Jerusalem

di Calenzano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quid est veritas? - Pilato ***
Capitolo 2: *** Sarebbe meglio per lui - Giuda ***
Capitolo 3: *** Ricordati di me - Disma ***
Capitolo 4: *** Rabbunì - Maria Maddalena ***



Capitolo 1
*** Quid est veritas? - Pilato ***



Sulle note della suggestiva canzone di Amedeo Minghi (per chi ama il sottofondo durante la lettura: https://www.youtube.com/watch?v=SBzbeylnbE4), è nata una breve raccolta di punti di vista – per il momento quattro - dei testimoni della Passione di Cristo. Le fonti utilizzate sono naturalmente i Vangeli canonici, ma anche brani della mistica Maria Valtorta, e alcune scene dei film “Jesus” di Roger Young, uno dei miei preferiti nel genere, e il magistrale "La Passione di Cristo" di Mel Gibson.

Grazie a chiunque volesse lasciare un commento, buona lettura (e buona riflessione)!



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Mi stavo ancora radendo, quel mattino, quando arrivarono. Il sole si era appena levato, iniziando a disperdere la frescura della notte. 
Avevo dormito male, assorbito dalle preoccupazioni per le festività imminenti, e le voci sempre più insistenti di una prossima sollevazione. Il malcontento serpeggiava, c'erano già stati focolai di rivolta appena fuori della capitale, che minacciavano di estendersi anche nelle province vicine. Ora, con la festa della Pasqua, migliaia di pellegrini stavano affluendo in città, e temevo l'infiltrazione di gruppi armati di Zeloti con il favore della confusione.

Per questo non mi ero sorpreso, vedendo apparire Mitilo, il mio attendente, sulla soglia. “Prefetto, i capi del Sinedrio richiedono udienza.”

Cosa poteva portare al Pretorio, Caifa e i suoi, così di buon'ora? Niente di buono, certamente. 

Con un leggero moto di fastidio, mi ero alzato, dirigendomi verso l'atrio. Non potevamo ignorare le cariche del Tempio, troppa influenza sul popolo. L'Imperatore era stato chiaro: averli dalla nostra parte significava mantenere il controllo su quella terra turbolenta, evitando lo scoppio di altre rivolte. Ma di quella gente intrigante mi fidavo più o meno quanto di uno scorpione tenuto nella veste.

 

“Fatelo entrare.” Avevo ordinato a Mitilo. Quasi immediatamente erano comparsi due soldati del turno di guardia, trascinando il prigioniero al centro della stanza. Era piuttosto malconcio, dovevano già averlo interrogato, giù al Sinedrio. Avevo fatto cenno ai due di uscire, e mi ero piazzato davanti a lui.

Un bestemmiatore, un blasfemo, un falso profeta: quelle accuse non mi importavano, così come non mi ero mai interessato delle dottrine del popolo che governavo. Di questi “profeti” rigurgitavano le strade della Giudea, uno in più non faceva alcuna differenza. No, quello che mi premeva accertare era se quell'uomo fosse uno uno dei tanti agitatori politici, o magari uno Zelota. I membri del Sinedrio ne erano consapevoli, e ai capi d'accusa avevano aggiunto quello di essersi proclamato re, fomentando il popolo.

“Tu saresti il re dei Giudei?” Gli avevo chiesto, senza preamboli.

Quello aveva sollevato gli occhi pesti, e con voce un po' rauca aveva chiesto, di rimando: “Dici questo per conto tuo, oppure altri ti hanno parlato di me?”

“Sono forse Giudeo?” Avevo risposto, seccato. “La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che hai fatto?”

“Il mio regno non è di questo mondo.” La voce gli si era fatta più limpida. “Se no, le mie guardie avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù.”

Un visionario. Uno che parlava di regni al di fuori di questo mondo, che altro poteva essere? Un innocuo sognatore trasognato, ecco chi mi avevano portato.

