Missione Shakespeare

di Beatrix Bonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un teatro per studiare ***
Capitolo 2: *** L'audizione ***
Capitolo 3: *** La porta per Eldorado ***
Capitolo 4: *** Sabotaggi ai lavori ***
Capitolo 5: *** Graunt, l'esiliato ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un teatro per studiare ***


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CAPITOLO 1
Un teatro per studiare




Christopher


Un altro tedioso giorno di scuola stava per avere inizio. Per Christopher, in realtà, non era poi così terribile la scuola, sebbene le lezioni fossero un tantino noiose per i suoi standard.
Ma non era sempre stato così: quando, all'età di dieci anni, sua madre aveva deciso che dovesse smetterla di giocare all'enfant prodige e l'aveva iscritto ad una scuola pubblica, a Christopher era crollato il mondo addosso. Lui che era abituato a discorrere di economia e fisica quantistica con le migliori menti d'Europa, lui che parlava correttamente cinque lingue, o che sapeva tradurre sui due piedi autori greci e latini, sarebbe stato costretto ad avere rapporti ravvicinati con coetanei urlanti e col moccio al naso. La morte.
E, in effetti, i primi giorni di scuola erano stati terribili: una banda di bulletti mocciosi l'aveva preso di mira per via della sua elevata intelligenza e dei suoi vestiti impeccabili. Christopher era stato pronto a piagnucolare tutte le sue lacrime per convincere sua madre a ritirarlo da scuola, ma non c'era stato verso perché lei insisteva che si trovasse degli amici. E, a Christopher costava ammetterlo, degli amici se li era trovati davvero. Maryon e Colin: scapestrato vulcano lei, con più energie di quante potesse effettivamente avere un essere umano; allegro sognatore lui, sempre pronto a seguire qualsiasi divertimento sfrenato, purché nei guai ci finisse solo l'amica. E poi c'era, lui, Christopher, l'unica anima equilibrata e razionale del gruppo, che cercava sempre di frenare i loro istinti fanciulleschi e spesso autodistruttivi. E, di solito, non ci riusciva. Ma ormai era più di un anno che li sopportava e ci aveva fatto il callo.
Quella mattina di fine gennaio, i ragazzini dell'ultimo anno della primary school “Central Infs” di Dublino, si recarono a scuola con un po' più di allegria del solito: la maestra d'Inglese aveva promesso loro una sorpresa; ma Christopher era sicuro che non potesse organizzare nulla di più entusiasmante di una partita a scarabeo con in palio gelatine alla frutta. Che gioia.
La maestra entrò in classe proprio mentre Christopher prendeva posto in fianco a Colin. Non era sola; dietro di lei era entrata una ragazza che dimostrava neanche venti anni, vestita in modo abbastanza bizzarro: aveva al collo una lunga sciarpa a righe colorata come un arcobaleno, indossava una gonna blu a pieghe, che assomigliava molto quella della divisa scolastica dei ragazzi del liceo, ma le calze spesse, di lana, verdi con delle margheritone gialle, non avevano nulla a che fare con la divisa. Sul naso coperto di lentiggini portava un paio di occhiali piccoli e ovali, con la montatura dorata. I capelli erano lisci e corti, scuri come il carbone, nascosti da un basco color prugna indossato storto.
Il coro di “Buongiorno, signora Mauren” fu molto fiacco quella mattina perché quasi tutti erano stati rapiti dalla comparsa di quella bizzarra ragazza. Christopher non era affatto un esperto di moda, ma era piuttosto certo che l'abbigliamento della nuova arrivata non potesse che essere definito “bizzarro”.
«Buongiorno, bambini!» salutò con allegria la maestra. «Questa è Cloe Painting, una tirocinante che frequenta l’ultimo anno della James Joyce school
«Scusa se non strillo per l'eccitazione» sussurrò Christopher all'orecchio di Colin, che cominciò a ridacchiare come uno scemo.
La signora Mauren gli lanciò un'occhiataccia ma decise di soprassedere. «Non è tutto, bambini» aggiunse allegra, facendosi da parte per lasciar parlare la ragazza-arcobaleno.
Quella salutò i bambini con la mano, manco avesse cinque anni. Christopher pensò che, a volte, il raggiungimento della maturità anagrafica era davvero sopravvalutato.
«Io e la signora Mauren abbiamo pensato di proporre un programma alternativo per lo studio di Shakespeare, che affronterete quest’anno» esclamò allegra la ragazza. Alla parola ‘alternativo’ una smorfia scettica comparve sul volto di Christopher. Cloe continuò senza accorgersene: «Poiché è un argomento piuttosto impegnativo per la vostra età, abbiamo pensato di renderlo più leggero e piacevole.»
A quel punto, lo scetticismo di Christopher si trasformò in puro terrore. Il suo Shakespeare non si poteva toccare. Nessuno gli avrebbe rovinato Shakespeare, non glielo avrebbe permesso.
«Con tutti i bambini dell'ultimo anno insceneremo un saggio scolastico per la festa di saint Patrick, interpretando una delle opere di Shakespeare» concluse felicemente Cloe.
A quell'annuncio eccitante, tutti i ragazzini esplosero in un applauso gioioso. In mezzo a quel frastuono, una mano solitaria sventolò in alto. Christopher attese che tornasse il silenzio, le labbra serrate e lo sguardo accigliato. «Mi scusi, signorina Painting» cominciò, non appena la maestra gli diede la parola. «Credo che abbiate dimenticato un piccolo dettaglio: dove si terrà lo spettacolo? Il Ministero dell’Educazione è piuttosto restio a elargire fondi per attività extra scolastiche così costose, e la scuola non ha abbastanza soldi per pagare le fotocopie degli insegnanti, figuriamoci per affittare un teatro.»
La giovane balbettò qualcosa, scioccata dalle parole saccenti e dal vocabolario elevato di quel ragazzino in seconda fila, che la fissava come se volesse scagliarle contro un branco di mastini affamati. A intervenire fu la maestra Mauren, che ormai aveva fatto il callo all'atteggiamento da adulto in miniatura di Christopher. «Non ti devi preoccupare di questo, Christopher» lo rassicurò sorridente. «La scuola ha già un teatro.»
Christopher aveva fatto del sarcasmo il suo elemento di forza nelle conversazioni con chiunque, per cui si riteneva un esperto in materia: le parole della maestra non sembravano affatto dette per scherzo. Eppure, il teatro della scuola, se così si poteva chiamare, era stato abbandonato da tempi immemori ed ora era praticamente distrutto. Agli studenti era proibito andarci, anche perché la struttura era piuttosto pericolante; restava viva la leggenda che i gemelli Luke e Joy, fratelli maggiori di Colin, vi fossero entrati grazie a qualche rocambolesca bravata e, scoperti dalla direttrice, avessero passato un mese in punizione definita ‘esemplare’. Christopher, accigliato, non mancò di far notare alla maestra quel piccolo particolare.
La donna, ormai avvezza ai musi lunghi del piccolo genietto, si limitò ad una strizzata d'occhio. «Gli daremo una sistematina» confessò.
Inutile dire che Christopher passò il resto dell'ora di Inglese con le braccia incrociate e lo sguardo arcigno. Per essere un enfant prodige, aveva dei lati del carattere davvero infantili.
Terminata l'ora, Christopher approfittò degli amici per sfogare tutta la sua frustrazione. «Non ci posso credere!» strillò indignato, mentre si recavano alla lezione successiva, matematica. «Vi rendete conto il mio Shakespeare potrebbe essere interpretato da qualcuno come... come...»
Proprio in quel momento i tre amici furono superati dalla banda dei loro acerrimi nemici, la DDD, composta da Daniel, il capobranco, Dorian, il belloccio e David, l'idiota.
«Qualcuno come David!» piagnucolò disperato, osservando con disgusto quello che era notoriamente il più stupido della DDD. Christopher era sempre stato convinto che una scimmia con la parrucca avrebbe potuto sostituirlo e nessuno si sarebbe accorto dello scambio.
«Non essere così melodrammatico, Chirs» commentò Colin: dopo che i suoi fratelli Luke e Joy avevano preso a chiamare Chirs a quel modo, il ragazzino aveva deciso che quell'aggettivo fosse perfetto per le lagne infinite dell'amico. Christopher lo odiava.
Daniel si voltò proprio in quel momento con un ghigno da galera. «Ehi, faccia da pidocchio!» esclamò, rivolto a Colin. «I tuoi fratelli perderanno il loro glorioso primato, perché ci entreremo anche noi nel teatro!»
Christopher fece una smorfia. «Ti sbagli, Rubber. Se ci entrerai tu, loro saranno comunque gli unici esseri umani dotati di cervello ad esserci entrati» rispose, facendo trasudare tutto il suo disprezzo.
Il ragazzo ringhiò, pronto a saltargli al collo per fare a botte, dal momento che non era in grado di reggere una sfida verbale, ma fu prontamente fermato da Dorian che lo prese per il maglione. «Lascia perdere.»
«Ci vediamo fuori da scuola, Lecchino» gli intimò, prima di essere trascinato via da Dorian.
Christopher non si preoccupò eccessivamente: riceveva quelle minacce praticamente tutti i giorni, ma mai una volta erano state messe in atto, dal momento che Daniel non sembrava essere intenzionato a prenderlo a pugni se con lui c'era Maryon. Almeno, non dopo quella volta in cui la ragazzina era riuscita a tenerlo immobilizzato con la faccia nel fango per cinque minuti consecutivi, strappandogli così il titolo di Più-ganzo-della-scuola.
«Io invece scommetto che sarà mega-divertente fare lo spettacolo» se ne uscì fuori Maryon, con un sorriso eccitato. «E sono sicura che la maestra ti darà un ruolo da protagonista, Chris» rassicurò l'amico.
Christopher mugugnò ma non rispose. Non solo quella stupida recita si sarebbe sicuramente rivelata uno stupro inaccettabile di uno dei suoi autori preferiti, ma presto sarebbe anche stato messo in ridicolo davanti a tutta la scuola. La sua vita felice era ufficialmente finita.

Maryon


La scusa ufficiale per ogni invito a casa era “fare i compiti insieme”, cosa che accadeva di rado, soprattutto a casa di Chris. Agli occhi dei suoi amici, la camera da letto del ragazzino era grande quanto un campo da rugby e l’unica cosa che non mancava mai era la possibilità di divertimento. Colin, infatti, aveva deciso che la sua vecchia play-station potesse stazionare a casa dell'amico, soprattutto visto che il ragazzino aveva in camera un mega-schermo al plasma che avrebbe fatto invidia all'astronave del capitano Kirk.
«Fuori un altro!» esclamò esaltata Maryon. Chris aveva assolutamente proibito di alzare il volume del videogioco (uno sparatutto che faceva parecchio rumore), ma non poteva impedire loro di strillare per ogni nemico (orchi puzzolenti) che veniva ucciso.
«Vi prego!» si lamentò con aria seccata il padrone di casa che, preso da un attacco di depressione, si era seduto al pianoforte a suonare Beethoven. «Non potreste quantomeno evitare di strillare?»
«Eddai, Chris, così ci togli tutto il divertimento!» si lamentò Colin puntandogli contro la pistola della play-station e sparandogli un colpo immaginario. Maryon lo tirò per una manica, cercando di farlo riconcentrare sul gioco, proprio mentre un nemico le dava il colpo mortale. «Maledizione! Colin, stai attento, così mi fai morire!» strillò la ragazzina, interrompendo nuovamente Chris, che abbandonò il pianoforte avvilito.
«Dovreste studiare francese» informò i suoi amici con voce piatta, considerandosi escluso, dato che lui parlava quella lingua meglio della loro insegnante. «E tu dovresti piantarla di avere quel muso lungo!» rispose Maryon, abbandonando il gioco e tirandogli addosso il cuscino che aveva utilizzato per sedersi.
«Picchiarmi non renderà meno terribile il mio dolore» commentò, rilanciandole il proiettile improvvisato. E mancandola di parecchio.
Maryon rise del suo tiro maldestro. «Questo è il motivo per cui non sarai mai il mio compagno di gioco negli sparatutto!»
Colin abbandonò la pistola giocattolo in terra. «A te non va mai bene nessuno, comunque» la rimbeccò, avvicinandosi sconsolato alla cartella per prendere i compiti di francese.
Maryon si strinse nelle spalle: non era colpa sua se era talmente brava che qualsiasi altro compagno di gioco le era più d'intralcio che d'aiuto. Ma, in fondo, le piacevano un sacco i suoi amici, anche se erano dei gran imbranati. Chris era un codardo fatto e finito, musone e brontolone come pochi altri, ma era stra bravo a risolvere i problemi, faceva un sacco di battute divertenti e, a parte quando usava paroloni incomprensibili, sapeva anche essere simpatico. Quanto a Colin, loro due erano amici praticamente da sempre, dal primo giorno di scuola, e lo sarebbero stati fino alla fine dei tempi. Lui era il compagno perfetto, perché sapeva insieme lasciarsi cogliere dal più grande entusiasmo per qualsiasi gioco, oppure scoraggiarsi fino alla disperazione più nera. Lei lo trovava incredibilmente divertente. Quanto al coraggio, non era un gran cuor di leone nemmeno lui, ma Maryon era convinta di essere abbastanza tosta per tutti e tre.
Insieme, loro formavano il MccDragon, il club più ganzo di tutta la “Central Infs”. La M stava per Maryon, le due C per Colin e Chris (la seconda era stata aggiunta di recente, quando Chris era diventato loro amico e si era guadagnato l'ingresso nella squadra). Dragon, invece, indicava il drago, il loro animale simbolo. L'aveva scelto lei, ovviamente, perché era una forza. Si facevano anche un tatuaggio a forma di drago sull'avambraccio, come una vera gang di strada. In realtà non ce l'avevano sempre perché, in pratica, il tatuaggio dipendeva dalla lavastoviglie. Non era una cosa molto eroica, ma era così; quando cioè Colin si faceva venir voglia di svuotare la lavastoviglie a casa, sua mamma gli dava la mancetta e loro potevano comprarsi i tatuaggi lavabili all'edicola di fronte. Maryon, una volta, era riuscita a stare senza lavarsi per quasi quindici giorni, prima che il babbo non la spedisse a suon di scappellotti in doccia.
Comunque, insieme, loro tre erano una vera forza. Non li poteva fermare nessuno nelle loro avventure, nemmeno quegli idioti della DDD, la banda loro rivale. In teoria le tre lettere rappresentavano le iniziali dei componenti, ovvero Daniel, Dorian e David, ma loro preferivano chiamarli “Delegazione Dei Deficienti”. Senza che Daniel e gli altri lo sapessero, ovviamente.
Nulla poteva fermarli. Tranne, ecco, forse, i compiti di francese.
Quella sera, tornando a casa in bicicletta, Maryon si impegnò a ripassare mentalmente tutti i modi per per dire l'ora in francese, dopo che Chris aveva cercato di farglieli entrare in testa per un'ora buona. Senza troppi risultati. Per fortuna, la strada da casa di Chris alla sua era sufficientemente lunga per imprimerseli bene in mente.
Lei e suo papà abitavano al vecchio porto dei pescatori, proprio sulla spiaggia, dopo il parco di Sean Moore. Il babbo aveva comprato l'antico faro ormai dismesso per fare una sorpresa alla mamma e chiederle di sposarla: avrebbero costruito lì la loro casa, dentro quelle mura un po' umide e scrostate, ad ascoltare le onde che si infrangevano sulla spiaggia.
Maryon trovava che fosse un posto ganzissimo dove vivere: poteva correre sulla spiaggia tutte le volte che voleva, poteva fingere di essere in una torre d'avvistamento contro i pirati, poteva perfino arrampicarsi sull'abbaino della sua camera e salire sul tetto del vecchio faro ad osservare l'orizzonte. Peccato che mamma si fosse goduta quello spettacolo per così poco tempo. Era volata in cielo quando lei aveva solo quattro anni. Ogni tanto Maryon si metteva a riguardare la videocassetta del film di “Casper” e pensava che lei e suo padre assomigliavano un pochino a Kat e al dottor Harvey. In fondo, anche il suo babbo aveva la testa tra le nuvole e faceva un mestiere un po' strano, lavorando per il museo di storia di Dublino. Le piaceva anche immaginarsi sua madre come un bellissimo angelo vestito di rosso, che li proteggeva dall'alto. Ma di sicuro lei non avrebbe mai indossato un abito bianco da principessa per andare ad una festa, come faceva Kat in una delle ultime scene. Né voleva essere carina per i ragazzi. Quelle erano robe da femminucce: lei voleva essere ganza.
E doveva trovare qualcosa di ganzo da fare anche per lo spettacolo su Shakespeare.
Quella sera, quando venne a cena nonno Jeremy, Maryon raccontò dell'idea della maestra di fare una recita per la festa di saint Patrick.
«Un'opera di Shakesperare, dici?» le chiese il nonno, incuriosito.
Maryon annuì. «Secondo te cosa facciamo?» L'opinione del nonno era sempre importantissima per lei, perché lo vedeva come una specie di enciclopedia vivente. Ultimamente anche Chris non se la cavava male come tuttologo, ma il nonno era sempre il nonno.
«Secondo me farete Romeo e Giulietta» intervenne il babbo, servendo a tutti le famose lasagne che aveva imparato a cucinare da giovane, durante lo stage universitario a Firenze.
Nonno Jeremy scosse il capo. «Io credo che inscenerete “Sogno d'una notte di mezza estate”.» Poi rivolse un sorriso alla nipotina. «Sarebbe un bel ruolo quello del folletto Puck.»
Maryon rispose al sorriso. Se il nonno diceva una cosa, quella cosa diventava legge: avrebbe avuto quella parte, costasse quel che costasse!






