You can pretend it's meant to be

di Lely_1324
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hide ***
Capitolo 2: *** It's ok ***



Capitolo 1
*** Hide ***


Ciao a tutte! Sono tornata con questa nuova piccola pazzia. E' davvero una sciocchezza, l'avevo scritta per S. Valentino ma tra lo studio e il polverone che si è abbattuto su Jen su twitter, ho lasciato perdere. Però eccomi qui, quindi spero vi piaccia questa breve storia, penso avrà due capitoli non di più. Grazie di cuore a chi leggerà e a chi mi lascerà un suo parere, non sapete quanto mi faccia piacere. 
Un abbraccio speciale alle ragazze del CS group.
 
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La vita scorre troppo in fretta. Non ricorda chi l'avesse detto,forse nessuno,ma è quello che pensa mentre sfoglia quell'album.
Si rivede bambina, con sua madre,in quella foto dell'87.
Capelli biondi e aria sognante. La stessa di sempre. Il tempo sembra non essere passato,invece scorre,ma dentro di lei,c'è un qualcosa di statico,un entusiasmo fanciullesco. Alcuni punti fermi restano per sempre nell'anima. Tutto cambia, è vero. Ma i sogni, quelli restano. Alcuni si realizzando,altri no. 
Lei li ha realizzati quasi tutti. 
Ha raggiunto il successo in tutto il paese. E' una stella della tv. Ha una vita agiata.
Solo nonostante ciò spesso si sente sola. 
Ha sempre preferito le storie complicate,se non impossibili.
Uomini che non potevano darle niente,che non le facevano promesse. Tutto difficile,tutto troppo complicato..quanto aveva pianto per amore.
Questo aspetto del suo carattere è simile ad Emma. A volte si identifica in lei. A volte sente che la linea che separa la sua vita reale dalla finzione è una linea molto sottile. E' una sensazione,come se il personaggio che interpreta si insinui dentro di lei furtivamente, e la costringa a vedere il mondo circostante con i suoi occhi.
Come un bisogno impellente di vivere un pezzo di esistenza autentica.
Una sensazione strana la accompagna da tempo:come se tutto quello che sta vivendo, lo stia vivendo qualcun altro.
La cosa è paradossale.
 Quando è Emma si sente"la vera se stessa" .
La sente dentro di lei a volte, la sente sussurrarle qualcosa che però non è chiaro...Quello che è chiaro è il desiderio di felicità di Jen ,la volontà di costruirsi un avvenire. Il sogno di un uomo che la ama. 
Forse dovrebbe interrogarsi sulla sua vita,su quello che non va, su ciò che le fa desiderare di esser un altra persona,una persona che non esiste.
Ma cosa può desiderare di più?
Perchè tutti quei sogni? 

Poi ha capito.
 Lo ha fatto nell'esatto istante in cui lo ha visto uscire da un fioraio con un enorme fascio di meravigliose rose rosse  e un sorriso incredibilmente splendido sulle labbra, perso sicuramente nel pensiero di quando le avrebbe dato le rose. Ha sentito un pugno allo stomaco anche se si domanda che diritto abbia di sentirsi così? Lui ha tutte le ragioni di pensare a se stesso, alla sua relazione. Oggi è San Valentino ed è giusto che pensi alla sua vita… a sua moglie.. .. ma quella scena fuori dal fioraio l' ha distrutta.
Finalmente riesce ad alzarsi da quella posizione fetale e guarda fuori dalla finestra: sta ancora nevicando. E’ tutto un manto morbido e bianco. L'inverno in Canada è splendido, quasi incantato ma freddissimo e ora come ora ha bisogno di sentire quel freddo pungente entrarle nelle ossa, ha bisogno che la neve congeli quella disperata solitudine che sente fino a dentro l’animo. Raccoglie il cappotto e le chiavi . Deve uscire da quella casa, deve uscire e camminare sotto la neve… deve farlo a costo di stare male, perché peggio di così non può sentirsi.
Poi la nota sullo zerbino, una rosa rossa. Sorride, i fan sanno essere molto dolci, le scaldano il cuore.  

