Little pieces of world

di Tikal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #01 - Happy new year, Cora-san ***
Capitolo 2: *** #02 - Hey brother ***



Capitolo 1
*** #01 - Happy new year, Cora-san ***




 
#01 – Happy new year, Cora-san
 
«Domani sarà il 31 dicembre» se ne esce così, Law, nascosto sotto un ammasso informe di coperte, una sera fredda, mentre la neve scende a coprire le orme di Corazon.
L’uomo entra in un vicolo e si ferma – Law nemmeno ci fa più caso a cose simili, dopo mesi a viaggiare con Cora si è abituato a dormire nascosto tra i cassonetti – per riprendere fiato, mettendo giù il ragazzino e sedendosi su una cassa per accendersi una sigaretta.
«Cosa vuoi dire, Law?» domanda Cora, aspirando il fumo dalla sigaretta appena accesa. Il ragazzino lo osserva inespressivo, prima di parlare: «Corazon», chiama. L’altro alza lo sguardo, scrutando incuriosito il suo compagno di viaggio.
«Dimmi, Law»
«Ti va a fuoco la spalla»
«Ma che stai dic- » l’uomo si interrompe, voltandosi e rimanendo pietrificato ad osservare il suo vecchio giaccone andare a fuoco – per la terza volta in quella settimana, pensa Law –, illuminandogli il volto congelato in un’espressione sorpresa – che sarebbe anche comica, se solo non capitasse quasi ogni giorno.
Cora cade, finendo per rotolarsi nella neve per cercare di spegnere le fiamme (anche se al ragazzino sembra più che altro un cane che si rotola nel fango, ma non glielo dirà mai, perché allora Cora potrebbe finire per farlo davvero); quando si rialza sorride, come al solito, del resto, e si sbatte via la neve di dosso, puntando i suoi occhi su Law. «Allora,» inizia. «cosa dicevi sul 31 dicembre?».
Law sorride, anche se la sua espressione assomiglia più a un ghigno che a un sorriso vero e proprio, come quelli di Corazon, e si stringe tra le coperte. Ha preso a nevicare più forte, e il cappuccio di Corazon è già ricoperto di neve, ma lui continua a fumare tranquillo, soffiando nuvolette grigie che volano lentamente verso l’alto.
«Domani è l’ultimo dell’anno, e ho letto che qui in città festeggeranno in piazza» comincia il ragazzino, interrompendosi però a causa di un colpo di tosse improvviso. Sa già che Cora gli dirà di no, che è troppo rischioso farlo nelle sue condizioni – come se mettersi a vagabondare per i paesi del Nuovo Mondo, esposti alle intemperie e agli sbalzi climatici, fosse stata una sua idea –, che qualcuno potrebbe riconoscerlo e un’intera lista di buone ragioni, ma la sua non è una situazione normale e per una volta non ha intenzione di ascoltare il buon senso. Potrebbe essere – anzi, si corregge Law, sarà – il suo ultimo capodanno, quindi non ha la minima intenzione di passarlo come un fuggiasco.
«Law…» inizia Cora, ma il ragazzino lo ferma, alzandosi in piedi davanti a lui.
«Non sto dicendo che voglio andare in piazza, domani sera, con tutta quella gente che urla e festeggia, ad aprire una bottiglia di spumante e ad ubriacarmi, ma – Law si ferma, interrotto di nuovo da un colpo di tosse – ho visto che, a mezzanotte, nel villaggio vicino, le persone fanno volare delle lanterne sul lago, come auspicio per il nuovo anno, e…»
«Vuoi andare a vederle?» lo interrompe di nuovo Corazon, calpestando la cicca della sigaretta con il tacco dello stivale.
«Sicuro di riuscire a non cadere in acqua?» ghigna il ragazzino, stringendosi ancora di più nel caldo abbraccio delle coperte. Cora, invece, sorride. Un sorriso grande, allegro e spensierato, uno di quei sorrisi che Law non è mai stato capace di fare, ma che quell’uomo continua a regalargli.
«A mezzanotte, hai detto?».
 