Buongiorno a tutti!
Ecco qui il primo capitolo di un'altra storia del ciclo di Faerie, la seconda che vede come protagonisti quella lagna di Chris, Maryon e Colin. Per chi fosse interessato, qui il link della prima storia: I segreti rubati(si possono leggere anche separatamente, non temete!).
Comunque, questa storia partecipa al contest Tutti in scena, di cui fra un po' avremo i risultati.
Nel frattempo, godetevi le immagini del capitolo:
QUI l'immagine di copertina, solo un po' più grossa, dove sono ovviamente rappresentati Chris, Maryon e Colin.
QUI invece l'immagine che rappresenta la DDD: David, Dorian e Daniel.

A presto, carissimi!
Beatrix B.

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Capitolo 2
*** L'audizione ***


CAPITOLO 2
L'audizione




Christopher


Christopher aveva paura a scoprire di che morte sarebbe dovuto morire. Attese la lezione successiva di Inglese con lo stesso patema d'animo di un condannato nel braccio della morte che attende la sentenza definitiva. E il giorno del giudizio arrivò troppo presto.
«L'opera che abbiamo scelto è “Sogno d'una notte di mezza estate”» annunciò la maestra con un gran sorriso. Prima ancora che potesse aggiungere una mezza parola, la mano di Maryon scattò in alto. «Cosa c'è, Maryon?» domandò la signora Mauren, leggermente scocciata dall'interruzione.
«Voglio il ruolo di Puck» rispose tutta sorridente, come se con quel sorriso potesse corrompere l'insegnante.
La maestra alzò gli occhi al cielo disperata: Maryon aveva un caratterino davvero impertinente. «Innanzitutto la parola 'voglio' è fuori discussione» replicò con una certa durezza nella voce. «In secondo luogo dobbiamo valutare le vostre capacità prima di assegnarvi le parti.»
Se Christopher fosse stato un tipo da gesti teatrali, a quel punto avrebbe sbattuto ripetutamente la testa sul tavolo. Ma lui era un signorino a modo, quindi si limitò a soffrire le sue pene in silenzio. L'umiliazione era vicina. Il resto della lezione fu dedicato alla spiegazione dell'intrecciata trama dell'opera e alla presentazione dei personaggi.
Il giorno successivo, sulla bacheca della scuola, comparve l'avviso per gli orari delle audizioni, che si sarebbero tenute quello stesso pomeriggio in aula magna.
«Fantastico!» esclamò Maryon, quando i tre amici si furono allontanati dalla ressa di studenti dell'ultimo anno. «Io voglio il ruolo di...»
«Puck!» la interruppe Colin, sconsolato. «Lo sappiamo, Maryon. L'hai ripetuto fino alla nausea.» Il ragazzino si voltò verso Christopher, nella speranza di ottenere il suo sostegno grazie a qualche battutina salace, ma l'amico era depresso più del solito. «Che palle, Chris!» esclamò allora, dandogli uno spintone.
Nemmeno quella volta Christopher reagì.
«Lasciamo perdere, va'» fu l'annoiato commento di Colin. «Meglio se andiamo a matematica.»
Le lezioni della mattina passarono con una lentezza terribile per i ragazzi di sesta, tutti in attesa delle audizioni del pomeriggio. Perfino durante la pausa mensa, l'aria era densa di febbrile attesa e Christopher sentiva crescere sempre di più dentro di sé un mostro vorace che gli divorava lo stomaco. Nemmeno l'arrivo di Jenny, la sorellina di Colin, e delle sue amichette in rosa riuscì a distrarlo dal suo dramma personale.
«La mamma di Stephany le ha comprato il giornalino della Barbie» annunciò Jenny, rivolta a Maryon, sventolando il suddetto giornalino sotto il suo naso. «Non mi interessa» rispose secca Maryon, volendo evitare qualsiasi contatto con quelle cose da femminucce.
Jenny ridacchiò e scosse il suo caschetto di capelli rossi come il fuoco (che, tra parentesi, facevano a pugni con la felpa fucsia di ciniglia). «Ma c'è su un'intervista a Simon di “Settimo cielo”» le spiegò, come se la cosa potesse davvero destare un qualche interesse nei tre ragazzini in attesa delle audizioni.
«A Maryon piace» intervenne Colin, con tono risaputo. «Perché assomiglia a Dorian.»
«Non era Dorian che assomigliava a Simon?» si informò Christopher, distratto.
Colin alzò le spalle. «Sì, non è la stessa cosa?»
Il ragazzino ci meditò su. «Mah, alla fine credo che potremmo sostenere che il principio di somiglianza goda della proprietà commutativa.»
Colin scambiò uno sguardo perplesso con l'amica e la sorella.
«Be', comunque non mi piace Dorian!» sbottò Maryon, immusonita. «E dobbiamo darci una mossa se vogliamo andare a 'ste audizioni!»
«Non è giusto, però! Volevo recitare anche io!» proruppe Jenny, con la stessa energia della sua amica.
Nonostante le differenze tra le due ragazzine, Christopher sapeva indicare con sicurezza il motivo per cui fossero amiche: erano entrambe così zuccone, energiche e iperattive. Così lontane dal suo mondo. «Voi affronterete l'argomento solo l'anno prossimo, è il programma ministeriale» sentenziò, in tono definitivo.
«Che palle avere un amico saputello» gli rispose Jenny, con una pernacchia.
Maryon rise. «Un sacco!» fu costretta ad ammettere. Poi afferrò i due compagni per le maniche e li trascinò verso l'aula magna, salutando nel frattempo la ragazzina.
All'ingresso dell'aula trovarono la DDD al completo che sbarrava la strada a chiunque volesse entrare. «Che succede?» domandò Maryon, sgomitando per raggiungere la testa della fila.
«Dovete pagare un pedaggio» spiegò Daniel, in tono di sfida.
«Levati di torno, razza di idiota» gli rispose Maryon, senza farsi intimorire troppo dalla sua aria da gradasso.
«No, dovete pagare il pedaggio» insistette Dorian, assumendo una posa da dandy consumato dal lusso. «Dovete dirci per che ruoli fate l'audizione.»
«Che ti frega?» lo rimbeccò Colin, il quale, in effetti, non aveva ancora rivelato a nessuno per che ruolo voleva presentarsi.
«Perché io voglio fare Demetrio, uno dei protagonisti indiscussi» spiegò Dorian. «Sicuramente è un personaggio con molto charme ed è fatto apposta per me. Non voglio che mi rubiate la parte.»
«Tranquillo, nessuno vuole fare fare l'amante rompiballe» replicò Colin. «Quella parte è perfetta per te!»
Vista la situazione di stallo, Maryon decise di intervenire a modo suo: con un poderoso spintone, fece scansare di lato Dorian. «Grazie» gli disse poi, come se di fosse spostato di sua spontanea volontà.
Christopher si incupì ancora di più dopo l'incontro con la DDD e si lasciò cadere sulle poltroncine dell'aula maga con aria di un condannato nel braccio della morte.
«Dai, Chris, non prendertela per quelli scemi là!» cercò di rincuorarlo Maryon, con uno spintone alla spalla che voleva essere amichevole. «Il tuo Shakespeare sopporterà l'umiliazione di essere interpretato da un idiota come Dorian, perché tanto sa che tu sei il suo fan numero uno!» E alzò i due pollici al cielo con aria d'incoraggiamento.
Christopher le lanciò un'occhiata sfuggente. «Shakespeare non deve sopportare nessuna umiliazione. È morto.»
Proprio in quel momento, la tirocinante Cloe lesse il primo nome della sua lista alfabetica e invitò Michan Abbot a salire sulla pedana dove c'era il tavolo usato di solito per le conferenze. Era una cosa nota e universalmente riconosciuta il fatto che Michan avesse sempre avuto qualche problema con il pubblico, come aveva dimostrato al saggio dell'asilo, quando se l'era fatta nei pantaloni sul palco. Anche se era solo una prova, divenne tutto rosso e non riuscì a leggere nulla oltre la seconda riga. La maestra Mauren lo rimandò al posto dicendo che molto probabilmente avrebbe fatto parte del gruppo che preparava la sceneggiatura. Michan si sedette in un angolo, seguito dalle risate sguaiate dei compagni, che l'insegnante non riuscì a sedare del tutto.
Man mano che procedeva l'elenco degli studenti, Christopher sprofondava sempre di più nella poltroncina. Non gli sarebbe dispiaciuto fondersi con essa, per scomparire completamente dalla scena. Chissà, magari si poteva modificare il DNA umano e creare dei mutanti mutaforma... stava divagando. Si obbligò a riconcentrarsi sui provini, proprio mentre Maryon prendeva possesso del palco e si calava nella parte del folletto dispettoso ed esuberante. Cosa che le riusciva perfettamente naturale. Doveva proprio essere una virtù innata.
Anche Dorian dimostrò delle doti per il teatro davvero spiccate. Dai suoi patriottici genitori aveva ricevuto l'importante nome di Dorian Gray ma, a giudicare da quanto si trovava a suo agio nei panni del dandy consumato dal lusso, era proprio il caso di dire, in quel frangente, che i latini ci avevano azzeccato davvero col loro detto nomen omen. Infatti, le responsabilità derivanti da un titolo tanto importante erano state ben interpretate da Dorian, estremamente vanitoso e caratterizzato dalla sua terribile mania di passarsi le mani nei capelli biondi. Christopher non si sarebbe stupito se fosse venuto a conoscenza di un quadro stregato che lo ritraeva. Nel vederlo recitare, poté finalmente capire perché metà della popolazione femminile della “Central Infs” gli regalava biglietti con i cuoricini a san Valentino: aveva un discreto fascino; e assomigliava davvero a Simon di “Settimo cielo”.
Christopher, puntando i suoi affilati occhi azzurri su Dorian che tornava al posto, si chiese se davvero Maryon fosse invaghita di lui come sosteneva Colin. Ma tutti i suoi presunti sospetti e quello strano moto di gelosia che si era affacciato alla bocca dello stomaco vennero stroncati quando David fu rimandato al posto, schernito da tutti, compresi i suoi amici Daniel e Dorian, per la sua scadente interpretazione. Christopher ripiombò in terra.
«McGregor Christopher» chiamò Cloe.
Il ragazzino si alzò tremante e si portò verso la pedana. La maestra gli consegnò il copione per la parte di Teseo, il duca di Atene, il personaggio che Maryon gli aveva consigliato per l'audizione. I suoi occhi azzurri esaminarono rapidamente la pagina, mentre tutta la sala attendeva con il fiato sospeso la prossima mossa del grande McGregor. Alzò leggermente la testa e il suo sguardo, nuovamente pieno di determinazione, incrociò quello della maestra. «Questo non è Shakespeare» osservò con tono accusatorio.
Cloe, che evidentemente doveva essersi persa alla nascita il filtro tra bocca e cervello, rispose prima che la signora Mauren potesse impedirglielo: «Be', ma certo! Non potevamo mica pretendere che dei ragazzini della vostra età imparassero il testo originale del Seicento!»
«A parte il fatto che “Sogno d'una notte di mezza estate” è stato composto probabilmente tra il 1594 e il 1595» cominciò Christopher, gettando a terra il copione con disgusto. «Comunque, to be or not to be: that is the question: whether 'tis nobler in the mind to suffer the sling and arrows of outrageous fortune, or to take arms against a sea of troubles, and by opposing end them? To died to sleep
La tirocinante rimase a bocca aperta: un ragazzetto di dodici anni che recitava a memoria il monologo di Amleto non l'aveva mai sentito. Ma, dopotutto, non ce n'erano tanti come lui.
Tuttavia, Christopher non stava propriamente recitando: era più simile a qualcuno che leggeva un testo, piuttosto che ad un attore che interpretava la parte. Infatti si fermò dopo pochi versi. «È inutile che mi sottoponga ad un'audizione considerato che non so recitare» ammise infine, con un sospiro. «D'altronde anche il filosofo francese Montaigne sosteneva che l'uomo deve saper accettare i propri limiti: dunque intendo ritirare il mio nominativo e vi pregherei di inserirmi nell'equipe tecnica.» Detto questo, scese dalla pedana e, tra il silenzio generale, andò a sedersi vicino a Michan Abbot. Gli lanciò uno sguardo di sfuggita e notò che il ragazzino si stava scaccolando. Tornò a voltarsi verso il palco con un moto di disgusto.
Ecco la triste fine di Christopher McGregor, giovanotto di belle speranze e dall'intelletto eccezionale, costretto a sedere tra i relitti della buona società per via di un'unica, singola dote che era stato obbligato ad ammettere di non possedere, solamente perché la maestra aveva deciso che recitare un'opera di Shakespeare dovesse essere un modo divertente per affrontare l'autore. Ma perché non accontentarsi del programma ministeriale?
L'ennesima prova che il mondo ce l'avesse con lui.

