Wash away

di vali_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The sound of silence ***
Capitolo 2: *** She finds beauty where there is no one ***
Capitolo 3: *** I want to break free ***
Capitolo 4: *** Then you begin to make it better ***
Capitolo 5: *** Bring hope when all seems hopeless ***
Capitolo 6: *** Eyes full of language ***
Capitolo 7: *** Can you show me where it hurts? ***
Capitolo 8: *** All she wanted was to make you proud ***
Capitolo 9: *** I know the sun must set to rise ***
Capitolo 10: *** Sometimes you can’t make it on your own ***
Capitolo 11: *** Connected ***
Capitolo 12: *** The diary we carry with us ***
Capitolo 13: *** First step ***
Capitolo 14: *** Heat of the moment ***
Capitolo 15: *** But you're crying, you're crying now ***
Capitolo 16: *** Can’t get away from the magnet ***
Capitolo 17: *** The best thing ***
Capitolo 18: *** Making his eyes kind for me ***
Capitolo 19: *** Can't get no love without sacrifice ***
Capitolo 20: *** Say something ***
Capitolo 21: *** When the levee breaks ***
Capitolo 22: *** The only one that I have ever known ***
Capitolo 23: *** Together we stand, divided we fall ***
Capitolo 24: *** Sad eyes ***
Capitolo 25: *** A world I used to know before ***
Capitolo 26: *** Pictures of you ***
Capitolo 27: *** Your stairway lies on the whispering wind ***
Capitolo 28: *** Kiss me hard before you go ***



Capitolo 1
*** The sound of silence ***


Storia scritta senza scopo di lucro. Tutti i diritti di Supernatural e dei suoi personaggi descritti in questo racconto sono di proprietà di CW e Warner Bros. L'immagine utilizzata come banner è una modifica di una fotografia trovata in internet, perciò appartiene ai rispettivi proprietari. 

 
Wash away

 
Capitolo 1: The sound of silence
 
Beneath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed
By the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence
 
(The sound of silence – Simon and Garfunkel)

 
La linea bianca che divide la carreggiata gli sembra pressoché infinita, lunga e diritta di fronte a sé. Le uniche luci in quella strada buia, priva di qualsiasi lampione, sono i fari della sua piccola a cui dà gas, giusto per sentire un rumore diverso dal silenzio che lo circonda. Lei immediatamente risponde facendogli le fusa e Dean sorride sentendo quel suono familiare, quello che di più fra tutti lo rincuora da qualche mese a questa parte.
 
Abbassa appena la radio per poter ascoltare meglio quel rombo gioioso, il saluto della sua fedele compagna di viaggio e accelera un po’, per farla correre nel silenzio della notte che li avvolge.
 
Annusa l’aria intorno a sé: l’odore di terra e umidità che ha addosso invade l’intero abitacolo e, sebbene abbia bisogno di una doccia, Dean finisce per prendersela comoda, rallentando il passo. E’ stanco ed è tardi, l’ennesimo motel malconcio in cui alloggia non è molto lontano e sebbene suo padre dovrebbe starlo ad aspettare proprio lì, stanotte preferisce la compagnia della sua instancabile macchina, che nonostante sia un insieme di pezzi d’acciaio e un motore, è molto meglio di quella nuvola di totale solitudine in cui sembra essere sprofondato ultimamente.
 
Finisce per rientrare con qualche minuto di ritardo rispetto al tempo previsto, ma è comunque troppo presto per i suoi gusti. Si ferma al distributore di bevande fuori dalla sua stanza e inserisce un paio di monete. Ha bisogno di bere, qualcosa che abbia meno alcol possibile tra le sue componenti.
 
Ultimamente ci sta andando giù troppo pesante e, per quanto non è qualcosa che di solito lo preoccupa, stanotte deve restare vigile. E poi, in tutta franchezza, neanche quello riesce ad aiutarlo negli ultimi tempi, perciò tanto vale rimanere sobri. 
                                                        
Da un po’ di tempo ormai, quando è da solo – troppo spesso – e la giornata è andata particolarmente di merda, parcheggia davanti al primo bar che incrocia sulla strada e si ferma a bere. Lo fa finché non sente la gola bruciare, fino a quando sta per sentirsi male e al solo alzarsi in piedi gli gira la testa. E uno come lui, abituato ad ogni tipo di alcolico, per sentirsi così deve bere parecchio. Un mese fa ci ha speso tutti i soldi che era riuscito a vincere in una partita di biliardo con uno sfigato in un bar del Nord Carolina e quando è tornato nella sua stanza – Dio solo sa come ha fatto -, ha vomitato anche l’anima, finendo col sentirsi anche peggio.
 
E’ per questo che ultimamente neanche l’alcol sembra avere l’effetto sperato su di lui, neanche quello sembra riuscire a coprire il silenzio che lo circonda, così opprimente, così ancorato nelle sue ossa. Quando torna in sé, il silenzio piomba di nuovo ed è tutto anche peggiore di prima.
 
Il tonfo della bottiglietta d’acqua caduta dall’apposita spirale che l’avvolgeva in precedenza lo desta da quel pensiero. Si abbassa per afferrarla dall’apertura in basso, svita il tappo e la porta alla bocca bevendone un lungo sorso. La richiude e prende le chiavi, per poi entrare all’interno della sua stanza.
 
Ne osserva i dettagli con attenzione, quasi vi entrasse all’interno per la prima volta: la carta da parati dalla fantasia quasi psichedelica, la muffa sul soffitto, la porta del bagno cigolante, la finestra – rotta e malandata, da cui ogni notte riesce ad entrare uno spiffero di vento freddo che gli arriva fin sotto le coperte, destandolo dal sonno leggero e lasciandolo con gli occhi spalancati per ore -, l’odore di chiuso che sembra intriso nelle pareti di quella stanza malridotta e gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
 
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi.
 
Si avvicina a quello che per qualche giorno ancora forse sarà il suo letto e osserva quello vuoto accanto al suo.
 
Avrebbe dovuto incontrarsi proprio qui con suo padre, ma sono quasi le quattro di mattina e di lui neanche l’ombra. Afferra il telefono dalla tasca della giacca e compone il numero velocemente, avvicinando poi l’orecchio all’apparecchio.
 
Risponde la segreteria telefonica di John Winchester. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.
 
Dean preme il tasto rosso e butta il telefono sul letto, sospirando sconfitto. Non ha senso lasciare un messaggio in segreteria a qualcuno che non lo ascolterà mai, perché da un po’ è proprio questo che sta facendo suo padre. Non che sia mai stato attento a certe cose, ma ora sta esagerando: sembra voler uscire con ogni scusa, anche le più improbabili e ogni volta che Dean lo chiama, per un motivo o per l’altro, John non risponde e quando lo vede – magari dopo giorni e giorni di assenza – lo liquida con un semplice e definitivo avevo da fare, senza aggiungere altro.
 
Si toglie la giacca e appoggia anche quella sul letto, sospirando nuovamente; abbassa lo sguardo verso la camicia verde militare che indossa e può notare una costellazione di macchie di sangue che si allargano in tutto il tessuto. Alza la testa piegandola leggermente all’indietro e impreca mentalmente contro quel maledetto bastardo che gliel’ha rovinata così tanto; se la toglie borbottando qualcosa di poco gentile nei suoi riguardi, buttandola poi nel cestino. C’è troppo sangue per poterla considerare quantomeno recuperabile.
 
Da quando Sammy ha deciso di prendersi una vacanza, suo padre spesso e volentieri se ne va da solo lasciando Dean a fare ricerche, il compito che fino a qualche mese fa era di Sam, ma non stavolta. Dean aveva un caso serio, dopo tanto tempo, e nonostante quel figlio di puttana gli abbia rubato notti di sonno e distrutto una camicia, è finito all’Inferno insieme a tanti altri vermi come lui ed è questo che conta.
 
Si dirige in bagno passandosi una mano sulla fronte; avrebbe tanta voglia di andare a dormire, ma non lo farà finché suo padre non sarà rientrato. Questa storia dura da troppo tempo ed è ora di smetterla di comportarsi così, come se fosse solo lui quello ferito dal comportamento di Sam.
 
Da quando lui non c’è, il silenzio regna sovrano tra Dean e suo padre, così come la consapevolezza di entrambi che non tornerà indietro. Ha fatto la sua scelta e dovranno accettarla, volenti o nolenti, ma è dura, per John ma soprattutto per Dean che ha sempre considerato quell’unico fratello come la parte più importante della sua vita, e ora si sente quasi gettato via, come se Sammy si fosse liberato di lui ed è un pensiero che gli fa male, che gli crea più dolore di quanto voglia ammettere.
 
Si fa una doccia veloce – gli occhi chiusi sotto il getto dell’acqua, cercando di portare la mente il più lontano possibile dai quei pensieri – e si mette addosso qualcosa di pulito: una maglietta nera, una camicia a quadri verde e celeste, un paio di jeans slavati.
 
Passa davanti allo specchio ed osserva la sua immagine riflessa. Il suo aspetto è leggermente meno curato del solito: due occhiaie visibili anche a chi non lo conosce, gli occhi arrossati per la stanchezza e la barba lunga di due giorni. Nonostante abbia avuto un caso, non ha sentito il desiderio di radersi. Più che altro non ne ha avuto voglia e quel filo di barba in più lo fa sembrare appena più grande. Nonostante non sia uno che porta male l’età che ha… anzi. A ventiquattro anni – quasi venticinque – è ancora sulla piazza e riesce a mietere parecchie vittime.
 
