Nous, qui sommes seulement des feux di Windancer (/viewuser.php?uid=103598)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** AVVISO ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Nous, qui sommes seulement des feux
Noi,
che siamo solamente due fuochi
Il
n'est
plus de feu pour me faire croire à la tendresse.
Antoine de Saint-Exupéry
…Siamo
pazzi, completamente pazzi a pensare di poter
cambiare il mondo, ma se tanto mi da tanto lo sarò
anch’io, insieme a te in
questo folle giro…
Sono
stata una sciocca.
Da
bambina ancora non capivo bene cosa fosse davvero
l’alchimia, quali pericoli celasse dietro la più
semplice trasmutazione di un
cagnolino di legno, di un fiore.
Per
me era quasi una magia che ammiravo con gli occhi
spalancati per lo stupore.
Anni
dopo però feci i conti con la realtà.
La
materia è unica e sempre in circolo.
Si
può plasmarla, trasmutarla ma non crearla. Questo
andrebbe contro ogni legge naturale.
Ma
chi non ha mai sognato di fare di più servendosi di
quest’arte, complessa e oscura? Io stessa mi rivedo
impaziente all’età di sei
anni di riabbracciare quell’uomo che ancora chiamavo padre
dopo l’ennesimo
pomeriggio passato fra le carte dello studio.
Gli
tesi le mani un ultima volta, quel
giorno, e lui mi strinse vedendomi dopo tanto tempo. Forte,
sempre più forte.
Piansi
di felicità, ma non avevo ancora capito che con
quell’abbraccio avevo appena firmato la mia condanna.
“Aiuterai
il papà, vero?” la voce era dolce come non lo
era stata da tempo, forse un po’ roca, diversa.
“S-sì
papà, certo” tentennai solo un attimo ma non mi
tirai indietro.
“Brava
bambina”
Mi
accarezzò la testa e scomparve in fondo al
corridoio.
Fu
solo colpa mia, desideravo solo essergli utile,
volevo capirlo anche quando non fu più possibile, volevo
essere amata, anche
solo un po’.
Fu per causa mia che la guerra entrò definitivamente nella
tua
vita e si impresse nella tua pelle come fuoco ardente, lasciando una
cicatrice
troppo profonda e per essere cancellata.
Non
si dimentica mai la sofferenza, l’orrore.
Si
può
fingere di essere indifferenti, di aver lasciato tutto dietro ma
riaffiora
sempre prima o poi. Non lascia scampo.
Io
bevvi ogni tua parola e credei cieca alla speranza
di fare qualcosa di buono dell’eredità di
quell’uomo stolto, ormai morto, il
suo fantasma non avrebbe mancato di tormentarmi ancora nei miei incubi.
Ero
certa che tu fossi la persona giusta, lo sentivo
con ogni minuscola fibra del mio corpo, ed ero impaziente di
dimostrarti quanto
fossi importante per te, perché tu non mi dimenticassi,
perché tu non mi
lasciassi sola.
Fui
egoista, ti seguii, perché avevo bisogno di te, ne
avevo bisogno soprattutto per me, e tu eri tutto quello che mi era
rimasto, eri
il mio intero mondo. Lo sei ancora.
Mi
nutrii del tuo sogno e ti seguii laggiù dove
l’inferno ci accolse a braccia aperte strappandoci tutto
giorno dopo giorno.
Per
molti anni non conoscemmo altro che la morte.
Nda.
Ok
so che dovrei studiare, lo so ma non potevo
lasciarmi scappare quest’idea che mi tormenta ormai da
qualche giorno.
Come
avrete ben capito è Riza a parlare e prossimamente
ci sarà anche Roy e poi vedremo come interagiranno.
Riusciranno a risolvere i
loro problemi personali? Mi piacerebbe inserire anche qualche episodio
legato
alla loro infanzia.
Pubblico
oggi ma in realtà l’inizio di questa ff risale
a qualche mese fa quando buttai giù le prime righe.
Nata
come one shot ho deciso di continuare a scriverla
in capitoletti molto brevi, che in questo periodo veramente pieno,
(sono
tornata a casa solo da qualche giorno e le cose da fare si
moltiplicano) sono
di certo più facili da gestire e potrò
così aggiornare più spesso :3.
Dedico
la ff a Narclinghe perché le avevo promesso che avrei scritto ancora su questi due
scemotti ed eccomi qua e izzie_sadaharu per le sua bellissime
recensioni :*
Windancer
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Capitolo 2 *** I ***
Nous,
qui sommes
seulement des feux
Noi,
che siamo solamente due fuochi
I
Say my name
So I will know you're back
You're here again for a while
Oh, let us share
The memories that only we can share
Together
Say my name -
Within Temptation
Pioveva
forte, grosse gocce di pioggia avevano iniziato a cadere intorno alle
7.00 del
mattino per trasformarsi presto in uno dei peggiori acquazzoni della
stagione.
Sospirai,
riponendo l’ombrello bagnato ad asciugare, lasciando qualche
orma sul
pavimento. Roteai gli occhi, ormai era fatta, avrebbe risistemato tutto
più
tardi. Tirai un sospiro di sollievo: ero entrato in ufficio giusto in
tempo. Una
volta aperta la porta lo trovai insolitamente vuoto.
Mi
lasciai cadere, stanco sulla poltrona, chiusi gli occhi e ascoltai il
rumore
sordo della pioggia sui tetti, sulle strade.
Al
contrario di quanto tutti possano pretendere di sapere, la pioggia in
sé non mi
dispiace affatto, perché è stato proprio in una
mattina come questa, che ti ho
incontrata per la prima volta tanti anni fa. Il ticchettio magnetico
delle
gocce sull’asfalto mi riporta sempre indietro nel tempo e mi
chiedo spesso se
non sarebbe stato meglio per te che fosse andato diversamente.
Faceva
freddo e mi aggiravo per le vie del paese, non sapevo che aspettarmi
una volta sceso
dal treno nel lontano Est, ma raggiunto il luogo che sarebbe stato la
mia casa
per un po’ un uomo alto e dagli occhi tristi mi
invitò ad entrare, in silenzio.
Quell’uomo,
come scoprii in seguito, era tuo padre e conservo il ricordo della prima volta che
posò i suoi occhi su di me,
colmi di qualcosa che non seppi ben definire, aspettativa? Impazienza
forse? ma
più di tutte rivedo ancora la disperazione nel suo sguardo
il giorno in cui
lasciò per sempre questo mondo.
Ma
tu, tu eri così diversa allora.