«Non riesco a crederci» mormora Law, sottovoce, certo che Cora non possa sentirlo. Il suo volto pallido si apre in un timido sorriso – perché, Cora ne è certo, quello non è un ghigno, ma un vero e proprio sorriso – e per un istante Law sembra il ragazzino tredicenne che è, incantato dal lago salato che si stende a vista d’occhio sotto la collina, sulla cui baia le persone iniziano già a festeggiare, in una danza di luci e di suoni che sa di allegria e di felicità.
«Andiamo?» domanda l’uomo, iniziando a scendere per il pendio. Law, stretto nelle solite coperte, annuisce, e il sorriso scompare dal suo volto, trasformandosi nell’ennesimo ghigno spettrale.
«Sta attento a non cadere, Cora!» urla, in ritardo, il ragazzino; scendendo, Corazon è già riuscito a scivolare ed è rotolato nella neve. «Alle volte mi chiedo chi si deva prendere cura di chi, tra noi due» lo prende in giro Law, raggiungendolo e superandolo senza degnarlo di uno sguardo. Ma Cora ride – è abituato a situazioni del genere, lui: essere maldestro e goffo è nella sua natura, non può farci niente – e si rialza, raggiungendo il suo compagno di viaggio.
 
Dieci minuti prima che il campanile batta i dodici rintocchi della mezzanotte, una piccola barchetta di allontana verso il centro del lago, dove le altre chiatte si sono radunate, con a bordo uno strano pagliaccio e un ammasso informe di coperte che altro non è se non un ragazzino infreddolito.
«Sai, Law, un tempo mio padre mi raccontò che, in alcuni paesi, si era soliti esprimere un desiderio prima di lanciare in aria la lanterna, così che, una volta arrivata in cielo, esso diventi realtà» mormora Cora, smettendo di remare e fermando la loro piccola imbarcazione.
Law si volta, osservando il suo compagno di viaggio, improvvisamente incuriosito. «Un desiderio?» domanda innocente e, per la seconda volta, a Cora pare soltanto un ragazzino infreddolito.
«Già, un desiderio» risponde, iniziando ad armeggiare con le lanterne che hanno comprato. «Le lanterne volano fino alle stelle, che ti aiuteranno a realizzarlo».
«Stai mentendo» ribatte Law, corrugando la fronte. «Le stelle sono ammassi incandescenti di elio e idrogeno, non realizzano i desideri».
«E invece è la verità»
«Come lo sai?»
Cora tentenna sotto lo sguardo indagatore del bambino, esitando qualche secondo prima di rispondere. «Me ne hanno parlato, anni fa».
Law non sembra crederci, ma non ribatte; si limita a girarsi di nuovo, dando le spalle a Cora, e a puntare lo sguardo verso il cielo. «Muoviti e basta, con quelle lanterne» borbotta infine, senza voltarsi.
 
Quando finalmente – dopo innumerevoli tentativi da parte di Cora di accendere le lanterne, altrettante volte in cui la sua giacca ha preso fuoco e il rischio di cadere in acqua (fortunatamente Law è riuscito in qualche modo a evitare che Cora ribaltasse l’intera barca) – le campane della piazza suonano dodici rintocchi che si sentono fin lì, su quella piccola barchetta in mezzo al lago, nonostante i rumori della festa provenienti dalla costa, il cielo si rischiara della luce calda di migliaia di lanterne di carta che si innalzano verso le stelle, portando con sé i sogni, i desideri e le speranze delle persone. In contemporanea a tutte le altre, due lanterne di alzano verso il cielo da una barchetta sgangherata in mezzo al lago, raggiungendo le altre che hanno già reso il volo e cercano di raggiungere quelle stelle troppo lontane, lassù, nella volta celeste.
Da quella barchetta in mezzo al lago, Law osserva quello spettacolo con un sorriso – il secondo, quel giorno, si appunta Cora – cercando con lo sguardo la sua lanterna, che si è già confusa tra le altre e non si riconosce più. Non sa se credere o meno a Corazon – insomma, quel tipo è un bugiardo patentato e la sua storia non si regge in piedi – e non sa nemmeno se il suo desiderio si realizzerà mai, ma in quel momento non ci vuole pensare, vuole soltanto credere che vada tutto bene e che guarirà, anche se si tratta di un illusione.
«Buon anno, Cora-san» mormora, osservando incantato le lanterne, mentre le loro luci si riflettono nei suoi occhi scuri.
«Buon anno, Law» risponde Cora con un sorriso.
Forse vale davvero la pena di credere a quella vecchia storia, in fondo i desideri potrebbero anche realizzarsi.
 
