The Lass that is gone

di Magali_1982
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1



*Una porta viene aperta.Entra qualcuno che comincia ad aprire finestre, sprimacciare cuscini e togliere ragnatele*
Ai nuovi come ai vecchi lettori, porgo il mio saluto! Sì lo so, l' ambiente è po' polveroso ma come vi dissi, sono stati mesi decisamente impegnativi.
La storia che vi apprestate a leggere è un prequel delle vicende narrate in "The List", reperibile sulla mia paginetta ma può essere letta tranquillamente anche senza conoscere questa ff. E' un piccolo lavoro, spero vi piaccia.
Grazie per la pazienza per chi ha atteso. Grazie a chiunque passerà di qui.

Maddalena





 
"Sing me a song of a Lass that is gone,
Say, could that Lass be I?
Merry of soul she sailed on a day

over the Sea to Skye..."




 
New York, maggio 2012.


 
Il vecchio taxi procedeva placido, grosso insetto giallo dalla carrozzeria un po' ammaccata, portato verso Manhattan dalla corrente costante del traffico. La radio suonava un vecchio pezzo del Re. Il reticolo di ombre generate dal sole alto sopra le strutture portanti del Brooklyn Bridge e i suoi centinaia di tiranti in acciaio scorreva sul parabrezza.
Rashid Shapiro era diventato cittadino americano lo scorso anno e aveva trascorso gli ultimi dieci ad aiutare il padre ad ampliare il parco macchine della loro piccola azienda di trasporti privati. Stava tornando da Flushing Bay, con a bordo una coppia inglese in visita alla Grande Mela.
Conosceva a memoria ogni angolo e prospettiva irta e spezzata disegnata dallo Skyline di Manhattan; eppure in quel giorno di primavera, croccante e terso, gli parve smaltato da una nuova patina traslucida.
"Patrick! Guarda!"
L'anziana signora fece scattare per l'ennesima volta il fastidioso "click" della fotocamera del suo iPhone. Rashid aveva smesso di contarli dopo il numero trenta, chiedendosi quale interesse nipoti e amici avrebbero mai potuto avere per una strada ad alto scorrimento ripresa in ogni secondo di viaggio. Dallo specchietto retrovisore vide un dito grassoccio indicare verso l'alto.
L'autista fece in tempo a vedere una scia disegnata da un oggetto in volo a folle velocità, diretto verso uno dei nuovi grattacieli costruti attorno al Grand Central Terminal. Sorrise.
"Cosa mai poteva essere?" domandò l'uomo alzando il naso dal palmare dove aveva già aperto la mappa della città.
"Lo vedrete spesso, signori. Tony Stark ama spostarsi in questo modo."
Un sommesso coro di esclamazioni meravigliate accompagnò il resto del viaggio.
L'esoscheletro -per gli appassionati di settore- o l'armatura -come la chiamavano tutti- e il suo creatore erano ormai diventati parte delle tipiche attrazioni americane. La più celebre al mondo, dal giorno in cui il geniale miliardario aveva confessato la sua seconda identità.
Era un vero peccato che un simile spettacolo oggi non fosse classificabile come routine.
Mancavano solo dieci minuti al momento in cui tutti, nei Cinque Distretti prima e poi in ognuno dei quattro continenti, se ne sarebbero accorti.





Don't dream too far
Don't loose sight of who you are.

La voce mesta di Elphaba Strega dell' Ovest* risuonò nel soggiorno, mentre lo smartphone prese a muoversi sul tavolino. Seduta al suo tavolo da lavoro, la ragazza benedisse la momentanea assenza di una vibrazione in grado di alzarsi d' intensità per meglio molestare chi non aveva voglia di rispondere. Riuscì a ignorare la chiamata ma non il testo della canzone.
Un pennello venne violentemente schiacciato in una pozza di rosso vermiglio.
Don't remember that rush of joy
He could be that boy...

Niente, chiunque ci fosse dall' altra parte non voleva mollare.
Sospirò, strizzando gli occhi e pinzandosi la radice del naso col pollice e indice sinistri. Ci mise un secondo ad alzarsi e afferrare il telefono ma non sarebbe masi stata così veloce da troncare l'ultima frase del verso.
...I'm not that girl.
Non poteva maledire il pessimo tempismo. Nemmeno il brano in sé. Era stata lei a sceglierlo come suoneria. Era lei a voler sentire quelle parole.
"Non dirmi che ti ho disturbato in un sacro momento di creatività!"
Nicholas sapeva essere petulante e offeso insieme. Erano diversi giorni che riusciva a evitare di parlare col fratello minore ma pur di non trovarselo sulla porta di casa dopo un viaggio in auto da Boston, alla fine si era vista costretta a concedergli più di qualche secondo per fiacchi saluti di circostanza.
"Come sempre. Ti ricordo che mi mantengo così, devo lavorare."
"Ultimamente la tua ammirevole dedizione sta diventando maniacalità. E' mio legittimo dovere sapere se ogni tanto stacchi per soddisfare il basso istinto primario che è la nutrizione."
Se la trasmissione dell' ironia fosse stata una questione genetica, plotoni di scienziati avrebbero perso fede nel loro operato una volta esaminato il caso dei fratelli Martin. Da due genitori decisamente poco muniti di tale fattore, diretto derivato del sarcasmo, erano nati figli che ne possedevano in abbondanza per loro stessi e per sette generazioni future. Nonostante il pessimo umore generale, la ragazza sentì un timido raggio di sole aprire un varco dal cuore verso le labbra, che si tesero in un sorriso ghignante.
"Piccoletto, ti conosco da quando sei nato, purtroppo. Quindi so che la tua favella da avvocato di Law and Order **la sfoggi solo quando qualcosa ti agita. Spara."
Un attimo di silenzio. Il ghigno divenne una smorfietta sadica.
"Sono più alto di te, vetusta sorella maggiore."
Colpo andato a segno.
"Tecnicamente, questo dettaglio non importa all' anagrafe."
Nicholas l'aveva superata in altezza all'età di undici anni. Da quel momento in avanti, aveva trovato molto più saggio non farsi più trovare a portata di zuffa delle lunghe braccia del fratello, allampanato, volto pieno di lentiggini, brillanti occhi verdi come i suoi e una zazzera di capelli castano-rossi destinati a far strage tra le ragazze una volta finita la pubertà. Avrebbe volentieri sciorinato le virtù dei loro cari, vecchi geni irlandesi, giusto per esasperarlo definitivamente ma bastava osservare entrambi per intuire le origini da cui erano nati.
il Ragazzetto o Piccoletto, come amava apostrofarlo ancora adesso, aveva preso i tratti peculiari del loro genitore: rossicci misti, verde-azzurro, spalle ampie e volto scavato dai tratti regolari. Lei invece mescolava il bruno dei capelli della signora Martin, il pallore della pelle baciato distrattamente da alcune lentiggini sulle guance.
Sì, avrebbe potuto continuare a procovarlo; ottenendo l' effetto di far scoprire all'altro la sua tattica diversiva.
Attese, pronta all' inevitabile.
"Mi stavo chiedendo come stessi."
L'apprensione. Maledetta, prevedibile bestia. Compì una lenta mezza piroetta e osservò il cartoncino telato misura cinquanta per settanta su cui stava dipingendo.
"Bene."
Non è vero. Guarda che rosso sangue ho usato per i suoi capelli.
"Allora riesci a dormire?"
Nicky sapeva. Mamma, come al solito, gli aveva spifferato tutto sui suoi problemi d' insonnia e crisi di panico notturne.
"Sì, non preoccuparti."
Balle, salvifiche balle. Avrò dormito sei ore in tre giorni.
"Cerca di staccare ogni tanto, ok?"
"Esco con Kate, a volte ci raggiunge David dopo uno spettacolo."
Stavolta non stava mentendo. Avrebbe dovuto ricordare che la sincerità non portava mai a niente di buono.
"Non è abbastanza. Come pensi di-"
"...Trovare qualcuno se ti accompagni alla tua migliore amica che ti fa la guardia e il suo fidanzato, un mastino iper protettivo quanto lei?" concluse con immediata ferocia, le nocche sbiancate dallo sforzo con cui stava stringendo il telefono.
"Se mi hai chiamato per ripetere quanto mi ha già detto mamma, stai perdendo il tuo tempo. Non sono così disperata da andare a cercare il primo disgraziato disponibile e non abbastanza sottostimata d' accontentarmi del primo che mi fa un sorriso!"
Spinto da comprensibile affetto, Nicholas aveva premuto il tasto sbagliato, scatenando in reazione l'esplosione di diverse testate atomiche emotive. A sua discolpa il ragazzo pensò che ci sarebbe voluta una dannata mappa per muoversi nell' hangar colmo di bombe che era diventata sua sorella. Sospirò alzando gli occhi al cielo.
"Hai passato l' ultimo anno come una monaca di clausura, non pensi sia abbastanza?"
Una risata borbottò. Un suono cattivo per un fiotto di veleno altrettanto cattivo.
"Pensi lo faccia per lui, Nicky? Per aspettarlo trepidante, certa di un suo ritorno?"
"Per cos' altro?"
Per guarire.E' così difficile da capire?
"Non sono una povera illusa. Ho già dato su quel versante. Un chiodo non si scaccia con un altro chiodo e se un giorno troverò chi ha inventato una simile sciocchezza, gli farò gustare il fondo inquinato dell' Hudson con un blocco di cemento legato a un piede."
"Andunie."
Il suo vero nome.
"Senti, sto solo cercando di aiutarti, non prendertela."
Rimanere calma, non arrabbiarsi. Rifiutare di cedere alla sete di vendetta, comparire in pubblico sorridente. Essere forte, credere in una nuova possibilità.
Una sequela d'imposizioni, ordini, raccomandazioni. Il dolore di un cuore in pezzi meritava solo biasimo? Poteva provocare imbarazzo negli altri e la trasformazione delle vittime in colpevoli?
Si sentì sola in modo totale e umiliante. Era per tutto questo che non poteva essere sincera.
"Torno al lavoro Nicky."
Lasciatemi in pace!
Questa volta Nicholas comprese e offeso, l'accontentò.
La ragazza rimase ad ascoltare per molti secondi il suono ritmico e ossessivo di una chiamata interotta.
L'orologio al quarzo appeso al muro del soggiorno indicava le undici meno cinque.




" Lo spenga, Sottor Selwig."
Visto dagli altri tetti e dai piani dei grattacieli più alti di Midtown, il Cubo già racchiuso nel reattore pulsava irradiando costantemente energia; da lontano, sembrava una stella contro l'azzurro del cielo.
A qualche metro sopra di esso, un punto rosso e oro. Un' armatura e dentro, l'uomo che l'aveva creata sospeso in volo.
"E' troppo tardi!" esclamò una voce spiritata. "Non può fermarsi ora. Vuole farci vedere qualcosa! Un nuovo Universo!"
Iron Man non attese oltre.
"Va bene."
Due raggi di luce vennero diretti contro il Cubo.Furono immediatamente assorbiti da uno scudo protettivo.
Il contraccolpo generò un' onda sonora udibile distintamente tra le Avenues che chiudevano su tre lati la mole del Grand Central Terminal.
Mancavano solo cinque minuti.





Finiva sempre così.
L'intenzione di ferire chi si preoccupava per lei balzava fuori all' improvviso, facendole capire di essere sempre stata lì, in agguato, pronta a colpire per difenderla. D'altronde desiderava questo più di ogni altra cosa: smettere di venir ferita. Tirare per un secondo il fiato e sentire aria pura nei polmoni. Come nulla fosse successo.
Andunie Marjorie Martin, Andy per gli amici e per chiunque potesse avanzare domande sciocche sul suo nome, posò il telefono e osservò l'opera che stava dipingendo.
Il suo lavoro era difficile da determinare. La dicitura più comune e usata era concept designer, come era stato scritto in caratteri dorati sulla pergamena del suo diploma appeso sopra l'ingombro tavolo da architetto.
Il suo studio, l'angolo della creatività e l' unico dove regnasse un ordine maniacale nonostante fosse pieno di libri, fogli e barattoli colmi di matite e pennelli, occupava l'intera zona rettangolare ricavata sotto il soppalco.
Il suo appartamento al numero 274 di una delle strade più famose di SoHo non era grande come gli altri ricavati da una vecchia fabbrica di dolci ma aveva il pregio di sfruttare al massimo l'altezza del soffitto.
E soprattutto, era casa.
Un nido modellato secondo i propri gusti, dove nessuno poteva dirle di smettere di dipingere o impedirle di passare notti in bianco a leggere.
Acquistata un anno fa, era stato il dono di Joseph Martin alla figlia maggiore.
Non era mai stato, e di sicuro non lo sarebbe diventato adesso, un uomo loquace ma aveva sempre parteggiato in silenzio per le ambizioni di Andunie. Aveva persino applaudito, commosso, alla cerimonia finale della Brooks, prestigiosa accademia privata, quando aveva visto esposti ben tre lavori della sua "bambina fantastica".
Lavoratore umile e generoso, Joseph non possedeva altisonanti titoli di studio ma era riuscito comunque ad aprire un'officina, attività a dir poco insolita per quell' angolo della città caratterizzato da negozi eleganti e anticonformisti, gallerie d' arte e librerie indipendenti annesse a locali.
Tale anomalia si era rivelata vincente. Come amava ripetere, quando veniva interrogato sul perché di una scelta simile, il signor Martin faceva notare servisse qualcuno in grado di dare la migliore assistenza possibile sui Suv di lusso i cui proprietari aveano prosperato lungo le quattro assi principali di Houston Street. Negli ultimi cinque anni aveva resistito alla lusinga rappresentata dalle offerte sempre più alte di numerosi agenti immobiliari, aspettando il momento giusto.
Si era arreso l'ultimo giorno di lavoro di sua moglie, infermiera presso il New York Presbiteryan Hospital. Con la vendita dei locali e relativa licenza, aveva garantito alla sua famiglia la rendita più alta da potersi realizzare e il sostegno economico per i due figli. Aveva atteso il momento migliore per accettare l'età pensionabile, sfruttando a proprio vantaggio la continua fame di spazi da riconvertire del quartiere tra i più alla moda di New York.
Andunie si era innamorata immediatamente del suo monolocale di nome ma non di fatto; alloggiato nel sottotetto al terzo piano dell' edificio fatto rinascere come elegante e anticonformista palazzina per intellettuali e artisti, era dislocato su due livelli grazie all' intuizione di un architetto e l' attenta realizzazione dell' ingegnere amico di vecchia data del signor Martin, l'uomo che con una "soffiata" aveva permesso una spesa onesta per quanto veniva offerto. Ricordava ancora che i primi scatoloni del trasloco arrivati erano quelli stipati di libri d' illustrazione, il suo fidato cavalletto e ogni materiale occorrente al disegno.
Il divano color prugna, l'angolo cucina in noce bianco accanto alle finestre affacciate su Lafayette, le librerie ricavate dalle assi di vecchi bancali erano giunti dopo.
Con un primo contratto free lance per una rivista del settore a tema fantasy, Andy aveva vissuto alcuni mesi con una casa spoglia e con l'impianto elettrico da finire, per l' esasperazione di una madre sempre troppo concentrata sul possibile disastro verso cui correva la figlia. Come aveva imparato a fare nel corso di tutta la sua vita, aveva capito di non poter dare soddisfazioni a simili paure, impegnandosi a fondo per realizzare i propri sogni.
Perché Andunie sapeva fare poche cose bene, diceva prendendosi in giro; la prima di tutte era disegnare. Creare mondi fantastici e dare volto ad altri già creati, divenendo nel giro di poco tempo famosa e richiesta per le sue tavole sulla Terra di Mezzo e vincendo concorsi dove presentava antichi miti celtici riportati alla vita dalle sue matite. Il primo premio era arrivato nei suoi tredici anni, dopo l' Undici Settembre.
Il quadro dove aveva ritratto la madre, con addosso una divisa spiegazzata e sporca di sangue, lo sguardo sfatto dalla tragedia puntato fuori dalla finestra a carezzare malinconico un Fuoco Fatuo, adesso era appeso nell' ingresso della nuova abitazione dei suoi famigliari a Long Island.
La famiglia Martin si dichiarava orgogliosamente americana e non per millanteria: avevano avuto il diritto alla cittadinanza dopo un periglioso viaggio, avvenuto alla fine del Milleottocento, della donna a cui Andunie doveva il suo secondo nome.
Adesso pochi dei suoi parenti ricordavano che Marjorie faceva O' Gara di cognome e fosse sbarcata a Ellys Island proveniente dall' Ovest dell' Irlanda. Andy era riuscita a sapere, dopo minuziose ricerche, che la bis-bis nonna era nata a Oranmore, nella Contea di Galway.
Al contrario della sorella, Nicholas non aveva sviluppato alcuna curiosità per le proprie origini. Sebbene dotati dello stesso travolgente, fulminante sarcasmo, dove la ragazza mostrava una natura sensibile, incline alla contemplazione, alla lettura e alla scoperta e comprensione del passato, il giovane secondogenito dei Martin aveva interesse unicamente per la modernità, le nuove scoperte, la dinamica inconfutabile di azione-reazione. Ammetteva senza remore di non sopportare i libri, compensando tale colpa con una mente brillante portata al calcolo. Accolto con una borsa di studio all' Università di Harvard, viveva a Boston da quando aveva finito gli studi superiori e lavorava già come analista informatico per il suo Dipartimento.
Un piccolo genio che sapeva di poter contare su una consaguinea decisamente più ferrata di lui su svariate saghe romanzesche e che non lo avrebbe mai lasciato solo e senza una risposta quando le mandava un messaggio disperato per sapere i nomi dei Quattro Fondatori di Hogwarts da riferire alla conquista di turno, malauguratamente innamorata del maghetto con gli occhiali creato da J.K.K. Rowling. ***
Andy sospirò sconfitta, passandosi le mani nei lunghi capelli scuri.
Il suo editore avrebbe bocciato quel lavoro. Ne era praticamente certa.
La Dama Bianca, creatura fatata nota con diversi nomi a seconda della mitologia a cui si voleva far riferimento, nell' immaginario era scolpita come una donna etera, delicata e malinconica. Appariva nelle brughiere per avvisare della strada sbagliata un viandante sconsiderato o come presagio di una fine vicina; come molte sue compagne, non mostrava mai apertamente un sentimento umano. Bellissima e distaccata. Diafana e senza emozioni, persino nel pianto. Capelli spesso candidi, leggere volute di nebbia sospese attorno al viso.
Le chiome della sua Dama avevano il colore del sangue e scendevano scomposte, arruffate e pesanti su un viso semi nascosto dalle mani premute violentemente contro la faccia distorta da un urlo singhiozzante. Tra le dita artigliate alla carne delle guance si poteva scorgere la bocca aperta, i denti dai canini appuntiti.
Il progetto per cui era stata ingaggiata prevedeva illustrazioni delicate e viranti al gotico, per una pubblicazione adatta a delle ragazzine. Corsetti, veli fluttuanti, belle foreste desolate ma senza alcuna ombra d' inquietudine. Il suo dipinto grondava dolore, grida e disperazione rese con troppo realismo per sembrare belle.
Belle e basta.
Due minuti e sarebbero state le undici di una mattina iniziata con due caffé corretti con una spolverata di noce moscata.




