Oltre questi 357 giorni

di Chibi Tantei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Amaranto ***
Capitolo 2: *** ~ Ombrello ***
Capitolo 3: *** ~ Luce del sole ***



Capitolo 1
*** ~ Amaranto ***


Era da tanto che ne volevo pubblicare alcune. Spero possano piacere.






~ Forse tutto questo era troppo per lei.
Dopo tutto, lei non poteva provare niente.
Così era la regola.
Ma le regole esistono per essere infrante, no?
 
Quanto tempo era passato da quando sentiva quella cosa bruciare e lievitare contemporaneamente dentro di lei?
Sembrava impossibile, eppure ci doveva essere un motivo per il quale ogni volta che i loro occhi si incrociavano, lei sentisse un groppo nello stomaco, che si agitava, scalciando, per farsi spazio e salire fino alla gola, e da li, prendere lo slancio ed uscire.
Ma questa cosa non succedeva solo con i suoi occhi color zaffiro.
Anche quando il vento gli scompigliava quella sua chioma color campo di grano, i suoi occhi rimanevano a fissarla, quasi ipnotizzati da quel movimento.
Sembrava veramente un campo di grano, con tutti quei fusti che si muovevano all’onda d’aria.
 
C’erano anche altri elementi, per sua sfortuna, che risvegliavano quel groppo.
I suoi scherzi, le sue risate, i suoi discorsi, i suoi sorrisi,  …
La sua voce, la sua presenza, il suo pensiero … Bastava anche quello, a volte.
 
E così, un giorno, tutto ciò diventò troppo.
Troppo.
Troppo da poter sopportare;
troppo da esser ancora trattenuto;
troppo perché tutto potesse rimaner indifferente.
Approfittò di una delle missioni che Saix le affidava in coppia con lui; e il caso volle che quella missione si sarebbe svolta a Crepuscopoli.
Finito il lavoro, sulla torre dell’orologio, lei non prese il ghiacciolo.
Aspettò che Roxas lo ebbe finito di mangiare, e poi gli parlò.
Un’improvvisa fiamma color amaranto si fece largo sulle sue guancie, mentre i suoi occhi si abbassavano sempre più, passando da uno spettacolo quale gli occhi del ragazzo, alle mattonelle della pavimentazione.
-Cos’hai Xion …?
-Ecco, Roxas, vedi … c’è una cosa … che dovresti sapere …
 
Forse non avrebbe dovuto farlo.
Forse avrebbe dovuto cancellare questo suo sentimento.
Ma oramai la frittata era fatta.
In quel momento, il vento portò via le sue parole proibite, tinte di un tenue color amaranto.

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Capitolo 2
*** ~ Ombrello ***


Lo so, può sembrare strano, ma... sono viva! Yeeeeh!(non gliene frega niente a nessuno, giustamente). Mi sembrava giusto aggiornare un pò questa fic, anche perchè pre qualche giorno è il loro anniversario(?). 
Visto che questa serie non me la sono filata molto, il secondo capitolo è "lievemente" più lungo del primo.
Ecco.
Ringrazio tutti coloro che seguono questa ff. :)
Credo di aver detto tutto.
P.s. POV Roxas. 
è stata un'ammazzata D:







-Dannato ombrello!