Il cigolio della porta che si apre lo fa scattare fuori dal bagno. E’ ancora fuori per metà, suo padre, e quando si richiude la porta alle spalle lo osserva attentamente, i suoi occhi sempre più stanchi e più spenti. «Ciao figliolo».
 
Dean lo guarda con attenzione. «Dove sei stato?»
«A fare un giro». John gli dà le spalle e si avvicina al letto, appoggiandovi il borsone. Dean lo osserva, la schiena piegata in avanti e sebbene avrebbe una gran voglia di urlargli di rimettersi in sesto e smetterla di fare il ragazzino offeso – con lui poi, che non ha assolutamente niente a che vedere con le scelte del fratello –, questa gli passa immediatamente.
 
E’ così ogni volta. Quando lo vede tornare, l’unica cosa che può fare è ringraziare il cielo e, sebbene lo veda stanco e distrutto, senza nessuna voglia di parlare né consolare nessuno, non gli viene neanche il pensiero di “rimproverarlo” per qualcosa. Dovrebbe farlo, dovrebbe essere egoista e pretendere da lui un po’ di comprensione, perché non è il solo ad essere stato abbandonato da Sam. Anzi, lui avrebbe fatto di tutto pur di farlo restare. E in fin dei conti suo padre non ha mai consolato Dean, in nessun modo. E’ sempre stato lui, fin da quando era piccolo, a mettergli la mano sulla spalla quando era in difficoltà, quando vedeva cose che nessun essere umano dovrebbe mai vedere, mentre quello che doveva fare era solo essere un bambino. Uno come gli altri.
 
Dean non è mai stato egoista nei confronti della sua famiglia. Non come fanno in molti, non come forse dovrebbe essere. Non come ha fatto Sam.
 
John si volta verso di lui. «Dobbiamo andare».
 
Dean annuisce. In questo momento ha solo voglia di dormire, ma ehi, evidentemente non è la sua giornata. «Abbiamo un caso?»
«No. Mi ha chiamato Jim».
 
Dean sgrana gli occhi. James Davis, per gli amici Jim, un cacciatore dell’età di suo padre - anno più, anno meno -, è una delle persone più strane che Dean abbia mai conosciuto in vita sua. Non ha mai provato una grande simpatia nei suoi confronti.
 
«Jim? Non lo senti da secoli, è ancora vivo?» si siede sul letto e infila le scarpe allacciandone poi le stringhe. 
 
«Sì, a quanto pare. Sono tre anni che non si fa vivo, ma mi ha chiesto una mano per una faccenda piuttosto delicata».
Dean aggrotta le sopracciglia, cercando di dare un senso a quella frase. «Definisci piuttosto delicata».
«A dire il vero, non ne so molto. Ha detto che vuole raccontarmi di persona perché è sparito per così tanto tempo, dice che sarà una cosa… evidente».
 
Dean annuisce, piegando gli angoli della bocca verso il basso in una smorfia. Sistema le poche cose che ha, raccogliendole velocemente, prende il suo borsone e via, altro giro altra corsa.
 
Si avvia alla macchina – una Chevrolet Impala del sessantasette, lucida e splendente, l’oggetto più caro che Dean possiede e che ha ereditato proprio da suo padre – e si appresta a seguire il suo vecchio che da qualche mese viaggia su un pick-up nero, un modello abbastanza recente.
 
Dean ha sognato che quella macchina fosse sua per anni. E’ la sua casa, è la cosa che più gli ricorda la sua famiglia, chissà per quale strambo motivo. Forse perché non ha mai avuto un vero tetto sulla testa – non dopo Lawrence – e quel veicolo, i sedili di pelle e la carrozzeria lucida, il posto dove ha passato forse la maggior parte delle notti della sua intera esistenza, ha l’aspetto di una casa molto più di quanto lo abbiano quattro mura e tante tegole ammassate una sull’altra. Quando ha compiuto sedici anni e suo padre gli ha insegnato a guidarla, gli è sembrato un sogno. Per non parlare di quando, pochi mesi prima, John si è deciso a concedergliela, dicendogli che era grande e non poteva sempre stare appresso a lui, che lui e Sam si sarebbero trovati meglio con una macchina tutta per loro e quando gli ha lanciato le chiavi dicendogli semplicemente «Tieni, è tua» a Dean si è bloccato il respiro per l’emozione.
 
Peccato che adesso la guidi da solo, senza nessuno che possa rimproverarlo perché va troppo veloce o perché ascolta la musica ad un volume troppo alto per quelle fragili orecchie da ragazzina.
 
Non c’è più nessun battibecco dentro l’Impala. Né tra Sam e suo padre, né tra lui e Sammy. Solo tanto assordante silenzio, coperto a malapena con il rombo del motore e il volume della musica, così alto per cercare di sovrastare quello dei pensieri, ma non sempre Dean ci riesce.
 
Entrambi guidano a lungo, uno dietro l’altro, e quando arrivano a Westcliffe, Colorado, nel luogo indicato da Jim, è già tarda sera. John parcheggia il pick-up davanti ad un enorme edificio, chiaramente abbandonato, che ha le sembianze di una vecchia casa di ricconi o un albergo. Dean fa altrettanto e osserva quel luogo soprapensiero, prima di scendere sbattendo lo sportello e riconoscere la macchina del vecchio Jim parcheggiata poco più in là.
 
John bussa alla porta e, dopo un paio di minuti che aspettano, Jim gli apre. Ha il viso stanco, due grosse occhiaie, i capelli castani scompigliati, ma ricci proprio come Dean se li ricordava. Sorride e allunga la mano prima a John e poi a Dean e li fa entrare.
 
E’ chiaro che quella specie di enorme casa non è altro che un posto “preso in prestito” per pochi giorni, un luogo dove nessuno gli avrebbe dato fastidio.
 
Rimangono sulla soglia per qualche istante e John lo guarda sorridendogli appena. A Dean basta osservarli per un po’ per capire che entrambi hanno le stesse ferite nel cuore, più o meno profonde. Dean, però, ha sempre capito quelle del padre, molto meno quelle di Jim. Non sa neanche perché abbia cominciato a cacciare. Non se l’è neanche mai chiesto, in realtà. E’ abbastanza sicuro però del fatto che anche lui, un po’ come tanti altri, non abbia avuto altra scelta.
 
«Dove diavolo sei stato per tutto questo tempo?» Jim abbassa un attimo lo sguardo e alza le spalle, rivolgendogli poi un sorriso stanco. «E’ una lunga storia, venite» li invita in cucina dove c’è alcol in abbondanza per poter parlare tranquillamente.
 
Si siedono e Jim prende una bottiglia di whiskey per poi versarne un’abbondante quantità in tre bicchieri diversi. Brindano a qualcosa, forse al fatto che sono ancora vivi nonostante il tempo, le cacce e le ferite sia nel corpo che nell’anima che aumentano giorno dopo giorno e, prima che Jim possa versare il secondo bicchiere a ognuno, una figura compare sulla soglia.
 
E’ una ragazza magra, alta forse un metro e settanta o giù di lì, i capelli castani chiari raccolti in una treccia, due occhi blu, forse i più blu che Dean abbia mai visto e alcune piccole lentiggini a imperlarle le guance. Indossa un paio di jeans scoloriti e un maglioncino non troppo accollato di lana, blu e stropicciato, e sembra uscita da un film delle gemelle Olsen. A Dean sembra proprio la versione sfigata e cresciuta di una delle due. Forse se si curasse di più sarebbe più carina, ma la cosa che più lo incuriosisce in questo momento è sicuramente il motivo per cui si trova lì.
 
Jim sembra accorgersi della sua presenza dopo qualche secondo e la guarda quasi con aria di rimprovero, poi le fa segno di avvicinarsi e lei obbedisce silenziosamente. Anche John, che essendo girato di spalle non poteva vederla, ora la guarda con curiosità.
 
«Beh… lei è… è Elisabeth. Mia figlia». I due Winchester si voltano nella sua direzione quasi contemporaneamente e lo guardano con gli occhi sgranati senza neanche accorgersene. Jim emette una specie di sospiro e Dean capisce il perché aveva definito il motivo della sua sparizione piuttosto evidente.
 
«Loro sono gli amici che ti avevo detto mi sarebbero venuti a trovare». Elisabeth annuisce e sorride appena guardando entrambi. Si avvicina ad una dispensa, prende una bottiglia di plastica piena d’acqua e la porta con sé, sparendo di nuovo nello stesso modo in cui è arrivata, in silenzio.
 
Prima di parlare ancora, Jim emette un grosso sospiro, fissando il bicchiere e rigirandolo tra le dita nervosamente. «E’ lei il motivo per cui sono sparito. Sua madre è… era una donna che ho salvato da un Wendigo più di vent’anni fa. Mi ha chiamato dicendomi che aveva un problema; pensavo fosse qualcosa legato ai demoni, che qualcos’altro l’avesse attaccata, invece mi ha detto di essere malata gravemente e che avrei dovuto fare qualcosa per lei dopo la sua morte. Eravamo stati insieme quella notte, sapete no… il cacciatore salva la ragazza… » Dean sorride appena scuotendo la testa. A lui è successo spesso in tutta la sua onorata carriera che la ragazza poi fosse riconoscente. «Insomma mi ha detto che in più di diciassette anni non mi aveva mai rotto le scatole, ma era arrivato il momento di prendermi cura di mia figlia. Ed è quello che ho fatto negli ultimi tre anni: cercare di andare d’accordo con una ragazzina».
 