"Ti sfugge il punto."
Tony Stark era noto per essere un uomo preciso, meticoloso persino nella sua acclarata megalomania. Alimentava tale leggenda di continuo e non si sarebbe fatto fregare dal primo Dio degli Inganni piombatogli in casa.
Stava per elargire uno dei suoi momenti di Assoluto Carisma ed esigeva l'attenzione dal suo pubblico. Specie se suddetto pubblico era composto da un unico, temibile nemico.
"Non c'è nessun trono. Non esiste una versione in cui tu ne uscirai trionfante.Forse verrà il tuo esercito e forse sarà troppo forte per noi ma ricadrà su di te. Se non riusciremo a proteggere la Terra stai pur certo che la vendicheremo."
Alcuni istanti dopo,qualcuno a decine di metri sotto la Stark Tower urlò, lo sguardo atterrito portato in alto.
Perché un genio, miliardario, playboy, filantropo stava per precipitare sul marciapiede della Madison Avenue.
Mancavano solo due minuti.





Quanto ci metteva a guarire un cuore spezzato?
Andy non aveva mai creduto si potesse rimanere ossessionati da una sola domanda. Questo fino a Dicembre dello scorso anno. Prima di allora, aveva sempre bollato certi toni melodrammatici come esagerati.
Tolse la tela dal cavalletto, posandola con cura contro il muro dietro il tavolo da architetto. L'avrebbe finita comunque, decise con un moto di biliosa risoluzione e avrebbe pubblicato su Facebook e Twitter il diario per immagini della sua realizzazione. Nessun commento personale, nessun cenno ai motivi per cui quella Dama Bianca grondante sangue dai capelli era stata creata.
Su una cosa si era sentita subito d'accordo, tra tutti i saggi consigli ricevuti quando era tornata sola. Cercare vendetta e umiliare non avrebbe riportato indietro chi l' aveva lasciata.
Tutt' altra storia era il dolore patito nel momento in cui aveva reaizzato la fine definitiva.
Ogni singolo istante di quei dieci secondi era lì, impresso nelle sue retine e quando chiudeva gli occhi, fantasmi rossi animavano una macabra danza destinata a ripetersi, bloccarsi dopo pochi istanti e ricominciare.
Un filmato brevissimo.
Un lampo, il lasso di tempo disegnato da un pugnale affondato nella carne viva, quindi estratto e poi di nuovo infilato nella ferita già aperta.
Raccolse i pennelli sporchi, posandoli nella ciotola di plastica che usava per portarli al lavandino e pulirli senza macchiare l' acciaio. Osservò l'acqua diventare rossa ma non immerse le mani per strigliare con delicatezza le setole. Rimase immobile, senza più battere ciglio.
Fissarsi su un gesto o qualcosa che si stava facendo senza un motivo preciso era il primo allarme, quello che annunciava l'arrivo di domande, tormenti, rimorsi.
Un tempo avrebbe reagito in modo diverso. La vita prendeva a pugni tutti, su alcuni si accaniva con sadico piacere, oppure serbava colpi di scena terribili e dai contorni apocalittici. Un giorno si era a scuola e si scopriva che le due terribili esplosioni avvenute nella zona del World Trade Center, l'aria piena di fumo, cenere e calore erano state causa del crollo dei due grattacieli simbolo del capitalismo e della dinamicità newyorkese.
Aveva tredici anni, quell' Undici Settembre.
Dopo erano arrivati altri calci, sgambetti. Trappole. Si era sempre rialzata, convinta di aver già provato il significato profondo di quella lezione esistenziale che era toccare il fondo.
Si era dimenticata di non aver mai avuto occasione di veder centrato il cuore da un proiettile ben più pericoloso di uno vero. E la cicatrice non si era mai chiusa.
Aveva passato un anno a cercare di metterle sopra dei punti ma qualcosa evidentemente era andato storto; aveva usato il filo della comprensione, quindi quello della ragione, successivamente quello dell' accettazione.
In cambio aveva avuto solo nuove...boh, poteva chiamarle necrosi emotive. Un nobile tentativo di sinestesia, manifestatesi con incubi ricorrenti, così reali e contestuali da renderle difficili persino il risveglio forzato. Attacchi di panico nel cuore della notte e conseguenti pianti quando la mano cercava nel lato vuoto del letto non trovando nessuno.
L'orologio cominciò a battere i primi cinque rintocchi.
Andy batté le palpebre, osservando accigliata l'acqua sporca. Da placida stava cominciando a muoversi, creando una serie di cerchi concentrici sempre più fitti.
Presero a tremarle anche le mani artigliate al bordo della vasca.
Sette rintocchi.
Tremò ogni singolo componente della cucina ad angolo, i doppi vetri delle finestre, le cornici appese alle pareti. Spaventata, si staccò dal mobile.
Undici rintocchi
Calò il silenzio, il rumore minaccioso e in sottofondo di un colpo di coda partito metri sopra di lei cessò.
Il sospiro di sollievo non arrivò alle labbra.
Non si era trattato di una scossa di terremoto. Il suo cervello era rimasto abbastanza lucido da registrare l' assoluta staticità delle assi del parquet nei secondi precedenti.
Se si era accartocciato qualcosa non era stato nelle viscere della terra. Era stato dall' alto.
Un piccolo ma profondo spasmo del cielo.
Oooh, per favore!
Scrollò violentemente il capo ma poi lo sentì.
Lo stridio immane e violento di diverse vetture che inchiodavano fu talmente penetrante da superare l'isolamento acustico della casa.Andò alla finestra, la spalancò.
Venne investita dai primi cori di grida angosciose di chi si era accorto di cosa stava accadendo.




Quanto stava accadendo non poteva venir descritto usando aggettivi scientifici, razionali ed asettici.
Una lancia di luce azzurra si era alzata dalla Stark Tower, forando le rade nubi di quella tarda mattina di primavera. Il suo percorso sembrò trovare l'ostacolo insormontabile di uno scudo invisibile e lo aveva penetrato. Uno squarcio che si era ripercosso con un rimbombo immane in tutto lo strato superficiale dell' atmosfera.
Un lamento quasi umano. Un gemito di dolore che non poteva avere paragoni con qualcosa di reale.
Il punto nero, mugghiante di scosse elettrostatiche si spalancò.
Rashid l'autista frenò pestando furiosamente il piede sulla leva. La coppia inglese urlò, il taxi dietro di loro li tamponò con violenza.
Non importò a nessuno.
Il traffico di Murray Hill ci mise meno di un minuto per congestionarsi e arrestarsi.
Tutti gli occhi erano fissi sul buco nel cielo e su quello che ne stava uscendo fuori.
Mostri. Mostri volanti, armati fino ai denti, che disegnarono una picchiata di morte sulla Trentanovesima di Midtown.





Angolo (tetro e buio) dell' autrice: ed eccoci di nuovo qui! State tutti bene? Passato un Inverno indenne da influenze e tormente di neve? Pronti a sopportare di nuovi i parti della mia povera mente?
Giusto per non perdere le sane, vecchie abitudini, facciamo partire una sigla famigliare. Vai con "Ulisse, il piacere della Scoperta" The List!Edition.
Elphaba, Strega dell' Ovest: protagonista del pluri premiato, osannato e ancora sui palchi di mezzo mondo musical Wicked, che racconta la storia mai narrata delle Streghe del Regno di Oz. Vittima di una maledizione che la fa nascere con la pelle di un colore verde acceso, Elphaba è dotata di magia innata. La canzone da me citata è "I'm not that girl", che canta quando scopre di essere innamorata di un principe che non potrà mai avere.
Law and Order: è una delle più longeve e famose serie televisive americane, che fonde legal drama al police drama. Ha dato vita a innumerevoli spin-off, alcuni addirittura ambientati in città di continenti diversi.
I Quattro Fondatori di Hogwarts sono svelati nei romanzi di Harry Potter. E credo tutti sappiamo, almeno per sentito dire, di chi si tratta!
The Skye boat song: poesia originale di Robert Louis Stevenson, è diventata famosissima da quando è la sigla di Outlander, saga di libri e ora anche popolare serie televisiva ambientata nella Scozia della Sommossa del Millesettecentoquarantatre. Sarà il brano che farà da filo conduttore a tutta la vicenda e ne ha anche ispirato il titolo.
Le parti in corsivo sono state messe così per mia scelta: narrano scene contenute e viste nel film "Avengers" e citandone dialoghi e situazioni, mi è sembrato giusto distinguerle da quelle da me inventate per far vivere la Battaglia di New York dagli occhi di Andy e del resto della cittadinanza.
Ultima postilla tecnica: l'aggiornamento di questa breve storia sarà ogni due settimane. Spero perdonerete i tempi lunghi ma il periodo tosto attraversato sta per avere il culmine. Per qualsiasi domanda, richiesta di biscotti, commenti, tea party, l' indirizzo lo conoscete.
Bentornati nel The List!Verse!

Maddalena


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Capitolo 2
*** 2 ***


2


 
" Billow and Breeze, islands and seas,
Mountains of rain and sun.
All that was good, all that was fair,
All that was me is gone... "




 
Era un' altra guerra.
Alla fine contava solo avere quella consapevolezza.
Un' altra guerra. Costellata di battaglie, conflitti, improbabili alleanze.
Cambiavano i nemici, certo.
Le armi non erano più quelle con cui si era addestrato, ovvio.
A voler essere onesti, dal suo arrivo ad Azzano nel Millenovecentoquarantatre, non aveva mai visto le vere e temute baionette tedesche automatiche.
Era il punto in più di vantaggio dato dal disincanto. Una cosa, tra le troppe altre, che non lo sorprendevano.
Il Capitano osservò per pochi istanti i Vendicatori dispiegarsi come da lui ordinato. Aveva preso in mano le redini lasciategli da Iron Man senza battere ciglio o mostrare lo stupore improvviso scatenato dalla suafrase. Poche parole contenenti tutto ciò che lui era in quel momento.
Soldato. Leggenda. Comando.
Sopra la sua testa e quella della Vedova Nera, l' inferno continuava ad animarsi in scenari sempre più angoscianti.
La striscia di cielo incuneata tra i palazzi della Madison era percorsa da flotte di Kitauri, alieni antropomorfi in grado d' innestare il proprio corpo su navicelle generate da altri loro compagni tramutati in veicoli da appendici bioniche di origine sconosciuta. Le loro armi, così come lo erano state quelle dell' HYDRA, possedevano caratteristiche impensabili persino per i reparti più segreti e avanzati di qualsiasi esercito della Terra: proiettavano un raggio termico in grado di penetrare ogni tessuto e annientare il sistema nervoso. Il collasso arrivava nell' ordine della frazione di secondi.
Niente sangue. Una morte pulita.
Per quanto fosse tornato al mondo moderno da meno di una settimana, il Capitano sapeva molto bene che non esisteva una fine simile sul campo di battaglia.
L' ombra macchiava chiunque. Carnefice e vittima.
Le cinghie a cui era assicurato il suo scudo di Vibranio cigolarono, sotto la presa ferrea delle dita strette a pugno.
I suoi sensi videro prima ancora di fargli rendere conto che stava agendo. Portò il braccio indietro, caricò fluido il peso sulla gamba e impresse una traiettoria precisa allo scudo, che volò disegnando una curva. Lungo il tragitto, centrò tre alieni in carica provenienti dall' ingresso del Grand Central Terminal. Recuperò la propria arma e subito dopo fu pronto a ripararsi dietro la carsassa di una macchina. Ce n'erano tante, disseminate lungo il viadotto.
Non era solo.
"Thor si sta dando da fare."
Natasha Romanoff non aveva dato enfasi alcuna alla propria constatazione. Con assoluta calma e rapidità, caricò le sue pistole automatiche con altre cartucce. Un tuono stava brontolando sopra l' Empire State Building, richiamato dal Semi-Dio che li governava. La tempesta prese forma e si scatenò contro il Portale ancora aperto, impedendo l'uscita su New York di nuovi, impressionanti leviatani bio-meccanici.
Se Loki sperava di avere una vittoria facile in virtù delle sue alleanze interdimensionali, presto avrebbe dovuto ricredersi.
Un ferino sorriso d' orgoglio increspò le labbra del Capitano. Stavano impedendo l'espandersi della battaglia; se l'opera di contenimento avesse resistito, ci sarebbe stato il tempo di provare a tornare sulla Stark Tower e togliere energia al Cubo.
"Ragazzi, state per avere visite."
Una freccia esplosiva scagliata dall' alto andò a conficcarsi tra i bulbi oculari artificiali di un Kitauro che stava guidando un altro drappello lungo la strada. Vedendo il loro capo saltare in aria in una pioggia di scaglie di armatura ossea e fibre muscolari artificiali, gli altri lanciarono urla belluine sparpagliandosi.
"Ci pensiamo noi Clint" rispose la Vedova Nera, una mano all' orecchio per essere certa che la comunicazione radio fosse buona.
"Per una volta sono contento di non avere altri inviti. Sono tremandamente occupato quassù."
"Ti sfoltiremo l'agenda." Il Capitano e Natasha si guardarono e in sincrono, uscirono allo scoperto pronti al nuovo scontro.
Quando non rimasero altro che nuove colonne di fumo e altre parti di armatura aliena divelta o crivellata di colpi, l' agente dai capelli rossi fissò l'uomo.
"Non c'era bisogno."
Degli occhi azzurri sotto la maschera di neoprene e fibra di carbonio la fissarono vagamente perplessi.
"Di cosa?"
Nuove pattuglie stavano scendendo in picchiata sopra Park Avenue. Alcuni assaltatori piombarono sulle facciate dei palazzi, scendendole con stridore di artigli, puntando alla strada. Stavano cercando di superare il perimetro tracciato.
"Credi davvero avessi bisogno che mi proteggessi col tuo scudo?"
Romanoff si stava riferendo a quando Hulk, con l'aiuto di Iron Man, aveva abbattuto a mani nude il primo, colossale leviatano vomitato dall' apertura spazio-temporale. Il Capitano doveva impedire ai nemici di conquistare altri isolati. New York doveva reggere a ogni costo ma sentiva di dovere una conclusione alla spia dello SHIELD.
"Certo che non lo credo."
"Allora perché?"
"Adesso siamo una squadra. Per quanto forti, dobbiamo essere sicuri di rimanere uniti e questo possiamo ottenerlo cercando di esserci l' uno per gli altri."
Il tempo delle spiegazioni era finito.
"Stanno cercando sbocchi per arrivare alla Quinta Strada sotto l' Empire. Bloccali qui, io penso agli altri."
Natasha annuì.
Non perché non potesse fare altro ma perché sentiva che quello fosse l' unico gesto possibile. Quando Captain America dava un ordine, si poteva essere certi di essere nel giusto obbedendogli e dando il massimo per portarlo a termine.
Non lo seguì con lo sguardo mentre saltava oltre il parapetto del ponte, atterrando sul tetto barcollante di un autobus.
Doveva aprire di nuovo il fuoco.
Si voltò verso il primo Kitauro e con un balzo gli fu addosso. Una volta morto, la sua lancia sarebbe stata molto utile da usare contro gli altri.