Pioveva fuori. Grandi nuvole di un colore grigio scuro coprivano il cielo in ogni sua parte, in ogni singolo spiraglio tra i palazzi.
Fuori pioveva, e il mio ombrello aveva deciso di andare in ferie in un pessimo momento. Oltre che per il diluvio universale che stava cadendo giù dall’alto, anche perché dovevo andare a scuola, e questo piccolo diverbio con il mio “simpatico” parapioggia, mi aveva fatto ritardare con la mia tabella di marcia.
L’ironia della sorte non fu’ tanto questa, quanto il fatto che, riuscito ad aprire quel maledetto, le secchiate d’acqua che provenivano dal cielo sino a poco prima, cessarono immediatamente. Tanto ridicolo che pensai che lassù, in alto, ci fosse stato qualcuno che si stava burlando di me.
Tentando di richiudere l’ombrello, l’oggetto delle mie simpatie, mi accorsi che si era bloccato, e provando più volte a riportarlo al suo stato iniziale, mi risultò tutto inutile. Alla fine girovagai come un povero scemo con l’ombrello aperto.
Se prima delle grandi nuvole grigie ricoprivano tutto il cielo nella sua immensa vastità, ora a farla da padrone c’era un sole caldo ed qualche piccola nuvoletta bianca a fargli da contorno.
Evitavo di prendere le pozzanghere, scavalcando quelle piccole e aggirando quelle di dimensioni superiori alla ventina di centimetri. Non mi andava di correre, ed anche se ero in tempo per la scuola, ma non per la mia tabella, decisi di prendere una scorciatoia, che mi avrebbe portato in una delle vie dietro l’edificio scolastico.
Impaccio con l’ombrello o meno, decidevo spesso di prendere quella strada: tranquilla ed isolata, non rischiavo incontri indesiderati con compagni fin troppo invadenti o con i bulletti di turno.

Stavo cercando un cestino alla fine della viottola dove “depositare” il parapioggia difettoso, quando sentii dalla stradina accanto a me il rumore di passi irregolari. Il tempo di arrivare che vidi passare davanti ai miei occhi qualcosa.
Una ninfa.
Una ninfa con corti capelli neri, grandi occhi blu, pelle chiara, la mia stessa divisa estiva e un ombrello portatile azzurro legato al suo sottile polso con un laccetto.
La osservavo mentre saltava fra una pozzanghera e l’altra con estrema grazia, eleganza e noncuranza di bagnarsi le scarpe se il suo piede toccavano l’acqua. La sua figura si rifletteva nei grandi specchi d’acqua, i quali, a volte, venivano increspate dai suoi veloci passi creanti tante piccole goccioline che si andavano a depositare nuovamente sulla forma d’acqua, dando forma a cerchi concentrici sempre più piccoli e precisi.
Questo spettacolo mi meravigliava; lo guardavo estasiato, cogliendone ogni singolo particolare: le sue morbide caviglie, le pieghe della gonna a fantasia scozzese bianca e blu, la camicetta bianca a mezze maniche(rotolate tutte su per il caldo)leggermente gonfiata dall’aria che le entrava dentro, la cravatta allentata della stessa fantasia della gonna, le sue piccole ciocche di capelli che si muovevano morbidamente con l’andare della padrona.
La lasciai volteggiare davanti ai miei occhi per un altro paio di metri, mi spostai sulla sua stessa strada e poi la chiamai.
- Xion!
Vidi la sua esile figura fermarsi improvvisamente in mezzo ad una pozzanghera, con il volto che lentamente si girava di dietro per vedermi, e vidi anche che la sua espressione come trasognante mutò subito in un tenero sorriso.
- Buon giorno Roxas.
Trasalii. Di sorrisi gliene avevo visti molti, ma mai bello quanto quello. Spesso sorrideva solo con le labbra, mentre ora vedevo ogni singolo particolare del suo volto sorridermi.
Soprattutto gli occhi.
I suoi occhi, che già ritenevo particolarmente belli, mi parvero meravigliosi mentre sorridevano.
Uno spettacolo mai visto, che terrò sempre a mente come la mia Ottava Meraviglia.