“Dunque, tu sei re?” Avevo chiesto di nuovo, con ironia.

“Tu lo dici: io sono re.” Aveva confermato lui, semplicemente. Dopo un attimo di silenzio, aveva ripreso: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.”

Cosa c'entrava, questo, adesso? Eppure quelle parole, per qualche motivo, mi avevano fatto un effetto strano. Un'unica verità: eterna, trascendente, iscritta nella carne e nel cuore. E un uomo, solo di fronte al mondo, a darle voce. Una visione incredibilmente affascinante. Ma irreale. La verità....

“Cos'è la verità?” Avevo mormorato, rivolto a lui come a nessuno. Per me, comunque, era abbastanza. Lo avevo lasciato, ed ero uscito all'esterno, dove i membri del Sinedrio erano in attesa.

“Non trovo alcun motivo per condannarlo.” Avevo annunciato, rivolto alla gente radunatasi, ma soprattutto a loro. Erano subito insorti.

“Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dalla Galilea fino a qui!”

Un appiglio, inaspettato. “E' Galileo?” Avevo domandato.

Uno degli scribi aveva fatto segno di sì. “Di Nazareth.”

Tanto meglio. “Allora il caso ricade sotto la giurisdizione di Erode. Che se la sbrighi lui.”



Ecco fatto. Mi ero sentito sollevato, ora che mi ero sbarazzato quella scomoda questione. Ero rientrato nel palazzo, considerando conclusa la faccenda. Per questo non mi aspettavo di vedermelo ricomparire davanti più tardi, a mattina ormai inoltrata, in un vociare crescente proveniente dall'esterno; il che indicava che l'assembramento era cresciuto.

“Ancora con quell'uomo?” Ero sbottato.

“Pare che Erode si sia rifiutato di emettere un giudizio.” Aveva commentato Mitilo, stringendosi nelle spalle.

Un re non ne giudica un altro, avevo pensato sarcastico, vedendo il Nazareno ricoperto di un fastoso manto scarlatto. I capi dei sacerdoti, ormai elettisi accusatori ufficiali, avevano rinnovato le loro istanze. Mi ero arrovellato su cosa fare. Mi rifiutavo di mandare a morte quel povero illuso, ma capivo che non se ne sarebbero andati senza una condanna. Un'idea, improvvisa. Avevo dato ordine che fosse flagellato. Questo sarebbe dovuto essere sufficiente.


 

Ma quando era ricomparso davanti alla folla, e persino lo smaliziato Mitilo, veterano di tante campagne, aveva storto la bocca in una smorfia a vedere com'era conciato, le urla si erano alzate ancora più forti, reclamandone la morte. Il cortile del Pretorio si era riempito in modo impressionante. Il cordone di soldati di presidio era raddoppiato. Li avevo contati rapidamente con gli occhi, rendendomi conto che non sarebbero bastati se la folla avesse continuato a aumentare.

Per prendere tempo, l'avevo interrogato nuovamente. Ma lui fissava in silenzio il pavimento di marmo. Sembrava che la cosa non lo riguardasse.

Non ci avevo visto più. “Possibile che non dici niente? Non ti rendi conto che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?” Avevo esclamato, esasperato.

Solo allora era tornato a guardarmi negli occhi, e avevo percepito quello sguardo tumefatto e iniettato di sangue, ma ancora incredibilmente penetrante, insinuarsi fin nel profondo delle mie viscere. “Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande.” Aveva detto, in un soffio.

A disagio, ero uscito sulla terrazza, scostando la tenda. Il sole mi aveva abbagliato, ma dovevo risultare ben visibile alla folla nel cortile. Avevo sollevato una mano in un gesto deciso, e il vociare si era a poco a poco placato.

“Io non trovo in lui alcuna colpa.” Avevo ribadito. Senza lasciare tempo alle esclamazioni di protesta né allo sguardo torvo di Caifa, in prima fila, avevo subito proseguito: “So che tra voi vi è l'usanza per la Pasqua di rimettere uno in libertà. Volete dunque che io liberi per voi il re dei Giudei?”

