Untitled - Storia di un amore contrastato

di Dragon_Flame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1.


"Mi dispiace, Lidia, ma io non ti amo più."
Roberto guardava basso, non riusciva a sostenere lo sguardo addolorato della sua ormai ex ragazza. Lidia tremava, lottava per trattenere le sue emozioni, tuttavia non ci riusciva proprio: il bel volto a cuore era rosso e lucido di lacrime salate.
"Perché?" farfugliò lei incredula.
Roberto levò gli occhi per incontrare i suoi, azzurri, splendidi e così dolorosamente vividi. Provò una stretta al cuore: lei lo aveva amato tanto e lui invece da perfetto idiota aveva calpestato quel suo sentimento senza pietà, andando a incasinarsi per sei mesi con un'altra ragazza. Ora, per amore di quest'ultima, aveva deciso di lasciare Lidia, ma proprio non ce la faceva a dirle il motivo.
"Perché io ho un'altra" sussurrò riluttante e a bassissima voce, sperando quasi che la giovane seduta davanti a lui in quel microscopico e affollatissimo café del centro città non sentisse la frase.
Ma Lidia aveva udito fin troppo bene, con una chiarezza vivissima. La sua faccia trasfigurò: l'espressione afflitta e incredula che si rispecchiava nelle iridi d'azzurro cristallo si dissolse, lasciando il posto a un'emozione cupa e scintillante, inintelligibile, minacciosa e furibonda. La castana s'alzò in piedi, fremente, non più ignara del tradimento subito. Raggirò con un passo il tavolino che la separava dal suo ormai ex ragazzo con una lentezza apparentemente tranquilla e normale, portandosi davanti al biondo che s'era a sua volta alzato dalla sua sedia, uno sguardo imbarazzato e vergognoso che aleggiava negli occhi castano-verdi.
"Mi dispiace di averti ferita... spero che saprai perdonarmi per ciò che ti ho fatto." Le parole di Roberto scottarono così umilanti e spudorate che Lidia si sentì fremere da una violenta fiamma di amarezza e frustrazione. La giovane allora allungò di scatto le mani verso i baveri della camicia del ragazzo, stringendoli con forza e trascinando il suo volto sullo stesso piano del proprio, in modo da guardarlo dritto negli occhi. Intanto le persone più vicine a loro li osservavano incuriositi e divertiti al tempo stesso, spettandosi una qualche scenetta comica de raccontare poi ai conoscenti. Gli occhi azzurri di Lidia lampeggiavano irati e collerici, le labbra erano serrate e l'espressione del viso tesa e contratta.
Avvicinando ancor di più il proprio volto a quello di un Roberto confuso e sorpreso, Lidia gli urlò poche, semplici, chiare parole.
"Vattene al diavolo con la tua sgualdrina, stronzo!"
Quindi gli diede una forte spinta, tale da farlo cadere rumorosamente di peso sul pavimento del café. Lidia uscì dal locale tra le risatine malrepresse dei molti presenti che deriddevano Roberto per l'umiliazione pubblica.
La castana camminava nella sera umida e calda di fine giugno, piangendo sommessamente. La ferita inflittale era aperta e sanguinante e la faceva soffrire, in più l'umiliazione del tradimento bruciava nitida e rovente nel suo intimo, tuttavia insieme a queste due emozioni provava anche una bizzarra sensazione di liberazione. Si sentiva stranamente felice mentre passeggiava. Aveva chiuso un capitolo non proprio bello della sua giovane vita. Ora poteva aprirsi a nuove esperienze, a nuovi amori, possibilmente non lunghi e tormentati come quello trascorso insieme a Roberto nell'arco di due anni. Due anni di continui tira e molla e di litigi sempre più frequenti negli ultimi tempi.
Lidia aveva diciott'anni, aveva appena terminato il quarto liceo linguistico e si sentiva disillusa dall'amore; tutto a causa di Roberto. Era stato il suo primo ragazzo, la prima vera storia importante dellasua vita l'aveva vissuta con lui, seppur sei anni di differenza pesavano parecchio sulla loro relazione. Roberto, dall'alto dei suoi ventiquattro anni, la vedeva forse ancora come una bambina, anche se era stato lui con il suo comportamento puerile ad aver scritto la parola fine sulla loro storia. Per un tradimento era andato tutto a puttane. Che merda.
Rientrando a casa dopo la breve passeggiata serale, Lidia s'asciugò le ultime lacrime rimaste, anche se chiunque si sarebbe potuto accorgere che aveva pianto. Il suo volto lucido e arrossato si rifletteva nel grande specchio dell'atrio. Chiudendo la porta a chiave, la castana sospirò piano, profondamente, sistemando quindi il leggero giacchetto di jeans nel guardaroba della stanza.
S'affacciò alla porta del salotto. Sua sorella Eva, di quindici anni, se ne stava seduta al tavolo a chattare con un'amica su Facebook per mezzo del suo pc. Stesa comodamente sul sofà, sua madre Sara, sulla quarantacinquina, leggeva 'Guerra e Pace' di Lev Tolstoj. Entrambe la salutarono con un cenno, poi Eva si levò in piedi, chiudendo il suo account Facebook e arrestando il sistema del portatile.
"Cos'è successo con Roberto?" le domandò con un'espressione di curiosa solidarietà nei vispi occhi castano chiaro.
Andandosi a sedere insieme nell'altro divano del salotto, Eva passò un braccio intorno alle spalle della sorella, come per confortarla. Lidia sospirò tristemente, quindi sbuffò irritata.
"Mi ha confessato di avermi tradita e così io l'ho lasciato" disse in un soffio, scrollando tediata la testa nel vano tentativo di dare un ordine ai suoi capelli ricci e perennemente disordinati.
Sara, nell'udire quelle parole, alzò di scatto gli occhi cerulei sulla figlia, le labbra rosse e piene scomposte in un'espressione di incredula sorpresa.
"Oh, tesoro, mi dispiace tanto!" esclamò la madre, lasciando la sua lettura sul tavolo del salotto per poi correre a sedersi accanto a Lidia, che era sul punto di piangere nuovamente. Le strinse il capo tra le mani delicate, facendolo posare sul suo seno materno, come faceva quando lei era piccola e correndo cadeva e si sbucciava il ginocchio. Lidia deglutì, frenando le lacrime caparbiamente.
"A me non dispiace più di quel tanto, mamma. Ho solo sprecato due anni con un individuo che non mi meritava e ora quel capitolo si è chiuso e non voglio più parlarne. Non me ne frega più nulla di lui, davvero."
Eva scrutò il volto della sorella maggiore, osservandola con l'aria di chi la sa lunga. Conosceva perfettamente Lidia e sapeva che, se lei voleva tenere per sé i propri sentimenti negativi, li mascherava con un apparente menefreghismo e un rigido autocontrollo, dimostrandosi fredda, fiera e imperturbata. Però quella volta le era davvero arduo evitare di vacillare: quel tipo di delusione le era nuovo e la tentazione di lasciarsi andare in lacrime era forte. Sapendo però che tutto sarebbe passato, prima o poi, Lidia s'imponeva di comportarsi da persona forte e cinica, nell'attesa di cicatrizzare le proprie ferite.
"Sai, tesoro? Prima mi ha telefonato Giorgio: lui e Maria hanno intenzione di organizzare una lunga vacanza a fine luglio per festeggiare i loro vent'anni di matrimonio. Pensavano di invitarci con un po' di altri amici... ti piacerebbe venire con noi invece di farti il solito mese di campeggio al mare? Ci divertiremo." Sua madre le sorrise incoraggiante, nel tentativo di trasmettere un po' del suo entusiasmo alla primogenita. "Ci sarà anche Céline" aggiunse poi.
Lidia sorrise pensando a Céline: era la sua migliore amica e si conoscevano praticamente da una vita. Già Sara e Giorgio, rispettivamente la madre della prima e il padre della seconda, erano amici di vecchia data nonché ex compagni di università, in più le due amiche abitavano a pochi isolati di distanza l'una dall'altra e frequentavano lo stesso istituto, seppur in due indirizzi diversi: Céline era nel corso scientifico giuridico e Lidia nel corso linguistico di tedesco, inglese e francese. Il vero nome della sua best friend, una minuta ragazza solare e gioviale dal corpo rotondetto e i ricci capelli e i grandi occhi dello stesso colore del mogano, era Celia, tuttavia veniva chiamata da tutti Céline, soprannome affibbiatole dalla nonna materna di origine belga.
"Penso che non sia una cattiva idea... mi sono rotta di andare a Riva Verde tutti gli anni: tanto il mare è sempre uguale lì; è stupendo, ma non cambia mai..."
Eva soffocò una risatina: sua sorella adorava Riva Verde e il mese che trascorreva lì durante l'estate era il periodo più atteso da lei nel corso dell'anno, tuttavia si costringeva perfino a rinunciare a tornare lì in vacanza pur di evitare di rincrociare Roberto, che come altri loro conoscenti passava lì l'estate.
"Chi altri ci sarà, oltre a noi? E dove andremo di bello?" domandò Eva con la sua solita energia e voglia di sapere sempre tutto.
Sara le sorrise. Avrebbe voluto vedere anche Lidia entusiasta come la figlia minore, tuttavia non riusciva proprio a coinvolgerla un po' nel progetto.
"Potresti chiedere a Mattero di venire con noi, se i suoi genitori glielo permettono. Almeno passetere la vacanza insieme." Matteo era l'innamoratissimo ragazzo sedicenne di Eva, con cui faceva coppia fissa da più di un anno. "Con Giorgio e famiglia verrà anche Diego." Diego era il ragazzo di Céline. "Anche Rita e Tony si sono aggiunti alla comitiva; si annoiano a stare soli in città con quest'afa e hanno pensato che gli avrebbe fatto bene cambiare aria per un po'." Margherita e Antonio, questi erano i loro veri nomi, erano una coppia sposata che Domenico, il padre di Lidia ed Eva, conosceva benissimo: era perfino andato a scuola con Rita. I due avevano due figli, Fabrizio di venticinque anni e Federica di ventuno, tuttavia essi vivevano lontani, uno a Londra per motivi di lavoro, l'altra a Trieste per studiare all'università. "Maria ha anche accennato ad altri possibili componenti aggiuntivi. Ti ricordi di Ivan e Alessia, Lidia? Erano anche venuti al battesimo di Eva... ma forse tu non ti ricordi, eri tanto piccola... beh, devi sapere che alla fine si sono sposati e hanno una splendida figlia di otto anni che si chiama Emma. La bambina è amica di Marco" - figlio minore di Maria e Giorgio e fratello di Céline - "e così hanno insistito per trascorrere le vacanze estive insieme. Se decidono di venire, allora si aggiungeranno anche loro al nostro gruppo."
Lidia annuì distrattamente, annoiata da quell'elenco interminabile. Non le importava di chi sarebbe venuto con loro in vacanza, sempre che lei avesse deciso di seguire i genitori; stava pensando ad altro.
"Mamma, dove andremo in vacanza?" insisté Eva, impaziente di conoscere il luogo.
"Forse in Valle d'Aosta, tesoro" asserì la madre. "Pensavamo di trascorrere tre settimane tutti insieme sulle Alpi. Le montagne sono meravigliose! E in più l'ideale per evitare il caldo opprimente di questi giorni."
Le montagne, pensò Lidia indifferente. Be', almeno sarò impegnata a concentrarmi su dove mettere i piedi ed evitare di cadere, quindi non penserò troppo a Roberto, si disse ironica. L'idea non le pareva tanto negativa, in fondo. Forse avrebbe portato una ventata d'aria fresca nella sua vita, aggiunse poi sarcastica. Quasi quasi era tentata di partire con la famiglia alla volta delle Alpi.
, decise, sarebbe andata con loro. Al diavolo la depressione per la fine della sua relazione.
Le vacanze erano le vacanze.

 
***

N.d.A.
Salve a tutti coloro che arriveranno a leggere le note. Come anticipato nell'introduzione, questa storia è già stata pubblicata in precedenza con un titolo differente in questa stessa sezione, per cui qualcuno di voi lettori potrebbe conoscerla. In caso contrario, spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia invogliati a leggere la mia fic.
Aggiornerò con cadenza piuttosto regolare - diciamo una volta a settimana -, ma se ci dovessero essere problemi di pubblicazione dei capitoli lo farò presente nelle note d'autrice.
Bon, non ho null'altro da dire, per cui termino qui. Ah già, spero che la fic vi piaccia. E che recensiate in tanti. :3
Buona lettura a tutti, e buon pomeriggio!


Flame

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.


Ivan aprì gli occhi castano nocciola all'improvviso, svegliato dall'irritante trillo della sveglia per le sei e mezza. Non aveva dormito bene neanche quella notte. Era da circa sette mesi, quasi otto, che dormiva in una stanza tutta sua, separato da Alessia. Anche quel giorno si sarebbe alzato prima per poi recarsi nella camera da letto della moglie, rimettendosi a dormire nell'ormai non più suo letto matrimoniale. Il tutto per fingere di fronte alla figlia, la sua piccola, adorabile Emma, che ogni mattina alle sette correva a gettarsi nel lettone dei genitori per dare loro un dolce buongiorno, subito dopo essersi destata. Il tutto per non farla soffrire, per non farle vedere il distacco e l'indifferenza che ormai dividevano i due genitori. Il tutto per proteggerla dal dispiacere di un divorzio.
Ricordò ancora l'incontro con la moglie, avvenuto quindici anni prima in una discoteca. Allora lui aveva ventitré anni e lei solo ventuno. Subito era scoccata la scintilla e si erano messi insieme, diventando praticamente inseparabili. Poco tempo dopo, partecipando con Alessia e i familiari più stretti al battesimo di Eva, la figlia da poco nata della sua collega di lavoro Sara, aveva presentato ad amici e parenti la sua ragazza, dichiarandosi innamoratissimo di lei. Tra sorrisi bonari e allusioni velate, gli era stato fatto capire che erano in molti a pensare che quella sua fiamma si sarebbe presto spenta. Ma, nonostante nessuno avrebbe mai azzardato una simile speranza, quella coppia aveva resistito saldamente per quindici anni, allietata e rafforzata dalle nozz e dalla nascita di una bambina, Emma.
Eppure, a distanza di tutti quegli anni, adesso era Ivan a non credere più in quell'amore solido, offuscato dall'ombra del tradimento di lei. Si era sentito deluso, amareggiato, ferito e offeso, tuttavia aveva soffocato quelle emozioni negative per evitare di gettare un'ombra sulla serena infanzia della figlia, una vivace bimbetta di otto anni, ipersensibile ed emotiva. Amava la bambina più di qualunque altra cosa e persona al mondo e mai avrebbe causato un incrinamento della sua felicità. Si era fatto questa tacita promessa e, nonostante si sentisse molto vincolato, sopportava pazientemente tutte le conseguenze, mascherando i sentimenti negativi derivati dalla sua deludente relazione amorosa e concentrandosi sul lavoro, sullo sport e sull'affetto profondo che lo legava ad Emma.
Entrando nella stanza a piccoli passi, Ivan s'infilò velocemente sotto le coperte, evitando di osservare il volto di Alessia disteso in un'espressione beata. L'uomo si voltò verso la finestra, scrutando silenziosamente i dolci raggi dorati del sole che filtravano dalle persiane, gettando figure longilinee e auree lungo la parete opposta ad essa. Il disco solare era già sorto e scaldava radioso la terra, promettendo una giornata di bel tempo.
D'altra parte era giugno... tutte le giornate trascorrevano senza l'ombra di una nuvola a coprire il bagliore del sole alto e maestoso nel cielo.
Ivan sospirò, guardando verso l'orologio appeso al muro della stanza. Tempo dieci minuti, ed Emma sarebbe giunta correndo a destarli dal sonno, ignara della recita in cui i genitori inscenavano la coppia felice.
Poco dopo, udì uno sgambettare lesto e felpato attraverso il corridoio adiacente alla camera. Emma fece irruzione nella stanza con un sorrisone a trentadue denti dipinto in viso, tuffandosi successivamente nel lettone parentale e raggiungendo i genitori per dare loro il buongiorno con un abbraccio.
Il padre sospirò ancora, pensando che sopportava quella situazione solo per la figlia. Concentrandosi su quel pensiero, tirò fuori il miglior sorriso che riusciva a sfoderare, calandosi nuovamente nel difficile personaggio del marito felice.

***
 
Lidia s'alzò di buon'ora, com'era sua abitudine tutte le mattine. Aveva dormito malissimo: specchiandosi nell'ampio specchio a parete della camera che condivideva con Eva, notò subito le occhiaie e gli occhi lucidi e rossi che svettavano sul volto stranamente pallido, segni inequivocabili lasciati dalla notte insonne trascorsa a sfogare il dispiacere e la collera che dalla sera prima non l'avevano più abbandonata. Stava malissimo. E tutto a causa di Roberto e del suo tradimento. La castana maledì l'ex per l'ennesima volta, rivolgendogli tutti gli insulti e le ingiurie che riusciva a richiamare alla mente.
"Lidia, hai finito di imprecare? Voglio dormire!!" si lamentò a gran voce la sorella, ancora mezz'addormentata e accoccolata sotto le leggere lenzuola estive del letto, ricordandole che era mattina presto.
"D'accordo, d'accordo..." concesse la ragazza, lievemente innervosita dalla sorella minore.
Soddisfatta dalla risposta ottenuta, Eva ripiombò in pochi minuti nel sonno. Poco dopo, Lidia uscì dalla camera, dopo essersi vestita. Scendendo al piano inferiore della casa, la giovane s'affacciò alla cucina, cercando di sapere se la madre era già andata al lavoro. L'abitazione era immersa nel più completo silenzio: neanche suo padre era in casa.
Lidia sbuffò, consapevole del fatto che toccavano a lei le incombenze domestiche. Conoscendo Eva, lei non avrebbe mosso un dito per aiutarla, per cui la castana si mise di buona lena al lavoro, subito dopo la colazione, per riordinare le dieci stanze della dimora.
Verso le undici di mattina, quando era impegnata a preparare il pranzo, Lidia ricevette una chiamata piuttosto preoccupante da parte della madre. Sara, che lavorava come infermiera in un ospedale della città, era venuta a sapere che Aurelia, una compagna di classe della figlia maggiore, era rimasta coinvolta in un incidente stradale ed ore era ricoverata nella stessa struttura sanitaria in cui la madre della castana esercitava la sua professione. La donna non conosceva i risvolti della vicenda, né tantomeno sapeva dire a Lidia quali erano le condizioni di Aurelia, ma la rassicurò dicendole che non era grave.
Impensierita, Lidia andò a chiamare la sorella, comunicandole che sarebbe stata assente per un po'. Una volta uscita di casa, salì sul suo scooter e accese il motore, dirigendosi quindi verso l'ospedale. Dopo dieci minuti di strada giunse in vista dell'edificio. Una volta entrata, chiese informazioni alla reception e le fu comunicato che l'amica si trovava nel reparto del Pronto Soccorso, in quanto l'unico danno riportato durante il tamponamento era una gamba rotta.
Palesemente sollevata, la diciottenne decise di andare a farle una visita a sorpresa, tanto per accertarsi che stesse bene e che si fosse ripresa dallo shock. Lungo il corridoio incontrò la madre, piuttosto sorpresa di trovare lì la figlia. Dopo averle dato alcune informazioni per trovare la sezione che l'interessava e per non perdersi nell'edificio piuttosto vasto, Sara lasciò Lidia da sola, costretta dal dovere a tornare a concentrarsi sul lavoro.
La ragazza si perse quasi subito. La struttura era molto grande, di sei piani, e ci si smarriva facilmente. Dopo aver vagato mezz'ora invano, entrando nei vari reparti dell'edificio senza mai trovare la strada giusta, lei si sedette su una sedia nella sala d'aspetto appena fuori dal reparto di Cardiologia, ormai rassegnata a non andare più a trovare la compagna di classe infortunata. Ritornando indietro coi ricordi, la castana cercò di ricordare dove aveva visto l'entrata principale dell'edificio, ma non riusciva a richiamare alla mente quel dettaglio. Imprecò a denti stretti per la sua smaniosa frenesia di voler a tutti i costi trovare Aurelia, finendo poi per smarrirsi.
Dall'entrata della sezione di Cardiologia uscì un uomo sulla quarantina, alto, di bella presenza, con lisci capelli scuri, appena spolverati da una precoce bianchezza, cadenti su dei pungenti occhi nocciola. L'individuo indossava la tipica uniforme verde della professione di infermiere e teneva fra le mani cartelle cliniche e fascicoli vari. Si fermò per un lungo istante a osservarla. Lidia s'innervosì a quel minuzioso esame e si levò in piedi, camminando verso l'uomo per chiedergli indicazioni.
"Mi scusi, signore, saprebbe indicarmi la via più breve per l'entrata principale dell'ospedale? Mi sono persa..."
Lidia rimase a bocca aperta nel constatare che quella persona stava trattenendo una risata alla sua domanda. Stava per chiedergli sgarbatamente che diavolo aveva da ridere, ma il moro la precedette, parlando prima di lei.
"Va bene che è un sacco di tempo che non ci vediamo, ma... Lidia, non mi riconosci?" esclamò divertito l'uomo, osservando l'espressione dubbiosa e incerta della giovane a quel questito.
"Dovrei?" replicò lei, provocando la sua risata.
"Sono Ivan, il collega di tua madre Sara" specificò l'uomo con un sorriso.
La castana aguzzò lo sguardo per un momento, guardandolo meglio, quindi si batté il palmo della mano sulla fronte, ricordandosi finalmente di lui.
"Ah, già!... Signor Castellucci, non avevo proprio ricollegato lei a..."
"No, non devi scusarti" la interruppe Ivan, bonario. "E poi non trattarmi con così tanta deferenza... ormai sei grande. Avrai sì e no vent'anni."
"Diciotto" puntualizzò Lidia.
"Comunque, chiamami tranquillamente Ivan e dammi pure del tu. Anzi, mi faresti un favore: essere chiamato 'signore' mi fa sentire vecchio." Il moro rise ancora, suscitando un sorriso nella giovane. L'uomo si fermò un attimo a riflettere. "Mi avevi detto che eri in cerca dell'uscita?"
"Sì, Ivan" rispose Lidia, contenta di non dover più rispettare quelle sciocche convenzioni sociali e l'uso del lei in un dialogo con un adulto. Ivan era noto per la sua schiettezza e lei aveva sempre pensato bene di lui. Lo trovava una persona piacevole e intelligente che sapeva metterti subito a proprio agio in ogni occasione. Era uno dei pochi colleghi di sua madre che trovasse veramente simpatico. "Sono venuta qui all'ospedale per fare una visita a una mia amica che ieri sera ha avuto un incidente stradale, tuttavia mi sono smarrita. Cercavo il reparto del Pronto Soccorso, ma ho solo perso la strada. Adesso cerco l'uscita. Mi aiuti ad orientarmi nell'edificio?"
Ivan rifletté sul da farsi, guardandola con attenzione.
"Facciamo così: dato che io devo recarmi proprio lì per consegnare questi documenti, posso accompagnarti. Tu fai un saluto alla tua amica e poi ti faccio strada fino all'entrata principale dell'ospedale, così da non rischiare che tu ti perda nuovamente. Ci stai?" propose il moro.
Alla ragazza ci volle poco per decidere: desiderava accertarsi che Auelia stesse bene. A trovare l'uscita, ci avrebbe pensato dopo. Per cui assentì, accettando la compagnia dell'infermiere.
"Bene; allora seguimi" dichiarò l'uomo, conducendola verso il reparto. Lidia lo seguì.
Ad un certo punto, lui le cinse casualmente le spalle con un braccio in modo delicato, per attirare la sua attenzione mentre le spiegava la struttura di quell'ala dell'edificio. Al contatto entrambi sobbalzarono, specialmente Ivan, che aveva avvertito mancare un battito del cuore. Si riprese abbastanza in fretta e, continuando a parlarle, condusse la castana fino al reparto tanto agognato. Lei però non sembrava ascoltarlo; aveva l'aria irrequieta e assorta e ogni tanto gli lanciava un'occhiata incuriosita.
Ivan continuò a discorrere con lei, dando un'impressione di imperturbabilità, anche se, dentro di sé, il turbamento di quel semplice contatto lo aveva sconvolto. Perché si sentiva così inquieto ed emozionato?

***
 
N.d.A.
Salve a tutti e buon venerdì pomeriggio!
Bon, si è arrivati finalmente alla conclusione di questo secondo capitolo. Qui fa la sua comparsa Ivan, il coprotagonista della storia, che sconvolgerà la vita di Lidia.
Ringrazio chi leggerà il capitolo e magari deciderà di lasciare una recensione, che sia critica, neutra o positiva, dedicando un po' del suo tempo a commentare la mia storia.
Inoltre ringrazio myllyje che ha inserito la fic tra le seguite.
Bene, mi dileguo. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate...
Ciao!


Flame

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.



Lidia era stata turbata parecchio da quel gesto. Ovviamente Ivan le aveva cinto le spalle con innocenza e solamente per attirare la sua attenzione, al fine di mostrarle  la strada per il reparto che cercava. Eppure quel contatto era stato inaspettato, strano, piacevole. L'uomo era stato delicato e gentile e lei aveva avvertito per un momento il cuore battere aritmicamente, lasciandola sorpresa e sconvolta, ma non negativamente.
Anche Aurelia aveva notato come lei fosse sovrappensiero, una volta che la ragazza era finalmente giunta nella sua camera per far visita all'amica infortunata. Perché pensava ancora a quel tocco casuale? E a Ivan? Non riusciva a comprendere il motivo. Si sentiva confusa e scombussolata.
Una volta uscita dalla stanza in cui Aurelia riposava dopo l'incidente, aveva evitato di incontrare nuovamente l'infermiere, sgattaiolando inosservata per un'uscita posteriore dell'edificio ospedaliero, senza farsi scorgere. Si sentiva un'ingrata: non l'aveva nemmeno ringraziato per averla guidata nella struttura, aiutandola a non perdersi.
Roberto le interessava sempre meno, ormai. Erano trascorsi più di dieci giorni da quando l'aveva mollato e, dopo l'iniziale momento di amarezza e risentimento, era scivolata in una sorta di apatia menefreghista nei confronti dell'ex, lasciando correre via il dispiacere e la delusione provati. Il giovane occupava a malapena l'ultimo dei suoi pensieri.
Era luglio, ormai, con la sua aria afosa e il bagliore del sole che infuocava la volta celeste. Le uscite con le amiche, le vivaci scampagnate al mare verso la - relativamente - vicina Livorno, i bei pomeriggi passati nel centro storico della meravigliosa città in cui viveva, Firenze, le riempivano le giornate, facendola sentire viva e vibrante di gioia, seppur a modo suo. Il dolore e la frustrazione del tradimento subito bruciavano ancora piuttosto ardenti, anche se Lidia, per sua natura, era una persona capace di cicatrizzare in fretta le sue ferite e che odiava compiangersi e mostrarsi vulnerabile. Fingeva di essere serena, perché non lo era pienamente: si mostrava tale solo per una mera questione d'orgoglio, però era pure cosciente del fatto che, prima o poi, per lei sarebbe tornata la felicità, quella vera, e quindi attendeva con pazienza la svolta positiva che le avrebbe rivoluzionato la vita.
Intanto, la castana aveva sviluppato una singolare, quanto ossessiva curiosità nei confronti del collega della madre. Non le riusciva di scacciarlo dalla mente: magari non ci pensava, però il ricordo di quello strano sussulto del cuore al semplice contatto del braccio di lui sulle sue spalle era sempre presente in un angolino della sua mente, pronto a fare capolino di quando in quando, senza mai abbandonarla completamente. Quasi inconsapevolmente, cominciò a porgere domande più o meno implicite sulla vita di Ivan, chiedendo a Sara, a Domenico e a chiunque altro lo conoscesse delle informazioni sull'infermiere. S'interessava di ogni minimo dettaglio della sua esistenza, a partire dalla famiglia, passando per il lavoro, gli interessi personali e finendo con i particolari più strani e intimi di cui venne a conoscenza. Prima a malapena sapeva che era un collega della madre, sposato e con una figlia. In brevissimo tempo, invece, era riuscita a scovare molte informazioni su di lui, perfino della crisi matrimoniale che stava attraversando con la moglie adultera e del fatto che non aveva voluto separarsi per non sconvolgere la serenità di sua figlia Emma, una bimbetta con una grande e oppressiva sensibilità che spesso aveva bisogno del supporto altrui. Lo giudicava nobile per quella scelta, perché sacrificava la sua felicità in nome della creatura che amava più di tutto e tutti al mondo, assolvendo completamente ai suoi doveri di padre.
Ormai era attratta da Ivan come una falena è attratta dal bagliore tremulo di una lampada nelle tenebre. E non riusciva ancora a comprendere perché.
***
 
Ivan si risistemò dopo il turno, cambiandosi d'abito nel locale adibito a spogliatoio per gli infermieri del reparto in cui lavorava. Si stava preparando per tornare a casa, dove l'aspettava una tranquilla serata senza la moglie, che quel giorno svolgeva un turno di notte presso l'abitazione nella quale prestava servizio come colf e partiva da casa appena prima del rietro del marito a casa, in modo da non lasciar sola Emma troppo a lungo.
L'uomo sospirò sollevato, ben contento di non dover trascorrere la serata con Alessia, verso la quale il disprezzo e il rancore crescevano costantemente di giorno in giorno. Non l'amava più. Il tradimento era stato un colpo troppo forte per il suo sentimento amoroso. Si era accorto con una bizzarra consapevolezza che il suo era stato solo un innamoramento, un'infatuazione rafforzata dal matrimonio e dalla nascita della bambina, ma nulla più. Non era amore vero, quello.
Tentando di pensare a qualcosa di positivo per evitare che le emozioni negative che provava lo travolgessero - come spesso capitava -, il bruno focalizzò la propria attenzione sulla festa di compleanno di Marco, il secondogenito di Giorgio e Maria, che compiva otto anni il lunedì seguente. Essendo il migliore amico di Emma, l'avevano ovviamente invitata al party insieme ai genitori di tutti i loro compagni di scuola non andati in vacanza.
Era venuto a sapere da Sara che ci sarebbero stati anche lei col marito Domenico e le figlie Lidia ed Eva, in quanto amici intimi della famiglia del bambino.
Sicuramente, Lidia sarebbe venuta per far compagnia all'amica Celia, sorella maggiore del festeggiato che era costretta ad essere presente alla festa del fratellino e che certamente si sarebbe annoiata a trascorrere tutta sola un pomeriggio tra adulti con figli e bambini che giocavano.
In un certo senso, Ivan era impaziente che arrivasse lunedì. Aveva l'opportunità di rivedere la figlia della collega. La giovane e bella ragazza era diventata un pensiero fisso nella sua mente durante quegli ultimi giorni, il tutto a causa di quel contatto. Lidia aveva avuto una reazione stranissima e lui non ne capiva il motivo. D'altra parte, non comprendeva nemmeno perché lui stesso si fosse sentito tanto turbato nel cingerle le spalle con il braccio. Era nella più totale confusione.

 
***
 
Sulla via di casa, quando Ivan era in auto, la macchina si arrestò improvvisamente. Tentò di farla ripartire più volta, ma fu tutto inutile. Stava solo perdendo tempo a rianimare una carcassa. Maledì a voce alta il motore di quella vecchia Punto bianca, rivolgendole tutti gli epiteti ingiuriosi che richiamava alla mente.
Ora come poteva fare? Certamente Alessia non poteva certo venire a prenderlo per dargli uno strappo fino a casa, perché era già a lavorare. Sua madre Miriana non aveva la patente e suo marito Giovanni non poteva guidare perché recentemente aveva avuto un ictus e aveva rischiato di fare un incidente, lasciandoci quasi le penne. Suo fratellastro Gianluca, nato dal secondo matrimonio di Miriana, non era in città in quel periodo, essendo partito per una vacanza in Spagna con gli amici dell'università. Chi poteva chiamare per farsi portare a casa il prima possibile?
Solo un collega, non c'erano altre soluzioni.
Senza pensarci troppo, l'uomo prese il cellulare e digitò il numero di colei che sapeva lo avrebbe sicuramente aiutato.
Dopo tre squilli, Sara rispose al telefono. Lei quel giorno non era andata al lavoro, in quanto aveva il riposo. Si augurò che non fosse impegnata, perché altrimenti si sarebbe dovuto fare a piedi cinque chilometri, per giunta alle nove di sera, e doveva tornare a casa il prima possibile, dato che Emma era sola.
"Sara, sono a piedi... la macchina non ha retto" spiegò Ivan alla collega, crucciato, dopo il saluto iniziale.
"Che ti dicevo? 'Cambia quel catorcio, perché prima o poi ti lascerà per strada!'... e tu che fai? Non ascolti nemmeno!" esclamò ironica la donna, scoppiando a ridere divertita.
Anche il moro rise, appuntandosi mentalmente di chiamare il carro attrezzi per far rimuovere di lì la vettura, insolitamente tranquilla e poco trafficata per essere così poco distante dal centro storico di Firenze.
"Mi potresti venire a prendere? Dai, altrimenti Emma rimane a casa da sola per chissà quanto! Sono lontano da casa, e di molto! E in più sono anche in ritardo..."
"Sono desolata, Ivan, ma credo proprio di non poterti fare questo favore... Sono a casa, adesso, e ho proprio tanto da fare. Non ce la faccio a venire a prenderti... Neanche Domenico c'è, è a una cena di lavoro e non so quando torna... A proposito, dove ti trovi, precisamente?"
"Per farti un'idea, mi sono fermato poco prima di Piazza del Duomo. Sono vicino alla Cattedrale" precisò l'uomo, rodendosi il fegato per uscire da quella situazione snervante.
"Aspetta un attimo, Ivan! Lidia ha preso la patente a maggio... posso mandare lei. Non credo che abbia nulla di importante da fare in questo momento, per cui può senz'altro farti questo favore qua. L'unica cosa che devi fare è darle le indicazioni per arrivare fino a casa tua; lei non conosce la strada" propose improvvisamente Sara, lasciando l'infermiere di stucco.
Lidia... aveva l'occasione di rivederla, magari pure di parlarci un po' assieme, solo per la curiosità di conoscerla meglio. Non gli dispiaceva per nulla quella possibilità, perciò accettò di buon grado.
Udì Sara chiamare a gran voce la figlia maggiore, chiedendole poi di farle un favore. Si susseguì uno breve scambio di battute sottovoce, del quale Ivan comprese solo poche parole frammentate.
Da quanto era riuscito ad afferrare, la giovane sembrava riluttante, tuttavia bastò un'insistenza della madre a costringerla ad accettare l'incarico.
Sara quindi disse all'uomo che Lidia gli avrebbe dato un passaggio di lì a poco, poi si fece comunicare la posizione esatta dell'infermiere.
"Possiamo vederci direttamente davanti alla Cattedrale di Santa Maria dei Fiori" suggerì il bruno.
"D'accordo. Dirò a Lidia che lo attendi lì. Tu aspettala all'entrata" propose la collega.
Ivan non trovò nulla da ridire e, scusandosi più volte per il disturbo e l'incomodo provocato a lei e alla figlia, ringraziò la donna per quella sua cortesia. Detto ciò, riattaccò. Quindi si diresse a piedi verso il Duomo, distante circa un centinaio di metri da lì, e si sedette sui gradini più bassi dell'edificio sacro, attendendo l'arrivo della ragazza.
Era impaziente. Voleva assolutamente rivederla, maari pure chiederle il motivo del bizzarro comportamenti, subito dopo un contatto, all'ospedale, qualche giorno prima. Un po' si sentiva in colpa, perché aveva colto l'occasione per soddisfare una curiosità che il suo raziocinio definiva sciocca e immotivata. Si sentiva un po' un approfittatore.
Poco dopo, un'elegante Lancia Musa nera s'accostò al marciapiede adiacente alla strada che costeggiava il fianco destro del Duomo. Ivan riconobbe subito l'auto dell'infermiera sua collega e si diresse verso la vettura, il cui finestrino anteriore sinistro era abbassato.
Lidia era seduta al posto del conducente e lo stava fissando. L'uomo guardò la ragazza, che indossava una leggera camicetta azzurra a maniche corte e un paio di calzoncini al ginocchio in denim. Pensò che fosse molto carina con indosso quegli abiti che facevano risaltare il colore vivo delle sue iridi.
Ivan avvertiva i suoi occhi azzurri, splendidi e sinceri come frammenti di cielo estivo, che lo osservavano, quasi contemplando la sua alta figura atletica e longilinea, soffermandosi poi sulle sue iridi color nocciola, pungenti es espressive, che ricambiavano l'occhiata senza battere ciglio.
L'espressione seria della ragazza infine si distese e lei sorrise timidamente.
"Buonasera, Ivan" lo salutò con un fil di voce.
"Buonasera anche a te, Lidia" rispose l'uomo al saluto, ricambiando il sorriso.
La castana gli fece un cenno con la testa, invitandolo a salire.
"Prego, entra... ti porto a casa" gli disse.
Il moro si rese conto solo ora di essere stato lì per parecchi secondi a fissarla con insistenza. Gli venne l'impulso di ridere per quella piccola figuraccia, ma si trattenne.
Dirigendosi verso la portiera anteriore del passeggero, salì nella macchina e si allacciò la cintura, ringraziando Lidia per essere venuto a prenderlo e per il passaggio a casa che gli stava dando, mentre la ragazza accoglieva i ringraziamenti e le goffe scuse per il disturbo arrecatole dall'uomo con un lieve tentennamento del capo.
La Lancia ripartì, immersa nel più imbarazzato silenzio, perché entrambi non sapevano cosa dirsi.

 
***

N.d.A.
Salve a tutti!
Sono contenta di aver postato anche questo capitolo, perché la rete Wind non faceva ^^' alla fine però ci sono riuscita. Non che importi a chicchesia leggerlo, ma per mia soddisfazione personale.
Comunque, noto che nessuno recensisce. Fa così tanto schifo la storia? Spero di no. Mi dispiacerebbe un sacco.
Spero che qualcuno apprezzi questo capitolo.
Bon, termino qui. A presto!


Flame

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.


Un silenzio imbarazzato la faceva da padrona nella Lancia Musa. Lidia era fin troppo concentrata sulla guida del mezzo, gli occhi azzurri incollati sulla strada, le mani serrate sul volante. Aveva chiesto ad Ivan, appena salito sull'auto, se gli andava di ascoltare un po' di musica, ma lui non aveva detto né sì né no, limitandosi a rispondere che era la stessa cosa. Alla fine Lidia si era decisa a lasciare spenta la radio, dato che l'unico tipo di musica che lei fosse disposta ad ascoltare erano il nu metal e l'hard rock, generi decisamente non troppo orecchiabili per i quarantenni o giù di lì.
Ivan era intimidito da quel tacito accordo di non dialogare. In genere l'uomo era molto spigliato e allegro con tutti, ma quella ragazza lo intrigava, lo faceva anmmutolire. Gli faceva uno strano effetto.
Sprofondato nel sedile del passeggero anteriore, accaldato dall'aria afosa della serata di metà luglio appena mitigata dal condizionatore d'aria acceso che spargeva un flebile alito di frescura nell'abitacolo della macchina, l'infermiere osservava ora un po' fuori del finestrino, scorgendo appena gli edifici della città fiorentina passargli davanti a velocità media, ora un po' verso la strada, ora un po' all'interno della Lancia. Si soffermò a guardare per un momento il volto della giovane al volante, contemplandone le labbra rosse e morbide, il naso greco, gli occhi azzurri e vigili, la fronte e le sopracciglia perennemente aggrottate, il volto a forma di cuore. Ammise tra sé che nonostante non fosse bellissima, quei lineamenti le davano un'aria a metà fra il serio e il sarcastico che li particolareggiava, rendendola molto più interessante di una qualsiasi bellezza priva di carattere. Era affascinante.
Per timore che lei potesse accorgersi di quello sguardo così fisso e prolungato, gli occhi di Ivan corsero subito verso un qualsiasi punto della macchina, capitando per caso sulla quindicina di CD che se ne stavano ammucchiati in un piccolo vano inserito fra i due sedili anteriori.
"System Of A Down, Muse, Linkin Park... e anche due CD di Serj Tankian!" esclamò sorpreso Ivan, catturando l'attenzione di Lidia.
Lei gli rivolse un breve sguardo, poi tornò a concentrarsi visivamente sulla guida, prestandosi però ad intavolare finalmente una conversazione con lui, sciogliendo l'imbarazzo che gravava nell'aria.
"Non sapevo che Sara ascoltasse questi artisti, sai? Non la facevo proprio un'accanita del nu metal e del rock" disse squittendo divertito. La collega diceva sempre di detestare quella musica progressista e, a detta di lei, 'inascoltabile e chiassosa'.
"Infatti non lo è" replicò la giovane ridendo. "Questi CD sono miei... li tengo qui perché mia madre non usa quasi mai la macchina e perciò io ci sto spesso. Lei non potrebbe ascoltare per più di trenta secondi neanche 'Follow Me' dei Muse, anche se non è propriamente una canzone rock" spiegò con un sorriso ironico a fior di labbra. "Mamma ascolta sempre e solo le canzoni di musica leggera che passano alla radio."
"Quindi a te piacciono questi due generi" asserì Ivan, rilassato.
"Sì, e molto... solo che a quanto pare sono l'unica in tutta Firenze a farlo."
"Aha! Non credere di essere l'unica, mi aggiungo anche io" la contraddisse l'infermiere.
Lidia gli rivolse un breve sguardo a metà fra il meravigliato e l'ironico.
"Maddài..."
"Ti giuro che è così" la rassicurò Ivan. "Anche se credo che non riuscirò a convincerti del tutto, data la mia età avanzata" e le rivolse un sorriso sornione.
"Be', non sei tanto vecchio... tutt'al più, fra qualche anno, ti dateranno come reperto degli anni Settanta" s'arrischiò a dire la castana, ridendo vivacemente.
Il bruno non se la prese per quella presa in giro, in fondo Lidia l'aveva detto solo per scherzare. Anzi, tanto per stare al gioco, continuò a scambiarsi delle battute mordaci con lei, instaurando un'aria allegra durante il tragitto verso la sua casa.
Dopo un po' il silenzio scese nuovamente tra di loro.
"Ti va di ascoltare un po' di musica?" chiese nuovamente Lidia. "Altrimenti rischiamo di annoiarci... Credo che staremo bloccati per un po' nel traffico" aggiunse dopo qualche istante, incupendosi lievemente.
"Cosa?!" borbottò Ivan a denti stretti, scurendosi in volto. Emma lo aspettava sola a casa da un pezzo, ormai, e lui era anche in ritardo notevole.
In effetti il moro aveva notato un rallentamento della vettura, ma, preso com'era dalla conversazione con Lidia, non aveva fatto caso alle macchine che s'incolonnavano davanti a loro.
"Deve essere successo un incidente, altrimenti non si spiega questa coda di auto... la viabilità di questa strada è sempre molto veloce" mormorò Lidia.
Dopo un po' furono costretti a fermarsi definitivamente. Nella mezz'ora in cui restarono bloccati, Ivan appariva sempre più nervoso.
"Mi dispiace" disse a un tratto la ragazza. "Non dovevo prendere questa via."
L'uomo si voltò a guardarla negli occhi, stupito.
"Ma di cosa ti scusi... mica è colpa tua, non potevi certo saperlo. Non sono nervoso per essere rimasto bloccato, il problema è che mia figlia Emma è da sola a casa e mi aspettava per venti minuti fa; stanotte Alessia fa un turno di lavoro e perciò sono io a doverla mettere a dormire. Non posso nemmeno chiamarla a casa per dirle che farò tardi. E' troppo piccola per poter avere un proprio cellulare e il telefono fisso non lo teniamo perché non c'è mai nessuno a casa che risponde... Accidenti!" esclamò digrignando leggermente i denti.
"Aspettami qui" decise a un tratto Lidia, slacciandosi la cintura di sicurezza e scendendo dalla Lancia.
Ivan non fece in tempo a chiederle dove stava andando che si vide sbattere in faccia la portiera.
Aspettò cinque minuti, poi vide la giovane tornare alla macchina. Rientrò nell'abitacolo e si riallacciò la cinta di sicurezza, poi si voltò verso di lui per parlargli.
"C'è stato un tamponamento piuttosto violento a un centinaio di metri più in su di qui. Già hanno portato via i feriti, ma le macchine sono rimaste ferme sul luogo dello scontro. I vigili stradali hanno deciso di deviare la colonna del traffico in una strada palarrela a questa e si stenno organizzando. Il problema è presto risolto: in dieci minuti saremo fuori da qui" gli spiegò con un sorriso.
L'uomo si rilassò.
"Quanto dista casa tua da qui?" gli chiese poi la castana.
"Mah... circa cinque minuti di strada."
"Ok. Per le dieci e un quarto sarai a casa" lo rassicurò.
Ricominciarono a chiacchierare del più e del meno, stavolta con più rilassatezza, dato che sapevano di dover attendere.
"Mi dispiace di aver chiamato tua madre, stasera... ti ha obbligata a riaccompagnarmi. E poi guarda che è successo."
Lidia fece spallucce.
"Non importa, Ivan. Anzi, devo ringraziarti: mamma si era messa in testa di rimettere a posto le piante del terrazzo e io non avevo nessuna voglia... mi hai tolto una faccenda in più" e la ragazza ridacchiò.
Anche l'uomo si unì alla sua risata.
"Sara è fatta così, non riesce mai a stare ferma e tranquilla... Ti ha mai raccontato di quella volta all'ospedale?"
Lidia fece segno di diniego con il capo, scrollando lievemente i mossi capelli castani.
"No, la mamma non mi racconta mai niente del lavoro. Che cosa è successo?" domandò, in preda alla curiosità.
Il bruno si voltò verso di lei per poterla guardare meglio mentre narrava.
"Allora, un nostro collega aveva sbagliato a consegnare delle cartelle cliniche confondendo i reparti in cui doveva portarle. Tua madre doveva tornare a casa, avendo finito il suo turno di lavoro, così come me, Patrizia e Matteo, altri due infermieri.  Appena è venuta a sapere dello scambio di cartelle ha obbligato tutti e quattro a cambiarci e rimettere le nostre divise da lavoro e a cercare i documenti confusi per tutto l'edificio... Non ti dico che casino che abbiamo fatto. Abbiamo perso tre ore di tempo dietro a quei fogli" ridacchiò Ivan. "Alla fine, però, tutte le cartelle sono state rimesse a posto e consegnate a chi di dovere e Sara ci ha dato il permesso di poter tornare alle nostre famiglie" concluse con un sorriso divertito dipito sulle labbra.
"Mi sarei stupita se avesse fatto il contrario, cioé se se ne fosse fregata" commentò la figlia dell'infermiera.
Dopo qualche minuto la colonna di auto davanti a loro si era mossa e la Lancia era potuta ripartire. Alle dieci e un quarto, come promesso da Lidia, l'auto nera era parcheggiata davanti all'edificio in cui abitava l'uomo, individuato grazie alle indicazioni stradali dello stesso.
Una volta parcheggiata la Lancia, Ivan scese. Anche la ragazza uscì dalla macchina e si avvicinò a lui.
"Be'..." cominciò l'uomo, "grazie per avermi riaccompagnato. E ringrazia Sara per il favore che mi ha fatto - cioé, che tu mi hai fatto."
"Ok" replicò la giovane. Stava per voltarsi, quando lui le afferrò improvvisamente il polso. Lidia si immobilizzò, vinta da quel contatto. La stretta era delicata e leggera, ma ferrea. Volse gli occhi celesti su di lui, guardandolo interrogativamente.
Le penetranti iridi nocciola di Ivan erano fisse su di lei e la osservavano con riconoscenza.
"Per qualsiasi cosa di cui tu debba aver bisogno, sappi che puoi contare su di me" le disse semplicemente, lasciando poi che la stretta sul suo polso diminuisse. La sua mano scivolò in quella di Lidia, stringendola leggermente, poi trascinò con delicatezza la ragazza verso di sé.
Ciò che Lidia provò in quegli istanti, non seppe comprenderlo nemmeno lei. Il cuore cominciò a batterle più forte nel petto, così pulsante che lei temeva che Ivan avrebbe potuto avvertirlo chiaramente. Si sentì avvampare, ma fortunatamente la luce dei lampioni era fioca e l'uomo non l'avrebbe notato molto. Un invincibile languore le avvolgeva lo stomaco, lasciandola confusa, tormentata, emozionata.
Anche attraverso l'oscurità di quella sera caldissima la giovane poté distinguere la limpidezza del colore degli occhi di Ivan. Erano acuti, perspicaci, e la contemplavano in un modo così attento che lei ebbe la certezza che potessero leggerle nell'animo. Si sentì tremare sotto quello sguardo intenso e le parve che un nugolo di farfalle avesse cominciato a svolazzarle furiosamente nello stomaco. Che stava succedendo? Si stava per caso prendendo un abbaglio per quell'uomo?
Dal canto suo, Ivan la scrutava con tranquillità e con attenzione. Lidia era una ragazza interessante e gli sembrava volitiva, forte, determinata. Era impossibile per l'uomo starle lontano. Nei giorni seguenti al loro primo incontro, dopo tanto tempo in cui non si erano visti, aveva pensato, senza quasi accorgersene, a tutti i modi possibili per rivederla, alle occasioni che gli si presentavano davanti in un futuro prossimo per raggiungere tale scopo. Tante volte il filo dei suoi pensieri era stato interrotto prepotentemente dal pensiero di Lidia, e Ivan si perdeva nella rievocazione di ogni dettaglio del viso della ragazza che gli riusciva a richiamare alla mente, dato che il loro incontro era stato molto breve. Molti pensieri che la riguardavano affollavano la testa dell'infermiere. Lei era una luce nella notte e lui la falena che, attratta da essa, era incapace di smettere di aleggiarle intorno furiosamente. Era irresistibile.
Fu con un grandissimo sforzo di volontà che le lasciò andare il polso.
"Buonanotte, Lidia" le mormorò vicino al volto, fortemente tentato di sfiorare con le labbra quella chiara pelle che sotto la tremula luce lunare appariva diafana.
Fece per girarsi, ma fu con immensa sorpresa che avvertì il corpo di lei precipitarsi in avanti e aderire al suo in un caldo abbraccio, seguito dopo un istante da un lievissimo bacio a stampo sulla guancia.
"Buonanotte" sussurrò lei al suo orecchio e, rapida come un falco, quasi volò via nella notte, lontano da lui, rifugiandosi nell'abitacolo della Lancia per poi ripartire subito dopo.

 
***
N.d.A.
Salve a tutti, lettori, recensori, nottambuli e addormentati (?).
Eccomi qui con il quarto capitolo della storia. A voi i commenti, dato che non ho voglia di riepilogare tutto ciò che accade nel capitolo - cortino come gli altri, ma i prossimi si allungheranno di molto.
Spero che l'aggiornamento abbia soddisfatto chi segue la storia ^^
Ringrazio Tanny che mi ha lasciato una recensione graditissima nel capitolo precedente e anche chi segue la storia e la legge senza commentare. Mi auguro che il capitolo vi piaccia ;)
Bon, mi dileguo.
Notte notte! :*


Flame

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5.


Lidia si sentiva frastornata. Aveva fatto qualcosa di stupido, di insensato, di illogico. Mentre guidava la Lancia Musa nera della madre, la ragazza pensava e ripensava all'istintivo slancio di affetto che l'aveva portata ad abbracciare e baciare Ivan. Il collega di lavoro della madre. Un uomo di vent'anni più grande. Quasi uno sconosciuto, per lei.
La giovane continuava a insultarsi mentalmente per essersi lasciata andare all'impulso, che l'aveva improvvisamente colta, di avvertire stretto a sé il suo corpo. Chissà cosa stava pensando adesso di lei il povero malcapitato. Molto probabilmente avrebbe detto tutto a sua madre e lei avrebbe dovuto trovare una spiegazione per quel comportamento così bizzarro.
Il peggio era che nemmeno Lidia stessa sapeva trovare un'interpretazione al suo gesto istintuale. Per la sua mente razionale e precisa quell'atto era inspiegabile e, soprattutto, imperdonabile. S'era lasciata cogliere da un'emozione che non avrebbe dovuto provare e che le aveva procurato solo una cosiddetta figura di merda. Con un uomo più grande, poi. E amico di famiglia. E collega di sua madre. E... e... be', e anche un individuo affascinante.
Ok, ammise finalmente Lidia con se stessa, diciamo che è sexy. Molto sexy. La ragazza ripensò ai penetranti occhi nocciola di Ivan, così intensi e indagatori che le avevano dato l'impressione di poterle leggere nell'anima. Così profondi, e limpidi, e seri... che lei non riusciva più a dimenticarseli.
Lidia, cazzo, non dare di volta con il tuo cervello bacato. Ha vent'anni in più di te!
Eppure, più ci pensava, più le sembrava naturale pensare a lui e perdersi nel ricordo di quelle iridi dal colore quasi insignificante ma dall'espressione così fuori dal comune.
Scrollando il capo con fastidio, lasciando fluire via dalla testa tutti i film mentali che si stava facendo su Ivan - con tanto di annessi e connessi -, Lidia alla fine riuscì a prestare un po' d'attenzione alla guida, tornando a casa sana e salva dopo la manciata di minuti che la separavano dalla sua abitazione.
Una volta accoccolatasi nel proprio letto al di sotto delle lenzuola di lino, incurante della calura estiva che permeava la notte e che le rendeva i capelli appiccicosi e la pelle umida e accalorata, la giovane si trastullò nel riesame della serata che aveva trascorso. Rievocò lo stravagante ordine impartitole dalla madre di fare da autista personale ad un suo collega di lavoro lasciato a piedi dalla propria macchina, passando poi per le resistenze che l'avevano quasi portata a una discussione. Ricordò con particolare vividezza la figura slanciata che se ne stava accomodata sulla scalinata della navata principale della Cattedrale fiorentina, figura che poi le si era avvicinata e con cui lei aveva parlato, riso, approfondito, seppur di poco, la conoscenza. Ricordò la stretta al cuore inattesa e indomabile che l'aveva colta quando lui stava per voltarsi, diretto verso la propria abitazione e la figlia. E l'impetuoso slancio in avanti che l'aveva portata fra le sue braccia, avviluppata al suo duro torace, con le labbra, colte nell'atto di baciare, lievemente pizzicate dall'accenno di barba sulla mascella di lui, e le narici piene del profumo della sua pelle. Poi la propria fuga, repentina e immotivata.
Mugolando disperata, Lidia tuffò la testa nel cuscino, come per tentare di concentrarsi su qualcos'altro che non fosse la figuraccia fatta davanti all'uomo che le interessava.
No, no, no... Sbuffò animosamente, inviperita con la vena sarcastica della propria coscienza, strofinando il viso contro il tessuto delicato della federa. Come avrebbe fatto il lunedì seguente, alla festa di compleanno di Marco? Era obbligata ad andarci con la sua famiglia: era stata minacciata di una settimana senza uscite. Perché sua madre era così odiosamente severa anche per le festicciole tra amici di famiglia? E sicuramente la presenza di Ivan, il padre della migliore amica del festeggiato, sarebbe stata inevitabile, salvo imprevisti colpi di fortuna che stranamente non le capitavano mai. Si sentì sprofondare nello sconforto. Era una stupida. Stupida! Stupida! Stupida!
Mentre era immersa nel flusso tumultuoso delle sue riflessioni, un pensiero improvviso la colse, lasciandola felice ed eccitata: conosceva il suo indirizzo. Con un po' di fortuna e senza farsi vedere, si disse, avrebbe potuto rivederlo più volte. Era certa che quello sarebbe stato l'unico modo per lei di poterlo osservare ancora, dato che Lidia era più che convinta di non avere più il coraggio nemmeno per guardarlo in faccia, figuriamoci di parlarci anche solo per due minuti.
Così, con la mente che vagava da un pensiero a un altro senza reale coerenza logica, la giovane si assopì nell'alternanza di buonumore e desolazione, il tutto misto alla più completa confusione mentale.

***
 
Ivan si rigirò per l'ennesima volta nel proprio letto, ancora indeciso se stabilire che la causa della sua insonnia fosse il caldo insostenibile o il ricordo di quell'abbraccio fuggevole e impetuoso.
Quella sera, dopo aver fornito un dettagliato resoconto dei fatti ad Emma che, allarmata dal prolungato ritardo del padre, appena l'aveva visto entrare gli si era gettata fra le braccia in preda al sollievo, l'infermiere era riuscito a mettere a nanna la figlioletta solo dopo le undici e mezza.
In quel momento Ivan gettò un'occhiata all'orologio appeso alla parete della camera nuziale, in cui era riuscito finalmente a dormire, una volta tanto, senza la presenza molesta della moglie. Le lancette segnavano le due spaccate. In quella notte di luglio, per la prima volta dopo tanto tempo, i suoi pensieri erano giustamente rivolti a una persona che sì, gli causava turbamento, ma non in senso negativo, come era capace Alessia, ma positivo, che gli ridava serenità e interesse per la vita e per ciò che gli stava intorno. Pensare a Lidia era per lui un modo per evadere dalla routine, dalla malinconica monotonia della sua vita.
Fu con dipinto in mente il timido sorriso che vedeva talvolta fare capolino sulle labbra della ragazza che l'infermiere cadde nel sonno. Quella notte la passò tranquillamente, seppur riposando solamente cinque ore scarse.
La mattina dopo si alzò presto, intorno alle sette, perché aveva un turno mattutino. Fece colazione con la sola, gradita compagnia della figlia, poi indossò la sua uniforme verde menta. Prima di partire per andare al lavoro, chiamò il carro attrezzi per chiedere la rimozione della carcassa inanimata della sua vecchia Punto bianca, per cui era ormai giunta l'ora di andare in pensione. Attese quindi che la moglie rincasasse dal suo turno di lavoro notturno.
La madre di Emma, una bella donna alta e formosa sulla trentacinquina, coi capelli rossi tinti e l'aria stanca e assonnata, rientrò poco dopo le sette e mezza, trascinandosi dentro casa piano piano. Il marito le spiegò cos'era successo la sera precedente e le chiese di poter usare la sua macchina per poter andare al lavoro. Ivan, tuttavia, omise il dettaglio della presenza di Lidia nella Lancia al posto di Sara, mentendo a proposito del passaggio che gli aveva dato la ragazza. Non sapeva perché, ma voleva che meno gente possibile sapesse del fatto, come se fosse stato un segreto da celare o un'azione sbagliata da non ripetere.
Una volta che ebbe ottenuto le chiavi dell'auto di Alessia, Ivan portò con sé Emma, che era stata invitata a trascorrere l'intera giornata a casa di Marco. Quando ebbe consegnato la figlia a Maria, la madre del bambino, promettendo che sarebbe passato a prenderla intorno alle sei del pomeriggio, l'infermiere ripartì, diretto all'ospedale in cui prestava servizio.

***
 
Lidia maledisse per l'ennesima volta le vespe. Perché dovessero capitare tutte a lei, in quello stramaledetto luglio, non sapeva spiegarselo. L'unica cosa di cui era cosciente era che la sua sfiga era infinita.
Quella mattina, intorno alle sette e mezza, l'adolescente si era levata di scatto dal proprio letto, balzando in piedi e saltando giù da esso, con la mano destra che stringeva l'avambraccio sinistro. Le pareva di avere un piccolo tizzone ardente che le penetrava lentamente la carne dell'arto, provocandole un dolore insopportabile. Lidia tendeva infatti ad estremizzare ogni cosa, specialmente se si trattava di punture di vespa. L'insetto volante l'aveva punta in reazione al veloce schiaffo che la ragazza, ancora mezz'addormentata, aveva dato all'aria per scacciarlo via, convinta che si trattasse di una mosca.
La giovane era allergica alle api e alle vespe. Già da piccola aveva rischiato uno shock anafilattico e, per questo, doveva andare subito in ospedale e farsi somministrare un antistaminico e del cortisone per placare gli effetti della puntura prima che potessero aggravarsi e farle rischiare grosso.
Con la consapevolezza di un rischio così grande, Lidia era schizzata nella camera dei genitori, svegliando con un grido la madre e il padre che dormivano pacificamente. In breve tempo aveva spiegato la dinaminca dell'accaduto e, con su solo le infradito, i pantaloncini di jeans e la semplice maglietta che aveva indossato la sera prima era stata portata immediatamente al Pronto Soccorso più vicino, non dopo aver estratto il pungiglione e medicato la ferita.
Ora Lidia se ne stava seduta su una panchina del corridoio del Pronto Soccorso, in attesa di farsi controllare. Il braccio punto, infatti, aveva reagito curiosamente gonfiandosi e arrossandosi, ma i sintomi di un possibile shock non si erano ancora presentati e ciò era assai strano. Sara, immersa nelle proprie riflessioni, le stava accanto in piedi, pensando a ogni possibile motivo per una così bizzarra reazione allergica.
Sbuffando infastidita, la castana si osservò intorno, esplorando il locale lungo e stretto in cui si trovava con la madre. Un attimo dopo si pentì di averlo fatto, perché lo sguardo vagante si era posato sulla figura longilinea e atletica di Ivan, che con passo deciso ed espressione indecifrabile avanzava lungo il corridoio nella loro direzione. Presa dal panico, la giovane si voltò verso Sara, alla ricerca disperata di un modo per sfuggire alle domande che si aspettava lui le rivolgesse, quando fu preceduta dalla voce di lui. L'infermiere aveva infatti chiamato a sé la collega, chiedendole il motivo della presenza sua e della primogenita nel reparto. lo sguardo penetrante e vigile dell'uomo rimase posato per tutto il tempo su di lei, acquisendo una sfumatura preoccupata e turbata man mano che la collega gli spiegava cos'era successo alla figlia.
Quando Lidia fu chiamata all'interno, fu spiacevolmente sorpresa di trovare Ivan a visitarla. Tenne lo sguardo basso per quasi tutto il tempo in cui lui continuò a osservare il braccio gonfio, atterrita dall'incrociare gli occhi dell'uomo, e rispose a monosillabi stentati alle sue domande.
"Sara, per caso Lidia deve seguire qualche terapia a base di farmaci o lo ha fatto ultimamente?" chiese infine l'infermiere quando ebbe terminato l'esaminazione.
La sua collega assentì col capo.
"Lidia risente anche del polline dei pioppi e, dato che viviamo vicino all'Arno che ne è attorniato, deve prendere un antistaminico per contrastare l'azione della reazione allergica" spiegò. "Potrebbe essere stata l'azione del farmaco a provocare questo gonfiore e l'arrossamento del braccio?" chiese successivamente.
"Hai fatto centro. Quasi sicuramente è questo il motivo per cui la reazione allergica è stata così contenuta. Se Lidia soffre di un'allergia piuttosto grave alle vespe e alle api, allora l'antistaminico per l'allergia pollinica ha arginato le conseguenze e, invece di uno shock anafilattico, si è provocata una reazione locale intorno alla puntura e sul braccio punto. Comunque sta' tranquilla, non è nulla di grave come le altre volte. La zona lesa è solo un po' infiammata e basterà un po' di Gentamicina* applicato tre volte al giorno per sfiammarlo e far sparire gonfiore e rossore nel giro di tre o quattro dì" e Ivan sorrise alla collega, rimettendo poi a posto le bende della fasciatura sul braccio che aveva sciolto per visitare la zona lesa.
Sara tirò un sospiro.
"Temevo che la reazione potesse essere più grave... Grazie, Ivan, non sai che sollievo mi hai dato" lo ringraziò, posando poi una mano sulla spalla di lui in segno di riconoscenza e affetto.
L'infermiere si limitò ad annuire col capo, ma Lidia, che era più vicina a lui e poteva osservarlo in volto, scorse un accenno di rilassamento anche sul volto di lui. Si era forse preoccupato per la sua salute? Lidia, che ti sei fumata? Non farti venire strane idee, dev'essere la tua fantasia a funzionare più velocemente del cervello... Forse è un danno collaterale dell'allergia, commentò la sua cortese voce interiore, neutralizzando il buonumore che l'aveva pian piano invasa.
Gli occhi azzurri di Lidia si soffermarono per un momento nelle iridi castano nocciola di Ivan, concentrate sulla fasciatura.
La madre della ragazza ruppe il silenzio che permeava la stanza ponendo una domanda al collega.
"A casa non ho più il Gentamicina, l'ho finito... e mi serve per applicarlo sulla puntura sul braccio di Lidia. Ti dispiace se ne prendo un tubetto qui dal Pronto Soccorso? Poi ci parlo io con Carlo." Carlo era il caporeparto del Pronto Soccorso.
Ivan annuì distrattamente.
"Certo, Sara. Comunque, vallo a prendere nella stanza vicina a questa; lo trovi dentro uno degli armadietti di acciaio... Cerca in quelli centrali" le suggerì poi.
La donna si allontanò per qualche secondo, alla ricerca della pomata.
Lidia comprese subito che in quella manciata di secondi Ivan avrebbe preteso da lei una spiegazione per il suo comportamento incomprensibile nella serata precedente.
L'infermiere, che aveva finito di risistemare la benda, le posò le mani su entrambe le spalle. I loro volti erano vicini, con gli occhi sullo stesso piano che si fissavano quasi ipnotizzati, persi gli uni negli altri. La ragazza poté percepire il respiro dolce e regolare di lui, che le accarezzava lievemente la pelle diafana del volto, farsi improvvisamente accelerato, come se l'uomo fosse stato in preda all'ansia. La castana si sentì avvampare le guance, che s'imporporarono vivamente sotto quello sguardo indagatore.
"Lidia..." sussurrò Ivan dopo qualche secondo di contemplazione. "Non riesco a spiegarmi l'atto di ieri sera, ma ti ringrazio. Non sai da quant'è che non mi riposavo così, avendo per una volta in testa un sogno così dolce invece delle solite angosce familiari."
Il collo e il volto di lui si protesero in avanti lentamente. Lidia avvertì un tocco umido sulla fronte, laddove le labbra dell'uomo si erano posate, leggere e morbide come ali di farfalla.
Lidia chiuse estaticamente gli occhi, vinta dalla tenerezza di quel lieve bacio. Le sue mani andarono a cercare il torace dell'uomo, il suo viso si sollevò pian piano verso l'alto. Ivan reclinò allora il capo verso il basso, molto lentamente, senza mai staccare le labbra dai lineamenti della ragazza, assaporando poi, per un solo istante, la delicatezza della sua bocca. Avvertì un buon sapore, ma non fece in tempo ad approfondire il bacio che si sentirono dei passi frettolosi provenire dall'altra stanza e continuare nella loro direzione.
Si distaccò dalla piacevole figura della giovane con rapidità, voltandosi poi in fretta e allontanandosi da essa.
Lidia sbatté le palpebre due o tre volte, non riuscendo ancora a capacitarsi di ciò che le era appena successo, con le guance ancora in fiamme e il respiro mozzato.
La madre per fortuna non si accorse dell'espressione trasognata che mantenne per un buon quarto d'ora anche dentro la Lancia, perché altrimenti la figlia si sarebbe trovata nella scomoda difficoltà di dare una spiegazione convincente alla curiosità invadente della madre.



*Gentamicina = Gentamicina-Betametasone Teva, ossia un farmaco antinfiammatorio e antistaminico sotto forma di pomata che serve anche a contrastare l'azione delle punture d'insetto.

 
***

N.d.A.
Salve a tutti! E buon venerdì notte!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto... qui avviene una svolta importante per la storia, che porterà a conseguenze inattese... e non svelo altro! ;)
Posto questo capitolo subito perché l'ho pronto da tanto tempo, così come altri, però continuerò a postare regolarmente ogni venerdì perché altrimenti rischio di esaurire tutti i capitoli nuovi se aggiorno subito, perché - ahimé! - la mia ispirazione è oscillante come un'altalena e va e viene quando le pare - in breve, mi sono bloccata.
Passo ai ringraziamenti: grazie mille a sabrinacaione per le recensioni dolcissime e incoraggianti che ha lasciato ai capitoli precedenti... spero che questo ti sia piaciuto! :D e grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite ^^ cominciate ad essere un po' numerosi e ciò mi rende felicissima!
Bene, ora stacco.
Buona notte a tutti! E spero che la storia vi stia piacendo!


Flame

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6.


Ivan sospirò di sollievo, tirando fuori dal proprio armadietto metallico la carta d'identità che aveva distrattamente dimenticato nello spogliatoio dell'ospedale. Aveva appena finito il turno e stava per andarsene a casa, arrovellandosi il cervello per cercare di ricordare dove aveva lasciato il proprio documento identificativo la serata precedente. Alla fine aveva richiamato alla mente il ricordo giusto, andando poi a esplorare i meandri del suo armadietto personale, nel perenne caos in cui lo teneva, alla ricerca della carta.
Mettendosi in tasca il documento e chiudendo lo sportello, Ivan si diresse successivamente alla macchina di Alessia, che aveva usato quella mattina per andare a lavorare.
Stava guidando, quando la visione del cielo limpido di quel rovente pomeriggio gli rammentò due occhi dello stesso splendido colore.
Lidia.
Non sapeva nemmeno lui il motivo del suo gesto sconsiderato. L'aveva baciata così, seguendo l'impulso del momento. Aveva percepito il suo forte disagio durante la visita medica, disagio sicuramente dovuto all'abbraccio caloroso che lei gli aveva donato la sera precedente. E anche il perché di quel gesto gli sfuggiva completamente.
Il bacio. Quel bacio lieve che le aveva dato, accarezzando con le proprie labbra le sue, morbide e piacevolmente dischiuse. Quello era stato un atto da non compiere assolutamente. Un'azione sbagliata.
Non dovrà più ripetersi, si disse rabbiosamente Ivan, rendendosi conto che Lidia avrebbe potuto interpretare in maniera totalmente sbagliata il suo gesto. Lidia è solo una ragazza. E' la figlia della mia collega. Ha diciotto anni; potrei perfino essere suo padre. Non devo andare a creare casini quando ne ho già abbastanza, fu il monito che rivolse a se stesso, fissandosi duramente nello specchietto retrovisore della macchina, adirato con se stesso e con la propria stupidità.
Eppure, la sua parte emotiva, spesso repressa, insisteva per fuoriuscire con prepotenza. Lui la sentiva fortemente. Quell'infatuazione per Lidia forse non sarebbe passato molto presto, temeva l'uomo. L'unica cosa che poteva fare era respingere in fondo all'animo ogni impulso che avrebbe potuto portarlo a commettere una sciocchezza o a rovinare i rapporti con la ragazza o la sua famiglia. In fondo, lui aveva già fin troppi guai da risolvere, anche se per la maggior parte non erano suoi.

 
***

Lidia aveva appena finito di raccontare ciò che le era successo quella mattina. Céline, la sua migliore amica, la guardava fissamente negli occhi, con le scure iridi color mogano sgranate per lo stupore.
Le due ragazze se ne stavano stese sulle sedie a sdraio che avevano trovato aperte sul terrazzo del balcone del locale in cui erano andate a mangiare. Lidia aveva ottenuto, alla fine, il permesso di poter uscire, dato che la sua allergia alle punture di vespa, bloccata prima che potesse portarle delle conseguenze, non si era manifestata con i suoi molesti sintomi.
La combriccola di ragazze e ragazzi di cui le due facevano parte aveva deciso di riunirsi in un ristorante nella periferia fiorentina molto popolare per la sua pizza, preparata con abilità e passione da Totò, il cuoco napoletano. Insieme a Lidia e Céline erano venuti Diego - il fidanzato della seconda -, Aurelia - con il sostegno di Mauro, il suo cugino sedicenne, e delle stampelle con cui camminava a causa della frattura della gamba -, Alessandra e Antonio - compagni di classe e amici stretti di Céline - e Marina - la sorella maggiore di Alessandra.
Quella sera era speciale: non solo Antonio diventava maggiorenne e festeggiava il proprio compleanno, ma Marina passava l'ultima serata con gli amici. Essendo in procinto di cominciare il suo primo anno all'Università di Ancona, dove si era iscritta alla facoltà di Mediazione Linguistica, la giovane aveva deciso di passare un mesetto o due in Inghilterra per approfondire la conoscenza della lingua inglese, ospite presso il fratello del padre.
Poco dopo aver spento le sue prime e uniche diciotto candeline tra le grida di esultanza e di gioia degli amici presenti, Antonio aveva proposto a tutti di fare un giretto per la città, alla ricerca di qualche pub aperto dove bersi un drink, per poi infilarsi in una discoteca da loro spesso frequentata.
Ora Antonio, che aveva la brutta abitudine di bere sempre troppo nonostante non sapesse reggere bene l'alcol, se ne stava in bagno a vomitare, atteso dagli altri del gruppo. Il neo diciottenne, troppo preso dai festeggiamenti per la tanto sospirata maggiore età, non aveva badato a limitare il consumo di alcol e ora ne stava scontando le conseguenze.
"Prima sbronza da maggiorenne" aveva asserito scherzosamente, balbettando, prima di correre in bagno a rimettere tutto il contenuto nel suo stomaco. Gli amici, dopo le risate iniziali, avevano deciso di attenderlo e Aurelia gli aveva consigliato un disgustoso ma efficace rimedio per vomitare tutto l'alcol ingerito.
Mentre l'attesa continuava, Lidia aveva insistito per parlare da sola con Céline e, una volta trovato un posto tranquillo in cui poter discorrere, le aveva confidato ciò che era successo quella mattina con Ivan all'ospedale, ripercorrendo in breve anche i loro ultimi incontri nelle settimane precedenti.
"Hai fatto male ad abbracciarlo, ieri sera... secondo me, ora Ivan è convinto di potersi prendere delle libertà con te solamente perché gli hai concesso troppa confidenza. Dovresti parlarne con Sara" commentò in tono grave Céline.
Lidia non sapeva cosa pensare. Un sospetto del genere le era passato per la mente, ma non aveva resistito a lungo: la reputazione di uomo rispettoso e sincero con cui era conosciuto Ivan non lasciava spazio a tanti dubbi e incertezze. Però, fondamentalmente, l'intuito della ragazza le suggeriva che quel gesto era stato sì sconsiderato, ma non compiuto con l'intento di prenderla in giro. Forse avrebbe fatto meglio a parlarne con il diretto interessato, piuttosto che allarmare inutilmente la madre.
Lidia fece segno di diniego con il capo. Gli occhi azzurri le brillarono di decisione.
"No, Céline... ti ringrazio, ma il tuo consiglio mi pare troppo drastico, per ora. Parlerò con mia madre solo se questa storia continuerà nell'ambiguità, così come vi è incominciata. Se Ivan non mi farà capire cosa vuole o il perché del suo gesto, dirò tutto alla mamma. Per ora però mi limiterò a tacere, perché potrei sollevare un polverone per nulla" disse.
La sua amica sgranò nuovamente gli occhi.
"E tu ti limiti a dire che non è successo nulla?!" esclamò basita Céline, alzando leggermente la voce e scrutando con attenzione l'espressione della castana.
La ragazza replicò con tranquillità.
"Sono stata io a fargli capire quel che invece non avevo intenzione di comunicargli. Magari alla festa di Marco lo rincontrerò e ci parlerò normalmente. Gli chiarirò tutto e cercherò di sistemare la faccenda. Se lui non ha intenzione di continuare questa specie di strano gioco che è iniziato fra noi, tanto meglio, perché potremo lasciarci tutto alle spalle e fingere che nulla sia accaduto. In caso contrario... ne parlerò con mia madre."
Céline non sembrava tanto convinta, ma non sollevò obiezioni.
"Fa' solo in modo che non si approfitti più della situazione" disse soltanto, per poi starsene in silenzio ad osservare le stelle sfocate che splendevano nel cielo, accavallando la gamba destra sulla sinistra.

 
***

Lunedì pomeriggio l'appartamento dei genitori di Céline e Marco era gremito di bambini, alcuni accompagnati dai genitori, altri affidati ai presenti, che chiacchieravano, giocavano, si divertivano.
Il festeggiato era il bambino più felice che ci potesse essere sulla terra: era stato circondato di attenzioni fin da quando si era svegliato, con lui c'erano i suoi più cari amici, tra cui Emma, la bambina a cui voleva più bene di tutti e che occupava un posto speciale nel suo cuore, e aveva ricevuto così tanti regali che sentiva di aver quasi finito la sua scorta di estatica gioia quando li scartava.
Lidia e Céline se ne stavano in disparte a chiacchierare fra di loro. La sorella del festeggiato sbadigliava in continuazione, sentendosi annoiata dalla festa di compleanno organizzata per quella peste di suo fratello. La sua amica, invece, si guardava intorno con circospezione, osservando la folla.
Lidia era arrivata a casa dell'amica prima della festa, insieme a genitori e sorella, per dare una mano alla famiglia di Marco nell'allestimento del party. Eva aveva passato un'ora intera a badare al ragazzino, che, preso dalla gioiosa impazienza per la festa imminente, non se ne stava fermo un secondo e importunava continuamente genitori e amici di famiglia per sapere quanto mancava all'inizio, che cosa stavano facendo, se secondo loro i suoi compagni di scuola sarebbero arrivati subito oppure un po' più tardi del previsto.
Il tormento, nonostante la controffensiva di Eva allo scopo di contenere l'entusiasmo del bambino, era cessato solo con l'arrivo di Emma, che era stata accompagnata da Alessia, e da Alessia soltanto, un po' prima dell'inizio del party. La donna si era scusata per il marito adducendo la scusa di un impegno imprevisto che lo avrebbe fatto ritardare di molto. Poi l'abitazione si era pian piano riempita di gente che andava e veniva, ma di Ivan neanche l'ombra.
Era ormai da un'ora che Lidia si arrovellava il cervello, combattuta fra più pensieri contrastanti. Anche se il suo volto esprimeva imperturbabilità, dentro di sé il dubbio che l'uomo stesse volontariamente evitando la festa a causa della sua presenza la stava logorando. Le era difficile dare credito a qualche altro motivo, perché in effetti non ce ne erano. Le faceva male essere consapevole della sua assenza, molto più di quanto lei avesse potuto immaginare. In ogni persona che entrava, la ragazza osservava con attenzione lo sguardo, cercando delle pungenti iridi nocciola. Ma si ricredeva sempre, alla fine, rendendosi conto con una punta di amarezza che non si trattava mai di Ivan.
Erano passate circa un'ora e mezza e Lidia si sentiva sprofondare nella desolazione. Era chiaro, ormai, che l'infermiere stesse evitando di proposito la festa per non doversi imbattere in lei. Non aveva nemmeno le palle di presentarsi e di chiarire con lei? Quest'ipotesi, in aperto contrasto con la reputazione rispettabile di Ivan, sfidava audacemente la testardaggine della castana, ma non era abbastanza forte da tenervi testa. Però lo sconforto che provava aumentava proporzionalmente col tempo che trascorreva, rendendola triste e abbattuta.
Con la scusa di andarsene a prendere una boccata d'aria alla finestra aperta del salotto, Lidia si allontanò da Céline, volendo stare un po' da sola. Si sentiva turbata. Perché non era venuto?
Guardando fuori fissamente, la ragazza poté osservare, seppur assorta nelle proprie riflessioni, il traffico frenetico delle sei e mezza, con i lavoratori e gli impiegati che tornavano a casa dal posto di lavoro e le mamme che se ne andavano a fare la spesa, decidendo cosa preparare per la cena. Verso le sette, un movimento insolito ruppe la tranquillità della via isolata in cui risiedevano Giorgio e Maria con i figli, cogliendo l'attenzione di Lidia. Un'Alfa Romeo bianca con sopra l'insegna che la identificava come un taxi imboccò quella strada. Rallentando vicino al marciapiede di fronte al condominio, la portiera posteriore si aprì e ne discese un uomo. A Lidia bastò vederne i capelli lisci e scuri per capire che si trattava di Ivan.
Con l'animo in subbuglio e il morale altamente risollevato, la castana quasi si precipitò alla porta, ricordandosi poi però che c'erano un'altra venticinquina di persone oltre a lei che avrebbero trovato strano il suo atteggiamento. Si decise quindi a comportarsi come se nulla di che fosse successo, ma non resisté alla tentazione di andare a dire ai genitori di Marco e Céline che aveva visto arrivare il padre di Emma.
Giorgio e Maria erano indaffarati e non potevano andare ad aprirgli il portone, per cui chiesero a Lidia di fare loro questo favore. La ragazza, una volta allontanatasi abbastanza da non essere vista, schizzò letteralmente via scendendo i tre piani di scale in fretta e furia, determinata a chiarire subito con Ivan ciò che era successo nonostante fosse agitata e a disagio nell'incontrarlo.
Almeno, il suo arrivo esclude sicuramente il dubbio sul fatto che non volesse vedermi, si disse per tranquillizzarsi.
Quando arrivò davanti al portone d'ingresso si fermò a prendere il respiro, poi posò la mano sulla maniglia per aprirlo.

 
***
 
Ivan era stato a lungo indeciso se andare o no alla festa. Sapeva che ci sarebbe stata anche Lidia e non se la sentiva di parlarci - perché, come il suo intuito gli suggeriva, lei non avrebbe voluto altro, molto probabilmente.
L'uomo scese dal taxi subito dopo aver pagato. Una volta entrato nel condominio, il cui cancello era stato lasciato aperto, si era diretto verso il grande portone di legno verniciato che fungeva da ingresso. Stava per suonare il campanello, quando lentamente l'uscio si aprì.
La figura snella di Lidia gli apparve davanti, con i suoi occhi azzurri che lo osservavano attentamente e le guance rosse e il respiro accelerato, come se lei avesse corso fino a pochi istanti prima. Quasi gli prese un colpo. Non s'aspettava di doverla affrontare così presto.
"Ivan" disse semplicemente la ragazza, la cui voce era spezzata da respiri di recupero.
"Ciao, Lidia" la salutò lui, sostenendo il suo sguardo. L'uomo entrò nell'atrio, mentre la giovane stava chiudendo il portone d'ingresso.
Si voltarono entrambi l'uno verso l'altra, decisi a parlarsi.
"Mi devi una spiegazione" cominciò la castana. La sua espressione era apparentemente calma, ma l'eccessiva rigidità delle spalle gli fece capire che era tesa.
"Sta' tranquilla, Lidia, perché anche io ne voglio parlare. Comunque, non sono l'unico a dover dare una spiegazione, qui" replicò il moro, alludendo all'abbraccio di due sere prima.
"Io non ti ho baciato" puntualizzò la ragazza mordacemente.
"Però quell'abbraccio mi ha lasciato interdetto. E poi, mi permetto di smentirti: anche tu mi hai dato un bacio, seppur sulla guancia."
"Era un gesto dettato d'affetto" cercò di giustificarsi Lidia, anche se il rossore che pervadeva le sue guance crebbe ancora, facendo comprendere all'infermiere che neppure lei credeva a quel che diceva.
"Certo" asserì Ivan con un'alzata di spalle. Per la verità, l'uomo era certo che quell'atto fosse stato dettato da un impulso affettivo, ma di che genere?
"Ivan..."
"Lidia, non fingere con me. Sei giovane e non riesci a mascherare bene le tue emozioni. Io le intuisco tutte."
"Perché mi ha baciato? Vuoi darmi questa risposta, sì o no?" lo interruppe lei.
La giovane guardava a terra, incapace di sostenere lo sguardo dell'uomo. Era in preda a svariate emozioni che non le riusciva di decifrare. Sentiva dentro di sé di provare un attaccamento profondo per Ivan, un sentimento così confuso e indefinito che non sapeva neanche lei che nome dargli. L'unica cosa di cui era consapevole ma che rifiutava di ammettere era il fatto che lei fosse inevitabilmente, inarrestabilmente, invincibilmente attratta da lui.
Ivan le prese con delicatezza il volto fra le grandi mani, avvicinandosi pian piano. La sospinse verso la parete giallastra dell'atrio, senza staccare gli occhi da quelli di lei, che lo osservavano in un misto di curiosità e attesa.
Un suo braccio corse a cingerle la vita.
"Diciamo che il mio bacio è stato dettato dall'impulso" le sussurrò all'orecchio, sospirando lievemente. "Oppure, posso affermare che mi andava di farlo."
"E perché?" chiese Lidia, trattenendo il respiro di fronte alla vicinanza del volto di lui.
L'infermiere accennò un sorriso enigmatico.
"Possiamo convenire sul fatto che ti sto sempre intorno perché mi attrai" le confessò.
Quelle parole furono accolte con stupore e sollievo dalla ragazza, che tirò un gran sospiro.
"La cosa è reciproca" mormorò con voce così fievole che l'uomo faticò a capire la frase.
Le iridi nocciola di Ivan avevano preso una sfumatura aranciata nella luce del tramonto che invadeva l'atrio, entrando dalla vetrata posta sopra l'ingresso. La consapevolezza di avere su di sé quello sguardo intenso fece arrossire ancor di più Lidia, che ormai avvertiva le sue guance completamente infiammate.
Tuttavia, quegli occhi così dolci s'incupirono improvvisamente e il gelo calò nell'animo della castana.
"Ma non può funzionare" disse serrando la mascella.
"La mia famiglia non deve saperlo per forza, Ivan" sbottò improvvisamente Lidia con ostinazione, tirando fuori la solita grinta che in quei momenti sembrava essersene andata in letargo. "Te lo dico subito: tu mi piaci, e anche tanto. Lo so, è troppo presto per dire una cosa del genere, ma quando ti ho rivisto dopo molto tempo ho provato uno strano turbamento. Lo stesso è accaduto qualche sera fa, quando ti ho riaccompagnato a casa. E anche quando mi hai baciata. Soprattutto in quell'occasione. Sento nel cuore un calore... un calore crescente. E mi viene da sorridere, se penso a te. Mi viene da uscire fuori e far vedere al mondo quanto io sia felice, anche se non ne ho motivo, o, tecnicamente, non dovrei averne, dato che il mio ragazzo mi ha lasciata qualche settimana fa - cioé l'ho mollato io, ma sono dettagli. Ma il sentimento che mi legava a lui non è mai stato forte. Non è mai stato intenso come questo, come l'affetto che provo per te. Non so cosa voglia dire tutto ciò, ma l'unica consapevolezza che ho è che ormai non posso più rinunciare a te."
Ivan rimase pietrificato per quel discorso precipitoso. Mai avrebbe pensato che la giovane ragazza piena di vitalità e determinazione che stringeva in quel momento fra le braccia potesse provare un attaccamento per lui.
"Lidia, io... oh, Lidia!" esclamò l'uomo portandosi una mano alla fronte. Anche lui provava una particolare predilezione per lei, ricambiandone il confuso sentimento di attrazione reciproca. Ma non gli sarebbe stato permesso di frequentarla. Come dirle che non potevano? Come?
"Lidia, anche tu mi piaci tanto, ma non possiamo" riuscì infine a dirle, tacendo poi per osservare la sua reazione.
I liquidi occhi chiari della ragazza si fecero increduli, poi freddi e collerici.
"Forse è perché sono troppo piccola? Mi consideri un'immatura?" domandò con la voce incrinata. Il bruno non sapeva comprendere se la giovane stesse per scoppiare in lacrime o infuriarsi.
"No, non è per questo. Anzi, a volte negli occhi hai uno sguardo così serio... mi sembra che tu nasconda una maturità caratteriale, una sorta di malinconia interiore. Ma lo percepisco anche da come ti comporti che non sei sicuramente una persona infantile. Sei una donna, ormai" le sussurrò dolcemente, con un accenno di sorriso che gli piegava gli angoli della bocca. Era totalmente sincero.
"Ma perché, allora?" insisté Lidia, posando entrambe le mani sul suo petto muscoloso, accigliata.
"Io ho vent'anni più di te, Lidia" replicò in un soffio l'infermiere.
"E allora? Per me l'età non conta!"
"Ma per la tua famiglia sì. Sono un collega e un caro amico di Sara. Ho solo cinque anni in meno di lei. Credi forse che ci sarebbe permesso frequentarci?"
"Mia madre non deve saperlo! E nemmeno mio padre o mia sorella! Loro non c'entrano nulla con noi" ribatté irata la ragazza.
Lidia cominciava veramente ad essere stufa di quella situazione: se gli piaceva, perché non frequentarsi? Non era necessario, per lei, rendere partecipi i genitori o Eva di una possibile relazione fra loro. Si rifiutava anche di prendere in considerazione quella possibilità. Era convinta che non avrebbe mai potuto frequentarlo in quel frangente, perché non le sarebbe stato permesso.
"Hai paura delle conseguenze che ci potrebbero essere se i miei genitori scoprissero tutto?" lo accusò.
"Lidia, io mi assumo sempre le mie responsabilità" replicò lui piccato, essendo ormai arrivato al limite della sopportazione per quell'assedio alla sua persona.
"E allora perché non hai il coraggio di provare a frequentarci di nascosto?"
"Questa non è una questione di coraggio, Lidia. Io, semplicemente, non voglio tradire l'amicizia che mi lega a Sara e Domenico. Non voglio fare le cose di nascosto da loro. Se mai dovessimo vederci, loro dovranno saperlo" rispose l'uomo con determinazione.
"Quindi hai già deciso di troncare qualsiasi cosa tra di noi sul suo nascere." Quella di Lidia non era una domanda, ma una constatazione.
"Se devo, sì."
Le labbra di Lidia si serrarono e l'ostilità e la collera presero il posto dell'incredulità nei frammenti di cielo azzurro che erano le sue iridi. Due lacrime offuscarono lentamente i suoi occhi, rendendoli lucidi e vividi. Ivan vi lesse dentro sofferenza, dispiacere, delusione. Rabbia. La certezza di essere stata disillusa dalla persona a cui lei aveva dato fiducia.
"Allora vattene affanculo, tu e il tuo senso di lealtà e responsabilità" gli disse, scandendo bene le parole. Si liberò dalla sua stretta dibattendosi animosamente, quindi si voltò con un rapido movimento del corpo per poi risalire agilmente le scale.
Ivan seguì la sua figura con lo sguardo, trattenendo a stento un sospiro pregno di tristezza.

 
***
 

N.d.A.
Salve a tutti!  E buon venerdì notte! :D
Che dire? Eccomi qui con il nuovo aggiornamento, come promesso nel capitolo scorso. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non abbia deluso le aspettative di nessuno di coloro che hanno letto la storia fino a questo punto. Cominciano un po' di casini tra Ivan e Lidia, ma porteranno ad una svolta... e non aggiungo altro xD
Bon, mi dileguo, ma prima devo ringraziare un po' di persone: le dolcissime recensitrici (passatemi il termine plz) del capitolo scorso, ossia sabrinacaione, Denisedecline_ e Tanny, che con i loro commenti positivi mi sono di stimolo e di incoraggiamento a continuare questa storia, e tutti i lettori silenziosi di Untitled, così come chi ha inserito questa mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. E cominciate ad essere in tanti, quindi grazie di cuore. ♥
Bon, ora mi dileguo davvero. Al prossimo aggiornamento! E buona notte a tutti! :*


Flame

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7.

 

"Mamma, io me ne vado!" disse, con decisione ed impazienza, Lidia a Sara, non appena questa la incrociò per il corridoio dell'appartamento. La donna stava appunto cercando la primogenita, con l'intenzione di chiederle se poteva aiutarla a sistemare i tavoli del buffet che dovevano essere disposti per la rinfresco serale.

"Ma che stai dicendo, Lidia! Qui abbiamo bisogno di te" la riprese la madre, accigliandosi.

"Chiedi a Ivan, lui sarà più che ben disposto ad aiutarvi!" replicò stizzita la figlia. Le fu difficile pronunciare quel nome senza enfasi.

"Lidia... che succede? E dove stai andando?"

Sara cominciò a preoccuparsi: raramente la ragazza si alterava in quel modo. Le parve quasi che la figlia stesse per scoppiare a piangere.

"E' a causa di Roberto... si è rifatto vivo" s'inventò sul momento la sua interlocutrice, trovando in fretta una scusa per giustificare il suo comportamento.

Le riuscì piuttosto facile convincere Sara, adottando un tono di voce mesto. E non le fu nemmeno difficile simularlo, perché era triste per davvero. Era sul punto di scoppiare in lacrime. Maledisse tra sé Ivan per ciò che aveva comportato in lei. Maledisse se stessa, perché gli aveva concesso il potere di ferirla così profondamente. Ma come aveva potuto riuscirci dopo così pochi giorni? Non riusciva a capacitarsi di ciò.

"Oh, tesoro, mi dispiace!" esclamò, sinceramente desolata, la madre.

"Non voglio stare qui a parlare di questo, mamma. E non è nemmeno mia intenzione incrinare il buonumore delle persone presenti, per cui me ne torno a casa."

"Fra dieci minuti passa il bus delle sette e venti, tesoro; prendi quello... non tornare a casa a piedi da sola" la ammonì la madre.

"Sta' tranquilla, prenderò il bus" concesse la ragazza, prendendo la borsa a tracolla verde che s'era portata dietro e infilandosela. Uscì dall'appartamento. "Salutami Céline e la sua famiglia e chiedi loro scusa per la mia partenza improvvisa. E fa' di nuovo gli auguri a Marco!" si raccomandò, correndo poi velocemente giù per le scale.

Lungo la rampa incontrò Ivan che saliva a passo normale. Lei si fermò di scatto.

"Lidia!" esclamò l'uomo non appena la vide. Salì rapidamente gli ultimi gradini, andando a trovarsi di fronte a lei.

La ragazza accennò un movimento alla sua destra, con l'intenzione di sorpassarlo senza degnarlo di un'occhiata, ma il bruno fu più lesto di lei e le afferrò le mani con delicatezza, seppur la sua presa fosse ferrea.

"Lasciami andare, Ivan!" protestò animatamente la giovane, sentendosi in trappola. Cominciò a dibattersi furiosamente, ma lui non la lasciò andare.

"Lidia, ascoltami" la pregò.

"Cosa dovrei ascoltare? Ho già sentito abbastanza."

"Per favore, calmati."

"Io non mi calmo. Lasciami andare, altrimenti mi metto a gridare e dico a tutti che hai provato a mettermi le mani addosso" l'avvertì lei a voce bassa ma perentoria.

Ivan, seppur a malincuore, si costrinse a lasciarle i polsi, ma non per questo lei riuscì a sgusciare via.

"Vuoi farmi passare? Voglio tornare a casa!" esclamò inviperita e pestando il piede per terra in un gesto di stizza, constatando che l'uomo le aveva bloccato il passaggio.

Ivan fece segno di diniego col capo.

"Non m'importa, ho una cosa da dirti e tu te ne stai qui, buona e tranquilla, fino a che non avrai deciso di ascoltarmi."

"Io non resterò qui con te per più di altri dieci secondi" replicò infastidita la ragazza.

Gli occhi color nocciola dell'uomo si fecero di colpo seri, abbandonando la loro tipica espressione ironica.

"Lidia, mi dispiace... so di aver ferito i tuoi sentimenti. E non credere che io sia indifferente... davvero, altrimenti non ti avrei baciata così, tanto perché non avevo di meglio da fare. Ma mi rendo conto che il mio gesto è stato un atto sconsiderato e indegno, perché in qualche modo mi sembra di aver tradito l'amicizia ventennale che c'è tra me e Sara. Porterei solo discordia tra te e lei se mi esponessi, per cui l'unica cosa da fare è dimenticare questo errore" e Ivan disegnò con le dita delle virgolette a mezz'aria per sottolineare il significato della parola, "e di lasciarci tutto alle spalle. Mi dispiace, Lidia. Mi dispiace davvero. So di averti delusa."

"Anche a me questa soluzione è sembrata la migliore, inizialmente..." concesse la ragazza. "Ma mi rendo conto che sto seguendo, come mio solito, la ragione, e non i sentimenti."

Ivan sospirò.

"E' quel che dobbiamo fare" asserì.

"Non necessariamente."

"Lidia, la mia potrebbe essere solo un'infatuazione leggera, come pure la tua. In fondo, è successo tutto così in fretta che io ancora non mi sono completamente capacitato di ciò che ci è capitato... Però so che è sbagliato fare le cose di nascosto dai tuoi familiari. So che non è giusto prestarmi a una cosa del genere. Non devo."

"Tu devi sempre, ma non puoi né vuoi mai. Tu sei obbligato, sei in dovere, e devi, sempre e comunque. Ti conformi sempre alla situazione e cerchi di risolverla seguendo solo il ragionamento, ma non lasci mai spazio ai tuoi sentimenti, alla tua volontà. Tu devi e basta" replicò la giovane a voce malinconica.

"Lidia..."

"Tu sopporti sempre, ma reprimi anche le tue emozioni e la tua volontà. Ti stai facendo male da solo! Prendi ad esempio la tua situazione matrimoniale... Tu devi sopportare i tradimenti di tua moglie, perché altrimenti, se vi separaste, l'infanzia serena e ovattata di tua figlia ne risentirebbe" sbottò la castana.

Ivan, a quelle parole, cambiò radicalmente atteggiamento. Con le braccia conserte, la mascella tesa, l'ira che pian piano montava, l'uomo si ritrovò a guardarla dritto negli occhi con fredda e distaccata collera, sentendosi ferito nel profondo. Era un colpo basso, quello. E poi, come faceva a sapere della sua situazione coniugale, lei che era entrata a viva forza e da così pochi giorni nella sua vita?

Lidia si portò una mano alla bocca, mordendosi la lingua e maledicendosi silenziosamente per le parole dure e oltraggiose che le erano uscite dalle labbra. Non doveva dirlo. Non doveva ferirlo.

L'infermiere tirò un lungo sospiro, cercando di ricacciare dentro di sé la furia che rischiava di esplodere.

Quando aprì bocca per rispondere all'assalto verbale rivoltogli, la voce era controllata, ma venata di furore malrepresso.

"Ecco perché seguo la ragione, Lidia. Non voglio peggiorare situazioni irrecuperabili, né causare ulteriori casini, né ferire i sentimenti delle persone a me care." Fece una pausa. "Tu non sai cosa vuol dire essere l'unico oggetto di contesa di un divorzio lungo e sofferto. Non sai cosa si prova nell'essere continuamente litigato fra due genitori che si dichiarano il proprio odio davanti al loro unico figlio e che si giocano qualsiasi asso nella manica, lecito o non lecito, pur di causare dolore e rancore nell'altro ex-coniuge mentre gli viene strappata per sempre la sua creatura, completamente innocente, la cui unica colpa è quella di essere nata in un matrimonio che non doveva essere fatto."

A quello sfogo, Lidia trattenne il fiato. Solo ora comprese il motivo per cui Ivan sopportava tutto in silenzio, anteponendo a tutto la felicità di Emma.

"A me è successo e non voglio che la mia unica figlia, l'unica persona per la quale andrei anche in capo al mondo, debba soffrire per una situazione di cui non ha assolutamente colpa. La colpa ce l'ho io che mi sono sposato con Alessia, nonostante perfino tua madre, che ha sempre rispettato le mie decisioni senza mai metterle in discussione o contrastarle, mi avesse vivamente sconsigliato di farlo, dicendomi che temeva per la mia felicità. L'errore l'ho fatto io."

Ora Ivan singhiozzava sommessamente, con due singole, tacite e calde lacrime che gli scorrevano lungo il volto teso, mentre una lotta interiore contro la frustrazione e il rancore di un matrimonio sbagliato lo dilaniava e lo abbatteva.

"Alessia mi ha già fatto capire che intende aprire un processo per separarsi legalmente. Vuole trasferirsi in Germania col suo amante. Vuole strapparmi la custodia di Emma. Vuole portarmi via mia figlia. E non ci risparmierà questo calvario, né a lei, né a me. Emma soffrirà, perché è una bambina tanto dolce e sensibile, e io starò lì a guardare impotente mentre me la strappa dalle braccia, senza poter fare nulla per lasciare inalterata la sua serenità e trattenerla con me. Mia figlia, Lidia. Si tratta di mia figlia!"

Un sentimento di compassione si fece strada nel cuore di Lidia. Lei non sapeva cosa si provava ad essere conteso tra i propri genitori in un divorzio difficile. Conosceva bene i sentimenti di rabbia, frustrazione, delusione e tristezza conseguenti a un tradimento, ma, essendo troppo giovane per avere figli, non poteva arrivare a comprendere il senso di terrore che un padre o una madre poteva provare di fronte alla perdita possibile della custodia di un proprio figlio o figlia. Lei non poteva certo conoscere neanche la metà di quelle emozioni negative che Ivan si teneva dentro per non turbare la vita di Emma. Le pareva un gesto stupido e autolesionista da fare, ma anche l'unico necessario.

Se fossi stata nella sua situazione, probabilmente avrei agito allo stesso modo, ammise con se stessa. Lei non poteva giudicarlo. Non ne aveva il diritto.

Lidia osservò attentamente gli occhi vividi di Ivan, sorprendendosi di come fosse grande la forza d'animo che esprimevano. Impulsivamente lo abbracciò, tuffando la testa nell'incavo del suo collo, appena sotto la sua mascella. Avvertì il respiro dell'uomo bloccarsi di colpo, poi le braccia di lui la cinsero delicatamente, accettando il calore di quel solidale contatto umano.

"So che ti dispiace, Lidia, ma cerca di capire... se Sara venisse a conoscenza di una nostra possibile relazione, come reagirebbe? I rapporti fra noi si romperebbero e tra te e lei scenderebbe il distacco. Rovinerei l'affetto che vi lega. Inoltre, se Alessia scoprisse tutto, potrebbe approfittarsi di questa presunta 'relazione' extraconiugale per fare pressione sul giudice, affinché Emma venga affidata esclusivamente a lei. Fondamentalmente, hai appena diciotto anni. Si potrebbe pensare che io non sia affidabile, che mi voglia rifare una vita con una ragazza così giovane e con cui Emma potrebbe non andare d'accordo. Si potrebbe anche pensare che io abbia tendenze pedofile, perché tu sei così giovane... hai la metà dei miei anni, se non di più. Io ne ho quasi trentotto, Lidia, ma tu ne hai solamente diciotto. Una nostra relazione insieme potrebbe essere vista come una minaccia alla serenità della crescita di mia figlia, quindi quale giudice assennato affiderebbe congiuntamente la custodia di un minore a un uomo come me?"

"Capisco, Ivan... capisco" disse infine Lidia, sentendosi il cuore spezzato.

Eppure, tutto le sembrava così ingiusto, così insensato. Perché la legge era così contorta, così limitativa, così restrittiva? Perché lei doveva lasciarsi coinvolgere così fortemente da ogni situazione in cui si cacciava? In fondo, lei Ivan non lo conosceva che da quindici giorni. Eppure le pareva di aver stretto con lui un rapporto ben più profondo di un'amicizia ventennale, come quella tra sua madre e l'uomo.

Perché sei così testarda, Lidia? Lascia perdere tutto, finirai solo per soffrire, le suggerì gentilmente la sua vocina interiore. Ma le era difficile accettare quel consiglio, seppure fosse la soluzione migliore a quella situazione avversa.

"Dimenticherò tutto, come è giusto che sia" aggiunse, come per dare forza all'apparente convinzione determinata che voleva esprimere, ma non le riuscì.

Scoppiò in lacrime improvvisamente, sovrastata da un'emozione molto simile al dolore. Staccandosi rapidamente dalla figura di Ivan, la ragazza corse a perdifiato giù per le scale, proseguendo poi a passi svelti lungo i sentiero alberati e tranquilli, a capo chino per nascondere al mondo le sue lacrime, diretta verso la propria casa. Furono dieci minuti di corsa a perdifiato, terribili, carichi di dispiacere.

Entrò frettolosamente nell'abitazione sbattendo sonoramente il portone, per poi precipitarsi sul suo letto a sfogare la frustrazione e il dispiacere che sgorgavano copiosi dal suo animo, piangendo silenziosamente tra le coperte leggere.

 

***


 

Ivan si prese la testa fra le mani e si appoggiò di schiena contro la parete, lasciandosi scivolare lentamente a terra.

Vederla piangere per ciò che le aveva dovuto dire gli aveva fatto male. Molto male. Aveva ferito i suoi sentimenti, anche più profondamente di prima, e si sentiva in colpa per questo, perché era lui la causa di tutto. Ma non lo aveva fatto intenzionalmente e sapeva di doverla tenere lontana da sé per evitare possibili guai a lei e a se stesso, per cui s'impose di calmare quel turbamento dell'animo, rialzandosi velocemente in piedi per poi dirigersi all'appartamento dei genitori di Marco, fingendo indifferenza e imperturbabilità.

Era appena entrato, che la figlia lo vide subito.

"Papà!" gridò esultando eccitata, correndogli poi incontro. Il padre la prese fra le braccia, trasportandola quindi in una giravolta che la fece ridere gioiosamente.

"Tesoro! Ti stai divertendo qui alla festa?" le chiese, forzando un sorriso. Vedere la felicità della figlia lo fece rilassare un poco, ma non abbastanza da abbandonare la rigidezza acquisita dopo il confronto con Lidia.

Emma notò subito la tensione dell'uomo. Era sì una bambina sensibile, ma anche percettiva e intuitiva. Oltre al colore di capelli scuro e alle iridi nocciolate, aveva ereditato dal padre anche quello spiccato intuito che lo contraddistingueva.

"C'è qualcosa che non va, papà?" gli domandò infatti subito dopo, assumendo un'aria seria e preoccupata.

"Ma no, Emma, non c'è nulla" la rassicurò lui senza troppa convinzione.

"Ne sei certo?" insisté la bambina.

"Ovvio" fu la risposta del padre.

Emma decise di non indagare ancora, anche perché Marco la stava chiamando, chiedendo a gran voce dove fosse finita.

Aveva appena posato a terra la figlia, che era corsa via subito dopo sgambettando velocemente verso l'amichetto, che vide apparire davanti a sé la figura di Sara.

La donna lo salutò con calore, chiedendogli il motivo del suo ritardo, che Ivan giustificò goffamente dicendo di essere stato in un salone di automobili per cercare una nuova macchina per sé, dato che l'altra era ormai irrecuperabile.

"Hai fatto bene" commentò la donna, ridendo sotto i baffi.

Ivan non raccolse la provocazione sulla sua Punto preistorica, occupato com'era a paragonare gli occhi di Sara con quelli splendidi e azzurrissimi di Lidia.

"Hai visto per caso mia figlia, lungo le scale?" domandò la sua collega successivamente, guardandolo con aria impensierita.

L'uomo annuì dopo aver riflettuto per un momento su cosa raccontare.

"Era sconvolta... se n'è andata via di corsa. Mi ha detto che Roberto, il suo ex-ragazzo, si è rifatto vivo. Credo che sia andata a piangere a casa. Non so che fare... perché quando Lidia s'impone di non esternare i suoi sentimenti, nessuno riesce a farla capitolare. E lei non mi parla mai di ciò che le passa per la testa o di cosa prova. Cosa mi consigli? Devo insistere per farla sfogare? Sono quasi sicura che così si sentirebbe meglio, se si confidasse, ma temo di violare la sua privacy. E lei ne è estremamente gelosa. Potrebbe richiudersi ancor di più con me. Cosa devo fare, secondo te?"

Ivan tirò un sospiro, fingendo di rifletterci su per un istante.

"Io credo che sia meglio rispettare la sua privacy" rispose infine. "Quando vorrà confidarsi, sarà lei ad avvicinarsi a te per chiederti consiglio o per confidarsi. Ma non forzarla."

Sara annuì, un poco sollevata.

"Grazie del consiglio, Ivan... sei un buon amico" e gli sorrise, posando poi una mano sulla sua spalla in una sorta di goffo ringraziamento.

Quel gesto amichevole turbò ulteriormente il suo animo. Sara era una sua cara amica e lui non avrebbe mai voluto ferirla nei sentimenti, andandosi a cacciare in una relazione con la sua primogenita. Ma era così grande l'attrazione che provava per Lidia che gli scrupoli che si era fatto precedentemente, sebbene rafforzati dalla convinzione di lasciar stare quella storia, stavano lentamente soccombendo di fronte alla sua voglia di provare a stringere una relazione segreta con lei.

Ivan cominciò ad accarezzare quell'idea, sempre più tentato ad attuarla. Solo i sensi di colpa che provava lo frenavano, ma non avrebbero retto ancora per molto a lungo.

 

***

 

Lidia si addormentò solo dopo un lungo pianto liberatorio. Il carico di emozioni represse che aveva dentro dalla rottura con Roberto si era aggiunto vigliaccamente al forte dispiacere e all'amarezza che quel confronto con Ivan le aveva lasciato dentro.

La mattina dopo si levò con il sole. Osservandosi allo specchio, notò gli occhi gonfi e iniettati di sangue che spiccavano sul volto pallidissimo.

Prese il telefono tra le mani per controllare eventuali messaggi o chiamate perse. C'erano tre sms di Céline, uno più disperato dell'altro.

Il primo diceva così:

 

Hey, Lì, cos'è successo? Tua madre mi ha detto che te ne sei andata via sconvolta perché Roberto si è fatto vivo, tu sei molto addolorata eccetera... e io ho retto il gioco per te, ma ora voglio sapere cosa sta accadendo! D:

 

Il secondo era più esasperato:

 

Lidia! Insomma, che succede? Perché non mi rispondi?! Chiamami dopo!

 

Il terzo aveva un tono del tutto differente:

 

Lidia, se non mi chiami entro la mezzanotte per farmi sapere che sei ancora viva, vengo a cercarti, anche a costo di frugare in ogni angolo di Firenze. RISPONDIMI!

 

C'erano anche due chiamate perse. Lidia si disse che non era il caso di richiamare quella pigrona della sua amica alle sei e mezza di mattina, dato che fino alle dieci C駘ine si rifiutava categoricamente di abbandonare il proprio letto.

Non sapendo che fare, la ragazza si diresse in cucina con l'intenzione di fare colazione. Si versò del latte e del muesli in una tazza e se la portò in camera, masticando lentamente la frutta secca inzuppata. Camminando piano nella stanza per non interrompere il sonno beato della sorella minore, la castana prese dal guardaroba un paio di shorts aderenti e una maglietta, poi afferrò le scarpe da corsa che se ne stavano in un angolo e uscì in punta di piedi dalla camera, entrando nel bagno. Dopo dieci minuti, Lidia era vestita e lavata, pronta a farsi una mezz'oretta di corsa.

Passò nell'atrio lasciando un biglietto appeso sul portone. Il foglio era indirizzato ai genitori, che dormivano ancora entrambi, e li informava di essere andata a fare jogging e che forse, al loro risveglio, non sarebbe ancora tornata, per cui non dovevano preoccuparsi per la sua assenza. Vide con la coda dell'occhio che l'orologio segnava le sette meno cinque, quindi uscì dall'abitazione e si diresse al parco non lontano da casa sua.

Qui fece un breve riscaldamento, giusto per evitare strappi muscolari, quindi uscì dal perimetro del verde spazio pubblico a passo svelto, cominciando a correre piano dopo un centinaio di metri. La velocità della sua andatura aumento progressivamente. I polmoni di Lidia inspirarono aria fresca, riempendosi e svuotandosi a ritmo regolare mentre il corpo si tendeva nello sforzo e lo spirito si concentrava sulla corsa, abbandonando in un angolo i tristi sentimenti che lo turbavano.

Correre, per lei, era uno degli sfoghi che più l'aiutava a scaricare l'ingorgo di emozioni che spesso andava a formarsi in lei. Insieme all'ascolto, continuo fino alla nausea, delle sue canzoni preferite, ovviamente riprodotte a volume massimo, una corsa lunga e sfiancante era un balsamo per le ferite del suo animo.

Aveva percorso sì e no due chilometri e mezzo, quando decise di fermarsi a riprendere fiato. Intravide una panchina posta lungo il marciapiede e lì si mise a sedere, consumando tutta la bottiglietta d'acqua che s'era portata dietro e restando ferma a recuperare ossigeno mentre davanti a lei il traffico delle sette e venti di mattina procedeva placido e regolare, ingrossandosi man mano che aumentavano le auto in circolazione. Alcune persone cominciarono a uscire di casa, sebbene ci fosse anche qualche figura solitaria che vi rientrava dopo un turno lavorativo notturno o una mezz'oretta di jogging.

Quando decise che era passato abbastanza tempo per riprendere il respiro, Lidia, che nel frattempo si era rialzata in piedi e aveva sgranchito un po' le gambe rilassate per evitare che i muscoli di esse si irrigidissero a causa della frescura di quel momento, prese la direzione di casa camminando a passo sostenuto, cominciando a correre dopo un buon mezzo chilometro.

Lungo la strada che costeggiava l'Arno denso e grigio, la ragazza osservò l'animazione mattutina che rendeva Firenze fremente di attività e di vita.

Era a circa un chilometro da casa quando scorse una figura familiare.

No, ti prego... , cominciò a pregare la ragazza, senza nemmeno sapere a chi fosse rivolta la sua richiesta. Non può essere.

Nella lieve foschia che proveniva dal fiume placido e largo, la sagoma di un uomo dai capelli scuri e lisci emerse in netto contrasto col chiarore del cielo mattutino, presa dallo sforzo di una corsa rigenerante. Ivan era vestito molto semplicemente, con addosso solo un paio di pantaloncini da ginnastica e una canotta azzurra aderente, mentre una felpa annodata malamente se ne stava stretta ai suoi fianchi. Una fascia nera teneva fermi i capelli dell'uomo, ormai piuttosto lunghi.

Con quell'abbigliamento sportivo Lidia riuscì a intravedere le forme sinuose e longilinee dell'addome di Ivan, mentre i polpacci allenati e i quadricipiti delle gambe guizzavano vistosamente durante la sessione di jogging.

L'infermiere non la vide subito, o almeno così le parve; essendo concentrato nella corsa, lui sollevò la testa per osservarsi intorno solo quando fu a una dozzina di metri dalla figura della giovane. Allora si fermò di colpo e se ne stette in silenzio, come se lei avesse avuto qualcosa da dirgli.

Entrambi erano imbarazzati e desiderosi di essere altrove. Lidia lo salutò piuttosto goffamente, tenendo lo sguardo basso, mentre Ivan ad un tratto si fece avanti camminando con disinvoltura, riprendendo fiato a grossi respiri e detergendosi il sudore del volto col dorso di una mano. Quando furono l'uno di fronte all'altra, la ragazza si sentì un nodo allo stomaco e il suo primo impulso fu quello di correre via con una scusa qualsiasi. La sua mossa fu però preceduta da una ben più lesta, perché Ivan, sebbene affaticato per la lunga corsa che aveva svolto, era più dinamico e scattante di lei. La ragazza si trovò le mani strette in una morsa delicata ma infrangibile, con gli occhi di lui che la osservavano calmi e decisi.

"Ti devo parlare" esordì l'uomo. E la trascinò gentilmente con sé a sedere su una panchina vicina, accomodandosi l'uno di fronte all'altra.

 

***

 

N.d.A.

Buona sera a tutti! :D

Eccomi qua con il nuovo capitolo di 'Untitled'. Come avete potuto leggere – se avete avuto il coraggio di arrivare fin qui -, sono emerse tutte le ragioni per cui Ivan ha deciso di tenersi lontano da Lidia. Purtroppo la situazione non è facile per i due, ma perché l'uomo, il mattino seguente, dice alla protagonista che deve parlare con lei? E con urgenza, a quanto si può capire. Be'... non spoilero nulla, perciò chi legge dovrà aspettare il prossimo capitolo per avere tutto chiaro :P

Comunque, ora vorrei ringraziare sabrinacaione, che ha recensito la storia fin dal primo capitolo <3 , hi_guys e Piebavarde, che hanno lasciato un commento all'ultimo aggiornamento. Inoltre, grazie a chi legge la storia e a chi la segue o l'ha messa tra le preferite e le ricordate ^^

Bon, mi congedo, ma mi rifarò viva con il prossimo capitolo, venerdì prossimo :)

Ah, quasi mi dimenticavo: per richiesta di Sabrina, ecco sotto le foto che più o meno rappresentano Lidia ed Ivan come me li immagino io.

Spero che rassomiglino un po' a come ve li immaginavate voi, e che questo capitolo vi sia piaciuto :)

A presto <3

 

Flame


       Ivan




       Lidia

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


8.

 

Dopo la cena a casa dei genitori di Marco, la famiglia Castellucci era partita da lì verso le dieci.

La piccola Emma era distesa sui sedili posteriori, assopita. Era tanto stanca, dopo un pomeriggio e una sera passati a correre, giocare e divertirsi con Marco e gli altri loro amici. Un sorrisetto soddisfatto era accennato sulla boccuccia semiaperta.

Ivan, suo padre, se ne stava accomodato sul sedile anteriore della vettura, con lo sguardo rivolto al chiaro cielo serale costellato di astri. Ignorava volontariamente la moglie, alla guida della macchina, per evitare di doverci parlare. Quasi non si guardavano più in faccia, quando non dovevano fingere di fronte alla figlia.

"Ivan" lo chiamò ad un certo punto la donna, allungando la mano per poi picchiettare leggermente un dito sul dorso della mano del marito.

Lui si voltò, guardandola con aria diffidente.

"Che vuoi, Alessia?"

"Ivan," ripeté la donna, "io voglio divorziare."

"Ne parliamo più tardi."

Gli occhi scuri della moglie si ridussero a due sottili fessure, posandosi per un momento su di lui, freddi e brucianti di rabbia, per poi tornare a concentrarsi sulla strada.

"Perché non adesso? Emma è addormentata, non ci sentirà" insisté con voce pretenzionsa.

"Perché se si sveglia senza che ce ne accorgiamo nel bel mezzo di una discussione potrebbe capire tutto!"

"Dovrà comunque affrontare questa nostra decisione, prima o poi! Anche se viene a saperlo prima invece che più tardi, il suo dispiacere sarà lo stesso. Anzi, più aspettiamo, peggio è: Emma è piccola, ma anche tanto percettiva... secondo me ha già capito tutto, ma non ci dice niente perché non ne ha le prove."

Ivan non rispose. Stava pensando a come rimandare la discussione; non aveva proprio voglia di dover parlare di una questione così spinosa proprio in quel momento.

"Attendi fino a che le vacanze in Valle d'Aosta non saranno terminate... almeno la piccola starà serena. Dovrà affrontare una tempesta, dopo. E da sola, perché noi ce ne staremo in disparte a scannarci l'un l'altra per ottenere la sua custodia."

Alessia lo osservò con i grandi occhi scuri, fingendo confusione.

"Che cosa intendi dire? Non vuoi l'affidamento congiunto?"

Le iridi nocciola di Ivan ressero quello sguardo con durezza e diffidenza.

"Non fare la finta tonta, Alessia. Ti conosco da quindici anni; so le tue intenzioni. Me la strapperai via definitivamente, mi priverai dell'affidamento congiunto. Non è tua intenzione permettermi di frequentarla o di passare con lei un certo numero di giorni alla settimana o al mese, come viene stabilito in questi casi. Tu me la porterai via e non mi permetterai più di vederla. Il tuo amante si trasferirà in Renania per gli affari economici della sua impresa farmaceutica e tu intendi seguirlo. Tu vuoi andartene in Germania e portare con te Emma. Per non farmela più vedere. Vuoi portarmi via mia figlia."

"Non sei tanto stupido, allora."

Il sogghigno che la donna rivolse all'infermiere fu di scherno. L'uomo resisté all'impulso di ribattere con un commento soltanto perché sapeva come finivano quelle accese discussioni: l'atmosfera si riscaldava, i due contendenti cominciavano ad alzare la voce e la figlia si svegliava in mezzo a un putiferio. Essendo più cauto e intelligente della moglie, Ivan si limitò a tacere, contenendo la collera, tuttavia la tentazione di porre una domanda alla donna lo vinse.

"Posso soltanto sapere perché mi odi così tanto? Che grave torto ti ho fatto, da spingerti addirittura a vendicarti di me per mezzo della mia piccola Emma?"

Il tono di voce dell'uomo era leggermente venato dall'incredulità. Non riusciva minimamente ad intuire le ragioni che avevano spinto Alessia ad essere così feroce contro di lui. Fondamentalmente, lui non le aveva mai fatto nulla di male, non le aveva mai fatto subire un torto abbastanza grave da provocare una reazione così abietta e spietata.

"Non avresti dovuto intrappolarmi in un matrimonio" fu la risposta secca di lei.

"Non ti ho obbligata a rispondermi di sì" replicò lui stizzito.

"Ora sarei libera di poter stare sempre accanto a Giacomo, e invece..." Alessia non finì la frase.

Giacomo era l'uomo con cui aveva tradito il marito.

Ivan tirò un profondo sospiro. Non gli sarebbe stato difficile tollerare di sentire il nome dell'amante di sua moglie, una donna per cui ormai il suo amore aveva smesso di ardere, se quest'individuo non fosse stato anche la causa di gran parte dei problemi che lo tormentavano.

"Quando ci siamo sposati eravamo innamorati... Solamente adesso mi accorgo che la nostra relazione è stata una scintilla che s'è subito spenta. Ma, se volevi il divorzio fin da subito, non dovevi aspettare che Emma fosse già abbastanza grande da poter comprendere la situazione e risentire della nostra separazione!" rimproverò il moro alla conducente della macchina.

"Ho sbagliato a temporeggiare, su questo hai ragione. Ma io ho deciso che chiederò il divorzio. E nulla mi farà cambiare idea. Preparati, perché le vacanze in Valle d'Aosta saranno anche l'ultimo tuo periodo di tranquillità!" lo minacciò la donna malignamente, chiudendo la discussione.

Ivan si portò le mani al volto, massaggiandosi le tempie vigorosamente con le dita. Alessia l'odiava. E non era neanche colpa sua. O, meglio, la colpa era in parte anche dell'uomo, ma nulla di ciò sarebbe successo se lei avesse deciso di dire no alla sua proposta di matrimonio, dieci anni prima. Si sarebbero risparmiati un mucchio di cavilli legali e di lotte famigliari.

E il peggio è che sarà Emma la vittima principale di questa separazione, considerò amareggiato. Ho commesso una cazzata, sposandomi. Una cazzata colossale.

 

***

 

Ivan, quella notte, non era riuscito a riposare in santa pace. Il suo sonno era continuamente intervallato dalla visione di due vividi occhi azzurri che piangevano, di una voce incrinata dal dispiacere, da sentimenti repressi e tumultuosi che fuoriuscivano dal suo subconscio prendendo la forma delle più svariate cose.

Si era svegliato di soprassalto alle sei, osservandosi attorno alla ricerca della causa del forte rumore che l'aveva destato. Alla fine, cercando nella stanza, s'era accorto che un chiodo lento affisso al muro aveva ceduto, facendo cadere a terra la foto appesa. Il vetro del ritratto era andato in mille pezzi. Prendendo il mano la forma rettangolare del riquadro, Ivan aveva notato che la fotografia caduta a terra era quella che lo raffigurava insieme alla moglie e alla figlia nel giorno del suo quinto compleanno, ossia poco tempo prima che cominciassero i primi, grossi problemi di coppia con Alessia.

Quella coincidenza era curiosa: si era rotta la fotografia che ritraeva una famiglia spezzata. Questa, almeno, era stata l'ironica riflessione di Ivan su quel fatto.

L'uomo aveva poi raccolto la foto fra le dita, piegandola e poi strappando la parte in cui era raffigurata Alessia nell'atto di sporgesi verso il marito, che stava in piedi con la piccola Emma in braccio. Lasciò integra la parte di sé con la bambina, posandola sul comò della stanza, poi accartocciò la metà in cui appariva sua moglie e la gettò nel piccolo cesto della spazzatura della camera insieme ai frammenti del vetro di protezione e della cornice della fotografia. Avrebbe giustificato la mancanza di quella parte di foto dicendo che era stata danneggiata e tagliata vistosamente dai frammenti affilati del vetro.

Ivan avrebbe voluto fare la stessa cosa anche con la moglie in carne ed ossa: spesso si fermava ad immaginare la scena in cui si sbarazzava per sempre di Alessia, divorziando da lei e andando a vivere con la figlia in una zona più tranquilla. Rimpiangeva ancora la sua scelta testarda e insensata di sposarsi con una donna che già in passato gli era stata infedele. Accecato com'era da quell'intenso innamoramento, destinato tuttavia a soccombere sotto il peso schiacciante della loro flebile affinità, della routine domestica e del passare degli anni, non aveva pensato al fatto che il tradimento avrebbe potuto essere consumato un'altra volta ancora, anche dopo il perdono e il matrimonio. L'unica cosa buona che quel connubio aveva portato nella sua vita era l'irruenta gioia di vivere di Emma. Ora, a parte per la nascita della figlia, si era pentito di quella scelta. A quell'ora lui sarebbe stato libero di poter riservare il proprio cuore e i propri sentimenti a una persona che lo potesse ricambiare. Sarebbe stato più sereno, in tutti i sensi. E magari innamorato e felice accanto alla persona giusta.

Il pensiero di Lidia fece capolino nella sua mente. Gli veniva spontaneo accostare la figura bella e delicata della ragazza al concetto di amore. Perché lei era questo, vera e pura attrazione. Un'attrazione che andava oltre il semplice desiderio fisico, che attraversava la loro anima e vi penetrava a forza nel profondo, legandoli l'uno all'altra intimamente. Era un sentimento nuovo e ardente, ma non per questo superficiale o destinato a spegnersi in poco tempo. Una trepida promessa di felicità, di serenità, di gioia. Ivan aveva amato Alessia in modo leggero e apparente, senza cercare mai di approfondire e condividere tutto il suo amore con lei, e perciò l'aveva perduta. Alessia non era mai appartenuta completamente a lui, così come lui a lei. Non erano stati capaci di amarsi. L'uomo, grazie a questa esperienza fallimentare, aveva compreso veramente cosa significasse amare. E, nonostante conoscesse Lidia da poco, si riteneva perfettamente in grado di affermare con certezza che il sentimento che provava per lei era molto più profondo e intenso. Ma, a differenza della prima volta, lui non avrebbe lasciato che quel sentimento si consumasse. L'avrebbe approfondito, l'avrebbe curato, coltivato, l'avrebbe fatto crescere e maturare, fortificarsi e rendersi inossidabile anche dal tempo e dalle avversità. Non sarebbe stato superficiale. Lidia per lui valeva tutto questo. Lei era vibrante di vita e piena d'amore da donare e ricevere e lui bramava di raggiungere la sua sagoma distante e lontana, come la larva terrestre che desidera ardentemente la metamorfosi che le permetterà di volare fino alla luna, lassù nel quieto cielo serale.

Ivan voleva amare Lidia. Voleva amarla perché sentiva il bisogno di averla accanto, di esserle al fianco. Voleva condividere con lei i suoi momenti più belli e brutti, ed esserle accanto nelle difficoltà così come nella gioia.

Ivan voleva Lidia. La voleva perché lo intrigava, perché era certo che quel sentimento di indefinita e confusa attrazione che provava nei suoi confronti si sarebbe rafforzato e sarebbe stato forte e tenace anche nello scorrere del tempo. Lui aveva diritto ad innamorarsi una seconda volta. Aveva diritto ad essere felice. E lo avrebbe preteso, d'ora in avanti, e avrebbe combattuto per vederlo riconosciuto e rispettato.

Ivan doveva parlare con Lidia. Subito. Doveva parlare con lei prima di poterla perdere a causa della propria ostinazione e stupidità.

E vaffanculo alle conseguenze e all'amicizia con Sara... Cioé, gli dispiaceva, ma tutto era passato in secondo piano. Per troppo tempo lui era stato infelice per agevolare la serenità degli altri. Ora era il suo turno di raggiungere la felicità. E, se questo doveva valere un sacrificio del genere, il tradimento di una schietta amicizia, lui lo avrebbe fatto, mettendo a tacere i sensi di colpa e perseguendo il suo scopo.

Tu devi sempre, ma non puoi né vuoi mai. Tu sei obbligato, sei in dovere, e devi, sempre e comunque. Ti conformi sempre alla situazione e cerchi di risolverla seguendo solo il ragionamento, ma non lasci mai spazio ai tuoi sentimenti, alla tua volontà. Tu devi e basta, erano state le parole dette da Lidia la sera prima. E mai, negli ultimi anni, aveva sentito parole più critiche e sincere.

Lidia aveva colto nel segno. Ivan era terribilmente in obbligo di anteporre i propri desideri a tutto e a tutti, per una buona volta.

 

***

 

Dopo una colazione frugale, l'infermiere andò in bagno a lavarsi, decidendo infine di andare a correre nella zona intorno a casa per schiarirsi le idee.

Ivan si vestì in modo leggero, con una canotta, un paio di pantaloncini elasticizzati da jogging e una felpa per coprirsi dopo aver corso, per evitare l'emicrania, infilandosi poi una fascia elasticizzata nera per trattenere i capelli color ebano, ormai diventati piuttosto lunghi, all'indietro. Si infilò le scarpe da ginnastica, le allacciò, afferrò una mela dalla fruttiera, la risciacquò sotto l'acqua fredda del rubinetto e se la mangiò mentre finiva di prepararsi per andare a correre.

Fare jogging la mattina era uno dei suoi passatempi preferiti. A Ivan piaceva la tranquillità della prima mattina, la pungente frizzantezza dell'alba, la foschia sfumata che s'ergeva dal letto dell'Arno rendendo grigi e indefiniti i contorni delle case prossime alla riva. Gli piaceva osservare i movimenti nelle case e nei negozi e nelle officine che aprivano prima dell'alba, vedendo intorno a sé la magnifica Firenze risvegliarsi e dare il benvenuto al nuovo giorno.

Correre lo faceva pensare con mente fredda e lucida e quello era ciò di cui aveva bisogno al momento per decidere sul da farsi. Aveva molte questioni in sospeso su cui decidere: come 'parare i colpi della sorte' - come scriveva il Boccaccio -, o, meglio, il colpo basso che Alessia intendeva infliggergli, cioé aprire un processo di separazione in tribunale e strappargli la custodia di Emma, non curandosi delle ripercussioni che esso avrebbe avuto sull'infanzia della figlia; come incontrare Lidia il più presto possibile senza che nessuno, oltre a loro due, sapesse di ciò che aveva da dirle; stabilire come dire a Sara delle proprie intenzioni nei confronti della sua primogenita, se quest'ultima si fosse trovata d'accordo a parlare con la madre di una loro probabile relazione futura. Ovviamente, soltanto qualora Lidia avesse accettato di provare a stringere una relazione con lui.

Solo di una cosa era certo: Lidia era una ragazza molto giovane e, se mai ci fosse stato qualcosa di serio fra di loro in futuro, lei non si sarebbe mai dovuta sentire limitata nelle proprie scelte da questa relazione. Inoltre, essendo Ivan vicino ai quarant'anni, era ormai esperto di donne e le sue storie erano state sempre costruite dapprincipio su un'affinità caratteriale e carnale, ma l'uomo s'impose che all'inizio non sarebbe stato così per Lidia, che avrebbe escluso l'aspetto fisico di una relazione, perché l'amore non era solo eros e sesso, ma anche rispetto, condivisione, complicità e pure screzi e discussioni, e lui non doveva imporle il proprio modo di vivere una storia, ben più maturo rispetto a ciò cui la giovane poteva essere abituata. Con lei aveva intenzione di escludere, almeno all'inizio, qualsiasi approccio fisico che fosse andato oltre l'eros.

Doveva elaborare un modo di conciliare la propria visione da quarantenne dell'amore con quella di una diciottenne.

 

***

 

Con il fiatone, i polmoni che bruciavano e i muscoli mezzi irrigiditi dall'acido lattico creatosi dopo una lunga corsa, Ivan si fermò decelerando piano piano, per poi sedersi su una panchina a recuperare. Bevve un sorso d'acqua dalla bottiglietta che s'era portato dietro, massaggiandosi vigorosamente i muscoli indolenziti. A quarant'anni, seppur ancora al massimo delle sue forze, cominciava ad avvertire i propri limiti fisici, cosa che a vent'anni non avrebbe mai considerato. Si manteneva in forma e conduceva una vita sana e attiva, ma gli sforzi che compiva li avvertiva chiaramente e si sentiva affaticato, talvolta.

Interrogandosi sul modo di poter incontrare Lidia e chiarire definitivamente le proprie intenzioni, l'infermiere ripartì di scatto dopo due soli minuti, in modo da evitare un irrigidimento eccessivo dei muscoli e da sentire meno la stanchezza fisica.

Stava correndo a passo spedito all'angolo fra due strade secondarie, quando intravide una solitaria figuretta fremente e sottile emergere dalla foschia che avvolgeva il Lungarno, correndo rapida e leggera lungo la riva costeggiata dalle acque torbide e quiete del fiume. La ragazza - poiché quella era una ragazza - parve accorgersi da lontano della sagoma mascolina e atletica di Ivan che correva nella direzione opposta alla sua.