 
Angolo autrice
 
È la prima fan fiction su questo fandom, ergo sono nervosa come non so cosa. E perché non avevo già abbastanza cose da fare, quindi dovevo anche iniziare una raccolta su One Piece :’)
Anyway, mi sono messa a pari col manga qualche settimana fa, ma è da che ho letto il flashback di Law che volevo scrivere qualcosa su quei due, perché sono semplicemente troppo dolciosi assieme :3
Tra l’altro, questo doveva essere il secondo capitolo della raccolta (all’inizio il primo doveva essere una RuNami AU *^*), ma alla fine ho optato per inserirlo per primo, perché non lo so nemmeno io, probabilmente perché avevo voglia di pubblicare e l’altra storia era troppo lunga (almeno cinque pagine, capitemi lol). E anche così ho un terrore assurdo di aver fatto un OOC grande come una casa con Law ç_ç
La storia delle lanterne è vera, mi sono documentata per essere sicura di non scrivere qualche cavolata, anche se l’ho cambiata leggermente per la trama. E nel mio headcanon il padre di Rocinante prima di rinunciare al titolo di Drago Celeste era solito raccontare ai figli delle leggende di antichi paesi che ormai non esistono più – in questo caso la Cina.
Non so bene quando arriverà il prossimo capitolo, perché sono oberata di compiti e roba da studiare (anche se le lezioni di filosofia e fisica mi lasciano molto tempo libero lol), ma spero di finirlo presto.  
Credo di aver finito e di aver detto tutto (spero, insomma, questa volta le note non sono più lunghe della storia ed è un miracolo!), nel caso chiedete pure nelle recensioni :3 
Alla prossima!
Tikal 

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Capitolo 2
*** #02 - Hey brother ***




