarono di furia, e vero odio era sul volto di Gimli. Il volto di Legolas era impassibile, ma le sue nocche erano bianche attorno al suo arco.

La voce della Bocca di Sauron si abbassò in una parodia di dolcezza. «E l'ha fatto, Gandalf. L'ha fatto.»

Constatando di avere il controllo, l'uomo orrendo si raddrizzò e parlò al gruppo in tono untuoso. «Ringrazio questo moccioso poiché è chiaro che aveva già veduto questi oggetti prima d'oggi, e negarlo sarebbe ormai vano da parte tua.»

«Non desidero negarlo» disse Gandalf, le labbra strette.

«Cotta di maglia di Nani, manto Elfico, lama dello scomparso Occidente, e spia del piccolo paese di topi, la Contea, no; i segni di una cospirazione!» disse la Bocca di Sauron «Vedo che la sua missione era tale che non desideravate vederla fallire. Ebbene, è fallita. E egli dovrà adesso sopportare il lungo tormento degli anni, reso ancora più lungo e più lento da tutti gli artifici che la Grande Torre potrà escogitare, per non venire mia più liberato, o soltanto quando sarà trasformato e disfatto, affinché tornando da voi vi possa mostrare quello che gli avete fatto. Tutto accadrà di certo a meno che voi non accettiate le condizione del mio Signore.»

«Non lo hanno» urlò Thorin «È una finta.»

«Una finta molto convincente, bisogna concederglielo» disse Dáin, guardando l'Ambasciatore.

Poi la creatura malvagia parve rendersi conto della rabbia di Aragorn, e la sua testa si girò per osservarlo. «E chi è costui? L'erede di Isildur? Per fare un Re ci vuole altro che una lama Elfica spezzata o un pezzo di vetro Elfico.»

Aragorn non disse nulla, ma incontrò lo sguardo dell'altro e lo sostenne per un momento. Thorin trattene il respiro, osservando. Anche se Aragorn non si mosse né portò mano alla spada, l'altro indietreggiò e si riparò come minacciato.

«Sono un Ambasciatore, e non posso essere assalito!» esclamò la Bocca di Sauron, ma Gandalf prese la maglia di mithril e il mantello e la spada dalle sue mani.

«Vattene, perché la tua ambasciata è terminata e la morte ti è vicina» ringhiò «Un'altra parola e la tua vita finirà.»

La Bocca di Sauron scoprì i suoi orrendi denti. «Non avete alcuna speranza» ringhiò – ma le sue parole furono interrotte da un accecante lampo di acciaio quando Andúril gli staccò la testa dalle spalle.

«Fine delle trattative» disse Gimli.

«Avrebbe dovuto farlo sin da subito» borbottò Óin mentre Aragorn girava il suo cavallo verso i Capitani e il popolo libero.

«Io non ci credo» disse «Io non ci credo.»

«Brav'uomo» disse Dáin annuendo.

«Thorin, non posso...» balbettò Frerin, fissando il corpo collassato della Bocca di Sauron. Thorin si girò verso suo fratello, e afferrò strettamente le mani di Frerin.

«Vai» disse «Trova Fíli e Kíli, rimani con loro. Portami notizie di Sam e di Frodo.»

Gli occhi di Frerin si staccarono dal sangue sul terreno paludoso, e c'era gratitudine sul suo volto. Thorin annuì, e gli strinse nuovamente le mani. Questo compito lo poteva eseguire e con onore, e non l'avrebbe fatto soffrire di nuovo. «Grazie, nadad

«Non c'è nessuno più rapido di te, nadad» rispose lui, e fece toccare le loro fronti. Poi la luce stellare stava avvolgendo Frerin e lo portava via.

«Gentile da parte tua» disse Bilbo, piccolo e impaurito. Thorin si raddrizzò.

«Frerin odia le battaglie»

Bilbo fece una smorfia. «Qualcuno no?»

Tamburi iniziarono a suonare dall'interno degli enormi cancelli, e i fuochi si accesero sui bastioni. Mentre Aragorn e i suoi compagni tornavano agli eserciti dell'Ovest, suonò un corno e i cancelli iniziarono ad aprirsi lentamente. Il suono di migliaia Orchi in armatura si sentiva oltre esso.

«Sauron ha abboccato all'esca con mascelle di acciaio» mormorò Legolas, mentre si riunivano ai ranghi degli eserciti dell'Ovest. Si agitavano per la paura e l'incertezza, la dimensione dell'orrore che scendeva su di loro trasformava le loro ossa in acqua.

Aragorn guardò le facce dei Rohirrim e degli Uomini di Gondor, e immediatamente spinse Brego al trotto. «Restate fermi!» urlò, Andúril che brillava nella debole luce «Restate fermi!»

«Oh, avremo un discorso? Tu non hai mai fatto un discorso» disse Bilbo, e allungò il collo per vedere «Dovrei scriverlo, sì sì. Questo è un momento storico...»

«Credo tu abbia già dato la tua opinione sui miei discorsi, Bilbo» disse Thorin, e Dáin rise, di lato.

«Figli di Gondor, figli di Rohan, fratelli miei!» ruggì Aragorn, e Brego volò come il vento lungo la fila «Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Ma non è questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l'era degli Uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest'oggi combattiamo!»

«Bel discorso» disse Óin, annuendo in ammirazione.

«Ascoltami, mio cuore» disse Gimli, a voce bassa e chiara «Faremo tutto ciò che abbiamo detto avremmo fatto. Vivremo e ci sposeremo, renderemo nuovi luoghi antichi, affronteremo il tuo popolo e il mio. Dannazione! Scriverò io stesso a Thranduil e gli dirò di tutti i modi in cui ti amo. Starò davanti a lui e canterò canzoni del tuo coraggio e della tua bellezza. Non ho paura di lui. Guardati attorno, kurdulê! Cosa può succederci di peggio? Che più grandi paure possiamo affrontare?»

Legolas strinse il suo arco in mano, e fissò i Neri Cancelli. Si spalancarono, sbadigliando pigramente, su una scena di puro incubo. Il grande Occhio li riempì di terrore, illuminando gli eserciti di Orchi in fuoco infernale. I Troll ruggivano. Bestie indescrivibili sbuffavano e sbavavano nonostante le loro catene. E sopra, i Nazgûl urlavano i loro acuti, stridenti suoni di disperazione.

«Così tanti» sussurrò Bilbo.

Thorin guardò la vista, e una nuova ondata di disperazione lo riempì. «Non possono vincere, non possono, non hanno i numeri, non-» si interruppe.

«Lo sapevamo già» disse Dáin piano.

«Oh, se solo avessi Pungolo» borbottò Bilbo, e si tormentò le mani.

«È stato un mio onore, e la mia gioia, poterti amare» disse Legolas in voce quasi troppo leggera per essere udita.

Improvvisamente, e incredibilmente, Gimli sorrise. «Chi pensava di morire combattendo fianco a fianco con un Elfo?»

Come vino da una bottiglia, tutta la tensione abbandonò Legolas. Il suo sorriso era dolce. «E invece fianco a fianco con un amico?»

«Aye» disse Gimli, e guardò Legolas con una luce accesa negli occhi «Questo potrei farlo.»

«E altro»

«E altro» confermò Gimli, e guardò Legolas con tale tenerezza che Thorin abbassò lo sguardo, imbarazzato.

«Oh» disse Bilbo in modo sorpreso, e guardò Thorin di sottecchi, prima che le sue orecchie divenissero rosa e iniziasse a strisciare i piedi.

Thorin si accigliò. «Cosa c'è?»

«Ecco» Bilbo si grattò il collo, prima di fare un piccolo suono di sconfitta e agitare una mano in direzione di Gimli e Legolas «Stanno affrontando la più totale rovina, completa desolazione. La morte è su di loro, e lo sanno» disse, e poi si girò per incrociare gli occhi di Thorin «E parlano di ciò che faranno, di andare a casa e di ciò che porterà il futuro, e trovano un po' di speranza – un po' di casa – l'uno nell'altro. E. Beh. Mi piace.»

«Aye» Thorin guardò lo Hobbit un po' affettuosamente, un po' tristemente «Anche a me piaceva.»

Bilbo arrossì di nuovo, e si girò in fretta.

Poi Gimli si schiarì la gola, e disse: «Ora, sto per fare una cosa, e so che non è il modo giusto di farlo, ma tutti i parenti morti presenti possono chiudere le loro boccacce.»

Thorin fu colto dal sospetto. «Gimli...»

Gimli lo ignorò. Fece un respiro profondo, si voltò per guardare davvero Legolas. Si bagnò le labbra con la lingua, e poi disse. «Sansûkhâl.»

Le ginocchia di Óin cedettero, e si dovette sedere di colpo, fissando suo nipote in confusa meraviglia e orrore.

Il volto di Legolas divenne fermo e rilassato – il segno Elfico di completo shock – e si inginocchiò sul terreno per prendere la mano di Gimli. «Meleth, quello era...»

Gimli chinò la testa. «Aye.»

«Ma... non siamo sotto la roccia» disse Legolas, e premette il volto contro la barba di Gimli «Perché...»

«Quando un Elfo» gemette Óin «dice a un Nano qual'è il modo giusto di dire il proprio Nome Oscuro...! Beh, eccoci. Questa è l'ultima goccia. Il mondo è al contrario.»

«Voglio che tu conosca tutto di me, amato» disse Gimli dolcemente, e fece passare la mano sulla testa dalle ossa delicate, accarezzando i capelli d'oro pallido «Non ho più segreti per te, non più. Vuol dire “colui che ha una pura e perfetta visione”. Piuttosto pomposo, ho sempre pensato.»

Legolas si raddrizzò per guardare Gimli in meraviglia. La sua mano si alzò, e il suo pollice carezzò l'angolo dell'occhio di Gimli. Poi disse: «il nome scritto nelle tue ossa, hai detto. Quando sei stato creato.»

«Aye» Gimli prese il volto senza barba nella sua enorme mano «Ora mi conosci sin nelle ossa.»

«Grazie» sussurrò Legolas, e si piegò e baciò quel punto, le labbra sulle palpebre di Gimli, che si chiusero «E sappi questo, mio amore. Non importa cosa ci succederà oggi, ti conoscerò con questo nome per il resto dell'eternità. Ti troverò. Affronterò Mandos se devo, ma ti troverò.»

«Non osare» mormorò Gimli, e catturò le labbra di Legolas in un rapido, dolce bacio «Tu vivrai, dannato Elfo. Ora, andiamo. Abbiamo una competizione in corso.»

«Per Frodo!» urlò Aragorn, e alzò la spada e corse fra le zanne del nemico.

«Frodo!» ululò Pipino, e iniziò a correre dietro Aragorn con tutta la sua velocità che gli davano le sue piccole gambe. E poi quando ogni gola si aprì davanti alla morte stessa e i Nazgûl urlarono e attaccarono, il grande e antico urlo di guerra di Nani tuonò sulla pianura, portata dall'urlo rombante di Gimli:

«Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!»


Era la confusione più totale, pensò Thrór, stringendo la mano di Hrera.

«Stanno praticamente facendo il lavoro per noi!» urlò Dwalin alzando il martello, facendo segnali per l'acqua bollente ancora una volta.

«Le promozioni fra gli Orchi sembrano avere una vita piuttosto corta» confermò Jeri. La sua ascia lampeggiava e roteava, appiccicosa per il sangue. Ovunque sui bastioni, gli Orchi strillavano e ululavano, cadendo dalle mura di Erebor morendo. Sotto nella valle, l'enorme marea squittiva e mordeva e lottava contro i propri compagni: senza comandante, gli Orchi si erano girati contro i propri compagni in fretta quasi quanto i contro i Nani.

«Pensate a quello che fate» urlò Dís.

«Lo vedete, a sud?» urlò Bard, e indicò oltre gli eserciti assedianti verso l'oscurità intervallata da lampi che pesava sugli alberi del Bosco Atro «Cosa può essere?»

Gli occhi di Laerophen si allargarono, e saltò lontano dalla lotta per fissare le nubi tetra. «Adar» sussurrò.

«Preparate le prossime pietre!» ordinò Orla, e le catapulte furono ricaricate. Attorno a loro, la lotta continuava mentre l'Elfo fissava con paura paralizzante la sua casa.

«Altezza, devi difenderti!» urlò Bomfrís, e il suo corto arco cantò «Ehi! Elfo! Guardati la tua stupida schiena, ti spiace...»

Laerophen si riscosse quando un Orco cadde in terra vicino a lui, una delle frecce di Bomfrís nella gola. «Fai attenzione» gli ringhiò lei, e lui si leccò le labbra e alzò i coltelli.

«Grazie, Lady Bomfrís» disse, e tornò a tuffarsi nel caos.

Lei lo fulminò. «Perché la gente insiste col chiamarmi con titoli tanto stupidi...!»

«Fuoco!» urlò Orla, e le catapulte furono scaricate sul rumoroso, inquieto mare di Orchi sotto di loro. Strilla si alzarono quando i massi colpirono molti, anche se sembrava far diminuire a malapena i loro numeri.

«Qua!» giunse un nuovo urlo dalle mura interne, e Thrór distolse lo sguardo dalla vista della sua amata casa in tale caos. Thira stava lottando con le carrucole, e accanto a lei era la sarcastica artigiana Bani. «Aiutatemi con queste, qualcuno!»

«Vostra Maestà!» Gimrís, Dwalin e Jeri corsero ad aiutarla, e quando la piattaforma si alzò lentamente uno strano marchingegno fu rivelato alla loro vista «Cosa nel nome di Mahal è questo?» chiese Gimrís, ansimando. C'era un taglio profondo sulla sua fronte, che le dava un aspetto piuttosto selvaggio, e i suoi coltelli stavano gocciolando.

«Una cosina che ha inventato la Regina» disse Bani, afferrando una corda e tirando in avanti la cosa «Vedrete.»

«Sembra una sorta di argano gigante» disse Jeri, piegando la testa e facendo una smorfia.

«Ah» Dwalin diede una pacca sulla spalla di Jeri «Penso di saperlo. Quando sei stato in giro tanto quanto me, Jeri, hai visto un bel po' di cose. E alcune cose ti rimangono in mente...»

Thira fece a Dwalin un sorriso secco. «Aye, te lo ricorderesti. Andiamo, Bani, carichiamolo e prepariamolo.»

«Ti piacerà» disse Dwalin, ghignando a Jeri «Ora, muoviti. Dov'è il Re?»

Il volto di Jeri si gelò, e id si guardò attorno allarmatum. «Era proprio qua!»

«Oh, per...» Dwalin si passò una mano sulla fronte, facendo una smorfia «Devi tenerlo d'occhio, non sappiamo cosa potrebbe fare! Questo è il tuo dannato lavoro ora, non sono più abbastanza giovane per inseguire i reali e le loro idee idiote!»

«Era proprio qui!» protestò ancora Jeri, e la sua ascia salì e decapitò tranquillamente un Orco.

«Dove sarà finito?» si chiese Hrera, e Thrór scosse la testa.

«Senza dubbio dove la lotta è più feroce» disse.

«Beh, naturalmente lo è. È lo stile della nostra famiglia» sbuffò Hrera «E dove sarebbe quel punto, supponi?»

«Pronti?» giunse la voce di Thira, il laconico “abbastanza” di Bani giunse in risposta.

Thira alzò lo sguardo e vide la sua amica, e urlò: «Dís! Falli levare dai piedi – potrebbe non funzionare!»

«Giù!» strillò Dís – e poi una gigantesca bolas, più lunga di otto Nani sdraiati uno dopo l'altro e con una palla della dimensione di un barile alla fine della mastodontica catena, volò dalla bocca della strana macchina. Si rigirò nell'aria più di quanto non sarebbe sembrato fisicamente possibile, prima di cadere sul suolo ghiacciato per rimbalzare attraverso la valle, tagliando via un'enorme fetta dalla massa di Orchi. Viaggiò per almeno mezzo miglio prima di rallentare, e lasciò spoglia una striscia di terreno larga quanto una strada dietro di sé.

Strilla e urla di sorpresa e terrore si alzarono da Orchi e Esterling – e alcuni degli Esterling disertarono persino dall'esercito, scappando verso la rovinata Dale.

«Sì!» urlò Dwalin, alzando un pugno in aria «Ah, avrebbe adorato poterlo vedere!»

Il sorriso di Thira fu triste. «Aye, è da lì che mi è venuta l'idea.»

«Dove diavolo è il RE?» ululò Jeri, e combatteva come possedutum attraverso gli invasori stupefatti, i suoi occhi cercavano ansiosamente tra i volti «Thorin? Thorin, idiota, dove sei?»

Dwalin esitò, appoggiandosi per un momento al suo martello, e guardò il guerriero più giovane con vecchi, amari ricordi che gli lampeggiavano negli occhi. «Dicono che la storia si ripeta» grugnì.

«Muoviti» gli disse Dís, ma la sua mano sul vecchio braccio robusto di lui era gentile «Sei in mezzo.»

«Thorin, maledetto, cocciuto-» Jeri interruppe il suo urlare per colpire con l'impugnatura dell'ascia i denti di un Orco in arrivo, prima di illuminarsi «Eccoti!»

Il Re aveva la schiena contro un pilastro, il suo mazzafrusto ruotava, la sua pesante spada era coperta di sangue fino al suo polso. C'erano tagli sul suo volto, e i suoi denti erano scoperti in un ringhio di puro odio mentre tagliava e colpiva i nemici attorno a sé. «Resisti ancora un po'!» urlò Jeri, e corse sopra la pila di feriti gementi verso l'Elminpietra circondato.

Ma Thrór non ebbe l'opportunità di vedere il Re che veniva salvato dalla sua situazione, perché in quel momento Víli apparve in un lampo di fuoco bianco. «Thrór, ti ho trovato» disse «C'è un problema...»

«Ci sono molte migliaia di problemi» disse Hrera, alzando le sopracciglia «che strisciano nella valle qui sotto.»

«Nessuno di loro» Víli sembrava così serio che Thrór a malapena riconosceva il suo allegro, rilassato nipote acquisito «Quei due di Dale.»

«È peggio di quanto pensiate» disse un altro, e Ori apparve dal nulla, Bifur che lo inseguiva «Dori è stato ferito.»

«È grave?»

Le labbra di Ori si strinsero, e fece spallucce. «Pugnalato alla schiena.»

Hrera si irrigidì. «Chi ha avuto le pessime maniere di pugnalare il loro ospite?»

Thrór guardò sua moglie divertito. Certo che avrebbe trovato la maleducazione di infrangere le regole dell'ospitalità più gravi di insulti o ferite. «La donna, Inorna» disse Bifur «È stata lei. L'uomo è stato catturato.»

«E cosa è successo a lei?» disse Thrór, piegandosi in avanti.

Bifur e Ori si guardarono. «Non lo sappiamo» confessò Ori, le mani strette a pugno «È scappata.»

Thrór imprecò a lungo e ad alta voce, finché Hrera gli diede un leggero schiaffo sul braccio. «State attenti» disse Thrór, e si raddrizzò «Potremmo aver bisogno di chiamare Thorin e usare il suo dono. Provate a cercare questa Inorna, potrebbe essere andata...»

Un nuovo rumore risuonò sopra la confusione, un debole e rauco gracchiare. Bomfrís urlò allarmata e corse avanti. «No!» disse, agitando le braccia «Tuäc, devi tornare dentro! Ci sono troppe frecce – non è sicuro!»

«Il Re, il Re!» gracchiò il corvo «Portate il Re! Fuoco! Attenti al nemico dietro di voi, gente di Erebor! Fuoco, fuoco!»

«Fuoco?» Dís spinse Bomfrís da parte e guardò il corvo con occhi terribili «Cosa vuoi dire?»

«Fuoco nella montagna!» disse Tuäc, saltellando da una zampa all'altra «Qualcuno ha dato fuoco ai magazzini! La Montagna brucia!»

«Le mie madri sono là sotto» disse Jeri, il volto pallido.

«E i miei figli!» ringhiò Orla.

«E Gimizh e Bofur!» disse Gimrís, bianca come pergamena «Mia madre – mio padre...»

L'Elminpietra girò in cerchio il mazzafrusto, liberando un piccolo spazio, prima di incrociare gli occhi di Bomfrís con la decisione sul volto. «Non...» ansimò, il sangue che gli gocciolava dal lato della testa e nella barba. Si passò un braccio sul volto. «Non so...»

«Li tratterrò io» disse Bard, facendo un passo avanti «Io e il mio popolo. Vai. Salva la tua casa.»

Laerophen guardò il Re di Dale, prima di dire: «Verrò con te, Re Thorin.»

«Se dovete andare, andate» disse Dís, e alzò nuovamente la spada «Muovetevi!»

«Tuäc, rimani con me!» urlò Bomfrís, mentre metà dei difensori sparivano dai bastioni, tornando nella Montagna.

Ciò parve dare agli Orchi nuovo coraggio dopo la devastazione della macchina di Thira, e rinnovarono con fervore i loro attacchi. Nuovo scale furono portate contro la Montagna, e la pioggia di macigni raddoppiò.

«Non possono resistere!» disse Thrór disperato, mentre fumo iniziava ad alzarsi dalla fonte del Fiume Flutti, arricciandosi nel cielo sopra Erebor. Sembrava una terrificante risposta alla nube sopra Bosco Atro,.

«Che alternative hanno?» disse Hrera.


Radagast si afferrò il cappello quando il vento gli sferzò le vesti, vento che girava come un maelstrom attorno all'alta figura di Galadriel. Brillava come il cuore del sole, mentre l'oscurità attorno a loro minacciava di divorarla.

«Gwaem!» urlò Celeborn, e alzò la spada. I guerrieri in verde del Re Elfico affiancarono i Galadhrim nella loro armatura dorata. L'enorme cervo di Thranduil scosse le corna davanti alla colonna di destra, mentre quello di Laindawar sbuffò inquietamente in testa alla colonna di sinistra. «Non sappiamo che sorprese ci riserverà Sauron! Rimanete vicini alla Dama Galadriel!»

«Fatela cadere» sussurrò Thráin, e Frís gli mise un braccio attorno alle spalle «Radetela al suolo.»

«Leithio i philinn!» urlò Thranduil, e i corti, forti archi di Boscoverde si alzarono, l'acciaio brillava nella luce della Dama «Gurth enin goth!»

«Aspettate il mio comando!» disse Celeborn, e alzò la spada. In inquietante unisono, gli Elfi di Lothlórien seguirono le frecce del Re Elfico, spingendosi nei cancelli distrutti. Furono salutati da Orchi che strillavano e ululavano correndo, alcuni di loro feriti dalle frecce e altri già morti. «Non date quartiere!» urlò Celeborn sopra la loro confusione.

Tutto il tempo, Galadriel camminava attraverso la lotta. La spada la teneva debolmente in mano, il sangue gocciolava dalla sua punta. I suoi capelli erano legati sulla sua testa, facendola apparire incoronata d'oro e argento. I suoi passi non esitavano mai.

Quando gli Orchi la guardavano, strillavano di terrore e scappavano.

«Khamûl!» disse, e l'aria tremò attorno a lei. Thráin urlò quando la voce gli martellò nella testa. Lóni strinse i denti, gli occhi che lacrimavano, e strinse più forte la mano di Frár. «Khamûl, esci dalla tua fetida tana e affrontami!»

«Mell nín» disse Celeborn sottovoce, esitando fra i colpi di spada. La paura gli danzò negli occhi per una frazione di secondo, prima che un ragno gli corresse addosso.

Con un urlo, Laindawar cavalcò nella lotta, premette il fianco del suo cervo contro il ragno e intrappolò la bestia contro il muro della fortezza. Colpì l'essere con colpi selvaggi, e la sua testa cadde. «Siete ferito?» chiese, ansimando, mentre il cervo danzava su gambe nervose.

«Nay» disse Celeborn, e spostò lo sguardo fra il Principe e sua moglie. Lei si muoveva ancora non toccata nella cittadella, l'abito scivolava come luce stellare sul terreno. «Ti ringrazio per avermi salvato.»

Laindawar annuì, e si allungò per afferrare il braccio di Celeborn e tirarlo in piedi. «Sradicheremo queste mostruosità dai nostri boschi, una volta per tutte» disse, e girò il cervo per tornare nella lotta.

«Non gli piacciono molto Orchi o ragni, direi» commentò Radagast, grattandosi l'orecchio col mignolo e togliendo un insetto dalle lunghe gambe «Gli piace fingere di essere fatti di cera, a questa gente di Bosco Atro, ma prova a graffiarli e troverai una creatura molto diversa.»

Celeborn si raddrizzò e iniziò a barcollare verso Galadriel. «Restate con la Dama!» disse alla sua gente, che stava lottando per superare la barriera. Ogni genere di creatura disgustosa impediva loro di seguire Galadriel, e la foresta fischiava e risuonava ancora come una campana. Il vento era toccato da un odore fastidioso, e soffiava forte contro i volti degli Elfi e loro urlarono in orrore e rabbia.

«No! Rimanete dove siete!» ruggì Thranduil. Era a piedi, il suo cervo scomparso, e mentre parlava uccise uno spaventoso Orco dalle terribili zanne. La sua corona invernale era storta, i suoi capelli bianchi macchiati di sangue. «Finite questi! Galadriel affronta un nemico che solo lei può sconfiggere!»

«Ma-» Celeborn fece una smorfia, e Lóni strinse ancora più forte le mani di Frár. Le sue dita si stavano intorpidendo, ma non osava lasciarlo andare.

«Khamûl!»

La voce di Galadriel echeggiò sulla pietra morta, a Thráin rabbrividì.

Con un terribile urlo di disperazione, una figura ammantata apparve dal nulla sul moncherino di una torre distrutta. Nelle sue mani coperte d'acciaio era un pugnale simile a una zanna, e una pesante spada piatta. Il suo cappuccio senza volto si girò verso dove Galadriel camminava sola nel cortile interno, una singola luminosa figura, piccola e coraggiosa.

«Donna Elfo» disse il Nazgûl, e la sua spada prese fuoco «Il mio padrone da molto tempo dessssidera la tua tesssssta.»

Il volto bellissimo di Galadriel era sereno, e i suoi occhi brillarono ancora più luminosamente. «Il tuo signore è distrutto» disse. L'anello sul suo dito lampeggiò rapidamente, il suo centro troppo luminoso da guardare. «L'ho percepito abbandonare questo mondo. Secondo dei Nove eri tu, ma presto ve ne saranno solo sette. Perché morto tu sei, e la morte sola di attende.»

«Ssssaressssti dovuta rimanere nasssscosssta nei tuoi alberi» disse il Nazgûl, e con una raffica di mantelli neri stracciati, era su di lei.

«Non posso guardare...!» ansimò Lóni, ma non poté distogliere lo sguardo. Sentì il respiro rapido e irregolare di Thráin.

La spada di Galadriel si scontrò con quella dello Spettro, e lei si mosse attorno a lui con incredibile agilità per scagliare il colpo successivo contro il suo fianco sinistro – il lato del pugnale. Il Nazgûl strillò e si voltò, e la spada infuocata le fischiò vicino al volto. Lei si piegò con facilità, prima di abbassarsi sotto le braccia dell'altro e alzare la mano davanti al cappuccio vuoto. Un lampo di accecante luce stellare giunse dall'anello sul suo dito, e il Nazgûl barcollò. Orchi e ragni mugolarono per il terrore.

«Non possono sopportare la luce!» urlò Laindawar.

«Ovviamente non possono» disse Galadriel con calma, e ruotò ancora una volta per tenere il Nazgûl a distanza «L'oscurità non può esistere alla presenza della luce.»

La spada infuocata si alzò per spezzare la spada di lei. «Morirai lentamente» le promise crudelmente il Nazgûl, assaporando ogni parola.

«No, non è quello il mio fato» lo corresse lei mentre lui alzava la spada verso la sua gola non protetta «Io sparirò, e mi consumerò, e non sarò mai più come ero un tempo. Il riposo mi attende oltre le sponde di questa terra, e poco importa che io viaggi per nave o per una lama. Oh, ma te. Tu ti dissiperai e dissolverai, come fa ogni ombra. Con le mie ultime forze, io ti distruggerò.»

Il Nazgûl sibilò, e alzò la spada per poterla trafiggere dove era.

«Meleth!» urlò Celeborn, ma Thranduil lo afferrò e gli ringhiò all'orecchio.

«L'ha fatto uscire allo scoperto, e ora è dove lei lo vuole! Egli pensa di essere il vincitore! Non distrarla!»

«Io ho visto tale luce» disse Galadriel dolcemente «Ho visto la gloria nei Giardini di Tirion, e amore in occhi grigi, e speranza portata nelle mani più piccole. Ho visto tale luce...» poi lei inalò quando la spada si abbassò su di lei.

Con il fragore di un tuono, le sue braccia si aprirono, e luce si irradiò da lei come da una stella. Il Nazgûl cadde all'indietro, e barcollò via da lei.

«Tu che fosti un tempo Khamûl, Ombra dell'Est, ora mi ascolterai! Io sono Galadriel e Nerwen e Artarnis e Alatáriel, e tu non hai più un nome. La morte ti ha aspettato per troppo a lungo. Io ti esilio! Queste pietre saranno ripulite infine dal tuo essere, creatura dell'oscurità, servitore di menzogne.»

Il Nazgûl si fece indietro come se colpito, e poi iniziò a contorcersi come un pesce preso all'amo.

«Nel vuoto andrai tu e tutte le tue opere!» tuonò Galadriel, il suono tuonante, e la sua mano poteva a malapena essere vista mentre il suo Anello illuminava ogni angolo e pietra caduta di sfumature di bianco e grigio. Gli alberi oltre la foresta si piegarono e agitarono, i loro rami catturati in quell'incredibile e ultraterreno potere. «Il tuo padrone si unirà a te. Vattene!»

Il Nazgûl strillò, e la spada infuocata cadde in terra. Le mani in armatura afferrarono il cappuccio vuoto.

«Vattene!» comandò nuovamente Galadriel. Thranduil stava ancora stringendo Celeborn, ma non cercava più di trattenerlo. Piuttosto si stavano sorreggendo a vicenda contro l'inesorabile potere dell'Anello di Diamante. I loro capelli argentati volavano al vento.

Lóni non poté fare altro: iniziò a urlare. Riuscì a sentire anche Frár e Frís, e le strilla e i gemiti degli Orchi. Ma l'opprimente suono della voce dell'Elfa crebbe e crebbe e crebbe, finché non fu il suono più forte del mondo, che eclissava tutto il resto. «Vattene!» disse ancora una volta, e l'aria si piegò e tremò attorno a loro.

«Sì!» ululò Thráin esultante, quando le torri di Dôl Guldur iniziarono a crollare «Sì!»

Galadriel era quasi impossibile da vedere nella sua corona di energia, ma Lóni ebbe comunque l'impressione che stesse raccogliendo le sue ultime forze.

«Tu non hai potere qui!» disse, e le parole riverberarono più e più volte, echeggiando nella fortezza collassante.

Con un suono di strappo, il fuoco che danzava negli occhi e sulla mano di lei si scontrò con il Nazgûl con la forza di un ariete. Uscì e uscì da lei, attaccando lo Spettro con fruste di puro potere, strillando e ululando. Urla di terrore si alzarono dagli Orchi restanti, che scapparono fra gli alberi via dalla dolorosa, pura radianza.

Con un gemito patetico, la figura ammantata collassò. Le vesti nere caddero in terra, vuote.

Ciò che rimaneva di Dôl Guldur cadde su se stesso, come se il lavoro di Ere fosse compresso in pochi istanti davanti i loro occhi. La roccia si consumò e divenne polvere, e la polvere volò via nella tempesta e svanì.

L'improvviso silenzio fece trattenere il respiro a tutti, vuoto e martellante, le loro orecchie fischiavano e i loro occhi bruciavano. Fra le lacrime, Lóni riconobbe l'alta forma di Galadriel che cadeva in terra.

Celeborn lottò contro le braccia di Thranduil, urlando. Il Re Elfico fece un passo indietro e lo lasciò, e il Sire di Lothlórien barcollò sulla terra nera e ora spoglia verso il punto dove sua moglie giaceva priva di sensi. «Parlami» singhiozzò, e la girò per accarezzarle il volto con la mano «Meleth nín, mell nín...!»

Un movimento catturò l'attenzione di Lóni, e vide lo Stregone che si faceva avanti per inginocchiarsi accanto a Celeborn. «Permettimi» disse, e i suoi antichi occhi erano limpidi e determinati.

Celeborn lo guardò con disperazione per un momento, e poi annuì. Si appoggiò la testa di Galadriel in grembo, e le prese la mano nella sua. Le palpebre di lei si mossero, e i suoi occhi erano vacui.

Radagast chinò la testa, e le sue vecchie dita nodose le lisciarono la pelle perfetta del volto e della fronte. Le sue sopracciglia si corrugarono in concentrazione. Poi il petto di Galadriel si alzò, e lei mormorò: «è finita?»

«Sì, mia Dama» disse Radagast, e si inchinò a lei «Non si potrà tornare indietro. Dol Guldur è distrutta per sempre.»

Lei sospirò, e i suoi occhi si aprirono. Nessun segno dell'infinita luce bianca rimaneva, solo il loro solito azzurro. «Sono stanca» disse, e poi alzò la mano per accarezzare la guancia di Celeborn «Ah, non piangere. Mi è costato molto, ma non quanto avevamo temuto.»

«Qualsiasi verme sia rimasto è scappato a Nord» disse Laindawar, facendo un passo avanti mentre si puliva la spada con un pezzo del mantello «Vanno verso le Montagne Nebbiose, senza dubbio.»

«Prego, non chiamarli vermi, è un insulto a tutti i vermi esistenti» disse Radagast irritato.

L'espressione di Laindawar non cambiò. «Li inseguiremo. Adar?»

Thranduil si raddrizzò, e alzò una mano elegantemente. «Gurth an Glamhoth.»

Laindawar si premette una mano contro il petto, e si inchinò loro uno alla volta (riservando un'ultima occhiata arrogante a Radagast mentre lo faceva), prima di girare su un tacco e iniziare a dare ordini bruschi. I confusi e malconci Elfi si riscossero e tornarono allerta agli ordini del loro Principe. Silenziosamente come erano apparsi, gli Elfi del Boscoverde tornarono fra gli alberi, le loro tuniche verdi li risero invisibili.

«Che maleducazione» disse Radagast.

L'angolo della bocca di Thranduil si incurvò, appena un poco. «Ha lottato per settimane, spesso senza poter comunicare o sperare di essere aiutato. Ti chiedo di dimenticare e perdonarlo per la sua irritabilità.»

Radagast batté le palpebre e poi guardò Thranduil. «Perdonare chi?»

Ciò fece addirittura ridere il Re Elfico, anche se era una risata acida e poco usata. Guardò il cielo notturno che era stato rivelato dalla distruzione della fortezza, e disse: «le stelle sono luminose stanotte.»

«Le posso sentire» disse Galadriel, la voce debole e stanca «Cantano più chiaramente stanotte di quanto abbiano fatto in lunghi anni.»

«Guardate questo enorme buco sporco» disse Galion, tirando un calcio alla polvere nera «Non crescerà mai nulla qui.»

«Questo lo pensi tu» rispose Radagast, e si tirò in piedi con un lamento e un'imprecazione. Poi respiro profondamente e piantò il suo bastone nella terra rovinata.

Nulla accadde, e poi un suono squittente giunse dall'interno delle sue vesti sgualcite. «Oh giusto» disse Radagast, imbarazzato, e prese uno strano cristallo color lavanda dall'interno del suo cappello «Grazie, Reggie.»

Sistemando il cristallo sul suo bastone, lo Stregone sorrise. «Ora, vediamo cosa succederà...»

Il silenzio scese di nuovo, e Lóni poteva sentire il proprio cuore che batteva, il battito di Frár nella mano che ancora stringeva con dita nervose. Il richiamo di un uccello notturno risuonò da non molto distante.

Poi una piccola gemma verde si spinse attraverso il tappeto di detriti neri, seguito da un altro. Rampicanti delicati corsero sulle pile di roccia crollata, scegliendo la strada con i loro germogli. L'odore della terra iniziò ad essere più forte di quello del decadimento.

«Questo luogo sarà purificato» disse Radagast, e alzò il palmo verso il cielo.

Come stiracchiandosi dopo un lungo riposo, piccoli germogli iniziarono a uscire dal terreno. Erbe e fiori divennero spessi attorno alla base mentre crescevano e si allungavano, dondolando dolcemente, i loro rami si estendevano verso la notte stellata.

«Lo vedi, amata?» sussurrò Celeborn, e accarezzò i sudati capelli d'oro di Galadriel. Si stavano liberando dalla loro acconciatura.

«Non avrei mai pensato di rivedere cose simili» mormorò lei «Pensavo che quelle Ere fossero da lungo passate.»

«E siamo tutti sobri, sì?» disse Galion dubbiosamente a nessuno in particolare.

Alberi ora completamente cresciuti fecero fiori che divennero immediatamente frutti. Piccole creature corsero nel fitto sottobosco: l'erba e gli arbusti si piegarono sotto i dolci venti. Dove un'ora prima era stata un'enorme e fetida rovina, ora era una pacifica radura, circondata dall'edera e punteggiata di fiori selvatici. Non rimaneva un solo segno di Dôl Guldur.

Thráin stava piangendo senza vergogna, le lacrime gli scivolavano nella barba. «Non c'è più» ansimò, e premette il volto nei capelli di Frís e tremò incontrollabilmente «Non c'è più. Non c'è più.»

Il suo sguardo lontano fisso sulle stelle, Thranduil disse piano: «Un nuovo anno inizia, miei congiunti. Pace a voi in questo Yestare»

«E a te, cugino» disse Celeborn, fra i fiori e il canto degli usignoli «E a te.»


«Pipino!» ruggì Gimli «Pipino!»

«Gimli, stammi vicino!» urlò Legolas. Uomini urlavano, e cavalli nitrivano di terrore. Gli Orchi ulularono trionfanti, i volti segnati da gioia crudele.

«Non riesco a trovare Pipino!» urlò Gimli, e nemmeno Thorin vedeva alcun segno dello Hobbit «È sparito quando sono arrivati i Troll, non riesco a trovarla quella canaglia!»

«Guardati le spalle!» disse Legolas, e rapido come il pensiero colpì l'Orco che stava mirando alla schiena di Gimli «Lo troveremo, meleth, te lo prometto!» disse, e poi scomparve nel mare dei nemici «Il mio conto è trentasei!»

«Trentasei?» disse Gimli, fermandosi e sbuffando «Per favore, te lo stai inventando.»

«Non devo neanche mirare» giunse la voce di Legolas «Ce ne sono troppi.»

«Legolas, torna indietro!» Gimli diede una testata a un Orco, prima di prenderlo per il collo e lanciarlo contro un altro «Âzyungelê, non riesco a vederti?»

«Qui!»

«Non vedo nulla, sono troppi» disse Óin, scuotendo la testa preoccupato.

«Sei preoccupato per l'Elfo?» mormorò Dáin. Óin lo ignorò.

«Ho detto che dove tu fosti andato, io ti avrei seguito» disse Gimli «Non rendermi un bugiardo, Legolas!»

I corni di Mordor suonarono ancora, e i Nazgûl urlarono nel cielo, i loro artigli si fecero strada fra cavalli e uomini, portandosi dietro terrore.

«Legolas!» risuonò l'urlo di Gimli, ma poi lui fu perduto persino alla vista di Thorin quando l'intera forza di Mordor si scontrò con gli eserciti dell'Ovest.

Il suono fu incredibile. Thorin dovette mettercela tutta per superare il suo disorientamento mentre Orco dopo Uomo dopo Elfo gli passava attraverso il corpo intangibile, il sibilo di lame e le orrende urla dei morenti nelle orecchie.

Dunque è così che finisce. Pensò a Erebor, a Gondor e a Rohan, a Granburrone e Bosco Atro e al Bosco Dorato, alla piccola pacifica Contea. «Ribelli contro Sauron fino all'ultimo respiro» disse. Tale coraggio. Tale sciocco coraggio.

Venendogli vicino, Bilbo mise la mano vicina a quella di Thorin – appena un ciglio di distanza, ma che ancora non si toccavano. «Possiamo dire che anche tu sia un esperto in questo genere di cose» disse, e gli sorrise tremulosamente.

«Aspettate un attimo!» udì dire Dáin, in tono di assoluto stupore «Lo vedete anche voi?»

«Arrivano le Aquile!» cantò una voce acuta, chiara e limpida, oltre il caos assordante «Arrivano le Aquile!»


«Preparasi, mirare, FUOCO!»

«Non è una bella parola da usare ora!» urlò Dwalin.

«Tirate le frecce?» suggerì Bani.

«Meglio!»

«Dov'è la Regina? Dov'è mia sorella?» urlò Barís, spingendosi nella confusione e nella lotta «Devo parlargli! Il fuoco... ci serve...»

«Thira è dentro» disse Bani, e afferrò il braccio di Barís e la trascinò in un punto riparato, via dai bastioni «Cosa nel nome di Durin stai facendo qui, Barís? Non sei un guerriero; ti farai uccidere!»

Barís deglutì diverse volte, ansimante. «Ho un'idea... per il fuoco.»

Bani si accigliò. «Perché non parlarne a Glóin o al Re? Sarebbero...»

Barís la interruppe. «Perché mi serve anche un artigiano» e si girò per trovare Bomfrís che scoccava dalle postazioni degli arcieri «e un arciere.»

Gli occhi dell'intagliatrice si strinsero. «Eh?»

Barís ghignò. «La frase “pioggia di frecce” ti dice qualcosa?»


«Acqua, acqua» gracchiò Sam.

«Nori?» disse Fíli, ma sapeva che non c'erano speranze «Kíli, tu ne hai vista?»

Kíli scosse la testa. «Non bevono da ieri mattina» disse, dondolandosi preoccupato «E Sam l'ha data comunque tutta a Frodo...»

«Sono quasi arrivati, però» Nori alzò la testa per guardare il cratere luminoso del Monte Fato «Liberarsi di quell'equipaggiamento da Orchi gli ha fatto del bene.»

«Ma ora non hanno più niente» borbottò Fíli, e si inginocchiò vicino a Sam. Le labbra dello Hobbit erano bianche e sanguinavano, talmente erano secche. La sua lingua sembrava goffa e pesante quando parlò:

«Svegliatevi, Padrone! È ora di ripartire.»

Frodo tremò e si agitò, e i suoi occhi rotearono dietro palpebre chiuse. Poi si svegliò improvvisamente con un urlo di terrore, il volto pieno di qualsiasi incubo lo avesse tormentato. Vedendo Sam, si rilassò. «Non ce la faccio, Sam» disse «È un tale peso da portare... un tale peso!»

Sam pareva sull'orlo delle lacrime, se gli rimanevano ancora abbastanza liquidi nel suo piccolo corpo. Fece un sospiro rassegnato, e disse con esitazione: «allora lasciate che lo porti io, per qualche tempo. Lo sapete che lo farei, e con piacere, fino a esaurire le mie forze.»

Gli occhi di Frodo si illuminarono di una selvaggia, crudele follia. «Non mi toccare! Ti dico che è mio!»

Kíli trattenne un singhiozzo.

Poi Frodo batté le palpebre, e il dolore sostituì quella terribile luce nei suoi occhi. «Oh Sam» disse miserabilmente «È troppo tardi ormai, Sam caro. Non puoi aiutarmi di più da quel punto di vista. Sono quasi in suo potere, ormai. Non riuscirei ad affidartelo, e se tu cercassi di prenderlo impazzirei.»

Sam chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. «Comprendo, Padron Frodo» sussurrò «Andiamo. Non siamo lontani. Oggi dovremmo riuscire ad arrivare alla fine.»

Come due piccole mosche grige, gli Hobbit strisciarono su per il versante dell'enorme montagna di fuoco. Il fumo gli bruciava gli occhi, e le loro mani erano pieni di tagli per la rocce affilate e crudeli.

«Ricordate quel pezzetto di coniglio, Padron Frodo?» gracchiò Sam, cercando un altro punto dove mettere la mano «E il nostro rifugio caldo nel paese del Capitano Faramir, il giorno che vidi un Olifante?»

Frodo rabbrividì. «No.»

Le sopracciglia di Nori si aggrottarono. «No?»

«Mi sembra... come una storia, raccontata da qualcun altro» disse Frodo, a malapena udibile «So che sono cose accadute, ma non riesco a vederle. Né il sapore del cibo, né il gusto dell'acqua, né il rumore del vento, né il ricordo d'erba, albero o fiore, né l'immagine della luna e delle stelle sopravvivono in me. Sono nudo nell'oscurità... e non vi sono veli fra me e il turbine di fuoco. Incomincio a vederla anche ad occhi aperti, e ogni altra cosa scompare.»

La testa di Sam si chinò sentendo queste parole, e riuscì a far cadere un paio di lacrime d'odio. «Allora quanto prima ce ne liberiamo, tanto prima riposeremo» disse, il più allegramente possibile.

«Sto iniziando ad odiare questa speranza» borbottò Nori «È più crudele di ogni altra cosa in questo luogo maledetto.»

Kíli guardò Nori seriamente. «Ti meraviglierebbe quello che la speranza può fare.»

Nori fu il primo ad abbassare lo sguardo. «No, non lo farebbe» disse tetramente.

«Nadad» disse Fíli, e guardò l'apertura della caverna, ormai così vicina «Puoi andare avanti?»

«Aye» disse Kíli, guardando Nori un'ultima volta, prima di correre su per il pendio.

Fíli guardò i due Hobbit che strisciavano ancora un poco, prima di collassare uno sopra l'altro. Sam cercò l'ultima scorta di pan di via, dando la ultime briciole a Frodo e rimanendo senza mangiare. «Non vuole ferirti» disse infine.

«Chi, Kíli?» Nori parve sorpreso che Fíli ne avrebbe parlato «Nah, non penso che la intendesse in modo personale. Mi sorprende che qualcun altro abbia ancora un po' di speranza, a essere sincero.»

Fíli lasciò che la sua bocca si incurvasse, le trecce dei suoi baffi dondolarono, e fece un cenno verso Sam che accarezzava la testa di Frodo, dandogli ciò che rimaneva del cibo. «Quella è l'ispirazione, sospetto.»

Nori fissò i due. «Avevo delle speranze» disse «Un tempo.»

Fíli lo guardò. «Ne hai ancora, Nori. Altrimenti perché saresti qui?»

Nori non ebbe nulla da dire.

Parve che Frodo fosse come caduto in trance dopo aver mangiato, e Sam gli sistemò attorno il manto Elfico e si strinse le ginocchia al petto. «Non avrei dovuto lasciarmi indietro la mia coperta» borbottò, e guardò la Montagna «A malapena gli rimane un po' di fiato in corpo, e parla del proprio sé passato come un sogno o una persona morta.»

Picchiò i piedi pelosi contro la lava vulcanica raffreddata per un momento, e poi si passò le mani sporche sui capelli. Ne cadde polvere nera. «La Pozza a Lungacque» sussurrò con nostalgia «Jolly Cotton e Tom e Nibs e Rosie, che danzava alla luce della luna del raccolto...»

Poi diede una manata al terreno, come se stesse cercando di farsi uscire da quello stato d'animo. «Ma ciò accadeva anni fa» si disse severamente «Sei uno sciocco per sperare in questo modo. Avreste potuto sdraiarvi a terra e andare a dormire giorni fa, se tu non fossi stato così testardo. Ma morirai lo stesso, o anche peggio. Non possiamo tornare indietro dopo questa Montagna, e lo sai bene.»

Nori distolse lo sguardo.

«Suvvia, abbiamo fatto meglio di quanto non mi aspettassi» si rispose Sam cocciutamente.

«E quanto ancora potrai andare avanti, senza acqua né cibo?» Sam piantò un dito nel terreno, prima di rispondere, con un tocco di ribellione: «Posso andare avanti ancora un bel po', e lo farò.»

«E dopo?» chiese all'aria.

Sam scoprì di non avere una risposta da darsi. «Il Padrone saprà cosa fare» disse, e si mise nuovamente le braccia attorno alle gambe «E lo farò arrivare fin là, anche lasciandomi dietro anche le ossa. E porterò io in braccio Padron Frodo, dovessi rompermi la schiena e schiantarmi il cuore. Quindi, piantala di discutere!»

«Cosa succede?» si inserì una voce acuta. Fíli guardò giù per vedere Frerin, i capelli biondi spettinati, tremante accanto a lui.

«È quasi ora, zietto» disse «Sono quasi arrivati.»

In quel momento, come in risposta alle sue parole, ci fu un tremore nel terreno, un rombo distante. Frodo si riscosse.

Sam rabbrividì guardando la montagna, prima di farsi forza e scuotere la spalla di Frodo. «Ora, coraggio! È l'ultimo sforzo!» disse, e lisciò i capelli sporchi di Frodo.

Gli occhi di Frodo si aprirono, enormi pozzi neri di orrore, fissi su un qualche altro mondo terrificante. Gemette, e poi si tirò in ginocchio, prima di ricadere. «No...» ansimò.

Sam lo guardò e pianse nel proprio cuore, ma nessuna lacrima cadde dai suoi occhi asciutti e pizzicanti. «Ho detto che l'avrei portato in braccio, dovessi rompermi la schiena» mormorò «e lo farò!»

Fu in quel momento che Kíli corse giù per il pendio. «È poco più avanti!» urlò «Non potete vederla per la massa di lava che è uscita dalla porta e giù lungo i pendii, ma sono a un lancio di pietra dall'entrata! Sono quasi arrivati!»

Anche se era impossibile, pareva che grazie a un qualche piccolo miracolo, una parte di Sam fosse riuscita a sentirli. «Coraggio, Padron Frodo!» urlò «Non posso portarlo per voi – ma posso portare voi!»

I tre Nani rimasero a guardare Sam che lottava per raddrizzarsi, tirandosi il corpo molle di Frodo sulle sue piccola spalle robuste. Poi Sam fece un passo avanti – e un altro – e un altro.

Gli occhi di Fíli si riempirono di lacrime, e chinò la testa.

Era mentre era distratto che un figura simile a un ragno cadde da un masso vicino e si schiantò con i due Hobbit. Nori urlò di rabbia, e la mano di Kíli corse al suo fianco dove un tempo sarebbe stata la sua spada. Sam rimase a terra confuso per un secondo.

«Padrone cattivo!» soffiò una voce familiare e odiata, e lunghe dita afferrarono la gola di Frodo e strinsero. «Padrone cattivo ci tradisce, tradisce Sméagol, gollum. Non deve andare lì. Non deve fare male al Tesoro. Dallo a Sméagol, sssì, dallo a noi! Dallo a noi!»

«Sam!» urlò Fíli, e si girò verso Kíli «Trova Thorin! Ora! Frerin, vai a dirlo a Thrór!» poi afferrò il braccio di Nori «Va dagli altri! Avvertili!»

Con uno sguardo sorpreso, Nori annuì. «Come vuoi, Altezza.»

Non fu finché Nori non se ne andò che Fíli si rese conto che il titolo era stato usato in totale rispetto.

Sam riuscì a tirarsi in piedi, mentre Kíli, Frerin e Nori svanivano nella luce stellare. Estrasse Pungolo, ma Frodo e Gollum erano stretti tanto che non poteva colpire uno senza rischiare l'altro.

Parve a Fíli che il cuore morente di Frodo si fosse infine svegliato – e per l'unico motivo che avrebbe potuto ancora stuzzicarlo, una minaccia all'Anello. Lottò con una furia che meravigliò Fíli, trovando una qualche riserva di forza nel suo corpo distrutto. Inoltre, Gollum era ancora più affamato e disgraziato degli Hobbit, e non aveva la sua vecchia forza. Calciarono e morsero, ma infine Frodo tirò un buon colpo e rotolò via, alzandosi.

«Giù, giù!» ansimò, e la sua mano era stretta sulla catena al suo collo «Vattene, e non mi tormentare più! Se mai dovessi toccarmi ancora, verrai gettato anche tu nel Fuoco del Fato.»

Gollum strisciò via, terrore e desiderio insaziabile ancora nei suoi occhi.

«Sta per scattare!» urlò Sam, e brandì Pungolo «Presto, Padrone, andate! Non c'è tempo da perdere! Mi occuperò io di lui. Andate avanti!»

Frodo esitò, prima di dire: «Addio, Sam» poi si voltò e barcollò verso la luminosa entrata, barcollando debolmente.

Sam lo guardò per un momento, prima di abbassare Pungolo alla gola di Gollum. «Ora, infine» ringhiò.

Gollum non saltò, ma si strinse in posizione fetale e mugolò. Le sue mani dalle lunghe dita si strinsero attorno al suo petto, come se si stesse abbracciando da solo.

«Non ucciderci» pianse «Non farci del male con cattivo crudele acciaio! Lasciaci vivere, sì, vivere ancora un po'. Perduti, perduti! Siamo perduti. E quando il Tesoro se ne va, moriremo, sì, moriremo nella polvere.»

Il cuore di Fíli esitò. «Dannazione» gemette, e si premette le dita sugli occhi «Vorrei dire uccidilo e falle finita...»

Sam parve ugualmente combattuto. La sua spada esitò. Infine, con un sospiro rabbioso, la abbassò. «Maledetto essere puzzolente!» esclamò «Vattene! Togliti dai piedi! Non mi fido di te, ma vattene. Altrimenti ti farò davvero del male, sì, con cattivo crudele acciaio.»

Gli occhi a lampada di Gollum brillarono di meraviglia, e si rilassò un poco, guardando Sam stupefatto. Poi si allontanò ancora un poco, solo per correre via quando Sam fece per dargli un calcio.

«Sam Gamgee, dov'è il tuo padrone?» la voce di Thorin rimbalzò sulle pietre, e Sam si raddrizzò, correndo su per il sentiero tanto rapidamente quanto i suoi piedi pelosi potevano muoversi.

Entrando nella Camera di Sammath Naur, a Fíli parve che tutto fosse coperto di sangue. La luce era rossa, le mura erano rosse; persino l'aria sembrava pulsare come il battito di un cuore. Sam barcollò avanti, la spada ancora in mano, e tossì per i fumi della lava che si alzavano e lo soffocavano.

«Padrone?» urlò, e si agitò la mano libera davanti al volto. Un lingua di roccia si allungava sopra la voragine di fuoco, e Sam andò verso di essa, ancora tossendo. «Padron Frodo? Padrone, mio caro, dove siete?»

«Sono qui, Sam»

Fíli socchiuse gli occhi. Lì, nero contro il rosso, era Frodo sull'orlo del precipizio. Era in piedi con la catena in mano, come se fosse diventato pietra.

«Fatelo!» urlò Sam «Ora!»

Frodo non si mosse.

«Oh, per favore» sussurrò Thorin.

«Cosa state aspettando? Gettatelo!» lo pregò Sam.

Frodo si voltò. Il tormento nei suoi occhi era svanito. Sorrise, ed era un taglio rosso sul suo volto.

«Sono venuto» disse «Ma ora non scelgo di fare ciò per cui sono venuto. Non compirò quest'atto. L'Anello è mio!»

«No!» urlò Sam, e il sorriso di Frodo divenne beato quando si mise l'Anello sul dito a svanì nel nulla.

Poi l'improvviso peso dell'Occhio era su di loro, e Fíli ululò quando la volontà di Sauron li fece cadere in terra. Ai suoi lati udì Thorin che ansimava, e Kíli stava singhiozzando.

«No» singhiozzò Sam, ma fu colpito violentemente in testa e qualcosa gli fece spostare le gambe quando una cosa piccola e rapida corse oltre lui.

«Gollum» disse Fíli con labbra intorpidite.

«Gli serve...» gracchiò Thorin «gli serve tempo...»

«L'Occhio» disse Kíli a fatica, e cercò Thorin con mani tremanti «Non posso... muovermi...»

«Sauron ora conosce la magnitudine della propria follia» disse Thorin, facendosi forza. Premette con le sue mani e le sue ginocchia, prima di alzarsi lentamente. «Ora tutti i suoi pensieri sono in questo luogo.»

TU NON TI INTROMETTERAI FRA L'ANELLO E IL SUO PADRONE...

Fíli urlò e si mise le mani sulle orecchie.

Thorin si strinse le spalle come se stesse attraversando una tempesta di neve, gli occhi socchiusi e le mani alzate contro l'incredibile forza di quella voce.

TU NON SEI NULLA DAVANTI AL SIGNORE DEGLI ANELLI, COME OSI, PATETICO ESSERE MORTO

AVRESTI POTUTO ESSERE GRANDE, DOHYARZIRIKHAB

AVRESTI POTUTO...

FATTI DA PARTE!

Thorin barcollò, e ansimò. «No. Anche se il tuo Occhio può attraversarmi, non potrai raggiungerli. Io sopporterò questa pressione, e li riparerò da questo.»

TU NON SEI CHE UN NANO MORTO

TU NON SEI NULLA

SPOSTATI, ORA, E TI MOSTRERÒ PIETÀ

«Menti» ansimò Thorin, e gli si vedevano i tendini del collo mentre lottava sotto il peso dell'Occhio.

E poi erano in due. Una debole sagoma, certo, ma Fíli riconobbe qualcuno basso, e piccolo, e dai capelli ricci, di fianco a Thorin.

«Chi è quello?» gemette Kíli, e i denti di Fíli si scoprirono in un ghigno selvaggio.

Bilbo.

TU! TU, CUSTODE DI RICORDI, TU CHE HAI SEPOLTO L'ANELLO IN RIMPIANTO! IO SO CHI SEI! BUGIARDO DELLA CONTEA!

La sagoma in ombra si piegò, come distrutta sotto quello sguardo. Poi si raddrizzò lentamente quando Bilbo trovò la sua forza.

«I morti e i morenti» gracchiò Thorin, e si raddrizzò al massimo «Ma noi sopporteremo il tuo sguardo, se possiamo.»

«Padrone!» ululò Sam, e Fíli si girò. Poi vide qualcosa di strano e terribile – Gollum lottava come un gatto impazzito contro un nemico invisibile, proprio sull'orlo dell'abisso di fuoco. Andava sempre più vicino, soffiando e mordendo e tirando e sputando. La lava sputò e ribollì come in risposta, la luce rabbiosa.

E per tutto il tempo l'Occhio premeva su di loro con la sua volontà.

Poi la testa di Gollum si piegò, i denti si chiusero su qualcosa di duro. Ci fu un urlo di dolore, e Frodo riapparve, stringendosi la mano al petto e cadendo in terra.

«Tesoro!» gioì Gollum, e tenne alto l'Anello. Un dito era ancora dentro il cerchio, che brillava nella luce rossa, più bello e dorato che mai. «Tesoro, tesoro, tesoro!» cantò Gollum, ubriaco di gioia «Mio tesoro! Oh mio tesoro!»

Sam strisciò verso Frodo, che stava cercando di alzarsi di nuovo per aggredire il ladro... «Padrone! No!»

Gollum danzò come un folle, gioendo del suo premio. I suoi occhi erano alzati verso l'Anello e inciampò. Ci fu un momento in cui parve immobile, in bilico sull'orlo. Ma poi cadde, e con un ultimo urlo di tesoro...!

...sparì.


Galadriel si alzò improvvisamente, stringendosi l'anello argentato sul dito. «Può essere» sussurrò, mentre Celeborn guardava in alto in meraviglia.


«Gli uccelli stanno scappando!» urlò Dwalin dal suo posto sui bastioni di Erebor «Gli uccelli del nemico stanno fuggendo! Cosa vuol dire?»


Il terreno tremò e rotolò, come se stesse respirando. Gimli guardò in meraviglia le Torri dei Denti che iniziavano a crollare alla loro base. Gli Orchi strillarono quando il loro mondo iniziò a cadere. Dopo pochi istanti non rimase nulla dove prima era stato il Morannon. Un grande buco nel terreno l'aveva ingoiato completamente.


Narvi guardò la Torre di Barad-Dûr che cadeva, e lacrime amare le riempirono gli occhi.

«Infine» sussurrò.


«Padrone?» balbettò Sam, mentre la lava sputava e si agitava attorno a loro.

«Ebbene, questa è la fine, Sam Gamgee» disse una voce al suo fianco, ed era Frodo, ed era di nuovo se stesso. Sorrise a Sam, stando certo, ma senza quel terribile dolore o quella luce negli occhi.

Sam fece un singhiozzò. «La vostra povera mano! E non ho niente per medicarla, o per fasciarla. Avrei preferito dargli una mia mano tutta intera.»

«Ormai è scomparso per sempre» disse Frodo, e guardò nuovamente il Cratere del Fato «Ma ricordi le parole di Gandalf?»

Fíli udì Thorin che diceva, in una voce troppo intima per essere udita da altri: «la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il fato di molti.»

Poi suo zio ghignò, in modo allegro e decisamente troppo compiaciuto, come se fosse appena stato sgridato da un irritato piccolo Hobbit.

Frodo appoggiò la testa contro quella di Sam, e insieme si strinsero sul versante dell'Orodruin mentre il mondo crollava attorno a loro. «Se non fosse stato per lui, Sam, non avrei distrutto l'Anello» sussurrò «La Missione sarebbe stata vana, proprio alla fine. Quindi perdoniamolo! La Missione è compiuta, e tutto è passato.»

«È passato» ripeté Sam.

«È finita» disse Frodo, e diede un bacio sulla fronte di Sam «Sono felice che tu sia qui con me. Qui, alla fine di ogni cosa, Sam.»

TBC...

Note:

Nessa – Sposa di Tulkas e sorella di Oromë, che ama danzare nei prati verdi di Valimar

Thranduil e Celeborn si incontrarono nella foresta il 6 aprile, secondo l'Appendice B.

Khamûl – un tempo un uomo mortale, era il secondo degli Spettri dell'Anello dopo il Re Stregone di Angmar. In vita, governò su Rhûn. Secondo una versione, Khamûl fu messo di guardia a Dol Guldur in seguito alla morte del Re Stregone, e fu infine sconfitto dalle forze Elfiche.

La Battaglia Sotto gli Alberi – non fu una vera battaglia, ma più una guerriglia. Lothlórien fu assaltata tre volte, e gli eserciti di Thranduil erano costantemente sotto attacco.

Alcuni dialoghi presi dai film, e dai capitoli "Il Cancello Nero si Apre" e "Monte Fato"

[1] Battuta intraducibile. "Aye" assomiglia all'inglese "eye" (occhio). [Torna alla storia]

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 41
*** Capitolo Quarantuno ***


L'ingresso della forgia era illuminato della luce delle galassie. Il martello cadeva a ritmo del canto primordiale. Con ogni martellata, l'aria tremava e si scuoteva, e la terra risuonava di tuono sotterraneo.

E poi si fermò. Cadde il silenzio, assoluto e soffocante, risucchiava suono e aria dal laboratorio. Il grande Fabbro si fermò come colpito da qualche colpo invisibile. I suoi terribili occhi si chiusero.

«Addio, mio promettente allievo» sussurrò «Il tuo fuoco fu caldo e luminoso prima di divenire corrotto, lurido e oscuro. Se solo non tu non fossi giunto a questo. Addio, Mairon.»


C'è una pausa alla fine di ogni battaglia, una frazione di secondo di immobilità, prima che l'intero mondo sembri esalare. Prima della battaglia è l'inalazione, il picco del terrore, la pressione sorda del battito del cuore nelle orecchie, il vuoto nello stomaco. Durante, è il terrore e il tuono della battaglia e il sangue che corre caldo nelle vene, l'urlante desiderio di vivere, momento dopo momento dopo momento. Dopo, l'immobilità e la stanchezza, l'improvvisa calma e il cuore pesante e il passo di piombo.

Il momento passa da battaglia a cosa accadrà ora senza il suono di un corno o uno stendardo nell'aria: nessun segnale grandioso dichiara una vittoria. Il campo di battaglia non viene vinto in un colpo solo, ma ad incrementi. Come un'onda che sciacqua ed erode la spiaggia, la pausa passa sui guerrieri uno alla volta, e il mondo esala.

Il tempo rallenta e guadagna quel carattere sognante, smorto, sciropposo. Il mondo respira nuovamente, inalazione-a-esalazione, battaglia-a-dopo, e coloro che sono sopravvissuti possono alzare la testa e vedere cosa rimane.

Thorin guardò la rovina di Mordor che si disintegrava davanti ai suoi occhi, abbassandosi e accartocciandosi e polverizzandosi, e trattenne il respiro.

«Arrivano le Aquile» disse Bilbo piano.


il mondo inala

«Non ci capisco niente» disse Dwalin, grattandosi la testa calva «Che cosa ha fatto eccitare tutti gli uccelli, secondo te?»

«Probabilmente – uf! - tutto il mangime che gli stiamo dando!» urlò Glóin, tagliando la testa a un Orco «Perché ti guardi intorno?»

«Non ha torto, si comportano in modo molto strano» disse Bombur, guardando oltre i bastioni dove gli uccelli cantavano e si affollavano in uno spettacolo stranamente gioioso, sopra Bosco Atro «Gli uccelli in genere non si comportano così, vero?»

«Dovresti chiederlo a Óin» rispose Balin, ma anche lui osservava accigliato gli uccelli.

Poi improvvisamente risuonò un corno sotto di loro, e gli Orchi che si affollavano, lottavano e litigavano si guardarono attorno confusi, i loro occhi andavano da una parte e dall'altra. Ci fu un momento di puro finimondo quando gli assedianti iniziarono a spingersi a vicenda, le voci alzate in orrore e meraviglia, prima che l'esercito si allontanasse leggermente dalle mura della Montagna.

«Nel nome di Durin, che sta succedendo?» ringhiò Dwalin, alzando l'ascia e avanzando per osservare meglio «Perché si stanno ritirando?»

La cacofonia divenne gemiti e mormorii mentre Orchi ed Esterling sembravano perdere morale improvvisamente. Balin guardò Bifur e Bombur, che lo fissarono a loro volta, ugualmente persi.

«Eh» giunse una voce sotto di loro «Salve?»

«Non proprio nello stile di Dâgalûr, questo» borbottò Dís «Cosa? Perché vi siete fermati?»

«...non lo sapete?»

Inseme, Dwalin e Dís si sporsero oltre il bordo per vedere un'alta Esterling, il volto pieno di trepidazione, che stringeva una lancia in una mano tremante. Il suo mento era alzato testardamente e la sua postura era orgogliosa, ma i suoi occhi erano pieni di rassegnazione fatalistica. «Sapere cosa?» le abbaiò contro Dís.

Ci fu un altro tremito di confusione fra gli eserciti sotto. L'autonominata portavoce alzò il volto in un movimento fluido, la mano stretta attorno alla lancia.

«Vi prendete gioco di noi?»

«Stai parlando per enigmi» grugnì Dwalin «Parla chiaramente, o mangerai una delle nostre frecce.»

«La Torre Oscura» disse un Orco in una voce ringhiante e lamentosa. Gli altri Orchi indietreggiarono alle sue parole. «È caduta.»

«COSA?» Balin strinse la spalla di Bifur per tenersi in piedi «Aspetta, si stanno...»

Dwalin rimase serio e immobile, ma gli occhi di Dís si sbarrarono. «La Torre...»

«Egli è caduto» confermò un altro Orco. Gli altri guairono e ci furono uno o due ululati. «L'Occhio non è più su di noi. Maledetti e dannati, ci hanno sventrati!»

«Sventrerò te per aver detto cose simili, bugiardo!» sibilò un altro, e una bella rissa scoppiò mentre i Nani fissavano in meravigliata confusione.

«Non può essere vero» sussurrò Dís.

Il capitano Esterling le lanciò uno sguardo serio e duro. «È vero.»

«Gli uccelli» disse Bifur con voce debole «Mi targê.»

Dwalin uscì dalla sua paralisi stupefatta con un suono ansimante e scuotendo la testa violentemente. Poi fissò il Capitano col suo occhio buono e chiese duramente: «allora perché diavolo siete ancora tutti qui?»

Il Capitano batté le palpebre. Il silenzio si allungò, spezzato solo dalle grida di uccelli lontani.

Poi lei alzò la lancia verso la propria fronte, toccandosi con la punta l'attaccatura dei capelli. Era un gesto stranamente cerimonioso e rispettoso da qualcuno che aveva appena saccheggiato Dale e fatto del suo meglio per distruggere Erebor.

Poi gettò la lancia a terra in un movimento rapido, e senza guardarsi indietro girò sui tacchi e iniziò a spingersi fra l'esercito. Quasi un terzo degli Esterling fra gli assedianti la seguì immediatamente, seguendola lontano dalla Montagna e verso la strada commerciale sul grande deserto rosso.

Verso Est.

«Avete del cibo?» gli urlò dietro Bombur.

«Beh, io non mi arrendo!» ringhiò un Orco «Li abbiamo quasi presi, possiamo avere il loro regno grasso e ricco e vivere come il Re dei Goblin ogni giorno, senza l'Occhio che ci dica no o non puoi o da quella parte o costruisci questo. Io penso di-»

L'Orco si prese un pugno in bocca da un altro, e altri si lanciarono sul chiacchierone mentre l'esercito iniziava a dividersi ai bordi. Orchi iniziarono a correre verso Nord, senza dubbio diretti alle Montagne Grige.

«Sembra che faranno il lavoro per noi» disse Dwalin «Suppongo possiamo andarcene tutti in vacanza ora.»

Orla si tolse l'elmo e si spinse una mano sulla fronte e fra i capelli sudati. «È stato inaspettato» fu tutto ciò che disse. Dís la guardò acidamente.

«C'è un tempo e un luogo per essere brevi, e non è questo» disse «Cos'ha fatto con la lancia? Avremmo potuto tirarle una freccia nella schiena.»

Orla fece alla sua amica un piccolo sorriso contenuto. «Una questione di rispetto e onore. Stava accettando la nostra vittoria. Quel clan non tornerà.»

Nonostante tutto, Balin era intrigato. L'Est e i suoi popoli erano un mistero per lui, e non aveva mai udito la cupa e taciturna Orla parlare così apertamente dei suoi luoghi d'origine prima.

«Gli altri?» Dwalin si sporse nuovamente in avanti per guardare la ritirata di massa, grandi linee serpeggianti di persone che si allontanavano dalla Montagna «Rimarranno e continueranno a combattere?»

Orla fece spallucce. «Forse. Gli Orchi non scapperanno tanto in fretta, penso. Non posso parlare per gli Uomini. Alcuni hanno vissuto sotto il culto di Sauron più a lungo di altri. Posso dire questo: non accetteranno né nostri interventi né nostre leggi. L'Ovest non ha sempre avuto una buona influenza sull'Est. Lasciamoli perdere. I loro numeri diminuiranno, e non possono aprire un varco fra le nostre mura.»

«Ma sono venuti a ucciderci!» disse Dís, le labbra ritratte dai denti «Hanno distrutto Dale! Hanno ucciso Brand! Hanno fatto a pezzi il nostro Re, Dáin mio cugino!»

«E Bombur» disse Glóin duramente «Non dimenticherò in fretta l'espressione sul volto di mio nipote.»

«Eppure siamo qui, eppure abbiamo vinto» Orla si tirò il colletto fradicio, e fece una smorfia «Mi serve una doccia.»

«Meglio aspettare. Ho sentito che la Montagna va a fuoco» disse Dwalin, e alzò nuovamente l'occhio verso gli uccelli che volteggiavano in quella danza di gioia «Il nostro lavoro non è ancora finito.»

«Il male non conosce riposo» mormorò Orla.


«Le Aquile» sussurrò Thorin, e le stelle si alzarono nei suoi occhi finché tutto ciò che poté vedere non fu bianco.


la terra trattiene il respiro, per un momento, solo un momento

«Pipino!» Gimli barcollò per il campo di battaglia, la sua voce si alzava sopra le urla dei feriti e le strida degli Orchi in fuga «Pipino! Maledizione, piccola peste dalla testa di legno, per favore sii in vita, per favore sii sano e salvo, mi sei costato troppi dolori per morire ora!» Rovesciò il corpo di un grande Orco grigio con una poderosa spinta e un'imprecazione, ma non trovò Hobbit sotto di esso «Pipino!»

«Meleth, non è fra le schiere Orientali» disse Legolas, poco lontano. Non aveva lasciato il Nano da quando lo aveva trovato incolume fra le rovine e la distruzione di Mordor. «Di certo avrà trovato delle provviste da qualche parte. Lo troveremo a fumare e bere sui carri di rifornimento, ne sono certo.»

«Quello è il primo posto che ho controllato» disse Gimli, frustrato, e tirò un calcio al corpo di un Orco con un ringhio «Pipino!»

Gli occhi di Legolas si addolcirono. «Starà bene» disse, e poggiò una mano sulla spalla di Gimli.

«Aye, finché non gli metto le mani addosso, starà bene» disse Gimli, e si asciugò bruscamente occhi e fronte «I tuoi occhi sono migliori dei miei, ghivashelê. Vedi nulla?»

Legolas si voltò per guardare la desolata, silente rovina che erano i resti della potenza di Mordor. «Vedo la Torre caduta e la Montagna di Fuoco vomita ancora il suo fumo ovunque. Vedo i corpi di Uomini ed Elfi, cavalli e Troll e Orchi, tutti giacciono dove sono caduti. Vedo la sagoma delle Aquile nel cielo, la luce delle stelle oltre i fumi della Montagna che infine riescono ad attraversarli...»

«In altre parole, vedi tutto» sospirò Gimli, e toccò la mano di Legolas in segno di consolazione «Tutto tranne quel maledetto idiota di un Tuc. È un'ottima cosa che sappiamo riconoscere i piedi di uno Hobbit. Ricordi dove stava combattendo?»

«Corse avanti con tutta la velocità che i suoi piedi pelosi gli diedero» disse Legolas, e si inginocchiò e tolse a Gimli l'elmo dalla testa, premendo assieme le loro fronti infangate «Non lo vidi.»

Gli occhi di Gimli si chiusero e lui ispirò lentamente. «Non lo perderò, piccola giovane canaglia dal cuore forte» disse, quasi senza suono «Questo dovrebbe essere un campo di vittoria, eppure...»

«Anch'io mi sento così» disse Legolas, e baciò Gimli leggero come una piuma «Abbiamo vinto – ma ora dobbiamo anche contare le nostre perdite, ed esse sono enormi. Andiamo verso una nuova era, e con essa diciamo addio a molto di ciò che era bello e triste nella vecchia.»

«Elfico e criptico, come sempre» disse Gimli, e passò una mano fra i capelli di Legolas, e lo baciò di nuovo «Andiamo, continuiamo a cercare, prima che questa tua Nuova Era diventi più vecchia.»

«Potrebbe essere stato il clamore della battaglia che mi confondeva l'udito, ma forse fu la sua voce ad urlare vicino a dove gli Uomini di Rohan tenevano la loro posizione. Qualcosa sulle Aquile?»

«Avresti potuto dirlo prima!» esclamò Gimli. Strinse forte la mano di Legolas e lo fece alzare e lo trascinò verso il mucchio crollato che era stata la Torre dei Denti settentrionale «I Signori dei Cavalli erano da queste parti, penso...»

«Stavano lottando nei ranghi centrali, credo» disse Legolas, trascinato da Gimli.

«No, a destra» ripeté Gimli testardamente, e si mise l'elmo sotto il braccio e spinse un cavallo caduto con un piede «Vedi?»

«Un cavallo non fa una Éored» disse Legolas asciutto, ma fu interrotto dal sussulto di Gimli. Il Nano era immobile, prima di lasciare la mano di Legolas e iniziare a correre, scattando il più rapidamente possibile sulla terra bruciata verso la carcassa di un gigantesco troll.

Gimli lasciò cadere elmo e ascia in terra, prima di spingere con tutta la sua forza il corpo della bestia. «Aiutami!» urlò, prima di raddoppiare i suoi sforzi, i muscoli del collo che risaltavano per lo sforzo «È sotto!»

Legolas era subito dietro di lui, e insieme riuscirono ad alzare abbastanza in alto il Troll. Poi Gimli si girò e prese tutto il peso sulla sua schiena, mentre Legolas strisciava sotto di esso sulla pancia. Ne uscì, un piccolo, infangato, molle corpo fra le braccia. La bella livrea Gondoriana era macchiata di sangue oltre che di fango, e i capelli erano appiccicosi e sporchi su un lato della testa riccia.

«Oof!» Gimli lasciò cadere il Troll, e mosse le spalle. Il suo collo scrocchiò quando abbassò la testa. «Sta bene? Respira? Dimmi che respira!»

«Respira, ma a fatica» disse Legolas piano «Non ha ossa rotte, ma non so dire cos'altro avrebbe potuto aver subito. Ha bisogno di Gandalf, o Aragorn. Se ha abbattuto questa bestia, allora ha davvero compiuto la grande impresa che desiderava.»

«Lo porterò io» disse Gimli, con sguardo testardo. Legolas ovviamente pensò fosse meglio non discutere, e appoggiò dolcemente lo Hobbit nelle grandi braccia di Gimli. Gimli portò la piccola creatura come se fosse un suo parente, stringendolo dolcemente al proprio petto.

«Dov'è Gandalf, comunque?» chiese mentre Legolas li guidava attraverso il campo verso dove l'esercito si riuniva assieme, vittorioso eppure solenne, perché così tanti di loro non avevano vissuto per vedere questa vittoria.

«È partito sulla schiena di un'Aquila gigante» disse Legolas, e guardò la terribile landa oscura, oltre i cancelli distrutti, verso il fuoco fumante all'orizzonte «Andava verso Orodruin.»

«Mahal tadnani astû» mormorò Gimli, e strinse più forte la piccola forma di Pipino «Sarebbero dovuti essere...»

«Dovevano essere proprio in cima ad essa» disse Legolas, cupo e triste «Ai carri.»

Gimli guardò Pipino mentre attraversavano la piana, e poi sospirò senza rumore. Poi guardò Legolas, la sua espressione leggermente più rilassata. «Sai» disse, quasi in tono da conversazione «ora potremo dare tutto ciò che avevamo detto avremmo. Fangorn e le Caverne Scintillanti ci aspettano!»

«Così come i nostri popoli» disse Legolas, e fece un piccolo sorriso asciutto al Nano «Dovremo anche far qualcosa a quel proposito.»

«Ah, è vero» Gimli fece un smorfia, e poi sospirò «Ebbene, non che altro da fare, âzyungelê. Io non nasconderò il mio amore, né scapperò dal mio popolo. Il prezzo della vittoria, potremmo dire.»

«Un prezzo, o un premio?» ribatté Legolas, e appoggiò una mano gentile sulla spalla di Gimli e la strinse «Dobbiamo ancora scoprire cosa questa nuova Era ci porterà. Ma finché mi porterà te, allora io sarò contento.»

«Non so come reagirebbero se ci limitassimo a presentarci insieme e annunciarlo» disse Gimli, e guardò Legolas sovrappensiero «Tu cosa ne pensi?»

Legolas fece una smorfia. «Penso abbia il potenziale di andare terribilmente, orribilmente male. Non penso sarebbe giusto verso la mia famiglia o verso te, mettervi tutti in una posizione del genere. Sorpresa e paura possono solleticare la rabbia fino a farla esplodere.»

«Troppo vero» sospirò Gimli «A nessuno piacciono le cattive nuove.»

Un'espressione cupa toccò il volto di Legolas. «Tu non sei una cattiva nuova, meleth nín.»

«Dalla tua bocca alle orecchie di Gimrís. Per non parlare di quelle di tuo padre. Ecco Aragorn!» Gimli iniziò a camminare più in fretta sul terreno bruciato, ma era attento a non scuotere il suo fardello «Aragorn, ragazzo! Ho trovato il nostro combinaguai, ma ha bisogno del tuo aiuto...»

Aragorn era circondato da soldati e consiglieri, tutti che discutevano insieme con voci basse e confuse. Sembrava nessuno riuscisse davvero a comprendere la realtà di cosa fosse successo. Presto la realizzazione sarebbe arrivata, e allora sarebbero iniziate le celebrazioni – ma nel frattempo, l'aria era fragile e sottile. Il Re si voltò al richiamo di Gimli, e aveva a malapena visto la situazione che già scendeva dal suo cavallo e avanzava a grandi passi verso la coppia. Inginocchiandosi nel fango, senza curarsi della sua armatura o degli abiti, Aragorn passò una mano sul piccolo volto tondo di Pipino. «Ho quasi esaurito la mia riserva di athelas, ma farò ciò che posso con quella che rimane» disse.

Poi guardò Gimli e Legolas, e disse: «è bello vedere che entrambi siete sani e salvi. Ero preoccupato.»

Gimli fece un suono maleducato, ma Legolas sorrise e basta. «Lo stesso vale per te.»

Aragorn fece per prendere lo Hobbit da Gimli, ma il Nano strinse le braccia attorno a lui e scosse la testa. «Lo porterò io. Fin dove serve. Dove ci accampiamo?»

Aragorn si girò verso dove Éomer e Imrahil aspettavano, e soppresse un gemito. «Ne stiamo discutendo. Ma io desidero andarmene dalla vista di questo cancello nero e della sua triste terra, e cercare viste più verdi e più pacifiche. Vorrei osservare tutta la natura che posso, prima...»

Il volto di Gimli si addolcì. «Ah.»

Legolas chinò la testa, e c'era comprensione nei suoi occhi quando disse, delicatamente: «L'Ithilien è vicino.»

«Ed è ancora verde» confermò Aragorn «L'Ithilien è dove desidero andare. Abbiamo molti feriti e stanchi, e ci potrebbero volere dei giorni. Camminerai tutto il tempo, Mastro Nano, o potrò portare il nostro giovane eroe sul mio cavallo?»

Gimli guardò Pipino, prima di accettare con un grugnito. «Non ci starebbe su Arod, suppongo.»

«E tu non cavalcheresti da nessun altra parte» disse Aragorn, e un mezzo sorriso gli attraversò il volto «Non per tutto il mondo né la per corona di Durin stesso.»

«Certo che no» con molta riluttanza Gimli gli porse il piccolo corpo abbandonato, e Legolas gli si avvicinò. Sembrò ad Aragorn che l'ansiosa preoccupazione di Gimli fosse in qualche modo tranquillizzata dall'Elfo. Si scambiavano i ruoli di consolatore e consolato con tanta facilità che ormai era completamente senza parole e quasi impercettibile. «Fai del tuo meglio allora, ragazzo. Pensavo, quando abbiamo tolto quel troll dal suo povero corpicino, che lui doveva-» si interruppe improvvisamente e deglutì, e le sue grandi mani si alzarono involontariamente, come per riprendersi Pipino.

Aragorn tastò la pallida fronte macchiata di fango, e annuì. «Starà meglio. Si sveglierà fra qualche ora. Ma la cosa difficile sarà tenerlo a letto. Gli serve quiete, e riposo.»

Legolas guardò i Signori dell'Ovest là dove si affollavano, in attesa del loro Re. «Dubito ne troverà molta, dove sei tu.»

Aragorn represse una smorfia. «Forse no. Sia Imrahil che Éomer chiedono sempre le mie attenzioni. Hanno le intenzioni migliori, ma io non sono abituato a questo genere di richieste. I miei giorni di solitudine arriveranno presto alla fine, amici miei.»

«Beh, non va bene per un invalido. Ci prenderemo noi cura di Pip dopo che tu avrai fatto quella tua... cosa di guarigione» disse Gimli, agitando le mani in modo vago «E tu potrai riaverlo mentre ci sposteremo.»

«Io non litigherei con un Nano d'umore protettivo» mormorò Legolas, e Aragorn rise piano.

«Ho abbastanza saggezza per saperlo. Molto bene, Gimli, lo riporterò da te non appena avrà preso dell'acqua e dell'athelas, e quando avremo determinato che non ha ferite peggiori. Partiremo entro un'ora. Siate pronti»

«Sì, vostra divina maestà» disse Gimli in tono derisorio, accompagnandosi da un formale inchino Nanico «E avete già mangiato?»

