Exilium - Un altro cielo in cui volare

di Alsha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terra ***
Capitolo 2: *** Mare ***
Capitolo 3: *** Cielo ***



Capitolo 1
*** Terra ***


Classificatasi undicesima su diciannove al contest "La Caduta dell'Inverno Boreale, ed altre storie - viaggio nel fantasy medievaleindetto da Deidaranna93 sul forum di efp.


 
Nota d'inizio capitolo: la razza a cui appartiene Hrìm prende il nome da Sleipnir, cavallo a otto zampe della mitologia norrena. Le valchirie invece sono una mia libera interpretazione delle ben più famose dee vichinghe.
 

CAPITOLO PRIMO: TERRA

Per quanto cercasse di ignorarla, aveva sempre avuto la sensazione che non sarebbe stata mai più davvero libera.

Doveva immaginare che ci sarebbero state delle conseguenze al rifiutarsi di combattere, ma non era mai stata tanto cosciente che sarebbe rimasta incollata al terreno fino alla fine dei suoi giorni come in quel momento, in cammino nel folto della foresta a farsi squassare da un diluvio di proporzioni epiche.

Si schiacciò contro il manto nero del suo sleipnir, Hrìm, e l’animale abbassò il collo, strofinandole il muso contro come a consolarla e tirandole via il cappuccio del mantello.

Una cascata di riccioli biondo platino si riversò sulle sue spalle e Svan sospirò, allontanando il muso di Hrìm con la mano che reggeva la corda che gli aveva legato attorno al muso a mo’ di briglie, mentre con l’altra risistemava il mantello sulle spalle.

Sapeva che tra i due quella che aveva bisogno di essere spronata probabilmente era lei, ma un po’ di motivazione all’amico di una vita non guastava di certo. Poco contava che l’amico fosse una specie di enorme cavallo nero dall’innaturale criniera grigio tempesta e con una spiccata intelligenza, che unita al suo smisurato ego lo rendeva estremamente geloso e protettivo nei suoi confronti.

Ripresero a camminare, l’uno accanto all’altra, e assieme ai loro passi riprese anche il rumore metallico che li accompagnava.

Erano quelle catene che le legavano le caviglie e gli anelli metallici saldati attorno a quelle di Hrìm assieme ai sigilli che recavano incisi a trattenerli entrambi sulla Terra, e, come se non fosse estremamente doloroso non potersi sollevare in volo mai, nonostante la lega fosse particolarmente leggera o forse proprio per quello, erano incantate in modo da fare un male atroce a chi le portava.

D’altra parte era al corrente di quello che succedeva a una valchiria che si rifiutava di eseguire un ordine, che si rifiutava di combattere.

Tra le valchirie era così, bisognava ubbidire e combattere, combattere e ubbidire, e nemmeno quando ci si ritrovava ad essere la più giovane comandante delle legioni al servizio della Regina ci si poteva permettere di contraddire, era la regola.

Almeno fosse nata maschio, non sarebbe stata obbligata a combattere ma avrebbe potuto passare una vita tranquilla, dedicandosi ai lavori di casa, curando i campi o le botteghe e tenendo d’occhio i figli fino a che non fossero cresciuti. Purtroppo non le era andata bene, ed essendo l’unica femmina della famiglia il suo destino era stato segnato.

Essendo figlia di una della stratega più valente che avesse mai servito la sua regina, era finita a far parte dell’elite militare così in fretta che non era riuscita ad adeguarsi a tutti gli obblighi e alle costrizioni del suo ruolo, e questo le era costato tutto.

Permettersi di contestare un ordine dai superiori era stata solo l’ultima di una serie di mosse che le aveva inimicato il Consiglio, l’assemblea a cui la regina si affidava praticamente per ogni cosa, dalle mosse militari al vestito da indossare per la parata. A Svan  era sempre sembrato che fossero i suoi membri a governare, e che la regina fosse solo un fantoccio nelle loro mani.

Vista la velocità con cui l’avevano accusata di tutti i fallimenti dei loro eserciti contro quelli degli umani e di diverse altre cose di cui la giovane ignorava l’esistenza, poteva asserire che era esattamente così.

Hrìm nitrì, aumentando un attimo l’andatura per arrivare sul sentiero di ciottoli che tagliava la foresta, poi picchiò un paio di volte lo zoccolo a terra per incitare la sua padrona a sbrigarsi.

Svan sollevò l’orlo del mantello e accelerò il passo per raggiungere il cavallo.

Oramai erano mesi che viveva sulla strada, impossibilitata dalla guerra che intercorreva tra le valchirie e gli umani a trovare rifugio.

Nei territori di confine in cui si stava muovendo, i suoi tratti somatici, capelli ricci e chiarissimi e gli occhi lilla, la identificavano subito come nemico, e anche quando riusciva a nasconderli tingendoli o fingendosi cieca in qualche modo il caso riusciva a far si che le catene con le inconfondibili rune che recavano incise la smascherassero.

Per non parlare di quella volta in cui erano riusciti addirittura a riconoscere la razza di Hrìm quando un ex soldato, di ritorno dal fronte per essere rimasto zoppo, aveva notato che quel cavallo aveva le zampe troppo lunghe, il corpo troppo snello e coda e criniera di un colore troppo strano per non essere uno sleipnir.

A quel punto si era rassegnata a far sparire quel poco che si trovava nei campi e a tentare l’elemosina ai bordi dei paesi più grandi. Per disonorevole che fosse, non aveva avuto altra scelta.

Quando aveva capito che in quei territori non sarebbe potuta sopravvivere ancora a lungo, aveva deciso che raggiungere i territori oltre il mare era l’unica speranza di far sparire le sue catene. A quel punto sarebbe andata così lontana che nessuno avrebbe avuto paura di lei, e magari avrebbe potuto avere una vita tranquilla come tanto desiderava.

A poche miglia avrebbe trovato la costa e forse da lì sarebbe potuta andare a farsi aiutare da qualcuno, sempre che facessero salire lei e Hrìm su una nave. Imbarcarsi clandestinamente era fuori discussione vista la presenza dello sleipnir, così come abbandonarlo era impensabile.

Una volta Legati, una guerriera e la sua cavalcatura non potevano separarsi a meno che non fosse necessario, e, visto che anche Hrìm doveva mettersi in salvo, lasciarlo non era un’opzione calcolabile.

Comunque bisognava concentrarsi su una cosa alla volta; raggiungere la costa era l’obbiettivo primario, preoccuparsi come salire su una nave nel bel mezzo della foresta era inutile.


 
°°°°°

Dopo quasi due settimane di foresta ininterrotta, un villaggio di taglialegna le era sembrato quasi un’allucinazione. Magari uno di quei funghi crudi che si era costretta a mangiare pur di non morire di fame era tossico, o magari aveva preso la febbre a furia di passare le sue giornate completamente fradicia.

Senza nemmeno pensare che qualcosa sarebbe potuto andare storto, incitò lo sleipnir ad avanzare verso le casupole di legno che spuntavano sotto gli alberi piegati, pronta a recitare nuovamente la sua parte di viandante cieca ed indifesa.

Sganciò dal cinturone che portava sotto al mantello un bastone di legno nodoso e consunto che le arrivava circa alla vita, tenuto appeso con un legaccio di cuoio dove un tempo portava la sciabola.

Il legno del bastone non avrebbe mai rimpiazzato la sensazione che le dava il metallo della sua arma, una bellissima sciabola con l’impugnatura dorata raffigurante un cigno, che però le era stata confiscata al momento della sua condanna. Secondo la procedura per gli esili come i suoi, la sciabola sarebbe dovuta essere fusa e trasformata in una nuova arma come ad annullarne la storia, ma visto il valore era certa che qualcuno l’avesse fatta sparire.

Senza contare quanto fosse riprovevole un atteggiamento simile, Svan trovava semplicemente orribile che la sua sciabola fosse nelle mani di qualcun altro. Era stata forgiata per lei da suo fratello, e questo ai suoi occhi rendeva inconcepibile che ad usarla non fosse lei.

Strinse con forza la presa sul bastone e iniziò a batterlo per terra, lasciando che fosse Hrìm a guidarla verso le case tirando le briglie ben strette nel suo pugno.
Tenne gli occhi socchiusi e attese di colpire la parete di una casa con il bastone per lasciare andare le briglie e iniziare  a bussare, ben consapevole che stava picchiando contro una finestra. Fingersi cieca l’avrebbe aiutata, almeno un po’.