Non è difficile capire che non è proprio il compito più gradito al mondo per lui. Da come Dean lo conosce, non è mai stato un fan delle famiglie felici e del crescere bambini.
 
«Ho cercato di tenerla all’oscuro da tutto, almeno all’inizio. Non volevo spaventarla, non volevo che avesse paura di me. Sua madre mi aveva detto che era una ragazza intelligente ma timida e volevo che accettasse il padre prima di farle scoprire il cacciatore. Ci ho messo un po' prima di dirle la verità, ma quando le ho confessato tutto mi ha detto che già lo sapeva, che non dovevo privarmi della mia vita per lei e che mi avrebbe aiutato volentieri. Non lo so, quando ho scoperto di essere padre pensavo fosse solo una grossa seccatura, ma mi sono ricreduto. Non credevo fosse tanto facile convivere con lei… ma è a posto. Si prende cura di me come non aveva mai fatto nessuno e sono contento così. Non nego di averci messo parecchio prima di affezionarmi e abituarmi all’idea, ma ultimamente le cose vanno bene. Ora però vuole fare esperienza sul campo, ma è ancora inesperta e non voglio che rischi la sua vita. Perciò, John, avrei bisogno del tuo aiuto. Vorrei che, almeno per i casi più grossi, tu mi dia una mano. E’ troppo da chiedere?»
 
John non ha neanche da pensarci e annuisce dandogli una sonora pacca sulla spalla. Chiede a Dean di andare di sopra per poter parlare con calma con il suo vecchio amico e lui semplicemente annuisce, sempre ligio al dovere e agli ordini del padre; finisce il suo bicchiere e prende il suo borsone per poi dirigersi al piano superiore.
 
Quando appoggia i piedi sull’ultimo gradino della lunga rampa di scale, si guarda intorno: di fronte a sé, c’è un lungo corridoio dove si susseguono un numero imprecisato di porte. Solo in una c’è un piccolo spiraglio di luce che emerge dallo spioncino ed immagina che lì ci sia quella ragazza.
Si chiede se ha una stanza dove poter dormire in pace o semplicemente appoggiare le sue cose, visto che ha avuto un paio di giornate davvero toste e si sente stanco, la testa pesante, ma fa prima a domandare a lei piuttosto che girarle tutte, perché sono troppe e non ne ha voglia.
 
Oltretutto, da quello che ha capito, dovrà sopportarla per molto; tanto vale cominciare a fare amicizia. Se ci fosse Sam, per lui sarebbe più facile, è sempre stato bravo a intraprendere conversazioni con ragazze non proprio attraenti o comunque poco estroverse nel senso più ampio del termine, ma Dean se la caverà ugualmente.
 
Si avvicina a quella stanza e bussa un paio di volte e, dopo una manciata di secondi, lei esce. Ha un paio di occhiali con la montatura nera appoggiati sul naso e se li toglie subito tenendoli in mano e guardandolo curiosa. E’ chiaro che proprio non si aspettava la sua piccola intrusione in quello che deve essere il suo mondo.
 
«Scusa, non volevo disturbarti, volevo solo sapere se c’è un posto dove posso dormire».
 
La bocca di Elisabeth si chiude in una piccola “o” e poi annuisce, esibendo un timido sorriso. «Giusto, ti faccio vedere dov’è».
 
Appoggia gli occhiali sul letto per poi uscire dalla stanza e Dean la segue. Quella che gli mostra è a un paio di porte dalla sua, è spaziosa e sembra che ci sia passata una cameriera di un hotel di lusso. Ha tutta l’aria di essere stata una bella casa, ai suoi tempi: le pareti bianche sono decorate qua e là con delle fantasie di fiori sbiadite nel tempo, arricchite da un paio di vecchi quadri appoggiati al muro; un paio di tende arancioni coprono la finestra dando un tocco quasi familiare all’ambiente; i due letti singoli al suo interno sono rifatti con cura e c'è un grosso tappeto al centro, sempre sulla tonalità dell’arancio.
 
«Mio padre mi aveva detto che eravate in tre, così ho rifatto entrambi i letti qui, ma… »
 
Dean non ascolta neanche la fine della frase e decide di interromperla. Non vuole parlare di Sam o del fatto che siano arrivati in due, preferisce cambiare argomento e stroncare questo sul nascere. «Che cos’era questo posto prima di essere abbandonato?»
«Un albergo, è per questo che ci sono tante stanze».
 
Dean annuisce, come a registrare l’informazione nella sua testa, e finalmente appoggia il borsone accanto ad uno dei due letti. Poi si volta a guardarla. «Non ci hanno presentato, sono Dean».
 
Le porge la mano e lei sorride gentile stringendola. «Elisabeth, ma se preferisci chiamami Ellie». Dean annuisce e sorride appena. Poi lei spalanca gli occhi, come se si fosse dimenticata di fare qualcosa di estremamente importante. «Aspettami un secondo, torno subito».
 
Dean la guarda uscire e si siede sul letto passandosi le dita sugli occhi. Dopo pochi istanti, sente uno scalpiccio e, quando alza lo sguardo, la vede rientrare ed avvicinarsi. Gli porge una barretta di cioccolata al latte e Dean la afferra guardandola perplesso.
 
«Prima di venire qui ne ho comprate un paio, una per te e una per tuo fratello. Quando faccio viaggi molto lunghi arrivo stanca e la cioccolata mi tira su. Ho pensato che per voi fosse lo stesso».
 
Dean sorride e finge di non sentire un nodo allo stomaco quando il suono di quella parola che è la causa di tutto il suo dolore gli arriva alle orecchie. Cerca di scacciare quell’orrenda e fastidiosissima sensazione e scopre la cioccolata dalla carta per poi mangiarne un morso.
 
«Non ho quest’abitudine, ma grazie». Elisabeth sorride e Dean le fa cenno che se vuole può sedersi accanto a lui. Lei lo asseconda, sedendosi in fondo e incrociando le gambe. Con quella treccia di lato e la posizione in cui si è seduta, a Dean sembra tanto un’indiana, una versione castana chiara della bambina che ci provava con Peter Pan nel classico Disney. «Siete qui da molto?»
«No, qualche giorno».

Dean annuisce e nota che lei lo guarda con un certo entusiasmo. Non è il solito modo in cui una donna lo scruta, c’è solo una strana curiosità nei suoi occhi. Genuina, ma strana.
 
«Anche tu sei un cacciatore?» Dean fa cenno di sì con la testa. «Lo fai da tanto?»
«Da quando avevo sedici anni».
 
Elisabeth sorride. «Io sono una specie di… sì, tipo una cacciatrice da teoria. So tutto su tutto: vampiri, licantropi, tutte le bestiacce possibili non hanno segreti per me. Ma nella pratica sono più scarsa, devo imparare tante cose e non so se mio padre ha tanta pazienza per insegnarmi». Fa un’espressione buffa e Dean non può fare a meno di sorridere. «Ci penserai tu a farlo?» e a quel punto Dean non riesce a trattenersi e fa una faccia quasi schifata ed Elisabeth, vedendolo, scoppia a ridere di gusto. Anche Dean sorride poi, quasi lei fosse riuscita a contagiarlo in qualche modo, ma se dovesse chiederglielo ancora dovrà dirle che fare il babysitter non è proprio la cosa che lo attira di più. «Tranquillo, non ti chiederò tanto se non vuoi. Pensavo che mio padre vi avesse chiamato apposta, ma se non è così non fa niente» lo guarda tranquilla e Dean si chiede se Jim si sia bevuto il cervello o cosa per farle solo pensare una cosa del genere. «E’ che io non sono mai andata a caccia da sola. So sparare e tirare calci ai cattivoni, più o meno… ma a caccia non ci sono mai stata, neanche con mio padre».
 
«Ci sarà una prima volta anche per te».
 
Dean sorride appena ed Elisabeth fa lo stesso, poi guarda l’orologio e scatta in piedi in un nanosecondo. Dean la osserva perplesso, ha uno strano… modo di fare, decisamente. «Ti lascio dormire, ti vedo stanco. Ci vediamo domattina».
 
Dean annuisce e la saluta, guardandola chiudersi la porta alle spalle. Si sveste e si infila sotto le coperte, decisamente più calde e corpose di quelle delle notti precedenti. Nessuno spiffero alle finestre, questo posto sembra quasi normale. O perlomeno vivibile.
 
Si mette di lato, cullandosi nella piacevole sensazione di calore che gli trasmette quella trapunta e non ha neanche il tempo di pensare a quello che è appena successo, a quanto tempo dovrà condividere con quella strana tipa e suo padre – che è tutto fuorché una persona tranquilla – che chiude gli occhi e il sonno lo travolge quasi subito, facendolo crollare dopo pochi minuti.