Non diede comunque molto peso a quella giovane, perché, anche se per un momento gli era sembrata Lidia, il riverbero del sole che si ritrovava contro doveva averlo sicuramente fatto sbagliare.

Fu con immenso stupore e piacere che, alzando la testa per osservarsi intorno, l'uomo si accorse che la figura che se ne stava ferma a osservarlo a una dozzina di metri di distanza era veramente quella di Lidia. Si fermò anche lui improvvisamente, facendo scivolare lo sguardo sulla sua figura per un lungo istante.

Lidia Draghi era una ragazza non eccessivamente alta, magrolina e piuttosto sportiva, che aveva la passione per la corsa fin da piccola. Il mezzofondo semplice e prolungato erano le sue specialità, determinate dalla grande resistenza fisica del suo corpo. Era iscritta a un club di atletica leggera per il quale aveva gareggiato e vinto un terzo posto del podio alle gare regionali dell'anno precedente. In quel momento la giovane indossava proprio l'uniforme dell'associazione sportiva a cui apparteneva, con una semplice maglietta bianca che esaltava le sue forme proporzionate ma piuttosto generose e un paio di shorts elasticizzati che sottolineavano la linea dei fianchi. Gli occhi azzurri brillavano accesi dallo sforzo compiuto e il rossore estremo delle guance lucide dava un tocco di colore al volto, pallido e lucente nella luce del sole albeggiante. Le spalle si sollevavano e abbassavano a seconda del respiro accelerato. Nel complesso, nonostante la coda sfatta e i ciuffi ribelli che erano scappati dall'elastico che li conteneva, nonostante l'affaticamento corporeo della ragazza, la figura di Lidia che gli si delineava davanti era così bella e così vitale che Ivan ebbe un sussulto al cuore.

Lei lo salutò in maniera molto goffa, evidentemente imbarazzata da quell'incontro inatteso. L'uomo invece si fece avanti improvvisamente, preso da un'inarrestabile determinazione, e rispose al saluto della castana con un Ti devo parlare inaspettato. Serrando nella stretta delle proprie mani i suoi polsi sottili ma volitivi, il moro trascinò con sé la ragazza a sedere su una pachina del Lungarno, accomodandosi faccia a faccia l'un l'altra.

"Che vuol dire 'Ti devo parlare'? Cosa c'è adesso, Ivan?!" esclamò confusa la ragazza, guardandolo con occhi smarriti e malinconici. Quello sguardo fu per l'uomo come una stilettata al petto, perché gli riportò alla mente i ricordi della sera precedente. Si ripromise di non ferirla mai più nei sentimenti e nell'animo, perché non poteva sopportare di vederla soffrire e dispiacersi.

"Ieri sera avevi ragione, riguardo al fatto che io 'devo sempre' ma 'non posso né voglio mai', lo sai?" cominciò, tirando un respiro per recuperare ancora il fiato.

"Avevi solo questo da dirmi? Sei qui per questo motivo?" chiese Lidia allibita e incredula.

"No! No... cioé, anche per questo. Ma traiamo le conseguenze: il tuo commento mi ha ferito, perché rifiutavo di ammettere anche con me stesso il fatto che ciò che hai detto è vero, ma me lo hai fatto anche accettare, finalmente. E ho deciso di agire di conseguenza. Io adesso non devo più. Io voglio. E voglio provare a frequentarti. Se sei d'accordo lo diremo ai tuoi genitori, altrimenti... be', lo faremo di nascosto, oppure non lo faremo affatto. Ma voglio provare. E al diavolo i miei doveri verso gli altri: ormai mi premono solo la felicità di Emma e i tuoi sentimenti" ammise il bruno in un soffio, guardandola dritto negli occhi con uno sguardo così sincero e determinato che la ragazza fu certa che l'uomo avesse messo a nudo la sua vera volontà.

"Vogliamo provare a frequentarci?" le chiese infine, respirando affannosamente per la fatica compiuta in precedenza e per il discorso precipitoso appena detto.

"Tu non avrai mica intenzione di dirlo alla mamma, vero?" domandò a sua volta Lidia, evadendo la domanda dell'uomo.

Ivan s'accigliò.

"Se la decisione fosse solo mia, glielo direi subito. Non mi piace avere segreti con Sara, che per di più riguardano te, sua figlia... sto tradendo la nostra amicizia. Ma, se è questo che vuoi - solo se è questo ciò che desideri -, allora sono disposto a mantenere celata la nostra relazione" promise.

Lidia rise divertita.

"Ma se non abbiamo nemmeno una relazione!" replicò mentre un sorriso smagliante le si apriva sulle labbra scarlatte. Il moro non aveva mai visto un sorriso così intrigante e affascinante sul volto di una ragazza.

"Be', possiamo cominciarla" obiettò Ivan osservandola dritto negli occhi celesti.

"Tu dici?"

L'uomo rimase spiazzato di fronte a quella risposta.

"Ma... io pensavo... non credevo che cambiassi idea così velocemente, Lidia..."

"Ma io stavo scherzando!" esclamò la castana ridendo ironicamente.

Lidia si portò in avanti in uno slancio d'affetto, fiondandosi tra le braccia semiaperte di Ivan. Con gli arti che cingevano il collo di lui mentre l'uomo la stringeva pian piano a sé, la ragazza andò a ricercare la sua bocca grande e sottile, sfiorandola con le proprie morbide labbra. Le loro lingue si incontrarono poco dopo, timide e restie a toccarsi, per poi assaporarsi lentamente e fondersi insieme, mentre il colore azzurro delle iridi della ragazza e il nocciola dorato degli occhi dell'uomo si confondevano ed univano insieme in un abbraccio indissolubile, osservandosi l'un l'altra con sguardi di estatica felicità.

Lidia e Ivan se ne rimasero così, avviluppati l'una all'altro, per molti, lunghissimi minuti, liberando finalmente l'istintiva passione per l'altro che sentivano originarsi dal profondo dei loro esseri, incuranti degli sguardi curiosi o impertinenti o di disapprovazione che venivano rivolti loro dalle persone, le quali, passando per lì, si voltavano a guardare la scena fuori luogo che si svolgeva proprio davanti ai loro occhi basiti sullo sfondo di un orizzonte lucente e indefinito.

Perché loro due erano felici così, anche con la gente che guardava e giudicava. Erano felici, da soli, nella loro dimensione parallela alla difficile, triste realtà.

 

***

 

 

N.d.A.

Salve a tutti! :D

Ed ecco la svolta che tutti si aspettavano! XD

Ora siete curiosi di sapere come continuerà la storia, vero? (sì, come no... xD ) Be', allora vedrete cosa succederà nel prossimo capitolo – o, meglio, leggerete.

Ora passo ai ringraziamenti: grazie a Piebavarde, che ha recensito il capitolo scorso <3  e a Daisy90, che ha cominciato a seguire la storia e che ha commentato l'ultimo aggiornamento *-*

Grazie, inoltre, a chi legge la mia fic e la segue <3

Bon, mi dileguo perché ho sonno xD

Al prossimo venerdì, e buona notte. :*

 

Flame

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


9.


Lidia sorrise per l'ennesima volta con un'espressione inebetita e beata stampata in viso, incapace di pensare ad altro che non fosse Ivan. Con il volto a cuore poggiante fra le mani, con i gomiti che sorreggevano il tutto, la ragazza se ne stava stesa sul proprio letto, incurante della calura pomeridiana, fissando con aria sognante e felice i poster di Serj Tankian, Chester Bennington e Chris Wolstenholme che aveva appeso alla porta scorrevole dell'armadio, oscillando furiosamente i piedi avanti e indietro.
Il cuore ancora pulsava rapidamente, in preda alle emozioni intense e gioiose che aveva provato quella mattina. Ricordò il bacio che si era scambiata con l'infermiere con bramosia, desiderando di poterlo fare nuovamente. Il modo in cui lui l'aveva accarezzata, stretta a sé e baciata l'aveva eccitata da morire. Mai nessuno era riuscito a sconvolgerla così tanto nel suo intimo. Perfino con Roberto, che era esperto, di sei anni più grande di lei, e che di ragazze ne aveva avute tante, era riuscita a provare solo una pallida parvenza di eccitazione.
Che razza di sentimento poteva essere, quello che ardeva nel suo animo per Ivan? Amore? Passione? Desiderio? O si trattava di un semplice coup de foudre che si sarebbe esaurito rapidamente così come si era originato?
Ma a Lidia non importava granché sapere che genere di sentimento o emozione fosse. Le bastava essere felice, per ora.
Gettò un'occhiata all'orologio alla parete, lievemente innervosita. Doveva aspettare fino alle quattro e mezza per poter parlare con Céline di ciò che le era successo. Voleva dirglielo di persona, perché non le sembrava giusto informarla per mezzo di Whatsapp, Facebook o sms, e poi perché sua madre riusciva sempre a scoprire - incredibilmente - la password del suo cellulare, andando a leggere le conversazioni della figlia con gli amici. Sara era estremamente curiosa e ancor più estremamente invadente. Lidia non sopportava più quelle impertinenze.
Erano solo le due del pomeriggio, considerò. Che posso fare?, pensò seccata dall'attesa.
Un'idea la folgorò improvvisamente: poteva sentirsi con Ivan. Però l'entusiasmo della castana fu subito arrestato da un'altra riflessione: presi com'erano dall'improvvisa novità che aveva rivoluzionato le loro vite, né lei né l'uomo avevano pensato a scambiarsi di numero di cellulare. Lidia non sapeva nemmeno se lui avesse un profilo Whatsapp o Facebook.
Ma come faccio ad essere tanto scema?!, si insultò mentalmente da sola, gemendo per l'esasperazione. Sono un caso irrecuperabile, ammise con sé stessa, non penso mai a niente. La prossima volta che lo incontro provvederò a informarmi, si promise, recuperando in parte il proprio buonumore.
Annoiata dalla lunga attesa che le si prospettava davanti, la giovane decise di starsene stesa sul letto, imponendosi di aspettare con calma l'arrivo della sua migliore amica. In breve, la noia e il peso di un sonno agitato e sconnesso vinsero la loro battaglia sulla sua resistenza, facendola piombare in un sonno sereno e senza sogni.

 
***

Ivan rimise a posto le garze nell'armadietto, dirigendosi quindi verso la sala d'attesa. Notò che era vuota. Quel giorno, per fortuna, sembrava che non ci fosse nulla da fare, nonostante in genere fossero sempre molto impegnati nei reparti del Pronto Soccorso dei vari ospedali del capoluogo toscano.
Erano le tre e il moro aveva cominciato il turno di lavoro pomeridiano circa un'oretta prima, ma fino ad allora s'era occupato di due soli malcapitati, una turista tedesca che s'era presa un'insolazione e una bimbetta di sei anni che, correndo lungo le scale della casa dei nonni, era scivolata dai gradini sbattendo la testa in fondo ad essi, arrivando al Pronto Soccorso locale con un vistoso taglio sulla fronte, per fortuna poco profondo.
Si ritrovò a stupirsi da solo mentre fischiettava un'arietta allegra senza motivo, pensando a una qualsiasi cosa che non sapeva neanche lui precisamente quale fosse.
Il pensiero di Lidia lo fece sorridere. S'era dimenticato di chiederle il numero, ma avrebbe rimediato con l'occasione futura più prossima. Contava di essere invitato a una cena nel fine settimana con le famiglie di Tony e Rita, Sara e Domenico e Giorgio e Maria. Il bello della serata stava in due cose: l'avrebbe passata interamente con Lidia e non ci sarebbe stata Alessia a rovinare la cena e il dopocena.
Per motivi di lavoro, infatti, la moglie dell'infermiere era obbligata a rimanere presso la casa dell'anziana signora che assisteva fino a tarda notte, dato che le condizioni di salute della donna s'erano un po' aggravate. Per lo stesso motivo, Alessia non sarebbe nemmeno partita per la vacanza di quindici giorni che avevano infine prenotato a Breuil-Cervinia, in Valle d'Aosta - più precisamente nella piccola e incantevole località di Valtournenche -, a duemila metri d'altezza. Il piccolo paese di settecento anime, situato proprio sul confine con la Svizzera, in cui si sarebbe svolta la loro vacanza bisettimanale era il luogo perfetto per lui per trascorrere quelle ferie con Lidia, dato che erano molti i sentieri per escursioni che si diramavano da quella zona inerpicandosi su per i monti circostanti. Lidia e Ivan erano abituati a correre la mattina presto e avrebbero potuto farlo anche lì, con Sara che si sarebbe fidata sicuramente a lasciare la figlia sotto la custodia responsabile di un suo collega di lavoro. E loro due avrebbero potuto passare del tempo insieme. Da soli.
Il solo pensiero di Sara rafforzò i sensi di colpa nei suoi confronti. Ivan sospirò. Non era giusto tradire così un'amicizia. Sapeva di essere dalla parte del torto e la tentazione di renderla consapevole del proprio 'sentimento' - non riusciva a trovare un nome adatto a ciò che provava per la ragazza - che lo legava a Lidia era forte, ma facilmente reprimibile. Lui provava un'attrazione inarrestabile per la primogenita della sua amica. E intendeva rispettare la sua decisione di mantenere segreta la loro relazione, per cui non ne avrebbe fatto parola con la madre. Era pronto a sopportare dei sensi di colpa, anche opprimenti, pur di vivere una storia serena e ricca di sorprese e imprevisti, come sicuramente sarebbe stata quella con Lidia.

 
***

"E quindi alla fine avete deciso di frequentarvi?!" esclamò interdetta Céline, una volta che il breve e conciso resoconto dell'amica sugli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore le fu riferito.
L'interlocutrice della ragazza le gettò un'aria pensierosa: perché la sua amica aveva usato quel tono critico? Aveva forse qualche obiezione da tirare fuori?
"C'è qualcosa che non va, Celia?" chiese infatti Lidia subito dopo, chiamando la ragazza col suo nome di battesimo per sottolineare la serietà messa nella domanda postale.
"Certo che c'è qualcosa che non va, Lidia! Ti rendi conto che ti sei andata a cacciare in un bel guaio? Hai deciso di imbrigliarti in una relazione con un uomo di vent'anni più grande di te, con esperienze e trascorsi diversi dai tuoi, che conosci a malapena da quindici giorni! Ti rendi conto della gravità della situazione? Te ne rendi conto?" quasi le gridò contro Céline, cedendo facilmente - come suo solito - alla critica.
"E che problema ci sarebbe? Mica è un maniaco sessuale, è solo un uomo... di quarant'anni" replicò debolmente la castana di fronte all'assalto furioso dell'amica.
"Sì che invece lo è! Tu hai vent'anni di meno, Lidia! Vent'anni, cazzo! Cioé, le sue sono tendenze pedofile o quasi, te ne rendi conto? As-tu compris?°"  insistè la corvina confondendo francese e italiano. La ragazza, infatti, era bilingue, essendo per un quarto di ascendenza belga.
"Oui, oui, j'ai compris, Céline! N'exagérer pas!°°"
Quando Celia cominciava a sclerare in francese Lidia doveva assecondarla e parlare in lingua straniera pure lei, dato che altrimenti la discussione sarebbe stata soltanto uno scambio inconcludente di battute in due idiomi differenti. Perciò la castana le rispose nella lingua madre della nonna dell'amica, faticando un po' a comprendere il fiume di rimproveri in francese che usciva precipitosamente dalle labbra carnose di Céline, troppo velocemente per essere comprese tutte. Lidia comprendeva abbastanza bene la lingua dato che la studiava al liceo, ma, essendo madrelingua italiana e tedesca, non afferrava sempre tutte le parole dette dalla sua interlocutrice.
"Lidia, Ivan si sta approfittando della situazione, ti rendi conto di ciò? Tu lo hai rassicurato dicendogli che non rivelerai nulla di voi due a tua madre, ma lui cosa farà, dopo? Continuerà a essere l'uomo gentile e rispettoso che conosci o si rivelerà un individuo completamente inaffidabile? E poi è più grande di te! Insomma, Lì, potrebbe essere tuo padre, capisci?... Cioé, è un collega di tua madre. E tu potresti finirci anche a letto! E che cosa farai quando accadrà? Se si stancasse presto di questo giochetto e ti lasciasse? Ci soffriresti come un cane bastonato, come è successo con Roberto! Non voglio vederti soffrire ancora, Lidia, non per una persona con cui non vale la pena impegnarsi!"
La replica in francese di Céline fu dura e brutalmente sincera. Era preoccupata per l'amica e scettica sulla piega che avevano preso gli eventi. Tuttavia la castana non intendeva farsi dire dalla sua best friend cosa doveva fare e non fare, per cui rispose seccamente che non le importava di ciò che secondo Céline poteva succedere, perché lei era convinta che la bruna avesse esagerato e ingigantito di molto la questione. Una questione molto semplice.
"Dov'è finito il tuo senso teutonico per la decenza, Lidia? Non eri tu quella che non osava mai compiere un passo falso, quella che usava il cervello e analizzava ogni situazione con distacco e lucidità prima di mettersi in gioco...? Dov'è finita la vera Lidia, quella ragionevole, che in un altro caso simile mi avrebbe dato sicuramente retta?"
"Con tutto il rispetto... a quel paese, Celia. Sì, sono cambiata, e pure repentinamente, ma questo non vuol dire che io abbia perso la testa. Semplicemente, ho deciso di mettermi in gioco con meno insicurezza, perché mi fido di Ivan. Con lui sono felice, mi sento al sicuro. Voglio provare a esplorare il mondo che mi si aprirà davanti con questa relazione. E se dovesse andar male... be', mi servirà a crescere. Dopotutto, come spesso affermi anche tu, le delusioni e i dolori fanno parte della vita e ti aiutano a maturare e a fare esperienza, giusto?" fu la controffensiva che Lidia schierò in campo per difendersi dal pesante attacco verbale rivoltole da Celia.
L'amica non trovò nulla da ridire nelle sue argomentazioni, tuttavia appariva preoccupata.
"Temo solo che questa relazione ti porti a combinare un casino enorme con la tua famiglia, Lì" le spiegò con poche parole. "Insomma, Ivan è un caro amico di tua madre... pensa alle conseguenze che ci saranno se lei venisse a scoprirlo. E tuo padre, come reagirebbe? Lui è molto geloso di te ed Eva. Pensa soltanto ai rapporti di amicizia e fiducia reciproca che si spezzerebbero... e poi, se Ivan decidesse di finirla con questa storia? Tu sarai molto legata a lui, affettivamente, e per te sarà un duro colpo. Non negare, ti conosco dalla nascita e conosco ogni sfumatura del tuo carattere. So con quanta devozione e quanto ardore tu ami le persone, una volta stabilito un rapporto intimo e duraturo."
"Le tue preoccupazioni sono inutili, Céline... grazie per l'apprensione che mi dimostri, ma questa storia riguarda me ed Ivan, e me ed Ivan soltanto, per cui non nuocerà a nessuno se non a noi due. Se terminerà, sarò soltanto io a soffrirne e solamente perché non ho voluto ascoltare i tuoi avvertimenti, ma tu non dovrai fartene una colpa. Hai assolto pienamente ai tuoi doveri di amica fidata nei miei confronti. Ora, non preoccuparti più e sta' tranquilla, perché saprò come cavarmela" le rispose dolcemente Lidia, stringendo forte la mano dell'amica.
Céline sospirò pesantemente.
"D'accordo..." concesse infine all'amica, decidendo di non immischiarsi più in quella faccenda. Si sarebbe limitata ad aiutare Lidia se fosse stata in difficoltà e se le avesse chiesto aiuto, ma nient'altro.
"Grazie, Céline!" esclamò raggiante di gioia la castana, abbracciando di slancio la figura bassa e sottile della sua migliore amica da sedici anni.

 
***

Venerdì sera Lidia e Céline si incontrarono a casa della prima insieme ai rispettivi familiari. Alla fine, i partecipanti alla vacanza in Valle d'Aosta avevano deciso di riunirsi a casa di Sara e Domenico, gli organizzatori delle due settimane in montagna, per stabilire quando partire, dove incontrarsi e per passare insieme una serata allegra e conviviale.
"Che mi metto, Céli?! Non so che indossare per stasera" disse a voca piuttosto alta la castana, sovrastando la musica dolce e ritmata di 'Starlight' dei Muse, che avevano deciso di ascoltare mentre chiacchieravano. Le due amiche facevano sempre così, quando si trattava di parlare dei loro fatti personali, perché le madri di entrambe, curiose di carpire qualche segreto delle figlie, alle volte si appostavano nei paraggi della camera in occupazioni casuali, l'orecchio teso e vigile ad ascoltare tutto ciò che riuscivano a captare. Anche precedentemente, quando Lidia aveva confidato a Celia ciò che le era successo con Ivan, aveva deciso di mettere su 'Deer Dance' dei System Of A Down, di cui entrambe erano fan accanite, per tenere lontana Sara, la quale odiava a morte quella canzone per il pesante rombo del basso e per le forti influenze nu metal che la caratterizzavano.
"Insomma, mica devi andare a una cena ufficiale! Sta' tranquilla e mettiti su una maglietta semplice e un paio di shorts, truccati un pochino e vedrai che sarai perfetta... e poi credo che tu gli piaccia per altri motivi, non per come ti vesti" rispose scherzosamente la mora, dandole una leggera gomitata al fianco.
Lidia si scostò bruscamente con una smorfia infastidita sul viso.
"Ma io non credo proprio" la contraddisse. "Io non ho nulla di notevole, come fisico. Anzi, ancora mi chiedo che cosa gli è passato per la testa quando si è preso un abbaglio per me."
"Non dirmi che hai intenzione di domandarglielo!"
"Sono curiosa di sapere..."
"Lidia, lascia perdere" la interruppe Céline con aria rassegnata. "Nei sentimenti, come tu sai..."
"...non c'è logica ed è inutile tentare di ragionarci" aggiunse la ragazza completando la frase iniziata dall'amica.
"Esatto" confermò la mora. "E adesso sbrigati, fra venti minuti arrivano e dobbiamo scendere giù ad aiutare quei rompipalle ad organizzare la tavola" la incitò.
"Non dire così di loro. Io, piuttosto, li ringrazierei, se ne avessi la possibilità... posso vedere Ivan, così. E' da quella mattina che non lo rivedo" ammise mestamente la giovane, ravviandosi i capelli mossi con una mano per poi decidere finalmente di legarseli in un semplicissimo chignon per tenerli a bada.
Dopo un quarto d'ora le ragazze erano entrambe pronte, abbigliate in modo simile e con un trucco acqua e sapone che faceva risaltare la limpidezza del colore degli occhi di Lidia e la scura lucentezza delle iridi mogano di Céline. Le due scesero insieme, chiacchierando sommessamente di Diego, che era stato invitato alla festa, e di Matteo, il ragazzo di Eva.
"Be', Diego non sa ancora se partire con noi. I suoi genitori sono stati chiari: o va in montagna con me oppure con i suoi amici a Riccione, ma non farà entrambe le vacanze... in fondo, già quest'anno si è preso una settimana dopo aver dato gli esami della sessione primaverile" disse Céline in un sospiro. "Temo che non verrà con me. Andrea e gli altri del suo gruppo hanno già prenotato per lui, mentre noi ancora dobbiamo stabilire il numero preciso di partecipanti."
"Il numero può variare comunque. Ricorda che abbiamo preso degli appartamenti in affitto, per cui ci sarà spazio anche per lui, qualora decidesse di passare le ferie con noi" le rammentò l'amica con un sorriso incoraggiante. "E poi la questione è semplice: chiediglielo."
"Ma io non voglio fargli pressioni... non voglio che si possa sentire obbligato. Sai com'è di carattere. Appena gli fai presente qualcosa subito si sente sotto pressione."
"Che palle che è" sussurrò Lidia ridacchiando sarcasticamente. "Ma sempre meglio di Ivan. Lui si sente sempre in dovere di fare tutto ciò che può rendere felici gli altri, ma non fa mai niente per se stesso."
"Devi considerare la sua infanzia, Lidia. Dopo il divorzio tempestoso dei suoi genitori ha vissuto per sei anni con un padre autoritario. Lo odia talmente tanto che è da vent'anni che non ha più contatti con lui. Comunque, qualcosa della rigida educazione ricevuta gli deve essere rimasto per forza, altrimenti non sarebbe così ligio al dovere."
"Non conosco tanto della sua storia personale."
La castana era incuriosita: com'era stata l'infanzia di Ivan? Aveva solo poche e frammentarie informazioni.
"Be', credo che ne riparleremo più tardi, perché tua madre sta venendo verso di noi" replicò a bassa voce Céline, facendo cenno con gli occhi in direzione di Sara.
La donna stava cercando la figlia e la sua amica per farsi aiutare ad apparecchiare la tavola.
"La madre di Diego ha telefonato a Maria: il tuo ragazzo non verrà, Céline" disse lei non appena vide la primogenita del suo amico Giorgio, osservandola con uno sguardo dispiaciuto. "Già che siete qui, seguitemi ed aiutatemi a sistemare la tavola del soggiorno... Lidia, Céline, subito!"
"Mamma, chiedi a Eva, non fa mai niente in casa" ribatté piccata la figlia a braccia conserte.
"Tua sorella è uscita per prendermi una cosa, rientra a casa con Matteo verso le sette e mezza" rispose la madre, facendo uno sbrigativo cenno alle due di venirle dietro. "Su, seguitemi" ordinò, e si fece obbedire.
"Mi dispiace per te, Céline" mormorò la castana all'amica, giù di morale per l'assenza di Diego.
Le passò un braccio sulle spalle, dandole una pacca sulla schiena.
Dopo una manciata di minuti il suono del campanello distolse l'attenzione di Lidia dalla tavola. Domenico, suo padre, andò ad aprire. Subito la casa si colmò delle vivaci risate di Marco, che stava salutando gioiosamente l'amica Emma, per cui si era preso una bella cotta. Ivan fece capolino dall'atrio rivolgendo un saluto generale a tutti i presenti nel soggiorno, soffermando però lo sguardo sereno esclusivamente su Lidia. La castana gli rispose con un tacito sorriso smagliante, poi, chinando lo sguardo, riprese la sua occupazione e terminò di apparecchiare la porzione di tavolo assegnatale dalla madre.
Alle sette e mezza precise Eva e Matteo si presentarono a casa, aggiungendosi all'allegra comitiva. Arrivarono anche Rita e Tony in compagnia della figlia minore Federica, appena rientrata da Trieste per trascorrerre il mese successivo con i genitori. Si sarebbe aggiunta anche lei al gruppo in partenza ormai prossima per la Valle d'Aosta.
Tutti poi si sedettero e la cena cominciò. In quell'oretta e mezzo in cui rimasero seduti, i convitati conversarono del più e del meno, si lanciarono battute e scherzose frecciatine, raccontarono aneddoti e passarono insieme una bella serata conviviale. Alla fine decisero di incontrarsi la mattina della penultima domenica di luglio in Piazza della Signoria, alle sei meno venti, per fare colazione insieme in uno dei tanti bar della zona e partire intorno alla mezza alla volta di Breuil-Cervinia.
Intorno alle dieci meno un quarto Sara si levò in piedi, dandosi da fare per sparecchiare la tavola e riordinare il soggiorno e la cucina. L'incombenza di lavare i piatti toccò, come al solito, a Lidia, che si ritirò in cucina a insaponare e sciacquare le stoviglie, sbuffando sonoramente per l'irritazione che provava. Sua madre le affidava sempre tutto solamente perché era la maggiore. Avendo una spiccata preferenza per Eva, Sara non le permetteva mai di fare qualsiasi faccenda, viziandola e concedendole di tutto. Al contrario, Lidia era la preferita di suo padre, ma con lui non aveva un rapporto profondo e di confidenza stretta, rapporto mancante principalmente per le frequenti assenze di Domenico per questioni lavorative.
Lidia stava insaponando una posata, quando alle sue spalle avvertì la porta della cucina richiudersi piano. Si voltò per vedere chi era entrato e, con sua enorme e gradita sorpresa, vide che si trattava di Ivan. L'uomo le sorrise dolcemente, andando ad abbracciarla mentre lei gli saltava al collo velocemente per dargli un bacio a stampo sulla bocca grande e sottile.
"Che ci fai qui? E se ci scoprono?" chiese Lidia con preoccupazione, osservando verso la porta, oltre la spalla di Ivan.
Lui rise.
"Tranquilla. A meno che non ce l'abbiano con noi per qualche motivo, non credo che verrà nessuno. Sono tutti in salotto a chiacchierare. Io ho detto loro che voglio aiutarti a mettere a posto la cucina e sono venuto qua con questa scusa, per cui prendo un canovaccio e mi metto ad asciugare i piatti. Giusto per confermare le mie parole" le rispose facendo l'occhiolino.
Lidia sorrise rincuorata.
"Lo hai fatto per passare un po' di tempo ad asciugare le stoviglie, immagino" lo stuzzicò, prendendolo in giro.
"Sicuro. E' ovvio che io non sono qui per trascorrere qualche minuto con la sola compagnia di una bella ed intelligente ragazza."
I due risero insieme, poi ognuno tornò alla propria occupazione, lei a lavare le stoviglie, lui ad asciugarle e riporle sul ripiano del tavolo della cucina. Quando Lidia ebbe finito, si tolse i guanti e si asciugò le mani. Stava riponendo il canovaccio, quando le braccia di Ivan la strinsero al suo corpo da dietro.
"Mi sei mancata in questi ultimi giorni..." mormorò lui al suo orecchio, cingendole poi la vita con entrambe le mani. Le posò un lieve bacio sul collo, poi scostò i capelli mossi di lei dalla sua nuca, esplorando quel brano di pelle candida con le labbra. Inspirò il profumo di Lidia, che sapeva di lavanda selvatica, e poi le sue dita s'intrecciarono con le mani della ragazza, che intanto si stava voltando lentamente verso di lui per abbracciarlo.
I due si ritrovarono faccia a faccia, poi si scambiarono un bacio breve e leggero, senza staccarsi l'uno dall'altra. Rimasero così per qualche minuto, a stuzzicarsi, a parlare, a ridere insieme, piano, all'insaputa di coloro che se ne stavano nella stanza accanto a chiacchierare placidamente. Quei momenti insieme rubati al tempo di nascosto da tutti furono attimi felici, ma troppo corti.
"Sai, non ho il tuo numero di cellulare" disse ad un certo punto la ragazza, osservando la porta della stanza. "E credo che dovrai scrivermelo in fretta da qualche parte, perché ormai di là si staranno chiedendo come mai facciamo tanto tardi. Potrebbero sospettare qualcosa."
Ivan sospirò rassegnato.
"Avrei voluto che questi momenti durassero di più."
"Anche io, Ivan, anche io vorrei poter passare più tempo con te."
"Ho pensato che, quando saremo a Breuil-Cervinia, potremo trascorrere insieme qualche oretta. Da soli, intendo."
Il tono di voce dell'uomo ora si era fatto incerto, esitante, perché le sue ultime parole potevano essere facilmente fraintese. Lidia comunque non se ne curò e gli rivolse un sorriso intrigante, incoraggiandolo con un cenno del capo a continuare.
"E quale sarebbe il modo?" lo incalzò.
"Ci sono dei percorsi che si inerpicano su per le montagne circostanti il villaggio. Ci si può andare per fare trekking. Credo che tua madre ti lascerà andare a correre con me, la mattina presto."
"E' una buona idea" commentò entusiasta la castana, staccandosi dalla figura dell'uomo controvoglia. Nella stanza accanto c'era movimento.
"Ora è meglio che mi scrivi il numero" lo incitò, "prima che arrivino gli altri."
Ivan prese il proprio cellulare.
"Non me lo ricordo a memoria... Piuttosto, dammi il tuo che poi mi faccio sentire io" replicò.
Lidia gli sussurrò le dieci cifre e poi gli sorrise ironicamente, mentre lui salvava il numero nella rubrica.
"Non farmi aspettare troppo" gli raccomandò, facendogli poi l'occhiolino e mordicchiandosi il labbro inferiore con un canino.
"D'accordo... anche perché non sarei capace di attendere troppo a lungo" fu la risposta del moro.
La giovane si sporse in avanti e gli sfiorò la bocca in un bacio fugace, poi si diresse verso la porta della stanza e uscì, facendo finta di niente, seguita a poca distanza dall'uomo. I due si unirono alla conversazione sostenuta dai presenti.
Le mosse di Lidia, tuttavia, furono seguite con curiosità e attenzione dal padre Domenico, che poi volse brevemente lo sguardo serio su Ivan. Infine tornò a concentrarsi sulla conversazione di gruppo.

 
***

Prima delle undici i convitati erano già tutti andati via. Intorno alle undici e mezza la casa era immersa nel silenzio ed Eva, Sara e Domenico erano già tutti profondamente addormentati.
Lidia andò a gettarsi sul letto, stanca per quella giornata, subito dopo essersi fatta una veloce doccia fredda ed essersi infilata una maglietta e degli shorts come pigiama. Prese il suo Samsung e controllò i messaggi che non aveva letto durante la serata. Il più recente era di un numero sconosciuto. Lo aprì subito, non appena lo visualizzò, perché si trattava sicuramente di quello di Ivan.

Questa serata è stata bellissima. Spero di rivederti presto, uno di questi giorni. Dimmi tu quando vuoi e io farò in modo di esserci sempre e comunque.
Buonanotte, mio piccolo fiore.


Questo era il contenuto del messaggio. Lidia si ritrovò a sorridere a quelle dolci parole e, dopo aver salvato il numero nella rubrica sotto falso nome - per non permettere alla madre, qualora avesse letto i messaggi, di capire di chi si trattasse -, inviò un sms per risposta e poi spense il cellulare.
La ragazza si assopì in pochi minuti, piombando in un sonno felice e ristoratore.

 
***

°Hai capito?
°°Sì, sì, ho capito, Céline! Non esagerare!




N.d.A.
Salve a tutti! :D
Oddio, come posso ringraziarvi? Cioé, mi sono ritrovata sette recensioni positive per l'ultimo capitolo. E i lettori che seguono la storia sono in aumento esponenziale. Davvero, grazie dal più profondo del cuore. Sapere che la mia storia vi piace tanto e vi coinvolge è una soddisfazione enorme! ^^
Comunque, questo capitolo può essere noiosetto perché non accade moltissimo, ma, come già detto prima, è di passaggio tra una situazione e l'altra, perciò era necessario che fosse scritto così.
Bon, detto questo, mi dileguo, ma non prima di ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo. Grazie mille a TnZMoni2913, hi_guys, Daisy90, sabrinacaione, controcorrente, Piebavarde e Tanny <3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ebbene, ora me ne vado a dormire xD Buona notte a tutti!
E alla prossima :)


Flame

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


10.

 

 

Alle sei e mezza di mattina del 22 luglio, da Piazza della Signoria, cominciò il viaggio delle quattro famiglie verso Breuil-Cervinia, nella località di Valtournenche.

I quattordici partecipanti alla vacanza si erano sistemati in quattro auto: Sara e Domenico erano in macchina con Eva e il suo ragazzo Matteo, Maria e Giorgio invece con Céline e Federica, la figlia di Tony e Rita, tornata improvvisamente a casa per passare un po' di tempo con i genitori dopo aver dato gli ultimi esami universitari, che si era aggiunta alla comitiva prendendo il posto di Diego, il quale aveva infine deciso di non prendere parte alla vacanza. Emma e Marco, invece, erano stati irremovibili nella loro decisione: non volevano essere separati durante il lungo tragitto fino in Valle d'Aosta, per cui insistettero fino a che non fu concesso loro di poter viaggiare insieme nella Ford Fiesta di Rita e Tony, che avevano ovviamente accettato di occuparsi di loro per tutta la durata del percorso. I due bambini non potevano restare in macchina con Ivan, dato che questi, avendo preso una macchina a noleggio perché la sua era inutilizzabile, si era ritrovato con una Audi TT Roadster blu a due posti. Per decisione comune, quindi, Lidia dovette viaggiare nella macchina di Ivan, il che non dispiacque loro per nulla.

"Non poteva capitarci di meglio" disse Ivan con un sorriso a fior di labbra, commentando la proposta di Sara che era stata accettata da tutto il gruppo. "Sara ci ha inconsapevolmente favoriti."

Lidia rise divertita.

"E' un bel colpo di fortuna, questo... non ci siamo più visti dalla cena!"

"Be', adesso almeno abbiamo tutto il tempo che vogliamo per parlare e stare insieme un po' da soli."

"Già."

Per la verità, durante la prima ora i due non parlarono granché; Ivan era concentrato sulla guida, mentre Lidia sonnecchiava per l'alzataccia mattutina che le aveva portato via almeno due ore di sonno. Ad un certo punto, accorgendosi che la ragazza accoccolata sul sedile anteriore del passeggero si era assopita, l'infermiere pensò bene di farle uno scherzo, inserendo uno dei tanti CD che si era portato via nel lettore musicale e alzando il volume al massimo, per poi dare il via alle danze selezionando la canzone 'Innervision' dei System Of A Down.

Il tuonante rombo del basso e il martellare ritmato della batteria invasero subito a volume insostenibile l'abitacolo. Lidia saltò letteralmente sul proprio posto e si levò a sedere guardandosi intorno con faccia confusa e smarrita trattenendo un grido spaventato, incenerendo poi con sguardo assassino l'uomo non appena comprese che cosa stava accadendo.

Ivan intanto si stava sganasciando dalle risate.

"Cielo, che reazione che hai avuto!" esclamò ridendo a crepapelle, allungando successivamente un dito verso il dispositivo per abbassare il volume al minimo. "Veramente, mi hai fatto morire!"

"Ma sei matto, Ivan? Mi hai fatto venire un colpo!" protestò inviperita la castana, voltandosi a guardarlo in cagnesco.

L'uomo rideva ancora quando improvvisamente la sua voce si incrinò in un gemito di dolore. La ragazza aveva allungato una mano e gli aveva dato un pizzico sulla coscia destra. Piccolo, ma doloroso.

"Ahi! Mi fai male" mugolò, allontanando una mano dal volante per afferrare quella di Lidia e costringerla a mollare la presa sulla sua gamba.

"Così impari a farmi questi scherzi idioti" gli rispose la giovane, cedendo alla forte presa delle dita di Ivan sul suo avambraccio. Poi, però, la mano dell'uomo scivolò lentamente nella sua e la strinse piano, senza lasciarla andare. Il moro le lanciò uno sguardo veloce, poi entrambi scoppiarono a ridere.

"Ora siamo pari" decretò lui, lasciando il polso della ragazza per tornare a guidare la Audi con entrambe le mani.

Con il sottofondo delle canzoni preferite dell'uomo, molte delle quali piacevano anche a Lidia, i due continuarono a parlare del più e del meno fra loro, facendo scorrere velocemente la successiva ora e mezza di viaggio.

Ben presto le quattro auto entrarono nei confini regionali della Liguria e seguirono la Via che costeggiava il Mar Ligure, arrivando in una mezz'ora a La Spezia. Qui fecero una pausa di mezz'ora, poi alle dieci meno venti della mattina ripartirono, prendendo un'arteria stradale dell'entroterra. Intorno a mezzogiorno erano nei pressi del punto di confine di Liguria, Piemonte ed Emilia-Romagna in cui si entrava nella regione con capoluogo Torino. I quattordici vacanzieri si fermarono per un'oretta a pranzare e rifocillarsi a Novi Ligure, poi ricominciarono all'una il tragitto verso Cervinia.

Faceva un caldo insopportabile. Lidia parlava poco e Ivan si concentrava sulla strada, lanciandole ogni tanto un'occhiata per assicurarsi che stesse bene, dato che, con la sua pelle chiara e la sua bassa capacità di adattamento alle alte temperature, la ragazza rischiava continuamente colpi di calore.

I due, intanto, ricominciarono a chiacchierare fra loro. La conversazione prese una piega inaspettata quando Lidia pose all'uomo una domanda che non si aspettava.

La ragazza stava ripensando alla conversazione avuta con Céline la sera della cena a casa sua. Lei, in fondo, non sapeva quasi nulla di Ivan, a parte ciò che era riuscita a sapere o le avevano raccontato, per cui gli pose una domanda personale.

"Mi racconti qualcosa della tua vita? Io non so quasi niente di te."

Ivan rimase spiazzato dalla richiesta, perché non era piacevole, per lui, parlare della sua giovinezza. Non aveva molti bei ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza.

"Non credo che ci sia molto da raccontare" replicò evasivo.

"Ma tu mi hai vista crescere... non è giusto. Tu sai tutto della mia infanzia, mentre io non so niente. Raccontami qualcosa di te" insisté lei con un sorriso dolce e furbo allo stesso tempo.

L'infermiere sospirò.

"Be', a grandi linee sai tutto... e, per il resto, non c'è molto da dire."

"Temi di consumarti la lingua a parlare così a lungo?"

"E tu sei sempre così brava a rigirare i discorsi a modo tuo?"

"Anche tu non te la cavi male." Lidia sorrise appena. "In verità, ho delle curiosità che spero soddisferai, ma mi imbarazza chiederti del tuo passato. So che non hai avuto una vita tranquilla."

Gli occhi nocciola dell'uomo si puntarono su di lei brevemente. La ragazza vi lesse dentro una sottile malinconia, una sorta di cupa mestizia che velava i suoi occhi, rendendoli seri.

"Che cosa vuoi sapere?" concesse infine, sistemandosi meglio a sedere sul suo sedile.

Lidia esitò qualche secondo su come porgergli la domanda, poi però si fece coraggio.

"Céline mi ha raccontato che sei cresciuto con un padre autoritario... come è successo tutto ciò?"

"Be', sai che i miei genitori sono divorziati. Mia madre si era sposata con Emiliano - mio padre -, perché era incinta. Aveva solo diciotto anni, lei. Lui non è mai stato il tipo di uomo che ogni donna vorrebbe avere come marito e padre dei propri figli, perché era assente, dispotico e indipendente, un uomo che non doveva farsi una famiglia. Ma fino a qui era tutto a posto, relativamente. Fu quando mia madre se ne andò di casa con me che le cose cambiarono. Io avevo appena sei anni e lei voleva che suo figlio crescesse con un uomo che fosse presente e affettuoso, e non rigido e severo come mio padre. Lei aveva incontrato Giovanni, voleva lasciare mio padre e rifarsi una vita con il padre di mio fratello Gianluca. Ma Emiliano chiese il divorzio e dopo sei anni di lotte in tribunale fui affidato esclusivamente a lui." Ivan tirò un sospiro profondo, passandosi una mano tra i lisci capelli del colore dell'ebano per ravviarli. "E' questo che voglio evitare ad Emma. Il dolore di un divorzio difficile e tormentato, come quello che ho subìto io. Questi trascorsi mi hanno segnato molto. E hanno marcato anche mio padre. Diventò ancor più rigido e autoritario con me e ai miei diciotto anni ero giunto al limite della sopportazione. Era violento, persecutorio, opprimente. Un tiranno, in poche parole. Fu il nostro ultimo litigio a causare la rottura definitiva. Allora me ne andai via da casa. Allora era diventata Bologna - dove abita mio padre ancora oggi, a quanto ne so. Me ne tornai da mia madre a Firenze. Da vent'anni a questa parte non l'ho più voluto vedere né tanto meno parlarci. Con lui ho chiuso definitivamente qualsiasi tipo di rapporto civile."

Lidia tacque per qualche istante. Non sapeva nulla di tutto ciò. Era a conoscenza del nuovo matrimonio di Miriana, la madre di Ivan, e della nascita di suo fratello Gianluca, ma non era mai venuta a sapere che l'infermiere aveva vissuto una vita infernale con un padre dispotico. La ragazza si rese conto di avergli posto una domanda troppo difficile e si morse il labbro incerta, non sapendo cosa dirgli.

"Ho recuperato il rapporto con mia madre e ne ho stabilito uno con Giovanni, che non vedevo da più di dodici anni, e con mio fratello, che allora ne aveva appena due. E poi il resto lo sai: ho cominciato l'università, a tirocinio ho conosciuto tua madre che allora era già un'infermiera, siamo diventati amici, sei nata tu... poi ho conosciuto quella vipera di Alessia, mi sono disgraziatamente sposato con quel rettile, è nata la mia piccola, dolcissima Emma... e via discorrendo torniamo agli avvenimenti più recenti" narrò Ivan terminando il suo racconto, assumendo un'espressione più rilassata di quanto non fosse realmente.

Lidia però notò la sua tensione. Aveva osservato il suo comportamento e aveva compreso che parlare di suo padre gli aveva portato il morale a terra. Ma quanto sei scema, eh?, s'insultò mentalmente da sola, cercando disperatamente un modo per uscire da quella situazione spinosa e magari di risollevargli anche il morale.

"Scusami, non avrei dovuto porti una domanda del genere" riuscì infine a spiccicare a bassa voce, alzando sul conducente del veicolo uno sguardo di scusa.

Lui replicò con calma pacata.

"Tranquilla, Lidia, tu non potevi certo saperlo. Ti chiedo solo di non pormi più domande del genere, ora che sai. Non è piacevole rievocare ricordi dolorosi."

La giovane assentì col capo.

"Hai ragione" concordò.

"Ti va di ascoltare un po' di musica?" chiese lui, cambiando argomento.

"Per me possiamo anche parlare di qualcosa oppure stare in silenzio, è uguale."

"Che ne dici se ci ascoltiamo un album di Serj Tankian?" propose Ivan.

I limpidi occhi azzurri di Lidia brillarono e un largo sorriso fece capolino sulla sua bocca, rivelando due file di denti candidi e disposti ordinatamente. Quel sorriso smagliante trasmise un po' di buonumore anche all'uomo, che tornò spigliato e allegro come al solito.

"Allora, quando mi dicevi di essere un fan accanito del nu metal, non mentivi" asserì lei frugando tra i CD sistemati disordinatamente in un vano situato tra i due sedili. Alla fine la pallida mano della ragazza pescò proprio il disco musicale che lei cercava. Lo sfoderò tenendolo fra l'indice e il medio della mano destra.

"Et voilà! Che ne pensi? Ti va di ascoltare 'Harakiri'? Le canzoni sono tutte fantastiche."

"Anche 'Elect The Dead' è un album molto bello."

Lidia ridacchiò.

"Tu dici, ma io reputo quest'ultimo la migliore di tutte le sue opere da solista. Insisto per ascoltare questo album."

Ivan sbuffò seccato.

"D'accordo, sarò cortese come dev'essere un uomo con una signorina e ti farò questa concessione, ma la canzone la deciderò io."

"Hai un concetto molto personalizzato di chivalry, lo sai?" osservò la castana con un sorriso ironico dipinto sulle labbra.

"Che diavolo è questo chivalry? Da dove l'hai tirato fuori?" replicò incuriosito l'infermiere, lanciando un'occhiata alla passeggera.

"Possibile che non ti ricordi niente di inglese? Io ho studiato il concetto di chivalry in terzo anno: è l'usanza medievale secondo la quale l'uomo è sempre in dovere di favorire una donna, di renderle i suoi servigi, di proteggerla eccetera eccetera. Insomma, ha il dovere di comportarsi da vero cavaliere" gli spiegò in poche parole.

"Non credo che per me questo concetto valga. Sì, sono gentile e cortese, ma fino a un certo punto" rispose Ivan.

"E anche modesto" aggiunse sarcasticamente Lidia scoppiando in una sonora risata.

"Comunque, è già tanto che riesco a parlare in italiano e non in fiorentino stretto. Io sono negato per le lingue straniere, lo sai? Non puoi chiedermi di tradurre dall'inglese. Per me è come aramaico antico" replicò l'uomo, rivolgendole un sorriso ironico.

Lidia mostrò ancora i suoi denti candidi, un ghigno divertito che arricciava le sue labbra rosse e carnose.

I due continuarono così a lungo, parlando e scherzando, conversando su vari argomenti, dai più banali ai più personali, approfondendo un po' la loro conoscenza. Intanto il tempo scorreva veloce e, tra una pausa e un tratto di strada, verso le due e mezza del pomeriggio le quattro vetture cominciarono ad inerpicarsi lungo i fianchi delle prime montagne, che man mano diventavano sempre più acute ed elevate. Un paesaggio magnifico si apriva davanti agli occhi dei viaggiatori: vette scintillanti per le perenni nevi pure e cristalline che le ricoprivano ininterrottamente per tutto l'anno, valli smeraldine attraversate da fiumi placidi e azzurri, stambecchi, marmotte, camosci e varie specie di rapaci diurni che di tanto in tanto si scorgevano in mezzo alla vegetazione, alle rocce o in alto nel cielo, pittoreschi villaggi montani, con le caratteristiche chiesette affiancate da torri campanarie, adagiati lungo i brulli fianchi di una vetta o arroccati in cima a qualche picco isolato. Quello era un mondo nuovo per molti dei membri dell'allegra comitiva, una dimensione meravigliosa da esplorare, conoscere ed ammirare per due intere settimane.

Fu così che, continuando il loro lungo tragitto attraverso vette, valli e valichi, intorno alle cinque e mezza del pomeriggio il gruppo di viaggiatori fiorentini mise piede per la prima volta nella piazza principale della piccola Breuil-Cervinia, a due passi dal confine elvetico.

 

***


 

Era ormai giunto il tardo pomeriggio di quella domenica di fine luglio. I quattordici viaggiatori avevano finalmente deposto le valigie nei rispettivi appartamenti affittati, disfacendo poi i bagagli più leggeri. Si erano rinfrescati e cambiati d'abito: dopo un tragitto di otto ore - togliendo le soste lungo le varie autostrade e strade percorse - era proprio quello di cui avevano bisogno. Intorno alle sei e mezza si erano riuniti in un punto prestabilito ed avevano fatto un rapido tour del villaggio, incantati dal panorama e sorpresi dalle piccole ma nette differenze tra la vita frenetica a Firenze e la tranquilla quotidianità delle vette alpine.

Lidia, Céline e Maria erano gli unici a comprendere le persone che parlavano loro in francese, dato che lì la popolazione era bilingue. Ivan, completamente negato per le lingue straniere, non si staccava mai dalla figlia di Sara per avere tutte le traduzioni possibili di frasi, dialoghi, scritte, mentre Domenico lo teneva d'occhio con sguardo vigile e critico. Il collega di sua moglie, ultimamente, passava decisamente troppo tempo con Lidia, a detta sua.

Intorno alle otto si riunirono in una pizzeria della zona, dove mangiarono e si rifocillarono in compagnia e convivialità. Ben presto i più piccoli della comitiva cominciarono a sbattere insistentemente le palpebre, nel vano tentativo di vincere il sonno che cominciava ad annebbiargli la mente: Emma e Marco si addormentarono dopo qualche minuto dalla fine della cena, sfiniti dall'alzataccia mattutina, dal lungo viaggio e dalle novità della giornata.

"Credo che sia meglio riportarli agli appartamenti... Sono stanchi, poverini" mormorò Lidia, prendendo tra le braccia Marco perché la sorella del ragazzino non voleva traspostare il fratello fino alla casa in cui alloggiavano tutti quanti.

Ivan sollevò senza sforzo il corpicino inerte di sua figlia, prendendolo fra le braccia delicatamente.

"Ragazzi, noi accompagnamo i bambini alle loro camere. Hanno bisogno di riposo" spiegò l'infermiere, allontanandosi poco dopo con Lidia.

Il tragitto fu piuttosto breve. Nella casa regnava il silenzio più assoluto. Ivan e Lidia entrarono con i due piccoli ancora in braccio, procedendo a tastoni nel buio perché non riuscivano a trovare l'interruttore della luce. Ad un certo punto la ragazza trovò il tasto e lo premette, facendo illuminare la stanza.

"Dovrebbero lavarsi i denti prima di andare a dormire" esordì critico Ivan non appena vide che Lidia stava sistemando Marco sotto le coperte del suo lettuccio dopo avergli soltanto sfilato scarpe, maglietta e pantaloncini.

La castana s'accigliò.

"Per una sera non succede nulla, l'importante è che domani mattina se li lavino" ribatté lei con un'alzata di spalle. "Non farci l'ossessione con l'igiene... per una volta non importerà granché."

"Ma sono un infermiere" replicò lui. "E' ovvio che io abbia la fissa per l'igiene e la pulizia."

"Oh, non hai solamente quella fissazione" osservò sarcasticamente la ragazza. "Se anche ossessionato dal dovere, dall'obbligo, da ciò che pensano o vogliono gli altri..."

Ivan non rispose alla provocazione, perché sapeva che Lidia aveva ragione. Sistemò Emma nel suo letto, coprendola bene per non farle prendere freddo. Anche se era piena estate, in montagna di notte l'aria si rinfrescava comunque di molto e si poteva rischiare di raffreddarsi.

L'uomo osservò per un minuto sua figlia, il cui volto sereno era disteso in un sorriso rilassato. Quindi si girò verso la ragazza, avvicinandosi a lei di un passo.

"Alessia mi ha detto che vuole il divorzio" disse in un soffio. "Credo che punti a strapparmi la custodia di Emma in modo definitivo. Vuole seguire il suo amante che se ne va all'estero a vivere e quindi ha intenzione di trascinare con sé anche Emma. Vuole andarsene a vivere in Germania con Giacomo. E me la porterà via. Mi porterà via mia figlia."

Lidia ascoltò la sua frase con un'espressione grave e composta negli occhi. Ivan si stava trattenendo, ma la rabbia e il terrore che provava in quel momento trasparivano dalla tensione dei suoi tratti somatici e dall'incurvatura accentuata della linea delle spalle, la quale sottolineava la sua stanchezza psicologica. La castana mosse un passo in avanti e gli posò per un momento una mano sulle braccia incrociate sul petto muscoloso, poi lo cinse con entrambe le braccia, posando la testolina nell'incavo del suo collo teso. Avvertì chiaramente il suono del suo respiro inquieto e il battito accelerato del suo cuore. Poi due braccia possenti la avvolsero e lei sentì la figura imponente di Ivan aderire alla sua.

L'uomo posò il mento sul capo di lei, inspirando profondamente il profumo di lavanda dei capelli mossi e serici della castana.

"Mi dispiace, Ivan. Queste non sono situazioni facili" fu la breve risposta della giovane.

Le era odioso ripetere frasi fatte, ma non sapeva proprio che dire per risollevargli un po' il morale.

"L'unico modo per ottenere la custodia esclusiva di Emma, per me, sarà quello di comportarmi da padre modello e dedito esclusivamente alla famiglia. Mi duole dirtelo, ma ci sarà molto difficile vederci, da quel momento in poi..." continuò il moro, aumentando la tensione delle braccia e stringendo più fortemente a sé la figura snella di Lidia.

La ragazza scostò la testa da sotto il volto dell'uomo, levando le luminosi iridi azzurre, simili a frammenti di cielo estivo, su di lui. In esse si riflettevano determinazione, ostinazione, voglia di sfidare il destino. Quello sguardo era così diretto e penetrante che Ivan ne rimase impressionato.

"E quindi faremo in modo di vederci di nascosto, un po' meno spesso. Ma i nostri incontri dovranno essere indimenticabili, in tutti i sensi. Promesso?" decise la ragazza ponendo all'uomo una questione precisa.

"Va bene, te lo prometto" dichiarò Ivan, sporgendo poi il volto per posare un tenero bacio sulle labbra morbide della creatura che stringeva fra le braccia.

Lidia reagì con entusiasmo e ardore a quel gesto, avvinghiandosi a lui e alzandosi in punta di pedi per eliminare quei centimetri di altezza che le rendevano tanto scomodo baciare Ivan in quel modo. Le loro lingue si lambirono dolcemente in una danza sensuale, mentre le loro labbra non finivano mai di cercarsi, di sfiorarsi, di assaporarsi.

Dopo qualche istante di staccarono, riprendendo il fiato e guardandosi negli occhi con un sorriso appena accennato. Poi Ivan si ricordò del rischio che correvano se avessero svegliato i bambini. Prendendole la mano, la trascinò con sé fuori della cameretta, richiudendo piano la porta alle loro spalle.

"Ora dobbiamo andare, altrimenti mio padre potrebbe pensare male" considerò Lidia con un filo di dispiacere nella voce.

"Domenico? Cosa mai potrebbe sospettare?" chiese l'infermiere mentre i due si dirigevano verso l'uscio della casa, uscendo poi da esso per tornare direttamente alla pizzeria.

Si presero per mano, camminando fianco a fianco per i viottoli del villaggio alpino.

Lidia sospirò pesantemente, posando la testa sulla spalla del suo accompagnatore.

"Prima ho notato che ti guardava in cagnesco ogni volta che ti avvicinavi a me... potrebbe anche sospettare qualcosa. Per cui, almeno davanti a lui, limitiamo i contatti e le conversazioni."

Ivan non sembrava per nulla d'accordo, tuttavia abbassò il capo con rassegnazione, accennando a un mesto assenso.

"Ok" mormorò semplicemente come risposta.

I due sciolsero la loro stretta e si affiancarono l'un l'altra camminando tranquillamente non appena svoltarono l'angolo prima della pizzeria, nascondendo per l'ennesima volta al mondo la loro relazione, mentre l'occhio critico e indagatore di Domenico, il quale li attendeva fuori del locale, si soffermava su di loro con insistenza e scrupolosa attenzione.
 

***


 

N.d.A.
Salve a tutti! :D
Eccomi qui con il nuovo capitolo! Non succede molto neanche qui, ma nel prossimo... Mah, non aggiungo nulla, se non che la storia andrà avanti ancora per tanto tempo e che non ho intenzione di abbandonarla perciò sono decisa a completarla e lo farò.
Ho solo da aggiungere che mi dispiace non poter rispondere subito alle vostre recensioni, ma in questi giorni ho un lavoretto estivo e un'orda di amici in un via vai continuo che mi tiene occupata per gran parte della giornata e tante idee che mi frullano per la testa e che sviluppo appena posso, anche se tuttavia raramente. Perciò non risponderò subito, ma le ho lette e mi sono commossa T^T E mi farò viva domani sera, credo, perché dovrei essere libera. Stasera sono molto stanca, per cui mi dileguo subito.
Grazie a chi ha recensito, ossia hi_guys, sabrinacaione, Daisy90 e Tanny <3 e grazie anche a chi ha letto il capitolo o la storia. ^^
Bon, ora mi dileguo davvero, a momenti mi addormento sulla tastiera.
Grazie ancora a tutti e spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Buona notte :*


Flame

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11.



 

"Su, Lidia, si va a correre!" esclamò Ivan la mattina presto, facendo irruzione nella camera singola della ragazza. L'uomo era già pronto, lavato e vestito con una leggera tuta da corsa, ed era andato a chiamare la ragazza, dopo aver ovviamente avvertito la madre di lei la sera precedente. Il padre di Lidia, Domenico, aveva scosso la testa con disapprovazione, ma non aveva detto no all'iniziativa. Un'occhiataccia l'aveva rivolta comunque all'infermiere.

Lidia era già sveglia e si stava infilando proprio in quell'istante una T-shirt per coprirsi, dato che era solo in intimo. All'improvviso spalancarsi della porta della sua stanza sobbalzò per lo spavento che l'aveva colta, quindi la ragazza quasi gettò un grido quando vide che all'uscio della camera stava un uomo. Dopo un istante riconobbe Ivan e si tranquillizzò, sbuffando sonoramente per poi lanciargli un'occhiataccia fulminante di disapprovazione.

Il moro, infatti, nonostante si fosse accorto che la giovane era ancora solo in slip e reggiseno, non si era vergognosamente ritirato dietro la porta scusandosi animatamente per aver fatto irruzione in quel modo nella sua privacy. L'infermiere se ne stava ancora sull'uscio a osservarla con interesse, contemplando la snella figura atletica e ben proporzionata di lei.

Lidia celò, per quanto possibile, le forme piuttosto prospere del suo corpo con la larga maglietta che teneva fra le mani, sbuffando incollerita.

"Non ti hanno insegnato le buone maniere? Esci fuori di qui, Ivan! Mi sto cambiando" puntualizzò, facendogli poi cenno di andarsene via e chiudere la porta.

Ma l'uomo non l'ascoltò minimamente; anzi, entrò nella stanza e si richiuse l'uscio alle spalle, appoggiandosi ad esso con la schiena. Le sue labbra sottili si arricciarono in un ironico sorriso di approvazione mentre i suoi occhi pungenti percorrevano la figura giovane e fresca che gli stava davanti.

"Sei meravigliosa" osservò, regalandole poi uno di quei rari, smaglianti sorrisi che di quando in quando spuntavano sulla sua bocca.

Malgrado si sentisse piccata e imbarazzata per quella fastidiosa intrusione, Lidia non poté fare a meno di arrossire a quel complimento lusinghiero. Sapeva di essere carina e i ragazzi che le ronzavano intorno anche prima di lasciarsi con Roberto ne erano la prova, tuttavia non aveva mai dato troppo peso al suo aspetto, considerandosi una ragazza comune, certamente non paragonabile a quelle rare bellezze magnetiche, aggressive o prorompenti che di tanto in tanto si mescolavano alla massa di ragazze carine, a cui la natura aveva donato un bel corpo o un bel volto ma non un fascino particolare. Quel complimento le fece piacere, perché era da tanto che un uomo non glielo diceva sinceramente.

"Lo so da sola, grazie" replicò sarcastica la ragazza per nascondere la vanitosa soddisfazione che quella lusinga le aveva dato. "Comunque, esci di qui."

"Neanche per sogno" la contraddisse l'uomo. "Quando mai mi ricapiterà di poter vedere una così bella ragazza mentre si veste?" aggiunse poi scherzando.

Lidia arrossì vistosamente a quelle parole. Non se lo sarebbe mai immaginato così impudente e spregiudicato. Forse però voleva soltanto stuzzicarla, pensò.

Vuole vedere come reagirò ad una sua avance, rifletté. In fondo, ci vediamo di nascosto, il che implica che siamo amanti, dato che lui è sposato. Forse vuole rendersi conto di come mi comporterò ai suoi primi approcci sessuali con me.

Al solo pensiero di loro due a letto insieme le si attorcigliò lo stomaco. Perché per lei, se si fossero spinti fino a quel punto, sarebbe stata la prima volta.

Lidia era vergine. Non aveva ancora pensato a come dirglielo, dato che le risultava alquanto imbarazzante fargli presente che lei non aveva esperienze sessuali. Il solo pensiero lo avrebbe portato a farsi dei film mentali assurdi. Lidia conosceva Ivan da poco, ma alcuni tratti principali della sua personalità li aveva colti. Lui si sarebbe fatto un mucchio di scrupoli e si sarebbe inventato scuse su scuse per evitare di essere l'uomo che l'avrebbe deflorata ed iniziata al sesso. Si sarebbe posto problemi inesistenti, puntando soprattutto sul fatto che lui non se la sarebbe sentita di fare una cosa del genere alla figlia della sua collega, che lui era troppo grande per lei e che non poteva assolutamente essere il primo a possederla, che lei meritava una relazione normale, alla luce del sole, con un suo coetaneo e non una segreta con un quarantenne in procinto di affrontare un divorzio, eccetera eccetera.

"Ci stai provando con me?" ribatté Lidia con un sorrisino provocatorio, abbassando leggermente la presa sulla maglietta con cui si era celata.

L'uomo voleva giocare? Ebbene, lei sarebbe stata al gioco.

A quel gesto, tuttavia, Ivan cambiò espressione. Si fece serio, levandosi in piedi dalla porta e osservandola dritto negli occhi con aria pensosa. Incrociò le braccia sul petto. I bicipiti guizzarono al movimento.

"Lidia, non ci sto provando con te; stavo soltanto scherzando. Non sono un ninfomane. E' meglio aspettare per certe cose, dato che ci conosciamo, fondamentalmente, solo da tre settimane. E poi, prima di farlo con te, voglio essere sicuro che il legame tra noi sia forte e che tu ti fidi di me, perché altrimenti non ha senso essere amante di una persona per cui non provi un sentimento abbastanza forte e sicuro" fu la sua risposta.

La sua voce era venata di durezza.

"Ivan, anche io stavo dicendo per scherzo. Sei troppo serio per fare una cosa del genere" lo tranquillizzò la castana, facendogli poi un frettoloso gesto con la mano per invitarlo a voltarsi.

L'uomo obbedì e la ascoltò taciturno mentre gli abiti le scivolavano frusciando sulla pelle mentre lei se li infilava. Quel fruscio leggero gli mise in testa un pensiero eccitante. Chissà come sarebbe stato bello poter sentire nuovamente quel rumore accennato mentre lui le toglieva di dosso gli indumenti. Al solo pensiero di quei momenti di intimità che prima o poi avrebbero avuto, Ivan sentì l'eccitazione invadergli il corpo, ma si impose di controllare i propri impulsi sessuali. Doveva andarci cauto, con Lidia, perché era una ragazza giovane e sicuramente non esperta come una donna sua coetanea.

Alla fine, il bruno lasciò fluire via quei pensieri. Si girò nuovamente verso la giovane non appena questa lo chiamò con la voce.

"Lasciami dieci minuti e sarò pronta" gli disse, uscendo poi dalla stanza. Ivan la seguì in cucina, poi decise infine di attenderla nell'atrio della palazzina in cui tutti i quattordici viaggiatori alloggiavano.

Prima di uscire dalla stanza in cui Lidia stava facendo colazione, gettò un'occhiata fugace all'orologio a parete giallo della cucina, vedendo che erano le sei e mezza della mattina. Avrebbero corso insieme fino alle sette e mezza, in modo che per le otto sarebbero stati già a casa, rifocillati e rinvigoriti, per poter iniziare il primo giorno di vacanza con gli altri dodici membri di quella comitiva di turisti.


 

***


 

"Che bel panorama!" esclamò Emma sporgendosi meravigliata dalle spalle di suo padre per poter meglio osservare il magnifico paesaggio montano che le si stendeva davanti.

Tutti i membri della comitiva potevano osservare meravigliati il colossale Cervino che si stagliava nitido nei suoi colori verde, bianco e marrone contro il cielo terso e azzurro, sovrastando maestoso la conca in cui giaceva Breuil-Cervinia. Dal percorso che avevano scelto per inerpicarsi lungo i fianchi della grande montagna, i quattordici viaggiatori potevano godere di una singolare vista panoramica dell'intera Valtournenche da un lato e del massiccio alpino lungo il confine tra Italia e Svizzera dall'altro.

"C'è una vista mozzafiato, qui! Venite a vedere!" gridò eccitata Eva, sporgendosi un po' troppo dal parapetto di legno costruito lungo il bordo di quel solitario sentiero montano.

Matteo, il suo ragazzo, l'afferrò per la spalla cercando di trattenerla verso l'interno, per timore che la giovane potesse cadere sporgendosi eccessivamente.

"Hai avuto una bella idea, tesoro" commentò Domenico abbracciando la moglie. "Questa località è incantevole. Sinceramente, è molto meglio della solita e noiosa settimana al mare che proponevo io ogni anno."

Sara rise soddisfatta.

"E tu che non volevi partire nemmeno... vedi cosa ti saresti perso?"

"Hai ragione, assolutamente. Devo smettere di fare di testa mia."

"Alleluja! Mio padre l'ha capito, finalmente" sghignazzò sarcastica Eva, cingendo con una risatina il braccio di Matteo per poi continuare il percorso ascendente con gli altri.

Il gruppo si arrestò intorno a quota duemilasettecento metri per riposarsi e pranzare, decidendo che era meglio non salire. Erano trascorsi dieci giorni dal loro arrivo e il tempo, sebbene fosse stato generalmente tranquillo e avesse permesso più uscite e scampagnate, stava cominciando a degenerare. Il cielo, quel giorno, era quieto e sgombro di nubi, ma nella serata precedente era chiazzato di nuvole scure, fredde e cariche d'acqua. Anche all'orizzonte, quel dì, si poteva scorgere una fascia di punterellini bui e tormentati che sembravano volersi avvicinare e portare scompiglio.

Le quattordici persone avevano portato con sé dei plaid per stendersi e non macchiarsi con l'erba umidiccia che cresceva rigogliosa sui prati della montagna. Mettendosi a sedere su di essi, uomini, donne, ragazzi e bambini si rifocillarono dopo la faticosa camminata in salita durata due ore che avevano cominciato alle dieci di mattina, godendo della frescura del vento e dell'ombra di due abeti solitari che protendevano i loro rami secolari proprio sopra le loro teste.

All'incirca un'oretta dopo, con il sole allo zenit che irradiava di luce e calore la terra sottostante, quasi tutti si erano spaparanzati sui teli, optando per fare un sonnellino pomeridiano, dato che non avevano molto da fare per quel giorno. La decisione iniziale di arrivare fino a quota tremila metri era saltata perché erano stati segnalati possibili rovesci durante il pomeriggio ed era meglio essere il più vicino possibile al villaggio, qualora il cielo avesse dato segno di una tempesta imminente.

Domenico si era addormentato da poco e Sara sonnecchiava, tenendo gli occhi chiusi. Un alito di vento le spinse i capelli sul volto e lei se li scostò infastidita, spostandosi poi sul fianco per evitare che essi le si posassero nuovamente sulla faccia. Lidia approfittò dell'occasione per seguire Ivan ed Emma, i quali avevano deciso invece di fare una camminata per esplorare un po' i dintorni. I due erano partiti cinque minuti prima da lì e lei sapeva dove erano diretti, perciò li seguì, sicura di non perdersi lungo il percorso con molteplici diramazioni, raggiungendoli poco dopo.

"Lidia!" esclamò piacevolmente sorpresa Emma, non appena vide la figura solitaria della ragazza emergere dalla vegetazione alpina.

"Ciao, Emma" la salutò, prendendola poi in braccio quando la bambina, correndole incontro, la raggiunse.

La trasportò in una giravolta e la piccola rise divertita, riempendo le orecchie della ragazza della sua squillante risata.

Emma voleva bene a Lidia. Era presente, attenta e dolce con lei, e anche molto disponibile e scrupolosa. Durante quei giorni si era presa cura della figlia di Ivan perché la madre non c'era. Principalmente, il motivo di tali attenzioni nei confronti della bambina era dato dalla possibilità di poter stare in compagnia del padre di lei per tutto il tempo che voleva. Piano piano, però, Lidia cominciò a desiderare di restare con loro due anche perché l'affetto che provava per Emma, una bambina emotiva, sensibile e dolcissima, stava mettendo radici tenere e profonde nel suo cuore. La castana cominciava a voler bene seriamente alla bambina, non solo perché era figlia dell'uomo che le piaceva, ma anche perché quella creatura spontanea e affettuosa aveva fatto breccia nel suo cuore, guadagnandosi l'affetto della ragazza.

"Dov'è il papà?" le chiese poco dopo, guardandosi intorno e deponendola delicatamente a terra perché il peso del corpicino della bambina cominciava a gravarle sulle braccia.

"Eccolo là, il papà!" replicò Emma, alzando la mano per indicare con l'indice la figura paterna appollaiata ad uno sperone di roccia che sovrastava entrambe le giovani.

Lidia rimase sconcertata da quella visione.

"Ivan, che ci fai lassù?" gli gridò, rendendosi conto che si era arrampicato lungo la parete pietrosa per una quindicina di metri. "Scendi, oppure cadrai e ti ferirai seriamente!"

"Lidia" mormorò tra sé l'uomo, voltando subito il capo.

Non l'aveva sentita arrivare. Vide sotto di sé la sagoma di una bella ragazza sportiva che teneva per mano la sua figlioletta. Negli ampi occhi azzurri di lei lesse preoccupazione e confusione e gli venne da sorridere per quella buffa espressione.

"Sta' tranquilla, ora scendo" le rispose, voltandosi nuovamente per prestare attenzione alla propria discesa da quell'altezza.

L'uomo scivolò giù agilmente, senza farsi male o incespicare lungo il breve ma rischioso tragitto che dovette svolgere standosene aggrappato al fianco della montagna. Quindi raggiunse sua figlia e la ragazza che era con lei, fermandosi poi di fronte alla prima per abbassarsi sulle ginocchia e consegnarle ciò che stringeva fra le mani delicatamente.

Ora Emma aveva tra le mani qualcosa.

"Non è bellissima?" chiese la bambina, mostrando alla castana, con un sorrisone stampato sulla boccuccia dischiusa e gli occhi scintillanti per la felicità, un fiore bianco latte, con i petali, lo stelo e le foglie lanuginose e un cuore giallognolo-verdastro al centro della corolla candida e pelosa.

Era una stella alpina.

"E' vero, Emma, è meravigliosa" concordò Lidia annunedo con il capo.

Ivan si fece avanti, scompigliando con affetto i capelli scuri della figlioletta.

"Ti piace, tesoro? E' la prima volta che ne vedi una" domandò alla bambina, prendendola poi in braccio.

Fece cenno alla giovane di seguirlo, allungando una mano per stringere la sua tra le dita. Emma non si accorse di quel contatto, presa com'era dall'osservare con entusiasmo il delicato fiore alpino che stringeva fra le dita.

Un sorriso fece capolino sulle labbra scarlatte di Lidia.

"Anche per me questa è la prima volta. Non sono mai stata in montagna prima di quest'estate, per cui non ho mai visto una Edelweiss" mormorò.

"Una cosa?" chiese ad un tratto Emma, levando il capo per osservarla con occhi pieni di curiosità.

"Una Edelweiss. Edelweiss è il nome tedesco della stella alpina e vuol dire 'stella bianca', letteralmente" le spiegò la castana.

"Wow! Non lo sapevo..."

"Ci sono tante cose che non sai, Emma. Le scoprirai nel corso degli anni scolastici" replicò Ivan.

"Ma io non voglio andare a scuola! Non mi piace dover studiare il pomeriggio; io voglio giocare coi miei amici!" protestò vivacemente la bambina, incrociando le braccia sul petto e mettendo il broncio.

A quell'espressione Lidia scoppiò a ridere divertita.

"Cielo, Ivan... quando si arrabbia ti somiglia così tanto" osservò con un sorriso ironico sulle labbra.

L'uomo le rivolse un'occhiata scettica, per poi scoppiare a ridere pure lui.

"L'importante è che non assomigli a qualcun altro che tu sai, perché altrimenti ci sarà poco da combatterci" asserì successivamente, scuotendo la testa.

La ragazza comprese subito l'allusione. Si stava riferendo ad Alessia. Si ritrovò a concordare con lui, perché conosceva l'indole indomabile della donna.

"Mi insegni qualche parola in tedesco, Lidia? Tu mi sembri così brava a parlarlo!" le chiese Emma dopo qualche istante.

"Lo conosco perché lo studio e perché mia madre ha dei parenti in Germania, ma non vuol dire che io sia brava" si schermì la ragazza, lusingata dal complimento che le aveva fatto la figlia dell'infermiere.

"Lidia, tu parli il tedesco molto bene. Basta ascoltarti quando dici qualcosa in lingua straniera per accorgersene. Per cui non sminuirti" le disse l'uomo accennando un sorriso sincero.

A quelle parole la ragazza arrossì, poi tirò un sospiro e pensò a cosa poteva insegnare a dire alla bambina.

"Cosa ti piacerebbe imparare?" le chiese successivamente.

Da quel punto in poi cominciò una serie di parole, pronunce storpiate, sillabe sconclusionate e risate che rallegrarono per una mezz'oretta le tre figure che avevano deciso di sedersi su un masso spoglio di muschi e fili d'erba, osservando da là sopra lo splendido panorama che si presentava davanti ai loro occhi.

Dopo qualche minuto, tuttavia, essi dovettero ritornare al gruppo per avvertirli che si avvicinava un temporale, a giudicare dalle nubi oscure ammassate all'orizzonte che accorrevano rapide col vento ad accumularsi lungo tutta la volta celeste, minacciando di pioggia e freddo l'intera Valtournenche. Il gruppo si preparò a svolgere il percorso inverso e, dopo circa un'oretta di camminata veloce in discesa, i quattordici viaggiatori rincasarono giusto in tempo per evitare di bagnarsi con i primi, grossi goccioloni di pioggia che proprio in quel momento cominciavano a cadere gelidi e pesanti sulla terra.


 

***


 

Quella sera i viaggiatori erano andati a dormire presto, dato che per la mattina dopo avevano deciso di alzarsi con l'alba e andare a visitare un paesino più a valle. Avevano in programma anche una gita ad Aosta, ma non sapevano se il tempo sarebbe stato clemente nei loro confronti per permettere loro di visitare la città dalle antiche origini romane.

Da sola nella sua stanza, Lidia si rigirava nel letto continuamente, attendendo invano che le passasse la noia che provava a causa dell'aria afosa, in modo da potersi finalmente addormentare in pace. Il temporale che c'era stato nel primo pomeriggio aveva reso l'aria estremamente umida e il caldo che era successivamente tornato aveva peggiorato la situazione, caricando di umidità afosa la serata e la notte priva di aliti di vento freddo.

La ragazza non riusciva proprio ad addormentarsi, così, intorno alla mezzanotte, decise finalmente di alzarsi e gironzolare per la grande palazzina, sperando che la frescura delle stanze non utilizzate le potesse essere d'aiuto per trovare un po' di sonno. Ciò che trovò, invece, affacciata alla finestra del soggiorno a osservare le luci ocra accese lungo i versanti montani che segnalavano la presenza delle altre cittadelle alpine, fu la sagoma di una bambina. I flebili raggi lunari accentuavano la scurezza di quei capelli lisci che le ricordavano tanto quelli di Ivan. Si trattava di Emma.

La piccola non si era accorta della presenza di Lidia, per cui continuò a osservare indisturbata il paesaggio notturrno delle Alpi. La giovane sentì Emma tirare su col naso, poi la vide alzare la manina e portarsela al viso per stropicciarsi gli occhi.

"Emma, perché piangi?" le chiese ad un tratto Lidia, facendo un passo in avanti per posarle una mano sull'esile spalla.

A quelle parole e a quel contatto inaspettati la figlia di Ivan sobbalzò violentemente, poi si girò di scatto verso chi l'aveva sorpresa a piangere, osservando smarrita e spaventata la ragazza, mentre il respiro scosso da singhiozzi accelerava improvvisamente per la paura. Emma riconobbe Lidia quasi subito e si tranquillizzò, tirando su col naso ancor più rumorosamente di prima e affrettandosi ad asciugarsi gli occhi.

"Non è una cosa che ti riguarda" puntualizzò la bambina, ricambiando lo sguardo preoccupato della castana che, dall'alto del suo metro e settanta, incombeva su di lei come un gigante.

"Non mi riguarderà, ma ti ho sentita e vista piangere e mi si è stretto il cuore solamente a pensare che stai soffrendo. Dimmi, c'è qualcosa che posso fare per farti sorridere?" le chiese Lidia posandole entrambe le mani sulle spalle, replicando con dolce fermezza alla risposta secca della piccola.

La bambina, a quelle parole, si tuffò fra le braccia della giovane, cingendole la vita in un abbraccio. Cominciò a singhiozzare fortemente contro la maglietta del suo pigiama, bagnandola di lacrime amare. Le braccia di Lidia la avvolsero, stringendola al suo corpo, mentre con le labbra posava un bacio di conforto sulla sua fronte.

"L'unica cosa... l'unica... cosa che puoi fare... è... è... è convincere... i miei... genitori... ad amarsi... ad amarsi, come... prima" disse balbettando tra i vari singulti e singhiozzi che le uscivano dalla gola per il dispiacere.

La disperata testardaggine di Emma di fronte a una separazione che ormai non poteva più essere impedita commosse Lidia nel profondo. Quella bambina, nonostante in quel momento stesse piangendo, dimostrava un'ostinazione non comune. Rifiutava di arrendersi di fronte all'irreparabile.

Ma come diavolo ha fatto a scoprire delle intenzioni di Alessia e Ivan? Loro non gliel'hanno detto di certo!, si chiese subito dopo, arrovellandosi il cervello per trovare una risposta plausibile a quel quesito.

"Emma, chi ti ha detto queste cose?" domandò alla bambina prendendola tra le braccia e asciugandole con un dito le grosse lacrime che scivolavano lungo le guance paffute del suo volto, rigandolo e arrosssandolo.

"Ho sentito i mei genitori... Stavano... stavano litigando... al telefono" rispose lei.

"Credi di poter dormire oppure vuoi sfogarti un pochino?" fu la domanda cauta di Lidia.

La bambina fece cenno di diniego col capo.

"Non... voglio sfogarmi. Devo... altrimenti... devo svegliare... Marco. E lui... lui... ha bisogno di... riposo. Domattina... bisogna alzarsi... presto."

Lidia offrì a Emma il pezzo di scottex che era andata a strappare dal rotolo posizionato sul piano cucina, facendole soffiare il naso gocciolante. Le fece una carezza delicata, trascinando i capelli da sopra il suo volto fin sulle spalle.

"Se ti va parliamo. Io non riesco a dormire, quindi posso ascoltarti, se vuoi sfogarti" si offrì la ragazza, posando il corpo della piccola a terra.

Emma si portò in piedi, avvicinandosi poi alla castana per stringerle con entrambe le mani il polso destro. Lidia pensò che anche Ivan faceva sempre così; era una sua abitudine. Padre e figlia si assomigliavano molto anche nel comportamento. La morettina la strattonò con aria decisa, con gli occhi arrossati dal pianto ma determinati che la guardavano dritto nelle sue iridi azzurre.

"Te ne prego, Lidia... posso dormire con te?" le chiese ad un tratto, lasciando la ragazza interdetta. "Sei l'unica persona che sento vicina a me, in questi giorni. Ti voglio bene, sai? E credo che per me ci sarai sempre. Me lo sento dentro che sarai sempre pronta a darmi una mano, se ne dovrò aver bisogno. Me lo prometti che, almeno tu, ci sarai sempre per me?"

Lo sguardo solenne di Emma la toccò profondamente. Quella bambina era molto più percettiva di quanto non sembrasse. Nei suoi occhi Lidia aveva letto la consapevolezza dell'odio che c'era fra i genitori, la sofferenza per una situazione familiare così difficile e l'ostinato rifiuto per la fine del loro amore. Emma soffriva in silenzio tutte le angosce familiari e assorbiva tutto come una spugna, senza mai lasciar scivolare via il flusso di emozioni negative di cui si caricava ogni giorno.

La castana rispose affermativamente alla domanda della bambina.

"Te lo giuro" aggiunse con un sorriso determinato.

Un sorriso sollevato comparve sulle labbra sottili del volto della piccola.

"Vieni con me, su" la incitò Lidia, tenendo per mano la bambina mentre se ne tornava insieme a lei nella propria camera.
 

 

***
 


N.d.A.
Salve a tutti!
Eccomi qui con il nuovo capitolo di 'Untitled'. Spero che vi sia piaciuto.
Ecco la svolta che accade durante le vacanze. E ora la situazione cambia radicalmente, perché la separazione in corso tra Ivan e Alessia è conosciuta anche dalla figlia. E, dato che i suoi genitori non devono più nasconderla alla figlia, si daranno battaglia per l'affidamento. E chissà cosa succederà. Lo so solo io... xD
Comunque, termino qua perché ho sonno. Ringrazio chi ha letto la storia e chi ha deciso di inserirla tra preferite, ricordate o seguite, nonché chi ha recensito l'ultimo capitolo, ossia Robii_, controcorrente e sabrinacaione.
Grazie di tutto, a tutti quanti.
Alla prossima... 'Notte! :*


Flame

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12.



 

Emma si sistemò sul letto a una piazza e mezzo di Lidia. Guardandosi intorno con curiosità, la bambina si affacciò alla finestra, osservando la sagoma acuta e maestosa del Cervino che le appariva davanti, imponente e slanciata contro il cielo notturno senza stelle.

"Cervinia è molto carina, come cittadina" osservò, tornando poi a piccoli passi verso il letto su cui Lidia si era appena seduta.

Si accoccolò accanto a lei, sbadigliando vistosamente, per poi adagiarsi sulle braccia che la ragazza aveva teso in avanti per poterla stringere a sé, nonostante lei sentisse caldo. Le dita della castana le accarezzarono la testa piano.

"Sai, non sempre l'amore dura per tutta la vita. E' un po come la vita, non sempre è eterno.
Al mondo, secondo me, esistono tre tipi di amore. Il primo è quello che si vuole ad un amico, ad un familiare, a una sorella o a un genitore e ad una persona che ti sta simpatica ma che non conosci tanto bene, e il secondo è l'amore parentale, ossia l'affetto di un padre od una madre per il proprio figlio. Il terzo tipo di affetto è il più raro, perché sono veramente poche le persone che l'hanno provato. Questo affetto è l'amore vero, quello che provi per una persona che ami più della tua stessa vita, per sempre e comunque. Un sentimento per cui faresti di tutto, pur di proteggerlo e salvaguardarlo. Questo tipo d'amore, però, è conosciuto da molti pochi. La maggioranza della gente crede di amare veramente il proprio compagno o compagna, ma in realtà quell'amore che prova è un affetto esasperato, un aggiustamento, un affetto rafforzato da affinità di carattere o fisiche - non sto a spiegarti cosa sono perché lo scoprirai più avanti -, ma non si tratta di vero amore. Ebbene, i tuoi genitori si amano, Emma, ma non più come prima. Il loro amore, forse, non è stato mai così forte, ma rimarrà sempre l'affetto. L'affetto per te, come anche l'affetto tra loro stessi, anche se i loro litigi ti possono indurre a pensare che si odiano, che non si vogliono più bene. Forse il loro non è vero amore, ma l'amore che proveranno per te durerà per sempre."

Lidia sospirò tristemente, osservando il volto desolato della bambina. Era difficile mentire su certi punti e spiegare a una creatura di otto anni che nulla è per sempre e che anche l'amore, a volte - decisamente molte, troppe volte -, soccombe. Le risultava difficile trovare le parole giuste per rendere Emma consapevole del fatto che la separazione tra i suoi genitori era imminente e che sicuramente non si sarebbero amati più. In fondo, lei era solo una bambina di otto anni appena, e con una sensibilità e un'emotività esagerate. E Lidia aveva solo diciotto anni. Cosa ne sapeva, lei, dell'amore vero e della vita? Lei, che non aveva esperienza né gli anni giusti per poterne vantare un po'? Si sentiva un po' presuntuosa per ciò.

"Io ho paura che loro finiranno per odiarsi. Li ho sentiti parlare di divorzio" replicò Emma stringendo convulsamente le manine sulla maglietta della ragazza.

"Come mai hai ascoltato una loro conversazione?"

"Stavo per entrare nella camera del papà, ma l'ho sentito discutere al telefono con la mamma. Stavano parlando appunto di divorzio. Sentivo la mamma strillare cose come 'ti odio', oppure 'Emma non la rivedrai più, te lo impedirò' e il papà che le rispondeva male e che le diceva cose cattive. Mi è venuto da piangere. Lo sapevo che c'era qualcosa che non andava fra loro, ma non pensavo che si detestassero tanto!"

Le ultime parole della bambina uscirono intermezzate da sonori singulti disperati, mentre i suoi occhioni castani si riempivano nuovamente di lacrime salate.

"Emma, tutto finisce nella vita. A volte anche l'amore. So che è difficile, ma non devi disperarti. Ricorda che i tuoi genitori ti ameranno sempre e comunque, anche se non dovessero più stare insieme. E forse, se si lasceranno, in casa ci sarà un clima tranquillo e anche tu sarai più serena. Spesso la separazione è meglio di un matrimonio tormentato."

Mentre diceva quelle parole, Lidia strinse ancor di più a sé Emma, che singhiozzava più forte.

"Perché dici questo?" replicò la bambina alzando su di lei uno sguardo smarrito e incredulo.

"Lo dico perché anche una mia amica all'inizio si comportava come te. I suoi genitori si stavano separando e lei era disperata e triste per questo. Ma dopo, quando le liti fra loro sono finite e in casa riusciva ad essere serena, lei si è resa conto che la separazione, nonostante fosse difficile per lei non vivere più insieme a entrambi i genitori, aveva risolto le cose."
Lidia parlava della situazione di Eliana, una sua compagna di classe, che aveva subìto il divorzio tormentato dei suoi genitori e che aveva ritrovato un po' di pace solo dopo la fine del processo e un'equa e pacifica risoluzione del loro conflitto attraverso una decisione consenzinte tra entrambe le parti.

"Quindi, se mamma e papà si lasciano, io sarò più serena, dopo?"

Emma era scettica a quella domanda. Non credeva alle parole della ragazza.

Lidia si costrinse a sorriderle con convinzione.

"Forse. L'unica cosa che posso dire con certezza è che solamente il tempo porrà una soluzione."

Dopo quella frase scese il silenzio più assoluto fra le due. Emma si addormentò dopo quache minuto fra le braccia di Lidia e lei la sistemò con delicatezza sotto le coperte del suo letto, stando attenta a non svegliarla. Una volta spenta la luce, la ragazza si accoccolò sotto le coperte dall'altro lato del letto, dando un'ultima, tenera carezza alla testolina scura della bambina prima di voltarsi sul fianco e assopirsi poco dopo.

 

***

 

Improvvisamente il mondo cominciò a tremare e a scuotersi. Lidia si svegliò di soprassalto, levandosi di scatto a sedere per poi osservarsi intorno con gli occhi sgranati per il brusco risveglio. Il suo sguardo vagò nella stanza per qualche secondo prima di posarsi sulla figura di Ivan seduta sul bordo del suo letto.

Le iridi castane dell'uomo la fissavano incuriosite e indagatrici.

"Buongiorno, Lidia" mormorò l'uomo, accostando il viso al suo per darle un bacio sulla guancia.

"Ciao, Ivan" fu la risposta di lei, che si sistemò meglio a sedere sul materasso. "Come mai sei qui?" chiese poi, domandandosi il motivo della sua presenza.

"Per la verità, stavo cercando mia figlia... ieri sera non sono venuto a darle la buona notte. E stamattina ho trovato il suo letto intatto. Mi sono spaventato da morire" spiegò Ivan con un sospiro. "Sono venuto qui per vedere se eri sveglia e magari sapevi dove era. Ma l'ho trovata accanto a te."

Il moro fece un cenno con la testa alla sinistra di Lidia e i suoi occhi osservarono con sollievo la figuretta di una bambina addormentata. La ragazza voltò il capo per seguire lo sguardo dell'infermiere, posando le iridi azzurre su Emma. La piccola dormiva beatamente accoccolata al suo fianco, avvolta dalle coperte, e un sorriso sereno faceva capolino sulle sue labbra piene. La manina teneva saldamente strette nella sua presa le dita della mano sinistra della castana.

"Che cosa è successo, Lidia?" chiese ad un tratto Ivan, mettendosi a sedere più vicino alla ragazza per poi accostare il suo volto vicino a lei, fissandola con i pungenti occhi nocciola.

L'espressione era curiosa.

"Stanotte, a dire il vero, sono stata io a portarla a dormire con me. L'ho trovata nel cuore della notte in cucina, da sola. Stava piangendo" decise infine di dire la giovane, tirando un sospiro.

"Stava piangendo?" domandò l'uomo facendosi improvvisamente attento e preoccupato. "Perché? Cosa...?"

"Ti ha sentito litigare con tua moglie, ieri sera. Sa del divorzio. Sa tutto quanto."

"Come?! Ma che cazzo...? Ma come cazzo ha fatto a sapere del divorzio? Perché ha ascoltato la nostra discussione?!"

Ivan s'accigliò, allibito e incredulo.

Lidia gli posò un dito sulle labbra, intimandogli di fare silenzio.

"Abbassa la voce, cretino, altrimenti Emma si sveglierà!" lo ammonì, guardandolo severamente.

Ivan assentì col capo, moderando il tono vocale.

"Ma come diavolo ha fatto?" ripeté soltanto, spostando lo sguardo preoccupato sulla bambina.

Lidia sospirò. I suoi occhi azzurri si spostarono verso la finestra, da cui proveniva il tenue chiarore appena accennato dei primi raggi solari mattutini. Forse era appena l'alba.

"Ivan, che ore sono?" chiese all'uomo, ignoradone l'ultima domanda.

Lui sembrò sorpreso di sentirsi porre quel quesito, ma rispose prontamente, osservando il display touch screen del suo cellulare.

"Sono le sei e un quarto. Ma perché me lo chiedi...?"

"Bene" lo interruppe lei. "Questo significa che gli altri non si sveglieranno prima delle sette. Abbiamo quarantacinque minuti per parlare tranquillamente della faccenda. Tu porta Emma nella sua stanza e mettila a dormire nel suo letto, senza svegliarla. Poi va' in cucina e aspettami. Intanto io mi vesto. Non ci metterò molto" ordinò all'uomo, facendogli uno sbrigativo cenno della mano per incitarlo a muoversi. "Vai!" lo incitò.

Il moro annuì col capo ed obbedì, attendendo poi la ragazza nella stanza. Dopo neanche cinque minuti Lidia entrò e gli fece cenno di seguirlo, conducendolo nella propria camera. Qui entrambi si sedettero sul letto rifatto, guardandosi l'un l'altra negli occhi.

"Puoi dirmi tutto ciò che sai, adesso?" cominciò Ivan accomodandosi a sedere accanto alla giovane fiorentina.

Lei gli prese una mano, stringendola tra le proprie con forza.

"Ieri sera Emma stava andando a darti la buonanotte, ma da dietro la porta ha sentito te e Alessia litigare al telefono. Ha ascoltato tutto. Ora è consapevole della vostra intenzione di divorziare. Era disperata e piangeva quando l'ho trovata in cucina. Lei si è sfogata e mi ha raccontato cosa è successo, poi si è addormentata in camera mia e l'ho lasciata riposare qui. Ecco tutto, in sintesi" narrò.

"Cazzo. E adesso come glielo spiego a mia figlia?"

"L'unica cosa che devi fare adesso è essere sincero con lei e non nasconderle nulla. Dovete affrontare questa situazione. L'avreste fatto comunque, al rientro dalla vacanza" suggerì Lidia.

"Temo che non voglia ascoltarmi. Dopo quello che ha sentito ieri sera - a mia moglie ne ho dette di tutti i colori -, non credo che vorrà sentir ragioni. E non voglio vederla piangere" protestò l'uomo.

"Cosa vuoi fare, allora? Vuoi lasciarla sola in balìa del suo tormento interiore? E' meglio chiarire le cose una volta per tutte, a questo punto" replicò con fermezza la ragazza, costringendo l'uomo a guardarla negli occhi.

Le sue iridi azzurre lampeggiavano intimidatorie.

"Avremmo dovuto dirglielo subito e non tenerglielo nascosto. Ora la situazione è più complicata" considerò fra sé il padre della bambina."So che devo farlo, Lidia, ma la piccola, molto probabilmente, non vorrà ascoltarmi. Fidati, la conosco."

"Non tanto bene, papà, se dici questo."

Sorpresi, Lidia e Ivan si voltarono di scatto verso la porta, sulla soglia della quale stava la bambina.

Lidia serrò le labbra, posando uno sguardo duro sull'uomo.

"Per fortuna che ti avevo detto di non svegliarla" lo rimproverò, spostando poi nuovamente le iridi cerulee sulla piccola per mettere a tacere eventuali repliche dell'infermiere.

Emma se ne stava in piedi ad ascoltare la conversazione fra i due. Sembrava tranquilla e composta, ma gli occhi lucidi e gli angoli della bocca rivolti all'ingiù in una smorfia sottolineavano il turbamento del suo animo. La bambina mosse alcuni passi verso la direzione del genitore, facendosi poi prendere tra le braccia da quest'ultimo.

"Papà, perché tu e la mamma non me lo volevate dire? Io mi ero già accorta che qualcosa fra voi non andava più come prima" gli fece presente la figlioletta.

Ivan si ritrovò a dover scegliere bene ogni singolo termine, perché il fiume di parole oltraggiose contro Alessia che premeva per uscire dalla sua bocca non poteva certo riversarlo su Emma. Avrebbe sofferto ancor di più. Già sapeva che i genitori si odiavano, ma non c'era assolutamente bisogno di rimarcare il fatto.

"Vedi, piccola mia... io e la mamma ci siamo accorti di non amarci più. La mamma ha anche incontrato un altro uomo e lui la rende felice. Per questo stavamo litigando, ieri sera. Vogliamo separarci, ma dobbiamo anche decidere come fare con te, perché entrambi vogliamo vivere con te. Sia io che Alessia ti vogliamo bene e non potremmo sopportare di perderti."

"Quindi ieri sera litigavate per colpa mia?" fu la domanda che la figlia pose al padre.

Emma lo osservava con occhi tristi e sembrava sul punto di scoppiare ancora una volta a piangere. Le ultime frasi sentite le avevano fatto molto male, troppo male, e lei era solo una bambina di otto anni. Si sentiva il cuore lacerato se pensava al fatto di essere la causa dei dissapori tra i genitori. Le iridi nocciola divennero ancor più lucide.

L'uomo si affrettò a contraddirla. Non voleva che la bambina si colpevolizzasse e risentisse ancor più pesantemente della separazione.

"No, tesoro, non è colpa tua. La colpa del litigio ce l'abbiamo io e la mamma che non sappiamo metterci d'accordo. Tu non c'entri niente."

Strinse a sé la figlioletta, accarezzandole la testolina con la grande mano e posando un bacio sui suoi capelli scuri e lisci. Emma cinse il torace del padre con le braccia, sospirando sollevata, credendo con cieca fiducia alle parole del suo papà. Perché lui era suo padre e lei se ne fidava incondizionatamente. Lui l'amava, la proteggeva, voleva che fosse felice. Come poteva non fidarsi? A quelle parole si era sentita come se un macigno le fosse svanito da sopra il cuore, alleggerendole l'animo e risollevandole in parte l'umore devastato da quell'improvvisa consapevolezza.
La piccola si portò le dita alle orbite oculari, sfregando le palpebre per asciugarsi le lacrime che minacciavano di scivolare giù dagli angoli degli occhi.

"Pensavo di essere io la causa del vostro odio" confessò la bambina, alzando le iridi nocciola verso quelle dell'infermiere.

"Emma, tu non sei la causa dell'odio fra i tuoi genitori. Piuttosto, sei la ragione per cui il loro amore è stato tanto forte per tutti questi anni" aggiunse Lidia, facendosi poi avanti per posarle una mano sulla spalla, in modo da farle sentire il suo affetto.

"Davvero, papà? E' vero quel che dice Lidia?"

Gli occhioni della bambina fissavano il padre con rinnovata serenità e consapevolezza.

"Ma certo, Emma" asserì convinto il moro, ricambiando poi lo sguardo d'intesa della castana e ringraziandola tacitamente per il suo aiuto.

"Emma, ti ricordi che cosa ti ho detto ieri sera?" domandò la ragazza attirando l'attenzione della piccola.

Lei annuì col capo, asciugandosi gli occhi lucidi di lacrime.

"Meglio una separazione piuttosto che un matrimonio tormentato."

"Esatto."

"Papà, se tu e la mamma vi separate, io sarò serena?" chiese con serietà la bambina.

"Sì, Emma. Non litigheremo più e potremo vederci quando vorremo" si costrinse a dire Ivan con finta tranquillità, consolando la figlia. "E ora torna nel tuo letto, tesoro. Hai ancora una mezz'ora per sonnecchiare. Ci vediamo dopo."

"Va bene, ma fra un po'. Chi è quest'uomo che rende felice la mamma, papà?" insisté la bambina, afferrando con le dita il bordo della maglia che Ivan aveva indosso e fissando il padre con occhi seri e curiosi.

L'uomo tentennò il capo, in cerca di una frase da dire per convincere sua figlia a tornare a dormire.

"Credo che, una volta tornati a Firenze, lo conoscerai, prima o poi. Ma ora va' a riposare, su" la incitò, passando una delle sue grandi mani sulla guancia paffuta e rosea della bambina per asciugare una lacrima solitaria che lentamente la stava rigando. "Tutto si risolverà, Emma. E, anche se io e la mamma non staremo più insieme, ricordati che tu sei la nostra bambina e ti ameremo per sempre. Ti vorremo sempre bene, che stiamo insieme o no. E nessuno potrà mai cancellare il nostro affetto."

Il moro si costrinse a sorriderle ancora per incoraggiarla, dandole poi un tenero bacio delicato sulla fronte.

Emma assentì e scese dalle gambe del padre, salutando con la manina entrambi gli interlocutori. Uscì dalla stanza chiudendosi piano la porta alle spalle e lasciando così Ivan e Lidia da soli.

L'infermiere sospirò desolato, prendendosi la testa fra le mani. Il braccio della giovane gli cinse le larghe spalle, facendogli sentire la sua vicinanza.

"So che ti è difficile mentire ad Emma, ma è l'unico modo per preservare quel poco di serenità che le resta" asserì Lidia posando su di lui uno sguardo preoccupato.

"Lo so, Lidia, ma non funzionerà ancora per molto. Presto, quasi sicuramente, io e Alessia ci contenderemo l'affidamento esclusivo di nostra figlia e lei finirà nella tempesta, senza nessuno che le sia di supporto per la sua sofferenza. Soffrirà e io non potrò fare niente per consolarla, perché sarò troppo impegnato a evitare che mia moglie mi strappi mia figlia dalle braccia."

"Mi dispiace, Ivan, mi dispiace tanto" mormorò Lidia al suo orecchio, stringendo l'uomo in un abbraccio per confortarlo.

Lui ricambiò la stretta, avvolgendola con le braccia e posando la testa sulla sua spalla, sfogando poi il carico di emozioni negative che reprima dentro di sé da ormai due anni.

"Fatti coraggio. Emma è piccola, emotiva, sensibile, ma anche tanto forte. Non è fragile come sembra; ha una forza d'animo impressionante. Ce la farete. Io ne sono sicura" mormorò Lidia per rassicurare l'uomo, affondando le dita tra i capelli scuri della sua testa per poi stringerlo più forte a sé.

Ivan celò il volto posandolo sul petto della ragazza, trattenendo a stento le lacrime mentre lei gli sussurrava parole di incoraggiamento all'orecchio.
 

***

 

Era la sera del 4 Agosto. Il gruppetto di viaggiatori fiorentini si stava preparando per il giorno dopo, in cui tutti quanti avrebbero affrontato il lungo percorso di dieci ore tra soste e tratti in macchina per tornare nell'afoso capoluogo toscano.

Quando si dovette decidere come sistemarsi nelle vetture, la comitiva perse più di un quarto d'ora discutendo. Domenico, sempre vigile e attento nei confronti della primogenita, aveva preteso che la figlia salisse in macchina con Rita e Tony piuttosto che con Ivan, adducendo come scusa il fatto che Emma doveva viaggare col padre. Ma il fermo rifiuto di Emma, che voleva trascorrere quella mezza giornata di viaggio con il suo migliore amico Marco, aveva posto un ostacolo alla realizzazione del volere dell'uomo, causando una situazione di stallo.

"Emma, chiedi scusa a Domenico. Non ci si rivolge così ad un adulto" esordì Ivan nel bel mezzo della vivace discussione fra i vari viaggiatori, intimando alla figlia di smettere di fare capricci.

Ma la bambina non voleva cedere; anzi, a quella presa di posizione del padre la sua testardaggine s'inasprì e, forte del sostegno di Marco, lei continuò imperterrita ad insistere affinché loro due non venissero separati.

Lidia taceva, standosene in disparte per evitare di essere ulteriormente trascinata dentro alla faccenda. Avrebbe voluto gridare a tutti il suo volere a tutti i costi trascorrere con Ivan quelle dieci-undici ore del ritorno a Firenze, ma non poteva permettersi di far sospettare al padre qualcosa. Perciò se ne rimase in silenzio, limitandosi ad osservare gli altri che discutevano.

Ivan tentava debolmente di convincere la figlia ad arrendersi, ma sotto sotto confidava nella sua ostinazione. Fa' che Domenico si convinca a far viaggiare Lidia con me, pensava, incrociando di nascosto da tutti le dita. In fondo, chiedeva solo un po' di fortuna.

Alla fine questa gli fu concessa. Visto che la bambina non demordeva, Lidia si fece avanti.

"Papà, se Emma vuole rimanere con Marco, che problema c'è? In fondo, si tratta solo di una mezza giornata. All'andata i bambini non hanno causato problemi a Rita e a Tony, perciò non credo che per loro ci siano motivi per cui i piccoli non possano viaggiare nella loro auto" disse Lidia con convinzione. "Se, ovviamente, per Rita e Tony va bene questa decisione."

La coppia non trovò nulla da ridire; anzi: i due erano contenti di poter trascorrere l'intero viaggio di ritorno con i bambini, perché entrambi li adoravano.

A quella replica il padre della ragazza non seppe ribattere, dato che non c'era nulla da poter contestare, perciò si vide costretto a dichiararsi d'accordo. Tuttavia, decise che avrebbe controllato di più la figlia maggiore, perché tutto quel tempo che trascorreva insieme ad Ivan lo faceva insospettire.

La mattina del 5 Agosto, quindi, la comitiva di Firenze ripartì per il capoluogo toscano, dicendo addio alle smeraldine valli alpine, ai fertili pascoli montani, ai paesini arroccati sulle vette e sui fianchi brulli di acute montagne, ai ruscelli e alla grandi fiumi azzurri e puliti che scorrevano tumultuosi verso la piana per confluire successivamente nei grandi corsi acquatici padani, alle nevi perenni dei ghiacciai del gigante Cervino, alla piccola, splendida Valle d'Aosta, in cui i quattordici viaggiatori avevano trascorso due settimane bellissime.

Due settimane che però, per Emma, Ivan e Lidia, erano terminate nel dispiacere.

***

N.d.A.
Salve a tutti!
E buon venerdì notte...
Bon, non ho risposto a recensioni né messaggi e sono indietrissimo con i capitoli da leggere e le recensioni che avevo deciso di lasciare e che ancora non sono riuscita a scrivere, ma rimedierò nel weekend. Forse, se magari avessi un po' di minuti liberi per riprendere fiato. Sono sempre di corsa, in questi giorni. Ho troppo da fare.
Sono riuscita tuttavia a ritagliarmi cinque minuti per correggere e postare il capitolo nuovo su Efp. Be', spero che vi piaccia. Mi aspetto la segnalazione di qualche errore, anche grave, perché il sonno me ne avrà fatto sfuggire qualcuno, perciò mi auguro soltanto che il capitolo non faccia schifo nel suo complesso.
E poi, come ultima cosa, vorrei ringraziare chi segue la storia, la legge e la recensisce. Non ho nemmeno aperto la pagina delle recensioni, perciò non so se qualcuno ha commentato il capitolo precedente. In ogni caso, comunque, ringrazio chiunque l'avesse fatto. Per me il sostegno positivo e incondizionato altrui è fondamentale. Quindi grazie.
Bon, termino qua la mia epopea.
Buona notte a tutti :*


Flame

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


13.



 

La vita a Firenze, nell'ultimo mese prima della scuola, trascorreva lenta e snervante nell'ultima afa estiva. Per molti degli adulti quello era il mese peggiore, perché sarebbe stato l'ultimo periodo di pace relativa. Infatti, avendo per lo più figli, bambini o adolescenti che fossero, a settembre i genitori avrebbero dovuto sobbarcarsi di nuovo stress, ovviamente legato alla routine scolastica dei figli che ricominciava.

Per alcune persone, però, quello fu un mese che non si sarebbero mai dimenticate, dato che per esse avrebbe segnato una nuova fase della loro vita.

Alessia, venendo a sapere della consapevolezza di Emma del divorzio imminente dei genitori, non si nascose più dietro la maschera della moglie affettuosa e appagata e cominciò a dimostrare apertamente la propria ostilità nei confronti del quasi ex-marito, anche davanti alla figlioletta.

Fin da subito la piccola cominciò a risentire della situazione tesa e insostenibile che viveva a casa. Piangeva, era diventata capricciosa, triste e insoddisfatta, non riusciva a dormire la notte, voleva andare via, andarsene a stare per qualche mese dai nonni, al fine di non subire più le ripercussioni che i litigi provocati da Alessia puntualmente provocavano.

Ivan tentava di rendere quel divorzio il meno doloroso possibile per la figlia, ma non era affatto facile. La moglie lo provocava continuamente per cercare un modo di fargli scappare la pazienza, per convincerlo a lasciare la casa e andarsene da qualche altra parte. Alessia lo faceva incollerire apposta. La sua intenzione era quella di dare di Ivan un'immagine inappropriata, in modo da poter convincere il giudice del processo che si stava istituendo per il divorzio che l'uomo non sarebbe stato capace di essere un padre adatto per Emma. La donna voleva strappare per sempre la custodia della bambina all'ex e non si sarebbe risparmiata nulla, pur di arrivare al suo scopo.

Ivan si muoveva molto cautamente fra gli astuti trabocchetti che la moglie gli tendeva. Aveva anche smesso di sentirsi con Lidia, perché temeva che l'ex-moglie avrebbe potuto scoprire la loro neonata relazione e usarla contro di lui durante il processo.

Lidia soffriva molto per quella situazione. Non riusciva più a sapere nemmeno nulla dell'uomo, se non ciò che la madre le aveva raccontato sul processo e su come lui stava. La consapevolezza di non poter attutire il dispiacere di Emma e di non poter essere di aiuto a Ivan le bruciava dentro come un fuoco cupo e rabbioso, perché lei si sentiva frustrata e impotente. E non le piacevano per niente quelle due sensazioni.

Intanto, verso la metà di agosto, Céline si lasciò improvvisamente con Diego.

Lidia non sapeva spiegarsi quell'improvvisa rottura fra la sua migliore amica e il suo ragazzo, provocata proprio dalla prima.

"Che è successo fra di voi?" l'aveva assalita improvvisamente la prima volta che l'aveva incontrata dopo la fine della loro storia di quasi quattro anni.

Céline era rimasta interdetta di fronte a quella reazione tanto inaspettata quanto esacerbata.

"Io... be', tra di noi è un periodo molto critico. Lui mi aveva chiesto una pausa di riflessione, ma io ho preferito uno strappo definitivo. Fra di noi non funzionava più come prima" era stata la sua risposta, seguita da una querula confidenza.

"Per la verità, due mesi fa lui ha conosciuto una ragazza. Mi ha detto fin da subito di sentirsi confuso e di non sapere più se chiudere subito quella liaison oppure prendersi un momento di stop con me per rifletterci su. Io gliel'ho concesso e lui è ritornato subito sui suoi passi, chiedendomi perdono per quella svista. Mi aveva giurato che non si sarebbe più ripetuta una cosa del genere. Invece, ieri l'ho scoperto mentre chattava con questa ragazza. Se avessi visto che messaggi che si scambiavano! Io ero diventata una furia. Gli ho fatto una tal scenata... poi me ne sono andata via. L'ho lasciato per questo, Lì" raccontò tutto d'un fiato la mora mentre si abbracciava con foga la sua migliore amica, affondando il volto abbronzato nell'incavo del collo di lei per poterlo nascondere mentre copiose lacrime colleriche lo rigavano.

Le dita affusolate della sua mano erano affondate con forza disperata nella schiena della ragazza, mentre la castana le sussurrava dolci parole di conforto.

"Mi dispiace, Céli..." mormorò contro il suo orecchio, una volta che la giovane ebbe smesso di singhiozzare e piangere per il dolore che avvertiva al petto. "Ma perché non me lo hai voluto dire? Se hai bisogno di sfogarti, sai a chi rivolgerti. Perché ti sei voluta tenere tutto dentro?"

Lidia non riusciva proprio a spiegarsi quell'ostinata decisione di tenerle nascosta quella situazione così difficile.

"Non volevo farti pesare i miei problemi... tu in quel periodo eri in crisi con Roberto e poi vi siete lasciati. Io e Diego eravamo in forse, ma pensavo di poter recuperare il nostro rapporto senza troppi problemi. Soprattutto, senza fartene parola. Neanche tu mi hai mai fatto pesare il tuo dispiacere per aver mollato il tuo ex" replicò ostinatamente la bruna tra le lacrime.

La castana scosse la testa, sospirando rassegnata.

"Quando ci dicono che siamo gemelle separate alla nascita, è proprio vero. Sei uguale a me in quanto a testardaggine, reticenza ed orgoglio." Fece una pausa. "Comunque, io non ti ho mai fatto pesare il mio dispiacere perché effettivamente non ne ho provato. Per me la fine di quella relazione è stata una liberazione" disse poi scherzando, cercando di far spuntare un sorriso sul volto della sua best friend.

Ma il sorriso che le rivolse Céline era triste e compassionevole.

"Dici così adesso, ma inizialmente anche tu eri affranta per la vostra rottura."

"Ma adesso, almeno, sono consapevole del fatto che ha rappresentato la liberazione che mi ci voleva. Quella con lui non è stata una bella storia."

"Speriamo che passi anche a me, così in fretta" asserì la ragazza sospirando pesantemente.

Lidia fu colpita da un'idea.

"Celia, che ne dici di uscire, questa sera? Lo so, dirai di non essere proprio in vena di uscite serali, o almeno è questo ciò che mi dicevo io nei giorni immediatamente successivi alla mia rottura con Roberto. Però ti svagherai e non starai da sola. E magari troverai anche qualche bel ragazzo con cui chiacchierare durante la serata" propose all'amica, rivolgendole uno sguardo supplichevole.

"Speriamo che questo ipotetico incontro con qualche bel ragazzo non mi comporti una nuova relazione di quasi quattr'anni da buttare poi nel cesso" borbottò Céline tra i denti, colta dal malumore.

"Ti trascinerò via se la situazione si fa seria" garantì la castana, facendole l'occhiolino.

Malgrado la tristezza e la collera, la sua migliore amica scoppiò a ridere insieme alla giovane, lasciandosi cogliere per qualche istante dall'allegria.

"Va bene, ci sto" decise infine, alzando le spalle. "E vaffanculo a Diego."


 

***


 

Quella sera, Lidia, Céline, Aurelia, Antonio, Mauro ed Alessandra avevano deciso di andarsene in una discoteca non troppo distante da Piazza della Signoria, il loro abituale punto di ritrovo. Celia era triste e pensierosa e inizialmente si era dimostrata restia a partecipare alla serata con gli amici, ma, avendo promesso alla sua best friend di sempre di prendervi parte e sentendo improvvisamente il bisogno impellente di svagarsi, si era infine aggiunta ai cinque per uscire, dicendosi che era meglio stare con loro e cercare conforto piuttosto che autocommiserarsi per la fine di una relazione con un ragazzo che aveva dimostrato di non meritarla.

"Céli, vieni a prendere un drink con me?" le aveva proposto Antonio con gentilezza, porgendole la mano.

"L'importante è che lo offri a me e non lo prendi per te, altrimenti da qui alle due vedrai quanti te ne scolerai!" lo prese in giro l'amica, scoppiando a ridere ironica.

Il diciottenne le sorrise.

"E' bello sapere che, nonostante ciò che ti è capitato negli ultimi due giorni, il tuo sarcasmo non ne è stato oscurato. Mi sarebbero mancati i tuoi commenti."

La bruna non sapeva se prendere quella replica come una battuta un po' forzata o un bizzarro complimento. Alla fine decise di riderci su, malgrado l'accenno alla rottura con Diego le avesse fatto fare una capriola al cuore, causandole dispiacere. Le venne improvvisamente voglia di piangere, ma il suo orgoglio le impedì di scoppiare in lacrime proprio davanti a tutti, imponendole di annegare le sue emozioni negative in qualcos'altro. Nell'alcol, per esempio.

"Massì, andiamo a farci un drink" si disse infine, afferrando la mano che Antonio le porgeva per poi andarsene insieme verso il bancone.

"Due Bloody Mary, per favore" ordinarono, e poco dopo furono serviti.

Il cocktail le fu d'aiuto, perché era un modo per distrarsi. Lo aveva bevuto tutto d'un fiato, avvertendo all'improvviso lo stomaco pieno del drink che le ridava una botta di vita. Si sentì subito meglio.

"Hai avuto una buona idea, sai, Antò?" disse all'amico, attirando la sua attenzione con una gomitata leggera e alzando la voce a dismisura per farsi sentire al di sopra della musica assordante che invadeva il locale, rimbombandole a tutto volume nelle orecchie.

"Ogni tanto un cocktail fa bene, specialmente se hai dei dispiaceri da dimenticare temporaneamente" ribatté il ragazzo osservandola negli occhi per un breve istante.

L'amico, coi capelli biondi e gli occhi scuri, si voltò quindi verso gli amici rimasti a ballare, osservando con mesta malizia il fondoschiena di Aurelia che si muoveva a ritmo con la musica.

"Che guardi di tanto interessante?" gli domandò l'amica seduta accanto a lui, scoppiando poi a ridere di fronte alla faccia spaesata del ragazzo colto con le mani nel sacco.

"Il didietro di una mia cara amica" fu la sua risposta acida ma sincera. S'accigliò.

"Che c'è, sei in astinenza dal sesso? Aury è una bella ragazza, lo ammetto, ma non penso che sia una buona idea volersi portare a letto un'amica" lo criticò la ragazza seduta di fianco a lui, scoccandogli uno sguardo severo.

"Per la verità, Aurelia mi interessa da un paio di mesi" ammise candidamente il biondo, reso sincero dalla dose di vodka ingoiata d'un fiato, sospirando rassegnato. "Ma non credo di avere chances con lei. Non è da adesso che si sa della sua cotta per Maurizio Baldini."

Antonio appoggiò la mascella sulla mano stretta a pugno, col gomito sistemato sul ripiano del bancone, continuando a guardare con insistenza l'amica che ballava col cugino Mauro e sorrideva divertita sotto le lampeggianti luci al neon che erano proiettate sulla massa di persone danzanti.

"Be', Maurizio è un gran figo, se proprio devo essere franca" considerò sovrappensiero la mora, pensando per un attimo all'ormai ex-maturando della quinta linguistico del suo liceo. Il giovane, alla fine del quinto, era stato votato come ragazzo più bello della scuola al termine della serata dedicata al Ballo di fine anno del loro liceo ed aveva un mucchio di ammiratrici e ragazze che gli andavano dietro.

"Grazie, mi fai proprio sentire meglio" commentò acidamente il giovane, accasciando poi la testa sul bancone tra le braccia incrociate sopra esso.

"Questo, tuttavia, non vuol dire che tu non abbia alcuna speranza con Aury. Forse, se ti facessi avanti, lei potrebbe accettare di uscire con te. Come possibile fidanzato, intendo. Da cosa nasce cosa..." gli suggerì gentilmente Céline, rivolgendogli un sorriso appena accennato ma incoraggiante.

"Se tu lo dici..." sospirò Antonio, sentendosi abbattuto e avvilito.

L'amica stava per dirgli che non poteva arrendersi così, senza nemmeno averci provato, ma una voce allegra li interruppe proprio in quel momento.

"Hey, Antonio, che è quel muso lungo?" domandò un ragazzo che Celia non aveva mai visto.

La fiorentina levò su di lui uno sguardo incuriosito e poi meravigliato. Il suo cervello, che in quell'istante stava elaborando l'ordine di assumere un'espressione interrogativa di fronte all'interruzione brusca e inaspettata della conversazione con Antonio, in un nanosecondo bloccò l'invio di tali impulsi nervosi, riavvolse il nastro e riformulò un altro comando: sguardo incantato di fronte a un gran figo.

Quello sconosciuto poteva essere sui ventidue o i ventitré anni al massimo. Con il fisico alto e palestrato, le spalle larghe, i fianchi non troppo larghi e un fondoschiena per niente male, il tutto combinato agli occhi che nelle luci della discoteca apparivano limpidi e chiarissimi, con sfumature tendenti al grigio, e ai lisci capelli corvini che ricadevano in corte ciocche sul volto, il giovane sembrava parecchio bello. I pantaloni aderenti gli fasciavano le gambe toniche e la maglietta nera non troppo larga dell'Hard Rock Café delineava la linea V del ventre, la forma degli addominali e dei pettorali scolpiti, la sagoma delle clavicole leggermente sporgenti. Gli occhi rispecchiavano la vitalità e l'esuberanza tipici dell'indole del giovane, facendolo apparire subito simpatico a Céline.

"Che c'è, questa bella ragazza ti ha appena detto che preferisce i ventiduenni ai diciottenni come te?" lo stuzzicò, scherzando con l'amico seduto a bancone e dandogli un'amichevole pacca sulla spalla.

Antonio levò su di lui uno sguardo annoiato, poi rise forzatamente alla battuta del ragazzo.

"Te invece sei simpatico come al solito, Luca."

"E' anche per questo che ho tante ragazze che mi ronzano intorno" ammise lui con molta modestia, facendo poi l'occhiolino a Céline.

La mora, in altri frangenti, avrebbe pure apprezzato il gesto e replicato con un sorriso seducente, ma quella sera non era proprio in vena di fare nuove conoscenze. In più, il fatto che quello sconosciuto non si fosse neanche premurato di presentarsi le diede su i nervi, cancellando in breve ogni traccia di simpatia che aveva provato per lui inizialmente.

Il ragazzo cominciò a osservarla più attentamente con gli occhi che ora, illuminati da un fascio di luce blu elettrico, apparivano grigio plumbeo, quasi metallico, e quell'esame minuzioso le fece capire che presto sarebbe tornato alla carica per chiacchierare un po' con lei e tentare di rimorchiarla. Quell'aspettativa la fece innervosire ancora di più.

Fortunatamente per lei, in quel momento i quattro amici rimasti a ballare al ritmo di una hit estiva del 2010 si avvicinarono al bancone, mettendosi a sedere proprio accanto ai tre.

Lidia picchiettò leggermente un dito sulla spalla di Céline, attirando la sua attenzione. Quel gesto però non sfuggì nemmeno a Luca, che stava ancora guardando la mora, e il suo sguardo si posò quindi sulla migliore amica della ragazza, fissando su di essa due occhi ammaliati e meravigliati.

Lidia, però, non si era accorta minimamente di quell'espressione ammirata che aveva attirato inconsapevolmente su di sé.

"Céli, stai un po' meglio?" aveva chiesto premurosamente all'amica, posando su di lei uno sguardo affettuoso.

La bruna aveva scosso la testa, sorridendo mestamente.

"Non c'è tutta la gran compagnia allegra che mi aspettavo. Antonio è anche più depresso di me."

"Be', allora credo che alla prossima canzone non potrai assolutamente tirarti indietro" decise la castana, abbozzando un sorriso tremendo. "E, se non ti unisci alle danze volontariamente, ti ci trascino io, anche a costo di prenderti in braccio!"

"Non credo che ce la farai, Lì, sono più pesante di te" aveva replicato la ragazza, piccata.

"Questo lo vedremo. Al limite chiamo uno dei buttafuori. Con tutti quei muscoli, sarà abbastanza forte da poter sollevare il tuo corpicino minuscolo!"

Lidia scoppiò a ridere, rivelando due file perfette di denti bianchissimi e scintillanti tra le labbra morbide e carnose, mentre Celia rimaneva per un attimo basita ad osservarla, per poi unirsi alla risata sghignazzante della castana.

Luca, in quei momenti, non aveva smesso un attimo di contemplare la figura di Lidia, osservandone il corpo aggraziato e atletico, inequivocabilmente di una persona sportiva, ma anche prospero nelle forme e molto ben proporzionato. Considerò che il volto a cuore della ragazza era piuttosto carino, ma anche ordinario, così come i capelli castani, lisciati per l'occasione con la piastra ma inequivocabilmente mossi, da quanto si poteva intuire dall'arricciatura delle punte e dalla voluminosa consistenza dei capelli alla radice, e il naso greco, lievemente punterellato da leggerissime efelidi. Ciò che però lo stupì e lo ammaliò di più furono le iridi azzurre della ragazza, vivide, spiazzanti, disarmanti e intriganti. Quei due piccoli zaffiri cangianti incastonati in quel volto di porcellana avevano catturato la sua attenzione.

Proprio in quel momento, però, l'amico di Antonio fu costretto ad abbandonare le sue riflessioni, o, meglio, il vuoto cosmico che la contemplazione di quei due occhi indimenticabili gli aveva lasciato nella mente, per ritornare con i piedi per terra. Infatti Mauro, incuriosito dalla presenza di quello sconosciuto ventenne che fissava con insistenza la sua amica Lidia, gli aveva chiesto chi fosse, attirando finalmente l'attenzione del gruppo su di lui.

"Questo è Gianluca, l'amico del fratello di un mio amico" spiegò Antonio, dandogli una debole pacca sulla spalla. "Come Céline ha già potuto appurare, è simpatico e ficcanaso e credo che per stasera rimarrà con noi, dato che non vedo nessuno del suo gruppo nel locale" aggiunse poi con una punta di malcelato sarcasmo nella voce, guardandosi intorno alla disperata ricerca di qualche figura familiare della combriccola di Gianluca.

In fondo, il nuovo arrivato non gli era poi così gradito. In più era anche amico di Maurizio Baldini, il suo rivale in amore.

"Però tutti mi conoscono come Luca" si presentò il ragazzo, alzando la mano in alto per rivolgere un saluto generale a tutti coloro che lo stavano fissando.

"Luca, questi sono i miei amici" disse il biondo, indicando poi uno per uno mentre ne diceva il nome. "Questo è Mauro, il piccolo del gruppo. Questa è Aurelia, detta Aury, sua cugina. Questa è Alessandra, la sorella di Marina, la ex del tuo amico Andrea. Questa invece è Celia, detta Céline, e quest'altra è Lidia, l'unica tra noi maggiorenni che ha preso la patente finora" aggiunse infine ridendo.

"Solo perché voi avete paura di posare le mani sul volante, Antò" lo rimbeccò l'ultima menzionata, scatenando una risata generale.

"Tu che fai, Luca, ti unisci a noi?" chiese poi Antonio, posando lo sguardo sul moro.

Lui fece spallucce, con aria indifferente. Tuttavia il suo sguardo si posò con rinnovata insistenza sulla castana, che finalmente si accorse della sua petulanza.

"Per me è uguale. Decidete voi. Io sono qui da solo. Due miei amici mi hanno dato buca una decina di minuti fa, perché uno di loro si è sentito male e l'altro ha deciso di assisterlo."

"Male?" chiese Lidia con un filo di curiosa preoccupazione negli occhi vigili.

"Sì, male... ha bevuto troppo a cena" spiegò il ragazzo.

Egli improvvisamente avanzò di un passo verso la castana. Lei, automaticamente, si tirò indietro, accomodandosi sullo sgabello che aveva dietro di sé.

Quell'individuo era troppo appiccicoso, considerò Lidia. Le faceva venire i nervi quell'atteggiamento insistente. Gianluca non aveva fatto un passo in avanti verso di lei per caso; l'aveva fatto apposta. Glielo aveva letto negli occhi, dal modo in cui lui la guardava con petulanza, che l'aveva fatto volontariamente. E lei, per rispetto nei confronti di Ivan e per propria ferrea determinazione, si era spinta indietro, decidendo di marcare fin da subito i confini tra loro che dovevano rimanere inviolati, in modo da fargli recepire immediatamente il messaggio di non provarci con lei.

Il ragazzo, comunque, non si scoraggiò, perché non spostò lo sguardo da lei nemmeno quando la castana replicò con un'occhiataccia inceneritrice, intromettendosi poi nella sua conversazione con Céline a più riprese.

Ad un certo punto, Lidia sbuffò esasperata: dimostrarsi fredda e indifferente con lui non aveva funzionato, perché Gianluca continuava imperterrito a entrare a viva forza nella conversazione tra lei e l'amica, con cui lui non aveva assolutamente nulla a che fare. Doveva essere chiara e farglielo capire esplicitamente? Ebbene sì, doveva farlo.

Decise quindi che, appena le si sarebbe presentata l'occasione adatta, sarebbe stata diretta e precisa, in modo da levarsi subito di torno quel ragazzo che cominciava veramente ad essere seccante e impiccione.

 

***



N.d.A.
Salve a tutti!
Scusatemi se ho aggiornato quasi ventiquattr'ore dopo rispetto al solito orario, ma ho avuto una connessione ad internet ballerina e vari incasinamenti per la preparazione di una vacanza che mi stanno tenendo impegnata ultimamente. Perciò, aggiungo che venerdì prossimo, cioé il 29 Agosto, non aggiornerò, e che mi farò viva direttamente il 5 settembre. Mi prendo una pausa di una settimana.
Bon, passando al capitolo, questo è fondamentale perché avviene la presentazione di un personaggio nuovo che metterà un po' in difficoltà la storia tra Ivan e Lidia, ossia Gianluca. Chissà di chi si tratta... ma dal suo aspetto descritto nel capitolo qualcuno potrebbe aver già capito. E le vite di Lidia, Ivan e Gianluca si intrecceranno in una vicenda stramba e a volte comica che si concluderà con un colpo di scena inaspettato. E non dico nulla, preferisco tenervi sulla corda xD
Be', nel capitolo scorso non ho ringraziato a dovere chi ha recensito l'undicesimo aggiornamento, perciò lo faccio qui sotto: grazie a Daisy90, hi_guys e controcorrente per le recensioni al capitolo 11 e grazie ancora a controcorrente e Daisy90 per le recensioni al dodicesimo. Il sostegno di tutti voi e anche di chi segue la storia in silenzio è fondamentale per me, è uno stimolo per portare avanti questa storia. E spero che il seguito non vi annoi, né che vi possa deludere.
Concludo qui il mio sproloquio e sgattaiolo via dietro le quinte. Mi auguro che abbiate apprezzato il nuovo capitolo.
Grazie ancoa a chi segue, e buona notte :*


Flame

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


14.



 

Lidia non ebbe l'occasione di chiarire le sue intenzioni con l'appiccicoso Gianluca, perché questo se ne era andato intorno all'una e mezza dal locale, adducendo come scusa il fatto che la mattina dopo doveva presentarsi presto a casa dei genitori per il pranzo domenicale.

Intorno alle due anche lei era già a casa, pronta a infilarsi subito sotto le coperte del letto. Si era fatto più freddo nelle ultime notti. L'aria di metà agosto cominciava a rinfrescarsi durante la sera e Lidia aveva deciso di aggiungere un plaid leggero alle lenzuola di cotone del proprio letto, dato che lei il freddo non riusciva proprio a sopportarlo.

Rintanata sotto le coperte, la giovane stava navigando in Internet col proprio Samsung, cercando su Facebook un possibile profilo di Ivan. Non gli aveva chiesto se era iscritto a qualche social network, ma pareva di no, a giudicare dall'assenza di un profilo del sito ricollegabile a lui.

Il pensiero dell'uomo la fece intristire. Era da giorni che non lo sentiva più. Chissà come stava. Chissà come stava Emma, intrappolata nell'occhio del ciclone da sola, senza nessuno che la potesse confortare. L'impellente e urgente bisogno di sentire la voce dell'infermiere, di farsi dire una qualsiasi frase da lui cominciò di nuovo a tentare fortemente la ragazza.

In fondo, sono le due di mattina. Se tiene il cellulare accanto a sé mentre dorme o fa un turno di notte, magari mi risponderà, considerò tra sé, dicendosi poi che tentar non nuoceva e che avrebbe rischiato di meno chiamandolo a quell'ora tarda. In più, la situazione per lei era favorevole: Eva, che condivideva la stanza con lei, non era a casa quella notte perché era rimasta a dormire presso un'amica, la quale, compiendo gli anni proprio in quel weekend, aveva deciso di organizzare un pigiama party, e invece i suoi genitori erano entrambi assenti. Sara, infatti, aveva un turno di notte in un reparto ospedaliero diverso rispetto a quello in cui lavorava Ivan, mentre Domenico era fuori città, a Siena, presso la casa dei nonni paterni delle sue figlie, dove si era recato per trascorrere l'intero fine settimana presso la madre dalla salute perennemente fragile e cagionevole e il padre taciturno e pacifico.

Lidia aveva la casa libera.

Ivan. Il nome dell'uomo riverberò nella sua mente, facendola cedere alla tentazione di chiamarlo al telefono.

Sulla schermata del Samsung argentato della ragazza apparve presto la digitazione del numero di Ivan. Chiamandolo, la giovane si sorprese ad essere trepidante, smaniosa di poter sentire la voce dell'uomo il prima possibile. Il telefono squillò una volta, due, tre. Quattro. Cinque. Al sesto squillo la ragazza stava per gettare la spugna, colta dall'amarezza. Forse era al lavoro e aveva lasciato il cellulare nel proprio armadietto dello spogliatoio. O forse, più semplicemente, aveva impostato la modalità silenziosa per il telefono in modo da non essere disturbato da nessuno durante la notte.

Stava per chiudere la chiamata, quando il settimo bip dell'attesa di risposta fu bruscamente interrotto.

"Pronto?"

Un filo di voce flebile e impastata giunse all'orecchio della castana, seguito da un sonoro sbadiglio. Evidentemente Ivan era a dormire nel proprio letto.

"Chi è?"

Sì udì una domanda dall'altra parte del telefono. Lidia si sentì leggermente in colpa, perché aveva svegliato l'uomo.