Sentì la porta  aprirsi e con la coda degli occhi socchiusi vide una donnina con una crocchia di capelli scuri venirle in contro tenendo sollevato sopra la testa un cappello piatto di paglia intrecciata, di quelli usati dai contadini, per cercare di ripararsi dalla pioggia.

-Buon cielo, cosa succede? – domandò la donna appoggiando la mano libera sul braccio di Svan, che continuava a bussare alla finestra.

Solo allora la valchiria diede cenno di aver sentito e si voltò verso la donna.

-Perdonatemi, - sussurrò innocentemente allungando la mano a cercare nuovamente le briglie di Hrìm – pensavo di aver trovato la porta. Potrei ripararmi da voi? Avanzare per me è abbastanza difficile anche senza questo freddo e la pioggia.

La donna si portò la mano libera alla bocca, poi abbassò la testa e la prese sottobraccio per allontanarla leggermente, mentre portava Hrìm dietro la casa, probabilmente per legarlo, per poi tornare velocemente da lei per accompagnarla in casa.

-Vieni cara, vieni. Di questi tempi non è bene che una ragazza come te – e Svan seppe che si riferiva alla sua presunta cecità – passi la notte fuori al freddo nella foresta. È pieno di brutta gente da queste parti.

Forse in questo gli uomini differivano dalle guerriere dei cieli. Una valchiria non  avrebbe mai accolto uno sconosciuto in casa sua. Soprattutto perché i loro territori erano completamente isolati da quelli delle altre razze e uno straniero sarebbe sembrato subito sospetto.

Non aveva fatto in tempo ad entrare nella stanza che un uomo tarchiato con due braccia robuste da far paura aveva fatto irruzione nello stanzone e si era messo a inveire contro la moglie.

-Suvvia caro, - cercò di accomodare la donnina – è una povera fanciulla cieca, cosa vorresti fare, lasciarla fuori sotto questo temporale?

L’uomo emise un grugnito e uscì dalla casupola sbattendo la porta. Svan non ebbe il tempo di porsi domande che la donnina le aveva messo tra le mani un piatto di brodaglia di dubbia provenienza ma che dalla sua aveva il fatto di essere bollente.

Si ingozzò come una disperata, costringendosi a non pensare che stava finendo la cena di due persone e dispiacendosi per Hrìm che, legato fuori al freddo, nitriva lamentoso per reclamare attenzioni. La valchiria spesso non si capacitava di come lo stesso sleipnir che le aveva salvato la vita in battaglia più e più volte riuscisse a comportarsi come un bambino piccolo

Il taglialegna tornò diversi minuti dopo, seguito a ruota da un uomo anziano dallo sguardo severo.

-Ecco la straniera. – sentendo il taglialegna parare, la valchiria ebbe un sussulto.

-Chi c’è?

-Sono il capo villaggio. – la voce del vecchio era sottile e gracchiante, ma nel tono sembrava accondiscendente.

-Avete dei capi?  Non pensavo fosse in uso qui. – azzardò a voce bassa.

-Sono solo quello a cui resta meno da vivere tra tutti, bambina. Ora mostrami il tuo volto.

“Ma perché va sempre a finire così?!? E la fiducia nel prossimo, dico io?”

-Preferirei di no. Ho uno sfregio che …

-O qualcosa da nascondere? – era la prima volta che il taglialegna si rivolgeva a lei direttamente.

-Avanti cara. – si aggiunse la donna, tendendole la mano – Non succederà nulla.

“Lo dici tu …”

Strinse una mano sul bastone, rimasto tutto il tempo appoggiato accanto a lei, e portò l’altra mano al cappuccio, facendolo scivolare indietro.

-Misericordia. – sussurrò la donna prima di svenire piuttosto platealmente tra le braccia del marito che, evidentemente, voleva liberarsi di quell’impiccio per un po’ di sana violenza.

Svan raccolse il mantello e si precipitò di corsa in un’altra stanza. Il trambusto che seguì la toccò solo marginalmente mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Un rapido sguardo alla stanza da letto in cui si trovava e pochi secondi dopo si stava arrampicando fuori dalla finestra. Perse la presa sugli infissi umidi e franò in avanti nella terra fangosa. Si mise subito a sedere e l’accolsero a pochi centimetri dal viso due occhi liquidi e il muso di un asino grigio, asino che venne spintonato di lato da un ben più imponente cavallo nero.

La ragazza saltò sul manto bagnato dell’animale e, cavalcando all’amazzone, si stese abbracciandone il collo. Hrìm partì al galoppo, e nonostante le bande con i sigilli saldati sulle sue zampe era più veloce di qualsiasi cavallo gli umani potessero possedere, soprattutto in un villaggio sperduto come quello.

Alle sue spalle, qualcuno doveva aver dato l’allarme perché si sentirono sbattere altre porte e volare insulti e pietre, e quando una di queste colpì Svan sulla scapola destra, lei si strinse di più al cavallo, quasi aspettandosi che questo si alzasse in volo come sarebbe successo senza i sigilli.

Non accadde, ma Hrìm continuò a galoppare fino a che l’unico rumore rimasto oltre allo scrosciare dell’acqua fu il rumore degli zoccoli del cavallo nero.
 

 
°°°°°
 
Hrìm  oramai stava galoppando da tre giorni quasi filati, quando la foresta si era interrotta definitivamente.

Gli sleipnir come lui raramente provavano fame o stanchezza, e lui aveva deciso spontaneamente di andare avanti per preservare la sua padrona. Non era al sicuro lì, e Svan aveva patito fame e sete abbastanza a lungo da non soffrire per qualche giorno ancora. Tra l’altro lei stessa aveva affermato che le poche pause fatte le erano bastate e avanzate.

Sul suo dorso, la ragazza dormiva profondamente nonostante fosse ormai mezzogiorno abbracciandogli il collo.

Il cavallo si fermò, gli occhi scuri fissi all’orizzonte, e iniziò a scrollarsi e a picchiare gli zoccoli per terra.

La valchiria sollevò il viso insonnolita, con i capelli ricci più arruffati del solito, e si strofinò gli occhi con una mano tirando un pugnetto stizzito sul dorso dello sleipnir.

-Ma ti pare il modo di svegliare la gente?

Il cavallo nitrì sdegnoso e finalmente Svan si decise a guardare all’orizzonte, dove un’enorme distesa d’acqua rifletteva il sole.

Finalmente era arrivata al mare.
 

 
°°°°°
 
Tutto quel brulicare di vita la sconcertò, in un primo momento.

Gli ultimi mesi erano trascorsi nelle foreste, per le strade più sperdute e nei villaggi più piccoli, dove era certa che non ci fosse nessuno in grado di riconoscerla.

Dopo lo sconcerto, però, giunse il dolore.

Vedere tutte quelle persone indaffarate, le famiglie e gli animali le ricordava casa sua.

Certo, nella città da cui proveniva e in quelle che aveva visitato non c’era tutto quel caos, anzi. L’ordine e l’uniformità erano essenziali per le valchirie.

Tutte le case della stessa pietra, tutte le persone vestite elegantemente, persino gli animali stavano tranquilli e silenziosi nei loro cortili. I bambini venivano educati per essere studiosi, guerrieri, artigiani, e non avevano tempo per il gioco, né in tempo di pace né in tempo di guerra.

Eppure Svan non poté evitare di pensare alla sua famiglia.

Sua madre era morta dandola alla luce, e aveva segnato il suo destino come generale, ma, prima di lei, aveva avuto due gemelli maschi.

Aden, da sempre appassionato alla lettura,  aveva seguito le orme di loro padre, intraprendendo la carriera di professore, mentre Clum era diventato armaiolo. Sarebbe potuto diventare un valente soldato, la pratica per quanto rara valeva ancora, ma aveva preferito stare nelle fucine a creare armi che spesso erano vere e proprie opere d’arte. La sua sciabola l’aveva forgiata lui, e forse proprio grazie alla bellezza quell’arma era diventato l’armaiolo di corte.

Chissà, magari aveva salvato la sua spada dalle grinfie di qualche membro del consiglio e adesso la teneva per ricordo. Non lo avrebbe mai saputo, non aveva avuto nemmeno il tempo di salutarli dopo la condanna e di sicuro non sarebbe mai riuscita a rincontrarli.

Le imprecazioni borbottate da uno gnomo che spingeva un carretto la distolsero dal ricordare e la fecero concentrare sul crogiolo di razze che era quel paese sul mare.

Mentre il tozzo essere si allontanava caracollando, le erano sfilati accanto un gruppo di lavandaie che contava anche giovani dai capelli rossi evidentemente di un’altra terra, un elfo con una sacca a tracolla e un piccolo della stessa razza per mano, un’amadriade con la pelle di corteccia e un druido avvolto in un mantello, che però si dirigeva verso il bosco.