La
memoria si offusca, le immagini si fanno sempre più
sbiadite… e’ davvero questo
il nostro passato? Che cosa ci ha portato a diventare quello che siamo
adesso,
che ci ha cambiati così tanto?
Vorrei
poter dire che solo il mondo esterno, la guerra abbia giocato il ruolo
principale
in questa partita ma tu ed io sappiamo bene come l’uomo operi
delle scelte, e
noi, abbiamo fatto la nostra molto tempo fa, forse nel momento stesso
in cui i
miei occhi hanno incontrato i tuoi, restando abbagliati dalla
sofferenza
liquida e fatale, inconsapevoli, con la semplicità con cui
un bambino può
guardare la sua nuova amica.
Forse
non abbiamo fatto altro che seguire un percorso stabilito, forse era
già
scritto che insieme attraversassimo l’inferno e tornassimo
indietro, insieme,
che combattessimo fianco a fianco fino alla fine.
Ci
credi nel destino Riza?
Quando
ti ho incontrata la prima volta non ero ancora sicuro di cosa fosse, al
fronte
ho imparato che è solo una menzogna, ripetuta allo
sfinimento per giustificare
le atrocità umane, ma poi ti incontrai ancora, proprio
lì senza che ti avessi
cercata. Mi avevi visto compiere tutti quegli stermini, uccidere la
gente con
un gesto della mano?
Che
cosa hai pensato di me, che merito di morire, di pagare per i miei
crimini?
Mi
domando spesso cosa ti spinga a non andare via, tendo a dimenticare che
è per
la stessa ragione per cui anche adesso sento un fremito anche solo
pensando di
poterti perdere per sempre.
All’improvviso
una
testolina bionda aveva fatto capolino nel salotto sbattendo le palpebre
con
sorpresa.
Dapprima
mi eri sembrata
solo una bambina spaurita, che mi guardava nascondendosi dietro una
grande porta
di legno
Ti
muovesti lentamente e a
piccoli passi silenziosi.
Con
cautela mi avevi
permesso di osservarti meglio.
Indossavi
un vestito in
lana spessa azzurra con le maniche a sbuffo e un paio di stivaletti
neri tutti
ricoperti di fango, i capelli corti erano appena umidi, anche tu eri
scampata
al temporale.
Fra
le mani tenevi stretto
un cestino di frutta.
Vedendomi
non dicesti
nulla, ma istintivamente portasti ancora più vicino a te il
cestino a mo’ di
protezione e continuasti invece a scrutarmi con i tuoi grandi occhi
curiosi
portandoti ancora più vicino il cestino a mo’ di
protezione.
Eri
così buffa e strana
anche.
Occhi
del colore più insolito che avessi mai visto: color del sole
e dell’ambra, vivi
e pungenti.
Quell’anno
ne avevo appena
compiuti dieci e tu non avrai avuto più di sei o sette anni
a giudicare dall’altezza.
Eravamo ancora
bambini, ignari di ciò
che saremmo stati, ancora innocenti.
Mi
avvicinai a te,
timoroso di aprir bocca quasi che con gli occhi potessi incatenarmi con
qualche
strano incantesimo.
Anch’io
non dissi nulla ma
ti sorrisi tendendoti la mano, mantenendo tuttavia una certa distanza
perché
non scappassi via, eppure continuasti il gioco del silenzio e poco dopo
inclinasti il capo leggermente a destra, le labbra arricciate in
un’espressione
impertinente.
Già
allora sapevi mandarmi
in confusione.
Mi
stavi forse… studiando?
Già a quell’età dovevi essere per forza
una grande osservatrice e in quel
momento potevo leggere sul tuo volto un misto di emozioni: diffidenza
nei
confronti del nuovo arrivato, curiosità, e poi…
qualcosa che allora non riuscii
a cogliere, e ancora oggi ripensando a quella bambina dai capelli
dorati, il
sorriso triste e appena accennato che mi rivolse infine dopo aver
finalmente
deciso che dopo tutto non potevo essere così cattivo mi
è rimasto nel cuore.
Sfiorasti
la mia mano con
le dita e dopo la stringesti, con qualche esitazione. Risposi forse con
troppa
energia alla stretta perché ti sentii sussultare
leggermente, ma non allentasti
la presa per un momento.
Senza
pensarci accarezzai
le tue dita, sottili e fragili. Eri pallida.
Trattenemmo
entrambi il
respiro come se avessimo valicato i confini di un terreno sacro, come
se dal
tocco ingenuo delle nostre mani potesse nascere qualcosa di spaventoso
e
terribile, di cui non eravamo ancora ben consapevoli ed ebbi paura. Non
la
solita paura di farsi male che solitamente precede una caduta o un
ferita
qualunque. Ho imparato a gestire quel tipo di emozione molto presto.
No, era
diverso, un brivido che correva lungo la schiena, un
avvertimento…
Ma
poteva saperne allora
un bambino del fato?
All’improvviso
un tonfo ci
costrinse a separarsi in un sussulto: qualcuno era appena entrato in
casa. Non
eri preoccupata ed io supposi che il maestro si fosse finalmente deciso
a
illustrarmi il programma di studi.
Sentii
dei passi piuttosto
pesanti per il corridoio che si trovava fuori dal salottino e portava
all’unica
altra stanza presente al piano terra, non considerando la cucina.
Aspettammo
in silenzio, ma
nessuno venne.
Così
restammo a guardarci
per un po’ finché non decisi che era arrivato il
momento di rompere quel
silenzio.
Mi
schiarii la voce, cercando
di assumere un tono serio:
"Vuoi
dirmi come ti
chiami adesso, signorina?" provai ancora, nessuno avrebbe mai detto che
Roy Mustang si era arreso di fronte ad una bambina. Il mio orgoglio non
mi
consentiva di frenare la lingua, e dovevi esserti risentita
perché sul tuo
volto vidi un repentino cambiamento, un guizzo negli occhi.
Ti
dondolasti un po’ sul
piede destro con l’aria pensierosa, stavolta con
un’ espressione birichina, ancora
indecisa se darmela vinta.
Un
piccolo sorriso ti
illuminò il viso, in fondo eri pur sempre nel tuo territorio.
Mi
morsi le labbra per l’impazienza,
che cosa stavi aspettando?
"Riza"
un
sussurro soffocato mi giunse all’orecchio.
"Che
cosa?"
Domandai di seguito, fingendo di non aver capito.
"Avete
inteso
benissimo Signor Mustang, non lo dirò un’altra
volta" mi rispondesti ad
alta voce, sorridendo ti lasciasti andare per la prima volta ad una
risata
spontanea ed io ti seguii a ruota.