Comunque, la risposta della ragazza non si fece attendere.

"Ciao, Ivan. Sono io."

"Io chi?"

"Lidia."

"Lidia?"

"Sì, proprio io."

Lidia soffocò una risatina.

"E' successo qualcosa? Non mi hai mai chiamato di notte..."

Ora il tono di voce dell'infermiere aveva assunto una sfumatura preoccupata, ma la serietà che quella domanda avrebbe potuto ispirare fu infranta dal lungo sbadiglio che si udì successivamente.

"Mi manchi" rispose semplicemente la ragazza, immalinconendosi.

Lidia si aspettava una replica acida o un rimprovero da parte dell'uomo, per esempio: 'mi hai chiamato solo per questa cazzata?', oppure 'ma che, mi stai prendendo in giro? Io ho bisogno di dormire, non di ascoltare le tue lamentele'. Più di una volta le erano capitate reazioni simili, da parte di genitori, sorella, amici ed ex-ragazzo.

Ma la sorpresa che la colse fu enorme quando ascoltò la risposta dell'infermiere.

"Davvero? Anche per me è lo stesso... Grazie per avermi chiamato, Lidia. Pure tu mi manchi tantissimo."

La voce dell'uomo era debole, appena sussurrata, ma intrisa di dolcezza e malinconia insieme, quasi melanconica, nostalgica dei giorni idilliaci trascorsi sulle Alpi.

"Non sai che giorni infernali sono stati questi. Con Alessia la situazione è diventata insostenibile. Emma soffre molto per tutto ciò e quindi l'ho portata a trascorrere il weekend da mia madre, in modo da tenerla lontana dalle nostre liti. Averti sentita adesso, però, mi fa stare molto meglio. Mi ha confortato molto. Davvero."

"Ivan... Vuoi parlarne? Vuoi sfogarti? Fa male tenersi tutto dentro. Tu lo hai fatto per troppo tempo. E' meglio che ti confidi un po', forse. Ma solamente se tu vuoi."

"Tranquilla, Lidia, io sono forte. E sopporterei questa situazione per altre cento e mille volte, se solo non ci fosse in mezzo anche mia figlia. Emma ne sta risentendo molto."

Il pensiero della bambina catturò l'attenzione della castana.

"Come sta la piccola?"

"Emma, per quanto concerne il piano fisico, sta benone. Il problema è Alessia. Provoca continuamente delle liti tra me e lei. Vuole far recepire alla mia bambina un'immagine sbagliata di me, del suo papà, ma non ha capito che i suoi tentativi sono miseri e destinati al fallimento. Io mi controllo e sopporto di tutto, ma mia figlia si prende tutte le batoste e soffre. Io non so come fare. Non so proprio come fare. Sta andando tutto male, con lei. Cerco di renderla contenta in ogni modo: la porto fuori per tenerla lontana dall'atmosfera tesa che abbiamo in casa, le compro tutto quel che vuole, cerco di trasmetterle la serenità e l'affetto che le mancano, ma non ce la faccio da solo. Alessia deve rendersi conto che così rischia di rovinare la felicità della mia bambina!"

Quelle parole piene di enfasi e rabbia repressa, quasi disperata, abbatterono Lidia. Emma soffriva a causa dell'insensibilità di una madre egoista, capricciosa, testarda e litigiosa e lei non poteva fare niente per esserle di conforto. La castana le aveva promesso che le sarebbe stata accanto nelle difficoltà, che l'avrebbe aiutata, se ne avesse avuto bisogno. E invece Lidia era impotente, senza poter far nulla per consolarla. E la stessa cosa valeva per Ivan. Soprattutto per lui.

La collera montò furiosamente dentro di lei. Alessia aveva il diritto di stare con chi le pareva, ma non di arrecare così tanto dolore alla fragile sensibilità della figlia senza curarsi di lei. Dopotutto era stata proprio la donna a mettere al mondo la bambina e avrebbe dovuto crescerla e garantirle una vita serena, fino a quando avesse potuto tutelare la sua felicità. Invece, per Alessia, Emma passava in secondo piano, e ciò non era giusto nei confronti della bambina.

"Ivan, tu devi fare presente questo al giudice, quando comincerà il processo di divorzio! Emma non può essere affidata ad una madre del genere" sbottò ad un certo punto la ragazza.

"Non credo che una tale argomentazione sia utile. Molti dei genitori che litigano per la custodia di un figlio si comportano così, lo so per esperienza. Tuttavia non vengono penalizzati nei processi per l'affidamento."

La replica di Ivan fu incontestabile, ma non bastò a far tacere Lidia.

"Ci dev'essere un qualche modo, un qualche punto debole nel comportamento di Alessia che possa tornare a tuo favore nel processo... Emma non può esserle affidata. Almeno, non per mezzo di una custodia esclusiva."

"Io non so cosa dirti, Lidia. Non capisco nulla di queste sottigliezze legali, per cui lascio fare tutto all'avvocato divorzista. E poi, solitamente, nei processi di separazione ci si mette d'accordo sull'affidamento congiunto, per cui potrò vedere mia figlia regolarmente. Il problema principale sta nel fatto che Alessia vuole trasferirsi in Germania con Giacomo e intende portare via con sé Emma. Non so fino a dove la legge potrà tutelarmi su tale questione, per cui ho già chiesto consulenza legale. L'unica cosa che posso fare, adesso, è di evitare di cadere in uno dei tanti trabocchetti che Alessia mi tende per far emergere qualche pessimo lato del mio carattere che lei possa riutilizzare nel processo per sottrarmi la custodia di Emma. Soprattutto, per il bene di mia figlia, devo riuscire a renderla serena. Non felice, perché non ce la posso proprio fare, ma almeno devo provare a renderle questo periodo meno difficile."

Dall'altro capo del telefono Lidia udì un sospiro pesante, stanco, sfinito.

"Mi dispiace per questa situazione complicata, Ivan. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarvi, a te e ad Emma. Odio dover ammettere di essere impotente di fronte a certe circostanze."

La replica della ragazza era sincera e non poté non provocare un sorriso all'uomo, nonostante non ci fosse proprio nulla di cui rallegrarsi.

"Tranquilla, tesoro. Tu fai molto più di quanto in realtà potresti. Ti preoccupi per me ed Emma, mi fai sentire il tuo appoggio e sei la custode delle mie confidenze e dei miei dispiaceri. Tu fai molto per noi. Ci sei vicina. Mi sei vicina."

A quella parola Lidia fremette. Era la prima volta che l'uomo la chiamava tesoro. Mai nessuno l'aveva chiamata così, a parte i genitori, i nonni e Céline. Roberto non l'aveva mai soprannominata così. E, soprattutto, Ivan, con quella sua voce calda, maschia e profonda, l'aveva pronunciato con un calore e una dolcezza infiniti, tanto da farle perdere un singolo battito del cuore.

A quella parola Lidia si era sentita veramente importante per Ivan. E il suo animo aveva esultato di gioia.

"Se lo dici tu..." mormorò a bassa voce, abbozzando un mezzo sorriso con le morbide labbra scarlatte, attorcigliandosi una ciocca di capelli ondulati con l'indice destro.

"Perché lo dici con quel tono? Credi che potrei mai mentirti?" la stuzzicò l'uomo.

Lidia trattenne una risata.

"Secondo me lo dici solo per non farmi sentire completamente inutile" lo provocò, tormentando il labbro inferiore con un candido e appuntito canino.

All'orecchio le giunse il rumore di un sospiro d'esasperazione appena trattenuto.

"Certo... magari, aggiungi anche che queste parole non le ho dette io, ma un registratore applicato al mio telefono che ogni tanto si accende e ti lascia ascoltare qualche frase precedentemente preparata per te."

La battuta di Ivan era di certo pessima, ma non per questo Lidia non scoppiò a ridere a voce alta, provocando stupore nel suo interlocutore.

Dopo qualche istante di sorpreso silenzio dall'altra parte del telefono, improvvisamente le arrivò un'esclamazione allarmata.

"Lidia, smetti di ridere così forte! Altrimenti i tuoi familiari si sveglieranno!"

"Io non credo proprio" lo contraddisse la castana con tono convinto. "E' alquanto improbabile che loro possano destarsi per una mia risata."

"Sei sicura che qualcuno non ci possa sentire?"

Il tono di voce di Ivan lasciava trasparire una leggera preoccupazione.

Lei scosse la testa, sorridendo tra sé.

"Sta' tranquillo, Ivan. Non ti avrei chiamato se non fossi stata sicura di non farmi scoprire. Ovviamente non disturberò il sonno di Eva, che è a dormire a casa di una sua amica, né quello di mamma, che ha un turno di notte all'ospedale, né tantomeno quello di mio padre, che è a Siena dai nonni per il fine settimana. Al massimo, potrei temere di disturbare il sonnellino del gatto della mia vicina, se effettivamente se ne è andato a nanna invece di girovagare per l'intero quartiere come ogni notte" replicò la ragazza, sbuffando una risatina.

Ivan si sentì sollevato a quella risposta. Anche lui rise lievemente, sebbene il suono della sua risata fosse arrivato all'orecchio della castana come una serie di rapidi sbuffi.

Una folle idea folgorò improvvisamente Lidia, che dalla posizione stesa balzò agilmente a sedere sul materasso del suo letto, entusiasta.

"Ivan, tu adesso sei da solo, giusto?" gli chiese tutt'a un tratto.

L'uomo rimase in silenzio per qualche istante, perplesso per quella domanda inaspettata.

"Be', sì. Emma è a dormire da mia madre e da Giovanni, come ogni sabato, e Alessia se ne è andata a passare la notte da Giacomo. Ma perché me lo domandi?"

"Anche io sono da sola. Che ne dici se ti raggiungo a casa tua? E' tanto che non ci vediamo."

L'uomo, a quella domanda, rimase basito.

"Cosa? Alle due e dieci di notte? Ma stai scherzando, Lidia?! Io non ti lascio da sola a vagare con lo scooter per Firenze a quest'ora del sabato notte! Piuttosto, preferisco venire io da te." Si fermò un momento a riflettere. "No, aspetta un secondo. Io e te da soli, di notte? Che hai intenzione di combinare, Lidia?"

La voce dell'uomo risuonò alterata al suo orecchio, ma la ragazza non sapeva decidere se quella era una distorsione del tono vocale provocata dalla linea telefonica oppure un'alterazione della voce dell'uomo, magari a causa di qualche dubbio o perplessità.

"Voglio soltanto vederti, Ivan... è da un sacco di tempo che non ci sentiamo né incontriamo. Mi manchi" ammise in un soffio la castana, sperando che l'uomo non avesse frainteso la sua reale intenzione.

Perché, effettivamente, quella richiesta poteva facilmente essere malcompresa, specialmente da uno come Ivan che si faceva film mentali e costruiva teorie fantascientifiche praticamente su ogni cosa.

"Non so, Lidia... domani mattina vado a casa di mia madre per prendere Emma e per partecipare al pranzo domenicale, per cui mi devo alzare presto."

A quelle parole scoraggianti la giovane sospirò rassegnata, incupendosi.

"Ma sai che ti dico, invece? Al diavolo il sonno, è meglio perderne un'oretta per passarla con te piuttosto che trascorrerla a ronfare solitariamente nel mio letto. Concedimi venti minuti di tempo e sarò arrivato."

Quell'improvvisa decisione fece gioire la ragazza.

"Puoi rimanere da me anche due o tre ore, se ti va!" esclamò ridacchiando, per poi salutarlo rapidamente e riattaccare prima che lui potesse replicare.

Lidia balzò quindi giù dal letto e corse a premere il tasto dell'interruttore, precipitandosi al guardaroba per tirare fuori una dozzina di magliette. La luce intensa e forte rischiarò la sua camera, disordinata.

"Cosa mi metto? Cosa mi metto?!" si domandò indecisa e agitata, in preda all'impazienza per l'imminente incontro con l'uomo. "E devo anche riordinare un po', caso mai venissimo qui! Di certo non ci mettiamo a sedere nelle poltrone, che attirano un caldo pazzesco, né in cucina, che è disordinatissima! Come faccio?!"

Il solo pensiero di essere sola con lui, di notte, nella propria casa deserta, le provocò un tuffo al cuore, trascinando il flusso delle sue riflessioni su ben differenti argomenti. Chissà cosa sarebbe potuto succedere se fossero saliti in camera sua, si fossero lasciati trascinare dalla passione, tentati dal privilegio della solitudine che era concesso loro... No, no, no. Ferma e riavvolgi il nastro dei tuoi pensieri. Ivan era un uomo affidabile e rispettoso. Era serio e morigerato. Non l'avrebbe nemmeno sfiorata, almeno non nel senso che intendeva lei. Poteva stare tranquilla.

Quel pensiero però la lasciò anche insoddisfatta, perché Lidia, ogni qualvolta si lasciasse trasportare dalle sue riflessioni sulla sua relazione con Ivan, si immaginava puntualmente il momento in cui avrebbero fatto l'amore insieme per la prima volta. La sua prima volta con un uomo. La sua prima volta con lui. La sua prima, primissima volta in assoluto.

Un pensiero del genere la fece innervosire, ma lei si affrettò a scacciarlo dalla mente, per poi tornare a concentrarsi sulla questione precedente: cosa poteva indossare di accettabile al posto del proprio sbracato pigiama estivo?

 

***
 

Ivan, come promesso, parcheggiò l'auto davanti all'abitazione della famiglia Draghi proprio una ventina di minuti dopo la telefonata, andando poi a citofonare al cancello per far presente a Lidia di essere arrivato a destinazione.

Mentre attendeva che venisse aperto, l'uomo vide il portone d'ingresso aprirsi, quindi una sagoma svelta e appena delineata nell'oscurità scattare rapida verso il cancello per aprirlo. Sotto la luce del lampione Ivan poté scorgere per un fugace istante i brillanti occhi azzurri di Lidia, poi avvertì due braccia cingergli il collo e due gambe affusolate avvinghiarsi al suo bacino. Le braccia muscolose del moro istantaneamente le avvolsero la vita, tenendola stretta al proprio corpo.

Due iridi di zaffiro apparvero sovrastanti davanti a lui, scintillanti di felicità ed eccitazione.

"Eccoti, finalmente!" esclamò Lidia con un lieto e candido sorriso, per poi reclinare dolcemente il capo sul volto dell'uomo, sfiorandone le labbra sottili con un bacio entusiasta.

"Lidia" mormorò Ivan contro la sua bocca, calandola piano dalle proprie braccia per poi stringere a sé la figura della ragazza in un forte abbraccio.

I due si baciarono nuovamente, a lungo, stavolta con passione, sotto la fosca volta celeste senza stelle che ammantava Firenze, incuranti della singola macchina solitaria che passò per la strada adiacente alla casa, felici di potersi riabbracciare dopo così tanti giorni.

Le grandi mani dell'infermiere scivolarono tra i capelli sciolti della ragazza, andando ad intrecciarsi in strani ghirigori con quelle ciocche scure, per poi scendere lungo la linea della mascella ad accarezzare con delicatezza i lineamenti del volto di lei.

"Sei ancor più bella di come io ti ricordi" sussurrò semplicemente, rivolgendole un sorriso amorevole.

Lidia rise brevemente con una punta di sarcasmo nella voce.

"Devi aver davvero bisogno di un paio di occhiali se affermi di trovarmi bella" lo provocò, per poi tuffare la testa nell'incavo del collo dell'uomo, cingendogli il torace e facendo affondare leggermente le dita nella sua schiena possente, beandosi di quel contatto virile e della presenza tangibile di quel corpo solido e compatto, atletico.

"E tu necessiti proprio di uno specchio in cui guardarti, ogni tanto. E anche di un criterio di autovalutazione meno severo" replicò lui, accarezzando la schiena levigata della ragazza che stringeva a sé.

"Sei sempre tanto acido?" gli chiese lei sciogliendo l'abbraccio.

Gli prese una mano e cominciò a camminare verso il portone d'ingresso spalancato, seguita dall'uomo.

"E tu sei sempre tanto gentile?"

Lidia rise ironica, facendolo entrare nell'atrio della casa.

"Dove mi stai portando?" chiese lui, notando che la ragazza stava salendo le scale.

"In camera mia. Ma sta' tranquillo, non ho intenzione di tentarti" scherzò lei, spalancando la porta della sua stanza e accendendo la luce per poi sedersi sul suo letto, trascinando con sé anche l'uomo.

Ivan osservò brevemente la camera, notando soprattutto i poster dei cantanti e dei gruppi preferiti della castana affissi alle pareti e alle ante dell'armadio, le mensole a muro zeppe di libri e volumi che lui riconobbe come storie e romanzi di varie correnti letterarie antiche o recenti, di cui alcuni in lingua straniere, e la fila ordinata di CD disposti con precisione meticolosa su uno scaffale sovrastante la scrivania vicina all'unica, ampia finestra che dava sul balcone della stanza. Gettò un'occhiata ai voluminosi libri della gloriosa cultura germanica, scritti rigorosamente tutti in tedesco perfetto, disposti ordinatamente su almeno uno degli ampi scaffali alla parete. Vide che la stanza era stata riordinata in fretta ma con accuratezza e che il letto su cui era seduto - o, per meglio dire, steso - era stato rifatto da pochissimo, perché, se tendeva una mano al di sopra del lenzuolo leggero, si avvertiva ancora da sotto le coperte tese il calore del corpo di Lidia che precedentemente vi stava riposando.

Ivan immaginò per un momento di poter avvertire quello stesso calore sulla propria pelle, di poter stringere a sé quel corpo ardente e invitante, di poter entrare piano, con dolcezza e snervante lentezza, dentro di lei, di unirsi e fondersi insieme nel piacere di un orgasmo...

Fermati, Ivan, altrimenti non riuscirai a trattenerti al minimo contatto fisico, si ammonì mentalmente, imponendosi di contenere i propri istinti.

Ma non sarebbe stato facile, per lui che da troppo tempo li reprimeva e li soffocava era una grossa sfida. Soprattutto, il fatto di essere soli in una grande casa, seduti su di un letto, con lei che gli stava al fianco, le gambe accavallate, un sorriso sulle labbra che le dava un'aria ingenua e sensuale insieme, quella di una giovane donna inconsapevole della propria magnetica, innocente e seduttiva bellezza, costituivano per lui un serio rischio di tentazione. Rischiava di poter fare qualcosa di sgradevole se non riusciva a contenersi. Doveva reprimersi. Lidia era troppo giovane ed inesperta per sperimentare la brutale rudezza e le svelte maniere di un uomo, accecato dal desiderio del suo corpo delicato, che sopprimeva i propri impulsi sessuali da alcuni anni e che non ci avrebbe messo nulla a passare alle vie di fatto.

Lidia si accoccolò accanto all'uomo, puntellando un gomito sul materasso per poi posarvi il volto. Abbozzò un sorriso.

I pensieri di Ivan si dissolsero a quel lieve, tenero contatto.

"So che potresti avere strane idee in testa riguardo a questa mia decisione, ma la questione, in realtà, è molto più semplice: dato che il divano del salotto rilascia sempre un sacco di calore e per di più è anche scomodo, ho pensato che sarebbe stato meglio accoccolarci qui" gli spiegò, cancellando i suoi dubbi a proposito di quella scelta.

"Non ho detto nulla" fu la sua replica piccata.

"Ma lo hai pensato, per cui è come se l'avessi detto. Credi che io non riesca a percepire ciò che pensi? Lo vedo dai tuoi sguardi, dai tuoi gesti, dai tuoi silenzi... dalle tue parole, a volte. Non sei l'unico dotato di intuito, qui sulla Terra." E squittì divertita.

"Non credevo che fossi una fan così sfegatata di Serj Tankian" sussurrò Ivan, cambiando argomento per evitare di dover parlare ancora dell'allusione fatta da Lidia a proposito del sesso.

"Ivan, non cambiare argomento, perché prima o poi dovremo comunque affrontarlo" lo ammonì lei. Il suo sguardo era eloquente. "La nostra non sarà per sempre una relazione meramente platonica. Io voglio di più, e così credo che anche per te sia la stessa cosa. Finiremo per essere amanti in modo completo, per cui è inutile che eviti di parlare di quando ciò accadrà. E non mi convincerai con le solite balle sulla differenza d'età o sul fatto che sei ancora legalmente sposato e che non ti vuoi abbassare al livello dell'adultera Alessia."

L'uomo sospirò pesantemente, sentendosi incastrato in una situazione quasi surreale.

"Voglio soltanto che tu sia ben sicura di ciò che faremo, Lidia. Tu non vorresti avere una relazione normale? Io, fondamentalmente, ho vent'anni più di te e sono sposato..."

"Ti stai separando" puntualizzò la ragazza, interrompendolo bruscamente.

"... Sarò ancora sposato fino a che il divorzio non sarà ufficiale" affermò l'uomo, lanciandole un'occhiataccia. "Tu non vorresti una storia tranquilla, magari con un coetaneo?" Fece una pausa. "Sappi che lo dico solo per il tuo bene, Lidia, perché se decidi di intraprendere questa strada, per te non ci sarà nulla di semplice."

"Neanche per te nulla è semplice, tuttavia non ti concedi facilitazioni. Io non voglio lasciarti da solo, Ivan. Voglio affrontare con te i nostri momenti più brutti, così come gli istanti più belli. Non mi convincerai a lasciarti."

La determinazione di Lidia si rifletteva nelle sue iridi azzurre e austere. Ivan avvertì su di sé quello sguardo inflessibile e tuttavia si commosse, pensando a quanto lei gli dovesse voler bene per scegliere di rimanergli accanto e di confortarlo quando ne avesse avuto bisogno.

"Voglio soltanto che tu sia consapevole di ciò che comporterà per te questa relazione nella tua vita."

"Ho già considerato questo aspetto e, te lo dico con franchezza, non m'importa un cazzo di ciò che accadrà. A me basta stare con te."

Il bruno sospirò di sollievo a quelle parole, poi le sue labbra si schiusero in un sorriso esultante.

"Sono felice di sentirtelo dire, perché per me sarebbe impossibile lasciarti andare. Sei entrata a viva forza nella mia vita e l'hai stravolta, ma hai portato con te anche quella felicità che mi mancava da tanto tempo. Non rinuncerò a te. Non ora che il mio sentimento nei tuoi confronti si è fatto più forte."

Il braccio dell'uomo si mosse verso la vita della ragazza, cingendola e attirandola a sé. Il moro mando a fanculo tutti i buoni propositi che gli erano frullati nel cervello cinque minuti prima.

In un attimo la situazione si ribaltò, perché Lidia fu sovrastata dal suo fisico possente, mentre le sue labbra lambivano dolcemente il collo di lei trasmettendole brividi di eccitazione. Ivan sfoderò i denti appuntiti, lasciando uno scherzoso morso sul lobo dell'orecchio della giovane, poi essi catturarono una piccola porzione della tenera pelle in corrispondenza della clavicola.

Lidia gemette a quel contatto. Cominciò a contorcersi sotto il tocco delicato delle carezze avvincenti della sua mano, supplicandolo con un filo di voce di non interrompersi. Il nervosismo iniziale che aveva provato entrando in quell'argomento era fluito via quasi subito per lasciare il posto a una crescente eccitazione. Le dita della giovane scivolarono sotto la maglietta scura e aderente che fasciava il torace dell'uomo, affondando poi le unghie nella pelle calda e liscia del dorso, tracciando piccoli segni sottili e lineari.

Le labbra dei due si ricongiunsero nuovamente, assaporandosi a fondo con un dolce contatto fra le loro lingue che si accarezzavano lentamente in una languida danza. Lidia cinse il collo di Ivan con entrambe le braccia, abbandonando la presa sul suo torace, per poi attirare finalmente a sé il fisico allettante dell'uomo che si era mantenuto sollevato sui palmi delle mani fino a quell'istante. Avvertì improvvisamente un peso gravoso sul proprio petto, poi sentì il mondo intorno a lei vorticare furiosamente, per ritrovarsi infine seduta sopra all'addome dell'infermiere, accoccolata e stretta al suo petto e coinvolta in un bacio che di casto aveva poco o nulla.

Muovendosi leggermente verso le gambe dell'uomo, tutt'a un tratto la giovane percepì contro la propria intimità un turgore sconosciuto. Quell'improvviso contatto con la semierezione di Ivan le tolse il fiato, facendola sussultare appena e bloccarsi subito dopo.

Era la prima volta che sentiva l'eccitazione di un uomo così vicina alla sua apertura virginea e inviolata. Anche se qualche approccio fisico c'era stato, emmeno con Roberto si era spinta così in là, dato che allora lei rifuggiva qualsiasi contatto troppo spinto con il fidanzato. Sapeva che lui l'avrebbe potuta prendere con la solita rudezza e fretta che lo caratterizzavano e lei non ricordare vivere la sua prima volta con rimpianto e dispiacere. Voleva una prima volta indimenticabile e bellissima, non certo una semplice scopata. Fare l'amore era unirsi nel sangue ad una persona per la quale si provavano sentimenti fortissimi, era fondersi in un unica anima con colui che ti penetrava nel profondo, nella mente, nel cuore, nello spirito, nel corpo, fino a farti raggiungere l'estasi, fino a farti assaporare il nettare degli déi. Fare l'amore era donarsi corpo e anima alla persona amata, non fare sesso veloce e insoddisfacente con un uomo accalorato.

Così pensava che fosse Roberto, un giovane, belloccio ragazzetto senza cervello in perenne calore con la voglia di infilarlo da qualsiasi parte gli fosse concessa.

La nuova sensazione che Lidia provò la eccitò tantissimo, ma, paradossalmente, acquietò anche la sua smania di concedersi a Ivan in quell'istante, travolta com'era dal desiderio e privata del sacrosanto diritto a ragionare. Non doveva.

La ragazza avvertì una vampa di calore al viso, segno inequivocabile di un arrossimento, e poi le guance infiammate per l'imbarazzo.

Ivan intuì immediatamente l'improvviso blocco di Lidia. Nemmeno per un istante gli passò nella mente il sospetto che quello, per la castana, fosse il primo approccio differente con la sessualità maschile. Imputò subito il motivo di quella reazione alla poca conoscenza che c'era fra loro e si fermò immediatamente, ponendo subito fine all'imbarazzo della ragazza.

Ivan fece scivolare la castana accanto a sé, serrando la sua vita nella morsa ferrea del suo braccio destro, e le schioccò un bacio veloce sulle labbra scarlatte e dischiuse, per poi mormorare contro di esse parole dolci e appena bisbigliate, stringendo Lidia con delicata fermezza tra le sue braccia vigorose.

"Scusami. Non avrei dovuto lasciarmi trasportare così dall'impulso... La prossima volta mi controllerò" la rassicurò, scostando poi una ribelle ciocca di capelli ondulati dal suo volto ormai purpureo.

Lei tentennava appena il capo in segno di assenso, mordendosi la lingua per vincere la tentazione di dirgli che la causa del suo imbarazzo non erano stati quegli istanti di passionalità sfogata, ma piuttosto la propria, stupida reazione al primo contatto della sua intimità con quella di un uomo.

Quanto aveva voglia di confessargli che era vergine... almeno, se e quando avrebbero affrontato insieme la loro prima volta, ci sarebbe andato piano, dolcemente, in modo da non farle male e da farle gridare di piacere e non di dolore.

Invece tacque, tenendosi tutto dentro, intimorita dalla concreta possibilità che lui si facesse film mentali sulla cosa appena l'avesse saputo. Perché Ivan era così. Aveva tutte le qualità del mondo, ma era così serio... ed esagerato. Sì, estremo. Come, per esempio, si poteva intuire dal suo modo di affrontare la questione della loro differenza d'età. E da come reagiva al silenzio autoimpostosi riguardo alla sua relazione segreta con la figlia di una collega e amica.

"Tranquillo" riuscì a spiccicare infine Lidia, piano, cercando poi disperatamente un modo di interrompere quell'inaspettato silenzio sceso su di loro, così pesante ed opprimente da poterlo quasi toccare con mano.

 

***



N.d.A.
Salve a tutti!
Eccomi qui a rompere nuovamente dopo due settimane! ^^ Le vacanze mi ci volevano proprio, nuove idee malsane frullano epr il mio cervellino acerbo di scrittrice perdigiorno xD
Comunque, spendo due paroline sul capitolo prima di ringraziare i recensori e dileguarmi. Dunque dunque dunque... Non ero sicura se postare il capitolo o meno, perché qui non succede molto, almeno non a livello di fatti, mentre la narrazione si proietta più sull'introspezione dei due protagonisti in un momento di solitaria intimità.
Be', adesso vorrei ringraziare controcorrente, che mi lascia sempre giuste osservazioni sulla storia e sui personaggi, Daisy90 <3 che mi sostiene tantissimo e che è veramente fantastica, e marta1982, nuova recensitrice (si dice recensitrice? ... boh.).
Bon, ora mi dileguo. Ah già... grazie anche a chi legge la storia e la segue senza esporsi con recensioni o commenti. Grazie comunque, perché se lo fate ciò vuol dire che la storia vi interessa e magari vi piace pure! Grazie mille!
E ora ci si saluta: alla settimana prossima! Bacione :*


Flame

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


15.



 

La domenica mattina, mentre se ne stava tranquillamente a chattare su Facebook, Lidia ricevette la richiesta d'amicizia di un certo Gianluca Tommasi. Aprendo in una finestra a parte il profilo di quest'ultimo, si lasciò uscire uno sbuffo di fastidio non appena visualizzò l'immagine del profilo ingrandita: si trattava dell'amico di Antonio. Meglio, dell'amico del fratello di un amico di Antonio. Il compagno di classe di Céline ci teneva a rimarcare il fatto, dato che anche al biondo quello studente universitario non stava propriamente simpatico.

Sbuffando infastidita, Lidia eliminò quella richiesta. Lei non voleva averci niente a che fare con quel coglione. Oltretutto, le stava troppo addosso. E lei voleva tenerselo a debita distanza, anche per rispetto nei confronti di Ivan.

Osservando con più attenzione i lineamenti del volto di Gianluca ritratto sorridente nella foto del profilo, Lidia notò una certa somiglianza con una persona che lei conosceva. Assomiglia ad Ivan, considerò, pensando anche al fatto che questo ragazzo aveva lo stesso nome del fratello dell'infermiere. Sarà una coincidenza. Non è possibile che proprio io in tutta Firenze debba aver conosciuto anche suo fratello. Sarebbe... troppo strano.

Fece spallucce e cominciò a parlare nella chat di gruppo con i suoi amici, ma presto le arrivò un'altra richiesta di amicizia da parte del ragazzo di prima. Sospirando innervosita, rispose negativamente ancora una volta. Ma che voleva da lei quel tizio?

Ad un tratto notò di aver ricevuto un messaggio. Aprendolo, si accorse che gliel'aveva mandato Gianluca.

 

Perché non vuoi accettare la mia richiesta d'amicizia? :O
 

Lidia si portò entrambe le mani al volto, scuotendo la testa con aria infastidita. Replicò in fretta al messaggio.

 

Gianluca, io neanche ti conosco, ma con te sarà sincera fin da subito: ieri sera non mi hai dato una bella impressione. Mi stavi troppo addosso. Per cui lasciami in pace.
 

Premette il tasto 'Invio' e spedì la sua replica negativa, secca e irremovibile.

 

Dai... voglio conoscerti. A quanto mi hanno detto in giro, so che sei single. Non c'è nulla di male se ci vediamo, no? :)

 

Non voglio.

 

Lidia era incerta se inserire o meno quella frase, ma alla fine l'aggiunse.
 

Mi vedo già con qualcuno.

 

La replica del ragazzo non tardò ad arrivare.
 

Ah sì? E con chi, se posso saperlo?

 

Fatti gli affari tuoi!
 

Almeno mi puoi dire se è una cosa seria?

 

No. Sono cazzi miei, diavolo.

 

Eddai... :3
 

Mi stai dando su i nervi.
 

Lo so ;)

 

E allora finiscila!

 

No, finché non riesco a strapparti un appuntamento.
 

Potrai strapparmene anche diecimila, tanto non riuscirai mai a conquistarmi. Il mio cuore è già impegnato.

E ora lasciami in pace.
 

No.
 

Guarda che te la faccio pagare.

 

E come? :'D
 

Troverò il modo, vedrai... >_<''

 

Concedimi un appuntamento. Uno solo, dai! Non chiedo molto!
 

Per me è fin troppo. E sei fin troppo arrogante! Più insisti e più mi convincerai a starti alla larga. Per cui lasciami in pace.

E ora ciao. Ho perso fin troppo tempo con te.
 

Lidia chiuse la chat e e andò a bloccare il profilo di Gianluca, riuscendo a liberarsi dei suoi messaggi snervanti e opprimenti. Poi sbuffò inviperita, battendo la fronte contro il monitor del computer. Pensò che non aveva mai risposto così male ad una persona che conosceva così poco. Ma fa niente. In fondo, mi stava infastidendo. Solo così capirà che deve starmi alla larga.
 

***

 

Quel pomeriggio Lidia uscì con gli amici. Si erano ritrovati, come loro solito, davanti all'entrata del Ponte Vecchio al di là dell'Arno. Con suo grande stupore, mentre si avvicinava al capannello di gente radunata vicino alla struttura sul letto del fiume, la ragazza aveva notato che c'erano anche altri ragazzi che lei non conosceva, oltre ai soliti cinque. Con grande disappunto della castana, Gianluca Tommasi era tra questi. Cambiando istantaneamente espressione, Lidia si unì al gruppo, salutando con calore gli amici per poi rivolgersi con la più completa freddezza a Gianluca.

"Non ti è bastata la chat di stamattina? Devi per forza rompermi le scatole?" lo aggredì, portandolo con sé lontano dalla combriccola.

Lui rispose con la massima tranquillità.

"Ti ho già detto che non rinuncio a starti addosso fino a che non mi concedi questo appuntamento" e le sorrise sardonico.

"Credo che ti concederò qualcos'altro, piuttosto" replicò seccamente la ragazza.

"E che cosa, di grazia?" la provocò lui.

Un sorriso tremendo aleggiò sulle labbra scarlatte e piene della giovane.

"Un pugno sul naso, per esempio. Oppure... un bel calcio nei tuoi paesi bassi, magari... così imparerai a starmi alla larga?"

A quelle parole il moro ammutolì.

"Non oserai farlo, spero" disse con una punta di incertezza nella voce, schermandosi poi con una mano proprio il cavallo dei pantaloni aderenti che indossava.

Lidia scoppiò a ridere sarcastica, senza replicare, e tornò ad unirsi al gruppo, decidendo di ignorarlo. Gli altri due ragazzi unitisi a loro erano due amici del Tommasi, ma non erano né sfrontati né insistenti come lui. Erano entrambi piuttosto simpatici, anche se uno causò un certo scompiglio tra gli amici della castana.

Si trattava di Maurizio Baldini, il più bel liceale dello stesso istituto frequentato dai sei amici, di cui era innamorata Aurelia e che Antonio invece trovava tanto antipatico. Si rivelò un tipo tranquillo, un po' sbruffone ma anche piacevole, molto alla mano. Aurelia non li staccava gli occhi di dosso, come giustamente nemmeno Alessandra e Céline, tuttavia questo non si accorse, o forse non volle accorgersi, delle occhiate ammirate ed insistenti che gli venivano rivolte.

Gianluca se ne andò per qualche minuto, dicendo di dover parcheggiare la macchina da un'altra parte per evitare una multa.

Lidia si rilassò, contenta di poter stare in pace per un po', cominciando poi a parlare e a ridere con l'altro ragazzo che era uscito con loro, Ivan Sergeevič Shakarov. Questo era uno studente moscovita giunto a Firenze per studiare alla facoltà di Biologia, una delle più prestigiose d'Italia. Non parlava ancora correntemente l'italiano, dato che era lì solo da qualche mese per un programma internazionale di studio all'estero, ma conosceva bene l'inglese, perciò i due si capivano tranquillamente mentre discorrevano del più e del meno.

"Sai, un mio amico si chiama come te" gli disse ad un certo punto, pensando ad Ivan, l'uomo di cui era innamorata.

"Davvero?" replicò stupito il russo, sbattendo le palpebre sulle iridi azzurre come il ghiaccio. "Non pensavo che qui in Italia ci fossero così tante persone che portano nomi russi. Anche il fratello di Gianluca si chiama Ivan" aggiunse poi scherzosamente.

Lidia rimase interdetta a quelle parole, con un sospetto che stava lentamente germinando in lei.

"Gianluca ha un fratello di nome Ivan?" chiese, cercando di assumere un'espressione tranquilla e un tono fintamente casuale.

"Per la verità sono fratellastri. Hanno sedici anni di differenza."

"E chi è il più grande?"

"Ivan."

"Ah."

Non può essere, si ritrovò a gridare dentro di sé la ragazza. Non può assolutamente essere vero! Il destino mi sta sicuramente giocando un brutto tiro, perché Ivan non può essere il fratello di quel rompipalle maniaco sessuale di Gianluca!

"E fa di cognome Castellucci?" si arrischiò ad aggiungere, ormai troppo curiosa di sapere se erano veramente fratellastri.

Lo studente russo stava per replicare, quando Gianluca, giunto proprio in quel momento alle spalle della ragazza, avendo udito qualche frammento della conversazione, si unì ad essa, facendo sobbalzare visibilmente Lidia per lo spavento.

"Quel vecchietto quarantenne di mio fratello fa di cognome Castellucci" esclamò a voce alta, provocando alla giovane un colpo al cuore per non essersi accorta di averlo dietro di sé. "Perché ne stavate parlando?" chiese poi, fissando i curiosi occhi grigi su Lidia.

"Io conosco un Ivan Castellucci, ma non è di Firenze... però potrebbe essere questo tuo fratello maggiore" replicò prontamente lei, buttandola sullo scherzo.

Lui fece spallucce.

"Non credo che si tratti di lui. Mio fratello abita proprio qui in città. Però, effettivamente, il mio vecchio è nato a Bologna, dove viveva mia madre col suo primo marito... forse si potrebbe trattare davvero di mio fratello."

Poi Gianluca, annoiato da quel discorso, si voltò, decidendo di unirsi alla conversazione tra Céline, Antonio e gli altri ragazzi del gruppo.

Lidia dovette fingere imperturbabilità, ma dentro di sé si sentiva sconvolta. Non era vero, non poteva essere. Perché proprio io, in tutta Firenze, dovevo conoscere quell'idiota del fratello di Ivan?
 

***

 

Intorno alle sei scoppiò un temporale sulla città.

"Ci mancava solo questo" era stato il commento di Lidia, seguito da un lungo sospiro di rassegnazione.

"Io non ho l'ombrello... come faccio a tornare a casa?" si lamentò Aurelia, guardando incupita il violento scroscio dell'acqua sulle strade e sui tetti delle case, su cui degli sporadici lampi gettavano una luce opaca e inquietante.

"Ragazzi, qui non credo che il tempo si calmerà tanto presto... forse ci conviene tornare a casa il prima possibile" considerò Maurizio, massaggiandosi la mascella leggermente coperta dalla barba biondo cenere.

"E come vorresti fare, di grazia? Hai per caso un aggeggio per fermare il tempo e la pioggia fino a che ognuno di noi non sarà al sicuro nella propria casa, al riparo dalla tempesta?" borbottò Antonio con voce scettica, guadagnandosi uno sguardo interrogativo dal suo interlocutore e un'occhiataccia di fuoco da parte di Aurelia, che poi gli pestò un piede con violenza, facendolo gemere lievemente.

"In verità, pensavo che potremmo usare le nostre auto. Io, Gianluca e Ivan, ovviamente. Voi non siete venuti con le vostre?" replicò Maurizio con la massima calma.

"Del nostro gruppo, solo Lidia ha preso la patente" ammisero i cinque interpellati, lanciandosi poi occhiate imbarazzate.

La castana ridacchiò.

"Non avete scusanti, ragazzi" disse per prenderli in giro. "Io non sono una perdigiorno come voi. A parte Mauro che non ha ancora diciassette anni, voi altri quattro avete tutte le carte in regola per poter conseguire la patente di guida. Vi manca solo la voglia."

I membri del gruppo risero a quella battuta, tutti tranne Aurelia, che si sentì le guance infiammate di stizza e vergogna di fronte alla risata di Maurizio. La ragazza lanciò un'occhiataccia fulminante all'amica che l'aveva presa in giro, scurendosi in volto ancora di più.

Antonio, notando quel suo rannuvolamento, le diede una pacca sulle spalle, sorridendole allegramente.

"Auré, Lidia scherzava. Non te la sarai mica presa, spero. Allora dovrei sentirmi offeso pure io."

Nonostante il tentativo di tirarle su il morale, Aurelia reagì male a quelle parole, voltandosi bruscamente verso la parte opposta, incapace di sopportare la vicinanza dell'amico. Il biondo, a quella reazione, sentì la delusione e lo scoramento invaderlo, ma decise di mostrarsi imperturbato, continuando a scherzare con gli altri.

Dopo dieci minuti il temporale stava degenerando in un vero e proprio diluvio.

"Lidia, credo che sia meglio tornare a casa... Ormai sono le sette" le fece presente Céline, picchiettando con leggerezza un dito sulla sua spalla destra.

La ragazza, che stava chiacchierando con Maurizio, si voltò, annuendo.

"Io però non sono venuta con la macchina. Mi sono fatta una camminata. Il tempo era così bello, prima..."

"Avete bisogno di un passaggio?" s'intromise Gianluca, interrompendo, come suo solito, la conversazione fra le due amiche.

Lidia aveva intenzione di rifiutare, ma Céline rispose prima di lei, negandole la possibilità di potersi esprimere a proposito di quella gentile offerta.

"Ci faresti un piacere enorme, Luca! Grazie tante!" esclamò la bruna, concedendogli un sorriso smagliante.

"Bene, allora voi due venite con me" decretò Gianluca, mettendo fine alla conversazione.

"Io e Ivan, allora, ci dividiamo gli altri" si offrì Maurizio, posando poi lo sguardo sui membri del gruppo.

L'ultima cosa che Antonio avrebbe potuto desiderare in quel momento era proprio un passaggio in auto da parte del suo rivale. Perciò si aggregò subito al russo, sperando ardentemente che Aurelia non potesse tornare a casa a bordo della sua macchina. Sfortunatamente per lui, tuttavia, la ragazza risiedeva nelle vicinanze della sua casa, per cui lei fu più che felice di farsi riaccompagnare da lui in compagnia di Mauro, il quale abitava nello stesso condominio della cugina. Alessandra abitava nei pressi della Facoltà di Biologia, quindi per Ivan non ci sarebbero stati troppi problemi a riportarla a casa.

Fu così che i nove ragazzi della combriccola si divisero, salutandosi a vicenda per poi prendere ognuno la propria strada. Correndo sotto la pioggia, riuscirono ad arrivare illesi e quasi asciutti alle macchine, ma Lidia inciampò e rischiò di scivolare a terra sul didietro, mollandosi quasi completamente.

Malgrado questa si fosse augurata di essere accompagnata per prima, Céline risiedeva fin troppo vicino a dove era avvenuto l'incontro, per cui fu accompagnata per prima. Perciò la castana si ritrovò da sola nell'auto di Gianluca, osservando ostinatamente fuori del finestrino del passeggero anteriore le gocce di pioggia che s'abbattevano violentemente contro il vetro, gettando prismi lucenti all'interno dell'abitacolo quando venivano illuminate da qualche fulmine roboante. Teneva le braccia conserte, chiusa in un testardo silenzio.

"Lidia, so di non esserti proprio antipatico, ma non mi vuoi nemmeno rivolgere la parola?" le chiese Gianluca appena Céline scomparve dietro al cancello del condominio in cui abitava, voltando lo sguardo su di lei per un breve istante di ammirazione.

La castana sospirò, guardandolo biecamente.

"Credevo che tu avessi capito che non ti volevo più intorno."

"Non è colpa mia se ti sei aggregata a me e a Céline."

"Non è colpa mia se lei mi ha obbligata a seguirla e nemmeno se gli altri non avevano la possibilità di riaccompagnarmi a casa, dato che avrebbero altrimenti dovuto compiere un giro troppo lungo per riportarmici."

"Certo che però sei acida" commentò il corvino, scoppiando poi a ridere con sarcasmo.

Lidia fece una smorfia.

"E tu credi di strapparmi un appuntamento con queste parole lusinghiere?"

"Hey, sono già bello e carismatico, oltre che simpatico, intelligente, sportivo... Ho tante qualità. Ma la capacità di essere un buon oratore non fa proprio parte delle mie numerose virtù. Non posso averle tutte quante" si corrucciò Gianluca.

La ragazza sperò che non dicesse sul serio, perché le veniva da pensare che quel giovane avesse qualche rotella fuori posto per davvero.

"Neanche la modestia fa parte delle tue... qualità" osservò lei con ironia.

Lui scoppiò a ridere nuovamente, scuotendo la testa in segno di assenso e di approvazione.

"Hai proprio ragione, sai? La modestia è l'ultima cosa che potrei mai avere" asserì, mulinando poi il volante per virare a destra su una curva.

Insieme a un po' di cervello, a quanto pare, aggiunse mentalmente Lidia, senza però dare voce alla sua riflessione.

Mentre percorrevano la strada del Lungarno, ad un certo punto il motore cominciò a dare dei problemi. L'auto cominciò a disattivarsi e a riaccendersi, poi il motore, dopo un ultimo, cupo brontolio, si spense. Gianluca riuscì a parcheggiare l'auto vicino ad un marciapiede prima che essa si spegnesse in modo definitivo, poi imprecò a gran voce contro la propria vettura, cedendo ad un torpiloquio piuttosto acceso e violento che Lidia non apprezzò per niente.

"Cazzo, adesso come si fa? Siamo bloccati!" borbottò lo studente, guardando fuori dal finestrino con aria stizzita.

"Adesso rimaniamo qui, fermi e buoni, e aspettiamo che il temporale finisca" suggerì Lidia, sfregandosi poi le mani sulle braccia nude mentre un gemito, procuratole da un brivido di freddo, le saliva spontaneo alle labbra.

La ragazza indossava solo un paio di pantaloncini e una canotta, indumenti non proprio ideali per proteggerla dall'aria improvvisamente rinfrescatasi con l'inizio dell'acquazzone.

"Sento freddo" mormorò pochi minuti dopo, sentendo il gelo penetrarle lentamente nelle ossa come mille piccole scaglie di ghiaccio. La temperatura s'era di parecchio abbassata. Lidia posò i piedi sul sedile, avvicinando le gambe al corpo e tendendole strette a sé con entrambe le braccia, posando poi il mento tra le due ginocchia per rannicchiarsi e cercare di creare un po' di calore per riscaldarsi.

"Credo di conoscere un modo per farti prendere letteralmente fuoco, Lidia cara" la provocò il ragazzo, avvolgendole le spalle con un braccio muscoloso.

Non aveva capito che la giovane sentiva veramente freddo, che aveva detto sul serio. Perciò continuò a sfiorarla piano, posandole poi una mano sulla coscia candida. A quel gesto Lidia si ritrasse, schifata. Gianluca non fece in tempo a rendersi conto che le parole della castana erano state dette senza secondi fini che si ritrovò un forte schiaffo in piena faccia, con un bruciore acuto che gli infiammò tutta la parte colpita.

"Se devo rimanere in macchina con un depravato come te, preferisco farmi a piedi l'ultimo tratto di strada... saranno due o tre chilometri, forse, ma chi se ne frega! Sempre meglio che rimanere a farti compagnia mentre ci provi con me" stabilì aspramente la ragazza, sciogliendo la cintura di sicurezza e aprendo la portiera per poi catapultarsi fuori della Ford blu metallizzato di Gianluca.

Sbattendo la portiera per il nervosismo, la ragazza s'allontanò, mentre il moro la osservava dall'abitacolo con aria dispiaciuta e imbarazzata, cercando di distinguere la sua figura offuscata nello scroscio tempestoso dell'acquazzone.

Lidia procedeva sotto la pioggia battente, rabbrividendo di freddo per la sensazione gelida che provava sulla pelle. Le pulsava la testa e si sentiva un nodo in gola, come se le stesse venendo uno dei soliti malanni alle vie respiratorie. Ancora infuriata per il comportamento spregiudicato e vergognoso di Gianluca, la giovane camminava a passo spedito, incespicando ogni tanto in qualche ramo caduto o piazzando i piedi in qualche grossa pozzanghera. Ad un certo punto un giramento di testa la colse, facendola oscillare. Sarebbe caduta a terra se qualcuno non l'avesse afferrata per la vita, offrendole sostegno.

Lidia aprì gli occhi, che aveva chiuso un momento prima, osservando con stupore Gianluca che la tratteneva a sé sotto un grande ombrello rosso a quadretti, con negli occhi una tacita richiesta di perdono.

"Scusami, a volte sono proprio un irresponsabile e un idiota... Perdonami. Io pensavo che ci stessi provando. Di solito le ragazze ci fanno con me."

"Sei una specie di ninfomane, se pensi che io ci possa provare con un tizio che conosco da meno di un giorno e a cui ho già detto apertamente che voglio che mi stia alla larga" commentò aspramente Lidia con voce arrochita, sbattendo i denti per il freddo.

Gianluca la strinse a sé, ignorando le sue proteste, per trasmetterle un po' del suo calore corporeo, incurante di bagnarsi i vestiti asciutti. Quindi, tenendo sempre il manico dell'ombrello aperto nella mano, cominciò a camminare nella direzione opposta a quella che aveva intrapreso la castana. Questa gli rivolse uno sguardo incuriosito, chiedendogli poi dove aveva intenzione di portarla.

"Mio fratello abita proprio a due passi da qui. Non credo che per lui sarà un problema ospitarci per qualche minuto. Poi ti riaccompagno con la sua auto" le spiegò, mettendo in chiaro le sue intenzioni.

Già... la casa di Ivan è proprio in questa via. Come ho fatto a non pensarci?, si domandò mentalmente la ragazza, dicendosi poi però che doveva rifiutarsi di andare da lui.

Doveva dire a Gianluca che non poteva disturbarlo per così poco, che forse non era in casa, che non doveva scomodarlo. Tutte scuse per evitare di farsi vedere insieme a quel ragazzo davanti a Ivan. Gli sarebbe preso un colpo per la sorpresa. Per di più, non poteva rischiare che Gianluca scoprisse qualcosa di loro due.

Invece Lidia non disse nulla. Non si sentiva bene, le scoppiava la testa. E poi, la voglia di rivedere Ivan aveva vinto il timore di ciò che avrebbe potuto scoprire il fratello dell'uomo se l'infermiere avesse reagito in modo sospetto a quella strana visita a casa sua. Perciò se ne rimase in silenzio, facendosi cullare dallo scroscio potente e stentoreo della pioggia sull'asfalto e sui muri e i tetti delle case, persa nel ricordo del profumo maschio e intenso della sua pelle, quell'essenza divina e tentatrice di cui si era riempita le narici la notte prima, quando si erano toccati ed accarezzati i corpi per la prima volta, amoreggiando insieme sul letto della sua camera.

A quel pensiero le sue guance si fecero scarlatte. Scuotendo la testa con vigore, Lidia si costrinse a scacciare dalla mente quel ricordo piacevole che la faceva fremere tutta, concentrandosi sull'ascolto del martellare delle gocce piovane sul terreno.

Non si accorse che Gianluca aveva preso il telefono. Componendo il numero di Ivan, lo studente aveva poi avviato una chiamata, avvertendo il fratello del suo arrivo imminente a casa sua per cercare riparo dall'acquazzone. Aggiunse che con sé aveva un'amica che non si sentiva proprio bene e che poi gli doveva chiedere un favore. Quindi chiuse la conversazione.

Risistemando il cellulare nella tasca dei pantaloni, il moro incrociò casualmente lo sguardo pungente delle iridi azzurre e profonde che Lidia aveva posato su di lui. Ricambiò l'occhiata.

"Che c'è?" le chiese gentilmente.

Lei accennò un sorrisetto ironico.

"C'è che per me tu non sei proprio un amico" commentò lei semplicemente.

"Felice di sapere che il mio affetto è ricambiato con così tanto slancio ed entusiasmo" replicò lui, sfoderando il solito sarcasmo.

Condivideva quel pungente senso dell'humour con il fratello maggiore. Anche Ivan era estremamente ironico, a volte.

Nonostante la castana non fosse disposta a sopportarlo, almeno ancora per molto, a quella battuta scoppiò a ridere fragorosamente, suscitando un sorriso ammirato nel suo accompagnatore.

"Sei più bella quando ridi" osservò lui con sincerità, guadagnandosi un'occhiata lusingata da parte della ragazza.

"Grazie" balbettò lei, osservando con gioia e trepidazione il cancello dell'ingresso dell'abitazione di Ivan.

Erano arrivati.

"Siamo arrivati" le annunciò Gianluca, confermando le sue parole.

Il cuore della ragazza prese a battere più forte. Di lì a pochi secondi avrebbe rivisto Ivan. Pregò il cielo che l'uomo non reagisse in modo bizzarro a quell'incontro altrettanto strano ed inaspettato, perché quel terzo incomodo di suo fratello avrebbe potuto anche sospettare qualcosa.

I due entrarono nel giardino della dimora, passando per il cancello precedentemente aperto, per poi ripararsi sotto la tettoia. Gianluca, una volta chiuso l'ombrello e posatolo da una parte contro la parete, tirò fuori un mazzo di chiavi, scegliendo quella giusta per poter aprire il portone ed entrare.

Lidia non era mai stata nella casa di Ivan. Cioé, già da piccola era stata nella sua abitazione, ma quando ancora viveva da solo e in un appartamento del centro città, prima di sposarsi e trasferirsi nella casa nuova subito dopo la nascita di Emma. Perciò, una volta dentro essa, divorò con lo sguardo ogni singolo dettaglio del salotto che era adiacente all'atrio di quella villetta. L'arredo era freddo, tecnologico, chiaramente ispirato dal gusto moderno e decisamente non troppo accogliente di Alessia, che era fissata con la tecnologia. Due divani bassi e ampi in pelle chiara erano sistemati trasversalmente di fronte ad un piccolo tavolino in vetro e legno, due macchie di bianco accecante in contrasto con la tonalità color mogano dei mobili semplici ed essenziali, con uno spazio in mezzo che lasciava posto ad un grosso televisore al plasma. Era un ambiente moderno, ma così inospitale e incolore che la ragazza si sentì attraversata da brividi di freddo.

"Ivan, siamo arrivati!" gridò a voce alta il fratello dell'uomo, cercando con gli occhi la figura dell'infermiere.

Questa spuntò improvvisamente dalla cucina, seguita un istante dopo dalla sagoma sottile e minuscola di Emma. Padre e figlia erano vestiti in modo simile e osservavano piacevolmente sorpresi l'inattesa intrusione del rispettivo fratello e zio.

Emma, che non vedeva Gianluca da quella mattina, dopo il pranzo domenicale dai nonni, fu felice e stupita di vedere che con lui c'era Lidia. Perciò emanò un gridolino di gioia, correndo poi incontro alla giovane mentre salutava frettolosamente lo zio.

Ivan, invece, teneva tra le mani un vassoio con quattro tazze fumanti di té al limone, una zuccheriera e un piatto colmo di pasticcini e biscottini da té che quasi lasciò cadere a terra per lo stupore, perciò si dovette trattenere dal correre incontro alla ragazza per coinvolgerla in un abbraccio energico. Rimase a osservarla a bocca aperta, chiedendosi come mai lei si trovasse proprio in compagnia di suo fratello.

"Ciao, zio Luca! Lidia, che sorpresa!" esclamò la bambina ridacchiando felice, facendosi poi sollevare dalla ragazza, che si era chinata per prenderla in braccio, e trasportare in una rapida giravolta.

La castana, però, la depose subito per terra, sentendosi la testa vorticare furiosamente. Barcollò in avanti e fu trattenuta da Gianluca, che le teneva ancora il braccio, il quale poi la condusse nel salotto per aiutarla a sedersi.

"Scusatemi, sono bagnata fradicia" esordì la giovane, starnutendo poi furiosamente.

"Papà, vado a prendere una coperta pesante?" chiese Emma all'uomo con uno sguardo preoccupato e sollecito nelle iridi nocciola.

L'infermiere annuì, affrettandosi a posare il vassoio sul tavolino del salotto. La bambina invece si precipitò verso la zona notte della casa per svolgere la consegna assegnatale.

"Porta anche un asciugamano" le suggerì a voce alta, certo che la figlia l'avesse udito.

Le iridi castane chiare dell'uomo di spostarono quindi su Lidia, che rabbrividiva di freddo, seduta sul divano in pelle. Si accomodò accanto a lei, passandole il braccio sulle spalle per poi stringerla a sé in un caldo abbraccio, tentando di infonderle un po' di calore, incurante delle chiazze d'acqua che si era procurato sulla maglietta. Prese una tazza e gliela porse. Il suo sguardo attento e premuroso non si spostò mai da lei.

"Lidia, ti sentì un po' meglio, adesso?" le chiese, scatenando la curiosità, finora trattenuta, del fratello minore che sedeva all'altro fianco della castana.

"Vi conoscete?" indagò, posando i grigi occhi su entrambi e squadrando l'abbraccio fin troppo intimo che li legava.

"Io sono figlia di una sua collega di lavoro" riuscì a dire la ragazza con voce un po' appesantita.

"Te la ricordi Sara, la mia collega infermiera? E' anche una mia cara amica" aggiunse l'uomo, scansando il braccio dalle spalle di Lidia con finta indifferenza.

"Papà, ecco ciò che mi avevi mandato a prendere!" li interruppe Emma, precipitandosi nella stanza con un plaid e un asciugamano e deponendoli di fronte a Lidia.

La ragazza le rivolse un sorriso di sincera gratitudine e poi si passò velocemente l'asciugamano lungo tutto il corpo, sfregando poi rapidamente i capelli bagnati e scomposti che le si erano appiccicati al volto, al collo e alla schiena. Si sistemò quindi il plaid a quadri gialli sulle spalle, tornando a sedersi e sorseggiando il té insieme agli altri.

"Grazie mille, Ivan. E grazie anche a te, Emma" mormorò poco dopo, ricambiando l'occhiata amorevole che l'uomo le rivolse, senza farsi fortunatamente notare dal fratello e dalla figlia dell'uomo.

"Come va con Alessia?" chiese Gianluca ad un certo punto, curioso di sapere come se la passava in quel momento il fratello maggiore.

Non era al corrente della loro separazione, dato che, nonostante la madre gliel'avesse ripetuto almeno dieci volte nel corso delle ultime settimane, lui non ascoltava mai i chiacchiericci materni, per cui pose la domanda senza sapere che era meglio evitare l'argomento. Il volto di sua nipote si scurì, mentre Ivan sentì il buonumore che la visita inaspettata di Lidia gli aveva procurato abbandonarlo improvvisamente. Il moro tirò un sospiro.

"Io e mia moglie siamo separati in casa, Luca" rispose sospirando, guardando poi il fratello con uno sguardo di rimprovero.

Il ragazzo si ricordò improvvisamente di ciò che Miriana gli aveva detto a proposito e si morse la lingua per la propria sbadataggine, cercando poi disperatamente un modo per cambiare argomento.

Per fortuna fu proprio il fratello a fornirgli la possibilità.

"Luca, al telefono avevi detto che mi dovevi chiedere un favore... di che si tratta?" lo interrogò, salvandolo dall'imbarazzo e sciogliendo la tensione che aveva cominciato ad impregnare quella conversazione.

"Ah, già... Ivan, potresti prestarmi la tua auto? Alla mia si è spento il motore e l'ho parcheggiata qui vicino, ma non riparte - infatti è per questo che siamo venuti da te. Comunque, devo riaccompagnare Lidia a casa, per cui mi serve la tua" gli chiese, sperando che il fratello non si offrisse di riaccompagnarli.

Invece Ivan aveva un'altra soluzione in mente per poter passare la serata da solo con Lidia ed Emma e s'affrettò ad esporla.

"Io credo che invece potrei riaccompagnare te... Lidia può tranquillamente rimanere a cena da me ed Emma. Chiamo sua madre ed è fatta. La riaccompagno più tardi, quando si sarà asciugata completamente. Non vorrei che si prendesse la febbre."

"Ma... Oh, in effetti non hai tutti i torti."

Gianluca non era d'accordo, voleva scoprire dove la ragazza abitasse, ma non poteva opporsi alla proposta del fratello, che era logica e razionale, anche per la salute di Lidia. Perciò dovette assentire e sottostare ad essa, salutando mestamente la giovane che gli interessava. Dopo aver finito il proprio té, salutò con un bacio sulla fronte e un abbraccio soffocante la nipote e con un semplice e asettico cenno della mano la ragazza, uscendo poi con il fratello dalla porta.

Ivan afferrò il cellulare, le chiavi di casa e delle macchina dal tavolino del salotto e seguì il minore alla porta, volgendosi poi verso la figlia.

"Torno fra cinque minuti. Voi aspettatemi qui. E tu, Emma, non combinare pasticci" l'ammonì il padre con un sorriso serio, posando poi lo sguardo, come al solito indecifrabile, su Lidia per un'ultima volta.

Infine l'uomo si girò e di diresse verso la propria nuova auto, comprata poco più di due settimane prima in sostituzione alla vecchia Punto bianca precedente, accingendosi ad accompagnare il fratello a casa di Miriana e Giovanni.


***



N.d.A.
Salve a tutti!
Eccomi qui col nuovo capitolo :D
Alla fine si viene a sapere che Gianluca è il fratellastro di Ivan. E anche che è un po' troppo fisso col pensiero su certe cose xD ma sono dettagli. E' un personaggio che condivide vari punti in comune con il protagonista maschile, ma anche che, paradossalmente, incarna il suo contrario per altri aspetti. Ivan è un uomo serio e responsabile, monogamo e fedele, mentre Gianluca è l'opposto. Malgrado ciò, però, entrambi provano un'attrazione nei confronti di Lidia. E la situazione che si va creando creerà un po' di grattacapi alla ragazza.
Bon, termino subito perché fra poco devo staccare. Comunque, vorrei ringraziare controcorrente che ha recensito lo scorso capitolo e che non manca mai di lasciarmi un commento o una riflessione sulla storia e sui personaggi e le situazioni che la caratterizzano.
Be', ora sparisco, ma ci si rilegge la prossima settimana >.^
A presto e buona notte! :*


Flame

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


16.


 

Emma si sedette accanto a Lidia sul divano in pelle chiara, sorridendole. Era felice di rivederla dopo più di due settimane passate senza incontrarla.

"Mi sei mancata" mormorò, abbracciandola poi strettamente alla vita con entrambe le braccia.

La giovane fece uscire un braccio da sotto la coperta che le avvolgeva le spalle, stringendo fortemente a sé il corpicino della bambina.

"Come state tu e il papà?" le sussurrò all'orecchio, dandole poi una carezza sui capelli scuri e lisci, ereditati dal padre.

La piccola sospirò tristemente.

"La mamma è sempre fuori casa, in questi giorni. Anche stasera non tornerà fino alle undici. E' sempre fuori con Giacomo, l'uomo che la vuole portare via dal papà... lui mi sta antipatico. Non mi piace per niente: è basso, vecchio, è arrogante e non è gentile. Questo solamente perché è ricco e pensa di potersi comportare come gli pare. Ma a me non importa di lui, io voglio rimanere con il mio papà. La mamma però non è d'accordo, quando lo vede gli dice che mi porterà via, che il giudice mi affiderà a lei e che verrò a vivere con lei in Germania. Dice che non rivedrò più il mio papà. Ma io voglio restare con lui! Non voglio andare in Germania! Mi piace il tedesco, è una bella lingua, ma non voglio parlarlo sempre come se fosse l'italiano, la mia lingua di nascita! E voglio vedere il mio papà tutti i giorni, tutti!"

Il tono di voce di Emma era passato da malinconico a disperato, e la bambina era quasi sul punto di piangere. Lidia non sapeva come consolare la figlia di Ivan, perché la situazione era molto delicata e non voleva dire qualcosa di sbagliato. Continuò a tenerla stretta a sé, mormorandole parole confortanti, dicendole che il giudice non poteva essere così stupido da farla andare in Germania con sua madre e un uomo che non riusciva proprio a sopportare e contro la sua stessa volontà.

"I giudici si prendono del tempo, prima di emettere una sentenza. Vedrai che quello che si occuperà del divorzio dei tuoi genitori sarà ragionevole e ci penserà bene a come sistemare la faccenda nel migliore dei modi" le disse, dandole piccole pacche sulle spalle per confortarla, sorridendole in segno di incoraggiamento.

Ma nemmeno lei ci credeva completamente. Aveva paura che la bambina potesse essere affidata esclusivamente ad Alessia. Temeva di illuderla, di non vederla più. Era atterrita al pensiero che Ivan non potesse più crescerla, che lei non la potesse più sentir ridere e fare domande su tutto, con l'innocente curiosità peculiare dell'infanzia.

Emma sorrise di rimando, rincuorata.

"Sei l'unica persona oltre al papà che mi sta vicina. La mamma non lo fa... non lo ha mai fatto. Lei pensa sempre e solo a se stessa. Ma ci siete tu e papà, per fortuna. Ciò mi rende felice, lo sai? Ti voglio bene, Lidia" e abbracciò ancor più strettamente la ragazza.

Lidia starnutì nuovamente.

"Anche io ti voglio bene, Emma."

"Come mai eri con lo zio Luca?" indagò la bambina, cambiando argomento.

Nei suoi occhi la giovane lesse un'enorme curiosità.

"Ero uscita con i miei amici e c'era anche lui. Abbiamo un amico in comune. Poi ha cominciato a piovere e lui si è offerto di riaccompagnarmi, ma la sua macchina si è fermata poco lontano da qui. Allora ha pensato di venire qui per cercare riparo dalla pioggia" le spiegò.

"Come dice papà in queste occasioni? ... 'Che strana circostanza', mi pare" disse fra sé la bambina, grattandosi la testolina con un dito e scatendando la risata spensierata e allegra di Lidia.

"Sì, dice proprio così" confermò, finendo di sorseggiare il suo té.

Dopo pochi minuti Ivan era tornato a casa. L'uomo si mise a sedere accanto a Lidia, assicurandosi che non avesse preso troppo freddo.

"Se vuoi farti una doccia calda, vai pure a fartela. Ho già avvisato tua madre che sei da me e lei è d'accordo a farti restare. Ti riaccompagno io, più tardi. Tu fa' pure come se fossi a casa tua" le suggerì.

La castana annuì.

"Grazie, Ivan, però non vorrei creare disturbo..."

"Nessuno disturbo, tranquilla. Anzi, è meglio se ti fai una doccia, almeno ti riscaldi e ti asciughi bene per evitare qualche malanno."

"Forse hai ragione" concesse la ragazza.

"Su, seguimi. Ti faccio vedere dove è il bagno."

"E con cosa mi cambio, poi?"

"Tu non pensarci, me ne occupo io. Alessia ha più o meno la tua stessa taglia ed altezza, eccetto delle cosce parecchio più... formose, per cui credo di riuscire a trovare qualcosa di suo che ti vada bene. Poi ti porto anche un mio pullover pesante, così stai al caldo."

"Grazie, Ivan... sei molto gentile" lo ringraziò lei, donandogli uno dei suoi meravigliosi sorrisi.

La mano di lui si chiuse in una morsa ferrea sul suo polso sinistro, incitando la giovane a levarsi in piedi e a camminare con lui in direzione delle stanze della zona notte.

"Papà, a che ora si mangia?" s'intromise Emma, seguendoli per il corridoio.

"Ceniamo intorno alle otto, tesoro. Puoi andare ad apparecchiare la tavola, per favore?" replicò lui.

La bambina ubbidì prontamente, lasciandoli soli.

I due entrarono nella camera matrimoniale della coppia, ormai diventata solamente la stanza di Alessia. Lidia, volendosi mantenere al di fuori di quello spazio privato che le sembrava di violare irrispettosamente, se ne rimase alla porta, ma non per questo non curiosò dentro con lo sguardo. L'arredamento era semplice ed essenziale e, come valeva per il salotto, aveva le stesse tonalità fredde e asettiche del bianco, del grigio e del nero, ed era moderna, quasi futuristica, ma anche estremamente impersonale. La madre di Emma, evidentemente, andava proprio matta per la tecnologia. Alle pareti si potevano notare molti chiodi, ma le foto e i quadri appesivi erano stati rimossi. Sicuramente perché ritraevano la famiglia Castellucci al completo, quando ancora non c'erano problemi di coppia tra i due coniugi.

Ivan rovistò nell'armadio della moglie, senza curarsi di rimettere in ordine i capi di vestiario che tirava fuori con estrema noncuranza, cercando un paio di pantaloni o leggings adatti alla figura di Lidia. Alla fine non riuscì a trovare altro che una gonna color acquamarina a mezza coscia, porgendola imbarazzato alla ragazza, che era entrata ad un suo cenno di farsi avanti.

"So di averti detto che Alessia ha più o meno la tua stessa taglia, ma non immaginavo che le sue cosce fossero... come dire... grosse quattro volte le tue. Non degno Alessia nemmeno più di un'occhiata da non so quanto..." commentò.

A quelle parole la castana scoppiò a ridere.

"Ivan, non essere così offensivo! Ogni donna ha la propria forma delle gambe. L'importante è che i pantaloni stiano su, poi, se mi sono larghi, non importa."

"Tu non hai idea di quanto siano enormi. Le tue gambe sparirebbero nel nulla cosmico se dovessi infilare un paio di quei jeans."

"Sai che perdita... Ho anche le gambe storte. Almeno una parte così orrenda di me verrebbe cancellata."

L'uomo, a quella frase, squadrò con attenzione la silhouette della giovane che gli era davanti, ammirando il suo corpo atletico, longilineo e ben proporzionato. Lidia è una bella ragazza, pensò mentre la osservava con sguardo critico e attento, ma non è propriamente una bellezza fuori del comune. Il suo vero punto forte sono gli occhi. Quegli occhi azzurri, cangianti, ammaliatori. Sono semplicemente meravigliosi.

Ivan avrebbe voluto dirle tutte quelle cose, e poi prenderla fra le braccia, distenderla sul letto matrimoniale, chiudere la porta e la luce e spogliarla lentamente, con solo il fruscio degli abiti che scivolavano a terra a fare da sottofondo a quel momento. E poi baciarla, accarezzarla in tutto il suo corpo morbido e candido, e denudarsi, unirsi a lei e fare l'amore così, sottovoce, senza luce, tra sospiri e sussurri e amore, bramosia. E passione, desiderio. Voleva sussurrarle all'orecchio di togliersi di mente quelle idee assurde, perché per lui lei aveva le gambe più belle di tutte, così come un corpo invidiabile, e un viso così dolce e degli occhi così azzurri e luminosi da ricordare un cielo estivo, puro e sgombro di nubi. Fare l'amore con lei era diventato un suo pensiero fisso. Lui la desiderava come l'uomo arso vivo dalla sete desidera l'acqua ristoratrice. E tuttavia non poteva averla, almeno non così presto.

"Io credo che tu sia veramente troppo autocritica. Non hai le gambe storte, né tanto meno un fisico tortuoso. Hai un bel corpo, con le curve al punto giusto, le gambe affusolate e lunghe, la pelle chiara. E' un corpo normale. Eppure sei bella anche per questo, per il tuo corpo proporzionato, la tua semplicità" asserì lui con serietà, avvicinandosi a lei per poi cingerle la vita e posarle un bacio a fior di labbra.

Lei gli lanciò un'occhiata dubbiosa.

"Lo dici solo per farmi contenta" e gli fece la linguaccia, rivolgendogli poi un sorriso fiero e lusingato, estremamente intrigante.

Dopotutto, si disse Ivan con un sorrisetto ironico, alla fine non credo proprio che si giudichi così negativamente.

Era incantato da quel sorriso così luminoso. Avvicinò di più il proprio volto al suo, schioccandole un bacio sulla tempia e poi uno sul collo, inspirando a fondo il leggero, aspro profumo selvatico della lavanda, la fragranza che profumava leggermente la sua pelle lattea.

"Se continui a guardarmi così, credo che potrei portarti a letto in questo stesso istante, sai? Ti desidero da morire" sussurrò contro il suo orecchio con voce lievemente arrochita, avvertendo il proprio membro inturgidirsi.

Lidia rabbrividì.

"Fino a che punto mi desideri, signor Castellucci?" lo provocò, passandogli le braccia dietro al collo per poterlo avere più vicino a sé.

In quell'istante dei passi svelti e irregolari percorsero il corridoio, prendendo la direzione delle camere. Ivan si ricordò che la figlia era in casa con loro. Non poteva rischiare tanto. Emma era ormai all'angolo e non sarebbe riuscito a trovare un modo di comportarsi abbastanza normale per evitare le sue domande. Lui e Lidia sarebbero stati scoperti. Perciò l'infermiere fece una delle cose che ogni tanto – ma solo ogni tanto - gli riuscivano perfettamente, cioé improvvisare.

Lasciò improvvisamente andare il corpo di Lidia, che con un grido di sorpresa capitombolò sul letto, proprio mentre la bambina irrompeva nella stanza. Assumendo un'espressione stupita, Ivan si scusò con la ragazza per averla fatta cadere per sbaglio sopra il talamo, porgendole poi le mani per aiutarla a risollevarsi in piedi. La ragazza, che aveva compreso le intenzioni del bruno, stette al gioco, chiedendo a sua volta scusa all'uomo per la propria presunta goffaggine. Così, Emma non capì cosa stavano facendo veramente i due.

"Papà, ho apparecchiato, adesso vieni con me in cucina che prepariamo la cena?" domandò al padre, osservando con curiosità Lidia che si rimetteva in piedi.

"Arrivo subito, ora devo procurarle un maglione pesante per coprirsi. Poi ti raggiungo" propose il padre della piccola, facendole cenno di andare.

"D'accordo! Vado" e corse via nuovamente, lasciando i due soli per un'altra volta.

Ivan tirò un sospiro di sollievo, mentre Lidia scoppiò a ridere ilarmente.

"Vieni, adesso ti trovo una maglia adatta. Credo che però dovrai accontentarti di quella gonna" disse l'uomo, sorridendole con espressione di scusa.

"Non fa nulla, Ivan... anzi, grazie ancora."

"Scusami tu per prima" replicò, chiudendo le ante dell'armadio dopo aver lanciato dentro di esso ogni capo d'abbigliamento tirato fuori nel più completo disordine.

I due uscirono dalla camera di Alessia, per poi dirigersi in quella del moro. Stavolta la ragazza non si trattenne sulla soglia della porta, ma entrò dentro, chiudendosi l'uscio alle spalle e curiosando intorno. La stanza dell'infermiere era completamente diversa dagli altri locali della casa che aveva visto fino a quel momento: aveva una parvenza di disordine che la rendeva estremamente familiare, confortevole ed accogliente. A differenza delle altre, questa camera con il parquet di legno chiaro aveva mobili essenziali ma di un caldo castano aranciato, un letto con sopra una trapunta blu notte, varie foto di Emma ed Ivan insieme o di paesaggi luminosi ed ariosi appese alle pareti dipinte di azzurro chiaro e un tappeto intonato al colore dei mobili. Una scrivania in legno di mogano era posta davanti alla finestra che dava sul Lungarno, con tendine avana appese alle imposte dai vetri appannati per il contrasto tra il caldo secco degli interni con l'umidità esterna. Sul ripiano del tavolo stavano vari fogli, un computer portatile, un portapenne. E anche un portafoto a parete vuoto, senza vetro protettivo né foto. Un pouf di un bel rosso ciliegia se ne stava adagiata in un angolo della stanza. Sopra essa c'erano sistemati, nel più completo disordine, vari abiti maschili.

Ivan si affrettò a prendere un paio di boxer scuri tra essi e ficcarseli nell'ampia tasca dei comodi jeans larghi che indossava, con uno sguardo imbarazzato negli occhi nocciola.

"Perdonami il caos che regna nella stanza, ma non sono meticoloso e pignolo come Alessia" si scusò, frugando poi tra le maglie appese nel guardaroba dalle ante semiaperte.

"Non devi scusarti. Hai visto com'è la mia camera? E' anche più disordinata, di solito, per cui non credere che io sia abituata a tutto 'sto che di precisione" replicò Lidia con una risata leggera.

Ivan tirò fuori un maglione di cachemire color avorio, che poi porse alla ragazza mentre con una mano richiudeva le ante dell'armadio.

"Tieni. E' sottile, ma ti terrà al caldo. Ora vieni con me che ti mostro dove sta il bagno, così puoi farti la doccia."

Uscirono dalla camera e si diressero nel bagno, dove finalmente Ivan la lasciò sola, non prima di averle dato anche un ampio asciugamano e il phon. Una volta chiusa la porta a chiave, Lidia si guardò intorno alla ricerca del box doccia, tirando poi l'acqua per farla scaldare un pochino. Sentiva ancora freddo, perciò si affrettò a togliere tutti gli indumenti da sé, restando completamente nuda. Chiuse il getto della doccia ed entrò, insaponandosi con un docciaschiuma maschile, che sicuramente usava Ivan, e sciacquandosi sotto l'acqua tiepida, uscendo dopo cinque minuti. Si avvolse nell'asciugamano e prese il phon, asciugandosi subito i lunghi capelli mossi e poi l'intimo, che era ancora un po' bagnato e che lei doveva indossare nuovamente. Quindi si vestì con la gonna e il maglione, infilando i propri indumenti fradici dentro una busta di plastica. Si sentiva affondare nel pullover che le aveva prestato Ivan, era enorme. Eppure era anche felice di indossarlo, così poteva avvertire il suo profumo. Pulì il box doccia dei capelli che aveva perso mentre se li insaponava energicamente e rimise a posto ciò che aveva messo in disordine. Uscendo dal bagno, circa una mezz'oretta dopo, trovò davanti alla porta un paio di pantofole, che si infilò: le stavano piuttosto grandi. Guardandosi intorno, cercò la direzione della cucina, dove entrò.

Le si presentò una tenera scena domestica davanti agli occhi: Ivan, intento ad aiutare la figlia che cuoceva delle crêpes salate, teneva Emma al livello dei fornelli con un braccio mentre con l'altra mano le insegnava il modo di piegare il polso per dare una spinta decisa alla padella in modo da far saltare e riatterrare la crêpe dentro essa, cambiandole lato per cuocerla. Il suo intento riuscì e la bambina esclamò di gioia, ridacchiando divertita mentre si vantava di essere diventata una cuoca provetta.

In quel momento l'uomo, con un sorriso rilassato disegnato sulle labbra, alzò lo sguardo, accorgendosi che Lidia era entrata nella cucina e li osservava intenerita dal suo piccolo angolino. Le fece cenno di avvicinarsi, spegnendo poi il fornello e facendo scivolare la crêpe dalla padella in un piatto, dopo aver deposto a terra il corpicino della figlia. Gettò un'occhiata alla ragazza.

"Quella gonna ti dona molto, Lidia... s'intona con i tuoi occhi" osservò con semplicità, facendo arrossire la castana.

"E' vero! Ti sta benissimo!" affermò Emma correndo ad abbracciare la giovane, che la prese in braccio e le stampò un bacio di gratitudine sulla guancia paffuta.

"Grazie per il complimento, a tutti e due" rispose lei, avvicinandosi con la bambina ancora tra le braccia.

"E' pronta la cena" annunciò poi l'uomo quando ebbe terminato di preparare le crêpes salate.

Una volta seduti al tavolo del soggiorno, i tre mangiarono in un'atmosfera allegra e conviviale, ridendo e scherzando. Emma era felice: le sembrava di vivere in una famiglia ideale, un po' come quella della vecchia pubblicità della Mulino Bianco, anche se tecnicamente la sua vera madre era Alessia e non Lidia. Ma la ragazza con lei era gentile e premurosa e la bambina, di rimando, provava un affetto sincero nei suoi confronti, sapendo di aver trovato una persona in cui riporre la massima fiducia. Era felice dell'evidente amicizia che legava suo padre alla ragazza, perché ciò le permetteva di frequentarla assiduamente e di passare tempo con lei. La considerava un'amica.

La piccola morettina, dopo aver chiacchierato per tutta la cena con padre e ospite, cominciò a sbadigliare già intorno alle otto e mezza, dando segni di stanchezza subito prima di aver mangiato la sua porzione di macedonia. Crollò in un sonno beato e infrangibile prima che l'orologio avesse scoccato le nove.

"Poverina, oggi è stata una giornata movimentata. Ha bisogno di riposarsi" sussurrò Ivan a Lidia, prendendo in braccio la figlia per poi trasportarla nella sua cameretta, accompagnato dalla ragazza.

Lei se ne stava in silenzio per non svegliare Emma.

Una volta che la bambina fu sistemata sotto le coperte, che il padre le ebbe posato un bacio sulla fronte e rimboccato le coperte per bene, l'uomo spense la luce e chiuse la porta, tornando da Lidia, che l'aveva atteso all'ingresso della stanza. Lei gli rivolse un sorriso ironico che lui non riuscì a comprendere.

"Ti ricordi cosa mi avevi detto a Breuil-Cervinia, quella sera? 'Si dovrebbe lavare i denti, prima di andare a dormire'" lo imitò, ridacchiando. "Dov'è finita la tua ossessione per l'igiene?"

Anche il bruno si unì alla sua lieta risata.

"'Non succede nulla per una sera, l'importante è che domani mattina se li lavi'" recitò a memoria la sua replica, strappandole un sorriso. "Non sono l'unico ad essere fissato, evidentemente."

"Forse hai ragione" concesse lei, cingendogli il collo mentre l'uomo la legava a sé stringendole la vita.

Con un movimento improvviso la prese tra le braccia, sollevandola da terra e facendole lanciare un gridolino spaventato. Fu così che ritornarono nel salotto. Lui la adagiò su uno dei due divani in pelle chiara, sedendosi poi accanto a lei. Chiacchieravano tranquillamente fra loro, mentre le cingeva le spalle con un braccio per tenerla vicino a sé.

"Sai cosa mi ha detto mio fratello mentre lo riaccompagnavo a casa sua?" chiese ad un certo punto l'uomo, proponendo a Lidia di indovinare.

"Mmh, non so... cosa?" replicò la giovane, lasciandosi sprofondare ancor di più tra le braccia del bruno.

Teneva la testa posata sul suo petto, ascoltando il battito regolare e potente del suo cuore sano e forte. Inspirò con le narici il profumo della sua pelle, notando che nell'ultima doccia che si era fatto aveva usato lo stesso docciaschiuma di cui lei si era servita.

"Mi ha rimproverato di non avergli lasciato la macchina per riaccompagnarti a casa. Gli ho chiesto perché e lui mi ha risposto: 'Non sono affari tuoi!'. E allora gli ho detto che questa faccenda mi riguardava, dato che lui mi aveva redarguito così aspramente. Gianluca mi ha confessato che lo attrai. Mi ha anche detto come vi siete conosciuti. E poi mi ha spiegato che voleva accompagnarti a casa per poter conoscere il tuo indirizzo."

"Tuo fratello è un maniaco!" protestò animatamente la giovane, facendo una smorfia di ribrezzo. "Io non voglio neanche più vederlo e gliel'ho già detto che deve starmi alla larga, ma lui non si arrende proprio!"

"Mi ha confidato anche dei tuoi garbati rifiuti" sghignazzò l'uomo per pungolarla.

Le iridi azzurre di Lidia si ridussero a due sottili fessure da cui trasudava una collera malrepressa e turbolenta.

"Te l'ha detto che ha provato a mettermi le mani addosso, questo pomeriggio?"

Ivan, a quelle parole, cambiò radicalmente atteggiamento. Smise di ridere di colpo, assumendo un'espressione prima incredula e poi seria. Era accigliato.

"Che intendi dire? Che cosa ha fatto di preciso?" chiese con una voce di tono neutro, ma da cui trapelava tensione.

E anche un pizzico di gelosia. E molta, molta ira.

"Io sentivo freddo, mi ero bagnata tutta sotto la pioggia. Mi sono lasciata sfuggire un lamento su quanto mi sentissi gelare e lui ha capito che volevo che mi abbracciasse e che poi andasse oltre. Pensava ci stessi provando con lui. Allora ha mi ha posato una mano sulla gamba, ma l'ho respinto. Gli ho dato un ceffone, gli ho detto che era un depravato e poi me ne sono andata fuori. Avevo deciso di tornarmene a casa a piedi sotto la pioggia, ma lui mi ha raggiunta con l'ombrello e mi ha condotta a casa tua. Davvero non te l'ha detto?"

Lidia era incredula. Ivan sospirò, scuotendo la testa con rassegnazione.

"Gianluca è un ninfomane... in tre anni si sarà portato a letto metà delle ragazze del suo corso universitario. E anche un paio di allieve infermiere dell'ospedale presso cui lavoro" aggiunse con uno sbuffo di disapprovazione. "E' fatto così, non cambierà mai. Sicuramente avrà preso la tua frase per un invito a farsi avanti e ci ha provato. Lui vede doppisensi e inviti sessuali dappertutto."

L'uomo si portò entrambe le mani al volto, massaggiandosi le tempie.

"Ma non è tanto normale" replicò Lidia, lanciandogli uno sguardo scettico.

"Lo so, ma gente così ce n'è. E lui ha la fortuna di saper esercitare un certo fascino sul genere femminile... cadono tutte tra le sue braccia. A parte te. Devi essere un po' anormale se hai scelto me invece che lui" la punzecchiò, facendola scoppiare a ridere.

"Be', a giudicare bene, credo di aver preso il meno stravagante tra voi due. E il meno fissato col sesso."

"Tu dici?" le domandò Ivan, gettandole un'occhiata eloquente e arcuando un sopracciglio. "Non sai proprio cosa mi passa per la testa durante tutto il tempo che trascorro con te..."

"Almeno non lo esterni, come invece fa quel ninfomane di tuo fratello. Sei già più normale" ribatté la ragazza con un sorriso sarcastico.

L'uomo continuò a contemplare il suo volto, così radioso e così allegro. Lidia aveva un sorriso bellissimo.

"Comunque, dobbiamo trovare il modo di tenercelo alla larga, perché potrebbe portarci non pochi guai se dovesse scoprire qualcosa."

"Hai ragione, tesoro. Tuttavia, credo che mio fratello lo farà di sua spontanea volontà. Lui è un tipo che ci sa fare con le donne, ma, quando fallisce nel corteggiare una ragazza, le sta lontano come se fosse appestata, perché vederla, per lui, rappresenta il ricordo di una conquista non riuscita, troppo bruciante ed umiliante per il suo ego smisurato. Forse è per questo che non mi ha accennato a ciò che ha provato a fare con te" disse il moro con tono di voce così basso da parer quasi stare riflettendo da sé. "Comunque, Gianluca non ti si avvicinerà più in alcun modo, perché, se non sarà il suo orgoglio a trattenerlo, sarò io a riuscirci. Dopotutto, tu sei la figlia di una mia collega e mi sarà facile convincerlo a desistere dal provarci nuovamente con te, perché se dovesse farlo ancora potrei dargli una bella lezione per fargli capire l'antifona. Sara sa che, se ce ne vogliono, due schiaffi non li risparmio a nessuno. O anche due pugni. E sono suo fratello maggiore, quindi ho il dovere di rimetterlo in riga quando combina qualcosa che non dovrebbe."

"Oh, che cavaliere coraggioso, che paladino della giustizia, che protettore del gentil sesso!" lo prese in giro la ragazza, adottando un tono di voce enfatico e una gestualità molto teatrale.

"Hai finito di sfottere?" ribatté l'uomo, levando un sopracciglio con aria seccata.

"Vabbé, scherzavo" si difese lei ridacchiando.

"Ti sta bene quel colore" disse ad un tratto Ivan, lasciando spiazzata la ragazza.

"Di che cavolo parli?"

"Della maglia che indossi. Ti... ti dona molto. L'avorio fa risaltare il colore roseo e delicato della tua pelle. Sembri una pesca."

"Grazie, vuoi dire che sono tonda come quel frutto?"

"No! No... volevo dire, cioé... Be', la tua carnagione ha la tonalità chiara e sfumata della superficie di una pesca. E anche quella morbidezza" aggiuse successivamente, carezzandole con le dita uno zigomo.

Lidia arrossì, spostando lo sguardo sul tavolino, piacevolmente lusingata da quel complimento balbettante.

"Grazie" mormorò semplicemente, posando la testa nell'incavo del suo collo.

Contro la fronte avvertiva la pressione leggera del suo pomo d'Adamo.

"E di cosa... è vero."

Ivan posò un bacio tra i suoi capelli, inspirandone il profumo. Cambiò espressione drasticamente, strabuzzando gli occhi per la meraviglia e lo sconcerto.

"Ma tu hai... hai usato il mio docciaschiuma?" farfugliò confuso.

La ragazza annuì tranquilla.

"Il tuo profumo mi piace tanto" sussurrò contro la sua pelle ruvida e pungente per i peli del petto. "Mi regali questa tua maglia che indosso ora? Riesco a sentire la tua essenza, se la annuso a fondo. E' un po' come averti sempre accanto a me, anche se fisicamente non sei lì. Posso?" lo pregò, levando su di lui un dolce sguardo supplichevole.

"Ma certo" concesse lui con un sorriso. "E poi questo colore ti sta bene, per cui sono felice di vedertelo indosso."

Quell'atmosfera rilassata e così dolcemente intima fu bruscamente interrotta dalla suoneria metallara di un telefono, che li catapultò nuovamente nella triste realtà in cui loro due erano amanti, costretti a vivere insieme solo qualche momento fugace rubato al tempo. Lidia sobbalzò visibilmente, poi si alzò dal sofà sospirando, per andare a prendere il suo Samsung e rispondere alla chiamata.

Ivan sentì solo poche parole, ma gli bastarono per capire che i genitori della giovane si stavano ormai chiedendo perché lei non fosse ancora a casa.

"Emma ha insistito perché io restassi con lei un altro po'... è da tanto che non mi rivedeva e voleva trascorrere più tempo possibile con me. Sì, ok, mi faccio riaccompagnare. Che ore sono? ...Le dieci e un quarto?! Ok, arrivo. Ciao, mamma! A fra poco, ciao."

Lidia gettò il cellulare con violenza dentro la borsa, sbuffando inviperita e rattristata. Si voltò, dirigendosi verso il sofà su cui era seduto Ivan e buttandosi a peso morto su di esso, incurante di appoggiarsi pure sulle gambe dell'uomo. Affondò il volto tra le braccia allungate sul tessuto in pelle del divano.

"Non voglio tornare a casa!" gemette con tono di protesta e di delusione.

"Ma devi. Su, ti accompagno" decretò l'infermiere con rassegnazione.

"Ma io voglio stare qui" insistette lei infantilmente.

Allora Ivan allungò la mano verso il suo posteriore, che gravava sulle sue cosce, dandole una scherzosa pacca non troppo delicata sui suoi glutei. A quel contatto Lidia sussultò per la sorpresa.

Voltò di scatto la testa, posando su di lui due occhi lampeggianti di disappunto.

"Ivan!"

"Dài, muoviamoci!" la incitò con una risata che malcelava la tristezza nella sua voce.

"Ok" concesse infine la ragazza, levandosi in piedi e afferrando la sua tracolla e la busta di plastica in cui aveva sistemato i suoi vestiti bagnati dall'acquazzone.

Si rimise le scarpe, che ormai erano asciutte, mettendo a posto le ciabatte che le erano state prestate, scoprendo che appartenevano ad Ivan. L'uomo aveva un quarantacinque di scarpe.

"Sei una specie di Big Foot" lo prese in giro lei.

"Più o meno. Ma neanche tu non scherzi, eh. Avrai sì e no un quaranta."

"Un quarantuno, per la precisione."

"Wow, che fette di piedi."

"Ma va a quel bel paese laggiù! Tu che dovresti dire, allora, dei tuoi piedi?" e la ragazza rise.

Una volta usciti fuori della casa, i due si accorsero che aveva smesso di piovere da poco. L'aria era fredda e densa di umidità gelida, ma Lidia non poteva lamentarsi perché il maglione che Ivan le aveva regalato la teneva al caldo. Notò l'auto nuova di Ivan, una Fiat 500 nuova di zecca color azzurro plumbeo.

"Tu, oltre che con l'igiene e le riflessioni sul sesso, sei fissato pure con le Fiat!" commentò la castana, facendo scoppiare a ridere l'uomo che entrava nella vettura.

"Che fai, Lidia, ti metti a contare le mie ossessioni?"

"Diciamo che ci sto lavorando su."

Dopo dieci minuti di macchina, essa fu parcheggiata ad un centinaio di metri dalla casa della famiglia Draghi. I due si scambiarono un bacio appassionato e pieno di amarezza, dovendosi separare di lì a poco.

"Vorrei poterti dare il bacio della buonanotte senza doverci nascondere da certa gente" borbottò Lidia.

Era infelice per quella situazione.

"Ci sarebbe una soluzione, ma so che non l'accetteresti mai" propose Ivan.

"Alt. Non pensarlo neanche. Sai che sono contraria. Parlare con i miei genitori della nostra relazione sarebbe la cosa peggiore che potresti fare. Ci proibirebbero di vederci, tu ed io rovineremmo i rapporti con quegli scassapalle di mamma e papà e l'intera faccenda ti procurerà soltanto un sacco di grane. E' meglio lasciare la situazione invariata, così com'è."

"Hai ragione" concordò l'uomo senza eccessiva convinzione. "Però il problema resta."

"Troveremo una soluzione alternativa, Ivan. Lascia passare il tempo... forse questa ci pervenirà in questo modo."

"D'accordo. Buonanotte, tesoro."

E Ivan baciò la ragazza per un'ultima volta, prima di riaccendere il motore della Fiat 500 e accostare il veicolo vicino al marciapiede davanti all'abitazione di Lidia, facendola uscire dall'abitacolo. Salutò con un cenno la figura di Sara che attendeva la figlia sulla soglia dell'ingresso, incerto di essere visto, poi ripartì, tornandosene alla propria casa che ora gli sembrava più triste e vuota che mai.

 

***
 

"Lidia! Come è andata a casa di Ivan e Alessia? Non hai disturbato troppo, spero!" la assalì subito la madre, prima ancora di essere effettivamente entrata nella propria casa.

La figlia della donna annuì distrattamente, seguendo con lo sguardo l'auto di Ivan che si allontanava. Un moto di tristezza le attanagliò il cuore nella sua morsa crudele, minacciandola di farle salire le lacrime agli occhi. Tuttavia la ragazza vinse la sua breve lotta interiore con le sue emozioni, fingendosi imperturbata.

"Perché indossi una gonna, figliola?" domandò suo padre, squadrandola da capo a piedi con occhio attento. "E anche una maglia di Ivan, o sbaglio?"

"Sì, papà... me l'ha prestata perché sentivo freddo e i miei abiti erano completamente bagnati. Alessia mi ha prestato una sua gonna, invece. Glieli restituisco appena possibile, tranquillo" rispose al momento, inventandosi il dettaglio della presenza della moglie dell'infermiere a casa sua.

Avrebbe comunicato con un sms più tardi all'uomo che era stata costretta a mentire per non rivelare che quella fottutissima gonna gliel'aveva data lui e non Alessia. Altrimenti Domenico avrebbe potuto anche sospettare qualcosa e porle domande invadenti.

"Vado in camera mia" aggiunse poi la ragazza, entrando con la madre nella casa e chiudendosi il portone alle spalle.

Salendo le scale, riuscì a captare una frase del padre rivolta alla moglie. Una frase che non le piacque per niente.

"Lidia trascorre decisamente troppo tempo con Ivan, ultimamente. Dobbiamo cominciare a limitare tutti questi incontri, Sara. Non vorrei che il tuo collega possa stabilire un legame troppo amichevole od intimo con mia figlia."

La castana non udì la risposta della madre, ma s'immaginò che sarebbe stata accondiscendente come al solito. Si sentì montare una collera impotente per quel nuovo ostacolo alla sua relazione segreta con l'infermiere, ma si promise con ferrea determinazione che non avrebbe permesso a niente e nessuno di impedire loro di frequentarsi. Anche a costo di farsi scoprire.

Giunta in camera, Lidia salutò frettolosamente la sorella Eva, che ne se stava seduta alla scrivania a chattare su Facebook per mezzo del suo pc. Gettando busta di plastica e tracolla sul tappeto, la diciottenne si lanciò sul proprio letto, rannicchiandosi in posizione fetale per sonnecchiare un po', tant'era esausta. L'ultima cosa che fece prima di addormentarsi fu di inspirare a fondo l'odore di Ivan di cui la maglia di cachemire che indossava profumava intensamente.
 

***


N.d.A.
Salve a tutti! :D
Ecco, non ho molto da dire, a parte sperare che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi intrighi ancora così come all'inizio!
Poi, vorrei ringraziare chi ha recensito, ossia controcorrente, hi_guys e Daisy90! Grazie mille anche a chi legge e segue la storia!
Comunque, ora mi dileguo, perché altrimenti farò tardi a scuola!
Alla prossima, e buona giornata ;D


Flame

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


17.


 

L'undici settembre viene ricordato come data storica, data dell'attentato alle Torri Gemelle nel 2001. Nel 2013, invece, quel giorno sancì l'inizio del nuovo anno scolastico, l'ultimo per Lidia, Céline, Aurelia, Antonio e Alessandra, che avrebbero affrontato la maturità nell'anno seguente. I cinque studenti, con a Mauro, Eva e Matteo, frequentavano l'Istituto Paritario "P. Calamandrei", nel centro di Firenze.

Quella mattina prima dell'inizio del nuovo anno i cinque amici, insieme a Mauro, si incontrarono in un bar poco distante dall'istituto che frequentavano tutti e sei per poter fare colazione insieme. Il locale era situato sul Lungarno Corsini, dall'altra parte dell'Arno rispetto a Palazzo Guicciardini.

"Sai, Lì, avevo incontrato proprio ieri il professore di tedesco in quel negozietto di vestiti a poco prezzo vicino casa mia: era con la moglie. Bell'uomo, lui; peccato che sia già sposato..." chiacchierava allegramente Aurelia con l'amica, che era ancora mezza intontita dal sonno. La sera prima la ragazza s'era scambiata messaggi con Ivan fino alle tre inoltrate e alle sei e mezzo si era dovuta alzare per prepararsi ed incontrarsi con gli amici al loro bar preferito. "Sono riuscita a strappargli qualche nuova informazione sulla nostra classe... sai che quest'anno saremo in venticinque? Ci sono cinque alunni nuovi. E tre sono maschi!" cinguettò la ragazza, scrollando eccitata la folta chioma di ricci ramati.

I suoi occhi verdognoli splendevano d'entusiasmo.

"Wow, che notizia fantastica" commentò Céline in tono sarcastico, attirandosi l'occhiataccia di Aurelia.

"Be', almeno in classe non ci saranno più solo tre ragazzi" constatò Lidia, sbadigliando.

"Perché sei così attiva stamattina, Lì?" intervenne Antonio con un sorriso ironico.

"Ho smessaggiato fino alle tre, stanotte" replicò la castana senza riflettere, dandosi mentalmente della stupida subito dopo.

Infatti aveva attirato su di sé l'attenzione del gruppo.

"Con chi parlavi?" s'intromise Alessandra, la più ficcanaso tra tutti e sei.

Lidia tacque, facendo lavorare velocemente il cervello per trovare una risposta sufficiente ad evitare altre domande.

"Ehm... con... con..." balbettò, facendo vagare lo sguardo su ogni volto proteso verso di lei a fissarla ed ascoltarla con interesse.

"Con me" intervenne Céline, salvandola dalla curiosità morbosa della loro amica.

Aveva compreso con chi Lidia avesse parlato quella notte e, essendo l'unica della loro combriccola a conoscenza della sua frequentazione con Ivan, aveva deciso di aiutarla a proteggere il suo segreto, celandolo a tutti.

"E perché tu non sei una specie di zombie come Lidia?"

"Ma l'hai vista prima, Ale? Céline s'è scolata tre caffé stamattina! Lidia invece non ne prende nemmeno un goccio" ridacchiò Mauro ironicamente.

"Già è un miracolo che io sia sveglia" replicò la castana, emettendo un lieve sospiro di sollievo e lanciando una veloce occhiata piena di gratitudine a Céline e a Mauro. Quest'ultimo era ignaro del vantaggio che aveva procurato all'amica, ma la prima invece le rispose facendole l'occhiolino di nascosto, consapevole di poter rivendicare un favore, prima o poi.

Quindi l'intreccio dei loro sguardi si sciolse e le due si unirono al nuovo argomento di conversazione.

Intorno alle otto meno dieci il gruppo decise di recarsi all'edificio scolastico, che distava un cinque minuti buoni di strada a piedi. Una volta entrati, i sei si separarono al primo piano. Ognuno si diresse nella propria aula: nella classe terza dell'I.T.I. Informatica e Telecomunicazioni frequentata da Mauro e nella classe quinta del Liceo Scientifico Giuridico di Alessandra, Antonio e Céline. Aurelia e Lidia, invece, essendo compagne di classe, si diressero fino alla propria aula, trascinandosi a piedi fin dentro la classe quinta del Liceo Linguistico Internazionale di Palazzo Guicciardini.

Dentro la stanza già c'erano Heydar Lotfollahi, Eliana Rosati, Tommaso Romani e Andrea Ferrero, oltre a un molto cresciuto Enrico Alessi. Non appena Lidia scorse Enrico nel gruppo dei maschi lanciò un gridolino di felicità e si precipitò ad abbracciare il compagno di classe, che nell'anno passato non aveva visto perché quest'ultimo si era trasferito in Canada per un anno di studio intensivo di inglese e francese. Enrico era stato il compagno di banco della castana per i primi tre anni di liceo e, non appena la vide, si alzò di colpo dal banco per correre ad abbracciare la sua migliore amica.

"Non mi avevi detto che saresti tornato da noi per frequentare il quinto anno! Pensavo fossi rimasto a Vancouver!" lo rimproverò con dolcezza la ragazza, sciogliendo poi la morsa soffocante in cui aveva stretto l'amico.

"Volevo farti una sorpresa, Lilì" replicò lui con un sorriso, chiamandola con il soprannome che le aveva affibbiato in primo anno, ispirandosi alla vecchia canzone popolare 'Lilì Marlene'.

"Sei stato via un anno, ma quell'orrendo soprannome non lo hai dimenticato" rise la ragazza, mettendosi a sedere in uno dei posti in seconda fila.

"Dove sono le altre ragazze? Ancora non è arrivata nessuna!" si lamentò Andrea, lo scapestrato della classe, notoriamente il rubacuori della classe dai tempi del terzo superiore.

"Ci sono io, se permetti" lo salutò Aurelia, pavoneggiandosi. "Ed Eliana e Lidia."

"Ma ti ho vista anche la settimana scorsa, Auré... io voglio vedere le altre" scherzò il biondo.

Lidia e Aurelia salutarono velocemente gli altri compagni di classe, mano a mano che essi entravano. Al suono della campanella, Enrico fu chiamato fuori dalla classe dal Prof. Marzi, l'insegnante di tedesco, che gli disse di attendere insieme ai quattro nuovi compagni che si sarebbero aggiunti alla quinta quell'anno. Il professore fece l'appello, poi seguì un breve discorso di presentazione dei nuovi arrivati nella classe. Quindi li fece entrare uno per uno.

Enrico conosceva già tutti i compagni di classe e si mise a sedere dietro Lidia e Aurelia, in terza fila, mentre gli altri quattro studenti si facevano avanti per presentarsi.

I nuovi compagni si chiamavano Christof Schneller, Francesca Letizia Rossi, Federico De Luca e Alexandra Dragan. I primi due provenivano dalla sfilza di gente bocciata della quinta del precedente anno scolastico, mentre Federico si era appena trasferito da Roma a Firenze col padre e Alexandra aveva cambiato istituto perché in quello precedente aveva avuto problemi con i compagni di classe, che per un grosso equivoco si erano dimostrati razzisti nei confronti suoi e di altri due ex compagni di etnia differente che avevano cambiato scuola come lei. Christof e Francesca, essendo già stati compagni e conoscendosi bene, si sedettero allo stesso banco in prima fila parlando esclusivamente fra loro, mentre Federico e Alexandra facevano amicizia con la timida Eliana Rosati, solitariamente seduta al blocco di tre banchi in fondo all'aula.

La prima ora fu traumatica. Alberto Marzi cominciò subito a spiegare come si sarebbe delineato il programma dell'anno con tanto di approfondimenti. Aurelia, insieme alle altre numerose esponenti del genere femminile della classe, lo ascoltava con aria assorta, attendendo trepidante che il bel professore si voltasse per scribacchiare qualcosa alla lavagna, suscitando regolarmente più di un sospiro in ognuna delle sue studentesse, che ammiravano l'interessante panoramica offerta dal lato posteriore della figura palestrata e piacente dell'uomo.
Solo Lidia se ne stava con la testa accoccolata tra le braccia incrociate sul proprio banco, pregando qualsiasi entità superiore esistente di far terminare il prima possibile quella tortura in lingua madre. Per lei tedesco era una materia noiosissima, essendo per metà di ascendenza teutonica e conoscendo bene la lingua e la cultura. Sua madre Sara, infatti, faceva di cognome Meier ed era figlia di un'altoatesina e di un austriaco. La nonna materna di Lidia, Christiane, viveva a Bolzano, mentre suo nonno Friedrich era morto un anno dopo la nascita della prima nipote. Lidia non era mai stata in Trentino-Alto Adige dai parenti altoatesini, perché erano sempre loro, prima tra tutti la nonna, a recarsi a far visita alla famiglia Draghi a Firenze durante le vacanze e le festività, però contava di passarci un mese intero nell'estate successiva, una volta ottenuto il diploma. Si domandò per un attimo come avrebbe potuto resistere alla lontananza da Ivan per un lunghissimo, interminabile mese a Bolzano, incapace di accettare di doverlo trascorrere con la nonna intransigente, lo zio scherzoso e bonaccione, la di lui moglie monotona e compassata, i tre cuginetti maschi chiassosi e la cugina maggiore, di sedici anni appena, sfacciata ed estroversa. Molto aperta, quindi. In tutti i sensi, aggiunse Lidia con una punta di acredine.

La seconda e la terza ora andarono anche peggio della precedente. I venticinque ragazzi della nuova quinta furono obbligati dalla Prof. Laura Antonelli, l'insegnante di Storia dell'Arte conosciuta per l'acidità caratteriale che la contraddistingueva, a descrivere ogni minimo monumento che era capitato sotto ai loro occhi durante le vacanze, per chi le aveva trascorse fuori città. Tartassò a lungo il povero Federico, che proveniva da Roma, chiedendogli se avesse già visitato il Duomo Fiorentino, gli Uffizi, le ville medicee della provincia fiorentina oppure qualsiasi altro luogo d'arte di Firenze. La professoressa provava una sorta di venerazione infinita per il capoluogo toscano, culla del Rinascimento italiano ed europeo, che era il suo periodo storico ed artistico preferito. Perciò cominciò un interminabile monologo sulle innumerevoli bellezze della città, facendo letteralmente addormentare Lidia sul ripiano del proprio banco, che fortunatamente non fu scoperta grazie alla massiccia corporatura di Christof, il quale le stava seduto davanti, che la coprì per tutte e due le ore.

Il suono della campanella annunciò la ricreazione. I ragazzi si trascinarono fuori, formando gruppetti e piccoli capannelli oppure coppie. Alcuni, invece, preferirono starsene solitariamente da una parte, senza partecipare alla vita sociale di cui brulicavano i corridoi dell'istituto. Lidia e Aurelia scesero al piano inferiore, in compagnia di Enrico, Federico, Eliana ed Alexandra, i quali erano stati invitati a unirsi a loro.

Federico ed Alexandra non conoscevano la scuola e furono ben contenti di avere qualcuno che facesse loro da cicerone, in modo da non trascorrere la pausa da soli in classe o da non perdersi nel vasto edificio trecentesco.

I sei raggiunsero Antonio, Céline, Alessandra e Mauro, che li aspettavano davanti ai distributori di snacks.

"Ti trovo in forma" commentò la migliore amica di Lidia dopo aver abbracciato Enrico, che non si era aspettata di rivedere così presto.

"Be', ho perso peso. All'estero non si mangia bene così come in Italia" ammise il ragazzo, scatenando la risata della mora.

"Io te l'avevo detto di non partire... sei cambiato tanto, dal giugno 2012. Sei rimasto magro come un chiodo, se non addirittura dimagrito di qualche chilo."

"Più o meno siamo lì. Ma non sono qui per raccontarti dei miei drammatici mesi di sopravvivenza alla cucina canadese - che poi non era tanto male... solamente un po' troppo insipida rispetto a quella italiana. Piuttosto, voi che mi raccontate? Mi siete mancate un sacco."

"Ne parleremo più tardi e con calma, altrimenti non finiremo prima di stasera di scambiarci le esperienze vissute nell'ultimo anno" e Céline scoppiò a ridere.

"Forse hai ragione."

"Ragazzi, di cosa parlate di così interessante?" s'intromise Alessandra, come suo solito, interrompendo la conversazione tra i due.

"Di nulla in particolare. Si parlava" rispose frettolosamente Céline, che non sopportava l'invadenza dell'amica.

Sviando la chiacchierata su altri argomenti, i dieci ragazzi del gruppo formatosi di fronte ai distributori approfondirono un po' la conoscenza con le new entries, ossia Federico, Eliana ed Alexandra, fino a che il trillo della campanella segnò la fine della pausa, accolta con un brontolìo di malumore e protesta dalla maggior parte degli studenti.

"Alla prima assemblea con i rappresentanti d'istituto bisogna assolutamente chiedere di poter allungare la durata della pausa. Quindici minuti sono troppo pochi per sei ore di lezione al giorno" borbottò Lidia con gli amici, sbadigliando sonoramente un istante dopo.

"Già, ma per ora dovremo accontentarci. Prima della fine della settimana non la convocheranno" disse Céline, salutando poi la migliore amica con un bacio a stampo sulla guancia e con un cenno della mano rivolto in generale al resto della comitiva.

"E chi le sopporta altre tre ore?!" fu la protesta di Aurelia, seguita dai commenti degli altri cinque compagni di classe che stavano lentamente salendo al secondo piano per rientrare in classe.

Fortunatamente per loro, le lezioni seguenti furono più semplici da sopportare, almeno per Lidia. Le due ore di Filosofia e Storia passarono velocemente: il Prof. Guido Castellucci sapeva trasmettere con abilità gli insegnamenti delle materie che spiegava, entusiasmando gli alunni e facendosi adorare da quasi tutti. Ben pochi non capivano le sue spiegazioni, ma si trattava per lo più di studenti pigri ed estremamente distratti. Lidia, inoltre, aveva in simpatia quel professore anche grazie al suo cognome, lo stesso di Ivan.

Gli studenti della quinta linguistico trascorsero l'ultim'ora di lezione con la loro adorata professoressa di francese, la belga Floriane Ottaviani. L'insegnante, sapendo di avere cinque nuovi alunni, propose un innovativo gioco per favorire la conoscenza con la classe, in modo da incoraggiare nuove amicizie e una più forte coesione di gruppo tra i vari ragazzi e ragazze. L'ultima lezione, perciò, trascorse nell'allegria e in fretta, permettendo ai già tartassati studenti di rilassarsi e riprendersi un pochino dal primo giorno di scuola.

All'una e mezzo, quindi, gli alunni della quinta uscirono rinfrancati dal liceo, tornando a casa dopo sei ore di noiose lezioni da cinquanta minuti ciascuna.

Lidia salutò Céline, il cui padre Giorgio era giunto all'edificio scolastico per riaccompagnarla a casa, con un cenno frettoloso e salì nella Lancia Musa della madre, che l'attendeva per riportarla a casa.

Eva frequentava lo stesso istituto della sorella e, prendendosela comoda per salutare con calma le compagne di scuola, arrivò soltanto dieci minuti dopo, accolta dagli sbuffi annoiati della madre e dagli sbadigli ripetitivi e sonnolenti della primogenita.


 

***


 

Hey, come va? Sei sopravvissuta al primo giorno di scuola? :D


 

Recitava così il primo sms che Ivan inviò a Lidia dopo pranzo. La ragazza, ancora esausta per la notte trascorsa quasi in bianco, s'era appisolata in camera intorno all'una e cinquanta, cadendo preda di un sonno leggero subito dopo un pranzo veloce, ma dopo appena dieci minuti aveva avvertito la vibrazione del Samsung propagarsi sul suo ventre - Lidia si addormentava in posizioni molto strane, a detta di Eva - e si era svegliata di soprassalto, spaventata, trattenendo il respiro e osservandosi intorno smarrita e confusa.

Accorgendosi dopo qualche secondo che la causa di quel risveglio, a suo modo brusco, era il cellulare, la castana soffocò una colorita imprecazione fra i denti, addolcendosi di colpo non appena visualizzò il messaggio di Christian.

Christian era il nominativo falso che aveva dato al numero di Ivan, in modo da depistare la madre se questa avesse disgraziatamente letto i messaggi che si scambiavano la figlia e il collega di lavoro. Sara non riusciva a ricordare nemmeno il proprio numero a memoria, per cui i due non avrebbero avuto problemi se la donna avesse letto le dieci cifre. Anche nei messaggi non si chiamavano mai per nome, in modo da non tradirsi con i rispettivi parenti: Ivan non doveva farsi scoprire da Alessia, perciò inviava messaggi il più innocenti e vaghi possibile a Daria, il nominativo fittizio che copriva l'identità di Lidia, e lo stesso faceva la ragazza per salvaguardare la sua relazione segreta con l'uomo di fronte all'invadenza materna e fraterna. Già, perché anche Eva non poteva essere propriamente definita una persona che si faceva gli affari propri.

Di fronte a quella domanda le spuntò un sorriso esausto sulle labbra scarlatte.


 

Un inferno. Stanotte non ho dormito e stamane mi scoppiava la testa. Ho dormito per tre ore di lezione su sei e sono stata uno zombie per il resto della mattinata. Trai le tue somme da solo xD


 

Mi dispiace, dovevo staccare ad una certa ora.


 

Potevo farlo anche io, per cui non incolparti :)


 

Va bene. Io adesso comincio il turno, devo staccare. Ci sentiamo stasera alle nove.


 

Stasera sarò ancor più zombie di adesso, dato che non posso farmi un sonnellino pomeridiano, perciò mi faccio viva io se riesco ancora a stare sveglia, ok?


 

D'accordo. Buon pomeriggio, mio fiore. :*


 

Buon turno di lavoro, tesoro ^^


 

E, dopo questo breve ma intenso scambio di messaggi durato non più di cinque minuti, Lidia impostò una sveglia per le tre e mezza dello stesso pomeriggio, in modo da svegliarsi in tempo per prepararsi in maniera decente e arrivare in pochissimo ritardo all'appuntamento che aveva fissato per le quattro e mezza con Enrico e Céline di fronte all'entrata del Ponte Vecchio, in modo da poter trascorrere con i suoi due migliori amici di sempre qualche oretta insieme. Solo loro tre, da soli, dopo tantissimo tempo.

Quindi Lidia si assopì nuovamente in cinque minuti, sognando se stessa con la sola compagnia di Ivan in atteggiamenti piuttosto equivoci. Si svegliò intorno alle tre e venticinque, poco prima del trillo della sveglia, sudata e lievemente umida tra le gambe.

Cielo, devo smettere di pensarci o finirò per morirci, per quanta voglia ho di fare l'amore con lui!


 

***


 

"Cielo, Lidia, ci potevi mettere di più!" fu l'aspro rimprovero che Céline rivolse alla sua amica quando la vide, ansimante e affaticata, arrivare in fretta e furia con più di venti minuti di ritardo in sella alla sua mountain bike rossa, nera e bianca.

La castana le lanciò un'occhiataccia, scendendo prima ancora di arrestare effettivamente la corsa della bicicletta, riprendendo fiato per alcuni lunghi istanti prima di legare il mezzo a due ruote ad una sbarra metallica lì vicino. Paonazza per lo sforzo compiuto, senza respiro e umidiccia per il sudore provocato dalla fretta e dal calore di quella giornata di fine estate non ancora spazzata dai freschi aliti di vento settembrino, la ragazza si mise a sedere sul parapetto che isolava la strada dall'Arno che scorreva sotto nel suo letto plumbeo e placido, recuperando ossigeno ad ogni boccata d'aria che inspirava.

"Céli, non ti ricordavo così acida" la prese in giro Enrico, riuscendo a strappare una smorfia di disappunto alla ragazza interpellata e una risata stentata a Lidia, ancora esausta per lo sforzo.

"Céline, non l'ho mica fatto apposta ad arrivare in ritardo! Mi sono dimenticata di andare a fare il pieno per lo scooter, che si è spento poco dopo essere uscito dal cancello di casa mia. Non potevo lasciarlo in mezzo alla strada, perciò ho dovuto trascinarlo fino a casa e ho perso dieci minuti. Ho afferrato la bici e mentre pedalavo rapidamente per la fretta ho quasi fatto un incidente con due auto. E tutto questo per colpa di un fottutissimo scooter a secco!" sbottò Lidia, rispondendo con veemenza alla scortese aggressione verbale dell'amica.

"Scusa, non lo sapevo" si giustificò la mora, accomodandosi accanto alla castana e al loro amico con una zazzera color miele che gli ricadeva sugli occhi neri come pece e vivacissimi.

"La prossima volta leggimi nel pensiero come ti riesce sempre a fare" la rimbeccò Lidia facendole la linguaccia in un gesto molto infantile, scatenando l'ilarità degli altri due.

Ben presto tutti e tre si ritrovarono a ridere e a scherzare, raccontandosi a spizzichi e bocconi gli avvenimenti salienti dell'anno trascorso l'uno lontano dalle altre due.

"E quindi cosa è successo con questa Ashley, una volta che ti sei fatto prendere a pugni dal suo ragazzo?" domandò Celia ad Enrico, un po' per curiosità, un po' per conversare e un po' per farsi gli affari dell'amico a proposito del suo turbolento anno passato all'estero.

Lui accennò ad una smorfia delusa.

"Niente. Mi sono tenuto i miei lividi e lei non si è fatta più viva. Quella stronza. E pensare che mi aveva pure detto di essere single. Io non sono del posto, non conoscevo nessuno di quelle parti, perciò che ne potevo sapere che lei stava con quel colosso tutto muscoli e niente cervello di Brian, quello scimmione irsuto di due metri e passa? Comunque, dopo si sono lasciati. Me lo ha detto Mathieu via mail qualche tempo fa. Lei era tornata a cercarmi e credeva che fossi ancora ospite da lui, ma ero già ripartito. C'è rimasta male quando ha saputo che non c'ero più e che non me ne poteva importare di meno di lei, ma le sta bene. Così impara a giocare con i sentimenti dei ragazzi" finì di narrare il biondo, attirandosi uno sguardo di disapprovazione da parte della bruna.

"Ehm, Enrico... ti consiglierei di non parlare più dei sentimenti di ragazzi e ragazze, specialmente di fronte a Céline" tentò di ammonirlo Lidia, gettandogli un'occhiata eloquente.

Lui lesse subito negli occhi della bruna un moto di tristezza e di disaccordo e le chiese prontamente cosa era successo, incurante dell'occhiata di severo ammonimento lanciatagli dalla castana.

"Diego mi ha lasciata. E pensa che mi tradiva perfino con una con cui aveva affermato di non frequentarsi più! Mi ha illusa, Enrì, mi ha illusa e mi ha fatta soffrire tantissimo, e poi tu dici che sono le ragazze a far soffrire i ragazzi! Ma come la mettiamo con Diego?" borbottò Celia, scoppiando poi inavvertitamente a piangere di fronte ai suoi due amici esterrefatti.

"Oh, Céline... mi dispiace" mormorò lui all'amica, cingendola con un braccio per consolarla, mentre Lidia, dall'altra parte della panchina, afferrava e stringeva con forza la mano della ragazza.

"Scusa, Enrico, non volevo accanirmi, in fondo non hai mica colpe, tu, tuttavia sentire quella frase mi ha provocato così tanta rabbia dentro che sono scoppiata" singhiozzò la giovane, asciugandosi velocemente le lacrime che scivolavano sulle sue guance paffute sfregandosele via con il dorso delle mani.

Tirando su col naso, la ragazza riuscì a recuperare un po' di compostezza.

"Dài, su... quel coglione non ti merita. Non merita le tue lacrime, né la tua nostalgia e il tuo dolore. Vedrai che ritornerà da te strisciando come un verme per chiederti perdono e..."

"... e allora lo schiaccerò sotto una scarpa, con violenza, con forza! e gli farò capire una volta per tutte che non deve permettersi di trattare così la sua fidanzata, né me, né qualsiasi altra donna sulla terra!" esclamò Céline in uno slancio di determinazione, tirando fuori la sua solita grinta che in quei momenti sembrava essere andata a farsi un giro a quel paese.

"E...esatto" balbettò Enrico, stupito dall'accanimento dell'amica, di solito ben più placida, un po' come le acque tranquille e sonnolente dell'Arno. "Tu invece che mi racconti di bello, Lilì? Come va con Robi il Mollusco?" chiese poi, tirando fuori il soprannome che aveva affibbiato all'ormai ex-ragazzo di Lidia.

Non era mai riuscito a sopportare Roberto: gli pareva troppo affettato, troppo smielato, troppo molle e decisamente troppo poco virile per potersi meritare una ragazza, a detta di Enrico, meravigliosa e dolcissima come la sua migliore amica. Lo giudicava anche un po' troppo efebico, con quei tratti somatici delicati e i modi languidi e schizzinosi, ma non lo aveva mai detto alla giovane, temendo di offenderla. Lo soprannominava Mollusco per la mollezza e la languidezza dei suoi gesti e del suo comportamento, scatendando puntualmente le risate di tutti i presenti.

Lidia scoppiò a ridere a quella domanda inaspettata, lasciando di stucco il suo migliore amico maschio.

"Con Roberto ho chiuso più o meno tre mesi fa... o sono quattro, Céline? Non mi ricordo neanche quando!"

"Hey, ma questa è stata l'estate delle rotture, per caso? Mi sono perso un sacco di eventi" protestò il biondo, scatenando l'ilarità della castana e causando l'apparizione del broncio sul bel volto triste dell'altra amica presente.

"E non è tutto" aggiunse Lidia, facendosi improvvisamente più vicina. L'espressione del suo viso si contrasse, diventando subitaneamente incerta e combattuta. "Però... non so come la prenderai. Ciò che sto per dirti deve rimanere tra di noi e spero che tu lo accetti, perché mi rende felice e appagata, nonostante il segreto sotto il quale deve rimanere celato."

"Che c'è, sei diventata l'amante di qualche quarantenne sposato ed annoiato, per caso?" la buttò sullo scherzo Enrico, ridacchiando ironicamente.

A quelle parole, tuttavia, l'amica si zittì e assunse la colorazione di un estintore, instillando un dubbio nella mente svelta e scaltra dell'amico.

"Ma, Lilì... non sarà mica... mica vero, spero... Eh?" balbettò il biondo, preso alla sprovvista da quell'inatteso silenzio imbarazzato della castana.

La ragazza prese un respiro profondo.

"Be', diciamo che, per quanto riguarda la parte del quarantenne sposato, ci siamo quasi. Per quanto concerne invece la parte del coniuge annoiato e dell'esserne amante, invece sei proprio fuori strada."

"Chi è questo tizio, Lidia? E come hai fatto a conoscerlo?" cominciò ad indagare il biondo, lanciando un'occhiata truce all'amica. "Ti rendi conto che si tratta di un quarantenne, per di più sposato e magari con dei figli?"

"Ivan si sta separando" puntualizzò la ragazza sulla difensiva.

"Ah, si sta separando... non dirmi che lo fa per stare con te perché non ci credo. Gli uomini, specie a quell'età e con matrimoni falliti alle spalle, sanno essere dei grandi bastardi, specialmente se ci sono in mezzo delle giovani idealiste e romantiche, un po' come te. E anche un po' ingenue, fammelo dire."

"No, non lo fa per me. Io sono capitata per caso nella sua vita, all'inizio di quest'estate. Ivan ha appena cominciato le pratiche di separazione legale, ma la sua unione matrimoniale era in crisi già da molto tempo prima."

"Quindi saresti diventata l'amante di un uomo separato che, per sfogare le frustrazioni della sua vita coniugale in crisi, si diverte ad illudere una diciottenne! Ti pare un essere con una spina dorsale, questo? E' un decerebrato anche peggiore di Roberto!"

"Enrico, fammi finire di parlare! Io non ho deciso di confidarmi con te per ricevere critiche su una faccenda che ancora non ti ho raccontato per intero. Io sono felice con lui. E sono certa di non illudermi, perché Ivan è un uomo sincero, onesto, leale. E non credo che si voglia solo divertire con me, perché altrimenti mi avrebbe già voluta portare a letto, non credi? E' così che fanno gli uomini stronzi, o sbaglio?" replicò seccamente la castana, facendo tacere l'amico per qualche secondo, immerso nelle sue frenetiche riflessioni.

"Come lo hai conosciuto?" chiese questo semplicemente, chiedendo poi a Céline di sedersi dall'altra parte della panchina per parlare faccia a faccia con Lidia.

"Ivan è un collega di lavoro di mia madre."

"Ah, ecco perché dovete tenere segreta questa vostra... relazione."

"Esatto. Lui inizialmente fuggiva di fronte alle mie timide avances, mi aveva confessato di provare dei sentimenti e mi aveva anche baciata, ma poi si era richiuso a riccio, dicendomi che non voleva farmi soffrire, che non voleva coinvolgermi in una storia complicata e da mantenere assolutamente segreta per la buona conservazione dell'amicizia tra lui e mia madre e del rapporto affettivo tra lei e me. Era disposto a dimenticare. Ma alla fine si è fatto avanti e mi ha chiesto di frequentarci. Si è detto anche pronto a chiedere il permesso ai miei genitori di poterci vedere regolarmente e senza doverci nascondere, per cui evidentemente lui non ha mai avuto intenzione di ingannarmi. Sono stata io a rifiutare, ma ancora lui me lo domanda, qualche volta, per sapere se desidero ancora mandare avanti la nostra storia in questo modo. Sono io a rifiutarmi, perché conosco bene i miei genitori e so che non ce lo permetterebbero mai. Io mi fido di lui e della sua parola, così come del suo comportamento sempre corretto e schietto nei miei confronti. Non è doppio. Ivan con me è sincero e rispettoso. Soprattutto, mi rende felice, e questo è tutto ciò che chiedo, almeno per ora."

"Va bene, non dirò più nulla a riguardo, ma voglio conoscerlo prima o poi, ok? Voglio giudicare di persona la correttezza del suo comportamento nei tuoi confronti. E spero che la tua fiducia sia ben riposta, perché, se si azzarda a far soffrire la mia migliore amica, gli insegnerò io a temere la furia incontrollata di un quasi diciannovenne scapestrato come me!" terminò Enrico, abbracciando poi l'amica per comunicarle tutto il proprio appoggio incondizionato.

Lidia strinse fortemente a sé il corpo sottile dell'amico, che pareva rasentare l'anoressia per quanto era magro.

Una terza persona si aggiunse alla stretta: Lidia ed Enrico avvertirono l'abbraccio energico e affettuoso di Céline.

"Ricordati di ciò che ti ho detto quella volta, Lidia" mormorò semplicemente la bruna, facendosi comprendere al volo dalla sua best friend, che annuì con decisione a quell'ammonimento.

"Tranquilla, Celia. Se Ivan si dovesse rivelare un uomo non meritevole di fiducia, parlerò con i miei genitori. Sono ingenua, ma non completamente rincretinita. Saprò cosa fare, in quel frangente."


 

***


N.d.A.
Ciao a tutti!
Innanzitutto, grazie a controcorrente per aver recensito lo scorso capitolo e grazie a chiunque abbia visualizzato la storia o la segue, siete tanti e mi rende felice sapere che la storia vi piace!
Dunque dunque, la scuola alla fine deve ricominciare anche per Lidia, eh! Mica poteva succedere solo ed esclusivamente ai poveri malcapitati della vita reale - tra cui anche me, che inizio il quarto... yeeeee! - ... e quindi ecco qui la classe di Lidia e i professori della ragazza, gli stessi dell'anno prima.
Si fa un po' più luce sulla famiglia di Lidia.
Viene introdotto un nuovo personaggio, Enrico, il più caro amico maschio della protagonista. Rispunta dal Canada dopo svariati mesi e, insieme a Céline, sarà il custode del segreto di Lidia, ovvero la sua relazione con Ivan. Che ne pensate di lui?
Bon, termino qui e non vi tartasso più. Spero che il capitolo sia piaciuto e che non ci siano errori di grammatica! In caso contrario, segnalate, grazie :)
Alla prossima, ciao!


Flame

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


18.



 

I primi soffi di vento gelido spazzavano le strade fiorentine già dalla fine di settembre, annunciando un autunno piuttosto freddo. La mattina il cielo era spesso nuvoloso e la cupa sonnolenza del placido Arno sembrava essere stata scossa da quel cambio stagionale così netto e improvviso tanto da tramutarsi in una sorta di inquieto turbinio dei flutti, perennemente agitati dal vento che vi soffiava sopra con pertinacia.

Lidia avvolse strettamente intorno alla sua snella figura il cappotto lungo che aveva già deciso di indossare, nonostante ancora il vero freddo invernale non fosse propriamente arrivato. Era appena uscita di casa e si accingeva ad andare a scuola. Quella mattina la madre le aveva permesso di poter prendere la sua Lancia Musa, dato che aveva il giorno libero e non doveva andare a lavorare. Così la ragazza s'era messa d'accordo con Enrico e Céline per passarli a prendere davanti alle loro case una mezz'ora prima che suonasse la campanella del liceo, in modo da fare colazione insieme nel loro solito punto di ritrovo al bar vicino all'edificio scolastico.

Entrando nell'abitacolo dell'auto, la castana chiuse velocemente la portiera, battendo i denti per il freddo. Era appena iniziato il mese di ottobre e già tremava come se fosse pieno inverno. Una volta acceso il motore, la macchina uscì dal perimetro della casa, immettendosi poi in un'arteria stradale di maggiore importanza rispetto alla via in cui la ragazza abitava. Presto Lidia affiancò l'Arno e si diresse verso la casa di Céline, che a piedi distava soltanto dieci minuti dalla sua, ma che in auto era più difficile da raggiungere perché bisognava fare un giro molto largo e prendere strade diverse. Dopo dieci minuti era già arrivata: l'amica l'attendeva all'ingresso del condominio in cui abitava con i genitori ed il fratello, avvolta in un cappotto più sottile rispetto a quello che lei indossava. Una volta entrata nell'abitacolo, la bruna le stampò un bacio sulla guancia, portandosi poi la mano alla bocca per nascondere un sonoro sbadiglio.

"Ho talmente tanto sonno che forse facevo meglio a rinunciare alla colazione con te ed Enrico per dormire una mezz'ora di più" esordì sbadigliando nuovamente.

"Anche io sono molto felice di vederti" replicò la castana con un sorrisetto ironico, lanciandole un'occhiata divertita.

La sua migliore amica esprimeva sempre la contentezza di vedere i propri amici in un modo molto particolare ed originale.

"E' ovvio, chi mai potrebbe non esserne felice?" la rimbeccò Céline, ravviandosi i capelli scuri con un gesto della mano e lanciandole un'occhiata.

Le due si osservarono per un momento, poi scoppiarono a ridere insieme.

"Adesso passiamo da Enrico e poi parcheggio l'auto vicino a Palazzo Guicciardini. Ti dispiace se ci facciamo un tratto a piedi?"

"A me dispiace andare a scuola oggi, Lì... ho due interrogazioni ed una verifica!" si lamentò l'amica, sbuffando disperata per ciò che l'attendeva quella mattina.

"Questi professori ci si stanno mettendo davvero d'impegno per renderci l'ultimo anno veramente faticoso. Ci hanno riempiti di roba da studiare" commentò Lidia sospirando stancamente. "Anche io ed Enri abbiamo una verifica di storia dell'arte con quella strega dell'Antonelli, poi dobbiamo anche considerare che a tedesco e filosofia cominceranno ad interrogare proprio oggi. E di solito i nostri prof. iniziano dalle prime lettere dell'alfabeto... Enrico è il primo dell'elenco e verrà sicuramente chiamato a filo, mentre a letteratura tedesca quel nazista di Marzi è già arrivato alla lettera D del registro... e, guarda caso, il mio cognome comincia proprio con quella lettera. Non temo l'interrogazione, sono preparata, però oggi proprio non mi sento in vena di subìre verifiche e interrogazioni. Non voglio proprio andare a scuola!" sbottò la castana.