**********************************************************************

Ti vedo rannicchiata su quegli scalini freddi.
Il vento gelido ti sferza il viso e ti scompiglia i capelli, sei una pazza a startene qui senza giacca stasera. E io mi sento senza senso qui a fissarti quasi quanto la tua felpa leggera.
Sono appoggiato alla ringhiera fredda, i piedi incrociati e le mani in tasca mentre tu tremi in silenzio con le ginocchia strette al petto. E mi trovo in quel momento a fissarti e  guardare come ti comporti prima che tu sappia di essere osservata.
Mi sembra quasi di guardare una fotografia di una donna, seduta sui gradini di marmo di qualche strada a Washington Heights. 
Alzi la testa dalle ginocchia e fissi la strada dove poca gente cammina a quest’ora. Guardi i parcheggi così vuoti e  so che in questo momento a sentirti vuota sei tu. 
Guardi avanti e mi vedi con la coda nell’occhio. Non ti giri verso di me, semplicemente fingi che io non ci sia e continui a gelare sugli scalini. Si sentono solo i rumori dei clacson in lontananza e i rombi delle macchine, è tardi ma questa è pur sempre Vancuver.
Ti sporgi in avanti e volti la testa dall’altra parte mentre ti asciughi velocemente le lacrime.
« Jennifer… »
Sono immobile nella mia posa indeciso su cosa dire e tengo le mani congelate strette a pugno nel cappotto.
Rimango a fissare le tue labbra carnose, così viola a causa dei morsi a cui le costringi.
E mai avrei pensato di trovarti qui perché non sembra per niente da te.
Ma che posso dire io, sono solo un attore. Non posso davvero capire chi sei, perché non saprei da dove iniziare e poi niente ha senso sulla carta rispetto a chi siamo davvero.
Sarebbero solo parole. 
Sei qui che fingi di non stare male per un uomo che probabilmente non capisce quanto vali, che non ti guarda nel modo in cui ti guardo io.
Mi viene da chiedermi se lo ami, se hai immaginato un futuro con lui ed è sfumato tutto. Forse non ho il diritto di saperlo, non sapevo neanche che avessi una relazione.
Per la prima volta mi rivolgi uno sguardo, dai tuoi occhi le lacrime sgorgano  senza  che tu sbatta le ciglia. E’ un pianto senza singhiozzi, di quelli silenziosi e adatti alle strade.
 « Sono sola ? » chiedi con voce flebile.
Distolgo lo sguardo e cerco di respirare, non posso continuare a vederti così.
« Non sarai mai sola Jen, mai. » Non mi è chiaro il significato della tua domanda ma mi spezza il cuore sapere che tu possa solo pensarlo.
Mi avvicino e mi  sfilo il cappotto mentre ti prendi il volto tra le mani. Salgo i tre gradini e te lo faccio scivolare piano sulle spalle.
Il tutto avviene con una lentezza estrema.
Ma infondo siamo bloccati nel tempo anche noi qui, seduti su queste scale con la testa meno alta del solito e lo sguardo focalizzato sul niente. Siamo silenziosi e aspettiamo segretamente l’alba anche se sono le due di notte.
« Come hai fatto a trovarmi? » mormori poco dopo.
« Forse ti conosco meglio di quanto pensi»
Sorridi mentre ti sistemi meglio nell’enorme cappotto.
Sospiri e ti passi una mano tra i capelli. « Scusami è S. Valentino e tu sei qui, non dovresti, io... sono davvero mortificata.»