Ridevi,
e nelle lacrime
che piange il cielo rivedo lo stesso viso, gli stessi occhi luminosi
che già
una volta mi avevano catturato, nella frenesia di tutti i giorni torno
ad
essere il bambino che fui.
Ora,
vedendoti entrare
tutta trafelata penso che vorrei sentirlo ancora quel sorriso, sulle
tue
labbra.
"Chiedo
scusa
Signore! Questo mio ritardo è imperdonabile, le assicuro
maggiore seriet…"
Iniziasti, il fiato grosso per la corsa.
"Ah
tenente eccola
qui, ma lei è bagnata come un pulcino! ha assolutamente
bisogno di
riscaldarsi" non ti diedi il tempo di parlare e appoggiai prontamente
il
mio cappotto sulle tue spalle.
"Signore,
ecco la
ringrazio" balbettasti, prima che io mormorassi estasiato qualcosa come:
"Ma
si figuri. Oggi
è proprio una bella giornata, non trova anche lei?"
Iniziai
a ridere, tu
invece strabuzzasti gli occhi per un secondo e boccheggiasti
appena, confusa, chiedendoti se
non fossi per caso impazzito.
NDA:
Buona
sera/notte/giorno in
base a che ora leggerete questo capitolo. :3
Avevo
detto capitoletti
brevi e ci sto riuscendo, avevo in mente qualcosa di ancora
più corto ma oggi
ho avuto fortunatamente un po’ di tempo in più. Ho
riscritto queste paginette
non so quante volte e ancora il risultato finale non mi soddisfa
pienamente, ma
non posso aspettare in eterno per postare. Non era esattamente
così che l’avevo
progettato ma non mi dispiace. Non succede un granché qui,
lo ammetto, c’è più
che altro il punto di vista preponderante di Roy, volevo dargli un
po’ di
spazio perché il prologo se l’è preso
tutto una biondina di nostra conoscenza (Ehi!
Cosa vuoi dire?! NdRiza). Spero possa piacervi e ci sarà
sicuramente qualcosa
di più interessante di cui parlare in futuro nei prossimi
chap. Quindi recensite
e stay tuned ;)
See
ya,
Windancer
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Capitolo 3 *** II ***
Nous, qui sommes
seulement des feux
Noi,
che siamo solamente due fuochi
II
In
the
middle of the night,
I
don’t
understand what’s going on,
It’s
a
world gone astray.
In
the
middle of the night,
I
can’t
let it out.
Someone
keeps searching
And
shatters your life
It
will
never be in vain
In
the
middle of the night
In the middle of the night - Within
Temptation
Era
bastata una telefonata
a sconvolgere la mia vita.
Maes
era morto.
Maes,
il soldato giocherellone sempre allegro persino
sul campo di battaglia.
Maes,
marito ideale e affettuoso padre di famiglia.
Maes,
il mio migliore amico.
Mi
sentii tremendamente solo, così tanto che pensai di
soffocare, la casa sembrò improvvisamente troppo stretta, le
finestre troppo
piccole, la mia vita così sbagliata.
Ero
io l’omicida, solo io, ma lui, che male aveva fatto?
“Dannazione!”
Non
volevo piangere, non ne avevo alcun diritto, io che
ero stato il primo responsabile della sua scomparsa.
Imprecai
ancora, urlai fra le lacrime, mi rigirai per
un attimo il bicchiere colmo di liquido ambrato dai cui avevo bevuto
per
l’ennesima volta quel giorno e lo scagliai contro il
pavimento con tutta la
forza che avevo, mandandolo in frantumi.
Vidi
frammenti di cristallo sfrecciare ovunque e
brillare sotto i raggi della luna che filtravano dalla finestra
socchiusa.
Feci
lo stesso con i piatti rimasti sul tavolo, il
fragore degli oggetti che andavano in mille pezzi riecheggiava il
rumore della
rottura dell’ultimo residuo di anima che avevo in corpo e che
ero sul punto di
perdere definitivamente.
Tutto
fuori era calmo ma dentro era il caos, nella mia
mente rivedevo continuamente la sua morte, come era stato possibile?
Eri stato
ferito prima che ti dessero il colpo finale, e allora avevi combattuto
con qualcuno,
ma come? E perché non hai detto nulla alla segretaria,
avrebbe potuto
raggiungere anche qualcun altro della squadra e forse... forse saresti
qui
adesso, e il tuo riflesso allo specchio smetterebbe di sorridermi
beffardo.
Ti
vedevo ancora, sorridente insieme a tua moglie e tua
figlia, che non avrebbe più rivisto il suo papà
perché delle persone cattive
l’avevano portato via per sempre.
Eri
stato ingenuo, sempre pronto ad aiutare chi ne
aveva bisogno senza chiedere nulla in cambio, anche a costo della tua
stessa
vita.
“Stupido!
Sei un maledetto stupido!” continua ad gridare
e parlare da solo per minuti indefinibili, una parte di me conscia
delle
orecchie tese proprio fuori dall’appartamento, forse mi
avevano scambiato per
un pazzo e presto qualcuno mi avrebbe portato via per sedarmi.
Tutto
quello che sapevo però era che lui non c’eri
più
ed io non avevo fatto nulla per impedirlo.
Sapevo
che i fratelli Elric erano alla ricerca della
Pietra Filosofale, e io stesso con il mio atteggiamento avevo fomentato
il loro
morboso desiderio di averla ad ogni costo a tal punto da spingerli a
cercare il
dottor Marcoh.
“Hanno
chiesto aiuto a te capisci?” Avevano preferito
rivolgersi a lui, che li aveva sempre riconosciuti per quello che
erano, due
ragazzi prossimi a diventare giovani uomini. Se avessi provato a
comprendere di
più le ragioni che li spingevano e a parlare con loro di
tutto questo,
probabilmente tutto avrebbe preso una piega diversa.
Incespicai
verso il corridoio, le gambe incerte, non
ero ben sicuro di cosa avrei fatto, andare lontano magari, via da tutto
quel
dolore che mi stava divorando, dal senso di colpa che mi sarei portato
dietro
ovunque.
Idiota,
perché te ne sei andato prima di me?
Mormorai prima
di accasciarmi lungo la porta dell’ingresso, esausto. Mi
coprii il volto con la
mano, vergognandomi di me stesso, di tutto.
Intanto
riflettevo, il mio cervello correva veloce alle
formule e agli ingredienti necessari ad una trasmutazione umana.
Pensiero
abominevole che io stesso avevo aborrito e per cui due ragazzi erano
quasi
morti. Eppure sembrava così allettante pensare di poter
rimediare al mio errore
con un semplice schiocco di dita.