"Perché non bigiamo, oggi?" propose Céline, guardando l'amica con un luccichìo entusiasta nelle iridi nere come pece.

"Perché invece non andiamo a scuola?" la contraddisse l'amica, rivolgendole una breve occhiata scherzosa.

"Tu sei matta."

"No, sono ragionevole. Se non vengo a scuola oggi mi faranno recuperare l'interrogazione e il compito - ovviamente più difficili - domani e il prossimo mercoledì. E domani ho già altri due compiti, di matematica e francese. Me li fai tu al posto mio?"

La bruna scosse la testa con veemenza.

"Ma neanche per sogno, non ho voglia di sorbirmi l'Ottaviani! Io quella non la sopporto."

"Eppure è una prof. fantastica."

"Sì, soprattutto per gli alunni delle classi a cui fa sostituzione" replicò Céline con un mezzo sorriso ironico, ricordando quella brutta esperienza di due ore con la professoressa di francese dell'amica.

"Non è colpa della prof. se la vostra classe è così... vivace" la difese la liceale, schierandosi per la causa dell'adorata docente di francese.

"E comunque tu non sei ragionevole. Piuttosto, sei ligia al dovere. E masochista. E completamente rincretinita" aggiunse poi la mora con un cipiglio scherzoso diretto alla conducente dell'auto.

La Lancia Musa si arrestò di fronte alla graziosa villetta in cui risiedeva la famiglia di Enrico, che attendeva fuori che Lidia e Celia arrivassero a prenderlo. Il ragazzo entrò agilmente nella parte posteriore della vettura, salutando a gran voce le due amiche e rivolgendo loro un sorrisone.

"Pronte per oggi?" chiese loro, notando l'espressione scoraggiata della ragazza al volante del mezzo.

"Certo, non si capisce dall'entusiasmo che ho stampato in viso?" rispose la castana, suscitando la risatina del biondo.

"Io sono sempre dell'idea che oggi dobbiamo assolutamente fare salina" s'intestardì la mora, attirando su di sé uno sguardo d'intesa del ragazzo.

"Dove avresti intenzione di andare?" le chiese lui incuriosito.

"Potremmo farci un giretto per il mercato, a San Lorenzo. E poi siamo tutti e tre maggiorenni, perciò possiamo giustificare le nostre assenze da soli, senza ricalcare le firme dei genitori."

"Non mi sembra una cattiva idea" concordò inaspettatamente Lidia, attirando su di sé l'espressione stupita dell'amica.

"Ma tu non ti eri dichiarata fermamente contraria a saltare le lezioni?" l'interrogò spiazzata.

Lidia sorrise alla ragazza, riazionando il motore e allontanandosi dalla villetta della famiglia Alessi.

"Posso cambiare opinione oppure devo chiedere il permesso?" replicò con una smorfia corrucciata, scatenando l'ilarità degli amici.

"Allora è deciso, andiamo a San Lorenzo!" esclamò Céline baldanzosa.

"Io non ho detto che mi unisco a voi" le fece notare Enrico.

"Va bene, ti scendiamo davanti a scuola" propose Lidia con un sorriso caustico, incontrando subito l'approvazione della mora e la contrarietà del ragazzo.

"No, Lilì! Vengo con voi. Ho solo voluto puntualizzare che non avevo dato il mio consenso, mica ci tengo davvero a sorbirmi quella strega della Antonelli e il nazista Herr Marzi" si affrettò a chiarire il biondo, sospirando di sollievo quando le due amiche gli dissero che poteva stare tranquillo, dato che non avevano intenzione di lasciarlo nelle grinfie degli insegnanti.

"Almeno per oggi ci godiamo una mattinata di cazzeggio totale. Ma che facciamo? Non vorrete rimanere al mercato per tutte e cinque le ore" disse Enrico, sporgendo la testa in avanti nello spazio tra i due sedili anteriori per poter guardare negli occhi entrambe le giovani.

"Bon, si potrebbe fare!" esclamò Céline entusiasta.

"Morirò di noia!" protestò animatamente il ragazzo.

"Tu muori sempre di noia, Enrico. Mi chiedo come facciano i tuoi genitori o tuo fratello a sopportarti quando ti accompagnano a comprare qualcosa" lo rimbeccò la bruna.

"Di sicuro sono più sopportabile io con le mie lamentele che tu con la tua mania per lo shopping" ed Enrico le rivolse un'irriverente linguaccia con infantilità.

Entrambi i litiganti, allora, si voltarono ad osservare la taciturna conducente del mezzo, optando per seguire la sua eventuale decisione in proposito. Lei sospirò, scuotendo la testa con un'espressione disperata che simulò perfettamente.

"Come devo fare con voi? Siete peggio di Eva e Marco, lo sapete?"

"Io sicuramente sono migliore di mio fratello Gregorio, che è proprio mille volte peggio di Eva e Marco messi insieme e moltiplicati all'infinito" borbottò stizzito Enrico, lanciando un'occhiataccia a Lidia.

"Hey, lo sai che così ci offendi?" replicò Céline con aria fintamente scandalizzata.

"Mi perdoni, madamoiselle, ma manco di buone maniere" si scusò Lidia, rivolgendole uno sguardo volutamente contrito e dispiaciuto che causò una risatina nei due amici che l'accompagnavano.

"Dài, Lilì, che proponi?" l'incalzò Enrico.

"Dunque, possiamo fare così: facciamo un giretto per il mercato e, se Céline trova qualcosa che le piace o che vuole comprare, le concediamo un po' di tempo per decidere sul da farsi. Se dopo dieci minuti non si è ancora decisa la lasciamo lì e ce ne andiamo per i fatti nostri" e la castana rise.

"Concedetemi venti minuti" protestò la mora, sgranando gli occhi.

"No" fu la secca risposta che entrambi gli amici le diedero.

"Eddài..."

"Celia, no. Dieci minuti sono anche troppi per la mia pazienza" decretò Enrico.

"Allora quindici."

"Céline..." cominciò il biondo, ma venne bruscamente interrotto dalla castana.

"D'accordo, basta che però rispetti questa condizione con puntualità" concesse Lidia, mettendo fine alla discussione.

La Lancia fu parcheggiata a qualche centinaio di metri di distanza dal mercato di San Lorenzo. I tre amici, una volta scesi dall'auto in cui avevano lasciato i pesanti zaini di scuola, si mescolarono alle bancarelle, bighellonando qua e là e divertendosi un mondo. Un'ora dopo andarono a sedersi su una panchina in una strada vicina, mangiando con gusto dei cornetti al cioccolato per fare colazione, dato che si erano dimenticati di mangiare prima.

"Ho voglia di gelato" esordì ad un certo punto Céline, attirando su di sé gli sguardi basiti e divertiti dei suoi due migliori amici.

"Hai voglia di scherzare, piuttosto. Oggi fa un freddo cane" la corresse Lidia con un sorriso dipinto sulle labbra.

"Il suo cervello deve essersi congelato. Già dava segni di stranezza: non ha comprato assolutamente nulla al mercato" ridacchiò Enrico con tono sarcastico, guadagnandosi un'occhiataccia fulminante da parte della mora.

"Solo perché non avevo abbastanza soldi con me, dato che stamattina avevamo in programma di andare a scuola" replicò la ragazza, gettando poi la testa all'indietro per sistemare i fluenti riccioli color mogano sulle spalle, tenendoli lontani dal volto ovale e paffuto, i cui lineamenti conservavano ancora un po' delle rotondità di una bambina.

"Ok, ma almeno potevi dare un'occhiata."

"E maledire me e voi per non esserci organizzati prima sul bigiare la scuola mentre osservavo ciò che mi poteva interessare di più senza la possibilità di comprarlo? Meglio non starci a lungo e non soffrire troppo, a questo punto" rispose la ragazza, adottando un tono melodrammatico che risultò particolarmente comico per gli altri due amici.

"Ragazzi, vi va di fare una camminata per la città? Io ho voglia di fare un giretto" propose Lidia cambiando argomento.

"E perché non andiamo in macchina? Io non ho voglia di camminare" obiettò Céline.

"Ma tu sai com'è mia madre! Quella è capace di controllare anche quanti chilometri ho percorso con la macchina o lo scooter, quando vado a scuola da sola. Teme che io possa marinarla. Me lo ha detto anche stamattina che mi conveniva non saltare le lezioni, perché avrebbe controllato i chilometri percorsi dalla macchina. Peccato che non sia abbastanza sveglia da ricordarsi che posso sempre spostarmi con le mie gambe e non in auto per Firenze." Ridacchiò lievemente.

"Sara è un po' maniaca" ammise Enrico, grattandosi la fronte con aria perplessa.

"E' per questo che preferisco muovermi a piedi, per adesso. Almeno non sospetterà che abbiamo saltato la scuola, oggi. E non lo scopriranno nemmeno i vostri genitori."

"Se mia mamma lo sapesse, mi toglierebbe il cellulare per una settimana... ha fatto un'ossessione con la scuola che mi sta facendo diventare pazza!" sbottò la bruna inviperita con la madre Maria.

"Ai miei non importerebbe granché; in fondo sono maggiorenne e sono io a dover decidere per me, adesso" commentò con tranquillità il biondo.

"Per mio padre non sarebbe un problema; segue lo stesso ragionamento di Aldo e Tiziana" - i genitori di Enrico -, " ma mia madre è capace anche di mettermi in punizione per un mese intero. Ha ricevuto un'educazione così rigida da mia nonna Christiane che posso ritenermi fortunata a godere di certe libertà che a lei non sono mai state permesse. Ecco perché mamma a volte è così esagerata" spiegò Lidia con un sospiro di rassegnata accettazione.

"Solo a volte?" la prese in giro Céline.

La castana rise.

"Non è l'unica qui."

"Almeno non avete un fratello rompicoglioni, stronzo ed impiccione come il mio" borbottò Enrico, gonfiando d'aria le guance per il disappunto.

"In compenso Gregorio è proprio figo! Passerei sopra questi difetti se solo non avessi già avuto esperienza con ragazzi del genere" commentò la bruna, accigliandosi di colpo al pensiero di Diego.

"Non si è fatto più sentire?" chiese l'amico in tono cauto.

L'amica sbuffò derisoria, guardandolo di sbieco per poi spostare lo sguardo a metà fra il triste e l'alterato sulla via brulicante di persone coinvolte in un intenso tram tram quotidiano che si snodava davanti ai suoi occhi scuri.

"No" mormorò seccamente, abbassando lo sguardo.

"Scusa, non dovevo chiedertelo."

"Tranquillo, Enrico. Non lo hai fatto con l'intento di rovinarmi l'umore volontariamente, perciò ti perdono" replicò la ragazza.

Lidia scosse la testa.

"Credo di aver visto più allegria in una galera che qui nel nostro gruppo" commentò, provocando la risata dei due nonostante l'incupimento del loro umore.

"Perché, ci sei mai entrata? Che hai combinato di tanto grave da farti sbattere in cella?" indagò Enrico, ridendo sommessamente.

"Assolutamente niente. Sai che la mia è una condotta ineccepibile. Non vi guardate i polizieschi alla tv, voi? Fanno vedere più carceri lì che in qualunque altro programma."

"Dicevo per scherzo, Lilì."

"Lo so" borbottò lei con un sorrisetto. "Allora, vogliamo muovere il sedere e andare a fare un giro oppure vogliamo rimanere qui a scaldare la panchina per i prossimi passanti che ci si siederanno?"

"Ok, andiamo in giro. Non voglio essere uno scaldaculo al servizio di qualcun altro" concesse Enrico, levandosi in piedi insieme all'amica.

"Dove andiamo di bello?" chiese Céline, raggiungendo dopo un istante i compagni di comitiva.

"Boh... vaghiamo per Firenze, magari qualcosa di interessante da fare o da vedere lo troveremo."

 

***

 

"Guarda quant'è bella la vetrina di Roberto Cavalli! Adoro quel maglioncino!" esclamò Céline, osservando con occhi adoranti e ammirati uno splendido capo disegnato dal famoso stilista fiorentino e sistemato in bella vista insieme ad altri capi d'abbigliamento nell'elegante vetrinetta dell'ex-sede del Caffé Giacosa in Via de' Tornabuoni.

"Io non ci trovo nulla di che, mi sembra un comune maglione" commentò acidamente Enrico, attirando su di sé un'occhiata di fuoco da parte della mora e una sbigottita levata di sopracciglia da parte di Lidia.

"Come, scusa? Qui si parla di Roberto Cavalli, uno dei maggiori stilisti italiani, uno dei più famosi del mondo! Ti rendi conto di aver appena insultato uno dei più importanti proprietari di maisons de mode italiennes? Italiennes! Italiane! Cioé, il top della mondo della moda in assoluto! Mamma mia, con che razza di cretino ho a che fare..." lo aggredì la prima, a bocca aperta per lo stupore, gesticolando e articolando altre frasi colleriche a metà fra francese e italiano.

Il biondo le rivolse un'occhiata stizzita.

"E' mezz'ora che state qui davanti a guardare abiti e ad indicare questo, quello e quell'altro ancora. Io mi sto annoiando" protestò, soffiando animosamente.

"Povero piccolo, ti stai annoiando?" lo prese in giro Lidia, simulando un tono contrito e preoccupato che fece scoppiare a ridere Céline.

"Dài, Lilì, almeno tu! Non dirmi che sei ossessionata dalla moda come questa maniaca di Céline."

"Sta' tranquillo, non ci ho fatto la fissa" lo rassicurò, scompigliandogli la zazzera color miele e tormendandolo con un rapido sfregamento delle nocche della mano sulla testa mentre lo teneva stretto a sé con un braccio. "Però sono una ragazza e non disdegno certo un capo d'abbigliamento d'alta moda firmato e costoso" aggiunse successivamente.

Liberandosi con uno strattone dalla morsa dell'amica, Enrico si ritirò lontano da lei, rivolgendo un'occhiata irritata e inviperita a Lidia mentre si risistemava rapidamente i lisci capelli arruffati, guardando biecamente lei e Céline che sghignazzavano sarcasticamente.

"Non ci trovo nulla da ridere, sapete?" ribatté lui a quei ghigni.

"Sei peggio di Roberto quando ti comporti così, sai? Perfino lui è molto più autoironico di te" lo rimbeccò Lidia, causando un moto d'indignazione nell'amico.

"Con chi mi hai paragonato?!"

"Con il tuo adorato Roberto, caro Enrichetto."

"Dài, non chiamarmi così" piagnucolò il ragazzo risentito, gonfiando le guance d'aria come solo un bambino poteva fare.

"Va bene, la smetto" ridacchiò la castana, rivolgendogli un ironico sorrisetto di scusa.

"Mi fate un grande piacere? Possiamo tornare a Piazza San Lorenzo per riprendere l'auto e tornare a casa? Fra una mezz'ora suona la campanella dell'ultim'ora" chiese l'amico alle due giovani, incontrando la rassegnata contrarietà di Céline e la pacata accettazione di Lidia.

"D'accordo, andiamo... sarebbe anche l'ora, in effetti" asserì la castana, prendendo sottobraccio i due amici per poi percorrere il percorso inverso.

La distanza tra Via de' Tornabuoni e la piazza del mercato più grande di Firenze non era tanta, per cui i tre ragazzi non impiegarono più di qualche minuto a raggiungerla. Da lì si diressero verso via dell'Ariento, in cima alla quale Lidia aveva parcheggiato la Lancia Musa nera della madre.

Mentre si avvicinavano all'auto un giovane, che camminava a testa china e senza prestare attenzione a dove camminava, urtò pesantemente la spalla destra di Enrico, facendolo quasi cadere a terra. Il biondo imprecò sonoramente contro l'altro ragazzo, che con un lamento era scivolato a terra sul marciapiede, piombando a sedere pesantemente sull'asfalto.

Lidia osservò quel ragazzo, notandone i capelli biondo cenere e gli occhi marroni tendenti al verde levati su di lei, riconoscendo istantaneamente e con un certo ribrezzo i lineamenti del viso di Roberto, il suo ex-fidanzato.

Come diceva quel detto? ... Parli del diavolo e spuntano le corna. Oh, eccome se non ha ragione!, pensò Lidia arricciando il naso per il fastidio.

Anche il giovane s'era accorto di essersi andato a scontrare con gli amici della sua ex a causa della propria distrazione. Ora scrutava proprio quest'ultima con uno sguardo in cui la castana vide riflettersi una ridda d'emozioni. Levandosi in piedi con uno scatto, il giovane sembrò sul punto di afferrare le mani della ragazza e rivolgerle la parola, ma la voce di Céline lo precedette, bloccandolo.

"Tu!" lo aggredì pesantemente la mora, avanzando di un passo e puntandogli contro il petto un dito con aria minacciosa. Anche se era piccolina, magra e piuttosto insignificante, quando Céline s'infervorava riusciva a impressionare anche gli individui più imponenti e nerboruti in circolazione. "Brutto disgraziato, con che coraggio ti fai rivedere a Firenze davanti agli occhi di Lidia! Vattene! Sciò, sciò! Via! Tornatene a Fiesole , levati dei coglioni, sparisci, fatti sciogliere nell'acido o mandare in orbita intorno alla Terra, ma vattene via di qui!" e fece rapidi gesti molto eloquenti con la mano per incitarlo ad andarsene.

"Ancora te la devo far pagare per quello che hai fatto alla mia amica, Mollusco, per cui ti conviene sparire" lo ammonì Enrico, facendosi avanti pure lui agitando il pugno serrato con aria tutt'altro che amichevole.

Roberto, compresa l'antifona, arretrò di un passo, senza replicare alle offese e alle minacce di Céline o all'epiteto con cui era stato chiamato dal migliore amico della sua precedente fidanzata. Sembrò sul punto di voler ribattere, ma poi i suoi occhi verde-marroni assunsero un'espressione impenetrabile e lui passò oltre senza una parola, evitando accuratamente di degnarsi di rivolgere loro un ulteriore sguardo.

Con un sospiro, Céline ed Enrico si voltarono nuovamente verso Lidia, aspettandosi che quell'incontro ingrato le avesse provocato sicuramente un profondo abbattimento. Non pensavano, tuttavia, che le emozioni che la loro migliore amica provava nei confronti di quell'idiota di Roberto si limitassero alla pura indifferenza e ad un pizzico di fastidio, completamente soppiantate dal tenero sentimento d'amore per Ivan che era germinato forte e saldo in lei e che cresceva e si rafforzava di giorno in giorno, insieme alla vaga consapevolezza di aver trovato la propria metà, la propria parte complementare, l'ultima tessera di un puzzle incompleto.

Perciò, fu nella più completa confusione che Celia ed Enrico osservarono a bocca aperta Lidia che tratteneva a stento una risata, scoppiando poi a ridere fragorosamente.

"Ma che... che cavolo ti passa per la testa, Lì? Devi esserti fumata una canna per essere così allegra dopo un incontro con Roberto. Con Roberto, il tuo ex" commentò il biondo in preda allo sbigottimento totale, sbattendo più volte le palpebre come per accertarsi che la scena che si scolgeva davanti a lui corrispondesse seriamente alla realtà.

"Scusate... scusate, ragazzi, ora... smetto!" balbettò la castana sforzandosi di smettere di ridere, calmandosi dopo qualche istante ed assumendo con difficoltà un'aria neutra.

"Ti senti bene, Lì? Devo chiamare Ivan per farti ricoverare all'ospedale?" le domandò Céline con sarcasmo pungente, assumendo poi un'espressione concentrata.

Lidia le sorrise bonariamente di rimando, un sorriso smagliante che le schiudeva le labbra scarlatte, gli occhi sognanti al pensiero dell'uomo che le aveva incantato il cuore.

"Non dirmi che... Cielo, Lidia, ma sei davvero presa di Ivan per reagire così tranquillamente di fronte all'apparizione di Roberto" constatò Céline con una certa imbarazzata meraviglia, facendo finalmente intuire ad Enrico il motivo della reazione dell'amica.

"Spero solo che questo Ivan non sia un mascalzone, Lilì, perché se dovesse mai succedere con lui qualcosa di simile alla tua rottura con il Mollusco gliela farò pagare a modo mio" puntualizzò il biondo con una smorfia scettica dipinta sulle labbra.

Lidia gli aveva raccontato i risvolti della vicenda nella quale era avvenuta la sua rottura con l'ex-fidanzato. Enrico temeva fortemente che l'amica potesse rivivere un'esperienza simile e dolorosa allo stesso modo con la relazione di Ivan, che lui non conosceva. Era molto protettivo nei contronti della sua migliore amica, un po' come un fratello maggiore - anche se lui era più piccolo di due mesi e mezzo -, ed era pronto a farsi avanti e vendicarla, anche a costo di fare a botte, pur di restituire un po' di orgoglio alla sua dignità ferita e delusa.

"Allora dovrei accingermi a raccogliere i frammenti minuscoli del tuo corpicino spezzettato, Enri" ridacchiò la sua interlocutrice in tono pungente, "perché Ivan è molto più alto e più robusto di te. Ti ridurrebbe in polvere fina. Cosa vorresti fare, tu, con questi braccini secchi come ramoscelli?" lo prese in giro causticamente, indicando i magrissimi arti dell'amico, alto più di lei di soli cinque centimetri e di costituzione quasi filiforme per l'assenza pressoché totale di grasso e muscoli dal suo corpo snello.

Enrico era cresciuto molto rispetto all'anno precedente, tuttavia non aveva preso moltissimo peso.

"Grazie per il commento" mugolò lui, guardandola biecamente con gli occhi scuri ridotti a due esili fessure.

Lei, per tutta risposta, lo abbracciò con un risolino.

"Non l'ho detto con l'intenzione di offenderti, Enrico. Voglio soltanto che tu capisca che io sono tranquilla. Mi fido di Ivan, e non solo perché ne sono innamorata, ma anche perché lo conosco da quando ero ancora in fasce. Non è mai stato un uomo inaffidabile o immeritevole di fiducia. E non lo dico solamente perché c'è mia madre a testimoniarlo. Fidati di me. Io lo so."

"Va bene, Lilì, ma non per questo terrò bassa la guardia. Ci sono in giro fin troppi coglioni come quella cozza scema del tuo ex per essere tranquilli" ribatté il ragazzo sciogliendo l'abbraccio della sua migliore amica.

"Dài, andiamo, altrimenti i nostri genitori potrebbero sospettare qualcosa se facciamo tardi per il ritorno da scuola" s'intromise Céline nella conversazione, strizzando l'occhio quando ebbe pronunciato la parola scuola.

I tre risero insieme, poi, prendendosi ancora una volta a braccetto, entrarono nella Lancia Musa di Sara, percorrendo poi il tragitto opposto per tornare a casa.

"Come farai con Eva? Oggi non ti avrà sicuramente vista a scuola e potrebbe ridire tutto a tua madre" disse ad un certo punto Enrico, dando voce ad un suo dubbio.

Lidia replicò con un mezzo sorriso sicuro, senza spostare gli occhi dalla strada mentre guidava l'auto materna.

"Eva è a letto col mal di testa, dato che ieri sera faceva freddo e lei, come una stupida, si è lasciata asciugare i capelli da sé mentre finiva di studiare, prendendosi così un malanno. Non credo che oggi avrebbe potuto notare la mia assenza a scuola" rispose.
 

***

 

Quella sera, dopo aver ripassato letteratura tedesca, aver terminato di studiare Verlaine e Rimbaud per la verifica di letteratura francese ed aver fatto qualche esercizio di matematica per prepararsi al compito del giorno successivo, intorno alla mezzanotte Lidia prese il suo Memopad e si accomodò sul proprio letto, tenendo la luce della camera spenta per non disturbare Eva che riposava. Sotto le coperte, accese il touch screen del piccolo computer portatile, connettendosi poi ad Internet tramite la rete wifi della propria casa. Entrò nel suo profilo su Facebook, aprendo subito la casella dei messaggi. Ce ne erano tre non letti.

Il più recente era di Gianluca Tommasi, il cui profilo la ragazza aveva infine sbloccato e di cui aveva accettato l'amicizia, dato che nell'ultimo mese e mezzo, nelle uniche tre volte in cui lo aveva rivisto, si era comportato in modo irreprensibile, tenendo le mani a posto e facendosi più gli affari propri che quelli di Lidia. La castana non trovava sgradevole la sua compagnia, perché era un ragazzo alla mano e anche piuttosto simpatico, ma lui le ronzava comunque ancora intorno, ben lungi dall'arrendersi. Gianluca era intenzionato a strapparle un appuntamento ed era restio a cedere, perciò continuava a proporle uscite ogni giorno. Proposte che erano puntualmente declinate, adducendo ogni sorta di scusa verosimile e non.

Magari fosse Ivan a propormi di uscire ogni santo giorno, pensò Lidia sbuffando, rispondendo con un semplice 'Notte :)' all'augurio di sogni d'oro con tanto di superfluo cuore rosa che lui le aveva inviato.

Il secondo messaggio era di Aurelia, che le chiedeva il motivo della sua assenza a scuola quel giorno e lei replicò adducendo come scusa un mal di testa.

Quando lesse il nome della terza persona che le aveva inviato un messaggio in chat Lidia sgranò gli occhi, chiedendosi immediatamente cosa cazzo poteva mai volere Roberto da lei per ricontattarla dopo mesi. Tre, quattro mesi erano passati? O cinque? O forse solo due... Lei non li aveva certo contati. Era felice e presa dalla nuova relazione con Ivan ed aveva già lasciato fluire via la rabbia e il dolore per il tradimento subito, concentrandosi su quel sentimento nuovo e ardente. Notò che il suo ex era in linea e vacillò per un istante, non sapendo se rispondergli. Non aveva senso ricominciare a parlarci, ma fondamentalmente non le importava più nulla di lui, quindi rispose al suo messaggio con un semplice:


 

Che cazzo vuoi da me?


 

Suonava aggressivo, anche se lei era più incuriosita che inviperita dal comportamento equivoco e incomprensibile di Roberto.


 

Volevo chiederti scusa per oggi se non ti ho salutata... però i tuoi amici mi si sono rivoltati contro e non ho fatto in tempo.


 

Avevano forse torto?


 

No, non dico questo. Ma è da un po' che ti cercavo per parlarti di persona e non poterlo fare mi ha irritato parecchio.


 

Dovrei essere io quella incazzata, non tu.


 

Hai perfettamente ragione, ma non credo che tu lo sia, a giudicare dal tono delle tue risposte.


 

Mi sto solo controllando.


 

A quella risposta Lidia ridacchiò piano da sotto le coperte, mordendosi la lingua per costringersi a smettere. Non poteva svegliare Eva. Sua sorella non stava bene e doveva riposare tranquillamente.


 

Comunque, non sono qui per parlare di oggi.


 

E allora cosa di cosa vorresti parlare?


 

Mi sono lasciato con Laura.


 

Laura... Laura chi?


 

La ragazza per cui ti ho lasciata.


 

Innanzitutto ti ho lasciato io e non tu. E poi... che c'è, ti devo per caso fare le condoglianze?


 

No, volevo soltanto dirti che l'ho mollata perché mi sono reso conto di essere un idiota.


 

Ma sei proprio un genio, sai?


 

Ti amo ancora.


 

A quelle parole Lidia rimase come paralizzata, il respiro trattenuto, il volto improvvisamente teso. Il cuore fece una capriola, mentre mille pensieri le circolavano a velocità folle nella mente. Mi ama ancora?, pensò la ragazza, riflettendo sul significato di quelle parole. L'amava. Cioé, l'aveva lasciata per correre dietro alle sottane di un'altra e poi tornava pure a dirle che l'amava ancora!

Lidia s'imbestialì. Questa te la faccio pagare! Non gliel'avrebbe perdonata. Non dopo un tradimento, un colpo basso, un atto meschino e da perfetto stronzo. Non dopo che lei aveva trovato una certa felicità con Ivan.

Ivan... Quel nome le riverberò dentro con prepotenza, riflettendosi in ogni minima parte del suo corpo. Ivan è innamorato di me, e io di lui. Stiamo bene insieme. Non getterò al vento la nostra relazione per tornare fra le braccia di un puttaniere che non mi merita.

Lei non poteva gettare all'aria la sua relazione. Non doveva. Non voleva.


 

Hai una bella faccia tosta a scrivermelo in chat dopo avermi lasciato qualche mese fa, lo sai?!


 

Lo so, ma avrei voluto dirtelo di persona. Mi dispiace per ciò che ho fatto, sono stato un grande stronzo, nonché un idiota. Sono andato a confondermi per nove mesi totali con un'oca giuliva che ha provocato la mia rottura con la ragazza più bella e dolce che abbia mai conosciuto. Mi dispiace, Lidia. Ti chiedo perdono per averti lasciata.


 

Questa presunta Laura sarà pure un'oca giuliva, ma sei stato tu a provarci con lei, e non il contrario. Io conosco i risvolti della vicenda. So che sei stato tu a tradirmi intenzionalmente solo perché mi rifiutavo di venire a letto con te, dato che ero insicura dei miei sentimenti anche dopo un anno e mezzo di fidanzamento passati a lasciarsi e rimettersi insieme più di Brooke e Ridge di 'Beautiful', quella cazzo di soap opera con cui si droga tua madre. Puoi anche andare a sbattere la tua carcassa in qualche bordello alla ricerca di qualche troia, perché io con te non ci torno. E non farti neanche più vivo, con me non attacca. Ormai mi hai persa. Mi hai persa nel momento in cui hai pensato per la prima volta di tradirmi. E ora lasciami in pace.


 

No, Lidia, non lo farò, perché ti amo e so che anche per te è lo stesso, ancora. Mi farò perdonare, ma ti prego di non negarmi una seconda possibilità, perché mi faresti soffrire molto.


 

Tu non hai pensato a me e a quanto mi hai fatta soffrire quando ti ho mollato. Perché dovrei concederti una seconda chance? A te, che sei stato così maligno con me?


 

Perché tu sei più intelligente e più generosa di me. Non te ne pentirai. Ti prego... :)


 

Oh sì, me ne pentirei eccome. Perché dovrei buttare nel cesso una storia che mi rende felice per uno come te?


 

Lidia scrisse quella frase senza pensare, ma si pentì di averla digitata un attimo dopo aver premuto il tasto 'Invio' per spedire il messaggio.


 

Stai con un altro? Chi è questo tizio?


 

Brava Lidia! Adesso non ti lascerà più in pace, commentò la sua sarcastica vocina interiore, aggiungendo il proprio sarcasmo alla miriade di insulti che la ragazza si stava già rivolgendo da sola.


 

Ma fatti i cazzi tuoi!


 

No, Lidia, non fino a quando non mi concederai una possibilità per farmi perdonare. Io voglio tornare con te. Ti amo.


 

Basta, hai proprio rotto le palle! Io mi vedo con un altro; non ti deve interessare né chi è, né se è una cosa seria o no. Io non sono più invaghita di te - dire che provavo dell'amore per te farebbe ridere anche una statua - e non ho intenzione di perdonarti, né di rimettermi insieme a te. Io non ti voglio più. Perciò, lasciami in pace. E adesso la discussione è chiusa.


 

Lidia spedì quel messaggio mentre avvertiva la collera montare lentamente dentro di lei. Si sentiva stupida ad aver accettato di chattare con lui e ad aver rivelato che si vedeva con qualcuno. Si era soltanto presa un'incazzatura colossale per quel deficiente del suo ex. In più, se Roberto si fosse intestardito come Gianluca, avrebbe potuto scoprire la sua relazione con Ivan.

Se fosse successo, l'avrebbe detto sicuramente a Sara e Domenico, per ripicca. E le sarebbe stato impedito dai genitori di frequentarsi con lui. E avrebbe rovinato l'amicizia tra Ivan e Sara. E avrebbe messo a repentaglio la posizione di Ivan nel processo di separazione da Alessia per l'affidamento di Emma. E avrebbe perduto l'uomo di cui era innamorata e la possibilità di frequentarlo, di starci insieme.

Roberto sarebbe diventato una mina vagante, se avesse fortuitamente scoperto la loro relazione segreta.

Non doveva succedere. Non poteva permettere che accadesse.


 

Per te è chiusa, ma ancora io non ho finito.

Notte, Lilli cara <3


 

L'ostinato sarcasmo di Roberto fu la goccia che fece traboccare il vaso. Con la furia che divampava come una cupa fiammata ardente, Lidia si trattenne per un solo istante, cercando di controllare la collera e l'irritazione.

Spense il Memopad tra le mani strettamente, con così tanta forza da avvertire sotto la pressione delle dita il sottile schermo cominciare ad incrinarsi appena. Cercò di contenersi per evitare di disturbare Eva con la propria rabbia, ma era difficile.

Alla fine, però, l'impulso trionfò.

"Ma vaffanculo, va'!" gridò a voce rabbiosa, scagliando il Memopad spento un istante prima sulla poltroncina oltre il letto, che atterrò con un tonfo soffocato.

Eva, a quell'urlo iroso, balzò per lo spavento a sedere sul proprio letto, osservandosi intorno nella penombra della stanza, lievemente impaurita, con un grido di agitazione appena trattenuto.

Lidia, nello stesso istante, si cacciò sotto le coperte, facendo finta di dormire per non farsi beccare e rimproverare dalla sorella minore, sebbene fosse fumante per l'ira e pronta a prendersela con chiunque avesse osato romperle le scatole per primo.
 

 

***



N.d.A.
Salve a tutti! :D
Eccomi qui, in ritardo, per la prima volta, perché sto per pubblicare a pochi minuti dall'inizio del sabato. Quindi termino subito i miei sproloqui!
Comunque, mi dispiace tanto di non aver potuto rispondere alle recensioni del capitolo scorso, sono mortificata. Ma mi stanno massacrando a scuola, il quarto linguistico è peggio di un'accademia militare! E ho veramente molto poco tempo per poter aggiornare. Già che ci sono, aggiungo che probabilmente a dicembre non aggiornerò per una settimana perché sarò in viaggio d'istruzione a Vienna con la scuola e lì, sicuramente, non avrò la possibilità di aggiornare la storia.
Comunque, grazie mille a controcorrente e a marta1982 per aver recensito il capitolos scorso, prometto che risponderò il prima possibile.
Grazie anche a chi segue la storia!
Bon, mi congedo, buona notte! :*


Flame

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


19.



Ivan si stava preparando per tornare a casa. Aveva appena terminato un pesante turno di lavoro ed era esausto. Quel pomeriggio era stato difficile: lui e i suoi colleghi non erano stati in grado di salvare la vita di un paziente arrivato in condizioni gravissime al Pronto Soccorso. La morte di un paziente scuoteva sempre l'animo di Ivan, che veniva invaso da mille dubbi: avrebbero potuto salvarlo se avessero agito in altro modo? gli infermieri e il personale ospedaliero coinvolto avevano dato il loro meglio? perché l'ambulanza non era arrivata anche solo un minuto prima? si sarebbe potuto salvare, se il suo cuore avesse retto?

Riponendo l'uniforme nel suo armadietto personale, il moro si diresse seminudo negli spogliatoi con i suoi indumenti tra le mani, i muscoli ben definiti che guizzavano sotto le luci del locale ad ogni movimento del corpo. Si cambiò velocemente, indossando una camicia candida con sopra un pullover azzurro elasticizzato che sottolineava il suo torace e l'addome tonici e allenati e un paio di scuri jeans aderenti che gli fasciavano le gambe longilinee. Il tutto era completato da un paio di sneakers nere.

Uscendo dallo spogliatoio, prese gli effetti personali che aveva lasciato nell'armadietto, poi lo richiuse, afferrando il suo cappotto autunnale e chiudendosi la porta del locale alle spalle. Con un sospiro esausto si diresse verso la propria auto, perso nei suoi pensieri a tal punto da andare a scontrarsi casualmente con una sua collega.

"Oh! Scusami, Cinzia..." mormorò lui, afferrandola fra le braccia per evitarle l'impatto con il freddo pavimento grigio della struttura ospedaliera.

"Di nulla, Ivan... scusami tu, piuttosto, ero distratta" si giustificò lei, ravviandosi imbarazzata una ciocca bionda dietro l'orecchio mentre si riappoggiava sui propri piedi, lasciando il braccio dell'uomo.

"Anche io non c'ero proprio con la testa" ammise l'infermiere, ridendo brevemente. "Perdonami."

"Ma certo" disse lei semplicemente, mentre un seducente sorriso le schiudeva le labbra carnose. "E' da un bel po' di tempo che non ci sentivamo" aggiunse poi, fissandolo con i begli occhi verdi da sotto le lunghe, morbide ciglia.

Il moro si sentì immediatamente assediato da quello sguardo magnetico.

Cinzia era una bella donna sulla quarantina, con un paio di anni in più di lui, già alle spalle un divorzio e poi tre anni di convivenza terminati con una rottura. Niente figli. Era bella, intelligente e molto sensuale, ma l'uomo non aveva mai pensato a lei come a qualcosa in più di una semplice collega. Fondamentalmente erano solo conoscenti, anche se lei sembrava già provarci implicitamente con lui, da quando si era saputo della sua separazione da Alessia. Ivan però respingeva garbatamente le sue avances, preso com'era dalla sua frequentazione con Lidia. E poi, per rispetto nei confronti della giovane, aveva declinato più volte gli inviti di colleghe single o in cerca di brevi avventure che spesso riceveva.

Ovviamente i suoi desideri sessuali repressi da così tanto tempo lo rendevano frustrato, ma era monogamo e, soprattutto, un uomo leale. Non si concedeva ancora di estendere la conoscenza con Lidia al lato carnale della loro pseudo relazione, dato che la conosceva da pochi mesi e non le aveva nemmeno chiesto di tentare un qualsiasi approccio fisico. Perciò, non si sarebbe concesso nemmeno una notte di fuoco con una donna sconosciuta per lasciarla al mattino dopo, senza neppure ricordarsene il nome.

Era una persona seria, forse all'antica, ma lui ci teneva a fare le cose per bene. E, in particolare, Ivan ci teneva alla sua relazione con Lidia. Ne era innamorato. Era già tre mesi che si frequentavano, seppur ricorrendo a sotterfugi per incontrarsi di nascosto da tutti e rimandendo sempre incollati al cellulare per riuscire a restare in contatto l'uno con l'altra. Era una storia abbastanza difficile, ma lui era felice anche così, perché la ragazza gli piaceva tantissimo e lo spaventava l'idea di perderla.

Perciò, attendeva di poter ottenere il divorzio, in modo da avere un problema in meno per quando avrebbe parlato a Sara e Domenico dei sentimenti che lo legavano alla loro figlia, cercando di ottenere il loro permesso per vedersi regolarmente e, soprattutto, alla luce del giorno.

"Eh già... scusami, ma adesso devo andare" replicò l'infermiere in risposta alla frase di Cinzia.

Ivan poté così osservare l'espressione accattivante della sua collega sfumare per lasciare posto al disappunto. Con un leggero colpo di tosse, Cinzia annuì, facendogli un veloce cenno della mano per salutarlo, quindi la donna si affrettò a dileguarsi, oltrepassando la figura dell'infermiere. L'uomo stava per continuare il suo tragitto, quando una voce femminile lo chiamò da dietro, attirando la sua attenzione e facendolo voltare.

"Il tuo compleanno cade il sette novembre, giusto, Ivan?" domandò Cinzia tornando sui suoi passi.

"Ehm... sì, ma perché me lo chiedi?" replicò Ivan sulla difensiva, curioso di sapere cosa gli avrebbe detto la bionda.

"Sai, pensavo che, se ti va... potremmo uscire a cena per quel giovedì sera, non credi? Come amici, per festeggiare" propose la donna, rivolgendogli un sorriso tanto luminoso quanto affascinante.

"Be', si potrebbe fare" concesse l'uomo, fingendo poi di rifletterci su. Detestava dover dire di no, ma se doveva fingeva di pensarci un po', prima di rispondere negativamente. Anche se non era giusto alimentare le false speranze delle persone e illudere le loro aspettative. "Ma non sono sicuro di essere libero per quella sera: mia figlia mi vorrà sicuramente a casa con sé per trascorrerla insieme a cucinare qualcosa di dolce per festeggiare. E' una tradizione che abbiamo da quando lei era molto piccola. Temo che non potremo vederci."

"Tu sai cucinare?" chiese Cinzia, cambiando bruscamente argomento.

Ivan fu colto alla sprovvista da quella domanda.

"Cucinare?! No, cioé... Diciamo che me la cavo ai fornelli solo quando si tratta di dolci, crostate, torte... e spesso neanche in quel caso. Tutto qui. Tento di preparare qualcosa di decente, ma non sono proprio portato per l'arte culinaria. Cucinare è una parola grossa per esprimere la mia inaccettabile capacità; proprio non mi riesce" si schermì poi l'uomo, scherzando sul fatto che a volte era un po' impreciso e combinava qualche guaio.

Ma fondamentalmente se la cavava bene in cucina. Era solo troppo modesto per ammetterlo pubblicamente e troppo guardingo per rivelarlo ad una donna in cerca di una relazione con lui. Una donna che non era Lidia.

"Eppure sarei curiosa di assaggiare qualche pietanza preparata da te. Sei il primo uomo che conosco che riesce a cucinare, oltre al mio ex-marito, sai?" continuò Cinzia imperterrita.

"Be', non te lo consiglierei. Ci sono sicuramente chef migliori di me e io sono tra i peggiori in assoluto."

"Ma si potrebbe comunque fare, no? Ovviamente, solo se ti va di metterti ai fornelli per me" insistette testardamente, lasciando Ivan nello sconcerto.

Quel per me non gli piaceva per niente.

"Be', semmai... ci si mette d'accordo un'altra volta" si costrinse a dire con quanta più gentilezza possibile, fingendo di non essere seccato dall'ostinazione della collega. "Ora scusami proprio, ma devo tornare a casa. Fra poco la mia ex entra al lavoro per un turno di notte e ho mia figlia che mi attende da sola."

Fu con quella brusca frase e un saluto frettoloso che Ivan riuscì a scrollarsi di dosso l'infermiera, camminando velocemente verso l'uscita, conscio dell'occhiataccia fulminante che sicuramente la bionda gli aveva lanciato alle spalle, irritata dalla sua sfuggevolezza.

Lui non sopportava le donne così. Era cresciuto con l'idea che le relazioni amorose non dovessero essere tutte brevi e basate sul sesso, come invece accadeva nella maggior parte dei casi. Lui desiderava stabilità, un amore fedele, un sentimento forte e, soprattutto, che comportasse sorprese e imprevisti per rendere la vita di coppia movimentata e piacevole.

Tutto questo, a parte la stabilità, l'intensità di un sentimento instaurato da lungo tempo e un'affinità sessuale non ancora sperimentata, l'aveva trovato con Lidia. Non c'era solo il brivido del rischio a rendere la loro frequentazione eccitante, ma anche la differenza delle loro mentalità, la distanza delle loro opinioni, la molteplice versatilità del carattere della ragazza, di cui riusciva a cogliere solo una minima parte, scoprendo qualche sfaccettatura a lui ignota giorno dopo giorno.

Ivan era innamorato di Lidia, se ne era reso conto. Avrebbe gettato all'aria tutte le precauzioni e anche l'amicizia con Sara se solo non ci fosse stata la custodia di Emma in ballo. Lui amava anche la figlia e non voleva perderla. Perciò, a favore della propria causa, doveva mantenere quella storia segreta. Un giudice non avrebbe mai acconsentito a che una bambina venisse affidata ad un uomo quarantenne, padre di famiglia, che aveva stretto un legame sentimentale con una ragazza così giovane, di soli diciotto anni. Gli avrebbero tolto la custodia di Emma. Rischiava di perdere sua figlia così, perciò doveva mantenere il riserbo.

Perso ancora in cupi pensieri, l'uomo non si era reso conto di essere stato interpellato da Sara, la madre della ragazza di cui era innamorato. La donna aveva appena terminato il suo turno di lavoro e si stava dirigendo verso la propria Lancia Musa, parcheggiata poco lontano dalla Fiat 500 azzurro scuro del moro.

"Ivan! Ma ci sei o ci fai?" l'apostrofò, strappandolo ai suoi pensieri.

"Come, scusa?" sbottò lui, negli occhi un'espressione confusa e sospresa.

Sara rise, schermandosi con la mano le labbra, così simili alla vermiglia bocca morbida e piena della sua primogenita.

"Sei distratto, oggi. Dimmi, è successo qualcosa di bello negli ultimi minuti?" indagò con negli occhi l'espressione di chi la sapeva lunga.

Ivan rimase sconcertato da quelle parole, comprendendo subito dallo sguardo eloquente dell'amica che era stata lei a spingere Cinzia a farsi avanti con lui.

"Sara! Ma sei stata tu?!"

"Suvvia, Ivan, non reagire così. Io l'ho fatto solo per te e per lei. Tu sei solo e ombroso come un cane bastonato. Lei invece è sola ed è interessata a te da quando ti sei separato legalmente da tua moglie. L'ho solo incoraggiata, tutto qui."

"Ecco perché sapeva la data del mio compleanno. Gliel'aveva potuta dire soltanto qualcuno che mi conosce bene, perché di certo lei non poteva saperla, dato che siamo solo conoscenti" rifletté il moro con un certo disappunto, massaggiandosi il mento ispido con una mano.

"Proprio così" asserì la castana, rivolgendogli un sorriso di scusa. "Perdonami... so che non vuoi nessuno intorno, ma non puoi rimanere sempre e solo a rimuginare su ciò che ti è capitato. Così finirai solo per deprimerti di più e isolarti. E il tempo scivolerà via, e tu starai ad incupirti e ad autocommiserarti quando invece potresti avere una nuova compagna, o comunque qualcuno con cui parlare, con cui approfondire la conoscenza, con cui uscire... Chissà, forse se trovassi quella giusta potresti costruirti una nuova famiglia. Tu vuoi altri figli, giusto?"

Vorrei dei figli che assomiglino alla tua fantastica Lidia, se mi permetti di dirtelo. E che abbiano la sua meravigliosa personalità e i suoi bellissimi occhi azzurri, si disse Ivan, pensando con tenerezza alla ragazza. Quando avrebbe potuto rivederla? Ormai era da tanto che non riusciva più ad incontrarsi con lei.

"Certo. Emma vorrebbe tanto un fratello o una sorella. E io intendo dargliene uno almeno, dato che conosco la solitudine che un figlio unico si ritrova spesso a provare" rispose l'uomo con un sorriso intenerito al pensiero della figlia. "Però voglio che, qualora trovassi la donna giusta per me, sia seria e volenterosa di costruire una famiglia, di voler trascorrere con me la vita e non solo una manciata di anni. Soprattutto, voglio una partner fedele. Non voglio ripetere l'esperienza che ho avuto con Alessia."

"Io ti avevo detto di non sposarla" lo rimbeccò la collega, incrociando le braccia.

Ivan sospirò, conscio di essere stato un perfetto idiota ad aver preso quella decisione.

"Ormai è successo e non posso stare a piangere sul latte versato. Posso soltanto accettare la situazione, andare avanti e ricostruirmi una vita, cercando la persona giusta con cui condividerla."

"E non credi che Cinzia meriti una possibilità? Non la conosci nemmeno."

"Non la conosco personalmente, ma so abbastanza delle chiacchiere che circolano negli spogliatoi maschili. Anche noi uomini siamo pettegoli, sai?" e sorrise appena con sarcasmo. "Girano anche tra noi le voci. Cinzia non è propriamente una santa. E poi lei non mi interessa. E' una bella donna, lo ammetto, ma cos'altro ha da donare? Non è seria, non è costante. Forse sbaglio a giudicarla. Forse dovrei concederle una chance. Ma non ama nemmeno i bambini. E lei dovrebbe addirittura diventare la mia partner? Di me, che ho una figlia? Una figlia iperemotiva, per giunta. Non sarebbe capace di renderla felice, non andrebbero d'accordo. Perciò credo che sia meglio per me essere single piuttosto che fidanzato con una donna che non potrebbe rendere in alcun modo sereni né me né Emma."

"Secondo me, tu hai solo paura di esporti. Hai subito per anni un matrimonio che si è rivelato infelice per te, per Alessia e adesso anche per Emma" commentò Sara con un tono di voce flebile, per paura di offendere l'orgoglio dell'amico.

Ivan assentì con un cenno del capo, chinando lo sguardo.

"Forse" ammise con un certo imbarazzo, sentendosi in colpa nel mentirle. Perché lui si era già esposto con un'altra ragazza, ma non poteva certo rivelarlo alla madre della suddetta. "E poi, mi sto frequentando con qualcuno, perciò vorrei concentrarmi solo su di lei, al momento..." aggiunse sovrappensiero, pentendosi poi subitaneamente delle proprie parole.

Ora Sara si era incuriosita. E lui doveva mantenere segreta la sua relazione con Lidia, cazzo!

La donna levò su di lui uno sguardo sorpreso ed indagatore, un sorriso tremendo che andava delineandosi sulle labbra.

"E chi sarebbe la fortunata?" chiese, preparandosi a assediare l'uomo con la propria famosa modalità di quarto grado.

"Ehm... è una donna... una donna che ho conosciuto in palestra" s'affrettò a dire Ivan, facendo lavorare il cervello celermente per trovare un modo di togliersi dagli impicci.

"E come si chiama?"

"Si chiama... Daria."

Il moro disse quel nome in un singulto, maledicendosi poi da sé per la tensione che faceva trapelare dal suo modo di parlare. Tremava per l'agitazione. Doveva essere più calmo. Doveva convincere la collega di ciò che diceva, non indurla a sospettare e cercare di venire a sapere chi fosse veramente la persona con cui si frequentava. Perché, se avesse indagato a fondo e per bene, avrebbe potuto scoprire che si trattava di Lidia, la sua primogenita, una ragazza di soli diciotto anni.

Cazzo, Sara, si chiama Lidia! Lidia, come tua figlia, perché è tua figlia! Io mi frequento con tua figlia di nascosto, perché altrimenti non ci sarebbe permesso vederci. Ecco con chi mi vedo: con tua figlia, la meravigliosa ragazza di cui mi sono innamorato. Perché io la amo, Sara, la amo!, avrebbe voluto urlarle in faccia, gridarle il suo amore per Lidia, per la figlia della sua collega, una ragazza di soli diciotto anni che aveva fatto irruzione nella sua vita grigia e spenta trascinando con sé gioia, vitalità, voglia di vivere, amare e sperimentare, un turbinio di novità che avevano dipinto di ogni colore possibile la sua piatta, deprimente esistenza, facendolo tornare a sorridere ed essere sereno, a voler perseguire la felicità.

Lui amava Lidia, ora ne era certo. Lei era una delle due ragioni per cui continuava la sua vita. Insieme ad Emma, Lidia era la sua unica fonte di gioia. Lui l'amava. Forse era presto per dirlo, forse era solamente ancora sopraffatto e soggiogato dalla novità che aveva stravolto la sua vita appena tre mesi prima. Lui aveva già dichiarato di amare Alessia in passato, eppure mai aveva provato un trasporto simile, una felicità e un'eccitazione al pari di quelle che gli provocavano la relazione con Lidia. Se ciò che provava per la diciottenne non era amore, gli si avvicinava comunque tantissimo.

Perciò era quasi sicuro dei propri sentimenti. Ora però voleva sapere che cosa provava lei nei suoi confronti.

Gli balenò in mente un'idea azzardata e assolutamente folle, perché rischiava di esporsi troppo e magari pure di essere scoperto, se disgraziatamente Sara o Domenico si fossero accorti della sua presenza. Abbozzò comunque un piano nella propria mente, da attuare di lì a pochi giorni. E Lidia doveva restare all'oscuro delle sue intenzioni. Sarebbe stat una bella sorpresa per lei e anche per se stesso. Nel giorno del suo compleanno, magari. Sì, l'idea si prospettava fantastica.

Avrebbe tanto voluto dirlo a Sara: dirle che amava sua figlia e che avrebbe voluto vivere con lei il legame che li univa, perché era tremendamente stanco di tenersi dentro tutto, di essere costretto a nascondere la loro relazione agli occhi del mondo intero che non l'avrebbe accettata. Ma non poteva. Rischiava troppo, tutto. Perciò tacque, lasciando che fosse la sua voce interiore, la sua coscienza, a gridare ciò che provava realmente e a scaricare l'ingorgo di emozioni che intrappolava dentro sé.

"E perché non mi hai detto nulla di lei?" proseguì Sara con le domande, completamente ignara della lotta interiore che infuriava nell'animo dell'amico, gettandolo in uno stato di profondo turbamento.

Perché anche i sensi di colpa nei confronti di un'amicizia di vent'anni tradita in quel modo si facevano sentire, pesanti ed accusatori come il dito di un avvocato puntato contro l'imputato.

"Perché ancora siamo usciti solo una volta ed è troppo presto per parlare di una relazione seria" s'inventò al momento l'uomo. "Però come donna mi piace. E' grintosa, seria, matura, vivace, sincera, testarda, con una logica ferrea, un'intelligenza arguta, una certa carica di humour e sarcasmo e... be', lei è molto altro ancora. Ha una bellissima personalità, poliedrica, piena di mille qualità, per quanto ho potuto intuire e comprendere. Ha anche un bel corpo, un viso particolare, degli occhi meravigliosi. E mi piace molto. Credo che ci rivedremo, ma non so cosa lei pensa di me, per cui potrebbe benissimo trattarsi di questa sola uscita e basta."

Ivan aveva descritto il carattere e l'aspetto fisico di Lidia per com'erano, ma Sara non trovò nemmeno una sola somiglianza d'indole tra la figlia e la donna immaginaria descritta dall'amico, perché considerava la ragazza sotto tutt'altra luce, cioé immatura e ostinata. Intelligente, sarcastica e sincera, ovviamente, ma anche disobbediente e assai rompibocce, come la donna diceva per evitare di dire rompiballe. Perché quella le pareva proprio una brutta, volgare parolaccia.

"Se avessi saputo che uscivi già con un'altra, non avrei mai tentato di spingere Cinzia tra le tue braccia... Perdonami" mormorò l'amica con un sorriso di scusa. "Spero per te che questa storia vada in porto. E dimmi, hai una sua foto? Vorrei proprio vedere com'è fatta lei."

A quella richiesta Ivan si sentì gelare il sangue nelle vene. Lui aveva qualche foto con Lidia: in alcune erano ritratti insieme, in altre c'era lei da sola. Ma non poteva certamente fargliele vedere.

"Ehm, no, io... io non ho foto. Siamo usciti solo una volta insieme, è decisamente troppo presto per scattare una fotografia insieme" ribatté Ivan, scoppiando poi a ridere di fronte all'aria esterrefatta di Sara.

"Oh, hai ragione!" esclamò lei, unendosi alla risata di Ivan. "A volte faccio delle domande così sciocche..."

"E' stato bello parlare insieme a te, ma adesso devo andare. Emma mi aspetta a casa ed è da sola. Alessia fa il turno di notte, oggi" s'affrettò a dire Ivan successivamente, chinandosi un po' sul volto di lei e salutandola con un bacio sulla guancia per poi sgusciare via e salire nella propria auto, allontanandosi poco dopo.

Intanto la donna pensò alla bambina di Ivan e Alessia, sospirando tristemente al pensiero della solitudine e della malinconia che certamente segnavano le sue giornate. Avrebbe voluto fare di più per rendere più stabile l'infanzia di Emma, ma non poteva fare molto. Tuttavia, le venne improvvisamente un'idea in mente per renderle quella serata più serena, decidendosi quindi a seguire Ivan fino a casa sua per esporgli la propria trovata e convincerlo - o, meglio, costringerlo - ad attuarla. Non si aspettava che un sì per quella proposta, perciò si catapultò nella Lancia e accese il motore, ingranando la marcia e inseguendo Ivan fino a casa sua per parlargli del suo progetto.

Intanto, nella Fiat 500, solamente quando fu distante da Sara il moro si permise di tirare un sospiro di sollievo.

La prossima volta dovrò essere più cauto, altrimenti potrebbe scoprire tutto, si rimproverò aspramente, svoltando a destra mentre tornava a casa dalla figlia.

 

***

 

Lidia tirò un sospiro di noia, sbadigliando poi pesantemente. Aveva appena terminato un saggio breve per letteratura tedesca, che doveva consegnare per il giorno dopo al Prof. Marzi. S'intitolava Ein kleiner Kommentar zum Gedicht 'Der Panther'° e le era riuscito piuttosto facile buttare giù alcune righe e scrivere un testo su quel breve componimento di Rainer Maria Rilke.

La ragazza provava un amore viscerale per la letteratura teutonica. Amava l'aura mitica e favolistica nella quale era avvolto il Nibelungenlied°°, la meravigliosa produzione poetico-letteraria medievale e moderna, le favole dei fratelli Grimm, le gloriose opere di Stendhal, Thomas Mann, Hesse, Kafka, le pièces teatrali di Brecht, le nuove correnti letterarie contemporanee della Germania nata dalle ceneri delle ex-Repubbliche sovietica e democratica scaturite dalla divisione del Paese alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Lidia era per metà madrelingua tedesca, anche se le radici familiari affondavano solo alla lontana nella nordica stirpe germanica, e, di conseguenza, amava alla follia tutto ciò che faceva parte di quella cultura un po' anche sua. Amava la musica classica, che a volte preferiva ascoltare quando non le andava di scatenarsi al ritmo delle sue canzoni preferite - immancabilmente di genere rock e nu metal. Adorava le sinfonie di Beethoven, le sonate e le opere di Bach, Haendel, Mozart, Schumann, Liszt, Wagner. Amava ogni singola espressione culturale tedesca, perché era parte di lei, della sua cultura, della sua eredità genetica. Così come la cultura e la lingua italiana occupavano un posto speciale nell'altra metà del suo cuore.

Riponendo i libri giusti per la lezione del giorno successivo nello zaino vuoto e abbandonato in un angolo della camera, la ragazza si levò in piedi dalla scrivania, stiracchiandosi e sbadigliando ancora. Aveva letto un sacco di opere in tedesco e conosceva Rilke, perciò le risultava alquanto noioso, nonché facile, svolgere tutti quegli odiosi saggi ed esercizi di letteratura germanica per Marzi, quando questo sapeva perfettamente che la signorina Draghi - come lui, professionalmente, soleva chiamarla - era quasi al suo stesso livello di conoscenza e poteva benissimo prendere il suo posto e fare lezione in vece sua.

Lei odiava Alberto Marzi. Metà delle sue compagne di classe lo idolatravano per l'aspetto piacevole e lo sguardo arrogante e sicuro di sé che gli donavano quell'aria da bad boy un po' troppo cresciuto, tuttavia non prestavano attenzione alla sua professione e alla sua arroganza, alla sua superbia senza limiti, alla sua aria di superiorità. Lui riempiva di compiti i suoi alunni, così come tutti i professori, del resto, ma sembrava provare un sadico piacere nell'osservare il volto della sua finora migliore studentessa rannuvolarsi per l'irritazione e l'insofferenza. Quella giovane stanga di un metro e novanta dal fisico perfetto e dalla dose di stronzaggine ai massimi livelli del suo professore di tedesco doveva proprio odiare a morte lei e l'intera quinta linguistico, perché con le altre sue classi non si comportava così. Peggio, con altri suoi alunni e alunne non si relazionava in quella maniera. Che la stesse bersagliando e mettendo alla prova per sfidare la sua saccenteria?

Ok, sfida accettata. Ma sarò io a trionfare.

Con quella convinzione a renderla più baldanzosa, Lidia uscì dalla sua stanza, discendendo a passo tranquillo la scala interna della casa mentre fischiettava quietamente le note pacate di 'Lonely Day' dei suoi amati SOAD, che si sposava alla perfezione con la situazione vissuta in quella giornata.

Effettivamente, quello era stato proprio un giorno solitario. Erano già le nove e dieci di sera e lei aveva appena terminato i suoi compiti banali, i quali erano stati iniziati intorno alle quattro di quel solitario pomeriggio passato a casa ed erano stati interrotti dall'altrettanto quieta cena per una sola persona che si era divertita a cucinare da sé.

Era stata per tutto il giorno per conto proprio. Era tornata a casa da scuola in bici perché la madre non poteva venire a prenderla, dato che era entrata per il turno lavorativo pomeridiano già intorno all'una e mezza. Eva era rimasta con Matteo, il suo fidanzato, per una giornata inseme e restava a cena da lui. Suo padre Domenico, come al solito, non c'era. Sua madre Sara sarebbe rientrata di lì a poco. E allora Lidia avrebbe potuto dire addio alla sua tanto anelata tranquillità.

Desiderosa come non mai di sfuggire alle invadenti e fastidiose chiacchiere materne, la castana si precipitò nuovamente nella propria camera, spogliandosi in fretta per poi estrarre il pigiama dal letto sveltamente sfatto e infilarselo per sfuggire al brivido freddo che le carezzava la schiena, attraversandole lentamente tutto il corpo. Poi Lidia si fiondò in bagno, si lavò rapidamente e tornò nella camera da letto, afferrando il pc e accendendolo. Aprì il suo account di Twitter, leggendo gli ultimi aggiornamenti dei suoi idoli sul popolare social network.

Ben presto, intorno alle nove e mezza, la giovane avvertì il brontolìo cupo di una macchina che parcheggiava nelle vicinanze della casa, poi un altro motore in avvicinamento che si spegneva poco distante, il ben noto rumore secco e preciso della serratura dell'ingresso che scattava, poi il breve cigolio del portone d'ingresso spalancato, quindi i passi agili e rimbombanti della figura un po' goffa della madre che facevano risuonare il parquet dell'atrio. Si aspettava di essere chiamata dalla vocetta talvolta stridula, talvolta squillante della donna che l'aveva messa al mondo nei successivi primi tre secondi, ma ciò non avvenne. Contò i secondi, stupita e vagamente impensierita da quel comportamento inusuale.

Uno, due, tre. Niente. Nessun rumore giungeva dal piano inferiore. Che stava combinando sua madre? Meglio, si trattava di sua madre? Quattro, cinque. Si udirono altri passi, più pesanti dei precedenti. Si trattava forse di un uomo? E chi poteva essere, suo padre, forse? Sei, sette. Altri passi. No, erano il trotterellare di qualcosa. Cioé, di qualcuno. Un bambino, forse. O una bambina? Otto, nove, dieci...

"Lidia! Tesoro, scendi! Abbiamo visite" la chiamò a gran voce la madre, facendola sobbalzare per la tensione e capitombolare giù dal letto, rotolando con un lamento malrepresso per metà della stanza, il computer ancora in mano che stava quasi per essere schiacciato dal suo peso.

"Mamma, ma che cazzo combini? Mi hai fatto prendere un colpo!" gridò la ragazza irosamente, sentendo il nodo d'ansia e tensione formatosi nel suo petto sciogliersi subito dopo aver udito quelle parole, a loro modo rassicuranti.

La giovane si levò in piedi, posando il pc acceso sul ripiano della scrivania, infilandosi poi una semplice vestaglia da camera in tinta unita rosa antico e le infantili pantofole a forma di orsacchiotto per scendere, subito dopo una veloce occhiata nello specchio a parete per accertarsi di avere un aspetto presentabile.

Uscendo dalla stanza, si avviò verso la scala per scendere al piano inferiore, ma in un batter d'occhio si ritrovò seduta a terra, con un corpicino sottile e trepidante tra le braccia e il volto sorridente e luminoso di gioia di Emma a pochi centimetri dal suo.

"Emma?!" esclamò Lidia, sorridendo istantaneamente alla bambina e stringendola dopo in un abbraccio energico e affettuoso, stritolandola fra le braccia magre ma volitive.

"Lilli!" sussurrò la piccola, tuffando la testolina mora nell'incavo del collo della ragazza, nascondendo lo sguardo gaio che si rifletteva nei suoi liquidi occhi ambrati.

"Piccola, che ci fai qui?" l'interrogò la giovane, carezzandole piano la testa mentre, con ancora la bambina tra le braccia, si levava in piedi appoggiandosi esclusivamente sulle proprie gambe. "Non dirmi che sei da sola..."

"No, con me c'è il papà!"

"Ivan?" Lidia sgranò gli occhi per la sorpresa e l'improvvisa gioia che la pervasero, cancellando l'irritazione per la brusca chiamata della madre.

La castana corse freneticamente giù per le scale, gettando al vento la prudenza per qualche pericoloso istante, con Emma ancora in braccio ed un sorriso smagliante ed euforico dipinto sulle belle labbra vermiglie e piene.

"Ivan!" lo chiamò a voce gioiosa, mentre questo la avvolgeva nella sua stretta delicata ma indissolubile.

Si ritrovò gettata contro il suo addome muscoloso e, complici la momentanea assenza della madre entrata nel salotto e lo sguardo della bambina chino a terra, che così non si sarebbe accorta di nulla, la castana si sporse in punta di piedi contro il volto reclinato e perfetto del suo uomo, stampandogli un rapido bacio a fior di labbra. Quindi l'abbraccio si sciolse e i due arretrarono di un passo, mentre cercavano di dissimulare la felicità che era balzata ai loro occhi, in modo da evitare la curiosità e l'impudenza di Sara.

La donna fece ritorno un istante dopo.

Che tempismo, Lidia. Mi meraviglio di te, si complimentò la vocina interiore della ragazza, grondando sarcasmo da tutte le parti. Voce che lei ignorò.

"Figlia mia, potevi metterti qualcosa di meglio sopra al pigiama invece che questa vestaglia... e le ciabatte, poi! Non sei un po' troppo informale, così?" esordì subito Sara, partendo alla carica con le solite critiche che rivolgeva alla sua primogenita. "Va' a cambiarti, su! Non ci si presenta così."

Lidia, fermamente decisa a non permettere che la madre potesse incrinare il suo fragile buonumore e la serenità di quei momenti, era pronta a replicare con aggressività alle frasi dissenzienti della donna, ma fu agilmente preceduta da Ivan, che voleva evitare liti di fronte a Emma e tra le due parenti.

"Sara, non fa nulla... non è mica vestita in modo così inappropriato. E poi Lidia non poteva certamente sapere che saremmo venuti da te per una visita senza preavviso, perciò si è presentata con indosso solamente ciò che è solita portare in camera da letto. Non essere critica con lei. Piuttosto, sii critica con me, che ho voluto accettare il tuo invito" la ammansì l'infermiere, placando l'animo della ragazza offuscato dal fastidio e l'aspra disapprovazione della donna.

"Ah, Ivan, allora dovrei criticare me stessa, dato che ti ho invitato io" lo contraddisse Sara ridendo bonariamente, chiudendo così la breve discussione con la figlia.

Lidia la guardò di sbieco, decidendo di ignorare qualsiasi altra osservazione sarcastica della madre, facendo poi cenno ad Ivan di seguirla in salotto mentre sistemava Emma a sedere su uno dei divani della grande stanza al piano terra.

"E, ditemi, come mai qui? Perché la mamma vi ha invitati?" chiese Lidia ai due, una volta che si fu accoccolata accanto alla bambina per poter discorrere con loro.

"Non credevo che il tuo affetto per noi fosse così profondo, Lilli. In effetti, sembra che la nostra presenza a casa tua ti sia alquanto sgradita" la prese in giro Ivan, facendole poi scherzosamente la linguaccia e scoppiando a ridere mentre la sua interlocutrice arrossiva violentemente a quell'osservazione, chinando velocemente lo sguardo.

"N-no, ecco... io..."

"Tranquilla, Lidia, stavo scherzando" replicò l'uomo con un sorriso, allungando una mano per sfiorarle con una carezza lenta e delicata la guancia infiammata. "Le tue domande sono pertinenti. Non ti potevi certo aspettare visite a quest'ora di sera. E specialmente da noi due."

"Ecco, infatti" lo rimbeccò la ragazza, cingendo poi una ridente Emma con un braccio.

"Comunque, come già chiarito prima, siamo qui per iniziativa di Sara. Sai, una delle sue idee improvvise e anche un po' sconclusionate. Qeesta però non è così cattiva, per vari motivi." Lidia comprese subito l'allusione. "Secondo lei, comunque, mia figlia è troppo giù di morale in questi tempi e crede che la compagnia di una ragazza che le è amica, ossia tu, le potrebbe giovare molto. E credo che abbia assolutamente ragione. Perciò siamo venuti qui. Emma desiderava davvero vederti e ha insistito per farti un saluto stasera. Non staremo qui per molto, almeno non oggi. Fra mezz'ora dobbiamo tornare a casa, perché Emma deve andare a nanna."

"Ma io non ho sonno!" protestò vivacemente la bambina, gonfiando le guance d'aria per simulare la propria contrarietà.

"Ma almeno una o due volte alla settimana ci vedrai qui, forse. Magari anche a qualche cena tra la mia famiglia e la tua. E non sempre qui a casa tua, ma anche a casa mia, in modo da non crearvi sempre incomodo" continuò imperterrito l'uomo, scompigliando allegramente i capelli della figlia, che rise divertita e poi protestò per quel fastidioso trattamento.

"Tu hai già cenato, Ivan? Perché la mamma oggi mi aveva detto che avevate entrambi il turno pomeridiano..." si premurò la ragazza.

"Tranquilla: oggi, a parte intorno alle quattro e mezza, quando abbiamo affrontato un codice rosso, non abbiamo avuto granché da fare al Pronto Soccorso. E nemmeno tua madre nel reparto a cui è stata assegnata, perché ci siamo incontrati alle otto. Abbiamo cenato alla mensa dell'ospedale."

"Sicuro che sia solo Emma a desiderare di vedermi il più possibile?" lo provocò lei sottovoce, lanciandogli un'occhiata eloquente da sotto il sopracciglio arcuato e sollevato in un'espressione interrogativa.

L'uomo sorrise di rimando.

"Credo che non sia l'unica. Forse dovresti aggiungere anche me a quella lista di persone" mormorò.

I due ridacchiarono brevemente, poi cominciarono a conversare del più e del meno, trascorrendo insieme una mezz'oretta soltanto, con Sara che si affaccendava per rimettere a posto delle cose in giro per la casa, unendosi raramente alla conversazione e con Emma che pian piano scivolava nel sonno, la testa a penzoloni posata infine sulla spalla del padre. Un sorrisetto beato le schiudeva le labbra soffici e fine come quelle del padre.

L'uomo prese la figlia tra le braccia poco dopo. Osservando l'orologio dello schermo del suo cellulare, si accorse che erano già le dieci passate.

"Devo tornare a casa, Lidia..." sussurrò desolato, abbassando lo sguardo. "Emma deve dormire, domani mattina ha scuola."

La ragazza assentì mestamente col capo, voltando lo sguardo. Quei momenti insieme trascorsi sotto il controllo di sua madre e con la presenza della bambina erano passati senza che loro potessero veramente parlare in modo libero. Il pensiero di averlo così vicino ma di non poterlo nemmeno stringere a sé e baciarlo senza il timore di essere scoperta da Sara faceva ribollire di impotenza e frustrazione il suo animo turbato.

"Va bene. Ti accompagno alla porta" replicò Lidia, andando poi a cercare la madre per dirle che il suo collega tornava a casa.

La donna scese velocemente dal piano superiore della casa per dare la buonanotte all'infermiere e alla piccola, invitandoli a tornare una di quelle sere, poi tornò di sopra frettolosamente per poter azionare la lavatrice, chiudendo lo sportello del detersivo e regolando la temperatura dell'acqua e le modalità di lavaggio. I due amanti intravidero al volo l'occasione di potersi salutare più intimamente e la colsero, uscendo subito dall'abitazione.

Lidia si richiuse il portone alle spalle, appoggiandosi poi ad esso con il dorso. Ivan depose la figlia nell'auto, tornando poi rapidamente dalla ragazza per poterla abbracciare. Ben presto lei si ritrovò fra le sue braccia, avvertendo il sapore ormai familiare ed eccitante delle labbra dell'uomo contro le proprie, approfondendo quel bacio e aderendo con il proprio corpo tremante alla sua sagoma imponente che la sovrastava.

I due si scambiarono un bacio intenso, profondo, travolgente, ma dovettero separarsi presto, dato che Lidia doveva rientrare in casa per evitare i sospetti della madre. Gli occhi nocciola di Ivan si fissarono ostinatamente nei suoi, comunicandole tutto la propria amarezza per quell'ennesima separazione.

"Ma non preoccuparti, tesoro, perché ci rivedremo presto. Una di queste sere. Così potremo avere la scusa di trascorrere anche qualche istante insieme da soli, come adesso" rise l'uomo, sfiorando le sue labbra con un altro bacio.

"Non ti sembra di comportarti come un adolescente ricorrendo a questi sotterfugi per potermi incontrare?" lo schernì la ragazza, sorridendogli con impertinenza e divertimento.

"Almeno ho la scusa per frequentarti assiduamente e regolarmente" replicò l'uomo, posando una leggera carezza sul suo meraviglioso volto candido e dagli zigomi lievemente sfumati di rosa chiaro, prima di sfiorare con un bacio la sua fronte lattea.

Quindi Ivan sparì nella notte, dirigendosi lentamente verso la propria auto, le iridi nocciola ancora volte a contemplare la figura tremante di freddo della sua amata Lidia che se ne stava a osservarlo nell'oscurità dall'ingresso della dimora, il cuore ancora pulsante a mille per il tenero sentimento d'amore che era sbocciato in lui nei confronti di quella ragazza straordinaria e dolcissima.
 

***


"Lidia, credo che Ivan ti abbia spiegato il motivo per cui è stato qui insieme ad Emma stasera" esordì la donna non appena la figlia rientrò in casa.

La ragazza annuì appena, celando l'espressione rattristata e assumendo un'aria indifferente.

"Sì. Ma non capisco molto il senso. Io, in fondo, cosa posso fare per Emma? Tenterò di renderle questo periodo meno difficile, ma tu ed Ivan non contate su di me, perché potrei anche fallire. In fondo ho solo diciotto anni, mica sono una psicologa" le fece presente la castana, guardandola negli occhi con un certo scetticismo.

"Sicuramente anche tuo padre sarà dello stesso avviso." Sara sospirò pesantemente. "Però pensa ad Emma... sola nella tempesta ad osservare i propri genitori che combattono fra loro per la sua custodia. Non possiamo abbandonarla, povera piccola. Noi..."

"Sì, mamma, lo farò. Neanche io voglio che soffra troppo. E' piccola e un divorzio difficile come questo sembra prospettarsi non le renderà facile la vita. Io intendo fare del mio meglio, però anche Alessia deve dimostrarsi una madre migliore e deve comportarsi meno da stronza con sua figlia, perché io non posso tappare le falle del suo modo di crescere una bambina" ringhiò Lidia, stringendo i pugni con rabbia impotente.

La madre della giovane sospirò ancora.

"Io non sono nessuno per dirle come crescere Emma, però hai ragione. Ci parleremo. Non può rendere così difficili le cose ad Ivan e ad Emma."

"Emma soffre a causa di Alessia e Ivan non può caricarsi da solo del peso della sua sofferenza. Prima o poi cederà. Ma io allora prenderò quella sciagurata e gliela farò pagare per essersi comportata a quel modo. Quindi parlateci presto, prima che mi io incazzi troppo e faccia qualcosa di insensato."

Lidia era diventata nervosa. Il pensiero di Emma costretta a elemosinare un po' d'affetto altrove e non averlo, come di sacrosanto diritto per ogni bambina, dalla propria madre le aveva distrutto il cuore. Ora odiava quella donna da morire. Gliela farò pagare, si disse la ragazza serrando la mascella. Per Emma e per Ivan. E anche per me, perché così il divorzio sarà più difficile e incontrare Ivan diventerà un'impresa ancor più ardua.

"Tranquilla, Lilli, tutto si sistemerà. Comunque, te la sentiresti di vedere ogni tanto la bambina, magari la sera, sia a casa nostra che a casa di Ivan? La tua presenza la tranquillizza e diventa più serena. Sei uno dei pochi punti di riferimento per quella bambina" la pregò la madre.

Lidia non ebbe nemmeno bisogno di pensarci su. Aveva già deciso tempo prima. E aveva fatto una promessa.

"Non devi nemmeno chiedermelo. Lo farò senz'altro. Però anche voi provvedete a fare la vostra parte, perché altrimenti con quella vipera di Alessia ci parlerò io. E non sarà piacevole per lei. Il fatto che Emma soffra per colpa sua mi fa letteralmente imbestialire, perciò non so cosa potrei farle."

"Ivan ti è profondamente grato, figlia mia... per lui la situazione è molto difficile da sostenere. Il tuo aiuto sarà prezioso."

"Tranquilla, mamma. Io per Emma ci sarò sempre" le confermò con determinazione, guardandola fermamente negli occhi azzurri e glaciali come i propri.

E anche per Ivan ci sarò sempre.
 



 

 
***


°Un breve commento sulla poesia 'La pantera'
°°Canto dei Nibelunghi


N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto grazie mille per le recensioni del capitolo scorso, le ho apprezzate molto! E poi anche grazie a chi segue la storia: siete sempre di più ogni volta che aggiorno e ciò mi dà nuovi impulsi e grande entusiasmo a scrivere la storia.
Comunque, che ne pensate di questo capitolo? Ero un po' incerta nel postarlo, non so... mi sembra che non sia granché. Ma lascio il giudizio a voi. Spero solo che non faccia troppo schifo xD
Comunque, grazie a hi_guys, Lachiaretta, controcorrente e JukeAtena per essere passate ed aver lasciato un giudizio!
Be', alla prossima, allora, e buon venerdì mattina! :D


Flame

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


20.



 

"Lidia, sbrigati, oppure sarai in ritardo per la scuola!" strillò Sara alla sua primogenita, rimproverandole di essere andata a dormire troppo tardi la sera prima.

Era ormai la fine di ottobre e le giornate si stavano accorciando drasticamente, ma le notti si facevano sempre più lunghe, cupe e fredde e la ragazza passava tanto tempo nel suo letto, sveglia fino a tardi al di sotto delle pesanti coperte autunnali, inviando messaggi ad amici, amiche e anche ad Ivan. Era felice della sua relazione con l'uomo, perché con lui non si costringeva a fingere sentimenti inesistenti come faceva con Roberto. Loro parlavano insieme di tutto, esponevano i propri problemi, cercavano insieme una soluzione. Soprattutto, si comprendevano e si rispettavano, senza criticarsi od offendersi mai. Non avevano mai litigato. Ogni tanto capitava che la spiccata ironia di Ivan la potesse irritare, ma poi i due scoppiavano a ridere insieme e si punzecchiavano a vicenda, senza prendersela mai sul personale.

La ragazza borbottò una sonora protesta quando la madre, ormai spazientita, entrò nella stanza e le strappò bruscamente via le coperte di dosso, facendole assaggiare la morsa del freddo di quella mattina del tardo ottobre. Tremando per il gelo che avvertiva alle spalle, la giovane si alzò suo malgrado dal letto e si fiondò a prendere i propri vestiti, vestendosi in fretta per evitare di sentire troppo l'aria freschissima sulla pelle. Sbadigliando ripetutamente, Lidia si diresse al piano inferiore della casa, trascinandosi a stento in cucina per costringersi a ingoiare alcune cucchiaiate di muesli e latte intero. Una volta in bagno, la castana notò allo specchio le spaventose occhiaie al di sotto degli occhi azzurri stanchi e opachi. Maledicendosi da sé per la propria idiozia, la ragazza si dette da fare, truccandosi abbastanza bene da poter nascondere quelle borse fin troppo visibili.

Con un grugnito di fastidio si precipitò di sotto, afferrando al volo cellulare, chiavi, portafoglio, cartella già preparata e cappotto per poi fiondarsi nell'auto del padre, che l'attendeva insieme ad Eva appena fuori dal cancello della loro abitazione, facendosi poi accompagnare a scuola.

Una volta in classe, essendo addirittura arrivata in anticipo, Lidia si appisolò per qualche istante sul ripiano del suo banco, venendo bruscamente svegliata da Christof, il suo compagno di classe tedesco, che la salutava in lingua madre con il familiare vocione profondo e gutturale.

"Hallo, Lidia! Wie läuft's?°" le domandò in lingua madre, posando lo zaino accanto al banco in prima fila e appendendo il cappotto pesante all'apposito attaccapanni a parete.

"Gut, danke, Chris" replicò lei con uno sbadiglio, sforzandosi di sorridergli. "Und wie geht's dir?°°"

"Nicht so gut. Ich möchte nur schlafen...°°°" e Christof soffocò uno sbadiglio.

Lidia rise a quelle parole, trovandosi proprio d'accordo con il compagno.

"Ach, ich verstehe dich! Ich möchte schlafen auch°°°°" ammise con un risolino, posando poi nuovamente la testa fra le braccia conserte e soffiando rumorosamente. Socchiuse gli occhi per un momento, ma qualche secondo dopo la calma appena raggiunta fu brutalmente spezzata.

Poi Céline entrò come una furia nella classe, precipitandosi davanti alla sua migliore amica mentre anche Enrico, appena arrivato, si avvicinava alle due per dare loro il proprio buongiorno.

"Lilli, ho scoperto una cosa su..." esordì a voce abbastanza alta la bruna, interrompendosi poi quasi subito perché metà dei compagni di classe della sua amica si erano voltati ad ascoltarla con interesse alquanto vivo. Avvampando per l'imbarazzo, si chinò con il volto verso quello di Lidia e di Enrico, che si era seduto accanto a lei per le prime due ore di lezione, dato che la compagna di banco del biondo era assente e Aurelia invece entrava alla terza ora in quanto doveva fare una visita medica, e mormorò il resto della frase a pochi centimetri dalle loro orecchie. "So quando Ivan compie gli anni."

A quella comunicazione la ragazza si ravvivò immediatamente, mentre un sorriso a metà fra il sognante e l'allegro si apriva sulle sue labbra rosse e piene al pensiero dell'uomo di cui si era innamorata.

"E come hai fatto a scoprirlo? Cioé, da chi lo hai saputo?" chiese di rimando, balzando in piedi e prendendo sottobraccio l'amica per trascinarla in un angolo della classe vicino all'ingresso dell'aula, in modo da non essere sentite dai suoi pettegoli compagni che parlottavano a bassa voce per carpire qualche frammento della loro conversazione.

"I miei genitori e i tuoi si stanno mettendo d'accordo per il regalo da fargli... Mamma mi ha detto che è nato il sette novembre. Compie trentott'anni" le rivelò, accigliandosi di colpo.

Lidia conosceva ormai bene quello sguardo pensieroso.

"Stai pensando alla nostra differenza d'età, non è vero?" indagò, gli occhi azzurri che la scrutavano con interesse.

"Non posso fare a meno di pensare che potrebbe essere perfino tuo padre, Lì. Anche a vent'anni si può diventare genitori. E lui ha vent'anni più di te. Chi non lo scambierebbe per tuo padre se voi poteste frequentarvi senza essere obbligati a mantenere la vostra relazione segreta?"

"Ivan dimostra molti anni in meno della sua reale età. Ha un bel corpo giovane e tonico e si mantiene in forma praticando jogging e frequentando una palestra. Inoltre si veste bene e i suoi capelli non sono nemmeno lontanamente tendenti al grigio o al bianco come quelli di mio padre, che dimostra un decennio in più di quanto in realtà non abbia. Non sembra un quarantenne; pare più vicino ai trenta che ai quarant'anni" replicò Lidia, cominciando a sentirsi scocciata da quel discorso che Céline continuava a ripeterle ogni volta che cadevano nell'argomento.

"Questo però non toglie nulla al fatto che la sua età biologica sia di trentotto anni."

"Lo so, ma che ci posso fare? Io sono innamorata di lui e non mi lascerò certo condizionare da una così piccola sottigliezza. E' vero, ho la metà dei suoi anni, ma che cosa importa se io e lui stiamo bene insieme?"

Ora Lidia si era immalinconita, sospirando pesantemente mentre pensava al fatto che invece, da molte persone, quella differenza d'età sarebbe stata vista come un enorme scoglio, come una barriera insormontabile. Specialmente se si trattava del divario tra una ventenne e un quarantenne. Certe cose la sua famiglia e molti amici e conoscenti non le avrebbero accettate così presto. O forse addirittura mai.

"Sai che non intendo giudicarti, in fondo la scelta è tua. Comunque, ti consiglio di stare attenta a Ivan, perché potrebbe anche deluderti." Céline assunse un'espressione tormentata, esprimendo così il proprio cruccio.

"Tranquilla, Céline, Lilì sa guardarsi le spalle da sola" le interruppe Enrico, unendosi alla conversazione tra le due.

Le interlocutrici sobbalzarono lievemente per la sorpresa, levando entrambe un sopracciglio con aria interrogativa e confusa.

"Sta arrivando la De Luca, perciò sono venuto ad avvertirvi" chiarì subito il ragazzo, levando le mani verso l'alto come a volersi discolpare di qualcosa.

"Ok, allora me ne torno in classe" decise Céline subito dopo, schioccando un rapido bacio sulla guancia della castana e poi su quella del biondo e dirigendosi verso l'uscita della classe.

Sulla soglia della porta la mora si bloccò, assumendo di colpo l'intenso colore di un papavero mentre abbassava lo sguardo per evitare le vivaci iridi castano chiaro di Heydar Lotfollahi, che, stranamente in ritardo quella mattina, proprio in quel momento faceva il suo ingresso a passo svelto nell'aula, rischiando quasi di scontrarsi con la ragazza. Il giovane iraniano le rivolse un breve sorriso di scusa, poi, salutandola con un cenno della mano, si fece cavallerescamente da parte per lasciarla passare, attendendo che la sua figura sottile e minuta avesse oltrepassato la soglia dell'ingresso per poter entrare in classe.

A quell'inconsueta reazione Enrico e Lidia aggrottarono le sopracciglia, guardandosi poi negli occhi con uno sguardo di intesa.

"Qui gatta ci cova" mormorò Lidia, sogghignando appena mentre si fiondava insieme al biondo a prendere posto ai propri banchi per evitare una possibile ramanzina da parte del professoressa di lingua e letteratura italiana, la quale comparve alla porta della quinta un nanosecondo più tardi.

Gemendo disperata, la ragazza fece cadere pesantemente la testa sulle proprie braccia conserte sopra il ripiano del tavolo, pregando qualsiasi entità superiore esistente, se qualcosa di superiore e ultraterreno esisteva davvero - lei non ci credeva in Dio -, di far volare quell'unica ora di letteratura italiana che l'attendeva con il suo carico di noia, previdibilità e obbligata attenzione.

Il mio unico desiderio è dormire!, protestò la sua vocina interiore gridando il proprio disappunto, senza tuttavia lasciarlo esternare.

Altrimenti chissà quale sarebbe stata la truce ed atroce reazione di quella fascista della De Luca, che in quanto a stronzaggine faceva competizione al nazista Marzi.


 

***


 

A ricreazione il numeroso gruppo cui appartenevano anche Lidia, Enrico e Céline si riunì al piano dei distributori di snacks, raggruppandosi intorno ad uno dei termosifoni accesi che riscaldavano gli ampi corridoi dell'antico palazzo trecentesco che ospitava l'Istituto Paritario "P. Calamandrei". Con una certa sorpresa da parte di tutti, anche Heydar e Valentina Conti, una studentessa della quinta scientifico amica di Antonio, Celia ed Alessandra, si erano uniti alla variegata comitiva. Era già da un po' che si aggiungevano al già nutrito capannello di ragazzi, ma ultimamente Heydar e Valentina non si erano uniti con la stessa frequenza di prima, avendo ciascuno già una propria cerchia di amicizie. Perciò la loro presenza stupì un po' tutti i giovani.

Lidia osservò con stupore che Céline era assai distratta e indirizzava almeno metà dei suoi sguardi all'iraniano, il quale se ne stava un po' discosto dagli altri a parlare con Federico, l'unico del gruppo con cui fosse veramente a suo agio.

"Che c'è, Céli? Qualche ragazzo ti ha appena rubato la lingua? Sei muta come un pesce" le sussurrò all'orecchio, facendola sussultare per lo spavento.

La bruna si voltò di scatto verso l'amica, fulminandola con lo sguardo.

"Non so di cosa tu stia parlando" replicò piccata.

"Io invece credo proprio di sì."

"Dovrei?"

"Ma certo" rispose la sua amica, cingendole le spalle con un braccio. "Comunque, devo dire che non hai per niente cattivo gusto. Il leoncino è proprio messo bene, fisicamente, e in più è anche così intelligente e gentile! Sì, hai davvero scelto bene, questa volta" osservò, guadagnandosi un'occhiata spiazzata da parte di Céline.

"Il leoncino? E chi cazzo sarebbe, scusa?"

La castana si abbassò, sussurrando all'orecchio della sua migliore amica.

"Se traduci il nome Heydar dal persiano, significa leone" le spiegò, ammiccando.

La mora, appena udì il nome del ragazzo, assunse istantaneamente la colorazione di un estintore, negli occhi scuri e scintillanti un'espressione imbarazzata e meravigliata.

"Come sei riuscita a capirlo?"

Lidia rise brevemente, ricambiando il suo sguardo sorpreso con un'occhiata intenerita.

"Ti conosco da quando ancora ce la facevamo nei pannolini, Céline... Credi davvero che non sappia che cosa ti passa per la zucca vuota dopo quasi diciotto anni di sincera e profonda amicizia?"

"Quanto parli bene con le tue espressioni raffinate" borbottò Céline, facendola scoppiare a ridere. "Comunque, facciamoci un giro, per favore. Ho bisogno di parlarti di questa cosa. Sono scombussolata" la pregò la mora.

Il trillo della campanella tuttavia infranse le sue speranze, notificando agli studenti che dovevano rientrare nelle classi per riprendere le lezioni restanti. Con un pesante sospiro rassegnato, Céline salutò Lidia, lanciando un'ultima occhiata a Heydar prima di svoltare l'angolo, dirigendosi quindi nella propria aula insieme agli altri suoi compagni di classe.

Lidia si affiancò allo studente iraniano, parlandoci tranquillamente mentre loro due, insieme ad Eliana, Federico, Alexandra, Aurelia ed Enrico risalivano il secondo piano dell'edificio, diretti verso la propria classe.

"La tua amica è simpatica, sai?" mormorò Heydar ad un certo punto della conversazione. "Di solito è così allegra e spigliata... oggi però mi pareva sottotono. Spero che non le sia successo qualcosa di brutto."

"Ti riferisci a Celia?"

"Sì. La tua amica con i capelli scuri."

"Esatto, proprio lei." Lidia sospirò, gettando un'occhiata al corridoio per vedere se il Prof. Diarena, il loro anziano insegnante di scienze che quel giorno sostituiva Castellucci, stava arrivando, poi entrò nell'aula, la cui porta le era stata cavallerescamente spalancata dal suo interlocutore. "Non le è capitato nulla di male, assolutamente. E' solo un po' giù di morale, tutto qui."

"Ah, ok." Heydar rimase per qualche istante in silenzio, poi aggiunse una frase. "Il fatto è che il suo buonumore si nota, perché è contagioso e coinvolge tutto il gruppo, tuttavia oggi mi pareva così malinconica..."

"Si tratta di un momento così così per lei. Si è lasciata qualche mese fa col suo ragazzo e ha avuto un po' di problemi a casa" fu la risposta studiata e per metà ingannevole della castana, che gli fece casualmente presente che Céline era libera da legami.

Perché, effettivamente, la sua amica era ancora un po' scossa da quella rottura con l'ex, ma non così tanto come Heydar poteva credere. Il suo sentimento d'amore per Diego si era bruciato definitivamente, giacendo come ceneri fredde in fondo al suo cuore ormai quasi indifferente all'ex-ragazzo.

"Oh, mi dispiace" disse senza molta convinzione il ragazzo, raddrizzandosi di scatto a quelle parole inattese.

Lidia vide brillare un impertinente luccichìo di timida intraprendenza nel fondo dei suoi caldi occhi ambrati.

"Ora è il caso di ritornare ai nostri posti, Heydar, altrimenti Diarena potrebbe anche arrabbiarsi se non ci trova già seduti. E' tranquillo, bonario e fin troppo concessivo come professore, ma non si sa mai" puntualizzò la castana con un risolino, accomodandosi poi al proprio posto in seconda fila e incitando il compagno di classe a fare altrettanto.

Seduta accanto a lei, Aurelia, che era entrata alla seconda ora e aveva recuperato in extrimis il posto di banco accanto a Lidia momentaneamente sottrattole da Enrico nella prima parte della mattinata, la osservò con gli occhi sgranati per la confusione e lo stupore.

"Lilli, ma... ma fra te e lui c'è del tenero, per caso?" chiese, sbattendo le lunghe ciglia ramate mentre accennava con un indice all'iraniano.

"Ehm, no. No. Davvero, non c'è proprio nulla. Perché me lo chiedi?" replicò Lidia esterrefatta.

"Per curiosità. Sai che c'è? Mi sembrate molto... molto più vicini, almeno oggi. Quasi intimi, oserei dire. Nel senso che parlottavate fra di voi e anche a bassa voce, non che eravate in atteggiamenti equivoci" si affrettò a chiarire la ragazza, passandosi una mano nella fluida chioma rossa raccolta in una coda alta.

"No, tranquilla... già mi bastano due ragazzi a rompermi le scatole, ci manca soltanto il terzo!" aggiunse la castana ridendo forte, guadagnandosi un'ulteriore occhiata incuriosita da parte della compagna di banco.

"Perché pensi che Heydar non potrebbe venirti dietro?"

"Perché... be', credo di non essere il suo tipo."

"Lui ti piace."

"No! Assolutamente no. E' un ragazzo carino, intelligente, gentile... insomma, è a posto, ma non è proprio il mio tipo. E poi te l'ho già detto, me ne bastano due di ragazzi a rompermi le scatole. Ci mancherebbe soltanto che Heydar si metta di mezzo e allora sarei proprio io ad essere a posto."

"E chi sarebbero questi due ragazzi?" l'interrogò Aurelia, dandole di gomito con un sorriso d'intesa dipinto sulle sottili labbra rosa pallido.

Lidia decise di accontentare la sua curiosità, nascondendo ovviamente la relazione con Ivan. Le disse soltanto una piccola mezza bugia.

"Si tratta di Gianluca, quella sottospecie di pseudo maniaco amico di Antonio..."

"Lui sì che è un gran figo! Beata te, Lì, sei corteggiata da un ragazzo così bello e affascinante! E tu lo respingi addirittura? Ma sei fuori come un balcone!" la interruppe Aurelia con un certo malcelato disappunto trapelante dalla voce squillante ed allegra.

"Se vuoi te lo cedo volentieri, io non so proprio che farmene" la tranquillizzò l'amica con una smorfia disgustata disegnata in volto.

"E l'altro chi è?" insistette la sua compagna di banco, dondolandosi sulla sedia già traballante, com'era sua abitudine fare quando era impaziente di sapere qualcosa.

"Si tratta di Roberto, il mio ex. Si è lasciato con la sua nuova fidanzata, la ragazza per cui io l'avevo mollato, e adesso è da un mese che, ogni tanto, mi contatta in chat per cercare di convincermi a ritornare con lui. Ma io non voglio. Mi ha tradita, e io non sono certamente così deficiente da rimettermici insieme! E poi non sono più invaghita di lui. Dopo che l'ho lasciato, l'ho dimenticato in fretta, per cui ciò che provavo nei suoi confronti sicuramente non era amore. Non potrei mai tornare con lui. Commetterei l'errore più grande della mia vita. Deve capire che deve starmi lontano."

"Roberto si è fatto vivo?!" esclamò Aurelia esterrefatta.

La sua voce si levò di un'ottava e risuonò abbastanza elevata da attirare l'attenzione di Enrico, il quale era seduto di banco in terza fila dietro alle due amiche.

"Il Mollusco si è fatto vivo? E quando?" s'intromise lui.

La parola mollusco causò un moto di ribrezzo in Aurelia, che si sentiva male anche solamente a guardarlo, un frutto di mare, detestando fino alla nausea il pesce e tutti i prodotti di derivazione marina. Una smorfia schifata distorse i suoi lineamenti delicati. Invece Lidia si voltò verso di lui.

"Che schifo i molluschi, io li odio!" esordì Aurelia con voce stridula e disgustata.

Il Prof. Diarena, entrato circa due minuti prima, lanciò, da dietro le spesse lenti degli occhiali, uno sguardo di rimprovero alla colonna centrale dei banchi, incapace di comprendere da dove provenisse quel chiacchiericcio molesto. Si soffermò per un momento sul volto di Lidia, una delle sue alunne migliori, che era voltato verso Enrico e Aurelia, e sospirò, sperando che la liceale non fosse distratta e che seguisse la sua spiegazione.

I ragazzi della quinta sapevano già che non avrebbero avuto il prof. di filosofia per quel martedì ed era stato detto loro di portare il tomo di chimica. Quindi Diarena aprì il libro alla pagina 379, intimando alla classe di fare altrettanto.

Tutti gli alunni obbedirono, compresi i tre distratti, quindi il docente chinò il capo sul volume di scienze, lasciandoli perdere per cominciare a spiegare.

La compagna di banco di Aurelia allora sospirò scoraggiata, lanciandole un'occhiata della serie tu-non-sai-ragionare-in-modo-normale. Quindi rispose ad Enrico, che la scrutava con vivo interesse.

"Sì, Enri, Roberto si è fatto sentire. Ha detto che vuole tornare con me, che si è pentito di avermi tradita e che vuole farsi perdonare" mormorò.

"Ma lui non ha ancora recepito il messaggio con quel suo cervelletto idiota? Deve starti lontano, quell'idiota di Molly (da Mollusco)!" sbottò a voce bassa il biondo, accigliato.

"Già è tanto se possiamo dire che un cervello ce l'ha. Senza cervello è difficile comprendere qualcosa" lo schernì la castana, facendo scoppiare a ridere il suo migliore amico e anche Aurelia. "Comunque, lui mi sta sul cazzo e mai e poi mai sarei così ingenua e stupida da decidere di dargli una seconda chance e ritornare con lui. Non potrei perdonarlo mai. Mi ha tradita per sei mesi. Mi ha ferita, mi ha fatta soffrire. Mi ha delusa, mi ha umiliata. E io non perdono chi mi tratta come un giocattolo da gettare via alla prima occasione. Questo lui lo sa. Quando prendo una decisione importante, sono irremovibile. E lui non si merita per nulla al mondo un'altra possibilità, perciò mi può implorare quanto gli pare, ma io non mi rimetterò con lui!"

Aurelia ascoltò quelle frasi con molta attenzione e, una volta accertatasi dell'intenzione dell'amica, tirò un profondo sospiro di sollievo.

"Per fortuna" si lasciò scappare di bocca.

Sentendo quelle due parole Lidia si accigliò. Perché Aurelia aveva tanto a cuore quella faccenda? Cosa le poteva importare di Roberto?

"Perché dici così, Aury?"

Aurelia stava per eludere la domanda, non sapendo che scusa inventarsi per evitare di dover confessare il vero motivo di quella rilassatezza.

"Per nulla, tranquilla. Era... un'osservazione, tutto qui. Anzi, è... è meglio per te. Hai deciso di non rimetterti con uno stronzo, e tante ragazze al posto tuo non avrebbero tutta questa determinazione" riuscì a balbettare alla fine.

Lidia decise che non valeva la pena indagare sul vero significato di quelle parole, perché essenzialmente non le importava graanché, poi, con un'alzata di spalle, si voltò con un sospiro esausto a prestare finalmente attenzione al Prof. Diarena.


 

***


 

Quel pomeriggio Lidia propose a Céline di uscire insieme, solo loro due, in modo da permetterle di parlare e di confidarsi circa i suoi sentimenti per Heydar mentre la castana cercava il regalo perfetto per Ivan ed escogitava un metodo infallibile per consegnarglielo più puntualmente possibile senza che nessuno li scoprisse insieme.

Si ritrovarono davanti all'entrata del centro commerciale non lontano dalla casa di Lidia alle quattro in punto.

"Hey, ci fermiamo da qualche parte prima di entrare nel centro? Ho voglia di mangiare qualcosa, in questi giorni ho sempre appetito" furono le prime parole che Céline rivolse all'amica non appena la vide.

"Che, per caso sei incinta e hai le voglie?" la prese sarcasticamente in giro l'amica, scoppiando a ridere fragorosamente.

Céline ignorò la battuta e le corse incontro, trascinandola quindi a viva forza in un locale non poco distante, un delizioso bar in cui servivano una squisita cioccolata calda e dolci calorici ma buonissimi, molto popolari nell'intero quartiere. Le due amiche si fecero servire un té e una cioccolata calda e due fette di torta al cioccolato guarnite con panna e cocco, che Lidia guardò con un certo imbarazzo.

"Questa torta sarà una bomba di calorie" commentò mentre assaggiava il primo pezzettino con una certa ritrosia.

"Se non vuoi mangiarla posso sempre farlo io per te" le ricordò Céline ridacchiando sarcasticamente.

"No, no, sta' pure ferma, me la finisco da sola!" l'avvertì con tono fintamente minaccioso la castana. "Per la verità, sono un po' restia a mangiarla perché tra marzo ed aprile ho anche una gara di corsa... E' da tanto che non mi alleno per bene, ma con questo freddo temo di non riuscirci. E io non sono iscritta ad una palestra, né tantomeno ho i macchinari per potermi allenare a casa. E non posso prendere troppo peso, altrimenti addio gare!"

"Scusa, ma non potresti chiedere a tua madre di iscriverti ad una palestra? Almeno ti puoi allenare per questa stramaledetta competizione senza doverti imporre sempre dei limiti in quanto a cibo. Già non mangi molto, vuoi per caso rasentare l'anoressia come Enrico, che ormai ci ha fatto la fissa con la magrezza?" le chiese Céline, ingoiando una grossa porzione della fetta.

Si sporcò le labbra di panna e cioccolata, impiastricciandosi il volto in modo così buffo che Lidia scoppiò a ridere, incapace di contenersi di fronte a quella comicissima faccia stupita dell'amica.

"Cielo, Celia, ma tu mangi sempre così?! Sei tutta sporca!" riuscì a dire alla bruna tra le forti risate che le scuotevano il petto, impedendole di parlare scorrevolmente.

L'amica, per tutta risposta, la guardò di rimando biecamente.

"Tu sei sempre gentile e cortese, eh?"

"Scusami, non ci posso far nulla!"

"Ok, ok, ma adesso torniamo alla questione più importante di tutte: la mangi o no quella fottutissima fetta di torta al cioccolato?" s'impose con decisione Céline, pulendosi il viso con un fazzoletto di carta mentre un sorriso divertito aleggiava sulle sue labbra carnose.

Quella domanda e quel tono di voce così serio e solenne provocarono nuovamente l'ilarità di Lidia, alla quale si unì la sua migliore amica con una gaia risata.

"Sì, me la mangio" la ammansì alla fine la castana, sospirando e continuando ad assaporare quella deliziosa porzione di dolce.

"Comunque, a proposito della palestra... non conosci nessuno che ne frequenta una? Almeno ti puoi anche far accompagnare."

A quelle parole Lidia s'illuminò.

"Ivan ne frequenta una!"

Céline quasi balzò in piedi a quella rivelazione, contenta per l'amica. Perché, se i suoi genitori fossero stati d'accordo a farla iscrivere, lei avrebbe potuto frequentare anche l'infermiere.

"Devi assolutamente chiedere a tua madre il permesso, almeno vi potete vedere!"

"Intanto devo prendere almeno sei alla prossima verifica di fisica, dato che non posso permettermi di rischiare per l'ennesima volta il debito. Quest'anno abbiamo gli esami, cazzo! Mi premierà sicuramente se riporto a casa almeno una sufficienza e mi permetterà di frequentare la palestra, magari pagandomi lei stessa l'iscrizione. Ci tiene tanto a che io studi... Poi, per il resto, credo che da lei il permesso mi sarà accordato molto facilmente: mamma si fida di Ivan. Ti ricordi che a Breuil-Cervinia mi mandava a correre con lui la mattina presto?"

Nonostante le parole incoraggianti, Lidia sospirò, sentendosi in qualche modo ostacolata.

"Che c'è che non va, allora?" le chiese la sua migliore amica, osservandola con preoccupazione e impazienza.

"Il problema è mio padre. Credo che lui sospetti qualcosa. Ti avevo parlato del fatto che ultimamente io e Ivan ci vedevamo abbastanza spesso durante la settimana perché mia madre ci aveva proposto degli incontri per garantire ad Emma la presenza di una persona amica di cui lei si fida? Ebbene, mio padre ha fatto una scenata a mia madre, qualche sera fa... dice che secondo lui quegli incontri non servono a nulla, che Emma non sarà meno infelice solamente perché io le sto accanto. Ha chiesto a mia madre di smetterla. E a me di non andarci più. Me lo ha ordinato, anzi. Me lo ha comandato con un tono che non ammetteva repliche. E mi ha guardata così male che credo sospetti che ci sia qualcosa fra me e Ivan... Ho paura, Céline. Ho paura che i miei genitori scoprano tutto, che Ivan perda la custodia di Emma, che io non possa più vederlo. Ho paura" le spiegò la ragazza con un singhiozzo sull'ultima sillaba pronunciata, imponendosi poi una maschera di compassatezza e serietà.

"Oh, Lì... mi dispiace tanto" le mormorò solidale l'amica di una vita, allungando una mano sopra al tavolino per stringere la sua, in modo da farle sentire tutto il proprio dispiacere e il proprio sostegno.

"Io credo di riuscire a spuntarla, ma mio padre potrebbe anche impedirmelo" terminò Lidia, sospirando tristemente. "Tuttavia insisterò fino a che non me lo concederà. Non cederò al suo dissenso. Io non posso permettermi di perdere quest'occasione per vedere Ivan regolarmente. Già mi è difficile incontrarlo adesso, in questi frangenti. Più avanti potrebbe diventare ancor più complicato."

Nelle iridi azzurre e placide della ragazza Céline lesse una granitica determinazione e un'ostinata, irriducibile tenacia.

"Sta' tranquilla, Lì. Io sono sicura che Domenico non farà tante storie. Però non insistere troppo, perché potresti dare conferma ai suoi sospetti, qualora ipotizzasse effettivamente qualcosa."

"Fidati, sospetta" la convinse l'amica.

"Comunque non demordere; un modo per uscire da questa situazione spinosa lo troverete."

"Lo spero."

"E trova il momento adatto per chiederglielo. Magari non subito, così almeno non si insospettisce troppo riguardo a te ed Ivan. Aspetta il periodo natalizio e fatti regalare l'iscrizione. E parla di Ivan come accompagnatore solamente quando sarai certa del suo consenso. E, per una buona volta, abbassa un po' la cresta e cerca di allearti abbastanza fortemente con tua madre ed Eva per farti sostenere in questa iniziativa, altrimenti non andrai da nessuna parte!"


 

***


 

"Quindi tu senti di provare da qualche settimana una certa attrazione per Heydar."

"Sì... cioé, è carino, sembra gentile ed è così brillante, così intelligente e schietto... mi piace molto" confessò Céline alla sua migliore amica.

Le due erano insieme in un negozio di elettronica. Lidia stava guardando tra i vari articoli esposti in cerca di un I-pod o di un mp3 per Ivan, avendo deciso di regalargliene uno con inserite le sue canzoni preferite. Era certa che non ne avesse uno, perché, durante tutte le volte che erano andati a correre insieme o lo aveva incontrato casualmente la mattina a fare jogging da solo, non gliene aveva mai visto uno, mentre lei ne possedeva uno proprio e lo usava abbastanza spesso.

"Credo che sia il regalo perfetto per lui" aveva asserito poco prima, risolvendo il dilemma che la tormentava da quella mattina.

E quindi si erano dirette in un negozio di elettronica, alla ricerca di un lettore musicale per l'infermiere.

"Sai, non potevi fare scelta migliore. Lui è un ragazzo fin troppo leale. Ingenuo, forse, ma proprio fantastico. Un po' come Ivan. E poi è responsabile, sincero, affidabile... e la sua ex-ragazza, una compagna di classe di Eva, con cui è stato fidanzato per quasi nove mesi, lo descrive come un giovane anche abbastanza romantico, senza essere smielato, però. Per te è il tipo giusto" commentò Lidia con un sorriso.

La ragazza decise che aveva guardato abbastanza modelli e, avendo già scelto quale comprare, si diresse alla cassa e si fece dare la scatola contenente cuffie, caricabatterie e un I-pod nero metallizzato di ultima generazione, con una grande memoria. Pagò un prezzo abbastanza caro, ma era soddisfatta del regalo.

Non se lo fece impacchettare perché a lei piaceva preparare da sola le confezioni dei propri doni. E poi doveva inserire le canzoni preferite di Ivan al suo interno, perciò le serviva una scatola da poter aprire facilmente, non un pacco regalo già confezionato da rovinare aprendolo successivamente.

"A Ivan piacerà, secondo te?" chiese la ragazza, ancora un po' incerta, con un'espressione corrucciata e preoccupata dipinta in volto.

"E sta' un po' calma, Lì" la incitò la sua amica, dandole un buffetto sulla guancia. "Credo che il regalo gli piacerà anche solo perché lo hai toccato tu con la mano" aggiunse scherzosamente, scoppiando a ridere insieme alla castana.

Le due tornarono a casa a piedi, percorrendo le fredde vie illuminate dai lampioni e spazzate da un gelido vento che sapeva di foglie morte, di un inverno alle porte, di un novembre ormai prossimo, nonostante ancora ottobre non si fosse definitivamente consumato nei suoi colori autunnali e nelle tinte decise e sempre più cupe della tavolozza pittorica di un tramonto d'ottobre.

Una volta che furono davanti a casa di Céline, la mora si voltò verso l'amica, abbracciandola con trasporto.

"Grazie per questo pomeriggio, Lì. Volevo confidarmi da tanto con te circa i miei sentimenti. Sono molto confusa. Non so che fare. Devo provarci, secondo te?"

"Se pensi che ne valga la pena esporti, allora sì. Comunque la decisione è solo tua. Pensaci bene, perché sarai tu quella che si dovrà fare avanti, se dovessi decidere di provarci con lui."

"Io non so come la potrebbe prendere." Céline era molto preoccupata e incerta.

Lidia le sorrise per incoraggiarla, dandole una pacca sulla spalla.

"Comunque, fammi dire che stamattina ha notato che tu non eri allegra come al solito. Mi ha detto che la tua allegria si nota, perché è contagiosa. Ti ha fatto un bel complimento, insomma! E, se proprio devo dirlo, fammi aggiungere che non tutti si accorgono di queste piccole cose. Solo chi potrebbe provare interesse per una persona noterebbe questi dettagli, anche se insignificanti. Quindi credo che tu non gli dispiaccia per niente" la consolò.

"Tu dici? Bah, speriamo. Io comunque ci penso su. Poi, se ne troverò il coraggio, lo inviterò ad uscire."

"Oppure puoi sempre spingerlo con l'astuzia a farti invitare da lui, no? Comunque, buona serata, Céline. Ci vediamo domani a scuola" si congedò Lidia, abbracciandola e stampandole un bacio a stampo sulla guancia intirizzita dal freddo.

"Ciao, Lì" sussurrò l'amica, ricambiando la stretta e l'affetto della sua best friend, per poi entrare nel cancello del condominio e rientrare a casa.

Lidia rimase ad attendere che la figura dell'amica sparisse oltre il pesante portone in legno di quercia dell'ingresso del palazzo prima di avviarsi verso casa. Dopo dieci gelidi minuti di strada la giovane rientrò nella propria abitazione, correndo subito in camera per rifinire il regalo per Ivan, approfittando dell'assenza della madre invadente, del padre indagatore e della sorella curiosa per terminare il tutto e nascondere frettolosamente in un posto sicuro e al riparo dall'impertinenza dei suoi familiari l'I-pod, una volta che ebbe chiuso la scatola che lo conteneva in una busta di carta blu decorata con motivi orientaleggianti che richiamavano alcuni bizzarri ghirigori di una vecchia maglietta della madre chiusa in soffitta. Quindi sigillò poi con una coccarda lucida color rosso vermiglio, osservando il pacchetto, soddisfatta. Tolse tutte le pile di magliette e pullover piegati da sopra il ripiano dentro il guardaroba su cui erano state sistemate, nascondendo il regalo in fondo per poi nasconderlo rimettendo tutto in ordine perfetto. Infine chiuse le ante, tirando un sospiro di sollievo.

Quindi Lidia, dopo un attimo di indecisione, inserì il penultimo CD di Serj Tankian che aveva acquistato, ossia 'Harakiri', nello stereo e, con il volume basso, si rilassò gettandosi sul letto e ascoltando tutte le tracce del disco. Per un attimo pensò di cambiare CD e di inserire quello delle composizioni orchestrali di Serj, 'Orca Symphony No. 1', ma poi si disse che le ci voleva musica un po' più movimentata e continuò ad ascoltare 'Harakiri'.

Si gongolò nella soddisfazione di un pomeriggio trascorso serenamente e nella certezza di aver scelto il regalo perfetto per Ivan.

Con il pensiero dell'uomo di cui era innamorata che le riempiva la mente e il cuore, la ragazza si assopì, cullata dalle tristi note sconvolgenti di 'Occupied Tears' e dalla voce soverchiante e magnetica di Serj Tankian, il cantante per cui provava una sorta di immensa, infinita venerazione.


 


 

°Ciao, Lidia! Come va?

°°Bene, grazie, Chris. E tu come stai?

°°°Non tanto bene. Vorrei solo dormire...

°°°°Ah, ti capisco! Anche io vorrei dormire


 

***




N.d.A.
Salve a tutti e buon venerdì mattina! :D
Eccomi qua col nuovo capitolo. perbacco, sono arrivata a venti capitoli... mai successo xD
Comunque, questo capitolo annuncia un evento che si avvicina... e accadrà anche una bella cosa nel prossimo. Ma non mi lascio scappare nulla, nemmeno dietro coercizione :P
Bon, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ivan non compare in questo capitolo, ma il personaggio principale della storia è Lidia ed è naturale che anche il protagonista maschile (un po' meno protagonista della ragazza) ogni tanto scompaia. Ma il bell'infermiere farà un'ampia comparsa nel prossimo aggiornamento, quindi spero che qualcuno non sia rimasto un po' deluso. Sempre che ci sia qualcuno non deluso dalla storia, ovviamente xD
Be', termino qua con le mie cavolate assurde, ma prima vorrei ringraziare all'infinito Lachiaretta e controcorrente che hanno recensito il capitolo scorso *-*
Perdonate eventuali errori di battitura o distrazione, ma non ho potuto ricontrollare il capitolo... maledetto ripasso di fisica mattutino >_<''
Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto... e che ne pensate della vicenda di Céline? In fondo, pure lei è un personaggio importante, essendo amica della protagonista, perciò deve avere pure lei delle comparse importanti u.u
Ora sparisco davvero, tranquilli... ma recensite, eh :)
Alla prossima settimana! E grazie a chi ha letto il capitolo o segue la storia!


Flame

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


21.




Anche il sette novembre di quell'anno alla fine era arrivato. Quella data cadeva di giovedì, il giorno di scuola più pesante della settimana scolastica, in cui i ragazzi della quinta avevano un'ora francese con l'adorata Floriane Ottaviani, poi una di matematica con l'arpia Prof. Landi, due soporifere ore di italiano con la De Luca, una di inglese con la Hamilton e, per finire in bellezza, un'ora sfiancante di letteratura tedesca con Alberto Marzi. Ovviamente, la felicità degli alunni della quinta linguistico, di fronte alla prospettiva di una giornatina così, era evidente e aumentava proporzionalmente alll'avvicinarsi dell'ultima lezione. Almeno così la pensava Lidia.

Quel giorno la castana attendeva che Enrico passasse a prenderla a casa sua per andare a scuola insieme. La ragazza si era messa d'accordo con lui e Céline per fare colazione insieme nel solito bar vicino all'istituto scolastico, ma all'ultimo minuto la loro migliore amica aveva fatto uno squillo ai due per avvertirli che non veniva più a scuola a causa dei forti crampi che le stavano devastando il ventre, segno inequivocabile del temuto ritorno del ciclo mensile.

I due ragazzi rimasti, allora, si erano accordati per le sette e mezza e proprio in quel momento, precisa come un orologio svizzero, la macchina di Gregorio, il fratello maggiore di Enrico, con il biondo amico di Lidia seduto al posto di guida, faceva il suo ingresso nella via in cui la giovane risiedeva, fermandosi davanti al cancello della casa della famiglia Draghi qualche istante dopo. Il ragazzo suonò il clacson per avvertire l'amica del suo arrivo, guadagnandosi un'occhiataccia risentita da parte della signora dell'abitazione accanto che proprio in quel momento, ancora mezz'addormentata, se ne stava uscendo dal garage della propria dimora con l'auto per recarsi a lavorare.

Lidia, accoccolata sul divano del salotto al piano terra, si levò istantaneamente in piedi, con la cartella penzoloni sulle spalle che dondolava furiosamente mentre si dirigeva a passo svelto verso la porta per poi uscire. Dopo uno squillante 'Ciao!' gridato a madre, padre e sorella, la castana si richiuse il portone alle spalle, uscendo velocemente dal perimetro dell'abitazione per entrare nell'abitacolo caldo ed accogliente della meravigliosa Audi A5 bianca di Gregorio, regalata al ragazzo dalla madre, facoltosa manager in carriera. Lidia salutò Enrico con un abbraccio.

L'auto ripartì subito dopo, inserendosi nell'intensa circolazione stradale mattutina delle strade fiorentine.

"Potresti chiedere a tuo fratello se mi regala questo gioiellino quando cambia macchina? La adoro!" cinguettò gaiamente la ragazza, rivolgendo uno smagliante sorriso all'amico mentre parlava dell'Audi di Gregorio.

"Pfff. Chiediglielo tu direttamente. Con me quasi non ci parla, quello scemo..." borbottò Enrico.

"D'accordo. Quando lo vedo glielo domanderò. Anche se credo che gli risulti alquanto difficile separarsi dalla sua Audi, dato che ci tiene tanto."

"Mica molto. Altrimenti non sarebbe stato così stupido da lasciare le chiavi incustodite, sapendo che in giro per la casa ci sono io pronto a fregargliele da sotto il naso per farmici un giro. Greg non è molto sveglio" e il biondo ridacchiò sotto i baffi.

"Effettivamente..." commentò la ragazza, sbadigliando per il sonno.

L'auto fu parcheggiata a pochi passi dall'edificio scolastico, quindi i due si diressero a piedi al solito bar da loro frequentato.

"Non so come consegnare il mio regalo ad Ivan... oggi compie gli anni" si disperò Lidia, sbuffando animosamente. Non riusciva proprio a trovare una soluzione a quel problema.

"Quanti anni fa?" chiese Enrico per curiosità.

"Trentotto... e non cominciare anche tu a rimproverarmi per la differenza d'età" l'ammonì la castana, guardandolo di sbieco con gli scintillanti occhi celesti.

"Non ho detto nulla" si affrettò a puntualizzare, levando le mani verso l'alto come per discolparsi di qualcosa.

"Ma lo stavi pensando."

"Non ti nascondo che questa situazione mi lascia perplesso... Ho sempre il timore che lui possa renderti infelice e causarti dolore. Gli uomini, specialmente a quell'età e con un matrimonio fallito alle spalle, sanno essere dei grandi stronzi. Te lo dico per esperienza: ti ricordi come si è comportato mio padre?" replicò il giovane, accarezzando con uno sguardo protettivo e fraterno l'amica.

I genitori di Enrico si erano separati quando lui aveva appena dodici anni e suo fratello diciannove. Il tutto a causa della carriera di Tiziana, la madre dei due, che era da poco diventata manager di una società piuttosto importante dopo avervi lavorato per molti anni in ruoli minori. Il nuovo lavoro l'aveva portata a compiere molti viaggi e ad essere più assente e meno costante in famiglia e ciò aveva fatto vacillare l'amore che la legava ad Aldo, il padre dei due ragazzi, che aveva cominciato a provare anche un po' d'invidia nei confronti della moglie, manager di successo con una carriera in ascesa, dalla cui ombra si era ritrovato ad essere offuscato a causa del suo lavoro precario come operaio. La consapevolezza di essere scivolato al secondo posto nella vita della donna dopo il suo amato lavoro aveva provocato in lui un moto di insofferenza tale da indurlo a tradire la moglie con una ragazza di non più di venticinque anni, con cui aveva stretto poi una relazione durata qualche mese. I due si erano separati, ma il clima tra essi era comunque teso e sofferto. Dopo un confronto piuttosto arduo e sincero, Aldo e Tiziana si erano finalmente chiariti, perdonando l'uno all'altra e viceversa le rispettive mancanze nei confronti del proprio partner, decidendo dopo tre anni di separazione di ricucire lo strappo che avevano provocato al loro matrimonio, annunciando la loro decisione davanti ai figli nel giorno della tesi di laurea di Gregorio, allora ventiduenne, e rendendo quello uno dei giorno più belli della vita del primogenito e di Enrico. Da allora il loro legame si era rafforzato ed erano diventati una coppia più felice di prima, con una bella casa, due figli in gamba ed intelligenti e un adorabile cucciolo di Labrador di nome Lucky. Quei quattro erano una bella famiglia, ora, ma prima avevano passato anche loro i propri momenti di crisi, uscendone più forti di prima.

"Capisco la tua preoccupazione, Enrico, ma devi fidarti di me, perché so quel che faccio. Ivan non mi sta usando per sfogare la propria insoddisfazione nei confronti di un matrimonio finito male. Lui non ama più sua moglie Alessia da un sacco di tempo, da ben prima che io entrassi nella sua vita. Me lo raccontava mia madre già dall'inverno scorso, anche se io allora non prestavo molta attenzione a ciò che mi diceva a proposito, perché era da un sacco che non rivedevo Ivan. Mi ero dimenticata anche di come fosse fatto fisicamente; ho perso tante occasioni di incontrarlo negli ultimi mesi e ci eravamo persi di vista. L'ho rincontrato all'inizio di quest'estate per caso, quando lui era già ad un passo dalla sua separazione, perciò puoi tranquillamente escludere ogni dubbio. Non posso essere certa che questa relazione andrà avanti per tanto tempo, tuttavia sono convinta che non sia fondata su basi così fragili e sentimenti così superficiali" lo rassicurò la ragazza, mettendo a tacere ogni riserva dell'amico.

"E va bene: smetterò di preoccuparmi. Ma ricordati che voglio conoscerlo. Voglio giudicare di persona com'è. E, se ci dovessero essere problemi, non chiuderti in te stessa come fai sempre, ma confidati e parlane con me e Céline. E anche con i tuoi genitori, ok?"

"Io ai miei genitori dirò qualcosa soltanto se la nostra storia dovesse prendere una piega spiacevole. Non andrò certo a dire a mia madre che mi frequento con un suo collega e che sono felice con lui. Tu non sai che casino provocherebbe una rivelazione di tale portata" sbottò la castana, camminando agilmente per riscaldare i muscoli delle gambe e scacciare dalle ossa la sensazione di gelo che la stava pian piano invadendo.

"Infatti non lo so... che cosa succederebbe, a parte che i tuoi genitori potrebbero prenderla molto male?"

"Mia madre romperebbe qualsiasi rapporto con me e con Ivan. Mi sarebbe impedito di vederlo e sarei sorvegliata a vista dai miei genitori - da mia madre perché è maniaca e da mio padre perché è estremamente geloso di me - per accertarsi che io non lo frequenti più. E, se quell'arpia di Alessia venisse a saperlo, potrebbe giocarsi quell'informazione al processo per strappargli la custodia di sua figlia."

"Ivan ha una figlia?" chiese Enrico, sgranando gli occhi per la sorpresa e la curiosità.

"Sì. Emma. Ha solo otto anni. Ed è contesa dai suoi genitori, perché Ivan lotta affinché l'affidamento sia congiunto oppure esclusivo a favore proprio e perché Alessia invece fa pressione in modo da poter andare a vivere con la piccola in Germania insieme al suo nuovo compagno Giacomo, che è anche l'uomo con cui ha tradito suo marito."

"E che cosa potrebbe succedere di tanto brutto se Alessia venisse a sapere che il suo ex vuole ricostruirsi una vita? In fondo ne ha il diritto, proprio come ha fatto lei" obiettò il biondo, tenendo cortesemente aperto l'ingresso del bar vicino al liceo per permettere all'amica di passare per prima.

"Ma tu pensi, Enrico, con quel tuo cervelletto?" lo rimbeccò la ragazza, picchiettando più volte un dito contro la sua fronte pallida. "Alessia in quel caso avvertirebbe il giudice del fatto che il padre di Emma ha intenzione di rifarsi una vita con una diciottenne. Una ragazza con la metà dei suoi anni! Quale giudice concederebbe l'affidamento congiunto di un minore ad un uomo che ha intrecciato una storia con un'adolescente, una ragazza che potrebbe non andare d'accordo con la bambina? Inoltre, questo fatto potrebbe far pensare che Ivan ha delle tendenze pedofile. Per lui rappresenterebbe un gravissimo svantaggio. E non sono rari i casi di separazioni come queste risolti in modo simile, con l'affidamento esclusivo alla madre. Ivan conserverebbe la patria potestà su Emma e avrebbe il diritto di vederla ogni tanto, ma credi veramente che gli potrebbe essere concesso il diritto di frequentare sua figlia in Germania, uno stato con un ordinamento giudiziario differente e leggi diverse, con Alessia che è pronta a tutto pur di impedire al suo ex-marito di vedere Emma regolarmente e che in quel Paese sarebbe tutelata dalla legge nei suoi diritti di madre affidataria?"

"Alessia non potrebbe avere la possibilità di impedire ad Ivan di frequentare la bambina contesa. Andrebbe contro la legge italiana. Perché vi preoccupate tanto?"

"Ma non capisci?!" Lidia si prese la testa fra le mani, infilandosi le dita tra i ribelli capelli bronzei e ondulati, subito dopo aver ordinato alla donna al bancone due cappuccini e due cornetti al miele. "In Germania Alessia avrebbe il potere di poterlo fare, perché la legge tedesca in quel caso non tutelerebbe i diritti di padre che ha Ivan. E quella strega si trasferirà lì con il suo amante, perché lui ha deciso di andarsene da Firenze. Ha trasferito la sede legale della sua impresa farmaceutica da Firenze a Ingelheim am Rhein, in Renania, per seguire personalmente i suoi affari finanziari con una grossa casa farmaceutica tedesca. In Germania Ivan non avrebbe la possibilità di poter vedere sua figlia, perché gli sarebbe impedito. E' per questo che sta cercando di ottenere un affidamento congiunto oppure, eccezionalmente, la custodia esclusiva di Emma. In uno di questi due modi riuscirà a trattenerla in Italia e a poterla ancora frequentare. Si tratta di sua figlia, Enrico. Come potrebbe non preoccuparsi di perderla? E' ovvio che la nostra relazione deve rimanere segreta, perché lo danneggerebbe. Possiamo vivere il nostro amore solamente di nascosto da tutti."

Lidia sospirò pesantemente, quasi accasciandosi contro lo schienale della sedia su cui si accomodò quando prese posto insieme all'amico ad un tavolino in un angolo appartato del locale, ancora mezzo vuoto a causa dell'ora mattutina. Enrico la scrutava silenzioso, gli occhi preoccupati e sinceramente dispiaciuti.

"Mi dispiace per lui. Spero che gli venga affidata la figlia. Si merita di vincere la causa, perché mi sembra una brava persona. Un buon padre, almeno."

"Lo è" asserì Lidia con convinzione.

"Sta' tranquilla, sono il tuo migliore amico e terrò il tuo segreto al sicuro. Il vostro segreto" la rassicurò, correggendosi un attimo dopo, il biondo, strappandole il primo sorriso della giornata.

"Grazie" mormorò lei con un filo di voce, grata di avere un amico così, prima di mordere con voracità la punta del cornetto caldo che stringeva fra le dita pallide ed affusolate.


 

***


 

Buondì, mia cara,

come va? :)


 

Hey, alla fine ti sei fatto vivo :P


 

E tu sei acida come al solito ahahah


 

Grazie tante -.-'

come va?


 

Non c'è male, grazie. Ma tu non hai risposto alla mia domanda.


 

Tutto bene, grazie...

Buon compleanno, amore! <3


 

Come fai a sapere che è il mio compleanno? :O


 

Lo so perché la mamma e Maria si stanno organizzando da una settimana per decidere cosa regalarti ahahah

A volte avere una madre come collega della persona con cui ti vedi può rivelarsi utile xD


 

Me lo dovevo immaginare.


 

Oggi lavori?


 

No, per fortuna ho il giorno libero.


 

Che ne dici se stasera, con una scusa, ci vediamo? Ho il mio regalo da consegnarti ;)


 

Stasera rimango a casa a preparare con Emma qualcosa che dovrebbe assomigliare ad una torta e che dovrebbe essere commestibile, tecnicamente. E' un'abitudine che abbiamo da quando lei era piccola, di passare così le serate dei nostri compleanni. Mi dispiace ma non posso... :(


 

Ah... ok.


 

Tu sei già a scuola?


 

No, comincia alle otto e dieci.


 

A che ora arrivi, di solito?


 

Dipende dai giorni e da chi sono accompagnata. Oggi sono venuta con Enrico, un mio caro amico. Sono andata a fare colazione con lui, ma alle otto e cinque circa ci tocca arrivare, perché abbiamo un tratto da percorrere a piedi >.<


 

Devo essere geloso? :P


 

Solo se pensi che ci sia un valido motivo.


 

Ha la ragazza?


 

No... preoccupati ahahah


 

Perché mi dici queste cose nel giorno del mio compleanno? xD


 

Perché... perché non lo so :P


 

Comunque tieniti pronta, ho una sorpresa in serbo per noi.


 

Che cosa?


 

Non te lo dico. Tu aspettati una sorpresa e basta.


 

Non irritarmi, dimmi di che si tratta, dài! :O


 

A dopo! :*


 

Lidia rimase sconcertata dall'ultimo sms che le aveva inviato Ivan. L'ultimo di una lunga serie di messaggi scambiati nell'ultima mezz'ora. Che intendeva dire con a dopo? Lo avrebbe visto durante quella giornata? Sarebbe stato il regalo migliore che poteva fare a se stesso, oltre che a lei.

Era da un po' che non si rivedevano. Domenico non vedeva di buon occhio la frequentazione della sua casa durante quelle due serate alla settimana in cui Ivan ed Emma venivano a fare visita alla figlia. Forse pensava che ci fosse sotto qualcosa, che non fosse solamente a causa del legame della figlia con la bambina e della fragile serenità di quest'ultima che avvenivano quegli incontri. Alla fine Sara aveva ceduto alle sue insistenze e quelle visite, a volte fatte personalmente da tutta la famiglia Draghi a casa dei Castellucci, si erano di molto diradate. Era dall'ultima domenica sera che non lo rivedeva e fino a quella dopo non l'avrebbe rincontrato. Ovviamente, l'ultima volta che si erano visti da soli era molto antecedente a quelle visite, perciò la ragazza sperava ardentemente che, di qualsiasi sorpresa si fosse trattata, in quella giornata le si potesse prospettare un incontro solitario tra loro due. Anche perché voleva consegnarle il regalo che gli aveva comprato.

Fu con questi pensieri in testa che, intorno alle otto e cinque, la ragazza uscì dal bar insieme ad Enrico, dirigendosi verso la scuola. Mentre percorrevano il breve tratto a piedi che li separava dal loro liceo, una moto parcheggiata dalla parte opposta della strada fu accesa dal conducente con un forte rombo del grosso motore, attraversando la carreggiata rapidamente per poi affiancarsi ai due ragazzi che camminavano lentamente verso la scuola chiacchierando tra loro. La moto andò a bloccare il passaggio, imponendosi minacciosamente davanti ai loro occhi esterrefatti.

Il conducente indossava un paio di jeans fascianti scuri, un giacchetto di pelle nera e un casco grigio metallizzato. Era un uomo di statura elevata e muscoloso, a giudicare dalla mole e dall'altezza, e discese con un movimento fluido dal mezzo a due ruote, portandosi davanti ad Enrico e Lidia. Il biondo prese l'amica per un polso e la trascinò dietro di sé, allarmato da quell'improvvisa quanto inquietante apparizione, pronto a difenderla se ce ne fosse stato bisogno. Quell'individuo, a giudicare da come era abbigliato e dal suo comportamento equivoco, non sembrava avere buone intenzioni.

Fu con queste idee in testa che Enrico avanzò di un passo, rischiando poi di cadere a terra per lo stupore quando quello sconosciuto scoppiò a ridere fragorosamente e con sarcasmo alla sua reazione determinata, le mani inguantate posate sui fianchi stretti che delineavano un fisico forte ed imponente. Quella risata lasciò entrambi i liceali a bocca aperta, uno per la perplessità e la confusione, l'altra per la meraviglia e l'eccitazione.