Il volto di Aragorn era diviso fra imbarazzo e irritazione.

«Ti troveremo qualcosa da mangiare. Vieni meleth» disse Legolas, e mise una mano sull'avambraccio di Gimli e portò via dolcemente. I suoi brillarono di malizia quando aggiunse: «non vorremmo che spirasse sotto il peso della sua nobiltà, dopotutto.»

«Siete entrambi terribili» disse Aragorn, ma stava sorridendo di nuovo «Grazie.»

«Al tuo servizio, ora e sempre!» urlò Gimli agitando una mano «Âzyungelê, pensi che questi Uomini di Gondor avranno ancora un po' di quell'oca deliziosa?»

«Chiedere non farà male. Ho ancora un po' di lembas...»

«Lembas! Puah!»

«Pensavo ti piacesse? E è stato preparato dalla Dama»

«Oh. Beh, il lembas andrà più che bene»


i polmoni bruciano

Thranduil guardò per un momento mentre Celeborn sosteneva sua moglie e la riportava al suo cavallo. Lei era stranamente diminuita ai suoi occhi, come se il fuoco che l'aveva sostenuta per così tanto tempo si fosse spento. Ma lui sapeva che si sarebbe riacceso.

Ma aveva ciò che aveva a lungo desiderato. Le aree più settentrionali e orientali della Foresta erano ora sua, dietro permesso di Celeborn, e poteva ora rendere sicuro il suo regno senza dispute o interferenze.

Voltandosi, scacciò i Galadhrim dai suoi pensieri. C'era un ultimo compito che doveva portare a termine.

Si allontanò dalle sue truppe, confidando che lo Stregone e Galion li avrebbero tenuti occupati in sua assenza, ed iniziò a camminare sulla nuova radure che aveva preso il posto della grande fortezza a punte.

«Cosa sta facendo?» mormorò Lóni. Thráin gli fece segno di star zitto, osservando il freddo, vecchio Elfo con gli occhi socchiusi.

«Scommetto che non sarò nulla di buono» borbottò Frár.

«Shhh!» disse Frís severamente, e i due rimasero in silenzio.

Thranduil si mosse come una brezza fra le foglie, a malapena le toccava mentre passava senza suono. Non sembrava una creatura vivente del mondo, e fu così che i Nani seguirono a poca distanza. Il dolce odore verde dell'erba appena cresciuto era ancora appiccicato a loro mentre lui si spingeva fra i germogli e l'edera rampicante, finché non giunse nel luogo dove era stata la torre più alta. Ora, un piccolo sepolcro di roccia era tutto ciò che restava, ed anche quello era coperto di fiori.

Lì si inginocchiò, e poggiò una mano sulle pietre.

«Cosa nel nome di Durin...?» disse Thráin in un mezzo sussurro «Cosa sta succedendo? Non possiamo andarcene ora?»

Frís gli prese la mano. «Devi andare, amore?»

Thráin scosse la testa, un gesto rapido e brusco. «Voglio sapere cosa pensa di fare, perché se n'è andato dagli altri.»

Thranduil era ancora alla tomba, ma infine fece un lungo, lento sospiro. Poi si alzò con un movimento liquido, e calciò via le pietre più in alto. Il sepolcro sembrava vuoto dentro, un piccolo duomo, ogni roccia teneva su la successiva. Caddero sotto i suoi colpi, e lui continuò a calciarle finché non rimase solo polvere.

Sotto il sepolcro era il corpo di una ragazza Elfo.

Non era stata toccata dal decadimento o dagli anni, e sembrava che stesse solo dormendo. La sua mano destra era serrata, ma la sua sinistra teneva una spada. Thranduil fece un altro lento sospiro, e Lóni si meravigliò della profonda emozione che vi era dentro. Un Elfo che sembrava fatto di ghiaccio non avrebbe dovuto suonare tanto terribilmente ferito.

«Dunque è qui che incontrasti la tua fine, mio capitano» disse infine, e si inginocchiò accanto al corpo, togliendole frammenti roccia nera dal volto e dai capelli. Lei era bellissima, come lo erano tutti gli Elfi, ma c'era caparbietà e allegria nel suo volto. I suoi capelli erano rossi come quelli di un Barbafiamma. «L'avevo sospettato. Lo seppi il momento che lasciasti il mondo. Sapeva che non avevi preso una nave.»

Chinò la testa. «Ancora combattevi le battaglie da cui io fuggivo, vedo.»

Poi Frís fece un suono stupefatto, e si voltò verso Thráin. «Ricordi...»

Thráin strinse la mascella. «Aye. Ricordo. Vidi.»

Frís fissò la scena e sussurrò: «ma come poteva Kíli sapere?»

«Sembra che nostro nipote stia continuando la vecchia tradizione di famiglia di tenere nascosti i cuori spezzati» sospirò Thráin.

«Posso indovinare il tuo scopo qui» disse Thranduil, e lisciò i capelli accesi con dita dolci «Da sola cercasti di sradicare il male che ci piagava. Nulla ti aveva mai fermata quando sceglievi una strada e la tua causa era giusta. Se solo me ne avessi parlato, bambina.»

«Aveva provato a... prendere Dôl Guldur? Da sola?» disse Lóni in orrore meravigliato «Ma quello è...»

«Coraggioso» disse Thráin.

«E stupido» aggiunse Frár. Thráin sbuffò.

«Scusa, tu non avevi provato a riprendere Khazâd-dum?»

«Non ci hai provato tu per primo?» replicò Lóni. Frís lanciò un'occhiataccia a entrambi, e loro si calmarono con riluttanza.

Dolcemente, Thranduil le aprì le dita della mano destra, che caddero in terra come i petali aperti di un fiore. C'era una vecchia pietra runica lì: era stata tenuta tanto a lungo, che le parole avevano lasciato le impronte nella pelle del suo palmo.

«Oh Tauriel, goheno nín» sussurrò Thranduil, e suonava vecchio, e stanco, e rotto in più modi di quanto Lóni potesse immaginare «Era reale. Lo era.»

Frís si premette le mani sulla bocca. «Come potremmo mai dirgli questo?»

Il petto di Thráin si alzava e si abbassava pesantemente, ma riuscì a dire: «glielo dirò io.»

Frís lo guardò con confusione.

«Quantomeno, Crema sarà lì» disse. L'espressione di Frís rimase dubbiosa, ma infine annuì. Poi lo abbracciò e premette il volto contro il petto di lui, e Thráin seppellì il proprio nei suoi bei capelli.

Il volto di Thranduil era liscio e senza espressone, ma i suoi occhi erano pieni di rimorso e dolore mentre chiudeva nuovamente le dita sottili attorno alla pietra. Poi si alzò e guardò la pacifica figura che dormiva fra i fiori. «Dormi bene, e sii rinata in una terra priva di dolore» disse infine «Hai combattuto il male fino al tuo ultimo respiro, persino mentre la vita ti lasciava. Se solo tutti avessimo avuto il tuo coraggio.»

Mentre lui si voltava, Lóni gli vide apparire un'orribile cicatrice, bruciata e slabbrata e aperta, sul volto.


ma per un momento, solo un momento

A quanto pareva, Barís Linguacristallina era molto, molto più di una bella voce.

Il suo piano sembrava prevedere lanciare una freccia con una corda nei magazzini in fiamme. Poi i Nani, Elfi ed Uomini riuniti avrebbero potuto usare la corda come una carrucola per portare secchi e pelli riempite d'acqua nelle stanze tagliate fuori. Barís gesticolava mentre spiegava il suo piano a Bani e Bomfrís, i capelli le uscivano dalla treccia e le si incollavano al sudore della fronte.

«È troppo pericoloso entrarci, è troppo lontano, c'è troppo fumo» terminò con voce rapida «Quindi dobbiamo farci entrare sabbia e acqua senza entrare noi stessi.»

Bani sembrava molto scettica, ma Bomfrís stava annuendo.

«Che dite di pelli?» volle sapere Bani, masticando la bacchetta dei suoi occhiali mentre esaminava il disegno che Barís aveva fatto sul muro con il carbone «Non potremmo vestirci in strati di pelli e armatura?» Ma entrambe le sorelle stavano scuotendo la testa.

«Abbiamo già provato, con i minatori» disse Bomfrís bruscamente «Anche con uno straccio bagnato sulla bocca, soffochi prima di bruciare. In una stanza chiusa come i magazzini, il fumo non può andare da nessuna parte. Anche sdraiarti a terra non ti salverebbe.»

«Dobbiamo tenare qualcosa» disse Barís, tormentandosi le mani «E questa è l'unica cosa che mi viene in mente.»

Bombur sentì la mano di Bifur che si appoggiava delicatamente sulla sua schiena. «Orgoglioso di loro?» disse piano.

«Più di quanto possa mai dire» disse Bombur, la voce rotta.

«Lo so» disse Barís, ed esitò per una frazione di secondo prima di continuare con la frase «Lo so che la mia ultima idea non ha funzionato tanto bene, e non hai motivo per fidarti di questa, ma...»

Bani sbuffò forte, fissando ancora lo schizzo e prendendo il carbone. Aggiunse un dettaglio qua e là mentre parlava. «Oh, Usignolo. Le idee in genere non funzionano. In genere, sono un disastro. Non vuol dire che tu smetta di provare. Dove sarei io se mi fossi arresa dopo tutti gli errori che ho fatto? Non lavorerei nella forgia di Thira, questo è certo. Nah, proviamo tutto, e ripuliamo se esplode.»

Bomfrís toccò il braccio di Barís e con le labbra formò le parole “CHIEDIGLIELO ORA!” Barís le fece segno di smetterla prima di schiarirsi la gola e dire: «va bene, quindi, pensi funzionerà?»

Bani fece un passo indietro e osservò le modifiche che aveva apportato. Poi annuì. «C'è solo un modo per scoprirlo. Andiamo, voi due. Diamo a questi nobili nel panico qualcosa da fare. Ci servirà il tuo amico Elfo, vostra Maestà.»

«Non è mio amico, perché tutti lo dicono – e piantala di chiamarmi così!»


«Sono stanca di essere confinata in questa gabbia dorata» disse una voce, mentre Haban si riscuoteva dalla luce stellare e batteva le palpebre alla luce dei viventi.

«Non sentirti sola» rispose un'altra, e Haban si voltò per vedere Merry seduto su una panca in un piccolo cortile. Aveva una benda attorno al braccio della spada, e i cerchi sotto i suoi occhi erano ancora scuri, ma per il resto sembrava si fosse pienamente ripreso. C'era una caraffa d'acqua e una piccola ciotola di frutta al suo fianco, anche se erano per la maggior parte vuoti. «Chi si prende cura di Pipino ora? E scommetto che ha già finito l'erbapipa.»

«Vorrei che ci fossero dei messaggeri» disse l'altra, e accanto ad Haban Gróin fece un suono sorpreso. Lei socchiuse gli occhi per abituarli alla luce, e riconobbe l'alta aggraziata forma di Éowyn. La scudiera guardava la piana butterata del Pelennor, come se potesse tagliare la distanza fra sé e la battaglia solo coi suoi occhi. «Sono pronta come chiunque per combattere. Mi farebbero indossare abiti da notte, e giacere a letto per altri due giorni! Sono guarita quanto serve, e il mio braccio non mi rallenterà. Posso combattere altrettanto bene con l'altro. Mi sento sempre più debole e consunta, in questa gabbia.»

«Guarita quanto serve per cosa?» chiese Gróin.

Haban aveva un sospetto. «Oh, bambina» sospirò «Ci sono cose più belle e grandiose nella vita che morire in battaglia. Fidati di una che lo sa.»

«Almeno Faramir ti ha fatto cambiare di stanza» disse Merry allegramente, versandosi un bicchiere d'acqua «Ora dà ad Est, vero? Anche se la vista non è molto rassicurante, se vuoi il mio parere. Il Nord, ora – il Nord è molto raccomandato.»

Éowyn sorrise fra sé e sé. «E crescono piccolo, feroci guerrieri nelle terre del Nord, Mastro Merry?»

Merry sbuffò attorno a un enorme boccone di frutta. Haban non l'aveva nemmeno visto muoversi per prenderla. «Non proprio. Siamo una piccola dolce terra, con piccole dolci persone. O così mi sembra, ora che ho visto qualcosa del grande mondo. Ma abbiamo una nostra certa saggezza, nonostante tutto. Amiamo la pace più delle battaglie. Prima di lasciare la Contea ero molto più bravo con un rastrello che con una spada.»

«Sembra un modo di vivere noioso e statico» disse Éowyn «Timido e mansueto e blando.»

«Oh, può esserlo, può esserlo» disse Merry, anche se il suo tono era uno di educato disaccordo «Di certo è pieno di pettegolezzi, e tutti hanno il naso negli affari degli altri metà del tempo. Non è grandioso o eroico, suppongo. Ma è solido, e sicuro, e fatto per durare. Se il buon cibo e le case calde, la famiglia e le comodità sono noiose, allora io sarò noioso e me ne compiacerò. Non sono fatto per vivere sui picchi più alti, ma in confortevoli buchi Hobbit. Preferibilmente quelli con credenze ben rifornite.»

«Ma tu hai veduto quegli alti picchi, non è così?»

«E sono anche incredibilmente scomodi» Merry fece una smorfia «Non dimenticherò presto il Caradhras.»

Éowyn si voltò dalla sua contemplazione del cielo Orientale, e gli sorrise. «Sono ancora una volta meravigliata del tuo coraggio, Scudiero di Rohan, udendo cose simili della tua terra natia. Vorrei essere stata al tuo fianco. Avrei potuto vinto onori quanto te – o anzi, quanti Re Théoden.»

Merry alzò un sopracciglio sopra il suo bicchiere d'acqua. «Sono riuscito a rimanere in vita, con un sacco di fortuna e un sacco di aiuto e qualche rotto della cuffia. E posso a fatica capire perché mi dovresti invidiare. Anzi, tu che hai onore in battaglia tale che le canzoni ne canteranno per sempre! Io preferirei avere Pipino con me, e una birra invece dell'acqua nel mio bicchiere. Ma ora mi colpisce, Dama, e mi chiedo: chi mai ti ha detto che essere pacifici vuol dire essere deboli?»

Le fronte di Éowyn si corrugò, e lei si tese.

«Mi piacciono sempre di più gli Hobbit» disse Haban con approvazione, e incrociò le braccia «Un popolo eccellente.»

«Invero la Dama Bianca di Rohan» disse Gróin, osservando Éowyn con occhi seri «Lei è fatta d'acciaio, ma talmente sottile e fragile che potresti spezzarla.»

Merry guardò il proprio bicchiere, facendo una smorfia. «Non volevo essere tanto diretto. È così che siamo noi. Conosco la mia piccola terra e i nostri piccoli modi devono sembrare tanto piccoli e sciocchi. Ma bontà mia, come direbbe il Vecchio Bilbo! Conosco Hobbit più feroci di qualsiasi Orco. Frodo è lo Hobbit più coraggioso che io abbia mai conosciuto, ed è dolce come la panna! Amiamo la nostra terra, amiamo i nostri amici e la nostra casa e le nostre piccole vite pacifiche. Combatteremmo per loro, se dovessimo.»

Éowyn lo fissò.

Gróin prese la mano di Haban, e la strinse. «Suona quasi Nanico, non è così?»

«Come sta il tuo braccio, piuttosto?» disse Merry, e si piegò in avanti «Il mio è ancora freddo al tocco, e mi sembra sbagliato usarlo – come se non sia proprio attaccato a me, se capisci ciò che dico. A volte le mie dita si intorpidiscono, anche nella stanza più calda. Almeno è sparita quella brutta macchia. Tu hai dato il colpo di grazie, il tuo deve darti ancora più guai.»

Lei sobbalzò, come riscossa da un sogno, e poi disse: «...sì, è ancora freddo. E ha sopra una ragnatela di linee nere.»

«Allora dovresti stare alla luce del sole» disse una nuova voce, e Faramir attraversò il giardino. Sembrava molto più forte, il volto arrossato dalla camminata dalla sua stanza.

«Ma allora non potrei vedere le mura della città sul fiume» rispose Éowyn, e chinò la testa. Con le dita di tormentò le maniche. «Non ricordo la strada che hanno percorso.»

«Te la mostrerò» disse Faramir «Come stai, Éowyn?»

Lei non rispose.

Merry sospirò. «Io rientro. Quel vento è troppo forte! E non posso essere accanto a Pipino solo volendolo, quindi tanto vale che io dorma ancora un po'.”

«Buonanotte, Merry» disse Éowyn, e non alzò lo sguardo «E penserò a ciò che hai detto.»

«Oh, non darci troppa importanza, sono irritato e nervoso per tutta questa inattività io stesso» Merry scese dalla panca, e iniziò ad allontanarsi. Passando accanto a Faramir, gli diede una pacca sul braccio. «Vai piano» sussurrò.

Faramir annuì grato.

Il giardino sembrava più grande senza la luminosa e vivace personalità di Merry a riempirlo: vuoto, e freddo. Faramir andò accanto ad Éowyn, e insieme guardarono oltre le mura della città verso l'oscurità innanzi.

«Quel ragazzo è innamorato» disse Haban improvvisamente. Gróin la guardò confuso. Lei agitò una mano verso i due. «Guardalo!»

«Come fai a dirlo?»

Lei alzò gli occhi al cielo, come se cercasse la pazienza. «Gli faccio la guardia da Mahal solo sa quanto. Mi sembra di conoscerlo bene quanto i nostri ragazzi. E lui si è infatuato di quella coraggiosa ragazza orgogliosa da quando ha posato gli occhi su di lei.»

«Se lo dici tu» disse Gróin, facendo spallucce. Lei alzò il mento, pronta a discutere, ma lui alzò la mano. «Amore, sei più brava di molti nel capire ciò che non viene detto. Sarei un idiota a non fidarmi del tuo istinto» Poi le fece un caldo sorrisetto soddisfatto «Dopotutto, hai detto sì a me.»

Lei gli sorrise, un sorriso piccolo e tenero, e gli lisciò la barba. «Tsk. Dovevo aver perso la testa» disse, e lo baciò «Ora silenzio.»

«Aye, mia cara»

«Questo non è silenzio!»

«Ho qui qualcosa per te» disse Faramir, e aprì il fagotto che stava portando. Un tessuto del blu più scuro si srotolò e svolazzò al vento freddo, e gli occhi di Éowyn si allargarono. «È un mantello. Può far freddo qui, e l'Alito Nero indugia ancora. Se lo sento io, quanto puoi farlo tu?»

«Non sono qualcosa di fragile e delicato, che necessita di una confezione» disse lei, ma Faramir si limitò a ridere la sua risata dolce.

«E non vi è vergogna nell'essere mortale e subire gli elementi. Se non piace ai tuoi occhi, allora non insisterò. Ma penso che ti donerebbe molto»

Gli occhi di Éowyn andarono ancora al mantello, e stavolta notarono il meraviglioso decoro a stelle lungo l'orlo e la gola. «Bellissimo lo è» disse, e i suoi occhi andarono nuovamente a Faramir «Sembra vecchio, e ben tenuto.»

«E caldo, io spero» Faramir passò un pollice su una delle stelle, e il suo sguardo divenne distante e perso «Io me lo ricordo caldo.»

Éowyn esitò un altro secondo, e poi Haban esclamò: «Oh, maledetto il tuo orgoglio, ragazza! Mettiti quel mantello!»

Era quasi impossibile che questa scudiera dei signori dei cavalli avesse udito la voce di una guerriera Nanica morta da tempo. Nonostante questo, Éowyn fece un passo avanti e alzò il braccio buono. «Allora te ne prego.»

Il sorriso di Faramir fu radioso, anche se breve, e con cautela lo passò sopra le spalle di Éowyn e strinse la spilla sulla gola di Éowyn. «Avevo ragione» disse, piano.

Le guance di Éowyn avevano leggermente preso colore quando si voltarono per rimanere fianco a fianco, guardando, sempre guardando ad Est.

«Sette giorni» sussurrò.

Faramir non la guardò. «Sette giorni?»

«Da quando lui partì» disse lei, quasi troppo piano per essere udita.

«Ah» Le spalle di Faramir non si abbassarono, ma Haban sapeva che quasi l'avevano fatto. Eppure lui tenne per sé qualsiasi delusione avesse provato, e non obbligò l'altra a prenderne atto. «È così. Sette giorni, e nessuna nuova. Mi causa più dolore delle mie bruciature.»

«E le tue ferite sono ancora doloranti?» chiese Éowyn, e Faramir fece un sospiro fra i denti.

«Non... le ferite corporali, no. Esse guariscono. La gente di questa casa conosce il proprio lavoro, e lo fa bene»

La testa di Éowyn si voltò, leggermente, verso di lui. «Allora così ti affligge, mio signore?»

Faramir rimase in silenzio, e poi disse: «Se qualcuno può capire, allora saresti tu. Perché mio fratello è morto, e così mio padre, e il mondo intero è sull'orlo di un precipizio, pronto a cadere o ad essere inghiottito dall'oscurità... Eppure il mio cuore spera, per quanto sia vano ciò. Anche se non abbiamo parole, né speranza né domani, ancora guardo ad Est.»

La mascella di Éowyn tremò quando la strinse, e lei afferrò i lembi del mantello stellato e rabbrividì.

«Sette giorni» ripeté Faramir, quasi a se stesso «E mi hanno recato una gioia e una pena che non immaginavo mai di provare. Gioia di vederti; ma pena, perché timori e dubbi sono aumentati in questi giorni infausti. Éowyn, non vorrei che questo mondo finisse adesso, e che perdessi così presto ciò che ho trovato.»

«Perdere ciò che hai trovato, sire?» disse Éowyn, e lo guardò. I suoi occhi erano dolci, ma fermi. «Non so che cosa tu abbia trovato in questi giorni che potresti perdere. Ma coraggio, amico, non parliamone! Non parliamo del tutto!» E poi lei si voltò di nuovo verso il parapetto e fissò con rinnovata determinazione.

Haban annuì con rassegnazione. «Ah beh.»

«Attendiamo, e guardiamo ad Est in attesa del colpo del fato» mormorò Faramir, e poi il suo respiro di mozzò. Perché il vento che soffiava attorno al picco del Mindolluin improvvisamente morì, e il sole si scurì improvvisamente. Il canto degli uccelli esitò, e si fermò.

Nessuna voce parlò. Nemmeno il fruscio delle foglie o il battito dei loro cuori fece rumore. Il tempo si fermò.

Il mondo trattenne il respiro.

Senza guardare, senza nemmeno pensiero cosciente, le mani di Faramir ed Éowyn si mossero nel momento senza tempo, e si incontrarono, e si strinsero.

Haban prese a sua volta la mano di Gróin, e la strinse forte. Lui la strinse a sua volta, e lei ringraziò Mahal per il suo dolce idiota litigioso, coi suoi modi bruschi e il suo enorme cuore. Poi si chiese come stesse Narvi. Dove fosse. Se stesse bene.

Mentre guardavano, parve che una vasta oscurità nebulosa si alzasse da sopra i picchi distanti delle Montagne di Mordor, torreggiando verso il cielo come un'onda mostruosa che avrebbe inghiottito il mondo intero. Nelle sue profondità, il lampo giocava e sputava. La terra iniziò a tremare – e le mura tremarono a loro volta. Il vento tornò come un torrente, facendo volare insieme i capelli di Faramir ed Éowyn, mischiati e attorcigliati, mentre loro rimanevano in piedi sull'orlo.

«Mi ricorda Númenor» sussurrò Faramir.

«Númenor?» disse Éowyn.

La mano di Faramir si strinse su quella di lei. «La grande ombra oscura che sommerse tutte le terre versi e le colline e che avanzava, oscurità inesorabile. Lo sogno sovente.»

«Allora credi che l'Oscurità stia arrivando?» disse Éowyn «L'Oscurità Inesorabile?» E gli si avvicinò, come se il vento crudele l'avesse infine ferita.

«No» disse Faramir, e si voltò per guardarla «Non so che cosa stia accadendo. Ragionando a mente lucida direi che una grande catastrofe è avvenuta, e che ci troviamo alla fine dei giorni. Ma il cuore mi smentisce, e le mie membra sono leggere, e sono invaso da una speranza e da una gioia che la ragione non può negare. Éowyn, Éowyn, Dama Bianca di Rohan, in questa ora io non credo che alcuna oscurità possa durare!» E si piegò e le diede un baciò sulla fronte.

La luce del sole iniziò a passare, debole all'inizio. Poi proruppe in grandi raggi di luce che distrussero la terribile oscurità e la fecero dissipare in un ricordo di se stessa, prima che il vento scacciasse ciò che ne rimaneva.

«Cosa-» Éowyn sussultò, e si allontanò e si sporse sulle mura per fissare la luce dorata che ora riempiva la terra. Ciò che era parso triste e scabroso e rovinato per sempre, ora si illuminò di nuovi colori: verde e oro e rosso, il fiume Anduin brillava come argento.

E alzandosi nel tramonto da Est giunse un Aquila, portando notizie oltre ogni speranza.

Sing now, ye people of the Tower of Anor,
for the Realm of Sauron is ended for ever,
and the Dark Tower is thrown down.
Sing and rejoice, ye people of the Tower of Guard,
for your watch hath not been in vain,
and the Black Gate is broken,
and your King hath passed through,
and he is victorious.
Sing and be glad, all ye children of the West,
for your King shall come again,
and he shall dwell among you
all the days of your life.
And the Tree that was withered shall be renewed,
and he shall plant it in the high places,
and the City shall be blessed.
Sing all ye people!
[Traduzione]


Uno dopo l'altro, barcollarono nel laboratorio di Thrór.

Uno ad uno, ritornarono da dov'erano quando il cataclisma li aveva colpiti. I volti di tutti erano stupiti e inespressivi, le loro voci mute. Quando si guardarono negli occhi a vicenda, la stessa meraviglia venne riflessa verso di loro.

«È fatta» disse Thorin, stupefatto e barcollante. Dáin lo sorresse cautamente. La testa gli faceva male. I suoi arti tremavano come se l'Occhio ancora – no. No. «Non riesco a crederci. È finita.»

«Aye» disse Thrór, dolce e orgoglioso «E tu ci hai guidati. Attraverso terrore e paura e inseguimenti infiniti, menzogne antiche e nuove, attraverso la tua stessa irritazione e i tuoi dubbi, ci hai riuniti e ci hai portato attraverso tutto ciò, sei stato una guida ai viventi, e non hai esitato.»

E il Re Sotto la Montagna chinò la testa verso suo nipote, la barba toccava il pavimento e la sua mano era premuta al cuore nel più profondo rispetto.

«Nemmeno quando faceva male» disse Fíli piano, e i suoi occhi brillarono. Poi anche lui chinò la sua testa dorata. Uno alla volta, gli altri lo imitarono: il grano che si piegava al vento.

Thorin non sapeva cosa dire, e rimase fermo a disagio per un momento. La sua mente era piane di nebbia confusa. «Siamo stati tutti noi, lavorando insieme» iniziò, e poi si fermò. Non riusciva a pensare a parole sufficienti a mostrare la sua gratitudine, il suo amore e il suo rispetto.

Poi capì che le parole non sarebbero mai state sufficienti, non per tutto ciò che loro gli avevano tanto liberamente dato e insegnato. Quindi piegò la testa e si inginocchiò a sua volta, la genuflessione più vera che avesse mai fatto in vita o in morte. «Vi ringrazio tutti» riuscì a dire, la voce rotta.

«Questa è una bella visione» disse Bilbo, al suo fianco come doveva essere. Lo Hobbit fece a Thorin un piccolo sorriso segreto. «Te lo sei guadagnato, mio caro.»

La bocca di Thorin era intorpidita. «È finita» ripeté, e batté le palpebre rapidamente.

«Io ho finito» disse Nori «Voto che tutti ce ne andiamo a letto per qualche secolo.»

«Concordo» grugnì Narvi. Un russare si alzò dalla direzione di Óin.

Kíli si girò su se stesso e iniziò ad andare stancamente via dalla forgia. «Svegliatemi quando inizia la Battaglia delle Battaglie» sbadigliò.

«Copriti la bocca!» la voce di Hrera si alzò sopra la folla.

Thorin camminò per i corridoi, e solo vagamente riconobbe la sensazione della piccola mano di suo fratello sulla sua spalla. «Sei sveglio?» mormorò Frerin.

«Non davvero» disse Thorin, e batté di nuovo le palpebre.

«Cielo, mettetelo a letto prima che cada di faccia sul pavimento» disse Bilbo.

«Shhh, âzyungelê, non agitarti tanto. Non farei mai nulla del genere» Thorin alzò la testa e sorrise a Bilbo «Sei bellissimo, a proposito. Se non te l'ho già detto prima.»

Bilbo immediatamente iniziò a sputacchiare frasi mezze iniziate che non avevano nessun senso. Poi chiuse la bocca e un adorabile rossore si arrampicò lungo il suo collo. Thorin si chiese se arrivasse anche al suo petto...

«Va bene, devi smetterla di dire cose del genere ad alta voce quando io posso sentirle» disse Frerin, divertito «Ecco il tuo letto. Sogni d'oro, nadad

«'Notte, nadadith» borbottò Thorin, e cadde in avanti sul suo cuscino e si addormentò un secondo dopo.


e il mondo esala

Hrera era piuttosto annoiata. Aveva iniziato il turno dopo Lóni e Frár, ma era francamente incredibilmente noioso ora che tutta quella... innaturalità era finita. Sbadigliò e si sistemò distrattamente la barba, rimettendo le perline a goccia al loro posto facendosi guidare dal tatto e dall'abitudine. Sì, tremendamente, intollerabilmente noioso. Nulla da guardare se non le piante.

Avrebbe dovuto essere con la sua famiglia. La maggior parte di loro si erano riuniti ancora, tutti riposavano infine. Frerin era raggomitolato con un tazza di tè, e Thorin finalmente dormiva. Sciocco bambino altruista, mettersi lungo la strada dell'Occhio! Aveva rischiato chissà cosa, davanti all'Ombra stessa, per carità di Mahal. Lei aveva deciso che -

Una magra, piccola figura uscì da tutte le piante. La sua spada era ancora macchiata di sangue nero.

«Ah, il figlio maggiore» capì Hrera «Ebbene, è il più vicino ad avere un'altezza decente e propria, almeno.»

«Adar. Gli Orchi che restano sono scappati verso le Montagne. Li inseguiamo?» Laindawar si era fatto alto quanto il suo corpo permetteva, impaziente come un cane da caccia al guinzaglio. Gli brillavano gli occhi.

Il volto di Thranduil era girato dall'altra parte, ed era accanto alla sua grande renna. La sua mano accarezzava distrattamente il pelo folto. Non rispose immediatamente, e Laindawar si dondolò impazientemente, l'armatura cigolava. «No, abbandona l'inseguimento. Gli Orchi che rimangono non si guarderanno indietro. Come sta il nostro popolo?»

«Meglio del loro» Laindawar parve deluso, ma lo nascondeva meravigliosamente, pensò Hrera. Aveva sempre ammirato coloro che riuscivano a nascondere cose simili.

(Si rifiutò testardamente di ricordare i propri ultimi anni, il mento alzato mentre il cuore le ululava nel petto, le orecchie pronte a carpire ogni sussurro, le gonne regali indossate con la precisione e cura di un'armatura.)

«Nessun morto, anche se Taembeng è stato ferito»

Thranduil chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro i fianchi lisci della renna. «Galion?»

«La sua lingua rimane intatta» disse Laindawar, le labbra in una linea acida «Si è lamentato per tutto il tempo.»

«Ah» le spalle di Thranduil si raddrizzarono leggermente.

Hrera aggrottò le sopracciglia e osservò meglio il Re Elfico. Non più gelido e remoto e intoccabile, era in qualche modo – più morbido. In qualche modo. Ma più rilassato? Lei non riusciva a capirlo. Eppure la notizia della sopravvivenza del suo vecchio maggiordomo ubriacone lo rallegrava...? Strano.

«Quanti Orchi sono sfuggiti?» disse Thranduil, e infine si girò per osservare suo figlio.

«Una decina, nessuno di noto» Laindawar si raddrizzò «Andrei e porterei a termine il lavoro, se tu mi dessi il permesso...»

«No, torniamo a Nord» Thranduil guardò gli alberi che lo circondavano, le loro chiome dondolavano pacificamente alla brezza. «Abbiamo ripuliti i nostri boschi infine. Non abbiamo più nulla da fare qui.»

Laindawar sbuffò, ma non protestò.

«Nord!» la voce di Radagast risuonò, e lo Stregone si fece avanti fra il bosco. Per qualche motivo il suo cappello era al contrario. «Se andate a Nord, allora vengo anch'io. Qualcuno deve ripulire questo disastro, e Gandalf non è qui. Sarà ancora a fumare con gli Hobbit nella Contea, suppongo! Quindi il vecchiaccio marrone qui deve fare qualcosa, oh sì...»

«Gandalf è morto per questa guerra. Persino ora è nel cuore degli eventi» esclamò Hrera «E come osi mettermi nella posizione di difenderlo! Intollerabile.»

«Oh, chi ha chiesto a te?» Radagast tirò su col naso. Si mise le mani sui fianchi e lanciò ai due Elfi uno sguardo severo (rovinato dal cappello, tristemente). «Bene, quindi, avete del cibo?»

Gli occhi di Thranduil divennero sospettosi, anche se lui rimase calmo. «Abbastanza.»

«Bene. Spero sia sufficiente sia per Dale che per Erebor. Avranno bisogno di qualcosa da mangiare dopo che tutti quegli Orchi gli hanno rubato i raccolti. Chiamarli locuste sarebbe un insulto a tutte le locuste»

«Mahal sia benedetto» Hrera sussultò, completamente presa alla sprovvista e totalmente stupita «Oh – oh, per favore!»

«Non puoi essere serio» disse Laindawar.

«Sono perfettamente serio» disse Radagast «Ho conosciuto delle splendide locuste.»

«Perché dovremmo mandare del cibo ai Nani?» disse Thranduil, la voce lenta e misurata.

Hrera si girò per guardarlo male, la lingua pronta a dargli una strigliata – ma lo Stregone fu più rapido. Radagast si mosse così in fretta che lei non lo vide nemmeno. Lei batté le palpebre, e lui era naso a naso con il Re degli Elfi.

«Perché stanno morendo di fame, Thranduil» disse piano «Gli uccelli ne cantano, i fiumi ne sussurrano. I Nani muoiono di fame, e lottano ancora. Ancora fermano le orde di Gundabad che avrebbero dovuto tramutare il nostro grandioso, antico bosco in ramoscelli e cenere e fumo. Il loro valore e il loro sacrifico dovrebbe essere onorato.»

«Non ho mai dubitato del loro coraggio» disse Thranduil.

«Adar...» disse Laindawar a disagio.

Thranduil non distolse lo sguardo da Radagast. «Deri, lonneg.»

«Hai sentito l'Oscurità che lasciava il mondo?» disse Radagast piano. I suoi occhi antichi erano acuti. «La terra canta canzoni di libertà sotto i nostri piedi.»

Thranduil rabbrividì. «Lo sento. Il Nemico è morto.»

«Una nuova alba, una nuova Era» disse Radagast, e alzò le sopracciglia.

Thranduil non parlò, ma i suoi occhi tornarono alle rovine di pietra oltre la radura.

«Una volta hai guardato Nani che morivano di fame e ti sei voltato dall'altra parte» disse Radagast, la voce un sussurro come vento fra le foglia «Come inizierai questa nuova Era del Sole, oh grande Re degli Elfi?»

«Adar, temo dobbiamo» disse Laindawar, con ovvia riluttanza «Lo Stregone ha ragione» la sua bocca si strinse, come se aver detto parole simili gli avesse fatto sentire un cattivo sapore «Se non fosse stato per la Montagna dei Nani, la Foresta sarebbe caduta... nonostante il nostro dolore e la nostra lunga guerra. Abbiamo abbastanza barili in magazzino per...»

«Barili, non mi parlare di barili!» sibilò Thranduil, e chiuse gli occhi e si girò. Le sue dita si alzarono per stringere la base del naso.

«La tua forza ti ha portato lontano, e ha protetto il tuo popolo» disse Radagast, e chinò la testa «Non puoi piegarti, solo questa volta, e mostrare pietà verso coloro che ne hanno bisogno?»

Gli occhi di Thranduil si aprirono, e la sua testa si girò per fissare lo Stregone. «Ho già udito parole simili» disse, e le sue dita cercarono il collo della renna. Avendolo trovato, lo strinse forte. «E già ho udito parole simili. Aveva ragione. Abbastanza forti da frantumarsi. Ah, Elbereth, anno dulu enni. Non sanno quando scappare e non combattere.»

La fronte di Radagast si corrugò in confusione. «Eh. Chiedo perdono?»

Thranduil fece uno o due respiri profondi, e poi annuì. «Manderemo del cibo. Quanto ne serve. Anche al Popolo di Dale, perché loro sono nostri vicini e amici oltre agli scambi e alla moneta. Servirà tutta la nostra gente. Andiamo a Nord, e non ci fermiamo per il vento o il maltempo. Dobbiamo essere rapidi come le ali dell'Aquila!»

Le palpebre di Hrera si chiusero, e due lacrime fredde caddero nella sua barba, solleticandone i peli. «Mahal si lodato, sono salvi. Sono salvi, oh grande Telphor, non posso credere...!» pianse, e il suo contegno posato era scomparso completamente.

Ebbene, maledetto il suo orgoglio. Maledetto ogni orgoglio! Erano salvi!

«Lasto beth nín!» chiamò Thranduil, e i corni risposero all'urlo «Nord! Cavalchiamo! Noro lim! Toro, noro lim!»

Laindawar rispose all'urlo con un grido feroce di «Gwaem!» E poi saltò in aria e scappò dalla radure, sparendo come fumo.

Thranduil balzò sulla sua grande renna e lisciò il suo collo con la mano. «Lei ne sarebbe stata felice» disse, cripticamente. E poi l'enorme bestia scosse la testa dalle grandi corna, e trottò via in un tuonare di zoccoli. «Tieni il passo, Stregone!»

«Così drammatico!» borbottò Radagast, e poi fischiò per richiamare la sua slitta. Notando Hrera e il suo volto coperto di lacrime, disse con voce timida: «beh, va a dire a tutti le buona nuove!»

«Grazie» disse lei, dal profondo del cuore. Il volto del vecchio petulante divenne rosso, e lui si sistemò il cappello.

«Eh. Sì. Grazie per il grazie. No, no, no, non è così... Cosa si dice quando si viene ringraziati? Non mi ricordo bene?» Si grattò la testa. Ne cadde della terra come una pioggia granulosa.

«Si dice “non c'è di che”» gli disse Hrera, sorridendo con gli occhi lucidi.

«Oh, ecco! Beh, non c'è di che, cara signora. Sparisci, allora!»

Una piccola indignata parte di Hrera scattò quando le venne detto “sparisci”, ma lei la calpestò. Comunque, ogni parte del suo corpo le urlava di fare un'ultima cosa – e lei non poté fare a meno di dire: «E il tuo cappello è al contrario.»

«Cosa? Il mio cappello, al contrario? Per tutto il tempo?»

Lei fece la sua espressione più educatamente dispiaciuta, e incrociò le braccia. «Temo di sì.»

Radagast imprecò e si mise le mani in testa, mentre continuava a borbottare fra sé e sé. «Il cappello al contrario, maledizione. Tutto il tempo, mentre litigavo con quel vecchio Elfo testardo. Scommetto che a Gandalf non sarebbe mai successo...»

Hrera chiuse gli occhi, e sorrise mentre i suoni di borbottii queruli la seguirono nella fredda oscurità delle Sale.


e il mondo esala

Le Aquile poggiarono Sam e Frodo sulle coperte delicatamente quanto una madre può poggiare il suo figlio dormiente. Le urla di orrore che si alzarono da Aragorn, Gimli, Legolas e Pipino fecero chiudere gli occhi di Fíli. Lui aveva saputo – oh, come aveva saputo – quanto era stato difficile, quanto magri e secchi e prosciugati i due erano diventati.

In qualche modo era anche peggio, sotto le verdi foglie e alla luce accesa delle selve dell'Ithilien.

Gandalf scese dalla schiena della più grande delle Aquile, e poi gli si inchinò profondamente. «I miei ringraziamenti, Gwaihir, mio vecchio amico» disse, e l'Aquila piegò la sua enorme testa guardandolo, senza battere le palpebre. Poi abbassò la propria testa, il collo piumato si gonfiò, prima che le enormi ali si aprissero. Con una folata di vento che fece volare i capelli di tutti, le Aquile di Manwë ripresero il volo.

«Andranno a nord» disse Gandalf, osservandole per un momento. Poi si inginocchiò accanto ai due piccoli corpi e lisciò i loro capelli. «Le loro vite sono quasi al termine» mormorò «la fiamma dei loro spiriti è l'unica cosa che li ha fatti andare avanti in questo terribile, terribile viaggio.»

«Me ne rimane così poca» disse Aragorn, inginocchiandosi accanto a Gandalf «Così poca, e ora che serve più che mai...»

«Io ne conosco aspetto e odore» disse Legolas senza esitare «La troverò.»

«Andrò con lui per assicurarmi che non si perda» aggiunse Gimli. Legolas alzò gli occhi al cielo, ma non protestò.

«Oh, assicurarti che non si perda, oh molto sottile, cugino» sbuffò Kíli. Fíli non osò distogliere lo sguardo dalle piccole, scarne figure che giacevano sulla sacca da viaggio di Aragorn.

Pipino stava piangendo, le lacrime correvano silenziosamente lungo il suo volto e cadevano dal suo mento. Con la bocca formava i loro nomi, e si stava stringendo le dita come se potesse darne una a Frodo.

«Shhh, piccolo guerriero» disse Imrahil dolcemente «Mithrandir ed Elessar se ne prenderanno cura.»

«Gli servono le arti di Elrond» borbottò Aragorn, le mani occupate ad avvolgere una benda strettamente attorno alla mano mutilata di Frodo, lavare le brutte croste infette sui piedi di Sam, trovare i lunghi tagli slabbrati sulle loro schiene delle fruste degli Orchi. Pipino trattenne un singhiozzo.

«Oh vi prego» sussurrò.

«Devono bere acqua, se possono» si disse Aragorn, e si piegò sui loro volti dormienti «Frodo, Sam» li chiamò, e appoggiò la testa sul petto di Frodo per un istante, ascoltando «Il suo cuore batte ancora, ma piano. Frodo, il tuo nemico è morto e il tuo tormento finito! Sam Gamgee, svegliati! Perché la lunga notte è terminata e il vostro compito compiuto!»

«Non funzionerà» disse Pipino tirando su col naso «Non sveglieresti lo Hobbit più sano addormentato su un cuscino di piume così.»

«Allora, prego, Peregrino Tuc» esclamò Gandalf, a malapena in grado di tenere a bada la tempesta di impazienza e preoccupazione «mostraci come si fa!»

Pipino lanciò allo Stregone uno sguardo arrabbiato che non nascondeva per nulla quanto fosse spaventato. Poi si raddrizzò con qualche sforzo, e disse con voce alta e allegra: «Ehilà, Sam! Dov'è Padron Frodo?»

«Pa'ron Frodo» mugugnò Sam «De' 'ro'a'e Paron Frono...»

Aragorn e Gandalf fissarono lo Hobbit sorpresi, prima di voltarsi di nuovo verso Pipino. «Sono stato corretto, Mastro Tuc» disse Gandalf infine.

Gli occhi di Pipino luccicavano ancora di lacrime, ma alzò il mento, incrociò le braccia e alzò un sopracciglio. «Gente Alta» borbottò a se stesso.

«Dov'è?» disse Sam, più chiaramente, e poi si svegliò di colpo. Sedendosi di scatto, indietreggiò. Il suo piccolo petto si alzava e si abbassava rapidamente mentre si guardava attorno vedendo tutti ma riconoscendo nessuno. «Padron Frodo!» strillò, acuto e spaventato, e poi parve congelarsi.

«Gandalf?» balbettò «Non l'ho lasciato. Non lo lasciare, Samwise Gamgee. Non l'ho fatto. Non l'ho fatto. Non...»

«Shhh» disse Gandalf, e prese lo Hobbit esausto fra le sue braccia «Hai fatto più di quanto chiunque avrebbe mai potuto sognare, e io sono tanto orgoglioso di te che non posso esprimerlo a parole. Vieni, devi guarire, ti servono acqua e cibo.»

«Chiedo perdono, Signor Gandalf signore, ma Padron Frodo ne ha più bisogno di me» disse Sam lentamente «Io posso andare avanti con qualche sorso d'acqua.»

«Oh, caro idiota, ce n'è abbastanza per entrambi» esclamò Pipino «Aragorn, fai qualcosa, non ha senso quello che dice!»

«Ci vorranno tutte le mie arti» disse Aragorn, aprendo le spalle, e alzandosi. I suoi occhi rimasero su Frodo, cupi e seri. «Temo che entrambi rischino di morire. Imrahil, prepareresti un padiglione per loro, da qualche parte lontano dall'accampamento principale? E mandami i figli di Elrond. Potrebbero avere qualche conoscenza dei metodi di loro padre.»

Imrahil si inchinò, e immediatamente se ne andò dalla piccola tenda.

«Starò bene» disse Sam, ma la sua voce stava diventando confusa mentre Gandalf gli portava un bicchiere d'acqua alle labbra «Mi rimetterò.»

«So che lo farai» disse Gandalf piano «Bevi, ora.»

Il volto di Pipino si contorse, come se stesse a malapena trattenendo un altro singhiozzo.

«L'ho trovata!» giunse una voce leggera, e Legolas entrò con piedi rapidi, il respiro ansimante «Ne abbiamo a volontà! Il faggio vicino alle cascate mi ha detto dove cercarla.»

«Questa è la sua storia, perlomeno» disse Gimli dietro all'Elfo, le braccia piene di foglie verdi «Notare chi la deve trasportare.»

Aragorn sorrise. «Grazie, amici miei» E prese l'athelas da Gimli. Schiacciò le foglie fra le sue mani, prima di metterle in una ciotola d'acqua e mescolare. Sembrava a Fíli che si stesse obbligando a muoversi pieno e a non correre per il panico.

«Sam, ecco, bevi questo» disse, e gli porse la ciotola «Lentamente, non vorrei che stessi male.»

«Padron Frodo prima» disse Sam, sonnolento, fra le braccia di Gandalf.

«Mi sono già preso cura di Frodo» mentì Aragorn «Vieni a bere.»

Sam tirò fuori la testa dal voluminoso manto bianco di Gandalf quando gli poggiarono la ciotola alla bocca. Bevve con avidità, ma Gandalf gli permise di fare solo sorsi brevi. Tutti rimasero in silenzio mentre beveva.

Infine la testa di Sam iniziò a ciondolare, e i suoi occhi si chiusero.

«Sonnecchia, ma ha bisogno di un riposo ristoratore» disse Aragorn, la voce stranamente rumorosa dopo il silenzio «Ora Frodo. Pipino, hai delle idee?»

Fíli aveva un orribile sospetto su cosa avrebbe potuto svegliare Frodo – o almeno riscuoterlo abbastanza da prendere dell'acqua.

Pipino aggrottò le sopracciglia. «Non saprei. Ma forse...»

Gimli socchiuse gli occhi, e scosse la testa bruscamente. «Troppo crudele» disse «Non possiamo usare il ricordo dell'Anello, nemmeno per il suo bene. Sarebbe troppo crudele.»

«Oh, grazie a Mahal qualcun altro l'ha detto, e non me» disse Kíli ferventemente.

«Temo noi dobbiamo» disse Gandalf, anche se la sua voce era pesante e riluttante.

«Non osare» ringhiò Fíli, e le sue mani erano strette ai suoi fianchi «Tu non sai ancora, Gandalf, cosa quella cosa malvagia gli abbia fatto. Io sì. Io ero lì. Io l'ho seguito ogni passo.»

Gandalf guardò i due fratelli spettrali, e la sua fronte si corrugò pensierosamente. «Vorrei ci fosse un altro modo» disse.

«Sam può svegliarlo» disse Fíli «Sam può sempre svegliarlo.»

«Allora facciamo fare a Sam» disse Gimli, guardando truce Gandalf. Legolas mise una mano sulla spalla di Gimli, dolcemente, come per ancorare il Nano.

«Buona idea» disse Pipino, e guardò Aragorn «Devo chiamarlo di nuovo?»

«No, lo farò io» disse Aragorn, e si chinò sullo Hobbit dormiente fra le braccia di Gandalf «Sam» disse, piano e fermo. Fíli si sentì raddrizzare: c'era uno strano tono nella voce di Aragorn.

«Mmm, Granpasso? Siamo arrivati alle cascate, allora?» mormorò Sam.

Una leggera espressione confusa attraversò il volto di Legolas. «Lui... non sa dove si trova?»

«Devo mettere su le salsicce prima che quei due piccoli idioti le mangino tutte» disse Sam, le parole confuse «Ingozzarsi non è per gente per bene. Cosa direbbe il mio Gaffiere, non riesco a pensare...»

«Crede che siamo sull'Anduin» sussurrò Aragorn, e il cuore di Fíli divenne un poco più pesante «Così vicino alla porta.»

Poi alzò la voce, e disse: «partiamo fra un'ora, Sam. Meglio che chiami Frodo e gli dici di prepararsi.»

«Va bene» disse Sam, e sorrise, anche se i suoi occhi erano ancora chiusi «Padron Frodo, signore? Dobbiamo andare di nuovo. Portiamo ancora le barche oggi, senza dubbio. Ma potremo mangiare un boccone prima, spero.»

Frodo si mosse, e gemette.

«Bene» disse Gandalf, e abbassò Sam dolcemente per lasciarlo sdraiato accanto a Frodo «Sì, molto bene. Ora, Aragorn. Fallo bere.»

Aragorn prese la ciotola di athelas a mollo, e mise un braccio sotto le spalle magre di Frodo. «Ecco, prima di partire. Come ha detto Sam» mormorò, e la portò alle labbra di Frodo.

«Bevi, ti prego, ti prego, bevila» disse Kíli, tirandosi i capelli per la preoccupazione. Fíli fece aprire delicatamente le dita a sua fratello e le strinse. Non aveva abbastanza capelli per potersi mettere a strapparli, dopotutto.

La testa di Frodo dondolò, ma aprì la bocca all'incitazione di Aragorn, e bevve un paio di sorsi con aria dolorante. Poi fece un piccolo sospiro e rimase immobile, come se fosse morto.

Anche nel sonno, Sam si mosse verso di lui.

Infine, Aragorn si alzò e guardò i due per un lungo momento. Poi disse: «questo è tutto ciò che posso fare al momento. Elladan ed Elrohir potrebbero sapere altro. L'erba è buona e fresca e gli darà un sonno guaritore, se può. Ma che abbiano vissuto così è un orrore e un dolore per me. E solo la loro resistenza riuscirà a farli sopravvivere.»

«Gli Hobbit sono fatti di una sostanza più resistente di quanto si pensi» disse Gandalf, e si chinò e mise una mano sulla fronte di Frodo. I suoi occhi si chiusero, e respirò profondamente per un momento. Una detonazione silenziosa riempì l'aria, un tremore senza suono. Poi i suoi occhi si aprirono di nuovo, e lui annuì. «Vivranno.»

«Certo che vivranno!» disse Pipino ferocemente «Prendete Merry come esempio!»

«Pensi che si ricorderanno di questo?» disse Legolas. Gimli mise la propria grande mano su quella di Legolas che poggiava sulla sua spalla.

«Si fanno notare come un'ascia in faccia» sbuffò Kíli.

«Non penso ricorderanno» disse Aragorn «Sono svegli per metà, morti di fame più che per metà, e le loro menti e i loro corpi sono stati spinti ai loro limiti assoluti. Ma come dice Pipino, gli Hobbit sono una razza resistente, e si riprendono in fretta.»

«Non possiamo pulirli un poco?» disse Pipino, che era tornato a torturarsi le mani e aveva un'espressione nervosa «Se fossi in loro, il prurito mi avrebbe fatto impazzire. E sembra che ci sia metà della terra di Mordor fra le loro dita dei piedi. Frodo aveva sempre dei piedi così ben pettinati...»

«Shhh, sì, sì lo faremo» disse Gimli, e attraversò la piccola tenda per dare all'altro un rapido, caldo abbraccio «Ecco, ora. Alza la testa, ragazzo, e asciugati gli occhi, eh? Li faremo sembrare di nuovo una miniera di diamanti in un attimo. Vedrai.»

Ogni tanto, Fíli si scordava quanto fosse più vecchio Gimli. Era troppo facile vederlo come il loro amico e compagno di giochi, come il loro rumoroso vivace cuginetto sempre alle loro calcagna. «E poi dice cose del genere» borbottò, e sentì il piccolo grugnito di Kíli.

«Rimarremo qui finché non si saranno ripresi abbastanza per viaggiare» disse Aragorn, e cadde in terra. C'era una grande stanchezza nei suoi occhi, e si passò le mani sul volto, strofinando la corta barba.

«Anche tu hai bisogno di riposo» gli disse Legolas. Aragorn sorrise.

«Voi due mi farete da balia per sempre»

«Ovvio» ringhiò Gimli, e scosse piano Pipino «Dovreste entrambi dormire. Legolas ed io troveremo del cibo. Non siamo stanchi.»

«Tutti conoscono quanto siano instancabili gli Elfi» disse Gandalf tranquillamente «Senza dubbio Legolas può ormai dare testimonianza della durata delle energie dei Nani.»

Kíli esplose in una risata ansimante mentre le orecchie di Legolas divennero scarlatte. Gimli tossì e schiarì la gola varie volte, prima di voltarsi di colpo e uscire dalla tenda.

«Non dovresti provocarli così» disse Aragorn, ma c'era ora un sorriso sul suo volto stanco. Gandalf gli fece l'occhiolino.

Le orecchio di Legolas erano ancora di un rosso violento mentre rimaneva in piedi a disagio. Si leccò le labbra una volta, due volte. Poi disse: «a dire il vero, sì, posso. Ed è formidabile.»

Poi scappò dalla tenda il più rapidamente possibile.

«Vorrei poter dimenticare di aver sentito certe cose» gemette Fíli, mentre Kíli scoppiava in una risata isterica al suo fianco.


il respiro si ferma

«Mi hanno presa alle spalle» gemette Beri, tenendosi uno straccio bagnato contro la testa «Non me lo aspettavo. Genild era di guardia a un'altra porta.»

«E se pensi che ti perderò d'occhio di nuovo, stai sognando» disse Genild, breve e secca. Stava stringendo forte la mano di sua moglie, e il suo volto era implacabile.

«Non darti colpe» disse l'Elminpietra, e si alzò «Questo è tradimento ed egoismo. Voi avete fatto ciò che dovevate.»

Beri gli accarezzò la mano. «Che ragazzo gentile che sei» disse.

«Sicura di star bene, Mamma?» disse Jeri premurosamente.

«Vai, carum, sto bene» disse Beri, e indicò lo straccio bagnato sulla sua testa con un movimento degli occhi «Non farti colpire in testa con una trave, però.»

«Siete stata fortunata a non essere accoltellata, da quanto mi dice il mio secondo» disse Laerophen. Il volto di Jeri si prosciugò di tutto il sangue.

«Oh, perché mai l'hai detto?» borbottò Beri «Genild, tesoro, starò bene...»

«TI AVREBBERO POTUTO ACCOLTELLARE?!»

Il Re le fece un sorriso a disagio, prima di lasciarle e correre attraverso i corridoi pieni di fumo verso i magazzini. Entrando nella lunga sala, fu salutato da un'assoluta cacofonia.

C'erano persone ovunque, e molte corde erano tirate da un muro all'altro, girate per formare delle carrucole. Il fumo usciva dalla porta dei magazzini, e molti avevano stracci legati su naso e bocca. Borse di pelle, barili, borracce: qualsiasi cosa potesse contenere acqua veniva passato da una mano all'altra, e agganciato sulle corde. Poi erano tirati nei magazzini.

I soffitti delle sale ottagonali, simili a cupole, erano bruciati da tempo. Erano stati fatti con argilla e non acciaio o roccia – era meglio per far evaporare i liquidi e impedire ai cibi di andare a male. Ora i fuochi leccavano il tetto di pietra che era sopra, trasformando il grigio in nero.

«Ora!» giunse un urlo, e l'Elminpietra si voltò per vedere l'artigiana Bani, gli occhiali storti, che alzava una mano «Lanciate!»

Le frecce partirono da un lato della stanza, ognuna di esse colpì una sacca o una borraccia. I barili caddero come artiglieria, l'acqua soffiò e il vapore si alzò in una grande nube.

«Continuate a tirare!» urlò Bani «Bomfrís, un'altra corda-freccia!»

Barís socchiuse gli occhi, la mano davanti alla bocca. «Penso ne abbiamo fermato l'avanzata!»

«Secchi!» urlò Thira, e tutto attorno, Nani ed Elfi ed Uomini lavoravano come uno. Gli Uomini riempirono le pelli e i secchi con l'acqua delle pozze profonde dove il Fiume Flutti usciva da sotto la Montagna. Gli Elfi poi correvano sui loro piedi leggeri verso i magazzini. Molti Elfi erano da una parte coi loro archi pronti, e Laerophen, Selga e Merilin erano fra loro. Non appena l'acqua arrivava, erano i Nani a metterla sulle corde, naturalmente più resistenti alle alte temperature delle altre razze.

«Sabbia!» urlò Barís, e la sua voce meravigliosa risuonò per le sale e i corridoi. Nessuno poteva sfidarla in volume e forza. I secchi e le pelli continuarono a muoversi, riempiti ora di sabbia bagnata invece che acqua.

«Abbiamo spento i fuochi in altre due stanze!» giunse un urlo, e uno stanco urlo di gioia si alzò dai Nani. Alcuni corsero avanti, i volti riparati da pesanti elmi fatti per il fuoco di drago, per calpestare le ultime lingue di fuoco.

«Rovineranno quello che resta» borbottò Gimrís.

«Non è già stato rovinato dal fumo?» urlò Bofur «Ecco, posso lanciare una corda! Dimmi dove! Tutto quello che vedo è una macchia rossa.»

«Una macchia?» Gimrís fece cadere il secchio «Bene signore. Tu vieni con me quando abbiamo finito. Potresti riguadagnare parte della vista! Ma se questo... oh, deve essere...»

«Smettila di essere una guaritrice, mio rubino, e dimmi dove sono le corde!» abbaiò Bofur, e prese la spalla di Gimrís «Non mi importa nulla dei miei occhi se il resto viene grigliato!»

«Caricate!» urlò Barís. I secchi dondolarono sulle corde, e si rovesciarono dove dovevano sopra alla porta. «La terza stanza! Possiamo arrivarci vicino?»

«Non vedo, non riesco ad avvicinarmi abbastanza» urlò Bomfrís di rimando.

«Cosa nel nome di Durin fai tu qui?» disse l'Elminpietra, allarmato. La bocca di lei fece una smorfia irritata.

«Aiuto. E prima che tu inizi a preoccuparti, ne ho già parlato con Gimrís»

«L'ha fatto!» gridò Gimrís «È nel luogo più ventilato...»

«Basta chiacchierare, tutti!» ringhiò Thira «Pensate al lavoro!»

«Ma sta funzionando?» Barís si torturò le mani «Abbiamo spento i margini, e non può diffondersi...»

«Allora si spegnerà quando avrà finito tutto il carburante» finì Bani, e si asciugò la fronte col braccio «Un lavoro caldo. E un buon lavoro. È stato un buon piano, Usignolo.»

«CHIEDIGLIELO!» sibilò Bomfrís.

Barís diede deliberatamente le spalle a sua sorella.

«Appena avrà finito il carburante» disse l'Elminpietra lentamente. E guardò l'ultima stanza in fiamme, dove ciò che restava del loro cibo, così accuratamente raccolto e immagazzinato, stava bruciando.


Quando Thorin si svegliò, era disorientato. C'era stato del fuoco... e del fumo. Il drago! No. No, quello era stato tanto tempo prima, e in un'altra vita.

Spinse le gambe fuori dal letto, e si passò le mani sul volto, premendosi le dita contro gli occhi. Erano secchi e bruciavano. Gli sarebbe potuto servire dormire ancora, ma qualcosa in lui gli disse che non ci sarebbe riuscito. Le sue gambe erano inquiete.

Alzandosi, iniziò a vestirsi e a preparare i suoi capelli. Si fece delle trecce nel suo vecchio stile, e poi iniziò a pettinarsi la corta barba. Guardando nel suo specchio decorato da fiori, sospirò. Stava diventando di nuovo troppo lunga. Una mano cercò le forbici. Trovandole, se le porto alla barba, usandole per pettinarne i peli.

Ed esitò.

Thorin si studiò per un momento. Solo un Nano ordinario, oltre la mezza età e che si avvicinava ai suoi anni d'argento, pieno di cicatrici e segni, ma ancora sano. Chiari, stanchi occhi blu, una bocca sottile e testarda, capelli scuri toccati di neve. Niente di più, niente di meno, e non migliore né peggiore di altri.

Con un pensiero mezzo formato, lentamente poggiò le forbici e la spazzola con un click-click.

Poi tirò la corta barba fra il pollice e l'indice. «Tagliare la barba non diminuisce il dolore, mia stella» mormorò «Non è male, come consiglio» Annuendo, si voltò dallo specchio e uscì dalla stanza con rinnovato vigore.

Forse sarebbe riuscito a farvi trecce per il Giorno di Durin.


«Ebbene, io vado» disse Merry, muovendo i piedi. Fece un sorriso di scuse a Faramir ed Éowyn seduti accanto al suo piccolo letto. «Hanno mandato a chiamarmi. I cavalieri da Cari Andros hanno portato il messaggio, e io sto abbastanza bene per cavalcare... o così dicono i Guaritori.»

«Lo sei davvero, Mastro Merry!» disse Ioreth, camminando per la stanza e sistemando le cose di Merry nel suo zaino «Non avevo visto una guarigione tanto rapida in... beh, in tutti i miei anni! Mia sorella, ora, lei potrebbe avere qualcosa da dire. Lei è di campagna, e sta venendo in Città, te l'ho detto? Ha imparato insieme a me con il vecchio Guaritore qua...»

«L'hai detto, sì» disse Merry, e il suo divertimento era nascosto a fatica.

«Molte volte» disse Faramir, e non c'era altro che un educato desiderio di aiutare nel suo tono. Merry trasformò una risata in un colpo di tosse. Gli occhi di Éowyn andarono a Faramir, come sorpresa per questo beve lampo di umorismo.

«Sarà qua domattina» disse Ioreth allegramente «Oh, non è meraviglioso che le strade siano nuovamente sicure?»

«Non le chiamerei proprio sicure ancora» disse Merry, e saltò giù dal suo letto e prese il suo zaino «Ma sono certo che arriverà senza problemi, nonostante tutto! Ora, non dovresti fare anche questo per, sei già stata una meraviglia. Il mio braccio sta abbastanza bene per poter infilare i miei vecchi vestiti nello zaino. Anzi, senza di te, probabilmente starei ancora tossendo e tenendo il broncio, lamentandomi del freddo!»

«Oh, non dire così» disse Ioreth, chiaramente compiaciuta «Non sono stata io, è stato Sire Gemma Elfica. Lui è il Re, sai, ed io sono stata la prima a capirlo. Le mani di un Re sono le mani...»

«Di un guaritore» dissero in coro gli altri tre, e Ioreth si fermò.

«Oh, ve l'ho già raccontato?»

«Pace, brava signora!» disse Faramir, e c'era del riso nella sua voce «Forse potrai concederti del meritato riposo. Forse una tazza di tè? Avrai molto da raccontare a tua sorella, domani.»

«Oh, siate benedetto, Sire Faramir, caro» disse lei, e si premette una mano contro la guancia «Non mi meraviglia che la gente vi ami tanto. Beh, allora io andrò. Copriti bene, piccolo Signore!»

«Hai la mia parola» disse Merry solennemente «Sarò lo Hobbit più coperto di tutta la Terra di Mezzo.»

Ioreth gli sorrise. Poi la guaritrice chiacchierona prese la sua cesta e corse fuori dalla stanza.

«È una buona persona, ma giuro, la sua lingua è più rapida di quella della vecchia Iris Grubb» disse Merry «Ebbene, vado! Mi dicono che Pipino sia riuscito a uscire dalla battaglia tutto intero – anche se leggermente ammaccato. Una nuova era di miracoli è questa!»

«Portagli i miei ringraziamenti, e i miei saluti affezionati» disse Faramir «Se non fosse stato per quel giovane, sarei stato ridotto in cenere.»

«Potresti venire anche tu» Merry esitò, lo zaino sulla schiena «Potreste entrambi. Mi dicono che andremo per nave, e c'è molto più spazio su quelle che su una semplice barca.»

Il volto di Éowyn si indurì. «Io rimarrò.»

«Ho udito che tuo fratello ti ha fatta convocare» disse Faramir «Io devo rimanere e assumere il mio ruolo di Sovrintendente, per quanto breve possa essere. Ma nulla ti tiene qui.»

Negli occhi di Éowyn, due diversi impulsi stavano lottando. «Non chiedermelo di nuovo» disse bruscamente «Rimarrò. Non sono del tutto guarita, ne sono certa.»

Merry li guardò, prima di sistemarsi lo zaino e raccogliere la piccola spada che gli avevano donato, e il suo elmo da Rohirrim. «Allora vi rivedrò quando tornerò indietro, suppongo» disse, con tutta l'allegria possibile «Non fare nulla di follemente eroico nel frattempo, mia Signora. Non sarebbe giusto se io non fossi al tuo fianco!»

«Buon viaggio, Merry» disse Éowyn, e mise da parte la sua confusione per dargli un bacio sulla fronte «Stammi bene.»

«Anche te» disse lui, piano «Spero che tu possa trovare un momento felice, ogni tanto, ora che l'ombra è andata per sempre.»

«Io sento ancora l'ombra nel mio cuore» rispose lei, e non disse altro.

Faramir stette in piedi sulle mura della città e guardò la piccola figura che attraversava il cancello distrutto sotto di loro. Éowyn non venne a salutarlo, e rimase lontana.


«Ebbene, se ne sei sicuro, allora verrò anche io» Dáin si alzò dalla sua sedia accanto al fuoco e si stiracchiò «Ahia. È stata una nottata interessante, ragazzi.»

Thorin rise, piano e stanco. Solo Dáin avrebbe potuto parlare del più grande cataclisma della loro Era come “una nottata interessante”.

Quella terribile notte era stata quasi tre giorni prima, ormai. Thorin aveva dormito per quasi trentanove ore, e sia Fíli che Kíli avevano dormito per due giorni senza interruzioni.

Frerin guardò Thorin, un mezzo sorriso sul volto. «Hai un aspetto migliore dopo esserti riposato. Avrei giurato tu avessi quasi trecento anni quando Dáin ti ha portato indietro.»

«Perché non quattrocento, rendiamolo il più ridicolo possibile» rispose Thorin, e si tirò vicino suo fratello «E come stai tu?»

«Meglio» gli occhi di Frerin lo guardarono attraverso la cascata di disordinati capelli dorati, ed essi brillavano di salute e speranza «Molto meglio.»

«Qualcuno ha guardato?»

«A tratti. Il mondo sta. Respirando. È difficile da descrivere» Frerin alzò una spalla «Le persone stanno ritrovando l'equilibrio dopo quello che è successo, cercando di razionalizzarlo, cercano di capire cosa succederà ora. È sia felice che... non so. È come quel silenzio che hai dopo una valanga.»

«Frodo?» Thorin non avrebbe potuto affrontare Bilbo di nuovo se Frodo avesse finito per soccombere alla sua fame e dolore.

«Vivo, o così mi dice Fíli. È stato un giorno fa, però. Gimli si prendeva cura di lui e Sam stamattina, apparentemente»

«Allora andiamo a vedere cos'ha fatto il tuo ragazzo da quando ce ne siamo andati» disse Dáin, tirandosi delle pacche sulle cosce e andando verso la Camera «Avrà raccontato i segreti dei Sette Genitori in persona, senza dubbio – o forse sta insegnando all'Elfo altro Khuzdul. È stata una gran scena; le notizie si stanno già spargendo per le Sale, ed è venuto fuori qualche litigio. Mai visto Balin così rosso prima.»

«Beh, almeno Óin è un po' meno rigido» offrì Frerin.

«Óin si è rassegnato all'inevitabile, c'è una differenza» Dáin ghignò «L'ultimo che arriva è una mutanda di Orco.»

Per qualche motivo le stelle erano meno luminose stavolta. Thorin non si trovò accecato, e non provò l'abituale caduta disorientante nelle acque. Invece si sentì quasi cullato; trasportato da mani gentili che lo portarono nel mondo vivente e alla luce del sole.

«Ci sono un sacco di cavalli» disse Frerin, e Thorin batté le palpebre prima di trovarsi di fronte a un'enorme città di tende. Un'area era stata recintata da un lato, e i cavalli pascolavano o correvano o giacevano all'ombra, i loro manti si muovevano al vento.

«Suppongo sia normale se si viaggia con i Rohirrim» disse «Di certo questo non può essere l'unico campo simile. C'erano migliaia e migliaia di cavalieri.»

«L'aria è così piena dell'odore di cavallo che sta praticamente nitrendo» disse Dáin, storcendo il naso «Andiamo, spostiamoci di prima prima di calpestare qualcosa.»

«Dáin. Tu cavalcavi maiali»

«Correzione. I cavalcavo maiali da appartamento»

«Quelle tende sembrano importanti» disse Frerin, indicando col dito. Era stato eretto un cerchio di grandi padiglioni. Il Cavallo Bianco volava su una delle travi più alte delle tende, e una nave dalla prua a cigno su un'altra. E nel mezzo, luminoso al sole di metà mattina, era la stella di Elendil di mithril in campo nero.

Trovarono Gimli dentro di essa, insieme a Legolas. Il Nano si stava rigirando qualcosa di piccolo fra le mani, e sorrideva. Il respiro di Thorin si mozzò quando vide un lampo d'oro in quelle grandi dita – ma no, non era... non era. L'aveva visto distruggersi con i suoi occhi. Quella non era altro che un fermaglio per capelli in oro, schiacciato.

«Non riesco a credere tu l'abbia tenuto tutto questo tempo» disse Gimli, e non sembrava riuscire a togliersi un ghigno dal volto. Lo faceva sembrare di nuovo giovane. «Non eravamo nemmeno amici.»

«Non lo dimenticherò mai» disse Legolas, e appoggiò il mento sulla spalla di Gimli «L'ho tenuto per ricordarmi di non avere troppo orgoglio per me o per il mio popolo. Ero stato tanto certo, vedi. E in un momento e senza null'altro che le tua mani, mi hai fatto capire di aver torto. La prima volta di molte!»

«Ah, hai una pessima memoria, allora. Perché io mi sono abbastanza affezionato agli Elfi di questi tempi, e hanno molti motivi per essere orgogliosi» Gimli rigirò il fermaglio, il suo pollice entrava nella piccola depressione curva come due ciotole impilate.

«Quanta strada hanno fatto» disse Frerin, meravigliato.

«Molta invero» disse Thorin.

«E ne faremo ancora molta» disse Gimli, alzando gli occhi «Idmi.»

La risposta di Thorin era piena di tutto l'amore e l'orgoglio che aveva. «Idmi» Poi guardò il fermaglio «Dovresti riforgiarlo.»

«Non ho gli strumenti» disse Gimli, e lanciò in aria il piccolo disco e lo lasciò cadere sul palmo della sua mano. Legolas lo osservava, gli occhi attenti e luminosi. «E a quale scopo?»

«Sai per quale scopo»

Gimli lanciò di nuovo il fermaglio, e Legolas lo afferrò a mezz'aria con riflessi da uccello. Gimli rise. «Aye, il pensiero mi è passato per la mente. Forse.»

«Forse? Forse cosa?» disse Legolas, e poi dopo un momento: «Oh, ancora Nani morti invisibili.»

Dáin rise, mentre Gimli sbuffò e annuì. «Ancora Nani morti invisibili, mio Uno. La mia guida mi dice che dovrei riforgiare il fermaglio per un nuovo scopo.»

«E quale scopo sarebbe?» la mano di Legolas si chiuse attorno al fermaglio schiacciato, come se fosse riluttante a separarsene.

«Sì, Gimli, quale scopo sarebbe?» canticchiò Frerin.

«Tuo fratello è impertinente, Signore» borbottò Gimli.

«Tua sorella è peggio. Diglielo» disse Thorin, e incrociò le braccia.

Gimli borbottò un attimo sottovoce (qualcosa a proposito dei parenti ficcanaso, senza dubbio), e poi si girò un po' sulla sedia per guardare l'Elfo. «Diventerebbe un fermaglio di matrimonio, nei miei desideri» disse apertamente «Ha significato e ricordi per entrambi noi, e l'oro viene usato spesso per mostrare i matrimoni. Ma non ho gli strumenti per lavorarlo. Forse a Minas Tirith ne avranno, anche se sono sempre stato un pessimo fabbro.»

«Picchiavi il martello con troppa forza» ricordò Legolas.

«Aye, come fosse un'ascia» Gimli guardò il volto di Legolas «Ti piace questa idea?»

«Sì» Legolas aprì la mano e guardò il piccolo fermaglio «Sarei orgoglioso di indossarlo.»

«Ci sarebbero delle domande interessanti, se lo indossasse un po' più a Nord» disse Dáin.

«Quello è il punto» Gimli sospirò «Come nel nome di Mahal dovremmo dirlo alle nostre famiglie? Perché se quanto Aragorn dice è vero, la maggior parte degli Eserciti dell'Ovest sanno che siamo...»

«Legati?» terminò Legolas delicatamente. Gimli gli diede un pizzicotto sulla coscia. «Smettila. Ci avrà preso un giro, meleth. Di certo è solo metà degli Eserciti.»

Gimli scosse la testa, sorridendo.

Lo sguardo divertito scomparve dal volto di Legolas. «Tuttavia fai notare un dubbio che continua a pizzicarmi la mente. Il mio popolo non ha bisogno del permesso di altri per sposarsi, ma non disonorerei te né offenderei la mia famiglia tenendo noi due un segreto. Penso» e i suoi occhi si allargarono.

«Cosa?»

«Prima della battaglia» sussurrò Legolas «Tu dicesti, chiaro come il tuono! Scriverò io stesso a Thranduil e gli dirò di tutti i modi in cui ti amo.»

«Ah!» Gimli si passò una mano sul volto «Le cose che si dicono di fronte alla morte! Ebbene, se lo desideri, ghivashelê. Sarà invero una lettera pericolosa: spero di sopravvivere dopo averla scritta!»

«No, no» Legolas scosse la testa, i suoi capelli dondolarono «Scriverò io a mio padre e ai miei fratelli. Tu dovrai scrivere alla tua famiglia, elen nín. Glielo diremo con inchiostro e pergamena, così che sapranno cosa è accaduto fra di noi. Non dovranno udirlo da altri, e saranno più... abituati all'idea.»

«Hai incontrato mio padre. Ti sembra forse un Nano che si abitua alle cose nuove?» disse Gimli con secco umorismo «O ti sembra il tipo da sistemare le situazione finché non è soddisfatto?»

Legolas alzò le sopracciglia. «Cos'è successo a “cosa potrebbe mai essere più spaventoso delle orde di Mordor”?»

«Ho trovato la risposta: la lingua di mia sorella» disse Gimli immediatamente.

«Non vedo altro modo. E la tua lingua argentina li convincerà»

Gimli fece una smorfia. «Non sono altrettanto espressivo con una penna quanto con la lingua. E come dovrei iniziare una lettera simile?»

«Sei abbastanza bravo» disse Thorin, approvando immediatamente il piano «Dì le cose come stanno. Glóin non capirà all'inizio, non più di quanto non feci io. Ma non è uno sciocco.»

«Mia madre sarà preoccupata» sospirò Gimli.

«Mio padre sarà tremendo» disse Legolas «Ma cos'altro possiamo fare? L'alternativa è nasconderlo per lungi mesi, solo per comparirgli davanti, senza avvertimenti, al nostro ritorno.»

«Smettila di litigare, mia stella» gli disse Thorin.

«Ma è il suo metodo primario di comunicazione» disse Dáin. Frerin rise.

«Non parlerebbe mai più»

«Molto bene, lo farò, smettetela di deridermi» Sembrava che Gimli avrebbe preferito attraversare nuovamente i Sentieri dei Morti, ma mise una mano sopra quella di Legolas, sopra il piccolo fermaglio dorato «Lettera sia.»


«Non ne ho visto nemmeno l'ombra» sospirò Jeri «Tutte le mie guardie la cercano.»

«Ebbene, se avremo fortuna, non comparirà più» disse Bard, il labbro arricciato «Non desidero occuparmi di lei. Mi dà già abbastanza fastidio avere l'altro.»

«Perché mai hanno fatto questo?» gemette Mizim «Non rimane quasi nulla nella Montagna. Si lamentavano di non avere la loro parte, ed ora non c'è più niente.»

Bard aprì le mani. «Non posso risponderti» disse «Non ho mai capito le loro menti.»

«Se loro non possono avere tutto, allora nessuno avrà nemmeno una briciola» borbottò l'Elminpietra «No, non sono certo di capirli nemmeno io.»

Bard guardò l'Elminpietra, e il suo volto si addolcì. «Penso che andremo d'accordo, io e te.»

«Se non finiremo tutti col mangiarci a vicenda» disse Glóin cupamente «Dori, hai i risultati?»

Dori, il petto bendato strettamente e gli occhi cerchiati dal dolore, si schiarì la gola e fece una smorfia. «Sì, Signor Glóin. C'è solo un barile di vino rimasto.»

Un gemito collettivo si alzò attorno al tavolo.

«E niente birra» disse Dori in tono di scuse «Evaporata tutta, rapida come il baleno. C'è del pesce conservato, anche se forse ora sarebbe pesce affumicato?» Aspettò un istante, guardo i volti seri. Poi disse: «fate finta di niente, solo il mio modo di rallegrare un poco l'umore... ahem. Niente farina. È tremendamente infiammabile, purtroppo. Un baio di barili di mele ce l'hanno fatta. Della frutta secca.»

«Non era abbastanza prima» disse Barís, piuttosto tristemente.

«Hai provato» disse Bani, e si allungò per toccare cautamente la cantante sulla spalla «Almeno hai provato, eh?»

Barís annuì, senza parlare.

«Ora che gli Orchi e gli Esterling stanno partendo, forse potremmo cercare più a sud? Si potrebbe cacciare nelle zone settentrionali di Bosco Atro. Un piccolo gruppo potrebbe riuscire ad attraversare l'esercito a pezzi» suggerì Jeri, e si raddrizzò alla prospettiva di un viaggio.

«Questa è un'idea» Glóin prese un appunto «E c'è sempre il pesce.»

«Non molto» disse l'Elminpietra, e si massaggiò le tempie, le zanne di cinghiale schioccarono contro il suo orecchino «Un intero inverno con tre popoli intrappolati nella Montagna ha denudato il Fiume Flutti della maggior parte dei pesci. Nemmeno le anguille sono molte.»

Gimrís fece una smorfia. «Odio le anguille. Hanno un odore tremendo.»

«Tutto ha un odore tremendo» borbottò Bomfrís, e si portò le ginocchia al petto e ci avvolse attorno le braccia. Mizim le accarezzò la schiena.

«Ci sono delle bacche invernali sulla Montagna, o almeno c'erano» disse Bofur, grattandosi sotto il cappello «Dubito che agli Orchi piacciano. Sono buone nella torta.»

«Ti serve la farina per fare una torta» disse Thira, senza alzare lo sguardo dai conti di Dori.

«Oh» Bofur parve deluso «Vedete, Bombur l'avrebbe saputo.»

Ci fu un breve silenzio.

«Direi che abbiamo un giorno prima che tornino a galla vecchie tensioni e inizino a formarsi delle crepe» disse l'Elminpietra, e si strofinò forte il volto «Cos'altro possiamo raccogliere o cacciare?»

«Non abbastanza» disse Thira tristemente.

«I corvi potrebbero saperlo» disse Bomfrís, e si raddrizzò di colpo e scattò in piedi «Chiederò a Tuäc!»

«Tremo al pensiero di cosa un corvo possa trovare gustoso» disse Dori, mentre Glóin annuiva e se lo segnava.

«I maiali da battaglia» disse Dwalin, serio e infelice «Le capre.»

Gli occhi dell'Elminpietra si chiusero. Respirò profondamente col naso per un istante, prima di annuire una sola volta, brevemente.

«È un duro, duro colpo» disse Bard, con compassione.

«Non capisco» disse Laerophen, la fronte corrugata.

«I maiali non sono solo animali, sono come... un cavallo, e un amico. Sono intelligentissimi. E il Re era del posto da dove vengono i maiali» giunse una vocina sotto la sua sedia.

«Come fa ad entrare sempre dove non dovrebbe» sospirò Gimrís a Bofur, che fece spallucce.

«Che altro» disse l'Elminpietra, la voce rotta.

«Dovremmo continuare a tirare dai livelli più alti?» disse Merilin, e Selga annuì.

«Dovremo tutti stringerci le cinture, temo» annunciò Glóin, finendo la sua lista con uno svolazzo.

«Erano già il più strette possibile» disse Bani.

Glóin la guardò male. Era sul punto di risponderle quando il triste suono di un corno si propagò nell'aria. Fu seguito da un coro di altri suoni simili, tutti risuonarono nell'aria e si soffocarono contro la pietra.

«Oh, cosa c'è ora?» urlò Mizim.

«Qualcuno alla porta, suppongo?» disse Bard, e lo sguardo che lanciò all'Elminpietra era rassegnato e cupo.

«No» sussurrò Laerophen «Questo non è il corno degli Orchi.»


e così il mondo impara di nuovo a respirare

I giorni passarono, e Frodo e Sam non si svegliarono. Due intere settimane passarono, e loro dormirono. Incubi terribili li visitavano la notte, facendoli urlare nel sonno – ma ancora non si svegliavano. Aragorn non tentò più di chiamarli, ma si prendeva cura di loro lui stesso. Bagnava stracci nel brodo e nell'acqua e nel latte per loro, e premeva l'acqua con l'athelas sulle loro fronti.

«Sarebbe la cosa più crudele se non riuscissero a sopravvivere» sussurrò Fíli. Thorin lo guardò, e vide il profondo affetto che suo nipote aveva per quei due Hobbit, oltre a ciò che erano i suoi doveri. Sospirò in comprensione, e si tirò vicino Fíli.

«Abbiamo confidato nella speranza sinora» gli disse, e gli accarezzò il mento «So che è difficile, namadul. Ma sono forti.»

«Non devi dirlo a me» mormorò Fíli, e poggiò la fronte contro la spalla di Thorin. Thorin gli mise le braccia attorno, e insieme aspettarono un'altra notte, e altri incubi.

«Respira, Fíli» disse, con tutta la calma che poteva raccogliere «Respira.»


Cari Papà e Mamma, Gimrís e Bofur,

Sono vivo. Non sto male. Non sono ferito. Sto mangiando. Mi metto l'elmo, prometto.

Sono costantemente preoccupato della Montagna. Stanno tutti bene nella nostra famiglia? Siete sani e salvi? Ho udito della morte di Dáin, e piango con voi. Che Mahal lo protegga e si prende cura di lui. I nostri amici prosperano? Come sta Dale?

