Out of town girl

di Baikolet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio del passato ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** L'inizio del passato ***


Se si potesse descrivere con una parola il vero colore dell'oceano, il rumore dell'universo, o il silenzio di una cascata, sarebbe lei
Mai nella mia vita mi sarei immaginata qui, ad annegare nella sua oscurità accecante. Mai e poi mai avrei immaginato di disperarmi per una figura femminile, di desiderare quel corpo simile al mio. Mai era successo, ma dicono che la vita sorprende e l'essere umano è tanto complesso quanto imperfetto nella perfezione. 
Starei ore a pensarla, a disegnare il suo carattere che mi trascina nell'oblio, sempre più giù, ancora e ancora. 


Fu due anni fa, d'autunno. Un imbecille al telefono non m'aveva dato la precedenza, mi ritrovai con la macchina fumante e io vicina allo svenimento. Non era tanto grave a mio parere, cercavo di raccogliere tutte le forze possibili ma invano. Il mal di testa e la paura mi paralizzavano. Attesi i soccorsi con la vista sfocata, maledicendo il conducente dell'altra macchina. Furono gentili e delicati, mi portarono fuori dal veicolo e in seguito all'ospedale. Lì delle mani si presero cura di me, potevo sentire la dolcezza con cui mi toccavano cercando di non farmi male. Difatti non sentii niente, ero talmente concentrata ad imprimere quei lineamenti nella mia testa che il dolore era secondario. Mi sorrise e giuro che fu come la fine del mondo. 
Non riuscivo però a capire quanto fossero gravi le mie condizioni, percepivo solo un gran via e vai di medici ed equipe. Chi mi controllava il battito ogni due per tre, chi controllava la testa, chi cercava altre lesioni e così via. Eppure sentivo solo le sue mani sul mio corpo e mai smisi di guardarla. Notò quest'ultima cosa, si avvicinò poggiando una mano sui miei capelli e si sporse sul mio viso.


"Riesce a dirmi il suo nome?" 


Il respiro si fece pesante, il torace come un mattone, il sangue che scorreva più velocemente e il 'bip' del monitor aumentava come impazzito. Iniziarono quasi tutti ad allarmarsi tranne lei che neanche per un secondo aveva smesso di guardarmi e neanche di un millimetro aveva spostato la sua mano dalla mia fronte. Fu la sua voce a provocare tutto quello.


"E-Emma, Emma Swan" 


Le parole uscirono a fatica senza che lo volessi. 


"Hai dei bellissimi occhi Emma"


Si allontanò ma riuscii comunque a sentire le parole che rivolse agli altri medici. Qualcosa che c'entrava con l'essere sotto shock, di fare immediatamente una TAC per avere accertamenti e di medicarmi le lesioni. Insomma niente di grave a mio parere. La vidi andare via, ma fui certa che mi rivolse un occhiata prima di scomparire completamente dal mio campo visivo. 


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 


Mi svegliai più stanca di quando mi addormentai. L'effetto degli analgesici mi faceva perdere contatto con la percezione della realtà. Entrò un'infermiera che mi spiegò tutto riguardo all'incidente, niente di grave per fortuna. Avevo molte suture sparse per il corpo a causa dei tagli profondi, in più un ginocchio fasciato. Non erano state riscontrate emorragie interne, mi disse che in due settimane sarei tornata come nuova, con qualche cicatrice ma non c'era da preoccuparsi. Entro l'ora di pranzo avrei dovuto lasciare l'ospedale, così decisi di chiamare August per farmi venire a prendere. 


Condividevo l'appartamento con lui e quando mi vide per poco non esplose. Ovviamente non ero riuscita a contattarlo per informarlo dell'accaduto e mai l'avevo visto così preoccupato. 


August Booth è sempre stato parte di me sin da piccola, ero cresciuta con lui all'orfanotrofio, ci consideravamo fratelli. Avevamo affrontato un'infanzia difficile, a diciott'anni ci separammo e non ci vedemmo fino al giorno della laurea. Fu spontaneo per noi riprendere quei ruoli da fratello maggiore e sorella minore ed eccoci qui.  Lui che mi abbracciava con quel suo fare protettivo e che mi porgeva le stampelle. Fummo interrotti da un lieve bussare allo stipite della porta.


"È permesso?" 


La riconobbi subito nonostante la mia mente il giorno prima fosse annebbiata a causa dell'incidente. Mi limitai a guardarla non riuscendo a rispondere. Grazie al cielo c'era August. 


"Lei è la dottoressa di Emma?" 
"Sì, vorrei scambiare due parole con la signorina Swan se possibile"
"Certo" 


August si incamminò verso l'uscita ma rallentò per sussurrare qualcosa alla donna.


"Grazie per essersi presa cura di Emma"
"È il mio lavoro, non si preoccupi" 


Il mio cervello interpretò quella frase in maniera del tutto diversa. Era assurdo, non sapevo neanche chi fosse quella persona e mi ritrovavo a fare pensieri del tutto inadeguati. Mi si avvicinò lentamente, vi giuro che neanche potete immaginarlo il suo profumo. 


"Emma allora, come si sente oggi?" 
"Direi abbastanza bene, lei?" 


La sua risata mi fece tremare le gambe, e timorosa mi chiesi cos'avessi detto di così divertente.


"Ho detto qualcosa di sbagliato?"
"Oh no, assolutamente no. Anzi, è bello che me lo chieda. Non mi era mai capitato"
"Nessuno le ha mai chiesto come sta?"
"Non un paziente" 


Silenzio. Iniziai a torturarmi le mani e abbassai il volto mentre lei si appoggiava al letto. Potevo sentire il suo sguardo su di me, mi scrutava come se fossi un quadro, lo percepivo. Quegli occhi mi accarezzavano cercando di afferrare ogni minimo dettaglio. La sentii sospirare. 


"Immagino che l'infermiera l'abbia già informata di tutto"
"Sì, è esatto" 


Ancora silenzio. Stavolta provai a sfidare l'oscurità dei suoi occhi, ma non me lo permise spostando lo sguardo altrove e tirandosi su. 


"Non.. Non ha risposto"
"Come?"
"Non m'ha detto come sta."


Lo stupore la fece irrigidire per un brevissimo periodo e subito dopo sorrise.


"Ora sto bene" 


Non le chiesi cosa intendesse con la parola ora.  Era un'altra frase che poteva essere interpretata in modi diversi ma decisi di non andare oltre. Accennai anche io un sorriso sistemandomi meglio con le stampelle e avvicinandomi a lei di un passo. Iniziò a suonarle il cercapersone interrompendo così il nostro contatto. 


"Devo andare, mi perdoni davvero. La aspetto tra cinque giorni per togliere i punti, e mi raccomando si riposi. Arrivederci" 


"Oh, sì certo. Buona giornata" 










Eccomi di nuovo, stavolta con una long. Allora premetto che non è un progetto serio o altro, sto scrivendo questa ff per noia e anche perché non mi sento per niente ispirata in sto periodo quindi butto giù le prime cose che mi passano per la testa. Probabilmente ci sono diversi errori quindi se ne trovate vi sarei infinitamente grata se me li scriveste. Spero vi piaccia nonostante io non ne sia per niente convinta, quindi un grazie enorme a chi legge in silenzio, chi lascerà una recensione ecc. Siete sempre meravigliosi.


A. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Tutt'oggi non riesco a spiegarmi come mai l'attesa di quei cinque giorni mi rese nervosa e impaziente. Non aspettavo altro che correre in ospedale per rivedere quella donna. Sentivo come il bisogno di dover instaurare un rapporto con lei, seppure misero doveva esistere. 
 
