Did you just say Bad Wolf?

di Clarance
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -I- Nightmares. ***
Capitolo 2: *** -II- Reality. ***



Capitolo 1
*** -I- Nightmares. ***


{Did you just say Bad Wolf?

 
                                                                    - I - Nightmares.

La foresta era parte di lui ed allo stesso tempo, il suo unico nemico. Si passò distrattamente una mano sulla bocca per pulirla dal sangue rappreso, tornando poi ad impugnare con entrambi i palmi il fucile che aveva tenuto in spalla fino a quel momento. Lo osservò. Non sembrava ci fossero danni. Il respiro appena affannato. Lei era vicina. Lui la sentiva. Sempre. Chiuse gli occhi, concentrandosi sui rumori che lo circondavano: il vento tirava verso nord, scuotendo le fronde degli alti e scuri pini che lo circondavano, gli uccelli cinguettavano in lontananza.. mentre un enorme corvo nero, si era appostato su un ramo non troppo distante da lui; aprì gli occhi, per osservare quella presenza inaspettata, per quanto sembrava fosse diventata una costante di ogni sua battuta di caccia. Abbassò dunque lo sguardo.. gli stivali in pelle ormai sporchi di fango, poggiavano saldamente al suolo. Sarebbe dovuto essere il più silenzioso possibile. Quel gioco infantile alla ‘gatto e il topo’ lo aveva messo anche fin troppo in difficoltà: nel correre, cercando la preda, aveva finito con il cadere e spaccarsi il labbro inferiore. Gli ci era voluta più di un’ora per seguire nuovamente le sue traccie: quando riusciva ad allontanarsi, era sempre difficile. Ma ora era lì. Lui lo sapeva. Lui la percepiva. Sentiva il sangue correre nelle sue vene, il suo corpo bruciare come il proprio, ed appoggiarsi sulla stessa terra. Perché lui era tutto lì. Decideva lui la materia che plagiava quel bosco senza una fine e privo d’inizio. Eppure, lei ancora gli sfuggiva. E lui, non riusciva ad andare oltre al percepirla. Sentiva il suo peso sprofondare, ma non riusciva a capire dove. Un'eco del suo fiato animalesco, ancora esagitato e mescolatosi col vento. Per non parlare del mormorio dei suoi pensieri... gli risultavano simili allo scricchiolio dei vecchi mobili durante la notte, o al suono che fa la grandine, poco prima di trasformarsi in neve. Sempre più silenziosi, simili ai petali di una rosa appassita che raggiungevano il suolo, inesorabilmente. Ed inesorabilmente, lui avrebbe raggiunto lei.
Il corvo gracchiò di nuovo e lui si ritrovò costretto a smettere di pensare e tornare ad agire. Alla fine, lui era un uomo d’azione,no?
Scattò in avanti, abbandonandosi alle spalle il passeriforme che, un istante dopo, si itrovava nuovamente a veleggiare sopra gli alberi, invisibile alla vista terrena, invisibile pure a lui. La boscaglia correva insieme a lui, come se nel sospingere il proprio corpo, facesse lo stesso con la natura circostante. Il fucile di nuovo in spalla e lo sguardo attento ad ogni minimo dettaglio. Avrebbe trovato l’anomalia e l’avrebbe annientata, com’era giusto che fosse.
Continuò ad agirarsi a quel modo per un tempo che gli sembrò infinito, quando improvvisamente, la luce flebile del sole, cessò del tutto. Ed immerso in quell’oscurità, non ebbe neanche bisogno di chiudere gli occhi, per tornare a provare internamente il costante mutamento della vita che animava quell’estesa parte di sé. Ed ecco, nuovamente, la percezione di lei. La bestia, sembrava essersi spostata, eppure gli risultava distante allo stesso modo di prima. Dove lui faceva un passo, lei ne compieva uno nella direzione opposta. Se lui si girava, lei faceva lo stesso. Era la sua immagine speculare e, al contempo, tutto quello al di fuori di lui. Era quel che succedeva quando riusciva a metterla alle strette. Ghignò appena e spalancò le braccia, benché fosse consapevole che niente e nessuno  avrebbe potuto vederlo.

«Stiamo giocando a nascondino? »

Aveva urlato, al vuoto, prima di lasciarsi andare ad una risata.