Non aveva mai visto tanti esseri diversi nello stesso posto.

Certo, le era capitato di vedere elfi, da sempre alleati con gli uomini, militare tra gli eserciti degli umani, oppure di incrociare spiriti della natura, ma tutta quella confusione la disorientava.

Ci pensò Hrìm a svegliarla, strattonando le briglie.

Lo sleipnir aveva ragione, dovevano muoversi e trovare qualcuno che li traghettasse oltre il mare, dove avrebbe trovato di sicuro qualcuno disposto a rimuovere loro le catene, poi sarebbero stati liberi.

L’unico problema consisteva nel fatto che non avevano nulla da scambiare.

Svan sapeva che ogni cosa aveva un costo e traghettare qualcuno e il suo cavallo senza fare domande aveva di sicuro un costo molto alto.
 

Il porto era se possibile ancora più caotico del paese.

Venditori si sbracciavano per attirare compratori, poveri mendicanti si affiancavano a nobili prossimi alla partenza o, più raramente, di ritorno da un viaggio nelle terre del sud, mentre abili borseggiatori alleggerivano le tasche di chiunque pareva averle piene di qualcosa di valore.

Giovani forzuti caricavano e scaricavano merci dalle navi, gioia per gli occhi delle ragazze di passaggio, mentre vecchi pescatori aggiustavano le proprie reti sui piccoli moli di legno a loro destinati.

L’aria era satura di odori e suoni.

Il profumo delle pietanze offerte dai venditori ambulanti si mischiava a quello della salsedine, del pesce appena pescato, di un carico di spezie pronto a salpare, del profumo delle nobildonne che concitate controllavano che i loro numerosi bagagli venissero caricati adeguatamente e che redarguivano i marinai con i loro toni composti i quali si perdevano tra le grida dei bambini, gli apprezzamenti dei ragazzi alle giovani di passaggio e le relative risatine,  gli incitamenti dei capitani agli equipaggi,  gli inviti dei mercanti.

Se non fosse stato per tutti i nobili in partenza non si sarebbe mai detto che a poche centinaia di miglia da lì si stesse combattendo una sanguinosa guerra tra le valchirie e l’esercito degli uomini.

In tutto quel confuso andirivieni, Svan vide a colpo d’occhio un vascello mercantile prossimo alla partenza.

La nave dava l’impressione di averne passate tante ma di essere in grado di sopportare parecchi altri viaggi. Le vele erano grigiastre, consumate dal vento e dalla salsedine e riparate da grosse toppe colorate.

Avvicinandosi notò che anche lo scafo sembrava rattoppato, con alcune assi di legno più nuovo sullo sfondo di quello impregnato di pece e sale. Tra la polena a forma di arpia e il nome “Apokalypse” vergato in nero con grosse lettere regolari sembrava proprio che il capitano non solo volesse tenere lontani i mostri del mare ma anche eventuali clienti.

Qualcuno, però non si era fatto scoraggiare visto che diversi giovani salivano e scendevano dalla passerella ripetutamente caricando delle casse e dei sacchi a bordo.

Non proprio tutti.

Un giovane, invece di dare una mano, se ne stava appoggiato tranquillamente ad una pila di sacchi e si pavoneggiava con un gruppo di ragazzine tra cui si distinguevano le chiome rossa e bruna di due umane e lo sguardo confuso e ammirato di una ninfa delle acque. Era palese che i marinai lo conoscessero, viste le occhiatacce che riceveva, eppure non si schiodava dal gruppo di ragazze.

Hrìm le strofinò il muso sulla spalla, poi le diede una spintarella verso il ragazzo, sembrava averle letto nel pensiero.

Svan spinse i capelli indietro perché non si vedessero mentre lasciava scoperta la metà inferiore del viso.

Quella era una battaglia, ed evidentemente il punto debole della sua prossima conoscenza erano le belle ragazze e i complimenti. Non aveva mai prestato troppa attenzione al suo aspetto, ma aveva gli occhi grandi ed il viso regolare e pulito, quindi si poteva ritenere oggettivamente carina, nonostante le forme femminile fossero state trasformate nel corpo di un soldato da anni di allenamento.

La valchiria sperò vivamente che si accontentasse, perché non poteva sapere se sarebbe stata osteggiata anche in un punto di scambio come quello.

Prese un respiro profondo e avanzò verso il ragazzo cercando di tramutare il suo passo da soldato in quello di una ragazza affascinante.

Non le venne molto bene, quindi ripiegò su un sorriso malizioso e pregò la sua buona stella –era ora che si svegliasse dopo tutto quello che aveva passato- di riuscire ad attirarne positivamente l’attenzione nonostante l’aspetto e di ricavare più informazioni possibili prima di approcciarlo.

Avvicinandosi notò che forse tutta quell’attenzione femminile se l’era meritata. Era davvero di bell’aspetto, e forse il suo sangue non umano aiutava, visto che era palesemente un mezz’elfo.

I capelli rossi degli umani delle terre del sud erano striati di bianco, come quelli degli elfi, razza che ricordava anche nelle orecchie a punta e nella statura snella e muscolosa. La pelle era abbronzata e gli occhi color ghiaccio davano l’impressione che fosse distante anni luce, perso in chissà quali filosofici pensieri. Svan era certa che comprendessero solo la dolce compagnia che lo attorniava e una camera da letto molto comoda e lussuosa, cosa che di sicuro si poteva permettere dati i vestiti costosi che indossava. Di certo non era un marinaio, magari un mercante.

Visto che la sua presenza non sembrava sortire l’effetto voluto, lasciò che l’aspetto di Hrìm e il suo nitrire scocciato –quasi geloso, avrebbe detto- attirasse l’attenzione.

Così avvenne.

Il giovane smise di raccontare chissà quale impresa alle ragazze che lo attorniavano, e l’aria palesemente immodesta venne sostituita da uno sguardo affascinato.

Le fece cenno di avvicinarsi,  e visto il sorriso che aveva in volto doveva essersi accorto che era una ragazza.

-Bel cavallo. – esordì, lanciandole uno sguardo svenevole.

-Non immagini nemmeno quanto. – trillò, e a quel commento lo sleipnir smise di brontolare e si erse in tutta la sua magnificenza – Però è anche molto suscettibile, - lo rimbrottò ridacchiando – e si fa cavalcare solo a pelo e pretende sempre di avermi tutta per sé. Non immagini quanto sappia essere lunatico, vero?

Si era disabituata a parlare con la gente, e considerato che stava morendo di fame parlare come una contadinella innamorata non le andava proprio, ma se fosse riuscita ad accalappiarlo magari avrebbe rimediato anche un pasto e quel pensiero le ridiede subito la voglia di recitare.

-E come si chiama questa meraviglia?

-Si chiama Hrìm. – continuò accarezzandogli il collo e ignorando la frase d’abbordaggio. Bella e ingenua, cosa si voleva di più dalla vita?

-Non parlavo del cavallo. – il tono accondiscendete la rassicurò sul fatto che lui avesse pensato la stessa cosa.

Svan tentò una risatina che venne fuori un po’ gracchiante, e smise di accarezzare il cavallo.

-Io sono Svan.

Il mezz’elfo le prese una mano con gentilezza e, inchinandosi, le fece un elegante baciamano, mentre le ragazze dietro di lui fissavano la valchiria come se avessero voluto ucciderla con lo sguardo. La ragazza ringraziò il cielo che le streghe non perdessero tempo a vagare per i porti alla ricerca di ragazzi, perché altrimenti ce ne sarebbe stata di sicuro una lì davanti a lei pronta a trasformarla in uno scoiattolo. Contrariamente alle credenze, le streghe erano ragazze e donne dai gusti generalmente normali, e di sicuro a loro i rospi facevano schifo come a chi non aveva poteri.

-Io sono Dale. È un piacere conoscerti. – si rialzò senza lasciarle andare la mano, ma addirittura intrecciando le loro dita – Hai l’aria di essere stanca, vogliamo andare in un posto tranquillo dove mangiare qualcosa?
 

In una locanda poco distante dal porto, davanti ad un bel piatto di carne, Dale confermò buona parte dei sospetti di Svan.

Era il figlio di un mercante, amico del proprietario della nave, e doveva provvedere a scortare un importante carico di stoffe fino ad una città dal nome impronunciabile dall’altra parte del mare, poi, con il benestare del padre, avrebbe potuto seguire il volere suo e della madre, l’elfa della famiglia, e frequentare un’accademia di belle arti, perché, con falsa modestia, la informò di essere discretamente bravo a dipingere.