Un ronzio.
Era acuto e persistente, tenuto su una nota infinita e che non si abbassava di tono o sfumava. Partiva da un orecchio, perforava il cervello e si conficcava nell' altro orecchio dove curvava, rimbalzava e tornava indietro.
Andy sentiva di essere compressa tutta in quel cerchio assordante. Il rumore era così forte da coprire quello ben più cacofonico e assordante che montava lungo Lafayette.
Il mondo attorno a lei era tutto rosso. Una cupola scarlatta illuminata da lampi neri.
Non guardare. Non muoverti.Impazzirai.
Il ronzio si avvitava continuamente, come un accordo su una corda di violino sul punto di spezzarsi. Sotto di esso cresceva la marea borbottante del sangue, che sussultava quando i muscoli e le ossa percepivano remotamente nuovi tremori provenienti dalle mura di casa. Sapeva cosa significavano.
Esplosioni.
Bum bum bum.
Anche il suo cuore stava per esplodere?
Bum bum bum.
"Andy!"
Stavano bussando alla sua porta con forza.
Non aprire gli occhi!
Il trillo del campanello elettrico la fece disobbedire. A fatica, la razionalità trovò una breccia e si piantò oltre il muro eretto dal panico.
Era rannicchiata sotto le finestre ancora aperte. Si era accovacciata lì per reazione istintiva ai primi, grossi tamponamenti di veicoli sulla strada e dopo aver osservato attonita verso Nord, verso il cuore di Midtown Manhattan e il cielo sopra i suoi edifici.
E aveva visto che il cielo aveva perso un pezzo.
Un nuovo, forsennato suonare di campanello. Voci che la chiamavano con insistenza e urgenza.
Poteva ancora vedere i colori stinti del tappeto comprato a TriBeCa* nel suo famoso Flea Market e sotto, le assi di legno del pavimento ma ovunque posasse lo sguardo riusciva solo a immaginarsi cosa aveva visto uscire da quello strappo aperto nel blu e nelle nuvole.
Da SoHo potevano sembrare solo punti neri che volavano impazziti planando con ferocia tra la Quinta, dove svettava la mole dell' Empire State Building e le tre Avenues che chiudevano i confini del Grand Central Terminal ma ovunque passavano, sfrecciando tra i grattacieli, si lasciavano dietro ali di edifici sventrati e enormi torri di fumo e polvere.
Come nella storia della Regina Maab e della sua Corte degli Scontenti, la Caccia si era trasformata in una corsa al massacro**. Anche lì c'erano stati mondi vicini come pieghe di una coperta, venuti in collisione a causa dell' intervento di una mano divina che le aveva spianate. Forse non era il momento migliore per elaborare teorie filosofiche sulla veridicità nascosta dietro ogni leggenda e fiaba ma Andy intuì fosse l'unico modo possibile per non cedere a un pianto isterico.
Si tirò in piedi con uno scatto innaturale e corse a far scattare la pesante serratura della porta blindata.
Beatrix e Cole Williams, un' eccentrica e facoltosa coppia proprietaria di diversi locali nel quartiere, si trovarono di fronte alla loro giovane vicina di casa; ebbero il buon gusto di non commentare in alcun modo i capelli raccolti in una crocchia sul punto di disfarsi, il grembiule legato attorno al collo e alla vita sporco di decine di colori. Mrs. Williams adorava Andy ma aveva sempre pensato che nell' ultimo anno si era gettata sul proprio lavoro con un accanimento feroce e autodistruttivo, come denunciavano le occhiaie e il pallore non proprio sano di chi fa a meno di una sana dormita per scelta e da diverso tempo. Una così bella ragazza, con quei favolosi occhi verdi, decisa a espiare una colpa certamente non sua. E pazienza se tale dedizione al proprio talento avevano prodotto splendide tavole, ora appese nel luonge pub a tema liberty aperto da poco su Prince Street.
"Cara, stai bene!"
Beatrix Williams era giunonica e materna come molte altre donne di origini creole. Soffocò Andy in un breve, enfatico abbraccio mentre il marito, magro e azzimato, tossiva nervosamente.
"Cara, comprendo il tuo sollievo ma dobbiamo procedere."
L'urgenza della richiesta venne sottolineata da un' ennesima frenata a catena e uno schiocco sinistro di lamiere che urtavano e si accartocciavano una sugli spigoli dell' altra. L' ennesimo tamponamento, seguito da un infernale concerto di clacson.
"Cole ha ragione cara, dobbiamo assolutamente andare via!"
Andy, ancora frastornata e incapace di ragionare, guardò i coniugi Williams stranita.
Andarsene? Lasciare tutto? Li osservò, accorgendosi dell' assoluta mancanza di bagaglio.
Con qualche cigolio e salto di corrente, il cervello tornò in moto.
"Cosa sta succedendo?"
...Da quanto?
Aveva la sensazione di aver passato diverso tempo rintanata sotto le finestre.
"Ancora non si sa, cara. L'ultima breaking news parlava di un incidente, una fuga di gas dal cantiere non ancora rimosso attorno alla Stark Tower."
Il black out svanì del tutto. Le bugie erano quasi peggio dell' idea di dover abbandonare casa propria per cercare un rifugio.
La rabbia, quella stessa rabbia che poco prima l'aveva portata ad aggredire Nicholas si alzò e aprì di botto delle ali, come fosse stata davvero la strana bestia con cui ormai la identificava.
Non aveva lottato, pianto, gridato contro un cuscino per mesi, disegnato come una forsennata, cercato un perché e uno scopo tra pennelli e tele per credere a una simile sciocchezza e accettarla. Gli eventi potevano pensare di trascinarla nel loro vortice senza darle spiegazioni ma questo non voleva necessariamente dire che lei si sarebbe arresa.
Si era sempre opposta. Aveva sempre combattuto, anche quando sapeva di andare contro la sconfitta.
Il volto contratto e dispiaciuto di un ragazzo dai capelli scuri emerse su tutto, piombando nel presente col suo carico di ricordi di fuoco e perdita.
Aveva promesso a se stessa di smetterla di andare contro i mulini a vento, di prendere fiato raggomitolandosi tutta attorno al suo dolore per non perdere altri pezzi di cuore e orgoglio. La resa era durata fin troppo.
Afferrò quel fiotto di bile e ribellione, pronta ad attaccare; fin da bambina, questa ostinazione era stata la sua forza.
Giù, a testa bassa, per mettere un altro passo davanti all' altro.
"E' ridicolo!" Si voltò verso il soggiorno. Afferrò il telefono, andò a staccare la spina del carica batterie. "Persino il più rincretinito dei complottisti del Tea Party capirebbe cosa sta succedendo!"
Prese una borsa e cacciò dentro quanto aveva raccolto. Si guardò intorno e prima di rendersene conto aveva già in mano un quadernetto di fogli bianchi e una busta con alcune matite dentro.
Le prime sirene della Polizia cominciarono a far sentire il loro lamento.
"Cosa altro potrebbe essere stato, allora?"
Andy fissò Mr. Williams quando tornò di fronte a lui. Sospirò.
"Avete abbastanza coraggio e follia per capire di essere di fronte a qualcosa di molto più grande di noi?"




"Sbaglio o prima ho sentito un tono ammirato nella voce?"
La Vedova Nera sibilò qualcosa nella sua lingua madre. Occhio di Falco sentì perfettamente l' imprecazione grazie alla comunicazione radio, così come udì perfettamente l' impatto della suola dello stivale di Natasha contro la faccia da mollusco di uno dei Kitauri che aveva appena abbattuto.
"Ti sembra il momento?"
L' agente sfoderò una delle sue pistole e aprì il fuoco riparandosi dietro un SUV con le ruote all' aria.
"Piace anche a te ma non lo vuoi ammettere."
"Non osare passare per fervente americano, Barton!" Altri Kituari caddero a terra, centrati da una pioggia di proiettili. "Lo so benissimo che sei di origini inglesi."
Sentì una risata strozzata nelle orecchie e poi il famigliare sibilo della corda rilasciata di un arco in fibra di carbonio.
Era stato l' agente Coulson a introdurle il dossier sul ritrovamento del Capitano Rogers nei ghiacci dell' Artico. Come agente dello SHIELD, aveva letto la vecchia documentazione d' archivio sulla nascita dell' agenzia, nota con un altro nome dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
La Riserva Scientifica Strategica aveva puntato gran parte delle proprie risorse per finanziare la realizzazione della formula che il Professor Erskine aveva portato con sé durante la fuga dalla Germania Nazista. Lo scopo finale era la creazione di un esercito efficente, composto da Soldati Perfetti in grado di contrastare il regime del Terzo Reich e chi lo proteggeva nell' ombra.
Si erano ritrovati con un solo uomo.
Un uomo giusto, ben più valido delle truppe avute in mente.
Semplicemente, stava toccando con mano la verità dietro la leggenda. Forse con l' affinità di un animo già spezzato e rimesso insieme, aveva avvertito una frattura simile anche in Steven Rogers e lo vedeva pronto a proteggerla col proprio scudo.
Perché adesso era giusto così.
Adesso serviva la risoluzione di un guerriero a cui il mondo aveva portato via tutto senza che lui potesse viverlo.
Occhio di Falco, una volta ogni tanto, si era sbagliato, pensò Natasha mentre si preparava a fronteggiare corpo a corpo un altro alieno.
L' ammirazione non c'entrava niente.
Si trattava di empatia e sicuramente era strano provarla per qualcuno totalmente all' opposto di lei.
"Invece di pontificare, vedi di proteggere la colonna di civili che i pompieri stanno formando all' entrata della metro della Quarantaduesima!"
"Dovresti davvero salire più in alto, Nat. Avresti una visione migliore."
Clint Barton incoccò una nuova freccia dopo averla programmata per dotarla di una piccola granata incendiaria a scoppio ritardato. La puntò verso il basso, tenendo intanto d'occhio su nuove pattuglie volanti pronte a piombare sui cittadini inermi e indifesi.
La punta si conficcò al centro esatto della nuca glabra del pilota. Dal tetto, l' esplosione che segnò l'attivazione della bomba sembrò quasi buffa all' arcere, anche se il risultato fu quello desiderato. Tra le persone in fuga, vide baluginare qualcosa d'argentato.
"Ottimo lavoro."
"E' sempre un piacere, Capitano."
Un lampo rosso e oro sfrecciò sopra la testa dell' agente, quasi più veloce della saetta che andò a colpire un altro veivolo Kitauri. Tutta la squadra poté udire il rimbrotto divertito e offeso di Iron Man.
"Dal momento che il nostro Semi-Dio di fiducia ama anticiparmi, trasmetto il bollettino di guerra numero Sette. C'è uno squadrone che ha intenzione d' invitare a cena Romanoff."
Steve valutò per un attimo la posizione degli altri compagni.
"Temo dovranno aspettare. Il mio nome è il primo sul suo carnet."
Corse per tornare indietro e si accorse che la carcassa dell' autobus dove era atterrato prima era finito contro una delle campate del Central Park Viaduct a causa di una nuova deflagrazione. Prese a scalarlo con agilità e l' apparente, totale assenza di sforzo.
Tony rallentò il volo, stabilizzandosi e fermandosi per un istante.
Una battuta di spirito.
Allora c'era davvero vita, sotto quella corazza tutta perfetta di ghiaccio!
Fu un peccato dover sopprimere il primo, sincero moto di simpatia verso Captain America per dover andare in soccorso di Hulk e tenergli fermo l'ennesimo colosso mostruoso da aprire come il guscio di una brutta ostrica troppo cresciuta.





Lafayette Street era in guerra.
Sotto il sole accecante di quella giornata tersa, il panorama che Andy pensava di conoscere bene era stato stravolto.
Tra i vecchi palazzi in mattoni rossi con le scale anticendio esterne e quelli più moderni, di vetro e acciaio, decine di autoveicoli giacevano abbandonati. In alcuni punti quel serpente spezzato di lamiere si contorceva in corrispondenza di un tamponamento a catena.
I mezzi della Polizia faticavano ad arrivare; i loro lampeggianti s'intravedevano oltre la coltre di fumo e la fiumana stravolta di volti che cercava di scappare.
Scappare da cosa?
Andy s'arrestò, divincolando la mano destra dalla presa di Mrs. Williams.
Erano usciti da poco da casa. Azò di nuovo il capo sullo squarcio nel cielo e le gambe presero a tremare. Dovette sbattere gli occhi diverse volte, fino a quando fu certa di non stare sognando.
Undici anni prima, quando il primo aereo passeggeri era entrato nella Torre Nord come un coltello intiepidito in un panetto di burro, era a scuola.
Le lezioni erano iniziate da pochi minuti. Quella di Storia non era ancora entrata nel vivo - il tema sarebbe stata la prima guerra ellenica contro l' Imperso Persiano - quando il pavimento aveva tremato e sopra i tetti si era levata un' immane colonna di fumo denso e nero.
L'onda d'urto aveva generato un terremoto superficiale udito e percepito per tutta l' isola di Manhattan. Gli astucci e le matite erano caduti per terra, mentre lei e il resto della classe balzava in piedi per nascondersi dopo sotto i banchi, come era stato loro insegnato durante le esercitazioni d' emergenza.
Visse il crollo delle Torri Gemelle in una surreale diretta; tutti impietriti davanti alla televisione che un professore aveva insistito per accendere.
"Levati di mezzo!"
Qualcuno la spintonò con violenza per liberare il marciapiede. Si trovò aggrappata alle sbarre di ferro battuto della ringhiera che delimitava l'ingresso al suo palazzo. Il dolore e il fiato corto la riportarono alla realtà.
Aveva appena visto un essere mostruoso, colossale, antico, irreale e insieme terribilmente concreto volare fuori da una sorta di buco nero a forza invertita. Non assorbiva luce e corpi celesti. Li vomitava.
Quando si rimise in piedi, certa di avere ancora tutte le articolazioni a posto, Andy non scappò e tornò a osservare cosa stava succedendo lassù. A qualche miglio da lei.
Le nubi si stavano addensando minacciose sopra l' Empire, formando in pochi secondi un mulinello mugghiante di saette e tuoni.
Il cuore le accellerò, la gola divenne un pugno di sabbia ruvida.
Il primo, grosso fulmine sfrecciò abbagliante verso l' antenna del grattacielo e poi deviò proprio verso il varco. Colpì altri due bestie volanti, respingendole indietro. Una serie di esplosioni segnarono la loro fine, distruggendoli pezzo per pezzo, scaglia per scaglia.
Per anni aveva letto romanzi in cui scene simili erano all'ordine del giorno. Aveva studiato e illustrato leggende di un' isola al di là dell' Atlantico dove eroi di antiche tribù guerriere venivano condotti in altri mondi. Mondi più felici, regni incantati dove la morte era solo la quieta minaccia che spettava a chi osava voler tornare indietro. Mondi in cui si poteva precipitare semplicemente muovendo un passo e oltrepassando l' innocente barriera composta da un cerchio di pietre, di funghi o erba sospettosamente alta solo lungo quel perimetro.
Nicholas e la sua famiglia la chiamavano "bambina fantastica" fin da piccola e non per evidenze fisiche. Andy aveva sempre avuto la propensione, tipica di un artista, a vedere oltre la realtà o cercare in essa quel punto di rottura, quel velo che si poteva sollevare per dare un significato diverso alla più pragmatica e cruda delle visioni.
Forse era questo il motivo per cui non ripiombò nella crisi di panico avuta prima. Vedeva e accettava.
La paura aveva una consistenza di pece liquida nell' organismo, il terrore e la confusione premevano su di essa coi loro stantuffi ma nonostante questo una calma senza spiegazioni la teneva lucida.
Dopo aver dato un corpo e un perché al primo terremoto, era pronta a combattere.
Le prime ambulanze riuscirono a raggiungere il centro dell' ingorgo. Scesero diverse coppie di paramedici e alcuni si diressero subito verso le uscite della metropolitana.
Attorno a lei non c'era alcun volto famigliare. I feriti e i contusi a causa degli incidenti cominciarono a venire soccorsi sul posto. Vedendo le divise blu con i gagliardetti dei vari ospedali e dei corpi dei vigili del fuoco, tirò fuori di scatto il cellulare.
Mamma!
La signora Martin era un' infermiera in pensione. Sicuramente aveva già saputo cosa stava accadendo a New York, doveva chiamarla per dirle che fortunatamente stava bene e non si trovava nei pressi del Grand Central Terminal.
Il display non dava alcun segnale disponibile. Le comunicazioni avevano già cominciato a saltare.Sperò che il segnale wi-fi fosse ancora attivo ma non ci fu il tempo di accertarsene.
Dagli sbocchi della metro stavano cominciando a uscire decine di persone. Molte erano ricoperte di polvere, gli occhi sbarrati, i vestiti laceri. Altre cercavano di sostenere i feriti. Il sangue spiccava sul bianco posato su giacche e camicie. Per alcuni, tuttavia, erano necessarie quattro persone per trasportarle. Quanto vide dal' altra parte della strada minacciò di farle andare di traverso il poco mangiato a colazione.
Si voltò verso uno dei portoni spalancati del suo condominio.
Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, Andy aveva già salito di volata le scale e fatto scattare le serrature della porta. Corse sul pianto soppalcato, spalancò l'armadio a muro e cominciò a prendere lenzuola pulite.
Dopo avrebbe pensato all' acqua.
Dove teneva il kit da pronto soccorso?
Pensa. Un passo alla volta, ma pensa!