«E’ sempre così, ma lo sai come va a finire.. ogni volta. Perché devi rendere le cose così difficili? Io davvero, non vorrei.. »

Ed il riso, morì con le sue parole. Non volere? Che gran bugiardo che era. Non provare il desiderio di eliminare quel  virus di sistema era tutto fuorché possibile. Desiderava sentire il sangue scorrere sull’erba, sporcandola e finendo inesorabilmente con il fare parte di sé. Perché quella smania di morte che provava verso di lei, non era altro che un tentativo disperato di assimilazione. Voleva che lei diventasse parte di sé. Voleva inglobarla, completamente. E questa cosa, alimentava ogni suo singolo movimento.
E tutti quelli dell’altra, a quanto pareva.
Irritato, dal non sentire nessuna risposta, riprese bruscamente il fucile, impugnandolo in maniera impropria con una sola mano, per poi sparare un colpo verso l’alto. In una situazione normale, probabilmente, il suo braccio non ne sarebbe uscito bene, eppure, non provò il minimo dolore. Il proiettile venne risucchiato dall’oscurità, mentre il rimbombo del colpo rimbalzò contro gli alberi. E allora non ci fu altro che non fosse l’eco di quello sparo, che si disperdeva in lontanaza.

«ALLORA?! Sto aspettando! »

Un altro grido. Stavolta il suo tono oltre che alto, era anche iroso. Ogni volta, ogni singola volta, doveva far così. Lei voleva resistergli.. ma era inevitabile, che venisse scovata, prima o poi. E lui la trovava,sempre. Alcune volte dopo giorni. Altre volte, gli servivano pochi minuti. Ma tutte le volte che le si trovava davanti...

Percepì una consistente variazione di peso sul terreno, e si mise in posizione da combattimento, impugnando nella dovuta maniera il fucile. Era riuscito a convincerla con le buone, quella volta. Forse si era stancata di nascondersi, consapevole quanto lui che fosse tutto stupidamente inutile. Quelle zampe animalesche affondavano lentamente nella fanghiglia, per poi venir ripulite dall’erba e dalle foglie secche, che di tanto in tanto sentiva lasciare il loro posto, per impigliarsi al pelo dell’animale. Le distanze si accorciavano ed il suo cuore forte iniziava a pompare una maggior gittata di sangue. Un’eccitazione mai provata altrove, e per nessun’altro in tutta la sua vita, lo invadeva. Scorse una luce far lentamente capolino dagli alberi. Un’altra elusione del sistema. Ma come diavolo ci riusciva?! Non importava. Una volta fatta sua, lui avrebbe saputo, avrebbe conosciuto tutto di quella mente estranea, di quel corpo pieno di vita impropria. Si leccò le labbra al pensiero,mentre le mani iniziarono a tremargli, appena. In poco tempo l’avrebbe vista. La luce, prima opaca, poi sempre più luminosa continuò ad avvicinarglisi, sparendo di tanto in tanto dietro i grandi tronchi. Quando ormai gli fu a meno di dieci metri di distanza si accorse quella luminescenza gli faceva male agli occhi. Era un dolore che non riusciva a concepire e soprattutto a sopportare, ed allo stesso tempo, qualcosa dal quale era maledettamente attratto. Eppure non si mosse. Sarebbe stata lei a venire.
Sarebbe stata lei ad inginocchiarsi al suo potere, conscia dell’imminente morte che le sarebbe toccata.
Ed ecco che l’animale, continuò con il suo lento ma maestoso incedere verso il suo futuro assassino. E lui strinse i denti, nel vano tentativo di bloccare il tremolio alle mani. Perché era così emozionato? Non aveva senso. No. NO! Scrollò le spalle, cercando di stabilizzarsi, mentre lei ormai non gli stava che a meno di qualche passo di distanza.

«Fatti vedere. Voglio guardarti negli occhi. »