Note: Arrivo qui dopo tanti e infiniti ripensamenti, in punta di piedi e con tutta l’umiltà che possiedo, trovando – non so come – il coraggio di pubblicare questa storia.
Cercherò di essere il più breve possibile, anche se non è semplice perché ho tantissime cose da dire.
Questa storia è composta da 28 capitoli. Salvo imprevisti – che in caso saranno comunicati al momento –, ne pubblicherò uno a settimana, ogni mercoledì.
Il titolo di ogni capitolo è estratto da una canzone o una citazione, la stessa che poi apre ognuno. Non era mia intenzione impazzirmi in questo, ma quando sei in pullman con le cuffiette alle orecchie e ne senti una che ti sembra potrebbe rappresentare alla perfezione l’umore di un personaggio in un particolare momento della storia, è difficile fermarsi e non cercarne altre poi. A me è successo questo. Anzi, molto spesso sono state le canzoni a “cercare me”, in un certo senso.
So che non è l’idea più originale del mondo, ma francamente non è lo scopo di questa storia esserlo. Non ho idea se sia qualcosa di già visto – o in questo caso già letto –, ma ho fatto del mio meglio, cercando di metterci tutta me stessa. La condivido qui (con un’ansia indicibile, una cosa che non ho mai provato per nessuna delle fanfiction che ho pubblicato finora) e se qualcuno che passa a dare un’occhiata ha voglia di fermarsi un minuto per lasciare un commentino, è senz’altro bene accetto. Positivo o negativo che sia, sono qui per migliorare e senza dubbio preferisco un “che schifo” sincero argomentato che un “bravissima” tanto per dire.
Ah, ho cercato di rimanere il più possibile nello stile delle canzoni dello show perché a) Supernatural ci ha viziati con troppa buona musica e b) è, appunto, anche il genere che piace a me. Anche se a volte uscirò un po’ dal seminario, visto che non sono monotematica come Dean *coff coff* e mi piace spaziare in altri generi. E a volte ci stavano troppo bene, è inutile girarci intorno xD
Vi avviso che i capitoli sono un po’ lunghini… un po’ tanto. La mia “beta” dice che “più sono lunghi, più c’è da leggere, più lei è felice”, perciò spero che sia lo stesso anche per altri xD   
Prometto che le prossime note non saranno così lunghe e un’ultima cosa: anche il titolo della fan fiction è una canzone. Si tratta di “Wash away” di Joe Purdy (a chi ha visto Lost dovrebbe ricordare qualcosa… ) :)
A presto!
 

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Capitolo 2
*** She finds beauty where there is no one ***


Note: Approfitto di questo spazietto per ringraziare coloro che hanno deciso di recensire, seguire e ricordare questa storia, ma anche chi è solo passato a dare un’occhiata. L'accoglienza è stata molto più calorosa di quanto mi aspettassi, perciò grazie mille! :)
Questa volta non ho molto altro da aggiungere (visto? L’avevo promesso che sarei stata più breve xD), quindi vi auguro una buona lettura e spero di ritrovarvi mercoledì prossimo! 

Capitolo 2: She finds beauty where there is no one
 
Her life improved dramatically
When she decided to break the rules
And find beauty where she had been told
There was no one.
 
(Unknown quote)
 
 
Era almeno un mese che Dean non dormiva così bene, in un letto senza un materasso scomodissimo, senza sentire molle in ogni parte della schiena e senza svegliarsi in preda a un qualche incubo. Non sa come sia successo, ma per la prima notte dopo un intero mese, ha dormito davvero comodo. E per più di quattro ore, il che è un record per lui.
 
Una mano non troppo leggera lo riporta al mondo reale, strappandolo dal torpore del sonno. Apre gli occhi e incontra quelli di suo padre, sempre così stanchi e spenti. Vuoti, a volte.
 
«Alzati, figliolo».
 
Altri cinque minuti. Dean quasi lo supplica nella sua testa, ma in realtà non dice una parola. Si stropiccia gli occhi con le dita e si tira su a sedere, la schiena appoggiata alla testiera del letto. Controlla l’orologio: sette e trentadue. Altri cinque minuti, evidentemente, era chiedere troppo. Anche oggi che non hanno apparentemente niente da fare.
 
Osserva il padre allacciarsi le scarpe; c’è una domanda che lo tormenta da ieri sera e non c’è occasione migliore di questa per porgergliela. «Papà?» John alza lo sguardo senza dire nulla «Che ne pensi di tutta questa storia?»
 
Suo padre si ferma, appoggia il braccio su una coscia e continua a guardarlo. «Vuoi la verità, ragazzo? Credo che sia un’immensa perdita di tempo. Ma non posso negare un piacere a Jim» Dean annuisce «E’ un amico».
 
Dean conosce abbastanza il padre da sapere quanto per lui possa valere la parola amicizia. Non è come la famiglia, ma se John Winchester riceve un piacere da qualcuno, farà di tutto per sdebitarsi, questo è certo. E Jim, negli anni, si è guadagnato il suo rispetto, oltre al diritto di chiedere in cambio ben più di un favore, perciò capisce perfettamente cosa intende dire.
 
Si veste in fretta e scende assieme a lui. Quando entrano in cucina, la visione che si para davanti agli occhi di Dean lo lascia senza fiato. Il tavolo, dove ieri sera c’erano appena tre bicchieri e una misera bottiglia di scotch, ora è pieno di leccornie: latte, caffè, cereali, pancake, biscotti e, a giudicare da quello che Elisabeth sta facendo, sembra che finirà per riempirsi un altro po’.
 
Non si è accorta della loro presenza, assorta com’è nel rigirare qualcosa nel piccolo pentolino malandato appoggiato sul fornello. Gli dà le spalle, i capelli raccolti in una treccia – proprio come ieri sera – e sembra molto concentrata in quello che fa.
 
Dean tossicchia ed è solo allora che lei si volta e gli rivolge un sorriso. «Buongiorno!» ha la voce gioiosa e squillante, sembra essersi svegliata da qualche ora. «Sedetevi pure, ho preparato la colazione».
«Vedo» Dean prende posto accanto al padre su una delle sedie libere. Allunga la mano verso uno dei pancake e John gli dà uno schiaffetto sul dorso, rivolgendogli la stessa occhiata che gli rifilava da bambino, quando aveva solo cinque o sei anni e cercava di rubare la colazione al piccolo Sammy.
 
Deglutisce, cercando di allontanare dalla mente quel ricordo prima che gli evochi una grande tristezza. Per una mattina che si era svegliato di buon umore…
 
Jim li raggiunge dopo poco e si siede accanto a John, rivolgendo un saluto a tutti i presenti. «Elisabeth, hai… »
«Tostato il pane? Sì, è lì».
 
Jim si alza e prende il cestino aggiungendolo a tavola. Dean li osserva per un attimo e non sembra esattamente il dialogo che dovrebbero avere un padre e una figlia, almeno non se hanno un rapporto puro e cristallino come l’ha descritto Jim. Dean scaccia quel pensiero in fretta, giusto perché non può decifrare niente da una frase senza senso, ma più che una figlia, in questo preciso istante, Elisabeth gli è sembrata una… domestica, o qualcosa del genere. E non gli piace la sensazione che gli ha provocato quest’idea.  
 
Elisabeth finisce di rigirare qualsiasi cosa stia cucinando con un cucchiaio di legno, spegne il fornello e appoggia il pentolino a tavola e Dean scopre con immenso entusiasmo che ha fatto le uova strapazzate. Non sono neanche ventiquattro ore che la conosce e già la adora – dal punto di vista del cibo, s’intende.
 
Aspetta che si sieda anche lei – giusto per non ritrovarsi un altro schiaffo da John, magari stavolta tra capo e collo e anche un po’ più forte – e prende il pentolino con le uova, versandosele nel piatto. Mangia come se non lo facesse da anni tanto è affamato e con la coda dell’occhio vede Elisabeth osservarlo divertita, proprio come si guarda un bambino cimentarsi in una cosa buffa.
 
Jim propone a suo padre di andarsi a fare un giretto lì intorno, qualcosa che Dean interpreta come una specie di visita turistica per vedere se c’è qualche nido di qualcosa da far fuori e osserva il suo vecchio pensarci un attimo e annuire subito dopo. A Dean sembra davvero lieto della notizia, neanche avesse ricevuto un invito per qualche festa.
 
Non è una grande novità per lui, in realtà. Ormai è convinto del fatto che suo padre direbbe di sì anche ad una caccia alle locuste pur di non condividere spazio vitale con lui.
Jim sorride appena, compiaciuto «Lasciamo i ragazzi qui, sanno badare a loro stessi. E poi in caso avessimo bisogno di qualcosa… » e adesso il discorso non piace più tanto a Dean. Non solo perché lo stanno praticamente lasciando a fare il babysitter di nuovo – come se non l’avesse fatto tutta la vita – che era proprio quello che non voleva fare, ma poi a lui piace l’azione, non gli va di rimanere in panchina.
 
Guarda il padre e spera con tutto il cuore che non dia spago al suo amico, ma è esattamente quello che fa. Merda. E pensare che la giornata era cominciata bene, adesso fa davvero schifo: non solo è stato messo in disparte, per di più con una tipa che non conosce e che ha tutta l’aria di essere strana, deve pure rimanere a disposizione in caso loro “avessero bisogno”, pazzesco.
 
I due si alzano e dopo averli salutati, si dirigono fuori e il rombo del pick-up di John fa capire a Dean che se ne sono andati.
 
Rimane in silenzio per un po’, senza staccare gli occhi dalle sue uova strapazzate. Sente lo sguardo di Elisabeth su di sé, ma non ha nessuna intenzione di ricambiare. «Non ti piace quando ti chiedono di farti da parte, non è così?» Dean espira forte e annuisce suo malgrado, masticando l’ultimo pezzo della sua colazione. Gli è anche passata la fame. «Anche a me. E’ per questo che voglio imparare».
 
Dean annuisce ancora; non ha voglia di starla a sentire, ma a quanto pare non dovrà fare altro per tutto il giorno, perciò tanto vale darle un minimo di corda. «Mi piace questo posto».
 