In mezzo a quel fluire di informazioni parzialmente inutili e non richieste, Svan riuscì a fare accenni al suo bisogno di un viaggio, usando come scusa una malattia che era anche il motivo per il quale non voleva togliere il cappuccio. Era riuscita a non far sentire le catene arrotolandole strette attorno ad una caviglia, ma così era stata costretta a muoversi con passi piccoli e traballanti, anche loro spiegati con quest’ipotetica malattia che, nonostante tutto, non sembrava aver scoraggiato il dongiovanni.

Evidentemente gli mancava una ragazza malata, misteriosa e appassionata di cavalli nella lista di conquiste.

-E quando avresti intenzione di partire? – domandò Dale a bruciapelo, interrompendo un’avvincente discussione sui lunghi viaggi a cavallo.

-Il prima possibile. – replicò tamburellando il coltello sul bordo del piatto ormai vuoto – Perché lo chiedi?

-Ti ho detto che il proprietario dell’Apokalypse è amico di mio padre, vero? – Svan annuì – Se ti dicessi che potrei mettere una buona parola per far viaggiare anche te? E anche per far trasportare il tuo cavallo, naturalmente.

-Sarebbe magnifico! – per la sorpresa lasciò cadere le posate e batté le mani, tirandosi addosso lo sguardo di metà della clientela della locanda.

Dale le regalò un sorriso sghembo, per la prima volta sincero, e le porse la mano.

-Andiamo a fare due chiacchiere con il capitano, milady. – lasciò cadere due monete sulla tavola e la prese a braccetto, accompagnandola fuori.

Per la prima volta sembrava andare tutto bene.

Per l’appunto, sembrava.

Fuori in strada stava per slegare Hrìm, quando un cane randagio che scappava da un inferocito venditore ambulante le si fiondò contro, facendole perdere l’equilibrio. Barcollò all’indietro destabilizzata dalla poca base d’appoggio che aveva dovendo tenere la catena arrotolata alle caviglie e si ritrovò a battere la schiena contro il muro. Nel tentativo di ritrovare l’equilibrio, si appoggiò ad un cavallo pezzato che era legato accanto al suo sleipnir ma quello si allontanò bruscamente e lei finì seduta per terra nella polvere davanti a Dale, con il cappuccio ancora su per miracolo ma con le catene in bella vista.

Nonostante lei le avesse nascoste subito sotto l’orlo del mantello, il giovane mezz’elfo non ci mise che un secondo a riconoscere l’origine dei simboli incisi. Rimase immobile con la bocca socchiusa, poi si riprese e scosse la testa.

-Mi dispiace. Non so cosa ti sia successo, ma non posso fare nulla per te.

-Dale, ti prego …

Ma, nel tempo che ci impiegò a rialzarsi, Dale si stava già allontanando a grandi falcate attraverso la folla.

Svan tolse la polvere dal mantello, ignorando la gente che si era raccolta attorno a lei e rimanendo come incantata a guardare il punto in cui il mezz’elfo si stava allontanando.

Hrìm nitrì scocciato e scrollando la testa sciolse il nodo lento delle briglie, poi afferrò tra i denti il mantello della valchiria, uno strattone e già si erano incamminati.

 

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Capitolo 2
*** Mare ***


CAPITOLO SECONDO: MARE
 
Un altro spintone e Dale assaggiò la polvere della strada.
 
Da quando quei due tipi lo avevano tirato dentro un vicoletto aveva capito solo “così impari a provarci con la mia Illa” poi era stato solo un crescendo di botte.
 
E si che lui non aveva mai conosciuto nessuna Illa. O forse si, ma parlava con così tante persone ogni giorno … Tanto sapeva che non si sarebbe potuto spiegare in alcun modo, quei due non glielo avrebbero permesso.
 
Poi, ad un certo punto, non sentì più nessuno prenderlo a pugni, a calci o cercare di ferirlo in alcun modo.
 
Sperando che se ne fossero andati, si mise su un fianco e aprì l’occhio sano con molta cautela. Non era così, ma le cose stavano volgendo nettamente a suo favore.
 
In mezzo al vicoletto, Svan stava in posizione di guardia con un bastone stretto tra le mani.
 
Non ne aveva mai visto completamente il viso, ancora nascosto sotto il cappuccio, ma sapeva che era lei.
 
Forse per le catene, che essendo sciolte verosimilmente stridevano contro il terreno, non poteva saperlo dato che tutto quello che sentiva era un fastidioso fischiare e i tonfi attutiti del sangue che pulsava nelle orecchie, forse per l’aria da guerriera che lo aveva attratto dal primo istante, forse per il cavallo nero ed estremamente contrariato che chiudeva l’ingresso del vicolo.
 
Tutto il resto fu un rapido e confuso susseguirsi di bastonate da parte di Svan, calci nel sedere da parte di Hrìm e il nitrito scocciato di quest’ultimo. Non avrebbe potuto giurarlo, ma gli era parso di sentire anche un insulto alla sua stupidità, probabilmente dovuto ad un’avance da moribondo.
 
Ma, se non era completamente rintronato dalla botta,assieme all’insulto gli era anche sembrato di sentire una risata cristallina.
 
°°°°°
 
-Non ti muovere!
 
Quella che era iniziata come un tentativo di medicazione era presto diventata una specie di lotta per … In realtà non era completamente chiaro per cosa.
 
-Solo un  bacetto per un povero ferito, daaaai! – supplicò Dale sporgendosi e battendo le ciglia con la sua migliore interpretazione degli occhi da cucciolo che in quei giorni aveva visto tante volte fare a Hrìm con successo.
 
Il cavallo, no, lo sleipnir, era decisamente contrario al fatto che Svan alloggiasse nella sua cabina sulla nave e aveva tentato in tutti i modi di reclamare attenzioni.
 
A quanto aveva capito, gli sleipnir avevano un’intelligenza per molti versi uguale a quella degli umani e, per esperienza e grazie ai racconti di Svan, aveva scoperto Hrìm era particolarmente protettivo nei confronti della sua Legata; altro meccanismo che aveva scoperto quando Svan si era lanciata nelle mille e una spiegazione, era che sleipnir e valchiria non potevano essere mai separati una volta pronunciato il giuramento che li consacrava l’una all’altro,  ecco perché non poteva venderlo o lasciarlo in città, come Dale aveva proposto per praticità, ed ecco perché glielo avevano lasciato durante l’esilio.
 
Svan afferrò il cuscino volato per terra e lo spinse contro la faccia del mezz’elfo, costringendolo a stendersi di nuovo.
 
-Non dovresti agitarti così tanto, stupido idiota. Hai idea di quante botte ti hanno dato quei due … quei due … quei due! – si trattenne all’ultimo dall’usare parole poco consone, e sfogò la frustrazione con una pacca sulla gamba che fece sussultare il mezz’elfo prima che riprendesse a piagnucolare.
 
-Solo un baceeeetto! – ritentò con gli occhioni da cucciolo, per poi borbottare – Ma che accidenti, con Hrìm cedi sempre …
 
-Non iniziare anche tu! Mi sembra di stare in una gabbia di matti.
 
-Per ora sei solo in una gabbia galleggiante di bruti analfabeti. – puntualizzò Dale – E solo grazie a me.
 
-E tu per ora sei in questo mondo grazie a me, quindi datti una calmata e lascia che ti cambi le medicazioni.
 
-Non vedi l’ora di spogliarmi, ammettilo dolcezza.
 
La valchiria si limitò ad alzare un sopracciglio, poi si alzò e afferrò il mantello sulla sedia. Stava per infilarselo quando vide Dale nuovamente in versione “cucciolo bisognoso di coccole” e sbuffando tornò a cambiargli le bende sulla fronte.
 
 
-Non mi hai ancora spiegato perché sei scappato via come un bambinetto quando hai visto le catene.
 
Il mezz’elfo socchiuse gli occhi color ghiaccio e tentò un sorriso accattivante verso la ragazza che gli stava sistemando le bende pulite sul fianco. I due tipi che lo avevano tirato nel vicolo lo avevano conciato davvero male.
 
-Allora? Vuoi dirmi perché? – ribadì Svan, dandogli un pizzicotto sul fianco sano.
 
-Devi sapere, dolcezza, che non si dicono belle cose su voi valchirie da queste parti. – risposte accondiscendente - E su gli esiliati dalle valchirie se ne dicono anche peggio.
 
-Illuminami. – Dale si rimproverò per aver pensato che quando era sarcastica era anche più carina. Era una valchiria, non importava nulla che avesse dei boccoli chiarissimi e lunghi che la facevano sembrare una principessa e due enormi occhi lilla e … No, semplicemente non poteva.
 