Aveva ordinato, in un ringhio sussurrato e.. cattivo. La luce che l’aveva schermata dalla vista altrui, si affievolì appena.. poi esplose. Lo inondò completamente, facendolo barcollare all’indietro e facendogli serrare gli occhi. Ed in quel momento, improvvisamente, non sentì più niente. Il vento si era spento, l’erba era sparita, insieme alle pietre e gli alberi, gli animali erano stati disintegrati. Anche il corvo non si faceva più sentire. E questa era la cosa più strana. Si irrigidì, mentre il panico lo assaliva. Quell’anomalia di sistema era abnorme, ed andava oltre alla propria comprensione. E, soprattutto, era qualcosa che non sarebbe mai potuto succedere. Non era da copione. Non era minimamente possibile o accettabile. Quando riuscì nuovamente ad aprire le palpebre, la sua vista era alterata. Cerchietti bianchi luminosi e traballanti l’annebbiavano, mentre tutto quel che riusciva a scorgere fra di loro era una distesa bianca ed indefinita. Ogni cosa era candida ed informe. Sembrava che non ci fosse altro, se non quel colore... lui, il suo fucile e quella bestia. Le puntò violentemente la canna contro, cercando di reprimere il panico che lo stava lentamente avvolgendo. Ironico.. quella volta era stata lei, ad incastrare lui. Ma non del tutto. Poteva ancora distruggerla.

«Che cos’è questo?! PARLA! So che puoi farlo! PARLA! »

Si morse la lingua, detestandosi. Non era riuscito a trattenersi dall’urlare in quel modo tanto.. umano. Umano e infantile. Lui era un Dio, lì. Ed unn Dio non poteva comportarsi a quel modo. Ma anche lei, doveva esserlo... di certo ne aveva il sembriante: il pelo grgio e folto aveva un’aspetto invitante, mentre le zampe robuste erano lunghe, come lo erano anceh coda ed orecchie.  Il muso fiero e le fauci, chiuse.  Aveva un portamento eretto, ma non aggressivo. E poi, quegli occhi.. grandi e di un chiaro color nocciola. Erano quasi umani. Molto più di quanto fossero i suoi,  antichi, furenti e stanchi.
Lei non si mosse, lei non parlò, e lui riprese a tremare.

«Ti sto chiedendo dove siamo! PARLA! Parla o ti sparo!»

Ma che senso avrebbe avuto, comunque, cedere a quelle minacce? Entrambi sapevano che lui avrebbe comunque premuto il grilletto. La bestia socchiuse gli occhi e lui si sentì scosso. Sembrava quasi che gli stesse sorridendo. Perché mai, poi? Era uno sporco assassino. Un cacciatore. E lei era la sua silenziosa ed astuta preda. Ma le era permesso di vincere. E lui non ce la faceva più.  Doveva tornare a tenere il controllo.

Ringhiò ancora, sembrando più animalesco di chi gli stava di fronte, e andò a sistemare l’indice della mano destra sul grilletto.

«Me lo dirai domani, allora. Ti farò parlare.

Bad Wolf. »

E dopo aver pronunciato quel nome, premette il grilletto, e tutto si fece nuovamente buio.


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La sveglia stava suonando fastidiosamente da più di cinque minuti, quando John si decise ad aprire gli occhi. La guardò un po’ spaesato, poi allungò il braccio verso il comodino, dandole un colpo deciso con il pugno chiuso per silenziarla. Gli capitava fin troppo spesso di non accorgersi di quel rumoraccio, cosa parecchio strana, visto che lo trovava detestabile. Tornò a mettere la faccia contro il cuscino,mentre si muoveva sotto le coperte, nel vano tentativo di riprendere la sensibilità del proprio corpo. Si andò a massaggiare le tempie con la mano sinistra.. e notò che fossero bagnate. Aveva di nuovo sudato.. l’ennesimo incubo, probabilmente. E poi, mosse un paio di volte le spalle in senso antiorario. Ed ecco un’altra cosa che non andava. La destra gli dolorava in maniera lancinante. Ma che cosa aveva fatto quella notte? Era andato a combattere in qualche pub, preso dal sonnambulismo, per caso? Non sarebbe stata di certo la prima volta. Ma ormai erano anni, che non gli capitva più di uscire addirittura di casa, durante uno dei suoi attacchi. Scosse la testa, mettendosi a sedere, per poi massaggiarsi la spalla dolorante con cura.

«Bel buongiorno... »

Borbottò, buttando un’ultima occhiata alla sveglia. Erano le otto meno un quarto e lui avrebbe dovuto trovarsi dall’altra parte di Londra, in meno di un’ora e mezza.