L'avrete saputo da altri messaggeri, senza dubbio, ma la Guerra è vinta infine e la Missione è riuscita. Il mio amico Aragorn è ora Re di Gondor ed Arnor, e c'è molto lavoro da fare. Ho messo il lavoro delle mie mani e della mia mente al servizio di ricostruire i Cancelli di Minas Tirith, e desidererei vedere molti del nostro popolo unirsi a me nel rendere forte sia la città che la nostra amicizia con gli Uomini. Inoltre, ho trovato il luogo più glorioso nelle Montagna Bianche sopra Rohan. Ne dovrò parlare col nostro nuovo Re. Ma non è di questo che parla questa lettera.

Ho trovato il mio Uno.

Ve lo direi con la mia voce e nella stessa stanza, se potessi. Ma le cose stanno come stanno e noi non siamo più sconosciuti, nemmeno qui a Minas Tirith. Invero, siamo piuttosto famosi, sembra? Comunque, tutto questo per dirvi: potreste udire le notizie per voci e pettegolezzi, ed io preferirei che lo udiste prima da me.

È difficile da mettere su carta, ma proverò in una volta sola, e forse farà meno male. Ecco: Potreste aver già dedotto che il mio Uno non è un Nano. Aye, non lo è. È un Elfo.

Per favore, mettete giù la lettera e non buttatela nel fuoco. Mamma, per favore non far buttare a Papà la lettera nel fuoco.

Gimrís, siediti su di lui se devi. Almeno finché non è abbastanza calmo per il resto.

Bofur, piantala di ridere.

Ecco il resto: Egli è Legolas Thranduilion, il figlio di Thranduil. È in effetti quell'Elfo che un tempo insultò Mamma e chiamò me un “goblin mutante”. Fa delle prima impressioni piuttosto pessime. È quasi mozzafiato, quanto siano tremende.

Bofur, ho detto di piantarla di ridere.

Non ho perso la testa. Non sto scrivendo da ubriaco. Non sono sotto qualche ridicolo incantesimo Elfico o stregoneria. Questa non è un interesse passeggero o un'infatuazione. Sono perfettamente consapevole di cosa sto facendo e di dove il mio cuore abbia trovato casa.

Lui non è come pensavo fosse. Io non sono come lui pensava fossi. Il passato è molto più complesso di quanto non ci sia mai stato detto. Eravamo entrambi completamente, totalmente, terribilmente nel torto. Su molte, molte cose. E ringrazio Mahal e tutti i Valar di sapere più cose ora.

La storia intera è lunga (e piena di camminate noiose, cavalli, barche e corse). Ma basti dire che i miei occhi sono stati aperti, e vedo molto più chiaramente ora che mai.

Legolas tornerà con me al Nord, dopo che avremo visto il nostro amico incoronato e gli Hobbit guariti, e dopo che avremo fatto un piccolo viaggio che ci siamo giurati di fare. Desideriamo sposarci. Legolas desidera incontrarvi, ed io desidero incontrare la sua famiglia ed il suo popolo.

Voglio solo pace fra il mio amato e la mia famiglia. Capirò se la vostra prima impressione sarà fredda, ma per amor mio, vi prego che voi ci riceviate, che lo ascoltiate con cuore aperto e senza veli, e lasciate il passato dove era – per ora.

Vi voglio bene. Mi mancate tutti tremendamente.

Gimli.

P.S. Va bene, Bofur, puoi ridere ora.


Mio amato Re e padre, miei cari e valorosi fratelli,

Sarò a casa prima che la neve cada nuovamente. Mi siete mancati. Molto. Le terre del sud sono più calde dei nostri boschi, ma i venti soffiano stranamente e gli uccelli marini urlano con voci difficili da ignorare. Mi mancano i nostri alberi e i nostri fiumi. Non ho udito accento Silvano in quanto mi sembra come decenni, e questi severi Galadhrim ed i Peredhil dagli occhi d'acciaio mi fanno sentire monco ed incompleto.

Aragorn è re, ma il suo regno è in rovine, esausto dopo secoli di cauti sospetti e guerra aperta. Gli olvar qua hanno fame di sole: il fumo di Mordor si dissipa, ma ha strozzato a lungo la vita di ciò che è verde e buono. Ho iniziato a sussurrare loro, convincendoli a mettere foglie e a crescere alti, ma le piante sono stanche e spaventate quanto le persone.

Desidero essere a casa, dove le radici selvatiche affondavano profondamente nella terra e nemmeno l'oscurità può strapparle. Presto, inizierò il viaggio. Ho una promessa da mantenere, di andare a sud per visitare le Montagne Bianche e da lì vedere l'Onodrim e camminare per le antiche foreste di Fangorn. Penso che approverebbero di ciò che faccio qua, con questi giovani alberi terrorizzati.

Dopo aver mantenuto la mia promessa e aver visitato montagne e boschi, i miei piedi mi porteranno a nord, e a casa.

Mio mar

Vorrei che incontraste mio

Porterò con me un ospite: Gimli, figlio di Glóin, un Signore dei Nani di Erebor. È uno dei Nove Viandanti, il campione di Galadriel di Lothlórien. Lei gli donò tre capelli della sua chioma.

Avete letto correttamente.

È anche colui a cui io dono

Lo amo.

Avete letto anche questo correttamente.

Mi addolora sapere che il mio amore vi turberà. Non lo amo per farvi un torto. Lo amo perché è coraggioso e gentile e nobile e ha un cuore grande. Perché ha occhi castani e un sorriso caldo, e le sue mani potrebbero rompere ossa ma mi abbracci con tanta delicatezza. Perché è Gimli, e nessun altro.

Scrivo queste parole non per avvertirvi, né ferirvi. Vi voglio bene, e sono orgoglioso di essere il vostro figlio e fratello, orgoglioso di camminare per la Terra di Mezzo con gli emblemi di Boscoverde. Scrivo queste parole per darvi tempo, e per prepararvi. Non vi sorprenderei con Gimli e con la natura della nostra connessione, né vi obbligherei ad accettarla, senza prima dirvi ciò che è accaduto.

Molto di ciò che sapete sui Nani è sbagliato. Vi prego, mettete da parte vecchie storie, caricature e sospetti, e incontrate Gimli con cuore aperto e occhi limpidi. Vi sorprenderà. È un'infinita sorpresa.

Non avevo affetto per lui inizialmente. Pensavo di odiarlo. Pensavo che ogni cosa crudele che sia stata mai detto fosse vera. Eppure egli è stato fedele, coraggioso e generoso e onesto, anche di fronte a terrore e dolore e disprezzo. Il nostro viaggio ha strappato queste false credenze, e lentamente ho imparato a vedere Gimli, come lui ha imparato a vedere me. Non appena lo vidi, lo vidi davvero, allora non potei fare a meno di amarlo.

Laindawar, ti prego di non disprezzarlo. È un Nano, sì, è più basso di te, ha una barba e un corpo grosso e robusto. È anche un grande guerriero, e anche se è rapido alla rabbia è rapido anche al perdono – e come perdona. Il suo cuore potrebbe contenere il mondo intero. Sa poco di alberi, ma molto di casa.

Laerophen, prego che tu non pensi di essere più saggio di lui. I Nani hanno perduto molto del loro sapere, per via della loro triste storia, ma c'è molto che noi non sappiamo né sapremo mai. Vede il mondo in modo diverso da me e te, ma non meno chiaramente. Ha segreti su segreti, i suoi occhi sono acuti, e la sua mente è rapida.

Padre, non posso non amarlo, nemmeno per t

Adar, perdonami per la direzione del mio cuore. E per favore non prosciugare le riserve di vino.

E inoltre prego che mi perdoniate questo: la nonna di Gimli era una Barbafiamma. Si chiamava Haban. Morì a Moria, durante la terribile guerra fra Orchi e Nani anni fa. Era una mercante onesta e che lavorava sodo, e viaggiava molto lontano, portando le sue merci da Ered Luin ai Colli Ferrosi. Era una persona leale e intelligente: le antiche storie fanno sembrare mostri il suo popolo, ma lei le smentisce. Era una brava Nana. Gimli ha i suoi capelli rossi.

Ultimo ma non meno doloroso: Egli è figlio di uno che imprigionammo, ottant'anni fa. Quello coi capelli toccati di fuoco e la cicatrice sulla fronte è Glóin, padre di Gimli. Thorin Scudodiquercia è cugino di Gimli. Derisi la sua famiglia e rubai la sua immagine, prima di aver mai veduto il suo volto.

Mi ha perdonato da molto, e perdonerà voi per amor mio.

Galadriel lo chiama “Portatore dei Capelli”, ma lui ha il mio intero cuore nelle sue grandi e dolci mani.

Spero solo che i vostri cuori siano gentili in cambio.

Vostro figlio e fratello,

Legolas Thranduilion, Principe di Boscoverde il Grane

TBC...

Note

Prima di essere conosciuto come Sauron (“Il Maledetto”) era conosciuto come Mairon (“L'Ammirabile”), ed era un Maia di Aulë.

Traduzione del Canto delle Aquile:
Cantate ora, gente della Torre di Anor,
perchè il Regno di Sauron è finito per sempre,
e la Torre Oscura è crollata.
Cantate e gioite, gente della Torre di Guardia,
perchè non fu vana l'attesa,
e il Cancello Nero è spezzato,
e il vostro Re l'ha varcato,
ed egli è vittorioso.
Cantate e godete, tutti voi figli dell'Ovest,
perchè il vostro Re tornerà,
e in futuro in mezzo a voi vivrà
tutti i giorni della vita.
E l'Albero appassito rifiorirà,
ed egli nei luoghi alti lo pianterà,
e benedetta sarà la Città.
Cantate quindi, o gente!

[Torna alla storia]

Dialogo preso dai capitoli “Il Campo di Cormallen” e “Il Sovrintendente e il Re”. Thranduil si riferiva al Capitolo 14, “abbastanza forti da frantumarsi”.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 42
*** Capitolo Quarantadue ***


Laerophen cadde fra la braccia di suo padre con il grido: «Ada!» Per la meraviglia di molti fra i Nani accorsi a dare il benvenuto, il Re degli Elfi lo strinse forte a sua volta.

«Figlio mio, figlio mio» disse, piano e con trasporto, contro i capelli argento di Laerophen. Poi si tirò indietro e guardò il viso dell'altro, accarezzandolo con dita leggere. «Hai passato molto, durante la tua assenza.»

«È vero» Laerophen chinò la testa. Quando la rialzò i loro occhi erano allo stesso livello. Laerophen era leggermente più alto di Thranduil, ma le sua spalle erano abbassate. Era allampanato mentre suo padre era sottile e aggraziato, eppure la somiglianza dei loro profili era tanta che molti batterono le ciglia, pensando di vedere doppio. «Alcune cose... sorprendenti.»

Il sorriso di Thranduil era piccolo, ma reale. «È bello vederti sano e salvo.»

Laerophen sorrise a sua volta, gli occhi azzurri luminosi. «Anche te.»

«Sei stato trattato adeguatamente?»

«Molto meglio. Con rispetto ed educazione» disse Laerophen, e uno dei suoi rari sorrisi luminosi lampeggiò sul suo volto «Con amicizia e affetto e onori.»

«Sì» disse Thranduil lentamente, sovrappensiero «Come dici. Molto sorprendente.»

Allora Laindawar si spinse fra i ranghi degli Elfi verso suo fratello, e afferrò il braccio di Laerophen, tirandolo in un breve rapido abbraccio che terminò prima ancora di iniziare.

Thrór, guardandoli, riuscì a vedere la breve espressione di sollievo che attraversò il volto severo di Laindawar quando venne premuto contro la spalla del fratello.

«Come sta la tua testa, honeg?» disse, brusco «Vedo che il tuo tempo con i Naugrim non ti ha curato dalla tua ridicola altezza.»

Le sopracciglia di Laerophen si aggrottarono. «E tu sei basso e litigioso come sempre, honeg» disse «Non chiamarli così.»

Laindawar batté le palpebre, ma la sua sorpresa fu nascosta in un istante. «Molto bene, non lo farò.»

«Lui è anche più strano di com'eri tu» venne un sussurro vicino al ginocchio di Laerophen, e l'alto Elfo sorrise ancora.

«Sarebbe da aspettarsi. Lui è mio fratello maggiore, bambino, ed essere strani è un tratto di famiglia, ci è stato detto.»

Laindawar non fu del tutto abile di nascondere il suo stupore stavolta, mentre la manina leggermente unta di Gimizh si alzava e tirava la tunica di Laerophen. «Me ne puoi parlare? Io non ho un fratello o una sorella.»

«Posso fare di meglio: posso presentarvi» Laerophen si chinò e spinse dolcemente il bambino avanti «Gimizh figlio di Bofur, questi sono mio fratello Laindawar e mio padre Thranduil.»

Gimizh si mise una delle sue trecce rosse in bocca e fissò i due stupefatti. «Ho sentito di te» annunciò allegramente a Thranduil «Tu sei quello che il mio Pa' chiama-»

«Va bene, ragazzo, non c'è bisogno che glielo dici» lo interruppe rapidamente Bofur.

«Pensi che il nostro sarà così?» disse Bomfrís, da qualche parte dietro di loro. Sembrava piuttosto nervosa.

Dietro l'Elminpietra, Jeri cercava di reprimere un attacco di isteria, le spalle che sussultavano per le risate soppresse.

Gli occhi di Thranduil si allontanarono dal bambino verso l'Elminpietra che gemeva nelle sue mani. Il volto del Re Elfico non era cambiato per nulla: non un solo muscolo tradiva le sue emozioni. Eppure, tutti coloro che lo guardavano ebbero la distinta impressione che fosse divertito. «Maestà» disse, e chinò la testa «Vi offro le mie condoglianze per la morte di vostro padre. La sua è una triste perdita.»

L'Elminpietra si raddrizzò. «Grazie. Vostra Maestà.»

Ci fu una pausa, e i due si guardarono con severità.

Poi Thranduil alzò la mano, lentamente e languidamente, e i soldati dietro di lui si misero sull'attenti come uno, le armature che brillavano alla luce del sole invernale. «Abbiamo portato dei rifornimenti» disse, senza una traccia di fretta nella voce o sul volto. I suoi, però, osservavano le nuove cicatrici sulle braccia e sul naso dell'Elminpietra, la barba brutalmente tagliata, i marchi di battaglia sull'armatura, e le sue guance incavate.

L'Elminpietra assomigliava poco al Nano che era andato come ambasciatore a Boscoverde, mesi addietro. Quel Nano era stato desideroso di dar prova di sé. Era giovane, assetato di riconoscimento, frustrato da ritardi o intralci, ugualmente frustrato dai suoi limiti; nuovo, verde e rapido all'esasperazione e alla rabbia. Questo nuovo Re sembrava di dieci anni più vecchio, calmo e sicuro di sé – e stanco, talmente stanco, pensò Thrór con tristezza. Essere re rendeva chiunque tale.

Qualcuno non condivideva la tranquillità di Thranduil. «Cibo!» urlò Barur Panciapietra, alzando un pugno in aria «Mahal e tutti i Valar siano ringraziati, cibo!»

L'urlo si propagò fra la folla come un incendio boschivo, e l'Elminpietra annuì verso Dwalin. «Aprite i Cancelli!» ruggì Dwalin, e abbassò il martello sul suo tamburo da guerra, segnalando ai Nani all'interno di mettere in moto il grande meccanismo.

L'Elminpietra guardò Thranduil. «E cosa vi dobbiamo per tanta gentilezza?» disse. Era educato, ma rassegnato.

«Non desidera essere ripagata» disse Thranduil senza guardare il Re Nano, e attraversò le grandi porte di Erebor che si aprivano sui loro enormi cardini. La sua testa non si voltò né a destra né a sinistra, il mento alzato orgogliosamente e la corona sistemata perfettamente sul capo elegante.

Laerophen fece un sorriso distratto di scuse all'Elminpietra, prima di affiancarsi a suo fratello, seguendo i passi di loro padre.

«Per te cosa sta succedendo?» sussurrò Bomfrís mentre le guardie scortavano gli Elfi nella Montagna. Era pessima a non farsi notare: intrecciare il braccio con quello del suo amante e sibilargli all'orecchio non era il modo più comune di parlare.

L'Elminpietra scosse la testa confuso, grattandosi la barba perplesso. «Forse il tuo amico Elfo può dircelo.»

Bomfrís sembrava pronta a discutere, ma si morse la lingua con poca grazia.

«C'è sempre un prezzo» grugnì Dís, incrociando le braccia «Non mi fido di doni dati da qualcuno che non l'ha mai fatto prima.»

«Non rifiuterò il cibo di cui abbiamo bisogno» disse l'Elminpietra con l'angolo della bocca «Ma cosa possiamo fare?»

«Non molto» disse Bomfrís «Continua a testa alta, è quello che penso. Saremmo anche sfiancati, ma non siamo ancora distrutti.»

«Ben detto» mormorò Thrór.

«Non so ancora cosa intende Thranduil. Non si comporta come ha fatto nel passato. Dovremo aspettare e vedere» disse Dís, e fece un gesto per indicare al Re e alla sua amante di fare strada.

Notizie di cibo viaggiano in fretta in un Regno affamato. Le urla che si alzarono attorno agli Elfi che attraversavano la prima delle cerchie di mura era assordante, e molti dei nuovi venuti stavano facendo smorfie e mettendosi le mani sulle orecchie. «Come sei sopravvissuto finora? La testa mi esplode!» urlò Laindawar a Laerophen, che stava visibilmente divertendosi allo spettacolo.

«Ti abitui al loro entusiasmo, honeg!» urlò di rimando Laerophen «Ah, questo mi ricorda – devo presentarti al resto dei bambini! Ti piacerà la loro compagnia! Oserei dire che potrebbero strappare un sorriso persino a te!»

«Cosa?»

«Ho detto-»

«Meglio aspettare che i tamburi e le urla abbiano smesso prima di parlare» disse una voce acuta, in tono di disapprovazione. Laindawar si voltò per vedere un altro piccolo Nano con la pelle scura e una cresta di capelli dritti in piedi sulla testa. Su una tempia aveva i capelli intrecciati nel modo dei guerrieri del suo popolo, e c'era chiaramente un taglio di lama sulla sua guancia. Eppure era certamente un bambino.

«Hai ragione, come sempre» disse Laerophen, gli occhi affettuosi «Dove sono i tuoi fratelli?»

Il bambino ghignò, denti bianchi luminosi nel suo volto marrone. «Eh? Non ti sento!»

L'Elminpietra alzò una mano, e la confusione diminuì leggermente. «Non moriremo di fame questo inverno» disse, semplicemente «Il Re Elfico è venuto in nostro aiuto.»

«Ci ha messo qualche secolo» borbottò Thrór.

«Vi ringraziamo» disse l'Elminpietra, e si voltò verso Thranduil, e si inchinò in piena vista di tutti i raccolti – Elfi, Uomini e Nani. Ci fu un collettivo inspirare, e poi sussurri riempirono i ranghi degli Elfi e degli Uomini. I Nani borbottarono fra di loro, ma gli occhi di ghiaccio di Dís fermarono qualsiasi discussione.

«No, io devo ringraziare voi» disse Thranduil, e l'esclamazione di sorpresa che seguì quelle parole fu udita per tutta la grande sala «Perché voi avete salvato più di quanto non sappiate. Voi avete respinto l'esercito che avrebbe bruciato la mia foresta. La nostra libertà è stata pagata col sangue del vostro popolo.»

Poi i suoi occhi pallidi andarono a Laerophen, alto e allampanato: il meno impressionante dei suoi figli a vedersi, ma il più intelligente e più gentile di spirito. «Mio figlio vi ho dato, in risposta alle vostre preghiere. Porta sollievo al cuore di un padre vederlo ora e udire le sue parole. Non mi aspettavo un trattamento giusto dal vostro popolo, né lo faceva lui – la storia fra di noi è troppo lunga e amara. Eppure ora mi parla di onore, rispetto e amicizia – persino affetto.»

Thranduil si voltò di nuovo verso l'Elminpietra, il suo lungo manto grigio scivolò dietro di lui in un arco elegante. Poi, senza ombra di dubbio, si inchinò a sua volta, il braccio disteso aggraziatamente dietro di sé. «Per la mia casa, il mio popolo e mio figlio. Per ciò che davvero mi è caro.»

Thrór lo fissò, e lo fissò, e lo fissò, mentre il rumore si alzava fino a spingere contro le orecchie come ferro.

L'Elminpietra disse qualcosa che non poté essere udito, la mano distesa in avanti, un sorriso sul suo volto malamente rasato. Thranduil si raddrizzò in un movimento sinuoso, e allungò la mano per afferrargli il polso. Le sue lunghe dita si curvarono sopra al vambrace decorato con cinghiali dell'Elminpietra.

C'era un'espressione di incredulità sul viso stanco e rovinato di Dís, e Dwalin stava scuotendo la testa in testardo rifiuto. L'Elminpietra disse qualcosa che Thrór non poté udire, e Thranduil inclinò la testa. Poi i due Re lasciarono andare le braccia dell'altro e andarono verso una delle Sale di Ricevimento: un luogo per negoziare, in un certo senso.

«Non ci credo» disse Thrór all'universo in generale «Io non l'ho appena visto.»

Bard stava aspettando alla porta della Sala di Ricevimento, e gettò via qualsiasi tipo di etichetta. Afferrò e strinse la mano di Thranduil con entusiasmo, lacrime grate nei suoi occhi. Poi rise con completo abbandono e abbracciò con trasporto l'Elminpietra, picchiandogli la schiena larga con un pugno.

Beh, Thrór supponeva che dopo tutti i piani disperati che i due avevano tentato, si fosse forgiata una buona amicizia fra loro. Era abbastanza felice che Hrera non fosse stata presente alla scena, però. Mahal solo sa cosa avrebbe fatto.

I tre monarchi lasciarono l'enorme sala per le camere interne, Bomfrís e Dís dietro di loro, e il caos iniziò a diminuire. La gente di Laerophen corse a salutare i loro compagni, e ci furono molte lacrime ed esclamazioni di sollievo. I Nani corsero per togliere agli Elfi le loro ceste e barili, inchinandosi e ringraziandoli profusamente. Uno dei barili fu aperto sul momento, e gli Uomini di Dale cantavano portavano botti e formaggi verso le grandi cucine. Barur Panciapietra dirigeva il traffico come un generale su un campo di battaglia.

Infine, il giovane Nano che aveva parlato prima si girò verso i due principi Elfi annuendo serio. «Bene. Cosa avevi detto?»

«Io... non ricordo» disse Laindawar, debolmente.

«Piccolo Thorin, questo è mio fratello, Laindawar, Principe Ereditario di Eryn Lasgalen» disse Laerophen, in tono eccitato «Honeg, questo è Thorin figlio di Dwalin e Orla.»

«Al tuo servizio» disse Piccolo Thorin «Tanto vale che mi chiami Piccolo Thorin; tutti lo fanno. Avrò trecento anni e una barba bianca fino alle ginocchia, e sarò ancora “Piccolo Thorin”. Troppi Thorin.»

«È un nome onorabile» disse Laerophen. Piccolo Thorin fece spallucce.

«Non mi dà tanto fastidio. Non da quando...»

«Ah, ho udito che ti chiamavano in modo diverso in questi giorni» disse Laerophen, mettendogli un dito sulle labbra «Com'era, vediamo. Era Piccolo Guerriero Spaventoso dei Tunnel?»

«No, non fare lo scemo!» Piccolo Thorin si accigliò, e la somiglianza con suo padre divenne ancora maggiore con quell'espressione «Era Piccola Asciadombra.»

«Asciastupida, al limite» venne la voce capricciosa di Gimizh da dietro il ginocchio di Laerophen.

«Sei solo geloso perché io ho già un Appellativo, e a te ti chiamano solo “bambino demonio” e cose così» replicò immediatamente Piccolo Thorin «Io sono il Nano più giovane ad avere un Appellativo da Piediferro in persona!»

«Sì, beh, è un appellativo stupido!»

«No! È meglio del “terrore di Erebor”! Sei solo geloso!»

«Stai zitto, testa di troll!»

«Provaci a farmi stare zitto, alito di goblin! Oh, aspetta, non puoi, pulce!»

«RIMANGIALO, TU...!» le lentiggini di Gimizh non si vedevano più sotto la viola delle sue guance.

«Voi due dunque non vi amate molto?» chiese Laindawar, un po' nervoso. Guardava tra i due Nanetti litiganti con aria di essere a disagio. I giovani Elfi – non che ce ne fossero molti – non litigavano così apertamente.

«È il mio migliore amico» dissero i due all'unisono, guardandosi in cagnesco.

Laerophen stava ridendo dietro la sua mano, dei bambini e di suo fratello simultaneamente. «Andiamo, c'è altro da vedere! Lasciate stare la vostra lite, amici miei. Non siamo forse tutti amici, non avete combattuto al mio fianco? Mostriamo a nostro fratello la grandezza della vostra casa, come voi l'avete mostrata a me.»

Gimizh fece la linguaccia a Piccolo Thorin, prima di girarsi verso Laindawar con sguardo serio. «Sì, va bene» disse «Andiamo. Prima le cucine, vediamo se qualcosa cade da quelle grandi ceste sulla strada...»

Il volto di Laindawar era immobile e freddo, nell'espressione di stupore Elfico. «Non sarebbe disonesto?»

Laerophen mise un braccio attorno alle spalle del fratello. Laindawar era rigido e teso come un appendiabiti. «Oh, honeg nin» disse Laerophen, sorridendo da un orecchio all'altro «Hai così tanto da imparare.»


«Sono svegli!» giunse l'urlo felice, echeggiando per le Sale «Sono svegli!»

La testa di Thorin si alzò di scatto dal suo lavoro. Stava fissando vacuamente gli attrezzi da giardino che stava facendo, chiedendosi che fiori intagliare sui manici. Sentendo la chiamata, il cuore gli saltò in gola.

«Sono svegli!» giunse la voce gioiosa di Fíli, attraversando ogni corridoio e stanza «Entrambi! Ce l'hanno fatta!»

«Nadad, hai sentito!» Frerin corse nella sua forgia, e Thorin lo prese per le spalle prima che si scontrasse con il tavolo. Il suo volto stava sorridendo tanto, sembrava il giovane Nano che era stato prima della Battaglia. «Ce l'hanno fatta!»

«Come può qualcuno non udire Fíli e Kíli che fanno quella confusione» disse, sorridendo «Vuoi andare a vederli?»

«Sì!» Frerin gli afferrò il braccio e lo tirò via. Ridendo, Thorin lo seguì ubbidientemente.

Quando la luce scomparve, riuscirono a udire Sam borbottare. «Perché dovremmo rimetterci queste cose orrende? Onorabili un cavolo. Preferirei comode, e qualcosa che non puzza tanto di Orco. Perché Gandalf ce le fa rimettere? Ho avuto degli stracci tessuti meglio.»

«Andiamo, Sam» venne la voce calma e stanca di Frodo. Quantomeno sembrava ci fosse un sorriso sulle sue parole, pensò Thorin preoccupato. Cercò si scacciare la luce stellare il più velocemente possibile, e vide Sam che alzava la maglia da Orco che aveva indossato a Mordor davanti a sé. «Mettitela, non sarà per molto.»

«Perché dovrebbero rimettersi quelle terribili cose?» chiese Frerin.

«Perché, Samwise Gamgee» giunse la vecchia, secca voce di Gandalf «Certe cose dovrebbero essere viste.»

«Non capisco» disse Frerin, guardando lo Stregone con sospetto «Non possono lasciarsele dietro?»

«Nay, penso di capire» disse Thorin, e guardò Frodo che lentamente indossava la giacca da Uruk, la cicatrice sulla spalla brevemente visibile «Se ora uscissero, puliti e allegri, vestiti in abiti eleganti, nessuno sospetterebbe mai cosa hanno dovuto passare. A queste cose deve essere dato onore; il mondo intero dovrebbe sapere in che condizioni hanno dovuto affrontare questa missione, e ringraziarli. Gandalf ha ragione.»

«Finiranno mai le meraviglie» disse Frerin, e rabbrividì mentre Sam sussultava per la maglia da Orco contro la pelle pulita «Brr, nemmeno io vorrei rimettermele addosso.»

«Non mi piace» borbottò Sam, ma raccolse l'elmo ammaccato e se lo mise in testa lo stesso.

«Andiamo» disse Gandalf, dolcemente «Solo per ora. Questi saranno conservati, e vi troverò degli altri vestiti.»

«Conservati!» disse Sam, la bocca aperta per la meraviglia. Gandalf lo fissò, serio e posato.

«Non vi sarebbero sete né lini, né armature né broccati degni di maggior onore»

Sam lo fissò per un momento, e poi scosse la testa. «Gloria e fanfare» disse sottovoce a Frodo «Che idea, eh Padron Frodo? Conservare questi stracci da Orco.»

«Fate più in fretta possibile, miei cari Hobbit» disse Gandalf «Il Re vi aspetta.»

Thorin e Frerin seguirono i tre fuori dalla tenda dove avevano riposato, oltre il boschetto di faggi a qualche distanza dall'accampamento. Su un prato verde, e poi in un piccolo bosco camminarono in silenzio, ascoltando i richiami degli uccelli e godendosi il sole. Frodo alzò lo sguardo verso la luce, e sospirò. Il suono del fiume che correva giunse alle orecchie di Thorin, e lui fece un respiro profondo.

In fine arrivarono a un radura nel bosco, dove alti alberi creavano un'arcata verso il distante scintillio dell'acqua. Molte navi erano approdate, dondolavano lentamente con le onde, e davanti a loro era un grande raduno di Uomini. I loro ranghi luccicavano al sole.

«Padron Frodo?» sussurrò Sam.

«Tienimi la mano, Sam» rispose Frodo.

Non iniziò in una volta sola. Come un'ondata, un moto in aumento, gli Uomini iniziarono a urlare e ruggire di gioia, le spade estratte dai foderi in segno di saluto. L'ondata si propagò mentre gli Hobbit camminavano fra i loro ranghi. Trombe e corni cantarono, le loro note si alzarono nell'aria. La gente cantava, la gente piangeva. Molti si inchinarono quando Frodo e Sam gli passarono davanti, tanto profondamente che le loro teste quasi toccavano terra.

«Grazie» giunsero le parole, ancora e ancora: sussurrate, singhiozzate, strillate «Grazie, grazie, grazie.»

«Qualcosa del genere, intendevi?» disse Frerin, sporgendosi verso l'orecchio di Thorin.

Thorin sorrise, e mise un braccio attorno alle spalle del fratello, stringendoselo al fianco e scuotendolo con affetto. «Qualcosa del genere.»

Il ruggito senza forma aveva iniziato a prendere forma, le canzoni iniziavano a diventare una, e le parole potevano essere a malapena riconosciute:

Long live the Halflings! Praise them with great praise!
Cuio i Pheriain anann! Aglar’ni Pheriannath!
Praise them with great praise, Frodo and Samwise!
Daur a Berhael, Conin en Annûn! Eglerio!
Praise them!
Eglerio!
A laita te, laita te! Andave laituvalmet!
Praise them!
Cormacolindor, a laita tárienna!
Praise them! The Ring-bearers, praise them with great praise!

«Se il mio Gaffiere mi vedesse ora» disse Sam, arrossendo più di quanto Thorin avesse mai visto.

«Guarda!» disse Frodo, e aveva gli occhi sbarrati. Indicò attraverso la folla con la mano ferita dove tre alte sedie erano state sistemate, stendardi che sventolavano sopra di loro. Quello di sinistra era verde con un cavallo bianco in corsa. Quello di destra era blu, e su di esso era una nave a forma di cigno gettata fra le onde.

Ma nella sedia di mezzo c'era - «Sam! Guarda!»

C'era un Uomo sulla sedia di mezzo, e lo stendardo intessuto col mithril dietro di lui brillava come la stella del mattino. Era vestito in armatura, ma non portava elmo. La sua corta barba era tagliata elegantemente, e stava sorridendo loro.

Dietro il trono erano due strane, diverse figure: una larga e bassa e rossa, l'altra alta, sottile e bianco-argentea.

«Ebbene? Andate» disse Gandalf, dietro di loro.

Frodo non esitò, ma corse il più velocemente possibile verso l'Uomo, che si alzò mentre si avvicinavano. Sam era solo un respiro dietro di lui come sempre, e di due Hobbit quasi si lanciarono addosso ad Aragorn inciampando sui gradini scavati in fretta.

«Ebbene, se questo non è il colmo dei colmi!» disse Sam, stringendolo «Granpasso, o sto dormendo ancora?»

«Sì, Sam, Granpasso» disse Aragorn, e si inginocchiò per guardare i volti degli Hobbit, prendendo le loro mani «Come è distante Brea, e quanto tempo è passato da quando dicesti che il mio aspetto non ti piaceva! Distante per tutti noi, ma voi avete percorso la via più buia.»

E poi con totale riverenza e rispetto, chinò bassa la testa davanti a loro.

Il volto di Sam divenne completamente, totalmente molle, e Frerin ridacchiò della sua confusione e meraviglia.

Poi Aragorn si alzò, ancora stringendo le loro mani, e con Frodo a destra e Sam a sinistra, li guidò al trono. Li fece sedere su di esso, e poi si voltò verso il grande esercito e parlò, la voce che risuonava come un tamburo:

«Onorateli con grandi onori!»

Il ruggito che seguì fu assordante.

«Vorrei che Bilbo potesse vedere tutto questo» mormorò Thorin, mentre gli occhi di Frodo luccicavano.

Quando le eco finalmente morirono, un menestrello si fece avanti con un violino in mano. «Signore, chiedo permesso di cantare?» disse.

«Solo se Padron Frodo ne ha voglia, attento» disse Sam, e Aragorn rise.

«Fate attenzione al vostro pubblico, maestro. Ma mi farebbe piacere.»

«Aye, mi pare il momento per una canzone e una danza, e definitivamente una birra. Abbiamo un conto in sospeso, ghivashelê» venne un basso rombo da dietro il trono. Fu risposto da un “shhh, Gimli! È un'occasione solenne!”

Il menestrello accordò il violino, e poi chiamò la folla: «Udite! Signori e cavalieri e uomini di enorme valore, re e principi, e brava gente di Gondor, e Cavalieri di Rohan, e voi figli di Elrond, e Dúnedain del Nord, e Elfo e Nano, e più grandi della Contea, e tutta le gente libera dell'Ovest, udite ora la mia canzone. Perché vi canterò di Frodo dalle Nove Dita e dell'Anello del Potere.»

Nel sentire ciò, Sam seppellì il volto fra le mani e tremò. Aragorn parve preoccupato, finché Sam non alzò la testa e stava ridendo e piangendo allo stesso tempo, le lacrime che correvano per le sue guance. «Oh gloria e splendore! Tutti i miei desideri si sono realizzati!»

E tutti i presenti risero e piansero con lui, e la canzone del menestrello fu la più bella e triste che avessero mai udito.

«Ora finalmente sembra che sia finita» disse Frerin, e c'era lacrime nei suoi luminosi occhi blu. Ciononostante stava sorridendo da un orecchio all'altro.

«Invero» disse Gandalf piano «Il mondo ha espirato, finalmente.»

Mentre il giorno diventava un tramonto rosso, la musica divenne più forte e allegra. Delle borracce erano passate fra i soldati, indipendentemente dalla loro livrea: un fante di Gondor diede la sua bottiglia a una delle Rohirrim dai capelli luminosi, la quale si riempì il boccale e brindò alla generosità dell'amico prima di passarla a uno dei Dúnedain.

Dei padiglioni erano stati costruiti lungo il fiume, dove il cibo era sistemato su grandi tavoli. I soldati più umili mangiavano accanto al Re, e dagli stessi piatti, e la musica risuonava rapida e libera come l'acqua del fiume.

Frodo e Sam furono presi di lato, e i loro abiti da Orco rimossi e scambiati con del cotone pulito («Come avrebbero dovuto fare dall'inizio!» disse Frerin indignato). Al loro ritorno, Gimli non poté più aspettare. Andò a grandi passi verso i due Hobbit e li strinse nelle sue enormi braccia, sollevandoli dal terreno.

«Voi» disse, commosso «Voi meravigliosi Hobbit. Oh, siate benedetti, ragazzi, cari coraggiosi ragazzi. Benedetti e grazie, e sono più felice di quanto non lo sia mai stato nel vedervi sani e salvi.»

«Non sarà per molto ancora se non mi lasciate respirare, Mastro Gimli!» squittì Sam.

«L'entusiasmo di Gimli è sempre lo stesso» disse Legolas, sorridendo loro mentre Gimli li rimetteva in piedi «Come la sua pazienza, devo purtroppo dire.»

«Zitto tu, Elfo» disse Gimli, sorridendo a Sam e Frodo con lacrime negli occhi. Le sue mani stringevano ancora le loro piccole spalle, come se temesse di lasciarli andare. «Per qualche tempo non pensavo vi sareste svegliati, ragazzi miei. Vi ho guardato dormire senza cambiamenti per troppo a lungo, giorni e notti senza che vi muoveste: è un balsamo per il mio cuore vedervi entrambi in piedi oggi.»

Frodo sorrise ancora. «Vedo che ci sono altre storie da raccontare oltre alla nostra» disse. Il suo tono era abbastanza interessato, ma sembrava piuttosto piatto rispetto allo Hobbit che Thorin ricordava. «Non protesti a sentirti dire di stare zitto, Legolas?»

«È una battaglia persa. Non protesto più, dato che Gimli mi dice di stare zitto almeno quaranta volte al giorno» disse Legolas asciutto.

«Te lo dirò almeno una volta in più di quanto tu non lo dica a me» disse Gimli, alzando un sopracciglio «Non lascerò la mia posizione vincente. Sedetevi, voi due, sedete! Vi porterò un piatto. Dovete essere affamati! Ah, c'è del gallo e della pernice – vado prima che Pipino lo veda e divori tutto.»

Gimli diede a Legolas una pacca affettuosa sul ginocchio, e poi corse fra la folla. Legolas si voltò di nuovo verso i due piuttosto sorpresi Hobbit e aggrottò le sopracciglia davanti alla loro confusione. Poi la comprensione gli apparve sul volto. «Oh. Pare che certe novità non siano ancora giunte alle vostre orecchie.»

«Legolas, non sapevamo nemmeno che Granpasso era il Re segreto. Non sarebbe difficile arrivarci nemmeno per un Elfo» disse Sam, e la sua voce era irritata «Qualcosa sta succedendo fra voi due, è abbastanza chiaro.»

«Sì» disse Legolas, incrociando le gambe per terra. Sam si girò e trovò una coperta prima di aiutare Frodo a sedersi accanto a lui «Siamo promessi.»

Il volto di Frodo si bloccò per la sorpresa, e Sam tossì e divenne piuttosto rosso. «Uh» disse «Intendi – uh, voglio dire...»

«Sappiamo che non è pratica comune nella vostra Contea, che due uomini si amino e si sposino» continuò Legolas «Ma ciò non è vero per nessuno dei nostri due popoli. Però, spero voi non ci pensiate barbari o alieni per questo. Siamo sempre Legolas e Gimli.»

«Oh, ebbene. Non io, almeno» Sam aveva ancora gli occhi un po' larghi, ma alzò comunque la sua mano. Legolas la strinse seriamente. «Non deve preoccupare voi, quello che preoccupa la Contea. Se siete felici allora sono ancora più felice per voi. Congratulazioni.»

«Sapevo delle abitudini degli Elfi» disse Frodo «Devo confessare, sono più sorpreso da... sai.»

«Che siamo un Elfo e un Nano?» disse Legolas, e i suoi occhi brillavano di allegria «Aye, vero, stupiremo molti ancora, penso. Ma i nostri cuori sono stati donati e non possiamo tornare indietro» Poi Legolas si sporse in avanti, appoggiando dolcemente la mano sulle dita martoriate di Frodo «Hai dato noi un nuovo mondo, Frodo, quindi è logico che vi siano delle cose nuove in esso.»

«Logico» disse Sam, debolmente.

«Vedo che glielo hai detto» giunse la voce di Gimli, e il Nano si sedette con un tonfo, un grande piatto in mano «Ho preso tutti i funghi che ho potuto: ricordo che ti piacevano molto, Frodo.»

«Grazie!» disse Frodo, e ne prese subito una manciata «Mi ricordo a malapena di rubare i funghi a casa ora. Mi sembra un vita fa.»

Sam parve triste per un momento, prima di riscuotersi e offrire la mano a Gimli. «Ho sentito che delle congratulazioni sarebbero in ordine» disse, e alzò il mento in aria, tenendo dritta la mano verso Gimli. Quasi scomparve fra le dita callose di Gimli, il Nano la scosse dolcemente.

«Grazie, piccolo Hobbit» disse «Ne siamo piuttosto felici, anche se sembra essere una dura roccia da scavare. Però, i diamanti che vi si trovano sono senza pari» E guardò Legolas, affettuoso e divertito.

«Lusinghe infinite sono un contrasto piacevole a odio infinito, devo dire» disse Legolas allegramente a Frodo, che sorrise fra i suoi funghi.

Presto Pipino e Merry si unirono a loro, e poi Gandalf. Ci furono molte esclamazioni riguarda l'incredibile altezza dei due Hobbit più giovani, e Gandalf fumava la pipa e sembrava compiaciuto e misterioso come sempre. Legolas poggiò la mano sulla spalla di Gimli, e anche il Nano accese la pipa. Lui e Sam se la scambiarono mentre condividevano le loro storie.

E che storie! Thorin aveva camminato quasi ogni passo dietro la sua stella, eppure udire di tutti i loro viaggi condensati in una sola chiacchierata serale – gli fece battere il cuore e gonfiare e tremare l'orgoglio, finché non gli parve troppo grande per poter essere contenuto nel suo corpo, gli premeva oltre i confini della carne. «Ciò che avete fatto non può essere descritto a parole» disse, nuovamente colpito da tutta la meraviglia. Non avrebbe saputo dire se stesse parlando con Gimli, o Frodo, o Legolas, o Sam, o Aragorn – o persino Gandalf. La missione era stata lunga, il compito insormontabile, impossibile – ed era stato compiuto.

«Non capisco ancora come siate cresciuti di altri quattro pollici – e alla vostra età, oltretutto!» stava dicendo Sam, scuotendo la testa verso Merry e Pipino «Alzati e fammi vedere!»

«Vedi, caro Sam» disse Pipino, con aria saggia e posata «è il genere di cose che accade quando divieni un cavaliere di Gondor e Principe dei Mezzuomini, inoltre.»

«Sciocchezze!» sbuffò Sam «Principe dei Mezzuomini? Ti ho visto russare ubriaco in un porcile alle danze del giorno del raccolto!»

«Una danza sarebbe una buona idea» disse Merry, un po' pensieroso «Dovrebbe esserci, no? Ma il menestrello sembra essere più del genere cortigiano, tutto ballate tristi ed eroi epici e cose simili.»

Sam arrossì nuovamente nel sentire sé e il suo amato padrone essere chiamati “eroi epici”.

«Così è la moda» disse Gandalf «Denethor la incoraggiava, se non sbaglio. La gente di Gondor si sono abituati da tempo a celebrare il passato, piuttosto che divertirsi nel presente o persino guardare al futuro.»

«Ha senso» disse Merry, sospirando «I miei talloni non sono d'accordo, tristemente. Sono interessati a una giga o due, non a storie d'amore e battaglie di antichi Re, non importa quanto nobili.»

Gimli alzò la testa per vedere meglio i musicisti, seduti sulle enormi radici di un gigantesco faggio. La sua espressione si illuminò. «Ebbene, vediamo cosa possiamo fare» disse, e si alzò in piedi.

«Mangerò tutto il tuo gallo» gli urlò Legolas.

«Sei fortunato a dormire con gli occhi aperti, allora!» replicò Gimli agitando una mano.

«Sono felice per voi due» disse Frodo, dolce eppure serio «Ma mi meraviglia che voi due vi stuzzichiate quanto un tempo!»

Legolas ridacchiò. «Ovviamente! Abbiamo litigato fino a forgiare un'amicizia e ora un corteggiamento. Perché mai smettere, quando si è mostrata una strategia tanto efficace?»

Thorin provò un improvviso lampo di comprensione e pietà per Aragorn. Dov'era Aragorn?

Poi notò il Re, che si muoveva silenziosamente fra la gente e parlava loro con la sua voce calma. Thorin annuì soddisfatto. Sì, Aragorn non avrebbe dimenticato il suo tempo come fante. Si sarebbe assicurato di come stava la sua gente prima di festeggiare lui stesso.

Una risata rombante venne dal faggio, e Thorin si voltò per vedere Gimli che parlava animatamente coi musicisti. La maggior parte sembravano essere soldati, anche se c'era il menestrello della grande cerimonia sul prato. Vari violini, un tamburo e una cornamusa era stati trovati, e c'era anche una vecchia scatola da strizzare che faceva heee ogni volta che veniva premuta, come se dentro vi fossero nascosti molti asini in miniatura.

Mentre Thorin guardava, Gimli accettò il violino del menestrello con un inchino profondo e mani caute. Controllò le corde, le dita sicure e ferme sullo strumento. Poi testò la tensione dell'arco, e parlò ancora per un momento con i musicisti. C'era una familiare luce di sfida nei suoi occhi.

«Guarda Legolas» sussurrò Frerin, e Thorin si voltò per vedere lo sguardo dell'Elfo fissò su Gimli, che beveva della sua immagine rapito.

«Dovrei cercare Fíli» disse Thorin «Ha insegnato a Gimli a suonare...»

«Stai qui, lo cercherò io. Sono un violinista anch'io, dopotutto» Frerin diede a Thorin un pacca sulla schiena «Non rubare il mio lavoro, ora che tu non ne hai più uno. Sono il più piccolo e il più veloce, ricordi?»

Thorin osservò suo fratello, ma non vi era traccia di risentimento negli occhi e nella voce di Frerin. «Nessuno è più rapido» disse, e di certo tanta felicità e orgoglio per coloro che amava non potevano essere contenute? Di certo ne sarebbe esploso.

Le stelle portarono subito via Frerin, mentre Gimli poggiava l'arco sulle corde. Non passò molto prima che gli altri musicisti comprendessero la melodia e la musica risuonasse nella notte. Thorin riconobbe la canzone: una vecchia giga dei Colli Ferrosi, rapida e vivace e piena di gioia ed energia.

[Gimli's Jig, composta e suonata da determamfidd]

«Così!» disse Pipino, raddrizzandosi «Molto meglio! È stato Gimli ha chiedere di suonarlo?»

«Scoprirai che sta facendo molto più di quello» disse Gandalf, raddrizzandosi.

«Andiamo, Pipino!» disse Merry, spingendosi ciò che rimaneva del suo panino in bocca e prendendo la mano del cugino «Mostriamo loro come balla un Principe dei Mezzuomini!»

«Fuori ritmo, sui piedi degli altri, e con una birra in mano!» dichiarò Sam, seguito da risa.

Legolas non aveva distolto lo sguardo da Gimli. Lo stivale del Nano colpiva il legno della radice a tempo con ogni battuta, e l'arco correva sulle corde. Le sue dita sembravano troppo larghe e grosse per muoversi con tanta rapidità, danzando sul violino come per magia mentre la melodia cambiava.

«La conosco quella!» urlò Pipino, a metà passo «Merry, qua – chip the glasses and crack the plaaaaaates-»

«Gimli!» esclamò Thorin, scandalizzato e divertito al tempo stesso. Si chiese come nel nome di Mahal avrebbe potuto dirlo a Bilbo.

Ma il piccolo sorriso di Frodo era divenuto una risata mentre la vecchia canzone dei piatti continuava, risuonando allegramente, la scatola da strizzare che ragliava. Dallo sguardo grato sul volto di Sam, la scelta audace di Gimli stava venendo apprezzata.

«E sembra che tu non abbia nascosto nemmeno un segreto, Bilbo» mormorò, mentre Merry cercava di fare il giocoliere con due calici «Non se tutti questi bambini della Contea conoscono la canzone, e la parte che abbiamo avuto in essa.»

«Tu eri arrivato in seguito, non capisco ancora come tu possa saperlo» giunse la voce di Bilbo dietro di lui. Thorin non cercò nemmeno di nascondere il suo sorriso.

«Me lo disse Bofur, durante il viaggio»

«Oh, dannato Bofur, ovviamente» Bilbo tirò su col naso. Si mise i pollici nelle bretelle e fece una smorfia nel vedere i calci entusiasti e sgraziati di Pipino. «E come fanno tutti questi Uomini a conoscerla?»

«Non la conoscono» Thorin annuì verso Gimli, che stava cambiando la musica verso una rapida danza che era stata popolare ad Erebor prima di Smaug «Ma lui sì.»

«Non sapevo che suonasse» disse Bilbo, dopo un attimo.

«Gliel'ha insegnato Fíli»

Fu come se il suo nome l'avesse evocato. «Oh! Si è esercitato» disse Fíli, allontanandosi dalle stelle annuendo con approvazione «Anche se continua a lasciar scivolare il pollice. Pessima tecnica, quella.»

«Dubito abbia avuto molto tempo per suonare, quest'anno» disse Frerin al suo fianco, alzando le sopracciglia «Ed è uno strumento preso in prestito, oltretutto.»

«Lo so, Zietto, sto solo dicendo che è un'abitudine che deve dimenticarsi, e più si esercita...» Fíli si fermò nel vedere Frodo e Sam, che ridevano e battevano le mani con la musica «Oh.»

«Non importa?» disse Frerin, allegramente «Andiamo, vieni a ballare, nipote. Puoi criticare la sua tecnica dopo.»

«Ma, Sam e Fro-»

«Staranno bene anche senza di te per due minuti» disse Thorin a Fíli il più gentilmente possibile «Li terrò io d'occhio. Vai, balla. Non sorridi da troppo tempo, namadul.»

Fíli guardò i musicisti e la piccola e rumorosa folla che circondava Pipino e Merry, e il gruppetto silenzioso davanti a lui. Fece una smorfia, ma lasciò che Frerin lo trascinasse via.

«È diventato troppo serio, ultimamente» borbottò Thorin, e Bilbo sbuffò.

«Thorin, onestamente, tu non hai alcun diritto di criticare»

«Ah, ma non stiamo parlando di me, parliamo di Fíli» Thorin fece un cenno verso Frodo e Sam «Ogni passo, l'ha fatto al loro fianco. È diventato un vero capitano e un consigliere, indipendentemente da legami di sangue e successione. Ma io mi preoccupo.»

«Lo so» lo sguardo di Bilbo si abbassò sui due Hobbit seduti sulla coperta. Grandi cerchi neri erano ancora attorno ai loro occhi, e c'erano dei vuoti sotto gli zigomi troppo sporgenti. Gli occhi di Frodo sembravano più blu che mani, quasi violentemente, come se i sacrifici e la sofferenze l'avessero reso l'essenza di se stesso. La mano di Sam era attorno a quella ferita di Frodo. C'erano segni di dolore e fatica, scavati profondamente, nel volto tondo del giardiniere. Lo facevano sembrare più vecchio, gli tiravano giù gli angoli della bocca e rigavano la sua fronte.

Gli occhi intelligenti di Bilbo osservarono tutto questo in secondi, Thorin lo sapeva. Ma non fece commenti sul loro aspetto. «Sono vivi» disse, piano.

«Lo sono» Thorin si avvicinò a Bilbo «Sono sopravvissuti.»

«Ma sono così cambiati. Pensi che abbiamo fatto qualcosa, a metterci in mezzo così?» Bilbo non distolse lo sguardo da Frodo. I suoi occhi scesero alla mano con quattro dita, avvolta in bende di cotone. La sua gola si mosse rapidamente.

«Chi può dirlo?» Thorin si morse il labbro per un momento, pensando. Anche se si era sentito scosso dentro per alcuni giorni in seguito, non rimpiangeva il suo futile, ultimo atto di totale rivolta. «Se non altro, la nostra insolenza l'ha infuriato e distratto. Già quello è un risultato soddisfacente.»

«Vero» Bilbo sospirò, e poi guardò Thorin con la coda dell'occhio «Suppongo mi dovrò abituare a questa tua occasionale saggezza. Anche se senza dubbio si mostrerà irritante come il resto di te.»

Thorin ghignò. «Un dono di Mahal.»

«Occasionale, ho detto, molto occasionale, praticamente una rarità» Bilbo tirò su col naso. La sua bocca era contratta, stava a sua volta reprimendo un ghigno. «Sono più felice di altri cambiamenti che vedo in te, mio caro. Quella treccia ti sta molto bene.»

La mano di Thorin si alzò per tracciare la forma della nuova treccia di unione nei suoi capelli: la dichiarazione più orgogliosa che avesse mai fatto senza una singola parola. «Mmm, grazie, ghivashelê. Forse starebbe bene anche a te?»

«Oh, sciocco. Non è né il tempo né il luogo» la bocca di Bilbo infine si aprì in un sorriso «Sono vivi.»

«Sono vivi.»

La notte andò avanti, e Gimli restituì il violino dopo qualche canzone, dicendo di avere la gola secca. Un coro di proteste salutarono questo annuncio, e lui alzò una mano e disse: «Tornerò, lo prometto! Ma nessun Nano può suonare quando è secco come sabbia del deserto, dunque datemi una birra e prima potrò tornare ancora!»

«Hai degli ammiratori, vedo» disse Legolas mentre Gimli si sedeva di nuovo sulla loro coperta. Era accaldato per lo sforzo, guance rosse sopra la barba e gli occhi luminosi.

«Non c'è bisogno che tu sia geloso, âzyungelê» disse Gimli, e baciò l'Elfo «Mi serve quella birra! Non suono da anni; mi ero scordato quanto possa essere accaldante!»

«Hai fatto bene» disse Gandalf «Questa gente hanno bisogno di allegria più che di cerimonie solenni. E hai suonato bene!»

«Mi ricordo che ci avevi detto di saper suonare il violino» disse Legolas, e versò un boccale e lo passò a Gimli «Non mi aspettavo una tale abilità!»

«Sì, ed io penso di aver riconosciuto qualche melodia» disse Frodo, alzando le sopracciglia «Penso che Bilbo sarebbe felice che un ricordo della sua avventura sia stato celebrato qui, alla fine di tutto.»

Bilbo si schiarì la gola. «Avrei preferito qualcosa un po' più... educato

«Aye, in effetti, la maggioranza dei Nani sa qualcosa di musica, anche se si tratta solo delle canzoni da minatore accompagnate con un colpo di piccone! Aspetta, quando ve lo avevo detto? Oh, giusto – Éomer e Rohan, quella dannata festa» Gimli bevve un lungo sorso, e si asciugò la bocca col braccio «Grazie mille, mio Elfo. Tu suoni qualcosa? Non mi ricordo se ce l'hai mai detto.»

Legolas fece una smorfia. «Gli Elfi dei Boschi sono più inclini al canto che a qualsiasi altra musica. Mio padre desiderava che io imparassi qualcosa della mia eredità Sindar, perciò so suonare l'arpa, anche se non molto bene. Certamente non al livello cui tu sai suonare il violino!»

«Arpa!» la bocca di Gimli si aprì, e poi lui rise forte «Ma davvero! Io avevo un cugino illustre che suonava l'arpa, sai.»

«Non...?»

«Aye, quello!»

Legolas si morse le labbra, le spalle piegate come se stesse cercando di non ridere. «Oserei dire che sarebbe compiaciuto nel sapere che è qualche secolo che non mi esercito.»

«Ci sono delle somiglianze inaspettate» disse Fíli, guardando Thorin «Lo stesso gusto in fatto di spade e di strumenti, Thorin!»

Thorin fece spallucce. «Non è completamente privo di buon gusto. Per un Elfo. Apprezza la buona musica, dopotutto. Gimli mi sembra piuttosto felice di lui.»

«Oh, potete smetterla di riempirmi le tasche di oro degli sciocchi ora. Non sono certo un virtuoso. Se fossi mai andato alla Gilda dei Musicisti, mi avrebbero riso in faccia! No, sono abbastanza soddisfatto dei miei talenti in altre aree» Gimli fece un sorrisetto malizioso a Legolas «Non sei d'accordo?»

Legolas rimase calmo e sereno come l'aria notturna nel dire: «Abbastanza. Ti meriteresti delle congratulazioni: le tue dita sono piuttosto abili in ogni loro azione.»

Gandalf tossì attorno alla pipa, e Sam divenne praticamente viola. Poi guardò Frodo, prima di seppellire il naso nel suo boccale.

«Dannato Elfo!» Gimli scosse la testa.

«Nano senza vergogna» lo prese in giro Legolas, mentre avvolgeva un lungo braccio attorno alle spalle di Gimli, le dita che giocherellavano con la sua manica «Stai cercando di imbarazzare di proposito il povero Sam.»

«Chiedo perdono, ma non lo sono» disse Sam, anche se gli occhi rimasero sul suo boccale «Voglio dire, il Signor Gimli potrà fare qualche battuta, ma non sono a disagio, né imbarazzato. Solo. Non sono semplicemente abituato. Non è che non succeda nella Contea, ma non è. Non. Uh, beh, non è comune, o largamente accettato. Non ho problemi, nessuno! Sono veramente molto felice per voi due, come ho detto. Gli usi degli Hobbit non sono gli unici che ci sono in fondo, né magari i migliori.»

«Ah, ma i vecchi usi sono i più difficili da eliminare, temo» disse Legolas, e i suoi occhi erano dolci e luminosi «Lo so bene.»

«Quello è Pipino con addosso l'elmo di Éomer?» disse Frodo improvvisamente, e pareva piuttosto stupefatto.

«Tuc!» disse Gandalf – allegramente, con una certa aria di “non è il mio problema stavolta”.

Legolas alzò lo sguardo alle stelle, e il suo braccio si strinse attorno a Gimli. «Mi piace questo luogo» mormorò «Forse dovrei portare qualcuno del mio popolo qui. Gli alberi sono affamati di luce, ma le loro voci suonano dolci e coraggiose e sincere.»

Gimli chinò la testa, pensieroso «Ed è abbastanza vicino a Rohan» disse, lentamente «Due settimane, al massimo, viaggiando a cavallo.»

«A cavallo» ripeté Legolas canzonatorio, e Gimli sbuffò.

«Arod non conta, Arod è Arod. Non mi fido del resto di quelle bestie con le gambe lunghe. So che stanno tramando qualcosa dietro quei musi lunghi. Arod è l'unico che non è un traditore»

«Oh, meleth» rise Legolas.

«Il fiume non ti renderebbe inquieto?» disse Gimli, e la sua grande mano si poggiò su quella sottile di Legolas, stringendola «Non vorrei che quei dannati uccelli ti sussurrassero per sempre nelle orecchie, gelandoti il sangue.»

«Troppo tardi; troppo, troppo tardi ciò, amore» Legolas non distolse lo sguardo dalle stelle, senza battere le ciglia, pallido alla loro luce «Non importa dove io sia. Porterò il loro richiamo in me ovunque io vada, perché la mia memoria non può mai diminuire. Ma rimarrò non importa quanto siano rumorosi. Non desidero ancora cantare di stelle sconosciute.»

«Bene» disse Gimli, sistemandosi fra le sue braccia «Buono a sentirsi.»

Dopo un momento, Thorin si rese conto della voce di Legolas, che cantava piano fra i capelli di Gimli:

To the Sea, to the Sea! The white gulls are crying,
The wind is blowing, and the white foam is flying.
West, west away, the round sun is falling.
Grey ship, grey ship, do you hear them calling.
The voices of my people that have gone before me?
I will leave, I will leave the woods that bore me;
For our days are ending and our years failing.
I will pass the wide waters lonely sailing.
Long are the waves on the Last Shore falling,
Sweet are the voices in the Lost Isle calling,
In Eressëa, in Elvenhome that no man can discover,
Where the leaves fall not: land of my people for ever!

«Questo non mi rassicura molto, âzyungelê» ringhiò Gimli.

«Ancora più dolci sono le voci di qui, mio Gimli» sussurrò Legolas, e le sue braccia si strinsero attorno alle spalle robuste di Gimli «E io non partirei mai senza di te. Perché come dovrei navigare senza una stella che mi guidi?»


«Tu sapevi, dunque»

Kíli fece un suono scortese con la gola. «Certo che so. Sapevo. Quello.»

Thráin sospirò, e lasciò cadere Crema in braccio a Kíli. La grossa gatta arancio e bianca miagolò confusa, prima di scoprire che era particolarmente piacevole strofinare la guancia contro la pelle della giacca di Kíli.

Le mani di Kíli la strinsero, quasi per riflesso, e lui guardò suo nonno e sua bisnonna con confusione negli occhi. «Sono passati ottant'anni» disse, la voce tirata.

«Aye, è vero» disse Thráin, e si sedette accanto a Kíli. Hrera era stranamente silenziosa sedendosi dall'altro lato di suo nipote (anche se le sue dita iniziarono a correre fra i suoi perennemente spettinati capelli). «Ottanta anni, e tu non hai mai detto una parola. La maggior parte di noi non ci hanno pensato molto, perché sembravi... ecco, contento. Abbastanza contento. E tu non ne hai mai parlato, se non quei primi anni.»

Gli occhi di Kíli andarono nervosamente da una parte all'altra, prima che li fermasse fissando la coda cespugliosa di Crema. «Beh, non mi sembrava il momento. Non con tutto il resto – Thorin e Fee erano così – beh, li avete visti, erano feriti. Fee era arrabbiato e ingoiava la rabbia ogni giorno, e Thorin stava esplodendo molto lentamente... e poi c'era Bifur, e Nori – e poi c'era la guerra, e Frerin aveva bisogno che noi andassimo dove lui non poteva – e così...»

Il sopracciglio di Hrera si alzò mentre lei fissava suo figlio. Thráin annuì e alzò una mano in risposta. «C'è molto di te che nessuno vede, non è vero?» disse «Molto che nascondi dietro ai tuoi sorrisi solari, ragazzo mio. Fíli lo sa?»

Lo sguardo di Kíli si abbassò nuovamente. «La maggior parte. Non tutto.»

Hrera si mosse sulla sua sedia, le mani alzate a separare ciocche per una treccia sulla tempia sinistra di Kíli. «Sai chi altro nella nostra famiglia nasconde questo genere di cose?» disse, la voce priva del suo usuale orgoglio «E no, non è tuo zio, che ha il cuore sempre sulla spada o negli occhi. Nemmeno tua madre, la nostra usignola che ha perso la voce per il dolore.»

«Né io» disse Thráin, e Kíli lo guardò dubbioso «No di certo! Quello che ci ha portati in guerra per vendetta ed è partito solo per cercare la nostra gloria perduta? Tu hai la mia incoscienza, di certo. Ma non ho mai nascosto tanto il mio cuore in vita, nemmeno da bambino. Quella è una lezione che ho imparato da adulto.»

Kíli guardò i due, mentre Crema gli strofinava la testa sotto il mento. «Dunque, chi?»

«Tu ed io abbiamo molto in comune dopotutto, bisnipote» disse Hrera, gli occhi castani dolci e umidi «Tu ed io nascondiamo i nostri cuori spezzati, e non ne diamo mai segno. La mia armatura saranno abiti e gioielli, e la tua saranno battute e sorrisi, ma alla fine è lo stesso. Frerin ne ha un tocco, e anche Dáin... ma gli altri sono tutti terribilmente trasparenti. Non mi sarei mai aspettata tanta circospezione da te. Le tue trecce sono, dopotutto, una disgrazia.»

«'amad» disse Thráin, sospirando.

«Ebbene, lo sono» borbottò lei, e lisciò i nodi nei capelli di Kíli con mano gentile.

«Guardate, è a porto, sto abbastanza bene» disse Kíli, abbastanza confuso. La presenza di Hrera lo faceva sempre sentire in colpa, come se si stesse aspettando una sgridata. «E penso sia stato un complimento, quindi grazie. Penso. Che cos'è successo perché me ne parlaste?»

«Thranduil ha trovato la tomba» disse Thráin. E fece una smorfia.

«E quando l'ha vista, ha visto per cose era venuta, ha deciso di mandare cibo ad Erebor» aggiunse Hrera «Non avrei mai creduto potesse essere vero, non l'avessi visto coi miei occhi. Non sapeva cosa le era successo – alla tua Elfa, intendo. Ma tu sì. Non è così?»

«'amad!» disse Thráin, più brusco, mentre Kíli faceva un respiro breve e tremante «Sediamo e basta per un momento, va bene?»

E così fecero. Hrera accarezzò i capelli spettinati e annodati di Kíli, sistemandoli con le dita fino ad esserne soddisfatta. Le mani di Kíli erano sepolte nella nuvola arancione del pelo di Crema, e le fusa erano più rumorose del fuoco nel camino.

La mano si Thráin si poggiò sulla spalla di Kíli, dove rimase. Dura ed enorme, stabile e ferma come la terra stessa, e Kíli si sentì più sicuro sotto quel peso.

«Lo sapevo» disse infine. La sua voce era bassa e rotta. «Certo che lo sapevo. L'ho guardata diventare debole e stanca come nessun Elfo dovrebbe, mai. I suoi capelli divennero sottili, i suoi occhi cerchiati, e per lei maledicevo me e la mia nascita e il fatto che mi avesse incontrato. Da parte mia, non potevo – posso – rimpiangere di averla conosciuta – non posso rimpiangerlo nemmeno per un momento. Lei era luce stellare nell'oscurità, per un tempo così breve. Ma era così luminosa, e così... così pura.»

Kíli serrò gli occhi, e le sue spalle si raddrizzarono mentre respirava. «E così. Sì, lo sapevo, e l'ho visto. Lei non si sarebbe mai lasciata svanire. Lei era una guerriera, la mia Tauriel. E l'ha combattuto, ha combattuto con se stessa dentro e fuori e non avrebbe lasciato che la vincesse.»

«Sapevi dov'era andata» disse Thráin. Non era una domanda: non c'era desiderio di risposta. Thráin aspettò solo una conferma, e tenne la mano dov'era, ancorando suo nipote al silenzio e alla pace e alla sensazione di mani nei suoi capelli, della pelliccia e del calore contro il suo petto.

«Aye, lo sapevo» Kíli si leccò le labbra secche, e poi chiuse gli occhi «C'era quasi riuscita, alla fine. È morta con una lama in mano, morta affrontando il male. Non avrebbe mai lasciato che divenisse più forte di lei, non importa quanto debole fosse diventata. Mai. Ma questo è tutto ciò che io abbia mai conosciuto, questo e un inutile infinita nostalgia. Perché ora è in un luogo che non posso vedere.»

«Ci sono molti racconti sugli Elfi, e di come sono legati al mondo anche dopo la morte» disse Thráin «Non è perduta per sempre.»

«Ma per molto» Kíli sospirò «Ma aspetterò. Aspetterai ancora di più, se dovessi. Cosa abbiamo avuto? Tre, forse quattro giorni? Patetico – inadeguato! Se fossi qualcun altro, riderei di me. Aspetta, no... no non lo farei» l'espressione dei suoi occhi era tetra e vuota «Piangerei, perché è tutto così ingiusto, così terribilmente e orribilmente ingiusto. Quindi no, non lo accetterò, non è giusto. Aspetterò finché non lo sarà. Aspetterò la fine del mondo, se vuol dire avere un altro giorno al suo fianco.»

«Sono certa che il Creatore potrebbe darti più giustizia» disse Hrera. I suoi occhi erano umidi, le ciglia bagnate. La sua schiena non si piegò, e lei non fece movimento per asciugarsi gli occhi. «Quindi è questo il motivo di tutta la tua persistenza?»

Il sorriso di Kíli era fioco, un'ombra del suo normale ghigno scherzoso. «Ecco, un po'. Penso. Beh, se Mahal può essere persuaso a portare qua Bilbo, allora perché non altri? Perché non me?»

«Ma non lo farà, non è così» disse Thráin. Ancora, non vi era forza dietro la sua domanda.

«No» Kíli alzò una spalla, e Crema fece un mrrrill! infastidito al movimento «Non può. Ha detto così. Bilbo è uno Hobbit, e deve andare ovunque vadano gli Hobbit, per stare con la sua famiglia come noi siamo con la nostra. E Tauriel è un'Elfa, e... comunque. L'aveva capito subito, ovviamente. Non serve nascondere qualcosa a lui. Però, è stato divertente. Penso di avergli fatto diventar bianco qualche capello sulla sua grande testa!»

«Ne sono certo» disse Thráin, incurvando la bocca «Non vi sono dubbi a riguardo.»

«Inaccettabile. Sono certa che qualcosa può essere fatto» disse Hrera, accigliata «È terribilmente disordinato avere tutti questi amanti delusi che tengono il broncio per le sale.»

«'amad!» ringhiò Thráin, e si girò verso Kíli, ignorando sua madre «La tua giovane innamorata era una ragazza molto, molto coraggiosa, nipote» disse «Una dama per cui vale la pena aspettare l'eternità. E aspetteremo con te, finché non sarete di nuovo insieme. Credi in questo, almeno.»

Kíli sorrise debolmente ancora una volta, e stavolta c'era un certo orgoglio. «Non era meravigliosa?»

«Terribile organizzazione» borbottò Hrera «Semplicemente scioccante. Saranno in carica di tutto ciò che è e che sarà, ma per la mia barba, non li metterei come responsabili per un banchetto! Tsk. Intollerabile e sconveniente. Ho un paio di cose da dire a questi-»

«'amad!»


Narvi non alzò lo sguardo dai suoi strumenti quando Haban entrò nel suo laboratorio. «Di nuovo la ragazza?» disse distrattamente.

Haban si lanciò su una sedia, il volto tempestoso. «Gliel'ho detto!» esclamò «Ma lei continua a fare poesie sulla morte in battaglia e quanto sia più nobile di ogni altra vita. Io sono morta in battaglia, e potrei farle un bel discorso su quanto sia inutile e stupido! Cosa non avrei dato per essere sopravvissuta, solo altri dieci anni – anche solo uno! Ah, ma no, lei idolatra la morte e la gloria nonostante tutto ciò che ha visto e fatto – mi sta facendo impazzire, come fa a non vederlo

«Tu ami ed ammiri quella donna, non negarlo» disse Narvi, e sistemò gli ingranaggi che avrebbero fatto girare una ruota in diagonale rispetto all'altra «La consideri un'eroina vuoi che lei abbia pace. Mmm, qua bisogna stringere. Mi puoi passare quella chiave da un ottavo, per piacere?»

Haban le diede la chiave senza commento. «Faramir è un bravo ragazzo, e un maledetto nobile idiota» disse, e sembrava piuttosto frustrata dalla situazione «Si morde la lingua tutto il tempo, e le lancia sguardi malinconici con i suoi grandi occhioni tristi. Se solo dicesse qualcosa, se solo lo facesse lei! Ma sono fermi in queste posizioni che si sono scelti da soli: lui non chiede e lei non dice, ed è tanto doloroso da guardare che potrei urlare. Ancora peggio, è completamente inutile! Lo so che lui le piace.»

«Non ti importerebbe tanto se tu non volessi il mondo per entrambi» disse Narvi, e si abbassò uno dei suoi vetri per occhi dal corredo che aveva in testa (una fascia di sua invenzione, una sorta di fascia attorno alla fronte, coperta di vetri per occhi di diversa gradazione e con vetri colorati per diversi generi di lavoro. Ce n'era persino uno con un misuratore di distanza). Qua ci voleva una sistemazione cauta, e lei vi avrebbe prestato tutta la sua attenzione. Questa roba aveva sempre obbedito a Khel più che a lei.

«Edè così ovvio che lei non crede più a quello che sta dicendo» borbottò Haban «Ormai è solo così abituata a uscirsene con tutte queste idiozie nichilistiche. Il suo cuore vuole vivere, non morire con una lama in mano. E non si volta più ad Est e a quel maledetto dolore. Ora guarda a Nord-Ovest, dove il fiume scende dai monti, dove è Faramir.»

Sorprendente. Interessante. Narvi guardò la sua amica, battendo le palpebre attraverso le lenti. «Non è più nelle Case di Guarigione?»

Aveva distolto lo sguardo. Dannazione. Ora doveva ricalibrare la tensione delle molle e risistemare gli ingranaggi. La porta non si sarebbe mai chiusa a dovere altrimenti.

«No, ha raccolto il mantello di Sovrintendente, per quanto deve» la bocca di Haban era sottile per il fastidio. La sua rabbia Barbafiamma non era mai lontana dalla superficie, insieme a tutta la sua brusca e materna preoccupazione. «Lui passa la maggior parte del tempo alla Cittadella, ma si prende comunque un momento o due per vederla.»

«SI è ripreso abbastanza?»

«Per quanto ci si possa aspettare. Né il fuoco né il dolore sono gentili» Haban si sfregò gli occhi «Oh, questi bambini sciocchi! Mi porteranno a bere, lo giuro su Mahal!»

«Pensi che lei sia ancora sotto l'influenza dell'Alito Nero?» borbottò Narvi, le dita che risistemavano la molla. Stavano lottando. Forse avrebbe dovuto fare il rivestimento più sottile.

Haban grugnì. «No, non penso parli più per la disperazione di Sauron. Al limite per la disperazione di abitudine.»

«Beh, non si può darle torto» No, Narvi sapeva tutto della disperazione di abitudine.

«Penso anche tu dovresti bere» disse Haban dopo un momento. Narvi sbuffò infastidita. Haban era troppo, troppo sveglia a volte.

Due giorni dopo, Haban entrò con uno sguardo perplesso. «Cosa succede?» chiese Narvi brusca.

«Dice che non desidera la pietà di alcun uomo» esclamò Haban, e fece un suono inarticolato con la gola «Non è pietà, quando mai si è parlato di questa pietà, oh MAHAL mi aiuti, mi strapperò via la mia intera barba prima che questi due termino la loro dolorosa, beneducata e totalmente stupida danza!»

Narvi alzò una mano e le diede una pacca sulla spalla, mentre Haban chiudeva gli occhi e si massaggiò le tempie. «Tranquilla, tranquilla» disse assentemente.

Il terzo giorno, Haban corse nel laboratorio di Narvi con una borraccia sulla spalla. «Il martello infine è caduto!» urlò felicemente «Narvi, andiamo, beviamo alla continuata esistenza della mia povera barba!»

«Mi avevi avvertita che ti avrebbero portato a bere» rise Narvi, e appoggiò i piccoli scalpelli con cui stava lavorando «Dunque, Éowyn ha finalmente visto Faramir per ciò che è? O Faramir ha finalmente parlato chiaramente e direttamente?»

«Entrambi, spero» disse Haban, bevendo un sorso dalla borraccia e passandola a Narvi «Finalmente l'ha detto: ti amo, ha detto, e lei infine l'ha sentito. Lei dice di non provare più gioia solo nella gloria della battaglia e nelle canzone sulle uccisioni. Vuole trovare cose verdi e che crescono, e ha guardato Faramir mentre lo diceva.»

«Lo sapevi» Narvi si sedette accanto alla sua amica, bevendo un lungo sorso «Non dovrei mai fare una scommessa contro di te.»

«Ha, quel ragazzo mi ha fatto seguire una bella danza con le sue dolci parole, dicendo tutto con gli occhi e nulla con la lingua» disse Haban, scuotendo la testa «Non avrei una possibilità contro di lui in uno scambio. È abbastanza bravo a tirar fuori le risposte che gli piacciono. Dopotutto, l'avevamo visto con Sam e Frodo, no?»

«E si sposeranno?»

«Aye, scommetterei che saranno fidanzati prima che il mese sia finito» Haban fece un sospiro soddisfatto «Bene. Finalmente ce l'abbiamo fatta, è un peso che mi sono tolta. E tu? Su cosa stai lavorando, comunque?»

Narvi guardò alla miniatura in pezzi sul suo tavolo. Brillava come se la luna l'avesse catturata con la sua luce. «Oh, stavo solo riprendendo qualche vecchio progetto. Mi sembrava il momento giusto per lavorarci di nuovo, sai?»


«Thoriiiiiiiin!»

Era passata un'intera settimana dall'ultima volta che qualcuno era arrivato di corsa nel suo corridoio urlandogli di venire in fretta. Si era quasi abituato alla pace e al silenzio, ne era quasi felice. Thorin ridacchiò. Avrebbe dovuto sapere che era troppo bello per poter durare.

«Che succede, Ori?»

«Devi venire ora! C'è stato» Ori si strozzò con le sue parole, e si piegò, tossendo per un momento. Thorin gli diede dei colpetti sulla schiena finché non riuscì a riprendere controllo.

«Bene. Ora, dillo lentamente»

Ori lo guardò con enormi occhi da gufo. «Lettere» gracchiò «Arrivate ad Erebor.»

Per un momento, Thorin non riuscì a pensare a cosa Ori si stesse riferendo. I messaggi arrivavano di continuo alla Montagna, dopotutto. Poi capì, e un terrore gelido gli strinse le viscere.

«Glóin» disse in orrore.

«Thranduil» confermò Ori «Uh. Nello stesso posto. Con delle lettere. E molte molte armi. Quindi» esitò, e si grattò il collo.

«Sputa il rospo» disse Thorin a denti stretti.

«Sì. Eh. C'è una specie di, eh. Duello nella Sala del Consiglio. Forse dovresti andare?»

«Ben fatto Ori, grazie. FRERIN! 'AMAD! DAIN! OIN!» Thorin alzò la voce a un ruggito, e corse il più rapidamente possibile attraverso i corridoi scintillanti. Poteva sentire Ori che ansimava dietro di lui. «BALIN, NORI, BIFUR – TUTTI VOI, A ME ORA! HO BISOGNO DI VOI!»

«Che diavolo succede? Il mondo sta finendo?» giunse la voce di Dáin, e sia lui che Óin tirarono fuori la testa da una stanza vicina. C'era un maialino fra le braccia di Dáin, e delle carte che cadevano dalle mani di Óin.

«Glóin sta per uccidere Thranduil!» squittì Ori «O Thranduil sta per uccidere Glóin! O una o l'altra!»

«L'altra, decisamente l'altra!» esclamò Óin, spingendosi oltre Dáin. Il suo volto era diventato bianco come il gesso mentre partiva dietro a Thorin e Ori.

«Oh dannazione, questa non me la perdo» disse Dáin, ghignando «Qualcuno può tener d'occhio Bolla per me?»

Balin fu il prossimo ad unirsi a loro, e poi Frís, poi Dwerís, Nori, Bombur e Víli. Poi il resto arrivò in una marea di stivali tuonanti. Una grossa compagnia di Nani apparve in pochi secondi. «Ben addestrati in tempo di crisi, direi» ridacchiò Frerin.

Thorin alzò gli occhi al cielo e spinse Frerin al suo posto accanto alla vasca del Gimlîn-zâram.

«Speriamo che non vedremo anche Glóin accanto a noi presto, eh?» borbottò Balin.

«Zitto e guarda l'acqua» ringhiò Óin «Mio fratello non sta per schiattare, sta per prendere un Elfo a calci in culo!»

«Lo speri» mormorò Víli.

«Zitto, e guarda l'acqua

«Siamo permalosi»

Thorin ignorò il litigio il meglio possibile. Le stelle si alzarono e ruotarono per afferrarlo e finirono il lavoro.

«...ANDARE!»

La voce di Glóin fu la prima cosa che Thorin udì – beh, ovviamente lo sarebbe stata pensò, cercando di riscuotersi dalla luce stellare. «Cosa potete vedere voi?» gracchiò. Si sentiva un poco fuori esercizio: i suoi occhi non si abituavano più tanto in fretta quanto lo avevano fatto negli ultimi giorni della Missione dell'Anello. «Qualcuno?»

«Uh, mi sembra che tutti si stiano mettendo in mezzo per impedirgli di aggredirsi a vicenda» disse Fíli dubbioso.

«TOGLIETEMI LE MANI DI DOSSO!» tuonò Glóin. Cercando di togliere di mezzo le lacrime che gli si attaccavano alle ciglia, Thorin fu salutato da una scena di caos totale.

Dís aveva un braccio attorno a Mizim, le cui gambe sembravano aver ceduto per la sorpresa. Teneva la lettera con mano molle, e la stava leggendo ad occhi sbarrati. Gimrís le stava controllando le pupille e il battito.

«Non me l'aspettavo» disse Mizim debolmente «Ho fatto qualcosa di male?»

«Pura follia» disse Dís.

«No, Mamma, non hai fatto nulla di male» disse Gimrís, brusca e secca. I suoi bellissimi occhi erano piuttosto larghi «Gimli è solo un idiota senza cervello né senso del tempismo. Come sempre.»

«IL – FIGLIO – DI – QUEL – VILE – SERPENTE – HA CORROTTO IL MIO RAGAZZO!» ruggì Glóin, lottando contro i sei forti Nani che lo stavano tenendo fermo. Jeri, Orla, Dwalin, Dori, Bofur – ed era il Re quello? - lo stavano tutti trattenendo con tutta la loro forza. Glóin sembrava di aver guadagnato la forza di quattro nella sua furia, e tutti stavano faticando a tenerlo sotto controllo.

«Tu osi parlare del mio Legolas a quel modo» disse Thranduil in voce gelida come il crudele vento invernale «La tua prole ha senza dubbio messo un qualche sorta di maleficio su di lui. Senza dubbio Legolas ha troppo onore per negargli qualcosa, e questo è il pagamento che gli è stato richiesto. Menzogne e inganni!»

«Oh no» gemette Bofur, mentre la furia di Glóin raddoppiava. Il vecchio Nano riuscì a scuotersi di dosso la metà di quelli che lo tenevano, avanzando e picchiandosi un pugno contro il petto.

«Dillo. Di. Nuovo» ringhiò. La sua barba e i suoi capelli erano gonfi e spettinati, gli occhi selvaggi per la rabbia. Le sue mani si stringevano e si aprivano convulsamente ai suoi fianchi.

«Cinque su Glóin» sussurrò Thráin. Nori annuì impercettibilmente, e qualche moneta cambiò di mano.

«Sembra che avessi ragione nella mia opinione dei Nani, non importa ciò che uno Stregone possa dire. Radagast è uno sciocco» disse Thranduil, guardando Glóin oltre la punta del suo naso. Non un muscolo si mosse di lui, non un capello.

Fu allora che Thorin vide la mano di Laerophen, posata sul braccio di suo padre. Il più leggero degli intralci, ma stava trattenendo l'ira del Re Elfico.

«Non possiamo fidarci di loro» disse Laindawar, la voce dura «Ti ho consigliato male, Adar. Le mie scuse.»

«No» disse Laerophen disperatamente – a malapena un sussurro, ma lo disse. Thranduil si levò di dosso la sua mano, e si raddrizzò le vesti con movimenti lenti e cauti che parlavano di una rabbia ancora più profonda della ferocia di Glóin: fredda e implacabile.

«Partiremo fra un'ora» disse Thranduil infine.

«Sarai morto fra un'ora, tu statua di cera senza sangue né cuore!» gridò Glóin, e corse ai muri e strappò una delle grandi asce cerimoniali con un poderoso movimento «Torna e combatti, codardo senza barba! O mandi i tuoi figli a compiere la tua volontà giacendo con metà della Terra di Mezzo?»

«Papà!» esclamò Gimrís, orripilata.

«Devi fare qualcosa!» urlò Ori, torturandosi le mani.

«Questo renderà vani tutti gli sforzi dell'ultima settimana» disse Balin urgentemente «Thorin, parla loro, falli smettere!»

Thorin si passò una mano sul volto, premendosi le dita contro gli occhi. «Io? Avete visto come ho reagito io quando ho scoperto della loro relazione!»

«Thorin, potremmo avere non solo pace, ma vera amicizia fra noi, pensa a questo!» disse Dáin, voltando Thorin per guardarlo negli occhi. Aveva un'espressione seria: ogni traccia di umorismo era svanita. «Non solo tolleranza, non solo commercio – vera, autentica amicizia – questo momento è cruciale! Non possiamo lasciare che finisca così!»

«Se se ne vanno, se queste saranno le ultime parole in proposito» aggiunse Frís «allora Gimli e Legolas rimarranno una curiosità, una stranezza bizzarra e mai ripetuta. Se possiamo costruire su ciò che è iniziato...»

