La Fenice di Ghiaccio

di SpiritIsForever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Fu come ricevere una pugnalata al cuore.
Un dolore immenso, tagliente quanto una lama di coltello, lo trafisse proprio al centro del petto, togliendogli il respiro: iniziò a tremare convulsamente, mentre il suo corpo veniva prosciugato di qualsiasi energia, fino ad esserne completamente svuotato.
Si accasciò al suolo, il pavimento ghiacciato contro il fuoco che ardeva dentro di lui. Si sentiva come in fiamme; in un attimo di lucidità lo colpì la consapevolezza che se non avesse fatto qualcosa, qualsiasi cosa, ed in fretta, sarebbe morto.
Un'altra ondata di dolore, più pungente della precedente, lo travolse prima che potesse cercare una soluzione, spazzando via ogni briciolo di razionalità; un grido disumano echeggiò nel palazzo, e con orrore, si rese conto che proveniva da lui.

Dov'era la Regina?...Aveva bisogno di lei, ora più che mai. Maestà, Maestà, venite presto, salvatelo, o il vostro servitore morirà! Maestà...

Chiuse gli occhi, preparandosi alla fine.
Poi, ad un tratto, tutto finì.
Il dolore sparì, esattamente come era arrivato. La spina avvelenata che l'opprimeva era scomparsa: era ancora vivo? Non lo sapeva: aveva ripreso a respirare, seppur affannosamente, ma...Cos'era quella sconosciuta sensazione di calore che lo pervadeva? Perché si sentiva così in pace? Perché non aveva più freddo?
Quando udì una voce d'angelo cantare, seppe di essere in Paradiso. Ascoltò: era uno strano canto, ma per qualche motivo, molto familiare:

 

La rosa nella valle sta sbocciando,
e gli angeli scendono dal cielo per accogliere il bambino.

 

Allora aveva ragione, era in Paradiso! Un angelo era venuto a portarlo dal Signore. La stanchezza lo abbandonò immediatamente, ed i suoi occhi si dischiusero lentamente, guidati dal desiderio di vedere quella creatura eterea. Li aprì: ciò che vide non era un angelo, bensì una bambina in carne ed ossa, china su di lui, i bellissimi occhi azzurri pieni di lacrime che le scendevano sul viso. Appena questa si accorse che la guardava, smise di singhiozzare, tenendo lo sguardo fisso su di lui.
Si osservarono a vicenda per un tempo che parve interminabile, in silenzio. Fu la bambina a parlare per prima, con voce incerta ma speranzosa.

<< Kai?...>>

Un rivolo di acqua salata cominciò a scorrere dagli occhi sulla guancia di Kai: stava piangendo, ma non si sentiva affatto triste. Anzi, era come se fosse rinato; il cuore che aveva ripreso a battere nel suo petto lo dimostrava. Ora ricordava ogni cosa: Arendelle, la nonna, le rose, la Regina delle Nevi, e soprattutto...

<< Gerda? >>





Allora, da dove cominciare?... Questa è la primissima fanfiction che ho il coraggio di pubblicare, e non so per quanto tempo ancora riuscirò a sentirmi fiduciosa quindi è meglio che mi sbrighi! L'idea per questa storia nasce dalla mia fissa di sapere come Elsa ha VERAMENTE ottenuto i suoi poteri, visto che la versione ufficiale della Disney non mi ha mai soddisfatto... Per cui ho tratto inspirazione dalla fiaba "La Regina Delle Nevi" di Andersen, su cui Frozen è basato, e ho cominciato a scrivere. Qui ho riscritto/interpretato la parte finale della storia originale, cercando di vederla con gli occhi del protagonista maschile, Kai. Nella mia testa, questa fanfiction si sviluppa in vari capitoli, anche se non ho ancora un'idea precisa, ma ho deciso che se non dovesse piacere mi fermerò e la cosa finirà lì; per me le recensioni sono assolutamente la parte più importante della pubblicazione, quindi se vorrete farmi sapere cosa ne pensate l'apprezzerei moltissimo! Accetto senza nessun problema (anzi) le critiche negative, so che ho molto da imparare, purché le opinioni siano espresse con educazione e rispetto.  Che dire, buona lettura!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Aveva provato a distrarsi con la lettura, scegliendo appositamente dalla vastissima biblioteca del palazzo reale i testi più voluminosi ed impegnativi, moderni ed antichi, spaziando da saggi filosofici a trattati economici, non disdegnando le scienze, la letteratura, l'arte e la politica, ottenendo sempre inevitabilmente lo stesso risultato: riusciva a rimanere concentrato costantemente per non più di qualche riga prima che la mente si abbandonasse a tutt'altri pensieri; quegli stessi libri adesso giacevano spalancati sulla scrivania, pieni di conoscenze e scoperte a cui il sovrano di Arendelle non riusciva ad interessarsi, per quanto provasse.
La sua attenzione si era spostata allora al fuoco che scoppiettava allegramente nel camino, alle fiamme vivaci ed arzille che danzavano nell'aria in un ritmo ipnotico, nella speranza di dimenticare lo scorrere del tempo e la realtà circostante. Ma non era servito a niente, se non ad accrescere ulteriormente l'agitazione che lo dominava. Se solo avesse avuto notizie!
Stava andando tutto bene?
C'erano complicazioni?
Gerda ed il bambino ce l'avrebbero fatta?
Accasciato sulla poltrona del suo studio, in un atteggiamento ben lontano da quello consono ad un sovrano, Kai si rassegnò a quella che si presentava come l'alternativa più insopportabile: aspettare.
Volse lo sguardo alla finestra, incontrando attraverso i vetri la fioca luce del crepuscolo; una vista inaspettata, che lo strinse in una morsa di panico. Da quanto si trovava lì? Quando l'avevano costretto a lasciare la stanza della regina il sole era ancora alto, ne era sicuro... Perché ci stavano mettendo così tanto? Suo figlio doveva assolutamente nascere in fretta, o il freddo invernale della sera avrebbe debilitato Gerda, e Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto succedere!
In quel momento, quasi rispondendo ai suoi timori, la porta si spalancò rumorosamente ed un getto d'aria gelida entrò nella stanza, immediatamente seguito da una delle cameriere a servizio della famiglia reale.

<< Maestà! >>

Di fronte all'aspetto trafelato della donna, Kai si alzò con altrettanto slancio, esortandola a continuare.

<< Maestà, siete... Siete di nuovo padre, Altezza. Una bellissima bambina. >>

Una bambina... Kai era consapevole che molti regnanti avrebbero storto il naso di fronte alla realtà di aver fallito ancora una volta nel generare un figlio maschio, delusi di non essere riusciti in ciò che più ci si aspetta da ogni re; ma per quanto lo riguardava, questioni del genere non lo toccavano minimamente, anzi, traboccava di felicità al pensiero di stringere un'altra piccola principessa tra le braccia.

<< Mia figlia e la regina stanno bene? >>
<< Sono entrambe provate, ma sembra che non vi siano problemi di alcun tipo. Potete venire a vederle, Altezza. >>
<< Oh. Certo. >> Nonostante la smania di correre negli appartamenti di Gerda, Kai era rimasto pietrificato, ancora incredulo ed intontito. << Conducete da mia moglie anche la principessa. Ditele che sua sorella l'aspetta. >>

Guardò la cameriera inchinarsi in segno di commiato e aspettò che se ne andasse, prima di lanciarsi fuori dalla porta, nel corridoio.
Il percorso per giungere alla meta gli parve non finire mai. Quando finalmente mise piede nella camera, un'ondata di voci lo travolse: riuscì vagamente a distinguere le parole di congratulazioni da parte della folla che gli stava intorno, composta da servitori, cameriere, cuochi e cuoche, l'intero personale del palazzo.
E poi la vide. Gli sorrideva, visibilmente stanca ed affaticata, mostrando il sorriso più luminoso che avesse mai visto; i suoi capelli, prima raccolti in un'elaborata acconciatura, adesso le ricadevano dolcemente sulle spalle in morbide ciocche. Aveva perso il suo aspetto regale, eppure non era mai stata più bella agli occhi di Kai.

La sua Gerda, l'amica di sempre, con la quale era cresciuto condividendo tutto nelle giornate dell'infanzia passate insieme, nel giardinetto pensile che accomunava le loro case o bevendo una deliziosa tazza di cioccolata calda davanti al fuoco, mentre la nonna raccontava loro storie cupe del Nord. Proprio grazie alla nonna, infatti, aveva saputo dell'esistenza della Regina delle Nevi, una bellissima donna glaciale senza cuore padrona dell'inverno....
Non sarebbe mai riuscito a fuggire dal castello se Gerda avesse rinunciato a cercarlo. Non ricordava niente del periodo trascorso sotto il controllo della Regina, solo una terribile sensazione di gelo, nella testa, nelle ossa, nel cuore; gelo che solo Gerda, con determinazione e coraggio, era riuscita a sciogliere restituendolo alla vita.

Una volta tornati ad Arendelle, niente era più stato come prima: i due bambini legati da profonda amicizia si erano trasformati nel corso del tempo in un uomo ed una donna, ed il sentimento che li univa si era a sua volta evoluto in qualcosa di ancora più grande e complesso, qualcosa che aveva fatto capire ad entrambi che le loro strade non si sarebbero mai divise.
Subito dopo il matrimonio, inaspettatamente, il re, ormai prossimo alla morte, non avendo eredi li aveva eletti re e regina del fiordo, decretando che soltanto due persone tanto forti e regali da riuscire a sconfiggere la strega avrebbero potuto regnare con giustizia, agendo per il benessere dei sudditi.