In pochi minuti s’era alzato, fatto una doccia e ben vestito. Doveva indossare giacca e cravatta, benché non fosse altro che un semplice impiegato. Nella sua società il DressCode era qualcosa considerato quasi ‘vitale’. Alcune volte era stato tentato di abbandonare gli scarponi neri per un paio di converse.. ma si era fermato pensando che, effettivamente, i soldi gli servivano. Mangiucchiato un toast imburrato e con un po’ di marmellata, affiancandolo ad una tazza di thé, s’era andato a guardare rapidamente allo specchio. Notate le occhiaie, pensò che quella routine lo avrebbe ucciso,prima o poi. Una volta imbracciata la sua ventiquattro ore, aveva abbandonato l’appartamento, chiudendo  bene a chiave prima di scendere le scale e raggiungere la fermata del bus. Era felice di vivere a Powelle Estate. Era un bel comprensorio di case, con bella gente ad abitarle. Il posto migliore nel quale si fosse mai trasferito, decisamente. Ed anche i mezzi, passavano in orario. Diede un’occhiata all’orologio da taschino che portava sempre con sé, sorridendo nel vedere che le lancette segnavano le otto e un quarto.. per poi notare l’autobus che girava l’angolo, diretto alla fermata.
Si accomodò tranquillamente al suo solito posto, dopo aver salutato in modo cordiale il conducente, che ormai conosceva bene, e si era messo a sbirciare dentro la borsa, alla ricerca di un paio di pratiche che voleva ricontrollare. Improvvisamente, gli sembrò di sentire una voce, al di fuori del bus. Una voce di donna, che chiedeva di essere aspettata. Si affacciò dal finestrino, sbirciando nella direzione da cui proveniva quel suono. Non notò niente di anomalo, nonostante la voce si facesse più forte... scrollò la testa e chiuse gli occhi, massaggiandoseli con il pollice e l’indice della mano non dolorante.
Aveva dormito davvero troppo poco.

Il bus partì e lui smise di torturarsi il volto, sbattendo le palpebre un paio di volte. Gli sembrò quasi di vedere una ragazza bionda inseguire la vettura, prima di girare nuovamente l’angolo.

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Capitolo 2
*** -II- Reality. ***


- II - Reality.
«Non pensi che dovremmo rifarlo...? »

Poco più di un sussurro, accanto a lui, troppo immerso nei propri pensieri, per rendersi conto del fatto che non fosse solo. Sgranò gli occhi, voltandosi alla propria destra e mordendosi il labbro inferiore, nel farlo. Sdraiata accanto a lui, sotto le coperte, una graziosa ragazza dalla pelle scura, gli occhi grandi ed i capelli lunghi. Martha,se non si sbagliava. Una sua collega. Cercò di sorriderle in maniera convincente, mentre con una mano andava a scompigliarsi i capelli, segno del fatto che fosse nervoso.

«Ma certo,certo!! »

Forse ci aveva messo troppa verve, nel risponderle. Infatti, lei aveva storto le labbra, mentre con le mani andava a tirar maggiormente sù il lenzuolo candido, per coprirsi il seno.

«...Mi hai preso per stupida? »

Oh,si, troppa verve. John scosse rapidamente le mani in aria, andando a mettersi praticamente seduto, ma continuandola a guardare negli occhi. Il contatto visivo, dopo quello che avevano fatto, era una cosa che si sentiva di doverle. Si umettò nervosamente le labbra, prima di dirle con aria apparentemente convinta.

«Ehy, ehy,ehy! Non ho detto niente! Ho detto.. ho detto di si! E’ stato--- »

Non fece in tempo di finire la frase, che la ragazza si era allungata nella sua direzione.. per dargli un bel ceffone. Le dita di lei presero in pieno la sua guancia, costringendolo ad un gemito e spingendolo a ritrarsi rapidamente, per evitare di prenderne un altro. Sconvolto, aveva iniziato a massaggiarsi la guancia, mentre la bocca era ancora aperta, come se volesse davvero cercare di finire quel che stava dicendo. Ma forse, era meglio restare zitti. Era una terribile frana, con le donne. Anzi.. si stava ancora chiedendo cosa fosse passato per la testa di lei quando l’aveva invitato a prendere una birra. Ed era doppiamente stupito da sé stesso, per essersi ritrovato nudo nella sua camera da letto, dopo qualche goccio di troppo. Ma a parte il mal di testa, era abbastanza sobrio in quel momento per capire che lei era tutto, fuorché felice.
E che lui ne era la sfortunata causa.