Infatti Lidia aveva riconosciuto quella profonda voce maschile e si era gettata in avanti tra le braccia ora aperte dell'uomo, togliendo frettolosamente il casco dalla sua testa con un luccichio entusiasta nelle iridi azzurre come il mare, facendo poi cadere e rotolare via sul duro, freddo asfalto il copricapo protettivo.

"Ivan!" esclamò la giovane con gioia.

Gli cinse il collo con entrambe le braccia per costringere il moro, con il proprio peso, ad abbassarsi, per poi baciarlo con trasporto sull'ampia bocca sottile, mentre lui le avvolgeva la vita con le braccia guizzanti di muscoli e la trasportava in una giravolta. La risata estatica di Lidia risuonò attutita contro le sue labbra, poi lui la posò nuovamente a terra, mentre la loro stretta si scioglieva.

La castana si voltò in fretta verso Enrico, che era rimasto a bocca aperta e con gli scuri occhi sgranati a guardare in disparte la scena inattesa che gli si era presentata davanti all'improvviso, per tendergli la mano e incitarlo ad avvicinarsi. I suoi occhi brillavano di felicità.

"Enri, fatti avanti, vieni a conoscere Ivan" disse, trascinandolo verso di sé senza smettere di abbagliare i due maschi con il suo radioso sorriso. "D'altra parte anche poco fa mi avevi rinnovato la tua intenzione di farci conoscenza!"

Ciò che il biondo vide fu un fisico colossale e massiccio, una specie di Bronzo di Riace moderno nelle vesti di un motociclista dalla pelle ambrata, gli occhi nocciola pungenti e gelidamente ironici e una massa scompigliata di lisci capelli color ebano fin troppo lunghi, appena spruzzati dal grigio di un lievissimo quanto precoce invecchiamento.

Ciò che Ivan vide, invece, dall'alto del suo metro e ottantasette, fu un ragazzetto sul metro e settantacinque, magro di una magrezza che si avvicinava all'anoressia, terribilmente privo di qualsiasi traccia di grasso o muscolo in tutto il corpo, con una ribelle zazzera di lisci capelli biondo miele e un paio di vivaci iridi color onice che svettavano su un volto chiaro e appena cosparso di sbiadite efelidi.

"Ciao. Io sono Enrico, il migliore amico di Lidia. Uno dei due, insieme a Céline" si presentò il diciottenne, tendendo una mano a quello che ai suoi occhi appariva un colosso.

L'uomo si concesse un breve sorriso, poi assunse un'espressione seria e composta, ricambiando la stretta di mano del biondo con una presa ferrea, decisa e vigorosa.

"Piacere mio, Enrico. Io invece sono Ivan, l'uomo di Lidia" disse il bruno, calcando bene le sillabe con la voce quando pronunciò la parola uomo.

Intendeva dire fidanzato, ovviamente, ma non pronunciò quella parola, perché ancora non gliel'aveva chiesto ufficialmente.

"Lidia mi ha detto che vi frequentate, non che state insieme. So anche che la vostra relazione deve rimanere segreta" azzardò il ragazzo, avvertendo poi su di sé l'implacabile occhiataccia di fuoco con cui la sua migliore amica lo gratificò.

Ivan sciolse la stretta di mano, un mezzo sorriso ironico dipinto sulle labbra.

"A me invece Lidia non aveva raccontato che fossi così impiccione" lo prese in giro, lasciandolo di stucco per poi strappargli una risata.

Per sua fortuna Enrico era un ragazzo alla mano, che di solito non se la prendeva per frasi bieche od equivoche rivolte a lui, anche se a volte si fingeva offeso, perciò replicò a quella frase con la massima tranquillità, conscio del fatto che non era intenzione di Ivan essere offensivo o stare sulla difensiva. Anzi, quella battuta glielo rese quasi subito simpatico.

"Di solito non sono così, ma qui c'è in gioco la felicità della mia più cara amica del liceo e non vorrei che anche tu, come quel bivalve decerebrato di Roberto, la faccia soffrire e la deluda. E' per questo che mi faccio un bel po' gli affari vostri" fu la sua pacata risposta, in cui riverberava un implicito avvertimento che l'uomo colse all'istante.

"Enrico, non sono una donzelletta inerme e incapace di difendersi" lo rimproverò l'amica, incrociando le mani sul petto e lanciandogli un'occhiata bieca.

"Tranquillo, non ferirei mai i sentimenti di Lidia" lo rassicurò, stringendola a sé con un braccio avviluppato alla sua vita. "So bene cosa vuol dire soffrire per amore e sarei un vigliacco e uno stronzo se la deludessi. Sono un uomo serio e, soprattutto, fedele, e ci tengo a sottolinearlo. Perciò non temere, perché non ho intenzione di far soffrire la tua migliore amica. Io sono innamorato di lei" dichiarò con schiettezza, osservando poi amorevolmente la ragazza al suo fianco, la quale arrossì intensamente e chinò lo sguardo a terra.

Il volto rannuvolato di Enrico si rilassò, lasciando spazio ad un'espressione più serena.

"Bene" mormorò soltanto.

"Ivan, come mai sei qui? Mi stavi seguendo? E come facevi a sapere che io frequento proprio quest'istituto?" intervenne Lidia, cambiando argomento.

"Be', me l'hai detto tu che frequenti questo liceo. Ehm... non ti stavo seguendo, ti stavo attendendo. Oggi vorrei passare la giornata con te."

"Con me? Ma io ho la scuola."

"Lo so, ma è da tanto che non trascorriamo da soli qualche oretta insieme. Mi mancano i nostri momenti insieme. L'ultima volta è stata quel dopocena a casa mia, dopo che abbiamo messo Emma a dormire" insistette l'uomo, rivolgendole uno sguardo implorante.

"Io vorrei davvero, Ivan, ma..."

"Lilì, tranquilla: ti giustifico io con i prof. Dico loro che non ti sei sentita bene e che ti ho riaccompagnata a casa poco dopo esserti passata a prendere. Aury, Fede, Alexa, Dar ed Eli sapevano già che oggi ti accompagnavo a scuola io, perché ci siamo messi d'accordo insieme a Céline ieri, proprio davanti a tutti, per cui ci devono aver sentiti di sicuro. Confermeranno le mie parole e i prof. non penseranno che tu possa aver bigiato" propose Enrico, incontrando l'incondizionata approvazione di Ivan e un sorriso pieno di gratitudine da parte della castana.

Lidia non pensò a sua sorella Eva, che si sarebbe insospettita se non l'avesse vista a scuola.

"Grazie, Enri!" disse, poi lo abbracciò impulsivamente. "Ti devo un grosso favore."

"Nessun favore, Lidia. Gli amici servono anche a questo" mormorò lui, felice di vedere l'amica così serena e allegra accanto ad un uomo che, ad una prima impressione, gli pareva affidabile e, soprattutto, serio.

"Bene, allora andiamo" cicalò la ragazza, gongolante di soddisfazione.

"Grazie, Enrico" disse con sincera riconoscenza Ivan, chinandosi poi a raccogliere il casco argentato da terra, dove era rimasto per tutti quei minuti.

Quindi ne estrasse un altro blu elettrico dal portapacchi della motocicletta, una Kawasaki Ninja color nero metallizzato di grossa cilindrata. Guardò corrucciato lo zaino di Lidia, domandandosi dove diavolo poteva metterlo, dato che le avrebbe dato sicuramente fastidio portarsi dietro tutti quei libri pesanti e opprimenti. Enrico intervenne ancora una volta, intuendo al volo il motivo della sua smorfia di disappunto. Si propose di tenere tutto il bagaglio scolastico dell'amica, la quale accettò l'offerta dopo un lieve tentennamento. Alla fine gli porse la cartella, tenendo con sé il cellulare, il portafogli, le chiavi di casa e il minuscolo pacchetto incartato e infiocchettato che risultò essere il regalo di compleanno per Ivan. Li sistemò tutti nelle ampie tasche del cappotto che indossava, chiudendo poi la lampo per evitare di perderli o farli cadere a terra.

Il ragazzo li salutò goffamente, dirigendosi poi verso l'edificio scolastico con lo zaino tra le mani, sistemandolo nell'Audi A5 del fratello parcheggiata nel perimetro dell'istituto.

"Non sapevo che avessi una moto" esordì la giovane.

"Be', per la verità ce l'ho da qualche anno... l'ho ritirata fuori qualche giorno fa, quando ho deciso di architettare questa sorpresa per noi due. L'ho portata dal meccanico a farla riparare: aveva un problema che però non avevo mai fatto mettere a posto subito perché non l'ho usata per due o tre anni. E quindi eccola qui. E' perfetta per una scampagnata."

"Dove hai intenzione di portarmi? Non possiamo restare qui a Firenze, potremmo essere scoperti da mia madre, mio padre o addirittura da Alessia" gli fece presente la ragazza, dopo aver indossato il casco ed aver chiuso il gancetto come suggeritole dal compagno, mentre saliva sull'imponente moto scura, cingendogli la vita tonica in una stretta spasmodica, perché era tanta la sua paura di cadere.

Era la prima volta che saliva su una moto grande come quella. Il suo scooter era ben più piccolo e lei non vi era abituata.

"Mai visto il mare nel tardo autunno, con l'inverno quasi alle porte?" la interruppe lui, eludendo in parte la sua domanda.

"Il mare?"

"Sì, il mare. Pensa ad una località marittima vicina e poi ti ci porto" rispose lui, voltandosi per rivolgerle un sorriso incoraggiante prima di calarsi il casco sulla testa, nascondendo il volto.

"Che ne dici di Livorno? Non è nemmeno troppo distante" propose Lidia.

La meta era piuttosto vicina a Firenze - relativamente, non troppo lontana -, perciò il moro tentennò il capo in un cenno d'assenso, mettendo in moto il grosso motore della dueruote che si accese con un potente rombo, partendo poi per la suggestiva località marittima della Versilia.

"Sono una novantina di chilometri, ma con la mia Kawasaki Ninja 650R del 2007 arriveremo abbastanza in fretta. Ci vorranno al massimo un'oretta e qualche minuto" aveva detto Ivan prima di partire.

E, in effetti, il loro arrivo era stato puntuale per le nove e dieci. Si proposero di ripartire alle undici e mezza, in modo da essere di nuovo a Firenze prima dell'una, perché Ivan doveva andare a prendere Emma da scuola proprio intorno a quell'ora e Lidia invece doveva tornare con Enrico a casa, perciò avrebbe dovuto attenderlo fuori del liceo fino alla fine delle lezioni, che terminavano intorno all'una e venticinque.

Rimasero per pochi minuti a Livorno, dove si fermarono per fare il pieno di benzina e per mangiare qualcosa, dato che l'aria sferzante e quasi gelida aveva acuito il loro appetito. Lidia rise come una matta e si fece quasi andare di traverso l'Estathé che stava sorseggiando quando vide il volto di Ivan cosparso dello zucchero a velo che si era sollevato furiosamente, dopo un suo forte starnuto, dal cornetto.

La coppia quindi ripartì in sella alla Kawasaki, diretta all'isolata spiaggetta ciottolosa che la giovane frequentava da due estati con il suo gruppo di amici durante le vacanze, seguendo le indicazioni stradali che proprio quest'ultima diede. Dopo qualche minuto i due erano arrivati nel punto indicato dalla ragazza, ossia un brano di costa quieto e solitario tra Livorno e Quercianella.

Ivan parcheggiò la moto lungo la strada, che non era distante dalla spiaggetta, poi seguì Lidia che si era avventurata fra massi, alberi spogli e la macchia mediterranea consumata dal gelo, scendendo rapidamente il declivio per poi atterrare con un salto di un mezzo metro sull'aspro terreno roccioso color marroncino-rossastro spento della costa tirrenica, imitata subito dopo dall'uomo. Poi la ragazza si mise a sedere su un alto sperone sassoso, fianco a fianco con Ivan, ascoltando ad occhi chiusi il perpetuo, fragoroso infrangersi delle alte onde tormentate del profondo Tirreno contro la battigia e assaporando estasiata l'odore della salsedine che levitava col vento forte che le sussurrava tra i capelli mossi, portando con sé il divino aroma del mare in tempesta, l'umidità salata dell'acqua mediterranea, riportandole alla mente i bei momenti trascorsi con gli amici durante quell'ultimo giugno prima del quinto liceo, quando ancora non conosceva Ivan, quando ancora era legata a Roberto, quando ancora non aveva realmente assaggiato il vero sapore della felicità che l'amore sapeva donare e toccato con mano quel tenero sentimento che fioriva nel suo animo, forte, impavido e tenace, e che brillava e si fortificava per l'uomo di cui era innamorata. Ormai lei lo amava. Forse non troppo profondamente, ma quell'intensità sentimentale sarebbe venuta con il tempo.

Ivan cinse le spalle di Lidia in un abbraccio, tirandola a sé gentilmente. Si alzarono in piedi e si sorrisero, i volti vicini, gli occhi estasiati, il cuore che batteva a mille.

"Ti pare questo il modo di abbracciare una ragazza?" borbottò ad un tratto la castana.

L'uomo rimase sconcertato di fronte a quella domanda senza senso apparente. Ma Lidia sfoderò un sorriso smagliante, uno di quei rari sorrisi radiosi che di quando in quando illuminavano il suo volto.

"Non è questo il modo di abbracciarsi! O mi abbracci per bene, come si deve, oppure non lo fai affatto" continuò, avvicinandosi un po' di più con il viso al suo.

"Come si abbraccia, allora? Insegnamelo, non so farlo" la provocò l'uomo, scrutando negli occhi profondi e azzurri della giovane in cui si rifletteva il moto burrascoso delle livide onde marine che si rifrangevano spumeggiando contro la costa rocciosa.

"Ci si avvicina" e la ragazza si accostò di più a lui, sfiorando quasi il suo petto muscoloso col morbido seno, "ci si stringe con entrambe le braccia," e come per un gesto automatico gli arti del moro le cinsero la vita delicatamente, attirandola a sé, mentre lei si stringeva al suo collo, il volto così vicino al suo da sfiorargli quasi il naso col proprio, "e poi ci si stringe, così..." e posò la testa nell'incavo del suo collo, andando ad intrecciare le dita affusolate sulla nuca di lui come piccole piante rampicanti lungo un tronco arboreo.

"Ma questo è un abbraccio da innamorati" osservò Ivan con aria fintamente innocente, rivolgendole un furbo sogghigno.

Lei levò lo sguardo, incontrando le sue iridi nocciola radianti di felicità.

"E noi non lo siamo?" lo rimbeccò lei, facendogli scherzosamente la linguaccia per poi scoppiare a ridere con l'accompagnamento del tono ironico della voce maschia e profonda di lui.

Quindi l'uomo chinò il volto su quello della ragazza, lambendo le sue labbra dischiuse con le proprie.

"Certo che lo siamo" asserì su di esse, approfondendo quel contatto così piacevole.

Una fitta di piacere attraversò il basso ventre di Lidia, che gemette, alzandosi sulle punte dei piedi per baciarlo con trasposto, azzerando la distanza millimetrica tra i loro corpi mentre le loro figure aderivano l'una all'altra fondendosi insieme, stagliandosi nitide come un'unica sagoma scura contro il cielo ombroso e carico, pronto a esplodere in un turbolento acquazzone.

Lidia si staccò dall'uomo, sorridendogli, poi aprì la tasca destra del cappotto. Ne estrasse un piccolo pacchetto incartato in carta blu a ghirigori e infiocchettato con una piccola coccarda rossa e lucida, che poi fece scivolare in grembo al moro, sedutosi accanto a lei. L'uomo la guardò con un misto di gratitudine e imbarazzo negli occhi.

"Non dovevi, Lidia... davvero" borbottò tossicchiando impacciato.

"Aprilo. Spero che ti piaccia" replicò lei semplicemente, richiudendo la lampo del pesante cappotto.

Ivan scartò velocemente il pacchetto e ne estrasse un piccolo I-pod nero metallizzato, con annessi cuffiette bianche e caricabatterie.

Il sorriso che lui le rivolse era sinceramente sorpreso e grato.

"Grazie, tesoro... mi hai fatto un bel regalo, sai? E' da tanto che ne volevo uno, in modo da poter ascoltare musica mentre corro o mi alleno in palestra" la ringraziò con trasporto, schioccandole un leggero bacio a stampo sulle labbra morbide e vermiglie.

"Sapevo che, in fondo, ne avevi bisogno. Ho già inserito le tue canzoni preferite al suo interno. Lo sai usare?"

"Sì, tranquilla. Grazie, Lidia. Così avrò sempre qualcosa che hai toccato tu al mio fianco. Ti avrò sempre vicina, in qualche modo."

"Ivan..." sospirò la ragazza, abbandonandosi all'abbraccio affettuoso in cui lui la coinvolse, avvicinandola a sé mentre lei tuffava il volto nell'incavo del suo collo, strofinando con una risatina la pelle delicata del viso contro il derma ispido di barba dell'uomo, inspirando a fondo il suo profumo virile. "Oh, Ivan, se solo sapessi quanto ti adoro!" mormorò contro la sua pelle mentre vi posava un languido bacio.

A quel punto, sciolto l'abbraccio, fu Ivan a tirare fuori qualcosa dalla tasca della sua giacca di pelle nera da motociclista. Posò tra le mani a coppa di Lidia un sacchettino marroncino di carta spessa, sorridendole enigmaticamente. Ridacchiò divertito mentre osservava l'impaziente curiosità riflessa nelle iridi azzurre della ragazza che apriva la busta.

La castana sbarrò gli occhi per l'emozione quando spalancò la scatolina rivestita di velluto nero che aveva tirato fuori dall'incarto. Si portò una mano alla bocca, schermando un sorriso, e lacrime di gioia brillarono agli angoli degli occhi celesti.

Dentro la scatolina c'era una semplice collana costituita da una catenina d'argento bianco molto elaborata e finemente decorata. Da essa pendeva un ciondolo ellissoide lucente, quasi simile ad un cameo ad una prima occhiata, decorato solamente sull'orlo, nel mezzo del quale era inciso con una grafia elegante il nome Lidia. Sul lato posteriore della medaglia era cesellata una frase: Aimez, aimez, tout le reste n'est rien. La frase preferita della ragazza, che ora teneva tra le dita il prezioso ciondolo.

L'aveva letta in terzo liceo in un testo di La Fontaine, ed era così significativa, per lei, che non l'aveva più dimenticata.

Amate, amate, tutto il resto è nulla.

Ivan le tolse delicatamente il ciondolo dalle mani, scostandole i capelli dalla nuca per sistemarglielo al collo, portandosi poi nuovamente davanti a lei. Le prese il volto tra le mani, guardandola dritto negli occhi lucidi.

"Io ti amo, Lidia" fu la sua replica alla frase che lei aveva detto un minuto prima.

Quelle parole la lasciarono paralizzata per la meraviglia e la felicità. Le riverberarono dentro l'anima all'infinito, come le onde del Tirreno che si rifrangevano contro la costa toscana in un moto eterno.

Io ti amo, Lidia. Anche Roberto gliele aveva dette quelle parole, ma non con la sincerità, la dolcezza e l'amorevolezza di Ivan. Il suo cuore fece una capriola acrobatica con tanto di salto mortale all'indietro, mentre lo stomaco si riempiva di farfalle che s'agitavano furiosamente in tutte le direzioni. Le tremavano le gambe per l'emozione. Lidia levò gli occhi azzurri e incerti su Ivan, che aveva puntato su di lei le sue pungenti iridi color nocciola, le quali avevano abbandonato la loro solita espressione ironica per lasciare spazio ad uno sguardo limpido e innocente.

"Anche io ti amo, Ivan" sussurrò lei al suo orecchio, con le lacrime agli occhi, prima di sedersi sulle sue gambe e cingergli il collo con forza disperata, lasciandosi trasportare dalla sua fiamma di passionalità ed amore in un bacio indimenticabile, con le prime gocce di pioggia che ticchettavano contro la costa e contro le loro figure avviluppate insieme in un abbraccio indissolubile.



 

***




N.d.A.
Hello everyone! :D
Ecco, ora mi ammazzerete. Forse qualcuno in particolare. Perché questo capitolo è sconclusionato e anche un po' - un bel po' - smielato sotto certi aspetti, ma ero ridotta alla disperazione e non sapevo come scrivere questo momento importante nella neonata relazione tra Ivan e Lidia senza far venire il diabete a qualcuno. Pardonnez-moi, s'il vous plait! :3
Comunque, che ne pensate? *già si ripara sotto la scrivania per salvarsi dalla valanga di insulti e critiche che le arriveranno*
No, a parte scherzi, sto svalvolando. Ho avuto due settimane difficilissime con la scuola e ancora non ho neanche finito... forse farei prima a buttarmi dalla finestra. D:
Be', prima che qualcuno pensi seriamente a spingermi di sotto con un calcio sul fondoschiena, vorrei ringraziare TheWhiteDoll per aver recensito il capitolo scorso. E grazie anche a chi legge e segue in silenzio. Mi siete comunque di grande supporto. E mi date tantissima soddisfazione, siete tantissimi! Ancora stento a crederci...
Bon, adesso sparisco sul serio! Notte :*


Flame

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


22.



 

I due fidanzati ripartirono da Livorno alle dieci e mezza, decidendo di andare prima a casa dell'uomo per asciugarsi i vestiti e riscaldarsi, dato che al loro ritorno erano arrivati completamente zuppi di pioggia.

"Sei sicuro che nessuno ci possa scoprire?" domandò Lidia con aria preoccupata.

"Sta' tranquilla, Emma è a scuola e Alessia rimane fuori per tutto il giorno con Giacomo. Ha preferito sparire per oggi, dato che altrimenti Emma l'avrebbe obbligata a partecipare alla cena con tanto di torta e candeline che organizziamo ogni volta che c'è un compleanno, che sia mio o della mia bambina" la rassicurò Ivan, cingendole protettivamente le spalle con un braccio ed invitandola ad entrare nella casa.

Si sedettero sul divano del salotto. Lo sguardo castano di Ivan si levò pensoso sugli abiti della compagna, scervellandosi per trovare un modo veloce per asciugare il suo cappotto. Accese quindi la stufa a pellett del salottino attiguo alle camere, che fungeva praticamente da locale in cui i coniugi Castellucci conservavano tutti i documenti personali e della figlia e relativi alle loro proprietà, ai conti correnti e altro ancora. Posò su una sedia lì davanti il cappotto della ragazza, in modo da lasciarlo asciugare alla forte aria calda che la stufa emetteva.

"Che ne dici di farti una doccia? Almeno ti levi di dosso la sensazione di freddo" propose poi a Lidia, che accettò di buon grado.

Un sorrisetto tremendo arricciò le labbra vermiglie della castana.

"Che hai in mente?" indagò l'uomo, mettendosi sulla difensiva e osservando preoccupato l'espressione indecifrabile della giovane.

"Pensavo che potresti togliermi la sensazione di freddo in un altro modo" rispose, ridendo poi sotto i baffi per il sottile doppiosenso.

Ivan arrossì istantaneamente al pensiero di ciò che lei intendeva, ma poi si fece serio, corrugando le sopracciglia scure.

"Lidia, io credo che per noi sia ancora troppo presto. Non possiamo compiere un passo così importante dopo così pochi mesi di conoscenza."

Anche la ragazza assunse un'espressione severa.

"Ivan, ci conosciamo da quasi quattro mesi, ormai! Oggi mi hai pure chiesto di diventare la tua fidanzata! E ci sono coppie che esplorano la loro intesa fisica anche subito... Perché tu invece non vuoi?" sbottò.

L'uomo sospirò.

"Non è che io non voglia. Anzi, non sai quanto vorrei... Ti desidero, Lidia. Ti desidero da morire. Ma perché, invece di andare di fretta, prima non ci conosciamo fisicamente in modo diverso? In fondo, io sono molto più grande di te. Ho un modo diverso di fare l'amore, un modo che deriva da un'esperienza differente, da un'età differente. Tu sei giovane e hai avuto un fidanzato di poco più grande di te. Non sei molto esperta. Dobbiamo conciliare due maniere differenti di vivere una relazione fisica. Una maniera da ventenne ed una da quarantenne. Potrebbe essere semplice, così come ciò potrebbe dimostrare che non siamo proprio compatibili come finora sembra. E' per questo che sono restio a compiere un passo così importante."

Lidia arrossì violentemente a quelle parole. Ivan credeva che lei avesse già avuto esperienze con Roberto... e invece era ancora illibata. Come poteva dirglielo? Si sarebbe fatto sicuramente qualche film mentale. Non sapeva che reazione aspettarsi da un uomo come lui, che aveva sempre da ridire in qualsiasi situazione. Decise che gliene avrebbe parlato un'altra volta.

"Che c'é? Ti senti poco bene, Lilli? Sei paonazza..." si preoccupò subito il moro.

Le afferrò la mano e gliela strinse fortemente tra le proprie, improvvisamente ansioso. La ragazza si impose di far fluire via quel pensiero imbarazzante e assunse nuovamente un colorito normale, tranquillizzando l'uomo con poche parole.

"Non è nulla, Ivan... ho solo avuto un leggero capogiro, ma ora è passato tutto."

"Un capogiro non ti fa arrossire così violentemente. Che ti senti?"

"Nulla, tranquillo... forse si è trattato di una reazione del mio corpo. Sento freddo..."

"Allora seguimi: devi subito andare a farti una doccia calda, altrimenti rischi di ammalarti" la incitò il moro, afferrandole il polso con decisione e delicatezza e conducendola gentilmente con sé nel bagno.

Una volta che l'ebbe fatta entrare, fece l'atto di andare a tirare l'acqua calda per la doccia, ma fu fermato dalla mano di lei. Lui posò uno sguardo stupito sulla ragazza e la vide scuotere la testa con un sorriso divertito.

"Non c'è bisogno di farmi una doccia. Posso tranquillamente asciugarmi e stare un po' al caldo... la mia salute non è così fragile" gli disse, persuadendolo a rinunciare.

"D'accordo" concesse lui con uno sbuffo, andando poi a cercare degli asciugamani ed un phon per permetterle di asciugarsi.

Iva uscì dalla stanza alla ricerca di ciò che gli serviva, lasciando Lidia da sola nel bagno. La ragazza ne approfittò per togliersi di dosso gli indumenti gelidi ed appesantiti dall'acqua, rimanendo in intimo. Stava per sganciarsi il reggiseno, quando l'improvvisa comparsa dell'uomo sulla porta la fece sobbalzare. Lui si arrestò di colpo sulla soglia della porta, osservandola ammutolito. Lei trattenne il respiro, mordendosi le labbra con il canino mentre si rimproverava mentalmente. Non era sua intenzione spogliarsi davanti a lui, ma aveva freddo e voleva liberarsi in fretta di quegli abiti gelidi e bagnati che aveva indosso. Facendo ciò, si era dimenticata che Ivan stava tornando da lei.

Avvertì il suo sguardo accarezzarle la pelle con una piacevole, totale attenzione. Arrossì più intensamente sotto quell'esame minuzioso.

L'avrebbe trovata brutta? Cosa avrebbe pensato di lei? Che era troppo magra, o troppo prospera in certi punti del corpo... magari troppo sproporzionata? Lei si vedeva carina, ma non abbastanza da mozzare il fiato di un uomo. Temeva di non essere abbastanza per lui, il primo partner a cui aveva intenzione di concedersi. Perché anche Roberto l'aveva vista in intimo e in bikini, ma mai era riuscito a farla sua come era sua intenzione. Lidia temeva di non piacere ad Ivan, di leggere nei suoi occhi la delusione di un'aspettativa infranta malamente, un affievolimento del suo interesse per lei. Aveva paura di sentirsi rifiutata o di non valere abbastanza per lui. Era insicura e fragile, così vulnerabile ed incerta su tale questione che il cuore le tremava nel petto.

"Scusami..." si giustificò, portando entrambe le mani al volto per schermare l'arrossimento improvviso delle guance e la smorfia che le distorceva le belle labbra rosse. "Ho freddo e perciò mi sono spogliata, ma mi sono dimenticata che stavi tornando qui e che mi avresti potuta vedere seminuda..."

O anche senza nulla addosso, aggiunse la sua vocina interiore con sarcasmo.

Ivan rimase in silenzio sulla porta, osservando con ammirazione il corpo di Lidia. Era veramente una bella ragazza, magra ma con un corpo proporzionato e delle forme morbide e abbastanza prospere. La linea dei fianchi era armoniosa, le gambe affusolate, il punto vita sottile, il petto fiorente. La sua pelle era chiara, quasi diafana, e appariva così levigata e soffice che l'uomo provò la fortissima tentazione di avvertire su di sé quel contatto bruciante, contro la sua pelle ispida di peli, e di poter accarezzare con lenta noncuranza quel fisico a suo modo perfetto, e di farlo suo.

Il desiderio si impadronì di lui, oscurando la ragione. Si era trattenuto fin troppo a lungo e il suo furioso desiderio, represso ormai da anni, divampò come una fiamma violentissima.

Ivan deglutì, posando frettolosamente sul ripiano della lavatrice gli asciugamani e il phon che aveva tra le braccia, avvicinadosi poi a passo lento a Lidia, che ricambiava con uno sguardo imbarazzato ed insicuro la sua espressione impenetrabile. Lui la sollevò tra le braccia, portandola con sé nella propria camera e posandola sul pesante piumone del letto. Lei rimase a guardarlo silenziosa mentre si toglieva frettolosamente gli abiti di dosso, improvvisamente ansiosa.

Che cosa aveva intenzione di fare? Ivan aveva detto anche poco prima che non intendeva fare subito l'amore con lei, che voleva conoscerla meglio. Perché quel cambiamento repentino, allora?

L'uomo si sfilò la camicia ancora bagnata e la canottiera, lasciandole scivolare a terra in un fruscio soffocato. Lidia tirò un sospiro meravigliato quando scorse i muscoli guizzanti del suo addome. Se li era immaginati tante volte, cercando di intuirne l'aspetto affascinante da sopra i vestiti sportivi che il moro aveva indosso quando faceva jogging o si riscaldava prima di una sessione di corsa. Poi Ivan si sfilò scarpe, calze e pantaloni scuri in pochi secondi, gratificando la ragazza con la visione disarmante del suo corpo asciutto e muscoloso.

Con un improvviso imbarazzo crescente Lidia si rese conto che era rimasto solo in boxer. E che al di sotto di essi cresceva, lento ed inesorabile, un turgore virile. La giovane deglutì, innervosita da quella situazione. L'uomo si sedette sul letto accanto a lei, sfiorandole le labbra con un bacio e cominciando ad accarezzarle il ventre piano, scendendo poi lungo il fianco destro.

"Sei meravigliosa..." sussurrò contro la sua pelle liscia, facendole venire i brividi per l'eccitazione e la gioia di sapere che lui la trovava bella, che si sentiva attratto da lei. "Mia dolcissima, stupenda, bellissima Lidia. Ti desidero da morire... ti desidero..."

La sua bocca scivolò lungo la linea della mascella di lei, andando poi a posarsi sul collo. Infine le labbra sottili di Ivan sfiorarono il primo, generoso rigonfiamento del seno, strappando a Lidia un gemito di piacere ed impazienza. Intanto la mano di Ivan esplorava il corpo di Lidia, andando ad accarezzare con lentezza snervante le sue gambe toniche, muovendosi poi verso l'interno coscia.

La ragazza pensò di essere arrivata fino al limite, di non poter più sopportare quel supplizio suadente. Voleva essere sua, subito, irrimediabilmente sua. Allargò istintivamente le gambe per invitarlo a toccarla proprio lì e si sporse in avanti per baciare la sua gola con febbrile piacere.

Ma quei movimenti spezzarono l'incanto del momento. L'uomo sbarrò gli occhi, rinsavendo come se fosse stato colpito da una secchiata d'acqua gelida. Si rese conto di ciò che stava per fare e si arrestò immediatamente, ritirandosi poi precipitosamente.

"Ivan..." lo chiamò la castana, confusa da quel fulmineo cambiamento. Posò su di lui uno sguardo disorientato.

L'uomo sospirò pesantemente, sollevandosi a sedere sul materasso mentre, afferrando il polso della ragazza con la sua solita presa delicata ma infrangibile, la invitava a fare altrettanto. Avvertì su di sé lo sguardo fisso ed insistente della giovane e decise di ricambiarlo, incrociando due iridi azzurre e gelide come il ghiaccio.

"Perdonami, Lidia" esordì, passando una mano tra gli scurissimi capelli scompigliati.

"Perché?" chiese lei semplicemente, lottando per sciogliere la morsa indissolubile sul proprio polso.

Dimenandosi, riuscì a liberarsi, poi, accigliata, si sedette a cavalcioni sulle gambe dell'uomo, prendendogli il volto tra le mani. Osservò per un lungo momento le sue iridi nocciola, poi nascose gli occhi celesti al di sotto delle palpebre orlate da ciglia nere e folte, posando la fronte nivea contro quella più abbronzata dell'uomo. Questi le cinse la vita con le braccia.

"Mi dispiace, Lidia. Mi sono lasciato trasportare dal desiderio... è da tanto tempo che non faccio più sesso. Non ho più avuto rapporti con nessuna da quando la mia relazione con Alessia è entrata in crisi. E da allora sono passati tre anni. Ho accumulato tre anni di frustrazione, desideri repressi, passione contenuta. Non sono più stato con nessuna, perché, anche se ero già separato in casa, non volevo abbassarmi al livello di mia moglie e farmi un'amante. Poi tu sei entrata nella mia vita e l'hai sconvolta. Hai riportato la felicità che mi mancava da tanto tempo." Le sorrise brevemente, accarezzandola dolcemente con lo sguardo. "Io ti desidero tantissimo, Lidia. Non sai neanche quanto io mi debba trattenere, mi debba frenare. Perché so che potrei essere rude, che non saprei controllarmi e ti potrei fare male. Per te sarebbe un'esperienza terribile, perché non faresti l'amore con il tuo compagno, ma sarebbe solo un rapporto sessuale veloce e non certo piacevole con un uomo frustrato che vuole solamente sfogarsi. Sarebbe sesso, non amore. Ti farei male. Perché alcuni uomini sono brutali. Io non sono mai stato così, ma potrei diventarlo, perché sono in astinenza da tre anni. E l'ultima cosa che potrei volere al mondo è farti vivere un'esperienza del genere. Io voglio fare l'amore con te, Lidia, ma solo dopo che avrò imparato a controllarmi. Ci devo andare piano."

"Quindi... prima hai reagito così perché volevi prendermi. Solo perché ero mezza nuda e ho stuzzicato la tua eccitazione" constatò la ragazza con un certo avvilimento.

S'immaginò per un momento come un oggetto da usare e gettare via appena non si rivelava più utile. Così si sentiva. Ivan stava per prenderla così, senza considerazione né rispetto. Se fosse andato oltre, chissà che dolore avrebbe provato. Lei era vergine e l'uomo avrebbe dovuto andarci piano. D'altra parte, però, non sapeva che era ancora illibata.

Una scintilla di indispettimento e collera si accese in lei, ma Lidia la represse. In fondo non l'aveva fatto apposta. Ed era riuscito a trattenersi, nonostante lei lo avesse perfino incoraggiato ad approfittare dell'occasione. Però si sentiva in qualche modo umiliata. Lui l'aveva osservata a lungo, l'aveva soppesata e giudicata in tutti i difetti e le qualità del suo corpo e infine l'aveva presa tra le braccia e se l'era quasi portata a letto, mormorandole parole rassicuranti all'orecchio. Ma erano vere, quelle parole? O solo menzogne sussurrate a quella che poteva essere la compagna di un rapporto sessuale veloce e concitato? Lui le aveva detto quelle parole perché le pensava o perché gli era venuto spontaneo pronunciarle, senza realmente credere a ciò che diceva? Lidia non sapeva cosa pensare. Decise che non le importava. Ivan era sempre stato sincero con lei: che senso avrebbe avuto mentirle? No, ciò che le aveva detto lo pensava davvero. Lui la trovava davvero bella e desiderabile. E ciò le donò una nuova gioia, una più ferrea sicurezza.

"Ho lasciato che il mio lato più istintivo soverchiasse il mio autocontrollo. Ma non accadrà mai più. Te lo prometto" sussurrò lui al suo orecchio, posandole poi un bacio sulla guancia.

"Non m'importa, Ivan. Non m'importa nulla di ciò che stavi per fare. E ti perdono. Adesso però voglio soltanto una cosa da te."

"Che cosa?" le domandò il moro, afferrandola per la vita con le forti, grandi mani e spostandola scherzosamente sul materasso, sovrastandola poi con il proprio corpo robusto e vigoroso.

Lui le piantò negli occhi azzurri uno sguardo triste ed ironico.

"Voglio soltanto che mi abbracci, che mi tieni stretta a te..." mormorò Lidia.

Ivan si fece immediatamente serio, abbandonando la sua tipica espressione sarcastica. L'accontentò, accoccolandosi fianco a fianco con il corpo affusolato della sua compagna, avvolgendola in un tenero abbraccio. Le schioccò un rapido bacio sulla punta del naso greco, poi lei si raggomitolò, aderendo al suo corpo. Gli lanciò un'occhiata intenerita, poi ridacchiò, sfoderando un sorriso radioso.

"Te l'ho già detto che ti amo?" indagò lui con uno scherzoso cipiglio.

"Almeno una volta questa mattina" ridacchiò la giovane.

Ivan le sfiorò il fianco, senza smettere di guardarla negli occhi. Lidia posò una mano su quella dell'uomo, incoraggiandolo ad accarezzarla. Poi se la portò al petto, lasciandola riposare proprio sul punto in cui il suo giovane cuore batteva all'impazzata.

"Senti? Il mio cuore pulsa così veloce... solamente per te" aggiunse la ragazza con una certa ironia. "E tutto ciò solamente perché ti amo."

"Lidia..." la chiamò l'uomo, ma fu messo a tacere dalle labbra insistenti di lei.

Le loro lingue si incontrarono, le loro mani percorsero i loro corpi con lento e snervante desiderio, conoscendosi più intimamente. Dopo qualche minuto i due si arrestarono, sudati e sospiranti.

"Meglio finirla qui, altrimenti non credo che sarò capace di contenermi" osservò Ivan con un certo rammarico.

Era insoddisfatto e frustrato e sapeva che la ragazza provava altrettante sensazioni.

"Be', almeno questi... movimenti - chiamiamoli così - mi hanno fatto passare il freddo" replicò Lidia, provocando la loro lieta risata e smorzando la tensione che l'insoddisfazione dei desideri di entrambi aveva creato.

All'una meno dieci Lidia ed Ivan si separarono con grande tristezza, serbando nel cuore i dolci, felici ricordi di quella mattinata sconvolgente in riva al mare, con una cupa tempesta che incombeva su di loro mentre si dichiaravano il proprio reciproco sentimento d'amore, e nella casa di Ivan, dove avevano assaporato i primi, felici, seppur imbarazzati e tesi, momenti di intimità insieme.


 

***


 

Lidia canticchiava assorta le note di 'Shadow Of The Day', una romantica ballata cantata dalla voce dolce e travolgente di Chester Bennington dei Linkin Park, mentre il suo sguardo saettava continuamente dalla pagina del libro aperto che giaceva proprio sotto il suo volto a un qualsiasi punto indefinito della camera. Eva, che se ne stava stesa sul suo letto a ripassare storia per l'interrogazione del giorno dopo, gemette per l'irritazione, voltandosi poi verso la sorella maggiore.

"Si può sapere che cavolo hai da canticchiare sempre le stesse note? E' tutt'oggi che te le sento ripetere! Ti si è incantato il disco, per caso?" l'aggredì con voce alterata.

Lidia sembrò riscuotersi dalle riflessioni in cui pareva essersi persa e si girò lentamente verso la minore, sorridendole poi con un'espressione di scusa.

"Perdonami, ma oggi non ci sono proprio con la testa... sono distratta" mormorò.

"Questo l'avevo notato da sola. Non sei distratta, Lilli, sei proprio assente. Ci sei, ma è come se non ci fossi. Che è successo oggi di così tanto bello da sconvolgerti in questo modo?"

"E chi ti dice che non mi possa essere successo qualcosa di brutto?" la rimbeccò la primogenita, mettendosi sulla difensiva.

"Me lo dice il fatto che stai ripetendo dal dopo pranzo le note di 'Shadow Of The Day'. E tu canti quella canzone solo quando sei felice o comunque allegra o spensierata. E poi mi accorgo dal tuo sorriso idiota che sei contenta" le fece notare Eva, negli occhi un luccichìo curioso. "Avanti, che ti è accaduto di così interessante?"

Con un gesto infastidito, la maggiore delle sorelle Draghi sbuffò, guardandola con aria di sufficienza.

"Tu credi davvero che io non possa essere contenta anche per altri motivi?"

"Sicuramente non sei contenta per il fatto che stai studiando fisica. Eddài, io ti racconto sempre tutto!"

"Non è colpa mia se tu vai a spifferare i tuoi fatti privati con familiari, amici e qualsiasi altra persona esistente su questo pianeta."

"Oggi non ti ho vista a scuola... nemmeno a ricreazione" la interruppe la minore ad un certo punto, cambiando bruscamente argomento.

"Sono rimasta in classe mia" azzardò Lidia, sentendosi messa alle strette dalla sorella.

"Ho incontrato i tuoi amici, però" continuò imperterrita Eva, infastidita dall'interruzione della diciottenne. "Aurelia si stava lamentando perché tu oggi non sei venuta a scuola e dovevi consegnarle gli appunti per storia, perché domani è interrogata e lei non sa nemmeno cosa c'è da studiare. Si è sfogata con me."

In quell'istante Lidia sudò freddo. Era stata scoperta.

"Dove sei andata, Lidia? E con chi eri? Con Céline, che era assente come te?" le domandò la quindicenne con tono pacato ma inquisitore.

Ma questa qui non sa farsi i cazzi propri?, pensò la sua interlocutrice mentre si scervellava per trovare un modo per uscire da quella situazione alquanto spinosa. Ed Enrico non mi ha parato il culo a dovere! Dopo gliela faccio pagare.

"Ehm... Sono... sono stata a casa di Céline per un'oretta: lei non è venuta a scuola perché non si sentiva bene. Poi... poi, be', sono andata... sono stata... in giro... giro per Firenze!" balbettò stentatamente la ragazza, pronunciando con troppa enfasi le ultime tre parole.

Si maledisse in silenzio, ordinando a se stessa di non far trapelare la propria tensione ed insicurezza.

"E che cosa avresti fatto in giro per la città, per quattro ore?"

Eva osservava fissamente la sorella con i vispi occhi castani da sotto le sopracciglia aggrottate. Era scettica.

"Be'... che ho fatto...? Boh... cioé ...sì, insomma, non volevo... entrare a scuola alla terza ora e ho... ho mandato un messaggio ad Enrico per coprirmi. Sono andata... alla biblioteca. Sì, alla biblioteca! La settimana prossima ho un compito di fisica e ancora non ho capito la metà degli argomenti. Quindi... ho deciso di entrare nella biblioteca vicina al liceo e ho studiato fisica per un po', anche se con scarso successo - sai che odio la materia, così come la matematica e la professoressa arpia che me le insegna. E poi... sono tornata... davanti all'istituto e ho atteso che la campanella dell'ultima suonasse per tornare a casa con Enri."

Lidia era diventata ben più logorroica di prima, ma quest'improvvisa sicurezza che aveva messo nelle parole, insieme ad una scusa che poteva risultare abbastanza convincente alla sorella minore - in quel momento la maggiore stava proprio ripassando fisica -, le permise di eludere ulteriori domande di Eva, che accettò quella versione con un'alzata di spalle. Poi la quindicenne tornò ad accoccolarsi sul proprio letto, ripetendo a voce alta gli argomenti di storia in cui sarebbe stata interrogata alla prima ora del mattino seguente.

Lidia però non aveva ancora finito di parlare. Ancora voltata verso la sorella minore, la osservò con uno sguardo preoccupato, accigliata, chiamandola poi per nome.

"Eva."

La quindicenne interpellata girò la testa verso la castana, con un'espressione attenta e curiosa dipinta sui lesti occhi castani.

"Dimmi."

"Non dire alla mamma che ho marinato la scuola" l'implorò la sorella con un profondo sospiro.

Un sorriso tremendo comparve sul volto paffuto della minore.

"Solo ad una condizione."

Lidia aguzzò l'udito, curiosa di conoscere le intenzioni fraterne. Con un cenno del capo invitò l'altra a continuare.

"Io starò zitta con i genitori solamente se tu domani mi copri le spalle. Voglio bigiare. Non sono pronta per l'interrogazione di storia" piagnucolò la ragazzina, mentre un broncio compariva sul suo viso, distorcendolo in un'espressione buffissima.

"Affare fatto, Eva" concesse di buon grado Lidia, sorridendole con aria d'intesa nelle iridi azzurre.

"Das ist ganz toll!°" esclamò la sorella più giovane rallegrata. "Me la scrivi tu la giustificazione, vero? Io non sono capace a ricalcare le firme di mamma o papà."

"D'accordo, provvederò."

Quindi Eva osservò per un momento il pesante tomo grigio di storia che teneva aperto fra le mani, chiudendolo di colpo e lanciandolo in fondo al proprio letto con uno sbadiglio soddisfatto, mentre la sorella, ridendo divertita, la guardava rilassarsi sul materasso, stiracchiandosi e chiudendo gli occhi per farsi un sonnellino pomeridiano mentre si rannicchiava in posizione fetale.

Solo quando Eva fu profondamente assopita Lidia si permise un lungo sospiro di sollievo, ancora grondante di sudore e lievemente tremante di terrore.

Per fortuna sono riuscita a tenerla buona. La prossima volta, però, dovrò fare attenzione, perché io e Ivan rischiamo seriamente di essere scoperti se non teniamo alta la guardia.


 

***


 

"Lilì, mi racconti come è andata giovedì?" le domandò da dietro le spalle Enrico, facendole quasi prendere un colpo.

"Enrico!" lo ammonì Lidia, alzando la voce per lo spavento e per lo scontroso cipiglio che aveva subitaneamente distorto i suoi lineamenti delicati.

"Che c'è, ti è tornato il ciclo?" sghignazzò il ragazzo, abbracciandola rapidamente con un braccio per poi camminare accanto a lei, diretto verso la classe.

I due liceali stavano percorrendo l'ultimo corridoio prima della loro aula, entrambi in procinto di affrontare quell'ultima, faticosissima giornata di scuola prima dell'inizio del weekend.

"No, sta' tranquillo. Non voglio che mi torni così presto." La giovane tacque per un istante, incrociando le braccia sul petto. "E comunque mi ha spaventata, scemo."

Quindi gli scoccò un'occhiataccia inceneritrice, affrettando il passo fino a correre verso la classe quando intravide l'inquietante figura del truce professore della prima ora, alias Alberto Marzi, seguita a ruota dal compagno di classe.

Una volta entrata nell'aula, salutò frettolosamente gli amici, ricevendo uno sguardo indignato e collerico da parte di Aurelia, che aveva un buon motivo per essere adirata con la compagna di banco che il giorno prima non aveva mantenuto una promessa, evitando di presentarsi a scuola. Quindi il silenzio scese nella classe, lasciando il posto alla soporifera lezione che i venticinque alunni si dovettero sorbire.

A ricreazione il solito gruppetto, con ancora l'aggiunta di Heydar Lotfollahi della quinta linguistico e di Valentina Conti della quinta scientifico, un'amica di Céline, Alessandra e Antonio, si riunì davanti alle macchinette delle merendine al piano del bar.

"Come mai Céline non c'é?" si azzardò a domandarle l'iraniano, tirandola leggermente in disparte rispetto al gruppo.

"Be', non sta tanto bene. Sai, noi donne abbiamo quei nostri cinque giorni al mese che sono proprio tremendi..."

Heydar tossicchiò imbarazzato a quell'allusione al ciclo.

"Scusami, avrei dovuto immaginarlo. Con due sorelle già sviluppate... E poi perdonami ancora, non dovevo farmi gli affari di Céline..." si giustificò goffamente, guadagnandosi un'occhiata incuriosita da Lidia.

"Perché t'interessa tanto?" indagò la ragazza, intrappolandolo con uno sguardo inquisitore dei gelidi occhi magnetici che lo lasciò indifeso.

Quando Lidia voleva ottenere qualcosa sapeva come fare. Heydar per lei era come un libro aperto e non le era stato difficile scovare il suo punto debole. Uno sguardo truce era abbastanza per far capitolare la sua debole ostinazione.

"Perché ieri non l'ho vista a scuola e neanche oggi..." balbettò il ragazzo, affrettandosi a togliere lo sguardo.

"Non intendo questo, Dar... Perché ti interessa tanto la mia amica?" insisté la castana in tono amichevole, rivolgendogli un sorriso molto più dolce rispetto allo sguardo torvo di poco prima. Percependo la sua indecisione, Lidia decise di azzardare una frase che, se fosse stata sentita da Céline, avrebbe provocato l'imbarazzo e l'ira incontrollata dell'assente. "Sai, Celia ti trova molto gentile nei suoi confronti. Ti interessi sempre a lei, sei cortese. Le sei simpatico."

"Davvero?"

Gli occhi ambrati di Heydar si accesero di una luce speranzosa.

"Posso confermartelo con sicurezza."

"Possiamo fare un giretto per la scuola? Devo parlarti urgentemente" la pregò l'iraniano.

"Ragazzi, noi andiamo un attimo in classe, torniamo subito" lo interruppe Lidia, rivolgendosi a tutto il gruppo.

Aurelia le lanciò un'occhiata curiosa e sbigottita, pensando che l'amica le avesse mentito e che tra i due ci fosse del tenero.

"Andiamo, dài" l'incoraggiò, dirigendosi con lui verso le scale per salire al piano superiore dell'antico edificio medievale.

Una volta che i due furono in classe, per fortuna vuota, si sistemarono alla finestra, appoggiati al termosifone, osservando fuori dei vetri opachi di umidità.

"Sai, Lilli... Io trovo Céline molto carina. E' da aprile scorso che la osservo con occhi diversi, ma non ci ho mai provato perché sapevo che era fidanzata. Poi ho saputo che si è lasciata con il suo ex-fidanzato, Diego Anceschi, e che è libera da legami sentimentali, perciò ho pensato di farmi avanti. Ma a volte la osservo e mi rendo conto che sembra triste, avvilita... io credo che sia ancora innamorata di lui. Non so se chiederle di uscire. Non vorrei ottenere un rifiuto. Soprattutto, non vorrei essere inopportuno" confessò il ragazzo.

La sua compagna di classe, contrariamente alla malinconia che trapelava dalle parole dell'iraniano, era ottimista e sorrideva rassicurante.

"Non temere, Heydar... E' vero, Céline non è proprio allegra come prima, ma non certamente perché è ancora triste per la fine della sua relazione con quel deficiente di Diego. Anzi, è anche contenta di questo, perché alla fine quello che sembrava il ragazzo perfetto si è rivelato uno stronzo e lei odia le persone che si comportano come ha fatto lui. All'inizio è stata triste e si è sentita ferita e adirata, ma adesso sta molto meglio. E' giù di morale perché suo nonno non sta molto bene... è stato ricoverato per un ictus qualche settimana fa e la riabilitazione è lunga e difficile per un anziano di ottant'anni e più. Comunque si sta riprendendo abbastanza in fretta. E lei tornerà la solita ragazza allegra ed esuberante di sempre."

"Oh, mi dispiace... non lo sapevo." Il ragazzo fece una pausa, pensieroso. "Quindi tu credi che io ci possa provare?" insistette Heydar, sentendo la speranza germogliare dentro di sé.

"Certo" e Lidia sorrise. "Anzi, approfitta del momento" aggiunse, cercando di dargli un incoraggiamento senza rivelare i sentimenti della sua migliore amica nei confronti del ragazzo.

In fondo, anche se le sembrava più che giusto rivelargli della cotta che Céline aveva per lui da circa due mesi, in modo da accelerare il loro reciproco corteggiamento, le aveva comunque promesso di non spifferare a nessuno di quel suo sentimento e perciò non lo fece, augurandosi solamente che quei due riuscissero a comunicarseli l'un l'altra in tempo per evitare possibili imprevisti. Non si poteva mai sapere. E poi quei due, secondo Lidia, formavano una così bella coppia che dovevano assolutamente mettersi insieme il prima possibile. Heydar, con quella sua elevata statura e gli occhi ambrati e timidi, pareva proprio la metà complementare di Céline, piccola e dinamica di corporatura e con scuri occhi esuberanti e vivaci.

"Grazie, Lilli! Questa chiacchierata mi è stata molto utile" la ringraziò l'iraniano, sbilanciandosi in avanti per abbracciarla con trasporto.

"Di nulla, Dar" replicò Lidia.

Tuttavia il buonumore dei due compagni di classe fu piegato dal suono tempestivo della campanella, che annunciò le tre restanti ore di lezione estenuante e noiosa.

"Cielo, adesso abbiamo educazione fisica" piagnucolò pateticamente la ragazza, affondando le dita tra i capelli per la disperazione.

"Dài, si tratta di due ore... passeranno in fretta. E poi con Dal Molino le ore di ginnastica sono sempre molto divertenti" cercò di tirarle su il morale il moro, strappandole nulla più di un sospiro rassegnato.

"Io comunque non ho voglia di farle oggi, queste due ore" commentò la ragazza, sedendosi al suo posto mentre Heydar si accomodava al proprio.

Pochi istanti dopo nella classe entrarono Francesca Letizia e Christof, seguiti poco dopo da altri compagni di classe, finché non entrarono anche i ragazzi del gruppo di amicizie di Lidia. Enrico le lanciò uno sguardo incuriosito e si sedette dietro a lei, passandole un foglio per farsi scrivere un breve riassunto della conversazione in privato avuta con Heydar. La ragazza si mise di buona lena a raccontargli in modo breve e sintetico ciò che stava succedendo tra Céline e l'iraniano e dei piccoli interventi che lei si era permessa di fare per agevolarli, ignorando le domande insistenti che Aurelia, seduta di banco accanto a lei, le rivolse.

La ragazza, per il suo bene, venne messa subitaneamente a tacere dall'arrivo del docente di Educazione Fisica, soprannominato affettuosamente 'er Mister' dai suoi alunni per via del suo bizzarro accento romanesco che stonava così strano con il suo cognome nordico, al secolo Lorenzo Dal Molino, che si guadagnò ancora una volta nella vita la più alta stima della sua alunna Lidia Draghi, finalmente al sicuro dalla curiosità mordace di Aurelia grazie al suo ingresso nella classe.




***


°E' proprio fantastico!





N.d.A.
Salve a tutti! :D
Innanzitutto, spero che non ci siano errori nel testo perché non ho potuto riguardarlo e l'ho dovuto pubblicare di fretta e furia. Secondo, mi auguro che i fatti del capitolo vi siano piaciuti, perché sinceramente mi era uscito difficilissimo scrivere questo nuovo testo. Lidia ed Ivan ora cominciano ad affrontare il lato carnale della loro storia, anche se l'uomo è restio a lasciarsi andare perché vuole che la ragazza viva l'esperienza come la più bella della sua vita. Poi ci si mette in mezzo pure Eva, che però è facilmente neutralizzata dalla sorella. Aurelia fraintende invece i sentimenti dell'amica e si potrebbero creare situazioni un po' imbarazzanti in futuro. Forse però, perché il capitolo devo ancora scriverlo xD
Infine, grazie a tutti coloro che hanno letto il capitolo e in particolar modo a chi ha recensito, ossia controcorrente e 9CRIS3 *-*
Mi fa piacere sapere che la storia interessa tante persone.
Bene, vi lascio qui... e buona giornata!
Alla prossima >_>


Flame

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


23.
 


 

Nota: in questo capitolo accenno a osservazioni su argomenti che qualcuno potrebbe trovare offensive a proposito della religione, ma si tratta solamente di alcune convinzioni personali che esprimo attraverso la voce di Lidia, perciò spero che nessuno si senta coinvolto sul piano personale e le accetti come un semplice punto di vista espresso in questa storia da uno dei suoi tanti personaggi.



 

"Lì! Lilli!" esclamò Céline a voce emozionata ed eccitata insieme quando rivide la sua migliore amica il martedì seguente.

La ragazza era riuscita ad arrivare a scuola senza gli atroci dolori fisici legati al ritorno del temuto ciclo che l'affliggevano puntualmente ogni mese.

Céline era entrata alle sette e cinquanta a scuola, poi, con stupore e una certa baldanza, aveva subito intravisto dalla vetrata Lidia che oltrepassava il cancello dell'istituto e si era quindi fiondata dalla sua aula al primo piano di sotto, al piano terra, in modo da salutarla e per raccontarle dell'insperata mano dal cielo che aveva ricevuto la sera prima.

"Lidia, insomma! Non si saluta più?" l'apostrofò quando, cogliendola di sorpresa, l'abbracciò energicamente, travolgendola con la sua allegria prorompente.

"Hey" la salutò distrattamente l'amica.

"Che succede?" indagò subito Céline, cambiando radicalmente espressione.

Infatti la mora aveva immediatamente compreso che c'era qualcosa che non andava. L'aveva capito dal tono velatamente preoccupato e dal sospiro di Lidia.

Gli occhi azzurri di quest'ultima si posarono su di lei, mentre le sue labbra rosse e carnose accennavano un sorriso. Ma si vedeva che non era in vena di essere allegra.

"Oggi c'è l'udienza preliminare per la separazione tra Ivan e Alessia. Discuteranno anche della custodia di Emma. Ho paura che qualcosa vada storto, che Ivan non ottenga l'affidamento congiunto... Non ci sono motivi per cui non gli dovrebbe essere concessa, ma temo comunque che possa accadere qualcosa di terribile" spiegò.

"Oh, Lidia... Sta' tranquilla: a detta di mia madre e mio padre l'avvocato di Ivan è abile ed esperto e gioca bene le proprie carte nei processi. E poi, come hai detto tu stessa, il tuo fidanzato non ha assunto un comportamento da padre incapace. Anzi, per le continue assenze di Alessia nella vita di sua figlia potrebbe essere invece lei a rischiare qualcosa di brutto" cercò di rasserenarla l'amica, ma non ci riuscì. "A proposito di fidanzati, dove sta il ciondolo di cui mi hai parlato?" la interrogò poi, cercando di strapparle un sorriso.

Lidia sbuffò una risata, tirandolo fuori da sotto il maglione azzurro e il pesante giaccone invernale. Lo mise in bella mostra per l'amica, che lanciò un gridolino di felicità.

"Ma è meraviglioso! E' così elegante... chissà quanto deve aver speso Ivan per farti questo regalo!"

"Io guardo al valore affettivo del suo dono, non a quello monetario" replicò Lidia, risistemando la collana sotto la maglia e il cappotto.

"Comunque, è un regalo bellissimo, Lilli... deve davvero volerti molto bene. Ti ha dato un pegno d'amore, e ciò significa che ora siete fidanzati. Sono così felice per te!"

"Anche io sono felice. Non me lo aspettavo proprio." A Lidia brillavano gli occhi di gioia al ricordo di quella giornata passata con Ivan.

"E allora su, conserva questo buonumore e non temere che l'udienza di oggi possa andar male" le disse, dandole una vigorosa pacca d'incoraggiamento sulla spalla.

"E invece ho un brutto presentimento, Céli. Sono impensierita. Ho paura che qualcosa vada male nel processo di stamattina. Dimmi che mi sbaglio, ti prego!"

"E' meglio che tu non dia retta al tuo intuito, Lilli. Sei come un ubriaco che cerca di fare centro al gioco delle freccette... non ci azzecchi mai" la prese in giro la bruna, strappandole la prima risata del mattino.

"Spero che tu abbia ragione" replicò infine Lidia, che accantonò in parte la sua preoccupazione per il processo. "Comunque, che avevi da dirmi di così importante? Mi sei letteralmente saltata addosso appena mi hai vista!"

Céline recuperò in fretta la sua euforia e strinse forte le mani della castana, trascinandola poi in un angolo dello stretto corridoio dell'istituto ancora semideserto.

"Heydar mi ha chiesto di uscire! Mi ha chiesto di uscire!" le rivelò, elettrizzata e incapace di smussare gli angoli della bocca carnosa tesi in uno dei suoi famosi sorrisi a trentadue denti.

Afferrandole nuovamente entrambi i polsi, la scrollò con forza, saltellando sul posto per la felicità.

"Davvero?!"

"Davvero davvero!"

Lidia era a bocca aperta per lo stupore. Era contentissima per l'amica, ma anche sbigottita. Si aspettava una mossa da parte dell'iraniano, ma non così presto. Heydar era estremamente timido ed indeciso e ci metteva un sacco di tempo ad esternare i suoi sentimenti verso qualcuno. Quando si era innamorato - e poi fidanzato - con la compagna di classe di Eva, ci aveva messo più di un mese per trovare il coraggio per decidersi a rivolgerle un semplice 'ciao' in chat.

"Sì! Ieri sera! Non sapevo nemmeno che avesse il mio numero... mi ha mandato un messaggio sul telefono dicendo subito chi fosse e che aveva ricevuto il numero da un amico, poi abbiamo parlato un po'. Io ero proprio esterrefatta, non me l'aspettavo! E sai? Il mio numero gliel'ha dato Enrico."

Lidia pensò al suo altro migliore amico, immaginando che, se Céline avesse saputo che lei gli aveva parlato della sua cotta, li avrebbe fulminati entrambi. Céline era gelosa della propria privacy. Ma Lidia era certa che il biondo non si sarebbe mai azzardato a rivelare di avere fatto una mossa così audace per aiutare l'amica. Più tardi avrebbe provveduto a parlargli chiaramente, in modo da metterlo in guardia dallo svelare a Céline di aver messo lo zampino nella sua vita sentimentale.

"Chissà perché Enri gli ha dato il mio numero... a te ha detto qualcosa?" le domandò l'amica, mettendola in difficoltà.

"No, no... mi ha detto solo che è stato Heydar a chiederglielo" le mentì la castana in tono convincente.

"Wow, davvero?! Heydar? Ma... ma come, Heydar? Cioé, perché... vabbé, lo chiederò direttamente a lui domani sera. Comunque, ad un certo punto mi ha chiesto un appuntamento! Io ho fatto un po' la difficile, giusto per tenerlo un po' sulla corda, poi alla fine ho accettato. Ci vediamo mercoledì sera al Caffé Gilli... Cielo, come sono emozionata!"

"Ci credo" ridacchiò Lidia, felice per l'amica. "Anche perché è il tuo primo appuntamento con una ragazzo da più di quattro anni!"

"Sì. A causa di Diego mi sono persa un sacco di cose" borbottò accigliata Céline, facendo poi una smorfia.

Lidia sospirò pesantemente.

"Almeno tu e il mio compagno di classe potete vedervi tranquillamente."

"Suvvia... perché non provi a parlare della tua relazione con Ivan ai tuoi genitori? Magari sapranno dimostrarsi comprensivi..."

"Sì, e poi mi chiuderanno in casa a vita e mi impediranno di uscire, mia madre mi farà il quarto grado ogni giorno per sapere ogni singolo dettaglio sulla nostra storia e mio padre cercherà di fare la pelle ad Ivan per la gelosia che prova nei confronti della sua figlia maggiore. Quella responsabile, prudente, obbediente e riflessiva che non contesterebbe mai gli ordini di suo padre."

"Eddài... un po' di fortuna dovrete per forza riceverla anche voi due. In fondo, lui ha subìto un sacco di batoste nel corso della sua vita e tu ne riceveresti una bella grossa se vi andasse male. Sii ottimista e la vita ti sorriderà" le consigliò Céline con un timido sorriso d'incoraggiamento.

"Sai che le cazzate che spari mi fanno sentire meglio?" la prese in giro l'amica, facendole una linguaccia e scoppiando a ridere.

Céline, indispettita e divertita al tempo stesso, balzò per cingere il collo della castana in un abbraccio energico, obbligandola ad abbassarsi per contraccambiare, trascinandola alla sua relativa altezza di un metro e cinquanta per poi ridere insieme a Lidia, la sua migliore amica in assoluto dalla nascita.

"Ora basta, lasciami andare... altrimenti mi ritroverò con la gobba prima di aver compiuto diciannove anni" sbuffò sorridendo la più alta, liberandosi della stretta soffocante della mora.

"Zut, devo tornare in classe... fra qualche minuto suona. Bonjour, ma chérie, e buone lezioni" si congedò Céline, schioccandole un bacio mentre l'interlocutrice si avviava verso le scale per farsi le solite rampe di scale che la separavano dalla sua numerosa classe.

Quando entrò nell'aula ancora quasi deserta notò immediatamente Heydar, che se ne stava solitariamente seduto al suo banco a ripassare fisica per il compito ormai imminente della seconda ora di quella mattina.

"'Giorno, Dar" l'apostrofò, attirando la sua attenzione.

Heydar levò il capo dal libro aperto sul ripiano grigio del banco, fissando gli occhi ambrati in quelli azzurri della compagna di classe. Le sorrise di rimando e la salutò con un cenno della mano, tornando poi a concentrarsi sull'argomento che aveva compreso di meno.

"Ascoltami, devo dirti una cosa" si avventurò decisa la castana, afferrando lo schienale della sedia del banco accoppiato a quello dell'iraniano per poi sederglisi accanto.

"Sì?" concesse lui, alzando nuovamente le iridi auree sulla ragazza e chiudendo il volume della materia scientifica più ostica, insieme alla matematica, per l'intera classe del linguistico.

"Céline mi ha detto che l'hai contattata sul suo numero personale. Volevo soltanto avvertirti di non rivelarle il motivo per cui Enrico te lo ha passato. Se viene a scoprire che lui è a conoscenza delle vostre questioni sentimentali perché gliel'ho detto io se la prende con tutti, a cominciare da me ed Enri. E anche da te, perché penserà che non le hai detto nulla in proposito e si arrabbierà da morire. Dille che il mio amico ti ha passato il suo numero perché tu glielo hai chiesto" lo pregò la giovane.

"D'accordo, non le dirò nulla... però mi sembra che tu stia esagerando. In fondo lo avete fatto per incoraggiarci, no?"

"Sì, ma lei detesta questi tipi di aiuti. Però io so anche che tu sei troppo timido e lei troppo piena di aspettative riguardo quest'interesse reciproco per deludervi entrambi. E quindi ho deciso di agire così per questo motivo, per favorirvi. Le svelerò a tempo debito dei miei interventi. E di quelli di Enrico, ovviamente. Enrico terrà il becco chiuso, perché sa che Céline è gelosa della sua privacy e non vuole ingerenze da parte sua nella propria vita privata. Però anche tu devi stare zitto."

"Tacerò. Promesso" acconsentì lui.

"Sarà il nostro piccolissimo segreto. E per poco tempo, te l'assicuro" affermò Lidia, cambiando poi argomento di conversazione. "Come sei messo con fisica?"

"Pfff" sbuffò lui con un'alzata di spalle veloce. "Come al solito."

"Allora, se per solito intendi dire che te la caverai benissimo... Dovrò vederti ancora una volta consegnare la prova svolta corretta e completa prima della fine dei cinquanta minuti di lezione e sgattaiolare sano e salvo fuori della classe, sicuro di aver rimediato un altro dei tuoi nove, oppure un dieci, se ti va a culo per davvero" lo prese in giro con un sorriso venato di tristezza. Anche se tentava di non pensarci, Lidia non riusciva a non dedicare un minimo della sua preoccupazione al processo, che sarebbe cominciato alle nove di quella mattina.

"Che c'è? E' successo qualcosa?" la interrogò lui in replica alla frase ironica, notando un velo di tristezza e preoccupazione nel fondo del suo sguardo celeste.

"Nulla, perché?" mentì lei, domandandosi come facesse l'iraniano ad essere così intuitivo.

A volte le ricordava Ivan. Aveva la sua stessa intelligenza acuta e indagatrice ed un intuito quasi infallibile, almeno per quanto riguardava le persone e le situazioni che riusciva ad analizzare con freddezza e lucidità. Quando però entravano in gioco sentimenti ed ormoni, Heydar perdeva completamente la testa e diventava enormemente insicuro, così come era successo nel caso di Céline. Per fortuna era accorsa Lidia ad aiutarli, altrimenti la loro occasione non si sarebbe forse mai presentata.

"Lo so che mi stai dicendo una bugia, ma sorvolerò sui tuoi motivi ed accetterò la tua versione, a meno che non decidi di confidarti" la blandì il compagno di classe, fingendo rassegnazione.

In verità voleva fare qualcosa per la castana, dato che lei lo aveva aiutato tanto per riuscire a sbloccarsi e a farsi avanti con Céline. Però non voleva obbligarla a condividere le sue angosce con qualcun altro, perciò non insistette più di tanto, anche se era parecchio curioso.

Lidia comunque non cadde nella trappola. Era consapevole della preoccupazione di quello che poteva ormai considerare un nuovo amico fidato, ma non poteva né tantomeno voleva confidargli il suo tormento. Il che avrebbe voluto dire svelare la sua storia segreta con Ivan.

"Sta' tranquillo, Dar: i miei problemi sono nulla a confronto di quelli di una persona di mia conoscenza. In questo momento sono estremamente preoccupata per lui, ma, dato che sono impotente e non posso intervenire se non al fine di peggiorare ulteriormente le cose, attenderò con pazienza che mi venga data una certa notizia, che spero sia positiva. Non posso parlarti né di questa persona che m'interessa tanto, né delle angosce che affliggono me e lui, tuttavia posso soltanto aggiungere che gradisco il tuo interessamento e che so di poter contare su di te se mai avrò bisogno del tuo aiuto."

E, nonostante la tensione le avesse nuovamente caricato il cuore, lei sorrise, alzandosi poi dalla sedia per andare a sistemarsi al proprio posto.

"Come vuoi tu" concesse Heydar, arrendendosi.

Quindi l'iraniano spostò definitivamente la sua attenzione sul libro di fisica, riaprendolo sull'argomento di cui un dettaglio non gli era chiaro e completando il ripasso in vista dell'avvicinarsi della prova.


 

***


 

"Che merda che è stato il compito!" si lamentò Aurelia ancora una volta, incontrando il cupo brontolìo di conferma da parte dei compagni di classe che la stavano seguendo fuori della classe.

Quella serpe venefica della loro insegnante era uscita cinque minuti prima, poco dopo il trillo squillante della campanella che annunciava l'inizio della terza, e, avendo un'ora buca, gli alunni della quinta avevano deciso di prendersela comoda e riposarsi, in modo da riprendersi dallo shock dopo la terribile esaminazione.

Lidia, contrariamente a quanto lei stessa si era aspettata, era riuscita a svolgere almeno tre quarti del compito in modo decente, scrivendo poi i testi degli ultimi due esercizi assegnati per guadagnare un mezzo punto in più da ciascuno di essi, dato che il serpente a sonagli che le insegnava matematica e fisica assegnava qualche punto in aggiunta al voto complessivo della prova anche grazie al parziale avviamento di quelli non svolti. Evidentemente, concentrarsi su fisica e sacrificare qualche pomeriggio o serata di uscite con gli amici era servito a qualcosa.

Stavolta la ragazza contava su un sei pieno. Magari, se la stronza avesse avuto pietà - cosa inaudita -, le avrebbe pure regalato un sette per premiarla. Le pareva un desiderio proibito, inarrivabile, inconcepibile, ma la mente di Lidia lo sfornò lo stesso, accarezzando con fiducia e aspettativa quel pensiero positivo.

La megera se ne era andata ondeggiando vistosamente i fianchi con il passo incerto al di sopra dei tacchi di dodici centimetri che calzava, sbuffando per scansare un ciuffo lungo e ribelle sfuggito alla sua grigia e severa acconciatura altrimenti impeccabile. Un sospiro di sollievo misto a disperazione fu emesso contemporaneamente da tutti i suoi allievi non appena questa girò l'angolo del corridoio per dirigersi verso le prossime vittime di turno - alias gli alunni del terzo scientifico -, seguito poi da un vociare irrequieto e scontento. C'era chi si sarebbe strappato i capelli per la disperazione, intimorito dalla prospettiva di una bocciatura proprio ad un passo dagli esami, e chi, come Francesca, Christoph, Eliana e Federico, la prendeva con molta filosofia, minimizzando l'accaduto e liquidando i discorsi altrui con un'alzata di spalle o un'amara risata di rassegnazione.

Solo Lidia ed Heydar, tuttavia, sorridevano positivamente.

"Com'è andato a te il compito, Lidia? Era piuttosto difficile, oggi..." le chiese l'iraniano, avvicinandosi alla ragazza che guardava fuori dalla finestra.

Un forte scroscio offuscava gli ampi vetri delle finestre dell'istituto, nascondendo la vista della città al di fuori di essi.

"Bene, credo. Anzi, ne sono convinta. Ho quasi sicuramente rimediato un voto superiore al sei, dato che la mia cieca votazione alla fisica nell'ultima settimana ha dato finalmente i suoi frutti. Oppure, se qualche possibile entità superiore mi ha presa a benvolere, potrei cavarmela anche con un bel sette... magari! Così i miei mi permetteranno di trascorrere la cena della vigilia di Natale con i miei amici e non con loro a casa dei nonni paterni a Siena. Li raggiungerei comunque per Santo Stefano, perciò che senso avrebbe seguirli anche per la vigilia e perdermi il primo cenone natalizio con i miei amici più cari?"

"Be', tu confida nella buona sorte e forse sarai premiata" le disse saggiamente Heydar.

"Tu sempre positivo, eh? Sicuramente avrai svolto tutti gli esercizi alla perfezione e avrai preso un nove o un dieci, a seconda di come gira alla prof., per cui non ti domando come è andato il compito perché conosco già la risposta."

"Allah mi deve aver favorito per l'ennesima volta" ridacchiò il ragazzo, squittendo divertito di fronte all'espressione colma di disappunto della compagna di classe.

Heydar era musulmano, ma la sua famiglia, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare dalla sua nazionalità iraniana e dalla tradizionale religione sciita del medesimo popolo, era sunnita progressista e integrata alla perfezione e lui stesso era solo un fedele osservante, ma non praticante. Sua madre era italiana e si era sposata con rito civile con il figlio di uno dei pochi iraniani sunniti fuggiti dal loro paese dopo la Rivoluzione iraniana del '79, che aveva portato al potere il partito sciita, tradizionalista, estremista e nemico giurato dell'esiguo partito sunnita. Da allora la famiglia di Abdullah Lotfollahi aveva trovato rifugio in Italia, più precisamente a Firenze, dove il suo giovane figlio minore Kareem conobbe Mara Del Fiore, studentessa di lettere moderne insieme a lui alla facoltà fiorentina, con cui in seguito si unì in rito civile alla fine degli anni '80 ed ebbe tre figli, Jasmine - nel '91 -, Heydar - nel '95 - e Samira - nel '97.

Lidia osservò corrucciata il bel volto del ricciuto ragazzo accanto a lei, trattenendosi di fronte alla sua professione religiosa. Non era intollerante nei confronti di etnie o credi differenti, ma era fortemente scettica riguardo quest'ultimo. Lei non credeva in nessun Dio.

Lidia era atea.

Heydar ricordò improvvisamente la diffidenza dell'amica per la religione, poi arrossì, lievemente imbarazzato, e le chiese scusa per aver nominato il Dio in cui lui credeva.

"Tranquillo, non devi mica chiedermi scusa... è che io la religione non la sopporto proprio. Quasi nessuno rispetta mai il mio ateismo, e ormai tutto sanno che non ho fede. Anche i miei genitori, che sono dei ferventi cattolici, ogni tanto mi fanno pressione per trascinarmi alla messa domenicale o costringermi con qualsiasi mezzo a riavvicinarmi ai fottutissimi valori cristiani in cui mi hanno cresciuta. E io non ce la faccio proprio, provo repulsione per qualsiasi credo. E' per questo che a volte mi dà fastidio sentire nominare un Dio. Ma ciò non impedisce a nessuno di farlo in mia presenza, per carità! Io rispetto le professioni di fede altrui."

"Cosa ti ha spinto a diventare atea?" le domandò cautamente l'iraniano, spinto dalla curiosità di conoscere qualcosa in più sulla migliore amica della bella ragazza la cui piacevole presenza affollava il flusso dei suoi sogni notturni e diurni.

"Be', spero non ti offenderai per ciò che sto per dire, ma... Ogni religione pone all'uomo dei limiti, fisici o psicologici che siano, e gli impediscono di agire liberamente. Il credere in uno o più dèi avrebbe dovuto portare la pace, e invece la storia è piena di esempi di guerre di religione o massacri, stragi e inutili spargimenti di sangue a causa di questioni di fede. I dogmi mi sembrano delle grandi cavolate. Ci sono religioni così bigotte e restrittive la cui sola esistenza mi fa venire l'orticaria, perchè non rispettano i diritti delle persone, ad esempio quelli delle donne. E poi non nutro una spiccata e cieca fiducia in uno o più esseri la cui esistenza non è mai stata provata o di cui parlano solamente alcuni testi antichi che favoleggiano su storie di uomini che forse nemmeno sono mai realmente esistiti. Io non ci credo e basta. E poi non me la dà a bere la storia della vita dopo la morte, né la possibilità di vivere quest'ipotetica esistenza in un luogo di delizie e pace, come il Paradiso, o di supplizio e fiamme eterne, come l'Inferno. Mi suonano inverosimili. Soprattutto, se ipoteticamente esistese un Dio buono e misericordioso, perché il mondo è una polveriera continua di guerre e fratture irreversibili? Non mi riesce proprio di crederci incondizionatamente, senza pormi domande sulla veridicità di queste affermazioni. E' una mia convinzione."

"Ok" asserì semplicemente Heydar, continuando a osservarla per lungo tempo con un'espressione sempre attenta e penetrante negli occhi castano dorato.

"Non mi giudichi?" replicò l'altra con leggero stupore, aggrottando le scure sopracciglia fine ed arcuate.

"Mi considero di ampie vedute e condivido alcuni tuoi dubbi riguardo la mia religione, anche se credo nel mio Dio in maniera quasi totale. Comunque, perché dovrei giudicarti? E' una tua scelta e il massimo che posso fare è rispettarla" le rispose, accennando poi un sorriso.

"Wow, sei la prima persona dopo Céline, Enrico ed Eva che mi dice una cosa simile." E anche Ivan, avrebbe voluto aggiungere Lidia, ma si trattenne dal pronunciare il suo nome.

Il pensiero del processo la colse nuovamente e le sfuggì un sospiro angosciato. Alla quinta ora, un'altra di buco a causa dell'assenza della Hamilton, la professoressa della terza ora, che era andato in viaggio d'istruzione con le classi quarte, la castana si sarebbe allontanata dall'aula con una scusa e avrebbe telefonato ad Ivan per conoscere le decisioni del giudice in quella sentenza, dato che il processo, che iniziava alle nove di quella mattina, forse sarebbe stato interrotto per una consultazione o una pausa oppure propriamente terminato.

"Evidentemente gli altri sono troppo impegnati a criticarti questo 'difetto'" e il compagno di classe disegnò in aria il gesto delle virgolette per sottolineare il vero significato che voleva dare alla parola difetto, "per potersi rendere conto con che fantastica persona hanno a che fare."

Lidia, interrompendo il flusso delle proprie riflessioni, arrossì di piacere al complimento del giovane, poi lo abbracciò di slancio, attirando su di sé l'aurea occhiata contenta di Heydar e gli sguardi stupiti di metà dei suoi compagni, tra i quali spiccava quello sgranato di Aurelia.

"Credo che in te troverò sempre un buon amico" disse convinta, sciogliendo la presa sul suo torace.

"Ci puoi contare" confermò il ragazzo con un sorriso, scusandosi poi e uscendo dall'aula.

Lidia aveva appena afferrato il Samsung dalla tasca sinistra dei pantaloni aderenti beige che le fasciavano le gambe toniche e longilinee, che Aurelia si avvicinò di soppiatto, lanciandole un'occhiata sospettosa e inviperita.

"Credevi di fuorviarmi?" la aggredì, lasciando trasudare un po' di veleno dalla sua accusa.

Lidia strabuzzò gli occhi, disorientata.

"Come, prego? In che cosa ti avrei voluta fuoriviare? Me lo spieghi?"

"Tu mi hai detto che non c'è assolutamente nulla tra te e Heydar. E invece oggi lo hai pure abbracciato davanti a tutti!"

"Che c'è, sei gelosa?" la provocò, scoppiando a ridere con sommo stupore della sua interlocutrice e del capannello di compagni pettegoli che seguiva la discreta argomentazione dal proprio posto.

"Io? Gelosa? No, sei fuori strada, assolutamente. Tu sai chi è che mi piace. Però sono irritata, perché non si mente ad un'amica" la rimproverò, gonfiando le guance d'aria come una bambina corrucciata. "Mi aveva giurato che non c'era nulla tra di voi, e invece..."

Lidia le sorrise in modo comprensivo.

"Vedi, il fatto che lo abbia abbracciato non significa assolutamente niente. E' un mio amico, e mi è molto più caro e simpatico di quanto tu possa immaginare, ma oltre alla semplice amicizia null'altro di più serio ci lega. Anzi, ho dei motivi molto validi che mi impedirebbero di legarmi a lui in senso diverso, se mai dovesse succedere. Perciò non devi sentirti irritata per una mancata confidenza che in realtà non è necessaria, perché io, veramente, non ho proprio nulla da confessarti" la ammansì, gettando poi un'occhiataccia critica della serie fatevi-gli-affari-vostri ai loro compagni di classe impiccioni. "E voi, signore e signori, voltatevi e fatevi un pacco di cazzi vostri, perché non ho nulla da rivelare nemmeno a voi. Quindi smettetela di origliare la conversazione tra me ed Aury e tornate a disperarvi e a piangervi addosso per la strage che sicuramente il compito di fisica farà in classe nostra."

La ventina di ragazze e ragazzi in ascolto accolsero l'acre replica positivamente, chi con imbarazzo e chi con comicità. Si levarono alcune risatine e poi ognuno tornò a pensare agli affari propri o altrui, mettendo a tacere le congetture che già nascevano nelle loro menti sul conto di Heydar e Lidia.


 

***


 

"Allora? Come è andato il compito?" s'intromise Eva nella conversazione tra Lidia e Céline, spuntando da dietro le spalle della sorella e della sua migliore amica.

Entrambe sobbalzarono per la sorpresa, guardandola con occhi truci, poi tirarono un sospiro di sollievo e si voltarono verso di lei.

"Ci hai fatto prendere un colpo" le fece notare la bruna, squadrandola con perplessità.

"Meglio di quanto sperassi, Eva, ma perché ti fai viva con me a ricreazione? Di solito a malapena riusciamo a vederci a scuola. Tu non mi cerchi mai per parlare durante la pausa" replicò la primogenita della famiglia Draghi, dando poi voce al dubbio che aveva attraversato anche la mente dell'amica.

"Lo so, ma il mio professore ti voleva parlare... voleva sapere da te perché sei stata tu a giustificarmi per l'assenza di venerdì scorso. Mi ha mandata a cercarti a ricreazione per parlare con lui" mugugnò corrucciata la ragazzina.

"Ok, allora vengo con te e gli spiegherò che i genitori non sono stati a casa nel weekend e che ti ho firmato io la giustificazione per una marea di motivi diversi, dato che dovevo sostituirli, eccetera eccetera" continuò la sorella maggiore, seguendo la quindicenne e salutando momentaneamente il suo gruppo di amici e Céline.

"Che ti ha chiesto di preciso il tuo professore?" le domandò poi Lidia.

"Il Prof. Alunni voleva sapere perché hai firmato tu invece dei miei genitori. E il motivo della mia assenza, che non lo convinceva tanto."

"Puoi sempre addurre la scusa del ciclo" ridacchiò la diciottenne.

"Non mi crederebbe, purtroppo. E' uno stronzo e pure misogino, credo. Con noi ragazze è più bastardo che con i maschi. E poi è un uomo e pure un vecchiaccio aspro come un limone, quindi che ne sa lui dei dolori delle mestruazioni? Mi dirà che stavo fingendo."

"Vabbé, chiariremo l'equivoco e ti coprirò le spalle con lui e i genitori."

L'alto, allampanato Prof. Alunni attendeva con impazienza le due sorelle Draghi sulla soglia dell'aula della terza classe dell'I.T.I. Informatica e Telecomunicazioni - la classe di Mauro -, in cui insegnava, a braccia conserte e con uno sguardo impassibile negli acquosi occhi verdognoli.

"Eva" la chiamò il cinquantasettenne non appena le due ragazze svoltarono l'angolo del corridoio. "Venite qui, prego. Vorrei parlare con te e tua sorella..."

"Lidia" si presentò l'interpellata.

"... sì, Lidia... perché non ho chiara una cosa."

"Prego, mi dica."

"Tua sorella mi ha detto che l'hai giustificata per l'assenza di venerdì perché i vostri genitori erano assenti durante questo fine settimana."

"Sì, infatti loro ed Eva sono rimasti fuori città sia venerdì che sabato. Sono rientrati domenica mattina a Firenze" s'inventò sul momento la castana, sfoderando un tono convincente.

"Sì, siamo stati dai miei nonni a Siena" mentì Eva, intervenendo nella conversazione.

"Dai nonni a Siena?" Alunni sollevò un sopracciglio, scettico.

"Sì, la nostra nonna si è sentita poco bene e volevamo sapere come stava. Le abbiamo fatto una visita nel weekend per tranquillizzarci e restarle vicino."

"Però io ti ho vista a scuola venerdì mattina, Lidia, mentre Eva non c'era. Perché lei non si è presentata? Era anche interrogata a storia. Il Prof. Ruggeri se ne è risentito molto, perché non è la prima volta che Eva salta una sua interrogazione. Come mi spiegate quest'assenza che sembra proprio strategica?" ribatté il professore della ragazza nei guai, scoprendo le sue carte.

Eva rimase spiazzata da quella domanda, ma Lidia aveva già pronta una replica accettabile. Si aspettava una mossa del genere, dato che non potevano esserci altri motivi per una convocazione da parte del coordinatore di classe della sorella, ed aveva preparato una scusa perfetta.

"Mia sorella non ha fatto un'assenza strategica, perché i nostri genitori non gliel'avrebbero permesso. Ci controllano molto e vogliono che studiamo e che ci dimostriamo diligenti e studiose a scuola. Hanno riflettuto sulla questione e hanno deciso infine che Eva poteva partire tranquillamente con loro, dato che la verifica orale poteva essere posticipata di qualche giorno. Io invece sono stata costretta a rimanere perché dovevo seguire la lezione del prof. di scienze, che ci aveva promesso di spiegarci alcuni argomenti di fisica che non avevamo capito con le spiegazioni della professoressa di ruolo. Il Prof. Diarena può benissimo confermarlo. Oggi abbiamo avuto la verifica di fisica e lui per venerdì si era offerto di aiutarci a capire un po' più gli argomenti del ripasso per la prova. Sono stata obbligata ad andare a scuola perché non capisco per niente la fisica e ho problemi a raggiungere il sei alla fine di ogni quadrimestre. E quest'anno non posso permettermi di prendere il debito, perché ho gli esami di maturità. La presenza di Eva a scuola non era strettamente necessaria come la mia. E poi potrà svolgere l'interrogazione anche alla prossima lezione del Prof. Ruggeri, o sbaglio?"

"Ma il professore poteva almeno essere avvertito, no?" replicò piccato l'uomo, ragionando sulle parole della sua interlocutrice.

"Colpa mia" si scusò Lidia con un finto sorrisetto contrito. "Mi era stato detto di riferire dell'assenza improvvisa di Eva a Ruggeri, ma mi sono dimenticata... ho avuto il mio bel daffare, ultimamente. Spero che possa perdonarmi."

"Va bene, la questione è chiarita. Però mi auguro che da ora fino alla fine dell'anno scolastico tua sorella si presenti con più assiduità" concesse infine Alunni, squadrando poi con aria di disapprovazione la sua alunna.

"Va bene... riferirò tutto ai genitori" promise Lidia con un cenno d'assenso del capo.

"Buona giornata, Prof." dissero le due ragazze in coro, allontanandosi dalla classe terza a passo abbastanza sostenuto.

"Arrivederci" le salutò l'uomo con tono indifferente, rientrando poi nella classe.

"Grazie, Lidia, grazie!" esordì la minore non appena le due ebbero svoltato l'angolo del corridoio, saltellando di gioia e abbracciando con foga la sorella più grande, piena di riconoscenza e gratitudine. "Mi hai parato il culo un'altra volta!"

"D'accordo, sorellina, anche io ti voglio bene, ma non stringermi così!" la prese in giro Lidia, sorridendole con affetto e scompigliandole gli scuri capelli castani, mossi come i propri. "E comunque comincia a inventarti balle da sola, ti prego. Sai che detesto doverti sempre coprire le spalle."

"Hey, ricordati che ai colloqui di metà quadrimestre con i prof. a dicembre ci vai tu a parlare con Alunni, altrimenti quello racconta tutto ai genitori" le rammentò la sorella con una smorfia.

"Tu invece abituati a tenere alta la guardia da sola, perché io dall'anno prossimo non sarò più qui a scuola a proteggerti."

"Wie du willst°" le rispose la quindicenne in tedesco, continuando a camminare verso il bar del secondo piano.

"Ora ti lascio, ma ci vediamo all'uscita. Mi raccomando, cerca di studiare un pochino storia oggi pomeriggio, altrimenti rimedierai un brutto voto."

"Mi aiuti?" la pregò Eva, congiungendo le mani a preghiera.

"Mi dispiace, ma oggi sono impegnata. Non sono nemmeno a casa, questo pomeriggio."

"Dove vai? E quando torni?"

"Dove vado sono affari miei, mia piccola curiosona" e le sorrise bonariamente. "Tornerò a casa tardi, forse anche dopo cena... potrei pure tornare prima, oppure non uscire affatto - e in quel caso ti aiuterò volentieri -, ma dipende."

"Da cosa?" insistette la sorella minore.

"Di sicuro non da me" rispose Lidia eludendo l'invadenza della ragazzina. "Ora scusami, ma devo tornare in classe. Fra poco suona e io ho filosofia alla quarta ora. Il Prof. ci vuole subito in classe appena lui entra. Ci vediamo dopo."

E, dopo averle posato un bacio sulla guancia paffuta e rosea, la ragazza le sorrise e si diresse verso le scale, mettendo piede nella propria aula giusto in tempo per udire il trillo assordante della campanella annunciare la fine della pausa di metà mattina.

Non posso certo dire ad Eva che mi tengo il pomeriggio libero per provare ad incontrarmi con Ivan.


 


 

°Come vuoi tu


 

***




N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto mi scuso in anticipo se qualcuno dovesse aver trovato offensive le considerazioni di Lidia. Ma ognuno ha le sue opinioni e la libertà di esprimerle, perciò eccole lì scritte.
Comunque, termino subito dicendo che questo capitolo è solo di passaggio e non succede molto, perché anticipa gli avvenimenti dei prossimi due. per il resto, aggiungo che forse la storia subirà dei rallentamenti, perché sono sempre sommersa dallo studio in questi mesi e la voglia di scrivere è sempre meno. A prescindere dal rallentamento, comunque, la storia non sarà in nessun caso abbandonata, né subirà pause lunghe settimane o mesi interi.
Per finire, ringrazio chiunque ha letto il capitolo e anche chi segue la storia... siete tantissimi *-* E un grazie speciale va a controcorrente e Lachiaretta, che hanno recensito lo scorso aggiornamento.
Grazie mille a tutti, e buona giornata! <3


Flame

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


24.




 

L'ora di filosofia scivolò via in fretta insieme al flusso di parole che uscivano dalla bocca del Prof. Castellucci a proposito di Hegel, trascinando con sé la smania di Lidia di poter mettere finalmente le mani sul telefono, schizzare fuori dalla classe con una scusa qualsiasi e telefonare a Ivan per avere aggiornamenti sul processo in corso. La ragazza tamburellava le dita sul tavolo, impaziente di poter avvertire il vibrante, maschile e profondo tono della calda voce del suo fidanzato, in modo da sapere finalmente come stava procedendo l'udienza per decidere sull'affidamento di Emma.

"Finalmente l'ora è terminata!" sbottò agitata quando udì il trillo acuto della campanella annunciare l'avvento della quinta ora, la seconda di buco in quella mattinata per la quinta classe del liceo linguistico.

Lidia si fiondò al bagno non appena vide la placida figura del Castellucci svoltare l'angolo, diretta verso la rampa di scale. Fece irruzione nel locale come una furia, rifugiandosi nel primo bagno aperto che trovò per poi chiudersi dentro a chiave. Estrasse il cellulare dai pantaloni beige, digitando il numero di Christian e aprendo una telefonata. Il bip dell'attesa di risposta continuò a squillare a vuoto per vari secondi, fino a che la segreteria del numero non si attivò automaticamente. Sospirando con impazienza, la castana si lasciò andare contro una parete dello stretto stanzino, appoggiandosi ad essa ed avvertendo un brivido di freddo correrle lungo la schiena, coperta da un pesante maglione di lana azzurra, al contatto con il freddo delle gelide mattonelle che rivestivano il muro.

Gemendo costernata, Lidia si torceva continuamente i polsi, non sapendo cosa fare per ingannare il tempo, nell'attesa che Ivan, vedendo la chiamata persa, la ricontattasse. Impensierita per quell'attesa snervante, prese dalla tasca dei jeans gli auricolari, dove li aveva fatti scivolare prima di entrare a scuola qualche ora prima, e se li infilò alle orecchie, cominciando ad ascoltare musica dal cellulare.

Le note vibranti di 'Innervision' dei suoi amati System Of A Down cominciarono a penetrarle nella mente e nei pensieri, soverchiando ogni altro rumore o voce esterni.

"'My pupils dance, lost in a trance, your sacred silence, losing all violence... Stars in their place, mirror you face, I need to find you, I need to seek my inner vision...'" cantava Serj, trascinando Lidia in una danza mentale frenetica al ritmo della canzone, sfogando l'impazienza e la preoccupazione che affliggevano la ragazza.

Quelle parole urlate, poi sussurrate, quel miscuglio di note furenti, deliranti, esaltanti la fecero liberare, dandole carica e risollevandole l'umore, che rimase cupo come una nube temporalesca ma più quieto e compassato.

"'Inner vision... Inner vision...'"

Una breve battuta strumentale precedette la voce soverchiante e magnetica di Serj Tankian, che esplose in una furiosa danza di parole intrecciate tra loro a ritmo spedito, trascinando con sé l'animo in tumulto della ragazza.

"'It's never too late to reinvent the bicycle, a smile brings forth energy and life, giving you force...!'" tuonò quella voce energica e tenace, veemente e trascinante come il livido brontolio del basso, lo sfrenato martellare della batteria e il vibrante pizzicato della chitarra elettrica.

La canzone terminò, lavando via la tensione che gravava sullo stato d'animo instabile della giovane. 'Crawling' dei Linkin Park e 'Apocalypse Please' dei Muse seguirono le note di 'Innervision', che poi lasciarono posto a 'Points Of Authority', un'altra canzone dei Linkin Park. La voce aggressiva di Chester Bennington aveva appena invaso a volume altissimo i condotti auricolari di Lidia che la musica s'interruppe ad una vibrazione improvvisa.

Sobbalzando appena, la ragazza premette subito il cancelletto verde, rispondendo alla chiamata che aveva ricevuto senza nemmeno leggere chi fosse la persona che l'aveva contattata. La voce di Ivan riempì il vuoto lasciato da Chester Bennington, neutralizzando finalmente la sua latente preoccupazione.

"Hey" la salutò l'uomo, tirando un impercettibile sospiro di sollievo che la ragazza non captò.

"Cos'è stato stabilito? Cos'ha deciso il giudice?" lo investì Lidia, preoccupata e morbosamente curiosa insieme. Trepidava per l'impazienza.

"Tranquilla, l'udienza è andata fin troppo bene! Pensavo che il verdetto mi avrebbe svantaggiato" la acquietò Ivan, per poi spiegarle cos'era stato deciso. "Il giudice ha stabilito un affidamento condiviso a mio favore, perché ha riconosciuto il mio impegno e la mia buona volontà nel voler mantenere inalterate la serenità e la stabilità nella vita di mia figlia. Ha fatto notare ad Alessia che è troppo disinteressata ed assente e l'ha velatamente minacciata: se non smette di comportarsi così la custodia potrebbe perderla definitivamente, perché il suo non è un comportamento esemplare. Quindi è stato deciso che Emma passerà con me le prime tre settimane di ogni mese e il weekend dell'ultima, mentre Alessia potrà vederla solamente nei fine settimana delle prime tre settimane e nei giorni feriali dell'ultima. Il vantaggio è stato dato a me perché l'ambiente che ho creato per la vita della mia bambina è tranquillo e stabile. Emma preferisce restare con me invece che con sua madre. Perciò trascorrerà più tempo con me. Per le vacanze è stata stabilita invece un'alternanza."

"Un'alternanza?"

"Sì. In pratica, Emma trascorrerà un Natale con Alessia e un Natale con me, per farti un esempio. Lo stesso vale per le altre festività, come la Pasqua. Per le vacanze estive ancora non è stato deciso nulla, ma l'udienza verrà aggiornata a febbraio 2014 e il giudice si pronuncerà a proposito di tale questione."

"La sentenza è andata benissimo!" esultò Lidia lanciando un gridolino di felicità. Era al settimo cielo. "Anzi, è andata meglio di quanto ci potessimo aspettare!"

"In realtà io ero un po' preoccupato, ma non più di tanto. Mi sono dimostrato un padre modello e posso garantire una vita più tranquilla ad Emma rispetto a quanto Alessia puo' e vuole fare. In fondo speravo di potermi aspettare un vantaggio" concluse Ivan con una certa orgogliosa soddisfazione, passandosi la mano tra i capelli scuri che gli cadevano continuamente sulla faccia.

Soffiando verso l'alto per spostare un altro ciuffo fastidioso dalla fronte, l'uomo si disse che doveva tagliarli oppure cominciare a raccoglierli in un codino, perché erano veramente troppo lunghi. Quasi quasi, in quanto a lunghezza, facevano competizione al taglio di capelli che Lidia intendeva farsi fare, cioé un caschetto mosso che le sarebbe arrivato poco sotto il mento.

"Hanno concesso ad Alessia di vedere Emma così spesso solamente perché è la madre" commentò la castana, arricciando il naso infastidita.

Proprio non riusciva a sopportare quella donna. Non solo perché aveva tradito Ivan e continuava a farlo spudoratamente da un anno, ma anche e soprattutto perché per un capriccio personale aveva sfasciato una famiglia e distrutto l'infanzia serena della sua unica figlia di otto anni. Aveva rovinato tutto solamente perché non si sentiva considerata a dovere dal marito, che si concentrava più sul lavoro e sulla figlia che su di lei.

Ma Ivan aveva una propria vita oltre alla moglie, non poteva sempre correrle dietro. Lui, fondamentalmente, non aveva colpa della separazione. L'unico sbaglio che aveva commesso era stato quello di insistere a sposarsi con una donna che già gli era stata infedele per attirare su di sé l'attenzione del fidanzato, una donna bella, pure spiritosa ed intelligente, che gli voleva anche bene, ma che con la boria, l'orgoglio, l'egocentrismo, l'attitudine al comando sugli altri e alle pretese, aveva distrutto il rapporto d'amore di svariati anni con il padre della sua bambina. Alessia l'aveva amato, ma in modo superficiale, mentre lui non aveva provato abbastanza ad approfondire quel rapporto a dovere, in modo che fosse sincero e duraturo. Erano giovani, accecati da un innamoramento che per lei era stato abbastanza rapido e per lui un po' più serio, e soprattutto non avevano la maturità adatta per sposarsi e metter su famiglia insieme. O, almeno, non la persona adatta al proprio fianco.

Alessia era la vera responsabile di quella separazione tormentata, perché per egoismo aveva deciso di tradire il marito, solamente per causargli sofferenza e per umiliarlo. Forse, però, voleva solamente attirare l'attenzione di Ivan su di sé, magari per tentare di arrestare il deterioramento di un matrimonio che rischiava di saltare? Perché Alessia aveva distrutto tutto quanto, mettendo da parte i suoi difetti peggiori?

Lidia scosse la testa, pensando che quella donna non meritava delle così profonde e complicate elucubrazioni mentali. Meritava solamente un bel calcio in quel sedere rotondo e formoso che ancheggiava continuamente a destra e a sinistra, sottolineando anche una certa tendenza licenziosa che faceva parte della sua indole vivace.

"Forse, ma non ci credo molto. Certamente il fatto che lei sia la madre ha il suo peso, ma non è determinante. Quando mia madre perse la mia custodia successe proprio perché lei, la madre di un bambino di sei anni, aveva strappato il figlio al padre e gli aveva impedito di vederlo. A mia madre fu sottratta la mia custodia proprio perché aveva dimostrato di essere una genitrice snaturata, o degenere, come l'ha sempre chiamata quel bastardo di mio padre. ***." gli sfuggì una bestemmia, incalzato com'era dal rancore che provava verso la figura paterna che lo aveva allevato in un clima teso e malevolo, sotto i colpi sferzanti di un dispotismo autoritario. Si scusò per l'imprecazione violenta, giustificandosi con la rabbia che provava ancora dopo venti, lunghi anni dall'ultima lite col tanto odiato genitore. "Emiliano è il verme più viscido e lurido che abbia mai strisciato su questa terra. Lo odio, lo odio tantissimo. Mi ha rovinato l'infanzia, mi ha allontanato da mia madre, ha cercato in tutti i modi di soffocarmi, ma non c'è riuscito, quel maledetto."

"Tranquillo, le bestemmie non mi turbano affatto. Io sono atea. Tuttavia non credo che sia una bella cosa il fatto che tu le dica. Sei credente, dopotutto, o sbaglio?" lo rimproverò la ragazza con una punta di acredine nella voce.

"Eddài, Lilli, non farmi la paternale..."

"E tu non fare l'idiota, ti ho rimproverato soltanto. Mica sei mio figlio" replicò Lidia, scoppiando a ridere al pensiero.

La situazione immaginata era piuttosto singolare, perché nella realtà era Lidia ad avere più possibilità di Ivan di essere una sua figlia abbastanza grandicella, e non certamente il contrario.

Anche Ivan sorrise, nonostante fosse appena stato chamato idiota. Ma la giovane non poté certo vederlo.

"Comunque, riprendendo il discorso precedente... Alessia rischia di più proprio per il fatto che è la madre di Emma. Ha rasentato i limiti dell'inadeguatezza, a detta del giudice, perché è troppo assente e incurante di sua figlia. Rischia grosso."

"Meglio per te" ribatté Lidia.

"Sì, ma non per Emma." Ivan sospirò pesantemente. "Soffrirebbe molto se non potesse più vederla. Anche se Alessia non è un granché come madre - o, almeno, non lo è più, perché prima della nostra crisi matrimoniale era veramente una madre fantastica -, è pur sempre la donna che ha messo al mondo la mia bambina, che l'ha cresciuta, con cui lei ha vissuto i primi otto anni della sua vita. Sarebbe una separazione troppo drastica e dolorosa per Emma. Soffrirebbe troppo. E' per questo che mi auguro che Alessia non si comporti da stupida e si faccia valere un pochino come madre."

"Cosa comporterebbe la perdita dell'affidamento congiunto per Alessia?" chiese Lidia incuriosita.

"Io non ne capisco molto di legge, ma a quanto ho potuto intuire la mia ex-moglie conserverebbe solamente la patria potestà su Emma, ma non il diritto di vederla. Ovviamente le verrebbero concessi dal tribunale alcuni giorni, sparsi equamente durante l'arco di un anno, per poter frequentare sua figlia, ma si tratterebbe solamente di una o due settimane scarse, credo. Forse anche meno."

"Sta' attento, Ivan, perché Alessia vuole portare Emma con sé in Germania. Dillo al giudice, devi farglielo presente. Altrimenti tua moglie potrebbe darti del filo da torcere" lo ammonì con dolce partecipazione la ragazza, sinceramente preoccupata.

"Sarò sempre cauto, te lo prometto" promise l'uomo, cambiando poi argomento. "Come è andato il tuo compito di fisica? Sapevo che oggi ne avevi uno."

"Meglio di quanto mi aspettassi! Forse riesco a prendere anche un bel sette pieno, per una volta!" esultò Lidia ridendo euforica.

"La giornata è iniziata bene per tutti e due, a quanto pare" convenne Ivan con leggerezza, gustandosi quel tanto agognato momento di sicurezza e pace interiore che non avvertiva più dentro sé da fin troppo tempo.

La voce tenera di Lidia, combinata al senso di calma e stabilità che lo pervadeva, gli risultava così serena e gradevole che avvertì l'impulso irrefrenabile di poterla stringere a sé e condividere quella sensazione di rilassatezza. Desiderava profondamente di poterla rivedere presto, per avvertire la concreta presenza del suo corpo tra le braccia, per baciarla e godere insieme di quell'attimo di pace che rappresentava una tregua per la loro storia difficile. Una pausa che permetteva loro di affrontare una prospettiva più serena del proprio rapporto.

"Sì! E deve procedere così, perciò che ne dici di renderla ancor più bella?"

"Che intendi dire, Lidia? Non ti seguo."

"Eddài, possibile che sono sempre io a pensarci! Non ti va di vedermi oggi pomeriggio?" disse la ragazza ponendo la domanda cruciale.

"Oggi pomeriggio?"

"Sì. Mi tengo libera apposta per te... cioé, per noi. Non sai quanta voglia ho di rivederti! Mi manchi tantissimo."

"Oggi pomeriggio ho un turno di lavoro, Lidia... Mi dispiace tanto, davvero, perché anche io vorrei vederti. Ma non posso farmelo spostare con così poco preavviso; già l'hanno fatto stamattina affinché io potessi presenziare all'udienza. Sono desolato, ma non posso."

Ivan non riuscì a trattenere un sospiro di delusione.

"Oh... ok."

Lidia sbuffò corrucciata.

"Per stasera, altrimenti?" si ostinò, restia a cedere.

"Rimango a casa. C'è Alessia che deve preparare le sue cose per trasferirsi e io le do una mano affinché si sbrighi il prima possibile a lasciare la casa."

"Si trasferisce?" Lidia era rimasta di stucco. "E dove? Ma perché?"

"Perché fuori dal tribunale mi ha parlato in privato e mi ha detto che non vuole nulla dei miei soldi, né la casa che ho comprato con i miei risparmi poco prima che nascesse Emma. Dato che lei va a convivere con Giacomo non ha bisogno del 'tugurio malandato' in cui ci siamo trasferiti, perciò ha gentilmente rinunciato alla casa coniugale, che di solito spetta alla moglie in caso di divorzio. Poi firmeremo un documento ufficiale in cui verrà ratificata la sua rinuncia alla casa e ad altri beni comuni. E pensa che era stata proprio lei a scegliere quella casa sul Lungarno per trasferirsi... diceva che era una villetta molto graziosa. La trovava perfetta per noi tre, quando quel noi esisteva ancora."

"Pfff, quella donna è proprio una vipera. E anche scema. Davvero l'aveva scelta lei la casa?"

"Sì. Io non sarei mai andato a vivere in un posto così distante dall'ospedale in cui lavoro. Da dove abito io è molto scomodo raggiungere la struttura, ci vogliono almeno venti minuti" confermò l'uomo.

"Allora Alessia è proprio tonta."

"Solo in rarissimi casi" ironizzò Ivan.

Lidia scoppiò a ridere, nonostante l'amarezza che provava per il rifiuto che Ivan era stato costretto a darle alla proposta di prima.

"Lidia, sei qui dentro?" esordì una voce femminile dall'esterno del bagno.

La ragazza sentì la porta della toilette aprirsi. Istantaneamente chiuse la chiamata, mordendosi il labbro superiore con un canino, improvvisamente incerta. Qualcuno aveva per caso sentito la sua conversazione con Ivan?

Dall'altro capo del telefono, l'uomo si ritrovò a parlare da solo, sconcertato dal fatto che la ragazza avesse riattaccato. Era forse successo qualcosa? Magari era arrivato qualcuno e, per evitare di essere ascoltata, aveva interrotto la chiamata. Non sapeva però che la castana si trovava alla toilette e che la loro conversazione era stata forse scoperta da qualcuno che non doveva sapere nulla.

Lidia si fiondò fuori del bagno, andando a scontrarsi con una figura esile e dalla lunga chioma fluente. Con un grido entrambe le ragazze caddero sul pavimento, con la castana che sovrastava l'altra liceale. Si ritrovò col volto affondato nelle morbide, lunghe volute ramate della sua amica Aurelia, che invece cercava di sgusciare via da sotto il corpo di Lidia che gravava sul suo.

"Lidia, ma insomma! Ti vuoi alzare in piedi oppure ti devo scansare io?!" protestò con voce stridula e alterata, lanciandole un'occhiata di fuoco quando si liberò.

La compagna di classe, che si era rialzata in piedi, le tese la mano e l'aiutò a levarsi da terra, ridendo scompostamente per il piccolo incidente che aveva causato.

"Scusami! Non l'ho fatto apposta... Perché mi stavi cercando, però?" divagò.

"In classe è arrivato Marzi... ci fa sostituzione per quest'ora, senza tuttavia anticipare l'ultima. Praticamente ci dobbiamo sorbire non una ma due ore di letteratura tedesca. Marzi mi ha mandata a cercarti: è un quarto d'ora che dovevi rientrare in classe! Che cazzo stavi combinando?"

"Io... io... be', io... stavo..."

Aurelia lanciò un'occhiata agli auricolari che la ragazza stringeva ancora tra le mani.

"Stavi ascoltando della musica? E non potevi farlo in classe?" la interruppe, gettandole uno sguardo perplesso.

Lidia colse al volo la scusa che l'amica le aveva inconsapevolmente servito su un vassoio d'argento e confermò la sua ipotesi, tirando fuori uno sguardo contrito che risultò abbastanza convincente.

"Non pensavo che ci avessero assegnato qualcuno come sostituzione e quindi credevo di potermene restare fuori dell'aula per tutta l'ora. Mi dispiace... non mi sono accorta del tempo che passava. Credi che quel nazista si incazzerà? Devo trovare una scusa..."

"Gli diciamo che non stavi bene. E se ti chiede che cos'hai tira fuori la scusa del ciclo. Magari, per convincerlo, ogni tanto durante la lezione fa' finta di avere i crampi alla pancia e lamentati del dolore. Non ti romperà le palle più di tanto" suggerì Aurelia facendole l'occhiolino.

Le due ragazze scoppiarono a ridere insieme, poi si diressero verso la classe lentamente, chiacchierando tra loro.

"Perché prima ridevi? Ti ho trovata proprio perché ho sentito la tua risata" indagò la rossa.

Lidia preparò in breve tempo una scusa.

"Avevo messo la riproduzione casuale di tutti i file musicali del cellulare e quando mi hai trovata ridevo perché stavo riascoltando un audio di qualche mese fa. L'avevo registrato la sera del diciottesimo di Antonio, quando lui aveva alzato il gomito un po' troppo. Ti ricordi che si era messo a reinterpretare Lucio Battisti? Stonava come una campana arrugginita! Ci stavo crepando dalle risate e allora l'avevo registrato. Ho conservato quest'audio: è troppo divertente!"

"Me lo passi più tardi?" le chiese Aurelia con un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra sottili, l'unica pecca, a detta sua, del suo volto altrimenti perfetto. "Almeno, se mi nega un favore, lo posso ricattare promettendogli di divulgare questa registrazione!" e rise.

"Ma no, povero Anto... mi dispiace, ma lo terrò per me" ribatté la castana, scuotendo la testa e preparandosi a inscenare la ragazza sofferente a causa del ritorno del ciclo che si era rifugiata in bagno in cerca di un po' di conforto.

Nascose le cuffie dentro alla tasca dei pantaloni, poi, di fronte alla porta chiusa della classe, assunse l'espressione più addolorata e incupita che potesse riuscire a inscenare, pronta a recitare il ruolo drammatico.


 

***


 

Quel pomeriggio Lidia stava riordinando la camera che condivideva con Eva, quando ad un certo punto il cellulare vibrò.

La ragazza stava pericolosamente in bilico sulla sedia della scrivania per rimettere a posto un CD dei System Of A Down in cima agli scaffali, quando il rumore la distrasse per un solo istante, facendole rischiare una brutta caduta.

"Maledetta goffaggine!" borbottò fra sé, stizzita dalla propria incapacità di stare in equilibrio a lungo.

Non le riusciva proprio di stare in piedi sui pattini a rotelle o da pista di pattinaggio, né sugli sci - anche se effettivamente non aveva mai sciato, per cui supponeva soltanto di non esserne capace -, né sullo skate di Mauro, né su quella sedia un bel po' traballante con cui stava rischiando l'osso del collo. Già era tanto che sapesse stare in equilibrio sulla bici o sullo scooter. Ma almeno quello le riusciva bene.

Cercò il telefono tra le coperte disfatte del letto. Quando guardò lo schermo illuminato rimase alquanto male: si aspettava un messaggio da parte di Ivan, al quale ne aveva spedito uno intorno alle due, poco prima che entrasse al lavoro. Invece le era arrivato un sms da Gianluca.

Perché devo avere alle calcagna un ragazzo petulante invece di suo fratello?, si domandò, scuotendo la testa.


 

Hey, Lidia!
Sono Luca. Mi chiedevo... ti va di vederci oggi pomeriggio? Per una cioccolata calda, in un posto molto carino che conosco io. Solo se vuoi, ovviamente. E solamente se non ti fai problemi a sorseggiare una cioccolata, come invece capita a tante ragazze. ;)


 

Quel messaggio screziato di ironia le strappò un sorrisetto, nonostante fosse scocciata dalla presenza sempre opprimente del ragazzo nella sua vita privata. Era piuttosto tormentoso, ma per quel pomeriggio decise di farlo contento, accettando di uscire con lui per un'oretta. Magari poi l'avrebbe lasciata in pace, si disse con un'alzata di spalle.

Contaci, le confermò la sua sarcastica vocetta interiore.

Lidia voleva vedere Ivan e invece non poteva. Quindi al diavolo tutto, mica poteva deprimersi così rimanendo in casa agli arresti domiciliari. In fondo era sola, che cosa ci faceva lì a sprecare un pomeriggio libero - o almeno pensava, dato che si era dimenticata di dover studiare storia dell'arte per il giorno seguente - dallo studio?

Eva, nonostante dovesse studiare storia per l'interrogazione del giorno dopo, era fuori con Matteo, o ciò almeno era quello che le aveva distrattamente detto; i suoi genitori, invece, in giro insieme per il centro storico, dato che non passavano un pomeriggio da soli da tantissimo tempo.

Lidia aveva chiamato anche Céline ed Enrico, ma la prima era dai nonni paterni per fare visita al nonno appena uscito dal centro di riabilitazione dopo l'ictus, mentre il secondo era a casa di amici. Si sentiva tremendamente sola a stare in casa per tutto il pomeriggio. Perciò accettò l'invito di Gianluca, per accontentare lui e per non annoiarsi in casa per altre interminabili ore di solitudine.


 

Ciao, Luca :)
Va bene, esco volentieri con te. Sono libera per qualche ora. Dimmi tu quando e dove ci vediamo.


 

Ti va bene se passo a prenderti intorno alle quattro davanti casa tua?


 

Perfetto. Conosci l'indirizzo?


 

Ti avevo già riaccompagnata a casa l'ultima volta. Credo di ricordarmi.


 

Ok. A dopo, allora!
Ps: non mi faccio problemi a mangiare cioccolata, non sono fissata con una dieta :P


 

Essendosi messa d'accordo con il ventiduenne, la ragazza si preparò per uscire, truccandosi leggermente e indossando abiti pesanti per proteggersi dal freddo. Uscendo di casa cinque minuti prima dell'ora prevista per l'incontro, si chiuse la porta alle spalle, attendendo poi lo studente seduta sugli scalini dell'ingresso mentre scriveva un messaggio ad Aurelia con il cellulare.

Una manciata di minuti dopo vide la Ford blu di Gianluca accostare al cancello dell'abitazione. La ragazza uscì dal perimetro del giardino e si rifugiò nell'abitacolo riscaldato dell'automobile per sfuggire al gelo tagliente che avvertiva sulla pelle delicata del viso, salutando con un cenno della mano il moro.

"Hey, Lidia" si limitò a salutarla con una mano, badando a non sfiorarla.

Da quando lei gli aveva stampato in faccia quel ceffone, non si era più azzardato a toccarla ed evitava qualsiasi contatto che avrebbe potuto essere frainteso, perfino un innocente abbraccio fra quasi-amici. Perché ciò potevano considerarsi, un po' meno di amici ma un po' più di conoscenti. E poi lui era innamorato di lei. Non la vedeva certamente come un'amica.

"Come va?" le domandò poco dopo, intavolando una conversazione.

Lidia era persa nei propri pensieri, ovviamente rivolti al di lui fratello Ivan, ma decise di mostrarsi interessata e rispose con quanta più gentilezza possibile allo studente, ponendogli poi lo stesso quesito.

"Mah, diciamo così così... è un periodo duro, questo. Ricominciano i corsi universitari e in più fra poco noi studenti saremo assegnati al tirocinio, perciò la mole di lavoro sulle nostre spalle aumenterà spaventosamente. Senza neanche contare i primi esami del quarto anno!"

Gianluca era visibilmente incupito da quella prospettiva, perciò Lidia sfoderò il suo sarcasmo per tirare fuori una battutina e farlo ridere.

"Be', considera il lato positivo: avrai troppo da fare per correre dietro le ragazze e tutto tornerà a favore della pace interiore di tuo fratello, che si sente tanto in dovere di impedirti di conquistarne così tante" sdrammatizzò, facendolo scoppiare a ridere.

"Povero Ivan: per i prossimi dieci anni l'avrò fatto invecchiare di più di trenta se non smette di corrermi dietro e di starmi sempre appresso a insegnarmi le buone maniere" sghignazzò Gianluca, lanciandole poi un'occhiata lunga e silenziosa.

Sotto quello sguardo grigio come il cielo di Firenze Lidia si sentì insicura riguardo ciò che aveva detto poch'innanzi, ma non le riuscì a capire cosa stesse passando nella testa del moro, incapace di penetrare quello sguardo indecifrabile.

Gianluca parcheggiò l'auto poco lontano dal centro storico, proponendole di fare una passeggiata. Era spuntato qualche pallido raggio di sole autunnale e l'aria si era fatta un pochino più calda, perciò la camminata si prospettava gradevole. Lidia e il ragazzo fiancheggiarono Palazzo Strozzi, percorrendo Via de' Tornabuoni, quindi si diressero fino al Lungarno Corsini attraversando Piazza della Trinità.

Gianluca tirò fuori il pacchetto di Marlboro e se ne accese una con l'accendino che si portava sempre in tasca, inspirando a fondo il denso fumo bianco per poi aprire la bocca e buttarlo fuori. Chiese alla ragazza se ne voleva una e le porse il pacchetto, ma lei scosse il capo asserendo che non fumava. Lui risistemò le Marlboro nella tasca della giacca, accanto all'accendino.

"Un giorno penso di andarmene da Firenze" disse ad un certo punto il ventiduenne con tono casuale, inspirando nuovamente. Spostò la sigaretta da una mano all'altra quando si accorse che l'odore del tabacco dava fastidio a Lidia, la quale stava sventagliando davanti al proprio viso una mano per scacciare lo sgradevole fumo.

"E perché mai?" indagò Lidia, incuriosita da quell'affermazione.

"Non credo sia la città che faccia per me. Penso di fare qualche esperienza lavorativa all'estero o comunque lontano dalla Toscana e poi di trasferirmi lì. Magari me ne andrò in Francia, anche se io e le lingue non andiamo molto d'accordo."

Lo studente espirò il fumo dalla bocca, sollevando una nuvola biancastra nell'aria fredda e umida.

"In Francia, te lo dico io che ci sono stata una settimana in secondo liceo, si mangia proprio da schifo... te la sconsiglio" replicò con un sorriso la ragazza. "Anche se le nana francesi devono essere tipi che ti si confanno. Sono tipe solari e sicuramente più estroverse di me" osservò poi, impertinente, strappandogli uno sbuffo canzonatorio.

"Nana?" Gianluca inarcò le sopracciglia, perplesso.

"Vuol dire 'ragazze' in gergo adolescenziale francese. Oppure anche 'pollastrelle', tanto per spiegare meglio il termine " spiegò la castana con un sorrisetto ironico.

"Come se io fossi solamente capace di pensare a quello e basta..." borbottò il giovane, fintamente irritato.

"Non mi hai lasciato un granché di impressione, la prima volta che mi hai voluto riaccompagnare a casa" lo riprese lei, continuando a camminare.

"Effettivamente hai ragione" concesse lui, tentennando la testa lievemente.

"Comunque, tu e Ivan vi assomigliate un sacco... anche lui non riesce a capire una singola parola in lingua straniera" commentò la castana, attirando su di sé lo sguardo dubbioso del ventiduenne.

"Vedo che conosci bene mio fratello."

"Mi ha vista nascere. Mia madre quel giorno è arrivata presto all'ospedale, intorno alle nove di mattina. L'attesa è stata lunga, poi intorno alle tre e mezza del pomeriggio è entrata in travaglio e io sono nata. Ivan stava facendo il turno da tirocinante nella stessa struttura quando sono cominciate le ultime contrazioni. E' accorso per essere al fianco di mia madre per non lasciarla da sola, dato che mio padre era a Siena in quei giorni. Praticamente, lui è stato il primo a prendermi dalle braccia dell'infermiera... è stato lui a porgermi a mia madre. Mi ha vista nascere e crescere ed è per questo che lo conosco. Poi le nostre famiglie sono anche amiche e il tutto ha incoraggiato questa conoscenza. Siamo... diciamo, amici da una vita. La mia, precisamente."

Il sorriso che illuminava il volto di Lidia era limpido ed innocente, anche se la ragazza avrebbe potuto aggiungere molto di più a proposito del suo rapporto di 'amicizia' con Ivan.

"Capisco." Gianluca annuì.

"L'ho frequentato nel corso della mia infanzia, anche se durante l'adolescenza mi facevo più i fatti miei e uscivo con gli amici anziché stare con i genitori e i loro amici. Però lo conosco abbastanza bene e mi accorgo che avete un sacco di punti in comune, anche se siete fratelli solo per metà. Tutti e due siete dei geni nelle materie scientifiche e delle frane nelle lingue straniere e nelle scienze umanistiche. Entrambi siete testardi e ironici. Anzi, sgradevolmente sarcastici, a volte."

La castana accennò una smorfia contrariata, scatenando l'ilarità del bruno.

"Maddài... non mi dire che ti offendi così facilmente" la prese in giro Gianluca.

"Sì. Posso? Oppure devo chiedere il permesso?"

"Non fa tanto ridere come battuta."

"Non ho il tuo senso dell'umorismo, sai?"

"O forse non ci provi a dovere" osservò il ragazzo.

Lidia gli sorrise obliquamente.

"Diciamo che forse hai ragione."


 

***


 

Un'oretta dopo, Gianluca e Lidia erano in un tranquillo, accogliente locale nella zona di S. Maria Novella, ad assaggiare la deliziosa cioccolata calda promessa in precedenza dal corvino.

"Hai ragione, è proprio squisita" squittì deliziata la ragazza dopo aver sorseggiato la bevanda. "Céline impazzirebbe se potesse assaggiarla... lei è molto golosa" aggiunse, soffocando la risata nel dolce aroma del cioccolato denso e saporito.

"Ne valeva o no la pena di provarla?" la stuzzicò Luca, felice di vederla così radiosa ed estasiato dalla bellezza che inconsapevolmente lei arricchiva con un sorriso smagliante e con le labbra rosse e carnose che gli facevano venir voglia di baciarle fino a renderle gonfie e voluttuose. Non sapeva che quelle labbra delicate le aveva già possedute suo fratello e la ragazza stava in guardia, decisa a non farglielo scoprire.

Lidia si era accorta che lui ogni tanto le lanciava un'occhiata ammirata, ma scelse di non farci caso per non rovinare quell'atmosfera rilassata appena creatasi.

Ma, sebbene i suoi propositi fossero fin troppo buoni e volenterosi, ciò non valeva per un'altra persona che di lì a poco arrivò a sconvolgere il delizioso clima di familiarità instauratosi tra i due amici.

Roberto entrò nel locale accompagnato da alcuni ragazzi. Inizialmente non si era accorto della presenza di Lidia, ma un suo amico, Edoardo, gli aveva sussurrato all'orecchio che c'era la sua ex seduta qualche tavolo più avanti insieme ad uno sconosciuto.

Gli occhi verde-castani del ventiquattrenne si posarono sulla sua precedente fidanzata, riducendosi a due sottili spilli quando la ragazza scoppiò a ridere ad una battuta del giovane seduto accanto a lei, che le teneva stretta una mano tra le proprie dita.

Roberto partì alla carica, desideroso di rovinare il pomeriggio a Lidia. La giovane lo aveva insultato e rifiutato varie volte da quando avevano ripreso i contatti e perciò lui, sentendosi ferito nell'orgoglio e umiliato di fronte agli amici, che ovviamente erano a conoscenza della sua assillante insistenza e dei netti rifiuti che riceveva, aveva in mente di sconvolgerle i piani, magari offendendola anche davanti a quello che, almeno ai suoi occhi, appariva come il misterioso ragazzo con cui la sua ex si frequentava.

Lidia avvertì istintivamente una presenza alle proprie spalle, perciò si voltò, sbattendo più volte le palpebre quando si accorse di avere a pochi passi di distanza Roberto, 'il Mollusco', che Enrico non era mai riuscito a sopportare.

"Ciao, Lilli cara" esordì lui, sogghignando malignamente.

"Roberto" bofonchiò la ragazza, improvvisamente innervosita, notando alle spalle dell'ex-fidanzato il suo gruppo di amici osservare la scena con interesse alquanto vivo. Si levò in piedi dalla sedia, fronteggiando il suo sguardo canzonatorio. "Che vuoi da me, di grazia?"

"Che dolcezza che tiri fuori. E' questo il modo di rivolgersi ad un ex?"

"Sì, se quello si è comportato da stronzo e dopo cinque mesi dalla rottura definitiva ancora ti assilla per rimettersi insieme a te" lo mise a tacere Lidia, lanciandogli un'occhiataccia di fuoco.

Gianluca, ancora seduto al suo posto, si alzò in piedi, non capendo bene cosa stesse succedendo.

"Chi è questo tizio, Lidia?" s'intromise.

"Sono il suo ex, rompicoglioni. E tornatene a sedere e fatti i cazzi tuoi, mica le voglio fare niente. Voglio solo parlarle" ringhiò il biondo, sostenuto dal mormorio di approvazione che riecheggiò serpeggiando tra i suoi tre amici.

"Luca, stanne fuori" l'avvertì la castana, lanciandogli uno sguardo eloquente.

"Luca... ma che nome simpatico" commentò Roberto, facendo montare la collera della diciottenne. "Insomma, Lilli, dopo che ci siamo lasciati ti sei data proprio da fare. Neanche il tempo di far passare cinque mesi che te la fai con un altro. Ma, dico io, ti sembra questo il modo di comportarsi? Salti da un letto a un altro come una cagna in calore" la insultò, aizzato dalle oscenità che il trio di idioti, a qualche metro di distanza da lui, gli suggeriva da dietro.

"Cazzo, sei venuto qui solo per insultarmi? Ma vattene affanculo, stronzo... va'! E fatti una vita tua: te non mi devi nemmeno più pensare, chiaro, coglione? Vattene via, insomma!" si difese la ragazza, punta nel vivo da quell'oltraggio, spintonandolo con le mani per farlo allontanare da sé.

Come poteva permettersi Roberto di offenderla accusandola di essere una poco di buono? Quando erano fidanzati, lui la prendeva in giro dicendole di essere troppo pudica. Quando voleva essere cattivo la accusava di essere frigida. In realtà Lidia era solamente insicura dei propri sentimenti. Come poteva consegnarsi ad un imbecille del genere?

Ora che l'aveva lasciato, però, si permetteva di insultarla proprio laddove non avrebbe potuto dire proprio niente, dato che non poteva vantare assolutamente un bel nulla: Lidia era ancora vergine e non era una stupida sprovveduta pronta a concedersi al primo che arrivava. No, lei era una ragazza seria. Forse troppo, ma abbastanza per evitare certi commenti offensivi.

Roberto le serrò strettamente i polsi tra le proprie grandi mani, costringendola ad rinunciare a spingerlo via, lasciandoglieli poi liberi. Ghignò sardonico.

"E piantala di difenderti! Tanto lo so che tipo sei: la solita santarellina pudica e schizzinosa pronta ad andare a letto col primo che viene! Hai capito che cazzo sei? Una troia! Prima con me recitavi la parte della frigida, e ora che sei libera da legami ti dai alla pazza gioia! Chi ti ha dato il diritto di vederti con chicchesia, quando ci siamo lasciati? Tua madre, per caso?" l'attaccò Roberto con foga, suscitando le risate di scherno del gruppo e attirando su Lidia le indiscrete occhiate degli altri presenti nel locale, compreso lo sguardo di rimprovero del proprietario, che temeva che la discussione potesse degenerare in una rissa, e l'espressione disorientata e contrariata di Gianluca.

Lidia sostenne lo sguardo sarcastico e le offese di Roberto con ammirevole sangue freddo, senza perdere le staffe né mostrare una qualsivoglia emozione, ma dentro di sé aveva voglia di mettersi a piangere. Che diritto aveva uno stronzo come lui di offenderla? Perché quella giornata doveva essere iniziata bene con il compito di fisica ben svolto e la positiva decisione del giudice a favore di Ivan nel processo, per poi peggiorare improvvisamente e degenerare? Che aveva fatto a ogni essere sovrannaturale, immaginario o reale che fosse, per meritarsi tutto questo? Avrebbe avuto voglia di urlare e gridare la sua collera. Arrossì intensamente e il suo volto divenne color porpora, ma non lasciò trasparire le sue emozioni violente.

Voleva Ivan accanto a sé, per sentirsi difendere, per farsi proteggere e consolare. Ma era da sola e doveva farsi valere senza l'aiuto di nessuno.

Gianluca, che per tutto il tempo era rimasto ad ascoltare le sferzanti offese di Roberto in piedi accanto alla castana, si fece avanti minacciosamente, innervosito e punto nel vivo. Chiunque fosse stato quel tizio sgradevole, non si sarebbe più permesso di insultare Lidia in quel modo.

Quindi si fece avanti, agitando il pugno minacciosamente sotto al naso adunco del biondo.

"Ma che cazzo vuoi te da Lidia? Chi sei? Che rompi? Ma vattene, stronzo, prima che ti faccia uscire i bulbi oculari per il culo, capito?!"

Roberto scoppiò a ridere fragorosamente.

Lidia cedette alle emozioni. Si sentì avvampare le guance ancor di più, poi le lacrime salirono pizzicandole gli occhi, difficili da mandare giù come un boccone amaro. Fremette al pensiero di aver subito quell'angheria abominevole dall'ex-fidanzato. Quell'essere senza spina dorsale non poteva permettersi di insultarla a quel modo. Anzi, non doveva nemmeno più osare parlarle o rivolgerle la parola.

Doveva sparire dalla sua vita. Subito. Immediatamente. Definitivamente.

Era livida di rabbia e frustrazione e stava per esplodere. Scansando bruscamente di lato la mole gargantuesca di Gianluca, la castana si fece avanti con determinazione, afferrando con presa ferrea il colletto della camicia candida di Roberto e trascinando il volto di lui sullo stesso livello del proprio, in modo da guardarlo dritto negli occhi, nonostante la differenza di dieci centimetri nell'altezza.

La sua ira divampò come una cupa, violenta fiammata.

"Sarà pure vero che mi sono sempre rifiutata di concederti la mia verginità, ma non puoi assolutamente accusarmi di essere una poco di buono. Piuttosto sei tu una troia, brutto puttaniere che non sei altro! Io ti ho lasciato perché la nostra storia era finita. Tu eri felice di aver riacquistato la libertà dei single, no?, e te la sei goduta alla grande. Io ho deciso di allargare la mia cerchia di amicizie e di conoscere nuova gente per provare ad incontrare qualcuno che non fosse stronzo come tu riesci benissimo ad essere. Ci siamo mollati cinque mesi fa e a te ora non deve importare né con chi mi frequento, né tantomeno se sto con qualcuno oppure no. Tu devi sparire dalla mia vita, hai capito?" gli ringhiò contro, con uno sguardo così duro e ostile da far abbassare lo sguardo al ventiquattrenne.