Le autorità locali, per una volta in sintonia con gli ospedali dei Cinque Distretti, avevano appoggiato l'ordine arrivato dalla Guardia Nazionale, dalla Polizia e dallo Stato Maggiore dell' esercito, stranamente veloce e solerte nel disporlo. Era stato richiesto un dispiegamento di forze per allestire un perimetro di sicurezza, con relativo cordone sanitario, che isolasse Midtown dal resto dell' isola di Manhattan.
La battaglia aveva il proprio fulcro tra la Lexington, la Madison e Park Avenue. Invece di espandersi al resto della città, cosa relativamente facile vista la capacità dei mezzi alieni, rimaneva bloccata in quei tre blocchi.
Nonostante il collasso quasi immediato della rete telefonica, ogni televisione via cavo del Paese che poteva disporre di collegamenti satellitari avevano mandato sul posto troupes e cameramen. Gli stessi inviati ostentavano un genuino sbigottimento nel commentare e raccontare quanto veniva ripreso.
A contrastare un' invasione che non aveva alcun precedente - precedente ufficiale - nella storia dell' umanità moderna, non erano le forze che si potevano immaginare in campo in situazioni del genere.
Un minuscolo gruppo d' individui impossibili da catalogare stavano tenendo il fuoco e l' attenzione dei nemici su di sé.
Il più conociuto sicuramente era Tony Stark, l'eccentrico milionario scienziato meglio noto col nome di Iron Man; ben presto l'attenzione dei media si concentrò su un uomo vestito di una peculiare, stramba divisa blu, rossa e bianca che combatteva e falciava alieni con la forza di un semplice scudo.
Uno scudo rotondo con al centro una stella argentata, circondata dai colori della bandiera americana. Chi sapeva usarlo con tanta, micidiale precisione era qualcuno dotato di una forza e agilità per cui non stonava l'aggettivo sovrumano.
Non esistevano aggettivi in grado di rendere cosa fosse davvero la colossale bestia verde antropomorfa che balzava fuori dalle finestre dei grattacieli, arpionava per le mandibole leviatani corazzati e li mandava a sfracellarsi sul Park Avenue Viaduct, ridotto ormai a un nastro di crateri e automezzi in fiamme.
Voci incontrollate ma troppo simili nei dettagli per non riportarle, parlavano di un cecchino appostato sui tetti e di un guerriero biondo in grado di volare e scagliare fulmini e saette.
Molti dei servizi inviati in tutta fretta alle varie redazioni cominciavano ad alludere a un coinvolgimento diretto dello SHIELD, che sembrava aver messo insieme una squadra speciale da far intervenire in casi di estrema urgenza.
Mark Shepperd, giovane paramedico al suo secondo anno di lavoro presso il New York Presbyterian Hospital di William Street, non stava certo perdendo tempo a controllare il proprio telefono, chiuso in una delle tasche dei pantaloni della divisa. Su Twitter era uno dei centinaia di migliaia follower della ABC e della CNN; l'apparecchio vibrava di continuo contro la sua coscia, segno che le comunicazioni via web resistevano e stavano diventando incandescenti.
Come gli aveva raccontato il nonno, reduce della Seconda Guerra Mondiale e di quella di Corea, l'ancora alla realtà era costituito dalle trasmissioni radio, anche quando venivano deviate su sequenza criptate.
Ed era proprio la radio che stava svolgendo di nuovo quel punto fermo a cui aggrapparsi per non venire travolti.
Le comunicazioni sfrecciavano tra scariche elettriche e arrivavano al suo orecchio grazie al microfono fissato sulla spalla. Soffiò aria fuori dai denti, gli occhi scuri fissi sul braccio sanguinante sotto di lui.
Il compagno non era stato d'accordo a voler operare in una situazione di caos, dove la loro ambulanza era rimasta incastrata tra la strada e il marciapiede dove c'era la stazione metropolitana di Spring Street. I feriti aumentavano di numero di minuto in minuto, altri mezzi di soccorso non riuscivano ad arrivare ed era semplicemente follia osare il solo pensare di tornare alla base dopo aver caricato i più gravi.
"Interrogati dalla nostra redazione, in questo momento alcuni membri del Congresso confermano l' azione dello SHIELD nel contrastare l'invasione."
"Jimmy, il respiro?"
"Ci giunge ora la notizia che l'uomo in divisa blu con lo scudo, che ha aperto un varco per la fuga dei cittadini nei tunnell della Quarantaduesima, si faccia chiamare Captain America."
"Regolare, Mark. Sei sicuro-"
"Passami il filo e chiudi il becco. Va fatto qui, intesi?"
Ostentando la calma e il sangue freddo per cui era diventato famoso tra le altre pattuglie, Mark tornò a concentrarsi sulla bambina che era stata portata in braccio dalla madre, una delle tante impiegate di una delle banche con sede in Madison Avenue. Proprio quel giorno Elizabeth aveva espresso il desiderio di pranzare con lei, sapendola libera e vista la vicinanza del suo ufficio con la scuola elementare, aveva deciso di esaudire la sua richiesta.
Il paramedico sapeva che avrebbe rimpianto tale scelta per il resto della sua vita, anche se la bambina fosse sopravissuta e non avesse riportato danni gravi.
Era stata colpita di striscio da uno dei calcinacci piovuti dal tetto distrutto durante uno dei primi bombardamenti alieni. Per un vero miracolo, la donna era riuscita a evitare che la figlia fosse travolta ma un frammento grosso quanto un pugno, precipitato da almeno venti metri d'altezza, aveva lacerato il cardigan dell' istituto e tagliato coi bordi scabri la pelle.
Non c'era stato il tempo di fare altro se non raggiungere altre colonne di fuggitivi, che stavano venendo incanalati da alcune pattuglie della Polizia verso le stazioni sotterranee di Midtown e Lower Manhattan. Lì, Christine Malcom aveva visto altri genitori stravolti quanto lei, con in braccio i propri figli.
E poi, in un momento di vuoto, il rumore indescrivibile di una detonazione diretta contro di loro. Aveva solo potuto intravedere un' ombra scura balzare al principio della scalinata e deviare in qualche modo il colpo.
Le urla e i pianti erano cessati d' incanto. Persino i poliziotti si erano ammutoliti.
Prima di tornare a scendere precipitosamente i gradini, cullando la sua piccola contro il petto, Christine avrebbe giurato di aver visto un uomo con addosso un' aderente divisa blu, bianca e rossa rialzarsi dopo un aggrazziata capriola, controllato lo scudo assicurato al braccio e correre via.
Per qualche motivo assurdo, l'immagine le era sembrata famigliare. Come un vecchio racconto di famiglia.
"Hai visto mamma?" Un' altra voce di bambino. Un lampo nitido di ricordo nella mente ora impazzita. "E' il cavaliere di prima!"
Adesso la signora Malcom non rammentava nulla di quel volto infantile e nemmeno l' estenuante cammino nelle gallerie deserte. Abitando anche lei a SoHo, aveva puntato verso di essa insieme ad altri superstiti e una volta tornata alla luce del sole, si era accorta che Elizabeth era svenuta.
Adesso era a pochi passi da lei, il volto incrostato di lacrime incapaci di arrestarsi.
Un' altra donna le era accanto. Non la conosceva ma la stava comunque stringendo forte per le spalle.
"Lizzy" pigolò "la mamma è qui. La mamma non ti lascia."
Non distolse lo sguardo nemmeno mentre vedeva preparare il kit d' asporto per la saturazione.
"Vi prego, ditemi che sta bene!"
Jimmy alzò appena gli occhi dal volto terreo della bambina. Mark lo imitò. Lo stato d' incoscienza della paziente era così profondo da non richiedere ulteriori sedativi.
"Procediamo alla chiusura della ferita."
Avevano fatto quanto potevano in quelle condizioni precarie.
Vista la mole di feriti che stava emergendo da sotto terra, le varie squadre di pronto intervento si erano coordinate via radio, cominciando da quelli meno gravi e segnalando i casi disperati alle pattuglie in partenza da ogni città limitrofa dotata di elicotteri di soccorso.
Elizabeth Malcom era arrivata già sotto shock a causa della consistente perdita di sangue. Il braccio non era stato compromesso ma il taglio si era rivelato profondo e slabbrato.
"Ditemi che sta bene!" urlò di nuovo la madre, dimenandosi e minacciando di scappare dalla presa della sconosciuta che la voleva consolare. Non aveva realizzato si trattasse della madre del bambino che una vita prima aveva parlato di un cavaliere.
Mark soffocò un' imprecazione. Per quanto provasse pena per lei, non poteva interromperli proprio ora.
"Deve lasciarli fare, signora."
Dalla calca era sbucata una ragazza.
Tanto pallida da sembrare smunta, grandi occhi di un colore verde stupefacente, capelli scuri raccolti in una coda malfatta e arruffata, reggeva in mano un pacco di bottiglie d' acqua. Ne liberò una dalla plastica e con un gesto misurato, stranamente imperioso, la porse alla donna. Sembrava non importarle di essere giunta in un momento inopportuno.
Jimmy Smith non seppe se ammirarla o maledirla. I loro sguardi s' incrociarono per un istante e nel suo non lesse alcuna incoscienza.
Il gesto di vedersi offrire qualcosa la placò, troppo allibita per ribattere e aggredirla.
"Non posso capire cosa sta passando ma ora deve essere forte e calma. E' sua figlia?"
Christine trovò solo la forza di annuire. Venne ricompensata con un grande sorriso e per qualche motivo assurdo, provò davvero un briciolo di serenità.
"Un motivo in più per essere coraggiosi. Io mi chiamo Andy."
"Malcom. Io sono Christine Malcom."
"Polso stabile. Medicazione finita. Anche il respiro è regolare."
Stesa su una barella, Elizabeth mosse il capo e emise un lieve lamento. E poi a fatica aprì gli occhi.
Andy represse un sospiro di sollievo, le ginocchia ridotte a due budini mentre lasciava andare la donna.
Sapeva di aver rischiato di avviare una crisi isterica dagli esiti imprevedibili ma era figlia di un' infermiera e nonostante l' idea di seguire le orme materne non l'avesse mai sfiorata, nel corso degli anni aveva assimilato parte degli insegnamenti più rudimentali di una professione tanto delicata. Non aveva la più pallida idea di come si eseguisse un' iniezione o si trovasse una vena per un prelievo ma ogni volta che sua madre era stata con lei per medicarle l'ennesimo ginocchio sbucciato, aveva notato la calma e risolutezza usata per tranquillizzarla anche quando era in preda a uno strillo da aquila per il dolore.
"E' stata molto brava."
L'altra donna, bionda e dai lineamenti delicati tesi dalla paura, le sfiorò il braccio.Attaccato alle sue gambe c'era un bambino dinoccolato e con un paio di occhiali di traverso. Attorno a lui il mondo stava andando in pezzi ma ostentava un' espressione quieta e lucida nonostante i vestiti appestati dall' odore di fumo.
Andy scrollò le spalle e prese altre due bottigliette.
"Mia mamma ha fatto il loro stesso lavoro per anni." Indicò i due paramedici, già al lavoro per curare nuovi feriti e far prelevare gli altri.
"E' infermiera anche lei?"
Se la situazione fosse stata diversa, avrebbe riso. "Assolutamente no. Sono molto meno rispettabile di lei."
Ok, l' intero pianeta poteva essere sull' orlo della distruzione ma nemmeno la catastrofe imminente poteva qualcosa sull' insano bisogno di fare battute ironiche ed equivocabili.
"Hai sete?" domandò con una gentilezza che non sentiva propria da mesi. Si chinò verso il bambino, che annuì timidamente.
"Peter, devi ringraziare" lo incitò la madre, con una punta d' imbarazzo divertito.
"Tess! Peter!"
Un uomo si stava facendo strada tra le persone che avevano occupato il marciapiede, sfinite dopo ore di cammino lungo rotaie buie. Osservò stranito Andy per un istante; batté le palpebre e si precipitò dalla sua famiglia.
"Dobbiamo andarcene, subito!" afferrò il braccio il bambino e strattonò la moglie.
"Caro, che succede?"
"Stanno per inviare la Marina. Alcune portaerei si sono portate a qualche decina di miglia dall' Hudson, all' imbocco della Flushing Bay."
Fu l' innesco di una bomba.
Appena la voce si sparse, la gente prese a reagire chi con nuovi pianti e grida, chi alzandosi e tornando a formare calche attorno all' imbocco della fermata di Lafayette. La Polizia dovette intervenire tempestivamente e disciplinare il nuovo flusso. La conta dei corpi era già iniziata e si doveva scongiurare altri decessi per soffocamento e travolgimento.
Andy si trovò accerchiata, costretta contro quella famiglia appena conosciuta.
Sapeva che la notizia non era buona. Se l' esercito degli Stati Uniti aveva deciso per la discesa in campo diretta, significava solo una cosa.
L' intera isola di Manhattan era stata indicata non più come bersaglio ma come campo di battaglia. Un campo di battaglia stipato di milioni di persone inermi.
Il panico provò a dilaniarla di nuovo. Lo avvertì premere contro ogni angolo del cervello, senza trovare brecce.
Solo poche ore prime aveva litigato con suo fratello, reduce dall' ennesima notte insonne per colpa del proprio cuore spezzato.
Adesso le pareva tutto così piccolo e senza importanza.
Se quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti di vita, non li avrebbe trascorsi tremando per la paura.
Pensa. Un passo alla volta. E lotta.
"Tu non vieni?" domandò il bambino, Peter.
"No, piccolo. Ho ancora dell' acqua e qualcuno avrà presto sete."
Gli sorrise e lo salutò agitando la mano, prima di voltarsi e andare dai paramedici.