«Se volevi solo divertirti, bastava dirlo chiaro e tondo. Non sono una ragazzina... »

Le parole erano così seriose, mentre il suo tono, sembrava tutt’altro che veritiero. A John sembrò quasi di scorgere del.. dolore. L’aveva fatta grossa. Gli era stato detto da più colleghi, che una delle ragazze dello studio aveva un’infatuazione per lui. Ma dubitava fortemente che fosse lei... almeno fino a quando non se l’era ritrovata davanti completamente svestita. Una tentazione alla quale nessun uomo solo ed alticcio avrebbe detto di no, probabilmente.. ma per lui.. per lui era la prima volta. Una volta tornato a casa, probabilmente, avrebbe finito con il sentirsi uno schifo. Già lo sapeva. Ma forse, forse poteva rimediare.

«Martha Jones. »

Disse con tono fermo, mentre lei continuava a guardarlo con quell’aria piena di risentimento... gli sembrò che lei trattenesse un sorriso, nel sentirgli pronunciare il proprio nome.
Martha Jones, la segretaria del capo, dipendente modello, ragazza bellissima, intelligente, brillante... ragazza che aveva deciso di prendersi una cotta per il tipo sbagliato. L’inettitudine fatta a persona.

«
Ed aveva fatto scivolar via la mano dalla propria guancia, per passarla delicatamente su quella di lei, con tocco incerto ma delicato.

«.. sono stato davvero bene con te. E mi piacerebbe rivederti ancora. Ma,non così. Non.. non senza prima conoscerci. »

Le distolse lo sguardo, mentre con le dita, iniziava a giocherellare con la stoffa con la quale si copriva. Probabilmente, avrebbe preferito che il lenzuolo fosse stato lui, considerando la foga con cui la stava torturando. Lui le prese delicatamente il mento, per poterla guardare nuovamente negli occhi. Non voleva escludere la possibilità di avere una relazione con lei. Semplicemente, non voleva basarla su quello. Non era fatto così. Non gli era mai importato, del sesso, in verità.

«... ti andrebbe un caffé prima del lavoro,domani? »

Lei arrossì, mentre l’espressione da rabbuiata qual’era, tornava felice. Lui le sorrise dolcemente. Detestava far male alle persone che provavano dell’interesse nei suoi confronti.. e potenzialmente, anche lui avrebbe potuto provarlo nei suoi, no?

Rimasero ancora insieme, per un po’. Lei gli aveva chiesto se voleva fermarsi a dormire, ma lui aveva preferito diversamente. Non gli sembrava il caso. Quella situazione, aveva un nonsoché di sbagliato, per lui. Aveva iniziato a pensare che il problema di base fosse stato il suo accettare l’invito. Avrebbe dovuto rimandare, invece di dar ascolto alla sua ‘carne debole’.

Avevano parlato del più e del meno e di uno dei colleghi che conoscevano entrambi, mentre si rivestivano... o almeno, credeva. Risolto il disguido, infatti, si era ritrovato a perdersi nuovamente nei propri pensieri...

Non solo in quel momento ma anche per tutto il tempo che aveva trascorso a lavoro, infatti, gli era sembrato di ripensare ai sogni della notte passata. Non gli era mai capitato di ricordare così casualmente e, soprattutto, così nitidamente le proprie scorribande notturne, durante il corso della giornata.
E ora, ogni volta che si distraeva anche per un secondo, non poteva che pensare a quei grandissimi occhi color nocciola. Gli erano sembrati la cosa più bella che avesse mai visto.
Probabilmente, stava pensando a loro anche mentre salutava Martha. Aveva cercato di essere il più affabile e ‘romantico’ –se così si poteva davvero definire- possibile: l’aveva baciata delicatamente sulle labbra, prima di congedarsi con un “a domani mattina”. Forse era stata un uscita di scena un po’ asettica; ma si era ripromesso che l’indomani avrebbe fatto bella figura.
Magari, poteva mettersi la cravatta buona.
Scrollò il capo, al pensiero. Non avrebbe avuto senso conciarsi a quel modo. Alla fine, era solo un caffé... non poteva sapere se qualcosa lo avrebbe seguito. Magari lui, a lei, non interessava neanceh tanto. Ci sperò, e si sentì terribilmente, per questo. Ma cosa gli prendeva? Era così terribile, con le donne? Davvero?
Aveva sbuffato rumorosamente, mentre la propria mano correva da sotto al suo mento, lungo il prorio collo e poi dietro la nuca: come se farfugliare e toccarsi a quel modo, potesse aiutarlo a ragionare meglio.
Forse,semplicemente, non si ricordava più come funzionassero. L’ultima volta che ne aveva toccata una,prima di Martha... quasi non se la ricordava.
A quel punto, alla ricerca di un po’ di lucidità, aveva alzato lo sguardo verso l’alto per osservare il cielo. Stranamente, qualcuno aveva deciso di fargli un regalo. Nessuna nuvola all’orizzonte, ma solo un manto di stelle. Riconobbe la cintura d’Orione e sorrise. Era stata la prima che aveva imparato a leggere. Si ricordava quello, e non si ricordava l’ultima volta che aveva provato del vero calore umano. Un altro sospiro, e poi si portò una mano al petto, massaggiandoselo piano,nel tentativo di sentire il battito del proprio cuore. Uno solo, forse non era abbastanza, per un come lui.
Ma non poteva farci niente.
Era impotente persino su sé stesso. Ma almeno, il cielo se lo poteva godere. Lo faceva sentire... a casa, ovunque si trovasse. Sorrise, al pensiero che gli sarebbe piaciuto viverci davvero, là, fra le stelle.