Elisabeth sorride. «Anche a me. Non ne trovavamo uno così bello da mesi». Dean ascolta in silenzio, gli occhi bassi fissi sulla tazza di caffè che sorseggia piano. «Non capisco perché lo abbiano abbandonato. Hanno lasciato tutti i mobili ed è tutto ancora in buono stato. Ho fatto delle ricerche in internet ed ho scoperto che l’attività è cessata solo alcuni mesi fa, non tanti» ma non si stanca mai di parlare? «Magari non facevano più soldi come prima, ma potevano almeno portarsi via le tende».
 
A quell’affermazione, però, Dean sorride appena e quasi se ne stupisce; gli sembra di non farlo in modo così spontaneo da settimane.
 
«A volte la gente si stanca dei posti e basta. Non è poi così strano, se pensi che ci si stufa anche delle persone. Chi ha una casa e può comprarsene un’altra se lo può permettere» suona più amaro di quanto vorrebbe, il tono che usa è quello di una persona sconfitta e buttata a terra da qualcosa di grande e profondo – cosa che è assolutamente vera, ma non voleva farlo trasparire così tanto.
 
«Già» fiata Elisabeth e sembra che il suo solito entusiasmo sia improvvisamente scomparso. Arriccia le labbra e lo guarda, come se lo stesse studiando. «Ma tuo fratello vi raggiungerà tra qualche giorno?»

Dean stringe forte la mascella, inspirando furioso. Parlare di Sam è l’ultima cosa che vuole fare stamattina, anzi, è proprio quello che non vorrebbe fare mai e lei continua a nominarglielo. E’ già la terza volta che lo fa in neanche un giorno che lo conosce.
Sbatte la tazza sul tavolo, preso da una rabbia cieca, e quando alza lo sguardo verso Elisabeth è così nero e lei cambia espressione, sembra quasi spaventata.

«Nessuno raggiunge nessuno. Mi spieghi perché t'interessa tanto di mio fratello? Ci conosciamo da neanche un giorno e non fai che chiedermi di lui, ma che cazzo ti frega se arriverà o no? Piantala di farmi domande e fatti gli affari tuoi, tanto non verrà».

Elisabeth lo guarda – Dean non capisce se è allibita o ha paura o cosa, sta di fatto che ci è rimasta male - e per un attimo Dean ha l’impressione che comincerà a frignare come una ragazzina in piena crisi ormonale da un secondo all’altro. Invece rimane in silenzio, nessun cambiamento sul suo viso o nella sua espressione, semplicemente si alza e, mormorando qualcosa come «ok scusa, non te lo chiederò più», si volta e comincia a mettere a posto.
 
Dean quasi si maledice per essere stato tanto brusco, in fondo non si conoscono e lei magari ha chiesto tanto per; effettivamente Jim non può sapere che fine ha fatto Sam e… e una voce – così simile a quella di Sam – sembra sussurrargli nella testa qualcosa come “Dean sei davvero un coglione” - e non può fare altro che darle ragione, ma ormai il danno è fatto.
 
Si alza, appoggia il suo piatto sul lavello e guarda Elisabeth per un attimo; lei è intenta a ripulire quelli che hanno lasciato suo padre e Jim sul tavolo e non lo degna di uno sguardo.
 
Dean crede di aver recepito il messaggio e si dirige nella sua stanza; suo padre ha lasciato il suo borsone dove ha libri a sufficienza in caso quei due “ne avessero bisogno” e l’unica cosa che può fare è aspettare una telefonata e pulire le pistole.
 
Finisce prima del previsto e non gli resta altro da fare che sdraiarsi sul letto a fissare il soffitto.
 
*
 
Si sente un idiota, non può negarlo a se stesso. Elisabeth non lo conosce, non può sapere niente di Sam o di come si sente lui a riguardo e la sua, deve riconoscerlo, era solo una domanda innocente.
Se qualcuno ti dice che sarete in tre ad arrivare in un posto e invece siete in due, ti viene spontaneo chiedere dov’è il terzo invitato. Cosa sta facendo, perché non c’è. E non ci sarebbe neanche niente di sbagliato in questo, è una curiosità lecita. A Dean sono girate perché… beh a Dean girano spesso, soprattutto ultimamente, soprattutto da quando non c’è più Sam a tenere i suoi nervi a freno.
 
Anche se a volte – spesso – gliele faceva girare pure lui, era bello arrabbiarsi con Sam. Più che altro era bello avere Sam tra i piedi, così che ci si poteva arrabbiare. Meglio litigare con lui che non averlo più intorno.
 
Discutevano spesso nell’ultimo periodo, prima che Sam se ne andasse. Era sempre nervoso – o comunque più del solito -, teso, arrabbiato. Non si capiva se ce l’avesse con il mondo o con papà o con Dean. O con se stesso, per qualche motivo. A rimetterci, comunque, era senz’altro Dean.
 
Sì, perché sopportare Sam arrabbiato poteva anche andare bene, ma quando c’era papà era peggio. Era l’Apocalisse in Terra, la Terza Guerra Mondiale in formato ridotto, ma altrettanto chiassosa e devastante.
 
Non si sono mai capiti, quei due. Dean è convinto del fatto che non hanno neanche mai provato a farlo.
 
Sam – testardo almeno quanto il loro padre – trovava ogni modo, ogni scusa, per andargli contro e John non era da meno e quando si arrabbiava era così duro, e Dean a volte doveva dividerli come si fa con i bambini all’asilo quando stanno per fare a botte.
 
Sembravano due leoni in gabbia, a volte, ed era Dean a pagarne le conseguenze. Sempre.
 
I silenzi assordanti, pesanti quasi quanto le urla, erano diventati routine nell’ultimo periodo. Anche tra i due fratelli.
 
Dean non sa dire con esattezza quando Sam ha cominciato ad allontanarsi da lui o da suo padre. E’ solo successo e non ha potuto fare niente per impedirlo.
 
Ricorda ancora ogni secondo del momento in cui Sam gli ha detto quello che aveva in mente di fare. Erano in una cittadina del Missouri, in agosto. Faceva caldo e Dean aveva parcheggiato l’Impala in un posto isolato, di notte, per poter guardare le stelle. Gli è sempre piaciuto farlo con Sam, prendersi un momento di pace per osservare il cielo e non c’era notte migliore di quella per farlo. Non c’era una nuvola, era tutto così splendente e chiaro, limpido. Il manto blu e tutti quei lumicini attaccati là sopra, la brezza leggera che ogni tanto accorreva ad accarezzargli la pelle e anche se c’era silenzio, se sorseggiavano le loro birre senza dirsi una parola, sembrava tutto a posto tra di loro.
 
Dopo aver finito la sua bottiglia, però, Sam aveva aperto la sua dannata boccaccia e aveva parlato. Aveva messo insieme parole come università e cambiare vita e aveva detto qualcosa come «Ho fatto domanda per l’Università. Mi hanno preso. Ho vinto la borsa di studio e… me ne vado a Stanford. Ho deciso. Non puoi fare niente per farmi cambiare idea, Dean, io… io non ce la faccio più. Ho l’opportunità di cambiare vita e voglio sfruttarla. Volevo solo che tu lo sapessi prima di papà».
 
E Dean non aveva trovato le parole per dire nulla, per rispondere a qualcosa di così spiazzante e definitivo. Aveva sentito il rumore dello sportello aprirsi e richiudersi e non si era neanche voltato a guardare il fratello sdraiarsi sul sedile. Aveva solo abbassato la testa e finito la birra ed era rimasto a contemplare l’erba verde e fresca per quella che gli era sembrata un’eternità.
 
Non aveva più alzato gli occhi a guardare le stelle. Si era stretto nella giacca – quella di pelle di suo padre, così grande e calda, forse più di quanto suo padre sia mai stato – e si era messo a riflettere, e anche se ogni più piccolo pensiero scavava una traccia così amara e profonda dentro di lui – che Sam aveva fatto la sua scelta e forse l’aveva sempre saputo e non riusciva a trovare una scusa, un modo, qualsiasi dannata cosa per trattenerlo -, niente è peggio del silenzio che lo circonda adesso, del macigno della solitudine.
 
Ed è per questo che si sente così solo nell’ultimo periodo: Sammy, il suo fratellino, la sua spina nel fianco, ha intrapreso un’altra strada. Probabilmente l’ha sempre saputo che sarebbe andata a finire così perché Sam non ha mai voluto questa vita. Come se Dean se la fosse scelta, come se non gli fosse caduta addosso come un fulmine che squarcia il cielo. Eppure non riesce ad accettarlo.
 
Sono passati dei mesi – quattro o cinque, non lo ricorda con esattezza, i giorni volano via tutti uguali e ormai non tiene più il conto –, ma non riesce proprio a darsi pace, non capisce il perché di quell’allontanamento e sente mancare la terra sotto i piedi al solo pensiero che suo fratello è lontano. E non solo fisicamente.
 
Non ha più il suo appoggio, non ci parla, non gli telefona – e nemmeno Sam fa altrettanto, cosa che non lo consola minimamente – e passa le giornate a cercare di sopravvivere, a fare di tutto per riempire il silenzio e cercare di non ascoltare quel vuoto costante.
 
Esce da quella stanza di sera con una buona dose di alcol in corpo – ma non abbastanza da potersi considerare ubriaco –, sperando di trovare qualcosa da mangiare in qualche dispensa di quel posto enorme.
 