Gli sferrò uno schiaffo bruciante, guadagnando un'esclamazione soffocata di dolore e degli sguardi alquanto divertiti. Infine lasciò la presa sul colletto della camicia, allontanandosi dal biondo.

Lo fulminò con un'ultima occhiataccia colma di sdegno e riprovazione, poi prese la borsa e il cappotto dalla sedia su cui li aveva posati, senza dire nulla. A mento alto, ignorandolo e camminando fieramente dignitosa, lievemente impettita, Lidia si diresse al bancone, seguita passo passo da un alquanto disorientato Gianluca, e pagò le cioccolate che erano riusciti appena ad assaggiare.

"Ma tu guarda che idiota!" farfugliò fra sé una volta uscita dal locale, infuriata, incedendo a passo svelto con gli stivali borchiati sulla pavimentazione asfaltata della strada.

Lo studente universitario camminava al suo fianco, chiuso in un silenzio impenetrabile, tentato di farle delle domande a proposito di ciò che era successo prima ma dubbioso sulla reazione che avrebbe scatenato in lei. Perciò non le pose alcuna domanda, limitandosi a osservarla di sottecchi, taciturno. Lidia gli fu grata per la sua discrezione.

Come per una tacita richiesta subito compresa dal moro, i due ritornarono alla Ford blu, accomodandosi nell'abitacolo. Gianluca stava per rompere il silenzio di ghiaccio calato su di loro con un commento sulla rapida discesa del buio, quando la ragazza cominciò a singhiozzare appena.

Lidia si raggomitolò su se stessa, trattenendo al busto le gambe con le braccia, la testa china fra le ginocchia. Due lacrime salate solcavano i nivei pendii dei suoi zigomi arrossati dal freddo, cadendo con un fruscio ovattato, quasi impercettibile, sul tessuto beige dei jeans. Tirò su col naso, incapace a trattenersi, e cominciò a piangere piano, nascondendo il volto arrossato dal pianto contro le mani pallide a mo' di coppa.

"Lidia..." mormorò Gianluca dal proprio sedile di conducente, posandole cautamente un braccio sulla spalla e attirandola a sé per offrirle conforto.

A quel contatto la giovane si lasciò sfuggire un singhiozzo più forte, violento, che la scosse visibilmente e che fu seguito da una serie di singulti malrepressi. Reclinò la testa, nascondendola nell'incavo del suo collo. Rimase così, per alcuni minuti, tra le braccia consolatrici del ventiduenne, calmandosi lentamente.

"Mi dispiace, Luca..." balbettò ad un certo punto la ragazza, scostandosi bruscamente dal petto del suo interlocutore.

"Di cosa ti dispiace?" Gianluca era confuso; non capiva che cosa si dovesse far perdonare la castana.

"Mi dispiace che il nostro pomeriggio sia stato rovinato da quel deficiente di Roberto." Fece una pausa, asciugandosi il mascara colato a striscioline sottili lungo le sue guance arrossate. "Lui è il mio ex. L'ho lasciato perché mi tradiva: solamente perché non intendevo concedermi a lui, essendo insicura dei miei sentimenti. Litigavamo sempre, noi, e non sono mai stata sicura di ciò che provavo per lui. E adesso si permette pure di insultarmi! Proprio lui, quel bastardo capace solamente di infilarlo in ogni possibile fessura femminile!" disse in un singulto, continuando a versare lacrime mentre caparbiamente tentava di asciugarsele con il bordo della manica azzurra del cardigan.

"Ci sono in giro imbecilli del genere... Dispiace anche a me, Lilli, per ciò che è successo. Se l'avessi saputo, gli avrei spaccato la faccia!"

"No" si oppose la ragazza, piantandogli negli occhi uno sguardo fiammeggiante. "Ci sarebbe mancato solo il tuo intervento. Magari sarebbe finita pure con una denuncia contro di te per aggressione a quel coglione."

"Ok, come vuoi tu... Posso fare qualcosa per te? Hai bisogno di qualcosa?" si offrì Gianluca, sorridendole appena.

"Dimentica ciò che è successo, ti prego... fa' come se questo incontro sgradevole non fosse mai accaduto. E non perdere tempo con quel deficiente. Questa è una faccenda personale e la risolverò a modo mio, ma non voglio ingerenze dall'esterno."

"Ok, come desideri. Ma, se hai bisogno di aiuto o di sostegno, puoi sempre telefonarmi."

"Grazie, Luca, sei un amico."

Lidia accennò una smorfia che voleva essere un sorriso.

Il ragazzo comprese subito che era ora di salutarsi. Ma non voleva terminare lì il loro pomeriggio insieme: aveva in programma di convincerla a uscire con lui a cena e non intendeva perdere l'occasione. Quindi si fece avanti, tentando di trattenerla con sé ancora per qualche ora.

"Però... sei sicura di non volerne parlare? Magari davanti ad una pizza, più tardi... Forse ti sentirai meglio, se ti liberi" insistette.

Lidia fece segno di diniego con la testa, scuotendo la serica massa di boccoli castani dai flebili riflessi ramati.

"No, ma grazie comunque, Sei gentilissimo, davvero, ma preferisco tenere per me certi pensieri. E mi piacerebbe restare da sola. Potresti accompagnarmi a casa, per favore? Te ne sarei grata."

Seppur a malincuore, Gianluca non poteva negarle quel piacere, per cui la riaccompagnò fino all'abitazione, salutandola con un innocente bacio a stampo sulla guancia, mormorandole all'orecchio che non doveva piangere per colpa di uno stronzo come il suo ex. La castana gli sorrise riconoscente, poi sussurrò uno svelto 'Ciao' e aprì frettolosamente il cancello del giardino, mettendo fine, di fatto, a quel pomeriggio iniziato bene e finito con un disastro.

Appena lo incontro, questo Roberto del cazzo, lo spello vivo, si adirò Gianluca nell'abitacolo, rivolgendo tutti i pensieri assassini che richiamò alla mente all'ex-ragazzo di Lidia che era riuscito a farla piangere.

Lidia, invece, non appena mise piede nella casa deserta, si fiondò in camera, mettendo a tutto volume 'Hybrid Theory' dei Linkin Park, urlando tutto lo sdegno, la rabbia, l'umiliazione e la frustrazione che ribollivano dentro il suo spirito turbato al ritmo degli screams e dei growls furibondi e strazianti delle voci di Chester Bennington e Mike Shinoda.

Quindi, dopo aver cantato e gridato tutte le tracce del disco e aver raggiunto il parossismo dell'emozione, la ragazza spense il lettore CD e, raggomitolandosi sul letto con un cuscino di piume stretto convulsamente tra le braccia, pianse a lungo, sfogando le emozioni negative che la corrodevano dentro, bisognosa come non mai dell'abbraccio protettivo e consolatorio di Ivan sulle sue spalle inermi alle prepotenze del mondo esterno.


 

***



N.d.A.
Salve a tutti! :D
Eccomi qui con il nuovo capitolo. E con le guest star dell'aggiornamento, Roberto e Gianluca. Li rivolevate indietro, quindi eccoli qui. Roberto è un imbecille e usa un linguaggio offensivo, che spero non troviare troppo volgare. Gianluca invece si sta solo innamorando come una pera cotta della bella protagonista e viene continuamente friendzonato. Fin lì tutto normale, o quasi.
Passando alle considerazioni generali, aggiungo che questa è la seconda parte di un megacapitolo spaventosamente lungo di quarantacinque pagine - wtf!!! sì, sono impazzita - e terminerà con il prossimo. Quindi ancora la situazione non è chiusa completamente.
Poi, vorrei dire che sono arrivata appena a terminare il capitolo ventisei, perciò avrò altre due settimane di copertura prima di entrare in crisi di voglia e stress. Forse farò capitoli più brevi, perché quindici pagine a capitolo sono impossibili da scrivere e procedo a rilento. Inoltre, la scuola mi sta massacrando, perciò devo comunque allentare un po'. Il tutto a discapito della storia, ma non posso tirare avanti, altrimenti D:
Per finire, dato che sono pure in ritardo pazzesco per la cena - ehm... ^^'' -, ringrazio vivamente controcorrente e Tanny per aver recensito il capitolo scorso! Mi ha fatto piacere leggere i vostri commenti *-*
Bon, termino qui, e un grazie anche a chi ha letto tutta la fiction fino ad ora!
Buona serata, alla prossima!


Flame

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


25.
 


 

"Vecchio mio, come te la passi?" esordì Gianluca al telefono quando Ivan finalmente riuscì a rispondergli.

"Gianluca, sono al lavoro! Non dovrei neanche tenere il telefono con me, figuriamoci rispondere ad una chiamata!"

"E allora perché lo stai facendo?"

"Perché... perché ho un momento di pausa e volevo controllare possibili messaggi o chiamate perse. Sai che Alessia si trasferisce... ti ho detto della sua decisione, no? E quindi non vorrei che mi facesse qualche casino mentre non sono a casa. Comunque, che c'è che non va? Hai combinato qualche guaio e non sai come dirlo a tua madre?" ribatté il fratello maggiore sulla difensiva, sicuro che dietro al tono cordiale del minore si nascondesse qualche secondo fine.

"Si dà il caso che sia anche tua madre."

"Vabbé, fanculo ai dettagli. Stiamo parlando di te, non di me. E' successo qualcosa per cui dovrei preoccuparmi?"

"A me personalmente nulla di grave, ma vorrei parlarti. Ho da chiederti un consiglio. Stasera a che ora torni a casa?"

"Prima delle nove e mezza non sarò lì. E poi avrò ancora da fare: Alessia non ha ancora finito con il trasloco. Ho appena letto un suo messaggio."

"Ma sono solo le sette! Prima delle nove e mezza non avrà terminato di piantare casino a casa tua?"

"Forse no, conoscendola. Ma sicuramente Giacomo avrà fatto chiamare qualcuno per aiutarla a spostare tutti i suoi effetti personali, perciò potrebbe anche terminare prima del mio ritorno. Ma comunque non ho tempo, davvero. Devo andare a prendere Emma da mamma e Giovanni e poi metterla a dormire. Ora sono un padre single, ricordi? E mi devo prendere cura di mia figlia da solo per tre settimane al mese."

"Che palle che siete, te e i tuoi doveri! Non trovi mai tempo per tuo fratello" l'accusò Gianluca, gonfiando le guance d'aria come un bambino capriccioso.

"Gianluca, ma sei cretino? Ho già abbastanza da fare in questo periodo; ci manchi solamente tu con i tuoi irrisolvibili problemi esistenziali a sconvolgermi ulteriormente! Puoi evitare di rompermi troppo le scatole?"

"So che il periodo è difficile per te, non sono così scemo. Ma non potresti concedermi una mezz'oretta di tempo? E' una questione importante. Sono innamorato, ma lei non mi ricambia. Lei si comporta in modo ambiguo con me e io non so come fare" lo pregò il ragazzo, quasi mettendosi ad implorare.

"Innamorato? Oh cazzo, allora questo sì che è un problema! Allora... Per stasera non so dirti nulla di preciso, ma ora chiamo Alessia e le chiedo quanto tempo all'incirca dovrebbe impiegare ancora per spostare tutte le sue cose da casa mia. Poi ti faccio risapere quando vengo a prendere Emma da voi. D'accordo?" propose Ivan, turbato.

Per un motivo a lui sconosciuto quella confidenza fattagli dal fratello minore lo intimoriva leggermente. Avvertiva come un brutto presentimento, un preallarme che qualcosa sarebbe successo. Qualcosa di negativo.

"Grazie, fratellone! Ho davvero bisogno del tuo consiglio" esultò lo studente, recuperando un po' di buonumore.

"Ma... chi sarebbe la povera vittima di turno?" indagò Ivan, buttandola sullo scherzo.

In realtà nutriva il sospetto che Gianluca si fosse preso una sbandata per una certa ragazza di sua conoscenza e temeva fortemente di dovergli rivelare della relazione stretta con Lidia.

"La povera vittima di turno? Ma per chi mi hai preso?"

"Per un ninfomane" rise Ivan, trepidando tuttavia per l'impazienza di venire a conoscenza del nome della giovane. "Comunque, non tenermi sulle spine, dimmi di chi si tratta! Per caso io conosco la fortunata? O, per meglio dire, la sfortunata?"

"Fammi capire: te, che sei un vecchietto quarantenne, vorresti conoscere qualche ventenne, Ivan? Che giri da pervertito ti sei fatto ultimamente?" lo prese in giro il minore, replicando con una punta di acredine all'ironia del fratello.

"Sicuramente nessuno. Piuttosto, mi chiedo che cosa ti sei fumato tu adesso per parlarmi così, senza alcuna logica. Comunque, per farti un esempio, alcune ragazze sui vent'anni o giù di lì ne conosco, perché sono figlie di amici o colleghi: Celia, Lidia..." aggiunse Ivan, cominciando a spazientirsi.

Gianluca tacque per qualche secondo, poi sospirò imbarazzato, facendosi sentire chiaramente dall'uomo all'altro capo del telefono.

"Ti dico tutto più tardi. Ora devo andare, fra un po' ceno. Poi però dimmelo se possiamo parlare una mezz'oretta, eh? Ciao."

Il moro riattaccò, lasciando Ivan a riflettere su un'amara constatazione.

Sì, di sicuro si tratta di Lidia. Quel pensiero lo spaventò, perché ora la situazione per loro si faceva più difficile. Ivan strinse le dita, innervosito, quindi sferrò un violento pugno alla parete bianca del corridoio in cui si trovava, avvertendo il rumore delle ossa cozzare contro il muro. Con un gemito lamentoso, ritrasse la mano indolenzita per poi massaggiarsela delicatamente, accertandosi di non aver rotto nulla. Continuò a guardarsi la mano, assorto nelle sue riflessioni, come se fosse ipnotizzato. Quindi strinse nuovamente il pugno, ignorando il dolore alle falangi e alle nocche. Cazzo.


 

***


 

Intorno alle nove e venti Ivan si presentò a casa della madre Miriana: era tornato per prendere Emma e riportarla a casa, dove la bambina avrebbe passato la prima notte senza che la madre vivesse più sotto lo stesso tetto del padre.

La piccola era già addormentata sul divano, coperta da un pesante plaid e apparentemente persa in un sonno infrangibile, perciò il padre si disse che poteva tranquillamente attendere qualche minuto in più per parlare col fratello minore senza svegliare la figlioletta, anche se Alessia gli stava ancora incasinando la casa alla ricerca della più insignificante cosa le appartenesse da poter portare via.

Accettò un caffé da Miriana, che insistette con il figlio affinché egli mangiasse qualcosa insieme alla tazzina di espresso. A detta sua, l'uomo aveva un'aria stanca e tirata e doveva assolutamente prendere qualche chilo per apparire meno sciupato, sebbene Ivan fosse addirittura aumentato di peso nell'ultimo periodo.

Gianluca si unì alla coppia di persone, conversando un po' con madre e fratellastro, sorseggiando una tazzina di caffé e sgranocchiando tre dolciumi tirati fuori dalla cinquantaseienne apposta per lo spuntino.

Poi Miriana chiese al padre della sua unica nipote se si frequentava con qualche donna.

Ivan rispose goffamente con un gesto di diniego, attirando su di sé lo sguardo attento e indagatore della donna.

La madre dell'uomo aveva gli stessi occhi pungenti e profondi del figlio, dello stesso bel colore nocciola ambrato, anche se per il resto non gli somigliava granché. Ma, come Ivan, aveva un intuito quasi infallibile e in più la caratterizzava pure un fiuto per le bugie assolutamente invidiabile, e quindi al diniego dell'uomo la donna storse il naso con l'aria di chi la sapeva lunga, comprendendo subito che il figlio le aveva mentito. Ma era capace di rispettare i suoi tempi e, consapevole del fatto che prima o poi lui si sarebbe spontaneamente confidato con lei, non gli disse nulla, limitandosi a lanciargli una lunga occhiata piena di significato e comprensione.

Quindi, dopo aver dato la buonanotte a entrambi i figli e aver posato un ultimo bacio sulla scura testolina reclinata della piccola Emma addormentata sul divano del salotto, la grassoccia figura minuta e assai goffa della donna si diresse verso la camera, pronta a ritirarsi per la notte.

Giovanni, il secondo marito, la seguì poco dopo, non prima di aver sussurrato la buonanotte al figliastro e aver avvertito il proprio figlio naturale di ricordarsi di chiudere a chiave il portone dopo la partenza di Ivan ed Emma dalla loro casa.

I due fratelli si ritrovarono da soli, l'uno di fronte all'altro, seduti al tavolo del soggiorno.

"Allora, che cosa vorresti chiedermi?" domandò Ivan rompendo il silenzio calato sul tavolo.

Gianluca, che pareva perso nei propri pensieri, si raddrizzò di scatto, come se si fosse ricordato solo allora di dover parlare col fratello maggiore.

"Ehm, sì. Allora... Ti avevo già detto di provare un interesse per la figlia della tua collega. Ebbene, oggi sono uscito con lei... e Lidia mi piace sempre più, ma a volte ha un comportamento incomprensibile" si aprì, confidandosi con l'uomo.

Lidia è uscita con Gianluca oggi pomeriggio?, fu la fulminea constatazione che attraversò la mente di Ivan quando udì quella frase. Perché la ragazza non gliel'aveva detto?

Al pensiero un'acuta fitta di gelosia lo colse e gli fu difficile dissimulare la propria tensione di fronte al fratello minore. I muscoli si irrigidirono e Ivan trattenne il respiro per qualche secondo, pensando velocemente a qualsiasi motivo per cui Lidia sarebbe dovuta uscire con Gianluca quel pomeriggio.

Comunque, il ragazzo non notò l'incupimento dell'espressione del volto di Ivan, quindi continuò il proprio discorso.

"Oggi ha incontrato il suo ex-ragazzo e lui l'ha provocata, finendo per farla piangere. Lei dapprima s'è trattenuta, poi è scoppiata a piangere nella mia auto. Ha pure accettato il mio abbraccio, ma ad un certo punto mi ha respinto. Poi mi ha chiesto di riaccompagnarla a casa, ignorando la mia offerta a sfogarsi con me e raccontarmi perché quel deficiente l'aveva infastidita. Tu cosa pensi significhi il suo comportamento? Perché si comporta così? All'inizio sembra che la mia compagnia le faccia piacere, che io le stia simpatico e che magari le piaccia pure, poi però si richiude a riccio in se stessa e mi impedisce di capire i suoi sentimenti, come negandomi l'accesso alla parte più intima e personale di sé. All'inizio pare volersi rendere più estroversa e aperta con me, poi però si ritira nel suo guscio protettivo e mi impedisce di parlare con lei liberamente. Cosa ne pensi? Io sono nella più totale confusione."

Ivan, appena aveva sentito nominare Roberto, aveva smesso di ascoltare il discorso del fratello, riflettendo attentamente sul significato di ciò che gli era stato riferito. Roberto aveva provocato la ragazza. Lidia era scoppiata a piangere. E perché lui non ne sapeva niente? Perché la giovane non gli aveva detto nulla?

"Che cazzo avrebbe detto quell'idiota di Roberto?" sbottò improvvisamente Ivan, interrompendo il monologo del fratello minore. Per il nervosismo che l'aveva improvvisamente colto quasi balzò in piedi dalla sedia, ma si trattenne.

Gianluca lo guardò stranito per un secondo, ma si affrettò a rispondere.

"Be', le ha dato della poco di buono perché già dopo 'soli' cinque mesi dalla loro rottura lei esce con un nuovo ragazzo. Credo l'abbia insultata solo per disprezzo, perché è stata lei a lasciarlo dopo due anni, senza mai esserglisi nemmeno... concessa in senso fisico" aggiunse Gianluca con un pizzico di imbarazzo. "L'ha offesa di fronte a un sacco di gente e l'ha fatta piangere, però lei si è difesa con una grinta!"

"Quello stronzo! Se disgraziatamente capitasse tra le mie grinfie, solo Dio saprebbe a quali supplizi lo sottoporrei prima di ammazzarlo!" lo interruppe nuovamente Ivan, borbottando fra sé infuriato. Non si trattenne, questa volta, perché l'odio nei confronti dell'ex di Lidia aumentava in un crescendo continuo ed inarrestabile.

Stavolta si alzò in piedi e prese a girovagare nervosamente per la stanza. L'uomo strinse con forza i pugni, avvertendo una fitta di dolore laddove aveva dato un cazzotto alla parete dell'ospedale con la mano destra. Si guardò il punto colpito e vide che lì la pelle era arrossata e si stava gonfiando. Gli faceva un male cane.

"Come fai a sapere che quel tizio si chiama Roberto?" indagò Gianluca, sgranando gli occhi grigi per lo stupore.

"La madre di Lidia mi ha parlato spesso di quell'idiota" affermò Ivan, inventandosi momentaneamente una storia su un dettaglio vero, in modo da non dover confessare al fratello il vero motivo per cui era a conoscenza di tutto, e tentando di darsi un contegno e di non lasciar trasparire troppo la rabbia. "Lidia ha sofferto parecchio durante questa relazione e spesso tornava a casa in lacrime ed era nervosa o giù di morale. Me lo ricordo bene quel periodo, dato che spesso venivo a pranzo dalla mia collega per evitare Alessia a casa. Due anni fa eravamo all'inizio della nostra crisi coniugale e frequentavo ogni tanto l'abitazione di Sara, perciò incontravo sua figlia, a volte. Lei e quell'idiota litigavano molte volte, quasi sempre a causa di quell'imbecille. Ovviamente sua madre non sapeva come fare e mi chiedeva spesso dei consigli su come affrontare i dispiaceri di sua figlia e cercare di convincerla a rompere con il suo ragazzo. Ma Lidia è sempre stata testarda e faceva di testa sua. Non ha mai ascoltato molto sua madre. E' ostinata e cocciuta, proprio come Domenico. Comunque, ciò non cambia il fatto che mi sia sempre dispiaciuto per lei, perché è una ragazza in gamba e non merita di stare male per un coglione del genere."

"Oh" disse semplicemente Gianluca, grattandosi la testa, senza saper cosa dire.

Ivan decise che il giorno dopo avrebbe fatto in modo di incontrare Lidia e chiederle una spiegazione per quel silenzio sull'incontro con Roberto e l'uscita con Gianluca. Ora però doveva dare un consiglio al fratello, perciò si costrinse a distogliere brevemente l'attenzione dai propri pensieri per prestarne un po' ai dilemmi che sconvolgevano la vita del ragazzo. Non poteva permettersi di far sospettare qualcosa al minore.

"Comunque, torniamo alla questione principale: quale sarebbe il tuo problema?"

Lo studente gli ripeté brevemente ciò che lo rendeva incerto.

"Non so cosa dirti, fratellino... può darsi che tu gli stia simpatico, ma non abbastanza da volerci provare seriamente con te. Magari ti vuole solo frequentare come amico. Potrebbe anche vedersi con qualcun altro, sai? Forse è per questo che rifiuta le tue avances."

"Mi ha già detto che si vede con un tipo e anche che la cosa è seria" ammise Gianluca con un sospiro scoraggiato, abbassando lo sguardo.

Ivan, nonostante il senso di colpa e il dispiacere provato nei confronti del fratello che soffriva per il suo primo innamoramento, riuscì finalmente a rilassarsi un pochino. Almeno Lidia gli aveva subito fatto capire che non doveva violare certi confini invalicabili. Aveva già stabilito fin dall'inizio che non voleva frequentarsi con suo fratello come con un possibile fidanzato. Gianluca poteva solamente arrendersi e accettare di non essere il prescelto.

"Allora ti conviene mollare l'osso, Luca" sospirò l'uomo, lasciandosi andare finalmente sulla sedia. "Soffrire per amore è molto brutto, credimi. Io ci sono giò passato, perciò dammi retta: lasciala perdere e starai meglio pure tu. Cerca di vederla solo come un'amica. Dammi retta, è meglio per te e anche per lei."

Si sentiva un ipocrita a dovergli dire quelle frasi, ma non poteva certo confessargli la relazione che lo legava proprio a Lidia. Rischiava troppo. E, sebbene i sensi di colpa lo tormentassero senza sosta ogni volta che si ritrovava a parlare col fratello minore, l'uomo li reprimeva, tentando di concentrarsi sulle parole che Lidia gli aveva detto mesi prima. Lui anteponeva la felicità altrui alla propria ed era ora che ne rivendicasse un po' anche per se stesso. E lo stava finalmente facendo, ma i sensi di colpa erano difficili da gestire. Però teneva duro per lei, perché l'amava e non voleva perderla, e per se stesso, perché era cosciente di meritarsi un po' di felicità.

"Se lo dici tu" commentò Gianluca con un'alzata di spalle, sospirando assai tristemente.

Poco dopo i due fratelli si diedero la buonanotte e Ivan, con Emma assopita tra le braccia, scese le scale della palazzina e si diresse alla Fiat 500 azzurro plumbeo, sistemando la figlia sui posti posteriori e coprendola con il proprio giaccone per non farle sentire freddo. Infine si sedette al posto di guida per ritornare a casa.

Durante il tragitto Ivan rifletté a lungo su varie cose, ma solo una lo tormentava veramente: Roberto. Il solo pensiero che quello stronzo avesse fatto soffrire ancora Lidia lo faceva imbestialire.

Ivan strinse i pugni sul volante e premette l'acceleratore, guidando nella notte come un pazzo a novanta chilometri l'ora lungo le sgombre strade secondarie di una tranquilla Firenze. Con i sopraccigli aggrottati e con la mascella tesa al massimo, Ivan aveva solo un pensiero che gli riverberava nella mente.

Se provi ancora a sfiorare Lidia con una parola o un dito, Roberto Martini, puoi anche dimenticarti com'è la luce del sole, perché non la rivedrai mai più. Mi vendicherò delle angherie che hai fatto subire alla mia dolcissima Lidia in due anni, vigliacco bastardo.


 

***


 

Chiusa in bagno per prepararsi ad andare a dormire, con già indosso il pigiama, Lidia si stava risciacquando i denti dopo averli spazzolati quando avvertì improvvisamente la suoneria del suo cellulare arrivarle all'orecchio dalla camera. Sara e Domenico, simultaneamente, le gridarono dal piano inferiore di mettere fine a quel tormento musicale, dato che entrambi non sopportavano l'heavy metal.

Correndo nella stanza con ancora lo spazzolino tra le mani, la ragazza si precipitò ad afferrare il telefono che vibrava senza sosta sul letto, finendo per inciampare goffamente sul tappeto. Perse dei lunghi istanti per rimettersi in piedi e quando prese tra le mani il cellulare la linea cadde e la telefonata fu terminata prima ancora di essere effettivamente cominciata.

Selezionò la modalità silenziosa per evitare una nuova sgridata da parte dei genitori. Poi le comparve l'avviso di una chiamata persa. Sgranò gli occhi per l'incredulità quando lesse il numero: cosa mai poteva volere Ivan da lei, tanto da rischiare chiamandola a casa?

Pensò per un attimo e con un certo terrore che potesse essere un'emergenza. Allora, senza neanche pensarci due volte, la ragazza si precipitò all'armadio per tirare fuori degli indumenti a caso, vestendosi in fretta e furia. Infilate un paio di scarpe da ginnastica, si spazzolò in fretta i boccoli bronzei e si fiondò al piano di sotto con il cellulare ancora in mano. Gridando ai genitori che doveva uscire con una certa urgenza per una questione improvvisa, rubò dal ripiano del mobiletto nell'atrio le chiavi della Mazda di un attonito Domenico, infilandosi il cappotto appeso all'ingresso e uscendo fuori di casa.

Accese il motore e si allontanò dalla casa sgommando, immettendosi poi nel flusso abbastanza tranquillo di macchine e camion del martedì sera fiorentino.

Perché Ivan mi ha chiamata a quest'ora? Lo sa che mia madre è così indiscreta da rispondere al telefono al posto mio quando qualcuno mi chiama ed io non ho il telefono a portata di mano! Dev'essere sicuramente successo qualcosa di importante, ma cosa?

Erano questi i pensieri che le affollavano la mente, riecheggiando perpetuamente dentro di lei.

Lidia arrivò dopo circa dieci minuti a casa dell'uomo, augurandosi che Alessia se ne fosse andata definitivamente via da lì e che Emma stesse già dormendo. Senza neanche suonare il campanello, superò con un balzo atletico il basso cancelletto metallico dell'ingresso e percorse a passo svelto il vialetto verso il portone, bussando poi con insistenza.

Intanto, nel salotto, Ivan se ne stava spaparanzato sul pouf rosso ciliegia che aveva portato via dalla propria camera per poterlo sistemare nella stanza all'ingresso, ormai spoglia di vari mobili, quadri, decorazioni. Alessia aveva portato via un sacco di suppellettili, dato che le aveva praticamente scelte tutte lei, anche se gli acquisti si erano svolti con il generoso contributo della carta di credito dell'ex-marito.

L'uomo chiamò Lidia per la quinta volta in meno di un quarto d'ora, spazientito. Era quasi tentato di presentarsi a casa sua e parlarle faccia a faccia, se non ci fossero stati i suoi genitori e sua sorella Eva, scomodi testimoni del loro incontro. Voleva sapere se la ragazza era libera per il giorno dopo. Avrebbe avuto un altro turno di mattina, perciò il pomeriggio non era impegnato. Magari avrebbero potuto incontrarsi per una mezz'oretta, in modo da parlare di ciò che lei gli aveva tenuto nascosto, ossia l'uscita con Gianluca e l'incontro fortuito con Roberto. Innervosito dalla lunga attesa, l'infermiere chiuse la chiamata con un sbuffo irritato, chiedendosi come mai la giovane non gli stesse rispondendo.

Stava per tempestarla con una nuova telefonata quando avvertì un insistente bussare di nocche al portone dell'ingresso. Seccato e leggermente perplesso, Ivan si alzò con un sospiro dalla poltroncina, sicuro che Alessia fosse tornata indietro per recuperare qualche altra cosa dimenticata durante il trasloco nel pomeriggio. Chi altri poteva presentarsi con una scusa plausibile a quell'ora di sera?

Lasciò aperto il portone a metà quando sentì puntato su di sé lo sguardo azzurro e preoccupato di Lidia. A bocca aperta per lo stupore, l'uomo scosse la testa come per accertarsi che la mente non gli stesse facendo qualche brutto scherzo.

"Lidia?" fu tutto ciò che riuscì a spiccicare dopo qualche istante di silenzio.

"Ti è successo qualcosa, Ivan? Mi hai chiamata a casa! Non l'avevi mai fatto!" La ragazza si sbilanciò in avanti per abbracciarlo con slancio, aderendo con la propria figura alla sua mentre le braccia del moro istintivamente la stringevano a sé.

"Lidia... no, a me nulla..." mormorò l'uomo ancora in preda alla confusione, sfiorandole la testa con un bacio tra i capelli morbidi e lucenti.

Inebriato dal profumo di lavanda emanato dalla sua serica massa bronzea cadente sulla pallida nuca, Ivan mandò al diavolo la cautela, dimenticandosi che Emma era addormentata nella cameretta in fondo al corridoio della villetta. Con un piede spinse il portone d'ingresso fino a chiuderlo e, passando un arto sotto le gambe della castana, la sollevò tra le braccia e la tenne stretta alla propria figura imponente, dirigendosi con passo certo verso il nudo salottino.

"Scusami, ma oggi sono a corto di mobili" ironizzò Ivan con un certo sarcasmo.

Lidia lanciò un gridolino quando l'uomo si gettò all'indietro a sedere sul pouf con lei ancora in braccio, facendola scivolare sul suo petto e salvandola per un pelo da una brutta caduta a terra. Ivan rise sotto i baffi guardando l'espressione della fidanzata, ma tornò serio subito dopo. Avevano due questioni da chiarire.

Distese le gambe, divaricandole leggermente, e la giovane si sistemò a sedere sopra le sue ginocchia per stare un po' più comoda. Due iridi nocciola fredde e severe si levarono sulle sue, azzurre e perplesse.

"Che c'è, Ivan, allora?" chiese semplicemente, contraccambiando lo sguardo fisso dei suoi occhi. "Non mi hai mai chiamata a casa quando ci sono anche i miei genitori, perciò dev'essere accaduto qualcosa di importante o di grave. Dimmi tutto, non lasciarmi sulle spine!" sbuffò corrucciata.

"Lidia, perché sono venuto a sapere dalla bocca di mio fratello che sei uscita con lui?" la mise sotto torchio, assottigliando gli occhi mentre la osservava fissamente. Era nervoso e in fondo pure ingelosito da quell'amicizia che stava nascendo. Se amicizia poteva chiamarsi, ovviamente.

La ragazza rimase per un attimo sconcertata, a bocca aperta per la perplessità. Poi scoppiò a ridere.

"Ma tu guarda... Ivan, sei per caso geloso di tuo fratello?" lo provocò, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre un sorriso malizioso le arcuava la bocca carnosa.

"Rispondi e basta, Lidia. Voglio arrivare ad un altro punto, ma prima devo sapere perché sei uscita con lui" ringhiò l'infermiere, infastidito dalla provocazione della ragazza.

Le afferrò i polsi con una certa forza, ma senza farle male, facendo scivolare via il sarcasmo dal volto della giovane. Lei si divincolò, poi, accettando il fatto che la presa dell'uomo sulle sue mani era salda e impossibile da sciogliere, sbuffò annoiata, sorridendo poi di fronte all'aria corrucciata del suo fidanzato.

"Allora?" insistette quest'ultimo, ormai spazientito.

"Non te l'ho detto perché me l'ha proposto oggi pomeriggio poco prima di vederci. E tu eri al lavoro e non avevi il telefono con te, per cui come avrei potuto fartelo sapere?" replicò la ragazza, insistendo per liberare i propri polsi da quella stretta volitiva. Ivan glieli lasciò andare. "E comunque che significato avrebbe tutto ciò? Mi stai per caso facendo una scenata di gelosia, Ivan? Te lo dico subito: i tipi così, possessivi e gelosi come mio padre, mi fanno venire l'orticaria, perciò è meglio che la smetti da subito di comportarti in modo stupido. Io non rinuncerò a frequentare i miei amici maschi solo perché a te non va bene, ti è ben chiaro questo concetto?"

Stavolta fu il turno di Ivan di sfoderare un'espressione alquanto disorientata.

"Non intendevo arrivare a questo, Lilli... sì, magari sono un po' geloso, non perché temo che tu possa comportarti da sciocca con mio fratello - non sei certamente il tipo! -, ma per come lui si potrebbe atteggiare con te. E poi Gianluca è innamorato, me lo ha confessato poco fa... e non credo sia giusto che tu alimenti le sue speranze illudendolo così. E' mio fratello e già mi sento abbastanza in colpa a mentirgli sulla nostra relazione. Non voglio che tu aggravi il carico di colpe che grava sulla mia coscienza."

"Va bene: se devo smettere di frequentarlo lo farò. Ma è lui, almeno una volta alla settimana, che mi invita da due mesi o più ad uscire insieme come amici. Ovviamente so che dietro c'è altro, ma faccio finta di niente. Lui non ha capito che deve starmi alla larga, ma io gliel'ho detto più volte. Cosa devo fare di più? Gli ho concesso solo un'uscita innocente e, se la cosa ti dà tanto fastidio, non si ripeterà. Non uscirò più con lui. Adesso sei contento?" ribatté accigliata la ragazza, incrociando le braccia sul seno fiorente.

Ivan continuò per un istante a contemplare i suoi occhi azzurri offuscati dall'irritazione, vividi come le onde rabbiose di un oceano pronto alla tempesta. Quindi sospirò, annuendo con il capo. Lo sguardo gli cadde per un momento sul seno morbido che si distingueva nettamente al di sotto della larga maglia che Lidia aveva indosso e l'uomo pensò che gli sarebbe piaciuto da morire accarezzarlo, ma non poteva certo farlo in quel momento.

Perciò si affrettò a rispondere, costringendosi a pensare ad altro.

"Sì, ora sono contento... in parte. Però vorrei sapere un'altra cosa."

"Cosa c'è, ora? Mi vuoi fare il quarto grado come mamma, Ivan? Mica sei mio padre!" sbottò Lidia piccata, alzandosi di scatto in piedi per il fastidio che provava anche solo standogli vicino.

"Dove vai?" la inseguì Ivan, levandosi subito dopo di lei in piedi per rincorrerla verso la cucina. "Dove stai andando?"

"Eddài, Ivan, lasciami in pace!"

"No. Questa è casa mia, ricordi? E sei mia ospite. E colui che ti ospita sono io, perciò fa' come ti dico e torna qui. Voglio solo domandarti una cosa."

"No, amore" lo prese in giro la ragazza, facendogli la linguaccia in modo ironico.

Ora i due si erano spostati nel soggiorno, dove ancora stavano il tavolo di legno lucido e le quattro sedie che Alessia non aveva portato via durante il trasloco, escludendoli dalle suppellettili cui aveva diritto in caso di separazione e trasferimento di dimora. Lidia stava ad un'estremità del tavolo e Ivan dall'altra. Percorrendo lentamente il pavimento intorno al mobile, con le mani posate sulla sua superficie liscia e gli sguardi concatenati l'uno nell'altro, i due si rincorrevano giocosamente, dei sorrisi divertiti che piegavano le loro labbra.

Ad un certo punto Ivan finse uno slancio verso destra e Lidia sgusciò verso sinistra, dove un attimo dopo si ritrovò stretta tra le braccia muscolose dell'uomo. Divincolandosi, la ragazza tentò di liberarsi dal ruvido abbraccio, ma, come al solito, non ci riuscì. Ridacchiando sarcasticamente nell'udire i gemiti della giovane che tentava invano di liberarsi dalla sua presa ferrea, Ivan la sollevò piano tra le braccia, deponendola poi a sedere su una sedia. Ne avvicinò una per sé e si accomodò davanti a lei, lasciandole finalmente la mano.

"Posso farti un'ultima domanda?" le chiese, quasi come se stesse domandando un permesso importante.

Lidia sbuffò, quindi fece spallucce e annuì col capo, accettando passivamente la richiesta.

"Spara."

"Gianluca mi ha detto che avete incontrato quel deficiente di Roberto. Perché non vi hai nemmeno accennato?"

"Perché non lo reputo importante. Se - come sicuramente avrà fatto - Gianluca ti ha raccontato tutto, dovresti sapere cosa è successo e dovresti anche averne intuito il motivo, dato che non sei stupido. Ecco perché non ti ho detto nulla. E poi preferivo tenermelo per me, quest'incontro."

Lidia ripensò immediatamente allo sgradito confronto con il suo ex-ragazzo. Ebbe un fremito al pensiero delle offese che quel verme le aveva ingiustamente rivolto e si sentì tremare per l'indignazione. Una domanda attraversò la sua mente, fulminea: che cosa aveva detto esattamente Gianluca ad Ivan? Perché lei ricordava una parte della discussione abbastanza personale che lo studente avrebbe fatto meglio a tenere per sé. Se, ovviamente, teneva alla propria incolumità.

Le salirono le lacrime agli occhi al pensiero di ciò che le era stato detto. La giovane chinò il volto per nascondere le emozioni che la sua espressione rivelava, ma l'infermiere allungò la mano, insistendo per tenerlo sollevato e ben visibile sotto la luce della stanza, e vide brillare due scie salate lungo gli zigomi appena rosati. Con un gesto delicato, Ivan gliele asciugò con un dito, prendendole poi il volto tra le grandi mani.

Lidia allora si gettò su di lui, abbracciandolo di slancio e singhiozzando contro il suo petto muscoloso. Lui le cinse il corpo con le braccia, sussurrandole parole di conforto all'orecchio. Lei pianse sommessamente, raccontandogli per filo e per segno tutto ciò che le aveva detto l'ex-fidanzato e come lei gli aveva tenuto testa, cedendo poi davanti a Gianluca nella sua Ford. Non tralasciò nulla.

"Perché pensi che ti abbia detto queste cose? E' lui che ti ha tradita. Tu sei sempre stata onesta e leale nei suoi confronti. Non si può permettere di offenderti così!" ringhiò Ivan infuriato quando la ragazza ebbe terminato il suo resoconto.

"Non lo so. Forse solamente perché gli brucia ancora il fatto che sia stata io a lasciarlo e non il contrario. E che non abbia mai voluto andare a letto con lui" aggiunse Lidia con un certo imbarazzo abbassando lo sguardo, rossa in volto.

"Quindi sei vergine" considerò il bruno con una punta di divertimento nella voce che lei scambiò per scherno.

"Non tutte la danno via già al primo che arriva! Io non sono mai stata sicura dei miei sentimenti per Roberto; anzi, più passava il tempo, più mi chiedevo con che razza di coglione mi ero messa. Però in qualche modo ero ancora attratta di lui e non me la sentivo di lasciarlo. E' stato lui a offrirmi l'occasione quando mi ha confessato il tradimento. E di grazia che lo ha fatto, perché altrimenti sarei ancora fidanzata con lui, probabilmente" s'infiammò la ragazza, ferita nell'orgoglio da ciò che aveva preso per una provocazione personale.

Ivan sghignazzò per l'equivoco che aveva involontariamente creato e la castana, fraintendendo ancora, avvampò per l'imbarazzo e lo sconcerto.

"Perché cazzo ridi?! Sì, sono vergine, perché non mi sono mai voluta concedere a quello stronzo di Roberto, ma questo non vuol dire che io sia una che ha paura dell'altro sesso." Lidia prese il volto dell'uomo tra le mani affusolate e sottili, cercando il suo sguardo apparentemente sarcastico, serissima. Accarezzò la linea ispida della mascella volitiva dell'infermiere, poi la sua mano affondò tra i lunghi capelli folti e nerissimi. "Io ti amo, Ivan, e vorrei che fossi tu a prendere la mia verginità. Probabilmente ti farai mille film mentali come è successo sulla differenza d'età che ci divide, ma io sono certa dei miei sentimenti per te e sarei felice se fosse con te la mia prima volta."

"Lilli..." la chiamò lui, sorridendole. Pareva quasi commosso. "Tesoro, anche io ti amo. E tanto, per davvero. E non pensare che mi faccia problemi, perché tanto prima o poi ti avrei voluta... in quel senso. Ti desidero tantissimo: non sai neanche quanta sensualità emani dalla tua giovane bellezza... Sei meravigliosa, Lidia, e voglio dirti che sono felice di essere il fortunato oggetto del tuo amore. Il fatto che tu scelga me ora e che non lo abbia fatto con Roberto in due anni mi rende in un certo modo fiero, perché vuol dire che tieni veramente a me e che sei convinta del nostro legame."

"Era ora che lo capissi!" lo prese in giro la ragazza, ridacchiando e andando incontro al suo volto col proprio.

Lui la baciò piano, lambendo la pelle morbida e fresca delle guance, quindi assaporò le sue labbra dischiuse, approfondendo il bacio con un dolce contatto tra le lingue. Fece passare le braccia sulla sua vita, attirandola più verso di sé. La giovane rispose con ardore e giovanile entusiasmo, ridendo contro la sua bocca ampia e sottile, solleticandogli il labbro inferiore con i denti, mordicchiandolo piano.

Ben presto l'atmosfera si riscaldò. Lidia cominciò a baciargli febbrilmente la gola, desiderando il ruvido contatto con la pelle ispida di peli dell'uomo, aspirandone il profumo virile che le inebriò i sensi. Ivan, dal canto suo, già cominciava a non ragionare più tanto. Eccitato dalla vicinanza del corpo desiderabile della ragazza, l'aveva presa tra le braccia, portandola verso la propria camera. Entrò piano, spalancando la porta lentamente. Richiudendola alle spalle, depose Lidia a terra, la quale lo spinse contro lo stipite e cominciò a sbottonargli la camicia azzurrina che indossava. Gliela tolse e la posò sulla sedia della scrivania, attirando poi la figura atletica dell'uomo con sé verso il letto.

Qui lui la sovrastò, giocando per un po' a baciarla dappertutto sul volto e sulle spalle lasciate scoperte dalla scollatura della maglia che indossava, osservando intenerito il ciondolo che le aveva regalato qualche giorno prima, quindi sfilò l'indumento con rapidità, proseguendo la dolce tortura erotica sui rigonfiamenti del seno contenuto dal reggiseno a coppa. Glielo sganciò con un gesto esperto e intuì quasi fisicamente il respiro della ragazza mozzarsi, così come il proprio diventava affannoso.

Lidia ansimava leggermente, osservandolo con occhi scintillanti di passione e coinvolgimento, e a lui venne naturale pensare a quanto sarebbe stato bello un figlio che avesse i suoi occhi splendenti.

L'illusione su un futuro così lontano e forse improbabile riportò alla mente di Ivan un altro pensiero urgente che aveva momentaneamente accantonato: Emma. La figlia stava dormendo nella camera accanto alla sua. Se avesse sentito dei rumori, sarebbe potuta venire a controllare per scoprire cosa stava succedendo.

"Lidia, fermiamoci" ansimò Ivan, sollevandosi dal letto, consapevole di doversi fermare prima che Emma potesse scoprirli insieme e magari pure in atteggiamenti intimi. Per la bambina sarebbe stato uno shock. E per lui avrebbe rappresentato un rischio troppo grosso di perdere la custodia della figlia.

"Emma dorme di là e hai paura di svegliarla, vero?" intuì la castana, sospirando a lungo, delusa.

"E tu devi tornare a casa. Che ore sono?"

"Le dieci e quaranta. Mio padre sarà furibondo. Non ho nemmeno detto a lui o alla mamma dove andavo o se mi vedevo con qualcuno, né ho spiegato il motivo per cui stasera, rientrando a casa, mi avevano trovata in lacrime. Mia madre mi metterà sotto torchio" appurò Lidia, passandosi energicamente le mani sul volto.

"Cosa racconterai loro?"

Ivan era preoccupato: se Lidia non trovava una scusa plausibile l'interrogatorio che sua madre le faceva ogni volta che voleva estorcerle informazioni sulla sua vita privata e i suoi segreti avrebbe portato alla luce la loro relazione. Perché Sara era molto brava a scovare i segreti altrui e non ci avrebbe messo molto se avesse controllato il cellulare o gli spostamenti della primogenita.

"Non lo so. Mi inventerò qualcosa. Magari chiederò ad Enrico o Céline di coprirmi. Spiego ad uno di loro la situazione al telefono mentre sono in auto e mi faccio aiutare a costruire una scusa fattibile e poi torno a casa ad affrontare l'ira dei miei."

"Mi dispiace aver dovuto..."

"E' meglio così, Ivan. La nostra prima volta dovrà essere speciale. Me lo prometti?" lo interruppe la ragazza, riallacciandosi il reggiseno e aderendo poi alla figura ancora seminuda di Ivan che le stava seduta al fianco.

"Ma certo, che domande fai... Te lo giuro. Sarà la prima volta più bella che ti possa immaginare in tutta la tua vita."

"E certo... sarà l'unica" lo prese in giro la giovane, facendogli una scherzosa linguaccia.

I due risero insieme, un filo di amarezza che attraversava le loro voci congiunte in un abbraccio sonoro, quindi si baciarono ancora una volta, reindossarono maglia e camicia e si rimisero un po' a posto.

Si separarono sulla porta di casa, dopo un ultimo, triste bacio a stampo, silenziosa promessa d'amore suggellata sotto un cielo opaco e offuscato. Quindi Lidia sparì nella notte, sgattaiolando verso l'auto di Domenico parcheggiata dall'altra parte della strada, sul Lungarno, seguita dallo sguardo sempre più incerto del fidanzato, che con rammarico e rimpianto l'aveva lasciata andare via difficoltosamente, lottando contro la propria volontà di trattenerla con sé.

La liceale, una volta entrata, mise in moto la macchina, manovrando il volante per reimmettersi sulla carreggiata. Prese il telefono e controllò le innumerevoli chiamate perse di Domenico e Sara e un messaggio di Gianluca che le augurava la buonanotte, gettando ogni tanto un'occhiata alla strada. Telefonò ad Enrico, spiegandogli brevemente cosa era successo e strappandogli la promessa di farsi coprire da lui con i suoi genitori, quindi si preparò mentalmente ad affrontare l'ira dei genitori.


 

***


 

"Lidia! Sei tornata, finalmente! Non speravo più nemmeno di rivederti viva!" la assalì rabbiosamente la madre quando la ragazza fece capolino dall'atrio, entrando nel salotto con una certa titubanza.

"Mamma... mi dispiace di essermene andata via così. Enrico però mi aveva chiamata: mi ha detto che voleva vedermi per una cosa urgente."

"E che aveva di così importante da dirti?"

"Mamma, sono affari suoi. Non posso certo dirteli; mi ha fatto promettere di mantenere il segreto."

"Ah sì? Be', non mi importa. Te ne sei andata via così velocemente e senza alcuna spiegazione da darci. Ora ne esigo una. Subito, Lidia!"

"Mamma..." cominciò la giovane, ma fu messa a tacere dalla voce profonda e burbera del padre.

L'uomo era disceso dalla scala interna ed era proprio dietro Lidia, la quale si girò verso di lui sobbalzando, non appena questo cominciò a parlare.

"Lidia, non hai scusanti. Spiegaci cosa poteva volere da te Enrico a quest'ora. Non poteva parlarti domattina a scuola?" la interrogò il brizzolato, squadrandola con rabbia. "E ridammi le chiavi della mia auto."

Lidia gliele porse subito e l'uomo se le infilò in tasca.

"Scusatemi per prima. Mi dispiace essere fuggita via così, senza spiegazioni..."

"Allora?" insistette la madre con la ragazza, avvicinandosi ai due alla porta del salotto.

"Ehm... be'..."

"Non è che invece ti dovevi incontrare con qualcuno?" la zittì Domenico.

Lidia sentì le guance avvampare per l'agitazione, ma si impose comunque di tenere a bada le emozioni e di pensarci bene prima di aprir bocca. Perciò ponderò le parole e scelse una scusante abbastanza comune e scontata, ma che i genitori non potevano certo mettere in discussione con facilità.

"Ma no, papà! Mi sono vista con Enrico: lui mi voleva chiedere consiglio e sfogarsi..."

"A proposito di cosa?"

"Sicuramente voi la prenderete per una colossale cavolata, ma ciò che sto per dirvi è vero... Enrico è innamorato di una ragazza, ma lei è fidanzata con un tipo veramente stronzo..."

"Lidia! Che parole ti insegnano a scuola?" la riprese la madre, che maltollerava il turpiloquio, con un cipiglio irato.

"Vabbé, ma lo è davvero, mamma! E' molto possessivo e gelosissimo di lei e se un ragazzo prova a parlarle o a invitarla ad uscire lei è costretta a prendersele. Lui è un tipo violento e anche oggi l'ha picchiata perché Enrico ha provato ad attaccarci bottone a scuola. Ma lui non poteva certo saperlo che lei è fidanzata. Non sa quasi nulla di lei. E si sentiva così in colpa... l'ha saputo poco fa da una loro amica comune. Era in crisi, stasera, e voi volevate che io andassi a dormire e spegnessi il telefono, ma non potevo lasciarlo in quello stato. Ecco perché sono corsa da lui. Lui non mi ha mai abbandonata a me stessa e c'era sempre per consolarmi, ad ogni ora; ve lo ricordate? Quando ero in crisi con Roberto, quando ero arrabbiata con il mio ex, oppure triste. Fino a che non è partito per il Canada c'è sempre stato. Anche quella volta che avevo litigato con Céline e che temevo che la nostra amicizia potesse essere finita per sempre. Lui non mi ha mai lasciata da sola. Come potrei farlo io? Lui è il mio migliore amico. Prendetemi pure per un'imprudente e un'avventata, ma io Enrico non l'avrei comunque lasciato da solo."

La convinzione con cui disse quella scusa plausibile rabbonì padre e madre, anche se Lidia capì dallo sguardo di Domenico che era alquanto scettico. Ma lui non disse nulla alla figlia e, dopo averle intimato di salire in camera, di infilarsi sotto le coperte e di non osare più comportarsi in quel modo senza validi motivi, le diede una gelida buonanotte, risalendo al piano superiore per andare a dormire, seguito pochi istanti dopo dalla moglie.

Lidia, che si aspettava una qualche reazione più irata o un ceffone, tirò un sospirò di sollievo quando udì la porta della camera dei genitori chiudersi piano e coincidere con la cornice lignea, detergendosi il sudore freddo che era comparso lungo la fronte, il collo e la parte alta della schiena.

Mandò un messaggio ad Enrico.


 

Grazie, amico mio! Mi hai salvata! Non sai che favore mi hai fatto! *-*


 

Prego, Lilli, ma domani mi spieghi nel dettaglio perché ti sei precipitata a casa di Ivan. Ho diritto a saperlo, sai?


 

Ma certo! E' il minimo, dopo il favore che mi hai fatto...


 

Non te la caverai con una scusa qualsiasi. Voglio sapere tutto. Per caso avete fatto qualcosa di sconcio? :P


 

Ecco che ricomincia a fare lo scemo, pensò Lidia scuotendo la testa con un sorrisetto divertito che si delineava sulle labbra morbide e piene.


 

Tranquillo, per quello ancora dobbiamo approfondire molto...


 

Andare più a fondo? :')


 

Dài, ma sei proprio un pervertito!


 

Sei tu che scrivi doppisensi. Poi non è colpa mia se mi fai pensare a certe cose... xD


 

Sei un coglione.


 

Grazie tante, cara <3


 

Dico davvero ;)
Comunque grazie ancora!
E buona notte :*


 

Anche a te, Lilli! A domani :)
PS: ricordati che poi giovedì mattina mi spiffererai tutto quello che Céline ti racconterà sulla sua uscita con Heydar xD


 

Ma no, poverina! :(


 

Allora non ti copro con i tuoi.


 

Stronzo.


 

Grazie ancora, Lilì ;)


 

Mi metti con le spalle al muro D:


 

Ahahah la decisione sta a te, ma so che sarai ragionevole :P
Ora buonanotte per davvero. Io ho sonno.
Gute Nacht ;)


 

Notte anche a te.
Comunque sei un adorabile cretino. Ti amooo! :*


 

Ma tu non amavi Ivan?:P


 

Vaffanculo. Sai che intendo.
Notte <3


 

A' demain ;)


 

Quindi Lidia chiuse il cellulare salì le scale, entrando alla chetichella in camera per evitare di fare rumore e svegliare la sorella Eva, ancora completamente vestita e addormentata sul letto con il libro di storia tra le mani.


***



N.d.A.
Salve a tutti! :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto... alla fine Ivan e Lidia si incontrano comunque. L'uscita con Gianluca e l'incontro con Roberto sono state le cause scatenanti della smania dell'infermiere di voler a tutti i costi vedere la ragazza e ciò ha permesso loro di rivedersi ancora, anche se Lidia deve ritrovare la razionalità e la cautela che ha inconsciamente mandato a quel paese. Domenico può sospettare qualcosa. Ma per fortuna non ha modo di sostenere i suoi sospetti con prove convincenti.
Bon, termino subito perché vado a studiare. Comunque, grazie mille a chi ha letto il capitolo o la storia e soprattutt a chi ha recensito! Un ringuaziamento particolare a controcorrente, 9CRIS3, Lachiaretta, Ammie e LissaCristian!
Buon pomeriggio a tutti voi, e spero che il nuovo aggiornamento vi sia piaciuto ;)
Adieu.


Flame

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


26.

 


 

Note: capitolo lime. O lemon, boh (non ho proprio capito la differenza fra i due... ^^'''). Spero che la scena erotica che leggerete non sia una cagata, dato che è la prima volta che ne descrivo una. E spero che nemmeno il capitolo e la storia non stia diventando una cagata colossale. Ci ho messo tre settimane a scrivere questo... ehm, capitolo. Speriamo che mi ci voglia di meno per il prossimo - cioé, sarò io a sperare, perché non credo che dopo questa schifezza qualcuno vorrà continuare a leggere la storia. xD

 


 

Il mattino dopo trovò Lidia già sveglia e pronta per andare a scuola intorno alle sette e mezza. Non avendo voglia di rimanere ancora a casa e attendere che la sorella minore si preparasse, con la solita calma esasperante, per affrontare le lezioni del mercoledì, la ragazza aveva deciso di partire per l'istituto "Calamandrei" in sella al proprio scooter, arrivando lì poco dopo.

Dopo neanche venti minuti la castana già era seduta al proprio banco nell'aula del quinto linguistico a ripassare storia dell'arte in vista di una possibile interrogazione. Quel giorno avrebbe avuto due ore di Antonelli e difficilmente sarebbe scampata alla prova orale, dato che era rimasta tra i cinque ancora da interrogare. Quindi si mise di buona lena per cercare di imparare a memoria i concetti chiave delle correnti artistiche degli anni Venti e Trenta del Novecento, sospirando sconsolata e sicura al cento per cento che una possibile brutta insufficienza in storia dell'arte le avrebbe abbassato la media già non tanto alta. La Prof. Laura Antonelli, vecchia arpia umbra, era una tipa tosta che pretendeva molto dai suoi alunni e si manteneva assai bassa con i voti: prendere un sei con lei equivaleva a un otto e mezzo con l'altro prof. della medesima materia che aveva insegnato all'ormai classe quinta in terzo liceo, ossia Pietro Buscarini.

Lidia stava ancora ripetendo ciò che probabilmente le sarebbe stato chiesto durante l'interrogazione quando i suoi compagni cominciarono ad arrivare, dando via ad un lento tramtram che servì solo a deconcentrarla. Tra i primi ad entrare in classe vi fu Enrico, che si sedette subito accanto alla sua migliore amica, fermamente deciso per quel giorno a spedire Aurelia accanto ad Andrea Ferrero, che cominciava a stancarlo con le sue chiacchiere su tette, fondoschiena, serate in discoteca con tanto di fumata finale di marijuana e sesso occasionale con sconosciute nei bagni dei locali. Andrea era un tipo simpatico e alla mano, ma anche sgradevole alle volte, e molti suoi compagni di classe non lo frequentavano al di fuori della scuola. Enrico avrebbe anche tentato di convincere Aurelia a fare scambio di posto in modo definitivo con lui.

"Good morning" la salutò in inglese.

"Hello" lo salutò l'amica con noncuranza, senza nemmeno alzare gli occhi dalla pagina aperta che aveva sotto.

"Che saluto è mai questo?" finse di offendersi Enrico, più per darle noia che per altro.

Lidia finalmente lo guardò di sbieco, scuotendo poi la testa e accennando un sorriso.

"Tanto quella arpia non mi darà un sette nemmeno se le ripeto a memoria tutto il libro di arte" concesse, accostando poi il volto al suo per stampargli un bacio veloce ma pieno d'affetto sulla guancia un po' ruvida. "Sai, dovresti raderti tutte le mattine. Un po' di barba ti sta bene, ma è fastidiosa al contatto con la pelle."

"Suvvia... lui" replicò con un sorriso Enrico, menzionando implicitamente Ivan, "ne ha tanta quanto me, a quanto ho potuto vedere, perciò non mi rompere. E poi non mi racconti cosa avete fatto ieri? Dài, sono curioso! Confessa, hai peccato di lussuria e ci hai fatto cose zozze" la prese quindi in giro, ridendo a più non posso nel constatare che il volto della ragazza era diventato paonazzo per l'imbarazzo.

"Quanto sei cretino! Te l'ho mai detto? Sì? Be', te lo ripeto: sei un cretino, anzi no, un coglione!" strepitò Lidia, attirando l'attenzione di metà dei compagni di classe.

Quindi si guardò intorno, arrossendo ancora di più, poi s'impose di calmarsi, fulminò l'amico con lo sguardo e riprese a parlargli sottovoce.

"Per la verità mi aveva chiamato a casa e non era mai successo prima, perciò ho pensato che potesse essere accaduto qualcosa. In realtà voleva parlare con me di una questione importante" si spiegò, sospirando pesantemente al pensiero del motivo per cui Ivan le aveva telefonato.

"E quale sarebbe questa ragione? Che c'è, si sta facendo geloso?" la stuzzicò l'amico, al quale la castana diede una dolorosa gomitata al fianco.

"Scemo. Guarda che sta arrivando Aurelia... ne parliamo dopo, non voglio che lei ci senta. Meno persone lo sanno e meglio è per me e lui" l'ammonì l'amica, voltandosi poi verso il libro per lasciare Enrico solo soletto ad affrontare la sua quasi ex-compagna di banco.

Aurelia si offese non poco vedendo che il biondo voleva prendere il suo posto accanto a Lidia, ma, alla prospettiva di poter trascorrere qualche mese accanto all'intrigante e divertente Andrea Ferrero, la rossa accettò di buon grado, allettata dall'idea di soddisfare la propria egocentrica malizia femminile. Quindi si sedette accanto al ragazzo, lasciando Lidia al suo ripasso disperato.

Che tonta che sono! Ieri potevo studiare, invece di uscire con Gianluca... mi sarei risparmiata anche la scenata di Roberto. Che scema!, si ripeteva Lidia mentalmente, sospirando esasperata quando vide la figura imponente di Marzi entrare nell'aula al suono della campanella per reclamare l'attenzione dell'intera classe sulla propria lezione.

Non le fu possibile ripassare di nascosto durante l'ora di tedesco perché l'uomo, che aveva forse intuito il nervosismo che permeava la sua alunna migliore di sempre, l'aveva chiamata alla cattedra con un ironico ghigno stampato in volto e l'aveva interrogata su tutto il programma svolto, dandole dopo quarantacinque minuti di supplizio un bel nove meritato per l'esposizione chiara e logica e per il linguaggio perfetto che la liceale aveva utilizzato.

Lidia tornò al posto al suono della campanella, quasi mordendosi le nocche per reprimere la tentazione di mollare un cazzotto al volto attraente del giovane prof. Non sapeva nemmeno se odiasse più lui o l'Antonelli. Sicuramente però la Landi, la docente di matematica e fisica, era imbattibile e si teneva saldamente aggrappata al primo posto della classifica personale dei prof. più stronzi per Lidia.

"Che stronzo che è stato Marzi" commentò Enrico, leggendo il disappunto e la collera nel volto offuscato della sua nuova compagna di banco.

"L'aveva capito, quel bastardo, che ero nervosa per un'interrogazione che mi avrebbero fatto in mattinata. Aveva pure visto il quaderno di storia dell'arte aperto sul mio banco, quindi non ci sono scusanti. Quello me l'ha fatto apposta!" sbottò la castana, lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia.

"Dài, magari la Antonelli si dimentica di interrogare... e noi della classe non andiamo di certo a dirglielo" la rincuorò Aurelia dal suo posto in terza fila, allungando una mano sulla sua spalla per scuoterla lievemente.

"Grazie, ragazzi" disse Lidia, grata di avere una classe pronta sempre ad appoggiare qualche suo membro in difficoltà.

Effettivamente, le due ore di storia dell'arte passarono tranquillamente, almeno per la maggior parte: la professoressa arrivò con mezz'ora di ritardo a causa del traffico cittadino che l'aveva tenuta bloccata per quasi un'ora, mormorando scuse a tutti quanti. Quindi perse un'altra mezz'ora a parlare ai suoi alunni di un concorso di fotografia indetto da un liceo toscano a cui i più bravi dell'istituto avrebbero potuto partecipare, e tra questi fece i nomi di Enrico Alessi e Heydar Lotfollahi, che già in terzo liceo erano arrivati secondi alla stessa competizione.

Poi la Antonelli cominciò a spiegare e nessuno disse nulla a proposito delle interrogazioni, pregando anche in aramaico antico affinché non se ne ricordasse all'improvviso.

Tuttavia l'essere supremo a cui avevano rivolto le loro preghiere doveva aver deciso che quel giorno non potevano scamparla, perché dopo neanche venti minuti la donna si era voltata verso la classe, smettendo di fare uno schizzo alla lavagna, negli occhi gelidi un'espressione offesa e indispettita.

"Ragazzi, ma io oggi dovevo interrogare gli ultimi cinque rimasti! Perché non me lo avete detto subito? Sapete benissimo che io non ho una memoria affidabile!" strillò incollerita, tornando subito alla cattedra e sedendosi per controllare il registro ancora aperto. Scorse i nomi, sottolineando con la matita quelli di chi ancora non aveva nessun voto.

"Allora, sono rimasti da interrogare Lidia Draghi, Andrea Ferrero, Beatrice Lorenzetti, Tommaso Romani e Francesca Letizia Rossi... Bene, Lorenzetti, vai alla pagina del libro in cui è scritta la biografia di Otto Dix e commenta la sua opera Trittico della guerra."

La povera malcapitata, che non aveva più studiato alcuna materia da quando si era concentrata esclusivamente sul compito di fisica svolto il giorno precedente, non sapeva un'acca delle opere di Dix e tacque per un periodo interminabile.

Lidia, dal canto suo, sudava freddo già da un bel po' e osservava quasi con terrore la professoressa seduta dietro la cattedra, mordendosi le labbra piene e carnose con gli incisivi mentre sfregava i palmi delle mani l'uno contro l'altro.

Dopo aver atteso ancora un minuto, la Antonelli si voltò verso gli altri alunni, sorridendo quasi sadicamente.

"Che silenzio di tomba, ragazzi miei... evidentemente qui non ha studiato nessuno per oggi. Ma lo sapevate che interrogavo. Avete fatto un passo falso non ricordandomi che dovevo verificare le vostre conoscenze, perciò dopo non venite da me a piangere per un voto così basso da entrare nel Guinness World Record, chiaro?" mormorò con tranquilla indifferenza. "Romani, che mi sai dire dell'opera di Dix?"

"Ehm... il Trittico della guerra... è stato dipinto nel... nel... ehm..." esordì audacemente il ragazzo, tacendo poi di colpo.

"Rossi?"

Francesca non si premurò nemmeno di rispondere, osservando ostinatamente fuori dalla finestra.

"Ferrero? Tu sai qualcosa di Otto Dix?" l'interrogò la prof., quasi disperata dal silenzio assoluto che avvolgeva la classe. Poteva quasi sentire i suoi alunni respirare, si disse esasperando la situazione.

"Prof., ma scusi: sinceramente, a lei importa sapere che ha dipinto o che ha fatto 'sto Dix, che sia Otto o Sette o Sei...?" si buttò il ragazzo dopo un respiro profondo, strappando sbuffi divertiti e risatine represse a buona parte dei suoi compagni di classe.

Stringendo le sottili labbra esangui, la Antonelli impugnò la penna posizionata accanto al registo sulla cattedra. Il risultato di quella buffonata fu una nota chilometrica e un bel posto a sedere nello stretto corridoio su cui si affacciava l'aula.

Quando la docente si sedette nuovamente, Lidia avvertì subito il suo sguardo rabbioso su di sé. L'insegnante le lanciò un'occhiata a metà fra l'ammonimento e la supplica.

"Draghi, almeno tu... mi sai dire qualcosa sulla vita e l'arte di Otto Dix oppure ti risparmio un penoso silenzio e metto a tutti gli interrogati un due?" le chiese la Antonelli, tamburellando nervosamente le dita sulla superficie lignea della cattedra.

Lidia lanciò uno sguardo veloce all'orologio appeso dietro la donna, il quale segnalava che mancavano meno di dieci minuti al suono della campanella. Poteva sopravvivere, si disse. E poi non voleva un due: le avrebbe tirato giù tantissimo la media, già abbastanza bassa di suo. Riorganizzò velocemente i pensieri e le conoscenze frammentarie che aveva, attingendo alle reminescenze che aveva delle vecchie spiegazioni della professoressa sul programma del quinto, quindi prese un bel respiro e si lanciò.

"Otto Dix fu uno dei più importanti pittori tedeschi delle correnti di inizio Novecento. Nacque nel 1891 a..." esordì, continuando poi a parlare con voce calma e pacata, cercando di perdere più tempo possibile con una lentezza quasi esasperante.

Ricorse alla spiegazione di letteratura tedesca di Marzi del giorno prima, in cui aveva trattato proprio i concetti che stava ripetendo ora. Il docente, infatti, nelle sue spiegazioni trattava anche argomenti come storia, cultura generale e arte tedesca e nella sua ultima lezione aveva fortunatamente parlato del genio artistico di Dix e di altri esponenti della corrente cui apparteneva. Il tutto, ovviamente, tornava a beneficio di Lidia, che rispose in modo soddisfacente alla prima domanda postale dalla prof. di storia dell'arte, arricchendola con commenti brevi e vaghi sulle sue opere principali che accontentarono finalmente un poco la docente.

Lidia parlava mostrando una sicurezza apparente che in realtà non provava, mentre al di sotto del ripiano del banco si tormentava le mani febbrilmente.

Lo squillo della campanella pose fine al suo supplizio. Andrea rientrò subito in classe per andare a prendere il pacchetto di Marlboro da venti e fumarsi una o due sigarette, senza neanche degnare di uno sguardo la Antonelli che gli intimava di rimanere in classe per farsi dire il voto.

"Ragazzi, oggi l'unica di voi che mi ha soddisfatta un po' è stata Lidia, che si prenderà ovviamente il voto più alto. Ferrero si prende un uno e pure un'altra nota per avermi ignorata: diteglielo dopo, quando torna, a quel disgraziato! Poi, Romani, Rossi e Lorenzetti, vi dovreste beccare un uno, ma, tutto sommato, vi tirerebbe troppo giù la media, perciò assegnerò un quattro a ciascuno. E' sempre una brutta sufficienza, ma più semplice da recuperare di un uno, no? Siete in quinto anno e avete gli esami vicini. Non voglio che debbano toccare a me i rimorsi di coscienza per aver bocciato qualcuno di voi. A questo punto, comunque, la Draghi si meriterebbe un cinque e mezzo perché le ho chiesto molto poco e non ha risposto sempre in modo completo, però aveva a disposizione troppo poco tempo per svolgere un'interrogazione decente, quindi le alzo il voto a sette. L'ho alzato di alcuni punti a voi altri tre interrogati e per una questione di equità lo faccio pure con lei. E ora andate. Arrivederci" borbottò quindi l'insegnante, raccogliendo i suoi libri, il registro e l'astuccio dalla cattedra e rimettendoli ordinatamente nella borsa, uscendo poi dall'aula traballando ad ogni passo sulle scarpe dai tacchi a spillo che calzava.

"Non ci credo... non ci credo! Un sette con quell'arpia!" cominciò a esultare Lidia senza ritegno, abbracciando con foga Enrico e Aurelia che l'avevano raggiunta davanti alla cattedra insieme ad altri compagni.

"Brava, Lidia, ci hai salvati da un voto peggiore" la ringraziò Tommaso con un rassegnato sospiro di sollievo. "Se non ti fossi fatta interrogare avrebbe messo un due o un uno a tutti per quanto era incazzata. Tu l'hai calmata un pochino, anche se quel coglione di Ferrero l'ha provocata. Grazie a te abbiamo rimediato un'insufficienza molto meno grave."

"Tommy, mica devi ringraziarmi... ho fatto solo quello che dovevo" si schermì Lidia con un sorriso, accettando la gratitudine dei suoi compagni di interrogazione.

"Mi sembra che abbiano esagerato un po'... in fondo ho solo risposto a delle domande. Un quattro l'Antonelli gliel'ha messo comunque" mormorò fra sé la castana più tardi, mentre percorreva insieme al biondo e alla rossa i corridoi per andare dal resto del suo gruppo.

"Lilli, hai comunque salvato le loro medie facendo sì che la prof. mettesse loro un quattro invece che un uno, perciò hanno ragione a ringraziarti" le rispose Aurelia, dandole una pacca sulla spalla. "E smetti di pensarci, adesso. Già ti hanno tartassata abbastanza, vuoi rilassarti almeno adesso che c'è la pausa?"

"Forse hai ragione" concesse la ragazza sbuffando una risata. "Comunque oggi era meno acida del solito. Deve avere l'ammiratore segreto che le lascia lettere nella casella postale."

Il trio di compagni di classe ridacchiò. Quando i tre arrivarono al gruppo di amici, Lidia fu piacevolmente sorpresa di trovare Heydar e Céline a parlare insieme con disinvolta allegria, lievemente discosti dagli altri. Insieme erano così carini da sembrare una coppia di fidanzati.

Lo sguardo di Aurelia seguì quello azzurro della castana, soffermandosi sulla scena con sommo stupore.

"Ma... Ehm, Lilli: Céli e Dar si piacciono?" le domandò, indicandoli con un dito.

"Boh... a me Céline non ha detto niente. Probabilmente sarà un caso vederli insieme a parlare." Lidia fece spallucce, fingendo di non saperne niente per proteggere l'amica dalla curiosità impicciona della sua ex-compagna di banco.

Enrico prese improvvisamente la castana per un braccio, attirando su di sé la sua espressione confusa.

"Andiamo a fare un giro? Devo comprare la colazione ai distributori. Intanto tu mi parli di ieri" le propose e lei accettò di buon grado.

I due quindi si allontanarono, passeggiando piano.

"Enri, praticamente ieri è successo un casino. Gianluca, il fratello di Ivan - di cui ti ho già parlato -, mi ha invitata ad uscire e io ho accettato perché non avevo voglia di rimanere a casa da sola. Mentre eravamo in giro ho incontrato Roberto" cominciò a narrare Lidia.

"Il fratello di Ivan? E il Mollusco? mi sono perso un sacco di eventi!" Enrico sgranò gli occhi, senza togliere più lo sguardo onice dall'amica.

"Sì, per tua fortuna." La castana sospirò pesantemente, avvertendo l'animo turbarsi al ricordo della scena surreale che aveva vissuto subito dopo quell'incontro sgradevole e che le sarebbe tanto piaciuto dimenticare. "Quell'idiota si è messo a insultarmi davanti a tutti perché secondo lui io non avevo diritto a frequentarmi con un altro ragazzo. Mi ha dato della puttana, in pratica."

"Si è permesso di insultarti! Perché non mi hai detto niente ieri pomeriggio? Perché non mi hai chiamato, Lilì!" sbottò a voce alta il biondo, arrestandosi di colpo in mezzo al corridoio e attirando pure l'attenzione di qualcuno.

"Shhh! Enrico, sta' zitto" lo ammonì la ragazza, facendogli cenno di continuare a camminare.

"Io non capisco, Lidia... perché non me lo volevi dire?"

Enrico era sconcertato dal suo comportamento. Ma, soprattutto, era adirato. Roberto aveva insultato la sua migliore amica e non l'avrebbe passata liscia. Anche se lui era soltanto un diciottenne fortemente sottopeso e senza un briciolo di forze, avrebbe comunque fatto la pelle a quel bastardo nerboruto ventiquattrenne. Indipendentemente dalla forza fisica o dall'età, gli avrebbe fatto la festa.

"Te lo volevo dire stamattina, a ricreazione. A Céline lo racconto dopo, all'uscita. Prima preferivo prendermi una rivincita e poi sfogarmi da sola."

"In che senso?"

I due amici erano arrivati al distributore di merendine. Il ragazzo inserì un euro dentro l'apposito spazio e poi digitò il numero dello snack che intendeva comprare, quindi attese che venisse erogato.

"Gli ho risposto, mi sono difesa, l'ho insultato e gli ho fatto fare la figura dell'idiota davanti a tutti, amici suoi compresi. Poi me ne sono andata e Gianluca mi ha riaccompagnata a casa. Lì mi sono messa a piangere." Lidia aveva gli occhi lucidi al ricordo. "Il Mollusco è un grande stronzo, Enri, ma non devi metterti nei guai per me. Già mi basta il fatto che Gianluca si sia confidato con Ivan sull'uscita di ieri e che lui mi abbia chiamata a casa alle dieci di sera per farmi l'interrogatorio. Non ti ci mettere in mezzo pure tu, per favore."

Il biondo si chinò per estrarre dal macchinario il cornetto della Bauli che aveva comprato, quindi si rialzò in piedi.

"Interrogatorio? Che cazzo gli ha detto il suo fratellastro?"

"Ivan voleva sapere perché non gli avessi detto nulla dell'incontro con Roberto. Io speravo soltanto di non dover aprire questo discorso con lui, ma Luca gli ha chiesto un consiglio su come comportarsi con me e, confidandosi, gli ha spiattellato tutto. Allora suo fratello mi ha chiamata e io mi sono precipitata a casa sua perché temevo fosse successo qualcosa, dato che prima non ci aveva mai fatto. Gli ho raccontato cos'era successo e poi alla fine lui mi ha lasciata andare. Sembrava apparentemente tranquillo, ma sono sicura che stia elaborando un piano per vendicarsi in qualche modo di Roberto. E' geloso di me e ci tiene a che mi si porti rispetto. Poco importa che io gli dica di stare alla larga da quel deficiente: non sono sicura che mi darà retta. Perciò ti prego, Enri, non ti ci mettere anche tu con i tuoi progetti di rappresaglia. Almeno tu" lo pregò la ragazza.

"Ci proverò, Lilì, ma non te lo garantisco. Quel verme non deve passarla liscia" promise il biondo, serrando la mascella per l'ira.

Lidia era la sua migliore amica da cinque anni e gli voleva un bene dell'anima. In secondo liceo si era pure preso una bella sbandata per lei, ma era bastato qualche mese per guarirne completamente. Ora provava un attaccamento morboso per lei, quasi fosse una sorella minore da proteggere, e si comportava come un fratello con la ragazza. Perciò non avrebbe permesso all'odiato Mollusco di cavarsela così facilmente. No, gli avrebbe impartito una lezione coi fiocchi. Magari con l'aiuto di Ivan, se fosse riuscito a incontrarlo una seconda volta e a parlarci pure senza la presenza di Lidia.

"Oh, voi maschi siete impossibili!" esclamò la castana, sbuffando irritata e alzando gli occhi al soffitto dell'antico istituto trecentesco.


 

***


 

Le lezioni erano terminate intorno all'una e venticinque come sempre. Quel giorno Lidia avrebbe riaccompagnato Céline a casa, dandole un passaggio con il suo scooter. Approfittò dell'occasione per raccontarle ciò che aveva confidato ad Enrico a ricreazione, ottenendo una reazione collerica e incattivita da parte della sua migliore amica.

"Se lo prendo lo scuoio vivo, quello stronzo!" aveva esclamato la bruna alla fine del breve racconto della ragazza.

"Calmati e ascoltami: tu invece non farai nulla, così come nemmeno Ivan, Gianluca o Enrico devono. E non lo farai, altrimenti la prenderò come un'offesa personale. E sappi che non scherzo. Questa è una faccenda mia, personale, e nessuno ci deve mettere lo zampino" l'aveva ammonita con una certa durezza, prima di salutarla davanti al cancello del suo condominio e tornarsene a casa. "Ah, ricordati che stasera tardi voglio tutti i dettagli piccanti del tuo appuntamento a luci rosse con Heydar!" aveva poi aggiunto, facendole una scherzosa linguaccia e scappando via di corsa prima di finire tra le grinfie dell'irritatissima amica.

Ora la ragazza se ne stava in cucina a lavare le stoviglie impiegate per preparare il pranzo. Era da sola in casa: Eva era uscita di nuovo intorno alle tre senza dire nulla, incurante del divieto paterno impostole per il cinque rimediato a scuola con l'interrogazione di storia, e sarebbe sicuramente rientrata dopo le sette e mezza come al solito, mentre Domenico era ritornato al lavoro subito dopo aver pranzato con le figlie a casa, con l'umore allietato dai due bei voti che Lidia aveva preso a scuola.

Per Domenico, Lidia era la figlia preferita in assoluto: era obbediente, riflessiva, ragionevole e diligente; si impegnava a scuola e nello sport e dava ai suoi genitori soltanto soddisfazioni. L'unica cosa che non aveva mai accettato della figlia era stato il suo fidanzamento con Roberto, che le aveva fatto passare due anni di crisi continue, di pianti e di arrabbiature. Anche quel periodo era terminato, però.

Ora il padre della ragazza guardava con occhi critico al legame sempre più forte e al tempo che Ivan, il collega della moglie, trascorreva con la diciottenne, perché era chiaro il feeling che li legava. Sospettava pure che ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia, ma, riponendo fiducia nella logica ferrea e nel senso di responsabilità della sua primogenita, non aveva mai detto nulla che facesse trapelare i suoi sospetti, sperando che prima o poi quel dubbio potesse essere sciolto definitivamente.

Dopo aver riordinato la cucina, Lidia si occupò di rimettere a posto la propria camera, che Eva aveva lasciato nel più completo caos mentre era alla ricerca del cellulare dimenticato la mattina stessa a casa.

Rimettendo a posto i cuscini sparsi sul tappeto nel mezzo della camera, la ragazza scorse con la coda dell'occhio la custodia di un CD caduto per terra dagli scaffali sopra la scrivania. Stizzita, Lidia lo prese tra le mani, sperando che non si trattasse di un suo disco e che non fosse scheggiato o rotto. Altrimenti avrebbe fatto sua sorella a fettine.

Si trattava di un CD di Robbie Williams. Rotto. Di Eva.

Almeno non ha danneggiato nulla di mio, considerò Lidia con un'alzata di spalle, palesemente sollevata, seppur un pochino dispiaciuta per la sorte subita dal povero dischetto della noncurante sorella, posando la custodia spaccata e incrinata sul ripiano del tavolo accanto al pc.

Annoiata, la giovane se ne tornò al piano inferiore, chiedendosi cosa poteva fare. Poteva terminare di leggere l'ultimo libro che aveva comprato di Ken Kollett, L'inverno del mondo, oppure guardarsi un po' di tv. Non aveva molto da studiare, dato che il giorno dopo le sarebbero mancati due professori perché in gita con il primo linguistico a Pisa, il che avrebbe significato tre ore di buco su sei di lezione totale.

Oppure poteva sentirsi con Ivan. Tramite sms aveva saputo da lui che quel pomeriggio l'aveva libero. Quindi perché non vedersi con lui? Ne sentiva un bisogno invincibile: voleva scrollarsi di dosso il turbamento del ricordo dell'incontro con Roberto che ancora l'affliggeva. Voleva abbracciare Ivan e farsi dire parole rassicuranti, e magari pure fare un saluto ad Emma, che non rivedeva più da qualche giorno.

Quindi Lidia prese la sua decisione: afferrò il cellulare e digitò subito il testo di un messaggio, accordandosi con l'uomo per vedersi quel pomeriggio. Ebbe risposta positiva e, piena di gioia ed entusiasmo, cominciò a discorrere con lui per mettersi d'accordo su cosa fare, quando e dove vedersi.

Mezz'ora dopo, alle tre e mezza precise, Ivan si presentò davanti al portone di casa Draghi con tra le mani una confezione di pizza da asporto e un dvd. Lidia lo accolse gettandosi subito tra le sue braccia e lo fece quasi cadere giù dalla scalinata esterna.

"Scusami, Ivan... ma non vedevo l'ora di vederti!" ridacchiò la ragazza, aiutandolo a rimettersi in equilibrio e conducendolo dentro.

Si richiuse la porta alle spalle e, guidandolo fino al salotto, gli fece appoggiare pizza e film sopra un tavolino, premurandosi che si mettesse comodo a sedere sul divano mentre lei appendeva il cappotto dell'infermiere all'attaccapanni dell'atrio.

Tornò da lui a passo lento, quasi ciondolante, e si lasciò cadere tra le sue braccia, beandosi del contatto con quel corpo intrigante.

"Mi sei mancata tantissimo" mormorò tra i suoi capelli l'uomo, cingendola strettamente e posando poi un bacio sulle sue labbra.

"A me di più" replicò con un sorrisetto la ragazza.

"Oh, non cominciamo a fare la gara di chi ha sentito più la mancanza dell'altro. Altrimenti perdiamo tutto il pomeriggio" protestò il moro, scatenando la sua risata.

"Anche se passassero cento anni, tu non cambieresti mai: resteresti comunque l'acido quarantenne che conosco" lo prese in giro la giovane, sollevandosi poi in piedi ridendo.

"Dove vai?" si precipitò giocosamente l'uomo per rincorrerla, incontrando però una sua mano protesa a bloccarlo, posata sul suo petto.

"Sta' giù. Chiudo le luci, accendo la tv e inserisco il dvd... almeno ci guardiamo questo benedetto film e tu non pensi male."

Dopo aver svolto tutto, Lidia si diresse in cucina, uscendone un minuto dopo con due bicchieri, una bottoglia di Coca Cola e un pacco di popcorn aperto trattenuti in precario equilibrio fra le braccia sottili. Ivan accorse in suo aiuto sfilandole delicatamente bicchieri e bottiglia dalle mani. Quindi, dopo aver posato tutto sul basso tavolino del salotto, i due si sedettero l'uno accanto all'altra sul divano, pronti per vedere il film.

Ivan abbracciò le spalle di Lidia con l'arto, attirando la figura della liceale al suo petto. Lidia gli lanciò un'occhiata sarcastica, sollevando un sopracciglio.

"Hey, il fatto che mi abbracci così significa che ci stiamo per vedere un porno e vuoi fare qualcosa di sconcio? No, perché altrimenti tolgo direttamente il dvd... Oggi non credo di avere voglia di esplorare la nostra limitata conoscenza fisica."

Ivan, che stava assaggiando i popcorn nell'attesa che i titoli d'apertura terminassero di scorrere, quasi si strozzò con uno di essi, facendo scoppiare a ridere la ragazza.

"Lidia! Ma che ti salta in mente?" ribatté esasperato l'uomo, voltandosi a guardarla negli occhi nonostante la semi oscurità della stanza. "Non ho intenzione di fare un bel nulla."

"Eddài, dicevo per scherzo."

"Non fa ridere."

Ivan era piuttosto suscettibile ed riusciva facile alla giovane punzecchiarlo in ogni modo, soprattutto quando toccava argomenti delicati, come quello del sesso. In quel caso diventava permaloso e Lidia se la rideva sempre come una pazza per la comicità infantile del suo atteggiamento.

"Come sei irritabile" commentò la ragazza, guadagnandosi un'ultima occhiata torva da parte del moro.

"Forse è meglio se comincia il film" borbottò Ivan, trattenendo a stento un sorrisino di divertimento. Era permaloso, ma non a livelli così esasperanti.

"Sì, credo che sia un buon suggerimento."

Lidia si accoccolò accanto all'uomo, che la strinse a sé.

"Già, di che film si tratta? Prima non ho letto il titolo sulla copertina..." l'interrogò la ragazza un istante dopo, osservando fissamente lo schermo della tv per la curiosità di scoprire che pellicola avrebbero guardato.

"Ti piacerà, vedrai" asserì Ivan sicuro.

"A me basta che non sia un western o un colossal americano" borbottò la castana tra i denti, scura in volto, scatenando la risata dell'infermiere seduto accanto a lei.

Il film cominciò.


 

***


 

Alle sei meno dieci, dopo che i titoli di coda ebbero finito di scorrere lungo lo schermo, Lidia spense la tv, annoiata.

"Che palle! Io non capisco come fanno a piacerti gli western... sono così noiosi. E perché dovevamo guardare proprio quel film?"

"Be', semplicemente, io ti avevo proposto un film che piaceva a me. Non era sicuro l'avresti apprezzato pure tu. Vuol dire che la prossima volta deciderai tu quale dvd guarderemo insieme."

"Se ci sarà una seconda volta..."

Ivan scoppiò a ridere, divertito dal broncio della ragazza.

"Maddài, non mi dire che veramente non ti è piaciuto!"

"Per niente. E te l'ho già detto" puntualizzò lei, dandogli poi una leggera spinta abbastanza forte da far oscillare il corpo dell'uomo sull'orlo del divano.

"Hey, potevo cadere! Vacci piano con le mani" la riprese il moro accigliandosi, rimettendosi a sedere compostamente dopo aver oscillato pericolosamente sul bordo del sofà. "Comunque, che film hai intenzione di guardare la prossima volta?"

Il volto di Lidia s'illuminò di un sorriso tremendo che non prometteva nulla di buono.

"Non credo che tu abbia diritto a sapere il titolo... sarà una sorpresa."

"Mi devo aspettare una di quelle soporifere commedie romantiche o le tragedie lacrimose che piacciono tanto a voi ragazze?"

La ragazza fece spallucce.

"Deduci quel che ti pare, tanto non te lo dico comunque il nome del film."

"Su, Lilli..."

"No, tesoro." Lidia fece segno di diniego con il capo e poi sorrise all'uomo, con negli occhi un luccichìo ironico.

"Come vuoi tu. Allora te lo estorcerò con le maniere forti" dichiarò l'infermiere, slanciandosi sopra il corpo sottile della ragazza, che gridò sorpresa e divertita.

Cominciò a farle il solletico e a tormentarla in ogni modo, facendola ridere forte e mozzandole il fiato.

"Dài, Ivan, smettila... ti prego!" riuscì a singhiozzare a fatica la giovane, alternando voce e risate.

"No, fino a che non mi sveli il titolo" rispose lui, intensificando l'azione delle dita sul ventre tonico della castana.

Dopo qualche istante Lidia riuscì miracolosamente a sgattaiolare via da sotto il corpo dell'uomo, scivolando a sedere sul tappeto del salotto e strappando un respiro ai suoi polmoni sottoposti a supplizio.

"Sei uno scemo" replicò non appena ebbe ripreso un po' di fiato, quindi si rimise a sedere accanto ad Ivan, che sembrava aver rinunciato all'assalto, e si asciugò due lacrimucce agli angoli degli occhi con le dita sottili.

"Stronza" mormorò quindi lui al suo orecchio con uno sbuffo comico.

Le braccia dell'uomo avvinghiarono il suo fisico in un tenero abbraccio e le due figure accomodate sul divano si fusero in una sola. Ivan baciò le labbra di Lidia con snervante dolcezza, accarezzandole la schiena e sovrastandola lentamente con il proprio corpo imponente.

Ben presto i due si ritrovarono avvinghiati l'uno alla figura dell'altra, intenti ad esplorare con le labbra ogni singolo centimetro di pelle scoperta di vestiti del proprio partner. Ivan posò la mano destra sulla coscia della ragazza, risalendola lentamente in una carezza leggera, poi l'infilò sotto la sua maglia, ghermendo il fianco. Risalì ancor più in su ed incontrò il seno sinistro, sfiorandolo appena e strappando un sospiro a Lidia, la quale non si stancava di baciarlo sulla bocca ampia e sottile.

Lidia si protese verso l'alto nell'intento di sfilarsi la maglia, lasciandola scivolare per la testa e cadere sul tappeto con un fruscio. Aveva indosso solo la catenina, regalatale dall'uomo, pendente al collo e un push-up. Ivan si avventurò famelicamente sui dolci pendii nivei del petto fiorente della giovane, sganciando il reggiseno nero con una mossa esperta e sfilandolo frettolosamente.

Le guance di Lidia divennero color porpora al pensiero di essere mezza nuda di fronte al fidanzato, incerta sul suo comportamento e su cosa sarebbe successo. Era pur sempre un approccio che non aveva mai esplorato prima e si sentiva intimidita. Quasi si vergognò della situazione per un senso di imbarazzata pudicizia, ma non si nascose, piacevolmente conscia dello sguardo di Ivan che osservava rapito le sue forme.

Il respiro della castana si spezzò quando sentì le labbra dell'uomo carezzarle le morbide aureole chiare delle mammelle, posando baci delicati. Arresa all'eccitazione, si rilasciò contro il sofà, stesa e completamente rilassata, godendo di quella dolce tortura. Era la prima volta che qualcuno toccava così il suo seno. E la mandava in estasi il contatto della bocca di Ivan sul suo petto morbido, gratificato da numerose carezze. Trattenne a stento un gemito quando Ivan, come per stuzzicarla, morse appena la punta di un capezzolo inturgidito, facendola sussultare appena.

"Sei tu uno stronzo" riuscì a mormorare la ragazza, tentando debolmente di respingere il volto dell'uomo dal suo generoso petto. "Scansati."

"Perché, altrimenti che mi fai?" la provocò Ivan con le labbra ad un centimetro dalla pelle denudata del seno, soffiando lievemente sopra essa e facendola rabbrividire.

Lidia non rispose, ma si alzò di scatto, quasi lanciandosi contro la figura che ancora la sovrastava, slacciando con movimenti febbrili i bottoni della camicia nera che l'uomo indossava. Una volta che l'ebbe tolta insieme alla canottiera di lana che Ivan portava sotto, la ragazza si accoccolò sul suo petto per inspirare afondo il profumo del moro, avvolta dalle sue braccia, ridacchiando appena al pizzicorio che avvertì al contatto del seno delicato con il petto villoso dell'uomo.

"Sei sicura di volerlo fare?" le mormorò all'orecchio Ivan, incontrando subito l'assenso della ragazza.

La camicia fu presto seguita da un paio di scarpe nere, da uno di jeans maschili e da quello di una tuta da ginnastica. Lidia se ne stava ancora accoccolata tra le braccia virili di Ivan, quando questi improvvisamente si sollevò in piedi sgusciando via da sotto il suo corpo. L'uomo le sorrise enigmaticamente, quindi le si inginocchiò al fianco, sfiorandole appena le gambe lunghe e toniche. Alla castana venne da ridere per la comicità della posizione dell'infermiere, che se ne stava genuflesso davanti a lei solo in boxer, ma al contatto della mano di lui sul suo corpo tacque, incuriosita e coinvolta.

L'uomo esplorò con le dita le sue gambe slanciate, poi l'interno coscia, indugiando quindi sul bordo dell'elastico degli slip. Lidia si eccitò: chiudendo estaticamente gli occhi, la ragazza allargò appena le gambe, invitandolo a farsi avanti e a toccarla proprio lì. E Ivan colse quell'incoraggiamento, posando un dito sopra gli slip sottili e muovendolo lentamente. Sfilando le mutandine, giocherellò con i chiari peli pubici e disegnò movimenti circolari sull'intera zona intima, bagnando poi la punta del polpastrello negli umori della ragazza.

Lidia inarcò di scatto la schiena, ansimando furiosamente. Ivan le strappò un gridolino di piacere continuando quel dolce supplizio erotico, penetrandola di quando in quando con il dito e stuzzicando la sua apertura virginea a più riprese. A Lidia sfuggì il fiato tra i denti con forza e cominciò a contorcersi, gemendo piano e continuamente. Ivan ebbe un'erezione al pensiero di stare provocando nella sua compagna del piacere e un moto di orgoglio maschile e soddisfazione personale contribuirono ad eccitarlo oltre ogni limite, compartecipando al piacere della ragazza.

Quando l'ebbe portata sull'orlo del culmine, Ivan smise di sfiorarla, come per prolungare la sua ebbrezza e tormentarla un pochino, e poi le sfiorò l'intimità con un bacio, terminando quel lungo momento eccitandola con il tocco esperto della sua lingua.

Lidia aveva i nervi a fior di pelle. Quel contatto l'avrebbe fatta impazzire, prima o poi. Tutto il suo mondo, la sua concentrazione vertevano intorno a quel punto focale, come se quel piacere fosse di capitale importanza, come se quelle labbra, quella lingua e quella mano fossero il fulcro di tutta la sua realtà. I nervi catturavano ogni piacevole impulso elettrico, inondando il cervello che era andato letteralmente in blackout. Non esisteva null'altro se non quel contatto e la spasmodica attesa di mettere fine alla febbrile tortura cui Ivan l'aveva sottoposta, giungendo finalmente all'acme.

Ivan la stimolò ancora un poco, assaporando ancora il sapore forte e femminile di Lidia, inebriato da quel profumo paradisiaco che gli riempiva le narici e che aveva mandato a quel paese la cautela. Lasciò con riluttanza la vulva della giovane che tremava visibilmente sotto le sue carezze sensuali, penetrandola ancora un'ultima volta con le dita mentre si levava di nuovo in piedi per chinare il volto su quello della fidanzata, baciandola.

Lidia avvertì sulle labbra il proprio sapore. Le sembrò una cosa quasi proibita, così intima e intensa da condividere con qualcuno che il piacere la raggiunse inaspettatamente, lasciandola preda dell'estasi. Con un grido soffocato contro la bocca di Ivan la giovane venne tra le braccia dell'uomo, sentendo i lombi sconquassati all'infinito da una fiammata violentissima di passione. Tremando violentemente per il scompiglio di emozioni che le aveva sconvolto l'animo, la ragazza riprese ad ansimare dopo aver trattenuto il respiro per un intervallo interminabile, quasi boccheggiando, ancora sconvolta dall'orgasmo.

"I-Ivan..." riuscì a mormorare dopo una manciata di secondi, riprendendo ancora fiato mentre la beatitudine più totale le pervadeva il corpo, abbandonandosi ad un rilassamento completo.

"Lilli..." la chiamò l'uomo con voce arrochita, osservandola con occhi amorevoli.

Lei ricambiò lo sguardo levando su di lui due iridi azzurre liquide e dolci. Gli sorrise appena, poi si alzò sospirando. Ancora nuda, si levò a sedere trascinando accanto a sé il corpo del bruno. Lui la cinse con le braccia e lei fece altrettanto, lasciandosi sprofondare tra gli arti forti e protettivi di Ivan.

"Ti amo" mormorò lei al suo orecchio, baciandolo poi lungo il profilo della mascella volitiva. " E la prossima volta sarai tu ad insegnarmi come farti provare ciò che oggi hai fatto provare a me."

"Con piacere" replicò maliziosamente l'uomo, suscitando l'ilare tenerezza della ragazza.

"Almeno quando mi prenderai ti sarai sfogato un pochino e ci andrai piano con me" lo prese in giro lei, scoppiando poi a ridere di fronte all'espressione fintamente scandalizzata dell'infermiere.

"Che intendi dire? Che sono un animale capace solamente a seguire l'istinto?" l'accusò l'uomo, levando un sopracciglio, dubbioso.

Lidia scosse la testa provocando un movimento della serica massa bronzea di boccoli, negli occhi un luccichìo malizioso.

"No. Ma ne avresti proprio bisogno. Guarda in mezzo alle tue gambe."

Solo allora Ivan si accorse di avere ancora una semi erezione non soddisfatta. Avvampò appena per essere stato colto in fallo, ma la giovane rise.

"Oh, Ivan, sei umano anche tu, dopotutto" lo placò, avvicinandosi al suo volto con un'espressione enigmatica negli occhi intriganti.

Si sedette sulle sue cosce muscolose e affondò una mano tra i suoi capelli scuri e folti, attirando il suo volto al proprio per baciarlo con ardore, mentre l'altra mano, fattasi ardita, sfiorò appena il turgore fra le gambe di Ivan, cominciando a giocherellare ed accarezzare il pene duro ed eretto dell'uomo da sopra i boxer. Ivan sobbalzò visibilmente ansimando contro le sue labbra, ghermendo con entrambe le mani il tessuto soffice del divano su cui erano seduti. Lo strinse con forza fra le dita, gemendo e agitandosi man mano che le dita di Lidia proseguivano il contatto. Ad un certo punto le afferrò la mano per insegnarle il movimento giusto, quindi la lasciò fare nuovamente, godendo del piacere che la ragazza gli stava dando.

Ad un certo punto sussultò. Lidia avvertì una specie di spasmo del membro dell'uomo, poi Ivan si accasciò contro lo schienale del sofà, come esausto, prendendo il respiro a grandi boccate.

La ragazza osservò eccitata e incuriosita la piccola macchia umida e biancastra che si era aperta pian piano sul tessuto dei boxer in corrispondenza della zona genitale. Chinò il volto su quello dell'uomo per baciarlo, poi si abbandonò contro il suo corpo, lasciandosi abbracciare.

"Vorrei poterti fare mia in questo stesso istante" le confidò Ivan all'orecchio con voce roca.

Lidia sospirò pesantemente, desiderosa di poter fare altrettanto ma cosciente che il tempo passava in fretta e che rischiavano di essere colti insieme. lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete.

"Invece adesso sarebbe meglio rivestirsi... Mio padre potrebbe tornare fra qualche minuto a casa. Oppure mia sorella" disse con preoccupazione e una certa delusione Lidia, levandosi in piedi di scatto. "E' troppo rischioso, Ivan. Altrimenti sarei più che felice di cedermi a te."

L'uomo osservò la sua figura longilinea e proporzionata in tutta la sua nuda, spoglia bellezza, meravigliandosi ancora una volta di essere il fortunato custode dell'amore di quella ragazza fantastica. Sospirando sconsolato, si costrinse a far scivolare via dalla mente tutti i pensieri poco casti che si stava facendo sul corpo svestito di Lidia, alzandosi in piedi per poi piegarsi a raccogliere gli indumenti e le scarpe sparse alla rinfusa sul parquet del salotto. Porse alla ragazza il suo maglione invernale, notando con piacere che si trattava del pullover di cachemire avorio che lui le aveva regalato mesi addietro.

"E' caldo e adatto da indossare per l'inverno" si giustificò lei con semplice sarcasmo, tentando di smontare il sorrisetto di soddisfazione che aleggiava sulle labbra sottili del moro.

"Certo" la prese in giro lui con accondiscendenza, infilandosi i jeans fascianti che fino a pochi minuti prima aveva ancora indosso. Si chiese perché a volte Lidia fosse riluttante a dimostrare i suoi sentimenti schermandosi dietro lo scudo del sarcasmo che di quando in quando sfoderava, ma liquidò la questione con un'alzata di spalle, tornando a concentrarsi su altro.

Si rivestì con calma, abbottonando ordinatamente la camicia nera, poi infilò calze e mocassini e si ravviò i capelli, tentando di dare loro una parvenza d'ordine.

Intanto Lidia si era già rivestita e stava dando una sistemata al salotto, togliendo quindi il dvd dal lettore e rimettendolo a posto nella sua custodia, mentre Ivan aveva afferrato i bicchieri di vetro e li avevi riportati in cucina, gettando poi nella pattumiera il sacchetto vuoto dei popcorn e la scatola della pizza. Infine ripose la bottiglia di Coca Cola nel frigo, rientrando nel salotto già messo velocemente in ordine.

"Sono le sei e mezza" disse il moro osservando lo schermo del cellulare. "Devo andare a prendere Emma a casa di Marco" aggiunse a voce più bassa, riluttante a dover salutare Lidia.

"Non voglio che tu te ne vada" protestò Lidia con uno sbuffo rassegnato mentre accompagnava l'uomo all'uscita.

Gli porse il giaccone e la custodia del film e si fece da parte in un angolo dell'atrio, osservandolo indossare il cappotto.

L'uomo le rivolse uno sguardo avvilito, mordendosi il labbro e corrugando la fronte.

"Tanto ci rivediamo presto, no?"

Lidia chinò lo sguardo, annuendo appena con il capo. Le iridi azzurre si appannarono, ma si impose di non piangere di fronte a lui. Perché per la ragazza quegli incontri saltuari, quei momenti di felicità rubati al tempo e alla fiducia delle persone che li conoscevano e li amavano, erano uno spreco di sentimenti. Avrebbe voluto poterlo frequentare liberamente con il benestare dei genitori e senza che ci fosse a rischio la custodia di Emma, ma non le era permesso. E soffriva per quella vicenda difficile, sebbene l'amore che Ivan provava per lei la ricambiava di tutto. Lidia amava Ivan e non avrebbe mai voluto lasciarlo. E non l'avrebbe fatto, anche se non era permesso loro stare insieme, almeno non ufficialmente.

"Sì, ci rivediamo presto" gli rispose, tentando di eludere l'intuito e l'espressione attenta dell'infermiere.

"Però voglio sapere il nome del film che vuoi farmi vedere... dài" aggiunse per scherzo l'uomo, strappandole un sorriso alquanto forzato.

"No. Non ti sei comportato da cavaliere con me e ora è il mio turno di essere antipatica con te. Ti sorbirai un film che di sicuro di annoierà a morte e di cui sicuramente non ti svelerò il titolo" e gli fece la linguaccia, scoppiando poi a ridere nonostante il dispiacere che le attanagliava il cuore.

"Allora sei stronza davvero" ironizzò Ivan, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della castana.

"E te un maleducato" ribattè mordacemente la ragazza, alzando il mento in segno di sfida.

Ivan si portò davanti a lei, negli occhi chiari un'espressione addolcita, quasi rapita dal luccichìo impertinente delle iridi azzurre di Lidia.

"Mi mancherai" mormorò, chinandosi poi a baciarla.

Il ricordo delle audaci carezze di prima si risvegliò nella giovane quando lui le cinse la vita attirando a sé la sua figura. Si scambiarono un ultimo bacio, poi si tennero abbracciati l'uno all'altra per qualche istante ancora, godendo ognuno del familiare tepore del proprio partner.

Quindi Ivan sciolse l'abbraccio, andandosene via da casa Draghi, mentre Lidia lo salutava dalla porta dell'abitazione, serbando gelosamente nel cuore i ricordi inaspettati di un pomeriggio indimenticabile. Aveva assaporato per la prima volta le vette dell'estasi grazie a lui, sentendosi finalmente donna, matura, adulta, e non più una giovane ragazzina sprovveduta come gli altri tendevano spesso a giudicarla. E si era resa conto di amare Ivan tantissimo, come se fosse la metà gemella della sua anima, come se si trattasse della tessera mancante al puzzle della sua giovane vita. E di non poter più rinunciare a lui, pena il dolore più atroce che avrebbe mai potuto provare. Si sentiva pronta a mandare avanti quella storia in segreto da tutti, grazie anche alla complicità dei suoi amici più fedeli, e non avrebbe rinunciato a lui facilmente, nemmeno di fronte alle difficoltà.

Quando Eva ritornò a casa, ossia circa dieci minuti dopo, la routine quotidiana della diciottenne riprese come al solito, costringendola ad abbandonare i pensieri che tenevano la sua mente legata all'uomo che amava.

Per trovare un po' di consolazione al proprio dispiacere, Lidia cercò di immaginarsi come stava procedendo la serata di Céline e Heydar al Gilli, andandosene a dormire alle nove e mezza con L'inverno del mondo di Follett tra le mani e in testa un'aspettativa positiva riguardo all'inizio alquanto curioso di quella frequentazione tra la sua più cara amica di sempre e il compagno di classe.


 

***



N.d.A.
Salve a tutti!
Per un pelo riesco a pubblicare prima della mezzanotte! Sono stata impegnatissima ultimamente...
Comunque, il capitolo - e specialmente quel pezzo - faranno cagare in una maniera assurda, perciò chiedo venia in anticipo. Inoltre, aggiungo che quello della settimana prossima sarà l'ultimo capitolo che pubblicherò, perchè poi dal sette a quattordici dicembre sarò in gita a Vienna con la scuola - yeeeeeeee!!! *-* Ich liebe Oesterreich und Wien! - e quindi da lì non potrò aggiornare con il capitolo 28 di venerdì 12 dicembre. Ma molto probabilmente, dopo questa cagat... ehm, dopo questo capitolo orrendo... credo che non importerà più a nessuno, eh. ^^'''
Detto questo, vorrei ringraziare Lachiaretta per aver recensito il capitolo scorso *-*
Alla prossima... e grazie ancora a chi è arrivato a leggere fin qui xD
Notte :*


Flame

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


27.

 


 

Heydar e Céline si erano incontrati di fronte al rinomato Caffé Gilli vicino al centro storico di Firenze. Tuttavia i piani dei due ragazzi erano stati scombinati dalla presenza alquanto poco casuale di Jasmine, la sorella maggiore dell'iraniano, che frequentava spesso il famoso locale fiorentino con il proprio fidanzato e che quella serata aveva deciso di impicciarsi degli affari di cuore del fratello minore, costringendo il ragazzo a rivedere i suoi piani per l'uscita.

Céline, a cui lui aveva spiegato la scocciante improvvisata di Jasmine, aveva compreso appieno e aveva proposto un locale più tranquillo poco lontano di lì, dove avevano trovato rifugio dalla curiosità mordace della maggiore dei fratelli Lotfollahi.

Quindi i due avevano trascorso una serata piacevole, parlando tantissimo e ridendo spesso insieme. Si trovavano in perfetta sintonia: Heydar, serio e pacato, si era lasciato andare all'ironia pungente di Céline, la quale, grintosa e schietta, si era cimentata nell'ardua sfida di darsi un contegno un po' più compassato. Alla fine, però, si erano abbandonati alla conversazione, che era sconfinata anche in dettagli più intimi e personali, passando insieme due ore deliziose e divertenti.

Intorno alle undici e mezza, a causa della scuola che iniziava presto, erano dovuti rientrare ognuno a casa propria. Heydar, per gentilezza, aveva riaccompagnato Céline a casa sua a bordo della Fiat Panda grigia metallizzata che la madre Mara gli aveva gentilmente prestato, parcheggiando di fronte al condominio in cui l'amica di Lidia abitava con la famiglia.

Come un vero cavaliere, era sceso per primo dalla macchina per aprire la portiera dell'auto alla ragazza, che aveva apprezzato molto quel gesto pieno di cortesia e distinzione. Accompagnandola fino al cancello, Heydar l'aveva salutata con un sorriso e un bacio sulla guancia.

"Buonanotte, Céline" aveva mormorato al suo orecchio, osservandola poi a lungo con i chiari occhi castani immersi nell'oscurità notturna.

"Grazie, Dar. Buonanotte anche a te..."

Poi Heydar si era voltato e stava per dirigersi verso la vettura quando le dita affusolate di una mano sottile gli avevano stretto l'avambraccio destro in una morsa decisa, costringendolo a girarsi nuovamente.

Céline, travolta da un'improvvisa fiamma di coraggio, aveva impulsivamente trattenuto l'iraniano per il braccio, sentendo l'ansia montare dentro di lei. Cavolo, quanto le piaceva. Desiderava confessarglielo e poi baciare le labbra carnose e seducenti del giovane moro, ma temeva di fare una mossa azzardata. Era in preda all'incertezza, dato che non aveva altra esperienza: l'unico fidanzato avuto era stato Diego, con cui si era impegnata in una relazione di quasi quattro anni. Aveva perso tante occasioni durante l'adolescenza ed era priva di possibilità di paragone con altre dichiarazioni. Perciò, prima di entrare nel pallone e bloccarsi defitivamente, la minuta ragazza aveva impulsivamente pronunciato la terribile frase, alzando lo sguardo scuro e deciso verso il volto del bruno.

"Mi piaci tantissimo, Heydar."

Il diretto interessato era rimasto come folgorato da quelle parole, quasi senza respiro. Per qualche secondo l'aveva fissata ammutolito, poi un largo sorriso felice si era delineato sul volto dalla bella carnagione color caffelatte.

Senza neanche capire come Céline si era ritrovata sollevata tra le braccia dell'alto liceale, il quale la strinse a sé in uno slancio di gioia estrema.

"Cielo, anche tu mi piaci un sacco! E' da aprile che sono innamorato di te..." le aveva confessato il corvino, con lo sguardo dorato fisso nelle sue iridi scure come l'onice.

Céline gli passò le braccia intorno al collo, coinvolgendo Heydar in un bacio euforico e prima d'ora impensato, ridendo entusiasta contro le sue labbra. Morbida era quella bocca allettante. Aveva mordicchiato un po' il suo labbro inferiore, affondando le dita tra i folti capelli neri di lui come per evitare che gli venisse strappato dalle braccia il meraviglioso ragazzo dei suoi sogni, quasi spaventata dall'idea di perderlo.

Dopo un po' si erano staccati per riprendere fiato e Heydar l'aveva posata a terra, abbracciandola poi con trasporto.

"Céline..." l'aveva chiamata poco dopo.

La ragazza aveva alzato il volto verso l'alto, contemplandone i fini tratti somatici vagamente orientaleggianti e le iridi auree scintillanti di emozione.

"Vuoi essere la mia ragazza?" le aveva domandato, ricevendo subito l'entusiastica risposta affermativa della bruna.

"Certo che voglio esserlo!" aveva quasi gridato per la felicità, ridendo in preda all'eccitazione.

Quindi i due si erano baciati un'ultima, tenerissima volta, prima di darsi la buonanotte con la promessa di incontrarsi la mattina dopo alle otto davanti al "Calamandrei".


 

***


 

"Oh, Céline, siete dolcissimi insieme! Congratulazioni, sono contentissima per voi due!" gioì Lidia quando la sua migliore amica ebbe terminato il resoconto della serata del mercoledì.

Le due ragazze avevano deciso di incontrarsi alle sette e mezzo al solito bar a due passi dall'Istituto Paritario "Calamandrei". Avevano ordinato due caffé e due cornetti al cioccolato, poi si erano sedute insieme ad un tavolino, chiacchierando allegramente. Céline le aveva raccontato con voce rapida ed euforica della serata trascorsa insieme al suo nuovo ragazzo e a Lidia era quasi andato di traverso un pezzettino di brioche per lo sbalordimento quando l'amica le aveva confidato come lei avesse confessato a Heydar i propri sentimenti.

La castana abbracciò rudemente la neo fidanzata quando il racconto fu terminato, facendosi trasportare dalla sua felicità senza limiti.

"E tu che dubitavi perfino che lui potesse essere interessato a te!" esclamò ironicamente Lidia quando lasciò finalmente andare la liceale, scompigliandole affettuosamente i ricci ribelli con una mano e sbuffando divertita di fronte all'espressione imbronciata dell'interlocutrice.

"Stronza!" l'apostrofò l'amica, ravviandosi frettolosamente la chioma bruna. "Sai che ho dei capelli impossibili: perché allora me li incasini tutti? Mi sono preparata apposta per Dar stamattina! Ci ho messo un'ora a sistemare i capelli" sbuffò inviperita.

"Io credo che ti troverà adorabile così, invece. Prima il tuo aspetto era troppo serioso e preciso; ora invece hai un'aria più sbarazzina. E anche più simpatica, devo dire. Vestiti normalmente come tutti i giorni, no? Hai già fatto colpo su di lui senza metterti in ghingheri: lo vuoi per caso ammazzare con tutta questa bellezza?" la prese in giro Lidia, scatenando la replica scandalizzata di Céline.

"Oh, ma che hai? Ivan ti ha contagiato col suo scadente sarcasmo?" ribatté la mora, permalosa.

Lidia rise di cuore, guardando l'amica con affetto.

"Ma no, Céli... io ti dico sempre la verità, questo lo sai. E se ti ho detto queste cose è proprio perché le penso sinceramente. Tu sei una ragazza meravigliosa sia esteriormente che interiormente e non hai bisogno di agghindarti per farti notare da Heydar. Il suo cuore già ti appartiene, perciò non devi temere nulla. Ti ha detto di essere innamorato di te da aprile e ciò significa che i suoi sentimenti sono forti. Non ti ci vuole un trucco esplosivo o un vestito particolare per farti notare da lui. Dar ti appartiene già."

Céline rifletté un momento su ciò che le aveva detto la sua migliore amica, poi annuì con il capo, convinta e rasserenata.

"Grazie, Lilli. Hai placato una mia grande ansia. Sai che me la porto dietro da quando Diego mi ha lasciata per un'altra... temo che possa accadere di nuovo. Ma grazie a te ora sono più tranquilla" la ringraziò, osservandola dritto nelle iridi azzurre e scintillanti come le onde marine del profondo Tirreno.

Lidia non replicò alla frase, ma il sorriso di sincera amicizia che rivolse alla giovane seduta all'altro capo del tavolino in quel bar affollato già alle sette e quaranta del mattino valse più di mille significative parole.


 

***


 

Le lezioni si interruppero, come sempre, al suono della ricreazione, concedendo agli studenti un attimo di respiro. I ragazzi della quinta linguistico si riversarono fuori dall'aula, felici di poter sfuggire alle due soporifere ore di italiano cui erano stati condannati da chi aveva provveduto a preparare l'orario scolastico annuale.

Lidia sbadigliò non appena uscì dall'aula, stiracchiandosi e sbattendo le palpebre più volte per assicurarsi di essere abbastanza sveglia da non farsi travolgere dai soliti ragazzini scalmanati delle classi prime dell'Istituto Tecnologico che si rincorrevano nei corridoi dell'edificio scolastico piantando un casino inimmaginabile, borbottando una brutta parolaccia tra i denti indirizzata a quegli incoscienti.

Raggiungendo il gruppo di amici che si era già riunito un minuto prima nel solito angolo, fu felice di vedere Céline e Heydar tenersi per mano come una coppietta innamorata, mentre parlavano con gli altri e rivelavano a tutti della loro nuova relazione.

"Tu lo sapevi che si frequentavano, vero?" le domandò all'orecchio Aurelia con malcelato disappunto, soffiando via una ciocca di capelli rossi che le era finita sul naso arrossato dal raffreddore.

"Per la verità sì, ma avevo promesso alla mia amica di non rivelare nulla a nessuno" confessò Lidia con un sorrisetto ironico.

"Ora capisco i motivi della tua evasività quando ti parlavo di te e Heydar. Temevi che io potessi creare qualche casino tra loro."

"Esatto" sospirò la giovane, lanciando poi un'occhiata alla rossa.

Aurelia le sorrise di rimando, chiedendole di fare due passi insieme.

"E' strano che tu abbia capito tutto da sola, Aury... senza offesa, ma non spicchi certo per il tuo intuito" osservò la castana mentre si allontanavano insieme dal capannello di amici per dirigersi in classe, dove le due andarono a recuperare il portafoglio per acquistare qualcosa ai distributori.

"Io per la verità ero così impicciona per un altro motivo..." mormorò Aurelia, lanciando un'occhiata colpevole a Lidia.

La ragazza s'irrigidì subito. Che diavolo poteva aver combinato la sua amica per guardarla in quel modo? Doveva essere successo proprio qualcosa di grave.

"Mi devi dire qualcosa?" Le lanciò uno sguardo significativo con gli occhi azzurri, continuando a camminare imperterrita.

"Sì." La rossa sbuffò, poi guardò altrove, evadendo l'espressione tesa di Lidia. "Lilli, io spero che non ti dispiaccia... ma tu sai che Alessandra è la mia migliore amica. Così come tu hai protetto il segreto di Céline, io mi sentivo in dovere di non dire a nessuno quello di Ale. Ma adesso la situazione è a un punto morto... di nuovo."

"Aurelia, che cazzo sta succedendo?" la interruppe bruscamente la compagna di classe, sulla difensiva. Quel discorso l'aveva innervosita.

Nelle iridi verdognole della sua interlocutrice scintillò il senso di colpa.

"Lidia, non so se ti incazzerai o meno, perché sei sempre così chiusa e riservata... io non capisco mai veramente i tuoi sentimenti. Ebbene, ti devo dire che Alessandra, qualche settimana fa, ha incontrato Roberto in discoteca. Erano tutti e due mezzi ubriachi... e, almeno stando a quanto lei mi ha detto, non in possesso delle sue piene facoltà mentali. Praticamente si sono ritrovati insieme nudi dopo due ore nella sua macchina. Ci ha fatto sesso! Però lei voleva dirtelo, davvero... solo che l'ha sempre trovato un gran figo e le piaceva, sebbene non ci abbia mai provato con lui fintanto che era il tuo ragazzo. Adesso però vorrebbe frequentarlo seriamente, ma non sa cosa ne pensi tu. Tu non parli mai di lui, Lilli, né sappiamo se ti piace ancora oppure se lo hai dimenticato, perché non ti vedi con nessun ragazzo. Lei teme di farti un torto o di farti soffrire. E' per questo che ficcavo il naso in affari che non mi riguardavano: dovevo sapere se tu provavi qualcosa per Heydar e se avevi lasciato perdere Roberto. Ma ora si scopre che in realtà è Céline ad essere innamorata, ricambiata, di Dar e io non so più che fare o pensare. Mi serve una risposta, Lilli... devo sapere se sei ancora innamorata del tuo ex. E mi dispiace per non averti detto nulla. Davvero."

Lidia aggrottò le sopracciglia e mantenne un'espressione neutra per tutta la durata della shockante rivelazione, incerta se ridere o disperarsi per quella strampalata situazione. Alessandra innamorata del Mollusco... lui che ci provava con la ex, ma che si portava a letto una sua amica, quindi che offendeva nuovamente la precedente fidanzata facendole una scenata di gelosia - o qualcosa di simile - e poi che nuovamente rivolgeva le sue attenzioni ad un'altra... Non ci capiva più niente.

Alla fine optò per la serietà, anche se provava rabbia. Non perché l'amica era finita a letto con Roberto, ma per un altro motivo.

"Insomma, Aury, tutto questo mistero per cosa? Perché Alessandra è finita a letto ubriaca con Roberto e adesso vorrebbe frequentarlo ma non ha le palle di chiedere a me di persona se potrei starci male, delegando quindi a te il compito e scaricandolo sulle tue spalle?" esclamò, leggermente confusa da quelle constatazioni, così come pure un po' incollerita.

Aurelia sembrò sorprendersi.

"Quindi... non sei arrabbiata?"

"Sì che lo sono, Aurelia." La sua interlocutrice si morse il labbro e chinò lo sguardo, incerta. "Ma non perché Roberto si è portato a letto una mia amica dopo averlo lasciato... no, di lui non mi importa più da un bel pezzo. Però è il comportamento di Alessandra che non mi piace: se temeva che io potessi incazzarmi, perché non me lo aveva detto subito, senza prender tempo? Sarei stata comprensiva: mi conosce da cinque anni, sa come sono di carattere. Soprattutto: c'era bisogno di coinvolgere te, la mia ex-compagna di banco, per sapere se ancora mi piaceva quell'idiota? Cioé, doveva ricorrere a questi trucchetti da quarta elementare perché non aveva le palle di parlare faccia a faccia con me?" Lidia era inviperita. "Doveva proprio comportarsi così, Aurelia? E tu, escludendo la vostra amicizia, perché l'hai appoggiata per circuirmi? Sai che sono sempre sincera con tutti. Le avrei detto la verità e, anche se ipoteticamente mi fosse ancora piaciuto il mio ex, che cosa potevo vantare su di lui, dato che l'ho lasciato? Nulla! Quindi Alessandra poteva sentirsi libera di parlarmi a tu per tu senza ricorrere a questi raggiri ed estorcere informazioni a qualcuno senza esporsi direttamente."

La replica di Lidia fu dura e piena di risentimento.

"Mi dispiace, Lidia... io non volevo tradire la mia amicizia con Alessandra. Ma non volevo fare nemmeno torto a te. Perciò non ti ho mai chiesto nulla di Roberto. Temevo di ferirti parlandotene e, soprattutto, di ingannarti. Perdonami."

La castana appurò che il pentimento di Aurelia era davvero sincero. La rossa non diceva mai 'mi dispiace' o parole simili. Era un'irriducibile orgogliosa, ma quella volta aveva riconosciuto il proprio errore e sembrava veramente dispaciuta.

Il torto che mi ha fatto non è così grande, pensò Lidia, indecisa. Sì, mi ha raggirata e si è fatta comandare a bacchetta da quell'arpia di Alessandra, ma l'ha fatto perché spinta dall'amicizia che la lega a lei. E poi non mi ha fatto danno di alcun tipo. Forse poteva perdonarla, ma non così facilmente. Meglio, mi ha mentito, ma io non sono talmente stupida da rompere un'amicizia per così poco. Per Roberto, poi... che orrore. Sì, forse la perdonerò, ma la mia amicizia dovrà riconquistarsela con fatica.

Guardò l'amica con un muto rimprovero negli occhi azzurri, incrociando le braccia sul petto. Infine prese la sua decisione.

"No, Aurelia. Posso accettare il tuo dispiacere e sono certa che tu ti sia realmente pentita di quello che hai fatto. Ma non ti perdonerò facilmente: dovrai riconquistartela, la mia fiducia. Sai che genere di persona sono. Se qualcuno mi fa un torto, anche piccolo, sono capace di rompere un'amicizia. Intendo graziarti perché non mi hai fatto alcun danno se non l'avermi mentito, ma ciò non significa che la nostra amicizia sarà come prima. Sta a te riconsolidarla."

"Lidia... grazie" mormorò Aurelia accennando un timido sorriso. "Non sai quanto mi stessi sentendo in colpa... Ho voluto dirtelo, oggi. Non volevo mentirti ancora. Alessandra si incazzerà tantissimo per aver svelato il suo segreto, ma almeno si metterà il cuore in pace perché ora conosco la risposta che voleva sapere."

"Aury, perché ti fai condizionare così? Hai un orgoglio molto forte e non ti fai comandare da nessuno, ma sei alla mercé di Alessandra che ti usa anche per degli stupidi lavoretti sporchi perché non ha il coraggio di esporsi. Che razza di amicizia è la vostra? Pensaci. A me sembra che ti stia solo sfruttando, comportandosi così con te. Sei una brava persona, Aurelia, ma a volte sei così ingenuamente sciocca... Non farti influenzare da lei. Ha dimostrato pure di essere una stronza, specialmente nei tuoi confronti." Lidia la fulminò con un'occhiataccia di fuoco, poi si voltò.

Aurelia seguì la sua figura con lo sguardo verdastro finché essa non sparì dietro l'angolo, quindi sospirò, dirigendosi verso il distributore di snack. Mentre sceglieva quale comprare, sentì dei passi avvicinarsi a lei, quindi Lidia le comparì al fianco.

"Ah, Aurelia... di' ad Alessandra queste parole - dopo un comportamento del genere io non ci parlo di certo con lei - : per me può anche uscire con il diavolo; basta che non frequenti il gruppo insieme a quel deficiente di Roberto. Il fatto che non mi piaccia più non significa che io sia indifferente a lui o che abbia dimenticato ciò che ha condiviso con me in due anni di relazione. E' stato un idiota e un gran bastardo con me e lo odio, quindi ad Alessandra conviene non mostrarsi con lui insieme alla nostra compagnia di amici, perché altrimenti per me la già precaria amicizia tra noi può benissimo andarsene a quel paese. E questo vale anche per la nostra amicizia, Aurelia" ringhiò la castana, ammonendo la rossa. "Roberto è uno stronzo e metterà zizzania tra di noi, perciò deve stare lontano dal gruppo, se non vogliamo rischiare di rompere le nostre amicizie." Non voleva rivelarle il vero motivo che poteva spingere Roberto a comportarsi così. In fondo, forse il Mollusco poteva voler frequentare Alessandra al solo scopo di tenere sotto controllo la sua ex e magari renderle pure la vita impossibile nei rapporti personali con amici, parenti e il fantomatico fidanzato che, secondo lui, era Gianluca. Decise di essere cattiva con Alessandra e di non rivelare nulla della reale ragione che lo spingeva a frequentare una "amica" della sua ex-ragazza. E' stata proprio maligna con me e si merita di stare male per quel disgraziato, pensò con una certa cattiva soddisfazione Lidia. Non dirò nulla a nessuno. "Altrimenti dovremo allontanare quella scema della tua amichetta e il suo bamboccione, e forse pure te. E io insisterò affinché accada. Non voglio false persone tra i miei amici. Pensaci bene, quindi, Aurelia. E dillo a quell'oca di Alessandra."

Quindi Lidia levò le tende definitivamente, cupa e inquieta come una nube temporalesca pronta a esplodere in un acquazzone tremendo, e tornò nella sua classe, completamente deserta e priva pure della presenza della De Luca, che avrebbe spiegato letteratura italiana anche l'ora successiva.

La ragazza si sedette al proprio banco, tirando un sospiro di sollievo al pensiero di non essere più di banco con l'ingenua Aurelia e di avere invece come compagno il suo migliore amico Enrico. Si mise a rimuginare sulla faccenda per tutta la durata della pausa, e così la ricreazione passò.


 

***


 


 

"Io lo dicevo che Aurelia mi sembrava tonta e sprovveduta" sbottò Céline dopo che l'amica le ebbe raccontato ogni cosa. Ovviamente, strappandole la promessa di mantenere il segreto.

Enrico, Lidia e Céline si erano visti insieme quel pomeriggio per studiare, in teoria, per la simulazione dell'esame di maturità che di lì a qualche giorno avrebbero svolto per esercitazione. In pratica, la riunione di studio si era trasformata in un pomeriggio di cazzeggio totale.

I tre erano usciti neanche dieci minuti dopo essersi sistemati nella camera del biondo con i libri aperti su scrivania, divanetto e letto a una piazza e mezzo. Avevano fatto un giretto per Lungarno Corsini ed avevano oltrepassato Ponte Vecchio, dirigendosi verso l'altra sponda dell'Arno per raggiungere un delizioso circolo giovanile frequentato da vari loro conoscenti. Poco dopo erano usciti dal centro ricreativo per andare a prendersi una pizza insieme.

In quel momento erano seduti intorno ad un tavolino, stretti nei loro cappotti invernali, nelle cuffie di lana e nelle sciarpe pesanti, discutendo del fatto che Lidia aveva raccontato loro.

"E pure falsa, in un certo modo" continuò imperterrita la mora, scagliando una nuova critica alla ragazza ramata.

"E di Alessandra che mi dici?" intervenne la castana in tono aspro e duro, continuando a masticare nervosamente la cannuccia del suo Estathé alla pesca, come faceva ormai da mezz'ora e anche più.

"Una zoccola, ecco che è. Cavolo, almeno avesse avuto il coraggio di dirtelo..."

"E' una codarda" convenne Lidia, malignando su quella che ormai non era più sua amica. "Mi dispiace essere così velenosa ed odiosa, specialmente con una persona che fino a poche ore consideravo mia amica... ma proprio non ce la faccio a non pensarci. Ha tradito la nostra amicizia e ha pure coinvolto Aurelia in questa storia... una ragazza con cui andavo abbastanza d'accordo e di cui mi fidavo. Perché doveva essere così stronzo Roberto?!"

"Tu lo hai respinto e umiliato davanti ai suoi amici e ad un sacco di gente, e sicuramente vorrà ottenere la sua vendetta. Ha il coltello dalla parte del manico e sa di poter farti soffrire, perciò non ha esitato a sfruttare Alessandra per mettere zizzania tra di noi... quel maledetto!" commentò Enrico balzando in piedi dalla sedia su cui si era momentaneamente accoccolato. "Bisogna dire ad Alessandra che non deve stare con lui, che il Mollusco la vuole soltanto usare e che la farà soffrire e la illuderà... non possiamo permettergli di spezzare questo gruppo!"

"Sta' giù, Enrico" lo rimbeccò l'amica, trascinandolo a sedere afferrandogli un braccio e tirandolo giù con una certa insistenza. "Io non ho intenzione di rialzarmi tanto presto. Dobbiamo parlare, prima. Dobbiamo decidere come comportarci con Alessandra."

"Lilì, tu vuoi che sia esclusa dal gruppo, vero?" indagò il biondo, fissando gli occhi neri come l'onice nello sguardo azzurro e schietto dell'amica.

"Sì. E' solo un danno per tutti, lei, senza considerare quello stronzo di Roberto... Temo che possano combinare qualche cazzata che spacchi il gruppo e che rompa la nostra amicizia."

Lidia era tesa come una corda di violino al pensiero che, a causa di Alessandra, potesse perdere anche l'amicizia con Aurelia oltre a quella con la traditrice. La giovane voleva bene alla svampita ragazza dai capelli rossi che per un anno e mezzo era stata la sua compagna di banco, perciò, nonostante i dubbi e l'orgoglio ferito che gridava alla menzogna suggerendole di rompere il loro legame amichevole, aveva intenzione di perdonarla e di concederle nuova fiducia nella speranza di un comportamento più onesto e corretto nei suoi confronti, ma non era sicura che ciò potesse accadere se Alessandra avesse condizionato ancora il loro rapporto. Perciò aveva intenzione di scacciare la sgradita ex-amica dal gruppo, convinta di fare il bene di tutti.

Ma Enrico e Céline non la pensavano in questo modo.

"Lidia, rifletti un pochino: sei offuscata dalla collera e le tue decisioni sono ingiustamente parziali." La ragazza partì alla carica per prima, sperando di far ragionare l'amica. "Alessandra ha fatto torto a te e noi ti appoggeremo, anche perché non ce lo vogliamo quel deficiente di Roberto nel gruppo. Faceva tanto l'arrogante quando preferiva i suoi amici idioti di venticinque anni a una serata con te e noi, i tuoi amici... Non me ne frega un cazzo, quell'affare schifoso deve starsene fuori dal gruppo."

"Ma?" l'anticipò la castana, scoccandole un'occhiata carica di curiosità e tensione.

"Ma ci sono persone nel gruppo, come Antonio, Aurelia e Mauro che non hanno subito nulla da lei e che quindi non posso rimproverarle alcunché al punto da escluderla dal loro giro di amicizie. Chiederesti mai a me di lasciare Heydar se tu non ci andassi d'accordo? Pretenderesti mai da Ivan che lui si dedichi più a te che a sua figlia Emma? Pensaci, Lidia: lo faresti mai?"