Poi, qualcosa rapì la sua attenzione.
Un rumore improvviso, gli fece distogliere lo sguardo dall’alto, per puntarlo un po’ dietro di sé: alle sue spalle, su di una recinzione sgangherata, un corvo troneggiava silenzioso.
Sembrava quasi che quegli occhietti rossi, lo stessero osservando.
Inarcò un sopracciglio:

«Ma voi bestiole, non dovreste dormire di notte? »

Aveva pensato ad alta voce, mentre cercava di ritirarsi maggiormente dentro il tessuto caldo che lo ricopriva.
Possibile che facesse improvvisamente così freddo?
Tossì, poi scosse la testa, trasalendo e tornando a camminare tranquillamente. Alla fin fine, non era successo niente di particola---
Si bloccò, una volta voltato l’angolo.
Un’altro corvo, stavolta in terra.
Gli sembrava lo stesso. Ma non era possibile che si fosse spostato in così pochi secondi.. soprattutto, senza che lui lo sentisse. Fece un paio di passi indietro, per controllare il punto che aveva da poco superato.
Non c’era più niente.
Forse era solo stanco... e ne fu sicuro, quando tornato a guardare davanti a sé, non vide più nulla.

«Stai diventando matto. »

Aveva aggiunto, sussurrando, prima di aumentare il passo. Aveva bisogno di tornare a casa, farsi una doccia calda e di dormire. Dormire davvero. Iniziò a rimuginare sul fatto che, per una volta, avrebbe potuto mandare giù qualche pillola. Sarebbe sopravvissuto, per una sola notte.

Un’altro battito d’ali, alle proprie spalle. Sospirò, esasperato, prima di voltarsi.

«Guarda che se vuoi da mangiare io non ho... niente... »

Sul marciapiede ora non c’era un solo corvo. Ma più di una dozzina. E la cosa più inquietante era che tutti, nessuno escluso, sembravano lo stesso che aveva visto pochi secondi prima. Non che al buio si potesse capire poi molto... ma lui lo sapeva, e basta.

Fece un passo indietro, tirando fuori le mani dalle tasche, e mostrandole, in segno di resa.

«Okay... io adesso... me ne vado... »

E si era morso il labbro inferiore. Che senso aveva parlare con.. dei maledetti piccioni?! Non potevano capirlo! Uno di loro, gracchiò e lui si bloccò. Oh, non era un bambino. Non poteva spaventarsi per qualcosa del genere. E allora, perché si sentiva bloccato? Era come se i propri piedi fossero diventati parte dello stesso asfalto. Il cuore, perse un battito e lui sentì una strana fitta al basso ventre, quando una di quelle bestiaccie, avanzò di poco nella sua direzione.
Un’altro verso roco, poi un’altro ancora. Sembrava che tutte avessero deciso di cantare all’unisono, se quel rumore, si potesse definire tale.
Un conato di vomito. Un’altro battito perso. Paura. Perché non riusciva a muoversi?!

E poi, fu del tutto pietrificato.

La macabra melodia, era stata sovrastata da un’altro verso. Un ululato. Alto, maestoso... incredibilmente vicino. John sgranò gli occhi, quando da dietro l’angolo che lui stesso aveva da poco voltato, apparve.. lei.
Il grande lupo cattivo dei suoi sogni, con gli occhi più umanamente divini che avesse mai visto. E l’ululare, si trasformò in un latrato, roco e basso. E per la prima volta, lui le vide mostrare i denti. Fauci spaventose e fameliche, persino per un cacciatore come lui.