Mi riposai come mi aveva consigliato ed August mi diede un passaggio. Avevo già abbandonato le stampelle, non facevano decisamente per me. Camminando lentamente entrai nella struttura e attesi di fronte al suo studio. 
 
«Dott.ssa Mills» recitava la targhetta affianco alla porta. Feci una smorfia perché volevo -troppo intensamente- sapere il suo nome. Ormai viene dato tutto per scontato e non si dà più peso alle piccole cose. Per me un semplice nome significa molto, è una parte fondamentale della persona. 
 
"Arrivederci signora, buona giornata. Il prossimo: Emma Swan" 
 
Finalmente i nostri sguardi si incrociarono. Mi sorrise e sentii improvvisamente il bisogno del supporto delle stampelle. Entrò nello studio, la seguii e chiusi la porta alle spalle. 
 
"Allora, bentornata" 
 
Dio, ancora quel sorriso. Vi giuro non capisco ancora come fosse possibile, non è umana. 
 
"Vedo che le stampelle le abbiamo lasciate a casa"
"Beh sì, ecco.."
"Non si preoccupi, si accomodi sopra il lettino prego" 
 
Feci come m'aveva detto e mi sistemai a sedere. Si mise un guanto nella mano destra e si avvicinò -veramente troppo- a me. 
 
"Iniziamo controllando i tre punti vicino alla tempia" 
 
Portò le sue mani vicino alla zona interessata e si avvicinò per osservarla meglio. Le sensazioni che provai quella volta furono paragonabili alla creazione della galassia. Mi incantai a guardarla da così vicino, potevo sentire il suo respiro sul mio volto e posso giurare che negli occhi racchiude l'abisso più profondo. La sua voce mi portò bruscamente alla realtà.
 
"Il suo ragazzo non è venuto?" 
"Come? Chi?"
"Il suo ragazzo"
"Io in realtà.. Non ho un ragazzo"
"Scusi non volevo essere impertinente" 
 
Sembrava quasi impacciata, avrei voluto darle un bacio sulla guancia. Non so perché, m'era venuta questa voglia improvvisa di riempirle il volto di baci leggeri come l'aria. 
 
"Non lo è stata. E comunque, lei parla di August. Non è il mio ragazzo, è tipo mio fratello"
 
Risi un po' e lei fece altrettanto. Nel frattempo non mi ero neanche accorta che mi aveva tolto la maggior parte dei punti sparsi e ora la sua attenzione si era spostata su gli ultimi nella spalla. Un medico capace insomma, veloce e attento. Premuroso. 
 
"Come si sente? Lo sa che se ha bisogno di un consulto con uno specialista riguardo l'incidente può chiedere qui in ospedale vero?" 
"Sì ecco.. Sì lo so. Ma non mi sento traumatizzata o scombussolata o altro, grazie comunque davvero." 
"Si figuri, è mio dovere chiederlo sempre. Ha per caso-" La interruppi.
"Possiamo darci del tu?" 
"Oh.. Certo, il mio nome è Regina" 
 
Regina. Regina Mills. 
Il mio cervello recitò quel nome come fosse poesia, ne assaporai sulla punta della lingua il portamento e la grandezza. Lo ripetei come se lo stessi studiando.
 
"Regina.." 
 
Si fermò. Questa volta fu come se avessi letto i suoi pensieri, riuscii a percepire che il suo corpo era stato attraversato da una scossa. Un brivido piacevole. Rimase con le mani impegnate per aria, e posò il suo sguardo su di me. Era seria. 
 
"È davvero un nome stupendo" 
 
Continuò a guardarmi senza dire niente. Il suo volto celava stupore. Ritornò al suo lavoro continuando il discorso di prima. 
 
"Hai per caso avuto dolori in qualsiasi parte del corpo, problemi di alcun tipo che ti causassero disturbo?" 
"No. Ho semplicemente riposato come mi hai consigliato" 
"Sei un osso duro allora" Sorrise. 
 
A penzoloni da quel lettino la fissavo mentre si toglieva i guanti. 
 
"Allora, vorrei prescriverti al-"
"Vuoi uscire?" 
"Come?" 
 
Anche le stelle si erano fermate. Percepivo i nostri battiti aumentare. E ancora una volta l'avevo interrotta. Mi morsi la lingua maledicendomi mentalmente. 
 
"Intendo con me una sera. Ti andrebbe di uscire?" 
 
Lei mi fissava come se fossi un fantasma. Iniziai a sudare, il suo volto dai lineamenti dolci riusciva a scottarti terribilmente come se fosse lava. Sentivo di aver sbagliato, di essere stata troppo affrettata e soprattutto ingenua. 
 
"Scusa non avrei dovuto. Figurati, sei il mio medico, che stupida. Davvero mi dispiace, ora vado lo giuro" 
 
Mi alzai di scatto, presi la giacca e come un fulmine mi diressi verso la porta. La sua voce mi bloccò -finalmente- 
 
"Emma fermati. Non puoi andare senza la ricetta dei farmaci che ti servono"
 
"Oh giusto" 
 
Tornai indietro, verso la sua scrivania con lo sguardo basso. Non la sfiorai con gli occhi neanche per sbaglio, la vergogna era così tanta che sarei voluta scomparire. Nessuna delle due proferì parola. 
 
"Ecco qui"
 
Mi allungò la ricetta, e nel prenderla notai che c'era altro. Un biglietto bianco con dei numeri. Il suo numero di telefono. Alzai lo sguardo verso di lei, gli occhi mi brillavano come non mai. Le sorrisi a trentadue denti "Ok sì, ci vediamo allora" 
 
Indietreggiai inciampando nei miei stessi piedi. Lei sorrise per la mia goffaggine, era così meravigliosa. 
 
"A presto Emma" 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Tornai in taxi, rigirandomi quel pezzetto di carta tra le mani mentre un sorriso regnava sul mio volto da diversi minuti. Mi sentivo stranamente bene, come se la mia vita non stesse aspettando altro. Un cambiamento. Notai la scrittura elegante di quei numeri, mai l'avresti detta di un medico. Quando arrivai a casa la trovai vuota, molto probabilmente August era a lavoro e io lì. Con niente da fare se non riposare per quel stupido incidente. Incidente però che non mi aveva poi fatto chissà che torto visto i risultati. Iniziai a riflettere su me stessa, sul fatto che ero consapevole del mio orientamento ma che mai mi era capitato di cadere così per una sconosciuta. La mia ultima relazione seria inoltre era stata con un uomo, quindi mi sentivo un po' disorientata. I miei pensieri si posarono involontariamente sulla sua figura: i capelli corvini, le labbra rosse e carnose e quella cicatrice. Quasi impercettibile ma così in risalto da completarla. Poi automaticamente il mio cervello la paragonò al mio ex, Kevin. Una smorfia si formò sul mio volto desiderando ancora di più quella donna, rendendomi conto dell'effettiva differenza. Mi destai, non sapendo cosa fare optai per una doccia e un pomeriggio di cazzeggio. 
Sera giunta sentii la porta di casa e mi allungai sul divano per incontrare lo sguardo di August. 
 
"Ehilà, giornata impegnativa?" 
"Manco immagini. Tu, tutto ok la visita?" 
 
Mugugnai in risposta e involontariamente si formò un sorriso sulle mie labbra. 
 