Ovviamente non avrei voluto che lei mi notasse assumere quell’espressione per troppo tempo, quindi mi ricomposi subito.
-Buon giorno anche a te.
Le ricambiai il sorriso.
-Oggi siamo mattiniere, a quanto vedo.
-Si! Oggi volevo svegliarmi un po’ prima.
-E come mai?
Le chiesi. Sono sempre il solito impiccione ficcanaso quando si tratta di lei. Lo sono con tutti.
- Davano in tv un programma che volevo vedere, così ieri sono andata a dormire presto.
Si portò dietro la schiena la sua cartella, mascherando una piccola smorfia.
Purtroppo di lei non mi sfugge nulla.
-Uh? Cosa c’è?
-Cosa c’è cosa, Roxas?
-Hai fatto una smorfia o sbaglio?
-Eh? E quando, scusa?
-Quando ti sei portata dietro la cartella.
L’ho capito sai, che hai riempito la cartella con troppa roba, con i libri in più che quella sfaticata della tua compagna di banco si scorda sempre di portare, con il tuo blocco da disegni e matite d’ogni sorta di mina che ti porti dietro e che utilizzi ogni giorno a ricreazione per disegnare la vasta fauna che alberga nel nostro cortile scolastico. Lo so che là dentro hai infilato di corsa il romanzo che hai iniziato tre giorni fa, quel piccolo volumetto di mille e fischia pagine. Lo so che hai l’agenda delle cose da comprare e delle faccende domestiche da fare.
Lo so perché ti conosco, e noto ogni tuo singolo particolare.
-Non è vero …!
-Menti!
La ammutolii, facendole mutare quel suo bel sorriso in un’espressione di sorpresa, con i suoi grandi occhi blu sbarrati che mi fissavano, come a cercare di capire come diavolo avessi fatto a vederlo. Odio dover fare così, e mi maledico da solo per ciò che feci. Lo volevo vedere ancora, accidenti a me!
- … Pesa?
-Cosa?
-La cartella. Pesa?
- … Un po’.
-Posso prenderla io?
Ci fu un tira e molla tra me e lei, ma alla fine io ebbi la meglio. Il mio orgoglio, o cosa per lui, ora stava meglio, ma lo stesso non si può dire della mia schiena.
- Urca se pesa! Posso sapere come facevi a tenerla in mano?
-Sono abituata.
Calò un silenzio imbarazzante, e per una trentina di passi, camminammo senza dirci nulla. Dopo un po’ decisi di parlare, anche per rompere quell’imbarazzante silenzio.
- Lo hai portato il blocco da disegni?
- Certo.
-E alla tua collezione si sono aggiunti nuovi pezzi?
-Si, uno solo. Ho ritratto un passerotto che si era fermato sul mio davanzale.
-E hai intenzione di farne altri quest’oggi a ricreazione?
-Se riesco a ritrovare il soggetto che ho visto ieri all’uscita, si.
-Cos’è?
-Una tela di ragno.
Quella ragazza mi sorprendeva ogni giorno di più.
-Scusami, ma tu non eri aracnofobica?
-Beh, si, ma … vedessi! E’ una tela enorme per il ragnetto che l’ha creata, e pensando che oggi ha piovuto, immagina come sarà diventata bella, imperlata di pioggia!
-Pensandoci … si, dev'essere diventata davvero molto bella.
-Ho deciso che la colorerò. Dopo voglio che tu li veda.
-Ma certo! Mi piacerebbe molto vederli; e se poi tu li colorassi, di sicuro risulteranno molto più belli di quello che già sono.
Non mi rispose con le parole, ma con un altro sorriso.
Ero contento come non mai quando mi faceva vedere i suoi lavori. E ne ero anche un po' geloso: quei capolavori li mostrava solo a me. Qualche volta faceva vedere uno o due disegni anche al fratello, ma io ero l'unico autorizzato a poter sfogliare tutto l'albo e vederne la creazione in diretta. A scuola non li mostrava a nessuno. Non diceva nemmeno ai compagni di saper disegnare, e, di conseguenza, non mostrava loro nulla, nemmeno alle amiche.
Era come un nostro piccolo segreto.
-Senti, perchè porti al polso quell'ombellino lì?
-Perchè? Perchè ha piovuto, e lo farà ancora.
-Ma se le previsioni hanno detto che ci sarà solo bel tempo d'ora in poi!
Che balla che sparai. Chi le aveva viste le previsioni? Magari lei, e se ciò fosse accaduto ci sarebbe stata la mia più grande figuraccia.
-Beh, io le previsioni non le ho viste, ma ho il sesto senso. L'aria mi puzza di pioggia.
-Forse perchè ha appena cessato di piovere, Einstein?
-Ah-ah, molto spiritoso! E comunque portarsi sempre un ombrello dietro non fa mai male a nessuno, sai?
-Ma per favore! Con quel coso ci farai ben poco!
-Non è vero!
La canzonai un po' per quel piccolo ombrellino, e tra smorfie, linguacce e battibecchi, ci furono molte risate.