Lidia ammutolì, riflettendo su ciò che l'amica le aveva detto. Céline aveva ragione. Odiava ammetterlo, ma non era la bruna ad avere torto marcio, bensì lei stessa. Lei, che di solito era così razionale e logica. Lei, che gestiva le situazioni con distacco e freddezza. Lei... lei, che da quando aveva lasciato Roberto e aveva imparato ad amare Ivan come mai nessuno prima e sua figlia Emma come una dolcissima sorella minore, era cambiata profondamente. Non riusciva più a contenere l'emotività, sfiancata da anni di repressioni e controllo rigido di se stessa. Non riusciva sempre ad essere obiettiva come prima, quando gestiva ogni situazione con la giusta dose di indifferenza e autocontrollo. Non si tratteneva più come prima: infrangeva, seppur in segreto, una muta regola non scritta impostale dai genitori, Mai stringere relazioni con adulti, che siano amici o colleghi dei tuoi genitori e che abbiano il doppio della tua età, così come padri e madri si augurano che non facciano le loro figlie, con il rischio di rimanere deluse e amareggiate o, peggio, di rompere antiche amicizie tra famiglie se la storia non funziona. Aveva imparato a seguire i sentimenti e non solo la sua mente obbediente e riflessiva plasmata da un padre inflessibile e dispotico che l'adorava ma che pretendeva da lei responsabilità, buonsenso e remissività totali. Lidia aveva tirato fuori con grinta la vera se stessa assopita in fondo allo specchio della sua anima. Ed era determinata a non percorrere il faticoso sentiero all'indietro. Non si lasciava più imporre nulla da nessuno, a meno che non fosse necessario o dovuto.

"No, non lo farei mai" ammise Lidia con forzata calma, alzando lo sguardo azzurro e penetrante negli occhi scuri e scintillanti dell'amica.

"Quindi chiederesti ai tuoi amici che non sono in contrasto con una tua amica di escluderla di netto dalle loro vite?"

"No. Non lo farò. Hai ragione, Céline... sono una stupida. Non posso chiedere questo a voi. Lei non vi ha fatto un torto, ma solamente a me; però io, così fortemente trasportata dalla collera, volevo addirittura rompere la vostra amicizia con lei solo per vendicarmi... che sciocca che sono stata! Sono l'amica peggiore di questo pianeta."

"Lilli, sei cambiata parecchio dal 2012... non ti riconosco più. Non sei mai stata emotiva" commentò Enrico con negli occhi un'espressione a metà fra la perplessità e l'entusiasmo.

"Eh sì, in effetti sono cambiata molto" appurò la ragazza scuotendo la testa per ravviare i riccioli bronzei che il vento aveva scompigliato e spostato sulla sua faccia.

"Però è meglio così. Prima eri repressa e infelice, ma adesso... adesso segui il tuo cuore e fai ciò che pensi sia giusto per te e gli altri, e non ciò che ti viene imposto. Hai tirato fuori il tuo vero carattere ed sei, salvo piccoli incidenti di percorso," - ovvio riferimento al confronto con Roberto di qualche giorno prima, che gli amici di Céline, ascoltandola, capirono all'istante -, "contenta e felice. Devo dire che la relazione con Ivan ti ha giovato parecchio."

"Lui mi rende felice" confermò Lidia, sorridendo immediatamente al pensiero del fidanzato. Arrossì al ricordo di ciò che avevano fatto il pomeriggio precedente e una reminescenza di quella passione stimolò le terminazioni nervose del piacere in lei, rendendole impellente il bisogno, il desiderio di cedere tra le sue braccia e di fare l'amore con l'uomo che amava, donandoglisi completamente.

"Meglio così. Perché se si comporta da mascalzone come Roberto, gliela farò pagare" aggiunse Enrico, incontrando la contrarietà di Lidia e la sarcastica approvazione di Céline.

"Cosa farai, allora, con Alessandra?" le chiesero poi, curiosi di scoprire la sua prossima mossa.

"Semplice: la ignorerò, farò finta che per me non sia mai esistita. La nostra non è una forte amicizia... non siamo andate mai troppo d'accordo. E finché rispetterà questo tacito patto di indifferenza io rimarrò pacifica. Ma se prova anche solo a portare Roberto con sé ad un'uscita di gruppo, voi tenete pronta un'ambulanza perché potrei far male a qualcuno. Molto male" spiegò Lidia con un tono che suggeriva calma apparente, mentre tuttavia stringeva i pungi con forza al di sotto del tavolino e teneva rigida la mascella, contraendo il volto in una smorfia disgustata.

"Dubito che il Mollusco possa sentir dolore. E' decerebrato, perciò come farebbe ad avere i ricettori nervosi del dolore?" sdrammatizzò Enrico con una battuta estemporanea che sciolse la tensione e scatenò l'ilarità delle due amiche presenti.

Intorno alle sei del pomeriggio il trio di migliori amici si avviò verso la casa di Enrico, sperando di essere in tempo per non farsi scoprire dai genitori o dal fratello di lui, i quali, assenti fino a sera, erano convinti che i tre giovani stessero studiando.

Il gruppetto rientrò appena in tempo. Tiziana, la madre del biondo, rincasò cinque minuti dopo il figlio e le sue amiche. La donna era una manager in carriera, bella e affascinante, con lunghe gambe slanciate come il figlio maggiore e la magrezza del minore. Portava un corto caschetto biondo e gli occhiali neri ed era vestita in modo formale - da manager, appunto. Chiese gentilmente alle ragazze se avevano studiato bene e senza interruzioni e poi se ne andò in camera a cambiarsi, felice di essere nuovamente a casa e esausta completamente a causa della sfiancante giornata di riunioni lavorative e di incontri con clienti esigenti appena terminata.

Quindi Maria, intorno alle sette, passò con la sua Chevrolet nera davanti a casa Alessi per riportare Lidia e la figlia Céline ognuna a casa propria.

Il trio si salutò nell'atrio della grande casa dei genitori di Enrico, dandosi appuntamento la mattina dopo davanti alla scuola alle sette e mezza.

"Così ci prendiamo un cornetto e un cappuccino al solito bar, ok?" chiese Enrico per ottenere una conferma sicura.

"Certo. E magari, già che ci siamo, ti compriamo pure la ragazza, Enrichetto caro: è ora anche per te di accasarsi!" aggiunse ironicamente Lidia, scoppiando a ridere all'unisono con Céline quando vide il disappunto e un incupimento inesplicabile dipingersi sul volto del loro migliore amico.

"Forse potresti anche suggerirci un nome, se ti interessa qualcuna, poi vediamo se è in vendita" rincarò la mora dandogli una scherzosa gomitata d'intesa.

Ma Enrico sembrava inspiegabilmente angosciato e rattristato.

"Valentina Conti" mormorò soltanto, prima di salutare entrambe le amiche con un veloce bacio a stampo sulle guance e fiondarsi dritto in camera, chiudendosi dentro a chiave.

Lidia e Celia si guardarono negli occhi a bocca aperta.

Enrico era innamorato? Da quanto?

Loro non se ne erano accorte mai, né lui l'aveva mai lasciato trapelare. Di Valentina Conti, della classe di Céline.

Cazzo, pensò Lidia. Proprio lei.

Una situazione difficile nell'immediato presente, un animo spezzato, una famiglia che non la comprendeva, una timidezza innata e un grande dolore intimo mai condiviso con nessuno. Ecco chi era Valentina Conti, l'impacciata, graziosissima ragazza che aveva conquistato il cuore di Enrico. Tutti questi particolari potevano sembrare dettagli scoraggianti, ma la vera difficoltà stava proprio nella causa di molti dei gravi problemi che affliggevano la giovane: il suo fidanzato.

"Povero Enrico... in che situazione si è messo" mormorò Céline sospirando.

Lidia irrigidì la mascella, socchiudendo gli occhi per la tensione. Le pupille diventarono due spilli e la rabbia montò in lei, pronta a esplodere. La situazione la faceva adirare a morte: perché il suo migliore amico doveva sempre innamorarsi della persona sbagliata? O, meglio, per lui la Conti sarebbe stata perfetta, con la sua spontaneità ed intelligenza, se non ci fosse stato in mezzo anche Vittorio, il suo fidanzato.

Che non era solo il suo ragazzo da cinque anni, ma anche il suo oppressore, il suo persecutore, il suo aguzzino. Un venticinquenne che approfittava della sua bassa autostima e della sua fragilità per ferirla sentimentalmente e soggiogarla al suo volere. Un killer sentimentale che prima si dichiarava innamorato di lei e che poi le faceva scenate di gelosia umilianti e ingiuste. Un essere spregevole a cui bastava poco per lasciarsi scappare la pazienza e levare le mani su una ragazza minuta, magra e tremendamente insicura di sé. Un carnefice con una vittima, in poche parole.

Anche il giorno prima Lidia aveva notato che Valentina aveva, al di sotto dello spesso strato di fondotinta e correttore, un livido violetto sullo zigomo. E indossava sempre felpe larghe, pantaloni da skater, come per tentare di sparire dentro quegli abiti e annullare la propria dolorosa esistenza. E si faceva ogni giorno più magra, considerò la ragazza con amarezza, impallidendo. Si spegneva ogni giorno di più. C'era chi diceva che si tagliava sulle braccia e le gambe. C'era chi era prepotente e lei, docile e remissiva, lasciava correre, reprimendo dentro di sé tutte le emozioni negative. Come aveva fatto a non implodere?

Lidia non credeva alle maligne voci su di lei, però era preoccupata per il suo migliore amico. L'ironia del destino beffardo, pensò sbuffando appena. Io, che qualche giorno fa avevo coinvolto Enrico in un impiccio tirando in ballo questa scusa, ci avevo pure azzeccato. E non mi ero mai accorta di ciò che provava! Non sono l'unica ad essere cambiata nel tempo.

"Non possiamo abbandonare Enrico. Dobbiamo aiutarlo" replicò Lidia con decisione, fissando uno sguardo minaccioso e risoluto nelle iridi della sua migliore amica.

"Sì, dobbiamo convincerlo a dimenticarla..." cominciò Céline, ma la castana fu più lesta ad interromperla, senza che potesse terminare la frase.

"No. Dobbiamo aiutare Enrico a tirarla fuori dal limbo, a riprendersi la vita e a lasciare quell'aguzzino del suo fidanzato stronzo e bastardo. Dobbiamo sostenerlo in questa lotta. Sai come è Enrico: una volta che ha preso la sua scelta si intestardisce e non cambia idea. Lo supporteremo. Anche perché la tua compagna di classe si sta lasciando affondare nell'abisso della morte, e se qualcuno non l'aiuta e non cerca di salvarla, morirà davvero. Io temo per lei. E ho paura per Enrico. Ho letto il dolore nel suo sguardo. Forse ne è innamorato troppo profondamente per lasciarla andare senza tentare di risollevare il suo destino. Temo che anche lui verrà trascinato nella depressione se non aiutiamo Valentina ad uscire dal tunnel. Non possiamo abbandonarlo, Celia" la fece riflettere Lidia, tacendo poi per parecchi secondi, in attesa di una risposta da parte dell'amica.

Céline meditò sulle sue parole per quasi un minuto. Poi la telefonata che sua madre le fece interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportandola sulla realtà. Rispose alla chiamata dicendo che sarebbero arrivate subito entrambe in auto e poi uscì, salutando Tiziana ed Enrico con una frase quasi gridata.

Una volta uscite dall'abitazione, le due amiche percorsero il vialetto fino al cancello dell'entrata in completo silenzio.

Solo quando ebbero oltrepassato il cancelletto Céline rispose all'amica. Le afferrò bruscamente il braccio e la fece voltare verso di lei. Nei suoi occhi neri come pece Lidia lesse una risolutezza senza pari.

"Va bene, Lilli. La aiuteremo. E aiuteremo Enrico."

Quindi, dopo un sorriso d'intesa che mal s'intonava con la complicata situazione, le due si diressero verso la Chevrolet di Maria che sostava accanto al marciapiede, liete di non dover tornare a casa a piedi.



 

***




N.d.A.
Eccomi qui!
Scusatemi per il disagio, ma tra la connessione a internet che va e viene come la marea e i preparativi per la mia gita settimanale a Vienna ( *.* ), sono molto poco presa dalla storia e spesso distratta. Perciò mi sono proprio dimenticata di aggiornare. Chiedo perdono! Anche se forse a nessuno interessa il capitolo nuovo.
Comunque, per chi è arrivato fin qui, vorrei dire che la settimana prossima non aggiornerò a causa del soggiorno all'estero che terminerà sabato mattina. In più, forse nemmeno la settimana dopo ancora riuscirò ad aggiornare per problemi personali, perciò probabilmente aggiornerò direttamente per Santo Stefano.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia non stia diventando noiosa. E un grazie speciale va a Lachiaretta e a controcorrente che recensiscono ogni capitolo da tanto tempo! Grazie mille inoltre a chi legge e segue la storia! *-*
Buon sabato pomeriggio, e scusatemi ancora il ritardo!


Flame

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


28.



 

"Perché non ci hai detto niente, Enri?" lo riprese dolcemente Lidia quando lui si fu sfogato, raccontando ciò che da mesi lo turbava.

I due amici s'erano ritrovati davanti al bar vicino l'Istituto Paritario "Calamandrei" prima di andare a scuola, intorno alle sette e mezza della mattina, privi della presenza di Céline. La loro amica aveva accusato un forte mal di testa la sera prima e aveva deciso, seppur con molto rammarico, di rimanere a casa la mattina dopo, dato che l'emicrania non le concedeva pace ed aveva passato la notte in bianco a causa di ciò.

Perciò, Enrico e Lidia si erano incontrati da soli e, davanti ad un cappuccino caldo e ad un cornetto croccante, avevano parlato dell'inaspettata confessione fatta la sera prima.

Il biondo levò lo sguardo color onice sul volto pallido dell'amica, sospirando sconsolato.

"Perché sapevo di non avere speranze. Lei è completamente sottomessa a quel bastardo e non si permetterebbe mai di lasciarlo, sapendo cosa comporterebbe ciò. E poi lo farebbe mai per me, che nemmeno mi guarda? No. Ho tentato di dimenticarla, di soppiantarla. Sono uscito pure con Chiara Muratti della quarta scientifico a ottobre, ricordi? Ma non ci sono riuscito a scordarmi di lei. L'ho ignorata, l'ho trattata come una persona qualunque per mesi interi. E non parlo solamente di quest'anno. Io faccio riferimento anche a due anni fa, quando lei per un breve periodo aveva frequentato il nostro gruppo per l'amicizia con Céline, Alessandra e Antonio. Allora dovevo ancora partire per il Canada e mi ero preso una bella sbandata per lei."

"Non lo sapevo" asserì con aria colpevole la castana. In qualche modo sentiva di non aver prestato abbastanza attenzione al suo migliore amico in quel periodo e ciò l'aveva fatta dispiacere molto, dato che poi per un anno i contatti tra loro si erano quasi interrotti.

"Non avresti mai potuto intuirlo, Lilì. Eri presa da Roberto, in quel periodo, ed eri rincoglionita come ogni ragazza innamorata." Enrico sorrise brevemente nel notare l'espressione disgustata di Lidia. "E poi io stesso rifiutavo l'idea di essermi innamorato di Valentina. Poi, una volta in Canada, ero stato molto preso dalla famosa Ashley e avevo accantonato il suo ricordo, ma come sono tornato qui in Italia l'ho rivista e ho compreso di non averla mai dimenticata. Anzi; vedendo come si è ridotta in dodici mesi: quasi anoressica, in preda alla tristezza e completamente sopraffatta da Vittorio; vederla così mi ha ferito più di quanto avrei mai immaginato. E ho capito di esserne ancora innamorato, nonostante un silenzio lungo due anni e un anno trascorso all'estero. Io non so più cosa fare, Lilli" finì di raccontarle Enrico, disperato, con gli occhi lucidi al pensiero di Valentina.

Lidia non rispose, ma allungò la mano al di sopra del tavolino per stringere forte quella ampia e spigolosa dell'amico, come per trasmettergli tutto il proprio sostegno.

"Enri... io, mmh... non so cosa consigliarti. La situazione è delicata e lei è convinta di amare un ragazzo che invece la vessa in continuazione e sfrutta i suoi sentimenti per sfogare la propria cattiveria su di lei. Valentina chiude volontariamente gli occhi di fronte al reale carattere di quello stronzo di Vittorio, altrimenti non sarebbe ancora lì a sopportarlo e a subirne di tutti i colori. Però dentro di sé - almeno questo è ciò che penso io - risente da un sacco di tempo di questa relazione d'amore malato e sta dimagrendo a vista d'occhio per il disagio e la sofferenza. Secondo alcuni che spargono dicerie in giro lei si taglia pure, ma io non ci credo. Però è impossibile negare che non stia diventando anoressica: quasi sparisce nei suoi stessi vestiti. Bisogna aiutarla ad uscire da questo circolo vizioso, e l'unico modo possibile è quello di costringerla a troncare con Vittorio. Altrimenti rischia seriamente" gli rispose la compagna di classe con un cipiglio inflessibile dipinto in volto.

"E come faccio? Per lei nemmeno esisto. Oltretutto è fidanzata e io non posso nemmeno avvicinarla, perché sai quanto è geloso Vittorio e come reagisce se viene a conoscenza di qualche approccio con lei da parte di un ragazzo. Io temo solo di peggiorare la sua situazione... altrimenti avrei già provato a parlarci da un bel po'." Enrico si ravviò la zazzera biondo miele che gli finiva continuamente in faccia ad ogni tentennamento del capo. "Ho paura che lei mi odi se io dovessi intervenire e che ciò la allontani da me e la spinga di più nella depressione."

"Non so cosa dirti, Enrico. Ci deve essere una soluzione."

Il biondo scosse la testa, sconsolato, e sospirò pesantemente.

"Se così fosse, l'avrei già trovata. E' inutile: devo lasciarla perdere."


 

***


 

"Ciao, Lidia" la salutò Heydar quando vide la compagna di classe entrare nell'aula appena prima del suono della campanella.

"Ciao, Dar" l'apostrofò la castana, pensierosa. "Céline oggi non c'è: stanotte è stata poco bene" l'avvertì.

"Lo so" replicò l'iraniano,dispiaciuto.

Poi Enrico entrò con un'espressione rannuvolata in volto e il moro lo fissò palesemente incuriosito, ma non disse nulla. Spostò lo sguardo su Lidia, ma non fece in tempo a chiederle nulla che il professore della prima ora si fece sentire coi suoi passi pesanti in agguato lungo il corridoio, costringendolo a fare lo slalom tra i banchi della classe per non farsi beccare in piedi davanti alla porta.

Le lezioni trascorsero noiose e soporifere, poi il trillo della campanella annunciò l'avvento della ricreazione e gli studenti, sospirando di sollievo, uscirono a fiumi dalle classi, diretti verso i distributori di merendine e i corridoi dove incontrarsi con gli amici. Enrico, nonostante le insistenze di Lidia, preferì rimanere nell'aula, restio a incrociare Valentina, e l'amica non riuscì a fargli cambiare idea.

A malincuore Lidia lo lasciò in classe, ma presto dovette smettere di rimuginare sui propri pensieri perché si ritrovò impegnata in una conversazione con Heydar, il quale le si era fatto accanto nell'androne dell'istituto.

"Problemi?" le chiese, sostenendo il suo stesso passo lento e dinoccolato mentre la fissava con i profondi occhi ambrati.

Lidia scosse la testa, sorridendogli.

"Nulla che io possa risolvere, purtroppo. E comunque non riguardano me, ma un mio amico."

"Enrico, immagino."

"Immagini bene. Ma non posso dirti di che si tratta."

"Lo so. Comunque, se posso fare qualcosa per te o per lui... mi avete avvantaggiato moltissimo con Céline e se ora stiamo insieme è solo per merito vostro. Mi sento in debito con voi, e se doveste avere qualche problema contate pure su di me, se posso esservi utile a risolverlo." Heydar le posò la grande mano sinistra sulla spalla, in un goffo gesto per farle capire che aveva tutto il suo sostegno, poi si unì a un gruppo di amici lì vicino.

Sopraggiunse Tommaso Romani alle spalle della ragazza, proponendole di accompagnarla al distributore di snacks.

"Allora, come va?" le domandò, rivolgendole un sorriso allegro.

"Mah, come al solito... né bene né male." Lidia fece spallucce, scrutando gli spuntini disposti ordinatamente sugli scaffali dentro il macchinario. Ne indicò uno picchiettando contro il vetro. "Secondo me dovresti assaggiare un Duplo al cioccolato fondente. So che a te non piace il fondente, ma questo gusto è buonissimo e non te ne pentirai" gli suggerì, tentando di spostare l'argomento di conversazione su qualcos'altro.

"Mah, non so..." Tommaso tentennò per qualche istante, indeciso, quindi optò per prendere una Kinder Délice. "Comunque, non sono qui per parlare delle merendine."

Lo sospettavo, commentò la vocina interiore di Lidia.

"Ah no?" replicò la castana con un sorrisino tirato sulle labbra piene e rosse, aspettandosi già una qualche proposta di uscita.

Non era la prima volta che accadeva in cinque anni di liceo, ma ogni volta lei aveva declinato l'offerta adducendo scuse di ogni genere, al solo fine di evitare appuntamenti con un ragazzo che sì, era carino, ma piuttosto insignificante. E poi non le era mai piaciuto in un senso diverso da ciò che poteva rappresentare l'affetto per un compagno di classe.

"Al cinema ci sono un sacco di film belli in questo periodo... non so se ti potrebbe piacere un cartoon come Planes, oppure una commedia di Ruffini, Fuga di cervelli. Esce il 21 novembre e dal trailer mi pare proprio forte. Potremmo andare a vederlo insieme, che ne dici? Se hai altre preferenze, però, dimmelo tranquillamente: guardo di tutto, non ho gusti particolari."

"Ehm, non saprei... in questi giorni ho parecchio da fare" cominciò col dire la ragazza, cercabndo disperatamente una via di fuga.

Non voleva ferire i sentimenti del compagno di classe, ma, per rispetto nei confronti di Ivan, non poteva certo accettare un'uscita con un altro ragazzo. E poi a lei Tommaso non interessava, quindi perché accettare?

"Potremmo andare alla Odeon Cinehall o allo Spazio Uno... ci sono vari cinema dove andare" continuò imperterrito il ragazzo, sorridendo alla compagna.

"Tommy, è una splendida idea, ma davvero in questi giorni non posso. A parte il fatto che la settimana prossima abbiamo la simulazione d'esame e io studio ogni pomeriggio per prepararmi bene alla prova; io non riesco a trovare neanche un momento per uscire con i miei amici. Questo sabato ho una cena di compleanno per festeggiare un collega di mia madre, una festa a cui non posso sottrarmi," - alla fine Miriam e Sara erano riuscite ad organizzare una serata per celebrare i trentott'anni di Ivan, con grande gioia di Lidia che stava pianificando i più assurdi tentativi per trascorrere qualche minuto da sola con l'uomo al riparo della vista degli altri - " e in più ho altra roba da fare prima. Temo che dovremo rimandare."

"Allora che ne dici di un pomeriggio di studio? Ci possiamo preparare insieme per la simulazione" propose Tommaso, speranzoso.

"Ho già un sacco da fare. Prendo ripetizioni da un mio amico per farmi rispiegare gli argomenti di matematica e fisica che con la Landi non riesco a comprendere, perciò già metà di un pomeriggio se ne va via così. Non ce la faremo a vederci per studiare."

Quella era una mezza verità: Lidia aveva veramente deciso di farsi dare ripetizioni sulle materie scientifiche da Ivan, che in matematica e fisica andava bene ai tempi del liceo. Però l'uomo non era un amico, ma il suo fidanzato, ed era lì che stava la piccola bugia in quella frase.

Il volto di Tommaso si scurì per il disappunto.

"Secondo me tu vuoi solamente evitare di uscire con me. Non è da adesso che tu rifiuti. Qual'è il problema? Ti schifo così tanto?" le chiese a voce bassa e offesa.

Lidia sospirò, mordicchiandosi incerta il labbro inferiore coi suoi denti perfetti.

"Non sei tu il problema, Tommaso. Davvero, non pensare che dipenda da te."

"Ma è da cinque anni che mi dici no ad ogni appuntamento! Non mi dire cazzate."

"Tommy, dico sul serio. Non ti sto prendendo in giro. Il problema sono io, che devo avere qualche ingranaggio rotto nella testa. Il fatto è che ti trovo simpatico, ma nulla più" gli rivelò con semplice schiettezza.

Il ragazzo accusò il colpo in silenzio, tentennando poi lievemente il capo.

"Non capisco perché. Prima ci poteva stare, dato che eri fidanzata con Roberto. Ma ora sei single... c'è qualcuno che ti interessa?"

"Esatto."

Tommaso stette in silenzio, senza replicare.

"Tu non lo conosci. E spero che non mi chieda di chi si tratta, perché di certo non te lo vengo a dire. Mi piace, e anche tanto. Ciò non mi impedirebbe comunque di uscire con te, ma preferisco che tu mi lasci perdere. Non meriti di stare male per me." Lidia continuò la sua risposta, augurandosi che il compagno di classe non prendesse troppo male quel netto rifiuto.

Il castano, senza proferir parola, allungò le dita sul ciondolo d'argento che Lidia portava al collo, quello regalatole da Ivan una settimana prima per suggellare la loro relazione. Prese la medaglia fra le dita, leggendo l'incisione posteriore. Quindi la sua mano indugiò per un momento sulla pelle lasciata scoperta dalla scollatura del maglione in una lieve carezza.

"Te l'ha regalata lui questa catenina, vero?" chiese con voce atona.

"Sì."

"E' un tipo fortunato."

"Mi dispiace, Tommaso."

"No, non dispiacertene. Non mi ricambi, e hai avuto l'onestà di essere sincera con me, cosa che altre ragazze non avrebbero mai fatto. Sono tutte molto vanitose e ci tengono ad avere qualcuno a cui spezzare il cuore per il proprio compiacimento personale, ma tu sei diversa. Mi hai spiegato il motivo per cui non vuoi uscire con me senza illudermi e sei andata dritta al sodo senza lasciarmi nel vago. Sei stata corretta. Grazie."

Con lo sguardo basso, il ragazzo passò oltre, lasciando la Kinder Délice dentro il distributore senza neanche chinarsi a raccoglierla dal suo contenitore. Lidia si portò le mani al volto, sospirando sollevata.

Fuori uno. E ora liberiamoci di Gianluca e Roberto.

Tuttavia i sensi di colpa nei confronti del ragazzo si facevano sentire forti, come ogni volta le succedeva quando respingeva le avances di un maschio. Non ci teneva a fare la femme fatale: era semplicemente se stessa e non sarebbe cambiata per nulla al mondo. Però sapeva di infrangere dei sentimenti di ammirazione o amore nei suoi confronti e, conoscendo quel tipo di dolore, finiva inevitabilmente per provare sensi di colpa.

Che cosa complicata l'amore.


 

***


 

"E quindi si è dichiarato. Be', mi dispiace per lui, ma tu sei mia" evidenziò Ivan con un sorrisetto sarcastico quando Lidia gli raccontò della mattinata a scuola.

Lei gli lanciò un'occhiata infastidita.

"E da quando sarei un tuo oggetto personale?" indagò, arcuando un sopracciglio con perplessità.

"Da quando ci siamo legati sentimentalmente" replicò l'infermiere senza pensare.

"E certo, io sono una cosa inanimata."

"Sai che non intendevo dire questo."

Lidia incrociò le braccia davanti al petto, voltando lo sguardo cupo verso l'esterno della finestra e distogliendolo dal libro di fisica aperto sul tavolo del salotto della casa di Ivan. Con la scusa di studiare a casa di Enrico per la simulazione d'esame della settimana successiva era riuscita a incontrarsi con Ivan a casa sua per farsi rispiegare l'ultimo capitolo della materia che più odiava, dato che non era riuscita a comprenderlo.

Lo sguardo ambrato dell'uomo, attratto dal movimento delle braccia, si soffermò per un momento sulle rotondità del seno fiorente della castana, messe inconsciamente in risalto dal gesto. Ripensò a come aveva baciato quei seni candidi qualche giorno prima e il pensiero lo eccitò un poco, ma s'impose di scacciarlo dalla mente. Stavano discutendo.

Era la prima volta che accadeva tra loro per motivi seri. La gelosia lo era. Ivan non era possessivo, ma l'attrazione che suo fratello Gianluca provava per la ragazza lo aveva messo in guardia e reso geloso di lei. Perché Lidia era una ragazza bella, giovane, fresca e desiderabile, decisamente inconsapevole della sua inebriante sensualità. E, benché rifiutasse di ammetterlo, molti uomini, coetanei e non, si voltavano a guardarla per strada con sguardi di ammirazione e apprezzamento mentre camminava con grazia genuina, magari completamente persa nel flusso delle sue riflessioni. Era una giovane donna affascinante e Ivan era geloso di lei. Aveva paura che qualcuno gliela potesse strappare via, perché l'amava e non voleva perderla per nulla al mondo. Gli era necessaria per vivere ed essere felice, come gli era essenziale Emma.

"Dimmi tu cosa intendevi, allora" sbuffò corrucciata la castana, lanciandogli un'occhiata bieca.

Ivan sorrise malgrado il malumore della fidanzata.

"Intendevo dire che sei la ragazza più splendida e meravigliosa che abbia mai incontrato in trentotto anni di vita. E che ti amo così tanto da non volerti perdere. Ho paura che qualcuno ti porti via da me e che tu mi dimentichi. Ecco perché sono geloso e ragiono da idiota" le spiegò, rinunciando a nascondere i suoi timori a causa dell'orgoglio. In una relazione che ti prende seriamente non occorre essere orgogliosi, ma spesso lo si è, per amor proprio, per presunzione, per questione di carattere.

Lidia non replicò, ma un sorriso di perdono spuntò sulle sue labbra piene. Come uno spicchio di luna splendente nella tenebra notturna. L'uomo si rilassò contro la sedia, senza distogliere lo sguardo.

"Riprendiamo la spiegazione di fisica, che forse è meglio" propose poi Ivan per spezzare il silenzio calato nella stanza.

Lidia annuì appena, chinando nuovamente lo sguardo sul libro. Il moro le si rifece accanto nuovamente, con una matita nella mano sinistra per sottolineare i passaggi più importanti della pagina e cerchiare le parole chiave. Dal canto suo, la ragazza continuò ad annuire ogni volta che Ivan la guardava per cercare nei suoi occhi azzurri la conferma di aver rispiegato bene l'argomento. In realtà, lei pensava a ciò che le aveva confessato. Lidia odiava la gelosia, ma il fatto che il suo fidanzato tenesse così tanto a lei la rendeva euforica e fermamente sicura dei suoi sentimenti.

"Ti è chiaro questo concetto?" le domandò l'uomo ad un certo punto, puntando, come sua abitudine, lo sguardo pungente nelle iridi celesti della ragazza.

Lei, per tutta risposta, si sporse a baciarlo con delicatezza, lasciandolo di stucco.

"Se ami qualcuno, non tentare mai di soffocarlo con la gelosia e la possessività. Lasciagli i suoi spazi, la sua libertà. Non devi sempre controllarlo. E con me stai tranquillo: ti amo, e non intendo lasciarti per qualcun altro. Perciò, sii meno apprensivo e starai più tranquillo anche tu" mormorò a un centimetro dalle sue labbra, alzandosi poi di colpo dalla sedia e dirigendosi verso la cucina.

Ivan rimase confuso da quella mossa e si alzò per seguirla nel locale attiguo al salotto, incuriosito.

"Voglio fare una pausa. Fisica mi sta facendo venire un mal di testa assurdo. Ce l'hai burro e marmellata in casa?" lo anticipò, andando a curiosare impudentemente negli scaffali della cucina. "Ma qui non c'è quasi nulla."

L'uomo si portò la mano alla testa, ravviando i lunghi capelli bruni con un certo imbarazzo.

"Eh, effettivamente... devo andare a fare la spesa. Sai, sono abituato ad avere sempre qualcuno che fa le provviste, cucina e riordina la casa. Per l'ultimo problema sono riuscito ad adattarmi a occuparmi della casa da solo, dato che già lo facevo da giovane, quando abitavo ancora con mio padre a Bologna e non c'era nessuno ad occuparsi di riordinare. In quanto a cucinare, so preparare qualche piatto semplice, anche se mi intendo più di pasticceria... Invece, parlando di fare compere... oddio, sono una frana" confessò con una risata impacciata.

"Potevi dirmelo prima, no? Te lo insegno io! Oppure posso occuparmene direttamente io" si offrì Lidia, cogliendo al volo la possibilità di mettere fine a quella straziante ripetizione di fisica.

"Ma tu dovresti studiare..." s'oppose Ivan, ma non riuscì a finire la frase.

"E chi se ne frega! Prima della scuola, sicuramente, per me sono più importanti la salute e la cura di te e di Emma. Pensa a tua figlia. Devi crescerla con una dieta sana. Perciò io ti insegnerò come fare. Conosco i segreti del mestiere" e gli fece scherzosamente l'occhiolino, come per rassicurarlo. "Mia madre mi ha cresciuta abituandomi a mangiare di tutto e da lei ho imparato anche a cucinare abbastanza bene. Sai che mamma è fissata con la salute. Non sarò Gordon Ramsay, ma ai fornelli me la cavo bene, perciò posso essere il tuo mentore. Pensa a Emma: è in crescita e deve mangiare sano. Dài!" lo incitò, riuscendo infine a convincerlo.

"Va bene" accettò con un sospiro Ivan, chiedendosi cosa avesse in mente di combinare Lidia con quel pomeriggio di ripetizioni che se ne era andato in malora. "Ma come la mettiamo con fisica?"

"Oh, ci penseremo dopo. Chi se ne frega della simulazione d'esame. L'importante è che io vada bene almeno nelle altre materie, e di sicuro non avrò problemi con tedesco e filosofia. Poi storia dell'arte è un discorso a parte ma mi basta studiare un po'."

Lidia scoppiò a ridere, scatenando comunque l'ilarità di Ivan, che sembrava riluttante a dargliela vinta così facilmente. L'uomo sospirò, arrendendosi. In fondo, l'idea di andarsene a spasso insieme, fingendo di essere una coppia normale, gli pareva fantastica e rilassante.

"Ok, andiamo."


 

***


 

"Prendi un chilo di carciofi, adesso" suggerì, o meglio ordinò, la ragazza a Ivan, cancellando poi il nome dalla chilometrica lista di cibo e bevande che aveva stilato a casa insieme all'uomo, appuntando ciò di necessario che mancava in casa Castellucci per fornire ai suoi residenti una dieta salutare, varia ed equilibrata.

"Emma non mangia molte verdure" la contraddisse l'uomo, cercando di farsi valere un pochino.

In fondo, lui era il padre della piccola e in più un infermiere, e tra i suoi studi aveva pure affrontato l'educazione alimentare. Perciò conosceva da sé quali cibi fossero sani e adatti alla crescita di una bambina di quasi nove anni. Ma non sapeva imporsi con lei, dato che adorava la figlia e non avrebbe mai voluto doverle dire di no. Perciò lasciava correre quando Emma rifiutava di mangiare verdura, frutta o pesce, e ciò non era molto indicato per una ragazzina.

"Ci credo, non ti sai imporre" lo rimbeccò Lidia con una punta di acredine nella voce, passandogli una busta di plastica trasparente colma di carciofi.

Ivan la prese tra le mani e la soppesò, osservando poi con occhio critico il mucchio di alimenti che ingombravano i due pesanti carrelli della spesa che trascinavano con sé da mezz'ora e più nei corridoi del supermercato.

"Non abbiamo preso troppa roba? Con tutto questo cibo ci potremmo sfamare un reggimento per un mese!" osservò.

Lidia si voltò a guardarlo negli occhi con biasimo.

"Si vede che sei abituato a fare i tuoi comodi senza curarti troppo della tua casa, eh? Che pensi facciano le donne quando vanno a fare compere? E' ovvio che non possiamo tornare ogni giorno a prendere qualcosa di cui abbiamo bisogno. Si fa la spesa per una settimana e poi, a ogni weekend, si va a fare rifornimento di ciò che manca per i prossimi sette giorni."

"Be', se già sei così e ancora non abbiamo una famiglia nostra, figuriamoci quando sarai madre e mi trascinerai a fare la spesa con te ogni fine settimana, litigando sulla correttezza o meno dell'alimentazione dei nostri figli!" ironizzò l'infermiere, scoppiando a ridere sarcasticamente.

Le guance di Lidia imporporirono, segno che era imbarazzata.

"Ma... te già pensi al nostro futuro, quando non sai nemmeno se durerà tra di noi?"

Ivan accennò un sorriso, annuendo convinto.

"Non mi hai fatto finire la frase. Se, ovviamente, la nostra storia prenderà quella piega. Intanto godiamoci il presente. Però mi piacerebbe pensare che possa diventare realtà, un giorno."

Lidia scosse la testa.

"Tu sei pazzo. Se pensi che io mi metta a fare figli a vent'anni o giù di lì, puoi direttamente rivolgerti a una mamma surrogato e farti fare un bambino. Io ne voglio di figli, ma mica a quest'età! Forse intorno ai trent'anni... Sono troppo giovane" gli fece presente la ragazza, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i lunghi boccoli bronzei che di lì a pochi giorni sarebbero stati accorciati ad un semplice caschetto mosso.

"Ma se io volessi avere un figlio da te prima di passare la soglia dei cinquant'anni, Lidia, come la mettiamo? Considera i vent'anni che ho in più di te. Io mi avvicino ai quaranta. Ho già una figlia di quasi nove anni. Emma si ritroverebbe con un fratello o una sorella a vent'anni suonati o forse anche più tardi. Dovremmo trovare un compromesso."

"Sempre che la nostra relazione duri tanto" rimarcò con durezza la castana, gelandolo con uno sguardo inclemente e dirigendosi nuovamente al carrello per trascinarlo via con sé, diretta al reparto dei surgelati.

Ivan, in balìa ai suoi pensieri, s'incupì. Forse Lidia aveva preso quella storia un po' come un'avventura eccitante, e non come un impegno serio. Forse davvero non sarebbe durata tra loro.

I due continuarono ad accumulare generi alimentari in gran quantità sui carrelli e poi si diressero alle casse. Ivan pagò. Poi, carichi di buste e con due carrelli stracolmi, i due ritornarono alla sua piccola Fiat 500, caricandola del tutto. Quindi ripartirono per la casa di Ivan.

In auto nessuno dei due disse nulla, in un'atmosfera tesa e silenziosa che entrambi avrebbero voluto spezzare magicamente con una parola di scusa, di spiegazione, di pace. Non erano mai entrati in conflitto fra loro, mettendosi a discutere sul futuro che forse avrebbero voluto condividere insieme. Lidia, dal canto suo, aveva rimuginato a lungo sulle proprie parole e si era accorta che erano state troppo insensibili e dure. Ivan, invece, era atterrito al pensiero che a causa di un discorso del genere lei potesse accarezzare l'idea di sciogliere la loro neonata relazione, improvvisamente insicuro dei sentimenti di lei.

"Ivan" lo chiamò la ragazza ad un certo punto, sollevando su di lui uno sguardo amareggiato. L'interpellato ricambiò l'occhiata con ansiosa curiosità. "Mi dispiace per prima... non volevo litigare, né tantomeno parlare così di un futuro che nemmeno sappiamo se condivideremo o meno. Ma mi hai messo paura con quelle tue parole sul fatto di avere figli. Io ho appena diciotto anni, Ivan. Vorresti che io diventi madre a diciotto, o magari venti, ventuno anni?"

"Ma no, certo che no. Io parlavo di un futuro ancor più lontano: intorno ai venticinque, ventisei... Capisco che tu prima voglia divertirti con i tuoi amici, viaggiare, vedere il mondo, studiare all'università e cercare di garantirti, se possibile, una stabilità ed autosufficienza economica trovandoti un lavoro, se solo con questa crisi fosse possibile per i giovani... però, se continueremo a stare insieme, sappi che io vorrei dei figli. Ho sempre desiderato una famiglia numerosa, ma, come è successo a me, alla fine ne ho avuta solamente una scombinata e spaccata dal divorzio."

"Sapevo che prima o poi avresti intavolato il discorso. Ma non è ancora troppo presto parlarne? Tiri in ballo un futuro che potrebbe anche non esserci e che, ipoteticamente, si realizzerebbe fra sette, otto, dieci anni, forse. Godiamoci il presente, no? Lo hai detto anche tu prima, a casa."

Lidia sbuffò corrucciata. Ivan, invece, scoppiò semplicemente a ridere di fronte a quella buffa espressione.

"Sei un cretino" lo rimbeccò, faticando per trattenere le risate. Perché l'allegria dell'uomo era in qualche misterioso modo contagiosa e non le riusciva di sottrarsi a quella sottile costrizione. "Cerca di essere serio, su. Stiamo affrontando un argomento spinoso."

"D'accordo, Lilli... d'accordo. Bene, tu sostieni che dovrei rilassarmi e assaporare il vivere quotidiano giorno per giorno senza pensare al domani."

"Sì, come nel film. Scialla!" lo interruppe lei.

"Scialla?"

"Sì. Un film per adolescenti. Magari te lo faccio vedere, uno di questi giorni, così capisci pure che vuol dire."

"Vabbé, ne parliamo dopo. Comunque, scialla o non scialla, io ho anche delle responsabilità sulle spalle e non posso permettermi il lusso di fregarmene del mio futuro. Ho una figlia per la cui custodia dovrò lottare parecchio in tribunale, una madre che sicuramente vorrà sapere prima o poi con chi mi vedo, perché già sospetta qualcosa, un fratello a cui forse dovrò confessare una verità terribile e una coppia di amici che dovranno sapere che esco con la loro figlia diciottenne. Tira tu le somme e pensaci un momento."

Lidia fece un gesto infastidito.

"E che fai, mi ricadi nel periodo 'prima il dovere verso gli altri, poi la mia felicità'?" lo accusò. "Allora fai come i gamberi: un passo in avanti, un passo indietro. Sei sempre indeciso!"

"Buona, buona, Lidia! Fammi finire. Dicevo: ho le mie responsabilità, a cui non posso sottrarmi. Ma, dato che non voglio nemmeno rinunciare a te, penso che questa sia la soluzione ideale: io vivrò questa nostra relazione giorno per giorno senza opprimere te e me con deleteri discorsi sul nostro futuro, sulla possibilità di un impegno serio e duraturo e così via. Però terremo comunque conto di possibili risvolti futuri, perciò almeno una volta dovremo parlarne seriamente."

"Lo stiamo già facendo, Ivan." La ragazza incrociò le braccia sul petto.

"Certo, ma magari ne parliamo pure un'altra volta. Consideriamo tutti gli aspetti possibili e poi chiudiamo la discussione una volta per tutte, senza però dimenticarci delle nostre decisioni. Se la nostra relazione, andando avanti, incontrerà degli intoppi, li affronteremo come avremo deciso insieme. Ok?"

La castana si prese un momento per riflettere, mentre intanto l'uomo alla guida dell'auto attuava la manovra di parcheggio davanti a casa propria.

"Ok, accetto."

"Per esempio, se i tuoi genitori scoprissero..." suppose Ivan.

Lidia sganciò rapidamente la cintura di sicurezza e lo zittì baciandolo con slancio, disarmante, repentina, inattesa. L'uomo si arrese a quel contatto piacevole e fece per prenderla tra le braccia, ma lei sgusciò via prima di essere irretita dalle sue dita lunghe e affusolate. Gli rivolse un sorriso tollerante.

"Tesoro, l'hai appena detto tu: ne parliamo un'altra volta. E non mi stressare!"

"Hai ragione" concesse lui, riluttante a lasciar cadere la conversazione ma consapevole di doverlo fare.

"Che facciamo adesso? Tu dovresti ripassare fisica, lo sai?"

"In teoria, sì. In pratica, prima dobbiamo portare tutta questa spesa in cucina e nella dispensa di casa tua. E' una priorità. Poi, dato che la salute di Emma con te è a rischio, ho deciso di insegnarti a cucinare qualche piatto basilare e, soprattutto, salutare. E ti preparo pure qualcosa per stasera e domani a pranzo, così se non ti riesce a combinare nulla di decente abbiamo già pronto un piano B."

"E se io invece volessi fare qualcos'altro?" ironizzò Ivan, posando una mano sulla sua gamba mentre le scoccava un'occhiata a metà fra l'eccitato e lo scherzoso.

"Sempre il solito pervertito" lo accusò ridendo la ragazza, gettandosi fra le sue braccia aperte, anelante le sue labbra sottili e ampie che tanto le piaceva baciare. "Comunque, se vuoi fare qualcosa, ti consigli di spostarci in camera tua, perché qui, premuti come siamo contro questa marea di buste della spesa in un'auto minuscola, stiamo come delle sardine in scatola, tanto per rimanere in tema di alimentazione!"

E altre gaie risate, un bacio, un abbraccio intimo, ardente, e poi fuori della Cinquecento, decisi finalmente a mettere a posto la quantità abnorme di spesa fatta al supermercato, con le menti proiettate alla prima lezione di cucina che Lidia avrebbe impartito a Ivan quel pomeriggio, divertente, impegnativa, lunga, ma soprattutto con la persona amata.

Per loro era importante solo questo, stare insieme. Ma il futuro si prospettava da tempo assai difficile per loro due e, nonostante la decisione comune di non pensarci, il peso di quell'ingiusta costrizione pesava sulla loro felicità come un macigno intollerabile.


 

***



N.d.A.
Salve a tutti! :D
Eccomi qui dopo tempo immemore! Ma sicuramente non sarò mancata a nessuno, eh?
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mmh, a giudicare dall'entusiasmo causato dal precedente, credo che la storia cominci ad essere noiosa o che vada troppo per le lunghe. Se ci sono dei problemi, se non piace, non l'apprezzate, la trovate insulsa/noiosa/altro magari ditemelo, per messaggio privato, per recensione, come volete. Comunque, recensioni o no, continuerò ad aggiornare, e spero che apprezziate sempre la mia storia. Per me il giudizio altrui è abbastanza importante.
Comunque, Ivan e Lidia assaporano i primi attriti di coppia a causa di un argomento spinoso, il futuro della loro appena cominciata relazione. Per ora lasciato in sospeso, dovrà però essere affrontato prima o poi. Intanto, il timido Tommaso si fa avanti, segno evidente che la protagonista attrae un bel po' di maschi. Il tutto a discapito del povero Ivan, ingelosito da tutti gli spasimanti di Lidia.
Be', spero davvero che abbiate apprezzato il capitolo. Voglio ringraziare chiunque abbia recensito e letto la storia fino a questo punto, specialmente chi la segue dall'inizio. Un grazie di cuore a tutti i lettori! E buone feste! :D


Flame

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


29.
 


 

Il vento dicembrino spazzava le strade di Firenze con la sua gelida carezza che sapeva d'inverno, coinvolgendo le rade foglie morte in una danza frenetica, mentre spiri d'aria increspavano le acque cupe dell'Arno sonnolento, muovendone la superficie plumbea. Nonostante l'inverno fosse alle porte e il vento gelato che spesso soffiava, le temperature reali erano al di sopra della media stagionale, e Lidia circolava ancora per la città con uno scuro cappotto autunnale che aderiva alla sua figura, incurante del freddo apparente sulla sua pelle chiara.

Erano le sei del pomeriggio. Lidia uscì dal salone della parrucchiera di fiducia di sua madre con un taglio nuovo di zecca. Le morbide, fluenti volute castane che fino a poche ore prima le arrivavano alla vita erano ora state sostituite da un bel caschetto mosso che le incorniciava il viso grazioso, dandole un'aria sbarazzina e giovanile. Felice e compiaciuta, s'era guardata a lungo allo specchio prima di uscire dall'esercizio commerciale, chiedendosi cosa avrebbero pensato della sua nuova acconciatura gli amici e la famiglia.

Pensò a Ivan: vederla con un taglio così corto gli avrebbe fatto prendere un colpo, dato che negli intimi momenti di relax che ogni tanto riuscivano a ritagliarsi insieme l'uomo non si stancava mai di accarezzare, attorcigliare e sfiorare con le dita quelle lunghe chiome. Soffocò una gaia risata, quindi immerse il viso nella sciarpa di lana e si avventurò per le strade trafficate del capoluogo toscano, soffermandosi ogni tanto davanti a qualche vetrina luminosa con la mente già proiettata ai regali di Natale per parenti ed amici.

Passò in un negozio di giocattoli e cercò a lungo tra i peluche di animali cercando una foca monaca gigante da regalare a Emma, che compiva nove anni il 13 gennaio successivo. Non riuscì a trovarne nemmeno una di dimensioni medie e perciò se ne dovette uscire a mani vuote dal locale, promettendosi di esplorare tutta la città alla ricerca del prezioso regalo di compleanno per la bambina, conscia di non potersi lasciar sfuggire, come regalo di compleanno, l'ultimo animale peluche che mancava alla sua ampia collezione custodita gelosamente nella cameretta a casa del padre.

Intorno alle sette Lidia era già a casa di Céline, dove la sua famiglia si era recata per una cena in compagnia dei genitori di Céline e Marco. Fu accolta con calore e affetto da Maria, la madre della sua migliore amica, che le fece i complimenti per il nuovo taglio di capelli. La ragazza le consegnò un bocciolo di stelle di Natale che aveva portato con sé come dono.

In soggiorno la castana ritrovò un bel po' di gente. Abbracciò l'amica e riuscì a schioccare a sorpresa un bacio sulla guancia del riottoso Marco, che a otto anni e mezzo si credeva abbastanza grandicello da non poter più ricevere baci e carezze da parte di donne e ragazze.

"Cavoli, non ti avrei mai riconosciuta, Lilli! Ti sta benissimo quest'acconciatura" osservò Céline con un luccichìo di ammirazione nei brillanti occhi scuri, invitandola a sedere accanto a lei.

Eva, che sembrava litigare al telefono con Matteo, si avvicinò un momento scrutando la sorella e mormorandole un complimento, ma si ritrasse subito.

Invece Marco, impaziente di vedere arrivare Emma, corse in cucina per andare a chiedere a Maria o Sara, indaffarate nella preparazione dell'ultimo piatto della cena, quando sarebbe arrivata l'amica con il padre. Non ottenendo risposta dalle due donne, troppo impegnate per prestargli attenzione, andò ad importunare Giorgio e Domenico nello studio del primo, dove i due uomini conversavano fra loro.

"Credi che a lui piacerà questo nuovo taglio?" domandò Lidia all'amica, accoccolandosi accanto a lei sullo spazioso divano del salotto e stiracchiandosi.

Céline rise appena, notando la stanchezza dell'amica.

"Io pensò che ti troverà bellissima come sempre, ma se ti addormenti sul divano non potrà dirtelo!" disse scherzando sulla sua sonnolenza.

"No, è che non ho dormito bene stanotte... e in più sono stata in giro fino a poco fa. Vorrei solo andarmene a dormire" replicò la castana sbadigliando piano e socchiudendo i vividi occhi azzurri.

"Perché, che hai combinato stanotte?" la punzecchiò la mora, sorridendo maliziosamente.

Lidia non abboccò all'amo.

"Nulla... cosa vuoi che abbia combinato?"

"Chat compromettenti, telefonate notturne, incontri fugaci... decidi tu cosa inventarmi."

"Dài, scema! Ho parlato fino a tardi con Ivan. Lui aveva un turno di lavoro e non ha avuto granché da fare per un bel po', quindi ci siamo sentiti con gli sms. Poi lui sicuramente ha potuto riposare, una volta a casa... ma io no, avevo la scuola. Piuttosto, mi chiedo se hai fatto qualcosa tu stanotte... avrai traumatizzato Dar col tuo impeto!" la prese in giro Lidia, ridendo poi dell'espressione colpevole che lesse negli occhi della ragazza.

"Touché" ammise Céline, guardandola con un leggero imbarazzo. "Per la verità, non abbiamo fatto nulla... non stiamo insieme che da tre settimane. Ma lui mi piace tantissimo e in più ha un bel corpo... ne sono innamorata alla follia. Tuttavia Dar vuole aspettare: dice che è ancora troppo presto per finire a letto insieme. Non mi prendere per una stupida o una poco di buono, ma sinceramente non vedo l'ora!"

"Be', non so che dirti: io non me ne intendo di queste cose. Ivan non intende fare nulla, per adesso. Dice che aspetta l'opportunità perfetta per organizzare tutto e rendere la nostra prima volta insieme bellissima. Comunque, fossi in te, io aspetterei un po' di tempo. E magari creerei l'occasione adatta. Heydar è un ragazzo molto maturo: sono sicura che mai penserebbe male di te. Non credo che ti prenderà per una poco seria solamente perché sei innamorata di lui, caspita!"

"Tu dici? Boh, non so. Ci devo pensare."

Lidia le sorrise maliziosamente, ammiccando scherzosamente.

"Tu, quando sei certa che non c'è nessuno, attiralo in casa tua con una scusa qualsiasi e poi chiuditi dentro a chiave e violentalo, che ne so!"

Le due amiche risero insieme, continuando a chiacchierare allegramente per qualche minuto ancora, finché il campanello d'ingresso non suonò. Allora, come concordato in precedenza tra Lidia, Ivan e Céline, le due ragazze si precipitarono al portone insieme per aprire, contente di scoprire che si trattava proprio dell'uomo e di Emma. Mentre la mora accompagnava la bambina da Marco, Lidia e Ivan poterono salutarsi con un bacio veloce prima che lui entrasse nell'appartamento.

L'uomo, che prima non era riuscito a osservare con calma e attenzione la fidanzata, ora la guardò a lungo con occhi ammiratori ed entusiasti, rivolgendole un sorriso compiaciuto.

"Questo caschetto ti sta anche meglio dei capelli lunghi che portavi prima. Sei splendida" osservò con semplicità, contemplando ancora per qualche istante il volto pallido della ragazza che imporporiva di piacere a quel complimento.

"Grazie" balbettò lei, voltandosi di scatto e raggiungendo Céline, Emma e Marco in salotto quando sentì i passi pesanti di Giorgio e Domenico avvicinarsi per dare il benvenuto a Ivan, in modo da non farsi cogliere insieme a lui.

Il padre di Lidia controllava sempre più la sua primogenita. L'invadenza paterna, prima ancora che quella materna, la stressava tantissimo, perché era difficile sfuggirle senza sospetti o dubbi. Quel serrato controllo esercitato sulla sua vita la faceva innervosire molto. Ma non poteva certo dire loro di farsi gli affari propri: ciò li avrebbe spinti a curiosare ancora più di prima. Perciò si era rassegnata alla situazione.

"Bene bene, ragazzi: è arrivato anche Ivan con Emma. Venite qui, su! Si va a tavola" li chiamò dalla cucina Maria, esortando soprattutto il figlio a non fare storie.

I dieci commensali si accomodarono alla tavola e un leggero antipasto a base di crostini e olive fu servito dalla padrona di casa.

"Che peccato che Rita e Tony non siano potuti venire con i figli: ci saremmo divertiti un sacco" osservò Domenico cominciando a parlare con Maria.

"Zut, che palle."

Lidia, che stava masticando lentamente un crostino di carne, si voltò a guardare la sua migliore amica, seduta accanto a lei, con negli occhi azzurri un'espressione perplessa.

"Che c'è?" le chiese, facendosi più vicina a lei per ascoltare la risposta.

Céline assaggiò appena uno stuzzichino in salsa rosa, poi lo rimise sul piatto, senza toccare altro.

"I miei genitori sono un po'... diffidenti, ecco. Non credo accetterebbero la mia relazione con Heydar, nemmeno se dicessi loro che sua madre è italiana e che lui ha una mentalità più moderna e occidentale della loro!"

"Non riesco a ricordare quando abbiamo iniziato questo discorso, ma se per te va bene parlarne andrà bene anche a me" ironizzò la castana, facendo spuntare un sorriso sulle labbra carnose dell'amica.

"E' proprio vero che l'umorismo di Ivan è contagioso, allora! Stammi lontano" replicò la mora stando al gioco.

Quindi le due si guardarono negli occhi con complicità, scoppiando a ridere insieme.

"Se non avessi te, Lilli... riesci sempre a costringermi a ridere come una scema, anche quando non ne ho voglia" ammise Céline a voce bassa, quasi sussurrando all'orecchio della convitata.

"Dimmi tutto, su."

La ragazza afferrò una tartina alla maionese e si obbligò a inghiottirla, cominciando poi a parlare.

"Non dico subito, ma pensavo di presentare Heydar ai miei, un giorno, se la nostra storia durerà. Anche perché Dar ha già raccontato ai suoi genitori di me... L'ho trovata una cosa un po' prematura da fare, ma in fondo non c'è nulla di male. Il problema però lo conosci: secondo te, mamma e papà lo accetteranno? Sai che sono pieni di pregiudizi. Ecco cosa mi tormenta."

"Oggi Heydar ti aveva invitata ad uscire per cena, vero?" dedusse Lidia, osservando l'amica con sguardo sagace.

"Vedo che hai capito il perché della mia inquietudine. Sì, oggi dovevo uscire con lui, e invece per colpa di queste stupide cene tra amici di famiglia non posso vederlo. Mi fa tanta rabbia sapere di non poterle condividere con lui a causa della mentalità provinciale dei miei, cazzo!"

"Posso capire la questione della mentalità provinciale, ma perché ti fai tanti problemi? Hai diciotto anni, sei fidanzata già da un po' con Heydar e lui inoltre è un ragazzo a posto e con la testa sulle spalle. Mettili di fronte al fatto compiuto, no? Non potranno mica negarti di vederlo. Sei abbastanza indipendente e grande da fare quello che vuoi e frequentare chi desideri" la consigliò la castana.

"Sì, hai ragione, ma temo che loro non l'accettino, che si dimostrino razzisti con lui o la sua famiglia in futuro."

"Questo non potrai saperlo finché non arriverà il momento. Non pensarci, Céli... io credo che loro capiranno. E poi considera che il concetto di razzismo è molto relativo: il fatto che sua madre sia italiana e che lui abbia una mentalità occidentale deporrà a favore di Dar, giusto? I tuoi genitori non se la prenderanno, o almeno credo."

"Vorrei poterne essere certa" sbuffò seccata Céline, infilzando nervosamente con la forchetta un'innocente oliva.

Lidia rise appena, mordendosi il labbro per non urtare l'umore cupo dell'amica.

"Non credo che soffocare la tua rabbia su un'oliva ti sia d'aiuto... tu parlaci e basta. Io scommetto che Giorgio e Maria non ti diranno nulla di che. Parla loro di che ragazzo meraviglioso e intelligente ti sei innamorata e di come lui ti ha corteggiata prima di chiederti di mettervi insieme. Non nascondere nulla, perché non c'è niente di cui vergognarsi."

"Tu dici? Mah."

"Be', almeno provaci" insistette la ragazza, dandole di gomito. Abbassò la voce. "Tu ce l'hai la possibilità di viverla la tua relazione con Heydar. Io non potrei nemmeno volendo, dato che papà farebbe Ivan a fettine e mia madre mi chiuderebbe in convento a vita se lo venissero a sapere. E questo sarebbe il risvolto futuro più positivo, eh. Pensaci un po' su, ma io credo che tu sbagli a tener loro nascosto che sei innamorata di un ragazzo. E poi dovranno abbandonare la loro mentalità retrograda, prima o poi" continuò con amarezza.

Lidia gettò un'occhiata fugace a Ivan, il quale, che la stava silenziosamente osservando con la coda dell'occhio, le sorrise con tenerezza, scrutando le iridi azzurre della giovane e tornando poi a concentrarsi sulla conversazione con Maria.

"Hai ragione... forse è meglio parlarne con loro" ammise Céline, mordicchiandosi un'unghia, improvvisamente incerta.

La castana le posò una mano sulla spalla, comunicandole tutto il suo sostegno.

"Dài, che andrà tutto bene."


 

***


 

"Ho trovato Ivan molto bene stasera" osservò Domenico quando, un'ora dopo, era in auto con moglie e figlie e discorreva tranquillamente con loro.

"Sì. E' più sereno, ultimamente... mi ha detto che esce con una donna che gli piace molto. Ha raccontato a me e a Maria che si chiama Daria, e a quanto ho sentito è un tipo completamente diverso da Alessia" commentò con leggerezza Sara.

"Daria non è compiacente come lo era Alessia all'inizio della loro relazione: non ci tiene a fare colpo sugli uomini, vuole essere accettata per quello che è. Ivan mi ha raccontato che già una volta ha litigato con lei, ma si sono riappacificati" aggiunse Lidia, raccontando una mezza bugia sulla relazione dell'uomo con la donna immaginaria che mascherava la sua identità, in modo da dare credito maggiore alle parole della madre per distogliere i sospetti del padre Domenico da se stessa.

Domenico la guardò con occhi perplessi attraverso lo specchietto retrovisore, sollevando un sopracciglio.

"E perché mai avrebbe dovuto dirti una cosa del genere? In fondo non lo conosci come noi" ribatté.

Lidia fu pronta a rispondere.

"Papà, io di fatto vedo Emma almeno una o due volte alla settimana affinché la sua vita affettiva abbia un po' di stabilità e ciò accade sempre in presenza di suo padre. Era inevitabile che fra me e Ivan nascesse una confidenza."

"A me basta che questa non sia una confidenza di altro tipo" osservò piccato, quasi aspettandosi una replica adirata da parte della figlia.

Invece la ragazza rimase in silenzio, facendo spallucce e voltandosi a guardare da un'altra parte, con la mascella tesa e le labbra piegate in una smorfia collerica.

"Ivan non farebbe mai una cosa del genere, tesoro... è un uomo dalla condotta morale correttissima e irreprensibile. E poi nostra figlia è responsabile e giudiziosa e se succedesse mai qualcosa di spiacevole con lui ce lo direbbe subito, vero, cara?" intervenne la madre della giovane, esasperata dai dubbi del marito a proposito di uno dei loro più cari amici di sempre.

"Verissimo, mamma. Tuttavia non capisco perché mio padre s'intestardisca a vedere del torbido laddove non c'è niente di più di un'amicizia" ribatté Lidia passando al contrattacco, ormai stanca dei riferimenti, impliciti o espliciti, che il cinquantenne faceva sempre quando si parlava di lei ed Ivan. Non poteva rischiare che la loro relazione venisse scoperta, altrimenti le conseguenze che ne fossero derivate sarebbero state devastanti per le vite di entrambi.

"Non mettetevi a litigare proprio in macchina, eh! A me già basta la sfuriata di Matteo di oggi pomeriggio!" s'intromise Eva, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di genitore e sorella maggiore.

"Smettetela tutti quanti! Lidia, tuo padre non voleva insinuare nulla di sgradevole, mentre tu non cerchi certamente un litigio, perciò adesso finitela di rimbeccarvi e aspettate di essere tornati a casa per discutere civilmente e darvi la buonanotte in pace, d'accordo?" s'impose su tutti la voce di Sara, soffocando qualsiasi altra replica da parte dei contestatori.

Una volta che l'auto varcò il cancello della casa dei Draghi, Lidia non attese nemmeno che il padre parcheggiasse. Uscì dalla Mazda di Domenico sbattendo la portiera, entrando in casa come una furia. Si precipitò al piano superiore, buttandosi di peso sul letto e raggomitolandosi su se stessa dopo aver chiuso a chiave la porta della camera da letto. Aveva voglia di prendere a pugni qualcosa per la rabbia.

Era adirata con il padre perché voleva che smettesse di assillarla con i suoi inutili sospetti. Domenico dubitava dell'irreprensibilità di Ivan e della buona condotta della figlia e non aveva tutti i torti, dato che i loro nomi erano stretti in una relazione amorosa. Ma si trattava di un rapporto puramente platonico, almeno per il momento, e non di una mera storia di sesso tra una giovane ingenua e un uomo vizioso e donnaiolo che s'approfittava della sua presunta stupidità portandosela a letto senza nessun rispetto della sua persona e dell'amicizia di vecchia data con la sua famiglia. Ivan era un uomo onesto e responsabile che si era innamorato suo malgrado della figlia più giovane di vent'anni di due vecchi amici. Aveva tradito un'amicizia ventennale, questo era vero, ma non si approfittava di Lidia: l'amava, la rispettava e, nonostante le numerose occasioni, ancora non l'aveva fatta sua, conscio del fatto che quel momento importante doveva essere vissuto con piena coscienza da parte di entrambi. Di fatto, per la ragazza, Domenico sospettava che la figlia fosse una puttana o una stupida e il collega della moglie un dongiovanni senza scrupoli né cuore. Quanta malafede in parenti ed amici nutriva Domenico dentro di sé?

"Lidia, aprimi la porta."

Si udì un bussare spazientito e frettoloso all'uscio della camera da letto.

La ragazza si riscosse solo adesso dai suoi pensieri. Si accorse di star piangendo e si vergognò della sua fragilità, asciugandosi immediatamente gli occhi azzurri lucidi di lacrime. La voce della sorella minore risuonò nuovamente, stavolta più impaziente, e la castana s'affrettò ad aprire la porta della stanza.

"Perché ti sei chiusa a chiave dentro?" la investì Eva non appena mise piede nell'ambiente, incuriosita dalla reazione bizzarra e avventata della sorella.

"Eva, ma sei scema? Ti rendi conto che papà mi ha accusata di essere una poco di buono e di fare l'oca giuliva con Ivan? Con un collega di nostra madre, che ha vent'anni più di me! Cioé, te ne capaciti?!" Lidia si difese mettendo dell'enfasi nelle parole, sapendo di dover fingersi scandalizzata e offesa per allontanare sospetti e dubbi dalla mente della sorella prima che essi germinassero in lei.

"Emh... non avevo capito cosa intendesse prima papà con le sue parole, effettivamente" si giustificò la quindicenne.

Lidia sospirò pesantemente, sedendosi a peso morto sul bordo del suo letto e invitando Eva a fare altrettanto. Le prese le mani e se le portò in grembo, guardandola negli occhi con gelida fermezza.

"Mi sono arrabbiata tantissimo, sorellina, perché io non faccio nulla di male. Ivan e io siamo amici, ma è inevitabile che, stando a contatto, qualcosa nasca fra le persone. Per la felicità di Emma mi sono presa la responsabilità di trascorrere con lei del tempo durante la settimana, sempre sotto la supervisione di suo padre Ivan, e così abbiamo cominciato a parlare. Abbiamo un sacco di cose in comune e con lui è facile chiacchierare di tutto, perché è un tipo alla mano, molto schietto e simpatico. Siamo amici, ma per papà questo legame innocente nasconde una relazione di sesso o non si sa cos'altro di torbido e promiscuo. Non si fida di me, mi considera addirittura una sgualdrina. Ti rendi conto di come mi sento io?"

Seppur con un senso di colpa che le pesava sul petto, crescendo ad ogni parola che pronunciava, Lidia si costrinse a mentire sulla relazione con Ivan per allontanare i sospetti della famiglia. Anche Sara aveva una certa apprensione di fronte a discorsi del genere, ma non li esternava, anche se quell'amicizia poteva essere considerata ambigua da alcune persone. Invece Domenico ci andava pesante e spesso era offensivo. Lidia doveva difendersi. Anche per salvaguardare la sua storia con Ivan, oltre che per il suo orgoglio personale.

"Oh. Io non penso nulla di tutto ciò. Tu sei sincera e leale, Lilli. Non faresti mai nulla di simile a noi. Né Ivan potrebbe mai: di questo ne sono certa. Papà è solo preoccupato che qualcuno ti porti via da lui, perché sei la sua figlia preferita ed è molto geloso di te, ma sei pure una ragazza bella e intelligente e attrai molti uomini in modo inconsapevole. Probabilmente vede in quest'amicizia i primi segnali del tuo percorso verso la vita adulta. Stai crescendo e nostro padre ha paura che tu un giorno te ne vada dalla sua vita per fartene una tua con qualcun altro, allontanandoti dalla nostra famiglia. Io credo che sia questa la causa del suo comportamento irritante" osservò molto semplicemente Eva, offrendo a Lidia una visione completamente differente della situazione.

Quell'opinione le fu utile per riflettere più tardi sulla questione con lucidità e imparzialità, quando fu al caldo sotto le coperte, ma in quel momento la ragazza liquidò la discussione con un'alzata di spalle.

"Comunque, quale sia il motivo non mi interessa. Deve smetterla di assillarmi con i suoi dubbi stupidi e offensivi. Io sono una ragazza responsabile e Ivan un uomo perbene e questo non ce lo può togliere nessuno. Perciò papà può tranquillamente rinunciare ai suoi sospetti del cazzo e stressare qualcun altro con le sue teorie complottiste contro la nostra famiglia, perché noi non facciamo nulla di male. Siamo solo amici, perdio."


 

***


 

"Alla fine il vecchio è uscito allo scoperto" commentò Ivan qualche giorno dopo, quando Lidia gli ebbe raccontato tutto.

Erano riusciti a vedersi di nascosto il dieci dicembre, mettendosi d'accordo per incontrarsi davanti a una famosa pasticceria. L'uomo si era presentato vestito con una felpa sportiva molto giovanile che mal s'accoppiava al suo volto maturo, tenendo il cappuccio calato sul capo. Lidia aveva riso a crepapelle quando l'aveva visto, poi era corsa tra le sue braccia per baciarlo con allegria.

"Se pensi che questi abiti ti facciano sembrare più giovane, ti sbagli di grosso: piuttosto, mi pari un tipo giunto alla soglia dei quarant'anni che vuole disperatamente ringiovanire e si veste come un adolescente" lo prese in giro, suscitandone l'ilarità.

"E tu pensi che io me la sia messa per questo motivo? No, volevo farti una sorpresa" annunciò e, abbassando il copricapo, rivelò un nuovo taglio corto di capelli.

"Oh, Gott" esordì Lidia, presa alla sprovvista. "Sembri una patata sbucciata" balbettò in preda alle risa.

"Una patata sbucciata?" Ivan era esterrefatto.

"Sì, certo! E ci hai pure creduto. Te lo dicevo per scherzo, amore... stai benissimo" disse la ragazza, aderendo alla figura dell'uomo con un abbraccio affettuoso.

Baciò le labbra dell'uomo, andando ad accarezzarne la nuca nuda.

"Però il codino che portavi da qualche tempo mi mancherà" aggiunse, lasciandosi cullare dalle forti braccia del fidanzato che la stringevano a sé con delicatezza. "E poi perché hai deciso di tagliarteli proprio poco dopo di me?"

Ivan aveva fatto il gesto automatico di ravviarsi una lunga ciocca nera che ormai non penzolava più sul suo volto ad ogni movimento del capo. Imbarazzato, aveva bloccato la mano a metà del gesto, ricordandosi che i suoi capelli ormai erano corti.

"Be', era da un bel po' che volevo tagliarli, in realtà."

Il duo si era inoltrato quindi per le viottole del centro storico, guardingo, evitando i luoghi frequentati dagli amici delle famiglie di entrambi, sperando di poter vivere quella giornata insieme fingendo di essere una coppia normale. Perché loro due, specialmente Ivan che viveva una situazione difficile, nutrivano un bisogno quasi disperato di normalità, di quiete domestica, di affrontare con serena tranquillità la vita di coppia insieme. E quindi fingevano di esserlo davvero, andandosene a volte a spasso, mano nella mano, ridendo insieme, confrontandosi, litigando pure, ma sempre insieme.

Lidia aveva perso il conto dei giorni dall'ultima uscita col suo gruppo di amici. Vedeva ancora Enrico e Céline, insieme o separati, e una volta era stata pure in compagnia della sua migliore amica e del di lei fidanzato Heydar, ma con gli altri, a parte le chiacchierate mattutine a scuola, non aveva più condiviso pomeriggi in giro, serate in pizzeria o nottate in discoteca. Sentiva di avere sempre meno in comune con loro, quasi che la relazione difficile con Ivan l'avesse innalzata dai normali svaghi e problemi adolescenziali, quasi che lei fosse maturata e cambiata nel profondo, allontanandosi da loro. Perché Antonio, Mauro e Aurelia - Alessandra no: lei non era più sua amica dopo aver tradito il loro legame di amicizia - non potevano capire i suoi problemi, dato che nemmeno li avevano mai affrontati. Nemmeno Céline ed Enrico erano nella sua situazione, ma si sforzavano di comprenderla e supportarla senza mai contrastare le sue scelte, affiancandola silenziosamente ma concretamente nel suo percorso verso la vita adulta.

Lidia si sentiva in qualche modo superiore ai problemi degli altri suoi amici, ma non poteva farne loro una colpa: la situazione che Ivan viveva la riguardava in prima persona e si ripercuoteva su di lei, mentre loro non avevano affrontato mai nulla di simile. Perciò intendeva in qualche modo recuperare quegli amici che stavano lentamente e inconsapevolmente scivolando via dalla sua vita. Voleva recuperare la loro amicizia.

Ivan e Lidia si erano seduti in un piccolo bar in una via nascosta poco distante da Piazza della Signoria e avevano ordinato due cioccolate. Davanti a quelle due tazze fumanti la ragazza aveva raccontato all'uomo ciò che Domenico le aveva detto giorni prima.

Bevendo un sorso di cioccolata, Lidia non s'accorse di avere due cremosi baffi marroni disegnati sopra le labbra. Inconsapevole di essersi conciata a quel modo, la giovane continuò a parlare gesticolando. Ridendo appena di fronte a quella scena così tenera e ingenua della sua fidanzata, Ivan allungò la mano per cancellarli con un dito, soffermandosi poi a lasciare una carezza sul volto della ragazza.

Lidia si ritrasse di scatto, diffidente sulle intenzioni dell'uomo, ma, comprendendo di essersi sporcata, lo lasciò fare, ridendo imbarazzata e avvampando per la vergogna.

"Perché a volte sei riluttante a lasciarti accarezzare o a parlare liberamente di ciò che pensi o provi?" le chiese a bruciapelo Ivan, mentre il sorriso intenerito spariva dal suo viso.

La castana scosse la testa, negando.

"Io non sono riluttante. Semplicemente, non riesco a lasciarmi andare facilmente."

"In pratica è lo stesso concetto espresso con parole diverse."

"Non è vero."

"Sì."

"No."

"Sì, Lidia. E' vero."

"No..." negò con meno convinzione.

Ivan sospirò.

"Perché? C'è qualcosa che non va?"

"Non c'è nulla che non va, Ivan."

"Io credo di sì." L'uomo prese tra le proprie dita la mano affusolata della ragazza, che la ritirò rapidamente, incrociando le braccia davanti al petto. "Ecco, lo vedi? Sei reticente. Refrattaria, restia, insincera, dillo come ti pare, ma il significato è sempre lo stesso. Tuttavia non capisco il motivo."

"Non c'è un motivo vero e proprio, Ivan" s'arrese Lidia, tirando un profondo sospiro. "Sono sempre stata rigida con tutti, anche con me stessa, però non è nulla di preoccupante."

"Tu hai paura che io ferisca i tuoi sentimenti. Non è forse così?" intuì il moro, toccando un nervo scoperto. Infatti la reazione della ragazza fu immediata.

"No! Che cosa vai dicendo! Io non temo che tu mi faccia soffrire, non è vero!"

L'uomo non replicò, ma si alzò in piedi e andò a pagare le due cioccolate al bancone, lasciando sola la ragazza per qualche istante. Quando tornò da Lidia, si infilò il pesante giaccone invernale e la invitò a fare altrettanto.

"Ti vorrei portare da una parte" le disse soltanto, lasciandola preda dell'incertezza e della curiosità.

S'incamminarono per le strade del centro mano nella mano, passeggiando a lungo. Arrivarono di fronte ad una palestra, dove Ivan entrò, seguito sveltamente dalla liceale. Salutò la donna alla reception familiarmente, parlottando a bassa voce con lei per qualche secondo. Intanto la ragazza osservò la struttura sportiva con interesse, mangiandosi con lo sguardo curioso ogni singolo dettaglio. L'aria odorava appena del forte odore di sudore versato dalle persone che facevano jogging, body building, zumba o cyclette. I rumori degli attrezzi utilizzati rimbombavano dappertutto con il sottofondo della musica di RTL 102.5. Lidia si vide riflessa sui grandi specchi a parete che coprivano per intero tutti i muri delle grandi stanze dell'edificio, dissimulando il cipiglio circospetto comparso sul suo volto.

Ivan tornò dalla ragazza con in mano un paio di chiavi, poi condusse Lidia in un'altra stanza, dove si allenava un gruppo di pugili. Qui l'odore del sudore impregnava l'aria e sulle pareti riecheggiavano i gemiti di dolore e sfiancamento di un ragazzo sulla ventina che, momentaneamente messo al tappeto sul ring circondato da una folla di spettatori, stava affrontando un avversario molto più forte ed esperto di lui.

I due percorsero un largo corridoio affollato, quindi Ivan si fermò di fronte ad una porta, infilando una chiave nella mano semi aperta della castana.

"Fra cinque minuti ti voglio qui davanti senza cappotto, né borsa, né maglione. Sta' in canottiera, se necessario, e leggings, dato che li hai già indosso. Per le scarpe non fa nulla. Chiudi tutto nell'armadietto. Cinque minuti."

E quindi si allontanò, diretto verso un'altra porta, lasciandola in mezzo al corridoio a bocca aperta e presa completamente alla sprovvista.

Cinque minuti dopo, Lidia era già fuori dello spogliatoio ad attendere Ivan, dopo aver seguito alla lettera le sue istruzioni. Che diavolo gli era preso? Non riusciva a comprendere quella visita imprevista ad una palestra.

Lo vide ritornare poco dopo, munito di guantoni e di uno strano cuscinetto nero di cui la ragazza non capì la funzione. Osservò la figura del fidanzato, registrando il cambio d'abito. Indossava una maglietta aderente che gli andava abbastanza stretta sulle spalle e un paio di pantaloncini sportivi spuntati da chissà dove. E aveva un paio di Adidas, mentre lei avrebbe dovuto accontentarsi del solito paio di stivaletti neri. Per fortuna non sono quelli borchiati, altrimenti sai che male, pensò Lidia, cominciando a capire cosa Ivan voleva che facesse.

"Seguimi" le ordinò l'uomo, voltandosi subito.

Ma Lidia s'impuntò, ormai spazientita dall'atteggiamento misterioso e dallo sguardo impenetrabile che non aveva più abbandonato i suoi occhi ambrati da almeno mezz'ora.

"Mi vuoi spiegare che stiamo facendo qui io e te come due allocchi?"

Ivan non si scompose.

"Semplice. Sei nervosa e sicuramente ti tieni qualcosa dentro che ti fa diventare tesa come una corda di violino ogni volta che reprimi i pensieri e i sentimenti che tentano di manifestarsi. Quindi non c'è nulla di meglio che pensare alla causa di tutto questo e prendere a cazzotti e calci il pao thai pensando di starlo facendo con il motivo di tanta rabbia. Vedrai che alla fine ti sentirai vuota di frustrazione e ira repressa e starai molto meglio con te stessa. In pratica, voglio che ti sfoghi."

"Tu dici?" Lidia sollevò un sopracciglio, scettica.

L'uomo sorrise appena, sciogliendo un po' la tensione del volto.

"Prima prova. E poi commenta."

"Einverstanden, Herr Kapitän" acconsentì scherzosamente la castana, portandosi una mano all'altezza della tempia destra, flettendo il braccio per imitare il gesto di un soldato che riceve ordini.

"E smetti di sfottere. Non capirò il tedesco, ma il linguaggio del corpo è uguale sia in Italia che in Germania o in Austria o dove cavolo ti pare."

"Sissignore."

"Fanculo, allora" sghignazzò tra le risa Ivan, prendendole delicatamente la mano e conducendola con sé dentro un altro ambiente.

"Comunque, io conosco un metodo infallibile che permetterebbe a tutti e due di sfogarsi per bene" gli sussurrò all'orecchio con voce calda e divertita, lievemente quanto inconsapevolmente sensuale.

Fu il turno del bruno di essere perplesso.

"E in teoria dovrei essere io il pervertito."

"Tu ce l'hai nel sangue come tuo fratello Luca, quindi lo sei a prescindere. Quanto a me, lo devo ancora capire."

Lidia rise, ma poi si fece seria.

Nella grande stanza in cui erano entrati c'erano varie persone, tra cui molti ragazzi dell'età di Lidia, che si allenavano a kick boxing e ad altre arti marziali. Ivan si fermò in mezzo alla stanza, salutando alcuni uomini e donne suoi conoscenti. Evidentemente frequentava con assiduità quella palestra. Le disse di avvicinarsi.

"Togli le scarpe" le suggerì, preparando il pao thai davanti al petto. "E ora indossa i guantoni e da' dei pugni contro il mio petto. Tranquilla, non mi farà male. Dalli forti quanto vuoi. Pensa a qualcosa che ti fa particolarmente rabbia, focalizza la tua collera sul pugno e colpisci."

Lidia chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, pensando alla causa di tanto nervosismo ed insicurezza a livello dei sentimenti altrui.

"Assumi la posizione di guardia. Così." Ivan le mostrò come sistemare le braccia tenendo le gambe divaricate, poi recuperò la posizione precedente con il cuscinetto sul petto. "Raddrizza il polso, così non ti farai male. Prenditi tutto il tempo che ti serve e poi colpisci. E se non ti basta a sfogarti impreca, offendi, di' quel che ti pare, apri il tuo cuore, confidati. Fa' quello che vuoi."

"Sì, e così magari ti dico pure il motivo del mio comportamento rigido" osservò Lidia fingendo casualità, prendendo la mira per mollare il primo pugno.

"Non sarebbe una cattiva idea. Sono curioso."

Uno schermo al plasma appeso ad una parete della stanza, impostato sul canale 36, diffondeva le note delle canzoni che passavano a RTL come succedeva negli altri locali della grande struttura sportiva. In quel momento le parole di Eros Ramazzotti riempivano il locale.

"Parla con me, parlami di te... Io ti ascolterò. Vorrei capire di più quel malessere dentro che hai tu. Parla con me, tu provaci almeno un po'. Non ti giudicherò, perché una colpa se c'è non si può dare solo a te. Parla con me..."

"Oh, ma questo è un complotto contro di me" borbottò Lidia, cominciando a colpire il cuscinetto di tessuto nero lucido.

"Ma perché quel pianto asciutto, non tenerti dentro tutto, c'è una cosa che invece puoi fare, se vuoi, se vuoi, se vuoi..."

"Ecco, te lo dice anche il grande Eros Ramazzotti. Da' retta almeno a lui, per piacere" la pregò Ivan accusando i primi colpi sferrati contro il pao thai.

"Non lo farei nemmeno se arrivasse lui in persona a implorarmi di farlo. Sono motivi miei, personali, e voglio che tu rispetti la mia volontà" replicò ostinatamente la ragazza, colpendo più forte e con più violenza, focalizzando la sua attenzione sulla causa della sua contrarietà all'espansività.

Continuarono ancora per qualche minuto, chiusi in un silenzio impenetrabile. Ivan rifletteva sulle sue parole.

"Allora non ha senso che tu continui a prendere a cazzotti il pao. Di fatto, serve solo a farti sudare e a stancare braccia e spalle, perché così non ti sfoghi veramente."

Detto questo, Ivan abbassò la protezione e fece per voltarsi, ma un pugno che Lidia non seppe frenare lo urtò con forza rabbiosa sul fianco, sbilanciandolo lateralmente e facendolo cadere a terra. Si abbatté con un gemito flebile di dolore contro i tappetini che ricoprivano il pavimento. Lidia volò al suo fianco, preoccupata, crollando sulle ginocchia per essergli al fianco.

"Ivan, scusami! Non mi aspettavo che tu volessi finire così, all'improvviso. Non sono riuscita a fermarmi. Perdonami" disse precipitosamente, aiutandolo a mettersi a sedere.

L'infermiere digrignò i denti per il fastidio. Il dolore era sparito subito, ma adesso il fianco gli pulsava e lo avvertiva intorpidito.

"Cazzo, per essere alle prese con la kick boxing per la prima volta già picchi duro!" osservò, massaggiandosi la zona colpita.

Lidia scoppiò inavvertitamente a ridere.

"Ma mica è la prima volta! Anni di liti furibonde con Eva hanno rappresentato per me un addestramento impeccabile al combattimento" ironizzò, scatenando pure l'ilarità del suo compagno.

"Dài, aiutami a tirarmi su" la incitò l'uomo dopo qualche secondo, subito supportato dalla solerte ragazza.

"Poverino il mio piccolino. Che c'è, gli anni si fanno sentire?"

"Tu arriva alla mia età e poi ti accorgerai come li sentirai gli acciacchi del tempo e della vita."

"Mi sembri mio padre quando parli così."

La ragazza scostò una corta ciocca castana dal volto appiccicoso, appuntandosi mentalmente di farsi una doccia a casa.

"Potrei esserlo. Ma non lo sono, quindi smettila di paragonarmi a Domenico" la rimbeccò lui, prendendo il pao thai e sistemandolo dentro un polveroso stanzino qualche metro più in là, richiudendo subito la porta. "Credo che per oggi tu ti sia sfogata a dovere. Accidenti, quanto colpisci forte. Mannaggia a me che ti ho portata qui" e le fece la linguaccia, poi l'abbracciò per la vita con entrambe le braccia, coinvolgendola in una giravolta a mezz'aria.

Lidia gridò di paura.

"Lasciami subito giù, dài!"

"Accidenti come sei paurosa" la provocò.

"No, dài, davvero: lasciami andare! Mi hai presa alla sprovvista" si difese lei.

"Ma sei proprio fifona" continuò lui spiritosamente, provocando però una replica inusitata.

"Vaffanculo, Ivan. Sei un emerito stronzo."

L'infermiere la lasciò andare senza preavviso, facendola quasi cadere a terra.

"E' questo che temi, che io mi prenda gioco dei tuoi sentimenti? E' a causa di ciò che sei così a volte: così restia a esprimere i tuoi veri pensieri e sentimenti?" l'accusò con una certa durezza, incrociando le braccia contro il petto muscoloso esaltato dalla maglietta che lo fasciava. "Evidentemente Domenico ti ha instillato questo dubbio. Non è così, Lidia?"

"Ma no, che hai capito!"

"Dimmi tu allora cosa c'è che non va, perché io, sinceramente, non vedo altra causa possibile della tua reticenza. Davvero pensi così male di me?"

"Ivan!"

Il moro chinò lo sguardo, furioso. Strinse i pugni a più riprese, cercando di controllare la delusione e l'amarezza per quella constatazione.

"Non c'è nulla da aggiungere. Smentisci prima che io ci creda davvero, Lidia, perché non ti darò una seconda possibilità."

"Sei un idiota, Ivan Castellucci. Un emerito idiota, imbecille, testone e pure un estroso fantasista del cazzo."

"Tu temi che io voglia solamente prendermi gioco dei tuoi sentimenti e che ti stia illudendo, ma non hai capito nulla di me. Nulla."

Lidia si fece avanti, puntandogli contro uno sguardo accusatorio con gli occhi azzurri lampeggianti di indignazione.

"Certo, di' pure quel che ti passa per la testa. Cazzo, hai una bella considerazione di me! Lo vuoi sapere il motivo, eh? Va bene, eccoti accontentato. Io mi comporto così perché, con Roberto che mi prendeva in giro come uno stronzo ogni volta che gli confidavo i miei pensieri, le mie opinioni, le mie emozioni, i miei sentimenti, finendo puntualmente per litigarci, ci sono diventata a causa sua! Ho paura che con te possa succedere altrettanto. Ho paura di soffrire ancora, Ivan, perché con il mio ex sono stata male un sacco e la nostra storia è cominciata da poco e non è semplice per niente a causa della situazione delicata che stiamo vivendo insieme. Tu poi ti metti pure a dare i numeri ed ecco combinato questo grande casino. Sì, io ti amo, Ivan, ma non devo ripetertelo ogni volta, ok?"

L'uomo non fiatò. Rifletté per qualche istante su quelle parole colleriche. S'insultò mentalmente con ogni epiteto ingiurioso che conosceva, inventandone tantissimi di sana pianta. Sì, si meritava alla grande tutti gli insulti che lei gli aveva affibbiato. Era un grandissimo idiota. Era passato dalla presunta ragione al reale torto in una frazione di secondo e si vergognò immensamente di ciò che aveva detto, perché aveva ferito la ragazza che amava. E nemmeno lo pensava. Erano i suoi timori, non le sue opinioni sulla storia che viveva con Lidia.

Gli si era appena rivelata una sfaccettatura più fragile e incrinata della vera Lidia, quella determinata, ostinata, intelligente e spiritosa, che però nascondeva un'insicurezza di fondo che emergeva solo in certe situazioni. Provò l'impulso fortissimo di abbracciarla strettamente e avvolgerla con le braccia per proteggere il suo cuore dalle prepotenze del mondo. Ma anche una furia incontrollabile e non reprimibile germinò in lui, una rabbia violenta contro Roberto che non riusciva a lasciare da parte. Lo odiava sempre più.

"Scusami, Lilli. Anche io sono insicuro, sia perché sono geloso, sia perché temo di perderti per gli stessi motivi che hanno portato alla fine del mio matrimonio con Alessia. Ora amo te, ma vorrei capire il perché di tanta reticenza. Me lo hai detto e non te lo chiederò più. Perdonami. Sono un imbecille."

"Lo so" replicò seccamente la castana, fronteggiando il suo sguardo angosciato.

Ivan si fece avanti e la prese tra le braccia, avvertendo il suo corpo longilineo aderire alla sua figura. Un brivido di eccitazione lo attraversò al ricordo dei pochi, preziosi pomeriggio trascorsi insieme di nascosto ad amarsi, a conoscersi più intimamente, a esplorare i propri corpi con la mordace curiosità degli amanti. E invece ignorò quell'impulso che stava prendendo piede in lui e lo scacciò dalla mente, concentrandosi sulla situazione presente.

"Quel che ho detto è solo la voce data alle mie incertezze più recondite, ma non lo penso sinceramente."

"Nemmeno io. Ma la prossima volta che ti dico di non insistere, non lo fare mai più" lo rimproverò con dolcezza Lidia, posandogli un bacio leggero sulla bocca ampia e sottile.

"Purtroppo per te infrangerò questa promessa. Non posso mantenerla, Lidia. E' una tentazione cui non posso resistere."

Lei levò gli occhi azzurri come il ghiaccio sul suo volto, sospettosa.

"Che intendi fare?" indagò, lanciandogli un'occhiataccia fulminante.

"Tu mi hai detto di non insistere su certe questioni, ma ce n'è una troppo urgente che mi impedisce di mantenere fede a questa promessa. Quello stronzo di Roberto ha lasciato su di te un segno troppo profondo perché io lo ignori. Ti ha fatta stare male e intendo prendermi la vendetta che ti spetti. Tu non vuoi, ma io lo farò. E' stato troppo bastardo per meritarsi la tua pietà e non intendo concedergli sconti. Come gliela farò pagare non lo so ancora, ma lo farò. E sappi che io non minaccio a vuoto" ringhiò furente, ghermendo quasi con forza la vita della ragazza.

Lei sbuffò rassegnata.

"Te l'ho detto che sei un idiota" lo riprese con dolce ironia, sciogliendo la sua tensione e il suo nervosismo con una risata estemporanea.

"Si accorgerà lui di quanto è stato idiota a comportarsi così con te" ribatté Ivan con sicurezza. "Se dovesse tentare ancora di fare qualcosa contro di te, Lidia, spera solo che io non venga a saperlo, perché allora gli spacco le ossa. Te lo giuro. Gliele spacco tutte, una per una. E senza anestesia. Quindi gli conviene comportarsi bene."


 

***



N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto Buone Feste ancora, dato che non sono finite. Spero che le abbiate passate bene, perché sono un periodo di riposo, di gioia, di convivialità con amici e parenti.
Passando alla storia, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ivan e Lidia hanno i primi attriti tipici di quelle relazioni che si fortificano nel tempo attraverso confronti, magari furibondi ma costruttivi, quei rapporti che si basano sul rispetto reciproco, sullo scambio libero di pensieri e opinioni, sulle litigate, sulla dolcezza smielata, sul vivere quotidiano, sulle difficoltà affrontate insieme, sulle piccole grandi cose di ogni giorno, sul prendere la vita con leggerezza, spirito d'iniziativa e capacità di reazione ad ogni evento positivo o negativo che la scuote. Quelle coppie che, bene o male, possono durare anche una vita intera. Il loro è un rapporto ancora fragile perché nuovo, ma con le basi solide. Perciò, per chi teme qualche rottura fra i due in futuro, state tranquilli: ci saranno momenti di incertezza e crisi, ma verranno superate. E, dopo questo spoiler grossissimo, passo ai ringraziamenti.
Grazie mille a chi ha letto la storia fin dall'inizio, a chi la segue in silenzio, a chi recensisce e mi consiglia, insomma grazie a tutti quanti, specialmente a controcorrente, che fa sempre osservazioni giustissime, a Lachiaretta, che si è innamorata della coppia di protagonisti, e a chiunque altro mi supporti.
Grazie di cuore. Spero che la storia continui a piacervi.
Non aggiornerò venerdì prossimo perché sono già sicura di non riuscire nemmeno a iniziare un nuovo capitolo in tempo per quella data, perciò ne ho scritto uno (questo) più lungo di quanto avessi inizialmente voluto.
Alla prossima, allora, e ancora tanti auguri a tutti!


Flame

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


30.



 

"Papà, ma perché quest'anno non posso passare il Natale con te?"

La difficile domanda fu posta a Ivan da sua figlia Emma in un giorno di metà dicembre, quando Alessia, dopo essere venuta a fare visita all'ex-marito per ricordargli di preparare una piccola valigia per la bambina, che sarebbe stata con la madre per tre settimane, le aveva annunciato che avrebbe trascorso insieme a lei e a Giacomo le vacanze invernali. La reazione della bambina era stata scontenta e refrattaria e la risposta della donna concisa e indiscutibile: poteva scordarsi le vacanze con il padre, almeno per quel Natale. Quindi Alessia s'era sbattuta la porta alle spalle, abbandonando la casa condivisa a lungo con figlia e marito, fulminando Ivan con uno sguardo carico d'odio e astio.

"Fiorellino mio, anche se io e Alessia non andiamo tanto d'accordo, lei è pur sempre la tua mamma e tu dovresti volerle bene. Perché invece non vuoi trascorrere le vacanze con lei? La vedi così poco, ultimamente..." aveva commentato, cercando di evadere la questione posta dalla figlia. Era dura risponderle che per colpa della madre della bambina stessa non potevano vedersi sempre, figuriamoci aggiungere pure che le vacanze, almeno per lui, sarebbero state tristi e deprimenti. "Ti divertirai con la mamma. Lei ti porta sempre in posti divertenti: al luna park, o da qualche parte fuori Firenze... magari se riesci a convincerla quest'anno ti porta pure a Mirabilandia" aggiunse, sperando di distrarla dal pensiero iniziale.

Ma Emma era come suo padre, troppo intelligente per farsi raggirare così facilmente.

"Ma io voglio stare con te, mica con la mamma. Lei è sempre attaccata a Giacomo, e poi lui è così antipatico! Pensa di comprarmi coi regali, ma mica io sono come mamma. Sono piccola, ma so già che i soldi non fanno la felicità. Me lo dici sempre tu" gli rimproverò la bambina, andando a stringere affettuosamente la vita del padre con le braccia sottili.

Ivan ricambiò l'abbraccio, afferrandola con sicurezza e coinvolgendola in una giravolta spericolata. Emma, eccitata, urlò e insieme rise tra le braccia dell'uomo, scacciando momentaneamente l'amarezza e la rabbia. Funzionava sempre così tra loro: se c'era qualcosa che non andava o che la faceva incollerire, il padre la sollevava tra le braccia e le faceva fare un volteggio, finendo poi per ridere insieme. Emma adorava quei momenti: si sentiva protetta, amata, confortata. E poi Ivan era il padre più tenero e presente del mondo, e nonostante le difficoltà crescenti cercava sempre di mettere la serenità della figlia al primo posto come fine della sua vita. Da qualche tempo, tuttavia, la felicità di Emma aveva trovato un rivale nei sentimenti che l'uomo provava per una certa persona, e alla piccola, perspicace ed intuitiva nonostante la giovanissima età, quel cambiamento sottile ma inequivocabile non era sfuggito.

"Papà, perché non mi porti in vacanza da qualche parte? Almeno la mamma non sa dove siamo e non può venire a prendermi per passare il Natale con lei e Giacomo... dài" lo pregò, sbattendo con finta innocenza gli occhi aurei orlati da lunghe ciglia nere.

"Emma, sai che non posso."

Le speranze della bambina andarono in frantumi. Emma s'arrese all'evidenza, sapendo di non poter scampare a quella terribile prospettiva.

"Tu invece dove passerai il Natale, papà?" gli chiese rassegnata, sperando che almeno lui potesse divertirsi un po'.

"Dalla nonna e da Giovanni, come tutti gli anni prima che tu nascessi, piccola mia." Ivan accarezzò la testolina mora della figlia, sorridendole nostalgico. Quanto erano lontani quei tempi.

"Mi mancherai. Mi manchi già."

"Su, non dire queste cose. Tanto ci rivediamo presto. E poi ti telefonerò tutti i giorni e magari, se Alessia è d'accordo, vengo pure a prenderti un pomeriggio e andiamo a vedere un bel film insieme. Che ne dici?"

"Dico che si può fare." A dispetto di ciò che aveva appena affermato, Emma mise il broncio e incrociò le braccia davanti al petto il segno di arrendevole disaccordo.

Ivan si costrinse a sorridere, malgrado anche lui fosse contrario a quella lunga separazione.

"Su, non farmi quella faccia, altrimenti le meringhe in forno si squagliano tutte" ironizzò, facendole l'occhiolino.

Emma rise appena.

"Ma tu sei bravo a fare i dolci, papà! Sei il mio chef personale, non puoi sbagliare! Altrimenti, se me le fai male, mi devi confidare un segreto per punizione."

"Ricattatrice" la prese in giro il padre, prendendole la mano destra nella propria sinistra e riconducendola con sé in cucina per controllare la cottura delle meringhe.

Ivan reimpostò i gradi di cottura aumentandoli, poi notò una traccia di umidità sulla teglia e decise di lasciare aperto il forno appena un po' per permettere ai dolci di asciugarsi bene. Quindi andò a sedersi con la figlia sugli sgabelli nuovi di zecca che aveva acquistato poche settimane prima per riarredare la casa, completamente spogliata dei soprammobili quando Alessia si era trasferita a casa di Giacomo portando con sé un sacco di cose dalla sua precedente abitazione.

"Le meringhe vengono male, papà. Non cuociono bene" lo riprese con aria professionale la bambina, che teneva tra le mani un grande tomo sulla pasticceria.

"Pazienza, tesoro. Ne faremo delle altre" la rabbonì il moro, aspettandosi già una domanda impertinente su di sé da parte della piccola.

"Però non stanno venendo bene, quindi mi dici un tuo segreto" ingiunse Emma, lanciandogli un'occhiata tremenda.

In fondo, assomigliava parecchio anche ad Alessia: ne condivideva la curiosità morbosa per tutto ciò che gli altri avevano di intimo e personale, la vanità, la testardaggine e una forte dose di orgoglio e alta considerazione di sé.

Ivan sospirò rassegnato. E adesso che vorrà sapere?

"Dimmi" la incitò sbuffando.

"Papà, tu vuoi bene a Lidia?" gli chiese senza tanti preamboli, andando dritta al sodo. Si accigliò di colpo e la sua espressione divenne intensamente seria.

Ivan rimase sconcertato di fronte a quella domanda che non si sarebbe mai immaginato. Proprio non se l'aspettava.

"Perché me lo chiedi?" replicò sulla difensiva l'uomo, cercando disperatamente di non dover rispondere.

Ma sfuggire ad Emma era assai difficile. Il volto della bambina si fece rigido.

"Perché le voglio bene. E mi sono accorta che anche lei ce ne vuole tanto: a me, ma sopratutto a te. Non farla soffrire, papà. Lei non merita questo."

Il bruno rimase esterrefatto.

"E in che modo la farei soffrire, scusami?"

"Tu hai voluto tanto bene alla mamma, ma ora non ci vai d'accordo. Non fare così anche con Lidia, per favore."

La bambina scivolò giù dall'alto sgabello rosso su cui era faticosamente salita un minuto prima, portandosi davanti al padre.

Otto anni, pensò Ivan deglutendo, solo otto anni, e già capisce così tanto. Dio mio.

L'infermiere si chinò sulle ginocchia per raggiungere con il volto il livello di quello della sua amata figlia, ricambiandone lo sguardo gemello del proprio per colore, taglio ed espressione. Gli occhi di Ivan si addolcirono e istintivamente anche i lineamenti di Emma si rilassarono.

"Emma, te lo prometto. Non farò soffrire Lidia, perchè le voglio un sacco di bene, così come ne voglio a te."

La bambina si quietò un pochino, sorridendo tranquilla. Ma poi un altro punto interrogativo spuntò fuori dalla sua mente curiosa.

"Quindi vuoi più bene a Lidia che alla mamma?" gli chiese, un po' ficcanaso, un po' indiscreta, un po' felice per suo padre e per la ragazza.

Quella domanda estremamente personale imbarazzò l'uomo, tuttavia lui rispose, decidendo di essere sincero con la figlia.

"Certo, tesoro, molto più che ad Alessia. Io amo Lidia, e ormai credo che tu lo abbia capito da un po'."

"Non proprio, avevo il dubbio... ma pensavo che fosse così. Vi prendete per mano quando siete insieme e poi vi sorridete sempre" rivelò candidamente la bambina, aggiungendo un dettaglio delicato che fece arrossire Ivan per l'ingenua facilità con cui era stato smascherato.

"Ma tu... tu non lo dirai ad Alessia, giusto? E nemmeno allo zio Luca, a Giovanni, a nonna Miriana, a Giacomo o ai genitori di Lidia, d'accordo? Deve rimanere un segreto."

"E perché?" indagò Emma, improvvisamente sospettosa.

Ivan non poteva certo confessare alla figlia che Alessia, se fosse venuta a sapere della sua relazione con una ragazza di neanche diciannove anni, avrebbe potuto utilizzare quell'asso nella manica nel processo per portargli via la custodia della sua unica figlia. Lui odiava Alessia, ma non poteva far sì che anche Emma detestasse sua madre. Per lei sarebbe stato un trauma terribile ad una così giovane età, una frattura insanabile nel suo animo di bambina. Doveva proteggere l'integrità della sua serenità. Quindi l'uomo pensò in fretta a una scusa qualsiasi per accontentare la morbosa ficcanasaggine della ragazzina.

"Ehm, come tu sai, Lidia ha appena diciotto anni. Io ho il doppio della sua età. Sara e Domenico non sarebbero d'accordo se dicessimo loro che vogliamo stare insieme, perché io sono troppo... be', ecco, troppo grande..."

"Troppo vecchio" lo corresse Emma ingenuamente, e in Ivan si riaprì una cicatrice chiusa, un brutto pensiero sotterrato sotto mille strati di altre preoccupazioni in uno sperduto angolo della mente. Problemi momentaneamente dimenticati ritornavano a far sentire l'eco lontana La differenza d'età.

"Sì, Emma, troppo vecchio." Ivan sospirò pesantemente, avvertendo l'ansia crescergli nel petto come un macigno.

No, non poteva stare con Lidia. Non poteva impedirle di vivere una vita spensierata con amici coetanei e di provare le gioie e le preoccupazioni dell'amore giovanile a causa di una relazione con un uomo più grande di lei di vent'anni con delle responsabilità e preoccupazioni anche opprimenti. Se l'amava non doveva. L'animo gli si gelò a quella prospettiva di una vita senza di lei.

"Però che problema buffo: che c'è di strano? Anche la mamma è più giovane di te, ma i nonni non hanno fatto tante storie quando vi siete sposati. Giacomo è anche più vecchio di te ma nessun gli dice nulla per la differenza di anni con la mamma. E poi lo dicono tutti che l'amore non ha età."

"Questo vuol dire che ci si può innamorare a qualsiasi età, piccola mia, e non che due persone con tanta differenza di anni possano stare insieme" osservò con amara semplicità Ivan, accarezzando distrattamente l'esile braccio della figlia.

"Ma papà, è un problema tanto semplice da risolvere! State insieme e basta" constatò con disarmante allegria Emma, rivolgendogli un sorrisone. "E io sono contenta che tu sei innamorato di Lidia. Lei è simpatica e mi vuole bene. E poi ti insegna a cucinare, quindi meglio di così non può andare" lo prese in giro, strappandogli una risata forzata.

"Se solo fosse così facile..."

"No, papà, è facile. Siete voi adulti a rendere le cose così difficili. E' tutto molto semplice" ribatté con decisione la morettina, interrompendo un'altra volta la debole replica paterna.

Ivan tacque e rifletté sulle parole della figlia. Emma non aveva tutti i torti: anche se non poteva certo essere a conoscenza delle reali difficoltà che loro due vivevano, Lidia e Ivan potevano continuare a frequentarsi di nascosto da tutti ma liberamente, senza porsi troppi problemi a parte quello della segretezza.

"Forse hai ragione. Ma deve comunque rimanere un segreto, perché se qualcuno lo scopre e lo va a dire ai genitori di Lidia, poi loro si arrabbiano con me e non mi parlano più" gli ricordò l'uomo, decidendo di non dare ascolto alle voci nella sua testa che gli suggerivano masochisticamente di chiudere la relazione con la sua fidanzata.

Ivan ricordò le parole di Lidia e si sentì rinfrancato. Aveva tradito un'amicizia e ormai non sarebbe potuto più tornare indietro nemmeno lasciando la ragazza, perciò era inutile farsi tormentare dal rimorso. E inoltre non intendeva più anteporre la felicità degli altri, escludendo quella di Lidia ed Emma, alla propria. Perciò non avrebbe troncato la loro relazione.

Forse sono egoista ad agire così, ma io la amo e non voglio rinunciare a lei, si disse mentalmente, ritrovando un po' di serenità.

"Ma certo! Anzi, sai che ti dico? Facciamo un giuramento, adesso. Sì, papà, ora, e non guardarmi come se ti avessi detto chissà che. Vieni qui." Emma fece una pausa, pensando alle parole da pronunciare per suggellare la promessa. "Giuro che manterrò il segreto e che non dirò nemmeno alla nonna chi è che ti piace. Ma tu giura che quando uscite insieme mi portate via con voi, perché io mi sono stancata di essere sempre dalla nonna o dai miei amici ogni pomeriggio. Io voglio stare anche col mio papà!" protestò con vivacità la bambina, suscitando la lieta ilarità del padre.

"D'accordo, lo giuro."

"Bene. Ora incriociamo i mignoli. E adesso batti cinque con me" aggiunse la ragazzina, compiendo il gesto con l'ampia mano dell'uomo.

Ivan sollevò la testa e annusò l'aria della cucina con uno sguardo pensieroso negli occhi, ricordandosi improvvisamente delle meringhe.

"Cavoli, le meringhe! Ho scelto una temperatura di cottura troppo alta!" e schizzò veloce verso il forno per rimediare al guaio combinato prima che fosse troppo tardi, ma il danno era già fatto.

Spense lo strumento e tirò fuori la teglia con un guantone, sventolando la mano sinistra per allontanare il filo di fumo nero che si stava sollevando dal disastro di pasticceria appena realizzato. Lanciò un'occhiata demoralizzata alle forme scure e bruciacchiate sparse sul foglio di carta da forno, quindi sospirò rassegnato.

"Ok, sono da buttare via."

Emma si avvicinò per osservare il disastro, arricciando il naso, crucciata.

"Sembravano così buone... e tu le hai rovinate. Per fortuna che Lidia cucina bene e vuole insegnarti come si fa, perché altrimenti mi devo preoccupare seriamente per la mia salute" ironizzò, rivelando un insospettabile sarcasmo.

"Che dolce aspide abbiamo fatto nascere io ed Alessia" replicò Ivan alla battuta della figlia, posando con finta noncuranza la teglia annerita e il guantone accanto all'acquaio.

"Oh-oh, mi sa che adesso ti vendichi" lo anticipò la figlia, correndo verso il nuovo divano di un caldo color arancio sistemato in salotto, scegliendolo come barriera difensiva.

"Diamo inizio alla battaglia del solletico!" annunciò a voce alta l'infermiere, rincorrendo la bambina nella stanza attigua e afferrandola con scherzosa rapidità per i fianchi.

Trascinandola a stendersi sul sofà, cominciò a tormentare il suo ventre e le ascelle con le dita, ed Emma, dopo le iniziali grida di protesta, si lasciò ben presto andare alle risate più fragorose e allegre degli ultimi giorni, arrivando anche a piangere per il troppo ridere.


 

***


 

"Buondì, amore" esordì allegramente Lidia non appena Ivan alzò la cornetta del telefono.

"Buongiorno, stella mia" la salutò l'uomo, rilassandosi contro il letto sbadigliando sonoramente.

Erano le otto di mattina e Lidia era già a scuola, seduta al suo banco nell'aula ancora deserta. Invece Ivan aveva deciso di tornare a dormire ancora un po', dopo aver accompagnato la figlia alle elementari. Infatti, avendo un turno notturno previsto proprio per quel giorno, preferiva accumulare qualche ora di sonno per non dormire in piedi durante la notte, quando ci sarebbero potuti essere casi gravi o emergenze improvvise da affrontare.

"Scommetto che sei ancora a letto" lo prese in giro la ragazza, cogliendo nel segno.

Ivan rise, accucciandosi sotto le coperte ancora lievemente tiepide per creare un po' di calore e scacciare il gelo che avvertiva sulla pelle scoperta. Essendo abituato a dormire solo con boxer e canottiera anche in inverno, sentiva sempre freddo.

"Touché. Ma sai che stanotte ho il turno di lavoro... preferisco guadagnare qualche ora di sonno."

"Emma quindi non va a scuola?"

"No, l'ho già accompagnata."

"Potevi risparmiarle questo trauma, poverina. Non sai quanto la compatisco. Sei crudele."

"Grazie. Mi ricorderò della tua opinione di me quando dovrò farti il regalo di compleanno" replicò con finta stizza il moro, suscitando la lieta risata della giovane.

"Come sta Emma?" gli chiese poi lei, spostando la loro conversazione su un altro argomento.

"E' un po' giù perché deve accettare il fatto di trascorrere le vacanze con Alessia e Giacomo, ma si è rassegnata all'idea... comunque sospetto che abbia in mente qualcosa per sabotare il loro piano feriale."

"Chissà da chi avrà ripreso... Alessia le ha trasmesso proprio i geni giusti" e Lidia rise ancora.

"Ah già, a proposito di Emma... devo parlarti di una cosa importante. Sei libera per oggi pomeriggio?"

"Non so, dovrei studiare con Céline che mi rispiega un argomento di matematica... semmai le chiedo se vogliamo coprirci l'un l'altra, così lei si vede con Heydar e io con te senza che le nostre rispettive famiglie lo sappiano" disse pensosa, riflettendo su come evadere quella penosa prospettiva di trascorrere il pomeriggio a studiare una materia così odiosa.

"Allora posso tranquillamente dirti dove ci incontriamo" concluse ironicamente Ivan. "Alle quattro e mezza davanti all'Osteria delle Tre Panche in centro storico, va bene?"

"Hey, lascia a me l'onore di decidere, per una buona volta! Dunque... si può fare. Ma non ti confermo nulla. Poi ti richiamo io oggi pomeriggio."

"Va bene. Magari se ci riesci prima delle tre mi fai un favore, perché poi devo anche preparare una borsa per Emma: stasera va a dormire da mia madre, non posso lasciarla sola a casa."

"A proposito di ciò che mi devi dire... di che cosa si tratta?"

Ivan si ritrovò a sorridere teneramente sentendo la sfumatura preoccupata nella voce della ragazza.

"Sarà una sorpresa" le disse per tenerla sulla corda.

"Stronzo. Buona o cattiva?"

"Positiva, sta' tranquilla."

"Ti conviene" lo minacciò lei per scherzo, ma non poté proseguire perché vide entrare Aurelia in classe e si affrettò a chiudere la chiamata. "Adesso devo andare, ma ti richiamo io più tardi. Buona giornata, baci, ciao!"

E riattaccò senza nemmeno dargli il tempo di pronunciare una sola sillaba, lasciandolo a parlare con il tuu tuu ripetitivo della linea libera del fisso.

"Ma perché avrà quest'abitudine di riattaccarmi sempre in faccia quand'è a scuola... Mah" si disse da solo Ivan, sbuffando una risatina.

Da tutt'altra parte, Lidia invece salutò Aurelia con un cenno beneducato, ma senza sorridere o parlarle. Era ancora arrabbiata con lei: dopo un mese la tensione fra di loro non si era ancora sciolta.

"Ciao, Lilli" rispose la compagna di classe, accennando un sorriso che si spense non appena appurò la freddezza del comportamento della castana. La rossa, comunque, tentò di instaurare una conversazione con lei. "Con chi eri al telefono? Se devi parlare, esco un momento" si offrì.

"No, tranquilla... era mia cugina. Oggi compie gli anni e le ho telefonato per farle gli auguri, nulla di che. Anche lei fra poco ha lezione" mentì la liceale, cercando di allontanare fin da subito la curiosità di Aurelia da sé.

"Ma chi, Viktoria Meier? La tua simpaticissima cugina aspide altoatesina? Da quando avreste instaurato un rapporto civile?" indagò scettica Aurelia, sedendosi al proprio posto dietro Lidia, in terza fila.

Lidia fece segno di diniego con il capo, scuotendo le corte ciocche castane che le incorniciavano delicatamente il volto a cuore.

"No. Parlo di Livietta, la figlia di mia zia Emilia. E' la mia cuginetta da parte paterna. Oggi compie cinque anni" inventò ancora, tirando in ballo la figlia della sorella del padre, la sua cugina preferita in assoluto. Livia era una bambina dolce e sensibile che a Lidia ricordava molto Emma, perciò la adorava tantissimo.

"Oh... allora falle gli auguri anche da parte mia, se poi le ritelefoni" replicò imbarazzata Aurelia, rendendosi conto di essere, come al solito, troppo ficcanaso, specialmente con una persona che aveva preso le distanze da lei.

Lidia sospirò, poi si voltò verso la compagna. Come leggendole nella mente, riuscì a intuire subito i suoi pensieri. I suoi occhi azzurri scintillarono quando osservarono le iridi verdastre della ramata, riflettendo una miriade di emozioni.

"Aury, io vorrei darti di nuovo fiducia... ma finché resti legata ad Alessandra so che non potrò. Ti dirò una cosa, adesso, e probabilmente non ci crederai, ma è la verità: Roberto sta con la tua amica solo perché così può frequentare il gruppo di cui faccio parte pure io e controllarmi. Non mi lascia ancora in pace. Ti ricordo che solo un mese fa ci aveva provato con me. Dillo ad Alessandra che si sta illudendo e facendo sfruttare da un idiota e, soprattutto, cerca di farti valere un po' di più in questo rapporto tra di voi che tutto mi sembra tranne un'equa amicizia. Pensaci bene. Io sono disposta a perdonarti, ma solo se ti dimostri capace di pensare con la tua testa e non solo di fare ciò che ti dicono gli altri" le disse stancamente la ragazza, che non vedeva l'ora che tutto ciò finisse e che la loro amicizia potesse ripristinarsi.

Dopotutto, nonostante il torto che le aveva fatto, Aurelia le mancava, perché era una buona amica, forse troppo impicciona e ingenua, ma veramente cara e dolce.

Lei chinò lo sguardo, incapace di sostenere quello dell'amica.

"Mi dispiace, Lidia..." seppe dire soltanto.

Allora la castana allungò la mano per costringerla ad alzare il viso e a guardarla dritto negli occhi. Parlò con voce più fredda e distaccata, sapendo che solo l'indifferenza e la rigidità l'avrebbero spinta a cambiare un po' il suo carattere e a farsi più indipendente mentalmente dall'amica-despota, se ovviamente teneva alla loro amicizia abbastanza da farlo.

"Non basta il pentimento, Aurelia. Io voglio che cambi. Lo voglio per il tuo bene, perché altrimenti sarai sempre sottomessa ai capricci di Alessandra, che non merita un'amica fedele come te. Perciò, svegliati un pochino e fatti valere, oppure possiamo considerarci solamente come delle compagne di classe che nulla hanno da spartire se non trenta ore di lezione a settimana" concluse con tono gelido.

Il suo volto si fece nuovamente teso, poi Lidia si girò bruscamente, ignorando la sua occhiata avvilita. Aurelia fece per parlare, ma la voce di Andrea, che apparì all'improvviso all'ingresso della classe, la bloccò prima che potesse aprir bocca.

"Buongiorno, ragazze! Ma che sono questi musi lunghi? Su, vi voglio allegre" esordì, entrando con passo svelto e sicuro nella grande aula della quinta linguistico.

"Ti fai le canne già di prima mattina, Ferrero?" osservò sarcasticamente Lidia, sollevando un sopracciglio, dubbiosa.

Il ragazzo però la prese per una battutaccia e non colse la sfumatura caustica dell'intervento della compagna di classe. Quindi fece una risata e si sedette accanto ad Aurelia, cominciando fin da subito a importunarla e a flirtare con lei, come accadeva ogni giorno con qualsiasi essere semovente e respirante munito di airbag pettorali e posteriori che fosse disposto a stare ad ascoltarlo.

Le lezioni trascorsero in fretta e Lidia attese con febbrile irrequietezza la fine delle sei ore giornaliere di tortura scolastica, aspettando ansiosamente lo scoccare delle quattro e mezza. Quindi, non appena la campanella dell'una e trenta trillò assordante, non perse tempo e si fiondò fuori dell'aula, percorrendo le scale di fretta e raggiungendo Céline all'uscita, riuscendo ad acciuffarla per un pelo.

"Hey, senti" ansimò quando l'ebbe agguantata per un braccio.

"Hai corso i duemila metri, per caso? A momenti mi svieni davanti" ribatté la mora, trattenendo Heydar per la di lui mano che stringeva tra le proprie dita.

"Devo chiederti un favore che non potrai rifiutare" chiarì la ragazza, prendendo una profonda boccata d'ossigeno. "Cavoli, sono fuori allenamento... devo tenermi in forma per la gara di aprile" dise poi tra sé, appuntandosi mentalmente di convincere il padre a iscriverla ad una palestra.

"E di che si tratta?" la invitò Céline a farsi avanti, proseguendo con la corrente di studenti in uscita dalla scuola per evitare di essere travolta dai ragazzi più piccoli e vivaci del biennio.

"Oggi ho da fare, non posso venire a casa tua a farmi rispiegare matematica" esordì. "Quindi pensavo che, invece di perdere un pomeriggio in casa, tu puoi tranquillamente dire a tua madre che ci incontriamo da qualche parte. Poi invece ti vedi con Dar, se ovviamente lui non ha da fare" e le fece l'occhiolino, sperando che la sua migliore amica capisse al volo il motivo della sua assenza e non le facesse domande. Sapeva di poter contare sulla discrezione compita dell'iraniano, ma non su quella della mora, ben più chiacchierona.

Céline comprese subito la natura dell'impegno improvviso di Lidia e le lanciò uno sguardo d'intesa, poi levò gli occhi innocenti e teneri sul fidanzato.

"Oggi sei libero, vero? Dài, amore..." lo pregò, strappandogli ben presto un cenno d'assenso.

"Ok, allora siamo d'accordo" disse Lidia dopo essersi accertata della disponibilità dei due.

"Però quando recuperi la spiegazione?" intervenne Heydar.

"Be', ci possiamo vedere sotto le vacanze natalizie, oppure non se ne fa nulla. Al limite posso chiedere a mio zio Andrea: lui insegna matematica in un liceo di Siena... e vado a trovare lui, zia Emilia, i nonni e i cugini durante le ferie con i miei. Quindi non c'è assolutamente alcun problema."

"Ça va, alors" concluse Céline, mettendo tutti d'accordo. "Va benissimo, Lilli. Anzi, se mi copri con i miei mi fai un favore enorme!"

"Non devi nemmeno chiedermelo, Céli: sono la tua migliore amica da una vita."

La castana abbracciò impulsivamente la ragazza più bassa, stritolandola in una stretta affettuosa.

"Adesso vi lascio soli. Mio padre mi aspetta in macchina... a domani!" si congedò frettolosamente, salutando entrambi con un cenno della mano.

Quindi sgattaiolò via nella piazzola brulicante di persone, sfrecciando verso l'auto di Domenico con il cuore leggero e colmo di gioia per il pomeriggio che le si prospettava davanti.


 

***


 

Lidia era seduta da più di un quarto d'ora su una panchina a pochi passi dall'Osteria. Aveva preferito arrivare in anticipo per evitare improvvisi contrattempi. Con indosso una cuffia, il giaccone invernale, un paio di semplici jeans neri e le Air Force azzurre, era vestita in modo sportivo e giovanile che non dava nell'occhio.

A Ivan, comunque, Lidia sembrava sempre bellissima e affascinante, anche con indosso un anonimo cardigan e rigidi pantaloni da collegiale. Infatti fu così che lui la considerò non appena la scorse da lontano, intenta a scrivere un messaggio con il Samsung, completamente concentrata su quell'azione: meravigliosa, così bella da struggere il cuore. Osservò la lieve ruga che increspava la fronte dalle sopracciglia aggrottate e sorrise, trovando la sua espressione attenta assolutamente adorabile.

Mano nella mano con sua figlia Emma, Ivan proseguì fino a quando non raggiunse la panchina su cui era seduta Lidia. Lei alzò il volto, e la felicità inizialmente disegnata sul suo volto si dissolse per lasciare spazio allo sconcerto e al timore quando lo sguardo delle sue iridi celesti si posò su Emma. Tuttavia, nonostante la sorpresa, cercò di dissimulare l'espressione bizzarra che le si leggeva in faccia e sorrise forzatamente ai due.

"Ivan, Emma! Ma che combinazione avervi incontrati qui! Che cosa fate di bello, una passeggiata?" improvvisò, levandosi in piedi e portandosi davanti al duo.

"Lilli, Emma sa tutto di noi" esordì bruscamente Ivan, lasciandola a bocca aperta per la sorpresa e la costernazione.

Cazzo, e ora chi ci assicura che la nostra storia può continuare senza troppi rischi?, pensò con amarezza Lidia, sentendo le prime lacrime pizzicarle gli occhi al pensiero di non poter più vedere l'uomo che amava.

"Ma... ma come, perché... come è successo?" si ritrovò a chiedere, completamente disorientata da quella rivelazione.

"E' una lunga storia" le rispose Ivan, sospirando. Le tese una mano, incitandola a seguirli. "Vieni con noi: abbiamo un po' di cose di cui parlare."


 

***




N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto grazie mille per le tante recensioni che ho trovato poco fa: le ho lette tutte e mi hanno commossa l'una più dell'altra *^* grazie mille!
Soprattutto, grazie a Tanny, che si è letta tutte le pagine chilometriche dei capitoli precedenti per riuscire a rimettersi in paro, lasciando sempre dei commenti!
Comunque, mi dispiace per non aver risposto né essermi fatta viva, ma il giro di boa non è ancora arrivato e sono impantanata in una miriade di pagine da studiare, da scrivere, da completare. Insomma, l'inferno dantesco formato scuola. Per fortuna, però, ho trovato il tempo di scrivere questo capitolo. Spero che vi sia piaciuto: ho deciso di inserirvi un momento cruciale, ossia il fatto che Emma scopre la relazione del padre con Lidia e mette al corrente di ciò proprio Ivan per ottenere conferme. Poi l'ho lasciato in sospeso. Chissà, se riesco a scrivere il capitolo prossimo in tempo per venerdì sera forse saprete come andrà a finire, altrimenti nisba.
Boh, fra un po' mi ci sotterrano sotto strati di libri. Ma non è importante. Importante è, per me, ringraziare ognuno di voi che seguite e leggete la storia, in particolar modo Lachiaretta, controcorrente, Emotrilly_Watanka e Tanny, per aver recensito lo scorso capitolo.
Bon, ora mi dileguo, erché altrimenti le note diventano più lunghe e discorsive di questo capitolo xD
Grazie ancora a tutti, a presto! (Forse a venerdì prossimo se riesco, altrimenti metto un avviso! Ah già, risponderò fra poco alle vostre recensioni!)


Flame

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


31.



 

Lidia tacque durante tutto il percorso compiuto insieme ad Emma ed Ivan, mano nella mano con quest'ultimo. Entrarono in un caffé, che non distava tanto a piedi, e si sedettero ad un confortevole tavolino in un angolo intimo. Ordinarono un té caldo - per Ivan -, due ciccolate - per Lidia ed Emma - e poi un vassoio di biscotti e pasticcini, che furono serviti in cinque minuti. Di fronte a quelle tazze fumanti l'infermiere rifece alla ragazza il racconto di ciò che aveva portato Emma a scoprire la loro relazione.

La castana ascoltò in silenzio grave e teso. Non voleva credere alle parole di Ivan; avrebbe voluto non poter dar loro credito. Ma era inevitabile: la bambina sapeva la verità. E la loro storia poteva rischiare di essere scoperta. Al solo pensiero si sentiva mancare. Lidia si dovette fare forza per evitare di cedere.

"Lilli, sei pallida... stai male?" osservò con attenta premura proprio l'oggetto delle sue preoccupazioni, notando quando fosse cinereo il suo colorito già diafano.

Lidia si riscosse dai suoi pensieri, abbozzando un sorriso poco convinto.

"No, piccola, sto bene. Ho avuto solo un capogiro."

Emma sembrò non credere a quella rassicurazione, sospettosa. La scrutò di sottecchi per qualche altro istante silenzioso, poi disse una frase che fece sospirare la liceale per il sollievo.

"Comunque, non avere paura. Mica dico nulla alla mamma o alla nonna. E nemmeno a Sara e Domenico. Papà me l'ha detto che poi loro si arrabbiano per la vostra differenza d'età" la rassicurò, lanciandole uno sguardo in cui si rifletteva il suo senso di colpa di fronte al malessere della diciottenne.

A quelle parole Lidia si rilasciò contro lo schienale della sedia, espirando a fondo, sollevata, tutta la tensione e la disperazione che nell'arco dell'ultima terribile mezz'ora aveva accumulato dentro di sé.

"Dici davvero?" replicò, speranzosa, azzardando un timido sorriso.

"Certo che dice sul serio. Vero, Emma?" s'aggiunse Ivan, allungando una mano sul tavolo per stringere tra le proprie dita quelle della fidanzata. La giovane vi si aggrappò con forza, rincuorata.

"Sì. Anche perché poi mi dispiace se non potete vedervi per colpa mia" asserì a testa china la bambina.

Lidia allungò la mano libera verso il volto, accarezzandola teneramente. Le sorrise radiosa e di rimando la ragazzina ricambiò, rivelando una boccuccia di denti da latte interrotta proprio da un incisivo mancante.

"Ma non devi mica sentirti in colpa, Emi. Non hai fatto nulla. E l'importante è che tu non dica nulla a nessuno. Sarà il nostro segreto, va bene?"

"Lo mantengo solo se quando uscite insieme mi portate con voi. Io voglio passare il tempo anche con il papà" ribatté prontamente la piccola, rivelando un'insospettabile capacità di saper ottenere sempre qualcosa in cambio da qualsiasi concessione o patto.

Ivan alzò gli occhi al cielo, sbuffando rassegnato, mentre Lidia scoppiò a ridere, stringendo la manina che la bambina aveva teso davanti a lei per stringere l'accordo.

"E' ovvio, piccola mia. Adesso che sai non c'è più bisogno di tenerti fuori da questa storia" le promise.

"Che bello!"

"Sì, Emma, è una cosa bellissima" commentò l'infermiere, osservando con dolcezza sua figlia e la giovane. La consapevolezza di amare quelle due creature gli riempì il cuore di un'emozione fortissima, indecifrabile, e si sentì fremere al pensiero che qualcuno potesse spezzare quella nuova armonia. Nessuno avrebbe mai dovuto tentare di strappargli Emma o Lidia. Nessuno al mondo.

Il moro avvicinò la propria sedia a quella di Lidia, passandole un braccio sulle spalle e stringendola a sé. Emma si aggiunse alla coppia, salendo sulle ginocchia della ragazza e abbracciando padre e amica con forza.

"Che bel quadretto che siete" commentò una voce familiare.

Lidia, che aveva chiuso gli occhi per la felicità, li aprì, sgranati per il terrore di essere stata scoperta. Non aveva riconosciuto immediatamente la voce.

"Lilli, non ti preoccupare! Sono io, mica tuo padre" la tranquillizzò Céline con una risata divertita, lasciandola agghiacciata.

"Céline! Ma ti pare il modo? Pensavo fosse..."

"Sì, lo so. Qualcuno che non deve assolutamente sapere della vostra relazione. Ah, vedo che c'è anche Emma! Ciao, piccola" la liquidò con nonchalance l'amica, rivolgendo la sua attenzione all'adorabile amica di suo fratello Marco.

"Lidia, che sorpresa! Anche tu frequenti questo locale?" si fece avanti Heydar, il quale, appena distante dalla sua fidanzata, s'era avvicinato al capannello.

"Dar, ciao" lo salutò con un sorriso lievemente teso.

"Ivan, che piacere rivederti. E' un sacco che non ci becchiamo" si fece avanti Céline con l'uomo, battendo scherzosamente il cinque con la mano aperta di un esterrefatto Ivan.

L'infermiere si riscosse, accettando quell'intrusione imprevista nello spazio privato del loro pomeriggio. Sorrise pazientemente,ricambiando anche la stretta di mano di Heydar, che venne a conoscenza del segreto che Lidia gli nascondeva.

"Manterrò il segreto. Promesso" la rassicurò l'iraniano, guadagnandosi un'occhiata piena di gratitudine da parte della ragazza e dell'uomo.

"Voi cosa ci fate qui?" proseguì poi Lidia, intavolando una conversazione su tutt'altro argomento.

"Ci siamo concessi una deviazione dal nostro progetto iniziale... avevamo in mente di andarcene al cinema" rispose Céline, strizzando l'occhio con fare lesto all'amica.

Lidia ridacchiò sommessamente, comprendendo all'istante le vere intenzioni della sua migliore amica - che ovviamente non rispecchiavano il volere del suo fidanzato. Ivan, Emma e Heydar, invece, non intuirono quello scambio di battute e cominciarono a parlare fra loro, a presentarsi, sebbene con un certo imbarazzato riserbo. L'iraniano non li conosceva, né l'infermiere aveva mai sentito parlare molto di lui dalla propria compagna. Perciò, con questa scarsa base di partenza, era difficile essere espansivi, ma fu Emma a rompere il ghiaccio fra i due, tirando fuori una sfrontata curiosità peculiare di Alessia.

"Tu sei l'innamorato di Celia?" gli chiese candidamente, facendo avvampare proprio il giovane in questione per la rapidità con cui quella bambina era saltata subito alle giuste conclusioni.

"Ehm, sì... e tu invece sei...?"

"Marco è il mio migliore amico" ribatté prontamente, sostenendo lo sguardo dorato del diciottenne.

"Ah, quindi tu sei l'amica di Marco."

"L'ho già detto io."

"Eh, sì, scusami..." balbettò imbarazzato, scatenando la risata allegra e limpida di Emma.

Céline, nel frattempo, aveva osservato la scena e, appurando la timidezza del ragazzo, decise di intervenire per salvarlo dall'impasse, rinunciando alla sua chiacchierata con Lidia. Con l'aiuto dell'amica, trascinò due sedie fino al loro tavolo per potersi accomodare insieme a Heydar, poi prese parte al dialogo.

"Emma, alla fine Ivan e Lilli si sono dovuti accorgere che tu sei più sveglia di loro" asserì, facendole scherzosamente l'occhiolino.

La bambina scoppiò in una risata deliziata.

"Hai ragione, Céli! Io mi accorgo sempre di ciò che succede... e il papà non è mai abbastanza sveglio da capirlo" affermò, sollevando il mento all'indietro per osservare il volto del padre, torreggiante sulla sua testolina scura.

"Be', mica può somigliare tutta a Ivan" intervenne Lidia, acciuffandole delicatamente il nasino fra le dita e scuotendolo appena con affetto. "Altrimenti poveretta lei" aggiunse ironicamente, guadagnandosi uno sguardo critico da parte dell'uomo.

"Parla quella col carattere più bello del mondo" la provoco piccato, passandole un braccio lungo la vita e stuzzicandole il fianco con un dito.

Lidia si torse tutta su un lato, cercando di sfuggire al solletico, e cominciò a squittire divertita. Finì per appoggiarsi con il volto contro la spalla dell'infermiere, dandogli un piccolo morso su di essa per convincerlo a smettere di tormentarla.

"Ahi!" esclamò l'uomo, e la contesa fra i due finì lì.