Angolo (tetro e buio) dell' autrice: visto che le tradizioni ci piacciono, prima di passare alle facezie un paio di note serie. Ormai la sigla dell' approfondimento la sapete a memoria.
TriBeCa: abbreviazione dall' inglese Triangle Below Canal Street, è uno dei quartieri più alla moda e vitali del Distretto di Manhattan. Famoso per l' omonimo festival cinematografico e le celebrità che ci vivono, va menzionato anche per il suo Flea Market, il Mercatino delle Pulci.
La Regina Maab e la Caccia: cercare di dare un ordine alle centinaia di versioni esistenti dei miti irlandesi e celtici è impossibile, comunque proviamoci. Maab è uno dei tanti nomi dati alla Regina della Corte degli Scontenti, un regno di Fate ed esseri sovrannaturali caratterizzati da una spiccata perfidia e tendenza a perseguitare gli esseri mortali. Si riversano nel nostro mondo col solo scopo di uccidere e rapire gli umani e i momenti in cui questo potrebbe accadere coincide con uno dei Sabba celtici, come Halloween, Beltane o altre ricorrenze del calendario pagano.
Come preannunciato, la rivisitazione ampliata dell' Invasione di Nwe York procede. Mi sono divertita a mescolare momenti non presenti nel film ad altri maturati grazie ad alcune scene tagliate (ad esempio, Steve che salva la famiglia di tre persone a cui ho dato volto e nome). Ormai chi mi segue da un po' sa che non lancio mai indizi a caso e sapete altrettanto bene che non farò parola a cosa alludo. State in campana e non ve ne pentirete.
Un abbraccio e una rude pacca sulla spalla da parte di Thor!
Maddy











 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3


 
" Give me again all that was there,
give the sun that shone!
Give me the eyes, give me the soul,
give me the lass that is gone! "


 
Quante cose potevano contenere pochi secondi?
Sicuramente tutto il cielo. Lo stesso che Steve stava fissando senza battere più le palpebre, divorato da un' ansia crescente.
Era immerso nel silenzio, nonostante attorno a lui ci fossero ancora incendi, rumore di spari e di crolli.
L' elmetto era andato perso dopo la coraggiosa battaglia ingaggiata con una squadra di Kitauri che avevano stipato decine di civili dentro una sede della City Bank con l' intenzione di perpetrare una strage.
Pesto, con la divisa strappata sulle braccia e tutta la noncuranza da dare al sangue che stagnava tra la pelle lacera e la fibra di carbonio che lo proteggeva, si era trovato a combattere spalla a spalla con Thor.
Fino all' annuncio di Natasha.
Davvero, quante cose potevano contenere pochi secondi?
Rimorsi ancora vivi.Volti amati e perduti. Attimi che se avessero potuto venire afferrati, avrebbero cambiato tutto.
Risate mai fatte. Altre scappate in momenti ora tanto sciocchi. Una mano non raggiunta in tempo.
E l'ultimo passo.
Quello che poteva segnare la vittoria o la totale sconfitta.
"Eccolo!"
Clint Barton li raggiunse, indicando qualcosa in arrivo a folle velocità dalla sponda Est di Manhattan.
La sagoma rosso e oro di Iron Man sfrecciò tra i grattacieli, compiendo cambi di traiettoria arditi per arrivare a sorvolare in linea retta la Park Avenue distrutta e irriconoscibile.
Il Capitano si concesse un minimo movimento. Deglutì. Gli occhi seguirono il volo, probabilmente l' ultimo, dell' uomo che il giorno prima aveva denigrato per il suo egoismo e disincanto. Aveva solo un bagaglio con sé, mentre puntava al fianco inclinato della Stark Tower da usare come improponibile, perfetta rampa di lancio.
Una testata nucleare.
"Abbiamo commesso degli errori.Alcuni di recente."
Si era svegliato nell' America del neonato Ventunesimo secolo e le orecchie gli erano state riempite di encomi.
La guerra per cui era stato pronto a sacrificarsi era finita con l' affermazione degli Alleati e la sconfitta del Nazismo.
L' HYDRA aveva perso il suo carismatico comandante ed era sparita nei gorghi bui della Storia.
Il mondo aveva conosciuto la pace. Uno spettro grottesco e troppo fragile, come le vite spazzate via da due bombe atomiche, un conflitto diplomatico e decine di altri, abbellitti da titoli altisonanti come Desert Storm, Enduring Freedom.
Steve Rogers avrebbe voluto concedersi il lusso di piegare un poco le spalle sempre diritte, di sentirsi inadeguato e frainteso. Il peso di quanto era andato perduto per trionfare erano macigni nel suo animo e gl' impedivano il minimo sorriso.
Si rese conto di non poterlo fare nel momento in cui Iron Man azionò i propulsori posizionati sotto le placche dorsali della Mark 07 per dare la spinta finale e sfiorare le vetrate del grattacielo.
Pochi secondi con dentro la speranza, tutta quella che poteva provare.
E il terrore di perdere un altro compagno, di doverlo sacrificare all' odiosa formula "per il bene di tutti". Era passato tanto tempo da quando aveva pensato di crederci davvero.
Una scia s' impennò verso l'alto e sparì inghiottita dal varco spazio-temporale.
Tony Stark aveva compiuto una scelta. Il Capitano poteva fare solo una cosa: lasciargli la dignità derivata da essa.




"Sembra che il milionario Tony Stark si stia dirigendo verso il varco!"
Mark Shepperd guardò la ragazza al suo fianco. Andy stava già ricambiando il suo sguardo, cupa e tesa.
Era rimasta con loro dopo il soccorso alla piccola Elizabeth Malcom, cercando di fare il possibile per dare una mano senza intralciare con la propria ignoranza e inesperienza il lavoro dei paramedici.
Si era guadagnata uno sbaffo di sangue sui leggins neri e il sollievo di tanti feriti, distratti dalle storie raccontate mentre teneva per mano altri bambini.
Aveva cominciato per il bisogno di distrarre un ragazzino a cui doveva venir estratta una scheggia di vetro dalla gamba; piangeva e delirava per il dolore e la paura, parlando di enormi uomini verdi e di guerrieri volanti che scagliavano fulmini da un colossale martello. Gli aveva spiegato che sicuramente stavano combattendo la Corte della Regina Maab, la perfida sovrana del Regno Fatato. Gli aveva stretto la mano e narrato la storia della Caccia che la Sovrana scatenava contro il mondo degli uomini, lasciandola guidare dal suo cavaliere favorito trasformato in un essere demoniaco in groppa a un cavallo nero dagli occhi di fuoco.
"E...poi vinse?" La voce era stata stridula ma il tono affascinato.
"No." Andy gli aveva carezzato la fronte, in modo che la sua attenzione rimanesse su di lei e non sulle operazioni degli infermieri.
"Ci fu chi lo combatté con coraggio e onore. Esattamente come te."
La scheggia, lunga tre centimetri, era stata rimossa nello stesso istante in cui aveva finito di parlare.
La sua fantasia sembrava non esaurirsi mai. Mark ignorava cosa fossero i folletti e i Pixies; ora possedeva un bagaglio di fiabe irlandesi con le quali allietare la figlia della sorella maggiore per anni. Aveva quasi dimenticato cosa avevano sentito via radio poco prima dell' ultimo annuncio.
"Cosa diavolo avrà in mente?" Jimmy gemette, cercando un nuovo kit per la medicazione e trovando la scatola vuota. Mentre il numero dei profughi di Midtown aumentava di attimo in attimo, cercando di scappare il più lontano possibile dall' arrivo degli aerei della Marina, le scorte di medicinali e garze stavano finendo.
Strano si avesse notizia solo di uno; aveva deviato la traiettoria dopo essere arrivato in vista della baia di Manhattan. Ed era preoccupante non fosse stato detto il nome della nave da cui era decollato.
Andy aveva un' idea ma decise di tenerla per sé. Insieme al brivido gelido che le irrigidì la schiena.
"Iron Man è entrato nel buco spazio-temporale. Fonti della CNN riferiscono avesse sulle spalle un missile ma tale voce non è stata confermata in alcun modo dallo Stato Maggiore della Casa Bianca."
In ogni racconto dove il Male e il Bene si affrontavano, si arrivava sempre a un punto cruciale. Stava all' abilità dello scrittore portare lì il lettore con nuovi spunti e farlo tremare. Non avrebbe mai pensato che un giorno, lei stessa sarebbe finita in una vicenda simile.
Pensò alle diverse edizioni che possedeva de Il Signore degli Anelli abbandonate in casa sua.
Pensò che non le avrebbe più lette.
Pensò a Samwise Gamgee, uno degli Hobbit protagonisti e al suo coraggio. Non aveva mai lasciato il suo padrone, Frodo Baggins, nemmeno quando era stato catturato dal potere malefico dell' Anello.
Pensò alle metafore nascoste in una simile, devota e sincera amicizia e dominò l' istinto di fuggire.
Andy chiuse gli occhi e contò quattro battiti del suo cuore.
Il tremore tornò e percorse tutto il cielo.
Un altro battito.
Il respiro di sollievo di una creatura grande quanto il mondo arricciò le nuvole e le spianò.
"Cristo santo..."
L'esclamazione di Mark la fece tornare a guardare.
Decine di facce erano puntate verso l'alto. Una per una, le espressioni impaurite si aprirono per lasciar spazio all' incredulità e al sollievo.
Il varco era sparito.
Il primo a lanciare un urlo di gioia fu un sergente di Polizia, scagliando il cappello in alto.
Andy era ancora allibita quando si ritrovò stretta dai primi abbracci.
Ci sarebbero volute diverse ore per sapere che il loro salvatore aveva rischiato di non tornare più sulla Terra dopo aver sollecitatamente infilato una supposta nucleare nell' astronave madre dei Kitauri.
Altrettante ne sarebbero occorse per sapere una verità sicuramente manipolata e scritta dalle autorità competenti ma nemmeno loro e il Governo centrale poterono negare quanto era stato visto da centinaia di testimoni. Fu comunque assurdo dover dare un nome mitico al criminale di guerra responsabile di quella che sarebbe passata alla Storia come l' Invasione di New York e della Strage di Stoccarda, tenuta segreta fino a quel momento.
Loki.




Prima di essere dichiarata di nuovo agibile, la palazzina al numero 274 di Lafayette Strett dovette aspettare di venir esaminata da alcuni funzionari, tra cui ingegnieri ed elettricisti, per scongiurare la presenza di danni strutturali.
Mr. e Mrs. Cole erano stati categorici ed Andy ritenne più saggio non rifiutare l'invito a casa loro per un corroborante rinfresco a base di cioccolata calda al Rum - una delle specialità dei loro locali - e una profusione di Cookies di ogni gusto e farcitura.
Mangiarono senza curarsi troppo dell' aspetto terribile che avevano tutti. Le chiacchiere sugli argomenti più futili servirono ad esorcizzare e metabolizzare le immagini trasmesse dalla televisione al plasma troneggiante nel salotto in stile boho-chic dei coniugi.Nathan Cole perse l' uso della parola nel vedere una foto in particolare.
Era quella di un giovane uomo, attraente e aitante. Capelli biondi con un antiquato ciuffo sulla fronte ampia e franchi occhi azzurri, puntati dritti verso il fotografo senza la minima esitazione. L' immagine si fermava al mezzo busto ma si distingueva chiaramente il verde militare di una divisa e i gradi sulle spalle.
"Captain America? Come diamine è possibile?"
Pensò di essere il solo ad aver fatto un collegamento con le storie narrate da suo padre; non si accorse dello stupore della loro giovane ospite, che si era affrettata a nasconderlo dietro un generoso sorso di cioccolata.
Memorie di giorni di scuola e libri sulla Seconda Guerra Mondiale affiorarono appena, pronte a venir accantonate da un suono che non udiva da ore.
Lo squillo del suo cellulare e la triste canzone della Strega dell' Ovest.
Ci volle tutta la calma che dovette inventare, visto lo scarso livello di quella realmente esistente, per consolare i propri genitori e assicurarli sulle sue attuali condizioni. Non poté impedire al padre di decidere di venire a trovarla domani, in modo da controllare eventuali danni nell' appartamento. Pochi minuti dopo dovette promettere anche a Kate e David la stessa cosa. Il Musical dove recitava il ragazzo non sarebbe andato in scena per permettere un' ispezione del teatro nel cuore di Broadway, Kate stava già partendo da Harvard per raggiungerli e sincerarsi dell' effettiva integrità di fidanzato e migliore amica.
Rintontita dal cibo e ormai orfana della spinta dell' adrenalina, la ragazza rincasò quando il cielo sopra SoHo cominciava a scurirsi.
Le sirene di ambulanze e macchine della Polizia risuonavano di continuo, creando un lamento costante in contrapposizione agli sbuffi e ai cigolii delle ruspe entrate in azione per rimuovere le macchine incidentate.
La luce accesa rivelò come il suo nido avesse resistito con relativo orgoglio alla giornata appena conclusasi.
Purtroppo un paio dei vasi porta-pennelli erano caduti a causa delle vibrazioni ma a parte qualche libro andato di traverso e un paio caduti su divano e tappeto, tutto era in ordine.
Controllò non ci fossero fughe di gas e la salute dell' impianto elettrico. Per sicurezza staccò lavastoviglie e lavatrice; con tutto quello che aveva mangiato non si parlava di cenare e gli abiti impolverati e sporchi di sangue li avrebbe potuti lavare domani. Una doccia bollente era la sua necessità più urgente.
Raccolse i vetri e ripose momentaneamente i pennelli in una scatola. Ne mancavano diversi all' appello e realizzando dove li aveva lasciati e perché, una strana ansia la portò a precipitarsi al lavandino della cucina.
L' acqua nella ciotola era ormai rosso scuro. Per fortuna non aveva ancora aggiunto il solvente, altrimenti le setole si sarebbero rovinate.
La razionalità di quel pensiero la fece scoppiare a ridere. Uno sfogo isterico che presto divenne pianto.
Sei viva. Ce l' hai fatta.
Erano passate meno di dodici ore. Le sembrava di aver combattuto per docici anni ed essere miracolosamente tornata in un punto del suo tempo dove tutto era ancora definibile e reale. Un bisogno molesto le premette sul cuore ma non vi cedette.
La spia della segreteria telefonica lampeggiava da quando era rientrata. La memoria del cellulare era piena di messaggi a cui rispondere. Sapeva non ce ne sarebbe stato nessuno scritto da lui.
Tirò su col naso e si asciugò malamente gli occhi. Non avrebbe permesso al rimpianto di vincerla. Era sopravvissuta a un' invasione aliena, che diamine!
Andò a sistemare i libri.
La sua copia de "La Compagnia dell' Anello" giaceva aperta scompostamente su un cuscino del divano. Andy la raccolse con cura, esaminando la copertina verde; reggendola in mano andò ad attivare la segreteria.
Stranamente, il primo messaggio era di David.




Steve salutò il Direttore dello SHIELD e posò il telefono su uno degli spartani comodini che adornavano il salotto dell' appartamento.
Gli era stato assegnato dopo il suo traumatico risveglio in uno dei centri medici allestiti in tutto il Paese dall' agenzia segreta e come già accaduto, avevano cercato di non rendere problematico più del dovuto il suo inserimento in un nuovo secolo.
Adesso sapeva di doverlo lasciare tra pochi giorni.
Il suo colloquio con Nick Fury era stato improntato alla più gelida delle cortesie. Non si fidava delle mosse del Colonnello e se non altro, quest'ultimo adesso aveva mostrato buon senso nel non alterare una verità ben chiara al Capitano.
Una verità che per lui aveva assunto le sembianze di armi credute distrutte, alimentate da un potere per cui troppe persone a lui care erano morte o avevano sacrificato gran parte della loro vita per far sì non fosse più una minaccia.
Il sorriso di Bucky, la risoluzion di Peggy.
Per qualche secondo aveva visto i loro volti riflessi nella luce iridescente del Tesserakt, mentre Stark lo sigillava nella capsula Asgardiana, pronto per tornare dove era giusto rimanesse.
Aveva accettato la proposta offertagli: il ritorno al servizio attivo, la rivelazione del suo risveglio al mondo intero e una collaborazione di prestigio con lo SHIELD.
Era di questo, che sentiva il bisogno.
Servire, combattere per qualcosa di giusto. Aveva tanto da farsi perdonare. Tanto da dimenticare. Troppo da capire.
"Sa che non sarò un soldatino docile, vero?"
Steve aveva immaginato, come lo avesse davanti, il ghigno sul volto del Direttore.
"Perché pensa lo abbia chiesto proprio a lei, Capitano?"
Il telefono squillò di nuovo mentre stava svuotando l' armadio. Un' ultima occhiata critica alle camicie a quadri - forse era davvero il caso di accettare la realtà e aggiornare il guardaroba - e andò a rispondere.
"Sì?"
"Capitano Rogers." Era una voce femminile, bassa e armoniosa. Poté sentire il sorriso che stava tendendo quelle labbra. "Che piacere sentirla. Sono Virginia Potts."
Per un secondo, il nome non gli disse nulla. Ricordò i file personali di Tony Stark e cosa c'era scritto alla voce "relazioni private". Il secondo dopo seppe associare quel nome al volto raffinato e chiaro della donna dai capelli rosso fragola immortalata in una foto insieme con lui; era miracolosamente sopravvissuta alla devastazione dell' attico della Torre, posata sul bancone del piano bar.
"Signorina Potts, sono felice di saperla già a casa."
Scalza, shorts di jeans e camicetta, Pepper annuì e ignorò bellamente l'agitare frenetico di mani del suo fidanzato. Era stata lei ad avere l' idea e l'avrebbe portata a termine senza bisogno di aiuti molesti. Tony avrebbe dovuto sopportare questo e molto di peggio, per farsi perdonare.
"Ho avuto voli più piacevoli, lo confesso. E' ancora a New York?"
Senza sapere perché, Steve ebbe la netta sensazione che lei avesse intuito non sarebbe rimasto. Si voltò verso lo spoglio soggiorno e sospirò senza avere il tempo di aggiungere altro.
"Io e Tony saremmo molto felici d' invitarla a cena da noi, stasera. Cosa ne dice?"
Ci fu una serie di rumori soffocati. Uno sbuffo e poi una voce maschile, perfettamente udibile.
"Il rifiuto non è un' opzione valida, Capitano. Miss Potts ha dato il suo grazioso permesso per un' assunzione in massa di sani, saporiti carboidrati sotto forma di pizza a doppia farcitura!"
"E' la tua ultima cena, devo essere generosa. Poi dovremo parlare di quel tuo viaggetto nello spazio con addosso un bagaglio a mano nucleare."
Il silenzio gelido venne interrotto solo da un' altra risatina.
Il Dottor Banner sembrava aver accettato l' offerta di ospitalità del milionario e si stava certamente godendo una scena spassosa.
"Allora, che dice?" chiese poi Tony in un nobile, disperato tentativo di deviare il discorso.
"Sarà qui tra un' ora." Nessuna come Pepper Potts sapeva essere radiosa quando era arrabbiata. "Non potrebbe perdersi la scena del tuo ultimo desiderio per nulla al mondo."
 