«Non dire sciocchezze Jen». Ti accarezzo lentamente il braccio, tentando di tranquillizzarti e tu ti appoggi completamente contro di me. Sento il calore del tuo corpo contro il petto e chiudo gli occhi, continuando a sfiorarti con carezze leggere.
«Posso farti  una domanda Colin?»
«As you wish milady..»
« solo, ti prego rispondi sinceramente... sono davvero così... » un sInghiozzo sfugge al tuo controllo e le lacrime rigano il viso.
Ti blocchi e ti volti verso di me, i tuoi occhi trovano veloci i miei. Ti vorrei portare quella ciocca  ribelle al tuo orecchio e carezzarti la guancia ma mi limito a cercare la tua mano e a stringerla.
Inizio a sentire il freddo pure io senza cappotto, ma ciò che provo non è niente in confronto alle tue labbra che hanno iniziato a dipingersi di un blu violaceo. I tuoi singhiozzi iniziano a placarsi e il vento a soffiare più forte. « Sono davvero così dimenticabile? » sussurri tra le raffiche.
Sembra una domanda che ti porti dietro da tempo, e quanto vorrei potertela togliere dalla mente.
« Insomma », ridacchi sarcastica abbassando il capo, «Conosci i miei fallimentari trascorsi sentimentali. Sono loro o sono io? sono mai contata qualcosa?  »
Mi volto per capire se stai scherzando o dici sul serio, e non posso fare altro che stupirmi.
« E’ stata una brutta giornata » dici cercando di giustificarti e di darti contegno.
Ed è per queste piccole cose che non riesco ad inquadrarti, non riesco a riassumerti in un paio di righe. Sei molto più di una parola, più di un aggettivo che ti contraddistingue. Ma infondo non siamo tutti negativi o positivi, a volte siamo tutti e due. Non siamo solo una cosa e basta, caldo o freddo, si o no. Nessuno è nero o bianco. Siamo un miscuglio di colori, siamo un casino.
Siamo le sfumature, le virgole, le mezze risposte.
« Io non capisco come tu possa pensare di farti certe domande »
Sorridi tristemente, mentre una lacrima ti scende sul viso.
 « Evidentemente non sono molto me stessa stasera ».
Infili le mani dentro il mio cappotto e ti accovacci ancora di più.
« Però non mi hai risposto Col, sono mai contata qualcosa? Sono mai contata qualcosa ...per te?» Sorridi con amarezza.
 Ti abbraccio d'impeto, avvolgendo la tua vita esile con le braccia.  Non ti ritrai così ti stringo più forte cercando di riscaldarti.
«Conti più di qualsiasi altra cosa per me Jen » confesso, mentre sento le lacrime iniziare a bagnarmi le guance .
 «Non possiamo ». Me lo sussurri contro il collo, un singhiozzo ti fa tremare convulsamente e capisco quanto mi sbagliavo pensando che tu potessi avere una relazione. E tutta colpa mia. 
Ti sento rabbrividire contro di me penso che non è ancora tempo e che forse non lo sarà mai. Ci stiamo logorando per qualcosa di impossibile.
Ed è strano che proprio quando sappiamo dove siamo non sappiamo dove stiamo andando. «Jen stai congelando, andiamo via ».
« Possiamo solo restare…così », chiedi timidamente con gli occhi chiusi.
Stiamo immobili, congelati, abbracciati l'uno all'altro perché non c’è più nessuno che ci aspetta a casa.