Quanto doveva a Gerda! Non solo l'aveva salvato dalla Regina, ma tre anni prima gli aveva donato la sua primogenita, la futura regina di Arendelle, ed adesso un'altra creatura si aggiungeva alla famiglia, un'altra principessa, che riposava tranquilla cullata dalle braccia della madre.
Lentamente, Kai si avvicinò al letto, ansioso di vedere la piccola ma al contempo timoroso di svegliarla.

<< Gerda...E' stupenda. >>
<< Ti assomiglia moltissimo, siete due gocce d'acqua. >>

In effetti, i pochi capelli della bambina erano rossi, come i suoi, e Gerda lo assicurò che aveva i suoi stessi occhi azzurri, vispi e attenti.

<< Posso tenerla? >> Con molta attenzione Kai prese la figlia tra le braccia, stringendola teneramente a sé. << Ciao, amore. >>
<< Dov'è...? >>
<< Fatemi passare! Sono la principessa, voglio salutare mia sorella! E' nata mia sorella! >>

Una vocina squillante aveva fatto il suo ingresso nella stanza, portando una nuova ventata di allegria e felicità: ben presto il volto della sua giovane proprietaria riuscì faticosamente a farsi strada attraverso la marea di persone presenti. Nel vedere i genitori, le brillarono gli occhi:

<< Madre, padre! >>

Kai stese le braccia per accogliere la figlia: << Vieni, c'è qualcuno che vuole vederti. >>
La bambina non se lo fece certo ripetere, e corse incontro al padre accoccolandosi sulle sue ginocchia per poter osservare meglio la nuova arrivata. Un'espressione di assoluta meraviglia le si dipinse sul volto davanti a quell'inusuale spettacolo.

<< Oh, com'è piccola! >>

Guardando la sua primogenita esaminare minuziosamente il prezioso fagotto, Kai non poté fare a meno di constatare quanto assomigliasse a Gerda, nel corpo e nello spirito: altruista, forte coraggiosa, sincera, determinata; in lei riscopriva la bambina che era stata sua moglie, gli stessi occhi blu spalancati, pronti ad esplorare il mondo ed i suoi tesori. Istintivamente, le carezzò i lunghi capelli castani, anch'essi ereditati dalla madre, in un gesto pieno d'affetto.

<< Come si chiama? >>
<< Non abbiamo ancora scelto un nome, veramente. Tu hai in mente qualcosa per caso? >>

La bambina restò in silenzio per qualche minuto, in riflessione, stringendo dolcemente una delle minuscole mani della neonata. Poi, assumendo un tono solenne, emise il verdetto:

<< Anna, come la mia bambola preferita che sta sempre con me e mi vuole tanto bene. Voglio che anche lei mi voglia tanto bene, come io ne voglio a lei. >>


A quella dichiarazione i due genitori si fissarono, commossi ed orgogliosi. Non ci fu bisogno di parole.

<< E allora Anna sia, è deciso. >>

Kai non dubitava che un giorno Arendelle avrebbe avuto una regina degna erede di Gerda; adesso era convinto che Anna sarebbe stata parimenti fortunata, nell'avere a guidarla una sorella maggiore come Elsa.  





Mi è sembrato giusto aggiungere questo primo capitolo che avevo già scritto, altrimenti il prologo sarebbe sarebbe stato incompleto e non si sarebbe capito dove voglio andare a parare... Dal prossimo capitolo (sempre SE ci sarà un altro capitolo) ho intenzione di far apparire il protagonista maschile di questa fanfic, riuscite a indovinare chi potrebbe essere?
So che il titolo della storia non è il massimo, ma è quello più decente fra tutti quelli che potevo concepire; in futuro quasi sicuramente lo cambierò, comunque. Spero nelle recensioni di chiunque voglia scrivermi, e mi scuso per eventuali errori grammaticali, possono capitare. Spero che la lettura sia fluida ed interessante!
A presto! (spero) 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


<< No, no principessa! Avete sbagliato un'altra volta... >>

L'ennesima esclamazione di sgomento spezzò l'atmosfera di apparente quiete che regnava nella stanza, il suono della nota incriminata che ancora echeggiava nelle orecchie dei presenti.
Per un attimo, un lampo di frustrazione trapelò dal volto solitamente marmoreo dell'istitutrice; la donna fu abile e veloce nel dissimularlo, ma non abbastanza da impedire ad Elsa di coglierlo.
<< Si bemolle, Altezza, non Do maggiore. >>
La bambina abbassò lo sguardo sotto il peso di quello austero della donna, intimorita dai piccoli occhi neri concentrati su di lei, il viso tirato in un'espressione arcigna. << Chiedo scusa, contessa. Vorrei poter essere all'altezza delle vostre aspettative. >>
L'altra lasciò che un sorriso affettato le salisse alle labbra, chiaramente soddisfatta della risposta.
<< Non dite sciocchezze. Siete già molto brava per la vostra giovane età, la migliore allieva di tre anni che abbia mai avuto. Se sono severa con voi, Altezza, è perché è mia intenzione spronarvi a migliorare costantemente. Dopotutto, dimostrate di avere un predisposizione naturale per il flauto dolce. >>
Elsa continuò a tenere gli occhi fissi sul pavimento, le guance arrossate ed il minuto corpicino scosso da tremiti; non doveva ridere, non poteva ridere. Papà glielo aveva spiegato, anche gli adulti a volte dicono bugie, proprio come i bambini: le aveva anche detto che ai grandi non piace venire scoperti quando mentono, perciò ogni volta che si fosse accorta di una menzogna avrebbe dovuto far finta di niente, fingere di crederci. Lei ci stava provando con tutte le forze, ma dire che sapeva suonare egregiamente il flauto era la bugia più grande che avesse mai sentito!
Fortunatamente l'insegnante interpretò la scena come l'inizio di uno scoppio di pianto, e si affrettò a correre ai ripari: << Su, su principessa! Mantenete un contegno. Ora, vogliate ricominciare, da capo, prego. >>

Per la bambina fu una vera tortura sopportare il lento trascorrere del tempo fino alla fine della lezione; lo spartito davanti a lei era fonte di ben poca attrazione in confronto ai fiocchi di neve che avevano cominciato a cadere silenziosi attorno al palazzo, formando una candida coltre visibile dalla finestra. Ancora poco, si diceva, e avrebbe potuto fare tantissimi pupazzi di neve insieme ad Anna!...Ripensandoci, Anna era troppo piccola per uscire nella neve e stare al freddo, la mamma non l'avrebbe mai fatta uscire.... Si, forse sette giorni di vita erano pochi. Ma sicuramente Jack sarebbe venuto, e con lui il divertimento era assicurato!

Poi, finalmente, i rintocchi dell'orologio a pendolo risuonarono in tutti i corridoi, segnando l'inizio della libertà; l'ultimo non aveva ancora finito di battere, che Elsa aveva già lasciato la stanza (ed una contessa alquanto indignata) per dirigersi il prima possibile alle cucine reali, correndo più forte di quanto glielo permettessero le sue esili gambe. Sorpassò facilmente cameriere e camerieri, valletti, ambasciatori, conti e duchi, tra cui uno strano personaggio che le ricordò un pollo con la faccia da scimmia, ma fece estrema attenzione a non essere notata dai suoi genitori, nel caso fossero stati nei paraggi: non vedevano di buon occhio il fratto che tendesse a trascurare i suoi studi in favore di frequenti visite al personale che vi lavorava,o meglio, ad una certa persona...
Una certa persona che la stava aspettando in quel momento.
Così, con circospezione e minuziosità esasperanti in contrapposizione all'entusiasmo che la guidava, la principessa attraversò sale e corridoi eludendo la sorveglianza del più attento osservatore, finché non si trovò davanti al grande portone che dava accesso alla sua destinazione. Ancora prima di entrare, le fu evidente il netto contrasto tra l'assordante silenzio che permeava tutto il resto del palazzo e l'allegro chiasso che faceva da padrone nelle cucine: sentiva molte voci, la maggior parte delle quali concitate, impartire un ordine dopo l'altro con fermezza; e poi stoviglie, piatti, posate, tintinnare instancabili quasi come a voler confermare la loro presenza in tutto quel trambusto.

Elsa si avvicinò, mettendosi in punta di piedi per raggiungere meglio il pesante batacchio, ma la porta si aprì fragorosamente prima che riuscisse a toccarlo; due uomini, forse cuochi, le passarono accanto trafelati, lasciando libero il passaggio: indaffarati com'erano, questi non si accorsero minimamente della bimbetta che approfittando della loro distrazione sgattaiolava all'interno della stanza.
Mille profumi ed odori diversi la travolsero tutti in una volta appena varcò la soglia. Inspirò profondamente e chiuse gli occhi, cercando di indovinare a quale pietanza appartenessero mentre si addentrava nel cuore di quel mondo così diverso da quello in cui cresceva, scandito da regole e limiti ben precisi.
Ciò che più l'affascinava ogni volta era la sensazione di essere invisibile alle centinaia di persone intorno a lei, completamente assorbiti dai propri compiti, troppo per prestare attenzione all'intrusa: laggiù, Elsa smetteva di essere la principessa reale, la futura sovrana di Arendelle, subissata da impegni, scadenze ed aspettative. Era una persona comune, esattamente identica a chiunque altro, né superiore né inferiore, tanto che nessuno badava a lei. Semplicemente, era... Libera. Sì, non avrebbe saputo spiegarlo a parole, ma era proprio così che si sentiva. Jack non era d'accordo con lei in questo; al contrario, le aveva detto di avere paura di perdersi in mezzo a tutta quella gente, di non essere visto e rimanere schiacciato. Elsa non aveva capito benissimo, ma gli aveva comunque promesso che non si sarebbe mai dimenticata di lui, mai e poi mai. Come avrebbe potuto?