-Si dice che le valchirie esilino solo chi ha compiuto le peggiori nefandezze, e mi sono preoccupato. Ma visto quanto dici, mi pare che i grandi capi dalle tue parti abbiano concetti di “nefandezza” un po’ distorti, neh?
 
-Mmh …
 
Dale si tirò su a fatica e le sventolò una mano davanti al viso.
 
-Vado a trovare Hrìm e a farmi dare la cena. Comportati bene.
 
-Cosa ho fatto? Ho detto qualcosa di sbagliato? – Svan sistemò le catene e il mantello e poi uscì, chiudendosi le porte alle spalle – Le donne non le capirò mai …
 
 
La stiva dell’Apokalypse era semplicemente uno stanzone stracolmo di ogni bene immaginabile.
 
Come se avessero preso un intero mercato, una fattoria, e, a giudicare dal tanfo soffocante, anche il laboratorio di un conciatore di pelli e lo avessero infilato dentro alla pancia di un mercantile.
 
L’aria stantia era pregna di un miscuglio di spezie, cibi vari, paglia, animali e altro ancora. Separati da delle casse di legno e legati ciascuno ad un gancio diverso, Hrìm e un cavallo dal manto chiaro si ignoravano bellicosamente, mentre delle galline starnazzavano furiose dentro a delle gabbie qualche metro più in là.
 
-Hey. – lo sleipnir si voltò verso di lei con un nitrito stizzito – So che non ti piace stare qui sotto, cosa credi? – iniziò ad accarezzargli li collo, e lui parve rilassarsi un attimo. Dietro di lei passò di corsa un ragazzino con una zazzera nera, l’assistente dell’unico altro passeggero che quella nave aveva voluto o potuto ospitare, che si mise a frugare disperatamente in una cassa.
 
Lo si sentì imprecare un paio di volte, poi corse di sopra con un grosso libro stretto tra le braccia e Svan si rese conto che non aveva ancora visto il misterioso passeggero per cui il ragazzino doveva lavorare.
 
E nonostante questo avrebbe dovuto preoccuparla, o comunque insospettirla, si sentì più che altro curiosa. E non poté trattenersi dal pensare che una bella indagine a bordo le avrebbe reso il viaggio più interessante.
 
Salutò Hrìm con un bacio sul muso e saltellò fuori dalla stiva con le catene che ad ogni passo cigolavano di più.
 
°°°°°
 
-Niente, capisci? Niente!
 
Svan picchiò le mani sulla balaustra di legno, e Dale sobbalzò per l’ennesima volta. Il ragazzo si era ripreso abbastanza da poter camminare, anche se con un po’ di fatica, e la prima cosa che aveva scelto di fare era correre sul ponte a vedere il mare.
 
Accanto a lui, la valchiria gli stava raccontando delle sue “indagini” sul viaggiatore misterioso, e ogni volta che sembrava essersi data una calmata nei suoi racconti -che più che altro erano semplici sfoghi- poi riprendeva ad agitarsi con rinnovato vigore, attirandosi gli sguardi dei marinai affaccendati sul ponte e provocando diversi principi di infarto al giovane mezz’elfo.
 
-Senti, dolcezza, è solo una persona riservata. E se anche avesse qualcosa da nascondere che problema c’è? – le si fece più vicino, abbassando il tono di voce – Anche tu stai nascondendo a tutti chi sei davvero.
 
-Ma ha la magia! – sussurrò la valchiria, con gli occhi lilla spalancati e la testa inclinata perché lui li vedesse sotto il cappuccio – Lui, o lei, potrebbe … Lo sai. – per rafforzare il concetto pungolò con la punta del piede la gamba di Dale, che guardando le catene sfuggite da sotto al mantello annuì e sorrise sarcastico.
 
-E come lo avresti capito? Per caso lo hai letto nella sbobba che danno da mangiare qui, come le chiaroveggenti alle fiere?
 
Svan gli fece una linguaccia e arricciò il naso infastidita da un ricciolo che le era finito sul viso, poi si avvicinò ancora, riducendo il tono di voce ad un bisbiglio.
 
-L’ho letto nei suoi libri. Sono nelle casse che ha fatto caricare  a bordo. Li ho letti di nascosto, mentre andavo a visitare Hrìm. A proposito, credo voglia farti del male, ma è solo un’impressione.
 
-Perché dovrebbe …
 
La ragazza lo ignorò e continuò imperterrita, sempre più veloce.
 
-Ci sono delle rune strane, ma somigliano ad alcuni codici che ho studiato, e sono sicura, anzi sicurissima, che siano incantesimi. Potrebbero essere formule arcaiche, oppure miscugli di diverse lingue, ma lo schema richiama alcuni incantesimi che ho letto e poi …
 
Dale si voltò, dando la schiena al parapetto, e inarcò elegantemente un sopracciglio.
 
-Ti stai comportando come una bambina. È assurdo affidarsi in questo modo a delle cose di cui non sei nemmeno sicura. Quelle scritte potrebbero essere qualsiasi cosa, e chi li trasporta potrebbe essere un semplice mercante.
 
Lo sguardo della ragazza si fece freddo all’improvviso. L’euforia era svanita in un attimo, rimpiazzata dall’espressione più seria e sofferente che il mezz’elfo le avesse visto in volto da quando erano partiti.
 
-Tu non hai idea di quanto sia importante avere qualcosa a cui affidarsi per me. – fu poco più di un sibilo, ma Dale lo sentì chiaramente e il tono gli fece accapponare la pelle – Non sei stato esiliato dalla tua terra, non hai attraversato un regno di gente che vuole la morte della tua razza potendo contare solo su te stesso. L’unica cosa importante per te è sempre stata goderti la vita. Non credo tu abbia mai conosciuto la sofferenza fino a quando ti hanno picchiato nel vicolo, e dubito tu lo sappia anche adesso.
 
Non gli diede tempo di replicare: raccolse furiosamente il lungo mantello e sparì sottocoperta urtando, piuttosto violentemente, un marinaio. Non si fermò a chiedere scusa, non si voltò indietro.
 
E, per la prima volta da quando l’aveva incontrata, Dale ne ebbe davvero paura.
 
°°°°°
 
Non si erano parlati per due giorni.
 
Svan si faceva vedere ogni tanto, spesso quando rimaneva sul ponte ad osservare il mare, per il resto si imboscava sottocoperta e spariva per ore.
 
Dale aveva scoperto che passava molto tempo nella stiva o nelle cucine, ma non aveva mai provato a cercarla o avvicinarla.
 
Non avrebbe saputo cosa dirle, in ogni caso, così preferiva evitarla e pregare che il viaggio finisse al più presto.
 
Al terzo giorno di fugaci e insostenibili occhiate furiose della valchiria, Dale decise di andarla a cercare, pur non sapendo cosa avrebbe detto una volta davanti a lei.
 
Scese fino alla stiva zoppicando, sicuro che si trovasse da Hrìm, ma appena prima di mettere piede sulla rampa per scendere, si accorse che si sentivano delle voci provenire da lì, una roca e femminile e una più sottile, di un ragazzino.
 
E l’unico ragazzino sulla nave era l’accompagnatore dell’ospite misterioso.
 
Tese di più l’orecchio, cercando di distinguere le parole, ma se quelle del ragazzino erano comprensibili, anche se borbottate con un forte accento dell’est, quelle della donna sembravano un unico fluire di suoni ipnotici recitati quasi senza pausa.
 
Si appoggiò alla parete, indeciso se scendere per capire cosa stava succedendo o correre a cercare Svan, sperano che non fosse lì sotto nascosta da qualche parte a origliare o magari ad assistere.
 
Optò per tornare di sopra, quando all’improvviso gli sembrò mancare il terreno sotto i piedi e cadde in avanti battendo la fronte sui gradini.
 
Rialzarsi fu più complicato del previsto perché, si rese conto, la barca ondeggiava troppo.
 
 
Svan sputò l’acqua salata che le era entrata in bocca mentre si teneva stretta ad un cima.
 
Come erano riusciti a finire in una tempesta non le era ben chiaro, ma le ondate che si riversavano sul ponte e le raffiche di vento che avevano già squarciato una vela le capiva benissimo.
 
-Svaaan!- sentì l’urlo di Dale che veniva portato via dal vento e si voltò, trovando il mezz’elfo aggrappato sulla soglia che portava sottocoperta.
 