E se ti dico che non ti capirò mai?
Che non so cosa stai pensando e non posso mai prevedere quale sarà la tua prossima mossa. Sorridi  e sconvolgi la vita di tutti , non te ne rendi neanche conto ma  passi e lasci un segno di chi sei. Forse neanche lo sai o non ti sei ancora accorta di che effetto puoi fare. Dell'effetto che mi fai.
«è il più bel s. Valentino che potessi chiedere »mi confessi. Ancora aggrappata a me, con le dita gelide che sfiorano il mio collo. Mi sembri così fragile o forse è solo la notte che prende in giro tutti e ci spinge a esporci di più agli altri.
«Già un pò bizzarro, ma non c'è niente al mondo che desidererei  di  più che poterti stringere così sempre  ». Sono un vigliacco, un bastardo vigliacco.
Dovrei chiamarti un taxi e salutarti distaccato, ma non riuscirei a farlo, c’è qualcosa che me lo impedisce. Come posso rispedirti a casa quando non ho voglia di lasciarti andare neanche per un minuto?
Siamo un po’ come i pazzi noi attori, amiamo diversamente e se amiamo è la fine.
Ci divertiamo a parlare di avventure irrealizzabili e amori impossibili, ma la difficoltà sta nel rendere ogni cosa unica, indimenticabile. Cerchiamo di capire tutto e di comunicarlo agli altri e quando non ci riusciamo... non ne usciamo vivi, continuiamo ad ossessionarci, a crogiolarci e a strappare tutto e a ricominciare daccapo.
Ora forse capirai l’effetto che mi fai.
« Colin » dici guardandomi dal basso.
« Si? »
«forse dovresti andare. E già tardi, non voglio trattenerti oltre, probabilmente Helen ti sta aspettando a casa ma vedrai che con quel meraviglioso mazzo di rose ti farai perdonare il ritardo.» Lo dici con dolcezza e un pò di amarezza, con il tono di chi ancora una volta ha visto infrangersi le proprie speranze. Meriti qualcuno di ami quanto ti amo io Jen. Io invece non merito il tuo amore, affatto.
Non posso farti promesse, non per ora.
«Non c'è nessuno ad aspettarmi a casa, e le rose....aspetta come facevi a sapere delle rose?»
« Ti ho visto mentre le compravi, sembravi felice. Ti confesso che spero che un giorno qualcuno possa riservarmi lo  stesso sguardo che avevi mentre compravi quelle rose.»
Sorrido con tranquillità, come se avessimo tutto il tempo del mondo anche se sappiamo che tra poche ore il sole sorgerà richiamandoci ai nostri doveri. La realtà calerà inesorabile su di noi, schiacciandoci.
« Sai è curioso Jen che tu sia gelosa di te stessa»
Mi guardi confusa, è comprensibile che tu lo sia.
«Oggi è san Valentino, ci tenevo a regalarti quelle rose. Poi sono arrivato sulla soglia di casa tua, e non ne ho avuto il coraggio. Ti ho sentita piangere oltre la porta- ti vedo irrigidirti  e abbassare lo sguardo- Ho guardato le rose tra le mie mani e mi sono reso conto che tu non sei così. Tu non hai bisogno di una dozzina di rose rosse, ne basta una. Non hai bisogno di niente di straordinario perchè sei tu ad esserlo.  Sei straordinaria Jen. Così ho sfilato una rosa dal mazzo e l'ho lasciata sul tuo zerbino.» sorride.
E' bella mentre sorride, incredibilmente bella. 
Poi un bacio. Inatteso quanto desiderato.





