Gioco di prestigio

di Daisy Pearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Lo stridente suono che anticipava l’apertura della cella lo destò dal proprio sonno. Intorpidito cercò di stiracchiarsi per quanto poteva in quel piccolo e scomodo letto sul quale era costretto a passare quasi la totalità del suo tempo. Che vita insignificante  la sua. Dormiva, mangiava, faceva dei piccoli lavori per la prigione e poi tornava di nuovo a dormire. L’unica cosa che realmente lo interessava e riusciva a risvegliare la sua mente erano le sedute settimanali con lo psichiatra. Lo trovava buffo. Gli piaceva pensare a quando lui si trovava dalla parte opposta della scrivania, a quando agguantava la sua costosa penna da collezione e scribacchiava il nome di qualche inutile medicina sul libretto delle ricette. Gli piaceva ricordare, perché i ricordi erano l’unica cosa che gli permetteva di far funzionare la mente.
Da mesi il suo cervello era come un buco nero, assorbiva tutto ciò che lo circondava, senza elaborarlo:  i suoni, i colori, i pensieri erano come risucchiati nei recessi del suo cervello e da lì non potevano più uscire. Così Alan Black aveva la mente vuota per quasi la totalità del tempo.
Riusciva a riprendere a ragionare solo quando il medico di turno iniziava a fargli domande. Si divertiva a dar loro risposte casuali volte a cambiare, seduta dopo seduta,  la loro diagnosi: probabilmente per quella ragione molti psichiatri avevano deciso di lasciar perdere, lui era un paziente troppo difficile.
Sapeva di essere stato uno psichiatra migliore di loro. Ricordava le sedute, ricordava la soddisfazione che provava catturando lo sguardo di quelle persone, renderlo proprio. Adorava entrare nei recessi della loro mente e sincronizzarsi con i loro pensieri per poi, infine, plasmare le loro scelte. Era così che il signor Black aveva creato un piccolo esercito di burattini al suo servizio. Ognuno di essi  avrebbe fatto esattamente ciò che lui voleva. Quella era stata una delle sue più grandi soddisfazioni. Ma la sua capacità non finiva lì: poteva costringere qualsiasi persona, sana di mente o meno, a fare qualsiasi cosa solo guardandola negli occhi e questo lo faceva sentire potente, quasi divino.
Peccato che quegli anni fossero finiti. Secondo lo stato stava pagando per i suoi crimini, anche se si chiedeva se realmente sapessero quali fossero. Era certo che nessuno sapesse delle sue facoltà, le indagini avevano portato alla luce i farmaci errati che aveva dato ai suoi pazienti, mentre avevano scoperto che altri si erano risvegliati da uno stato di trances durato numerosi anni, ma il procuratore certamente non sapeva come lui fosse riuscito a fare cose del genere.  L’altro crimine di cui era accusato era l’aggressione ai danni di due giovani: Maguerite Jones e David Sullivan. Erano stati abili ad incastrarlo e fondamentalmente era colpa loro se aveva perso le sue ‘capacità’ ed era costretto a dormire dietro a delle sbarre e su un letto scomodo, ma a lui poco importava, prima o poi avrebbe avuto la sua occasione per vendicarsi.
“Avanti Black! Hai visite!” disse il poliziotto che era appena entrato nella sua cella. Alan sbadigliò rumorosamente e poi si mise a sedere, posando infine lo sguardo sull’uomo.
“Oh, come sono fortunato di questi tempi!” rispose con sarcasmo “Con tutte queste visite finirò per passare più tempo fuori che dentro questa amabile cella!”
Il poliziotto fece una smorfia e Alan sorrise, sapeva che gli uomini che lo scortavano si sentivano a disagio con la sua presenza e la cosa lo divertiva immensamente. Si alzò e, come di rito, mise le mani unite davanti a se pronto a farsi mettere le manette attorno ai polsi, dopo di che uscì dalla cella con la mano dell’uomo stretta saldamente intorno al suo braccio.
Dopo pochi minuti di cammino venne fatto accomodare in una delle stanze che veniva utilizzata per le visite contenente unicamente un tavolino con due sedie. Alan si accomodò su una di esse mentre l’uomo che lo aveva condotto lì usciva dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Dopo pochi istanti la porta si riaprì ed entrò una giovane donna che Alan non aveva mai visto. Era vestita elegantemente e portava una valigetta che posò quasi immediatamente a terra, accanto al tavolino, dopo di che gli sorrise e gli tese la mano.
“Sono Jasmine Beketly, ansiosa di conoscerla signor Black!”
Alan le riservò un’occhiata che non lanciava a molti, uno sguardo di puro stupore: con quelle poche parole quella donna era riuscita a sorprenderlo. Tese la mano e strinse con gentilezza la sua.
La donna, che parve soddisfatta, si sedette davanti a lui facendo ondeggiare i suoi neri capelli mossi, colore che era in disaccordo con la sua carnagione molto pallida e gli occhi azzurro chiaro.
“A cosa devo il piacere?” domandò Alan leggermente incuriosito dalla sua presenza.
“Sono un avvocato, direi che sono qui per tirarla fuori di prigione!”
Alan assunse un’espressione incredula.
“Non ho bisogno di un avvocato!”
“Ha diritto ad averne uno!”
“Non butterò i miei soldi per un avvocato che non sarà in grado di tirarmi fuori da qui!”
La donna sorrise.
“Lei purtroppo non può nemmeno dire questo, signor Black, dato che non le è rimasto neppure un soldo!”
Alan assunse un’espressione sorpresa, anche se lo sospettava già da tempo: dovevano avergli confiscato tutti i beni.
“Perfetto non posso pagarla, arrivederci!”
“Signor Black, non voglio i suoi soldi!”
“Che razza di avvocato è lei?”
La donna sospirò come se stesse cercando di ritrovare tutta la pazienza necessaria a continuare il suo discorso.
“Come le dicevo prima lei ha diritto ad un avvocato. Spesso quando una persona non può permetterselo gli viene affidato un avvocato ugualmente, pagato dai soldi dello stato, proprio perché è un suo diritto!”
Alan ebbe l’impressione che lei lo stesse trattando come un bambino al quale spiegare qualcosa.
“Ne sono a conoscenza, ma questo non cambia i fatti! Non ho bisogno di lei!”
La donna serrò la mascella. “E come pensa di uscire da qui?”
“Non voglio uscire! Non c’è più nulla di interessante lì fuori!”
La donna sorrise “Non trova interessante nemmeno la vendetta, signor Black?”
Alan socchiuse gli occhi fissandola attentamente.
“Lei mi vorrebbe tirar fuori di qui, perché io possa vendicarmi?” era incredulo.
“Naturalmente no, ma c’è sempre qualcosa di interessante la fuori!”
Alan era sempre più perplesso ma, d’altro lato, sempre più interessato a quello che la signora Beketly gli stava dicendo.
“Continui!”
“Lei è accusato di crimini molto gravi, come ben sa e, naturalmente, già così sarebbe molto difficile scagionarla!” si piegò estraendo dalla valigetta un plico di fogli che consegnò ad Alan. Lui sapeva cos’erano: le sue accuse. Non si prese nemmeno la briga di toccare le carte.
“Come se non bastasse esistono prove anche sulla natura soprannaturale delle sue colpe.”
“Cosa?”
La donna trasse un profondo respiro.
“Esistono tali prove, ma naturalmente non si tratta di qualcosa di concreto da poter portare in tribunale, tuttavia, influisce molto sulla sua condanna, infatti se lei venisse scagionato verrebbe trovato un modo per ricondurla in prigione, data la natura delle sue facoltà!”
Gli occhi di Alan si spalancarono di stupore e non riuscì a mantenere la sua solita maschera di impassibilità.
“Non so di cosa lei stia parlando!”
La signora Beketly sorrise “Oh, sì che lo sa! Esistono persone che sarebbero disposte a tutto pur di farle finire i suoi giorni in una squallida prigione!”
“Mi creda, davvero non capisco!”
“Signor Black!” la donna posò i gomiti sul tavolo e si avvicinò a lui “Credo che lei mi stia trattando come una stupida e francamente non è una cosa che apprezzo molto!” disse freddamente.
Alan sentì il gelo attraversargli le ossa, era come se il tono di voce della sua interlocutrice avesse abbassato di parecchi gradi la temperatura della stanza, iniziò a battere i denti convulsamente e a non riuscire più a muovere i muscoli.
“Non sono una stupida non crede?” sussurrò con volto serio la donna. Alan cercò di annuire, ma il suo collo non si mosse di un millimetro. Tuttavia lei parve capire le sue intenzioni e immediatamente la stanza tornò ad una temperatura normale. Alan trasse un profondo sospiro e non seppe come, ma sapeva che quel freddo era stata opera della donna che gli sedeva di fronte, ma quando questa gli sorrise gentilmente immaginò di essersi sognato tutto: forse stava davvero impazzendo come credevano tutti quegli psichiatri che lo avevano visitato.
“Bene, l’udienza decisiva si terrà tra cinque giorni, si tenga pronto!”
“Non capisco!” iniziò lui “Mi ha detto che la mia situazione è disperata, come pensa di farmi uscire da qui?”
“Ho i miei metodi!” rispose con sicurezza lei “Si fidi!”
“Lei è davvero mandata dallo stato?”
La donna sorrise “Vedo con piacere che nemmeno lei è uno stupido, signor Black, non vedo l’ora di lavorare con lei!”
“Lavorare con me?”
“Naturalmente non sono mandata da nessuno, se non dalla mia volontà, quindi non si aspetterà che io la faccia uscire da qui, senza pretendere nulla in cambio!”
Ovviamente Alan sapeva che nessuno al mondo avrebbe fatto qualcosa senza avere nulla in cambio, quindi aspettò pazientemente che lei continuasse.
“Per prima cosa, non voglio che si vendichi né del ragazzo né della ragazza!”
Alan strinse i pugni e la mascella al solo ricordo dell’ultima volta in cui li aveva visti: avrebbe voluto farli a pezzi con le sue mani, come poteva quella donna chiedergli una cosa del genere? Così decise di ingannarla.
“Come può credere che farei una cosa del genere?”
La donna ridacchiò e il suono che uscì dalle sue labbra fece accamponare la pelle ad Alan.
“Io non la conosco signor Black, ma conosco la sua anima e il suo cuore e so che la prima cosa che vorrà fare una volta uscito da qui sarà vedicarsi, ma dovrà controllarsi! Ho altri programmi per i due giovani!”
“Allora può anche uscire da quella porta! Non sono interessato alla sua proposta!” Alan alzò la voce nel dirlo.
“E’ qui che si sbaglia signor Black!” la donna si alzò e andò a posizionarsi alle sue spalle “La mia non è una proposta, ma un ordine! Lei ha la possibilità di ricavarci qualcosa, ma se butta all’aria questa possibilità io avrò lo stesso ciò che voglio e lei sarà costretto a darmelo!”
Alan rabbrividì e deglutì, mentre nuovamente la temperatura della stanza si abbassava  notevolmente. La donna tornò dinnanzi a lui e lo fissò dritto negli occhi. Alan non ricordava quando fosse stata l’ultima volta in cui si era sentito così debole, forse non gli era mai successo, ad eccezione di quando aveva perso la sua amata più di venti anni addietro. Inoltre quella donna lo stava fissando negli occhi, quella era stata la fonte del suo potere per anni, ma ora erano inutili e quel gioco di sguardi aveva più effetto su di lui che su di lei.
“Lei è stanco di essere un uomo comune, quasi insignificante, non è vero signor Black?”
Egli cercò di respirare, ma il petto non riusciva a muoversi.
“Non rivuole indietro quel potere che per anni l’ha resa invincibile?” la voce della donna era alta e chiara, ma a lui sembrava provenisse da un altro mondo. I sensi lo stano abbandonando perché non riusciva più ad inalare ossigeno. Non voleva morire, ma non riusciva nemmeno a fare niente che potesse salvarlo. Una domanda riuscì a formularsi nella sua testa: come faceva quella donna a sapere così tante cose su di lui e sui suoi nemici? Sui suoi desideri e sulle sue conoscenze?
Cercò di inalare aria e con suo enorme stupore ci riuscì, il petto aveva ripreso a muoversi e il freddo stava scomparendo: stavolta era certo di non esserlo immaginato. La donna che aveva dinnanzi non era sicuramente una persona comune.
“Chi sei?” chiese ansimando.
“Non è affar tuo!” rispose freddamente lei.
“Qual è il tuo scopo?”
“Anche questo non ti interessa!”
“Qual è il mio ruolo in tutto ciò?”
Finalmente la donna sorrise, come se fosse felice che lui avesse posto la domanda giusta. Alan non voleva davvero sottomettersi a lei, ma era convinto che la ricompensa che avrebbe avuto per i suo aiuto gli avrebbe permesso, in un modo o nell’altro di compiere la sua vendetta, dopo di questa sarebbe anche potuti morire in pace e non avrebbe più aiutato quella donna.
Lei si risedette senza nascondere la soddisfazione.
“Molto bene Alan Black, davvero molto molto bene!”



Seguito di Glances Game. In questi primi capitoli cercherò di fare un riassunto di quello che è successo in Glances Game quindi chiedo scusa ai lettori che lo hanno già letto, spero di non essere ripetitiva. Per quelli che non hanno letto l'antefatto di questa storia vi dico: non importa. Cercherò di renderla comprensibile ugualmente!
Il titolo credo che verrà modificato, ma devo avere una buona idea per questo!

Grazie a chi è arrivato fin qui!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1






“Questa cosa mi sa tanto di appuntamento!” dissi arricciando il naso mentre entravamo in un ristorante fin troppo chic per i miei gusti.
“Ti assicuro che non lo è!” disse Dave assumendo un’aria da santerellino. Poveretto, con tutto il tempo che passava con me ancora non aveva imparato nemmeno a dire una piccola bugia. Mi infastidiva l’idea di avere un appuntamento con lui perché dava un’aria diversa alla nostra storia. Sembrava qualcosa di serio e a me non piaceva pensarla in quel modo, preferivo credere che si trattasse di qualcosa di poco importante che avrei potuto concludere più o meno a mio piacimento. Prima o poi mi sarei stancata di lui dopotutto. Eppure non faceva altro che stupirmi, ero persino arrivata a trovare piacevole la sua presenza costante nella mia vita. Sapevo che lui la reputava una storia seria, Dave era fatto così, ma io ero ben diversa: non sapevo se mi sarei mai potuta abbandonare ad un sentimento come l’amore!
Rabbrividii al solo pensiero. Io innamorata. Non sarebbe mai potuto accadere e nel caso fosse successo sicuramente me ne sarei accorta perché sarei diventata una pappamolle, cosa che ancora, per fortuna, non era successa. Potevo stare tranquilla. Inoltre avevo una specie di sento senso che mi impediva di fare cose stupide o avventate come, appunto, innamorarmi.
Fatto sta che avevo un appuntamento con Dave e la cosa non mi piaceva per niente.
“Me ne vado!” dissi girando i tacchi e posando la mano sulla maniglia della porta.
“Non puoi!” ribattè Dave afferrandomi per il braccio. Lo fulminai con lo sguardo, ma lui non distolse gli occhi dai miei. Era risoluto, ma l’avrei avuta vinta io.
“Non voglio un appuntamento con te!” sibilai disgustata. Lui alzò gli occhi al cielo cercando forse di non mostrarmi il suo dispiacere o la sua ira.
“Non è un appuntamento!” questa volta la bugia gli era riuscita meglio, era serio mentre lo diceva “Verrà anche Emily, puoi stare tranquilla: non sarà una cenetta romantica!”
Ero troppo sconvolta dalla parola ‘Emily’ per prestare attenzione all’aggettivo ‘romantica’. Emily era una mia compagna di università, una persona che sarebbe facile definire con un solo termine: secchiona. Era il classico topo con gli occhiali che leggeva, studiava e credeva nell’amore puro ed eterno. Il genere peggiore. Era senza un briciolo di autostima o di personalità ed era convinta che io fossi sua amica. il punto era che a me non dispiaceva più tanto come all’inizio la sua compagnia, mi ero abituata. Lei aveva la capacità di farmi riflettere, di non farmi agire in modo impulsivo e sfrenato, secondo la mia indole. Non l’avrei mai ammesso ad alta voce, ma era l’unica che riuscisse a calmarmi, probabilmente perché nel momento in cui apriva bocca tutta la mia rabbia si concentrava su di lei mentre lasciavo perdere il resto del mondo.
“Emily?” feci una smorfia “Preferisco mille volte un appuntamento!”
Dave fece un sorriso furbo, di chi la sa lunga e si rivolse al cameriere che da un paio di minuti aspettava che noi rivolgessimo a lui la nostra attenzione.
“Ho prenotato, sono Sullivan!” disse. Il cameriere sorrise e ci condusse al nostro tavolo che, naturalmente, era apparecchiato per due.
Dave mi spostò la sedia per farmi accomodare.
“Puoi evitare?” dissi decisamente scontrosa e minacciosa. Già dovevo sorbirmi una cenetta romantica, poteva anche evitare di fare quei gesti che io non avrei mai apprezzato. Allontanò le mani dalla sedia e le alzò allontanandosi come a dire ‘mi arrendo’ e si andò a sedere al suo posto.
“Non puoi essere gentile per una volta?” sbottò. Da un lato potevo capirlo. Quel posto era davvero splendido: i tavoli avevano lunghe tovaglie che arrivavano fino a terra, la musica era soave e bassa, i camerieri vestiti come pinguini, l’aria profumava di rose. D’altro canto lui sapeva che quello non era il mio ambiente e che mai lo sarebbe stato. Io non ero come le altre ragazze, io ero diversa, speciale da molti punti di vista e l’idea che lui cercasse di impressionarmi con cose banali come una cena in un ristorante di lusso, come se fossi una comune ragazza da sedurre, mi dava davvero il nervoso.
“No!” risposi.
“Non ti piace questo posto?”
“Non mi piace quello che significa!”
“E’ un ristorante, cosa vuoi che significhi?” disse scettico.
“Significa che è un appuntamento!”
Dave scosse la testa “Siamo usciti altre volte fuori a mangiare!”
“Ma qui è diverso!”
“Diverso!” sbottò incredulo.
“E’ serio!”
Alzò lo sguardo e incontrò il mio. I suoi occhi erano meravigliosamente verdi e per un secondo la sua espressione triste mi fece venire voglia di lasciar cadere lì la discussione e fingere che tutto andasse bene. Solo che non potevo, era una questione di principio, ero fatta così.
“Allora vattene!” il suo sguardo si indurì.
Strinsi la mascella. Malgrado tutto era un ragazzo molto furbo e mi conosceva bene. Dicendomi ‘vattene’ mi aveva in qualche modo dato un ordine, peccato che io non eseguivo mai gli ordini. Quindi Dave sapeva che nel momento in cui avrebbe pronunciato tale parola io comunque non me ne sarei andata.
“Perché dovevi complicare le cose?”
“Non credevo di complicarle, volevo solo farti un regalo!”
“Portandomi in questo posto?” alzai leggermente la voce, un paio di persone si voltarono verso di noi incuriosite.
Dave sorrise amaramente. “Non ricordi vero?”
“Di averti detto che odio tutto questo? Credevo fosse ovvio!”
Lui scosse la testa sempre più dispiaciuto.
“E’ successo un mese fa credo. Mi avevi detto che  non eri mai stata in un ristorante di quelli seri, di quelli eleganti. Così ho pensato a come saresti stata bene in un abito elegante invece di quelli che usi di solito…” lanciò uno sguardo al mio lungo vestito attillato verde che mi fasciava le curve in modo grazioso e provocante al tempo stesso, sorrise.
 “Mi sono immaginato i tuoi lunghi capelli neri che incorniciavano il tuo viso e ho pensato a quanto saresti stata bella, perfetta per un posto così, l’unico luogo degno della tua bellezza.”
Stavo per vomitare per quanto erano banali le sue frasi, anche se sapevo che tutto ciò che diceva lo pensava davvero “Infine ho pensato al tuo sorriso, a quanto saresti stata felice di essere qui…” omise il ‘con me’ anche se sapevo che lo aveva sulla punta della lingua.
Ero combattuta. Da un lato volevo alzarmi da quella dannata sedia, rovesciargli il tavolo addosso e forse anche prenderlo a calci, d’altra parte volevo rinunciare ai miei principi, al mio disappunto e al mio cinismo per godermi la serata senza pensarci troppo. Lo guardai negli occhi.
“Dave, andava tutto bene, credo che ciò che avevamo fosse perfetto. Eravamo liberi, felici, perché dovevi complicare tutto così?”
“Non volevo complicare le cose Mar! Ci ho pensato a lungo e ho deciso di mostrarti come sono io realmente! Io sono un tipo sdolcinato, forse monotono, passerei tutta la serata a fissarti senza chiedere nulla in cambio, ti offrirei mille cene, ti farei ridere e ti direi cose stupide per renderti allegra. Ti regalerei un mazzo di fiori ogni sera, ma non l’ho mai fatto perché so che tu non sei così. Per te tutte queste cose sono banali, sdolcinate, patetiche!”
Annuì convinta soprattutto di fronte all’ultima parola. Erano proprio patetiche.
“Il problema è che io non so più come comportarmi! Per me la nostra relazione è qualcosa di fantastico, ma soprattutto qualcosa di serio, per questo non voglio trattenere le parole, ma soprattutto non voglio più trattenere i miei sentimenti…”
Sbarrai gli occhi: il momento che più avevo temuto negli ultimi mesi stava arrivando. Avevo sperato con tutto il cuore che la parola ‘sentimenti’ non uscisse mai dalle labbra di Dave, ma infondo lo sapevo che lui era un tipo sentimentale e che prima o poi l’avrebbe mostrato. Lui era il tipo che tutte le ragazze volevano, tutte tranne me, eppure mi aveva conquistata in un  modo o nell’altro, ma sicuramente non ero pronta a parlare di sentimenti, anzi, non lo sarei stata mai!
“Non andare avanti!” lo guardai minacciosamente sperando che il mio sguardo gli incutesse timore e che gli facesse capire quanto fossi seria in quel momento.
Mi prese la mano nella sua. La strattonai cercando di liberarmi dalla sua presa, ma era troppo forte. Mentre apriva la bocca per prendere fiato e reiniziare a parlare mi venne voglia di tapparmi le orecchi con le mani, come una bambina, e iniziare ad urlare cose tipo ‘lalala’, ma non potevo, non con una mano bloccata nella sua.
“Mar, ti amo!”
Alzai gli occhi al cielo. Era comprensibile che lui si fosse innamorato di me, ero bella, ero intelligente, furba, brava a letto, simpatica, ero perfetta insomma, quindi non vedevo come avrei potuto evitare ciò. Tuttavia mentre pronunciava quelle parole fu come se il mondo mi cadesse addosso. Mi ero illusa che quell’idillio potesse durare per sempre. Stavamo bene insieme ed erano mesi che mi sentivo poco attratta da qualsiasi uomo che non fosse Dave, il che per me era davvero straordinario. Ero in pace con me stessa, col mondo. Alan era in prigione e Robert pure, quindi la mia vita era priva di pericoli. Caren era semplicemente sparita. L’unica nota dolente era Emily, ma avevo imparato, col tempo, ad abituarmi alla sua fastidiosa presenza. Avevo una vita perfetta, perché lui doveva rovinarla con due parole? Non poteva tenersele per se?
Dirmi che mi amava era come dirmi che ero più importante di qualsiasi altra cosa al mondo, ma soprattutto significava che si aspettava qualcosa di più serio, qualcosa di ufficiale come il mettersi insieme, per esempio. Per Emily noi eravamo praticamente come fidanzati e il fatto che non ce lo fossimo detto ufficialmente non faceva una gran differenza, ma per me era diverso. Non dirlo equivaleva a vivere nell’illusione di essere felice e in pace con me stessa senza essere debole, perché l’amore è per gli stupidi e i deboli, per quelle persone che da sole non contano poi così tanto. Dicendomi che mi amava Dave ammetteva che lui non era nulla senza me, e io non potevo sopportare quest’idea. Avevo sempre considerato Dave un ragazzo con le palle, deciso, qualcuno da stimare, ma dopo quelle parole come poteva ancora avere il mio rispetto.
Senza una parola tirai con più forza la mia mano, portandola lontano dalla sua stretta. Lui mi guardò con tristezza: era come se si stesse pentendo di ciò che aveva appena detto.
“Farò finta che tu non l’abbia mai detto!” sibilai a denti stretti. Abbassò lo sguardo sconsolato, come se avesse perso la speranza.
Mi alzai e spedita mi diressi verso la porta del ristorante ben decisa a non mettere mai più piede in un posto del genere.


“Cosa sarebbe meglio tra gin e vodka?” domandai  ad una barista qualsiasi di un bar qualsiasi abbastanza lontano dall’inferno in cui mi aveva portato Dave.
“Stupido da parte tua farmi una domanda del genere!”
Alzai un sopracciglio. Odiavo essere contraddetta, soprattutto se di fronte a me c’era una persona qualsiasi.
“E come mai?” domandai beffeggiandola.
Lei sorrise cortesemente.
“Sicuramente ti direi che è meglio quello che costa di più, o quello meno alcoolico. In entrambi i casi lo farei per guadagnare di più!”
Piegai la testa di lato, come a darle ragione.
“Vada per la vodka!”
“Ottima scelta!”
“Perché costa di più?”
La barista sorrise.
“Fa dimenticare più in fretta!”
Scossi la testa mentre lei riempiva un bicchierino di quella sostanza così simile all’acqua.
Ingurgitai il liquido tutto in un sorso e ne chiesi un altro.
“Allora? Cuore infranto?” mi domandò poggiando i gomiti sul bancone. Non capivo perché, per le persone comuni, fosse così facile giudicare. Non potevano semplicemente farsi i fatti loro?
Aggrottai le sopracciglia.
“Perché dovrei dirlo proprio a te?”
Trangugiai il secondo bicchiere e lei me lo riempì nuovamente senza che io le avessi detto niente.
“Perché sentire le storie altrui mi fa sentire meno misera!”
“Sincera e stupida!”
Sorrise amaramente. “Perché sarei stupida?”
Ridacchiai un po’ inebriata dall’alcool.
“Primo perché tu prima mi hai dato della stupida. Diciamo che restituisco sempre un ‘complimento’. E secondo perché adesso che so che vuoi sapere delle disgrazie altrui solo per sentirti meglio, ti racconterò di quanto stiamo bene il mio ragazzo ed io!”
Nella mia mente si era già formato il film di una storia d’amore perfetta, un perfetto idillio che l’avrebbe fatta sentire ancora più misera di quello che era. Pregustavo già la faccia che avrebbe fatto quando le avrei detto una qualsiasi balla romantica.
“Non puoi mentirmi, stai bevendo! L’alcool scioglie la lingua!”
Sorrisi meschinamente. Povera illusa, non sapeva chi aveva davanti.
“Io e il mio ragazzo siamo follemente innamorati!” iniziai.
“Allora perché bevi?”
“Perché mi piace bere!”
Scosse la testa, come se fosse insoddisfatta. Poi alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi. Che sciocca.
Avevo passato una vita a soggiogare le persone semplicemente guardando le loro iridi. Mi ero messa in sintonia con le loro emozioni, le avevo fatte mie. Dopo di che avevo preso delle decisioni per loro, scelte che loro credevano di aver preso da soli, in modo arbitrario. Ero una burattinaia che teneva dei fili invisibili, un’imperatrice con un mucchio di sudditi.
Tutto questo prima che il libro andasse distrutto. Si intitolava ‘Gioco di sguardi’ ed era la fonte del mio potere, del potere di tutti noi. Non c’ero stata solo io ad avere quelle facoltà, il primo fu Alan Black, quello che prima era il mio tutore e dopo era diventato il mio peggior nemico.
Circa vent’anni prima aveva perso sua moglie. Era morta dando alla luce loro figlio. In realtà non era trapassata per via del parto, ma a causa di un’antica maledizione che colpiva tutte le generazioni di custodi del libro, una maledizione lanciata da una strega che faceva in modo che una volta che il nuovo custode fosse giunto al mondo, quello vecchio doveva semplicemente morire.
Lei si chiamava Grace, e suo figlio era proprio il Dave Sullivan dal quale fuggivo.
Dopo la morte della moglie Alan scoprì che lei era innamorata di un altro, un certo Alex Greenwood, colui che si sarebbe preso cura di Dave negli anni a venire e che avrebbe tentato in tutti i modi di rompere la maledizione che gravava su di lui. Fatto sta che Alan trovò il libro, un volume con una copertina nera e una bianca simbolo, rispettivamente, del male e del bene. Aprì la parte nera e il potere si riversò in lui. Cercò dei bambini a cui insegnare l’arte del corrompere e istigare e fu così che mi portò via da mia madre all’età di  quattro anni. in realtà fece uno scambio: Jaqueline Jones era una prostituta con una figlia indesiderata, lui le offrì un lavoro, dei soldi e la corruppe con le sue facoltà, tutto in cambio di me. Fu così che crebbi seguendo una linea di principio che tutti considererebbero immorale, ma che per me era giusta e mi faceva sentire forte e invincibile. Io, Robert, Caren (anche se in misura minore) e Alan potevamo dominare il mondo. Noi e altri tre ragazzini eravamo quella che potrebbe essere considerata una famiglia, almeno finchè non aprii anche io il libro, fu allora che il potere di Alan si dimezzò perché in parte era diventato mio, fu allora che decise di volermi morta per riprendersi tutta la sua forza. Nel frattempo conobbi Dave, colui che invece aveva aperto la parte bianca del libro. Lui risvegliò la mia coscienza battendomi ad una partita del gioco di sguardi, grazie a lui non ero più immorale e quello che facevo fare agli altri, in qualche modo, ricadeva su di me. Mi sentivo in colpa, anche se ci misi molto ad ammetterlo.
Diventammo amici, lottammo insieme e alla fine riuscimmo a distruggere il libro e con esso i poteri  e la maledizione. Il libero arbitrio fu ristabilito, ma non potevo dire che non mi mancasse quella inebriante sensazione di poter fare ciò che volevo. Ero forte e sapevo di esserlo indipendentemente dall’esistenza di certe facoltà paranormali, ma sicuramente esse avevano facilitato la mia vita.
“Raccontami perché bevi! Dimmi la verità!”
Sorrisi e mandai giù l’ennesimo bicchiere, mentre la barista  continuava a fissarmi interessata. Aprii bocca, pronta a raccontare la mia bugia.
“Il ragazzo con cui ho una storia mi ha appena detto che mi ama, ma io non voglio una cosa seria. Voglio divertirmi, ho paura di avere legami perché so che questo mi farà soffrire e temo di non essere abbastanza forte da sopportarlo!”
Sbarrai gli occhi, incredula delle parole che mi erano appena uscite dalle labbra. Mi portai una mano alla bocca, come se questo potesse servire a ricacciarle indietro. Dovevo dire una bugia, mentre invece mi era venuta fuori la verità, peccato che fosse una verità che nemmeno io ero pronta ad accettare.
La ragazza sorrise comprensiva. Digrignai i denti. Non volevo la sua comprensione, volevo la sua invidia, la sua ammirazione, il suo odio, non la compassione. Mi odiai per ciò che avevo appena detto.
“Visto? La vodka fa miracoli!” disse scuotendo la bottiglia e riempiendomi nuovamente il bicchiere, come se fossi una persona qualsiasi in un bar qualsiasi.
Col dorso della mano allontani con forza il bicchiere rovesciandolo. Osservai il liquido trasparente espandersi sul bancone in ogni direzione.
“Non sono così debole!” dissi più a me stessa che a lei.
“Oh sì che lo sei!”
Alzai lo sguardo e la vidi sorridere, ma il suo sorriso era qualcosa di raccapricciante, era meschino e mi fece venire i brividi lungo tutta la spina dorsale. Inziai a sudare e il mio respiro accelerò, come se il mio corpo si fosse reso conto di andare incontro ad un pericolo incombente.
Chiusi gli occhi per un istante cercando di calmare i battiti frenetici del mio cuore.
“Cos’hai detto?” sibilai riaprendo le palpebre.
“Che sei umana! Se provi tutto ciò è un buon segno! Vuol dire che non sei morta!”
La guardai incredula, era tornata ad essere la persona gioviale che mi era sembrata all’inizio. Ogni traccia del sorriso malefico era sparita dal suo volto. Scossi la testa mentre la sudorazione scompariva e il respiro tornava normale. Probabilmente mi ero immaginata tutto.
Mi portai una mano alla testa e me la massaggiai.
“Serve un’aspirina?”  non era la barista ad aver parlato, ma un ragazzo che si era seduto accanto a me.
Gli sorrisi, memore della cacciatrice di uomini che ero stata fino a poco tempo prima.
“Direi che sto bene!”
“Non sembrerebbe!” sembrava leggermente preoccupato, ma anche un po’ divertito.
“Che ti porto?” gli chiese la barista sorridendogli.
“Quello che ha preso lei!” mi sorrise e mi ritrovai a pensare a quanto fosse carino quel ragazzo. Era normale. Niente fisico supermuscoloso, niente sigarette, niente casco. Insomma niente di che il che lo faceva una distrazione perfetta e la prova che io non ero debole, ero ancora in grado di attrarre ragazzi carini nella mia rete per poi sedurli.
La barista, vedendolo interessato a me, mi fece l’occhiolino, come se fossimo state amiche, dopo di che si allontanò, probabilmente per lasciarci un po’ di privacy. Se non altro mi ero liberata di quella ficcanaso.
“Ciao!” lo salutai.
Sorrise, come lusingato dalle mie attenzioni.
“Ciao! Io sono Tyler!”
“Un gran bel nome!”
“Mentre il tuo qual è?”
“Perderei il mio vantaggio su di te se te lo dicessi!” assunsi un’espressione furba e mandai giù un piccolo sorso di vodka.
“Ma così non vale!” fece il finto offeso, anche se in realtà si vedeva che lo intrigavo. Bella e misteriosa, un mix esplosivo.
“Sì che vale se giochiamo secondo le mie regole!” gli feci l’occhiolino.
“E se non volessi giocare secondo le tue regole?”
“Devi?”
“Altrimenti?”
Mi  morsi il labbro inferiore e accennai un sorriso prima di avvicinarmi a lui quel tanto che bastava a fargli avere il mio respiro sulle labbra.
“Mmm credo che dovrò costringerti!” ribattei sensualmente.
“Non vedo come!” faceva il finto scettico e il suo respiro era lievemente accelerato.
“Ho molti metodi!”
“Tipo convincermi con uno sguardo?”
Mi bloccai, perché doveva proprio ricordarmi che non potevo più convincere loe persone a fare delle cose solo guardandole?  Alzai gli occhi per incontrai i suoi. Erano leggermente socchiusi, mi guardava con dolcezza mista a desiderio.
Cercai di ricacciare quello che aveva detto nei recessi della mia memoria per poter continuare la mia opera di seduzione.
“Oppure potrei fare questo!”
Posai le mie labbra sulle sue con passione e forse anche con un pizzico di disperazione. Lui si muoveva con me, ma ad ogni contatto io non sentivo niente. Se all’inizio avevo pensato che avesse delle bella labbra, in quel momento mi si chiuse lo stomaco, ma quella non era eccitazione. Era rimorso, disgusto, rifiuto. Io non volevo baciarlo eppure continuavo muovere le mie labbra sulle sue.
Percepivo la forte stretta delle sue mani sui miei fianchi, ma allo stesso tempo le sentivo lontane. Io ero forte, dovevo continuare a fare ciò che stavo facendo, per il mio bene, per dimostrare che non dipendevo in alcun modo da Dave. Per provare a me stessa che il suo sguardo non faceva saltare i battiti al mio cuore, che la sua risata non mi rallegrava la giornata, che i suoi abbracci non mi facevano sentire al sicuro, che lui non baciava come Tyler, che lui non era meglio.
Mi staccai quasi con forza. Tyler mi guardò confuso e io uscii di fretta dal bar, quasi fuggendo via. Una volta fuori mi misi a correre. Il rumore dei battiti del mio cuore nelle orecchie mi impediva di pensare con lucidità, quindi ero ancora in balia delle emozioni che avevo provato poco prima. Mi sentivo sporca, come se avessi tradito Dave, ma non si può tradire una persona con la quale non si sta insieme. Non si può tradire un’avventura, non si può tradire qualcuno a cui non tieni.
Era sbagliato che io mi sentissi in quel modo. Da quando mi ero rammollita così tanto?
Mi fermai e tentai di riprendere fiato. Cercai di tranquillizzarmi, dopotutto ero solo sconvolta perché Dave mi aveva detto di amarmi, tutto qui. Mi sarebbe passata e il giorno successivo sarei stata come sempre, felice, spensierata, sexy e senza problemi. Dovevo solo dimenticare due semplici parole, le cinque lettere che avevano rovinato tutto.
In quel momento il cellulare squillò, guardai il display e sbuffai quando vidi che si trattava di Emily.
“Che vuoi?” risposi scontrosa.
“Mar che hai? L’appuntamento non è andato bene?”
Come facevo a dimenticare le parole di Dave o i suoi sentimenti per me se ogni volta Emily me li ricordava con la delicatezza di un elefante?
“Che vuoi?” sibilai. Emily non era una persona permalosa e diciamo che era abituata ad essere trattata male dal prossimo e se il prossimo ero io tanto meglio, era convinta che le volessi bene quindi mi faceva sfogare come meglio credevo, a lei poco importava. Era un ottimo capro espiatorio.
“Ho appena saputo! Il processo si terrà domani!”
Mi venne da sorridere, tutta la tensione, la rabbia e le paranoie svanirono: finalmente una buona notizia.
“Dovrò testimoniare?”
“Probabile!”
Il sorriso si tramutò in un ghigno.
“Non vedo l’ora!”



Grazie a chiunque sia arrivato a leggere fin qui.
Ora scusatemi, ma ho una domanda da porre a chiunque sia interessato a continuare a leggere questa storia: vi vanno bene i capitoli di questa lunghezza?
Si tratta mediamente di 4000 parole, ma dato che in 'Glances Game' alcuni lettori mi hannno fatto notare che erano troppo lunghi, vorrei chiedervi se li preferite così oppure smezzati. Purtroppo per poter scrivere in modo decente ho bisogno di fare i capitoli di questa lunghezza, ma volendo potrei spezzarli in due. Ditemi voi.
Vorrei anche chiedere a chi ha letto la precedente storia se i personaggi sono coerenti o meno con gli altri. E' difficile immedesimarsi in Mar dopo quasi un anno!
Per qualsiasi critica, correzione io sono qui!
Grazie per l' 'ascolto'.

Daisy
mi trovate su questa pagina facebook https://www.facebook.com/pages/Non-ho-parole/116255365194270?ref=hl
Ps. l'eccessivo utilizzo delle parole 'qualunque' e qualsiasi' è voluta.




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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2



Una Marguerite Jones un po’ pensierosa mi fissava di rimando dallo specchio. Le  lanciai un’occhiataccia come a dirle di farsi gli affari suoi, di non guardarmi in quel modo, ma come potevo dare degli ordini a me stessa, sapendo che comunque non mi sarei ascoltata?
Avevo un vestito marrone lungo fino a metà coscia che lasciava la parte superiore della schiena scoperta. Ero elegante e sexy, come sempre. Piegai la testa all’indietro e feci scorrere le mani alla base dei miei capelli lisci come la seta, li raccolsi e li legai con una coda alta, dopo di che tornai a fissarmi con un’espressione accigliata.
Cosa non andava in me? Perché improvvisamente non pensavo più di essere perfetta?
Mi voltai per guardare come calzava il vestito sul lato b e non trovai nulla da ridire: il problema non era sicuramente nel mio aspetto fisico, doveva trattarsi di qualche problema nella mia testa. Colpa di Dave, come sempre.
“Sei perfetta!” il riflesso di Emily comparve nello specchio, lo vidi sorridere. Chissà perché credeva che mi servisse sentirmelo dire, come se non lo sapessi. Mi venne da sorridere al pensiero di quanto poco mi conoscesse e di quanto poco avessi mostrato a lei della vera me. Se avesse saputo com’ero non mi avrebbe sicuramente proposto di condividere con lei l’appartamento o forse l’avrebbe fatto lo stesso, dopotutto era esageratamente altruista.
Ero stata costretta a vivere con lei perché non avevo più un soldo, non lavoravo e dovevo pur stare in qualche posto. Dave si era offerto di ospitarmi, ma volevo evitare qualsiasi cosa che si avvicinasse alla convivenza, anche se praticamente la maggior parte delle sere mi ritrovavo da lui a dormire.
La mia adorata mammina, quella che mi aveva così gentilmente venduta ad Alan, si era offerta di pagarmi gli studi senza chiedere nulla in cambio, nemmeno il mio perdono, e avevo abbastanza faccia tosta da accettare. Lei lo considerava una sorta di ‘risarcimento’ per ciò che mi aveva fatto, io lo vedevo solo come un aiuto che egoisticamente mi ero presa. Diciamo che non avevo alcuna intenzione di rivedere quella donna, figuriamoci se mi andava di parlarle.
Bugia. Certe volte mi era passato per la mente di capitare ‘accidentalmente’ nei pressi del bar dove lavorava, ma mi ero autoimposta di non entrare, lei non lo meritava.
Sospirai e sorrisi con sincerità ad Emily.
“Grazie!”
Ero proprio diventata l’amica perfetta. Per quanto mi sforzassi di odiare Emily e per quanto il mio cervello mi dicesse di farlo, non ci riuscivo, le volevo quasi bene, quasi. Forse davvero mi stavo rammollendo. Rabbrividii al solo pensiero e cercai di rimuove l’idea dalla mia testa.
“Darai a quel bastardo quello che si merita!” esclamò marcando la parola ‘bastardo’, come se fosse fiera di averla detta. Mi venne da sorridere: anche lei era cambiata, probabilmente a causa della mia influenza ‘negativa’ o forse perchè avevo tirato fuori le palle che aveva dentro di sé. Pochi mesi prima impallidiva di fronte ad una parolaccia, in quel momento si limitò solo ad arrossire.
“Ovviamente!” confermai soddisfatta.
“Dave?”
Alzai gli occhi al cielo, odiavo quando da finta scaricatrice di porto passava improvvisamente a rompipalle ficcanaso.
“Non lo so e non mi interessa!”
“Non dovresti seppellire l’ascia da guerra?”
“Ma se non sai nemmeno perché ce l’ho con lui!”
“No, ma…”
“Saresti dalla sua parte in qualunque caso!” mi alterai leggermente.
“Lui è perfetto Mar!”
“Allora sposatelo!” alzai leggermente la voce un po’ esasperata.
“Non posso! Lui ama te!”
Alla parola ‘ama’ la fulminai con lo sguardo. Perché doveva sempre avere la strabiliante capacità di dire quello che meno volevo sentire? Era una dote, una dote di cui avrei fatto volentieri a meno.
“Lui. Non. Ama. Proprio. Nessuno.” Scandii ogni singola parola a denti stretti.
Lei alzò le spalle.
“Capisco che tu non voglia illuderti, ma è così e presto o tardi te lo confermerà anche lui!”
Emisi un profondo respiro nel tentativo di calmarmi, mentre in realtà avrei voluto strapparle la testa a morsi. Mi figurai almeno una decina di modi per farla stare zitta definitivamente, ma ero una brava ragazza e le brave ragazze non tramano omicidi a sangue freddo.
“Non si tratta di questo. Lui non mi ama e non voglio nemmeno che lo faccia! È solo sesso!”
Emily mi guardò incredula.
“Non ci credi nemmeno tu!”
Digrignai i denti e indietreggiai fissandola negli occhi. Per un solo istante avrei voluto avere le mie facoltà per costringerla a stare zitta o a prendersi a pugni da sola ad ogni parola sbagliata.
Afferrai la borsa e uscii di fretta dall’appartamento sbattendomi con forza la porta alle spalle.



Come potevo rimanere indifferente di fronte al suo sorriso? Vidi Dave che mi stava aspettando davanti all’entrata del tribunale, era poggiato con la schiena al muro e aveva le braccia incrociate al petto. Si mise dritto non appena mi vide arrivare e sul suo volto comparve un accenno di sorriso, si vedeva che nemmeno lui sapeva bene come comportarsi  dopo ciò che era successo la sera precedente.
Da parte mia cercai di non far trapelare quanto vederlo mi rallegrasse, seppur in minima parte. Gli passai davanti senza degnarlo di uno sguardo e oltrepassai la porta. Con la coda dell’occhio lo vidi scuotere la testa, come se si aspettasse quel genere di comportamento.
“Hai intenzione di non parlarmi mai più?” domandò circospetto seguendomi.
Arricciai il naso. “Mai più è un tempo estremamente lungo, forse potrei tornare a parlarti tra un secolo o due, ma, ops, saresti morto” marcai l’ultima parola con ironia mentre iniziavo a salire le scale.
Lo sentii sospirare leggermente divertito, era preoccupato per ciò che ne sarebbe stato di noi, lo sentivo, ma comunque lo faceva sorridere ciò che dicevo. Ne rimasi rallegrata, era una bella sensazione quella di provocare la sua risata cristallina. Cercai di togliermi tale pensiero dalla testa.
“Il lasso di tempo in cui non mi parlerai  si potrebbe ridurre in qualche modo?”
“Forse con la tua prematura dipartita!” cercai di essere gelida, ma dopotutto mi stavo divertendo. Non riuscivo più ad essere arrabbiata con lui. Ero felice che lui fosse con me e, infondo, non mi importava se mi amava o meno, dopotutto io non ero vincolata a questo. Se lui voleva amare una persona che non lo avrebbe mai ricambiato erano affari suoi, non miei, anzi, io ne avrei tratto solo dei benefici.
Mi sentii afferrare il polso da una mano salda, grande. Con una leggera spinta Dave mi fece voltare verso di se. Era serio. Era sexy quando era serio, terribilmente sexy. Non ero pronta a rinunciare a lui perché temevo i suoi sentimenti.
Il dorso della mano libera incontro la mia guancia, la accarezzò dolcemente partendo dallo zigomo per poi giungere al mento, tutto ciò senza mai staccare gli occhi dai miei. Nero e verde. I miei neri come il mio animo, i suoi verdi come la speranza, la speranza che il mio animo non fosse poi così nero. Sorrisi e lui, come se fosse il mio specchio, incurvò le sue belle labbra verso l’alto.
“Sei bellissima” sospirò, accarezzandomi nuovamente il viso. Socchiusi gli occhi mentre cercavo di ricacciare il ‘lo so’ che proveniva dalla mia testa. Per una volta volevo provare ad essere meno narcisista.
Debole.
Fu come se venisse detto ad alta voce, mentre invece era solo la mia testa che lo urlava a gran voce. Sbarrai gli occhi e feci un passo indietro allontanandomi dalle sue dita.
“Lo so!” mi costrinsi a dirlo, quasi con astio. Mi guardò confuso, non comprendeva il mio brusco cambiamento d’umore e, nel profondo, non lo capivo nemmeno io.
“Dimentichiamoci di ieri sera ok? Se non vuoi ancora mettere in ballo i sentimenti a me va bene!” lo disse come se stessimo negoziando una tregua.
“Io non sarò MAI pronta per i sentimenti!” marcai la parola ‘mai’ con la voce, volevo che gli entrasse in testa che lui non sarebbe stato ricambiato, se metteva in gioco l’amore questo sarebbe stato a senso unico, la cosa andava a suo rischio e pericolo e, malgrado tutto, non volevo che soffrisse per una cosa del genere. Non lo meritava dopotutto. Dave aveva avuto una vita difficile: aveva perso la madre, il padre era un potenziale assassino malato e aveva dovuto combattere una maledizione che probabilmente l’avrebbe ucciso se solo avesse avuto un figlio. Non meritava di soffrire ancora.
Abbassò lo sguardo e sospirò prima di avvicinarsi velocemente a me e posare con foga le sue labbra sulle mie. Reagì immediatamente al bacio. Potevo sentire la sua rabbia e la sua frustrazione, era come se con quel contatto lui volesse trasmettermele. Ma a me non importava, quelle labbra mi davano altre sensazioni, si trattava di qualcosa di più naturale, di meno doloroso, qualcosa di carnale.
Si staccò da me con il fiato corto.
“Dimentichiamoci di ieri sera per sempre!” era come una concessione, lo disse controvoglia, ma deciso a farlo. Dopodiché, senza aspettare una mia risposta, mi oltrepassò e riprese a salire le scale. Mi passai la lingua sul labbro inferiore, potevo ancora sentire il suo sapore. Sospirai chiedendomi perché non mi sentissi meglio, avevo avuto quello che desideravo. Eppure sapevo che lui me lo aveva concesso  dato che aveva deciso che preferiva stare con me e soffrire per una relazione senza amore invece che perdermi. Questo voleva dire che mi amava davvero. Dannazione. La situazione era peggiore di quanto pensassi.
Pochi minuti dopo entrammo nella sala dove si sarebbe tenuto il processo di Alan Black. Con nostra enorme sorpresa l’udienza era già iniziata, nonostante fossimo arrivati con almeno dieci minuti di anticipo. Guardai Dave, ma vidi la stessa espressione stupita che avevo io. Il nostro arrivo venne totalmente ignorato dalle poche persone in aula e noi ci facemmo avanti sedendoci nella terza fila di panche.
Alan ci dava le spalle. Era seduto e sorseggiava un bicchiere probabilmente pieno d’acqua. Riconoscevo i lunghi capelli neri legati, come sempre, da una coda bassa. Lo vedevo tranquillo, non aveva proprio l’aspetto di uno che sta per essere condannato.
Sorrisi. Non vedevo l’ora che si voltasse e mi vedesse. Già mi pregustavo la scena: avrebbe stretto le labbra e digrignato i denti, avrebbe socchiuso gli occhi leggermente, con fare minaccioso. Mi avrebbe scrutata come se volesse rubarmi l’anima. Io invece avrei sorriso serena, pronta a vederlo dietro le sbarre almeno per il prossimo decennio.  Accanto a lui era seduta una donna piuttosto giovane, di cui riuscivo a vedere solo la cascata di lunghi capelli corvini. Erano belli, ma mai quanto i miei, soprattutto perché erano mossi. Da come a volte si scambiavano gesti o parole dedussi che doveva essere il suo avvocato. Probabilmente una gallina senza cervello ad una delle sue prime esperienze: tanto meglio.
In piedi invece c’era il procuratore Stone che portava avanti l’accusa. Con abili parole stava cercando di far capire quanto un individuo come Alan fosse pericoloso.
“Il signor Black soffre di attacchi di improvvisa aggressività, inoltre non si può dire che non sia malato di mente.”
“Obiezione vostro onore!” l’avvocato di Alan si alzò in piedi per attirare l’attenzione del giudice su di lei “Credo che quello che il mio collega sta dicendo non sia pertinente né utile al caso. Sta solo offendendo un uomo!”
“Mi limito a riferire quanto è scritto nell’accusa.” Ribattè l’uomo in piedi.
“Obiezione accolta” sentenziò il giudice. Il procuratore lo guardò confuso, tuttavia continuò la sua arringa.
“Chiamo a deporre la testimone Marguerite Jones!” disse sicuro di se. Tutti si voltarono mentre io mi alzavo con sicurezza e spavalderia. Cercai gli occhi di Alan per  umiliarlo con il mio sguardo, ma quando li incontrai lui mi sorrise meschinamente, come se credesse di avere la situazione in pugno. Chi si credeva di essere? Io avevo vinto, lo avevo distrutto, come poteva ancora avere le forze, ma soprattutto il coraggio di comportarsi in quel modo?
Decisi che lo avrei portato più a fondo che potevo. Distolsi lo sguardo e mi feci avanti.
“Pare che la sua testimone non si sia presentata!” constatò il giudice.
Aggrottai la fronte e mi bloccai sul posto confusa da tali parole.
“No, sono qui. Sono Marguerite Jones!” esclamai ad alta voce in modo che tutti potessero udirmi chiaramente. Guardai nuovamente Alan che sorrideva ancora più di prima: per la prima volta dopo la sua cattura mi sentii nuovamente messa in soggezione da quell’uomo. Un brivido mi percorse la schiena.
“Non è presente neppure l’altro testimone, Dave Sullivan!” il procuratore Stone guardava l’aula sbigottito, come se fosse cieco. Posavo lo sguardo su ogni panca, guardava ogni angolo. Incrociò più volte il mio sguardo, ma non mi vide veramente. Aggrottai le sopracciglia sempre più confusa camminai in avanti, verso di lui e gli sventolai la mano dinnanzi agli occhi.
“Hei! Sono qui!”
L’uomo parve non vedermi e continuò, sempre più spaesato, a guardarsi intorno, senza mai soffermare gli occhi su di me o su Dave. Eravamo invisibili, com’era possibile? Guardai anche le altre persone presenti nella sala e tutte parevano non vederci, tutte tranne Alan, che continuava a fissarmi spavaldo.
Strinsi i pugni, com’era possibile? Anche Dave guardava Alan, suo padre, con disprezzo e confusione.
“E’ colpa sua!” disse indicandolo.
Alan assunse un’espressione tra il divertito e l’innocente, mentre veniva chiamato a deporre. Poi capii.
“Oddio! Hai recuperato i tuoi poteri!” lo dissi ad alta voce, consapevole che lui mi avrebbe sentita. Annuì impercettibilmente, mentre si sedeva al banco dei testimoni.
“Giuri di dire la verità e nient’altro che la verità?”
Alan sorrise guardandomi dritta negli occhi. Nero nel nero. E pensare che una volta eravamo stati così simili.
“Lo giuro!” era come se si stesse prendendo gioco di me.  Quelle persone erano state condizionate, non c’era altra spiegazione. Esse erano state obbligate ad ignorarci. Mi gelai sul posto. Tutto ciò voleva dire che Alan avrebbe vinto il processo, sarebbe stato libero.
Rabbrividii al solo pensiero.
“Sei un bastardo!” urlai correndo in avanti. Avrei voluto strangolarlo, ma mi sarei limitata a fargli un occhio nero. Fui però trattenuta da un paio di braccia. Mi voltai pronta a fare del male alla persona che mi stava trattenendo e mi arrabbiai ancora di più quando vidi che si trattava di Dave.
“Non fare cose stupide Mar!” mi ammonì. Mi scrollai per liberarmi dalla sua stretta che però era ferrea. Perché doveva sempre fare la parte del genitore che educava al controllo la povera e indisciplinata figlia? Odiavo quella parte del carattere di Dave.
“Come diavolo hai fatto?” urlai ad Alan. Non volevo perdere il controllo, avrei voluto dimostrarmi fredda, calcolatrice, sicura di me, avrei dovuto farlo vacillare, mentre invece gli stavo praticamente facendo vedere che credevo che lui stesse per vincere a quello stupido gioco di potere che era diventata la nostra vita.
Lui mi ignorò prestando la sua attenzione al procuratore.
“Lei ammette di aver dato dei farmaci sbagliati ad alcuni, se non tutti i suoi pazienti?” iniziò il procuratore.
“Sì!”
“E perché lo avrebbe fatto?”
“Erano in via di sperimentazione, dovevo pur provarli su qualcuno!” sorrise come se fosse ovvio. Avrei voluto spaccargli la faccia. Cercai nuovamente di scrollarmi di dosso Dave, ma non riuscii a muovermi di un millimetro, era molto deciso.
Il procuratore scosse la testa incredulo.
“Si sta dichiarando colpevole?”
“No. Chiedevo a quei pazienti se potevo concedere loro tali farmaci e loro hanno acconsentito!”
Quante bugie. La sua professione di psichiatra era solo una copertura per insegnare a noi a soggiogare le persone. Si serviva di coloro che erano instabili mentalmente perché essi erano delle prede più facili. Era in quel modo che io, Robert e Caren eravamo diventati il suo piccolo esercito personale.
“Erano instabili! Di solito persone del genere non possiedono la capacità di intendere e di volere!”
Alan scrollò le spalle. Mi chiesi come mai non incontrasse gli occhi dell’uomo e lo convincesse semplicemente a lasciarlo andare. Era tutto sbagliato, quella giornata non doveva andare in quel modo.
“Forse, ma possono sempre scegliere!”
Decisamente contrariato il procuratore decise di passare alla domanda successiva.
“Ammette di aver aggredito, armato di coltello Marguerite Jones e Dave Sullivan?”
“Ovviamente no! Vede, Marguerite era una paziente del mio centro. Fin da quando mia moglie è morta, vent’anni fa, ho preso sotto la mia ala dei poveri ragazzi con disturbi mentali, sperando di crescerli e di farli guarire. Pensavo di avercela fatta!”
La sua voce si ruppe, come se stesse per piangere. Che schifoso attore. Si mise le mani sopra la faccia come a volersi calmare, ma giurai di aver visto, per un istante, in ghigno quasi demoniaco, imbruttire i lineamenti del suo volto. Mi divincolai nuovamente.
“Lasciami andare Dave, io lo ammazzo!”
“Non ne vale la pena Mar. Questo è quello che lui vuole, cerca di essere superiore!” sentivo che anche lui era teso, ma cercava di mantenere la calma. Sicuramente aveva più autocontrollo di me.
“Mi sta facendo passare per una malata mentale!” obiettai. Incontrai i suoi occhi verdi risoluti.
“Dobbiamo essere più furbi!” sussurrò al mio orecchio. Cercai di rilassarmi, forse aveva ragione. Dovevo essere superiore. Sentendomi più calma, Dave allentò la presa e io indossai la maschera della freddezza che ero così brava a portare, non avrei permesso ad Alan di scalfirla, come invece lui voleva fare. Inspirai una boccata d’aria. Ero pronta a qualunque cosa avesse detto.
Mi sentii una stupida per aver ceduto di fronte alle sue provocazioni, non era da me. Sapevo sempre di essere superiore, di poter vincere. Quella volta la mia sicurezza era venuta meno ed io avevo ceduto alla paura di vedere di nuovo libero Alan. Ormai era ovvio che sarebbe tornato in libertà e che la guerra sarebbe re iniziata, tanto valeva iniziare ad armarsi e le maschere erano la mia armatura.
Debole!
Sentii nuovamente quella voce nella mia testa. Io non ero debole, ero solo preoccupata, ma in quel momento avevo ripreso il controllo della mia vita. Era esattamente come prima che perdessi le mie facoltà.
“Mandai lei, Robert e Caren, altri due ragazzi disturbati, all’università, erano pronti ad affrontare il mondo, ma Marguerite si convinse che volessi ucciderla. Fu così che un giorno si presentò a casa e mi minacciò, presi il coltello solo per mia legittima difesa!”
Strinsi i pugni. Che razza di bastardo. Tuttavia lo fissai con un ghigno sulle labbra, ci aveva provato a farmi cadere, ma non ci sarebbe riuscito. L’avevo battuto una volta, potevo rifarlo ancora.
“E cosa c’entra in tutto questo Dave Sullivan?”
“Lui è mio figlio!” lo disse quasi come se provasse un profondo affetto per lui.
“Dopo la morte di mia moglie incolpai il piccolo di averla uccisa e lo lasciai nelle mani di sua nonna. Non è una cosa di cui vado fiero. Per caso Marguerite lo conobbe all’università e, dopo aver scoperto che era mio figlio, me lo izzò contro. Venne con lui a minacciarmi in casa mia.”
Il procuratore sorrise come se fosse soddisfatto dalla sua risposta.
“Quante coincidenze improbabili! Molto intelligente la signorina Jones. Non si direbbe una malata di mente!”
“Peccato che lei non sia qui, avrebbe potuto confutare le mie parole oppure dimostrare a questa corte quando sia pazza!”
Nell’ultima parola mise tutto il disprezzo che provava per me. Sapevo che si sarebbe vendicato, gli avevo portato via tutto ciò che aveva: una specie di famiglia allevata a sua immagine e somiglianza, un esercito di burattini che comandava a bacchetta e il potere che lo faceva sentire così simile ad un dio. Ero comunque pronta ad affrontare le conseguenze delle mie azioni. Buffo. In passato mi sarei messa dalla parte del vincente, mentre in quel  momento volevo solo affrontarlo. Non importava come sarebbe andata a finire, sicuramente non sarei stata nella sua squadra, anche se si fosse rivelata quella vincente.
Il procuratore strinse i pugni. “Io ho finito vostro onore!”
Si andò a sedere. Il giudice si rivolse all’avvocato di Alan.
“Signorina Becketly vuole controinterrogare il signor Black?”
“No signore. Credo che tutte le informazioni necessarie siano state già rivelate!”
Il giudice annuì. Trattenni il respiro sperando in un miracolo che mettesse Alan dietro le sbarre.
“Per il momento il signor Black è scagionato a causa di insufficienza di prove contro di lui. L’indagine rimarrà a aperta ed egli è tenuto ad essere a disposizione della polizia per ulteriori interrogatori. Questa corte si aggiorna.”
Sentii Dave irrigidirsi. Anche lui aveva sperato che Alan avesse ciò che si meritava, ma purtroppo le risorse di quell’uomo sembravano infinite.
Alan ci passò accanto senza degnarci di uno sguardo seguito dalla signorina Becketly. Era davvero una donna giovane, molto pallida e con dei lucenti occhi azzurri che si posarono su di me. incurvò le labbra perfette verso l’alto e s avvicinò a me, mentre Alan si fermava più avanti per aspettarla.
“Tu devi essere Marguerite! È un piacere incontrare una persona così debole di mente!” marcò la parola ‘debole’, l’aggettivo che la mia mente continuava a ripetermi. La guardai sfrontata a mento alto.
“Come ti ha pagata Alan, in natura? Sempre se ti ha pagata, dopotutto praticamente non hai fatto nulla!”
“Non essere scortese!” la donna sorrise gioviale “Dopotutto lui è il mio cliente, normale che io creda  a lui, anche se devo dire che non mi sembri tanto instabile di mente!”
Mi sforzai di sorridere cortesemente, dopotutto non era lei il mio nemico, era solo la donna che aveva difeso l’uomo sbagliato.
“E tu devi essere David!” disse illuminandosi mentre guardava Dave che stava alle mie spalle “E’ un vero peccato che voi non foste qui un attimo prima, forse avreste potuto cambiare le sorti di questo processo!” si beffeggiò di noi “Un vero peccato!”
Digrignai i denti cercando di mantenere il controllo, dopotutto se le fossi saltata addosso sarei davvero passata per pazza. Tutta quella rabbia una volta riuscivo a placarla con gli sguardi. Se avessi incontrato quella donna in passato l’avrei costretta a stare zitta e questo mi avrebbe riempita di una soddisfazione tale da farmi passare l’ira. In quel momento tutto era diverso, l’unico modo che avevo di far passare l’ira era sfogarmi e per far ciò avrei voluto prendere  pugni sia lei che Alan.
Sapevo che non dovevo farlo, dovevo sembrare la Mar di una volta, quella forte e spavalda, quella che aveva tutto sotto controllo.
“E’ stato un piacere, spero di rivedervi!”
“Piacere nostro!” rispose educatamente Dave. Il solito educato Dave. Dio quanto eravamo diversi.
Anche il procuratore Stone si avvicinò a noi, vedendoci per la prima volta da quando eravamo entrati in aula.
“Dove diavolo eravate? Il processo iniziava alle 10!” era decisamente seccato.
“No, il processo iniziava alle 10 e 30!” ribattei.
Lui scosse la testa.
“Siete stati informati male, dannazione!” sembrava volesse prendere a calci qualcosa “E perché non siete arrivati per quell’ora almeno?”
Eravamo arrivati anche prima, ma lui non poteva saperlo dato che eravamo invisibili.
“Traffico!” si affrettò a rispondere Dave.
Il signor Stone scosse la testa tentando di calmarsi.
“Bene, non importa. Prima o poi lo rimetteremo dentro e vedrò di fare in modo che marcisca in una lurida cella per il resto dei suoi giorni! Scusatemi!” se ne andò senza aggiungere altro.
Mi voltai verso Dave decisamente scossa da ciò che era appena successo.
“Come diavolo ha fatto?” domandai ancora incredula di fronte a quello che avevo visto.
“A riprendersi i suoi poteri o a renderci invisibili?” Dave era sconvolto quanto me.
“Il libro è andato distrutto, i poteri non dovrebbero più esistere!”
“Forse non è così!”
“Lo abbiamo visto con i nostri occhi!”
Dave scosse la testa sempre più confuso.
“Non so più cosa pensare!”
Sospirai.
“Nemmeno io!”
“Che facciamo?”
“Se i poteri ci sono allora vuol dire che ce li abbiamo anche noi!”
Improvvisamente mi sentii rincuorata. Forse non tutto era perduto, forse le facoltà erano tornate a tutti.
O forse no. Dovevamo scoprirlo.


Rieccomi!!! Innanzitutto perdonate il dualismo di Mar, diciamo che voglio renderla un po' tormentata e sospesa tra ciò che è ora e ciò che era in passato.
Fatemi sapere cosa ne pensate e scusatemi per eventuali errori, l'ho controllato, ma qualcosa può sempre sfuggire!!!
Grazie mille a tutti quelli che sono arrivati fino a qui e, in particolar modo, a chi ha recensito o ha messo la mia storia tra le seguite/preferite.
Aggiornerò mercoledì prossimo!!! :)
Daisy




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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3


Alex ci fissava preoccupato mentre con foga gli facevamo il resoconto del processo contro Alan Black.
Alex era il tutore di Dave, colui che si era preso cura di lui, insieme alla nonna del ragazzo, da sempre. Era inoltre il grande amore di Grace, la madre di Dave, colui che aveva raccontato a lei della maledizione e che le aveva promesso che suo figlio non avrebbe fatto la sua stessa fine, ovvero Dave non sarebbe morto se avesse avuto un figlio. La maledizione sembrava scongiurata dal momento che il libro che ne era la causa era andato distrutto, ma i ritrovati poteri di Alan ci facevano pensare che forse le cose non erano andate come pensavamo noi.
“E avete provato a vedere se i vostri poteri sono tornati?” chiese Alex con calma.
Dave scosse la testa. “Non  ne abbiamo avuto il tempo, appena finito il processo siamo tornati qui!”
“In realtà io ho provato i miei poteri!” dissi interrompendo la loro conversazione. Entrambi mi guardarono stupiti, non se lo aspettavano. “Ci ho provato ieri sera, ma non ha funzionato!” ammisi innocentemente.
Dave mi fulminò con lo sguardo prima di camminare a grandi passi verso di me.
“Cosa hai fatto?” il suo tono di voce era minaccioso, ma naturalmente io non mi lasciavo intimidire tanto facilmente.
“Ieri sera mi annoiavo e così, tanto per provare, ho tentato di usare le mie facoltà, non ha funzionato!”
Dave strinse la mascella. Sorrisi spavalda “Non è quello che avevi intenzione di fare anche tu?”
Alzò gli occhi al cielo senza nascondere la propria rabbia “Avrei voluto farlo oggi, dopo ciò che è successo e solo per vedere se avevamo armi da usare contro Alan! Non avrei mai pensato di farlo ieri!”
“Quindi tu credi che se provassi i miei poteri oggi forse le cose cambierebbero?” mi illuminai “Potrebbero funzionare?”
Lui mi prese saldamente per le spalle. “Ma sei impazzita? Non è una cosa per cui gioire!” era terribilmente serio.
Mi allontanai da lui con uno strattone. “Non dovrei essere felice se avessimo una possibilità di contrastare Alan prima che ci uccida tutti?” non capivo dove volesse arrivare.
“Tu hai provato ad usare le tue facoltà IERI! Questo vuol dire che a te non importa nulla di Alan e di tutto il resto, ti importa solo del potere!”
Ecco qual’era il punto: il grande moralista era tornato semplicemente perché disapprovava quello che avevo fatto.
“Ti sbagli. Mi stavo solo annoiando, per questo l’ho fatto!”
Dave mi diede le spalle e si avvicinò ad Alex. Sospirò cercando di calmarsi.
“Provateli su di me!” disse Alex improvvisamente.
“Cosa?” Dave era incredulo.
“Le vostre facoltà, così non farete del male a nessuno!” precisò l’uomo.
“Le nostre capacità non  hanno mai fatto male a nessuno!” sibilai. Dave si voltò nuovamente verso di me.
“Secondo te privare una persona del proprio libero arbitrio non è qualcosa di male?” alzò la voce man mano proseguiva lungo la frase.
Alzai le spalle. “Non abbiamo mai costretto nessuno a saltare giù da un ponte o a sparare a qualcunaltro, abbiamo solo preso per loro delle piccole decisioni insignificanti!”
“INSIGNIFICANTI?” Dave sgranò gli occhi incredulo, comprensibile dato che doveva fare il moralista. “E ti sembra insignificante privare Emily della sua personalità?”
Naturalmente si riferiva a quando avevo automatizzato Emily. Nel libro ‘Gioco di sguardi’ erano contenute diverse informazioni su come effettuare diversi tipi di soggezione. Una delle poche che avevo avuto la fortuna di leggere era quella sull’automazione, una pratica che si basava sulla fiducia che la vittima riponeva nella persona che l’avrebbe dovuta automatizzare, in quel caso in me. Avevo portato Emily a fidarsi di me ciecamente e poi l’avevo privata completamente della sua volontà, sostituendola con la mia. Era come se lei fosse stata un burattino e io il suo burattinaio. Potevo vedere il mondo attraverso i suoi occhi, potevo farle fare qualsiasi cosa volessi, questo prima che Dave la risvegliasse con i suoi occhi verdi. Era bastato un suo sguardo e lei era tornata ad essere la ragazza di sempre, senza alcun ricordo di ciò che era accaduto.
“Anche tu influenzavi le scelte delle persone!” lo accusai mantenendo la calma.
“Ma lo facevo a fin di bene!”
Ecco un’altra piccola differenza tra le mie facoltà e quelle di Dave. Io avevo aperto la parte nera del libro, quella ‘malvagia’, quindi potevo far prendere scelte solo dettate dal mio egoismo. A differenza mia Dave invece riusciva a far prendere scelte dettate dall’altruismo.
“E’ comunque una privazione del diritto di scegliere!” ribattei.
“Sei insopportabile quando inizi a fare così!” sbottò.
“Io SONO così!”
“Tu sei molto meglio di così!” parve calmarsi.
“Sei tu che vuoi credere che io non sia così. Lo vuoi talmente tanto da esserti innamorato di un miraggio! Tu non ami  me, ma l’idea della ragazza nella quale vuoi trasformarmi!” sibilai cercando di trattenere la rabbia.
Lo vidi stringere la mascella. Lo avevo colpito, lo sapevo che il suo fragile cuore avrebbe preso a sanguinare. Le mie parole erano taglienti e, soprattutto, lui non si aspettava che tirassi in ballo i suoi sentimenti per me.
“Basta ragazzi!” intervenne Alex spazientito “ Abbiamo problemi molto più gravi dei vostri battibecchi! Alan non aspetta altro che vendicarsi di noi, quindi dobbiamo agire, forza! Provate su di me i poteri!” cercò di essere più convincente.
“Io non proverò nulla su di te!” urlò Dave in preda ad un’ira che non era in grado di controllare.
“Bene!” dissi sorridendo mentre mi avvicinavo ad Alex.
“Mar non lo fare!” mi ammonì Dave, intuendo le mie intenzioni.
Ma era troppo tardi. I miei occhi avevano gli catturato quelli verdi di Alex.
Egli provava incertezza, un pizzico di rabbia e preoccupazione, molta preoccupazione.
Mi concentrai su quelle sensazioni, ma improvvisamente non seppi più cosa dovevo fare. Cercai di ricordare cosa avevo fatto la sera prima, ma non mi sembrava di aver davvero provato a soggiogare quel ragazzo. Il mio era stato un tentativo non completo, per quello non aveva funzionato. L’unica differenza era che la sera prima non me ne ero accorta, probabilmente a causa dell’alcool che avevo in circolo. In quel momento ero consapevole di non riuscire a ricordarmi cosa dovessi fare esattamente.
“Mar NO!” stava, intanto ordinando Dave.
“Non ci riesco!” sussurri ignorandolo.
Alex mi guardò perplesso.
“Questo vuol dire che i poteri non sono tornati!” disse con rammarico.
“No! I poteri potrebbero anche essere tornati, ma io non riesco a ricordarmi come utilizzavo le mie facoltà!” mi costava ammetterlo, ma era sempre meglio che essere impotenti.
Alex si fece pensieroso, mentre Dave mi fissava incredulo di fronte a quello che stavo per fare.
“Stavi per convincerlo a prendere una scelta imposta da te!” mi accusò “Come hai potuto?”
“Non l’ho fatto!” risposi tranquillamente mentre lui stringeva i pugni.
“Ma lo stavi per fare!”
“Ma. Non. L’ho. Fatto.” Ribadii gelida, fissandolo dritto negli occhi.
“E’ ovvio che tu non abbia memoria di ciò che facevi per soggiogare le persone!” esclamò improvvisamente Alex, del tutto estraneo alla conversazione tra me e Dave.
Aggrottai le sopracciglia in attesa che si spiegasse.
“Mar! Tu e gli altri ragazzi ai quali Alan ha insegnato la sua ‘arte’ non possedevate alcuna facoltà paranormale. Eravate dei normalissimi ragazzi ai quali è stato insegnato qualcosa. Tuttavia la vostra memoria su ciò che imparavate si è conservata perché il potere fonte di quelle conoscenze esisteva ed era contenuto nel libro. Quando il potere è andato distrutto nessuno di voi poteva continuare a conservare il ricordo perché, semplicemente, è come se gli insegnamenti di Alan non fossero mai esistiti. A questo serviva la distruzione del libro, a rendere possibile il libero arbitrio da parte delle persone, in modo che non ci fossero interferenze esterne. Che senso avrebbe avuto, quindi, se uno di voi avesse ricordato la procedura per soggiogare? Il libero arbitrio sarebbe venuto meno e la distruzione del  potere sarebbe stata inutile!”
“Ciò che dici può avere anche senso, ma com’è possibile che non mi ricordi nemmeno quello che ho letto nel libro?” obiettai.
Ciò che Alex diceva era vero. Io avevo iniziato come discepola di Alan, non avevo poteri, ma inseguito avevo trovato e aperto il libro nero di Alan e così metà del potere ‘nero’ si era trasferito in me.
“A maggior ragione non puoi ricordare nulla dei libri, essi non esistono più. E anche se ti ricordassi qualcosa, i procedimenti non avrebbero più effetto perché il potere non esiste più! Sarebbe come saper pilotare un aereo, ma non avere il mezzo in questione a disposizione!”
“E’ vero! Nemmeno io riesco a ricordare nulla!” constatò Dave leggermente sorpreso.
“Resta da capire come ha fatto Alan a recuperare i poteri!” dissi più a me stessa che agli altri.
“Siete sicuri che abbia soggiogato tutti in quella stanza?” si informò Alex.
“Non ci vedevano, non vedo altra spiegazione!” rispose Dave.
“Era come se un muro invisibile ci separasse da loro!” puntualizzai.
“Un muro con una finestra, dal momento che solo Alan poteva vedervi!” precisò Alex.
Annuii. “Che altra spiegazione ci potrebbe essere?”
“Non ne ho idea!” ammise Alex “Tutto farebbe pensare alle sue facoltà, quello che mi lascia perplesso è come mai, alla fine dell’udienza, tutti siano stati in grado di vedervi!”
“Forse Alex ha ordinato loro di non notarci fino a quel certo istante!” ipotizzai.
“Ma dovrebbe averlo ordinato loro prima, mentre li soggiogava, ma il soggiogamento non funziona così!”
“Che intendi dire?” chiese Dave.
“Io mi baso su ciò che mi avete raccontato voi di quello che facevate. Da quanto ho capito voi potete influire su una scelta tramite il contatto visivo, una volta interrotto, non è possibile mantenere un’ulteriore tipo di controllo!”
“In via generale è così, ma i libri fornivano modi alternativi per mantenere il controllo più a lungo!” precisai.
“Come l’ipnosi o l’automazione!” Alex annuì mentre lo diceva “Ma tale sapere è andato perso. Alan non può ricordarselo perché se così fosse vorrebbe dire che il libro non è andato distrutto e anche voi due vi ricordereste ciò che c’era scritto su di esso.”
Annuii non trovando pecche nel suo discorso.
“Quindi torniamo al punto di partenza: come ha fatto a soggiogare tutte quelle persone?” concluse.
“Forse ha una memoria migliore della nostra!” ipotizzai, tirando ad indovinare.
Fu Dave a scuotere la testa negativamente. “Senza il potere, la memoria gli sarebbe inutile. È l’esempio dell’aereo che faceva prima Alex!”
Lo ignorai. “Alex credi che non abbia soggiogato quelle persone?” domandai.
“Credo che qualsiasi cosa abbia fatto quell’uomo, è qualcosa che né io, né voi abbiamo mai visto prima!”
A tali parole rabbrividii. Già era terribile l’idea di Alan a piede libero, ma Alan a piede libero più pericoloso di prima era qualcosa di terrorizzante.
Sei così debole.
La vocina fastidiosa dei miei pensieri mi fece innervosire. Io non ero debole dannazione. Mi feci forza. Se non ero debole non dovevo avere paura di Alan Black e di quello che stava tramando.
“Non dobbiamo preoccuparci!” dissi convinta “L’abbiamo sconfitto una volta e in quell’occasione io non avevo poteri. Posso rifarlo!”
Alex scosse la testa. “Non sappiamo nemmeno con cosa abbiamo a che fare!”
La disperazione malcelata nella sua voce mi fece salire il nervoso. “Non starò qui ad aspettare che lui mi uccida solo per il gusto di farlo. Lo combatterò, con o senza il vostro aiuto!” sbottai.
“Io sono con te!” asserì Dave incontrando i miei occhi. Le sue parole mi diedero un senso di sicurezza, anche se sapevo di non aver bisogno di lui per difendermi.
Debole.
Strinsi i pugni, cercando di allontanare quella vocina fastidiosa.
Esatto. Non avevo bisogno di lui per difendermi, potevo distruggere Alan da sola.
“Ma io non sono con te! Non lavoro in squadra!” sibilai. A grandi passi mi diressi verso la porta senza voltarmi indietro a salutare. Nell’atrio della casa Dave mi si parò davanti. Aveva il fiatone a causa della piccola corsa che aveva fatto per precedermi. I suoi occhi si persero nei miei e dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per non coprire con un breve passo la distanza che ci separava. Non avevo bisogno della sua presenza eppure le sue labbra erano così invitanti, morbide e belle. La mia era lussuria, niente di più, non era bisogno di sentirmi al sicuro tra le sue braccia.
Debole.
Quella stupida vocina mi fece capire quanto poco fosso brava a mentire anche a me stessa. Io volevo che lui si prendesse cura di me, non perchè io non fossi in grado di farlo, ma semplicemente perché la cosa mi avrebbe fatta stare bene. Mi stavo rammollendo e non potevo permettermelo. Feci un passo indietro e lo fissai con aria di sfida. Dentro di me esisteva ancora la Mar di una volta, quella forte e spavalda e io avrei fatto di tutto per ritirarla fuori.
“Avevi ragione!” iniziò con sguardo triste. Improvvisamente sorrisi trionfante, adoravo quelle parole, ma sicuramente non mi aspettavo ciò che disse dopo. “ Io mi sono innamorato della ragazza che tu potresti essere. Vedo che dentro di te c’è la possibilità di essere altro, hai un cuore puro, sei solo cresciuta con le idee sbagliate. Tu hai le potenzialità per essere la donna che amo e che sempre amerò, ma ora quella donna non esiste. Sei solo un involucro vuoto, corrotto dalla rabbia, dall’odio e dal desiderio di potenza.” Sbattei gli occhi incredula di fronte alle sue parole. Mi stava dando ragione eppure non mi sentivo meglio. La vecchia Mar, quella vera, sarebbe stata felice e soddisfatta, solo perché lui stava ammettendo di avere torto. Io invece sentivo uno strano peso a livello dello stomaco. Indossai la mia solita maschera di impassibilità.
Si avvicinò ulteriormente a me e poi continuò.
“Io non so che farmene di un involucro, a me interessa cosa c’è qui dentro. “
Mi toccò lo sterno, proprio in corrispondenza del cuore. Alzai lo sguardo incontrando i suoi meravigliosi occhi verdi lucidi. Le lacrime minacciavano di uscire, ma pregai che ciò non accadesse. Odiavo qualunque persona che piangesse, era un gesto inutile, vuoto. Bisognava lottare nella vita, non piangersi addosso. Eppure se era lui a piangere in me si risvegliava un senso impotenza e di terrore, non di fastidio. Non volevo che piangesse perché non era giusto che lo facesse, non lui. Lui era uno schianto con un sorriso, non con le lacrime che gli solcavano copiose sulle guance.
“E tu per il momento non hai nulla qui dentro. Non sarebbe giusto continuare a vederti nella speranza che tu possa diventare ciò che non sei. Forse un giorno sarai la persona che io vedo in te, ma quel giorno non è oggi!”
Scossi la testa. Improvvisamente non capivo. “Avevi detto che non ti importava se io non provavo dei sentimenti!” constatai.
“Il problema ora non sono i tuoi sentimenti, ma ciò che io provo per te. Prima mi sono reso conto che tutto ciò non è reale. Come ti ho detto io sono innamorato di una delle tante persone che tu potresti essere, ma non di quella che sei ora. Non amo la persona spietata che avrebbe soggiogato l’unico uomo che considero parte della mia famiglia, non amo la donna con quella scintilla di meschinità negli occhi. Non amo il tuo sorriso malefico, quello che fai sempre quando hai in mente qualcosa che io non approverei, non amo la tua faccia tosta, non amo nulla del tuo involucro!”
Lo fissai sbigottita. Non poteva dire sul serio. Lui mi amava, com’era giusto che fosse. L’altruista Dave doveva innamorarsi della ragazza da redimere, tutti i bravi ragazzi si innamorano della ragazza sbagliata cercando di cambiarla. Prima di quel momento tutto si stava svolgendo da copione. Forse la sera prima ero rimasta sconvolta dalla cosa, ma da quando lui aveva detto che non gli importava di essere ricambiato le cose erano cambiate. Fino a cinque minuti prima, nonostante tutti i problemi, ero convinta che la nostra relazione avrebbe ripreso il suo normale corso e invece lui stava distruggendo tutto. Come riusciva sempre a rovinare tutto?
“Stai scherzando vero?” gli domandai alzando il sopracciglio. Raccolse col dorso dell’indice una lacrima che aveva preso a solcargli il viso e mi si strinse il cuore: era serissimo.
“Non mi piace il tuo sorriso se non è animato da buone intenzioni. Odio i tuoi occhi se non mostrano emozioni, come in questo momento!”
Era consolante che la mia maschera di indifferenza stesse funzionando.
Altra bugia, non era consolante. La situazione faceva schifo ugualmente.
“Detesto il tuo corpo perché sembra quello di una prostituta!”
Senza nemmeno accorgermene gli tirai un sonoro schiaffo sulla faccia. Sapevo che non lo pensava davvero, ma aveva scelto appositamente la parola ‘prostituta’ per ferirmi, dato che mia madre, prima di vendermi ad Alan,  faceva proprio il mestiere più antico del mondo. Dave sapeva quanto odiavo essere paragonata  a lei.
Dave rimase un attimo immobile, col viso piegato da una parte a causa dello schiaffo che gli avevo tirato, poi si raddrizzò e io suoi occhi incontrarono i miei. Io ero tremante di rabbia e stavo per esplodere, ma mi costrinsi a mantenere la parvenza di disinteresse.
“Detesto il tuo corpo perché tu lo usi per compiacere te stessa, invece che per condividere l’amore in tutte le sue sfumature con me. Per te il sesso è qualcosa di carnale, per me è qualcosa di perfetto che corona il rapporto d’amore che vorrei avere con te, rapporto che tuttavia non ho!”
Strinsi la mascella. Gli occhi mi pizzicavano, ma non avrei permesso nemmeno ad una lacrima di varcare le mie ciglia. Io ero forte e non avevo bisogno di lui.
Mi guardò stupito e leggermente fuori di se per la rabbia e la frustrazione represse.“Non hai nulla da dire?”
“E come potrei? Hai già detto tutto!”
Scosse la testa sconsolato. Probabilmente aveva sperato in una reazione memorabile da parte mia. Forse voleva che io gli dichiarassi il mio amore gettandomi a terra e piangendo come una qualunque dodicenne al suo primo amore. Non potevo saperlo.
“Sembra che tu non comprenda!” disse amaramente, mentre invece io avevo compreso benissimo “Tra noi è finita!” sussurrò con voce rotta. Abbassò lo sguardo per nascondermi altre lacrime.
Mantenni la mia maschera. “Sarebbe finita se almeno fosse cominciata Dave!” mi ritrovai a sorridere. Avevo risposto bene, sicuramente non da debole. Era comunque una piccola vittoria.
Lui alzò lo sguardo e si soffermò sul mio sorriso.
“Bene! Se tra di noi c’era solo sesso allora te la metto in questo modo!” urlò avvicinandosi minacciosamente la mio viso “Niente. Più. Sesso. Forse così capirai cosa intendevo dire quando ho detto che tra di noi era finita!”
Mi voleva fare del male. Dave non aveva mai voluto ferire qualcuno eppure con me pareva farlo. Non era da lui. Qualcosa dentro di me si ruppe. Gli lanciai un’ultima occhiata di sbieco, stando attenta a non far trapelare quella sensazione di dolore che si estendeva dal centro del mio petto fino alle estremità del mio corpo. Sapevo che per me non era mai stato solo sesso, era qualcosa di più. Non frequentavo altri, non mi interessavano altri, eppure lui sembrava non sene fosse reso conto. Forse era un bene. Da fuori sembravo ancora la vecchia Mar, quella cinica, quella forte.
Oltrepassai la porta senza degnarlo di uno sguardo. Mossi parecchi passi faticosamente, una volta uscita da casa sua e improvvisamente capì qual’era la fonte del mio dolore: mi si era spezzato il cuore.
Nonostante il turbinio di emozioni che mi rendevano ancora più confusa di quanto già fossi riuscii a non versare nemmeno una lacrima.
Mi sedetti su una panchina incapace di muovere un ulteriore passo, le gambe erano diventate pesanti e non sapevo dove fossi, semplicemente per strada non avevo fatto caso a quali svolte prendessi. Mi limitai solamente a sedermi per cercare di porre ordine nella mia testa.
Alan a piede libero era già un grosso problema senza che le parole di Dave offuscassero la mia capacità di ragionare lucidamente.
Mi persi nei miei pensieri senza prestare attenzione a ciò che mi circondava, mi isolai dal resto del mondo. Rividi gli occhi di quel deficiente di Dave pieni di lacrime. Risentii le sue parole dure. Voleva ferirmi. Questo voleva dire che nonostante tutto ero importante, altrimenti non avrebbe voluto farlo, ma allo stesso tempo se Dave voleva farmi sanguinare dentro voleva dire che una parte di sé mi odiava come non aveva odiato mai in vita sua.
Effettivamente non credevo, fino a quel momento, che Dave potesse provare una qualsiasi sfumatura dell’odio. Forse solo la rabbia che provava nei confronti del padre si avvicinava a tale sensazione.
Eppure mi odiava perché non mi poteva amare, non ero la ragazza che voleva lui, tutto qui. Nulla di più semplice, nulla di più complesso. Non mi dava fastidio che non mi amasse, dopotutto l’amore indeboliva l’animo umano e io non volevo che lui lo provasse nei miei confronti. Segretamente temevo di esserne contagiata, come se l’amore fosse una malattia. Pensavo che se lui mi amava, col tempo anche io avrei potuto amare lui, a era assurdo perché io non sapevo amare, per fortuna.
Qual’era quindi il problema?
Il vero dilemma stava nella mia testa. Per la prima volta non riuscivo a capire cosa stavo provando. Ero sempre stata una ragazza razionale, ogni mia azione era dettata da un progetto più grande, da un obiettivo. Quindi non riuscire a fare chiarezza sulle ragioni per le quali mi sentivo così tormentata mi tormentava ancora di più.
Ero talmente tanto confusa che avrei voluto spegnere il cervello, mentre in realtà l’unica cosa che riuscivo a fare era formulare pensieri incoerenti cercando di spiegare me stessa a me.
Tutta colpa di Dave. Tutta colpa della mia debolezza.
Dopo aver sconfitto Alan senza usare alcun tipo di facoltà paranormale mi ero convinta di potere tutto, che la mia forza interiore mi bastava. Credevo di essere invincibile perché la mia volontà lo era, non mi sarei mai fermata, ogni volta che mi sarei prefissata un obiettivo lo avrei raggiunto. Tutto ciò mi faceva sentire onnipotente, perché anche se non avevo facoltà ero un gradino sopra gli altri.
In quel momento di confusione invece avrei voluto solo spegnere tutte le sensazioni per sentirmi di nuovo onnipotente. Peccato che non potessi. La forza veniva da me e dalla mia volontà, ero io ad essere forte non avevo bisogno di alcuna facoltà.
Mi strinsi la testa tra le mani e chiusi gli occhi. Di nuovo formulavo pensieri contrastanti. Era così frustrante.
“Ciao!” una vocina sottile interruppe i miei pensieri sconclusionati, riaprii le palpebre e mi trovai dinnanzi ad una piccola bimba bionda che mi sorrideva.
Feci un leggero cenno col capo, ansiosa che mi lasciasse tornare alla mia solitudine.
La bimba piegò la testa di lato e mi guardò accigliata.
“Sembri triste!” constatò innocentemente.
“Non lo sono!” sbottai, sperando che se ne andasse.
“Hai gli occhi lucidi!”
“E’ il vento!”
“Anche la mamma a volte dice che il vento fa venire gli occhi lucidi!”
“E la mamma non ti dice di non parlare con gli scnosciuti?” quasi le ringhiai contro. La bambina indietreggiò d un passo, am poi si bloccò.
“Sì, ma tu non sembri cattiva!”
Ghignai senza gioia. “E non ti ha insegnato che le apparenze ingannano?”
Scosse la testa riavvicinandosi a me.
“Quindi sei cattiva?” mi domandò con curiosità.
“Se te ne vai subito potrei anche non esserlo!” volevo essere lasciata in pace.
“Tanto lo so che non sei cattiva, la signorina laggiù mi ha detto che sei gentile!”
Non alzai lo sguardo per vedere chi indicasse, non mi interessava nulla della ‘signorina laggiù’.
Incontrai gli occhi della bimba. Quanto sarebbe stato facile mandarla via con i miei poteri. Sospirai alzandomi in piedi.
“Aspetta dove vai?” mentre muovevo qualche passo lontano da lì mi seguì.
“Ma non hai una famiglia da importunare con la tua presenza?” ribattei  seccata.
“Sì, la mia mamma è laggiù, vicino all’altalena!” alzai lo sguardo e vidi una signora di mezz’età. Solo allora mi resi conto di essermi seduta sulla panchina di un parco giochi. Ero talemente presa dai miei pensieri da essermi estraniata da tutto il resto del mondo. Improvvisamente i suoi e i colori presero forma. Le urla felici dei bambini giunsero alle mie orecchie quasi prepotentemente, tanto che ne rimasi sconvolta. Come avevo fatto a chiudermi così tanto in me stessa? Dovevo essere davvero sconvolta.
“Allora torna da lei!”
“Non posso!”
Alzai un sopracciglio incredula. “E perché non potresti?”
“Perché la signorina laggiù mi ha detto che mi avresti insegnato un gioco!”
Rivolsi uno sguardo al parco giochi, ma nel luogo che la bimba indicava come ‘laggiù’ c’erano almeno una decina di persone.
“Ti ha mentito, non ho nessun gioco da insegnarti!”
Mossi ancora qualche passo e la bimba puntualmente mi inseguì.
“Ma me l’ha assicurato!” la sua vocina era rotta, sapevo che stava per piangere, ma la cosa non mi importava.
“Mentiva! Vedi che succede a fidarsi degli sconosciuti?”
“Mi ha detto che era un bel gioco!”
“Prova a fartelo insegnare da qualcun altro!” sbottai ormai al limite della mia pazienza.
“Mi ha detto che lo conosci solo tu!”
Sbuffai. Che assurdità. Quella bambina poteva inventarsi una scusa migliore per importunare le persone.
“E che gioco sarebbe?”
“Il gioco degli sguardi!”
Mi bloccai sul posto e mi voltai lentamente verso la bambina.
“Cos’hai detto?”



Allora prima di tutto vorrei chiedervi scusa. Questo capitolo non mi convince, non è esattamente come l'avrei voluto. Ho tentato di modificarlo, ma non mi è riuscito comunque. Mi dispiace quindi di postare qualcosa di cui, francamente nemmeno io vado fiera, ma avevo promesso che avrei postato mercoledì e oggi è mercoledì!
Cercherò in seguito di migliorarlo, ma portate pazienza. E' un anno che non scrivo e forse ci ho perso un po' la mano!