Colin


Colin attese con un po' di ansia il suo turno. Sapeva di essere l'ultimo, a causa di quell'eterna condanna che era il cognome iniziante per W, ma quella consapevolezza non servì a diminuire l'ansia.
«Weaving Colin» chiamò finalmente la maestra e il ragazzino si alzò dal posto eccitato e si diresse verso il palco. Non aveva detto a nessuno per ruolo intendesse proporsi perché aveva paura che lo prendessero in giro: dopotutto, lui era un tipo abbastanza tranquillo e probabilmente nessuno avrebbe creduto fosse in grado di proporsi per la parte di Lisandro, uno dei protagonisti.
«Che cosa vuoi provare, Colin?» chiese la maestra.
Il ragazzino sfoderò un sorriso. «Lisandro» rispose, scatenando un mormorio generale tra i suoi compagni. Colin fu piuttosto soddisfatto di averne lasciati un bel po' di stucco: aveva finalmente l'occasione di dimostrare quanto valeva. Quando l'insegnante gli passò il copione, lanciò una rapida occhiata alle parole del testo, poi fece un profondo respiro per calmare l'eccitazione e si calò nella parte.
Colin fu certo di aver colpito nel segno quando, al termine della sua interpretazione, gli spettatori improvvisati applaudirono con entusiasmo. Poteva proprio dire di avercela fatta.
La giuria, composta dalla signora Mauren e dalla tirocinante Cloe, avrebbe dato il responso alla prossima lezione di Inglese, così per due giorni, i ragazzini del sesto anno rimasero in febbrile attesa. Maryon era iper-agitata per il suo ruolo di Puck ma Colin, per una volta, era tranquillo: era certo di aver fatto una bella prova e poteva dire che la parte fosse ormai sua.
Quel mercoledì mattina, la maestra entrò in classe tutta sorridente, dicendo che molti dei ruoli da protagonisti erano stati scelti per ragazzini della VI A, la loro sezione. «Dorian Gray avrà la parte di Demetrio» annunciò infatti Cloe. A quella notizia, Dorian si alzò sorridendo, si passò una mano tra i capelli e si inchinò ad un pubblico immaginario.
«Sbruffone» commentò acida Maryon.
«Colin Weaving avrà il ruolo di Lisandro» continuò la maestra, ignorando l'intervento di Maryon.
Colin sorrise soddisfatto. Non era mai stato il tipo che amava star sotto i riflettori; quella di solito era Maryon. Però gli piaceva l'idea di mettere in scena l'opera di Shakespeare, con tutti quegli intrecci complicati, con le fate e i folletti di mezzo, pozioni magiche e lieto fine. Era contento di poter interpretare il giovane innamorato e sognatore: era una parte che gli si addiceva. Anche se lui innamorato non lo era mai stato. Cioè, che schifo le femmine! Nel frattempo, Cloe era andata avanti ad assegnare i ruoli. «Puck, il folletto dispettoso, sarà interpretato da Daniel Rubber» annunciò ad un certo punto. «COSA?» Maryon scattò in piedi, furiosa come una belva affamata. «Ma lui non ha nemmeno chiesto quel ruolo!»
Colin poteva capirla, poverina: battuta squallidamente dal suo peggiore nemico! Quello era molto peggio della volta in cui Daniel l'aveva superata nella gara a chi mangiava più patatine fritte in un minuto. Davvero molto peggio.
Tuttavia, la maestra non diede ascolto alle sue proteste, perché si mise a guardare perplessa il foglio che Cloe aveva appena letto. «Aspettate, ci deve essere un errore» annunciò poco dopo, con gli occhi ancora incollati sull'elenco.
«Lo credo bene!» esclamò allora Maryon, rimettendosi a sedere e incrociando le braccia al petto.
«Ecco!» La maestra sorrise, soddisfatta di aver risolto l'inghippo. «La parte di Puck è stata assegnata a Maryon.»
Un sorriso enorme si disegnò sul volto della bambina.
«Mentre Daniel sarà Bottom» aggiunse la maestra.
A quella rivelazione, tutta la classe scoppiò a ridere, ma nessuno tanto sguaiatamente come Maryon: quella pareva tanto una vendetta. Infatti, il personaggio del paesano Bottom, circa a metà dell'opera, era vittima di un incantesimo di Puck che trasformava la sua testa in quella di un asino. «Non serviranno vistosi cambiamenti» sussurrò Colin all'orecchio dell'amica.
Un sorriso furbo illuminò il viso di Maryon. «Direi proprio di no!»
Quando Cloe completò la lettura dell'elenco, la maestra aggiunse che tra i vari atti ci sarebbe stato un intervallo musicale. La mano di Colin scattò in aria.
«Colin, lo so che tu suoni la chitarra, ma hai già una parte, non puoi fare anche l'intervallo musicale» gli disse la maestra, senza nemmeno ascoltarlo. Colin borbottò, imbronciandosi. «Non volevo suonare la chitarra» mugugnò poi, risentito. «Volevo proporre qualcun altro per la parte.»
«E chi vorresti proporre?» lo assecondò la maestra, ben sapendo che Colin non era il tipo da rompere tanto le scatole in classe. Quella era Maryon.
Il ragazzino fece balenare il suo sorriso più largo. «Christopher.»
Chris, sentendosi chiamato in causa, si riscosse dal tedioso torpore in cui era piombato fin dall'inizio dell'ora. «Io?» domandò, con un'aria sinceramente un po' rimbambita per essere un piccolo genio.
Colin si strinse nelle spalle. «Be', sei bravo – spiegò, – e non hai una parte.»
Chris arrossì un pochino, ma alla fine lanciò all'amico uno sguardo di ringraziamento che lui ricambiò con un sorriso.
La maestra si scusò con Colin per non averlo nemmeno ascoltato e disse che l'audizione per lo stacco musicale si sarebbe tenuta il pomeriggio successivo, subito dopo scuola. Purtroppo, era aperta a tutti gli studenti della scuola elementare e anche a quelli più grandi della secondary school “James Joyce”, il liceo di Cloe e – Colin lo realizzò con terrore – anche dei suoi fratelli Luke e Joy. Oh, cielo! Colin sperò tanto che i gemelli non mettessero in piedi qualcuna delle loro bravate: non voleva farsi conoscere al liceo ancora prima di cominciarlo!
Al termine delle lezioni della giornata, i tre amici sciamarono fuori dalla scuola insieme agli altri studenti. Individuarono subito il papà di Maryon che, come spesso faceva, era venuto a prenderla in moto. La qual cosa era stata utilissima ad accrescere la fama di Maryon di tipa-più-tosta-della-scuola.
«Papi, papi!» esclamò la bambina, correndogli incontro. «Sono Puck, sono Puck!»
«Chissà perché, ma me lo aspettavo» commentò l'uomo, spettinandole i capelli con un gesto affettuoso.
Colin, costretto ad aspettare l'arrivo di sua sorella Jenny – che probabilmente si era persa via con le sue amichette rosa a commentare il nuovo album da solista di Nick Carter – si avvicinò osservando invidioso la moto. Christopher gli trotterellò dietro come se avesse paura che qualcuno potesse aggredirlo se fosse restato per più di cinque minuti da solo davanti a scuola.
«Ciao, ragazzi» li salutò il padre di Maryon.
«Ciao» rispose Colin, con un mezzo sorriso. «Come sta la vecchia carretta?» domandò poi, accarezzando il sellino della BMW con affetto. Adorava quella moto. Anche a lui sarebbe piaciuto avere un babbo che saettava nel traffico a cavallo di una motocicletta, invece il suo vecchio guidava un'utilitaria giallo vomito. Bello.
«Come al solito.» Il signor Alborgeth gli fece l'occhiolino. «Quando avrai l'età, te la farò provare.»
Colin già si figurava centauro a cavallo della magnifica moto rossa di papà Alborgeth, quando l'uomo estrasse dal bauletto del suo mezzo un sacchettino di biscotti al burro e li offrì con aria soddisfatta ai tre ragazzini.
«Sono i biscotti dei folletti?» chiese Colin, allegro. Il signor Alborgeth raccontava sempre alla figlia e ai suoi amici che un folletto che aveva con lui un debito di vita gli portava nottetempo un'infornata di biscotti al burro. Colin era l'unico che prendeva quella cosa sul serio; Maryon, al contrario, la odiava.
«Non so perché mio padre insista a preparare di nascosto i biscotti e a farmeli trovare su un piattino la mattina dopo» si lamentò, come sempre. «Quando avevo cinque anni era una cosa carina, adesso ne ho undici, quasi dodici: non credo più nemmeno a Babbo Natale, figuriamoci ai folletti che portano i biscotti!»
«Io non ho mai creduto a Babbo Natale» intervenne Chris, le mani in tasca e il naso nascosto nel collo di pelo del suo cappotto, per evitare di congelarselo. Colin lo guardò con commiserazione. «Tu hai avuto un'infanzia difficile, Chris.» Lui invece ci credeva a quella storia dei folletti: il suo babbo gli raccontava sempre le leggende del mondo magico di Faerie e delle creature fantastiche che lo abitavano. Forse la foresta incantata e gli spiritelli dispettosi non vivevano solo nella fantasia di Shakespeare. In fondo, l'Irlanda era una terra di magie e leggende.






Eccoci di nuovo qui con il secondo capitolo della storia (che partecipa al contest Tutti in scena, di cui fra un po' avremo i risultati).

Insomma, io sono parecchio affezionata a questi personaggi e alle loro avventure, perché sono le prime storie serie che abbia mai scritto (sono state rivedute e corrette, non temete!).
Per questo, dopo aver visto QUI l'immagine dove sono rappresentati Chris, Maryon e Colin e QUI invece l'immagine che rappresenta la DDD: David, Dorian e Daniel, vi lascio i volti degli altri personaggi che compaiono nel capitolo:
QUI la sorellina Jenny in rosa;
QUI la maestra Mauren;
QUI Cloe Painting;
QUI il papà di Maryon, Remus Alborgrth (protagonista, se vi interessa, di QUESTA storia).

A presto, carissimi!
Beatrix B.