Immediatamente erano esplose diverse grida. Nel baccano ne avevo distinto perfettamente una: “Non costui, ma Barabba!”

Ero rimasto interdetto. Dunque, a quel Gesù di Nazareth preferivano un brigante, un assassino? Probabilmente tra la folla si trovavano diversi uomini di quel ribelle. Mi ero sentito un idiota per non averlo previsto, ma ormai il nome di Barabba era scandito da cento bocche.

“E che farò di Gesù, chiamato Cristo?” Ero sbottato, ormai impotente.

“Sia crocifisso!” Il grido quasi stridulo del Sommo Sacerdote era subito stato ripreso dagli altri, e ben presto era divenuto un boato inarrestabile. La pressione delle prime file contro il cordone dei soldati, sotto di noi, stava diventando insostenibile, e avevo visto Mitilo far cenno al centurione. Un attimo dopo le truppe avevano iniziato a sospingere duramente indietro i più esagitati con gli scudi e le aste, e al frastuono generale si erano unite le urla di chi, colpito, cadeva a terra ed era calpestato. La situazione stava degenerando, avevo realizzato vedendo la sommossa, un'altra, concretizzarsi. Immediatamente mi ero visto destituito da quell'incarico, faticosamente guadagnato a prezzo di anni di sforzi, accordi, favori. Non potevo permetterlo.

Mi ero fatto portare dell'acqua. Avrei usato un loro rito, perché fosse chiaro a tutti di chi fosse la decisione. Avevo sollevato le mani in modo ben visibile, quindi le avevo tuffate nel bacile.
“Io non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi.”

Mentre la folla ruggiva il suo consenso, avevo intravisto le labbra di Caifa, piantato come uno scoglio in mezzo alle onde, articolare in silenzio codardo. Mi ero voltato, e avevo ordinato seccamente a Mitilo di rilasciare Barabba, e di crocifiggere il Nazareno.

Ero rientrato nei locali del Pretorio, e il frastuono si era attenuato alle mie spalle. Ma mentre attraversavo le sale, le mani ancora gocciolanti, ribollivo di frustrazione e di stizza. Non sono un codardo. Sono un soldato, ho combattuto in battaglia più volte, e il mio corpo ne porta i segni. Ma alla fine avevo permesso a quelle serpi di manipolarmi per i loro scopi, e lo smacco mi bruciava. Non che mi importasse più di tanto del Nazareno. Non è stato il primo a finire male per l'invidia dei potenti, e non sarà l'ultimo. Di lui si parlerà per qualche giorno ancora, poi scomparirà come tutti gli altri. E la verità... La verità saranno gli storici a stabilirla nei loro scritti. E quando anch'essi taceranno, più nulla resterà a confermarla o a smentirla.




 

 

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Capitolo 2
*** Sarebbe meglio per lui - Giuda ***


Non era l'uomo che credevo fosse. Non lo era. Ho fatto quello che era giusto. Nient'altro. Lo ripetevo tra me, più e più volte, fino a far diventare le parole una cantilena senza senso. Il vento che soffiava da est mi portava, a tratti, l'eco lontana delle grida che venivano da lassù, dal pendio brullo e riarso del Golgotha.

​Avrebbe potuto salvarsi, se fosse stato quello che diceva di essere. Perché non l'ha fatto? La gente lo amava, l'avrebbe seguito. Bastava vedere come gli andavano dietro ovunque si recasse, come acclamavano il suo nome solo pochi giorni fa. Sarebbe bastata una sua parola. Il popolo sarebbe insorto a centinaia, a migliaia, i Romani sarebbero annegati nel loro sangue. Li avremmo cacciati da Gerusalemme, dalla Giudea, da tutta la nostra terra, e Israele sarebbe stato di nuovo libero. Come ai tempi gloriosi di Saul, o di David. Quando avevo sentito che quel rabbì, di cui si dicevano cose straordinarie, era un discendente del grande monarca, non avevo avuto dubbi. Il Messia era finalmente giunto. E quando era arrivato nel mio villaggio gli ero corso incontro, facendomi largo con impazienza tra la folla,
 e l'avevo implorato di prendermi tra i suoi discepoli. Sembrava che non volesse, aveva addirittura cercato di dissuadermi. Ma sapevo che mi stava mettendo alla prova, di certo voleva saggiare la mia determinazione, e io gliela avevo mostrata. Ero arrivato a umiliarmi, prostrandomi davanti a lui come un cane. E alla fine aveva ceduto.