*

"Non avere fretta."
La grossa, variopinta cuccia a fiori era un' unica nuvola di miagolii dolcissimi e minuscole vibrisse frementi.
Mamma Bree, una splendida Norvegese delle Foreste dalla stazza proporzionata allo splendido, lungo manto di pelo argenteo di cui era orgogliosa, stava distesa su un fianco. Aggrappati alle mammelle, cinque cuccioli stavano succhiando avidamente. Ogni tanto uno di loro crollava per colpa di una zampata troppo ardita del fratello e veniva consolato da una linguetta rosea che arrivava a lisciare e carezzare.
"Prendidi tutto il tempo che serve e scegli il tuo preferito."
David la faceva facile.
Fosse stato per lei, avrebbe preso l'intera famigliola e portata a SoHo. Sapendo quanto fosse impossibile e immaginandosi assai realisticamente una baraonda felina confinata nel suo piccolo appartamento, Andy prese un profondo respiro e si concentrò.
Un altro giorno di splendida primavera, su una città ancora devastata ma pronta a rialzarsi con sorprendente energia. I segni della distruzione patita da Midtown erano ancora ben visibili e non si trattava solo delle macerie e dei palazzi lesionati in piedi per miracolo; la luce mancava ancora in interi blocchi dei quartieri, il traffico aveva subìto un drastico ridisegnamento per delimitare un nuovo Ground Zero e permettere ai mezzi di soccorso e rimozione di lavorare.
Nonostante i morti e i tanti, piccoli santuari nati dall' accatastarsi di fiori e candele, l'aria frizzante non gelava i superstiti.
Perché non erano stati soli. E c'era stato chi aveva rischiato la vita e combattuto per salvarli.
Dopo aver ascoltato il suo messaggio in segreteria, Andy aveva richiamato il fidanzato dell' amica e preso accordi dopo aver saputo il motivo della telefonata.
Avvenuta prima dell' invasione aliena, conteneva una proposta normale, quasi banale in apparenza.
"Davvero posso prendere chi voglio?" chiese ancora, incapace di staccare gli occhi da quella splendida cucciolata.
Aveva sempre adorato i gatti. Fin da bambina, quando aveva assillato tanto i genitori per farsene regalare uno al suo ottavo compleanno. Aveva implorato, pregato, promesso di badare lei al felino in tutto e per tutto. Quando Smoky era approdato a casa Martin, in pochi avrebbero scommesso che avrebbe tenuto fede alla parola data.
Dovettero ricredersi tutti.
La pappa, la pulizia della lettiera, le visite dal veterinario. Le spazzolate quotidiane. Andy aveva supervisionato tutto con un piglio autoritario che malauguratamente svaniva quando c'era da uscire di casa e affrontare i compagni di scuola, la solitudine e il costante disagio patito sotto pelle da chi si sa diverso e non capito.
Dopo Smoky Primo c'era stato un suo omonimo e uno Smoky Terzo. Splendidi esempi di una dinastia sul punto di un inaspettato rinnovamento.
E tale rinnovamento poteva nascere solo da una persona che la conosceva bene. Aveva desiderato prendere un gatto una volta stabilitasi nella nuova casa ma con l' arrivo di Robert nella sua vita, molte cose si erano modificate.
Adesso, forse, si sentiva pronta ad andare oltre decisioni che avrebbe dovuto prendere da sola e non in coppia.
"Certo che sì."
David era un' ombra sopra di lei, spolverata di sole rosso e con sorriso a spaccargli come un raggio di sole il volto di ragazzo. Tutto sembrava tranne che un promettente attore di musical in ascesa. Sicuramente l'equivoco si perpetuava a causa del suo modo imbarazzante di vestire ma sembrava sinceramente non curante del verde evidenziatore oltraggioso dei suoi bermuda.
Andy rise debolmente e tornò a osservare Mamma Bree e i suoi gattini.
Uno di questi pareva più piccolo degli altri. Il suo pelo, un constistente e compatto piumino di cipria, era un susseguirsi di sfumature fulve e argentee. Faceva fatica a trovare una strada sicura verso una sana poppata ma anche quando zampette inopportune lo scalzavano via, non si perdeva d'animo e ritentava l'assalto.
Una, due, tre volte.
Ti ricorda qualcuno, vero?
Per la prima volta in molti mesi, Andy sospirò e diede ragione alla propria coscienza. Si chinò per osservare meglio la scena e un capino arruffato con le orecchiette appuntite si girò verso di lei.
Due immensi occhi ancora azzurri ma con una punta incredibile di verde paglierino e brillante dilatarono le pupille, ricambiando lo sguardo umano che la stava studiando.
Passarono alcuni secondi.
Il gattino si disinteressò del latte e cercò di scalare le confortevoli pareti della cuccia.
Quando cominciò a farle le fusa, Andy comprese e lo prese in braccio.
"E' un maschio o una femmina?" domandò senza smettere di coccolare quel cosino adorabile e morbido.
"Aspetta, devo chiedere a Colin."
La ragazza annuì distrattamente, lasciando andare l' amico in cerca del padrone che l' aveva contattato per chiedergli se conosceva qualcuno a cui poteva interessare prendere un gatto.
Conosceva già la risposta.
"Ciao Morrigan" cantilenò rapita, perfettamente cosciente di avere ragione e in modo assolutamente irrazionale.
"Benvenuta. Ti ho aspettato tanto."




Morrigan Martin, Mor per gli amici e la sua padroncina già irrimediabilmente innamorata, giunse a Lafayette Street dentro un trasportino comprato dopo la visita all' ambulatorio veterinario della zona e la sua registrazione nell' archivio anagrafico degli animali domestici del distretto.
L' istinto che aveva spinto Andy a prendere con sé una gattina troppo piccola per essere considerata negli standard della sua poderosa razza si rivelò giusto poche ore dopo.
L'incubo aveva la consistenza di un sacco di plastica nero.
Più scalciava e tirava pugni contro quelle pareti viscide e sempre più aderenti, più l'aria mancava.
La sensazione dello stritolamento prese a schiacciarle il cuore, provocando un' onda rovente di panico e lacrime.
Anche se conosceva la conclusione, questa volta accolse l'urlo strozzato con cui balzava seduta con un sollievo sfinito e riconoscente.
Il soppalco era immerso nel buio. Andy mosse lentamente gli occhi, cercando di prendere coscienza di dove si trovasse e imporre al proprio cervello il riuscito ritorno alla realtà.
Tremava tanto da sentire i denti tichettare tra le labbra serrate.
Aveva sognato di trovarsi di nuovo in mezzo alla morte e alla guerra. Un attimo prima stava correndo e un attimo dopo qualcuno l'aveva fermata facendole cadere addosso qualcosa.
Una sagoma allungata e deforme in volo, una voce gutturale che urlava e grugniva insieme.
Il volo verso l' abisso era durato minuti. Interi, interminabili minuti di caduta a rallentatore nel vuoto. Stava sanguinando anche se non c'erano ferite visibili e una volta atterrata, si era accorta della scheggia conficcata nel cuore.
Le era stata piantata dentro dalle spalle.
"Andunie" aveva detto una voce terribilmente famigliare. E dopo si era svegliata, col significato del sogno ben vivido nella sua mente.
Pugnalata. Ferita. Lasciata sola anche in un giorno terribile in cui la morte era piovuta dal cielo.
Qualsiasi studente di psicologia avrebbe potuto spiegarle cosa aveva voluto dirle il suo inconscio.
Vincendo a fatica l' impulso di stendere la mano verso la parte vuota del letto, Andy raccolse le ginocchia contro il petto e cominciò a piangere; sarebbe stata un' altra notte rovinata e spezzata.
Qualcosa si aggrapò al piumone, facendola sussultare.
Piccoli, ostinati artigli stavano affondando nel cotone imbottito e la testolina argentea di Morrigan fece capolino tra le pieghe disordinate delle coperte.
Dopo il veterinario, la ragazza si era divertita a fare spese per la sua nuova inquilina. Mor non era stata entusiasta di bere del latte da una ciotola ma alla fine, dopo cena, si era risolta a provarci. Come ricompensa, la ragazza aveva portato la sua nuova cuccia vicino al letto, in modo da tenerla d'occhio.
"Questo solo fino a quando non sarai grande, signorina" l'aveva redarguita ricevendo in cambio una serie molto ruffiana di adoranti fusa.
A causa dello shock si era dimenticata della sua presenza; la guardò stranita, senza osare fermare la sua incespicante, caparbia avanzata verso i piedi. Con la minuscola coda ben dritta per bilanciarla, la gattina cominciò ad arrampicarsi sulle gambe della ragazza, che la prese in braccio quando rischiò di ruzzolare giù.
"Ehy piccola." La voce era stridula e spezzata. "Cosa c'è? Ti ho svegliata?"
L'azzurro slavato tipico degli occhi di un cucciolo aveva una sfumatura strana. Andy svrebbe potuto giurare di avere di fronte uno sguardo sorprendentemente comprensivo.
Il concerto di fusa cominciò il secondo dopo. Mor puntellò le zampette moribide sul viso della padrona, senza farle male. Una linguetta rosea leccò via le lacrime.
Andy aveva letto e sentito di tante storie dove un animale mostrava una particolare sensibilità alle variazioni dell' umore umano. Per loro era una questione di odori ma mentre coccolava e piangeva in silenzio, con la sua minuscola Norvegese impegnata a consolarla, seppe che la chimica e la scienza avevano esaurito ogni forma di spiegazione razionale.
Un po' d' amore.
Era solo questo ma era arrivato nel momento giusto.
Si svegliò il giorno dopo, a mattina inoltrata, con Mor accoccolata al suo fianco all'altezza del petto.
Le prime otto ore di sonno filato e senza disturbi da quasi un anno.








Angolo (tetro e buio) dell' autrice: ormai manca un solo capitolo e anche questo breve ma intenso prequel si concluderà! Tempo per ringraziamenti circonstaziati ci sarà tra due settimane, intanto gli affezionati lettori possono godersi il racconto di come Morrigan è arrivata a casa Morrigan e della cena alla Stark Tower post-battaglia. Ho sempre avuto questa idea che i Vendicatori non si fossero dispersi subito dopo aver visto partire Thor e Loki. Steve viveva in un alloggio dello SHIELD a New York e conoscendo Pepper è facile immaginarsi che voglia conoscere i compagni con cui Tony ha combattuto.
Auguri di Buona Pasqua e non lesinate col cioccolato!
Maddy










 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4




 
" If I ever leave this world alive,
I' ll take on the sadness I left behind.
If I ever leave this world alive
the madness that you feel will soon subside.



So in a word don't shed a tear,
I'll be here when all gets weird.
If I ever leave this world alive..."




 
New York, 2014






Pepper Potts si guardò attorno per l'ennesima volta.
Le sembrò tutto finalmente pronto e in ordine. Lenzuola di bucato, una serie di libri correttemente divisi per genere impilati nella libreria del soggiorno, un tavolo da lavoro posizionato sotto le vetrate con vista su Madison Avenue.
Alla fine aveva ceduto alle pressioni di Tony, convenendo con lui fosse necessaria una ricca collezione di dvd. Serie televisive, sceneggiati in bianco e nero, la summa ragionata dell' epopea Western.
Tutte cose su cui il loro ospite nutriva una più che comprensibile curiosità.
"Jarvis, la Sicurezza è stata allertata?"
La voce calma e tranquillizzante dell' intelligenza artificiale rispose subito.
"Certamente, signorina Potts. Subito dopo i lavori di ristrutturazione della Torre l' archivio è stato rinnovato con le nuove schede degli ospiti a cui sarà permesso l' accesso. Quella del Capitano è stata la prima a venir aggiornata in occasione del suo imminente arrivo."
Sapeva di doversi sentire rincuorata dalle precise disposizioni udite, eppure era ben lontana dall' esserlo.
Voleva fosse tutto perfetto e accogliente per Steve; più elencava mentalmente la lista delle cose fatte, più il terrore di aver dimenticato un elemento fondamentale l' assillava.
"Il signor Stark?"
"Attualmente si trova nella sala cinema. Per questioni d' importanza nazionale, ha asserito."
Ragionamento perfettamente logico, per la mente del suo compagno. Stavano per dare asilo e conforto - parole usate da lui stesso fino all' abuso nei giorni scorsi - a un Eroe del mondo intero, scampato per un soffio alla totale distruzione dello SHIELD. In senso metaforico ma anche letterale, dal momento che il suo quartier generale, il Triskelion, ora giaceva sul fondale del Potomak.
Il problema sorgeva se ci si azzardava a dare una definizione consona al vocabolario Stark-Inglese/ Inglese-Stark delle parole asilo e conforto.
Non dubitava che Tony fosse rimasto scosso dagli avvenimenti delle ultime due settimane.
I due anni passati dalla Battaglia di New York avevano lasciato una crepa nel suo animo e Pepper ancora si biasimava per averla solo intravista senza comprenderne subito la portata dei danni. Erano stati entrambi a un passo dal perdersi, nel più traumatico dei modi. E si erano salvati nell' unico modo possibile. Lo stesso di sempre.
Curandosi a vicenda.
Sospirando e tornando fermamente alla realtà, puntò le mani sui fianchi e si decise a lasciare l' appartamento che sarebbe semrpre stato assegnato a Steve.
Forse lo SHIELD non sarebbe mai risorto ma questo non avrebbe cambiato il mondo dall' avere bisogno dei Vendicatori, ora più indispensabili che mai.
L' attenzione maggiore era puntata su Captain America al momento: era stato lui a sventare i reali piani dietro il progetto Insight, smascherando Alexander Pierce e ponendo sotto i riflettori l' impressionante rete di connivenze a ogni livello capace di dirigere e deviare il corso della Storia degli ultimi settant' anni.
Il Soldato leggendario era stato definitivamente intrappolato nella sua stessa leggenda.
Nessuno sembrava occuparsi dell' uomo nascosto nella sua ombra e del prezzo pagato per proteggere tutti loro.
"Abbiamo di che preparare un brunch di benvenuto?"
Le sembrava fuori luogo concentrarsi su simili sciocchezze. Dei pancakes, per quanto ben irrorati di sciroppo d' acero e dei french toast croccanti e burrosi non avrebbero portato alcun giovamento a Steve. E non lo avrebbero aiutato ad affrontare la terribile realtà scoperta dietro l' arma segreta dell' HYDRA.
"Le consegne mattutine sono avvenute. Contatto lo chef?"
"Temo sia il caso. Altrimenti servirei solo uova strapazzate."
Splendide uova strapazzate spolverate di noce moscata. Le erano occorsi mesi per capire come farle ma la strada verso una sicurezza culinaria per Pepper era difficile quanto una verso la modestia per il suo fidanzato.
Il nuovo attico della Stark Tower l' accolse con la sfolgorante luce dell' autunno maturo. Le superfici vetrate erano state consideravolmente ampliate, anche se il pavimento in cemento armato scuro e lucido era rimasto, così come il confortevole ribasso dove era stata ricavata la nuova zona living.
Appena la donna entrò, i sensori di movimento disseminati su ogni piano scattarono silenziosi, dando un comando allo stereo Dolby installato recentemente.
Sì, della musica sarebbe stata appropriata.
Ma dove diavolo si era cacciato Tony?
Tre uova erano già finite in una ciotola quando Jarvis si annunciò con un sonoro ronzio.
"Signorina Potts, l' auto del Capitano è appena arrivata nel parcheggio sotterraneo. Sarà qui a minuti."
Il loro chef si sarebbe dovuto rassegnare: l'intero pasto toccava a lui.