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Capitolo 3
*** La porta per Eldorado ***


CAPITOLO 3
La porta per Eldorado




Christopher


L'audizione per la parte musicale si teneva in aula magna. Sulla pedana, spostato il tavolo, due svogliatissimi bidelli stavano sistemando il pianoforte elettrico temporaneamente rubato dall'aula di musica. Seduti sulle poltroncine rosse stavano quei pochi studenti interessati e quelli che non avevano voglia di andare a casa a studiare. Ai primi posti sedevano l'immancabile Cloe e la signora Mauren, entrambe munite di penna e blocco per gli appunti.
Christopher non era agitato, quella volta: se sapeva che recitare non era proprio il suo forte, sulla musica poteva stare tranquillo. Dopotutto, doveva pur dimostrare di meritarselo quel titolo di enfant prodige.
Il primo candidato era una bambina del quinto anno che suonava un contrabbasso più grande di lei. Eseguì un'arietta di Mozart con tante di quelle steccate che la maestra la rimandò al posto prima che potesse cimentarsi in un secondo brano. La situazione non migliorò nemmeno per i cinque successivi candidati, tutti bambini troppo piccoli per avere una capacità musicale adeguata ad un brano da solista. Christopher sorrise: la parte era già praticamente sua. Solo il settimo ragazzino, che frequentava la prima liceo, suonò il suo flauto traverso eseguendo un brano quasi perfetto. Ma non avrebbe avuto problemi a stracciare anche lui.
«Oh, no!» proruppe Colin, non appena vide salire sulla pedana i prossimi suonatori. I gemelli Joy e Luke Weaving si inclinarono ad un pubblico immaginario prima di presentarsi alla giuria. Colin sprofondò sempre di più, fino a che non sbucò solo un ciuffetto biondo oltre lo schienale della sedia davanti. «Io non li conosco...» biascicò disperato.
Christopher compatì l'amico: i gemelli Weaving non erano certo famosi per il loro ritmo musicale, anzi, al liceo erano già conosciuti per gli scherzi e le buffe improvvisazioni teatrali, nonostante fossero solo al terzo anno.
«Suoneremo un pezzo composto...» cominciò Luke.
«...da noi» completò Joy.
«Pianoforte a quattro mani...» riprese il primo.
«...e anche qualcos'altro» aggiunse il secondo, con una strizzata d'occhio. Si sedettero sullo sgabello con fare teatrale, si sgranchirono le dita di entrambe le mani e iniziarono a devastare il pianoforte schiacciando tasti a caso con qualsiasi parte del corpo avessero a disposizione.
Quegli studenti che si erano assopiti, si svegliarono di colpo e iniziarono a ridere sguaiatamente, mentre la signora Mauren cacciava i gemelli dal palco. «Lo sapevo che da voi due non potevo aspettarmi altro!» strillò disperata, mentre Joy e Luke si inchinavano e ricevevano gli applausi dal loro pubblico divertito.
Scendendo dal palco, salutarono Cloe con uno schiocco della lingua e due immaginari colpi di pistola. Passando davanti a Colin, che per quanto tentasse di nascondersi, non poteva evitare di essere visto, i gemelli esclamarono in coro: «Ciao, fratellino!»
Colin si nascose la faccia rossa tra le mani, mentre Maryon ghignava senza ritegno.
Dopo quell'interruzione non programmata, salì sulla pedana un ragazzo del sesto anno di liceo, compagno di classe di Cloe. Prima di sedersi al pianoforte, scosse la testa, lasciando che i capelli castani ondeggiassero col movimento, come ad un vento immaginario.
«Ma ti prego!» sibilò Maryon, forse un po' troppo ad alta voce. Il ragazzo le lanciò un sguardo inacidito ma, notando che la minaccia veniva da una bambina delle elementari, finse di essere superiore. Christopher ghignò. Pessima mossa, amico, davvero pessima mossa.
«Suonerò un brano tratto da uno dei Concerti di Chopin» annunciò al pubblico. Christopher fu costretto ad ammettere che fosse effettivamente molto bravo: si vedeva che era uno che studiava pianoforte da parecchio tempo. Quando concluse la sua suonata, tutti applaudirono con entusiasmo. Ovviamente tutti tranne tre ragazzini delle elementari seduti in terza fila.
Christopher era l'ultimo tra i canditati. Si alzò tranquillo dalla sedia e si diresse verso il pianoforte proprio mentre il ragazzo di sesta tornava verso il proprio posto. «È inutile che ci tenti, pivello. Il posto è già mio» gli sussurrò quando si incontrarono.
Christopher sorrise. Un sorriso più adatto ad un vampiro tratto dal Dracula di Bram Stoker che ad un ragazzetto di dodici anni. «Dopo di te verrà uno a cui non sarai nemmeno degno di sciogliere i sandali» gli rispose serafico. E fu certo che quel bellimbusto non avesse nemmeno colto la citazione.
Poi, con tutta la naturalezza del mondo, si sedette sullo sgabello del piano e annunciò che avrebbe suonato una sinfonia di Beethoven.
«Sì, come no... senza spartito? Sarà un'edizione scolastica, riveduta e semplificata, di Beethoven» commentò sarcastico il ragazzo del sesto anno.
Christopher gli riservò un'occhiata di puro disprezzo: nessuno doveva osare contraddirlo. «No. Suonerò le note di Beethoven, così come sono uscite dalla sua penna.» Quindi sfiorò lievemente i tasti e iniziò a suonare. Dal momento preciso momento in cui fece risuonare i primi accordi di Beethoven nell'aula magna, si perse completamente nella sua musica, dimenticando ogni cosa: sembrava che le note stesse gli uscissero dalle dita per tutta la passione che ci metteva. Quando ebbe terminato la sua esibizione, tutti erano troppo estasiati per poter applaudire. Solo quando Maryon, colta da un'ispirazione improvvisa, si alzò in piedi e batté le mani tanto forte da farle diventare rosse, in poco tempo anche il resto della sala si riempì di un battimani fragoroso. La signora Mauren aspettò il silenzio per poter parlare. «La parte è tua, Christopher» annunciò soddisfatta.
«Yeah!» Lo strillo di Maryon risuonò in tutta l'aula magna, seguito da una sonora linguaccia al ragazzo di sesta.

Maryon


Il vecchio teatro della scuola era poco distante dall'edificio scolastico. La facciata era completamente scrostata, con pezzi enormi di intonaco che con gli anni e le intemperie si erano staccati, lasciando scoperte macchie di mattoni e cemento. La porta era sprangata da tre massicce assi di legno che impedivano l'entrata. Nel giardino davanti all'ingresso, che era diventato il regno di erbacce a gatti randagi, c'erano sparse alcune tegole e qualche vecchio mattone, che davano al teatro un'aria molto dismessa, più di quanto non fosse effettivamente. Passò qualche giorno prima che la maestra Mauren riuscisse ad ottenere il permesso dal preside per cominciare i lavori, ma soprattutto i fondi necessari per investire nella struttura. Quando finalmente le fu data l'autorizzazione per entrare, dovettero aspettare ancora qualche giorno perché arrivasse un operaio dall'aria truce a levare le assi sulla porta d'ingresso.
La prima operazione era quella di ripulire il giardino dalle erbacce a da tutto quello che non aveva a che fare coll'erbetta verde del prato. Così, mentre l'operaio schiodava le assi, i ragazzini, muniti di guanti e di enormi sacchi neri, si trasformarono in spazzini improvvisati.
«Che lavoro infame» si lagnò Chris quando ricevette il suo sacco.
Era assurdo quante cose potesse buttare via la gente, senza usare gli appositi cestini. «Dopo questo, credo che diventerò ambientalista» osservò Colin, mentre raccoglieva disgustato una lattina di birra.
«Cos'è un ambientalista?» gli chiese Maryon, perplessa. Era abituata al fatto che Chris se ne venisse fuori con paroloni incomprensibili, ma odiava quando ci si metteva anche Colin, che sicuramente rubava quei termini astrusi ai suoi fratelli maggiori.
«Vuol dire che vuoi bene all'ambiente» spiegò il ragazzino. «L'ha detto Luke a papà, quando voleva convincerlo a coltivare sul balcone quella piantina con le foglie che sembrano stelle: si chiama... ah, sì, marijuana» raccontò allegro. «Papà si è arrabbiato molto, ma non so perché.»
«Meglio che non racconti troppo questa cosa in giro, Colin» lo avvertì Chris, mentre spostava disgustato una cartaccia con un bastoncino di legno che aveva trovato in terra.
Maryon lo osservò con compassione. «Va bene, facciamo così: tu tieni il sacco e io ci butto dentro lo sporco» gli propose rassegnata. Chris accettò di buon grado, così i tre amici cominciarono a gironzolare intorno al teatro per riempire i loro sacchi alla svelta. La maestra, infatti, aveva promesso un voto positivo sul registro a chi avesse raccolto più sporco.
Vista l'elevata concorrenza, i ragazzini cominciarono ad inoltrarsi sul retro del parco del teatro, alla ricerca di zone inesplorate con più sporco da mettere nei loro sacchi.
«Ehi, guardate qui!» esclamò ad un certo punto Colin, indicando una pila di scatoloni, dietro i quali si intravedeva una porta di servizio.
«Non è possibile! I tre esploratori hanno finalmente trovato l'entrata di Eldorado!» esclamò Maryon estasiata.
«Wow!» commentò Colin, abbandonando il suo sacco e decidendo di stare al gioco.
Chris li osservò scettico. «E che genere di ricchezze sperano di trovare gli esploratori?» chiese in tono piatto.
Maryon gli si avvicinò e gli lanciò uno sguardo complice. «Lo gloria!» fu il suo annuncio teatrale.
Maroyn e Colin, sotto lo sguardo di rimprovero di Chris, non ebbero troppe difficoltà nello spostare gli scatoloni, come se fossero stati posizionati in modo strategico per essere rimossi alla svelta. «Avanti, compagni!» li incitò la ragazzina, quando finalmente l'ingresso fu sgomberato del tutto. La porta si aprì cigolando sotto il suo tocco e la bambina si lasciò risucchiare dal cupo corridoio.
«C'è un po' buio...» commentò la voce tremolante di Colin, entrato qualche secondo dopo l'amica.
«Attenzione, compagni! Da qualche parte potrebbero esserci degli indigeni bellicosi!» sussurrò lei, troppo presa dalla parte del capo.
«Mi sporco i pantaloni di Armani» si lagnò Chris dal fondo della fila. Alla fine li aveva seguiti anche lui, quel fifone! Forse aveva più paura a starsene fuori da solo che non ad affrontare l'ignoto insieme a loro.
«Ma insomma! Ssssh!» sbottò Maryon, giusto per rompere un po' le scatole a quella lagna di Chirs. «Volete che ci scoprano? Volete morire infilzati dalle frecce nemiche?» domandò, bloccandosi di colpo. Colin sbatté contro la sua spalla e così Chris, poco dietro, si schiantò contro la schiena del compagno. I tre ragazzini stavano per riprendere il cammino, quando qualcosa strisciò contro la caviglia di Maryon. «AAAH!» strillò in preda al panico.
Colin, che aveva sempre avuto paura del buio, si unì all'urlo, anche senza un vero motivo. Chris non era mai stato un cuor di leone e, sentendo gli altri gridare, si fece prendere dal panico e prese a strillare anche lui. Un bel coretto, non c'è che dire.
Dopo qualche attimo di grida acute, Maryon cercò di ricomporsi. Chiuse la bocca di scatto e mise una mano su quella di Colin, per bloccare il suo urlo. Chris, sentendo che gli altri avevano smesso di strillare, si bloccò, lasciando a metà il suo grido.
«Ok, compagni. Probabilmente era un topo.» Maryon assunse un tono sicuro da vero capo.
«Un topo?» pigolò la vocina tremante di Chris, da qualche parte nel buio dietro di lei.
Maryon lo ignorò. «I nemici ci hanno messo alla prova, ma non sanno di che pasta è fatto il MccDragon!» Con quelle parole di incoraggiamento, la ragazzina riprese il cammino.
Chris, sempre brontolando dal fondo della fila, tirò fuori dal portafoglio il suo cellulare ultra moderno e lo utilizzò per fare un minimo di luce. «Non ci si vede comunque un tubo» puntualizzò Colin.
«È un telefono cellulare, non una torcia» lo rimbeccò l'amico. «E comunque è un Motorola di ultimo modello, sottilissimo, con lo schermo a colori...»
«Truppa, non distraiamoci!» li richiamò all'ordine Maryon. Finalmente il tortuoso corridoio giunse al termine: i loro occhi ormai abituati al buio riconobbero una stanza quadrata dal soffitto basso, colma di tanti aggeggi sinistri che alla luce bluastra del telefono parevano macchine infernali.
«Siamo sotto il palco» sentenziò Chris, osservandosi intorno. Poi si chinò e illuminò il pavimento. «Strano» commentò, sfiorando con il dito la superficie di legno.
«Ehi, guardate qui!» esclamò Colin, richiamando l'attenzione degli amici. Nascosta da stracci e vecchi costumi di scena, c'era una botola che faceva molto film d'avventura.
«Apriamola e scendiamo!» propose entusiasta Maryon ma Chris fece notare che, se si trovavano sotto il palco, sarebbe stato meglio risalire.
«Cervellone!» gli rispose Maryon, facendogli una linguaccia, mentre Colin cercava il modo di risalire.
«Per di qua!» Il ragazzino indicò ai compagni una scala, i cui gradini avevano un'aria molto pericolante: certo non doveva essere una grande idea percorrerli al buio, ma d'altronde avevano a disposizione solo il cellulare di Chris per farsi luce. Nel salire le scale, alzavano nuvolette di polvere che si spandevano nell'aria come soffici bolle di sapone. Dopo una sola rampa, raggiunsero un'ampia sala colma di vecchi costumi, scenografie consunte e oggetti di scena. Colin afferrò un teschio rotto, abbandonato su un tavolo, e iniziò una buffa imitazione di Amleto: «Essere o non essere...»
«Piantala!» gli intimò Chris, lanciandogli una polverosa parrucca bionda. E mancandolo di parecchio.
Colin finse un attacco di tosse piuttosto teatrale. «Sei fortunato che non sono allergico alla polvere!»
Maryon alzò gli occhi al cielo: i suoi due compari di avventure avevano la concentrazione di un canarino smemorato. Meno male che c'era lei a riportare l'ordine. «Smettetela, compagni! Siamo qui per una missione ben precisa» ricordò loro, con la sua solita aria da capo.
Colin appoggiò sul tavolo il vecchio teschio e Chris mise il broncio. Strano.
Maryon lo ignorò e si concentrò invece su un consunto cappello da esploratore, lasciato sopra un manichino senza più braccia; lo fissò con aria arcigna, come se fosse lui il responsabile della scarsa disciplina della truppa, poi, presa dall'entusiasmo del gioco, lo rubò e, dopo averlo ripulito del più grosso, se lo calò in testa. «Avanti, marsch!»
Vagando alla cieca per i labirintici cunicoli del teatro, i tre amici giunsero ad un enorme tendone rosso, strappato in alcuni punti; o meglio, si immaginarono che fosse rosso, visto che era coperto da uno strato di sporco.
«È il sipario, siamo sul palco» sentenziò Chris, guardandosi intorno con la fioca luce del telefonino. Si avvicinò lentamente al lato destro del palco, alla ricerca del cordone per aprire il tendone: quando lo trovò, non pensando alla polvere che avrebbe sollevato, lo tirò con energia. Una nuvola grigiastra li investì, ricoprendoli completamente.
«Ma bravo, Chris. Complimenti» commentò sarcastica Maryon, cercando di ripulirsi i pantaloni.
«Meno male che sei super mega intelligente e quella roba lì!» rincarò la dose Colin.
Chris fece una smorfia spazientita, che venne illuminata dalla luce bluastra del cellulare. «Guardate» disse solamente, indicando la platea che si estendeva ai loro piedi. Le alte finestre coperte da spessi tendoni lasciavano filtrare alcune strisce di luce che illuminavano le poltroncine rosse.
Maryon si sentì improvvisamente come uno speleologo che scopre una grotta enorme piena di stalattiti e stalagmiti cristalline. «Uau...»
Chris illuminò la platea più che poté come se reggesse una torcia.
«Eldorado» sussurrò la ragazzina tra i denti.
D'improvviso una luce accecante arrivò dal cielo e colpì i tre giovani esploratori con la sua intensità. Dovettero sbattere le palpebre un paio di volte prima di riuscire ad abituarsi. Poi capirono quello che era successo: qualcuno aveva acceso la luce. Qualcuno di molto arrabbiato.
La signora Mauren stava in fondo alla platea con l'operaio che aveva tolto le assi dalla porta. Sulla sua faccia i ragazzini videro passare velocemente prima stupore, poi rabbia. Tanta rabbia. Aprì la bocca per sgridarli, quando alcuni dei loro compagni affluirono all'entrata, osservandoli con gli occhi sgranati. Il passaparola fu così veloce che nel giro di poco tutti gli studenti del sesto anno furono in platea.
Maryon pensò che dovevano avere un aspetto eroico, lì sul palco, tutti sporchi di polvere con un cappello di paglia sulle ventitré. Avevano eguagliato i gemelli, erano la leggenda. Un applauso scoppiò all'improvviso dai compagni, un applauso che dipinse sul suo volto un sorriso di vittoria. Gloria!
«Siete in punizione! Tutti e tre!» strillò la maestra, sovrastando il fragoroso battimani.
Ecco, ora arrivano i guai!, pensò Maryon, contrariata. Si levò il cappello con aria pentita, ma sapeva che quella volta non sarebbe bastata la sua faccina dolce per tirarli fuori da quel casino.
«Dovrete lavorare alla ristrutturazione del teatro un'ora in più al giorno per una settimana» sentenziò la signora Mauren, arrabbiata.
Colin lanciò un'occhiata depressa all'amica. «Ora come faccio a dirlo ai miei vecchi?»