Piccolo appunto sulle parole in maiuscolo: lo so che è come urlare, ma è proprio questo il mio intento, far capire in maniera immediata al lettore che il personaggio sta URLANDO. Ve lo dico perchè spesso viene ritenuto fastidioso, infatti avevo smesso di utilizzare questo metodo, ma di recente mi sono ritrovata a rileggere Harry Potter e ho notato che anche la Rowling ne fa uso, quindi non lo considero sbagliato! ;)

Infine volevo ringraziare di cuore Shadodust e Clare97 che hanno recensito tutti i capitoli che ho scritto finora! Grazie davvero di cuore! Inoltre graie a chi segue e preferisce la storia!! :)

Daisy Ps. questa è la mia pagina dove informo degli aggiornamenti e metto qualche spoiler. https://www.facebook.com/pages/Non-ho-parole/116255365194270?ref=hl

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4


“Il gioco degli sguardi! La signorina diceva che sarebbe stato divertente!” mi assicurò la bambina.
Posai lo sguardo sulla folla. “Di quale signorina stai parlando, precisamente?”
La bambina guardò nella direzione che lei aveva indicato come ‘laggiù’ e si accigliò.
“Non c’è più!” disse semplicemente.
Sbuffai. Mai che ci fosse qualcosa di facile. Dopo ciò che mi aveva detto mi ero convinta che davvero qualcuno le aveva riferito che io sapevo giocare al gioco degli sguardi e l’unica persona che corrispondeva all’epiteto ‘signorina’ che conoscesse il mio segreto, era Caren, una degli ‘alunni’ di Alan.
“Puoi descrivermela?”
“Era bella!”
Alzai gli occhi al cielo. “Mi serve qualcosa di più preciso. Di che colore aveva i capelli?”
Il segno distintivo di Caren erano i capelli color carota.
“Neri come i tuoi!” rispose. Rimasi sorpresa. Bè poteva esserseli tinti.
“Erano ricci?” domandai.
La bambina annuì. Ok, era Caren con una nuova tinta per capelli. Chissà, forse voleva somigliarmi.
Mi guardai in giro cercando una cascata di capelli neri, ma non ve ne era traccia.
“E il gioco?” chiese la bambina.
“Non ho alcun gioco da insegnarti, quindi sparisci!” la sua presenza mi stava davvero innervosendo.
“Non sei sicuramente famosa per la tua gentilezza!” una voce suadente arrivò alle mie spalle.
 “Almeno sono famosa!” ribattei sorridendo, chiedendomi chi fosse la mia interlocutrice.
Mi voltai e mi trovai di fronte ad una donna leggermente più alta di me. Doveva avere sicuramente qualche anno più di me, ma quello che davvero attirò la mia attenzione furono i lunghi capelli mossi, neri come la notte, che contornavano il suo viso pallido come la neve.
Le labbra rosse si incurvarono in un sorriso cordiale mentre i miei occhi sgranavano per la sorpresa. Sapevo che si trattava della donna di cui mi parlava la bambina, solo che non era Caren, anche se era comunque qualcuno che, almeno di vista, conoscevo.
Allungò la mano verso di me mentre io la guardavo con sospetto.
“Sono Jasmine Becketly, ma credo che ci siamo già incontrate questa mattina!”
Le strinsi la mano con sicurezza. “Marguerite Jones, ma sembra che lei sappia già chi sono!”
Le sorrisi freddamente mentre la mia testa si riempiva di domande alle quali non sapevo come dare risposta, prima fra tutte : cosa ne sapeva quella donna del gioco di sguardi?  Doveva avergliene parlato Alan, non vedevo altra spiegazione. Ma quanto ne sapeva lei? Era cosciente o era solo pilotata da Alan?
Dopotutto mi aspettavo una sua mossa, ma non così presto.
“Ti va di sederti Marguerite? Vorrei parlare con te di alcune cose” mi indicò cortesemente la panchina vicina.
“Di solito gli avvocati non parlano in un ufficio?” ironizzai gelidamente. Lei non parve dar peso alla mia insolenza, anzi sorrise sinceramente.
“Non quando non si è un vero avvocato!” si sedette.
Incuriosita presi posto di fianco a lei, cercando però di mettere la maggiore distanza tra di noi.
“Quindi lei non è un vero avvocato?” domandai.
“No!”
“E cosa ci faceva oggi in tribunale al fianco di Alan Black?”
“Lo aiutavo a scagionarsi!” rispose con semplicità e con una punta di divertimento nella voce. Come se lo avesse davvero aiutato, era rimasta zitta tutto il tempo. Il suo tono mi fece innervosire, ma cercai di non darlo a vedere.
“Ma lui è colpevole!”
“Lo so!”
La guardai come se fosse impazzita. “Perché allora voleva che lo scagionassero? ”
“Perché mi serve libero!”
Risi. “L’ha soggiogata!”
“No!” ribattè con tranquillità.
“Bè naturalmente lei non lo può sapere!” dopo aver detto a ciò mi rivolsi alla donna come se fosse Alan, convinta che lui potesse sentirmi, se avevo ragione Jasmine Becketly era stata automatizzata. “Alan vieni a prendermi, cosa aspetti? Mandi i tuoi burattini, ma non hai il coraggio di venire di persona?”
La signorina Becketly scoppiò in una fragorosa risata. Mi accigliai, non mi aspettavo tale reazione.
“E’ davvero molto divertente giocare con te Marguerite!” articolò una volta che smise di ridere.
“Tanto lo so che sei tu Alan!” dissi un po’ irritata. Speravo che Alan si palesasse in una reazione irata da parte del suo burattino, eppure non lo aveva fatto. Perché?
“E’ davvero dolce da parte tua! Credo che Alan ne sarebbe davvero molto molto fiero!”
“Dolce?” la guardai sempre più confusa “Stare in prigione non ti ha fatto bene!”
“E’ dolce che tu creda che l’uomo che ti ha cresciuta sia onnipotente, che sia al di sopra di qualsiasi altro essere che popola la terra, eppure d’altro lato sei così sciocca se credi che sia così!”
Ero sorpresa. Per quanto doveva ancora andare avanti quell’inganno? Ormai lo avevo scoperto.
“Smettila di far finta di niente Alan! Conosco i tuoi trucchetti!”
“Quello che tu non conosci, Marguerite, sono i miei trucchetti!” la donna incurvò le labbra in un sorriso sadico mentre improvvisamente le urla dei bambini divennero insopportabili. Era come se qualcuno avesse alzato bruscamente il volume. Potevo sentire ogni parola con chiarezza, ogni acuto mi perforava i timpani, ogni pianto minacciava di spaccarmi in due il cranio. Istintivamente mi portai le mani sulle orecchie, ma ciò non attutì minimamente la mia sofferenza, mi piegai in avanti e urlai, solo che dalle mie labbra non uscii alcun suono.
Alzai lo sguardo con fatica e vidi che la donna mi faceva segno di stare zitta ponendosi un dito sulle labbra ghignanti. In quel momento lo seppi, seppi che in qualche modo era lei a causarmi tutta quella sofferenza.
“Lo senti il dolore?” percepii la sua voce chiaramente al di sopra di tutto quel brusio che mi stava spaccando i timpani, fu quasi come un sussurro che però riusciva a sovrastare il frastuono. Annuii impercettibilmente sperando che lo facesse cessare.
Il suo ghigno si aprii ancora di più e improvvisamente le voci tornarono a livello normale e il dolore sparì. Ansimando incredula di fronte a quello che mi era appena successo, allontanai le mani dalle orecchie e me le ritrovai intrise di sangue. La vista del liquido vermiglio mi causò un capogiro.
Jasmine pose il palmo delle sue mani sotto le mie e mormorò una parola che non compresi, chiuse gli occhi per una frazione di secondo e, quando li riaprì, il sangue era scomparso e, con esso, la sensazione di vertigine.
Avevo il fiatone e iniziavo a temere la donna che mi sedeva di fianco. Non sapevo chi era, né cosa volesse, sapevo solo che non era al servizio di Alan. Quello era il messaggio che fin dall’inizio aveva voluto trasmettermi, ma per farmelo capire mi aveva dovuto infliggere dolore. Presi l’appunto mentale che avrei dovuto capire più in fretta in un’altra occasione, anche se speravo che quella donna sparisse in quell’istante dalla mia vita per sempre.
“Come hai fatto?” domandai appena ebbi preso un po’ di fiato, dopotutto ero affascinata da come era riuscita a infliggermi quella tortura. Il mio naturale bisogno di potere si era risvegliato e, naturalmente, in cuor mio bramavo di saper fare ciò che era in grado di fare lei. Era così affascinante dopotutto.
“E’ stato divertente vero?” sembrava soddisfatta della sua opera mentre attendeva che mi riprendessi.
La guardai come se fosse pazza. “Non è stato divertente!”
Sapevo di dover prestare maggiore attenzione a ciò che dicevo, ma il mio orgoglio me lo impediva.
“Sei coraggiosa! Mi piace!” sorrise di nuovo gentilmente.
“Cosa vuole da me?” le chiesi ansiosa di chiudere lì la conversazione più strana della mia vita.
“Innanzitutto diamoci del tu! Sono sicura che col tempo noi due andremo molto d’accordo!”
Alzai un sopracciglio incredula, forse non avevo capito bene.
“E poi credo che ti chiamerò Mar! Senza offesa, ma Marguerite è un nome estremamente lungo! “ sorrise. Ero sempre più confusa, un attimo prima quella donna sembrava una pazza furiosa con istinti omicida e un secondo dopo era come se mi stesse chiedendo di prenderci un te insieme.
“Cosa vuole da me?” ripetei gelida, ignorando il suo invito a darci del ‘tu’. Lei parve non notarlo.
 “La vera domanda è cosa puoi voler tu da me!”
“Che se ne vada?” ero fiera di me, stavo prendendo sempre più coraggio mentre il ricordo della tortura subita poco prima sfumava lentamente.
Sorrise nuovamente, era divertita da quella situazione, sembrava quasi che stesse giocando con me. Mi irritai leggermente: come si permetteva? Eppure in cuor mio sapevo che lei poteva fare tutto ciò, in natura vince chi è più forte e, anche se mi costava ammetterlo persino a me stessa, lei era indubbiamente più forte di me. La invidiavo, volevo ciò che aveva lei, ma allo stesso tempo ero consapevole che lei senza quei poteri non sarebbe stata nulla. Sarebbe  stata vuota e incapace. Questo andava a mio vantaggio perché io ero qualcuno anche senza facoltà paranormali, io ero stata forte ugualmente e avevo sconfitto una persona temibile come Alan. Se Jasmine si fosse rivelata una minaccia avrei trovato il modo di sconfiggere anche lei!
“In realtà, Mar, credo di avere alcune buone notizie per te!”
“Sarebbero?” non riuscii a nascondere la mia irritazione.
“Innanzitutto sarai lieta di sapere che Alan Black non conduce il gioco, è solo una pedina, come lo sei tu, del resto!”
Non capivo davvero dove volesse arrivare quindi la lasciai continuare. “Questo vuol dire che non cercherà vendetta!”
Era la cosa più assurda che potesse uscire dalle labbra di quella donna.
“Lei non conosce Alan Black!”
“E tu non conosci me!”
Nuovamente il volume delle voci nel parco aumentò. Istintivamente riportai le mani alle orecchie e mi piegai su me stessa urlando di dolore. Com’era già successo le mie urla erano mute. Ansimai cercando di calmarmi e di non prestare caso al dolore, ma mi fu impossibile. Ogni fibra del mio essere percepiva quel male atroce. Sentii un rivolo di sangue caldo che mi lambiva le mani fino a raggiungere i polsi e i gomiti. Quella tortura sembrò durare all’infinito. Potevo udire le gocce purpuree che dal gomito finivano a terra. Ogni volta che accadeva avevo una fitta che mi trafiggeva il cranio da una parte all’altra, era come se vi avessero conficcato dentro uno spiedo. Urlai nuovamente mentre, ancora una volta, sentii la voce di Jasmine come un sussurro. “Mi devi dare del tu! Per favore non costringermi a farlo di nuovo! Mi servi viva!”
L’orgoglio mi diceva di non piegarmi, di soffrire piuttosto che cedere, eppure la mia testa, traditrice, fece un movimento di assenso. Lei parve soddisfatta e ancora una volta il dolore cessò.
Ansimai e non potei far a meno di provare paura. Mi ero creduta invincibile, in grado di poter fare tutto, eppure ero stata messa in ginocchia da qualcun altro in un modo a me totalmente estraneo.
Guardai Jasmine che mi sorrideva malefica prima di continuare, come se nulla fosse, il suo discorso.
“Io so esattamente che tipo sei Mar! Sei caparbia, determinata, arrogante. So che hai vissuto dei giorni di gloria nel tuo passato, so tutto quello che Alan ha fatto con te, come ti ha insegnato e come tu, divorata dalla voglia di potere, hai deciso di volerne di più. È comprensibile, da questo punto di vista ci somigliamo molto. Inoltre io ho un grande debito nei tuoi confronti, tu hai avuto la brillante idea di distruggere il libro ‘Gioco di sguardi’. Speravo che prima o poi qualcuno ci riuscisse e quel qualcuno sei stata tu! Sono rimasta davvero molto ammirata!”
Ero confusa. “Perché ti avrei fatto un favore?” prestai attenzione ad usare il ‘tu’.
Sospirò. “E’ davvero una lunga storia, forse un giorno te la narrerò!” fece un cenno sbrigativo con la mano, come a liquidare la questione.
“Come dicevo, ti ammiro moltissimo ed è per questo che ti farò un’offerta che non potrai rifiutare!”
Si avvicinò a me con un’espressione furba dipinta sul volto.
“Io so cosa provi Mar! Avevi un grande potere che ti faceva sentire sicura di te. Non avevi una coscienza, non avevi rimorsi o sensi di colpa, eri libera. Chissene importa se per esserlo impedivi agli altri di avere tale libertà. Tu eri padrona delle tue scelte e delle loro, credo sia meraviglioso!”
Sembrava estasiata. Ripensai con un senso di nostalgia a ciò che avevo fatto, a com’ero prima e mi ritrovai ad essere incuriosita da quella donna. La paura si attenuò per essere sostituita dalla brama di saperne di più.
“Ed ora che cos’hai Mar? Ti ho osservata e so che le cose sono molto diverse da com’erano prima. Sei fragile, come un qualsiasi essere umano, il che è un vero peccato per una come te!”
“Io non sono fragile!” sibilai, punta sul vivo.
Lei assunse una finta espressione di stupore. “Oh, scusa. Prima, su quella panchina mi eri sembrata, come dire?” sembrò pensarci un attimo “Distrutta?” sogghignò. Si stava prendendo gioco di me. Strinsi i pugni, ma imposi alla mia lingua di stare al suo posto, avevo ancora le mani insanguinate a ricordarmi di essere prudente.
“La vita sentimentale, Mar è davvero una brutta bestia, rende deboli! Non puoi permettertelo!” scosse la testa convinta, sempre più presa dal suo discorso.
“E se io ti dessi la possibilità di lasciarti la vita che hai ora alle spalle? Se ti dicessi che puoi tornare a rivivere i giorni di gloria? Se ti ridessi il potere che tanto hai bramato e che hai perduto distruggendo la fonte del potere?”
“Come fai a sapere tutte queste cose?” domandai “Tu non mi conosci!” non riuscii a nascondere l’astio nella mia voce.
“In parte la risposta fa parte di quella lunga storia che forse un giorno ti racconterò e, in parte, perché ti ho fatta spiare. Ho delle capacità molto interessanti!” si compiacque di se stessa.
Mi incuriosii. “Che tipo di capacità?”
“Ad esempio posso controllare le persone, un po’ come facevate tu ed Alan, in più posso controllare gli animali e vedere tramite i loro occhi!”
“E perché avresti dovuto tenere d’occhio proprio me?”
Sorrise come se fosse ovvio “Perché mi servi!”
“Anche ad Alan hai fatto la stessa proposta?”
Battè le mani un paio di volte, applaudendomi. “Sapevo che eri una persona intelligente!”
Lo presi per un  sì.
“E lui ha accettato!”
Lei annuì.
“Allora perché non vuole vendetta? Ha di nuovo il potere, perché non usarlo contro di me?”
“Perché fa parte del patto. Poteva riavere i poteri a patto che lui non li usasse contro di te. Come ho detto tu mi servi!”
L’idea di servire a qualcuno non mi piaceva affatto.
“E lui ti ascolta?”
“So essere molto persuasiva!”
Non ne dubitavo, tuttavia mi risultava difficile immaginare Alan che sottostava alle richieste di quella donna, era quasi impensabile.
“E a cosa ti servo?”
“A ricostruire il libro che tu hai così abilmente distrutto!”
Mi accigliai, quella donna era un controsenso vivente.“Ma prima mi hai detto che ti avevo fatto un favore!”
Ancora una volta liquidò la faccenda con una scrollata di spalle.
“In un certo senso è così, ma comunque mi serve quel volume, almeno la parte nera!”
“Ti va male! Io non mi ricordo neanche una parola!”
“Per questo devo ridarti i tuoi poteri! Con la scintilla di essi di nuovo in te sarai in grado di ricordare ogni cosa perché sarai in grado di nuovo di praticare ogni cosa che facevi prima!”
L’euforia si impadronì di me. La tentazione di riavere il potere era molto forte, avrebbe segnato la fine di tutti  i miei problemi, sarei stata la Marguarite Jones forte, decisa, pericolosa. L’idea mi esaltava.
Però ancora qualcosa non quadrava. Mi costrinsi a pensare con lucidità, senza farmi accecare dalla brama di potere, dovevo avere più informazioni se volevo scegliere liberamente e non in maniera sconsiderata.
“Non ti basta Alan?”
“Anche tu hai aperto il libro nero quindi parte dei ricordi degli scritti si è trasferita in te. Diciamo che non ha una memoria completa.”
“Anche se tu mi ridessi i miei poteri, non potrei ricordarmi con precisione ogni singola parola, sarebbe impossibile!”
Sorrise nuovamente. “Sono sicura che ricorderai esattamente ogni parola. Sono stampate a fuoco nei recessi della tua memoria, è la magia che rende possibile ciò!”
Sapevo che aveva ragione perché mi era bastato leggere alcuni passi del libro una volta per ricordarmeli alla perfezione e non avrei saputo spiegarlo meglio se non col termine ‘magia’.
“E se uno di noi facesse un errore?”
“E’ impossibile! Ve lo ricorderete alla perfezione!”
“E se volessimo fare un errore?”
Sorrise sadicamente. “Ve ne pentireste!”
Non ne dubitavo. “Ma come faresti tu a sapere che abbiamo sbagliato di proposito? Come fai a fidarti di noi?”
“Esistono incantesimi di verifica per gli oggetti magici, lo saprei!” aprì le braccia come a sottolineare la semplicità del concetto: non potevamo sfuggire, non potevamo tradirla.
“Credo che tu abbia le capacità di costringermi a collaborare, perché allora me lo sei venuta a chiedere direttamente?” questa era una delle cose che maggiormente mi lasciava perplessa, dopotutto non mi sembrava una persona cordiale di natura. Volevo vedere se avessi rifiutato cosa avrei perso. Se me l’ aveva chiesto una ragione doveva esserci.
“Ottima domanda! Vedi, per trasferire del potere da una persona ad un’altra è necessario che entrambe lo vogliano. Diciamo che io sarò la fonte del potere che ti darò. Io devo volertelo donare e tu devi volerlo ricevere, non posso costringerti in alcun modo, devi esserne fermamente convinta. Non potrei obbligarti a prendere tale decisone usando, ad esempio, i trucchetti che usavi tu. Devi essere tu a volere il potere. Vedi, c’è chi nasce con la magia nel sangue e chi, come te, non ne ha neppure un briciolo. Eppure tu sei stata in grado di utilizzare la magia!”
“Non era proprio magia!” obiettai. Dopotutto si trattava di concentrazione e metodo, io vedevo la magia come qualcosa di più libero, non dettato da regole ferree o da metodi.
“Oh sì che lo era! La magia è esattamente questo. È padronanza di ciò che fai, è rigorosa, come una scienza. Si può dire che in essa non ci sia libero arbitrio, tutto va fatto secondo un preciso schema di parole o di gesti!”
“Ma tu prima non ne hai fatti!”
Sorrise furbamente. “Posso celarli. Fa tutto parte della segretezza di fondo della magia stessa. Se voglio posso mostrarti i gesti che faccio o le parole che pronuncio, mentre se non voglio tu non li puoi vedere, ti sembrerà solamente che io stia facendo tutto con la forza del pensiero!”
Annuii iniziando ad avere un quadro più completo.
“Come potevo allora convincere le persone a fare delle cose se non avevo poteri?”
“Nel momento in cui Alan vi ha insegnato il metodo voi potevate fare quelle cose perché attingevate, in minima parte, alla fonte del potere che però non vi apparteneva, era di Alan, perché solo lui aveva aperto il libro! Sarebbe come se tu prendessi in prestito per pochi secondi qualcosa di mio e poi me lo ridessi come se nulla fosse! Giusto il tempo per ordinare a qualcuno di fare qualcosa.”
“E’ questo quello che vuoi fare? Darmi in prestito i tuoi poteri?”
“No! Per dare in prestito non serve il consenso di entrambe le parti. Io voglio cederti parte del potere in modo che diventi interamente tuo!”
Sospirai tentando di rimettere in ordine tutto ciò che mi stava dicendo. La tentazione di accettare senza ulteriori spiegazioni era forte, ma volevo evitare di essere avventata, prima volevo vederci chiaro, non sapevo ancora se potevo fidarmi di quella donna.
“E io potrei usare il potere che mi darai a mio piacimento?”
“In realtà no. Come ti ho detto la magia è rigorosa quindi ti darò solo quella parte di potere che ti permette di fare quello che tu e Alan facevate prima, nulla di più, nulla di meno!”
Rimasi un po’ delusa, dopotutto mi sarebbe piaciuto poter fare quello che faceva quella donna. Probabilmente avrei potuto diventare più brava di lei e allora sarebbe stata lei al mio servizio.
“Non ci sono altri modi per avere il potere?”
“Forse sì, forse no, non starò qui a rivelarlo a te!”
La risposta ambigua mi faceva intuire che sicuramente c’erano altri modi, ma il fatto che lei non avesse risposto con un ‘no’ secco mi faceva intuire che non mi temeva affatto. Darmi un informazione parziale come quella voleva dire mettermi in parte al corrente della cosa, appunto perché non temeva che io potessi usare quell’informazione contro di lei.
“Sì può prendere potere dagli oggetti!” esclamai fiera di me per aver trovato la risposta.
Lei non parve sconvolta o punta sul vivo. “Mi chiedevo quando ci saresti arrivata! Dopotutto l’hai vissuto in prima persona!” si stava prendendo gioco di me. Strinsi i pugni, ma tentai di non farle vedere quanto mi irritasse.
“Bene, allora direi che posso declinare l’offerta!”
L’insopportabile sorrisetto che aveva dall’inizio del nostro incontro si spense mentre mi fissava incuriosita.
“Vedi Jasmine”  sottolineai col tono della voce il suo nome “io valgo molto anche senza poteri perché so usare alla perfezione quello che ho nella testa. Si chiama cervello!” le sorrisi sfrontata. Le servivo, quindi confidavo nel fatto che almeno non mi avrebbe uccisa e poi avevo trovato un modo per ridiventare quella forte di una volta, dovevo solo resistere un po’, giusto il tempo di trovare un oggetto che contenesse un qualsiasi tipo di potere che io potessi assorbire.
Lei mi fissò accigliata, ma senza interrompermi.
“Se tu un giorno dovessi perdere le tue facoltà, tu non saresti nulla, io invece non ho bisogno di te, io so agire alla perfezione con meno ‘armi’ di quelle che hai tu!”
Il sorriso tornò sulle sue labbra. “Non troverai un oggetto dal quale assorbire potere e anche se lo trovassi non sapresti come estrarne la forza!”
Sbarrai gli occhi. Aveva subito capito quali fossero le miei intenzioni, come se mi avesse letto nel pensiero. Forse poteva farlo veramente, non potevo saperlo, quindi decisi di ammetterlo.
“Non mi è sembrato molto difficile l’ultima volta!”
“Questo perché hai solo dovuto aprire un libro, non ci vuole un genio!” sembrava che si stesse quasi divertendo “I costrutti magici sono solitamente molto più complessi di così. Per liberare la forza che contengono servono chiavi, formule, situazioni particolari. Credi che chiunque decidesse di mettere il suo potere in un oggetto vorrebbe che venisse liberato facilmente?”
Non faceva una piega il suo discorso, eppure non volevo darle la soddisfazione di avermi intimidita. La fissai negli occhi con coraggio.
“Il libro che hai visto tu era un costrutto fatto di fretta da una strega di poco valore e poca maestria” assunse un’espressione di ribrezzo.
“Parli come se la conoscessi!” sibilai.
“Di fama, una fama per lo più immeritata!”
La strega di cui stava parlando era vissuta mille anni prima. Era lei ad aver creato il libro e ad aver imposto la maledizione che grava sul custode, questo almeno secondo il resoconto che Alex aveva fatto a me e a Dave.
Decisi di non approfondire ulteriormente, non me ne importava nulla di una strega morta.
“Fatto sta che non accetto la tua proposta!”
Si finse offesa.
“E’ una proposta più che onesta! Io ti do quello che tu brami di più e tu mi offri un piccolo servizio!”
“Non sono al servizio di nessuno!”
“Potresti esserlo per un prezzo così equo! Pensa, col potere che ti darò potresti avere tutto.”
“La risposta è no!” non mi sarei piegata al suo volere, avrei trovato un modo alternativo di riavere il mio potere e anche se non ce l’avessi fatta sapevo di valere molto anche da persona normale. Inoltre sapendo che Alan non era più una minaccia non avevo nemmeno questa urgenza di avere le mie facoltà, tutto si stava risolvendo. L’unico problema rimaneva Jasmine, ma confidavo ancora nel fatto che mi volesse viva.
“Come?” finse di non aver sentito. Sembrava ancora più divertita. Il suo sorriso mi fece venire i brividi, distolsi lo sguardo.
“Non ci sto. Puoi dire addio al tuo libro nero!”
Ghignai e tornai a fissarla negli occhi, quasi a sfidarla. Lei si concentrò su qualcosa che io non notavo, si portò una mano all’orecchio e sorrise.
“Non senti?”
Mi gelai sul posto, sapevo cosa stava per fare.
Non sentivo niente, ma non glielo dissi, mi limitai ad aspettare che il dolore giungesse. Lei parve gioire di questa mia rassegnazione.
“Credo sia una bellissima canzone, ascolta!” prese tra il pollice e l’indice il mio lobo e improvvisamente sentii la canzone, non era a volume alto, ma normale, non mi causava alcun dolore. La riconobbi, l’avevo sentita in discoteca, probabilmente veniva dalla radio di qualche macchina nelle vicinanze.
“Si intitola ‘bella vita’” sussurrai. Non sapevo quali intenzioni avesse e la cosa mi stava innervosendo.
“Mmm sì, credo di averla già sentita!” per qualche istante parve presa dalla melodia “Tra poco dovrebbe arrivare la parte, com’è che la chiamate? House?”
Annuii impercettibilmente rilassando i muscoli. Non sembrava volesse farmi ancora del male, forse non le importava se io non volevo collaborare.
“Adoro quella parte, i bassi sono così forti da far vibrare gli oggetti! Sembra quasi magia!”
In realtà in tutte le canzoni i bassi facevano tremare le cose, ma non stetti lì a puntualizzarlo.
“Senti! Sta arrivando la parte che preferisco!”
Mentre iniziava la parte house intravidi la macchina sulla strada affiancata al parco. Il volume della canzone crebbe al massimo e nuovamente mi ritrovai ad urlare di dolore. Era una sensazione diversa dalla precedente, non mi facevano male i timpani, ma sentivo tutte le mie ossa pulsare al ritmo della musica. In particolare il cuore sembrava volesse uscirmi dalla gabbia toracica. Ad ogni nota dei bassi tutto il mio corpo vibrava violentemente come in preda  a degli spasmi. Mi mancava il fiato. Mi accasciai a terra incapace di muovermi. Una pozza di sangue si stava allargando per terra in corrispondenza della mia bocca. La macchina parve non passare mai, sembrava andasse a rallentatore. In tutto quel delirio udii una risata cristallina, sapevo a chi apparteneva.
Alzai lo sguardo e vidi Jasmine che mi sovrastava in piedi con un ghigno sempre più grande sulle labbra.
“Sarà molto divertente giocare con te Marguerite!” mimò con le labbra, eppure le parole mi furono chiare come se le avesse urlate. Chiusi gli occhi sovrastata dal dolore. Mi misi le mani sul petto sperando di alleviare la mia sofferenza in quel modo, ma fu tutto inutile. Solo quando la macchina non fu più visibile il dolore mi abbandonò in un secondo.
Non mi sembrava vero, credevo che non sarebbe mai finito. Alzai gli occhi verso Jasmine, ma lei non c’era più, era come svanita. Mi sedetti a fatica sulla panchina riprendendo fiato e tastandomi il petto, come per controllare che il cuore fosse ancora al suo posto.
Lanciai uno sguardo per terra e vidi che tutto il sangue che avevo perso era svanito nel nulla, anche suoi palmi delle mani non ve ne era rimasta la minima traccia. Le famiglie nel parco continuavano allegramente le loro precedenti attività, non avevano notato nulla di ciò che era successo.
Sospirai quasi di sollievo, forse mi ero immaginata tutto. Sapevo che però non era così, forse avevo sbagliato a sottovalutare Jasmine. Dopotutto se le servivo viva, non voleva dire che le servissi sana e con tutte le ossa al loro posto.
“Tutto bene signorina?” alzai gli occhi su una vecchietta che preoccupata mi stava fissando.
Annuii ancora incapace di parlare.


Non ho molto da dire su questo capitolo, spero che non sia noioso perchè è un capitolo chiave nella storia.
Il prossimo aggiornameto sarà mercoledì, arriverà puntuale perchè i tre capitoli successivi a questo sono già scritti e in attesa di essere corretti al più presto. Non li pubblico prima di una settimana perchè voglio avere un po' di capitoli da parte quando l'università sarà rincominciata, così aggiornerò costantemente.
Un grazie di cuore ai recensori che mi riempiono di complimenti anche se non so quanto siano meritati, un grazie a chi legge/segue/preferisce la storia!
Vi ho tutti nel mio cuoricino!
Daisy

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Scusate, questo capitolo non è stato riletto a causa di una prolungata assenza di sonno. Provvederò a farlo domani, ma non voglio lasciarvi senza capitolo!
Approfitto per ringraziare Tutti quelli che seguono questa storia, la preferiscono e la recensiscono! Grazie grazie grazie.
Spero con tutto il cuore che il capitolo vi piacci e spero di non deludervi.
Daisy


Alzarmi da quella panchina fu una vera impresa. Ogni volta che ci provavo le gambe mi tremavano e di conseguenza mi sedevo sperando che passasse. Ripetei il procedimento più volte sempre col medesimo risultato. Ero spaventata, qualsiasi persona sana di mente lo sarebbe stata, ma io non potevo comportarmi in quel modo. Dovevo reagire! Eppure il mio corpo non sembrava pensarla come la mia testa, le gambe proprio non volevano reggermi.
Quella donna era davvero pericolosa, non potevo sottostare alle sue richieste. Mi avrebbe dato ciò che volevo, il potere, ma a quale prezzo? Sicuramente non mi aveva rivelato tutto quello che aveva intenzione di farci col libro, una volta che esso fosse stato ricreato, ma l’istinto mi diceva che non era nulla di buono.
Quando finalmente riuscii ad alzarmi e allontanarmi da quel parco giochi infernale fui  anche in grado di pensare con maggiore lucidità.
Le avevo detto di no e lei mi aveva fatta accasciare a terra per il dolore. A rigor di logica, essendo questo il trattamento che mi aveva riservato al mio rifiuto, cosa poteva farmi di peggio. Cercai di auto convincermi che la parte più dolorosa era passata, lei era sparita, forse si era arresa. Sapevo che non era così, però. Se fossi stata nei suoi panni io non mi sarei arresa, probabilmente avrei dato una prova della mia forza e poi avrei lasciato la vittima a rimurginare, tutto ciò prima di attaccare con maggiore forza.
Il solo pensiero mi fece rabbrividire. Lei probabilmente avrebbe fatto la stessa cosa che avrei fatto io, quindi il peggio doveva ancora arrivare. Il ritmo del mio cuore aumentò e fui costretta a fermarmi per fare un respiro profondo, sperando che questo mi calmasse. Non funzionò. Ripresi a camminare cercando di riflettere senza tener conto della paura.
Se avrebbe agito come pensavo, allora probabilmente mi avrebbe lasciato un po’ di tregua, per farmi riflettere e portarmi ad accettare. Quindi avevo un po’ di tempo, dovevo sfruttarlo al massimo.
Presi un altro respiro profondo per calmarmi ulteriormente. Quello che mi aveva spaventata di più era quel senso di impotenza che avevo avuto quando lei aveva dato prova della sua forza, la consapevolezza di non poter far nulla per bloccarla o almeno contrastarla mi faceva sentire debole e indifesa. Odiavo essere indifesa. Mi ero sempre reputata una persona forte eppure non potevo nulla contro di lei, semplicemente perché non ne avevo i mezzi. Era come se io fossi una scimmia e lei l’essere umano: cervello simile, ma capacità diverse. Quindi la prima cosa che dovevo fare era ergermi al suo livello.
Dovevo recuperare dei poteri. Non vedevo altro modo e l’idea sicuramente non mi dispiaceva, anzi.
Doveva pur esserci in giro per il mondo un costrutto magico dal quale assorbire il potere, non mi importava quanto sarebbe stato difficile farlo.
Prima ancora però dovevo trovarlo. Sorrisi un po’ rincuorata mentre la pausa scemava lentamente, avevo un piano d’attacco, ero pronta a contrastare e questo mi dava coraggio. Me la sarei cavata, come sempre.
Presi il cellulare e digitai su google la voce ‘oggetti magici’. Speranzosa attesi che la pagina si caricasse, ma appena lo fece ne rimasi delusa.
La prima voce citava ‘oggetti magici di Harry Potter- wikipedia’. Sbuffai, non mi servivano oggetti magici tratta da un libro e quindi inesistenti, avevo bisogno di qualcosa di reale.
Seguivano diversi siti nei quali venivano menzionate diverse cose con la facoltà di proteggere le persone, ma nessun costrutto dal quale assorbire energia. Sbuffai spazientita rimettendo il cellulare in tasca. Dovevo aspettarmelo, era impossibile fare una ricerca mirata su internet.
Alzai gli occhi al cielo mentre riflettevo sulla mia prossima mossa. Forse avrei dovuto provare con la biblioteca della città, oppure sarei potuta andare in un museo, lì era pieno di oggetti antichi, figuriamoci se non ce ne fosse nemmeno uno toccato da uno stregone.
Sbuffai, mentre imboccai la direzione del mio appartamento. Sapevo che le mie erano speranze vane. Ammettendo che trovassi un oggetto del genere in un museo, come avrei spiegato il semplice fatto che volevo toccarlo? O portarlo a casa per studiare il meccanismo per liberarne il potere? Non avrei potuto, non senza i poteri di persuasione che possedevo prima.
Mi portai una mano sulla faccia, esasperata. La sensazione di impotenza stava andando a sostituire l’entusiasmo iniziale.
Avrei potuto rubarlo, ma era infattibile, mi avrebbero sicuramente presa. Non c’era via d’uscita. Non conoscevo nessuno che potesse dirmi dove trovare un oggetto magico senza doverlo rubare o dover setacciare il mondo in lungo e in largo. D’altro canto forse avrei potuto cercare proprio un tale genere di persona.
Mi venne da ripensare alla prima volta che avevo sentito parlare di magia. Questa parola era uscita dalle labbra di Alex e io all’inizio ero stata scettica, per me ciò che facevo io non era magia, ma solo un’arte. Poi lui mi ci aveva fatta riflettere e, alla luce di tutto ciò che era accaduto dopo, compreso il mio incontro di quel pomeriggio, non potevo far a meno di crederci. La magia esisteva e io la volevo.
Mi bloccai mentre un sorriso vittorioso comparve sul mio volto. Alex era la persona che cercavo. Quando aveva raccontato a me e a Dave la storia della maledizione aveva detto che lui si era  molto appassionato, da giovane, a tutto questo genere di storie, tanto è vero che le aveva persino studiate. Lui poteva sapere o comunque aveva i mezzi per trovare quello che stavo cercando.
Sospirai quasi di sollievo perché avevo trovato una soluzione. Mi compiacqui di me stessa, in qualunque modo cadessi, qualsiasi cosa mi rompessi nella caduta, io sapevo sempre come rialzarmi e sapevo di farlo con stile.
 
La mattina dopo uscii di casa seguita da Emily.
“Dove diavolo stai andando così presto?” le domandai sperando che non avesse alcuna intenzione di venire con me.
“Dove vai tu!”
“Non puoi venire!” sibilai. Dio quanto avrei voluto che fosse ancora automatizzata per mandarla a sbattere contro un muro.
“Lo sai che non  mi perderei un esame per nulla al mondo!” ribattè guardandomi come se fossi impazzita.
“Esame?” ero perplessa, di cosa stava parlando.
“All’università! Oggi abbiamo l’ultimo esame del semestre!”
Sgranai gli occhi per la sorpresa. Mi ero dimenticata della vita ‘normale’, dopo la scarcerazione di Alan studiare era stato l’ultimo dei miei pensieri. Alzai le spalle.
“Credo che l’esame lo darò a settembre!”
“E dove stai andando allora?”
Sorrisi incurante di quello che avrebbe pensato di me, il giorno dopo sarebbe ripartita per stare a casa sua nelle vacanze estive, quindi non l’avrei rivista per un po’.
“Sai cosa? Non ti interessa!” sgranò gli occhi sorpresa dalla mia mancanza di gentilezza.
Ero stanca di essere la Mar che fingeva di essere una brava ragazza, io non volevo esserlo, mi faceva sentire debole, e non lo sarei stata mai più. Promisi a me stessa che quello che era accaduto il giorno prima al parco giochi non doveva succedere più. Avrei lottato e per farlo mi sarei dovuta liberare delle maschere inutili, come quella di ragazza per bene. Sorrisi mentre davo le spalle ad un Emily in procinto di piangere.
 
 
Alex mi aprì la porta e mi rivolse un sorriso di finta cortesia prima di sbarrarmi la strada impedendomi di entrare.
“Credo che Dave non voglia vederti al momento!” disse più sollevato che dispiaciuto. Non era una novità che non mi trovasse una compagnia adatta a Dave.
Gli rivolsi uno sguardo accigliato. “E perché?”
Mi guardò come se fossi impazzita.
“Senti io non avrei voluto ascoltare, ma lui urlava. Ho assistito al vostro litigio e non credo che, dopo ciò che è successo, lui voglia vederti. È ferito!”
Improvvisamente mi tornò in mente tutto, il litigio, le parole di Dave, le sue lacrime. Sentii il cuore farsi più pesante mentre il peso di ciò che mi aveva detto si aggiungeva al mio. Come avevo fatto a dimenticarmene completamente? Probabilmente ero stata talmente sconvolta dall’incontro con quella specie di strega da aver posto in secondo piano il problema con Dave. Poco male, ero ancora troppo agitata per preoccuparmi dei suoi sentimenti. Cercai di riprendere lucidità dopo quel breve momento di sorpresa, avevo cose più importanti da fare.
“Ehm sì, ma non sono qui per Dave, devo parlare con te!”
Lui parve leggermente stupito, ma dopo i primi attimi di indecisione si spostò di lato per farmi entrare. Varcai la soglia e mi diressi direttamente in cucina, dove di solito trattavamo tutti i nostri argomenti di discussione. Lì per lì mi ritrovai a pensare che era buffo che Dave non volesse vedermi, dal momento che era lui stesso che aveva deciso di far finire ciò che c’era tra di noi. Cercai di tranquillizzarmi pensando che non sarebbe finita finchè non l’avessi voluto io. Mi trovai a sorridere.
Alex si poggiò con la spalla allo stipite della porta e incrociò le braccia al petto in attesa di sentire quello che avevo da dire.
“Ho trovato un modo per fronteggiare Alan!”
Improvvisamente si fece molto più interessato.
“Stai dicendo seriamente?” parve sorpreso.
Annuii con impazienza.
“In realtà è un modo per me di recuperare i miei poteri per poterlo fronteggiare!” specificai, preparandomi alla parte difficile.
Lo sguardo di Alex si assottigliò.
“E Dave?”
Mi accigliai. “Cosa c’entra Dave?”
“Anche lui deve recuperare i suoi poteri!”
Alzai gli occhi al cielo. “Ovviamente!” dissi consapevole che Dave non avrebbe visto nemmeno una briciola di potere. Lui non c’entrava nulla con Jasmine e tutto il resto, era una cosa che dovevo fare da sola.
Eppure Jasmine aveva fatto riferimento ai suoi progetti per me, avrei dovuto ricostruire la parte nera del libro, ma perché non aveva bisogno di quella bianca? O forse ne aveva bisogno anche di quella e aveva contattato anche Dave. Improvvisamente mi ritrovai ad essere preoccupata per la sua incolumità. Non sopportavo nemmeno l’idea di vedere Dave piegato in due dal dolore come lo ero stata io il giorno prima. Sospirai cercando di togliermi tale immagine raccapricciante dalla testa.
Poi perché dovevo essere preoccupata per lui? Era perfettamente in grado di cavasela da solo anche se non era forte e intelligente come me.
Ti preoccupi per Dave perché sei debole.
Sembrava che la vocina nella mia testa, quella che pensavo fosse la mia coscienza, si stesse prendendo gioco di me. Buffo,  mi stavo prendendo in giro da sola, che pena.
Mi costrinsi a mettere da parte tutti questi pensieri per poter proseguire la conversazione.
“E come potresti fare? Il libro è stato distrutto!”
“Semplice! Con un oggetto magico!”
Alex sgranò gli occhi, evidentemente preso alla sprovvista. In quell’istante seppi di non essermi sbagliata, lui sapeva qualcosa.
“E’ assurdo!” tentò di sviarmi.
“No, non  lo è. Il libro era un oggetto magico dal quale io, Dave e Alan abbiamo tratto potere. Potremmo fare la stessa cosa con un qualsiasi altro oggetto!”
“E come fai ad essere sicura che funzioni?”
“Intuito formidabile!” esclamai. Alex mi guardò con un’ombra di scetticismo negli occhi.
“E come pensi di trovare un oggetto del genere, ammesso che ne esistano?”
Sorrisi trionfante: mi aveva appena posto la domanda giusta. “Me lo dirai tu!”
Sgranò gli occhi visibilmente sorpreso. “Io? E cosa ne saprei io?” lo vidi deglutire pesantemente, probabilmente a causa dell’ansia. Sapevo che lui aveva più conoscenza di quanta ne desse a vedere.
“Bè tu stesso ci hai raccontato che in passato eri molto interessato a leggende, quindi avrai senz’ombra di dubbio sentito parlare di un qualche oggetto portentoso. Mi basta anche un tostapane magico, l’importante è che abbia in se del potere!”
“Non lo posso fare!”
“Perché?”
“Perché non conosco un oggetto del genere!”
Lo guardai minacciosamente. “Stai mentendo!” lo accusai.
“Pensi che ti mentirei su una cosa del genere? Ci tengo quanto te a vedere Alan Black fuori dai giochi!”
“Non abbastanza se pensi che Dave possa fare tutto da solo!”
Si stupì. “Cosa stai dicendo?”
Ghignai. “Dico che ho capito il tuo piano. Tu conosci un oggetto del genere, ma non vuoi assolutamente che io ne prenda il potere. Tu non ti fidi di me e vorresti che tutto fosse nelle mani del caro e affidabile Dave!” lo scimmiottai con la voce “Eppure Dave è così fragile, da solo non durerebbe un giorno. Serve un lavoro di squadra!”
Si fece guardingo. “E cosa mi assicura che una volta preso il potere tu lo darai anche a Dave? È universalmente noto che tu non sei molto portata per i lavori di squadra.”
“Perché lo faremo insieme, lo libereremo insieme!” sperai che le mie parole bastassero a convincerlo “Di che oggetto si tratta?”
Alex scosse la testa, sembrava si fosse arreso e non cercasse più di raggirarmi. Mi ritrovai a sorridere soddisfatta.
“Ho sentito parlare di questi oggetti, ma non so proprio dove possano essere. In più so che è quasi impossibile estrarre il loro potere, sono congegni estremamente complicati.”
Strinsi i pugni incapace di capire se fosse un bluff o meno.
“Non c’è un modo di rintracciarne uno?”
Lui scosse la testa, sembrava afflitto, ma non capivo se lo era veramente.
Mi avvicinai a lui cercando di essere il più disperata possibile, per convincerlo della necessità e della mia bontà d’animo. “Ti prego trovane uno!” lo supplicai.
Mi alzai dalla sedia e gli diedi le spalle incamminandomi verso l’uscita. Lui non mi seguì. Raggiunsi l’entrata e aprii la porta, per poi richiuderla senza però varcarla. Così rimasi in  casa Sullivan all’insaputa di Alex, determinata a scoprire quello che lui sapeva e se durate il nostro colloquio stesse fingendo o meno.
In punta dei piedi mi avvicinai alla cucina, dopo di che mi nascosi dietro un angolo e attesi una qualsiasi mossa di Alex. Lo sentivo camminare nervosamente per la stanza, sembrava fosse indeciso su cosa fare. Me lo immaginavo con la fronte aggrottata e mi sembrava quasi di vedere le rotelle del suo cervello girare freneticamente nella speranza di trovare una soluzione.
“Pronto? Vorrei parlare col signor Dush!”
La voce di Alex giunse alle mie orecchie inaspettata tanto è vero che per un attimo credetti che mi avesse scoperta. Trattenni il respiro e feci capolino con la testa oltre la porta della cucina. Lui era di spalle aveva un braccio alzato in modo tale da far arrivare la mano all’orecchio. Stava parlando al telefono. Sospirai di sollievo nascondendomi nuovamente e cercando di sentire il più possibile.
“Non posso lasciargli un messaggio! E’urgente ho bisogno di parlare proprio con lui!” lo sentii insistere. Chi era il signor Dush e perché Alex lo aveva chiamato proprio dopo la conversazione con me?
“Signor Dush, è un piacere sentirla!” continuò Alex con tono quasi servizievole.
Seguì un attimo di pausa, dopo il quale Alex continuò il suo discorso.
“Il signor Black è stato rilasciato giusto ieri!”
Trattenni il respiro. Stava parlando Alan, non c’era alcun dubbio, ma come faceva questo tale, il signor Dush, a conoscere Alan? Forse gliene aveva parlato in confidenza Alex, ma perché avrebbe dovuto farlo? La situazione era perfettamente sotto controllo e cosa avrebbe potuto fare un completo estraneo in più? Proprio non riuscivo a comprendere. Sentii i passi di Alan avvicinarsi e, quando si fermò seppi che si trovava esattamente dalla parte opposta del muro dove mi trovavo io. Posai l’orecchio destro alla parete e trattenni il fiato per sentire meglio. Fortunatamente da quella posizione riuscivo a sentire anche cosa veniva detto dall’altro capo del telefono.
Il signor Stone ci ha già informati!”
Riflettei un attimo. Dove avevo già sentito il cognome Stone? Non riuscivo proprio a ricordare.
“Com’è stato possibile che lui sia uscito? Era praticamente condannato!”
“Crediamo abbia avuto un aiuto dall’esterno!”
“Che genere di aiuto?”
Alex Greenwood, queste sono informazioni riservate che io non posso dirti!”
Alex parve arrabbiarsi. “Come puoi dire una cosa del genere? Io ci sono dentro fino alla punta dei capelli! Uno dei ragazzi minacciati da questa situazione è il mio figlioccio!”
Tutti noi comprendiamo la tua preoccupazione e l’idea era quella di tenere d’occhio il signor Black, in modo tale da renderlo inoffensivo, nel caso avesse voluto vendicarsi sui due ragazzi e su di te!”
Alex sospirò.
“Dimmi che è tutto sotto controllo!”
Ci stiamo lavorando. Il signor Black sembra scomparso nel nulla! Stiamo tenendo sorvegliata la villa dove abitava, ma ancora non si è fatto vedere.”
Ascoltai sempre più interessata chiedendomi chi fossero quelle persone che si erano intromesse nella nostra vita senza che noi lo sapessimo. Era già inquietante che Jasmine mi osservasse tramite gli animali o le persone senza che si ci mettessero anche perfetti sconosciuti provenienti da chissà dove. Avevo sempre creduto che fossero affari nostri e nostri soltanto, eppure in quei pochi minuti mi sembrava di intuire che si trattasse di qualcosa di più grande, che al momento non riuscivo a comprendere. Mi sentii così piccola di fronte a tale pensiero. Mi feci forza. Non dovevo per forza sentirmi in quel modo, dovevo reagire. Non importava quante persone fossero coinvolte, quello che contava era che io avrei comunque risolto la faccenda a modo mio.
“Un uomo non può scomparire nel nulla!” Alex era di nuovo alterato.
“Questo uomo sì. E’ sfuggito al nostro controllo per vent’anni, avrà i suoi metodi!”
“Credi che abbia recuperato i suoi poteri?”
Noi pensiamo di sì, ma crediamo anche che sia stato aiutato, almeno a riaverli!”
Su quello avevano ragione. Fantastico, sapevano pure delle nostre facoltà e probabilmente erano così bravi da sapere persino a che ora andavamo in bagno. Mi sembrava che degli elefanti fossero entrati di colpo nella mia privacy non lasciandomi più un attimo per vivere la mia vita senza problemi. Era inquietante. Rabbrividii guardandomi in giro, come alla ricerca di un paio di occhi che mi stavano fissando.
“E se avesse trovato un oggetto magico e fosse riuscito a estrarne il potere?”
Divenni improvvisamente più attenta, grazie a quello che gli avevo detto io Alex si era creato una sorta di spiegazione totalmente sbagliata della faccenda. Meglio così.
Noi non ci siamo mai riusciti, non vedo come avrebbe potuto farlo lui!”
“Col libro per loro non è stato difficile!”
“Fatto sta che noi non ci siamo mai riusciti!”
Questo mi faceva capire che quelle persone possedevano  ciò che stavo cercando, la difficoltà stava nello scoprire dove si trovassero queste persone.
“Credo che lui ce l’abbia fatta!” la voce di Alex era quasi un sussurro.
E cosa te lo fa pensare?”
“Marguerite me ne ha parlato oggi!”
La ragazza ti ha detto  che Alan ha estratto del potere da un oggetto?”
“Non proprio in questi termini. Diciamo che mi ha fatto un discorso su come lei crede che si possa liberare il potere dagli oggetti in modo tale da riavere le sue facoltà. Il problema è che non esistono posti in cui fare ricerche su un argomento del genere, abbiamo cancellato ogni tipo informazione, abbiamo ritenuto che fosse troppo pericoloso renderla di pubblico dominio!”
Rimasi molto incuriosita dal fatto che Alex usasse il ‘noi’, come se anche lui facesse parte di quella specie di setta spiavite altrui.
Tu credi che lei abbia avuto queste informazioni direttamente dalla fonte!”
“Sì, credo che lei abbia visto Alan e che ci abbia parlato. Non so se siano alleati o nemici, ma sono sicura che lei l’ha visto e che lui deve averle rivelato com’è rientrato in possesso delle sue capacità!”
Interessante, ma mi sfugge ancora lo specifico motivo della tua chiamata!”
“Voglio che glielo impediate. Impedite a Mar di avere tra le mani uno qualsiasi di quegli oggetti. Nascondeteli, buttateli giù da un fiume, fate quello che vi pare! L’importante e’ che Mar non ne abbia tra le mani nemmeno uno. E come seconda cosa vorrei dirti che è ora che prendiate voi in mano questa situazione! Per troppo tempo Dave se l’è dovuta cavare da solo, mettendo a repentaglio la propria vita e voi dov’eravate?”
Sai che avevamo altro da fare!”
“Sembra che Alan non rappresenti un problema per voi!” Alex era davvero irritato.
Non è così, e lo sai!”
“Se non avessimo rotto la maledizione Dave sarebbe morto con la nascita del suo primogenito senza che voi alzaste un dito!”
Il suo interlocutore sbuffò.
Alan sarà pure un gran bastardo, ma si è limitato a giocare con la mente delle persone. Almeno non ha tentato di ucciderle!”
“Fatta eccezione per quella giornata a villa lux, dove ha tentato di far fuori sia Dave che Mar!”
Sono ragazzi eccezionali e sono riusciti a cavarsela!”
“Hai detto bene Dush! Sono ragazzi. Loro non dovrebbero fare queste cose, loro dovrebbero essere protetti da persone come voi! E’ il vostro lavoro!”
Strinsi i pugni. Io non avevo proprio bisogno di nessuno, anzi mi infastidiva che Alex lo pensasse e che tutte queste persone sconosciute ci stessero osservando.
Interverremo. Questa volta le carte in tavola sono diverse, abbiamo un aiuto dall’esterno ricordi?”
Alex sospirò. “Sì, e a proposito di questo devo darti un’informazioni. Mar e Dave erano lì quando sono stati chiamati a testimoniare dal procuratore Stone, in qualche modo la loro presenza è stata occultata!”
Ecco dove avevo già sentito il cognome Stone! Si trattava del procuratore che aveva cercato di far finire dentro Alan. Mi stupii, le persone di quella setta poteva essere davvero chiunque e potevano essere dappertutto.
Dici seriamente?”
“Ovviamente! Ho già analizzato la situazione coi ragazzi e credo che sia stato l’aiuto esterno ad intervenire in quel caso. Lui non poteva aver soggiogato tutti e soprattutto non poteva soggiogare Stone.”
Vedo che ti ricordi che insegniamo a proteggere la mente dalle intrusioni esterne!”
Potevano schermare la propria mente? Anche io ci ero riuscita, perché avevo compreso che le decisioni erano mie e solo mie, in questo modo mi ero opposta al tentativo da parte di Alan di soggiogarmi. Ero stata così fiera di me per quella mossa e mi dava fastidio che altri fossero in grado di farlo.
“Sì.” Lo sentii sorridere. Sbirciai oltre lo stipite della porta e vidi che fissava il soffitto con sguardo nostalgico, come se ricordasse i bei tempi andati. Questo rafforzò in me l’idea che Alex una volta doveva far parte di quel gruppo di stalker accaniti.
“Credo che c’entri l’aiuto esterno!”
Molto bene. Invieremo qualcuno a sistemare la faccenda e ad indagare su quello che sta accadendo!”
“Grazie davvero Dush!”
Intanto tu cerca di tenere buoni quei ragazzi. Ne devono stare fuori!”
“Non speravo di meglio!”
Lo vidi sorridere sollevato. Mi affrettai a nascondermi nuovamente fuori dalla cucina. Proprio in quell’istante mi resi conto che dalle scale un paio di occhi verdi mi stavano fissando con un misto di curiosità e tristezza. Ero talmente presa dal discorso che Alex stava facendo al telefono da non aver sentito che Dave stava scendendo le scale.
“Mar, ma cosa…”
Velocemente posi un dito sulle mie labbra intimandogli di fare silenzio. Se Alex mi avesse sorpresa in quell’istante sicuramente avrebbe capito che avevo origliato tutta la conversazione. Dave si zittì immediatamente guardandomi incuriosito. Mi avvicinai a lui.
“Che ci fai qui?”sussurrò.
“Ero venuta per parlare con Alex, ma lui è al telefono! Per questo ti ho chiesto di fare silenzio, non vorrei disturbarlo!”
Aggrottò le sopracciglia.
“Tu avresti fatto una cosa così rispettosa per lui?” era scettico. Mi finsi indispettita.
“Si chiama educazione!”
“Stavi origliando la sua conversazione al telefono vero?” mi accusò.
“No!” mi finsi indignata “Come se mi importasse di quello che dice al telefono!”
Dave mi guardò diffidente. Alzai gli occhi su di lui e fu in quel momento che mi accorsi che non era solo. Dietro di lui, qualche gradino più in altro c’era una bella ragazza con lunghi capelli biondi e mossi. Portava degli occhiali sottili sul naso e mi sorrise timidamente, arrossendo leggermente.
Il mio cervello sembrò andare in tilt.
Dave più una bionda uguale sesso sfrenato in camera sua.
Sbiancai. Lui era mio e lei doveva andare fuori dalla sua vita.
La mia mente si affollò di immagini dei loro corpi nudi avvinghiati, sentivo quasi i sospiri di lui e le parole infuocate che lasciava sulla sua pelle, proprio come faceva con me. Cercai di ritornare al presente eppure era difficile cancellare quei flesh di immagini. Erano così dettagliate da sembrare reali.
Non riuscivo a pensare con lucidità e odiavo dal profondo del cuore quella sensazione.
Debole, debole, debole, sei persino gelosa!
Avrei voluto urlare a quella stupida vocetta di stare zitta, se avesse avuto un corpo probabilmente l’avrei uccisa. Io non avevo mai provato un sentimento come la gelosia e sicuramente non lo provavo in quell’istante. La mia era più una rabbia cieca e un istinto omicida. Avrei potuto uccidere quella ragazza in almeno una cinquantina di modi diversi che andavano dallo staccarle gli arti uno per uno a regalarle una morte veloce tramite una bella pugnalata.
Non ero gelosa, sentivo solo minacciato il mio territorio: Dave.
Lei abbassò timidamente la testa. “Ciao!” disse semplicemente con una voce che mi ricordava in modo disgustoso quella di Emily. Era la tipa adatta a Dave dopotutto, timida e, ci scommettevo, tremendamente buona di cuore. Cercai di riprendere il controllo di me.
Mi limitai a sorriderle con finta cortesia.
Vidi Dave lanciarmi un rimprovero silenzioso con lo sguardo prima di rivolgersi a lei.
“Ci vediamo domani Jamie!” le sorrise come se la conoscesse da una vita e le aprì la porta di casa.
Una volta che lei fu uscita chiuse la porta alle sue spalle e mi rivolse uno sguardo severo.
“Potevi essere più gentile!”
Alzai le spalle, come a dirgli che non me ne importava nulla, poi feci un ghigno. “Mai carina quanto me!” esclamai.
Mi guardò come se fossi impazzita.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7


Disegno di Shadowdust


Allungare il braccio, afferrare il bicchiere, sollevarlo, portarselo alle labbra, bere con un lungo sorso, posare il bicchiere, aspettare un minuto, allungare il braccio.
Continuavo a ripetermi la stessa litania nella mente mentre ingurgitavo qualsiasi cosa mi venisse messa nel bicchiere. Ero giunta in quel locale camminando quasi come uno zombie per non so quali vie della città, quindi non ne varcai la soglia completamente cosciente. Mi ero ritrovata in una sorta di torpore che mi impediva di prendere una qualsiasi decisione, o di rendermi conto delle mie azioni. La mia mente era isolata dal mondo esterno. Era come se per lo shock avessi creato una sorta di barriera attorno al cervello, uno scudo che mi impediva di provare a utilizzare questo organo se non per muovermi come un robot. Semplicemente ero riuscita ad eliminare tutti i pensieri.
Un aiuto ulteriore veniva dall’alcool che continuavo a ingurgitare senza sosta e quella litania era quasi confortante, una sorta di ninna nanna che mi permetteva di rilassarmi e di fissare una qualsiasi cosa senza vederla. Mi ero totalmente estraniata e non sapevo nemmeno perché lo avessi fatto e la cosa migliore era che non mi andava di ricordare.
Non sapevo quanto avevo bevuto, ma percepivo la testa che girava vorticosamente dandomi una piacevole sensazione di vertigine, a volte accompagnata dalla nausea. Mi sentivo stranamente leggera, come se non fossi seduta su una sedia, ma stessi semplicemente fluttuando al di sopra di essa.
Allungare il braccio, afferrare il bicchiere, sollevarlo, portarselo alle labbra, bere con un lungo sorso, posare il bicchiere, aspettare un minuto, allungare il braccio
Una chiazza nera si parò di fronte a me. Si muoveva impercettibilmente, sembrava così soffice. Istintivamente allungai la mano per sfiorarla, ma non ci riuscii. Quando le mie dita erano solo a pochi millimetri di distanza mi sentii scrollata con forza.
La vertigine aumentò e mi sentii confusa. Tuttavia non avevo le forze per chiedermi cosa stesse succedendo quindi mi lasciai andare a quella nuova sensazione.
Mi parve di udire delle voci al di sopra della musica assordante, ma all’iniziò non capii cosa dicevano, non che mi interessasse. Venni scossa nuovamente e distinsi la parola ‘caffè’.
Chissà cos’era. In quel momento la percepii come un sostantivo conosciuto, ma non riuscivo ad afferrare l’immagine relativa a quella parola che mi si era materializzata nella mente.
Avrei potuto aggiungere la parola caffè alla mia litania. Forse sarebbe stata bene alla fine.
Allungare il braccio, afferrare il bicchiere, sollevarlo, portarselo alle labbra, bere con un lungo sorso, posare il bicchiere, aspettare un minuto, caffè.
Era divertente. Ridacchiai e feci per riafferrare il bicchiere, ma le mie dita lambirono il vuoto. Che strano. Ero sicura che fino a un attimo prima fosse lì davanti a me. Sbattei le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco i contorni sfocati degli oggetti che mi circondavano, ma non mi sembrava di notare il bicchiere.
Qualcuno mi mise una mano sulla nuca e fece avvicinare al mio naso qualcosa dall’odore forte e decisamente sgradevole. Cercai di allontanarmi spostando la testa all’indietro, ma la mano me lo impediva.
“Bevi avanti!”  disse una voce ovattata che non sappi se apparteneva a un uomo o a una donna. Mi venne posata sulle labbra quello che sembrava la parte superiore di un bicchiere e, pensando che fosse il mio di poco prima, bevvi tutto in un sorso.
Un liquido caldo e amaro mi attraversò la bocca fino ad andare a riscaldarmi lo stomaco. Storsi il naso e la bocca.
“Che sssschifo!” borbottai.
“Meglio se ne beve un’altro!” disse la voce ovattata che probabilmente avevo sentito prima. Mi rivolsi verso la fonte e chinai la testa di lato. Era un uomo che parlava, aveva dei folti capelli neri e gli occhi incredibilmente verdi. Sbattei le palpebre più volte per metterlo a fuoco meglio. I suoi capelli sembravano così soffici, forse erano quelli che pochi minuti prima avevo tentato di sfiorare. Allungai nuovamente la mano, ma lui me la bloccò a mezz’aria rivolgendomi un sorriso privo di allegria.
“Ne sei sicuro Dave? Mi sembra che stia per vomitare!” mi voltai verso la seconda voce e incontrai degli occhiali che riflettevano le luci stroboscopiche.
Meglio se vomita Emy, non sarà un bello spettacolo, ma almeno la smetterà di fissarci come se non ci vedesse!”
“Ma io vi veeeeedo!” biascicai perplessa dalle loro parole.
Il ragazzo mise entrambe le mani ai lati del mio viso e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
Come stai?”
Lo osservai incuriosita, che domanda strana.
“Beeeene!” ridacchiai senza un motivo apparente se non quello di trovare buffa la sua espressione.
Lo sguardo del ragazzo si fece duro, come se volesse rimproverarmi.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento!”
“Pecccché?” domandai strascicando la domanda.
Emily ha detto che ti comportavi in modo strano,così è venuta a chiamarmi, ma tu eri scomparsa e ti abbiamo cercato in ogni posto che di solito frequenti tu, ma eri introvabile e…”si fermò per riprendere fiato.
Alzai le spalle mentre la ragazza con gli occhiali si avvicinava a me con una tazzina in mano.
“Tienila ferma!”
Il ragazzo mi mise ancora una volta una mano sulla nuca e la ragazza mi posò sulle labbra la tazzina, bevvi senza riflettere e nuovamente storsi il naso.
Dov’è Jamie?”
“Non so Dave, ha detto che andava a cercarla tra la folla!”
“Vado a dirle che l’abbiamo trovata!”
“Ok!”
Al nome ‘Jamie’ un campanello dall’allarme si accese nella mia mente ma non gli prestai molto caso, sentivo soltanto una crescente sensazione di fastidio proprio alla bocca dello stomaco.
Iniziai a sentire un sapore acido nella bocca e capii che stavo per vomitare. Mi alzai in piedi e barcollai, la ragazza mi sorresse facendomi appoggiare a lei.
“Dove stai andando Mar?”
“Bagno!” dissi semplicemente mentre il mondo intorno a me continuava a ruotare velocemente. A fatica, muovendo un passo dietro l’altro, giungemmo in un luogo maggiormente illuminato, che riconobbi come la toilette. Mi infilai in una cabina e mi precipitai verso il water, non riuscendo più a trattenermi. La ragazza rimase in disparte, probabilmente alle mie spalle. Non seppi quanto tempo stetti piegata in quel bagno, a me sembrarono ore, e man mano che espellevo l’alcool la lucidità tornò, anche se la mia mente continua a rimanere schermata da qualsiasi tipo di pensiero. Ero esattamente come un automa. Mi mossi verso il lavandino e aprii l’acqua fredda prima di mettere sotto il getto le mani a coppa per poi portarmele al viso. Fu rigenerante e mi ritrovai ad avere solo qualche capogiro durante l’operazione.
“Ma cosa diavolo avevi? Sembravi impazzita, ti dimenavi e piangevi!” la voce di Emily si era fatta più chiara, ma non avevo comunque idea di cosa stesse dicendo. Uscii dalla toilette senza degnarla della mia attenzione e mi mescolai alla folla prima che lei potesse raggiungermi, volevo stare da sola a crogiolarmi nella mia condizione di ameba.
In lontananza vidi Dave e il mio primo pensiero lucido fu che era bellissimo. Ondeggiava a ritmo di musica ed era estremamente sexy, una voglia matta di gettarmi tra le sue braccia mi travolse. Feci un paio di passi quando mi resi conto che stava ballando con una ragazza dai lunghi capelli biondi, una ragazza che riconobbi come Jamie. Lei gli dava le spalle e si strusciava su di lui senza ritegno. Mi bloccai sul posto, la mia mente precedentemente sgombra era completamente occupata da ciò che stavo osservando.
Lui aveva le mani adagiate sui suoi fianchi e esercitava su di essi una leggera pressione che probabilmente contribuivano a far aderire meglio il suo corpo a quello della ragazza.
Lei si voltò e gli gettò le braccia al collo. I loro visi erano così vicini.
Mi sentii stringere lo stomaco talmente tanto che mi fece male.
Lui si chinò per sussurrarle qualcosa all’orecchio e lei ridacchiò portando leggermente la testa all’indietro. Non sentivo più la musica né le persone che ballando mi urtavano. Non percepivo nulla se non il cuore che iniziava a battere più forte irradiando il dolore in tutto il mio corpo.
Lui si abbassò su di lei per essere alla giusta altezza delle sue labbra. Poi si baciarono e a me parve di scoppiare. Le mani di lui scomparvero sotto la massa dei capelli di lei, in un modo che ricordava molto i nostri baci.
Dolore e odio si sovrapposero in un cocktail letale, si irradiarono dal mio petto e, come se fossero trasportati dal sangue, giunsero al mio cervello, che riprese a ragionare.
Rivissi quegli ultimi giorni improvvisamente sotto forma di duri flash che apparivano dinnanzi i miei occhi, mentre quelle immagini del passato si sovrapponevano al bacio passionale che Dave e Jamie si stavano scambiando.
L’appuntamento con Dave, la cui lingua danzava sul labbro inferiore di Jamie.
Il processo.
Jamie sorrideva e immergeva le dita nei capelli corvini di Dave.
La strega.
Llui appoggiò una mano sul fianco di lei con fare possessivo.
 Jamie, la sua comparsa a casa di Dave.
Una voragine si aprì nel mio petto minacciando di risucchiare tutti i miei organi vitali.
E poi arrivò il flash più doloroso : Rob. Al solo pensiero mi tornò alla mente tutto ciò che avevo cercato di dimenticare: l’umiliazione, la sensazione di essere stata violata quando ero impotente. Strinsi i pugni e non mi fermai nemmeno quando il dolore mi indicava che mi ero conficcata le unghie nella pelle.
Inizia a tremare sopraffatta da tutte quelle sensazioni. Per la prima volta in vita mia volevo crollare.
Volevo essere libera di accasciarmi al suolo e lasciare che tutte quelle emozioni mi sopraffacessero, senza compiere l’inutile sforzo di cacciarle via.
Debole.
L’odio e la gelosia mi accecarono. Come avevo potuto diventare così? L’ombra di ciò che ero stata?
Corsi fuori dal locale a perdifiato mentre lasciavo dietro di me, nel vento, le lacrime che ormai scorrevano incontrollate lungo il mio volto. Non so per quanto tempo andai avanti. Barcollavo per le vie vuote della città, appoggiandomi di tanto in tanto alle pareti degli edifici. Mi strusciavo su di esse come se potessero offrirmi un sostegno che io non ero più in grado di darmi. Posavo al fronte su di essi e sentivo il ruvido del cemento graffiarmi la pelle, ma non mi importava. Poi vomitavo. Persi il conto di quante volte dovetti fermarmi per piegarmi in due e rimettere tutto l’alcool che avevo bevuto. Speravo che con esso passasse il dolore, che la disperazione scivolasse via dalle mie labbra con tutto quello schifo. Mi sentivo svuotata e inutile, non c’era più niente che potessi fare. Ero debole. La mia voce interiore aveva sempre avuto ragione.
Mi bloccai e alzai gli occhi verso il cielo scarsamente illuminato dalla luna. Era notte fonda e avrei disperatamente voluto essere inghiottita dall’oscurità, perché l’oscurità non mi avrebbe fatta del male, sarebbe stata mia amica e mi avrebbe riportata indietro nel tempo, quando ancora provavo rispetto per me stessa.
Mi guardai attorno sperduta, mentre l’immagine del parco nel quale mi trovavo, si sovrapponeva al ricordo del bacio focoso di Dave, al quale a sua volta si sovrapponeva la risata soddisfatta di Rob.
Tremai. Mi trovavo nello stesso parco nel quale avevo incontrato Jasmine, inconsciamente le mie gambe mi avevano portata in quel luogo.
Sentii nuovamente una stretta al cuore e fui sopraffatta dalle emozioni. Mi inginocchiai a terra perché le gambe non mi reggevano più. L’erba era fresca a contatto con i miei polpacci, ma ciò non lenì le sensazioni che provavo. Affondai le mani nei ciuffi verdi e strinsi forte i pugni attorno ad essi.
Ormai non riuscivo più a vedere con chiarezza a causa dello spesso strato di acqua che sgorgava dai miei occhi. chiusi gli occhi con forza sperando di togliere quella patina di acqua salata, ma non appena li riaprii essa si riformò, come se non fosse mai andata via.
Debole.
Chiusi gli occhi e, com’era successo prima in quella giornata mi trovai ad osservarmi dall’esterno. Una ragazza inginocchiata a terra con i lunghi capelli che scendevano fino a ricoprirle il volto, le mani appoggiate al terreno e le gocce che le abbandonavano il viso per finire a terra.
Patetica.
Tornai in me.
Debole.
“BASTA!” urlai nel buio della notte “JASMINE!” le mie labbra proseguirono da sole, sapevano esattamente cosa fare.
“ACCETTO LA TUA PROPOSTA!” sbraitai al vento, mentre alcune gocce salate raggiungevano le mie labbra.
Mi guardai attorno speranzosa, e prima che iniziassi a sentirmi stupida per aver urlato al nulla vidi un’ombra. Si stagliava sull’erba a pochi metri da me. Era lunga e flessuosa. L’unica cosa che riuscii a vedere della sagoma erano la massa di capelli ricci che si stagliavano sul terreno con eleganza. Alzai lo sguardo si cura di vedere Jasmine che mi sorrideva in quel modo gentile e divertito che la caratterizzava, ma di lei non c’era nessuna traccia. Sono un’ombra senza corpo mi indicava che era pronta ad accogliere la mia disperata richiesta. Mi asciugai le lacrime per vederla con chiarezza. L’ombra parve voltarsi verso di me, dopo di che girò la testa nella direzione opposta a comincio a scivolare. Mi alzai a fatica ignorando i giramenti di testa, chiusi un attimo gli occhi, dopo di che la seguii. Determinata, camminai per quella che fu l’intera notte, ignorando l’acido lattico nelle gambe che si faceva sentire facendomi provare un dolore acuto. Ignorai le prime luci dell’alba che rischiaravano le strade e mi limitai a seguire l’ombra sempre più chiara senza reputarla una cosa stupida. Il mio cervello era scollegato, era come se avessi provato troppe sensazioni e non fossi più in grado di sentirne altre. La mia mente e il mio cuore ne avevano abbastanza.
Giunsi ad una piccola casa isolata nella campagna circostante, mi costrinsi a ritornare un po’ cosciente e mi avvicinai alla porta prima di bussare. Essa si aprì da sola e io entrai mentre misteriosamente tornavo in me. Inizia a sentire la paura oltre al dolore, questo era l’effetto che Jasmine aveva su di me, ma presto sarebbe tutto finito. Non avevo intenzione di aspettare che Alex trovasse un oggetto con i poteri per riavere la mia meravigliosa vita, non potevo sopportare di vivere un altro giorno come quello appena trascorso. La mia era un’urgenza, dovevo guarire da quella debolezza che mi aveva posseduta, dovevo rinascere.
Avanzai nella casa buia pensando che tutto questo era colpa di Dave, se i suoi occhi verdi fossero stati alla larga dalla mia vita non mi sarei sicuramente ritrovata in quella situazione. L’odio nei suoi confronti si acuì.
Dal fondo della casa si aprì una porta e, nella debole luce del mattino, vidi Jasmine Becketly camminare verso di me.
Mi rivolse un sorriso compiaciuto di chi la sapeva lunga e mi tese la mano.
“Benvenuta Mar!”
Cercai di farmi coraggio nonostante i suoi trattamenti dolorosi mi ritornarono alla mente mentre fissavo i suoi occhi di ghiaccio.
Feci un cenno con la testa a mo’ di saluto, ma non le strinsi la mano.
Sorrise nuovamente ed ebbi un brivido lungo tutta la schiena.
“Sei sicura di quello che stai per fare?”
Annuii ancora incapace di parlare.
“Allora seguimi!” mi voltò le palle e si diresse verso la porta dalla quale era appena uscita.
Il corridoio nel quale giungemmo sembrava molto più vecchio della casa stessa, era intagliato nella roccia e era incredibilmente umido. Strinsi le braccia al petto e proseguii nella penombra dietro alla donna mentre lo stretto passaggio finiva con delle scale a chiocciola che portavano verso il basso.
Alla fine di esse giungemmo in una stanza rettangolare completamente sgombra al termine della quale scorsi una porta. Jasmine si fermò e si voltò verso di me con aria divertita.
“Avvicinati!” disse. Mossi un passo incerto verso di lei. “Ancora un po’!” aggiunse “Non mordo!” ridacchiò della sua battuta. Entrambe sapevamo che poteva fare molto più che mordere.
“Siediti a gambe incrociate, abbiamo bisogno di concentrazione!” esclamò mentre prendeva posto sul pavimento a un paio di metri da me.
Feci come mi aveva detto mentre la paura e la diffidenza nei suoi confronti svanivano. Improvvisamente sentii che era logico che mi fidassi di lei. Mi avrebbe dato un po’ del suo potere, chiedendo qualcosa in cambio, un piccolo prezzo da pagare per riottenere la mia vita. Non aveva dato qualcosa per niente, com’era giusto che fosse. Nei suoi comportamenti non c’era nulla che facesse presagire di non potermi fidare, era perfettamente coerente.
“Chiudi gli occhi e concentrati sul tuo volere! Devi essere pronta con tutta te stessa ad accettare il potere!”
Serrai le palpebre ripensando al dolore, all’impotenza, all’umiliazione che avevo provato. Ero decisamente pronta ad accettare quel potere, ero quasi impaziente di averlo. Presto sarebbe finito tutto. Non vedevo l’ora che l’oscurità mi inghiottisse e rendesse nulle tutte quelle sensazioni che mi avevano distrutta. Perché era proprio quello che era successo. Tutte quelle emozioni a partire dal sentimento di simpatia che avevo iniziato a provare tempo addietro per Dave, fino ad arrivare alla disperazione e al dolore di quella sera, avevano distrutto la Mar che esisteva una volta. Era successo pezzo dopo pezzo e io avevo sofferto quasi fisicamente mentre vedevo il mio stesso essere disgregarsi come un castello di sabbia sotto al sole.
Improvvisamente mi sentii leggera come una piuma mentre venivo investita da una luce che potevo vedere anche attraverso le palpebre. La sensazione fu molto simile a quella che provai quando aprii entrambi i libri e mi fece sentire completa e appagata.
Ero nata per possedere quel dono e Alan me lo aveva sempre detto, solo in quel modo sarei stata davvero io. La ragazza dallo sguardo magnetico, la ragazza senza paura, la ragazza con il mondo ai suoi piedi.
Sorrisi. Sapevo che non mi sarebbe bastato, presto avrei preso altri poteri, sarei diventata come Jasmine ne ero certa.
Mi sentii improvvisamente satura e tutto divenne buio.
Come una fenice, sarei rinata dalle mie ceneri, nell’oscurità sarei tornata ciò che ero.



Credo che molti di voi sapessero che Mar avrebbe ceduto, ma spero comunque di essere riuscita a spiegare le sue ragioni. Non so se sono stata brava o almeno decente nel descrivere le sue sensazioni, è difficile immedesimarsi in una mar così distrutta, ero abituata ad un altro tipo di personaggio.
Vorrei anche chiedervi se la parte dei flash è chiara, volevo rendere bene l'idea che Mar rammentava tutto ciò che le era successo mentre i ricordi si sovrapponevano al bacio di Dave e Jamie.
Che ne pensate di Dave?
Bè, come avrete notato questo capitolo è più corto del solito, ma spero che vi sia piaciuto ugualmente, sopratutto perchè è molto importante. Se avete consigli da darmi, li accetto più che volentieri.
Mi trovate a questa pagina facebook. https://www.facebook.com/pages/Gioco-di-parole/116255365194270

Daisy

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6




Disegno di shadowdust



“Che ci fai qui?”
“Ho trovato una soluzione al problema Alan!” risposi con una punta di soddisfazione nella voce. Dave aggrottò le sopracciglia incredulo.
“Pensavo che tu lavorassi da sola!” ribattè punto sul vivo, ricordando le mie parole.
“So riconoscere quando ho bisogno di aiuto!” risposi con innocenza.
“Che grande dimostrazione di umiltà!” tentò di deridermi eppure il suo sguardo parve vagamente triste. Avrei voluto essere in grado di fare una qualsiasi cosa che avrebbe potuto riportare la felicità sul suo viso eppure non volevo farlo davvero. Non ero debole. Gli rivolsi un sorriso tirato e gli voltai le spalle, volevo andarmene, avevo cosa più importanti  da fare.
“Aspetta! Come pensi di fronteggiare il problema?”
Sbuffai sorpresa dal suo improvviso interesse. Ricordai la ragazza bionda che era appena uscita da casa sua e sentii la rabbia salire. Cercai di calmarmi, dopotutto quel sentimento era completamente inutile e stupido. Lo guardai con sguardo seducente, prendendomi una ciocca di capelli fra le dita e iniziando a giocarci con esse.
“Come hai detto tu, io non lavoro in coppia!” sussurrai con voce sensuale “D’altro canto so fare certe cose che in una coppia sarebbero ben accette, ma è una scelta tua quella di non voler più ‘lavorare’con me!” mimai con le dita le virgolette intorno alla parola ‘lavorare’. Era chiaro il riferimento alla discussione del giorno precedente in cui lui mi aveva detto ‘niente più sesso’. Si sarebbe pentito di quella scelta, lo promisi a me stessa. Arrossì leggermente mentre osservava le mie labbra desideroso. Mi voleva ancora, probabilmente la ragazza di prima era stata una distrazione dalla persona che realmente dominava i suoi pensieri: io. Gli voltai le spalle e, ancheggiando uscii dalla casa, il ghigno ancora stampato sul volto.
Avevo mosso un paio di passi quando mi resi conto di un gatto che stava elegantemente seduto sul muretto della casa di Dave. Mentre gli passavo davanti i suoi occhietti gialli mi seguirono e senza volerlo rabbrividii. Una parte di me, quella ancora terrorizzata da Jasmine Becketly, sapeva che dietro quelle iridi verticali poteva celarsi la strega. Eppure non potevo averne la certezza e il dubbio sembrava uccidermi. Mi guardai alle spalle e vidi il gatto mentre scendeva con un balzo leggiadro giù dal muretto per poi sgranchirsi le gambe.
Sospirai. Non mi stava seguendo.
Mi voltai  nuovamente, tanto per esserne certa e il micio mi stava pedinando silenziosamente. Trattenni il respiro incerta sul da farsi.
Sei talmente debole da aver paura di un gatto.
La solita vocina diventava sempre più sprezzante e irritante, non sembrava nemmeno appartenesse a me, era come un’entità esterna.
Sbuffai e allungai il passo, sperando di seminare il felino. Svoltai velocemente un angolo e sbirciai oltre le mie spalle. Il gatto era ancora lì, sempre ad una decina di metri da me e mi guardava con interesse.
“Sciò!” gli dissi con un gesto della mano, ma lui non parve intimidito. Mi costrinsi a non guardarlo più, ma la tentazione di voltarmi era troppo forte. Allungai ancora il passo finchè non mi ritrovai a correre a perdifiato per le via della città. Ad un certo punto, stremata, mi appoggiai ad una parete e cercai di riprendere fiato. Tossii violentemente mentre il mio cuore non mi dava alcun cenno di voler diminuire il battito. Feci dei respiri profondi, quelli funzionavano sempre. Almeno ero tranquilla perché il gatto non mi seguiva più.
Sospirai e mi lasciai scivolare a terra. Non era una cosa che facevo spesso, ad un occhio esterno sarei sembrata una pezzente, ma fortunatamente quella strada era deserta.
Un uccellino planò verso di me ed atterrò a pochi metri di distanza dalle mie gambe. Mi guardò piegando la testa di lato.
Mi allontani di scatto terrorizzata dall’idea che anche lì potesse celarsi la mente di Jasmine. Misi la testa fra le mani cercando di non impazzire, non potevo andare avanti in quel modo, sarei diventata paranoica, o forse lo ero già. Dovevo risolvere il problema al più presto.
Non sarebbe più facile accettare il potere che lei ti voleva offrire? Almeno non ti sentiresti così impotente e debole!
“BASTA!” urlai portandomi le mani alle orecchie, come se questo potesse far zittire la vocina che ormai abitava la mia testa da giorni. Stupida coscienza o qualunque cosa fosse. L’uccellino, spaventato dal mio urlo, spalancò le ali e prese il volo. Sospirai, con il pennuto lontano mi sentivo più tranquilla.
Mi alzai e mi incamminai verso casa pensando che non sarei comunque stata al sicuro, lei si poteva nascondere anche dietro gli occhi di una mosca.
 
 
 
Un ragazzo biondo, decisamente più alto di me si stagliava di fronte all’appartamento che io ed Emily condividevamo. Era girato di spalle e continuava a battere il pugno contro la porta nella speranza che qualcuno lo aprisse, la sua insistenza era alquanto fastidiosa.
“Credo che non ci sia nessuno in casa al momento!” lo scimmiottai tirando fuori le chiavi, lieta di avere una momentanea distrazione da quelli che erano i miei osservatori silenziosi. Il ragazzo si girò e io mi immobilizzai sul posto. Un paio di occhi cerulei con le pagliuzze gialle mi fissavano con contentezza e divertimento. Come avevo fatto a non riconoscerlo? Ero praticamente cresciuta con lui, avevamo condiviso tutto, eravamo stati quasi amici, era stata la mia palla al piede quando ancora ero libera e felice.
Quando avevi i poteri e non eri così debole!
Rabbrividii. Avrei voluto urlare contro quella stupida voce eppure sapevo di non poterlo fare, sarei apparsa come una squilibrata e sicuramente non era quella l’immagine di me che volevo dare. Io ero la forte e sensuale Mar e questo non sarebbe cambiato.
Mi sforzai di sorridere al mio interlocutore, anche se l’operazione, alla luce di tutti i recenti avvenimenti, risultò difficile.
“Rob, che piacere!” esclamai falsamente. Poi socchiusi con far minaccioso le palpebre. “Sei qui per finire l’opera?”
Lui scoppiò a ridere di gusto e si appoggiò con la schiena alla porta dell’appartamento.
“Se la domanda era: sei qui per uccidermi, la risposta è no!”
“Come se mi potessi fidare!” ero guardinga. La presenza di Rob su quel pianerottolo era totalmente sbagliata. Lui non doveva essere nemmeno col pensiero lì.
“Andiamo! Sono Rob, il tuo amico!” aprì le braccia come se volesse abbracciarmi e io mi ritrassi. Fu inutile perché comunque lui non si mosse di un millimetro.
“Lo eri finchè non hai deciso di uccidermi!” cercai di mettere dell’ironia nella mia voce, ma non ci riuscii, ero troppo preoccupata dalla sua presenza.
Sei sempre riuscita a tenergli testa, cosa ci dovrebbe essere di diverso questa volta? Ah, già prima avevi i poteri!
Strinsi la mascella per la rabbia. La voce si prendeva sempre più libertà fino a giungere all’auto ironia. Non avevo bisogno di poteri per fronteggiare Robert, non mi sarebbero serviti, era Rob dopotutto.
Alzò le spalle con aria noncurante “Il passato è passato!”
“Non dovresti essere ugualmente in prigione?” gli ringhiai contro. Non era da me perdere il controllo. Tutto il mio rapporto con Rob si era sempre basato su di lui che cercava di farmi innervosire o cercava di sedurmi e io che riuscivo sempre a deluderlo con calma e un sorriso trionfante sulle labbra. Raramente avevo esternato sentimenti come la rabbia in sua presenza. In quel momento stentavo a riconoscermi e mi odiavo per questo. Mi sembrava di impazzire con tutte quelle sensazioni contrastanti che mi bombardavano in continuazione. Mi sentivo sempre in bilico, come se mi trovassi su una corda sospesa sul vuoto: da una parte c’erano le sensazioni stupide e indesiderate che provavo, dall’altro quelle avrei dovuto provare, le emozioni giuste nei momenti giusti, da quel lato c’era tutto ciò che volevo essere. Tutto ciò che però non ero.
Basterebbe un pizzico di potere e saresti chi vuoi essere!
La vocina mi apparve quasi seducente in quel momento, ma dovevo resistere. Dovevo trovare un oggetto dal quale prelevare potere e sarei stata tranquilla, avrei potuto pazientare.
Bugia, non resisterai ancora a lungo così.
Sospirai per cercare di calmarmi.
Rob intanto mi osservava incuriosito, probabilmente persino lui notava la diversità nei miei comportamenti. Dio ero davvero caduta in basso. Mi dovevo rialzare, come sempre.
“Mi hanno scagionato!” mi disse sorridendo.
“E perché?” chiesi con sospetto cercando di non far trasparire alcuna emozione.
“Mi è giunta voce che anche Alan è stato liberato! Di conseguenza sono stato liberato anche io!” pareva soddisfatto.
“Non possono liberarti senza un processo! E il tuo sarebbe stato solo tra qualche settimana!” sbottai sperando che se ne andasse e mi lasciasse in pace.
“Hanno anticipato i tempi!”
Lo guardai scettica, poi improvvisamente un dubbio atroce si insinuò nella mia mente.
“Hai ricevuto la visita di una certa Jasmine Becketly?” mi sentii rabbrividire al solo pensiero.
“Jasmine Becketly?” si fece pensieroso “No, non credo di aver mai sentito questo nome!”
“E’ una donna piuttosto giovane, lunghi capelli mossi, sguardo di ghiaccio, riesce a fare cose molto particolari!” ricordai il petto che mi vibrava al suono del bassi e mi chiesi se non avessi sbagliato a inimicarmela. Sicuramente avevo sbagliato, avrei dovuto giocare meglio le mie carte.
“Mmmm sembra eccitante!” il suo sguardo si fece perverso “Non è che potresti presentarmela?”
“Le cose alle quali mi riferivo sono cose dolorose!” mi spiegai.
“Sadomaso, molto interessante!” si passò la lingua sulle labbra.
Alzai gli occhi al cielo, ma nonostante la situazione mi venne da sorridere. Infondo Rob  e il suo disperato bisogno di sesso mi erano mancati, lui era sempre stata una parte della mia vita e rivederlo era come riallacciare i legami col passato, con gli anni d’oro in cui noi potevamo tutto.
Potresti ancora fare grandi cose, se solo accettassi una certa proposta.
Stavolta la mia coscienza non aveva tutti i torti.
L’istante seguente cambiai subito pensiero, non dovevo cedere, cedere sarebbe stato un atto di debolezza. Avevo preso la mia decisione e dovevo portarla a compimento, altrimenti non sarei stata credibile nemmeno a me stessa.
Con un cenno della mano decisi di lasciar perdere e mi diressi verso la porta. Rob si scansò mentre infilavo la chiave nella serratura. Mi sentivo più tranquilla in quel momento sapendo che lui non aveva avuto alcun contatto con Jasmine: se lo avesse avuto non avrebbe fatto della così facile ironia. Rob non aveva mai rappresentato un vero pericolo, era sempre stato una pedina piuttosto stupida della scacchiera di Alan, quindi potevo strare tranquilla.
Alzai lo sguardo e incontrai si suoi occhi cerulei e mi ritrovai a pensare a quanto fossero sempre stati meno forti dei miei neri come la notte. Era strano pensare che invece in quel momento eravamo perfettamente uguali.
Entrai e feci per richiudere la porta, ma lui la bloccò con un piede, lo avevo previsto. Gli sbarrai col mio corpo l’entrata.
“Perché sei qui?” mi ero fatta seria, non mi andava di giocare, non più.
“Per salutare una vecchia amica!” rispose con innocenza.
“La stessa vecchia amica che ti ha fatto sbattere in prigione?” ero incredula e sospettosa. Rob non aveva bisogno di Jasmine per avere brutte intenzioni.
“Sì! E’ come mettere una pietra sopra al passato e andare verso un nuovo e strabiliante futuro!”
Alzai un sopracciglio incredula.
“Non varcherai questa soglia finchè non avremo chiarito quale sia il vero motivo per il quale sei qui! Cerchi vendetta?”
Lo vidi sorridere. “Se ti uccidessi Mar rifinirei in prigione e non credo che uscirei tanto in fretta!”
“Magari cerchi altri tipi di vendetta!” ero guardinga, pronta a fronteggiare qualsiasi sua azione.
Alzò le spalle. “Come sei diffidente!” parve divertito dalla cosa.
Mosse un paio di passi e si ritrovò a poche spanne da me. Con il dito indice mi toccò la punta del naso, il gesto doveva sembrare tenero, ma io mi irrigidii: Rob non era mai stato così, doveva esserci qualcosa sotto. Quando si trattava di qualcuno di noi c’era sempre il doppio fine.
Il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio e mi ritrovai a trattenere il respiro e a cercare di rimanere il più possibile immobile, dal momento che non volevo accidentalmente avvicinarmi ancora di più a lui.
“Scommettiamo che riesco a oltrepassare questa porta senza il tuo permesso?”
Non ebbi nemmeno il tempo di reagire che lui aveva poggiato le labbra sulle mie. Erano morbide e calde esattamente come le ricordavo e lui era un abile baciatore, tuttavia non risposi al suo bacio. Non mi andava, non mi attraeva fisicamente. Le sue labbra che si muovevano sulle mie si sovrapposero al ricordo di quelle di Dave. Le sue erano più dolci anche quando la passione lo divorava, quelle di Rob facevano trasparire solo la brama di possedere. Ne rimasi quasi disgustata. Posai le mani sulle sue spalle e lo spinsi lontano da me con un movimento deciso. Mi guardò sorpreso, con il respiro orto, poi ghignò.
“Ho oltrepassato la porta!” disse soddisfatto mentre portando il piede indietro la chiudeva con poca gentilezza.
“Bravo!” dissi senza entusiasmo “Scommettiamo che te la faccio attraversare un’altra volta?”
Mi sentivo spaesata, ma soprattutto disgustata dalla sua presenza nel mio appartamento. Lui si finse offeso.
“Mi stai chiedendo di andarmene?”
Battei le mani un paio di volte, in un applauso di scherno. “Come sei perspicace!”
“E se io non volessi?” il suo sguardo si accese. Le sue labbra si piegarono un sorriso sadico, un sorriso che ricordava in maniera inquietante quello di Jasmine. Mi ritrovai a deglutire improvvisamente presa dalla paura e dalla consapevolezza che Jasmine poteva celarsi anche dietro gli occhi di Rob.
Cercai di tranquillizzarmi. Lei mi teneva d’occhio non voleva intrattenere una qualsiasi conversazione con me, inoltre Rob prima aveva fatto una battuta poco carina sul suo conto, quindi se quella donna, alquanto suscettibile, si fosse celata dietro i suoi occhi probabilmente l’avrebbe fatto cadere a terra dolorante. Come aveva fatto con me. Cercai di togliermi tale immagine dalla mente mentre rifocalizzavo il mio sguardo su Rob. Il sorriso sadico non era sparito ed era meno inquietante se non lo collegavo a Jasmine. Mi tranquillizzai.
“Dai esci!” lo intimai, stanca della sua compagnia. Il ghigno si ampliò sul suo volto, trasformando il bel volto in qualcosa di terrificante. Improvvisamente mi resi conto di quanto ero stata stupida. Mi ero preoccupata di Jasmine e avevo sottovalutato Rob, tutto ciò mi aveva offuscato la ragione e mi ero messa in trappola da sola.
Rob fissava le mie labbra con desiderio. Ero da sola in casa con un uomo, indubbiamente più forte di me, dal punto di vista fisico, che probabilmente voleva vendicarsi. Ero impotente.
Debole.
Ero dannatamente in svantaggio.
Stupida.
Ero stata così stupida da dimenticarmi che una volta tenevo a bada Rob con i miei poteri, in quel momento non ne avevo.
Impotente.
Rob coprì la distanza che ci separava. Indietreggiai febbrilmente mentre il mio cervello andava in tilt. Non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo come reagire e come fermarlo.
Era tutto così facile, prima.
Ero spacciata. Mi ritrovai con le spalle al muro senza sapere più cosa dovevo fare. Non avevo più via di scampo.
Sei in trappola.
La mia coscienza sembrava volersi prendere gioco di me.
Robert posò con violenza le labbra sulle mie. Spostai la testa di lato, ma lui, con un ringhio quasi animale, ritrovò la mia bocca e la sigillò con la sua. Ero sempre più disgustata mentre lo stomaco si contorceva per la paura.
“Sei così bella!” sussurrò quasi con devozione contro la mia pelle.
Raccolsi tutte le forze che avevo e gli morsi il labbro inferiore. Si allontanò di scatto da me e si tastò con l’indice la bocca. Un piccolo rivoletto di sangue brillava sulla su pelle chiara. Sorrise.
“Sei sempre stata combattiva!” lo disse quasi con ammirazione.
Dal canto mio io non lo ascoltavo. Stavo disperatamente cercando con gli occhi qualcosa che potesse fungere da arma, ma in quella stanza non c’era nulla a parte di vestiti. Forse avrei potuto usare degli orecchini, ma erano piuttosto lontani. Nella speranza di raggiungerli mi mossi con la schiena contro il muro verso il contenitore dove sapevo erano tenuti.
Rob prontamente mi sbarrò la strada con quel sorriso sadico dipinto sul volto. Era ancora più inquietante rispetto a quanto lo era perché era intriso di sangue. Mi bloccai indecisa sul da farsi, mentre lui mi portava davanti agli occhi il dito con la piccola macchia di liquido vermiglio sopra.
“Guarda che mi hai fatto!” sussurrò muovendo il dito per attirare la mia attenzione su di esso. Mi mossi velocemente nell’altra direzione, ma lui mi schiacciò con forza contro il muro impedendomi di compiere altri movimenti. Si portò il dito in bocca e lo succhiò avidamente. Storsi in naso per i disgusto.
Sorrise di fronte alla mia reazione ed estrasse il dito, lo bagnò nuovamente di sangue dalla piccola ferita che gli avevo aperto sul labbro inferiore e, senza preavviso lo adagiò sulla mia bocca. Cercai di piegare la testa di lato, ma la pressione che esercitava su di me, me lo impediva. Il forte odore di sangue raggiunse le mie narici e storsi nuovamente il naso mentre iniziavo a divincolarmi dalla sua stretta. Cercai di sgusciare lontana da lui, ma fu tutto inutile. Strinsi i denti per lo sforzo e ci riprovai, lui in tutta risposta rise.  Il mio respirò accelerò una volta che fui consapevole di non avere via di scampo, tenermi ferma non lo affaticava nemmeno un po’.
“Lecca il sangue, Mar!”
Lo fissai in cagnesco ormai incapace di fare qualsiasi altra cosa.
“E’ buono!” sibilò tra i denti, mentre faceva aderire di nuovo la sua bocca alla mia. Con la lingue cercava un accesso, accesso che io ostinatamente gli negavo. Mossi la testa a destra e a sinistra per cercare di divincolarmi ma lui con una mano mi agguantò la mascella, facendomi stare ferma.
Presa dal panico cercai ancora di muovermi, ma era impossibile. Il mio cuore schizzò a mille e iniziai a sudare, non potevo crederci che stesse succedendo tutto quello a me.
Si staccò per riprendere fiato. Ne approfittai, raccolsi la saliva e gli sputai in faccia.
“Bastardo! Tieni le tue sporche mani lontano da me!” lo spintonai via. Preso alla sprovvista indietreggiò di qualche centimetro prima di rimettersi a ridere.
Mi allontanai dal muro e mi misi a correre verso la porta, ma lui mi sbarrò la strada. Mi cinse in una specie di abbraccio e mi spinse verso il muro opposto della stanza, quello accanto alla porta che desideravo così ardentemente raggiungere. Ansimai per l’impatto. Ero finita col petto contro al muro, il viso piegato di lato e Rob che mi teneva in quella posizione premendosi sulla mia schiena. Sentii la sua erezione mentre spingeva il bacino contro il mio sedere e rimasi ancora più disgustata dall’intera situazione. Avrei voluto che ci fosse Dave, avrei voluto che lui entrasse magicamente dalla porta e che prendesse a pugni Rob.
Non sai difenderti da sola.
Era vero, dannazione, non sapevo difendermi. Ero così debole da aver bisogno di Dave, mi facevo schifo da sola. Rob spinse ancora di più la sua mascolinità verso di me facendomi aderire ancora di più alla parete. Non riuscivo a parlare e tantomeno ad urlare per chiedere aiuto perché avendo una guancia spiaccicata contro il muro e l’altra contro la testa di Rob la mia bocca non riusciva a muoversi come avrei voluto. Emisi un suono strozzato che doveva essere il principio di una richiesta d’aiuto, ma vedendo l’insuccesso tacqui. Ero patetica. Eppure sapevo riconoscere che avevo un gran bisogno di aiuto.
“Sai per quanto tempo ti ho desiderata?”
Il mio cuore perse un battito prima di iniziare a battere più furiosamente.
Cercai di divincolarmi.
“Mi hai sedotto da quando hai imparato il significato del termine ‘seduzione’” continuò sibilando sul mio orecchio. Il suo fiato sulla mia pelle mi fece rabbrividire e cercai ancora una volta di sfuggire alla sua presa. Tutto inutile.
“E poi mi hai sempre rifiutato!”
Ricordavo fin troppo chiaramente quante volte io e Rob eravamo sul punto di fare sesso e, puntualmente gli avevo sempre detto di no. Faceva parte del gioco che portavo avanti con lui, il suo ruolo era quello di sciocco ragazzino al quale avrei sempre fatto desiderare me stessa. Non gli avrei dato la soddisfazione di possedermi come una qualsiasi ragazza. Volevo essere la ragazza irraggiungibile, persino per uno come lui, che con un solo sguardo poteva convincere anche al più bella del mondo ad andare con lui. Era stato così divertente, ma col tempo era diventata la sua ossessione. Quando Alan gli aveva chiesto di uccidermi lui aveva detto che gli dispiaceva vedermi morta prima di avermi avuta.
Quei pensieri mi fecero salire una specie di conato di vomito.
Le mani di Rob vagavano sul mio corpo. Sfiorarono i miei seni. Lo sentii ansimare contro il mio orecchio mentre li stringeva con forza. Mi scappò un mugolio di dolore, che lui però parve scambiare per un segno di piacere. Con passione mi fece voltare in modo tale da avere il viso rivolto verso il suo. Approfittai della situazione per sfuggire alla sua presa. Mi mossi di lato, ma la sua grossa mano centrò in piano il mio viso. La guancia mi bruciava e mi sentii instabile, nel cercare di allontanarmi da lui che con un sorriso vittorioso si rituffava sulle mie labbra inciampai e mi ritrovai a cadere verso il pavimento.
Il ghigno di Rob si ampliò. “Ora sarai mia!” sibilò.
La caduta, che mi parve andare al rallentatore, terminò e sbattei la testa sul pavimento. Persi i sensi consapevole di  essere completamente nelle sue mani.
Debole.




Per prima cosa vorrei ringraziare SHADOWDUST che oltre ad essere una grandissima scrittrice è anche un'ottima disegnatrice e ha gentilmente disegnato il bellissimo banner a inizio del capitolo, grazie di cuore Sadow.

Passando al capitolo, non so che dire . Rileggendolo mi sono resa cont che avrei voluto rendere la scena finale più reale, più dolorosa, in modo da far capire al lettore il solore di Mar, la sua improvvisa consapevolezza di essere impotente. A mio avviso non ci sono riuscita, ma sta a voi giudicere!
Ringrazio di cuore chi ha recensito e chi legge la storia, grazie davvero.
A mercoledì prossimo.
Daisy

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***



creazione di Shadowdust


Parole.
Senza.
Senso.
Salve, sconosciuto visitatore.
Hai tra le mani una grande possibilità.
La possibilità di istigare.
Ma tale possibilità non sarà al tuo servizio.
Sarà il Potere ad indicarti cosa devi fare.
Sii strumento silenzioso nelle sue mani e sarai ricompensato.
Sii Sua voce, Sue orecchie e Suoi occhi.
Ma non essere mai la Sua mente.
Egli non ne possiede una.
Egli è solo forza, forza allo stato puro.
Il Potere regna il tuo corpo.
Tu lo possiedi, ma non lo sai usare.
Ma attenzione! Il potere è limitato!
Leggi e impara, sconosciuto visitatore.
Impara a giocare …
… a giocare con gli sguardi.
*
 
Dovevano ricordami qualcosa, eppure non sapevo cosa.
Scorrevano dinnanzi ai miei occhi come i titoli di coda di un film, ma non erano affatto parole noiose, anzi. Ogni singola lettera attirava il mio sguardo come una calamita. La accarezzavo col pensiero, la comprendevo, la facevo mia e, infine, passavo al vocabolo successivo.
 
Occhi.
Visualizza gli occhi.
Sorridi. Influenza. Fa che si fidino.
Intrappolali.
Tutto il campo visivo deve essere occupato da occhi. Un paio di occhi.
Comprendili. Cosa vogliono dirti?
Empatia. Simbiosi. Sintesi.
Tu sei quegli occhi.
Prendi una decisione. Quella sarà la loro decisione.
*
 
Non riuscivo a far a meno di rimanere ipnotizzata da quella danza di lettere che per me non avevano alcun significato, avevo la mente annebbiata, non avrei potuto fare di meglio.
Eppure non mi sentivo debole, tutt’altro. Mi sentivo rinata, proprietaria di una nuova e travolgente forza. Ero completa.
Barlumi di immagini balenarono nella mia testa. Il dolore, la furia, l’umiliazione che avevo provato cercarono di raggiungermi eppure io ero protetta. Era come se stessi osservando queste sensazioni dall’esterno, attraverso un vetro, come in un acquario. Facevano paura, ma non potevano raggiungermi, ero schermata. Il cuore divenne mille volte più leggero mentre mi veniva da ridere per schernire tutte quelle sensazioni che avevano cercato di attaccarmi. Che fallimento misero il loro.
Il ricordo dei giorni precedenti mi sembrò lontano, come se non fossi stata io a vivere in prima persona quegli eventi, era come se li avessi osservati da uno schermo televisivo e poi, annoiata da ciò che avevo visto, mi ero dimenticata quasi di tutto, se non di alcuni dettagli.
Spalancai gli occhi, ma fu come se non l’avessi fatto. Intorno a me regnava il buio. Dovevo essere sdraiata sul pavimento di pietra, il freddo sotto la mia pelle me lo confermava. Mi misi a sedere mentre cercavo di stendere i muscoli intorpiditi. L’unica fonte di luce era una sottile striscia dritta davanti a me, in corrispondenza di quella che doveva essere una porta. Mi misi in piedi e mi diressi verso di essa. Cercai a tentoni la maniglia e la abbassai prima di entrare in un’ampia stanza quadrata. Da un lato vi era qualche scaffale dove vi erano riposti libri e oggetti di qualsiasi tipo, dall’altra parte c’era un lungo tavolo al quale era seduto un uomo chino su qualcosa. Il modo in cui teneva raccolti i lunghi capelli neri alla base del collo era inconfondibile e mi ritrovai a sorridere alla prospettiva di rivolgergli nuovamente la parola. Non ero più impaurita o intimidita, solo provavo una grande nostalgia per quel passato perfetto che avevamo condiviso.
Mi avvicinai cercando di non fare rumore e vidi che Alan era impegnato a scrivere qualcosa su un quaderno.
“Sembri una amanuense!” esclamai ad alta voce mentre aggiravo il tavolo e mi paravo di fronte a lui.
Alan alzò lo sguardo dalla pagina e strinse la mascella, evidentemente ancora non riusciva a dimenticare la dura sconfitta che gli avevo inferto.
Il disappunto venne sostituito da un ghigno storto. “Ce ne hai messo di tempo per svegliarti!”
Sapevo che la frase sottintendeva che lui ci aveva messo molto meno.
Gli sorrisi per nulla offesa dal suo commento.
“Mi sono presa il tempo per dormire un po’!” risposi con noncuranza. Mi sentivo quasi euforica nello stare lì a parlare con lui mentre le sensazioni che mi avevano fatta crollare la sera prima, premevano contro il vetro per raggiungermi.
Lui abbassò lo sguardo e riprese a scrivere ignorandomi.
“Sai, devo farti i complimenti!” iniziai.
Lui non rispose, ma continuò a scrivere.
“Sei stato bravo a celare la presenza mia e di Dave al tribunale!” ghignai mentre lui posava la penna sul tavolo. Sospettavo che non fosse opera sua, ma sarebbe stato divertente vedere come avrebbe reagito.
Strinse la mascella “E’ stata Jasmine, ha creato una sorta di muro che impediva a chiunque di vedervi!” gli costava molto non prendersi il merito.
“Ma tu potevi vederci! Che hai fatto per meritarti un premio del genere? Sei stato un bravo schiavetto?” lo canzonai.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso privo di allegria.
“Se sei qui allora vuol dire che anche tu dovrai presto fare la brava schiavetta!” ribattè.
“Io tengo onore all’accordo preso!”
“Come sei onesta Mar!” mi canzonò.
“Noto anche tu lo sei!”
“Non che abbiate molta scelta!” aggiunse Jasmine entrando nella stanza.
Alzai un sopracciglio, non mi andava che mi credesse la sua schiava personale. “Abbiamo scelta! Abbiamo scelto di riavere i nostri poteri ed ora siamo qui perché sapevamo di doverti dare qualcosa in cambio!”
Lei sorrise. “Molto bene, Mar! Sono felice che tu la prenda in questo modo, non è stato altrettanto facile con Alan!”
Mi venne da ridere. “Non volevi tenere fede al patto? Sei proprio malvagio!” lo schernii.
Lui strinse di nuovo la mascella. “Non mi piego così facilmente alla volontà di un altro come fai tu Marguerite!”
Gli sorrisi. “Touchè. Anche se credo che quello che è giusto è giusto, e poi chissà, magari potrei ottenere qualcosa in più!”
“False speranze! Siamo prigionieri di questa donna dal momento in cui abbiamo deciso di riavere ciò che era nostro!”
Jasmine scoppiò a ridere.
“Gli piace essere melodrammatico!” articolò a fatica tra le risate.
Sapevo che Alan aveva torto. Ero convinta che una volta completato il nostro compito Jasmine ci avrebbe lasciati liberi di fare ciò che volevamo, ma io avevo ambizioni più elevate. Dovevo trovare il modo di impossessarmi dei suoi poteri e diventare io la più forte in assoluto, per fare ciò però dovevo diventare amica della donna.
Ridacchiai e mi avvicinai a lei.
“Allora, dov’è il mio quaderno per scrivere?” chiesi prontamente. Jasmine sorrise compiaciuta della mia voglia di lavorare e indicò con un cenno quello di Alan.
“Alan ha dei vuoti che ha segnato lasciando dei paragrafi bianchi. Quando avrà terminato di scrivere ciò che si ricorda tu dovrai completare il quaderno e ricontrollare tutto. Quando avrai finito, allora dovrà essere riletto tutto anche da Alan!”
“Perché deve essere rivisto tutte queste volte?”
“Perché non sappiamo come la vostra memoria abbia conservato le parole del libro. Per il momento i vuoti di Alan riguardano solo interi paragrafi, ma potrebbe anche darsi che si dimentichi una parola e automaticamente ne metta un'altra. Per questo è necessario che ognuno di voi ricontrolli l’opera dell’altro. Infine verificherò io stessa che sia tutto esatto e poi potremo procedere!”
“A cosa?” domandai incuriosita.
“Non ti riguarda!” sorrise con gentilezza.
Percepivo la paura premere contro il vetro, cercando di raggiungermi eppure non ci riusciva. In quel momento riuscivo a provare solo una grande ammirazione per quella donna. Apparentemente era una persona gentile, chiunque l’avrebbe presa in simpatia, invece era malvagia e senza scrupoli, eppure riusciva a celare tutto ciò dietro ad un bel sorriso. Io non avevo mai fatto una cosa del genere. Certo avevo sempre fatto uso di maschere più o meno efficaci, ma amavo che chiunque mi circondasse percepisse almeno un po’ della mia vera natura, quella pericolosa. Mi aveva sempre conferito quell’aria di mistero che aumentava il mio fascino. L’unica persona con la quale mi ero finta gentile era Emily e non era stato affatto facile. Invece a Jasmine veniva naturale ed era proprio questo, a mio avviso, a renderla la donna più pericolosa che conoscessi. Lei non avrebbe mai fatto trasparire le sue intenzioni. Un attimo prima poteva sorridere alla sua vittima come avrebbe fatto una madre e un attimo dopo farla rotolare per il dolore.
 “Mar, avrei un altro affare da proporti!” mi disse.
Ero compiaciuta e curiosa al tempo stesso.
“Dimmi!”
Senza una parola Jasmine mi voltò le spalle e si incamminò verso la porta dalla quale ero entrata, la seguii automaticamente mentre sentivo Alan trattenere qualche grugnito di disapprovazione.
Da un lato ero felice che lui non fosse al mio stesso livello e vedesse le cose  in maniera diversa, però d’altra parte ero perplessa. Le mie emozioni che mi rendevano debole erano state portate fuori dal mio corpo e solo io potevo decidere se far passare loro attraverso lo scudo che mi proteggeva. Questo avveniva anche prima, quando avevo dei poteri miei. Invece Alan sembrava non riuscisse a liberarsi di sensazioni come la rabbia e la diffidenza, era come se il suo scudo fosse bucato e mi chiedevo perché fosse realmente così. Forse fin dal principio lui non si era fidato di Jasmine e quindi, per sua protezione, aveva fatto entrare quelle sensazioni. Forse anche io avrei dovuto seguire il suo esempio eppure sapevo che quelle emozioni mi avrebbero resa nuovamente debole e non potevo permettermelo. Inoltre mi fidavo di Jasmine, era lei che sbagliava a fidarsi di me.
Uscimmo all’aria aperta e mi condusse lungo il viale che circondava la casa.
“Ho un altro compito da affidarti!” disse semplicemente.
“Cosa ci guadagno?” misi subito in chiaro le mie intenzioni.
Lei sorrise come se fosse quasi soddisfatta.
“La vendetta!”
Ghignai al solo pensiero. Non era la ricompensa che mi ero aspettata, ma era sicuramente molto allettante.
“Spiegati meglio!”
“Immagino che tu sappia che ti ho osservata durante questi giorni!”
Annuii ricordando quello che mi aveva detto a proposito degli animali e il mio essere quasi diventata pazza all’idea che dietro qualsiasi essere vivente potesse celarsi lei.
“Bene. Ho notato che molto di quello che ti è successo è accaduto a causa di Dave Sullivan!”
Strinsi la mascella al solo ricordo di quel nome. Anche se non provavo più tutto il dolore dovuto alla gelosia e alle sue parole sentivo che mi aveva fatta soffrire e doveva pagare per questo, ero crollata per colpa sua. Sua e di Robert, ma presto avrei scovato anche lui e lo avrei distrutto con le mie mani.
“Strusciarsi contro quella ragazza dopo così poco tempo dalla vostra rottura…” continuò dispiaciuta. Non seppi se lo era veramente, ma ne dubitavo altamente. Non era sicuramente il tipo di persona empatica.
“Non stavamo insieme!” precisai.
“Ma ci sei stata male lo stesso!”
Per quanto mi costasse ammetterlo aveva ragione, Dave avrebbe pagato per quello, nessuno poteva farmi sentire in quel modo.
“Cosa proponi?”
“Nel mio piano serve Dave, serviva dal momento in cui l’ho ideato, ma ora tu hai la possibilità di essere l’artefice di ciò che gli accadrà!”
L’euforia prese il possesso di me.
“Cosa gli accadrà?” domandai pregustando l’incognita risposta, come quando si osserva un piatto dall’aspetto invitante, ma ancora non si sa di cosa è fatto.
“Sarà molto divertente Mar! Lo muterò, ma la mutazione sarà lenta. Mentre avverrà lui percepirà il suo cambiamento e credimi che si odierà, si detesterà talmente tanto da volersi uccidere. Il buono e dolce Dave non sarà più riconoscibile, nemmeno dinnanzi ai tuoi occhi.”
Alzai il sopracciglio.
“E dove sarebbe il divertimento?”
“Sarai tu ad averlo condotto a ciò, osserverai il suo cambiamento, vedrai l’odio per se stesso crescere nei suoi occhi!”
Iniziai a comprendere e un ghigno illuminò i tratti del mio viso.
“La tua proposta inizia ad allettarmi!”
La donna sorrise “Molto bene!”
“Quando cominciamo?” ero impaziente di togliere a Dave quello che da sempre l’aveva reso Dave: la sua gentilezza, il suo altruismo e tutte quelle altre disgustose qualità che lo caratterizzavano.
“Presto, ma prima dovrai avere pazienza e dovrai fingere che tutto sia esattamente come ieri!”
“Cosa intendi dire?”
“Lui non sa che tu hai recuperato i tuoi poteri, però sa, probabilmente grazie ad Alex, che tu hai trovato un modo per fronteggiare Alan!”
Rabbrividii leggermente. Era ovvio che avesse ascoltato la mia conversazione con Alex, anche se al momento tramavo contro di lei.
Jasmine notò il mio silenzio e aggiunse “Provo solo ammirazione nella tua voglia di trovare una soluzione alternativa per ottenere potere. Questo fa di te una persona  determinata che sicuramente è degna di ammirazione!”
La guardai incredula, ma lei sembrava sincera. Anche in quell’occasione dubitai che lo fosse, dovetti comunque ammettere che era bravissima a fingere. In ogni caso il messaggio era arrivato: nessun rancore per quello che avevo tentato di fare.
Annuii leggermente prima di rivolgerle nuovamente la parola.
“Deduco che debba continuare ad essere all’oscuro del fatto che ho di nuovo i poteri!”
“Ti sbagli! Solo che tu fingerai di riacquisirli con lui!”
La guardai senza comprendere a fondo le sue parole.
“Per fare ciò che ho intenzione di fare mi serve che anche Dave abbia nuovamente i suoi poteri!”
Sbuffai all’idea. “Non mi sembra una vendetta promettente!”
Lo sguardo gentile di Jasmine si tramutò in uno sguardo d’imposizione e mi ritrovai a distogliere gli occhi dai suoi mentre un brivido mi percorreva la schiena. Capii perché Alan diceva che eravamo prigionieri di quella donna. Nonostante tutta la sua finta gentilezza, noi dovevamo fare come diceva se volevamo rimanere sani. Lei fino a poco prima mi aveva dato l’illusione che potessi scegliere, ma non era così, io non avevo scelta. Potevo avere i poteri, ma li avevo barattati con la mia temporanea libertà.
Nonostante tutto non riuscivo a pentirmi. Lo stato patetico nel quale gravavo prima che Jasmine mi donasse parte della sua forza valeva qualche giorno passato in quel modo, anche se il mio orgoglio ne risentiva. Cercai di metterlo a tacere pensando a quanto sarei stata forte una volta che avessi scoperto come rubare i poteri a quella donna. Dovevo tenermela vicina per raggiungere il mio obiettivo, anche se questo significava obbedire ai suoi ordini. Ciò non voleva dire che la cosa mi piacesse, anzi.
“Inoltre è necessario ricostruire anche la parte bianca del libro e quindi anche Dave si deve ricordare le parole che ora rammenti tu!”
“Aspetta un attimo!” la interruppi “Questo vuol dire che ridandomi il potere io ricordo sia parte del libro nero che di quello bianco?”
Lei battè un paio di volte le mani “Complimenti Mar!”
Ancora però non avevo le cose ben chiare.
“Quando ho aperto il libro bianco i due poteri si sono annullati e io mi sono ritrovata senza facoltà, se tu mi hai dato il potere nero allora mi servirà anche quello bianco per ricordare l’altra parte del libro, ma in questo modo io rimarrò senza forza perché le due parti si annulleranno!”
Non mi andava di perdere quello che avevo acquisito quel giorno, non di nuovo.
“Sbagli a ragionare in termini di libri. Il potere che io ti ho donato questa notte non è né bianco né nero, è solo potere allo stato potenziale. Quello che importa è la quantità. Ti ho dato la quantità necessaria per rammentare entrambi i libri!”
“Quindi avrei il doppio di quelli che hai dato ad Alan?”
Lei sorrise “Esatto!”
Ghignai soddisfatta di quell’inaspettata scoperta.
“Ma se è potere allo stato potenziale allora non lo potrei usare per fare tutto quello che riesci a fare anche tu?”
“Ti piacerebbe!” ribattè con scherno.
“Mentirei se ti dicessi di no!” risposi, anche se sapevo che la sua non era una domanda.
“Non puoi usare il tuo potere per fare tutto ciò che vuoi perché la magia è rigorosa, richiede un metodo. L’unico metodo che tu conosci è quello di condizionare le scelte della gente, quindi questo è tutto ciò che tu riuscirai a fare!”
“Ma tu potresti insegnarmi altre cose!” gli occhi mi brillarono al solo pensiero.
Sorrise gentilmente, prima di ribattere con freddezza “Potrei, ma non voglio!”
Strinsi i pugni di fronte al suo egoismo eppure potevo capirlo: nemmeno io avrei voluto condividere il mio sapere con qualcun altro.
Cercai di ricacciare indietro la rabbia, oltre lo schermo. L’avrei fatta passare quando mi sarebbe stata utile, ma non era quello il momento. Non dovevo fare lo stesso errore di Alan.
“Come farai a convincere Dave a rivolere i suoi poteri? Lui non ne sente la mancanza come me!”
“Sono felice che tu me lo abbia chiesto, perché lo farai tu!”
Ridacchiai. “Non so se hai notato, ma io e Dave non siamo in buoni rapporti!”
Ignorò il mio commento e proseguì “Il fatto è che tu hai parlato ad Alex della possibilità di estrarre del potere dagli oggetti quindi fingerai di aver trovato un oggetto e di aver scoperto come estrarne il potere. Fingerai di assorbire anche tu il potere mentre sarà solo Dave ad averlo, dopo di che lui rammenterà tutto e tu dovrai convincerlo a scrivere il libro bianco e dovrai completarlo.”
“E come faccio a spiegar loro dove ho trovato l’oggetto e come ho scoperto il metodo per estrarne la forza?”
“Dave si fida di te! Potresti dirgli qualsiasi cosa!”
Aggrottai la fronte poco convinta che Dave si fidasse ciecamente di me, ma decisi di non ribattere. Era chiaro cosa nascondessero quelle parole: dovevo cavarmela da sola.
“E l’oggetto col potere dove lo trovo?”
“Te lo darò io dopo averlo creato!”
“Bene! E come si libererà il potere?”
“Aprendolo semplicemente. Credo che ti darò una scatola o qualcosa di simile!”
“E come farò io a non assorbire accidentalmente il potere?”
I suoi occhi celesti incontrarono i miei mentre le gambe faticavano a reggere il mio peso.
“Mar, ti ho appena spiegato che le quantità sono fondamentali!”
Mi ritrovai in ginocchio senza riuscire a rialzarmi in piedi. Non faceva male, ma non me le sentivo più e non era sicuramente una sensazione piacevole.
“Se Dave, a causa di una tua interferenza esterna, dovesse assorbire meno del potere che io metterò in quell’oggetto tutto sarebbe inutile, e io lo saprei e non ne sarei felice!”
Una fitta partì da un fianco e raggiunse l’altro, era come se uno spillone mi fosse stato infilato nella carne. Urlai a causa del dolore.
“So che tu sei ambiziosa e lo ammiro molto, ma devi seguire le mie regole se vuoi la tua vendetta e la tua indipendenza!”
“Lo so!” sussurrai per quanto potevo a causa del dolore.
Lo spillo venne rimosso e riuscii nuovamente a percepire le mie gambe. Mi alzai lentamente e incontrai il sorriso gentile di Jasmine.
“Non era necessario, l’avrei capito comunque!”dissi riferendomi a quello che mi aveva appena fatto con rancore.
“Forse è così, ma in questo modo il messaggio è finito più in profondità. Non puoi tradirmi Mar!”
Cercai di non ghignare. Prima o poi sì che l’avrei tradita, avrebbe pagato per tutto quel dolore che mi infliggeva, ma quello non era il momento adatto per farglielo notare.
“Non lo farò, non ne avrei alcun guadagno!” le feci notare.
“Lo so, ma credevo che non lo sapessi tu!” ribattè “Comunque, per rispondere alla tua domanda: dovrai far in modo che solo Dave apra la scatola, così solo lui avrà il potere!”
Deglutii ricacciando indietro la voglia di andarmene da lì seduta stante. Aveva messo ben in chiaro che lei era il capo indiscusso e, anche se la cosa non mi piaceva, dovevo accettarlo, almeno per il momento.
“Jasmine, io non rappresento un pericolo per te, devi fidarti di me!”
Lei sorrise compiaciuta. “Lo so che non sei un pericolo, ma ciò non vuol dire che debba fidarmi di te! Conosco il tuo animo Mar, so quanto brami la forza, ma non posso permettere che il mio piano vada in frantumi per una cosa come questa! Io ti ho dato già tanto, devi accontentarti!”
Sapevo che non mi sarei accontentata, volevo distruggere quella donna, ma lei non doveva capirlo.
“Ciò che posso desiderare di più di ciò che già ho è la vendetta contro Dave e la mia indipendenza!”
Lei fece un sorriso meschino “Presto avrai entrambe le cose, Mar!”
“Non mi dirai mai qual è il tuo piano vero?”
“Sicuramente non ora!”
C’era da aspettarselo, anche se la cosa non mi infastidiva più di tanto, dopotutto del suo piano non me ne importava un granchè, era solo curiosità.
Fece per entrare nella casa e io la seguii finchè non giungemmo nuovamente nella stanza sotterranea dove si trovava Alan. Lui si alzò e mi buttò quasi in mano il quaderno sul quale prima stava scrivendo.
“E’ il tuo turno!” disse semplicemente.
Gli rivolsi un sorriso tirato mentre prendevo il suo posto al tavolo.
“Vado a dormire! Posso vossignoria?” Alan si rivolse a Jasmine con scherno della voce, ma lei non vi fece caso.
“Certo che puoi!” era  distratta, stava cercando qualcosa sulle mensole che lambivano un lato della stanza.
“Ecco!” disse dieci minuti dopo ponendosi di fronte a me e posando con delicatezza qualcosa sul tavolo. Posai la penna e alzai lo sguardo. Davanti a me c’era una vecchia scatola di legno. Lei poso entrambe le mani su di essa e iniziò a colorarsi di blu. Dopo di che comparve una sottile scritta sul lato rivolto verso di me.
Giochi di prestigio.
Alzai un sopracciglio, non sembrava un oggetto dal quale estrarre potere, me lo aspettavo più vecchio, come il libro del gioco degli sguardi.
“Cosa c’è di meglio di una scatola da prestigiatore per contenere ciò di cui Dave ha bisogno?”
“Non è un po’ banale?” mi arrischiai a dire.
“Assolutamente no! Questa scatola apparentemente contiene solo oggetti con cui fare dei trucchi che ad occhi inesperti sembrano magia, ma questo solo in apparenza, perché la scatola con i giochi di prestigio contiene realmente la magia!”
Chiuse gli occhi e vidi che dalle sue dita uscivano delle striscioline luminose e vacue che entrarono all’interno della scatola. La osservai affascinata mentre riapriva gli occhi e respirava profondamente. Sembrava indebolita da quel gesto eppure parve riprendersi dopo pochi istanti.
Osservai la scatola mentre una parte di me bramava di aprirla. Cercai di ignorare quella parte, mentre tornavo a fissare il quaderno e a completarlo.
“Ci vediamo presto Mar!” disse a mo’ di saluto sorridendomi prima di uscire con leggiadria dalla stanza e lasciandomi lì da sola.
Lanciai un’ulteriore occhiata alla scatola.
Presto avrei assorbito tutti i poteri di Jasmine e sarei stata invincibile.
Sorrisi e ripresi a scrivere.