Ero
già dannato, perché non andare oltre? E mentre
gli
ultimi pezzi del puzzle andavano ad incastrarsi fra loro ripensai alle
conseguenze che il mio gesto avrebbe avuto e allo stesso tempo non mi
importava.
Sarebbe
bastato così poco e non mi sarebbe stato
strappato nulla che non avessi già perso.
Fu
allora che udii uno scampanellio, con stupore
realizzai che qualcuno doveva aver suonato il campanello, allontanando
la mia
mente da intricati e proibiti pensieri.
“Colonnello,
è in casa? Non è venuto al lavoro
stamattina e ho pensato di venirla a trovare” disse una voce
lontana, spalancai
gli occhi ma non risposi, non avevo voglio di incontrare nessuno, tanto
meno
lei, non dopo ciò che la mia mente aveva meditato.
La
mia anima, se ancora ne avevo una era macchiata
ormai e stare da solo era ciò che meritavo, non avrei
contaminato anche lei.
Tutto
ad un tratto sentii la porta dietro di me
aprirsi, lentamente, cercai di alzarmi e trascinarmi lontano ma la
stanchezza
mi aveva infiacchito i muscoli.
Annaspai
nel tentativo di reggermi al vecchio mobiletto
di legno intarsiato regalatomi da Vanessa il Natale prima, e ricaddi
con un
tonfo sulle piastrelle marmoree.
Udii
un ticchettio di passi dietro di me, e intravidi
con la coda dell’occhio una sagoma scura avvicinarsi,
allungare un mano verso
di me, per poi ritrarla quasi subito.
Un
viso si accostò al mio e impiegai diversi secondi
per registrare che in quel preciso istante, il Tenente Hawkeye era
entrata nel
mio appartamento e mi guardava con occhi preoccupati e velati di
tristezza,
spostando velocemente lo sguardo dal sangue che tingeva la mia camicia
allo
scorcio di pavimento traslucido della cucina e di nuovo al mio viso
stravolto.
“Va via”
Non
so come, ma pronunciare quelle parole fu più
difficile di quanto pensassi, rimasero incastrate in gola per qualche
minuto
prima di schiarirmi la voce e chiederle di lasciare la mia casa.
Non
volevo che mi vedesse in quello stato ma lei restò
e si avvicinò ancora di più fino a stare sulle
ginocchia di fronte a me.
Desiderai
nascondermi e scappare via il più velocemente
possibile.
La
guardai timoroso, tuttavia non scorsi traccia di
disprezzo nei suoi occhi lucidi.
Ad
un tratto qualcosa di caldo mi bagno il viso e la
vista si annebbiò nuovamente.
Lei
allora allungò le braccia fino a circondarmi per
poi tenermi stretto.
“Shh, non
piangere” mi rassicurò, cullandomi dolcemente,
guidandomi perché appoggiassi il
capo nell’incavo del suo collo. Prese la mia mano ferita
accarezzandola
teneramente fra le sue, il suo tocco era gentile, quasi temesse di
farmi male.
Era
morbida, rassicurante e senza accorgermene, le mie
dita prima immobili iniziarono tremanti a percorrere lentamente la sua
schiena coperta
da una maglia leggera, fino ad avvolgerla completamente in un
abbraccio.
Sentivo
i suoi capelli biondi solleticarmi il viso.
Rimase
in silenzio ad ascoltare i miei singhiozzi che a
mano a mano si placavano.
Non
disse “Va tutto bene” o “Domani
sarà tutto come
prima”, sarebbero state bugie, ed ebbi un bisogno ancora
più forte di averla
con me, per quella notte, il suo calore mi dava sicurezza.
Lei,
era lei tutto
ciò che mi era rimasto e di cui non potevo fare a meno, mi
sentii così inutile
e sul punto di crollare ogni secondo che passava, ero spezzato.
Faceva
così male,
proprio all’altezza del petto, una fitta dolorosa mi
mozzò il fiato quando
tentai di aprir bocca. Era più difficile persino parlare.
“Mi
manca terribilmente” sussurrai contro la sua pelle
arrossata.
“Lo
so, Roy, ma tu sai che Maes non vorrebbe mai che ti
lasciassi andare così, mi capisci?“ rispose lei
aumentando la stretta. Non
volevo lasciarla, se mai l’avessi fatto e le fosse successo
qualcosa?
Mi
resi conto con orrore che tutti coloro che avevano
accettato di restare al mio fianco correvano un pericolo enorme, lei
per prima
che aveva scelto di difendermi ad ogni costo.
E
in quella stretta c’era tutto il suo coraggio, la
forza che aveva sempre dimostrato in ogni occasione sempre e comunque,
anche
nelle missioni più disperate.
Pregai
in segreto che non l’avesse fatto, pregai di non
dover piangere anche sulla sua tomba, perché ero sicuro che
in tal caso non
avrei più avuto ragione di vivere.
Che
cos’era dopotutto un’esistenza priva di coloro che
si ama?
“Vorrei
dimenticare tutto, tutto” fu ciò che riuscii a
dire.
Riza
mi guardò e vidi anch’io lo stesso dolore che mi
aveva travolto, la preoccupazione per me che
l’aveva guidata sin lì.
“Lo
sai? Credo che non ce ne sia bisogno, dimenticare
non renderebbe le cose più facili, e ora devi lottare anche
per lui, perché so
che vorrebbe questo e anche tu ne sei consapevole, non lasciarti
andare, non
adesso ”
“Ma
come faccio? Non ci riesco, mi basta chiudere gli
occhi per vederlo morire in un bagno di sangue, è
lì che mi telefona e io non
posso parlargli!” le urlai quasi, non ne avevo intenzione ma
le parole erano
venute fuori da sole.
“Non
è colpa tua, ricordalo, e andando avanti
riusciremo a prendere chi è stato e onorare la sua
memoria” l’ascoltavo
sperando di provare un po’ meno
male, e guardandola meglio vidi che anche lei piangeva, le lacrime non
accennavano a fermarsi, silenziose, implacabili.
“Non
pensare mai che sia colpa tua” Ripetè lei a bassa
voce.
Per
un attimo fui sorpreso della tenacia che aveva
usato, ma in fondo rimaneva sempre la stessa; con il pollice raccolsi
una
piccola goccia e tutto sembrò così dannatamente
reale e inevitabile.
Dopo
un po’ Riza cercò di alzarsi, forse per ricomporsi
e andare a prendere un fazzoletto ma la trattenni per la manica della
giacca
bianca che indossava, implorandola con lo sguardo di rimanere
ancora un po’ con me.