"Birra?"
"Sì August, ma non vorrei morire di fame" 
"Scusi principessa, lei non ha avuto il tempo di cucinare?" 
"Scusi maggiordomo, vuole per caso trovarsi la casa in fiamme?" 
 
Il ragazzo rise di gusto e si sedette affianco a me circondandomi le spalle con il braccio sinistro. 
 
"Sei di buon umore" 
"Già.. È-è successa una cosa oggi" Rimase in silenzio, guardandomi il profilo mentre ero intenta a (non) ascoltare la tv. Incredibile quanto mi sentissi a casa con lui. Gli allungai il biglietto col numero, bevendo poi un sorso della mia birra. Lui rimase in silenzio, e dopo aver visto di cosa si trattava tornò a guardarmi.
 
"È un numero di telefono. Di una donna. Voglio dire, non- non una donna a caso. Il mio medico" Un altro sorso dalla bottiglia. August cambiò posizione in modo da lasciarmi più spazio. Sembrava avermi letta nel pensiero, necessitavo di più aria, nessuna pressione.
 
"L'hai incontrata, quando sei venuto a prendermi in ospedale. E niente, ho il suo numero" 
 
Abbassai lo sguardo e iniziai a giocare con le mani. Sapevo perfettamente cosa stesse pensando August, semplicemente non volevo affrontare l'argomento. 
 
"È una bella donna" -Mi girai di scatto verso di lui e lo trovai con quello sguardo. Lo stesso che un fratello dedica a chi ama, capisce e chi considera famiglia- "Un po' l'avevo capito l'altro giorno, quando era entrata e tu ormai cadevi a terra" -sorrise e feci lo stesso ma divenne improvvisamente serio. 
 
"Emma, se credi che sia una cosa giusta lo è anche per me. Lo sai come sei stata per Kevin, e non è passato tanto tempo, però se tu sei pronta per conoscere nuove persone allora, vai. Chiamala" 
 
"Te l'ho mai detto che sei perfetto?"
 
"Te l'ho mai detto che ho voglia di pizza?" 
 
Scoppiammo a ridere come dei bambini. In quel momento decisi di voler imprimere nella mia mente quell'istante, stavo capendo che niente dura per sempre e neanche le seconde possibilità. Se avevo l'occasione di poter incontrare la persona giusta dovevo farlo e basta. Ero stata inutilmente male per Kevin e il mio passato senza mai guardare oltre, dovevo riprendere in mano la vita. 
 
Continuò poi così, tra cibo da asporto, birra, e chiacchiere. La mattina seguente -finalmente sabato- August era già intento ad organizzare la serata mentre io giravo per l'appartamento in pigiama con gli occhi assonnati. Andai in cucina con l'intenzione di godermi la mia dose di caffè quando: "Sai stasera potresti invitarla con noi e gli altri" 
Con altri intendeva il nostro gruppo di amici e con invitarla insomma sì, intendeva lei. Dunque mi bloccai, con la tazza piena di quel nettare degli dei e lo sguardo fisso nel vuoto. Non sapevo cosa dire, sarebbe stata effettivamente una buona idea chiamarla per il sabato sera ma magari non voleva vedermi, o magari era troppo affrettato oppure-
 
"Emma? Ci sei?" -mi ripresi e iniziai a guardarlo- "Sai cosa? La chiami ora, forza" 
 
"Dico, sei per caso impazzito?" 
 
"Ti sto aiutando. Non mi sono scordato il discorso di ieri, quindi bevi quel caffè e chiamala" 
 
Rimasi a guardarlo ancora un po' poi bevvi tutto d'un sorso la mia tazza e gli diedi ragione. August aveva sempre maledettamente ragione. Presi il mio cellulare e composi il numero del biglietto mentre camminavo avanti e indietro per il salotto. Feci partire la chiamata involontariamente senza essere effettivamente pronta, realizzai quindi cosa stavo facendo ed entrai nel panico. 
 
"Emma calmati, è una semplice chiamata a una semplice donna" -Di nuovo, aveva ragione-
 
"Pronto?" -Mi fermai, caddi nel nulla più completo, davanti a me l'irrazionalità totale- "Pronto, chi è?" 
 
"Emma avanti rispondi, per Dio ma che stai aspettando" -Mi girai verso August che iniziò ad incitarmi gesticolando-
 
Pensai che era il momento di smetterla con le stronzate, e presi coraggio. "E-ehi ciao Regina, sono Emma" 
 
Silenzio. Volevo scomparire. 
 
"Emma, hai fatto presto" -la sentii ridere- "Va tutto bene, non hai problemi con le medicazioni vero?" 
 
"Oh, nono sto bene. Ho ecco, ho chiamato per l'uscita. N-non so se ricordi, comunque se magari stasera fossi libera potremmo, non so, andare da qualche parte" 
 
"Certo, perché no" 
 
"Ok, bene sì allora wow ok. Ti invio un messaggio dopo con tutti i dettagli" -sorrise leggermente per il mio imbarazzo e ormai stava diventando un abitudine. Lei che sorrideva della mia goffaggine e io che cadevo sempre di più- 
 
"Aspetto il messaggio, a stasera Emma"
 
 
 
 
Tremavo. Per agitazione, ansia o freddo, bravo chi lo sapeva. E lei era in ritardo. Io sbattevo i denti, scuotevo le gambe e lei era in ritardo. Sentivo che mi avrebbe dato buca, sapevo fin troppo bene di essermi illusa per qualcosa di inesistente. Sentii la porta del locale aprirsi seguita dalla voce di Helen. 
 
"Quindi che fai? Non entri?" 
 
"No no, aspetto ancora un po', sarà qui a minuti"
 
"Va bene, se lo dici tu. Vedi solo di, sai, non diventare l'uomo delle nevi"
 
Rientrò e in quel momento maledissi non so quale Dio. Si congelava ed io ero stata anche un'idiota a vestirmi così, volevo solo fare bella figura, tutto quello che mi copriva era un semplice tubino rosso più una giacca di pelle nera. Non era decisamente il mio abbigliamento quotidiano ma quello era un locale abbastanza in e poi ci sarebbe stata lei. Ero talmente nervosa che iniziai a far scattare gli occhi da destra a sinistra e viceversa. Indietreggiai di qualche passo fino ad appoggiare la mia schiena al muro di mattoni e sospirai incrociando le braccia sotto al seno. Sentii un paio di voci provenire da un angolo della strada e voltai lo sguardo in quella direzione, quando improvvisamente un respiro colpì il mio collo e un profumo già sentito mi annebbiò i sensi. 
 
"Ciao, scusa il ritardo. Ho avuto un imprevisto a lavoro" 
 
Mi girai di scatto e fu decisamente uno dei miei più grandi errori perché mi persi ancora di più per lei e di lei. L'oscurità dei suoi occhi lottava con la luce del suo sorriso e il nero di quel vestito risaltava il rosso sulle sue labbra. Era troppo bella per essere sfiorata. 
Non parlai. Non osai.
 
