A Thousand Years

di AnnaRose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Il maggiordomo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


A Thousand Years

Frozen - Il regno di ghiaccio



 

“Ooh, così è perfetto”.

Elsa si destò.

Aveva sentito dei rumori sospetti provenire dal corridoio, ma non si era preoccupata di andare a controllare. Questa volta, però, lo fece.

Guardò attraverso la serratura.

Non capì subito quello che stava accadendo: vide Anna sistemarsi a terra, di fronte alla sua porta, sopra una coperta piuttosto morbida - che aveva messo lì lei, probabilmente.

Cosa stava combinando?

“Adesso rimarrò qua davanti finché tu non ti deciderai ad uscire da quella stanza”.

… aveva capito bene?

“Sì, hai capito bene” rispose la sorella, come se le avesse nel pensiero “Sai, ci ho pensato tanto… tanto da stare male, tanto da arrivare al punto di arrabbiarmi, di scoppiare in lacrime, di domandarmi... ‘perché?’. Mi sono chiesta e richiesta cosa avessi mai potuto farti di male da non volermi vedere più, dal non voler più avere alcun contatto con me”.

Elsa ebbe una stretta al cuore.

“E mi sono resa conto di non saperlo. Sì, non ho idea di cosa ti abbia fatto, peggio, non so nemmeno SE ti ho fatto qualcosa. Se dietro a questo tuo silenzio e isolamento c’è dell’altro, qualcosa che io non riesco a comprendere”.

Stava accadendo. Quello che temeva potesse accadere, stava accadendo in quel preciso momento. E adesso cosa avrebbe fatto?

“Perciò, mi sono detta… basta. Sì insomma, basta. Voglio delle risposte e le avrò, a qualunque costo! Infondo, parliamoci chiaro: cos’ho da perdere? Non mi parlerai più? Già non lo fai da anni; i nostri genitori si potrebbero arrabbiare? No, sono morti.

Ci sono solo io, io e questa dannata porta” disse, indicando la porta.

Elsa non stava più guardando dalla serratura. Era scivolata a terra con le spalle addosso alla porta, mentre con le braccia si cingeva le gambe.

“Perciò, rimarrò qua. Finché tu non uscirai da quella stanza, io non mi muoverò di un centimetro.

Solo in questo modo avrò delle risposte. Anche se deciderai di non uscire”.

La voce di Anna faceva chiaramente trasparire tutta la tristezza, la desolazione e la rassegnazione che lei stava provando in quel momento.

“Non voglio altro, giuro. Solo delle risposte. Io così non vivo più. Forse sei tutto ciò che mi rimane (se non ho già perso tutto), ma non voglio più vivere solo di speranze”.

Non riusciva a sopportarlo. Sarebbe voluta uscire, parlarle, chiederle scusa, abbracciarla, chiarire, dirle che le voleva bene… ma non poteva. L’avrebbe messa nuovamente in pericolo, e non poteva assolutamente lasciare che accadesse.

Perciò non disse nulla, e aspettò che altre parole di Anna arrivassero alle sue orecchie, come lame taglienti.

“Be’... buonanotte, Elsa. Io sono qua fuori, se hai bisogno di qualcosa”.

Elsa si girò, e guardò nuovamente attraverso il buco della serratura.

Vide Anna stendersi su quella coperta, mettersi un cuscino sotto la testa e coprirsi con un’altra coperta… piuttosto leggera, viste le temperature di quei giorni.

Veramente sarebbe rimasta lì a terra tutta la notte?

Sperava con tutto il cuore che il giorno dopo cambiasse idea.

Perché lei non poteva uscire, non poteva buttare via così anni e anni di solitudine, non poteva mettere di nuovo a rischio la vita di sua sorella.

Con lei vicino Anna non era al sicuro; sarebbe anche potuta morire, e non poteva permettere che questo accadesse. Lei era tutto quello che aveva, e se proteggerla significava rinunciare alla sua libertà e alla sua felicità lo avrebbe fatto, per lei.

“Buonanotte, Anna” sussurrò, in modo che la sorella non potesse sentirla.