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Capitolo 2
*** It's ok ***


Speak to me 
My heart is free 
My love has gone away 
Tell me true 
- It's ok Tom Rosenthal






Colin  la guardò allontanarsi con la coda di cavallo che le oscillava tra le spalle tese. 
Con le dita si toccò le labbra, ancora calde e umide per il suo bacio. Sapeva di desiderio e di paura. Paura per come lui avrebbe reagito, paura di esser  respinta, paura di perderlo. Aveva risposto con passione al bacio. Come avrebbe potuto non rispondere ? Si trattava di Jennifer. Che lo baciava. Mai avrebbe potuto negarle qualcosa.

Fece cadere la mano lungo il fianco. Doveva andarsene, tornare a casa,  il più lontano possibile da lei. 
****************************************************


Per oltre vent'anni aveva cercato di finire quella canzone. Aveva tentato tutte le forme d’ispirazione, ma non era giunto a niente. 
Colin  chiuse gli occhi e lasciò che le dita si muovessero fluidamente lungo i tasti, sollevato di poter finalmente riuscire a suonare il pezzo fino alla sua giusta conclusione. 
Quando sentì bussare alla porta, seppe che era lei. Aprì lentamente gli occhi e attraversò il salotto per aprire la porta. Lei era lì col cappotto grigio,  alcune ciocche di capelli che le cadevano dalla coda di cavallo e quegli occhi verde giada che lo guardavano. Sembrava più stanca di quanto l’avesse mai vista prima d’ora. Voleva dirle di non preoccuparsi. Invece, si fece semplicemente da parte e lei entrò silenziosamente in casa.
Jennifer rimase a disagio davanti alla porta d’ingresso, mentre Colin ritornò al pianoforte e sollevò il bicchiere di scotch che era appoggiato sopra lo strumento. Lo alzò, rivolgendolo a lei in un gesto interrogativo. Lei scosse la testa e lui fece spallucce – “No? Va bene– e bevve il liquido ambrato. 
Forse aveva bevuto troppo quella sera. 
Ma era l'unico modo per cancellare il suo sapore dalla bocca. Lasciò che il bruciore dell’alcool gli scendesse lungo la gola e si depositasse nello stomaco prima di risedersi al pianoforte e di riappoggiare le dita sui tasti. Suonò una melodia vagamente eterea senza un ritmo preciso, facendo sì che le note gli arrivassero semplicemente. 
Sentì un debole frusciare di tessuto quando lei si tolse il cappotto.

“Colin…” fu incerto e interrogativo. Lui continuò a suonare e non parlò.

“Colin” ora fu più fermo. Lui girò la testa per lanciarle un’occhiata, ma non tolse le mani dai tasti. Doveva tenere le mani e la mente occupate.

Lei fece cadere il cappotto e la borsa sulla sedia di pelle nell’angolo e si mosse per mettersi esattamente di fianco al pianoforte, così vicina a lui da riempirgli la visione periferica con la propria figura minuta.
Lui rallentò il ritmo delle dita ma non si fermò, suonando ancora una volta ad occhi chiusi nel tentativo di isolarla dalla propria mente.

Secondi dopo sulla sua mano avvertì quella piccola e delicata di lei, le cui dita si posarono sulle sue, accarezzandogli il dorso , mentre lui continuava quella lenta danza lungo i tasti. La sentì espirare profondamente e quel  respiro caldo gli lambì la guancia. Lei intrecciò le loro dita, fermando i suoi movimenti, e lui aprì gli occhi, guardando le loro mani unite prima di spostare lo sguardo sul suo volto. Dio, sembrava così triste. Lei si morse il labbro inferiore,e lui volle così disperatamente baciarla, proteggerla.
Colin girò il corpo sulla panca del pianoforte per guardarla. Quasi involontariamente liberò la mano dalla sua presa e fece risalire il palmo lungo il suo braccio e la spalla, fino ad arrivare alla guancia. Lei chiuse gli occhi e si appoggiò al suo tocco. Colin studiò il suo volto e poi prese nota della singola lacrima che le stava scivolando lungo la guancia. Mosse il pollice per raccogliere quella goccia salata  e poi guardò come lei piegò leggermente la testa e gli baciò il palmo della mano, soffermandosi su quella parte di pelle più del dovuto, tenendo gli occhi ancora chiusi.