Scende in cucina e la trova vuota. Quei due non sono ancora tornati e non c’è nessuna traccia di Elisabeth, ma sopra il tavolo trova un piatto, una bottiglia di birra, una di acqua, posate e un bicchiere. Non c’è da mangiare, ma sono le nove di sera e lei deve avere già cenato.
 
E’ spaesato da quel gesto tanto altruista e gentile – qualcosa che lui non si merita, non dopo averla trattata in quel modo.
 
Non ha voglia di cucinare, così cerca nei vari sportelli qualcosa che faccia al caso suo e decide che si può accontentare dei biscotti. Non ha poi così fame, non oggi.
 
E’ strano per lui, che di solito è sempre affamatissimo, ma preferisce non pensare al perché non ha appetito, nello stesso modo in cui sceglie di non pensare a tante cose.
 
Sta per tornare nella sua stanza non appena ha finito di mangiare, ma la luce che filtra dalla porta di quella di Elisabeth è come una calamita e lo attira, così tanto da costringerlo a bussare.
 
Lei si affaccia – proprio come ieri – ed ha di nuovo gli occhiali e stavolta i capelli sono sciolti, mossi e luminosi. Se si è fatta una doccia Dean non se n’è accorto. In realtà non l’ha sentita muoversi per tutto il giorno, nessun rumore, niente. Deve essere molto silenziosa. O lui molto distratto.
 
Senza dire una parola, apre di più la porta invitandolo ad entrare e Dean obbedisce, in silenzio. Si guarda intorno ed osserva i mobili – identici a quella che per qualche giorno è la sua stanza – un paio di libri sul comodino, un laptop sulla piccola scrivania e sì, quella camera è praticamente uguale alla sua, solo più piccola.
 
Elisabeth si siede sul letto, si toglie gli occhiali appoggiandoli sul comodino, incrocia le gambe e lo guarda con un’espressione strana, almeno per Dean. Non è arrabbiata – non sembra esserlo –, è… tranquilla, oserebbe dire che è addirittura a suo agio. Dean non capisce come sia possibile e sente il bisogno di parlare, di rompere quel silenzio così assordante. «Senti, io—» non riesce neanche a concludere mezza frase che Elisabeth alza un braccio e la mano aperta davanti a lui è un chiaro invito a fermarsi.
 
«E’ colpa mia» Dean sgrana gli occhi, confuso. Da quando se comincia ad urlare e si comporta come una donnetta frustrata la colpa è degli altri? «Sono stata invadente, non era mia intenzione».
 
Gli sorride appena, invitandolo a sedersi sul letto e lui accetta di buon grado, continuando a fissarla confuso.
 
«Io e papà non parliamo molto» un’altra pausa, e c’è qualcosa di stonato in questa frase, una nota negativa «E sicuramente non ci scambiamo pettegolezzi» sorride, mentre Dean continua ad ascoltarla attento «Lui mi ha solo detto che venivano a trovarlo un amico ed i suoi due figli. Siete arrivati in due, mi sono chiesta perché, ma neanche mi interessa dove sta tuo fratello, era solo un modo per fare conversazione visto che dovremo passare del tempo insieme, da ora in poi».
 
Dean annuisce e abbassa lo sguardo. Per un attimo si sente così piccolo e così… così idiota.
 
«Ti ho osservato un po’ e… beh, non credo tu viva un’esistenza felice» Dean rialza lo sguardo e si sorprende a constatare quanto lei sembri non avere alcun problema a dire una cosa del genere, come se fosse una frase qualunque, come se avesse appena detto oggi ho comprato un vasetto di marmellata e non descritto la sua vita in sette parole «Ma forse nessuno ne ha davvero una. Ognuno ha problemi di vario tipo, piccoli o grandi. Per esempio, io avevo una madre praticamente perfetta. Ero la persona più importante per lei e lei per me. Ha sacrificato tutto per crescermi ed io ho sempre cercato di non essere un peso per lei, ma ogni volta che le dicevo che avevo questa paura, lei mi zittiva e mi abbracciava forte. Mi diceva sempre che ero il suo piccolo angelo, poi è morta e forse ora è lei ad essere diventata un angelo, chi lo sa».
 
Dean non può non chiedersi se quella che si trova di fronte è una persona religiosa o se il suo è semplicemente un modo di dire. La guarda negli occhi e c’è tanta tristezza in quelle due pozze blu ma nessuna traccia di lacrime in arrivo, nessun piagnisteo, niente, solo sconforto e una ferita che probabilmente non si sanerà mai e nessuno più di Dean può capirlo. Proprio lui, che pensa alla mamma ogni giorno.
 
«Perché mi racconti questa cosa?»
 
Elisabeth sorride e la tristezza nei suoi occhi sembra essere quasi scomparsa. «Da qualche parte dobbiamo pur cominciare, no? Tu non parli, parlo io».
 
Dean annuisce, stringendo le labbra in una linea sottile. Qualche domanda si infila nella sua testa, ma non è ancora il momento di indagare. Verrà il tempo di farlo, è ancora presto.
C’è da dire che di tutte confessioni – se così può definire quella di Ellie - che ha sentito in vita sua, per lavoro soprattutto, questa gli sembra la più sentita e sincera. Forse per il modo in cui lei ha deciso di esporsi e parlare di questa cosa.  
 
«E parli sempre così tanto?» non sa neanche come gli sia uscita quella domanda, ma ormai l’ha fatta e non può rimangiarsela. Lei sorride, non sembra offesa.
«Solo con chi sa ascoltare. Tu sembri uno che sa farlo».
Dean aggrotta appena la fronte «Cosa te lo fa pensare?»
«Il fatto che sei un cacciatore e parli con tanta gente. O forse perché mi guardi sempre negli occhi».
 
E’ una cosa tanto ovvia, per Dean, in realtà. E’ stato educato da John Winchester come un soldato, e i bravi soldati non tirano mai giù lo sguardo.
 
«E non hai peli sulla lingua, a quanto pare».
 
Elisabeth ride di gusto, reclinando la testa indietro. «No. La sincerità è una cosa bella» già, furba come risposta per uno come Dean, che racconta balle per professione. Elisabeth si allunga sul comodino e ne apre il cassetto, tirando fuori un’altra barretta di cioccolata per poi spezzarla a metà. «Questa è meglio dividercela. Sennò si scioglie ed è un peccato».
 
Dean vorrebbe tanto dirle che è impossibile che la cioccolata si sciolga a gennaio con il freddo che c’è fuori, ma accetta il pezzo che gli porge e sta zitto. La guarda divertito mentre toglie l’involucro di carta e ne addenta un pezzetto, sorridendo. Sembra una bambina.
 
Parlano per qualche ora buona, finché gli occhi non vogliono chiudersi per la stanchezza. Non affrontano un discorso serio, parlano di tutto e di niente ridendo e scherzando come se si conoscessero da tempo, o almeno è questa l’impressione che ha Dean.
 
E’ vero, è un po’ logorroica, ha sempre qualcosa da dire e un’opinione personale praticamente su tutto, ma pensa di poterle dare una chance. In fondo non è così male.
 
*
 
C’è sempre una prima fase in un rapporto, quando due persone si conoscono, in cui si studiano, si scrutano, cercano di capire uno i difetti e i pregi dell’altro solo osservandolo. E’ questo che fa Dean da un paio di giorni: osserva Ellie, studia i suoi comportamenti per scoprire com’è caratterialmente e se mai potranno andare d’accordo, visto che a conti fatti, data la bromance ritrovata tra i loro padri, dovranno passare insieme molto tempo.
 
Un paio di giorni sono passati velocemente nel vecchio albergo abbandonato e i loro padri sono tornati senza nessuna caccia conclusa. Probabilmente avevano solo voglia di farsi due chiacchiere senza avere i figli tra i piedi e, quando si sono rifatti vivi, hanno deciso di spostarsi da lì.
 
A Dean già manca quel luogo. Non c’era puzza di chiuso, di schifo e di cessi puliti ogni morte di papa, quella che invece aleggia nella stanza del motel che si sono trovati subito dopo. Ma la regola, valida per ogni cacciatore che si rispetti, impone di cambiare posto, ogni tanto, altrimenti si diventa prevedibili e i nemici possono attaccarti e bla bla bla. Jim e sua figlia avevano già passato troppo tempo lì, era davvero ora di cambiare aria per loro.
 
Per la partenza, Ellie si è unita a suo padre in macchina, John e Dean sono saliti ognuno nella propria e, quando ha alzato lo sguardo verso di lei, Dean ha notato qualcosa di strano: Ellie stava osservando la sua piccola con attenzione, come se ne fosse in qualche modo colpita. All’inizio non ci ha fatto caso più di tanto, ma quando sono arrivati ed hanno parcheggiato davanti ad un motel di Pueblo, a qualche miglio da Westcliff, Ellie gli si è avvicinata di corsa non appena lui è sceso dalla macchina, gli occhi grandi e pieni di entusiasmo.
 
«E’ tua?» A Dean è sembrata una domanda tanto ovvia. La guida, certo che è sua, ma Ellie continuava a guardarlo in quel modo e «Sì. Cioè era di mio padre, ma ora è mia». Lei gli ha sorriso e Dean continuava ad osservarla mentre girava intorno all’Impala come se fosse impazzita, ad osservare ogni dettaglio con attenzione, ogni sfumatura di vernice e, dall’espressione che aveva, Dean davvero non sapeva decifrare se le piacesse o no. Poi Ellie si è appoggiata al cofano ed ha cominciato ad accarezzarla, quasi come si fa con un gatto, appoggiando la mano sulla carrozzeria e sorridendogli.  
 