Ero riuscito a guadagnarmi la sua fiducia, nonostante gli altri spesso mormorassero alle mie spalle. Credevano non li sentissi, quando mi davano del ladro e del frequentatore di prostitute. Ma io non me ne curavo, e seguivo il rabbì di Nazareth in quella vita randagia per le strade della Giudea, della Samaria e della Galilea. Ma ero stato costretto a ricredermi. Avevo visto con i miei occhi prodigi incredibili, ciechi che riacquistavano la vista, paralitici che tornavano a camminare, indemoniati sanati, persino un morto uscito dal sepolcro. Ma ogni volta che ci preparavamo ad acclamare Gesù nostro re, quello spariva in qualche luogo deserto. Proprio quando sembrava giunto il momento giusto, era riuscito a fare il vuoto attorno a sé, proclamando dottrine assurde, mai sentite prima. Non era quello che volevo. I miei contatti con gli Zeloti nascosti sulle colline premevano, volevano sapere quando saremmo entrati in azione. Presto, avevo promesso loro, non appena il Rabbì entrerà a Gerusalemme. Ed era stato un trionfo, quando l'aveva fatto. Due ali di folla lo avevano accolto esultanti, intonando benedizioni, agitando rami di palma e stendendo i mantelli sulla strada, mentre i bambini correvano per le vie della città strillando che passava il figlio di David. Ma ancora una volta lui ci aveva delusi tutti. Non ci avevo visto più. Volevo il Messia, e lo avrei avuto, a qualsiasi costo. Se lui non voleva entrare in azione, l'avrei costretto io. Accordarsi con le autorità del Tempio non era stato affatto difficile, conoscevo molti di loro.

Solo quando avevo sentito la sua voce, nel buio del Getsemani, affermare tranquilla “sono io”, avevo vacillato. Ma non potevo tornare indietro, le guardie del Sinedrio mi sbarravano il passo, e ormai mi ero spinto troppo oltre.

Gli ero andato incontro, come per caso.

“Rabbì.” Avevo salutato, odiando la mia voce che tremava.

E poi l'avevo baciato.

Il resto degli eventi era corso via come un brutto sogno. La cattura, il processo, la condanna. L'assoluta assenza di reazioni. Potevo vederlo, da lontano, ridotto come l'ultimo dei criminali, non fare parola mentre il suo destino si compiva. Ma prima che lo conducessero via, avevo avuto l'impressione che guardasse proprio dalla mia parte. Era dolore quello che avevo intravisto? Non lo sapevo. Sapevo solo che in quel momento mi ero reso conto del mio errore. E mi ero sentito l'uomo più miserabile della terra. Con le mani tremanti, ero corso al Tempio, con l'assurda speranza di poter ancora fare qualcosa per rimediare. Avevo offerto indietro il denaro, dichiarandomi pentito, chiedendo di fermare tutto. Ma si erano rifiutati di ascoltarmi, mi avevano trattato come un pezzente.

“Che importa a noi? È affare tuo.” Avevano affermato, prima di sbattermi la porta in faccia. Caifa non aveva neppure sollevato gli occhi delle sue occupazioni.