«...allora saranno solo i primi di molti» terminò Kíli. C'era un piccolo sorriso addolorato sul suo volto.

Thorin fissò Glóin e Thranduil. Il Re Elfico si era voltato e camminava sull'alto sentiero verso l'uscita. Laindawar aveva la mano sulla spada scortando suo padre, ma la testa di Laerophen era china e lui sembrava sconfitto e triste.

Glóin stava ancora urlando, e aveva lanciato l'ascia contro un muro, alzando scintille. L'Elminpietra era in piedi di fronte a lui, stringendogli la spalla e abbaiando ordini, ma Glóin era sordo a tutto se non la sua rabbia.

«Potrei tirargli un pugno e farlo svenire» commentò Dori.

«Buon'idea» disse Dwalin.

«Non è che passi la vita con la lama sguainata» disse Óin in frustrazione «Non è un cane aggressivo, sempre sul chi vive. È solo molto protettivo, ecco. Combatterebbe con un temporale per proteggere coloro che ama.»

«Lo so, lo so. Non è uno sciocco» sospirò Thorin «Ma avrei preferito se fosse successo in un momento migliore.»

Óin fece una smorfia. «Pensi ci sarebbe stato un momento migliore?»

«Bene. Dei raccolti, chi ti sente meglio?» chiese Thráin, pratico.

«Dwalin, ha volte il Re» disse Thorin «Proverò, anche se non mi aspetto che Dwalin capisca. Non ha mai avuto amore per gli Elfi.»

«E chi ne ha?» mormorò Nori.

«Ascoltatemi» iniziò Thorin, sentendosi piuttosto stupido. Un conto era parlare a Gimli, che lo sentiva. Un conto era parlare nel fervore del momento. Ma le sue parole dovevano essere pesate con cautela ora, se non voleva che mancassero il loro scopo. «Gimli e Legolas si amano davvero. Non saranno separati, non importa quanto voi protestiate o urliate. Le cosa che avete detto oggi, entrambi voi! Sono umilianti, e inutili. Perché voi non avete visto che ciò che hanno è forte come mithril dei Nani, ed eterno come le stelle degli Elfi.»

«Molto bene, zio» sussurrò Fíli «Continua!»

«Tutto ciò è ridicolo. Dannazione, spero funzioni. Preferirei affrontare di nuovo il drago» mormorò Thorin, asciugandosi il sudore dalla fronte. Fece un passo verso l'ansimante Glóin. Stava fissando Thranduil che camminava con occhi pieni di puro disprezzo. «Cugino, tu conosci tuo figlio! Sai che è saggio e di buon cuore, fedele fino al midollo, e onesto! Perché acconsentirebbe a meno di un vero amore, un vero legame?

«Thranduil Oropherion, Re di Boscoverde, conosci tuo figlio! Sai che è furbo, allegro, intelligente e di lunghe vedute, orgoglioso e attento, leale come il giorno e la notte! Acconsentirebbe mai a un finto matrimonio? Metterebbe in palio il suo cuore e la sua vita?»

Per la più totale sorpresa di Thorin, Thranduil si fermò, anche se non si voltò.

«Sono un Elfo e un Nano, e orgogliosi di ciò, orgogliosi di esserlo» disse, e Ori annuì urgentemente e fece un movimento a significare “vai avanti, vai avanti!”. Óin si stava mordendo il labbro, gli occhi orgogliosi. «Li obbligherete a scegliere fra il loro amore e il loro popolo, e voi perderete. Loro perderanno. Tutti perderanno.»

«Papà» disse Gimrís «Papà, ti prego.»

«Adar» disse Laerophen, e si allontanò da Thranduil col mento alzato «Io non andrò.»

Gli occhi di Thranduil fissarono quelli del suo secondo figlio. «Verrai.»

«No, non verrò» Laerophen deglutì a fatica, e si allontanò passo dopo passo sino a trovarsi accanto a Glóin «Rimarrò.»

«Ti ucciderà, non l'hai sentito?» disse Thranduil freddamente, ma i suoi occhi facevano scintille «Non esiterebbe. Tu sei il fratello di Legolas.»

«Sì» Laerophen si voltò, rapido come ali di uccello, per inginocchiarsi davanti a Glóin «E non mi farà del male.»

«Lui è un Nano!» ringhiò Laindawar «Pe-channas!»

Laerophen lo ignorò, inginocchiato davanti a Glóin come un mendicante, come un bimbo. Le sue mani erano libere da armi, e non aveva armatura. «Mastro Glóin, voi mi conoscete. Conoscete il mio secondo in comando, Merilin, che fu accanto a voi in consiglio. Sapete che sono andato sottoterra per salvare vostro nipote, e che ho combattuto con voi accanto al vostro Re.»

Glóin fissò Laerophen con cupa antipatia. «Aye, lo so.»

«Ma voi non conoscete mio fratello» disse Laerophen con supplica «Ve ne posso parlare, se desiderate.»

Ci fu un breve, ansioso silenzio.

«Perfavoreperfavoreperfavore» sussurrò Frerin.

«Sì. Sarebbe gentile, caro» disse una voce tremante, e Thorin si voltò sul posto. Mizim era in piedi, stretta al braccio di Dís. Il suo volto era ancora tirato, ma c'era una determinazione nei suoi occhi e sulla sua bocca. «Sarei onorata di udire storie di tuo fratello. E se capisco ciò che sta succedendo, tu sarai un membro della nostra famiglia presto. Dunque, tanto vale essere a nostro agio fra noi.»

«Ma – ma, Gioiello» iniziò Glóin.

«Zitto tu, vecchio orso, hai detto abbastanza per un giorno solo» disse Mizim senza nemmeno guardarlo «Alzati, ragazzo, e vieni con me. Penso che ci servirà una tazza di qualcosa di caldo dopo notizie simili, eh?»

«Ma-» disse Glóin, sembrando piuttosto perso e confuso.

Óin quasi si sgonfiò. «Oh, grazie a Mahal. Gimli mi è debitore dei capelli bianchi che mi ha fatto venire due volte.»

Thranduil sembrava ancorato al terreno, il volto impassibile ma le guance leggermente rosse. L'Elminpietra si fece largo attraverso la tensione verso di lui. «Ebbene, dubito che sarà la fine del discorso» commentò, grattandosi la barba «Andiamo, Maestà, potete rilassarvi ora. Glóin non vi farà alcun male se non sguardi truci e insulti mormorati. È tutto fuoco ed esplosioni, certo, ma non durano mai a lungo.»

«Intendete dire che non credeva ciò che stava dicendo?» disse Thranduil rigidamente.

«Oh, sono certo che intendeva ogni parole quando la diceva» disse l'Elminpietra, ghignando «Lo fa spesso.»

Le sopracciglia di Thranduil si aggrottarono leggermente. «È dunque un babbeo?»

«Lungi dall'esserlo. Glóin è il tesoriere più intelligente che abbiamo mai avuto. Ha praticamente ricostruito l'economia di Erebor dal nulla, sapete. È solo piuttosto protettivo nei confronti della sua famiglia. Come avete visto. La sua rabbia è uno spettacolo, non trovate? Barbefiamma, sapete cosa dicono di loro.»

Gli occhi di Thranduil si abbassarono alla lettera, e poi di nuovo andarono al Re. La sua mascella si contrasse. «Così ho udito.»

«Dunque vostro figlio ve l'ha detto. È una buona cosa. Ma dovreste sapere qualcosa in più» l'Elminpietra guardò di nuovo le persone (Bofur e Dwalin stavano spingendo Glóin fuori dalla porta – senza dubbio ci sarebbe stata molta birra e insulti) e le osservò «Oh, certo. Gimrís! Una parola.»

«Mi sto prendendo cura di mia madre, se non ti dispiace!»

«Il Principe Laerophen e Zia Dís sono sufficienti. Mi servi qui» disse l'Elminpietra, incrociando le braccia e alzando gli occhi al cielo «Avete questo genere di proteste ogni volta?» chiese a Thranduil con un tocco di impazienza.

«Smettila di preoccuparti, Bomfrís sta bene, l'ho visitata stamattina! Non rompere!»

«Sarebbe questo il modo di parlare al Re?!» esclamò Laindawar.

«Sapete molto poco dei Nani, vedo» l'Elminpietra annuì a Jeri, che annuì a sua volta. Poi scomparve fra la folla. Pochi secondi dopo, Gimrís era in piedi davanti a loro con irritazione nei bellissimi occhi.

«Non sono certa che te ne sia accorto, ma la mia famiglia ha ricevuto notizie un po' scioccanti» ringhiò «Ti dispiace?»

«Tuo padre è andato a ubriacarsi con tuo marito e Dwalin, tua madre è andata a prendersi un tè con Laerophen e Dís, tuo fratello sta causando incidenti diplomatici da mezzo mondo di distanza e tuo figlio probabilmente è andato a causare la fine dell'universo come lo conosciamo» disse il Re con brusca allegria «Vieni, parla a Re Thranduil di tuo fratello. Ripaga il favore, diciamo.»

Gimrís guardò l'Elminpietra con sospetto. «A volte sei esattamente come tuo padre, sai» borbottò. Poi si voltò verso Thranduil e gli fece l'inchino più breve e più insultante mai offerto a un monarca. «Piacere. Gimrís figlia di Mizim. Al vostro servizio.»

«Ben detto» mormorò l'Elminpietra «Vi lascio a conoscervi.»

«Andate con Glóin» disse Thorin a Óin e Nori «Voi altri, dividetevi. Scoprite cosa la gente ne sta dicendo. Dobbiamo continuare a tenere tutto sotto controllo, per quanto possiamo.»

Ci fu qualche lamentela mormorata. Poi il gruppo che lo aveva seguito con tanta incredibile rapidità si divise con altrettanta rapidità. Thorin guardò Kíli, che raddrizzò le spalle e annuì, prima di correre dietro a Laerophen e Mizim.

«Andiamo» disse Dáin, girandosi di novo verso Thranduil, Laindawar e Gimrís.

«Che genere di Nano è tuo fratello, e che genere di incanti e trucchi sa fare» disse Thranduil immediatamente. Gimrís alzò il mento, la gemma nel suo naso scintillò.

«Quell'idiota di mio fratello maggiore» disse a denti stretti «ha centoquaranta anni. E in tutti questi anni dubito abbia avuto un solo pensiero ingannevole o menzognero nella sua stupida, spettinata testa. Né alcun pensiero di altro genere, sembra! Non riesco a credere che abbia scritto notizie tali in una lettera, cosa nel nome di Mahal stava pensando?!»

«Per prepararci, dice Legolas» si intromise Laindawar, e ci fu un momento imbarazzante nel quale i tre finsero di non essere tutti totalmente d'accordo riguardo al completa idiozia del piano.

«Dunque, tuo fratello non è terribilmente intelligente» disse Thranduil.

«Oh, lo è abbastanza» sbuffò Gimrís. Sembrava a disagio nel dover difendere Gimli invece di coprirlo dei suoi soliti affettuosi, feroci insulti. «Per un idiota cervello di troll con più barba che cervello, suppongo sia piuttosto intelligente. È bravo a far piani e a dire belle parole. E a combattere ovviamente. Ama le caverne e i balli e la musica.»

«Caverne, Adar» disse Laindawar, cupo. Gimrís alzò un sopracciglio.

«Chiedo perdono, ma non vivete anche voi in delle caverne?»

«Daro, Laindawar» disse Thranduil, alzando la mano in un gesto apparentemente rilassato «Non provocarla.»

Gimrís alzò gli occhi al cielo. «Guardate, vorrei molto poter andare, dunque cosa volete sapere di Gimli? A proposito, anch'io vorrei sentir parlare di questo Legolas. È davvero quello che ha rubato il medaglione di Papà?»

Il volto di Thranduil divenne fermo e vacuo. «Io... non ne sapevo nulla.»

«Uh» Gimrís alzò la testa «Papà non smette mai di parlarne.»

«Ma perché Legolas?» disse Laindawar impazientemente, piegandosi verso Gimrís. Lei si rifiutò di indietreggiare, e rimase immobile. «Cosa vuole da mio fratello? Perché?»

«Perché?» Gimrís rise allora, forte e con derisione «Sto pensando che forse mio fratello si crede davvero innamorato del tuo, e quindi tutti noi dovremo soffrire questa situazione finché lui non sarà qui a rispondere di persona.»

«Vi somigliate?»

«Di aspetto? Un pochino» Gimrís fece spallucce «Abbiamo gli stessi capelli, e abbiamo tutti e due occhi castani. Lui ha un fisico da guerriero, e il naso di Papà. Io sono un pollice più alta di lui, anche se lui è più robusto e più forte...»

«No, non di aspetto; di carattere» la interruppe Thranduil. Gimrís ci pensò.

«Ancora, un poco. Siamo diversi da come eravamo. Un tempo avrei detto che Gimli avesse più pazienza di me. Ma poi, Gimli non ha mai avuto un figlio come Gimizh, quindi cosa può saperne lui di pazienza, vi chiedo? Però, è un bravo Nano: fedele e determinazione e ama con passione, un vero figlio di Durin sino al midollo. Non avrei mai pensato fosse in grado di amare un Elfo, dunque sospetto sia cambiato più di quanto io non capisca. È rapito ad arrabbiarsi, come Papà, ma ha il modo di Mamma di esaminare i problemi. Arriva in fretta al nocciolo della questione.»

«Non potrebbe essere in cerca di vendetta contro di noi... per la nostra parte nel passato recente» disse Thranduil, piano e freddo, ogni parola detta delicatamente come una libellula che si posa su una foglia.

Gimrís storse il naso, e poi i suoi occhi divennero lontani. «Quando avevo circa trent'anni, Gimli scoprì che avevo distrutto la sua tunica preferita. Stavo dipingendo, e avevo preso la cosa più vicina per pulire le sbavature. Lui amava quella tunica. Era di seconda mano da nostro cugino Fíli, e si intonava perfettamente con la carnagione di Gimli.

«Gimli era furibondo quando la scoprì, nel secchio degli stracci dove avevo cercato di nasconderla. Aspettai settimane la sua vendetta, sempre sul chi vive.»

«E quando giunse, fu crudele?» disse Laindawar, arricciando il labbro.

Gli occhi scuri di Gimrís luccicarono. «Vide come mi comportavo e come avevo paura anche della mia ombra. Così mi fece sedere e mi diede la mia bambola per giocare. Mi disse che ovviamente mi ero punita da sola a sufficienza, dopo tutte quelle settimane passate senza respirare in attesa che il martello cadesse. Poi mi abbracciò e mi disse che mi voleva bene. Io scoppiai in lacrime di rabbia, e lui mi lasciò giocare con i suoi capelli per un po', finché non mi calmai.»

Il volto di Laindawar era piuttosto confuso. «Ero molto piccola» spiegò Gimrís «E Gimli odia pettinarsi i capelli. Ma io lo adoro.»

«Non si pettina i capelli!» Thranduil pareva leggermente orripilato, e Thorin ricordò che gli Elfi trovavano i bei capelli molto attraenti.

«Lo so!» Gimrís alzò le mani con aria di martire tragico «Ci ho provato, e riprovato! Ma mi ascolta? No, se li infila tutti sotto l'elmo, li spazzola finché non sono puliti ma nient'altro, a malapena ci mette degli oli! E ha una barba talmente bella, ma la tiene in ordine a malapena! Due trecce, al massimo, e una semplice per i capelli! Ah, mi dispero per i suoi capelli, lo giuro, è così irritante!»

Tutti e tre annuirono in comprensione. Poi all'unisono si fecero tutti più seri e si raddrizzarono, gli occhi che passavano dall'uno all'altra come a sfidare qualcuno a commentare.

«Ecco» Gimrís si dondolò «Dunque.»

Thranduil lasciò che il suo sguardo si posasse su di lei per qualche altro istante. «Vorrei parlare di più con te» disse.

«Vuol dire che rimarrete?»

Thranduil esitò, e c'era un'espressione di oscuro dolore nei suoi occhi. «Per ora. Ma non do la mia benedizione. Non riconoscerò questa... unione.»

Gimrís ricambiò lo sguardo, e il suo era di pietra. «Perché Gimli è un Nano.»

«Abbiamo visto tutti come tuo padre ha dato il benvenuto a un Elfo» mormorò Laindawar.

Gimrís guardò Laindawar con antipatia, prima di girarsi di nuovo verso Thranduil. «Molto bene, suppongo che vi parlerò di nuovo. Mi potete trovare nelle sale dei Guaritori la maggior parte del tempo. Ora, andrò a vedere se mia madre sta bene, se non vi dispiace.»

Senza aspettare risposta, Gimrís si voltò e se ne andò, il fiume dei suoi capelli rosso sangue che le rimbalzavano dietro.

«Una guaritrice?» Laindawar la fissò che andava «Un guerriero e una guaritrice. Figli interessanti hanno avuto questi Nani. E a che medaglione si riferiva?»

«Non capisco» disse Thranduil, nei suoi occhi erano ancora furiosi. Ma c'era una riflessione in essi che Thorin non riconosceva. Era ancora uno sguardo misurato, ancora antico e gelido – ma non era più distante. Si chiese se fosse iniziato nella foresta, alla vista di un sepolcro e di una amica perduta. «Ma io capirò, col tempo. Abbiamo del lavoro da fare, ionneg. Iniziamo. Dobbiamo scoprire il più possibile riguardo questo Gimli figlio di Glóin

TBC...

NOTE

Parte del dialogo è preso da "Il Campo di Comrallen" e "Il Sovrintendente e il Re", dal Ritorno del Re.

Le porte di Moria erano decorate con ithildin, che "riflette solo la luce delle stelle e della luna". Narvi e Celebrimbor le costruirono insieme. Dalla morte di Celebrimbor per mano di Sauron, Narvi non aveva toccato ithildin.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 43
*** Capitolo Quarantatré ***


Le ore iniziarono a scorrere più lente, più lente, e poi i giorni. Il tempo era diventato tanto prezioso nelle ultime settimane della Guerra dell'Anello che ogni secondo era stato riempito al massimo, stretto fino a squittire. Ora, esisteva qualcosa come il tempo libero. C'erano attimi solo per il piacere e gli interessi.

Thorin giocava a carte con Frerin e Víli, lottava un duello di pratica o due con Dáin, suonava l'arpa con Frís, e passava tempo alla forgia con Thráin. I suoi passi divennero più calmi, la sua postura più rilassata. I pensieri oscuri attraversavano la sua mente a volte, eppure non mettevano radici per crescere come un tempo. Lui fece nuovi inchiostri per decorazioni, aiutò Bifur a creare un Olifante giocattolo meccanico, e diede a sua madre la lampada completata. I suoi occhi divennero più limpidi, le sue mani ruvide e bruciate come lo erano state un tempo. Il suo sonno era senza sogni. I giorni iniziarono ad allungarsi dinnanzi a lui.

Un tempo, Thorin li avrebbe ritenuti vuoti. Morti e tetri, senza scopo o utilità. Ora, gli sembravano pieni di potenziale, di possibilità. Il suo laboratorio era pieno di piani e schizzi e immagini.

Guardava la sua barba allungarsi allo specchio ogni giorno, e si chiedeva cosa sarebbe successo ora.


«Tieni»

Bani guardò su con occhi vacui dai grafici sotto le sue mani. Una tazza era davanti a lei, sistemata su un vassoio. Del vapore si alzava dal bordo. Batté le palpebre, e un piatto con del pane e delle uova e una fetta di carne fredda apparve accanto alla tazza. «Eh?»

«Non mangi da sette ore» disse la voce, divertita e preoccupata al tempo stesso. Bani si tolse gli occhiali con movimento lento. Le faceva male la schiena, ricordandole che non aveva cambiato posizione tutto quel tempo. I suoi occhi bruciavano e pizzicavano mentre metteva a fuoco il volto di Barís. «Fammi un piacere e metti dentro qualcosa?»

«Come sarebbe un piacere a te?» mormorò lei, la mano che cercava la tazza. Un sorso più tardi, e il calore le riempì la pancia, rilassando la tensione e la leggera nausea che erano apparse senza che lei se ne accorgesse. «Oh, Mahal, è meraviglioso. Grazie, Usignolo.»

Barís si sedette sul bordo del suo tavolo da lavoro, le sopracciglia corrugate. «Su cosa lavori di tanto importante? Le cose si sono calmate considerevolmente, dopotutto.»

«Progetto nuovi magazzini» disse Bani, e sbadigliò «Tutti sembrano essersene dimenticati, ma quella donna è ancora in giro. Che trama, probabilmente.»

L'espressione di Barís si incupì. «Non c'è pericolo di morire di fame ora. Forse ci lascerà stare.»

«No, non moriremo di fame, e tutte le possibilità di salire al potere le sono state tolte. Ma chi sa cosa potrebbe fare per vendetta?» Bani sbadigliò di nuovo «Lei è il tipo che vuole “provare” di aver ragione, anche se ha orribilmente, orribilmente torto. Io non ripeto i miei errori. Quindi, dobbiamo progettare qualcosa di più sicuro dei vecchi magazzini, e non vedo nessun altro che lo faccia. In più, gli Elfi continuano a chiedere cose fatte di legno. Non ho quasi avuto tempo, tutto considerato. Ci servono più carpentieri in questa dannata montagna, francamente: abbiamo un numero imbarazzane di scultori e via dicendo – tutta gente che non ha idea di cosa fare con un albero se non bruciarlo.»

«Devi dormire» disse Barís, sorridendo un poco «Stai blaterando.»

«Lo so» Bani le sorrise a sua volta. I loro occhi si incrociarono, e ci fu una breve pausa. «Dopo che ho mangiato. Non dovevi farlo, sai.»

Barís mise il vassoio sul tavolo, e le sue dita indugiarono sul dorso della mano di Bani. «Volevo farlo» disse. La sua bellissima voce era bassa e speranzosa. «Ecco... è un'idea che vorrei provare.»

Bani rise, un suono breve e rasposo nella sua gola secca, ricordando la conversazione frettolosa sulle idee e sui successi davanti al fuoco. «E pensi che questa funzionerà?»

Gli occhi di Barís erano caldi e molto, molto dolci. «Lo spero.»


L'aria del mattino era ancora fresca per le ultime tracce della notte. I mattinieri stavano iniziando a sistemare le bancarelle del mercato. Molti dei detriti erano stati rimossi, ma c'erano ancora cicatrici ovunque uno guardasse: edifici distrutti e mura mancanti, segni di spade su legno e pietra.

Solo, Gimli marciava nella città con passo sicuro. Molti dei mercanti alzarono lo sguardo e lo guardarono passare, e lui annuì cortesemente ai loro saluti. Sembrava fosse ancora una curiosità per il popolo di Minas Tirith. Ma il loro spettegolare era innocente e non sembrava lo infastidisse più. Evidentemente aveva altre cose in mente.

«...deve far rima con fast» borbottò fra sé e sé, e scosse la barba con fastidio.

Aprendo la porta di una forgia, chiamò il proprietario, un Uomo chiamato Iorlas, zio del giovane amico di Pipino Bergil. «Sono Gimli, come accordato!»

«Inizi presto la giornata, Mastro Nano!» giunse la risposta «Scenderò fra un po', quando sarò asciutto e pulito e nutrito. Vorresti del tè? Lo sto preparando.»

«Non per me, grazie, ma la tua gentilezza è molto apprezzata!» Gimli sbadigliò un poco e si grattò il collo, mormorando assentemente «Past, cast, last – night gathers fast? Mmh. Night gathers fast – aye, forse. Forse.»

«Qualcosa ti preoccupa?» chiese Thorin, e Gimli quasi urlò per la sorpresa, saltando e portandosi una mano al petto per lo shock.

«Grandissimo bastardo» ansimò, e Thorin gettò indietro la testa e rise. Non aveva mai avuto questo effetto prima, ed era molto più gratificante di quanto non avesse immaginato.

«Busserò la prossima volta, che dici?»

Gimli borbottò irritato, fissando truce l'aria. «Sei una vera canaglia, Thorin Scudodiquercia. Bene, ora che mi hai tolto almeno dieci anni di vita, cosa succede?»

Thorin si sedette, e si sistemò. Le sedie erano decisamente troppo alte: impossibili, anche per un fantasma. «Perché dovrebbe succedere qualcosa?»

«Non c'è sempre un nuovo problema?» disse Gimli, e si alzò le maniche e prese il mantice per la forgia. Iniziò a pompare, lente forti spinte che riaccesero i tizzoni morenti dal loro sonno notturno.

«Pessimista! Non è da te, Gimli» Thorin aggrottò le sopracciglia «Ebbene, suppongo ci sia un problema. Tuo padre ha ricevuto la tua lettera.»

Il ritmo di Gimli rallentò solo leggermente, e i suoi occhi si assottigliarono in determinazione. Ma la sua bocca non si strinse, né lui sobbalzò. «Di già? È stato un corvo veloce, allora.»

«Anche Thranduil ha ricevuto la sua»

«Mh. Mi aspetto si stiano mandando missive di accuse fra la Montagna e il Bosco?»

«Non... precisamente» Thorin sospirò «Thranduil sta passando l'inverno a Erebor. Ha portato abbastanza cibo per salvarli dal morire di fame. La guerra l'ha ammorbidito nei nostri confronti, sembra. Ma dopo le notizie mi aspettavo quasi che ritirasse il suo aiuto. Però, nonostante lo stupore e la rabbia, rimane, anche se sono quasi venuti alle mani...»

«Oh denti di Mahal» disse Gimli, gli occhi molto larghi. La sua voce era debole. «Oh mahumb.»

«Il tempismo non è stato il migliore, no» confermò Thorin «Oppure potresti aver ereditato un tocco della mia pessima fortuna.»

«Papà sta bene, vero?» le mani di Gimli strinsero i manici del mantice, come se fossero l'impugnatura di un'ascia «Non è giovane com'era un tempo, e Thranduil potrebbe aver... Non è stato ferito, vero?»

«Nessuno ha colpito l'altro, grazie a Durin» le spalle di Gimli si rilassarono per il sollievo «Si ringhiano e si guardano storto e fanno commenti commenti sottovoce. L'aria è fredda come il Ghiaccio Stridente, ma grazie a Mahal non è stato versato sangue. Credono entrambi di essere stati crudelmente traditi, però, e si odiano e disprezzano piuttosto apertamente.»

«Sì, queste sono sciocchezze» disse Gimli, suonando molto più come se stesso «Papà non ha fatto nulla di avventato per la rabbia, vero?»

«Tua sorella e tua madre hanno abbastanza buon senso per calmarlo, come il fratello di Legolas Laerophen»

«Il fratello di Legolas?» Gimli si raddrizzò «Lo conosci?»

«L'ho osservato, aye» Thorin si schiarì la gola, sentendosi stranamente irritato improvvisamente «Non è... l'Elfo peggiore che io abbia incontrato.»

Gimli sbuffò. «Non farti del male. Cosa ne pensi di lui?»

«Non preferiresti chiederlo a Legolas?»

«Legolas risponderà come un Elfo che conosce suo fratello da innumerevoli anni. Vorrei la risposta di un Nano, che ci conosce ed ha affetto per entrambi. Vorrei la risposta della mia guida, se potessi»

«Gimli, tu sei stato la mia guida in più modi di quanto non possa immaginare» iniziò lui, ma fu interrotto dallo sbuffare di Gimli.

«Thorin, mio parente e mio re. Mi hai guidato attraverso ogni sfida e pericolo di questa missione. Mi hai dato notizie e speranza e consigli, persino quando ero troppo sciocco per ascoltarti. Se vuoi negare il tuo posto nella mia vita e nel mio cuore, allora puoi star zitto» la voce di Gimli era calda e ruvida per l'affetto, e Thorin comprese: Gimli gli voleva bene a sua volta.

Che strano; quanto inaspettato! Thorin aveva pensato per talmente tanto tempo che fosse Gimli a dare a lui direzioni e speranza. Aveva sempre supposto... ma forse era stato reciproco. Forse era stato più di una voce senza corpo al vento; forse Gimli era grato a Thorin quanto Thorin lo era a Gimli.

«Allora mi considererò fortunato» disse Thorin, piano.

Gimli ghignò. «Io il pessimista e tu l'ottimista. È di certo un cambio di tono!»

«Dunque cosa stavi facendo qui?» Thorin guardò la piccola stanza, nemmeno lontanamente lussuosa o spaziosa quanto una forgia Nanica.

«Davo retta ai tuoi consigli» Gimli premette il mantice un'ultima volta, prima di asciugarsi la fronte «Le preparazioni per l'incoronazione sono rapide, e sia io che Legolas non abbiamo nulla da fare. Dunque occupiamo il nostro tempo. Io sono stato con gli operai, a ripulire i detriti dalla città. Legolas sta lavorando sodo con il nuovo germoglio bianco nel cortile superiore – questo giardinaggio è puzzolente e incomprensibile, per me – ma del resto, lui dice lo stesso di ciò che faccio io. Però, finché continua a lavorare col fertilizzante e via dicendo, io farò tesoro della mia ignoranza finché posso! Ora, ho un compito mio, che preferirei tenere segreto, se posso» Si asciugò il sudore sul collo, prima di infilare una mano nella tunica e tirarne fuori il piccolo disco d'oro appiattito.

«Ah. Stai facendo il fermaglio da matrimonio» comprese Thorin «Buona idea.»

«Lo dici solo perché era una tua idea» disse Gimli, ridendo.

«Naturalmente!» Thorin ridacchiò, e si mise comodo «Dunque, che forma pensi di dargli?»

Gimli parve improvvisamente piuttosto timido. Era strano, per Thorin, vedere questo Nano, dopo tutto quello che aveva fatto e passato, dondolarsi e muoversi come un ragazzino di quarant'anni. «Ecco. Beh, non ho avuto molte occasioni di lavorare l'oro...»

«Tu – tu non sai lavorare l'oro» disse Thorin, piatto.

«Non sono un fabbro!» Gimli alzò le mani in aria «Sono stato un minatore e un guerriero, so scrivere e cucire, ascoltare la pietra e esplorare grotte, ballare la giga, distillare la birra, cucinare e cantare e so cavarmela con un violino. Ma sono sempre stato un disastro come fabbro! Farò del mio meglio, ma so che non sarà ciò che Legolas si merita. Come posso fare qualcosa di degno della sua bellezza? Ma devo provare. Ho trovato questo luogo e Iorlas è abbastanza gentile da lasciarmi rovinare dei buoni metalli. Ma temo che rovinerò la reputazione del nostro popolo, per come sono ridotto.»

Thorin raddrizzò le spalle e si spinse giù dalla sedia troppo alta. «Gimli, non sono mai stato abbastanza fortunato da lavorare spesso l'oro nella mia vita, ma ero e sono un gran bravo fabbro. Posso insegnarti.»

Gimli sembrava dubbioso. «Ne se sicuro? Intendo, non posso nemmeno vederti dimostrare.»

«Ti dirò cosa devi fare. Hai buone mani e una mente rapida: posso insegnarti» ripeté Thorin, prima di aggiungere: «per esempio, il fuoco è troppo caldo. Quella fiamma scioglierebbe l'acciaio, dopo tutti i tuoi sforzi! E ti serve un contenitore in ceramica. E delle pinze. Hai il tocco del fuoco?»

«Aye, per quanto l'abbia usato» disse Gimli, confuso, ma c'era una speranza nascente sul suo volto «Ma, Melhekhel – come dici, è oro. L'oro non ti addolorerà? Perché non accetterò una parola se ciò che faccio qui ti farà del male.»

Thorin batté le palpebre, sorpreso dalla domanda. Onestamente non ci aveva pensato.

«Non mi infastidisce» disse infine «Se dovrò andarmene, lo farò. Ma non provo rabbia, né desiderio o senso di colpa.»

Il volto di Gimli si rilassò. Sembrava sia sollevato che compiaciuto. «Buono a sapersi.»

«Suppongo sia passato molto tempo» disse Thorin lentamente, come se stesse provando se le parole potessero sopportare il suo peso.

Gimli sorrise. «È così.»

«Bene» Thorin si riscosse. Basta con le sue indecisioni e insicurezze. Il mondo era nuovo. «Allora lascia che il fuoco ritorni a essere solo dei tizzoni, mentre prendi ciò che ti serve. Hai dell'acqua?»

«Acqua? Oh, per raffreddare» il volto di Gimli era cupo «Sono ancora più perso di quanto non pensassi.»

«In questo, posso essere la tua guida» gli disse Thorin «Hai dei metalli minori, con i quali far pratica? Dei progetti?»

«Ho delle idee per la forma» Gimli sospirò, e si toccò il lato della giacca come per accarezzarlo «Non ho idea se funzioneranno. Sto provando a unire stili Elfici e Nanici, e... beh, è discutibile il fatto che ci sia riuscito o meno. Ho una buona mano per fare schizzi di miniere e tracciati, ma i gioielli sono la passione di Mamma. Gimrís ha l'occhio per i dettagli, non io! Dannazione, non mi piacciono nemmeno le trecce complicate!»

«Sciocchezze. Suoni il violino con bravura, e sei maestro nelle forma di guerra più complesse e intricate che siano state inventate, e alcune che non lo sono» disse Thorin brusco «Questo è solo un tipo diverso di dettaglio.»

«Lo dici ora» disse Gimli, un po' tetro «Non mi hai mai visto. Uso un martello come fosse un'ascia. Ho rotto il metallo prima d'ora.»

«Mostrami i disegni» ordinò Thorin, ignorando l'umore di Gimli «Posso dirti se funzioneranno o meno.»

«Ma-»

«Gimli» disse Thorin, e improvvisamente comprese da dove il pessimismo di Gimli potesse arrivare «mia stella, tuo padre non ti diserederà, non importa quanto sia arrabbiato e confuso. Facciamo questo fermaglio da matrimonio, così che lui veda quanto ami il tuo Elfo. Quando lo vedrà e udirà la sua storia, non avrà altre obiezioni da fare.»

Gli occhi di Gimli erano enormi, e lui deglutì. Si rigirò la pepita nella mano, un'azione nervoso, prima di esalare un respiro che sembrava salire dalla sua pancia. «Giusto. Lo so, lo so... solo. Ah, non c'è nulla da dire, eh? Diamo un'occhiata, allora.»

Tirò fuori qualche pezzo di pergamena dalla giacca, lisciandoli sull'incudine. Thorin li guardò, chiedendo a Gimli di descrivere alcuni dettagli che non riusciva a capire.

«Molti di questi funzionerebbero» disse infine «Gimli, non voglio più sentirti insultare il tuo occhio: hai ovviamente preso qualcosa delle abilità di tua madre. L'oro è troppo morbido per essere battuto sottile come il terzo disegno e tenere la forma, ma il resto sono fattibili. E molti sono meravigliosi.»

Gimli sbuffò un poco sotto la barba, spostando il peso da un piede all'altro, compiaciuto e un po' imbarazzato dal complimento. «Ti ringrazio. Gli elementi Elfici non ti dispiacciono?»

«Li trovo piuttosto adatti» Thorin alzò lo sguardo, e rise alla faccia di Gimli «Ragazzo, portavo una spada Elfica, ricordi? Potrò aver portato avanti il feudo più feroce della Terra di Mezzo in vita, ma non mi ha mai impedito di apprezzare sia bellezza che abilità dove le ho trovate.»

«Suppongo sia vero»

«Ti serviranno strumenti da incisore per questo, con le foglie che si attorcigliano attorno ai diamanti» continuò Thorin «Non abbiamo stampi né matrici, e perciò fondere è fuori questione. Ma penso che potresti cavartela con l'incidere.»

Gimli deglutì ancora. «La tua fede in me è lusingante, Signore.»

«Se puoi usare il mio nome quando sei irritato con me, di certo puoi usarlo quando non lo sei?» disse Thorin dolcemente «Non è difficile da pronunciare.»

Gimli storse il naso, ma fece spallucce e disse: «va bene. Come vuoi allora, Thorin.»

«Allora possiamo iniziare. Per prima cosa ti serve oro di qualità inferiore, per fare pratica. Filo d'oro, perché proveremo anche qualche tentativo a decorare con il filo, per vedere se ti riesce. Piccoli scalpelli e lime, il più piccoli possibili. Se ne trovi qualcuno a punta, ancora meglio» iniziò Thorin, contando sulle dita mentre diceva le cose che Gimli avrebbe dovuto usare per fare il suo fermaglio da matrimonio.

«Aspetta, aspetta, me lo devo segnare, non sono un Elfo che si ricordi tutto in un colpo solo!» esclamò Gimli, tirando fuori una penna e girando il progetto rifiutato «Lime... scalpelli... contenitore di ceramica... Iorlas ha delle pinze, ma pensi sarebbero troppo grandi? E hai parlato di filo d'oro...»

Infine Gimli si segnò tutto ciò che Thorin voleva, e si sedette. «Ah, mi sembra di aver iniziato una nuova missione!» borbottò, strofinandosi le mani sulle cosce «Spero di avere gli stessi risultati in questa. Thorin, controlla la mia lista, per favore?»

Thorin guardò sopra la spalla di Gimli la sua (sorprendentemente ordinata) scrittura, lasciando gli occhi correre sulla lista. «Aye, mi sembra corretta» Poi delle parole in fondo alla pagine lo attirarono «E questi? Dei versi? For you are my guiding star / I will never fear tomorrow...»

Gimli squittì e prese il foglio rapido come un fulmine, nascondendolo contro il petto. «Non ho ancora finito!»

«Gimli, stai scrivendo una poesia per Legolas?» disse Thorin, piuttosto sorpreso. Anche se conosceva l'anima lirica ed eloquente di Gimli, non gli sembrava da lui comporre poesie d'amore.

«Una canzone» disse Gimli, nervosamente, ancora stringendosi il foglio al petto «Volevo fare qualcosa anche per le tradizioni, sai? Indosserà le mie trecce e i miei fermagli, com'è uso del nostro popolo, dunque volevo anche fare qualcosa che sia Elfico nell'anima. Ha detto che gli Elfi dei boschi sono più inclini al canto che ad ogni altra musica, ed è vero che le canzoni gli nascono spontanee.»

«Ciò è molto gentile» disse Thorin, e non menzionò le centinaia su centinaia di doni decorati di fiori che riempivano le sue stanze: attrezzi da giardino e pentole e persino un gran pentolone – tutti convenientemente a misura di Hobbit «Ricordo che hai scritto canzoni per lavorare in miniera, in gioventù. Come va?»

«Non altrettanto facilmente» Gimli sospirò «Una canzone per lavorare è una cosa: ti serve solo un buon ritmo per pestare i piedi, e un ritornello che sia divertente da urlare. Penso che la nostra storia sia... molto più grande di solo noi due.»

«Hai pensato a una musica?»

Gimli canticchiò una frase, dolce e avvolgente come i versi della musica Elfica, sicura e ritmica come le migliori canzoni Naniche. Tirò insistentemente i pensieri di Thorin. Lui si premette una mano al petto, contro il nuovo dolore.

«Ebbene, ci scambieremo idee mentre lavori, eh?» Thorin spinse via i ricordi di Bilbo che stavano alzando la testa rapidi e feroci. Il comporre di Gimli era ovviamente meglio del suo lavoro di fabbro, se solo un assaggio della sua musica poteva toccarlo tanto profondamente.

«Non riesco a credere che sto per essere un apprendista di nuovo» gemette Gimli «Ho quasi centoquaranta anni! Ho la mia capacità di minatore e ascolto della pietra, la mia maestria nelle armi!»

«Mai troppo tardi per iniziare, ragazzo mio» gli disse Thorin, e ignorò le lamentele che seguirono «E ciò che imparerai qui ti aiuterà a sistemare quei capelli Elfici dorati che ami tanto. Andiamo, il giorno sta passando! Né quel fermaglio né quella canzone si faranno da soli!»


«I suoi capelli... sono pettinati. Che facciamo ora?» disse Bomfrís, deglutendo.

«Ora chiudiamo la tomba» disse Barís, e strinse la mano di sua sorella «Ti senti bene?»

Bomfrís si toccò l'addome con dita caute, e fece una smorfia. «Aye, non è più tanto strano. Solo... fastidiosamente lì. Continuo a scordarmi e a sbattere contro le cose.»

«Non fare l'eroe» disse Gimrís «Se devi andare, vai.»

«Dimmelo, piccolo corvo» disse Alrís. Barur stava stringendo sua madre fra le grandi braccia robuste, il volto di lei premuto contro il suo petto. Accanto a loro era Bofur. Tenevano le loro schiene girate risolutamente.

«L'ho dovuto lasciare allora. Non lo lascerò ora» borbottò Bomfrís, e strinse la mascella «Va bene, chiudiamola.»

Barís strinse la mano di Bomfrís un'ultima volta. Poi si girò verso Gimrís, e insieme le due Nane sollevarono la lastra intagliata, e la sistemarono su ciò che restava di Bombur.

Le eco della pietra che chiudeva la tomba corsero stranamente per i sepolcri. Nessuno parlò per un lungo momento.

«È fatto, Mamma» disse Barur piano «Ora è in pace.»

«Non è stato così brutto» disse Bomfrís «I corvi dicono che è stato lasciato solo, e le nevi invernali, almeno...»

Bofur chiuse gli occhi, le labbra bianche. Alrís fece un suono di angoscia, e seppellì il volto nell'abbraccio di Barur. Barís sibilò a sua sorella un sta zitta! Bomfrís si fermò, la bocca aperta e gli occhi pieni di rimpianto.

«Ha i suoi gioielli migliori» disse Barís «Ha il suo bastone con sé. I suoi capelli sono in ordine, e la sua barba è pettinata nella treccia lunga, come gli piaceva.»

«Lui...» iniziò Bofur, ma abbassò il mento e non riuscì a finire.

«Ha indosso la sua giacca» disse Gimrís «Come sta la tua testa?»

Lui la scosse. «Fa male.»

«Allora vieni» disse lei, e andò da lui e gli prese il braccio «Ti rimetterò a posto, vecchio sciocco. Devono seppellire altri qua: possiamo ritornare più tardi.»

«Ho sentito che vogliono spostare il vecchio Dáin ad Est» disse Bofur, e sospirò «Tutti i miei amici se ne stanno andando.»

«Andiamo, Mamma» disse Bomfrís, prendendo il braccio di sua madre «Possiamo tornare domani sera con gli altri, ora che è sotto la pietra.»

Alrís annuì. Barur e Bomfrís la affiancarono mentre lentamente si allontanavano dalle tombe.

Barís sospirò, e si voltò di nuovo verso la bara di pietra. Il simbolo angolare che lui aveva indossato per tutta la vita vi era intagliato sopra, e il suo nome del cielo era scavato ai piedi. «Addio, Babbo» sussurrò lei.

Raccogliendo le gonne, si voltò per seguire la sua famiglia e la sua migliore amica via dalla sala.

Nell'oscurità dietro di lei, nascosta fra le grandi lastre delle nuove bare, qualcosa si mosse.


BLAM!

«Ah, forse ti servono colpi un po' meno potenti» disse Thorin, facendo una smorfia.

Gimli guardò il cerchio appiattito che era il suo primo tentativo, e fece spallucce. «Beh, è per questo che abbiamo tutto il metallo di pratica.»

«Ci vorrà più del previsto» borbottò Thorin.


«No, dovresti tenerlo nella canzone» disse Thorin a Gimli quattro giorni più tardi, mentre lui cautamente colpiva il piccolo rettangolo d'oro che aveva ricavato dalla sua vecchia pepita «Ci sta bene.»

«Ma non sembra un po'... forzato?» disse Gimli, e si raddrizzò e si asciugò la fronte «Tutto questo è dannatamente preciso. I miei muscoli si sono tutti tesi, ed è solo una piccola parte!»

«Stai usando solo un blocco a C per ora» disse Thorin irritato «Non hai idea di cosa sia preciso. E i versi sono perfetti. Lasciali.»

«Where you go there I will follow / for you are my guiding star» Gimli canticchiò la frase sottovoce, e fece una smorfia «Non so. Penso sia un po' troppo per i miei gusti. Soprattutto il riferimento alla stella.»

Thorin decise di non ascoltare i consigli amorosi di Gimli. Mai. «Quante volte hai giurato di seguirlo, Gimli?»

Gimli si mosse a disagio. «Un po'.»

Thorin sorrise.


«Che vuol dire non sei sicuro delle dimensioni delle sue dita?» abbaiò Thorin, il giorno dopo.

Gimli divenne rosso fuoco.

Oh Mahal. «Ripensandoci, non rispondere» Thorin si massaggiò la base del naso.

«Ebbene, ero un tantino occupato al momento!»

«Non desidero sapere altro, grazie mille» Thorin si fece forza «Bene. Dovrai prendere le misure prima o poi.»

«Non dorme con gli occhi chiusi» gli ricordò Gimli.

«Allora usa le tue come paragone. Gli tieni la mano abbastanza spesso» disse Thorin. Concentrandosi di nuovo sul piccolo cerchio d'oro che Gimli aveva così cautamente creato dalla sua vecchia pepita, disse irritato: «puoi almeno limare i bordi, anche se non puoi decidere le dimensioni, né metterlo insieme.»

«Ancora limare!» gemette Gimli «Non posso attraversare di nuovo i Sentieri dei Morti? Il mio gomito sta per cadere!»

«Questo è il lavoro del fabbro. Smettila di frignare, inùdoy, e muoviti»


«There's a light on the horizon...»

Due giorni dopo e l'anello stava prendendo forma. Gimli cantava piano fra sé e sé mentre colpiva cautamente con il piccolo martello coperto di feltro. «There's a ship upon the sea... Now the world is so much wider... for you wander it with – Dannazione!»

«Non fa rima» disse Thorin tranquillo «Cosa c'è ora?»

«Mi sono appena ricordato! L'incoronazione è fra una settimana, e non ho nulla da mettermi!» Spingendosi una mano fra i capelli rossi, Gimli guardò la tunica presa in prestito e troppo lunga, nera e argento come la maggior parte dei vestiti a Minas Tirith «Non posso mettermi abiti da Uomo, cosa direbbe Gimrís quando lo venisse a sapere?»

«Mh» Thorin si mise un dito sulle labbra «Non mi hai detto che Dori ti ha insegnato a cucire?»

«Aye, ma io non sono Dori» disse Gimli, frustrato «Posso aggiustare le mie cose. Fare qualcosa dal nulla ha bisogno di pensiero e tempo.»

«Hai un altro progetto allora, no?» Thorin si mise comodo «E hai la pessima abitudine di sottovalutare le tua abilità, mia stella. Farai un buon lavoro.»

«Conoscerò più mestieri di quanti capelli io abbia in testa, di questo passo» Gimli sospirò irritato «Non ho nemmeno iniziato a pensare a come sistemare i capelli della Dama. Va bene, visto che per il mattino abbiamo finito, andrò al mercato. Sono certo di aver visto del tessuto blu. Forse Ioreth delle Case di Guarigione può prestarmi i suoi aghi...»

«Indosserai i nostri colori?» Thorin era compiaciuto e sorpreso – anche se, pensandoci bene, forse non avrebbe dovuto esserlo. Aveva da tempo associato Gimli ai rosso ruggine dei Barbafiamma più che ai blu metallici dei Longobarbi. Eppure Gimli era di certo entrambi.

«Aye, Papà mi strapperebbe la barba altrimenti!» Gimli trasferì attentamente l'anello nel mandrino appuntito e appoggiò il martello di feltro «Mi serviva comunque una pausa.»

«Sei migliorato oltre misura, inùdoy» lo incoraggiò Thorin «Andrà bene. Un nuovo progetto ti riposerà la mente.»

Gimli rise. «Fosse Legolas qui, direbbe che è la frase più Nanica che abbia mai udito! Sta diventando sospettoso, si chiede dove io sia tutto il mattino. Mi ha chiesto dell'odore di fuoco e metallo su di me.»

«E tu cosa gli hai detto?»

«Oh, che ci sarà una sorpresa per lui» gli occhi di Gimli brillavano «Sta per esplodere: tutta quella curiosità Elfica! Ma non ha fatto pressioni per sapere altro, il che è una benedizione. Non ho il cuore di negargli qualcosa che lui mi chiede, quindi va molto meglio così!»

«Cosa fa per resistere alla curiosità mentre tu passi il mattino qui?»

«Oh, è fino ai gomiti nella terra, a cantare per l'Albero Bianco» Gimli sorrise «Quando non è là, gira per la città, incoraggiando le cose selvatiche a crescere e a cantare agli uccelli che tornano per la primavera. Ho cercato di aiutare, ma temo di essere un peso. Cosa ne so io di cose che crescono? Sono tornato alle nostre stanze quel giorno coperto di fango con le sue ammonizioni nelle orecchie. Ebbene, non è certo colpa mia se non so distinguere un fiore da un'erbaccia, no?»

«Forse un altro mestiere da imparare?»

«No, grazie» Gimli tirò su col naso «Sam e Legolas possono divertirsi loro!»


Tutta la Compagnia, eccetto Aragorn, era stata alloggiata insieme in una bella casa sul sesto livello. Non era del tutto sfuggita alla distruzione della città, ma aveva mura intatte e un tetto, e le sue finestre erano rivolte al sole nascente.

Una bella mattinata primaverile, una tromba d'argento risuonò dalla valle sotto Minas Tirith.

«Cosa diavolo succede ora?» disse Pipino, quasi facendo cadere il suo tè. Merry stava già saltando fuori dalla sedia in cerca della sua spada.

Gimli alzò lo sguardo dal suo piatto, le sopracciglia alzate. «Suona familiare.»

«Pace, Merry» disse Legolas, e c'era una luce di comprensione sul suo volto «Conosco quel suono. Abbiamo dei visitatori per l'incoronazione.»

«Chi sarà venuto fin qua, secondo voi?» si chiese Sam, e scodellò altre salsicce e uova nel piatto di Frodo. Frodo sembrava vagamente intimidito dalla torre di cibo impilata davanti a lui. Fíli e Thorin si scambiarono un'occhiata, e dietro di loro, Kíli ridacchiò.

«La stessa gente che è venuta l'ultima volta, senza dubbio» Gimli si spinse via dal tavolo, e si pulì le labbra col tovagliolo «Ebbene, faremo meglio a renderci presentabili, suppongo...»

Il sole era alto nel cielo quando Faramir incontrò Aragorn davanti alla Torre di Ecthelion nel Cortile della Fontana dinnanzi al popolo riunito di Gondor. Sembrava guarito, e c'era una gioia sorpresa nei suoi occhi che era nascosta a malapena. Si inginocchiò senza esitazioni quando Aragorn gli si avvicinò. Stringendo un bianco scettro d'occasione, disse: «l'Ultimo Sovrintendente chiede il permesso di lasciare il suo incarico.»

Aragorn osservò il giovane uomo per un momento, e poi chiuse la mano attorno allo scettro. Ma non lo prese. «Quell'incarico non è terminato» disse «È tuo, e sarà tuo e dei tuoi discendenti fino a quando durerà la mia stirpe. Fai ora il tuo dovere, Sovrintendente della Città Bianca!»

La bocca di Faramir si spalancò, e lui guardò Aragorn con meraviglia. Poi si alzò in piedi e gridò: «Mirate! Uomini di Gondor, è finalmente giunto colui che reclama il titolo di Re. Ecco Aragorn figlio di Arathorn, capo dei Dúnedain di Arnor, Capitano dell'Esercito dell'Ovest, portatore della Stella del Nord, possessore della Spada Forgiata a nuovo, vittorioso in battaglia, mani di guaritore, Gemma Elfica, Elessar della linea di Valandil, figlio d'Isildur, figlio di Elendil di Númenor. Volete che egli sia Re ed entri nella Città e vi dimori?»

Quando il ruggito scosse le fondamenta del Mindolluin stesso, Kíli alzò gli occhi al cielo. «Domanda idiota.»

«Se n'è dimenticato uno» aggiunse Fíli «Thorongil.»

«Aragorn ha decisamente troppi nomi» borbottò Kíli.

«Ha un aspetto migliore ora, non dite» disse Frerin, indicando Faramir «Sembra... più giovane. Meno perseguitato dalle sue perdite.»

Thorin tenne una mano sul collo di suo fratello per un momento. «Aye.»

Frerin strinse le labbra, pensieroso. «Anche terribilmente bello. Voglio dire, in modo ingiusto.»

Thorin sentì le sue sopracciglia che si alzavano, e controllò attentamente la sua espressione.

Quando l'urlo terminò, Frodo portò la corona a Gandalf, il quale la poggiò, luminosa e lampeggiante, sul capo di Aragorn.

«Vengono ora i giorni del Re» annunciò Gandalf, prima di abbassare la voce e parlare direttamente ad Aragorn come amico. C'era un tocco di Gandalf il Grigio nei suoi occhi, pieni di caldo orgoglio. «Che siano benedetti.»

Il Re fece un respiro profondo, raddrizzò le spalle, e si alzò e permise alla popolazione raccolta di guardarlo. Mentre le urla di gioia risuonavano nuovamente, Frerin mormorò: «ha mantenuto la sua promessa a Boromir.»

Il cuore di Thorin si strinse momentaneamente. Avrebbe voluto che Boromir avesse potuto vedere ciò, la sua amata città salva infine e che brillava della luce di libertà e nuovi domani. «L'ha fatto.»

«Gimli sta bene» aggiunse Fíli criticamente «Si è persino pettinato i capelli.»

«Chissà dove ha preso la tunica blu Durin» disse Kíli.

«L'ha fatta lui» rispose distrattamente Thorin «Il tessuto è degli Uomini. Lui ha detto che gli serviva una pausa dai metalli e dal fumo e dai martelli troppo piccoli, e quindi ha ripreso il suo ago nelle pause.»

«Interessante» disse Frerin, prima di guardare Thorin «Ed è questo che l'hai aiutato a fare quando vieni qui ogni mattina?»

«È una sorpresa» disse Thorin in tono di superiorità «ed è di Gimli. Io non dirò nulla.»

«Odio i segreti» borbottò Kíli.

«Divertente, perché tu ne avevi uno» rispose immediatamente Frerin. Kíli storse il naso.

«Odio i segreti di cui non faccio parte» corresse.

«Ed ecco un altro» disse Fíli, bloccando il litigio «Dev'essere stato quello il trambusto di stamattina.»

«Sapevo di riconoscerlo!» esclamò Frerin, mentre le alte figure sottili degli Elfi si avvicinavano, il loro stendardo alto davanti a loro. Elrond era lì, e Galadriel, Celeborn e un Elfo torreggiante con capelli gialli come il sole. «Era un corno Elfico!»

E poi lo stendardo fu spostato di lato, e la sua portatrice si rivelò essere Arwen. I suoi capelli scuri erano legati in un intreccio di catene argentee, e il dolore e l'oscurità erano svaniti dai suoi occhi.

«Guardate la faccia di Aragorn» sussurrò Kíli, e se c'era un piccola nota d'invidia nella sua voce, Thorin non poteva biasimarlo.

Thorin trovò molto più istruttivo guardare Elrond. Il Signore di Granburrone sembrava lacerato fra una totale gioia e un terribile dolore, e il suo sorriso tremava mentre sua figlia correva fra le braccia dell'uomo che amava.

«Vedo la tua espressione, Thorin Scudodiquercia, e la tua pietà di fa credito» mormorò Gandalf, osservando il Re che toccava il volto di Arwen con dita dolci «Se raccontassi la storia di tutto ciò che Lord Elrond ha perduto, allora l'aria stessa piangerebbe. Egli non è abituato alla gioia senza dolore. Ma cercherà lo stesso la gioia.»

«Non sapevo» ammise Thorin. Sembrava fosse passato molto tempo da quando era stato nell'aria pesante di Granburrone, fumando silenziosamente nei vecchi risentimenti mentre Elrond dirigeva il Consiglio.

«No» disse Gandalf, i suoi occhi dolci «Ma ora ti chiedi.»

«Oh guardate!» disse Frerin, e strinse il braccio di Fíli «Guardate, eccola!»

Thorin si voltò per vedere Éowyn, il suo volto libero da ombra, in piedi orgogliosa accanto a Faramir. Lui guardò rapidamente suo fratello, ma il volto di Frerin era completamente rapito. La sua labbra erano aperte, e i suoi occhi stavano brillando.

«Già una era abbastanza» stava dicendo, mordendosi il labbro. C'era un leggero rossore sui suoi zigomi. «Ma entrambi...?»

Fíli lanciò a Thorin un'occhiata sofferente e tentò di levarsi Frerin dal braccio. «Zietto, sei peggio di un magnete. Mollami, ora!»

«Ma sono così belli assieme» gemette Frerin «E così bravi e coraggiosi...!»

«Urgh»

Mentre il Re e la sua futura Regina iniziavano la loro processione fra il loro popolo, Gimli si fece rapidamente avanti verso gli Elfi. «Mia dama» disse, il suo cuore nella sua voce, e si inchinò «Mio Sire.»

«Portatore della Ciocca, vedo che la tua ascia ha trovato il giusto albero» disse Galadriel, e si chinò e gli prese le mani, facendolo alzare «Mi rallegra il cuore vederti in salute.»

«Ed il mio è pieno per la vostra vista» disse lui, semplice ed elegante.

Celeborn sorrise quel suo sorriso piccolo e inscrutabile. «Ha quell'effetto.»

Gimli rise. «Aye, è vero. E i miei saluti a voi, Lord Elrond» disse, con un inchino cortese «Spero il vostro viaggio non vi abbia portato per strade oscure quanto quella che abbiamo camminato noi!»

«No, non così oscure, anche se di certo sono stato testato» disse Elrond, e chinò la testa, studiando Gimli «Ti ha protetto dalla verità?»

Gimli aggrottò le sopracciglia, e poi Thorin ricordò lo strano avvertimento che Elrond aveva dato nella tenda di Théoden prima della lunga marcia per i Sentieri dei Morti. «No» disse lentamente «Ma del resto, trovo che poco protegga dalla verità. Né asce né armatura né orgoglio può pararla per sempre.»

«Ed anche ciò è la verità» disse Galadriel «Ben detto, mio campione.»

Elrond annuì, e il suo sguardo si fermò su sua figlia e Aragorn. «Invero.»

«Amici miei, abbiamo visto la luce trionfare infine» disse Gandalf, ed aprì le braccia e lui e Galadriel si abbracciarono con calore. Poi lei gli baciò la guancia, mentre Celeborn gli prendeva la mano.

«Ti temevamo perduto» disse.

«Sono più difficile da perdere di quanto non vi aspettereste» mormorò Gandalf, e fece l'occhiolino a Thorin.

«Temo noi non ci siamo presentati» disse Gimli, girandosi all'alto Signore dai capelli dorati e facendo un breve inchino «Gimli, figlio di Glóin, di Erebor. Al vostro servizio.»

«Glorfiendel della casa del Fiore Dorato» disse lui «Al mio servizio, eh? Allora sapresti dirmi dove uno può trovare da bere da queste parti? Voglio lavarmi la polvere del viaggio dalla bocca!»

Gimli lo fissò per un momento, e poi la sua bocca si aprì in un enorme ghigno. «Penso che andremo molto d'accordo» disse «Aspetta un momento, so dov'è la birra – e altrimenti, di certo lo sa Pipino!»

«Potrebbe non avere un finale dignitoso» disse Gandalf, osservando Gimli che si inchinava di nuovo prima di correre via.

«Glorfiendel?» domandò Thorin «Mi suona familiare.»

«Dovrebbe» disse Gandalf, e salutò con la mano oltre il campo affollato verso Faramir ed Éowyn «Non sono molti coloro che possono dire di aver ucciso un Balrog, dopotutto.»

«Balakhûnel» sussurrò Fíli, meravigliato.

«A parte me, naturalmente» aggiunse Gandalf con un piccolo sorriso modesto.

Thorin non poteva vedere sopra le teste di tutti gli Uomini ed Elfi nella corte della torre. Ma riuscì ad udire la voce squillante di Pipino e il basso rombo di Gimli fra i sussurri, trasportati dalla dolce brezza mattutina: «Pipino, ragazzo mio! Sai dirmi dove sono i barili di birra?»

«Oh, certo!» fu la risposta allegra di Pipino «E dato che stai andando, potresti prenderne una anche a me?»

«Di già, meleth nín?» rise Legolas.

«Non per me, amore – ah, diciamo, non solo per me? C'è una richiesta da uno dei nostri nuovi ospiti, vedi. Un po' di polvere della strada in gola»

«Non dirmi che la dama beve birra?» Sam suonava un poco stupefatto.

«Non ne ho idea, ma non mi sorprenderebbe se lo facesse!» disse Gimli «No, il tipo alto e dorato di Granburrone, vorrebbe una birra. E dovremmo brindare al nostro amico e la sua futura moglie! Porta sfortuna altrimenti. Tradizione Nanica.»

«Lo è davvero?» disse Legolas, scetticamente «Penso te la sia inventata.»

«Tremenda sfortuna. E siccome hai detto ciò, devi berne due» gli disse Gimli, con finta serietà. La risata allegra di Legolas risuonò, e poi ci fu il suono di un rapido bacio. «Ora, Pipino, dove?»

«Nella grande Sala della Cittadella» disse Pipino «Te lo assicuro, è una vista molto più invitante tutta piena di tavoli e barili di quanto non lo era quando arrivai per la prima volta!»

«Stai sorridendo» disse Gandalf, piano.

«C'è molto di cui essere felici, oggi» disse Thorin, e mise un braccio attorno alle spalle di Fíli, colpendogli la tempia con la propria fronte «Oggi è un buon giorno.»

«Sembrano poco più che bambini!» giunse un sussurro, seguito dalla voce inconfondibile di Ioreth.

«No, cugina, non sono bambini. Sono dei Perian, della lontana terra dei Mezzuomini, e dicono che siano principi di grande fama. Io so tutto, perché ne avevo uno da curare nelle Case. Sono piccoli ma valorosi. Pensa, cugina, che uno di essi è andato nella Terra Nera solo con il suo scudiero, ed ha combattuto contro l'Oscuro Signore appiccando fuoco alla sua Torre. O almeno queste sono le voci che corrono in Città. Sarà quello che cammina insieme con la nostra Gemma Elfica. Pare che siano cari amici. E il Sire Gemma Elfica è davvero una meraviglia: certo, piuttosto duro quando parla, ma come diciamo noi ha un cuore d'oro, e mani che sanno guarire. “Le mani di un Re sono mani di guaritore”, dissi, e fu così che si scoprì tutto. E Mithrandir mi disse: “Ioreth, la gente ricorderà a lungo le tue parole”, e...»

Fu interrotta dal ritorno di Gimli, che stava portando due boccali. Legolas era dietro di lui, tenendo un vassoio di bicchieri di vino. «Ecco, amico!» disse Gimli «La tua birra! Che ti lavi via le miglia!»

«I miei ringraziamenti, signore barbuto!» disse Glorfindel, e la prese dal Nano e ne bevve metà in un solo sorso «C'è un distillatore da queste parte che conosce bene il suo mestiere» disse, alzandola e guardandola con apprezzamento.

«Manthêl!» disse Gimli, e bevve un sorso a sua volta.

«Temo non sia Dorwinion» aggiunse Legolas, offrendo il suo vassoio con un piccolo ghigno «Ma è lo stesso una buona annata, anche se forse non al livello delle birre da queste parti.»

«La bevanda preferita di tuo padre è ben conosciuta» disse Celeborn con un sorriso «Salute, Cugino. Mae g'ovannen. Il tuo viaggio è stato lungo, ed è giunto a un trionfo strano e insolito.»

Êl síla erin lû e-govaned 'wîn» rispose Legolas, mentre gli Elfi lasciavano rapidamente vuoto il suo vassoio «Sono giunto su un sentiero più strano di quanto avessi mai potuto sognare, ma la mia ricompensa è oltre ogni prezzo.»

Gli occhi acuti di Galadriel lo fissarono. «L'acqua si agita nel tuo sangue» disse «Hai udito il richiamo dei gabbiani. Temevo sarebbe accaduto.»

«Ah, non prenderà il volo per un bel po', non se ho il potere di evitarlo» ringhiò Gimli.

«Con i poteri che possiedi, posso difficilmente immaginare di lasciarti solo per mezza giornata» lo prese in giro Legolas. La sua mano si poggiò sulla spalla di Gimli e la accarezzò, a suo agio e affettuoso «Nano misterioso! Non mi dirai cosa stai pianificando?»

«Sono invero una persona molto misteriosa e piena di segreti, dovresti saperlo ormai» disse Gimli, stringendo la mano di Legolas. Kíli e Fíli sbuffarono all'unisono.

«Oh, se Balin e Óin ti avessero sentito dirlo» disse Kíli, reprimendo un ghigno.

Elrond e Galadriel si bloccarono, e poi incrociarono gli occhi di Gandalf. Lo Stregone annuì, talmente poco da essere a malapena percettibile.

«Strano e insolito decisamente» disse Elrond lentamente.

Gimli si fermò, il boccale a metà strada verso le sue labbra. I suoi occhi scuri si alzarono per guardare gli Elfi attorno a lui. «E il pensiero non vi dispiace?»

«Aaaah!» disse Glorfindel, spingendo via il proprio boccale con un sospiro «Questa birra è finita troppo in fretta! Amico Nano, dove hai detto che sono i barili? Devo andare a trovarne altra!»

Elrond lanciò a Glorfindel uno sguardo di a malapena contenuta esasperazione. «Cosa?» disse il Signore dorato, per nulla preoccupato dell'aver interrotto «Ho sete, e scommetto che anche lui lo è. I Nani amano la birra. Vero, no?» la domanda era a Gimli, ma non aspettò che lui rispondesse prima di fare spallucce a Elrond «Vedi?»

«La apprezzo» disse Gimli, rigido «Sono appena dentro la cittadella.»

«Ah, bene, bene» Glorfindel iniziò ad allontanarsi, le sue lunghe gambe e notevole altezza lo rendeva simile a una lancia di luminosa luce dorata. I suoi capelli lampeggiarono al sole mattiniero quando aggiunse: «e congratulazioni a voi due. Elrond, non essere spinoso, sii simpatico con loro.»

E detto ciò, se ne andò.

«Decisamente non non avrà un finale dignitoso» disse Gandalf, mentre Kíli boccheggiava come un pesce.

«Dov'era lui quando eravamo a Granburrone!?»

Legolas alzò il mento e incrociò lo sguardo di Celeborn. La sua mano si strinse sulla spalla di Gimli. «L'abbiamo detto alla nostra gente, e non approvano» disse, il volto pieno di sfida.

«Io sì» disse Galadriel, e si chinò e baciò entrambe le loro fronti, Gimli e poi Legolas «Questo è davvero un giorno gioioso, le speranze che io vidi tempo fa si sono tutte davvero realizzate.»

Gimli alzò una mano per toccarsi la fronte, prima di dire: «avevate visto?»

«Non prevedo tutto» disse lei, e sorrise «Ma abbastanza. Vidi un sentiero che avrebbe potuto essere preso, se voi fosse state abbastanza coraggiosi da smantellare le mura di odio che sono torreggiate per secoli.»

«Mh, me l'ero chiesto» disse Gimli, sorridendo.

«Anche io» disse Legolas, anche se lanciava sguardi sospettosi al suo parente. Celeborn era silenzioso e il suo volto era serio.

«E la speranza non è stata delusa» disse Galadriel «E dunque vi chiedo ora, in allegria e pace! Gimli Glóinul, le tue mani sono colme d'oro, non è così?»

«Aye, lo sono» Gimli guardò Legolas, e il suo sorriso si addolcì «Nessun Nano fu mai più ricco.»

«E Legolas Thranduilion, hai trovato il tuo posto, anche se era nel luogo meno aspettato, non è così?»

«Finché il suo cuore batterà, lo avrò in esso» disse Legolas, alzando il mento. Poi guardò direttamente Celeborn. «Cugino, non mi rassicurerai? Pensi forse come mio padre?»

Celeborn esitò, e poi chinò la testa. «Non ho scordato il mio saluto ben poco educato a te, Mastro Gimli» disse «Mi vergogno nel ricordarlo. Perché hai portato una grande gioia al mio parente.»

Gimli parve piuttosto sorpreso nel sentirsi parlare così. «È dimenticato» disse deciso «Davvero, mio Sire. È dimenticato. Sarei il più grande degli ipocriti se usassi le vostre parole contro di voi, quando io stesso dissi e pensai di molto peggio di voi e dei vostri. Non pensatevi più! Ricominciamo nuovamente.»

«Grazie, Mastro Gimli» disse Celeborn, e si schiarì la gola e si premette una mano sul cuore, voltandosi verso Legolas e guardandolo negli occhi «E le mie congratulazioni. Avrete sempre un amico nel Bosco Dorato, entrambi voi.»

«Quando la Compagnia partì dai miei cancelli, non immaginavo che ciò sarebbe stato uno dei suoi frutti» disse Elrond «Avrete sempre un posto nelle mie sale, se vi servirà.»

«Eccovi!» Glorfindel era tornato, e porse un boccale a Gimli «Sembra ti serva! Si comportando di nuovo in modo terribilmente solenne ed enigmatico e portentoso? Gli piace farlo.»

Celeborn lanciò all'altro Elfo una lunga occhiata piatta.

«Mi piace lui» disse Kíli, ghignando.

«Vi ringrazio» disse Gimli, e intrecciò cautamente le sue dita con quelle di Legolas «Vi ringrazio tutti» aggiunse, i suoi occhi che si alzavano verso Celeborn.

Legolas sembrava troppo sopraffatto per parlare, e strinse la mano di Gimli e bevve un lungo sorso del suo vino.

«Io vado a incontrare quei Periannath, sembrano divertenti» annunciò Glorfindel, e se ne andò. La sua testa luminosa risaltava ovunque, torreggiando almeno un piede sopra a quelle di ogni altro Uomo ed Elfo.

«Vi dispiace se noi-» iniziò Legolas, ma non terminò. Invece, trascinò Gimli via dagli Elfi, attraverso la folla e verso il lato della Cittadella nascondendoli dietro un muro e lontano dalla vista. Thorin fece fatica a seguirli, anche con i piedi rapidi di Frerin che lo guidavano. Girò un angolo per trovare Legolas che si appoggiava contro la testa di Gimli, i suoi occhi chiusi, respirando pesantemente.

«Ghivashelê» mormorò Gimli.

«Scusami, meleth nín» disse Legolas piano «Ero pronto a lottare, e scoprire di non averne motivo mi ha lasciato confuso per un momento. Lasciami rimanere con te, lontano dai loro occhi.»

«Hanno buone intenzioni, e avere un tale nobile supporto è una benedizione» disse Gimli, e baciò il lato affilato della mascella di Legolas «Ma non è questo che ti ha davvero innervosito, non è così?»

Il sorriso di Legolas era amaro. «Sei attento.»

«Ti conosco» rispose Gimli «Avanti, amato. Dimmelo, prima che ti avveleni la giornata.»

Legolas rimase fermo come la pietra, e poi scoppiò in rapide parole e confusi movimenti delle mani. «Siamo una novità!» gridò «Siamo una novità ed una curiosità, ci guardando come fossimo uno spettacolo in una gabbia! Mi aspettavo quasi che mio cugino facesse delle smorfie, o mi lanciasse cibo per guardarmi fare un numero e pregare la sua approvazione! Gimli, sono furioso.»

«Shh, non era questa l'intenzione!» Gimli afferrò i polsi di Legolas, e si portò vicine la sua mano per darvi un bacio ispido «Celeborn non desiderava offendere. Non hai udito le sue scuse con me per le sue parole a Lothlórien? No, era imbarazzato e insicuro: non intendeva che tu chiedessi la sua approvazione. Siamo qualcosa di nuovo, Legolas. Siamo una sorpresa anche per i saggi! Persino la Dama, persino Lord Elrond, con la sua preveggenza e la sua vista non ci ha potuti predire! Si abitueranno col tempo. Ma amore-» e Gimli si portò le mani di Legolas sul cuore «-noi dobbiamo abituarci ad essere nuovi. Non fosti tu a dirmi di pensare gentilmente alla gente di Minas Tirith, anche se mi guardava con aperta meraviglia? Ci saranno coloro che fissano, che reagiscono male, che dicono cose sciocche che non intendono. Così vanno le cose, per quanto tristi. Non abbiamo noi detto cose simili o peggiori l'uno all'altro? E sono passate e perdonate. Su, possiamo fare lo stesso per loro. Perdonare loro un po' di sorpresa, Legolas. Abbiamo il loro supporto e la loro approvazione, e quelli sono molti più importanti.»

«Non mi sento in vena di perdonare» borbottò Legolas, e seppellì il volto nella nube dei capelli di Gimli, lisci e ordinati per una volta.

Gimli rise, dolce e affettuoso. «Il mio feroce Elfo.»

«Va bene» disse Legolas, indistintamente «Tornerò. Ma cerchiamo Aragorn e Faramir. Ne ho abbastanza di essere nuovo.»

«Spero sinceramente che non ti dispiaccia essere guardato ancora un po'» disse Gimli, toccando il fine cerchio d'argento sulla bella testa di Legolas «Sei bellissimo, âzyungelê

«Anche tu» disse Legolas dolcemente «Mi piace questo colore su di te, figlio di Durin.»

«Impari bene i nostri modi; li farai impazzire e rimanere senza parole» disse Gimli, e lo baciò «Andiamo, cerchiamo occhi migliori! Ho sentito che Éomer ha portato delle birre da Edoras – vorresti ritentare la nostra competizione?»

«Ti piace molto perdere, meleth nín?»

«Quarantadue, Legolas»

«Mi ricorderai quella particolare vittoria finché potrai, vero?»

«Non hai imparato nulla della testardaggine dei Nani?»


«Sono occupata!»

«Ha una natura gentile? Sa usare un arco? Sa cantare?» domandò Laindawar, seguendo Gimrís per i corridoi. Lei stava tenendo un cesto di bottiglie appoggiato contro il fianco, e un'espressione feroce sul bel volto.

«Vattene, Elfo fastidioso! Non vedi che sto lavorando?»

Laindawar la ignorò e continuò a marciare dietro di lei come se stesse andando in battaglia. Il suo volto, come sempre, era serio e cupo. «Ma sa ballare? Ama le stelle? Andrà a caccia con mio fratello? È un bravo guerriero?»

«Un'altra parola e i miei coltelli usciranno dal loro fodero!»

«È irritabile e caustico come te?»

«Ne ho avuto ABBASTANZA!»


Nei giorni che seguirono l'incoronazione, la prima priorità di Aragorn furono i rifugiati e gli ex-servitori della Terra Oscura. Sia gli schiavi liberati dall'esercito oscuro, che molti dei soldati, non avevano alcun luogo dove andare. Le negoziazioni erano lente, e piene di confusioni. Il campo e le tende ospedaliere intorno alla città rimasero, innervosendo molta della popolazione di Minas Tirith.

Infine, Aragorn andò alla casa sul Sesto Livello. Imrahil era con lui, e il Signore dei Cigni sembrava in disaccordo con Aragorn su una questione. Il suo volto era irritato mentre salutava.

«Amici miei» disse Aragorn, e fece un gesto a Sam quando lo Hobbit fece per inginocchiarsi «Oh no, Sam, non osare inginocchiarti a me! Vengo per chiedervi un favore. Siamo a corto di traduttori.»

«Faremo il possibile, Aragorn, anche se non so quanto potremo aiutare» disse Frodo incerto «Io parlo bene il Sindarin, ma il mio Quenya...»

«No, molti fra noi parlano Elfico, e non riescono a mettersi d'accordo con i Sudroni in ogni caso» Aragorn sorrise e si sedette alla loro tavola, tirandosi su le belle maniche «Ti ringrazio per la gentilezza, Frodo. Ma hai già dato più di quanto io non potrò mai ripagare, non accetterò altro da te. No, vengo a chiedere questo favore a Gimli.»

«Me!» Gimli lanciò uno sguardo a Legolas «Va bene, ragazzo, ma non parlo Sudrone più di quanto non sappia parlare con i cavalli!»

«Gimli, non ho diffuso la conoscenza della tua lingua segreta» disse Aragorn, abbassando la voce «Ho ragione nel credere che sia parlata da tutti i Nani in tutto il mondo?»

Gimli si bloccò.

In un angolo, Óin, Hrera e Thorin si irrigidirono tutti all'unisono. «Balin andrà fuori di senno» gemette Óin.

«Attento, mia stella» disse Thorin, piano «C'è molto che sarà perdonato quando si tratta del tuo Uno. Ma segreti al nemico, è un sentiero molto più pericoloso.»

«Se erro, per favore perdonami, amico mio» lo pregò Aragorn «Ma non abbiamo altre opzioni. Molti dei Sudroni non si fidano nemmeno per lasciarsi guarire. Se parlano la nostra lingua, non lo danno a sapere. È l'unica soluzione che ho trovato.»

«E pensi che conosceranno la lingua dei nostri antenati?» chiese Gimli, la voce molto calma.

«Non gli Uomini, no» Aragorn picchettò le dita contro il tavolo, nervoso «Ci sono Nani fra loro.»

Gli occhi di Gimli divennero enormi e tondi. «Davvero? Nani degli Orocarni, qui?»

«Sono venuti con l'esercito» confermò Imrahil «Non molti: forse due dozzine. Se ne stanno in disparte. Ma parlano la lingua dei Sudroni...»

«E pensate che potrei parlare loro in Khuzdul, e loro a loro volta agli Uomini?» Gimli si sistemò sulla sedia, e si accarezzò la barba «È vero che è la lingua che il nostro Creatore ci donò. Cosa non ci stai dicendo, ragazzo? Perché venire da me?»

Aragorn sospirò. «Sapete che questo regno fu creato dal mio antenato Elendil il fedele, che sfuggiva alla corruzione e distruzione di Númenor e dei suoi imperatori folli» fece una pausa, come se si stesse facendo forza per ciò che stava per dire «Ma ciò che non spesso è stato ricordato è che per i lunghi secoli prima del cataclisma, gli orgogliosi Re di quell'infelice isola avevano tormentato e dominato gli Uomini meridionali della Terra di Mezzo. Anche se iniziarono con prime proposte di amicizia, quando la corruzione dell'Isola Benedetta si diffuse, loro divennero freddi e crudeli. Formarono colonie dove loro era signori e schiavizzarono la popolazione. Dominarono il Sud, chiesero tributi, e portarono a molti popoli l'adorazione di Melkor. Per Umbar, Harad e Khand, Númenor non è un nome riverito.»

Gimli era silenzioso, in pensiero.

«I corsari di Umbar hanno saccheggiato Gondor per secoli, e in cambio noi li abbiamo schiacciati più e più volte. Io stesso guidai una truppa a Umbar, per fermare i loro attacchi» disse Aragorn, e chiuse gli occhi, in ricordo e in rimpianto «Anni fa, quando ero Thorongil. Bruciai la loro città e uccisi io stesso il Capitano del Porto.»

«In altre parole, la relazione è un disastro» disse Gimli diretto.

«A dire poco» disse Imrahil «Non accetteranno le promesse di pace, e non comprendono il nostro aiuto. Sono sospettosi e aggressivi.»

«E tu non lo saresti, al loro posto?» disse Aragorn, gli occhi accesi. Sembrava essere una lite ripetuta molte volte.

«Sono venuti a ucciderci!» ringhiò Imrahil, ma suonava stanco e frustrato.

«E ne abbiamo avuto abbastanza. Aragorn ha ragione, dovremmo tentare un nuovo approccio» Gimli si alzò «Legolas, apprezzerei la tua compagnia.»

«Non si fidano degli Elfi» disse Aragorn, pesantemente.

«Gandalf allora?» Gimli si voltò verso lo Stregone, che alzò le mani.

«Ho tentato» disse «Ricordano mio fratello e mia sorella, gli Stregoni Blu, anche se non ricordano quale fu la loro fine. Ho una qualche influenza. Ma non abbastanza per disperdere secoli di lotte.»

«Mh. Un bel problema nel quale mi stai tirando in mezzo, Aragorn!» Gimli abbassò la voce «Come se non ne avessi già abbastanza.»

Hrera si morse un dito. «Troppo tempo è passato da quando avevamo buone relazioni con il Sud» disse «Thorin caro, dovrebbe andare. Almeno un tentativo.»

Óin agitò una mano irritato. «Oh, perché protestare? Lo farebbe lo stesso.»

Il labbro di Gimli tremò. «Aye, vale la pena di fare un tentativo, ed io ho una certa esperienza nel superare secoli di sfiducia. Molto bene, guidatemi. Sarei felice di vedere un volto Nanico, è passato molto tempo.»

«Sii attento» gli urlò Legolas.

«Sei sicuro?» sibilò Thorin, dietro la sua stella. Gimli non parlò, ma annuì una volta in risposta.

«Il tuo ragazzo ha un certo senso per la politica, vedo» disse Hrera, raccogliendo le gonne e correndogli dietro «Questa è un'opportunità che non possiamo sprecare.»

Thorin la guardò. «Sospetto che ti abbia sentito, Nonna, che lo incitavi.»

Lei schioccò la lingua. «Oh. Ebbene suppongo sarebbe stato troppo da aspettarsi da un Longobarbo dopotutto. Forse ci servirà l'esperienza di Balin qui, che dici?»

«No, Mahal no, non riuscirei a sopportarlo» disse Óin.

«Lo scoprirà prima o poi» disse Thorin «Lui è il mio siniscalco; tutte le informazioni passano da lui.»

«Non parlare di cose spiacevoli» ringhiò Óin, e si affrettò.

Gimli seguì Aragorn e Imrahil fuori dalla Città e verso l'accampamento all'ombra del picco. Là, la tenda gli fu indicata, e lui la osservò con volto solenne prima di voltarsi indietro. «Lasciatemelo fare da solo» disse, completamente serio «Ho permesso molto, Aragorn, e ho mi sono lasciato sfuggire anche di più, di quanto non avrei dovuto. Ma loro non permetteranno queste libertà, e io non getterò via quella poca fiducia che mi daranno. Dunque sarò un Nano solo fra Nani, e nessun Uomo potrà sentire o parlare.»

Imrahil sembrava pronto a discutere, ma Aragorn strinse la mano di Gimli. «Grazie, amico mio.»

«Non ringraziarmi ancora, ragazzo, devo ancora farmeli buoni – e conosci la mia poca pazienza!» E con ciò, Gimli raddrizzò le spalle e andò verso la tenda.

Avvicinandosi, udì un sibilo di stupore. Poi una voce esclamò: «Ra ku' zu?»

«Akhrâmê Gimli Glóinul, zai adshânzi» rispose Gimli, e si inchinò davanti alla tenda chiusa.

«Zusul astû?»

«Kun»

«Du birâjzur aidâg udu targkhi! Asakhi nu' Labamzarszudnu atun»

«Aye» Gimli fece segni tranquillizzanti verso Aragorn e Imrahil «Buhamê. Ma binibrêtizd.»

Una breve pausa seguì, e poi il Nano dentro chiese: «Urstag?»

Gimli annuì. «Ra Sigirntag»

«Mh» Ci furono dei sussurri, e poi una Nana uscì dalla tenda, tenendo aperta l'entrata. Aveva la pelle scura, i gioielli dorati scintillavano pieni di turchesi e lapislazzuli, e i suoi capelli erano avvolti in una sciarpa dai molti colori. «Idmi, Gimli Glóinul. Akhrâmê Kara Korinul, khuzdu Naragzant.»

«Bakn galikh, Kara Korinul» disse Gimli educatamente «Io entro» disse ad Aragorn e Imrahil «State lì, NON mi seguite. Capito?»

Aragorn annuì, anche se Imrahil parve impaziente. «Vai allora, e dimmi cosa posso fare per sistemare tutto» disse Aragorn.

«Al momento, puoi stare dove sei» disse Gimli, e andò alla tenda per inchinarsi a Kara «Zabirasakhjami?»