* Parole contenute nel libro 'Gioco di sguardi', riportate dell'omonima storia :)

Sono consapevo che si tratta di un capitolo un po' noioso, ma è necessario :)
Grazie mille a tutti voi, che continuate a leggere e a recensire, nello scorso capitolo mi ero dimenticata di ringraziarvi e mi dispiace :)
Il prossimo capitolo ariverà mercoledì prossimo, se ci dovessero essere ritardi è perchè no sono riuscita a correggerlo (i capitoli fino al 17 sono già scritti).
Daisy

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***





CAPITOLO 9


Il ragazzo era sdraiato sul tavolo, i polsi e le caviglie erano ancorati ad esso tramite spessi bracciali di ferro, tutto il suo corpo era avvolto da spesse catene. Sembrava una mummia, solo che non si trovava in un sudario fatto di stoffa, ma di metallo. La testa era piegata da un lato e sembrava stesse dormendo, gli occhi erano chiusi mentre la bocca era appena aperta. Una figura incappucciata si trovava in piedi accanto a lui e lo fissava attentamente avvicinandosi ad intervalli regolari per controllargli il polso. Ogni volta che lo faceva estraeva da una tasca interna al mantello un taccuino e prendeva nota, durante le attese stava immobile come una statua.

Il ragazzo iniziò a mugugnare nel sonno mentre una porta si apriva e la stanza buia veniva illuminata dalla luce del giorno che filtrava dall’uscio. Una sagoma entrò e chiuse la porta alle sue spalle facendo ricadere la stanza nella penombra.
“Non ci riuscirai questa volta!” iniziò il nuovo arrivato con una punta di dispiacere misto a qualcosa di simile al compiacimento.
“Devo farcela!”
“Puoi usare tutti i tuoi trucchi, ma non sei abbastanza forte!”
“Lo sarò invece!”
“Non hai abbastanza potere!”
La figura incappucciata rivolse lo sguardo verso il suo interlocutore.
“Ce l’ha lui!” disse indicando il ragazzo dormiente.
“Non riuscirà a controllarsi!”
“Sono riuscita a farlo altre volte, ce la farò anche ora!”
L’uomo la prese per le spalle e, dolcemente, abbassò il cappuccio del mantello che lei indossava portando alla luce la folta massa di capelli rossi della ragazza. Non potè non trattenere il sorriso di fronte a tanta bellezza quasi sempre celata da quel cappuccio che lei si ostinava a portare.
“Come?” le domandò.
“Come ho fatto finora!”
“Come hai fatto finora?”
“Creatività!”
L’uomo sospirò.
“Questa volta sarà impossibile!”
Lei sorrise fiduciosa “Questa volta non può essere impossibile. Non capisci? Non abbiamo mai avuto a che fare con qualcuno come lui, potrebbe segnare l’apocalisse della …”
“Shhh!” l’uomo le posò un dito sulle labbra interrompendo la frase a metà “Non devi nemmeno dirlo!”
“Ho paura!” sussurrò la ragazza “E se non fossi all’altezza, come dici tu?”
L’uomo si fece ancora più serio e la guardò negli occhi.
“Tutti questi esseri non sono mai stati affar tuo! Lasciali perdere. Sono tutti pericolosi e tu rischi la tua vita ogni giorno circondandotene! Loro non sono una tua responsabilità!”
“Non sono pericolosi solo per me, ma per tutti, quindi sono una mia responsabilità. Sono l’unica che voglia insegnar loro come controllarsi, come essere normali, come renderli innocui, quindi lo devo fare!”
L’uomo scosse la testa, ma pareva essersi arreso.
“Sappi solo, Myria, che se le cose dovessero mettersi male eliminerò personalmente questo ragazzo!”
Lei deglutì a fatica, come se fosse spaventata da quell’idea, ma non volesse darlo a vedere. Annuì impercettibilmente. L’uomo si diresse verso la porta dalla quale era entrato con un piccolo sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
 
 
“Signorina! Signorina!”
Aprii lentamente gli occhi al suono della voce del tassista. Dovevo essermi assopita durante il viaggio. Sbattei un paio di volte le palpebre e stiracchiai le braccia.
“Signorina! Sono 12 euro!” disse il tassista che sembrava rincuorato dal fatto che io mi fossi finalmente svegliata. Lì per lì non lo ascoltai mentre cercavo di riportare alla memoria ciò che avevo sognato. Avevo solo dei brevi flash che sapevo sarebbero spariti nel giro di qualche secondo, ma poco importava, avevo di meglio da fare.
Gli sorrisi beffarda ed incontrai i suoi occhi.
Era l’occasione perfetta per testare le mie appena riacquisite capacità.
Nelle sue iridi leggevo impazienza e attesa.
Mie. Fare mie quelle sensazioni era così facile, come bere un bicchier d’acqua.
Empatia. Ero impaziente e in attesa.
Offrimi la corsa.
L’uomo sbattè una volta le palpebre.
“La vedo molto stanca signorina, non si preoccupi, questa volta la corsa è gratis, ma cerchi di fare un lungo sonno!”
Il mio sorriso aumentò. Aveva funzionato alla perfezione. L’euforia più totale si impadronì di me e mi sarei messa volentieri a saltare per la gioia, tuttavia cercai di rimanere composta. L’importante era che avesse funzionato davvero! Quello che stavo vivendo non era un bellissimo sogno, ma la realtà. Ero tornata ad essere me stessa. Posai lo sguardo accanto a me, dove la scatola blu era adagiata, la afferrai e, senza una parola, uscii dal taxi e sbattei la porta alle spalle. La sera stava scendendo sulla villa di Dave e io ero più felice che mai: riavevo i miei poteri, presto avrei avuto vendetta e potere.
Mi incamminai lungo il vialetto e suonai il campanello in attesa. Poco dopo la porta venne spalancata e incontrai gli occhi verdi di Dave. Invece di farmi entrare si bloccò sull’entrata e mi fissò come se vedesse un fantasma. Spazientita sbuffai e mossi un passo in avanti, con la speranza che lui si scansasse e mi lasciasse entrare. Invece Dave, non appena fui davanti a lui mi avvolse tra le sue braccia e fece sprofondare il viso tra i miei capelli.
Rimasi di sasso non riuscendo a capire la ragione di quel gesto. La sola idea che mi stesse abbracciando mi rivoltava e lì per lì mi presi gioco dei sentimenti che avevo provato fino al giorno prima. Li vedevo spingere contro il mio scudo, la gioia e la sicurezza, sentimenti che ero ben felice di non sentire. Cercai di allontanarmi dalla sua stretta, ma lui non sembrava volermi lasciare.
“Ero così preoccupato per te!” mi sussurrò all’orecchiò. Che stupido che era, probabilmente stavo meglio di lui e di tutti le altre persone della terra messe insieme.
“Senti Dave, io ho la soluzione ai nostri pr…”
“Oddio sono così felice che tu sia tornata!” si scostò leggermente da me prima di posare le labbra sulle mie. Il contatto era piacevole, dopotutto continuavo a reputare Dave molto attraente, ma non potevo dimenticare le sensazioni che mi aveva fatto provare. Con quel bacio io non sentii nulla, nella mia mente si affollavano migliaia di immagini su come avrei potuto fargli del male, non solo in maniera fisica, non avrebbe sofferto quanto me in quel modo.
Io  volevo distruggerlo, volevo vedere ciò che era disgregarsi in tanti piccoli pezzi, ma avrei dovuto attendere per quello. Anche se non sapevo cosa Jasmine aveva in mente ero certa che si trattasse di qualcosa di molto perfido e non volevo perdermelo per nulla al mondo. Però non potevo privarmi almeno di una piccola soddisfazione. Ricambiai brevemente il bacio dopo di che morsi il suo labbro inferiore con tutta la forza che avevo in corpo e sorrisi istintivamente mentre sentivo il sapore del sangue che gocciolava sulla mia lingua. Lui si staccò di scatto con un ombra di confusione negli occhi portandosi una mano sul piccolo taglio.
“Perché?” chiese smarrito probabilmente cercando di capire dove avesse sbagliato.
“Perché ieri sera hai baciato con le stesse labbra Jamie e baciarti ora sarebbe come baciare lei!” storsi il naso mentre lui sembrava ancora più confuso. Ghignai e finalmente entrai in casa sua.
“Chi diavolo è Jamie?” domandò con gli occhi sgranati.
Mi voltai verso di lui sorridendo. “Non sei molto bravo a fingere Dave, rinuncia!” gli voltai le spalle e mi diressi verso camera sua con la scatola stretta sotto il braccio.
“Dave cosa sta succedendo?” dalla cucina spuntò fuori la testa di Alex. I suoi occhi si posarono su di me e passarono dallo stupito al sollevato in un paio di secondi.
“Grazie al cielo sei tornata Mar, dove diavolo sei stata?”
Mi bloccai sul posto. Forse sapevano qualcosa di quello che era successo in quella giornata, forse sospettavano di me. Bè, poco importava dal momento che avrei potuto convincerli tutti a dimenticare. Alzai le sopracciglia fingendomi innocente. “In giro!”
“Una persona non va in giro ubriaca alle due di notte e non si fa vedere fino alla sera successiva!” sibilò Dave. Sotto la sua rabbia sentivo che era ferito, anche se non ne comprendevo il motivo.
“Non vedo come questi siano affari vostri!” ribattei stanca delle loro domande.
“Possibile che non capisci? Pensavamo che Alan ti avesse trovata!” Dave sembrava fosse sull’orlo di una crisi di nervi, solo allora notai delle pesanti occhiaie sotto i suoi occhi e i capelli ancora più scompigliati del solito, sembrava che non avesse nemmeno dormito.
Nonostante tutto forse, anche se si era interessato ad un'altra ragazza, sembrava ancora tenerci molto a me. Ghignai all’idea di poter far cadere la cosa a mio vantaggio.
Mosse qualche passo verso di me. “Pensavamo che ti avesse fatto qualcosa di spaventoso, che ti avesse uccisa o non so che altro!” la voce gli tremò leggermente e improvvisamente capii: si era preoccupato per me, ero stata via molto e lui era rimasto in pensiero. Che stupido.
“Non abbiamo la certezza che non le sia stato fatto nulla!” un terzo uomo uscì dalla cucina. Doveva essere sulla trentina, aveva corti capelli color cioccolato e gli occhi del medesimo colore. Era più alto di Dave e più grosso di spalle.
“Lei è la signorina Jones, deduco!” disse rivolto a me. Alzai un sopracciglio un po’ sorpresa dall’apparizione di quell’uomo sconosciuto. Si avvicinò a me e lanciò un’occhiata alla scatola che tenevo sotto braccio.
“Cos’è quella?” domandò circospetto.
“Chi è lei?” non risposi e non diedi alcun segno del fatto che quella scatola fosse in qualche modo molto importante.
“Scusami. Sono Edward Cyfer e sto prendendo io in mano tutta la situazione!”
“Situazione?”
Un’idea stava iniziando a formarsi nella mia testa. Avevo sentito Alex parlare al telefono con qualcuno che sapeva tutto su di noi e dedussi che quell’uomo fosse uno di quegli stalker che ci osservavano a nostra insaputa.
“Devo farle qualche domanda!” disse in tono serio.
Lanciai uno sguardo perplesso a Dave il quale annuì, capì che non potevo sfuggire all’interrogatorio. Presi un respiro profondo: tutti loro erano totalmente fuori strada, pensavano che fosse Alan il problema, quindi non potevano nemmeno lontanamente sospettare il coinvolgimento mio e di Jasmine, anche se credevano che Alan avesse avuto un aiuto dall’esterno.
“Vorrei prima scambiare due parole con Dave!” esclamai. Dovevo ridare anche a lui i suoi poteri e questo aveva la precedenza su tutto.
Dave si avvicinò a me, ma il signor Cyfer lo bloccò.
“Non posso permettertelo! Prima deve essere controllata!” disse con tono serio che non ammetteva repliche.
Aggrottai le sopracciglia.
“Credete che sia stata automatizzata?” domandai a bruciapelo.
Dave distolse lo sguardo dai miei occhi mentre fissava il soffitto e Alex annuì impercettibilmente. Ridacchiai.
“Fatemi pure tutte le domande che volete, ma ho bisogno di rimanere un attimo da sola con Dave!”
“Non te lo posso permettere!” ripetè convinto il signor Cyfer.
Una rabbia calcolata si impadronì di me, socchiusi gli occhi  e lo guardai minacciosa. Avrei potuto convincerlo in un batter d’occhio, ma fortunatamente non lo feci. Mi ricordai la conversazione che Alex aveva avuto al telefono e rammentai di aver sentito che i suoi interlocutori avevano le menti schermate, quindi se lui faceva parte di quella setta non potevo convincerlo in alcun modo.
“Bene!” dissi freddamente. Mi diressi verso la cucina passando davanti a Dave.
“Mi terresti questa nel frattempo?” chiesi a quest’ultimo innocentemente. Dave annuì.
“Fermo!” esclamò il signor Cyfer mentre stavo porgendo la scatola a Dave “Non la toccare!”
“E’ solo una scatola!” gli sorrisi con calcolata calma mentre in realtà avrei solo voluto strozzarlo.
Lui mi fulminò con lo sguardo. “Sarò io a deciderlo!” mi strappò la scatola dalle mani e si diresse in cucina mentre la osservava da vicino. Trattenni il respiro mentre il cuore accelerava. Sperai con tutto il cuore che non aprisse quella scatola. Dov’era Jasmine quando serviva?
“Mar!” Dave si avvicinò a me e mi scostò una ciocca di capelli che mi era finita sul viso “Non sei costretta a rispondere alle sue domande!” sembrava quasi dispiaciuto per tutto ciò che stava accadendo.
“E’ per la tua e la sua sicurezza Dave!” si intromise Alex.
Dave sospirò rassegnato mentre col pollice mi fece una leggera carezza partendo dallo zigomo per terminare sul mento. Avevo l’istinto di allontanare schifata la sua mano, ma non mi mossi, non doveva pensare che ero cambiata tanto in così poco tempo, altrimenti anche lui si sarebbe insospettito.
“Sono felice che tu stia bene!” sussurrò in modo tale che solo io lo udissi, gli occhi gli brillavano e un sorriso dolce gli illuminò i tratti stanchi del viso.
Mi sforzai di sorridergli mentre in realtà avrei voluto farlo urlare di dolore come Jasmine aveva fatto con me.
Lo oltrepassai sotto lo sguardo vigile di Alex ed entrai in cucina, dove il signor Cyfer mi stava attendendo pazientemente. La scatola era a pochi centimetri da lui poggiata sul tavolo, non avrei mai potuto sottrargliela senza che lui se ne accorgesse. Cercai di nascondere la delusione e di trovare una soluzione a quella situazione imprevista.
“Forse non mi sono presentato a dovere.” Iniziò non appena io mi fui seduta.
“Da tempo stiamo tenendo d’occhio la vostra situazione, tua e di Dave, e fino a pochi giorni fa era tutto sotto controllo. Ora le cose sono notevolmente mutate. La liberazione di Alan ci fa capire come la sua persona sia stata sottovalutata ed ora noi porremo rimedio a ciò!”
Alzai un sopracciglio.
“Sembra ben informato! Come fa a sapere tutte queste cose? Chi è lei?”
“Sono domande lecite Marguerite, si tratta di un’intrusione nella tua vita e sarò lieto di risponderti, ma prima devo assicurarmi che tu non sia in alcun modo pilotata da Alan Black!”
Sbuffai.
“Sono perfettamente cosciente!”
Incurante delle mie parole l’uomo si avvicinò al mio viso e mi fissò negli occhi. Sostenni lo sguardo chiedendomi quali fossero le sue intenzioni. Estrasse quella che sembrava una luce di quelle che usano negli ospedali e me la puntò in un occhio. Istintivamente chiusi la palpebra ma lui, con le dita, cercò di farmela aprire nuovamente.
“Tranquilla, apri bene gli occhi, devo controllare se il tuo sguardo è opaco!”
Strinsi la mascella. Avrei voluto incenerire quell’uomo davvero fastidioso, ma non potevo mandare tutto all’aria. Cercai di mantenere la calma mentre spalancavo gli occhi.
Quando finì mise via l’aggeggio e mi osservò curioso.
“Quando è stata l’ultima volta che hai visto Alan Black?” domandò.
“Al processo!”
“Non dopo?”
“No!”
“Ne sei sicura?”
Mi venne un’idea per cercare di uscire da quella fastidiosa situazione nella quale mi trovavo.
“L’ho sentito di recente però!” dissi pregustando la reazione del mio interlocutore.
I suoi occhi si spalancarono e si avvicinò leggermente a me, se fosse stato un insetto avrebbe avuto le antenne drizzate.
“Quando?”
Repressi il sorriso compiaciuto che minacciava di uscire dalle mie labbra “Poco prima di venire qui a casa di Dave ieri mattina!”
Un lampo di comprensione balenò negli occhi del signor Cyfer.
“Io sono al corrente dell’argomento di discussione tra te e Alex di ieri mattina!”
Mi finsi offesa, mentre invece avevo origliato la conversazione di Alex al telefono e sapevo che aveva riferito a quegli spioni tutto il nostro colloquio.
“C’è qualcosa che tu non sappia? Francamente è decisamente fastidioso sapere che la mia vita è stata osservata da così tanti occhi!”
“A noi dispiace, ma prima eravamo solo tenuti al corrente degli sviluppi da Alex, ora, dovendo prendere in mano la situazione abbiamo bisogno di tutte le informazioni che sono in vostro possesso. Dobbiamo ricostruire tutto ciò che è successo fin nei più piccoli dettagli.”
Chi diavolo era quella gente?
“Alan è affar mio e mio soltanto!” sibilai, in linea con le miei intenzioni di dare informazioni errate e concordanti con ciò che sospettavano.
“Non più, è troppo pericoloso!”
Sbuffai e incrociai le braccia al petto, fingendomi offesa e poco collaborativa.
“Dove eravate allora quando ha tentato di farmi fuori?” sbottai ricordando le parole di Alex al telefono.
L’uomo parve leggermente dispiaciuto. “Non ci siamo resi conto dove poteva arrivare quell’uomo!” disse quasi rivolto a se stesso che a me.
“Mi ha chiamata al cellulare!” continuai “Non so come avesse il mio numero. Dormivo tranquillamente e mi ha svegliata. Poi mi ha detto che avrei potuto  riacquistare i poteri se avessi trovato un oggetto magico dal quale estrarli!”
“Lui ha fatto così?” chiese quasi in trepidazione Cyfer.
“Non lo so, è stato molto vago sui suoi metodi!”
“E perché avrebbe dovuto dirti come riacquistare i poteri?”
“Ha detto che voleva uno scontro tra pari, altrimenti non si sarebbe divertito!” ero piuttosto compiaciuta della mia storiella, era molto verosimile “E ha aggiunto che avrei dovuto cedergli i poteri che avrei acquisto in caso di una mia sconfitta!” la buttai lì sperando che lui mi desse delle informazioni sul metodo per rubare il potere dagli altri.
“Strano, ma logico!” sussurrò annuendo con la testa “E così tu ti sei recata da Alex a chiedergli dove trovare un oggetto del genere!”
Annuii.
Cyfer si prese una pausa per riflettere prima di continuare “Alan voleva che anche Dave riacquistasse i suoi poteri?”
“Non gli interessava, lui voleva me!” risposi prontamente.
L’uomo annuì nuovamente.
“Dopo la telefonata di Alan hai iniziato ad assumere dei comportamenti strani!”
Aggrottai le sopracciglia.
“Quando di preciso?” ero stata presa alla sprovvista, non mi sembrava di essere stata strana.
“La tua coinquilina ha detto che quella stessa mattina, più tardi, ti sei comportata come se fossi sconvolta, parlavi dicendo cose senza senso e piangevi!”
Lo guardai come se fossi pazzo. Non avevo mai fatto una cosa del genere. Certo avevo pianto dopo l’incontro con Rob o lo spettacolino di Dave in discoteca, ma sicuramente non l’avevo fatto di fronte a Emily.
“Ha avuto delle allucinazioni!”
“Sembrava sana!”
“Ha provato a vedere se aveva lo sguardo opaco?” ribattei infastidita facendo riferimento esplicito alla pseudo visita oculistica che mi aveva fatto pochi minuti prima.
Lui distolse lo sguardo e espirò profondamente, capii che Emily non era stata controllata.
Alzai un sopracciglio.
“Avrebbe dovuto farlo!”
L’uomo sospirò e si portò una mano sul viso ben rasato ignorandomi.
“Ti hanno ritrovata parecchie ore dopo ubriaca in un locale. Perché ti sei ubriacata se andava tutto bene?”
Cercai di non sbuffare malgrado fossi stanca delle sue domande.
“La telefonata di Alan mi ha scossa. Non sono una persona che generalmente mostra le proprie debolezze e l’alcool aiuta a non pensare!” questo in parte era vero.
“Fatto sta che poi sei sparita e ricomparsa più di dodici ore dopo! Cos’hai fatto in questo lasso di tempo?”
“Credo di essermi fatta un giro, come hai detto tu, ero ubriaca e non ricordo molto!” presi una pausa cercando di inventarmi qualcosa di plausibile, se avessi saputo che all’arrivo a casa di Dave mi sarei dovuta sorbire un bell’interrogatorio sicuramente avrei passato il viaggio in taxi ad inventarmi una bella storiella per giustificare la mia assenza invece che dormire.
“Non puoi avere un vuoto di memoria lungo più di dodici ore!”
Sbuffai. “Mi sono svegliata su una panchina a mattina inoltrata va bene?” sbottai “Avevo un gran mal di testa e sono andata nel mio appartamento a dormire e farmi una doccia!”
“Non mentire!”
“Non sto mentendo!”
“Nel tuo appartamento è sempre rimasta Emily, nel caso tu tornassi e lei non ha chiamato per informarci della tua presenza!”
Dannazione, questa non ci voleva.
“Ero nel mio vecchio appartamento, quello che condividevo con Caren, sono sicura che lei sappia chi è.” Commentai acidamente “ Ancora non è stato affittato e io ho le chiavi!” sperai che fosse vero perché non avrei saputo cos’altro inventarmi. Quell’uomo era incredibilmente bravo a mettere alle strette una persona.
Annuì come se comprendesse io tirai un sospiro di sollievo: quella tortura era giunta al termine e io finalmente potevo dedicarmi a faccende molto più importanti.
“E la scatola?”
Speravo se ne fosse dimenticato.
“L’avevo dimenticata nel mio vecchio appartamento!” assunsi uno sguardo innocente sperando che se la bevesse.
“Quindi non avrai niente in contrario se la apro vero?”
Trattenni il respiro. Se lo faceva avrebbe liberato il potere che Jasmine aveva posto al suo interno e questo, ne ero sicura, mi sarebbe costato almeno un arto se fossi sopravvissuta alle ire di quella strega.
L’uomo avvicinò la scatola a se e la osservò.
“Gioco di prestigio eh?” disse leggendo la scritta sul lato della stessa “Ti dai alla magia, Marguerite?”
“Non  si tratta di magia!” cercai di temporeggiare “I giochi di prestigio sono dei trucchi!”
“Io credo che si tratti di magia, invece. Vedi?” avvicinò una specie mi microchip alla scatola. “Questo è un piccolo microfono che amplifica i suoni nel giro di un centimetro da esso. Il suono registrato viene trasmesso ad un ripetitore e amplificatore che si trova proprio nel mio orecchio e mi permette di udire un caratteristico ronzio!” posò il microfono sulla scatola.
“Adesso devi sapere una cosa Marguerite. L’associazione per la quale lavoro cerca di proteggere il mondo dalla magia e da tutto quello che c’è di soprannaturale e, allo stesso tempo, di studiarla dal punto di vista scientifico, ci rifiutiamo di credere che sia inesplicabile. Dai nostri studi è emerso che il potere, che poi trasferito in una persona le dona quelle determinate capacità note come magia, emette un ronzio a frequenze molto basse, impossibile da udire normalmente, ma con questi attrezzi, io sono perfettamente in grado di affermare che questa scatola contiene del potere!”
Perplessa sbattei gli occhi un paio di volte. Il mio cervello lavorava senza sosta per trovare una via d’uscita a quel grosso pasticcio. Come facevo a sapere che il potere emetteva un ronzio?
Le grandi mani si Cyfer si adagiarono sul coperchio della scatola.
“Non mi racconti tutta la verità Marguerite. Vuoi davvero che io apra questa scatola?”
Strinsi i pugni. Mi immaginai quell’uomo scivolare dalla sedia e cadere a terra sbattendo la testa sul pavimento. Una piccola macchia di sangue si espandeva sotto al suo cranio. Sorrisi impercettibilmente. Quella scena sembrava così reale.
Cyfer avvicinò la scatola a se e fece per risedersi sulla sedia, ma inspiegabilmente scivolò e cadde a terra.
Trattenni il respiro mentre mi alzavo di scatto dalla sedia e vedevo la pozza di sangue espandersi lentamente sotto al suo viso.
Per un istante rimasi immobile.
Era successo quello che avevo immaginato, com’era possibile?
Era ovvio che Jasmine stesse osservando la scena e che avesse deciso di intervenire. Era anche ora. Mi ritrovai a sorridere al pensiero che avesse avuto la mia medesima idea, o forse mi aveva letto nel pensiero, quella donna era capace di tutto.
Corsi fuori dalla stanza e chiamai a gran voce Alex sfoderando le mie doti di grande attrice. Egli, che si trovava al piano superiore, corse  velocemente giù dalle scale.
“Che succede?”
Mi finsi preoccupata “Io e il signor Cyfer stavamo parlando e lui a un tratto… oddio!” la mia voce si incrinò ad arte e non mi sarei stupita se fosse partito un applauso per  la mia interpretazione da oscar.
Alex mi superò senza lasciarmi finire la frase ed entrò in cucina mentre Dave faceva capolino dalla cima delle scale.
Rientrai in cucina a mia volta e osservai Alex mentre faceva sedere Cyfer che aveva intanto ripreso conoscenza. Sulla tempia aveva un taglio dal quale sgorgava del sangue, ma Alex cercava di bloccarlo con un fazzoletto di stoffa.
“Mar, prendi del cotone e chiama un’ambulanza, qui servono dei punti!” intimò Alex visibilmente preoccupato.
Vidi Dave che era appena entrato nella stanza farmi cenno di chiamare, mentre lui si sarebbe occupato del cotone.
“Cos’è successo?” domandò Alex scostando leggermente il fazzoletto ormai cremisi per osservare la ferita.
Cyfer fece una smorfia di dolore.
“Sono scivolato, non ho visto bene dov’era la sedia e praticamente mi sono seduto sul vuoto!” sbottò stupito.
“Mi dispiace molto!” dissi fingendomi sconvolta.
“E di cosa? Non avresti potuto fare nulla per evitare la mia caduta!” borbottò.
Annuii. “L’ambulanza arriverà a momenti, vi lascio tranquilli!”
Agguantai la scatola e uscii dalla stanza. Con la coda dell’occhio vidi che Cyfer era troppo dolorante per prestare attenzione ai miei movimenti, davvero una pessima mossa da parte sua.
Ghignando portai la preziosa scatola in camera di Dave, mentre lui mi raggiunse qualche minuto dopo.
“Povero Edward!” sussurrò.
“Edward?”
“E’ il nome del signor Cyfer!”
Capii. “Già!”
“Rimarrà qui lo sai?”
Rimasi sorpresa.
“Cosa?”
“Dal momento che prenderà lui in mano tutta la faccenda di Alan, noi non dobbiamo più preoccuparci, ma rimarrà qui per la nostra incolumità!”
“Come può proteggerci un uomo che non sa nemmeno sedersi su una sedia senza cadere?” sibilai, per niente felice della notizia.
“Mar!” disse facendosi ancora più serio e prendendomi il viso tra le sue mani. Avrei voluto avere la pelle bollente per ustionarlo e farlo allontanare da me il più possibile, invece lui rimase lì, con gli occhi persi nei mie e quel sorriso schifosamente dolce “So che non è nella tua natura avere aiuti, ma ora il problema è più grande di noi, lasciamo fare a lui!”
“Alan è un problema mio e io lo risolverò!”
“Non fare sciocchezze!”
Sorrisi.
“Non ne faccio mai!”
“Ti prego!” sembrava nuovamente sul punto di avere una nuova crisi di nervi.
“Risolverò il problema più velocemente rispetto a lui!”
“Ma se non sai nemmeno come!”
“E’ qui che ti sbagli!” gli sorrisi trionfante.
“Non lo fare, non posso perderti!”
Mi strinse nuovamente tra le sue braccia. La sua presa era salda, forte. Mentre mi teneva contro il suo corpo percepii i suoi muscoli che si rilassavano, come se io fossi il suo bagno caldo personale.
“Possiamo lavorare in squadra!” sussurrai “Tu e io, niente Alex, niente società segrete che ci osservano, niente pericoli!”
Si staccò da me, con mia enorme gioia e mi fissò negli occhi.
“Ci saranno i pericoli!”
Sorrisi debolmente “Ma ci guarderemo le spalle l’un l’altro!”
Mi veniva da vomitare tanto la mia voce era mielosa, eppure sapevo che stavo davvero giocando bene il mio ruolo.
Sorrise e nuovamente mi abbracciò stavolta con più forza, come se non volesse farmi fuggire via.




Non so che dire su questo capitolo. Sinceramente non mi soddisfa completamente, ma è un passaggio obbligatori per ciò che dovrà accadere.
vengono introdotti due personaggi che si riveleranno piuttosto importanti: Edward Cyfer e Myria.
So che in 'Glances Game' molti non hano apprezzato la storia di Grace, forse era un po' smilata, ma alla fine si è rivelata utile. Con questa accadrà più o meno la stessa cosa e non sarà smileta, quindi spero davvero di riuscire a non annoiarvi.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: le vostre parole mi danno forza, in parte è merito vostro se cerco di rendere questa storia migliore. Garzie anche a chi mette la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate: in quelahce modo rendete Gioco di prestigio speciale e per questo ve ne sono immensamente grata.
Al prossimo Mercoledì.
Daisy

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***



CAPITOLO 10


“Allora? Come pensi di fronteggiare Alan?”
“Riprendendoci i nostri poteri!”
Dave fece un sorriso incerto. “Sei sicura che sia la scelta giusta?”
Annuii. “Lotteremo ad armi pari!”
“E come recupereremo i poteri?”
Sorrisi, finalmente aveva fatto al domanda giusta.
“Con questa!” gli porsi la scatola.
Dave la guardò incuriosito.
“Edward sembrava molto interessato a questa scatola, non si sbagliava!”
“Ho fatto delle ricerche!” dissi con entusiasmo, sperando di contagiare anche lui “E ho scoperto che Alan aveva questa nello scantinato di villa lux, così l’ho recuperata.”
Gli occhi di Dave si fecero sospettosi. “Che genere di ricerche?”
Alzai gli occhi al cielo e, incapace di inventarmi un’altra storia ben delineata come quella che avevo propinato a Cyfer, gli raccontai della chiamata che fingevo che Alan mi avesse fatto.
“Quindi te l’ha detto lui che il potere era in questa scatola?”
Annuii.
“Deduco che questo tu non l’abbia detto ad Edward!”
“No, me l’avrebbe confiscata!”
“Mar!” incontrò i miei occhi “Come possiamo fidarci della parola di Alan Black?”
“Non ti sto chiedendo di fidarti di lui, ma di me!”
“Mi fido di te, ma tu non puoi sapere se Alan merita la tua fiducia!”
Convincere Dave mi stava portando via più energie del previsto, perché doveva rendere le cose sempre più complicate di quello che erano?
Cercai di reprimere la voglia di ordinargli di obbedirmi senza fare domande, da quello che mi aveva detto Jasmine nell’incontro al parco, per assorbire il potere lui doveva decidere di sua spontanea volontà di volerlo. Non sapevo se la cosa funzionava nel medesimo modo con gli oggetti, ma preferivo non rischiare. Lì per lì mi ritrovai a pensare che la forza assorbita dal libro non era voluta da nessuno di noi, eppure era diventata nostra. Tuttavia preferii comunque attenermi al piano originale: lui doveva essere consapevole e consenziente.
“Senti Dave!” cercai di mantenere la calma “Io conosco molto bene Alan e so come ragiona. A lui non piace vincere in modo facile, inoltre credo che abbia un piano più ampio.”
Dave si incuriosì. “Che tipo di piano?”
“Credo che nonostante i suoi poteri ritrovati, lui non riesca ad entrare a villa lux. La casa è sorvegliata. D’altra parte penso che lui volesse avere più potere e che quindi aveva bisogno della scatola. Quale modo migliore per recuperarla se non mandare me così da sviare ogni sospetto su di lui? Alan è un uomo pieno di se ed è sicuro che in uno scontro alla pari lui vincerebbe e, una volta avuta la vittoria su di noi, si prenderebbe quel potere che intanto è passato a noi. Così ottiene due cose in un colpo solo: vendetta e forza!”
“E tu vorresti assecondare questo folle piano? Sei impazzita?” Dave sembrava seriamente preoccupato. Accidenti, mi ero inventata una storia perfetta e lui ancora aveva obiezioni da fare.
“Lui ci sottovaluta, sarà questo il nostro vantaggio!”
“E se fossimo noi a sottovalutare lui?”
Stavo davvero per perdere la pazienza. Alzai gli occhi al cielo.
“Se hai così tanta paura allora ritiro la mia proposta di lavorare in squadra, farò da sola!” agguantai la scatola e feci per aprirla.
“Ferma!” si avvicinò a me “E’ una follia!” mi sorrise dolcemente “Ma la faremo insieme!”
Cercai di reprimere un sorriso soddisfatto mentre Dave cadeva a capofitto nella mia rete. Era fatta.
“Al tre!” dissi, facendo scivolare un dito sotto il coperchio.
“Uno…” anche lui posizionò il pollice accanto al mio.
“Due…” ci lanciammo uno sguardo complice.
“Tre!” tolsi la mano facendo in modo che fosse solo lui ad aprire la scatola.
Osservai un lampo di luce fuoriuscire dal contenitore, vidi il viso di Dave deformarsi per lo stupore e la gioia, mista ad un po’ di paura.
Lo osservai mentre sembrava estasiato e lo invidiai perché avrei voluto avere tutta quella forza solo per me. Dovevo solo portare pazienza.
Un attimo dopo Dave perse i sensi e le gambe non lo ressero più.  Non lo afferrai per attutire la sua caduta, ma lo osservai con un ghigno beffardo mentre le sue ginocchia incontravano rumorosamente il pavimento seguite dal resto del busto. La testa cadde sul tappeto ai piedi del suo letto quindi non si sentì il tonfo. Avrei tanto voluto essere stata io a farlo cadere in quel modo, ma presto o tardi sarebbe giunto il mio momento.
Dovevo solo portare pazienza.
 
 
Era noioso fissare il vuoto mentre aspettavo che Dave riprendesse conoscenza per terminare il mio compito. Avevo passato i primi dieci minuti a curiosare nella sua stanza e avevo notato un sacco di oggetti che non avevo mai visto prima, per di più libri, nulla di interessante. Terminata la mia breve e infruttuosa ispezione della sua camera ero andata a curiosare sul suo cellulare. Istintivamente cercai se aveva dei messaggi di quella Jamie, ma le uniche persone con cui Dave sembrava avere contatti erano James, Emily e Alex, oltre a me ovviamente. Buttai il cellulare sul letto e guardai Dave. Era sdraiato su un fianco, gli occhi chiusi e un’espressione beata dipinta sul volto. Sorrisi pensando che l’avrebbe avuta ancora per poco.
Incapace di rimanere in quella stanza a far nulla per un minuto in più decisi di recarmi al piano inferiore per vedere come stava Cyfer, non che me ne importasse, ma preferivo osservare un medico mentre diceva a quella specie di ficcanaso che aveva un trauma cerebrale piuttosto che fissare il viso angelico Dave mentre era svenuto.
Così presi la scatola e la riportai giù, la posai sul gradino più basso, per dare l’impressione di non averla portata da nessuna parte senza che fosse ispezionata, ed entrai nella cucina.
Cyfer era seduto dove l’avevo lasciato e si stava facendo tamponare la ferita da un’infermiera. Dalle sue smorfie di dolore dedussi che doveva bruciargli parecchio, cercai di trattenere il sorriso che spontaneamente mi veniva di fare: la prossima volta ci doveva pensare due volte prima di ficcare il naso in faccende che non riguardavano né lui, né tutta la massa di gente che apparteneva a quella specie di associazione anti-magia.
“Vanno messi un paio di punti!” sentenziò l’infermiera allontanando il tampone dal taglio.
“Me li potrebbe mettere qui? Sono in servizio e non posso assolutamente muovermi!” protestò leggermente imbronciato Cyfer.
La donna sorrise come si fa quando si è in presenza di un bambino. “No, è la procedura!”
Cyfer fece un sorriso furbo e affondò la mano nella tasca della sua giacca, ne estrasse il portafogli e cercò al suo interno un foglietto che pose all’infermiera.
“Cos’è?” disse lei prendendolo in mano.
“Un ordine firmato da alte cariche che affermano che, a meno che io non abbia bisogno di cure mediche che si possono dispensare solo in ospedale, devo restare qui!”
L’infermiera lesse distrattamente e annuì, anche se era poco convinta.
“Bene!”
Lo sguardo di Cyfer incontrò quello di Alex che se ne stava a braccia incrociate in un angolo della stanza.
“Perché hai chiamato l’ambulanza?” sibilò tra i denti mentre entrava un altro uomo con una barella.
Alex alzò le spalle a mo’ di scusa. Cyfer sbuffò e mi guardò.
“Non mi sono dimenticato di quella scatola!” mi indicò con fare minaccioso, il che mi fece sorridere. Un uomo con una grossa porzione di cotone in testa era l’esatto contrario di ‘temibile e intimidatorio’.
Lui parve offeso dal mio sorriso e tornò a concentrarsi sull’infermiera che gli passava un tampone imbevuto di una sostanza verde sulla ferita, doveva essere un’anestetizzante o qualcosa del genere.
Alex mi oltrepassò e uscì dalla porta facendomi segno col capo per invitarmi a seguirlo.
Una volta fuori dalla stanza mi guardò incrociando le braccia al petto.
“Edward mi ha detto che hai portato una scatola con della magia dentro!”
“Si sbaglia! Quell’aggeggio dev’essere difettoso!” esclamai riferendomi al trasmettitore che aveva usato quella specie di agente.
“Quel microfono non è affatto difettoso!” ribattè.
“E tu come lo sai?”
“Non andrebbe mai in giro con qualcosa di difettoso! Tutti i loro attrezzi vengono controllati più e più volte.”
Sorrisi divertita dal suo tono quasi orgoglioso.
“Sembra che tu ne sappia molto a proposito!”
“Io… ecco io amo tenermi informato!” era in difficoltà.
“Mmm capisco!” ci volle un bel po’ di forza di volontà per impedirmi di mettermi a ridere “E come fai a fare ricerche su quella che sembra un’associazione segreta?”
“Ecco… io ho i miei metodi!” Alex in difficoltà era un bello spettacolo, decisamente inedito, forse per quel motivo non volevo che finisse.
“E sarebbero?”
Aprì la bocca come se stesse per dire qualcosa, ma la richiuse poco dopo.
“Lasciamo perdere!” disse poi con un cenno della mano rientrando in cucina. Lo seguii. L’infermiera stava finendo di sistemare un grosso cerotto bianco sulla fronte di Cyfer.
“Deve tenersi d’occhio per le prossime quarantottore, se avverte mal di testa, nausea o perdita dell’equilibrio vada subito al pronto soccorso o chiami un’ambulanza.”
L’uomo fece per uscire dalla stanza e si fermò un secondo per aspettare la sua collega, ma lei sembrava non avesse alcuna intenzione di muoversi da lì. Continuava a fissare Cyfer come se si aspettasse un cenno da parte sua. Quest’ultimo si limitò a sorriderle con gratitudine. Lei parve soddisfatta.
“Chiami l’ambulanza!” gli ricordò quasi speranzosa.
Cyfer annuì educatamente dopo di che, finalmente, la  donna uscì dalla stanza, seguita da Alex.
“La scatola!” disse rivolgendomi uno sguardo severo. Sorrisi andando a recuperare l’oggetto.
“Dove’è che l’ avevi portata?” era molto sospettoso.
Ora che almeno la parte più grossa del piano era andata mi sentivo più tranquilla nel rispondere alle sue domande, era quasi divertente vederlo seduto su quella sedia, con un sopracciglio aggrottato e l’altro nascosto sotto il grosso cerotto.
“Di là, non volevo che dopo la tua caduta qualcosa di ‘pericoloso’ potesse trovarsi in questa stanza!” con le dita mimai le virgolette attorno alla parola pericoloso, per sottolinearne la stupidità.
Lui parve cogliere l’ironia, mi fece una smorfia che non sapevo bene cosa voleva dire e sospirò.
“Posso aprirla?” domandò con voce stanca.
Sorrisi. “Se non hai paura, ovviamente sì!” gli allungai la scatola e lo osservai mentre avvicinava nuovamente il microfono alla scatola.
“Non la apri?” domandai con innocenza mentre mi godevo la scena.
Mi ignorò, si portò la mano all’orecchio ed estrasse quello che doveva essere il trasmettitore.
“Dannazione, deve essersi rotto durante la caduta!” lo rigirò tra le dita e lo avvicinò agli occhi.
Cercai di non sorridere in modo troppo palese, ma mi riusciva alquanto difficile. Jasmine, facendolo cadere da quella sedia aveva salvato il potere destinato a Dave e aveva anche rotto l’aggeggio che permetteva di capire se c’era del potere in un oggetto. Sarebbe stato perfetto se quell’uomo avesse anche perso la memoria, ma non potevo pretendere troppo. Tuttavia se l’avessi fatto cadere io dalla sedia avrei considerato anche quel particolare e sicuramente la caduta sarebbe stata più efficace.
“Devo mandare la scatola ad esaminarla!” asserì osservandone ogni lato.
“Mi serve! Non è pericolosa!” dissi con innocenza.
Lo sguardo stanco di Cyfer si posò su di me mentre cercavo di assumere lo sguardo più dolce che conoscessi.
“Devo farla esaminare!”
Mi avvicinai e aprii di scatto il coperchio.  Lui trattenne il respiro e si allontanò di velocemente dalla scatola.
“Cos’hai fatto?” sembrava sconvolto.
“Eri tu che volevi aprirla!” dissi con tono fintamente innocente, dopotutto volevo porre definitivamente fine a quelle sue domande fastidiose e alla sua ingerenza nei miei affari.
“Sì, ma bluffavo!”
“Bluffavi?” incrociai le braccia in attesa di una spiegazione nascondendo quanto fossi divertita.
Lui assunse uno sguardo saccente “Non si apre mai qualcosa che si pensa contenga del potere, non prima di averne controllato le quantità!”
Non sapevo di cosa stesse parlando e non mi interessava.
“Bene, ora sai che qui dentro non c’è del potere!”
Trasse un profondo respiro che pareva quasi di sollievo e mi rivolse uno sguardo carico di rimprovero.
“Non farlo mai più!”
“Se tu non blufferai, allora lo prometto!” gli diedi le spalle e salii le scale, stanca di conversare con lui. Mentre stavo per uscire mi venne in mente una cosa.
“Signor Cyfer…”
“Chiamami Edward!”
Alzai gli occhi al cielo seccata dalla sua interruzione futile “Mi chiedevo se state tenendo d’occhio anche Robert Swish!”
“L’altro ragazzo che abitava con te?”
Ripensai agli occhi azzurri di Rob e mi venne una voglia matta di cavarglieli con le unghie. Cercai di reprimere un moto di rabbia tramutandolo in freddezza. Avrei avuto la mia vendetta.
“Sì, lui!”
“E’ ancora in prigione, in attesa del processo!”
Aggrottai le sopracciglia perplessa.
“E’ impossibile!” borbottai.
“Perchè?” Cyfer si fece improvvisamente più interessato.
“Sono sicura che sia uscito!”
“Se fosse uscito lo saprei!”
Rob aveva usato un trucco. Forse era riuscito addirittura ad evadere, forse Jasmine aveva contattato anche lui, ma l’aveva fatto uscire illegalmente. La vera domanda era: perché?
“Dov’era… cioè voglio dire… in che carcere si trova?”
“Perché lo vuoi sapere?” Cyfer era decisamente troppo interessato alla cosa, forse avrei dovuto tenere la bocca chiusa.
“Voglio parlare con lui!”
“Al telefono Alan ha nominato il suo nome?”
“No!”
Quell’uomo faceva davvero troppe domande. La sua curiosità l’avrebbe ucciso, sperai solo di avere io il piacere di farlo.
“Ti ci porterò io domani!”
Alzai un sopracciglio incredula.
“Tu non devi stare qui a proteggere la baracca?”
“Credo che più di tutto, io debba tenere d’occhio te!”
Sbattei gli occhi con fare seducente sperando di convincerlo “Perché sono la damigella in pericolo?”
Si alzò in piedi e si avvicinò a me.
“Perché hai troppi segreti perché io mi possa fidare di te!”
Sorrisi abbassando gli occhi sulle sue labbra. Mi ero dimenticata quanto fosse divertente flirtare con un uomo al solo scopo di raggiungere un obiettivo, mi sembravano secoli che non lo facevo. Lì per lì mi ritrovai a pensare che malgrado tutto ciò che usciva dalla bocca Cyfer mi faceva venir voglia di ucciderlo, aveva delle labbra estremamente sexy.
“Le donne misteriose piacciono sempre!” sussurrai.
“Le ragazzine con manie di grandezza invece sono pericolose!”
Gli sorrisi per nulla offesa dalle sue parole e mi allontanai ancheggiando. Sapevo di avere il suo sguardo su di me e me ne compiacqui.
Avevo passato tutto il tempo a rimpiangere i poteri, ma non avevo perso solo essi, mi ero anche privata del divertimento della conquista, del piegare ogni uomo al mio volere semplicemente perché era divertente. Dave e i suoi occhi verdi  mi avevano tolto la voglia di godermi la vita. Per fortuna tutto era cambiato, le cose stavano andando per il verso giusto e presto sarebbero andate anche meglio.
Una volta raggiunta la camera di Dave sbuffai nel constatare che lui era ancora steso sul pavimento, nella stessa posizione nella quale l’avevo lasciato. Alzai gli occhi al cielo e mi distesi sul letto.
Ero sicura di averci messo meno tempo di lui a riprendermi.
 
 
Il ragazzo spalancò gli occhi di scatto eppure non notò una grande differenza. La stanza nella quale si trovava era nella penombra quindi non riuscì a vedere molto. Fece per alzarsi, ma qualcosa glielo impedì. Gettò un’occhiata al suo corpo e lo vide avvolto da una spessa catena di metallo. Preso dal panico iniziò a divincolarsi, ma la catena non sembrava volesse muoversi, anzi, si conficcò nella sua pelle facendogli sfuggire un urlo di dolore.
“Devi stare fermo!” disse una voce soave. Il ragazzo si accorse solo allora che una figura incappucciata era immobile a pochi metri da lui.
“Tu!” sibilò con odio prima di divincolarsi nuovamente.
“Così peggiorerai la situazione!” la voce sembrava esprimere preoccupazione.
“Sei una bastarda! Una lurida strega! LIBERAMI!” le urlò contro.
“L’odio non è la risposta Richard!” sussurrò lei avvicinandosi.
“STA LONTANA DA ME!” sbraitò lui con tutto il fiato che aveva in gola. La donna si bloccò sul posto.
“Come ti senti?” gli domandò.
“Come una vittima prima che venga macellata!” nella voce di Richard non c’era altro che disprezzo.
“Non ti farò del male!” disse lei con voce angelica, nel tentativo di rassicurarlo.
“So chi sei, conosco la tua fama!”
“Tu non sai nulla di me!”
“LIBERAMI!” Richard digrignò i denti mentre il freddo metallo gli incideva la pelle.
“Ho bisogno di sapere davvero come ti senti, è importante!”
“Tu sei pazza!”
“Voglio aiutarti!” la voce della donna sembrava quasi disperata.
“Bel modo di dimostrarlo!”
Ci fu un minuto di pausa nel quale era possibile udire solo il respiro affannato del ragazzo.
“Cosa mi vuoi fare?” domandò lui cercando di calmare la rabbia che lo aveva infiammato.
“Voglio aiutarti!”
“Non ho bisogno di aiuto, tantomeno del tuo, mi faresti solo passare a miglior vita prima del tempo!”
“Voglio davvero aiutarti!” sembrava disperata.
“Allora liberami!”
“Non posso!”
“Perché?” il tono di Richard era di sfida. Era legato a un tavolo, alla mercè di quella donna, eppure trovava ugualmente la forza di combattere.
“Perché sei pericoloso!”
“IO SONO PERICOLOSO? Che mi dici della strega che ha terrorizzato tutti i territori vicini?”
La donna non rispose.
“Tempo fa ho giurato di uccidere quella donna ed ora sono in sua presenza, alla sua mercè. Ti sembro io quello pericoloso?”
“Sei più pericoloso di me!” sibilò lei leggermente irata.
“Ho ucciso io tutti quegli uomini? Hai strappato migliaia di vite, fatto sparire centinaia di individui”
“Non li ho uccisi, li ho salvati!” ribattè la donna fissando intensamente il ragazzo.
“Non è quello che si dice!” era decisamente scettico.
“Perché sono io a non volere che si dica!” sussurrò lei voltandogli le spalle.
Lui parve perplesso dalla sua frase. Lei sapeva che lui aveva passato diverso tempo ad odiarla, ed ora poteva capire che una parte di lui voleva credere, sperava che lei fosse diversa da come tutti la dipingevano. Tuttavia riusciva a leggere la diffidenza nei suoi occhi e la paura di essere prossimo alla sua fine.
Sentendo che non replicava lei continuò “Sei stato maledetto. Presto ti trasformerai nell’ombra di te stesso. La maledizione ti consumerà e diventerai qualcosa che tu stesso disprezzi, qualcosa che è mosso solo dall’egoismo e dall’istinto!” la sua voce tremò leggermente.
“BASTARDA!” le urlò contro.
“Non ti ho maledetto io!” sibilò lei.
Lui si bloccò indeciso se insultarla ancora o ascoltare quello che aveva da dire, optò per la seconda.
“Io ti voglio insegnare a controllare quello che hai dentro di te, il mostro che minaccia l’esistenza stessa della magia e la vita di chi la possiede!”
“Non dire sciocchezze!”
“Magari lo fossero!” una goccia di acqua cadde dal cappuccio fino a terra, riflettendo la poca luce che regnava nella stanza. Myria sperò che Richard non l’avesse notata, ma suo malgrado vide i suoi occhi seguire la goccia che non era riuscita a trattenere.
 
“Mar, Mar!”
Sbadigliai assonnata.
“Mar, credo che abbia funzionato!” aprii gli occhi e quasi mi stupii di incontrare gli occhi vedi di Dave che mi fissavano ansiosi, mi ero aspettata di vedere un ragazzo steso su un tavolo con gli occhi scuri pieni di odio.
“Certo che ha funzionato!” mugugnai mettendomi a sedere e cercando di ripescare nella mia memoria frammenti del sogno che avevo appena fatto. Le immagini che avevo visto avevano un nonsochè di strano, sapevo che avevano un nesso con il sogno che avevo fatto quella mattina, ma non sapevo altro. La cosa mi incuriosiva, ma decisi di non farci troppo caso, di lì a pochi minuti anche quelle ultime immagini sarebbero sparite nei recessi della mia memoria e io non ne avrei conservato il ricordo.
“Mi sento… wow!” Dave non riusciva a trovare le parole, continuava a fissarsi le mani e a chiuderle a pugno, come se tutta la sua forza fosse contenuta lì dentro “Credo di poter fare tutto!”
“Strano, detto da uno che non voleva riavere i suoi poteri!” notai divertita dal paradosso.
Lui si bloccò e si fece improvvisamente serio, la felicità che brillava nei suoi occhi scomparve.
“Hai ragione, non dovrei sentirmi così!” parve abbattuto.
Mi veniva da ridere per la soddisfazione di aver cancellato il suo sorriso dalle labbra eppure mi costrinsi ad essere comprensiva.
“Dave, ci siamo ripresi i nostri poteri per fronteggiare Alan ok? È per qualcosa di importante!”
“Anche tu ti senti così?”
“Certo!” risposi cercando di sorridergli con dolcezza. Il mio tentativo parve funzionare, il suo sguardo si ammorbidì e nuovamente mi tirò a sé per abbracciarmi con dolcezza. Mi irrigidii e tentai di ritrarmi. Lui era la persona che mi aveva fatto perdere ciò che ero, lui mi aveva distrutta nell’anima, mi aveva permesso di essere debole e doveva pagare. Ogni istante che passava ne ero sempre più certa.
Sapevo che non dovevo sfuggire a quell’abbraccio, per mantenere le apparenze, così lo circondai con le braccia a mia volta facendo una smorfia.
Lui sospirò stingendomi più forte mentre io mi immaginavo qualcosa che potesse rendermi sopportabile quella situazione. Chiusi gli occhi e pensai a Dave che si accasciava a terra urlando di dolore.
Finalmente Dave si staccò da me, cercai di trattenere un sorriso. Poi un urlo uscì dalla sua bocca mentre sgranava gli occhi per la sorpresa. Le sue gambe cedettero e le ginocchia incontrarono il terreno.
Vederlo ai miei piedi, spaventato per quello che gli stava accadendo mi riempì di una gioia selvaggia e dentro di me, pregavo perché il dolore che provasse aumentasse sempre di più.
Invece il suo respiro si calmò e si portò una mano al cuore. Mi guardò sconvolto e io cercai di assumere un’espressione preoccupata.
Mi inginocchiai accanto a lui e lo guardai in volto.
“Stai bene!” la mia voce uscì preoccupata al punto giusto e rimasi fiera della mia opera.
“Credo di si!” disse, ma non ne sembrava tanto certo.
“Che ti è successo?” sapevo che anche questa doveva essere stata opera di Jasmine, era solo inquietante come riuscisse ad entrare nella mia testa per leggermi nel pensiero e far avvenire tutto quello che mi passava per la testa. Dovetti anche ammettere che era davvero appagante vedere i miei pensieri prendere vita, anche se avrei voluto esserne io stessa l’artefice.
“Non lo so, ho sentito del dolore, ma non proveniva da una parte precisa del mio corpo, ora non mi sento male, ma sono sicuro che prima qualcosa stesse per rompersi dentro di me, o per esplodere!” si portò una mano alla testa. “Cosa credi sia successo?”
Rimossi un moto di disgusto mentre avvicinavo la mano al suo viso e glielo accarezzavo il più dolcemente possibile.
“Non ne ho idea Dave!”
“Dev’essere il potere!”
“Ma io sto bene!” esclamai.
Lui mi guardò preoccupato, come se si aspettasse di vedermi  cadere a terra urlando da un momento all’altro.
“Allora dev’essere stato qualcos’altro!” si fece pensieroso, ma io non avevo alcuna intenzione di permettergli di riflettere. Dave era intelligente e, anche se non aveva mai incontrato Jasmine, poteva sempre fare due più due e pensare che qualcuno stesse interferendo con la sua vita in modo non proprio ordinario.
“Dave, dobbiamo metterci al lavoro!” esclamai sbrigativa.
I suoi occhi parvero riacquistare un po’ di luce.
“Sai dove trovare Alan?”
“Non ancora, sarà lui a dirci dove e quando dobbiamo incontralo per la resa dei conti!”
Un lampo di preoccupazione attraversò i suoi occhi smeraldo.
“Non sei costretta a farlo! Andrò solo io!”
Sorrisi per quanto era sciocco. “Non mi sono mai tirata indietro e non lo farò adesso!”
L’ansia venne sostituita dall’orgoglio, sembrava fosse fiero del mio temperamento combattivo, mi guardò con dolcezza infinita e io cercai di reprimere una smorfia di disgusto.
“Dobbiamo tutelarci Dave! Dobbiamo scrivere tutto ciò che ci ricordiamo del libro bianco!”
Lui aggrottò le sopracciglia.
“Come mai?”
“Se Alan dovesse vincere almeno la sapienza di cui disponiamo ora non andrebbe persa!”
“Cosa intendi dire?”
Alzai gli occhi al cielo, incapace di trattenermi.
“Fino a oggi, ricordavi le parole del libro bianco?”
Dave si prese qualche secondo per pensare.
“No!”
“Ora ricordi!”
“Sì!” si illuminò.
“Anche senza poteri potremmo usare le tecniche che conosciamo!” sapevo che era una bugia, ma lui non poteva esserne al corrente.
“Ok, per questo vuoi scrivere tutto ciò che ricordiamo?”
“Esatto!”
“Allora dobbiamo iniziare subito, se vogliamo finire prima che Alan decida quando si terrà la resa dei conti!”
Sorrisi soddisfatta di averlo convinto. Lo vidi estrarre un quaderno e sedersi alla scrivania, prima di afferrare una penna. Portò il tappo alla bocca e lo mordicchiò con fare distratto.
“Sai che ricordo alla perfezione ogni singola parola?” parve sorpreso.
“Credo che tu abbia dei buchi invece!” gli feci notare.
“Dei buchi?”
“Sì, quelle saranno le parti che mi ricorderò io!” gli sorrisi con fare rassicurante, mentre lui si soffermava a guardare le mie labbra prima di iniziare a scrivere tutto ciò che ricordava.



Bè diciamo che anche in questo capitolo non succede nulla di che, è un po' uno stato di quiete che perdurerà anche nel prossimo capitolo, ma poi.... bè POI!
Non vedo l'ora di postare i capitoli di cui sono fiera invece che questi di passaggio XD
Grazie mille a tutti quelli che commentano, vi adoro <3
Ringrazio naturalmente anche chi legge :D
A presto!
Daisy

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11


Dave non era nemmeno a metà del lavoro quando udimmo il campanello suonare. Lui alzò lo sguardo dal quaderno e incontrò i miei occhi.
“Mar, credo di essermi dimenticato di dirti una cosa!”
“Cosa?” domandai noncurante guardandomi le unghie per evitare le sue iridi smeraldine.
“Ho chiamato Jaqueline!” lo disse quasi in un sussurro, come se non volesse farsi udire chiaramente da me.
Non ero sicura di aver capito bene.
“Hai chiamato CHI?” dalla mia voce era scomparsa la vena di gentilezza che mi sforzavo ad avere.
Lui deglutì smettendo di guardarmi in faccia “Tua  madre!”
Chiusi gli occhi per un secondo. Avrei voluto staccargli la testa, avrei voluto che si mettesse in ginocchio e mi chiedesse scusa. La cosa peggiore era che sapevo di dovermi calmare altrimenti avrei potuto mandare tutto all’aria. Feci un respiro profondo e ripresi il controllo delle mie emozioni, fiera di essere riuscita nell’impresa spalancai gli occhi.
Dave si stava tormentando le mani con evidente nervosismo.
“Mar, ero fuori di me. Sei sparita e io non ti trovavo e ho chiamato tutti quelli che conoscevamo, io ... Io sono stato impulsivo lo so, ma tu non puoi capire il terrore…”
Rabbrividì e si portò le mani sulle braccia, come se quel gesto gli potesse dare una qualche rassicurazione. Lo fissai disgustata, ma anche ammirata dalla sua capacità di finzione. Quando mi aveva trovata nel bar, ubriaca e fuori di me, non si era poi dato tanta pena per la mia condizione dal momento che era troppo impegnato ad esplorare la bocca di Jamie. La cosa che più mi faceva rabbia era che lui voleva sempre passare per quello buono, che si preoccupava per gli altri, anche se questo non corrispondeva alla realtà. Era ancora più ipocrita di quando lo avevo conosciuto. La voglia di fargliela pagare si moltiplicò dentro me e mi ritrovai a sorridere pensando alla sua distruzione ormai imminente.
Mi alzai in piedi e, senza una parola, uscii dalla stanza. All’ingresso c’erano tre persone: al centro si stagliava la figura alta e flessuosa della donna che mi aveva messa al mondo e che poi mi aveva venduta ad Alan Black, alla sua destra mi sorrideva radiosa Emily che, con mio enorme disappunto, non era ancora partita, mentre alla sinistra c’era James, l’amico di Dave.
Jaqueline, non appena mi vide, mi sorrise timidamente e mi sembrò di vedere una sottile lacrima solcarle il viso. Repressi un moto di disgusto mentre scendevo le scale.
Emily abbandonò la sua posizione all’ingresso per correre verso di me e stritolarmi tra le sue braccia. L’impatto mi fece fare un passo indietro e, con mio enorme disappunto, tutto il mio campo visivo fu occupato dai suoi folti capelli biondo sporco. Mi irrigidii e non ricambiai l’abbraccio nella speranza che finisse al più presto.
Sentii dei passi dietro di me, simbolo che anche Dave stava scendendo le scale.
“Stai bene!” mi sussurrò Emily “Eravamo così in pensiero!”
Non dissi nulla nel timore di tradirmi. Emily si allontanò da me quel poco che bastava per guardarmi in faccia “Ti abbiamo portato le tue cose!” sembrava letteralmente su di giri.
Lanciai un’occhiata alle sue spalle e vidi che tutti i nuovi arrivati erano carichi di borse e valige.
“Perché?” domandai sospettando la risposta.
“Starai qui!” si intromise Alex.
“COSA?” era impossibile trattenermi.
Dave si avvicinò da dietro al mio orecchio “Ordini di Cyfer. Siamo sotto la sua protezione e sorveglianza!” mi sussurrò facendomi capire che anche lui, in fondo, era seccato dalla cosa.
Non volevo crederci. Ero prigioniera a casa di Dave. Cyfer mi voleva in trappola perché non si fidava di me, chi era lui per avere il diritto di fare ciò? Mi guardai attorno e tutti mi sorridevano: Jaqueline era felice di vedermi, Emily sollevata che stessi bene, James sorrideva perché aveva una cotta per me, Alex per gentilezza, Dave perché era Dave e mi fissava sempre con quell’espressione di beatitudine.
In quel momento avrei voluto che tutti cadessero al suolo e si facessero male nel farlo. Cercai di chiamare Jasmine nella mia mente, le altre volte aveva fatto quello che volevo io, non sapevo come, ma mi aveva dato quelle piccole soddisfazioni di cui avevo bisogno, ero sicura che ci sarebbe stata anche quella volta.
Eppure tutti continuavano a fissarmi sorridenti.
Jasmine.
JASMINE!
Non accadde assolutamente nulla.
Strinsi la mascella per la rabbia, forse lei mi aiutava solo se si trattava della buona riuscita del nostro piano, del suo piano. Il resto per lei non contava, doveva essere così.
Strinsi il pugno e desiderai di farla pagare anche a Jasmine per il suo egoismo anche se non potevo fargliene una colpa, al suo posto probabilmente mi sarei comportata nel medesimo modo.
“Jasmine!” sussurrai nell’ultimo, vano, tentativo di avere un aiuto da lei.
“Cosa Mar?” mi domandò una sorridente Emily mentre mi metteva un braccio attorno al collo e mi faceva avanzare verso le persone nell’atrio.
“Nulla!” dissi cercando di trattenere un insulto.
Jacqueline incontrò il mio sguardo e fece per aprire la bocca, la guardai male e lei parve ripensarci.
“Spero di aver preso tutto!” esclamò allegra Emily “Mi mancherai!” aggiunse con sincerità abbracciandomi nuovamente.
Vidi Dave che sorrideva guardandoci, come se fosse soddisfatto di quello che appariva dinnanzi ai suoi occhi, forse pensava che mi stavo addolcendo o altro. Poco importava, presto avrebbe scoperto quella parte di me che l’avrebbe distrutto.
Feci per staccarmi dalla morsa di Emily, ma il suo braccio era improvvisamente rigido. Spinsi un altro po’, gentilmente per non spaventarla, eppure lei non si mosse.
Lanciai un’occhiata a Dave nella speranza che mi aiutasse, ma era innaturalmente immobile nella posizione di poco prima.
Aggrottai le sopracciglia  e mi abbassai, sgusciando via dalle braccia di Emily. Mi rimisi dritta e vidi che Emily era ancora immobile nella posizione di poco prima: il sorriso stampato sulla faccia e le braccia che circondavano il vuoto che fino a poco prima avevo riempito.
Perplessa allungai il dito indice fino a sfiorare la sua guancia, era morbida e calda, com’era giusto che fosse, eppure lei non reagì.
Lanciai un’occhiata sugli altri presenti e tutti erano esattamente come lei. Sui loro volti erano impresse delle espressioni perenni, i loro arti erano immobili, sembravano pietrificati.
Solo allora qualcuno bussò alla porta, si trattò di un paio di colpi, chiari e precisi.
Lanciai un’occhiata ad Alex che non sembrava aver la minima voglia di accogliere il nuovo arrivato, immobile com’era. Il  mio cervello iniziò a lavorare freneticamente mentre schivavo i corpi e mi dirigevo verso la porta.
Cos’era successo? Come potevo giustificarlo alla persona che era appena arrivata? Non potevo fingere che non ci fosse nessuno in casa, le luci erano accese e chiaramente visibili da fuori.
Avrei usato i miei poteri per convincere il visitatore ad andarsene. Sospirai e aprii la porta di qualche centimetro, quel poco che bastava a individuare chi aveva bussato.
Un paio di occhi gentili incontrarono i miei e quasi fui sollevata di vedere chi aspettava dall’altra parte dell’uscio.
“Non mi fai entrare?” domandò sorridendomi Jasmine.
Sorrisi ammirandone i modi posati, l’eleganza con la quale attese che aprissi la porta, con la quale entrava in casa e si guardava intorno come se fosse in vacanza.
“Molto carino qui!” esclamò semplicemente sondando ogni volto e addentrandosi nell’atrio. Ogni istante che passava il mio desiderio di essere come lei aumentava. Lei era pericolosa fino all’inverosimile, eppure apparentemente non lo sembrava. Avrei voluto che essere gentile fosse facile come per lei.
“Che ci fai qui?” domandai piena di curiosità e anche un po’ ansiosa che se ne andasse: potevo anche ammirarla, ma la sua presenza era indesiderata.
“Mi hai chiamata!” rispose con tranquillità, toccando le braccia di Emily.
“Ma io non volevo che tu venissi qui, volevo che mi aiutassi con tutti questi ospiti!” sibilai l’ultima parola con disgusto, soffermandomi in particolare ad osservare il viso di Jaqueline.
“Non sono la tua sacca di potere tascabile Marguerite!” precisò guardandomi.
“Ma prima mi hai aiutata!”
“Ti ho dato dei poteri, ed è il massimo che posso fare per te, non pretendere altro se non la vendetta che ti prometto avrai!”
“Mi hai aiutata con Cyfer e con Dave!”
Lei si accigliò. “Chi diavolo è Cyfer?”
“Qualcuno mi ha chiam…” Cyfer sbucò proprio in quel momento dalla cucina, la benda bianca sulla parte destra della fronte e lo sguardo corrucciato. Si bloccò sul posto quando i suoi occhi si posarono sulle persone immobilizzate nell’atrio.
“Cosa diavolo…?” ma prima che potesse completare la frase Jasmine allungò la mano aperta verso di lui e sorrise, la sua espressione mi diede i brividi. Un attimo dopo Cyfer era stato scagliato contro la parete dietro di lui ed aveva perso i sensi.
Jamine alzò le spalle con noncuranza e si avvicinò a lui, si chinò e gli esaminò il viso.
“Avevo fatto male i conti!” disse semplicemente “Chi è?”
Ero sempre più perplessa. Prima ero convinta che lei avesse osservato tutta la scena attraverso i miei occhi attraverso gli occhi di qualche altro essere come un moscerino, era così che, secondo me, aveva fatto a far cadere Cyfer dalla sedia esattamente come volevo accadesse, invece lei sembrava non essere al corrente di nulla. Ero confusa.
“Un ficcanaso!” risposi cercando di trovare una spiegazione plausibile a tutto ciò.
“Ho bisogno di più dettagli!” disse rialzandosi e fissando il corpo esanime di Cyfer con disgusto. Non potei far a meno di sorridere: era la seconda volta che quell’uomo si prendeva una bella botta in testa.
“C’è una specie di società segreta che cerca di rintracciare Alan e lui è il responsabile della nostra protezione, mia e di Dave!”dissi svogliata, facendo capire quanto fossi entusiasta della cosa.
“Interessante! Sapevo che qualcuno di molto influente non voleva che Alan uscisse di prigione, ma non mi aspettavo che mandassero un agente a proteggerti!” era pensierosa “O a controllarti!”
“Tu lo sapevi?” non ci potevo credere.
“Sapevo che non sarebbe stato facile far vincere ad Alan il processo. Sapevo che oltre ai crimini normali che aveva commesso dovevano essercene degli altri che però non potevano essere noti a nessun avvocato e a nessun giudice, che però avrebbero reso il processo più complesso. Sospettavo che il signor Stone fosse dell’associazione e che fosse lui il responsabile della futura condanna di Alan!”
“Come fai a sapere tutte queste cose?” ero esterrefatta.
Lei sorrise quasi compiaciuta.
“Ho giocato bene e prima mi sono informata su ogni possibile avversario!”
Rimasi profondamente colpita dalle sue parole.
“Liberati di questo ficcanaso!” ordinò. Cercai di reprimere la voglia che avevo di dire no, non volevo seguire un suo ordine.
“L’avrei fatto anche senza la tua gentile richiesta!” sibilai con sarcasmo.
Lei sorrise affabile “Non ne dubito!”
Adorava dare ordini, per questo l’aveva fatto e inoltre voleva umiliarmi per ricordarmi che ero subordinata a lei in qualche modo. Cercai di reprimere il moto di rabbia che minacciava di travolgermi. Presto o tardi non avrebbe più osato trattarmi in quel modo, dovevo dolo impadronirmi di altro potere e diventare più forte di lei.
Mi voltò le spalle e varcò la soglia senza voltarsi.
“Mar!” mi chiamò mentre stavo per chiuderle la porta alle spalle. Non risposi, ma lei prese il mio silenzio per un invito a continuare “Non  chiamarmi più!” sibilò.
Rabbrividii come se la temperatura della notte fosse scesa di parecchi gradi e la osservai allontanarsi con eleganza nel buio della notte.
Nel preciso istante in cui richiusi la porta alle sue spalle le persone nella stanza ripreso a muoversi normalmente, come se nulla fosse, solo Emily guardò perplessa  il vuoto tra le sue braccia, dove prima c’ero io.
“Come diavolo hai fatto?” domandò, una nota di stupore nella voce.
“Sono incredibilmente veloce!” sorrisi con fare rassicurante.
Alex aveva notato l’altro particolare fuori posto, si era chinato accanto a Cyfer che stava riprendendo conoscenza.
“Tutto bene?” gli domandò porgendogli un braccio per aiutarlo ad alzarsi. Lui si guardò intorno spaesato, come se non sapesse perché si trovava lì, su quel pavimento con la schiena contro il muro. Si passò una mano sulla base della testa, dove probabilmente sentiva il maggiore dolore e lanciò un’occhiata alla porta, forse ricordava chi le aveva fatto questo e lo stava cercando nella stanza. Dopo di che i suoi occhi color cioccolato incontrarono i miei e si soffermarono su di essi più del necessario, assunse un’espressione  di disapprovazione e sospetto. Non mi lasciai intimidire, non mi importava ciò che si ricordava, volevo solo che non creasse problemi. Finalmente afferrò il braccio di Alex e si rimise in piedi, mi lanciò un’ulteriore sguardo e si diresse in cucina.
Mia madre mi fissava come se vedesse un tesoro e Emily aveva gli occhi lucidi, io invece ero stanca di tutta quella gente e volevo sbarazzarmi di loro al più presto. Mossi qualche passo nell’atrio e afferrai la valigia che aveva portato Jaqueline e quella che aveva trascinato Emily.
“Potete andare!” sibilai più freddamente di quanto avrei dovuto. Jacqueline mi guardò ferita e poi distolse gli occhi da me.
“Certo, hai ragione! E’ stato un piacere rivederti Dave!”
Dave le sorrise e si avvicinò a lei per salutarla.
“Sono felice che tu stia bene, Marguerite!” aggiunse quasi sottovoce. Finsi di non sentirla e agguantai le valige iniziando a salire le scale, lanciai un’occhiata a Emily e mi costrinsi a dire che anche lei mi sarebbe mancata. Mi sorrise commossa e rimasi disgustata dal suo carattere quanto mai prima di quel momento. Finii di salire la rampa scale e solo allora mi resi conto che Alex mi aveva seguita.
“Dormirai con Dave! Spero che la vostra recente rottura non lo renda problematico!”
Mi sforzai a sorridere.
“Nient’affatto!” entrai nella stanza indicatomi e trascinai in un angolo le valige. Mi diressi verso la scrivania e lanciai un’occhiata al quaderno dove Dave stava scrivendo, anche lui, come Alan, aveva lasciato dei paragrafi vuoti, ma ci sarebbe stato tempo l’indomani per riempirli.
Ero arrabbiata, avevo i nervi a fior di pelle e l’unica cosa che mi andava di fare era dormire. Non volevo stare in quella dannata casa, non volevo essere controllata ventiquattrore su ventiquattro da un perfetto sconosciuto, non avrei voluto essere costretta a rivedere la donna che mi aveva messa al mondo, ma soprattutto odiavo che Jasmine continuasse a fare il capo, io non ero al suo servizio, stavo agendo per mio conto e lei lo sapeva. Sapeva che cercavo solo vendetta e che pagavo il dono che mi aveva fatto, nulla di più, eppure si ostinava a ricordarmi che ero una sua subalterna.
Lo odiavo.
Mi sdraiai sul letto, attenta ad occuparlo praticamente tutto e spensi la luce, non mi preoccupai di cambiarmi, volevo solo dormire.
Dopo pochi minuti anche Dave raggiunse la stanza, si mosse silenziosamente in essa dato che fingevo di essere tra le braccia di Morfeo. Ad un certo punto sentii la sua mano accarezzarmi con dolcezza la testa e fui sicura che probabilmente nella penombra mi stava osservando. Sospirò e mi scostò i lunghi capelli neri  dal viso, prima di posare le sue labbra morbide sulla mia fronte. Inspirò il mio profumo e si allontanò da me. Sentii la porta aprirsi e richiudersi e capii che Dave non avrebbe dormito con me in quella stanza, sorrisi automaticamente, si trattava pur sempre di una piccola vittoria.
 
Richard sembrava avesse le convulsioni. Myria odiava vederlo legato ad quel dannato tavolo, odiava vedere l’odio nei suoi occhi mentre lei gli controllava il polso o semplicemente lo guardava, eppure non poteva liberarlo, lui era troppo pericoloso.
Era da circa quindici minuti che il suo corpo continuava ad essere percorso dagli spasmi. All’inizio, presa dal panico, si era avvicinata a lui e gli aveva accarezzato la testa dicendogli di stare calmo, vedendo che ciò non sortiva alcun effetto, aveva preso una pezza bagnata e aveva cercato di rimuovere il sudore sul suo volto. Anche quello era stato vano. Sentiva le urla, il suo bisogno di essere libero, ma sapeva di non poterlo accontentare e ciò la faceva soffrire. Sperava che l’attacco passasse presto, non vedeva l’ora di rivedere le pupille azzurre del ragazzo e di riguardare i tratti del suo volto rilassati.
Gli occhi erano rovesciati e un rivoletto di saliva gli scendeva dal lato della bocca andandogli a bagnare i capelli e il collo. Myria non sapeva più che fare così alla fine si era messa a contare i suoi battiti, a scrivere ciò che vedeva, solo la rigorosità con cui faceva il suo lavoro riusciva a farle sopportare la vista di ciò che stava accadendo.
La porta si aprì illuminando un po’ la stanza nella penombra ed entrò Mark. Si avvicinò a lei e la abbracciò comprensivo.
“Smettila di piangere, non è colpa tua!”
Stupita Myria si portò una mano sul viso e scoprì che le lacrime scendevano copiose da suoi occhi azzurri, non se n’era nemmeno accorta.
“Non posso aiutarlo!” singhiozzò, lasciandosi andare sulla spalla dell’amico. Lui la cinse con le braccia provando a calmarla. “Lui è diverso, quello che c’è dentro di lui preme per uscire!” lanciò un’occhiata al corpo ancora scosso dai tremiti.
“Cosa pensi che sia?”
“Conosci già la mia idea. Di solito avvengono trasformazioni fisiche visibili, o cambiamenti caratteriali che fanno capire cosa sono diventati, a quel punto è facile aiutarli a controllarsi. Con lui è diverso, quindi la conclusione può essere una sola!” sussurrò distogliendo lo sguardo dal corpo del ragazzo.
“Secondo me ti sbagli!”
Myria si staccò da lui e lo guardò con disperazione.
“Non sai quanto vorrei sbagliarmi, ma anche tu hai visto cos’ha fatto a Trevis!”
Entrambi tacquero e rimasero ad ascoltare gli ansimi e i lamenti del ragazzo.
“Non è per forza quello che credi tu!”
“E’ MORTO, Mark!” le lacrime le solcavano il volto ancora più di prima.
“Tutte le persone che hai aiutato potevano causare morte!”
“Ma non il prosciugamento dei poteri!”
“Smettila!” un lampo di preoccupazione attraversò gli occhi di Mark.
“Ogni persona ha una scintilla di magia in se, questa gli permette di assorbire del potere o di averlo dalla nascita, a seconda dei casi. Quando una persona è in punto di morte chiunque può sottrargli il potere, se sa come farlo, ma la scintilla è qualcosa che risiede nel suo stesso essere e non può essere ceduta a nessuno. Il guaio è che ogni piccola scintilla contiene in se un potenziale enorme, non si tratta di potere, ma è la forza stessa che mantiene in vita una persona. Si può spegnere, ma non può essere rubata. Lui gliel’ha tolta!” lanciò uno sguardo disperato a Richard che ancora era scosso dagli spasmi.
“Non puoi esserne certa!”
“Lo sono!” era risoluta.
“La magia che hai usato per verificare la veridicità di ciò che dici non è una vera forma di magia, è inesatta!”
“Questo lo dici tu! Solo perché non è rigorosa, non vuol dire che sia errata!”
Mark alzò lo sguardo al cielo e sbuffò.
“Vedremo!” detto ciò uscì dalla stanza a grandi passi.
Myria si portò una mano alla bocca e scoppiò nuovamente a piangere, senza trattenersi, riversando tutta la sua frustrazione in quel pianto liberatorio.
“Sei la donna più strana che abbia mai conosciuto!” sussurrò una voce debole proveniente dal tavolo. Lei alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi di Richard. Lui sembrava sfinito e per parlare aveva appena socchiuso la bocca, ma il vederlo di nuovo tornato in se le causò una gioia così spontanea che, senza pensare a nulla lo baciò. Lui non aveva la forza di rispondere al bacio e Myria non sapeva nemmeno se ne aveva la voglia, ma non le importava, il sollievo era troppo grande. Guardandolo con dolcezza separò le sue labbra dalle sue.
“Ti ho sentita piangere!” sussurrò lui.
Lei si voltò cercando di asciugarsi il viso senza farsi vedere.
“Non piangevo!”
“Smettila di fare la dura, ho capito che non puoi essere la donna che tutti temono, non avresti pianto per me, altrimenti!”
Lei sospirò e gli sorrise riconoscente.
“Non mi hai fatto tu questo vero?” le domandò con una punta di speranza nella voce.
Lei scosse la testa.
“Stai cercando di aiutarmi!”
“Sì!”
“E’ vero che ho ucciso un uomo?”
Lei deglutì a fatica prima di rispondere. “Sì!”
“Come?”
“Non ricordi nulla?”
“No! Ti ho sentita dirlo poco fa!”
Lei sospirò “Non importa come, non accadrà più!”
“Come fai ad esserne certa?” sembrava spaventato.
“Ti aiuterò a controllarti!”
“Come?” c’era della disperazione nella sua voce.
“Creatività!” suo malgrado lei sorrise.
Lui la guardò senza comprendere come la creatività l’avrebbe potuto aiutare.
“Io uso un tipo di magia non convenzionale, tramite quella riuscirò ad aiutarti a controllare ciò che sei diventato!”
“Che tipo di magia?”
Lei sorrise con dolcezza. “La magia creativa, quella che necessita di formule o gesti. Tu hai del potere allo stato potenziale dentro di te, nessuno può dirti come usarlo. Spesso quando i maghi maledicono delle persone mettono in loro del potere in modo tale che loro diventino dei mostri pericolosi. Quello che io ho scoperto è che il potere non è vincolato a quello che è lo scopo prefissato dal mago in questione, il potere è libero da ogni vincolo, quindi io insegno a usare quel potere in modo diverso. Non tutti ci riescono perché a volte i sortilegi dei maghi inseriscono nella persone delle precise volontà, tipo quelle di trasformarsi, come se fossero loro scelte. Le vittime non riescono a liberare la mente da questi ordini perché pensano siano delle loro decisioni e quindi non riescono a padroneggiare la magia creativa, in quel caso insegno loro a controllarsi in modo tale da non essere pericolosi, ma utili.”
“Tutti i maghi usano la magia creativa?”
“Al momento solo io e quelli a cui l’ho insegnata. Gli altri maghi non credono che funzioni, sono così legati ai metodi rigorosi che non gli piace l’idea che il potere abbia in se la potenzialità di diventare tutto ciò che tu puoi immaginare. Da un lato è meglio così, altrimenti ci sarebbero molti più maghi pericolosi in giro!” sorrise debolmente.
“Perché tutti credono che tu sia pericolosa?” sussurrò Richard sempre più incuriosito dalla donna che aveva tanto odiato in passato.
“Perché questa è l’immagine che voglio abbiano di me! Una donna meschina e pericolosa, nessuno osa sfidarmi!”
“Ed è una copertura invece, vero?”
“Sì! Io sono la proiezione delle loro paure, la proiezione del male, se vogliamo dirla tutta!”
“E ci sono molte persone che vengono alterate con il potere da altri maghi?”
“Abbastanza da tenermi sempre impegnata!”
“Le aiuti tutte?”
Lei sorrise prima di avvicinarsi con la chiave alle catene che lo tenevano immobile. Fece scattare la serratura del lucchetto e lui fu improvvisamente libero. Le catene scivolarono via e atterrarono sul pavimento con un rumore metallico. Lei passò poi a liberargli i polsi. Lui prese un respiro profondo e accennò un sorriso di gratitudine mentre si massaggiava i polsi e stiracchiava i muscoli.
“Quelle che posso!”
“Perché mi hai liberato?”
“Perché sei pronto per la tua prima lezione!”
 
 
Qualcuno bussava insistentemente alla porta. Il rumore non era forte, era debole, ma continuo.
“Avanti!” mugugnai ancora mezza addormentata, mentre i resti del sogno che stavo facendo scivolavano via dalla mia mente.
La porta venne aperta di poco e vidi il volto di Cyfer sbirciare nella camera.
“Vuoi ancora che ti porti da Robert Swish?” domandò in un sussurro, probabilmente per non svegliare gli altri membri della casa.
Mi svegliai di colpo.
“Certo che lo voglio!”
“Allora vestiti, tra cinque minuti partiamo!”
Mi misi a sedere sul letto lanciandogli un’occhiata in tralice.
“Non puoi semplicemente dirmi dove si trova, così vado da sola senza disturbarti?” la parola ‘disturbarti’ mi uscì un po’ più ironica di quanto avrei voluto.
“Direi che ti accompagno, mi fa piacere!”  anche il suo tono era ironico.
“Bè a me no, vorrei un po’ di privacy!”
“Non te la posso concedere!”
“Non devi rimanere qui a proteggere Dave?” sbottai contrariata alzandomi in piedi.
“Meglio che tenga d’occhio te!”
Sorrisi.
“Non ti fidi affatto vero?”
“Nemmeno un po’!” era serio.
Mi avvicinai ancheggiante a lui riprovando l’ebbrezza di sentirmi sexy e di sedurlo.
“Sbagli!” sussurrai divertita a pochi centimetri dalle sue labbra.
“So che mi nascondi qualcosa Marguerite Jones!” disse sfiorando il mio naso col suo con fare minaccioso “E giuro su me stesso che scoprirò di cosa si tratta!”
Sorrisi e gli sbattei la porta in faccia. Sentii un tonfo e seppi che la porta doveva aver colpito il suo naso in pieno. Mi venne da ridere, ma mi trattenni, anche se non potevo far a meno di sentirmi soddisfatta. Quella mattina ero di buon umore.
Andai verso la valigia più grande per cercare qualcosa di pulito da mettere mentre nella testa mi frullavano strani pensieri a proposito di creatività e magia.


Questo capitolo è un po' un trampolino di lancio per tutto ciò che accadrà nei prosssimi capitoli, che sinceramente non vedo l'ora di postare! XD
Il nome Cyfer è preso da Richard Cyfer, del ciclo della spada della verità (forse avete sentito nominare il telefilm). E' una saga alla quale mi sono appassionata nell'ultimo anno e quindi ho deciso di renderle una sorta di tributo. Anche il nome del ragazzo del sogno è dovuto a lui.
Per quanto riguarda 'La proiezione del male' diciamo che è un'altra storia che avevo iniziato a scrivere, ma che poi ho abbandonato perchè non avevo una trama che mi soddisfacesse, nonostante tutto sono riuscita a creare la 'fine' della sotira, ed è proprio quella che leggerete nei sogni di Mar.
Bene, detto tutto ciò vi do appuntamento al prossimo mercoledì :D
Naturalmente grazie mille a tutti voi. Questa settimana in particolare cvorrei ringraziare le 36 pazze persone che mi hanno messa tra gli autori preferiti: siete davvero pazzi, ma diciamo che sono felice che lo siate!
Daisy

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***




CAPITOLO 16

“Bella macchina!” esclamai guardando la bmw nera parcheggiata di fronte a casa Sullivan. Era una bella auto sportiva e, anche se non apprezzavo la compagnia, non vedevo l’ora di salirci sopra.
“Non è mia!” disse con disappunto Cyfer evitando di guardarmi e facendo scattare la serratura premendo un pulsante sulla chiave dell’auto. Osservai la luce arancione lampeggiare e aprii impaziente la portiera. L’abitacolo era confortevole, allacciai la cintura e mi misi comoda aspettando che anche lui salisse.
“Posso guidarla?” domandai a bruciapelo.
“Quale parte di ‘non è mia’ non ti è chiara?”
Sbuffai, quell’uomo era davvero noioso.
“E di chi sarebbe?”
“Non sono tenuto a dirtelo!”
Mi accigliai, incrociai le braccia e mi voltai verso di lui. Il suo profilo si stagliava contro il finestrino del guidatore come la sagoma di una statua. Era immobile tranne che per il braccio destro che saettava per cambiare le marce, i piedi, che alternavano acceleratore, frizione e freno e la bocca che si muoveva impercettibilmente per rispondere alla mia domanda in modo tanto elusivo.
“E’ uno di quei segreti che mi porterebbero a morte certa se lo sapessi?” lo canzonai.
Strinse le labbra infastidito “Non siamo in un film Marguerite!”
“Non siamo in un film Marguerite!” gli feci il verso divertita.
Lui parve non sentirmi.
“Perché stiamo andando da Robert Swish? Credevo che tu lo odiassi, ha cercato di ucciderti!”
Risi “Non sono tenuta a dirtelo!”
“Questo non è un gioco Mar! Io non posso rivelarti informazioni riservate perché il mio è un lavoro! Tu invece sei solo una ragazzina che trama chissà cosa!” il suo tono di voce era duro. Non mi guardava, teneva gli occhi fissi sulla strada, come se io non fossi di fianco a lui.
“Smettila di darmi della ragazzina, ho più di vent’anni!” sbottai infastidita. Nella mia vita poche volte mi era capitato di avere a che fare con uomini come lui, era orgoglioso, ma anche incredibilmente fiero e dedito al proprio lavoro, forse erano queste le caratteristiche che più mi infastidivano di lui, oltre all’essere un gran ficcanaso, naturalmente.
“Non sono molti! E poi tu sei proprio come una ragazzina, anzi come una bambina. Fai della vita il tuo giocattolo, ma non ti soffermi minimente su ciò che vogliono gli altri. Magari a loro non piace essere tue pedine o degli elementi del tuo gioco, magari loro vogliono solo vivere la propria vita!”
Alzai un sopracciglio. Quell’uomo, un uomo praticamente sconosciuto, mi stava facendo la predica? Come diavolo osava?
“Sei un ipocrita moralista, proprio come Dave!” sbottai desiderando che un fulmine lo colpisse in pieno.
“Sto parlando di Dave!”
Mi bloccai un attimo. “COSA?” la mia voce si fece leggermente più acuta del normale.
“Lascialo vivere, esci dalla sua vita e da quella di Alexander! Loro hanno già abbastanza problemi senza le tue manie di grandezza!”
“Chi sei tu per dire una cosa del genere? Loro non sono mai state mie pedine, sono l’unica famiglia che mi sia rimasta!” lo dissi come se fosse vero, rimasi quasi colpita da come sembravano sincere le mie parole.
“Ho visto quanto basta! Se non fosse stato per te, Alan non sarebbe mai entrato nelle loro vite!”
“Forse, ma se io non ci fossi stata la tua organizzazione da quattro soldi non avrebbe mai saputo della sua esistenza e di ciò che faceva alla gente!”
“Non è un’organizzazione da quattro soldi!”
“Ah-ah sì come no!” ero molto ironica e il divertimento prese il posto della rabbia.
“E’ un’associazione che ha fini profondi, facciamo ciò che altri non possono fare, proteggiamo la gente dalla magia!” mentre lo diceva gonfiò il petto, come se fosse profondamente orgoglioso di quello che faceva.
“Uuu e siete così bravi a proteggere le persone che per colpa vostra mia madre mi ha venduta e io non ho mai potuto vivere con lei!” non che la cosa mi importasse, ero grata ad Alan per avermi dato la vita migliore che potessi desiderare, ma Cyfer non lo sapeva e volevo che si sentisse in colpa.
“Non siamo Dei!” sembrava seccato dalla mia osservazione. Sorrisi soddisfatta e guardai gli alberi che sfrecciavano fuori dal finestrino, una macchia verde indistinta che sfilava davanti ai miei occhi.
“Se vi è sfuggito uno come Alan, che alla fine non ha mai fatto del male fisico a nessuno, chissà quante altre persone vi sono sfuggite, ben più pericolose magari!” assaporai il suono delle parole che avevo appena pronunciato attendendo con ansia la sua risposta.
“Alan era molto pericoloso. Tu credi che se il danno non è fisico allora non è grave, bè ti sbagli di grosso! Alan è uno dei più pericolosi che abbiamo preso finora e anche uno dei più scaltri. Era impossibile da rintracciare proprio perché le vittime non sapevano che le decisioni che prendevano non erano loro!”
“Ci sono persone più pericolose di Alan Black!” dissi sovrappensiero mentre nella mia memoria compariva il bel volto di Jasmine Becketly.
“Cosa intendi dire?” per la prima volta dall’inizio del viaggio i suoi occhi saettarono per un secondo su di me prima di tornare sulla strada. La sua curiosità era stata ridestata e io mi sentivo stupida per essermi dimenticata quanto quell’uomo potesse essere fastidiosamente interessato ai miei segreti.
“Nulla!” risposi con noncuranza guardandolo con la coda dell’occhio. Rimase in silenzio, ma non era affatto convinto. Mi morsi leggermente la lingua, maledicendola.
Poco importava, dopotutto presto me ne sarei andata da casa di Dave per sempre e non lo avrei mai più rivisto.
La macchina rallentò, accostò a destra e alla fine si fermò di fronte ad un grande edificio bianco.
Sempre in silenzio scendemmo dall’auto e salimmo le scale che portavano all’entrata principale. Aprì la porta e mi fece cenno con la testa di precederlo, probabilmente per tenermi d’occhio. Lo superai a testa alta e mi addentrai nell’ampio atrio, verso quello ce sembrava un banco informazioni.
Sentii dei passi leggeri, segno che lui mi stava seguendo. Potevo percepire la sua presenza poco lontano dalle mie spalle, non voleva mollarmi un attimo. Era davvero fastidioso il suo comportamento, mi sentivo anche io prigioniera, pur essendo dall’altra parte delle sbarre.
“Salve, vorrei vedere Robert Swish. E’ ancora qui vero?” mi rivolsi alla donna che stava dall’altra parte del bancone. Lei alzò lo sguardo ed incontrò il mio. Sorrisi, non potevo far a meno di pensare a quanto fosse soddisfacente sapere che quello era un errore. Era bello avere la consapevolezza che era ancora sbagliato per una persona comune incontrare i miei occhi color pece.
“Non è giorno di visite!” la signora sembrava annoiata. Abbassò lo sguardo su una rivista che probabilmente stava leggendo prima del nostro arrivo.
“Ma è ancora qui?”
Alzò di mala voglia gli occhi dal giornale incontrando nuovamente i miei. Dovevo essere rapida e far in modo che la mia sentinella personale non se ne accorgesse.
La donna era seccata e stanca.
Quei sentimenti divennero miei. Ero seccata e stanca.
Fai un’eccezione per noi. Fammi vedere Robert Swish e non far entrare l’uomo che sta dietro di me.
Le iridi della donna si fecero opache per una frazione di secondo. Distolse gli occhi dai miei e li puntò sullo schermo del computer che si trovava sulla sua scrivania. Digitò qualcosa e attesi con impazienza trattenendo il fiato. Sapevo che Cyfer non poteva aver notato nulla, per anni avevo fatto quel giochetto anche in presenza di gente comune e chi vi assisteva non si rendeva mai conto di quello che stava accadendo. D’altra parte non ero stupida e sapevo che lui era molto più attento di qualsiasi altra persona avessi mai incontrato.
“Swish si trova ancora qui!” disse sovrappensiero la donna facendo scorrere con un dito la rotellina del mouse. Quando lo disse trattenni per un secondo più del necessario il respiro. Una parte di me aveva sperato che Rob non ci fosse, che fosse stato rilasciato, almeno sarei riuscita a spiegare perché si era presentato di fronte all’appartamento di Emily due giorni prima. Al solo pensiero di ciò che aveva fatto l’ira si impadronì di me. Scoprii che il dolore e le sensazioni deboli che avevo provato dopo che mi ero risvegliata nuda sul pavimento nella casa di Emily erano bloccate dal muro che il potere aveva costruito attorno a me, non mi urtavano più. Sapevo di aver provato quelle cose, ma non ne soffrivo, l’unica cosa che sentivo era un selvaggio bisogno di vendetta. Volevo vederlo inginocchiarsi davanti a me e chiedere perdono per ciò che aveva fatto, volevo distruggerlo quasi quanto volevo distruggere Dave.
“Bene! Quando è possibile vederlo?” si intromise Cyfer. La donna lo guardò per un istante più del necessario, infine sorrise. “Anche ora signor..?”
“Cyfer!” mi voltai giusto in tempo per vedere il mio secondino lanciarle uno sguardo di stupore.
“Ma ha appena detto che oggi non è giorno di visite!” Cyfer socchiuse leggermente le palpebre con fare sospettoso e fui sicura che il suo sguardo si fosse posato un secondo su di me. Decisi di non verificarlo voltandogli le spalle e guardando la nostra interlocutrice.
“Posso fare un’eccezione, seguitemi!”
Uscì da dietro la scrivania e lanciò una lunga occhiata di apprezzamento a Cyfer.
La donna ci guidò in una stanza ampia. Un lungo tavolo si trovava sul lato opposto della sala, suddiviso da dei pannelli verticali in tanti piccoli scomparti. Ogni scomparto aveva una sedia, un telefono e un vetro che separava prigionieri da visitatori. La donna mi fece cenno di accomodarmi di una delle sedie e Cyfer mi seguì come un’ombra.
“Emh…” iniziò incerta la donna “Lei non può restare!” era visibilmente dispiaciuta. Abbassò lo sguardo per non incontrare gli occhi cacao di Cyfer.
“Perché?”
“Le visite possono essere fatte da una persona per volta!” sussurrò così piano che mi stupii che lui l’avesse udita.
Cyfer mi lanciò un’occhiataccia e io cercai di non mostrarmi soddisfatta da ciò che stava succedendo.
“Sopravviverò anche senza di te!” dissi con innocenza. La sua mascella si irrigidì.
“Non potrebbe fare un’ulteriore eccezione?” domandò alla donna senza staccare gli occhi da me.
“Non ne ho il potere!” la donna era davvero dispiaciuta. Lo precedette fuori dalla stanza.
“Verrò a raccogliere i tuo resti!” sibilò lui.
“Come sei premuroso!” lo canzonai. Sbattè la porta uscendo e io mi sedetti comodamente attendendo impaziente l’incontro con Robert.
Ancora mi sembrava strano che lui si trovasse lì. Quello che non mi spiegavo era perché era uscito di prigione e soprattutto come. La cosa più sconvolgente di tutte era il motivo per il quale c’era tornato. Era uscito da quel posto per poi ritornarci come se nulla fosse, per me non aveva alcun senso.
Vidi la porta sul fondo dell’altra metà della stanza aprirsi. Attraverso il vetro guardai un alto agente tenere con una grossa mano il braccio di Rob guidandolo verso la sedia dinnanzi alla mia. Rob teneva lo sguardo basso, aveva una divisa arancione e sembrava molto più magro di come lo ricordassi. Si sedette, ancora senza guardarmi e aspettò che l’agente uscisse dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Non vedevo l’ora che mi vedesse pronta a scatenare su di lui tutta la mia ira.
Finalmente alzò gli occhi azzurro chiaro e un barlume di sorpresa mista a sollievo attraversò le sue iridi mentre esse incontravano le mie.
Sorrisi beffarda.
Anche lui lo fece, come se fosse il mio riflesso maschile. Prese il telefono e io feci altrettanto.
“Marguerite, che piacere!” esclamò con voce bassa, senza sforzare in maniera eccessiva le corde vocali, sembrava stanco, ma volenteroso di intrattenere una conversazione con me. Un moto d’odio mi attraversò e mi ritrovai a volergli fare del male.
“Immagino tu sappia perché sono qui!” dissi freddamente assaporando ogni istante di quel colloquio.
“Per vendicarti! Non ci vuole un genio a capirti Mar!” appoggiò il gomito sul tavolo e mi guardò in attesa della mia prossima mossa.
“Dimenticavo che mi conosci così bene!” ghignai “Ma dovresti anche sapere che la vendetta è un piatto che va servito freddo!”
“Dopo quello che ti ho fatto non pensavo che tu seguissi certi formalismi!” il suo sorriso si aprì ancora di più, lo stesso ghigno sadico che aveva stampato sul volto mentre mi bloccava alla parete e cercava di baciarmi. La stessa espressione che aveva usato quando aveva cercato di farmi leccare il suo sangue. Guardai il telefono e, travolta dall’odio immaginai che una scarica di corrente partisse da esso e lo colpisse. Lo vidi contorcersi a terra urlante di dolore.
Strinsi i denti, ma non feci svanire il sorriso freddo che mi ero stampata in faccia.
Improvvisamente lui sbarrò gli occhi, lasciò cadere la cornetta. Allontanai di scatto la mia dall’orecchio mentre il frastuono si propagava attraverso essa. Rob urlò di dolore e cadde a terra rovesciando la sedia. Mi alzai velocemente per riuscire a vederlo. Era in posizione fetale rannicchiato a terra, era scosso dagli spasmi, come se una scarica elettrica lo stesse attraversando.
Era successo di nuovo, Jasmine mi aveva ascoltata, ma perché non lo ammetteva?
Provai una gioia selvaggia nel vedere Rob lì a terra, con le urla strozzate in gola, la bocca aperta incapace di emettere alcun suono. Guardai la porta dalla sua parte, ma nessuno entrò per vedere cosa stava accadendo.  Ad ogni tremito trattenevo il respiro, ansiosa di assistere allo spasmo successivo, ne avevo bisogno, come l’aria. Mi sentivo rinvigorire ogni volta che i tratti del suo volto si irrigidivano a causa della corrente che lo attraversava. Con mio disappunto i tremiti diminuirono, rendendo i tratti di Rob più morbidi, meno contratti.
Poi vidi la sua bocca muoversi come a pronunciare delle parole, agguantai il ricevitore e con un sorriso lo accosta all’orecchio mentre i miei occhi si beavano di quella porzione di vendetta.
“Basta ti preeego!” biascicò a fatica, pronunciando l’ultima parola con sofferenza. Il respiro era affannoso, lo vidi rigirarsi sul pavimento mentre con gli occhi fissava il soffitto. Erano spalancati, sembravano folli, non avevo mai visto quell’espressione sul suo volto.
“Ti ho detto tutto …” continuò a guardare, senza vederlo, il soffitto che lo sovrastava.
Mosse la testa a destra e a sinistra. “Tutto!” mugugnò. “Ti prego! Basta!” sembrava non si rendesse conto che il dolore era cessato, si comportava come se ancora stesse soffrendo, un atteggiamento curioso che tuttavia non scalfì la mia intima soddisfazione.
“Cosa mi hai detto Rob?” domandai incuriosita, alzando il volume della voce al massimo, sperando che la mia voce uscisse dalla sua cornetta che ondeggiava a pochi centimetri dal pavimento e riuscisse a raggiungere le sue orecchie.
Il suo respiro era accelerato e i suoi occhi erano vitrei. Tremava leggermente, come se la scossa non lo avesse abbandonato, ma intuivo che il tremito doveva derivare da qualcos’altro, qualcosa che lo spaventava e che proveniva da lui stesso.
“Rob!” lo chiamai, alzando ancora un po’ la voce.
Lui parve destarsi da un lungo sonno. Sbattè un paio di volte le palpebre perplesso e si portò una mano alla testa, la massaggiò e mugugnò qualcosa prima di alzare lo sguardo e incontrare i miei occhi. Sorrisi beffarda, mentre le sue palpebre si spalancavano e lui si affrettava a riprendere posto sulla sedia. Era ancora scosso, ma non aveva mollato il mio sguardo neanche per un secondo.
Agguantò velocemente il ricevitore e mi guardò come se mi stesse sfidando a fare un commento su quanto era appena accaduto, non potevo non accettare la sfida.
“La prigionia non ti dona Rob, forse dovrebbero mandare uno psichiatra anche a te!” sogghignai.
“Oh, non credo di essere pazzo!”
“Sai sto studiando psicologia e non credo che tu sia stabile mentalmente!”
Rise senza allegria alzando lo sguardo al cielo.
“Detto da te non è poi una gran cosa! Non sei mai stata a posto!”
Incassai il suo tentativo di farmi arrabbiare sorridendo e lo guardai con interesse.
“Cos’è successo prima?” il desiderio di vendetta aveva fatto posto alla curiosità, un ragazzo come Rob non impazziva in prigione in quel modo, volevo capire cosa c’era sotto il suo strano comportamento.
“Sono caduto!” disse con noncuranza.
“Ti accade spesso?” ribattei con tono canzonatorio.
“A volte!”
“Hai parlato!” aggiunsi.
“Strano. Credo di farlo anche adesso!” mi prese in giro.
Il mio ghigno si fece più freddo mentre la rabbia rincominciava a ribollirmi dentro.
“Hai detto ‘Basta, ti ho detto tutto, basta!’” feci il verso rendendo male il tono spaventato e disperato che aveva usato lui. Lo vidi rabbrividire e distogliere lo guardo da me per posarlo su un punto imprecisato del vetro.
“Ti prego vattene!” sembrava nuovamente stanco e non più ben disposto a chiacchierare come mi era sembrato all’inizio.
“Dopo che avrai pagato per quello che mi hai fatto!”
Sorrise come se la sapesse lunga. Si avvicinò al vetro, una piccola porzione di esso si appannò a causa del suo respiro caldo.
“Avrei dovuto ucciderti!” sibilò cercando di mettere in quelle parole tutto l’odio che evidentemente provava per me.
“Hai ragione!” ridacchiai “Avresti dovuto, ma se tu l’avessi fatto non proverei il piacere che provo stando qui a chiacchierare con te!”
“Avrò la mia occasione!” parve riprendersi da poco prima e sembrò addirittura speranzoso.
“Non vedo l’ora!” replicai facendogli l’occhiolino.
“Allora? Come pensi di vendicarti?” sembrava tranquillo, come se non mi reputasse abbastanza pericolosa, si sarebbe pentito del suo atteggiamento.
“Prima vorrei che tu rispondessi a delle semplici domande!”
Rimase in silenzio attendendo che cominciassi. Strinsi la mascella indecisa su come iniziare.
“Perché sei tornato qui?”
Ridacchiò con cupa allegria “Avevo scelta?”
“Decisamente sì!” forse la prigionia l’aveva davvero fatto impazzire.
“Io non la vedo così!”
“E come la vedi?” ero incuriosita dal nuovo Rob che avevo di fronte e vogliosa di impossessarmi dei suoi segreti per poi ritorcerglieli contro.
“Mi hanno messo dentro con la forza, non è stata proprio una mia volontà!”
Probabilmente era evaso, ma poi erano riusciti a riprenderlo. Sperai che l’avessero picchiato prima di rimetterlo dentro. Se fossero arrivati prima io non sarei stata violentata da quella specie di uomo. Un moto di disgusto si propagò dentro di me, inondandomi come un fiume in piena. Non avevo più voglia di chiacchierare, volevo fargli del male, com’era accaduto prima. Volevo la mia vendetta, volevo che soffrisse per ciò che mi aveva fatto, per l’umiliazione che a causa sua ero stata costretta a subire. Si sarebbe dovuto sentire impotente, come mi sentii io quel giorno.
Jasmine!
La chiamai con la mente, come avevo fatto il giorno precedente.
Fagli provare dolore, non mi importa in che modo, basta che si rotoli per terra supplicandomi di farti smettere.
Attesi fiduciosa, ma Rob era ancora sano e mi guardava con curiosità mista a finto divertimento, voleva mostrarsi spavaldo, ma nemmeno lui era tanto convinto di esserlo.
JASMINE!
La chiamai nuovamente, ma non avvenne niente, dannata donna e i suoi strani modi d’agire.
Incontrai gli occhi di Rob e li incatenai ai miei, avrei trovato un altro modo per fargli del male.
“Uuu vuoi giocare con gli sguardi?” disse lui fingendosi spaventato.
“Mi è sempre piaciuto, e lo sai!”
“Hai lo stesso sguardo magnetico che avevi prima!” sembrò quasi ammirato e per un istante abbandonò l’espressione spavalda che aveva. Sembrava solo sincero.
“E’ perché sono com’ero prima!” sibilai con soddisfazione.
All’inizio lui parve non capire, poi man mano che i centesimi di secondo passavano vidi la consapevolezza raggiungere i suoi occhi azzurri. Si spalancarono di stupore, ma ormai era troppo tardi, non sarebbe riuscito a distogliere lo sguardo, lui era mio, completamente mio. Mi beai di quella frazione di istante pronta a fare il passo successivo. In quel momento lui aveva intuito cosa stava per accadergli e quella consapevolezza che ardeva nei suoi occhi mi fece gioire.
Era spaventato e sorpreso.
Feci le sensazioni mie. Ero spaventata e sorpresa.
I nostri occhi erano incatenati indissolubilmente, avrei anche potuto trascorrere diverso tempo in quello stato eppure lui non sarebbe stato in grado di staccare lo sguardo da me. Ero il magnete e lui era un piccolo, inutile pezzo di ferro.
Non fu difficile formulare l’ordine, venne dai recessi della mia mente, come se fosse sempre stato lì, in attesa di essere pronunciato dalla voce della mia testa.
Non smettere di fissarmi per nessun motivo, non sbattere le palpebre, sta immobile.
Sorrisi. Era la prima volta che davo un ordine del genere. Di solito le richieste erano sempre qualcosa che poteva essere connesso con le decisioni che una persona poteva davvero aver preso autonomamente, ma non quella volta. Leggevo nei suoi occhi la consapevolezza di ciò che gli stava accadendo. La cosa che gli avevo chiesto di fare era così innaturale che lui era consapevole che fossi stata io ad ordinarlo e non poteva fare niente per contrastarmi. Ero io la causa del dolore che probabilmente iniziò a provare quando non chiudeva le palpebre da un minuto, era merito mio se i suoi occhi erano diventati lucidi e le lacrime uscivano copiose da essi. Era merito mio se le vene rosse divennero evidenti contro il bianco della zona intorno all’iride.
Mi beai di ogni istante, sentendomi sempre meglio di fronte a ciò che gli stava succedendo. Lo odiavo, lo avevo odiato fin da quando aveva iniziato a perseguitarmi quando volevo divertirmi, lo detestavo da quando lo avevo sentito discutere la mia morte con Alan in quel bagno. Lo volevo distruggere da quando si era impossessato del mio corpo senza permesso.
Non pensavo di provare tutta quella gioia nel vederlo soffrire, ma ancora non mi bastava, io ero stata peggio di così.
Puoi sbattere le palpebre.
L’ordine partì dai miei occhi e raggiunse i suoi. Per qualche istante le sbattè talmente tanto frequentemente che si confondevano con le iridi chiare. Sorrisi.
Mi guardò spaventato e cercò di distogliere lo sguardo dal mio, ma non ci riuscì, non gli avevo ordinato di farlo. Per la prima volta da quando ero giunta lì parve aver paura di me, poi i suoi occhi si fecero di nuovo assenti e fece scivolare la cornetta dalle dita, essa urtò con un tonfo al bordo del tavolo e fui costretta, ancora una volta, ad allontanare il ricevitore dall’orecchio, per evitare il frastuono.
“Non farmi del male!” piagnucolò mentre altre lacrime si aggiungevano a quelle versate prima.
“E’ colpa tua se ti faccio del male!” sussurrai con dolcezza, gustando ogni istante della sua pazzia.
“Io ti ho detto tutto… l’avevi promesso!”
“Cosa avevo promesso?” ero nuovamente curiosa.
“Che avresti smesso!”
“Non ricordo di avertelo detto!”
Pianse ancora più forte, gli occhi nei miei senza però vederli.
“Basta!”
“Smetterò, se farai tutto quello che ti dico di fare!” pronunciai con finta dolcezza ogni singola parola, assaporandone il suono, come se fossero fatte di cioccolata.
“Tutto!” asserì.
“Smetti di respirare!” un ampio sorriso si aprì sul mio volto e lo osservai in attesa che eseguisse il mio ordine.
Lui parve risvegliarsi da quello stato di trances nel quale era scivolato e mi guardò come se fossi impazzita.
Smetti di respirare.
Ripetei l’ordine facendolo passare tramite gli occhi e lui finalmente obbedì. Sbarrò le palpebre e trattenne il fiato. Più i secondi passavano più la pelle del suo viso si prendeva colore, ben presto divenne rossa. Le vene sul suo collo erano più visibili, potevo quasi vedere il sangue pulsare all’interno di esse. Gli occhi erano diventati sporgenti, era come se da un momento all’altro minacciassero di saltare fuori dalle orbite.
Ed era meraviglioso. Sentii ogni frustrazione legata a ciò che mi aveva fatto scivolare via, sentii che ogni cosa tornava al suo posto. Mi persi in quell’attimo di beatitudine sentendomi incredibilmente meglio.
Basta così.
Ordinai quando ormai era un passo dal morire soffocato. Riprese a respirare quasi con disperazione. Alla prima boccata d’aria seguirono una serie di colpi di tosse molto forti, che mi fecero sorridere. Anche il secondo respiro fu difficoltoso come il primo. Rob si portò una mano alla gola come se questo potesse alleviare il suo dolore, non tentò nemmeno di parlare mentre cercava di riprendersi.
Lo osservai facendomi beffe di lui, quello che avevo davanti agonizzante era un uomo che una volta aveva meritato il mio rispetto e forse un pizzico della mia stima, guardandolo in quel momento non era altro che una persona che pagava giustamente per gli errori commessi nella sua vita.
“Non sarai più un problema Robert Swish!” sorrisi, mentre lui tremava leggermente, ancora scosso dalla prolungata mancanza di ossigeno.
Mi concentrai sui suoi occhi un’ultima volta.
Sei finito Rob. Guardati sei una nullità, la tua vita non ha più senso, non sei più potente come una volta. Ma una soluzione c’è. Basta che ti togli la vita Rob. Ucciditi facendolo sembrare un suicidio o un incidente, non raccontare a nessuno di ciò che ci siamo detti.
Sorrisi mentre i suoi occhi si riempivano di terrore allo stato puro, ancora una volta aveva compreso perfettamente cosa gli avevo chiesto ed era consapevole di non volerlo fare.
Ghignai sapendo che avrebbe dovuto, non aveva scelta. Distolsi gli occhi dai suoi rompendo la catena invisibile che li teneva collegati. Mi alzai dalla sedia mentre lui mi fissava terrorizzato con le lacrime che gli solcavano il volto copiose, ma senza emettere un suono. Ammirai che, nonostante tutto, non mi supplicasse di risparmiarlo, orgoglioso fino alla fine, degno allievo di Alan Black.
“Addio Robert!” dissi con voce solenne, ma senza riuscire a trattenere un pizzico di allegria “E’ stato un piacere conoscerti!” marcai volutamente le parole con dell’ironia sprezzante. Lanciai un’ultima occhiata all’ombra di quello che una volta era stato Robert Swish, il pallido, magro ragazzo dai capelli d’oro e gli occhi cielo che aveva potuto tenere il mondo in una mano.
Gli voltai le spalle e, ancheggiando, uscii dalla stanza richiudendomi la porta dietro di me senza mai smettere di sorridere.