«Mi piace. Di solito non mi piacciono le macchine d’epoca, ma… questa sì, mi piace» e Dean si è gonfiato d’orgoglio, perché quella macchina è davvero il suo gioiello più prezioso oltre che la sua casa e quando qualcuno la nota non riesce a non entusiasmarsi.
 
E’ rimasto ad osservarla per qualche secondo, mentre lei continuava ad ammirarla con gli occhi e se non fosse stato stanco morto le avrebbe chiesto se le andava di fare un giro, ne è assolutamente certo.
 
Ormai sono quattro o cinque giorni che si conoscono e dopo quel piccolo incidente di percorso, hanno passato del tempo insieme senza discutere. O meglio, Dean non ha discusso con lei, che al contrario di qualsiasi mezza cacciatrice o presunta tale Dean abbia mai incontrato, è tutto tranne una tipa scontrosa.
 
Una cosa certa per lui è che è strana… molto strana. Non necessariamente in senso negativo, ma è… particolare.
 
Sta imparando a conoscerla, ma osservandola si è accorto che è sempre molto allegra. In qualsiasi momento della giornata, lei ha sempre un sorriso per tutti. Sembra riuscire a trovare la bellezza in ogni cosa.
 
Non è mai arrabbiata, o almeno non lo è tutte le volte in cui Dean lo sarebbe - cioè molto spesso - ed è costantemente in movimento, ha sempre qualcosa da fare e quando può riposarsi, anziché mettersi a dormire, inforca gli occhiali e si mette a leggere qualche libro.
 
In questo gli ricorda molto Sammy, ma Ellie non è secchiona come lui. A quanto gli ha raccontato, odiava la scuola, era impertinente con i professori e sopportava molto poco i compagni che la ritenevano strana – appunto. Ha dovuto abbandonare non appena il padre si è fatto vivo, all’età di diciassette anni, e non gli è sembrata molto dispiaciuta della cosa. Perciò non ha un diploma – proprio come Dean [1] – ed ha un sacco di libri trovati chissà dove semplicemente perché le piace leggere di avventure e delle vite di altre persone, dei caratteri forti e dei personaggi coraggiosi.
 
A volte Dean pensa che lo guarda come se fosse un qualche eroe di quei libri. Il suo sguardo è pieno di ammirazione, gli occhi blu pieni di entusiasmo quando gli chiede di raccontarle di qualche caccia passata. Era restio all’inizio, o almeno la prima volta che glielo ha chiesto, ma alla fine si è lasciato andare – come ha detto lei, da qualche parte devono pur cominciare a conoscersi - e le ha raccontato del primo lupo mannaro che ha ucciso. Aveva sedici anni e, nonostante fosse tornato pieno di lividi sulle braccia, era la persona più soddisfatta del pianeta dopo aver fatto fuori quel coso [2].

Di Ellie sa anche che non guarda mai la televisione perché dice che le fa venire sonno ed ha visto pochissimi film rispetto a quanti ne ha visti lui, ma si dice aperta ad imparare. Anzi, gli ha promesso che una sera possono vedersi qualcosa che gli piace, a lui la scelta.
 
La sfida, quindi, è quella di trovarne uno che non la faccia addormentare ed è per questo che Dean sta girando da un’ora tra gli scaffali di una videoteca in cerca di un film che possa piacerle. Vorrebbe qualcosa di tosto, che possa colpirla, magari come ha colpito lui e deve arrivare alla sezione horror per trovarne uno soddisfacente. Poi pensa che è una ragazza e magari le farà paura, ma… serve qualcosa per tenerla sveglia, quindi vada per quello lì.
 
Un’altra cosa che ha notato di Ellie è che ascolta molto. Ogni volta che le parla, lei cerca di captare ogni parola. Non è mai distratta, presta sempre attenzione alle cose che le si dicono e questo piace molto a Dean, che adora le persone che sanno ascoltarlo, che non danno per scontato che quello che dice è una scemenza solo perché è uscita dalla sua bocca. Ma magari lo fa solo perché non lo conosce ancora bene.
 
Una cosa che invece non sopporta è la sua capacità di parlare parlare parlare senza riuscire mai a smettere, soprattutto se l’argomento in questione è particolarmente di suo interesse. Ci sono dei momenti in cui attacca un discorso e non finisce più, sembra una macchinetta, altri invece in cui sta zitta per ore – anche se succede molto di rado. Passa da un estremo all’altro, ma le si può perdonare, in fondo nessuno è perfetto.
 
Quello che però proprio non è chiaro a Dean è come Jim abbia potuto definirla timida. Riservata sì, solo perché non gli ha raccontato vita morte e miracoli - ma si conoscono da poco, dopotutto, e già si è aperta, in un certo senso -, ma timida… assolutamente no.

Passa a prendere popcorn e birra al supermercato ed è tutto pronto per la serata di cinema fai da te. Entra nella stanza designata per questi giorni e trova suo padre e Jim che conversano amabilmente di vecchi amici comuni. Quando sente la porta sbattere, John si volta a guardarlo.

«Dean, stasera io e Jim andiamo a fare un sopralluogo qui vicino, tieni d’occhio Elisabeth».
«Sissignore» lo avrebbe fatto comunque perché devono vedere un film e odia quando gli viene comandato di sorvegliare o proteggere qualcuno, è stato il suo lavoro per tutta una vita, sa farlo meglio di chiunque. E comunque non vede Ellie come un lavoro, piuttosto come una… persona con cui trascorrere le giornate.

Prende tutto l’occorrente e bussa alla porta della stanza che Ellie divide con suo padre. Lei gli apre senza chiedere chi è, esibendo un sorriso. Ha i capelli legati in due trecce - Dean continua a paragonarla a una delle gemelle Olsen -, gli occhiali, una felpa verde con al centro il disegno di un gatto che dorme e un paio di pantaloni della tuta grigi. Continua a pensare anche che sarebbe molto più carina se si curasse di più, ma non è nel suo interesse farglielo notare. E’ un po’… maschiaccia, sotto questo punto di vista.

«Ciao! Ti aspettavo, vieni».

Lo lascia entrare e Dean si chiude la porta alle spalle e la guarda con aria di rimprovero. «Dì un po’, ragazzina, tuo padre non ti ha detto che devi accertarti di chi è fuori dalla porta prima di farlo entrare? Potevo essere un demone».
 
Ellie sembra pensarci un attimo. «Nah, con questo bel faccino?» sorride e quando lo fa è contagiosa, tant’è che anche Dean si ritrova a farlo. «Scherzo, la prossima volta ci farò più attenzione».
«Sul mio faccino o su altro?»

Ellie scoppia a ridere e si toglie gli occhiali posandoli accanto al libro sul tavolo. Anche Dean vi appoggia i popcorn e, prima di mettere la birra in frigo, sbircia il titolo.

«”I viaggi di Gulliver”
«Ah-ah, è molto interessante, pieno di metafore. E a me piacciono le metafore, molto». Lo guarda sorridendo e Dean proprio non capisce come faccia a trovare del buono in ogni cosa. E’ senza dubbio una sua caratteristica. «Tu che mi hai portato?»
 
Dean estrae il dvd dalla giacca e glielo porge. La faccia schifata di Ellie la dice lunga su cosa ne pensa. «Ma che roba è?»
«Un film horror. Ti piacerà, o perlomeno non ti farà addormentare».
Ellie lo guarda ancora schifata e poco convinta. «Se lo dici tu».

Si siedono sul divano e appoggiano i piedi sul tavolino basso lì di fronte quasi contemporaneamente, la ciotola dei popcorn tra loro e una birra a testa sul mobiletto accanto.
 
Dean accende la tv e tutto è così banale e scontato per Ellie che se nei primi minuti cercava di tenere gli occhi incollati allo schermo, dopo mezz’ora ha la testa appoggiata allo schienale del divano, gli occhi chiusi e la mano dentro alla ciotola dei popcorn.
 
Dean è così concentrato sul film che si accorge del mutismo di Ellie dopo parecchio tempo, notando che la sua mano non si è mossa dalla ciotola per lunghi minuti. Si volta piano, quasi irritato quando capisce cosa è successo, e la vede con la testa abbandonata all’indietro e la bocca aperta. Russa anche leggermente. E’ davvero un caso perso, allora.
 
Scuote la testa e finisce di vedere il film. Quando compaiono i titoli di coda sullo schermo, spegne la tv e si volta di nuovo; Ellie continua a dormire beata, come se niente fosse successo e Dean la guarda sbuffando appena. Fa per toglierle la mano dalla ciotola, ma lei deve accorgersene perché si sveglia e, con uno scatto, abbassa il braccio e rovescia la scodella di carta. Più della metà dei popcorn cade a terra e tra le pieghe del divano ed Ellie sgrana gli occhi; sembra quasi non abbia mai dormito in questo momento e lo guarda con fare colpevole.

«Mi sono addormentata, vero?» Dean la guarda – la sua faccia deve avere un’espressione particolarmente minacciosa perché gli occhi di lei sono grandi e tondi e si morde le labbra, mortificata – e annuisce, sospirando appena. «E i popcorn… »
«Sono caduti. Quasi tutti»

Ellie fa una smorfia dispiaciuta e mormora uno «scusa». Si appresta ad aiutarlo, inginocchiandosi sul divano e ficcando le mani – piccole, Dean non le ha comparate con le sue come fanno i bambini ma solo a guardarle sembrano così minuscole, sicuramente in grado di infilarsi dappertutto – tra le pieghe del vecchio divano e tira fuori un popcorn alla volta, massimo due.
 