«Idrinat» disse Kara, e i suoi occhi andarono da Gimli agli Uomini con aperta antipatia. Gimli chinò la testa, ed entrò nella tenda.

Dentro, era un altro Nanum. Aveva chiaramente una terribile ferita al braccio, e Gimli si inginocchiò immediatamente al suo fianco. «Mukhuh e?»

Lum Nanum più vecchium lo fissò con espressione testarda, prima di alzare il braccio. Gimli lo toccò cautamente una volta, e annuì notando l'ottima chirurgia di campo che era andata nel sistemare l'osso. Ma in ogni caso, non stava guarendo bene. Allum Nanum sarebbero servite le erbe di Aragorn. «Shamukh, ra galikh ai-mâ.»

«Ra ku' 'ala, Kara?» esclamò lum Nanum irritatum. Indossava anche una sciarpa attorno alla testa, decorata in blu e arancio, e una catenella d'argento andava dall'anello al suo naso al suo orecchio.

«Gimli Glóinul. Ustarg ra Sigintarg, zelûmu» disse Kara.

«Fahmûnu» corresse Gimli educatamente «Azsâlul'abadaya.»

«Ah» lum vecchium Nanum si rassicurò leggermente «Dáin, zirinhanâdaya khuzd bahir

«Astûglabu asjârlagb?»

«Poco» disse lum vecchium Nanum, sospettosamente «Kara più di me.»

Gimli ebbe il buon senso di non chiedere da dove venissero le loro conoscenze di Ovestron. «Il tuo nome, onoratum Nanum?» chiese.

«Ashkar, figlium di Ahrudu» disse lum vecchium Nanum «Gli altri mi fanno parlare, perché sono il più anzianum. Cosa porta un Nano del Nord qua in questo posto maledetto?»

Gimli sorrise. «Ero parte della compagnia messa insieme per distruggere l'Anello di Sauron.»

Sia Ashkar che Kara lo fissarono a bocca aperta.

«Siamo riusciti» aggiunse Gimli «La Terra Nera non è più una minaccia. Sauron è morto. Potresti muovere il braccio? Il mio amico conosce le arti della guarigione, potrebbe guarire in fretta questa infezione...»

«Abbiamo le nostre arti. Il tuo amico è un Uomo di Gondor?»

«Aye» Gimli fece una smorfia «Lui... ecco, è il Re di Gondor, a dire il vero.»

«Allora non voglio vederlo» ringhiò Ashkar.

«Ascoltami» disse Gimli, e si sedette sui talloni «Hanno davvero delle buone intenzioni: non sarei qui altrimenti. Per Mahal che mi guida e mi chiama, lo giuro! Vi è stato dato cibo?»

«Sì, e questa tenda, e acqua» Kara guardò storto Ashkar «Alcuni di noi non si fidavano nemmeno di quello.»

«Ne ho avuto abbastanza di promesse dolci da Uomini che tengono coltelli dietro la schiena» esclamò Ashkar «Quando avrai la mia età, giovane, lo capirai!»

«Me ne parleresti?» gli chiese Gimli «Giuro sul nome di Durin, lo giuro su lui che vivrà di nuovo, non ho coltelli dietro la mia schiena.»

Thorin ascoltò meravigliato un'altra storia di guerra che si apriva davanti a lui, correndo parallela lla loro. I Nani dell'Est avevano sempre riverito Mahal sopra ogni altro, rinunciando al Culto di Melkor che troppo spesso era circolato fra le popolazioni degli Uomini. Gli Orocarni erano prosperi e ricchi oltre ogni immaginazione, un centro di scambio con vie che andavano dalle giungle del Lontano Harad fino ai Colli Ferrosi.

Mentre Sauron dormiva, il Culto era rimasto nell'ombra. Le leggi si allontanarono sempre più dall'influenza di Sauron, e più libertà furono godute dai popoli del Sud.

Poi, ottant'anni prima, il Culto era riapparso. Gimli grugnì, e disse: «dunque è là che andò il suo spirito dopo che fu scacciato da Dôl Guldur, prima che si dichiarasse a Mordor; un mistero risolto, sembra.»

Ma i quattro clan di Nani si tennero da parte, sfuggendo a Sauron e all'adorazione di Morgoth, e rimanendo nelle loro enormi fortezze negli Orocarni. I Nerachiave, però, avevano mantenuto i loro contatti con i grandi porti di Umbar e il grande mercato di spezie al porto di Bozisha Dar, nell'Harad.

I Nerachiave permettavano persino agli Uomini dei popoli Nomadi di rimanere con loro nell'inverno, come era tradizione, scambiando e mescolandosi liberamente, crescendo in ricchezze e amicizia.

Era passato tempo dalla ricomparsa del Culto di Melkor, cinquanta anni prima circa, quando gli Uomini discendenti dai Numenoreani Neri erano usciti dalla cadente, antica città di An-Karagmir in Umbar, spargendosi per la terra. Dalle potenti, antiche e ricche città costiere ai campi desertici e alle stazioni semi-nomadi andarono, muovendosi e guadagnando favori.

Infine il loro ritorno giunse nel Vicino Harad, a Rhûn, e da lì agli Orocarni. Il culto era cresciuto ancora più in potere e vigore, come rafforzati da qualcosa di inspiegabile, qualcosa di sconosciuto.

L'Anello sussurrò la mente di Thorin, e lui strinse i denti. Era stato cinquant'anni prima che l'Anello aveva iniziato a svegliarsi dal suo lungo sonno? Il suo braccio era stato davvero lungo, allora, se aveva potuto attraversare tutte le leghe dalla tasca di Bilbo, causando tanti danni.

Il culto di Morgoth guadagnò influenze politiche, accaparrandosi e giocando per il potere, e i suoi numeri aumentarono, disse loro tetrum Ashkar. Alcuni degli Uomini che vivevano fra i Nani furono convertiti. All'inizio erano state promesse e doni, ma poi, divenne pericoloso parlare apertamente con loro. Avevano influenza e favore. Quei Nani che andavano contro di loro erano screditati e scacciati – e alcuni sparivano nel nulla.

«Cinquant'anni fa?» disse Gimli, e i suoi occhi si strinsero «Ditemi, conoscete qualcuno dal nome di Orla, figlia di Ara?»

Kara si mise le mani davanti alla bocca, e Ashkar sussultò, stringendosi il braccio ferito. «Come conosci quel nome?!»

Molto attentamente, Gimli disse: «lei è la seconda in comando dell'esercito di Erebor, e sposata a mio cugino Dwalin. Hanno tre bei bambini. C'è qualcosa che dovrei sapere?»

«Qualcosa!» urlò Kara, alzando le mani «QUALCOSA!»

«Orla Araul fu scacciata quasi cinquant'anni fa, falsamente accusata di omicidio» disse Ashkar, la voce come acciaio «Si ribellò ai cultisti, e loro la rimossero. Misero qualcuno dei loro preferiti sul suo trono.»

Hrera sussultò. «Oh, naso di Telphor» disse, senza parole.

«Mia madre, Arna» sputò Kara. Si voltò, respirando lentamente col naso. «La mia povera, drogata, debole madre. La misero sul trono e la chiaramarono vostra Maestà dopo che la Regina Ara morì – no, che la uccisero, la avvelenarono, e diedero la colpa a Orla! Arna ha fatto la loro volontà da allora, nella paura e nel delirio.»

Thorin barcollò. Ciò significava – ciò significava che Dwalin – che Piccolo Thorin era...

Kara strinse i pugni, i suoi occhi dalle lunghe ciglia pieni di rabbia. Era davvero molto giovane – probabilmente la stessa età di Fíli. Aveva la stessa mascella dura e labbra piene di Orla. «Ma io non ho paura! Non gli piaceva che fosse più simile a mia zia. Dunque mi mandarono qui a morire in questo campo straniero, come tutti gli altri disertori, e lei non disse nulla. La mia stessa madre! Non porterò mai più il suo nome.»

«Signora, piango per te, ma sto ancora cercando di accettare le tue prime notizie!» esclamò Gimli «La nostra Orla Lungascia, erede a una corona? Ma Orla – ma – disse che era venuta a Erebor per vedere il mondo e cercare fortuna come guerriero! Per diventare più di quanto non le fosse permesso!»

«Una furba bugia, allora, per nascondersi. Orla Araul è la giusta Regina dei Nerachiave» disse Ashkar, e i suoi vecchi occhi stavano luccicando «Non lo sapevi?»


Il respiro di Thira faceva piccole nubi bianche nell'aria fredda delle tombe. Era molto rumoroso, sibilante e rasposo nelle sua gola. Il suo cuore le stava facendo scoppiare il petto.

Lei era un fabbro. Lei era un fabbro. Non un guerriero. Solo un fabbro.

«Pensavi che si fossero tutti scordati di te, vero?»

Thira cercò di fermare il tremare dei suoi arti.

«Di certo si erano scordati tutti di me, quegli idioti»

Thira cacciò indietro le lacrime. «Lasciami... volevo solo dire addio prima che lo portassero...»

«Oh, addio, dici?» ci fu una risata bassa e orrenda «Certo! Dì addio, brutta piccola bestia. Tu vieni con me.»

«Tienilo!» ululò Nori, e Víli strinse con tutta la sua forza.

«LO STO FACENDO!» rispose.

«Puoi...» Thira cercò di allontanare il mento dalla lama al suo collo «Puoi tenerti i loro gioielli. Lasciami. Ti prego lasciami!»

«LASCIATEMI!» ruggì Dáin, lottando fra le braccia di Víli e Nori «Tornerò in vita a testate e UCCIDERÒ quella piccola pezzo di-»

«Pensi che mi serva un permesso da una come te?» ringhiò la donna «Ho finito di aspettare il permesso di voi piccoli sporchi rospi puzzolenti! Certo che mi terrò i gioielli: a cosa servirebbero, lì sui loro petti morti? Sono troppo belli per loro. Dovrebbero essere miei.»

«Ti prego...» ansimò Thira, stringendo il braccio della donna.

«Non ne avreste idea, nessuno di voi, se tu non mi avesti interrotto» sputò la sua assalitrice «Sarei ricca di nuovo, e lontana da questa pila di sterco.»

«Lascialo, Víli, lascialo!» urlò Nori, mentre Dáin si liberava da loro. Il suo pugno immediatamente attraversò la testa della donna, passando senza causare danni. «Dáin, vecchio idiota, stiamo cercando di aiutare!»

«Aiutare COME?» tuonò Dáin, e tirò un altro pugno senza effetto «Ha mia moglie!»

«Beh, cercavamo di risparmiarti la vista di quanto siamo inutili» sospirò Víli.

Ci fu un rumore lungo la scala di altri che si avvicinavano, e il suono di conversazioni. Il corpo di Dáin Piediferro doveva essere spedito nel luogo del suo ultimo riposo quel giorno, viaggiando in un carro sino ai Colli Ferrosi, e c'erano molte preparazioni da fare.

Le labbra di Thira si mossero in silente preghiera, e guardandola Dáin pianse di rabbia.

«Ora, vostra Maestà» disse la donna, tirando i lunghi capelli intrecciati di Thira «Tu vieni con me. Sei il mio biglietto fuori da qui. Non vorranno che sia fatto del male alla loro preziosa Regina Madre ora, no?»

«'amad?» giunse la voce sorpresa, e Thira guardò con occhi brucianti suo figlio. La sua bocca era spalancata, e la sua spada già estratta. Dietro di lui erano Jeri, Orla, Dwalin e Dís.

«Thorin» gracchiò lei «Stai indietro...»

«Oh Mahal, grazie, grazie» disse Dáin esplosivamente «Bene! Prendila a calci in culo, ragazzo mio!»

«Lasciala, Inorna!» ringhiò l'Elminpietra.

«Indietro!» strillò Inorna, e il coltello premette contro la pelle morbida del collo di Thira. Una delle trecce della sua barba cadde. «Abbassa l'arma!»

«Thorin» disse Jeri, cautum «Fai come dice.»

L'Elminpietra molto cautamente mise la sua spada per terra.

«Gettala via!» ringhiò Inorna.

Il volto come granito, il Re lo fece.

«Non pensare nemmeno-» iniziò Dáin, il petto gonfio. Ma Víli gli prese il braccio e lo scosse. Sembrava più duro del metallo o della roccia sotto le sue mani.

«No, deve trattenersi!» esclamò «Deve!»

Dáin lo fissò, le guance luccicanti di lacrime e rosse per lo sforzo. «Lo so» ringhiò «Dannato te, Víli, lo so! Pensi che io non lo sappia! Ma quella è la mia Thira, la mia ragazza di ferro, e il ragazzo è...»

Diede la spalle all'orribile scena. «Sono impotenti quanto noi» disse, un suono ruvido e graffiante nella sua gola «Intrappolati dietro un vetro.»

«E voi tutti!» Inorna si voltò, tirando i capelli di Thira nel farlo «Quell'ascia! Tutte, buttale! Mi farete passare, o il suo sangue finirà sul pavimento!»

«Non tanto delicata ora» disse Dwalin in un basso rombo, gettando per terra Avido e Guardiano con un suono metallico «Non sverrai ora?»

«Thira, fatti forza» disse Dís piano.»

«Tu sia benedetta, amore» sussurrò Víli.

Due lacrima caddero dagli occhi di Thira, ma le deglutì e cercò di respirare. «Sto bene» riuscì a dire.

«E vuoi rimanere così, vero?» disse Inorna, sorridendo trionfante «Fatemi passare. Quando sarò fuori da questo inferno pieno di ratti la lascerò andare.»

«Non lo farà» mormorò Nori.

«Non lo farai» disse Orla. I suoi occhi fissavano Inorna, e le sue spalle contratte erano enormi sotto l'armatura.

«Lo giuro» disse Inorna «Fate come dico, e nessuno si farà male. Ma se mi minacciate, sporca feccia, allora lei-»

«Smettila di insultarci» disse l'Elminpietra a denti stretti «Lascia andare mia madre, e tieniti quelle parole in bocca.»

«Vuoi proprio vederla con il collo tagliato?» lo derise Inorna «Vedete cosa avete portato, con il vostro egoismo e la vostra avarizia?»

Dís rise, dura e terribile da udire. «La nostra avarizia?»

«Tu malvagia, crudele, velenosa...» sputò Dáin «Lotterei di nuovo con il maledetto Orco piuttosto che te. Almeno quella era onesta!»

«A chi pensate crederanno, là fuori?» Inorna tirò di nuovo i capelli di Thira, tirandole su il mento «A me? O a voi? Famosi per la vostra avarizia siete, tutti voi Nani! Mettereste tesori senza prezzo sul petto dei morti, piuttosto che darli a chi ne ha bisogno!»

«Voglio i miei coltelli» disse Nori, arricciando il labbro «Oooh, mi sento creativo oggi.»

«Abbiamo dato tutto in mani bisognose» disse l'Elminpietra. Le sue narici si dilatarono. «Ogni crosta, e tu le hai rifiutate. Abbiamo dato cibo dal nostro bimbo più piccolo al nostro più vecchio barbagrigia, e tu l'hai distrutto. Abbiamo dato persino il nostro Re – abbiamo dato la vita di mio padre, per un diversivo! Cos'altro vorresti da noi?»

Dáin si passò una mano sugli occhi. «Dannazione, inùdoy» disse «Io ho dato la vita. Ho scelto di darla per te e il mio popolo, per mettere fine a un feudo di sangue che dura da secoli. Non comportarti come se fosse qualcosa che questa creatura ci ha rubato!»

Víli gli diede una pacca sulla spalla. «Non la vede ancora così» disse «Lui è un bambino che ha appena perso un padre. Credimi, per lui, tu sei stato rubato.»

Dáin lo guardò con occhi arrossati. «Sì, suppongo tu ne sappia qualcosa.»

«C'è differenza fra mani bisognose» disse Orla calma «e mani avide. Ma tu non riusciresti a capirla.»

Inorna li guardò in cagnesco. «Fatemi passare

«Lasciala» rispose Dwalin «Sta calma, Thira.»

«Sto provando» gracchiò Thira.

«Oh, la mia coraggiosa bella di ferro» gemette Dáin.

«Indietro!» Inorna iniziò a farsi avanti, la mano avvolta crudelmente nelle trecce nere di Thira per obbligarla a muoversi «Indietro, ho detto, tutti voi!»

Gli occhi in fiamme, Dís fece un lento passo indietro, lasciando libera la scalinata che scendeva nelle tombe. «Indossa gli anelli di Dáin sulle dita. Li ha strappati dalle sue mani fredde» disse sottovoce «Abrâfu shaikmashâz

«Oh mahumb, per favore non dirmi che sta per esplodere di nuovo» sospirò Nori. Dáin stava respirando a fatica nuovamente, il suo intero corpo tremante di ira.

«Non parlare quella disgustosa lingua da talpe con me!» disse Inorna, girandosi verso Dís «Usa una lingua civile nella tua testa, se non sia parlare come la gente normale!»

«Dov'è Bard?» disse Jeri, la mascella contratta «Dovrebbe occuparsene lui, non noi!»

«Ha riportato la sua gente a Dale» disse l'Elminpietra, la rabbia gli rendeva la voce dura e brusca. Stava chiaramente trattenendo la sua rabbia con le unghie.

«Oh, non disturberò il caro giovane Bard» disse Inorna, dolce come il veleno «Andrò a Sud, penso. C'era abbastanza ricchezza sprecata su quei corpi per comprarmi il passaggio cento volte. Se fate i bravi, vi ridarò la vostra Regina in un bel barile, che dite? Ho sentito dire che vi piacciono.»

Dwalin fece un suono simile a un orso furioso.

«Coltelli» disse Nori con un sorrisetto duro «Ooooh sì. Sì davvero.»

Spingendo Thira in avanti, Inorna attraversò le tombe verso le scale, gli occhi che scattavano mentre passava. «Non fate giochetti» disse, e premette la lama più forte contro la gola di Thira. La Regina chiuse gli occhi, respirando forte con il naso. «Fatemi passare. Brava piccola goblin.»

«MALEDETTA-»

«DANNAZIONE – Nori aiutami! Dáin, Dáin controllati!»

«STRAPPERÒ IL VELO E LO USERÒ PER STROZZARTI, CRUDELE-»

«Goblin!» gridò Jeri per la rabbia, le sue mani che si chiudevano e si aprivano. Si alzò, solidum e immobile come la pietra, guardando Inorna e Thira che facevano passi laterali verso le scale come una qualche orribile danza.

Avvicinandosi alle scale, Inorna voltò Thira così che il suo corpo fosse fra lei e loro. «Come ti senti, Re dei Nani?» disse ferocemente «A sentire il mio giudizio su di te? A vedere ciò che tu ami portato via!»

«Per l'ultima volta» disse l'Elminpietra, il respiro irregolare «non ti abbiamo preso nulla. Gli Orchi hanno saccheggiato Dale e rubato il tuo oro e i tuoi beni!»

«Oh così semplice, e così sbagliato!» urlò Inorna «Siete stati voi! Volendo sembrare magnanimi, ci avete fatto strisciare e pregare il vostro favore! Così dolci e saggi, oh sì! È così che volevate sembrare! Ebbene, io sono la nobile più potente di Dale e non mi serve la vostra lurida approvazione; non ne posso più di voi, e questo buco che chiamate montagna. E quell'idiota strisciante di Krummett, era debole e stupido, troppo stupido! E manterrò la parola, Re dei Nani. Ti ridarò la tua preziosa madre» rise, acuta e graffiante «Solo non aspettarla in un barile solo!»

Dáin divenne immobile e freddo, la sua furia condensata attorno a lui come un alone ghiacciato.

«Oh no» disse Nori, allontanandosi «Um. Víli. Dovresti abbassarti. Questi nobili Durin diventano un po'... esplosivi. Quando fanno quella... cosa degli occhi blu di ghiaccio?»

Víli si premette contro il muro. «Non devi ripetermelo!»

L'Elminpietra guardò Inorna festeggiare, gli occhi duri. «Ora» disse, brusco come lo schiocco di una frusta.

Con un sibilo d'aria, la punta di una freccia apparve nel centro della fronte di Inorna. La donna si bloccò a bocca aperta, e poi con un sospiro scivolò in terra.

Sembrò troppo una fine troppo silenziosa a un tale pericolo.

«Mahal, finalmente» disse Jeri, esalando un lungo respiro.

Quando il corpo di Inorna cadde, Thira barcollò in avanti fra le braccia dell'Elminpietra. Lui la strinse forte. Dís e Orla immediatamente la circondarono, spingendole indietro i capelli e strofinandole la schiena. «Respira» disse Orla, nel suo modo brusco «Thira, respira ora.»

In cima alle scale apparve Merilin, l'arco alzato. Accanto a lei era Dori.

«Ve l'avevo detto che l'avremmo rivista» mormorò l'Elfa.

Dáin rimase così, tremando e rabbrividendo, il corpo teso e pronto per la violenza.

«Dáin?» Víli si fece avanti «Dáin? È finita.»

«Sto bene» disse lui, la voce estremamente controllata «Lei è morta.»

Poi si girò sul piede di metallo, e sputò verso il corpo. «Una vera liberazione. Kakhuf inbarathrag

La mano di Dori si alzò alla propria spalla, massaggiandola. Il suo volto era rabbioso. «Avrei voluto avere io la soddisfazione» borbottò «Tutti voi state bene? Signora Thira, sembrate un poco scossa. Signor Dwalin? Signora Orla? Onoratum Jeri? Signora Dís? Signor Elm – oh, perdono - vostra Maestà? Tutti interi?»

«Sto bene» ansimò Thira, e la mano di suo figlio le accarezzò la testa «Sto bene.»

«Thira» sussurrò Dáin «Oh, Thira, mia Thira...»

«Ti ha tagliato una treccia» mormorò Dís, e lanciò alla donna morta uno sguardo di puro odio «Rubare dai morti. E ha il coraggio di chiamare noi egoisti.»

«Questo fa una guerra, suppongo» disse Orla distrattamente, raccogliendo la sua lunga ascia «Molti si raccoglieranno insieme, certo. Ma ci saranno sempre coloro con dei propri obbiettivi, che cercano una possibilità, sfruttando ogni occasione, usando la loro influenza ovunque possono.»

«Suona come Nori» le disse Dori con un sorrisetto amaro.

«Nah, non sa parlare bene come me» disse Nori.

«Grazie» disse l'Elminpietra a Merilin. I suoi occhi erano lucidi e lui stava tremando. «Grazie per averla salvata.»

«Un piacere, Maestà» disse Merilin. Alzò le spalle in modo aggraziato. «Ho provato ad avvertirla.»

«Cosa ti ha portata qua?» chiese Jeri «Voglio dire, non mi lamento, il tempismo è stato impeccabile, ma perché sei venuta qua?»

«Mi ha mandata il mio Re» disse Merilin «per il resto, fortuna.»

«Re Thranduil desidera parlarvi» confermò Dori quando l'Elminpietra si voltò verso di lui con una domanda negli occhi «E con voi, Lady Dís.»

«Fammi indovinare, ancora Gimli?» Dís si scambiò un'occhiata con Orla, la quale sbuffò.

«Sì, a dire la verità» disse Merilin, e il suo viso scuro era divertito «Non è soddisfatto dalle risposte che Mizim gli ha dato. Desidera altre testimonianze.»

«Potremmo mandare Gimizh da lui, imparerebbe più su Gimli in mezz'ora di quanto mai potesse volere» disse Dís. I suoi occhi caddero al corpo ai piedi delle scale. «Dobbiamo rimettere loro i loro gioielli.»

«Lo farò io» disse Jeri «Non lo farò fare a voi.»

«Grazie» disse l'Elminpietra, e guardò Thira nel cerchio delle sue braccia. I suoi tremiti stavano diminuendo. «Chiedete a Re Thranduil di avere pazienza per il momento. Lo visiteremo più tardi e parleremo di Gimli. Ora, mia madre ha bisogno di me.»

Dáin scivolò in terra e si prese il volto fra le mani. «AI piedi della mia dannata tomba, persino» disse, indistintamente «Ai dannati piedi della mia dannata tomba.»

«Ora, non darti tanti arie» disse Víli, e alzò lo sguardo per guardare la sua invecchiata moglie che se andava, i suoi passi cauti e rigidi, i suoi capelli ora completamente grigi «Direi possiamo chiamare questa la fine della guerra nel Nord.»

«Finché Thranduil non deciderà di riaprire le ostilità, ovvio» aggiunse Nori.

«Tu dovevi proprio dirlo, vero?»

TBC...

Note

Gli Orocarni – le Montagne Rosse, l'ENORME catena montuosa nell'Est della Terra di Mezzo, dove quattro dei sette clan dei Nani vivono: i Barbedure, i Piediroccia, i Pugniferro e i Nerachiave.

Númenor e l'invasione del Sud della Terra di Mezzo – tristemente, canon. Viene dal Silmarillion, dettagliato nell'Akallabêth. I Re dell'isola di Númenor, che non potevano andare ad Ovest verso Aman, conquistarono invece molte terre nella Terra di Mezzo. Conquistarono e costruirono una fortezza alla città portuale di Umbar, e all'inizio erano amichevoli con la gente del luogo. Però, quando il declino di Númenor ebbe inizio e loro divennero più feroci, orgogliosi e avidi, divennero colonizzatori e oppressori della gente della Terra di Mezzo Meridionale. Chiesero tributi, commerciarono schiavi, usarono gli Haradrim come sacrifici umani, e diffusero l'adulazione di Morgoth. Dopo la caduta di Númenor, il sud divenne la casa dei Numenoreani Neri (o Uomini del Re), dei quali la Bocca di Sauron era uno.

Harad, Khand e Umbar – la confederazione della nazioni del sud alleate fra loro contro Gondor. Tolkien Gateway ha un buon riassunto della storia di queste nazioni, che non fa parte del testo principale del Signore degli Anelli. Hanno una storia di essere sia attaccate, e di attaccare la gente di Gondor.

Aragorn e la città dei Corsari – ancora canon! Aragorn, come Thorongil sotto il governo di Ecthelion (il padre di Denethor) saccheggiò la città dei Corsari e uccise il Capitano del Porto.

Khuzdul – era una lingua della tradizione piuttosto che di tutti i giorni secondo le Appendici del Signore degli Anelli. I Nani la trattavano come un tesoro del passato.

Glorfindel – ci sono delle controversie sul fatto che il Glorfindel dei libri sia effettivamente l'eroe di Gondolin reincarnato! Ma la maggioranza è d'accordo, dopo aver letto gli scritti di Tolkien a proposito, sul fatto che questo Glorfindel sia lo stesso che nella Prima Era uccise il Balrog durante la caduta di Gondolin e salvò Idril e Tuor.

Alcune parti prese dal Ritorno del Re capitolo Il Sovrintendente e il Re.

Iorlas è un personaggio menzionato nei libri: zio di Bergil figlio di Beregond. L'etimologia del nome suggerisce che Iorlas sia il fratello della madre di Bergil.

Suggerimento: fate attenzione alla canzone che Gimli sta scrivendo ;)

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.


Il background sociopolitico di Orocarni e Sudroni è stato contribuito da dain-mothafocka. Potete leggere in inglese il suo WIP Rise of the Nazbukhrin!


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Capitolo 44
*** Capitolo Quarantaquattro ***


«Andate a Nord» disse Gimli, porgendo a Kara un sacco a pelo e una borraccia «Troverete santuario ad Erebor. Gli scriverò io.»

Il volto di Ashkar era sardonico. «Non credo Orla sarà tanto felice di rivederci, per qualche motivo.»

«Non si può mai sapere, no?» ribatté Gimli, e porse allum Nerachiave un bastone per poggiare meno peso sulla sua gamba «I passi rimarranno sicuri per qualche tempo: la vittoria a Nord ha fatto scappare tutti gli Orchi nei loro buchi, e con la primavera che si avvicina non c'è momento migliore per viaggiare. Fermatevi alle case dei Mutaforma, ci sono sempre stati amici.»

Poi estrasse l'ascia da lancio dallo stivale (Merry gliel'aveva restituita dopo la battaglia) e la porse bruscamente. «Ecco. Prendete. Tutti nella Montagna sapranno che è mia.»

«Perché offrirci questo?» disse Ashkar, la voce piatta e sospettosa «Perché offrirci santuario?»

Gimli sorrise, e scosse l'ascia finché id non la prese. «Perché Dwalin è mio parente e maestro, e Orla è un'amica. E forse il mondo sarà più piccolo ora che non ci sono grandi forze del male a tenerci distanti. Penso di creare una colonia a Rohan, se il mio Re lo permette: se Erebor non vi piacerà, allora forse quella sì – fino al giorno in cui potrete tornare alla vostra casa.»

«Non penso succederà mai» disse Kara, il giovane volto amaro.

«Chi può sapere cos'è possibile, in questi giorni?» disse Gimli dolcemente «No, non intendo darti della sciocca. Ma non abbandonare la speranza. Tua Zia vive ancora, non è così, quando voi la pensavate morta?»

«Suppongo» disse Kara.

«Andate a Nord, amici miei, e riunitevi» Gimli si premette una mano contro il petto, e si inchinò «Gaubdûkhimâ gagin yâkùlib Mahal


A Orla figlia di Ara,

So che questa lettera potrà sembrare inaspettata, e me ne scuso. Ti potresti chiedere perché scrivo a te e non a Dwalin che fu il mio maestro e amico. Non mi perderò in chiacchiere e discorsi; andrò dritto al punto.

Ho conosciuto alcuni Nani Nerachiave qua a Minas Tirith. Erano stati mandati in avanscoperta durante la guerra come punizione della lealtà a te e al tuo ricordo. Non ti biasimerò o giudicherò per il tuo inganno: capisco perché volessi tenere il segreto.

Mi dispiace così tanto.

Provo anche una tremenda vergogna del fatto che una Regina mi abbia visto ubriaco marcio agli addestramenti.

Ashkar e Kara mandando il loro affetto e le loro congratulazioni più sentite alla tua famiglia. Kara aggiunge inoltre che non hai potuto vederle spuntare la barba.

Ashkar dice: tutto è finito nel letame di cammello durante la tua assenza, e vuole rivederti presto, e nessuno ha osato giocare a 'uzghi ma ziraku con id da quando sei scappata dalla corte Ghomali.

È anche felice che tu abbia trovato le scorte quando sei scappata.

Intendo partire presto verso il Nord e casa, facendo una breve deviazione, e sarò ad Erebor prima di mezzaestate. Dai la mia gratitudine e il mio affetto al mio riverito maestro, e digli che le sue istruzioni mi hanno tenuto intatta la pellaccia.

Ashkar e Kara e la loro gente intendono anche loro andare a Nord, appena Ashkar si sarà in grado di viaggiare. Ha sostenuto una ferita, ma si riprenderà. Non so dire se raggiungeranno Erebor prima di noi: dunque, ti avverto e preparo a ciò che potrebbe succedere.

(Legolas mi dice che i nostri sforzi nel dare avvertimenti agli altri per ora sono stati pessimi: posso solo sperare per te che stavolta avremo miglior fortuna. Capisco che la Montagna sia leggermente nel caos, e posso solo scusarmi per i problemi che abbiamo causato a voi e ai vostri sforzi nel mantenere la pace.)

Qualsiasi cosa tu scelga di fare, per favore sappi che tu hai sempre avuto e sempre avrai,

Il mio più sincero rispetto

Gimli figlio di Glóin


«Penso... potrebbe essere finito» disse Gimli, studiando l'anello nel suo palmo «Sei certo non sia troppo... approssimativo?»

«Sarei orgoglioso di chiamarlo un mio lavoro» lo rassicurò Thorin.

Gimli lo rigirò, e poi lo alzò alla luce per controllare la lucidatura finale. Fili d'argento e d'oro vi erano stati attentamente avvolti attorno e poi riscaldati e uniti al corpo dell'anello. Il motivo decorativo ripetuto dell'elmo e armatura di Gimli era ora circondato da viticci. «Non sono ancora del tutto sicuro delle dimensioni» grugnì.

«Ebbene, ci sei abbastanza vicino, direi» Thorin guardò Gimli mettersi l'anello sul mignolo, dove si fermò solamente alla seconda nocca. Era la cosa più vicina che aveva trovato a una misurazione.

«Che Mahal lo voglia» sospirò Gimli. Togliendosi l'anello, lo mese in un sacchetto di pelliccia e lo sistemò nel suo panciotto. «Ora dovrò trovare il momento giusto... o lasciare che il momento giusto arrivi, suppongo.»


«Dimmi cos'hai scoperto»

Thranduil era apparentemente stravaccato pigramente nella sua sedia, le lunghe mani leggere dove cadevano sui braccioli in pietra intagliata.

«Molto poco, Adar» disse Laindawar truce «Non rispondono alle mie domande. Sua sorella, Gimrís, ha nulla di positivo da dire di suo fratello. E se lei che è sua sorella non ha null'altro che irritazione da condividere, cosa possiamo aspettarci degli altri? A cosa si è legato il nostro Legolas?»

Gli occhi di Thranduil non cambiarono, ma la sua mascella si strinse. «Vedo.»

«Il Re ha menzionato che questo Gimli sia bravo con le armi» continuò Thranduil, la voce pacata «Non è un complimento da poco in un regno di guerrieri.»

«Sua sorella mi dice non sia altro che un idiota pieno di muscoli» disse Laindawar. I suoi pugni si strinsero ai suoi fianchi. «Non risponde a nessuna delle mie domande molto ragionevoli, e temo che le risposte siano terribili. Un Nano che non si pettina i capelli! E un Nano della Linea di Durin per di più: conosci la loro maledizione quanto me. Tremo al pensiero di ciò che sia successo a nostro fratello, di cosa questo Gimli gli farà. Sai come sono quando si tratta dei loro tesori...»

Accanto a lui, Laerophen sbuffò piano.

Thranduil chinò la testa. «Qualcosa da aggiungere, ionneg?»

Laerophen sobbalzò all'improvviso cambio di attenzione, e si raddrizzò in tutta la sua torreggiante, allampanata altezza, dondolandosi. «Ebbene, sì... posso parlare con franchezza?»

«Non vorrei nulla di meno da te, figlio mio» disse Thranduil, ma il suo sguardo si addolcì nel guardare il suo secondogenito.

«Siete senza cervello?»

Il volto di Thranduil, ancora, non cambiò. La testa di Laindawar si girò verso suo fratello, e lo incenerì con lo sguardo.

«Forse sei stato piegato dalla tua lunga prigionia» iniziò Laindawar, rigido.

«Non sono prigioniero, e mai lo sono stato!» Laerophen si massaggiò il naso, e fece un respiro profondo «Ho vissuto fra loro. Li conosco! Per le stelle, honneg nín, attacchi Gimrís con domanda dopo domanda come se fosse il suo scopo nella vita risponderti? E ti chiedi perché si arrabbi e ringhi e scappi via!»

«Allora prego, illuminaci sui loro usi» disse Thranduil, prima che Laindawar potesse esplodere in furiose polemiche.

«La Lady Gimrís è la persona peggiore a cui chiedere di suo fratello» disse Laerophen, e iniziò a muoversi, camminando avanti e indietro per la sala e muovendo le mani in agitazione «Questa gente, si prendono in giro e si provocano con facilità: bisogna imparare a trovare la risata sotto le loro parole. E non parlare della maledizione della Linea di Durin nelle loro sale! Sai quanto me che è svanita nel nulla con la puzza di drago e la perdita dell'Anello dei Nani. Ma definiresti lo stesso un Nano avido senza averlo mai incontrato? Dispero del fatto di aver pensato come fai tu, un tempo.»

«A chi vorresti che parlassimo?» disse Thranduil, interrompendo gli sputacchi che venivano dalla direzione di Laindawar.

«Fareste meglio a parlare col figlio di lei, o con Glóin» Laerophen fece una smorfia «Sì, se riesci a stare in una stanza con lui, e viceversa. Dwalin figlio di Fundin è stato un suo insegnante, e la cantante Barís Linguacristallina è l'amica più cara di sua sorella. Ha chiamato la Principessa Dís “zia” da quando era ragazzo, da quanto capisco. E soprattutto, Mizim, sua madre – è un'anima più calma di suo marito, e saggia. Mi ha parlato di suo figlio, e io penso che Gimli sia all'altezza di mio fratello.»

«L'amore di una madre può distorcere la realtà» rispose Laindawar.

«Mi hai appena detto che sua sorella lo crede un feroce criminale: io non mi fiderei delle mie fonti, se fossi in te» ribatté Laerophen.

«Pace, figli miei» disse Thranduil, e si piegò in avanti «Dimmi cosa ha detto sua madre.»

Laerophen lanciò a Laindawar un ultimo sguardo rabbioso, prima di girarsi di nuovo verso suo padre. «Egli è onesto fino al midollo – spesso onesto oltre le regole dell'educazione» disse «È coraggioso, quasi incosciente. Ha la lingua di un poeta, e ama cantare. Accetta di buona grazia sia vittoria che sconfitta, anche se non ama perdere – penso di capire che sia ferocemente competitivo. Il suo senso dell'umorismo tende ai giochi di parole e prese in giro. E infine, è leale oltre misura.»

«Ed è un buon guerriero?» chiese Laindawar. Il suo volto era ancora arrossato, gli occhi pieni di risentimento.

«Solo il migliore dopo Dwalin, faccia da scemo» giunse un mormorio dalla porta. Sarebbe stato inudibile da chiunque non fosse un Elfo.

Laerophen si bloccò, la bocca spalancata.

«Chi ci spia?» disse Laindawar, e si allungò per la spada al suo fianco.

«Oh, Elbereth» Laerophen chiuse gli occhi per un momento «Gimizh?»

Ci fu uno squittio, e dei movimenti dietro la pesante porta.

Thranduil si alzò in un movimento fluido, andando alla porta trascinandosi dietro il mantello. La spalancò, e guardò giù con occhi di ghiaccio. «Chi sei?»

«Gimizh, cosa ci fai qui?» disse Laerophen stancamente.

«Pulisco la maniglia» disse Gimizh, il piccolo volto pieno di sfida.

«Una menzogna» disse Thranduil, la voce bassa e dolce.

«La tua piccola ombra riappare» commentò Laindawar a Laerophen, che scosse la testa.

«Mi stavi cercando?»

«Stavo pulendo la maniglia, e se uno sente delle cose quando pulisce le maniglie, non è colpa sua» disse Gimizh a Thranduil, incrociando le braccia cicciotte e alzando la testa «Ci stavi mettendo troppo» aggiunse a Laerophen «C'è la torta stasera: Barur ha riaperto i forni dei pasticcieri!»

«Mi sembra una grande avventura, ma tu non dovresti spiare conversazioni private» disse Laerophen, avvicinandosi a Gimizh e abbassandosi in ginocchio per posare una mano dolce sulla spalla del Nanetto «Tua madre si arrabbierà.»

«Quando sua madre non si arrabbia» mormorò Laindawar.

«Non si deve neanche dire cose brutte sulla gente, ma lui lo fa» rispose Gimizh, facendo un cenno verso Laindawar «Prima mio zio Gimli, e poi mia mamma!»

«Questo è vero» disse Thranduil. Il suo sopracciglio era leggermente alzato, dandoli un'aria vagamente confusa «Allora dovresti scusarti per averci spiato, e mio figlio si scuserà per la sua maleducazione.»

«Va bene» borbottò Gimizh «Scusa per aver sentito delle cose per sbaglio.»

Laindawar aprì e chiuse la bocca, e poi chinò la testa. «Mi scuso per aver parlato male della tua famiglia.»

«Pfft, non sai niente comunque» disse Gimizh, alzando la testa. Le sue trecce curve rimbalzarono. «Non è colpa tua che sei così ignante.»

Laerophen si fermò, e tentò di indovinare. «Ignorante?»

«Vuol dire che non sa niente» disse Gimizh. Innocente desiderio di aiutare usciva da ogni suo poro.

«Io...» iniziò Laindawar, e poi si fermò tirando su col naso.

«Gimli è tuo zio» disse Thranduil, le parole lente e misurate «Bambino, gli sei vicino?»

Gimizh guardò Laerophen, che gli strinse il braccio. «Stiamo cercando di imparare di più di lui» disse «Mio fratello è legato a lui, vedi, e vorremmo sapere che genere di persona sia.»

Gimizh parve orripilato. «Tuo fratello!?»

«No, l'altro mio fratello» disse in fretta Laerophen, e Gimizh fece un enorme sospiro di sollievo, rilassandosi drammaticamente.

Laindawar ringhiò. Senza dire nulla, Thranduil gli passò un calice di vino.

«Mi ero scordato che hai un altro fratello» disse Gimizh «Posso entrare? La maniglia è molto pulita ora.»

«Ne sono certo» mormorò Thranduil «Entra, bambino.»

Gimizh corse dentro e si strinse al fianco di Laerophen. Mentre il Re Elfico si girava e si sedeva di nuovo, il Nanetto fece la linguaccia a Laindawar.

«Questo è maleducato» disse Laerophen, e lo spinse gentilmente.

«Allora siamo pari» disse Gimizh, senza dare importanza alla cosa.

Laindawar strinse forte il suo vino, e bevve metà del bicchiere in un sorso.

Thranduil si sistemò le vesti ai suoi piedi, e poi studiò Gimizh per un secondo. Poi disse di nuovo: «sei vicino a tuo zio?»

«Sì» disse Gimizh «Oooh, avete dell'uva! Posso prenderne un po'?»

«Vorresti per favore» disse Laindawar, riempiendo la parole “favore” di tagliente sarcasmo «parlarci di lui?»

«È grande e forte e ha una barba rossa enorme» disse Gimizh, gli occhi che andavano al contenitore d'uva sul tavolo «Ho una bambola di lui.»

«Allora gli vuoi bene» disse Thranduil, chinando la testa per osservare il bambino seriamente.

Gimizh alzò gli occhi al cielo. La sua bocca era piena quando ricominciò a parlare. «È mio zio Gimli. È il guerriero migliore di tutta la montagna, e non devo toccare le sue cose quando non c'è. Racconta delle belle storia. A volta insegue me e Piccolo Thorin e Balinith per tutta la Montagna, o gioca a nascondino con noi. Mi sono tagliato la gamba sulla sua ascia che avevo preso in prestito per sbaglio una volta, ed era un po' arrabbiato, ma non lo era davvero perché Zio Gimli non si arrabbia mai con me. Stava solo facendo finta perché aveva paura. Anche Mamma lo fa. Mi piacciono le sue asce, erano di Nonno. Zio Gimli mi ha detto che me le darà un giorno. Ma ha anche detto che non devo prendere cose che non sono mia, e che non devo fare tutto quello che mi viene in mente senza dire niente a nessuno. Ma visto che lui è andato in un Missione importante senza dire niente, penso non sia giusto. Gli adulti sono così però.»

«Vedo» disse Thranduil, e la sua bocca tremò.

«Mi chiama ancora 'sassolino' a volte, che non è giusto perché sono un Nano grande ora» disse Gimizh, e fece spallucce. Un altro chicco scomparve con il movimento di una piccola mano sporca. «Se ti trova mentre giochi a nascondino, ti fa le pernacchie sulla pancia per farti ridere. Sa un sacco di canzoni, e a volte ne inventa di nuove! Anch'io farò delle canzoni. Ma Mamma ci sgrida quando canto le canzoni da minatore di Zio Gimli, perché a volte hanno delle parole brutte dentro. Papà ride fino a piangere, ma in fondo, anche Papà è un minatore.»

«Lo... fai? Voglio dire, lo è?»

Gimizh annuì con aria di importanza – e prese un altro chicco. «Me l'ha detto Zio Gimli una volta. Era un minatore a Ered Luin. Io non sono mai stato a Ered Luin, e Nonno dice che era dura là. Zio Gimli non ne parla molto. Penso sia buono che non siamo più là, così Papà può fare il negoziante e Zio Gimli può essere un guerriero ora. Scommetto che ha ucciso millemila Orchi. Anche tuo fratello è in missione??»

«Sì, è lì che si sono incontrati» disse Laindawar.

«Oh» Gimizh fece una smorfia mentre masticava, e poi ingoiò «Lui è maleducato?»

«Ah... quando è dovuto» disse Thranduil. I suoi occhi erano lucidi.

«Anche Mamma è maleducata con Zio Gimli tutto il tempo, e lui lo è con lei» disse Gimizh con un ghigno. La sua mano andò dalla ciotola alla sua tasca. «Lei chiama Zio Gimli un testone e un Troll, e lui la chiama un goblin e un'Elfa vanitosa! Mi tirerebbe le orecchie se io lo dicessi mai! Sono fratello e sorella, ma io non ho un fratello o sorella o fratellum. Ho Piccolo Thorin, ma lui mi può mandare per terra quindi non lo chiamo un testone. Ma ho visto Zio Gimli tirare un pugno nei denti a un tipo – wham! Così! - perché aveva detto delle cose brutte su mia Mamma. Quindi non penso vogliano dire davvero quelle cosa: penso vogliano dire altre cose. Cose più gentili.»

«Sei stato tu a chiederlo» mormorò Laerophen a Thranduil, che stava iniziando a sembrare un po' sopraffatto.

«Hai finito l'uva» aggiunse Gimizh.


«Gimrís mi dice che avete mandato vostro figlio a perseguitarla» disse Dís. La sua mascella era dura e contratta, e i suoi occhi erano piatti.

Víli poteva vedere la rigidezza nei suoi arti che parlavano di articolazioni doloranti, il tremore nascosto delle sue mani. Lei era così stanca, pensò lui, e chiuse gli occhi per farsi forza.

«Principessa, un piacere rivedervi» disse Thranduil, e si alzò in un movimento liquido e andò al mobile dei liquori. Sarebbe dovuto sembrare umiliante per lui usare mobili così piccoli, ma in qualche modo riusciva a farlo sembrare aggraziato. «Vino?»

«Non sono più una Principessa» disse Dís «E vi chiederei di non ignorare quello che ho detto.»

«Gli ho chiesto di scoprire quello che può su questo Gimli» disse Thranduil, girandosi di nuovo verso di lei. Aveva due bicchieri in mano. «Mi scuso del fatto che abbia importunato la Signora.»

«Vi chiedo di chiedergli di smetterla di infastidirla al lavoro. È una Nana occupata» disse Dís «Non le renderà simpatico suo fratello.»

Le sopracciglia di Thranduil si alzarono leggermente, come se non avesse nemmeno considerato la possibilità. «Non tratterebbe male Legolas...»

«Non più di quanto gli Elfi non trattino male i Nani» rispose Dís, rapida come un pugnale nel fianco «Non più di quanto un Elfo guarderebbe un bambino affamato e si girerebbe dall'altra parte.»

Thranduil la considerò con freddo silenzio per un momento. «Eravate quella bambina.»

Gli occhi d'acciaio di lei si strinsero. «Come sapete.»

Thranduil le porse il bicchiere di vino, senza parole. Lei lo fissò per un momento, prima di prenderlo in una mano dalle dita storte. Il suo respiro era rapido. «Sono una delle ultime rimaste di quell'epoca» disse allora, e bevve un gran sorso.

«Non rimpiango di non aver attaccato il drago» disse Thranduil, e la sua voce era stranamente bassa.

Dís alzò lo sguardo dal suo bicchiere. «Ma rimpiangete altro, non è così?»

Thranduil non rispose. Bevve un piccolo sorso dal suo bicchiere, e i suoi occhi non lasciarono mai quelli di lei.

Lei non si allontanò da quello sguardo ultraterreno e affilato, né distolse il proprio. «Argento e acciaio fino in fondo, mia cara» mormorò Víli.

«Sedetevi per favore» disse Thranduil infine, e indicò col suo calice uno dei bassi divani «Non dovreste...»

«Rimanere alzata a lungo, alla mia età?» finì Dís per lui, e le sue labbra si contrassero «No, forse no. Non penso voi capireste.»

«Forse sto imparando»

«Forse» Lo sguardo di Dís oltre l'orlo del suo bicchiere era concentrato. In ogni caso, andò lentamente alla sedia e si sistemò. «Ebbene? Non sarò l'unica seduta.»

Thranduil batté le palpebre al suo tono, e Víli sbuffò involontariamente. Poi il Re Elfico andò a un divano, e vi si ripiegò sopra. Il suo manto cadde per terra.

«Tutto troppo piccolo per voi, eh?» Dís bevve un sorso, e lo guardò che la guardava «Ora che abbiamo legna e possiamo riaprire le falegnamerie, faremo qualche stanza a misura di Elfo. Non potete essere comodi.»

«Questo sarebbe un tentativo di umiliarmi per la mia mancanza di ospitalità?» disse Thranduil, piegandosi in avanti «Vi giuro, non funzionerà.»

«Non penso voi abbiate abbastanza compassione per i Nani per sentirvi umiliato per come ci avete trattati» disse Dís calma, e bevve un altro sorso «Cosa importa è che state imparando. Forse un giorno ci riuscirete.»

«Sono di vari millenni più vecchio di voi»

«Congratulazioni»

Víli si mise una mano contro la bocca. «Oh, ragazza mia, sei crudele» ridacchiò.

«Mi è stato detto che non posso cambiare così drasticamente» Thranduil bevve un altro sorso di vino, e continuò a guardarla «Cosa credete voi, Primo Consigliere?»

Lei fece spallucce. «La gente cambia. Suppongo valga sia per gli Elfi che per i Nani. A volte cambiamo perché lo vogliamo. A volte siamo cambiati che ci piaccia o meno.»

«Lo trovo riduttivo»

«Una volta, mi guardaste da bambina e mi chiamaste Principessa» disse lei, e chinò la testa. La sua voce era ancora perfettamente chiara, e il suo sguardo lanciava scintille nell'aria fra loro. «Poi avete visto quella bambina senza casa e affamata, e vi siete voltato. Poi ci avete visto armati, e avete posto la nostra casa sotto assedio. Poi avete mandato aiuto al nostro popolo quando nessun altro l'ha fatto. Poi ci avete nutrito quando avevamo fame. Ora mi salutate di nuovo come “Principessa”, mi invitate nelle vostre stanze e mi offrite vino e una sedia per le mie vecchie ossa.»

Thranduil ci riflette su, e alzò il bicchiere in accettazione silenziosa.

«Lasciate che vi racconti una fiaba, Thranduil Oropherion» disse lei, e si sistemò nella sua sedia «Io ero una gioielliera a Ered Luin. Le mia mani fuggivano l'oro. Amavo il tocco dell'argento e della pietra di luna, come frammenti di luce stellare resa solida. Eppure io lavoravo l'acciaio, perché c'era poca gioia nel creare in quel luogo freddo e duro, e la mia famiglia doveva mangiare.

«Un terribile giorno, tenni una lettera in mano. Era stata mandata da mio cugino Balin. Mi diceva che i miei figli e mio fratello erano morti. Io ero l'ultima. La mia intera famiglia, distrutta, cancellata. I miei figli massacrati. Mio fratello assassinato. Io ero sola, e dimenticata nel mio dolore mentre il nostro popolo lottava per vivere.

«Gimli venne da me. Ancora mezzo bambino, la barba appena spuntata. Gli urlai contro» le sue labbra si incurvarono in un debole sorriso al ricordo «Oh, come lo attaccai. Quel coraggioso bambino rimase dov'era di fronte alla mia rabbia ululante e al mio dolore, e mi disse che non ero sola. Mi strinse mentre piangevo.»

Lei rimise il suo bicchiere sul tavolino, e si alzò con un grugnito di sforzo, raddrizzando la schiena. «Tornò da me ogni giorno» aggiunse «Ogni giorno.»

Thranduil era leggermente accigliato mentre la guardava andarsene.


Fíli guardò Frodo che camminava sopra le pietre del cortile bianco. Seduti sulla bassa recinzione del giardino erano Aragorn e Arwen, le loro mani strette. Arwen stava cantando sottovoce, guardando i boccioli cadere dai rami del giovane albero.

Frodo si muoveva solo con un leggero dolore ora, ma sembrava ancora molto piccolo e fragile nell'avvicinarsi.

«So che cosa sei venuto a dirmi, Frodo: desideri tornare alla tua casa» disse Aragorn, e guardò su e sorrise a Frodo.

Frodo parve combattuto. «Io... sì. Mi manca. Mi manca Casa Baggins. Mi manca come erano le cose.»

Il sorriso d Aragorn si spense un poco. «Ebbene, carissimo fra i miei amici, l'albero cresce meglio nella terra degli avi; ma in tutte le terre dell'Ovest tu sarai sempre il benvenuto. E benché la tua gente abbia conosciuto poca fama nelle antiche leggende dei grandi, adesso sarà più rinomata di molti vasti regni scomparsi.»

Frodo annuì, e poi disse: «Prima mi devo recare a Granburrone. Perché io sento la mancanza di Bilbo. Sono rimasto rattristato nel vedere che non era venuto insieme con la gente di Elrond.»

«Te ne stupisci, Portatore dell'Anello?» disse Arwen. I suoi occhi erano dolci e forti. «Conosci il potere di quell'oggetto ora distrutto; ed ogni cosa creata da quel potere sta comparendo. Ma Bilbo ha posseduto l'Anello più a lungo di te. Egli ora è anziano, come tutti quelli della sua razza; e ti attende, perché non desidera fare altri lunghi viaggi prima dell'ultimo.»

Lui la guardò con preoccupazione malamente nascosta negli occhi. «Tu l'hai visto, come sta?»

Lei abbassò lo sguardo. «Vecchio. Stanco.»

Fíli imprecò sottovoce. Thorin sarebbe preoccupato.

«Allora chiedo il permesso di partire al più presto» disse Frodo.

«Non andrai da solo» Aragorn si alzò e strinse le piccole spalle di Frodo «Percorreremo con te un grande tratto di strada, sino alla terra di Rohan. Fra tre giorni Éomer tornerà qua per portare Théoden a riposare nel Mark, e noi lo accompagneremo per onorare il caduto. Ma ora, prima di partire, voglio confermare ciò che ti disse Faramir: sei per sempre libero nel Regno di Gondor, e con te i tuoi compagni. E se vi fossero doni degni delle vostre gesta sarebbero vostri, ma qualunque cosa desideriate la porterete con voi, e cavalcherete con grandi onori e vestiti come principi del regno.»

«Io non sono un principe» disse Frodo, allarmato «Voglio quello che ogni viaggiatore vuole: casa mia, e il sentiero che mi ci porti.»

Arwen chinò la testa, studiandolo. «Io ti farò un dono. Perché io sono la figlia di Elrond. Non partirò con lui quando si recherà ai Porti, perché la mia scelta è quella di Lúthien, e anch'io ho scelto come lei allo stesso tempo il dolce e l'amaro. Ma in vece mia partirai tu, Portatore dell'Anello, quando giungerà l'ora, e se lo vorrai. Se la tua ferita sarà ancora dolorante e il ricordo del tuo fardello sarà pesante sul tuo cuore, allora potrai recarti ad Ovest, finché tutte le tue ferite e stanchezze non siano sanate. Ma ora prendi questo in memoria di Gemma Elfica e Stella del Vespro, i fili che si sono intrecciati con te nel tessuto della tua vita!»

Poi lei prese una gemma bianca, come fuoco di stelle catturato in catene d'argento, dal suo collo e la mise sulla mano di Frodo. «Non posso accettare» sussurrò lui, fissandola.

«Puoi e lo farai» disse lei, e gli baciò la fronte «Quando ti sentirai turbato dal ricordo della paura e dell'oscurità, questo ti sarà d'aiuto.»

Fíli sospirò. «Grazie, Stella del Vespro» mormorò, e permise alle stelle di portarlo via.

Tre giorni dopo, Éomer tornò. Con lui era la sua Éored, guidando una grande bara bianca coperta del verde e bianco di Rohan. Quella notte, una festa fu tenuta in suo onore e in ricordo di Re Théoden, e lui guardò tutta la gente di Gondor nel colmo della sua bellezza e formalità. Gente in armature scintillanti, e la luminosa sala del Re decorata d'argento e piena di fiori. I Signori Elfici meravigliosi e risplendenti, Celeborn vestito d'argento, Glorfindel luminoso come il sole e Elrond con i suoi profondi occhi saggi. E le dame erano agghindate e stupende: ecco sua sorella vestita di bianco e oro, e stava ridendo! La sua mano era stretta a quella di un signore di Gondor, e lui se ne meravigliò.

L'Elfa Galadriel era luminosa di gloria, una luce interiore che non poteva essere riconosciuta, e lui si allontanò dai suoi occhi. C'era un'altra nobile, una dama dai capelli neri di Dôl Amroth, che gli fece girare la testa. E poi la nuova Regina, alta e abbigliata di argento e nero, come la creatrice stessa delle stelle.

Lui dovette uscire per un attimo, prima di fare la figura di un idiota davanti a tutti i nobili. Trovò Gimli e Legolas nascosti insieme in un'alcova, i volti vicini, e scoppiò a ridere.

«Vedo che altri hanno usato la folla per scappare»

«Aye, ma non per meno compagnia» disse Legolas, i suoi occhi luccicanti di gioia.

«Devo congratularmi con voi, signori?»

«Puoi» concesse Gimli. E ghignò. «E farai meglio a farlo, amico mio!»

«Allora tutti i miei desideri e speranze vanno a voi per tutti i giorni della vostra vita» disse Éomer, inchinandosi «Un'alleanza più strana di quanto io abbia mai sentito, ma in questi giorni sembra che lo strano sia piuttosto comune!»

«Ha! E in strani tempi, strani amici fanno strane benedizioni! Devo farmi portare la mia ascia?» rise Gimli, guardandolo e chinando la testa.

«Forse» disse Éomer scrollando le spalle, ma stava sorridendo «Tocca a te giudicare, perché vi sono ancora fra noi alcune rudi parole sul conto della Dama del Bosco d'Oro. Ed ora l'ho veduta con i miei occhi.»

«Ebbene, sire» disse Gimli «che cosa dici adesso?»

«Ahimè!» disse Éomer con finto rimpianto «Non dirò che ella è la più splendida dama vivente.»

«In tal caso devo andare a cercare la mia ascia» disse Gimli.

«Ma prima desidero addurre una scusa» disse Éomer «Se l'avessi veduta in altra compagnia, avrei detto tutto ciò che vuoi. Ma ora metterò per prima la Regina Arwen Stella del Vespro, e sono pronto a sfidare chiunque osi contraddirmi. Vuoi che prenda la spada?»

Ma la sua mente era piena della vista di una donna vestita nel blu dei cigni, anche mentre diceva ciò.

«Nay, sei scusato per quel che mi concerne, sire» disse Gimli «Tu hai scelto la Sera, ma io ho donato il mio amore alla Mattina. E nel mio cuore vi è il presagio che presto svanirà per sempre» Guardò di sottecchi Legolas.

Legolas gli strinse le mani. «Non così presto» mormorò «Cosa sarebbe l'alba senza la sua stella del mattino?»

Gimli rise la sua profonda, rombante risata. «Ah, ghivashelê, sì, tu lo ricorderai a me, così come io lo ricorderò a te. E Éomer, vivi felice e senza minacce di asce – per ora!»

«Mastro Gimli, mi salvate la vita» disse Éomer, scuotendo la testa e ridacchiando «Vuoi cancellare tutto quel lavoro?»

«Dipende se mi regalerai mai un altro cavallo»

«Arod non ti piace?»

Legolas ridacchiò. «Oh, Gimli, grande dolce sciocco. Éomer, vizia quel cavallo come nessun altro che io abbia mai visto, nonostante continui a giurare il suo odio per esso.»

Il volto di Gimli era mezzo indignato, mezzo divertito. «Non è vero!»

«È vero» disse Legolas affettuosamente, e gli diede un bacio sulla testa.

«E io penso sia ora di andarmene» disse Éomer, e si inchinò ancora una volta «visto che non terremo un duello stasera.»

«Non uno a cui tu sia invitato, perlomeno!» urlò Gimli mentre lui se ne andava, ed Éomer rise e agitò la mano in saluto. Forse avrebbe potuto rubare qualche momento di conversazione con la dama dei cigni prima che fosse ora di danzare.


Era strano, pensò Thorin, mentre si spazzolava la barba e iniziava a legarla in una treccia sottile. La routine che avevano costruito con tante fatiche – con i turni e gli orari e le pause per dormire e mangiare e lavorare – era ancora in piedi, anche ora che la fretta dei mesi passati era svanita. La rete di relazioni di cui si era trovato a far parte era ancora lì, e la maggior parte dei Nani rimanevano parte della guardia, parte del gruppo. Era ancora circondato dai suoi amici e la sua famiglia, nonostante la calma. Era come se lui non fosse stato l'unico a trovare un'importanza e uno scopo nella loro vicinanza e familiarità.

Strano ma piacevole, in un certo modo.

«Sta diventando lunga» giunse una voce dalla porta, e Thorin guardò nello specchio per vedere il riflesso di Thráin che gli sorrideva «Ha un bell'aspetto.»

«Mi trovi d'accordo» disse Bilbo, piano.

«Il tuo turno inizia fra poco?» Thráin andò da lui e prese la spazzola. Dovette allungarsi un poco per passarla in cima alla testa di Thorin, e lui si abbassò per dare a suo padre più spazio. «Tua nonna sarà felice del fatto che ti sei preso del tempo per sistemarti. Tua madre sarà meno felice del fatto che tu abbia scelto questo invece di mangiare.»

«C'è ancora abbastanza tempo per un pasto» disse Thorin, e la sua mano sfiorò la piccola scatola di fermagli che erano sul tavolino, il coperchio intagliato con fiori e rune «La vedrò a tavola.»

«Tuo fratello è già andato, a proposito» disse Thráin, e mise una mano sulla testa di Thorin, come una domanda.

Thorin annuì.

Con un altro piccolo sorriso, Thráin iniziò a separare le ciocche di capelli per la treccia della famiglia. «Si sta divertendo con Fíli, e osserva quella ragazza Rohirrim e il ragazzo di Gondor in ogni secondo libero. L'hai aiutato molto, Thorin.»

Thorin guardò nello specchio Thráin che rapidamente gli faceva la treccia sulla tempia, le mani abili come quelle di sua madre. «Alla fine, suppongo.»

«Dovresti fare un passo indietro e vedere la differenza in lui» disse Thráin, e alzò una mano per avere un fermaglio. Thorin gli diede quello piccolo d'argento con i fiori di luna, e si tenne quello decorato con edera per la barba. «Ricordi com'era quando sei arrivato qui? Nascondeva tutte le sue emozioni di paura e inadeguatezza dietro sorrisi e battute. Si spingeva così tanto, persino a tornare nelle battaglie, cercando di essere ciò che non è. È molto più orgoglioso – molto più calmo ora. Lo hai aiutato tanto.»

«Lui mi ha aiutato per primo»

«Non è una gara, inùdoy» Thráin terminò la treccia, e la lasciò cadere «Anche se non riesco a rendermi conto di quanto tu sia cambiato a volte, è bello vedere che certe cose sono rimaste le stesse. Però, lascia che un padre abbia qualche orgoglio nei suoi figli, eh?»

«E tu?» Thorin si voltò verso di lui, e incrociò il suo sguardo «Ora che Dôl Guldur è distrutta, come stai?»

Thráin rise. «Meglio. Sto molto meglio, figlio mio. I miei incubi non mi rimangono attaccati come nappole a una capra. La vista di quella radura piena di fiori dove prima era quella cosa – mi torna spesso in mente e mi porta pace. Vieni, sei presentabile ora, e devi mangiare.»

«Un momento» disse Thorin, e alzò di nuovo le braccia e fece la treccia di matrimonio sulla sua fronte. Non la legò con metallo, ma con un fermaglio di legno, e gli rimbalzava contro la guancia ogni tanto, odorando di calda resina e lavorazione. «Ecco.»

Thráin la guardò, e poi disse: «Per Bilbo?»

«Meglio tardi che mai» rispose Thorin, sentendosi stranamente piccolo.

«Ha. Sarebbe un bel titolo per la nostra storia, non è così, mio caro?» mormorò Bilbo «Meglio Tardi Che Mai: Una Storia Di Uno Hobbit E Un Nano

«Vero» Thráin picchiò insieme le loro fronti, e poi mise una braccio attorno alle spalle di Thorin per portarlo fuori dalla stanza. «Vieni.»

Andando alle sale da pranzo, passarono davanti alla porta della forgia di Thorin. L'orario di Ori, con tutte le sue cancellature e pieno di una miriade di calligrafie diverse, era ancora lì. Thorin si chiese se avrebbe dovuto incorniciarlo.

La colazione fu silenziosa, calda e confortevole, un periodo familiare nel quale Thorin prese in giro suo nipote più giovane, chiacchierò con Balin, schivò il mestolo di sua nonna e rise con gli altri delle scenate di Nori. Il ladro si era messo nei guai con Narvi e Haban, per qualche motivo – c'era apparentemente una scommessa e uno degli strumenti di Narvi a che fare – e stava al momento dichiarando totale innocenza. Nessuno gli credeva. Haban aveva apparentemente dichiarato vendetta, giurando di fargli vedere perché lei fosse conosciuta come “la danzatrice con l'ascia migliore della sua generazione!”

Le stelle del Gimlîn-zâram erano fresche e dolci come aria primaverile, e Thorin vi entrò pieno di gratitudine con Kíli al suo fianco.

Il giorno della partenza era arrivato, e una grande compagnia di Rohirrim, Elfi e Uomini di Gondor andavano a nord fuori dalla Città. A una certa distanza nella pianura, Aragorn si fermò e guardò gli stendardi svolazzare sulla Torre di Ecthelion per un momento, e un piccolo sorriso gli tirò le labbra. Poi si voltò e guidò la marcia verso Rohan.

Fra loro erano uno Stregone, un piccolo gruppo di Hobbit, e un Nano che cavalcava con un Elfo dei boschi.

Gimli passò molto tempo in conversazione con la Dama Galadriel, parlando dei suoi piani per i Cancelli di Minas Tirith e per la Caverne Scintillanti di Aglarond. Dato che la folla non si muoveva rapidamente, Thorin riuscì a udire gran parte della loro discussione. Per sua sorpresa, la Dama era assolutamente rapita dalla conversazione, e aveva molto da dire a riguardo di arte e del lavoro delle mani.

«Questo è inaspettato» mormorò.

«...gran lavoro» stava dicendo lei, gli occhi pensierosi «Ci vorranno molti anni perché molti artigiani riescano a fare ciò che immagini. Anche se ti ho scambiato per un guerriero, devo ammettere. Non ti avevo creduto un maestro dell'acciaio, mio campione.»

«Mostra un qualche talento» disse Thorin, l'angolo della sua bocca che si incurvava. Non menzionò alcuni dei tremendi errori iniziali.

Gimli batté le palpebre, e ghignò. «Ah, ma io ho un vantaggio nascosto, che voi mi mostraste molto tempo fa! Il mio parente è tornato, Dama: quello che io vidi per la prima volta nel tuo Specchio. Non sono un fabbro, è vero, ma lui mi sta istruendo.»

«Davvero?» disse Legolas, saltando sulla nuova informazione con una certa allegria «Ha per caso qualcosa a che fare col tuo segreto, meleth nín? Gimli mi lascia, mia Dama, ogni mattino. Torna con la barba piena degli odori del fuoco e del metallo. Non mi dirà nulla!»

«Non sta ancora indossando l'anello» sussurrò Kíli. Thorin controllò, e effettivamente la mano di Legolas era ancora spoglia.

«Aye, è una sorpresa per te, curioso! Ma lo sai già!» Gimli rise, e strinse la vita di Legolas «Pazienza!»

«Mai un Nano fu così terribilmente opaco» gemette Legolas.

«Dovrò riferirlo a Balin e Óin, ne saranno felici» commentò Kíli, ghignando. Gimli sbuffò.

«Dunque puoi ancora udire i tuoi parenti, non è così?» i meravigliosi capelli di Galadriel erano legati per la cavalcata, e indossava pantaloni e una tunica leggera nella chiara luce di settembre. Sembrava meno la grandiosa Dama e più una giovane guerriera, in quegli abiti. «Non me lo aspettavo. Pensavo che la connessione si sarebbe spezzata una volta che l'incantesimo dello Specchio fosse passato, e il potere di Nenya svanito.»

«Nay, sono ancora tutti con me» disse Gimli «Idmi, Thorin! Andiamo a Edoras, per dare riposo a Théoden. Da là, manterrò la mia promessa e porterò Legolas alle Caverne Scintillanti sotto il fosso. E poi vedremo ciò che un Elfo può fare con la canzone della pietra!»

«Potrei fare un tamburo, forse» disse Legolas, perfettamente serio «o forse un sonaglio...»

«Elfo impertinente» Gimli gli strinse di nuovo la vita «Avrai la tua vendetta contro di me ben presto: Fangorn è vicina, in fondo!»

«Devi dargli l'anello, Gimli» disse Thorin, alzando un sopracciglio «Hai dei dubbi?»

«No, niente dubbi!» disse Gimli subito «Solo... il momento non si è ancora presentato. Il momento giusto.»

«Gimli» disse Thorin, e sospirò «Non esiste “il momento giusto”. Puoi fidarti di me a riguardo.»

«È piuttosto fastidioso quando parla con l'aria, no?» chiese Legolas alla Dama, che sembrava piuttosto stupita «Mi ci è voluto del tempo per abituarmici.»

«Chi altro sa?» chiese lei, dopo essersi schiarita la gola.

«Aragorn» disse Gimli, e sbuffò «Pensava che avessi avuto un colpo di sole.»

Lei sorrise, e poi la sua fronte si corrugò in pensiero. «Non so perché puoi ancora udirli» disse, scuotendo la meravigliosa testa «C'è una forza che non comprendo.»

«Il tuo Dono?» sussurrò Kíli, e Thorin fece spallucce.

«Forse. Non spiega come Gimli possa udire il resto di noi, però»

«Forse non lo sapremo mai»

«Forse» Il pensiero non disturbava Thorin, come avrebbe fatto una volta.

Kíli storse il naso, e poi alzò la testa per guardare il cielo, blu per miglia e miglia all'orizzonte. «Ebbene, è una belle giornata per cavalcare» disse.

Fu un viaggio piacevole. Thorin rimase fino a ora di pranzo, quando salutò Kíli. Dopo la sua visita a Bilbo a Granburrone (il vecchio Hobbit stava dormendo sulla scrivania), passò qualche tempo alla sua forgia, lavorando con sua madre. Lei stava facendo una nuova arpa.

Dopo cena, decise di fare un'ultima visita a Gimli. Vestito solo dei suoi abiti da notte, camminò scalzo nelle silenziose, echeggianti Sale. L'unico suono era il sussurro dei suoi abiti contro la pietra.

Quando emerse, scacciando le acque e scuotendosi, fu davanti a un grande accampamento. Le alte tende erano probabilmente per Aragorn, gli Hobbit, Éomer e i grandi degli Elfi, ma Thorin, per qualche motivo, non pensava che Gimli sarebbe stato lì.

Li vide presto. Gimli e Legolas guardavano le stelle insieme, sdraiati sull'erba con le teste vicine. «Quella la chiamiamo “lo Scalpello”, e là c'è l'Elmo di Azaghâl» disse Gimli, le dita che tracciavano il vasto cielo luminoso.

«Non dimenticarti la Corona di Durin: la puoi vedere ad Est» gli ricordò Thorin.

«Ah, certo – puoi vedere la Corona di Durin là, le sette stelle sopra le Montagne Nebbiose. Puoi vederle? Sono quelle che si riflettono perfettamente nel Kheled-zâram, dove il mio grande antenato camminò dopo essersi svegliato dal suo lungo sonno.»

Legolas guardò il volto di Gimli, la luce stellare si rifletteva sulle sue guance e sulla sua fronte chiara. «Ho tutte le stelle che desidero vedere proprio qua» mormorò.

Il rossore di Gimli poteva essere notato anche nel buio. «Come le chiamate voi?»

Legolas sorrise, e permise a Gimli di ritirarsi. Sistemando la testa comodamente sulla spalla di Gimli, alzò gli occhi al cielo stellato e rimase in silenzio per un momento, pensieroso. «Conosci la Lampada di Eärendil» disse, e indico con il lungo dito «Ma puoi vedere anche le costellazioni Wilwarin, Telumendil, Soronúmë, e Anarríma. Sono antiche, poste là da Elbereth stessa prima che si svegliassero gli Elfi, un segno per noi nel buoi. Da quel tempo primordiale abbiamo sempre avuto le stelle come guida.»

Gimli guardò quella che Legolas aveva chiamato Telumendil. «Noi quella la chiamiamo l'Arnese di Mahal.»

Legolas scoppiò a ridere.

«Il Martello di Mahal, Gimli» sospirò Thorin, divertito nonostante tutto.

«Oh, piantala, Thorin, sai benissimo come la chiama la gente» disse Gimli, gli occhi luminosi per il divertimento «Il Martello di Mahal sarà nei documenti ufficiali, ma non è così che è chiamata nella canzone e nella filastrocca!»

Thorin scosse la testa. «Tuo padre sarebbe mortificato.»

«Mio padre è quello che me l'ha insegnata»

«Avrei dovuto saperlo»

Ci fu una pausa, e Legolas chiese: «Re Thorin, sapete nulla di come stanno le nostre famiglie? Se poteste dircelo, ne sarei grato.»

Le labbra di Gimli si strinsero, e avvolse un braccio attorno alle spalle di Legolas. «Ti arrabbieresti se glielo dicessi Thorin?»

«Mi arrabbierò se sprechi più del tuo tempo per dargli quell'anello» gli disse Thorin, e si sedette al loro fianco. I suoni dei cavalli legati e l'occasionale russare dei cavalieri addormentati attorno a loro accentuava la pace del momento. «Ma no, non ho obiezioni. Sa del fatto che le lettere sono arrivate?»

«Aye»

«Bene, allora non dovrò raccontarti tutta la storia» Thorin si stiracchiò il collo «Dovrò tornare presto. Vi racconterò come stanno le cose, e poi andrò a letto. E anche voi dovreste.»

«Grazie, Signore»

«Il mio nome, per favore. Ursuruh inùdoy kurdulu potrai essere, ma non sono un padre per te»

«Scusa. Thorin. Mi dimentico a volte»

Legolas lo stava guardando perplesso.

«Ah, solo qualche chiacchiera. Scusami, âzyungelê» Gimli gli carezzò la spalla con un largo pollice «Thorin, è successo nulla da allora?»

«Non molto, no» Thorin si grattò la guancia «I fratelli di Legolas sono divisi in proposito, però. Il maggiore, Laindawar, ha fatto sua missione scoprire tutto quello che si può di te.»

«Oh, mahumb» gli occhi di Gimli si allargarono «Spero sinceramente che non parli con Dwalin, allora. Sarebbe imbarazzante.»

«Cosa?» Legolas gli punzecchiò il fianco «Alcuni di noi possono solo sentire un lato della conversazione!»

«Ti sta bene per spettegolare in Elfico con Aragorn tutto il tempo» disse Gimli «I tuoi fratelli non sono d'accordo su di noi. Quello maggiore, Lain-?»

«Laindawar» disse Legolas, la voce mozza.

«Sta cercando di raccogliere tutte le informazioni compromettenti su di me» finì Gimli. E fece una smorfia. «Urgh. Spero non scopra mai la Taverna di Nori.»

Thorin sbuffò piano. «Speriamo. Il minore, Laerophen, è fermamente dalla vostra parte. È diventato buon amico di tuo nipote.»

«Cosa! Davvero?» Gimli si sedette di colpo, facendo cadere Legolas per terra «Ebbene, questa è una vera notizia! Il mio bell'Azaghîth, il mio piccolo tasso, amico col fratello di Legolas!»

«Aspetta! Spiegami, per favore!» disse Legolas, spingendosi su e levandosi una ciocca di capelli dalla faccia «Intendi dire Laerophen?»

«Aye, quello di mezzo, giusto?» Gimli diresse la sua meraviglia all'Elfo, che annuì in uguale stupore «Amico con il nostro piccolo terrore combinaguai! Questa è una sorpresa e mezza! Ebbene, se c'è anche solo un Elfo nella montagna che ci vede per come siamo, allora ne sono felice. Benedetto il cuoricino allegro di Gimizh!»

«E mio padre?» disse Legolas dopo essersi ripreso, e Thorin fece una smorfia.

«Rimane nella Montagna, anche se il ghiaccio si è sciolto. Alcuni si chiedono perché. Riguardo la vostra relazione, non commenterà. Si attiene alla sua precedente dichiarazione: che né riconosce né acconsente all'unione, e la crede innaturale e indegna della posizione di Legolas. Ma sembra ci sia qualche prova che non sia tanto intransigente.»

Legolas sbuffò in modo indelicato. «Ora, questo è un sollievo!»

Gimli passò una grande mano abbronzata sui capelli di Legolas. «Glielo faremo vedere, in qualche modo» mormorò.

«Vorrei avere il tuo ottimismo» disse Legolas, e il suo sospiro era amaro.

«Adesso, mio caro» disse Gimli piano, e la sua mano andò ad accarezzare il mento di Legolas e alzarlo «Sei tu ad avere avuto speranza per noi, tutto questo tempo: non mi dà fastidio portarla per un po' se tu barcolli.»

Legolas sorrise, e lo baciò. «Va bene.»

«Che mi dici di Gimrís? Mia madre?» Gimli esitò «Mio padre?»

Thorin si era girato leggermente: non aveva alcun desiderio di vedere le dita di Legolas stringersi nell'onda rossa della barba di Gimli, non importa quanto volesse bene a entrambi. Si concentrò di nuovo su di loro e riportò la mente sulla questione. «Tua sorella è ferocemente occupata» disse «Mi ricorda Óin a volte, sempre in movimento qua e là con qualcosa da fare e le medicine che le cadono dalle tasche! Ha sviluppato una forte antipatia per Laindawar, perché ha diretto a lei la maggioranza delle sue domande impertinenti.»

Gimli si morse il labbro. «Oh. E lui ha ancora tutti gli arti attaccati, sì?»

«Sì» rispose Thorin «A malapena. Tua madre si è presa il compito di attendere all'educazione di Laerophen.»

Gimli riferì ciò a Legolas, che si accasciò contro di lui e fissò Gimli. «Questo è tutto così difficile da credere» disse con voce debole.

«Cosa troveremo» mormorò Gimli. Poi alzò il mento. «E Pa'?»

«Si è assentato per qualche tempo» gli disse Thorin, con rimpianto «Non viene più nemmeno al Consiglio.»

«Oh per la barba di Durin, il Consiglio, mi ero dimenticato del Consiglio! Mahal solo sa cosa ne pensi il Re di questo» disse Gimli, e le sue spalle si abbassarono.

«Ah, almeno in questo caso ho delle nuove migliori» Un'ondata di orgoglio gli riempì il petto «Il Re Elminpietra lo trova sia esilarante che bizzarro, ma non porta rabbia per nessuno di voi due, e ciò che il Re decide il Consiglio deve seguire. Si sono tutti messi in riga dietro a mia sorella. Non vuole sentire nulla contro di te, né contro Legolas. Nulla.»

«Oh, che la tua barba diventi sempre più lunga, Zia Dís» disse Gimli esplosivamente, e si appoggiò a Legolas. Guardando l'Elfo, disse: «Ebbene, ci aspetta un bel nido di vespe quando torneremo.»

«E ci abbiamo messo dentro la faccia con quelle nostre lettere» disse Legolas, la sua espressione cupa.

«Non poteva saperlo» disse Thorin «Tentare qualcosa che non funziona a meraviglia è meglio di non tentare nulla, non siete d'accordo?»

«Aye, c'è della saggezza in ciò che dici» Improvvisamente Gimli ghignò «Sembra che alla fine riuscirò a combattere un drago o due, eh?»


Vestiti dei loro abiti migliori, le armi scintillanti alla luce del sole, la gente era raccolta attorno ai Tumuli di Edoras. Una pietra tombale era stata innalzata, l'ottava da quel lato del campo. Gimli aveva prestato la forza delle sue braccia per alzarla, e sarebbe rimasta là fino alla fine dei tempi.

Quando la porta fu chiusa, Éowyn alzò il viso e iniziò a cantare.

[Traduzione]

Out of doubt, out of dark, to the day's rising
He rode singing in the sun, sword unsheathing.
Hope he rekindled, and in hope ended;
Over death, over dread, over doom lifted
Out of loss, out of life, unto long glory.

Merry rimase da parte, il volto bagnato di lacrime. Pipino gli stringeva la mano, e per una volta la sua lingua era ferma.

«Théoden Re, Théoden Re! Addio! Come un padre fosti per me, per qualche tempo» disse Merry piano, mentre l'ultima pietra veniva posata da Éomer stesso «Addio!»

Allora i cavalieri si fecero avanti e si tolsero le loro belle tuniche, e coprirono la tomba di terra. Gimli strinse la mano di Legolas, e si fece avanti per aiutare come poteva, togliendosi la giacca e il panciotto e inginocchiandosi accanto agli Uomini. Legolas lo guardava avidamente, e Aragorn nascondeva un sorriso.

«Merry» disse Éowyn piano, avvicinandosi a lui.

Lui alzò la testa verso di lei, il labbro tremante. Senza una parola corse avanti e la strinse attorno alla vita. Lei gli posò una mano dolce sulla testa, e le lacrime le correvano lungo le guance mentre parlava.

«Era il migliore dei padri» sussurrò.

Infine la tomba fu coperta. Gandalf si fece avanti e alzò il bastone, e fiori bianchi iniziarono a spuntare da sotto il terreno mosso, coprendo il tumulo. «Che tu possa dormire sereno, amico mio» lo si udì mormorare. Gli Elfi osservavano con occhi solenni.

Il Palazzo d'Oro di Meduseld era pieno di luce, e le celebrazioni erano rumorose quanto Thorin ricordava. Socchiuse gli occhi attraverso la nebbia di fumo che saliva dal pavimento, e riuscì a vedere Éowyn porgere a suo fratello una coppa. Éomer baciò la fronte di sua sorella e la strinse a sé alzandola.

«Ora, ascoltiamo i nomi dei Re!» urlò un menestrello, e poi tutti furono recitati: tutti i nomi dei Signori del Mark in ordine, da Éorl il Giovane fino a Théoden il Vecchio. E al nome di Théoden, Éomer bevve la coppa.

Éowyn gli sorrise e disse: «Salve, Éomer, Re di Rohan!»

«Oh, non si può parlare soltanto di me, sorella» disse lui, un luccichio negli occhi «Perché non sono io l'eroe in questa ora, e nemmeno nostro zio...»

«Éomer, non osare...» iniziò lei, ma lui si stava già facendo avanti, la coppa alta.

«Riempitemela, per favore! Buona gente, ci chiedo di riempire nuovamente le vostre coppe! Perché questa è la festa funebre di Re Théoden, ma prima di andare voglio annunciarvi notizie di gioia, perché a lui non dispiacerebbe: fu sempre un padre per mia sorella Éowyn. La mia coraggiosa e valorosa sorella!» Qua picchiò i piedi e alzò la voce in un urlo, e tutti ruggirono in risposta.

Éowyn arrossì, e si alzò dritta.

«Ecco come ci si sente ad essere vista infine, mia Signora» disse Gimli sottovoce. Thorin lo guardò, e sorrise. Legolas si era sdraiato sulle spalle larghe di Gimli come un mantello determinato, la guancia premuta contro i capelli di Gimli. «Ora tutta la libertà del mondo sarà tua.»

Éomer aspettò sinché l'urlo si fosse calmato prima di continuare. «Udite quindi, voi tutti miei ospiti, popoli felici di molti reami, come non se ne sono mai veduti in questo salone! Faramir, Sovrintendente di Gondor e Principe dell'Ithilien, chiede che Éowyn Dama di Rohan divenga sua moglie, ed ella lo accetta con tutto il cuore. Essi quindi si fidanzeranno davanti a voi tutti.»