Eccoci al terzo capitolo della storia (che partecipa al contest Tutti in scena, di cui fra un po' avremo i risultati).

I nostri amici hanno scoperto una porta segreta, la stessa tramite cui i gemelli erano riusciti ad entrare nel teatro. Ma cosa avrà notato Chris di tanto strano? Lo saprete presto! ;)
Nel frattempo, dopo aver visto QUI l'immagine dove sono rappresentati Chris, Maryon e Colin e QUI invece l'immagine che rappresenta la DDD (David, Dorian e Daniel), vi lascio l'immagine dei gemelli Weaving:
QUI gli adorabili Jonathan (Joy) e Luke Weaving.

A presto, carissimi!
Beatrix B.

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Capitolo 4
*** Sabotaggi ai lavori ***


CAPITOLO 4
Sabotaggi ai lavori




Colin


Colin aveva sperato invano di far leva sul suo viso da angioletto per scampare dalle ire dei suoi genitori, ma quella volta non era bastato. Sua madre, come ogni santa madre irlandese, lo sgridò per un buon quarto d'ora con il mattarello di legno in una mano e lo straccio per le polveri nell'altra. Gli disse che stava prendendo una cattiva strada, che seguire le orme dei gemelli non era una saggia idea, che se avesse continuato così, probabilmente sarebbe finito a rubare autoradio alle macchine dei ricconi. A coronamento della ramanzina, punizione delle punizioni, gli proibì di giocare con la play-station per un mese intero. Infine, gli strappò una promessa che Colin non era certo sarebbe stato in grado di mantenere: gli fece promettere che non avrebbe mai più combinato bravate del genere. Ma, ehi!, era dura fare i bravi con Maryon come migliore amica!
Nel frattempo, i lavori per il restauro del teatro proseguivano molto lentamente: i ragazzi dell'ultimo anno ci dedicavano qualche ora alla settimana, ma non era abbastanza. Il compito delle bambine, guidate da Cloe, era quello di ripulire gli ambienti e ricucire sipario e poltroncine, mentre i ragazzi dovevano sistemare le stanze e tinteggiare le pareti, sotto l'occhio vigile della maestra. Inoltre, un papà volenteroso che faceva l'elettricista, stava sistemando l'impianto elettrico con l'aiuto di Chris.
Maryon era stata inizialmente assegnata al gruppo delle pulizie, ma essendosi rivelata un vero disastro (nel senso che sporcava più che pulire), era passata a quello delle sarte, che lavoravano con l'aiuto di due mamme casalinghe. La prima signora era andata su tutte le furie quando sullo schienale di una delle poltroncine della platea Maryon aveva disegnato con gli spilli una faccia gigante. Probabilmente non apprezzava l'arte, o forse si era arrabbiata perché non riusciva più a recuperare i propri spilli. Così la bambina era stata passata al secondo gruppo di lavoro, decisa più che mai ad impegnarsi fino in fondo. Purtroppo i lavori di pazienza come quello non erano proprio il suo campo: quando finalmente, dopo infiniti tentativi, era riuscita ad infilare il filo nell'ago, aveva cucito al contrario l'intera fila di merletto. Fu così che la signora Mauren decise che di femminile Maryon aveva ben poco e perciò fu affidata al gruppo addetto alla tintura, insieme ai ragazzi. Escludendo l'incidente con i pennelli, quando lei e Daniel combatterono usandoli a mo' di spada e lasciando gocce di pittura dappertutto, fu senza dubbio un'ottima scelta. Dopotutto, la presenza tranquilla di Colin servì a placare l'animo guerresco della bambina e i due amici riuscirono a lavorare insieme in perfetta armonia.
Oltre alla ristrutturazione del vecchio teatro, i ragazzi di sesta erano impegnati con le prove per lo spettacolo: due ore alla settimana venivano completamente dedicate alla lettura dei copioni e alle prove sul palco. Colin stupì tutti ancora una volta quando fu il primo a riuscire ad imparare a memoria la sua parte. A volte non era male essere lui il migliore.
Il MccDragon, dopo la prima settimana di punizione, aveva deciso di continuare per due ore alla settimana extrascolastiche i lavori di ristrutturazione: i ragazzi avevano preso quella decisione perché aveva un certo fascino restare da soli nell'immenso teatro, anche se dovevano lavorare. Colin aveva fregato al padre un vecchio stereo, su cui faceva girare a tutto volume le sue cassette di musica rock: inutile dire come passasse più tempo a fingere di suonare la chitarra elettrica che non a lavorare. Smise di usare il pennello come microfono solo quando si riempì la faccia di pittura per un movimento troppo brusco del braccio.
Ogni tanto lui e Maryon fingevano che le scope fossero delle spade e giocavano a rincorrersi per tutto il teatro, ingaggiando duelli epici sul palco, mentre Chirs cercava inutilmente di richiamarli all'ordine. Qualche volta spegnavano tutte le luci e inventavano storie di paura o andavano in esplorazione per le stanze nascoste con una sola candela per illuminare il cammino. Non avevano parlato a nessuno della porticina segreta dalla quale erano entrati la prima volta: erano gelosi di quel segreto, che pensavano li rendesse in qualche modo i padroni del teatro.
Quel pomeriggio stavano montando uno scaffale di compensato dietro le quinte, sotto l'attenta guida di Chris, ascoltando nel frattempo i Guns'n'roses (con sommo disappunto di quest'ultimo, che aveva smesso di cercare di sostituire le cassette di musica rock con quelle di musica classica solo dopo che Maryon aveva minacciato di spezzargli il braccio se avesse toccato di nuovo lo stereo; Chris non aveva voluto mettere alla prova la parola data).
«Colin! Quella vite non va messa lì!» si lamentò Chris, strappandogli di mano il cacciavite.
«Dai, allora fai tu, intelligentone» si offese Colin.
«Bambini» esclamò Maryon con disappunto.
Colin stava per ribattere che avevano esattamente la stessa età, mese più mese meno, quando un boato improvviso superò perfino il volume della musica. «Cos'è stato?» domandò il ragazzino, preoccupato.
I tre amici abbandonarono lo scaffale incompleto e corsero verso il palco, da dove era venuto il rumore. Lo spettacolo che si presentò davanti ai loro occhi fu terribile: qualcuno aveva violentemente strappato il sipario dai suoi sostegni, tutti i barattoli di pittura erano rovesciati in terra e sulle poltroncine, le scale e gli attrezzi che avevano utilizzato erano rotti e sparpagliati sul palco.
Colin si portò le mani alla bocca, mentre gli occhi gli si riempirono di lacrime. Non solo tutto il loro lavoro era stato distrutto e avrebbero dovuto ricominciare da zero, ma gli unici responsabili di quel disastro sarebbero stati loro. «La maestra ci darà tutta la colpa» sussurrò allucinato.
«Dobbiamo andarcene immediatamente» suggerì Maryon, come se la fuga potesse in qualche modo scagionarli.
«Non siate sciocchi! È evidente che non siamo stati noi» li fece ragionare Chris. «Se saremo ragionevoli, la maestra ci darà ascolto.»