"Sei rimasta qui al freddo ad aspettarmi? Mi dispiace davvero Emma ma in osped-"
 
"Sei davvero molto bella" -Mi fissò, un po' perplessa e un po' imbarazzata. Fece scorrere i suoi occhi su di me-
 
"Beh, grazie. Anche tu, sei incantevole" 
 
Sorrisi e la invitai ad entrare. Come al solito mi chiese come stavo riferendosi all'incidente, le dissi di non preoccuparsi e le indicai il tavolo dove sedeva il resto del gruppo. Il locale era davvero molto elegante e spazioso, dava l'impressione di essere una mostra d'arte se non fosse stato per i tavoli. August me ne parlava spesso di quel posto ma io puntualmente declinavo l'offerta di andarci. Non intendevo certo spendere venti o più dollari per un aperitivo ogni settimana. Iniziai a sospettare che il ragazzo avesse approfittato della mia semi-cotta per il medico pur di farmi mettere piede lì dentro. Sorvolai sulla questione e presentai Regina agli altri. C'era Sophie, una delle amiche di August per la quale lui andava pazzo, Nick, il ragazzo di Helen, e quest'ultima che conobbi quando ero adolescente al mio primo lavoro part-time. Da ragazzine avevamo passato tanti momenti insieme, è una dei miei pochissimi punti di riferimento, l'unica che mi abbia fatto vivere un'adolescenza normale. E l'unica cretina che puntualmente mette bocca ovunque.
 
"Piacere Helen! Quindi sei tu la donna che fa impazzire la qui presente biondina eh?" 
 
"Come scusa?" 
 
"No niente Regina, vieni siediti" 
 
Dio, avrei lanciato i tacchi dritti in faccia ad Helen. La fulminai con lo sguardo e le mimai con le labbra un "vaffanculo" mentre lei si portava la mano al petto facendo la finta indignata. Mi sporsi verso August chiedendogli di tenere a bada quell'idiota. Ordinammo e inizialmente Regina sembrò essere a disagio, cercai di parlare meno con gli altri e concentrarmi maggiormente su di lei. In quella serata venni a conoscenza di buona parte della sua vita, fu difficile all'inizio aprirsi con me, effettivamente ci conoscevamo appena, ma mi confessò che si era trasferita da poco in città e che non le dispiaceva affatto avermi incontrata. Ci furono attimi in cui mi incantavo a guardarla parlare e portare il bicchiere di moscato alle labbra, ci furono altri attimi in cui lei sembrava volermi leggere le iridi degli occhi. Fu bello passare quel tempo con lei, si era presentata così semplice, simpatica e un po' timida. Avresti avuto paura ad abbracciarla per non spezzarla. Nonostante ciò c'era quell'aurea di mistero e oblio che la circondava e la rendeva eterea, ma era troppo presto per scoprire quel lato o domandare. 
Verso l'una e mezza di notte ci incamminammo tutti verso l'uscita, tra saluti alcuni andarono verso casa mentre io dissi ad August di non aspettarmi e mi offrii di accompagnare Regina alla macchina. 
 
"Sei sicura? È veramente lontano, non trovavo parcheggio"
 
"Più che sicura" 
 
Non l'avrei lasciata girare per le strade di Dallas da sola con quel vestito che le arrivava fin sopra le ginocchia. Eravamo sole e la stanchezza non fermò la parlantina di nessuna delle due. Scherzammo e ridemmo fino alla sua Mercedes. Si girò poi verso di me piantandomi gli occhi nell'anima.
 
"I tuoi amici sono molto simpatici, sono stata davvero bene stasera" 
 
"Sono felice che tu sia felice" 
 
"Grazie Emma, spero di vederti in sti giorni"
 
Si avvicinò e posò un leggero bacio sulla mia guancia sinistra. Non dissi nulla, la guardai salire in macchina e metterla in moto. 
Guardai i suoi fari allontanarsi mentre le sue labbra ancora accarezzavano la mia pelle. 
 
Spero di vederti in sti giorni. 
E ci fu un bacio, un bacio leggero come la sua risata. 
 
 
 
 
 
 
Scusate il ritardo ma tra scuola e poche idee è alquanto impegnativo scrivere anche solo un capitolo come questo. Spero come sempre che sia di vostro gradimento, fatemi sapere. Grazie a chi legge in silenzio, lascia un commento ecc. Ci si vede belli.
 
A.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nel momento in cui mi ero offerta di accompagnare Regina non avevo minimamente preso in considerazione la strada di ritorno. Tornai circa dopo quaranta minuti a casa e porca troia, neanche immaginate il dolore ai piedi. Non appena entrai nell'appartamento gettai con violenza i tacchi verso il salotto, iniziai a borbottare qualche imprecazione ed ebbi come minimo un attacco di cuore. 
 
"Ma che stai facendo?" 
 
"Dio santo August, pensavo stessi dormendo! Come ti viene in mente di spuntare così all'improvviso?" -Mi portai una mano al petto e al tatto sentii il cuore battere all'impazzata. Mi prendo paura facilmente, per pochissimo in realtà. Ma adoro i film horror quindi sono una sorta di controsenso vivente.-
 
"No non stavo dormendo, ma se così fosse mi avresti già svegliato con tutto il rumore che hai fatto" 
 
"Oh beh scusa, ho solo dovuto camminare per più di mezz'ora con quei tacchi. Pensavo che mi avr- Che cosa fai?" -August si era diretto in cucina e aveva iniziato a preparare due tazze di cereali. Magari non aveva ben chiaro che fossero le due di notte passate.-
 
"Mentre tu eri impegnata con la tua dottoressa a fare solo Dio sa cosa, io ne ho approfittato avendo casa libera" 
 
"Mi stai dicendo che- Non ci credo dai, sei serio? Non dirmi che è, cazzo è Sophie, cazzo stai scherzando" -August finì di preparare le tazze e si voltò verso di me. Era da anni che non vedevo quell'espressione, davvero troppo tempo. Ve ne accorgete quando una persona sta realmente bene, quando sa di voler stare lì e di voler vivere. Brillano gli occhi, lo vedete. Mi ricordo ancora quando mi confessò di essere innamorato di lei, probabilmente la cotta era iniziata mesi prima. 
Eravamo stesi sul letto della sua camera, uno affianco all'altro a fissare il soffitto. 
 
"Credo di volerla sposare" 
 
"Fallo"
 
"Lo farò" 
 
Lo guardai e gli sorrisi, non dissi niente. Sapevo che aveva capito cosa voleva dire il mio silenzio, ero felice per lui e volevo solo che andasse di là a godersi ciò che più aveva aspettato. Prese le due tazze e iniziò a dirigersi verso la camera, prima di superarmi posò un bacio sui miei capelli ma lo fermai parlando. 
 
"Comunque non è successo niente con Regina"
 
"Vuoi consolarti con una cosa a tre?" 
 
"Idiota" 
 
Sentii ridere anche Sophie dall'altra stanza fino a che August non chiuse la porta alle proprie spalle. Il sorriso che albergava sul mio viso svanì presto, mi sentivo persa. Si stava sviluppando una nuova sensazione in me, come se tutti stessero andando avanti nella propria vita e solo in quel momento io mi accorgevo di essere rimasta indietro. E correre non sarebbe bastato.
 