Lei
si mordicchiò il labbro inferiore, indecisa sul da
farsi. Sapevo che sarebbero potute esserci complicanze riguardanti una
presunta
relazione fra colleghi ma niente aveva più importanza in
quell’istante, se non
restare con lei, la mia salvezza.
“Non
lasciarmi, ti prego” lo ripetei più volte prima
che tutto intorno a me diventasse nebuloso e confuso.
“Mai”
soffiò sulle mie labbra prima di posarmi un
piccolo bacio sulla guancia umida e si accoccolò di nuovo
contro il mio petto.
Non
furono pronunciate altre parole quella notte in cui due anime solitarie e unite dal dolore si
incrociarono, erano disperate,
ferite e sanguinanti ma furono forti perché ancora insieme,
e insieme non
cessarono mai di combattere, per sempre brillò il loro fuoco
nell’oscurità.
Nda
Buona
sera e ben ritrovati con un nuovo capitoletto J
Questa volta è piuttosto triste
lo ammetto ma non potevo non parlarne, la morte di Hughes è
stata una di quelle
che mi ha fatta stare più male nel corso della serie e ci
tenevo a dire la mia
in proposito.
Anche
qui vedete qualche segnale sul loro rapporto, sono sempre
più vicini di quello
che sembra in apparenza. Non ho altro da dire se non ringraziare chi mi
segue,
chi recensisce e anche chi legge soltanto. Grazie di cuore :*
Ps.
Mi scuso per eventuali errori, dato che sono sempre io che controllo la
storia
a volte mi capita di non accorgermi degli strafalcioni che faccio.
Provvederò
comunque ad una revisione una volta completata.
|
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Capitolo 4 *** III ***
Nous, qui sommes
seulement des feux
Noi,
che siamo solamente due fuochi
III
Everything will slip way
Shattered peaces will remain
When memories fade into emptiness
Only time will tell its tale
If it all has been in vain
Within Temptation
Ti
guardavo dormire, assopito fra le lenzuola bianche
nella stanza spoglia dell’ospedale.
Eri
rimasto ferito, ancora una volta durante un duro
combattimento.
“Io
vado avanti. Ti aspetterò in cima” avevi detto con
una sicurezza che ultimamente avevi mostrato sempre più
spesso, nella camera di
ospedale in cui Jean Havoc si trovava ormai da qualche giorno, prima di
lasciarlo andare e imboccare il corridoio del secondo piano.
E’
incredibile ma da sole le tue parole riuscirono a
dargli coraggio come nessun altro avrebbe saputo fare. Ascoltando il
tono
rassicurante della tua voce non
potei
far a meno di ammirare la tua forza di volontà ma quello che
più mi lasciò
esterrefatta e allo stesso tempo orgogliosa di ciò che eri
diventato fu lo
sguardo dei tuoi occhi, brillavano di una luce che sapeva di speranza,
in noi,
i tuoi compagni di sempre, nel futuro, nella guerra che avremmo
combattuto di
lì a poco e che avrebbe decretato le sorti
dell’intero paese.
Sebbene
le tue ferite fossero gravi ti eri comunque
rialzato in piedi. Mai e poi mai vidi esitazione nel tuo sguardo nei
momenti
più tragici, neanche una volta hai pensato di lasciare
indietro un compagno
ferito, e Havoc era più di questo, un commilitone, un
subordinato, un fratello,
così simile a te per certi versi.
Sapevamo
tutti che qualcosa stava arrivando, e per
quanto si rimandasse la fine, questa sarebbe giunta infine inaspettata
a
travolgerci.
Ogni
giorno mi sorprendevo sempre che nonostante Ishval,
che nonostante ci fossimo macchiati di imperdonabili delitti dentro i
tuoi
occhi risplendessero ancora della purezza di un bambino.
Non
sai quante volte ho temuto in segreto che quel
giorno sarebbe arrivato perché era così che
doveva andare. Non avevamo altro
scopo che aiutarti e supportarti, sempre, perché tu
arrivassi lassù in cima
dove finalmente avresti coronato tutti i tuoi sogni, quei sogni lontani
e
ancora così chiari nella mia memoria che mi convinsero a
lasciare tutto... ma
che dico, non avevo niente allora se non te.
Non
mi pento della scelta che ho fatto, non mi pento di
aver ucciso, se questo ha significato saperti in salvo, vivo,
anche se lontano.
Lo
scontro ti aveva fiaccato è vero ma non avevi mai
perso di vista i tuoi obiettivi.
Quella
notte provai grande vergogna per me stessa, per
aver lasciato che la paura influenzasse il mio giudizio, per aver
creduto alle
parole intrise di veleno di quella donna,
per aver pensato anche solo per un attimo di smettere di lottare, ma
cosa
sarebbe stata la mia vita senza di te?
Ricordo
che in quell’attimo sentii il cuore fermarsi
nel petto.
“Due
sacrifici”
La
sua voce suadente penetrò lenta e dolce come una
nenia nella mia mente.
Allora
non eravamo ancora a conoscenza di ciò che
sarebbe successo, di quale portata avrebbero avuto gli eventi futuri,
ma
ugualmente capii, mi bastò un momento, e Lust mi trafisse
gli occhi con i suoi,
nerissimi e spaventosi, colmi di disprezzo verso il genere umano.
Un
rabbia cieca mi prese d’assalto insieme un dolore lancinante
al cuore che non riuscivo a fermare. Dentro ero completamente
annientata. Ogni
secondo che passava annegavo nella disperazione, certa che nulla
avrebbe potuto
riportarti indietro. Niente sarebbe servito.
Ero
furiosa, con gli homunculus, con chi ci aveva
giocato quel brutto scherzo nei sotterranei, con mio padre che aveva
inventato
l’alchimia di fiamma, con me stessa perché non ero
riuscita a proteggerti.
Proteggerti era sempre stato un mio compito ma al momento di dividerci
in due
gruppi pur non dubitando del tuo giudizio, provai una sensazione
sgradevole
alla bocca dello stomaco, come un avvertimento. E se la parte
più intima di me
aveva urlato a gran voce di seguirti e assicurarmi che tutto procedesse
come
stabilito, dall’altra c’era la tua alchimia ad
aiutarti. Quello era stato tutto
ciò che ero stata in grado darti, ed era insieme un dono e
una maledizione.
“No!