Christopher


«SARETE SOSPESI!» strillò la signora Mauren su tutte le furie. «Non mi sarei mai aspettata una cosa simile da voi tre!»
Tutti i compagni li squadravano pieni di rabbia e rancore, mentre i tre ragazzini stavano in piedi in mezzo all'ingresso dell'edificio scolastico, come sul banco degli imputati. Christopher sapeva che la loro fama come MccDragon aveva raggiunto gli anfratti più nascosti del cortile della scuola, ma prima di allora nessuno aveva mai osato mettersi contro di loro – soprattutto per via del caratteraccio di Maryon, doveva ammetterlo. Eppure ecco che ora tutti sembravano estremamente convinti della loro colpevolezza ed erano pronti a lanciare contro di loro le accuse più disparate. Non gliel'avrebbe permesso. Se in quel frangente non poteva più far leva sui pugni di Maryon, avrebbe potuto usare il suo indiscusso cervello per scagionarli.
«Oh, avanti, è un'assurdità» esclamò, cercando di sembrare ragionevole. «Se avessimo voluto sabotare i lavori, non l'avremmo mai fatto quando ci sarebbe stata la certezza di essere accusati. Ho il QI più alto tra quelli registrati negli ultimi decenni, credete che non sia in grado di ideare un piano senza farmi incolpare? Personalmente, se dovessi rallentare i lavori, provocherei dei danni irrevocabili all'impianto elettrico.»
La maestra sembrò placare la propria ira: dopotutto, quello che aveva detto Christopher era perfettamente sensato. Fece cenno ai tre ragazzini di seguirla nella sua aula e si fece spiegare per filo e per segno cosa fosse successo. Christopher, nel tono più diplomatico che gli riuscì, spiegò che il portone principale restava sempre aperto quando loro si fermavano a fare i lavori; era quindi probabile che il sabotatore fosse entrato indisturbato e avesse provocato tutti quei danni. Loro non si erano accorti di nulla perché nel frattempo stavano ascoltando la musica.
Christopher era perfettamente consapevole che il loro alibi non era dei migliori ma, francamente, chi avrebbe mai potuto sospettare di tre ragazzini? Per quale assurdo motivo avrebbero dovuto distruggere il teatro per il quale loro stessi stavano collaborando nei lavori di ristrutturazione?
La maestra sembrò pensarci su per qualche momento, ma alla fine accettò la loro spiegazione. Perché a volte gli adulti erano così assurdamente poco logici? Per molti giorni a venire, nonostante fossero stati dichiarati innocenti, gli sguardi accusatori dei loro compagni li perseguitarono ovunque andassero. La maggior parte di loro, infatti, sembrava convinta che fosse colpa del MccDragon e che le insegnanti avrebbero dovuto punirli, invece di credere alle loro giustificazioni.
Furono poi presi una serie di provvedimenti per evitare il ripetersi dell'accaduto: fu impedito a qualsiasi ragazzo di lavorare da solo il pomeriggio, il teatro fu chiuso e la chiave fu affidata alla signora Mauren. I lavori ripresero solo qualche giorno dopo, quando il preside diede il permesso e soprattutto i fondi per ricominciare. Ci impiegarono ore intere a pulire il pavimento e le poltroncine dalla pittura che il vandalo aveva sparso dappertutto. Il sipario fu completamente sistemato e cucito con l'aiuto delle mamme casalinghe dei ragazzi di sesta. Con sommo dispiacere di Christopher, anche sua mamma si offrì per dare una mano ma, a quanto pare, Angeline McGregor non pensava che presentarsi giovane, carina e con la borsetta di Chanel potesse meritarle così tanta gelosia da parte delle altre signore. Così ora Christopher, oltre ad essere pigliato per il culo dai compagni per il suo indiscusso intelletto, veniva anche mal visto dalle madri, invidiose della bella presenza della sua. Fantastico. Era proprio lo zimbello della scuola.
«Dobbiamo scoprire il vero colpevole. Ne va del nostro buon nome» sentenziò un giorno a mensa Maryon, proprio mentre un gruppo di ragazzetti li superava bisbigliando e additandoli furtivamente.
«Ma non possiamo entrare nel teatro! La maestra lo chiude sempre a chiave» obbiettò Colin che, evidentemente, ne aveva già avute abbastanza di avventure da esploratori.
Maryon guardò i suoi amici con intensità. «Un modo ci sarebbe...» annunciò sottovoce. «La porta segreta.»
Christopher per poco non si strangolò con la polpetta gommosa che gli aveva rifilato nel piatto la cuoca. Maryon voleva entrare di nascosto? Non avevano combinato già abbastanza guai per quell'anno scolastico? Lui aveva un cervello notevole e avrebbe potuto scoprire il vero colpevole senza difficoltà, ma non aveva intenzione di mettersi a giocare all'investigatore, col rischio di peggiorare la situazione in cui già si trovavano.
«Andiamo, sarà solo stato qualcuno che voleva fare un dispetto, non succederà più» cercò in intervenire Christopher, dandosi un tono sicuro. «Non dobbiamo preoccuparcene.»
A riprova delle sue parole, passò quasi un mese senza che si ripresentasse il vandalo. I lavori erano giunti a buon punto e anche la recita, a furia di prove, veniva quasi perfetta. Forse tutto si sarebbe concluso nel migliore dei modi.
Una mattina di fine febbraio, Christopher, come al solito accompagnato davanti a scuola dal suo maggiordomo Loyal, scendendo dalla berlina scura, per poco non fu travolto da un uomo in bicicletta che stava passando sul marciapiede.
«Ehi! Ma che modi sono?» borbottò il ragazzino scocciato, allacciandosi il giaccone e sistemando la cravatta.
Loyal uscì immediatamente dall'auto, ma l'uomo che l'aveva quasi investito si era chinato a raccogliere qualcosa per terra ed era già lontano.
«Tutto bene, Christopher?» domandò Loyal, controllando che il ragazzino stesse bene.
Lui mormorò qualcosa in risposta, giusto per farsi un po' compatire dal suo iperprotettivo maggiordomo, che nel frattempo aveva preso a ispezionarlo da cima a fondo per essere sicuro che fosse tutto a posto.
«Tieni» disse infine Loyal, passandogli la sua ventiquattrore nera. «Buona scuola.»
Christopher mugugnò e, ancora imbronciato, si diresse verso l'entrata dell'edificio scolastico. Quel giorno gli studenti dell'ultimo anno avevano una prova generale dello spettacolo, per cui tutte le lezioni del pomeriggio erano state sospese. Quando giunse finalmente l'ora della prova, i ragazzini si accalcarono intorno all'ingresso, mentre la maestra apriva i vari lucchetti con cui aveva scrupolosamente sigillato la porta e entrava nel teatro. Allungò la mano verso l'interruttore...
«Aaah!» strillò, ritraendo la mano dal muro. Tutti i ragazzini si affollarono sulla porta per vedere cosa fosse successo, ma nessuno notò alcuna differenza perché non si era accesa la luce. Solo Christopher capì, e capì di essere nei guai. Grossi guai.
La maestra si osservò la mano, spaventata dalla potente scossa che aveva ricevuto, mentre Cloe entrava cauta, usando il proprio cellulare come torcia. «È stato manomesso l'impianto elettrico» annunciò, dopo aver esaminato il contatore generale.
Christopher chiuse gli occhi sconsolato: era esattamente quello che temeva.
Non ci volle molto perché la notizia dilagasse fino all'ultima fila di studenti, né passò tanto tempo prima che qualcuno tirò le ovvie conclusioni: era tornato il vandalo. Un'ondata di panico si diffuse tra i ragazzini. Chi poteva avercela con una stupida recita scolastica se non un pazzo maniaco? E poi qualcuno capì e strillò la sua conclusione: «È stato McGregor!»
Calò il silenzio, gelando tutti i presenti. Christopher rimase in silenzio perché, per una volta, non aveva armi con cui difendersi. Il ragazzino che aveva parlato si fece avanti sgomitando, finché non gli fu di fronte. Si chiamava Ernie, un piccoletto lentigginoso che era sempre stato un tipo piuttosto sveglio. Per la media dei mocciosi normodotati, ovviamente.
Puntò il suo ditino contro Christopher e sibilò: «È stato lui! L'ha detto lui che se avesse dovuto rallentare i lavori, avrebbe sabotato l'impianto elettrico.»
Un sussurro si sparse a macchia d'olio fino a raggiungere anche chi non aveva sentito; era vero quello che diceva Ernie! Era stato davvero McGregor.
Christopher continuò a restare in silenzio, perché non sapeva cosa avrebbe potuto ribattere ad un'affermazione che lui stesso aveva fatto. Mai avrebbe immaginato che essere un genio gli si sarebbe rivoltato contro.
Ernie entrò nel teatro alla ricerca di prove. Ne uscì trionfante pochi minuti dopo, reggendo in mano un bacchettino dorato. La mostrò al suo pubblico, che non ci impiegò molto a riconoscere cosa fosse: era un fermacravatta in oro. Ernie si avvicinò con passo deciso a Christopher e gli slacciò la giacca nera. Afferrò la cravatta e la mostrò ai compagni. Un coro di 'oooh' si levò all'unisono da tutti: McGregor non indossava il fermacravatta.
«Ma dai! È stato evidentemente incastrato!» strillò Maryon a sua discolpa, ma nessuno le diede retta.
Christopher sapeva di non avere scampo: le prove erano troppo lampanti e andavano unite ai loro precedenti, dai quali erano stati assolti solo in teoria. Il giudizio pendeva su di lui come una spada di Damocle. Anzi, la spada gli aveva già reciso la testa con un colpo netto. Era morto e spacciato.

Maryon


I lavori al teatro furono interrotti nuovamente, fu impedito a chiunque di avvicinarci e Chris fu sospeso da scuola a tempo indeterminato. Per qualche giorno si chiuse in camera e non si fece più vedere né sentire. Maryon e Colin avevano cominciato a tempestarlo di telefonate, ma evidentemente il ragazzino aveva deciso di isolarsi dal resto del mondo, perché il cellulare risultava sempre spento. Disperati per la situazione irrisolvibile, i due amici decisero di andare a casa sua un pomeriggio dopo la scuola.
«Mi spiace, ma Christopher è in punizione. Non potete vederlo» li accolse sua madre Angeline.
«Per quello che è successo a scuola?» domandò educatamente Maryon. Sapeva che la mamma di Chris poteva essere severa, a volte, ma era certa che avrebbe capito al volo la situazione se gli avessero spiegato come stavano le cose.
«Sì.» Angeline sembrava molto accigliata. «È venuta la maestra a casa a spiegarci cosa fosse successo, ma Christopher non ci ha dato nessuna spiegazione, perché era chiuso in camera sua.»
«Da quanti giorni è lì dentro?» si informò cauta Maryon. Conosceva a sufficienza quell'idiota del suo amico per non sapere che ad ogni dannatissimo guaio lui si rinchiudeva in camera come un prigioniero. Un prigioniero molto stupido, visto che si puniva da solo. Doveva avere qualche serio problema Chris, ogni tanto.
Angeline sospirò affranta. «Questo è il quarto.»
Maryon e Colin si scambiarono un'occhiata d'intesa. «Ha bisogno di noi» disse semplicemente la ragazzina. E sua mamma li fece entrare.
Quando i due amici salirono al primo piano, si resero conto che la camera di Chris era chiusa a chiave dall'interno e non c'era modo di entrare. Bussarono a lungo alla sua porta, ma non rispose nessuno.
«Molto bene!» strillò Maryon, esasperata. Che poi, era una tipa che si esasperava facilmente, lei. «Assalto al castello!»
Colin le riservò uno sguardo preoccupato, chiedendosi se avesse davvero il coraggio di sfondare la porta. Invece Maryon agì in modo del tutto inaspettato: spalancò la finestra del corridoio e si mise a cavalcioni del davanzale.
«Aspetta! Ma che fai?» le urlò dietro Colin, spaventato.
Maryon gli rispose con un semplice occhiolino, prima di scavalcare la finestra e mettersi in punta di piedi sul cornicione esterno. Lei era una vera tosta e in fin dei conti deteneva da quasi cinque anni il primato della migliore arrampicatrice di alberi della “Central Infs”: un largo cornicione medievale al primo piano per lei era naturale quanto succhiare il latte per un poppante. O quanto mettersi le dita nel naso per Michan Abbot. Bleah, pensò mentre percorreva la distanza che la separava dal balcone di Chris.
«Stai attenta» le urlò Colin, sporto dalla finestra per controllare la situazione.
Maryon, troppo concentrata per rispondere, proseguì lungo il cornicione, finché non raggiunse incolume il suo obbiettivo. Scavalcò la massiccia ringhiera di pietra e appoggiò finalmente i piedi su un terreno solido, tirando il fiato. Raggiunta la portafinestra, picchiò contro il vetro con tanto vigore che Chris dovette per forza andare ad aprirle, se voleva evitare che lo rompesse.
«Ma si può sapere...? Sei impazzita per caso?» domandò spaventato, quando la ragazzina si gettò nella sua stanza ancora carica di adrenalina.
Lei non gli rispose nemmeno e si fiondò invece ad aprire la porta a Colin. «Il castello è stato preso! Il nemico è in rotta!» esultò vittoriosa.
«Castello? Nemico? Ma che ci fate voi due qui?» domandò Chris, a metà tra il perplesso e l'arrabbiato.
Colin lanciò all'amica uno sguardo furtivo, poi decise di stare al gioco. «Siamo venuti a liberare Raperonzolo» rispose sogghignando. «O la Bella addormentata, come preferisci.»
«Non ho bisogno di essere salvato, grazie» borbottò Chris in tono seccato.
Ottimo, il gioco era finito. Maryon lanciò un'occhiata esasperata a Colin. Era proprio un brontolone!
«Christopher, noi...» cominciò a dire Colin, che tra i due sapeva essere più prudente.
«Non mi servono i vostri discorsi» lo interruppe Chris, con una smorfia.
«Ascolta, lo sappiamo che sei arrabbiato, ma fare così non ti aiuta!» sbraitò invece Maryon, per nulla prudente.
«Arrabbiato? Non sono arrabbiato, sono incazzato nero!» sbraitò Chris, perdendo tutto d'un colpo il suo autocontrollo. Le guance di solito così pallide si infiammarono di rosso, mentre gli occhi azzurri sembravano un vortice di ghiaccio. «Maledetto il giorno in cui ho deciso di iscrivermi a quella scuola. Io non ho nemmeno bisogno di andare a scuola!»
«Non avresti incontrato noi, però.» Colin gli rivolse un mezzo sorriso e tutta la rabbia di Chris si sgonfiò come un pallone bucato. Il ragazzino si lasciò cadere sdraiato sul letto con aria sconsolata.
«Nemmeno mia madre mi crede» sussurrò più a se stesso che a qualcuno in particolare.
«Ma tu gli hai spiegato cosa è successo?» domandò allora Maryon, sovrastandolo a fianco del letto, con le braccia incrociate e l'espressione che trasudava ovvietà. A volte a Chris, per essere un genio, sfuggivano delle cose davvero elementari.
Il ragazzino, sempre restando sdraiato, alzò gli occhi su di lei. «No...?»
«Che pretese, allora!» sbottò Maryon, alzando le mani al cielo con gestualità esasperata, tipica di un vero irlandese da pub. Proprio come i tizi rissosi del pub all'angolo, non lontano da casa sua.
«Molto bene. Abbiamo finito con le cose ovvie?» chiese Colin, tamburellando le dita sulla scrivania. «C'è un mistero da risolvere!» Si diede una spinta con i piedi per far roteare la sedia di pelle nera sulla quale si era seduto.
«Scendi immediatamente dalla mia postazione!» sibilò Chris, alzandosi dal letto con lo scatto di una vipera.
Colin lo ignorò. «Allora... usiamo parole lunghe e complicate per far finta di essere più intelligente degli altri» cominciò poi, unendo la punta delle dita, in una perfetta imitazione di Chris, che, indispettito, gli tirò addosso il cuscino del letto. Mancandolo come sempre. Colin non si sforzò nemmeno di scansarsi. Per rispondere all'attacco, afferrò una delle preziose penne di Chris dalla scrivania e gliela lanciò contro.
Chris, pur di non far cadere la sua stilo, si tuffò in terra in una presa spettacolare, degna di un grande portiere. Allora aveva anche lui delle capacità motorie!
«Peste ti colga!» sbraitò contro Colin, controllando che la sua penna fosse ancora integra.
Maryon sorrise. Era tornato tutto come prima.






Eccoci al quarto capitolo della storia (che partecipa al contest Tutti in scena, di cui fra un po' avremo i risultati).

Ecco che si scatenano i guai! Il mistero si infittisce!
Questa volta, dopo aver visto QUI l'immagine dove sono rappresentati Chris, Maryon e Colin e QUI invece l'immagine che rappresenta la DDD (David, Dorian e Daniel), introduciamo un po' di volti della famiglia McGregor:
QUI mamma Angeline;
QUI papà Alfred;
QUI il maggiordomo, autista, guardia del corpo e tutto fare Loyal.
Ah, i signori Weaving, invece, me li immagino proprio come i signori Weasley di HP! QUI un'immagine di confema!
Alla prossima!
Beatrix B.