All'improvviso, la bambina si sentì afferrare per un braccio e spingere da parte, verso un cantuccio riparato nell'ombra. Poi, un sussurro, una voce inconfondibile: << Presa! >>

Elsa gli gettò le braccia al collo tanto bruscamente da fargli perdere l'equilibrio. << Ciao Jack! >>

<< Shhh! Fa piano, non dovresti essere qui. Come stai principessa? >>

<< Mi sei mancato! Volevo dire... >> Abbassò a sua volta la voce: << Mi sei mancato... >>

<< Anche tu mi sei mancata. Guardati, sembra che sia diventata ancora più piccola! Dovremmo chiamarti Pollicina. Come va, Pollicina? >>

Un sorrisetto beffardo era comparso sul viso dell'amico, ma sapeva che non la stava prendendo in giro. Jack amava scherzare, e la faceva ridere moltissimo: era uno dei motivi per cui stava così bene con lui. Piegò la testa in su, in modo da guardarlo dritto negli occhi castani, da lei ribattezzati “color cioccolato”; nonostante avesse solo sette anni, era molto più alto di lei. << Facciamo un pupazzo di neve? >>

<< Non posso venire oggi, scusa. Mia madre si sente debole per il bambino, e io voglio aiutarla in tutto. Se si stanca troppo, anche il mio futuro fratellino starà male... Capisci? >>

Elsa annuì, delusa. << Ma senza di te non è la stessa cosa... >>

Era l'unico che adorasse l'inverno quanto lei, quando c'era lui giocare nella neve diventava ancora più magico e il tempo pareva volare via in un batter di ciglia.

<< Ti divertirai un sacco anche da sola, te lo assicuro. Anzi, perché non... Sì! Perché non costruisci un pupazzo di neve per me? >>

<< Dici davvero? Posso? >>

<< Certo! Ma devi promettermi che sarà il più bello di tutti, e che gli darai un nome, così potrò riconoscerlo! >>

Lo sguardo le si illuminò nuovamente a quella proposta. << Lo farò! >>

<< Promesso? >> Jack porto un mignolo all'altezza del viso, in attesa. Elsa fece lo stesso, unendoli e facendo sì che si intrecciassero. << Promesso. >>

Compiaciuto, Jack sorrise. << Bene, ora puoi andare. Vedi quella porta aperta laggiù? Puoi uscire di là, conduce direttamente al cortile. Nessuno ti vedrà. Ma prima... >> Si tolse la mantella che gli ricopriva le spalle e la avvolse sulle sue. <<... Ecco. Altrimenti gelerai. >>

<< Grazie. >> Prima di lasciarlo, la bambina si sporse in avanti e lo baciò fugacemente su una guancia. << A presto. >>

<< A presto, principessa. >>

Un getto d'aria fredda la investì appena mise piede fuori. Per un attimo, rimpianse il calore all'interno del palazzo, e strinse forte la mantella; ma quando vide la coltre immacolata e deserta che si stendeva davanti ai suoi occhi circondando il castello, i fiocchi di neve che le si posavano dolcemente sul viso girando e piroettando in una sorta di danza, ogni dubbio svanì, proprio come la neve si scioglieva toccando il suolo. Immediatamente, corse al centro di quell'enorme nuvola bianca, e ci si tuffò, dimentica del gelo. Cominciò ad agitare braccia e gambe nell'intento di creare una figura d'angelo, mentre osservava il suo respiro perdersi nell'aria in piccole spruzzi di vapore; le sembrava di trovarsi in un luogo soprannaturale, aldilà della realtà. Quanto le sarebbe piaciuto rimanere in quel posto per sempre...

Era persa in questi pensieri quando, all'improvviso, una violenta folata di vento sollevò la mantella trasportandola via da lei. Elsa balzò in piedi, determinata a recuperarla. << No, aspetta! Ferma! >>

Ma per quanto si sforzasse, il vento era più veloce, e fece volare l'indumento molto lontano prima di fermarsi. La bambina lo vide mentre tornava a stendersi sulla neve ed affrettò il passo; più si avvicinava, però, più le sembrava che ci fosse... Qualcos'altro, lì nel cortile insieme a lei.

O meglio, qualcun altro; intravedeva un'alta figura stagliarsi nel bagliore della neve.

Non era più sola, questo era certo.

Continuò a camminare, l'ombra che diventava sempre più netta. << Chi è là? >>

 

Ecco un altro capitolo! Uff, ce l'ho fatta... Non vedevo l'ora di scrivere questo momento della narrazione, è il punto chiave della storia, quello che mette in moto tutto, e in più scopriamo chi è il protagonista maschile della storia, Jack Frost! Avverto fin da subito che se la coppia Jack/Elsa non vi interessa o ne preferite altre, beh, questa storia potrebbe non essere la più adatta a voi... Ma se nonostante tutto vorrete continuare a seguirmi grazie! :-) Grazie per le visualizzazioni in costante aumento, ed un ringraziamento speciale agli utenti che hanno lasciato recensioni. Ne aspetto altre! Nel frattempo, spero che il capitolo vi piaccia, che sia scorrevole e non eccessivamente pesante. Buona lettura! - Diana

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


<< Chi è là? >>

Il debole richiamo si perse nel turbine che imperioso aveva ripreso ad abbattersi sul fiordo in quella che sembrava essere diventata una vera e propria tempesta. I fiocchi di neve, fino a pochi attimi prima impegnati in una lenta, ritmica danza piena di grazia e maestosità, si agitavano vorticosamente nell'aria, senza alcun controllo, come sotto l'effetto di un'irrefrenabile frenesia inspiegabile agli occhi di Elsa.
La sua immaginazione trasfigurava lo strano fenomeno, facendolo apparire nella forma di un acceso avvertimento, un monito a non proseguire; in quel tornado senza fine percepiva il sussurro accorato del vento: “Non andare, sta attenta!”

Ma ormai la fervente curiosità tipica di ogni bambino, più forte di qualsiasi altra sensazione, si era impossessata della piccola principessa, e si sarebbe estinta solo nel momento in cui avesse svelato il mistero. Persino la paura l'aveva abbandonata di fronte all'impellenza di scoprire chi fosse l'intruso, di sapere chi, oltre a lei, amasse tanto la neve da osare sfidare le intemperie di quella gelida serata d'inverno. E poi, doveva assolutamente riportare la mantella a Jack! Sostenuta da questi pensieri, continuò a farsi strada nella profonda coltre bianca, i piedini stanchi ed indeboliti, le braccia infreddolite raccolte intorno al corpo.
...Eccola, la mantella! La vedeva, seppur con difficoltà, di un rosso che appariva ancora più brillante nel candore del terreno su cui si era posata. E proprio a fianco, quel profilo misterioso: una figura alta e slanciata appena distinguibile, elegante e distaccata avvolta da candidi fiocchi, nascosta dalle tenebre; poteva essere ...Una donna?

Ipnotizzata, Elsa riprese a camminare verso la sagoma dai contorni indefinibili, che immobile, pareva aspettare proprio lei. Doveva avere qualcosa di magico se era comparsa dal nulla in quel modo nel buio della sera: e poi era così bella... Forse si trattava di una fata, venuta per farle un regalo, come nelle favole! La mamma le leggeva spesso molti racconti dove creature bellissime decidevano di migliorare la vita degli uomini facendo loro dono di cose meravigliose, e adesso era arrivato il suo turno! Chissà cosa avrebbe ricevuto?

La lontananza continuava a diminuire; nel frattempo la tormenta si era placata, permettendole una visione chiara. Ma quello che le stava davanti agli occhi non aveva niente in comune con una fata, o con qualsiasi altra creatura magica.


Era un bambino.

 

Elsa si fermò a pochi passi di distanza, pietrificata. Si guardò intorno, setacciando il cortile in cerca di un segno della donna, ma i suoi occhi incontrarono il vuoto. Non c'era nessuno insieme a lei se non quel bambino. Delusa, ma comunque ancora più curiosa, rivolse la sua attenzione a quest'ultimo, perfettamente a suo agio nonostante la stranezza della situazione, che la fissava insistentemente, al limite dell'impudenza: Elsa, d'altra parte, fece lo stesso. Non lo aveva mai visto prima; chi era? Cosa voleva da lei? Come aveva fatto a trovarsi lì fuori senza passare dal castello?