E mi ero ritrovato di nuovo per le strade polverose, il pianto strozzato in gola. Avevo oltrepassato le porte della città, e per ore avevo vagato per la campagna, privo di meta, fino a fermarmi esausto. Ero solo. Avevo capito che non c'era rimedio, e che mai più, anche se fossi vissuto quanto l'Eterno stesso, avrei potuto avere pace. Mi era sfuggito un verso lungo, rauco e stonato, che era risuonato rumorosamente nel paesaggio deserto. Mi ero morso le labbra con forza, fino a sentire il sapore del sangue, ma era tutto inutile. Il dolore che provavo era troppo, per poterlo contenere. Io non avevo commesso un errore, l'errore ero io. Mi ero ripiegato su me stesso, senza badare ai sassi spigolosi sotto le ginocchia, e avevo gridato tutto il mio rimorso contro il cielo arroventato.

 


Solo dopo quelle che mi erano parse ore, avevo smesso di sussultare. Avevo fissato il terreno pietroso, in silenzio. Poi mi ero risollevato. Ora sapevo cosa fare. Non c'era più disperazione. Solo una fredda determinazione. Con calma, mi ero incamminato alla ricerca del luogo ideale, allontanandomi dal sentiero. Finalmente l'avevo trovato, un robusto sicomoro con un massiccio ramo orizzontale, perfetto per lo scopo. Con calma mi ero sciolto la cintura, con calma avevo formato un cappio, e mi ero arrampicato sull'albero per legare l'altra estremità. Sul profilo del Cranio, in lontananza, tremolanti per il calore dell'aria, si intravedevano le sagome delle croci.

Mi ero passato il cordone attorno al collo. Non pensavo a nulla. Ma, un attimo prima di lasciarmi scivolare giù dal ramo, avevo sentito nelle orecchie la voce amara del Maestro:

“...sarebbe meglio per lui se non fosse mai nato.”

Un istante dopo, lo schianto secco aveva cancellato anche quelle.






 

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Capitolo 3
*** Ricordati di me - Disma ***


Tutto si faceva confuso nell'aria arroventata del Cranio, una volta passato il primo, infernale dolore. Non sentivo più le mani. Potevo vederle solo di sfuggita, torcendo la testa: erano già livide e nerastre per la stretta delle funi. Quanto meno, così, i chiodi non facevano quasi più male. Ma la sensazione di essere schiacciato da un peso invisibile, quella no, che non se ne andava. Anzi, si faceva sempre peggio. Anche Gesta, di là, aveva smesso da un pezzo la sua litania di bestemmie, e si limitava a grugnire ogni tanto un insulto ai boia. Chi non mancava di fiato, invece, era la folla che assisteva, e che ci gridava di tutto. Ma noi due, dopo le prime ingiurie, ci avevano lasciati perdere. Ce l'avevano soprattutto con quel resto d'uomo alla mia sinistra. Gesù di Nazareth.

“Ha salvato altri, diceva, e adesso non può salvare sé stesso!”

“Allora, Messia? Che cosa aspetti a fare il miracolo? ”

“È solo un pazzo! Muori, bestemmiatore!”

 

Al sentire quel nome, mentre mi legavano il patibulum sulle spalle, avevo avuto un sussulto. Possibile che fosse lui? Di Gesù ce ne sono tanti. Ma non riuscivo a ricordare se quel profeta prodigioso, che avevo visto passare quella volta in mezzo alla folla, fosse di Nazareth o no. Lì per lì, comunque, ne avevo dubitato. Fosse stato quel Gesù, di certo non sarebbe stato lì, a spartire con me quella fine da criminale. Ciò che avevo visto quando l'avevano condotto nel cortile, però, mi aveva lasciato a bocca aperta. Aveva abbracciato la sua trave come fosse un tesoro prezioso, di quelli che solo i re possiedono, ben chiusi nei loro forzieri. Ignorando le prese in giro sguaiate di Gesta, terzo condannato del giorno, che gli dava del folle, si era incamminato davanti a me verso il luogo dell'esecuzione.