Rimase lì anche lei quella notte; voleva rimanere vicino a sua sorella, perché lei non era sola e non lo sarebbe mai stata, anche se non avrebbe mai potuto saperlo.



 
NdA: Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qua, e grazie a chi deciderà di lasciarmi un commento.
B
uonanotte!
Enya

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Capitolo 2
*** Il maggiordomo ***


Il maggiordomo

 

“Signorina Anna, cosa fa là a terra?”

“Nulla di cui ti debba preoccupare, Brandon. Torna pure alle tue faccende”.

Anna non voleva spiegare apertamente al maggiordomo cosa stesse facendo, nonostante fosse facilmente intuibile; ha sempre avuto l’impressione che tutti, non solo i suoi genitori, cercassero di tenerla lontana da sua sorella usando una serie di scuse patetiche a cui lei non aveva mai creduto. Questa volta sarebbe andata fino in fondo, a costo di ammanettarsi alla maniglia di quella porta. Avrebbe tenuto lontano chiunque avesse tentato di distoglierla dall’obiettivo, a costo di risultare antipatica e sgarbata.

“Ma, principessa, dovrà pur fare colazione…

“Puoi portarmela qua, ti ringrazio Brandon” disse Anna, in un tono che non voleva sentire repliche.

“Certo, Altezza” rispose il maggiordomo, e si diresse verso le cucine.

Anna spostò lo sguardo dal maggiordomo - che si stava allontanando - alla porta che aveva di fronte a sé.

Si alzò in piedi, si sistemò il vestito e si poggiò sul davanzale della finestra, continuando ad osservare la porta della stanza della sorella.

“Buongiorno, Elsa. Sei già in piedi? Oppure dormi?”.

Appena finì di pronunciare quelle parole avvertì dei passi provenire dalla stanza di fronte a lei; abbassò lo sguardo e vide, dallo spiraglio della porta, un’ombra che si allontanava. Capì quindi che la sorella era rimasta dietro la porta fino a quel momento.

“Bene, sembra di sì. Coff coff”. Un colpo di tosse. Probabilmente la notte appena passata distesa sul pavimento gelido non aveva giovato alla sua salute…

“Che facevi là dietro? Stavi verificando che fossi ancora qui? Ebbene sì, sono ancora qui, e non ho intenzione di andarmene. Non per il momento, almeno”.

Passò qualche minuto di silenzio, interrotto poi dall’arrivo del maggiordomo Brandon che portava un vassoio in una mano e un altro vassoio nell’altra.

“Ecco la vostra colazione, signorina. Sicura che non voglia gustarla più comodamente seduta ad un tavolo, magari nella sua stanza?”.

“No, Brandon, qua andrà benissimo. Dai a me, ci penso io” si sporse per prendere il vassoio, ma si bloccò quando notò che ne portava due.

Ehm… qual è il mio?” chiese Anna.

“Quello alla vostra sinistra, principessa” rispose.

‘Immagino che quest’altro sia di Elsa. Giusto, ovviamente deve mangiare anche lei’ pensò la rossa mentre sfilava il suo vassoio dalla mano di Brandon. Ringraziò il suo maggiordomo, posò il vassoio sul davanzale e si mise da parte ad osservare il maggiordomo che si avvicinava alla porta della sorella.

“Principessa Elsa” chiamò Brandon, picchiettando alla porta. “Le porto la colazione”.

Anna osservava, attenta.

Questa volta non poteva non aprire, a meno che non volesse rimanere a digiuno. Pensandoci bene, probabilmente sarebbe anche stata in grado di farlo…

Ci furono attimi di silenzio, poi si udì il rumore della chiave nella serratura.

La porta si aprì appena. Anna si sporse con la testa nel tentativo invano di vedere qualcosa oltre la testa di Brandon, ma così non fu.

Il maggiordomo si infilò velocemente dentro la stanza e la porta si richiuse con uno scatto fulmineo.

Anna non provò nemmeno ad avvicinarsi, non sarebbe servito a niente; aveva deciso che, almeno all’inizio, avrebbe atteso fino a che la sorella non si fosse convinta a farla entrare di suo spontanea volontà. Entrare con la forza, infondo, a che sarebbe servito? A nulla, assolutamente a nulla.