“Jennifer” sentì se stesso pronunciare il suo nome con voce profonda e grave. Lei aprì gli occhi ed essi brillarono di lacrime non versate: aveva permesso che solo una goccia cadesse; stanotte nessun’altra sarebbe stata versata.
Lei gli si avvicinò di un passo, così da sfiorargli l’interno delle ginocchia con la parte esterna delle cosce. All’improvviso lui le avvolse le braccia attorno alla vita e la spinse contro di sé, nascondendo il volto nel suo ventre. Lei vagò tra i suoi capelli con le dita e gli tenne la testa tra le mani contro il proprio corpo, lasciandosi scappare dalle labbra un sospiro. Prima di questo preciso istante, non si era reso conto di volerla così disperatamente – di volerla tra le braccia, di volere il suo corpo premuto contro il proprio, il suono del suo respiro nelle orecchie e il profumo della sua pelle nelle narici.
Rimasero per un momento così, lui che la stringeva col fiato corto, e lei che si lasciava stringere trattenendo il respiro.
Il buio che li avvolgeva, e il battito accelerato dei cuori che rimbombava nelle orecchie.
Un contatto.
Uno stupido contatto bastava ad incendiarli.
Come avrebbero potuto far finta di nulla?
Come si poteva ignorare un emozione di quella portata?
L’esserci anche se distanti, il riconoscersi tra mille , ed il continuo cercarsi.
Cercarsi.
Cercarsi.
E dopo essersi trovati, aver paura di immergersi in quel mare di sensazioni fuori portata, troppo intense per non spaventare.
Aver paura di non riuscire a dare abbastanza amore, e aver paura di non essere in grado di riceverlo.
Sentirsi inadeguati all’interno del proprio mondo, ma sentirsi ancor più inadeguati all’esterno.
Dove la gente non capisce.
Dove li avrebbero guardati con cinismo, con invidia, con diffidenza..
E in mezzo a tutto questo, c’era il loro amore.
Maltrattato, rinnegato, calpestato, ferito.
Eppure sempre presente, sempre vivo, sempre pulsante.
Colin  fece per mettersi dritto, ma la presa di Jennifer non lo mollò.
Frugarono nel buio alla ricerca dello sguardo dell’altro e quando lo trovarono lei  sospirò il suo nome – “Colin”. Un sussurro, una dichiarazione di resa.  Lui si tirò indietro leggermente e alzò lo sguardo su di lei, cercando i suoi occhi. Jennifer spostò le dita dai suoi capelli al suo volto, prendendogli a coppa le guance, esattamente come aveva fatto poche ore prima. Poi abbassò la testa e avvicinò il volto al suo, lasciando che le labbra rimanessero in sospeso sulla sua bocca, così vicine da fare in modo che respirassero l’una l'alito caldo dell’altro.

"Perché?- Perché continui a farmi questo, Jen? Perché continui a torturarmi? Ho avuto la mia porzione di sofferenza, lasciami il tempo per metabolizzarla, non credo di poter sopportare oltre”. Nelle sue parole non c'era rabbia, solo impotenza e frustrazione.
Un tuono lacerò il silenzio. Stava per scoppiare un terribile temporale.
Lei  fissò per un istante fuori dalla finestra, quindi tornò a guardare lui.
“Non sono pronta a rinunciare a te”, sussurrò, “Non ne ho la forza”.
Lui sospirò lentamente.
Un altro tuono, e le luci si abbassarono per un momento.
“E cosa dovrei fare io?”
Jennifer si appoggiò al mobile che le stava alle spalle. Se lo era chiesta anche lei, in fin dei conti. Cosa avrebbe dovuto fare lui in una situazione come questa?