Era caduto ancora prima di raggiungere le porte della città, e poi di nuovo poco dopo l'inizio della salita. Naturale, era sorprendente che avesse ancora la forza di stare in piedi. Io stesso ero piegato in avanti sotto il peso, e dovevo stare attento a non inciampare. Spinto innanzi dai calci dei soldati, avevo dovuto superarlo, e proseguire davanti a lui. Era stravolto, la bocca aperta da cui colava il sangue dei denti rotti, ma non c'era traccia di rabbia né di odio nel suo annaspare sotto le nerbate dei soldati. Avevo sentito il centurione ordinare a qualcuno di venire ad aiutarlo, e il grattare del legno che veniva sollevato. Per il resto del tragitto non avevo più pensato a lui, occupato com'ero ad evitare le pietre più aguzze del sentiero, e oppresso dal terrore di quanto mi aspettava sulla cima del monte.

 

Solo una volta appeso al legno, sotto il sole del mezzogiorno che picchiava spietato, con il dolore che saliva a ondate dai polsi e dai piedi trafitti, avevo potuto vederlo di nuovo. Il solito codazzo di curiosi e sfaccendati ci aveva accompagnati per tutta la salita, e ora fischiava e ci lanciava lazzi.

Anche i capi del Tempio erano venuti a godersi lo spettacolo. Il Sommo Sacerdote, ad un certo punto, si era fatto avanti fin dove i soldati glielo avevano permesso. Fissandolo con astio, gli aveva sibilato, perfettamente udibile pure in mezzo alla confusione:

“Hai affermato di poter distruggere il sacro Tempio, e ricostruirlo in tre giorni. Dimostralo, dunque.” E poi più forte, rivolto agli astanti: “Se costui è il Figlio di Dio, scenda adesso da quella croce, e gli crederemo!” Aveva sputato per terra con disprezzo, prima di voltarsi e andarsene per tornare in città.

Il nostro compagno di pena, che da un pezzo scattava rabbiosamente la testa qua e là per scacciare le mosche, si era unito al coro di invettive:

“Hanno ragione. Non sei il Cristo?!? Salva te stesso... E anche noi.”

Non so che cosa mi abbia spinto a reagire. Ma qualcosa dentro di me si era rifiutata di continuare ad assistere in silenzio. Sollevandomi alla meglio, ero sbottato, con una voce rauca che non sembrava neppure mia:

“Non temi Dio neppure tu, che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente. Ma lui non ha fatto niente di male.”

Gesta si era zittito, borbottando qualcosa che non avevo capito, ma che di certo non era un elogio. Gesù, invece, mi aveva guardato fisso, con l'unico occhio non tumefatto, mentre io avvertivo la verità di quanto avevo appena detto. Nelle ultime ore, tra la sofferenza e la paura, era affiorato anche il rimorso. Nella mia vita, di buono avevo combinato ben poco. Non ero mai stato un buon Israelita. Al Tempio andavo solo per alleggerire qualche pellegrino della borsa, approfittando della calca. Eppure in quel momento mi ero ritrovato a cercare di ricordare le preghiere che mia madre mi insegnava quando ero ancora bambino, e fantasticavo di diventare ricco e potente come quei funzionari di corte che passavano in portantina davanti alla spelonca dove abitavamo, lasciandosi dietro una scia di costosi profumi. Avevo recitato quel poco che rammentavo, in silenzio, però, e non solo per la mancanza di respiro. Avevo troppa paura che Adonaj Onnipotente non sapesse che farsene delle preghiere di uno come me.

 

Il tempo passava, lento come i giorni di fame, mentre il sole andava sparendo dietro le nubi. Ansimavo, la sete si faceva sempre più insopportabile, ogni respiro bruciava la gola. I Romani, seduti ad ammazzare il tempo con i dadi, tra un tiro e l'altro alzavano lo sguardo e ridevano del Nazareno, dandosi di gomito:

“Guardalo, il re dei Giudei in trono!”

Ed era vero, sembrava davvero un re.