Emmm sono la tizia che ha scritto questo capitolo, ciao a tutti.
Quando ho buttato giù tutto questo, un mese fa, mi sembrava geniale e adesso mi sembra così incoerente. Voi che ne dite?
Ho cercato di far capire quanto Mar odi Rob, ho voluto renderla spietata in questo capitolo. Forse le sue reazioni sono esagerate eppure lei non se ne rende conto.
Oddio, ho paura di scrivere qualche cavolta. 
Oddio, vi aspettavate una vendetta così? Io fino all'ultimo non volevo che fosse così drastica eppure mi sono costreta a farlo. Non sono una che ama le morti e le distruzione eppure ho sentito che doveva andare così.
Ok, la smetto.
In questo capitolo vorrei ringhiaziare di cuore le mie 4 recensitrici, che non mancano mai: con le vostre parole la mia vita si 'illumina d'immenso'. Grazie di cuore.

ILoveItBabyBloomsburyCleare97shadowdust.
Per spoiler e notizie sugli aggiornamenti mi trovate su questa pagina facebook https://www.facebook.com/pages/Gioco-di-parole/116255365194270?ref=hl
Se volete di recente ho anche aperto un blog su tumblr, vi lascio il link nel caso voleste farci un girohttp://daisypearlefp.tumblr.com/
Daisy

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13
 
Trascinai la porta alle mie spalle, ma prima che essa fosse definitivamente chiusa Cyfer la bloccò stendendo il braccio e posando la mano aperta su di essa. Ero sorpresa, ma tentai di non farglielo notare. Il suo braccio era a pochi centimetri dalla parte destra del mio viso mentre i suoi occhi incontravano i miei. Credeva di sembrare pericoloso probabilmente, ma a me faceva solo ridere per quanto illuso  fosse. Non mi mossi.
“Fammi passare!”
“Non puoi entrare!” cercai di non mostrarmi troppo soddisfatta, ma non fui sicura di riuscirci, ero troppo felice.
“La signora ha detto che può entrare solo uno alla volta, ora tocca a me!” fece un passo di lato per aggirami e spalancò ancora di più la porta. Strinsi la mascella. A quello non ci avevo pensato, sembrava bravo ad aggirare gli ostacoli e io non potevo impedirgli di entrare senza insospettirlo. Mentre il mio cervello lavorava freneticamente per risolvere il problema mi misi di lato e gli feci cenno di entrare con finta cortesia. Lanciai un’occhiata alla stanza mentre lui mi oltrepassava rivolgendomi un sorriso finto. Un uomo in uniforme aveva agguantato un Rob ancora tremante e lo stava scortando, o meglio, trascinando fuori dalla stanza. Rob teneva gli occhi bassi e riuscii a scorgere solo il breve luccichio delle lacrime che ancora scorrevano sul suo volto prima che voltasse le spalle a noi. Vidi Cyfer muovere la mano dinnanzi a se per richiamare l’attenzione del secondino, urlò un ‘aspetti’, ma l’uomo non poteva sentirlo a causa degli spessi vetri. Così Cyfer corse in avanti, forse aveva in mente di fare qualcosa per indicare la sua presenza.
Il tempo si dilatò mentre cercavo di pensare a qualcosa. Non potevo nemmeno immaginare quali domande avrebbe posto Cyfer a Rob, quest’ultimo non gli avrebbe detto nulla sul mio ordine, ma Cyfer era un uomo intelligente e sicuramente si sarebbe reso conto di quanto il ragazzo era spaventato. Avrebbe collegato il suo comportamento al nostro colloquio e sarebbe diventato ancora più ficcanaso. Poi sarebbe arrivata la notizia del suicidio di Rob e lui l’avrebbe collegata a me, avrebbe fatto due più due e io sarei stata nella merda fino al collo. Non potevo permetterlo.
Non potevo star lì e sperare che Jasmine corresse in mio aiuto, si era dimostrata più volte inaffidabile. Dovevo agire da sola, ma come?
Un pensiero mi attraversò la testa, veloce fulmineo, illuminante.
Magia creativa.
Vedevo Cyfer correre al rallentatore, una gamba davanti all’altra, i muscoli del viso contratti, i capelli leggermente indietro per via del movimento.
Chiusi gli occhi e nella mia mente si formò l’immagine di quell’uomo che cadeva a terra. La vedevo chiaramente, come se stesse davvero avvenendo. Spalancai le palpebre e Cyfer inciampò nel nulla e cadde in avanti. Mise le mani davanti a se per attutire la caduta e chiuse gli occhi con forza, facendo comparire delle piccole rughe sull’estremità di essi. Alzai lo sguardo e vidi il secondino girarsi, posare lo sguardo su di me, l’unica persona visibile dal momento che Cyfer era a terra, e rivolgermi un leggero cenno col capo. Sorrisi, dopo di che aspettai che la porta si richiudesse alle loro spalle e tornai a guardare Cyfer. Non mi venne da ridere mentre lui faceva leva sulla braccia per rimettersi in piedi, la scena sarebbe stata divertente in un’altra occasione. In quel momento ero stupita. Mi sentivo come Colombo dopo aver scoperto l’America, stordita e euforica al tempo stesso. Aveva funzionato. Avevo immaginato ciò che volevo succedesse e questo era accaduto. Forse ancora una volta era stata Jasmine, ma una piccola parte di me sperava che ne fossi io l’artefice. Cyfer mi fissò con sguardo duro e marciò oltre la porta, verso il corridoio che portava alla stanza iniziale. Lo seguii persa nei miei pensieri.
E se non fosse mai stata Jasmine e fosse stato sempre merito mio? Quando l’avevo ringraziata per l’aiuto che mi aveva dato con Dave e Cyfer lei non mi aveva forse detto che non aveva fatto nulla?
L’euforia si impadronì di me mentre vagliavo quella nuova e sconcertate possibilità. Dovevo verificare se era davvero così.
“Non si potrebbe richiamare il prigioniero? Dovrei anche io parlare con lui!” sbottò Cyfer abbandonando la gentilezza mentre si rivolgeva alla signora all’entrata.
Lei evitò i suoi occhi e sospirò di spiaciuta.
“Potevo fare un’unica eccezione!”
Lui strinse la mascella. Era ovvio che mi aveva accompagnata per parlare con Rob, scoprire se aveva dei contatti con Alan Black, per tenermi d’occhio e magari venire a conoscenza dei miei piani, ma gli era andata decisamente male.
Borbottò un ‘grazie’ e si diresse a grandi passi verso l’uscita. Lo seguii gongolando. Entrammo in macchina in silenzio e mi misi comoda attendendo che lui parlasse. In tutta risposta si mise l’auricolare bluethoot  nell’orecchio e compose un numero sullo smartphone, dopo di che lo posò nelle fessura accanto al cambio e girò la chiave nella serratura. Il motore si accese rombando e io mi accigliai chiedendomi chi stesse chiamando.
“Salve signore, sono Cyfer Edward!”
Ci fu un attimo di silenzio in cui lui mi lanciò un’occhiata minacciosa. Finsi di non notarla e guardai fuori dal finestrino del passeggero, cercando di sentire tutto quello che diceva a quello che dedussi fosse un suo superiore.
“Ho bisogno che mandi un agente ad interrogare Robert Swish… sì è sospettato di avere dei contatti con Black … So che è già stato portato avanti un interrogatorio, ma le cose sono cambiate, dobbiamo assicurarci che non siano in contatto… questo pomeriggio? Fantastico! … Grazie signore, a fine giornata le invierò il mio rapporto … anche a lei!” chiuse la chiamata mentre il mio cervello lavorava.
Da quello che avevo appena udito Robert era stato interrogato da quella specie di associazione, probabilmente si riferiva a loro quando diceva ‘ho detto tutto’, ma mi sfuggiva perché ne sembrava terrorizzato.
“Che metodi usate per interrogare le persone?” domandai a bruciapelo. Cyfer non mi guardò.
“Che carina, ti preoccupi per Robert!” ribattè con sarcasmo.
“Rispondi alla domanda!”
“Non sono affari tuoi!”
“Ma immagino abbiate i vostri metodi!”
“Come tutti!”
“A volte fate del male alle persone?”
Lui rimase qualche secondo in silenzio. Lo osservai mentre la mascella si contraeva e lo sguardo si assottigliava.
“Dipende dall’importanza delle informazioni di cui necessitiamo!”
“Rob è impazzito!” rivelai improvvisamente. Lo vidi corrucciarsi mentre probabilmente il suo cervello lavorava cercando di capirne le ragioni. “Sembri sorpreso, non eri informato su tutto?” lo canzonai.
“Se fosse impazzito l’avremmo saputo e di sicuro gli avrebbero affidato uno psichiatra!”
Alzai le spalle mentre lui mi lanciava un’occhiata obliqua e sospettosa.
“Quando gli parlavo un attimo prima mi rispondeva normalmente e l’attimo dopo lo sguardo diventava assente mugugnava qualcosa come ‘ti ho detto tutto, basta!’”
Seguirono pochi minuti di silenzio in cui Cyfer rimurginava sulla cosa. A me faceva comodo che pensassero che fosse impazzito, in questo modo sarebbe stato più facile giustificare la sua morte e nessuno avrebbe pensato a me.
“Cosa vi siete detti?” domandò a bruciapelo lanciandomi una breve occhiata prima di continuare a prestare attenzione alla strada.
“Tu non rispondi alle mie domande e vuoi che io risponda alle tue?” incrociai le bracci al petto reprimendo un sorriso.
“Ti ripeto Mar, il mio è un lavoro, la tua è curiosità!”
Alzai le spalle. “Rispondi e io risponderò!”
“Aaah” sbottò “Non importa, sono bravo a scoprire le cose per conto mio, ma sappi che tu non mi convinci affatto!”
Finsi palesemente di essere offesa “Io? Ma sono una così brava ragazza!” sghignazzai.
“Tu sei una ragazzina pericolosa!”
“E tu un agente che non sa stare in piedi!” ribattei riferendomi alla sua caduta provocata da me o da Jasmine.
Lui contrasse i muscoli della faccia e non aprì bocca finchè non raggiungemmo casa Sullivan.
Entrammo e trovammo Dave e James in cucina intenti a chiacchierare di chissà quale argomento. Non appena entrammo nella stanza James arrossì vistosamente e abbassò lo sguardo per non incontrare i miei occhi, mentre Dave mi sorrise come se solo con la mia presenza potesse finalmente iniziare la sua giornata. Gli feci un cenno gentile di rimando, con la testa, e mi sforzai di non pensare a tutti i modi dolorosi in cui avrei potuto distruggerlo. Avrei potuto baciare il suo amico James di fronte a lui, ma decisi di aspettare. Più sarebbe stata lunga l’attesa, maggiore sarebbe stata la dolcezza della vendetta. Ancora ero euforica per quello che era successo con Robert e per il momento poteva bastarmi. Dovevo ancora tenermi amico Dave.
Cyfer lanciò un occhiata a tutti i presenti, come per valutarli, dopo di che uscì dalla stanza e sentii che saliva le scale diretto al piano superiore. Mi sedetti di fronte a James e accanto a Dave, che occupava il posto di capo tavola.
“Alex ha accennato che andavi da Robert!” Dave sembrava preoccupato. Com’era schifosamente dolce.
Gli sorrisi come se fossi grata per il suo interesse e annuii per confermare.
“Perché non mi hai chiesto di venire con te?”
Non sembrava offeso, quanto più ferito.
“Erano faccende tra me e lui!” allungai la mano e sfiorai il suo avambraccio come avevo visto fare nei film. I suoi occhi saettarono sulla mia mano prima di tornare a fissare i miei. Sembrava che quel contatto lo tranquillizzasse. Lanciai un’occhiata a James che sembrava trovare particolarmente interessante una crepa nel tavolo di legno.
“Puoi parlare di fronte a lui, sa tutto!” disse Dave sottolineando col tono della voce la parola ‘tutto’.
“Tutto?” chiesi incerta, sperando di aver frainteso.
Lui annuì e diete una pacca amichevole sulla spalla dell’amico, che sorrise impercettibilmente continuando a fissare il tavolo.
Lanciai un’occhiataccia a Dave desiderando di prenderlo a schiaffi. James non era proprio la persona ideale alla quale raccontare tutto, era timido e di fronte ad una piccola minaccia poteva confessare tutto. Se Cyfer lo avesse scoperto lo avrebbe rincretinito a furia di fargli domande e dopo pochi minuti avrebbe confessato tutto senza nemmeno rendersene conto. Cyfer non doveva assolutamente venire a sapere che sia io che Dave avevamo i poteri di una volta.
Quest’ultimo mi sorrise con fare un po’ colpevole. “Si è offerto volontario per vedere se i miei poteri funzionano davvero e, Mar, sono davvero tornati!” era quasi commosso. Che ipocrita. Aveva sempre detto che amava il libero arbitrio e che le nostre facoltà non erano nulla di buono eppure anche lui si sentiva completo e felice nel riaverle.
Sospirai. “E va bene!” sbottai decidendo che più tardi mi sarei occupata di quello scemo di James.
“Non dovevi andare senza di me!” ribadì Dave sorridendomi sollevato che non fosse più arrabbiata con lui.
Cercai di non ringhiargli contro, ma ci volle parecchia forza di volontà.
“Conosco Rob meglio di te, ero io a dovergli parlare non tu!”
Lui fece per dire qualcosa, ma all’ultimo cambiò idea, chiuse la bocca e attese che io continuassi.
“Alan l’ha chiamato e gli ha detto che lo dobbiamo incontrare domani, mi ha dato un indirizzo!”
Le palpebre di Dave si spalancarono e un lampo di paura attraversò le iridi verde scuro. James alzò lo sguardo  e per la prima volta lo puntò su di me, ancora più spaventato di Dave.
Approfittai del momento in cui i miei occhi neri si incatenarono con i suoi marrone chiaro, protetti da un paio di lenti.
Era spaventato e preoccupato.
Niente di più facile. Ero spaventata e preoccupata.
Non dire a nessuno quello che ti ha rivelato Dave.
Il suo sguardo si fece assente per una frazione di secondo e poi tornò normale.
“Domani?” esclamò Dave evidentemente preso alla sprovvista. Annuii.
“Hai completato il libro vero?” gli domandai.
“Sì, mancano le parti che devi scrivere tu!” la voce era ferma, ma la preoccupazione deformava i bei tratti del suo volto.
“Bene!” esclamai alzandomi spostando la sedia con poca delicatezza.
 Due paia di occhi mi fissarono. “Prima finiamo meglio è!” aggiunsi. Passai dietro Dave e raggiunsi James. Non resistetti alla tentazione. Mi abbassai e gli scoccai un bacio sulla guancia. Cercai di trattenere un sorriso soddisfatto mentre lui assumeva lo stesso colore di un pomodoro e Dave mi guardava stupito. Ancheggiai fuori dalla stanza sperando che James prendesse fuoco.
 
 
 
Non fu difficile completare il quaderno iniziato da Dave. Com’era già successo le parole mi vennero naturali, quasi ovvie e l’unica cosa che dovevo fare era metterle per iscritto. Più che altro si trattò di un lavoro lungo e noioso che mi aveva occupato quel poco che restava della mattina e quasi tutto il pomeriggio. Dopo che scrissi l’ultima parola allontanai il viso dal quaderno e lo fissai, come ad ammirare l’opera. Feci un sorriso e mi massaggiai il polso destro, distesi le dita atrofizzate e sospirai. Avevo bisogno di una doccia rilassante. Presi il quaderno e lo inserii nella scatola che aveva contenuto il potere che Jasmine aveva predisposto per Dave e posi il contenitore sotto al letto. A Cyfer poteva sempre venire voglia di ficcanasare per la camera di Dave, quell’uomo non aveva limiti.
Dave invece aveva pensato bene di non disturbarmi durante la giornata, doveva essere parecchio teso, ma comprendeva perfettamente l’importanza di terminare il quaderno prima dell’indomani, giorno in cui temeva avrebbe potuto perdere potere. Io sperai che oltre a quello perdesse anche la sua umanità.
Non stavo più nella pelle al pensiero di ciò che sarebbe successo il giorno successivo, anche se in realtà non ne avevo la più pallida idea. Ero certa che si sarebbe trattato di qualcosa di grandioso che finalmente mi avrebbe dato la vendetta che tanto agognavo.
Raccolsi gli indumenti puliti e un paio di asciugamani prima di uscire dalla porta. Rimasi sorpresa quando vidi che seduto per terra, con la schiena poggiata contro il muro, c’era Dave. Sentendo che uscivo alzò lo sguardo su di me e mi sorrise dolcemente.
“Mi chiedevo quando avresti finito!” si alzò in piedi e mi sovrastò con la sua statura. Accennai un sorriso.
“Da quanto tempo stai aspettando qua fuori!”
Lui alzò le spalle con fare non curante e si guardò in giro.
“Mezz’ora!”
Ghignai senza farmi vedere, gli voltai le spalle e mi diressi verso il bagno. Sapevo che mentiva, probabilmente era lì fuori da multo più tempo. Sentii dal rumore di passi che lui mi stava seguendo. Raggiunsi la porta della toilette e feci per sparire altre ad essa.
“Possiamo parlare?” azzardò lui guardandosi nervosamente attorno. Sbuffai, ma sapevo che era necessario mantenere una buona facciata di fronte a lui. Con la testa gli feci cenno di seguirmi, entrò nella stanza con me e si chiuse la porta alle spalle. Sospirò mentre io, per sicurezza, aprivo il rubinetto della doccia in modo tale che lo scrosciare dell’acqua coprisse le nostre parole.
“Mar!” mi afferrò il polso e mi guardò con gravità “Non siamo costretti a farlo!” sembrava che mi stesse implorando di cambiare idea.
“Non ti facevo così fifone!” sbottai sperando di ferire il suo orgoglio maschile.
“Mar, sai che come te voglio che Alan la smetta di tormentarci, ma ho paura per te!” sembrava sincero e mise passione in queste parole.
“Dovresti temere più per te stesso, ho tenuto testa ad Alan meglio di come abbia mai fatto tu!”
Sorrise e mi guardò con orgoglio. Mi diede un buffetto sulla testa e, così facendo, mi scompigliò i capelli.
“Sei una piccola guerriera!” sussurrò guardandomi con dolcezza, gli occhi li brillavano come se stesse guardando qualcosa di immensamente prezioso. Perché non la smetteva? Era fastidioso.
“Mica tanto piccola!” dissi mettendomi in punta dei piedi e raggiungendo più o meno la sua altezza. Il sorriso sul suo volto si aprì ancora di più.
“Ti proteggerò a costo della vita Mar!” esclamò facendosi serio di colpo.
“E se fossi io a dover proteggere te?” odiavo che pensasse che io ero debole e che lui doveva salvaguardare la mia vita. Mi tranquillizzai pensando che di li a ventiquattrore avrebbe pensato l’esatto opposto, non vedevo l’ora.
Senza preavviso posò le labbra sulle mie, con disperazione, come se quello fosse il nostro ultimo bacio. Non fu difficile per me rispondere al bacio, dopotutto bastava chiudere gli occhi e dimenticarmi che la persona dinnanzi a me era una di quelle che odiavo di più al momento. Dave era sempre stato un buon baciatore e non potevo negare che fosse un ragazzo decisamente bello. Ero tornata ad essere la vecchia Mar, quella con gli ormoni su di giri e quindi non potei far a meno di eccitarmi di fronte a quel contatto.
La sua lingua trovò la mia mentre le sue mani affondavano nei miei capelli. La sua presa era salda e fece aderire maggiormente le nostre bocche. I nostri respiri si erano fatti più corti. Abbandonò le mie labbra e con una scia di roventi baci raggiunse il mio collo. Gettai la testa all’indietro per facilitargli il compito e lui lo morse con dolcezza, facendo poi scorrere la lingue dove aveva posato i denti.
Mi lasciai andare alle sensazioni, assaporando, dopo tanto tempo, la sensazione di riuscire a sedurre qualsiasi uomo con il mio corpo mozzafiato. Non vedevo l’ora di rincominciare a divertirmi come facevo fino a pochi mesi prima, ma prima avrei dovuto distruggere la persona che il quel momento di stava dando tutto quel piacere.
Inspirò profondamente, come se cercasse di catturare tutto il mio odore, di farlo suo. Poi le sue dita finirono sul bottone dei jeans, con rapidità lo slacciò e la mano sparì oltre l’elastico delle mie mutandine. Ansimai con gli occhi socchiusi guardando le sue spalle. Le mie mani raggiunsero a fatica il bordo della sua maglietta e un istante dopo era a petto nudo di fronte a me. Posai le labbra sulla scapola, ormai libera dagli indumenti, mentre con le dita lui faceva crescere sempre di più il piacere che provavo. Ansimai raggiungendo il culmine.
Facemmo sesso. Sullo squallido pavimento freddo del bagno di Alex. Io mi godevo di ogni sensazione fisica, mentre Dave si beava delle sensazioni che provava il suo cuore. Mentre lasciava dei piccoli baci roventi su tutto il mio corpo sussurrava ‘ti amo’ con una tale devozione che pensai di essere diventata un oggetto di culto. Non prestai molta attenzione a quelle due piccole parole, per me non avevano alcun significato. Ripensai al dolore che avevo provato, richiamai alla mente come aveva contribuito a distruggere ciò che ero e gli morsi forte la spalla. Osservai il segno dei miei denti rimanere impresso nella sua pelle, ma lui parve non farci caso. Continuava a sussurrare il mio nome come una preghiera e a dirmi che mi amava.
Per lui era un possibile addio, per me era un addio certo, lui era stato condannato nell’esatto momento in cui era entrato nella mia vita.
Guardai i suoi occhi verdi velati dal desiderio, li incatenai ai miei e desiderai togliergli tutto quello che gli restava dell’essere che era. Nero e verde, l’avevo sempre pensato che eravamo così sbagliati.
Smisi di pensare e mi lasciai andare la piacere mentre un altro ‘ti amo’ usciva dalle labbra socchiuse di Dave. Fu allora che vidi un nuovo sentimento premere contro il mio scudo, lo catalogai come affetto. Sorrisi meschinamente contro la spalla di Dave sapendo che quella sensazione non mi avrebbe mai raggiunta, ero ben protetta. Quasi mi presi gioco di lei.
Dave mi guardò negli occhi, le iridi gli brillavano di una strana luce, forse si aspettava che anche io gli dichiarassi il mio eterno amore. Mi raddrizzai e mi diressi verso la doccia, dalla quale ormai da tempo stava scorrendo l’acqua. Gli sorrisi con fare provocatorio e inclinai la testa all’indietro lasciando che il getto di acqua calda mi scivolasse addosso e cullasse i miei muscoli tesi. Socchiusi gli occhi e lo guardai con desiderio, speravo davvero che si unisse a me, ma Dave era Dave e quando si trattava di fare qualcosa che tutti i ragazzi avrebbero reputato normale e naturale lui faceva l’alieno.
Evitò i miei occhi fissando il pavimento. “Siamo tornati insieme vero?” lo chiese con lo stesso tono di un bambino che è stato colto con le mani nel sacco, come se si sentisse colpevole a dire quelle parole.
“Siamo mai stati insieme Dave?” domandai passandomi le mani tra i lunghi capelli appesantiti dall’acqua.
Lui ci mise un po’ a rispondere.
“Sai che per me è così!”
Non riuscì a trattenere una risata. “Per te siamo stati insieme e ci siamo anche mollati, ma non per me. Noi non siamo mia stati insieme e non ci siamo mai mollati!” gli sorrisi. Afferrai il sapone, ne misi un po’ sul palmo della mano e me lo spalmai addosso con perizia, lanciando ogni tanto delle occhiate a Dave che cercava disperatamente di non fissare il mio corpo nudo coperto solo da un velo d’acqua e di schiuma. Era spassoso osservare i suoi tentativi mal riusciti e mi sentii più sexy che mai. Io ero riuscita a conquistare l’uomo più strano della terra, se non era stata quella un’opera da maestro, quale poteva esserlo allora?
“Scusa?” attirai la sua attenzione “Potresti mettermi il sapone sulle spalle?”
Finalmente mi rivolse un’occhiata senza fingere di non farlo, parve sofferente, come se volesse supplicarmi di non chiedergli una cosa del genere. Era troppo divertente perché non lo facessi. Alzò gli occhi al cielo e capii che avrebbe ceduto, gli passai il flacone di bagnoschiuma stando attenta a far in modo le nostre dita si toccassero più del necessario e gli diedi la schiena. Afferrai con entrambe le mani i capelli che mi scivolavano fino al sedere e me li portai su una spalla.
Sentii il freddo bagnoschiuma sfiorarmi la pelle, creando un  delizioso contrasto con le calde mani di Dave che, prima con timidezza e poi con perizia, toccavano ogni singolo centimetro della mia schiena. Sospirai e rilassai i muscoli godendomi la sensazione. Lo sentivo trattenere il respiro, tuttavia non cercò nuovamente di fare sesso con me, era come se reputasse erotico anche il semplice gesto di cospargermi di schiuma. Agguantò il bocchettone della doccia e mi tirò per un braccio gentilmente io modo da farmi girare. Entrò con me nell’ampia cabina-doccia e si chiuse lo sportello alle spalle. I nostri corpi si sfioravano creando elettricità, ma lui sembrava non interessare. Mi guardò nuovamente negli occhi, con una dolcezza tale, che se fossi stata una ragazza normale probabilmente mi sarei sciolta, invece avrei solo voluto possederlo oppure fargli sbattere con violenza la testa contro il muro.
Gli sorrisi maliziosa, invitandolo ad andare più in profondità, ma lui parve non notarlo. Avvicinò il getto d’acqua al mio corpo e con la mano libera mi accarezzò la pelle in modo tale da liberarla dal sapone. Il suo tocco era gentile, ma non per questo meno eccitante, tuttavia non presi l’iniziativa, l’avevo già avuto dopotutto.
Mi lasciai andare alla nuova sensazione rilassante delle sue mani sulla mia pelle, intente a rimuovere ogni traccia di bagnoschiuma. Quando finì chiuse il getto d’acqua e rimise il bocchettone al suo posto. Mi guardò sorpreso dal mio silenzio e fece l’ultima cosa che mi aspettavo: mi abbracciò. Un abbraccio casto, disperato, senza doppi fini. Era come se i nostri corpi non fossero nudi a stretto contatto l’uno con l’altro. Poi capii, per la seconda volta in quella serata, che per lui quello era un addio, non poteva nemmeno immaginare cosa sarebbe capitato il giorno dopo e voleva essere pronto a tutto. Così melodrammatico. Mi venne da sorridere.
Sciolsi l’abbraccio e, senza guardarlo, uscii dalla cabina doccia, afferrai l’asciugamano e me lo avvolsi attorno al corpo. Lui mi seguì e fece la stessa cosa. Ci asciugammo e ci rivestimmo prima di uscire dal bagno in silenzio. In quel momento in corridoio stava passando Cyfer, vedendoci uscire dalla toilette di lanciò uno sguardo di disapprovazione misto a rimprovero, al quale avrei voluto rispondere alzando un dito poco elegante della mano.
I suoi occhi cioccolato incrociarono i miei, strinse la mascella e fece per aprir bocca, ma il suo tentativo fu interrotto dal suono del cellulare. Distolse lo sguardo da noi e Dave fece per andarsene via assumendo un’aria un po’ colpevole. Io invece rimasi immobile, non volevo perdermi la conversazione al telefono per nessun motivo al mondo.
“Pronto, sono Edward Cyfer!” rispose voltandomi le spalle. Vedendo che non lo seguivo Dave mi lanciò un’occhiata interrogativa, ma io lo ignorai.
Ci furono un paio di minuti di silenzio poi Cyfer esclamò: “Oddio!” si portò una mano alla bocca. Poi fece dietro front e si diresse verso le scale che portavano al piano terra. Lo seguii senza pensarci due volte.
“Ma perché? Non era instabile!” domandò. Il mio cuore accelerò, sapevo di cosa stavano parlando. Cercai di reprimere il sorriso vittorioso che mi stava spuntando sul viso, soprattutto perché Dave mi stava accora fissando perplesso e un po’ preoccupato.
“Va bene!” Cyfer chiuse la chiamata mentre era arrivato nell’atrio. Si voltò verso di me, evidentemente consapevole che l’avevo seguito e aggrottò le sopracciglia.
“Pare che tu avessi ragione. Robert sembra sia impazzito!”
L’euforia si impadronì di me.
“Cos’è successo?” domandai cercando di sembrare in ansia mentre in realtà conoscevo già la risposta. Cyfer mi lanciò una lunga occhiata prima di voltarmi le spalle e uscire di casa.



In questo capitolo ho voluto inserire una parte tenera/non tenera di Dave e Mar, un po' perchè mi mancavano, un po' perchè rende la gravità della stuazione. A rileggere i 'ti amo' sospirati da Dave avrei voluto far rispondere in modo positivo Mar, ma lei non ha voluto. Lei vuole distruggerlo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche questo era un po' di passaggio e a me non fa impazzire particolarmente. Dopo di questo prevarrà fndamentalmente l'azione, almeno fino al capitolo 20. Nel prossimo capitolo inoltre torneranno i sogni di Mar e quindi rivedrete Richard, Mark e Myria.
Voglio ringraziare con tutto il cuore coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: le vostre parole per me sono di fondamentale importanza *.* 
Bloomsbury Cleare97 ILoveItBaby
Daisy


 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Myria osservò Richard mentre parlava con un Josef. Quest’ultimo era un vecchio che se perdeva le staffe era in grado di emanare una quantità di potere in  grado di far saltare in aria tutta la tenuta. Per i primi tempi Myria aveva costruito intorno a lui una specie di campo di contenimento, in modo da contenere eventuali fuoriuscite di potere, poi, col tempo gli aveva insegnato a controllarsi  e lei era sicura che stava per giungere il momento di renderlo libero. Richard era piegato sulle ginocchia e ascoltava quello che il vecchio Josef aveva da dargli con un sorriso educato dipinto sulle belle labbra. Lei sospirò ammirando la bellezza del giovane: i capelli biondo sporco che gli arrivavano fino alle spalle gli davano un’aria regale, ma era lo sguardo a colpirla di più. I suoi occhi erano gentili e le facevano tremare le gambe ogni volta che si posavano su di lei.
Sentii dei passi che si avvicinavano e non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi era giunto accanto a lei.
“E’ sotto controllo!” disse trattenendo a stento la felicità.
“No che non lo è!” Mark sembrava furioso. Lei si voltò per guardarlo in faccia e la trovò contratta, come se non fosse contento dei progressi di Richard.
“Che ti prende?” gli domandò accigliandosi.
“Lo fai stare così vicino agli altri, così minacci le loro vite e tu lo sai!”
“Ti sbagli! Lui è sotto controllo!”
“Come puoi dirlo dopo sole due settimane?”
“I suoi battiti sono sempre regolari, i suoi occhi sempre normali, lo controllo, prendo nota dei cambiamenti e nelle ultime due settimane non ne ha avuti, si sta opponendo!”
“La sua nuova natura prenderà il sopravvento!” sibilò tra i denti Mark distogliendo gli occhi dal bel viso di Myria e posandolo sul ragazzo.
“E’ questa la sua natura!” esclamò lei indicando con la mano Richard.
“Sappiamo che non è così!”
“E’ un ragazzo molto forte, ce la farà!”
“Com’è possibile che il mostro che è in lui non sia mai emerso nemmeno una volta? Non può esserci un cambiamento così netto!” ribattè lui fissando il ragazzo con odio.
“E’ piuttosto bravo a mettere in pratica i miei metodi!” sbottò lei.
“Non dire sciocchezze, i tuoi metodi sono fallaci!”
Myria sentì la rabbia crescere dentro di lei, si portò le mani sui fianchi e lo guardò malissimo.
“Puoi anche non credere che funzionano, ma i fatti parlano diversamente!”
“Io so perché sei così convinta che stia funzionando!” sbottò lui.
“Ah sì?” lo sfidò lei incollerita sempre si più.
“Lui ti piace!”
Ci fu una pausa di silenzio.
“E anche se fosse?” stette sulla difensiva.
“Dato che ti piace sei propensa a credere che lui sia normale, così potrai vivere con lui una vita piena e felice!”
Lei strinse la mascella e cercò di placare la rabbia. Mark era solo preoccupato per la sua e l’incolumità di tutte le persone che stavano in quella casa e in quella porzione di foresta.
Fu allora che avvenne quello che le meno si sarebbe aspettata.
Un urlo si sollevò nell’aria, come se venisse da tutte le parti. Il cuore di Myria accelerò e i battiti, si guardò attorno per cercare la fonte dalla quale provenisse. Vide le spalle di Richard contrarsi e una mano agitarsi davanti a lui. Si spostò di lato per vedere meglio e il terrore le attanagliò le membra. Il vecchio Josef urlò di nuovo e poi la sua mano si accasciò a terra. Myria non aveva bisogno di avvicinarsi per sapere cos’era successo.
“NO!” gridò con disperazione fiondandosi in avanti. Prese Richard per le spalle e lo allontanò dal corpo esanime di Josef, si piegò su di lui e le lacrime le inondarono gli occhi azzurri.
“Josef!” mormorò, come se questo potesse riportarlo in vita.
“Josef!” sospirò nuovamente chiudendogli gli occhi rovesciati all’indietro, di cui non si vedevano più le pupille.
Trattene il respiro mentre lentamente si voltò per fronteggiare Richard. Lui la stava fissando divertito. Aveva un sorriso meschino dipinto sul volto, un ghigno che rovinava i suoi bei tratti. Lei rabbrividì e fissò i suoi occhi. Le pupille invece di essere nere erano rosso sangue e sembravano brillare come torce. Richard si passò la lingua sulle labbra come se stesse ammirando al sua prossima succulenta preda.
“Hai tanto potere da darmi!” sussurrò studiandola con una brama sempre crescente negli occhi. Il cuore di Myria sembrò bloccarsi, mentre il mondo le cadeva addosso. Aveva sperato di essere riuscita a guarirlo, ma probabilmente la magia che lo aveva mutato era molto forte, gli serviva del tempo. Lanciò uno sguardo preoccupato a Mark che non staccava gli occhi da Richard, attento ad una sua qualunque mossa, ma non sembrava spaventato, era più ammirato.
Myria cercò di deglutire. Non sapeva cosa fare. Non poteva fare del male a Richard, non lo avrebbe sopportato, ma se si fosse lasciata uccidere non avrebbe più potuto aiutare nessuno.
Il ghigno sul volto del ragazzo si aprì e un secondo dopo Richard era scomparso. Myria riprese a respirare e sentì dei rumori proveniente da un’altra stanza. Il cuore riprese a battere furiosamente, corse verso il rumore con dietro Mark. Spalancò la porta giusto in tempo per sentire un altro urlo. La voce era più acuta e le fece gelare il sangue nelle vene. Richard teneva tra le braccia una bambina. La testa della piccola penzolava nel vuoto. Lui sorrise e la posò a terra senza molte cerimonie. Nuove lacrime sgorgarono dagli occhi di Myria mentre il peso di due vite cadeva addosso alla sua stupidità. Stava pagando per il suo errore, stava pagando a caro prezzo.
Socchiuse gli occhi e fisso con ira sempre crescente Richard, o la sua ombra.
Immaginò con tutte le sue forze una luce che si diramava da ogni suo poro e lo travolgeva in pieno privandolo dei sensi.
Una luce accecante uscì da lei, si sentì scaldare le membra, le lacrime sul suo viso e sul suo collo evaporarono, il dolore fu tutto concentrato in quel gesto. La luce travolse Richard facendo spegnere il ghigno soddisfatto che lo rendeva così diverso dal ragazzo che aveva conosciuto, dal ragazzo che aveva iniziato ad amare. Lui spalancò gli occhi mentre la luce rossa nelle sue pupille non si spegneva.
Si accasciò a terra come morto.
 
 
Mi svegliai di scatto trattenendo un urlo. Ansimavo terrorizzata, la luce accecante sembrava ancora balenare di fronte ai miei occhi. Li chiusi cercando di farla scomparire, eppure era ancora lì, come se fosse stata dipinta dinnanzi alle mie pupille. Mi stropicciai gli occhi e tentai di ricordare il sogno.
Come sempre, più i secondi passavano, più esso scivolava via dalla mia mente, però quella volta avevo raggiunto una consapevolezza in più: facevo sogni che contenevano sempre gli stessi personaggi. Cercai di rammentarne qualcuno, ma l’unico nome che mi risuonò nella testa fu Myria. Mi alzai di scatto continuando a ripetermelo per paura di dimenticarlo, presi una penna dalla scrivania di Dave e cercai disperatamente un foglio, non trovandolo me lo scrissi su un lato del palmo della mano.
Myria.
Perché mai dovevo inventarmi un personaggio del genere? Sospirai cercando di calmare il mio cuore impazzito mentre osservavo le lettere impresse nella mia pelle. Mi passai l’altra mano sulla fronte e la trovai sudata, mi asciugai con il lenzuolo del letto di Dave. Lui avrebbe preferito dormire con me, ma avevo pensato bene di fare come la sera precedente, avevo finto di dormire occupando tutto il letto e lui, per non svegliarmi, aveva deciso di dormire al piano di sotto, sul divano.
Guardai fuori dalla finestra, la notte ancora non era passata, mi avvicinai al vetro e posai la fronte su di esso, rabbrividendo per il contatto freddo del vetro contro la mia pelle calda. Sospirai. Il mio cuore stava riacquistando il suo solito ritmo pacato, mi trascinai verso il letto e mi ci buttai sopra. Se volevo eliminare quel senso di inquietudine che continuava ad albergare in me per via del sogno dovevo pensare a qualcosa che mi rendesse felice. Pensai al potere che avrei avuto se fossi riuscita a rubare a Jasmine le sue facoltà. Non sarebbe più stata lei a dettare ordini, ma io. Immaginai Dave trattenere il respiro come aveva fatto Rob, vidi la sua faccia diventare rossa, quasi bordeaux, la sua bocca si apriva e si chiudeva come quella di una pesce, cercando di far entrare in essa dell’aria, ma non ci riusciva. Poi cadeva a terra esanime. Immaginai di sovrastarlo e di ridere di lui e dei suoi vani tentativi di sopravvivere. L’inquietudine scivolò via come acqua e mi ritrovai a sorridere sperando che quel giorno arrivasse presto, ridacchiai pensando che probabilmente non era così lontano, anzi. Eravamo alla resa dei conti.
Mi stiracchiai e feci per chiudere gli occhi quando udì dei forti colpi di tosse provenire dal piano di sotto. Un grande fracasso poi si levò nella casa, rumore di qualcosa di metallico che cadeva a terra, probabilmente più di qualcosa. Altri colpi di tosse, quasi disperati. Mi misi seduta tendendo l’orecchio. Sentii dei passi in corridoio e mi precipitai verso la porta spalancandola. Cyfer, con un’agilità che non pensavo potesse avere, fece i gradini a tre alla volta. Giunse nell’atrio  e mise le mani unite di fronte al suo viso, le braccia tese. Teneva in mano una pistola. Forse c’era un intruso in casa. Camminando in punta dei piedi lo seguii giusto in tempo per vederlo scomparire oltre la porta del soggiorno. Gli arrancai dietro mentre altri passi agitati mi seguivano, mi voltai e vidi Alex in pigiama, il volto teso per la preoccupazione, gli occhi sbarrati e fissi sulla porta della sala, entrambi sapevamo chi c’era al suo interno. Sentimmo nuovi colpi di tosse, più moderati, ma non per questo meno anormali e, senza badare alla prudenza, Alex mi superò ed entrò nella stanza, lo seguii senza pensarci troppo. Una sagoma era accasciata a terra scosso da violenti colpi di tosse che sembravano dovergli aprire uno squarcio nel petto. Qualcuno accese la luce e io mi ritrovai a chiudere gli occhi non abituati al chiarore della lampadina che pendeva dal soffitto in modo poco elegante. Scorsi ad occhi socchiusi che la sagoma sul pavimento era Dave, Cyfer era accanto a lui, la pistola posata a terra vicino alla sua mano sinistra, mentre la destra era sul collo di Dave, controllava i battiti probabilmente.
Alex si precipitò dal figlioccio e si inginocchiò accanto a Cyfer portandosi una mano alle labbra. Accarezzò la testa di Dave con dolcezza mentre io rimanevo immobile dietro di lui senza capire cosa fosse successo. Sul pavimento c’erano diversi oggetti che probabilmente qualcuno aveva fatto cadere a terra.
“C’è stato un intruso?” azzardai leggermente preoccupata, non per la salute di Dave, ma piuttosto per il fatto che qualcuno potesse essere entrato in quella casa, questa era una minaccia anche alla mia sicurezza.
Cyfer scosse la testa per negare.
“Credo che abbia avuto un attacco d’asma!” sospirò mentre nuovi colpi di tosse uscivano dalla gola di Dave. “Dave non soffre di asma!” esclamò Alex con la voce leggermente più acuta del solito.
Dave non soffre di asma.
Le parole mi risuonarono nella testa come un’eco.
“Serve dell’acqua!”  intervenne Cyfer guardandomi. Mi diressi verso la cucina e riempii un bicchiere di acqua come se fossi un automa, un solo pensiero occupava la mia mente: Dave non soffriva di asma
“Chiamo un’ambulanza!”
“Non è necessario, sto bene!” biascicò lui con voce roca mentre tossiva ancora.
“E’ meglio che non parli Dave!” lo ammonì Alex agitato. Gli accarezzò la fronte e Dave cercò di alzarsi, mi avvicinai con il bicchiere d’acqua e lo passai a Cyfer. Non appena lo sguardo di Dave si posò su di me, parve stare incredibilmente meglio, perse un po’ del rossore del viso e piegò le labbra secche in un piccolo sorriso. Cercai di ricambiarlo.
“Pensavo che non ti avrei più rivista!” sussurrò prima che la tosse gli facesse serrare forte gli occhi. Si portò una mano al petto. Gli altri due uomini della stanza mi lanciarono un’occhiata prima di rivolgere nuovamente la loro attenzione  a Dave.
“Ti farò delle domande…” inziò Cyfer “Dovrai solo annuire e scuotere la testa!”
Dave annuì debolmente tornando a fissarmi come per farsi coraggio. Distolsi lo sguardo da lui e ripensai alle parole ‘Dave non soffre di asma’.
 Lo sapevo. Ero stata io. Mi ero distesa sul letto e avevo immaginato con chiarezza tutto, con estrema chiarezza.
Magia creativa. Non poteva essere stata Jasmine, lei voleva Dave vivo, le serviva per chissà quali loschi scopi, quindi non poteva essere stata lei. Ero stata io. L’avevo quasi ucciso. Non volevo la morte per Dave Sullivan, quello era un destino che si sposava perfettamente con la meschinità di Rob, Dave andava distrutto come lui aveva distrutto me, ma non si trattava di qualcosa di fisico, doveva avvenire nell’anima. Dave mi serviva vivo, ma l’avevo quasi ucciso.
Lui bevve a piccoli sorsi dal bicchiere mettendosi a sedere, la tosse era diminuita notevolmente, ma ancora lui aveva una faccia sofferente.
Per la prima volta in vita mia ebbi paura, ma non temevo né Jasmine, né Alan, avevo paura di me stessa. Solo immaginando una cosa che non volevo accadesse essa era accaduta, si era trattato di qualcosa di spontaneo e non calcolato. Il potere dentro di me non era programmato per il gioco di sguardi, era solo qualcosa di potenziale che io potevo usare per rendere reale la mia immaginazione. Era qualcosa di terribilmente pericoloso, qualcosa che dovevo imparare a controllare, altrimenti avrei potuto distruggere tutti i miei progetti.
Una voce che non apparteneva a me comparve nella mia memoria.
Da un lato è meglio così, altrimenti ci sarebbero molti più maghi pericolosi in giro!*
Pericolosi. Ogni immaginazione poteva diventare reale. Era spaventoso e allo stesso tempo stranamente eccitante, mi dava un’enorme sensazione di potere. Potevo fare tutto ciò che riuscivo a immaginare con una chiarezza tale da sembrare reale.
Era fantastico. Era terribile. Dovevo controllarlo.
“Ti sei svegliato perché non riuscivi più a respirare?” il tono di Cyfer era grave.
Dave annuì fissando il bicchiere ancora per metà pieno che aveva in mano.
“Qualcuno ha premuto un cuscino su di te?”
Scosse la testa.
“Hai visto qualcuno in questa stanza oltre a te?”
Negò nuovamente.
“Hai fatto cadere tu questi oggetti?”
Dave fece un paio di colpi di tosse prima di annuire. Emise un respiro profondo e tornò a guardarmi, come se fosse felice di riuscire ancora una vola a vedermi.
“Non riuscivo a far entrare in me l’aria!” sussurrò incatenando i suoi occhi ai miei, come se questo potesse dargli la forza di continuare a parlare senza tossire. Fu inutile perché si piegò nuovamente su se stesso.
“E’ finito all’improvviso com’è iniziato?” lui annuì.
Cyfer si fece pensieroso.
“Non so cosa sia successo, ma devi essere tenuto maggiormente sotto controllo!”
“Cosa intendi dire Edward?” domandò un po’ preoccupato Alex.
“Non c’era nessuno, lui non soffre d’asma. E’ la magia!” si guardò intorno nella stanza come se si aspettasse di veder comparire qualcuno che aveva usato i suoi poteri su di Dave, fortunatamente non sapeva che quella persona era già davanti ai suoi occhi.
“Appena farà giorno ti porteremo a…”
“NO!” mi opposi. Io e Dave ci scambiammo una lunga occhiata, entrambi sapevamo perché non poteva essere trasferito, avevamo una missione tutta nostra da compiere.
“Non ho bisogno di essere protetto!” sussurrò Dave.
“Non hai idea di ciò che hai bisogno!” il tono di voce di Cyfer era duro. Ci fissò entrambi con sospetto. “Prepara le tue cose, tra un paio d’ore partiremo!”
Dave mi lanciò un’occhiata d’intesa. Mi precipitai verso di lui e lo aiutai ad alzarsi. Se non fossi stata così stupida da immaginare tutto quello che era poi realmente successo, non avremmo avuto quella complicazione. Uscimmo dalla stanza e lo aiutai a fare le scale sotto lo sguardo attonito di Alex, che probabilmente non si aspettava tanta gentilezza da parte mia. Non ero gentile, avevamo solo fretta. Dovevamo lasciare la casa prima di due ore. Entrammo nella camera di Dave e chiusi la porta alle nostre spalle. Mi staccai da lui che barcollò leggermente, ma a me non importava. Mi chinai ed estrassi da sotto il letto la scatola blu con la scritta d’oro su un lato che recitava ‘Gioco di prestigio’. La aprì e ne estrassi il quaderno che io e Dave avevamo completato, lo portai nella mia borsa.
“Hai circa un’ora per riprenderti!” lo informai sottovoce. Lui annuì e si sdraiò sul letto chiudendo gli occhi.
“La tua macchina è nel garage?” aggiunsi.
“Vialetto!” disse semplicemente. Ancora meglio, sarebbe stato più facile aggirare Cyfer.
Dave allungò la mano e mi sfiorò la gambe dolcemente. Gli sorrisi con fare rassicurante e cercai di far lavorare il cervello nel miglior modo possibile.
Un’ora dopo Dave non era più scosso dai forti colpi di tosse e riusciva a parlare a bassa voce senza che la gola gli facesse troppo male. Uscimmo dalla sua stanza in punta dei piedi e scendemmo le scale attenti a non fare il benché minimo rumore. La luce della cucina era accesa e due voci maschili provenivano da essa: Alan e Cyfer avevano deciso di non andare a dormire, ma di parlare, di male in peggio.
“Non mi fido di lei!” stava dicendo Cyfer e non ci voleva un genio per capire di chi stesse parando.
“A me non piace, ma non ci ha mai traditi!” venne in mia difesa Alex, suo malgrado.
Attraversammo l’ingresso senza fiatare. Passammo velocemente, uno per volta, nel cono di luce che la stanza illuminata gettava nel corridoio e raggiungemmo la porta senza essere notati.
“La sentiranno sbattere!” gli sussurrai indicando la porta. Lui annuì consapevole di quel fatto.
“Lasciamo socchiusa!” suggerì lui. Poteva essere un’idea. Aprii la porta e lo feci uscire per primo, lo seguii immediatamente e socchiusi l’uscio alle mie spalle, prima di abbassarmi come lui per riuscire a passare sotto la finestra della cucina senza essere visti. Passato l’ostacolo facemmo una breve corsa fino al veicolo e senza una parola mi diressi verso la postazione da guidatore, Dave era ancora un po’ instabile per poter guidare e io conoscevo la strada, più o meno.
Lui prese posto accanto a me, mi studiò come a valutare se fossi pronta. Girai la chiave e il motore della macchina rombò facendo tremare leggermente l’intero veicolo. Uscii dal vialetto in retromarcia e finii sula strada vuota delle cinque di mattina. Fu in quel momento che vidi una sagoma uscire dalla casa di Dave, ero sicura che si trattasse di Cyfer. Mi venne da sorridere al pensiero di com’ero riuscita ad aggirarlo e ad ottenere quello che volevo io.
Premetti  a fondo l’acceleratore e, man mano acquistavamo velocità, scalavo le marce con rapidità e fluidità.
“Qualunque cosa succeda oggi, io ti amo Mar!” la voce di Dave era incredibilmente ferma e tornata al volume normale. Gli lanciai un’occhiata veloce e vidi che fissava con intensità la strada invece che me. Sentii la sua mano posarsi dolcemente sulla mia adagiata sul cambio, la strinse brevemente e poi la tolse. Fui sollevata da quel gesto, non ne potevo più di fingere che le sue tenerezze mi piacessero.
Guardai lo specchietto retrovisore e vidi una bmw nera dietro di noi, una macchina sulla quale ero stata troppo recentemente per dimenticarla.
“Merda!” dissi tra i denti afferrando il volante con entrambe le mani e stringendole attorno ad esso per scaricare la mia rabbia su qualcosa.
“E’ Edward vero?” Dave lo domandò come se sapesse già che quello sarebbe successo.
Invece che rispondere voltai velocemente a destra sperando di depistarlo. La macchina finì per pochi istanti sulla corsia opposta prima che riuscissi a raddrizzarla.
“Sì, è quel bastardo di Cyfer!” sibilai controllando nuovamente lo specchietto retrovisore. Proprio in quel momento la macchina nera stava imboccando la stessa svolta che avevo preso io.
“Merda!”
Era umanamente impossibile riuscire a mettere così tanto i bastoni tra le ruote ad una persona come riusciva a fare Cyfer.
La sua auto stava guadagnando terreno molto velocemente.
“Non lo semineremo mai, lui è stato addestrato a fare queste cose!” Dave tossì debolmente.
“Vedremo!” il mo tono di voce era minaccioso.
Immaginai che il motore della sua auto esplodesse. Vidi i pistoni che andavano su e giù sempre più velocemente  che saltavano via. Vidi il tubo che portava ad esso la benzina rompersi.
Guardai lo specchietto retrovisore sapendo già cosa avrei visto.
Un botto squarciò l’aria, la lamiera nera del cofano saltò in aria staccandosi dall’auto e cadendo alla sua sinistra. Dave si voltò e trattenne il respiro.
Le fiamme sbucarono dalla parte anteriore della macchina nera mentre essa sbandava e tagliava l’intera strada per il largo. La bmw si fermò mentre io premetti ancora più forte sull’acceleratore.
“Fermati!” mi intimò Dave “Dobbiamo aiutarlo!”
Osservai nello specchietto retrovisore l’immagine dell’auto in fiamme che si rimpiccioliva sempre di più, vidi un uomo scendere da essa a fatica ed allontanarsi dal veicolo.
“E’ in salvo!” dissi senza far trasparire alcuna emozione “Se ci fermiamo non possiamo regolare i conti con Alan Black!”
Svoltai a sinistra e tornai sulla strada principale.
“Speravo che le mie parole potessero farti tornare in te!” la sua voce era triste. Non capivo.
“Quali parole?” gli domandai.
“I miei ti amo!” sussurrò. Lo guardai con la coda dell’occhio, sul suo viso si stagliava un sorriso amaro.
“Non stiamo andando a sconfiggere Alan, Mar, tu mi stai consegnando!” non sembrava disperato piuttosto deluso e amareggiato.
“Lo affronteremo insieme, Dave!” cercai di sembrare convincente.
“Tu sei sua alleata!”
“Come puoi dire una cosa del genere?” mi finsi offesa, mi concentrai sulla strada cercando di capire la ragione per la quale stava dicendo quelle cose in quel preciso istante.
“L’ho visto nei tuoi occhi, sono sempre stato bravo a leggere le persone, non era solo per via del mio dono che ci riuscivo!”
“Certo Dave, ma stavolta hai letto male!”
“Dall’istante in cui sei tornata in quella sera, con la scatola blu sotto il braccio nei tuoi occhi c’era qualcosa di diverso, erano maligni, anche quando cercavi di essere dolce. Erano freddi come il ghiaccio, erano impenetrabili, era impossibile leggerti dentro. Di solito tu cerchi di nascondere i tuoi sentimenti, ma a volte li fai trapelare, accade con un piccolo sguardo, un piccolo gesto. Da quel momento non hai avuto nemmeno un istante di debolezza, eri di metallo, come se tu non provassi alcuna sensazione!”
“Non dire sciocchezze!” sorrisi come se reputassi stupide le cose che uscivano dalla sua bocca. Invece ero colpita, nessuno aveva capito nulla, lui invece sì, aveva intuito tutto dal semplice fatto che non era più umana, non ero più debole, debole come mi aveva plasmata lui con le sue parole e le sue occhiate.
Strinsi le mani più forte intorno al volante mentre venivo travolta dall’odio per la persona che mi sedeva a fianco.
“All’inizio feci finta di non notarlo, ma col tempo eri irriconoscibile, era troppo palese. Decisi che ti avrei fatta tornare in te!”
Strinsi i denti “Volevi distruggermi un’altra volta!” la mia voce era piena di rancore ed equivaleva ad un’ammissione di colpa, ma poco importava, tanto Dave stava per finire, poteva aver capito tutto ciò che voleva.
“Se essere umana per te vuol dire distruzione, allora sì, volevo distruggerti!”
“Ma non ha funzionato! Le tua paroline dolci, i tuoi gesti non funzionano!” ghignai.
“L’ho capito stamattina in modo definitivo!” sembrava triste, rimasi in silenzio aspettando che continuasse “Quando stavo soffocando ho sentito una risata che mi ha fatto accapponare la pelle e sapevo che era la tua risata!”
Con la coda dell’occhio lo vidi rabbrividire, ricordai che avevo immaginato di ridere godendomi lo spettacolo di lui agonizzante sul pavimento.
“E ho capito anche un’altra cosa, se consegnarmi ad Alan è ciò che ti rende felice, bene, fallo! Tu sei così preziosa per me che non me ne importa nulla di quello che farai della mia vita, puoi vendermi, maltrattarmi, possedermi. Se questo ti rende felice allora lo puoi fare!”
“Oh, non farò nulla di questo!” dissi assaporando le parole sulla lingua prima di pronunciarle “Sei così buono e altruista. Io distruggerò quello che sei, è questo ciò che mi rende felice Dave!”
Sorrisi meschinamente mentre la sorpresa compariva sul bel volto di Dave Sullivan. Aveva capito alcune cose, ma sicuramente non tutte.
Immaginai con estrema chiarezza Dave che sveniva sul sedile dov’era seduto. Un attimo dopo la sua testa penzolava di lato e sobbalzava inerte ad ogni buca.
Sorrisi, era come morto.
 
*E’ una delle frasi dette da Myria quando parla della magia creativa.




Allora che ne pensate. Mar vuole arrivare fino in fondo, ci riuscirà?
Probabilmente il prossimo aggiornamento sarà giovedì della settimana dopo questa, perchè lunedì e mercoledì ho due esami! 
Grazie mille a Bloomsbury Cleare97 ILoveItBaby shadows_fantasy che hanno commentato lo scorso capitolo! Grazia anche a quelle persoa che leggono la mia storia, siete tutti importantissimi :D
Grazie 
Daisy

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***





CAPITOLO 15

Parcheggiai la macchina di fronte alla casetta sperduta dove alloggiava Jasmine. Sorrisi guardandone le finestre e aspettandomi di scorgere la sagoma della strega che mi stesse aspettando. Prima di uscire dall’abitacolo lanciai un’occhiata a Dave che sembrava placidamente addormentato sul sedile del passeggero. Sorrise pensando a quanto sarebbe stato divertente svegliarlo con una secchiata di acqua gelida, ma prima dovevo fare altre cose. Uscii dall’auto e la richiusi e, quando fui fuori, guardai ancora una volta il mio accompagnatore e notai con piacere che il rumore della portiera sbattuta e della serratura che scattava non lo aveva svegliato.
Arrivai dinnanzi al portone e, come avevo fatto la prima volta, bussai. L’uscio si aprì senza l’aiuto di nessuna mano umana e io lo varcai ritrovandomi in un ampio atrio spazioso, illuminato dalla prime luci del giorno. Jasmine non si fece vedere, ma ero consapevole che sapesse della mia presenza nella casa, avevo una teoria secondo la quale mi teneva sempre d’occhio, probabilmente sapeva che sarei arrivata dall’istante in cui l’avevo deciso con Dave.
Eppure nei miei ragionamenti qualcosa non quadrava affatto. Jasmine aveva detto che potevo usare i poteri da lei fornitami solo e soltanto per il gioco di sguardi, ma avevo scoperto che non era così. La vera domanda era: aveva detto ciò perché non voleva che facessi altre magie o perché non sapeva che la magia non era qualcosa di rigoroso? E soprattutto, se mi teneva d’occhio doveva averlo scoperto. Quindi mi teneva d’occhio realmente oppure si era semplicemente fidata di me?
Con tutte queste domande che mi frullavano per la testa presi la scala che portava al piano sotterraneo, attraversai l’ampia stanza rettangolare vuota ed arrivai dove avevo visto Alan fare lo scribacchino. La stanza era nella penombra, leggermente illuminata da una lampadina che pendeva dal soffitto e che non riusciva a rischiarare gli angoli di quel posto.
Jasmine era china sul tavolo con un’enorme libro che doveva essere antichissimo aperto dinnanzi a se. I suoi occhi chiari saettavano velocemente da sinistra a destra, il dito indice posato sulla pagina logora e i capelli che le ricadevano davanti in solitarie ciocche nere. Alan la stava fissando con evidente astio, le braccia conserte e la mandibola serrata. Quando chiusi la porta alle mie spalle due paia di occhi si puntarono su di me.
“Ho il ragazzo e il quaderno!” dissi estraendo facilmente il quaderno dalla borsa e sventolandolo con la mano per attirare la loro attenzione su di esso. Alan sgranò gli occhi, Jasmine sorrise compiaciuta.
“Non vedo il ragazzo!” esclamò gentilmente, spostando senza fare eccessivo rumore la sedia e alzandosi in piedi.
“E’ in macchina, dorme!” risposi prontamente, una volta che fu dinnanzi a me le allungai il quaderno, lei lo afferrò quasi strappandomelo dalle mani, lo aprì e ne sfogliò rapidamente le pagine.
“Hai lasciato il ragazzo in macchina a dormire?” era un po’ incredula.
“In realtà è svenuto!” precisai divertita.
“Come?” lo sguardo di Jasmine si fece glaciale.
Decisi di mentire, non avrebbe saputo dalle mie labbra che sapevo fare qualche giochetto in più rispetto al semplice gioco di sguardi.
“Faceva troppe domande così qualcosa di pesante è finito accidentalmente sulla sua testa!” feci uno sguardo innocente e divertito al tempo stesso.
“Bene!” Jasmine mi sorrise con cortesia e mi oltrepassò, probabilmente andava a recuperare il suo ospite.
“Sei un bravo cagnolino!” sibilò Alan guardandomi con un sorriso storto e un leggero brillio negli occhi.
“E tu un bravo prigioniero, sei passato da un carcere all’altro!” ghignai di rimando.
Lui ridacchiò. “Touchè. Ma l’altro carcere era migliore di questo!”
Mi avvicinai a lui e mi sedetti sulla sedia accanto alla sua.
“Non erano i poteri la cosa che bramavi di più?” lo provocai.
Il suo sorriso si fece amaro.
“Io bramavo libertà e vendetta, non otterrò nulla di ciò!”
“Dovevi pensarci prima di tentare di accoltellarmi!” dissi allegra prendendomi gioco del suo tentativo fallito.
Fece un sorriso freddo. “Avrò la mia vendetta Marguerite, è solo che mi sono stancato di pazientare!”
Risi.
“Lei te lo impedirà!”
“Ha cercato di piegarmi al suo volere, ma io lotterò fino alla fine. L’unica cosa buona che ha fatto quella donna è darmi il potere e con esso una speranza di uscire da questo inferno!” la sua voce era dura “Ma non fidarti di lei, non ci lascerà liberi di sua spontanea volontà!”
“Immagino che combatterai!” lo canzonai nuovamente. Mi fidavo della parola di Jasmine e trovavo stupida la sua reticenza.
“Non farò il cagnolino obbediente, no!” il ‘come te’ era implicito.
“Non sono obbediente, me ne viene in tasca qualcosa, mi vendicherò di Dave!”
“Ah! Ti ha promesso questo, dunque!” sembrava divertito “Sei solo la sua schiavetta! Ti ha mandata in giro a fare le sue commissioni, quando non sarai più utile ti ucciderà. L’unica cosa che mi dispiace è che non lo lascerà fare a me!”
Ridacchiai.
“E così ti ha ordinato di non vendicarti!”
“Tu le servi viva!”
“E Dave?”
“Può sembrarti strano, ma l’odio per il mio caro e dolce figlio è di gran lunga minore di quello che provo per te! Io voglio distruggerti!”
Battei le mani in un applauso di scherno. “Belle parole!”
Strinse la mascella e le nocche fino a farle diventare bianche.
“Ma spiegami una cosa Alan, mi odi perché ti ho fregato il potere sotto al naso o perché ti ho sconfitto senza averne una briciola?”
Un lampo d’ira attraversò gli occhi del mio ex mentore. In quel momento sembrò dannatamente simile all’Alan che avevo conosciuto per quasi tutta la vita: calmo, letale, pericoloso e degno del mio rispetto. Solo allora mi resi conto che la persona che avevo dinnanzi fino a pochi istanti prima era solo l’ombra dell’Alan del passato. Era una persona debole, costretta a sottostare ai desideri di qualcun altro. Non era poi così temibile.
Eppure era tornato, l’ira l’aveva risvegliato.
Sorrisi. “Bentornato Alan!” dissi con un ghigno.
Lui si lanciò verso di me con forza circondandomi il collo con le ampie mani. Mi sbilanciai e caddi a terra insieme alla sedia. La mia schiena urtò contro il freddo pavimento di pietra levigata e mi si mozzò il respiro in gola. Alan cadde sopra di me, senza mai staccare le mani dalla mia trachea. Strinse con forza impedendomi di respirare. Aprii la bocca cercando di inalare ossigeno. Una piccola porzione di esso raggiunse i miei polmoni ma non era sufficiente. Vidi i suoi denti bianchi stringersi per lo sforzo, gli occhiali dalla montatura sottile gli erano scivolati lungo il naso. Mi dimenai con tutta la forza che avevo in corpo. Cercai di graffiargli le mani e i polsi per far in modo che allentasse la presa, ma sembrava insensibile. Il mio cuore batteva così forte da stordirmi, percepivo le pulsazioni sempre più disperate nelle orecchie. Mi dimenai con maggiore disperazione. Chiusi gli occhi immaginai il mio corpo ardere, raggiungere una temperatura elevatissima, vidi con chiarezza Alan staccare le mani dal mio collo. Aprii gli occhi.
Lui sbarrò i suoi e urlò di dolore, fece un balzo indietro e mi guardò con sgomento, mi portai una mano al collo e lo massaggiai guardandolo minacciosamente. Lui si fissò sbalordito le mani che non presentavano alcuna bruciatura. Dopo di che urlò nuovamente e cadde a terra in ginocchio, le mani strette sulla testa.
Dietro di lui si stagliava l’alta figura di Jasmine, aveva un sorriso meschino dipinto sulle labbra e la mano aperta dinnanzi a se, puntata contro Alan. Era lei che stava agendo in quel momento, sperai che non si fosse accorta che Alan si era staccato da me perché avevo scoperto come utilizzare il potere allo stato potenziale senza conoscere formule o rituali, sempre che non lo sapesse già.
“Com’erano gli accordi, Alan?” la sua voce era fredda, ma accarezzò il nome di Alan con dolcezza.
Lui urlò nuovamente e si distese su un lato, portò le gambe al petto mentre le mani non abbandonavano la testa.
“Rispondimi!” tuonò lei senza alzare la voce in modo eccessivo, ma abbandonando il sorriso. Lui urlò ancora più forte e io rabbrividii. Quello a cui stavo assistendo era un bello spettacolo, insolito, spaventoso, ma incredibilmente affascinante. Rimasi seduta come ipnotizzata dai loro movimenti, le urla di Alan mi entrarono dentro, sembrava strano che quell’uomo avesse appena cercato di uccidermi. Quello che avevo davanti non era la persona che mi aveva istruita, era la sua ombra. Jasmine lo stava distruggendo.
Lei rise e la sua risata cristallina si mischiò ad un nuovo urlo agonizzante di Alan. Lo guardai ipnotizzata, notando due sottili lacrime trasparenti che uscivano dai suoi occhi serrati, il viso era contratto in un’espressione di dolore perenne. Jasmine abbassò la mano e Alan parve tranquillizzarsi. Il suo respiro si fece più regolare e riuscì ad aprire gli occhi. lo sguardo era vuoto, vacuo, sembrava folle. Ero sicura di averlo già visto, ma non ricordavo dove.
“Basta!” supplicò in un soffio fissando il vuoto.
La mano di Jasmine venne di  nuovo puntata su di lui e nuove urla vennero fuori dalla sua bocca. Non riuscivo a muovermi.
“Quali. Erano. I patti?” Jasmine scandì ogni parola con attenzione.
“Niente vendetta!” biascicò Alan.
“Come?” lei si stava divertendo. Abbassò leggermente la mano per dare ad Alan la possibilità di rispondere senza dolore.
“Niente vendetta!” la sua voce era rotta, inerme, priva di vita. Gli occhi ancora vacui. Ebbi la consapevolezza che quella non era la prima volta che veniva torturato in quel modo, lo sguardo da folle che aveva negli occhi testimoniavano una pazzia che stava lentamente divagando in lui, sapevo che era già divorato dall’odio e che quello non lo aveva reso lucido, per questo la prigione gli aveva affidato uno psichiatra, ma quella pazzia che vedevo nei suoi occhi in quegli istanti era qualcosa di più viscerale. Non era dettata dall’odio, ma dalla paura agghiacciante.
Improvvisamente ai suoi occhi neri vacui si sovrapposero al ricordo di quelli azzurri di Rob, anch’essi erano spenti quando a terra implorava il fantasma di qualcuno di smetterla. Una consapevolezza mi raggiunse veloce come un fulmine: Rob era stato torturato da Jasmine!
Ma la vera domanda era: perché?
Alan faceva dei respiri veloci,come se avesse appena finito di correre, fece leva sulle braccia e si mise a sedere. Con rabbia si asciugò col dorso della mano il viso, gli occhi erano tornati normali. Evitò di guardare sia Jasmine che me. Lei sorrideva prendendosi gioco del suo tentativo di riprendersi, io scoprii di aver trattenuto il respiro per troppo tempo. Alan afferrò il bordo del tavolo e, facendo leva su di esso, riuscì ad alzarsi in piedi, anche se era un po’ barcollante. Senza una parola fece un paio di passi verso la porta. Jasmine schioccò le dita e lui cadde a terra a peso morto, come se fosse svenuto di colpo.
“E’ una tale seccatura!” disse con noncuranza avvicinandosi sinuosamente al tavolo, malgrado i tacchi alti, e prendendo posto dinnanzi al librone che stava leggendo al mio arrivo. Mi alzai in piedi e mi resi conto che stavo tremando, cercai di calmarmi, ma lo spettacolo al quale avevo assistito era impresso a fuoco nella mia memoria. Non ero spaventata, ero solo stordita dall’enorme potere che Jasmine era in grado di scatenare, ammirata forse. Non potevo negare che Alan si meritasse tutto ciò che lei gli aveva fatto, dopotutto mi aveva quasi strozzata.
“Grazie!” le dissi riconoscente, anche se ero consapevole di potermela cavare da sola.
“Sei una pedina molto più importante di Alan Back, è stato un piacere!”
Strinsi la mascella, non mi piaceva essere etichettata come ‘pedina’, ma cercai di non farle notare il mio disappunto, presto o tardi avrebbe pagato tutte le sue insolenze.
“Si è opposto altre volte vero?”
Lei alzò gli occhi dal volume mentre prendevo posto nella sedia di fronte alla sua.
“Decisamente sì! Non vuole tener fede agli accordi presi! Tu sei meno complicata!”
“Un patto è un patto!”
“Francamente sono sorpresa. Pensavo che anche tu avresti cercato di raggirarmi, ma non è successo!”
Sorrisi compiaciuta.
“Come ti ho già detto, l’accordo mi sembra onesto!”
“Ha cercato due volte di fuggire, una volta mi ha insultata e ho perso il conto degli attentati contro la mia vita!” lo disse come se stesse raccontando della marachelle di un bambino.
Sorrisi con soddisfazione mentre nella mia mente si formavano le immagini di Alan che faceva quei tentativi disperati e veniva punito severamente ogni volta. Si meritava tutto quel dolore, mi dispiaceva di non essere io ad infliggerglielo.
“Ora mi dirai qualcosa su ciò che vuoi fare?” tentai. Lei mi sorrise prima di chiudere il grosso libro.
“Forse alcuni cenni te li posso dare. Prima di tutto verificherò con magie complesse se le parole scritte in questi quaderni sono corrette, non mi fido pienamente di nessuno di voi!” era affabile, come se stesse parlando del tempo di quella giornata.
“Mi sembra giusto!” concordai sperando che mi svelasse altro.
“Inoltre voglio ricreare una situazione del passato per poter interferire con esso!”
“Col passato?” domandai scettica.
“Esatto, col passato!”
Stentavo a crederci. “Ed è possibile?”
“Non posso fare viaggi nel tempo, se questo è quello che mi stai chiedendo, fosso solo interferire con esso!”
Rimasi in silenzio a ragionare su quella possibilità. Se davvero si potava fare una cosa del genere, era fantastico!
“Si può fare sempre?” ripensai a quante cose del passato avrei voluto cambiare. Prima tra tutte avrei evitato di incontrare Dave e poi avrei ucciso Alan prima che lui ci provasse con me.
“No, solo quando nel passato avviene un evento magico. Di per se un rito di magia crea una mutazione nello spazio-tempo, viene liberata una gran quantità di potere e questo fa mutare il tempo e lo spazio attorno al rito stesso, per questo posso intervenire su di esso.”
Rimasi a bocca aperta, affascinata dalla possibilità.
“E come pensi di modificare il passato?”
“Interferire, non modificare!” precisò.
“C’è differenza?” domandai perplessa.
“Certo!” si rivolse a me come se fossi una scolaretta, repressi il fastidio e mi accinsi ad ascoltarla. “Modificare il passato vuol dire alterare il presente in un modo che nessuno può immaginarsi, io voglio portare un elemento del passato nel presente!”
“Vuoi far viaggiare qualcosa nel tempo?”
“Non proprio, ma il concetto è simile!”
“Wow!” mi lasciai scappare.
Gli occhi azzurri di Jasmine brillarono.
“Bè, direi che possiamo iniziare i giochi, no?” si alzò in piedi ansiosa.
Prese il quaderno che le avevo dato io e lo posò sul tavolo. Seguii i suoi gesti ipnotizzata, mi sentivo come una bambina di fronte ad un grande prestigiatore, ero affascinata e desiderosa di comprendere i suoi trucchi per poterli riutilizzare a mia volta.
Andò verso lo scaffale con i libri e vi ripose quello che stava leggendo quando io ero giunta lì, dopo di che trasse fuori dallo scaffale anche l’altro quaderno, quello iniziato da Alan e completato da me. Portò anch’esso sul tavolo, adagiandolo di fianco all’altro.
Li guardò come per studiarli a lungo, senza però sollevare le loro copertine.
Non osavo chiedere cosa stesse facendo, non avevo alcuna intenzione di interrompere quel rituale, vi assistevo con occhi colmi di ammirazione.
Jasmine si portò al centro della stanza con espressione incredibilmente concentrata. Chiuse gli occhi e bisbigliò qualcosa che non riuscii a udire o a capire. Le punte delle sue dita indice e medio si accesero con una luce gialla come se tra di esse fosse tenuto un led.
Lei socchiuse le palpebre e portò le braccia di fronte a se, in da poter vedere chiaramente i due pallini luminosi.
Mormorò qualcos’altro e la lampadina che pendeva dal soffitto si spense gettando la stanza nel buio più totale. Solo due piccole fonti di luce rotonde, provenienti dalle sue dita parvero rischiarare la stanza.
Altre parole sussurrate e la pallina in corrispondenza della mano destra divenne bianca, l’altra divenne nera.
Trattenni il respiro affascinata da quanto la luce nera fosse visibile in quell’oscurità, ma non perché rischiarava l’ambiente, ma perché sembrava assorbire quelle ultime tracce di luce emanate da quella bianca.
Jasmine iniziò a muovere le braccia, non singolarmente o specularmente. Prima fece ondeggiare su e giù il polso destro, la luce creò una specie di sinusoide nell’aria, la curva rimase lì, come se fosse stata disegnata su una lavagna nera da un gessetto incredibilmente bianco.
Col braccio sinistro vece un ampio movimento circolare, passando sopra, in alcuni tratti, a quello bianco, rompendone così la continuità. In quel momento erano rimasi solo dei tratti luminosi , non più la sinusoide. Jasmine ripetè l’operazione più e più volte, ruotando su se stessa. Non seppi quanto tempo stetti lì ad osservarla all’opera, non sapevo a cosa sarebbe servito tutto ciò, ma ne ero estasiata. Sembrava stesse eseguendo una coreografia senza musica, quasi mi stupii che non ci fosse lì un pubblico ad ammirare i suoi movimenti leggiadri. Cercai di prendere nota mentalmente di tutti i tratti che faceva, di come alternava l’utilizzo della mano destra alla sinistra, ma ben presto persi la concentrazione ammirata com’ero. Così rimasi immobile e muta ad osservare la donna più potente del mondo mentre disegnava sull’aria attorno a lei.
Infine lei ripetè un paio di volte gli stessi gesti puntando le braccia verso l’alto. In quel momento era rinchiusa in una specie di sfera luminosa, formata da piccoli segmenti bianchi, essa non era completa, perché lei non aveva disegnato nulla in corrispondenza del pavimento sotto di lei. Si trattava di una specie di cupola formata da più di di una semisfera.
La luminosità di quella struttura sostituiva quasi del tutto la lampadina fulminata del soffitto, ormai tutta la stanza era rischiarata.
Jasmine uscì dalla cupola con grazia, questa si deformò leggermente quando venne a contatto col corpo di lei, per poi tornare esattamente com’era prima.
“I quaderni!” sussurrò lei interrompendo il silenzio. Le consegnai i due oggetti e aspettai la mossa successiva.
Lei portò i quaderni verso la sfera e li adagiò al suo interno immergendo quasi completamente le braccia nella struttura. Lasciò andare i quaderni e ritrasse le braccia. Essi , invece di cadere a terra, attratti dalla forza di gravità, ondeggiarono esattamente al centro della sfera. Le luci sulle dita di Jasmine si erano spente, lei bisbigliò qualcosa e unì le due mani davanti a se, come se stesse pregando. Trattenni il fiato.
I due oggetti presero a volteggiare, uno di fronte all’altro, come due duellanti prima dello scontro. Insieme si muovevano sul perimetro di un cerchio perfetto, sempre più velocemente, finchè non riuscii più a distinguerli l’uno dall’altro. Erano diventati un vortice di colori.
Vidi Jasmine sorridere vittoriosa, come se aspettasse quel momento da una vita.
Improvvisamente si udì un tonfo, come se i due quaderni fossero andati a cozzare l’uno contro l’altro. Il sorriso di Jasmine si fece ancora più ampio, l’euforia apparve nei suoi occhi.
Poi i due oggetti si fermarono di colpo e precipitarono verso il suolo. Quando raggiunsero la pietra fredda la sfera di luce si disgregò e la stanza piombò nella totale oscurità.
Qualcosa non era andato per il verso giusto, non sapevo com’ero arrivata ad una conclusione del genere, ma ne ero convinta.
La luce sul soffitto si riaccese, ma non riuscì a vedere nient’altro che due grossi occhi azzurri che mi ostruivano totalmente la visuale. Sentii le lunghe e delicate dita di Jasmine circondare il mio collo con forza mentre le unghie dell’altra mano si posavano dolcemente sulla mia guancia. Trattenni il respiro. Vidi il terrore premere con forza contro il mio scudo di potere, sapevo che non dovevo farlo passare. Così mantenni la calma. Jasmine, con una forza sproporzionata al suo corpo mi sollevò da terra con la mano che mi circondava il collo. Scalciai debolmente sentendo l’aria che veniva meno. Mi sollevò quel poco che bastava ad avere i suoi occhi totalmente nei miei.
“Sei stata tu?” lo sguardo era glaciale, intimidatorio.
“Co-cosa?” cercai di articolare.
Mi veniva quasi la nausea a fissare da così vicino i suoi occhi, tanto che mi si era incrociato lo sguardo. Fece scorrere le unghie contro la mia guancia dolcemente, ma non potei trattenere un urlo di dolore, malgrado non stesse facendo alcuna pressione sentii come se tre coltelli mi stessero incidendo la pelle del viso. sentii il sangue fuoriuscire dalle ferite e colare verso terra dopo aver raggiunto il mento. Provai sempre più odio nei confronti di quella donna, le avrei fatto pagare ogni singolo gesto.
Di colpo mi lasciò andare e io caddi al suolo. Tossì un paio di volte e la guardai in cagnesco mentre lei, incurante di tutto, mi voltava le spalle e si dirigeva verso Alan. Mi accorsi di essere scossa da un leggero tremito, ma il pensiero della vendetta mi calmò, ancora una volta mi presi gioco delle emozioni che volevano raggiungermi senza riuscirci, questo mi dava un senso di invincibilità.
Mi portai una mano sulla guancia e scoprii che su di essa non c’era alcun taglio e nemmeno una goccia di sangue. Mi ero immaginata tutto? Impossibile, quel dolore era stato intenso, era impossibile esserselo immaginati.
Con uno schiocco di dita Alan si era risvegliato. Si guardò attorno confuso, probabilmente non capiva cosa ci faceva disteso sul pavimento. Jasmine, con la solita grazia terrorizzante lo agguantò e lo fissò dritto negli occhi come aveva fatto con me. Vidi che una sua mano si posava sulla sguancia ruvida del mio ex mentore, mentre lui la fissava paralizzato con gli occhi sgranati. Le sue unghie scivolarono con dolcezza sul viso di Alan, lui urlò, ma sulla pelle non c’era nemmeno un solco, nemmeno una piccola goccia di sangue. Ero perplessa. Istintivamente mi riportai la mano sulla guancia, constatando, ancora una volta la sua salute.
Jasmine strinse la mascella e con disgusto lasciò andare Alan.
“E stato il ragazzo!” sibilò Jasmine in preda ad una furia controllata. I suoi occhi ardevano di una strana luce, una luce decisamente inquietante, ma non mi feci intimidire.
“Cos’ha fatto Dave?” non riuscivo a capire.
“Ha mai sospettato di te?” chiese lei con voce calma, malgrado i suoi occhi tradissero la sua rabbia.
Ero perplessa “Ha detto che gli sembravo strana!”
“Merda!” sibilò lei prima di uscire dalla stanza. Alan la guardava sconvolto, io invece le andai dietro, non riuscivo proprio a capire cosa avesse potuto fare Dave da aver risvegliato tutta quell’ira di Jasmine.
Con rapidi passi si diresse al piano superiore, aprì una porta pronunciando delle parole ed entrò nella stanza. Vidi Dave seduto sul letto con le braccia incrociate al petto. Sembrava spaventato, come poteva non esserlo? Una delle donne più pericolose esistenti lo stava fissando con estrema calma, la calma prima della tempesta. Lo vidi allungare la mano verso la lampada da tavolo, la osservò ignorando Jasmine, dopo di che la lanciò verso di lei con tutta la forza che aveva in corpo. Jasmine non si scompose minimamente, poco prima di colpirla la lampada parve urtare contro un muro invisibile e cadde a terra, senza sfiorare la strega. Lei sorrise glaciale e Dave lanciò un urlo così acuto che pensavo mi avrebbe spaccato i timpani. Mi portai le mani alle orecchie sperando di attutire il suono mentre lui si accasciava sul letto urlando, gli occhi sbarrati e lo sguardo colmo di terrore. Una mano invisibile parve sollevarlo sotto i nostri occhi portando il corpo di Dave contro il muro, i piedi sospesi sul pavimento. Lui urlò nuovamente, mentre il sorriso di Jasmine cresceva e lei muoveva qualche passo verso di lui.
“Come mai le parole che hai scritto sul quaderno non sono corrette?”
I tratti del viso di Dave si rilassarono, simbolo che Jasmine non gli stava più facendo del male.
“Che quaderno?” biascicò lui. I suoi occhi mi videro e parvero illuminarsi, contrasse la mascella, ma non emise alcun suono dalla bocca, non distolse gli occhi dai miei.
Jasmine parve sorpresa. Socchiuse minacciosa le palpebre e sollevò la mano per puntarla verso di lui.
“Risposta sbagliata!” sibilò. Dave lanciò un altro urlo, chiuse forte gli occhi, i bei tratti mutati dal dolore.
Strinse la mascella e, con evidente sforzo, riaprì le palpebre e si tuffò nei miei occhi neri come se fossero un rifugio, un luogo di pace dove il dolore non poteva scalfirlo. Lo guardai di rimando senza riuscire a muovermi, ero come sempre affascinata dalle dimostrazioni di potere della strega.
Dave sorrise impercettibilmente e smise di urlare. Jasmine non aveva ancora abbassato la mano, essa era ancora puntata contro di lui, ma lui non sembrava essere sensibile. Il suo corpo era rigido, segno che evidente mente lei gli stava facendo del male, ma la sua mente sembrava non reagire. Era come se i suoi nervi non trasportassero il dolore fino al cervello.
Dall’espressione sbalordita di Jasmine, capii che nemmeno lei comprendeva a fondo perché lui non urlava, ma non sembrava affascinata dalla cosa, come lo ero io. Anche io avrei voluto conoscere la tecnica che stava usando Dave, non pensavo avesse così tanti assi della manica, negli ultimi tempi lo avevo ritenuto un soggetto piuttosto inutile, l’oggetto della mia vendetta, nulla di più. Eppure eccolo lì, a resistere dove io avevo ceduto, non sapevo che lui riuscisse a sopportare così bene il dolore.
Jasmine corrucciò le sopracciglia e sussurrò una parola. Il corpo di Dave iniziò a sussultare, come in preda a delle forti convulsioni, lei sorrise vittoriosa, ma lui non smise di fissarmi con trasporto. Dal suo naso iniziò a fuori uscire del sangue, il piccolo fiume scarlatto passò intorno alle sua labbra e finì sul mento.
“Mar!” sussurrò debolmente e con dolcezza lui.
“Bene!” disse glaciale Jasmine. La mano invisibile che teneva Dave contro il muro si dissolse e lui cadde a terra a peso morto. Cercò di inspirare ed espirare regolarmente, ma non ci riuscì. Fece per alzarsi in piedi, ma le gambe non ressero, così finì nuovamente a terra.
Con ampi passi Jasmine si mise dietro di me e mi bloccò con le braccia, in una specie di morsa. Mi irrigidii colta alla sprovvista, feci per allontanarmi, ma la sua bocca fu a pochi centimetri dal mio orecchio.
“Non ti muovere!” disse in un sussurro poco udibile “Fidati di me!”
Non che avessi molta scelta. Mi immobilizzai sperando che non mi facesse del male, non sapevo resistere come faceva Dave.
Sentii il suo dito indice sfiorarmi il collo.
Anche Dave lo notò e sgranò gli occhi spaventato.
“Sta lontano da lei!” la minacciò con un filo di voce, il viso contratto dalla preoccupazione.
“Certo, ma prima io e te dobbiamo fare una chiacchierata!”


Eccomiiii!
Un po' in ritardo ma ci sono!
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, ve ne sono immensamente grata.
Scusate se non mi dilungo troppo, ma questo è un aggiornamento flash!
Grazie di tutto a tutti!
Diasy

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***



Disegno di Shadow



CAPITOLO 16


“Lasciala!” questa volta il tono di voce di Dave era più forte e più determinato, poggiandosi al muro per sorreggersi riuscì a mettersi in piedi.
“Sospettavi di lei?” lo ignorò Jasmine.
“Metti giù il coltello!” sembrava terrorizzato. Mi paralizzai: quale coltello? Jasmine non mi stava puntando addosso nessun coltello.
“Solo se tu rispondi!” la voce della donna era calma, quasi gentile, come al solito.
Dave si portò il dorso della mano sotto al naso e, con esso, si asciugò il sangue.
“Sì, sospettavo di lei! Sei una pedina di Alan?” le domandò guardandola con immenso disprezzo, uno sguardo coraggioso per uno che sicuramente non aveva il coltello dalla parte del manico.
Jasmine rise senza allegria, facendo rabbrividire Dave. Io iniziavo a comprendere cosa fosse andato storto e aspettavo la risposta di Dave, sperando che Jasmine non mi facesse ancora provare dolore, ero stanca delle sue punizioni. Sapevo di potermi difendere e di poter contrattaccare con la magia creativa, ma non potevo assolutamente farlo senza che lei scoprisse che potevo gestire la magia senza usare formule o gesti. Quello era un piccolo vantaggio su di lei e non avevo alcuna intenzione di perderlo!
“Io sono la burattinai Dave!” rispose lei con orgoglio e gioia spietata nella voce.
Dave parve colto di sorpresa, mi lanciò uno sguardo ferito: si era appena reso conto che gli avevo mentito su molte più cose di quelle che pensava.
“Lo sapevi!” constatò rivolgendosi a me.
La pressione del dito di Jasmine contro al collo aumentò leggermente, non mi faceva affatto male, ma Dave parve ancora più terrorizzato da quel gesto.
“Ferma!” disse alzando la mano verso Jasmine.
“Rispondi!” sibilò lei tra i denti.
“Sapevo che c’era qualcosa che non andava!” disse di getto senza staccare gli occhi sbarrati dal mio collo “Mar era diversa, in modo impercettibile, ma lo era. E’ sempre stata un’ottima attrice, ma io capisco quando finge!” sembrava fiero della cosa “Ho riacquistato il potere, ma quando lei mi ha detto di scrivere tutto ciò che ricordavo ho cambiato le cose. Volevo far in modo che dopo lo scontro con Alan, chiunque fosse il vincitore, non esistesse più alcuna memoria di quel libro infernale, quel volume ha rovinato la mia vita, quella di Mar e quella…” parve cercare le parole “…quella di mio padre!” concluse riferendosi per la prima volta ad Alan Black come suo padre, senza provare un moto di disgusto. Forse essere a conoscenza che quell’uomo non era il ‘cattivo’ lo aveva addolcito.
“E così non hai usato le parole corrette!” concluse Jasmine ammirata nonostante la rabbia.
Dave annuì  con gi occhi accora sbarrati e Jasmine allontanò il dito dal mio collo, lui riprese a respirare normalmente si rilassò.
“Tieni ancora molto a lei, anche se ti ha tradito, perché?” chiese lei, evidentemente divertita dalle reazioni emotive di Dave.
Lui mi fissò a lungo, come se io potessi fornirgli la risposta di cui aveva bisogno, lo guardai a mia volta senza far trasparire nulla.
“Non è ovvio?” disse infine, tornando a guardare la strega.
Lei sorrise, gli lanciò il quaderno che aveva scritto lui e che io avevo completato, Dave lo prese al volo e lo guardò per un lungo istante.
“Correggilo, se verifico un’altra volta la veridicità delle parole e le trovo sbagliate, lei morirà!” lo disse con calma, come un’insegnante che dava dei compiti ai suoi alunni.
Dave deglutì a fatica, ma finalmente io mi rilassai. Non mi sarebbe successo nulla di male, Dave era troppo buono, di sicuro non avrebbe messo a repentaglio la mia vita in quel modo, avrebbe fatto quello che gli era stato ordinato.
La mia mente venne attraversata da un pensiero rapido: negli ultimi cinque minuti Dave era riuscito a stupirmi più e più volte. Aveva resistito ad un dolore straziante, aveva volutamente sbagliato a riportare su carta le parole che ricordava e aveva sospettato di me, quel ragazzo era ricco di sorprese.
Per la prima volta mi ritrovai a sperare che Dave fosse ancora il ragazzo dolce e altruista che avevo conosciuto.
Jasmine gli diede le spalle e uscì dalla stanza, mi accinsi a seguirla, ma prima sorrisi diabolicamente a Dave come a dirgli che tutto quello era anche opera mia, dopotutto io l’avevo condotto lì. Mi guardò senza far trasparire alcuna emozione e io gli feci l’occhiolino divertita, ancheggiai fuori dalla stanza mentre con una parola a me incomprensibile Jasmine la sigillava.
 