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Capitolo 5
*** Graunt, l'esiliato ***


CAPITOLO 5
Graunt, l'esiliato




Maryon


Fu senza dubbio una decisione sofferta. I tre amici sapevano che tornare di nascosto nel teatro era molto pericoloso, ma ormai la loro fedina penale era stata compromessa e dovevano giocare il tutto per tutto nel tentativo di ripulirla. Portare a termine l'impresa o morire nel tentativo.
Colin si lagnò per un po' dicendo che aveva promesso a sua madre che non si sarebbe più cacciato nei guai, ma Maryon lo convinse a rischiare: se avessero avuto successo, il guaio si sarebbe trasformato in gloria eterna.
Sfuggirono al controllo rigoroso della mamma di Chris dicendo che andavamo al parco a giocare e che ovviamente sarebbero tornati per cena (tra parentesi, che raccomandazione inutile! Quale bambino sano di mente avrebbe volontariamente saltato la cena?). Invece del parco, i ragazzini si diressero verso la porta segreta del teatro, quella volta muniti di due torce elettriche. Il corridoio che li aveva tanto spaventati, sembrava molto più corto e meno pauroso una volta illuminato con le pile. Giunti nella prima stanza, Maryon si diresse con sicurezza verso le scale, ma Chris la bloccò. «È lì che dobbiamo andare» disse, indicando la botola.
La torcia illuminò il volto perplesso della ragazzina, così Chris fu costretto a spiegarsi: «Ricordate la prima volta? Ho osservato il pavimento e ho notato che la parte che conduceva alla botola non era coperta di polvere. Significa che qualcuno frequenta spesso questo posto e che si dirige esattamente lì.»
«Uauh, è meglio di un film poliziesco» sussurrò Colin, eccitato. Aveva già dimenticato la promessa fatta alla madre, a quanto pareva.
Maryon si affrettò a levare gli stracci che ricoprivano la botola e sollevò il coperchio. Tre teste si sporsero nel buco a osservarne la profondità. Chris illuminò una scala a pioli che scendeva nell'oscurità.
«Dispari!» annunciò Colin, pronto a giocarsi chi doveva scendere per primo.
«Vado io, cuor di leone» borbottò invece Maryon, calandosi nella botola. Per fortuna che lei aveva coraggio per tutti e tre!
La scala non era lunga quanto sembrava: dopo una ventina di pioli, la ragazzina toccò terra. Lanciò una rapida occhiata alla stanza e ordinò ai suoi compagni di scendere, visto che era tutto a posto. Fu Chris a trovare l'interruttore per accendere la luce: una misera lampadina attaccata al soffitto con qualche filo elettrico colorato, illuminò una stanza piuttosto piccola, ingombra di una scrivania disordinata, uno scaffale alquanto infermo e una serie di scatoloni. I tre amici si scambiarono degli sguardi perplessi. Di chi poteva essere un posto del genere?
Maryon puntò la torcia elettrica verso un calendario appeso alla parete, la cui immagine rappresentava una seducente signorina ben poco vestita.
«Che schifo!» commentò Colin, storcendo il naso.
«Non volevo farti vedere quello, idiota!» sbottò Maryon. Si avvicinò al calendario e indicò mese e anno.
«È di quest'anno» osservò Colin, avvicinandosi e sfiorando con la punta del dito i giorni, alcuni dei quali erano evidenziati con colori diversi. Indugiò per qualche attimo sulla data del giorno, circondato con un pennarello azzurro. «Chissà cosa vorrà dire...» sussurrò, ma fu subito interrotto.
«Dobbiamo andarcene. All'istante!» esclamò Chris con la voce rotta dall'ansia.
Maryon e Colin si girarono verso di lui, allarmati: il loro amico reggeva in mano un sacchettino di plastica contenente una polvere bianca, che aveva prelevato da uno degli scatoloni. Aveva gli occhi sgranati e il volto pallido per l'angoscia. Più pallido del solito.
«Via di qui!» ripeté abbandonando il sacchetto in terra che, cadendo, alzò una nuvoletta di polvere bianca.
Chris era famoso per non essere proprio come Braveheart, però quella volta qualcosa nell'urgenza dei suoi gesti fece capire agli amici che era proprio il caso di seguire il suo consiglio e darsela a gambe: i ragazzini si precipitarono a rotta di collo verso la scala a pioli. Sbucarono uno alla volta dalla botola, aiutandosi a vicenda a uscire. Chris la richiuse con un calcio violento e poi si fermò per riprendere fiato dalla corsa e soprattutto dallo spavento.
«Si può sapere che diavolo ti è preso?» domandò Colin, stingendosi la milza che doleva.
«Quella... quella roba era... era droga» balbettò, intervallato da respiri profondi.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Maryon scoppiò in una risata isterica che non aveva nulla di divertente. «Stai scherzando, vero?» domandò con una vocina più acuta del normale. Ma, in effetti, non sembrava proprio un argomento su cui scherzare.
Chris scosse lentamente la testa.
Un rumore improvviso fece gelare il sangue nelle vene ai tre amici: la porta del corridoio segreto si stava aprendo lentamente. Un brutto ceffo, con la barba sfatta e i capelli unticci, fece comparsa sull'uscio. Li guardò un attimo perplesso, poi notò che si trovavano in parte alla botola, dalla quale erano stati levati gli stracci e capì.
«Brutti sudici marmocchi...!» cominciò, frugandosi sotto la giacca alla ricerca di qualcosa.
«Via!» strillò Maryon, come se ce ne fosse davvero bisogno. I ragazzini si fiondarono verso le scale traballanti e, incuranti del pericoloso spacciatore che avevano alle spalle, corsero a perdifiato alla cieca. Gli urli senza senso dell'uomo li seguivano a poca distanza, rendendo disperata la loro fuga.
Giunsero quasi per caso sul palco. Qualcosa di sporgente urtò la gamba di Maryon, che ruzzolò in terra. Colin si fermò nel tentativo di farla alzare, ma lo spacciatore accese d'improvviso la luce e puntò una pistola contro di loro. «Cucù!» ridacchiò divertito.
I tre amici retrocessero lentamente fino a che non furono con le spalle al muro. Maryon si era sempre vantata del suo grande coraggio, della sua spavalderia nell'affrontare i pericoli, ma quella volta il cuore le batteva all'impazzata e non trovava alcuna via d'uscita. Sarebbero morti lì, su quello stesso palco dove erano stati incoronati di gloria?
«Ho cercato di tenervi lontani da questo teatro, ma siete stati così cocciuti» commentò l'uomo biascicando le parole, come se avesse in bocca una grossa gomma. «Ma forse un bell'omicidio porrebbe fine al problema una volta per tutte?» domandò sarcastico agitando la pistola che aveva in mano.
«Sarebbe un'idiozia» commentò Chris, con voce sicura e ferma.
Maryon lo guardò allibita: perché la persona più codarda che conoscesse aveva deciso di provocare uno spacciatore che stava puntando contro di loro una pistola? Era forse ammattito?
Ma Chris continuò imperterrito. «Se ci fosse un omicidio, la polizia verrebbe ad indagare e il tuo nascondiglio verrebbe sicuramente scoperto» spiegò, cercando di usare parole semplici e logiche.
L'uomo scoppiò in una sonora risata.
In quel medesimo istante, gli occhi di Chris guizzarono velocemente verso qualcosa alle spalle di Maryon. La ragazzina si girò lentamente: una corda spessa era stretta con qualche nodo ad un anello di metallo. Seguì con lo sguardo la traiettoria della corda, fino ad individuare una grossa luna di cartapesta che penzolava esattamente sopra la testa dello spacciatore. Maryon allora incontrò nuovamente lo sguardo di Chris e, con un breve cenno della testa, gli fece capire che aveva inteso il suo piano. Si avvicinò con movimenti lenti alla corda e slacciò i nodi che la tenevano fissata all'anello.
Primo nodo... l'uomo si stava avvicinando, le sue parole le sfuggivano. Secondo nodo... una gocciolina di sudore le attraversò la fronte: lo spacciatore era sempre più vicino... terzo nodo. Era fatta!
Maryon sentì uno strattone potentissimo alle braccia. Il contraccolpo fu troppo forte e la ragazzina si ritrovò appesa ad una corda a tre metri d'altezza. Il suo primo pensiero fu che i suoi amici le potevano vedere le mutande perché indossava una stupidissima gonna. Incredibile! Sotto di lei c'era uno spacciatore pronto a spararle e lei si preoccupava delle sue mutande!
Tutto accadde troppo velocemente: nel giro di una frazione di secondo, la luna di cartapesta iniziò a precipitare, l'uomo alzò la testa e si spostò appena in tempo perché il proiettile cadesse a terra sfracellandosi. In mancanza del contrappeso, Maryon precipitò sul palco con un urlo. Per fortuna era una tipa tosta, abituata alle cadute, e non si fece nulla, tolto che qualche botta, ma sul momento il dolore sembrava insopportabile.
Colin si inginocchiò in parte a lei per controllare che stesse bene, ma Maryon lo scacciò con un gesto isterico della mano.
«Sciocchi e pulciosi! Pensavate che bastasse un trucchetto del genere per mettermi fuori gioco?» ridacchiò divertito lo spacciatore, ripulendosi velocemente dalla polvere di cartapesta della luna distrutta.
Maryon sentì le tempie che pulsavano e il cuore che batteva forte, non solo per il dolore, ma soprattutto perché non poteva fare a meno di pensare che il loro unico piano era andato in fumo. Eppure, sollevando leggermente lo sguardo, notò che Chris stava sorridendo. Era uno scherzo della luce o forse aveva gli occhi troppo appannati per il dolore?
«Salutami l'inferno» sussurrò Chris, rubando la frase ad effetto da chissà quale film. Aveva ragione Colin, era proprio un tipo melodrammatico.
Con un movimento brusco del braccio, Chris alzò al massimo la leva del contatore generale, in modo che partisse una scarica elettrica attraverso tutto l'impianto. Lo spacciatore si accorse troppo tardi che, essendosi spostato per evitare la luna di cartapesta, era finito proprio su dei fili elettrici che erano rimasti scoperti dopo il sabotaggio. La carica gli attraversò il corpo alla sua massima potenza e l'uomo stramazzò a terra.
Piombò il silenzio. I tre amici si scambiarono qualche occhiata intimorita, ma lo spacciatore non si mosse.
Fu Colin a rompere quel momento di stallo. «Ehi, è stato quasi meglio di “Mamma ho perso l'aereo”» esclamò con un ridolino isterico.
«È... morto?» domandò invece Maroyn, alzandosi lentamente da terra.
«No, è solo svenuto» la rassicurò Chris, mentre tirava fuori dalla tasca il cellulare per chiamare la polizia. Dopo una breve telefonata, lo richiuse con uno scatto secco.
«Sarà meglio andarsene di qui, prima che si svegli» osservò Colin, con l'aria di chi la sa lunga.
I ragazzini stavano per abbandonare il palco, quando una voce gracida li bloccò: «Fermi dove siete! Su le mani!»
Oh, no! Ci risiamo!, pensò Maryon sconsolata e sollevò le mani al cielo.