Avrebbe dovuto avere paura? Forse sì. Sapeva di non doversi fidare degli sconosciuti, ma dopotutto sembrava solo poco più grande di lei. E poi, c'era qualcosa nel suo atteggiamento che l'intimoriva e al contempo affascinava: non perché se ne stava là, fermo come una statua, in silenzio, senza nessun riparo dal freddo, ma soprattutto perché emanava assoluta freddezza e completo distacco. Poteva essere definito bello, certo, ma il suo sguardo appariva inanimato, spento, e tuttavia tagliente quanto una lama di coltello.

Stava male? Gli era successo qualcosa? Dopo qualche attimo di esitazione Elsa gli si avvicinò, finché non fu a pochi centimetri da lui. Era più alto di lei, ma benché si sentisse osservata dall'alto in basso la principessa sostenne la sfida lanciatale da quegli quegli occhi di ghiaccio.

<< Ciao. Chi sei? >>
<< Ha importanza? >> Neanche la sua voce, arida e piatta, esprimeva alcun tipo di emozione.

<< E' la prima cosa da dire quando ci si presenta, non lo sai? Elsa, principessa di Arendelle. >> Le sue parole furono accompagnate da una piccola riverenza in segno di saluto e rispetto; infatti aveva notato gli abiti dell'ospite, di altissima fattura, decisamente regali. << Allora? >>

Ma l'altro non accennò minimamente ad inchinarsi, né a rispondere; se ne rimase in silenzio continuando a fissarla. La cosa stava cominciando ad innervosire parecchio la bambina, che di fronte al suo silenzio sbottò. << Insomma, come ti chiami? Guarda che se non me lo dici me ne vado e ti lascio qui da solo! >> E per rimarcare le sue intenzioni, raccolse frettolosamente la mantella da terra, e la indossò, pronta a voltarsi. Tuttavia, doveva essere stata molto convincente, dato che dopo una breve pausa il bambino sussurrò:

<< Hans. Mi chiamo Hans. >>

Elsa sorrise, soddisfatta. Non sembrava minaccioso, anche se era strano; magari si trattava solo di timidezza. << Piacere di conoscerti Hans. Vuoi fare un pupazzo di neve con me? >>

 

 

*

 

<< Abbiamo bisogno di più neve per il corpo. Prendine di più Hans! Adesso arrotondiamola, così...>>

Elsa non avrebbe saputo dire se erano passati pochi minuti o molte ore da quando avevano cominciato ad assemblare il pupazzo di neve. Adesso la loro creazione era quasi terminata, e doveva ammettere che nonostante l'assenza di Jack si divertita molto con Hans; non che fosse stato molto partecipe, a dir la verità...Non aveva pronunciato una parola per tutto il tempo se non quando interpellato, limitandosi ad eseguire le istruzioni che lei gli impartiva come un automa senza il minimo entusiasmo, neanche ora che mancavano solo i dettagli finali: in qualche modo, però, trovava la sua presenza rassicurante, e comunque era stato bello non giocare da sola. Glielo disse:

<< Sono contenta che tu sia venuto oggi. Jack mi ha detto che doveva restare con sua mamma perché altrimenti il suo fratellino sarebbe stato male, e mia sorella Anna è troppo piccola per uscire dal castello. Tu hai fratelli o sorelle? >>

Lui parve aver bisogno di riflettere prima di pronunciare una risposta, e quando questa arrivò fu incomprensibile per Elsa. << Una volta, forse. >>

<< E da dove vieni? >>

<< Da un posto molto, molto freddo. >>

<< Davvero? Mia madre dice che non esiste luogo più freddo di Arendelle. La tua ti racconta tante storie? >>

<< Non lo ha mai fatto. >>

<< Io le chiedo spesso di ripetere come si è innamorata di mio padre. Si volevano bene già da piccoli, sai? Proprio come me e Jack. Erano sempre insieme, e tutti li conoscevano qui; li chiamavano “Kai e Gerda, i piccioncini del fiordo!” >> Rise divertita, e lo guardò. << Cosa sono i piccioncini? >>

<< Hai detto... Kai e Gerda? >> Hans distolse l'attenzione dal cumulo di neve che stava plasmando e la guardò a sua volta, serio come mai prima. << I tuoi genitori sono Kai e Gerda? >>

Elsa annuì. << Il re e la regina di Arendelle! Ma si preoccuperanno se non mi vedranno a cena... Non sanno nemmeno che sono qui. Sbrighiamoci, Olaf ha bisogno di bocca, occhi e braccia! >> Si mise a correre tutt'intorno, sperando di trovare qualcosa di utile per completare l'opera.

<< Olaf? >>

<< E' il nome che gli ho dato, ti piace? L'ho promesso a Jack. Oh, quei rametti saranno perfetti! Ci sono sassi laggiù? Ci serviranno! >>

Pochi minuti dopo, Elsa rimirava orgogliosa il pupazzo, completo di bocca sorridente, occhi allegri e braccia aperte per accogliere i suoi abbracci. Non aveva naso, ma a lei sembrava comunque bellissimo, ed era sicura che anche a Jack sarebbe piaciuto.

<< E' stupendo! >>

Corse incontro al pupazzo, lo strinse a sé ed imitò un tono maschile: “Ciao, io sono Olaf e amo i caldi abbracci!” Vorrei stare qui con te tutta la sera Olaf, però adesso devo proprio andare. Hans, vieni anche...>>

Sgranò gli occhi pieni di incredulità quando voltandosi non vide l'amico alle sue spalle.

Era sparito.

Dissolto nel nulla.

Cosa era successo? Lo chiamò a gran voce: << Hans?...Hans, stai bene? >>

Le rispose il silenzio assoluto.

Elsa guardò il terreno ai suoi piedi, ma non vi erano impronte nella neve che indicassero il suo passaggio. Alzò gli occhi, e...Rimase immobile, incapace di parlare.

La fata era là, fiera e distinta, che la osservava da lontano; ora che poteva vederla meglio, era anche più bella di come l'aveva immaginata. Indossava una magnifica pelliccia bianca, mentre sul suo capo spiccava un'imponente corona di cristallo impreziosita da gemme e pietre preziose; aveva quasi l'aspetto di un fantasma, tanto la sua pelle era perlacea: ciò le conferiva un'aurea evanescente che incantava la bambina. E accanto alla fata, ecco Hans, la stessa espressione distaccata scolpita sul volto, imitazione di quella della sua protettrice.

Elsa non riusciva a distogliere lo sguardo da quella magica creatura, a muoversi, a fare niente che non fosse ammirarla. Si sentiva strana, come se stesse cadendo preda di un dolcissimo sonno, una sensazione di pace assoluta che la invadeva anima e corpo; poi, finalmente, un segno: una delle mani di porcellana della donna si sollevò lentamente verso di lei. Persa in uno stato di assoluto torpore, Elsa riuscì solo a mormorare: << Vuoi che venga con te? Aspettami... >>
I suoi occhi di ghiaccio la ipnotizzavano. Più di ogni altra cosa, voleva soltanto raggiungere la fata e vivere per sempre nel suo mondo gelido....

<< ELSA! ELSA! >>

L'incantesimo si spezzò nell'istante in cui udì la sua voce piena di preoccupazione chiamarla a squarciagola. << …Jack? >>

L'amico le stava correndo incontro trafelato, sul viso un'espressione di sollievo mista a rabbia. Una volta di fronte a lei, si chinò, fissandola con aria severa.

<< Eccoti finalmente! Perché non mi hai risposto?! Non sai quante volte ho dovuto chiamarti, credevo ti fosse successo qualcosa! >> Riprese fiato prima di proseguire: << Ti... Ti stanno cercando dappertutto. >>

<< Davvero? >> Era passato così tanto tempo? << Scusami Jack, ma ho costruito Olaf, e... >>

<< Non è a me che devi chiedere scusa. Dobbiamo andare, subito! >>

La prese per mano e la tirò dietro a sé, dirigendosi veloce come il vento all'entrata delle cucine. Per un secondo, Elsa riportò la sua attenzione in alto, al punto dove aveva scorto Hans e la fata.

Ma non c'era nessuno.




E un altro capitolo si aggiunge alla lista! E' stata dura finirlo, l'università ha cominciato a prosciugare completamente gran parte delle mie energie, e  scrivere è diventato molto, MOLTO più complicato, considerato anche il poco tempo che ho a disposizione... Ma non vuol dire che abbandonerò la storia, anzi, voglio arrivare alla fine! Anche perché, stranamente, continua a ricevere visualizzazioni O_O Probabilmente riuscirò a continuarla solo nei weekends, e non so ogni quanto pubblicherò, visto che oltretutto dovrò combattere con la mia tendenza al perfezionismo, ma... Abbiate fede. Spero che questa aggiunta vi piaccia, e scusate per la lunghezza, mi sono lasciata prendere la mano. Il capitolo è stato scritto molto in fretta (contrariamente al solito) quindi mi scuso se ci sono errori grammaticali/incongruenze/punti poco chiari/troppe ripetizioni; in ogni caso fatemi sapere cosa ne pensate, le recensioni sono sempre graditissime! A presto! - Diana

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Un passo, poi un altro, ed un altro ancora a seguire.
Cosa le era successo?
Lasciò che centinaia di volti gli passassero accanto frettolosi, come trasportati da una corrente impetuosa; per una volta, fu felice di poter passare inosservato. Si erano già dimenticati di lui.
Lei stava male?
Invisibile agli occhi degli abitanti di quel piccolo mondo che era la cucina, Jack continuò ad arrancare, senza sapere dove volesse arrivare.
Teneva lo sguardo fisso sui suoi piedi in marcia. Chi si fosse preso la briga di accorgersi della sua presenza forse avrebbe pensato che, per qualche motivo, fosse totalmente concentrato sull'azione ritmica del cammino; che, come al solito, quello strano bambino con la testa fra le nuvole avesse inventato un nuovo passatempo con cui trastullarsi per evitare di eseguire i suoi compiti e intralciare la buona riuscita di quelli altrui. A quel punto, l'osservatore avrebbe storto il naso e mormorato un rimprovero tra sé e sé, prima di tornare ai suoi impegni brontolando.
Ma, se vi era veramente qualcuno in grado di fermarsi un istante e mettere in atto tale analisi nonostante la perenne frenesia circostante, questi non si trovava nei paraggi quel giorno: nessuno, quindi, notò gli occhi terrorizzati di quell'ombra vagante, né il tremore che gli scuoteva le spalle, schiacciate da un peso che si faceva sempre più grande man mano che avanzava.
La mente lo riportò indietro nel tempo a pochi minuti prima, quando il macigno opprimente della condanna si era abbattuto inesorabile sulla sua coscienza...