Il bosco non era un luogo accogliente in cui passare la notte eppure loro lo stavano attraversando qualche minuto dopo le undici. I loro passi svelti non erano l’unico rumore della boscaglia, ma sembravano rimbombare come campane il giorno di pasqua. Myria aveva un passo spedito, il respiro corto. Il suo mantello lungo spostava le foglie che giacevano per terra producendo un caratteristico fruscio. I suoi occhi, celati dal cappuccio che usava sempre quando usciva di casa, erano fissi su Richard, che la precedeva di poco.
Il ragazzo si era ripreso dopo l’attacco che aveva causato la morte di due suoi protetti e aveva pianto lacrime amare. Era allora che Myria, distrutta dal dolore e dal bisogno di far cessare tutto ciò, aveva deciso che non poteva sperare di controllare ciò che stava crescendo in Richard. Si era fatta un’idea precisa a riguardo, pensava che gli fosse stata data, oltre a una capacità, anche dell’istinto, un istinto che presto avrebbe offuscato la sua ragione. Dovevano agire in fretta.
Non aveva detto nulla a Mark, lui non avrebbe né capito, né approvato quello che lei stava per fare, ma doveva farlo comunque, era l’unico modo per salvare Richard e tutte le altre persone dotate di poteri.
Rabbrividiva quando pensava a quello che era stato fatto a quel ragazzo. Era stato programmato per assorbire potere e scintille vitali, sarebbe diventato sempre più avido, ma le sfuggiva lo scopo di tutto ciò, non ne capiva il significato. Chi potrebbe creare un grosso contenitore per il potere che però a sua volta non poteva utilizzarlo? Era come una scatola in formato umano.
Raggiunsero una radura ovale e Richard si voltò a guardare Myria. Lei gli fece cenno con una mano di fermarsi e lui obbedì.
Prese un libro vuoto dalla tasca interna nel suo mantello nero e lo posizionò al centro della radura, spalancando il volume a metà.
“Sarà pericoloso?” le chiese Richard nascondendo la paura che probabilmente provava. Myria alzò la testa e lo vide sovrastarla con il suo corpo flessuoso e atletico. Sapeva che lui non poteva vederla in volto, per via del cappuccio perciò lo fece scivolare indietro, rivelando una cascata di morbidi capelli rossi. Si alzò in modo da essere di fronte a lui e lo vide trattenere il fiato. Faceva sempre così quando la vedeva, tratteneva il respiro in una sorta di muta adorazione.
“Sì, certo che sarà pericoloso, ma sarà peggio se non faccio nulla!”
Lui le avvicinò la mano al volto e le portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli che le era scivolata davanti agli occhi. Sembrava totalmente preso dal gesto che stava compiendo e lei ne approfittò per guardagli il viso, voleva imprimere nella memoria ogni suo dettaglio, non sapeva se lo avrebbe rivisto.
“Sono pronto!” disse lui con determinazione. Lei si costrinse a smettere di fissarlo e guardò il libro.
“Bene!” per poco la voce non le si ruppe. Lui comprese la sua difficoltà e la abbracciò. Si trattò di un abbraccio casto, ben diverso da quello che avevano condiviso alcune notti prima, non era d’addio, ma di arrivederci e serviva a darle il coraggio necessario per fare ciò che andava fatto.
Lei inspirò il suo odore immergendo la faccia nell’incavo tra il collo e la spalla, dopo di che sciolse l’abbraccio e si allontanò di qualche passo da lui.
“Distenditi!” gli ordinò.
Lui si mise supino nell’erba alta della radura, con la faccia rivolta verso le stelle che illuminavano la notte altrimenti scura.
Lei si avvicinò al ragazzo e gli posò le mani sul petto, una su ogni pettorale. Si concentrò. Quella volta non poteva usare la magia creativa, non c’era nulla da creare doveva solo capire, percepire.
Tramite quel contatto fisico cercò di sintonizzarsi con l’animo di Richard e, come aveva già scoperto, in esso si trovavano sia male che bene. La maggior parte del male gli era stata inserita dall’esterno, una piccola parte invece era già nel suo cuore, come in quello di ogni essere umano.
Si concentrò maggiormente e separò chiaramente il male dal bene, non fu facile, perchè il male si avvolgeva come un serpente nero privo di testa intorno al bene illuminato di luce bianca.
Fu allora che lei utilizzò la magia creativa e riuscì a separarli il due fili di luce ben distinti. Allontanò di pochi centimetro le mani dal petto di Richard e vide che attaccati al suo palmo vi aerano dei fili luminescenti, uno nero , l’altro bianco. La loro fine era ancora all’interno del ragazzo.
Lentamente allontanò le mani dal suo petto maggiormente, i fili si allungarono ancora di più, uscendo dal petto di Richard che si abbassava e si alzava ritmicamente a causa del suo respiro.
Myria avrebbe voluto guardarlo in faccia, vedere come stava, rassicurarlo, ma non poteva deconcentrarsi, non in quel momento. Quando le sue mani furono distanti circa un metro dal corpo di Richard osservò che i due fili tendevano ad assumere la posizione che li portava ad essere il più distante possibile l’uno dall’altro, come due poli uguali di una calamita. Si comportavano esattamente nel modo opposto rispetto a come si erano atteggiati nel corpo di Richard in cui erano entrati in stretto contatto, così stretto che lei a fatica era riuscita a separarli.
Continuò la sua opera e si diresse pian piano, sempre lentamente verso il libro, ogni tanto controllava se i fili erano intatti, si chinò e portò i palmi delle mani terribilmente vicini alle pagine bianche.
Chiuse gli occhi concentrandosi  maggiormente. Poteva vedere le due luci emanate dai fili anche con le palpebre serrate,ce  le aveva impresse nella retina. Se voleva che funzionasse doveva unirli, per questo serviva il suo potere, tutto il suo potere, esso doveva fare da collante, così quel potere non avrebbe fatto del male a nessuno, mai più, solo così poteva garantire la sopravvivenza della magia e del libero arbitrio.
Con un respiro profondo riaprì gli occhi e posò dolcemente i palmi sul libro aperto dinnanzi a sé, uno in ogni pagina. Lasciò andare e vide che le estremità dei fili che prima erano collegate alle sue mani ora erano collegate al libro.
La prima parte aveva funzionato.
Ora i fili luminosi formavano una sorta di arco a mezz’aria, che partiva da Richard per finire in quel volume.
Lei visualizzò il suo potere e espirò, mentre lo faceva lo fece uscire dalle sue mani. Un luce flebile azzurrina vibrò nell’aria prima di iniziare a circondare i due fili, nero e bianco, con il preciso compito di avvicinarli. Dalle mani di Myria continuava a uscire la luce azzurra come se fosse un nastro. Quando il nastro toccò i fili il libro iniziò ad assorbire i filamenti di potere provenienti da Richard.
Myria sentiva che le forze la stavano per abbandonare. Anche l’estremità apposta dei fili fuoriuscì dal petto d Richard.
Era fatta. Il nastro luminoso azzurrino avvolse anche gli ultimi tratti di potere mentre una metà del libro diventava via via più luminosa, mentre l’altra metà diveniva sempre più scura, sembrava talmente nera da essere in grado di risucchiare tutta la luce intorno.
Sopra il volume aleggiava una luminescenza azzurra che rendeva Myria sempre più debole. Vide dall’estremità opposta della radura la figura inconfondibile di Mark, ma lui non poteva fare nulla per fermarla, non in quel momento. Gli ultimi centimetri di filo entrarono nel libro che si richiuse di scatto. Il campo visivo di Myria si offuscò mentre accanto a Mark compariva anche la figura di una donna che Myria non conosceva.
Si sentì leggera, molto più leggera di quanto fosse mai stata, forse era il potere ad averla resa così pesante, ma se n’era liberata per salvare Richard e il mondo. Cadde in avanti sentendo l’eco di un urlo prima di perdere i sensi.
 
Mi svegliai senza ricordarmi l’esatto istante in cui mi ero addormentata. Ero crollata sul tavolo, con le braccia incrociate sotto la testa a farmi da cuscino. Sbadigliai e lanciai un’occhiata a Jasmine. Era china sul libro grosso e logoro di quella mattina, lo leggeva con attenzione e non parve notare che la stavo guardando. Ne approfittai per far vagare i pensieri. Mi sembrava che fosse la mia stessa stanchezza a chiamarmi, pareva che quando il mio corpo era stanco, anche di poco, i miei occhi cedevano ansiosi di riprendere il film dei miei sogni dov’era stato interrotto. Peccato che non ricordassi nulla a parte inutili dettagli. L’unica cosa che rammentavo dell’ultimo era un bosco. Avevo comunque la sensazione che fosse collegato ai precedenti. Scossi la testa, era così stupido. Una scritta sul palmo della mia mano attirò la mia attenzione.
Myria.
L’eco di quel nome si perse nella mia mente mentre mi chiedevo come mai l’inchiostro non fosse sbiadito, sembrava che io l’avessi appena scritto.
Jasmine alzò gli occhi dal volume e mi sorrise.
“Ci siamo!” sembrava in fibrillazione. Alan era dall’altra parte della stanza, seduto su una sedia, guardava con odio sia me che Jasmine, se i suoi occhi avessero potuto emettere fiamme allora saremmo davvero state nei guai. Per fortuna era alquanto impotente, ma il suo odio non mi dispiaceva, mi faceva sentire importante. Alan aveva passato tutta la vita ad rendersi a malapena conto del mondo che lo circondava, odiava solo chi, secondo lui, meritava di essere odiato, ovvero qualcuno che riusciva a mettergli i bastoni fra le ruote. Al momento i fortunati eravamo io, Jasmine e Alex Greenwood, forse in minima parte anche Dave.  Quindi mi sentivo lusingata da quell’onore.
Jasmine chiuse il volume e si alzò in piedi.
“Vado a prendere il ragazzo, quando tornerò inizieremo!”
Dopo pochi minuti entrò nella stanza trascinando Dave, gli strappò il quaderno dalla mani e lui la guardò in cagnesco, poi lo lanciò verso di me che lo presi al volo. Jasmine strattonò Dave facendolo sedere su una delle sedie di legno, dopo di che lo guardò come se gli stesse ordinando di stare immobile. Dave mi lanciò un’occhiata  di delusione mista a speranza, come se volesse che io mi alzassi in piedi e fermassi tutto quello che stava accadendo. Anche e avessi potuto farlo non l’avrei fatto, ero troppo curiosa, non vedevo l’ora di avere la mia vendetta e di osservare gli altri trucchi che doveva aver in serbo quella donna.
Jasmine si portò al centro della stanza,e mormorò le stesse parole di qualche ora prima, le sue dita si illuminarono di bianco e nero. La lampadina si spense lasciando la stanza nella quasi totale oscurità. Sentii Dave trattenere il fiato segno che anche lui era affascinato dalla magia che mostrava Jasmine, non aveva mai visto nulla di simile, dopotutto.
Lei iniziò a danzare con le braccia tracciando sinusoidi alte e strette, alcuni tratti venivano cancellati dai movimenti dell’altro suo braccio. Ruotò su se stessa con grazia, muovendo i polsi, contraendo i muscoli e distendendoli. Più i minuti passavano più cupola luminosa prendeva forma. Sperai con tutto il cuore che la verifica funzionasse quella volta, altrimenti non ero sicura di poter sopravvivere. Con un ultimo segno la struttura venne completata. Jasmine uscì da essa e mi guardò tendendo la mano dinnanzi a se, mi alzai e le consegnai entrambi i quaderni, quando i suoi occhi saettarono sulla scritta su un lato del palmo della mia mano. Mi afferrò velocemente il poso e me lo bloccò.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, quella donna era imprevedibile e non sapevo proprio quale poteva essere la sua prossima mossa.
Lei sgranò gli occhi e mi trascinò fino ad arrivare vicino alla sfera luminescente. Quasi inciampai nei miei piedi tanto fu rapida. Avvicinò la mia mano alla luce e vidi il nome Myria riflettersi nei suoi occhi.
“Perché c’è scritto Myria sulla tua mano?” il tono di voce era gelido, più freddo del solito a dire il vero, ma sembrava che fosse calcolato per nascondere qualcosa, la paura forse?
Ingoiai la saliva che mie era rimasta in bocca e mi sforzai di parlare, malgrado in quell’istante volessi entrare nella sua testa per capire cosa ci fosse.
“Lasciala stare!” la voce di Dave arrivò forte e chiara da un angolo della stanza, Jasmine, senza nemmeno voltarsi verso di lui, schioccò le dita. Si sentì un tonfo, segno che probabilmente Dave doveva essere caduto dalla sedia, non riuscivo a vederlo nella penombra.
Jasmine mi guardò negli occhi senza lasciare la presa sul mio polso, attendendo una risposta.
“E’ un nome che mi frullava per la testa!” azzardai. In fondo era la verità, non sapevo nemmeno io perché quel nome era comparso nei miei sogni, ma non sapevo se quella era la risposta che voleva lei. Stinse la mascella e con un ultimo strattone mi lasciò andare, mi strappò i quaderni dall’altra mano, abbandonando la sua solita gentilezza e tornò a fissare la gabbia di luce.
Mi portai il braccio al petto e con l’altra mano massaggiai il polso indolenzito a causa della forte stretta. Indietreggiai leggermente scossa mentre il mio cervello iniziava a lavorare freneticamente. Perché era Jasmine era terrorizzata da quel nome? Conosceva la persona alla quale apparteneva?
Lanciai un’occhiata alla strega mentre metteva i quaderni nella sfera e pensai che tanto lei non avrebbe mai risposto alle mie domande.
Gli oggetti presero a girare, l’uno di fronte all’altro, muovendosi sul perimetro di un cerchio perfetto. Quando i loro contorni si sfocarono trattenni il fiato, abbandonando i miei pensieri e rimanendo affascinata dallo spettacolo al quale stavo assistendo. Si sentì un piccolo tonfo, il turbinio di colori che erano stati i due quaderni in movimento scomparve e, al loro posto, galleggiava nell’esatto centro della spera, un unico libro. Il volume ruotava su se stesso velocemente, ma con i secondi il suo moto rallentava sempre di più rendendolo più facile da osservare.
Sembrava vecchio e fragile.
Trattenni il respiro.
Aveva una doppia copertina, una nera e una bianca.
Ruotò sempre più lentamente, potevo vedere delle scritte su entrambe le copertine, ma non ero abbastanza vicina da poter leggere cosa c’era scritto.
Conoscevo quel libro. Avevo aperto entrambe le metà. L’avevo distrutto. Era diventato un ammasso di coriandoli bianchi che si disgregavano al contato col suolo, come grossi fiocchi di neve.
Quel libro era semplicemente svanito nel nulla nel giardino della villa di Alan mesi prima.
Eppure eccolo lì.
Ormai la velocità di rotazione era minima, mi avvicinai e vidi la copertina nera di fronte a me, su di essa c’era la parola ‘…sguardi’. Il volume ruotò lentamente mostrandomi l lato bianco che recitava ‘Gioco di…’
Il mio cuore battè forte. Provai una gioia simile a quella che si sente quando si rivede un vecchio amico dopo molto tempo. Avrei voluto allungare il braccio e sfiorarlo, sentire l’odore della carta vecchia, aprirlo.
Sul volto di Jasmine comparve un sorriso vittorioso, nessun’ombra di preoccupazione per il nome scritto sulla mia pelle.
“Stavolta Dave non mi ha ingannata!” disse lei quasi a se stessa, compiaciuta da quel fatto.
Il libro dalla doppia copertina smise di ruotare e si ondeggiò fino a terra come se fosse una piuma. La gabbia di luce si dissolse come nebbia e nella mia mente l’immagine del libro contro il pavimento di pietra si sovrappose a quella del medesimo libro adagiato nell’erba, accanto ad una ragazza dai lunghi capelli rossi che sembrava svenuta.
Myria.
Jasmine prese il libro e se lo rigirò tra le mani con evidente soddisfazione.
“Bene!” esclamò determinata “Ora dovrete gentilmente cedere i vostri poteri!”

 
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Questo capitolo, come avrete notato, è più corto, ma doveva finire quì!
Ci tengo tantissimo a ringraziare 
Bloomsbury che ha recensito lo scorso capitolo, grazie davvero di cuore.
Ora ci terrei a rivolgermi direttamente a te lettore, che hai messo questa stoai tra le preferite,
le ricordate o le seguite, ma non hai mai commmentato:
ti sono grata perchè apprezzi la mia storia, ma mi farebbe piacere se tu commentassi,
sapere se ciò che stai scrivendo non è una completa cag*** XD
Bene, ora vi anticipo che il prossimo capitol sarà uno dei più importanti di 'Gioco di prestigio'. 

Vi lascio la mia pagina FB: https://www.facebook.com/pages/Gioco-di-parole/116255365194270
Vorrei lasciarvi anche questa piccolissima one shot scritta di recente: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2310837&i=1


 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***




Voglio che respiriate. Fate un bel respiro profondo, fatelo ad occhi chiusi, liberate la mente. 

CAPITOLO 17


Questa non è la fine, ma solo l’inizio.
 
La lampadina che pendeva dal soffitto si accese, rischiarando di poco la stanza a causa della debole luce che emanava.
Nessuno osava fiatare, nessuno si azzardava a dire niente, eravamo tutti perplessi e shoccati. Solo allora mi resi conto di una sagoma che si muoveva sul pavimento: Dave si era destato, gli occhi verdi erano fissi su Jasmine.
“Pensavate che una volta ricreato il libro sareste stati liberi di andarvene?” Jasmine sembrava divertita, pareva godersi i nostri sguardi allibiti e i respiri trattenuti.
Io ancora stentavo a credere a quello che le mie orecchie avevano udito. Amavo il mio potere, mi rendeva forte e completa al tempo stesso, me lo sarei tenuta stretta, era come una parte di me. Lei non poteva riprenderselo. Avrei combattuto e dallo sguardo tranquillo di Jasmine capii che sicuramente non avrei avuto scelta.
“Mi servono i vostri poteri!” ripetè posando il libro sulla mano destra e distendendolo dinnanzi a se.
Il volume si illuminò e si aprì di colpo, a metà esatta. Trattenni il respiro. L’ultima volta che quel libro era stato aperto si era scisso in due parti, la nera e la bianca. Ma in quel momento non avvenne nulla di tutto ciò. Rimanemmo tutti immobili, in attesa.
“Voi avete adorato questo libro!” continuò lei in tono solenne. Alan non gli staccava gli occhi di dosso, una vaga follia gli oscurava gli occhi, lui bramava quel volume, lo rivoleva tra le sue mani, forse non aveva nemmeno sentito e parole sconvolgenti che aveva detto Jasmine.
“Ora non è altro che un cumulo di pagine inutili, mi servono i poteri che vi ho dato per ridargli vita!”
Una strana luce si accese negli occhi azzurri di Jasmine, molto simile a quella che aveva oscurato gli occhi di Alan: la brama. Era come se avesse atteso quel momento per secoli e finalmente esso fosse giunto e lei non stesse più nella pelle.
“Alan!” gli sorrise avanzando verso di lui “Vuoi essere il primo?” un sorriso sadico saettò sul suo volto, quell’espressione mi fece rabbrividire, ma Alan non parve intimidito, aveva la testa da un’altra parte.
Quando Jasmine fu ad un paio di passi da Lui, egli alzò lo sguardo. Era furente, folle. Strinse la mascella e inchiodò con i suoi occhi quelli di lei. Vidi un Alan cento volte più pericoloso di quello che conoscevo e ne rimasi sorpresa, ormai credevo fosse un uomo finito.
La sua follia era un misto di odio e paura, sentimenti che sembrava voler riversare su Jasmine.
“Puttana bastarda!” ringhiò lui. Poi avvenne tutto in una manciata di secondi in cui il tempo rallentò.
Qualcosa brillava nella mano di Alan Black, qualcosa del colore dell’argento. La mano dell’uomo saettò verso il ventre della donna, ma a lei bastò uno sguardo duro per bloccare il pugnale. Si allontanò di un passo  e vidi Alan fermo in una posizione del tutto innaturale, incapace di fare alcun movimento, come pietrificato. Aveva un piede avanti per darsi forza e il braccio destro proteso verso Jasmine, nel pugno l’elsa di un piccolo pugnale. Lei sorrise, come se fosse divertita dal tentativo.
Girò intorno ad Alan una volta, come per studiarlo, senza mai abbandonare il sorriso scaltro che aveva sulle labbra, come se con quel gesto lo stesse prendendo in giro.
“Non è necessario che sia consensuale!” disse infine con una punta di ironia nella voce. Allora capii, capii quale fosse l’altro modo per strappare il potere ad una persona.
Il corpo di Alan era ancora immobile fatta eccezione della mano stretta attorno all’elsa del pugnale, essa si dirigeva lentamente verso di lui senza che avesse possibilità si fuggire o difendersi. La punta del coltello raggiunse i suoi abiti e proseguì inesorabile, ansioso di assaggiare la sua carne. Gli occhi di Jasmine brillarono mentre la lama penetrava nel ventre di Alan Black, lui non fece nessuna smorfia di dolore, non emise alcun suono, solo quando il manico giunse a contatto con la sua pelle Jasmine rimosse l’incantesimo che gli impediva di muoversi e cadde a terra come un sasso. Il suo corpo urtò contro il freddo pavimento di pietra con un tonfo.
Odiavo Alan, mi aveva quasi uccisa, ma mi aveva anche cresciuta.  Vidi il dispiacere e la paura urtare il mio vetro con forza, minacciandomi di raggiungermi, ma non potevo permetterlo.
Così rimasi impassibile, se non con un leggero tremore, ad assistere alla morte di un grand’uomo, perché non potevo negarlo, Alan aveva avuto per vent’anni il mondo ai suoi piedi.
La morte di un re però sarebbe dovuta essere più onorevole. Lo pensavo con sincerità, Alan meritava di morire combattendo, cercando con tutte le forze di sfuggire all’abbraccio eterno della morte, ma aveva sfidato Jasmine troppe volte e lei non gliel’aveva concesso.
Le nostre vite erano nelle sue mani, così come la nostra morte, ed era una cosa che odiavo. D’altra parte mi fidavo di lei e sapevo che mi avrebbe concesso quello che mi aveva promesso: vendetta.
Con un rantolo dalla bocca di Alan uscì del sangue mentre cercava disperatamente di inalare ossigeno. Jasmine fu rapida, si avvicinò a lui, con il libro spalancato su una mano. Con quella libera afferrò il polso di Alan che non aveva tenuto in mano il coltello, quello ancora non imbrattato dal sangue, e lo posò su una pagina del volume. Osservai una luce fuoriuscire dalla mano di Alan ed entrare nel libro, quando il flusso fu finito  Jasmine sorrise e lasciò andare il polso dell’uomo con mala grazia, facendolo atterrare con un tonfo sul pavimento.
Incontrai per un piccolo istante gli occhi neri come la notte di Alan Sebastian Black, essi erano sbarrati e mostravano stupore e terrore. Quelle iridi rappresentavano l’anima stessa di Alan Black. Potevo leggere al loro interno le emozioni, proprio come lui mi aveva insegnato tanti anni prima. Mi sembrò di smettere di respirare.
Odio, paura, dolore tutti fusi in quegli occhi così tremendamente simili ai miei.
Feci mie quelle sensazioni. Odiavo, avevo paura e provavo dolore. Per un breve istante ero un tutt’uno con quello che da sempre era stato il mio maestro di vita e di morte.
Empatia.
Lo ripeteva ad ogni lezione in cui ci insegnava a giocare con gli sguardi.
Poi fu un attimo e la luce nei suoi occhi si spense, avvenne di colpo e io mi ritrovai improvvisamente catapultata fuori dal suo sguardo, fuori dalla sua anima. L’empatia era finita.
“Chi vuole essere il prossimo?” domandò Jasmine in preda alla gioia.
Rimasi impassibile a fissare il cadavere di Alan, il lunghi capelli erano ancora stretti in una coda bassa, alcuni ciuffi però erano sfuggiti all’elastico ed erano sparsi qua e là, ricoprendo a tratti il suo volto. Gli occhiali erano finiti sul pavimento ed erano circondati dalla pozza di sangue che pian piano si allargava sempre di più sotto di lui. Distolsi lo sguardo mentre sentivo la nausea. Dovevo rimanere impassibile.
Non sapevo cosa dire, ma ormai era chiaro che non potevo tirarci indietro.
Dave si era messo in piedi, barcollava un po’ ma sembrava stesse bene, aveva uno strano bagliore negli occhi, una determinazione che non gli avevo mai visto.
“Uccidi anche me, non ti aiuterò mai volontariamente!” esclamò, la voce era incredibilmente ferma, ma a tradirlo era il tremore lieve delle ginocchia.
“Tu sei troppo prezioso, non posso ucciderti!” ribattè lei. Sgranai gli occhi, non pensavo che Dave fosse prezioso.
La mano libera di Jasmine si alzò in aria mentre si dirigeva verso Dave, poi scattò in avanti con forza.
Vidi solo un brillio.
Un attimo dopo il pugnale che aveva ucciso Alan era conficcato nel fianco di Dave. Lui sgranò gli occhi colto di sorpresa e le ginocchia gli cedettero prima di urtare contro il pavimento. Serrò gli occhi in un’evidente smorfia di dolore e delle lacrime involontarie si impigliarono nelle sue ciglia.
“DOVEVI DISTRUGGERLO, NON UCCIDERLO!” Sbraitai, vedendo la mia possibilità di vendicarsi andare in fumo con la vita di Dave.
Jasmine non mi guardò, prese la mano di Dave e la posò sulla pagina che Alan non aveva toccato. Nuovamente una lieve luce fuoriuscì dal palmo del ragazzo per essere raccolto dalle pagine.
“Una promessa è una promessa Mar, la manterrò, fidati!”
E io non potei far a meno di fidarmi. La guardai mentre vedevo il dolore, la rabbia, l’affetto premere contro la mia muraglia. Erano più forti di qualsiasi altro sentimento,  abbastanza da far riempire il muro di piccole crepe. Se li avessi lasciti passare sarei caduta al suolo com’era successo a Dave, come se il pugnale avesse colpito me e non lui, come se il mondo fosse improvvisamente stato inghiottito in un buco nero e io non fossi più nulla.
Non potevo permetterlo, non dovevo permetterlo. Lui non sarebbe morto. Lui doveva vivere perché io lo dovevo distruggere, io e solo io potevo farlo. L’avrei distrutto fino all’ultima briciola, riprendendomi la felicità che mi aveva sottratto. Non doveva morire e non sarebbe morto, non quel giorno.
Quando il potere cessò di fuoriuscire dal corpo ormai a terra di Dave lui chiuse gli occhi, prontamente Jasmine posizionò la mano libera a pochi centimetri dalla ferita e mormorò diverse parole che non potevo comprendere. Mi avvicinai trattenendo il respiro e vidi il taglio rimarginarsi velocemente, alla fine dell’opera rimaneva solo uno squarcio nei vestiti e il sangue su di essi a testimoniare che era stato ferito. I lineamenti del viso si rilassarono, pareva dormire placidamente. Mi concessi un sospiro di sollievo.
“Non è morto!” sussurrai.
Jasmine sorrise.
“Sono una donna d’onore. Lo distruggeremo insieme Mar, tu e lui avete un importantissimo ruolo in tutto questo!”
Sorrisi sollevata come non mai, più sollevata del necessario.
“Tocca a te!” disse lei semplicemente, io annuì, non volevo che usasse un coltello per strapparmi via il potere.
“Tornerò a provare sentimenti di debolezza?” domandai esitante, ricordando le sensazioni che potevano farmi crollare.
“No!”
“Ma sono i poteri che mi impediscono di stare male!” obiettai.
“Sei tu invece! I poteri ti rendono sicura di te e quindi tu ti senti invincibile e impedisci ai sentimenti deboli di raggiungerti, ma è solo una tua concezione mentale, una specie di effetto placebo!”
Mi bloccai un attimo mentre il mio cervello elaborava l’informazione appena ricevuta.
Guardai Jasmine negli occhi per un lungo, interminabile istante. Non ero sicura che fossero vere le sue parole, ma d’altra parte non mi piaceva pensare che il potere poteva controllare le mie emozioni in quel modo. Lei mi aveva appena detto che io ero forte comunque, con o senza poteri, potevo gestire tutte quelle sensazioni corrosive.
“Una mano su una pagina e una sull’altra!” mi diede istruzioni.
“Perché? Loro hanno toccato una pagina sola!”
“Loro in passato non avevano aperto entrambi i libri! Riesci a focalizzare il potere dentro di te?”
“No, riesco a sentirlo, ma non a focalizzarlo!”
“Chiudi gli occhi!”
Feci come diceva.
La voce di Jasmine mi arrivò dentro, come se fosse sempre stata presente nella mia testa.
Senti il potere.
Lo sentivo. Si muoveva dentro di me, mi riempiva e mi svuotava, come fanno le onde del mare sulla battigia.
Raggruppalo.
Cercai di prendere il potere e di imbrigliarlo, lo compattai in un’unica sfera luminosa. La sfera si dibatteva, ma era compatta.
Dividilo in due.
Presi la sfera e la divisi in due parti uguali che, a loro volta, si ritrasformarono in due sfere ondeggianti.
Incanalale, una in ogni braccio.
Feci come mi era stato detto estasiata dalla bellezza di quelle sfere luminose che sentivo dentro di me. Percepii un leggerlo calore quando passarono dalle mie spalle, lungo le braccia, fino a fermarsi in corrispondenza dei palmi. Trattenni il respiro. Il loro calore era invitante, era come se mi intimassero con dolcezza di non liberarmi di loro, le avrei ascoltate se avessi potuto.
Liberalo.
Aprii gli occhi, Jasmine per la prima volta era seria. Guardai il libro aperto e, senza esitazione, posai i due palmi aperti su di esso, uno in ogni pagina. Lasciai andare il potere e iniziarono a formicolarmi le mani. Ridiedi alla parte bianca metà del potere e la stessa quantità alla parte nera. Stavo ridando vita a quel meraviglioso maledettissimo volume.
Quando l’ultimo bagliore di luce abbandonò il mio corpo venendo inghiottito dal libro dalla doppia copertina sentii le forze mancarmi e tutto divenne buio.
 
 
Quello non era un sogno. Ero consapevole di essere sdraiata su qualcosa di freddo, ero fin troppo sicura di dove mi trovassi. Mi sentivo debole quindi non mi mossi. La cosa peggiore era che ero sicura di avere le palpebre serrate, eppure vedevo tutto. Quello che vedevo era sicuramente quello che stava realmente accadendo al di la del buio, al di la delle mie palpebre. Eppure potevo vederlo senza usare gli occhi. le immagini erano nella mia mente, chiare e reali. Cercai di aprire le palpebre, ma non ci riuscii, le forze mi avevano momentaneamente abbandonata.
Così mi arresi, mentre un inquietante film veniva proiettato nella mia mente.
 
 
Jasmine posò con dolcezza il libro sul pavimento. Dopo di che mosse le braccia come un direttore d’orchestra, il corpo di Dave si sollevò a mezz’aria, le braccia penzolanti nel vuoto e i capelli lontani dal viso. Il corpo svenuto volò fino al tavolo di legno e venne adagiato su di esso. Dal nulla comparvero dei lacci di cuoio che andarono a serrarsi intorno ai suoi polsi e alle sue caviglie, poi fu la volta di altre cinghie che si avvolsero attorno a Dave con forza, incidendo la sua pelle.
Jasmine sorrise e fece alzare il tavolo in modo da portarlo al centro della stanza. Una volta che fu posizionato si diresse verso il corpo esanime di Alan. Il sangue fuoriuscito da lui brillava ed emanava un forte odore di ruggine. Senza nemmeno una smorfia di disgusto, la donna si chinò e immerse due dita nella pozza di liquido scarlatto poi si diresse verso il centro della stanza, si chinò e posò le dita a terra disegnando sul pavimento di pietra un piccolo arco scarlatto. Si alzò in piedi e osservò con sguardo critico la sua opera, quando parve soddisfatta con un movimento del braccio fece alzare tutto il sangue fuoriuscito dal corpo di Alan. Esso si raccolsi in una grossa sfera scarlatta a mezz’aria e ondeggiò fino ad arrivare a lei. Jasmine immerse le due dita precedentemente usate nella bolla si sangue, si chinò e tracciò un altro piccolo tratto adiacente al primo. Ripetè l’operazione più e più volte ruotando intorno al tavolo e disegnando col liquido vermiglio un cerchio perfetto intorno ad esso.
Quando terminò l’opera andò a recuperare il libro, mormorò qualcosa e anch’esso iniziò a galleggiare nell’aria.
“Il cerchio è la vita!” sussurrò con voce solenne, nessun ombra di sorriso sul volto, solo grande concentrazione.
Il disegno di sangue si illuminò, la lampadina sul soffitto si spense. La luce rossa a forma di circonferenza era l’unica cosa che illuminava lo scantinato.
“Il buio è la morte!” l’aria iniziò a vibrare attorno a lei, ma lei parve non accorgersene. Gli occhi brillarono.
“Il libro è la maledizione!” tuonò e il volume pulsò come se avesse avuto un cuore di carta.
Le pagine iniziarono a girarsi come mosse da un vento insistente, prima in un verso, poi nell’altro, infine tornarono immobili nella posizione di partenza. Jasmine trasse un profondo respiro.
Posò le eleganti mani affusolate sulle pagine, una su ognuna. Poi le allontanò di qualche centimetro da esse. Ai suoi palmi rimasero attaccati dei fili, da una parte erano bianchi e dall’altra neri, emanavano luce. Inspirò nuovamente e si allontanò con calma dal libro, i palmi ancora aperti, i fili che si allungavano sempre di più fuoriuscendo dal volume. Entrò nel cerchio senza pestarne il perimetro scarlatto e posò con dolcezza i palmi sul petto di Dave, uno su ogni pettorale.
Espirò e allontanò le mani, i fili di luce rimasero attaccati a Dave e il suo corpo li risucchiò al suo interno, strappandoli dal libro. Quando l’ultimo lampo di luce sparì nel ragazzo il suo corpo ebbe un sussulto, la luce rossa si spense, il libro cadde a terra inerte e la luce sul soffitto si riaccese.
Dave spalancò gli occhi verdi di colpo, ma nelle sue pupille c’era qualcosa di strano. Esse non erano nere bensì rosse, rosse come il sangue.
Davanti al tavolo l’aria iniziò a crepitare, come se conducesse elettricità. Piccoli fulmini azzurri apparivano e scomparivano, lasciando dietro di loro una porzione di luce. Queste piccole forme luminose aumentarono di numero più il tempo passava coprendo il ragazzo ed il tavolo alla vista . Jasmine tratteneva il fiato pronta a fare la mossa successiva. Le luci si condensarono dando vita ad una sorta di finestra o di schermo televisivo.
All’interno di esso c’era una radura, illuminata solo dalla debole luce delle stelle che si adagiava sull’erba alta e su due corpi stesi a terra, apparentemente privi di sensi. Un uomo e una donna. La donna aveva il viso nascosto da una folta massa di capelli ricci rosso cupo e la sua mano era adagiata a pochi centimetri da un grosso volume. Anche con quella poca luce era chiaro che la copertina rivolta verso il cielo era bianca, sul dorso invece il bianco si scontrava con un altro colore, molto più scuso, probabilmente nero.
Due sagome camminavano verso di loro velocemente, la prima sembrava in ansia, la seconda rimase un po’ indietro evidentemente svogliata.
La prima si avvicinò sempre di più finchè non fu visibile il suo viso, si trattava di un uomo discretamente bello di cui però non si riusciva a scorgere il colore degli occhi e dei capelli a causa dell’oscurità.
L’uomo si abbassò per osservare da vicino la donna dai capelli rossi, allungò la mano e le scostò le ciocche che le ricoprivano il viso. Trattenne il respiro quando la luce della luna andò ad illuminare la pelle di lei.
“E’ una bellissima sciocca!”
“Bellissima, bah!” rispose la voce di una donna, probabilmente appartenente all’altra sagoma, ancora troppo lontana perché si potesse scorgere chiaramente.
L’uomo la ignorò.
“Lega il ragazzo!” ordinò.
“Il biondino?” gli urlò di rimando l’altra con la chiara voce di una donna.
“Sì”
L’uomo si alzò e lanciò un ultimo sguardo alla donna prima di raccogliere il libro che giaceva accanto a lei. Ad ampi passi si diresse verso il margine della radura, dove l’altra donna stava legando contro un albero il ragazzo svenuto.
“E’ straordinario quello che è riuscita a fare!” commentò l’uomo giunto alle spalle della sua aiutante. Di lei si potevano vedere i lunghi capelli neri come la notte e le mani esperte che stringevano nodi.
“Avrei potuto farlo anche io!” commentò lei tirando il nodo per assicurarsi che fosse ben fissato.
“Non avresti potuto Jas!”
“Non puoi nemmeno tu Mark!”
La donna che lui aveva chiamato Jas si voltò e lo fissò dritto negli occhi.
 
Aprii gli occhi di scatto. Non poteva essere, stavo sognando, ancora una volta stavo vedendo la mia telenovela personale. Ero sdraiata su un fianco, distesa a terra, con un braccio sotto la testa e l’altro piegato in avanti. Mi sentivo indolenzita, ma non importava. Ero ipnotizzata dalla scena che mi si parò dinnanzi agli occhi. Jasmine mi dava le spalle, davanti a lei slpendeva un’enorme schermo circolare nel quale compariva la sua stessa faccia.
E io ricordavo tutto. Ricordavo ogni sogno fatto e la mia mente li stava rapidamente collegando l’uno all’altro. Tutto ciò era assurdo. Era come se i miei sogni si fossero proiettati al di fuori della mia mente, in quello schermo che celava Dave legato al tavolo.
Sapevo che la ragazza svenuta doveva essere Myria, quasi percepii riscaldarsi quella zona sul palmo della mano dove avevo scritto il suo nome quella mattina di fretta. Il ragazzo legato all’albero era Richard e l’uomo che stava dando ordini era Mark. Tutto sembrava rivelare che il mio sogno era davvero stato proiettato al di fuori dei miei pensieri, ma tutto ciò non mi spiegava perché il viso di Jasmine, i capelli neri e mossi, gli occhi del colore del ghiaccio, comparisse sullo schermo, nella proiezione del mio sogno.
La Jasmine in carne ed ossa alzò la mano per cercare di toccare se stessa, le sue dita lambirono il vuoto, poi riportò indietro la mano ed attese, io con lei, senza informarla di essermi svegliata.
La Jasmine dentro allo schermo lanciò un’occhiata sprezzante a dove giaceva Myria.
“Di lei cosa ne dobbiamo fare?” domandò a Mark, la sua voce risuonò nella stanza.
Mark si fece pensieroso. “Lasciala lì, lei non è un problema!”
“Certo che non lo è!” sbottò la Jasmine che non era lì “Dovevi scoprire i suoi segreti!”
“Ha solo una grande fantasia!” borbottò cupamente Mark.
“Una grande fantasia non aiuta a fare magie migliori!” ribattè lei.
Mark non rispose, si limitò a guardare un punto imprecisato della radura.
“Cos’è quello?” gli domandò Jas, come la chiamava lui.
“Questo?” Mark alzò distrattamente il volume che teneva in una mano “Una cosa straordinaria!”
“Ovviamente!” Jas era sprezzante.
“Smettila Jasmine!” sibilò irato Mark “Lei è riuscita a trovare una soluzione al problema più grave che potessi porle!”
“Ma che brava!” c’era scerno nella voce della donna.
“Tu non capisci. Lei è riuscita ad identificare il potere dentro di lui e ha separato quello modificato che gli avevo inserito io da quello che lui aveva precedentemente, poi ha fatto in modo di imbrigliargli entrambi in un semplice libro, e guarda!” aprì il volume casualmente “E’ riuscita a far in modo che il potere non fuoriuscisse in alcun modo. E’ sigillato!”
“Scommetto ce se volessi riusciresti a liberarlo nuovamente vero?”
Lui scosse la testa fissando con ammirazione il libro.
“Lei l’ha modificato, usando anche tutto il suo potere è riuscita in primo luogo a separare ma anche a tenere uniti i due poteri, non potendo deprogrammare la parte negativa l’ha mutata, non è più così letale come l’avevo creata io! L’unico modo per riavere il potere è quello di fare quello che abbiamo visto fare a lei nella radura prima che intervenissimo!”
“Dovremmo prendere il potere dal libro e poi rimetterlo nel ragazzo?”
Lui annuì.
“E cosa stiamo aspettando a farlo?” Jas era improvvisamente molto più felice.
“Perché l’essere che avevo creato era troppo pericoloso!” Mark si avvicinò a Richard e lo osservò a lungo, come sovrappensiero.
“Stai scherzando vero?” Jas era incredula.
“No, affatto!” si voltò nuovamente verso di lei “Credevo che l’essere che ho creato da Richard fosse in qualche modo perfetto, un serbatoio infinito di potere,  avrei potuto controllarlo mentre lui avrebbe assorbito tutto il potere del mondo per poi cederlo nelle mie mani, ma qualcosa è andato terribilmente male! Lui assorbe anche la scintilla di vita e questo lo rende infinitamente pericoloso, lo fa diventare un essere a se stante, gli da dei pensieri. Io volevo un essere guidato dall’istinto di uccidere per impossessarsi del potere, ma ho creato un mostro che pian piano inizia a pensare a volere tutto quel potere per se! E’ come se nel corpo di questo ragazzo ci fosse stato un demone guidato dalla magia che ho immesso in lui e dalla vita di tutte le persone che uccide!”
“Quando ha abbastanza potere potresti ucciderlo e rubarglielo tutto, non devi per forza rinunciare!” lo incitò lei.
“Lui non si farebbe uccidere, sarebbe troppo intelligente per permettermelo, mi succhierebbe via i poteri come ha fatto con gli altri!”
“Non lo farebbe, sei il suo padrone!” Jas sembrava incredula, come se lui avesse detto un’oscenità.
“Jas!” Mark le mise le mani sulle spalle e la guardò negli occhi azzurro chiaro “L’ho visto uccidere, stava per prendersi anche Myria e io ho provato a fermarlo. Non ce l’ho fatta, l’ha fermato lei!” era evidente quanto gli costasse ammettere ciò, tuttavia lo fece.
Jas sbarrò gli occhi e un lampo di consapevolezza le attraversò le iridi.
“Tu la ami!”
Un sorriso di rimpianto di dipinse sulle labbra di Mark.
“E’ straordinaria!” si limitò a dire.
“Anche io lo sono!” sbottò lei.
“Non così!”
“Lei è da mesi tua nemica, hai giurato di ucciderla!” l’incredulità nella voce di Jas era palese.
Entrambi si ammutolirono quando videro qualcosa brillare nell’aria. Mark fece un gesto con la mano e un pugnale d’argento si bloccò nell’aria a pochi centimetri da lui. L’arma cadde a terra senza fare rumore e lui fissò l’oscurità dinnanzi a se.
“Myria!” chiamò a gran voce.
Anche Jasmine si guardava attorno cercandola, i muscoli tesi, pronti a difendersi da un’eventuale attacco.
“Lei non doveva essere un problema vero?”sibilò a denti stretti.
“Ha usato tutti i poteri per confinare nel libro quelli di Richard, ma non vuol dire che non abbia più un’ottima mira!”
“Sembri compiaciuto dalla cosa!” ribattè lei.
“Lasciate andare Richard!” una voce sinistra attraversò la notte, un ammonimento.
“Fatti sotto, puttana!” urlò di rimando Jasmine con i nervi tesi.
Si udii un sibilo e un attimo dopo una freccia cadde a pochi centimetri da lei.
Mark le lanciò un’occhiataccia, mosse le mani attorno a se formando una cupola leggermente visibile.
“Myria, vieni fuori a parlare, non puoi farci nulla, siamo protetti!”
La sagoma di una donna si fece avanti dal margine della foresta. Aveva il cappuccio alzato, rendendo invisibile il suo volto, era alta e mi sentii rabbrividire quando comparve. Era così reale che mi aspettavo che potesse uscire dallo schermo. Capii perché la mascella di Mark era contratta e perché Jasmine fosse così spaventata. Quella donna era così diversa dalla persona che stava osservando lo schermo, dandomi la schiena, ma quella scena mi fece capire perché avevo visto il terrore nei suoi occhi quando aveva letto il nome Myria sul mio palmo.
“Non ho potuto far a meno di ascoltare!” tuonò la voce limpida di Myria facendomi rabbrividire sempre di più.
“I tuoi trucchi con me non funzionano, non ti temo!” disse con semplicità Mark fissando la donna.
“Sbagli!” ribattè lei con freddezza. Non cercava di convincerlo, era solo una dato d fatto.
“La tua reputazione ti precede, la strega più pericolosa del continente, per mesi ho creduto che tu fossi un enorme pericolo per me! La gente pronunciava con timore il tuo nome quasi quanto il mio.” Disse Mark a gran voce.
“Desolata!” commentò lei, senza arrestare la sua avanzata.
Non potei far a meno di pensare a quanto Myria sembrasse pericolosa.
“Ti ho cercata in lungo e in largo, aspettandomi una vecchia bavosa che mescolava ingredienti in un calderone e cosa trovo? Un fantasma nero che si aggira nella notte terrorizzando chiunque. Eri inavvicinabile, così sono ricorso alla mia tecnica migliore, ho mutato il potere!”
“Non si può mutare il potere, è allo stato potenziale, sempre.” Commentò lei mentre Jasmine non le toglieva gli occhi di dosso, sempre più tesa.
“Questione di punti di vista. Ho mutato il potere e l’ho messo nel corpo di uno stupido contadino, era così diventato una bestia, col solo scopo di ucciderti, ma poi è sparito. Così mandai altri esseri spaventosi, sempre creati nel medesimo modo, ognuno con caratteristiche diverse. Sparirono anch’essi. E poi mutai me stesso rendendomi più forte e più agile. Quando ti ho vista non volevo crederci, mi hai immobilizzato, non so nemmeno io come, e mi hai chiesto se ero stato maledetto. Ti dissi di sì. Fu allora che tu feci quello che meno mi aspettavo dalla strega più temuta del continente: mi hai detto che mi avresti aiutato. Ero troppo incuriosito per approfittare del tuo momento di debolezza e ucciderti. Così mi hai portato nel tuo covo e mi hai fatto vedere tutte quelle persone che io ti avevo mandato contro, mi hai detto che le avresti guarite, avresti insegnato loro come controllare il potere, come usarlo per altri scopi. Dicevi che il potere era potenziale e non programmato all’interno di  noi, ci sarebbe voluto tempo e tu mi chiesi se potevi aiutarmi. Ero affascinato, ti dissi di sì. Fu così che iniziai a creare esseri sempre più spaventosi, a tua insaputa, te li mandavo e stavo lì, come tuo amico ad osservarti e ammirarti mentre insegnavi a loro come comportarsi. Così mi sono innamorato Myria. Non è mai esistita una donna abile e intelligente come te, ma la mia divenne anche una passione, non potevo più far a meno di metterti alla prova, in continuazione. E poi arrivò la mia opera migliore: Richard. E tu hai finalmente perso, ti sei arresa e non gli hai insegnato a controllarsi, hai deciso di asportare il potere modificato dal suo corpo, l’hai messo qui!” sventolò il libro in aria “Ingegnosa, ma hai perso il tuo potere!”.
Myria era di fronte a lui, immobile come una statua, avvolta nel suo mantello nero che svolazzava leggermente nella brezza della notte. Lui parve per un attimo perdere l’uso della parola, ma la ritrovò quasi subito mentre faceva cadere lo scudo attorno a se.
“Ti amo anche senza poteri, ma dovrai unirti a me se vuoi sopravvivere!” sorrise con sicurezza.
La vera Jasmine allungò nuovamente la mano, sta volta verso il viso di Mark che splendeva sorridente sullo schermo, invece che lambire il vuoto questa volta la sua mano si arrestò, come se stesse toccando il vetro.
Lei mormorò qualcosa e l’aria crepitò con maggiore forza, il ronzio era insopportabile e avrei tanto voluto coprimi le orecchie con le mani, ma non osavo muovermi, per non rivelare che ero sveglia.
Jasmine fece maggiore pressione sul vetro, cercando di penetrarlo, la litania che pronunciava si fece sempre più insistente e il suo tono di voce salì.
Dallo schermo provenì la voce di Myria “Sei davvero una bastardo!” era densa di disprezzo. Il sorriso sulle labbra di Mark si spense, le labbra rosse di Myria, leggermente visibili da sotto il cappuccio si strinsero.
Le parole della vera Jasmine si fecero sempre più frenetiche la mano sembrava spingesse con sempre più forza, il ronzio era ancora più elevato.
Myria, con una rapida mossa, estrasse un coltello dalla cintura e lo piantò con forza nella clavicola di Mark, senza che lui potesse far nulla per fermarla. Lui spalancò le bocca in un urlo mai emesso e si accasciò al suolo. Jasmine urlò e piantò le unghie sul vetro di quello strano schermo. Cadde sulle ginocchia e urlò di nuovo. Il suono mi fece venire i brividi, sullo schermo si formarono delle crepe e poi esplose. Strinsi gli occhi aspettandomi che i pezzi di vetro saltassero in giro per la stanza, ma non fu così. La stanza piombò nel buio più totale e si udirono solo le urla disperate di Jasmine.



Oddio! Non sto chi a spiegarvi che questo capitolo è importantissimo e bla bla bla perchè credo lo abbiate capito leggendolo.
Non mi soddisfa. Volevo rendere più giustizia alla morte di Alan, ma allo stesso tempo Mar non prova sentimenti e quindi non sapevo come fare. Per quanto può essere stato perfido e cattivo Alan è comunque un grand'uomo, qualcuno che ha saputo sfruttare le opportunità della propria vita, una persona che è riuscita a diventare più forte anche dopo eventi tanto dolorosi, come il tradimento della moglie e la sua morte.
Io so che qualcuno (ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale) adorava Alan, ma doveva finire così, non chiedetemi perchè.
Ora vorrei chiedervi se notate delle incongruenze nella storia: essendondoci un infinito numer di dettagli può darsi che mi sia sfuggito qualcosa, quindi se notate delle incongruenze comunicatemelo, sia via messaggio privato che tramite recensione, com'è più comodo a voi!
Passiamo ai ringraziamenti: per prima cosa un grazie speciale a colore che hanno recensito lo scorso capitolo (
thebest89Cleare97,Bloomsbury), invito comunque,a ncora una volta, coloro che non si sono mai espressi, a farlo, tanto non vi mangio! 
Bene, non mi dilungo ulteriormente! Ho scritto fino al venticinquesimo capitolo e spero di finire il 'libro' nelle vacenze di natale.
A mercoledì prossimo :)
Daisy

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***





CAPITOLO 18



“Mark!” la voce di Jasmine esprimeva disperazione, se non l’avessi vista con i miei occhi poco prima crollare al suolo non avrei creduto che quella voce potesse appartenere a lei. Stentavo a crederci. Mi ero fatta un’idea piuttosto precisa di Jasmine e lei era sicuramente un donna forte e una persona del genere non conosce disperazione. La stanza era ancora immersa nel buio più totale, i singhiozzi di Jasmine si facevano sempre meno forti, era come se cercasse di controllarsi, ma trovasse la cosa estremamente difficile.
Tutta quella situazione era davvero sconcertante per me.
La luce si riaccese e fui costretta a serrare gli occhi di scatto, abituata com’ero al buio. Socchiusi leggermente una palpebra e vidi Jasmine alzarsi da terra facendo leva con le braccia sul tavolo dov’era disteso Dave. Lo guardò a lungo, come se lui rappresentasse la sua ultima speranza. Fece dei respiri profondi e si voltò. Chiusi la palpebra mezza aperta velocemente, sperando che non avesse visto che avevo assistito al suo crollo, non osavo nemmeno pesare cosa mi avrebbe fatto se se ne fossa accorta. Probabilmente sarei morta seduta stante. Sentii i suoi tacchi contro il pavimento, il passo deciso e il rumore sempre più vicino. I suoi piedi si arrestarono in un punto imprecisato vicino a me. Cercai di mantenere un respiro regolare, come se fossi addormentata. Due dita fredde mi sfiorarono la fronte, Jasmine mormorò qualcosa e seppi al’istante ciò che stava facendo: mi stava ridando il potere che mi aveva sottratto.
Un vuoto che avevo dimenticato di avere si colmò lentamente, ridandomi forza e facendomi sentire improvvisamente euforica.
Nonostante le sensazioni dovute al potere che stava tornando in me sentii di non capire le ragioni di Jasmine. Che motivo aveva di fare tutto ciò? Nulla sembrava avere più senso, la donna più potente che conoscevo era debole come chiunque altro e l’aveva dimostrato cadendo al suolo rivedendo quelle immagini del suo passato.
Infatti avevo compreso: quello che avevo visto nello schermo non era la proiezione di un mio sogno, ma il passato di Jasmine. Lei aveva detto che avrebbe ripetuto una situazione del passato per poter interferire con esso, nei miei sogni avevo assistito a quello che aveva fatto Myria con Richard, quando lo aveva liberato del potere negativo che aveva dentro di se e Jasmine aveva fatto la stessa cosa al contrario con Dave, così si era aperto una specie di portale per il passato, portale che lei aveva cercato di attraversare, senza tuttavia riuscirci, per strane ragioni. La domanda era: cosa voleva portare nel presente?
Il mio primo pensiero era andato al libro dalla doppia copertina, ma ricordavo con fin troppa chiarezza la frenesia delle sue parole prima che Mark venisse ucciso, solo che mi rifiutavo di credere che fosse lui la persona da riportare al presente.
Il potere continuava a fuoriuscire dalle dita di Jasmine posate sulla mia fronte e io non osavo muovermi. Il processo sembrò infinito, ma ad un certo punto sentii la testa più pesante e seppi che sarei svenuta, accadeva sempre la stessa cosa quando assorbivo o cedevo potere.
 
Myria si spostò di lato evitando il raggio di luce rossa uscente dalle mani di Jasmine. Sapeva di non poter resistere a lungo, non aveva poteri, ma solo agilità e furbizia. Aveva lanciato il coltello addosso a Jasmine mancandola di diversi centimetri, ma l’errore era stato commesso apposta, voleva lanciarlo verso l’albero dov’era legato Richard. Sapeva di aver colpito una fune e di averla tranciata e vedeva che il ragazzo iniziava muoversi, in pochi attimi si sarebbe svegliato.
Jasmine lanciò un’altra saetta  e lei scattò di lato nuovamente. Il raggio di luce centrò una sua ciocca di capelli sollevando un lieve odore di bruciato.
“Tu. L’hai. Ucciso!” sibilò la sua avversaria facendo saettare un raggio rosso verso di lei ad ogni parola.
Myria si lanciò a terra evitandoli all’ultimo, ma uno di essi colpì il suo mantello incendiandolo. Lei se ne liberò velocemente rimanendo solo in pantaloni e camicia. In quel momento ebbe la migliore visione del mondo. Richard era in piedi dietro Jasmine, con il coltello serrato nella mano, era concentrato, pronto a non sbagliare il colpo.
Jasmine lanciò un’occhiata al cadavere di Mark e a Myria venne una fitta al cuore. Mark era sempre stato un amico, ma sentire ciò che aveva fatto le aveva fatto perdere la pazienza. Conosceva il mago Mark di fama e la sua era molto peggiore di quella di Myria, le cose che si dicevano sul conto di Mark erano tutte vere. Era un vero mostro e aveva pagato un prezzo altissimo per questo. Aveva mutato delle persone innocenti, facendole diventare mostri, per semplice divertimento e lei aveva visto la sofferenza nei loro occhi e non poteva ignorare la cosa.
Jasmine puntò gli occhi di ghiaccio su di lei e l’aria intorno a Myria divenne improvvisamente più fredda. Cercò di rialzarsi, ma era impossibile, tutti i suoi muscoli sembravano congelati. Cercò di inalare aria, ma era difficile ed era quasi doloroso.
Jasmine mosse un paio di passi verso di lei, seguita in silenzio da Richard che si era bloccato a causa della paura vedendomi a terra inerme.
“L’hai ucciso! Avevi l’onore di essere amata da lui e l’hai UCCISO!” l’ultima parola penetrò con forza nelle orecchie di Myria, serrò gli occhi e urlò con forza.
Il gelo cessò e anche l’urlo parve non essere mai arrivato. Aprì gli occhi e vide che Richard si era mosso velocemente in avanti e aveva affondato il pugnale d’argento nel fianco di Jasmine. Lei si voltò rapida verso di lui e con un solo gesto della mano lo scaraventò lontano. Si udii il corpo del ragazzo urtare contro un albero con un suono sinistro di ossa spezzate. Myria rabbrividì e urlò.
 Jasmine si portò una mano sul fianco e barcollò leggermente, mentre l’arto si tingeva di rosso. Mormorò qualcosa, Myria rimase immobile.
Jasmine la guardò con profondo disprezzo mentre due grosse lacrime salate brillarono sul suo volto riflettendo la luce lunare. Si avvicinò verso di lei e Myria nuovamente sentii il freddo pungente che le bloccava i movimenti. Quella donna meritava la sua stima, era ferita eppure riusciva ugualmente ad usare una notevole quantità di potere. I respiri di Myria si fecero più corti, era come se innumerevoli spilli gelati le premessero sul corpo, voleva urlare, ma anche la bocca era paralizzata.
Fissò negli occhi Jasmine pronta ad accettare la sua fine, che sembrava ormai prossima. Quest’ultima serrò le labbra cercando di reprimere una smorfia di dolore mentre rivolgeva verso Myria il fianco ferito.
Tolse la mano che copriva il taglio profondo e il sangue sgorgò fuori più velocemente  cadendo con grosse gocce sopra Myria. Il respiro le divenne difficile, ma non smise di far gocciolare il suo sangue sul corpo della nemica.
“Io ti maledico!” sibilò con voce ferma e solenne Jasmine guardando gli occhi verdi di Myria con i suoi azzurri.
“Ti maledico col mio sangue, così che la maledizione sia intoccabile.  Morirai senza mai poter vedere il frutto del tuo amore, morirai nel dare alla luce il tuo primo figlio e anche lui sarà dannato. Sembra questa la punizione peggiore per te!”
Myria rabbrividii, Jasmine sapeva che stava per morire e voleva maledirla prima di andarsene.
“Addio puttana!” concluse con uno strano sorriso sofferente, ma soddisfatto sulle labbra. Mosse alcuni faticosi passi verso il libro e si chinò per prenderlo tra le mani macchiate del liquido vermiglio.
“Il tuo potere unisce le due metà del libro vero?” domandò con un filo di voce appena udibile, non attese una risposta.
“Il mio potere dividerà, renderà possibile utilizzare il potere presente in questo volume così che il tuo ultimo e nobile sforzo sia stato vano!” sorrise nuovamente cercando di trarre forza dalle sue parole.
“Tu morirai Myria, ma io mi salverò e farò in modo che tutto ciò che hai fatto si inutile!”
Myria pensò che si trattasse di vane parole di una moribonda. Tuttavia continuava a sentire il freddo pungente che le stava perforando la pelle e che le rendeva difficile respirare normalmente.
Una zona al centro del petto di Jasmine di illuminò estendendosi sempre di più fino a ricoprirla interamente. Il libro tra le sua mani si spalancò esattamente a metà, un attimo dopo lei era scomparsa, come risucchiata dal volume che galleggiò per un istante in aria prima di cadere al suolo definitivamente chiuso.
 
 
Spalancai gli occhi e mi ritrovai distesa sul pavimento, piena di una forza del tutto nuova, ma anche con una grande consapevolezza. Ora sapevo com’erano andate le cose, com’era nato il libro che io stessa avevo aperto e aiutato a riscrivere, sapevo anche della maledizione e immaginavo che Myria si fosse autoproclamata custode del volume per impedire che venisse aperto, forse sperava di scongiurare in qualche modo la maledizione di Jasmine.
Non riuscivo a crederci. Jasmine era la strega che aveva imposto la maledizione, ma non lo aveva fatto sul libro come avevamo sempre pensato, ma su Myria stessa e la sua discendenza.
Dave.
Rammentai le parole di Alex quando mesi prima aveva parlato a me e a Dave dell’origine della maledizione del custode del libro, lui parlava di qualcosa che era avvenuto circa mille anni prima. Era una quantità di tempo enorme e Jasmine era la strega di cui ci aveva parlato, quindi lei arrivava da mille anni prima!
Era sconvolgente pensare alla portata di quello che avevo scoperto, era assurdo anche solo immaginare che lei fosse rimasta racchiusa nel libro per tutto quel tempo, finchè io non lo avevo distrutto.
Ricordai il nostro secondo incontro, quando lei mi aveva detto che le avevo fatto una grande favore distruggendo il volume e il potere in esso contenuto, l’avevo liberata.
Io volevo salvare Dave all’epoca pensando che la maledizione che l’avrebbe portato alla morte con la nascita del suo primo figlio, invece essa era totalmente a se stante e non era collegata al libro.
Myria era stata abile, inventandosi la storia del custode maledetto, in questo modo di era assicurata che la sua discendenza tenesse al sicuro il potere del libro, fino a noi.
Provai una forte ammirazione per questa donna che aveva riempito i miei sogni, un’ammirazione di gran lunga maggiore rispetto a quella per Jasmine.
Jasmine era una donna egoista, caparbia, pronta a calpestare tutti pur di avere quello che voleva. Myria era altruista, ma esageratamente più intelligente, tanto da aver programmato la vita di tutta la sua discendenza al fine di proteggere tutti gli uomini  e le donne dalla forza maligna del volume. Era notevole.
Mille anni.
Mi guardai attorno e vidi che il cadavere di Alan era stato rimosso, la stanza era illuminata dalla solita luce debole e, proprio sotto alla lampadina, Dave giaceva ancora sul tavolo, legato saldamente. Di Jasmine nemmeno l’ombra. Mi misi in piedi e percepii di avere dentro di me una forza decisamente superiore a quella che avevo avuto in passato. Come mai Jasmine mi aveva dato così tanto potere? Non ci pensai a lungo e mi incamminai verso il tavolo.
Dave aveva il viso leggermente piegato da un lato, gli occhi chiusi e un’espressione pacifica dipinta sul volto. I capelli erano sparpagliati sul legno e i respiri erano regolari. La sua immagine si sovrappose al volto di un altro ragazzo dai capelli biondo sporco che si era trovato in condizioni tanto simili da far sì che la somiglianza fosse inquietante.
Vidi lo squarcio nei vestiti di Dave causato dal coltello che Jasmine gli aveva piantato nel fianco, proprio dov’era stata ferita lei mille anni prima. Mille. Ancora quella cifra esageratamente lunga.
365000 giorni. Un’eternità.
Allungai la mano verso l’apertura e sfiorai con due dita la pelle di Dave, accertandomi che la sua ferita fosse realmente scomparsa. Perché non aveva usato la stessa magia per far sparire la sua e sopravvivere senza finire nel libro?
Al mio tocco Dave iniziò ad agitarsi nel sonno, spostò la testa e mugugnò qualcosa. Poi il respiro parve bloccarglisi in gola. Spalancò gli occhi spaventato e cercò di inalare ossigeno, non appena lo fece venne scosso da un lieve tremore.
Le pupille gli divennero rosse e il sussulto finì di colpo. I suoi occhi verdi incontrarono i miei e io mi sentii rabbrividire, un sorriso strano, insolito per le labbra di Dave comparve e distorse i bei lineamenti del suo viso. Si trattava di un’espressione meschina. Rabbrividii allontanandomi lentamente dal tavolo, facendo i piccoli passi indietro senza staccare gli occhi dalla sagoma legata. Dave piegò la testa di lato per continuare a vedermi e si portò la lingua sul labbro inferiore, lo leccò come se stesse pregustando un’invitante banchetto.
Un secondo dopo richiuse gli occhi e iniziò a tremare violentemente. Il corpo sembrava percorso da corrente, il movimento partiva dalla testa e terminava sulle gambe, prima di iniziare nuovamente.
Mi avvicinai per osservare meglio la scena, ma non ne rimasi soddisfatta come pensavo. Il viso di Dave era contratto forse a causa di un dolore che io non potevo capire, mentre il suo corpo sussultava. Mi portai le mani alla bocca e lo guardai impotente, senza provare nemmeno un pizzico di gioia di fronte alla sofferenza di Dave. Io sapevo cos’era, l’avevo visto. I suoi sussulti si sovrapponevano a quelli di Richard, il ragazzo del sogno. Era questo che Jasmine intendeva dire quando parlava di distruggere Dave. Il sorriso che gli avevo visto sulle labbra poco prima ne era la conferma.
I sussulti cessarono e Dave aprii piano gli occhi, come se si stesse appena svegliando da un lungo sonno.
Emisi un sospiro di sollievo quando vidi le pupille nere e non rosse. Le sue iridi si posarono sulle mie con dolcezza, come se volesse accarezzarle. Sorrise e cercò di muoversi, fu allora che si accorse di non riuscirci.
“Perchè sono legato?” era spaventato. I suoi occhi saettavano da me ai lacci di cuoio che lo tenevano immobile, come se uno dei due potesse dargli spiegazioni.  Scosse le braccia cercando di liberarsi, con scarsi risultati.
“Mar?” attendeva una mia risposta, ma io non potevo far altro che guardarlo senza riuscire a ragionare coerentemente o a fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Avevo stampato a fuoco nella mie mente il suo sorriso malevolo e mi sentivo rabbrividire ogni volta che ci ripensavo.
Mi costrinsi a togliermi dalla mente quell’immagine.
“Liberami!” sembrava sempre più disperato, gli occhi quasi fuori dalle orbite per lo sforzo inutile di vincere quei legacci di cuoio.
Io dovevo essere felice, dov’era finita l’euforia? Avevo più potere, ero più forte di prima, dovevo esserlo, lo sentivo.
Eppure non riuscivo a gioire. Era quella la vendetta per la quale avevo atteso così a lungo?
Distruggere Dave come lui aveva distrutto me, sembrava così promettente prima che lo vedessi con le lacrime agli occhi a lottare con tutte le sue forze. Mi guardava ferito, mentre io ero immobile di fianco a lui, persa nei miei pensieri e sentivo le sue parole e i suoi lamenti come echi lontani ed incorporei.
Fu in quel momento che capii che il vetro infrangibile che mi rendeva invincibile aveva tante piccole crepe. Mi accorsi che la forza del corpo non corrisponde a quella dell’anima, fu come un’illuminazione, un concetto al quale non ero mai arrivata prima. Sentivo il potere scorrermi nelle vene eppure non ero invincibile, ma fragile.
Odiavo il mio esserlo, ma non potevo negarlo.
Jasmine mi aveva detto che avevo smesso di provare le sensazioni che mi rendevano debole perché credevo che con il potere esse si sarebbero allontanate.
Effetto placebo.
Ero stata io ad autoconvincermi che quelle emozioni non potevano raggiungermi.
Effetto placebo, appunto.
“MAR!” urlò lui con forza, richiamando la mia attenzione. Gli occhi erano arrossati, le vene sul collo visibili per lo sforzo, il viso era contratto e io volli odiarlo con tutto il mio cuore. Lui si meritava tutto quello, mi aveva fatto del male, mi aveva indebolita.
Dopotutto si trattava solo di indossare una maschera e di calarsi nella parte. Con il cuore pesante sorrisi, con il sorriso più maligno che potessi fare. Sembrai riuscirci perché lui si bloccò di colpo e mi guardò esterrefatto.
“Ti distruggerò!” sibilai più per convincere me stessa che lui.
“Non lo farai!” mi guardò come se mi stesse sfidando.
“L’ho già fatto!”
“Mar, questa non sei tu!”
Strinsi la mascella “Ti sbagli!”
Quella ero io, e io volevo vendetta.
“Cosa mi è successo Mar?” sembrava essersi calmato, mi guardò con gli occhi lucidi poggiando la testa, prima sollevata leggermente, sul tavolo.
“Sei stato mutato!” lo dissi con freddezza, forse avrei dovuto metterci un po’ più di soddisfazione nella voce.
“Mutato?” sembrava preoccupato.
“Mutato!” disse Jasmine entrando nella stanza “E tu come lo sai?” mi domandò studiandomi con i freddi occhi ghiaccio.
“Intuizione!” risposi sorridendole malgrado volessi solo fuggire da lì il più in fretta possibile.
La osservai con attenzione e vidi in lei la solita Jasmine, quella gentile e letale, non vi era nemmeno una traccia del suo crollo di poche ore prima, sembrava essersi ripresa completamente, eppure io sapevo: anche lei era umana, come me, come Dave.
“Liberatemi!” il tono di Dave era minaccioso, cercai di trovarlo ridicolo, dal momento che minacciava legato ad un tavolo totalmente alla mercè di Jasmine, ma non ci riuscii.
Jasmine lo ignorò.
“Allora Dave, come diceva Mar, sei stato mutato. La tua mutazione serviva a creare una connessione col passato che però è fallita!” ne parlò come se stesse discutendo del tempo, senza far trapelare le sue emozioni.
“Liberami!” sibilò lui.
“Presto!” sorrise affabile Jasmine “Allora, presto proverai l’istinto di succhiare via il potere sia da me che dalla qui presente Marguerite!”
“Cosa?” speravo che non fosse vero, lo speravo con tutto il cuore.
“Cosa?” mi fece eco Dave, più spaventato.
“Non ci farà del male!” disse sicura Jasmine lanciando una lunga occhiata a Dave “Posso controllarlo!” sorrise come se quella fosse una grande vittoria.
Rammentai la voce di Mark che diceva di non poterlo controllare, come pensava di riuscirci lei? Quel sorriso sulle sue labbra però la diceva lunga, voleva dire che aveva trovato un modo.
“Vorrei che tu ci dicessi se inizi a provare simili istinti!”
“Così mi ucciderai come hai ucciso Alan?” sbottò lui.
Jasmine sorrise e si avvicinò a Dave.
“Devi sapere una cosa. Quando il potere che è in te si risveglierà, se non è già successo, allora tu vorrai disperatamente il potere della tua Mar. Se inspiri profondamente forse puoi addirittura sentirne l’odore!” Jasmine sembrava estasiata dalle sue parole, io ascoltavo immobile.
“Quando tu deciderai di prenderle tutto, non ti limiterai al potere, ma le toglierai anche la scintilla vitale!”
Dave rimase in silenzio mentre io mi sentivo rabbrividire. “Lei morirà Dave!”
“IO NON SONO UN MOSTRO!” urlò lui con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Oh sì che lo sei!” commentò Jasmine placidamente.
“NO!”
Era terrorizzato dalla sola idea. Aveva ragione Jasmine a dire che lo avrebbe distrutto, vedevo nei suoi occhi scomparire le certezze che aveva avuto fino a quel momento, che lo avevano reso il Dave Sullivan che conoscevo. Lui non mi avrebbe mai fatta del male.
Non era vero, lui mi aveva ferita, più di quanto avesse fatto chiunque altro. Mi aveva indebolita per poi ferirmi con più facilità.
Non potevo provare pena per il suo dolore, non dovevo provarne.
“Sei un mostro Dave!” sibilai mettendoci tutto l’odio di cui ero capace “E mi uccideresti se non fossi legato!” aggiunsi.
Le mie parole parvero ferirlo più di quanto avesse fatto il pugnale scagliato da Jasmine. Impallidì e sbarrò gli occhi.
“Non lo farei mai!” ribattè con tono risoluto.
“Avrai dei vuoti di memoria, quando inizieranno vuol dire che sarai ufficialmente pericoloso, più pericoloso di me e di Mar!” lo informò Jasmine “Lì saprai che dico la verità!”
“Mar, non crederle!” sussurrò lui “Sono io, sono Dave, non sono un mostro, lei mente!”
“Sì che lo sei!” risposi guardandolo negli occhi “Prima ti ho sfiorato e tu ti sei svegliato di colpo  e le tue pupille erano rosse!” rabbrividii al solo pensiero, ma cercai di non farlo notare ai presenti.
“Bene!” disse soddisfatta Jasmine “Il processo è iniziato!”
“NO!” urlò Dave mentre probabilmente vedeva il suo mondo disgregarsi davanti ai suoi occhi verdi “Io non posso farti del male!” mi guardò con dolcezza negli occhi “Non potrei mai! Ti amo Mar, ti amo nonostante tutti i tuoi tradimenti!” gli occhi erano fermi e non riuscii a distogliere lo sguardo. Fu come la prima volta che c’eravano incontrati. Ci eravamo fissati a lungo, in quell’incessante gioco di sguardi, io avevo perso e lì era iniziata la mia caduta inesorabile.
Le sue iridi smeraldo erano il un polo della calamita, i miei neri come la notte erano l’altro polo opposto.
“Molto commovente!” commentò Jasmine con freddezza.
“Mi hai già ferita!” dissi sinceramente a Dave ripensando a lui mentre si strusciava contro il corpo di Jamie, lì mi aveva davvero uccisa, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Doveva pagare per tutto quello.
“Quando?” il suo tono di voce sembrava quasi disperato.
Un secondo dopo aver pronunciato la domanda il suo corpo riprese a sussultare, chiuse gli occhi con forza e sembrò soffrire molto.
“Quanto ci vorrà?” domandai a Jasmine sovrastando le urla di Dave e cercando di guardare il suo corpo  scosso da forti pulsazioni con indifferenza.
“Per cosa?” domandò osservando attentamente Dave e avvicinandosi ad esso. Mise due dita attorno al polso e contò i battiti guardando un orologio.
“Perché non sia più cosciente, perché non sia più lui!”
Jasmine continuò a contare con le labbra senza però emettere un suono, attesi che il minuto passasse. Lei mormorò un paio di volte un numero come a fissarlo nella memoria. Dave urlò e lei mi sorrise come se nulla fosse.
“Sarà sempre lui, è questa la bellezza. Lui sarà lì dentro, incapace di controllarsi e desidererà la morte ogni volta che prenderà la vita di qualcuno, si odierà, e tu assisterai al processo di degradazione!”
Perché avrebbe dovuto prendere la vita di qualcuno? A cosa serviva ora Dave se lei non era riuscita a riportare indietro Mark?
“Grandioso!” cercai di metterci entusiasmo, ma forse non fui abbastanza convincente.
Jasmine si avvicinò sospettosa e io la guardai negli occhi ansiosa di poter avere un valido motivo per distogliere lo sguardo da Dave. Mi prese il mento tra il pollice e l’indice e studiò il mio viso.
“Qualche ripensamento?”
“Mi ha distrutta. Nessuno.” Risposi semplicemente, più convinta “Ma non pensavo che dovesse uccidere altre persone!”
“Dai Mar! Sono solo delle vite inutili, prese per uno scopo più alto!”
“Quale sarebbe lo scopo?” ero seria, ma cercai di non apparire intimorita. Ero mossa dalla vendetta, ma non avevo nulla contro le persone che avrebbero perso la vita perché Jasmine aveva deciso così.
“Lo scoprirai, forse!”
Mi voltò le spalle e uscì dalla porta, ma prima d sparire oltre la soglia aggiunse: “Ricordati sempre com’è morto Alan Black!”
Rabbrividii per la minaccia non troppo velata e la osservai uscire dalla stanza.
A quel punto i miei occhi ricaddero su Dave, si stava calmando, il respiro tornava regolare, i lineamenti meno tesi.
Spalancò gli occhi e mi guardò urlando aiuto con il solo utilizzo di quei begli occhi verdi.
“Cos’è successo?” articolò a fatica.
“Non ricordi nulla?” domandai temendo la risposta.
“Solo dolore!”
Rimanemmo qualche istante in silenzio.
“Ucciderò vero? Potrei uccidere anche te!”
Rimasi in silenzio e guardai da un’altra parte.
“Lo farò!” gli tremò la voce “Sei spaventata!” lo disse con amarezza.
“Mar!” mi chiamò. Guardai ostinatamente dall’altra parte.
“Guardami!”
A malavoglia lo fissai negli occhi.
“Tu vuoi la tua vendetta!” continuò, non risposi “Te la offro su un piatto d’argento!” era serio “Uccidimi!”
Uccidimi.
Rammentai le parole che una volta Jasmine mi aveva rivolto.
Lo distruggerai …  lui chiederà di morire.
Era accaduto.
Uccidimi.
La sua voce era un’eco insistente nella mia testa, si propagava come in una stanza vuota, scemando via via, ma non scomparve del tutto.
Uccidimi.
Poteva avermi distrutta, poteva avermi piegata, poteva avermi fatta piangere, ma non meritava di morire.
Come non meritava la tortura che gli era inflitta.
Uccidimi.
Dovevo odiarlo, dovevo farlo. Quella punizione era giusta, era la mia vendetta. Eppure non mi sentivo soddisfatta.
Uccidimi.



************************************************


In questo capitolo lo scudo di Mar va letteralmente a farsi fott***, ma lei vuole mantenere le apparenze. So che sto cambiando parecchie volte il suo modo di comportarsi, am spero anche di riuscire a farvi capire, almeno in minima parte perchè. Lei non è una paersona stabile. E' una donna che ha sempre creduto in ideali non proprio nobili e adesso si ritrova a fare i conti con la sua coscienza. Non vi è mai capitato di voler essere fatti in un modo e di cambiare voi stessi per cercare di avvicinarvi il più possibile a quell'ideale. A me sì, parecchie volte, ce n'è voluto di tempo per accettarmi per quella che sono. A mar succede più o meno la stessa cosa. Lei vorrebbe essere forte, strafottente, ricorda com'era facile la vita quando andava in discoteca con Rob e la sua massima preoccupazione era rimorchiare più ragazzi di lui. Ricorda com'era quando tutti seguivano i suoi ordini solo prchè lei gliel'aveva imposto. La sua vita è stata facile: nessuna sofferenza, nessun rimpianto. Proprio perchè ricorda com'era che non accetta la persona che è diventata. una persona che soffre, che riesce ad essere immensamente felice, ma anche immensamente triste, una persona che inizia apreoccuparsi per gli altri oltre che per se stessa.
Spero che il chiarimento sia stato utile! 
Perdonatemi eventuali errori, ma sono un danno nel correggere -.-" (io non sapere italiano correttamente)
Ringrazio chi legge, ma sopratutto chi recensisce: i vostri pareri sono fondamentali per la mia autostima :)
Al prossimo mercoledì (NATALEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE) sperando di riusicre a pubblicare!
Daisy

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Alla fine sono riuscita ad aggiornare. Potete considerarlo un piccolo regalo di natale da parte mia :)
Ho ricevuto un kindle e sono la ragazza più felice sulla facccia della terra. Insomma, un KINDLE. E addio studio e buoni propositi di passare i vari esami!
Va bè, la smetto con le mie inutili parole da bambina nel giorno di Natale e vi lascio alla lettura del capitolo ;)
Vi auguro un felice natale, il mio è ccominciato benissimo (sì ho scartato tutti i regali come se avessi quattro anni) e spero che continui così!
Vi adoro, e il più bel regalo che voi potete fare a me è quello di leggere questa piccola parte del mio stesso essere, questo piccolo bambino frutto della mia mente contorta.
Buon natale a tutti voi, col cuore.

Greta
(da notare i colori natalizi ;) )






 
CAPITOLO 19


Uccidimi.
Guardai Dave dritto negli occhi, facendo scontrare i nostri sguardi, ero risoluta. Il labbro inferiore gli tremava leggermente, ma probabilmente non aveva la minima idea di ciò che stavo per fare.
Mi avvicinai a lui e gli misi una mano sopra agli occhi, in modo da celare le sue iridi verde smeraldo, forse in quel modo sarebbe stato più facile. Lo sentii inspirare profondamente, a pieni polmoni, come se quella fosse la sua ultima boccata di ossigeno, sentii i muscoli contrarsi, non era affatto tranquillo.
“Perché mi odi tanto?” sussurrò, quasi chiedendolo a se stesso.
“Perché tu mi hai resa debole!” risposi sinceramente, guardandolo con tristezza. Potevo essere come volevo, ora che non mi vedeva.
“Come ho potuto renderti debole Mar?”  il suo tono di voce accarezzò il mio nome con dolcezza, i muscoli si rilassarono “Tu non puoi essere debole. Tu non lo sei mai stata, sei una donna forte! Quante volte sei caduta e ti sei rialzata più forte di prima?” una punta di orgoglio trasparì dalla sua voce e mi fece sorridere.
“Tante volte, ma ogni volta che cadevo mi facevo sempre più male!”
“E’ per questo che ti sei alleata con quella donna? Perché il dolore era troppo?”
Non risposi, mi limitai ad osservarlo. Era alto, leggermente muscoloso, i capelli neri che mi sfioravano le dita erano soffici.
“Mi ucciderai?” mi chiese con un filo di voce.
La bocca mi si seccò.
“L’ho già fatto! Tu sei morto Dave, quello che eri non esiste più!” lo dissi atona, mentre fissavo incantata i suoi capelli.
“Non sono morto, sono ancora qui!”
“Ancora per poco!”
“Uccidimi prima che io uccida te!”
“Anche tu mi hai già uccisa!”quanta verità c’era in quelle parole “Prima mi hai indebolita e poi mi hai uccisa nel peggiore dei modi!”
“Come?” il suo tono di voce era disperato.
Immaginai che Dave si addormentasse, lo vidi con chiarezza nella mia testa, il suo volto era beato e tranquillo, non c’era più alcuna domanda sulla punta della sua lingua.
Un attimo dopo i suoi muscoli si rilassarono , tolsi la mano dai suoi occhi e sorrisi debolmente nel vederli chiusi. Il respiro era regolare, mi fermai qualche istante ad osservarlo.
Mi aveva uccisa spezzandomi il cuore e la Mar debole era morta. Quella che aveva davanti era una Mar rinata più forte di prima. O almeno era quello che volevo credere fermamente io, anche se sapevo che le crepe nel mio vetro erano sempre più pericolose.
Il cellulare di Dave prese a squillare, lanciai un’occhiata al suo viso e notai che il rumore non l’aveva risvegliato dal sonno nel quale era appena caduto. Seguii il suono  e frugai nella tasca dei suoi jeans estraendone l’apparecchio. Lessi il nome sul display.
Alex.
Feci un respiro profondo e premetti il tasto verde.
“Dave, finalmente! Ero così in ansia! Stai bene?” la voce di Alex non nascondeva il suo tormento. Amava Dave come un figlio e lui era scomparso insieme a me da ventiquattrore.
“Alex!” lo salutai con ironia, non mi riusciva difficile essere scortese con quell’uomo che stimavo così poco.
“Marguerite!” pronunciò il mio nome con odio “Cosa gli hai fatto? Se gli hai fatto qualcosa io … io ti…”
“Al momento dorme!” risposi semplicemente non potendo far a meno di provare sollievo ad avere la mente occupata in qualcosa che non fossero le manie di suicidio di Dave e la poca soddisfazione che provavo nella mia vendetta.
Alex parve rilassarsi.
“L’agente Cyfer è quasi rimasto ucciso mentre ti inseguiva!” era un’accusa e un rimprovero al tempo stesso.
“Dannazione, quasi?” sogghignai. Odiavo quell’uomo con tutta me stessa, era così seccante.
“Marguerite, cos’hai fatto a Dave? Ti prego, fallo tornare a casa sano e salvo, ti prego …!” nella voce di Alex non c’era più nemmeno un minimo di orgoglio, solo disperazione.
Sentii una voce che non apparteneva a lui provenire dall’altro capo del telefono,  essa disse qualcosa che non riuscii a capire ad Alex, lui protestò, ma alla fine disse ‘ok’.
“Marguerite!” la voce che giunse alle mie orecchie tramite l’apparecchio, non mi era affatto nuova.
“Oh! Il quasi defunto Cyfer!” ridacchiai. Uscii dalla stanza sotterranea, lasciandomi alle spalle il mio momento di debolezza con Dave e salii le scale, fino a raggiungere il piano terra.
“Dove sei?” le sue domande erano sempre precise e miravano a far cadere l’autocontrollo di una persona, così che ad essa sfuggisse proprio l’informazione di cui aveva bisogno.
“Adesso pensa alla risposta che ti darei e prova a vedere se è il caso che rifare la domanda!”
“Non è un gioco!” sbottò arrabbiato.
“Oh, si che lo è. Io ho giocato le carte meglio di te, agente!” uscii dalla porta principale e osservai il sole ormai alto nel cielo. Portai la testa indietro e lasciai che i raggi mi riscaldassero la pelle del viso, chiusi gli occhi beandomi di quella sensazione.
“Sei alleata con Alan vero? “ il suo tono era nuovamente calmo. Non era un bravo agente se passava il tempo a parlare al telefono con me invece che alzare le chiappe e andare a cercare il ragazzo che doveva proteggere.
“Alan è morto!” lo dissi con freddezza. Dirlo ad alta voce era dannatamente strano, irreale. Era così paradossale pensare che Alan non esistesse più, che l’uomo che mi aveva cresciuta era semplicemente sparito, come se non fosse mai esistito. La cosa peggiore era il modo in cui era morto, l’impossibilità di difendersi, la consapevolezza di non avere scampo. Mi ero sentita in quel modo quando Rob tentava di violarmi, solo che io non ero morta.
Non mi mancava la figura di Alan e non potevo dire di non provare del rancore nei suoi confronti, mi aveva voluta morta e si era adoperato molto per far si che i suoi desideri divenissero realtà. Sì lo avevo odiato, ma gli avrei concesso una morte degna dell’uomo che era stato. Lui si era opposto fino alla fine, i suoi interessi non coincidevano con quelli di Jasmine, era comprensibile. Anche io l’avrei fatto. O forse no.
Tieniti stretta gli amici, ma ancora di più i nemici.
Se i  miei desideri non fossero stati in linea con quelli di Jasmine l’avrei assecondata lo stesso, aspettando un suo momento di debolezza per colpirla.
Ma io volevo la vendetta che lei mi aveva promesso. Mi tolsi dalla testa l’immagine delle labbra di Dave che si muovevano mentre mi chiedeva di ucciderlo.
“E’ morto?” Cyfer sembrava preso alla sprovvista.
“Sì!”
“Come?”
Chiusi la chiamata e spensi il cellulare. Il divertimento era finito, non provavo più gioia nell’ingannare quell’uomo, non in quel momento. Anche quella futile distrazione era stata inutile, avrei dovuto trovare qualcos’altro da fare.
Alzai gli occhi verso la casa e la osservai attentamente. Dietro ogni finestra poteva nascondersi lo sguardo di ghiaccio di Jasmine, dietro ogni insetto, uccello o gatto poteva celarsi lei. Immaginai uno scudo intorno a me, uno scudo azzurro.
Mi guardai attorno sperando di vederlo comparire, ma non avvenne. Forse non lo avevo immaginato abbastanza bene.
Chiusi gli occhi togliendo dalla mia vista tutto ciò che mi circondava, in quel modo avrei visto solo ciò che la mia mente avrebbe prodotto. Sentivo il potere scorrere dentro di me e m abbandonai all’immaginazione.
Lo scudo era trasparente, io lo potevo vedere, era di un pallido rosa e attraverso di esso vedevo il cielo normalmente azzurro, violetto. Questo schermo mi doveva rendere invisibile. Immaginai che se qualunque essere avesse rivolto lo sguardo su di me, lo schermo gli avrebbe mostrato ciò che c’era dietro di me, però celando la mia immagine. Esso doveva guidare la luce attorno a se stesso, facendo in modo che non mi colpisse direttamente, così sarei stata invisibile. Immaginai il funzionamento, vidi un raggio di luce che circumnavigava lo schermo.
Aprii gli occhi e sorrisi vedendo una sottile patina rosa circondarmi. Mi sentivo così gioiosa da non riuscire quasi più a ricordare il mio stato d’animo di poco prima. Era semplice gioia. Non brama di potere o sensazione di onnipotenza. Ero felice, davvero felice, come se fossi nel mio elemento. Ruotai su me stessa spalancando le braccia e ridendo, con il viso rivolto verso al sole. Non mi ero mai sentita tanto libera e nemmeno tanto leggera. Così leggera che forse mi sarei potuta librare in alto.
Chiusi gli occhi nuovamente, il sorriso ancora stampato sul volto.
Immaginai che la gravità, sotto i miei piedi smettesse di funzionare, pensai ai miei piedi che si sollevavano leggermente da terra, immaginai di muoverli come si fa in acqua.
Aprii le palpebre e vidi i miei piedi lambire il vuoto, mi ero sollevata solo di qualche centimetro.
Non appena smisi di immaginare quella situazione la gravità rincominciò a funzionare e i miei piedi cozzarono contro il pavimento. Flettei leggermente le ginocchia per attutire l’impatto.
Mi sdraiai a terra sull’erba e fissai le nuvole che si muovevano pigramente nel cielo. Era così piacevole usare i poteri che avevo, come diceva Alan, io ero nata per quello, anche se lui intendeva dire che ero nata per fare il gioco degli sguardi. Mentre immaginavo ad occhi aperti che le foglie sul terreno volassero intorno a me e loro cominciassero a volteggiare pensai che io ero nata per quello, ero nata per la magia. La facilità con cu la possedevo, la manovravo, era sconvolgente. Jasmine pensava che fosse rigorosa, i sogni su Myria mi dicevano che quasi tutti gli esseri in grado di usare la magia la pensavano allo stesso modo. Mi sembrava impossibile che nessuno di loro avesse mai chiuso gli occhi e immaginato con tanta forza qualcosa, eppure doveva essere andata così, altrimenti non sarei stata una delle poche a conoscere la magia creativa.
Le foglie verdi danzavano attorno a me, una piccola parte del mio cervello continuava a immaginare quello che loro, ubbidienti, eseguivano, mentre il resto era aggrovigliato in migliaia di pensieri.
Certo, io avevo avuto un aiutino, i sogni mi avevano rivelato che la magia creativa esisteva, però io avevo il merito di essermi fidata di quella che sembrava un’intuizione, dato che non rammentavo quei sogni.
Un suono fastidioso raggiunse il mio orecchio, vidi che quella volta a squillare era il mo cellulare. Mi misi a sedere mentre lo estraevo dalla tasca e leggevo il numero sul display.
Alex.
Di nuovo.
Le foglie caddero dolcemente sull’erba verde e il mio scudo si dissolse come nebbia rosa al sole. Guardai il cellulare con odio e immaginai che i circuiti fondessero, vidi lo schermo spegnersi di colpo e un leggero sbuffo di fumo uscire dall’apparecchio. Lo gettai a terra e ci salii sopra incrinando lo schermo. Lo ripresi in mano e  lo buttai nella spazzatura appena fuori il vialetto di quella casa.
Alzai gli occhi al cielo e decisi di rientrare, ormai Jasmine doveva aver notato la mia assenza.


“Dove sei stata?” il tono era indagatorio, ma gli occhi non si staccavano dalla cartina che aveva in mano. Vedere Jasmine china su un oggetto del genere era insolito quanto vedere degli elefanti che volavano. Potevo capire che fosse interessata ai libri antichi, ma le cartine non mi sembravano il suo genere. Osservai i boccoli incorniciarle il viso, mi avvicinai senza staccarle gli occhi di dosso, evitando di posare lo sguardo sul tavolo sul quale Dave giaceva addormentato. Era stato spostato dal centro della sala ad un lato, era meno illuminato, e quindi attirava meno l’attenzione, o almeno così speravo.
Jasmine aveva introdotto nella stanza un altro tavolo di legno, più piccolo del precedente e quasi tutto il ripiano di quest’ultimo era occupato dal grosso planisfero che Jasmine stava segnando con delle piccole croci rosse.
“Vuoi conquistare il mondo?” domandai osservando le ‘x’ perfette brillare a causa dell’inchiostro del pennarello ancora fresco.
“Se lo avessi voluto, l’avrei già fatto!” rispose semplicemente, alzando lo sguardo e sorridendomi con gentilezza. Era una bella donna, dimostrava si è no venticinque anni al massimo, eppure doveva avere mille anni. Ancora una volta quel numero mi parve così elevato e sconcertante.
“Dove sei stata?” ripetè mentre tornava a digitare qualcosa sulla tastiera di un computer che aveva posato sulla sedia di fianco a lei, dato che sul tavolo non c’era più posto.
Una donna che era vissuta mille anni prima con le dita che saettavano tranquillamente sulla tastiera del pc, inverosimile, ma comunque reale.
“Fuori!” risposi allontanando da me quei pensieri.
“Non ti ho vista!” commentò.
“Non ero in giardino!” ribattei tranquilla “Immagino di non poterti chiedere qual è la prossima mossa!” aggiunsi.
“Immagini bene!” ribattè un po’ distratta lei.
Notai che sulla sedia accanto a quella sulla quale era appoggiato il computer c’era un block notes, mi avvicinai  e, senza farmi notare, cercai di leggere le parole che Jasmine aveva scritto. La sua grafia era ordinata e le frasi erano brevi ed efficaci.

Più potere.
Battito regolare 120 min, sonno profondo.
Numero attacchi: 1 nelle prime 12 ore.
Colore pupille: rosso dopo un secondo.
Personalità: incognita.


Perplessa rilessi quello che sembrava un elenco un’altra volta. Sembrava  stesse parlando delle condizioni di Dave, ma mi sfuggiva la frase iniziale. La rilessi, ma nel farlo lo schermo del computer attirò la mia attenzione. Su di esso vi era la foto di una donna, doveva avere quarant’anni circa e sorrideva all’obbiettivo. Teneva per mano un bambina, anch’essa sembrava felice. Accanto ad essa c’era un brave articolo di giornale.


GLI EROI NON SONO MAI STATI COSI’ PICCOLI
New york, 13 luglio 2003.
La piccola Ester Dulard, nella foto con la madre Carol, ha salvato due bambini della sua scuola da essere investiti dal pulmino della scuola. Inspiegabilmente la bambina è riuscita ed essere più veloce del mezzo e ha spostato i bambini prima che potessero fare una fine decisamente peggiore. Ora presentano solo delle piccole ferite superficiali.



Spostai lo sguardo sulla cartina e vidi una ‘x’ rossa in corrispondenza della città di New York, mi sentii rabbrividire.
Gli occhi azzurri di Jasmine incontrarono i miei e  subito dopo mi ritrovai ad urlare con tutto il fiato che avevo in gola, mentre percepivo numerosi spilli conficcarmisi negli occhi. Il mondo divenne nero e io mi portai le mani sul viso e sentii che era bagnato, sperai che si trattasse di lacrime e non di sangue, ma l’odore di ruggine, mi faceva capire che non era così.
“Non vedo!” fui presa dal panico. Il dolore che provavo non era nemmeno lontanamente paragonabile alla paura che mi attanagliò lo stomaco in quell’istante facendomelo contorcere.
“Questo perché non ti devi impicciare!” il suo tono di voce era freddo.
“Non lo farò più!” bisbigliai ancora terrorizzata, muovendo la testa a destra e sa sinistra sperando di far entrare un piccolo spiraglio di luce nei miei occhi. Le mie mani erano ancora immobili sul mio viso, rigate da lacrime scarlatte.
“Se lo farai ancora una volta diventerai davvero cieca!” mi minacciò con tono tranquillo lei.
Un secondo dopo ripresi a vedere. Ero in ginocchio di fronte ad una Jasmine che mi sorrideva pacifica. Non sapevo come c’ero arrivata.
Vedevo.
Il buio di fronte alle miei pupille si era dissolto. Guardai la luce che pendeva dal soffitto sperando di riuscire ad assorbirla tutta con un solo sguardo, speravo avvenisse, non volevo provare più la sensazione di poco prima.
Mi alzai e notai con piacere che lei mie mani erano bagnate di lacrime e non di sangue, mi tastai gli occhi ed essi sembravano essere sani. Era come se non fosse mai successo nulla, come se Jasmine non mi avesse fatta diventare momentaneamente cieca.
Cercai di mettere abbastanza metri tra me e Jasmine prima di guardarla negli occhi.
“Non era necessario!” sibilai.
“E’ una questione seria quella alla quale lavoro, Mar, non intrometterti e non sarà più necessario!”
Strinsi la mascella. Avrei voluto urlarle contro, dirle che ne avevo abbastanza di lei e della suo modo di trattarmi, mostrarle tutta la mia forza. Farla smettere di respirare come avevo fatto con Rob quando ero andata a trovarlo in prigione. Ad ogni pensiero malvagio mi ricompariva nella mente il modo in cui era morto Alan. Inerme. Incapace di difendersi. Non potevo fare quella stessa fine.
Lui non aveva la conoscenza della magia che avevo io, ma nulla mi assicurava che la magia creativa mi sarebbe bastata contro Jasmine. Avevo visto troppo per commettere l’errore di continuare a sottovalutarla.
Uscii dalla stanza a lunghi passi e tornai al piano terra cercando di contenere la rabbia e la voglia di urlare al vento. Avrei voluto scatenare un temporale. Immaginai le nubi scure che si addensavano sopra il tetto della casa. Immaginai le correnti d’aria convergere su di essa, immaginai i fulmini saettare verso terra velocemente, producendo un lieve lampo e poi un tuono talmente forte da far tremare il pavimento di quella dannata casa.
Tutto ciò avvenne. Vidi un fulmine colpire la terra in qualche punto lontano e, pochi istanti dopo, il tuono rimbombò per l’edificio facendo tremare i vetri della casa. Fu allora che urlai. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola scaricando la rabbia, la frustrazione, la paura, l’insoddisfazione. Lo feci per tutta la durata del tuono, complice che il suo rumore avrebbe accompagnato e allo stesso tempo celato la mia voce. Le corde vocali mi facevano male, ma non smisi finche il tuono non si dissolse lentamente.
Non mi sentivo meglio, ma almeno mi ero sfogata, per quanto potessi farlo.
Mi incamminai verso la finestra e scostai la tenda, fu allora che nel grigiore del pomeriggio vidi tre auto avanzare nella strada fino ad arrestarsi davanti al vialetto che portava nella casa di Jasmine. Trattenni per un secondo il respiro quando vidi la sagoma inconfondibile di Cyfer uscire dalla prima macchina seguito da una decina di colleghi. Teneva in mano una pistola, così come gli altri.
Ci avevano trovati. Come?
Cyfer sembrava il leader del gruppo, mosse la mano destra due volte e metà del gruppo si spostò nella direzione indicata dall’arto dopo avergli fatto un lieve cenno d’assenso con la testa. I restanti uomini si diressero dal’altra parte. Si muovevano con circospezione, guardandosi attorno e studiando la casa con sguardo diffidente. Mi spostai dal vetro in modo tale da essere invisibile ai loro occhi. Stavano circondando la casa.
Il cuore iniziò a martellarmi nel petto con forza, cosa dovevo fare? Come diavolo aveva fatto Cyfer a trovarmi?
Lui si avvicinò verso la porta e la osservò. Mi sporsi per vederlo meglio, era incerto.
Un uomo si avvicinò a lui. Immaginai il volume delle loro voci che si alzava e che giungeva alle mie orecchie.
Così avvenne.
“Cyfer, la casa sembra disabitata, nessun’auto, nessuna luce accesa, nessun ombra fugace alle finestre!”
Solo allora mi resi conto che l’auto di Dave era sparita, probabilmente ci aveva pensato Jasmine. Per una volta ringraziai il buon senso di quella donna.
“Il segnale veniva da qui!” ribattè convinto Cyfer alzando gli occhi marroni verso il tetto della casa.
“Magari c’è stata un’interferenza, in giornate temporalesche come questa non si sa mai!”
“Fino a cinque minuti fa c’era il sole!” borbottò per nulla convinto.
“Pensi sia stata magia?”
“Ne sono certo!” il suo sguardo era determinato.
Solo allora notai che c’era un altro taglio quasi verticale sul viso, era superficiale, poco più di un graffio, doveva esserselo fatto quando gli avevo fatto saltare in aria il motore.
“Pensi che sia stata la Jones?” il tono dell’uomo era teso.
“Ha fatto saltare in aria il motore della mia macchina, sono sicuro che ci sia dietro lei!”
In qualche modo Cyfer si era convinto che io stessa ero stata la causa del suo incidente. Quell’uomo era molto perspicace per essere così incapace.
“Pensi davvero che anche Sullivan sia qui? Lei si sarà accorta che il cellulare potevano fornire un segnale utile a rintracciarli!”
“Non credo. E’ troppo persa nei suoi piani mentali per rendersi conto delle cose normali come questa! Ha risposto al telefono, è stata lei, non ha nemmeno pensato che così potevo trovarla!”
Trattenni il respiro. Che stupida che ero stata, come avevo fatto a non pensare ad una cosa del genere? Mi maledii mentre tendevo le orecchie per continuare a sentire la loro conversazione.
“Credi che il ragazzo sia ancora vivo?”
Lo sguardo di Cyfer si indurì, ancora non guardava il suo interlocutore, ma la porta, come a sfidarla ad aprirsi di fronte a lui.
“Lo scopriremo presto!”
“Cyfer!” l’uomo sembrava preoccupato “Lei sa che siamo qui vero?” deglutii a vuoto e mi sentii un’estranea. Non aveva senso che parlassero di me con quel timore, io non mi rivedevo nelle loro parole, non ero io la persona sulla quale discutevano, le loro parole calzavano perfettamente a Jasmine, non a me.
“Sì, lo sa!” il tono di voce era grave.
“Abbiamo ospiti!” sussultai nell’udire la voce cristallina non appartenente a quegli uomini  e mi voltai mentre Jasmine compariva dalla scala in fondo alla scala, il solito sorriso piacente stampato sul viso “Mar, non essere scortese! Non dobbiamo far attendere questi uomini fuori, falli entrare!”
La guardai con freddezza e rancore.
“Non sono la tua portinaia!”
Lei ridacchiò, come se avessi appena fatto una battuta, questo non fece altro che aumentare la voglia che avevo di prenderla a calci, ma sapevo di dover mantenere i nervi saldi, ricordavo troppo bene il pugnale d’argento nel ventre di Alan.
“Finchè starai qui sarai quello che deciderò io!”
Le parole di Alan mi risuonarono nella testa. La mia parte dell’accordo si era compiuta, io dovevo essere libera eppure palesemente non lo ero, forse non lo sarei mai stata. Dopo la vendetta me ne sarei andata, dopo la distruzione di Dave che non mi dava soddisfazione avrei per sempre detto addio a Jasmine. Ingoiai a forza tutte le parolacce e gli insulti che avrei voluto rivolgerle, ignorai l’orgoglio e provai di nuovo l’irresistibile impulso di urlare, invece i miei piedi si mossero, quasi autonomamente e raggiunsero la porta e la aprii.
Gli occhi di Cyfer si spalancarono di sorpresa, ma fu un attimo e la pistola scattò in avanti puntata verso di me, il suo dito posato sul grilletto. Trattenni il respiro, sapevo che non  mi avrebbe sparata a sangue freddo, ma comunque avere un’arma del genere puntata addosso non mi rendeva più tranquilla.
“Consegnami Dave!” intimò con voce ferma e sguardo deciso Cyfer.
“Da questa parte!” li invitò Jasmine rivelando la sua presenza. Ancora una volta la sorpresa passò fugace nelle iridi dell’agente rendendolo un attimo spaesato, prima che riprendesse ad essere concentrato.
Jasmine ancheggiò con eleganza fino ad affiancarmi sulla porta, sorrise con gentilezza. Gli occhi di Cyfer saltavano dal mio viso che esprimeva tensione e sfinimento a quello solare e gentile di Jasmine, potevo leggere al loro interno la confusione.
“Sono Jasmine Becketly!” allungò la mano affusolata. Cyfer la guardò, il suo collega era teso alle sue spalle, l’arma in mano e cercava di non perdersi nemmeno una battuta.
“L’hai automatizzata?” seppi immediatamente che la domanda era rivolta a me anche se mentre la poneva Cyfer stava studiando la figura di Jasmine. Lei rise di gusto.
“Anche Mar ha detto la stessa cosa quando mi ha conosciuta. ‘Alan ti ha automatizzata’!” fece un’inverosimile imitazione della mia voce e io strinsi le dita a pugni “Entra, ti spiegherò chi dirige i giochi!”
Cyfer mi lanciò un’occhiata interrogativa, ma io mi limitai a spostarmi di lato per farlo passare. Lui sposò la pistola in modo da potermi tenere sempre sotto tiro, dopo di che fece un breve passo all’interno. Il collega lo seguì coprendogli le spalle. Il cuore mi batteva forte, mentre sembrava che la situazione fosse destinata a peggiorare. La sadica Jasmine da una parte e il bravo agente dall’altra, non sapevo quale delle due morti avrei preferito, forse quella che mi poteva dare Cyfer, almeno sarebbe stata veloce, non ero sicura che Jasmine mi avrebbe fatto lo stesso favore.
“Consegnatemi Dave Sullivan!” ripetè Cyfer, lo sguardo minaccioso puntato prima su me e poi su Jasmine.
“Fai entrare i tuoi colleghi, è grande qui dentro, starete bene!” lo ignorò Jasmine. Erano entrambi freddi, era quasi irreale osservarli parlare l’uno di fronte all’altro mentre la temperatura della stanza sembrava scendere.
“Siete circondate, non avete via di scampo!” si rivolgeva ancora ad entrambe, non aveva ancora capito chi fosse colei che comandava e sembrava non volesse fidarsi di ciò che gli aveva detto Jasmine. Come dargli torto? Lei era sempre così gentile.
“Mi è capitato..” Jasmine prese a camminare verso Cyfer, che aveva i muscoli sempre più tesi “… per caso di udire certi discorsi. Parlo della vostra organizzazione. So che avete degli oggetti che contengono potere e vorrei… come dire… prenderne possesso!”
La pistola di Cyfer si spostò da me per finire puntata contro Jasmine.
“Chi diavolo sei tu?”
“La vera domanda è: chi diavolo credi di essere tu!” la donna sorrise e Cyfer e il collega urlarono all’unisono. Le loro pistole caddero a terra con un tonfo metallico, trattenni il respiro mentre cadevano a terra con gli occhi sbarrati e le urla che squarciavano loro le gole. Jasmine si avvicinò a loro e per prima cosa sfiorò con la punta delle dita la fronte di Cyfer. Lui urlò ancora di più al suo tocco, la zona dove le dita di Jasmine toccavano la sua pelle divenne bianca segno che lei stava imprimendo una piccola pressione su di essa. Socchiuse gli occhi e mormorò qualche parola. Poi scosse la testa e fece la stessa cosa con il suo collega. Scosse la testa nuovamente.
“Questi due sono dei buoni a nulla, non hanno nemmeno una briciola di potere dentro ai loro inutili corpi, vado a controllare gli altri, tu tienili d’occhio!”
Si diresse verso la porta, il sorriso scomparso dal suo volto gentile.
“Non sono la tua  ser…” mi bloccai a metà dell’ultima parola perché lei mi fulminò con lo sguardo di ghiaccio. Quegli occhi mi dicevano una sola cosa: se ci tieni alla tua vita non osare mai più contraddirmi.
Uscì dalla porta lasciandomi sola con i due uomini che ancora urlavano di dolore. Cyfer mi guardava cercando un aiuto, ma non potei far a meno di pensare che si meritava un po’ di tutto quello, se l’era cercata dopotutto. Doveva starne fuori, fin dall’inizio.
“Non posso fare nulla per te, Cyfer!”
Lui parve calmarsi, come se il dolore stesse cessando a poco a poco. Allungò il braccio per cercare di afferrare la pistola, ma fui più rapida e gliela allontanai con un calcio. Mi avvicinai ad essa e l’afferrai. Il metallo era freddo nelle mie mani e l’arma era più pesante di quanto mi aspettassi.
Cyfer mi guardò con il terrore negli occhi di chi sa di avere pochi secondi di vita davanti. Ripensai a quanto fosse stato seccante quell’uomo, alle sue domande insistenti e poco opportune, la sua mania di seguirmi accompagnarmi e controllarmi. Rividi tutti i suoi tentativi di mettermi il bastoni tra le ruote e per un istante immaginai come sarebbero andate le cose se ci fosse riuscito. Probabilmente in quel momento non sarei stata lì, forse Jasmine mi avrebbe già uccisa perché non le ero utile, o forse sarei potuta essere alle Maldive. Non potevo saperlo perché lui, il grande agente che studiava e proteggeva il mondo dalla magia, non era riuscito a fermare una ragazza di 21 anni con un briciolo di potere nelle sue mani. Quasi mi fece pena per il suo misero fallimento.
Con uno scatto tolsi la carica all’arma e la buttai a terra. Cyfer mi guardò in silenzio, il respiro ormai normale, il suo collega sembrava svenuto. Poi guardò le munizioni a terra e l’arma nelle mie mani ormai inservibile.
Ci guardammo per un lungo istante in cui nessuno dei due trovò parole da dire, lui lì a terra e io in piedi a fronteggiarlo. Poi immaginai con chiarezza le sue palpebre divenire pesanti, la stanchezza prendere il sopravvento.
Gli voltai le spalle e mi diressi verso la porta sul fondo dell’atrio, diretta verso le stanza sotterranea. Non ebbi bisogno di voltarmi per sapere che si era addormentato.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Vi preannuncio che questo capitolo è un po' più lungo dei precedenti, spero che però possiate trovarlo coinvolgente.
Buona lettura.
Il banner qua sotto è opera di  Berkley, che ringrazio di cuore.