Non è vero! Non può essere!” Fui colta
così di
sorpresa che il mio cervello non riuscì, non
volle accettare
ciò che aveva appena
ascoltato. Tu non eri morto, non potevi esserlo, in tal caso sarei
stata un
completo fallimento, non
solo come
guardia del corpo e fedele amica ma nei tuoi confronti,
Sentii
mancare l’aria, quasi che l’ossigeno fosse stato
risucchiato a forza dai polmoni e mi ritrovai ad annaspare
violentemente.
Vedevo solo un mostro di fronte a me e dentro desiderai che uno dei
suoi
artigli perforasse la mia carne, dritto fino al cuore, non era altro
ormai che
un muscolo inutile.
Vedevo
i nostri sogni distrutti nel sorriso crudele di
Lust, soddisfatta ed esaltata alla vista del mio viso contratto dal
dolore.
Un
colpo e poi una scarica.
“Maledetta!”
Immediatamente
fui colta da una furia cieca, le mie
azioni divennero incoerenti: svuotai il primo caricatore contro di lei,
poi il
secondo, sparandole nel petto tutta la rabbia che avevo in corpo, urlai
lasciando così fuoriuscire lo sconforto che provavo.
“Hai
finito con i tuoi giochetti?”
Abbassai
il capo, ansimando, potevo sentire la risata
di scherno nella voce, una lacrima m’inumidì il
viso e non riuscii più a
frenare il pianto, senza di te, a che valeva continuare a vivere?
“Scappa
Alphonse! Tu devi vivere, ti prego, va via!”
Gridai all’armatura di fronte a me, gli occhi vuoti mi
fissavano con quello che
avrei definito sconcerto, paura, e ostinazione.
Sarei
rimasta lì, sarai morta per mano di quella donna
infernale, ma non mi importava, tutto aveva perso il suo significato,
tutti
quegli anni di sofferenza... tutto cancellato nell’attimo di
un respiro...
Come
ti aveva ucciso? Avevi sofferto? Perché in quel
momento credei di impazzire tanto non sentivo più nulla, non
vedevo più nulla,
immaginavo solo il tuo volto nell’ultimo attimo
singhiozzando, incapace di
muovermi.
“No!
Non voglio più restare a guardare chi combatte
senza far niente, da questo momento sarò io a proteggere chi
amo!” Sentii le
parole del piccolo alchimista con una stretta al cuore, non volevo che
mi
seguisse in quel percorso senza via d’uscita, lo pregai di
andarsene ancora una
volta, lo implorai con le mie ultime forze.
“Non
vedi che quella donna desidera
morire? Lasciala perdere” le parole di Lust mi colpirono
come una stilettata, ma era vero, tutto maledettamente vero. Ero una
vigliacca,
ma era tutto ciò che restava.
“Tenente,
non smetta di sperare, oggi sarò io a difenderla!”
provai un dolore indicibile e fui per un attimo fiera di quel giovane
uomo che
stava di fronte a me. Se il mondo intero si rifiutava di vedere in lui
un
essere umano quella era la riprova che si sbagliavano, ma per me il
viaggio
stava per finire.
Sospirai
accasciandomi al suolo, portai la testa
all’indietro in un gesto di esasperazione
“Ben
detto, Alphonse Elric”
La
tua voce, la tua voce mi risvegliò improvvisamente
dalla stasi che si era impossessata di me. Possibile che fossi davvero
tu?
Eppure una vocina dentro di me era convinta
che fossi ormai diventata pazza, se già avevo
iniziato a sentire voci di
persone morte.
Ma
lo eri sul serio, vivo, eri tornato, anche se
conciato male, avevi rischiato persino di svenire più volte
nel tentativo di
cauterizzare la brutta ferita inflitta da Lust.
Mi
sollevai e feci per venirti incontro ma in quel
momento sentii una forte presa sui fianchi, Alphonse non aveva perso
tempo e
ormai mi teneva stretta.
Quello
che vidi istanti dopo resto per sempre impresso
nella mia memoria: dapprima la scintilla, e poi il fuoco, maestoso,
grande e
immenso, si sollevò in aria in mille volute, le fiamme
lambivano il tuo corpo
ma tu eri immune dalle sue mortali carezze, eri tu a dominarlo, come un
giocoliere o un burattinaio con le sue bambole, tu dirigevi il gioco.
“Ti
ucciderò finché non sarai morta.” Le
ultime parole
prima di udire grida strazianti di angoscia e tormento; tante e tante
volte ebbi
l’impulso di coprirmi le orecchie, così era questo
che faceva l’alchimia di
fuoco, per un po’ di tempo avevo cercato di dimenticarne gli
effetti ma non
potei fare a meno di pensare e ritornai indietro al tempo di Ishval, al
tempo
del massacro, rividi i corpi carbonizzati, le ossa bianche ridotte in
polvere,
trasportata via dal vento implacabile.
Strinsi
forte gli occhi,
scacciando quelle immagini.
Rabbrividii.
All’improvviso
tutto finì in
un lampo di fiamma, tutto si spense e il corpo di Lust si dissolse in
una
nuvola di fumo, la sua ultima sentenza aleggiava ancora
nell’aria. Presto ci fu
solo il silenzio, rotto soltanto dai tuoi respiri.
Crollasti
a terra, sfinito
e mi precipitai immediatamente da te, sollevata e felice di averti
ancora lì,
con me e fu allora che, ricambiando il tuo sguardo preoccupato, imposi
a me
stessa che mai più mi sarei data per vinta,
perché tu non l’avevi mai fatto e
perché la mia vita era indissolubilmente legata alla tua
esistenza, avevo
giurato di fare di tutto per vederti un giorno, a capo della nazione.
Strinsi
forte la tua mano, e celata
da sguardi indiscreti mi chinai a baciarti lievemente la fronte,
socchiusi gli
occhi e assaporando il tuo respiro ormai regolare, ti posai una mano
sul petto,
pregando che il tuo cuore non smettesse mai di battere.
Ancora
una volta avevi ucciso,
ancora una volta eri sfuggito alla morte.
Potei
giurare di aver visto una lacrima rotolare sul cuscino.
Continuai
ad accarezzarti il viso,
sperando di lenire almeno un po’ i tuoi incubi.
Dimentica
ora Roy, ogni dolore, perché è solo nei sogni che
possiamo essere finalmente liberi.
NDA
Nota
velocissima, mi scuso immensamente per il ritardo, ma ho avuto la
bellezza di
tre compiti in classe questa settimana più interrogazioni
varie, i professori
tentano di cavarsela con la scusa: è l’ultimo anno
e dovete prepararvi agli
esami >.<
Comunque, in
questo capitolo ho cercato di rendere un po’ più
dinamiche le vicende e
aggiungere qualche tassello in più alla storia, questo in
particolare è
raccontato dal punto di vista di Riza mentre il prossimo
vedrà tornare Roy al
centro dei nostri pensieri.