 
Hey brother 



Ad Ace non è mai piaciuta la notte, quando, che  sia a casa di Dadan o sdraiato sotto un albero nella foresta, ogni cosa tace, avvolta dal torpore del buio e dalla flebile luce delle stelle, i pensieri possono vagare liberi nella sua mente e gli incubi tornano a tormentarlo – e dopo la scomparsa di Sabo ancora di più, perché in parte se ne sente responsabile.
In quel momento, sdraiato sull’enorme letto che lui e Rufy condividono, in una delle rare occasioni in cui tornano da Dadan – che, dopo Sabo, sono comunque molte più rispetto a prima – il suo sguardo si perde fuori dalla finestra, tra le stelle lontane e luminose che splendono nel cielo sopra di lui, e un sussurro sfugge dalle sue labbra. Alle sue spalle, Rufy si agita nel sonno, mormorando qualcosa che al maggiore sfugge.
Gli da le spalle, Ace, perché sa che non riuscirebbe a sopportare di vedere il suo fratellino mentre dorme, il volto rigato dal pianto e contratto in un espressione triste e innocente: si sente responsabile delle lacrime che ogni sera scorrono copiose sul viso di Rufy, quando pensa che il maggiore dorma, perché sa benissimo che detesta vederlo piangere.
Quello che Rufy non sa, però, è che, nel silenzio della notte, quando solo le stelle vegliano sui due bambini, anche il volto di Ace si riga di lacrime amare; non un pianto vero e proprio, perché non un singhiozzo esce dalle labbra del corvino, ma soltanto qualche lacrima salata, che scorre sulle guancie coperte di lentiggini. Ci prova, Ace, a impedire a quelle lacrime maledette di bagnare il cuscino, ma ogni notte è una battaglia persa che, forse in realtà, non vuole vincere. E allora stringe i denti, soffocando quel singhiozzo che gli è rimasto in gola da quando ha letto la lettera di Sabo e ha visto la sua nave andare a fuoco, distrutta dalla stupidità che ha spinto quell’uomo a rivolgere un’arma e a premere il grilletto contro un bambino che non aveva nessuna colpa, se non quella di sognare di essere libero – come se sognare la libertà, poi, fosse un peccato.
Vorrebbe tornare indietro nel tempo, impedire che quei nobili si riprendano Sabo, l’incidente al Grey Terminal, che la barca di suo fratello coli a picco, ma non può farlo; checché la gente sostenga che nelle sue vene scorre il sangue del diavolo – e che lo sia anche lui –, rimane umano, nient’altro che un ragazzino di poco più di dieci anni che non ha potuto fare nulla per salvare una delle poche persone a cui teneva.
Alle sue spalle, Rufy ha smesso di singhiozzare ed è scivolato in un sonno profondo. A essere onesti, Ace un po’ lo invidia, perché, nonostante anche Rufy sia il figlio di un uomo a cui il governo dà da anni la caccia – gliene ha parlato nonno Garp, tra un litigio e un pisolino, ma lui di quella storia non ci ha capito un granché, se non che il padre del più piccolo è un pericoloso criminale – ignora ancora la verità, inconsapevole del sangue che scorre nelle sue vene, e sembra dormire tranquillo, nonostante la vicenda di Sabo, senza l’odio e la paura che tengono svegli il maggiore la notte, quando c’è troppo silenzio e i pensieri sembrano urlare nella sua testa.
Anzi, probabilmente Rufy sarebbe entusiasta di scoprire di avere un padre – quasi certamente non sospetta nemmeno di averne uno – e che egli è l’uomo più ricercato al mondo, considerando quello che vuole diventare da grande.
Ace si volta ad osservarlo, asciugandosi il volto sul cuscino: si è addormentato con le lacrime, Rufy, quando le stelle erano già alte nel cielo e il Sole era già scomparso da ore oltre la linea dell’orizzonte, tuffandosi tra le onde del mare blu. Accanto alla sua testa, le sue piccole mani stringono forte il suo cappello di paglia, come fosse un naufrago che annega in mezzo al mare e quel copricapo il relitto a cui si aggrappa per sopravvivere. Ace ha sempre trovato buffo, e forse anche un po’ fastidioso, il fatto che quel ragazzino si sia affezionato così tanto a un cappello vecchio e logoro che deve avere almeno il doppio dei suoi anni, e più di una volta ha cercato di capirne il perché, ottenendo sempre la solita risposta: «Questo è il cappello della promessa fatta a Shanks! Non posso farlo toccare a nessuno!»
«Nemmeno al tuo fratellone?» aveva domandato con un ghigno Ace.
«Nemmeno a te, mi dispiace Ace» aveva risposto Rufy con un sorriso da orecchia a orecchia.
Forse Rufy è un po’ matto, a gridare a squarciagola che ‘Diventerà il Re dei Pirati!’ anche quando c’è in giro Garp, che non risparmia pugni e sgridate, o forse è lui il matto, perché non cerca di farlo desistere da quell’obbiettivo che gli porterà solamente guai – anche se non lo ammetterebbe mai, Ace non vuole che finisca come Roger, inginocchiato su un patibolo con i marine pronti a giustiziarlo, ma soprattutto non vuole che diventi come suo padre –, non lo ha mai capito, ma quando osserva Rufy parlare del suo sogno vede i suoi occhi brillare, e il suo entusiasmo lo contagia senza che lui possa minimamente opporsi. Ne è certo, un giorno quel marmocchio piagnucoloso sarà un grande uomo e realizzerà il suo sogno – anche se non lo ammetterebbe nemmeno in punto di morte.