Per il resto della strada parlammo del più e del meno, fino a poco prima di entrare a scuola e farci vedere dai compagni. Lei mi chiese di restituirle la cartella. Io obbiettai, senza successo; diceva che non voleva farmi fare il facchino, che per quel pezzo di strada che avevo fatto con l'altro zaino era già abbastanza.
Dovetti accettare, e restituirle il pesante bagaglio.
E fu così che entrammo a scuola.

Il resto della giornata non fu nulla di che, la solita routine.
“Solita Routine”, se non fosse stato che all'ultima ora il cielo assunse un colore che non mi piacque per niente. Volsi lo sguardo fuori dalla finestra e notai che il vetro iniziava a riempirsi di piccole goccioline d'acqua.
Sgranai gli occhi incredulo. Xion aveva avuto un ottimo presentimento.
Mi girai verso di lei con il medesimo sguardo, notando che dall'altra parte della classe, lei mi faceva una linguaccia.

Suonata la campanella, ci dirigemmo di sotto nell'androne per uscire.
Vedevo tutti quanti uscire sereni e tranquilli con i loro ombrelli, mentre io facevo il palo sotto il porticato, appoggiato al muro, un tantino urtato da tutto ciò.
Il cemento davanti a me era un misto di terra, foglie, aghi di pino, acqua e impronte sporche della gente che passava più volte sullo stesso punto.
Un “tantino” innervosito dal fatto di aver sottovalutato la questione, sbattei il piede in una piccola pozzanghera davanti ai miei piedi, schizzando inconsciamente una ragazza davanti a me.
-Ehi, Roxas! Ti pare questo il modo?
Riconobbi la voce, e poi alzai lo sguardo.
-Scusa Kairi, ero sovrappensiero.
La rossa se ne andò via con il suo solito ombrellino rosa con le margherite. Cavolo! Era un'adolescente al liceo, con il ragazzo, e andava ancora in giro con quel coso da bambina piccola! Certe volte non la sopportavo.
-Hai trovato un nuovo hobby?
Sentii la sua voce provenire dalle mie spalle. Il suo caschetto nero fece capolino dalla porta.
-Eh, certo!
-Ed è divertente?
-Quanto un parco giochi chiuso.
Si mise davanti a me con aria allegra e stafottente.
-Mamma mia roxas! Ce l'hai un altro cappello da prestarmi? Con questo sole che spacca le rocce, ho paura di prendermi un'insolazione ...
-Ah-ah, molto spiritosa.
Mi urta non poco quando mi prende in giro in quel modo. Perchè mi accorgo che tengo a lei più del dovuto.
-Lo prenderai ancora in giro per molto questo?
Mi dice mentre gioca con il suo ombrello.
-Lo farò sempre.
-Sei cocciuto, eh?
-Si.
-Sei troppo cocciuto!
-Perchè dici questo?
-Perchè non vuoi ammettere che ti serve aiuto nel momento del bisogno. Sei un orgogliosone!
-Facciamo così: smetto di prendere in giro il tuo ombrello solo ad una condizione.
Adoro sfidarla. E' così adorabile quando s'incaponisce.
-Spara!
Le prendo l'ombrello.
-Se questo cosino riesce a reggere questa pioggia anche per mezz'ora, smetto di canzonarlo. Affare fatto?
Mi guadò con un sorriso strano, che mi fece perdere l'aria da “bulletto” e mi mise in soggezione.
Poi ritornò a sorridermi come sempre e mi disse:-Se volevi un passaggio sino a casa, potevi chiedermelo direttamente, stupido!
Le ricambiai il sorriso, le presi l'ombrello di mano, lo aprii, e le porsi il braccio. La vidi un po' titubante, ma poi infilò il suo minuto polso nello spazio creatosi, e iniziammo a camminare.