 
                                    
 
Mi svegliai di soprassalto sentendo la porta dell'appartamento sbattere. La luce fievole che penetrava dalle tende della mia camera si impadronì dei miei occhi causandomi un leggero mal di testa. Non avevo idea di che ore fossero e fondamentalmente non mi importava; i giorni di malattia dal lavoro sarebbero durati ancora una settimana. Mi rigirai tra le lenzuola e la mia guancia sinistra entrò in contatto con la superficie umida del cuscino, non capendo contrassi le sopracciglia fino a che non iniziai a ricordare ogni singolo momento. 
Momenti sfortunatamente non distinguibili tra loro, fatti solo di lacrime. Mi ero lasciata andare e infettare da quella ferita aperta che soggiornava dentro di me da parecchi anni. Da quando avevo conosciuto Kevin. Riuscivo solo a non sentirmi adatta all'amore, a non sentirmi voluta. Prima di addormentarmi la scorsa sera, ricordai di aver pensato al motivo per cui solo in quel momento mi ritrovavo a piangermi addosso; era stata lei. L'ultima goccia. Un'esplosione. Una consapevolezza. 
Sentii la porta della camera aprirsi lentamente, restai dov'eri. Il materasso si piegò leggermente mentre delle mani grandi e protettive mi accarezzarono i capelli. 
"Helen ha chiamato, vuole pranzare con te. Vuoi che ti accompagni o preferisci del rum?" Ancora una volta August mi leggeva come fossi un libro. Mi aveva sicuramente sentito piangere e mi dispiaceva, da morire, perché non credo sia piacevole sentire i singhiozzi di qualcuno mentre scopi. Rimasi impassibile. Si allungò verso di me e appoggiò il mento sopra la mia testa. Un sussurro. "Non me ne vado Emma"
 
In realtà lo fece, parecchi anni dopo. In una guerra che non era neanche la sua, quella dell'esercito. Lunga storia anche questa, ma mai ho provato a biasimarlo, so che quelle parole erano vere. Lui non voleva andarsene.
 
Comunque successivamente mi tolse le lenzuola di dosso, si alzò andando verso il bagno della camera e fece scorrere l'acqua nella doccia. Mi girai sulla schiena e lo guardai, "Perché lo fai, perché continui a prenderti cura di una come me?" Sorrise. Trovava che fosse una domanda lecita ma aveva la risposta. August non credeva minimamente in quelle frasi fatte del tipo gli amici fanno questo oppure perché ti voglio bene. Lui ti dava la risposta che meritavi, alla tua fottuta domanda. 
 
"Emma Swan, hai perso tante cose. Ammettiamolo, da quando sei nata fino ad oggi, l'universo non ha fatto altro che prenderti per il culo, spingerti e farti cadere. A volte a causa di altri, altre volte anche per colpa tua. Ma, dovesse colpirmi un fulmine adesso, non permetterò che tu perda anche te stessa. Sei tra le cose più preziose che ho e che tu hai. Non perderti Ems" 
 
Lo guardai, una lacrima solitaria sul mio viso, allungai una mano e gli accarezzai la guancia. Il solletico piacevole che mi provocava la sua ispida barba sapeva di casa. "Sai che odio quando mi chiami Ems" Ridemmo come i bambini sperduti che eravamo. Mi alzai e mi fermai poi sulla soglia del bagno, "Grazie". 
Glielo sussurrai guardandolo negli occhi. 
 
                                     
 
Fu decisamente quello che mi serviva. Una lunga doccia rilassante, di quelle che ti ricostruiscono. Esci e senti di esserti scrollato di dosso tutto lo sporco del mondo. Inoltre ciò di cui avevo bisogno me lo aveva regalato Helen. 
August mi aveva dato un passaggio prima di andare a fare delle commissioni, e passai l'intera giornata con lei. Pranzammo all'aperto e girammo la città per svago. Era assolutamente quello che mi serviva. Quelle preziose ore in cui ti crei un piccolo spazio per te, lasciando fuori ogni tipo di pensiero. Sembra quasi ritornare liceali. E tutta la settimana fu così, mi dedicai a me stessa, ero più serena del solito, non avevo nessun peso. Ma permane sempre il prima o poi. 
Sabato mattina infatti, come era stato stabilito, mi presentai all'ultima visita medica. Mi piazzai sempre lì, vicino a quella targhetta. Quanto desideravo prendere un dannato pennarello e scriverci il suo nome. Era troppo bello per essere trascurato. Lei era troppo bella per essere trascurata. Inoltre, mi sentivo anche una completa idiota a presentarmi così dopo una settimana dall'uscita. Non le avevo più scritto né altro. Che testa di cazzo. Iniziai ad insultarmi mentalmente, avrei potuto anche solo, che ne so, dirle qualcosa. Era nuova in città, me lo aveva detto, magari aveva bisogno di qualcuno e potevo essere io. Ero in procinto di sbattermi la testa contro il muro quando, "Il prossimo: Emma Swan". Rimani seduta, immobile. Diventava sempre più bella, di più e ancora di più anche solo a distanza di una settimana . "Emma?" Mi alzai di scatto facendo quasi cadere la sedia. Il mio corpo si muoveva da solo e senza accorgermene eravamo da sole nel suo studio. "Emma, stai bene? Sei un po' pallida." Si avvicinò, la sua mano sulla mia fronte. Dio, quelle sue mani così morbide e delicate. Avrei soltanto voluto baciarla, solo quello. Per una vita intera.  
 
"Oh, nono sì, sto bene.. Una favola!" Mi guardò aggrottando le sopracciglia decidendo alla fine di fidarsi. Si diresse dietro la scrivania, cercando probabilmente la mia cartella, "Come vanno le ferite? Nessun mal di testa o qualcosa in particolare?" Risposi che era tutto a posto, stavo davvero alla grande. Fisicamente. 
Quello che volevo era parlarle, ma non di questioni pratiche-mediche, sinceramente non me ne fregava un cazzo. Dovevo dirle qualcosa.
"Ehi.." alzò lo sguardo verso di me. Le sopracciglia un po' alzate, quegli occhi scuri attenti a scrutarmi, e le labbra rosse lasciate leggermente aperte. Un quadro. 
"Regina, v-vorrei chiederti scusa. Davvero mi dispiace se non mi sono fatta sentire dopo sabato ma è, ecco, stata veramente una settimana, diciamo strana." Faccio cagare coi discorsi, mi sarei lanciata dalla finestra. Mentre ero intenta a torturarmi le mani e pasticciare con la mia stessa bocca, il suo viso si rilassò. Un sorriso appena accennato. Mi tranquillizzò, dicendo che non c'era stato nessun problema. "Ora, visto che ti sei completamente rimessa dall'incidente, le tue visite finiscono qui." In quel momento iniziai a pensare di rompermi qualche dito del piede pur di rimanere una sua paziente. Ci fu un po' di silenzio. "Per caso ti piacciono le mostre d'arte?" La guardai incuriosita, "Ho due biglietti per una mostra che si terrà martedì e mi farebbe piacere se tu potessi venire." Potete ben immaginarla la mia risposta. 
Un grazie speciale all'arte. 
 
 
 
 
 
Allora, chiedo venia anche in greco. Non aggiorno da tipo più di un mese e avete tutte le ragioni del mondo per odiarmi. In primo luogo voglio citare e ringraziare di cuore tutte le persone che hanno recensito il capitolo precedente e a cui, mio malgrado, non ho potuto rispondere: Jenna, janerizzoli, SwanQueen_is_Magic, 5vale5, Francycesca, e kswanqueen. Grazie mille a tutt*, siete meravigliosi. 
Poi proseguendo, vorrei dirvi che questo, come si può notare (credo), è un capitolo di mezzeria. Lo chiamo così per intendere che non ci sono colpi di scena o altro, ma è un capitolo che serve per l'evolversi della storia. 
Bando alle ciance, grazie a chi legge in silenzio, chi commenta, segue ecc. Grazie ancora.
 
A. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ero in ritardo. Ovviamente. 
La donna più bella della città mi invitava ad uscire e io mi presentavo in ritardo. Bel colpo Swan. 
Scesi dal taxi ansimando e la vidi. Lì appoggiata al muro, stretta in un tubino bianco e nel suo cappotto, in una mano il caffè e nell'altra il cellulare. Sempre così elegante, io in confronto sembravo insignificante. Indossavo semplicemente dei jeans e un maglione; bisogna essere in tiro per le mostre d'arte?
Alzò lo sguardo mentre mi avvicinavo, i miei polmoni cercavano di recuperare aria a sufficienza. “M-mi dispiace scusa, s-sono in ritardo. Oh mio dio, che caldo!” La affiancai appoggiando le mani sulle mie ginocchia, lei continuava a guardarmi senza dire una parola. Iniziai a sentire una profonda mancanza per il suono della sua voce, averla affianco e non poterla sentire, una questione orribile. Mi alzai e notai che sorrideva. “Signorina Swan, lo sa che alle mostre d'arte bisogna essere puntuali?” Mi stupì. In realtà mi stupiva sempre ma, signorina Swan. Dovevate vedere il movimento delle sue labbra. Non risposi, effettivamente aveva ragione. Regina, non vedendo alcuna reazione da parte mia, scoppiò in una sonora risata. Vi giuro, non ci stavo capendo niente. “Emma tranquilla, non ci sono orari da rispettare alle mostre”, mi fece cenno con la testa di seguirla verso l'entrata. Mi incamminai quando improvvisamente si girò verso di me continuando a proseguire all'indietro, “Ma agli appuntamenti sì, ci sono orari precisi.” Come ho già detto, semplicemente mi stupiva. A casa ci avevo abbastanza riflettuto e non sapevo come categorizzare quell'uscita. August si era limitato a fare quella faccia che ogni amico vi riserva in queste occasioni, un po' provocatoria. 
Per lei, semplicemente, era un appuntamento. Senza preavviso, senza richieste o pretese. Le avrei voluto regalare almeno una rosa. Lo feci poi, nelle uscite a seguire, la riempii di petali e fiori. Ma il nostro primo appuntamento fu tra Jean-Baptiste Marie Pierre e Claude Monet, una passeggiata tra quadri, lei ovviamente, il più bello a quella mostra. 
La osservavo di nascosto mentre era intenta ad accarezzare con gli occhi le opere appese. Indugiava, scrutava, era in una certo senso delicata nel guardare. Era talmente bella che sentivo mi si sarebbe fermato il cuore. Ci fu un momento esatto, che mai scorderò; quando piano piano si avvicinò a me, in silenzio. Stavo guardando un paesaggio marino, quelle onde sembravano descrivermi. Fu lì che portò la sua mano vicino alla mia, la sfiorò così lievemente da uccidermi. Non mi mossi, intrecciò le nostre dita e mi accarezzò il dorso della mano col pollice. Non ci guardammo, non parlammo, niente. Solo un tocco. Mi lasciò poi, sorpassandomi e dirigendosi verso le prossime opere, lì abbandonandomi a me stessa in una marea di scogli e un oceano selvaggio. Fu come se non fosse successo nulla, come se innamorarsi fosse un'esplosione silenziosa. Sospirai. 
Finimmo la mostra tra brevi chiacchierate con le altre persone presenti, tra qualche bicchiere di vino e alcuni nostri sguardi. Quando uscimmo mi fermai di fronte a lei, “È stato molto bello, grazie per l'invito davvero.” Mi sorrise per cortesia, poi iniziò a guardarsi intorno, nervosa. Non avevamo programmato niente dopo la mostra e l'ora di cena si stava avvicinando. Pensai che sarebbe stata decisamente una buona occasione per invitarla in qualche ristorante. 
“Quindi,” guardai l'orologio “sono le 18. Ti va di fare qualcosa in particolare?”
Si bloccò, le gambe che prima muoveva ripetutamente si fermarono. I suoi occhi si incatenarono ai miei. Un secondo, un minuto, un anno, un secolo e un universo. 
“In realtà sì, ci sarebbe” Stava sussurrando. 
Si avvicinò tenendo lo sguardo basso, mi sfiorò il braccio destro, e seguì con il volto la sua mano che si muoveva sopra di me. Si fermò sul collo. Leggera come l'aria, come lo erano stati i suoi baci sulle mie guance una settimana prima. Non avevo mai smesso di guardarla, cercando di capire cosa le girasse per la testa e soprattutto cercando di ignorare le sensazioni che il suo tocco mi provocava. Posso giurarvi che ne uscite matti se provate a dare un senso a Regina Mills. È tutto lì di fronte a voi, un meraviglioso casino. Complicata nella sua perfezione, ma semplice nei gesti. Vi fa innamorare così, lei. Di nuovo si incontrarono le nostre iridi, ci sarei annegata per sempre lì dentro. Si avvicinò sempre di più, i nostri nasi quasi si sfioravano, i volti talmente attratti. Sentivo il suo respiro su di me, notai che quei pozzi neri che mi guardavano, cedettero per pochi secondi sulle mie labbra. Brillavano di luce propria quegli occhi. Poi improvvisamente, come se si fosse scottata, fece un passo indietro. Era agitata. 
“Emma, io non-” Si mise una mano tra i capelli, era troppo agitata. Cercai di riprendermi come meglio potevo e la tranquillizzai. Volevo confortarla, proteggerla. Le dissi che l'avrei riportata a casa, così chiamai un taxi e salimmo. Nessuna delle due parlò durante il viaggio, la tensione venne interrotta quando arrivammo al suo appartamento. Rimasi piacevolmente stupita, Regina abitava in uno dei migliori quartieri della città. Inutile dirvi quanto fosse lussuoso quel posto. 
Si girò verso di me, “Grazie Emma, sono stata davvero bene” Appena vidi che stava per prendere il portafoglio la fermai. 
“Oh nono, pago tutto io quando scendo.” Mi guardò alzando un sopracciglio. 
“Non esiste.” Il suo tono non ammetteva repliche ma siamo entrambe persone testarde.
“Insisto Regina”, le dissi mentre cercai di farle mettere via i soldi. Si arrese alla fine.
Era indecisa e nervosa, io come lei non sapevo come comportarmi. Ci limitammo a guardarci, mi sorrise accennando un “Ci sentiamo presto”, poi scese dall'auto. 
Arrivai a casa e mi buttai subito sul letto. Potevo sentire ancora il suo profumo e il suo sorriso stampati addosso. Ne ero certa: poco prima stava per baciarmi
 