Si voltò, prese il vassoio e con la delusione sul volto si sedette sulla coperta in cui aveva dormito, a terra.

Cominciò a spalmare il burro su una calda fetta tostata quando il rumore della maniglia che si abbassava le fece alzare lo sguardo verso la porta di fronte a lei.

Brandon uscì, ma nella fretta inciampò sul tappeto del corridoio, spintonando appena la porta che si aprì ancora di più. Questo fatto inaspettato fece passare allo scoperto Elsa agli occhi di Anna, che inaspettatamente si ritrovò ad osservare la più piccola, a pochi metri da lei, con uno sguardo spaventato, come se avesse appena commesso un errore imperdonabile.

Anna, che era rimasta a guardare la scena con ancora la fetta tostata in una mano e il coltello dall’altra, puntò anche lei gli occhi su quelli della bionda. Notò la paura di Elsa, e questo la lasciò perplessa. Perché aveva così paura di incontrarla, di incrociare il suo sguardo? Cosa poteva averle mai fatto per farle avere così paura di lei?

Dall’altro lato, invece, Elsa notò la tristezza, l’incertezza e lo sconforto dietro lo sguardo della sorella, e sentì il cuore spezzarsi. Sarebbe crollata se non avesse messo subito fine a questa scena così spiacevole.

“Sono estremamente dispiaciuto principessa, il tappeto…

“Non preoccuparti, Brandon, non è successo nulla. Grazie per la colazione” e con uno scatto, Elsa richiuse la porta dietro le spalle del maggiordomo, che nel frattempo aveva ripreso l’equilibrio.

Anna abbassò lo sguardo. Più che risposte stava trovando altre domande, domande e ancora domande.

“Lei ha bisogno di qualcos’altro, signorina?” le chiese il maggiordomo.

“No. No, sto a posto, grazie”. ‘Avrei bisogno di risposte’, pensò la ragazza.

Il maggiordomo con un inchino salutò la principessa e se ne andò. Anna riprese a spalmare la marmellata sulla sua fetta tostata, con più lentezza di prima, immersa nei suoi pensieri.

Sai…” parlò, rivolgendosi alla sorella “... non mordo mica. Potevi anche salutarmi” concluse.

Aspettò una contro risposta dall’altra parte che sembrava non voler arrivare, così fece un sospiro e riprese a parlare “Credo sia ovvio che non parlerai, perciò… Va be’, buon appetito. Coff Coff”. Di nuovo un colpo di tosse. Anna non ci fece molto caso e addentò la sua fetta tostata, ormai piena di marmellata.

Elsa, dall’altra parte, si era seduta sulla sedia del tavolo dove era apparecchiata la colazione, ma a tutto stava pensando meno che a mangiare. Incontrare lo sguardo di Anna, ascoltare quelle parole così sincere, quello sguardo, era stato un altro colpo al cuore. Una piccola bufera di neve cominciò a vorticarle intorno, ma lei nemmeno ci fece caso. Anche il tè che le aveva portato il maggiordomo ormai era diventato un blocco di ghiaccio.

Pensò a quanto avrebbe resistito, quanto avrebbe permesso ancora al suo senso di colpa di torturarla.

Mai come in quel momento si sentì così in trappola.

Appoggiò le braccia sul tavolo e vi ci rannicchiò la testa, lasciando che calde lacrime le sgorgassero dagli occhi, buttando fuori tutta la rabbia verso quel potere che l’aveva resa prigioniera.

 

 

 

NdA

Wow, sono davvero passati due mesi dal primo capitolo °-°?

Come passa in fretta il tempo!

Devo dirvi la verità, la storia non è completa; quando mi viene l’ispirazione scrivo 2, 3, 20 righe… perciò scusatemi se vi farò aspettare un po’ da un capitolo all’altro!

Vi ringrazio per la pazienza, per aver recensito e anche solo per aver letto la storia <3.

Un abbraccio,

Enya

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