 

Sulla strada del ritorno sorridevamo senza guardarci. Non parlammo. Camminavamo così, sotto quella pioggia, verso casa mia. Ma non mi andava poi di lasciarla da sola. Non mi andava di restare in silenzio, e non riuscivo a non fissarle le labbra.
Le guardai una volta di troppo, immaginandole morbide sulle mie, e senza accorgermene la bloccai e mi girai verso di lei.
-Cosa c'è Roxas?
-Ehm, ecco …
Ero visibilmente arrossito, ne sono certo, o comunque ho quest'ipotesi. Fatto sta che sentivo le goti in fiamme.
E ora che fare? Cavolo, mi ero messo in una bella situazione!
Ma ebbi un colpo di genio. Pensai “O la va' o la spacca”.
-Ti volevo ringraziare.
E detto questo, non diedi tempo a lei di rispondere che posai le mie labbra sottili sulle sue carnose. Ma preso anche dall'agitazione per la paura di star facendo una sciocchezza colossale, quel bacio fu rapido e a stampo.
La vidi con i suoi occhi blu spalancati al massimo, le guance tinte con tonalità purpuree, la bocca semi aperta. Chinò il viso.
Io mi girai dall'altra parte.
Mi sentivo un idiota!
Avevo rovinato tutto!
Con quel maledetto bacio che tanto desideravo darle mi ero giocato l'intera sua amicizia!
Temevo il peggio.

Il silenzio era qualcosa di angosciante e cercai dovunque particolari da notare per sfuggire al grande caos a cui avevo dato vita.
Aveva smesso di piovere. Alzai gli occhi al cielo, e per averne la conferma, tirai fuori una mano.
-Non piove più, hai visto?
-Cos'hai detto?
Aiuto.
-Ho detto che no...
-No, intendo prima.
Mi rigirai verso di lei.
-Intendi quando ti ho ringraziato …?
Aiuto. Aiuto.
Non riuscivo a pensare ad altro.
-Subito dopo …
-Subito dopo cosa?
Aiuto. Aiuto.
Aiuto!
-Non hai fatto qualcosa del genere …?
Si alzò un po' sulle mezze punte e mi ribaciò, come io avevo fatto prima con lei.
Rimasi piacevolmente stupito dall'audacia che aveva tirato fuori, e mi venne spontaneo tirarla verso di me ed abbracciarla. Rimanemmo un po' così, poi sentii lei muoversi e dire qualcosa.
-Roxas, c'è una cosa che non ti ho mai detto...
Sentivo il cuore battere a mille, nonostante l'avessi già baciata. Ero psicologicamente pronto a ricevere sue dichiarazioni da parecchio tempo.
-Non ti mai fatto vedere tutti i miei disegni …
Lo ammetto, rimasi parecchio di stucco. Mi aspettavo qualcosa sul tipo “Ti amo da tutta la vita!” oppure “Mi sono innamorata di te il primo giorno che ti ho visto.”
Le solite cose smielate che si vedono negli shojo.
Sia chiaro, IO non li leggo. E' mia sorella che mi contagia.
Al contrario delle mie aspettative, stetti lì a guardare la mia piccola corvina che tirava fuori dalla sua cartella l'albo dei disegni, sfogliarlo fino ad una delle ultime pagine rimaste, e vedere che fra tutte quelle pagine bianche ce n'era una disegnata.
Un mio ritratto.
-Capisci ora …?
-Quando me lo hai fatto?
-A casa, tre mesi fa.
-Ma io tre mesi fa non sono venuto mica a casa tua …! L'ultima volta è stato quando avevamo dodic'anni!
-E' che … ho un ottima memoria.
Sintetizzò lei.
Gli misi la mano sulla spalla e le baciai la testa.
-Torniamo a casa.

Ci avviammo tutti e due, sotto la pioggia che riprendeva a scendere, sotto quell'ombrellino azzurro che prendevo in giro sino a qualche ora prima.
Ripensai che forse, qualcuno non si stava burlando di me, ma cercava solo di render reali i miei desideri.
Per una volta, ringrazia la tanto odiata pioggia.
E anche il mio tanto odiato ombrello.






Lasci il link di un'immagine che trovo molto adatta. Se poi qualcuno sarà così gentile a spiegarmi come si fà, gli/le farò un busto di mollica(?)
http://s1066.photobucket.com/albums/u407/Xion1314/?action=view¤t=373258_237655686291765_1456942666_n.jpg

Chibi tantei, che non è solita mettere immagini, ma credeva che qui fosse adatta.