Berkeley Ef






CAPITOLO 20

Mi sarei aspettata di vedere Dave disteso sul tavolo, forse addormentato o forse cosciente. Volevo rintanarmi per un istante nei suoi occhi verdi così famigliari, per credere che tutto andasse bene. Volevo auto convincermi che non stavo facendo nulla di male, che non avevo mai fatto nulla di male. Era forse poco lecito volere una vita perfetta? Io l’avevo avuta, avevo avuto tutto ciò che avevo desiderato, potere e vendetta, eppure non ero soddisfatta, non lo ero affatto.
Avevo condannato a morte delle persone innocenti consegnando Dave a Jasmine, persone che erano dotate di poteri e che per questo sarebbero morte. Avevo condannato Dave ad essere l’ombra di se stesso, un pallido fantasma della persona che era sempre stato. Avevo condannato tutti quegli uomini, quegli agenti che malamente cercavano di proteggere il resto del mondo da persone come me.
Avevo un grosso peso sulle spalle e non ero certa di poterlo sopportare.
L’unico conforto me lo potevano dare gli occhi verdi di Dave, gli unici che erano stati in grado di cambiarmi, guidarmi e farmi perdere allo stesso tempo.
Eppure lui non era su quel tavolo. Mi avvicinai ad esso, come a controllare che davvero non ci fosse tracce del suo corpo.
Fui presa dal panico. Mi guardai attorno cercandolo per tutta la stanza, ma di lui non c’era traccia. Dove poteva essere andato?
“Cerchi qualcosa?” la sua voce mi arrivò dritta alle orecchie, sembrava così rilassata, non era un sussurro come quella che avevo sentito l’ultima volta, era vigorosa, forte, come se fosse ancora la persona che avevo conosciuto mesi fa in un bar. Mi voltai trattenendo un sorriso, ma alle mie spalle non c’era nessuno.
“Dove sei?” domandai a mezza voce, iniziando a temere di essermi immaginata che mi parlasse.
“Qui!” disse, mi voltai nuovamente, ma ancora lui non c’era.
Il cuore iniziò a battermi forte. Non era normale quello stava accadendo. Dave era stato legato al tavolo per il suo e il nostro bene, non doveva essere libero. Mi costrinsi e vederlo come un essere molto pericoloso, anche se suonava strano perché Dave non era mai stato pericoloso in vita sua. Prima di allora …
“Non sei divertente!” strinsi la mascella, i muscoli erano tesi. Lanciai occhiate fugaci a destra e a sinistra cercando una sagoma, ma non vidi nessuno. Sentii un leggero spostamento d’aria provenire dalla mie sinistra, mi voltai trattenendo il respiro, non volevo fare il benchè minimo rumore.
“Sono veloce!” commentò la voce che sempre meno assomigliava a quella di Dave.
Chiusi gli occhi e immaginai  che lui rallentasse, immaginai di riuscire a vederlo, riaprii le palpebre e notai una macchia nera che saettava davanti a me.
Immaginai che inciampasse nell’aria e cadesse a terra e una frazione di secondo dopo Dave era sdraiato a pancia in giù sul pavimento, sul volto aveva dipinta una maschera di stupore. Tesi i muscoli in attesa che mi attaccasse, lui fece leva sulle braccia e si mise in piedi mentre man mano il terrore prendeva possesso dei suoi occhi.
Quando essi si posarono su di me lo vidi tranquillizzarsi per una frazione di secondo, prima che nuovamente la paura si impossessasse di lui.
“Cos’è successo?” sembrava timoroso a chiederlo. Distesi i muscoli per apparire calma e tranquilla, non mi doveva vedere in quel modo.
“Giocavi a nascondino!” risposi controllando il tono della voce. Il risultato fu freddo, ma almeno non apparivo spaventata.
Mi guardò confuso e pensai di chiarire meglio ciò che avevo detto “Sei molto veloce!”
“No!” sussurrò guardandomi come se sperasse che gli dicessi che era tutto uno scherzo.
“Sì, lo sei!”
Espirò pesantemente e si mise entrambe le mani sul volto. Scosse la testa e si poggiò al tavolo.
“Perché non mi hai ucciso?” sembrava stesse chiedendo pietà.
“Perché non proverei alcuna gioia nel vederti morto!” risposi sinceramente, mantenendo il tono di voce freddo.
Una mano si scostò dal suo viso permettendogli di vedermi con un occhio.
“Questo ti da soddisfazione?” chiese facendo un chiaro riferimento alla sua attuale situazione.
Non risposi per paura di tradirmi. Era la mia vendetta, ma io non la volevo più e allo stesso tempo non volevo che lui lo sapesse.
“Ho …” continuò lui, dato che io stavo in silenzio “…ho fatto del male a qualcuno?”
Inspirai a fondo.
“Non ancora!” espirai buttando fuori quelle terribili quanto vere parole.
“Non ricordo quello che è successo prima, vuol dire che io ero Lui!” sembrava stesse parlando con se stesso. Si prese la testa tra le mani e scivolò a terra, fino a finire seduto sul pavimento, con la schiena poggiata ad una gamba del tavolo.
“Lui?”
“L’altra parte di me, quella che la strega mi ha inserito. Lui preme per uscire, a volte lo sento e io non riesco a contrastarlo!” la voce era un lamento ed esprimeva perfettamente la sua angoscia.
“Tu puoi contrastarlo!” dissi queste parole senza nemmeno riuscire a trattenerle. Non avrei voluto pronunciarle, ma mi era venuto naturale, come respirare. Mi piegai sulle ginocchia per avere il viso all’altezza del suo.
I suoi occhi si persero nei miei e, per un breve fugace istante, ebbi la sensazione che gli ultimi giorni non fossero mai trascorsi, eravamo ancora io e lui nei nostri momenti di intimità, prima che lui decidesse di rovinare tutto dichiarandosi, prima che la situazione peggiorasse, prima che la vocina della mia coscienza mi insultasse accusandomi di debolezza.
Poi rovinò tutto facendo un sorriso amaro.
“Sono così stupido a dirti queste cose, tu starai ridendo dentro di te, starai gioendo del mio tormento!”
Le sue parole mi ferirono più di quanto avessero mai fatto delle semplici lettere messe una dietro l’altra. Ogni volta che avevo fatto qualcosa di malvagio Dave aveva sempre creduto che mi sarei in qualche modo redenta. Era convinto che in me ci fosse del buono e l’aveva pensato sempre, fino a quel preciso istante. Persino lui, alla luce di tutti gli avvenimenti, aveva smesso di sperare che in me ci fosse un po’ di compassione. Era convinto che io stessi gioendo e la cosa peggiore era che io volevo provare quella sensazione, ma non ci riuscivo. Tanto valeva arrendermi, non potevo costringermi, forse avrei dovuto capirlo prima.
“Ti sembra che io stia gioendo?”
Sembrò sorpreso dalle mie parole, mi fissò a lungo, come se volesse entrarmi nell’anima ed esplorarmela per potermi capire. Fu allora che decisi che avrei fatto la cosa giusta, che per una volta coincideva con quello che il cuore e la testa mi dicevano di fare.
 “Cyfer è di sopra, addormentato…” iniziai. L’attenzione di Dave si destò improvvisamente. “Io distrarrò Jasmine, ho del potere e so come utilizzarlo, tu dovrai correre di sopra, svegliare Cyfer e portarlo via da qui, scappate il più lontano possibile!”
Ripresi fiato e lo vidi totalmente rapito dalle mie parole, sembrava che non riuscisse a credere alle sue orecchie e, sinceramente, nemmeno io riuscivo a credere alle mie. Dopo tutto quello che mi aveva fatto stavo, io lo stavo aiutando. Dovevo essere impazzita.
Tuttavia la mia lingua continuò imperterrita, senza che io riuscissi a frenarla “Non gli farai del male, non ha del potere, il tuo istinto non agisce contro di lui. Raccontagli tutto ciò che è successo, se la sua associazione segreta è un minimo competente saprà come liberarti di Lui!’ mi riferii al potere come lo aveva fatto lui, l’aveva definita una sorta di entità indipendente che cercava di uscire e prendere il sopravvento.
Dave sbattè un paio di volte le palpebre perplesso.
“Non capisco!”
“Dave, non ci vuole un genio!” mi spazientii.
“Non mi fido di te!”
Quelle parole fecero crollare tutte le mie buone intenzioni. Lo presi per il colletto della maglietta e lo avvicinai al mio viso con fare minaccioso. Sentivo il suo respiro sulla mia pelle, gli occhi erano attraversati dalla sorpresa.
“Sei un cretino, non ti meriti nulla di ciò che volevo fare per te!” sibilai “Spero ti ricorderai quanto sei stato stupido quando, nei brevi momenti di lucidità, pregherai di morire!” la mia voce era gelida e tagliente.
Eppure lui sembrava non percepire nessuna delle mie parole, rabbrividiva al loro suono, ma continuava a fissarmi ipnotizzato.
Poi sgranò gli occhi ed emise un suono strozzato.
“Scappa!” biascicò mentre il suo corpo iniziava a venir scosso dai tremiti.
Lasciai scivolare dalle mie dita la stoffa della sua maglietta, mi sembrò di farlo al rallentatore. Serrò gli occhi  e contrasse i muscoli della faccia.
Mi alzai in piedi e mossi un paio di passi incerti indietro, senza mai staccare gli occhi dalla sua figura che si contorceva a terra e si lamentava.
Stava cercando di contrastarlo.
Iniziarono a tremarmi leggermente le mani, cercai di riconnettere il cervello al resto del mio corpo per dare l’ordine di fuggire via. Potevo sentire il pericolo come se fosse un profumo dell’aria. Dave stava per tornare ad essere il mostro che Jasmine aveva creato e io non potevo fermarlo.
I tremiti cessarono  di colpo così come erano iniziati. Dave parve voler riprendere fiato. Aveva la testa chinata in avanti e i suoi capelli mi coprivano al visuale sul suo viso. La stanza era immersa nel silenzio, potevo sentire i battiti accelerati del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie. La testa di Dave si mosse, ma prima che potesse guardarmi in faccia le mie gambe e il mio cervello decisero di funzionare nuovamente, mi voltai e scappai di corsa dalla stanza. Le gambe mi reggevano a fatica, tremavano lievemente per lo sforzo e per l’agitazione. Le scale per raggiungere il piano superiore non mi erano mai sembrate così lontane. Sentii dei passi tranquilli dietro di me e seppi che le pupille di Dave dovevano essere rosse.
 
Corsi sulle scale, il fiato sempre più corto.
Sentivo l’irresistibile impulso di voltarmi per vedere dove si trovava il mio inseguitore, ma resistetti. Feci gli scalini a due a due, ma sembravano non finire mai. La scala era nel buio e posai le mani sulle pareti per cercare di tenere l’equilibrio e per evitare di andare a sbattere contro il muro. Continuai a salire velocemente rischiando almeno un paio di volte di inciampare nei miei stessi piedi. Sentivo un respiro tranquillo alle mie spalle, il che mi faceva agitare ancora di più. Vedevo un piccolo spiraglio di luce provenire dalla fessura sotto la porta che dava sull’atrio, ero così vicina.
Il cuore mi martellava nel petto e un sospiro freddo mi accarezzò la nuca. Terrorizzata mi voltai facendo ondeggiare i capelli lunghi nel buio. Dietro di me non c’era nessuno.
Il respiro mi si bloccò in gola mentre correvo con più foga di prima, con gli occhi sgranati e il terrore di essere in trappola.
Posai una mano sulla fredda maniglia della porta e la spalancai. Davanti a me trovai due grossi occhi verdi con le pupille rosse come il sangue. Non riuscii a trattenere l’urlo che mi venne dal profondo della gola. Dave era irriconoscibile. Era sempre lui, i capelli neri e tutto il resto, ma l’espressione del viso, solitamente dolce, era sfigurata da un ghigno sadico che gli partiva da un orecchio fino a terminare all’altro.
Per una frazione di secondo ci guardammo, la preda e il carnefice, dopo di che gli voltai le spalle e, senza pensarci, corsi nella direzione dalla quale ero arrivata. Stavo finendo in trappola. Il pulsare frenetico del cuore mi stava stordendo, il respiro corto e le gambe molli non aiutavano a scendere i gradini a due alla volta. Qualcosa di pesante urtò con forza contro la mia schiena bloccandomi il respiro, persi l’equilibrio e caddi giù dalle scale. Sentii contro il mio corpo ogni spigolo, sentii la mia carne lacerarsi in più punti. Sentii che perdevo conoscenza per brevi attimi per poi ritornare cosciente.
Cosciente che quella fosse la fine.
Una risata risuonò nel buio, l’essere che era stato Dave inalò una grande quantità di aria, come se avesse sentito il profumo di una pietanza particolarmente buona. Ero atterrata sulla schiena. Sentivo un forte dolore al braccio destro, nella penombra lo vidi piegato in una strana angolazione. Mi sentii mancare.
Il dolore più grande veniva dalla gamba che bruciava fino a farmi lacrimare gli occhi, come se fosse stata squarciata.
 Cercai di fare un respiro profondo, ma riuscii solo ad urlare per il dolore alle costole.
Mi venne da piangere ma non lo feci, ero in attesa. La vista mi si annebbiava e la testa diveniva pesante. C’era un luogo dove potevo andare, un posto dove non avrei sentito tutto quel dolore fisico ed emotivo, quel posto sembrava chiamarmi ad alta voce, mostrandomi tutti suoi pregi, ma decisi di rimanere cosciente.
Mi concentrai sul dolore e su una nuova potente sensazione. Era come se il mio corpo venisse risucchiato, ci misi un po’ a capire che in realtà quello di cui mi stavo privando era il potere. Avrei voluto fare qualcosa, una qualsiasi cosa per oppormi, ma non ne avevo la forza. Il posto tranquillo dove tutte quelle sensazioni sarebbero state annullate sembrava sempre più attraente.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola, le lacrime mi bagnarono la faccia e percepii che la mia stessa essenza stava per essere portata via. Faceva male, ma non potevo arrendermi. Cercai di stringerla a me, di strapparla dalle braccia maligne che me la stavano sottraendo, ma essa mi scivolava dalle dita mentre la mia mente si spostava sempre di più verso il buio più totale.
Vidi due puntini rossi scrutarmi e mi sentii rabbrividire mentre il buio mi invadeva.
Una voce risuonò nell’aria come una specie di musica lontana, cercai di aggrapparmi a lei per capire quello che diceva.
“Fermati!”
Ma il buio eterno era molto più invitante di quella condizione, così mi lasciai andare.
 
“Non riesco a resistere! Devo averla!”
“La avrai, è per questo che le ho dato tutti quei poteri, ne hai bisogno. Devi essere forte per la conquista!”
“Non puoi controllarmi, sono più forte di te!”
“E invece sì che posso. La vedi? Lei è ancora viva, respira a mala pena, ma il suo cuore batte, il suo sangue esce copioso dalle ferite che si è fatta scappando via te!”
“Non vuol dire nulla!”
“Ti stai trattenendo perché te l’ho ordinato!”
“Tu non sei nulla!”
 
Una mano gentile si strinse attorno al mio polso, una voce lontana anni luce mormorò qualcosa di simile ad una cantilena, forse era una preghiera. Forse quella era la mia veglia funebre.
In ogni caso io non dovevo essere lì.
La mano divenne più calda e questo mi diede forza, sentivo che qualcosa dentro di me si calmava, sentivo le forze tornarmi nel corpo, sentivo il mio corpo.
Ero viva.
Ma la vita porta dolore e improvvisamente sentii numerose fitte in diverse parti del corpo. Fu come se un attimo prima tutto fosse spento e un secondo dopo qualcuno avesse acceso l’interruttore inondandomi con tutto quel dolore.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola, sentii la mia voce roca e non la riconobbi come mia, anche se il dolore alle corde vocali mi confermava che ero io ad urlare.
Sbarrai gli occhi e ansimai.
Delle iridi cerulee mi stavano fissando con gentilezza, ma tale sguardo era in contrasto con il ghigno malefico stampato sul volto di Jasmine, sul suo viso vi era soddisfazione.
Cercai di riprendere fiato, mugugnai per il dolore.
“Come ti senti?” mi domandò lei con tranquillità, come se mi stesse chiedendo quali fossero le previsioni per il giorno seguente.
“Ghh…” mugugnai, non riuscivo a parlare e ad ogni respiro arrivava una fitta di dolore alle costole “…Dolore!” riuscii a dire. Avevo il viso bagnato, sentivo che il fiato di Jasmine sulla mia pelle più freddo di quello che doveva essere a causa di quelle che dovevano essere lacrime. Cercai di toccarmi il volto, ma un braccio non rispondeva e mi faceva un male atroce. Tentai con l’altro, ma mi costava troppa fatica. Rinunciai.
“Ovvio che provi dolore! Stai morendo!” Jasmine si allontanò da me sempre sorridendo, fissandomi come se fossi un capolavoro ben riuscito.
Fu allora che il mio campo visivo si allargò e scorsi Dave, le braccia distese lungo i fianchi e lo sguardo demoniaco negli occhi.
Istintivamente il mio respiro accelerò, non lo riconoscevo più come il ‘mio’ Dave, ma come un altro essere, terribilmente più spaventoso, comprendevo perché Dave stesso considerava quello un essere a se stante. Il cuore mi batteva forte dandomi anch’esso fitte di dolore in corrispondenza dello sterno.
“Non ti farà del male, se non gli darò il permesso!”
“Puoi… controllarlo?” ansimai. Cercai di muovermi, ma rimasi a pancia in giù, dove mi trovavo, con un braccio sotto al corpo e l’altro disteso sul fianco in una strana angolazione.
“Certo che posso!”
“Grazie!” sussurrai realizzando che era stata lei a fermare Dave e ad impedire che mi uccidesse.
“Vedi, Mar, forse è un po’ troppo presto per  ringraziarmi, stai perdendo molto sangue!”
“Cosa?”  udivo la mia stessa voce a stento, ma Jasmine non sembrava far fatica a comprendermi.
“Stai morendo Mar, se non ti ucciderà Dave, morirai dissanguata e non posso permetterlo!”
Il cuore mi si riempì di speranza all’udire quelle parole. Una lacrima solitaria sfuggì da uno dei miei occhi.
“Grazie!” ripetei riconoscente, tentando di alzare il tono della voce per essere più udibile. Non che avessi paura di morire, quando Dave mi stava portando via l’essenza mi ero rassegnata, ma l’dea che avrei ripreso a vivere mi dava forza e voglia di farlo, con questo arrivò la paura della morte.
Jasmine si mise a ridere, la sua risata era dolce, soave, ma non mi tranquillizzò affatto, era come una risata ad un funerale, qualcosa di decisamente tetro che non faceva presagire nulla di buono.
“Non hai capito, non posso permettere che tu muoia dissanguata perché deve essere il tuo ragazzo ad ucciderti! Vedi la tua essenza è preziosissima e inoltre se tu muori, il vero Dave non avrà molte ragioni per combattere la sua nuova natura. Vorrà annullarsi perché comprenderà il peso di ciò che ha fatto. La tua morte è un passo fondamentale per accelerare il processo di autodistruzione del ragazzo, così ne rimarrà solo l’essere di cui ho bisogno!”
Rabbrividii e una consapevolezza mi giunse veloce come un fulmine illuminando tutti i miei pensieri: Jasmine aveva un piano ben preciso in testa fin dall’inizio. Io, Dave e Alan eravamo le sue pedine, avevamo fatto esattamente quello che lei voleva facessimo, ci eravamo mossi nella sua scacchiera e lei aveva giocato a scacchi con la nostra vita. Ed io ero stata così stupida da lasciarglielo fare.
Il cuore mi batteva sempre più forte mentre lo stomaco mi si chiuse e si attorcigliò. Non volevo morire, non lo meritavo, lei lo meritava. Cercai di immaginare la testa di quella donna mozzata, ci provai con tutte le mie forze, ma non avvenne nulla. Seppi, forse per istinto, che serviva più potere per rendere reale quello che stavo immaginando e sapevo che buona parte di quel potere mi era stato assorbito da Dave.
Nel mio corpo ne rimaneva davvero poco, ma potevo percepirlo, potevo sentire che stava cercando di mantenermi in vita, di guarirmi, eppure le forze mi abbandonavano lo stesso mentre il dolore mi annebbiava la mente.
“Perchè allora non sono già morta?” biascicai vedendo in quella situazione una piccola luce verde di speranza. Mi aggrappai ad essa con tutte le forze tentando di rimanere cosciente.
“Vedi Mar…” si riavvicinò con passo felino, era colma di grazia, ma questo non mi impedii di detestarla ancora di più “Io sono fondamentalmente una prestigiatrice! Amo guardare il mio pubblico mentre faccio i miei giochi di prestigio!”
La guardai perplessa non capendo dove volesse arrivare.
“Quando un prestigiatore mostra i suoi trucchi, il pubblico sa che sta assistendo ad uno spettacolo, io detesto  se il mio pubblico rimane nell’incoscienza!”
Piegò le ginocchia per essere più vicina al mio viso e studiarmi meglio. La soddisfazione non repressa tramutava il suo volto bellissimo, in qualcosa di spaventoso. Mi ritrovai improvvisamente a voler morire per non essere più costretta a fissare un’espressione del genere.
“Non capisco…” bisbigliai.
Lei mormorò qualcosa e Jasmine scomparve lentamente dal mio campo visivo, la sua immagine si offuscò pian piano, come se sbiadisse. Un istante dopo mi trovavo all’estero del mio stesso corpo e mi osservavo da fuori. Ero sdraiata a pancia in su, in una pozza di sangue. Sul mio viso non c’erano molte lacrime, esso era bagnato dal liquido vermiglio che mi faceva da letto di morte. La mia espressione era spaventata, avevo gli occhi sgranati e sembrava che da un momento all’altro dovessero uscirmi fuori dalle orbite. Rabbrividii. I miei lunghi capelli, raccolti in ciocche tenute insieme dal sangue rappreso, giacevano scompigliati sul pavimento donandomi un’aria ancora più misera. Potevo sentire il fetore del sangue rappreso e di quello ancora fresco che mi usciva dalla gamba, mi venne da vomitare e un istante dopo la visione sparì e mi ritrovai di nuovo nel mio corpo.
Ansimai spaventata dal brusco cambio di immagine e lanciai una lunga occhiata di terrore a Jasmine che mi fissava sorridendo.
“Allora? È stato bello?” mi domandò.
“Sei stata tu?” sussurrai.
“Certo! Sono sempre stata io! Ricordi quando dopo la violenza di Robert ti sei vista dall’esterno?”
Sbarrai gli occhi mentre il panico mi invadeva ad ondate forti e destabilizzanti.
“Ricordi anche che dopo il bacio tra Jamie e Dave tu eri in un parco, piangevi come la peggiore delle fallite, anche lì ti ho mostrato la tua miseria!”
“Tu!” la voce mi tremò mentre la mia mente veniva invasa dai ricordi. Mi era sembrato un mio personale modo di evadere, di vedere ciò che mi succedeva dall’esterno, invece era sempre stata lei. E io non l’avevo capito. Io mi ero fidata.
“Io!” annuì soddisfatta “Ed ecco che arriviamo alla seconda parte fondamentale per la quale sei ancora viva. Per prima cosa dovevo dirti che hai assistito al mio spettacolo, ora Mar dimmi, cosa fa un prestigiatore?” non aspettò una mia risposta “Ovviamente crea illusioni!” sembrava estasiata dalle sue stesse parole.
Una fitta particolarmente intensa mi attraversò la gamba e mi ritrovai ad urlare con tutto il fiato che avevo in gola.
“Un prestigiatore fa credere al pubblico che quella che fa è magia, ma invece c’è il trucco!”
Una nuova fitta mi attraversò lo sterno privandomi per qualche secondo del respiro. Urlai senza più fiato e mi divincolai sperando che il male cessasse, ma così non avvenne, esso peggiorò.
“Ti sembra magia questa?” sussurrò al mio orecchio mentre anche la testa iniziava a pulsarmi. La vista mi si annebbiò mentre le mie stesse urla mi stordivano.
“Ora ti svelo un segreto, il dolore che credi ti stia provocando in realtà non lo provi davvero. Tu senti male per la caduta, ma non senti la fitta alla testa!” la fitta alla testa cessò di colpo “Né quella allo sterno…” anche il peso sul petto scomparve “E anche il dolore della gamba non è così forte!”
Ansimai mentre ringraziavo non so quale entità che tutto quel dolore supplementare fosse cessato.
“E’ un’illusione, un abile gioco di prestigio. Il giorno del nostro primo incontro ti ho fatto credere di essere una maga potente, ti ho fatto provare del dolore, ma in realtà tutto ciò che ho fatto è stato manipolare la tua mente affinchè tu credessi di provarlo. Ho fatto la stessa cosa con Dave e Alan, avrai notato che il tuo caro Dave soffriva senza un’evidente ragione quando lo tenevo rinchiuso nella stanza al piano superiore! Sono anche sicura che tu abbia notato il suo sguardo di terrore quando ti ho poggiato un dito sul collo. Tu lo percepivi per quello che era, mentre lui lo vedeva come un coltello. Pensava ti stessi per tagliare la gola e ha deciso di collaborare!” sembrva asi stesse prendendo gioco di lui.
“Bastarda!” digrignai i denti cercando di mettere in quell’unica parola tutto il disgusto che provavo per quella donna.
Lei ridacchiò “E pensare che in passato non ero un’abile strega, per questo ho sviluppato questa tecnica. Mi ha dato la possibilità di avere più sicurezza in me, dopo di che ho imparato a lanciare maledizioni e a fare riti complicati come quello di oggi!” era soddisfatta di se stessa.
“Tu sei una ragazza intelligente Mar! Come ci si sente ad essere messi in ginocchio da illusioni? Da banali giochi di prestigio? Persino Dave è riuscito a contrastarlo, non ti sei chiesta come facesse a non provare dolore, quello stesso dolore che tu non riuscivi ad ignorare?”
Deglutii a fatica reprimendo le miriadi di insulti che volevo lanciarle contro. Non potevo sprecare il fiato, dovevo pensare, dovevo uscire viva da lì a qualunque costo. Rammentai però che Dave era riuscito a distinguere, seppur inconsciamente, le illusioni dalla realtà, quindi potevo farcela anche io.
“Ma non è ancora finita! Io ho manipolato la tua mente come mai avevo fatto prima di ora, l’ho plasmata. In qualche modo sei il mio tentativo meglio riuscito!” mi guardò con orgoglio misto a compiacimento.
Hai perso.
Sei stata una sciocca.
Ti sei fatta influenzare da miseri trucchi da mago.
Trattenni il respiro riconoscendo quella che credevo fosse la voce della mia coscienza, quella che mi aveva detto che ero debole, quella che aveva contribuito a farmi crollare.
“Eri tu!” sibilai con più forza di quanta ne avessi. La rabbia stava prendendo velocemente  il posto della paura. Mi inondava facendomi dimenticare il dolore e il sangue che mi circondava. Mi dava forza.
“Ebbene sì!” gli occhi freddi le brillarono per un breve istante “Era la mia voce quella che sentivi in testa, ma ho fatto di meglio Mar, molto di meglio!”
Attese guardandomi speranzosa, come se desiderasse che io le chiedessi tutta eccitata cos’altro mi aveva fatto. Rimasi immobile a guardarla dritto negli occhi, immaginando di farle del male in tutti i modi possibili, riversando la mia rabbia in quei pensieri che non potevano prendere vita.
“Ho modificato la tua stessa percezione della vita. Ad esempio sono piuttosto convinta di averti fatto dire delle parole alquanto sdolcinate su Dave ad una barista, parole che non sono mai uscite dalle tue labbra! E ti ho anche fatto credere che lei stesse sorridendo in modo meschino!” si passò la lingua sul labbro inferiore mentre a me tornava in mente quella notte.
Era successo dopo quel maledetto appuntamento con Dave, ero andata in una bar e avevo raccontato ad una sconosciuta cose che nemmeno credevo di pensare.
‘Il ragazzo con cui ho una storia mi ha appena detto che mi ama, ma io non voglio una cosa seria. Voglio divertirmi, ho paura di avere legami perché so che questo mi farà soffrire e temo di non essere abbastanza forte da sopportarlo!’
Rammentavo chiaramente quelle parole, così come ricordavo di aver poi incontrato un ragazzo, quella stessa sera, anche lui mi aveva sorriso meschinamente. In quei ricordi rividi il sorriso di Jasmine così simile al loro. Per quanto tempo la mia mente era stata alla sua mercè?
“E poi ci sono le mie due opere d’arte Mar, la realizzazione più completa del mio perfetto gioco di prestigio. Una mattina sei tornata a casa e hai incontrato la tua coinquilina sul pianerottolo, aveva dimenticato le chiavi di casa e ti stava aspettando, ma io ho fatto in modo che tu non vedessi lei. Non è stato difficile. E’ bastato schiarirle i capelli e accorciarglieli, cambiarle il colore degli occhi. Sai, sono diventati azzurro cielo, con un grazioso contorno giallo. Tu sei rimasta sconvolta credendo di avere dinnanzi il tuo vecchio amico Rob!”
Il mio cuore perse un battito, non volevo più sentire cosa aveva da dire, ma il dolore mi impediva di muovermi o di protestare.
Jasmine sorrise “Povera Emily, immagina come si deve essere sentita vedendo che parlavi con lei, credendo di parlare con Robert. Immagina il suo terrore quando terrorizzata ti sei messa ad urlare!”
Rabbrividii ricordando ogni singolo secondo di quelle scene. Il corpo di Rob contro il mio, il suo tentativo di violentarmi.
“Dio!” mormorai mentre un’orrenda consapevolezza prendeva pieno possesso di me “Lo hai torturato!”
Rammentai lo sguardo vacuo di Rob quando ero andata a fargli visita e gli avevo inferto dolore. Lui mi aveva implorato di smetterla dicendomi che mi aveva detto tutto ciò che sapeva. Pensava che io fossi lei! E io che avevo creduto che fossero stati i colleghi di Cyfer a torturarli!
“Oh sì!” confermò Jasmine con gli occhi persi nei ricordi “E’ stato necessario, dovevo conoscere il vostro rapporto per poter creare nella tua mente un’illusione che fosse verosimile!”
Non mi aveva mai violentata, per tutto il tempo Rob era rimasto chiuso in una cella, era stato torturato perché era accidentalmente capitato sulla strada di Jasmine ed ora era morto perché io l’avevo ucciso per una cosa che non aveva commesso.
Il peso di quella colpa mi gravò addosso come un macigno. Quando gli avevo ordinato di suicidarsi lo avevo fatto senza pietà, divorata dall’odio e dai ricordi di lui che prendeva possesso di me senza il mio consenso. Lo avevo ucciso.
Avevo ucciso una persona e lo avevo fatto per nessuna ragione valida.
Le lacrime calde sgorgarono dai miei occhi mentre rammentavo le iridi di Rob, mentre ricordavo con chiarezza l’illusione che mi era sembrata tanto reale.
Lui era morto.
Singhiozzai mentre Jasmine mi guardava godendosi ogni mia espressione, come se volesse stamparsele a fuoco nella mente, per lei quello era il momento degli applausi del pubblico e se li stava godendo pienamente.
“Così quella sciocca ragazza è corsa a cercare aiuto, con la magia ti ho privata dei vestiti e dei sensi! E’ stato così facile! Ma ora arriva il bello. Dovevo indurti a crollare e mi sembrava giusto far leva sull’amore, o su qualunque cosa provassi per Dave e così ho fatto entrare in gioco Jamie!”
Socchiusi gli occhi e le lacrime uscirono ancora più copiose, avevo capito dove voleva arrivare, voleva dimostrarmi che tutto ciò che avevo fatto, tutto ciò che ero diventata, la mia debolezza e tutto il resto erano solo un suo volere. Io non ero mai stata debole, Dave non mi aveva mai fatta crollare, la mia decadenza era iniziata in primo luogo da me stessa e dalle mie manie di grandezza, in secondo luogo con Jasmine Becketly. Lei voleva dimostrarmi che mi ero rovinata con le mie stesse mani senza una valida ragione, ma solo a causa di stupide illusioni.
“Jamie in realtà è l’amico con gli occhiali di Dave, credo si chiami James. Anche in questo caso ho modificato un po’ i connotati!” questo spiegava perché la prima volta che avevo visto quella ragazza lei era arrossita e aveva abbassato lo sguardo, James aveva sempre fatto così perché aveva una cotta per me.
“Pensa!” esclamò con un sorriso soddisfatto che mi dava il voltastomaco “Quando li hai visti in discoteca, mentre credevi si baciassero, in realtà Dave stava parlando di te!”
Si lasciò andare ad una fragorosa risata che mi fece accapponare la pelle. Ormai il dolore appariva lontano, ero riuscita a confinarlo in una parte della mia mente,  a prevalere erano la rabbia e la disperazione.
“Ora guardalo!” continuò lei alzandosi in piedi e lanciando una lunga occhiata a quello che era stato Dave Sullivan, il ragazzo che aveva sempre cercato di salvarmi da me stessa. Seguii il suo sguardo quasi automaticamente e incontrai le iridi rosse come il sangue. I muscoli del suo viso erano contratti, stava soffrendo perché voleva portarmi via l’unica cosa che ancora mi teneva in vita: la mia essenza.
“Tu lo hai rovinato perché pensavi che lui aveva rovinato te!”
“Sei stata tu!” sussurrai.
“Come?” sembrava divertita.
“Non è colpa mia!”
“Tu me lo hai consegnato!”
“Se non lo avessi fatto te lo saresti preso comunque!” ribattei con la voce carica di disperazione. Non avrei potuto fare niente per evitare tutto ciò.
“Senza di te lui non avrebbe mai preso possesso dei poteri nella scatola, senza di te lui non sarebbe mai venuto qua, non avrebbe riscritto il libro, non l’avrebbe corretto perché la tua vita era in pericolo e non starebbe per diventare così forte per il semplice fatto che ucciderà te! Tu fra tutti sei la chiave delle buona riuscita del mio piano.”
“Quindi tutto ciò che ti serve è che Dave inghiottisca la mia essenza?” domandai a fatica cercando di far lavorare il mio cervello per cercare una soluzione.
Lei sorrise soddisfatta che avessi capito.
“Sai a cosa mi serve un essere come lui?” non attese una risposta “Mi serve potere, una quantità gigantesca di potere, ma le essenze incrementano il potere in una maniera impressionante. Dave sarà il mio serbatoio e, quando sarà pieno a sufficienza, ne estrarrò il potere, immagino tu abbia capito come!”
Avevo capito, ma speravo che non fosse vero.
“Ci sono tre modi per trasferire il potere da un individuo all’altro. Il primo è attraverso la cessione spontanea, il secondo è tramite oggetti e il terzo avviene in punto di morte. Alla vittima può essere rubato il potere prima che muoia del tutto, se muore il potere viene perso totalmente, ma nei secondi precedenti  la morte si può sia cedere che assorbire potere. Di solito lo si cede se si vuole salvare la persona in questione altrimenti lo si preleva!”
“Non puoi ucciderlo!” dissi con forza “Lui è più forte di te!”
Lei sorrise “Vero! Ma su di lui grava una maledizione che lo porterà alla morte quando il suo primo figlio verrà al mondo!”
Quella era la conferma che la maledizione sulla famiglia di Dave non era in alcun modo legata al libro, era qualcosa che aveva nel sangue, qualcosa che era iniziato in quella lontana notte di mille anni fa, con Myria.
“Ma non avrà un figlio!” sorrisi debolmente, felice di quella piccola consolazione. Dave era una specie di mostro, non avrebbe mai avuto una famiglia.
Un sorriso furbo le attraversò il volto mentre muoveva un paio di passi verso Dave che immobile non staccava gli occhi da me. Gli passò il dorso della mano sulla guancia magra e definita, partì dagli zigomi alti fino a giungere sul mento. Dopo di che si portò la mano al naso, inspirò l’odore di Dave che doveva essere rimasto leggermente impresso su di essa.
“Starò con lui ogni notte da quando riterrò opportuno. Da lì inizierà il count down, da quel momento avrò nove mesi per raccogliere tutto il potere di cui ho bisogno, poi nascerà nostro figlio!” sorrise come se stesse pregustando una sorta di dolce. Contrassi i muscoli. Avrei voluto saltarle addosso, graffiarla, morderla, strapparle la pelle, farla soffrire. La detestavo con tutta l’anima.
“E Dave Sullivan morirà!” lo disse con semplicità come se fosse una cosa scontata e di poca importanza, si allontanò da lui incamminandosi verso di me.
“Non condannerai tuo figlio ad una vita destinata a finire a causa di una maledizione come la sua!” sussurrai con un pizzico di speranza nella voce. Non volevo che Dave morisse, non lo meritava, non era colpa sua se era diventato un mostro. Era colpa mia.
Tutta colpa mia.
Forse odiavo più me stessa che Jasmine.
“La maledizione è stata forgiata dal mio sangue e solo il mio sangue può romperla. Mio figlio avrà il mio sangue e quindi la maledizione sarà spezzata automaticamente, ma purtroppo il tuo Dave morirà!” non era affatto dispiaciuta.
Strinsi la mascella mentre le lacrime non mi davano tregua, il dolore tornava a farsi sentire, il senso di colpa mi opprimeva.
Avevo ucciso un ragazzo innocente e stavo per causare la morte di un altro. Stavo per condannare chissà quante persone alla perdita della vita e della propria essenza.
E improvvisamente tutto mi fu chiaro e lampante. Dovevo sistemare le cose, solo io potevo farlo, lei mi aveva detto che ero io la chiave della buona riuscita del suo piano, Dave doveva uccidermi.
Ero io l’unica a dover morire, ma dovevo farlo senza che il mio sangue cadesse sulle mani pure di Dave.
Forse quella sarebbe stata la cosa più stupida e insieme più coraggiosa che io potessi mai fare. Ero morente, bastava poco.
Con tutta la forza che avevo in corpo feci leva sul braccio sano. La mano scivolò nel mio stesso sangue, ma strinsi i denti e cercai di rendere l’appoggio più stabile. Mi diedi la spinta con la gamba non ferita e mi alzai da terra. Barcollai, la gamba mi pulsava e la testa mi girava. Non riuscii a reprimere un conato di vomito, piegai la testa in avanti e rigurgitai bile mista a sangue. Dopo di che alzai lo sguardo e vidi che Jasmine aveva smesso di sorridere, mi fissava con sguardo serio, era stata presa alla sprovvista.
Ansimai per lo sforzo e ignorai il cuore che mi batteva forte, la morsa allo stomaco e la paura. Non guardai verso Dave, ma mi focalizzai solo su Jasmine.
Sorrisi.
I suoi occhi si dilatarono. Aveva capito.
Con il sorriso sulle labbra mi lasciai andare, sapevo che una caduta probabilmente mi sarebbe stata fatale così mi diedi una leggera spinta all’indietro. Lei aprì la bocca mentre, con una leggera punta di soddisfazione attendevo di toccare il suolo.
“Dave ORA!” urlò lei.
Sentii il poco potere che mi era rimasto fluire via da me, non  feci in tempo a spegnere il sorriso, ma seppi di aver fallito, la mia essenza stava per essere risucchiata, il mio tentativo era stato inutile. Eppure per la prima volta provai una stana sensazione di essere in pace con il mondo, era come se in quel modo stessi espiando tutte le mie numerose e atroci colpe con quell’unico coraggioso tentativo.
Il buio mi avvolse come una dolce coperta fredda, morbida ed eterna.
Così il pubblico si alzò in piedi e scoppiò in un fragoroso applauso mentre il sipario calava. Il gioco di prestigio era concluso.



Potrei dire che la prima parte di 'Gioco di prestigio' si è conclusa così. Si cala il sipario e ha inizio il secondo atto.
Come avrete notato il capitolo è importantissimo! Spero che sia tutto chiaro, nel caso non lo sia fatemelo notare e provvederò a chiarire eventuali dubbi e a rendere pi comprensibile il testo.
La pubblicazione subirà ritardi perchè, contrariamente ai miei buoni propositi, non sono riusicta a scrivere nulla in queste vacanze, quindi avrò bisgogno di più tempo!
Ringrazio di cuore BloomsburyCleare97ILoveItBabyladyselena15 che hanno così gentilmente lasciato un loro parere :)
Grazie a tutti coloro che sono arrivati pazientemente fino a qui, spero di non deludervi.
Daisy


 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


CAPITOLO 21


Bianco.
Solo il bianco regnava intorno a me.
Un  bianco indistinto, puro e terrorizzante.
Un  bianco pieno di nulla.
Un bianco così bianco da essere accecante.
Socchiusi le palpebre pesanti e portai istintivamente una mano davanti agli occhi, in modo tale da fare ombra su di essi, non riuscivo a fissare troppo a lungo tutto quel candore. Era come essere in montagna in una giornata di sole che segue una di bufera: la neve dappertutto e il riflesso del sole su di essa, talmente forte da farla risplendere come se emanasse luce da sé.
Anche lì un bagliore bianco proveniva da ogni lato, non c’erano pareti, ero solo nel puro e casto bianco senza sapere come ci fossi arrivata.
Chiusi gli occhi e trassi un respiro profondo. L’aria entrò nei miei polmoni riempiendoli e donandomi forza. Mi sentii rigenerata.
Riaprii gli occhi, lo feci di scatto, prima di cambiare idea. Tutto quel bianco era così fastidioso che mi lamentai con un filo di voce. Richiusi le palpebre.
 
“Ommio Dio, Marguerite!”
Il rumore delle scarpe sul pavimento sembrava rimbombare con un eco infinito. Avrei voluto urlare per far cessare quel casino, ma non ne avevo la forza. Non sapevo nemmeno se quello che stava accadendo era reale. Mi sembrava un sogno, nulla di più. Era tutto così vago e sfocato.
“Mar!” una mano grande e gentile mi scostò i capelli dal volto, fu un gesto veloce, quasi urgente, non capivo la ragione di tutta quella fretta.
Due dita si posarono sul mio collo, fecero una leggera pressione e rimasero lì per qualche secondo, non riuscivo a ricordare perché fosse importante fare una cosa del genere, però sapevo per certo che lo era.
“Pronto? Sono Cyfer!” la voce arrivava al mio orecchio come un suono indistinto, come un sussurro pronunciato a fior di labbra. Ero quasi certa che si dovesse trattare della voce di un angelo, anche se il nome che aveva pronunciato non era affatto musicale come si conveniva ad un essere alato.
Avrei preferito Gabriel.
Seguirono dei brevi secondi di pausa che a me parvero ore. Scivolai nel sonno e subito dopo ne riemersi. Lo feci innumerevoli altre volte.
Sembrava che rimanere cosciente fosse uno sforzo che non dovevo fare, oltre ad uno sforzo immane, tanto valeva lasciarsi andare.
Ero così stanca dopotutto.
“Merda!” articolò la voce a denti stretti. Sentii il rumore di due cose che sbattevano l’una contro l’altra e divenni leggermente più cosciente. Il buio regnava attorno a me eppure potevo percepire un lieve bruciore estendersi su una delle mie guancie, non seppi individuare quale. La pelle mi formicolava, ma ne ero consapevole. Quella piccola dose di dolore mi aveva resa leggermente più forte.
Qualcosa non quadrava, io non dovevo provare dolore, dovevo sentire il nulla.
“Sanguina!” stava dicendo la voce dell’angelo, era preoccupata, ma soprattutto rapida, pronunciava ogni parola con urgenza, come se dalla rapidità con la quale le pronunciava dipendesse una cosa importantissima. “Ha un braccio rotto, sta sudando, ha la pelle fredda e il battito non è regolare, manda qualcuno!” pareva agitato.
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
 
Tutto quel bianco mi faceva provare un dolore acuto agli occhi, così decisi di tenerli chiusi mentre brevi flash di situazioni che dovevo aver passato ricomparivano nella mia mente. In realtà ci misi un po’ a capire che ciò che avevo visto doveva appartenere al passato, quello non era il presente, l’angelo se n’era andato e mi aveva lasciata in quel posto pieno di candore.
Senza dubbio l’inferno.
Non mi sentivo lucida. Il filo dei miei pensieri non era regolare, era caotico. Da un’immagine se ne generava un'altra e poi un’altra ancora e così all’infinito, in quel modo dopo pochi minuti stavo pensando a qualcosa di totalmente diverso rispetto a quello sul quale stavo rimurginando all’inizio.
Decisi  di tenere chiusi gli occhi, almeno finchè non avessi trovato una soluzione alternativa.
Nonostante avessi a malapena guardato il luogo dove mi trovavo, avevo notato che quella non sembrava una stanza, quanto piuttosto un open space senza pareti, né soffitto, né pavimento. Eppure io poggiavo su qualcosa, qualcosa di duro e incredibilmente liscio.
E freddo.
Inarcai la schiena e mi diedi una leggere spinta col bacino, mettendomi seduta, mi aiutai anche con le braccia. Incrociai le gambe e con le mani mi toccai il volto. Potevo sentire la mia pelle scorrere contro i miei polpastrelli, era morbida. Mi passai le dita sulle palpebre serrate, poi  tracciai il gentile profilo del mio naso fino a raggiungere la bocca.
Avevo ancora un viso.
Ero morta, ma avevo un corpo. In realtà non sapevo davvero come dovessero andare quel genere di cose, insomma, non ero ma morta prima e chi moriva non tornava mai indietro per raccontare come doveva essere stare dall’altra parte.
Non ricordavo nemmeno com’ero morta, sapevo solo che lo ero. Avevo percepito la vita abbandonarmi, me l’avevano risucchiata via. Un attimo prima mi apparteneva e l’attimo dopo non era più mia. Sapevo che ora doveva appartenere a qualcun altro, lo sentivo.
 
Bip.
Bip.
Bip.
Un suono ritmato riempiva e svuotava l’aria ad intervalli regolari. Era acuto, ma non fastidioso. Era una specie di infinitesima cantilena che si ripeteva all’infinito, sempre con lo stesso ritmo tranquillo, quasi riusciva a cullarmi.
“Perché non le avete ancora sistemato il braccio?” la prima voce che udii non nascondeva la rabbia che provava, anzi, la rilasciava ad ogni sillaba. Mi ritrovai a pensare che chiunque fosse doveva essere qualcuno che da temere.
“Ci sono cose più importanti!”
Bip bip bip.
“Più importanti anche di ricucire la sua ferita?” ribattè la prima voce quasi in un ringhio.
“Dobbiamo prima tutelare noi stessi!” la seconda voce era fredda, calcolata. Sembrava si stesse auto costringendo a mantenere la calma.
“Cosa può fare conciata in questo modo?”
“Questa ragazzina ha messo nel sacco un’intera associazione, credo che sia giusto ritenerla pericolosa!”
“STA MORENDO!” ringhiò la prima voce.
“Tu la odi, perché vuoi salvarla?” la seconda persona sembrava sinceramente curiosa.
“Perché lei è l’unica possibilità, l’unica fonte di informazione!”
Seguirono diversi attimi di silenzio in cui qualcuno mi toccò la pelle della gamba. Sapevo di dover sentire qualcosa, ma il dolore non voleva arrivare. Era sbagliato, lo sapevo, eppure non potevo costringermi a mugugnare per un dolore che non provavo.
“Sappiamo entrambi che lei è l’unica possibilità che abbiamo di capire e la salveremo, ma ora abbiamo cose più importanti, guarda!”
Sentii un peso in corrispondenza della gamba, come se qualcuno stesse agendo su di essa tramite una certa pressione.
Seguì un attimo di silenzio in cui il rumore dei bip divenne quasi assordante.
“Com’è possibile?” disse la prima voce, la rabbia era scomparsa, aveva ceduto il posto all’incredulità e allo stupore.
“Capisci perché prima dobbiamo farle dei test? Questa ragazza non sta morendo, si sta rigenerando!”
“E’ impossibile!” la prima voce parve trattenere il fiato.
“Tu sei stato il primo a trovarla in quello scantinato, hai dato fin dall’inizio un’occhiata alla sua ferita, giusto?”
“Usciva tanto di quel sangue…” confermò il primo uomo quasi assorto.
“Sei riuscito a vedere quanto era profonda la ferita?
“No, perdeva troppo sangue, ma sono piuttosto sicuro che fosse più lunga!”
“Esatto. Le abbiamo somministrato un coagulante mentre venivamo qui, ma quello non avrebbe potuto fermare il sangue con questa rapidità, ora ne perde pochissimo e in più il taglio è meno esteso. Ci scommetto una mano che è anche meno profondo!” la seconda voce sembrava su di giri dalla cosa.
“E’ straordinario, ma questo non fa di lei un pericolo!”
“Come credi che sia possibile un miracolo del genere?”
Sentii un ago bucarmi la pelle del braccio, percepii un leggera fitta di dolore, ma non mi lamentai, non avevo ne avevo la forza.
“Magia.”  Non era una domanda.
“Questa ragazza è piena zeppa di magia!” confermò la seconda voce “E la magia la sta curando meglio di come potremmo fare noi. Ha agito rapidamente perché doveva tenerla in vita, ora invece il processo di guarigione sta rallentando perché il pericolo è passato!”
“Non pensi che sia pericolosa, che si possa improvvisamente svegliare! Tu e chi ti ha dato gli ordini non pensate che lei possa attaccarci. Voi la volete studiare, come avete fatto con quell’altra ragazza!” la rabbia era ricomparsa nella prima voce e in qualche modo riuscì ad infonderla anche in me. I miei pensieri erano sconnessi, ma riuscivo a trovare un senso logico alle parole che le due persone pronunciavano.
“Non abbiamo mai avuto una persona dotata di magia in questo luogo, tantomeno abbiamo mai osservato un processo di autorigenerazione di questa portata. Al massimo abbiamo prelevato dei campioni di sangue, capelli, unghie, non abbiamo mai avuto un vero soggetto tra le mani. E’ un’occasione unica e Dush lo sa.”
“QUESTA RAGAZZA E’ SOTTO LA MIA PROTEZIONE!” sbraitò la prima voce coprendo per la prima volta il fastidioso bip che risuonava dovunque ci trovassimo.
“Lo era, sì!” ribattè tranquilla la seconda voce.
“Non posso credere che Dush ti abbia dato questi ordini e tantomeno che tu li esegua senza sentirti un verme!”
“La ragazza starà bene, questo è quello che conta!”
“Starà bene, ma sarà una cavia da laboratorio finchè Dush lo vorrà!”
“Senti Cypher. Questa ragazza ha dato un sacco di problemi sia a te che a tutta l’associazione. E’ anche ora che sia utile!”
Sentii il rumore di una porta che veniva aperta con violenza.
“VAFFANCULO!”
 
Scossi la testa infastidita dal ricordo di quelle parole, mi sembrava di averle sentite nella mia mente innumerevoli volte. La stanza bianca mi circondava e quei pensieri non sembravano appartenermi.
Era come se io stessi osservando da spettatrice la vita di qualcun altro, qualcun altro che, a differenza mia, era sfuggito alla morte grazie alla magia.
Magia. Che parola curiosa, chissà come mai pensavo dovesse dirmi qualcosa, mentre invece nella mia testa scorreva la frase ‘Gioco di prestigio’.
Al momento quest’ultima mi sembrava più interessante della parola ‘magia’, così tentai di concentrarmi su di essa.
Cosa mi ricordava quell’insieme di parole.
Un volto diafano, incorniciato da lunghi boccoli neri comparve nei miei pensieri.
Strinsi i denti provando un improvviso moto di odio per quell’immagine.
“Jasmine!” sibilai stringendo i pugni. Cercai di alzarmi in piedi mentre cercavo di ricordare altri frammenti della mia vita legati alle parole ‘gioco di prestigio’ o ‘magia’.
Le articolazioni delle braccia e delle gambe schioccarono rumorosamente, dovevo essere rimasta ferma per un po’. Quel dolore poco accentuato, dovuto all’inattività era una conferma del fatto che avessi ancora il mio corpo e che questo poteva ancora farmi provare dolore. Quella non era proprio una notizia felice: una parte di me era consapevole di averne provato talmente tanto da non volerne più. Non era bello avere un corpo se questo voleva dire che chiunque poteva farti provare del male.
Riuscii a mettermi in piedi, barcollai un po’ e tesi le braccia per cercare un appiglio o un muro al quale poggiarmi, ma non ve ne erano. Barcollai ancora un po’ prima di stabilizzarmi. Era così difficile eseguire tutte quelle azioni al buio, ma il bianco al di fuori dalle mie palpebre era troppo intenso e preferivo l’oscurità ad esso. Preferivo muovermi ad occhi chiusi tenendo la luce lontana dalle mie pupille sensibili.
Più mi muovevo a tentoni, con le braccia in avanti sperando di riuscire a toccare qualcosa più si insinuava dentro di me una certa consapevolezza, qualcosa che non ero certa di  voler comprendere.
Avevo il terrore, misto alla più forte delle speranze, che la vita non mi avesse abbandonata davvero. Forse era solo stata una mia convinzione.
In entrambi i casi, che fossi viva o morta, quel posto era sbagliato.
 
 
Qualcuno mi stava facendo muovere il braccio, lo piegava e lo stendeva. Lo faceva piano, con dolcezza, posando una mano sotto il mio gomito. All’inizio faceva un po’ male, ma presto il dolore si tramutò in fastidio. Ad ogni piegamento sentivo sempre di più il braccio come una parte del mio corpo, mi sembrava di non utilizzarlo da una vita e improvvisamente ero felice di essere di nuovo consapevole di quella mia parte del corpo. Così lo irrigidii istintivamente, volevo essere io a muoverlo.
La persona che mi stava muovendo l’arto trattenne il respiro per una frazione di secondo.
“Sta prendendo conoscenza!” disse velocemente “Datele altro sedativo!”
Perché dovevano sedarmi? Io non stavo facendo nulla di male, volevo solo muovere il mio braccio, non potevano incolparmi di ciò.
Mentre qualcosa mi diceva che avrei dovuto spalancare gli occhi e ribellarmi percepii qualcos’altro entrare nelle mie vene, qualcosa di inebriante, qualcosa di attraente. Provai l’intenso desideri di abbandonarmi ad esso e scivolai nell’oscurità.
 
Mi avevano sedata.
Più e più volte.
Dannazione.
La rabbia crebbe dentro di me, infiammando ogni fibra del mio essere. Mi avevano tenuta nell’incoscienza per quella ragione mi sentivo così stordita.
Finalmente le mie dita urtarono verso quella che sembrava una parete.  Traccia una breve linea su di essa prima di sbirciare da sotto le palpebre. La mia mano non gettava alcun tipo di ombra sul muro, la parete era invisibile ai miei occhi, eppure era lì, di fronte a me, potevo sentirla.
Doveva esserci una porta da qualche parte. Tastai la parete cercando disperatamente un appiglio, una discontinuità, qualsiasi cosa che mi facesse capire che potevo uscire da quel luogo.
Ormai ne ero certa, ero viva.
 
Ero seduta su una specie di poltrona. Le braccia e le gambe erano legate saldamente ad essa tramite dei lacci. La posizione scomoda mi permetteva di essere lucida.
Sbirciai da sotto le palpebre, l’istinto mi diceva che non dovevano notare che ero vigile.
Una parte di me voleva dibattersi e dimenarsi per uscire da quella morsa, non sapevo cosa volessero farmi, ma non volevo stare lì e scoprirlo.
Avevo cose più importanti alle quali pensare, anche se non rammentavo quali.
Fortunatamente la ragione si era risvegliata con me e mi intimava di stare immobile, solo in quel modo avrei potuto studiare la situazione prima che mi rispedissero nel mondo dei sogni.
Un grosso macchinario troneggia di fronte a me, aveva l’aria minacciosa ed emetteva un sinistro ronzio. Altre ad esso potevo notare almeno cinque persone andare avanti e indietro per tutta la stanza, alcuni tenevano tra le mani diversi oggetti, altri dei semplici fogli. Sembravano in fermento, sicuramente per la cosa che stavano per farmi.
“Basta così!” disse una voce che riconobbi. Non ricordavo con chiarezza a chi appartenesse, ma sapevo di conoscere l’individuo.
“Non ti immischiare, Greenwood!” ribattè un uomo con voce dura. Non potevo vedere nessuno dei due, la macchia mi ostruiva la visuale, però i miei occhi si posarono su un terzo uomo che stava dialogando con i primi due.
“Alex ha ragione!” disse il terzo uomo che riconobbi come Cyfer “L’avete studiata abbastanza!”
Il secondo uomo, l’unico di cui non conoscevo il nome emerse da dietro il macchinario rendendosi visibile ai miei occhi. Era un tizio magro e alto, aveva pochi capelli in testa e portava un lungo camice bianco che toccava quasi fino a terra. Agli andò verso una specie di centro comandi e armeggiò per diverso tempo con una serie di pulsanti.
La macchina iniziò a muoversi avvicinandosi sempre di più a me. Cercai di mantenere la calma e di prestare attenzione alle parole che venivano dette.
“Lei è l’unica che può sapere dove si trova Dave! Perché ancora non l’hanno interrogata?”domandò Alexander Greenwood, il tutore di Dave. Non seppi da dove mi venne quell’informazione, ma ne feci tesoro, mentre la memoria mi tornava così come la consapevolezza di aver fatto qualcosa di terribile.
“Perché preferiscono avere tutta la sua magia, a loro non importa nulla del tuo ragazzo!” disse cupamente Cyfer lanciando un’occhiata triste verso di me. Chiusi gli occhi velocemente sperando che non avesse notato che lo stavo sentendo.
“Sono rimasto al suo fianco tutto questo tempo. Da quando ho saputo che Grace era la custode del libro maledetto ho informato tutti, com’era giusto che facessi! Poi sono stato accanto a lei e a suo figlio, proteggendolo da una minaccia di cui lui non era nemmeno a conoscenza. Ho fatto tutto questo perché mi era stato ordinato e questa è la riconoscenza che ottengo?” Alex sembrava tremare di rabbia.
“Non dire sciocchezze, tu non l’hai fatto perché ti era stato ordinato, tu l’hai fatto per Grace. E’ per questo che sei stato cacciato!” Cyfer abbassò la voce nel dire l’ultima frase, come se non volesse farsi sentire.
“Mi hanno cacciato quando hanno scoperto che ero innamorato di lei  e che per me non si trattava più di un lavoro, ma di una missione di vita!”
“Non avresti dovuto mischiare le due cose!”
“La amavo troppo, Edward! Così come amo suo figlio come se fosse mio!”
Socchiusi nuovamente gli occhi, giusto in tempo per vedere il viso di Alex fare capolino da dietro il macchinario che si stava lentamente chiudendo su di me. Mi lanciò uno sguardo di puro odio, nei suoi occhi verdi così simili a quelli di Dave non c’era nessuna traccia di compassione.
“Me lo ha portato via!” sibilò riferendosi a me.
Cyfer distolse lo sguardo, come per rispetto nei confronti del dolore che Alex provava.
“Eppure ora è la tua unica speranza!” sussurrò.
Alex non sembrava felice della cosa, lo vidi nuovamente sparire dietro la macchina.
“E’ assurdo. Potevano estorcerle tutte le informazioni, non era necessario che lei collaborasse, eppure ritengono che la magia che è in lei sia più importante!” Alex fece un profondo sospiro prima di continuare “Come fa ad avere tutto quel potere dentro di se?”
“Non lo sappiamo. Avevo dei sospetti. Quando l’ho vista per la prima volta avevo in mano il mio microfono con l’amplificatore funzionante nell’orecchio. Ho sentito il ronzio, Alex. Quando l’ho conosciuta aveva del potere dentro di se, ma quello che non mi torna sono le quantità!”
“Che intendi dire?”
“L’hanno studiata a lungo e sono più o meno riusciti a stabilire la quantità di potere che possiede in questo istante, ammonta a 100 umm, quasi il doppio rispetto alla persona dotata di maggior potere di cui abbiamo mai avuto un campione di sangue! Quando invece l’ho conosciuta il trasmettitore segnava solamente 5umm, naturalmente il valore è sfasato dato che non si può calcolare il livello di potere in un essere umano senza l’utilizzo di macchinari più complessi di un semplice trasmettitore, eppure lo stacco è di sicuro notevole!”
Alex parve riflettere per qualche secondo.
“Dove pensi si sia procurata tutto quel potere?”
“Inizialmente avevo pensato alla scatola con la quale si era presentata a casa tua quando l’ho conosciuta, quella blu con scritto su una lato ‘gioco di prestigio’, purtroppo il trasmettitore si è rotto quindi non ho potuto leggerne il valore, però sai che il volume del ronzio è direttamente proporzionale al potere. Dal ronzio che sentivo potrei stimare che nella scatola ci fosse contenuta una quantità di potere pari circa alla metà di quella che aveva lei!”
“Ma tu hai aperto quella scatola!”
“Non avrei mai potuto aprirla. Prima l’avrei dovuta portare qui, avremmo dovuto studiarla, capire la natura del potere contenuto al suo interno, forse il coperchio non sarebbe mai stato sollevato. E’ stata lei ad aprirla con noncuranza e la scatola non conteneva potere!”
“Oddio, tu pensi che se lo sia preso?”
“Anche se lo avesse fatto non avrebbe comunque posseduto 100 umm!”
“E’ un vero mistero! Credi che abbia dato la scatola ad Alan o che l’abbia presa da lui?”
“Non so dove l’abbia presa, ma sono certo che il potere che c’era al suo interno ora scorre nelle vene di Dave!” Cyfer era piuttosto sicuro di quello che diceva.
Le sue parole mi stavano aiutando a rammentare. Ad ognuna di esse divenivo sempre più lucida e il mio cervello iniziò a lavorare cercando una soluzione, una via d’uscita a tutto quello.
“Se è ancora vivo!” la voce di Alex si spezzò.
“Lo è!” lo rassicurò fiducioso Cyfer.
“Se ci permettessero di interrogarla…!” Alex era afflitto, in un certo senso potevo capire la sua sensazione di impotenza, era la stessa che provavo io legata a quella sedia mentre un affare rumoroso si muoveva attorno a me avvicinandosi e allontanandosi dalla mia pelle.
“Gli studi sono quasi finiti, non sono riusciti ad estrarle il potere dal corpo. L’unico modo sarebbe portarla vicino alla morte, ma è già riuscita a sfuggirle una volta, non sappiamo se ci riuscirà ancora e lì è stato il potere a salvarla! Oppure dovremmo sperare che lei lo ceda autonomamente!”
“Non lo farà mai!”
“Lo so! Ma almeno gli studi su di lei stanno per finire!”
“Non appena sarà nuovamente cosciente vorrà vendetta!”
“Forse non questa volta!” Cyfer sembrava così ben disposto nei miei confronti, anche se non ne capivo la ragione. Immaginai chiaramente un lampo di scetticismo attraversare gli occhi verdi di Alex.
“Perché credi la vogliano viva? Potrebbero tentare di ucciderla per prenderle il potere! Chi mi assicura che rimarrà viva dopo che gli studi saranno terminati?”
“Mi sembra ovvio. Vogliono spiegazioni, solo che le mettono su un altro piano rispetto a dove le mettiamo noi. Vogliono sapere cosa ci faceva in quello scantinato in una pozza di sangue mentre la vita sembrava volesse abbandonarla. Vogliono sapere come si è rotta il braccio destro, come si è fatta tutti quei graffi. C’è stata della lotta. E vogliono sapere cos’è successo ai 12 uomini che sono morti quel giorno in quella casa!”
“Credono che lei lo sappia?”
“Qualcosa deve pur saperlo!” Cyfer sembrava stesse cercando di non dire troppo.
Io invece ero perplessa. Ricordavo di essere stata ferita, ma non rammentavo la morte di 12 uomini, non avevo idea di cosa fosse successo mentre la vita mi veniva risucchiata via.
Da Dave.
Chissà come avrebbe reagito Alex sapendo che il suo figlioccio era diventato un mostro per colpa mia. Rabbrividii mentre l’immagine delle pupille rosse di Dave balenava nella mia mente, erano così vivide che pensai che davvero si trovassero di fronte a me.
Sussultai, ma così facendo attivai de sensori che probabilmente mi erano stati messi addosso per avvertire tutti che ero cosciente. Una specie di allarme inondò la stanza e io sbarrai gli occhi, tanto mi avevano scoperta.
Cercai di strattonare le cinghie che mi tenevano legata, ma esse rimasero immobili. Ci riprovai con maggior foga, ma anche quel secondo tentativo fu inutile. Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi marroni di Cyfer. Lui ricambiò il mio sguardo, ma rimase immobile a pochi passi da me. Non fece nemmeno un tentativo di aiutarmi.
Un paio di braccia mi spinsero contro la poltrona facendo aderire le mie spalle al suo schienale.
 Mi dimenai, ma sapevo che era del tutto inutile, potevo sentire l’ago entrare dentro il mio braccio con prepotenza.
Lanciai un ultimo sguardo disperato a Cyfer, incapace di parlare.
Lui mimò con le labbra un ‘mi dispiace’, ma fu come se l’avesse urlato. Non seppi come mai, ma ero consapevole di aver stabilito una sorta di contatto con Cyfer. Lì dentro era l’unico che non mi odiava, non ne conoscevo la ragione, ma seppi che era così. Forse perché era stato lui a portarmi via da quell’inferno che era stato il sotterraneo di Jasmine, forse perché era la sua voce quella che avevo sentito parlare sempre in mia difesa.
Le palpebre divennero pesanti e il buio si fece sempre più attraente.
 
Strinsi i pugni. Non potevo crederci. Non sapevo quanto tempo era passato da quando ero giunta in quella specie di covo di pazzi. Poteva trattarsi di un giorno oppure di una vita. La cosa che più mi faceva imbestialire era che ero rimasta incosciente per la maggior parte del tempo. I ricordi che avevo erano vaghi e sembravano appartenere alla vita di un’altra persona.
Ma non erano quelli i ricordi ai quali volevo aggrapparmi, io volevo ritrovare il mio scopo.
Gioco di prestigio.
Jasmine aveva giocato con me. Mi aveva manipolata alla perfezione, avevo ucciso Rob e condannato Dave e chissà quante altre persone a morte certa.
Le lacrime sgorgarono piano dai miei occhi mentre il peso di tutte quelle esistenze mi gravava addosso schiacciandomi.
Ero stata così stupida.
Rabbia, dolore e odio si sovrapposero in un mix che mi annebbiò il cervello quasi quanto gli anestetici.
Dovevo fare qualcosa. Stare in quel posto mi stava solo facendo perdere un sacco d tempo.
Mi beai per un istante di tutte le emozioni che provavo, sentivo di essere me stessa per la prima volta dopo non so quanto tempo.
Non ero più in uno stato di semi incoscienza.
Ero di nuovo Marguerite Jones e avrei rimediato alle cose orribili che avevo commesso. Ero caduta e mi ero fatta male.
Letteralmente.
Mi guardai la gamba dove una volta c’era stata la ferita che aveva minacciato di uccidermi. Mi abbassai i pantaloni e vidi la sottile linea rossa di una cicatrice dove una volta la mia pelle era stata squarciata. Riuscivo a muovere alla perfezione entrambe le braccia.
Ero caduta, mi ero rotta un braccio ed ero rimasta ferita, ma nella caduta avevo trascinato anche Dave e lui, in quel momento ne stava pagando il prezzo più alto.
Ero caduta, ma mi sarei rialzata, come sempre. Per la prima volta però non dovevo farlo per me, ma per lui e per tutte quelle persone che la mia stupidità aveva condannato.
Avrei lottato per delle vite che non conoscevo, ma che sapevo essere ingiusto portare via.
In quel momento una porzione della parete si mosse, riconobbi una porta che veniva aperta lentamente. Trattenni il respiro pronta a schizzare fuori ed affrontare chiunque si mettesse sul mio cammino.
Erano venuti a sedarmi ancora e lo avrebbero fatto altre mille volte, ma io non avevo più tempo da perdere, la vita di troppe persone era appesa ad un filo.


Allora, come credo già sapevate, Mar non è morta, solo che non dovrebbe essere viva. Qualcosa è andato in modo imprevisto, ma dovrete aspettare un po' per scoprire perchè.
Ci tengo a ringraziare 
ladyselena15shadowdustBloomsburyshadows_fantasy che hanno gentilmente recensito lo scorso capitolo :)
Scusatemi per il ritardo, ma il tempo è sempre meno. Gli aggiornamenti saranno irregolari, troverete maggiori informazione sulla mia pagina facebook 
https://www.facebook.com/pages/Gioco-di-parole/116255365194270
Grazie a tutti :)
Daisy

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


So di essere in ritardo, ma vi prego di perdonarmi.
Non ho nemmeno risposto alle recensioni e me ne scuso dal più profondo del cuore! Cercherò di rimediare il prima possibile, ma prima devo trovare il tempo di respirare!
Dubito che ci saranno aggiornamenti per le prossime due settimane, ma non si può mai dire! nel frattempo vi lascio con questo capitolo non perfetto, ma che spero possa interessarvi.
Ricordatevi che il bello dev ancora venire!
Daisy

Ps. Grazie a chi ha recensito e chi continua a leggermi, nonostante i miei ritardi!

CAPITOLO 22

La porta si aprii sempre di più. Chiunque si trovasse dall’altra parte era prudente, il che mi faceva pensare che, anche sedata, mi consideravano pericolosa. Attesi con pazienza che la persona entrasse nella stanza, trattenni il respiro e mi concentrai.
Se i miei ricordi sfocati non mentivano avevo ancora i miei poteri. Tutti, in quel covo di matti, sembravano essere preoccupati dalla grande dose di potere che possedevo. Mi concentrai e provai a sentirlo.
Lo percepii come se fosse un’entità distinta da me, come se non mi appartenesse e abitasse solo dentro il mio corpo, all’interno della mia essenza. Lo potevo quasi visualizzare, una cortina di luce che si espandeva attorno ad ogni mio nervo, attorno ad ogni vena, percorrendo ogni fibra muscolare. Il potere mi dava vita.
Quella consapevolezza arrivò dal nulla, inaspettata eppure era così che lo percepivo.
Socchiusi gli occhi per concentrarmi maggiormente. Ancora non avevo recuperato pienamente i ricordi, mi sentivo leggermente stordita, ma l’adrenalina mi faceva rimanere sufficientemente lucida, così tanto da sapere cosa dovevo fare. Una donna entrò nella stanza, puntò lo sguardo su di me ad assunse un’espressione sorpresa.
I nostri occhi si incrociarono.
Immaginai di liberare una grossa quantità di potere e di scagliarla contro di lei, vidi con chiarezza un  lampo di luce illuminare ancora di più quella stanza bianca ed asettica, prima di finire direttamente sul petto della donna, con una forza tale da farla cadere a terra.
Non appena la mia mente terminò il pensiero in modo razionale tutto ciò che avevo immaginato avvenne: la donna sgranò gli occhi dalla sorpresa e un boato riempì la stanza. Un attimo dopo lei era a terra con gli occhi chiusi. La scavalcai senza pensarci due volte e lanciai un’occhiata rapida fuori dalla stanza. Il corridoio sembrava quello di un ospedale, il soffitto era a pannelli quadrati, alcuni di essi mancavano e al loro posto c’erano delle luci al neon, decisamente meno fastidiose del bagliore bianco emanato dalle pareti di quella che era stata la mia prigione.
Non sapevo da che parte andare. Cercai di individuare se ci fossero delle telecamere, ma non mi sembrava di vederne. Questo non voleva dire che non ci fossero.
Inspirai ed espirai.
Immaginai che la corrente saltasse, mi figurai i generatori che saltavano in aria lasciando al buio l’intero edificio.
Una frazione di secondo dopo sbattevo le palpebre alla cieca.
Decisi di andare a destra, prima che si spegnessero le luci avevo notato un’insegna con sopra scritto ‘uscita di sicurezza’ proprio in quella direzione.
Camminai facendo scorrere le mani sulle pareti, in modo da orientarmi e da sentire se c’era una svolta nel corridoio.
I miei passi erano svelti e silenziosi. Cercavo di tendere le orecchie per captare una qualsiasi fonte di rumore, ma tutto il piano sembrava sprofondato nel silenzio, non c’era un anima viva e la cosa non mi convinceva affatto.
Le mie dita sulla parete toccarono un angolo, segno che il corridoio girava a destra, proseguii in quella direzione e notai, in fondo al corridoio appena imboccato, un’altra scritta luminosa che indicava l’uscita di sicurezza. Espirai e camminai più velocemente.
Le mie mani sfiorarono la maniglia della porta, già il mio cervello era proiettato a quello che avrei fatto una volta uscita da lì. Per prima cosa avrei dovuto cercare informazioni su quello che era successo dopo che Jasmine m aveva abbandonata morente in quello scantinato. No. In realtà Jasmine se n’era andata che io ero morta. Sapevo che non avrei dovuto essere lì.
L’immagine di Dave con gli occhi verdi e rossi occupò nuovamente tutto il mio campo visivo. Il ricordo era così forte che indietreggiai.
Un istante dopo mi diedi della stupida e riposai le mani sulla maniglia premendola.
Improvvisamente un suono acuto mi perforò le orecchie. Era formato da due note che si intervallavano regolarmente, era una sorta di allarme.
Ero stata scoperta.
La porta non si apriva. Spinsi con maggiore forza, sperando che cedesse, ma questa rimase immobile.
Dannazione.
Mi voltai e strinsi gli occhi sperando di non scorgere nessuna sagoma in avvicinamento nell’oscurità. Potevo sentire un insieme di voci sommesse e del trambusto provenire da qualche zona indistinta dell’edificio, ma non potevo udire molto a causa del forte rumore dell’allarme.
Mi portai le mani alle orecchi e immaginai che il volume si abbassasse fino a diventare muto. Vidi la luce rossa dell’allarme lampeggiare sul fondo del corridoio, copra l’insegna ‘uscita di sicurezza’, ma era silenzioso.
Tirai un sospiro di sollievo e tornai sui miei passi incapace di decidere dove andare. Non mi rimaneva molta scelta se non quella di percorrere il corridoio all’indietro e tornare alla stanza bianca. Da lì sarei andata verso sinistra.
Mi mossi velocemente, questa volta sfiorando a malapena la parete. Sentivo un rumore di passi frenetici, mi sembravano sempre più vicini. Non sapevo quante persone poteva causare un rumore simile, ma mi metteva ansia.
Inizia a correre. Avevo la libertà vicina alle mie dita e non avevo alcuna intenzione di farmela scivolare via.
Arrivai alla svolta che avevo imboccato precedentemente e mi ritrovai nel corridoio dove c’era la stanza bianca, la porta leggermente socchiusa faceva in modo che una piccola porzione di oscurità rimanessie illuminata da un sottile fascio di luce. Staccai le dita dalla parete e mi misi a correre finchè avevo davanti agli occhi un obiettivo visibile.
I passi che udivo si fecero sempre più vicini, così come anche le voci concitate. C’era qualcuno che parlava sopra gli altri, probabilmente impartendo ordini, ma non riuscivo a capire cosa dicesse.
Oltrepassai la luce proveniente da quella che era stata la mia prigione e ritornai a sfiorare con una mano la parete. Sapevo che non dovevo correre, avevo i muscoli ancora indolenziti e andare veloce nell’oscurità mi avrebbe potuta far finire contro un muro, a quel punto avrei di nuovo perso conoscenza ed ero stanca di ciò. Ero felice di essere consapevole di ciò che mi accadeva e non ero entusiasta all’idea di tornare ad essere un automa.
Una porta laterale si aprì e una luce gialla inondò il corridoio, vidi delle sagome stagliarsi di fronte a me, ne contai cinque, ma potevano anche essere di più. Mi arrestai e li fissai per un lungo secondo. Il cuore mi martellava nel petto e l’adrenalina mi faceva tenere gli occhi spalancati e i sensi all’erta. Ero pronta a ogni loro mossa.
Eppure rimanemmo immobili uno di fronte a tutti.
Una torcia mi venne puntata dritta in faccia. Non ero più abituata alla luce, quindi istintivamente mi portai una mano sugli occhi.
“Marguerite, non vogliamo farti del male!” disse la voce di un uomo.
Mi venne da sorridere. Quella era una delle classiche frasi da film, quelle a cui nessuno dovrebbe mai credere.
“E io non ne voglio fare a voi!”
Bugia. Mi sarei divertita a far loro del male. Dopotutto era colpa loro se avevo perso tutto quel tempo prezioso per salvare Dave, non avrei permesso a nessuno di frapporsi tra me e il mio obiettivo. Ero troppo determinata e avrei spazzato via chiunque si fosse messo in mezzo.
Un’altra torcia mi venne puntata in volto. Socchiusi gli occhi per il fastidio.
“Maguerite, non costringerci…”
Ne avevo abbastanza. Ogni secondo che perdevo era una possibilità in più che una vita fosse mietuta. Era un secondo in meno alla vita di Dave.
Liberai il mio potere come avevo fatto prima con la donna che era entrata nella stanza bianca, ma quella volta non pensai a colpire ognuno di loro, immaginai che si scagliasse contro ogni vetro presente in tutto il corridoio.
Un attimo dopo il frastuono fu assordante. Ogni vetro presente in un raggio di venti metri da me andò in frantumi emettendo un forte frastuono. Avrei voluto coprirmi le orecchie con le mani, ma in quel modo non avrei potuto sentire i miei cacciatori. Essi si gettarono prontamente a terra facendo rotolare le torce sul pavimento. I vetri volarono sopra le loro teste atterrando rumorosamente sul pavimento e rompendosi nuovamente. Le schegge saettavano davanti e dietro di me senza neppure sfiorarmi. Rimasi un istante a godermi lo spettacolo, le urla di stupore di quelli che dovevano essere degli agenti mista al loro dolore mentre le schegge graffiavano la loro pelle. Non provai pietà per loro, se l’erano cercata.
La mia unica possibilità era quella di raggiungere la porta dalla quale erano entrati. Fortunatamente il corridoio era leggermente illuminato dalle torce per terra, perciò riuscii a muovermi velocemente. I vetri danzavano intorno a me deviando la loro traiettoria se mi arrivavano troppo vicini.
“Sta scappando!” urlò una voce.
“Dannazione, serve un campo di contenimento!” disse un’altra.
“Siamo al quinto piano, la ragazza sta scappando!” uno aveva una mano portata all’orecchio, parlando a quella che doveva essere una ricetrasmettente. Mi avvicinai a lui. Egli sgranò gli occhi mentre la mia mano correva verso il suo orecchio. Estrassi con forza la ricetrasmittente e la sbattei con forza a terra, dopo di che la pestai col piede.
Ero sempre più arrabbiata.
Ero arrabbiata con me stessa per avere permesso tutto ciò, ero arrabbiata per avere perso tutto quel tempo, ero arrabbiata con loro perché mi avevano utilizzata come una cavia da laboratorio. Non riuscivo più a trattenermi e stavo riversando tutta la mia rabbia nei miei poteri, in quelle dimostrazioni di forza che dovevano ridarmi la libertà.
Varcai la porta dalla quale erano arrivate tutte quelle persone. Essa dava su una rampa di scale, senza pensarci troppo scesi. Pochi secondi dopo sentii dei passi affrettati alle mie spalle, segno che qualcuno mi stava inseguendo. Non persi tempo a voltarmi per vedere che faccia avesse chiunque fosse alle mie calcagna. Giunsi ad un pianerottolo al termine del quale non vi erano più scale che scendevano verso il basso. Ero piuttosto sicura di non aver sceso cinque piani, ma al massimo tre, quindi ancora non ero al piano terra. Varcai l’unica porta che c’era. Essa dava su un corridoio simile a quello di un ospedale come quello dal quale arrivavo. C’era un’unica differenza.
Era molto più affollato. Almeno una ventina di persone mi stavano bloccando la strada, erano poste l’una dietro l’altra in una specie di schema. Quelle più vicine erano accovacciate, quelle della fila dietro erano in ginocchio e quelle dell’ultima fila erano in piedi. Sembrava la posa di una foto di gruppo, peccato che tutti avessero una pistola in mano che puntava diritta verso di me.
Mi arrestai di colpo.
Avevo il fiatone, sentivo il ritmo frenetico del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie, mi sentivo accaldata. Istintivamente alzai leggermente le mani verso l’alto, come avevo visto fare nei film. Sentii la porta dalla quale ero arrivata richiudersi, segno che il mio inseguitore mi aveva raggiunta e che in quel momento si trovava dietro di me. Non ci voleva una gran fantasia a capire che anche lui mi stava puntando un’arma contro.
Nonostante probabilmente fossi molto più forte di tutti loro messi insieme, avere tutte quelle armi puntate addosso non mi rendeva tranquilla, anzi. Il mio cuore, già provato dalla corsa, sembrò aumentare ulteriormente i battiti, il respiro si fece più corto. La paura che anche solo uno di loro premesse il grilletto mi impediva di ragionare in maniera coerente, mi impediva di immaginare per compiere una magia.
“Basta così, mi sono stancato!” disse una voce nelle retrovie. Alcuni agenti mormorarono tra di loro senza tuttavia staccare gli occhi da me.
“Fatemi passare!” disse l’unica voce che mi aveva fatto compagnia nella mia incoscienza.
Gli agenti si guardarono perplessi. La voce era imperativa, ma mi sembrava ovvio che non apparteneva ad un loro superiore, quindi avevano riluttanza ad obbedire.
“Lei è il MIO caso!” ribadì la voce con maggiore convinzione.
La piccola folla si aprì per far passare un uomo solo. Spallato, con i corti capelli marrone chiaro lisci pettinati con perizia sulla sua testa. Non aveva più il cerotto bianco a nascondergli un sopracciglio e lo sguardo era severo e determinato.
Avevo sopportato a fatica quell’uomo e le sue domande, avevo desiderato la sua morte e avrei voluto esserne io l’artefice. Eppure era la prima faccia conosciuta che vedevo da non so quanto tempo. Un peso che avevo sul petto, il peso di tutta quella colpa che grava su di me, parve essere meno opprimente.
Cyfer si fece avanti a spallate, lo sguardo dritto su di me. Diversi agenti abbassarono le loro armi e fissarono con astio l’uomo che aveva osato bloccarli.
“Perché?” domandò uno di loro.
“Lei è il mio caso, e soprattutto abbiamo già perso dodici uomini!”
“E non ne perderemo uno di più!” ribattè l’agente.
Cyfer non lo guardò nemmeno. Si arrestò a pochi centimetri da me sovrastandomi con la sua altezza e guardandomi con sguardo severo.
“Tu non conosci Marguerite Jones!” disse semplicemente incatenando il suo sguardo nel mio.
Mi venne da sorridere, ma non lo feci. Sapevo che la faccenda era estremamente seria. Potevo sentire la tensione nell’aria, era come se crepitasse come corrente elettrica.
Cyfer stava sfidando le autorità, stava mettendo in discussione gli ordini.
Gli fui infinitamente grata per quello, ma non sapevo fino a che punto potevo fidarmi, era pur sempre Edward Cyfer, l’uomo che era stato mandato a tenermi d’occhio.
Mi circondò un braccio con la sua grossa mano e, gentilmente, mi trascinò in mezzo agli agenti. Passai tra di loro a testa alta e con lo sguardo colmo di sfida. Ero tornata lucida e, se mi avessero minacciata, avrei scagliato la mia magia contro di loro. Mi sentivo enormemente più sicura di me.
 
 
“Bè, grazie, è stato un piacere!” feci per liberarmi della sua stretta, ma essa era salda e, soprattutto, non sembrava essere intenzionato a lasciarmi andare.
“Cyfer, basta che mi indichi l’uscita!” continuai, cercando nuovamente di liberare il braccio dalla sua mano.
“Non puoi andartene come se nulla fosse!”
“Certo che posso!” sbottai irritata. Era sempre il solito Cyfer, quello odioso al quale avrei staccato volentieri la testa.
“No, non puoi!”
“Lasciami andare!” sibilai.
“Altrimenti?” lo guardai con fare minaccioso e gli occhi socchiusi.
“Siamo appena entrati in quello che viene chiamato un campo di contenimento. Qui il potere esiste, ma non può essere utilizzato, qui non puoi nuocere a nessuno!”
“E io dovrei credere alla storia del campo di contenimento?” alzai un sopracciglio e lo guardai con scetticismo.
“Ti invito a fare una prova! Alcune aree dell’edificio sono protette in questo modo. Sono le zone che utilizziamo per fare esperimenti con il potere!”
“O per studiare le persone!” conclusi facendo trasparire in quell’unica semplice frase tutta la mia rabbia.
Cyfer sospirò.
“Anche. Senti Mar, non approvo quello che ti è stato fatto!” si giustificò.
“Per questo non mi fai fuggire? Perché non approvi?” ero sarcastica e il mio tono di voce era tagliente.
“Non posso farti fuggire così, abbiamo bisogno di risposte!”
“Potevate averle prima, ora ho cose più importanti da fare!” dissi infastidita dalle sue parole.
“Tipo conquistare il mondo?” era scettico e si stava prendendo gioco di me.
“Attento Cyfer! Sarà anche in un campo di contenimento, ma so tirare un pugno!” lo guardai minacciosamente. Lui fissò lo sguardo dinnanzi a se e strinse la mascella.
“Cos’hai di così importante da fare?” domandò tra i denti.
“Conquistare il mondo!” ribattei, evitando di dargli una vera risposta. Osservai la sua mascella contrarsi ancora di più mentre mi guidava per i corridoi della struttura.
“Smettila!”
“Hai iniziato tu a fare dell’ironia sulla mia nobile missione!”
“Non è un gioco!” sembrava che a stento riuscisse a trattenere la rabbia, avrei voluto che esplodesse per avere una scusa per prenderlo a pugni.
“Lo so che non lo è!” lo dissi con amarezza, ripensando a come Jasmine aveva giocato con me. Per lei era stato un gioco, ma per me, per Dave e per tutte le altre persone la cui vita era in pericolo non lo era. Eppure io mi ero comportata tutta la vita come lei. Avevo giocato con le esistenze altrui senza comprendere che per loro quella era la vita vera.
 Ora lo capivo e la cosa mi feriva.
Un altro dei miei tanti errori. Cercai di pensare ad altro, non aveva senso continuare a ripetermi da sola quanto fossi stupida, quello non avrebbe rimediato ai miei danni.
“Perché mi hai salvato la vita?”
Mi accigliai udendo la sua domanda.
“Perché dici che ti avrei salvato la vita?”
Cyfer parve volersi rimangiare quello che aveva appena detto e io glielo lasciai fare. Non mi interessava quello che stava blaterando.
“Perché sono viva?” domandai a bruciapelo. Fin da quando mi ero risvegliata in quella stanza bianca avevo capito che non dovevo essere lì, che tutto era sbagliato. Avevo sentito Dave che mi risucchiava tutti i poteri e, infine, tutta la mia essenza. Avevo sentito la vita abbandonarmi.
Avevo percepito la gioia di quel mostro che era stato il ragazzo più gentile del pianeta mentre succhiava via tutto ciò che rimaneva di me.
Eppure ero lì, e un posto con Cyfer non poteva essere il paradiso, forse l’inferno, ma nel mio inferno ci sarebbero dovute essere tutte le mie vittime a tormentarmi per l’eternità e non vedevo nessuna di esse, a partire da Rob.
Quello non era l’inferno: ero viva.
Da quando quella agente aveva aperto la porta della stanza non avevo avuto molto tempo per pensare al perché respiravo ancora, avevo avuto la testa impegnata, ma in quel momento non stavo fuggendo, quindi quella domanda continuava ad assillarmi.
“Crediamo che sia stato il potere dentro di te a guarirti! Come ti sei fatta quelle ferite? C’è stato uno scontro vero?”
Non risposi alla sua domanda, ero troppo concentrata sulla prima frase che aveva detto.
Non poteva essere stato il potere a guarirmi perché non ne avevo più. Dave me lo aveva risucchiato, lo avevo percepito. Eppure potevo sentirlo scorrere dentro di me.
Improvvisamente mi ritrovai a pensare che tutto quello che mi fosse successo fosse solo un brutto sogno. Ma non poteva esserlo. Quello stesso giorno avevo visto la cicatrice sulla gamba, la ferita c’era stata davvero.
Avevo sentito Alex parlare di Dave con tono preoccupato, quindi era davvero scomparso. Eppure qualcosa non quadrava.
“Combattevi con o contro Dave?” lanciai una brutta occhiata a Cyfer che continuava imperterrito a fare le sue domande, in quel modo disturbava i miei ragionamenti.
Non risposi e continuai a camminare in silenzio al suo fianco.
Dopo pochi istanti Cyfer si fermò dinnanzi ad una porta e bussò un paio di volte.
“Avanti !”esclamò una voce dall’interno.
Con la mano libera Cyfer spalancò la porta, poi mi spinse dentro prima di seguirmi.
La stanza era piccola ed ordinata. Sull’estremità opposta alla porta c’era una scrivania fatta di legno pregiato, dietro la quale sedeva un uomo brizzolato che portava un paio di occhiali dalla montatura nera dinnanzi agli occhi azzurri.
L’uomo parve stupito di vedermi lì, sgranò gli occhi e guardò con fare interrogativo Cyfer.
“Abbiamo perso troppo tempo Dush, è giunto il momento delle risposte!”
Era ovvio che quel Dush fosse un superiore di Cyfer, ma il tono con il quale gli aveva parlato non era affatto quello di un sottoposto, era quello di un leader.
“Non sono d’accordo!” l’uomo mi lanciò una lunga occhiata, come se con esse avrebbe potuto studiarmi.
“Ci darà il suo potere se l’ascolteremo e non la sederemo più!” asserì Cyfer.
Un lampo di sorpresa giunse dentro di me, ma cercai di nasconderlo. Una specie di sesto senso mi diceva che sarebbe stato meglio assecondare la storia d Cyfer così annui semplicemente.
“Molto bene!” era decisamente seccato “Dopotutto te lo devo, hai appena mobilitato metà del personale con la tua fuga!”
“Una fuga mal riuscita a quanto pare!” sibilai, lanciando un occhiata gelida a Cyfer. La presa sul mio braccio si era allentata, così lo strattonai e mi liberai della sua mano. Avanzai con studiata calma e mi sedetti su una delle morbide sedie dall’altra parte della scrivania.
“Lei è il boss?” domandai studiando il sua volto maturo.
“Dush!” disse semplicemente.
“Immagino che lei sappia chi io sia!” ribattei con arroganza.
“Hai dato abbastanza problemi da far in modo che i ricordassi il tuo nome!”
Cyfer prese posto accanto a me. Potevo vedere con la coda dell’occhio che era decisamente teso.
“Ne sono lieta!” feci un sorriso di cortesia decisamente finto. “Così lei è lo stronzo che mi ha fatto perdere tutto questo tempo!”
Cloud non sembrò particolarmente toccato dall’insulto. Mi guardò con lo stesso interesse che userebbe un esperto d’arte di fronte a un opera di Raffaello.
“Tre mesi!” disse semplicemente, non negò, diede solo un terribile numero. Sgranai gli occhi dimenticandomi del tono di finta cortesia e delle maniere posate che stavo adottando.
“Tre mesi?” la mia voce era leggermente più acuta del normale. Lui parve incuriosito dal mio cambiamento d’umore.
“Qual è il problema, Marguerite?” domandò con tutta la calma del mondo. Mi venne voglia di scagliargli addosso la sua costosissima scrivania.
“Il conto alla rovescia è iniziato, e voi mi avete fatto perdere tre mesi?” non riuscivo a credere alle mie orecchie. Tre mesi. Se Jasmine aveva deciso fin da subito di provare a concepire un figlio con Dave e le cose erano andate per il verso giusto quello voleva dire che a Dave rimanevano si e no sei mesi di vita.
Dannazione.
“Che conto alla rovescia?” le domande di Cloud erano studiate. Mi fissava incuriosito e per nulla agitato, quanto avrei voluto spaccargli qualcosa in testa.
“Siete un’associazione di imbecilli!” sbottai sempre più agitata alzandomi in piedi “Nella foga di avere il potere che è in me avete condannato a morte degli innocenti!”
“Se parli dei miei 12 uomini, ti posso assicurare che non ci saranno più morti!”
Sbattei con forza le mani sulla scrivani e mi poggiai su di esse avvicinando il mio viso al suo, solo quel mobile ci separava e, arrabbiata com’ero, ero piuttosto sicura di poterlo spostare senza un grande sforzo.
“Non so nulla dei tuoi 12 uomini, ma so che delle persone innocenti moriranno solo perché possiedono del potere. E alla fine morirà l’ultima persona al mondo che dovrebbe farlo, l’unica che meriterebbe di vivere più di tutti noi messi assieme!” lo dissi con foga. Potevo sentire gli occhi di Cyfer su di me. Era stupito di sentirmi parlare in quel modo, non era da me, ma da quando avevo scoperto il modo in cui Jasmine si era servita della mia sete di potere per distruggermi avevo cambiato modo di vedere le cose.
Quella stessa sete danzava negli occhi di Dush e lo rendeva cieco, così cieco da fargli buttare al vento tre mesi. Se per prima cosa avesse preteso le rispose avrebbe saputo che non poteva permettersi di perdere neppure un minuto.
“Sei brava a sviare i discorsi, non ti ho sottovalutata! Allora dove hai preso i poteri che hai?” domandò con
semplicità, come se non gli avessi rivelato nulla di sconvolgente.
Strinsi i denti mentre la rabbia divampava sempre di più dentro di me.
“MA MI HAI SENTITA?” sbottai alzando la voce “DAVE RISCHIA DI MORIRE!” aggiunsi in preda alla furia più totale.
“Dave? Dave Sullivan?” finalmente avevo catturato la sua attenzione, questo fece calmare un po’ la mia rabbia. Sentii Cyfer trattenere il respiro alle mie spalle.
“Sì lui!” confermai rilassandomi leggermente.
“Che gli è successo?”
“E’ successo che quella che tu dirigi è un’associazione di buoni a nulla. Vi ho fatto credere che il nemico fosse Alan Black mentre lui era solo una pedina di un gioco più grande!” vidi Dush trattenere il fiato e assaporai quel  momento in cui egli pendeva dalle mie labbra. “In realtà le redini erano in mano ad una strega abilissima. Lei ha fatto uscire Alan di prigione. E’ stata lei a ridarmi i poteri e, sempre lei, mi ha costretta a fare tutto ciò che ho fatto per consegnarle Dave. E’ lei che ucciderà, se non ha già ucciso, ed è lei che devo fermare!”
“Ho bisogno di più informazioni!” era come un bambino avido che gli venisse raccontato il resto della fiaba, ma era un bambino cattivo e non lo meritava.
“Non ne ha bisogno invece. Io sono riuscita a mettervi tutti nel sacco facilmente. Lei è incredibilmente più capace, quindi brancolereste nel buio. Io la fermerò, ma per fare questo mi dovete lasciarmi andare!”
Ero determinata a tentare il tutto per tutto.
Dush mi guardò con freddezza e battè le mani un paio di volte in un triste applauso.
“Ci hai provato, ma non sono così stupido da lasciarti andare!”
Me lo aspettavo, ma dovevo trovare il modo di aggirare l’ostacolo. Improvvisamente ebbi un’idea.
“Allora mettiamola così, sono disposta a collaborare con voi, così sarai sicuro della mia onestà. Voglio fare quello che questa associazione non sembra in grado di fare! Dush, lei è troppo impegnato con i giochi di potere per compiere il suo dovere, questo non è positivo. Rivelerò tutto quello che è successo solo ad un agente di mia fiducia e lavorerò solo al suo fianco. Lei avrà la sua garanzia e finalmente questa associazione riuscirà  a fare qualcosa di utile. Dopo di che avrà anche il mio potere. In più collaborerò autonomamente a qualsiasi test decidiate di farmi, purchè non venga sedata e purchè questo non mi faccia perdere il poco tempo che ho a disposizione. Ci sta?”
Lo guardai con determinazione dritto negli occhi. Sapevo di non poterlo soggiogare, ma adoravo fissare le persone nelle iridi, incatenare i loro sguardi, era un modo per sfidarli a distoglierlo.
“Sarai sotto la stretta sorveglianza di un agente che mi informerà di ogni tua mossa. Scegli pure l’agente di tua fiducia con cui lavorare, io sceglierò quello che ti seguirà dovunque andrai!”
Strinsi la mascella, dovevo aspettarmi quella complicazione.
“Basta che non si intrometta!”
Dush annuì velocemente.
“Allora chi è il fortunato?”
Sorrisi.
“Edward Cyfer, non è ovvio?”