La sera stessa raccontai tutto ad August e Helen; tornammo sedicenni tra pettegolezzi, cibo spazzatura, tv e ore piccole. Confidai loro le sensazioni che avevo provato e poche cose riuscirono ad affermare, tra cui “Non hai questi occhi da quando stavi con Kevin„. Ed era vero, poco a poco stavo ricominciando a vivere. Non è facile sapete, intendo vivere. Tra tutte le quotidianità che, oramai, siamo costretti a dover compiere ci perdiamo. Ero diventata una macchina, respiravo perché dovevo. Ma quel viso, quelle labbra rosse e quegli occhi furono come ritrovare anni persi. 
Tra un'ora e l'altra c'eravamo scordati che il giorno seguente saremmo dovuti tornare al lavoro, me compresa. Non m'è mai importato molto di fare carriera, ho sempre cercato qualcosa che mi gratificasse sia personalmente che economicamente, e a Dallas avevo trovato un impiego all'interno del corpo di polizia. Ero ancora in prova ma me la stavo cavando e fortunatamente il mio impegno veniva riconosciuto. Dopo due lunghe giornate stressanti passate a riempire scartoffie tornai a casa, trovando August e Sophie intenti a pomiciare sul divano. Mostrai il mio evidente disgusto scappando nella mia stanza e seguita dal loro divertimento. Quei bastardi ci stavano prendendo gusto. Mi feci velocemente una doccia, dopo di che decisi di godermi la fine della giornata leggendo un libro, avvolta nel mio comodo kimono da casa. Persa nella mia lettura sussultai sentendo il suono del campanello di casa. Mi girai di scatto verso l'orologio: le 19:04. 
Aggrottai le sopracciglia cercando di ricordarmi di qualche visita di cui magari mi ero scordata. Niente di niente, non aspettavo nessuno. Mi alzai velocemente dal letto, uscendo dalla stanza vidi August che guardava attraverso lo spioncino della porta. Si girò verso di me ridendo, “È per te cara”
Confusa mi avvicinai e copiai il suo gesto. Dall'altra parte c'era Regina. Cristo, sentii le gambe tremare. “Cosa ci fa qui?!” Lo sussurrai in direzione del ragazzo con uno sguardo di paura. Mi aveva colto estremamente di sorpresa. August fece spallucce e di rimando mi disse solamente “Se non lo sai tu.” 
Suonò un'altra volta. Dovevo aprire. Respirai, uno due e tre. Eccola, in un tubino rosso come il suo rossetto, una giacca di pelle nera e un pacco tra le mani. Alzò i suoi occhi su di me, come se non si aspettasse che aprissi io quella porta. La guardai ovviamente sorpresa, non riuscivo a spiegarmi cosa ci facesse davanti a me. Notai che lentamente i suoi occhi scivolarono verso il basso come attratti da qualcosa, posandosi su un punto del mio corpo e in un attimo le sue gote si colorarono. Mi ricordai che indossavo semplicemente il mio kimono, oltre alla biancheria intima. E quell'indumento quasi semi-trasparente mi copriva solo fin sopra il ginocchio, lasciando scoperte le mie gambe toniche. 
“Ehi” Fu come se la risvegliassi da un sogno. Si schiarì la voce prima di parlare.
“Ehi.. Disturbo?” I suoi occhi erano tornati dentro i miei. 
“No assolutamente, io stavo.. Non stavo facendo niente” Le sorrisi per rassicurarla; notai che aveva iniziato a guardare oltre le mie spalle e io mi schiaffeggiai mentalmente. “Oh dio che idiota, entra pure”. Prima che potessi chiudere la porta August e Sophie, come dei fulmini, si precipitarono su di essa. 
“Regina! Che bello rivederti! Purtroppo noi stiamo per uscire, vi lasciamo sole. Ci si vede” Udimmo anche una sorta di saluto urlato da parte della ragazza prima che l'appartamento venisse chiuso. Quei due erano davvero impossibili. Mi voltai verso Regina chiedendole scusa per il comportamento dei fidanzatini. Lei rise, limpida, bellissima, omicida. “Tranquilla, sono molto simpatici.” La guardai mordersi il labbro inferiore, “Scusami se non ti ho avvisata del mio arrivo, ma volevo ringraziarti per aver pagato la corsa del taxi di ieri” Detto questo si avvicinò allungandomi con le mani quel pacchetto. 
“Non dovevi davvero, è un gesto molto carino.. Grazie” Lei scrollò le spalle, ed entrambe impacciate andammo verso il piano della cucina. Aprii la sporta trovandoci un contenitore per alimenti. Lasagne, ragazzi. Regina Mills mi aveva preparato delle lasagne. La guardai piacevolmente stupita e mi sorrise. “Non pensavo sapessi cucinare” Sembravo una bambina il giorno di natale. 
“Non sai molte cose di me” disse scherzando. E ancora una volta notai che i suoi occhi indugiarono per diversi secondi sulle mie gambe. Deglutii. Avrei giurato che se avesse continuato a guardarmi in quel modo sarei andata fuori di testa. 
Notando nuovamente che ore erano decisi di farmi avanti. “Vorresti rimanere a cena? Potremmo mangiare queste deliziose lasagne insieme.” Non se lo aspettava minimamente un invito del genere, spalancò un poco la bocca senza sapere cosa dire. 
“Oh, io non saprei Emma. Mi piacerebbe ma forse, sai, hanno bisogno in ospedale”
“Voi medici non avete quegli aggeggi per le emergenze?” 
“Beh sì li abbiamo quegli aggeggi, sì” Disse ridendo per il mio termine utilizzato. 
“Bene, quindi direi che è deciso” Aggiunsi sicura di me. La feci accomodare sul divano mentre velocemente iniziai ad allestire in maniera carina la tavola per due persone. 
“Chi è questo ragazzo?” Mi bloccai con i piatti in mano girandomi nella sua direzione. Si era alzata ed era andata verso una mensola dove io ed August tenevamo vecchie foto di vecchi ricordi. Ne prese una in particolare in mano: di me e Kevin. Estate di un anno e mezzo prima, eravamo al mare. In quella foto lui mi cingeva i fianchi da dietro mentre io gli baciavo la guancia. Scossi la testa per cancellare quei pensieri e mi concentrai sulla donna di fronte a me. Quella che avevo sentito era davvero gelosia
“Oh, è il mio ex ragazzo.. Ci siamo lasciati da quasi un anno, acqua passata ormai. E soprattutto meglio per entrambi” Accennai un sorriso nella sua direzione mentre finivo di apparecchiare. Vidi con la coda dell'occhio che posò la cornice e proseguì la sua osservazione di fotografie come se fosse in un museo. 
“Da quanto stavate insieme?” 
“Parliamo di circa tre anni.”
“Oh, mi dispiace.” Alzai subito la testa e la guardai forse troppo severamente. 
“A me no.” 
Le sorrisi e lei ricambiò. Mi feci un promemoria mentale, quella stessa notte, lo giurai a me stessa, avrei buttato ogni singola foto. 
“Direi che è pronto” La feci accomodare in una delle due sedie e cenammo. Non di certo in silenzio. Appena assaggiai quelle lasagne saltai sul posto, erano a dir poco squisite. La riempii di complimenti e dio, come adoravo vederla mentre si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio, un po' imbarazzata. Quella sera stessa riuscii a conoscerla davvero. Mi raccontò di come era diventata medico, incoraggiata forse troppo dalla madre a conseguire gli studi di quella facoltà. Ma fortunatamente adorava il suo lavoro. Imparai a conoscere i suoi modi, i suoi atteggiamenti, come si esprimeva. Presa dalla curiosità le chiesi se viveva con qualcuno. 
“No, vivo da sola. In realtà, circa due anni fa, convivevo col mio ragazzo ma è venuto a mancare.” 
“Oh scusami Regina, non volevo-”
“Tranquilla, è passato” Mi rassicurò allungandosi sul tavolo e posando la sua mano sulla mia. Guardai le nostre mani. Pelle ambrata contro pelle diafana. Questa volta osai.
“Se posso chiedere, com'è successo?” Ritrasse dolcemente la mano.
“Posto sbagliato nel momento sbagliato. Aveva una scuderia e quel giorno uno dei cavalli era particolarmente agitato.” 
“Mi dispiace davvero tanto” 
Sorrise annuendo tristemente. Mi resi conto in quel momento che la tristezza non doveva albergare, neanche per sbaglio, sul volto di Regina Mills. E mi accorsi che sarei stata in grado di fare qualsiasi cosa per togliere quel velo di lacrime invisibili. 
“Che ne dici di un po' di gelato?” 
“Perché no, che gusti hai?” 
“Tutti quelli che desidera sua Maestà” 
Finalmente la sua risata, il suono della mia vita. 
 