Così Faramir fu spinto in avanti dai suoi uomini, che stavano ridendo, e prese le mani di Éowyn. Lei abbassò gli occhi, il rossore imbarazzato ancora sulle sue guance, ma quando li alzò di nuovo erano compiaciuti, e felici. Faramir, da parte sua, sembrava sul punto di esplodere dalla gioia. Quando l'unione fu dichiarata, la sala erutto in grida nuovamente.

«Un giorno» sussurrò Legolas all'orecchio di Gimli «andremo davanti ai nostri Signori e si stringeremo le mani, e annunceremo il nostro fidanzamento. E loro ne saranno felici.

«Aye, lo saranno» Gimli bevve un sorso dalla sua coppa, e deglutì «Spero che lo saranno.»

«In tal modo» urlò Éomer sopra la confusione «un nuovo vincolo rinsalda l'amicizia di Gondor e del Mark, procurandomi ancora più felicità! Perché mia sorella più di tutti si merita gioia!»

Éowyn guardò sorto suo fratello quando le urla tornarono, il suo nome urlato ancora e ancora dalla folla. Lui ghignò, senza alcun rimorso.

«Non dimostri certo di essere avaro, Éomer» disse Aragorn «dando a Gondor ciò che di più bello c'è nel tuo reame!»

Éomer sbuffò. «Come se io avessi deciso nulla. Le scelte di Éowyn sono le sue, infine.»

Éowyn guardò Aragorn negli occhi, come se stesse abbandonando un pensiero che a lungo l'aveva perseguitata. Dopo un momento disse: «Augurami felicità, mio sire e mio guaritore!»

Il volto di Aragorn si addolcì. «Ti augurai felicità la prima volta che ti vidi. E guarisce ora il mio cuore al vederti colma di gioia. Sii felice, Éowyn.»

«Bene! Basta con queste cose ora. Sentiamo della musica!» disse Glorfindel forte. Elrond sospirò.

«Mi piace lui» disse Pipino, ghignando.


Passò qualche settimana. Dáin era ad Erebor spesso quasi quanto Víli, osservando suo figlio e Bomfrís e quasi illuminandosi per l'orgoglio. «Lei è una gran ragazza, sapete?» lo si poteva sentire dire a Balin, che annuiva divertito «Quel corvo sulla sua spalla non sta mai fermo. Lei ha convinto tutti gli arcieri ad aiutare nelle ricostruzioni di Dale. Dovrebbe riposarsi di più però: quel bambino non è certo piccolo e cresce in fretta, e lei si stanca subito ora. Ma dannazione se non continua ad andare!»

«Non l'ha ancora sposato, sbaglio?» chiese Balin «Al Consiglio non piacerà.»

«No» Dáin si strofinò le mani con una certa allegria, svegliando il maialino che teneva in braccio «Ah, gli fa bene essere contraddetti ogni tanto. E francamente, non penso lei voglia sposarlo. Lei ama il mio ragazzo con tutta se stessa, certo, ma non vuole una corona e l'ha fatto sapere a tutti.»

«Non lo sposerà!» la bocca di Balin si spalancò, e lui iniziò a sputacchiare «Ma... ma...!»

«Adesso, non farne una tragedia, mio amico Siniscalco» disse Dáin sorridendo «Sono sposati in tutto tranne che in nome, no?»

«Come lo segnaleranno gli storici? Perché no?»

Dáin si diede delle pacche sulle ginocchia, e ghignò al nulla. «Ha detto di essere Bomfrís, la figlia di una conciatrice e di un cuoco, e così vivrà e così rimarrà. Possono chiamarla Lady, se vogliono. È una gran concessione, per lei! Ma non la chiameranno mai Regina, ha giurato.»

Balin fece un enorme sospiro, e si raddrizzò. «Il bambino, allora... non sarà...»

«Aye, certo che lo sarà!» rise Dáin «Chiunque sarà il prossimo a governare Erebor, non sarà un Thorinul. Sarà un Bomfrísul!»

Balin rimase a bocca aperta. «Hrera avrà un aneurisma.»

«Avrò cosa?»

Balin chiuse gli occhi. «Oh, Creatore salvami.»

Dáin spiegò tutto – con molti dettagli e molta gioia. Quando finì Balin si preparò all'inevitabile cascata di terribile sarcasmo, ma stranamente Hrera si limitò ad annuire in severa approvazione, e disse: «brava ragazza. Ha mostrato un eccellente buon senso Vastifascio, così facendo. È ora che voi tutti ne abbiate un po'.»

Quando Balin aprì gli occhi, Dáin stava accarezzando il suo maialino e lo fissava con uno sguardo compiaciuto che non aveva bisogno di parole.

«Oh, sta zitto, vostra Maestà» disse Balin, e seppellì il volto nella barba.


«Guarda dove cammini qua» disse Gimli, spingendo Legolas in avanti con entrambe le mani.

«Non riesco a guardare nulla, meleth, come sai benissimo» disse Legolas irritato. Tutta la sua grazia Elfica l'aveva abbandonato nel buio totale, e stava cercando a fatica di respirare. «Non capisco come io possa vedere la bellezza di queste caverne se non vedo nemmeno la luce dei tuoi occhi, forse due piedi davanti a me!»

«Presto, amore. Presto accenderò la torcia. Ma dove il sentiero si restringe noi non riusciremmo a portarla senza bruciarci» disse Gimli, le scuse profonde nella sua voce «Mi dispiace. Stai abbastanza bene? Possiamo tornare indietro.»

«Abbiamo fatto un patto e io lo rispetterò» disse Legolas, stringendo la mascella testardamente e stringendo le mani di Gimli «Mi vendicherò quando ogni radice di Fangorn cercherà di farti cadere.»

Gimli rise. «Aye, e mi vedrai inciampare e imprecare, te lo prometto. Siamo quasi arrivati. Il passaggio si stringe fra circa dieci iarde: dovremo strisciare per un poco.»

«Strisciare!» Legolas era stupefatto «Sarebbe normale per i Nani? Ho parlato con più accuratezza di quanto non sapessi quando ti ho chiamato una talpa?»

«Abbastanza normale per chi esplora caverne, Elfo impertinente. Ho fatto un apprendistato nelle miniere, anche se non mi chiamerei un esperto, e sono strisciato in molti tunnel in gioventù. Dunque forse talpa non è troppo lontano dalla verità: in fondo hanno degli artigli piuttosto impressionanti e fanno grandi scavi!»

«Sostieni di non essere un esperto in nulla tranne combattere, Gimli» sospirò Legolas.

«Sdraiato di pancia qua, Legolas. Non per molto»

«Peccato» disse Legolas, completamente innocente, e ascoltò deliziato Gimli sputacchiare. Oh ma che gioia era provocare e stuzzicare con la mente piena di desiderio!

Strisciò nello stretto tunnel dietro gli stivali di Gimli, tenendo i suoi respiri brevi e poco profondi. L'aria non era fetida e malata, come a Moria, né era fredda come una tomba come nei tunnel sotto il Monte Invasato. Era fresca ma pesante: una stanza rimasta chiusa troppo a lungo, che aspettava che qualcuno vi vivesse dentro nuovamente. Legolas trovò che il peso delle Montagne Bianche non lo riempisse di paura, ma di un senso di essere nascosto e protetto dai selvaggi venti delle brughiere all'esterno.

Cosa si poteva fare in questo luogo, si chiese, muovendosi in avanti con i gomiti e le ginocchia? Una porta d'entrata migliore, di certo. Una che non lasciasse coperti di muschio e acqua di caverna!

«Quasi arrivati, mio Uno» sbuffò Gimli «E poi vedrai!»

«Sarei felice di vedere qualsiasi cosa, ora» rispose lui.

«Ah, la leggendaria pazienza degli Elfi!» ridacchiò Gimli, a corto di fiato «Ecco, sono arrivato nella prima caverna. Puoi alzare senza romperti quella bellissima testa, ghivashelê

Con grazia Legolas si tirò fuori dall'imboccatura del basso cunicolo, e allungò le braccia. Le eco attorno a lui parlavano di una caverna spaziosa vicina, di questo era certo; e c'era il suono cristallino di acqua che cadeva vicino, come vetro tintinnante. «Una grande caverna» disse, per ascoltare la sua voce che gli rimbalzava indietro, ingigantita e moltiplicata dalla pietra lontana.

«Aye, e canta come un coro, senti?» grugnì Gimli, allungandosi, e poi si poté udire lo schioccare del suo acciarino «Potresti tenermi la torcia, per favore?»

Legolas allungò le braccia alla cieca, e la mano di Gimli prese la sua e strinse. «Riesco a vederti» mormorò «Non avere paura. Accenderò la torcia in un istante.»

«Non ho paura» E Legolas si sorprese del fatto che davvero non lo era. Questo luogo sembrava accogliente, nonostante la stranezza e la poca dignità del loro ingresso. «Penso di piacere a questa Montagna. Noi gli piacciamo. Penso gli piaccia che siamo qui.»

«Aye?» Il soffio della pietra focaia sibilò nell'aria quando Gimli fece partire le prime scintille «Considerando che la tua unica esperienza con le grandi montagne prima d'ora è stata con il Caradhras, direi ci sia decisamente spazio per i miglioramenti.»

«Non so dire quanto accogliente sarebbe stata se non avessi avuto te al mio fianco, a guidare i miei passi» disse Legolas. Il volto di Gimli si accese a lampi quando la pietra focaia fu colpita, i suoi occhi brillanti come rubini neri. L'esca prese fuoco, e Gimli la alzò verso la torcia che Legolas stringeva.

«Aspetta un momento, per i tuoi occhi» disse Gimli piano «Lascia che si abituino.»

Legolas batté le palpebre, e le strane forme di fuoco premute sulle sue retine lentamente svanirono. «I miei occhi stanno bene, meleth nín» disse, e spinse via una ciocca dei capelli di Gimli che era sfuggita alla treccia mentre strisciavano «Devo rifarti le trecce.»

«Prima, hai una meraviglia da vedere» gli promise Gimli.

«Vedo già una meraviglia» disse Legolas, solo per guardare la bocca di Gimli incurvarsi un sorriso compiaciuto e imbarazzato.

«Non c'è bisogno che tu lusinghi ciò che è già tuo, Legolas. Andiamo, alza la torcia e seguimi! La caverna gira, e poi si apre. Erano quelle le eco che hai sentito.»

Gimli si voltò e trottò avanti. Il sentiero era irregolare e scivoloso, scolpito dalle sconosciute mani del tempo, e Legolas seguiva con piedi cauti. Gimli non si fermò ma camminò senza esitazione, i suoi pesanti stivali trovavano sempre il punto migliore dove poggiarsi.

«Sì, qua» disse infine, e spinse Legolas avanti a sé «Ricorda di tenere alta quella torcia!»

«Non la farò cadere, per chi mi-» E poi Legolas non ebbe più parole, assolutamente nessuna.

Davanti a lui era un immenso spazio diverso da qualunque altro lui avesse mai visto, pieno di pilastri che si attorcigliavano come alberi e brillavano come rugiada. Le colonne si allungavano dal pavimento al vasto soffitto in alto; la pietra ricadeva e si gonfiava come vele di grandi navi. Una cascata scivolava con dita d'argento lungo un intero muro, come una tenda di vetro smerigliato. Un lago era ai suoi piedi, dondolava dolcemente, e gioielli gli fecero l'occhiolino dalle profondità.

Il respiro di Legolas era intrappolato nel suo petto, e alzò la torcia. Il soffitto decorato era pieno di cristalli luminosi di ogni dimensione e colore, ed essi catturarono la sua debole luce nei loro cuori e la infiammarono come le stelle. I pennacchi e le colonne di pietra erano intagliati in forme sinuose, di rosa e oro e marmo tutti mischiati. Erano come antichi alberi, presi da un vento antico, per sempre fermi nella loro ultima posa.

«Gimli» sussurrò «Oh, Gimli...»

«Guarda questo» disse Gimli, i suoi occhi che brillavano gloriosi come una gemma. E prese un sassolino e osservò la grandezza della caverna, guardando il piccolo lago. Poi la gettò in acqua.

Le stelle sotto la terra danzarono, catturando la luce che si rifletteva dalla superficie del lago e cambiandola, giocandovi come un gattino con un nastro. Le gemme sott'acqua luccicarono quando le onde si mossero in cerchi: il soffitto abbagliava gli occhi di Legolas, e lui dovette sussultare e sussultare ancora.

«Questo luogo è stato intagliato dall'acqua» mormorò Gimli. La sua voce tornò da ogni superficie, borbottando come l'anima stessa della terra. «Ogni inverno la neve si scioglie, e quella cascatella allaga ogni cosa. Sono stato fortunato ad aver mancato la piena, o la mia fuga sarebbe stata un poco più bagnata di quanto non avessi pianificato.»

«E cosa farai qua?» Legolas girò sul posto, e arcobaleni di colore esplosero in ogni direzione, la loro luce circondava ogni piccola goccia d'acqua sui cristalli, brillando profondi e accesi attorno al penetrante luccichio delle gemme «Vorresti domare il fiume?»

«Perché, mai e con nessun mezzo» Gimli rise, e la terra rise con lui «Rovinare questa bellezza? No, questa sala rimarrebbe com'è. Potremmo deviare le acque durante la primavera, per altri lavori, ma certo non tutte. Questo lago è troppo prezioso per essere distrutto.»

«Bene» sussurrò Legolas. Alzò una mano, come per accarezzare le mura.

«Ah, no!» Gimli gli afferrò la mano «No, mio caro Elfo, questo non deve essere toccato. I minerali qui non sopportano il grasso della nostra pelle, e sarebbero danneggiati. Sono meravigliosi sia per la loro longevità che per la loro fragilità.»

«Oh» Legolas non poté fare a meno di pensare alla caduca bellezza dei petali di fiore: sia antichi che delicati.

«Ascolta» disse Gimli, e strinse la mano di Legolas «Puoi udire?»

Lo sfrigolare della torcia sembrava troppo rumoroso per Legolas, dunque la incastrò in una fessura fra le rocce e avanzò a mani vuoti. Si sentiva alleggerito senza di essa, senza peso e accolto in quelle braccia stellate di pietra. I suoi occhi si socchiusero mentre sforzava le orecchie. Le eco dell'acqua che cadeva tornavano a lui, e scosse la testa. «Sento solo le eco...»

«Aye, le eco sono come all'inizio ci viene insegnato» disse Gimli, e alzò la testa per guardare Legolas «Alle eco, allora.»

Legolas lo guardò, un Nano circondato di luce danzante e fiammeggiante con i capelli che gli cadevano sulla fronte, mentre ascoltava di nuovo.

«Ancora più vicino, âzyungelê» disse Gimli, quasi troppo piano per essere udito. La sua voce era il movimento sotterraneo dei continenti; il lento scivolare di roccia fusa nelle profondità. I suoi occhi erano più luminosi di ogni gioiello.

C'era una pulsazione bassa e profonda. «Riesco a sentire il tuo cuore» disse Legolas, con lo stesso tono basso di Gimli. Temeva di fare rumori più forti; questa caverna aveva un'aria senza tempo o respiro, un senso di sacro e misterioso, e Legolas fu colpito sino all'anima.

«Dice “Legolas, Legolas, Legolas”?» chiese Gimli, i suoi denti un lampo bianco quando ghignò.

«Dice “birra, birra, birra”» rispose Legolas, sentendosi impertinente.

«Ah! Il mio unico vero amore!» Gimli rise piano «Sciocchezze a parte, sai che batte per te. Riesci a sentire dove la sua eco finisce, dove il silenzio inizia? Ascolta!»

Legolas ascoltò.

C'era davvero qualcosa, tra il lento battere regolare del grande cuore di Gimli – una eco che non era una eco – una risposta. Più lenta e profonda e antica persino delle canzoni di antiche radici, debole eppure presente in ogni cosa. Legolas fu certo che questo strano, profondo ritmo potesse essere udito in tutto il mondo.

«Posso udirla» mormorò, e le sue ginocchia erano deboli.

«Mahal cantò della pietra» disse Gimli, e baciò il dorso della mano di Legolas. La sua barba era un grattare dolce e delizioso. «Nel vuoto, prima che Elfo o Nano o persino terra fossero creati. Cantò della pietra. Ora puoi udire i battiti che usò.»

«Gimli» Legolas non riusciva più a rimanere in piedi, e cadde in ginocchio per seppellire il volto nel petto robusto di Gimli «Oh, Gimli, questa è una meraviglia troppo grande per me...!»

«Non penso, mio Elfo» Gimli spinse una mano fra i suoi capelli, le ciocche gli scivolarono fra le dita «Non se puoi udirla.»

«Ti insegnerò come sentire il canto delle foglie, le radici che bevono dalla terra» ansimò lui, la guancia premuta contro la giacca di pelle di Gimli «Non riuscirò mai a ripagarti per ciò che mi hai dato qui.»

«Sciocco Elfo, non serve che mi ripaghi» Sentì un bacio che veniva posato sulla sua testa, tradendo le parole brusche di Gimli «Tu sei amato da un Nano ora, e questo è ciò che sei. Sarebbe una grande mancanza da parte mia se non te lo mostrassi.»

«Sansûkhâl» sussurrò Legolas contro il suo petto, e lo baciò appena sopra quel dolce, coraggioso, forte cuore «Non ho segreti come questi, non ho grandiosi doni da darti...»

«Tu sei un dono sufficiente, per me e per il mondo» disse Gimli dolcemente, e la sua mano passò lungo la testa di Legolas per accarezzargli una guancia «Non dubitarlo mai. Io ho a malapena iniziato a scoprire che meraviglia tu sia.»

Con lui in ginocchio, erano quasi della stessa altezza: Gimli per una volta un poco più alto di Legolas. Da quella posizione, Legolas poteva allungarsi in avanti e baciare Gimli con facilità, piegando il collo in avanti per catturare le sue labbra.

Non seppe dire per quanto si baciarono, ma seppe che le stelle stavano danzando.

«Mm, parlando di doni» disse Gimli, e diede a Legolas un ultimo rapido bacio sull'angolo della bocca. I suoi baffi erano ruvidi e folti, un dolce contrasto alla morbidezza delle sue labbra. Legolas si premette contro il solido corpo robusto, inseguendo quella bocca intelligente e la sua lingua d'argento, le braccia avvolte attorno al collo tozzo di Gimli. «Ora, sei insaziabile! Ho un altro dono da darti. Ma» ora Gimli pareva timido «Non posso dire che abbia lo stesso valore degli altri due.»

«Sto per scoprire il frutto di tanta segretezza infine?» chiese Legolas, e leccò una striscia lungo la pelle sotto l'orecchio di Gimli. Lui sapeva di sudore e terra, pelle e sangue e carne viventi, non pietra. Gimli rabbrividì, la bocca aperta.

«Ora, basta, o riceverai un tipo di dono completamente diverso!»

«Che genere di incentivo sarebbe quello per fermarmi?»

«E dicono che i Nani siano quelli avidi» Gimli lo baciò fino a farlo rimanere in silenzio, e ci volle un po' di tempo. Legolas si perse nuovamente, e le stelle si avvolsero deliziate attorno a loro. «Dovrebbe calmarti! Ora, dov'è...» Iniziò a cercare nelle sue tasche, e poi ne estrasse qualcosa «Giusto.»

Legolas si raddrizzò mentre Gimli borbottava e sbuffava in un modo decisamente Nanico per un secondo o due, il mento premuto contro il petto e le guance in fiamme. «Legolas» disse, e si schiarì la gola «Ecco. Quando noi ci innamoriamo, sappiamo che sarà l'unica persona per noi, e io non ero... beh, non sono un gioielliere, ma...»

«Gimli» disse Legolas dolcemente «Ti amo, elen nín

Lui si illuminò, e si raddrizzò. «Ed io amo te.»

«Calmati, mir nín. Mi hai fatto qualcosa? Qualcosa che simboleggi il nostro legame? Già lo adoro»

Gimli parve un poco oltraggiato. «Non l'hai ancora nemmeno visto!»

Legolas gli sorrise.

«Va bene, va...» Gimli si riscosse un poco, e poi allungò una delle sue grandi mani, le dita strette attorno a qualcosa che luccicava nella luce riflessa della caverna di gioielli «Ecco.»

Legolas ignorò il proprio tremare prendendolo con dita caute. «Oh, meleth

«È... è la mia vecchia pepita, quella che ti sei tenuto» Gimli fece spallucce, e sorrise nervosamente. Non aveva mai mostrato paura davanti a Mannari, Nazgûl e tutta la potenza di Mordor, pensò Legolas meravigliato, rigirandosi l'anello fra le mani.

«È bellissimo» disse infine «Ti ho detto che mi piaceva.»

Gimli dondolò sul posto, mordendosi le labbra arrossate per i baci. «È della tua misura?»

«Mettimelo» disse Legolas, e alzò la mano con cui usava l'arco «Ah! Sì lo è, è perfetto! Hai un buon occhio. E dici di non essere un fabbro o un gioielliere!»

«Mi sono fatto dare qualche lezione» disse Gimli, fissando l'anello sul lungo dito di Legolas con qualcosa che assomigliava alla meraviglia «E alla mia età! Ma trovo che sia valsa la pena di ogni singolo errore fatto imparando, in questo momento.»

L'anello era coperto in decorazioni rialzate: il sigillo di Gimli intrecciato con foglie e fiori. Il suo peso era strano e non familiare sulla mano di Legolas, ma lui la usò per infilare le dita nella barba di Gimli e tirarlo più vicino. «Ebbene, mio Lord delle Caverne Scintillanti» sussurrò «dato che hai soddisfatto le tue usanze per le unioni, soddisfiamo infine le mie.»

Gli occhi di Gimli si allargarono. «Legolas, sei sicuro?»

Come risposta, Legolas si premette di nuovo contro Gimli e coprì nuovamente la sua bocca, spingendolo sul pavimento coperto di gioielli.

Il battito della terra cantava a ritmo col suo cuore, e le stelle luccicavano per la gioia sopra di lui.


Quando Gimli e Legolas andarono in visita alle Caverne Scintillanti, Thorin li lasciò da soli per rispetto.

(Rispetto, e un forte desiderio di non vedere nulla di... intimo.)

Tornarono dopo qualche giorno, il braccio di Gimli attorno alla vita di Legolas. Thorin poté solo ridere all'accoppiata che facevano insieme. Erano così diversi, ma sembravano così naturali insieme. Chi l'avrebbe mai sognato?

«Sembri felice» disse Bilbo.

«Lo sono» rispose lui, e giocherellò col fermaglio nella sua corta, sottile barba «Lo sono, idùzhibuh

Bilbo si girò nuovamente verso Gimli e Legolas che abbracciavano Aragorn, e alle chiacchiere degli Hobbit attorno a loro. «Ti sta bene» disse.

Thorin lo guardò si sottecchi. C'era una marea crescente di rosa sul suo collo, e la sua bocca era incurvata pensosamente. «Anche a te.»

Legolas indossava l'anello sul suo dito, e c'era una nuova luce nei suoi occhi mentre parlava felicemente con Pipino e Sam. «No, no, non so come poterle descrivere a parole!» stava dicendo «Sono tutto ciò che Gimli aveva promesso, e anche di più. Come una coperta di stelle, come una foresta di corallo sotto le onde, e di più! Ma non riesco a dare loro alcuna giustizia. Solo Gimli può trovare le parole per descriverle. E mai prima un Nano ha potuto dichiarare vittoria su un Elfo in una sfida di parole!»

«Penso che la tua lingua sarebbe piuttosto pronta allo sforzo» mormorò Gimli.

Sam divenne viola.

«Comportati bene, marito mio» disse Legolas, le labbra incurvate «Se non vuoi che Sam qui abbia un colpo! Per quanto riguarda la mia lingua, ebbene, andiamo a Fangorn, e decidiamo in proposito.»

«Non potrò portare la mia ascia in quel bosco» sospirò Gimli «Mi mancherà! Ma d'altra parte, i benefici sono più che sufficienti, suppongo.»

«Aspettate un attimo, indietro – mariti?» disse Pipino ad alta voce.

Legolas sorrise, aperto e privo di preoccupazioni o vergogna per la sua gioia come sempre. Thorin lanciò alla sua stella un rapido sguardo indagatore. Gimli si limitò a ridere e prendere la mano di Legolas, baciandone il dorso e strofinandoci sopra le sue larghe dita abbronzate. «Beh, in un certo senso» disse «Alla mia gente serve un po' più di formalità che a quella di Legolas!»

«Thranduil lo ucciderà» disse Bilbo, suonando piuttosto impressionato.

«Ma è fantastico!» disse Sam, ancora molto rosso attorno alle guance e al collo, ma poi tirò su col naso e aggiunse: «avreste dovuto lasciare che vi cucinassi una banchetto nuziale. Non è un vero matrimonio senza un banchetto.»

Gimli lanciò un'occhiata a Legolas, il quale sbuffò. «Sì, sì, mi avevi avvisato» disse, alzando gli occhi al cielo.

«Sono stupefatto» annunciò Pipino «Avete ignorato tutti i miei ottimi consigli, e ci avete derubati di un'altra festa.»

«Dovremo farne due ora, per metterci in pari» disse Merry.

Gli occhi di Aragorn era seri e profondi quando si posarono sulla coppia. «Possiate voi trovare ogni gioia insieme» disse, e Gimli chinò la testa, mentre Legolas offrì quello strano gesto Elfico della mano sul cuore.

«Cos'hai al dito, Legolas?» disse Frodo, la voce un poco esitante. Legolas guardò la sua mano aperta, e poi la alzò perché gli altri la vedessero.

«L'ha fatto Gimli» spiegò «Sostiene di essere un pessimo fabbro, null'altro che un guerriero, ma guardate cosa sa fare con un pezzo di vecchio oro e un pensiero mezzo formato? Meleth, sei una meraviglia! L'ha fatto a Minas Tirith per me. È per questo che andava a nascondersi tutte quelle mattine!»

«Ah, ho avuto un aiuto» mormorò Gimli, compiaciuto e imbarazzato.

«Hai trovato il momento giusto» disse Thorin, cercando a fatica di non sorridere come uno sciocco che ha avuto troppo sole. L'anello era bellissimo, e nonostante tutte le paure di Gimli sembrava stare alla perfezione sulla mano di Legolas.

«Nay, il tempo non era il problema. Diciamo...» Gimli guardò il cielo, come se stesse parlando con se stesso «Diciamo piuttosto il posto giusto.»

«È bellissimo» disse Frodo. A Thorin parve che si stesse facendo forza per guardarlo. «I fiori, soprattutto.»

«Padron Frodo?» disse Sam, molto piano.

Frodo scosse la testa. «Sto bene, Sam. Mi sta... aiutando, penso. Vedi, non ci assomiglia per nulla.»

«Cos'è successo mentre noi non c'eravamo?» chiese Gimli, cambiando diplomaticamente argomento, pensò Thorin.

«Abbiamo fatto dei preparativi per andare» sospirò Merry «Non voglio dire già addio alla Compagnia. Siamo ancora tutti insieme, e non voglio che finisca. Ma dobbiamo andare avanti, suppongo!»

«Sarò felice di tornare a casa, sono certo che il mio giardino è in uno stato pietoso» disse Sam, scuotendo la testa «E sta arrivando la primavera anche!»

«Porti un bell'oggetto in vita» disse Legolas, facendo un cenno verso il piccolo corno verde e argento legato alla cintura di Merry. Merry lo guardò come se si fosse scordato che era lì.

«Ah, beh, non potevo rifiutare, no?» disse «Volevano tanto farmi partire con qualcosa – Éowyn e Éomer, ecco – e avevo già detto di no a tutti i loro regali, quindi ho dovuto accettare questo. Non è bello? Ha un qualche genere di magia speciale, sembra: colui che lo suona nell'ora del bisogno desterà paura nei cuori dei nemici e gioia nei cuori degli amici, ed essi lo udiranno e verranno in suo aiuto.»

«E non me ne sorprendo, perché quello è un lavoro dei Nani!» esclamò Gimli «Come può essere arrivato qui, mi chiedo!»

«Un tesoro di Rohan, mi dice Éowyn» rispose Merry, porgendolo a Gimli così che lo potesse guardare «Eorl il Giovane apparentemente lo portò dal Nord: una reliquia del bottino di un drago, ha detto. Un verme chiamato Scatha.»

Gimli alzò lo sguardo, la bocca aperta per lo stupore. «Scatha! Ebbene, è storia veramente antica. Un pezzo meraviglioso, Mastro Merry, e non riesco a pensare a mani migliori in cui potrebbe essere, e nessun Nano discuterebbe con me.»

Bilbo stava guardando Thorin con un certo sospetto. «C'è una storia dietro, non è così» disse. Non era una domanda. «Probabilmente una triste.»

Thorin fece un respiro profondo. «Aye. Quegli antichi Uomini di Éothéod – presero il bottino di Scatha come fosse loro, in virtù di aver ucciso il verme. I Nani delle Montagne Grigie, di cui era l'oro, non furono d'accordo. L'ammazzadrago mandò loro i denti del Drago, dicendo loro che erano gli unici gioielli che si meritavano.»

Bilbo fece una smorfia. «Sembra essere un tema ricorrente col tuo popolo.»

«E uno che dovrà presto essere cambiato, in mia opinione» disse Thorin «Comunque, non ci sono più grandi draghi al mondo. Quindi almeno da quel lato possiamo riposare facilmente.

«Grazie al cielo» Bilbo strinse le labbra «E non ti dispiace che Merry tenga quel corno?»

«Per nulla» disse Thorin «Come ha detto Gimli, quale migliore portatore a cui darlo?»

«Vero» Bilbo lasciò allora che il suo sguardo andasse a Frodo, che era silenzioso e fermo mentre giocherellava con la gemma al suo collo «Sembra stia meglio, non credi?»

«Sì» Thorin fece un passo avanti, e Bilbo piegò la testa leggermente.

Se rimanevano molto fermi, era quasi come se l'avesse appoggiata sulla spalla di Thorin.


Due giorni dopo cavalcarono dal Fosso di Helm a Isengard. Il luogo era irriconoscibile, e Ori rabbrividì un poco quando vide gli Ent qua e là, che si prendevano cura dei frutteti e boschetti che riempivano le mura del bacino.

«Nahùba Ori» disse Bifur, incoraggiante.

«Oh, smettila di preoccuparti» Ori tirò su col naso, ma si fece comunque avanti e camminò a grandi passi dietro la Compagnia e il loro seguito «Ooooh! È un lago!»

«Era un lago anche prima» disse Bifur, confuso, e si spinse fra la gente e i cavalli per andare accanto a Ori.

Ori scosse la testa, facendo rimbalzare le trecce. «No, era un mare prima. È un lago vero ora! Alimentato da un torrente eccetera!»

Era vero. La prima corsa dalla diga distrutta aveva allagato il bacino di Isengard, e poi era retrocessa. Ora un lago limpido e luminoso riempiva il suo centro. La torre di Orthanc se ne innalzava, e le spine nere sulla sua cima si riflettevano nell'acqua. Dei piccoli pesci potevano essere visti saltare qua e là nel lago. I suoi argini era circondati da alberi, come sentinelle, i loro rami pieni di germogli primaverili.

Gandalf fece fermare Ombromanto accanto al limite del lago, e presto venne una grande: «Hoom, hoom!»

«Oh no» disse Ori, e si tirò la sciarpa sopra la bocca così che solo i suoi occhi potessero essere visti sopra di essa.

Bifur gli mise una braccio attorno e se lo tirò vicino. «Non ti dà fastidio se mi preoccupo, vero?»

Ori non rispose, ma gli pizzicò forte un braccio. Bifur ridacchiò.

«Giovane Mastro Gandalf!» tuonò Barbalbero, facendosi avanti da un filare di meli in fiore «Sapevo che stavate arrivando, ma ero occupato su nella valle; vi sono ancora molte cose da fare, barum! Comunque, benvenuti al Verziere di Isengard.»

«Grazie, vecchio amico» disse Gandalf, e indicò con la mano l'incredibile trasformazione «Ciò che hai fatto non è nulla di meno che miracoloso.»

«Hmmm, sì. Ma ho sentito che nemmeno voi siete rimasti oziosi» Barbalbero si piegò in avanti, le sopracciglia nodose corrugate mentre guardava lo Stregone «E ciò che sento è molto buono. Sì, molto buono. Siete venuti a vedere il nostro lavoro?»

«Sì, e a trovare il vostro prigioniero» disse Gandalf, girando Ombromanto per guardare la grande spina nera che usciva dalle acque cristalline «Vi ha creato dei problemi?»

«Hoom, hum! Ebbene» disse Barbalbero, raddrizzandosi di colpo e girandosi un lungo dito ramoso nella barba. Lentamente (come se avrebbe mai potuto fare qualcosa velocemente) iniziò a raccontare loro la storia.

«Lasciato andare?!» esclamò Ori «Ma perché?»

«Pietà» sospirò Bifur «Una buona qualità da avere, ma non posso fare a meno di pensare che non avesse avuto posto qui.»

«Ne arriveranno dei guai, ne sono certo» disse Ori cupo. Gli occhi di Gandalf andarono a lui mentre parlava, e lo Stregone sembrava essere d'accordo nel suo dolore senza parole.

«Quanto terribile deve essere per lui, mi chiedo» disse Bifur, piano «Gandalf, gamil bâhûn, birashagimi.»

Gandalf annuì, leggermente. I suoi occhi profondi e antichi si chiusero per un momento, prima che si facesse forza e sorridesse a Barbalbero. «Allora vediamo il tuo lavoro, amico mio, e parliamo del futuro.»

«Hmm, hoom! Non avere fretta! Il futuro aspetterà ancora. Prima, lascia che dica addio a questi grandi che hai con te, perché sono passate lunghe ere da quando ospitai qualcuno del loro calibro nei miei boschi»

Barbalbero si inchinò tre volte lentamente e con grande deferenza a Celeborn e Galadriel. «Non ci vediamo da molto, molto tempo, per sasso e bastone! A vanimar, vanimálion nostari!» disse «È triste incontrarsi soltanto in questo modo, alla fine. Perché il mondo sta cambiando: lo sento nell'acqua, lo sento nella terra, e l'odoro nell'aria. Credo che non ci rivedremo più.»

Celeborn si premette una mano sul cuore. «Non lo so, Antico» mormorò.

Allora parlò Galadriel, ma non stava guardando Barbalbero; i suoi occhi parevano attraversare il gigantesco Ent, fissi su un qualche forse lontano. «Non nella Terra di Mezzo, non prima che le terre sommerse dall'acqua emergano nuovamente. Allora forse nei boschi di salici del Tasarinan c'incontreremo un giorno in Primavera. Addio!»

Barbalbero sospirò come il vento che corre fra i rami. Scricchiolando si voltò, e parlò direttamente a Merry e Pipino. «Ebbene, gente felice» disse «volete bere un altro sorso insieme con me prima di ripartire?»

«Certamente!» urlò Pipino «Riuscirò a battere Ruggitoro di questo passo!»

«Io sono comunque quello più alto» borbottò Merry, ma stava scendendo dalla schiena di Stybba mentre parlava «Barbalbero, ne saremmo felici.»

«Anche noi vi lasceremo qui, ragazzo» disse Gimli ad Aragorn, il quale chinò la testa.

«Fangorn ci aspetta, meleth nín» disse Legolas, e rise alla faccia contrariata di Gimli in risposta.

«Questa è dunque la fine della nostra Compagnia» disse Aragorn, e alzò le mani. Gimli e Legolas immediatamente le coprirono con le loro, e furono rapidamente imitati dagli Hobbit. Per ultimo, Gandalf posò la mano sulle loro. «Eppure spero che tornerete presto nel mio paese con gli aiuti promessi.»

«Torneremo» giurò Gimli «Cancelli ti ho promesso, e Cancelli avrai.»

«Appena i nostri Signori ce lo permetteranno» aggiunse Legolas.

«Per favore non iniziate un'altra guerra nel Nord, voi due» gli disse Gandalf «Ne ho avuto abbastanza di spiare e spegnere fuochi!»

«Mi mancherete tutti terribilmente» disse Pipino tristemente.

«Ah, rallegratevi, miei Hobbit! Dovreste arrivare sani e salvi alle vostre case, ormai, e non rimarrò sveglio dalla paura che corriate in gravi pericoli. Ma per favore, per il mio cuore, stai lontano da pozzi e da Troll, eh?» disse Gimli, sorridendogli.

Legolas fu più solenne nel guardare i loro volti. «Vi manderemo messaggi quando sarà possibile, e forse alcuni di noi potranno incontrarsi di tanto in tanto; ma temo che non saremo mai più riuniti tutti assieme.»

«I legami della nostra Compagnia non saranno mai spezzati» disse Frodo «Mai.»

«Nemmeno in morte, che sia pace alla sua anima» aggiunse Sam tristemente. Ori si morse il guanto, e ringraziò il piccolo cuore onesto dello Hobbit per essersi ricordato di Boromir in quel momento.

«Il tè è alle quattro» disse Merry, e strinse le loro mani con tutta la sua forza «E non disturbatevi a bussare!»

Infine Gandalf lasciò cadere le loro mani. «Sono più orgoglioso di voi tutti di quanto io possa mettere a parole» disse «E vi dico, siate felici e prosperi! Perché voi siete i grandi della Terra di Mezzo ora, e a voi va la sua cura e protezione. Essa non potrebbe desiderare nessun guardiano migliore.»


«Vi rivedrò mai?»

Galadriel esitò con le mani nella sella. «So che lo farai, Portatore della Ciocca.»

Gimli chinò la testa. «Ma, pensavo voi steste partendo. Ora che l'Anello è stato distrutto.»

«Partirò» Lei si voltò, e si inginocchiò davanti a lui. I suoi capelli erano sciolti, e rivoli biondi le circondavano il viso in ondate di gloria. «Partirò. Quando la marea cambierà e il vento soffierà da ovest, il mio esilio sarà terminato e le bianche sponde mi chiameranno infine a casa. Eppure se qualcosa rimane della grazia che mi fu concessa un tempo, allora prevedo che ci incontreremo di nuovo. Questa non è la fine, amico mio.»

Gimli scosse la testa. «Non capisco come. Non capisco.»

Lei gli sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, e poi posò un bacio sulla sua fronte. «Namárië» disse, e sorrise alla confusione di lui «Per ora.»


Era un viaggio di due mesi a cavallo per il Nord, ed Erebor. Sembrò nulla a Thorin, che osservava Gimli e Legolas ogni tanto per sincerarsi che fossero al sicuro. Non rimaneva mai troppo a lungo, però. Si ricordava bene com'era essere intorno a un paio di sposi novelli dal tempo in cui si era sposata sua sorella.

Diede qualche varietà alle sue visite controllando periodicamente gli Hobbit e Gandalf mentre viaggiavano a Ovest. Era un compito semplice, dato che erano protetti sia dallo Stregone, che da Elrond e Glorfindel. Erano a pochi giorni da Granburrone: Bilbo era tremendamente impaziente di vederli.

Poi un giorno, l'ultimo della primavera prima dell'estate, una vista così familiare che strappò il cuore a Thorin apparve davanti al naso di Arod.

I campi fra Dale ed Erebor si stavano riempiendo di fiori selvatici quando infine arrivarono davanti ai familiari Cancelli. Le gigantesche statue di pietra ai lati erano state polverizzate sin quasi alla rovina, ma stavano ancora brandendo alte le asce.

«Eccoci» disse Thorin, e fece un lungo, lento respiro.

Legolas guardò i versanti franati e rovinati dalla battaglia della Montagna. «Sei pronto?»

Gimli scosse la testa, agitando le trecce. «No.»

Legolas deglutì. «Nemmeno io.»

«Ebbene, andiamo a non essere pronti insieme» disse Gimli, e strinse la mano di Legolas «Sanno che siamo qui. Le sentinelle ci avranno notati da miglia di distanza.»

Le labbra di Legolas si incurvarono. «Anche alla luce del sole?»

«Ti farò sapere che sappiamo fare cerchi di vetro così levigati che puoi vedere le squame su un singolo capello» disse Gimli, e si pizzicò una coscia «Dovremmo lasciare riposare Arod.»

«Giuro, Gimli, sei diventato più preoccupato per lui persino di me. Ti chiameranno un Nano di Rohan fra un po'»

«Ben presto, se riuscirò a convincere il mio nuovo Re delle caverne» disse Gimli. Fece un respiro profondo, e saltò giù dalla schiena di Arod, i piedi colpirono il terreno con un gran rimbombo. Poi alzò lo sguardo e i suoi occhi si riempirono di determinazione. «Meglio farlo e basta.»

«Sei certo che non possiamo trasferirci nella Contea?» borbottò Legolas, ma anche lui smontò e prese le redini di Arod in mano «Devi chiamare tu. La mia gola è secca.»

«Aye, ci deve essere della birra, e molta – e presto!» Gimli alzò la voce «Salve, Montagna!»

«Salve, viaggiatori! Che strana coppia! Quali sono i vostri affari qui?»

Gimli ringhiò. «I miei affari qui sono prenderti a calci nel tuo maledetto posteriore, Jeri figlium di Beri! Sai benissimo chi sono!»

«E ora ne ho la certezza» giunse la risata leggera dai bastioni «Gimli, benvenuto! È bello vederti a casa finalmente! Hai qualche problema da risolvere, mi dicono!»

«Sei una pettegola, Jeri» urlò Gimli, alzando gli occhi al cielo «Apri i Cancelli!»

«Quello con te è il figlio di Thranduil?»

«No, è la settima venuta. Chi altro pensi che sia?» disse Gimli, incrociando le braccia.

«Come siamo irritabili!» lo canzonò Jeri «Va bene, un momento, le porte sono dure dall'assedio. Apritele!»

«L'assedio deve essere stato davvero terribile» mormorò Legolas, guardandosi attorno. La terra era stata ammucchiata tutta attorno alla montagna, e anche se l'erba stava crescendo, molti posti erano ancora spogli e bruciati.

«Suppongo» disse Gimli, e la sua mascella era tesa «Rapido, le mie trecce sono dalla parte giusta? Sono pulite?»

«Stai meglio di quando di ho incontrato, meleth» rise Legolas «Ora che hai il tuo parrucchiere personale, sei praticamente irriconoscibile. Non crederanno che tu sia lo stesso Nano spettinato che ha lasciato Erebor.»

Gimli parve divertito per un momento, e poi con un grande schiocco i grandi cancelli di Erebor iniziarono ad aprirsi verso di loro. «È ora» mormorò, e aprì le spalle, il mento alto e rigido.

«Insieme» disse Legolas piano, e rimasero immobile mentre la calda oscurità si spalancava davanti a loro.

TBC...

Note

Azaghâl – Lord di Belegost durante la Nirnaeth Arnoediad, giurò alleanza a Maedhros e in battaglia fu ferito dal primo e più grande dei draghi, Glaurung, il grande verme di Angaband

Wilwarin, Telumendil, Soronúmë, and Anarríma – queste costellazioni furono create da Varda per dare il benvenuto agli Elfi nella Terra di Mezzo. Wilwarin vuol dire "Farafalla", Soronúmë vuol dire "Aquila dell'Ovest", e Anarríma vuol dire "Limite del Sole" Quenya.

Mahal che canta della pietra – un riferimento all'Ainulindalë nel Silmarillion, e la musica degli Ainur, la creazione del mondo.

Scatha e gli Uomini di Éothéod – qui i Nani ricordano una versione leggermente alterata degli eventi dagli Uomini di Rohan. Gli Éothéod erano gli antenati dei Rohirrim. Vivevano nel Nord prima che Éorl il Giovane si guadagnasse le terre che ora possiedono (per aver aiutato Gondor in battaglia). In quei giorni, i draghi erano ancora comuni nella Montagne Grigie, e Scatha era uno dei peggiori. Scatha fu ucciso da Fram figlio di Frumgar (e antenato diretto di Éorl). Secondo l'Appendice A del Signore degli Anelli, sia Fram che i Nani locali dissero loro il tesoro del drago. Ma Fram rifiutò le pretese dei Nani e mandò loro i denti del drago, col messaggio “Gioielli come questi non troveranno simile nelle vostre tesoriere, perché sono difficili da trovare”. Per questo insulto, i Nani uccisero Fram. La storia vista dai Nani è un po' diversa.

Dama dei Cigni – questa è Lothíriel, figlia di Imrahil e principessa di Dôl Amroth. Éomer in seguito la sposerà.

Tasarinan – Quenya, Nan-tathren in Sindarin, o “Valle dei Salici”, era un terra che affondò nel mare col Beleriand, ed era forse abitata dagli Ent (o dalle Entesse).

Dal dubbio, dal buio, al sorger del giorno
Galoppò al sole, spada sguainata.
Speranza destò, in speranza partì;
Oltre la morte, la paure e il fato,
Verso la pace, la speranza e la gloria.

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Capitolo 45
*** Capitolo Quarantacinque ***


«THORIN!»

Alzando lo sguardo dai suoi progetti, Thorin si massaggiò gli occhi. «Dáin?»

«Thorin, devi venire ORA!» suo cugino apparve alla porta, i suoi capelli selvaggi quasi dritti per l'eccitazione «Sono arrivati a casa – sono a casa – sta iniziando!»

«E tu sei deliziato o preoccupato da questo fatto?» disse Thorin asciutto, e Dáin alzò le mani.

«Non posso essere entrambi? ANDIAMO, lumacone nobile, ora di guardare! Ho messo i miei soldi su Glóin»

«Stai dando retta a Nori?» chiese Thorin, seguendo Dáin per i corridoi a passo svelto. Dáin sbuffò maleducatamente.

«Non do retta a nessuno, sono mesi che aspetto che succeda»

«Nadad, hai sentito...?» ansimò Frerin, fermandosi quando li incrociò fuori dal grande portale intarsiato in perla della Camera di Sansûkhul.

«Aye, Gimli è a casa – e quindi inizia» Thorin li guidò dentro, e Frerin corse come argento vivo alla sua sedia.

«Muovetevi, muovetevi» disse Dáin, spingendoli, e si mise a fissare le acque con una specie di terrore gioioso.

Thorin scosse la testa, e seguì suo fratello e suo cugino nelle profondità stellate.

Poté udire Gimli prima di vederlo. «...non importa cosa succeda» stava dicendo piano la sua stella «Non mi separeranno da te. Ricordalo quando sentire qualsiasi parole possano dirci.»

«Anche te, elen nín» rispose Legolas, ugualmente piano «Supponi ci saranno molte parole crudeli?»

«Non ho idea di cosa aspettarmi» sospirò Gimli. Thorin socchiuse gli occhi, e i bastioni esterni di Erebor apparvero davanti a lui. I due stavano camminando attraverso i Cancelli aperti dentro la prima camera di Ingresso, guidando Arod per le redini. «Ci sono delle sentinelle in questa stanza: ci sono sempre state. Più i Nani che lavorano alla porta, certo.»

«Non riesco a vederli» disse Legolas, guardandosi attorno. La grande caverna era piuttosto luminosa, rischiarata da specchi posti sul soffitto. C'erano sentieri lungo le mura, e alte ringhiere di pietra a proteggerli. Nessun Nano, però. Non c'erano Nani in vista.

Gimli gli sorrise. «Certo che no, sono nascosti. Non sarebbe molto difendibile se riuscissi a vederli quando arrivano, no?»

«Gimli! Gimli, a casa finalmente!»

L'urlo rimbombò per la caverna, e la bocca di Gimli si spalancò e lui si voltò per guardare un altro Nano con i capelli grigi e la testa pelata che correva verso di lui. «Dwalin!»

«Idiota di un ragazzo, ce ne hai messo di tempo!» ruggì Dwalin, e trascinò Gimli in un enorme abbraccio prima di battere le loro fronti una contro l'altra «Lasciati guardare! Ah, ti sei preso un colpo in testa là, vedo la cicatrice! Non ti sei ricordato di abbassarti, o eri troppo occupato a mandare baci agli Elfi?»

Gimli spinse via Dwalin. «Mi sono abbassato abbastanza, ed era solo un graffio. Tu me ne hai date di peggio.»

«Certo che l'ho fatto» disse Dwalin, e diede una pacca sulla spalla di Gimli, sorridendogli «È fantastico vederti, magashrûn! Con i capelli e la barba pettinati così quasi non ti riconoscevo!»

«Non è stata una mia idea» disse Gimli, ghignando.

In quel momento, gli occhi di Dwalin andarono a Legolas. Erano cauti e guardinghi, ma non arrabbiati. Thorin lo notò con sorpresa. «Così ho sentito. Beh, muoviti, non serve a nulla stare in piedi alla porta tutto il giorno.»

Arod venne dato a uno stalliere (che guardò il cavallo con un certo nervosismo: le bestie più grandi che avevano in genere erano pony o maiali). Poi Gimli e Legolas seguirono Dwalin in un tunnel laterale, e nei corridoi interni della Montagna. Dei sussurri giunsero dalle gallerie attorno a loro quando passarono, e le orecchie acute di Legolas non potevano non averli sentiti. Thorin guardò l'Elfo. Sembrava a suo agio a prima vista, ma uno sguardo più attento poteva notare che il suo collo era rigido e il suo mento tenuto con perfetto controllo, come se stesse solo mantenendo una recita a cui era abituato.

«Avete ricevuto... altri visitatori» chiese Gimli, il più delicatamente possibile.

«Aye, abbiamo ospiti un intero sciame di Elfi da mesi ormai. E anche Uomini, anche se la maggior parte sono tornati a Dale. Avete visto le ricostruzioni?»

«Passando, sì, ma non ci siamo fermati» disse Gimli. Le sue impazienti domande luccicavano nei suoi occhi. «Dwalin...»

«E anche qualche altro visitatore. Mia moglie era contenta di vederli» continuò Dwalin con lo stesso tono burbero «Una bella sorpresa per me, lasciatelo dire.»

Gimli fece un sospiro. «Aye. Ci scommetto. L'ho trovato sorprendente anch'io.»

«Non hai pensato di dirmelo?»

«Ho pensato» disse Gimli, studiando la punta dei suoi stivali «che probabilmente non era una buona mossa darti delle notizie che avrebbe dovuto dirti lei. Non mi metterei mai in mezzo a una coppia di sposi. Soprattutto se sono pericolosi quanto voi due.»

«Ha» Dwalin alzò un braccio e spettinò i capelli perfetti di Gimli, un gesto chiaramente affettuoso «Mi ricordo una volta che me l'hai detto in un campo di addestramento.»

«Aye, e tu mi hai fatto mangiare la polvere lo stesso» ghignò Gimli sopportando l'affetto brusco.

«Pensavo che Náli fosse stato tuo insegnante, meleth nín?» disse Legolas.

«Ah! Náli fu mio insegnante nei miei anni di Apprendistato. Una volta che terminai il primo addestramento e la specializzazione, Dwalin ebbe il piacere di picchiarmi» rise Gimli.

Dwalin lanciò uno sguardo torvo a Legolas, ma la sua voce non era ostile quando disse: «il mio miglior studente.»

«Allora sei davvero un insegnante dotato, perché Gimli è uno dei migliori guerrieri che io abbia mai conosciuto» disse Legolas, e la sua voce era anch'essa cautamente neutra.

«Bei complimenti da uno che senza dubbio ha visto molti guerrieri nei secoli» disse Dwalin.

«Ma non da un marito» disse Legolas, senza pensare. I sussurri attorno a loro cessarono per un istante, e poi raddoppiarono. Gimli fece una smorfia.

«Oh, girerà per la Montagna come un incendio. Non avresti dovuto dirlo, ragazzo»

Dwalin stava guardando Gimli ora, i suoi occhi seri e fissi. «Parlando di cose che non dovrebbero essere dette, io non menzionerei il fuoco sotto la Montagna: brutto argomento. E tu non avevi abbastanza ghiaia da masticare in quel piatto che ti sei preparato, dovevi aggiungerne altra?»

«Sposati nel modo Elfico!» protestò Gimli.

Dwalin sospirò. «Non lo rende migliore, ragazzo. Andiamo, siamo quasi arrivati. Saranno tutti in Consiglio a quest'ora. Idea dell'Elminpietra. Non fa che parlare di “forgiare connessione” e “condividere idee” e “dibattito”.»

«Mi sembra una buona idea»

«Mi sembra noioso, vorrai dire» grugnì Dwalin «Dovrei metterti ai turni di pulizia per il resto della tua vita.»

«Gimli!» giunse un urlo, e lui batté le palpebre e si voltò. Correndo verso di lui era Dori, Bofur alle calcagna. Il passo di Dori era in un certo senso irregolare, come se si fosse fatto male alla schiena. Bofur aveva uno spesso paio di occhiali e portava un bastone, ma seguiva Dori abbastanza bene.

«Gimli, a casa finalmente, giovane mastro Gimli!» urlò Dori, e strinse il Nano più giovane in un abbraccio «Ora, si faccia guardare! Tsk, terribile, è scandalosamente magro, sua madre avrà un colpo. Farò un po' di pudding per lei. Ah, si è bruciato! Che cosa le dico sempre sul mettersi il cappuccio?»

«Madre Dori» sospirò Thorin, sorridendo, e ricordando le parole di Nori tempo addietro.

«Scusa, Dori» disse Gimli, sfuggendo all'anziano esuberante «Mi sembri star bene! È fantastico vederti! Bofur, fratello mio, come stai?»

«Tua sorella ti userà come uno zerbino, sto meravigliosamente» sorrise Bofur, e diede una pacca sulla schiena di Gimli, prima di fingere di massaggiarsi la mano per il dolore «Palle di Mahal! Aye, dagli da mangiare Dori, o ci verranno i lividi ad abbracciarlo!»

«Non sono così male» sbuffò Gimli.

«Abbastanza» disse Frerin sottovoce.

«Vieni qua» disse Bofur, e tirò a Gimli una testata «Tuo padre si sta preoccupando a morte» sussurrò mentre le loro teste erano vicine «Fa attenzione a lui, va bene? Siamo tutti preoccupati per lui, povero vecchio Nano.»

«Non volevo preoccuparlo» disse Gimli, abbassando di nuovo gli occhi.

«Aye, ma lo fai, e l'hai fatto, e lo farai di nuovo. È questo che fanno i figli» Bofur mise la mano sul collo di Gimli per un breve momento, e poi lo lasciò «E il mio più di altri, dovrei saperlo.»

«Come sta il mio piccolo guerriero?» volle sapere Gimli, e Dori sbuffò forte e con drammatica irritazione. Bofur ridacchiò.

«Come al solito» disse Dwalin «Cerca di smantellare il mondo una pietra alla volta. È un po' più efficace ora che ha quell'Elfo come compagno nel crimine.»

Legolas parve sorpreso di sentirlo confermare così facilmente, e si fece avanti. «Davvero?»

«Aye, tuo fratello» disse Dwalin, e scosse la testa «Quello alto. Pensavo fosse solo un naso arricciato con le gambe, e poi è arrivato Gimizh. Ha sorpreso tutti.»

«Stiamo andando alla sala del Consiglio» disse Gimli ai due «Dwalin dice che sono ancora in sessione.»

«Non è la vecchia stanza» disse Bofur, strizzando gli occhi e sistemandosi gli occhiali «Ora è la vecchia sala della Guerra. All'Elminpietra piacciono i tavoli.»

«Tavoli?»

«Ci stiamo tutti abituando ad avere un nuovo Re» disse Dori «Devono avere tutti le loro piccole bizzarrie. A questo piace pesare tutto nel modo più attento possibile, sembra.»

«Tranne le volte in cui deve ordinare un'azione decisiva. Che è in genere con una spada e quella palla di morte orrenda che chiama Stella del Mattino» aggiunse Bofur allegramente «Veniamo con voi. Voglio vedere cosa succederà. Sai quanto le vostre adorabili interazioni fra fratelli scaldino il mio povero cuore stanco.»

«Oh sì, lo so» disse Gimli, lanciandogli uno sguardo truce.

Dáin era così orgoglioso che sembrava sul punto di iniziare a fluttuare. «Non sta facendo come me. Ha trovato un modo diverso di fare le cose e mantenere lo stesso i suoi pensieri, e le sue decisioni – ed è davanti a un mondo migliore di quello che avevamo noi, direi. A tutti è permesso ascoltare. A tutti è permesso intervenire. Anche gli Elfi e gli Uomini possono avere una voce al Consiglio ora!»

Thorin ridacchiò e lo spinse. «Lunga vita al Re, eh?»

«E cos'è successo ai tuoi occhi?» stava chiedendo Gimli, e Bofur giocherellò a disagio con gli occhiali.

«Ah, ecco, lunga storia. Serve una birra per dirla come si deve. Si stancano e mi vengono dei mal di testa tremendi, quindi potrei chiuderli per un po', vi avverto»

«Come se ti servissero per girare» disse Dwalin sbuffando «Migliore minatore che io abbia mai conosciuto. Otto miglia in una settimana!»

«Dovrebbero esserci delle mie statue, lo so» Bofur si mise una mano sul petto.

«Andiamo, rimarremo qui tutto il giorno di questo passo» disse Dori, incrociando le braccia «E siamo in mezzo alla strada.»

«Quasi arrivati» disse Gimli, prendendo la mano di Legolas mentre ricominciavano a muoversi. Dori occhieggiò le loro mani unite con estremo dispiacere, ma non commentò.

«Non sono fatto per tutta questa tensione» mormorò Legolas «Mi sento sul punto di cadere a pezzi.»

«Tutti questi occhi su dite, e tutti i sussurri?» disse Gimli, la sua espressione piena di comprensione «Tendiamo a mettere sempre il naso negli affari degli altri. Viene dal vivere tutti in un punto. Possiamo prenderci un momento per respirar prima, se preferisci, ghivashelê

«No... no. Andrò avanti» Legolas si raddrizzò a piena altezza «Grazie, mir nín, ma non ti porterò vergogna a questo modo.»

«Vergogna? Sciocchezze» Dori alzò un sopracciglio «Se vi serve del tempo, prendetevelo.»

Gimli sussurrò: «Non litigare con Dori, amore.»

«Non me lo sognerei neanche. Sarei orripilato dall'idea di offenderlo!»

Dwalin stava guardando Legolas curiosamente. «Diverso» fu tutto ciò che disse.

«Non userebbe le nostre teste come sassi su cui saltare questi giorni, buono a sapersi» disse Bofur con indifferenza.

Le sopracciglia di Gimli si alzarono rapidamente, e si voltò verso Legolas. L'Elfo era rosso acceso. «Altro da dirmi, âzyungelê?»

«Non ho bisogno di tempo, grazie» disse a denti stretti.

Per la meraviglia di Thorin, Dwalin ridacchiò. «Ah, beh. Chiamiamola vendetta per tutti i commenti maleducati nelle tue prigioni, eh?»

Legolas batté le palpebre e si girò verso il vecchio Nano, che camminava pesantemente accanto a loro. «Non vorresti vendetta per le prigioni stesse?»

«Se conosco Gimli, ne ha già parlato abbastanza» la bocca di Dwalin si storse nel suo sorriso feroce «E con questo abbiamo pagato il resto. Siamo arrivati.»

«Oh, denti di Mahal» sussurrò Gimli, e premette i talloni contro la pietra il più forte possibile.

«Forza, mia stella» sussurrò Thorin, mentre Dwalin picchiava l'impugnatura di Guardiano sulla porta davanti a lui.

«Eccoci qua!» disse Dáin, ghignando come il sole.

La porta si spalancò davanti a una confusione di voci, i toni più pacati degli Uomini fra loro e a volte la lingua argentina di un Elfo. Ma ogni suono si bloccò quando Dwalin entrò con Gimli e Legolas al seguito. Dori e Bifur scivolarono dietro di loro e chiusero le porte in perfetto silenzio.

«Gimli...» giunse una voce gracchiante da uno dei grandi tavoli, e Dís si alzò lentamente, la bocca aperta per lo stupore e la gioia «Gimli!»

«GIMLI!» giunse un ruggito, e Glóin stava correndo verso di loro, le braccia aperte e gli occhi pieni di lacrime «Gimli, Gimli, ragazzo mio, il mio bambino – oh, Mahal grazie, grazie-» E strinse Gimli in un enorme abbraccio che gli strizzò fuori l'aria dai polmoni «Il mio ragazzo, il mio coraggioso ragazzo, oh grazie Mahal, grazie, grazie» ansimò Glóin ancora e ancora, accarezzando i capelli infuocati di Gimli e stringendolo a sé.

«Papà, sto bene, sono a casa» disse Gimli, e Thorin sorrise nell'udire lacrime che rompevano anche la sua voce «Sono a casa, sto bene.»

«No, sei un idiota ammattito dal sole, ecco cosa sei!» singhiozzò Glóin contro la sua spalla. La sua criniera bianca era già umida per le lacrime sul suo volto. «Cosa sono queste notizie? Cosa mi scrivi? E non posso – ragazzo, non posso – cosa ti ho detto? Tienilo d'occhio, non innamorati di quello scopa-alberi – maledetto bambino sciocco, fatti guardare-»

Si spinse indietro e tenne Gimli a distanza, e le sue labbra tremarono in un espressione di gioia e agonia. «Odio i tuoi capelli» disse infine. Un'altra lacrima corse nella sua barba. «Devi mangiare, guardati, sei tutto ossa e roccia scavata.»

«Mi avevi anche detto di pettinarli, no?» disse Gimli, sorridendo con occhi umidi.

«Aye, tu dovresti pettinarli» ringhiò Glóin, e tirò Gimli per le spalle – lontano da Legolas «Vieni ora, vieni a salutare tutti...»

Gimli si voltò verso Legolas, cercando di parlare senza parole. Glóin lo notò, e la sua espressione divenne rabbiosa. «Non hai bisogno del suo dannato permesso!»

«No, Papà, non stavo cercando il suo permesso...»

«Gimli non ha bisogno di nulla da me» Legolas disse allo stesso tempo.

«Oh mahumb» gemette Frerin.

«Aye, e ricordatelo!» sputò Glóin, e strinse le braccia attorno a Gimli «Stai lontano, mi hai sentito? Non rubare ciò che non è tuo, anche se Mahal solo sa che un Elfo non si regolare – non quando possono prendere qualcosa!»

«Papà!» sussultò Gimli, scandalizzato.

Legolas parve rassegnato.

«Glóin» giunse una voce severa, e il Re si alzò «Non parlerai così dei nostri amici e alleati, e certo non del promesso di tuo figlio.»

«Promesso!» urlò Glóin, le vene del suo collo in rilievo.

«No» disse Thranduil, alzandosi improvvisamente e studiando suo figlio «No, siamo andati oltre che le promesse. Non è così, ionneg?»

«Mi stavo chiedendo quando si sarebbe fatto avanti, oooh sì» disse Dáin, e si sedette su un tavolo e si mise comodo, godendosi la scena.

«Sei davvero terribile» disse Thorin, scuotendo la testa.

«Oh sì, assolutamente terribile. Spostati» disse Frerin, sedendosi accanto a Dáin e guardando con occhi enormi.

Legolas incrociò di nuovo lo sguardo di Gimli, e poi guardò suo padre. «Mi sei mancato, Adar

Thranduil camminò con passo misurato attorno alla sala, ed era come se la sua stessa presenza avesse ipnotizzato tutti. Calmo ed elegante, Thranduil alzò una mano verso il volto di Legolas e accarezzò la pelle della sua guancia.

«Di tua spontanea volontà» disse. Non era una domanda.

«Sono ancora vivo» disse Legolas, e chinò la testa.

«Non capisco» borbottò Frerin, ma Thorin aveva la spiacevole sensazione di aver letto qualcosa sugli Elfi, qualcosa che avrebbe reso lo scambio di battute chiaro, qualcosa che non ricordava.

Dall'espressione sul volto di Dáin, lui ricordava benissimo – e non l'avrebbe detto ad alta voce.

Thranduil chiuse gli occhi per un momento, e poi alzò di nuovo il viso di Legolas verso di lui. «Anche i gabbiani?» disse, così piano che sarebbe potuto essere una brezza.

«Aye» disse Legolas, e poi capì ciò che aveva detto, e deglutì «Voglio dire, sì, Adar.»

Thranduil lo fissò. «Non lo accetto. Lo sai.»

«Lo so» Legolas premette la sua mano sopra quella di suo padre, tenendola contro la sua guancia «Lo amo, Adar

«Io credo che tu lo creda» disse tristemente Thranduil. Poi diede un bacio sulla fronte di Legolas e lo strinse in un abbraccio. «Sei al sicuro e sei tornato da me. Il resto può aspettare.»

Legolas gettò a sua volta le braccia attorno a suo padre, e seppellì il volto nella spalla di Thranduil. Poi i due fratelli maggiori corsero avanti – Laindawar con grazia mortale, Laerophen incespicando leggermente – e si strinsero attorno ai due come una coperta.

«Beh» Dáin sembrava sorpreso «Forse il vecchio Elfo ha del sangue e non del ghiaccio nelle vene dopotutto.»

Glóin aveva osservato lo scambio con la bocca spalancata, ma quando sentì gli occhi di Gimli su di sé la chiuse in un istante. «Nemmeno io accetto» disse, la mascella stretta e i denti che schioccavano attorno alle parole.

«Aye» Gimli lo guardò con tristezza «Ce l'eravamo aspettato.»

«E hai scritto una maledetta lettera idiota per “prepararci” così che potessimo preoccuparci per mesi, testa dura!» venne lo strillo, e Gimrís corse avanti, i pugni chiusi.

«Oh aiuto, salvatemi» ansimò Gimli, e Glóin ridacchiò.

«Affronta la frana che hai causato, ragazzo»

«Nadad, vieni qui! Porta il tuo posteriore troppo muscoloso qui, lo prenderò a calci per tutta la Montagna!» esclamò Gimrís. Ma quando Gimli scivolò via dalle braccia di Glóin e si fermò davanti a lei, a disagio, lei poté solo emettere un suono di pura frustrazione e stringersi a lui come un mollusco di caverna.

Gimli strinse le braccia attorno a lei, e la dondolò leggermente. «Namadith» disse «Più bella e terrificante che mai.»

«Ti prenderò comunque a calci nel posteriore» disse lei.

«Non menti mai, non ne vedo l'ora» disse mentre lei gli dava un bacio «Gimrís mi sembri stanca.»

«E grazie a te! Dopo quella tua dannata lettera, ho avuto degli Elfi che mi infastidivano tutto il giorno! Domanda dopo maledetta domanda, tutte su di te! Sei il peggiore Troll che una Nana abbia mai dovuto chiamare – oh barba del grande Durin, Gimli, sei stato ferito?» Gimrís immediatamente smise di sgridarlo e iniziò a separargli i capelli folti sulla tempia «Questo era un taglio slabbrato, e sistemato sul campo. Ha sanguinato molto, è irregolare, ci ha messo troppo a guarire. Che idiota l'ha medicato!»

«Lo stai guardando» disse Gimli, ridendo.

«Aye, avrei dovuto saperlo. Ho degli oli da passare sulla cicatrice, per vedere se migliora. I capelli ricresceranno in un attimo, aspetta e vedrai. Ti sta bene! Mahal, Gimli, sei tutto pelle e capelli e muscoli! Non attraverserai mai un inverno così, sembri un montone essiccato. E le tue mani...!»

Gimli le alzò, osservandole confuso. «Cos'hanno?»

Gimli lo guardò male. «Sono come carta vetrata. Ti stai disidratando, idiota. Cibo e molti liquidi, non troppo sale, e vacci piano con la birra!»

«Gimrís, basta...»

«Oh, capisco ora» disse Laindawar laconicamente, spingendo indietro i capelli di Legolas e guardando accigliato la sua nuova treccia «E cos'hai sul pollice, honeg nín

«Gimli l'ha fatto per me. Un anello da arciere» Legolas alzò la mano «Un'usanza di fidanzamento della sua gente. Non è bellissimo?»

«Bellissimo davvero» disse Laerophen, come se stesse invitando una sfida.

Le narici di Thranduil si gonfiarono, leggermente.

«Dov'è Mamma?» chiese Gimli, guardando per la stanza. Gimrís strinse le labbra.

«Tiene d'occhio Gimizh e i sassolini Dwalinul oggi. La vedremo subito dopo»

«Sarebbe fantastico» Gimli le diede un altro bacio «Sei meravigliosa alla vista, e un dolore benvenuto nelle orecchie.»

«E il tuo alito è terribile come sempre, faccia da Troll» sbuffò lei, e lo abbracciò di nuovo. La sua voce era stranamente bassa nel dire: «Mi sei mancato, nadad

«Anche tu mi sei mancata, mia feroce namadith»

«Gimli Glóinul» disse l'Elminpietra pazientemente «Hai delle missive da darci? E delle scuse, magari?»

Gimli guardò il Re e fece un smorfia. «Aye, mi dispiace per tutto il disastro. Non so come avrei potuto impedire che diventasse un disastro, onestamente. Ma mi scuso di non essere stato qui quando è successo.»

«Anche io» aggiunse Legolas, e si estricò dall'abbraccio della sua famiglia per fermarsi davanti al Consiglio.

«Ho dei documenti» disse Gimli, e si tolse lo zaino dalle spalle. Cadde sul pavimento di pietra decorata con un tonfo, e lui vi cercò dentro. «Ah! Ecco. Dai Re di Gondor e di Rohan, dichiarano amicizia e fratellanza con il nostro popolo da ora e per sempre. Una qui da Peregrino Tuc della Contea, figlio del Conte, che conferma il nostro diritto di visitare e commerciare come desideriamo, sotto l'approvazione di suo padre. E qui un messaggio da Gandalf il Bianco, e dai grandi nobili Elfici, Elrond di Granburrone e Galadriel di Lothlórien.»

L'Elminpietra parve stupefatto. «Anche loro dichiarano la loro amicizia?»

«Per il tempo che rimane loro, sì» Gimli alzò lo sguardo, le mani piene di carte «Stanno lasciando queste sponde. Non passerà molto tempo prima che quelle terre siano svuotate. Fino a quel giorno, però, estendono le loro mani in amore e amicizia nello spirito di questa nuova Era.»

Thranduil fece un breve, sorpreso respiro.

«Questa è una bella sorpresa» disse Glóin rigidamente.

«Ci è stato dato permesso dal Re di Rohan di costruire una colonia nelle Montagne Bianche» continuò Gimli «Hanno le caverne più belle che io abbia mai veduto, sorpassano persino Khazâd-dum in gloria. Vorrei portare con me coloro che desiderano visitarle, e prendermene cura. Gondor ci permette inoltre di usare la loro terra per gli scambi e i viaggi lungo le vecchie strade, che sono ora sicure. I Cancelli di Minas Tirith sono stati pesantemente danneggiati nel loro assedio, e c'è del lavoro per mani Naniche e per la buona volontà del popolo Nanico là.»

«Mm» l'Elminpietra si accarezzò la barba ramata «Nuovi scambi e nuovi lavori, e una nuova colonia! Sei stato occupato, figlio di Glóin! Questo è davvero molto promettente!»

«Ho anche delle notizie meno liete» disse Gimli piano, ed estrasse un libro rovinato dal suo zaino. Attraversando la sala, lo porse a Dori e disse solo: «Mi dispiace.»

Dori fissò il libro per un momento, e poi lo prese con mani tremanti.

«Non riesco a sopportare il suo volto» gemette Frerin.

«Ho il fato della spedizione di Khazâd-dum» disse Gimli, e raddrizzò le spalle. Sembrava stesse per gettarsi nel fuoco. «Sono morti da tempo. Balin fu assassinato da un orco mentre attraversava Azanulbizar per guardare nel Mirolago. Óin fu preso dal Guardiano delle Acque – una bestia che quasi prese anche noi. Náli, Urgit e Lóni furono uccisi ai Cancelli Occidentali, e Frár fu ucciso alla Scalinata Infinita. E Ori – Ori fu ucciso nella Camera di Mazarbul, dove gli ultimi resistettero sino alla fine. Questo è ciò che ci ha lasciato.»

Dori emise un singhiozzo strozzato, e la sua testa si chinò sopra il libro strappato e rovinato dalle battaglie. Dwalin e Bofur si mossero per aiutarlo quando le sue gambe cedettero.

Ci fu silenzio, e poi il Re chinò la testa. «Terremo un funerale. Che siano ricordati.»

«Dori, Dwalin, mi dispiace molto» disse Gimli «Papà – oh Papà, mi dispiace così tanto

La spalle di Glóin stavano tremando, e la sua mano era stretta sulla sua bocca. Gimli e Gimrís andarono da lui, e lo strinsero forte. «Dannato lui» si udì Glóin dire, la voce rotta «E dannato per sempre quel luogo.»

«Ora, per le questioni più immediate» disse l'Elminpietra, e si massaggiò gli occhi «Gimli, ci hai scritto che hai trovato il tuo Uno in un Elfo. Questo Elfo. Thranduil di Bosco Atro è rimasto con noi in questi mesi in preparazione a questo. Desiderate sposarvi?»

«Si sono già sposati» disse Laerophen, facendo spallucce «La questione è risolta.»

«Cosa!» Glóin spinse via Gimli e lo guardò con orrore.

Dwalin si riscosse e strinse Guardiano più forte nella sua mano tatuata. «Mantieniti civile, vecchio amico» disse in tono di avvertimento.

«Al modo Elfico, sì» Legolas allungò la mano, e Gimli fece un passo indietro e la prese. I suoi occhi scuri erano pieni di sfida. «Ma non al modo Nanico.»

«Non lo accetto!» esclamò Glóin, la testa che andava da Dwalin alla strana coppia mano nella mano davanti a lui.

«Per una volta, devo essere d'accordo con questo irascibile» disse Thranduil dolcemente «Non avrò mio figlio macchiato da qualche cerimonia oscura e primitiva.»

«Oscura e PRIMITIVA...!» quasi ruggì Glóin.

«E tu puoi tenere una lingua civile, grazie» disse Dwalin al Re Elfico.

«Vogliamo sposarci!» disse Gimli forte sopra alla nuova confusione «Vogliamo, e lo faremo, per quanto voi diciate di no! Lo amo, va bene? Io sono suo, tutto ciò che sono. Ho visto meraviglie e orrori senza parti a questo mondo, e solo guardare lui mi mozza il fiato! Conosce il mio Nome, Papà, e ho forgiato per lui il suo anello di matrimonio. Gli ho giurato, quando le orde di Mordor uscirono urlando dal Cancello Nero per mandarci a morte, ho giurato e non romperò il mio giuramento, mai a lui! Ci sposeremo, renderemo nuove cose antiche e vecchie cose nuove – e Mordor stessa non ci ha potuti fermare!»

Thorin voleva applaudire. Gimli era orgoglioso e fermo, la sua voce profonda echeggiava per la totale certezza. Agli occhi imparziali di Thorin sembrava un Re dei tempi antichi, una leggenda. La sua convinzione bruciava sul suo volto come la stella di cui portava il nome.

Glóin poté solo fissare Gimli, il petto si abbassava e si alzava rapidamente e la sua espressione era distrutta. Poi il suo volto crollò, e lui si voltò.

«Parente» disse l'Elminpietra, dolcemente «Calmati.»

«Non sono arrabbiato» disse Gimli, anche se la luce nei suoi occhi diceva il contrario.»

«No, sei furioso» disse Legolas, e si abbassò di fronte a Gimli e prese entrambe le sue mani nella propria «Amore mio, ce lo aspettavamo. Ricordi le tue parole fuori dalle porte di Erebor? Respira con me, meleth nín

Gimli chiuse gli occhi e respirò lentamente col naso.

«Se c'era qualche dubbio, Gimli ha appena provato di essere il figlio di Glóin fino al midollo» mormorò Frerin.

Thranduil osservò, la testa china e lo sguardo rapido, calcolatore, misuratore.

«Perdonami» disse Gimli infine, e aprì gli occhi e guardò Legolas con dolcezza «Grazie, âzyungelê. Sono nervoso quanto te, sembra.»

«Nervoso» disse Laindawar immediatamente, accigliato «Quelli sono nervi? È prono al nervosismo, dunque?»

«Sta zitto» disse Gimrís, senza nemmeno guardare nella sua direzione.

«Tu potrai non accettarli, ma io sì» disse Laerophen, e si allontanò leggermente da suo padre «Lo farò. Hai sentito le sue parole? Guardali, Adar! Aprirai gli occhi e il cuore e li guarderai?»

Thranduil rimase fermo e in silenzio.

Gimli alzò lo sguardo per incontrare quello del Re Elfico, prima di girarsi verso Laerophen. «No, ragazzo, non andare contro tuo padre, perché lui è tuo padre e ti vuole bene. Non voglio causare dispiaceri fra voi due» disse «Devi essere Laerophen. Legolas mi ha detto molto di te.»

L'alto, allampanato Elfo sorrise. «E io ho udito molto di te da tua madre e tuo nipote. Trovo di essere felice del mio cognato... anche se non è alto come un tempo mi sarei aspettato.»

«Un gran sollievo trovare che non tutto quello che Legolas mi ha detto è come era quando è partito» disse Gimli, e porse una mano a Laerophen perché si afferrassero i polsi «Ben incontrato, Laerophen.»

«Al tuo servizio» disse Laerophen, il suo ghigno scherzoso, e Gimli rise «E che l'amicizia sia lunga!»

«Non sarà abbastanza lunga» disse Thranduil freddo «Morirà, come tutti i mortali devono.»

«E ricominciamo» sospirò Legolas «Adar, ne abbiamo parlato più volte di quante tu non possa immaginare...»

«E hai scelto lo stesso il sentiero dello stolto» disse Thranduil.

«Non sono d'accordo» disse Dís, e si alzò e girò attorno al suo tavolo per andare di fronte alla coppia.

«Namad, namad» biascicò Frerin, e si morse le dita «Sembra così vecchia...»

«Lei è vecchia» disse Thorin triste.

«Siate felici assieme» disse lei, e poi si girò verso Glóin «Se tu non darai la notizia, lo farò io.»

«Zia Dís» sussultò Gimli, mentre Glóin sputacchiava.

«Pagherò l'intero maledetto matrimonio, se devo» continuò Dís, la voce dura e determinata «Gimli, vieni qui e abbracciami, mi sei mancato. Presentami.»

«Aaaah» la testa di Gimli andò fra suo padre e Dís, ma infine si morse il labbro e si fece avanti «Va bene... Dís figlia di Frís, questo è Legolas Thranduilion.»

«Deliziata» disse lei, secca.

Legolas prese la mano di Dís, e stava tremando leggermente nel chinarsi su di essa. «Il piacere è mio, Lady. Ho sentito molto di voi. Grazie per la generosità del vostro spirito.»

«Ebbene, ha modi migliori dei tuoi, questo è certo» disse Dís a Gimli, che alzò gli occhi al cielo.

«Non ne sono certo» disse Legolas, sorridendo «Gimli è stato chiamato Amico degli Elfi dalla Dama Galadriel in persona, per la sua cortesia ed eloquenza nel loro primo incontro. Io rimasi senza parole solo ascoltandolo!»

«Mm. Una storia interessante» Dís passò una mano sulla testa di Gimli, e una certa sorpresa passò sul suo volto. «Lisci? Li hai curati e oliati? Cosa hai fatto a Gimli Glóinul?»

«Ah, a Legolas piace pettinarmi i capelli» mormorò Gimli, imbarazzato.

«Lui li cura in modo abominevole» disse Legolas affettuosamente.

«Sono cento e trenta anni che glielo dico!» disse Gimrís, incrociando le braccia infastidita «Sono felice di vedere che tu abbia trovato uno che ha almeno un po' di orgoglio nel proprio aspetto, nadad

«Troppo, se chiedi a me» ringhiò Glóin «Precisino e curato come un Elfo!»

«Non diresti così se ci avessi visto dopo la battaglia al Fosso di Helm» disse Gimli, secco. Stava chiaramente ancora controllando la sua rabbia all'insulto. «Entrambi noi coperti di fango e sangue, l'Elfo non meglio di me.»

«Ah, ma tu avevi trovato le caverne, quindi eri anche fradicio fino all'osso, e avevi una ferita alla testa!» rispose Legolas.

«Era solo un graffio! E tu eri bagnato di pioggia; freddo come un pesce! Non ero io con del fango sui piedi e fra le dita!»

«No, eri quello con la barba in nodi infangati e uno straccio attorno alla testa! Eri una vista talmente spaventosa, che non avrei mai voluto incontrarti di notte!»

«Se ti mettessi degli stivali decenti, non saresti finito con metà del torrente sotto le unghie, dolce sciocca creatura...»

«Non era il mio elmo che è caduto nel canale!»

«Tu non ti metti un elmo! E comunque, ho battuto il tuo conto anche senza. Baruk Khazâd!»

«Allora dovrò iniziare a metterne uno per migliorare» Legolas rise la sua risata luminosa e argentine, e diede a Gimli un rapido bacio.

Poi di bloccarono. Due paia di occhi si voltarono lentamente e pieni di terrore, verso gli sguardi gemelli di Thranduil e Glóin.

«Hanno... iniziato a bisticciare e si sono dimenticati dov'erano» gemette Frerin «Oh mio Creatore, che cosa mai stavano pensando questi due?»

Laerophen e Gimrís si coprirono entrambi la bocca, nascondendo i loro ghigni. Dwalin ridacchiava, la spalla che tremavano, e Bofur era caduto in un'isteria silenziosa.

«La faccia di Thranduil mi terrò al caldo per il resto della mia vi- la mia esistenza» dichiarò Dáin.

Senza una parole, Thranduil si girò e uscì dalla sala del Consiglio, il mantello che gli svolazzava dietro. Laindawar lanciò a Gimli uno sguardo indecifrabile, prima di seguirlo. Laerophen rimase, la sua allegria ancora visibile nei suoi occhi.

«Ci sono altre notizie da portare» disse Gimli, il suo volto molto rosso.

«Ma possono aspettare fino a dopo che voi abbiate avuto un po' di tempo per voi stessi e per i vostri cari» disse il Re, e anche lui stava ghignando «Per favore non iniziate altre battaglie, se potete. Ci stiamo ancora riprendendo dall'ultima.»


Laindawar uscì sui bastioni, il vento giocava con i suoi capelli. Fece un respiro profondo con il naso, e poi un altro. I suoi pugni si strinsero sul muro di pietra, aprendosi e chiudendosi spasmodicamente. Voleva poter andare a cacciare, sfuggire negli oscuri boschi sicuri della sua casa, ma solo rocce dure lo circondavano ovunque potesse guardare. Persino gli ultimi fili grigi di erba autunnale nella pianura non erano abbastanza. Alberi, gli serviva il dolce abbraccio degli alberi.

Il Nano non era come se l'era aspettato. Per nulla.

Eppure non era quello che occupava così pesantemente la sua mente.

«Non il tuo solito giro» giunse una voce allegra, e Laindawar girò la testa di scatto verso quellu dalla barba verde, la guardia «Cosa ti porta qui fuori, altezza?»

«Non sono affari tuoi» rispose lui brusco.

«Oh, ma potrebbero esserlo. Hai appena visto tuo fratello e il suo bello, no?»

Laindawar lanciò id uno sguardo truce. Aveva un eccellente sguardo truce: tutta la superbia di suo padre, e i fieri selvaggi occhi di falco di sua madre.

Lu Nanu parve imperturbatu. «No, gli occhi di mia Mamma mi fanno a fette tutte le volte che non pulisco il piatto: i tuoi non ci vanno nemmeno vicino. Vuoi parlarne?»

«Perché ti importa?» disse Laindawar brusco «A te non cambia nulla: perché te ne preoccupi?»

«No, Gimli non è mio parente, vero» lu Nanu cambiò posizione. Era un movimento sottile che raccontava di lunghi turni di guardia, l'abituale spostare il peso da un piede all'altro così che gli arti non si indurissero e indolenzissero. Ben addesstratu, questu. «Ma vivo qui, ed è un motivo abbastanza buono. Ai Nani piace un litigio: quello che non ci piacciono sono i guai. E quella non è la faccia di qualcuno in pace con se stesso.»