Lo avevo sentito mormorare, tremante per lo sforzo:

“Abbà, perdonali. Perché non sanno quello che fanno.”

Era stato questo a darmi il coraggio.

“Gesù, ti prego: ricordati di me, quando sarai nel tuo regno.”

Lui aveva tirato su a fatica la testa, piegata dall'ingombro del casco di spine, e con un'energia inaspettata, aveva risposto:

“Amen. Io ti dico: oggi stesso sarai con me in Paradiso.”

Aveva lasciato ricadere il capo, ed eravamo ripiombati ognuno nel proprio pozzo di sofferenza. Ma la mia vita di ladro e brigante non mi era parsa più del tutto inutile, e gettata via. E per qualche attimo, complice anche un improvviso soffio di vento, mi era sembrato di respirare meglio.

 

Il cielo era ormai completamente oscurato. La maggior parte degli spettatori se ne era andata , temendo il temporale. Ma quei pochi rimasti non rinunciavano agli ultimi insulti a Gesù, ormai quasi privo di conoscenza. Avevo sentito uno in particolare sogghignare:

“Ha confidato in Dio: lo liberi Lui, se gli vuol bene.”

Questo era sembrato colpirlo più di tutto il resto. Aveva fatto una smorfia, e, così all'improvviso da farmi sobbalzare, aveva gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?!?”

Poi, in un rantolo, aveva aggiunto: “È compiuto.”

Un ultimo spasmo, e il corpo insanguinato si era abbandonato pesantemente. Quasi subito era seguito un rombo cupo, e la terra aveva iniziato a tremare sempre più forte, facendo balzare su le guardie tra richiami e ordini concitati, e mettendo in fuga gli altri.

I due colpi secchi erano arrivati a tradimento, senza che nello scompiglio avessi visto il soldato avvicinarsi con il martello. Pensavo ormai di aver perso ogni sensibilità, ma mi sbagliavo. Mi era sfuggito un urlo roco, mentre le ossa spezzate cedevano rendendomi impossibile sorreggermi sulle gambe. Il vociare che arrivava dal basso era diventato un ronzio indistinto. L'ultimo pensiero, prima che la luce livida diventasse accecante, era stato confuso, ma stranamente sereno.

In fondo, se il Santo dei Santi può morire come un malfattore, perché mai un comune ladro non potrebbe morire come un santo?






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Capitolo non previsto in origine, e aggiunto per la necessità di un punto di vista "diretto" sulla scena principale. E il buon ladrone, cui gli apocrifi danno il nome di Disma (e Gesta o Geflas il cattivo), si presta ottimamente. Niente si sa di questo personaggio, anche se si può supporre che avesse già incontrato o almeno sentito parlare di Gesù. Ma quello che l'ha reso speciale, facendone il primo santo "per raccomandazione diretta", è la sua capacità di vedere e riconoscere nell'uomo che gli era accanto, in quel momento tutt'altro che regale, il Re di un Regno speciale. Per questo ho dovuto allargare le fonti di ispirazione con le intensissime scene de "La Passione" di Gibson, che forniscono anche un ottimo sottofondo.


 

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Capitolo 4
*** Rabbunì - Maria Maddalena ***


Fissavo la tomba, quell'angusto cunicolo scavato nella roccia, impietrita. No, non poteva essere scomparso così. Non bastava tutto quello che gli avevano fatto. Pure il suo corpo, quel povero corpo massacrato che le mie mani avevano lavato prima di avvolgerlo nel sudario, dovevano oltraggiare.

Il mio Signore non c'era più.