-Che diavolo vuoi?! – strillò cercando di sovrastare il frastuono. Lui le fece cenno di avvicinarsi e lei lasciò la cima tenendo stretta il mantello fradicio che si gonfiava come una vela.
 
Si accostò al viso del ragazzo e ribadì:
 
-Che cosa vuoi?
 
-Il passeggero, quello dei libri. – ansimò tenendosi alla parete per evitare di cadere – Era nella stiva. Ed è una donna. Scen-
Venne interrotto da un urlo di terrore, ed entrambi si voltarono in tempo per vedere un marinaio che veniva strascinato da un’ondata nel mare tempestoso.
 
Dale alzò gli occhi verso al cielo tempestoso e si passò una mano tra i capelli oramai bagnati di pioggia.
 
-Qui finisce male, malissimo.
 
Svan lo guardò di sbieco, con la luce  bianca di un fulmine che le illuminava la faccia per metà.
 
-Uno, due, tre … - cominciò a contare in attesa del rombo del tuono.
 
-È una perdita di tempo. Basta sapere che non ci ha colpiti. – la stoppò il mezz’elfo – Se voi valchirie avete qualcuno da pregare ti imploro di chiedergli aiuto, i miei dei non rispondono.
 
La invitò a schiacciarsi con lui sulla scala per ripararsi.
 
-Dovremmo dare una mano. – sussurrò la valchiria dopo un attimo di silenzio.
 
-Oppure potremmo passare gli ultimi minuti di vita che ci restano al caldo sottocoperta.
 
Svan non gli rispose e si tuffò fuori sul ponte nell’esatto momento in cui alle loro spalle si udiva uno schianto colossale.
 
Dale riuscì a spingere di lato Svan prima che l’albero crollasse sfondando il legno del ponte per tutta la lunghezza della nave fino a sporgere a prua. Il pennone si era spezzato per la violenza dell’urto e la parte che si era staccata doveva aver colpito lo scafo visto il rumore violento che era seguito alla caduta in mare.
 
Le urla ripresero più concitate di prima mentre i marinai cercavano di limitare i danni e di riprendere il controllo dell’Apokalypse.
 
Tra la luce instabile dei lampi, la pioggia fitta e il vento si vedeva poco e mantenere l’equilibrio era quasi impossibile a causa del legno scivoloso e del mare in burrasca, nonostante ciò i ragazzi stavano cercando di fare il possibile per dare tutto l’aiuto possibile.
 
Svan cercava di non pensare a Hrìm intrappolato nel caos che doveva esserci nella stiva, ma il pensiero dell’amico bloccato là sotto premeva ad ogni ondata e ad ogni tuono che si sentiva.
 
Un’ondata sbilanciò la nave e Svan si preparò al contraccolpo che sarebbe seguito. Però non venne.
 
L’Apokalypse rimase piegata su un lato in completa balia delle onde. Stavano imbarcando acqua, doveva essersi aperta una falla nello scafo, probabilmente in una delle camere stagne sotto alla stiva.
 
La valchiria perse l’equilibrio aggrovigliandosi nel mantello, e scivolò lungo il ponte inclinato. Si fermò sbattendo contro la balaustra, ritrovandosi sommersa nell’acqua che era stata trattenuta, e ne riemerse tossendo nell’istante in cui una nuova ondata si infrangeva contro lo scafo, trascinandola fuoribordo.
 
 
Dale seppe che sarebbe caduta in mare nel momento stesso in cui la vide perdere l’equilibrio.
 
Non si tese nemmeno a cercare di afferrarla, si limitò a guardarla sparire oltre il bordo, cercando di non urlare.
 
Lasciarsi prendere dal panico o dal dolore sarebbe stato inutile, dovevano tirarsi fuori dalla tempesta e Svan non era l’unica persona finita in mare. Ma una cosa alla volta, si intimò. Se c’era un modo di tirarla a bordo doveva farlo.
 
Scivolò verso il parapetto, tenendosi stretto ad una cima, fradicia e viscida, con gli occhi socchiusi per il vento e per la pioggia
 
Si ritrovò a strisciare accovacciato verso il bordo, e sentì le ferite che sanguinavano sotto alle bende bagnate.
 
Si aggrappò alla balaustra per quanto il legno scivoloso glielo consentì e sporgendosi sul mare in tempesta scorse la sagoma di Svan che si agitava prima che venisse sommersa dall’acqua.
 
La vide ricomparire qualche secondo più tardi a diversi metri di distanza, ma quando fece per chiamarla sentì un urlo alle sue spalle sovrastare il rumore della tempesta e si voltò di scatto.
 
-AL FUOCO!
 
Doveva essersi rotta una lanterna, e nessuno se n’era accorto presi com’erano a rimanere in vita, ma il fumo nero che saliva da sottocoperta annunciava che ormai era troppo tardi.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Cielo ***



CAPITOLO TERZO: CIELO

Chissà che fine aveva fatto Hrìm.

La prima cosa che Dale pensò al suo risveglio fu esattamente quello.

Non che se era sveglio voleva dire era sopravvissuto all’incendio sulla nave, alle acque gelide del mare, a tutte le bestie che avrebbero potuto divorarlo,  alla tempesta che aveva squassato la nave, no.

La prima cosa che gli venne in mente fu che si era perso uno sleipnir che, tra l’altro, lo odiava.

La luce gli ferì gli occhi quando li riaprì cautamente, mentre il ronzio che gli riempiva e orecchie si trasformava in parole comprensibili.

Una volta che la vista divenne meno appannata si rese conto di essere in un letto, in uno stanzone con le pareti il cui legno impregnava l’aria dell’odore di resina. Seduti ad un tavolo sul lato opposto della stanza, c’erano un uomo vestito interamente di bianco ed una ragazza bionda con i capelli corti.

Dale provò a respirare più profondamente per provare a parlare, ma si sentì mozzare il fiato e si mise a tossire, ribaltandosi su un fianco e gemendo per via delle ferite.

La ragazza si voltò di scatto, sorridendo, e Dale vide che aveva gli occhi viola.

Vide che muoveva le labbra, ma le orecchie fischiavano forte e lui non aveva idea di cosa lei stesse dicendo, ma sinceramente non gliene importava.

Svan era viva, questo bastava.

 
°°°°°

-Avresti almeno potuto cercare di salvarmi. – il brontolio di Svan riscosse Dale dal torpore causato da un infuso che aveva dovuto prendere per attenuare il dolore, ma il cui unico effetto era stato ridurlo in uno stato di dormiveglia continua.

Per fortuna la valchiria, oramai più assorta dal ruolo di governante che da quello di generale, non lo abbandonava un attimo, se non altro per potergli ricordare di essere un idiota, per questo o quell’altro motivo.

-Fuoco. – biascicò, con la voce impastata di chi ha dormito troppo – Andava tutto a fuoco. Sei una fanciulla delle montagne del nord, quel caldo ti avrebbe stroncato. – concluse con un sorriso sghembo.

-Idiota. – Svan incrociò le braccia, voltando la testa con fare fintamente sostenuto. Sembrava che la permanenza presso quel villaggio di druidi, contadini, ex mendicanti, tutti estremamente altruisti e pacifisti, che tutti chiamavano “il Rifugio”, avesse fatto bene al senso dell’umorismo della ragazza, o forse era solo il fatto di non essere più incatenata.

Quando Dale aveva visto per la prima volta le caviglie fasciate della ragazza e nessuna catena attorno ad esse per poco non aveva pensato ad un’allucinazione. Quando poi gli avevano spiegato quanto facile fosse stato rompere i sigilli e rompere gli anelli aveva sfiorato il crollo nervoso.

Si era fatto in quattro per poter portare la valchiria sulla nave ed era quasi morto annegato (non che questo avesse qualche correlazione con la presenza di Svan a bordo) tutto per scoprire che con un po’ di tempo e con i libri giusti avrebbe potuto rompere quei sigilli persino lui.

Si vede che le nostre maghe non sono poi così esperte.” era stata la candida spiegazione di Svan quando glielo aveva raccontato “Dopotutto siamo soldati e artigiani, fare incantesimi non è quello che ci viene meglio.”

E dopo questo sapere che era stato Hrìm, misteriosamente libero da sigilli di ogni tipo, a riportarli a riva galoppando a mezz’aria come se nulla fosse non lo aveva sconvolto nemmeno più di tanto.

L’unico dubbio che gli era rimasto era perché il misterioso ospite avesse deciso di levare gli anelli di metallo che impedivano allo sleipnir di alzarsi in volo, perché, ne era praticamente certo, era stata la donna che viaggiava sull’Apokalypse a rompere i sigilli di Hrìm.