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Capitolo 3
*** ~ Luce del sole ***


~ Twilight Town, la città dal crepuscolo eterno.  
Uno dei luoghi più suggestivi e mozzafiato che i due giovani avessero mai avuto occasione di vedere. Vi erano molto legati da tanti motivi: quello era uno dei primi posti che avevano conosciuto grazie ad Axel in maniera tranquilla, senza l’affanno delle missioni che gravava nei loro pensieri. Andavano lì oramai quasi esclusivamente per rilassarsi. Anche le Isole del Destino non erano male, ma il sole cocente della giornata a volte rendeva impraticabile una calma sosta da tutto il lavoro, dando più fastidio che altro. Mentre lì, seduti sul cornicione dell’alta Torre dell’Orologio, non solo si godevano la visuale su tutta la vallata che ospitava la città, ma la temperatura era ideale per rilassare le membra.

- Non pensate anche voi che questa luce del sole sia molto bella? – chiese Xion, stringendosi nelle spalle.
Roxas si girò verso di lei con un ghiacciolo in bocca, incuriosito dall’amica che aveva proferito parola dopo lunghe ore di silenzio.
- Sì, all’inizio lo pensavo anche io, - le rispose Axel, prima di dare un altro morso al ghiacciolo – ma adesso sono così abituato a vederla che la sua bellezza non mi colpisce più di tanto come lo faceva un tempo.
- Ohw, che peccato … – sospirò Xion. Poi si riprese: - Ma magari hai smesso di trovarla bella perché non è una cosa che ti piace davvero … ! Che dici Axel, è così? Forse hai qualcosa di bello che non smetteresti mai di guardare!
- Sai Xion, in fondo non hai tutti i torti.- si toccò il mento con aria pensierosa, quasi seria- C’è effettivamente qualcosa che non smetterei mai di guardare, ed è il mio specchio! – Risero tutti, Axel stesso per primo, come a sottolineare che la sua fosse una battuta. Poco dopo l’Orologio ai loro piedi suonò cinque volte, e Axel li dovette abbandonare. Avevano avuto missioni diverse quel giorno e Saix probabilmente lo stava già aspettando per chiedergli del suo notevole ritardo. 
Roxas e Xion erano rimasti nuovamente soli, ma non che la cosa gli desse fastidio. Sorridendo, la ragazza chiese: - E tu Roxas, ce l’hai qualcosa che reputi così bello che non ti annoieresti mai di guardarlo?
Il biondo ingoiò troppo velocemente il pezzo di ghiaccio che teneva in bocca e una fitta lo attraversò da tempia a tempia. Si diede un colpetto sul petto sotto gli occhi preoccupati della numero XIV e poi parlò.
- S-sì, c’è qualcosa di cui non riuscirei mai a stufarmi di guardare. – sorrise - Davvero, è bellissima. E più la guardo, più mi rendo conto di come non potrei fare a meno di lei, di come le giornate siano buie e insensate. Lei è la mia luce del sole …
Ma Roxas non fece in tempo  terminare che Xion lo interruppe. – Accidenti Roxas, sai estrapolare dei bei tratti anche dalle cose semplici come le nostre lampade! Sinceramente credo … credo di invidiare la tua capacità: la mia l’ho dovuta decorare con le conchiglie per renderla accettabile!
La corvina rise teneramente mentre Roxas rimase inizialmente interdetto, per poi cogliere la palla al balzo e farsi due risate anche lui.
Lui non provava quelle emozioni e riflessioni per una lampada spoglia, non era quello l’oggetto dei suoi pensieri.
Seppur vestisse sempre di nero, era lei la sua luce del sole, splendente più che mai. Ma non glielo avrebbe mai detto.
Avrebbe sempre tenuto questo suo piccolo, caldo segreto per sé.






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E' una vita che non aggiorno e che faccio poi? Pubblico una mezza calzetta di capitolo.
Prendiamolo come buon augurio di ripresa!
A presto,
Chibi Tantei

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