Mi ero lasciata scivolare a terra, tra la polvere del sentiero, stringendomi nella veste come in un abbraccio. Sentivo disperatamente il desiderio di qualcuno che mi cingesse, che mi confortasse, che mi parlasse ancora come sapeva fare solo Lui. Ma non c'era nessuno. Pietro e Giovanni se n'erano andati, e non si sentiva altro che il cinguettare degli uccelli del mattino, tra i rami degli alberi. Ero sola. Non so per quanto sia rimasta così, gli occhi gonfi per il pianto, ma asciutti. Non avevo più lacrime, troppe ne avevo già versate, tra il venerdì di sangue e quel sabato di silenzio allucinato. E ora una nuova settimana sarebbe scivolata via per farsi seguire da un'altra e un'altra e poi un'altra ancora, tutte uguali, vuote di senso e di speranza, fino al giorno in cui anch'io sarei discesa nel sepolcro. Fissavo il suolo, senza vedere nulla. Il dolore mi opprimeva come una montagna, come un cedro tagliato e schiantato a terra.

Non so neanche perché d'un tratto abbia sollevato lo sguardo. Forse il rumore di un passo leggero. Qualcuno, un uomo, si stava facendo strada tra le felci.

“Donna, perché piangi?” Gli avevo sentito chiedere.

“Se hai portato via tu il mio Signore,” avevo supplicato, pensando fosse il custode di quel pezzo di terra, “dimmi dove l'hai messo, e io andrò a prenderlo.”

“Maria.” Aveva risposto lui, semplicemente.

E di colpo, era stato tutto chiaro. Tanti uomini avevano pronunciato il mio nome, da quando avevo lasciato Magdala. Con desiderio, con malignità, con disprezzo. Ma uno solo poteva pronunciarlo così. Con amore. E davvero avevo pensato che il cuore mi si squarciasse per la gioia.

“Rabbunì!”

Avevo gridato, un grido che era risuonato in tutto il giardino. In un attimo, ero balzata su e gli ero corsa incontro, gettandomi tra le sue braccia come una bimba, senza ritegno, senza vergogna. Eccolo, l'abbraccio, eccole, le lacrime che non credevo più di poter versare, e che ora invece, tra i singhiozzi, sgorgavano copiose.

“Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre.” Aveva mormorato lui dopo qualche momento, sciogliendosi gentilmente.

Avevo fissato quel volto di una bellezza incredibile, che avevo visto per l'ultima volta livido, sfigurato, coperto di sangue ormai secco, prima che scendesse l'oscurità e la stoffa del sudario calasse a coprirlo per sempre; e che ora invece splendeva davanti a me, vivo e raggiante.

“Ora va' dai miei fratelli, e dì loro che salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro.” Mi aveva detto, fissandomi di rimando.

Incapace di parlare, avevo annuito, ancora tremante per l'emozione. Ma non riuscivo a staccarmi, sarei voluta restare a guardarlo ancora e ancora, senza mai lasciarlo. Allora era stato lui a lasciare me. Aveva sorriso, con quel suo sorriso dolcissimo, e un attimo dopo non era più là. Ma non ero più sola. Lui c'era, e ci sarebbe stato ogni giorno, fino alla fine del mondo. Mentre mi voltavo, e muovevo i primi passi, avevo notato per la prima volta quanto fosse bello quel piccolo giardino, ora che la luce del mattino lo inondava. Poi avevo iniziato a correre.





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Quarto e, per il momento, ultimo punto di vista, e non poteva mancare la Maddalena, prima testimone della Resurrezione, che a Gesù ha donato tutto il cuore. È un capitoletto, più corto e forse più semplice degli altri. Ma, nonostante ci abbia provato e riprovato, non sono riuscita a inserire flashback o più introspezione, come per gli altri personaggi. È venuto così, la scena senza fronzoli, e basta. Spero possa piacere, e magari lasciare spazio al lettore.

Non escludo a priori altri capitoli, qualora l'ispirazione arrivasse. Nel frattempo, un GRAZIE di cuore a Old Boy, StormyPhoenix e MerythGreen (farà troppo sfigato ringraziare direttamente i recensori? Chissene, lo meritano), a chiunque sia passato di qua a dedicare qualche minuto a questa raccolta, e buon cammino verso la Pasqua!



 

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