«Senti, come ti chiami, Nanu?»

«Jeri. Jeri figliu di Beri» il volto del Nanu si aprì in un sorriso «E io conosco il tuo, certo»

«Allora lasciami solo, Jeri figliu di Beri»

«Nah, non posso. Sono di guardia qui oggi pomeriggio, anche se potrei rimanere di più. Dipende da come mi sento»

Laindawar aggrottò le sopracciglia, confuso. «Vuoi dire che scegli tu quanto lavorare? Non è comune per un soldato.»

«Soldatu, grazie. Niente maschile o femminile qui. Ed è una delle prerogative che mi sono concesse come guardia del corpo del Re» Jeri fece l'occhiolino «Posso decidere io dove sono più utile. E mi annoiavo al Consiglio. Nessuno di voi fa altro che parlare. Quando c'era Dáin, almeno potevo fermare qualche rissa ogni tanto.»

«Risse!?»

«Politica Nanica» disse Jeri, e fece spallucce «Allora, hai finito di cambiare argomento? Sono piuttosto testardu, sai. Dovrai andartene per farmi smettere di chiedere.»

Laindawar ritentò il suo sguardo truce, e poi fece un grande sospiro quando ebbe gli stessi effetti di prima. Arrendendosi, si voltò verso il vasto spazio erboso fra Erebor e Dale, cercando la linea scura al termine del Lago che era la sua amata foresta.

«Non è come me lo aspettavo»

«Chi, Gimli?»

«No» Laindawar deglutì «Mio fratello. È... diverso.»

«Aye, succede quando hai visto le guerre che hanno visto quei due, suppongo. Ma sai come le battaglie possono cambiare qualcuno. L'hai già visto prima, non è vero?»

«Sì, ma» Laindawar si fermò prima di dire qualcosa di troppo offensivo – e poi si meravigliò di sé. Non se ne sarebbe mai preoccupato, solo un mese prima. «Non sono le battaglie che vedo, su di lui – anche se sì, la violenza che ha visto e commesso pesa su di lui come una nube. Sento il mare nella sua voce e vedo le onde nei suoi occhi, ma non è il più grande dei cambiamenti. È...»

«Lui è innamorato» disse Jeri piano.

Laindawar rabbrividì. «Sì. Ed è posato ed orgoglioso come una leggenda dei tempi antichi, eppure gioioso come un bambino – no, non lo riconosco.»

«Lui è sempre tuo fratello» Jeri spostò il peso di nuovo, e si voltò anche id a guardare l'erba – Nanu ed Elfo spalla contro spalla «Non hai ancora avuto la possibilità di parlare, no?»

«Non davvero» disse Laindawar, e abbassò lo sguardo.

«Ecco il tuo problema allora. Difficile riunirti davvero con qualcuno quando tutti misurano ogni tua parola. Parlagli senza cento occhi sconosciuti che fissino ogni mossa che fate. Trova il fratello che conosci, e sii felice delle sue differenze» Jeri gli diede di gomito. Laindawar si irrigidì per un momento, ma si calmò quando capì che il consiglio era buono. Anzi, era migliore di qualsiasi altro avesse ricevuto.

«Non posso celebrare queste differenze» si udì dire al vento «Non ancora... e forse mai.»

«Perché no? Il cambiamento è buono. Il cambiamento è come funziona il mondo. Noi cambiamo, o rimaniamo indietro» Jeri alzò una mano verso l'erba avanti «Il mondo sta cambiando. Forse questo è il primo assaggio.»

«Mio fratello ha sposato un Nano» disse Laindawar, e gli alberi della sua casa ondeggiarono all'orizzonte, come invitandolo a tornare nel loro dolce abbraccio, lontano da tutte queste novità e stranezze «Questo cambiamento... no. No. Non posso accettarlo.»

«Ho la sensazione tu l'abbia già fatto» disse Jeri, e si tirò la barba «Quello è il tono di qualcuno che si sta aggrappando a una vecchia idea perché non sa come lasciarla andare. Ma tu non ci odi così tanto. Almeno, non quanto una volta. Ti sei abituato a noi, eh? Forse anche tu stai cambiando, altezza.»

Laindawar guardò giù lu Nanu. Dove una volta avrebbe visto solo capelli ruvidi e un corpo piegato e sgraziato, ora vedeva occhi chiaramente intelligenti, un volto allegro, mani rapidi e abili, forza nel portamento della larga schiena e delle gambe. «Detesto essermi sbagliato» borbottò «E spero anche tu sia così. Sono un Elfo: non sono mutevole come lo sono i mortali.»

«Anche tuo fratello è un Elfo, ricordi» gli fece presente Jeri, sorridendo.

Laindawar ringhiò, e si voltò di nuovo verso gli alberi.

«Penso tu stia cambiando più di quanto tu non voglia ammettere» disse Jeri dolcemente «Sei qui che parli con me, no? E non è poi così spiacevole. Non c'è nemmeno qualcuno che sanguina!»

«Per ora»

Jeri rise. «Dovresti andare a incontrare Gimli come si deve. È un gran bravo Nano. Potrebbe anche piacerti, chi lo sa?»

«Ha il favore del Sire e della Dama di Lothlórien» disse Laindawar, immerso nei suoi pensieri «Potrebbe essere eccezionale fra di voi.»

«Oppure forse noi siamo più di quanto tu non di aspettassi» disse Jeri asciuttu «Vai, va a parlare con loro e smettile di nasconderti qui con me. A meno tu non voglia fare un turno di guardia.»


Fu un gruppo silenzioso quello che tornò ai loro appartamenti di famiglia. Gimli e Legolas camminarono spalla contro spalla tutta la strada. I sussurri li seguivano ancora, rimbalzando attorno alle caverne e ai corridoi mentre passavano.

Glóin camminava a grandi passi in testa al gruppo, furioso.

Il momento la porta si chiuse dietro di loro, lui si girò verso la coppia. «Cosa intendono dire, sposati da Elfi» ringhiò.

Legolas arrossì, ma Gimli era pallido come una betulla. «Vuol dire che siamo sposati nel modo in cui gli Elfi lo riconoscono, Papà. Abbiamo condiviso cuori e corpi. Possono vederlo negli occhi di Legolas, da quanto capisco.»

Glóin sbuffò e tossì. «Possono vedere...? Senza vergogna, senza alcuna vergogna!»

«No, possono vedere solo che sono sposato, nient'altro» disse Legolas, riprendendo controllo di sé.

Glóin lo fulminò con lo sguardo. «Hai l'abitudine di portarti a letto goblin mutanti, dunque?»

«Papà!» gemette Gimli. Legolas, sorprendentemente, ridacchiò.

«Solo uno, e mi ha perdonato da tempo l'insulto»

«Ebbene, io no. Gimli perdona troppo facilmente» borbottò Glóin.

«Mi serve una birra» dichiarò Bofur «Gimrís, vuoi aiutarmi a preparare da mangiare?»

Mentre Bofur e Gimrís andavano in cucina, Gimli osservò il loro salotto. Era più spoglio di come l'aveva lasciato, e i mobili mancavano a tratti: sacrificati nelle forge affamate quando il legno era finito in guerra. Ma c'erano ancora i quadri alle pareti: il primo reclutamento di Gimli, i progetti in vetro di Gimrís di quando era apprendista, gli indecifrabili e colorati scarabocchi di Gimizh. «Dov'è Mamma?»

«Dovrebbe tornare fra poco da casa di Orla» grugnì Glóin. Guardò di nuovo Gimli, il suo cuore nei suoi occhi. «Gimli, perché?»

«Non incolpare Gimli» disse Legolas, e mise una mano sulla spalla di Gimli «Avrebbe tenuto segreto il suo amore per il resto dei suoi giorni, se noi non avessimo infine trovato le nostre lingue.»

«Vuoi dire che lo amavi prima del...» Glóin tossì di nuovo «del matrimonio?»

«Gli Elfi non possono fare altrimenti» disse Legolas «Ci siamo amati in silenzio e in segreto per mesi.»

Glóin si girò verso Gimli, la bocca aperta in completa sorpresa.

«So cosa vuol dire, per i Nani» aggiunse Legolas molto piano.

«Allora...» Glóin deglutì, e si passò le mani fra i selvaggi capelli bianchi «Allora... tu dici che... lo farebbe. Oh Mahal. Oh Mahal, non posso. Non posso sopportarlo!»

«Tieni» disse Bofur, spingendo un boccale verso Glóin «Ti serve.»

Glóin lo prese e ne prosciugò gran parte in un enorme sorso, e poi si lasciò cadere sulla sua vecchia sedia.

Bofur poi ne porse uno a Gimli. «Una anche a te, ma non dirlo al mio rubino» socchiuse gli occhi verso Legolas «Non so cosa gli Elfi pensino della birra. Ne vuoi una?»

«Gli piace abbastanza» disse Legolas, sorridendo «Almeno a questo.»

«Mi ha fatto ubriacare fino a crollare a Rohan. Non capisco ancora dove tu l'abbia messa, sono sicuro che hai barato» disse Gimli, e bevve un sorso cauto «Oppure hai una maledetta gamba vuota.»

Ci fu uno scatto, e poi venne un tremante, stupefatto: «Inùdoy?»

Gimli immediatamente spinse il suo boccale verso Legolas e corse il più velocemente che poteva verso la porta. Un enorme strillo infantile lo salutò, e un basso grido di gioia. Quando Legolas si voltò a guardare, le mani piene di birra, Gimli era stretto nelle braccia di una robusta Nana con una massa di capelli bianco argentei, mentre un piccolo bambino rosso danzava follemente attorno a loro.

«Zio Gimli, Zio Gimli, Zio Gimli!» strillò Gimizh, saltellando da un piede all'altro in incontrollabile eccitazione.

«Figlio mio, oh mio caro ragazzo» sussurrò Mizim, il volto premuto contro i capelli di Gimli. Indietreggiò per accarezzargli il viso, la fronte, le spalle, le sue labbra tremanti. «Oh figlio mio, mio inùdoy, sono così orgogliosa... oh mio dolce ragazzo, mio coraggioso ragazzo...»

«Mamma» disse Gimli, e il suo sorriso tremava nello stringerla di nuovo fra le braccia «Sei più giovane che mai.»

«E tu sei ancora un terribile adulatore» lei tirò su col naso, e gli baciò la guancia ancora e ancora «Barba di Durin, ti serve del cibo! Bofur, cosa stai facendo passando birre, al mio ragazzo serve un pasto! No, non ti preoccupare, vado a preparare.»

«Faccio io, faccio io» protestò Bofur, alzando le mani «Gimrís è di là adesso.»

«Aiuterò anch'io, lasciami solo togliere lo zaino e il mantello» disse Gimli, e si tolse lo zaino dalla spalla e lo poggiò contro il muro «Ah, mi dev'essere venuta un'ernia a portare quella cosa!»

Le sue braccia furono immediatamente riempite da un piccolo bambino urlante. «ZIO GIMLI!» fu tutto ciò che si riuscì a capire dal torrente di parole.

«Ciao, mio azaghîth! Sei alto quasi quanto me ora!» disse Gimli, e abbracciò il bambino «Ora, mio meraviglioso ragazzo, potrei avere un paio di cosucce trovate nei miei viaggi per un bravo bambino.»

«Io qui non ne vedo» disse Gimrís, dalla porta. Stava sorridendo teneramente mentre Gimizh tirava la barba di Gimli, coprendogli il volto di baci. Mizim sospirò, stringendosi le mani guardandoli, gli occhi umidi.

«Vedo che tua madre è terribile come sempre» disse Gimli, e Gimizh annuì furiosamente.

«Oh lo è, lo è davvero – ma, Zio Gimli, io sono andato in battaglia! Ho anche ucciso un goblin, come te, ed era morto, BAM! Con l'olio di lampada tutto in testa. E Papà non riusciva a vedere, ma ora ogni tanto ci riesce, ma gli fa male la testa, e a Piccolo Thorin hanno dato un appellativo per uccidere gli Orchi in battaglia ma a me no. Non penso sia giusto, tu?»

«Gimizh, mio piccolo tesoro, tutti sanno che il tuo appellativo è “il Terrore di Erebor”» disse Mizim «Lascia che tuo zio si tolga il mantello – che mantello è quello? Cos'è successo all'altro?»

Gimli rimise Gimizh sui suoi piedi, e iniziò ad aprire il fermaglio a foglia alla sua gola. «Tu lo sai, io non ricordo?» Guardò Legolas, che fece spallucce.

«Penso sia andato perduto a Mor- ah, Khazâd-dum, o forse anche prima. Questi sono doni di Lothlórien»

«Altri Elfi» sospirò Glóin.

«Non essere maleducato, caro, presentami» disse Mizim, e prese il mantello di Gimli e lo ripiegò sul suo braccio, prendendogli la mano.

«Legolas, mia madre Mizim figlia di Ilga» disse Gimli.

«Tua suocera» commentò Glóin «Ti sembra molto mio fratello, eh?»

«Ero ignorante e sciocco» disse Legolas «È bella quanto mi hai raccontato, Gimli. Al vostro servizio, Lady Mizim» E si inchinò.

«Per carità, basta con queste sciocchezze, grazie. Sono Mamma per te, se non ti dispiace» disse Mizim, e schioccò le dita davanti a Legolas, che sussultò «Siete entrambi terribilmente magri, mi dovrò mettere al lavoro! Mantello prego. Li farò lavare: la gente di Dori sa fare un buon lavoro, e non rovineranno nulla. Un tessuto meraviglioso!»

«Tu sei il fratello di Laerophen» lo accusò Gimizh.

Legolas guardò Gimrís e Bofur, e poi Glóin, la cui barba si gonfiò in avvertimento. Poi si inginocchiò davanti al bambino e annuì. «Lo sono. Sono il fratellino di Laerophen. Il mio nome è Legolas, e sono il marito di Gimli.»

Gimizh si mise una delle sue trecce storte in bocca, guardando Legolas cupo. Poi esclamò: «Gimli è mio zio.»

«Lo è» disse Legolas, e alzò la testa per ghignare a Gimli «Lui sarà sempre tuo zio, e nulla che noi siamo potrà cambiarlo. Ma che ne diresti di avere due zii?»

Gimizh fece una smorfia. «Suppongo...»

«Due volte gli zii vuol dire due volte i troll!» disse Gimli, e corse verso Gimizh e lo sollevò in aria. Il bambino salì squittendo e ridendo istericamente mentre Gimli “mangiava” la sua pancia – con suoni esagerati per fare effetto. «Un'eccellente cena da troll, questa! Anche se è un po' appiccicosa – siamo stati di nuovo in cucina, eh?»

«Noooo, zio Gimliiii.!» ansimò Gimizh, contorcendosi e scalciando. Si liberò e poi corse via lungo il corridoio, Gimli alle calcagna, ruggendo e ringhiando teatricamente.

Gimrís e Bofur si scambiarono un sguardo, scuotendo la testa. «Non è cambiato nulla» disse Gimrís, sorridendo «Vieni, amore, andiamo a far bollire l'acqua» E sparirono in cucina.

«Mio nipote» disse Glóin piatto.

Legolas rise ancora – l'allegra limpida risata degli Elfi. «È adorabile. Anche se forse ci vorrà tempo prima di andare d'accordo. Non gli sto portando via l'amore di Gimli, ma non lo capisce ancora, temo.»

Il sopracciglio di Glóin si contrasse. «Mm.»

Mizim allora notò l'anello sul dito di Legolas, e si premette una mano sul petto. «Incredibile, che lavoro! Fammi vedere – ma, quella è la mia filigrana a spirali, la uso da secoli! È stato Gimli a farlo?»

«Sì» Legolas alzò la mano così che entrambi i vecchi Nani potessero vedere l'anello da arciere sul suo pollice chiaramente «Ha imparato in segreto, per potermelo donare.»

«Quel bravo ragazzo» disse Mizim, meravigliandosi «Meraviglioso. E una buona idea farlo un anello per il pollice, dato che sei un arciere come tuo fratello, giusto?»

«Aye» disse Legolas sorridendo al suo anello «Ma questo anello ha una storia migliore dietro di sé, una che potrebbe interessarvi.»

Glóin grugnì e iniziò a preparare la sua pipa. «Ne dubito.»

«Giudica tu» Legolas si sedette, le lunghe gambe allungate sul pavimento «Iniziò nelle terre dell'Eriador. Io ero irritato e scontroso, perché ero impaziente e nervoso, e gli Hobbit e Gimli non si muovevano rapidamente quanto la gente più alta. Gimli era rimasto indietro.»

«Vedo ci serviranno mobili più alti» borbottò Mizim, occhieggiando i lunghi arti sul tappeto «No, continua, continua!»

«E tu l'hai insultato?» disse Glóin, brusco e accusatore.

«Lo feci» Legolas sbuffò un poco «Oh, per le stelle, lo feci. I modi rigidi degli Elfi, invero! Non vedevo cosa era dinnanzi a me, per nulla. Non allora.»

Glóin strinse la pipa fra i denti.

«Questo fu prima che vedessimo un combattimento. Avevamo lasciato Granburrone solo da poche settimane e fra noi l'aria era gelida, a dir poco. Gli dissi che era lento, e rumoroso, e senza dubbio ci avrebbe solo rallentati»

Mizim mise una mano di avvertimento sul braccio di Glóin.

«Gli chiesi che utilità potesse avere lui in combattimento» disse Legolas, e scosse la testa stupendosi di se stesso «Che sciocco ero! Ma nonostante tutta la sua eloquenza, Gimli non mi rispose a parole. No, mi rispose con azioni, del genere che non potevo fraintendere.»

Glóin sbuffò soddisfatto. «Cosa fece? Ti mandò con il culo a terra, spero.»

«In un certo senso. Di certo mi stupì tanto da farmi perdere la mia arroganza» disse Legolas, sorridendo «Prese una pepita dal suo zaino, una d'oro, pesante e ornata, e la alzò davanti ai miei occhi. Poi senza nemmeno un rumore o un cambio di espressione, la appiattì lì fra le sue dita, finché non fu altro che un dischetto d'oro.»

Glóin scoppiò a ridere.

«Pensavo che ti sarebbe piaciuto» disse Legolas, ridendo con lui «Mise la mia irritazione al suo giusto posto in pochi secondi, e senza nessuno sforzo apparente! Mi lanciò il dischetto, e io non potevo credere a ciò che avevo visto. Persino lo morsi per controllare la sua durezza, ma no, era oro e Gimli poteva schiacciarlo senza pensieri fra le dita! Fui castigato adeguatamente. Mi tenni la pepita, la misi nello zaino, per ricordarmene.»

«E poi lui la trasformò nel tuo anello di fidanzamento» disse Mizim, e strinse la gamba di Glóin «Ora questa è una bella storia!»

Legolas tornò serio, l'allegria svanì dai suoi occhi. «So che non mi accetti» disse «e non hai motivo di fidarti del mio cambiamento. Farò tutto ciò che posso per assicurarti che è vero. Lo farò.»

Glóin strinse la pipa nelle dita rigide per un lungo momento, fumando. Poi se la tirò via dalle labbra e fissò Legolas severamente. «Dici di sapere come amano i Nani. Solo una volta, e completamente. Dici che Gimli aveva perso il suo amore per te molto prima che iniziaste a corteggiarvi. Dunque tu non... l'hai manipolato con belle parole e doni perché si affezionasse a te.»

Legolas scosse la testa. «Seppi che il mio cuore era perduto al Fosso di Helm, così completamente che lui era diventato il primo e più amato di ogni mio pensiero. Ma noi non parlammo, temendo di offendere l'altro. Perché chi mai ha sentito di un Elfo che ami un Nano? Non potevo perderlo.»

«Sapevi che ti amava?»

«No» Legolas parve insicuro per un istante «Credevo di non avere possibilità, e ne ero distrutto. Ma, Mastro Glóin, devi sapere qualcosa sugli Elfi: anche noi amiamo solo una volta, se mai lo facciamo, e le eccezioni sono rare.»

Glóin fumò ancora, le sopracciglia aggrottate.

«Ancora non mi piace» disse «Ma tu mi dici che è fatto, e se io mi mettessi fra voi due, vi condannerei entrambi ad avere un cuore infranto – forse per sempre, nel tuo caso.»

«Forse per sempre, o forse fino alla mia morte» disse Legolas, molto piano «Perché c'è un'altra cosa di cui dovresti venire a conoscenza. È successo che degli Elfi siano morti per un amore perduto.»

Mizim sussultò, e si alzò rapidamente. «Bene, non voglio più sentire il tuo borbottare allora» disse a Glóin «Terremo il matrimonio in una settimana. Pagherò per avere il meglio di tutto: mi rifiuto di avere Thranduil che ci guarda dall'alto in basso. Dannazione, c'è così tanto da fare... devo assoldare qualcuno della Gilda dei Musicisti, e dobbiamo assolutamente avere Barur Panciapietra per il banchetto. Le decorazioni! Parlerò con Alrís, è brava a fare le cose con poco... il Re dovrà officiare, è nostro parente e questo dovrebbe far stare zitto chiunque non sia d'accordo. Oh! Dove possono andare dopo? Dovremmo sistemare delle stanze per loro, magari un nuovo appartamento...»

«Gioiello!» balbettò Glóin, quasi ingoiando la sua pipa per lo stupore.

«No, non voglio sentirlo, mio vecchio orso!» esclamò lei, e si mise le mani sui fianchi «Se non vedi quanto si amano allora non sei il padre che io ho sempre pensato tu fossi!»

«Cosa sta succedendo?» Gimli era alla porta, Gimizh a testa in giù fra le sue braccia «Di cosa parli?»

Mizim si addolcì nel guardare suo figlio. «Alza la testa, stai per sposarti, ragazzo mio.»

«Davvero? Ci accetterai?» Gimli parve stupefatto. Gimizh, i capelli che dondolavano dappertutto, rimase a bocca aperta. «Mamma, grazie – ma... Papà, tu...»

Glóin si premette le dita sugli occhi. Senza parlare, annuì una volta, rapidamente.

«La cena è pronta!» urlò Bofur «Venite a prenderla!»


Gimli corse per i corridoi, notando distrattamente tutti i cambiamenti. Una crepa nel soffitto qui raccontava di un macigno che colpiva un punto sfortunato della Montagna, una bruciatura là parlava di una torcia distratta.

Raggiunse la sua destinazione, e frenò con i talloni. L'ala che si apriva sulla Gilda dei Musicisti era quasi vuota, anche se vi erano i suoni di strumenti che venivano suonati vicino. Non c'era nulla in vista nel cortile se non due Nane, sedute sul bordo di una vecchia fontana. Le loro teste erano vicine, e le loro mani intrecciate: tutto considerato, una scena intima e a Gimli parve di aver interrotto un momento privato.

Le due alzarono lo sguardo quando arrivò, e i loro occhi si allargarono in riconoscimento e sorpresa.

«Gimli, sei tornato!» urlò Barís, alzandosi. Accanto a lei, l'artigiana Bani parve piuttosto imbronciata.

«Aye, ciao Barís! Non ci metterò molto» disse, cercando di scusarsi.

Bani grugnì. «Sarà meglio.»

Barís accarezzò i capelli biondo grano di Bani con un sorriso discreto e dolce, prima di voltarsi verso Gimli per dargli tutta la sua attenzione. «C'è qualcosa che non va? Perché sei corso qui?»

«Ho un lavoro da commissionarti» disse, e cercò nella sacca alla sua cintura «Ecco. Uno importante...»

«Fammi indovinare, una canzone di matrimonio?» disse Bani, appoggiandosi sui gomiti.

Gimli arrossì.

Barís prese le carte che Gimli le stava offrendo. «Ne saremmo onorati» disse, e poi alzò un foglio per guardare gli scarabocchi di Gimli: disegni per l'anello da arciere che Legolas indossava ora.

«Ah, ignora quelli. Le parole sono qui, in fondo. Ho una melodia, ma non ho il tuo dono per l'orchestrazione» disse Gimli, indicando la pagina.

«Mm» gli occhi di Barís corsero rapidi, e ad alcuni dei versi le sue sopracciglia si alzarono parecchio «Elfico?»

«Beh, devo sposare un Elfo» disse Gimli facendo spallucce «Sembra tutta la Montagna lo sappia.»

«Glóin e Thranduil hanno fatto una scenata tremenda nel mezzo della corte: certo che tutta la Montagna lo sa» disse Bani, alzando gli occhi al cielo.

«Penso che potrei inventarmi qualcosa che potrebbe far colpo persino sul Re degli Elfi» disse Barís, aggrottando le sopracciglia «La melodia, puoi cantarmela?»

Gimli le diedi i versi e il ritornello, e lei annuì a si unì a metà, la sua voce squisita sopra al suo basso rombo. «Sì, posso lavorarci. Per quando?»

Lui fece una smorfia. «Fra una settimana.»

«Una settimana! Vi costerà parecchio!» disse Bani «Siete di fretta, per caso?»

«Niente fretta. Diciamo piuttosto che vorremmo togliere tutti gli ostacoli davanti a noi» disse Gimli, e si grattò la barba «Il costo non è un problema. Abbiamo abbastanza.»

«Ci scommetto, dopo tutte le tue avventure» disse Bani.

«Ah, non mi ha portato nessuna ricchezza in oro. Molte ricchezze nel cuore, però»

«So come ci si sente» disse Barís, e mandò una rapida occhiata a Bani, che quasi cadde nella fontana.

«Dovrei fare le congratulazioni anche a voi?» disse Gimli, divertito.

«Alcuni di noi non hanno tanta fretta» disse Bani, tirando su col naso.

«Sarà fatto in una settimana» lo assicurò Barís «Meglio che tu torni a casa prima che la tua vecchia famiglia dia la notizia!»


«Hai fatto un bel disastro, Gimli» disse Dís, con un sospiro, legando le trecce sulla sua testa «E per una volta non sono i tuoi capelli, perché non li ho mai visti così ordinati prima.»

«Lo so, Zia Dís» gemette lui in risposta «Ma cosa potevo fare?»

Lei gli tirò una ciocca rossa, piuttosto forte. «Avresti potuto aspettare. Impaziente come tutti.»

«Ebbene, almeno sono stato onesto»

«Vero» Lei gli passò una mano sui capelli «Non ricordo se quelli di Kíli erano così» disse allora «È passato talmente tanto tempo.»

Thorin fece un respiro, e lo esalò lentamente. Frerin cercò la sua mano, e trovandola, la strinse forte.

«Aveva capelli più sottili dei miei» disse Gimli dopo un momento «Era Fíli quello con i capelli grossi, come me.»

«Ah, hai ragione» Dís accarezzò la guancia di Gimli, e l'unico suono fu il raspare dei capelli e il basso rumore dei loro respiri. Legolas si mosse ma non parlò, una presenza alta e dimessa.

«Zia Dís?»

«Mm?»

«C'è qualcosa che voglio dirti, ma... temo tu non mi crederai»

«Oh mio creatore, non vorrà» sussurrò Frerin, e attraverso la sua propria sorpresa Thorin lo sentì tremare.

Dís alzò gli occhi al cielo. «Gimli, torni mano nello mano con un Elfo. Hai apparentemente viaggiato su navi e camminato nelle parti più profonde di Khazâd-dum, e lottato accanto a un esercito di spettri...»

«Sì, sì» la interruppe Gimli, e alzò la testa dalle sue ginocchia «Ma è di fantasmi che vorrei parlarti ora.»

Lei aggrottò le sopracciglia.

«Oh no» disse Frerin, debole.

«Farai meglio a trovare gli altri» gli mormorò Thorin, e lui annuì e svanì «E tu, inùdoy» disse, voltandosi verso Gimli «farai meglio a fare un lavoro migliore di quanto tu non abbia fatto con Aragorn!»

«Va bene, ma lasciamelo fare coi miei tempi» borbottò Gimli «Non mi servi tu che mi interrompi ogni due secondi!»

«Io non ho detto nulla» disse Dís, e ora c'era della preoccupazione nei suoi occhi «Gimli, stai bene?»

«Aye, perfettamente bene, Zia Dís» l'espressione di Gimli si addolcì, e lui si mise in ginocchio e le prese le mani fra le sue. Le dita di lei erano molto rovinate e sottili e nodose, strette in quelle enormi e dure di lui. «Ti suonerà completamente folle, ma ti devo chiedere di mettere da parte la tua incredulità per un momento» disse, con emozione «Ricordi le storie che ti ho detto del Bosco Dorato?»

«Il reame della regina Elfica, sì?» Dís si piegò in avanti, accigliata «Gimli, ti è successo qualcosa? Devi dirmi se sei stato trattato in malo modo, non voglio che...»

«No, furono la cortesia in persona – o, alla fine lo furono» disse Gimli, e le fece un mezzo sorriso incoraggiante «No, non mi fu arrecato danno dalle mani degli Elfi di Lothlórien. Fu in quei boschi che io imparai uno dei misteri di questo mondo: qualcosa che vorrei raccontarti ora. Ma devi giurarmi di tenerlo segreto.»

«Che succede?» venne la voce di Fíli dietro Thorin, seguito dal grugnito confuso di Kíli in risposta.

«Dovete stare zitti, ragazzi miei» disse Víli piano «Penso di saperlo.»

«Glielo sta dicendo» disse Thorin, e la sua gola era stretta «Di noi.»

La mano di Fíli immediatamente scattò e strinse quella di Kíli. Il suo nipote più giovane aveva gli occhi spalancati ed era pallido come marmo.

«Può farlo?» chiese Frís debolmente.

«Nulla lo può fermare ora, no?» rispose Víli duro.

«Dovete tutti rimanere in silenzio, per favore» disse Gimli con un gemito «Questo è già abbastanza difficile senza i vostri commenti. Riferirò le vostre parole quando avrò finito le mie.»

Dís era allarmata ora. «Gimli?»

Lui si voltò di nuovo verso lei, e le strinse le mani. Il suo volto era il più serio che Thorin avesse mai visto. «A Lothlórien, mi fu permesso di guardare nello specchio della Dama Galadriel. È un oggetto di profonda meraviglia, una finestra sul passato, presente e futuro, una porta verso una miriade di possibilità. Lì, vidi qualcosa che mi fece dubitare dei miei stessi occhi.»

Gimli si fermò, e si bagnò le labbra con la lingua. La sua gola si strinse.

Poi riuscì a dire: «Vidi tuo fratello. Zia Dís, vidi il nostro Re. E udii la sua voce. Lui ci ha guardato sin dalla sua caduta.»

Lei strappò le mani dalle sue, allontanandosi. La sua bocca era aperta in muto orrore, e furia e dolore lottavano nei suoi occhi.

«Zia Dís, ti prego, ti dico il vero» Gimli lasciò che le sue mani cadessero sulle sue ginocchia «Ha camminato per ogni passo del mio viaggio al mio fianco. Ho imparato a udire chiaramente le sue parole – prima dello specchio, lo credevo solo i miei pensieri. Ti prego! Ti chiedo, ti prego metti da parte la tua incredulità, per lo spazio di un'ora.»

«Non posso credere che tu sia così crudele» gli sputò lei, e Gimli chinò la testa.

«Non sto mentendo, Zia Dís» disse, leggero come la pioggia che cade «Lo giuro sul mio amore. Lo giuro sul mio stesso nome. Chiedimi. Qualsiasi cosa tu voglia, qualsiasi.»

«Vattene» sibilò lei.

«Oh Mahal» gemette Fíli «Gimli, no, non puoi andare.»

«Lo so» sospirò Gimli «Ma desideravo darle conforto, e le ho portato solo dolore.»

«Quando avevi tre anni» disse Thráin «spezzasti la gamba del tavolo di tua madre. Pensavi fosse il più grande risultato tu avessi mai raggiunto, e ridetti e ridetti.»

Gimli lo ripeté, e Dís si alzò, le narici dilatate. «Avrebbe potuto dirtelo Dwalin» disse, il petto che si alzava e si abbassava rapidamente «Anche Dáin lo sapeva. Ho chiesto di andartene: devo gettarti fuori?»

«Allora ecco qualcosa che solo un'altra anima vivente sa, namad» disse Thorin, e fece un passo verso sua sorella «Dohyarzirikhab.»

Gli occhi di Gimli si allargarono, e lui si strozzò. «Non posso ripeterlo!»

«Devi» Thorin sorrise tristemente al suo campione «Devi.»

Gimli fece tre respiri profondi, e poi lo disse nella stanza. Poi si strinse le mani sulla bocca.

Dís lo fissò, e poi le sue ginocchia cedettero e lei si sedette pesantemente sulla sua sedia. «Lui...»

Gimli scosse la testa, le mani ancora sulla bocca. «Non lo dirò di nuovo!» disse, soffocato.

«Chi te l'ha detto, dove l'hai trovato?» domandò lei. Le sue mani stavano tremando. «Chi ha osato scriverlo?! Tu non l'hai mai udito da nessuno di noi – Fíli o Kíli te l'hanno detto quando eri piccolo? Avrebbero dovuto-»

«No, tuo fratello me l'ha appena detto, adesso, in questa stanza» disse Gimli, con una certa ansia «Mi dispiace, non avrei dovuto dirlo così-»

«Non ci credo» Dís si piegò su se stessa «Non posso crederci.»

Gimli si passò una mano sulle fronte, i denti scoperti per la frustrazione. «Non posso chiedere più di così! Cosa c'è d'altro di più profondo del suo nome? Come puoi credermi?»

Dís fissò davanti a sé, la furia danzava nei suoi occhi.

«Ecco qualcosa che nessuno di vivente sa» disse Frerin, e alzò il mento testardamente, le basette tagliate dritte in strani angoli «Nessuno tranne Dís. Gimli, puoi sentirmi?»

«Aye»

«Allora ripeti dopo di me: Abkundûrzud»

Gimli chiuse gli occhi e imprecò, le spalle pesanti basse per la sconfitta.

«Hai sentito qualcosa di nuovo, adesso» disse Dís, e le sue mani tremanti si strinsero a pugno «Cos'era.»

«Zia Dís-»

«Cos'era»

«Era il tuo altro fratello, Frerin» sussurrò Gimli misero «Mi ha detto il suo nome oscuro, per dirtelo. Ha detto che nessuno vivente lo conosce.»

«Puoi sentirli tutti»

Gimli aprì gli occhi e alzò il volto verso quello di lei, implorandola senza dirlo: credimi, devi credermi. «Aye. Tutti loro ora.»

Il labbro di Dís si arricciò. «Allora cosa ha detto mio fratello morto da secoli?»

Gimli si morse il labbro per un momento, gli occhi che andavano da Legolas a sua zia, e poi disse: «A- Abkundûrzud.»

Il respiro di lei si mozzò, e la sua mano si mosse in avanti fino alla spalla di Gimli per sostenerla. «Quello... è quello» disse, così piano che era quasi inudibile «Quello era il suo nome.»

«Zia Dís, sono qui» disse Gimli. Mise delicatamente una delle sue mani su quella di lei. «Sono qui davvero, tutti loro. Ho imparato molto su di loro. Non ci hanno mai lasciati, non davvero.»

«I miei figli sono qui?» disse Dís, e non reagì alla mano di Gimli sulla sua. Era ferma e priva di espressione come un dipinto.

«Sì, siamo qui, Mamma siamo qui!» urlò Kíli, e Fíli gli strattonò il braccio.

«Non serve che urli, scemo!»

Gimli rise. «Aye, e stanno litigando.»

«Certo che sì» disse lei, e il suo labbro tremò «Mi mancano così tanto. Oh i miei bambini, i miei figli, quanto mi mancate.»

«Anche tu ci manchi» dissero Fíli e Kíli, in perfetto unisono.

«E i miei fratelli, entrambi i miei fratelli» disse lei, e i suoi occhi erano pieni di lacrime «Sono con te.»

«Sono spesso con me» disse Gimli, e sorrise «Ho imparato ad amarli. Thorin è stato una luce per me.»

«Davvero» disse Dís «Chi altro hai sentito?»

«Mio zio» disse Gimli «Balin. Ori. I tuoi genitori» deglutì «Dáin.»

Lei tremò come se l'avessero colpita.

«Li vidi anche, quando attraversammo i Sentieri dei Morti» disse Gimli, e studiò la punta delle sue dita: ruvida per il tempo e l'ascia «Non sono cambiati, è come se non fossero invecchiati di un solo giorno.»

«Voglio crederci» sussurrò Dís.

«Credeteci, Lady» disse Legolas «Li vidi nella luce malata dei Sentieri io stesso, chiari come vedo voi ora. Parlai con Re Thorin. Mi diede un compito.»

«Un compito?»

«Di dire ciò che è nel mio cuore» disse Legolas, e il piccolo, inscrutabile sorriso degli Elfi attraversò le sue labbra: quello che significava che era davvero toccato sin nell'anima «L'ho preso come un giuramento da allora.»

«Sento Thorin meglio di tutti» disse Gimli, e dondolò un poco «La sua voce... è chiara come la tua per me, come se stesse al mio fianco. Gli altri sono stati più difficili da sentire. Sono come... soffocati, deboli, come la voce della roccia. Ho imparato alla fine.»

«Posso sentirli?»

Gimli alzò lo sguardo. «Non lo so» disse infine «Mi ci è voluto lo Specchio di Galadriel per scoprirli. Prima, pensavo che Thorin fosse solo i miei stessi pensieri...»

«Da quanto è con te, allora?»

Gimli si fece forza. «Sin da Ered Luin.»

Lei sussultò. «Allora...»

«Ha visto»

«Allora sa quanto gli ho urlato contro» disse, e la sua mano si alzò, tremante, per poggiarsi di nuovo sulla guancia dalla folta barba di Gimli. Le sue dita vi affondarono. «Sa che l'ho odiato.»

«E non te ne dà colpa» disse Thorin, e abbassò la testa.

«Ora, piantala» esclamò Gimli «Thorin, smettila ora. E Zia Dís, sì, lo sa. Se ne è fatto colpa più di quanto tu non possa immaginare.»

«Mamma, abbiamo scelto di andare» disse Kíli, torturandosi le mani.

«Kíli dice che hanno scelto di andare» ripeté Gimli.

«Dì a mio figlio che non può scegliere di vivere qui e respirare al mio fianco» ringhiò Dís.

«Possono sentirti» disse Gimli.

«Bene»

Fíli fece un respiro profondo. «Ti vogliamo bene, Mamma.»

«Fíli dice che ti vogliono bene»

«Ti vogliamo tutti così bene» aggiunse Thorin «E mi dispiace. Me ne dispiacerà per sempre, sorella mia.»

«Voglio ben sperare che ti dispiaccia, nadad» ringhiò Dís.

«Non dovrei mai essere perdonato» sussurrò Thorin, e allora Gimli lanciò uno sguardo tanto feroce che Thorin fece un passo indietro.

«Devo dirti, Zia Dís, che non sarei qui oggi se non fosse stato per Thorin maledetto Scudodiquercia, il dannato testardo nobile martire bastardo» ringhiò «Gli devo la mia vita più di una volta. Gli devo di essere unito col mio amore. Tutte le mie gioie hanno le loro mani in esse. Ho imparato a lavorare il metallo sotto la sua tutela, sono sfuggito a Moria grazie alla sua guida! Le lista è infinita, e io non posso avere abbastanza gratitudine nel mio corpo. Eppure lui persiste-» qui Gimli si colpì la coscia con un pugno «-nel parlare di se stesso come un qualche genere di peso per me, come qualcuno che non si merita affetto o perdono!»

Dís batté le palpebre, lacrime sulle sue ciglia. Poi sbuffò forte. «Certo che lo fa. Questa è la cosa più da Thorin che io abbia mai sentito.»

«Dís, hai maledetto il mio nome» iniziò Thorin, ma Dís stava ancora parlando.

«L'ho odiato, sì. Ma il tempo e l'età consumano il risentimento come l'acqua la pietra, e io non posso odiare per sempre ciò che amo e che mi manca tanto. Digli che è un'idiota dalla testa di pietra, e che gli strapperò le trecce dalla testa un milione di volte se non la smette»

Thorin dovette appoggiarsi a Frerin per un momento, debole. Il suo cuore era leggero e libero nel suo petto.

«Dille» disse Frís, e dovette interrompere le sue parole per poterle dire chiaramente «dille che siamo così orgogliosi. Così orgogliosi.»

«Tua madre è orgogliosa» disse Gimli, e il mento di Dís si abbassò fino al suo petto e le sue spalle tremarono.

«Non sono più capace di suonare l'arpa» disse.

«Non mi importa per nulla» disse Frís «Mia bellissima figlia, il nostro usignolo d'acciaio. Sono così orgogliosa di te, cara.»

Dís annuì debolmente. Poi alzò la testa e disse: «'adad?»

«Sono qui ora, mia dolce piccola rondine, e sto bene» disse Thráin «Mi manchi, ci manchi a tutti. Siamo qui.»

E poi vi fu una miriade di voci tutte che si accalcavano per parlare alla loro ultima sorella, ultima figlia, madre e cugina e amica.

C'era però una voce, che Thorin pensava si meritasse di essere udita sopra le altre. «Dille che Víli non è mai mancato un solo mattino» urlò sopra la confusione. Calmò gli altri in qualche modo, e loro iniziarono a mormorare e lanciare occhiate a Víli. «Dille che ha passato ogni mattino dalla sua morte al suo fianco. Per favore. Gimli, per favore diglielo.»

Gimli sembrava un poco intimorito dalla confusione, ma annuì a passò il messaggio.

«Sono qui, mia bella» disse Víli, e Frís gli mise un braccio attorno alle spalle per confortarlo «Sono sempre stato qui, amore, lo sarò sempre-»

«Víli» ansimò lei, e i suoi occhi erano enormi.

«Sono qui» disse ancora Víli, disperazione in ogni sillaba, e Thorin lo toccò per fargli forza «Mio amore. Sono sempre qui. Sempre.»

Dís pianse.

Legolas si alzò e poi si inginocchiò davanti all'anziana Nana, la testa piegata leggermente indietro e i capelli che cadevano come un velo dietro di lui. Lei poté solo piangere più forte quando lui la prese fra le braccia e la strinse. Il corpo di lei tremava.

Gimli era serio nell'allontanarsi, la bocca tirata all'ingiù. «Spero di averti dato un qualche conforto, Zia Dís» mormorò.

«Io- io-» singhiozzò lei, e si allungò verso di lui. Lui si avvicinò, e Dís abbracciò entrambi loro strettamente con le sue vecchie braccia, le loro teste premute ai lati della sua.

«Io non sono sola» ansimò lei, più e più volte «Io non... Io non sono sola.»

«Non sei sola» le promise Gimli.


«Ehi capo» disse Nori, facendo capolino dalla porta di Fíli «Sono arrivati a Granburrone.»

«Davvero?» Fíli si levò di corsa gli abiti da notte, e si lisciò i capelli «Va bene, sono alzato, sono alzato. Vado a prendere Kíli, vediamoci lì.»

Per quando Kíli si fu mosso dalle sue belle coperte calde e infilato i vestiti, gli Hobbit avevano superato il ponte dell'Ultima Casa Accogliente. Fíli scosse la testa per liberarsi gli occhi dalle stelle, e guardò Frodo, che camminava fra Sam e Merry.

«Sta dormendo meglio ora, guarda i suoi occhi» sussurrò Kíli.

Gli Hobbit dissero addio a Elrond e Galadriel per la giornata, e Glorfindel agitò la mano allegramente. «Dopo, nella Sala del Fuoco» disse a Pipino e Merry «Vi insegnerò un gioco del bere che una volta mi ha insegnato Fingon!»

«Giochi del bere della Prima Era? Ci vediamo dopo allora!» disse Pipino, sfregandosi le mani.

«Prima, c'è qualcosa di molto importante che dobbiamo fare» aggiunse Merry.

Non si fermarono a mangiare o lavarsi, ma camminarono per i corridoi con il loro tappeto rosso di foglie autunnali. Granburrone stava già iniziando a sembrare vuota. Andarono direttamente a una stanza interna, e là seduta in una sedia circondata da carte e penne era un'anziana figura ingobbita, sottili capelli bianchi lunghi fino a toccare il suo colletto, appisolata sul suo libro.

Si svegliò quando loro si avvicinarono, pacifico e sonnolento. «Salve, salve! Così siete tornati? E domani è il mio compleanno. Che bravi!»

«Lo sappiamo, Bilbo» disse Frodo dolcemente, e prese la mano del vecchio Hobbit «Anche il mio.»

«Lo è, lo è» Bilbo sbadigliò e poi diede una piccola pacca sulla mano di Frodo «Ragazzo mio. Sapete che compirò centoventinove anni? E l'anno prossimo, se durerò ancora, avrò raggiunto il Vecchio Tuc. Vorrei poterlo battere, ma si vedrà.»

«Ci riuscirai» disse Merry serio.

«Ebbene, guarda un po'» disse Bilbo, guardando i due nelle loro maglie di ferro e mantelli, le insigne di Rohan e Gondor sui loro petti «State crescendo, mi sembra. Ma se non finite di crescere così fra poco, finirete col trovare cappelli e abiti piuttosto costosi.»

«Ma se tu vuoi battere il Vecchio Tuc» disse Pipino «Non vedo perché noi non dovremmo cercare di battere Ruggitoro.»

«Questo è un bello spirito Tuc» disse Bilbo, e il suo viso rugoso si aprì in un sorriso «Ho sentito che ci sarà una festa domani per il mio compleanno. Sono ancora molto puntuale all'ora dei pasti, di regola.»

«E questo è un bello spirito Baggins» disse Frodo, sorridendo a sua volta.

«Sì, lo è. Guardandoti, ragazzo mio, mi chiedo quanto del Baggins sia rimasto in te» mormorò Bilbo. Poi si riscosse. «Ma raccontami! Devo trovare carta pulita e una penna: non penso tu abbia avuto tempo di scrivere, giusto Frodo ragazzo mio?»

«No, Bilbo»

«Peccato, peccato» Bilbo cercò nelle sue tasche e ne estrasse una penna, prima di guardare i quattro interessato «Iniziate dall'inizio! Tanto conosco già la fine: una felice per tutti, come deve essere.»

Dunque si sedettero attorno al fuoco e gli narrarono a turno tutto ciò che ricordavano dei loro viaggi e avventure, ma Bilbo presto si addormentò. All'inizio fingeva di prendere appunti, e poi si accasciava sopra il suo banchetto e iniziava a russare.

Poi si svegliava di colpo e diceva as alta voce: «Splendido! Meraviglioso! Ma dove eravamo arrivati?» e i quattro Hobbit dovevano ricominciare da dove si era appisolato.

Una volta dopo essersi svegliato, chiese per il grande allarme di Fíli: «Dove eravamo arrivati? Sì, giusto, fare regali. Il che mi ricorda: cos'è successo al mio anello, Frodo, che ti sei portato via?»

«L'ho perduto, Bilbo caro» disse Frodo, molto cautamente «Me ne sono liberato, sai.»

«Che peccato!» disse Bilbo, e lo sguardo sul suo volto non era di rabbia, come Fíli aveva temuto. Era piuttosto qualcosa di simile a un broncio. «Mi sarebbe piaciuto rivederlo. Ma no, che stupido sono! È proprio per liberartene che sei partito, non è così? Ma tutto è così confuso, perché una gran quantità di altre cose sembrano essersi mescolate, gli affari di Aragorn, e il Bianco Consiglio, e Gondor, e i Cavalieri, e i Sudroni, e gli olifanti – ne hai davvero veduto uno, Sam? - e caverne, torri e alberi dorati e chissà quante altre cose.»

«Perché i tuoi capelli sono così lunghi, Bilbo?» chiese Frodo dopo la loro festa di compleanno, mentre Bilbo beveva un piccolo bicchiere di cordiale nelle sue stanze dopo le celebrazioni.

«Oh quello» Bilbo li toccò con dita nodose «Una strana presa di posizione. Non desidero tagliargli. C'è una treccia speciale, una treccia molto speciale, che ci dovrei mettere. Ma» e qui Bilbo abbassò lo sguardo alle sue mani rovinate «Non posso mettercela ora, temo.»

«Che genere di treccia» disse Frodo, una nota di sospetto nella sua voce «Bilbo?»

Bilbo sospirò. «È stato molto tempo fa, ragazzo mio.»

Frodo appoggiò la testa sulla spalla di Bilbo, e insieme guardarono il fuoco scoppiettare.

«Thorin sa di questo nuovo... sviluppo, secondo voi?» chiese Nori.

«Ci scommetto il mio coltellino nuovo che lo sa» disse Kíli «Hai visto la barba di Thorin ultimamente?»

«Zitti» disse Fíli, osservando i due Portatori dell'Anello.

«Ho viaggiato con un Nano» disse Frodo. Il fuoco era molto caldo. «Ho imparato alcune cose sulle loro terre e i loro usi. Avevi ragione, zio. Ho incontrato Stregoni e Elfi e Uomini e anche Nani – e piccole cose possono fare una grande differenza.»

«Mio caro Frodo» mormorò Bilbo, e strinse la mano di Frodo «Sento cosa stai dicendo: non sono ancora così confuso. Sì, era un Nano. Sì, è morto.»

Frodo guardò suo zio. «Mi dispiace.»

«A me no» Bilbo fece un sospiro rilassato, e si strinse Frodo più vicino. La sua vecchia voce era sonnolenta. «Ci sono più cose nella vita e nella morte, ragazzo mio, di quante noi non possiamo comprendere. L'ho perduto, e ho sofferto. Oh, se ho sofferto, ed ero arrabbiato e triste e mi sono seppellito per far smettere la sofferenza, per terribili lunghi anni. Ma ora ricordo che lo amai e che ancora lo amo, e ciò mi porta pace. Nessuna perdita che noi possiamo soffrire è più grande dell'amore.»

Gli occhi di Frodo erano molto scuri e pieni di dolore nel fissare le fiamme. «Lo spero.»

Bilbo lo strinse ancora di più. «Andiamo ora, abbracciamoci e facciamo un riposino, come facevano a Casa Baggins quando arrivava l'inverno, eh? Il fuoco è molto piacevole qui, e il cibo è molto buono, e ci sono degli Elfi quando li vuoi. Cos'altro potresti volere?»

Frodo chiuse gli occhi, e la tensione lasciò il suo corpo. Bilbo iniziò a cantare piano, la sua voce querula si rompeva a tratti.

[Traduzione]

The Road goes ever on and on
Out from the door where it began.
Now far ahead the Road has gone,
Let others follow it who can!

Let them a journey new begin,
But I at last with weary feet
Will turn towards the lighted inn,
My evening-rest and sleep to meet.

E quando Bilbo mormorò le ultime parole la sua testa si abbassò sul suo petto e lui dormì profondamente.


Iniziò con il lento, dolce suono di violini e viole in pulsazioni ritmiche.

[Light on the Horizon, eseguita e composta da determamfidd]

La sala era piena fino al soffitto: tutta Erebor era venuta ad assistere al matrimonio. Thorin alzò la testa per vedere i musicisti raccolti nella galleria superiore. C'erano archi alti e bassi, corni e cromorni e una tromba d'argento, un'arpista e tamburi, e un intero coro di almeno quaranta membri. Barís Linguacristallina era in piedi sul podio del direttore, le mani alzate.

Attorno a lui, ogni Nano delle Sale si era stretto nella grande camera delle Udienze, sembrava. Frerin e Óin, Dáin e Balin e Narvi e Frís, Thráin e Hrera e Thrór erano lì. Nori, Ori e Bifur e Bombur erano vicini fra loro, e Fíli e Kíli si stringevano per l'eccitazione. La tristezza negli occhi di Kíli era superata dalla gioia.

Haban era in lacrime, e Gróin la stringeva dolcemente. Fundin e Dwerís erano vicini, così come Náin, Daerís e Nár. Lóni e Frár si stavano tenendo la mano. Náli si stava soffiando il naso nella manica.

Il coro iniziò a cantare, un sussurro dolce e lieve che riempì la sala.

«Questa è la sua canzone, quella che ha scritto» disse Thorin in comprensione, e inspirò profondamente. Le voci dolci riempivano l'aria, le parole rimbalzavano dagli angoli della Montagna.

Il Re si alzò. Al suo fianco, Bomfrís annuì a Dwalin e Orla, e loro annuirono a loro volta e aprirono le porte.

La luce della luna entrò nel cuore della Montagna, riflessa da molti specchi, illuminando la sala di un pallido luccichio argenteo.

Though my heart may be heavy,
Though I wander afar,
I will come to the morning
Over sea and under star.

Where you go there will I follow,
For you are my guiding star.
I will never fear tomorrow.
There is comfort where you are.

Gimli e Legolas andarono dal Re, e lui indicò a entrambi di inginocchiarsi. Erano una vista strana e curiosa: Gimli largo e robusto nei suoi ricchi blu e bronzo, i suoi gioielli formali nei capelli e nella barba e sulle orecchie e sul naso. Legolas era una lancia di luce vestita di grigio argento, e l'anello sul suo dito luccicava alla luce della luna come una stella.

Cosa il Re disse loro, nessuno poté udirlo tranne Gimli e Legolas – e Bomfrís, che ghignò, le braccia incrociate sopra la sua pancia. Gimli rise e Legolas sorrise, e poi si strinsero le mani e si voltarono per guardarsi negli occhi.

Intanto, la dolce pulsazione della musica continuò a battere, battere come un cuore.

Though the starlight is fading (I am lost in the dark),
Though the night gathers fast (take my hand).
There’s a new world awaiting (with you here by my side)
Lay your burden down at last (at last).

There’s a light on the horizon,
There’s a voice that calls my name,
There’s a place that I belong,
There’s an ever-burning flame.

«Cos'è questa musica» disse Thranduil, seduto di fronte alla gente raccolta, rigido come un cadavere. I suoi occhi erano molto larghi. Le voci del coro si alzarono all'unisono, come un'onda che colpiva la riva.

Glóin gli lanciò uno sguardo opaco. «L'ha scritta Gimli.»

Thranduil affondò nella sua sedia. Il suo respiro usciva tremante dalle sue labbra.

«Le parole, ecco» concesse Glóin.

L'arpa risuonò come gocce di cristallo contro il ghiaccio, e il coro continuò a cantare.

Far from hope and from home (far from all that I knew),
Full of sorrow and fear (meleth nîn
You are never alone (ghivashelê I’m near, I am near)
I will always be here (I am here).

Out of dark to the day’s rising,
Death itself will I defy,
For the road goes ever on,
To your arms will I fly.

L'Elminpietra allora comandò a Gimli di intrecciare l'ultima treccia nei capelli di Legolas, e a Legolas si mettere la sua nella barba di Gimli. Le loro braccia si incrociarono quando si allungarono l'uno verso l'altro.

«Le parole» sussurrò Laindawar. La sua voce si abbassò finché non fu quasi ingoiata dal dolce suono della musica. Il battito continuò a pulsare per la Montagna, facendo venire la pelle d'oca sulla braccia di Thorin. «Le parole, Adar – le parole – lo ama così tanto.»

«No. Non è la storia di due individui soli» ansimò Thranduil «È... è la storia di ciò che hanno veduto, la storia di tutti coloro che hanno camminato con loro. Quello che hanno visto, cosa hanno imparato. Questo è più di Elfo e Nano. Questo – questo deve essere quello che Legolas vede in lui, e noi non potevamo.»

Mizim allungò una mano e diede una pacca sul ginocchio di Thranduil, materna e gentile. «Va tutto bene» disse dolcemente «Ci siamo abituati. Ora lo vedi anche tu.»

Laerophen non poteva parlare, dato che stava già piangendo. Anche Gimizh piangeva, la sua piccola faccia arrossata. Gli archi più bassi iniziarono a unirsi a quelli più alti, le viole borbottavano.

I was worn, I was weary (annon ûr, nîn angin),
With suspicion and shame (Âzyungel),
Now I stand in the sunlight (now I stand in the light)
And my heart it calls your name (and my heart calls your name).

And the road takes me onward,
Takes me far from my door.
Never now will I falter,
Since you taught me how to soar.

Mizim prese la mano di Glóin. «Orgogliosa di te, vecchio orso» sussurrò.

Glóin tirò su col naso. I suoi occhi erano sospettosamente brillanti. «Sì, beh.»

I will wait for you forever,
I will be here when you call,
And if ever you should stumble,
I will catch you if you fall.

Gimli lasciò cadere la nuova treccia, e poi prese il volto di Legolas nelle sue grandi mani. Stava sorridendo incontrollabilmente nel premere vicine le loro teste, aspettando che Legolas completasse la complicata treccia a sette ciocche nella sua barba. Anche Legolas stava sorridendo di gioia incontenibile. Sembrava emanare luce da dentro, irradiare felicità pura.

«Stai piangendo?» mormorò Frerin.

«Sì, e anche tu» rispose Thorin.

«E anche io» tirò su col naso Bilbo «È così terribilmente bello. Accidenti, ancora non ho un fazzoletto!»

«Oh Mahal, hanno fatto!» ansimò Haban, e i tamburi iniziarono a distruggere l'aria quando Gimli e Legolas si alzarono e si voltarono verso la folla, le mani unite, i volti rosso acceso. Il coro esplose in un canto tuonante, e la voce di Barís si alzò sulle altre: ultraterrena, colpiva l'anima.

There’s a light on the horizon,
There’s a ship upon the sea,
Now the world is so much wider,
For you wander it with me.

«Riconosco qualcuno di quei versi» mormorò Bilbo.

Thorin sorrise. «Come dovresti, idùzhib. L'ho aiutato.»

Bilbo gli lanciò uno sguardo, che presto si addolcì in completa adorazione. «Oh, dolce sciocco Nano» disse «Il sentimento è completamente ricambiato.»

And the sun shines out the clearer,
Golden glory in the blue!
There’s a light on the horizon,
And it’s guiding me to you.

I violini esplosero in tremenda eccitazione, e le trombe cantarono, accese e giubilianti, facendo tremare l'aria. Glóin fu il primo in piedi che correva verso di loro, le braccia allargate. «Vieni qua giù, maledetto alto-» disse con voce tremante, e si strinse al collo di entrambi i suoi figli «Mi dispiace, mi dispiace» lo si udì dire «sii il benvenuto, ragazzo mio. Sei nostro ora, e non sono uno che lascia andare facilmente. Mi dispiace tanto... oh siate felice, siate felici per tutti i vostri giorni!»

«Legolas.»

L'Elfo si raddrizzò fuori dalle braccia ora molli di Glóin, gli occhi fissi su suo padre.

Thranduil lo guardò, e il suo volto era pieno di angoscia. L'ombra di una terribile cicatrice poteva essere appena intravista sulla sua guancia. «Ti ama.»

«Mi ama» disse Legolas orgogliosamente.

«Fin oltre la morte, lo amerò» disse Gimli, ugualmente orgoglioso.

«Allora devo» Thranduil si fermò e i suoi occhi andarono all'Elminpietra «Sono stato forte, ionneg – abbastanza forte da spezzarmi. Devo imparare a piegarmi.»

Legolas rimase a bocca aperta e si alzò a metà in meraviglia.

Gli occhi di Thranduil tornarono a Legolas. Una lacrima, come il ricordo di una gemma bianca, poté essere vista correre lungo il suo volto. «Mi insegnerai?»

Legolas poté solo correre avanti e gettare le braccia attorno a suo padre.

Il coro diminuì in volume mentre la grandiosa canzone si avvicinava alla fine, anche se l'ultima nota di Barís rimase nell'aria come una campana suonata. Gli echi si inseguirono fra loro finché non si poté più riconoscere l'inizio o la fine. Allora, come un sospiro, svanirono tutti insieme, lasciandosi solo dietro la loro promessa.

TBC...

Note

Alcune parole prese dal capitolo “Molte Separazioni”.

Fingon – Re Supremo dei Noldor nella Prima Era

La canzone è un lavoro di Dets – anche se si possono riconoscere alcuni versi

La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte
Ora la Via è fuggita avanti
Presto, la segua colui che parte!

Cominci pure un nuovo viaggio,
Ma io che sono assonnato e stanco
Mi recherò all'osteria del villaggio
E dormirò un sonno lungo e franco

[Torna alla storia]

Traduzione di Light on the Horizon

Anche se il mio cuore peserà,
Anche se viaggio lontano,
Arriverò al mattino

Sopra il mare e sotto le stelle.

Dove tu vai io seguirò,
Perché sei la stella che mi guida.
Non temerò mai il domani.
C'è conforto dove tu sei.

Anche se la luce delle stelle svanisce (Sono perso nel buio),
Anche se la notte sta arrivando (Prendimi la mano).
C'è un nuovo mondo che attende (con te al mio fianco)

Lasciati indietro il tuo peso infine (infine).

C'è una luce all'orizzonte,
C'è una voce che mi chiama,
C'è un luogo a cui appartengo,
C'è una fiamma che brucia in eterno.

Lontano da speranza e da casa (lontano da tutto ciò che conoscevo),
Pieno di dolore e paura (meleth nîn)
Non sarai mai solo (ghivashelê sono vicino, sono vicino)
Sarò sempre qui (sono qui).

Oltre l'oscurità del giorno che sorge,
La morte stessa sconfiggerò,
Perché la via prosegue per sempre,
Fra le tue braccia volerò.

Ero stanco, ero esausto (annon ûr, nîn angin),
Pieno di sospetto e vergogna (Âzyungel),
Ora sono alla luce del sole (ora sono alla luce)
E il mio cuore chiama il tuo nome (e il mio cuore chiama il tuo nome).

E la via mi porta avanti,
Mi porta lontano dalla mia porta.
Mai tentennerò ora,
Dato che mi hai insegnato come volare.

Ti aspetterò per sempre,
Sarò qui quando chiamerai,
E se mai inciamperai,
Ti prenderò prima che tu casa.

C'è una luce all'orizzonte,
C'è una nave sul mare,
Ora il mondo è molto più grande,
Perché tu vi cammini con me.

E il sole brilla più luminoso,
Gloria dorata nel blu!
C'è una luce all'orizzonte,
E mi sta guidando a te.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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Capitolo 46
*** Capitolo Quarantasei ***


«Dunque mi state dicendo» disse l'Elminpietra, molto lentamente «che la Nana che ha servito mio padre come sua guardia era in realtà la Regina dei Nerachiave.»

Ashkar fece spallucce e bevve un sorso di vino. «Di diritto, lo è.»

«Fu deposta» aggiunse Kara.

Orla era seduta rigidamente sotto le loro attenzioni. Il suo volto era duro e i suoi occhi luccicavano di una dozzina di emozioni, ma lei non stava facendo alcun suono. Dwalin le stava stringendo la mano.

«Parlando tecnicamente, sua madre fu assassinata, e Orla fu incastrata per il fatto» disse Ashkar, guardando accigliatu Kara «Ma i dettagli tecnici importano poco.»

Osservandoli, Balin sbuffò nella sua barba e spinse Thorin col gomito. «Tu lo sapevi?»

«Una parte» ammise Thorin «Ma non molto.»

«Dunque la Regina corrente è un'usurpatrice?» L'Elminpietra si voltò verso Orla e alzò un sopracciglio. «Orla?»

Come reazioni, la schiena di Orla si irrigidì ancora di più, e Dwalin le si fece più vicino. «Senti, è stato difficile per lei» disse, con quello che era probabilmente l'eufemismo dell'Era «Non ne ha parlato per decenni.»

«Non voglio il trono della corte Ghomali» disse lei «La mia casa è qui, ad Erebor. Non tornerò.»

«Molti gioirebbero nell'udire che sei viva» disse Ashkar dolcemente «Come noi.»

Gli occhi di Orla si chiusero, e la sua mascella si strinse mentre deglutiva. Poi annuì. «Lo so. Ma ci sono anche coloro che porterebbero grandi mali su di me e sui miei cari, e non lo tollererò.»

«Perché deporti, però?» disse Gimli, chinando la testa «Perché mettere tua sorella sul trono?»

«Bella domanda» mormorò Balin.

«Perché il Culto non poteva usare la Regina Ara né la sua prima figlia, Orla, ma trovarono la seconda più malleabile. Mia madre Arna voleva compiacere gli altri, prima di ogni cosa» disse Kara, l'amarezza che le deformava la voce «Il Culto di Sauron se ne approfittò. Ora lei è completamente sotto il loro controllo, persa nella nube delle loro parole e droghe. Onestamente non penso si ricordi il mio nome, la maggior parte del tempo.»

Le spalle di Orla si abbassarono, e le sue palpebre si strinsero. Il respiro le sfuggì in un tremito senza suono.

«Ma Sauron ora è morto» disse Gimli, e indicò Legolas e se stesso «Ńoi possiamo garantirlo. Cosa guadagnerebbero loro dalla sua adorazione?»

«Potere, che altro?» disse Thranduil, scuotendo la testa «Temo che distruggere ogni sua opera sarà un lavoro di molte Ere ancora.»

«I Nani non temono il lavoro duro» disse l'Elminpietra fermamente, un tocco dell'accento dei Colli Ferrosi nella sua voce «E questo sarà lungo, e duro. Hanno tenuto quel regno per più di cinquanta anni nel nome del loro burattino, e il loro dominio è sicuro. Però, devono sapere ormai che il Potere Oscuro è stato distrutto. Ciò li porterà alla disorganizzazione e alla disperazione.»

La testa di Orla si alzò di scatto, i suoi occhi socchiusi. «Non sarò uno strumento in nessun piano tu inventi. Non sarò una tua pedina.»

L'Elminpietra sospirò. «Non è quello che sto suggerendo. Orla, non farei mai qualcosa del genere a te! Ho ricevuto il mio trono in guerra, senza desiderarlo e troppo presto: dovrei volere lo stesso per un'amica?»

Dwalin si accigliò, e i suoi muscoli si gonfiarono in avvertimento. «Solo per esserne sicuri, diciamo. Vostra Maestà.»

«Non voglio loro sappiano che vivo» disse Orla, e si voltò per guardare Ashkar e Kara. Le sue parole erano dette con lentezza, come se stesse assemblando pensieri che erano rimasti in disordine per anni ed anni. «La mia vita è mia da mettere a repentaglio. Ma io ho dei figli. Ho una casa, e un popolo che ho scelto, e ho lottato e sanguinato con loro, e per loro. Non li abbandonerò, né li metterò in pericolo.»

«Vorrei vederli provare» ringhiò Dwalin.

«Io non vorrei» disse Ashakar duru «Potrete essere formidabili in guerra, non ne dubito, ma il Culto usa altre armi oltre all'acciaio. Predicheranno una credenza e poi ne mostreranno un'altra apertamente e prima di tutto, giureranno la loro onestà e rispetto mentre ti fanno a pezzi con le loro parole ingannevoli - e quando le parole avranno servito il loro scopo e tutti gli oppositori saranno in disgrazia e terrorizzati, ah! Allora! Allora appare l'acciaio.»

«L'idea di poterli affrontare è fuori discussione» disse l'Elminpietra cupo «Non possiamo lottare in un'altra guerra, lungo un fronte così lontano, così presto.»

«Allora cosa possiamo fare?» disse Kara, e si tormentò le mani. Il suo viso era troppo stanco per i suoi giovani anni. «Zia Orla-»

«Non è più casa mia» disse Orla, dolcemente ma con assoluta determinazione.

«Ma è casa mia!» esclamò Kara «E tu potresti salvarla!»

«No, bambina» disse lei, e si allungò per posare una mano sulla spalla di Kara, incontrando e sostenendo il suo sguardo «No, non penso di essere colei destinata a farlo.»

Il labbro di Kara tremò mentre lei fissava sua zia, e poi abbassò il capo. «Avevo sperato...» disse con voce rotta.

Thorin si morse il labbro e tirò la treccia nella sua barba, le sue emozioni divise. «Non sente una responsabilità verso il suo popolo?» borbottò «Non desidera cercare ciò che è suo di diritto?»

Balin gli lanciò un'occhiata comprensiva. «Non tutti sono te, amico mio.»

«Lo so, lo so» disse Thorin «E lei ha forgiato un suo sentiero dopo aver perso così tanto, sopportato così tanto, e capisco perché non vorrebbe rischiare la felicità che ha trovato o gli altri nella sua vita...»

«Ma non sarebbe la tua strada» Il sorriso di Balin era amaro. «Mai una scelta nella tua mente, ricordi? Non è così per lei.»

«Una persona non può sconfiggere il Culto di Sauron» stava dicendo Orla «Ho provato prima d'ora, e ho perduto tutto.»

«Se qualcuno potesse, io scommetterei su di te» disse Dwalin cocciutamente. Lei fece uno sbuffo divertito.

«Non aiuti, caro»

«Io penso che la sconfitta del Culto di Sauron non debba appartenere a uno, ma a molti» disse Ashkar. Poi rise amaramente. «Ecco, se può essere sconfitto, senza casa e senza speranze come siamo.»

«Siete i benvenuti qui» disse l'Elminpietra «Per quanto vi serva avere un rifugio. Non siete privi di amici.»

«E il resto del nostro popolo? Perché sono molti a vivere nella paura» disse Ashkar. I suoi occhi erano sospettosi mentre guardavano il Re. L'Elminpietra fece una smorfia, ma annuì.

«Aye, anche loro. Saremo stretti, senza dubbio...»

«No, non possiamo renderci un tale obiettivo» disse Orla, alzandosi rapidamente «Il Culto insinuerà che Erebor cerca un Impero - che i Longobarbi vogliono assimilare e colonizzare gli Orocarni prendendo i Nani Nerachiave come ostaggi, piuttosto che come rifugiati! Troveranno una loro scusa per una guerra, non importa cosa facciamo. E ci dipingeranno come gli aggressori. Pensavate che quegli Uomini di Dale fossero vili bugiardi? Erano bambini rispetto al Culto di Sauron.»

L'Elminpietra si passò una mano fra i capelli. «Possiamo respingerli, come abbiamo già fatto...»

«Così presto dopo l'ultima ondata?» Dwalin sembrava combattuto «Odio dirlo, ragazzo...»

«Abbiamo sconfitto i loro eserciti, no?»

«Non davvero» disse Dwalin, con molta riluttanza «Sono fuggiti quando Mordor è caduta. Se l'Anello non fosse stato distrutto, noi saremmo morti di fame ormai.»

«E guarda il prezzo della vittoria» esclamò Orla «Dale è in rovina, due popoli hanno perso i loro re - i nostri morti riempiono le tombe - c'è stato fuoco e tradimento nel cuore stesso della Montagna!»

«Non possono farlo» sussurrò Balin «Erebor è troppo debole, troppo esposta...»

«Non lascerò quei Nani a vivere in tirannia e paura, senza alcun luogo dove andare!» disse l'Elminpietra, picchiandosi una mano contro la coscia «Mio padre lo disse una volta, e io lo dirò ancora: siamo un popolo che perde le nostre case, secolo dopo secolo, e io non vedrò ciò ripetersi ancora una volta! Questi devono essere giorni di pace, di ricostruzione, liberi dall'Ombra infine! Quando diciamo “abbastanza”? Dove possono cercare rifugio, se non qui? Le nostre case sono le loro case: non sentirò discussioni, e non supporterò alcuna inazione che porterà a Nani che scappano ancora una volta nelle terre selvagge, soli e rifiutati. Dobbiamo porgere il nostro aiuto. Dobbiamo trovare un altro modo.»

«Ma dove?» disse Dwalin frustrato «Siamo esausti! E non di certo i Colli Ferrosi, sono troppo desolati per ospitare molte altre bocche, e sono troppo esposti alle vie di commercio settentrionali...»

«Montagne Blu? Non si può andare molto più lontano dall'Est di così» suggerì l'Elminpietra, ma la sua voce era dubbiosa.

«Oh, ancora meglio, chiedi loro di andare in una rovina abbandonata e cadente, a mezzo mondo di distanza» ringhiò Dwalin.

«Il Culto ci accuserebbe di schiavitù e sfruttamento, sarebbe usato per la loro propaganda» disse Orla, con un cenno della testa «Sarebbe aggiunto alla lista di giustificazioni per attaccarci: l'indignazione per quelle condizioni unirebbe molti contro di noi. Ered Luin non è fra le opzioni.»

«Aglarond» disse Legolas, improvvisamente.

La parola cadde sulla discussione come una lastra di granito, rendendo tutti silenziosi per la confusione. Gimli sussultò, e Thranduil chinò la testa, l'espressione pensierosa. I suoi occhi si fermarono su Gimli con accesa curiosità.

«Il... posto, con le caverne. A Rohan» disse.

«Aye, anche se chiamarlo “il posto con le caverne a Rohan” è una grande offesa» disse Gimli, piegandosi in avanti «Mio Re, è perfetto - la Montagne Bianche sono circondate dalle Terre degli Uomini, e possiamo chiamare i Signori dei Cavalli e Gondor in nostro aiuto se serve!»

«È più vicino a Umbar di noi» disse Orla, ma il suo volto si stava rischiarando mentre ci pensava. Sembrava che l'idea le piacesse.

«Vero, ma non c'è una via diretta per l'Est» Gimli si alzò e iniziò a camminare, gesticolando con le sue grandi mani mentre pensava ad alta voce «Siamo su una linea diretta per l'Est qua a Erebor, e solo i Colli Ferrosi sono fra noi e loro, e li potrebbero aggirare, piuttosto facilmente. Mentre le Caverne Scintillanti!»

«Vero» disse Legolas «Ci sarebbe tutta Mordor in mezzo, tanto per iniziare - le Torri dei Denti, e poi il Fiume Anduin...»

«Osgiliath e Gondor...!» disse Gimli, saltando sull'idea con entusiasmo «E se per qualche miracolo riuscissero a superare Aragorn e Faramir, dovrebbero strisciare oltre Meduseld non visti, che da quel punto di vantaggio è praticamente impossibile! Abbiamo la fortezza del Fosso di Helm da usare come una base per le fortificazioni...»

«Dopo qualche restauro, spero» disse Legolas secco.

«Zitto, Elfo fastidioso, sto pensando» Gimli ghignò a Legolas.

«Visto che succede tanto raramente, mi scuso per l'interruzione» mormorò Legolas, e Gimli sbuffò e agitò una mano.

«Mi occuperò di quel commento dopo. Ma questa è un'ottima idea. Aglarond è un luogo nuovo, una casa nuovo, e non appartiene a nessun clan. Potremmo costruirla insieme. Circondati da alleati e in una valle difendibile, potremmo facilmente offrire riparo ai rifugiati degli Orocarni che scappano dall'agonia del Culto.»

«Guarda Thranduil» disse Balin, e Thorin lanciò uno sguardo al Re Elfico. Stava guardando Gimli con intensità ora, come se stesse assorbendo ogni parola e movimento per studiarlo successivamente.

«Ciò suona molto bene» disse Ashkar con voce asciutta «ma come faresti a farglielo sapere, senza lasciare che il Culto se ne accorga?»

«Oh, sospetto che il Culto lo scoprirà, quasi immediatamente» Gimli gesticolò «Quello è solo un altro problema. Il primo è fare in modo che chiunque nell'Est lo sappia. E il secondo è convincerli che le nostre intenzioni sono buone.»

Ashkar parve sorpresu. «Cosa?»

Gimli sbuffò. «Ebbene, voi non volevate avere nulla a che fare con me all'inizio, eh? Un Nano del Nord, un Longobarbo. Gondor e l'Ovest non volevano dire nulla di buono per voi: significavano schiavitù, assassinio e dominio. Questo è i frutto della storia fra voi. Se io parlassi nella corte Ghomali domani e facessi la mia offerta, non passerebbe molto tempo prima che il Culto cercasse di rigirare le mie parole in quelle sporche, miserabili forme di un tempo. Ho ragione?»

«Hai ragione» disse Kara secca, prima che Ashkar potesse commentare.

«Allora dobbiamo trovare un modo di fare la nostra offerta, e poi troviamo un modo di renderla credibile» disse Gimli, e si strofinò insieme le mani «Il resto non sta a noi, ma a loro. Ah, mi serve una pipa. Pensare a un problema difficile è sempre meglio con qualcosa da fumare, come dice Sam!»

Il piccolo gruppo si divise poco dopo. Il Re stava giocherellando con una delle zanne di cinghiale sulla sua guancia mentre dibatteva con Dwalin. Kara osservava sua zia andarsene con la luce del tradimento negli occhi. Da parte sua, Orla non permise al suo contegno di cambiare mentre lasciava la stanza. Però, mise una mano dolcemente sulla spalla di sua nipote per un istante. «Burushruka igbulul e, namadul» mormorò mentre passava «Non posso essere la portatrice di tutte le tue speranze. Io ho la mia vita, e non la sacrificherò per vivere i sogni di altri. Ho troppo da perdere.»

Kara fece solo un sospiro amareggiato. Ashkar le osservò con occhi calcolatori, la bocca serrata in modo pensieroso, prima di seguire Orla fuori.

Legolas stava parlando con Gimli della saggezza del suo piano, i due discutevano tranquillamente e comodamente davanti al fuoco. La pipa di Gimli era spenta nella mano mentre la usava per gesticolare, esaltando un punto o l'altro.

«...agenti fra di loro, di certo...»

«Sciocchezze! Non comprendi la natura dell'offerta! Perché i rifugiati dovrebbero voler fare del male a coloro che mostrano loro buone intenzioni e non offrono che aiuto?»

«Alcuni Nani non si sentirebbero minacciati, avendo così tanti Nani Nerachiave nell'Ovest?»

«Siamo tutti dei Nani. Se qualcuno diventa geloso e fastidioso me ne prenderò cura io» ringhiò Gimli «Non molto tempo fa noi siamo stati scacciati dalle nostre case, scappando per il mondo con null'altro che i nostri nomi da chiamare nostri. Glielo ricorderò e basta.»

«Con la tua ascia, se necessario, presumo» aggiunse Legolas secco.

«Se servirà, aye!»

«E tu pensi di poter combattere contro il mondo intero, Mastro Nano?» disse Thranduil piano, alzando la testa. Thorin notò solo allora che il Re Elfico non se n'era andato con gli altri, ma era rimasto seduto sulla sua sedia accanto al fuoco.

Gimli lanciò un'occhiata a Thranduil, prima che le sue sopracciglia si aggrottassero. «No, non posso» ammise «Nessuno può.»

Thranduil alzò il mento, studiandolo. «Non ho incontrato molti della tua razza che lo ammettessero.»

Legolas sbuffò, come se stesse nascondendo una risata.

Gimli alzò un sopracciglio, e Legolas sorrise e basta. Allora Gimli si voltò di nuovo verso il Re Elfico ed esitò, come se stesse considerando attentamente le sue parole.

«So che questo vi sembrerà un'idea avventata» disse in tono misurato «Ma non lo è. Ve lo giuro, non metto me o il mio popolo in pericolo suggerendolo. Mostrare bontà agli altri genere bontà in cambio: l'ho visto più e più volte nei nostri viaggi, e sono stato da entrambe le parti dello scambio. Non dimenticherò mai come ero fra gli alberi di Lothlórien - stanco, il cuore pesante e circondato da sospetto e disprezzo, uno straniero e un Nano. Ma fu lì che trovai amicizia e comprensione dalla persona più strana e inaspettata.»

Thranduil non batté un ciglio. «La Dama Galadriel?»

«Nay» Gimli ghignò a Legolas «Anche se lei fu la prima.»

«Sarò per sempre leggermente geloso che lei abbia visto come eri davvero prima di me; tuo compagno di viaggio e di combattimento» disse Legolas, e prese la mano di Gimli e accarezzò il pesante anello sul suo dito.

«Sciocco ragazzo» disse Gimli, dolce e tenero «Non serve che tu lo sia.»

«Di certo finirai con l'accogliere agenti del Culto di Sauron in mezzo a una tale folla» disse Thranduil «Se Aglarond potrebbe essere solo tua e dei tuoi, perché rischiare una tale minaccia nelle vostre sale?»

«Aye, senza dubbio alcuni faranno il viaggio lungo e pericoloso solo per far nascere disordini fra noi» Gimli alzò le spalle «Ma meno, penso, di quanto voi non vi aspettiate. Perché dovrebbero lasciare una fortezza che è in loro potere per andare dove sono circondati da nemici, per creare una casa che non amano nel loro cuore? No, dubito ve ne saranno molti, e coloro che arriveranno saranno presto dissuasi; o da ciò che vedono coi loro occhi, o dai loro compagni che non vogliono più paura e tirannia nelle loro vite.»

«La storia di Ashkar e Orla diceva altro ancora» disse Legolas, i suoi occhi pensierosi «Sembra che la gente di Ghomali, in generale, desideri liberarsi del Culto. Semplicemente non riescono a guadagnare abbastanza forza per ribellarsi a loro: i loro piani falliscono, e false accuse sono lanciate ai loro capi più influenti. Dandogli più tempo, in un luogo libero di tali menzogne e spie e propaganda, i Nani Nerachiave potrebbero trovare un modo per liberarsi da quella morsa.»

«Ecco, così va meglio» disse Gimli, sorridendo «E se questo è quello che possiamo fare per aiutare, allora è tutto quello che faremo. Ma come ha detto il mio Re, non possiamo non fare nulla.»

«Io non ho tanto ottimismo» disse Thranduil. Balin sbuffò amaramente.

«Non sorprende nessuno minimamente, vecchio alto miserabile-» borbottò.

«Non fosti tu a sgridarmi per non trattenere la mia lingua davanti a questo stesso Elfo?» disse Thorin tranquillamente.

Balin grugnì e seppellì il volto nella barba, truce.

«Abbiamo lottato per il mondo, Adar» disse Legolas, e lo sguardo che lanciò a suo padre era intenso e privato «Abbiamo lottato per tutto. Non solo per l'Ovest.»

«Stavi discutendo nel mio stesso modo prima che io parlassi» disse Thranduil, le sopracciglia alzate.

«Lo facciamo» Gimli strinse la mano di Legolas «Bisticciare, lo chiamava Aragorn.»

«Lo chiamava anche con nomi meno piacevoli, se ricordi» disse Legolas «C'erano certe... insinuazioni.»

«Non davanti a tuo padre, ghivashelê!» sibilò Gimli.

«Il punto è» disse Legolas, voltandosi verso Thranduil e sorridendo un po' troppo allegramente «che sì, discutiamo, e spesso. A volte discutiamo solo per la gioia della discussione, per il modo in cui le parole possono lottare e sfidare. A volte è più serio, ma fra noi siamo più che in grado di trovare una soluzione a qualunque sia il problema.»

«I Nani amano una discussione» disse Gimli «È un po' come una competizione, in un certo senso.»

«L'ho notato» disse Thranduil, e quella era forse una scintilla di rassegnato divertimento nei suoi occhi? Thorin non riusciva a leggerlo. «E chi pensi dovrebbe guidare questo... progetto?»

Gimli si scambiò uno sguardo rapido con Legolas, prima di aprire le spalle. «Io. Lo farò io.»

«Ti tratterrebbe a Rohan per lunghi mesi» il volto di Thranduil era serio «Legolas mi dice dei suoi piani per i boschi dell'Ithilien. Voi non avreste acconsentito a essere separati per i desideri delle vostre famiglie, ma poi vi offrireste volontari di vostra iniziativa?»

«Aye» Gimli si tirò la barba - lisciata e oliata, luccicante al fuoco delle torce - e fece una smorfia «Non felicemente. Ma io non negherei mai a Legolas qualcosa che desidera. Ci ho provato una volta: non ha funzionato.»

«Nano testardo» disse Legolas, ridendo.

«Sei testardo quanto qualsiasi Nano vivo o morto, Elfo litigioso» rispose Gimli «Nay, io sono il migliore per compiere un tale sforzo, e non sono fantasie a dirmelo. Io ho l'amicizia di Rohan e Gondor, e sono un ben conosciuto erede della Linea di Durin, dunque i Nani Occidentali mi seguiranno. Inoltre, sono parente per matrimonio di Orla Lungascia, e sia Kara che Ashkar hanno mostrato di fidarsi di me.»