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***



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CAPITOLO 23



“Che ci fa lui qui?” lanciai ad Alex un’occhiata assassina, che lui parve non notare. Si era appena girato di spalle per chiudere la porta che aveva spalancato entrando nella piccola stanzetta dove ci trovavamo io e Cyfer. Era un posto piuttosto anonimo, con un paio di armadi e una lunga scrivania da riunioni posta proprio nel centro. Io e Cyfer ci eravamo seduti ad un’estremità di essa e attendavamo il segugio che Dush aveva deciso di mettermi alle calcagna.
“E’ di Dave che dobbiamo parlare, voleva esserci!” Cyfer lanciò un’occhiata solidale ad Alex mentre quest’ultimo incrociava il mio sguardo e mi guardava sprezzante.
“E’ lui l’agente di fiducia di Dush?” sbottai sottovoce, in modo che solo Cyfer mi sentisse.
“No!”
“Allora ti ripeto la domanda: cosa ci fa qui?” il mio tono di voce era fermo. Volevo che Alex sparisse definitivamente dalla mia vista.
“E’ preoccupato per Dave!” lo giustificò Cyfer.
“Non basta questo a giustificare la sa presenza qui!”
Alex prese posto di fronte a me e mi squadrò con rabbia. Era come se si stesse trattenendo dal saltarmi addosso e prendermi a schiaffi.
Non potevo dargli torto, ma ciò non voleva dire che mi facesse piacere, lo volevo fuori da quella stanza.
“I patti mi sembravano chiari: tu e il segugio!” sibilai tornando a rivolgermi a Cyfer.
“Non è un segugio, è un agente!”
“Se tutti gli agenti sono sciocchi come te allora non c’è poi una grossa differenza!”
Cyfer strinse la mascella, ma non rispose. Distolse lo sguardo da me e lo puntò  sul muro, come se su di esso vi fosse qualcosa di molto interessante oltre alla vernice bianca.
Posai i miei occhi neri su Alex e rimasi un attimo bloccata quando essi incontrarono le iridi verdi così simili a quelle di Dave.
Mi mancava. Era stupido negarlo, mi mancava il suo sapermi prendere, i suoi sorrisi, il bagliore nei suoi occhi quando mi vedeva. Non avrei mai visto quella stessa luce nelle pupille di Alex, lui mi odiava e basta.
“Vattene!” sibilai socchiudendo le palpebre con fare minaccioso.
“Non dirmi cosa devo fare, ragazzina!” marcò l’ultima parola con disprezzo, puntando a ferirmi. Che sciocco.
“A quest’ora avrei già potuto raccontarti tutto Cyfer, senza impiccioni nei dintorni! Invece tu hai insistito per aspettare. La vera domanda è: aspettavamo il segugio o Alex Greenwood?” piegai la testa di lato e attesi una risposta mentre l’ultima sillaba del cognome di Alex mi usciva come se fosse stata sputata dalla mia bocca.
“Cos’è successo a Dave?” domandò Alex a denti stretti. La calma che cercava di ostentare stava via via sparendo, cedendo il posto alla rabbia.
Incurvai leggermente un angolo delle labbra.
“Aspettavamo lui!” compresi anche se nessuno mi aveva risposto.
Se quello stupido voleva rimanere in quella stanza ad ascoltare tutte le cose terribili che erano successe a Dave erano affari suoi.
Cyfer tornò a guardarmi.
“Abbiamo circa mezz’ora prima che arrivi l’agente, cerca di dirci tutto quello che sai!” prese posto accanto a me, ma continuava a far saettare gli occhi sulle pareti.
Anche Alex lo notò. “Credi che ci stiano ascoltando?” chiese guardando anche lui le pareti bianche.
“Ho disattivato tutto, fa parte del patto, loro non si devono intromettere, ma mi sembra troppo facile!” sembrava pensieroso.
“Cyfer, tu lavori per questa associazione, perché hai assecondato così in fretta le mie condizioni? Pensavo che non avresti voluto agire senza gli ordini del tuo capo!” lo canzonai un po’. Lui ignorò il mio sarcasmo.
“Non condivido i metodi usati ultimamente!”
“Prima li condividevi?”
“Sì!”
“Prima di cosa?”
Finalmente gli occhi di Cyfer si staccarono dalla parete e si posarono sui miei.
“Prima di vedere 12 dei miei uomini morti!”
“Ah! Quei 12 uomini di cui continuate a parlare tutti! Cosa vuol dire che erano ‘i tuoi uomini’?”
“Ho un grado piuttosto elevato all’interno dell’associazione, quindi  ho diritto a degli uomini!”
“E come sono morti questi uomini?”
Lui emise un profondo respiro.
“Il tempo scorre Marguerite e tu hai una storia da raccontare!” ignorò la mia domanda.
Guardai per un secondo Alex che aveva assistito con impazienza al nostro breve scambio di battute.
“Non ti piacerà quello che dirò!” dissi semplicemente.
Lui strinse la mascella, ma non distolse lo sguardo da me. lo presi come un invito a proseguire.
“Allora Jasmine è la strega, Alex, la strega del tuo racconto!” iniziai. Volevo che avessero ben in chiaro con chi avevamo a che fare. Volevano giocare con me? Perfetto, ma avrebbero dovuto fare i conti con i pericoli che correvano intromettendosi. Non avevo ancora abbandonato la speranza di riuscire a cavarmela da sola, ma d’altra parte sapevo di aver in mano ben poco e sfruttare le risorse di quell’organizzazione, seppur misera, mi conferiva un certo vantaggio: potevo accedere a montagne di informazioni e speravo in quel modo di poter localizzare Dave alla svelta.
“Di che racconto parli?” Alex sembrava non capire.
“Mesi fa tu hai raccontato a me e a Dave una storia. Questa storia narrava di una strega che aveva maledetto il volume dalla doppia copertina e con esso il suo custode. Quella stessa strega, dopo aver compiuto l’opera si è rifugiata nel libro stesso. Solo rompendo il volume lei poteva fuoriuscire ed era fiduciosa che prima o poi sarebbe successo!”
“Stai scherzando!” esclamò incredulo Alex “Smettila di giocare con delle vite umane!” era disgustato.
Piantai i miei occhi nei suoi, ero determinata.
“Questo è ciò che ho da dirti, se non credi sia vero quella è la porta!” sbottai glaciale.
“Lasciala parlare!” si intromise Cyfer che intanto aveva incrociato le braccia al petto.
Piegai leggermente la testa nella sua direzione, come a ringraziarlo, dopo di che ripresi il mio racconto.
“Io ho distrutto il libro e Jasmine è tornata in questo mondo!”
“Ma è successo mesi fa! Perché tutto ciò invece sta accadendo ora?” Alex era impaziente e da un lato potevo capirlo: voleva sapere cosa c’entrava Dave in tuta quella storia.
“Sì è presa del tempo per studiare un piano, credo. E, Cyfer, questa organizzazione non è poi così segreta, lei sapeva della vostra esistenza!”
Cyfer si accigliò.
“Com’è possibile? E’ una donna che viene da un’altra epoca. E’ come se avesse viaggiato nel tempo, come può in così poco tempo aver smascherato un’organizzazione che rimane segreta da secoli?”
“Non so come abbia fatto, ma c’è riuscita!”
“Impossibile!” continuava a ripeterselo, come se in quel modo potesse diventare vero.
“Quando era soddisfatta delle sue scoperte è entrata in azione, ha liberato Alan e ha cercato me!”
“Perché proprio voi? Eravate dei semplici esseri umani senza poteri!” Cyfer era curioso.
“Per questo ci ha ridato i poteri, prima a lui e poi a me. In questo modo abbiamo ricordato le parole del libro ‘Gioco di sguardi’ e lo abbiamo riscritto!”
“Oddio!” Alex spalancò la bocca capendo improvvisamente “Per riscrivere il libro completo avevate anche bisogno di Dave!”
Sorrisi senza allegria per confermare la sua intuizione. Il suo sguardo si riempì ancora più di odio nei miei confronti.
Mosso da una rabbia irrefrenabile si alzò di scatto, facendo stridere la sedia contro il pavimento della stanza. Un secondo dopo si era piagato sopra il tavolo, in modo da raggiungermi e mi afferrò il coletto della maglia con forza. Le sue nocche sbiancarono e capii che si stava trattenendo parecchio, tuttavia non rimasi intimidita dal suo gesto. In un’altra occasione probabilmente sarei rimasta stupita da tanta audacia, non avrei permesso a nessuno di trattarmi in quel modo, eppure quella volta sentivo quasi di meritarlo. Il senso di colpa era un macigno che ogni istante diventava sempre più pesante e insostenibile: per quello dovevo fare qualcosa, e alla svelta.
“Bastarda!” sibilò a denti stretti “Che cazzo hai fatto a Dave?”
Lo guardai con freddezza e senza timore negli occhi, rimasi immobile per qualche secondo.
“Credi che comportandoti come un pazzo te lo dirò più velocemente?” la calma studiata della mia voce parve scuoterlo, lasciò andare la presa sui miei vestiti e tornò a sedersi, senza mai distogliermi gli occhi di dosso. Solo allora vidi che Cyfer si era alzato e che aveva i lineamenti del volto tesi: era pronto ad intervenire se le cose si fossero messe male.
“Continua!” mi invitò Cyfer rilassando i muscoli.
“Nonostante tu sia così stupido da aggredirmi sei riuscito a capire il punto essenziale del mio racconto. A lei serviva anche Dave, lui era l’ultimo pezzo del puzzle, quello mancante. Il più facile da avere è stato Alan: lui avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare ad essere quello di un tempo e per allontanarsi da quella prigione dov’era considerato pazzo.
Poi ci sono stata io. Con me ha usato trucchi infimi che però mi hanno fatto cadere nella sua rete!”
“Chi ci dice che non sia stata tu a volerci finire? Chi ci dice che non menti?” fulminai Alex con lo sguardo per avermi interrotta per l’ennesima volta.
“Mi ha salvato la vita, garantisco io per lei, mi fido!” si intromise Cyfer.
Guardai stupita il mio carceriere: era lui che non mi aveva fatta fuggire da quel posto quando ne avevo l’occasione eppure era sempre lui ad appoggiare ogni mia mossa anche se non riuscivo a comprendere le sue ragioni.
“E’ la seconda volta che lo dici, ma non mi sembra di aver fatto nulla del genere. Dovreste fidarmi di me perché sono qui con voi a sostenere questa stupidissima conversazione invece di essere la fuori a conquistare il mondo!” con ironia feci riferimento alla conversazione fatta poco prima con Cyfer. “Vi ho sentiti sapete? Ho udito che dicevate che avevo una grande quantità di potere in corpo, avete parlato di 100 umm, sembrano tanti!”
“Si tratta di 100 unit of misure of the magic. 1 umm corrisponde circa al potere che hanno i sensitivi, quelli che possiedono una forma di magia molto limitata che può essere quasi confusa con un sesto senso. Al massimo avevamo riscontrato un livello di potere pari a 50 umm, ma non era contenuto in una persona, ma in un oggetto. Per questo sei stata studiata, non avevamo mai visto una cosa del genere!” spiegò Cyfer.
“E lo volevate per voi!” conclusi.
“Tutta quella quantità di potere era quasi un utopia prima che tu piombassi qui in fin di vita!”
“Così ne avete approfittato. Ero incapace di reagire, perfettamente controllabile!” lo dissi con tono accusatorio.
“In realtà non è propriamente vero. La grossa quantità di potere nel tuo corpo agiva anche contro i vari sedativi. Giorno dopo giorno abbiamo dovuto aumentare il dosaggio e il numero di somministrazioni!”
“Per questo oggi ho ripreso conoscenza! Non è stata una vostra scelta e non vi siete dimenticati una dose!”
Cyfer scosse la testa “Il tuo corpo reagisce al sedativo, era questione di tempo prima che accadesse!”
“Tutto questo è estremamente interessante, ma non capisco perché tutto il tuo potere dovrebbe spingerci a fidarci di te!” si intromise impaziente Alex.
Avevo appena scoperto che se fosse stato per quei pazzi, sarei ancora stata sotto l’effetto di qualche sedativo, incapace di ricordarmi persino cosa avevo fatto il giorno prima. Eppure Alex sembrava non comprendere la gravità e il peso di quello che avevo appena scoperto, a lui interessava  solo di Dave.
“So di avere del potere, sono ambiziosa e lo sapete bene entrambi. Potrei uccidervi mentre dormite, non mi servirebbe il potere dato che, da quello che ho capito, non mi permetterete di abbandonare l’area sorvegliata, il campo di contenimento. Eppure non ci vorrebbe molto. Avete così tante pistole in giro!” Cyfer portò istintivamente la mano sulla fondina tenuta sul suo fianco destro, i suoi occhi non mi abbandonarono neppure un istante.
“Potrei impadronirmi di una di esse, uccidere chiunque trovi sulla mia strada e scappare via, coronerei tutti i miei sogni di grandezza. Eppure sono qui, a parlare con voi di Dave!” pronunciai il suo nome come se fossi disgustata all’idea di farlo eppure non lo ero. Volevo solo sottolineare l’inutilità di quello che stavo facendo a confronto con i piani ambiziosi che avrei avuto se loro non potevano fidarsi di me.
“Ho capito!” Alex sembrò tranquillizzarsi, anche se un’ombra d scetticismo si celava dietro gli occhi di smeraldo.
“L’ultimo anello della catena di Jasmine era Dave e si è servita di me per procurarselo. Sì Cyfer, ho ridato io il potere a Dave e ancora sì, era contenuto nella scatola blu!”
Cyfer non disse nulla, come se non avesse mai dubitato della cosa. Infondo era esattamente il tipo d’uomo che avrei potuto stimare: sicuro di se e delle sue idee, capace di prendere decisioni drastiche da solo. Era l’unico, in quel gruppo di imbecilli, a non essersi fatto prendere per i fondelli da me, non si era mai bevuta nessuna delle mie storielle, a partire da quella su Alan. La sua continua diffidenza era un pregio. Eppure in quell’istante pendeva dalle mie labbra, come se credesse ad ogni sillaba che usciva fuori da esse.
Sapevo che aveva le sue ragioni, altrimenti si sarebbe comportato come Alex.
“Una volta completati i libri ha fatto in modo che fossimo tutti lì, nella casa dove Cyfer mi ha trovata. Voleva ricreare una situazione del passato per poter interagire con esso!”
“Voleva interagire col passato? È possibile?” domandò Cyfer con la fronte aggrottata.
“Suppongo di si, ma credo non avesse abbastanza potere. Per questo ha bisogno di Dave!”
“Aspetta un attimo!” mi interruppe Alex “Cosa vuol dire che aveva bisogno di Dave?”
“Quella donna era senza scrupoli. Per prima cosa ha ucciso Alan ….”
“Aspetta. Alan Black?” chiese Cyfer.
Annuii rammentando con un brivido il cadavere di Alan steso sul pavimento di pietra dello scantinato di Jasmine, mi sembrò di rivedere il letto di sangue sotto di lui. Gli occhiali erano lontani dal suo volto ed intatti, come se fossero pronti ad essere utilizzati di nuovo, ma Alan Black non avrebbe li avrebbe più presi in mano, non avrebbe più nascosto i suoi occhi neri dietro a quelle lenti. Era morto.
Per la prima volta la consapevolezza di ciò mi colpì come un pugno allo stomaco. Quando era successo ero troppo accecata dall’odio per provare sentimenti umani, eppure in quel momento non potevo far a meno di sentirmi male per lui. In qualche modo riuscivo anche a comprenderlo: come me lui aveva odiato e questo doveva aver ottenebrato il suo buon senso. In passato doveva essere stato una persona diversa, un uomo dolce, di cui la madre di Dave si era innamorata. Non meritava di morire in quel modo.
“Alan Black è morto?” gli fece eco Alex.
“Se continuate a chiedermelo per i prossimi sei mesi anche Dave lo sarà!” sbottai spazientendomi.
Alex strinse la mascella, forse fino a quel momento non aveva capito la gravità della situazione.
“Questo per farvi capire il tipo di persona che abbiamo davanti. E’ una spietata assassina. Ha trasformato Dave in un mostro perché aveva un legame di sangue con il passato che lei voleva ricreare. Ha messo dentro di lui il potere racchiuso nel libro che avevamo ricreato e dove avevamo lasciato i nostri poteri. Li ha riversati tutti dentro di lui al solo scopo di aprire il portale per un’altra epoca. Non le importava che fine potesse fare Dave, ma alla fine gli è tornato utile!”
“Cosa vuol dire? Cosa intendi per mostro?” le domande di Alex erano decisamente fastidiose.
“Vuol dire che il Dave che ami non esiste più. Al suo posto c’è un essere in grado di assorbire non solo tutti i poteri di una persona, ma anche la sua stessa essenza.”
“Oddio!” sussurrò Cyfer quasi rivolgendosi a se stesso “L’essenza è la fonte più grande di potere, non può essere sottratta! Appartiene ad una persona come le sue stesse cellule!”
“Lui può farlo! Lei si sta servendo di questa capacità per acquisire più potere, così da poter stabilire nuovamente un contatto col passato. Stava compilando una cartina dove segnava con una ‘x’ dove si trovavano alcune persone con del potere!”
“Oddio!” Cyfer era sbiancato, aveva la bocca leggermente aperta, era come se stesse cercando le parole per esprimersi senza riuscirci.
“Ma Dave si ribellerà a tutto ciò, non lo permetterà!” la voce di Alex tremava leggermente. Fissava con sguardo vacuo la parete alle mie spalle senza davvero vederla.
“Dave non può fare nulla per opporsi!”
Rammentai i suoi occhi verdi lucidi mentre mi supplicava di ucciderlo. Sapeva anche lui che non sarebbe riuscito a resistere all’impulso instauratogli da Jasmine.
“Si opporrà!” disse convinto Alex mentre gli occhi gli diventarono lucidi.
“Ucciderà!” affermai.
Cyfer sbiancò ancora di più e sbarrò gli occhi, come se una consapevolezza l’avesse appena colpito con la forza di un fulmine.
 “Mi ha uccisa!” continuai con un filo di voce.
“Tu sei viva, non può averti uccisa!” sbottò Alex con sicurezza.
“Non so nemmeno io perché sono viva, ma so per certo che tutto il mio potere è finito dentro di lui, me lo ha risucchiato via. E alla fine si è preso anche la mia essenza!”
Alex sbarrò gli occhi e trattenne il fiato mentre una goccia di acqua salata gli solcava con eleganza il volto.
“Dice la verità!” sussurrò Cyfer, più rivolto a se stesso che a noi.
Entrambi ci voltammo verso l’agente e aspettammo che proseguisse.
“Non ero sicuro che fosse vero, pensavo fosse un sogno, un incubo, ma più ne parlate più i ricordi prendo forza!”
“Cosa stai dicendo?” domandai incapace di comprendere a cosa si riferisse.
“Che so come sono morti i miei uomini!” sussurrò con lo sguardo perso a fissare la parete bianca dietro di me senza vederla. Quello che probabilmente passava dinnanzi ai suoi occhi erano i flash delle morti che diceva di ricordare. In quell’istante era completamente perso nel suo passato, stava rivivendo dei momenti che non dovevano essere stati affatto semplici.
“Come?” lo incalzò Alex sempre più preso dal panico per la forza delle rivelazioni che stava udendo.
“Mar mi ha fatto addormentare quindi lei doveva pensare che fossi morto, per questo non ha ucciso anche me!”
“Quindi è stata lei? Questa Jasmine?” domandò Alex.
“Jasmine regge i fili, ma è stata la sua marionetta ad uccidere dodici persone. E’ stato…”
“Dave!” conclusi per lui.
Seguì un breve istante di silenzio che mi parve durare un’eternità. Le labbra di Alex tremarono leggermente mentre il suo cervello recepiva quello che era appena stato detto.
“Cos’è successo?”
“Dopo che tu mi hai fatto svenire…”
“Come sai che sono stata io?” ero quasi sicura che non se ne fosse reso conto.
“Perché stavo riprendendo conoscenza sempre più velocemente e un istante dopo le palpebre erano troppo pesanti  per essere tenute aperte, in più tu stavi sorridendo e conosco quel sorriso, è quello di una persona che ha appena fatto qualcosa di cui va fiera!”
Sorrisi debolmente, quell’uomo riusciva a capire molte sfaccettature del mio carattere, tutto ciò senza neppure conoscermi realmente.
“Dicevo, dopo che mi hai fatto svenire Jasmine è arrivata, o almeno credo fosse lei. Mi ha posato due dita sulla fronte. Ricordo che avrei voluto rabbrividire, erano così gelide, ma per qualche ragione il mio corpo era ancora intorpidito, forse erano i residui della tua magia o forse era semplicemente l’adrenalina provata prima che mi stava indebolendo, fatto sta che le mie funzioni vitali dovevano essere minime. Forse ha pensato che sarei morto a breve o che forse lo ero già così è andata verso il mio collega, quello con cui ero entrato in quella casa. Ho aperto leggermente una palpebra e ho osservato una scena strana. Non ho visto un granchè, solo due paia di piedi e un corpo steso a terra, quello del collega.
Jasmine si piegò sulle ginocchia e mormorò qualcosa, vidi una striscia di luce fuoriuscire da lei per entrare nel corpo del mio uomo, lui sussultò; solo allora mi resi conto che era cosciente.
Un secondo dopo svenne. Sapevo cosa aveva fatto, ma non ne comprendevo la ragione: aveva trasferito in lui del potere, ma chi sarebbe così stolto da regalare del potere in giro?
Ma poi capii. Alzai leggermente lo sguardo e vidi a chi appartenevano gli altri due piedi. Le sue pupille erano rosse come il sangue… lui…” sembrò faticare per trovare le parole giuste ed evitò accuratamente di guardare Alex. Trattenni il fiato: sospettavo cosa sarebbe successo, ma allo stesso tempo sperai che di sbagliarmi.
“Lui aveva i tratti del viso sfigurati in un’espressione che di umano non aveva nulla! Se il mio corpo non fosse stato così debole mi sarei messo ad urlare e sarei scappato il più velocemente possibile da lì!” rabbrividii.
“Posso capirti, anche io ho visto quel volto! E’ lui che mi ha ridotta in quel modo!” non sapevo perché, ma volevo che lui sapesse che ero solidale e che comprendevo il suo turbamento. Era tutta colpa mia.
“No, non puoi capire! Sono stato addestrato per questo genere di cose. Sono un uomo d’onore. Di fronte ad un pericolo il mio primo istinto è sempre stato quello di proteggere il mio gruppo, i miei uomini, ma di fronte a quello sguardo Justin era la mia ultima preoccupazione!”
“Justin?” domandai.
“Il mio collega!”
“Justin Cott?”
“Come sai il suo cognome?” mi domandò incuriosito, dimenticandosi per un secondo dei suoi fantasmi.
Rimasi sbalordita quasi quanto lui.
“L’hai nominato!” risposi prontamente. Il mio cervello intanto aveva iniziato a riflettere. Dove avevo già sentito quel nome? Non riuscivo proprio a  ricordare.
Cyfer parve convinto della mia spiegazione e continuò.
“Dave si è piegato su di lui e io sono svenuto. Quando sono tornato in me riuscivo finalmente a muovermi. Mi alzai di scatto e andai un po’ barcollante verso di lui e lo trovai privo di vita. La sua pelle era bianca come il gesso, gli occhi erano chiusi ed era freddo come il marmo. Troppo freddo per essere un cadavere da così poco tempo, troppo rigido. Guardai l’orologio. Sapevo che eravamo giunti lì circa alle dieci e non potevano essere passate più di due ore. In quelle due ore doveva essere avvenuto il decesso quindi il cadavere non poteva essere assolutamente in quelle condizioni. Mi sono alzato e mi sono precipitato fuori. I miei uomini avevano circondato tutto il perimetro dell’abitazione. Tutti e undici erano ancora lì, ognuno al proprio posto, solo che erano tutti morti. Feci il giro della casa, vidi ognuno dei loro volti, ad ogni morte il mio cuore si faceva sempre più pesante. Erano i miei uomini e io li avevo portati al macello. Li avevo condotti in quel posto senza davvero sapere cosa stava accadendo lì dentro, quali erano i pericoli. Ad ogni passo mi sentivo sempre peggio. Poi non so perché, forse per istinto decisi di rientrare in quella casa infernale. Mi sentivo come un automa, la mia mente vagava ancora tra i corpi dei miei compagni mentre i miei piedi scendevano delle scale di pietra. Ero in quello scantinato, ma la mia mente era altrove, troppo sconvolta per reagire, ma poi qualcosa mi ha fatto tornare in me. Il sangue. Tutto quel sangue in quella stanza…”
“Il mio sangue!” conclusi per lui.
Cyfer deglutì. “Sono tornato in me e ho chiamato i miei superiori e una squadra di medici, ma non posso dimenticare!”
“Credi che Jasmine abbia messo in ognuno dei tuoi uomini un briciolo di potere in modo che Dave potesse prenderglielo loro?”
“Come hai detto tu lei voleva la loro essenza. L’essenza è la fonte più grande di potere!”
“Ma Dave non poteva prendere l’essenza di persone che non avevano poteri!” conclusi.
“Per questo lei prima li ha resi magici!”
“Per questo mi ha ridato i poteri!” esclamai “Per il rito noi abbiamo dovuto cedere i poteri che ci aveva dato eppure poi lei me li ha restituiti, anche in maggiore quantità!”
“Forse per prelevare la tua essenza serviva più potere di quello necessario a prelevarla ai miei uomini!”
“Dici che è una questione di quantità?”
“E’ sempre una questione di quantità!”
“Smettetela!” si intromise Alex “Parlate di Dave come se fosse un mostro, ma lui non lo è! E’ una vittima!”
“In parte sì e in parte no!” precisò Cyfer.
“E’ tutta colpa di questa ragazzina e tu sembra te lo stia dimenticando!” sibilò Alex guardando con risentimento anche Cyfer.
“Lei, facendomi svenire mi ha salvato la vita, decidendo di non premere quel grilletto mi ha salvato la vita e per finire sta cercando di porre rimedio al suo errore!” ribattè Cyfer.
In quel momento capii perché lui diceva che lo avevo salvato. Lo avevo fatto involontariamente, ma lui sembrava non notarlo.
“Continuare a ripetere che è colpa sua non velocizzerà il processo!” continuò l’agente.
Alex strinse la mascella contrariato.
“Non c’è un istante in cui non pensi che questo era esattamente ciò che volevo. Io volevo distruggere Dave, trasformarlo in un essere che lui stesso avrebbe odiato, perché questo è quello che lui ha fatto con me e non c’è un istante in cui il sangue di ognuna di quelle persone che ha ucciso o che ucciderà non ricada su di me!” sventolai i palmi delle mani di fronte ai suoi occhi, il mio sguardo era incredibilmente serio.
“Le mie mani sono sporche del loro sangue, ma non vi ho detto la parte peggiore. Se continuiamo a temporeggiare anche le vostre mani si copriranno di sangue perché sarà anche colpa vostra se altre persone moriranno. Compreso Dave!”
“Dave è l’assassino! Perché dovrebbe morire?” domandò Cyfer mentre Alex sbiancava.
“Per via della maledizione sul custode!”
“Ma è stata scongiurata!” la voce di Alex era più acuta di almeno un’ ottava.
“Così credevamo. In realtà la maledizione è stata fatta non sul libro, ma sul custode. Libro e maledizione sono sconnessi tra di loro, è stata la prima ad essere maledetta che ha inventato la leggenda del custode, in modo tale da proteggere il libro e far in modo che non venisse mai aperto, ma la maledizione non è legata al volume, ma al sangue che scorre nelle vene di Dave, il sangue di Grace!”
Altre lacrime solcarono i begli occhi verdi di Alex, potevo leggere nel suo sguardo il dolore. Aveva votato la sua vita ad un'unica missione: salvare il figlio della sua amata Grace, come non aveva potuto fare con lei. In quel momento probabilmente si sentiva come se il mondo stesse per cadergli addosso.
“Ma tu non sei incinta vero? Non stai per avere il bambino che spegnerà la sua vita, VERO?”
Sbarrai gli occhi di fronte alla stupidità di Alex, come se Dave fosse vincolato a fare sesso solo con me per l’eternità.
“Ascoltatemi. Jasmine sta usando Dave come serbatoio di potere. Lo sta accumulando. Dave non può usare il potere che possiede, ma se lei ne entrasse in possesso potrebbe. Ora non credo di dovervi spiegare come il potere si può trasferire da una persona ad un’altra!”
“Cessione spontanea o morte!” sussurrò Cyfer.
“Indovina? Non credo che il Dave-mostro abbia voglia di cedere il potere e Jasmine ama essere sanguinaria!”
“Vuole ucciderlo quando avrà terminato!”
“Ma come uccidere un essere così pieno di potere? Anche se non può usarlo il potere potrebbe guarirlo più in fretta se fosse ferito da una qualunque arma, lo farebbe in automatico, com’è successo con me!”
“Lei vuole mettere al mondo suo figlio!” capì Cyfer.
“Capite perché abbiamo poco tempo? Se Jasmine ha deciso di mettersi subito ‘all’opera’ allora abbiamo perso già tre mesi!”
“Dannazione!” sbottò Alex a denti stretti “Bisogna informare Dush!”
“Non è necessario! Lui sa già tutto!” disse Cyfer fissando la solita parete alla sue spalle. Mi voltai e questa scomparve lentamente, come se si stesse dissolvendo. Prese il suo posto una parete di vetro e, al di là di essa, una figura snella fasciata da una tuta ti pelle ci fissava a gambe leggermente aperte e con le braccia incrociate sotto il prosperoso seno.
“Lei è Samantha Longbom, il segugio!” la presentò Cyfer, indicandola con un cenno della mano.
Lei non si scompose, si limitò a fissare Cyfer con indifferenza.



 
Lo so. Sono in ritardo pazzesco, ma non accadrà più! Ho appena finito gli esami e ho l'intenzione di di completare la storia in queste due settimane di pausa che avrò.
Questo capitolo credo capiti a pennello. Isomma non aggiorno da un mese e in queste righe si fa il punto della situazione. Mar fa una specie di riassunto di tutto quello che è accaduto, quindi direi che può aiutarvi a riprendere il filo del discorso! :)
Ringrazio di cuore 
Cleare97 che ha gentilmente recensito lo scorso capitolo :)
Entro strasera risponderò a tutte le recensioni!
Alla prossima settimana!
Vi lascio questa piccola drabble che ho scritto:

Daisy

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***



Banner a opera di Bloomsbury


Capitolo 24


La donna entrò nella stanza dove ci trovavamo a passo spedito e tenendo gli occhi azzurri dritti davanti a se. Aveva i capelli di un rosso spento e le arrivavano leggermente sopra le spalle. Le labbra erano piene e il suo fisico asciutto e formoso era fasciato da una stretta tuta di pelle nera. Una cerniera partiva dal ventre per terminare sul collo. Le mani erano ricoperte da guanti neri e sul fianco destro non portava nessuna pistola.
“Greenwood! Che piacere vederla come sta?” la donna sorrise con cortesia ad Alex.
“Potrei stare meglio!” Alex non parve prestare molta attenzione alle parole della donna.
“Lei non ha il permesso di stare qui!” aggiunse la donna con voce professionale.
“Ma stiamo parlando di Dave!” protestò Alex riversando improvvisamente tutta la sua attenzione sulla donna.
“Lei non è più un agente operativo, se ne vada, le hanno permesso di gironzolare qua intorno fin troppo a lungo!” la voce dell’agente Longbom era impassibile.
Alex strinse la mascella e mi aspettai che protestasse, invece lanciò una lunga occhiata a Cyfer, prese la giacca e uscì dalla porta senza aggiungere una parola.
La donna si avvicinò al posto che aveva occupato Alex fino ad allora, quello di fronte a me e spostò la sedia prima si sedersi su di essa.
“Sono l’agente Longbom, la tua nuova ombra!”
Non sembrava divertita dalla cosa.
“Samantha, pensavo che tu fossi stata affidata ad un altro caso!” iniziò Cyfer. Non sembrava felice della presenza di quella donna lì, questo voleva dire che le cose si stavano complicando.
Dannazione.
“Pare che Dush preferisca affidarmi compiti burocratici invece che mandarmi lì fuori, pare che io sia perfetta per compilare moduli e verbali!”
Cyfer non aggiunse nulla, si limitò a lanciarmi una breve occhiata.
“Da quello che ho sentito stiamo cercando un assassino spietato che non è altro che un ex ragazzino casa e chiesa! Sono il tipo peggiore!” disse la donna “Fortunatamente Dush mi ha detto di venire qua prima, si è insospettito quando le telecamere di una certa stanza hanno smesso di funzionare in un orario non stabilito, così eccomi qui. C’è altro che vuole aggiungere signorina Jones, oltre a quello che ha detto finora?”
I modi di quella donna mi lasciavano senza parole. Era scaltra e lo si poteva notare dalla sicurezza del tono di voce, dal portamento. Doveva essere un grande agente perché Cyfer sembrava non gradire la sua presenza più di quanto gradisse la mia e, infine, doveva essere incredibilmente dedita al suo lavoro. Non un’emozione fuoriusciva da lei, usava solo un tono puramente professionale, come quello di un avvocato: diretto, rapido, completo, formale.
Non riuscivo ad inquadrarla come persona.
“Non ho nulla da aggiungere!” risposi.
“Bene!” la donna si alzò “Seguitemi!”
Sbattei un paio di volte le palpebre perplessa. Cyfer mi fece cenno con la testa di fare come diceva, così mi alzai in piedi e oltrepassai la porta dopo di lei.
Un secondo dopo Cyfer mi fu accanto. Eravamo almeno ad una decina di passi dal mio segugio personale, ma lei non si voltò mai per assicurarci che noi fossimo dietro di lei. Continuava ad avanzare imperterrita per i corridoi. Non sapevo se avevamo lasciato il campo di contenimento, ma non mi azzardai a verificarlo, già la situazione era abbastanza complicata senza che tentassi di peggiorarla.
“Samantha Longbom è straordinariamente dedita al suo lavoro. Lei vive per questo. Non ha una vita sua, non ha famiglia, parenti, amici. Vive per essere un agente!”
Mi voltai verso Cyfer.
“Perché mi stai dicendo questo?”
“Perché quella donna ha ricevuto un ordine e farà di tutto per seguirlo, Dush saprà ogni tua mossa, saprà quando respiri, quando vai in bagno, quando tossisci, quindi scegli con cura le cose che vuoi che sappia!”
“Perché anche tu vuoi che sappia il meno possibile? Tu fai parte di questa associazione!” ero davvero perplessa.
“Come ti ho già detto, non condivido i metodi usati negli ultimi tre mesi, quindi non vorrei trovarmi in disaccordo con i metodi che decideranno di usare per risolvere questa questione, quindi meno sanno, più il metodo che seguiranno sarà quello che imponiamo noi!”
“Non fa una piega!” commentai un po’ sorpresa di trovarmi ad essere d’accordo con lui.
L’agente Longbom raggiunse una porta che aveva tutta l’aria di essere blindata. Avvicinò l’occhio ad una fessura su di essa e una luce partì dalla parete per raggiungere la sua iride. Un rumore metallico ci informò che la porta era stata aperta e la seguimmo oltre di essa.
Quasi non mi cadde la mascella quando vidi la stanza nella quale ci trovavamo, se così poteva essere definita. Era più una specie mi monolocale dalle dimensioni di un palazzo. Noi ci trovavamo su una specie di ampia balconata dalla quale si poteva vedere quello che c’era sotto. File e file di scrivanie diverse l’una dall’altra  si stagliavano per tutta la stanza, schermi dalle dimensioni notevoli galleggiavano nell’aria, probabilmente sostenuti da fili d’acciaio, altri schermi invece erano posti orizzontalmente e avevano le dimensioni paragonabili a quelle di una scrivania.
Sulle pareti della stanza c’erano tante balconate come quella dove ci trovavamo noi, in ognuna di esse c’era una scrivania: alcune erano occupate mentre altre erano vuote.
Longbom non si fermò e imboccò una scalinata che scendeva verso il basso dal lato del balcone. Cyfer mi circondò con l’ampia mano il braccio e mi spinse a seguirla. Odiavo quando compiva quel gesto, mi faceva sentire prigioniera, ma d’altra parte, se non lo avesse fatto, mi sarei fermata molto a lungo ad ammirare tutta quella grandezza.
“Diciamo che questo è il covo burocratico della A.P.M!”
“Apm?”
“No, A.P.M  è una sigla!”
“E’ il nome di questa associazione?”
“Esatto!”
“Stai scherzando!” era così antisonante.
“Sta per ‘Association for the Protection from Magic’!”
“Che nome orrendo!”
“Sempre meglio del precedente!”
“Che sarebbe?”
“P.E.A”
“Pea! Non voglio nemmeno sapere cosa vuol dire, però hai ragione, A.P.M. è migliore!” commentai mentre raggiungevamo il piano terra.
“Qui vengono riordinati i rapporti e i verbali delle varie missioni. Vengono archiviati nei data base, mentre le copie cartacee vengono indirizzate verso la biblioteca centrale. In quella zona ….” Disse indicandomi l’ala a sinistra “…ci sono gli informatici, gli hacker, è lì che stiamo andando!”
“Come mai?”
“Quello di cui abbiamo bisogno sono informazioni. Se quello che hai detto è vero allora vuol dire che Dave e Jasmine hanno già colpito. I miei dodici uomini sono morti senza apparenti cause quindi era già stata aperta un’indagine. Molte persone si sono date da fare per trovare casi simili, ma non sono stato informato dell’avanzare nelle ricerche. Con l’informazione che ho fornito a Samantha con mio racconto dovremmo comunque essere in grado di restringere il campo di ricerca agli ultimi tre mesi!”
“Ci possono essere centinaia di morti che possono avvenire senza  causa apparente, non troveremo mai quello che stiamo cercando!” obiettai. Avrei preferito essere là fuori, alla ricerca di Dave, invece che in quell’enorme stanza in cui mi sentivo sempre più fuori luogo.
“Per questo entri in gioco tu!” disse l’agente Longbom, alcuni passi dinnanzi a noi.
“Che intende dire?”
L’agente si fermò e con un cenno della mano ci fece segno di accomodarci su una scrivania di vetro ovale. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai: nulla di quello che stavamo facendo poteva essermi utile.
Cyfer non si sedette, ma rimase in piedi al mio fianco. Longbom posò le mani sul tavolo e digitò una combinazioni di numeri su una tastiera posata su di esso, un istante dopo tutto il tavolo si era illuminato. Solo allora capii che in realtà era uno schermo.
Un uomo si avvicinò a noi e posò le mani sul tavolo. Iniziò a muovere le dita su di esso, in modo quasi frenetico. Gli occhi saettavano da una parte al’altra dello schermo, come se volesse averne una visuale dettagliata e allo stesso tempo totale.
“Cosa…?”
Comparve un planisfero che occupava tutta la superficie di vetro.
“Prima hai detto all’agente Cyfer che il soggetto 613 …” cominciò longbom con la solita voce professionale.
“Soggetto 613? Sarebbe Jasmine?” ero incredula.
Samantha mi lanciò un’occhiata gelida per averla interrotta, ma a me poco importava. Doveva essere più chiara.
“Come dicevo, il soggetto 613 ha segnato con delle ‘x’ i posti dove aveva intenzione di andare…”
“Quindi oltre ad essere degli animali da laboratorio siamo anche dei numeri?” mi alzai e poggiai le mani sullo schermo-tavolo socchiudendo le palpebre con fare minaccioso.
“Marguerite…” provò a fermarmi Cyfer posandomi una mano sulla spalla. La sua presa era troppo ferrea per essere un tentativo di calmarmi, quello era un tentativo di fermarmi,  di dirmi di non andare oltre.
Al diavolo. Non sopportavo l’idea che le usasse con me quel tono professionale, che mi trattasse come uno sciocco essere umano che doveva darle delle informazioni. Io ero molto più di quello. Io ero il numero che aveva messo nel sacco quell’intera organizzazione e non potevo accettare che un semplice segugio mi trattasse come una sciocca. Doveva essere utile, non un’estrapolatrice di informazioni.
Immaginai la mia spalla farsi incandescente e un secondo dopo sentii  Cyfer trattenere il respiro. L’avevo preso alla sprovvista tuttavia non tolse la mano dalla mia spalla. Girai la testa in modo da poterlo guardare. Aveva lo sguardo puntato dritto davanti a se, ma non stava fissando nulla in particolare. I muscoli del viso erano incredibilmente tesi, probabilmente cercava di reprimere il dolore, la vera domanda era: perché?
Immaginai di creare un’onda d’urto attorno a me. Avevo capito di essere al di fuori del campo di contenimento, quindi potevo fare esattamente tutto ciò che volevo. Vidi con chiarezza l’aria attorno a me contrarsi e distendersi. Un secondo dopo un boato attraversò la stanza, l’impatto mi fece ondeggiare i lunghi capelli neri in ogni direzione eppure rimasi immobile. La stretta di Cyfer sulla mia spalla era svanita, Samantha era volta all’indietro andando a sbattere contro la scrivania adiacente. Alcuni fogli si erano sollevati in volo e stavano ondeggiando in aria prima di raggiungere il pavimento. Ogni singola persona in quella stanza aveva smesso di fare quello che stava facendo. L’onda d’urto che avevo creato aveva colpito solo Samantha, Cyfer e l’uomo che stava lavorando al computer, erano loro il mio obiettivo, ma non avevo fatto i conti con il resto dei presenti.
Vidi il corpo di Samantha muoversi leggermente.
“Allora mi vuoi dire chi è il soggetto 613?” sibilai con freddezza avvicinandomi a lei.
Con un abile mossa spostò di lato una gamba facendola urtare contro il mio polpaccio. L’impatto mi destabilizzò e persi l’equilibrio e un istante dopo mi ritrovai a terra con lei in piedi dove poco prima c’ero stata io. Alcune ciocche rosse le danzavano sul volto, ma il resto del suo corpo era immobile in una posizione di difesa. Era pronta ad un mio ulteriore attacco.
“Abbassate le armi!” la voce di Cyfer arrivò al mio orecchio come un tuono in una notte silenziosa.
“Non abbassatele, è instabile!” ordinò Samantha senza mai staccare gli occhi da me. Le sue spalle si abbassavano e si alzavano ripetutamente segno che aveva il fiatone. Nei suoi occhi vedevo il riflesso di almeno una decina di persone, ognuna con un’arma in mano puntata verso la zona dove mi trovavo io.
Deglutii. Ecco perchè Cyfer non voleva che perdessi la calma, non voleva che le cose precipitassero. Avevo appena fornito a Dush la scusa perfetta per sedarmi nuovamente e studiarmi come una comune cavia da laboratorio.
“Giu. Le. Armi.” Il tono di Cyfer non ammetteva repliche, guardò Samantha, come per sfidarla a contraddirlo, ma lei rimase in silenzio, lo sguardo deciso in quello di Cyfer.
“Cosa ci fanno qui tutti questi uomini? Credevo che solo tu fossi stata assegnata a questo caso, oltre a me.”
“E’ così, ma c’è sempre una squadra pronta ad intervenire. Ci sono sensori per il rilevo di poteri dovunque in questo edificio. Non appena lei ha iniziato ad utilizzarlo un gruppo di agenti era già diretto qui!”
“Voglio che non ce ne siano più!” Cyfer era determinato.
“Sta attento Cyfer. La missione è tua, ma se continui così potrebbe anche non rimanere tale per molto!”
Non c’era cattiveria nella voce della donna, si trattava solo di una semplice costatazione. Cyfer strinse la mascella, ma lasciò cadere la conversazione.
Mosse due passi verso di me e mi porse il braccio.
“Se lo fai un’altra volta ti sederò io, con le mie stesse mani!” disse a denti stretti. Afferrai il suo polso e lasciai che con uno strattone mi aiutasse a mettermi in piedi. Incontrai i suoi occhi e sorrisi.
“Voglio proprio vedere!” lo sfidai. Lui mi ignorò.
“Siete ancora qui?” sibilò guardando il manipolo di uomini che circondavano la postazione dove ci trovavamo.
“Signore!” disse uno degli agenti “Abbiamo appena ricevuto l’ordine di sedarla!”
“Le cose sono cambiate!”
Cyfer mosse un paio di passi verso l’agente e con una mossa decisa entrasse la ricetrasmittente dal suo orecchio. L’uomo rimase immobile, incapace anche sono di parlare di fronte alla rabbia silenziosa di quello che evidentemente era un suo superiore. Con noncuranza Cyfer si portò l’auricolare all’orecchio.
“Le cose sono cambiate Dush!” disse all’apparecchio “Lei ci serve lucida ci sono delle vite in ballo, molte vite! Ma voglio lasciare all’agente Longbom il piacere di spiegarle perché!” estrasse velocemente l’auricolare dall’orecchio e lo porse a Samantha che lo guardava sorpresa; probabilmente lei non si sarebbe mai rivolta così la suo capo.
Dopo un attimo di indecisione, in cui la sua maschera di  professionalità venne a cadere, afferrò l’apparecchio e si voltò come se volesse avere un po’ di privacy mentre faceva il suo rapporto.
“Molto bene, Mar. Questa volta te la sei cavata, ma non è detto che ce la farai anche la prossima!”
Feci spallucce.
“Non è stato poi così difficile!”
“Non farlo più. Abbiamo poco tempo, sei stata tu a continuare a ripetermelo fino allo sfinimento. Non giocare a fare il capo o la bambina capricciosa. Per una volta hai deciso di fare una cosa giusta, falla fino in fondo e non rendere le cose più complicate di come già sono.”
Rimasi per un istante di troppo in silenzio, colpita dalle sue parole. Infondo aveva ragione, cosa stavo facendo? La verità era che non vedevo come quella donna non potesse essere un ostacolo nella mia ricerca. Tutto mi infastidiva di lei, dal suo trattarmi con tutta quella freddezza professionale, al suo parlare in codice. Avevo rischiato di mandare a monte tutto.
Cercai di nascondere la mia ferita nell’orgoglio e mi diressi verso il tavolo dov’era presente il planisfero.
Istintivamente posai tre dita su di esso, nella zona corrispondente all’America. Esse erano vicine tra di loro, ma non appena toccai lo schermo allontanai il pollice dall’indice e dal medio, aprendo il palmo della mano, come si fa quando si zoomma su un qualsiasi cellulare o tablet.
Come previsto l’immagine si ingrandì.
“Traccia una ‘x’ dove le ha messe anche lei!” mi spiegò Cyfer.
Cercai di rammentare. Avvicinai l’indice allo schermo e tracciai le ’x’ dove mi sembrava di averle viste su quella cartina. Quando ebbi finito con l’America con l’indice trascinai l’immagine del globo terrestre, da destra verso sinistra, in modo da poter visualizzare l’Europa. Continuai per diversi minuti a far vagare le dita sullo schermo luminoso, passando da uno stato all’altro, bloccandomi alcuni istanti a riflettere.
Quando finii di allontanai dalla piattaforma e guardai Cyfer in attesa.
“Signor Stew!” lui si rivolse al tecnico che era con noi attorno a quel tavolo.  Lui annuì con la testa e prese posto su una scrivania adiacente alla nostra, ma molto più piccola. Su di essa c’era un computer, di quelli normali. Digitò velocemente alcuni codici sulla tastiera.
“Deve cercare delle corrispondenze!” spiegò Samantha che aveva finito di informare Cloud dei recenti sviluppi “Abbiamo dei file contenenti tutte le morti simili a quelle dei dodici agenti dell’A.P.M., deve limitarsi a cercare i decessi negli ultimi tre mesi. Poi voglio che faccia un controllo incrociato con i posti segnati su questa mappa!”
L’uomo annuì e riprese a digitare.
Pochi istanti dopo sullo schermo ovale di fronte a me comparve una lista con dei nomi, sotto ognuno di essi, in caratteri più piccoli c’era scritto dov’erano stati trovati i cadaveri e le circostanze.
Mi avvicinai per poter vedere meglio.
Al Richmond.
Prince Brown.
Jessica Podmore.
Amanda Kurt.
Jon Ghilbe
Ester Dulard e Carol Dulard.
Hodette Des Charles.
Kanishuo Kanimuro.
Giovanni Rossi.
Miriam Villa.
Quei nomi risuonarono nella mia testa come una litania, eppure non sapevo dove li avevo già sentiti.
Il cognome Dulard attirò la mia attenzione. Ne osservai le lettere cercando di rammentare.
“Oddio!” dissi portandomi una mano alla bocca.
“Cosa?” in un secondo Cyfer mi fu accanto.
Con un dito toccai il nome di Ester.
“Era una bambina!” sussurrai incapace di comprendere come Dave aveva potuto fare tutto ciò, mietere tutte quelle vittime.
Ero stata io, ecco come aveva potuto.
“Come lo sai?”
“Jasmine stava raccogliendo informazioni e mi è capitato di leggere di lei, aveva delle facoltà, aveva salvato altri bambini!” deglutii mentre la morte di quella bambina senza volto si aggiunse a quella di tanti ignoti sulle mie spalle.
“Controlla!” ordinò Cyfer all’uomo al computer.
“Avete una lista di chi ha delle facoltà?”
“Non è una lista molto lunga. La maggior parte delle persone con dei poteri non lo sa nemmeno. Al giorno d’oggi non si coltiva più la magia, quindi il potere rimane allo stato potenziale, a meno che non avvengano casi estremi come questo. Il potere può  non manifestarsi per intere generazione ed essere comunque sempre presente.”
“Nulla signore!” disse l’uomo.
“Come sospettavo!” sospirò cupo Cyfer.
“Sono in ordine cronologico?” domandai sfiorando con la punta delle dita ogni singolo nome, come a scusarmi per quello che era loro successo.
“No!” rispose il tecnico “Sono suddivisi per stato!”
“Ci serve sapere che percorso stanno seguendo, ci servono in ordine cronologico!” ordinò Cyfer.
Sentimmo il rumore dei tasti per alcuni secondi, dopo di che la schermata cambiò e i nomi si trovavano disposti in modo diverso.
Li lessi nella mia mente. Notai che alcuni di essi stavano bene posti l’uni dietro l’altro altri invece erano antisonanti. Non sapevo perché avevo dei pensieri di questo genere,ma mi lasciai guidare da essi.
“Il primo nome delle lista non è Gustave, ma Trevor!” indicai il terzo nome della lista.
“Che vuol dire?” domandò Cyfer socchiudendo gli occhi con fare sospettoso.
“Non lo so!” ammisi.
“Vai avanti!” mi esortò, con mia enorme sorpresa, Samantha.
Lei notò il mio stupore, ma rimase impassibile “Hai dei poteri, forse questi portano degli istinti o forse semplicemente stai ricordando una lista che avevi già visto! Credo che dovremmo continuare così!”
Cyfer annuì facendo capire di essere d’accordo. Deglutii e posai nuovamente gli occhi sulle schermo davanti a me.
I due nomi in cima alla lista erano scomparsi e troneggiava per primo Trevor Lount.
“Trevor Lount…” lessi ad alta voce “Iris Smith, Joshua Stone” distolsi lo sguardo dallo schermo “Il prossimo è cinque nomi sotto!”
“Tessa Darcy?” annuii.
Altri nomi scomparvero dalla lista.
“Qui ce ne dovrebbe essere uno che non c’è!” dissi indicando con l’indice la posizione sottostante a quella di Tessa.
Rilessi i nomi fino a quest’ultimo dopo di che chiusi gli occhi e mi feci trasportare dal ritmo che quelle lettere avevano dentro la mia testa, era come una macabra litania che si ripeteva più e più volte nella mia mente, come se fosse sempre stata lì, ma non capivo come ci potesse essere arrivata.
La mia bocca si muoveva da sola mentre nominava tutte quelle persone una dopo l’altra, senza mai fermarsi. Ero incurante del fatto che, al di fuori dell’angolo buio che mi ero ritagliata, delle persone stessero cercando di prendere nota dei nomi che dicevo. Non mi importava. Ero talmente persa in quella litania da non prestare nemmeno attenzione alle parole che uscivano dalla mia bocca.
“Jeremia Rutherford, Spencer Dumstra, Albus…”
“Ferma ferma ferma!” la voce ci Cyfer mi interruppe, spalancai gli occhi e incontrai i suoi sgranati, la pelle leggermente più pallida del solito.
“Che c’è?” domandai con una punta d’astio, non felice della sua interruzione.
“La lista è finita!” disse come se non fosse sicuro della cosa nemmeno lui. Guardai i nomi che brillavano sullo schermo e notai che l’ultimo era Elen Court.
“Che vuol dire?” domandai “Ce ne sono altri, scriveteli!” non erano i primi nomi che non fossero su quell’elenco.
“Questi nomi ce li abbiamo già!”
“Come…?” non capivo.
“Jeremia, Spencer e Albus facevano parte della mia squadra!” lo sguardo di Cyfer era lontano, perso in quei ricordi troppo dolorosi, troppo pesanti.
“Mi ricordo ognuno di quei nomi!” dissi semplicemente. Non seppi perché lo feci , non era necessario, eppure sentivo di dover concludere quella litania, così li sussurrai, uno dietro l’altro quei dodici nomi. Ad ognuno d essi Cyfer perdeva sempre di più colore. Samantha ci guardava, ma anche lei sentiva il peso delle vite di tutti quei colleghi.
“Justin Cot …”
Cyfer incontrò i miei occhi facendo un sospiro di sollievo, pensando che avessi finito la macabra lista, dopotutto avevo appena nominato il collega che era entrato con lui nella casa di Jasmine, quello che lui aveva visto morire per mano di Dave.
Mi sarei potuta fermare, ma la mia bocca sembrava muoversi da sola, dovevo finire quella litania, non riuscivo a lasciarla incompleta. Così guardai a mia volta Cyfer negli occhi e pronunciai l’ultimo nome della lista, la prima persona a morire.
“Marguerite Jones!”
 
 
Cyfer trattenne il fiato, Samantha sbarrò gli occhi.
“Cosa vuol dire?” sussurrai spaventata da ciò che era uscito dalle mie labbra, da ciò che era uscito da me stessa.
“Non ne ho idea! Tu non sei morta!” rispose Cyfer guardandomi.
“Lo so, ma credo che lei sia convinta che io lo sia! E ne è convinto anche Dave!” non seppi perché lo dissi, ma in cuor mio sapevo che era così.
“Come fai a sapere tutti quei nomi?”
“Non lo so. E’ come una di quelle canzoni che senti da bambino, non sai quando le hai sentite, ma le hai ascoltate talmente tante volte da saperle a memoria e da non scordarle più!”
“Dove puoi aver sentito tutti questi nomi?”
“Non lo so, dannazione!” sbottai. Ero leggermente scossa, dopotutto era il mio nome l’ultimo di quella specie di lista.
Cyfer mi guardò a lungo, come se stesse cercando d studiarmi.
“Fai un tracciato e cerca di prevedere quale sarà la prossima vittima. Usa le coordinate geografiche e i file su persone che potenzialmente potrebbero avere del potere che abbiamo in archivio! Voglio un risultato al più presto!” ordinò Samantha con tono professionale e spiccio.
Dopo di che si portò una mano all’orecchio per attivare la comunicazione tramite la ricetrasmittente.
“Agente Stone! Prepari una lista di uomini per un operazione di protezione, devono essere almeno una ventina!”
In quel momento iniziai a sentire tutto ovattato.
La voce di Samantha diveniva sempre più debole mentre un altro timbro, decisamente molto diverso, si faceva sempre più forte. Mi chiamava.
“Mar, oh Mar!” era poco più di un lamento eppure era così chiara.
“Bentornato, speravo di non rivederti più!” disse un’altra voce, una voce femminile.
“Mar perdonami!”
“Marguerite è morta!” l’ultima parola venne pronunciata con cattiveria.
“Mar!” la voce era quasi un sussurro.
“Oggi, hai ucciso di nuovo, come hai ucciso mesi fa la tua Mar!”
“No, Mar!” la disperazione era palpabile. La voce si aggrappava al nome ‘Mar’ come se fosse un’ancora di salvezza.
“Si chiamava Clare Bostonel!”
“No.”
“Sì.” La seconda voce sembrava divertita.
Pian piano la sua risata si spense e il silenzio iniziò a regnare.
Mi faceva male la testa, era come se qualcuno la stesse prendendo a martellate dall’interno. Potevo sentire il freddo pavimento liscio sotto di me, qualcosa mi bagnava il volto e mi ritrovai a sperare che non fosse sangue.
Oggi ho ucciso di nuovo Mar. Io non ricordo come avviene, so che se però mi concentro posso sentirle. Posso sentire ognuna delle loro essenze, so tutti i loro nomi. Oggi ho ucciso Clare Bostonel e non lo meritava. Ho preso una vita e non ricordo nemmeno com’è successo. Ma non voglio di nuovo scivolare nell’obìo, perché quando scivolo nel buio Lui prende il sopravvento e io uccido di nuovo. Queste persone mi tengono in vita, Mar, tu mi tieni in vita.
Perdonami.
Mi aggrappo alle loro esistenze per non prenderne altre, ma non funziona più ormai. I loro nomi non mi portano lontano dall’oblìo, ma nell’oblìo stesso, perché io, Mar, voglio dimenticare, ma se dimentico avrò altri nomi da ricordare.
Puoi spiegare loro che non è colpa mia? E’ Lui, Lui è sempre più forte, io sempre più debole. Tu non ci sei. Eri tu la mia forza, ma non ci sei più.
Ti ho uccisa.
Vorrei morire per questo, ma non posso morire. Se muoio Lui vivrà incontrastato nel mio corpo e altre anime verranno a farti compagnia.
Non che io non voglia che tu stia in compagnia, ma non voglio che siano le anime prese da me quelle che volano nel cielo con te.
Oggi ho ucciso di nuovo Mar.
Ma non voglio scivolare nell’oblìo.Ancora una volta spero che i loro nomi mi portino un po’ di più verso la luce.
Clare Bostonel.
Trevor Lount.
Iris Smith.
Joshua Stone.
Tessa Darcy.
La lista continuava a riecheggiare nella mia testa, ma non era una voce qualsiasi quella che sentivo pronunciare tutti quei nomi . In quel momento seppi che non era quella la prima volta che si metteva in contatto con me, per quello sapevo tutti quei nomi, perché li avevo sentiti da lui. Li aveva ripetuti milioni  e milioni di volte, nel tentativo di aggrapparsi al dolore a all’orrore di ciò che stava facendo, per impedirsi di farlo di nuovo. Ma era tutto inutile perché Lui era sempre più forte.
Dovevo trovarlo e alla svelta.
In quel momento seppi che il mio viso era bagnato dalle mie stesse lacrime, lacrime che non riuscivo a frenare, che non volevo frenare. Esse erano esattamente dove dovevano essere.
Justin Cot.
Marguerite Jones.
La mia, Marguerite Jones.
L’eco della voce si spense lentamente nella mia testa mentre veniva sostituito da un urlo straziante.


 
* * * * *
 

Questo capitolo è...non so come definirlo!
Insomma spero sopratutto che si capisca lo stato di Dave. Lui che è sempre stato buono si sta sporcando le mai di sangue e la cosa lo distrugge!
Scusate il ritardo, mi sono totalmente dimenticata che dovevo aggiornare lunedì! E sinceramente, essendo a casa, ho perso il conto dei giorni -.-"
Grazie mille a
Jodie_  Cleare97 ladyselena15 Bloomsbury ILoveItBaby per le belle parole :)
Grazie anche a chiunque sia arrivato fino a qui a leggere! Siete pazzi ma vi amo proprio per questo!
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***





CAPITOLO 25


“Clare Bostonel” sussurrai, incapace di pronunciare a voce alta quel nome.
“Mar!” la voce di Cyfer era chiara, ruotai la testa verso destra e vidi il suo volto teso. Si era piegato sulle ginocchia per avvicinarsi a me e comprendere perché fossi improvvisamente caduta a terra.
Portò una grossa mano su un lato del mio volto e spostò i capelli da esso, per riuscire a vedermi in viso chiaramente.
“Cos’hai?” la voce era ferma, ma gli occhi tradivano il suo stato d’animo: era sorpreso e preoccupato al tempo stesso.
“Clare Bostonel!” ripetei più forte. Cyfer lanciò un’occhiata a Samantha che parve capire.
“Aggiungete un altro nome alla lista!” disse a denti stretti fissandomi a lungo come se temesse che potessi dire altri cento nomi.
“Come lo sai?” Cyfer era estremamente serio. Inspirai profondamente e cercai di frenare il tremore della mia voce. Mi sentivo stupida ad essere così scossa, eppure non potevo farne a meno. Avevo sentito il dolore e la disperazione nella voce di Dave e in qualche modo le avevo fatte mie.
“L’ho udito!” mi sentivo terribilmente sciocca a dirlo ad alata voce. Un conto era provarlo, sentirlo con corpo e con la mente, un altro era ammetterlo ad alta voce ad altre persone. Non volevo dare a quella gente un’altra scusa per sedarmi, ero già un individuo pericoloso con una grande quantità di potere e non volevo essere etichettata anche come ‘pazza’.
“Cyfer!” abbassai il tono della voce e agguantai con una mano il colletto della sua maglietta nera. Avvicinai il suo volto al mio in modo da avere le labbra all’altezza del suo orecchio. “Ho sentito Dave, è lui a dire tutti quei nomi. Lo fa centinaia di volte perché questo crede che possa aiutarlo a controllarsi!”
Non risultava poi così strano detto in quel modo.
“Come fai a sentirlo?” era perplesso.
“Siete tu e questo covo di scienziati pazzi gli esperti, dovreste sapere perché accadono queste cose!” ero leggermente stizzita, ma le sue parole mi avevano aiutata a calmarmi e a tornare padrona di me stessa. Mi misi in piedi e con energia mi asciugai il volto eliminando le tracce delle lacrime che lo avevano inondato.
“Se tu riesci a metterti in contatto con lui possiamo capire dove si trova! Riesci a rifarlo?” il suo tono era impaziente.
Strinsi la mascella. Non era stata una bella esperienza e se avessi potuto scegliere non avrei mai voluto rifarla, ma dovevo trovare Dave e non avevamo nulla in mano che potesse rendere quel compito più facile.
“Ci provo!” ignorai lo sguardo inquisitore di Samantha e quello impaziente di Cyfer. Cercai di non far caso a tutti gli occhi che mi scrutavano come se fossi un’aliena.
Chiusi le palpebre e mi concentrai sul ricordo della voce di Dave. Mi sembrava di poterla nuovamente udire nella mia testa, ma non erano parole nuove quelle che sentivo, erano solo l’eco di quelle già pronunciate in precedenza. La mia mente stava ripercorrendo i ricordi, ma non riusciva a stabilire un contatto.
Immaginai con chiarezza che Dave riuscisse a sentirmi, immaginai una sorta di connessine tra le nostre menti fatta da fili dorati.
Dave. Chiamai.
Non ricevetti alcuna risposta. Ritentai, più e più volte. Sforzai la mia mente finchè non sentii che iniziava a farmi male la testa.
Non poteva sentirmi.
“Nulla!” sussurrai strizzando gli occhi a causa di una leggera fitta in corrispondenza delle tempie.
“Ci serve una comunicazione!” esclamò Cyfer, sembrava avere in mente qualcosa “Andiamo!”.
Mi precedette lungo il corridoio che avevamo percorso per arrivare a quella postazione, senza pensarci troppo lo seguii.
“Tracciate un itinerario degli omicidi finora commessi. Dopo di che voglio che facciate un controllo incrociato tra i posti della mappa, i dati nei nostri data base e la posizione geografica degli ultimi morti! Trovatemi la prossima vittima. Cercate tutto riguardo a Clare Bostonel e inviate una squadra sul posto, voglio un rapporto dettagliato entro stasera!” la voce di Samantha si faceva sempre più lontana man mano proseguivo lungo il corridoio fra le varie scrivanie, alle calcagna di Cyfer.
“Dove stiamo andando?” domandai affiancandolo e ben lieta di aver qualcosa da fare. In quel modo i miei pensieri sarebbero stati alla larga da Dave Sullivan.
“In laboratorio!”
Storsi il naso: non era la risposta che mi aspettavo.
Cyfer mi lanciò un’occhiata obliqua. “Ti sei offerta spontaneamente a qualsiasi studio volessero farti, ricordi? Ha detto che avresti collaborato!”
“C’è sempre una scappatoia!” il mio cervello stava già valutando la situazione.
“Ascoltami. Tra te e Dave si dev’essere creata una sorta di connessine magica, quindi abbiamo bisogno di conoscere la natura di questa, se abbiamo intenzione di utilizzarla. Hai idea di quanto tempo potremmo risparmiare?”
Tempo. Era tutta una questione di tempo eppure esso sembrava scivolarmi via dalle dita. Non riuscivo ad afferrarlo, tantomeno a rallentarlo. Era estenuante.
“Continua!” dissi semplicemente.
“Con dei semplici test possiamo comprendere la natura della connessione, ma devi essere collaborativa!”
“Ovviamente!” commentai con un sorriso furbo. Cyfer non pareva molto convinto tuttavia non disse nulla.
Udii dei passi svelti che si avvicinavano, segno che il segugio aveva finito di impartire ordini a destra e a manca ed era di nuovo pronto a fare il mio cane da guardia.
Poco dopo giungemmo in quella che aveva tutta l’aria di essere una camera di ospedale, ma almeno dieci volte più grande. Era bianca e su un lato di essa vi era un grosso letto. Per il resto era stracolma di oggetti e macchinari di cui temevo anche solo chiederne l’utilizzo. Solo al centro di essa c’era una specie di pedana circolare sulla quale era inciso qualcosa. Mi avvicinai incuriosita e lanciai uno sguardo alla struttura.
Con gli occhi seguii il triangolo equilatero che la solcava. L’incisione era profonda almeno un paio di centimetri. Da un lato partivano due segmenti, equidistanti dal punto medio del lato stesso, prima proseguivano per un breve tratto linearmente e poi incurvavano, uno in direzione opposta rispetto all’altra. Ognuno dei due tratti proseguiva attorno al triangolo racchiudendolo in una sorta di cerchio. In corrispondenza del vertice opposto al lato in questione partiva un altro segmento che andava verso l’esterno, incidendo sulla circonferenza esterna e proseguendo oltre essa per un piccolo tratto.
“Quello è un amplificatore!” disse una voce. Mi voltai, un po’ colta alla sprovvista e vidi un uomo entrare da una porta che non avevo notato in fondo all’ampia stanza. Doveva avere si e no la stessa età di Cyfer, ma non aveva l’aria dell’agente. Non era affatto muscoloso o semplicemente ben piazzato: era magro come un chiodo e portava un ampio camice bianco che gli arrivava fino alle ginocchia. Aveva un filo di barba nera come i suoi capelli corti e leggermente ricci.
“Amplificatore?” domandai con cortesia.
“Esatto!” confermò con entusiasmo, sembrava essere su di giri, come se gli fosse appena accaduto qualcosa di entusiasmante.
“Questo, Mar, è il mio fidatissimo amico Trent Connor!” lo presentò Cyfer.
Trent sorrise e mi strinse la mano con enfasi.
“E’ un piacere conoscerti Marguerite. Sono tre mesi che qui non si fa altro che parlare di te e dei tuoi straordinari poteri. Ci hai presi tutti in giro e lo hai fatto con grande stile. Hai una forza dentro di te davvero immensa e …” frenò quella specie mi marea di complimenti quando i suoi occhi si posarono su Samantha che lo stava guardando in cagnesco. Lasciò andare la mia mano e divenne leggermente rosso. Voltò le spalle e si mise a fissare intensamente quello che aveva definito come un amplificatore. Cercai di trattenere le risate.
“Anche per me è un piacere conoscerla signor Connor!”
“Chiamami Trent!” disse con rinnovato entusiasmo tornando a guardarmi con ammirazione.
“Perché siamo qui?” sbottò con disappunto Samantha.
“Perché Mar ha avuto un contatto con Dave e voglio capire la sua natura!” spiegò brevemente Cyfer.
“Esiste il dottor Cooper per queste cose!” precisò Samantha sempre più contrariata.
“Il dottor Cooper è una persona raccomandata da Dush, ma se non ti è ancora chiaro preferiremmo limitare la sua influenza solo a te!”
Samantha lo fissò impassibile prima di andarsi a sedere su una sedia posta su un lato della stanza.
“Ha avuto un contato con il ragazzo scomparso?” domandò in fibrillazione Trent.
Cyfer sorrise guardandolo con affetto.
“Mi fido ciecamente di quest’uomo Mar, racconta lui quello che hai detto a me!”
“Non mi fido del tuo metodo di giudizio, dopotutto ti fidi anche di me!” lo canzonai sorridendogli.
“Chi ti dice che sia vero? Ti tengo sempre d’occhi Mar!” ribattè, cercò di nascondere il fatto che era leggermente divertito. Sorrisi lieta di quello scambio di battute che contribuiva ad alleggerire l’atmosfera ormai sempre più tesa.
Raccontai a Trent ciò che era successo e quando terminai i suoi occhi brillavano così tanto da emanare quasi luce propria.
“Straorinario!” commentò iniziando a muoversi lungo al stanza e toccando oggetti, guardandoli per qualche secondo prima di rimetterli ala loro posto.
“Hai qualche teoria in proposito?” domandò speranzoso Cyfer.
“Molte! Se quello che mi dite è vero allora questo ragazzo è come un serbatoio di potere infinito. Può accumularne a suo piacimento, ma non può utilizzarlo. D’altra parte io non credo che sia così!”
“In che senso?” mi intromisi.
“Nel senso  che forse per lui è difficile gestire tutta questa quantità di potere, ma teoricamente potrebbe!”
“Aspetta, tu stai dicendo che potrebbe essere in grado di gestire un potere così ampio?” Cyfer sembrava allarmato e aveva ragione ad esserlo.
“Se se ne rendesse conto sì. Comunque anche in quel caso non saprebbe come usarlo!”
Se il Dave- mostro scopriva che bastava solo immaginare una cosa per vederla realizzarsi sotto i suoi occhi allora sarebbero stati guai per tutti. Rabbrividii al solo pensiero.
“Cosa c’entra questo con la connessione con Mar?”
“Spesso capita che le persone, in momenti di debolezza si rivolgano a persone care che li hanno lasciati. Lo fanno quasi in una sorta di preghiera e solitamente queste interazioni sono molto intense. La persona apre il proprio cuore completamente e totalmente al caro ‘defunto’” mimò le virgolette attorno a tale parola “Questo è esattamente ciò che sta facendo il ragazzo. Si sta rivolgendo a Mar perché lei è stata una persona importante della sua vita, solo che lei è viva e vegeta!” mi sorrise come se fosse grato all’intero universo per questo “Quindi l’intensità stessa della comunicazione deve aver creato una sorta di canale che funziona grazie all’enorme quantità di potere che ha dentro di se. Lui però non immagina di essere realmente in contatto con te, ma con la tua anima!”
“Se riesce a mettersi in contatto con me come mai io non posso farlo con lui?” domandai.
“Credo che sia perché lui ha molto più potere e quindi può coprire una lunga distanza! Ecco!” aveva in mano quelle che sembravano delle ventose.
“Sali sulla piattaforma!” mi disse. Ero talmente tanto presa dalle sue parole che mi ero dimenticata di essere lì per fare dei test. Esitai.
“Quello che voglio fare è vedere se in te c’è qualche residuo del suo potere. Se ho ragione e lui si è messo in contatto con te in questo modo allora dev’essere rimasta in te una traccia del suo passaggio. Una volta trovata potremmo seguirla nell’aria, per così dire, ed essa potrebbe darci il percorso che il potere stesso ha seguito e questo potrebbe condurci…”
“Da Dave!” conclusi per lui quasi estasiata.
Trent mi sorrise e io salii sulla piattaforma che lui aveva chiamato amplificatore senza pensarci ulteriormente.
Lui si avvicinò a me e mi posizionò le ventose sulle mie tempie. Da esse partivano lunghi fili che si collegavano ad un macchinario poco distante da lì.
“Vedi i simboli là sotto?” Trent mi indicò con l’incide le incisioni sotto le mie scarpe. “Sono delle forme che permettono di amplificare il potere. Non le abbiamo create noi, ma sono sempre appartenute all’organizzazione, crediamo che sia stata una strega in persona a crearla!”
“Si può ampliare il potere?” anche se avevo abbandonato i miei piani di potenza non potevo far a meno di trovare attraente la prospettiva di essere ancora più forte, in quel modo dopotutto avrei potuto fermare Dave e allo stesso tempo mi sarei potuta liberare di quella stupida organizzazione.
“Si e no!” rispose “Diciamo che il potere emette un segnale. Si tratta di una sorta di sinusoide che in base alla quantità di potere possiede un’ampiezza diversa. Proprio questo segnale crea il caratteristico ronzio che utilizziamo per rilevare il potere. In realtà i trasmettitori che abbiamo sono calibrati male, se riuscissimo a crearne copie più perfette otterremmo una nota musicale, non sappiamo se essa sia ignota o già conosciuta. Fatto sta che l’ampiezza della tua sinusoide è di 100 umm!”
Indicò a Cyfer un foglio e lui prontamente lo prese in mano prima di farmelo vedere. Su di esso c’era disegnata una sinusoide perfetta e sull’asse delle ordinate potevo leggere un picco in corrispondenza dei 100 umm. Ero sbalordita da quanto una cosa che a me veniva naturale quasi quanto respirare fosse così scientifica.
Trent andò al macchinario e digitò brevemente sulla tastiera del computer che lo controllava. Il metallo che la ricopriva cominciò a vibrare e pochi istanti dopo le incisioni sotto ai miei piedi si illuminarono di una luce gialla. Mi portai istintivamente una mano davanti agli occhi, ma dopo mi resi conto che il bagliore non mi infastidiva minimamente, anzi. Esso mi entrava dentro, mi riempiva e mi svuotava, mi dava la stessa sensazione che provavo quando mi concentravo sul potere che era dentro di me. Solo che era mille volte più forte. Era estasiante e terrorizzante al tempo stesso, eppure mi faceva sentire in pace con me stessa e col mondo. Avevo la sensazione che tutto quello di cui avevo bisogno fosse lì in me, in quella specie di marea di luce che mi sommergeva e si ritirava ad intervalli regolari. Mi sentivo completa, perfetta.
“Ora l’amplificatore sta aumentando l’ampiezza della tua curva, ma questo non aumenta realmente il tuo potere, tu non hai più forza, semplicemente sto solo ampliando il segnale che emetti per renderlo più chiaro e più facilmente studiabile!”
Ritornai in me cercando di controllare la nuova sensazione che provavo e rimasi un po’ delusa dal sapere che quello che provavo era solo una conseguenza dei simboli sui quali stavo. Mi sforzai di concentrarmi sul grafico schiacciato che compariva sullo schermo della macchina.
“Ora devo analizzare le imprecisioni!” zoommò sul grafico e potei notare delle piccole increspature sulla curva, essa non era perfettamente liscia “Ho bisogno di trovare un’interferenza, un cambiamento nello spettro del tuo potere.” Trent sembrava parlare più a se stesso che a noi.
“Come funziona?” domandai con un filo di voce riferendomi all’amplificatore.
“Con un piccolo apporto di energia dato in questo caso dall’elettricità! Sono sicuro che saresti riuscita ad attivarlo anche tu, col tuo potere, ma credo che Dush non approverebbe se ti chiedessi di usare i tuoi poteri. Quell’uomo teme molto la magia!”
Serrò le labbra e lanciò un’occhiata sospettosa a Samantha, come se temesse di vederla sgaiattolare via a raccontare tutto al suo capo. Capii che la fama di quella donna la precedeva.
Rimanemmo tutti in silenzio. Non ero comoda a stare in piedi su quella pedana tuttavia non mi lamentai. Mi persi a fissare il disegno ai miei piedi chiedendomene il significato, come potevano dei semplici simboli amplificare il potere?
“Devo prelevarti del sangue!” disse pensieroso, senza smettere di fissare lo schermo.
“Del sangue, perché?” non mi piaceva affatto l’idea che mettesse una siringa nel mio braccio, visto e considerato che quando l’avevano fatto in passato mi avevano iniettato dei sedativi.
“Con l’amplificatore posso studiare le onde che emani adesso, mi serve per capire che genere di segnale è proprio di te, ma non trovo un’interferenza, questo vuol dire che in questo istante su di te non sta agendo alcuna fonte di potere esterna! Le cellule del nostro corpo invece hanno una piccola memoria e conservano segnali passati, seppur per limitate quantità di tempo! Da quello che ho capito l’interferenza è avvenuta qualche decina di minuti fa, quindi le tue cellule dovrebbero conservarne il ricordo!”
La sua spiegazione così accurata e dettagliata non mi lasciò scampo,  non sapevo quale obiezione fare.
Cyfer mi guardò con sicurezza, come ad assicurarmi che non ci fosse nulla di male nel concedere a Trent di prelevarmi del sangue.
Strinsi la mascella e annuii. Osservai l’uomo avvicinarsi e constatai con una leggera punta di sollevo che la siringa che teneva in mano era vuota, lo stantuffo era abbassato. Era un oggetto per prelevare qualcosa, non per iniettarla.
Osservai senza sbattere le ciglia l’ago che penetrava la mia pelle dandomi un leggero fastidio.
Quando Trent ebbe preso il sangue che gli serviva estrasse l’ago e fece cadere alcune gocce su un vetrino circolare delle dimensioni di un palmo di mano. Andò a sedersi alla scrivania dinnanzi alla macchina alla quale ero collegata e prese una beuta che sembrava contenere dell’acqua. Inserì in essa un contagocce e prelevò un po’ del liquido trasparente prima di metterlo sul mio sangue.
Prese il vetrino in mano e iniziò a far roteare lentamente il polso facendo amalgamare il liquido trasparente e il mio vermiglio.
Dopo di che aprì uno sportello situato sulla macchina ed adagiò al suo interno il tutto. Premette un bottone e la macchina iniziò a rombare.
“Ora dobbiamo solo attendere qualche minuto!” disse quasi tirando un sospiro di sollievo. Era incredibile come si fosse trasformato. Quell’uomo che un attimo prima sembrava un ragazzino su di giri si era improvvisamente fatto serio mentre faceva il suo lavoro. Iniziavo a capire perché Cyfer lo ritenesse un amico e perché si fidasse di lui. Era professionale, ma non di quella professionalità distaccata che aveva Samantha, lo era solo mentre svolgeva il suo lavoro e lo faceva con una perizia invidiabile.
Lo osservai mentre staccava l’ago dalla siringa e metteva in frigo ciò che rimaneva del mio sangue. L’idea che se lo tenesse non  mi faceva impazzire, ma mi costrinsi a mantenere la calma: nei tre mesi che avevo già trascorso lì probabilmente avevano fatto scorta di campioni di ogni parte del mio corpo, quindi cosa sarebbe stato qualche millilitro di sangue in più?
Mentre attendevamo in silenzio, mi ritrovai a pensare a quei tre mesi di cui non ricordavo assolutamente nulla. Ero sicura che Dave mi avesse ‘contattata’ altre volte, per quello avevo saputo dire tutti quei nomi, eppure non ricordavo quando fosse accaduto. Probabilmente i sedativi mi avevano fatto dimenticare anche quello, mentre però il mio inconscio aveva ricordato.
Li odiavo per quello. Potevo capire la loro curiosità e il fatto che mi reputassero pericolosa, potevo comprendere le loro ragioni, ma non riuscivo ad accettare tutto ciò: mi avevano fatto perdere così tanto tempo. La prima cosa che avrebbero dovuto fare, una volta che mi fossi ripresa, doveva essere interrogarmi, ma loro l’avevano fatto passare in secondo piano. Non ne capivo la ragione.
Con un sonoro ‘beep’ sullo schermo della macchina comparve un grafico identico a quello ottenuto poco prima.
“Questo è insolito!” Trent stava osservando un tratto in cui il segnale si interrompeva bruscamente per poi riprendere parecchio dopo.
“Come mai?” Cyfer si avvicinò allo schermo, come se questo potesse aiutarlo a comprenderlo meglio.
“Qui è come se lei avesse perso il suo potere!”
“Ma io ce l’ho!” mi intromisi, mentre il cuore iniziava a palpitare più forte, sconvolta dalla notizia.
“A meno che…” disse Trent ignorando il mio commento.
“Cosa?” ero impaziente di sentire la risposta e anche leggermente in ansia.
“Bè, quando avviene un’interferenza diciamo che i due segnali si sommano tra di loro, mantenendo però il proprio segno. Quello che intendo dire è che se l’andamento del potere del ragazzo fosse in fase con il tuo i due grafici si dovrebbero sommare. In questo modo otterremmo un’ampiezza maggiore solo in una parte limitata del grafico, quella dove avviene l’interferenza, mentre tutto il resto continuerebbe il suo andamento periodico. Se invece, come credo sia successo, è in antifase avviene che i due grafici vanno a sottrarsi!” indicò il tratto vuoto come se non ci fosse nulla di più ovvio al mondo “La sparizione totale di una parte del grafico indica che l’onda che emana è esattamente opposta alla tua, sia come ampiezza che come fase!”
“Ma è impossibile! Il suo potere aumenta ad ogni persona che uccide!” obiettai. Forse in quel momento aveva esattamente il mio stesso potere, ma in futuro sarebbe variato e la curva che indicava l’interferenza sarebbe comparsa, seppur alterata.
“Questo mi fa pensare ad una cosa. Credo che lui effettivamente non possa utilizzare il potere che assorbe, ma sono più che sicuro che possa utilizzare quella porzione di potere che l’ha reso quello che è oggi!”
“Intendi dire che il potere che Jasmine ha trasferito in lui grazie al libro?”
“Credo di si!”
“Ma se è uguale al mio allora perché lui riesce a comunicare con me e io no?”
“Perso che il potere e le essenze che lui sta immagazzinando dentro di se abbiano la stessa funzione della piattaforma sulla quale ti trovi! Penso che amplifichino il segnale e permettano ad esso di arrivare lontano!”
“Oddio!” mi portai una mano alla bocca comprendendo improvvisamente.
“Lui poteva percepire il potere lo sentiva nell’aria. Potrebbe usare un metodi simile a questo? Potrebbe utilizzare il suo stesso potere, e rendersi conto delle interferenze?” domandai.
Gli occhi di Trent brillarono per un istante.
“Accidenti, sì!” escalmò “Sicuramente lui non se ne rende conto, ma questo dev’essere il meccanismo di base, è così affascinante!” disse estasiato tornando a fissare il grafico.
“Se Mar si trova su un amplificatore, non potrebbe nuovamente provare a contattare Dave? Dovrebbe riuscirci ora, secondo la tua teoria!” chiese con impazienza Cyfer.
“Dubito che possa funzionare, ci troviamo in un campo di contenimento! Il suo potere viene amplificato, ma entro i confini del campo stesso!”
“Se portassimo la pedana fuori?” azzardò Cyfer.
“Allora lì saremmo tutti in grave pericolo! Se ho ragione, e ce l’ho, lui potrebbe sentire il potere e potrebbe esserne attratto. Se arrivasse qui mettereste in pericolo tutti, questo posto pullula di potere! Inoltre la piattaforma è saldata al pavimento, quindi sarebbe impossibile!”
“Ma dobbiamo trovare un modo!” dissi con enfasi. Ogni volta che mi sembrava di avvicinarmi alla soluzione essa i scivolava via dalle mani. Era snervante.
“Dovrete usare quelli classici! Controlli incrociati e…”
“Ci stiamo già adoperando!” precisò con voce annoiata Samantha, come se avesse sentito quel discorso almeno un milione di volte.
“Continuerò ad analizzare i dati, ora che conosco l’andamento del potere di Dave potrei cercare di individuarlo nell’edificio e tracciare un percorso, ma per far ciò mi serve tempo. Vi terrò informati!”
Era più che ovvio che si trattasse di un congedo. Lo vedevo molto impaziente. Probabilmente lui vedeva in quei  grafici qualcosa in più di tutti noi e ne sembrava estasiato. Era come se volesse disperatamente avere la possibilità di stare un po’ da solo per poter studiarli in santa pace.
Si avvicinò a me e mi staccò le ventose dalle tempie. Scesi dalla pedana e guardai a lungo il disegno sul quale ero stata. Cercai di memorizzarne ogni tratto. Avevo del potere, forse potevo riprodurlo in qualche modo, dopotutto quello era stato fatto da una strega. Ero sicura che non basasse solo incidere quei tratti, bisognava sicuramente fare qualcos’altro, ma io avevo dalla mia parte la magia creativa, quindi mi bastava solo immaginare.


Scusatemi tantissimo per il ritardo!
Il secondo semestre è più incasinato del primo, quindi gli aggiornamenti saranno rari -.-"
Mi dispiace, ma grazie mille a tutti.
Spero di non farvi perdere troppo la pazienza!! :)
Risponedrò alle recensioni al più presto! Grazie mille a tutti!
Daisy

Vorrei chiedervi una cosa: ho i capitoli pronti fino al 28. Volete che ne posti uno a settimana e poi rimanga anche per un mese senza aggiornare, o preferite aggiornamenti più sporadici??

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Scusatemi tantissimo per l'immenso ritardo! Ancora la storia non è finita, ma preferisco lo stesso postarvi un altro capitolo, sperando che voi ricordiate un pochettino cos'era successo nello scorso XD
Grazie a chi ancora mi segue ;), siete fantastici!

Daisy

 

CAPITOLO 26

“E’ una stanza normale?” domandai diffidente guardandomi attorno.
“Normalissima!” rispose Cyfer, studiando anche lui la stanza con gli occhi.
“Nessuna porta blindata?” continuai sfiorando una piccola scrivania appoggiata contro il muro.
“Nessuna!”
“Nessuna telecamera?” ero sempre più scettica, guardai  Cyfer attendendo una risposta, ma lui continuava ad esaminare la stanza con la fronte aggrottata.
“Nessuna!” fu Samantha a rispondere, entrando nella stanza e parandosi di fronte a me con la mani sui fianchi come a volermi imporre di fidarmi “Fa parte dell’accordo che avete preso con Dush!” puntualizzò.
Si vedeva che non approvava la decisione presa dal suo superiore eppure non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
“Bene!” le voltai le spalle e mi diressi verso il letto. Solo allora mi resi conto di essere davvero parecchio stanca. Quella giornata era stata spossante e forse il mio corpo ancora risentiva degli effetti dei sedativi.
Mi sedetti su di esso e lanciai uno sguardo alle persone che occupavano la stanza e notai che non sembravano avere alcuna intenzione di andarsene: Samantha mi stava scrutando con attenzione, come se stesse valutando quanto azzardata fosse la scelta di lasciarmi dormire in una stanza senza un sistema d’allarme evoluto o quantomeno che la soddisfacesse, Cyfer invece continuava a sfiorare le superfici dei pochi mobili presenti fra quelle quattro mura, probabilmente stava cercando una ricetrasmettente o il cavo di una telecamera.
Sapere che nemmeno lui si fidava ciecamente di quello che era il suo capo non era affatto rassicurante.
“Vorrei dormire, possibilmente da sola!” dissi ad alta voce e con tono fermo. Già dovevo stare in loro compagnia tutto il giorno, non potevo sopportare un minuto di più.
Cyfer mi guardò come se la mia voce l’avesse improvvisamente distolto dai suoi pensieri.
“Uh, si certo!” disse semplicemente. Attesi che arrivassero alla porta. Samantha mi lanciò uno sguardo di ammonimento al quale risposi sorridendo in modo beffardo. Lei non parve soddisfatta, tuttavia mi voltò le spalle e oltrepassò la porta.
“Cyfer!” lo chiamai, quando lui stava per seguirla.
I suoi occhi incontrarono i miei e ci fissammo per un lungo istante. Non ero sicura che lui fosse in grado di capire come mi sentissi o che situazione stavo vivendo, eppure sentivo di poterlo considerare come mio unico alleato in quel covo di agenti segreti da strapazzo.
“Assicurati che non mi sedino durante la notte!” non era un ordine, solo il mio modo per fargli capire che ero preoccupata per la mia incolumità e che non mi fidavo.
“A costo di stare fuori dalla tua stanza per tutta la notte!” rispose con voce ferma. Un grosso peso si sollevò dal mio cuore mentre lui mi lanciava un cenno d’intesa prima di chiudersi la porta alle sue spalle.
Espirai. Non mi ero resa conto di star trattenendo il fiato. Sentii i muscoli del mio corpo contratti e costatai che non mi ero neppure accorta di quello. La mia mente era rimasta per gran parte della giornata disconnessa dal resto del corpo. Il mio cervello ragionava, vagliava le possibilità, malediceva me stessa per ciò che avevo fatto, mi distruggeva e mi dava uno scopo al tempo stesso. Tutte queste tensioni si erano ripercosse sul mio fisico e in quel momento riuscii a sentirlo.
Sapevo di non potermi però permettere il lusso di riposare, dovevo approfittare di quelle ore da sola per riflettere e creare un piano. Era più che ovvio che quell’associazione volesse da me informazioni e grazie alla diligente Samantha le aveva più o meno ottenuti. Avevano tutti i dati per potersela cavare da soli, almeno per quanto riguardava il rintracciare Dave, eppure ero certa che non sarebbero riusciti a fermarlo, come non erano riusciti a fermare me, ed io ero una briciola in confronto a Dave.
Non potevo mettermi da parte, non potevo lasciare tutto nelle mani di quegli incapaci, dovevo agire per conto mio.
Sapevo di trovarmi ancora nell’area in cui non potevo utilizzare il mio potere, non me lo avevano detto chiaramente, ma era implicito, loro non si fidavano di me come io non mi fidavo di loro. Nonostante questo sapevo che l’amplificatore poteva funzionare, almeno dentro ai confini del campo di protezione. Se fossi riuscita a ricrearlo il passo successivo sarebbe stato quello di uscire dal campo schermato, in quel modo sarei potuta entrare in contatto con Dave.
Andai verso la scrivania e cercai nei cassetti, trovai un plico di fogli e diverse penne, proprio ciò di cui avevo bisogno.
Il fatto che nessuno fosse riuscito a creare un amplificatore era davvero curioso, a meno che non ci avesse provato nessuno con poteri magici. Era su questo che si basava la mia teoria: secondo me persone comuni non potevano creare un oggetto in grado di amplificare il segnale creato dal potere, però poteva riuscirci qualcuno come me, dopotutto io non ero una persona comune.
Mi sedetti alla scrivania e avvicinai una delle penne al foglio. Ero piuttosto sicura che non fosse necessario seguire un metodo preciso per tracciare le linee che avevo visto impresse sulla pedana, dopotutto su quello si basava la magia creativa. Mangiucchiai il tappo della penna mentre pensavo da che punto potevo iniziare.
Iniziai a disegnare, prima con tratti incerti, poi sempre più sicura di me. Iniziai dal triangolo, proseguii con i segmenti e infine con il cerchio, da sinistra a destra, posai un dito al centro del disegno e aspettai di sentire il potere crescere in me, ma non accadde nulla. Forse il disegno doveva contenermi del tutto, dovevo farlo più grande. O forse avevo sbagliato metodo.
Presi il plico di fogli e lo adagiai sul piccolo pavimento. Ne presi uno, poi un altro ancora, fino ad averne nove, disposti in file da tre, l’una sotto l’altra.
Mi alzai il piedi e osservai le dimensioni di nove fogli A4 disposti per terra. Notai che non si discostavano molto dalle dimensioni della piastra sulla quale era inciso l’amplificatore. Tolsi le scarpe e mi inginocchiai sulla carta. Presi la penna e iniziai a tracciare gli stessi segni fatti precedentemente, con lo stesso ordine. Al termine mi alzai in piedi, ponendomi esattamente al centro del triangolo centrale e chiusi gli occhi, ma non avvenne nulla.
Strinsi i pugni, ma non mi diedi per vinta e immaginai che l’amplificatore iniziasse a funzionare. Immaginai  di sentire il potere crescere dentro di me, quasi riuscivo a percepirlo mentre ad ondate mi riempia e mi svuotava. Rimasi un attimo in estasi  mentre mi beavo di quella sensazione di completezza. Aprii gli occhi e mi accorsi che non era accaduto assolutamente nulla. Mi ero concentrata sul potere, lo avevo percepito eppure l’amplificatore non aveva funzionato.
Digrignai i denti e afferrai con rabbia  uno dei fogli laterali accartocciandolo e lanciandolo con tutta la forza che avevo contro la parete.
Sentivo la rabbia che pian piano cresceva dentro di me, era la rabbia dovuta all’impotenza, alla consapevolezza di non riuscire a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Mi sedetti a terra, sopra i fogli ormai stropicciati e immersi le mani dei capelli, chiudendomi su me stessa come a voler creare un guscio contro il mondo esterno. Dovevo riflettere, dovevo calmarmi, altrimenti non avrei ottenuto nulla. Dovevo pensare ad un modo, dovevo entrare in contatto con Dave, la mia morte lo aveva distrutto, se avesse saputo che ero viva forse avrebbe avuto la forza di combattere il mostro che stava crescendo dentro di lui.
Iniziai a temere che la magia creativa non potesse funzionare per creare l’amplificatore, ero più che certa che ogni linea significasse qualcosa, era grazie a quei segni che il segnale del potere si ampliava. Avevo imparato che con la magia creativa si potevano fare tante cose, ma c’erano fondamentalmente due limiti: il primo erano le quantità, potevo immaginare di distruggere l’intera terra, ma non sarei stata in grado di farlo se non avessi avuto la quantità sufficiente di potere.  Il secondo limite era l’immaginazione stessa, non potevo creare qualcosa a caso, senza conoscerne o immaginarne nei minimi dettagli il funzionamento. Se volevo creare un amplificatore dovevo comprenderne il significato e, allo stesso tempo se ci fossi riuscita non avrei potuto crearlo perché mi trovavo in un campo di contenimento.
Strinsi i pugni attorno alle ciocche di capelli che mi ero precedentemente afferrata e scossi la testa. Non c’era via d’uscita, continuavo a girare in tondo attorno alla soluzione senza essere in grado di raggiungerla.
Era così snervante.
Presi un altro foglio e lo appallottolai con mala grazia prima di scagliarlo contro la parete. Quello cadde a terra facendo un piccolo rumore. Non potevo starmene lì, con le mani in mano senza fare nulla mentre la vita di Dave e quella di altre persone era appesa al sottile filo del tempo.
Era tutta colpa mia. Cercavo di non ripetermelo spesso eppure era innegabile. Era colpa mia e Jasmine si era premurata di rinfacciarmelo prima di farmi morire,  era stata la mia stupidità, la mia sete di potere a far accadere tutto ciò.
Ero stata ingannata, certo, ma il male non era Jasmine, ero io. Era dentro di me la scintilla che avrebbe permesso a Jasmine di portare a termine il suo piano.
Dovevo trovare una soluzione. Disegnai nuovamente il simbolo inciso sull’amplificatore e ne studiai i tratti, cosa poteva significare?
Non so quanto tempo rimasi lì, a fissare quel disegno, a me parvero secondi, ma probabilmente furono ore. Riflettevo, percorrevo ogni tratto con la mia mente immaginando cosa potesse esserci nella testa di chi l’aveva creato. Cercavo di tenere lontano il pensiero che, anche se avessi capito il suo funzionamento, non lo avrei potuto riprodurre finchè fossi stata chiusa lì dentro. La comprensione sarebbe stata il primo passo, l’evasione il secondo.
Il mondo intorno a me divenne sempre più sfocato finchè non scivolai nel sonno.
 
Mar perché non mi hai ucciso?
Le mie mani non sono sporche di sangue eppure ho preso delle vite. Ne ho prese tante, Mar.
La tua per prima. La tua meravigliosa e lucente vita ora abita in me.
Dovrei esserne felice perché una parte di te è indissolubilmente legata alla mia essenza, eppure io non posso accontentarmi di quella parte. Non mi importa se non saresti mai stata mia, ma dovevi essere viva e forte per dirmelo.
Mi sembra di dimenticarti lo sai? E’ una cosa che mi spaventa. Il ricordo di te si fa sempre più labile. Com’erano i tuoi occhi Mar?  Credo di essermici perso almeno un milione di volte eppure non li ricordo.
Ucciderò nuovamente Mar, e presto. Forse questa volta dimenticherò i tuoi lunghi capelli setosi dopo averlo fatto.
Non voglio dimenticarti. Ricordarti vuol dire rammentare cosa sono ora: un mostro, un essere abominevole. Finchè riesco a tenere presente questo forse posso avere momenti di lucidità simili a questo, ma se dimentico Lui prenderà il sopravvento.
Perdonami se puoi.
 
“DAVE!” urlai. Non capivo dove mi trovavo, sapevo solo di avere il viso bagnato e di sentirmi stordita.
“Sono viva, sono qui!” aggiunsi con foga e iniziando a guardarmi attorno, come per cercarlo. Eppure lui non era lì. Ero nella mia stanza,  mi ero addormentata sui fogli che stavo studiando, il viso era bagnato dal sudore e da quelle piccole gocce salate che avevo cercato di rinnegare per tutta la mia vita.
Sentii un forte trambusto provenire da oltre la porta, un istante dopo si spalancò e apparvero due uomini in uniforme blu, ognuno con un mitra in mano puntato contro di me. Le loro espressioni erano serie e mi fecero rabbrividire. Scrutarono la stanza mentre io tornavo bruscamente al presente.
“Fatemi passare!” una voce imperativa arrivò dalle loro spalle, gli uomini non obiettarono e si spostarono leggermente senza però abbassare la guardia.
Cyfer entrò nella stanza e posò lo sguardo prima su di me e poi sulla camera. Seguì i suoi occhi e mi resi conto solo allora in che stato fosse ridotto quel posto: c’erano fogli sparsi sul pavimento, altri appallottolati, penne un po’ dappertutto, doveva sembrare la camera di un pazzo. A concludere l’opera c’ero io, probabilmente avevo il viso sconvolto, le lacrime che avevano lasciato dei solchi di acqua lungo le guance e gli occhi arrossati.
Cercai di riprendere il controllo della situazione, non dovevo apparire debole di fronte a quegli uomini, loro dovevano temermi.
“Cos’è successo? Ti abbiamo sentita urlare!” domandò Cyfer scrutando la stanza, come se si aspettasse di veder comparire un aggressore da un momento all’altro.
Mi alzai in piedi e constatai con piacere che le gambe mi reggevano alla perfezione. A testa alta guardai Cyfer come per fronteggiarlo.
“Chi sono questi uomini?” domandai con voce ferma.
“Agenti!” rispose prontamente Cyfer muovendo qualche passo verso di me.
Mi guardò in viso per un lungo istante, con un’espressione che catalogai come di preoccupazione.
“Cosa ci fanno nella mia stanza armati?”  sottolineai col tono della voce l’ultima parola.
“Erano di guardia fuori dalla porta!” si giustificò lui “ E ti hanno sentita urlare!”
“Mi sembrava strano che non ci fosse alcuna porta blindata!” esclamai cercando di mantenere un tono glaciale “Ovviamente non c’era perché al suo posto di sono due agenti armati fino ai denti!”
“Quattro!” precisò Cyfer con tono un po’ colpevole.
Lanciai un’occhiata alle sue spalle cercando gli altri due, ma non li vidi.
“Sono di guardia fuori dalla porta!” mi informò Cyfer “Siamo in cinque, se conti anche me!”
“Che ci facevi qua fuori?” fui piuttosto brusca nel chiederglielo, avevo davvero i nervi a fior di pelle.
“Mi stavo assicurando che nessuno ti sedasse!”
“Ma che premuroso!” sbottai, anche se ero piuttosto sollevata nel sentirglielo dire.
“Cosa cercavi di fare?” domandò lui indicando i fogli sparsi lungo tutta la camera.
“Disegnavo!” dissi con tono innocente.
“Lasciateci! E’ tutto sotto controllo!” ordinò Cyfer.
“Ma signore…” cercò di obiettare uno degli agenti.
“La signorina Jones ha urlato per via di un incubo, non è vero?” domandò Cyfer ad alta voce.
“Ovviamente!” stetti al suo gioco “Se fossi stata attaccata da qualcuno me la sarei cavata da sola, non un urlo sarebbe uscito  dalle mie labbra!” sorrisi con fare provocatorio, ritrovando da qualche parte dentro di me, la Mar che ero sempre stata.
Gli agenti mi scrutarono, ognuno a proprio modo, senza nascondere che non si fidavano minimamente di me, dopo di che uscirono dalla porta.
“Dovresti dormire!” disse Cyfer guardandomi in faccia con aria seria.
“Ogni ora che userò per dormire sarà un’ ora tolta alla vita di quelle persone che ancora posso salvare!” ero determinata a farmi lasciare in pace da lui, dovevo continuare a ragionare.
Cyfer sospirò.
“Non avrei mai pensato che parole simili sarebbero uscite dalle tue labbra. Hai fama di essere una persona parecchio egoista!”
“Te ne vai?” non ribattei.
“Io e te siamo una squadra, che ti piaccia o meno, quindi,no, non me ne andò. Non ti lascerò chiusa in questa stanza a cercare di contattare Dave!” prese in mano uno dei fogli sparsi sulla scrivania e me lo sventolò sotto al naso. Aveva compreso cosa stavo cercando di fare, una volta tanto c’era arrivato.
“Io non…” cercai di negare ma lui mi interruppe.
“Non è produttivo rimurginare sulla magia, dobbiamo usare metodi più sicuri. Se riusciamo a trovare Dave possiamo fermare tutto, allora non avrai più bisogno di metterti in contatto con lui perché lui sarà dinnanzi a te!”
Mi immaginai la scena: Dave immobilizzato da parecchi agenti mentre le sue pupille diventavano rosse come il sangue, mentre si dibatteva per raggiungermi e rubarmi ancora una volta l’essenza. Rabbrividii e scacciai l’immagine dalla mia mente.
“Un intero staff si sta occupando del suo rintracciamento!”
“Stai dicendo che tu e la tua associazione vi volete liberare di me, ora che non vi sono più utile?” mi misi sulla difensiva pronta ad agire nel caso quello che avevo chiesto fosse stato confermato.
“Nonostante tutto noi non sappiamo, ora come ora, come aiutare Dave, possiamo rintracciarlo, forse saremmo in grado di riprendercelo, ma poi? Dobbiamo guarirlo e non sono così certo che questa sia la priorità!”
“Che intendi dire?”
“Hai visto cos’ è successo con te, invece di rimetterti in forze hanno deciso di studiarti, farebbero sicuramente la stessa cosa con Dave, per questo dobbiamo trovare un modo di aiutarlo. Se sappiamo già come fare possiamo intervenire subito e impedire che venga studiato come cavia da laboratorio!”
Annuii decisa. Quello che diceva era giusto e inoltre con quel discorso mi aveva ridato un obiettivo materiale che non fosse lo studio di un simbolo magico. La sensazione impotenza diminuì sempre di più fino a scomparire del tutto.
“Come possiamo trovare una soluzione?” domandai rammentando che nemmeno Myria era riuscita in quell’intento.
Cyfer fece il sorriso di chi la sapeva lunga.
“Seguimi!” disse semplicemente.
Uscì dalla porta e io mi affrettai a seguirlo.
“Signore, dove sta andando?” domandò uno degli agenti a Cyfer guardando prima lui e poi me.
“Faccio vedere l’edificio alla signorina, dato che non riesce a dormire, ho il permesso di Dush!” sentenziò con un tono che non ammetteva repliche. L’agente si zittì all’istante e io mi ritrovai ad ammirare la figura di Cyfer-capo. L’avevo sempre visto come il ficcanaso che mi metteva i bastoni tra le ruote eppure era piuttosto bravo come superiore di qualcuno, il suo tono autoritario e l’evidente importanza che aveva all’interno di quella società mi faceva ricredere sulla sua persona. Forse non era un totale idiota, non più di tutti gli altri, per lo meno.
“Dush non ne sa nulla vero?”
 Domandai una volta che fummo abbastanza lontani da non farci sentire.
Cyfer sorrise “Ovviamente no, altrimenti avremmo già alle calcagna l’impeccabile agente Longboom!” assunse un tono pomposo nel dirlo, come a volerla scimmiottare.
“Già, il segugio!” sorrisi a mia volta rilassandomi un po’ mentre percorrevamo corridoi a me sconosciuti.
“Abbiamo dalle tre alle cinque ore prima che ci trovino!” mi informò Cyfer.
“Così tante?” mi accigliai.
“Lo faccio bene il mio lavoro!”
Alzai un sopracciglio in un’evidente espressione di incredulità.
“Dico davvero! Vedi questo?” mi mostrò un dispositivo rettangolare che teneva in mano “Questo blocca le immagini delle telecamere, il questo momento siamo dei fantasmi!” sorrise con fare rassicurante “E il posto dove di sto portando è talmente grande che, anche se sapessero dove cercarci, ci metterebbero ore a trovarci!”
Battei le mani un paio di volte attenta a non fare troppo rumore.
“Complimenti!” mi finsi colpita. Lui ridacchiò.
“Ti saresti davvero dovuta mettere a dormire, ma piuttosto che lasciarti lì in quella stanza a disegnare forme incomprensibili ho preferito decidere di fare qualcosa di più produttivo!”
Si arrestò di fronte ad una normalissima porta, mi lanciò una lunga occhiata, come a verificare che fossi pronta e la aprì sparendo oltre ad essa.
Rapidamente lo seguii, ma nessuna parola poteva prepararmi a quello che avrei visto una volta entrata.
Mi guardai attorno con la bocca leggermente spalancata, avrei voluto esprimere il mio stupore eppure dalla mia bocca non uscii nemmeno un suono.
Mi trovavo in un’enorme biblioteca. Gli scaffali di pietra erano disposti a raggiera ed erano alti quasi dieci metri.  Alzai la testa accarezzando con lo sguardo ogni singolo volume, inghiottendo tutta quella meraviglia nel più completo dei silenzi. Mossi un paio di passi all’interno e li sentii riecheggiare mentre il suono urtava contro le pareti e la pietra lì intorno creando un meraviglioso eco.
Poi mi persi ad osservare il soffitto, una magnifica volta di pietra colma di incisioni e disegni. Sembrava di essere entrati in una cattedrale, l’architettura di quel posto non aveva nulla a che fare con quella dell’edificio dov’ero stata fino in quel momento. Aveva le dimensioni di una reggia e sembrava scavata nella pietra stessa.
“Benvenuta nella nostra umile biblioteca!” sussurrò con ironia Cyfer.
“Umile…” commentai con un filo di voce, incapace di staccare gli occhi dagli scaffali che mi circondavano.
“Pensa che questa non è neppure l’entrata principale, quella è molto più sfarzosa. Siamo dovuti passare da qui perché quella è più sorvegliata e noi non dobbiamo farci notare!”
Non osavo immaginare come potesse essere un’entrata più sfarzosa di quella.
Seguii in silenzio Cyfer tra quegli alti scaffali. Camminavo in punta dei piedi cercando di non fare rumore, il riecheggiare dei nostri passi a mio avviso violava la sacralità di quel posto. Ben presto mi fu chiaro che la biblioteca doveva avere una pianta circolare, era una cosa che avevo intuito appena entrata nella stanza, a causa della disposizione a raggiera degli scaffali, ma man mano ci addentravamo la cosa si faceva sempre più evidente. Ogni scaffale era lungo una trentina di metri, dopo di che, al termine di due scaffali uno di fianco all’altro ne veniva posto un terzo, all’esatta metà della distanza tra di essi e via dicendo. Questa struttura si ripeteva per tutta la biblioteca rendendo difficile orientarsi al suo interno. Capivo perché  Cyfer aveva detto che anche se avessero saputo che ci trovavamo lì ci avrebbero messo un po’ a trovarci.
“Tu hai idea di dove stiamo andando?” domandai con un filo di voce mentre il mio senso dell’orientamento era praticamente stato azzerato.
“Ovviamente!” rispose lui senza voltarsi verso di me.
“E dove stiamo andando?”
“Al centro esatto della biblioteca, lì ci sono i computer, da li faremo una ricerca e vedremo di capire cosa ci serve.
Non so per quanto tempo camminammo, forse per cinque minuti buoni, ma quando raggiungemmo il centro della biblioteca rimasi ancora più esterrefatta.
Gli scaffali ad un certo punto finivano e si apriva una zona circolare con decine di lunghi tavoli di legno disposti in modo ordinato uno di fianco all’altro. Ai lati c’erano diverse postazioni dotate di computer. Sembrava una radura in un bosco fatto di scaffali e di libri. Al centro esatto della stanza c’era una statua bianca. Essa iniziava con un piedistallo rettangolare, sul quale poggiava un figura indubbiamente femminile. senza guardare Cyfer mi diressi verso la figura al centro della stanza, come se essa fosse una calamita e io un pezzo di ferro dolce. I miei passi riecheggiavano nella stanza eppure io proseguii senza più preoccuparmi del rumore. Esistevamo solo io e la mia curiosità di vedere la statua più da vicino.
Ad ogni metro che facevo verso il centro, il mio cuore batteva sempre più velocemente, come se si aspettasse che qualcosa stesse per avvenire e si stesse preparando a ciò.
La figura incisa nella roccia aveva un portamento fiero, quasi regale eppure sapevo che non era una regina. Portava un lungo mantello che sembrava vero grazie alla precisione con la quale erano state intagliate le pieghe della stoffa, pareva ondeggiare a causa del vento. Lunghi capelli ricci ricadevano con grazia sulle spalle della donna. Capelli bianchi come il resto della roccia eppure non poteva essere stato quello il loro colore originale. Arrivai così vicino da poter sfiorare la statua eppure non lo feci. Ero alle sue spalle e ancora non ne avevo visto il volto, anche se in cuor mio già lo immaginavo. Mi mossi attorno al piedistallo ma non alzai subito lo sguardo. I miei occhi si posarono sulle mani della donna chiuse a pugno e adagiate lungo i fianchi. Quando fui di fronte ala statua lentamente alzai la testa. Più dettagli incontravo più la consapevolezza di aver già visto quella donna si faceva forte.
Finalmente i miei occhi incontrarono il suo viso. Trattenni il respiro mentre osservavo lo sguardo fiero e alto, gli zigomi che sembravano morbidi seppur fatti di pietra. Era così reale che avrei potuto tranquillamente salutarla aspettandomi una risposta da parte sua. Solo il colore bianco la rendeva priva di vita, facendomi capire che lei non era come me.
La sua bianca immagine si sovrappose ad una colorata e vivida impressa a fuoco nella mia memoria. E improvvisamente seppi che quel lungo mantello doveva essere nero, i capelli sciolti sulle spalle erano rosso fuoco e gli occhi verdi come i boschi, verdi come quelli di Dave.
“Myria” sussurrai i fior di labbra.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Questa volta le note vanno messe d'obbligo all'inizio. Ho avuto un'estate movimentata, prima sono stata presa dagli esami e poi sono stata un mese all'estero, non ho quindi avuto il tempo necessario ad aggiornare. Ora ho un mese vuoto in cui spero di riuscire a leggere tutto ciò che ho di arretrato, ma sopratutto spero di riuscire a finire questa storia. Prima di tutto dovrò leggerla da capo e quindi penso mi ci vorrà del tempo. spero abbiate la pazienza necessaria a vedere finalmente questa storia conclusa!
Scusatemi davvero tanto per il ritardo e buona lettura!
Dasiy Pearl