Céline e Heydar non si trattennero ancora per molto, desiderosi di stare un po' da soli per quel pomeriggio e coscienti del fatto che per l'altro gruppetto di persone valesse la stessa cosa. Quindi, dopo un saluto generale, la coppia se ne andò, lasciando nuovamente da soli i tre.

Emma sbadigliò sommessamente, rilasciando la schiena rilassata contro il petto del padre con un grosso sospiro.

"Papà, ma tu e Lidia fate sempre così? Cioé, ogni volta passate il tempo nel bar a parlare? Io mi sto annoiando!" protestò, gonfiando le guance d'aria.

"No, piccola... di solito facciamo anche altre cose. Ma oggi ci andava così, giusto per trascorrere un po' di tempo insieme" replicò dolcemente la castana, carezzandole i capelli scuri con tenerezza.

"Comunque, la prossima volta facciamo davvero qualcosa di più interessante. Oggi si è trattato di un pomeriggio di... diciamo, di rivelazioni, ecco" convenne Ivan. "Adesso però si va a casa, eh? Ti devo accompagnare dalla nonna."

"Di già?" Emma si scurì in volto, contrariata.

"Tesoro, altrimenti facciamo tardi: sono già le sei e un quarto. Lei ti aspetta per la mezza. Fra poco devi essere da lei."

"Su, Emi, non insistere" cercò di convincerla la ragazza, lanciandole un'occhiata eloquente con le iridi celesti.

"Va bene" si arrese la bambina, sbuffando rassegnata e scendendo dalle ginocchia del padre.

Ivan, nonostante l'insistenza di Lidia, pagò per tutti e tre al bancone, quindi, mano nella mano con la ragazza e la bambina, si diresse verso la sua Fiat 500. Entrarono, poi l'uomo alla guida puntò direttamente all'abitazione della madre, avendo già con sé il borsone con tutte le cose necessarie affinché Emma passasse la notte da Miriana e Giovanni.

Quando arrivarono di fronte al condominio, all'incirca una ventina di minuti più tardi, Ivan scorse dal vetro anteriore della macchina la piccola figura materna che si sporgeva appena dal balcone che dava sulla strada, in attesa della nipotina e del figlio. L'uomo accostò al marciapiede e parcheggiò la Fiat 500, ma come fece per rivolgersi a Lidia fu subitaneamente anticipato proprio dalla figlia.

"Lilli, tu sali con noi, vero? Così saluti lo zio Luca e la nonna" la pregò Emma, rivolgendo uno sguardo innocentemente persuasivo alla ragazza.

La castana sospirò, pensando che sarebbe stato un guaio se Gianluca avesse sospettato dell'esistenza di una possibile storia fra lei e suo fratello maggiore. Ma, fondamentalmente, all'apparenza l'amicizia fra loro era innocente e non li si poteva accusare di nulla, perciò non vide niente di male in quella proposta e accettò di buon grado, leggermente ansiosa all'idea di incontrare la madre dell'uomo che amava.

"Sì" rispose concisamente, slacciandosi la cintura con un gesto, mentre avvertiva su di sé lo sguardo sconcertato di Ivan.

"Io non credo che sia una buona idea..." cominciò quest'ultimo, ma fu messo a tacere dalla figlia.

"Papà, mica c'è nulla di male... e poi Lilli e lo zio sono amici, no? Si possono salutare."

"Infatti, Emi. Però promettimi una cosa: tu a Luca non dici nulla di me e del tuo papà, ok? Poi a lui dispiacerebbe sapere dagli altri che io e suo fratello siamo innamorati. Ci parliamo noi con lui, ma per ora mantieni il segreto anche con lo zio, va bene?"

La morettina annuì scuotendo vivacemente la massa di lisci capelli scuri che le adornavano il capo, incorniciandole il viso sveglio e intelligente.

"E' ovvio" e le fece l'occhiolino.

Le due risero con complicità ed intesa, quindi Lidia aiutò la bambina a scendere dalla macchina, mentre il padre di Emma afferrava il borsone e se lo sistemava in spalla.

Dall'alto del suo balcone, i chiari occhi indagatori di Miriana si soffermarono a lungo e con stupita curiosità sulla figura di una giovane donna accanto ai suoi due discendenti, una bellissima ragazza che rideva ravviandosi un ciuffo mosso dell'adorabile caschetto che faceva da cornice al suo volto sincero. La vide avviarsi con suo figlio e sua nipote all'interno del perimetro dell'edificio residenziale. Un sospetto germinò nella sua mente, ma lo mise momentaneamente in un angolo, lasciando spazio alla possibilità di farsi un'opinione concreta di quella giovane.

Di fronte all'ascensore, Ivan premette il tasto per richiamarlo, ma la voce di Lidia colse la sua attenzione.

"Che piano è quello in cui abita tua madre?" gli chiese, mordendosi il labbro con un incisivo.

L'uomo arcuò le sopracciglia, sbigottito.

"Non dirmi che ti vuoi fare a piedi le scale fino al quinto piano."

"Sono claustrofobica. Una volta sono rimasta chiusa tre ore e mezza in un ascensore da sola e mi sembrava di poter svenire ad ogni istante per la paura e l'ansia. Da allora non ne ho più utilizzato uno."

Il moro rise brevemente, ma all'occhiata truce della diciottenne si ricompose.

"Quinto piano, porta a sinistra. Il cognome è Tommasi/Sagrestano" le suggerì, avanzando dentro il locale dell'ascensore appena apertosi davanti alla figura sua e della figlia.

"Grazie." Lidia sgattaiolò su per le scale, salendo i gradini a due per volta, correndo per mantenere il ritmo del dispositivo meccanico.

Giunse di fronte alla porta poco prima che l'ascensore arrivasse al quinto piano. Appoggiandosi alla parete, la giovane riprese fiato, giudicandosi decisamente fuori forma. Ancora rossa in volto, si portò davanti al portone dell'appartamento, suonando il campanello.

Subito l'uscio si spalancò e una sagoma piccola e leggermente curva si manifestò davanti a lei, con un sorriso cordiale e due intense iridi ambrate a caratterizzare un volto altrimenti anonimo e privo della bellezza dei lineamenti di Ivan.

"Buonasera, signora... sono Lidia, un'amica di Emma e di Ivan" si presentò educatamente la giovane, ricambiando l'affabilità con cui la cinquantaseienne si era presentata, conscia dello sguardo indagatore di Miriana che la sondava dalla testa ai piedi.

"Ma che bella ragazza che sei! Io sono Miriana, la nonna di Emma... ma suppongo tu lo abbia già capito da sola. E' un piacere conoscerti." Incerta, sembrò quasi tendere la mano in avanti per stringere quella della diciottenne nella propria, ma intuì l'esitazione di Lidia e si trattenne, comprendendo subito che era abbastanza timida. "La mia nipotina mi ha parlato molto di te... Entra, prego" la accolse, spalancando completamente il portone.

Alle spalle delle due soggiuse Emma, correndo svelta e gioiosa fra le braccia ora spalancate della nonna.

"Nonnina! Che bello vederti!" la salutò con calore, rifugiandosi nell'abbraccio amorevole della donna. "Mi sei mancata tantissimo!"

"Ma se mi hai vista anche tre giorni fa" la smentì Miriana ridendo appena.

"Ciao, mamma" si fece avanti Ivan, chinandosi per posare un bacio sulla guancia della madre, che si sporse un po' per limitare l'incurvarsi dell'uomo.

Nessuno li avrebbe mai creduti madre e figlio. Non solo per la relativa giovane età della donna, che aveva solamente diciotto anni in più di lui, ma anche per le profonde differenze fisiche: mentre Miriana era piccola e goffa, quasi rotondetta, Ivan era alto, agile, forte e muscoloso, avendo in più i capelli neri e lisci, esattamente come il suo padre biologico. Ma da Emiliano non aveva certamente ereditato le profonde iridi auree che spiccavano sulla carnagione scura del suo viso largo, iridi intense e pungenti che gli aveva trasmesso geneticamente Miriana. Anche la bocca era simile a quella materna, larga e sottile, e pure il naso statuario, che caratterizzavano i tratti di entrambi. Ma, se in Ivan quei lineamenti marcati conferivano un certo fascino al suo volto maschile, in Miriana risultavano più vistosi, quasi massicci, annullando la bellezza e il carisma che emanavano nel volto di suo figlio.

"Mamma, questa è Lidia, la figlia di una mia collega..."

"Sara, giusto?" lo interruppe la donna, trovando subito la conferma nel cenno del volto della castana.

"Ed è anche la mia amica!" si aggiunse Emma con tono vivace, suscitando un sorriso intenerito in Lidia.

"Su, entrate tutti e tre, fermatevi un po'" si offrì Miriana, prendendo la manina della nipote e accompagnandola dentro l'appartamento.

"Io veramente dovrei tornare a casa..." obiettò debolmente la diciottenne, sperando che la donna non insistesse. Finché avesse avuto la possibilità di poter evitare Gianluca, l'avrebbe attuata volentieri.

Ma l'oggetto dei suoi pensieri comparve un istante dopo alle spalle della bassa figura di Miriana, con un largo sorriso stampato in volto. Gianluca, sentendo la voce della nipote, era uscito dalla propria stanza per andare ad abbracciarla, felice di poter trascorrere una serata con la spiritosissima figlia di suo fratello, la quale lo adorava tanto quanto lui le voleva bene. Ma, soffermandosi sulla soglia dell'entrata, in procinto di abbracciare Emma, i suoi occhi grigi si posarono su una ragazza sua conoscente che affiancava la sagoma di Ivan. La vista di quegli occhi azzurri come il ghiaccio gli mozzarono il fiato per la meraviglia e lo stupore.

Lidia.

"Lidia..." disse, incapace di articolare qualsiasi altra parola per la sorpresa di vederla proprio lì, davanti a sé.

"Ciao, Gianluca" rispose lei semplicemente, irrigidendosi appena.

Miriana non mancò di registrare quel lieve cambiamento nel comportamento di Lidia e anche del figlio maggiore. Quella era un'ulteriore prova a sostegno della sua congettura su quei due, che le parevano troppo legati e in sintonia tra loro. Infatti, anche poco prima, aveva osservato con attenzione gli sguardi lunghi e significativi che si lanciavano di tanto in tanto. E in più il fatto che la ragazza trascorresse così tanto tempo in compagnia di suo figlio e di sua nipote le era saltato all'occhio con prepotenza. C'era sotto qualcosa di ben più importante di una semplice amicizia.

"Come stai? E' da tanto che non ci vediamo né sentiamo" replicò lo studente universitario a quel saluto, cercando subito di instaurare una conversazione con la ragazza che gli faceva battere forte il cuore.

Lidia sorrise appena, ravviandosi con nervosismo una bronzea ciocca di capelli mossi dietro l'orecchio per tenere il viso scoperto.

"Be', io sto bene. Anche gli altri, ovviamente. Certo, siamo tutti un po' sotto stress a causa della scuola, ma fortunatamente fra poco iniziano le vacanze di Natale" osservò con apparente casualità, cercando di sviare la conversazione su argomenti più blandi e noiosi. Lidia odiava parlare di sé ed essere al centro dell'attenzione generale.

"Su, Emma, seguimi dentro, intanto che la tua amica e lo zio parlano" la incitò la nonna, conducendo la bambina in salotto. "Ivan, porta qui il borsone!" disse poi a voce più alta, dando indicazioni al figlio per smuoverlo dall'imbambolamento a cui si era momentaneamente lasciato andare.

L'infermiere espirò pesantemente, riluttante a lasciare Lidia da sola con suo fratello, ma non aveva motivo per ribattere e dovette eseguire l'ordine di Miriana. Tuttavia, prima di varcare la soglia dell'appartamento, diede una pacca fin troppo forte sulla spalla di Gianluca per attirarne l'attenzione, fingendo una cordialità che in quel momento non si sentiva in grado di provare. Quindi entrò nel corridoio, raggiungendo figlia e madre nel salotto a passo fin troppo frettoloso.

Ivan si chinò sul divano di pelle, su cui s'era accoccolata Emma accanto a Miriana, per dare un veloce bacio sulla guancia ad entrambe. Chiese se Giovanni era in casa e, ottenendo risposta negativa, replicò chiedendo che glielo salutassero, quindi addusse la scusa di dover accompagnare a casa Lidia per poterla salvare dalle grinfie del fratello. Tuttavia la madre lo chiamò, costringendolo a fare appello al buonsenso per evitare di permettere alla gelosia di offuscargli la mente.

"Sì, mamma? Hai bisogno di qualcosa?"

"No, tranquillo. Tutto a posto. Volevo soltanto dirti di non andare troppo in fretta e di essere più tranquillo, per goderti la vita al meglio" gli disse placidamente, rivolgendogli un sorriso di indecifrabile gaiezza.

Ivan la osservò per un lungo istante, sconcertato dalle sue parole e da quell'ultima frase, non proprio certo del significato che poteva avere. Gli parve di distinguere una vena ironica nella voce della madre, ma, come sempre, la donna era così difficile da comprendere, con quelle sue parole enigmatiche, che non avrebbe saputo affermare con sicurezza quale fosse il reale senso di ciò che intendeva.

"Una buona scelta, comunque" osservò ancora Miriana, e stavolta suo figlio comprese appieno il soggetto del suo commento: stava parlando di Lidia.

Non capì, tuttavia, se la frase fosse sarcastica o meno, ma non ebbe tempo di soffermarcisi a lungo perché un pensiero più urgente lo costrinse ad affrettarsi al portone, salutando con rapidità impaziente le due parenti.

Miriana accarezzò i capelli lisci della nipotina, stringendole con affetto materno la testolina delicata contro il seno.

"Ti piace Lidia come persona?" le domandò con un sorriso gentile.

La bambina levò lo sguardo verso il volto della nonna, ricambiando la sua occhiata aurea.

"Sì, mi piace moltissimo. E anche al papà. A te invece?"

Miriana non rispose subito, volgendo lo sguardo rilassato verso la finestra, da dove poteva contemplare il centro storico di Firenze illuminato e decorato a festa da miriadi di lampadine colorate e ornamenti natalizi, con la cupola quattrocentesca costruita dal Brunelleschi a dominare su tutto, una figura scura e rassicurante che si stagliava con il suo profilo massiccio contro il cielo schiarito dalle stelle della Via Latteaì, dominando la città toscana come un gigante buono.

"Sì, piace tanto anche a me" le rispose infine, continuando a guardare fuori.


 

***


 

Intanto, la conversazione fra Gianluca e Lidia aveva preso una piega inaspettata.

"Tu che programmi hai per la vigilia?" le aveva chiesto lo studente universitario ad un certo punto, interrompendo la sua risposta ad una domanda precedente.

"Io, ehm... se riesco a ottenere il permesso dai miei genitori, forse potrò trascorrerla con i miei amici" era stata la replica della castana.

"Ah sì? E che cosa avreste organizzato?"

"Abbiamo prenotato una sala per la sera del 24 dicembre con tanto di menu completo a buffet. Siamo circa una ventina di persone... almeno credo. Ognuno di noi ha versato una quota per la prenotazione e il costo totale. Io però non so se partecipare o meno: dipende da cosa mi dicono i miei. Se prendo un buon voto nell'ultima simulazione d'esame me lo concedono."

Gianluca aveva storto la bocca in una smorfia.

"Perché non dovrebbero permettertelo? Sei molto brava a scuola, studi e sei una ragazza a posto. Non capisco il motivo per cui dovrebbero impedirtelo."

Lidia si era passata la mano fra i capelli del ciuffo laterale, scostandoli dal viso.

"Diciamo che per me sarebbe una specie di premio. Quest'anno saremmo dovuti partire per Siena per festeggiare il Natale dai miei nonni paterni, ma mia madre ha un turno di notte proprio la sera del 24, perciò mio padre preferisce che ci sia qualcuno con lei a poterla accompagnare a Siena la mattina del 25, dato che uscirà stanchissima. In casa mia, oltre ai miei genitori, ci sono solo io ad avere la patente, perciò tocca a me guidare la macchina, perché papà non vuole proprio annullare il pranzo a Siena... però non vuole che io esca con i miei amici. Teme che poi rincasi tardi approfittando del fatto che a casa non c'è nessuno e quindi che io non sia in grado di guidare da sveglia la mattina dopo." Lidia aveva sospirato rassegnata, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

"Wow, che cosa complicata" aveva ironizzato Gianluca, azzardando una risata.

"Vallo a dire ai miei. Hanno le orecchie foderate di prosciutto, quei due."

"Be', io avevo in programma di trascorrere la serata a casa con Ivan e i miei vecchi, ma mamma e papà hanno intenzione di riunire anche qualche altro parente e non ho proprio voglia di sorbirmi le mie zie... credi che mi potrei unire a voi?" aveva aggiunto all'improvviso, lasciando la castana esterrefatta.

Sul volto di Lidia comparve un'espressione corrucciata: non aveva voglia di dover subire le avances di Gianluca anche la sera della vigilia.

"Io non saprei..."

"Se il problema sono i soldi della quota, te li consegno anche adesso: ce li ho dentro al portafogli in camera mia. E poi, penso che per voi non sarà un problema aggiungere una persona in più, giusto? In fondo, trattandosi di una sala prenotata per un numero imprecisato di persone, posso aggiungermi tranquillamente" insistette, neutralizzando una possibile obiezione da parte della ragazza.

La giovane tacque ancora, valutando i pro e i contro di quella prospettiva.

Aveva intenzione di sorbirselo tutta una serata? Assolutamente no.

Voleva trascorrere la vigilia con Ivan? Ovviamente sì.

Considerò il fatto che l'infermiere avrebbe potuto inventarsi un turno di lavoro improvviso per giustificare la sua assenza alla cena natalizia, in modo che entrambi potessero trascorrerla insieme, da soli, a casa di lei. Quell'idea era proprio allettante. In più, aggiungendo il fatto che probabilmente Roberto sarebbe stato presente alla cena insieme ad Alessandra, in quel modo avrebbe potuto evitare sia l'ex che Gianluca in un sol colpo.

Prenderei due piccioni con una fava. Buona idea. Buonissima. Eccellente, Lidia. Non sei tanto sprovveduta, dopotutto, si fece viva la vena sarcastica della sua coscienza.

"Devo sentire Antonio, che si occupa dell'organizzazione della cena, ma posso dirti già da ora che sei dei nostri" gli confermò, rivolgendogli un sorriso falsamente entusiasta.

"Fantastico! Mi faresti un favore enorme!" replicò Gianluca con allegra baldanza.

I suoi occhi grigi scintillarono di un'ingenua gioia che fece sentire profondamente in colpa Lidia. Per quanto sarebbe andata avanti quella storia? Mentire continuamente a lui, così come ai suoi genitori, a Eva, a molti dei suoi amici le pesava tantissimo sul cuore. Avrebbe voluto poter liberare il macigno di colpevolezza che pesava sulla sua coscienza non proprio immacolata, ma le circostanze erano sfavorevoli. Se teneva veramente alla sua storia con Ivan, avrebbe dovuto mantenere il segreto per chissà quanto.

E manteniamo questo segreto, allora, disse a se stessa per farsi coraggio, replicando alla frase di Gianluca con un sorriso appena accennato.

Per fortuna, a salvarla da quella situazione critica sopraggiunse Ivan alle spalle del fratello minore, evidentemente ansioso di tornare dalla ragazza. L'uomo s'inserì subito nella conversazione.

"Lidia, mi ha telefonato Sara. Mi ha chiesto di riaccompagnarti adesso che a casa tua fra un po' cenate. Andiamo, dài" intervenne, voltandosi subito verso il ventiduenne. "Tu, mi raccomando, flirta sempre con tutte le ragazze del mondo" gli disse con tono fintamente scherzoso, abbracciandolo velocemente.

Quindi si volatilizzò insieme alla ragazza, scendendo velocemente giù per le scale con il polso di Lidia strettamente serrato nella sua mano, togliendole la possibilità di salutare con calma il ragazzo, Miriana o Emma.

"Ma che modi, Ivan!" lo riprese ad un certo punto con tono fortemente critico, una volta che furono nella Fiat.

"Su, allaccia la cintura" la esortò lui, mettendo in moto l'auto e premendo sull'acceleratore con tale forza da evitare di stretta misura l'impatto con un'altra macchina parcheggiata un po' più avanti.

"Mi sai dire che cosa c'è che non va? Gianluca non ha fatto nulla di male!" protestò la castana, incrociando le braccia davanti al petto. "E comunque cerca di controllarti almeno un pochino di fronte a lui, perché traspare tantissimo la tua gelosia" lo rimbeccò.

Ivan la fulminò con lo sguardo.

"Cosa diavolo ti ha detto mio fratello stavolta?" Le puntò uno sguardo eloquente addosso, ma lei voltò il capo per osservare fuori dal finestrino, ignorandolo ostentatamente.

"Lidia, sei pregata di rispondere."

"Meglio se sto zitta invece... avrei altro da dirti, altroché!"

"Lidia, non farti pregare."

La ragazza tacque ancora, ostinatamente.

Esasperato, l'uomo inchiodò, manovrando il volante per parcheggiare di fretta e furia l'automobile. Quindi spense il motore, allungando la mano verso il volto di lei per costringerla a guardarlo negli occhi.

"Allora?" ringhiò. "Ci ha provato ancora con te?"

"No" rispose con veemenza la ragazza, divincolandosi inutilmente. "Anzi, mi ha offerto il modo di evitarlo per un po'. Ovviamente senza farlo apposta."

Disorientato, Ivan non capì cosa la ragazza intendesse dire. Rimase ammutolito per qualche secondo, in preda al flusso dei suoi pensieri.

"E come faresti, praticamente?" le chiese.

"Questo te lo spiego dopo.Ora, però, voglio..."

"... che io ti chieda scusa per la mia reazione. Lo so, sono un idiota quando mi comporto così, ma il solo pensiero di mio fratello in tua compagnia mi fa impazzire. So benissimo com'è e quanto sia difficile per lui rinunciare ad allungare le mani sulle forme femminili. E' un dongiovanni nato. Temo sempre che possa riproposti delle avances."

"E credi che io sia così stupida da stare lì a farmi convincere?" lo attaccò la castana, riuscendo finalmente a liberarsi dalla presa della sua mano sul suo mento.

"No. Ho paura di ciò che può provare a fare lui. Solamente a pensare che ti sfiori con quelle sue manacce da casanova mi fa impazzire di gelosia. Scusami. Mi dispiace."

"Non è la prima volta che affrontiamo questo discorso, Ivan. Cerca di controllarti un pochino. Altrimenti sarai tu stesso, e non Emma, o Céline, o Enrico, a tradire il segreto della nostra relazione."

A dispetto del tono aspro con cui l'aveva rimproverato, Lidia slacciò frettolosamente la cintura di sicurezza e la fece scivolare via, slanciandosi sull'uomo per baciarlo. Soffocò una risata contro le sue labbra, mordicchiandole giocosamente mentre lui le passava un braccio sulla schiena per stringerla di più al proprio corpo.

"Sai, stasera torna nessuno a casa mia fino alle nove e mezza... mamma rientra dall'ospedale a quell'ora, Eva rimane a cena da Matteo e mio padre è fuori città per alcuni giorni." La giovane posò un altro bacio sulla bocca di Ivan, che si era fatta più esigente e ora la stava baciando su tutto il volto, sul collo, sulla scollatura che la giacca aperta lasciava intravedere. "Che ne dici se stiamo a cena insieme, stasera? A casa tua o mia, decidi tu..."

"Ma lo sai che anche quando parli sei incredibilmente sexy?" mormorò lui contro la sua pelle diafana.

Sfiorando appena con il volto e il naso il rigonfiamento generoso del seno lasciato per metà scoperto, inspirò a fondo il suo odore, inebriandosi dell'essenza di lavanda della sua cute e posandovi baci. Lidia lanciò u gridolino eccitato, gettando all'indietro la testa mentre avvertiva il fiato caldo dell'uomo sul suo petto fiorente. Posando baci lungo la spalla, l'uomo le slacciò il giaccone e abbassò lentamente la manica destra, esplorando il seno della ragazza con le dita e le labbra.

Quasi stancandosi di questo gioco, l'infermiere ad un certo punto smise improvvisamente di stuzzicarla e si ritirò, strappandole un profondo gemito di insoddisfazione. Sorridendo compiaciuto, lesse nelle iridi azzurre della ragazza un offucamento passionale e la voglia di continuare quell'eccitante delizia.

"Ora andiamo a casa mia. Là staremo meglio" le disse con complicità, staccandosi con riluttanza dalla sua figura vibrante.

Lidia si ricompose un pochino, tossicchiando per darsi un contegno e ravviandosi i capelli scarmigliati mentre avvertiva il rossore soffuso delle guance scomparire appena.

"Sì, è meglio... Intanto io ti spiego cosa ho in mente di fare per evitare Roberto e Gianluca in un sol colpo e poter trascorrere con te il cenone della vigilia" convenne, facendogli poi l'occhiolino con maliziosa intesa.


 

***



N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto grazie mille per la pazienza che portate a me e alle interruzioni continue. Il periodo è pieno di complicazioni e allo studio si sono aggiunti due concorsi di scrittura a cui voglio partecipare e un incarico di reporter nel neonato giornalino scolastico del mio liceo. Di fatto, si aggiungono impegni che mi sottraggono ulteriore tempo alla stesura di nuovi capitoli, perciò ho pensato di chiedere a voi, sperando che non la prendiate male, se accettereste un ulteriore allungamento dei giorni fra la pubblicazione di un capitolo e di un altro. In poche parole, invece di aggiornare ogni venerdì, lo farò ogni due venerdì, quindi i capitoli pubblicati saranno due e non quattro al mese. L'alternativa a questa soluzione sono capitoletti corti, noiosi e scontati che farebbero decadere la storia in malo modo al rango di una fic tremendamente banale e chilometrica, perciò credo sia meglio la prima opzione. Poi, per chi volesse esprimere il suo giudizio, mi piacerebbe saperlo tramite messaggio.
Comunque, passiamo alla storia. Sono riuscita a pubblicare per un pelo questo capitolo e ne vado fiera, non perché sia così interessante o particolare, ma perchè rappresenta una svolta nella storia e in più l'ho scritto in soli due giorni, riuscendo a ritagliarmi due pomeriggi e una serata per buttare giù tutte le idee. Quindi mi ritengo abbastanza soddisfatta del risultato, ma come sempre l'ultima parola va a voi lettori e spero che il giudizio sia positivo. Ah già, non ho riletto il capitolo per mancanza di tempo, quindi se ci fossero degli errori siate clementi ^^
Mi dispiace di non aver potuto rispondere alle vostre recensioni, ma le ho lette tutte e le ho trovate meravigliose e incoraggianti. Risponderò non appena possibile. Ma intento vorrei ringraziare Lachiaretta, LissaChristian, controcorrente, Emotrilly_Watanka, Tanny e deborahavita per aver commentato il capitolo scorso. Grazie mille a tutte quante!
Grazie anche a chi legge e segue la storia in silenzio. Spero che sia sempre all'altezza delle vostre aspettative.
Dunque dunque, ho scritto fin troppo nelle note. Meglio finirla qui, altrimenti mi manderete a quel paese. E poi domattina mi devo alzare prima per ripassare filosofia, quindi finisco qua. Sul serio.
Buonanotte a tutti, alla prossima! :*


Flame

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


32.

 


 

"Mamma, dove hai messo il mio maglione color pervinca?" chiamò Eva con tono stizzito, sbuffando animosamente mentre rovistava ancora tra i vestiti del suo armadio malamente disposti sul letto.

Sara si affacciò alla porta, affaticata dal peso di due borse da viaggio che portava tra le braccia.

"Tesoro, mica parti per l'Antartide! Vai solamente dai nonni per una settimana. Puoi fare tranquillamente a meno della tua maglia: ne porti via fin troppe!" la riprese con dolce esasperazione, posando la mole sopra il tappeto centrale della stanza. "Lidia!" gridò quindi la donna, sospirando. "Vieni qui e comincia a preparare la tua valigia, altrimenti domani non avrai tempo!"

"Tranquilla, il tempo ne avrò fin troppo per prepararla... E poi si tratta solo di poche cose. Ora non posso occuparmene, ho da fare" la liquidò frettolosamente la figlia maggiore, dando un'ultima ritoccata al trucco.

Si specchiò un'ultima volta, approvando l'omogeneità del fondotinta sulla sua pelle chiara di adolescente, quindi si ravviò gli splendidi boccoli bronzei con la mano, afferrando la borsetta e scendendo al piano inferiore le scale.

Lidia si era preparata per andare a cena con i suoi amici, felice di poter vedere anche Ivan. Infatti, Céline ed Enrico, i suoi due migliori amici, erano stati ben contenti di sapere che alla cena avrebbe partecipato anche l'uomo. A loro quattro si sarebbe unito anche Heydar. La decisione era stata presa perché il trio di amici doveva rifinire il proprio piano per la sera della vigilia insieme agli altri due complici.

"Enrico ti aspetta fuori, Lilli" le comunicò il padre, che se ne stava spaparanzato sul divano a vedere alla televisione la replica su un canale sportivo di una partita della Fiorentina contro la Juventus nella stagione calcistica corrente.

"Mi saprà perdonare se lo faccio attendere cinque minuti" decise la ragazza, afferrando con la mano il giaccone e scavalcando con un salto un basso divanetto di pelle su cui successivamente atterrò a sedere.

Domenico sollevò un sopracciglio, dubbioso, ma non obiettò nulla. Si ricordava fin troppo bene della passione della figlia per la squadra di casa, tifo che condivideva con il padre. Perciò non le disse niente, permettendole di riguardare per l'ennesima volta lo straordinario successo della formazione viola contro la squadra bianconera. Proprio in quel momento passarono le immagini di Pepito Rossi che, su assist di Juan Cuadrado, segnava la terza rete della sua tripletta ai danni di una Juventus ormai fatta a pezzi da quella pesante sconfitta, e in seguito l'esultanza del bomber della Fiorentina e dei suoi compagni dominò l'intero schermo della tv per qualche secondo, accompagnata dai cori trionfanti della Curva Fiesole e dell'intero Stadio Franchi nel sottofondo.

Lidia fece finta di asciugarsi una lacrima commossa all'angolo dell'occhio, suscitando l'ilarità del padre che la osservava.

"E' sempre un'emozione rivedere il trionfo della Viola su 'sti juventini del cavolo" affermò con baldanza, balzando in piedi e infilandosi la giacca. "Papà, perché non mi hai chiamata Viola invece che Lidia? Non avresti potuto scegliere nome migliore per me" ironizzò, rivolta all'uomo sedutole accanto, che scoppiò a ridere insieme a lei.

"Va', su. Altrimenti Enrico penserà che ti sei dimenticata di lui" la incitò Domenico, salutandola con un cenno della mano. "Sei in un ritardo pazzesco."

"Sì, ora sparisco."

"Non fare tardi!"

"No, tranquillo. Ci vediamo il 25 dai nonni a Siena. Ciao!"

E Lidia sgattaiolò fuori di casa con il cellulare tra le mani, spedendo velocemente un messaggio a Ivan per scusarsi con lui del ritardo che avrebbero sicuramente fatto lei e il suo migliore amico. Quindi si precipitò nel caldo abitacolo della macchina di Tiziana, che la donna aveva prestato al suo figlio minore, e abbracciò Enrico con un sorriso impaziente.

"Scusami scusami scusami! Ma dovevo rivedermi la tripletta di Rossi ai danni della Juve" si giustificò subito, guadagnandosi un'occhiata stranita da parte del ragazzo.

"Ma sei già ubriaca alle sette della sera? Ivan ci rimarrà male nel trovarti in questo stato" la prese in giro scherzosamente, contraccambiando l'abbraccio fraterno della castana con un sorriso pieno di ammirazione e meraviglia. "Caspita, stasera sei fantastica! Lo stenderai con la tua bellezza" osservò semplicemente, squadrandola brevemente.

Lidia aveva indossato un vestito celeste di velluto morbido che lasciava scoperte fino a metà coscia le gambe, velate da sottili calze trasparenti. Le décolleté nere slanciavano ulteriormente la sua figura snella, mentre la scura cinturina essenziale che le stringeva il girovita sottolineava la curva morbida dei fianchi e del seno. Il suo sorriso era radioso e i lineamenti addolciti da un trucco acqua e sapone che esaltava le sue iridi azzurre e scintillanti. Enrico si ritrovò un po' ad invidiare Ivan per la fortuna che aveva, cioé di amare, ricambiato, una ragazza meravigliosa come la sua più cara amica. Non che il diciottenne ne fosse innamorato, ma subiva comunque il suo fascino inconsapevole.

Lidia arrossì, schermandosi un sorriso compiaciuto e leggermente imbarazzato.

"Maddài, non fare il cretino..." disse in tono fintamente minaccioso.

"Ma sono serio" protestò il biondo, distogliendo lo sguardo dall'amica per tornare a concentrarsi sulla guida dell'auto.

"Hai più visto Valentina?" gli chiese la ragazza, cambiando radicalmente l'argomento della conversazione.

Il volto di Enrico si scurì.

"L'ho incontrata ieri, in centro... mano nella mano con quello stronzo di Vittorio. Lei sicuramente mi ha visto, ma non l'ho nemmeno salutata. Chissà che il suo fidanzato non impazzisca di gelosia al pensiero che possa interagire con un altro ragazzo" osservò con amara rassegnazione.

"Mi dispiace."

"E allora perché me lo hai chiesto? Io avrei preferito non aprire questo discorso."

"Ma dovrai affrontare i tuoi sentimenti, prima o poi. Non la dimenticherai facendo finta che non esista. Anzi, così è peggio. Devi trovare il modo di fronteggiare la situazione. E magari anche parlare con lei di ciò che provi." Lidia avvertì una stretta al cuore al pensiero di ciò che stava per dire e di come l'avrebbe ferito, ma non poteva raccontargli menzogne e chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Doveva essere sincera con Enrico, anche se ciò l'avrebbe fatto star male. "Si sta autodistruggendo, Enri. Dimagrisce sempre più, soffre nel silenzio, forse si taglia. E tu soffri con lei perché non sai come fare a tirarla fuori da questo abisso, sicuro che finiresti per fare solo peggio. Ma non scenderà nessuna mano dal cielo ad aiutarti se continui a temporeggiare. O affronti la situazione, o la lasci andare per sempre."

"Pensi che sia facile?" l'attaccò il biondo con rabbia, serrando la mascella come unico segno esteriore del suo turbamento.

Lidia sospirò pesantemente.

"No. Ma ti mantieni sospeso in uno stato di indecisione continua che ti sta solo facendo più male di quanto tu non voglia. E così è solo peggio, perciò è ora che tu faccia la scelta. Non posso neanche lontanamente comprendere cosa si prova, ma mi fa male vederti ridotto così e vorrei fare qualcosa per te, per aiutarti a risollevarti. Io dico questo per te."

"Non tenterò di parlare con lei: non mi ascolterebbe, così come fa con tutti. La dimenticherò e tutto si aggiusterà. Ma non voglio più che la nomini davanti a me. Né tu, né Céline. Ti prego, Lilì."

La voce di Enrico si incrinò quando pronunciò il nome dell'amica. La castana, senza proferire parola, allungò la mano per stringere appena fra le proprie dita la spalla del diciottenne, per comunicargli tutto il proprio sostegno.

Eppure un modo per tirare fuori entrambi da questa situazione ci deve essere. C'è sempre un modo. Lidia si arrovellò il cervello in ogni modo, sperando che la lampadina le si accendesse al di sopra della testa come per magia, portatrice di una soluzione disperatamente agognata. Ma la questione era più complicata che mai e uscirne non era scontato. Probabilmente tutto sarebbe finito molto male.

"D'accordo" acconsentì infine la ragazza, ritirando la mano.


 

***


 

"Quindi Emma trascorre le vacanze con Alessia" concluse Céline, discorrendo placidamente con Ivan.

I due, insieme a Heydar, erano già seduti al tavolo che avevano prenotato per quella serata in un intimo ristorantino che s'affacciava sul Lungarno degli Acciaiuoli, regalando la splendida vista di Ponte Vecchio adorno di decorazioni natalizie che sormontava un Arno plumbeo e sonnolento, sulla cui superficie si riflettevano tremule le luci intense di Firenze. Il profilo della Cattedrale si stagliava alto e maestoso nel cielo rischiarato da uno spicchio di luna gialla, che di tanto in tanto faceva capolino dalle pesanti nubi invernali.

"Purtroppo sì. Le sarebbe piaciuto tanto trascorrerlo con i suoi nonni e Gianluca, a casa di mia madre. Ma il giudice ha stabilito così e io devo rispettare la sua decisione. Perlomeno, il prossimo Natale lo passerà con me, e spero tanto che si tratti di un'alternanza a breve termine. Questa faccenda dell'affidamento congiunto è stressante" osservò l'uomo con ira, ondeggiando il calice che stringeva tra le mani e contemplando distrattamente lo scintillìo dell'acqua che rifletteva le luci soffuse del locale.

"Non deve essere facile per te" convenne Heydar.

"No, non lo è. Sarebbe tutto più semplice se io e Lidia ci potessimo vedere senza sotterfugi e se Alessia non si prodigasse tanto per strapparmi la custodia di mia figlia. La fine di questo matrimonio, da un lato, è stata per me una boccata d'aria, ma la paura di perdere mia figlia mi fa vivere questo periodo come se corressi sempre sul filo del rasoio."

"Hai provato a parlare con il tuo legale divorzista? Magari potrebbe rassicurarti sul fatto che non dovresti temere di perdere Emma perché la tua ragazza ha solo diciotto anni" suggerì l'iraniano con un vago sorriso d'incoraggiamento.

Ma Ivan scosse la testa con rassegnazione, infrangendo quella rosea prospettiva di futuro.

"Mi sono già informato. In ambito legale un rapporto del genere non prevede conseguenze o ripercussioni sull'affidamento: è sufficiente che la mia compagna sia maggiorenne, per non cadere nel reato di pedofilia e rischiare la decadenza della mia patria potestà su Emma - e, di conseguenza, la possibilità di poterla vedere anche solo per qualche giorno ogni anno. Ma preferisco non rischiare, perché un magistrato è sempre una persona con sentimenti e opinioni proprie. Come mi vedrebbe la gente se ufficializzassi il mio rapporto con Lidia? La reazione più spontanea sarebbe di sfiducia e sospetto. Mi crederebbero un adulto che sta con una ragazza di neanche vent'anni solamente perché è alla ricerca del mito sfumato di una giovinezza che non ha più, oppure come un irresponsabile che si diverte a rubare il cuore a una diciottenne e che la usa per sesso o altro, senza amarla realmente. Non verrei preso sul serio, risulterei inaffidabile e diffidabile, specialmente quando in gioco c'è l'integrità e la serenità di una bambina di otto anni. Cavoli, magari potessi. Sarei molto più felice e tranquillo."

"Lidia mi aveva parlato del fatto che potrebbero anche sospettare una tua tendenza alla pedofilia" aggiunse indelicatamente Céline, schiacciando ulteriormente il morale dell'uomo. Notando il suo rabbuiamento, si pentì immediatamente delle parole pronunciate, ma non poteva tornare indietro. "Scusa. Non volevo infierire..."

"No, non è nulla. Ma purtroppo hai ragione. Siamo realisti: osservazioni maligne di questo genere non sono da escludere. Per precauzione, mi verrebbe tolta la custodia congiunta di mia figlia e Alessia la porterebbe in Germania con sé, quindi non rivedrei più Emma." Al solo pensiero Ivan sentì il panico attorcigliargli lo stomaco. Deglutì rumorosamente. "E' mille volte meglio fingere di essere un bravo padre single e dedito a lavoro e famiglia. La mia ex-moglie è un'irresponsabile egocentrica che trascura molto la mia bambina e se continua così potrebbe esserle tolta la custodia a favore mio, nel migliore dei casi. Però questa situazione alla lunga mi sta logorando, e so per certo che anche Lidia soffre molto. Vorrei solo poterle garantire un po' di serenità, ma non è semplice."

Céline fece per aprir bocca, ma notò l'amica appena menzionata, scortata da Enrico, avvicinarsi al loro tavolo con una certa impazienza dal fondo della grande sala da pranzo. Quindi la bruna tacque, accostandosi più vicino a Heydar per stringere il suo corpo con un braccio.

"Guarda chi arriva" replicò enigmaticamente, aprendosi in un sorriso rilassato.

Come Ivan si voltò su se stesso, Lidia accelerò il passo per precipitarsi su di lui, senza neanche dargli il tempo di guardarla negli occhi. Lo baciò sulle labbra con slancio, avviluppandosi a lui, e si staccò solo quando Enrico, che li aveva raggiunti, tossicchiò imbarazzato.

Il biondo, superato il momento critico avuto in auto poco prima, aveva tirato fuori un sorriso di circostanza abbastanza convincente, e fu così che salutò l'altra sua migliore amica e il compagno di classe, sedendosi poi accanto a quest'ultimo.

Ivan, intanto, aveva guardato con gioia ammirata la figura di Lidia accomodarglisi accanto, squadrandola da capo a piedi in un misto di contemplazione e bramosia. Si soffermò a lungo sulle gambe nude, rialzando gli occhi a fatica.

"Sei... sei meravigliosa" balbettò incerto, facendo spuntare un sorriso malizioso sul volto della ragazza.

"Se me l'avessi detto, ne avrei messo uno anche più corto" lo provocò indicando il vestito con impudente sfrontatezza, scatenando la sua reazione scandalizzata.

"No, no, va benissimo così, eh!"

I quattro ragazzi seduti alla sua stessa tavola scoppiarono a ridere simultaneamente, guadagnandosi un'occhiata torva da parte del diretto interessato. Infine anche il moro si lasciò andare all'allegria generale, trascinato dalle risate spensierate di quel gruppo di giovani. Mai si sarebbe immaginato di condividere una cena insieme a dei diciottenni e di essere innamorato, ricambiato, di una di loro. L'avrebbe trovata una situazione assurda in altri frangenti, eppure in quel preciso istante si sentiva bene con se stesso e felice di essere lì.

"Su, ordiniamo" propose infine Cèline, mettendo fine alla questione.


 

***


 

Intorno alle nove la cena fu terminata. I cinque convitati attesero l'arrivo chi del dessert, chi della frutta, e intanto conversarono fra loro.

"Qui si mangia veramente bene" commentò con un sospiro soddisfatto l'amica di Lidia, accarezzandosi appena la pancia. "Sono satolla come un uovo" aggiunse, scatenando l'ilarità dei commensali.

La ragazza si guardò intorno spaesata, non capendo il motivo di quelle risate. Ci pensò Enrico a spiegarle la ragione.

"Si dice piena e non satolla come un uovo, Céli" puntualizzò il biondo con un sorriso divertito.

"Non lo sapevo" replicò la ragazza. "Ho sempre sentito dire satolla oppure piena come un uovo, ma combino sempre queste due espressioni fra di loro. E' un riflesso involontario, ma mi scordo sempre che in italiano si dice così."

"Questo perché in un francese colloquiale dire di essere piena, cioé pleine, significa aspettare un bambino" spiegò Lidia a beneficio di Ivan, che era l'unico tra loro a non conoscere la lingua francese e quindi non aveva afferrato il concetto.

"Ah. Non lo sapevo" confessò lui, che era rimasto perplesso di fronte alle risa degli altri tre ragazzi.

"E' facile cadere in errori simili se non si conosce una lingua per bene" aggiunse la castana, tornando poi a concentrarsi sugli altri. "A proposito: parliamo della questione che ci ha portati qui. Così almeno concludiamo la serata e ognuno se ne torna a casa propria."

"Ma noi vogliamo andare un po' in giro, più tardi... non vi unite a noi?" domandò sospreso Heydar, preso in contropiede.

La testa di Lidia oscillò dolcemente, confermando la loro assenza.

"Domattina Ivan ha un turno di lavoro e non può fare tardi. Io mi alzo presto per aiutare mamma a riordinare la casa, dato che poi staremo via per una settimana dai miei nonni a Siena. Ed Enrico non è in vena di starsene fuori fino a tardi con una coppia di fidanzati: si sentirebbe il terzo incomodo. Perciò credo che dovrete rimanere voi da soli" spiegò Lidia all'amico.

"Mi dispiace dover rimanere da sola con il mio fidanzato, Lilli. Mi dispiace enormemente. Morirò per il dolore che mi hai dato" ironizzò Céline con un largo sorriso, e tutti scoppiarono a ridere.

"Vabbé, comunque ora parliamo di cose serie" ripropose Lidia, arricciando le labbra per non cedere alle risa. "Dunque, abbiamo deciso che io non prenderò parte al cenone della vigilia di Natale per evitare sia Roberto che Gianluca, dato che sicuramente entrambi vi prenderanno parte. Tu, Heydar, perché non ti sei aggiunto?"

Il ragazzo si accomodò meglio sulla sedia.

"Be', semplicemente per il fatto che sono musulmano: non è una festa religiosa, per me, e mi sembra quasi offensivo nei confronti della mia religione prendere parte alle festività cristiane. Però vorrei anche trascorrere una serata con Céline e ho perso quest'occasione. Comunque, a parte questi dettagli, io che c'entro con il tuo piano?"

Heydar sollevò un sopracciglio con aria sospetta, invitando l'amica a farsi avanti. Lidia non si lasciò perdere quell'occasione, andando dritta al sodo.

"Prendi il mio posto" propose di punto in bianco, suscitando la sorpresa dei commensali. "Io telefono ad Antonio e dico che non sto bene, aggiungendo poi casualmente - ma neanche tanto - che anche tu mi avevi chiesto di aggregarti e che io mi sono scordata di comunicarglielo. Quindi, tu ti presenti alla festa con Céline e il gioco è fatto. Ho già pagato la quota di partecipazione: puoi prendere tranquillamente il mio posto. E io trascorro la vigilia con Ivan, a casa mia" concluse con aria soddisfatta Lidia, sorridendo ai presenti.

I quattro interlocutori sembrarono approvare, ma ad un certo punto Enrico e Heydar avanzarono delle incertezze. Fu il biondo a parlare per primo.

"Lilì, io invece che ruolo avrei nel tuo progetto?"

Lidia accavallò le gambe con tranquillità.

"Dovresti essere tu, in teoria, a passare a prendermi con l'auto davanti a casa. Semplicemente, ad un certo punto mi riporti indietro. Me lo fai questo favore?" lo pregò, congiungendo le mani a mo' di preghiera.

Ivan ridacchiò nel notare come Enrico stesse annuendo imbambolato di fronte allo sguardo della ragazza. Gli passò in mente il sospetto che potesse esserne innamorato, oppure che in passato avesse nutrito per lei dei sentimenti, ma decise di non avallare quell'ipotesi. Forse si stava sbagliando.

"Certo. Però poi voglio i dettagli piccanti della serata" aggiunse scherzosamente, guadagnandosi un'occhiata truce da parte dell'infermiere, il quale era indeciso se credere che si trattasse di una presa in giro o di una richiesta vera e propria.

"Scordatelo" lo ammonì recisamente la castana.

"Ma come farai a evitare tua madre, domani sera?"

"Mamma ha un turno di notte all'ospedale: parte alle otto e mezza la sera e ritorna il mattino seguente alle sei e mezza. Dalle otto e mezza in poi la casa è libera. Possiamo fare così, Enri: mi passi a prendere intorno al quarto, così lei mi vede partire, e poi parcheggi in una strada secondaria e attendiamo che mia madre sia partita per ritornare indietro. Mi lasci a casa e poi vai alla festa. Il cenone comincia alle nove" espose Lidia con logica chiarezza.

"Ci hai rimuginato sopra un bel po', eh?" commentò Ivan con un sorrisetto ironico.

"E tu, Ivan, arrivi da me alle nove, così siamo sicuri che mamma per quell'ora sarà già partita" aggiunse la ragazza.

"Lidia, quanto ti è costata la quota per partecipare al cenone della vigilia?" chiese Heydar.

"Venticinque euro" rispose Céline al posto dell'amica.

"Te li vorrei restituire. Mica posso farla pagare a te."

L'iraniano fece per prendere il portafogli dalla tasca dei pantaloni, ma Lidia gli fece cenno di fermarsi.

"Tranquillo, Dar. Me li ridai un'altra volta. Almeno, non adesso" replicò, imbarazzata dall'idea di farsi dare dei soldi in pubblico.

"Ok. Allora, per stasera ti offro io la cena" propose il diciottenne, ma Ivan fece segno di diniego con il capo.

"Per stasera ci penso io" gli fece presente.

"Be', allora te li restituisco la prossima volta che ci incontriamo."

"Va benissimo" concluse la castana, e i dubbi sul suo piano d'azione finirono lì.

Poco dopo, i cinque uscirono dal ristorante. Enrico lamentò un mal di testa sempre più forte, benché Lidia avesse compreso il suo imbarazzo ad essere l'unico spaiato nel gruppo, e si avvicinò alla propria macchina per tornare a casa e terminare lì la serata. La sua migliore amica si avvicinò e l'abbracciò con enorme gratitudine e affetto.

"Mi dispiace approfittare sempre della tua disponibilità... praticamente, mi copri tu ogni volta che voglio vedermi con Ivan" sussurrò mentre lo cingeva, posandogli poi un bacio sulla guancia.

Lei lo guardò con un filo di rimorso e senso di colpa riflesso negli occhi azzurri e intensi, ma lui le sorrise incoraggiante.

"Gli amici servono anche a questo" le disse, ripetendo la frase con cui lei stessa soleva replicare ogni qualvolta l'amico la ringraziasse per dei favori. "Non mi sono dimenticato di come mi hai sostenuto nel periodo prima della riconciliazione dei miei genitori, quando loro litigavano sempre più spesso. Ci sei sempre stata per me, e anche ora cerchi di essermi di aiuto nella situazione che sai, nonostante tu non possa fare molto. Tu hai fatto tanto per me, e sono felice di poterti finalmente restituire il favore" e le sorrise ancora, con fraterna amicizia, osservando le sue labbra curvarsi in un dolce sorriso.

Lo scambio di sguardi e gesti muti successivo fu più significativo di mille parole. La loro era un'amicizia bellissima: si comprendevano a vicenda, anche con una sola occhiata, e una forte empatia li legava. Il loro era un rapporto d'amicizia come quello che la castana aveva con Céline, sebbene conoscesse Enrico da neanche cinque anni. La loro era stata una simpatia a pelle, una sorta di affinità elettiva che si era consolidata tantissimo in tre anni passati insieme. La lontananza aveva acuito la forza della loro amicizia e il loro rapporto era sempre più stretto e confidenziale.

"Be', buonanotte, Enri" lo salutò la ragazza, sciogliendo l'abbraccio che ancora li legava e tornando accanto a Ivan.

"Ci vediamo domani alle otto e un quarto davanti casa tua" ripeté il biondo, salutando con un gesto tutti quanti ed entrando nell'auto della madre. Quindi partì, lasciando da sole le due coppie.

"Bene. Ora noi ce ne andiamo al cinema. Siete sicuri di non volervi aggiungere?" propose Heydar a Lidia ed Ivan.

La castana captò l'occhiata eloquente che le gettò Céline. Intuendo subito il suo significato, scosse la testa con diniego, assecondando l'amica.

"Mi dispiace, ma preferiamo tornare a casa. Grazie comunque per l'offerta" rispose, mettendo a tacere l'insistenza del compagno di classe. "Buona serata a tutti e due. E - già che ci sono - auguri di Buone Feste in anticipo" aggiunse, salutandoli con un cenno della mano.

Quindi si allontanò in direzione della Fiat 500 del fidanzato, abbracciata ad Ivan.

"Ti riaccompagno adesso?" le domandò l'uomo, una volta che furono nell'abitacolo della macchina. Nella sua voce c'era una sfumatura di delusione. "Credo sia ancora troppo presto. Preferisco riportarti a casa più tardi, quando i tuoi genitori sono a dormire, così non notano l'auto" soggiunse.

"Hai ragione. E' meglio se mi riaccompagni più tardi. E poi vorrei trascorrere qualche oretta con te" replicò Lidia con un sorriso malizioso, alzando impercettibilmente la gonna con un gesto fintamente casuale.

Ivan non mancò di registrare quel movimento e puntò lo sguardo sulle sue gambe snelle e candide, incapace di distoglierlo da lì. Conosceva ogni millimetro di pelle al di sotto di quell'abito mini e concupiva quel corpo caldo e morbido con tutto il suo animo passionale. Posò una mano sopra l'arto della ragazza, accarezzandolo con lenta bramosia, e puntò finalmente lo sguardo infiammato nelle sue iridi celesti.

"Sai, devo confessarti una cosa" mormorò il moro vicino al suo orecchio, possando un bacio sulla mascella della ragazza.

"Sì?"

La voce di Lidia era divenuta ormai un tenue sospiro.

"Da quando ti ho vista, non ho fatto altro che desiderare, per tutta la serata, di toglierti questo vestito e accarezzarti tutta quanta" le confidò a voce bassa e roca, alzando la corta gonna dell'indumento per saggiare la pelle liscia del ventre.

Lidia rabbrividì e si ritrasse un poco, posando una mano sul petto dell'infermiere.

"Ivan, hai le mani gelide. Non mi toccare ora" lo rimproverò, insistendo affinché si allontanasse da lei. "Portami a casa tua. Sei da solo, giusto? Possiamo passare lì la serata."

Ivan sogghignò appena, annuendo con convinzione a quella proposta.

"Hai sempre un sacco di idee geniali" aggiunse con una punta di ironica complicità, strappandole un rapido bacio a fior di labbra. "Metto subito in moto."


 

***


 

Ivan spalancò il portone d'ingresso con difficoltà, continuando a baciare e stringere a sé il corpo impaziente di Lidia. Richiuse l'uscio frettolosamente, spogliando senza troppe cerimonie se stesso e la ragazza dei pesanti cappotti invernali e lasciandoli scivolare a terra, mentre, avvinghiato strettamente alla giovane, si spostava lungo il corridoio della casa, diretto verso la propria camera. Entrarono rapidi, gettandosi subito sul letto a due piazze.

L'uomo denudò la ragazza dei suoi abiti, togliendole con esasperante lentezza ogni singolo indumento, baciando ogni centimetro di pelle. Senza neanche accendere la luce, si chinò su di lei e si fece sfilare il pullover rosso bordeaux che indossava e i pantaloni, rimanendo poi completamente nudo. Lidia lo cercò nel buio con mani incerte, sfiorando appena le spalle forti e il petto villoso con le dita, mentre Ivan, con tocco esperto, cominciò ad accarezzarla nei suoi punti più sensibili, strappandole sospiri di piacere.

Divaricò di un poco le sue gambe e si posizionò meglio tra esse, con la mente completamente offuscata dal desiderio del suo corpo, e continuò a stimolarla ancora un poco con le dita, mentre lei avvolgeva istintivamente le gambe intorno al suo bacino.

Lidia aprì gli occhi e, nella penombra della stanza, riuscì a scorgere le profonde iridi ambrate di Ivan che la osservavano intensamente, illuminate appena dalle luci della città che penetravano attraverso gli scuri. Ricambiò il suo sguardo pieno d'amore, sollevando il capo per baciarlo sulla bocca.

"Ivan, ti prego, facciamo l'amore" mormorò mentre si rilasciava contro i vaporosi cuscini del talamo, attendendo il momento cruciale.

"Farò piano" promise lui, premendo con il pene contro il suo basso ventre.

Stava per entrare in lei, ma un pensiero agghiacciante lo bloccò.

"Lidia, non ho preservativi con me. Tu, invece, di sicuro non prendi la pillola. Non possiamo farlo senza contraccettivi. Rischi di rimanere incinta."

Quelle parole furono come una doccia gelata per la ragazza, che trasalì al pensiero dell'imprudenza che stavano per commettere. Lei ne voleva di figli, ma non certamente a diciotto anni. La visione di se stessa, raggiante di felicità materna, accoccolata su di un letto con tra le braccia un bambino piccolo e indifeso attraversò la sua mente e lei si pietrificò. Era una percezione dolcissima, che in altri frangenti avrebbe potuto intenerirla, ma in quel momento servì solo a pietrificarla per il terrore. No, era meglio di no. Assolutamente no.

Lidia si destò dall'istante di sospensione in cui era caduta, premendo sul petto di Ivan entrambe le mani per incitarlo ad allontanarsi, mentre la presa delle gambe sui suoi fianchi si scioglieva. La piacevole pressione virile sul suo bacino sparì, poi l'uomo allungò una mano verso la parete per cercare l'interruttore della luce. Come la stanza si illuminò, la ragazza arrossì istantaneamente vedendo l'uomo che amava completamente nudo, imporporendo ancora di più al pensiero di essere anche lei totalmente svestita. Si raccolse le ginocchia intorno alle braccia e incrociò le gambe, in modo da schermare le proprie nudità. Le sue iridi azzurre si fissarono con incertezza in quelle auree dell'uomo, nelle quali si rifletteva la preoccupazione mista ad una grande delusione.

"Domani" borbottò l'uomo all'improvviso, sbuffando irrequieto.

Lidia non capì cosa intendesse.

"Domani... cosa?" e sollevò un sopracciglio con aria disorientata.

Ivan respirò a fondo, incrociando le gambe. La sua erezione stava lentamente scemando. La castana intuì al volo il motivo di tanta inquietudine e si mordicchiò il labbro inferiore con il canino, sentendosi profondamente insoddisfatta come lui.

"Domani. Ci vedremo domani sera. Io mi procuro i profilattici, così potremo mettere fine a questa continua serie di rinvii. Ti voglio tantissimo, Lilli. Ti desidero."

"E io farò in modo che nulla interferisca con la nostra serata. E' tanto che aspettiamo questo momento" promise la ragazza, sorridendo timidamente e trovando il coraggio di lasciarsi vedere nuda da lui, insicura della sua reazione.

Lui percorse il suo corpo con lo sguardo, trovandola bellissima e seducente. Posò una mano sulla sua gamba diafana, ripercorrendo con le dita la pelle morbida e liscia fino a che non le sfiorò la chiara mammella delicata, posando sul suo collo un bacio poco casto.

"Allora è deciso: domani sera. Ti prometto che sarà una bella esperienza. Sentirai forse un po' di dolore, ma dopo passerà. Ho intenzione di portarti fino al limite" sussurrò contro la cute del suo collo arrossata di baci, provocandole un brivido.

Lei gli cinse il torace con le braccia, posando la testa nell'incavo del suo collo e beandosi del tocco eccitante delle sue mani ampie e forti lungo la propria schiena. Con la mente proiettata verso la sera successiva, provò ad sognare come sarebbe potuto accadere e quella fantasia le strappò un sospiro estatico e felice.

Ci sarà mai una volta buona per voi due?, ironizzò la sua vocina interiore, e Lidia scoppiò a ridere, contando già da quel momento le ore che la separavano dalla serata successiva. Abbracciò più strettamente Ivan, che ora le aveva posato un bacio tra i capelli, e mormorò un "Ti amo" contro la pelle del suo petto, abbandonandosi fiduciosa tra le sue braccia protettive.


 

***



N.d.A.
Salve a tutti! :D
Innanzitutto scusatemi per il ritardo, ma ormai si ripeterà sempre: ho deciso di spostare definitivamente l'aggiornamento della storia ogni due venerdì e non ogni settimana, altrimenti non ce la faccio a portare avanti la fiction.
Questo capitolo è il preludio di un colpo di scena inatteso e abbastana importante che avrà luogo nei prossimi due aggiornamenti - che sto progettando -, e spero che vi sia piaciuto.
IMi dileguo subito, dato che ho sonno xD Però vorrei ringraziare tutti coloro che leggono e seguono la storia e soprattutto coloro che recensiscono! Perciò, cito controcorrente, che commenta sempre ogni capitolo con il suo tipico acume, e Hazel_Watanka.
Bon, ora sparisco davvero. Buona notte a tutti, e grazie ancora a chi leggerà.
Adieu
.

Flame

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


33.



 

Lidia rientrò in punta di piedi dentro la casa immersa nel silenzio più assoluto, tenendo tra le mani le décolleté nere dal tacco vertiginoso e tentando di fare meno rumore possibile. Trasalì appena al pensiero dell'ora in cui stava rincasando. Se sua madre l'avesse beccata, sarebbero stati cavoli amari per lei.

Richiuse l'uscio con lentezza alle sue spalle, chiudendo poi con un secco gesto della chiave nella toppa e posando il mazzo sul tavolino dell'ingresso. Si spaventò vedendo il proprio riflesso nel grande specchio dell'atrio, non riuscendo a riconoscersi, quindi tirò un sospiro di sollievo al pensiero di avercela fatta senza che Sara la scoprisse.

Lidia ripensò, ancora un po' sconvolta, alla splendida serata trascorsa con Ivan a casa dell'uomo. Dopo l'iniziale momento di imbarazzo seguito alla loro mancata prima volta, l'infermiere aveva socchiuso gli occhi, nelle iridi ambrate un luccichìo malizioso, e un sorriso tremendo era spuntato sulla sua bocca. E poi era cominciato un gioco erotico estremamente eccitante per la ragazza, un gioco che si era protratto per ore senza che giungesse al culmine con l'atto sessuale. Lui l'aveva stuzzicata e accarezzata nei suoi punti più sensibili, facendole provare piacere, e Lidia aveva risposto con tutto l'ardore che aveva in corpo, ebbra di quell'emozione stupenda e devastante che deflagrava dentro di lei ogni volta che raggiungeva l'acme. Anche Ivan era rimasto appagato da quell'esperienza, completamente soggiogato dal sensuale tocco delle dita della ragazza sulla sua pelle, sui suoi capelli, sui suoi punti deboli, sulla sua figura, e dall'inconsapevole bellezza irradiata dal viso estatico e felice della sua incantevole compagna.

Quella serata piena di emozioni felici era però finita, e ora la ragazza doveva salire gli scalini e sgattaiolare dentro la propria camera senza farsi cogliere, ancora sveglia e appena rientrata, dalla madre. Ma Lidia, che credeva di averla scampata, non aveva fatto ancora i conti con l'oste, e mettendo piede sul primo scalino quasi cadde all'indietro per lo stupore quando le luci del corridoio si accesero e la sagoma assonnata di Sara, con indosso il pigiama di paille e la vestaglia, comparve in cima alla scala, negli occhi stanchi un lampo di collera e delusione.

"Scusami, mamma, ho fatto tardi... non mi sono accorta dell'ora" si giustificò subito la figlia, temendo che la donna potesse cominciare uno dei suoi temibili ed interminabili interrogatori sul con chi, dove, perché e come fosse stata quella sera.

Ma Sara, forse a causa della tarda ora, del sonno o del desiderio di potersi rifugiare nuovamente nel caldo abbraccio della coperta termica, non era in vena di mettere sotto torchio la ragazza con una valanga di domande, e la sua replica fu secca ed irrevocabile.

"Fila a letto, Lidia. Subito. Sono le tre e mezza. Domani mattina ti sveglio alle otto, anche a costo di buttarti giù dal letto, perciò sbrigati e va' a dormire." La donna fulminò la figlia con un'ultima, acrimoniosa occhiata, quindi le voltò le spalle e si diresse verso la propria camera, sostando poi per un momento sulla soglia. "Ah, non pensare di fare così anche domani sera, altrimenti ti impedisco di uscire per un mese intero. La mattina di Natale sarai tu a guidare l'auto fino a Siena, e io non sarò in condizione di controllare che tu abbia dormito abbastanza per evitare colpi di sonno. Perciò ricordati il mio monito. E ora, buonanotte."

Sara chiuse con un tonfo la porta dietro di sé, lasciando finalmente sola Lidia, la quale, con uno sbuffo a metà tra il sospiro di sollievo e lo sbadiglio per la stanchezza, poté finalmente rilassarsi, salendo le scale e precipitandosi in camera. Qui si spogliò e infilò il pigiama, tuffandosi nelle coperte senza nemmeno struccarsi o lavarsi i denti, e poi sorrise al ricordo della serata appena trascorsa. Il cellulare sopra il comodino accanto al suo letto vibrò, e lei lesse il messaggio della buonanotte che Ivan le aveva spedito su Whatsapp. Replicò e poi spense il telefono, cadendo preda delle braccia rasserenanti di Morfeo in pochi minuti.


 

***


 

Il mattino dopo, come promesso, Sara andò a destare presto Lidia dal sonno di piombo in cui era caduta, strappandole di dosso le coperte con un gesto stizzito. La ragazza, che dormiva supina con il pigiama sollevato che le lasciava scoperto il dorso, avvertì subito sulla pelle il gelo dell'aria e sobbalzò, litigando con la madre per stringersi addosso un plaid ancora intriso del suo tepore, perdendo malamente quella battaglia e scivolando pure sul pavimento della stanza. L'impatto col suolo la svegliò completamente, e Lidia si costrinse a sollevarsi da terra per correre subito a vestirsi, ricordando con uno sbadiglio l'ammonizione di Sara della notte precedente.

"E io che credevo di dover litigare con te anche stamattina per costringerti ad alzarti" commentò con ironia la quarantenne, sbuffando una risata e posando le coperte appallottolate l'una con l'altra sul letto della primogenita per sciogliere l'intricata matassa.

"Non sono così pigra" ribatté offesa la diciottenne, rabbrividendo di freddo e abbandonando la camera per scendere al piano inferiore dell'abitazione a prepararsi la colazione.

Si gustò con lenta rilassatezza le cucchiaiate di cereali semplici Kellogg's inzuppati nel latte caldo col Nesquik, gongolando soddisfatta nel gustare quella sottile traccia di sapore di cioccolato.

Quindi lasciò tazza e cucchiaio nel lavello della cucina, tornando al piano superiore per aprire le finestre e far circolare l'aria gelida del mattino nelle stanze della zona notte per permetterne l'aerazione. Rifece velocemente il proprio letto e chiuse la finestra della stanza, prodigandosi per riordinare il salotto e l'atrio mentre la madre provvedeva a rassettare il resto della casa. Intorno alle dieci avevano già finito, e Sara comunicò alla figlia la sua intenzione di uscire.

"Devo andare a comprare una cosa con una certa urgenza, perciò ora esco. Tu, intanto, non tornare a cacciarti sotto le coperte del letto e fa' la tua valigia: quando torno, pretendo che sia già bell'e pronta, qui davanti al portone d'ingresso. E non portare via cose inutili come ha fatto tua sorella Eva" comandò la donna con tono intimidatorio, lanciandole un'ultima occhiata prima di dirigersi nella propria stanza per cambiarsi d'abito e prepararsi ad uscire.

"Heil Hitler" la prese in giro Lidia in lingua tedesca, mimando il saluto nazista, ma si affrettò a fingere di obbedire alla madre. "O santi numi, ho disonorato i miei ideali di sinistra" commentò poi parlando con se stessa, scuotendo la testa in segno di ironica disapprovazione.

Sara se ne andò via venti minuti dopo, trafelata e ansiosa, entrando nella prima delle pochissime farmacie che trovò aperta. Acquistò con tangibile tensione due test di gravidanza, e una volta che fu ritornata a casa, all'incirca mezz'ora dopo, senza dire nulla a Lidia, si chiuse dentro il bagno e svolse correttamente entrambi, attendendo nervosamente che ognuno di essi annunciasse il proprio verdetto. Dieci, tesissimi minuti più tardi, osservando lo stick della Clear Blue, Sara lanciò un gemito di sorpresa e commozione, conscia del fatto che i suoi sospetti erano confermati: malesseri mattutini, frequente affaticamento, emotività, la scomparsa del ciclo che inizialmente aveva scambiato per una forma di menopausa precoce. Ed ora, in entrambi gli stick, aveva riscontrato le due linee colorate. Era incinta. Facendo i calcoli, tra il secondo e il terzo mese.

Sara si sedette con pesantezza sulla tavoletta abbassata del water, sospirando mentre accettava quella rivoluzionaria certezza. Accarezzò con gioiosa compostezza il ventre non ancora visibile, sognando ad occhi aperti il prossimo futuro e assaporando un primo assaggio delle venture ansie da neomamma over quaranta, con tutti i rischi legati ad una gravidanza così delicata da portare avanti nella cautela più assoluta. Il bisogno impellente di confidare a qualcuno le proprie paure si affacciò prepotentemente al suo animo turbato, ma Sara, controllando l'emotività, si sforzò di non gridare il nome della figlia Lidia per non attirarla dentro la stanza e comunicarle la sconvolgente notizia, determinata a non parlarne ad anima viva fino a che non avesse incontrato nuovamente Domenico, in modo da comunicare la lieta novella alla famiglia al completo.

"Mein heiliger Gott°, sto per diventare madre di nuovo" si disse con le mani di fronte alla bocca, mentre due lacrime di giubilante emozione le brillavano agli angoli degli occhi azzurri e vividissimi, scoppiando in un silenzioso pianto di gioia.


 

***


 

Lidia osservò la madre di sottecchi per un bel po', continuando a chiedersi il motivo di tanta spensierata allegrezza. In confronto all'umore mattutino, il suo comportamento aveva subito un radicale cambiamento, e il momentaneo stato di docile grazia nei confronti della figlia, con la quale spesso era più acida e litigiosa che dolce e affabile, era inesplicabile. La vedeva assorta nei suoi pensieri, canticchiando sommessamente una ninna nanna che soleva cantarle da bambina, ma nonostante le numerose elucubrazioni mentali non riusciva proprio a cogliere la causa di quel mutevole umore.

Comunque, il cambiamento non durò a lungo, dato che Sara si avvide subito che la figlia era tornata a dormicchiare sotto le coperte e non aveva nemmeno tirato fuori la borsa da viaggio da preparare per la trasferta a Siena. Quindi, tra uno strepito e l'altro, la routine quotidiana delle ferie natalizie era ricominciata e Lidia aveva dimenticato i bizzarri momenti trascorsi dalla madre in sintonia con il mondo intero, primogenita compresa.

La valigia fu subito pronta grazie all'intervento di Sara, che tirò fuori un mucchio di abiti dal guardaroba della figlia e li sistemò all'interno della borsa, aggiungendovi poi altri suoi effetti intimi e personali e chiudendo infine il tutto. Riordinando i pochi panni che non era riuscita a far entrare nel bagaglio a mano, l'infermiera notò che tra i pullover della ragazza c'era pure quello di cachemire di Ivan, prestatole dall'uomo durante l'estate precedente. Chiamò a gran voce la figlia, irritata dal fatto che non lo avesse restituito dopo tutti quei mesi.

"Lidia! Ma ti pare il modo di comportarsi? Dovevi restituirglielo subito, non aspettare che io te lo ricordassi! Quanto sei maleducata!" strepitò con una sfumatura isterica nella voce, indicando l'oggetto dell'accusa.

Lidia replicò con tranquillità facendo spallucce e prendendo il capo invernale tra le mani, risistemandolo poi tra i propri. Non avendo una scusa per giustificare la presenza di quella maglia, decise di confessare la verità, omettendo ovviamente alcuni dettagli.

"Me l'ha detto lui di tenerlo. Dice che di maglie così ne ha tantissime e che a me questa sta bene... ha insistito per farmela accettare. E da allora non l'ho più restituita" rispose con semplicità, ricambiando con calma apparente lo sguardo sospettoso che la madre le aveva lanciato.

Sara osservò ancora per qualche istante la diciottenne, indecisa se credere o meno alla sua versione della questione, e scelse di crederle, comprendendo che si trattava della verità. Un campanello d'allarme si attivò nella sua mente, facendole presente che un comportamento come quello da parte di Ivan e Lidia poteva risultare assai equivoco. Ignorò tuttavia la fastidiosa vocina che le suggeriva la possibilità di qualcosa di losco dietro quella storia, seccata dal fatto che le continue insistenze di Domenico sulla faccenda l'avessero finalmente contagiata.

"Potevi dirmelo. Almeno avrei insistito io con lui. Non mi tiene mai testa, forse per rispetto o per amicizia, e sicuramente gliel'avrei fatta riprendere."

Sara si allontanò, uscendo dalla camera della figlia per andare a sistemare gli ultimi effetti personali nella propria borsa da viaggio. Lidia sospirò di sollievo, rilasciandosi contro il pouf. Sua madre non aveva sospettato nulla, o almeno non lo aveva dato a vedere.

La ragazza si perse nel pensiero di quella serata, eccitata dalla prospettiva assai gradevole di trascorrere la vigilia con Ivan. La certezza che quella notte avrebbero fatto l'amore insieme per la prima volta le accelerò il battito del cuore, che cominciò a pulsare all'impazzata. Pensò con timore alla possibilità che la madre potesse scoprirli insieme, ma si impose di scacciare tale paura, certa che nulla avrebbe mai potuto sconvolgere la quiete di quella vigilia. Andò quindi ad aprire le ante dell'armadio, cercando un abito da sera elegante ma anche seducente, e poi scelse con cura l'intimo da indossare, seguendo i consigli cercati su internet per prepararsi bene alla serata.

Trascorse il pranzo e il primo pomeriggio con insofferenza, attendendo impazientemente il calare del buio per avere la scusa di andare a prepararsi. Si fece la doccia e si depilò, arricciando i corti capelli per prepararli ad un'acconciatura sbarazzina e giovanile che le donava tantissimo, mettendo quindi in risalto i vividi occhi azzurri con un trucco smoky eye. Infine si vestì lentamente, infilando la biancheria, poi le sottili, lunghe calze velate, ed infine un paio di shorts di velluto nero a vita alta abbinati ad una maglietta rossa smanicata con delicati chiffon sullo scollo a V. Aggiunse un elegante giacchetto scuro e un paio di stivaletti dal tacco alto, osservandosi con maliziosa soddisfazione nel grande specchio dell'atrio della casa. Afferrò una pochette rossa molto semplice su cui erano stati applicati degli strass e ammirò il proprio riflesso, sentendosi veramente bella, seducente e sicura di sé.

"Mamma, che ne pensi?" domandò a Sara, la quale, affacciandosi dal salotto con le braccia indaffarate, le lanciò una lunga occhiata in cui si riflessero parecchie emozioni che Lidia non riuscì a decifrare.

Sara, come accorgendosi per la prima volta in vita sua che ormai la figlia maggiore si era fatta donna, se ne uscì infine con un commosso sorriso d'approvazione, ammirando la figura flessuosa e incantevole della ragazza.

"Stai benissimo" le rispose con semplicità, ma nei suoi occhi azzurri, specchio di quelli della giovane che le stava davanti, passò una tacita meraviglia che Lidia comprese essere un complimento autentico.

La ragazza le sorrise di rimando, accettando quel silenzio. D'altronde, tra loro i rapporti erano sempre stati tesi e pieni di litigi e non c'era una confidenza fra le due, perciò quell'imbarazzata ma sincera approvazione da parte della madre era il massimo a cui lei avrebbe potuto aspirare.

"Ok" replicò con voce flebile la ragazza, chinando poi lo sguardo sullo schermo del cellulare per controllare l'ora.

Di lì a poco Enrico sarebbe passato a prenderla. E il piano sarebbe effettivamente cominciato. Le dispiaceva dover rinunciare a trascorrere la prima vigilia natalizia con i propri amici, ma avrebbe rimpianto ancor di più non passarla con Ivan, perciò la scelta sofferta che aveva dovuto fare era stata in qualche modo resa meno ardua da quella prospettiva.

Il suo migliore amico parcheggiò puntualmente alle otto e un quarto davanti alla casa di Lidia. Notando dalla finestra l'avvicinarsi dell'Audi A5 bianca di Gregorio, il fratello di Enrico, la ragazza si precipitò a prendere cappotto, borsetta, cellulare e chiavi di casa. Quindi andò a salutare la madre, promettendole che non avrebbe fatto tardi e che la mattina dopo sarebbe stata sveglia per poter guidare fino a Siena senza essere fonte di pericolo per sé o per gli altri. Quindi sfuggì alle solite raccomandazioni materne, rifugiandosi nell'abitacolo dell'Audi. Salutò Enrico con un bacio sulla guancia, sorridendo eccitata al pensiero della serata tanto agognata che stava per cominciare.

"Come va?" gli domandò con voce vibrante di gioia, mentre lui faceva manovra per ripartire.

"Bene." Ma Enrico sospirò. "In realtà, vorrei potermi sottrarre al cenone. Valentina è riuscita a far invitare anche Vittorio." Il suo tono era controllato, ma le sopracciglia aggrottate e la mascella tesa sottolineavano la sua agitazione. "Quasi quasi fingo pure io di stare male. Dico che abbiamo contratto entrambi una malattia collettiva e che siamo in isolamento, così almeno mi levo dalle scatole."

"Forse dovresti andare."

"Per fare cosa, per vedere lei soffrire a causa di lui che la tiranneggia? Mica ne ho voglia, sai."

"Lui mica viene al cenone."

"E allora perché è riuscito ad aggiungersi? Non ha senso."

Lidia tirò fuori il Samsung Ace dalla pochette, sbloccando la schermata e cercando tra i messaggi di Whatsapp. Infine ne lesse uno ad alta voce.

"Valentina ha inviato un messaggio sul gruppo di Whats. Ma tu, di sicuro, hai visualizzato tutta la chat senza nemmeno leggerla per non perdere tempo, e così ti sei perso questo." Cominciò a leggere dopo una pausa ad effetto. "Vic" - diminutivo di Victor, il soprannome con cui si faceva chiamare Vittorio da tutti - "alla fine non viene più, ha detto che non vuole buttare venticinque euro per unirsi a dei diciottenni. Esce con i suoi amici. Con tanto di emoticon triste. Ma penso che, in fondo, lei sia contenta di non dover passare la vigilia con quello stronzo."

"Conoscendo Valentina, avrà sicuramente ridimensionato termini ben più offensivi. Ci tiene a far apparire normale la sua situazione" osservò Enrico con amarezza.

Tuttavia, nei suoi vivaci occhi color onice brillò un bagliore di speranza che a Lidia non sfuggì. La ragazza gli indirizzò un sorrisetto d'intesa.

"Ma tu, sicuramente, approfitterai di quest'assenza per provare a parlare un po' con lei, giusto? Tenta di stabilire un contatto, una sorta di confidenza o di amicizia, non so... Comincia con piccoli passi. Prima o poi, forse, riuscirai a sfondare il muro della sua riservatezza" gli consigliò con voce gentile.

Il biondo imboccò una strada secondaria e frenò di colpo, parcheggiando poi in una vicina area di sosta. Da lì controllavano l'arteria stradale principale senza farsi vedere, in modo da poter notare quando Sara sarebbe passata di lì con la sua Lancia Musa nera, per riportare Lidia a casa senza che sua madre la cogliesse lì.

Enrico scrutò la sua migliore amica con uno sguardo incerto, come a pregarla di dargli un consiglio.

"Non so cosa fare, Lilì. Secondo te devo parlarle? Provo un confronto diretto e le dico di lasciare Vittorio prima di toccare il fondo oppure tento un approccio graduale?"

Lidia ci pensò un istante prima di rispondere, riflettendo sulle parole da usare.

"Enri, credo sia meglio un approccio più diplomatico. Non aggredirla subito, altrimenti lei si richiuderà a riccio su se stessa e tu brucerai la tua unica opportunità di farla ragionare. Segui il mio consiglio: comincia ad avvicinarti piano piano a lei con conversazioni innocue. Convincila che si può fidare di te, che tu non tenti un approccio romantico con lei, e si aprirà un po'. Sarà dura, ma devi conquistare la sua stima e stabilire un'amicizia, o comunque qualcosa che sia un legame abbastanza forte. Ovviamente Vittorio non deve sapere nulla, ma credo che lei non gli dirà niente. Non sentitevi per chat, perché so che lui le controlla periodicamente il telefono, stando a quanto ho sentito dire in giro. E credo che la voce non sia falsa."

"Quindi devo limitarmi a conversazioni a tu per tu a scuola" precisò Enrico.

"Esatto. Falle comprendere che provi un interesse per lei, ma non di tipo romantico: deve essere una partecipazione innocente, che escluda qualsiasi coinvolgimento amoroso. Lei dopo un po' si aprirà e tu avrai campo libero per provare a giungere al suo cuore, a convincerla che la relazione con Vittorio le è deleteria e che la porterà sull'orlo del baratro. Ma sii tranquillo e dolce, non pressante o aggressivo: dolce, sicuro, rilassante. Lei potrà ritirarsi in sé, ma tu sii insistente senza opprimerla e forse alla fine ti lascerà entrare nella sua sfera emotiva più intima. Se riuscirai ad essere costante con le pressioni ma senza farle sentire il peso della tua preoccupazione lei potrebbe fidarsi abbastanza da darti ascolto. Forse così riuscirai a strapparla alle grinfie di quell'idiota."

"Ho notato molti forse nel tuo discorso" osservò con piglio scettico il suo amico, ricambiando il suo sguardo azzurro.

Lidia chinò gli occhi verso le proprie mani che stringevano la pochette scarlatta, tormentando il labbro inferiore con un canino.

"E' vero, Enri, ed è anche probabilissimo che tu non riesca a convincerla a rompere con lui. Ma io penso che sia il modo più utile per spingerla a lasciare Vittorio, perciò credo che dovresti agire così. Con l'impulsività, l'aggressività e la rabbia lei si richiuderà in se stessa e non ti darà ascolto. Solo se conquisti la sua fiducia avrai qualche chance. Di questo sono sicurissima. Posso pure provare io a parlare con lei, se vuoi, o possiamo chiedere a Céline di farlo, ma tu ci vorrai fuori da questa situazione, conoscendoti, e non vorrai ingerenze. Perciò tocca a te parlarle."

Enrico sospirò pesantemente, rilasciandosi contro lo schienale del morbido sedile in finta pelle voluto appositamente da Gregorio, convinto animalista, per la sua elegantissima automobile. Con la coda dell'occhio notò una Lancia Musa nera passare lentamente nel traffico stradale fiorentino, riconoscendo in controluce il profilo del volto di Sara. Rimise in moto la macchina e, quando la Lancia sparì dietro l'angolo, si avvicinò all'incrocio per immettersi nuovamente nella trafficata strada principale.

"Sono le otto e mezza" suggerì all'amica, facendole capire che intendeva chiudere lì la loro conversazione.

Lidia accettò in rassegnato silenzio la sua decisione, annuendo appena con il capo. Cinque minuti dopo era nuovamente davanti a casa; la ragazza scese e così fece pure il biondo, accompagnandola fino al cancello.

La castana si voltò per salutare Enrico, augurandogli una buona serata.

"Spiega agli altri che ho qualche linea di febbre con un forte mal di testa e che mi dispiace tantissimo di non poter partecipare al cenone con loro. E di' ad Anto che mi sono scordata di comunicargli la partecipazione di Heydar. Soprattutto, cerca di divertirti e trascorri una bella serata. Non rovinartela con brutti pensieri" disse all'amico con gentilezza, accarezzando con fraterna amicizia il volto glabro di lui.

"D'accordo, Lilì. Lo farò" le promise con un sorriso. "E tu divertiti con Ivan. Trascorrete una bella serata e non fate gli sporcaccioni" scherzò, guadagnandosi uno schiaffetto minaccioso sul petto esile.

Lidia alla fine scoppiò a ridere con Enrico, abbracciandolo con affettuoso slancio.

"Buon Natale, Enrico."

"Buon Natale anche a te, Lilli."

Lei gli lanciò un'occhiata perplessa.

"Io non festeggio il Natale. Io festeggio le vacanze invernali, festeggio la vita. Festeggio l'amore" precisò con ironia, sorridendogli un'ultima volta. "Cerca di divertirti."

Lidia si girò verso il cancello del giardino, frugando nella borsetta in cerca delle chiavi, quando Enrico le posò la mano sulla spalla, costringendola a voltarsi nuovamente. Nei suoi scuri occhi mediterranei brillò un lampo di determinazione che non le sfuggì.

"A proposito di prima... hai ragione. Ci ho riflettuto e credo che tu mi abbia suggerito l'unico modo possibile per cercare di farle lasciare quel gran bastardo. Ci proverò. Non la lascerò andare senza prima aver combattuto" le confessò, lasciandole poi la spalla dopo un ultimo saluto.

Quindi il biondo salì di nuovo sull'Audi e si allontanò, lasciandola da sola. Lidia, rinfrancata dalla tenacia dell'amico, si augurò ardentemente che il suo suggerimento si fosse rivelato efficace, altrimenti per il suo migliore amico sarebbero stati dolori. Non sopportava più di vederlo soffrire in silenzio, ma forse affrontare la situazione l'avrebbe spezzato definitivamente, oppure si sarebbe rivelata la soluzione ideale.

La ragazza rientrò in casa, posando borsa, chiavi e cappotto su una sedia e salendo subito al piano superiore. Accese il riscaldamento, che la madre aveva spento dieci minuti prima, e sgattaiolò in camera per infilare una maglione casalingo al di sopra del completo da sera. Scorgendo il pullover di cachemire di Ivan sopra il letto, dimenticato lì dalla mattina, ebbe un'idea: si spogliò, rimanendo in intimo e calze trasparenti, e infilò il maglione sopra di esso, sussultando appena al pizzicore della fine lana lavorata sulla pelle nuda. Il pullover era enorme e le arrivava fin quasi a metà coscia, perciò poteva utilizzarlo come mini abito. Calzò infine un paio di stivaletti neri con le borchie e un po' di tacco, osservando la propria figura riflessa nello specchio sull'anta del guardaroba.

Considerò che ci avrebbe messo meno tempo a svestirsi per il momento cruciale della serata e, soddisfatta del proprio aspetto, si ravviò due ciocche dietro le orecchie, scendendo poi al piano terra per apparecchiare la tavola per due. Stese la tovaglia, tirò fuori dalla credenza due piatti del servizio di porcellana regalato dal nonno Friedrich alla madre in occasione del suo matrimonio con Domenico, ventun anni prima, e cercò i calici in vetro di Murano, ma non li ritrovò. Sbuffando seccata, decise di rinunciare ad imbandire la tavola con quelle stoviglie, di cui Sara era estremamente gelosa, optando infine per piatti e bicchieri abituali che utilizzava quotidianamente. Aggiunse una caraffa d'acqua, un cestello con alcune fette di pane, le posate e i tovaglioli, sedendosi quindi per attendere il fidanzato. Erano ormai le nove meno cinque, come appurò osservando l'orologio appeso in cucina, perciò Ivan sarebbe giunto di lì a poco.

In leggerissimo anticipo, il campanello squillò neanche due minuti dopo e Lidia si precipitò all'ingresso per far entrare l'uomo. Spalancando il portone, riuscì a trattenersi appena in tempo per evitare di far cadere un piccolo, meraviglioso vaso di azalee dalle minuscole corolle rosso vivo. Il volto di Ivan, al di sopra di esse, sorrideva entusiasta. Con l'altra mano sorreggeva una busta di plastica, presumibilmente contenente qualche suo effetto personale.

Lidia trattenne per poco un grido di sorpresa.

"Ivan, ma come sei riuscito a trovare queste azalee? Sono una varietà rarissima!" esclamò felice, slanciandosi su di lui per abbracciarlo.

Con la testa posata sul suo petto, avvertì la sua voce profonda e maschile nascere ed espandersi dal torace, uscendo poi in una risata sollevata.

"E io pensavo che tu ne avessi già un esemplare... ho fatto centro col regalo di Natale" rispose, replicando con un sorriso a quello che si dipinse sul volto di Lidia quando la ragazza alzò lo sguardo verso di lui.

Si dettero un bacio sulla porta di casa, poi Lidia, che avvertiva il vento accarezzarle la pelle con la sua gelida carezza d'inverno, prese l'involto nelle proprie mani e lo invitò ad entrare dentro, chiudendo poi a chiave. Ivan lasciò il cappotto alla ragazza, che lo sistemò nel guardaroba dell'atrio, e intanto si diresse nel salotto per posare il vaso di fiori pregiati, avvolto in carta da regalo lucida, sul ripiano del tavolo. La castana gli si fece incontro e aderì al suo corpo con un abbraccio, approfondendo il bacio che poco prima, sull'uscio di casa, non erano riusciti a continuare.

"Su, adesso basta... così mi farai impazzire prima della fine di questa serata" disse l'infermiere qualche minuto dopo, staccandosi dalla figura della fidanzata con un certo rimpianto.

"Passiamo direttamente all'opera" suggerì Lidia con una risata maliziosa, mentre il suo volto si apriva in un sorriso sensuale. "Fino a domani mattina alle sei abbiamo campo libero."

"Come pensi di fare per domattina, a proposito?" la interruppe lui, nel tentativo di raffreddare la sua passione.

Ivan desiderava Lidia, ma non voleva prenderla subito. Voleva iniziare la serata con un ritmo lento e delicato, per rendere indimenticabile la loro prima volta. In più aveva fame, dato che era uscito da un turno di lavoro con un'ora di permesso anticipato per potersi preparare alla serata e non era riuscito a mangiare nulla da mezzogiorno in poi.

"Ok, ok, rinnovo l'assalto più tardi" s'arrese la diciottenne, sventolando bandiera bianca. "Comunque, ho impostato la sveglia per domani alle cinque, così abbiamo tutto il tempo di fare colazione insieme e salutarci per bene prima che tu te ne vada e mia madre torni" gli spiegò in seguito, terminando la frase con una punta di amarezza. "Grazie per le azalee... cercavo da tantissimo quella varietà! Come hai fatto a trovarla? E ti deve essere costata tantissimo, è così rara!"

"Effettivamente l'ho cercata a lungo... l'ho fatta ordinare e importare da Torino, dato che nessun negozio della città disponeva di qualche esemplare. Mi è arrivata per tempo, proprio ieri."

"Che dolce che sei stato." Lidia era colpita dalla sua ricerca: nessun ragazzo, o uomo, aveva mai fatto così tanto per procurarsi un regalo per lei, nemmeno suo padre o Roberto. Sorrise allegra. "Be', allora sarà un miracolo se il mio regalo sarà all'altezza del tuo!"

La ragazza salì per qualche istante al piano superiore, andando a prendere il dono di Natale per l'uomo, e si ripresentò poco dopo, tenendo un ampio pacco fra le mani con leggero imbarazzo.

"Spero che ti piaccia" disse semplicemente, attendendo che lui l'aprisse.

Ivan scartò il regalo con poche mosse e si ritrovò a contemplare con sguardo lieto e quasi assorto una maglia ufficiale dell'ACF Fiorentina di vecchia fattura, inquadrata in una cornice essenziale, con stampato il numero e il nome di Gabriel Batistuta, uno dei attaccanti più forti che avevano fatto la storia della squadra toscana. Dopo qualche istante di ammirazione, strinse a sé il quadro con la delicata attenzione con cui avrebbe abbracciato una reliquia, subissando la ragazza di domande.

"E questo secondo te è un regalo che non regge il confronto con il mio? Sant'Iddio benedetto, è una maglia ufficiale della Fiorentina!" L'uomo tirò un sospiro nostalgico, ripensando al passato. "Cioé, io andavo pure a vedere le partite della Viola contro il Bologna, quando ancora vivevo con Emiliano; l'ho vista giocare davanti ai miei occhi... e come facevi a sapere che sono stato un fan sfegatato di Batigol? Questa è una maglia introvabile, è datata di un certo periodo e fuori commercio... come hai fatto ad ottenerla?"

"Piano con le domande, per favore!" tentò di rabbonirlo la ragazza, ridendo per la sua sorpresa, riuscendo finalmente a farlo tacere. "L'aveva comprata mio padre per me quando ho compiuto sedici anni, tuttavia lo stesso giorno del mio compleanno gli avevo annunciato di essermi messa con Roberto e lui era uscito fuori dai gangheri per la rabbia, dato che non l'ha mai sopportato..."

"Su questo sono assolutamente d'accordo con tuo padre" la interruppe Ivan, lanciandole un'occhiata possessiva.

"E allora, per punizione, non mi ha mai consegnato questo dono. L'ho ritrovata per caso in soffitta, cercando le valige per il viaggio a Siena. E ho pensato che a te sarebbe piaciuto averla..." Lidia lasciò la frase in sospeso.

"E' il regalo più bello che avresti mai potuto farmi." Ivan si sporse per baciarla sulle labbra, nascondendo il sorriso che spuntò sul volto della ragazza.

"Ora però prepariamo qualcosa da mangiare, io ho fame" annunciò la castana, staccandosi dalla figura dell'uomo.

Ivan sorrise furbamente.

"A questo ho pensato io" replicò, seguendola in cucina. "Ho un amico proprietario di una pizzeria, e mi ha promesso che tra le nove e le nove e mezza mi avrebbe spedito con un fattorino delle pizze. Però" aggiunse poi "qualche trancio di pizza non è proprio il massimo, perciò ho pensato di portare qualche vasetto di marmellata e uno di Nutella, così che possiamo cucinare delle crêpes. Tuttavia non sapevo se ne avevi in casa e quali gusti ti piacessero, perciò ho pensato di portare più varietà."

"Quindi, a parte le crêpes, non devo preparare nulla."

"Esatto."

"Come sta Emma? L'hai risentita?" chiese quindi Lidia, orientando la loro conversazione su un altro argomento.

Intanto la ragazza tirò fuori una ciotola e altri utensili da cucina, prendendo poi uova, farina, latte, zucchero e tutti gli altri ingredienti necessari per il composto dolciario. Cominciò ad aggiungere e amalgamare il tutto, prestando attenzione ad Ivan che parlava al suo fianco. Ad un certo punto pure l'uomo si unì a lei per la preparazione, accendendo il fornello con sopra una padella e divertendosi a farle saltare abilmente per cuocerle, senza tuttavia farle cadere a terra.

"Visto che bravura, Lidia?" si vantò scherzosamente quando depose la prima crêpe su un piatto.

La ragazza rise allegramente, versando un po' di composto nella padella per cuocerne una seconda.

"A me sembri un po' matto" lo prese in giro.


 

***


 

Enrico arrivò intorno alle nove meno un quarto nella sala prenotata da Antonio per il cenone. Prese da parte proprio l'amico per parlargli.

"Ascolta, Anto: Lilli non sta bene, ha qualche linea di febbre e si è dimenticata di avvertire che non viene più. Però mi ha detto anche che Heydar si era aggiunto alla festa e aveva portato i soldi a lei, tuttavia, stando male, non ha potuto consegnarteli, né tantomeno dirti della sua aggiunta. Perciò ha chiesto a me di riferirti tutto e di consegnarti la quota di Dar" spiegò il biondo, consegnandogli venticinque euro.

Antonio annuì con il capo, rispondendo che l'iraniano era già arrivato e l'aveva già avvertito del fatto di essersi aggiunto al cenone tra amici.

"Però mi dispiace per Lidia... sta tanto male?"

"Sì, purtroppo... ha un disturbo intestinale, credo."

"Circola ultimamente. Dicono che sia tremendo."

"Vabbé, parliamo d'altro. Sinceramente, non ci tengo a discorrere di problemi intestinali poco prima di mangiare" aggiunse scherzosamente Enrico, dando una pacca sulla spalla ad Antonio e avvicinandosi con lui al numeroso gruppo di amici lì riuniti.

Enrico adocchiò subito Valentina, ferma a chiacchierare con Aurelia ed Eliana. La trovò bellissima nel semplice abitino nero che le arrivava alle ginocchia, reso meno austero da un filo di trucco e da una morbida acconciatura sottolineata dal filo di perle. Tuttavia la magrezza del suo corpo era scheletrica e risaltava ulteriormente, ed Enrico si sentì stringere il cuore dalla sua anoressia. E' più magra di me, nonostante io abbia problemi alla tiroide e sia sottile come un chiodo, pensò il biondo, indeciso su come avvicinarsi a lei. Scelse di fingere di star cercando l'ex-compagna di banco di Lidia per consegnarle un regalo, inserendosi facilmente nel gruppo.

"Grazie del pensiero, Enri! Ma non era necessario..." si schermì Aurelia, scostando con un gesto le lunghe ciocche ramate dal lato del volto per rivolgergli un sorriso pieno di gratitudine.

"E invece sì che è necessario. Mi dispiace, ma io, Greg e i miei genitori partiamo il 29 per due settimane a Cortina d'Ampezzo... me l'ha detto oggi mia madre. Aveva prenotato la vacanza come regalo di Natale per me e mio fratello. Non posso essere al tuo diciottesimo il 2 gennaio, perciò vorrei consegnarti adesso il mio regalo di compleanno invece che farti aspettare dieci giorni" confessò con un leggero imbarazzo il ragazzo, aspettando la reazione della rossa.

Aurelia sembrò oscurarsi per qualche istante, ma poi l'ombrosità scivolò via dal suo volto. Sbuffò dispiaciuta, accettando il dono.

"Mi dispiace saperlo... mi sarebbe piaciuto averti al mio compleanno. Sei stato molto gentile a pensare in anticipo al regalo... Lo aprirò al mio diciottesimo, così non mi rovino la sorpresa" disse, cambiando poi argomento. "Ma Lidia non c'é? Non la vedo da nessuna parte..."

"Lilì ha la febbre e non sta parecchio male; alla fine ha rinunciato a venire."

"Ma no, dài!" esclamò una voce maschile dietro di lui, con un tono profondo che gli rammentava qualcuno.

Enrico si girò e notò la presenza di Gianluca dietro di sé. Il bruno sembrava essere appena uscito dall'estetista, tant'era pronto e vestito di tutto punto: l'abbinamento camicia-pantaloni su di lui risultava molto elegante, coordinato ad un blazer azzurro scuro. I folti capelli scuri avevano subito una spuntatina ed erano stati modellati dal gel con accuratezza.All'abbigliamento chic il ragazzo aveva aggiunto mocassini neri. Nelle iridi grige brillava la delusione, e la sua espressione così accorata stuzzicò la risata di Enrico, che riuscì a trattenersi a fatica dallo scoppiargli a ridere in faccia.

"Quindi Lilli non c'è?" domandò con tono sconsolato il moro, riscontrando la conferma di tutto il gruppetto.

Gianluca sollevò un pacchetto regalo tra le mani, cogliendo con quel movimento l'attenzione del biondo: evidentemente era il dono di Natale per la sua migliore amica.

"Ed è rimasta a casa?" chiese ancora il corvino.

"No, guarda... secondo te dove dovrebbe essere?" ribatté con cipiglio ironico Enrico, notando poi una luce risoluta riflettersi negli occhi grigi del ventiduenne.

"Ok. Allora vado a vedere come sta" decise ad un tratto Gianluca, voltandosi di colpo e abbandonando il quartetto di amici.

"Cosa?!" strillò il diciottenne, inseguendolo di corsa dopo un primo istante di smarrimento. Lo trattenne per un braccio. "Lidia sta male, non andarla a disturbare! E' da sola a casa perché non c'è nessuno con lei e ha bisogno di silenzio assoluto. Non andarle a rompere le scatole, cazzo!"

Gianluca si scrollò di dosso la presa insistente del biondo, fulminandolo con lo sguardo.

"Appunto. E se Lidia ha bisogno di qualcosa? Mi hai detto tu stesso che è sola. Vado ad accertarmi che abbia tutto ciò di cui necessita e non stia troppo male."

Detto questo, uscì dalla stanza con una certa fretta, lasciando Enrico in preda ad un'infinita angoscia personale.

Cazzo, e se adesso scopre suo fratello insieme a Lidia? Devo avvertirli!

Il biondo scrisse con fretta spasmodica due messaggi all'amica su Whatsapp, ma lei non li visualizzò. La chiamò più e più volte, sia al suo numero personale che sul telefono di casa, ma non rispose mai. Non aveva il numero di Ivan, perciò non poteva avvertire lui.

Enrico non era certo a conoscenza del fatto che Ivan e Lidia avevano spento entrambi il proprio telefono per non avere distrazioni di alcun tipo durante la serata.

E Gianluca, intanto, a bordo della sua Ford blu, stava arrivando per appurarsi che la ragazza non avesse bisogno di nulla, con sul sedile anteriore il regalo di Natale per lei e nel cuore la speranza di poterla veder sorridere e trascorrere qualche minuto da solo con lei.

 



 

°Santo mio Dio

 

***




N.d.A.
Salve a tutti!
Mi scuso per l'infinito ritardo e per le mancate risposte a messaggi e recensioni, ma il computer si è rotto e ho dovuto portarlo ad aggiustare. Fatto sta che mi è stato restituito solo ieri senza i salvataggi dell'ultimo capitolo, perciò ho dovuto riscriverlo tutto dal cartaceo al digitale. Risultato: ritardo di una settimana quasi e scocciature interminabili. Comunque, eccomi qui. E spero che il capitolo vi sia piaciuto. Qui accade molto, si rivela molto e nel prossimo saprete di più. Il nuovo capitolo è ancora in fase di stesura, perciò lo pubblicherò fra due settimane esatte di venerdì, come al solito.
Bon, termino in fretta perché mi aspettano i compiti, ma vorrei ringraziare Tanny, controcorrente e Hazel_Watanka per le loro bellissime recensioni e Robii_ per il suo fantastico messaggio di incoraggiamento. Grazie mille a tutti quanti i miei lettori. Spero di essere sempre all'altezza delle vostre aspettative.
Mi scuso ancora per il ritardo e spero che abbiate gradito il capitolo nuovo.
Alla prossima! :*


Flame

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


34.



Aurelia, che stava ancora chiacchierando in compagnia di Valentina ed Eliana, notò con la coda dell'occhio che Enrico si stava avvicinando al loro gruppetto, osservando con aria perplessa la disperazione dipinta sul volto del compagno di classe.
"Quello è pazzo!" esclamò il biondo, passandosi una mano fra i capelli per ravviare qualche ciuffo.
"Che è successo, Enrico?" l'interrogò con piglio deciso Eliana, che figurava benissimo nel suo serio abito al ginocchio color verde giada con scollo a cuore.
"Gianluca è matto! Lidia è a casa che sta male e lui va a disturbarla! Dice che lo fa per sincerarsi che non abbia bisogno di nulla, ma lo sanno tutti che è innamorato perso di lei. E non gli pare il vero di poter trascorrere del tempo da solo con lei. Che idiota che è!"
"A me sembra ossessionato da lei, sinceramente" commentò Valentina, squadrando la figura di Enrico, il quale stava nuovamente tentando di mettersi in contatto con Lidia senza successo.
Alla fine il biondo si arrese all'evidenza, mordicchiandosi nervosamente le unghie corte.
"Perché sei tanto agitato?" gli domandò Aurelia.
"Ahh, lascia perdere. E' Gianluca che mi dà sui nervi. La mia amica non sta bene e lui va a disturbarla. E' un maleducato, un coglione e uno sconsiderato, ecco che è!"
Ad aggiungersi al quartetto arrivarono pure Alessandra e Roberto, mano nella mano, utili solo ad urtare ulteriormente il precario equilibrio nervoso di Enrico.
"Ecco, pure loro" commentò con tono sprezzante il biondo. "Ci mancavi solo tu, Molly. Mi stai sul cazzo e pure ti avvicini a me!" esclamò, rivolgendosi all'ex-ragazzo di Lidia. "Fatemi sparire, va'." Il diciottenne si allontanò tra gli sguardi perplessi dei presenti, dirigendosi verso Céline e Heydar, che se ne stavano in disparte.
"Che è successo?" chiese Alessandra ad Aurelia, che le spiegò brevemente la situazione.
"Quindi Lidia non c'é" tirò le sue somme Roberto, scurendosi in volto per il disappunto.
Avrebbe voluto poter approfittare della serata per parlare faccia a faccia con Lidia, dopo ovviamente essersi sbarazzato della petulante presenza di Alessandra al suo fianco. Invece la sua ex-fidanzata stava male. E in più un altro ragazzo le stava alle calcagna. La concorrenza che sentiva di avere con Gianluca lo irritò parecchio.
Aurelia non si lasciò sfuggire il cipiglio deluso dell'accompagnatore di Alessandra e si appuntò mentalmente di tenerlo d'occhio durante la serata, memore dell'avvertimento di Lidia.
Enrico si unì a Céline e Heydar, che stavano parlando a voce bassa e ridendo fra di loro.
"Scusate se disturbo i piccioncini che tubano, ma ho bisogno di aiuto" si annunciò con nonchalance, ignorando le occhiatacce fulminanti che gli rivolse Céline per aver interrotto quel momento fra di loro.
"Spara" lo invitò con fare accomodante Heydar, scegliendo la carta della disponibilità.
Aveva compreso subito che c'era qualcosa che non andava, perché il cipiglio disperato e teso di Enrico non gli era sfuggito.
"Gianluca ha saputo che Lidia non viene più ed è partito con l'auto per raggiungerla a casa" rivelò senza tanti preamboli, lasciando l'amica a boca aperta per la confusione.
"Cosa? E che ci va a fare?!" esclamò Céline, colpita da un pensiero urgente che la raggelò come una secchiata d'acqua fredda. "Cazzo, è con Ivan! Se li scopre insieme per loro è finita!"
"Non riesco a contattarla. Non mi risponde al telefono di casa. E Gianluca sarà a metà strada, a questo punto, perciò non posso anticiparlo a casa. Tu, Céli, ce l'hai il numero di Ivan? Chiamalo."
"Sì, sì, subito" replicò prontamente la ragazza, estraendo l'Iphone e digitando il numero dell'infermiere. Attese in linea, avvertendo il susseguirsi degli squilli senza che qualcuno rispondesse alla chiamata. "Non risponde nessuno, cazzo!" sbuffò con un gemito angosciato, chiudendo la chiamata e ripetendola al numero di Lidia.
Ancora nulla.
"Speriamo almeno che Lidia sia in grado di improvvisare di fronte a Gianluca. E che Ivan riesca a nascondersi in tempo. Altrimenti saranno nei guai" si ritrovò a dire Enrico, con le mani giunte a preghiera a invocare l'aiuto di qualsiasi entità superiore che stesse ad ascoltarlo in quell'istante.
Céline provò a ritelefonare a Ivan, mentre Enrico e Heydar chiamarono rispettivamente i numeri di cellulare e casa di Lidia, ma fu tutto inutile.

 
***

La Ford blu di Gianluca fu parcheggiata davanti alla casa della famiglia Draghi. Il ragazzo uscì dall'auto con un pacchetto decorato da ghirigori argentati stretto fra le mani, sorridendo tra sé al pensiero di essere in procinto di incontrare Lidia da solo. Rabbrividendo per il freddo, si affrettò al cancello e suonò il campanello, attendendo che venisse aperto. Osservando le vetrate illuminate delle finestre al piano terra, il ventiduenne dedusse che la ragazza aveva abbandonato il letto per prepararsi la cena, sicuro al cento per cento di non stare disturbando il suo riposo. Perciò attese con pazienza che il cancello d'ingresso gli venisse aperto, impaziente di trascorrere del tempo con lei e consegnarle il suo dono di Natale.
Dall'interno della cucina, intanto, provenivano le liete risate di Ivan e Lidia, l'uno intento a osservare l'altra che aveva appena fatto saltare un crepe in aria con un abile movimento del polso. Sistemandola succeccivamente sul piatto a lato del ripiano della cucina, prese la ciotola con la pastella semiliquida e ne versò un po' nella padella, in modo da utilizzare tutto il composto rimanente. Si udì nitidamente il suono del campanello d'ingresso riverberare per tutte le stanze del piano terra della casa.
Lidia si sporse dalla cucina solamente per premere un pulsante del citofono, tornando poi nel locale per dedicarsi alla cottura delle crepes. Era certa che fosse il fattorino delle pizze a consegnare la loro ordinazione. Non poteva certo aspettarsi che si trattasse di Gianluca, giunto fin lì solamente per consegnarle il regalo di Natale e sincerarsi delle sue condizioni di salute, dopo aver abbandonato gli amici e la cena della vigilia al ristorante.
"Ivan, puoi andare tu alla porta a pagare le pizze? Io rimango in cucina a badare alle crepes. Non vorrei che si bruciassero, stanno venendo così bene..." disse all'uomo, che se ne stava in soggiorno dopo aver apparecchiato la tavola.
"Ma certo" rispose affermativamente il moro, dirigendosi verso l'ingresso della casa.
"I soldi per pagare sono sul tavolino dell'atrio."
"Poi ti rimborso la spesa."
"Non se ne parla, Ivan. Sei mio ospite e pago io" obiettò Lidia.
"No, Lilli, non esiste che io lasci pagare la mia fidanzata. Poi ti ridò i soldi. E la discussione è chiusa" insistette l'infermiere, troncando la conversazione.
"E fa' come cazzo ti pare, allora" borbottò tra sé Lidia, ridacchiando poi sotto i baffi.
Ivan era sempre molto gentile e cortese con lei, in ogni situazione. Era sempre pronto a esaudire tutti i suoi desideri, quando possibile, e le evitava spesso di tirare fuori il portafogli per qualsivoglia spesa. E non le chiedeva mai nulla in cambio. Era proprio un vero tesoro di gentiluomo. Anche se quel suo sarcasmo pungente a volte era affilato come la lama di un pugnale e fastidioso come un pizzico di vespa. Riusciva a farla uscire dai gangheri con quel suo humour spietato.
L'uomo si diresse verso il portone dell'entrata, afferrando la banconota da venti euro sul tavolino dell'atrio. Poi posò la mano sulla maniglia, aprendo il portone.
Gianluca, da fuori, attendeva trepidante e felice, con il regalo stretto tra le mani e tormentato continuamente, che Lidia gli venisse ad aprire. Non poteva immaginare di trovarsi di lì a poco una sorpresa a dir poco sconcertante.
Ivan spalancò il portone velocemente, deciso a pagare le pizze e a congedare il fattorino il prima possibile per evitare di avvertire troppo il gelo di quella serata invernale sulla pelle. Invece del viso sconosciuto di un anonimo ragazzo che forse non avrebbe nemmeno più rivisto in vita sua, l'uomo si ritrovò a osservare una liscia zazzera color ebano, un ben conosciuto naso prominente e un paio di pungenti iridi grige fin troppo familiari. Si sentì improvvisamente le gambe molli come ricotta fresca e avvertì un brivido di paura correre lungo la spina dorsale, inerpicandosi su, fino alla nuca, mentre sudava freddo.
Era proprio Gianluca.
D'altra parte, il giovane studente universitario si aspettava di trovarsi davanti Lidia in veste casalinga con un sorriso piacevolmente deliziato di fronte a quella visita e a quel dono così inaspettati nella sera della vigilia natalizia. Invece, muovendo un passo in avanti, quasi finì per urtare contro il petto del fratello maggiore, che lo osservava basito e spaventato, con la bocca spalancata e gli occhi nocciola sgranati, piccole pozze dorate in cui si rifletteva una violenta paura, dall'altra parte della soglia. Gianluca strizzò gli occhi più e più volte, tentando inutilmente di schiarire la vista che credeva appannata.
Era proprio Ivan.
E l'uomo lo scrutava con uno sguardo così teso e disorientato che Gianluca sentì l'angoscia montare dentro di lui.
"Ma sei proprio tu?" riuscì a chiedere stupidamente Ivan dopo vari secondi di silenziosa contemplazione.
"Eh, mi sa di sì" convenne Gianluca, grattandosi la testa con imbarazzo e confusione. "E invece tu sei proprio tu, fratellone?"
"Be', diciamo che non si tratta di un mio fratello gemello smarrito e ritrovato giusto cinque minuti fa" replicò idiotamente l'uomo, riuscendo a scatenare l'ilarità, seppur forzata, del minore.
Attirata da quella risata tesa e attraversata da una vena di leggera isteria, Lidia si affacciò dalla cucina con la padella delle crepes in mano, dirigendosi, incuriosita, a vedere cosa stava succedendo nell'atrio. Quando entrò nella stanza vide Gianluca sulla soglia, ancora all'esterno della casa, osservare lei ed Ivan con totale confusione. La ragazza si sentì sudare freddo e avvertì le forze calarle di colpo. Si sentì svenire, ma si trattenne stoicamente in piedi. Avendo però lasciato la presa sul manico della padella, l'utensile culinario cadde cozzando rumorosamente contro il parquet di legno chiaro del locale, rovesciando il contenuto semiliquido per terra e lasciando un graffio sulla superficie liscia e regolare del legno. A quel rumore secco e metallico la castana sobbalzò visibilmente, saltando letteralmente per lo spavento e trattenendo il respiro come se fosse trasalita.
Il rumore fragoroso riscosse i due uomini dallo stato di trance in cui sembravano essersi assopiti. Ivan allora arretrò di un passo, facendo cenno al fratello di entrare, mentre la sua grande mano andava a stringere tra le dita quella piccola e affusolata di Lidia.
Gianluca, dal canto suo, rimase a fissarli per un altro istante, costernato, cominciando a capire cosa stava succedendo. Infine, dopo un momento d'incertezza, decise di entrare, accettando l'invito del fratello a oltrepassare il portone.
Dopo due minuti di totale silenzio e di sguardi imbarazzati e tesi i due fratelli si sistemarono finalmente sui divani del salotto, mentre Lidia si affrettava a pulire frettolosamente il guaio combinato con la crepe nell'atrio e a spegnere la fiamma del fornello ancora acceso in cucina. Quindi anche la ragazza si accomodò sul sofà, sedendosi accanto ad Ivan.
"Quindi è lui l'uomo che ti ha rubato il cuore?" riuscì a domandare Gianluca dopo un lungo, triste sospiro.
Con l'indice indicò il fratello maggiore.
Lidia annuì appena.
"Ora capisci perché non l'ho mai detto a nessuno del gruppo, a parte i miei migliori amici? Dovevo mantenere il segreto sulla nostra relazione" aggiunse poi la ragazza, ricambiando con decisione lo sguardo rassegnato che lo studente le lanciò.
"Da quanto va avanti questa storia, Ivan? E perché non me lo avete detto?" lo aggredì il ventiduenne con un certo disprezzo nella voce.
Si sentiva in qualche modo tradito. Non dalla giovane, che in fondo non aveva il dovere di dirgli nulla a proposito, ma dall'uomo.
Ivan era suo fratello. Non completo, ma per metà lo era. Erano fratellastri. E lui gli aveva sempre detto tutto, confidando nella fiducia che nutriva per il maggiore. Ma ora quella fiducia si era incrinata, forse spezzata per sempre. L'infermiere non lo aveva avvertito della sua relazione con la ragazza di cui era innamorato, nonostante fosse a conoscenza del suo sentimento per lei. Perché lo aveva fatto? Perché aveva taciuto?
"Stiamo insieme da novembre, Luca, ma ci frequentiamo da luglio."
Il tono di voce del moro era neutro, ma da esso trasudava comunque una certa agitazione.
"E perché non mi hai mai detto niente? Avanti, rispondi! Tu eri a conoscenza dei miei sentimenti per Lidia. Perché non mi hai parlato della vostra relazione? Sono tuo fratello! Tuo fra-tel-lo! E non mi hai detto niente, non mi hai avvertito che stai insieme a Lidia! Posso sapere perché mi hai tradito così?!"
Il giovane moro sembrava quasi in preda a una crisi di pianto. Tremava per l'emozione negativa che lo aveva profondamente scosso. Ma si controllò e in breve riacquistò il dominio di sé.
"Gianluca, ascoltami..." intervenne la castana, ma fu minacciosamente messa a tacere dal fidanzato.
"E' una questione fra me e Luca, Lidia. Non ti intromettere" la avvertì Ivan. Con un respiro profondo, l'uomo si rivolse al fratello. "Gianluca, ti chiedo soltanto di ascoltare fino all'ultima parola ciò che sto per dirti. E poi devo anche chiederti di mantenere il segreto su quel che hai scoperto, perché se divulgassi ciò che sai sul nostro conto molte persone soffrirebbero per tutto ciò e ci sarebbero delle conseguenze disastrose per me e Lidia. Io e lei stiamo insieme da poco tempo, ma ci vediamo da sei mesi, ormai. Però io sono un collega di Sara, che è sua madre, e ho quasi vent'anni in più di sua figlia. Non posso essere il fidanzato ufficiale di Lidia, perché me lo impedirebbero, oppure la prenderebbero molto male e cercherebbero di ostacolarci. E quindi ci vediamo di nascosto da tutti. Ecco perché non ti ho detto niente. Se tu avessi saputo qualcosa avresti anche potuto raccontarlo a chi non ne dovrebbe sapere niente. Rischiavamo troppo. Perciò ti ho tenuto nell'ignoranza."
"Ti fidi così poco di me da tenermi nascosta una questione del genere? Che razza di fratello sei, Ivan?" lo accusò pesantemente Gianluca, deluso e adirato.
Il trentottenne avrebbe voluto replicare che sì, Gianluca costituiva un pericolo latente abbastanza considerevole per la sua vita. Suo fratello odiava profondamente Alessia e la disprezzava, a tal punto da poter arrivare perfino a rivelarle che Ivan l'aveva dimenticata in fretta, che era felice, che amava una ragazza molto più di quanto avesse mai fatto con lei, solamente allo scopo di farla sentire una nullità, senza pensare a ciò che l'infermiere avrebbe potuto perdere per colpa di una rivelazione simile. In gioco c'era la custodia di Emma, ma il ragazzo non era riflessivo e non prendeva mai in seria considerazione le conseguenze delle proprie azioni. Gianluca era molto puerile e immaturo in questo aspetto, rasentando anche il ridicolo, perché era parte del suo carattere la volontà di ottenere rivalse e vendette sugli altri anche in maniera stupida o offensiva.
Ivan stava per intervenire a propria difesa, ma Lidia lo precedette parlando nuovamente a favore dell'uomo, stavolta con più grinta, decisa a mettere a tacere i giudizi accusatori del corvino.
"Gianluca, stammi bene a sentire: pure io ho una sorella minore a cui non racconto tanti miei segreti. Ma non è per cattiveria o mancanza di fiducia. Anzi. Io voglio evitarle di tenere per sé un segreto così grosso e difficile da mantenere, specialmente con le persone a lei più vicine. Hai pensato alla portata di questa rivelazione, Gianluca? Tuo fratello ha una relazione con una ragazza di diciotto anni, figlia di una sua collega ed amica. Come la prenderebbe mia madre se dovesse scoprirlo? E mio padre? Ci impedirebbero di frequentarci. Ci obbligherebbero a mettere fine alla nostra relazione. E poi, per vari motivi, il processo che Ivan sta sostenendo per ottenere la custodia di Emma prenderebbe una brutta piega se trapelasse una notizia del genere. Cosa ne penserebbero inoltre tua madre e tuo padre? Io scommetto che a vostra madre prenderebbe un colpo alla notizia. Ivan perciò non ti ha raccontato nulla per proteggere la nostra relazione e le persone che amiamo. Perché, se quest'ultime venissero a sapere che stiamo insieme, reagirebbero molto male. Guarda tu stesso come hai reagito: ne hai tutto il diritto, ma sarebbe stato meglio se non avessi saputo nulla. Se una persona che potrebbe arrecare danno alla causa di Ivan durante il processo venisse a sapere di questa faccenda, lui rischierebbe molto di più e avrebbe meno chances per farsi assegnare la custodia esclusiva. Potrebbe anche perdere la custodia di sua figlia. Di tua nipote, Gianluca! Non la vedresti più, allora, perché Alessia se la porterebbe via in Germania e impedirebbe a tuo fratello di vederla. Quindi, per una questione di sicurezza, la nostra relazione deve essere a conoscenza di meno persone possibile. Compreso te. Anche se Ivan è stato tormentato a lungo dai sensi di colpa per questa scelta obbligata e non certo voluta."
Gianluca ascoltò quel discorso logico senza fiatare. 
"In più, sei sicuro che, essendo a conoscenza della nostra relazione, avresti tenuto il becco chiuso con Alessia? Sappiamo quanto sei chiacchierone, Gianluca. E tu detesti l'ex-moglie di Ivan. Avresti potuto spiattellarle in faccia tutto il tuo disprezzo per lei, dicendole che tuo fratello l'ha rimpiazzata facilmente e che non l'ha mai amata veramente, solamente per il gusto di offenderla. Sappiamo quanto sei immaturo sotto questo punto di vista. Avresti potuto mettere nei guai Emma e Ivan solamente per una cazzata, senza pensare alle conseguenze derivanti dal tuo gesto. Non è così, Gianluca? Avresti potuto. Come un idiota. Perché io l'ho capito come sei fatto di carattere. L'ho capito subito."
Il ragazzo tacque ancora a lungo. Rifletté sul significato di quella critica aspra ma sincera e meditò molto su quella rivelazione, mentre Lidia ed Ivan attendevano con il fiato sospeso e nel panico la sua replica.
"Avete ragione, avrei potuto farlo. A volte sono così stupido e infantile" disse semplicemente il ragazzo, levando uno sguardo triste e costernato su Lidia. "Ma vedi, per me non sarà semplice accettare la vostra relazione. Io mi ero innamorato di te, Lidia. Per la prima volta in vita mia provavo un sentimento più profondo di un semplice desiderio fisico nei confronti di una ragazza. E mi sono ritrovato con il cuore spezzato proprio a causa di mio fratello. Non contesto la vostra relazione, avete il diritto come tutti di vivere una storia con chi volete, ma mi sarà difficile accettarla. Comunque, comprendo le ragioni del vostro silenzio. E accetto di mantenere il segreto sulla vostra relazione. Ma solo ad una condizione: Ivan dovrà sempre essere sincero con me, da ora in avanti."
"Te lo giuro, fratellino" mormorò Ivan, palesemente sollevato. Poi l'uomo si accigliò, sentendosi profondamente in colpa per la grave mancanza compiuta nei confronti di Gianluca. "Mi dispiace" si scusò con sincerità, alzandosi per abbracciare con fraternità lo studente mentre Luca faceva altrettanto. I due si dettero grandi pacche sulle spalle, poi si guardarono negli occhi e annuirono silenziosamente.
"Tieni, questo è il regalo che avevo preso per te, Lidia... Spero che ti piaccia" disse poi con tono piatto ed inespressivo Gianluca, tendendo la mano per passare alla castana il pacchetto incartato in lucida carta verde con motivi argentati che stringeva ancora tra le mani.
"Ora devo andare" esordì improvvisamente, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta.
Teneva lo sguardo basso ed evitava di guardare negli occhi il fratello e l'amica, trattenendo a stento le lacrime di delusione e tristezza. Perché lui si era innamorato veramente di lei, ma non poteva farla sua perché il suo cuore apparteneva già ad un altro. Per una beffarda combinazione del fato, si trattava di suo fratello maggiore. Il destino sapeva veramente essere stronzo con le persone, quando ci metteva lo zampino.
"Aspetta" lo chiamò Ivan, seguendolo nell'atrio a passo svelto per sostenere la stessa velocità dell'andatura del fratello.
Ma Gianluca aumentò la rapidità dei suoi passi, desideroso di rimanere in pace.
"Lasciami riflettere da solo, Ivan" si lamentò il ragazzo, a metà fra una preghiera ed un piagnucoloso comando.
Lidia, rimasta per un momento seduta sul divano a osservare il dono del ragazzo, senza scartarlo, seguì di corsa i due uomini nell'atrio, chinandosi su una busta sistemata in un lato della stanza per estrarre un regalo per Gianluca.
"Gianluca" lo chiamò la ragazza, trafelata, porgendogli una scatola infiocchettata.
"Grazie, Lidia" mormorò cupamente il giovane, mantenendo lo sguardo basso e celato sotto le ciocche di capelli neri mentre riceveva il regalo natalizio da parte della giovane.
Ma la castana non aveva finito lì, perché lo abbracciò impulsivamente, imprimendogli un bacio affettuoso sulla guancia.
"So che troverai odiose le parole che sto per dirti, ma voglio comunque che tu sappia che, nonostante i trascorsi equivoci tra di noi, ti reputo un buon amico. Ma nulla più. Dimenticami, ti prego. Tu non meriti di soffrire per me" mormorò contro il suo orecchio.
Quindi si scostò dal ragazzo, sorridendogli tristemente con comprensione, gratitudine e dispiacere.
Si aspettava una reazione isterica, una scenata o un pianto improvviso, ma rimase sconcertata dall'allegria che invece lui sfoggiò nel replicare alla sua frase.
"In fondo al cuore ho sempre saputo che non saresti mai stata mia. Spero soltanto che tu ed Ivan sarete felici. Dovete sapere che potrete sempre contare su di me come amico, e che non mi azzarderò mai più ad infastidirti, Lidia. Certo, sono cotto di te, ma me la farò passare" ribatté Gianluca.
La risata iniziale con cui terminarono quelle parole concilianti fu spezzata da un gemito improvviso. Il fratello di Ivan cominciò a ridere e piangere insieme, poi, osservando per un'ultima volta il volto mesto di Lidia e quello accigliato e colpevole di Ivan, si voltò verso il portone con estrema fretta, uscendo repentinamente dalla casa della famiglia Draghi per poi rifugiarsi nell'abitacolo della propria auto a piangere liberamente e in solitudine per il primo sentimento d'amore della sua vita, brutalmente infranto proprio dal suo fratello di sangue.

 
***

Le pizze arrivarono dopo cinque minuti dall'uscita precipitosa di Gianluca dalla casa della famiglia Draghi. Ivan, come si era prefissato, pagò il fattorino senza ascoltare la protesta di Lidia, irritata dal fatto che l'uomo volesse pagare la cena anche se era suo ospite, poi portò la margherita e la quattro stagioni in salotto, dove le posò sul tavolo. Lidia ammonì Ivan di non rompere o scheggiare i piatti di porcellana, che alla fine aveva deciso di utilizzare senza i calici in vetro veneziano, perché altrimenti la madre, dopo averla messa sotto torchio, l'avrebbe ridotta in cenere. Sara era molto gelosa di tutto ciò che aveva un valore affettivo per lei. Quel servizio di piatti le era stato regalato dal padre Friedrich, che era morto tre anni dopo la celebrazione della cerimonia nuziale, quando Lidia aveva solamente un anno. 
Comunque, la cena alternativa della vigilia si svolse in modo tranquillo, quasi in silenzio, dato che l'intrusione di Gianluca aveva rotto la magica atmosfera domestica che si respirava nella casa. Ivan rimase di umore cupo per tutta la durata del pasto e non si sciolse un po' nemmeno quando Lidia, distrattamente, colò un po' di marmellata alle more fuori dalla crêpe e sulla tovaglia rossa, lasciando una larga chiazza e causando la risata colpevole della giovane.
"Insomma, Ivan... a questo punto preferivo passare la vigilia a un funerale piuttosto che con te" lo attaccò la castana, esasperata dai tentativi falliti di strappare almeno un sorrisino tirato all'uomo.
"Non ho voglia di essere allegro, Lilli. Gianluca ha ragione. Gli ho mentito, l'ho tradito... sono stato uno stronzo. E lui è mio fratello."
L'infermiere chinò la testa ancor di più, incapace di alzare lo sguardo.
"Anche io mi sento in colpa, tesoro. Ma ora è successo e dobbiamo accettare ciò che è stato. Avevamo buone ragioni per tenerlo all'oscuro, anche se ci dispiaceva. Non prendertela con te stesso" lo riprese dolcemente Lidia, alzandosi per farsi accogliere dalle braccia, ora aperte, dell'uomo.
Lui la fece sedere sulle proprie ginocchia e la abbracciò in vita, osservando le iridi azzurre della ragazza farsi sempre più vicine al suo volto. Lei gli sfiorò le labbra con un bacio, poi lasciò un leggero morso sul suo mento rasato e rise di fronte alla reazione infastidita di lui.
"Dài!" esclamò lui allontanando la testa, mentre la ragazza, per contro, gli avvolgeva le braccia intorno al collo.
"Sai qual è il mio unico pensiero, adesso?" mormorò al suo orecchio con voce ammaliante, avvertendo la sua stretta delicata farsi più forte intorno al suo corpo.
Ivan non rispose: si limitò a stringerla a sé e sollevarla tra le braccia, alzandosi in piedi e conducendola al piano superiore. Entrarono nella camera che lei condivideva con sua sorella, piacevolmente vuota di persone come il resto della casa. Ivan depose con delicatezza il corpo sottile di Lidia sul suo letto a una piazza e mezzo, baciandola mentre la sovrastava.
"Ivan... chiudi la porta" sussurrò la ragazza, mentre si rilassava sul letto.
"Non c'è nessuno in casa. Non ci vedrà nessuno."
"Tu chiudila..."
Il moro obbedì, allontanandosi dalla sua figura per accostare la porta della camera. Lidia ne approfittò per togliersi il pullover di cachemire, restando in lingerie, e correre dietro a lui in silenzio, premendo l'interruttore della luce. La stanza piombò nel buio.
"Lidia, smettila di farmi questi scherzi" ordinò perentorio, voltandosi di scatto al calare del buio e cominciando ad avanzare lentamente a tastoni. "Prima o poi ti becco, lo sai?" la minacciò con tono giocoso.
Non essendo quella la sua camera, non ricordava la disposizione degli oggetti, così proseguì verso il punto in cui sapeva trovarsi il letto della ragazza, mentre la stessa s'era rifugiata su quello di Eva. Sebbene dalle imposte semiaperte della finestra terrazzata penetrasse un po' della luce dei lampioni, l'angolo in cui Lidia si era nascosta era immerso nella tenebra, e da lì lei osservò, reprimendo una risata, gli sforzi di Ivan di individuarla nell'oscurità o di trovare e premere l'interruttore, continuando a cercare alla cieca e invano.
Dopo qualche minuto di sopportazione, Lidia non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere fragorosamente, facendosi subito scoprire e afferrare dall'uomo. Ivan avvertì la consistenza morbida e carezzevole della sua pelle diafana e la saggiò con le mani e le labbra, mentre prendeva in braccio la sua figura snella.
"Te l'avevo promesso che ti avrei presa" la rimbeccò, trovando finalmente il tasto della luce.
Lo premette e la stanza si illuminò, ma un istante più tardi essa cadde nuovamente nell'oscurità, dato che Lidia aveva allungato il braccio verso l'interruttore per annullare il gesto compiuto dall'uomo.
Ivan rimase di stucco.
"C'è qualcosa che non va, Lilli?" le chiese con una sfumatura strana nella voce, stringendola più a sé. "Ho già visto il tuo corpo. Sei splendida. Ti imbarazza farlo con la luce accesa?"
"No, non sono imbarazzata... ma preferisco farlo senza luce. L'atmosfera così sarà più intima e più bella."
"Come vuoi."
Ivan depose Lidia sul letto, sedendosi poi al suo fianco. La coinvolse in un bacio garbato, gentile, mentre le sfilava gli stivaletti borchiati e le calze trasparenti. Cominciò a spogliarsi degli indumenti con lentezza, lasciandoli scivolare in disordine sul parquet. Si distese accanto al suo corpo e le sganciò il reggiseno, appropriandosi delle grazie della giovane e posando un bacio su una sua mammella chiara e piccola, mentre le sue mani percorrevano il corpo tremante della ragazza e la provocavano.
"Sei sexy" le disse lui con tono scherzoso, strappandole uno sbuffo incredulo.
"Lo dici per mascherare la tua delusione."
Quanto deve averla resa insicura Roberto con il suo atteggiamento? E' bellissima, ma non vuole accorgersene, si disse Ivan, avvertendo un moto di collera in fondo alll'animo.
"No, lo dico per appagare la tua vanità."
La baciò ancora, stavolta sulla tempia, e la strinse a sé con le braccia, sfilandole lentamente gli slip.
"Fanculo, Ivan" borbottò lei, incerta se credergli o meno.
"Sì, Lilli, ti amo anche io."
I due intuirono lo sguardo l'uno all'altra e risero insieme, abbracciandosi con trasporto. Si lasciarono coinvolgere in un bacio intimo e profondo, mettendo fine alle parole per lasciar spazio al loro atto d'amore.



 
***



N.d.A.
Salve a tutti! :D
Eccomi qui con un capitolo, per una volta - dopo tanto - in orario perfetto. Spero che il capitolo sia piaciuto, perché la disperazione per un computer completamente andato e per le difficoltà a trovare un Internet point da cui aggiornare - per me un'impresa - lo hanno segnato tanto, almeno a mio parere. Comunque, a me pare carino, quindi tutto ok, per ora.
Mi dispiace non aver risposto alle recensioni e ai messaggi, ma ho sempre le giornate piene. Comunque,  lo farò adesso che ho tutto il tempo del mondo. Mi piacerebbe avere un'opinione su questo capitolo così difficile da formulare e sulle peripezie salienti degli ultimi fatti della fiction. Cosa ne pensate? Spero non sia una delusione. >.<'''
Bon, ora mi congedo. Mi faccio viva con le risposte a email e commenti. A voi il giudizio di questo nuovo aggiornamento. E perdonatemi gli errori che potreste trovare, ma non ho molto tempo per correggerli.
Un grazie speciale a controcorrente, che recensisce sempre ogni capitolo.
Adieu.


Flame

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