...Quella mattina era iniziata esattamente come ogni altra per Jack, segnata dal fragore di piatti e vassoi tintinnanti, voci squillanti ed odori e profumi non sempre inebrianti.

Lui si trovava seduto a capo di uno dei molti tavoli che riempivano la sala, temporaneamente spogli, dove solitamente venivano sistemati in lunghe file tutti i piatti che di volta in volta sarebbero stati presentati alla famiglia reale. Non ricordava cosa stesse facendo; non che avesse importanza, poiché nei momenti che seguirono la sua attenzione venne completamente catalizzata da un nuovo, stridente elemento che interruppe il normale susseguirsi delle sue occupazioni quotidiane.

Gli occhi bassi, non si accorse del pomposo maggiordomo davanti a lui finché il pesante, inusuale ed improvviso silenzio sceso nella stanza lo costrinse ad alzare uno sguardo a dir poco sorpreso alla statua di marmo nero che lo fissava severamente, circondato da cuochi e cameriere: le loro semplici divise , in contrasto con la sua lucida livrea d'ebano, sembravano i più luridi stracci, sporchi di grasso e sudore. Tuttavia, l'intruso parve non badarci: si limitò a comunicare al ragazzino con freddezza che sua Maestà il Re aveva richiesto la sua immediata presenza. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Un'ondata di bisbiglii pieni di curiosità si levò dagli spettatori della scena mentre il bambino veniva condotto, dietro l'austera guida, fuori dalle cucine; Jack stesso, frastornato, non sapeva spiegarsi il motivo di tanta attenzione. Non era mai capitato prima.

Attraversarono in un silenzio assordante sale riccamente decorate, illuminate da imponenti lampadari di cristallo, impreziosite dalle più rinomate tende di broccato e finissime porcellane; maestosi affreschi dominavano ogni soffitto, mentre alle pareti erano appesi ritratti e scene di vita a palazzo: persino il personale indossava abiti nobiliari. Al suo posto, probabilmente chiunque appartenesse ad un ceto inferiore avrebbe avvertito la necessità di stringersi nelle spalle e proseguire mestamente, gli occhi abbassati in un atteggiamento di vergogna misto a riverenza. Jack, al contrario, osservò meticolosamente ogni cosa attorno a sé, e più si soffermava su quello sfoggio ostentato di lusso, più si sentiva, senza saper spiegare perché, orgoglioso delle sue umili origini.

Di lì a poco giunsero infine all'ampio corridoio dove erano raccolti gli appartamenti privati dei reali: su ogni lato si trovavano molte porte identiche fra loro, in altezza e colore. Eppure, il maggiordomo proseguì con sicurezza verso una di queste, si fermò, e bussò delicatamente, non prima di aver esaminato il suo ospite da capo a piedi, come per assicurarsi che fosse abbastanza presentabile. L'assenso del re consentì loro l'accesso nello studio, nettamente più sobrio rispetto al resto del palazzo: un caminetto acceso, un ritratto ed una scrivania ne costituivano l'arredamento principale. Il sovrano li aspettava in piedi al centro della stanza, immobile: aveva assunto un atteggiamento solenne ed apparentemente calmo , ma qualcosa nella sua espressione grave sembrava tradire uno sforzo enorme, a cui si stava sottoponendo per controllarsi.

Tutt'altro che incoraggiato a farsi avanti, Jack indietreggiò, ma ben presto sentì la salda presa del maggiordomo bloccargli la spalla. << Ho portato il ragazzo Maestà. >>

<< Molto bene. Puoi andare ora. >>

La fretta con la quale l'uomo si dileguò richiudendo immediatamente la porta dietro di sé dimostrò quanto anche lui si sentisse a disagio in quella situazione. Rimasero soli, il re e Jack, a fissarsi reciprocamente; l'uno con un'impazienza sempre più difficile da nascondere, l'altro timoroso ma comunque deciso a non soccombere. Si trattava solo di aspettare il primo colpo: il conto alla rovescia era già iniziato.

<< Sto aspettando, Jacob. >>

Pronunciato da lui, il suo nome suonava come il più lurido degli insulti. Ecco il motivo per cui lo odiava; ecco perché aveva chiesto ad Elsa di chiamarlo Jack, nonostante l'amica non ne capisse il motivo; Jacob era il nome di un servo, di un subordinato, legato ad ordini e all'aspettativa che questi venissero eseguiti all'istante e al meglio: lui non voleva essere niente di tutto ciò, specialmente agli occhi di Elsa. Desiderava più di ogni altra cosa essere considerato un suo pari, per quanto possibile, qualcuno a cui la principessa potesse volere bene senza limiti di rango e casata. Perciò, Jack era un bambino spensierato, allegro, all'oscuro di ogni preoccupazione, libero da qualsiasi dovere, votato al puro ed assoluto divertimento: questa l'immagine che voleva sempre dato di sé: ma il re non avrebbe compreso.

Si limitò a rispondere, interdetto. << Aspettando... Cosa, Sire? >>

<< Spiegazioni. Giustificazioni. Scuse. >>

<< Io... Non capisco. >>

<< Eppure credo di essere stato chiarissimo. Evidentemente la sincerità non rientra nelle tue qualità. >> La voce era tagliente, specchio dello sguardo dell'adulto.

<< Non sono un bugiardo Maestà. >>

Jack osservò il re avvicinarsi lentamente a lui, fino a sovrastarlo: << Quindi stai insinuando che mia figlia lo sia? >>


<< Elsa? Cosa ha che fare con questo? >>

<< La principessa Elsa, >> puntualizzò l'altro, livido di sdegno. << mi ha confessato di aver lasciato le mura del palazzo ieri sera, venendo meno al mio divieto. So per certo che non avrebbe mai messo a rischio la sua sicurezza così imprudentemente, né tanto meno disobbedito al volere paterno, di sua spontanea volontà: deve essere stata influenzata da qualcuno, e non ho dubbi che quel qualcuno sia tu. Pretendo informazioni su quanto è successo fuori dal castello, immediatamente. >>

<< Ma... Non ne ho idea Sire, non ero con lei, io... >>

<< COSA?! L'hai lasciata sola! >>

A quel punto il re perse ogni contegno: davanti al bambino comparve in un attimo la figura di un uomo deformato da pura rabbia, dominato dall'istinto. Lo afferrò per le spalle in una morsa d'acciaio e, con occhi di fuoco, cominciò a strattonarlo violentemente. << Come hai potuto! Mia figlia, la principessa reale, la tua futura regina! Potrebbe morire in qualsiasi momento ed è solo colpa tua! >>

Nonostante la paura l'avesse immobilizzato, quelle terribile parole riuscirono a farsi strada nella mente di Jack; il loro significato lo colpì come un fulmine a ciel sereno, un'ondata di panico lo travolse.

<< Cosa? Morire? Cosa è successo? >>

Improvvisamente il sovrano lo spinse via, ignorando le sue domande. << Non ti riguarda più ormai. Se lei fosse stata davvero importante per te non l'avresti mai abbandonata. Era un peso troppo grande, non è vero? Ti do la mia parola che non la vedrai mai più. E adesso vattene! >>

<< Sire, vi prego... >>

<< VATTENE VIA, HO DETTO! SUBITO! >>


Cosa avrebbe potuto fare, se non scappare? E ora era là, accovacciato da ore nell'angolo più remoto della cucina, al buio, incapace di pensare a nient'altro che alla sua piccola amica, mentre un senso di colpa sempre crescente l'attanagliava. Perché, perché le aveva mostrato quel passaggio? Se le parole del re erano vere, la vita di Elsa era appesa ad un filo... Tutto per colpa sua.

Vide distrattamente sua madre osservarlo da lontano in un momento di calma, impegnata a sostenere i ritmi richiesti dalla propria mansione ed al contempo non affaticarsi troppo per non nuocere al bambino; parte di lui le era infinitamente grato per la sua discrezione e rispetto, ma il dolcissimo sguardo sul suo viso faceva male, molto male: non si meritava comprensione, né la sua né quella di nessun altro.

Quella fu l'unica volta in cui desiderò di sparire nel nulla.