 
CAPITOLO 27

“Myria!” sussurrai nuovamente quasi in un sospiro. Allungai la mano per sfiorare la statua. Non mi sembrava vero, dopo tutto quel tempo a sognarla lei era di fronte a me anche se non in modo reale. Era la cosa più vicina ad un incontro che avessi avuto con lei.
“Ferma, non la toccare!” la voce di Cyfer mi fece ripiombare bruscamente nella realtà. Abbassai la mano a pochi centimetri dalla pietra e la abbandonai lungo il fianco.
“Perché?” gli domandai quasi indispettita.
“Azioneresti un allarme in grado di buttare tutti giù dal letto!”
Cyfer si pose di fronte a me, mettendo il suo corpo tra me e la statua in modo tale da scoraggiare ogni altro mio tentativo di sfiorarla.
“Lei!”dissi indicando Myria con un cenno del capo “Cosa ci fa qui?”
Non riuscivo a spiegarmelo. Quella donna era stata nella mia testa senza esistere davvero, o almeno non esisteva da qualche secolo, e improvvisamente la ritrovavo scolpita di fronte a me.
“E’ sempre stata qui!” Cyfer mi prese il braccio e mi guidò tra i tavoli allontanandomi dalla figura scolpita. Mi lasciai trascinare, ma non riuscii a staccare gli occhi da essa come ipnotizzata.
“Perché?” non riuscivo a comprendere.
“La leggenda narra che lei sia la fondatrice della nostra società!”
“Myria?” domandai a mezza voce incredula.
Cyfer si bloccò e si voltò verso di me con sguardo colmo di sospetto.
“Come fai a conoscere il suo nome? Persino nella società in pochi lo sanno!”
“E come viene chiamata?”
“La proiezione del male. Lei si faceva chiamare così!”
“Dimmi di più!” lo esortai.
“Sono informazioni riservate!” Cyfer riprese a camminare.
“Andiamo! Quella donna è morta da almeno mille anni!”
“Come fai a sapere anche questo?” socchiuse gli occhi con fare indagatorio e mi fissò per un lungo istante senza proferir parola.
“Tu dimmi chi è questa donna e io ti dirò come conosco alcune cose sul suo conto!” ribattei prontamente riuscendo finalmente a staccare gli occhi dalla figura di pietra.
“Non stanno così le cose Mar, prima devi darmi una spiegazione. Sei a conoscenza di informazioni riservate, questo non migliora la tua posizione!”
Il tono professionale col quale aveva parlato di irritò.
“Allora parlami della mia posizione!” dissi pronunciando in modo glaciale l’ultima parola.
“Credo che tu la conosca già. Sei etichettata come ‘minaccia’, solo di recente come ‘collaboratrice pericolosa’. Il passo per tornare ad essere una minaccia non è poi così grande. Dimmi come sai queste cose!”
“Perché lei si faceva chiamare proiezione del male?”
Cyfer alzò gli occhi al cielo.
“Ho fatto una domanda. Rispondi e io risponderò ad una tua!”
“Questo non è un gioco Mar!” disse con una punta di esasperazione nella voce.
“Ti sembra che io voglia giocare?” il mio tono era serio, il mio sguardo fermo, forse fu questo che lo spinse a rispondere.
“Lei aveva fama di essere una strega potentissima alla sua epoca, una strega conosciuta sotto lo pseudonimo di ‘proiezione del male’. Tutti la credevano malvagia e lei si adoperava affinchè questa ideologia fosse diffusa e mantenuta. Lei voleva essere temuta, ma in realtà il timore le serviva come scudo e come copertura. Lei proteggeva il mondo dalla magia, ma non poteva rischiare che il mondo lo sapesse. Agiva nell’ombra e ha creato questa associazione perché l’opera proseguisse anche dopo di lei.”
In parte il racconto coincideva con quello che avevo visto in sogno in parte, soprattutto nell’ultima, stonava.
“Lei non proteggeva il mondo dalla magia, non ha mai reputato la magia qualcosa di pericoloso!” sussurrai.
“Cosa vuoi saperne tu?”
“L’ho sognata. Da quando Jasmine mi ha ridato i miei poteri io l’ho sognata ogni volta che chiudevo gli occhi. E’ così che ho visto una maledizione del tutto affine a quella di Dave. Lei si era ritrovata in una situazione simile con un ragazzo, Richard, e aveva cercato si salvarlo, di aiutare a controllarsi, ma non c’era riuscita!”
Gli raccontai brevemente i sogni, fino a giungere alla parte in cui entrava in scena Jasmine. Lui sbarrò gli occhi stupito, tuttavia stette ad ascoltarmi senza mai interrompermi.
“Non capisci?” sussurrai leggermente eccitata per quella rivelazione “E’ per questo che Jasmine sapeva dell’esistenza della vostra associazione. Lei ha conosciuto Myria, la teneva d’occhio! Ha sospettato che l’associazione fosse sopravvissuta a lei, e aveva ragione!”
Rimasi per un attimo senza fiato. Vedendo Myria lottare per la vita di Richard e contro Jasmine mi aveva fatto crescere una sorta di ammirazione nei suoi confronti, quella ammirazione in quel momento aumentò a dismisura. Quella donna era stata un genio. Aveva programmato tutto, aveva fatto in modo che la sua opera non fosse inutile, le due idee sulla magia creativa e il suo nobile scopo dovevano sopravvivere. Aveva votato tutta la sua vita a quello scopo eppure qualcosa era andato storto. L’agenzia esisteva ancora, ma lo scopo era mutato ed ero piuttosto certa che nessuno degli agenti aveva mai sentito parlare di Magia creativa, il vero filo rosso del pensiero di Myria. In qualche modo sentivo di doverle rendere giustizia.
“Eppure sbagliate. Voi volete proteggere il mondo dalla magia come se la magia fosse qualcosa di terribile e sbagliato, questo non era quello che voleva lei. Lei insegnava a domare la magia, a controllarla. Era una specie di infermiera in questo campo. Prendeva uomini mutati dal potere, uomini che non avrebbero potuto avere una vita normale, persone che sarebbero state pericolose per loro stessi e per l’umanità intera e li educava. Faceva in modo che essi potessero controllare il loro potere o che potessero usarlo senza combinare danni. Lei studiava la magia, ma non per riprodurla, solo per capire su cosa doveva agire quando insegnava come controllarla!”
“Non lo so Mar. Non è così facile credere alle cose che escono dalla tua bocca.”
Lo ignorai.
“Avete dei sui scritti in questa biblioteca?”
“Credo di si, ma…”
Mi illuminai “Allora è lì che dobbiamo cercare. Lei ha già visto una maledizione come quella di Dave e anche se non è riuscita a far nulla lei l’ha studiata!”
Rammentai il volto di Myria corrucciato mentre contava le pulsazioni di Richard e annotava il tutto. “Con quegli appunti in mano forse potremmo trovare una soluzione al problema!”
Improvvisamente la speranza mi riempì l’anima facendomi gioire. Forse Myria non aveva trovato il modo di fronteggiare il problema di Richard, ma questo non voleva dire che non dovessi riuscirci nemmeno io.
“Quelle sono zone riservate. Sono delle specie di relique. Non posso portarti lì!” Cyfer era categorico.
“Cyfer!” mi misi di fronte a lui con lo sguardo deciso “Per una volta fidati di me!”
Sapevo anche io che quelle parole erano strane se pronunciate da me, eppure sperai che questo bastasse a farlo cedere.
Lui sospirò e si diresse verso il computer più vicino lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata, come per tenere d’occhio i miei movimenti.
“Non si accorgeranno che sei entrato nel computer?” dissi avvicinandomi ad esso e stupendomi dei bassi sistema di sicurezza che c’erano in quella biblioteca.
“Può sembrarti strano, ma questo posto non è molto custodito. Infondo è inutile. Pochi di noi cercano sui libri. Internet permette un rapido accesso a server protetti come quello della cia o dei servizi segreti internazionali. Abbiamo degli haker molto esperti che si occupano di ciò. Quindi questi computer non sono molto sorvegliati, comunque sono capace di rendermi invisibile!”
“Sei anche tu un haker?” domandai sorpresa.
“No, ma è stato parte della mia formazione!”
“Quindi siete tutti haker?”
“Solo io, tra gli altri agenti!”
“Come mai questo trattamento privilegiato?” mi poggiai al mobile sul quale si trovava il computer e lo osservai con interesse.
“Perché dovevo essere il migliore!”
“Perché TU?” pronunciai il ‘ tu’ con forza. Lui distolse lo sguardo dallo schermo ed i suoi occhi incontrarono i miei. Sospirò.
“Perché sono figlio del presidente!”
Rimasi un attimo spiazzata dalla rivelazione.
“Sei figlio di Dush? Non vi somigliate affatto!” commentai.
“No. Dush non è il presidente. Il presidente è colui che mette i soldi e che in parte manda avanti la baracca, insieme agli altri azionisti minori!”
“Intendi dire che altre persone sanno dell’esistenza di questo posto? Persone che non sono agenti?”
Cyfer sorrise tornando a concentrarsi sul computer.
“Ti stupiresti se sapessi quanta gente sa di tutto questo!”
Mi venne da ridere. “Per fortuna che si trattava di una società segretissima!”  mimai le virgolette attorno all’ultima parola con le dita.
“Tutti coloro che sanno della sua esistenza preferirebbe morire piuttosto che divulgare i segreti. E chi non è disposto a farlo subisce comunque questa fine!”
“Ah! Come siete cruenti!” ironizzai. Cyfer mi ignorò. “E come mai io e Dave abbiamo saputo della vostra esistenza?”
“In parte perché così è stato deciso dal consiglio, in parte perché tu sei un’impicciona!”
“E come mai non sono ancora morta?” lo dissi con fare provocatorio, avvicinandomi a lui con grazia.
“Perché, hanno deciso loro che tu dovessi sapere!”
“Per loro intendi dire il consiglio diretto dal tuo papà?” lo scimmiottai.
Cyfer sbuffò.
“Non avrei mai dovuto dirlo!”
“Ma l’hai fatto!” constatai divertita dalla sua reticenza nel parlare di quell’argomento. Grazie alle informazioni che mi aveva appena dato compresi che quell’associazione era molto più estesa di quanto pensassi. Myria aveva creato un essere vero e proprio, del tutto indipendente dalla sua volontà originaria.
“Andiamo!” disse Cyfer cambiando discorso e prendendomi il polso. Lanciai un’ultima occhiata a Myria prima che ci reimmergessimo tra gli scaffali. Proseguimmo in silenzio per diversi minuti finchè non raggiungemmo nuovamente la parete che segnava la fine dell’enorme spazio che conteneva la biblioteca. Dinnanzi a noi c’era una porta. Cyfer tirò fuori dalla tasca una tessera e la passò in un incavo vicino alla serratura. La porta si aprì con un sonoro rumore e un attimo dopo fummo al suo interno.
Dapprima non vidi nulla, la stanza era completamente immersa nel buio, poi pian piano le luci, una dopo l’altra si accesero rivelando un’ampia stanza rettangolare. La temperatura era di gran lungo minore rispetto a quella esterna e mi ritrovai a stringere le braccia al corpo per tenermi al caldo. C’erano teche al posto degli scaffali. Decine di teche contenenti al loro interno libri dall’aspetto molto vecchio. Davano l’impressione di sgretolarsi se solo fossero stati toccati. Al centro della stanza c’era un computer che entrava in netto contrasto con l’ambiente. Prontamente Cyfer si diresse verso il macchinario.
“Non usiamo i libri?” domandai perplessa.
“Come ti ho già detto, sono delle relique e non possiamo toccarli senza l’utilizzo di guanti appositi e senza una strumentazione adatta. Tutti i libri sono stati convertiti  in pdf e si trovano su questo computer!”
“Ci metteremo secoli usando il computer!” sbottai.
“Ti sbagli!” ribattè con sicurezza Cyfer mentre digitava varie password sulla macchina.
“Sai quanti anni aveva il libro ‘Gioco di sguardi’?” domandai senza aspettarmi una risposta “Mille! Eppure sono riuscita a maneggialo e a leggerlo senza distruggerlo!”
Cyfer si fermò un istante e mi lanciò una lunga occhiata.
“Questo non è propriamente vero!”
Effettivamente io avevo distrutto quel libro, ma perché la situazione lo richiedeva, non perché ero stata maldestra o perché il volume era in pessime condizioni.
Alzai gli occhi al cielo  cercando qualcosa di intelligente con cui ribattere.
“Mar, vieni a vedere!”
I miei pensieri furono interrotti dalla voce eccitata di Cyfer. Mi avvicinai allo schermo e lessi con lui ciò che vi era scritto.
Erano dei dati. Numero di pulsazioni, sintomi, comportamento. Tutto era sotto il nome di Richard.
“Come hai fatto a trovarlo così rapidamente?” domandai facendo scorrere gli occhi sulla scrittura fluente di Myria.
“Ho inserito la parola Richard come parola chiave! Te l’ho detto che sarebbe stato più semplice a computer!”
Non ribattei e mi limitai a leggere qualche altra riga. Nelle pagine successive, oltre allo studio dei comportamenti del ragazzo, Myria aveva inserito anche i possibili metodi di cura. Erano descritti con grande precisione, quasi simile a quella che un medico usa con il paziente, eppure la sua scrittura si faceva sempre più frettolosa ad ogni pagina che leggevamo. Ogni possibile cura si era rivelata inutile.
Aveva provato prima cercando di individuare in lui la fonte del male. Aveva dunque cercato di neutralizzarla prima e di estrarla poi. Non ci riuscii, l’unico modo era sacrificare il suo potere per poterlo fare e all’inizio non credeva di dover arrivare a tanto.
Inseguito aveva provato ad insegnare a Richard la magia creativa e lui sembrava averla imparata piuttosto bene, questo finchè non aveva ucciso ancora. Rammentai il sogno in cui Richard aveva ucciso un bambino e un vecchio, ricordai la rabbia di Myria e di come l’aveva addormentato.
Dopo di che aveva provato a controllare lei stessa il potere dentro Richard, come entità esterna, ma non riusciva a farlo sempre.
Questo passaggio mi incuriosì. Myria non diceva come faceva a controllare Richard, non nello specifico, ma dovevo cercare di capire qual’era il metodo da lei utilizzato perché forse Jasmine ne usava una simile.
Rimanemmo a studiare quei paragrafi per diversi minuti, ma non trovammo alcun metodo chiaro. Non mi fu difficile immaginare Myria che usava la magia creativa per controllare Richard, forse era quella la ragione per la quale non aveva scritto alcun procedimento, infondo il procedimento non esisteva. Si trattava di pura creazione.
Mi allontanai dallo schermo sempre più provata da tutto ciò.
Nulla.  In quel dannato libro non c’era assolutamente nulla. Nemmeno la magia creativa era riuscita nell’intento di liberare Richard dal potere inserito in lui. L’unica altra opzione sarebbe stata la stessa alla qual era giunta Myria quasi un millennio prima: dovevo estrarre da Dave il potere, far in modo che il mio potere stesso facesse da collante e racchiudere il tutto in un libro. Era già stato fatto, avevo osservato quella scena e sarei stata in grado di riprodurla. Avrei sacrificato il mio potere per salvare Dave, ma questo non avrebbe risolto le cose. C’era ancora Jasmine in circolazione e la maledizione che aveva inflitto alla famiglia di Dave.
“Non c’è nulla!” sbottai portandomi le mani alla testa. Mi ero illusa che le cose si sarebbero sistemate. Avevo una via d’uscita, un piano, ma tutto ciò si stava sgretolando proprio sotto le mie dita e io non potevo far altro se non chinarmi e raccogliere i pezzi cercando disperatamente di rimetterli insieme.
“Ci sono dei dati, riusciremo a curarlo!” commentò fiducioso Cyfer facendo scorrere la rotellina del mouse sotto il dito indice.
“No, Cyfer. Lei non c’è riuscita. Myria era una donna intelligente, capace, dotata di grande fantasia. Lei non è riuscita a fare nulla per Richard! Ha dovuto asportare la magia. Ammesso che io riuscissi a fare ciò che ha fatto lei, come mi potrei sbarazzare di Jasmine? Lei ci impedirà con tutte le sue forze di prendere Dave! Non abbiamo possibilità!”
Dirlo mi spiazzò. Erano cose che già pensavo, ma finchè rimanevano nelle mia mente in qualche modo non erano reali. Dire tutto ciò ad alta voce fu come ricevere un pugno nello stomaco, uno schiaffo in faccia. Ne rimasi sconvolta anche se non me ne stupivo.
 Posai la schiena al muro e piegai le gambe finchè non arrivai a sedermi per terra. Piegai la testa indietro e mi posai contro il muro freddo guardando con sguardo assente il soffitto di quella stanza.
“Jasmine non è così forte come fa credere. L’ha detto lei stessa! Possiamo batterla! Ci sono centinai di agenti addestrati pronti a fronteggiare una questione del genere!”
“Centinai di agenti che non sono riusciti a fermarla la prima volta. Centinaia di agenti che non sono riusciti nemmeno a fermare me!” la mia voce si incrinò mentre continuavo a fissare la parete sopra di me.
“Abbiamo te. Sai usare una forma di magia potente!” Cyfer si alzò dalla sedia e venne verso di me.
“E se bluffasse? Lei stessa si è definita una prestigiatrice, e se mi avesse solo fatto credere di essere meno forte di me!”
“Eri in punto di morte, perché avrebbe dovuto bluffare?”
“Perché un prestigiatore non rivela mai i propri trucchi. Forse voleva solo infierire!” dissi con un filo di voce.
“O forse lei tende ad esaltarsi definendosi una prestigiatrice!” ribattè lui sedendosi di fianco a me.
“Ma quale certezza abbiamo noi?” scossi la testa prima di guardarlo. Era seduto come me, le spalle al muro, le gambe rannicchiate vicino al corpo. Era strano vedere Cyfer in quella posizione. Per la prima volta lo vidi come una persona normale e non come l’agente che mi stava alle costole.
“Non ne abbiamo nessuna! Possiamo solo tenerla d’occhio!”
“Se riuscissimo a trovarla!” aggiunsi sempre più sconsolata.
“Senti Mar. A noi insegnano che ogni situazione, per quanto pessima e irrisolvibile possa apparire, ha sempre una soluzione. Magari ci metteremo anni a trovarla, o magari avverrà tra cinque minuti, ma non bisogna arrendersi. Se un’agente si arrende è finita.”
“NOI NON ABBIAMO TEMPO!” urlai presa da uno scatto d’ira “Non ne abbiamo!” ripetei mentre la voce si incrinava. Odiavo farmi vedere da lui in quello stato.
Posai la testa sulle ginocchia per non fargli vedere le lacrime che avevano preso a fuoriuscire dai miei occhi.
“Ce la faremo Mar!”
“E’ colpa mia, capisci?” le parole mi uscirono dalle labbra quasi soffocate, ma non riuscii né a frenarle né a controllarle.
“Io sono caduta nel tranello di Jasmine. Ho accettato il potere che voleva darmi, ho collaborato con lei. Le ho portato Dave. Le ho ceduto il potere quando le serviva per ridare vita al libro. Avrei potuto combattere, come ha fatto Alan. Avrei potuto oppormi, essere fiera di me stessa, perseguire un ideale, l’ideale del libero arbitrio. Potevo scegliere. Ogni scelta che ho preso è stata sbagliata!” allontanai il viso dalle ginocchia e lo guardai. Lui stava in silenzio accanto a me, ad ascoltarmi. Le nostre braccia si sfioravano e improvvisamente non mi vergognavo più a piangere. Mi vergognavo per ciò che avevo fatto, per la mia stupidità, le lacrime e l’umiliazione erano una giusta punizione, anche se forse non era abbastanza per redimermi. Per fare quello avrei dovuto salvare Dave, dovevo mettere a posto tutto quel casino che io stessa avevo creato, ma come potevo ridare la vita a delle persone che l’avevano persa a causa mia. Non potevo più tornare indietro. Mi ero distrutta con le mie mani.
“E’ colpa mia! Tu e Alex avete sempre avuto ragione. Ero divorata dall’odio e dal desiderio di vendetta  di potere. I miei sensi si sono annebbiati così facilmente! Sai…” dissi accennando un sorriso “Dave ad un certo punto è riuscito a resistere alle illusioni provocatogli da Jasmine. Lui è riuscito a vedere la realtà. Io non ci sono riuscita. E lui morirà per questo!”
Dovetti fermare il mio monologo a causa del pianto. I singhiozzi mi squassavano il torace, mi pulsava la testa eppure non volevo smettere. Sentivo che tutto quello era giusto.
“Mar! Mar, ascoltami!” una mano mi strinse con decisione un braccio, mentre l’altra scivolò sotto il mio mento. Con una leggera spinta Cyfer sollevò la mia testa in modo tale che lo guardassi negli occhi. Si era spostato. In quel momento era accovacciato di fronte a me.
Posò la fronte sulla mia e non distolse nemmeno per un istante gli occhi dai miei.
“Non credo sia colpa tua!” disse in un sussurro. Il suo respiro caldo entrò a contatto col mio viso bagnato dalle lacrime facendomi rabbrividire leggermente.
“Credo che Jasmine potesse convincervi in un milione di modi a collaborare con lei. Probabilmente vi avrebbe rapiti, torturati, oppure avrebbe ucciso una ad una le persone alle quale volevate bene!”
“Ma io…” cercai di obiettare.
“Anche se tu vuoi negarlo, voi del bene a qualcuno. A Dave ad esempio. Ti sei affezionato a lui, come anche ad Emily.”
“Non è così!” sussurrai.
Lui fece scivolare un pollice sul mio viso accarezzandolo dolcemente.
“Vi avrebbe costretti a collaborare. Ho visto Jasmine, non è una donna disposta a frenare i suoi piani per qualche piccolo intoppo. Lei vuole arrivare fino in fondo ed ogni metodo è concesso. Tu hai reso le cose solo meno dolorose, sia per te che per Dave!”
“Non è vero!” singhiozzai.
“Lei avrebbe lo stesso trasformato Dave in un mostro, faceva parte del suo piano fin dall’inizio!”
Strinsi i denti “Se io non avessi accettato di riavere il potere non avrei mai ricordato il libro, non lo avrei mai riscritto e non avrei mai preso l’accordo con lei!” la mia voce era poco più di un sussurro, la mia vista era sfocata a causa delle lacrime e la testa mi rimbombava.
“Poteva portarti in punto di morte, Mar. A quel punto avrebbe potuto metterti dentro tutto il potere che desiderava. Avrebbe fatto lo stesso con Dave e poi vi avrebbe costretti a scrivere il libro!”
Rimasi in silenzio osservando i suoi occhi così vicini ai miei. Mi tranquillizzai ascoltando il ritmo regolare del suo respiro e le sue parole calme e rassicuranti.
“Perché dici queste cose? Tu non ti sei mai fidato di me. Come puoi credere che io non sia colpevole?”
“Mi sbagliavo Mar. Tu mi hai salvato la vita e mi hai mostrato di essere una persona in grado di prendere decisioni giuste. Hai avuto un passato insolito che ti ha reso quella che sei, ma nemmeno questa è una tua colpa. Ti sono stati insegnati ideali e valori che per la società sono sbagliati, ma tu ci sei cresciuta in questo modo. Il tuo modo di ragionare è diverso dal mio, ma è frutto di un’infanzia insolita. Non è colpa tua. Tu sei in un certo modo, sei ambiziosa, egoista, sfacciata, insolente, eppure quando è servito sei stata in grado di prendere la decisione giusta!”
Mi raddrizzai un po’.
“Ma quante decisioni sbagliate ho preso prima di quella giusta?” la mia voce era ferma, le lacrime si erano arrestate.
“Chi non commette errori?” nuovamente mi accarezzò il viso.
“Hai mai commesso errori che hanno fatto perdere la vita a delle persone?”
“Col lavoro che faccio Mar? Sì, è successo. Ma non sei tu la causa di tutte quelle morti!”
“Ma quelle decisioni le ho prese ugualmente!”
“Sei stata ingannata!”
Non trovai nulla con cui ribattere. Sentii il peso della colpa sparire gradatamente dalle mie spalle e mi sentii improvvisamente più leggera.
“Sono stata tanto stupida da cascarci!” sussurrai.
“Anche se non fossi stata così stupida, lei avrebbe ottenuto ugualmente quello che voleva!” sorrise e anche le mie labbra si incurvarono leggermente verso l’alto.
“Grazie Cyfer!” rimasi io stessa stupita da quelle parole, ma nel pronunciarle mi resi conto che erano vere.
“Non l’ho fatto per te!” disse senza smettere di sorridere. Le mie labbra si incurvarono sempre di più.
“Ah no? E perché lo avresti fatto allora?”
Lui fece l’espressione di chi la sa lunga.
“Credo che sia perché il senso di colpa ti stava fiaccando, Marguerite Jones. Non eri più ambiziosa, non eri più produttiva, non eri la donna che ho conosciuto. Per salvare la situazione mi serve la ragazza determinata, quella che non si ferma di fronte a nessun ostacolo, quella sicura di se che è riuscita a mettere nel sacco un’intera associazione di agenti ben addestrati!”
“Te compreso!” precisai leggermente divertita. Il suo volto si avvicinò ancora di più al mio.
“Mi serve la ragazza che prendeva tutto come un gioco, perché quella ragazza… quella sì che sapeva come vincere!”
“Mi hai sempre detto ‘questo non è un gioco, Mar’, perché dovresti rivolere quella ragazza?”
“Perché forse questo è un gioco. Jasmine sta facendo le sue mosse e noi stiamo continuando a saltare i turni. Se ti fai sotterrare dal senso di colpa lei vincerà senza nemmeno un tentativo da parte nostra di fermarla. Lei vincerà a questo gioco e noi nemmeno avremo giocato. Dobbiamo rischiare Mar! Non sappiamo se avremo successo o meno, non sappiamo quali informazioni utilizzare e quali no, non sappiamo nulla, ma dobbiamo tentare! Dobbiamo giocare questa partita e mi serve la giocatrice che eri prima. Mi servi tu, la vera te stessa!”
Mi morsi il labbro inferiore sorridendo. Lo feci come un gesto naturale senza doppi fini eppure notai che lo sguardo di Cyfer si era posato sulla mia bocca. Sentii che stava trattenendo il respiro, dopotutto eravamo così vicini. La mia mano raggiunse il suo torace, posandosi su di esso con dolcezza, a palmo aperto.
“Il tuo cuore batte più velocemente!” sussurrai quasi sorpresa dalla cosa.
Lo vidi deglutire, ma non disse una parola.
Fece scivolare una mano dietro la mia nuca e mi spinse verso di se. Il breve spazio che separava le nostre labbra venne riempito e la mia pelle toccò la sua.
Trattenni il respiro per un istante mentre aprivo leggermente le labbra per baciarlo. La sua lingua sfiorò la mia con passione portando all’interno della mia bocca anche un po’ delle lacrime che ancora c’erano sul mio viso. Fu un bacio salato che ci scambiammo con trasporto.
Il viso di Dave mi apparve come una visione, ma cercai di tenerlo lontano. Non avevo bisogno di lui per sapere che quello che stavo facendo era sbagliato, ma sapevo anche di dover sbagliare. Dovevo allontanare la mente da Dave, da Jasmine, dal senso di colpa e da tutte le cose terribili che erano successe. Dovevo farlo se volevo tornare ad essere io, la Mar determinata, la Mar forte. L’affetto che provavo per Dave avrebbe fatto da freno e, indubbiamente mi avrebbe portata a sentirmi in colpa nuovamente.
Dovevo essere forte e il modo più veloce che conoscevo per esserlo era allontanare da me tutti i sentimenti che mi facevano crollare. Lo stavo rifacendo per l’ennesima volta. Stavo ricucendo le ferite della mia anima, stavo ricostruendo la mia armatura, ma quella volta c’era qualcosa di diverso. Non lo stavo facendo per me, non era per egoismo, per vendetta o per il bisogno di avere del potere, lo stavo facendo perché dovevo essere un soldato in quella battaglia. Dovevo sacrificare i miei sentimenti per essere forte ed essere in grado di trovare la soluzione che disperatamente stavamo cercando. Lo stavo facendo per tenere in vita Dave, lo stavo facendo perché era necessario.
La vecchia Mar sarebbe rinata più splendente di prima, ma questa volta sarebbe stata una Mar nobile, non una persona meschina pronta a sfruttare gli altri per far star meglio se stessa.
Per Dave, per tutte quelle vite che ancora potevo salvare.
Immersi le mani nei capelli di Cyfer e lo spinsi all’indietro, cadde dolcemente con la schiena contro il pavimento e io caddi insieme a lui. Ci baciammo a lungo mentre le nostre mani correvano, l’uno sul corpo dell’altra, esplorandoci. I pensieri scivolarono via presto dalla mia mente sostituiti dall’eccitazione e dai respiri accelerati, dal sudore che si stava formando sui nostri corpi ormai nudi e da parole di piacere sussurrate in quella stanza che era considerata piena di relique.
Mi lasciai andare, feci scivolare via tutto, mi persi in quel vortice di passione pura mentre i nostri movimenti si sincronizzavano. Le mie dita correvano sulla pelle di Cyfer, tracciavano i contorni dei suoi muscoli ben definiti. Le sue braccia mi stringevano con forza e desiderio e io mi sentii in pace col mondo intero, mi sentii bene con me stessa per la prima volta dopo tanto, troppo, tempo.

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

Scusatemi per il ritardo. Probabilmente nessuno si ricorderà cos'è successo nel capitolo precedente e non vi biasimo! Non lo ricordo nemmeno io XD! Se posso dare un consiglio a chiunque stia seguendo questa storia: leggetela quando avrò pubblicato tutti i capitoli, possibilmente fatelo riprendendo tutto da capo. Se volete lasciatemi i vostri nomi così vi avviso quando la completerò.
Grazie mille per la pazienza che dimostrate di avere.
Daisy

Cercai di riprendere fiato mentre le mani di Cyfer scivolavano via dal mio corpo. La mia mente pian piano riprendeva lucidità mentre i nostri corpi, stremati, si separavano.
“Dobbiamo andarcene di qui!” disse prontamente Cyfer, alzandosi da terra e andando a recuperare i vestiti. Mi beai per un lungo istante del suo corpo nudo e muscoloso. Aveva delle cicatrici che non avevo notato lungo tutta la schiena il che non faceva altro che renderlo ancora più sexy. Era strano di quanto non avessi mai provato attrazione per lui, era come se i miei sensi fossero stati annebbiati, come se fossi diventata cieca nei confronti del resto del mondo. La cosa più strana era che sapevo in cuor mio le ragioni di tutto ciò. era colpa di Dave. Non mi ero mai resa davvero conto di quanto la sua presenza influenzasse la mia vita, di quando una giornata dipendesse dal suo sorriso o dai nostri piccoli litigi.
“Credi che stia arrivando qualcuno?” domandai alzandomi a mia volta e iniziando a rivestirmi.
“Non so, ma siamo rimasti qui troppo!” era sbrigativo, il tono di voce un po’ teso.
“Senza concludere nulla!” puntualizzai anche se non era propriamente vero. Mi aveva ridato la fiducia in me stessa, oltre che la mia scintilla combattiva. Mi aveva fatto capire che dovevo mettere da parte i sentimenti come il rimorso, la rabbia o il senso di colpa. Solo in questo modo potevo essere produttiva. Eppure non serviva a nulla senza una soluzione al problema Dave.
Uscimmo rapidamente dalla stanza lasciandoci gli appunti di Myria alle spalle. Ripercorremmo a passi svelti la strada al contrario fino a raggiungere l’ampio spazio dominato dalla statua bianca.
I miei occhi furono nuovamente rapiti dalla figura alta e fiera che si stagliava verso l’alto, come a voler sfiorare il cielo. Provai nuovamente il forte impulso di avvicinarmi. Così abbandonai il fianco di Cyfer e mi diressi verso il centro dell’ampio spazio.
“Mar cosa stai facendo?” sussurrò in modo udibile Cyfer. Eppure lo ignorai proseguendo con passo svelto verso la statua. Vedevo solo lei. Era come se i miei occhi si fossero trasformati nell’obiettivo di una fotocamera e stessero mettendo a fuoco solo l’opera d’arte, lasciando sfocato tutto il resto.
“Mar!”
Sentivo i passi svelti di Cyfer proprio dietro di me eppure non mi importava. Quella era una cosa tra me e quella strega del passato, la persona che avevo sognato diverse volte e di cui ormai conoscevo la storia.
Mi fermai di fronte alla statua e ne osservai il viso per un lungo istante. Dopo di che allungai un dito e sfiorai la pietra liscia col polpastrello.
Un lampo di luce mi fece chiudere gli occhi di scatto mentre tutto ciò che avevo intorno scompariva. Mi si contrasse lo stomaco.  Era come se fossi stata scaraventata da qualche parte pur rimanendo completamente immobile.
La luce forte scomparve e potei nuovamente vedere con chiarezza.
Sbarrai gli occhi quando vidi che la statua era scomparsa e che al suo posto vi era una figura eterea eppure più reale di ogni sua altra apparizione. Era avvolta nel lungo mantello nero che sfiorava il piedistallo senza toccarlo davvero. Indietreggiai di un paio di passi sconvolta da quello che stava accadendo di fronte ai miei occhi.
Myria era esattamente la copia a colori della sua statua.
Vedendomi le sue labbra si incurvarono verso l’alto in un sorriso gentile. Fluttuando scese dal piedistallo e si parò di fronte a me.
Trattenni il fiato.
 “Maguerite Jones!” disse muovendo le labbra piene e rosse.
“Myria?” la mia voce tremava leggermente. Non sapevo come affrontare la situazione. Da una parte ero stata presa alla sprovvista dalla sua comparsa, dall’altra il cervello cercava di elaborare la sua presenza e di spiegarmela nel modo più logico possibile.
“Sapevo che questo momento sarebbe giunto e sono davvero onorata di poterti finalmente parlare!”
“Sapevi che sarebbe giunto?” come faceva una persona morta da mille anni sapere che mi avrebbe conosciuta? Respirai profondamente cercando di far lavorare il cervello e di comprendere se quella era un’allucinazione o l’ennesimo sogno.
“Sì. Tu sei l’unica speranza!”
“Io?” mi risultava difficile credere di essere l’ultima speranza, anche se non sapevo bene di cosa.
“Tu hai compreso perfettamente quello che io volevo fare, qual’era il mio obiettivo. Quando ero una bambina assistetti ad una scena piuttosto strana. Ero in piazza e un uomo stava punendo la sua donna perché accusata di tradimento. Le stava facendo del male. Una piccola folla circondava i due senza proferir parola, senza muovere un singolo dito. Si limitavano a bisbigliare ed additare, mentre io ero sconvolta da quello che vedevo. Lui la stava uccidendo e io non potevo permetterlo. Ancora non ero in grado di controllare il mio potere, non avevo ancora scoperto la potenza creativa della magia. Avvenne che liberai il mio potere. Un attimo prima era ingarbugliato dentro di me, in ogni mia fibra, in ogni mia cellula e, l’istante dopo, era esploso al di fuori di me, con una forza incontrollata.
E quell’uomo giaceva a terra morto, a causa mia”
Sospirò, come se per lei fosse dura ricordare quell’episodio.
“Tutti capirono che ero stata io, credo di aver urlato. La gente rimase spaventata e mi cacciò dal villaggio. Mia madre non potè far nulla per fermarli. Mi lasciarono nel bosco, a morire. Fu allora che capii quanto la gente potesse essere spaventata dalla magia e di quanto si può essere crudeli nei confronti di ciò di cui si ha paura. Il loro timore era la loro forza, ma le cose non dovevano per forza andare così. Resi il loro timore la MIA forza. Imparai che mi bastava immaginare per fare magie, lo imparai perché non ebbi nessun maestro fuori, in quella foresta. Ero una bambina e i bambini hanno molta immaginazione. Non mi fu difficile procurarmi un tetto, del cibo. L’unica cosa che mi mancava era la compagnia.
Così vagai di villaggio in villaggio alla ricerca di qualcuno che mi potesse accettare, eppure vedevo gli stessi sguardi diffidenti della gente del mio villaggio. Finchè non vidi altre persone come me. non incontrai maghi o streghe, essi erano pravi nel nascondersi, consapevoli dei rischi che correvano in una società terrorizzata dalla magia. Quelli che si facevano notare erano uomini, donne e bambini che erano stati mutati dalla magia.
Ora devi immaginare i maghi di un tempo come gli scienziati che conosci. Erano curiosi, avidi di sapere, e si credevano superiori agli esseri umani. Li usavano come cavie. Sperimentavano su di essi, ne facevano delle armi. L’obiettivo era quello di creare un esercito, o qualcosa del genere per ribaltare la situazione del mondo e permettere alla magia di uscire finalmente allo scoperto. Ma i maghi non si alleavano tra di loro, erano orgogliosi  e non capivano che l’unione poteva essere la loro forza. Quindi si limitavano a creare piccoli eserciti di ‘mostri’, che alla fine si rivelava vano per lo più esseri incontrollabili. Venivano quindi lasciati liberi di combinare disastri. Lupi mannari, vampiri, fantasmi, esseri metà uomini e metà animali.
Tutte le creature leggendarie di cui hai sentito parlare. Non c’era un limite, se non i metodi stessi.
Vidi la scia di sangue che si lasciavano dietro questi esseri, che non erano altro che esseri umani che avevano avuto la sfortuna di incappare in qualcosa più grande di loro. Vidi com’erano braccati, temuti e decisi che avrei tentato quello che cercavano di fare tutti i maghi senza tuttavia riuscirci.
Volevo insegnar loro come controllare le loro nuove facoltà, come prenderle e usarle per fare del bene. per dirla con i termini moderni, avrei fatto di loro dei supereroi. Volevo trasformare la loro sfortuna in fortuna, renderli speciali, ridar loro una vita. In parte volevo che la gente potesse vedere che dalla magia poteva nascere anche qualcosa di buono, d’altra parte volevo rendere migliore la vita di quegli sfortunati, in modo che non si sentissero mai soli, come mi ero sentita io.
Ma non volevo essere io a controllare i loro poteri, dovevano essere loro stessi a farlo.
Creai una specie di ospedale per questi esseri e vidi che pian piano, con la magia creativa, la cosa stava funzionando. Ma dovevo tutelarmi non solo dagli esseri umani, ma anche dai maghi stessi.
Cosa avrebbero fatto se avessero saputo che tutti i loro esperimenti alla fine riuscivano ed essere controllati? Avrebbero voluto conoscere il segreto e poi lo avrebbero riutilizzato per i loro scopi. avrebbero creato altri mostri e io non mi sarei mai potuta occupare di tutti. Quella cosa doveva finire. Fu così che creai intorno alla mia stessa persona un’aura di malvagità e potenza. Volevo che il nome fosse temuto da maghi ed esseri umani. Dovevano sussurrarlo con timore e reverenza al tempo stesso. Solo in quel modo sarei riuscita a creare una specie di limbo tra le due fazioni, un angolo in cui poter lavorare tranquillamente e in cui diffondere le idee in cui credevo! Fu così che nacque questa associazione.
Eppure sapevo che non il suo reale scopo si sarebbe perso nei secoli.
Guardali adesso. Si sono trasformati in quegli stessi maghi che facevano esperimenti magici sugli esseri umani. Ti hanno studiati. Sono incuriositi dalla magia stessa perché la temono. Non vogliono aiutare persone mutate dalla magia stessa, vogliono studiarli per poter riprodurre tutto ciò. Vogliono ciò che noi abbiamo dalla nascita. Tutto questo abilmente celato dietro il nobile scopo di proteggere gli esseri umani dalla magia stessa. E non ci riescono nemmeno tanto bene. hanno miglia di risorse eppure non riescono lo stesso a trovare persone dotate di potere. Alan si è riuscito a nascondere per anni così come riescono a fare persone molto più potenti di lui!”
“Un gruppo di imbecilli!” sussurrai.
Myria sorrise addolcendo lo sguardo.
“Tu devi essere stata il primo essere magico ad essere capitato qui da tanto tempo, per questo la cosa più importante era sfruttarti!”
“Lo immaginavo, ma perché mi stai dicendo tutto questo?” non riuscivo a capire dove volesse arrivare. La sua storia era senza dubbio emozionante, ricca di particolari, ma dubitavo che lei fosse lì per quello.
“Come ti ho già detto, sapevo che lo scopo si sarebbe perso col tempo. Ero stata maledetta col sangue da Jasmine e una maledizione di sangue può essere rotta solo dal sangue stesso. Naturalmente all’inizio non ci credevo. Insomma, se sei abituata a pensare in termini di magia creativa tutto diventa possibile. Fu così che provai a rompere la maledizione, senza tuttavia riuscirci. Già mi erano sorti dei dubbi quando non ero riuscita ad insegnare a Richard a controllarsi, ma dopo nei fui certa. La magia creativa ha dei limiti, altrimenti chiunque potrebbe essere Dio.
In primo luogo il limite è la quantità stessa. Non puoi far crescere un albero se non che dentro di te il minimo di potere per renderlo possibile. Il secondo limite è l’immaginazione stessa. Se non crei nella tua mente tutti i particolari necessari allora la magia non avverrà.
Il terzo limite sta nella vita e nella morte. Non puoi cambiarli, altrimenti saresti Dio. Richard non ricordava com’era stato maledetto, ma sta in quello il vero segreto per rompere la maledizione stessa. Secondo si tratta di una maledizione di sangue. Quando si usa il sangue la magia perde la sua caratteristica di magia stessa per divenire qualcosa di intermedio tra la scienza e la magia. Diventa qualcosa di più concreto e, come ben sai, più una cosa è concreta più ha leggi che la governano. La magia creativa funziona solo nell’ambito della magia stessa, ma non può intaccare le leggi della fisica. Se è possibile realizzare una magia è perché esse non va contro le leggi, e non ti sto parlando di quelle conosciute, ma anche di quelle ancora sconosciute all’uomo. Se tu riesci a far volare un oggetto solo immaginandolo è perché la natura ha delle massime che ti premettono di  farlo! Una maledizione di sangue è una sorta di trasformazione irreversibile, quindi nemmeno con la magia questo può essere cambiato. Il segue crea un collegamento concreto tra la magia e tutto ciò che non è magia. Amplifica tutto. Rende più potente un rito, ma allo stesso tempo pone ad esso dei paletti. Esistono delle metodologie per controllare il processo o per invertirlo, il problema sta nel trovare queste metodologie.
Io non avevo mai avuto un metodo quindi non sapevo davvero da che parte iniziare. Le ho provate tutte. E’ così che sono riuscita a creare strumenti come quello che loro chiamano amplificatore o…”
“Aspetta aspetta!” la fermai mentre la curiosità cresceva sempre di più dentro di me “Hai creato tu l’amplificatore?”
Myria annuì.
“Era uno dei miei tentativi di rompere la maledizione che mi avrebbe uccisa appena sarebbe nato il mio primo figlio, ma non avendo la più pallida idea di cosa stavo facendo in realtà ho creato appunto qualcosa che aumenta l’ampiezza delle onde emesse dalla magia stessa, ne più né meno!”
“E l’hai creato col sangue?” la mia voce tremava leggermente. Quello era il mio unico modo per contattare Dave, per fargli sapere che ero ancora viva, per aiutarlo a sfuggire all’oblio.
“Sì. So cosa vuoi fare con l’amplificatore, ma ti avverto. E’ estremamente pericoloso! Dave sente il potere, lo percepisce. Più assorbe essenze più il suo senso si affina. Se tu usassi l’amplificatore per contattarlo, lui sentirebbe il tuo potere e ne sarebbe attratto. Potrebbe individuare la tua posizione e da morta non saresti utile a nessuno!”
“Ma io non…” cercai di obiettare.
“Non fare sciocchezze Marguerite! Devi prima trovare il modo per rompere la maledizione, prima di trovarti facci a faccia con David!”
Eppure io non l’ascoltavo più. Lui doveva sapere che ero viva, doveva vedermi, sentirmi. In quel modo avrebbe lottato il mostro ce lo stava divorando dall’interno.
“Quando creai il libro per liberare Richard dal mostro che aveva dentro misi in esso una quantità di potere pari a quella utilizzata per la maledizione stessa, tuttavia in me ne era rimasta una briciola. Come ti ho già detto avevo dalla mia parte la magia creativa. Così creai una sorta di altra me, un ologramma, un fantasma. Chiamalo come vuoi. Qualcosa che ragionasse come me, che ricordasse tutta la mia vita, che potesse sopravvivermi e che vivesse a stretto contatto con la mia essenza. Così in punto di morte, invece che lasciarmi morire nell’istante della nascita, anticipai leggermente il processo. Cedetti il potere rimasto  e la mia stessa essenza ad un oggetto, in attesa di quella persona che avrebbe sistemato le cose!”
“Aspetta stai dicendo che sei morta prima di dare alla luce tuo figlio?” trattenni il fiato.
“Pochi istanti prima!” confermò con sguardo triste e leggermente perso “Giusto per non perdere la mia essenza per sempre!”
“Oddio! E’ come se tu avessi programmato la tua essenza!”
Lei sorrise. “Sì, l’ho programmata per fare esattamente quello che sta facendo ora!”
“Quindi tu sei l’ologramma, il fantasma che sei riuscita a creare con i pochi poteri che ti rimanevano!”
“Esatto!” un’ombra di tristezza le attraversò il volto etereo.
“Perché?” ancora non riuscivo a capire.
“Come ti ho già detto lo scopo dell’associazione si sarebbe modificato e non potevo davvero permetterlo, quindi doveva esserci una parte di  me che potesse contattare qualcuno in grado di riportare le cose al proprio posto!”
“Aspetta aspetta aspetta! Tu credi che quel qualcuno sia io!” quella consapevolezza mi raggiunse in un attivo, con la rapidità di un fulmine lasciandomi interdetta.
“Io lo so. Ho visto in te la potenzialità di comprendere la magia creativa e il valore della vita stessa. Non sbagliavo!”
“Quindi tu mi stai parlando solo per farmi rimettere in riga i tuoi soldatini?” non riuscivo a crederci. La grande e potente Myria che tornava dall’oltretomba per far funzionare quella stupida associazione di deficienti.
“Sapevo anche che prima o poi il mondo avrebbe avuto il problema Jasmine. Questo poteva succedere se e quando il libro sarebbe stato distrutto. Quando avvenne il mio potere si liberò e fu in grado ti riunirsi alla mia essenza, custodita in questo edificio da secoli, mentre Jasmine deve aver imbrigliato il potere usato da Mark in modo da poterlo riutilizzare. E’ quel potere che vi ha ceduto quando voleva che voi ricordaste le parole del libro. Le serviva se voleva ripetere la situazione del passato per aprire una braccia tra le epoche”
“Sei qui per dirmi come risolvere il ‘problema Jasmine’?” ero un po’ sulla difensiva.
“Sono qui per aiutarti a salvare la magia! Se continua in questo modo la magia cesserà di esistere perché sarà imbrigliata tutta dentro di David e un sacco di vite saranno state prese per questo. Devi fermare questo deleterio sterminio!”
“Come? Dimmi solo come!”
“Devi trovare il metodo per distruggere quello che si trova in Dave! Devi trovare la scintilla che inneschi un processo all’incontrario. Devi fare la stessa cosa che ha fatto Jasmine per interferire col passato. Lei ha ripercorso gli eventi al contrario ed è riuscita a creare una breccia! Il concetto è esattamente lo stesso.”
“E se ricreassi il libro, come hai fatto tu?”
“E’ infattibile! Richard non era arrivato a quel punto. Aveva preso meno essenze, quando gli ho estratto il potere era parzialmente ancora padrone di se stesso. Dave è perso, ormai. Raramente è cosciente. Non riuscirai mai a battere un essere del genere, tantomeno a costringerlo a collaborare. Se sarete abbastanza vicini allora tu sarai morta!”
“Se è così letale, come fa Jasmine a controllarlo? Come può riuscire dove tu hai fallito?”
“Lei è una prestigiatrice. Lo sta ingannato. Probabilmente sta celando il suo potere manovrando i suoi sensi!”
“Dave non si è mai fatto ingannare da lei facilmente!” ricordai come riusciva a sopportare il dolore che Jasmine gli faceva credere di provare.
“L’intelligenza di Dave, quella parte che gli faceva distinguere la realtà dalla finzione in questo momento è decisamente inibita!”
“Quindi cosa posso fare?”
“Devi andare in un posto che ti indicherò!”
“Dove?” domandai impaziente.
“Dove credo sia stato maledetto Richard. I luoghi dove vengono liberate grosse quantità di potere vengono in qualche modo marchiati. Recandosi in questi posti è possibile accedere alla loro memoria. Tu devi capire com’è nata la maledizione per riuscire a comprendere quale sia il processo inverso da compiere!”
“Se basta questo, allora perché tu non ci sei mai riuscita?”
“Perché quando l’ho scoperto ormai avevo già creato il libro e quindi non era più necessario!”
“Dov’è questo posto?” ero determinata a portare a termine quel compito e prima lo avrei fatto, meglio sarebbe stato.
“Lo sentirai, la mia essenza ti guiderà!”
“La tua essenza?”
Myria annuì, facendo ondeggiare i suoi capelli lunghi e fiammeggianti.
“Quando hai riavuto i tuoi poteri grazie a Jasmine, la mia essenza ha capito che eri tu quella per la quale era stata lasciata in questo mondo. Tu avresti potuto ridare un vero scopo a questa associazione e solo tu potevi comprendere la magia creativa. Ha visto in te una scintilla di vita simile alla mia. E’ stato così che hai avuto i sogni su di me e su quello che mi era successo. Dovevi essere in grado di capire fino in fondo l’importanza dell’associazione e del pericolo che Jasmine rappresentava. E’ stato sempre grazie a lei che sei sopravvissuta dopo che Dave ti ha privata della sua essenza!”
“Cosa?”
“nell’istante in cui la tua essenza è stata risucchiata da Dave, la mia è entrata nel tuo corpo e ti ha salvato la vita. Quello che una volta era stato il mio potere, quello che avevo usato come collante nel libro è stato attratto dall’essenza ed è entrato in te guarendoti. Qui è rimasto solo il potere che ho usato per ‘programmare’ l’essenza, per rendere possibile questo incontro, oggi”.
“Oddio!” trattenni il respiro “Vuol dire che davvero Dave in un certo senso mi ha uccisa?”
“Esatto!”
“La tua essenza influisce sul mio carattere?”
“In parte. E’ solo una guida, qualcosa che ti spinge a fare ciò che è dettato dalla mia volontà!”
Spalancai la bocca incredula.
“Mi stai dicendo che non ho possibilità di scelta?”
“Ti sto dicendo che questa è la tua unica scelta!”
Non mi andava giù quello che stava dicendo. Mi suonava molto come un’imposizione e non avevo alcuna intenzione di prendere ordini da lei.
“Potrò anche vivere grazie alla tua essenza, ma questo non mi rende te! Non è la mia unica scelta!” ribattei determinata.
“Tu vuoi salvare Dave, e questo è l’unico modo per farlo. Segui la mia essenza e lei ti dirà dove devi andare. Così come prima ti ha spinta a toccare la statua rendendo possibile questo nostro colloquio!”
“E’ per questo che sentivo il bisogno di rendere giustizia alla tua associazione, di far capire a questi uomini che il loro scopo è un altro!” rammentai come mi ero sentita quando Cyfer mi aveva detto lo scopo dell’associazione, pensando che fosse l’obiettivo della stessa fondatrice. “E’ stata la tua essenza!”
Mi portai le mani alla testa sentendomi improvvisamente un burattino manovrato attraverso fili invisibili dalla mano di un fantasma. Rabbrividii.
“Marguerite!” la figura eterea si avvicinò fluttuando a me. Allungò lentamente la mano  e mi sfiorò la spalla. Avrei voluto spostarmi, eppure non mi mossi di un millimetro. Non sentii il contatto, rimasi unicamente a fissarla.
“Mi dispiace.” Continuò con lo sguardo triste “Darti la mia essenza era l’unico modo per farti vivere. Non puntavo ad arrivare a questo, ma lo scopo è più elevato. Ci sono in gioco troppe vite! Non se controllata da me. La preoccupazione per Dave è reale, così come lo è il tuo senso di colpa e la tua determinazione. La mia essenza è solo una guida!”
Feci un passo indietro e la guardai come se fosse pazza.
“Come faccio a sapere quando sono io a decidere o la tua essenza?” sibilai.
“La mia essenza si manifesta come un forte istinto immotivato, come quello che ti ha portato a sfiorare la statua e a difendere lo scopo dell’associazione!”
“Sono istinti ai quali non riesco a resistere! E’ esattamente come se tu mi stessi controllando!” sbottai a denti stretti.
Myria abbassò lo sguardo.
“Non dovevamo arrivare a questo! Mi dispiace Mar. Ma è l’unico modo per farti vivere. La mia essenza doveva essere qualcosa che doveva rimanere a se, esterna a qualsiasi persona. Ma tu sei troppo importante, non potevo lasciarti morire!”
Cercai di calmarmi. Potevo comprendere che non era nei suoi piani il controllarmi, eppure la cosa non riusciva ad andarmi giù.
“Sei una ragazza in gamba!” mi disse guardandomi quasi con ammirazione.
“Come hai fatto a vedere in me la scintilla che animava te stessa? Siamo così diverse! Se non fosse per la tua essenza a me non me ne importerebbe nulla d come opera questa associazione. Sono egoista. Non avrei mai voluto aiutare delle persone come hai fatto tu! Perché io?”
“Perché tu sei l’unica in grado di capire. La mia essenza può anche darti degli istinti, ma tu riesci a comprenderli e a spiegarli. Sei riuscita a capire il vero scopo che aveva la mia missione, non hai provato solo il desiderio di cambiare i principi di questo posto. Tu riesci a capire le mie ragioni e soprattutto la magia creativa. E’ la chiave di tutto. senza di essa io non sarei mai riuscita a fare quello che facevo. Ho bisogno di qualcuno che lo insegni a tutti”.
Mi sarei dovuta sentire lusingata eppure continuavo a credere di essere una pedina in un gioco più grande di me. Quello non doveva accadere. Dovevo trovare un modo per continuare ad agire di testa mia, secondo le mie scelte eppure l’unica pista per salvare Dave era ascoltare l’essenza di Myria. Per il momento non avevo davvero scelta, ma quando l’avrei avuto sarei stata in grado di liberarmi della volontà di Myria.
“E la maledizione che grava sui tuoi figli?” domandai, ricordandomi dell’ennesima maledizione di sangue con la quale avevo a che fare.
“Anche lì esiste un metodo, ma hai anche Jasmine a portata di mano. Se salvi Dave allora avrai sconfitto quella strega e se ci riuscirai allora potrai far in modo che sia lei stessa a rompere la maledizione!”
Annuii.
“Mi dispiace davvero Marguerite! Mi dispiace che tu debba combattere una guerra non tua!”
“C’entra Dave. C’entro io! Questa guerra è anche mia!”
“Mi riferisco al salvare l’associazione da se stessa!”
Sorrisi fissando Myria negli occhi intensamente.
“Fidati Myria, non combatterò mai una guerra che non sia mia!”
Sul suo viso apparve un’espressione preoccupata mentre la sua immagine si dissolveva come nebbia al sole diventando sempre più labile e indefinita.
Improvvisamente un suono acuto mi perforò le orecchie costringendomi a portare la mani su di esse nel vano tentativo di attutire il rumore. Cyfer era dinnanzi a me, il volto teso le mani sulle mie spalle.
“Mar, dobbiamo andare!” urlò. Improvvisamente capii che quel suono era l’allarme. Cyfer mi aveva detto di non toccare la statua per via di quel ‘piccolo’ problema.
“Merda!” sussurrai mentre mi facevo trascinare via da lui. Lanciai un’occhiata alla statua, quasi aspettandomi che non fosse più lì. Eppure la figura di pietra era ancora al suo posto, nella stessa posizione di sempre, come se da lì non si fosse mai mossa.
“L’hai vista anche tu?” domandai dando le spalle alla statua e iniziando a correre.
“Cosa diavolo ti è preso? Sei rimasta imbambolata per diversi secondi!”
Cyfer mi guidò attraverso gli scaffali allontanandoci sempre di più dal centro della biblioteca. Potevo udire in lontananza il suono di diverse voci.
“Ma l’hai vista?” domandai nuovamente ripensando alla figura eterea di Myria.
“Cosa?”
Capii che solo io avevo assistito a quella scena, anche se più ci pensavo più mi sembrava un’allucinazione. Eppure alcune cose che mi aveva spiegato Myria rendevano logici alcuni fatti altrimenti inspiegabili, come il fatto che io non fossi morta.
Finalmente riuscimmo a raggiungere la porta dalla quale eravamo entrati. Cyfer se la chiuse alle spalle prima di fare un profondo sospiro di sollievo.
“Cerca di riprendere fiato!” ansimò poggiando la schiena alla parete “Quando ci vedranno dovrà sembrare che siamo di ritorno da un giro dell’edificio!”
Annuì ed inspirai lentamente mentre le parole mi Myria ancora mi rimbombavano nella testa.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


CAPITOLO 29



Camminammo con calma per i corridoi dell’edificio senza proferir parola. Puntavamo ad allontanarci dalla biblioteca il più possibile. Capivo di aver fatto un enorme errore toccando la statua di Myria, ma se non l’avessi fatto non avrei udito quello che aveva da dirmi. Era stato necessario. Sapevo come far funzionare l’amplificatore e sapevo che quello poteva essere l’unico modo per comunicare con Dave, per fargli sapere che ero viva e che doveva continuare a lottare. Eppure non riuscivo a togliermi dalla mente il suo avvertimento. Secondo lei l’amplificatore gli avrebbe la mia posizione e lui sarebbe venuto a cercarmi per uccidermi una seconda volta. La mia mente cercava di ignorare quelle parole eppure sapevo di non poter rischiare. Se Dave mi avesse trovata prima che io avessi trovato un modo per controllarlo o ancor meglio, di salvarlo, allora sarei definitivamente morta e, a quel punto, non sarei stata utile a nessuno.
Giungemmo in un corridoio stranamente affollato e fummo costretti a rallentare ulteriormente il passo. Decine di agenti camminavano svelti da una stanza all’altra. Qualche voce riusciva a sentirsi al di sopra del brusio. Si trattava di ordini.
“E’ per l’allarme in biblioteca?” domandai a Cyfer mentre lo stomaco si contraeva a causa della preoccupazione.
Cyfer scrutò i colleghi per qualche secondo in silenzio prima di rispondere.
“Non può essere solo quello!” sussurrò più a se stesso che a me.
Aumentò il passo e si buttò tra la folla mentre io cercavo di seguirlo.
“Agente Longboom!” chiamò. Solo allora notai i capelli rossi e corti del segugio e capii che Cyfer si era diretto direttamente verso di lei.
“Cyfer! Dove ti eri cacciato?” la donna socchiuse gli occhi con fare sospetto “Sei sparito da ore, tu e…” posò gli occhi chiari su di me per un lungo istante come se stesse cercando la parola giusta con la quale definirmi “La signorina Jones!” decise infine.
“Facevo vedere a Mar l’edificio!” rispose prontamente lui con voce sicura.
Samantha fece un sorriso sarcastico.
“Far ambientare il nemico nella sua prigione, fargliela conoscere! Non sono sicura di aver avuto i tuoi stessi insegnamenti all’addestramento!” concluse con scetticismo e aria di superiorità.
“Per il momento lei è un’alleata, mi comporto con lei come tale!”
Samantha posò nuovamente lo sguardo su di me “Per il momento…” precisò.
“Che succede?” chiese Cyfer ignorandola.
“Stiamo preparando una spedizione in cui tu non sei coinvolto, quindi si tratta di informazioni riservate!”
Samantha gli voltò le spalle e allungò un braccio per afferrare la maniglia di una porta lì vicino. Cyfer la bloccò circondandole il polso con una mano. Lei si voltò di scatto, i muscoli contratti e lo sguardo di fuoco, prima di calmarsi vedendo che nessuno la stava aggredendo. Doveva essere un riflesso incondizionato di una persona abituata a difendersi in ogni occasione.
“Che spedizione?” il tono di voce di Cyfer non ammetteva repliche. Era riemerso il leader che era in lui e non potevo non ritenermi fortunata nel sapere di avere come mio alleato una persona di un grado così elevato all’interno dell’associazione.
“Lasciami andare Cyfer!” Samantha mosse abilmente il braccio e si liberò dalla presa di Cyfer. Gli diede le spalle lanciandogli un’ultima occhiata minacciosa e oltrepassò la porta. Cyfer la seguì rapidamente ed io entrai subito dopo di lui.
“Agente Longboom!” un uomo sulla quarantina si avvicinò a noi col fiato corto “E’ tutto confermato, le coordinate, gli orari. Se la squadra viene mandata adesso arriverà in tempo!”
Samantha strinse la mascella.
“Bene! Preparate gli elicotteri!”  ordinò.
“Ommiodio!” capii improvvisamente. Samantha si voltò verso di me. Incontrai i suoi occhi e li incatenai ai miei come da sempre avevo saputo fare. “L’avete trovato!” la mia voce era appena un sussurro.
Samantha spalancò gli occhi incapace di nascondere la sorpresa.
Cyfer digrignò i denti. “E’ quello che sospettavo!” disse prima si superare a grandi passi Samantha e dirigersi verso l’uomo che le aveva dato quelle informazioni.
“Avete trovato Dave!” ripetei. Più lo dicevo più la felicità cresceva dentro di me. Se riuscivamo a prendere Dave e sbarazzarci di Jasmine saremmo stati già alla metà dell’opera.
Samantha riprese a camminare, dirigendosi verso Cyfer e l’uomo di cui non conoscevo il nome. Rapidamente le corsi dietro e riuscii a pararmi di fronte a lei bloccandole la strada.
“Perché ci stai tenendo fuori?” domandai.
“Ordini dall’alto e levati  di mezzo. Come Cyfer ti ha già spiegato chiaramente ci serve solo che tu faccia un altro passo falso e ti inietteremo con piacere litri di sedativo!” il suo sguardo era minaccioso.
Mi venne voglia di sfidarla a farlo, ma non dovevo essere imprudente se volevo essere utile.
“Non riuscirete mai a uscirne vivi senza di me!” precisai.
“Come l’ultima volta, vero signorina Jones?” era tornato il tono professionale. Era come se avesse imparato a memoria la lezione e non vedesse l’ora di esporla alla perfezione.
“L’ultima volta sono quasi morta, ma non si può dire la stessa cosa per i dodici agenti. Loro sono morti, senza il quasi!” sbottai.
“Stiamo perdendo tempo!”
“Avevamo un accordo!” sibilai “Io, lei e Cyfer! Dovevamo essere solo noi, cos’è cambiato?”
Vidi Cyfer che continuava a discutere con l’uomo e pregai che riuscisse a estrapolare qualche informazione in più di me.
“E’ cambiato che nessun nemico arriva qui e detta legge. Davvero credevi che bastava offrirti volontaria per qualche esperimento e subito dopo tutta l’agenzia avrebbe fatto quello che credevi? Se sei ancora cosciente lo devi solo a Cyfer, ma il resto dell’associazione si sta muovendo Marguerite e, che ti piaccia o no, sta costruendo al rete nella quale finirai prima o poi. Eri e sei una minaccia, questo non possiamo dimenticarlo!”
“Dave è una minaccia maggiore al momento!” mi ci volle tutta la concentrazione per mantenere un’apparenza di calma “Quindi, al posto di muovere una guerra nei miei confronti permettetemi di essere lì!”
Samantha scosse la testa.
“Ho ricevuto ordini precisi e tu e Cyfer siete fuori dalla missione!”
Strinsi i pugni cercando di trattenermi dall’aggredirla, se lo avessi fatto mi sarei condannata da sola e non potevo essere stupida fino a quel punto.
Vidi Cyfer dirigersi a grandi passi verso di me, lo sguardo determinato, ma cupo al tempo stesso, mi afferrò il braccio e quasi mi trascinò via senza che nemmeno riuscissi a dire una parola.
“Ci vogliono tagliare fuori!” sbottai quando fummo abbastanza lontani da Samantha.
“Lo so!” disse semplicemente lui, mentre una piccola folla di agenti camminava intorno a noi, andando in direzioni diverse. Il vociare era quasi insopportabile. Ognuno aveva qualcosa da fare, tutti sapevano dove andare.
“Come puoi accettarlo? Hanno ingannato anche te!”
“Non lo sto accettando!”
“Cosa?” non riuscivo a capire dove voleva arrivare. Continuava a far vagare gli occhi, studiando le persona che lo circondavano e persino le pareti stesse. Sembrava assente eppure ormai conoscevo Cyfer e sapevo che stava valutando ogni possibilità, ogni dettaglio, tutto con rapidità e precisione.
“Dobbiamo uscire!”
“Uscire?” ancora non capivo, ma mi lasciai ugualmente trascinare dalla sua presa salda sul mio polso,oltre tutta quella gente. Prendemmo le scale e ci dirigemmo verso il piano superiore. Non correvamo, ma il nostro passo era veloce.
“Cyfer, per uscire non dovremmo scendere invece che salire?” azzardai mentre continuavamo ad andare verso l’alto, piano dopo piano. Cercavo di ignorare il furioso battito del mio cuore, il respiro affannoso e l’ansia che stavo provando.
“Tutto l’edificio si sviluppa sotto terra, quindi per uscire l’unico modo è salire!” mi spiegò sbrigativo.
“Sotto terra?”
Doveva essere davvero stato un lavoro immenso costruire quel posto. Era davvero immenso e non doveva essere stato facile. Inoltre, se avessi tentato la fuga non sarei riuscita ad andare proprio da nessuna parte dato che sarei andata automaticamente verso il basso.
Finalmente raggiungemmo quello che poteva sembrare un piano terra. Dalle finestre entrava la luce del sole mattutino e noi ci precipitammo verso la porta. Potevo vedere oltre i vetri un grosso spiazzo nel quale si trovavano almeno una mezza dozzina di elicotteri. Al limitare di esso vi erano solo alberi. Non mi fu difficile immaginare dov’eravamo. Mi trovavo nel bosco che avevo visto nei sogni che mi aveva dato Myria. L’agenzia non si era mai mossa dalla sua sede originaria, si era ampliata, era mutata, eppure era rimasta lì.
Due agenti erano fermi davanti alla porta. Cyfer si diresse a passo spedito verso di loro.
“Signor Cyfer, al momento non può passare!” disse uno di loro con voce ferma.
“Chi l’ha ordinato?” ribattè Cyfer senza far trasparire alcuna emozione.
“Il Signor Dush!” rispose l’agente.
“Molto bene!” ribattè quasi comprensivo Cyfer.
Non riuscivo a capire la ragione di tutta quella accondiscendenza da parte sua, non aveva alcun senso. In più la rabbia che avevo dentro pian piano cresceva. Dush ci aveva presi in giro. Aveva usato le mie informazioni e poi aveva messo da parte sia me che Cyfer perché sapeva che avremmo agito a modo nostro, senza seguire le sue regole, ma soprattutto sapevo che voleva mettere davvero le mani su Dave, per studiarlo. Un essere come lui era unico, si trattava di un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
“Mar!” mi chiamò Cyfer distogliendomi dai miei pensieri.
“Sì?”
“Ricordi quando ti ho minacciata di sedarti con le mie mani quando hai attaccato Samantha nel centro amministrativo dell’associazione?”
Sorrisi istintivamente al ricordo. Samantha meritava quello e altro.
“Sì, ricordo!”
“Dimentica la mia minaccia!”
Rimasi esterrefatta. Tutto accadde in un secondo. I miei occhi incontrarono quelli determinati di Cyfer e capii che non stava assolutamente scherzando.
Mi venne naturale sorridere. Assaporai quell’attimo di libertà prima di chiudere gli occhi con un’espressione di pura beatitudine stampata sul volto.
Immaginai l’aria attorno a me muoversi secondo il mio volere. Mi figurai i due agenti che venivano scaraventati all’indietro con violenza fino ad andare a finire contro il vetro.
Ero autorizzata a fare il passo falso che mi avrebbe messo tutta l’associazione contro, ma non mi importava. Ne avevo abbastanza di tutti loro.
Spalancai gli occhi e un istante dopo i due agenti volarono all’indietro andando a sbattere contro il vetro, prima di accasciarsi a terra come addormentati.
“Andiamo!” disse sbrigativo Cyfer oltrepassando al porta. Fuori dall’edificio c’erano diversi agenti che, allarmati dal trambusto da me provocato, si stavano dirigendo verso di noi con le armi cariche.
“Fermi o sparo!” avvertì uno di loro. Non ebbi più bisogno delle parole di Cyfer per sapere cosa dovevo fare. Immaginai che le armi volassero via dalle mani di tutte quelle persone e non controllai nemmeno se era successo, sicura che la magia avesse funzionato. Arrivarono altri agenti.
Uno di loro mi afferrò il polso bloccandomi. Immaginai la temperatura della mia pelle aumentare a dismisura. L’uomo sgranò gli occhi mentre io lo guardavo insofferente, dopo di che spalancò la mano trattenendo un urlo. Lo spinsi con forza di lato, riuscendo ad andare avanti. Intanto Cyfer aveva ingaggiato un corpo a corpo con due agenti privi di armi. Se la cavava piuttosto bene, evitava i colpi e subito dopo li assestava con precisione. Nonostante la sua mole, riusciva a muoversi con agilità.
Scaraventai solo figurandomelo nella testa, i due agenti lontano da lui e lo affiancai.
“Non ti stai mettendo contro la tua adorata associazione?” domandai con una piccola punta di sarcasmo, mentre altri agenti correvano verso di noi urlando avvertimenti che decisi di ignorare.
“E tu non stai operando al di sotto delle tue capacità?” il tono di voce era fermo, solo un po’ alterato dal fiato corto, dovuto alla fatica del combattimento di poco prima.
“Hai ragione!” dissi senza smettere di sorridere. Usare i poteri mi faceva sentire bene, completa in qualche modo. Ero nel mio elemento e nulla di quello che c’era fuori mi poteva in qualche modo turbare.
Immaginai un’enorme onda d’urto partire da me ed estendersi tutto intorno.
“A terra Cyfer!” dissi semplicemente prima di completare la scena presente nella mia mente.
Un istante dopo un boato scosse l’aria e decine di agenti si ritrovarono stesi a terra, privi di coscienza.
Inspirai e mi godetti il panorama per un secondo, mentre Cyfer si rimetteva agilmente in piedi.
“All’elicottero!” urlò prima di iniziare a correre verso il velivolo più vicino, scavalcando i corpi privi di sensi.
Il rumore di uno sparo si propagò nell’aria. Sgranai gli occhi mentre il cuore mi batteva sempre più forte. Cercai Cyfer e vidi i suoi occhi saettare da una parte all’altra alla ricerca del cecchino.
Si udì un altro colpo che quasi fece fermare il mio cuore per lo spavento. Sussultai.
Cyfer aveva tirato fuori la sua pistola, ma non aveva arrestato la sua corsa verso il velivolo. Non sembrava ferito. Feci un sospiro di sollievo. Immaginai una barriera intorno a noi, un muro invisibile che fosse impenetrabile dai proiettili.
Altri colpi. Quella volta più di uno, segno che non miravano più solo ad arrestare la nostra corsa, ma a fermarci completamente.
“Cosa sta accadendo? Tu sei un loro agente, perché ti vogliono morto?”
Cyfer strinse la mascella mentre si arrampicava per raggiungere il posto di guida sull’elicottero.
“E’ partito il protocollo alpha!”
Si sentirono altri spari e mi si contrasse nuovamente lo stomaco per la paura, anche se sapevo che eravamo comunque protetti grazie alla mia barriera.
“Protocollo alpha?” urlai per sovrastare il rumore delle pale che si mettevano in movimento mentre mi sedevo accanto a lui.
“Il protocollo che indica la presenza di nemici all’interno!” spiegò brevemente lui. Presi le cuffie e me le misi sopra le orecchie.
“Traditori!” dissi tra me e me.
“O prigionieri che fuggono via!” precisò lui.
“Io sono una prigioniera, ma tu?” non riuscivo davvero a capire i meccanismi di azione di quell’agenzia. Non aveva alcun senso sparare ad un proprio agente e nemmeno all’unica persona dotata di potere che avessero mai avuto tra le mani.
“A quanto pare non ero un libero agente!”
Il velivolo si staccò da terra ondeggiando e prese quota.
“Quanto vantaggio abbiamo?” domandai guardando oltre il vetro del finestrino e vedendo che lo spiazzo si stava riempiendo di agenti pronti a prendere gli altri velivoli ed inseguirci.
“Dieci minuti al massimo!”
Strinsi la mascella osservando le sagome che si muovevano frenetiche sotto di noi.
Immaginai chiaramente ogni singola pala di ogni singolo elicottero sotto di me. erano così reali che se avessi teso la mano avrei potuto toccarne la superficie. Avrei potuto sentire il freddo metallo scorrere sotto le mie dita con dolcezza. Immaginai che esso si fratturasse in più punti.
Guardai oltre il finestrino e in quell’attimo tutte le pale si ruppero di diversi pezzi. Vidi i frammenti cadere al suolo e gli agenti spostarsi per non essere colpiti da essi. Sorrisi involontariamente mentre mi prendevo gioco di tutte quelle persone. Come poteva un’associazione del genere non essere pronta alla fuga di un essere come me? Volevano studiare le persone dotate di potere eppure non sapevano nemmeno come impedire ad uno di loro la fuga.
Sentii che dovevo rendere giustizia a Myria. Non era questo quello che lei voleva per la sua agenzia, quello per il quale aveva dato la vita prima che suo figlio nascesse. Sapevo che quei sentimenti erano dettati dalla sua essenza, eppure li sentivo reali, quasi come se fossero miei.
D’altra parte ero completamente disgustata da tutti quegli uomini. Mi sembravano soldatini alla mercè di un uomo che voleva solo il potere. Non volevo avere nulla a che fare con loro.
“Credo che siamo riusciti a guadagnare tempo!” dissi semplicemente, senza smettere di sorridere.
Cyfer mi guardò con la coda dell’occhio.
“Che hai fatto?”
“Ho rotto i loro elicotteri! Dove stiamo andando?”
Mi piaceva lavorare con Cyfer. Anche dopo una sparatoria lui era estremamente tranquillo come in quel momento. Doveva aver sopportato davvero un duro addestramento per non lasciarsi prendere dal panico. Per me era diverso. Io ero estremamente sicura di me e delle mie capacità, avevo avuto paura, ma sapevo anche che il mio scudo sarebbe stato impenetrabile, quindi non avevo mai temuto veramente per la mia vita.
“Dove Brown mi ha detto di andare!”
“Brown?”
“L’uomo con cui ho parlato mentre tu eri con Samantha! Pare che abbiano fatto una serie di controlli incrociati e che si emerso un unico bersaglio possibile per il prossimo attacco!”
“Stiamo andando lì?”
“Esatto!”
“Agente Cyfer, è in ascolto?”
Una voce metallica raggiunse le nostre orecchi tramite le cuffie.
“Signor Dush!” lo salutò con educazione Cyfer senza perdere la concentrazione.
“Lei è consapevole di aver infranto tutte le regole, i codici e i protocolli dell’A.P.M.?”
“Sissignore! Lei invece sa che ha appena sparato contro uno dei suoi migliori agenti?”
Seguì un minuto di silenzio in cui vidi Cyfer contrarre la mascella e i muscoli delle braccia per eseguire una virata.
“Sapevamo che nessuno di quei colpi sarebbe stato fatale!” disse infine Dush “Dato che la signorina Jones l’avrebbe protetta egregiamente!”
Cyfer fece una risata falsa.
“Però ha tentato ugualmente. Non sono stupido signore. Vuol dire che secondo lei c’erano delle possibilità di colpirci. Perché lo ha fatto? Credevo avessimo un accordo!”
Vedevo che Cyfer non era contento della cosa. Probabilmente non aveva approvato i metodi usati negli ultimi tempi dall’associazione, aveva dubitato del fatto che Dush lasciasse la missione totalmente nelle sua mani, eppure non si aspettava un’estromissione come quella che era avvenuta. Non si aspettava un tentativo di fermarlo così radicale.
“Agente Cyfer, lei non comprende nemmeno lontanamente cosa avevamo in mano quando la signorina Jones era sotto il nostro controllo. La semplice e pura conoscenza. Potevamo arrivare dove nessun altro uomo è mai arrivato, ma è stata una fortuna che lei abbia ripreso conoscenza perché senza non avremmo mai saputo del pericolo che sta incombendo su tutti gli esseri come la nostra signorina Jones, senza contare la presenza di un essere straordinario come Sullivan. In un certo senso mi sono sbagliato a trattare come ho fatto la signorina Jones, ma lei deve capire che, dopo quello che lei ha raccontato sulla strega e sulle capacità del ragazzo,l il caso non può essere lasciato unicamente in mano a lei, alla signorina Jones e all’agente longboom. Per affrontare un problema del genere è necessaria l’intera associazione al completo!”
“Questo posso capirlo, ma perché escludermi totalmente? Questo è il mio caso!”
“Le ragioni sono semplici agente Cyfer. In primo luogo l’ultima spedizione contro la strega è costata la vita a dodici uomini, e lei era a capo della missione. Mi comprende se le dico che non posso correre il rischio che una cosa del genere si ripeta nuovamente vero?”
Vidi la mano di Cyfer stringersi sopra la cloche, le nocche sbiancarono tuttavia mantenne un tono calmo.
“No signore. Non volevo dirigere l’operazione, ma quantomeno farne parte!”
“In secondo luogo, lei è troppo coinvolto a livello emotivo!”
“Coinvolto a livello emotivo?” nel tono di voce di Cyfer c’era incredulità davvero mal celata.
“Lei ha passato parecchio tempo in casa Sullivan. E’ opinione generale del  consiglio dell’ A.P.M. che lei si sia legato al ragazzo, alla ragazza e all’ex agente Greenwood. Non riuscirebbe quindi ad essere obiettivo!”
“Sta scherzando vero?”
“Siamo tutti consapevoli di come le stesse a cuore la salute della signorina Jones quando l’ha portata all’agenzia!”
“Era coperta di sangue dalla testa ai piedi!” sibilò senza più nascondere la rabbia.
“E le stanno anche molto a cuore le sorti di Dave Sullivan!”
“Mi stanno a cuore le vite che potremmo salvare, cosa che a lei praticamente non importa. Le dico io cosa penso. Perso che lei mi voglia togliere dal caso perché sono un intralcio ai suoi piani. Lei vuole trovare il ragazzo e studiarlo. Non gli interessa della vita di tutte quelle persone!”
“Si sente agente? Lei è troppo coinvolto!”
“Edward!” un’altra voce si sostituì a quella di Dush, un tono più profondo che fece sbarrare gli occhi a Cyfer.
“Che c’è?” sbottò, abbandonando ogni tentativo di nascondere la rabbia.
“Edward abbiamo un accordo da proporti!” disse la voce sconosciuta. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Mi sembrava assurdo.
“Avete in mente un accordo?” anche Cyfer era scettico.
“La tua amica Marguerite ha distrutto tutti i nostri elicotteri e quindi non abbiamo alcuna possibilità di raggiungere il luogo dove avverrà probabilmente il prossimo omicidio. Tu e lei siete gli unici ad aver la possibilità di intercettare Jasmine e il ragazzo!”
Sentii improvvisamente che quella non era la direzione giusta. Sentivo che ogni singola cellula del mio corpo mi costringeva ad andare in una direzione diversa, come se lì ci fosse stata la mia salvezza. Cercai di togliermi quella sensazione di dosso e di prestare nuovamente attenzione alla conversazione.
“Interessante. Pare che comunque la missione sia interamente nelle mie mani, ma non ero troppo coinvolto?” ribattè con sarcasmo Cyfer.
“Non è il momento di fare il moralista Edward. Sei l’unica possibilità. Se riuscite a prendere il ragazzo, dovete assolutamente portarlo alla sede centrale. Se lo farai non ci saranno conseguenza al tuo colpo di testa di oggi. Tornerai ad essere un agente e la signorina Jones sarà libera di andare!”
“Hanno tentato di uccidermi!” sibilò Cyfer.
“Uno spiacevole inconveniente. Era scattato il protocollo Alpha, non importava a nessuno dell’identità del traditore!”
“Io non mi definirei un traditore!”
“Stavi facendo evadere la signorina Jones, quando avevi precisi ordini che ti impedivano di farlo!”
“Non si è trattata di un’evasione. Mi sono solo ripreso il mio caso, secondo l’accordo che ho fatto con Dush!”
La sensazione che quella fosse la direzione sbagliata si faceva sempre più forte e riuscivo sempre meno a concentrarmi sulla conversazione tra Cyfer e lo sconosciuto con il quale sembrava aver così tanta confidenza. Dentro di me crebbe sempre di più la convinzione che si trattasse dell’essenza di Myria. Lei aveva detto che mi avrebbe guidata verso il luogo in cui avrei potuto capire come avesse avuto origine la maledizione di Richard, ma in quel momento avevo altre priorità. Non potevamo assolutamente deviare, eravamo ad un passo dal trovare Dave. Cercai di ignorare quel fastidioso istinto.
“E’ un’evasione Edward. Quella ragazza non metterà mai più piede in quell’edificio!”
“Non possiamo consegnarti Dave! Lo studiereste e basta, senza cercare di salvarlo!”
L’interlocutore di Cyfer si mise a ridere.
“Ecco un’altra ragione per la quale il caso ti è stato tolto. Non sei più in grado di eseguire gli ordini senza  fare domande o senza contraddire. E’ lo stesso atteggiamento che aveva l’agente Greenwood ed è stato radiato. L’unica possibilità che hai di uscirne pulito e di avere salva la vita è consegnare il ragazzo!”
“Mi stai minacciando?” il tono di Cyfer era glaciale, così tanto che mi trovai a rabbrividire mentre l’istinto di cambiare direzione pian piano si affievoliva.
“Dico solo che non posso più salvarti!”
“E quando mi avresti salvato?”
“Prima! Gli spari che hai sentito erano colpi lanciati in aria. Nessuno mirava a colpirti. Serviva solo a spaventarti e a farti capire quanto ti fossi spinto oltre con il tuo gesto!”
Cyfer rimase per qualche istante in silenzio.
“Non posso più fare eccezioni Edward, non posso fare favoritismi. Se rifiuti l’offerta sarai fuori dall’associazione per sempre, ma non potrai vivere la vita tranquilla che ha Alex Greenwood. Tu sarai considerato un nemico e come tale ti daremo la caccia e ti troveremo!”
“Mi faresti davvero questo?”
“Non mi lasci altra scelta!”
Cyfer deglutì un paio di volte mentre evidentemente valutava la situazione.
“Come posso fidarmi della tua parola?” domandò con attenzione.
“Edward, come puoi non fidarti della parola di tuo padre?”
Sgranai gli occhi e la bocca e guardai Cyfer come stordita. Lui evitò i miei occhi concentrandosi sul cielo dinnanzi a noi.
“Affare fatto, Papà!” disse l’ultima parola con un pizzico di ribrezzo.
“Ben fatto, figliolo!” rispose la voce “Tienimi aggiornato!” aggiunse semplicemente prima di chiudere la comunicazione.
“Papà?” domandai incredula mentre l’istinto dettato dall’essenza di Myria era scomparso del tutto.
“Te l’ho detto che è il principale azionista dell’associazione!”
“E questo gli da il diritto di dare ordini?” domandai esterrefatta.
“Questo gli da il diritto di fare dell’agenzia qualsiasi cosa lui voglia!”
“Stai scherzando vero? Quindi quando dicevi che i metodi ultimamente utilizzati non ti piacevano ti riferivi ai metodi di tuoi padre?”
“A dire la verità non credevo che lui fosse così tanto coinvolto. Lui è azionista in non so quante aziende e lo vedo sempre molto preso da esse. Il suo unico interessa nella A.P.M. sono io, o almeno così credevo. Pensavo lasciasse la gestione a Dush, ma a quanto pare non è così!”
“Non avrai davvero intenzione di consegnare Dave vero? Perché te lo impedirò in tutti i modi!”
Lo guardai  con determinazione e con sguardo minaccioso. Lui sorrise debolmente, rilassando i muscoli tesi dalla chiacchierata con suo padre.
“Glielo consegneremo, ma solo dopo che lo avremo salvato e privato delle sue facoltà!”
Sorrisi, felice di non aver ancora perso il mio unico alleato.
“Quando sarà praticamente inutile ai loro scopi!” precisai.
Cyfer sorrise a sua volta.
“Esatto!”

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


CAPITOLO 30
 
Ti ho tradita.
Ho tradito la tua memoria, Mar.
Io ti amo eppure ti ho fatto questo, come ho potuto?
Mi faccio paura sai? Mi guardo allo specchio e non mi riconosco. Vedo solo un ragazzo dalla pelle grigiastra, vedo le occhiaie, lo sguardo spento, le labbra screpolate e non riesco a credere di essere io.
Io non sono così.
Io sono peggio.
Sono un mostro, ma il mio aspetto suggerisce altro. Sembro un ragazzo affamato, solo, ma io non sono questo.
Se la gente potesse vedere cosa sono forse scapperebbe e forse io riuscirei a non ucciderla.
Oltre a tradirti una volta, nel peggiore dei modi, l’ho fatto un’altra volta.
Che dico? Un altro centinaio di volte.
Mar ricordo il suo volto vagamente, ancor più vagamente di quanto ricordi il tuo e non so se gioire o meno per questo.
La verità è che non posso gioire. Come posso farlo con le mani così tanto imbrattate di sangue?
Non riesco più a vivere in questo modo. Lui è sempre più forte. Lui era felice di prendersi quella ragazza.
Io non lo ero, ma ho i vaghi ricordi che appartengono al mostro ed è come se lo avessi fatto io.
Urlava sai? Posso ancora sentire la sua voce rimbombarmi nelle orecchie.
Si dimenava sotto di me, voleva che la lasciassi andare.
Lo avrei fatto Mar, se fossi stato lì. Ma al mio posto c’era Lui. E a lui non importava.
Io non so perché l’abbia fatto, credevo che il suo unico obiettivo fosse uccidere e impadronirsi delle anime che adesso sento pulsare dentro di me, eppure lo ha fatto.
Come se fosse costretto.
Credo che neppure lui sia libero, Mar.
È prigioniero dei suoi istinti e quel che è peggio, è prigioniero di quella donna.
Nessuno di noi è libero. Lui è imprigionato nel mio corpo e preme per uscire.
Io vorrei spegnermi perché sono prigioniero di questa vita, che vita non è. Voglio riunirmi a te, Mar.
Voglio rivedere il tuo sorriso. Voglio immergere le mie mani nei tuoi lunghi capelli neri come la notte. Ricordo vagamente quanto fossero setosi.
Voglio dimenticare la chioma color carota della ragazza con la quale ti ho tradita.
E’ come se avessi infangato la tua memoria dopo averti uccisa.
Non voglio più stare in questo mondo.
Voglio morire.
Ma se muoio chi fermerà Lui?
Lei?
Non può controllarlo ancora a lungo, lo sento. Lui è ogni giorno più forte, si è reso conto che alcune cose che fa sono frutto di costrizione, come stare con quella ragazza.
Lui vuole liberarsi di me, tanto quanto vuole liberarsi di lei. Lui è forte e ce la farà prima o poi.
Io devo impedirlo.
Ma sono così stanco di lottare…
 
 
“Dave!” urlai mentre un’immagine sfocata riempiva il mio campo visivo. Si trattava di una ragazza dalla pelle molto chiara. Il naso e parte delle guance erano cosparse di lentiggini e, ad incorniciarle il volto, c’era una cascata di capelli crespi color carota.
La ragazza aveva le lacrime agli occhi e si dibatteva con tutte le sue forze.
Urlai con tutte le mie forze e l’immagine sparii. Al suo posto comparve il cielo scuro. Ritornarono i rumori esterni e io mi ritrovai seduta sul sedile del passeggero dell’elicottero accanto a Cyfer.
“Dave si è di nuovo messo in contato con te?”
Inspirai a pieni polmoni cercando di calmarmi. Il ritmo del mio cuore era accelerato. Quei viaggi nella testa di Dave in qualche modo mi rassicuravano sulle sue condizioni, ma allo steso tempo mi facevano sentire impotente. avrei voluto urlare per farm sentire da lui, dirgli che ero viva e che stavo lottando per lui e con lui. Volevo dargli speranza.
Cercai di calmarmi. Lo avrei visto entro poche ore. Lo avremmo trovato e avremmo fermato Jasmine.
Non sapevo come, ma sapevo che l’avremmo fatto.
“Credo di sì! Ma non è Jasmine che rimarrà incinta!” dissi semplicemente cercando di riprendere il controllo delle mie emozioni.
“Cosa intendi dire?” vedevo chiaramente che Cyfer era teso e non potevo biasimarlo. Ci eravamo cacciati in un bel guaio scappando in quel modo dalla sede centrale dell’ A.P.M. ma cos’altro avremmo potuto fare?
“Prova  a riflettere! Jasmine ha bisogno di un figlio di Dave, ma ha anche bisogno di essere vigile quando lui sarà in punto di morte, perché deve estrapolargli tutto il potere dal corpo. quindi non può essere lei la donna che darà alla luce il bambino! Come potrebbe partorire e allo stesso tempo essere abbastanza cosciente da sottrarre il potere a Dave? Non potrebbe! Dev’essere una cosa che ha detto a me per farmi soffrire maggiormente!”
“Sta usando un’altra donna?”
“Sì!” risposi semplicemente mentre ripensavo alla ragazza che disperatamente si dibatteva. Deglutii pesantemente, ma non riuscii a togliermi di testa la sensazione di conoscere quella ragazza.
“Chi?” domandò Cyfer.
Improvvisamente la riconobbi e mi chiesi come mai non me ne fossi accorta prima. ci ero cresciuta insieme a quella ragazza. L’avevo odiata, la trovavo irritante e insopportabile, eppure l’avevo vista crescere.
“E’ Caren Dity!” sgranai gli occhi mentre pronunciavo quel nome rendendo improvvisamente il tutto più reale. Sembrava che Jasmine stesse creando una sorta di coreografia perfetta. Stava usando tutte le persone che in qualche modo erano legate al libro ‘Gioco di sguardi’.
Prima c’era stato Alan, poi io e Dave, infine aveva tirato in mezzo Robert. Mancava un’ultima persona all’appello, se escludevo i tre bambini che vivevano con noi, e quella persona era Caren Dity.
“Caren Dity viveva nella casa di Alan Black, vero?”
Annuii.
“Esattamente! Dopo lo scontro con Alan è praticamente sparita dalla faccia della terra, fino ad oggi!”
“Non è propriamente vero!” precisò Cyfer.
“Che intendi dire?”
“Che l’abbiamo trovata noi! Dopo la vostra battaglia, quello che stavate facendo non era più tanto un segreto. Alex ci ha informati, le autorità ci hanno informati. Insomma abbiamo preso in mano noi il caso. Eravamo noi ad assicurarci che Alan rimanesse in carcere per parecchio tempo senza esplicitare cosa aveva fatto. Insomma portare in tribunale la magia non è un bel modo per vincere un caso!”
“L’agente Stone!” esclamai ricordando l’uomo che aveva portato avanti l’accusa al processo di Alan Black.
“Esatto!”
“Ma cosa c’entra tutto questo con Caren Dity?”
Cyfer sospirò.
“Come hai ben capito lo studio della magia è uno degli obiettivi dell’associazione stessa. Nessuno di voi aveva più potere, ma rimanevate comunque delle persone che erano state intaccate da esso. Volevamo scoprire se il potere aveva in qualche modo modificato il vostro DNA. Naturalmente non potevamo prendere e portarvi in un laboratorio, o forse l’agenzia non era ancora così spregiudicata come l’hai vista, secondo me è stata la tua presenza a cambiarla in modo radicale. Il tuo potere rappresentava qualcosa di assolutamente nuovo e sorprendente e credo che ne siano rimasti accecati.
In passato invece ci siamo limitati unicamente a studiare vostri capelli, o piccole porzioni di sangue!”
“Stai scherzando?” ero incredula. Non potevo credere di non essermene accorta.
“No purtroppo. Ma cosa c’era di male. Era per il bene della scienza e non intaccavamo la vostra salute, come non vi mettevamo in pericolo in alcun modo.
Ci adoperammo per cercare tutti coloro che erano entrati in contato con Alan Black. I nostri scienziati si sono finti medici per visitare queste persone e vedere come l’influenza di Alan le aveva mutate!”
“E cosa avete trovato?” mio malgrado ero davvero curiosa di conoscere i risvolti scientifici di una cosa che a me veniva naturale quanto respirare.
“Nulla. Quelle persone prendevano le decisioni autonomamente. Nessuna area del loro cervello era stata mutata permanentemente. Era come se fossero stati convinti da una persona molto insistente a fare delle determinate cose!”
“Anche le persone automatizzate?”
“Sì anche loro! Naturalmente non siamo mai riusciti ad esaminare qualcuno automatizzato in quel momento, ma solo persone che avevano subito l’automazione in passato, ne abbiamo studiato le conseguenze, su di Emily, ad esempio!”
“Siete arrivati fino ad Emily?” in quel momento mi sentii quasi braccata. Insomma, quegli agenti erano sempre stati così vicini e io non me ne ero mai accorta.
“Ci hai sottovalutati Mar. Noi ci siamo lasciati mettere nel sacco da te, ma tu allo stesso tempo sei stata messa nel sacco da noi!”
“Tecnicamente non è così. Vi do solo il merito di essere stati prudenti!”
“Userei più la parola ‘invisibili’!” precisò con un piccolo sorriso orgoglioso.
“Te lo concedo! Ma cosa c’entra tutto questo con Caren?”
“Bè, la cosa più sconvolgente era come persone come Caren o Robert, che non avevano poteri, riuscissero comunque ad influenzare le decisioni della gente, e come, dopo la distruzione del libro non ci riuscissero più! Abbiamo rintracciato Caren e lei non aveva un tetto sopra la testa, così si è offerta come oggetto di studio, in cambio chiedeva solo un pasto caldo e un letto!” Cyfer mi lanciò un’occhiata severa, come a farmi capire che mi considerava colpevole di quella condizione di Caren.
“Ci ha traditi Cyfer! Mi ha consegnata nelle mani di Alan senza remore! E’ l’unica ad esserne uscita del tutto illesa. E’ stata dietro le quinte, non voleva sporcarsi le mani!”
“Come Jasmine!”
Mi bloccai un attimo soppesando le sue parole.
“Esattamente come Jasmine!” dissi tra me e me, sorpresa dalla veridicità di quelle parole.
“Avete trovato voi Caren, o è stata lei a trovarvi?” domandai a bruciapelo, mentre un’intuizione stava prendendo lentamente forma nella mia testa.
“E’ stata lei!” anche Cyfer sembrava un po’ sorpreso dalla cosa, come se non avesse mai ritenuto fondamentale quel dettaglio fino a quel momento.
“Ma la vostra associazione è segreta!” precisai.
“Caren sicuramente non aveva le possibilità di scoprire la nostra esistenza!” confermò Cyfer, il volto contratto in un’espressione pensosa.
“A meno che, qualcun altro non gliela rivelasse. Qualcuno che sapeva dove cercare! Jasmine, ad esempio!” dissi eccitata da quell’illuminazione.
“Credi che Jasmine l’abbia mandata da noi?”
“Noi sappiamo che tra la rottura del libro, con la conseguente liberazione di Jasmine, e la comparsa della strega nella mia vita, sono passati diversi mesi. Sappiamo che in questo periodo di tempo Jasmine ha raccolto informazione sulla vostra associazione. Era a conoscenza della sua esistenza e sapeva anche il modus operandi. Inoltre ha appreso il luogo in cui si trovava Alan e si è spacciata per il suo avvocato. Infine sappiamo che non ama mettersi in gioco, ama stare dietro le quinte a dirigere i giochi e studiare nuovi trucchi, per questo ha mandato avanti qualcuno!”
“Caren Dity!” confermò annuendo Cyfer “E’ stata cacciata perché colta a frugare in zone ad accesso limitato!”
“Questo darebbe ragione alla mia teoria!”
“Esatto. Quindi Caren e Jasmine sono in qualche modo alleate da mesi!” Cyfer si fece pensieroso.
“Alleate è una parola grossa. Diciamo che Jasmine si è servita di lei, fino a renderla la madre perfetta per il bambino di Dave!”
Rabbrividii al solo pensiero di quello che sarebbe accaduto a Dave quando il bambino sarebbe nato.
“Credo che ancora però non sia rimasta incinta, altrimenti Jasmine non l’avrebbe fatta stare ancora con Dave!”
Tirai un breve sospiro di sollievo.
“Siamo quasi arrivati!” mi informò Cyfer dopo qualche minuto di silenzio “Lo troveremo!” aggiunse con determinazione.
 
Ucciderò ancora Mar. Ci stiamo muovendo.
Devo fermarmi.
Ma non posso.
Ah! le loro essenze sono così inebrianti. Non vedo l’ora di saziarmi con una di esse.
Ah! La sento. Ci stiamo avvicinando.
Adoro pregustare l’istante prima della morte.
 
“Ci stiamo avvicinando!” quasi lo urlai mentre mi costringevo a rompere il contatto con Dave. Il mio stomaco era chiuso mentre l’elicottero atterrava sull’elisuperficie di un palazzo. Rabbrividii ripensando a come i pensieri di dave si fossero tramutati in quelli del mostro. Forse io ero stata in grado di udirli perché lui aveva aperto precedentemente un canale con me.
“Come fai a percepirlo?”
Cercai di frenare il respiro accelerato.
“I nostri contatti sono più frequenti, e riesco a sentire anche Lui!” rabbrividii al sol pensiero.
L’ultima volta che mi ero trovata con quello che Dave considerava un’entità esterna che abitava il suo corpo ne ero uscita quasi morta. Sentire nuovamente la sua voce, anche se nella mia testa aveva risvegliato quei ricordi e, con essi la paura per quell’essere tanto potente quanto privo di scrupoli.
“Dobbiamo sbrigarci, sta per attaccare di nuovo, sente il potere che si avvicina!”
Cyfer annuì, afferrò la pistola e la mine nella fondina prima di precedermi sulle scale antincendio del palazzo. Lo seguii senza emettere nemmeno un suono, sperando di riuscire davvero a salvare una vita quella volta.
Le scale scorrevano veloci sotto i miei piedi. Saltava i gradini, mi aggrappavo alle ringhiere per avere maggiore stabilità. Il vento mi sferzava il volto facendo volare i miei capelli. Raggiungemmo la strada ma non ci fermammo a prendere fiato. Entrambi sapevamo che il tempo era poco.
Corremmo lungo i marciapiedi evitando le persone per quanto la nostra velocità ci consentisse di farlo.
Io potevo sentire l’eccitazione del mostro-Dave. Era come se, a quella distanza ravvicinata, la nostra connessione si fosse fatta più intensa.
Potevo sentirlo combattere. Dave stava lottando con tutte le sue forze per impedire l’omicidio. Potevo sentirlo aggrapparsi al mio nome, ripeterlo infinite volte, come una litania. Eppure non potevo lasciarmi coinvolgere totalmente. Non potevo entrare nei suoi pensieri, non potevo immergermi in essi completamente, dovevo rimanere lucida, ma soprattutto dovevo correre.
Non sentivo più le gambe a causa dello sforzo, ma non mi importava. Dovevamo salvare una vita e prendere Dave.
 
Mar, ti prego dammi la forza.
Mi serve la tua forza.
Ti prego Mar, non mi abbandonare!
Non voglio uccidere ancora!
Mar lo sento! Sento il potere farsi sempre più vicino. E’ così intenso.
Mar, non voglio che lui prenda il sopravento.
MAR!
 
Cercai d togliermi la voce di Dave dalla testa.
“Non c’è più tempo!” urlai a Cyfer. Lui aumentò l’andatura.
Io immaginai che le nostre gambe non sentissero più la fatica e che andassero più veloci. Un secondo dopo io e Cyfer sfrecciavamo per le vie della città più rapidamente di qualsiasi altro essere umano.
“Mar, che stai facendo? La gente non deve notare quanto disumana sia la nostra velocità!” urlò Cyfer con urgenza.
Strinsi i denti e tornammo alla velocità iniziale.
Non saremmo mai arrivati in tempo.
 
Mar!
Si è arrestato. Non sono mai stato tanto lucido quanto lo sono in questo momento. Cosa sta succedendo?
 
Vidi attraverso gli occhi di Dave le spalle di Jasmine. I lunghi capelli neri le danzavano con ordine sulla schiena. Di Caren non c’era traccia. Si trovavano di fronte ad una casa, probabilmente la stessa ala quale eravamo diretti noi.
Non sent più il potere. Oddio, Mar, sento meno la sua presenza. E’ come se fosse da qualche parte dentro di me a pensare!
 
Potevo sentire la sua gioia. Sorrisi a mia volta. Era riuscito in qualche modo a fermare il mostro che c’era in lui. Non avrebbe più ucciso.
Mi venne da ridere, ma il riso mi si bloccò in gola.
 
Cosa sta succedendo?
Mi sento strano, Mar!
E come se la sua determinazione stesse crescendo dentro di me.
Oddio Mar! Cosa vuol dire? Non mi sono liberato di lui.
Non posso fargli prendere il sopravvento!
Non voglio uccidere!
Ah, ma questo è un potere enormemente maggiore. E’ così chiaro che mi chiedo come ho fatto a non percepirlo prima.
Mille volte maggiore.
Ah! Inebriante!
 
Vidi in lontananza la casa che avevo già visto attraverso gli occhi di Dave. Potevo distinguere la sagoma alta di Jasmine, il suo portamento fiero.
 
Non ho mai sentito un potere tanto intenso e tanto coinvolgente. Da che parte arriva?
Ah, sto per fare il banchetto migliore della mia vita.
 
Il cuore iniziò a battermi a mille mentre vedevo Dave in lontananza voltare lentamente la testa verso di me.
 Solo allora compresi che era stata davvero una pessima idea quella di andare in quel posto. Io non potevo controllarlo, forse potevo battere Jasmine, ma lui era totalmente posseduto da quel’essere che alla fine non era altro che lui stesso.
Seppi che le sue pupille erano rosse come il sangue. Anche se era ancora lontano seppi che il suo volto era trasfigurato da un ghigno malefico. Potevo quasi immaginare la sua lingua percorrere il contorno della labbra che avevo baciato così spesso.
Il cuore mi si fece pensate mentre per l’ennesima volta mi chiedevo come tutto quello fosse potuto accadere. Come poteva un ragazzo come Dave trasformarsi in un mostro del genere?
 
Ah! Così vicino!
 
Rabbrividii sapendo che si riferiva a me. Sentivo i suoi occhi posati su me e Cyfer. Fui presa dalla paura e l’unica cosa che volevo era scappare il più lontano possibile da lì.
Immaginai che Cyfer inciampasse e un attimo dopo lui cadde a terra lungo disteso. Mi lanciò uno sguardo carico di sorpresa, aveva ancora il respiro corto.
 
In quell’istante seppi che Dave si stava muovendo rapidamente verso di noi attratto dal mio potere. Il cuore mi rimbombava nelle orecchie impedendomi di essere completamente lucida. La paura mi annebbiò il cervello. Afferrai una caviglia di Cyfer e chiusi gli occhi pronta al peggio.
Immaginai di trovarmi sulla cima dell’edificio dove avevamo lasciato l’elicottero. Lo vedevo con chiarezza. Strinsi maggiormente gli occhi e tesi i muscoli pronta all’impatto con Dave.
Impatto che non avvenne.
Aprii gli occhi e li spalancai ancora di più per la sorpresa. Cyfer era ancora con la pancia a terra e la mia mano circondava ancora la sua caviglia, eppure eravamo entrambi sull’elisuperficie.
Mi portai una mano sul cuore, come se quel gesto potesse servire a calmarlo. Mi alzai in piedi e mi guardai attorno, come se mi aspettassi di veder comparire Dave da un momento all’altro. Del ragazzo però non c’era alcuna traccia.
“Cosa diavolo credevi di fare?”
Sbottò Cyfer arrabbiato nella mia direzione.
“Dobbiamo andarcene!” dissi con voce tremante continuando a guardami furtiva in giro. Salii sull’elicottero con le mani tremanti mentre Cyfer mi fissava sconvolto.
“Muoviti!” urlai con una nota di disperazione nella voce.
Sentivo ancora su di  me lo sguardo assassino di Dave e ne ebbi paura. Sapevo che poteva ancora seguire la traccia del mio potere, come un segugio. Mi poteva ancora trovare. Dovevamo andarcene da lì. Non sarei riuscita a teletrasportarci di nuovo. Quel briciolo di lucidità che avevo avuto quando avevo pensato a quel posto era svanito, totalmente. Non sarei stata in grado di immaginare un  bel nulla.
Guardai con occhi supplici Cyfer che si riscosse e decise di salire al posto di guida. Con mani tremanti afferrai le cuffie e me le misi sulle orecchie.
“Che diavolo è successo?” Mi domandò Cyfer mentre il velivolo prendeva quota.
Non avevo la forza di rispondere. Continuavo a ricordare la sensazione provocata da Dave mentre mi privava della mia essenza nello scantinato di Jasmine, mentre si prendeva la mia vita. Rammentai il suo sorriso sadico e le pupille rosse.
Rabbrividii continuando a rimanere immersa in quei ricordi così spaventosi.
 
Fuori controllo.
Mar. Era fuori controllo.
ERO fuori controllo.
Perdonami.
E’ riuscito a disobbedire a Jasmine. Lei gli diceva di entrare in quella casa eppure lui non l’ha fatto. E’ corso verso un’altra fonte di potere. E io non esistevo Mar.
Non ero neppure una piccola parte di Lui.
Era inebriato. Attratto inequivocabilmente dal potere.
Ha corso veloce, ma questa volta non è riuscito ad avere la sua anima.
Chiunque fosse il proprietario di quel potere è stato furbo, è la prima volta che succede.
Questa persona è in salvo Mar, ma non per merito mio.
Mar quando ho sentito tutto quel potere la sua volontà coincideva con la mia.
Lui voleva uccidere, ma anche io. Io non c’ero perché ero Lui, totalmente e completamente.
Di solito è come se fossi uno spettatore, ma non questa volta.
Mi è sembrato di vederti sai? Lì, a qualche decina di metri da quella casa. Era buio, ma ho visto de sagome. Una di loro aveva tutto quel potere che m ha fatto perdere la testa.
Lo ha usato almeno un paio di volte. Ogni volta avrei voluto sottrarglielo,m ma quella persona è più furba. Ha capito che sono pericolosa ed è fuggita via.
Ora la sua traccia magica è scomparsa. Forse dopotutto una vita è stata risparmiata.
Spero che ne vengano risparmiate tante altre.
Mi aggrappo a quella piccola visione che ho avuto oggi di te per non scivolare nell’oblio.
Sai qual è la cosa più strana però?
Che ti ho vista mentre io ero Lui, mentre le nostre menti erano un tutt’uno, mentre bramavo più di ogni altra cosa quell’essenza. Ti ho vista chinata sul corpo della seconda persona sdraiata a terra.
Avevi i lunghi capelli che ti ricadevano sul viso. sono esattamente come li ricordo. Almeno questo particolare ancora non l’ho dimenticato.
Ma non volevo sfiorarteli dolcemente.
Volevo solo avvicinarmi a te e prenderti tutta l’essenza che hai.
Solo che non eri tu, non è a te che ho risparmiato la vita, ma ad una sconosciuta.
La tua essenza vive qui, dentro di me, finchè non riuscirò a togliermi la vita.
Sì, Mar. Ho preso una decisione.
Oggi ho capito che io e il mostro siamo la stessa persona. Io sono lui e lui è me. Se lui uccide uccido anche io, ma se io muoio, anche lui morirà con me.
Devo solo trovare il modo.
Aspettami, sto arrivando.
 
“Cyfer, vuole uccidersi!” esclamai col fiato corto, mentre il panico si impadroniva di me.
“Mi vuoi dire cos’è successo?” chiese per l’ennesima volta mentre volavamo attraverso il buio della notte.
“Ha sentito il mio potere! Ci stava per attaccare!”
Cyfer sgranò gli occhi.
“Come ho fatto a non capirlo?” sembrava si stesse auto rimproverando.
“Non dovevamo andare da lui senza sapere come contrastare Dave!”
Cyfer annuì con convinzione mentre io pian piano riprendevo al calma.
“Dobbiamo andare in un posto Cyfer, un posto dove posso scoprire com’è nata la mutazione a cui è soggetto Dave!” ero determinata.
“Non possiamo rientrare nella biblioteca!” disse lui, pensando ch mi riferissi a quel posto.
“Non torneremo lì, ma devi fidarti di me!”
Cyfer mi lanciò un’occhiata di intesa. Gli sorrisisi automaticamente. Era confortante avere qualcuno su cui contare, soprattutto dopo quello che era successo poco prima.
Gli raccontai quello che avevo visto quando avevo toccato la statua di Myria, gli riferii le sua parole e lui capì perché dovessi raggiungere il luogo in cui Mark aveva modificato Richard. Dovevo accedere alla memoria di quel posto per poter capire e per trovare la scintilla che avrebbe fatto avvenire tutto il processo all’incontrario, facendo in modo che Dave tornasse ad essere Dave.
 Cercai di levarmi di dosso la sensazione di paura che avevo provato quando Dave aveva tentato di prendermi l’essenza per la seconda volta, eppure essa non spariva mai del tutto. a volte si affievoliva mentre altre si intensificava, ma era sempre lì, inquietante e onnipresente.
Forse era perché adesso lui mi stava cercando. Aveva sentito tutto quel potere, le 100 umm di cui mi avevano parlato e dubitavo che vi avesse rinunciato. I suoi sensi erano all’erta e sapevo che non avrebbe avuto pietà di me, come non l’aveva avuta l’ultima volta.
Dovevo fare tutto ciò che andava fatto.
Con determinazione fissai il cielo buio dinnanzi a me e cercai di concentrarmi sull’essenza di Myria.
“Vira di 5 gradi a est!” dissi con precisione, mentre lasciavo che quell’istinto non mio mi dicesse dove dovevo andare.

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