Fatemi sapere
cosa ne pensate, è molto importante per riuscire a
migliorare ^-^ Ora
scappo, un grosso bacio e grazie a chi
recensisce, e anche a chi legge soltanto.
Un bacio e
stay tuned!
Windancer
:*
|
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Capitolo 5 *** IV ***
Nous, qui sommes
seulement des feux
Noi,
che siamo solamente due fuochi
IV
I
belong
to you
you
belong to me
it's
the
way things are
always
meant to be
like
the
morning star
and
the
rising sun
you
convey my life
and
forgive me what I've done
Forever
– Kamelot
Non
scordò mai il suo sorriso, uno dei pochi che erano riusciti
a scaldargli il
cuore, uno dei pochi che lei aveva regalato a qualcuno, la forza che
lo
sostenne negli istanti più bui degli anni a venire.
Rigirai
il fermaglio fra le dita, la superficie liscia
di color miele scorreva sotto le dita. Era semplice, privo di
particolari
decorazioni, e a molti non sarebbe sembrato altro che un comune
oggetto, non
più importante di altri, per me invece era una curiosa
memoria di un tempo
passato ormai lontano, che ricordavo sempre con triste nostalgia,
perché
segretamente speravo ancora di potermi risvegliare da un giorno
all’altro nel
mio corpo di bambino. Un desiderio puramente infantile che covavo
ancora in
qualche parte del mio essere.
Forse
solo allora non avevo avuto percezione del peso
insopportabile che poi non avrebbe mai smesso seguirmi, un fantasma a
guardia
della mia anima colpevole.
Più
andavo avanti e più sentivo una forza che mi
strattonava giù verso il fondo, come per impedirmi di
respirare stringeva la
sua morsa costringendomi sempre più spesso a fare un
bilancio delle mie azioni.
C’erano
però di tanto in tanto dei momenti di calma,
una tranquillità che non pensavo di poter vivere ancora,
momenti in cui l’oblio
e il silenzio entravano nel mio fragile spirito con promesse di pace ed
io
assaporavo ogni attimo di quella menzogna, purché potesse
darmi l’illusione di
una vita rinata dal sangue e dal dolore.
Il
mondo girava come una ruota, non c’era stata una
volta in cui non avessi preso in considerazione l’idea di
lasciar perdere
tutto, finendo così di consumare ore e ore, interi giorni
sui libri di
alchimia.
Polvere
e scartoffie erano il mio pane quotidiano,
ricerche e tentativi falliti e non si aggiungevano di volta in volta,
una voce
severa che imponeva di continuare, non importava che ora fosse, i
risultati si
ottengono solo con il duro lavoro: era diventato una sorta di mantra
che
ripetevo ogni giorno, quasi fosse una preghiera.
Definirla
una materia complessa era dire poco e
certamente il maestro Hawkeye non rendeva le cose semplici, i suoi
gesti
misurati al mattino, le parole pacate e lo sguardo spesso assente mi
inducevano
spesso a chiedermi quanto di quell’uomo avessi io di fronte a
me.
Era
trascorso ormai qualche anno da quando era iniziato
il mio apprendistato e ancora non avevo mai visto un accenno di
Alchimia di
Fuoco.
Questo
stuzzicava la mia natura di scolaro impaziente e
assorbiva a tal punto la mia mente tanto che il più delle
volte non mi
accorgevo di altro intorno a me, se non dei fogli di carta su cui
tentavo di
scarabocchiare qualche inutile cerchio alchemico fantasticando di
fiammelle e
turbini di fuoco.
Un
giorno, chissà se ricordi, entrasti in silenzio come
sempre nella mia stanza, proprio mentre ero intento a decifrare dei
complicati
codici da un antico manuale.
“Desidera
una tazza di tè signor Mustang?” domandasti
con voce ferma e il solito tono deferente ed educato, ti invidiavo un
po’ per
come riuscivi sempre ad essere così composta, in ogni
situazione.
“Oh,
sì mi farebbe piacere, sì” borbottai un
po’ colto
alla sprovvista.
Sentii
i tuoi passi farsi leggeri e lontani, segno che
ti eri allontanata, immediatamente tirai un sospiro di sollievo.
Tornasti
una decina di minuti più tardi, e solo allora
mi decisi a guardarti per la prima volta quel giorno, i capelli biondi
erano
raccolti dietro la nuca con l’aiuto di un grazioso
fermacapelli, ma c’erano
ancora ciocche ribelli che non ne volevano sapere di restar ferme e ti
vidi
spostarle spesso dietro le orecchie.
“Perché
non resti qua vicino a me?” Osai, è vero ma non
potei resistere alla tentazione di averti un po’
più vicina, anche perché ero
ben stanco di tutta quella semplice “cortesia” e
buone maniere. Benché la
nostra presenza fosse ben congeniale all’altro
c’era ancora una distanza che
desideravo a tutti i costi colmare e non avrei desistito fino a che non
ce l’avessi
fatta. Sapevo che anche per te valeva lo stesso, ma immaginavo come
anni
vissuti in solitudine potessero averti resa diffidente nei confronti
dell’altro.
Ed
io ero stato così presuntuoso da pensare di poter
fare la differenza, semplicemente perché qualcosa dentro di
me continuava a
ripetere che era la cosa giusta da fare, e seguire l’istinto
non mi era mai
sembrato tanto ragionevole come allora.
Battei
con il palmo della mano sul cuscino di fianco a
me facendoti segno di avvicinarti.
Ponderasti
azioni e conseguenze e infine ti muovesti
nella mia direzione. Dentro di me ero tutto un sorriso e anche tu non
sembravi
affatto dispiaciuta.
Sospirasti
e ti sistemasti meglio accanto a me, avvolta
in una grande coperta rossa, eri tremendamente buffa, ma stare
lì con te in
quel momento, bere insieme dalle grandi tazze fumanti accoccolati sul
sofà di
fronte al caminetto acceso aveva un non so che di familiare, un calore
insolito
che risaliva dalla pancia fino a colorarmi le guance.
Eri
vicinissima, ma mantenevi ostinatamente lo sguardo
basso, un vizio che ancora non riuscivi ad evitare.
“E’
delizioso” dissi così per evitare che il silenzio
si protraesse oltre.
“Mmh,
ne sono contenta” mormorasti, e poi aggiungesti
con tono più accorato: “Ma lei cosa ci fa ancora
alzato? Dovrebbe riposare di
più, non le fa bene restare alzato tutte le notti fino a
tardi”. Poi serrasti
le labbra, conscia di ciò che avevi appena rivelato e
scrutasti il mio volto
alla ricerca di qualunque cambiamento ed emozione.