Ma ancora più terribili, per i corvi. Un’altro ringhio, poi la lupa, si scagliò sui volatili, cercando di afferarli con le zanne, invano: uno ad uno, continuando con il loro lamento, presero il volo. Eppure lei non sembrava arrendersi, nel tentativo di prenderli.

Tutto quello era surreale. Pensò di essere pazzo. Poi sperò che non fosse altro che un sogno. Forse,forse era rimasto a dormire da Martha...

L’ultimo uccello sparì, andnado a confondersi con il nero della notte, e il malessere che lo aveva colpito, sembrò andarsene con lui. Persino il freddo, sembrava essersi mitizzato.. e i piedi...

Per un attimo eterno, lui e l’animale, si guardarono negli occhi. Lei, ansimava, stanca. Lui, con le ginocchia che tremavano, sconvolto. La bestia fece un passo in avanti e questo, per lui fu abbastanza: si voltò, poi scattò. L’adrenalina che aveva accumulato in quell’incubo ad occhi aperti, gli tornò più che utile. Le sue falcate erano incredibilmente lunghe, per non parlare dell’incredibile velocità con il quale le faceva. Gli sembrò quasi di star volando, per un istante. Volando in una direzione ignota. Aveva perso la strada di casa. Ma non gli importava. Voleva solamente allontanarsi da lei.

Lo avrebbe ucciso.

Lo sapeva.

Ogni notte, era lui, a porre fine alla sua vita. Perché lo avrebbe dovuto risparmiare, ora che era disarmato?

E poi, che senso aveva fare quei pensieri. Non era possibile. Non poteva esserci un lupo, in città. Un lupo vero. Un lupo che lui aveva sognato, fra l’altro! E quegli occhi... lo avrebbe ucciso anche starla troppo a guardare, probabilmente. Si sarebbe perso, dentro quello sguardo. E poi, ci sarebbe affogato.

Doveva continuare a correre. Ma poi, stava venendo inseguito? Non avrebbe guardato indietro per controllare. Sarebbe stata una vana perdita di tempo.

Attraverò la strada, per passare sull’altro marciapiede.

Quello che successe allora, non durò che un paio di secondi, ma a John, sembrarono anni interi.
Alla fine, quando stai per morire, si suol dire che tutta la tua vita ti scorra davanti agli occhi.
Mentre lo stridio dei freni della macchina che lo stava per colpire lo assordavano, a John vennero in mente per primi i visi dei suoi genitori: i lunghi capelli rossi della madre, gli occhi chiari del padre. Poi, le notti insonni in accademia, con il suo migliore amico. E centinaia di frammenti di quelli, che per lui, erano sempre stati solamente lunghi sogni: Una ragazzina di nome Susan, una giornalista intelligente, un cane di latta, una ragazza dall’aria Francese di nome Romana, quella ragazza dai lunghi capelli rossi... e con loro, altri volti. Volti che aveva sempre ricordato, benché non fossero stati altro che frammenti della sua vita notturna.
La luce degli anabaglianti, gli fece male agli occhi, e lui li chiuse.

Che modo stupido, di morire, pensò.
Non avrebbe offerto nessun caffé a Martha.
E non avrebbe mai potuto chiederle scusa.

Quante cose in sospeso, stava lasciando.

Poi, qualcosa di inaspettato.
Qualcuno gli afferrò un braccio, poi, gli si buttò completamente addosso.
Cadde in terra, sbattendo bruscamente la testa contro il ciglio della strada.
La vista gli si annebbiò, benché percepì il peso su di sé diminuire, rapidamente...

«Dottore,resta con me... »

Chi aveva parlato? Era una voce femminile. Gli occhi gli facevano male. Non riusciva a tenerli aperti. Ma.. ma voleva.. vedere chi.. lo aveva spinto.
Sentì qualcuno muovergli delicatamente il collo,cercando di farlo mettere il più dritto possibile. Era un tocco così delicato... e mentre chiudeva inevitabilmente le palpebre, gli sembrò di vedere nuovamente, una chioma di lunghi capelli biondi, fluttuare sul proprio volto.

Nel naso, odore di sangue e di rose.

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