«Lascia stare Colin, evitiamo di farci inutilmente del male, sai anche tu che non...lascia stare. Dimentica questa sera. Non pensiamoci più. Il tempismo non è mai stato il nostro forte.»
«Jen, ascoltami. A volte il miglior tempismo è quello sbagliato» scuote la testa e prova ad allontanarsi, la trattiene per un polso« se lo vuoi almeno quanto lo voglio io Jen, dacci una possibilità.  Allora non sarà facile, anzi… sarà molto difficile. Scoppierà una bufera e saremo sotto l'assedio dei media. Ci attaccheranno e per noi sarà dura,  dovremo lavorarci ogni giorno, ma io voglio farlo perché  voglio te. Io voglio tutto di te! Questo non mi basta, non più. So che possiamo continuare con le nostre vite, ce la caveremmo benissimo. Ma io ho visto quello che potremmo essere insieme. E scelgo Noi. Prova a immaginare la tua vita fra 30 anni, fra 40 anni… come sarà? Io ci ho provato Jen, e ti assicuro che se sono qui stasera  è perchè quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile» concluse puntando gli occhi nei suoi, il fiato corto per quella dichiarazione improvvisata.
" Anche io scelgo noi" sussurrò Jen di rimando con voce rotta.
Lei gli sfiorò con tocco delicato la barba sulla guancia.
Lui invece si alzò velocemente, ora troneggiando su di lei, e si piegò in avanti per baciarle il collo. Le sfiorò con le labbra la pelle appena sotto il lobo dell’orecchio e sussurrò il suo nome – “Jen” – chiedendole permesso, anche se sapeva d’aver sempre avuto il suo consenso. 
Lei annuì impercettibilmente, troppo sopraffatta dalle emozioni perchè la voce non risultasse incrinata. 
Questa volta lui non esitò. Annullò la sottile distanza tra loro, unendo le loro labbra e aumentando la presa sulla sua vita.
Le schiuse le labbra con la lingua e la baciò più profondamente, lieto del delicato gemito che le sentì emettere. 
Lei rispose afferrandogli l’orlo della maglietta e togliendogliela dalla testa, per poi lanciarla sul pavimento. 
Fece vagare le mani sul suo addome, lungo il suo petto e attorno al suo collo. Gli accarezzò la nuca con le unghie perfettamente curate, facendolo rabbrividire, mentre disegnava il contorno della sua mascella con baci delicati. Alzò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi. Rabbrividì per l'anticipazione che vi lesse.
Lui fece vagare le dita al di sotto della sua camicia, le lasciò camminare lungo la pelle liscia alla base della schiena e poi lungo l’addome, giocando col bottone alla base della camicia.
Non distolse mai lo sguardo dai suoi occhi, quando iniziò a sbottonarle la camicia, un bottone alla volta, fermandosi dopo ognuno di essi per disegnarle dei piccoli cerchi sulla nuova pelle esposta. Le sfiorò il seno destro con il retro della mano, quando raggiunse l’ultimo bottone. Dopo aver sentito il suo corpo tendersi a questo breve contatto, liberò velocemente l’ultimo bottone dall’asola e le aprì la camicia usando entrambe le mani. 
Lei se la fece velocemente scivolare dalle spalle, accompagnando i movimenti di Colin, coprendo le sue mani con le proprie.
Solo allora lui abbassò lo sguardo.
Inspirò bruscamente e trattenne il fiato, momentaneamente stordito dalla quantità di pelle perfetta che aveva davanti a sé.
Lei cercò di nuovo le sue labbra.
Gli stava facendo perdere il controllo, premendogli contro il petto con i seni.  Doveva sentire più parti di lei.
Si cercarono ancora, senza essere mai sazi, perdendo il senso della misura, della sufficienza.
Volevano  tutto e lo volevano subito.
Continuando a chiedere amore, continuando a darlo, continuando a riceverlo.
Eppure temendo che non fosse ancora abbastanza, chiedendone sempre di più.
Lenendo le ferite, baciando le cicatrici, asciugando le lacrime.
Promettendo di non versarne più, promettendo di non farne più versare.
Credendoci.
E dormendo, senza aver bisogno di sognare.
Perché il sogno, giace addormentato tra le nostre braccia.




Prometto che non mi dilungo troppo...
Ci tenevo a ringraziare di cuore tutti coloro che hanno letto, recensito ed inserito la storia nelle varie categorie. Grazie davvero.
Leggere i vostri pareri è sempre una gioia. Spero di non aver deluso le vostre aspettative.
Un abbraccio e buona Pasqua ( anche se senza OUAT purtroppo). Alla prossima, Elena.

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