 
°°°°°

E si che di sorprese ne aveva avute a bizzeffe da quando si era svegliato.

Aveva visto di tutto, cose assurde persino per lui che viaggiando fin da piccolo aveva conosciuto razze e persone di ogni genere, ma quello che aveva davanti andava oltre ogni sua immaginazione.

Hrìm era tranquillamente steso per terra, come nessun cavallo normale avrebbe mai fatto, e si stava facendo intrecciare coda e criniera con perline e fiori di campo da bambine di diverse razze che gli stavano arrampicate sopra come se nulla fosse.

Probabilmente si stava davvero godendo il momento o più semplicemente era molto arrabbiato per quello che era capitato a lui e alla sua Legata, perché, quando Dale scoppiò a ridere, Hrìm aveva scrollato giù le bambine e poi lo aveva letteralmente caricato, spedendolo a terra con le ferite che urlavano tutto il loro disappunto da sotto alle fasciature pregne di erbe e magia e in un attimo si era ritrovato con lo sleipnir che nitriva inferocito tutta la sua ira a due centimetri dal suo naso.

-Perdi di credibilità con quella margherita sull’occhio, lo sai? – a quel commento Hrìm si lasciò cadere sul terreno con un tonfo sordo e solo allora Dale si accorse che lo sleipnir stava fluttuando a mezz’aria quando si era scagliato contro di lui.

-Hrìm. Spostati. Per favore. – mugugnò Svan aggrappata al collo dell’amico e lo tirava indietro puntando i piedi nudi sull’erba umida, cercando di indurlo a spostarsi da sopra il mezz’elfo.

Rimasero così per qualche minuto, con Dale che cercava di scivolare via da sotto a Hrìm e con lo sleipnir che irrimediabilmente riprendeva terreno trascinando con sé la valchiria che teneva appesa al collo, fino a che il mezz’elfo non si rassegnò ad invocare le scuse dello sleipnir per aver permesso che Svan cadesse dalla nave, che si tagliasse i capelli, che andasse in giro scalza e per tante altre cose di cui in linea di massima non aveva colpa. Un paio le aveva persino inventate per compiacerlo, dato che non sembrava soddisfatto di tutte le cose di cui si era scusato.

Solo allora Hrìm acconsentì a farlo rialzare, altra cosa per cui dovette prontamente chiedere perdono visto che rimase aggrappato a Svan per riprendere fiato per più tempo del previsto.

-Potreste lasciarci da soli? – sussurrò gentilmente la valchiria alle bambine, mentre a qualche metro di distanza Hrìm scrollava la testa, compiaciuto dalle richieste di perdono di Dale. Quelle la guardarono un po’ deluse, avrebbero tanto voluto continuare a giocare con quel grande cavallo nero, ma, chi più chi meno, si costrinsero a raccogliere le perline e i fiori più belli e a zampettare via, salutando Hrìm con le manine.

-Ci sono un po’ di cose che vorrei chiedervi. – annunciò Dale una volta rimasti soli, strofinando le mani sui pantaloni sporchi di terra. Era strano come un tempo l’idea di essersi praticamente rotolato per terra lo avrebbe fatto inorridire mentre adesso sembrava normale, quasi come le ferite che aveva addosso, i segni del pestaggio non ancora rimarginati e quelli ancora freschi della tempesta.

Svan si sedette per terra e Hrìm si piegò a terra, stendendosi di lato con la testa appoggiata in grembo alla valchiria, la prima guardandolo piena d’aspettativa, il secondo semplicemente scocciato. Tossicchiò un paio di volte, poi decise di sedersi accanto a loro, sospirando rumorosamente per il dolore delle ferite. Qualcosa gli diceva che sarebbe a stento riuscito a muoversi l’indomani.

-Adesso cosa facciamo? – esordì Dale una volta a terra, passando le dita sottili tra i ciuffi verdi e umidi di rugiada.

-Io pensavo di ascoltare cosa avevi da dire … - Svan gli regalò una smorfia divertita, seguita dal nitrito infastidito di Hrìm.

-Ma come siamo simpatiche oggi, milady. Forse la meravigliosa veste che indossate vi mette di buon umore? – la smorfia della valchiria si fece più appena accentuata prima che lei si mettesse a ridere: giusto quella mattina aveva detto che quell’abito di tela giallina era orribile e fastidioso, e Dale non aveva fatto altro che prenderla in giro per le sue lamentele da fanciulla dell’alta società, uno smacco per lei che era sempre stata la più rigida tra tutte le valchirie di sua conoscenza.

Smesso di ridere, Svan si lasciò cadere all’indietro e lo sleipnir sulle sue gambe nitrì di disappunto abbandonando la sua posa stesa e mettendosi accovacciato per terra con le lunghe zampe piegate sotto di lui.

-Pensavo di continuare a viaggiare. – sospirò, fissando trasognata il cielo, e si prese un ricciolo tra le dita – Ora io Hrìm potremmo andare ovunque senza impedimenti. Qui nessuno si è fatto qualche problema a stare con me nonostante io sia una valchiria.

Il mezz’elfo annuì, consapevole di quanto fosse ovvia la risposta che aveva ricevuto. Chi non avrebbe deciso di godersi appieno la libertà appena riconquistata, in un posto dove era solo una persona uguale a tante altre?

Un nitrito scocciato lo riscosse, e voltandosi vide Svan che ridacchiava.

-Ti eri incantato con la bocca aperta. – spiegò la ragazza, sorridendogli.

-Non sapevo cos’altro dire. – rispose lui, scrollando le spalle leggermente piccato per la questione.

-Tu senza parole? Dobbiamo festeggiare allora! – non ottenendo reazione di sorta, si sedette e gli si mise accanto, poggiando una mano sulla sua spalla – Dale, tutto bene?

-Devo tornare a casa. – disse dopo qualche secondo – Mia madre sarà preoccupatissima. E mio padre ha bisogno di aiuto con le merci. E poi …

-Vuoi andare all’accademia di Belle Arti, giusto?

-Si. Ma speravo che ci fossi anche tu. – arrossì all’improvviso, rendendosi conto di come suonassero quelle parole – Beh, ecco, non in quel senso … - Hrìm nitrì come a richiedere spiegazioni per sapere se doveva alzarsi e ucciderlo o meno – Ecco … immaginavo … Cioè io pensavo che tu … magari avresti preferito venire a vivere con me … No, ecco, con la mia famiglia. Lavorare per mio padre, magari frequentare una scuola … Cose così … Sai, non sei abituata a vivere qui … - il tono, all’inizio poco più che uno squittio, si fece via via più rilassato vedendo la ragazza sorridere e soprattutto lo sleipnir rimanere a terra, con gli intenti bellicosi leggermente sfumati.

-Sarebbe bellissimo. - Svan gli gattonò accanto, e lo abbracciò forte – Ma voglio vedere altri posti, conoscere altra gente … È tutto così diverso da come l’ho sempre immaginato …

Dale appoggiò il viso sulla spalla di lei, colpito dal tono trasognato e malinconico che aveva, ma si costrinse ad allontanarsi non appena vide lo sguardo omicida di Hrìm. Il mezz’elfo aveva in mente una strana visione dello sleipnir che si passava uno zoccolo sulla gola sogghignando malignamente. Sapeva che la fisionomia non glielo consentiva, ma l’impressione che lo avrebbe certamente fatto se avesse potuto non poteva essere semplicemente accantonata, così allontanò delicatamente la valchiria si tirò in piedi incrociando le braccia.

-Basta smancerie adesso! – esclamò – Abbiamo una missione da portare a termine prima di ripartire!

 
°°°°°

Non fu difficile, in una giornata, raccogliere le informazioni sufficienti a portarli a quella graziosa casina sul limitare del Rifugio.

Piccola, un po’ trascurata, come se fosse stata abbandonata a lungo, tutta di legno scuro e un po’ scorticato dalle intemperie, ma resa più graziosa dalle tende colorate alla finestra e dai fiori che spuntavano un po’ ovunque, quella casina non sembrava aver nulla di speciale se non fosse che, quando bussarono, fu un ragazzo con una cascata di riccioli neri alquanto familiare ad aprire la porta.

Dale era certo di averlo visto in giro nei giorni precedenti e aveva voluto togliersi il sospetto prima di partire, così come Svan voleva conoscere il misterioso ospite dell’Apokalypse; e nonostante fossero una comunità molto vivace, al Rifugio non si avevano molte occasioni di spettegolare, così con qualche domanda ben posta e il rispolverato sorriso da dongiovanni di Dale erano riusciti a racimolare sufficienti informazioni da ricondurli a quella donna che, a detta di alcune signore “molto informate sui fatti”, faceva un po’ troppo la superiore e al ragazzo ricciuto che la seguiva sempre come un cagnolino.