“E
tu come fai a...?”
Solo poco dopo realizzai che dovevi essere rimasta sveglia
anche tu
insieme a me, dietro la grande porta, un’ombra silenziosa che
più di una volta
mi aveva coperto segretamente nelle notti più gelide
trascorse nella villa. Mi
si strinse il cuore e al tempo stesso ebbi l’impulso di
abbracciarti ma fui ben
cauto, dopotutto tuo padre sarebbe potuto entrare da un momento
all’altro, e
come potevo allora far sì che capissi la natura vera dei
miei sentimenti per te
quando io stesso da bambino che ero non riuscivo a spiegarmi che cosa
sentivo
muoversi nello stomaco anche solo sfiorandoti?
“Oh”
fu tutto quello che seppi dire, tutto ad un tratto
l’imbarazzo si impadronì di me, ma deglutii e
cercai comunque di esprimere ciò
che pensavo.
“Sei
stata veramente gentile, io... davvero non so come
ringraziarti, non dovevi.” Ed era vero, ti vedevo tormentarti
le mani e intanto
pensavo che in quei mesi qualcosa era decisamente cambiato, tu ed io
eravamo
più somiglianti di quanto pensassi all’inizio e
insieme formavamo quella che
poteva dirsi una famiglia, seppur bizzarra e insolita.
Sorridesti
alle mie parole, e scorsi un guizzo di
qualcosa... felicità? affetto? prima
che
ti stringessi vicino a me alla ricerca di un po’ di calore, i
tuoi capelli
biondi mi solleticavano il collo.
Avevi
occhi gentili e io non ebbi la forza di
incrociare i miei ai tuoi per paura di rivelare cosa provavo davvero in
quel
momento: paura, imbarazzo, inadeguatezza.
Un
giorno avrei rivisto quei sentimenti nel tuo volto,
nelle piccole rughe della tua fronte corrugata al tramonto, dopo
l’ennesima
giornata passata sotto il sole, durante sporadiche ore di riposo
pomeridiano,
al riparo fra le ombre d’una duna amica o nascosti nel
tentativo di ricacciare
indietro un impellente desiderio, ma allora ero solo uno sciocco
ragazzino che
provava uno strano sentimento anche solo parlando con la figlia del
proprio
insegnante.
Ero
senza speranza.
Il
coraggio sembrava abbandonarmi sempre quando mi
trovavo da solo con te, e anni dopo mi resi conto che la situazione non
era
affatto cambiata.
Non
ci volle molto perché ci assopissimo. Dormimmo
così
rannicchiati, e nel sonno mi sembrò di rivedere me stesso,
in un tempo
indefinito tendere le braccia verso una donna dai capelli scuri,
sorrideva, era
bella come un angelo ma poi il fuoco avvolse tutto e anche
l’angelo scomparve
fra le fiamme cremisi. Gridai, ma dalle mie labbra non venne fuori
altro che un
singhiozzo.
Fu
quando decisi di andarmene davvero che mi pentii di
non avertene mai parlato, ma mi ero presto reso conto che non era
giusto, né per
te né per me ancorarti a sentimenti sbagliati,
già in ritardo di mesi, anni. E
quante cose sarebbero cambiate di lì al futuro. Un futuro
che desideravo
costruire ed ero pronto a fare il primo passo nel mondo là
fuori dal nostro
giardino.
Era
sera e dopo aver portato a termine l’ultima
trasmutazione mi fermai a guardarti dalla porta semiaperta della tua
stanza,
eri lì sul tuo letto, addormentata, il fermaglio con cui di
solito intrecciavi
i capelli poggiato su di un tavolino di legno. Fu più forte
di me e sebbene
stessi per fare una sciocchezza, facendo attenzione a non svegliarti
entrai in
punta di piedi e lo presi cautamente fra la mani, dopo qualche
indecisione
finalmente lo infilai nella tasca del cappotto.
Ti
avrei portata sempre con me e un giorno ci saremmo
rivisti, ma per il momento era necessario intraprendere strade diverse.
Non
voltai lo sguardo una volta che mossi i primi passi
lungo il viale alberato.
Lasciai
indietro la mia vecchia vita, e a te consegnai
il mio cuore.
Diede
un’ultima occhiata al fermacapelli prima di riporlo nel
cassetto della
scrivania che per tanti anni era stato il suo scrigno:
l’avrebbe custodito
ancora, almeno fino a quando non fosse giunto il tempo di restituirlo
alla sua legittima
proprietaria.
NDA
Sono
imperdonabile, me ne rendo conto, è dal 26 che non
aggiorno e sono davvero dispiaciuta ma una cosa tira l’altra
e quest’anno è
reso ancora più impossibile da compiti e verifiche quasi
ogni giorno.
Aggiungiamo pure 3 giorni passati al Lucca
Comics *O* e il tempo per riprendersi dal viaggetto e siamo a
posto u.u Ma
finalmente oggi mi sono detta che non potevo mica lasciarvi senza
niente e così
ecco a voi questo capitoletto con cui si ritorna ad affrontare qualche
particina del loro passato, stavolta è Roy che racconta un
piccolo furtarello,
Riza riavrà mai il suo fermaglio? Chi lo sa xD
Spero
vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate e
come sempre ringrazio chi recensisce e chi legge.
Stay
tuned :*
Windancer
|
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Capitolo 6 *** AVVISO ***
Mi scuso perché non si tratta di un nuovo capitolo ma di un avviso, vi chiedo perdono per avervi fatto aspettare così tanto per delle scuse e niente di più.
Ho passato un periodo difficile e le sfide non sono finite, ho pensato di mollare tutti i progetti che avevo iniziato tanto vedevo tutto nero, ma devo ringraziare alcune persone che mi sono state particolarmente vicine e tuttora sono sempre con me e mi hanno aiutata a vedere le cose sotto una luce diversa. In più essere l'anno finale degli esami di maturità mi ha messo di fronte a situazioni nuove.
Tutto questo però per rassicuravi che comunque la storia non rimarrà incompleta, ma sarà finita, solo ho bisogno di un po' di tempo per riprendere il ritmo e se prima non avrò pronti almeno 3 capitoli non toglierò l'avviso, così da evitare inconvenienti come questo imperdonabile ritardo.
Spero continuerete a seguirmi e ringrazio chi ha avuto fiducia in me e chi mi ha espresso la sua opinione e infine chi legge soltanto, siete fantastici.
Grazie e a presto :) |
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