L'ora di cena arrivò e passò, le pietanze furono preparate e servite, il giorno diede posto alla sera: Jack aveva cercato inutilmente di ricevere informazioni riguardo alla salute della principessa, ma inutilmente: evidentemente il sovrano aveva già provveduto ad avvertire chiunque a non farne parola con lui. Ormai rassegnato, lasciò la sua postazione con lo scopo di dirigersi verso la parte della stanza riservata agli alloggi della servitù. Non aveva fatto che pochi passi, quando udì alle sue spalle:

<< Hey hey, aspetta un momento! Jack? >>

Riluttante, si voltò: la voce trafelata che l'aveva chiamato apparteneva una giovane donna, un' apprendista, a giudicare dall'età, ma l'uniforme... Era l'uniforme delle governanti personali della famiglia reale! Cosa ci faceva lì, a quell'ora poi?

Prima che potesse trovare una risposta, la ragazza lo raggiunse; riprendendo fiato, gli chiese incerta:

<<...Sto...Sto cercando Jack, sei tu? >>

<<...Può darsi. >>

<< Oh. Bene allora. >>

Aveva iniziato a frugare nelle tasche del grembiule che le cingeva la vita, in cerca di qualcosa al loro interno. << Ah, eccoti qua... >>

Jack la osservò mentre portava le mani davanti a lui, racchiuse, come a voler proteggere un bene prezioso: ed in effetti, quando si accorse che si trattava di una consistente pagnotta di pane bianco, il bambino rimase a bocca aperta. << Ma dove l'hai presa? E' rubata vero? >> sussurrò.

<< Non preoccuparti, non l'ho rubata. E' un regalo. Tieni. >>

<< Ma perché vuoi darla a me? Io non ti conosco! >>

<< Lo scoprirai tra poco, Ma mi raccomando, non farne parola con nessuno, o finiremo entrambi nei guai! E ora è meglio che vada. >>

Con queste parole, l'intrusa si dileguò, tanto velocemente quanto era arrivata: se non avesse tenuto la pagnotta stretta fra le mani, Jack avrebbe pensato di aver assistito ad una visione. Ma questa era lì, tutta per lui; tuttavia, non aveva intenzione di mangiarla. O meglio non subito,

Senza pensarci una seconda volta, lo spezzò: fra le molliche, proprio nel cuore del pane, scorse ciò che sembrava essere un minuscolo pezzo di carta spiegazzato...Un biglietto! Lo prese immediatamente, lo spiegò, e portandolo il più vicino possibile al suo viso, ne lesse il contenuto.

La scrittura era incerta, i caratteri distorti, ma si potevano comunque leggere piuttosto chiaramente le parole:

….StanOttE.... MEZzanOTte...RicevimEnti.

Elsa.

 

 

 

 

Ce l'ho fatta...Incredibile! Dopo mesi di assenza, un nuovo capitolo si aggiunge alla storia. Mi dispiace di non aver potuto scrivere più frequentemente, ma si sa, l'università impegna :-) Spero che non ci siano errori/ripetizioni o cose del genere, e che ovviamente vi piaccia! A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Solo cose belle.

Solo cose belle.

Solo cose belle...

Ripeté fra sé e sé queste esatte parole per l'ennesima volta, richiamando alla mente anche la voce che per prima le aveva pronunciate.
Erano trascorse settimane dalla notte del temporale, ma il ricordo era ancora vivido: la sua camera buia illuminata a giorno dal bagliore improvviso di raffiche di lampi; il fragore che inevitabilmente li seguiva, facendola sobbalzare ad ogni nuovo colpo; le imposte della finestra scosse da un vento fortissimo, che lei, raggomitolata nel bozzolo delle coperte, immaginava cercasse di farsi strada attraverso qualsiasi spiraglio all'interno della stanza per poi arrivare al suo letto e congelarla fino alla morte.
Il terrore aveva raggiunto l'apice nel momento in cui si era resa conto di tremare, a conferma della previsione; un battito di ciglia, e stava già correndo a perdifiato verso gli appartamenti reali. Non si era sorpresa di trovare la mamma sulla soglia della porta, ad aspettarla, e poco dopo, avvolta nel riparo del suo abbraccio, le era sembrato che ogni cosa intorno a lei svanisse lentamente, diventasse sempre più sfocata, distante, in un viaggio che la portava sempre più lontana dal mondo... La tempesta non la turbava più, non esisteva nient'altro che una dolcissima sensazione di calore e la voce ovattata della madre, lieve ma chiaro sussurro:
<< Ti svelo un segreto....Quando hai paura, pensa a cose belle...Tutto quello che ami di più, qualunque cosa sia. Fai così, e vedrai che le nuvole spariranno, e tornerà il sole...>>

Gerda non poteva averle mentito, senza dubbio. Ma allora perché non funzionava?... Vero, non c'erano tuoni, lampi, o vento a spaventarla adesso, né mostri nascosti nell'ombra. Questa volta tutto appariva tranquillo all'esterno: il cielo notturno era sereno e la luna vi brillava alta e radiosa, senza alcun presagio di peggioramento. Eppure, la piccola non si sentiva affatto protetta, pur essendo ben raccolta nel suo lettino; il buio la circondava sempre più, come a soffocarla, mentre i freddi raggi lunari si stendevano sulle lenzuola sotto forma di adunche dita argentee, pronte a ghermirla non appena avesse chiuso gli occhi. Perciò li teneva spalancati, senza alcun sforzo d'altronde, visto che era ben lungi dall'addormentarsi.

Ci riprovò. Cose belle, cose belle...
Saltare sulla corda.
La cioccolata.
Gli abbracci.
Mamma e papà, Jack e Anna.
La neve.

Niente. La paura non passava. Era inutile.

Poteva sempre tornare dalla mamma. Forse sarebbe bastato un suo abbraccio, per sistemare le cose...O forse no?

Dopotutto, Gerda si era comportata in modo a dir poco strano quel giorno; non si trattava di niente di particolarmente allarmante, e probabilmente nessuno che non la conoscesse a fondo avrebbe notato le piccole, fondamentali differenze nell'aspetto e nell'atteggiamento della sovrana: come i suoi sorrisi, solitamente luminosi e allegri, rimpiazzati da brutte copie spente e prive di vera emozione; gli angoli della bocca perennemente rivolti verso il basso; l'inusuale pallore del viso, che le conferiva un aspetto malato e trascurato; lo sguardo cristallino oscurato da nubi piene di pioggia che di tanto in tanto minacciava di rovesciarsi sul suo viso.

E poi il senso di distacco che la bambina aveva avvertito standole accanto, la freddezza delle poche, frettolose carezze che le aveva dato.

Per Anna non era stato così, lei aveva ricevuto baci, e abbracci; la madre aveva l'aveva coccolata, abbracciata; Anna, ma non lei.
Quasi senza rendersene conto, iniziò a portarsi lentamente una mano sopra la fronte, fermandosi però di scatto a mezz'aria. Passarono alcuni secondi prima che cautamente arrivasse a toccarsi la testa. Bastò il semplice contatto con una ciocca di capelli: un gesto comune, senza importanza, il quale però suscitò in lei una fortissima voglia di piangere.

Non era colpa sua, lei non aveva fatto niente. Alle domande dei genitori aveva risposto solo con la pura verità quella mattina, anche se questo aveva comportato l'ammissione della sua disubbidienza: l'uscita clandestina nel cortile la sera prima, l'incontro con Hans, l'apparizione della fata, ed infine il sogno che le era seguito; le loro reazioni erano state opposte – Kai l'aveva tempestata di domande precise, interrompendola con rabbia ad ogni parola, per poi andarsene frettolosamente e febbrilmente in un moto di angoscia; Gerda si era limitata ad ascoltarla in silenzio, trasformandosi in un blocco di ghiaccio ogni secondo di più, lasciando la figlia confusa e spaventata.

…In realtà, era colpa sua, ed il motivo le fu improvvisamente chiaro: li aveva delusi. Era venuta meno al volere del re e della regina, suo padre e sua madre. Aveva dato prova di essere irresponsabile e immatura, tratti che mal si addicono ad una principessa reale, e perdipiù futura sovrana. Gerda, al suo posto, non si sarebbe mai comportata così. Scusami mamma. Non succederà più, promesso. Però ti prego, scusami...Forse era l'unico modo per far svanire la paura, raccogliere coraggio e offrire scuse sincere ad entrambi, di persona. Ma certo! Doveva farlo al più presto, adesso.

Con ritrovata determinazione, scosse vigorosamente le coperte che l'avvolgevano spezzando la protezione del suo rifugio. Scivolando fuori dal letto, si sentì già meglio. Tuttavia fu sempre con riluttanza che si incamminò a piccoli passi in direzione della porta della camera, e ne uscì in tutta fretta – non prima di aver controllato l'orologio a pendolo alla parete di fronte: mancava poco all'ora dell'appuntamento con Jack, solo pochi minuti; sarebbe arrivata in ritardo, ma proprio non poteva andare da lui senza aver chiarito le cose coi genitori. Glielo avrebbe spiegato una volta là.
Adesso davanti a lei si stendeva tetro il corridoio, fiocamente illuminato soltanto da qualche coppia di candele disposte lungo tutto il suo percorso, e dalla flebile luce della luna che penetrava attraverso una grande vetrata; la stanza di Kai e Gerda si trovava in fondo a quello stesso corridoio, e la consapevolezza della breve distanza aumentò la sua sicurezza. Ancora pochi passi, e tutto sarebbe tornato come prima. L'avrebbero abbracciata forte, e lei li avrebbe abbracciati ancora più forte, e avrebbero riso insieme della sua sciocca e infondata paura.