In quel momento, osservandolo addormentato, Ace non fatica a credere che sia suo fratello, anche se è un grandissimo piagnucolone; hanno gli stessi occhi, gli stessi capelli, lo stesso appetito, la stessa voglia di libertà, la stessa voglia, lo stesso sguardo, che aveva anche Sabo. A Rufy mancano solo le lentiggini, e sarebbe quasi identico a come era lui tre anni fa. E, anche se tra di loro non c’è un vero legame di sangue, Ace sente che sono veramente fratelli, lo sa, perché il patto che hanno fatto vale più di ogni altra cosa, di ogni altro legame, e lui, nel profondo del cuore, sa bene che, se mai fosse necessario, difenderà Rufy anche a costo della vita, perché è il suo fratellino e nessuno può fargli del male.
Di fronte a lui, Rufy, la voce impastata dal sonno e gli occhi socchiusi, mormora qualcosa, un farfuglio confuso che il maggiore riesce appena ad afferrare.
«Ace…»
«Uh?» risponde l’interessato, all’improvviso sull’attenti: magari Rufy dirà qualcosa di stupido e imbarazzante su cui l’indomani lui e Sabo rid-
L’entusiasmo del momento muore in fretta, così come è arrivato, quando Ace si ricorda che non potrà più sentire la risata del biondo, perché lui, così come ci è entrato, è uscito dalla sua vita, lasciando un vuoto troppo ampio per essere colmato solamente da quella peste del più piccolo.
Ace stringe il lenzuolo tra le mani e digrigna i denti: maledetto Sabo, anche dopo essersene andato, è ancora lì con loro, nei loro pensieri, nei loro gesti, nelle loro parole, presenza costante all’interno della loro vita. E fa ancora più male, perché Ace vorrebbe solo smettere di soffrire, di sentire quel dolore in mezzo al petto, là dove gli hanno detto esserci il cuore, ma non può, perché in qualche modo lo continua a ricordare, anche involontariamente, e lo rivede ovunque attorno a lui. Sa che è un comportamento da stupido, e lui stesso si dà dell’idiota per quelle lacrime che ancora una volta gli pungono gli occhi, desiderose di scorrere sulle sue guancie, eppure, per quanto ci provi, non può dimenticare Sabo, suo fratello.
«Ti voglio bene». È un sussurro flebile, che il vento subito si porta via, ma Ace fa in tempo a coglierlo prima che lo spettro di quelle parole svanisca del tutto.
Ti voglio bene?, Ace assaggia sulla sua lingua quelle tre parole così strane e aliene, che nessuno aveva mai osato rivolgergli, e, quando prova a ripeterle, ciò che esce dalle sue labbra è soltanto un mormorio soffocato, che niente ha a che vedere con il sussurro del più piccolo.
Forse è vero, è un mostro e per questo è incapace di amare.
Chiude gli occhi, tornando a dare le spalle a Rufy. D’altronde che bisogno ha di dire a quel moccioso “ti voglio bene”? Lui diventerà un pirata, e i pirati non sono gente che si lascia andare a queste stupide smancerie.
«Hey, fratellone» Rufy è sveglio. Ace lo sente rigirarsi dietro di lui, ma non si volta, non ne ha la forza.
«Ace» insiste ancora il ragazzino, osservando contrariato la schiena del fratello che continua a dargli le spalle. Ha la voce impastata dal sonno e le palpebre pesanti, ma lotta contro il torpore che lo avvolge: deve restare sveglio.
«Sai, anche se lo hai detto piano – Rufy si stringe al petto il cappello di paglia, quasi fosse un pupazzo – io lo so che mi vuoi bene, ti ho sentito».
E Ace non sa se è vero o se si è immaginato tutto, ma si limita a non rispondere, scosso da quello che Rufy gli ha appena detto.
Il più piccolo, dal canto suo, sorride, perché sa che Ace lo ha sentito, anche se non vuole darlo a vedere, stringe più forte il cappello di paglia, immergendovi il volto, e chiude gli occhi.
Prima di addormentarsi, Ace si ripete che non c’è niente di male a piangere: i pirati saranno anche gente che non cede ai sentimentalismi e sarà anche il figlio di uno di loro, ma infondo non ha ancora preso il mare, quindi qualche lacrima può ancora concedersela.



Angolo Autrice
 
Anzitutto: buona Pasqua!
Allora, torno a farmi viva dopo mesi – vi avevo avvisato che gli aggiornamenti sono lenti – con questa piccola One-Shot sugli ASL – ma è più che altro una Ace&Rufy, BrOTP che adoro *^* - di cui vado piuttosto orgogliosa: volevo scrivere qualcosa su di loro da secoli, e avevo questa storia seppellita tra gli appunti di filosofia – con la prof che mi ritrovo, sono le ore migliori per scrivere u.u – e dopo averla un po’ rimaneggiata, eccola qua!
Il titolo riprende la canzone 'Hey brother' di Avincii - ma va'? - con la quale sono totalmente fissata negli ultimi tempi ^^ 
Anyway, grazie mille a chi ha recensito e a chi ha messo tra le preferite questa raccolta, sono contenta che vi piaccia :3
Ugh, ho dimenticato cos’altro dovevo dire, quindi per qualsiasi cosa chiedete pure!
Ho davvero fatto un angolo autrice così breve? Domani nevica! ;)
Alla prossima!
Tikal
 
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