«Non avrai eredi»

«Pffft, ho già un erede, anche se la Montagna stessa trema al pensiero» Gimli ghignò, e fece l'occhiolino a Legolas «Il figlio di mia sorella è un ragazzo sveglio e amichevole. Penso vi siate incontrati.»

«Quello che spia dalle serrature e mangia tutta l'uva?» La bocca di Thranduil si aprì leggermente. Poi si chiuse di scatto. «Ebbene. Sarà un... interessante apprendistato.»

«Sì, è da lui. Il mio piccolo criminale, gioia dei miei occhi! Dovrò iniziare ad addestrare Gimizh, vero... ecco, se mia sorella non strillerà come un'arpia all'idea. Dubito che lo farà, però. Ormai ha abbandonato l'idea che Gimizh mai troverà qualcosa che lo tenga fermo. È curioso e intelligente, persistente come la tosse e coraggioso come un intero sacco di tassi. Non è così male.»

«Mm» Thranduil strinse la labbra, e poi si alzò «Ci hai pensato più di quanto io non avessi supposto.»

«Adar?» disse Legolas, osservando suo padre prosciugare il suo bicchiere di vino e facendo per andarsene.

«Ú, ion nín» disse Thranduil nella sua bassa, controllata voce «Trovo la tua scelta di marito più comprensibile al passare dei giorni. Tornerò a Eryn Lasgalen con la prossima luna. Vi darei il benvenuto a entrambi nel vostro tornare a sud. Vorrei udire più dei vostri piani, Lord Gimli.»

«Solo Gimli» disse Gimli, il volto stupefatto per ciò che aveva appena udito.

«No» Thranduil sorrise senza umorismo al Nano «No, quelli erano i piani e le parole di un Lord. Farò meglio a non dimenticarmene.»

E il Re fece un breve, sinuoso inchino a entrambi loro, prima di lasciare la stanza in un turbinio di manti argentati.

«Cosa nel buon nome di Mahal...?» disse Gimli, voltandosi verso Legolas in completa sorpresa «Legolas, tuo padre sembra divertirsi dell'essere completamente incomprensibile.»

«Sì, lo fa» disse Legolas, e scosse la testa in sconfitta «Quella era accettazione, meleth nín. Approva sia del tuo piano d'azione, che di te. Penso tu gli abbia fatto considerare alcune cose sotto una nuova luce.»

«Io? Balderash. Il mio Re è stato quello che ha urlato di più» Gimli silenziò le proteste con una gesto della mano «Ah, ma si è lasciato dietro la caraffa di vino! Ebbene, dato che abbiamo la stanza e un goccio per noi, kurdulê, vorresti trovare un modo migliore di passare il tempo piuttosto che parlare di politica?»

«Mio Lord Gimli, non vorrei nulla di meglio» disse Legolas, sorridendo, le sue lunghe gambe si allungarono con impazienza.

«Tempo di un'educata ritirata, temo» mormorò Thorin a Balin.

«Molto più avanti di te, ragazzo» giunse la voce fervente di Balin, la luce stellare già lo nascondeva alla vista.»


«Novità?»

Thorin alzò lo sguardo dal suo tavolo di lavoro. Bilbo era seduto davanti a lui, i gomiti poggiati sul legno levigato, e il volto curioso mentre fissava i disegni di Thorin. «Non molto. Alcune nuove idee, alcuni nuovi disegni» disse Thorin, e si raddrizzò. La sua schiena era leggermente dolorante per l'essere stato piegato per tanto a lungo, e i suoi occhi bruciavano per averli sforzati alla luce debole delle candele. «Novità da parte tua?»

«Frodo e i ragazzi sono partiti una settimana fa» sospirò Bilbo, grattandosi la testa «È silenzioso senza di loro, ma non posso dire che mi infastidisca il silenzio, alla mia età. Mi manca, però. Anche se solo guardarlo mi faceva piangere tutta l'anima...»

«Saranno al sicuro. Gandalf è con loro»

«Non è questo» Bilbo abbassò gli occhi «È... oh, è difficile da spiegare. Mostrami cosa stai facendo?»

«Non è finito» protestò Thorin, ma Bilbo stava già osservando la pagina.

«È molto carino» disse Bilbo, girando la testa da una parte e dall'altra «ma mi dispiace dire che non ne capisco nulla. Cos'è?»

Thorin sorrise e fece ruotare le carte. «Essere curioso, era al contrario. Ecco. Ora cosa pensi che sia?»

«Sono troppo vecchio per indovinelli ed enigmi ormai» si lamentò Bilbo, ma chinò la testa sui disegni ancora una volta. Poi fece un respiro profondo. «È...»

«Aye»

«È bellissimo» disse Bilbo piano «Vorrei poterlo indossare.»

«La mia ispirazione fu completamente colpa tua, dunque devo estendere a te il complimento» disse Thorin, e soffiò piano sul progetto per pulire i disegni «Anch'io vorrei potertelo vedere al dito.»

«Cosa te l'ha fatto pensare?» L'espressione di Bilbo era meravigliata mentre fissava i disegni «Perché ora?»

«Perché no?» Thorin lisciò la carta, e poi sbuffò e prese una palla di cera e strofinò forte i segni in carboncino «Un errore, aspetta un momento, lo sistemerò...»

«Thorin?»

La mano di Thorin si fermò, e poi sospirò. «Ho aiutato Gimli a fare il suo.»

Bilbo fece un suono interessato. «E?»

«E lui l'ha fatto in oro, ed io non ero- non ho-» Thorin si spinse via dai disegni, e si strofinò distrattamente la barba «Per tutto il processo, mi sono chiesto che cosa avrei fatto io, fosse stato il mio anello di fidanzamento. Le idee vennero rapide e numerose. Nessuna mi portò dolore, e nessuna mi ricordò la malattia del drago. Erano tutte centrate su di te, ed io ero così felice.»

Gli occhi di Bilbo si chiusero per un momento, e la sua gola si mosse mentre deglutiva. Poi disse: «Non so come hai fatto a farlo. Io- non lo so. Ero così infernalmente arrabbiato con te all'inizio, ma ora non riesco a sopportarlo. Sapere ciò che hai visto, sapere quanto fa male vederlo. E fa male, oh! Quanto brucia, essere così impotente, così inutile! Sai, non riesco nemmeno a guardare davvero Frodo in faccia. Incontrare i suoi occhi mi fa pensare che lui veda attraverso me, veda tutto il mio senso di colpa e vergogna.»

«Bilbo, non è stata colpa tua» disse Thorin, il più dolcemente che poteva.

«Lo so» disse Bilbo con breve cenno del capo «Lo so che non lo è.»

«Non interamente, mio più caro» disse Thorin, e toccò di nuovo i suoi disegni «Lo sai, ma non lo sai ancora. La tua testa ti dice chiaramente che tu non avresti mai potuto prevedere cose tanto orribile, e che non avresti potuto fare nulla per prevederle, non è così? Eppure il tuo cuore e la tua anima gridano che deve essere stata colpa tua, tu solo sei il colpevole di cose tanto terribili successe ai tuoi cari. Non è così?»

Bilbo lo guardò storto con occhi cerchiati di rosso.

«Vedo che ho più ragione di quanto tu non voglia ammettere» disse Thorin, asciutto «Mi dispiace, Bilbo. Io non ti biasimo. Lo capisco fin troppo bene. È esattamente questo che ho passato ottanta anni ad imparare.»

«Mentre io mi nascondevo dai pettegolezzi e dai vicini fastidiosi, intendi» disse Bilbo.

«Mentre tu sopravvivevi, ed eri felice nonostante tutto, e andavi avanti con la tua vita con la testa alta nonostante ogni sguardo di disprezzo, ogni voce offensiva, ogni insulto sussurrato» disse Thorin, e si spinse avanti. Le parole caddero dalle sue labbra con una prontezza che lo sorprese, ma il bisogno di incoraggiare e rassicurare Bilbo era troppo grande per contemplare l'idea di fermarsi. «Bilbo, non è colpa tua. Tu hai dato a Frodo una casa e un amico e una sua piccola famiglia, per onesta simpatia verso il ragazzo, e fu una cosa buona e nobile. Come potevi sapere cosa sarebbe successo? Come poteva chiunque di noi, quando nemmeno Gandalf sapeva? No, sanmelek, non puoi castigarti per essere incapace di predire il futuro. Ed io, ha» Qui Thorin alzò un poco una spalla, prima di lasciarla ricadere «Io sto imparando a sopportare i miei dubbi e vergogna - il mio conflitto fra testa e cuore, si può dire. Non riesco sempre. Ma va meglio di quanto non sia mai andato prima, e questo è in non piccola parte grazie alla tua presenza.»

«Sei decisamente troppo gentile»

«Non sono gentile abbastanza» Thorin voltò la pagina ancora, e tracciò una linea con il dito «Questo? Vuol dire resistenza. E questo - coraggio. Bilbo, tu sei molto più di tutti i piccoli nomi il tuo senso di colpa sta cercando di affibbiarti. È un bugiardo migliore dell'Anello stesso.»

«Lo so, lo so» Bilbo lasciò cadere il volto fra le sue mani, e sospirò «Ma tu hai ragione - non mi sento così. Lo so, ma non lo sento nella mia pancia e nelle mia ossa. Non riesco a farmelo uscire dalla testa: la sua povera mano ferita, e le terribili ombre sotto i suoi occhi, e il suono delle sue urla nella notte. E io troppo vecchio per aiutarlo. Vecchio Pazzo Baggins, nient'altro che un peso e un fastidio.»

«Ora queste sono sciocchezze. Tu sei la cosa più lontana da un peso, e Frodo ha Sam che si prenda cura di lui ora» disse Thorin «E Frodo sa che tu lo ami come se fosse tuo figlio. Come potrebbe non saperlo?»

«E tu?»

«Io non mi faccio illusioni questi giorni, Mastro Baggins» Thorin gli sorrise «Non supporrò mai di sapere il tuo livello di affetto, né ne dubiterò. Mai più.»

Bilbo rise. «Oh cielo, io l'ho detto, vero? Eri così terribilmente docile, mi chiedevo se fossi davvero tu.»

«Qualunque Nano intelligente sarebbe spaventato da uno Hobbit arrabbiato» disse Thorin, e desiderava tanto disperatamente poggiare la testa contro quella fronte riccioluta, avvolgere le braccia attorno a quel robusto piccolo corpo, respirare l'odore di pane e inchiostro e tè «Non hai sentito? Furono Hobbit a salvare il mondo.»

«Furono aiutati. Da un Nano in particolare» disse Bilbo, e i suoi occhi erano molto accesi e lucidi «Non ha lasciato che nemmeno la morte lo fermasse.»

«Tsk, fra te e Gimli...! Lo giuro, i miei vecchi demoni hanno poche possibilità contro di voi» disse Thorin, e se solo potesse accarezzare con le sue mani quelle guance senza barba, o stringere nel suo palmo uno più piccolo, sottile, morbido. Se solo. «Non mi servono tante lusinghe, amato.»

«Oh potrei lusingarti, se solo lo volessi, Mastro Scudodiquercia» disse Bilbo, e c'era una certa espressione affamata della sua bocca che diceva molto più delle semplici parole «Potrei invero

Thorin chinò la testa, il calore si diffuse nel suo ventre. «Ora chi è troppo gentile?»

La mano di Bilbo si mosse, come se si stesse trattenendo dal toccarlo. «Oh, sciocchezze. Di certo sai giù quanto sei bello.»

La testa di Thorin si alzò di scatto. «Cosa?»

«Con i capelli, e...» Bilbo gesticolò ampiamente «gli occhi, e la voce, e il... tutto.»

Era un po' troppo da processare. «Oh» disse stupidamente «Davvero? Voglio dire, grazie. Ma. Davvero?»

Bilbo scosse la testa e ridacchiò. «In cerca di complimenti ora. Ecco qualcosa che mai avrei pensato di vedere.»

«Se sono complimenti che ci stiamo scambiando, allora ne ho diversi che potrei condividere» disse Thorin, e il calore nel suo addome si stava allargando, per riempirgli il petto di aria calda «Potrei parlare di belle gambe nei loro corti calzoni, e si bei piedi, e di accesi, intelligenti occhi... un paio di mani abili e rapide, una testa di ricci castani su una mente affilata abbastanza da tagliare diamante...»

«Bontà mia» disse Bilbo debolmente.

«La vendetta è gioco leale, kurdulê» disse Thorin, deliziato dalla risposta. Le orecchie di Bilbo erano notevolmente rosa, e stava battendo rapidamente le ciglia, il petto si muoveva rapidamente.

«Ti avverto, scrivo poesie» disse in voce debole.

«Non vedo l'ora della tua vendetta, allora» disse Thorin, piuttosto soddisfatto «Sono sicuro che sarà molto poetica.»

Bilbo lo guardò male per un momento, fece un respiro profondo, e poi disse: «le ghiande significano vita, e immortalità, lo sapevi?»

Il suo sguardo cadde sui progetti sul suo tavolo. Il disegno aveva delle ghiande lungo la banda, e lui annuì. «Aye, lo sapevo.»

«Non sarebbe lontanamente abbastanza perché io ti mostri tutti i modi in cui ti amo» sussurrò Bilbo, così piano che era quasi privo di suono.

Il calore che stava nascendo riempì il petto di Thorin in un'ondata improvvisa e tuonante, e lui rimase in cerca d'aria. Tutto ciò che poté fare fu stringere il tavolo e fissare Bilbo. Quella era - quella era la prima volta che gli avesse detto che lo amava - come il tocco di Mahal, lasciò Thorin perso, la sua mente lontana.

«Abbastanza poetico, che dici?» disse Bilbo, soddisfatto, sorridendo e raddrizzandosi per mettersi i pollici nel panciotto. Poi la sua fronte si aggrottò e lui disse più seriamente: «Oh, dannazione, troppo, troppo - Thorin? Doyarzirikhab?»

Con le lacrime agli occhi, Thorin riuscì a gracchiare: «La tua vendetta è totale e devastante. Bilbo, ti amo, ti amo - quanto vorrei...!»

«Shhh, lo so» Bilbo gli fece un piccolo sorriso, e fece scivolare le mani sul tavolo verso di lui, i palmi verso l'alto «Lo so. E anche io. Anche io.»

«Anche tu hai sofferto» disse Thorin, e spinse avanti le mani a sua volta per posarle su quelle dello Hobbit, lasciandole solo un soffio sopra di esse «Anche tu rimasi solo. Tu seppellisti e nascondesti il tuo dolore, io soffocai sotto il mio.»

«E anche quello, lo so. Nella pancia e nelle ossa» mormorò Bilbo.

Thorin fissò le loro mani, e voleva - oh voleva -

«Thorin?»

Fíli era alla porta, e stava guardando Thorin con una certa preoccupazione. Thorin riprese controllo di sé con molto sforzo. «Unday» disse, e si spinse via dal tavolo «Cosa c'è?»

«Sono al Brandivino» disse Fíli, continuando a guardare Thorin in modo strano. Evidentemente decise di lasciare perdere, perché andò avanti. «Gandalf li ha lasciati ai limiti della Contea: apparentemente c'è un qualche antico spirito della foresta vicino con cui desidera parlare, e quindi gli Hobbit stanno andando avanti senza di lui. Ma ci sono guai, sembra. La Contea è cambiata.»

«Cambiata?» Bilbo si alzò, gli occhi enormi «Cambiata come?»

«Va avanti» disse Thorin, e la vecchia urgenza lo strinse. No, l'ombra era andata. Era andata.

Temo che distruggere ogni sua opera sarà un lavoro di molte Ere ancora aveva detto Thranduil.

Dannato lui per avere ragione, pensò Thorin, mentre Fíli ricominciava a parlare.

«C'è un posto di guardia dall'altra parte del Ponte, e un brutto, cupo cancello. Un sacco di Uomini in giro - si chiamano “Guardacontea”, ma io pensavo che i Guardacontea della Contea fossero come i nostri protettori della legge, guardie con il compito di mantenere la pace e assicurare la giustizia. Questi sembrano dei ruffiani assoldati dalle lande, e la loro gioia più grande sembra essere spaventare e sottomettere gli Hobbit.»

Il suono spaventato di Bilbo fu molto, molto forte.

«Non è tutto» disse Thorin, osservando Fíli. Suo nipote deglutì, e annuì.

«Si sono accampati in un'orrenda piccola stazione di guardia lungo il Brandivino per la notte. Tutte le locande sono chiuse ora. Sam ha incontrato un suo vecchio amico, e hanno parlato per un po'. Sembra che questi Uomini siano arrivati solo qualche mese fa, e tutto ha iniziato a cambiare da allora. Tutto il cibo ora è “raccolto” e “condiviso” - solo che non c'è molta condivisione in giro, e un sacco di raccoglimento. Non c'è erbapipa, né birra. Tutta viene mandata al Sud in carri: è così da quasi un anno. Il cugino di Frodo Lotho Sackville-Baggins sembra essere dietro tutto questo, dominando tutta la Contea da Casa Baggins: si sta comprando tutti i mulini e le fattorie, e assume tutta quella Gente Alta come guardie. L'acqua è inquinata a Sarnoguado, e apparentemente è anche peggio su a Hobbiton.»

«Cosa sta facendo Lotho?» esplose Bilbo «Lobelia è una vecchia arpia, ma nemmeno lei lascerebbe che suo figlio si comporti così! E il Sindaco? Di certo il giovane Piedebianco starà fermando tutto questo! E la gente di Buck e i Tuc?»

Thorin non poteva ripetere tutto quello. «Perché gli Hobbit non stanno lo stanno fermando?» domandò.

«Perché il minuto in cui parlano, li gettano in un cella» disse Fíli, facendo una smorfia «Il vecchio Sindaco è stato il primo, ha detto l'amico di Sam. È stato tenuto prigioniero nei suoi uffici per mesi, e chiunque segua il suo esempio si può unire a lui. Le chiamano le “Cellechiuse”.»

«Nella Contea!» disse Bilbo, sputacchiando per la rabbia «Disgustoso! Ignobile! Inaccettabile!»

«Calmati, âzyungelê» disse Thorin, senza distogliere lo sguardo da Fíli. Il giovane Nano batté le palpebre, ma poi capì che cosa stava succedendo e si rilassò. «Dimmi altro, se puoi?»

«Suppongo tu non sia solo, allora» disse Fíli, alzando un sopracciglio.

Thorin inclinò la testa.

«Spiega la tua espressione quando sono entrato, suppongo» Fíli si passò una mano fra i capelli, spettinandosi le trecce «Devo ammettere, la Contea è l'ultimo luogo dove mi sarei aspettato di incontrare tanta bruttezza. C'è un pugno di ferro ovunque uno guardi. Ci sono un sacco di leggi, e sono attaccate su ogni porta e muro, e secondo tutti diventano sempre più lunghe ogni giorno che passa. Gli Hobbit hanno troppa paura per parlare di ciò che succede, e ci sono persino alcuni che ne sono felici. Sai il tipo.»

«Orridi piccolo pomposi egocentrici, innamorati di se stessi» ringhiò Bilbo «Persino nella Contea ci sono alcuni a cui piace mettere il naso negli affari degli altri, spiando e pavoneggiandosi e minacciando, triste a dirlo.»

«Chiunque può diventare così, Bilbo, persino gli Hobbit» disse Thorin tristemente «Grazie, Fíli. I viaggiatori stanno bene?»

«Tristi e arrabbiati, ma sani nel corpo» Le spalle di Fíli si abbassarono «Alcuni Hobbit e Uomini sono diventati informatori della gente di Sharkey - Sharkey, quello è il nome del nuovo Capo, così Nori ha sentito. Avranno raccolto abbastanza dei Ruffiani per domattina da andare ad arrestare Frodo e i suoi amici.»

Bilbo sibilò in completa furia.

«Sam si prenderebbe cura di ogni singolo di loro» disse Thorin, accigliato.

«Sam è furioso, aye. Ma Merry e Pipino lo sono ancora di più» Fíli improvvisamente rise, asciutto e amaro «Tutta quell'acqua degli Ent! Quelle vili canaglie non sanno cosa fare con degli Hobbit tanto stranamente alti, forti, vestiti in armatura e con spade affilate nelle loro mani!»

«Bravi ragazzi!» Bilbo si rilassò un poco, anche se la espressione truce rimase.

«Tutto il Decumano Sud sembra voglia solo un fiammifero per prendere fuoco, se devo dire la verità» gli disse Fíli «Merry e Pipino stanno facendo un buon lavoro nel trasformarsi in fiammiferi. Stanno già parlando di armare i Tuc e i Brandybuck. Non sapevo nemmeno che gli Hobbit avessero delle armi. Beh, a parte te, Bilbo» Allungò il collo, cercando di trovare lo Hobbit spettrale.

«È dall'altra parte» disse Thorin «Bilbo? Vuoi condividere?»

«Sì, sì... Ecco. Non siamo guerrieri, di regola» disse Bilbo «Non combattiamo una battaglia dai Prati Verdi, nel 1147 nel calendario della Contea. Ma abbiamo molti archi e frecce, e tutto sommato una buona mira. E ogni contadino gira armato fino ai denti, naturalmente.»

Fíli lo guardò confuso quando Thorin glielo disse. «Contadini?»

«Non sei un fabbro, e dunque non hai mai riparato una zappa, una falce o un falcetto» disse Thorin «I contadini usano un genere di armi che farebbe vergognare la tua bella collezione, namadul

Fíli ci pensò per un momento, e poi iniziò a ghignare. «Non si renderanno conto di ciò che li ha colpiti!»

«Se riescono a far ribellare la Contea» disse Bilbo «Odio il pensiero del bel Lungacque pieno di sporco e veleno. E da Casa Baggins! Mio padre sarebbe impazzito.»

«Pace, Bilbo. Faremo ciò che possiamo, per quanto poco possa essere» Thorin guardò lo Hobbit tremante di rabbia, e lasciò che la sua bocca si incurvasse in ciò che sperava fosse un sorriso rassicurante «A volte tutto quello che possiamo fare è metterci in mezzo, ma potrebbe essere abbastanza.»

«Speriamo» disse Bilbo cupo.


«Fuori dai piedi! Fuori dai - è successo? Sta bene?» disse Bombur, sgomitando per far spostare Ori in un'insolita dimostrazione di maleducata fretta. I suoi occhi erano enormi e cerchiati, e si stava torturando le mani.

«Non ancora» gli disse Bifur, e Bombur si alzò la pesante treccia per masticarla in ansiosa preoccupazione.

«Calmati, Bomburuh» gli disse Genna, ma dal modo in cui lei stava giocherellando con il suo grembiule, le sarebbe probabilmente servito il suo stesso consiglio «Si prenderà il suo tempo, come hanno fatto i tuoi.»

«Non Bomfrís» disse Bombur, scuotendo la testa «Lei è stata rapida come un battito di ciglia: impaziente di vedere il mondo, era.»

«Shh, calmati» disse Bomfur, e tolse la treccia dai denti di suo figlio «Siamo tutti qui ad aspettare. Dunque aspettiamo.»

«Non c'è molto che possiamo fare per aiutarli, in ogni caso» aggiunse Bifur.

«Io sono ottimo nell'aiutare persone sotto sforzo, ricordatelo» disse Bombur, soffiando a suo cugino. Bifur alzò le mani in segno di resa, e Ori gliene prese una e la strinse fra le sue.

«Pazienza» disse Genna «E non ti masticare i capelli, gnocchetto.»

«La mia bambina» gemette Bombur, e poi si gettò per terra e si strinse le ginocchia fino a farsi sbiancare le nocche «Non lo sopporto. Odio vederli che soffrono...»

«Buona cosa che tu non sia lì ad aiutarla allora» mormorò Ori sottovoce, prima che una serie di invettive particolarmente feroci giungessero da sotto la porta chiusa «Aaaaaahia.»

«L'Elminpietra è lì dentro, no? Farà meglio ad esserci» disse Bombur, ansimando.

«Il mio ragazzo sa cos'è importante» giunse la voce tesa di Dáin dall'altro lato della sala. Era seduto accanto a sua moglie, sembrando esattamente come se fosse ancora vivo e con lei, se non per il debole alone di luce stellare attorno alla sua forma. «È con lei da quando è iniziato, facendola camminare finché lei non riusciva più a farlo.»

«Bene» disse Bombur, e i due quasi nonni si scambiarono uno sguardo pieno di preoccupazione.

«La tua ragazza è una dura» disse Dáin, basso e ruvido «Starà bene.»

«Hai visto quanto grossa era diventata, però» disse Bombur, e distrattamente si portò di nuovo la treccia ai denti. Genna gliela schiaffò via. «Alrís non era mai stata tanto grossa, nemmeno con Barur, e lui era una bambino veramente grande. Ci ha messo due giorni. Due giorni.»

«Gimrís sa cosa sta facendo» disse Bifur «Ha fatto nascere centinaia di bambini. Sa ogni modo in cui le cose possono andare storte, e sa cosa fare. È la migliore che ci sia.»

«Ti sei perso un po' di fuochi d'artificio» disse Ori «Il Re ha fatto camminare e camminare Bomfrís, incoraggiandola tutto il tempo, sai. Poi lei alla fine è esplosa - ha urlato che non avrebbe fatto un altro maledetto passo, che lui si poteva prendere le sue belle paroline dolce e mettersele-»

Dáin ridacchiò, anche se era teso e rigido. «Maledizione, mi piace lei. Bombur, mi piace lei.»

Non c'era solo Thira nella stanza; altri del mondo vivente erano con lei. Barís, Barur e Alrís erano lì, e Dís era seduta in una poltrona accanto al fuoco con una coperta in braccio. Stava osservando le fiamme con un'espressione lontana negli occhi rugosi.

I suoni nell'altra sala divennero più intensi, e Ori spinse il viso contro il petto di Bifur. Tutti rimasero in silenzio, cercando sia di ascoltare e di chiudersi le orecchie al tempo stesso.

Poi la voce di Gimrís si levò sopra i singhiozzi tremanti, deboli di Bomfrís, seguita da un urlo di sorpresa e gioia dell'Elminpietra.

Bombur e Dáin si alzarono all'unisono. «Cosa» dissero insieme, ma furono zittiti da un debole, acuto vagito.

«Mi targê, è qui» disse Thira, e il suo mento tremò «Oh, grazie a Mahal, è qui senza problemi.»

«Non erano gli unici preoccupati, sembra» disse Bomfur, facendo un cenno verso Thira.

«Non ero preoccupato» disse Bombur rapidamente. Ori represse una risatina.

La porta di aprì, e l'Elminpietra ne uscì con passi lenti e cauti, le mani avvolte attorno a un piccolo fagottino. «Io...» disse, e il suo volto era così profondamente gioioso che fece salire le lacrime a vari paia di occhi «Vi presento la nostra creatura.»

«Oh» disse Thira, piano e con meraviglia «I capelli.»

«Capelli rossi» ansimò Bombur, e scoppiò in lacrime «Capelli rossi!»

«Certo che sono capelli rossi, cosa sono io, una qualche bellezza bionda?» disse Dáin in tono piuttosto strozzato.

«Bomfrís?» chiese Alrís.

«Sta bene, mi ha quasi rotto una mano e le orecchie» disse l'Elminpietra, sorridendo come il sole.

«Ebbene? Come lo chiamiamo?» disse Barís, dondolandosi impazientemente da un piede all'altro «E posso tenerlo in braccio?»

L'Elminpietra andò molto lentamente verso Dís, e si inginocchiò davanti a lei con il suo piccolo, prezioso carico. Dolcemente mise il neonato in braccio a Dís, e guardò l'anziana Lady con occhi luccicanti. «Il nome di lei» disse, e Dáin inspirò improvvisamente «è Dís figlia di Bomfrís. Mia erede, e futura Regina di Erebor.»

Dís lo guardò senza parole, e poi guardò la sua omonima. Il suo volto si deformò mentre cercava di controllare le sue emozioni. Le ci vollero vari respiri profondi perché potesse parlare.

Poi alzò una mano rovinata e toccò la morbida pelle della guancia della neonata. «È bellissima, Thorin. È davvero bellissima.»

«Oh. Per la riga del culo sudata di Durin, sto per svenire» disse Dáin debolmente.

«Linguaggio» esclamò Genna, asciugandosi gli occhi con l'orlo del grembiule.

«È così perfetta, guardatela, guardate il dono del nostro Creatore a loro» singhiozzò Bombur «Dísith, piccola bellissima Dísith! Ah, ha una voglia color rubino sulla guancia, guarda! Dáin, guarda!»

«Aye, la vedo, e a forma di corvo. Farà felice la tua ragazza» Dáin trascinò Bombur in un enorme abbraccio «La nostra nipotina Dísith!»

In quel momento un debole gemito venne dalla porta aperta, e la testa di Dís si alzò. «Bomfrís» disse.

«Oh per la barba di Durin» disse l'Elminpietra, impallidendo drammaticamente sotto le basette, e si alzò e mezzo corse, mezzo barcollò di nuovo nella sala.

Dietro di lui, la stanza era divisa fra terrore e gioia, ronzante in modo febbrile. Dís strinse la bambina fra le braccia, il respiro le si mozzò fra i denti. Thira andò da lei e le strinse la spalla. «Starà bene» sussurrò Thira «Starà bene.»

«Dovrei andare dentro, le serve sua madre» si agitò Alrís, tirandosi le trecce.

«Ci ha chiesto di aspettare» disse Barís, gli occhi serrati e il labbro morso a sangue «Ci ha chiesto di aspettare qui.»

«Ha imprecato in ogni modo nel dirci di non entrare» aggiunse Barur, tremando.

«Hai un pasto pronto per lei, vero?» Alrís si allungò e strinse la mano di suo figlio. Lui ricambiò la stretta.

«Il suo preferito» promise.

Il volto di Barís si alzò, gli occhi ancora chiusi. «Tutti i corvi sono in silenzio» sussurrò. La sua bellissima voce era piena di paura.

«Tuäc non aspetterà» disse Thira «Quell'uccello si preoccupa di Bomfrís come fosse un suo pulcino.»

«Lasciatemela vedere» disse Barur improvvisamente, e si chinò per strofinare i suoi enormi baffi sul viso della neonata. Dísith sembrava starsi facendo un pisolino, la pancia piena del suo primo latte. I suoi pallidi occhi azzurri era socchiusi, e la voglia sulla sua guancia di colore molto acceso. «Ciao, cuginetta. Non venire a nasconderti nella mia cucina, tesoro, sei abbastanza piccola da starci in una pentola!»

«Barur, davvero» sbuffò Alrís, ma anche lei si chinò sulla piccola e un'espressione dolce le attraversò il viso «Che piccola gemma che sei, come tua mamma. Guarda che occhi! Pensate rimarranno blu quando crescerà?»

Dís guardò Thira. «Suppongo potrebbero. Sono tipici di famiglia, dopotutto.»

Thira sorrise, con un po' di tristezza, ma onestamente. «Aye. Sarebbe felice di vederli, so che...»

Bomfrís urlò.

«Mahal abbi pietà» sussurrò Dís.

«Che diavolo...?» giunse la voce stupefatta dell'Elminpietra, seguita da un acuto strilletto di Gimrís.

«Che succede ora, dannazione - non lo reggo più!» gemette Dáin «Se non fossi già morto, mi si sarebbe fermato il cuore per la tensione ormai!»

Thira fu la prima alla porta. «Thorin!» urlò, ansiosa.

«Io - va tutto bene, sta bene» rispose lui, una nuova e incredibile gioia nella sua voce.

«NON VA TUTTO BENE - MALEDIZIONE - NON STO BENE - DANNAZIONE, È UNO STRAMALEDETTO BUGIARDO!» giunse l'urlo furioso di Bomfrís.

«Sta bene» disse Alrís, rilassandosi di colpo e sorridendo sollevata.

«Ma voi non ci crederete» disse Gimrís, e la sua testa apparve dallo spiraglio della porta «Ce ne sono due.»

«Due!?» disse ogni voce in uno perfetto, confuso coro.

«Ma - non ci sono mai stai Nani gemelli prima» disse Ori «Mai. Proprio mai.»

«Di cui noi sappiamo, quantomeno» disse Dáin, fissando il punto in cui la testa di Gimrís era scomparsa di nuovo, chiudendosi la porta dietro «Non è negli annali.»

La bocca di Bombur era spalancata, la sua treccia gli cadde dai denti con un plop.

«Due» disse Dís, debole, e guardò la piccola neonata fra le sue braccia «Due.»

«Non ci credo, non...» Dáin scosse la testa spettinata, e una grossa lacrima di felicità scese lungo la sua guancia «Non ci credo per nulla. Che benedizione!»

«Non penso Bomfrís sarebbe d'accordo con te, in questo momento» disse Genna secca.

Non passò molto prima che giungesse un nuovo pianto, acuto e stridulo, riempiendo la stanza. «Sarà meglio che non ce ne siano tre, o me ne vado» disse Bifur «Mahdel, a tutti a due» disse a Dáin e Bombur, che avevano le braccia uno attorno alle spalle dell'altro, sdraiati sul pavimento.

«Due!» urlò Dáin, ubriaco per la gioia «Ah, berrò fino a non sentirmi le gambe stanotte! Aspetta, aspetta un attimo, quella era buona - Bombur - non sentirmi le gambe, l'hai capita?»

Bombur ululò di risate, asciugandosi la faccia con la manica.

«Coppia di idioti» sospirò Bomfur, sorridendo a scuotendo la testa.

Passò un po' prima che Gimrís aprisse di nuovo la porta, senza il grembiule e coi capelli legati indietro. Il sudore le copriva la fronte. «Ebbene, è stato indubbiamente interessante» disse, col suo solito umorismo secco «Tutti stanno bene qui?»

«Penso Dísith potrebbe volere sua madre a qualche punto, ma stiamo bene» disse Dís.

«Penso sia molto comoda dove sta ora, veramente» mormorò Thira «Non ha pianto una volta, Gimrís.»

«Aye, è una dura, lei» disse Gimrís, e toccò con un dito la voglia a forma di corvo sulla sua guancetta morbida. La bocca di Dísith si aprì per un momento, prima che lei facesse un piccolo sospiro e si addormentasse più profondamente. «Bene, perché le servirà. Suo fratello è... ecco. È un po' una sorpresa.»

«Direi» disse Barís, ridendo «Gemelli! Solo nostra sorella avrebbe potuto fare una cosa del genere!»

«Lei sta bene, vero?» chiese Alrís, le mani strette insieme.

«Sta bene. Dà da mangiare all'altro» disse Gimrís, e raddrizzò le spalle. C'era uno strano pallore sul suo volto. «Gli sto... dando un po' di tempo con lui. Riporterò indietro Dísith ora, così può stare col suo gemello.»

«Hanno deciso che nome dargli?» chiese Dís, alzando dolcemente la bambina.

«Non serve» disse Gimrís con uno sbuffo.

Dáin fece un suono che sembrava un maiale con la tosse. «No» disse, ansimando. La sua mano si alzò di scatto e strinse il braccio di Bombur in una presa di ferro. «No!»

Dís e Thira parvero capire cosa stava dicendo Gimrís; i loro volti si riempirono di meraviglia, gli occhi tondi e increduli. Eppure Alrís era ancora preoccupata per sua figlia e non parve capire così in fretta. Le sue mani si poggiarono sulle sue ampie anche, la voce acuta e dura per la lunga, ansiosa attesa. «Non può dargli un nome? Ma hai detto che stava bene! Lasciami passare, giovane Nana, voglio vederla ora!»

Gimrís scosse la testa. «È stata assolutamente chiara come cristallo sul fatto che non volesse che la sua famiglia la vedesse in quello stato, Alrís. Credimi, Bomfrís sta bene. Entrambi i bambini sono nati senza complicazioni. Lei è sana e forte, e sarà di nuovo in piedi domani. E non è che non possa dargli un nome, non esattamente. No, è che ha un nome predestinato, sembra.»

Alrís aprì la bocca per litigare, ma poi comprese in un secondo, e lei dovette farsi tenere su da Barís e Barur. «Vuoi dire - ma, ma noi siamo Vastifasci!» gracchiò «Non siamo Longobarbi!»

«Sembra non importi per nulla» Gimrís si prese Dísith in braccio con un movimento pratico, cullandola distrattamente, prima di alzare la testa e dire piano, con riverenza: «i suoi occhi brillano come ithildin alla luce delle lampade, Zia Dís. Come ithildin sotto la luce della luna.»

Durin.

Il THUD! di Dáin e Bombur che svenivano entrambi doveva essere stato udito chiaramente anche nel mondo vivente.

Di fu un assoluto silenzio mentre Gimrís tornava nella stanza per riportare la futura Regina alla sua famiglia. Era qualcosa di troppo grande. Era troppo da comprendere.

Dís iniziò a ridere, gracchiante e fuori esercizio. «Ve lo immaginate» disse a Thira e Alrís, e allungò le mani verso entrambe «Ve lo immaginate quanto sarebbero orgogliosi?»

«Oh, Creatore, sarebbe insopportabile» ansimò Thira.

«Correrebbe in giro per le strade, cantando a pieni polmoni» aggiunse Alrís, ridendo.

«Regina Dís, e Durin il Senza Morte» disse Bifur, e barcollò un poco. Era - era mastodontico. La forma del futuro era lì, ed era davvero grandiosa. «M'immu Durin!»

Ori borbottò: «Ebbene, suppongo ciò voglia dire che Dáin II dovrà fare attenzione a chi userà nelle sue imprecazioni d'ora in poi.»


«Dunque questa è Cranarana» disse Nori, guardando il piccolo villaggio «Il nome gli si addice, suppongo. Piena di rospi gonfiati.»

«Sii gentile, Nori» mormorò Fíli.

«Io sono l'immagine della generosità di spirito, grazie molte» Nori tirò su col naso «Ma guarda, la strada è sbarrata! Ho viaggiato molto per la Contea, e mai aveva visto una strada sbarrata prima.»

«Giorni nervosi» disse Fíli.

«Altri Guardacontea» aggiunse Kíli, guardandoli storto.

«Ma niente Uomini: solo Hobbit» disse Fíli, studiando il gruppo dietro la barriera. Aveva un grosso cartello con le parole “STRADA CHIUSA” dipinte sopra; probabilmente la pittura era ancora umida. «Hobbit con dei bastoni.»

«E penne nei cappelli» disse Nori, sembrandone piuttosto divertito.

«Un sacco di penne - le penne sembrano di moda» disse Kíli, facendo un cenno verso uno Hobbit con due lunghe penne nel cappello. Lo Hobbit stava cercando di sembrare molto importante e serio, ma più che altro sembrava molto spaventato.

«Che significa tutto ciò?» disse Frodo, fermando il suo pony. Il suo tono era strozzato, come se anche lui stesse trattenendo le risa.

«Ecco che cos'è, signor Baggins» disse lo Hobbit con le due penne. Sembrava il capo del gruppo. «Siete arrestato per Violazione dei Cancelli, Distruzione di Regole, Assalto ai Guardiani dei Cancelli, Pernottamento negli Edifici della Contea senza Permesso, e Corruzione di Guardie con Cibo.»

«C'è altro?» disse Frodo.

«Questo può bastare, per il momento» disse il capo dei Guardacontea.

«Io potrei aggiungere altro, se vuoi» disse Sam «Insulti al vostro Capo, Desiderio di Prendere a Pugni il suo Viso Pustoloso, e Certezza che voi Guardacontea avete l'Aria di un Sacco di Idioti.»

«Sam Gamgee, Nano Onorario» sospirò Fíli, sorridendo mentre Kíli ridacchiava.

«Basta così, Messere» disse lo Hobbit con le due penne, cercando di suonare severo. Non stava funzionando molto. «Per ordine del Capo, dovete seguirci in silenzio. Vi porteremo a Lungacque e vi affideremo alle guardie del Capo; e quando egli si occuperà del vostro caso, potrete dire la vostra. Ma se non volete restare nelle Cellechiuse più del necessario, vi consiglio di piantarla con le chiacchiere.»

Ci fu una pausa.

Poi per la delusione dei Guardacontea, i quattro viaggiatori scoppiarono in ululati di risa. «Non essere assurdo!» ansimò Merry.

«Tutti sembrerebbero assurdi con un cappello così» disse Pipino, ancora ridacchiando.

«Basta con questo. Vado dove mi pare, e quando più mi garba. Si dà il caso che io sia diretto a Casa Baggins per affari, ma se insisti ad andarci anche tu, è affar tuo» disse Frodo fermamente.

«Benissimo, signor Baggins» disse quello con due penne, aprendo la barriera «Ma non dimenticate che siete in arresto.»

«Non lo dimenticherò» disse Frodo «mai. Ma forse ti perdonerò. Ora, venite - se riuscite a starci dietro!»

Fu una processione piuttosto comica quella che lasciò il villaggio. Circa una dozzina dei Guardacontea furono assegnati all'incarico di scortare i “prigionieri”, ma Merry li fece marciare avanti, mentre lui e i suoi amici cavalcavano dietro, ridendo e parlando. La gente venne a fissare a bocca aperta la processione che passava per la Contea: i Guardacontea che marciavano a passi pesanti, cercando di sembrare seri e importanti, e i quattro avventurieri che cantavano e chiacchieravano a loro agio.

Frodo era più silenzioso degli altri tre, e osservava il paesaggio e i suoi mutamenti con sguardo triste e pensieroso.

Avvicinandosi a Lungacque, i Guardacontea infine si arresero. Ansimanti e con le facce rosse, si piegarono appoggiandosi alle loro ginocchia col sudore che gocciolava dalle loro fronti.

«Venite con calma!» disse Merry «Noi andiamo avanti!»

«State infrangendo le norme, ecco cosa» disse lo Hobbit con due penne sconsolato «E io non posso risponderne!»

«Romperemo molte altre cose, e non ti chiederemo di risponderne» disse Pipino, facendo un saluto insolente «Buona fortuna a voi!»

Continuarono lungo strada a un buon trotto, ma le conversazione presto terminarono mentre i danni aumentavano e aumentavano. Il fumo avvelenava l'aria, e c'erano meno alberi ovunque loro guardassero. Infine arrivarono in cima all'altura, e lì si fermarono in completa disperazione. Bill sbuffò, scuotendo la testa contro le redini.

«È... tutto scomparso» disse Merry, debole.

«Proprio come vidi nello Specchio della Dama» sussurrò Sam.

I buchi Hobbit erano spariti, ed anche molte case. Piccoli giardini erano stati sradicati e calpestati, i loro accesi colori perduti. C'era una fila di nuove brutte case di mattone dove un tempo era stato un viale alberato. L'acqua del Lago scintillava dell'arcobaleno scuro di sostanze oleose.

Su quella scena terribile dominava il Colle, e Casa Baggins. C'era un brutto camino di mattoni costruito dove un tempo vi era la vecchia quercia, e vomitava fumo nell'aria.

Sam era inconsolabile. «Padron Frodo!»

«Lo vedo, Sam» rispose Frodo, duro e rassegnato.

«Io vado avanti, padron Frodo!» urlò «Hanno distrutto la vecchia strada, guardate! Voglio vedere cosa sta succedendo. Voglio trovare il mio Gaffiere.»

«Aspetta un attimo» disse Pipino, facendo un cenno verso un gruppo di Uomini che si stavano rilassando e fumando vicino alla vecchia taverna del Drago Verde - chiusa ora, sembrava, tranne che a quei ruffiani. «Ci sono brutte notizie.»

«Dove credete di andare?» disse il più grosso in un tono rumoroso e molto maleducato «La strada non continua per voi. E dove sono quei furbi dei Guardacontea?»

«Stanno venendo con calma» disse Merry «Forse un po' indolenziti. Abbiamo promesso loro di aspettarli qui.»

«Maledizione, che vi avevo detto?» disse il ruffiano ai suoi amici «Ho ripetuto più volte a Sharkey che non ci si poteva fidare di quei piccoli idioti. Avrebbero potuto mandare alcuni dei nostri.»

«Ancora Sharkey» borbottò Nori «Io lo scuoierei

«Non ci sarebbe stata molta differenza» disse Merry in tono piatto «Non siamo abituati ai predoni di questo paese, non importa le dimensioni.»

«Predoni, eh?» disse l'uomo «Faresti bene a cambiare tono, insetto. Voi piccoletti state diventando troppo sfrontati. Non affidatevi troppo al buon cuore del Capo. Sharkey è arrivato, e il Capo farà quello che dice Sharkey.»

«E cioè?» disse Frodo calmo.

«Questo paese ha bisogno di essere svegliato e messo a posto» disse il ruffiano «e Sharkey lo farà, e userà la maniera forte, se lo costringete. Avete bisogno di un Capo più grande. E ne avrete uno prima della fine dell'anno se vi saranno altri incidenti. Allora imparerete un paio di cose, piccoli topi.»

«Davvero? Sono contento di conoscere dei vostri piani» disse Frodo, e anche scambiando parole con un bandito e uno sciocco, brillava di dignità e stanca saggezza «Intendo fare una visita al signor Lotho, e sarà anch'egli interessato a conoscerli.»

Il ruffiano rise. «Lotho! Li conosce benissimo. Non ti preoccupare. Farà ciò che dice Sharkey. Perché se un Capo ci dà delle grane, noi lo cambiamo. Capito? E se dei piccoletti cercano di entrare dove non è permesso, sappiamo come impedir loro di nuocere. Capito?»

«È morto» disse Nori improvvisamente.

«Cosa?» disse Kíli, confuso.

«Hanno ucciso Lotho» disse Nori, e tirò fuori un coltello dalla punta uncinata dalla sua giacca e se lo passò sulle dita «Mi pare abbastanza chiaro. Non lo stanno tenendo come ostaggio, è morto come un sasso, e stanno usando ciò che rimane di lui per rendere le cose peggiore. E in suo nome, per di più. È particolarmente cattivo.»

«Non devi suonarne tanto ammirato» borbottò Kíli.

«Oh, non lo sono. Quello è uno sporco inganno, quello, e disgustoso e disonorevole fino in fondo. Ma è molto intelligente, devo dire» Nori fece una smorfia e alzò il coltello come se volesse molto provare il suo filo sul capo dei ruffiani «Lo rende anche peggiore, in un certo senso.»

«Ci sono inganni onorevoli?» chiese Kíli ad alta voce, ma Fíli lo fece stare zitto con uno sguardo quando Frodo iniziò a rispondere.

«Sì, capisco» disse Frodo, lentamente «Capisco innanzitutto che siete rimasti un po' a corto di notizie, qui. Sono accadute molte cosa da quando lasciaste il Sud. La Torre Oscura è caduta, e vi è un Re a Gondor. Isengard è stata distrutta. Sono i messaggeri del Re che percorrono ora il Verdecammino, e non più i teppisti di Isengard.»

L'uomo lo fissò e sorrise. «Belle parole davvero!» lo derise «Fai lo spavaldo, eh, piccolo sputasentenze? E invece, guarda un po', noi continueremo a vivere in questo piccolo paese grasso dove voi avete poltrito a sufficienza. E-» schioccò le dita davanti alla faccia di Frodo «-Messaggeri del Re! Questo è per loro! Quando ne vedrò uno, forse ci farò caso.»

Fíli era pieno di rabbia. Questa... questa feccia osava schioccare le dita di fronte al Portatore dell'Anello e insultarlo? «Lurido essere, discendente di Orchi!» ringhiò «Dannazione, vorrei tu potessi usare quel coltello, Nori!»

«Sia tu che io, capo» disse Nori, ghignando crudelmente e osservando la gola dell'uomo «Si è sentito molto ignorato, in questi ultimi decenni...»

Pipino evidentemente aveva avuto la stessa idea, perché getto via il mantello ed estrasse la spada. L'argento e il nero della livrea di Gondor brillarono al sole mentre lui sibilava: «Io sono un messaggero del Re. Stai parlando al caro amico del Re, una delle persone più famose di tutte le terre dell'Ovest. Sei un furfante e uno sciocco. In ginocchio per terra e chiedi perdono, o t'infilzerò con questa spada, terrore dei Troll!»

Frodo non si mosse, mentre i suoni delle spade di Merry e Sam che venivano sfoderate risuonavano nell'aria pomeridiana.

I ruffiani indietreggiarono. Non sembrava sapessero cosa fare con Hobbit che indossavano armatura lucide e portavano spade affilate e parlavano senza paura o ritrarsi.

«Andatevene!» disse Merry «Se importunate di nuovo questo villaggio lo rimpiangerete amaramente!»

Gli Uomini indietreggiarono, e poi fuggirono quando gli Hobbit si avventarono su di loro, e scapparono correndo lungo la Via di Hobbiton e presto non si videro più. Il suono dei loro corni risuonò poco dopo.

«Non sarà tanto facile impaurirli una seconda volta» disse Pipino, osservandoli «Avete sentito? Stanno richiamando altri dei loro compagni per aiutarli, e saranno molto più spavaldi quando saranno più numerosi. Dovremmo cercarci un rifugio per la notte. Dopo tutto siamo soltanto in quattro, anche se siamo armati.»

«Io ho un'idea» disse Sam «Andiamo dal vecchio Tom Cotton in fondo al Viale Sud! È stato sempre un tipo robusto. Ed ha una quantità di figli che sono stati sempre miei amici.»

«No!» disse Merry, rinfoderando la spada e lanciando al vecchio, rovinato Drago Verde uno sguardo triste, prima di girarsi verso i suoi amici «Non serve “cercarsi un rifugio”. È proprio ciò che la gente ha fatto sinora, e ciò che questi furfanti vogliono. Ci assalirebbero tutti insieme, ci metterebbero con le spalle al muro, e poi ci costringerebbero ad uscire, o ci brucerebbero vivi. No, dobbiamo fare immediatamente qualcosa.»

«Fare cosa?» disse Pipino.

«Sollevare la Contea!» disse Merry «Subito! Svegliare tutta la nostra gente! Vogliono un fiammifero, e prenderanno fuoco. Gli Uomini del Capo lo sanno, e cercheranno di metterci a tacere al più presto. Abbiamo pochissimo tempo.»

«Sì!» urlò Kíli.

Merry stava parlando in fretta, creando piani veloce quanto poteva dandogli voce. «Sam, tu puoi fare una corsa da Cotton, se vuoi. È la persona più importante da queste parti, e la più robusta. Pip, tu devi sgattaiolare oltre le guardia attorno a Tucboro: riporta qui i Tuc! Sveglierò io la gente di Buck. Suonerò il corno di Rohan, e sentiranno della musica nuova per le loro orecchie.»

«Io andrò con Sam, mi assicurerò che la gente di Hobbiton si raccolga» disse Fíli, quasi inciampando sulle sue parole «Nori, sta con Frodo, sei il migliore nello sgattaiolare in giro. Kee, sei il più veloce, sta con Pipino! Correte da Thorin o da me se qualcosa va male. I Tuc dovranno essere qui per domattina!»

«Certo, capo» disse Nori, e lo salutò col coltello. Kíli già stava correndo dietro la sagoma di Pipino sul suo pony.

Fíli raddrizzò le spalle e benedì la sua naturale resistenza Nanica nel notare Sam un po' più avanti lungo la strada attraverso il villaggio. Poté raggiungerlo facilmente, nonostante Sam stesse andando al trotto. Continuava a fermarsi per esclamare di un qualche terribile vandalismo, e a un certo punto quasi scoppiò a piangere.

«Non avrebbero dovuto abbattere l'Albero della Festa» disse, asciugandosi gli occhi «Padron Bilbo ha fatto il suo discorso d'addio sotto quell'albero! Vergogna a tutti loro!»

In quale momento, udirono un tremendo richiamo di un corno che risuonava nel cielo. Sopra le colline e i campi risuonò, certo lontano fino al Brandivino, se non oltre. Il pony di Sam si impennò e nitrì.

«Avanti, ragazzo! Avanti!» urlò «Torneremo presto!»

Poi sentirono Merry cambiare nota, e salì un nuovo grido, stridente e coraggioso, facendo tremare l'aria.

Sveglia! Sveglia! Fuoco, Nemici, Paura! Sveglia! Fuoco, Nemici! Sveglia!

«Il Richiamo della Terra di Buck!» ansimò Sam, e spinse Bill al galoppo. Fíli gemette e corse più veloce. «Ebbene, questo li farà uscire dai loro buchi, se nient'altro potrà farlo!»

Continuò lungo la via, e poi vi era un mormorare e uno sbarrare di porte quando passava. Gli Hobbit fecero capolino con le teste in meraviglia udendo il suono del corno, e per gli strani abiti che Sam indossava.

«Chi è là?» giunse una voce nel buio, ed era un robusto vecchio Hobbit con un paio di veri basettoni (Kíli sarebbe diventato verde come smeraldi per giorni). Stava stringendo in mano un'ascia. «Sparisci, non vogliamo i tuoi modi da ladruncolo qui!»

«Non è uno di quei ruffiani, Papà!» urlò un'altra voce «È uno Hobbit, date le dimensioni, ma vestito in modo strano.»

Alla seconda voce, Sam deglutì molto forte. Poi scese dalla schiena di Bill, e fece un passo avanti con le mani alzate e vuote davanti a lui. «Sono Sam, Sam Gamgee. Sono tornato.»

il vecchio Hobbit si fece avanti, e osservò Sam nell'aria scura del crepuscolo. «Ebbene!» esclamò «La voce è quella, e il tuo viso non è peggiorato, Sam. Ma se ti avessi incontrato per la strada non ti avrei riconosciuto, con tutte queste bardature. A quanto pare sei stato all'estero. Temevamo fossi morto.»

«No di certo!» disse Sam «E neanche padron Frodo. È qui con i suoi amici. Ed è questo il motivo del baccano. Stanno sollevando la Contea. Vogliamo far fuori tutti questi banditi, compreso il loro Capo. Stiamo incominciando adesso, signor Cotton, e apprezzeremmo il vostro aiuto a proposito.»

«Finalmente!» urlò Cotton «Da un anno ormai le mani mi prudevano, ma la gente non voleva aiutarmi. Lungacque si ribella!»

«Ma la signora Cotton e Rosie?» disse Sam.

«Perché non glielo chiedi tu stesso, Sam» disse il contadino, ghignando. Poi corse verso il centro del villaggio il più rapidamente che le sue gambe potevano portarlo, urlando: «sveglia Lungacque! Su, Hobbiton! Fuori dal letto voi lumaconi, abbiamo una Contea da salvare!»

La seconda Hobbit rimase in piedi ai cancelli della fattoria, e abbassò lo sguardo timidamente.

«Io penso tu stia bene, Sam» disse.

«Come stai, Rose?» disse lui, il cuore nella sua voce. Strisciò uno dei grossi, pelosi piedi.

«Abbastanza bene» disse lei, e alzò il mento. Aveva una grande cascata di capelli ricci, e belle, ruvide mani marroni. «Mi sto prendendo cura dei prigionieri alle Cellechiuse. Qualcuno deve dargli da mangiare.»

«Tu, che passi davanti a tutti quei ruffiani da sola per dar da mangiare ai prigionieri!» disse Sam, orripilato.

«Non iniziare, Sam Gamgee» disse lei in tono severo «Ne ho già sentite abbastanza da Papà. A vederti dubito che tu sia stato molto più al sicuro.»

«Molto meno al sicuro» sospirò Sam «Ma Padron Frodo ed io ne siamo usciti tutti interi... per la maggior parte.»

Fíli sbuffò.

«Lui sta bene?» volle sapere Rosie, e Sam alzò una spalla prima di farla ricadere pesantemente.

«Vedrai, se tutto va bene. I prigionieri...»

«Si stanno perdendo d'animo» disse Rosie, e fece un sospiro «Il sindaco, povero vecchio, Will Piedebianco, lui è stato il primo. Non vede il cielo da mesi e mesi. Hanno preso persino la Vecchia Lobelia, e alla sua età! Lei se ne girava come al solito con il suo ombrello, ma loro hanno comunque preso quella vecchietta fragile e l'hanno messa in una cella. Freddie Bolgheri non è più Grassotto Bolgheri ormai, povera anima. Io porto quello che posso con il cibo e il bucato: i ruffiani non fanno molta attenzione a noi Gente Piccola... ma non è abbastanza e si vede sulla loro pelle.»

«Ragazza coraggiosa» disse Fíli. Lui tremò all'idea di entrare in una fortezza nemica più e più volte, con l'intento di commettere piccoli, necessari atti di ribellione.

«Ma tu stai davvero bene allora» stava dicendo Rosie, giocherellando con l'ascia da legna che aveva in mano «Sia tu che il signor Frodo? Hai visto cose oscure con quegli occhi, Sam.»

«Coraggiosa e sveglia» si corresse Fíli.

«Quello è un fatto, e ce n'è stata abbastanza ormai. Non mi aspettavo di trovarne altra sul mio tappetino d'ingresso, se capisci cosa intendo. Speravo di essermela lasciata dietro. E mi sono preso cura di Padron Frodo per tutto questo tempo, lo giuro»

«Sei un bravo Hobbit, Sam Gamgee» disse Rosie, un piccolo sorriso sulle sue labbra «Vorrei che tu avessi avuto un miglior bentornato.»

«Sarà migliore, vedrai» insistette Sam «Merry e Pipino li conceranno per le feste!»

«Bene» Rosie abbassò di nuovo lo sguardo «Ebbene, uno di noi deve proteggere Mamma, dunque io rimarrò qui. Vai ora! Ma prenditi cura di te, e torna subito indietro appena hai sistemato quei ruffiani!»

Sam esitò, e poi sorrise a sua volta, stringendola la manina ruvida. «Lo farò» promise.


Portarono i carri sulle pianure, dove i fiori selvatici dondolavano la testa e le api ronzavano sopra macchie di trifoglio. Almeno trecento Nani erano raccolti insieme: minatori e divinatori di caverne, soprattutto. C'erano altri con abilità più specialistiche fra loro: fabbri e cuochi e coloro che parlavano con la pietra e altri.

Gimli guardò l'enorme, torreggiante picco con i suoi versanti boschivi, e il suo cappello di ghiaccio che arrossiva di rosa dorato nel mattino primaverile.

«C'è il mio nome là in cima, lo sai» disse, e fece un pesante sospiro.

Legolas fece scivolare la mano in quella di Gimli, e la strinse. «Lo so» disse dolcemente.

Gimli lanciò un altro lungo sguardo a Erebor, e poi si sistemò lo zaino. «Suppongo tu voglia farmi salire di nuovo su quella dannata bestia» disse, ruvido.

«Questa farsa è vecchia e noiosa, e non prende in giro assolutamente nessuno, mir nín» disse Legolas, mentre Arod mordicchiava affezionatamente la spalla di Gimli.

«Prendetevi cura di voi, tutti e due» ordinò Mizim, e spinse via Arod e sistemò la spessa giacca di Gimli sul suo petto, lisciandogliela con una piccola carezza «Tornate a visitarci presto!»

«Appena potremo» promise Legolas.

«Che non sarà per nulla presto» sospirò Glóin, stringendolo in un grande abbraccio, prima di lisciarsi i capelli e premere la fronte contro quella di Gimli e tenendola lì «Entrambi i miei figli, mi lasciano in un colpo solo? È stato abbastanza difficile quando uno era via.»

«Pa, gli serve un guaritore, e Bofur è uno dei minatori migliori che abbiamo» disse Gimrís, sporgendosi dal suo carro e allungandosi verso di lui «E qualcuno deve tenere in riga quel mulo, no?»

«Pensavo fosse il mio lavoro quello» disse Legolas piano.

«Ha, ha, siete entrambi esilaranti» borbottò Gimli «Perché ho voluto che voi due andaste d'accordo?»

Gimizh saltellò sul suo sedile, scalciando e guardandosi attorno con occhi enormi. «Allora, quando iniziamo la Missione?» disse, tirando la manica di Bofur.

«Fra poco, ragazzo» disse Bofur, con uno sguardo al cielo attraverso i suoi occhiali spessi «Aspettiamo solo che tutti si siano sistemati. Non siamo tutti efficienti come te, inùdoy.»

Non molto lontano, Thranduil tossì con educato scetticismo.

Mentre Glóin e Mizim salutavano Gimrís, Bofur e Gimizh, la rifugiata Nerachiave Kara si avvicinò ai due membri della Compagnia. Il resto della sua gente, poco meno di venti, sarebbero andati ad Aglarond con quelli di Gimli.

«Allora, questo è un addio, per qualche tempo» disse Kara. Si stava appoggiando sull'ascia da guerra dalla lunga impugnatura di Orla: un regalo, da sua zia. «Vi farò sapere quando sarà sicuro.»

Gimli le strinse l'avambraccio e picchiò insieme le loro fronti. «Aye, e spero che voi siate al sicuro» disse, piano «Ma sei in buona compagnia: mi fido di Jeri figliu di Beri, è unu vecchiu amicu e lu migliore della guardia del Re dopo Dwalin. Non ti deluderà.»

Kara lanciò uno sguardo a Jeri, che stava dicendo addio alle sue madri. «Non capisco ancora perché unu Longobarbu di Erebor e un Elfo di Boscoatro vogliano venire agli Orocarni con me.»

«Perché certe cose sono durate troppo a lungo, e il male in questo mondo è una di quelle» Laindawar sapeva muoversi silenzioso come un gatto, anche in armatura, e fece un cenno distratto a Gimli prima di parlare a Kara. «È un problema per te, Principessa?»

Lei lo fulminò. «No, ma è un problema che tu mi chiami “Principessa”. Quello è- quello era il titolo di mia zia.»

«Ed ora è il tuo» disse Gimli, alzando un sopracciglio.

L'espressione di lei divenne solo più truce, ma lei non protestò.

«Non so dire quanto potrò essere utile, ma non posso rimanere senza fare nulla» disse Laindawar, e guardò verso Est «Ho visto la mia casa essere ripulita dalla feccia di Sauron. Perché non dovrei desiderarlo anche per altri?»

«Farete fatica a tenerlo sotto copertura» mormorò Legolas a Kara, che sbuffò forte «Inizierà a pugnalare i membri del Culto dal primo giorno.»

«Mm» Lei guardò Laindawar, prima di fare un cenno a Jeri che si stava avvicinando. «Ebbene, andiamo» disse loro «È una lunga strada fino a Ghomal.»

Jeri diede di gomito a Laindawar, che alzò gli occhi al cielo. «Pronto per andare a cambiare il mondo di nuovo, Altezza?»

«Avevi ragione» disse Laindawar nel suo modo brusco e superiore «Tu sei davvero persistente.»

Se ne andò, e Jeri ghignò.

«Dannazione, sarà divertente viaggiare con lui. Gimli, mahzurulmi astû sigin'aimu nusus. Buon viaggio»

«Anche a te» rispose Gimli, e si abbracciarono prima che Jeri li salutasse e corresse dietro Laindawar.

«I miei compagni di viaggio» sospirò Kara.

«Andrà tutto bene, bambina» disse Ashkar, e si abbracciarono per un momento silenzioso. Ashkar sussurrò all'orecchio di Kara, e lei annuì una volta. Poi lei baciò la fronte di id, prima di guardarlu in faccia con occhi lucidi.

«Mi mancheranno tutti i tuoi consigli e le tue lamentele» disse.

«E a me mancheranno tutte le scenate e sciocchezze impulsive» rise id «Vai, ora! Ti aspettò ad Aglarond.»

«Muoviamoci, ANDIAMO!» urlò Gimizh, che vibrava di eccitazione. Il suo strillare spaventò il pony, che saltò e fece alcuni passi avanti.

«Gimizh ha fatto la decisione, suppongo» sospirò Gimli «Meglio metterci a muovere prima che il sole sia troppo alto.»

«Devi addestrarlo ad essere tuo erede» sussurrò Legolas, e Gimli gli pizzicò il gomito.

Thranduil cavalcò avanti sul suo cervo. Le sue corna facevano grandi ombre sull'erba. «Verrò con voi, fino alle mie sale» disse «Possiamo mostrarvi sentieri sicuri attraverso Boscoverde. Dirò a Galion di prepararvi delle provviste» Esitò, e poi aggiunse dolcemente: «in dei barili, magari.»

Gimli lanciò al Re Elfico un'occhiata truce. Thranduil non tradì alcuna emozione, e il suo sguardo era freddo.

Poi Gimli scoppiò in una sonora risata. «Oh, sono certo che stavate morendo dalla voglia di dire qualcosa del genere!» esclamò.

Sia Glóin che Bofur avevano la faccia di qualcuno che ha appena morso un'arancia solo per scoprire che era in realtà un limone dipinto di arancio.

Laerophen disse, piuttosto perplesso: «non siete... arrabbiati?»

Glóin strinse le labbra. «No» disse, sbuffando un po' nella barba «Furono gli Elfi a permetterci di scappare in quei barili, dopotutto.»

«Non abbiamo mai lasciato che Galion se ne dimenticasse» disse Laerophen.

«Andiamo, andiamo, vieni qui!» urlò Gimizh, e diede delle pacche al sedile di fianco a lui. Gimrís, stringendo le redini, sbuffò infastidita, ma fece spazio così che l'Elfo potesse salire.

Bofur incitò la sua capra spelacchiata, e la lunga lenta fila iniziò a muoversi dietro il carro di Gimrís.

«Prendetevi cura di voi!» urlò Mizim ansiosa, mentre Legolas tirava Gimli su sulla sella di Arod «Mangiate bene! Non scordatevi di scrivere!»

«Lui ha fatto già abbastanza danni con le lettere!» urlò Gimrís di rimando «Scriverò io

«Gimrís, perché stai venendo?» gemette Gimli, e lasciò ricadere la testa contro la schiena di Legolas.

«Allegro, testa di troll, sei un vero Lord ora» gli disse Gimrís, schioccò le redini. Il carro iniziò a muoversi lungo la pianura verso Dale, e poi più a sud.

«Montagne Bianche, arriviamo» borbottò Gimli. Lanciò un ultimo sguardo a Erebor, alta e magnifica nella luce del primo mattino. C'era una piccola figura coi capelli in piedi che si agitava follemente sui bastioni.

In risposta, Gimizh si alzò e agitò entrambe le braccia follemente, quasi volando giù. «Piccolo Thorin, non osare dimenticarmi! Sono ancora il tuo migliore amico!» ululò.

Piccolo Thorin agitò solo di più le braccia. «NON METTERTI NEI GUAI, GIMIZH!» ruggì con tutta la sua giovane voce «NON SARÒ LÌ PER TIRARTENE FUORI!»

Gimizh continuò a salutare verso la Montagna finché la piccola figura non sparì alla loro vista. E anche allora, continuò a girarsi per guardare dietro di loro.


Fu un piccolo strattone sotto il suo cuore che svegliò Thorin. Le sue palpebre si aprirono, e lui osservò accigliato il soffitto.

«Perché nel nome benedetto di Mahal sono sveglio a quest'ora dannata» borbottò all'aria. Poi lo strattone venne di nuovo.

Non la birra, di certo? Aveva bevuto una birra o due con Dáin e Bombur per celebrare le grandiose nuove che loro erano i nonni di Durin il Senza Morte. La settima venuta! Thorin stava ancora cercando di razionalizzarlo. Le cose si erano fatte movimentate... ma Thorin era certo di non aver bevuto così tanto. Non rispetto a Bombur, almeno, che si era addormentato nel mezzo della Sala Lunga, le gambe e le braccia aperte a stella marina sul pavimento, un sorriso ubriaco ancora sul volto.

Premendosi una mano appena sotto la cassa toracica, Thorin si sedette. Cercò con l'altra mano l'olio della lampada e l'acciarino sul suo comodino. Le sue dita fecero cadere per terra l'acciarino, e lui imprecò con le labbra impastate per il sonno.

La sensazione tornò ancora una volta, e Thorin gemette irritato. Era un dolore insistente, come se avesse mangiato del cibo un po' troppo piccante. Non si era ammalato, di certo? Ma nessuno si ammalava nelle Sale. Cosa stava succedendo?

Poi capì.

Ci vollero secondi per mettersi una tunica da giorno e infilare i piedi negli stivali - senza calze, e senza legarsi. Si stava ancora infilando un braccio nella maglia di morbida lana quando corse fuori dalla sua stanza e verso le silenziose, echeggianti Sale notturne. I suoi piedi si muovevano scomodamente dentro le sue scarpe, ma non vi fece attenzione mentre correva il più rapidamente possibile, il suono dei suoi passi che gli rimbalzava addosso.

Arrivò leggermente senza fiato, il battito del suo cuore forte e rumoroso nelle sue orecchie. Víli era già lì, come Frerin e Frís. Una mantello era stato poggiato sulle ginocchia di Frís.

Non parlarono. Non ne avevano davvero bisogno. La linea delle enormi, ornate, severe porte grige davanti a loro rubava ogni parola che avessero mai potuto condividere.

Vi fu un altro strattone sotto lo sterno di Thorin, più forte e insistente di prima, spingendolo verso una delle porte. Lui vi si avvicinò cautamente, il respiro ancora che gli fischiava fra i denti, e poggiò una mano sulla pietra fredda. Non accadde nulla.

«Non si apriranno finché lei non sarà pronta perché si aprano» disse Frerin, silenziosamente. Era strisciato sotto il braccio di Thorin, allontanandolo dalla porta del sepolcro. «Vieni. Gli altri arriveranno presto.»

Uno alla volta arrivarono e presero il loro posto. Frís sedeva fra Thorin e Frerin e stringeva forte le loro mani, una in ognuna delle sue, e fissava la porta come se potesse obbligarla ad aprirsi solo con la forza di volontà. Thráin camminava avanti e indietro, impaziente e tremante, Crema che gli passava fra le caviglie. I suoi piedi erano scalzi: non si era nemmeno fermato a mettersi gli stivali.

Dáin fissava il nulla, la sua camicia da notte slacciata e i capelli un disastro, la mano poggiata sulla testa di un vecchio cinghiale che sbuffava e grugniva vicino al suo piede di ferro. Hrera stava sbadigliando, la testa appoggiata alla spalla di Thrór.

Víli era davanti alle alte e silenziose porte, la fronte premuta contro la fredda roccia grigia. Fíli e Kíli lo affiancavano, supportandolo e facendosi supportare: la fronte di Kíli era premuta contro la spalla di suo padre, e Fíli aveva una manica di Kíli stretta in mano.

«Avevate ragione» disse Thorin infine nel lungo, immobile silenzio «Non c'è voluto molto.»

Thráin si fermò per un passo, e annuì. Poi ricominciò a camminare.

La notte andò avanti. Nessun suono venne dal sepolcro. Cosa le avrebbe detto il loro Creatore? Era sveglia ora, il suo nuovo corpo cieco e tremante, i suoi piedi fermi sulla pietra fredda?

Le Sale davano una sensazione grigia e vuota: i Morti dormivano mentre lei rinasceva.

Il suo interno senso del tempo iniziò a perdere la stretta sul presente. A un certo punto, Dáin si strofinò gli occhi e disse, ruvido: «Pensate che io- voglio dire, quando sono morto, è stato-»

Le prese quasi tutto lo spirito, tutto ciò che le importasse del mondo ormai, giunse il pensiero condiviso di tutti, anche se nessuno fu tanto crudele da dirlo ad alta voce. Grazie al Creatore Gimli è riuscito a tornare a casa in tempo.

«Non è stata colpa tua» rispose Frís «Non avresti potuto saperlo» Crema miagolò piano, e il maiale sbuffò; e così finì la conversazione. Il tempo tornò al suo silenzioso strisciare.

Thorin lasciò vagare la mente, aspettando. Lei sarebbe stata di nuovo giovane, come lo era Óin, i capelli folti e scuri e il volto liscio? O sarebbe stata com'era lui - quando erano morti, nel pieno della sua età, capelli che iniziavano a ingrigirsi?

Kíli spostò il suo peso e fece un suono frustrato. Fíli si strofinò gli occhi.

«Venite» si sentì dire Thorin nell'infinito silenzio. Fíli lo guardò, e poi fece un cenno a Kíli. I suoi nipoti andarono da lui senza parole, muovendosi come i fantasmi che erano. Il volto allegro di Kíli era così teso che pareva essere antico, e Fíli sembrava aver perso ogni colore - persino i suoi capelli lo facevano sembrare slavato: pittura oro che gocciolava dal vetro.

Kíli si seppellì immediatamente fra le braccia di Thorin, e Fíli si lasciò cadere accanto alle sue gambe e gli mise la testa su un ginocchio. Thorin accarezzò i loro capelli spettinati dal sonno, prima di alzare la testa e annuire verso Víli.

Lo scalpellino sorrise loro distrattamente, e fece un cenno a sua volta. «Solo una piccola porta» fu tutto ciò che disse «Una cosa così piccola.»

«In qualsiasi momento ormai» disse Thráin, e ricadde su una panca e si strofinò entrambe le mani sul volto, su e giù. Il rumore di mani callose contro la sua barba fu molto forte.

«È sempre così?» chiese Thorin alla ferma aria fredda.

«Aye» disse Frerin «Anche se a volte ci si mette di meno. Tu sei stato molto veloce, mi ricordo: volevi uscire, suppongo.»

Volevo tornare indietro, pensò Thorin.

«Ma ricorda - abbiamo visto Dáin... eh, andare? E abbiamo comunque avuto tempo di uscire dal Gimlîn-zâram e arrivare fino a qui alle grandi porte. Abbiamo dovuto persino aspettare. Lui non è stato rapido quanto te» Frerin gli sorrise debolmente.

«Ehi. Aveva un paio di cose da togliermi dal petto» protestò Dáin. In quel momento un enorme, rimbombante crack giunse dalla porta, e Víli si fece indietro rapidamente per permettere che si aprisse.

«È pronta, è-» disse, senza fiato e esaltato, e l'istante in cui furono aperte corse in un lampo, svanendo nell'oscurità oltre.

Fíli e Kíli erano un soffio dietro di lui, seguiti dagli altri. Thorin rimase indietro per un momento.

Frerin gli lanciò uno sguardo, le labbra strette. «Andiamo, nadad.»

Facendo un respiro profondo, Thorin si lanciò nella fredda, pesante aria del sepolcro. I ricordi del suo risveglio lo assaltarono in un istante: la furia impotente per l'ingiustizia di tutto, lo schiacciante dolore, l'umidiccia corsa del freddo sulla sua nuova pelle. Batté le palpebre forte. Frerin gli tirò il bracciò, e lui seguì senza protestare.

«È la prima volta che sei chiamato dentro» sussurrò «A tutti serve un momento, non ti preoccupare.»

«La mia morte è stata la prima chiamata per te?» mormorò lui di rimando.

«No. Quella di nostro padre» Le dita di Frerin si strinsero sul suo braccio, prima di rilassarsi «Eccola!»

La sensazione della presenza del loro Creatore era ancora attorno a loro, l'odore della pietra colpita da un fulmine e il gemito sotterraneo della roccia profonda. Thorin smise di farci caso quando notò la sagoma di un Nano nell'oscurità, fra le braccia di Víli.

«Io-» stava dicendo lei, e la sua voce non era più ghiaia e vetri rotti. Era di nuovo mithril, luminosa e chiara e forte. «Oh, mi sei mancato- Non potevo vederti, ogni giorno, ogni mattino - Víli, tu - e non sapevo, non fino a quel giorno, e Gimli...»

«Sono qui» singhiozzò lui, e premette baci sui suoi occhi senza vista «Sono qui, sono sempre stato qui, e ora anche tu sei qui, mia amata d'acciaio, ragazza mia, âzyungelê, - Dís - Dís - oh, mia Dís!»

«Non posso vederti, devo vederti, è passato così tanto» gemette lei. Le sue dita, nuove e tremanti, si alzarono a toccare la barba dalle molte trecce di Víli, i suoi baffi, il suo naso.

«Mamma» riuscì a dire Kíli, e Dís fece un suono, terribile a udirsi, quando i suoi figli le corsero fra le braccia e la strinsero. Le parole la abbandonarono per un momento e lei li strinse solamente a sé: suo marito preso troppo giovane, i suoi figli presi troppo giovani, il suo spirito invecchiato in solitudine e amarezza.

Infine la si poté sentir dire, piano e disperata: «Ci ho provato, oh bambini miei, quanto ho provato per voi. Ho provato così tanto.»

«L'hai fatto» disse Frís, facendosi avanti con il mantello e passandolo attorno alle spalle di Dís «Lo sappiamo. Sono così orgogliosa di te, tesoro.»

Il volto di Dís si deformò. «'amad.»

«Qui» disse Frís, sorridendo dolcemente. La sua mano accarezzò piano la guancia di Dís e la girò verso di sé. «Sono qui. I tuoi occhi inizieranno a funzionare presto, figlia mia, e quando lo faranno, potrai vedere quanto sono orgogliosa di te.»

«Così orgogliosi» aggiunse Hrera, le labbra tremanti attorno al suo sorriso «Tutti noi.»

«Nessuno più di me» aggiunse Thráin in voce strozzata «Oh, piccola pulcina notturna, mia bellissima bambina, guardati! I tuoi capelli-»

Dís si lanciò verso sua madre, le mani aperte che cercavano. «'adad? 'adad! 'adad, avevo perduto la speranza, l'avevo perduta, ho smesso di pensare a te, a tutto - mi dispiace tanto, così tanto» ansimò lei.

«No, bambina, non c'era nessuna speranza rimasta» disse Thráin, basso e dolce, e avvolse sua moglie e sua figlia nelle sue braccia e le strinse «Non è stata colpa tua. E hai continuato nonostante non vi fosse speranza. Forte come mithril e resistente sei. Nessuna corona sulla tua testa, ma una regina nonostante ciò.»

«E una Regina Dís verrà dopotutto» disse Thrór «Ha fatto bene, a dare a sua figlia il nome di una signora e eroina del suo popolo.»

Dís strinse i suoi genitori con dita d'acciaio, la schiena che tremava di singhiozzi a malapena repressi.

«Va tutto bene» disse Hrera dolcemente, e accarezzò i capelli di Dís, che erano nuovamente neri come ali di corvo «Va tutto bene. Lasciati andare.»

«Nonna» singhiozzò Dís «Oh Creatore, ero solo una bambina quando...»

«E io non potrei essere più orgogliosa di te» la tranquillizzò Hrera «Questa è una vera Nana, ho detto più e più volte. Non è così, Thrór?»

«L'ha detto» disse Thrór «Ha detto che era una benedizione che almeno una dei suoi nipoti avesse ereditato il suo buonsenso Vastifascio.»

«Sei pronta per il resto di noi, tesoro?» chiese Frís dolcemente. Dís annuì, le mani ancora strette come tenaglie.

«Ciao, passerotta» disse Thrór, e premette piano la sua fronte contro quella di lei «È passato molto tempo dai giorni in cui tenevo riunioni, e tu ti arrampicavi sulle mie ginocchia, non è così?»

Lei non riuscì a rispondere. Le sue dita lasciarono gli abiti da notte di Frís, e lei toccò il volto e la barba di Thrór con frenetica eccitazione. «Piano, passerotta. Sono qui ora, e nessuna parte di me è perduta all'oro o al dolore adesso. Ma vieni ora! Ci sono altri che aspettano.»

Frerin lanciò uno sguardo a Thorin, ma Thorin scosse la testa, muto e pieno di senso di colpa. Frerin sbuffò, ma scosse la testa e si fece avanti lo stesso. «Ciao, namad

La testa di Dís si alzò di scatto, i suoi occhi enormi e cerchiati. «Frerin» sussurrò «Io - la tua voce - mi ero dimenticata

«Penso di essere offeso, sorellina. Come se tu potessi mai dimenticarti la mia bellissima voce» la prese in giro Frerin «Soprattutto quando dice sempre cose tanto sagge.»

«Dove sei, nadad» chiese Dís, le sue guance rigate di lacrime luccicarono quando lei girò la testa da una parte e dall'altra. Thráin la sostenne quando barcollò in avanti.

«Eccomi, non mi schiacciare!» disse Frerin, e le gettò attorno le braccia. Lei sobbalzò all'abbraccio improvviso, ma subito lo strinse fra le sue braccia a sua volta. «Non riesco a credere che io abbia dovuto dire a Gimli il mio nome oscuro perché tu ci credessi! Sei sospettosa e scettica come sempre.»

«Se tu avessi vissuto il genere di promesse e speranze infrante che ho dovuto sopportare io, mio dolce solare fratello, anche tu saresti scettico di cose che sembrano troppo belle per essere vere» rispose lei.

Thorin si fece indietro alle sue parole.

Al suo fianco, Dáin lo osservò per un momento. Poi alzò la gamba e gli tirò un solido calcio nel posteriore. «Vai là, stupido imbecille nobile» grugnì.

Il sussultò di Dís fu forte. «Dáin?»

«Aye, sono qui, cugi. Scusa per quella cosa del uh... esserti morto in braccio. Ma prima che tu ti vendichi, hai un altro fratello che sta rimanendo qui fermo come un nuvolone nervoso. Gli sto solo dando un piccolo incentivo»

«Mi hai tirato un calcio, bastardo!» gli ringhiò contro Thorin. Quel piede di ferro era duro!

«Aye, e lo farò di nuovo se non vai là» disse Dáin, ghignando allegramente «Non pensare che non lo farò!»

«Thorin» disse Dís, e la sua bellissima voce di mithril tremò «Thorin?»

«Namadith» disse Thorin, la gola chiusa attorno a quella parola «Dís. Mi dispiace così, così-»

«Oh, sta ZITTO» esclamò lei, forte e dura. La sua voce echeggiò per la camera con improvviso vigore, e lei si spinse via da Frerin e Thráin e barcollò verso di lui. «Sta zitto, sta sempre zitto, e ora stringimi perché mi sei mancato! Mi è mancato mio fratello, tu assoluto bastardo, tu inarrestabile - incosciente - auto-flagellante - idiota! Vieni qui, ORA!»

Thorin deglutì a fatica, e rapidamente si fece avanti per prenderla prima che lei inciampasse nel suo mantello con i suoi goffi nuovi piedi.

Víli stava ridendo fra le lacrime. «Beh, certe cose non cambiano mai» disse, le braccia strette attorno alle spalle di Fíli. Frís stava sorridendo, i suoi occhi umidi.

«Stupido idiota orgoglioso, hai lo stesso odore di sempre» sussurrò Dís contro il suo petto «L'ho detto a Gimli allora, e lo dirò a te ora. Ti perdono, ti ho perdonato decenni fa. Dimentichi che anch'io c'ero, tutti quegli anni in cui abbiamo lottato per vivere, e sapevo cosa hai dovuto affrontare. Tu avevi ancora speranza, Thorin, e io no. Non posso odiarti per quello.»

Thorin baciò la fronte di sua sorella, e lasciò che le lacrime scorressero nei suoi scuri, scuri capelli.

«Anche tu mi sei mancata» sussurrò lui.

TBC...

Note

Parte del dialogo preso dal Ritorno del Re.

Durin il Senza Morte - i Nani credevano che il più anziano dei sette Nani originali, Durin, sarebbe stato reincarnato sette volte come Re. Finora vi sono stati sei Re chiamati Durin. L'albero genealogico della Linea di Durin di Tolkien mostra che la settima incarnazione discese da Thorin III Elminpietra, figlio di Dáin II Piediferro

Curiosità: il nome “Durin” viene dalla Völuspá, così come molti altri nome di Nani di Tolkien. Durin significa “Sonnolento”

L'adorazione di Sauron controllò Rhûn e l'Est per tutta la Terza Era. L'autrice non crede che i Nani degli Orocarni avrebbero soppiantato l'adorazione di Mahal con quella di Sauron. È stata quindi speculata un'alternativa alla classica narrativa de “gli Esterling malvagi”, per includere una ribellione nascosta

Chissà se ci sono stati mai altri gemelli Nani. Ma da una razza con basso tasso di nascite e lunghe vite, dovrebbero essere rarissimi. Se qualcuno però mai avesse gemelli, sarebbe decisamente stata una discendente di Bombur e Alris

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

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