La prima donna ad accorgersene fu una delle giovani receptionist di stanza all' imponente banco principale della Hall.
Prima deglutì, si sentì avvampare e nello stesso momento passò le mani sui capelli per controllare che la crocchia impeccabile in cui li aveva raccolti fosse ancora in ordine.
"Jane!"
Diede una gomitata nemmeno troppo delicata alla sua collega, venendo ricambiata con un' occhiataccia.
"Togliti il cipiglio di Arpia e guarda chi sta arrivando col signor Hogan!"
Mai comando fu eseguito tanto prontamente.
Scortato dal Direttore della Sicurezza in persona, un uomo con l' imponenza di un grosso armadio uqttro stagioni, le spalle che avrebbero sempre denunciato il suo passato di pugile, c'era quello che poteva essere tranquillamente definito un esemplare unico.
Nonostante il cappellino degli Yankees schiacciato sui capelli biondi, il giubbotto di pelle e il cappuccio di una felpa che faceva capolino dal colletto, era un' inevitabile calamita per ogni sguardo.
Steve Rogers era arrivato a New York con un solo bagaglio e un' auto presa a noleggio a Washington D.C.
Nonostante passeggiasse accanto a un bonario colosso, fieramente impettito e molto compreso nel ruolo di accompagnatore d' eccezione, le sue spalle larghe, la camminata fiera, erano fari costantemente accesi su di lui.
"Prego, da questa parte Capitano."
Il solerte invito di Harold Hogan lo distolse dalla contemplazione in cui era caduto suo malgrado.
Era sempre stato un fiero oppositore degli azzardi dell' architettura moderna. Non gl' importava se gli veniva rinfacciato fosse rimasto fermo al gusto dell' Art Noveau impiegata per edificare l' Empire State Building; questo non lo aveva mai fermato dall' asserire che la Stark Tower fosse un esempio di quanto non sopportava.
Per questo, adesso, risultava tremendamente difficile doversi rimangiare in parte il fiero astio di un ragazzo cresciuto negli Anni Quaranta del secolo scorso.
L' atrio che si apriva dopo l'ingresso principale presentava linee pulite ed eleganti. Il pavimento di caldo marmo italiano, di una particolare sfumatura alabastrina, si rifletteva nelle venature del porfido e contribuiva a dare una sfumatura calda alla luce che pioveva abbondante dalle vetrate.
Ricordò la hall del Triskelion, immensa e asettica: alzando gli occhi dal punto in cui si ergeva l' aquila stilizzata simbolo dell' agenzia, si scorgeva scorgere la mole impressionante del quartier generale. Si poteva venir schiacciati da quella fuga prospettica verso l' alto mentre a New York respirava, stranamente, un' aria cordiale e accogliente.
In alcuni rapporti riservati aveva letto chi stesse davvero dietro l' idea del grattacielo, primo esempio di una tecnologia alimentata da una fonte d'energia auto-sostenibile. La raffinatezza e l'animo di Virginia Potts si scorgeva in ogni accorgimento: i colori, i materiali impiegati. Persino la mostra di opere d'arte disposte a formare una sorta di "museo obbligatorio", dove anche i più affacendati manager dovevano passare davanti a una scultura o a un quadro e rimanere colpiti dalla visionarietà di un primo lavoro di Pollok e la delicatezza materica di una creta appena lavorata da Rodin, denotava un tocco femminile arguto e consapevole.
Un inaspettato brivido lo scosse.
Ai tempi della loro prima missione come Vendicatori, partita in modi non esattamente esaltanti, aveva criticato con una battuta aspra l'aspetto esteriore del grattacielo. Stark lo aveva fulminato seduta stante ma senza ribattere. Un silenzio ben più esplicativo di mille ritorsioni.
Forse non era stato l' amor proprio offeso a fargli produrre quell' occhiata e il pensiero di aver in qualche modo attaccato una donna ammirevole, intelligente e coraggiosa come Pepper produsse un contrito torcimento di stomaco.
L'ascensore saliva velocemente lungo un tubo di vetro e acciaio che percorreva la torre lungo una delle sezioni esterne. Ben presto il brillio del fiume Hudson arrivò a coronare i profili degli altri palazzi di Midtown, facendogli accorgere che gli ultimi segni dell' invasione tentata da Loki erano spariti.
New York era rinata e lui si era ben guardato dal fermarsi lì mentre questo accadeva.
Qualcosa lo aveva spaventato e lo aveva indotto a scappare prima di trovare un nome e un motivo. Sarebbe stato umiliante per Captain America ammettere una debolezza e forse solo il ragazzo di Brooklyn avrebbe potuto riconoscerla. Se solo gli fosse stato concesso di uscire allo scoperto invece di asserragliarsi dietro uno scudo.
Uno scudo andato perso, insieme a molto altro, quando anche l' ultima illusione era stata crivellata da una serie di razzi sul ponte inclinato di un Helicarrier sul punto di perdere la rotta di volo e inabissarsi nel fiume.
"Capitano, sono lieto di rivederla."
Jarvis e il suo saluto non lo colsero impreparato, stavolta.
"Ti ringrazio Jarvis. Tutto sembra tornato perfetto, qui."
"Spero si troverà bene allora."
"In verità non pensavo di fermarmi, non vorrei mai-"
Le porte laminate si aprirono.
Pepper li stava aspettando e occorsero meno di due passi perché raggiungesse il riottoso ospite.
Steve venne bloccato da un lungo, profondo abbraccio e dal profumo speziato e fresco che emanava dai capelli rosso fragola della donna. Nel suo gesto erano contenuti tutti i più bei saluti del mondo, tutte le domande più sentite e sincere sulla sua salute e ogni frase di comprensione.
Perché Pepper aveva capito e aveva agito. Nell' unico modo giusto, nell' unico in cui Steve poteva sentirsi toccato davvero, sfiorato nel suo nucleo più fragile finito ancora più sepolto dentro di lui da quando si era risvegliato in un letto dell' ospedale militare di Washington D.C.
Era stato debitamente informato di cosa fosse successo negli ultimi due anni tra New York e Malibu. Contrariamente a molti altri collaboratori dello SHIELD, non aveva stentato a credere al gesto definitivo di Tony Stark.
Rinunciare alle sue armature era solo l' esito finale di un esame che partiva molto più lontano. Un esame che avrebbe dovuto compiere a sua volta e forse lo stava già affrontando.
Non lo aveva ucciso.
Anche se quella era la sua missione.
Far del male a Bucky era stato impossibile e non era il tipo di persona da rimangiarsi una promessa. Anche se di fronte aveva avuto lo spietato Inverno trapiantato nel cuore del suo migliore amico.
"Ciao Pepper."
"Qualsiasi cosa tu stessi pensando, la risposta è no.Rimarrai qui da noi."
Come diavolo aveva fatto a intuire cosa stava dicendo prima in ascensore?
"Stai di nuovo corrugando la fronte, Steve. E' chiaro rimugini qualcosa."
"Vi disturberei. Purtroppo il mio non è un viaggio di piacere."
"Sai vecchia roccia, dovresti proprio cominciare a studiare il significato della parola piacere.Ho la sensazione nettissima che tu sia deplorevolmente ignorante nel campo."
Invece di accogliere l'arrivo di Tony con un splateale sollevamento di occhi al cielo, il Capitano si trovò ad arrangiare un ghigno divertito.
Forse gli era mancato davvero il sarcasmo del milionario. Sottolineò mentalmente l' ipoteticità del pensiero, giusto per non cadere troppo nel sentimentalismo.
"Happy, ti ringrazio per averlo protetto dagli sguardi lascivi delle nostre ragazze, anche se dubito siano stati ricompensati in qualche modo. Ci vediamo domani per il solito allenamento?"
"Ci conti, signore."
Rimasti soli, lo scontro di volontà poteva iniziare il secondo round. Pepper mollò il primo gancio.
"Devi aiutarmi a convicerlo a restare".
"E cosa potrei mai dire, a parte che solo qui avrebbe la privacy assicurata da giornalisti, complottisti e persino da terroristi ritardatari?"
"Stark, quando ti ho chiamato ho spiegato cosa mi serve."
"La mia brillante compagnia, è chiaro. Ma ho idea non basterà."
L'unico motivo che trattenne Steve dal fulminarlo con lo sguardo, fu qualcosa che lesse in un angolo del sorriso da pacifico Mefistofele del suo anfitrione.
Un' ombra.
Un' inaspettata, umanissima crepa aperta nel suo ego strabordante e che lasciava ochieggiare comprensione. Affetto.
"Come sei messo ad aggiornamento sul nuovo secolo? C'è una serie sulla Polizia Scientifica di New York che penso potrebbe piacerti; giocheresti in casa e rinfrescheresti la geografia locale."
Pepper sorrise e scrollò il capo. Ecco il motivo della sparizione di Tony.
Vere questioni d' importanza nazionale: aggiornare lo sterminato archivio multimediale di Jarvis per una serie di maratone propedeutiche utili a un Super Soldato che si era perso settant' anni di evoluzione dello spettacolo televisivo.
Una risata scosse le spalle di Steve, stupendo entrambi. Da una tasca dei jeans prese una piccola, logora Moleskine dalla copertina nera.
"Fammi controllare." Qualche istante di voluta suspance. "CSI mi piace solo nella sua versione originale, non hai qualcosa di più divertente? Sam mi ha parlato della...Famiglia Addams?"
Quel nome non gli diceva nulla ma fu subito evidente dicesse tutto all' altro uomo.
"Sam sarebbe?"
"Sam Wilson, il veterano di cui ti ho parlato."
"Bene. Jarvis, prendi nota. Quando Wilson ci raggiungerà, trattamento a sette stelle. Includilo nelle nostre esclusive maratone visive del venerdì sera."
"Immagino si tratti di una nuova istituzione, signore" replicò puntuale la voce del maggiordomo.
"Infatti. E voglio inaugurarla stasera."
Tony si strofinò le mani e poi alzò la destra per dare una pacca sulle spalle a Steve.
"In effetti hai la compostezza e la flemma di Lurch. Per tua fortuna sei decisamente più carino."
Ci sarebbe stato tempo per parlare.
Anche di affari seri.
Adesso si doveva solo dimenticare le ferite, lasciarle spurgare.
E lo si poteva fare imparando chi fosse l'alto e il più non proprio vivo attendente mai comparso nella storia della televisione.




Morrigan si guardò intorno.
I felini occhi verdi si abituarono subito alla tenue luce del giorno che filtrava dalle pesanti tende scure, chiuse come ogni sera sulle grandi finestre affacciate su Lafayette Street.. I muri dell' appartamento, rinnovati in sede di restauro con nuove intercapedini anti-rumore, tenevano alla larga gli strepiti del traffico in crescita.
La gatta abbandonò la sua posizione acciambellata con uno scatto aggrazziato e fluido.
Primo passo: allungamento e stiracchiamento della zampa anteriore destra. Secondo: medesima, complessa operazione per la zampa sinistra. Terzo: occuparsi allo stesso modo di quelle anteriori.
Ora che la folta, lunga coda era ben dispiegata, si poteva procedere alla scalata.La montagna di coperte non l'aveva mai scoraggiata.
Qualcosa si mosse sotto di essa ma non bastò a fermarla. Si arrampicò su un fianco particolarmente invitante e scese appena verso una treccia di lunghi capelli scuri che faceva capolino.
Un altro movimento, seguito da un brontolio. Soddisfatta, cominciò il primo concerto di fusa del giorno.
"Preghiera alla colazione in Do maggiore". Così l'aveva chiamata la sua umana.
"Mooor..." le rispose una voce impastata "Dannazione, lo sai che cominci a pesare!"
A dispetto del tono stizzito, una mano sbucò leggera e alla cieca trovò il punto perfetto tra le orecchie della gattina per regalarle una serie di grattini.
Quasi due anni dopo l'arrivo di Morrigan in casa, le abitudini delle due coinquiline si erano cristallizzate in una routine ben precisa.
Andy aveva dichiarato che il dormire nello stesso letto non sarebbe diventata un' abitudine ma ormai era impensabile cercare di modificarla. In più, lei stessa era stata assai blanda nei tentativi di correzione.
La verità era più semplice di quanto si potesse immaginare: la sua piccola Norvegese delle Foreste aveva vinto dove consigli terapeutici, esortazioni e pareri avevano fallito. Era riuscita a calmarla e poco alla volta, persino il sonno era tornato.
Piccola, Morrigan lo sarebbe stata per sempre. Almeno se si faveva riferimento alle caratteristiche della sua razza. A differenza dei suoi fratelli e sorelle, quella micetta ostinata sembrava non voler diventare grande e poderosa quanto loro: rimaneva di taglia media, compensata comunque dalla massa del suo splendido pelo rosso-argento e dal verde pagliarino brillante degli occhi.
Occuparsi di un cucciolo non aveva distratto Andy. L'aveva aiutata a concentrarsi di nuovo su qualcuno di esterno, proprio come aveva scoperto di saper fare nel giorno terribile dell' Invasione di Manhattan.
Forse lo scopo di David - e sospettava anche di Kate - era stato proprio questo. Trovare il modo giusto per rompere un guscio di dolore sempre più duro e giunto al punto di soffocarla, trasformandola per sempre in una persona arida e vuota, capace di provare solo rabbia.
Svegliarsi con delle fusa e un nasino roseo a sfiorarle la guancia con colpetti insistenti era diventato il modo migliore di cominciare la giornata.
"Adesso mi alzo" le promise, dopo un' ultima carezza. Sbadigliando e borbottando, Andy si mise a sedere.
Il libro delle avventure di Sherlock Holmes giaceva in un angolo del letto. Per fortuna prima di addormentarsi di schianto dopo ore di lettura, aveva avuto il guizzo di riflessi necessario a mettere il segno della pagina e chiuderlo, altrimenti non avrebbe mai saputo cosa avesse portato un cowboy a cercare vendetta dopo anni a Londra *.
Recuperata una felpa regalatale al suo scorso compleanno, la chiuse sopra la maglia del pigiama e in perfetto silenzio, si diresse a tentoni verso la scala del soppalco. Mor ormai non si stupiva più di come si vestiva a casa; quel cappuccio nero con grosse orecchie flosce, cornini e scaglie di drago era quasi normale e ci si dormiva dentro che era una meraviglia. Peccato non lo potesse più fare; quando la sua umana l'aveva scoperta, erano volati gli unici scapaccioni davvero sentiti della loro convivenza.
Presto il suo olfatto finissimo percepì un aroma di pane tostato, caramello e nocciole.
La caffettiera era già sul fuoco. Voleva dire solo una cosa.
"Eccoci, streghetta." Il rumore dei croccantini nel sacchetto era inconfondibile. Le fusa partirono in automatico.
"A te del salmone, a me dei pancakes. Direi che è uno scambio equo."




"A te dei pancakes, a me i bagel. Direi che è uno scambio equo."
Il fatto che una colazione alla Stark Tower prevedesse un dispiegamento di piatti degno del buffet di un albergo a sette stelle, non dispiaceva a Steve.
Persino prima della trasformazione, era stato il tipo del ragazzino affamato. Probabilmente perché conosceva il significato della fame e del doversi adattare al concetto di "poco". Dopo le cose erano cambiate e con un metabolismo in grado di bruciare quattro volte più velocemente di quello di un essere umano di statura e proporzioni medie, accoglieva sempre con piacere una buona carica di energia.
Il tocco di Pepper, non presente quella mattina per colpa di una riunione che aveva richiesto la sua presenza a una video-conferenza da Los Angeles, si avvertiva persino lì: la frutta era rigorosamente di stagione, il salmone proveniva dal mercato del pesce del West Side.
"Ci sono persino i muffin al triplo cioccolato!" Tony fece una smorfia e si versò il caffé. "Questi li ha fatti prepapare perché ci sei tu, l'uomo che brucia carboidrati solo guardandoli."
Steve posò il tablet tramite cui stava seguendo la prima rassegna stampa del giorno e sorrise, accettando la seconda tazza che gli venne offerta. Un leggero trillo segnò la fine del silenzio.
"E' un messaggio di Sam", disse dopo aver preso il telefono. Tony lo capì dal modo in cui Steve rimaneva a labbra dischiuse ci fosse un mondo intero non spiegato dietro una frase volutamente neutra. Attese senza fretta, prendendo dal vassoio uno dei muffin prima che sparissero tutti, lasciandolo in preda del profondo smacco di non esserne potuto sbafare uno in santa pace in barba alle raccomandazioni di Pepper.
Il Capitano sapeva di essere osservato e fu inaspettatamente grato al miliardario di venir lasciato solo ad affrontare il dilemma di rivelare cosa stava davvero bollendo in pentola sotto il suo viaggio a Manhattan.
Il dossier sul progetto "Soldato d' Inverno" giaceva ancora sul fondo del suo borsone, un buco nero in grado di trascinare oltre il concetto di orrore, se fosse stato aperto e attraversato.
Oltre la sbiadita, raccapricciante foto in bianco e nero che mostrava l' oblò di una bara per la criostasi controllata velata di ghiaccio dietro cui si scorgevano, sfocati e lontani, i lineamenti inconfondibili di Bucky, si trovava un mondo nero e rosso.
Un mondo che non avrebbe mai conosciuto, se solo gli fosse stato dato un secondo più per afferrare una mano tesa verso di lui nella tormenta.
Un fiotto di bile mista a risoluzione gli bruciò la bocca dello stomaco, rendendo severo e quasi feroce il cipiglio con cui stava fissando lo schermo dello smartphone.
"La linea è sicura?" domandò al padrone di casa senza guardarlo.
"Per chi mi hai preso?"
Era la risposta più consona.
Impostò la funzione viva voce e attese che il Maggiore Wilson rispondesse.
"Buongiorno Capitano. Ho ragione di credere tu sia arrivato sano e salvo."
"Sano, salvo e in compagnia."
Tony sporse in fuori un tremante labbro inferiore. "Perché non hai detto "bella compagnia", Rogie?"
"Non sei il mio tipo. Dovrei dare appuntamento a te e uscire anche con il tuo ego, non sono pronto a un simile sforzo."
A centinaia di kilometri di distanza, in un appartamento in affitto della periferia di Washington D.C., Sam rise in silenzio per due motivi. Era sempre un piacere avere l' opportunità di apprezzare lo spirito da ragazzaccio di Brooklyn di una Leggenda e immaginarne gli effetti su un genio che non pareva molto avezzo a certe uscite.
"Lieto di sentirla, signor Stark."
"Sam, puoi riferirci cosa hai scoperto?"
Da allegra, l' atmosfera mutò di colpo in qualcosa di molto più cupo e teso.
"Sul primo versante purtroppo non ho novità", ammise dispiaciuto. Specificare a chi alludesse era superfluo.
"Non ne sono stupito. Non vuole farsi trovare e nessuno lo può battere in questo."
"Pensi vorrà vendicarsi?"
La domanda era insidiosa. Per poterla soddisfare, andava preso in considerazione un tenue bagliore, intessuto della stessa sostanza di quello rimasto sul fondo di un Vaso di Pandora.Nel loro caso tale vado era formato da un intreccio mortale di tentacoli grondanti sangue.
Speranza.
La fragile, folle, incorruttibile speranza di un uomo che aveva visto un' ombra china su di lui e lo sguardo interrogativo, smarrito, di occhi grigi tornati vivi.
Steve lo sapeva.
A salvarlo dall' annegamento nel Potomak in cui era precipitato dopo il cedimento del ponte inferiore dell' ultimo helicarrier, era stato lui.
Perché sarò con te fino alla fine.
Steve non parlò, limitandosi a osservare Tony e trovandolo sorprendentemente composto, serio.
"In ogni caso, dovremo essere più veloci di lui" argomentò il miliardario tornando alla sua solita espressione da farabutto con dieci lauree e svariati master acquisiti per una sfida costante alla stagnazione mentale.
"Un' organizzazione rasa al suolo non potrà dirci niente di utile."
"E questo mi porta al secondo versante." Sam intervenne prima che il Capitano incenerisse con lo sguardo l' amico, reo di aver dato del pazzo squilibrato al Soldato d' Inverno.
"Ho scoperto dove si trova il Colonnello. L'ho chiamato e messo in contatto con Laogharie, in Inghilterra."
"Laogharie?"
"Un membro della V.A. britannica. Non vorrai essere l'unico reduce a volersi dare una mossa per finire a calci la piovra, vero?"