Eccola finalmente. La piccola afferrò con mano salda la maniglia, abbassandola lentamente.

La porta si aprì cigolando: non entrò subito, rimase sulla soglia qualche secondo, per abituare gli occhi al buio circostante; non le ci volle molto per individuare i profili di Kai e Gerda davanti a lei. Le voltavano le spalle, l'attenzione rivolta altrove mentre fissavano un punto imprecisato fuori dall'imponente finestra che dominava l'ambiente. Non dovevano averla sentita.
Era pronta. Spinse più indietro la porta e fece per andare verso di loro:

<< Mam- >> Il lieve sussurro le morì in gola.

Negli anni a venire, il ricordo di quella sera si sarebbe cementato nella sua memoria come uno dei peggiori che avesse mai vissuto. Milioni di volte avrebbe desiderato di poterlo cancellare, fingere che non fosse mai esistito, eliminarlo, insieme alle conseguenze che aveva portato con sé.
Ma allora non poteva saperlo, e non riuscì a prevedere la gravità del peso che stava per schiacciarla; iniziò sotto forma di un inaspettato rantolio sommesso, trattenuto, che la fece immobilizzare all'istante; poi il lamento si intensificò, trasformandosi in una serie di singhiozzi convulsi prima di scoppiare in un mare di lacrime.
Non aveva mai visto sua madre piangere. Le spalle curve, si era fatta improvvisamente piccolissima, tanto da scomparire fra le braccia del marito subito venutole in soccorso: le accarezzava i capelli dolcemente, sussurrandole al contempo parole di conforto, come ad una bambina; la principessa, nel frattempo, si ritrasse, rifugiandosi nel buio e l'invisibilità. Cosa era successo?

Mantenne lo sguardo fisso sui genitori in cerca di una risposta al suo smarrimento; passarono così quelli che sembrarono lunghissimi minuti, prima che la voce del padre rompesse il silenzio:

<< Ce la faremo. Abbiamo vinto una volta e vinceremo ancora. >>
<< Hai visto anche tu com'è diventata, io, io... >> Una pausa, altre scosse di pianto. << ...Cosa faremo? Che ne sarà di lei? >>
<< E' ancora qui con noi, Gerda. Ha cercato di portarcela via, ma ha fallito; abbiamo già vinto. Ora dobbiamo solo continuare a proteggere la bambina esattamente come abbiamo sempre fatto, sostenendoci a vicenda sempre, darle amore e affetto. >>
<< Tu non capisci...Non è più mia figlia. Non so cosa le abbia fatto, ma non è lei. Quello è un, un... Mostro, proprio come la strega che l'ha creata! >>
All'affermazione seguì un silenzio saturo di tensione, in cui la diretta interessata rimase pietrificata, il cuore che batteva impazzito nell'esile corpicino: aveva l'impressione che ogni goccia di sangue le fosse stata prosciugata dalle vene. E infine, il colpo di grazia, dritto al petto, inferto da Kai:
<< Anch'io ho paura di lei. >>

 

*


I ticchettii dell'orologio echeggiavano nel silenzio circostante, uno dopo l'altro. Tanti. Troppi, da quando era arrivato. Sembrava che fossero passate ore dal ridondante scocco della mezzanotte in tutto il palazzo; e non serviva a niente continuare a ripetersi che probabilmente non si trattava che di pochi minuti, se non a rendere più ovvio il fatto che era ancora da solo.

Aveva preso a girare in tondo, su e giù lungo il salone dei ricevimenti, in cerca di una qualsiasi distrazione. Tuttavia, quasi per sfregio, le tenebre avvolgevano interamente la stanza, celando ogni particolare che potesse catturare la sua attenzione – tranne per la porta; la luna rifletteva su di essa un brillante bagliore argenteo, esaltandone il pallido biancore; impossibile, quindi, non concentrarsi sulla maniglia dorata, sospesa in alto, ferma, in attesa anche lei di essere abbassata per lasciare entrare la piccola principessa. Che però, comunque tardava.

Doveva esserle successo qualcosa, più i minuti passavano più se ne convinceva. Le parole di sua Maestà si susseguivano nella sua testa come onde inarrestabili di un mare in tempesta: forse il Re aveva scoperto dell'appuntamento, e le proibiva di vederlo... Sapeva che non poteva essere l'unica spiegazione, né quella più plausibile, stando a quanto gli aveva comunicato il sovrano stesso, ma non voleva credere che le sue condizioni di salute fossero così gravi da impedirle persino di lasciare la sua stanza. Dopotutto era stata lei ad invitarlo lì, giusto?

Giusto. Perché allora ci metteva tanto?

Si sentiva sull'orlo di un precipizio, e sarebbe certamente sprofondato nel baratro dei sensi di colpa se ad un tratto, l'atteso richiamo della sua ospite non lo avesse riportato alla realtà:

<< Jack...>>

Si voltò all'istante verso l'estremità opposta del salone, in direzione di quella vocina flebile, appena udibile, accogliendola con il più grato e sollevato dei sorrisi. << Finalmente! >>
Il buio nella stanza fu parzialmente rischiarato dalla candela che lei aveva portato con sé, su cui fissò immediatamente lo sguardo. Osservò i tremolii della fiamma: il fuoco si faceva strada verso di lui a tratti con sicurezza, per poi fermarsi improvvisamente in mezzo al nulla.

Pareva incerta, esitante. << Tranquilla, sono solo. Puoi venire avanti. >>

Nonostante questa rassicurazione lo strano percorso proseguì nello stesso modo; quando alla fine la bambina lo raggiunse si mantenne comunque a distanza, avvicinandosi solo quel tanto che bastava per permettergli di vederla chiaramente.
<< Cos'è quello ? >>

Elsa indietreggiò, stringendo più forte l'indumento a sé. << Shhh! Per favore, non urlare... >>
<< Perché ti sei messa un lenzuolo in testa? Di solito non si usa così. >>
<< Bé... Ne avevo bisogno. HEY! Lascialo stare! >> Si ritrasse di scatto per sfuggirgli, mentre Jack cercava di afferrarlo. << Non devi toccarlo per nessun motivo! >>
<< Stavo solo...Pensavo fosse divertente. >>

Finora era sempre stato così tra loro: scherzi, giochi, marachelle, un'amicizia all'insegna del semplice e puro intrattenimento; niente responsabilità, preoccupazioni o aspettative, né regole o limitazioni. Quando erano insieme, riuscivano a dimenticare ogni differenza di rango e posizione sociale, proprio in virtù di quella parola chiave che era il divertimento: non più la principessa e lo sguattero, bensì “soltanto” Jack e Elsa, due bambini ugualmente uniti dalla stessa esuberanza e vivacità.
Eppure adesso, di fronte a quella piccoletta che lo fissava seria e autorevole, di fronte al distacco che stavolta – per la prima volta – lei aveva espresso nei suoi confronti, adesso Jack avvertì inconsciamente un grande cambiamento in atto; l'Elsa che conosceva da sempre, spensierata e allegra, si stava dissolvendo, sostituita da una persona completamente diversa, posata e razionale, una completa sconosciuta: stava crescendo lì, davanti a lui, e sentiva di potere impedirlo. Ma cosa la stava portando a mutare così in fretta, tutto a un tratto? Qual era la causa della tristezza disarmante che le offuscava gli occhi? E il lenzuolo? << Scusami. E' che sono contento di vedere che stai bene, ecco. Tuo padre mi ha fatto prendere un bel colpo in effetti. >>
<< Mio padre? >>
<< Mi ha convocato nel suo studio dopo cena, avresti dovuto vederlo! Mi ha urlato contro che sapeva che sono stato io a farti uscire in cortile ieri sera... >><< Io non ho detto niente, davvero! >>
<< Lo so, lo so. Voleva scoprire cosa è successo là fuori, ho risposto che non ero con te e si è infuriato. Ha sbraitato che avresti potuto morire in qualsiasi momento per causa mia, che visto quanto poco conti per me non ti avrebbe più permesso di vedermi... Avevo tanta paura. >>
Elsa trasalì, pallida in viso. << Paura? >>
<< Certo, paura per te! Ma è tutto a posto ora, quindi... >>
Lo guardava spaventata, come fosse un estraneo. << E' tutto a posto, vero? >>
<< No. No Jack, io...Papà ha ragione, è meglio se non ci vediamo più. Sono venuta solo per dirti questo. >>
<< Cosa?! Come sarebbe, non...perché no? Senti, so che ho sbagliato a lasciarti sola, è stata tutta colpa mia, l'ho capito; ma ti assicuro che non ripeterò lo stesso sbaglio, ti starò vicino dovunque andrai, non m'importa del divieto di tuo padre. Te lo prometto. >>
<< Non hai fatto niente di male, e non devi promettermi niente. Mi abbandonerai comunque... >>
<< Che stai dicendo?! Perché dovrei fare una cosa del genere? >>
<< Perché... >> La principessa abbassò lo sguardo, la voce frammentata da frenetici singhiozzi, le prime lacrime che iniziavano a solcarle il viso. << Come si può voler bene a un mostro? >>
Jack le si avvicinò cauto, per evitare che si allontanasse. << Io non vedo nessun mostro. La mia migliore amica con un lenzuolo in testa, questo sì. Ma mostri? Neanche una traccia. Per caso ne hai trovato uno lì sotto? >>
Sorridendo allungò lentamente la mano verso la coperta, studiando la reazione di Elsa: con sua grande sorpresa lei lo lasciò fare, senza ribellarsi, quasi rassegnata. Strinse delicatamente il tessuto fra le dita e d'impulso, lo sollevò.