Una volta finito anche il gelato iniziai a sparecchiare. “Regina non osare ad alzarti, ci penso io.” Alzò le mani ridendo in segno di resa e rimase al suo posto. Inconsapevole di indossare ancora il mio corto kimono le passai molte volte accanto e pericolosamente vicino. Avevo quasi liberato completamente la tavola quando, mentre ero diretta verso il lavabo della cucina, mi afferrò delicatamente la mano facendo fermare la mia camminata. Guardai davanti a me, non mi mossi. Mi toccò la mano come se la stesse studiando, la strinse. Sentii le sue sottili dita accarezzarmi e le sue unghie tracciare le mie linee. Poi si alzò dalla sedia lentamente e mi fronteggiò. Un incanto. 
“Regina”
“Emma” 
Due sussurri. 
“Non mi è mai successo” Continuò, sempre stringendo la mia mano. La distanza tra di noi era incredibilmente diminuita, mi inebriavo del suo profumo. Fuori il buio della città, in casa poche luci accese, dentro di noi dei fuochi. Deglutii.
“Cosa?” 
“Di essere così attratta da una donna.” 
 
Bip bip bip bip bip. Il fottuto cerca persone iniziò a squillare. Ci allontanammo spaventate, prese alla sprovvista da quel rumore. Regina afferrò con difficoltà l'oggetto tra le mani, le quali notai stavano leggermente tremando. Cercai di prendere respiri profondi, la situazione e l'atmosfera che si era creata mi aveva letteralmente fatta impazzire. La mora mi fissò con uno sguardo colpevole. 
“È un'emergenza, devo andare” Mi resi conto di non essere in grado di parlare, avevo la bocca asciutta così annuì freneticamente con la testa. Accorgendosi della mia tensione si avvicinò pericolosamente a me, soprattutto al mio viso. 
“Emma mi dispiace, vorrei rivederti in questi giorni. Per favore.” L'intensità di quelle parole e dei suoi occhi mi colpì. Mai avrei pensato di ricevere determinate attenzioni da quella donna, eppure era lì, decisa e sicura di sé. Trovai in qualche modo la forza di rispondere cercando di non far tremare la voce. 
“Sì tranquilla, lo capisco. Hanno bisogno di te, io.. Ti scriverò” 
“Devo proprio scappare, scusami ancora.” Detto questo, Regina si infilò il suo giacchetto di pelle e corse verso la porta. Le stetti dietro, ci scambiammo un veloce saluto e poco dopo mi ritrovai sola nel mio appartamento. Mi lasciava sempre così lei: in bilico tra il paradiso e l'inferno, a fare i conti con angeli e demoni. 
 
 
La notte di quella sera e il giorno seguente furono insostenibili. Non feci altro che pensare e ripensare a quelle parole, non potevo crederci. Non sapevo come, perché e grazie a chi avevo avuto un'altra possibilità. Soprattutto non riuscivo a capire, e tuttora me lo chiedo, come facevo a meritarmi una persona del genere. 
 
Di essere così attratta da una donna.
 
Scossi la testa. Regina Mills smettila, pensai mentre portavo alla bocca la mia tazza di caffè. Il modo in cui lo aveva detto, guardandomi in quel modo, pronunciandolo in quel modo, uccidendomi in quel modo. Mi portai le mani sul viso stropicciandomi gli occhi e cercando di concentrarmi sullo schermo del pc. In quei giorni Dallas era stranamente calma e in ufficio non c'era molto da fare. Il capo mi aveva sostanzialmente promesso un contratto a tempo indeterminato lasciandomi anche alcuni rapporti da terminare. Iniziai a digitare sulla tastiera. 
 
Vorrei rivederti in questi giorni. Per favore. 
 
Sbuffai prepotentemente spingendo con maggiore forza i tasti, attirando così l'attenzione di alcuni colleghi. Lanciai un'occhiata omicida in qualche direzione e ognuno tornò al proprio lavoro. Non c'era modo di togliermela dalla testa. Smisi di scrivere e mi stiracchiai lasciandomi cadere sullo schienale della sedia. Dicono che l'unico modo per combattere una tentazione è cedere ad essa. Bene. Decisa delle mie azioni e conseguenze tirai fuori dalla tasca dei jeans il cellulare. Senza esitare iniziai a scrivere un messaggio a Regina. 
“Ehi, tutto bene? È andata bene ieri sera a lavoro? :)” 
Che schifo di sms, fanculo. Premetti invio e aspettandomi di non ricevere subito una risposta ripresi il rapporto di cui mi stavo occupando prima. Dieci minuti, lecito. Venti minuti, magari era al lavoro anche lei. Sicuramente. Venticinque minuti, si illuminò il display. Abbandonai subito il computer per gettarmi sul telefono. 
“Buon pomeriggio, io sto bene. Non si può dire lo stesso del paziente di ieri sera ma si riprenderà. Tu come stai?” Risposi in un millisecondo che era tutto a posto. Sospirai poi come se mi fossi tolta dallo stomaco tonnellate di peso. 
“Mi fa piacere. Dove sei?” 
“A lavoro, tu?” 
“Anche io, giornate stressanti purtroppo.”
“Qui più che altro noiose, tra poco esco e vado a riempirmi la pancia ;)” 
“Signorina Swan non ho potuto evitare di notare l'altra sera la troppa quantità di cibo spazzatura a casa sua.”
“Il gelato l'hai mangiato pure tu però.”
“Sfizio.”
“Beh, non so cucinare. Prendere o lasciare” Inviando quest'ultimo messaggio mi morsi nervosamente la guancia interna.
“Bene, significa che per non farti morire di colesterolo eccessivamente alto ti porterò altri piatti preparati da me.”
 
Prendere. Sorrisi al messaggio, mi alzai dalla sedia senza smettere di rileggere quelle parole. Decisi che avrei finito il lavoro a casa col mio pc, non avevo voglia di passare altro tempo in ufficio. Presi la mia giacca ed uscii dirigendomi verso casa. Fino l'ora di andare a dormire io e Regina continuammo a sentirci per sms, scherzando e punzecchiandoci di continuo. Mi addormentai pensandola. 
 
 
 
 
 
 
Nota autrice: avete tutto il diritto di picchiarmi, uccidermi, torturarmi ecc. Sul serio. Sono consapevole della mia lunga assenza e vi chiedo scusa, soprattutto perché questa è ancora una storia in crescita e dovrebbe avere una certa costanza. Quest'ultima cosa, come s'è potuto notare, manca a me ahah. Ho dovuto viaggiare molto quest'estate, tra un impegno e l'altro non sono mai riuscita a ritagliare uno spazio per scrivere e aggiornare la ff. Quindi vi chiedo umilmente scusa. Vorrei fare alcune precisazioni: come avrete intuito (per chi segue la serie tv) l'ex di Regina è proprio Daniel, anche se non se n'è fatto nome. L'ex ragazzo di Emma invece si chiama Kevin, ma ricollocandolo nel programma televisivo si tratta di Killian (Hook), Helen dovrebbe essere sotto molte sfaccettature Ruby e Sophie invece è semplicemente Sophie, personaggio inventato di sana pianta. Leggendo inoltre vi sarete accorti del carattere fin troppo buono e pacato della nostra cara Mills, non illudetevi. Purtroppo per voi ho in mente molti colpi di scena. Scusatemi queste righe in più e niente, buona lettura. Grazie a chi segue, recensirà, metterà tra i preferiti, ecc. Soprattutto grazie a tutti voi che leggete. 
(Piccolo annuncio: la fanfiction in futuro diventerà rating rosso) 
A. 

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