Christopher


Christopher non era un uomo d'azione. Certo, aveva l'invidiabile capacità di rimanere lucido e di riflettere velocemente anche in situazioni di pericolo ma, di solito, le situazioni di pericolo lui preferiva osservarle sui suoi schermi, al sicuro seduto alla scrivania in camera sua. Eppure, da quando aveva conosciuto Maryon e Colin, si era sempre cacciato in un mare di guai. Di solito, la sua risposta di base di fronte a qualsiasi rischio era la fuga. Ma con quelle due zavorre ai piedi che si ostinavano contro ogni ragionevolezza a fare i coraggiosi, toccava poi a lui trovare il modo di risolvere la situazione a loro favore.
Come quella volta.
L'uomo che aveva ordinato loro di arrendersi stava risalendo la platea, ma lui non poteva vederlo perché gli dava le spalle. «Dimmi chi è» ordinò allora a Maryon, cercando di muovere le labbra il meno possibile.
La ragazzina si sporse oltre di lui e spiò l'individuo in platea. Poi abbassò le mani di colpo, con l'aria scocciata. «Non ha nemmeno una pistola!»
Christopher allora si voltò per capire cosa stesse succedendo e si trovò davanti una scena bizzarra: quello che doveva essere un uomo piccolo e tarchiato, con un cappuccio calato sulla testa, gambe corte e tozze e piedi enormi fasciati da bende grigiastre, si stava avvicinando verso di loro, con le mani chiuse a pugno e l'indice alzato a formare una pistola.
«Non ci puoi sparare» puntualizzò Christopher, con una smorfia.
L'uomo, o qualunque cosa fosse, scoppiò in una risata rauca. «Chi ti dice che io non sia pericoloso per qualche altro motivo, cucciolo umano?»
Colin si girò verso i suoi amici sollevando un sopracciglio solo. Sulle sue labbra Christopher lesse le parole 'cucciolo umano', corredate da sguardo interrogativo e faccia perplessa.
Intanto l'ometto sgraziato era salito sul palco e si era inginocchiato accanto allo spacciatore per controllare che fosse ancora vivo. «Essere inutile» commentò, levandosi il cappuccio per ascoltare meglio il battito cardiaco.
Christopher soffocò un urlo. La COSA che si era levata il cappuccio non aveva nulla di umano: la pelle era verde smeraldo, il naso enorme e schiacciato, gli occhi nocciola sporgenti come due palline da golf e le orecchie a sventola raggiungevano dimensioni spaventose.
Ragiona, sii logico e razionale, si disse Christopher. «Ok. Molto bene» disse a voce alta, per aiutarsi a sgrovigliare i suoi pensieri. «Si tratta di un'allucinazione collettiva post-trauma. Molto rara, ma è comunque studiata dalla psicoanalisi. Il modo migliore per farla scomparire, è fingere che non esista» annunciò ai suoi amici con voce tremolante, indeciso se credere o meno a quello che lui stesso aveva detto.
La creatura, vera o allucinazione che fosse, si alzò da terra e squadrò Chris con un ghigno derisorio sulla bocca enorme. «Allucinazione post-trauma? Ma che diavolo blateri? E io che credevo che fossi intelligente!» lo schernì con quella sua voce gracida.
Christopher si offese parecchio. Un'allucinazione che in teoria veniva creata dal suo stesso subconscio si permetteva di insultarlo? Era assurdo.
«Sembri uno di quei goblin che sono raffigurati nei libri di folclore di mio papà» intervenne Colin, che aveva sempre avuto una certa passione per quelle cose assurde di fate e folletti, forse perché suo padre gli leggeva le storie tradizionali dell'Irlanda fin da quando era piccolo.
«Ma bravo, il mio biondino! Io sembro un goblin, perché sono un goblin» rispose la creatura. «Sei più sveglio di quanto credessi: forse avrei fatto meglio ad incastrare te» aggiunse poi, con una certa ammirazione.
«Come sarebbe “incastrare”?» intervenne Christopher, con la fronte corrugata e lo sguardo crucciato. Dopotutto, la tecnica dell'ignorare non sembrava stesse funzionando. «Sei tu che mi hai incastrato?»
Il goblin sorrise, mostrando una serie di denti giallognoli. «Certamente! Pensi forse che quell'idiota – e indicò lo spacciatore, – fosse in grado di architettare un piano così complesso da solo? Pensi che avrebbe sabotato l'impianto elettrico se non glielo avessi suggerito io? Che ti avrebbe rubato il fermacravatta scontrandosi con te se non glielo avessi consigliato? Credi che quel piccoletto di Ernie avrebbe accusato te e cercato le prove se io non gli avessi mandato un SMS anonimo con tutte le istruzioni?»
Christopher si indignò parecchio: era stato gabbato in modo così plateale da un maledetto goblin pelleverde?
«E perché volevi incastrare Chris?» intervenne Maryon, acquisendo una linea aggressiva. Aveva sempre quell'atteggiamento nei confronti di chi prendeva di mira i suoi amici.
La creatura si avvicinò a Christopher e gli tirò un pugno scherzoso sul braccio, strizzando contemporaneamente uno dei due grossi occhi nocciola. «Perché è intelligente, questo cicciolo di umano, e sapevo che prima o poi avrebbe scoperto il covo dello spacciatore, se non l'avessi messo fuori gioco prima.»
«E che ti frega a te?» indagò ancora Maryon. «Non sarai mica un drogato?»
Il goblin sorrise... e non fu un gran bello spettacolo. «Per noi goblin la coca non è una droga, ma un inibitore» spiegò.
«Cosa vuol dire inibitore?» chiese allora Colin, che sembrava prenderci gusto a chiacchierare con una creatura mostruosa.
«Significa che mi blocca i flussi di magia involontari che entrerebbero in funzione per salvaguardarmi dagli umani» rispose paziente il goblin. «A vivere in questo schifo, con tutto 'sto inquinamento e sporcizie varie, è logico che la mia specie abbia elaborato delle tecniche involontarie per difendersi. Ma non posso mica andare in giro sparando scintille blu.»
Logico, è evoluzionismo, pensò Christopher. E poi: Aspetta, i goblin e la magia NON esistono.
«E allora, visto che ti fa così schifo vivere qui, perché non te ne torni da dove sei venuto, qualsiasi posto sia, qualsiasi cosa tu sia?» lo rimbeccò Maryon, che provava una naturale avversione per chiunque insultasse la sua amata Dublino.
Il goblin gli rispose prima con una linguaccia; o meglio, sparò fuori dai denti una lingua camaleontica che si riavvolse velocemente in bocca. «Prima di tutto non sono una 'cosa' ma un goblin, e ho anche un nome: Graunt» rispose stizzito. «Piace molto alle femmine, sai» aggiunse. «E comunque tornerei volentieri a Faerie, se non fossi stato esiliato.»
«Faerie?» gli fece eco Colin, eccitato. «È tutto come nei libri di mio papà!»
«Be', Fearie, il paese degli elfi. Si trova... boh, dall'altra parte dei portali. In un mondo parallelo, penso. Non le ho mai capite bene queste cose» spiegò Graunt, in modo confuso.
Il broncio di Christopher sparì in un istante: quell'informazione era straordinaria! Se esisteva davvero un mondo parallelo, tutte le basi della fisica e delle scienze erano sbagliate... o almeno inesatte! Non sarebbe bastata una vita intera per studiare tutte le implicazioni scientifiche di quella rivelazione. «L'equazione spazio-temporale di Einstein è scorretta... o meglio, incompleta!» esclamò estasiato. «Non si tratta di un'equazione, ma di un sistema!»
Colin lanciò all'amico un'occhiata compassionevole, poi decise di ignorarlo. «Perché sei stato esiliato?» domandò rivolto al goblin.
Graunt sbuffò sonoramente. «Be' ecco... ho truffato la Banca Centrale dei Leprecauni» rivelò. «È che loro sono così schifosamente ricchi che derubarli è quasi un dovere morale.»
«Sei un ladro» commentò Colin, improvvisamente meno ben disposto verso il goblin. Aveva tutta una sua scala morale, Colin, che era pura come quella di un bambino di sei anni.
Graunt si stizzì. «Be', che vi aspettavate? Sono un goblin, mica una fatina! Non dovrei nemmeno stare qui a parlare con voi tre umani... potrei mangiarvi, per esempio!»
«Non credo che ci riusciresti» replicò Maryon, assumendo la sua posa da dura. Lo faceva sempre quando qualcuno metteva in discussione il suo primato di più ganza della scuola. «Sono più alta di te di ben cinque centimetri.»
«Posso sempre provarci...» ripose il goblin, ridacchiando.
Non riuscirono mai a sapere se Graunt, il goblin esiliato, potesse mangiare una bambina più alta di lui, perché sentirono in lontananza il suono delle sirene della polizia. Il goblin si calò velocemente il cappuccio sulla testa e si allontanò di corsa dal palco, dirigendosi verso l'entrata segreta. Il corridoio non fece in tempo a risucchiarsi il suo “Ci vediamo, marmocchietti!”, che una squadra di poliziotti fece irruzione in platea.
«Fermi dove siete! Su le mani!»
Per la seconda volta nel giro di un quarto d'ora, i tre ragazzini si ritrovarono con le mani sollevate al cielo. Solo che quella volta, per lo meno, non c'erano pelleverde esiliati da un mondo fatato, ma semplici poliziotti che avevano risposto alla chiamata. Gli uomini in divisa raggiunsero di corsa il palco e ispezionarono velocemente la situazione.
«Roba da pazzi!» commentò un panzone dai capelli rossicci. «'Sta roba finirà sicuramente sul telegiornale.»
Ma a Christopher, come ai suoi amici, per una volta, non importava la gloria o l'essere riusciti a risolvere il mistero. Le loro menti erano occupate da ben altri pensieri: avevano scoperto qualcosa di sensazionale ed eccitante allo stesso tempo. Gli occhi di Christopher erano lucenti per il piacere e il desiderio di conoscenza.
Sulle labbra di Colin comparve un sorriso complice, mentre Maryon sussurrava ai suoi amici una sola parola: «Eldorado.»






Eccoci giunti all'ultimo capitolo della storia (che partecipa al contest Tutti in scena, di cui fra un po' avremo i risultati).

Il mistero si è finalmente risolto: insomma, aveva ragione Colin a credere che i folletti non esistessero solo nella fantasia di Shakespeare! ;)
Vi lascio ancora le due solite immagini: QUI quella dove dove sono rappresentati Chris, Maryon e Colin e QUI invece l'immagine che rappresenta la DDD (David, Dorian e Daniel).
Alla prossima!
Beatrix B.

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


EPILOGO




Colin


Il poliziotto panzone aveva avuto ragione: la voce sulla cattura di un pericoloso spacciatore incastrato da tre ragazzini si diffuse tanto velocemente che nel giro di pochi giorni un'ondata di giornalisti invase la scuola per intervistare i tre piccoli eroi. La notizia venne resa nota al pubblico come “Missione Shakespeare”.
«Mi scusi...» si era sentito in dovere di chiedere Colin a uno degli agenti. «Ma c'è un reparto apposito della polizia che sceglie i nomi per le missioni? Perché ci vuole una bella fantasia ad inventare una roba del genere!»
Il MccDragon rientrò a scuola con tutti gli onori, come un condottiero sul suo carro di trionfo. I bambini più piccoli li osservavano da lontano con un misto di reverenza e ammirazione, mentre i loro compagni evitavano di incrociare il loro sguardo, considerato che per oltre un mese li avevano accusati ingiustamente.
Ma, per una volta, non era la gloria ciò che davvero interessava loro, perché i tre amici erano presi da tutt'altri pensieri: la scoperta di un nuovo mondo fatato li faceva sentire come degli esploratori dello spazio che avevano scovato un nuovo sistema di pianeti. Chris blaterava di rivoluzione scientifica e nuove teorie, Maryon si esaltava all'idea di avventure eroiche in boschi incantati e lande desolate abitate dai draghi. Lui, in realtà, non sapeva ben dire se la cosa lo lo eccitasse o lo spaventasse di più. Era entusiasta del fatto che tutte le leggende irlandesi che suo padre gli raccontava sempre avessero un fondamento di verità, ma non era del tutto convinto di voler andare a caccia di draghi.
Christopher aveva anche fatto delle ricerche nel suo laboratorio, aveva indagato su come funzionava la magia dei goblin e aveva infine creato uno strano liquido che, a detta sua, funzionava come la droga per Graunt.
«È un inibitore, Colin, inibisce i flussi di magia spontanei che si attivano quando il sistema immunitario di Graunt entra in contatto con le scorie prodotte dal nostro mondo» aveva spiegato Chris. «Faerie deve essere un luogo molto meno inquinato.»
Inutile dire che Colin ne sapeva quanto prima: aveva capito solo quella cosa dell'inquinamento. Ma, in fondo, non è che gli importasse così tanto. A lui interessava solo il patto che era derivato da quella scoperta di Chris: Graunt aveva accettato di usare quelle fialette di inibi-cosa in cambio di informazioni su Faerie.
E questo, grazie al cielo, aveva anche frenato gli entusiasmi di Maryon. Infatti, quando la ragazzina aveva supplicato il goblin di mostrare loro uno dei portali affinché potessero attraversarlo e andare così a caccia di draghi, lui aveva detto che se un umano entrava a Faerie, non sarebbe più uscito.
«Cosa vorrebbe dire?» aveva chiesto Maryon.
Graunt l'aveva guardata con la stessa occhiata che Chris riservava a David. «Vuol dire che se attraversi il portale, non torni più indietro.»
«Geniale!» aveva commentato Chris. «È un meccanismo di difesa per impedire che gli umani che vengono a conoscenza di Faerie possano tornare indietro e divulgare la notizia.»
Al di là del commento ammirato di Chris, quanto meno, quello aveva chiuso la questione sull'andare a caccia di draghi. Colin ne era davvero sollevato.
Con la sicura promessa di Graunt di raccontare loro tutto ciò che sapeva sul suo mondo incantato e con gli entusiasmi di Maryon frenati dalla legge magica che impediva agli umani di uscire da Faerie, i tre amici poterono finalmente dedicarsi in tutta tranquillità allo spettacolo per la festa di saint Patrick. Dopo che i poliziotti avevano requisito la droga e fatto i loro accertamenti, i ragazzi poterono ultimare i lavori di restauro, mentre Chris aggiustava una volta per tutte l'impianto elettrico. E così il giorno dello spettacolo arrivò, trovandoli pronti e preparati a mettere in scena le avventure di quattro giovani innamorati e del mondo fatato che li aveva coinvolti.
I maschi furono mandati a cambiarsi in alcuni camerini sul retro del teatro. Con sommo dispiacere di Colin, lui si ritrovò costretto a condividere lo stanzino con la DDD al completo. Indossò il suo costume da antico greco più in fretta che poté, in modo da svignarsela alla svelta.
Daniel, in compenso, stava osservando con aria disgustata le orecchie da asino che avrebbe dovuto indossare a metà spettacolo. «Comunque avremmo dovuto fare una recita sui pirati, o sullo spazio» protestò. «Mica queste cose su fate e folletti!»
«Non dovresti dire così» lo rimbeccò Colin, serio. «I folletti e le fate sono più reali di quanto pensi.»
Daniel scambiò un'occhiata derisoria con i suoi amici, poi tornò a guardare Colin, come se fosse un bimbetto di cinque anni. «Perché, tu credi alle fate?» gli domandò con aria di scherno.
Colin gli si avvicinò, per nulla intimorito. «Hai mai visto un goblin?» gli chiese, assumendo quel tono che usava sempre per i racconti di paura. Di solito gli riuscivano bene, se faceva spaventare perfino Maryon. «I goblin sono esseri ripugnanti, con la pelle verde, la faccia mostruosa, due grandi occhi a palla, e sono capaci di staccarti la testa con un solo morso.»
David rabbrividì e Colin sorrise, sicuro di essere riuscito nel suo intento. Fece spallucce e si allontanò come nulla fosse. «Io starei attento a dire che non esistono, fossi in voi» li avvertì, prima di lasciare il camerino.
In corridoio trovò Maryon, con indosso il suo abito da Puck, che saltellava in giro per scaricare la tensione. Chris, già vestito con il suo completo nero con le code (frac? Si chiamava frac? ...o froc?), se ne stava appoggiato al muro a sgranchirsi le dita. «Ehi, siete pronti?» domandò loro Colin, con un sorriso eccitato. Ora cominciava a sentire anche lui l'agitazione.
«Prontissima!» esclamò Maryon, con un balzo d'entusiasmo. Non riusciva proprio a star ferma quella lì. Chris si limitò ad annuire, serio e concentrato come sempre.
Colin allora sbirciò, attraverso il fondale scenico, il palco dove tutto era già stato predisposto.
«Attento a non scivolare sul muco di Michan Abbot» gli sussurrò all'orecchio Maryon, anche lei venuta ad ispezionare il palco. «Sai, ha messo giù lui la scena.»
Colin ridacchiò. Poi pensò allo spettacolo che stavano per recitare, a quella prova in cui Maryon aveva attaccato la coda da asino sulla fronte a Daniel, alla conquista del teatro con i suoi amici, che gli era costata un mese di punizione senza play ma gli aveva anche guadagnato la gloria eterna e al mondo fatato di Faerie che si trovava al di là dei portali. Pensò a loro, ai suoi amici Maryon e Chris, e si disse che non aveva bisogno di andare alla scoperta del regno incantato di Faerie per trovare la magia: lui la vedeva anche lì, nella loro amicizia che sarebbe durata per sempre.






Ebbene, ecco l'epilogo della storia (che ha partecipato al contest Tutti in scena, dove potete trovare i risultati).

Ho voluto affidare l'epilogo alla voce di Colin, perché è il più equilibrato dei tre e mi piace l'idea che sia lui a chiudere le storie.
Insomma, spero che vi sia piaciuto leggere le avventure dei tre amici. Qualsiasi commento o recensione sarà ben accetta!
Alla prossima!
Beatrix B.

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