Il ragazzo non li guardò nemmeno da sotto alla frangia nera che gli copriva gli occhi, si fece da parte e fece loro cenno di passare.

-Entrate. – disse semplicemente – Immaginavamo che sareste passati.

Hrìm dietro a loro nitrì scocciato dal non poterli seguire mentre entravano nella casupola, e si piazzò davanti alla finestra per assistere, ignorando stizzito il cenno di commiato che gli regalò il ragazzo prima di chiudere la porta.

Mentre la porta si chiudeva, l’ospite si voltò sorridendo, invitandoli con un gesto della mano ad accomodarsi al piccolo tavolo, e la mandibola di Dale abbandonò la sua naturale sede per ciondolare liberamente a mezz’aria.

Avevano davanti una valchiria.

Alta quanto Dale e snella, non poteva avere più di quarantacinque anni, con i capelli biondi striati di grigio legati in una coda da cui sfuggivano ciocche ondulate, e gli occhi allungati con le iridi viola scuro e la carnagione pallida, non c’era la possibilità di sbagliare sulla sua razza.

-Ahia! – sbottò il mezz’elfo, riprendendo almeno parte delle sue facoltà mentali, quando Svan gli diede un pizzicotto sul fianco dove le ferite non si erano ancora rimarginate del tutto – Era proprio necessario?

-Ti stavi comportando da maleducato. – brontolò la ragazza accanto a lui, sedendosi con un fare stizzito che al giovane ricordava molto quello che aveva Hrìm quando lo si ignorava.

-Ero solamente accecato dalla magnificenza della nostra ospite. – replicò con un profondo inchino verso la donna ed ignorando gli occhi palesemente alzati al cielo di Svan.

-Questi trucchi non funzionano con me, giovane mezz’elfo. – la voce era la stessa che aveva sentito sulla nave, quella proveniente dalla stiva durante il naufragio, e la scoperta rinvigorì Dale, che sorrise e dopo aver fatto accomodare la donna come farebbe un gentiluomo che si rispetti, si accomodò di traverso, appoggiandosi al tavolo con lo sguardo più affascinante che avesse in repertorio.

-“Giovane mezz’elfo”? Rimaniamo sul formale quindi? – azzardò con un sorriso sghembo – Tra l’altro non mi pare di aver capito il suo nome, milady.

-E a me non pare di aver capito il tuo, mezz’elfo.

Lui sogghignò, lieto di aver trovato qualcuno che gli reggesse il gioco.

-Io sono Dale e mi chiedevo se è proprio necessario ribadire la mia razza in ogni frase?

-No, Dale. Io sono Vijsi e lui è mio figlio Koren. – i due sobbalzarono ricordando la presenza del ragazzo, fermo vicino alla porta con l’aria solerte di una sentinella -  La stupenda ragazza che siede al tuo fianco invece come si chiama?

-Mi chiamo Svan, signora. – rispose quella, raddrizzando la schiena e mantenendo l’espressione più fredda il possibile – La ringrazio per l’ospitalità che ci sta offrendo e …

-Non è necessario. Datemi del tu, e per cortesia smetti di fare il soldato, cara. Non sono mai stata un generale e non ho intenzione di diventarlo adesso. – a quelle parole Svan sollevò un sopracciglio, scettica, ma poi si sciolse appoggiandosi contro lo schienale – E poi non incontro una valchiria da più di vent’anni, ho dimenticato tutto il cerimoniale, se mai l’avevo imparato. Volete qualcosa da mangiare, ragazzi?

-No, grazie. – declinò cordialmente Svan per entrambi – Ma vorremmo chiederle, scusa, chiederti alcune cose.

La donna sorrise e cominciò a raccontare.

Era una novizia, le mancava poco per diventare sacerdotessa, quando era stata cacciata dalla sua città, una delle tante fortezze che le valchirie avevano disseminato nei loro territori. Esiliata anche lei, ma per aver espresso solidarietà con gli umani.
Vijsi aveva sempre ritenuto che uccidere fosse sbagliato, per questo aveva deciso di diventare sacerdotessa, per avere il meno possibile a che fare con armi e morte, ma la guerra l’aveva inseguita anche durante l’apprendistato.

Un prigioniero di guerra, un umano mandato ad esplorare i territori montuosi per trovare un passaggio e che invece aveva trovato la prigione. Lo avevano lasciato alle cure delle novizie, perché non morisse prima dell’interrogatorio, e a Vijsi era accaduto quello che non dovrebbe accadere mai ad una valchiria. Si era innamorata, tanto da rischiare la sua vita per liberarlo.

Ci era riuscita, lo aveva portato in salvo, ma l’avevano scoperta e catturata. Avrebbe potuto essere condannata a morte, ma era troppo giovane e si era salvata con la condanna alternativa, l’esilio.

Lasciò quella parola sospesa nell’aria, mentre sorvolava anni di racconto per passare ai viaggi nei territori ad est, dove aveva imparato altra magia, altri incantesimi, di livello superiore a quelli che aveva imparato tra le valchirie, incantesimi che l’avevano aiutata a sopravvivere in luoghi sconosciuti.

Si era soffermata a lungo su quando aveva incontrato l’uomo della sua vita, il padre di Koren, mentre era passata veloce su quando era morto, costretto a scendere in battaglia quando la guerra, dopo diversi anni dal suo inizio, si era allargata a tutti i territori confinanti.

-Poco tempo dopo ho saputo del Rifugio da un druido elfo venuto a sostenere gli umani e ho deciso di tentare. – concluse, rivolgendosi poi a Svan che aveva assorbito avidamente ogni parola della donna – Quando ho visto quello stupendo sleipnir sulla nave ho capito che eri stata esiliata, come me, e ho deciso di rompere i suoi sigilli. Avrei voluto fare lo stesso con i tuoi, ma la tempesta ci ha sorpresi. Per fortuna il tuo Legato ci ha portati in salvo prima di tornare a cercarvi, per questo gliene sarò sempre grata. Koren è tutto quello che ho.

Il ragazzo annuì, ancora fermo alla porta, si tirò i capelli indietro rivelando gli stessi occhi viola della madre e, per la prima volta, sorrise.

 
°°°°°

Vijsi e Koren divennero una costante nelle giornate che seguirono.

Dale e Svan, da una parte, trovavano d’obbligo cercare di aiutarli come potevano prima di mettersi in viaggio, mentre la valchiria si riteneva responsabile di quei due ragazzi e faceva di tutto per far si che stessero bene e che avessero tutto il necessario per la partenza.

Partenza che arrivò prima del previsto, nel pomeriggio di un giorno ventoso e soleggiato.

-Sicura di non voler venire a stare nella mia città? – domandò per l’ennesima volta Dale, stringendola nel settimo abbraccio che aveva definito “l’ultimo” da quando si erano preparati a partire.

-Svan ha già detto di no, Dale. – intervenne Vijsi pacatamente – Lo sai.

-Ti prometto che verrò a trovarti. – aggiunse la ragazza per tranquillizzarlo, accarezzandogli la schiena – E magari anche a frequentare una buona scuola o a lavorare per tuo padre, va bene?

Il mezz’elfo fece per rispondere ma lo scalpitare scocciato di Hrìm bloccò ogni possibile obiezione sul nascere.

Svan si staccò da lui per salutare Vijsi e Koren, mentre Dale allungò una pacca sul collo dello sleipnir.

-Tienila d’occhio, o finisce che la perdi. – borbottò, e si allontanò più in fretta il possibile prima di prendersi un’altra testata dall’animale. Poi si voltò nuovamente verso la valchiria – Ultimo abbraccio?

Quello fu davvero l’ultimo, e fu anche estremamente veloce. Dopo Svan montò in groppa a Hrìm, senza sella, con solo le briglie a cui tenersi e lo sleipnir si voltò verso il sentiero.

Poi iniziò a galoppare, e ad ogni falcata gli zoccoli appoggiavano su un piano immaginario a mezz’aria, sempre più in alto e sempre più veloce, fino a che Svan e Hrìm non furono solo una piccola sagoma all’orizzonte.

-Dite che dovrei seguirla?

Dale si voltò con un sopracciglio inarcato verso Vijsi e Koren, ed entrambi scossero la testa.

-Stai tranquillo, mezz’elfo. – disse la donna voltandosi per tornare a casa – Devi andare dai tuoi genitori adesso, non preoccuparti per lei. Conosco lo sguardo che aveva, tornerà. Prima o poi.



 

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