Nell'istante in cui il velo improvvisato cadde ai suoi piedi, un caleidoscopio di immagini gli affiorarono alla mente in uno scorrere continuo, unica protagonista la piccola principessa: Elsa che rideva, correva e giocava insieme a lui, lo abbracciava, gli parlava; ricordi apparentemente chiari, che tuttavia cominciarono a distorcersi improvvisamente in contrasto con la figura che gli stava di fronte, tanto che Jack arrivò a mettere in dubbio la propria capacità visiva: possibile che non avesse mai fatto caso ad un particolare tanto evidente? No, non poteva sbagliarsi: la completa somiglianza fisica con la regina era stata evidenziata da chiunque nel regno e riscontrata in ogni aspetto esteriore, dalla testa ai piedi, a partire dalla chioma castana alla piega delle labbra...
Tuttavia, ogni tentativo di auto-convincimento usciva sconfitto dal confronto con la realtà; una realtà nuova, inaspettata ed inspiegabile: i capelli di Elsa, di un biondo purissimo, parevano brillare di luce propria nell'oscurità, risultando in un effetto incantevole, dall'aurea magica.

<< Whoa. Elsa, sei... >>
<< No! Non dirlo! Non dirlo! >> Tremava e piangeva senza ritegno, le mani a coprire il volto; si era fatta minuscola sotto il peso dell'angoscia. Il ragazzo si inginocchiò: << Sei diversa, non c'è dubbio. Come è successo? >>
<< E' tutta colpa mia, se non avessi disubbidito a mamma e papà quella donna non mi avrebbe mai visto! >>
<< Quale donna? >>
<< Una bellissima fata tutta vestita di bianco, con una corona di perle e una pelliccia magnifica; è apparsa dal nulla nel cortile, voleva che andassi da lei, c'era anche Hans, e pensavo che mi chiamassero per giocare tutti insieme. Li stavo raggiungendo, ero un po' spaventata... >>
<< Frena frena, una fata e un bambino sbucati fuori dal nulla? Sei sicura? >>
<< Certo! Nemmeno tu mi credi, non è vero? >> Altri singhiozzi, altre lacrime. << E' la verità! >>
Jack la trattene delicatamente dal voltargli le spalle e scappare via. << No, non è così – calmati adesso, non piangere più. Io ti credo, sul serio, ma questo non spiega la trasformazione. >>
Elsa proseguì con maggiore calma: era esausta, lo sfogo appena superato aveva prosciugato quasi completamente le sue energie. << L' ho rivista in un sogno, quella stessa notte. Era nella mia camera, e mi ha fatto una carezza, senza dire niente; poi se n'è andata. Quando mi sono svegliata ho scoperto di essere così, avevo molto freddo... E' stata lei! >>
L'altro la guardò stordito dalla valanga di informazioni. << ...Okay. Non so perché questa donna misteriosa ti abbia preso di mira; però, in fin dei conti avrebbe potuto andare molto peggio. >>
<< Davvero? >>
<< Sono solo capelli! E sinceramente, sei molto carina. Ti stanno bene. >>
<< Non stai dicendo una bugia? >>
<< Ho la faccia di uno che dice le bugie? >>
<< Veramente... Sì! >> Finalmente l'arcobaleno dopo la tempesta, nella forma di una risata allegra da parte della bambina.
<< Quello che intendevo è: ne ho mai dette a te? >>
Scosse la testa con convinzione. << Allora non hai paura di me? >>
<< Neanche un po. E ora altezza, mi dica, è riuscita a costruire il pupazzo di neve che avevo richiesto? >>
<< Missione compiuta. E' venuto benissimo, sai, molto più bello di quelli che fai tu! >> Un sorrisetto furbo sulle labbra, ad indicare lo sbocciare della serenità ritrovata, Elsa iniziò a descrivere nei minimi particolari – non senza esagerare - la sua creazione; parlava senza sosta, animandosi ad ogni segno di assenso che riceveva da Jack. Continuarono così per molto, molto tempo, parlando di tutto e di niente, felici semplicemente per il fatto di essere insieme senza più minacce di pericoli imminenti: per ben due volte nel palazzo risuonarono i rintocchi degli orologi prima che il sonno prendesse il sopravvento su di loro.
<< Sono stanca... >> All'affermazione della principessa, che già si stropicciava gli occhi, seguì un sonoro sbadiglio. << Posso andare a letto? >>
<< Anch'io non ce la faccio più... Vieni, usciamo di qui. >> Afferrò la candela e la prese per mano, pronto a guidarla verso l'uscita.
Ma non fece in tempo a toccarla che subito si ritrasse, fulminato dall'impressione di avere appena stretto l'arto di un morto: la mano era gelida. Fredda come il ghiaccio. Troppo per qualunque essere umano.

Voltandosi seduta stante a guardarla, e vide il riflesso di sé stesso: perfettamente immobile, lo sguardo di Elsa fisso sulle proprie mani – o meglio su ciò che contenevano - al contempo terrorizzato ed ipnotizzato; da cosa, difficile stabilirlo con certezza. Assomigliava ad una qualche stella, ma era... Viva. Continuava a crescere e svilupparsi, emanando una sorta di tremolante alone azzurrognolo. << Elsa?!... >>
<< Cosa devo fare, che devo fare Jack! Aiutami! >>
<< Come hai fatto a... >>
<< NON LO SO! Per favore aiutami! >>
Frastornato, gridò un rimedio confuso: << Lancialo in aria! >>
La bambina eseguì l'ordine urlando di spavento: un attimo dopo gli occhi di entrambi si puntarono al soffitto, seguendo la traiettoria di quella strana fonte di luce. Volò sopra le loro teste, lasciando una scia d'argento dietro di sé, fino a raggiungere la cima; lassù esplose liberando migliaia di bagliori tutt'intorno, come un fuoco d'artificio.
<< Wow... >>
<< Puoi dirlo forte! E' stupendo! Però che freddo... >> Il ragazzo si strinse nelle spalle, frizionandosi le braccia. I cristalli di luce lo circondavano: dimentico della stanchezza, li osservò mentre tornavano verso terra leggeri e delicati. Stese il palmo, lasciando che uno di loro vi si posasse: << Sembra neve, guarda! >> In effetti ne avevano tutte le qualità, la consistenza, il colore; in effetti....
Arrivarono alla stessa conclusione nello stesso momento: << E' neve! >>
Si fissarono, l'uno estasiato, l'altra incredula. << Ti sei dimenticata di dirmi che puoi fare la neve? >>
<< Io non ne avevo idea. Vuol dire che la fata... >> Ed eccola, ancora lei, la paura, farsi strada nel suo cuore. << Per favore Jack, vattene! >>
<< Neanche per sogno, hai visto che roba? Ed è tutto merito tuo! >>
<< Non capisci? Potrei farti del male! >> Le parole di Kai e Gerda tornarono a tormentarla, più acute e taglienti in quanto la prova della loro veridicità le stava davanti, innegabile. << Hanno ragione, sono... >>
<< ...Incredibile. >> Jack, inginocchiato di fronte a lei, le sorrideva, perfettamente sereno. C'era comprensione nel suo sguardo, ed una sincerità tanto disarmante da stordirla. << Come? >>
<< Sei incredibile. Nessuno al mondo può fare una cosa simile, tranne te. Pensaci, Elsa: sei unica! >>
<< Ed è un male? >>
<< Bé...Non so, ma forse non esiste una risposta universale. Possiamo scoprirlo insieme, se ti va. Ho promesso di non abbandonarti, no? >>
Si asciugò le lacrime. Grazie. << E cosa faremo nel frattempo? >>
<< L'ora del coprifuoco è passata da un pezzo e dovremmo decisamente andare a dormire; però... >> Una luce maliziosa a illuminargli gli occhi, Jack sussurrò: << Dimmi, per caso vuoi fare un pupazzo di neve? >>

 

… Uff! Eccolo qua, un altro piccolo pezzo di storia si aggiunge al puzzle. Sono passati mesi dall'ultima volta, e ho sentito il dovere (e il bisogno, lo ammetto) di compensare con un capitolo piuttosto lungo: forse ho esagerato, ma mi sono lasciata trasportare e ad essere sincera descrivere questo passaggio mi ha fatto emozionare non poco... Diciamo che ho toccato un tema che sento molto mio. Spero di riuscire a trasmettere questo coinvolgimento, e che comunque il tutto non sia troppo pesante da leggere – nel caso, fatemelo sapere nei commenti, qualsiasi critica è accettata, purché fatta con costruttiva e civile! Chiunque volesse lasciarmi opinioni e consigli sarà il benvenuto, e come sempre, spero vi piaccia. Buona lettura!

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