Niente sarebbe riuscito a battere il senso dell' ironia che possedeva la vita e il suo scorrere.
Tale pensiero filosofico non era frutto di erudite letture o di un' ora trascorsa con i compagni di College di Kate ad Harvard ma di un avvenimento ben più prosaico.
Andy finì di preparare il colore per la campitura di base e prese un grosso pennello piatto.
Lo stereo diffondeva a un volume accettabile un brano per violino di Bach, uno dei suoi musicisti prediletti quando dipingeva e non poteva distrarsi ascoltando testi cantati.
La telefonata della sua agente, una donna rampante decisamente innamorata del proprio lavoro col pallino di "conquistare il mondo" tramite l' infornata di giovani talenti che si erano affidati a lei, era arrivata esattamente una settimana prima.
"Carissima, hai mai sognato di fare un viaggio a Hogwarts?"
Un paio di dettagli non trascurabili erano che Mildred Hollow era un' agente letteraria di ormai sessant' anni con lo spirito di una ventenne Nerd e la propensione a parlare per assurdi codici che solo una persona altrettanto Nerd poteva cogliere.
Andy era l'esempio perfetto di tale persona.
Le erano bastati pochi secondi per capire che la casa editrice americana di Harry Potter le aveva offerto un contratto e per di più molto prestigioso.
Il progetto consisteva in una rilettura in chiave moderna di personaggi tratti dal mondo delle fiabe o dai vari folklori e aveva avuto cura di accaparrarsi quello celtico prima che altri illustratori avanzassero la stessa proposta. Se si doveva raffigurare la Regina Maab o Re Oberon in gita sul parco della High Way, doveva essere lei a dar loro vita. Erano quelli i nomi evocati nella terribile giornata di due anni prima, quando l' isola di Manhattan era stata attaccata da un Dio e dai suoi guerrieri alieni. Il paragone tra Loki, i Kitauri e la Corte degli Scontenti non solo era stato efficacissimo ma anche un modo ragionevole per mantenere un' insospettabile lucidità.
La sua fata cattiva aveva un volto bellissimo e affilato, labbra perennemente distorte in un ghigno di annoiata perfidia - era impegnata a essere perfida da centinaia di anni, la qual cosa poteva persino strapparle uno sbadiglio di tanto in tanto! - e spiritati occhi verdi, brillanti e con la luce insidiosa tipica di un essere immortale. Stava lavorando alla resa finale del suo volto e avrebbe preso con sé quella tavola, per continuarla a Central Park.
Le sue camminate fino a Midtown erano riprese subito dopo la riapertura della zona ai civili, a seguito della bonifica e rimozione dei detriti dei palazzi crollati durante la Battaglia di New York.
Sospese per alcuni mesi a causa della perniciosa apatia che la tenevano relagata in casa a consumarsi per il lavoro e per le lacrime, le era sembrato doveroso riprenderle per sottolineare la rinascita sua e dell' intera città. Aveva potuto rendersi conto con i propri occhi della capacità di ripresa della popolazione, schierata fin dal giorno dopo con chi li aveva salvati.
Le prime manifestazioni erano sorte in maniera spontanea: cortei riunitisi in punti nevralgici della City, come la devastata Grand Central Terminal o i Caffé distrutti affacciati su Madison Avenue. Una folla di persone, silenziosa e compatta, raccolta in onore dei morti e con cartelli che recavano solo due parole.
Grazie Avengers.
Il volto conosciutissimo di Tony Stark era stato affiancato da altri. Uno in particolare aveva destato uno scalpore mediatico e politico senza paragoni. Forse perché non si avevano notizie di altri Soldati rimasti prigionieri del ghiaccio artico e sopravissuti dopo settant' anni d' ibernazione.
Il Capitano Steven Grant Rogers, reduce della Seconda Guerra Mondiale, comandante della truppa speciale nota col nome di Howling Commandos, era tornato e nel ruolo che più lo caratterizzava. Quello di Eroe.
Andy non aveva mai amato i toni elegiaci che sorgevano spontaneamente quando il patriottismo americano rifioriva dopo una tragedia; era abbastanza smaliziata e propensa al sarcasmo corrosivo da sapere come rimanerne immune ma era anche la prima a ricordarsi quanto fosse rimasta impressionata dallo studio degli eventi accaduti durante il più terribile conflitto che aveva coinvolto l' umanità.
Tutti i canali televisi avevano dato una grande rilevanza all' inaugurazione della nuova mostra permanente allo Smithsonian Institute di Washington D.C, dedicata proprio a Captain America e ai suoi commilitoni; si era ritrovata a sorridere nell' apprendere che il diretto interessato aveva gentilmente ma fermamente declinato l' invito a presenziare; da poco arruolato come collaboratore dello SHIELD, aveva dato la precedenza a una missione di salvataggio nei Balcani europei.
Un miagolio infastidito la fece voltare verso la zona soggiorno dell' appartamento. Morrigan fissava sdegnata il cellulare della padrona, abbandonato sul tavolino. Stava vibrando e lampeggiando.
"Pronto?"
"Ciao, stakanovista. Tutto bene?"
La domanda di Kate la fece scoppiare a ridere.
"Mi stai forse spiando? Come sapevi che ero al lavoro?"
"Lo capirebbe anche quel cretino del mio relatore della tesi. Tenerti lontana da fogli e matite sarebbe una tortura."
La ragazza riconobbe si aver fatto una domanda sciocca con un borbottio imbarazzato.
"Che combini?"
"A parte disegnare Regine malvage con propensioni alla magia sadica? Stavo per uscire."




"Jarvis, sto per uscire. Se vuoi avvisare Tony e Pepper, dì loro che sarò di ritorno tra un paio d' ore."
Steve recuperò dalla tasca di un giubbotto di pelle il proprio i-Pod e lo infilò nella fascia nera da stringere al braccio, sopra la corta manica della t-shirt.
Il programma di allenamento che aveva preso a seguire da quando era tornato, prevedeva la solita corsa ad andatura sostenuta - Sam la definiva "velocità smodata" - e in mancanza delle distese quiete e solenni del National Mall, aveva optato per un percorso lungo le tre Avenues principali di Midtown, arrivo a Central Park e tre giri finali del Park ride, prima di tornare a casa.
Da quando aveva scoperto la palestra pensata e progettata per i Vendicatori, completava la sessione con lunghe serie di esercizi cardio e per rilassarsi, qualche occasionale arrampicata sulla parete allestita allo scopo.
Prima di lasciare la camera da letto, lanciò un' occhiata penetrante allo zaino nero abbandonato sulla sedia della sua scrivania.
Si era aspettato di avere una privacy pressoche inesistente, essendo ospite di un uomo con poca famigliarità con tale concetto ma si era dovuto ricredere.
I suoi effetti personali non erano mai stati toccati, rendendo ancora più difficile il compito che doveva portare a termine.
Il dossier sul Soldato d' Inverno era un portale oscuro pieno di morti e sangue. Decine di rapporti stilati in cirillico recavano lapidi. Lapidi composte da foto di obiettivi terminati.
Era stato uno shock trovare, tra le fila di tombe di un cimitero di carte, quelle di Howard e Maria Stark.
Captain America aveva affrontato le prove peggiori nella sua vita. Onestamente, pensava non esistesse niente di peggio che affrontare il proprio migliore amico in uno scontro mortale. Doversi ricredere era una sconfitta e insieme la più ingrata delle missioni.
Con che cuore, con che coraggio, poteva spiegare a Tony una simile verità?
Al mondo qualcuno aveva scritto le parole giuste da dire a un uomo per fargli comprendere che in un caso simile, la colpa era ben oltre la mano che aveva premuto un grilletto? Fatto partire il comando di una bomba?
Un uomo giusto.
Questo gli era stato chiesto di rimanere. Il sospetto di non aver tenuto fede alla promessa chiestagli da Abraham Erskine era un cucchiaio del peggior veleno bevuto a forza.
Finì di prepararsi, controllando che la sua piccola agenda fosse in una delle tasche posteriori dei pantaloni. Si mise a sfogliarla prima ancora di rendersi conto del gesto, ormai divenuto una sorta di automatismo. Scorse i nomi, il dito seguì la linea di matita con cui aveva cancellato le voci adempiute.
Tratti di una vita normale, a cui aveva disperatamente tentato di adeguarsi.
Segni dei fili di sutura su una ferita grave ostinatamente ignorata e che lo aveva ridotto sempre a essere l' Eroe senza esitazioni.
Sam aveva ragione.
Sam aveva sempre avuto ragione e con una semplice domanda aveva rivelato qualcosa di ben più grave. Adesso non era più il tempo di rispondere un laconico e incerto "non lo so".
Il ragazzino scemo di Brooklyn rivoleva la propria vita o almeno, quanto ne rimaneva. E se un pezzo fondamentale di essa era sopravvissuto, doveva ritrovarlo a ogni costo.
Ripose la Moleskine nella tasca e aprì la porta.
Un secondo dopo, premette il comando della riproduzione casuale dell' i-Pod.




" If I ever leave thi world alive, I'll thank for all the things you did in my life "
Andy finì di allacciare i pesanti anfibi neri e aprì l'armadio a muro, prendendo un cappotto rosso fragola. Adorava il suo disegno un po' retrò; la sfiancatura si apriva in una mobida gonna che disegnava balze ondeggianti quando camminava, il cappuccio era corredato da una mantellina da stringere sotto la gola con un nastro.
Aveva sempre avuto una cura stravangante nel vestirsi e quel giorno frizzante di autunno non sarebbe stata un' eccezione. Le pesanti calze nere l' avrebbero protetta dal freddo.
" If I ever leave this world alive, I'll come back down and sit beside you feet tonight "
Lo stereo, a cui aveva collegato il proprio lettore mp3, diffondeva una canzone dei Flogging Molly; una delle sue preferite.
Sorrise allo specchio, mentre calzava un cappello comprato d' impeto con Kate pochi mesi prima, quando il freddo della brutta stagione era fantasioso come un racconto inventato. Di colore nero, in lana, presentava due orecchie da gatto sulla sommità.
Adesso non occorreva più nessuno che tornasse per dormire ai suoi piedi. Adesso aveva smesso di aspettarsi dei ringraziamenti che non sarebbero mai arrivati.
"Mi raccomando Mor, proteggi casa e non fare disastr-" S' interruppe, non appena vide la gatta comodamente spiaggiata, in tutta la gloria del suo pelo morbido e lungo, sul cuscino tartan che era la sua cuccia.
"Come non detto."
Recuperò cuffie, lettore e l' inseparabile borsa da lavoro.
La canzone proseguì, arrivando alla strofa finale.
" So when in doubt just call my name, just before you go insane.If I ever leave this world, hey I may never leave this world, but if I ever leave this world alive..."
Si fermò subito dopo aver chiuso il portone della palazzina, osservando Lafayette Street e i suoi caseggiati di mattoni rossi, i negozi di marche alternative, il pigro scorrere delle macchine.
Dubbi?
Basta coi dubbi.
I sopravissuti, e lei era decisamente uno di questi e in diverse categorie, avevano due strade tra cui scegliere. Aveva imboccato quella della risoluzione senza accorgersene il giorno dopo la distruzione di Manhattan. Sarebbero stati altri a dover fare il suo nome, se avessero avuto bisogno.
Scese quasi saltellando i pochi gradini e aggredì il marciapiede con la sua rapida camminata da vera newyorker con una vita molto impegnata, dirigendosi verso Washington Square Park, risalendo SoHo verso il suo confine settentrionale.
L'aria era fredda e pungente, stranamente limpida come il cielo pomeridiano. Avrebbe trovato Central Park con i suoi più bei colori autunnali perfettamente stagliati e definiti.
" She says, I'm ok, I'm all right, though you have gone in my life. You said that it would, now everything should be all right. "
Tutto sarebbe andato meglio.
Era bello sentirsene certi, era semplicemente esaltante essere arrivati alla vera risoluzione di un dolore profondo da soli.
"Sì, ora andrà tutto bene" mormorò canticchiando.
Ce l'aveva fatta.
 
*


"E questa?"
Andy la notò quando riuscì a staccare gli occhi dal bozzetto che stava schizzando, seduta su una panchina del Park ride.
Era una piccola agenda nera, caduta per terra forse a uno dei tanti corridori che affollavano la pista che circondava il parco. Le venne spontaneo andarla a raccogliere.
Piegò appena il capo verso la spalla sinistra. Copertina usurata e slabbrata, pagine arricciate. Un oggetto caro e vissuto.
Un oggetto da restituire.


 
She says, I'm ok, I'm alright
thoug you have gone in my life.
You said thait it would,
now everything should be alright.
Yes, should be alright


 
FINE




Agolo (tetro e buio) dell' autrice: e così siamo arrivati alla conclusione di questa breve storia. Prima di passare alla fase Delirio e Disagio dei miei ringraziamenti, alcune precisazioni deliziosamente tecniche e molto Nerd.
Credo sappiate tutti, più o meno, chi fosse la Famiglia Addams. Non so come mi sia venuto in mente di contrapporla a CSI; forse è tutta colpa del fatto che quella commedia gotica ed esilarante in bianco e nero ha profondamente segnato la mia infanzia. Da lì a far associare Lurch a Steve da parte di Tony il passo è stato breve. Brevissimo.
Menzione a parte merita il "museo obbligatorio" allestito da Pepper nella Hall della Stark Tower. Il concetto l'ho visto realizzato per la prima volta nella metropolitana di Napoli, un mirabile esempio che se solo vogliamo, anche nel nostro Paese siamo in grado di far vedere a tutti come possiamo rinnovare la Bellezza di cui siamo, purtroppo e spesso, indegni depositari.
E sì: mancano pochissimi giorni all' uscita di "Age of Ultron", ormai abbiamo visto come il grattacielo più aggressivo di New York sia cambiato ma per rispetto alla time line delineata in "The List" ho preferito non cambiargli ancora nome e non eccedere nelle nuove descrizioni.
Il link utile del giorno: se volete ascoltare la canzone del Flogging Molly che fa da colonna sonora al capitolo, eccovela!


https://www.youtube.com/watch?v=1AOp9c5DRzc


E ora, passiamo ai ringraziamenti.
Non sarei mai riuscita a portare a termine questa storia senza il supporto, i commenti, gli splendidi momenti di Disagio e Amicizia datemi da Cowgirl Sara. E' stata una beta reader preziosa e grandiosa e se non avete ancora letto qualcuna delle sue storie, vi obbligo moral- vi costring- v'invito ad andarle a leggere.
Come sempre, grazie al mio Muso dagli occhi da cucciolo, la forza spaventosa e una propensione patologica ai dolci: il Sergente James Buchanan Barnes. E al suo amico Capitano, che spupazzerei di coccole in ogni dove, luogo e lago.
Grazie ad Alessia e Caterina. Kate senza di voi non sarebbe esistita.
Grazie a tutti i miei lettori. A chi legge, a chi legge e commenta. A chi è passato semplicemente di qua.
Ci rivedremo presto; anche in altri fandom ma ho ancora tanto da raccontare su una Lass persa e ritrovata e una famiglia di Supereroi semplicemente meravigliosa.
See ya soon in New York, punks!
Maddy
























 

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