Dean sta per spazientirsi, così ci metteranno millenni, ma non fa in tempo a dire niente che la porta si apre. Gira gli occhi e vede suo padre e Jim che li guardano con le sopracciglia alzate.
 
«Elisabeth, ma che diavolo… »
«Mi sono caduti i popcorn, papà, stavo aiutando Dean a rimetterli a posto» ma si interrompe quando vede Jim stringere gli occhi tra le dita e sbuffare, irritato.
 
Dean si prende del tempo per osservarlo. Sembra davvero distrutto… o stronzo. A Dean ha sempre dato un po’ quest’impressione.
 
Ellie si ferma, restando in ginocchio e tenendo la schiena dritta, le mani aperte sulle cosce, mentre i due entrano chiudendosi la porta alle spalle.
 
«Beh, la pacchia è finita. Dean, abbiamo trovato un caso per te. E tu Elisabeth andrai con lui».

Dean aggrotta la fronte e posa lo sguardo prima su Jim – che se definisce pacchia cercare di far piacere il cinema ad Ellie non ha capito un cavolo di come funziona il mondo -, poi su suo padre e poi su Ellie che sembra così entusiasta mentre lo guarda con gli occhi grandi e luccicanti.
 
«Davvero, papà?»
«Sì. Qui» passa un fascicolo alla figlia senza un minimo di garbo, quasi tirandoglielo «Ci sono le coordinate e quello che abbiamo trovato io e John. Ora tocca a voi»
 
Ellie sorride come una bambina a cui hanno appena regalato un nuovo giocattolo e, per qualche strano motivo, Dean si ritrova a fare lo stesso, anche se con meno entusiasmo. Non è la prima volta che succede in neanche cinque giorni che la conosce.
 
Raccolgono le loro poche cose in fretta e, dopo le varie raccomandazioni di routine – «Dean, stai attento con Elisabeth. E’ inesperta, ha bisogno di imparare e sicuramente non sarà efficiente come te o tuo fratello e—» «Sì, papà, sì» - salgono sull’Impala. Il viaggio è lungo e il Michigan non è esattamente dietro l’angolo. Il caso li aspetta a Dearborn, alle porte di Detroit. 
 
Quando sale in macchina, Ellie ascolta con attenzione il rombo del motore, come se fosse un suono che avesse già sentito da qualche parte e le ricordasse qualcosa di bello. Dean sorride tra sé e la guarda con la coda dell’occhio mentre lei osserva in silenzio ogni particolare dell’abitacolo dell’Impala, i sedili e il tettuccio; ogni cosa, anche il cambio e il freno le sembrano particolarmente interessanti. Accende la radio ed Ellie sembra non riuscire a contenere la gioia; stringe la stoffa dei pantaloni sulle cosce e batte le dita seguendo il ritmo della musica. La cassetta inserita è quella dei Led Zeppelin ed Ellie quasi salta sul posto quando si passa alla traccia successiva.
 
«Adoro questa canzone! Posso?»
 
Dean annuisce anche se ha vagamente paura di quello che sta per fare, ma lei si limita semplicemente ad alzare il volume. Il brano è “Stairway to Heaven” ed Ellie comincia a battere i piedi sul tappetino e a fischiettare seguendo il ritmo della musica e quando Robert Plant comincia a cantare lei lo segue con entusiasmo mentre guarda fuori dal finestrino.
 
Ha una voce particolare, fuori dal comune, quella di Plant quasi si confonde perché lei la sovrasta e, ancora una volta, a Dean sembra una bambina mentre canta così spensierata ed è talmente contagiosa che anche lui si mette a fare lo stesso, nonostante sia più stonato. Ellie si volta a guardarlo e gli sorride assecondandolo e continuando fino all’ultima nota.
 
Ed è in questo preciso momento che Dean al solo guardarla si rende conto che la presenza di Ellie può essere qualcosa di positivo, che forse potrà portare un po’ di allegria e colore nella sua esistenza buia.

 
[1] Nell’episodio 7x08 “Season seven, time for wedding!”, Dean dice ad una tipa che avrebbe finito la scuola se fossero state tutte come lei. E credo ci siano altri indizi sparsi nella serie (o forse l’ho letto da qualche parte) che lasciano intendere che Dean non abbia un diploma vero.
[2] E’ l’aneddoto che Dean racconta a Gordon Walker nell’episodio 2x03 “Bloodlust”.

 

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Capitolo 3
*** I want to break free ***


Note: Questa settimana (come le prossime che verranno… maledetta sessione estiva ç_ç) è stata particolarmente intensa, perciò vado subito al sodo.
Nelle mie intenzioni, i casi come questo – che saranno più di uno – dovevano concludersi in un capitolo, ma la mia prolissità ha avuto la meglio e quindi la faccenda non si risolve qui. Perciò, per la parte più… “d’azione” dovrete aspettare un pochino, eheh! ;) Nel frattempo, comunque, continuano ad essere disseminate informazioni su Ellie che, non essendo una cacciatrice ed avendo vissuto diversamente per gran parte della sua vita, continua a vedere le cose a modo suo.
Come al solito, ringrazio di cuore chi segue, commenta o anche solo passa a dare una sbirciatina a questa mia storia dalle poche pretese. E sappiate che se volete lasciare un commentuccio io non mi offendo mica, anzi! :D
Buona lettura!

 

Capitolo 3: I want to break free

God knows,
got to make it on my own.
 
(I want to break free – Queen)

 

La strada è lunga, incredibilmente lunga. Dean è abituato a viaggi di questo tipo, a guidare per ore senza trovare riposo, ed è anche felice che l’Impala sia diventata tutta sua, solo che gradirebbe un cambio, ogni tanto. Con suo padre era facile perché facevano a turni, un po’ meno con Sam, ma ora, nonostante la sua immane resistenza alla guida, crede di aver bisogno di una pausa. Non fa una sosta da sei ore, l’alba è passata da un pezzo e non ha dormito neanche cinque minuti in tutta la notte.
 
Si ferma in una piazzola a lato della strada e spegne il motore, chiudendo gli occhi e inspirando forte, la testa appoggiata al sedile.
 
«Sei stanco? Vuoi che guidi un po’?» Dean quasi sobbalza a sentire quella voce. Non che si fosse dimenticato della presenza di Ellie in macchina, ma non si aspettava parlasse. Anche se dovrebbe sempre, visto che non se ne sta un attimo zitta per la maggior parte del tempo.
 
La guarda alzando entrambe le sopracciglia. «No».
«Perché?»
«Perché no».
 
Ellie allarga un po’ gli occhi, sorpresa. «Wow, che argomentazione convincente».
 
Dean sospira, nervoso. E’ stanco e non gli va di discutere. «Per tua informazione, io non faccio guidare la mia macchina ad altre persone. Non l’ho mai chiesto neanche a… » e vorrebbe dire Sam [1], davvero, ma non ci riesce. Fissa per qualche istante un punto di fronte a sé e si passa una mano sulla bocca sperando che lei non si sia accorta di quella pausa troppo lunga per poi voltarsi di nuovo e guardarla, trovandola in attesa. «Beh, non ha importanza. Qui dentro funziona così, punto. E poi, francamente, non so neanche se hai la patente».
 
Ellie piega leggermente la testa di lato e aggrotta la fronte. «Certo che ho la patente! Ho vent’anni! Quasi ventuno, per essere precisi» e Dean la guarda sorpreso. Ha la stessa età di Sam.
«Sembri più piccola».
«Non credo. Al massimo posso dimostrarne diciannove, e negli Stati Uniti a quell’età si guida già da tre anni, quindi la patente ce l’avrei comunque da un pezzo».
«Sì, me lo ricordo come funziona nel nostro Paese, grazie per la lezione di educazione civica».
 
Ellie sospira. «Allora, mi fai guidare o no?»
«No».
 
Sbuffa appena e alza le spalle. «Ok, allora almeno andiamo a fare colazione, così ti riposi. Offro io».
E a Dean quell’idea sembra davvero sensazionale. Un’area di servizio dovrebbe essere vicina, può resistere fino a lì. Riaccende il motore e ci trascina la sua piccola.
 
Si siede su una delle poltroncine del bar ed Ellie fa lo stesso. Non parla finché la cameriera non li raggiunge per prendere le ordinazioni e osserva tutta la scena quasi passivamente – nonostante la tipa sia di suo interesse, ma è troppo stanco anche solo per provarci – finché Ellie non tira fuori dal portafogli un mazzetto di banconote arrotolate e ne porge un paio alla cameriera per poi riporle al loro posto.
 
Dean si stropiccia gli occhi e la osserva per qualche istante, finché non cattura la sua attenzione. Ellie lo guarda aggrottando la fronte, un gesto che ormai Dean ha catalogato come non capisco perché mi fissi, parla invece di fare così o qualcosa del genere.
 
«Dove li hai trovati tutti quei soldi?»
«Lavorando». Dean proprio non capisce quel concetto. Lavoro. Per lui lavorare è andare a caccia e salvare la gente, non conosce altri tipi di lavori – a parte il meccanico, ma quello è più un sogno nel cassetto, un’alternativa alla caccia, quindi qualcosa che non realizzerà mai – e di certo per il suo non lo pagano. O comunque non abbastanza.
«Che tipo di lavoro?»
«La cameriera». Ellie sorride all’arrivo della sua colazione; prende la forchetta e comincia a spezzettare i suoi pancake e Dean la guarda, continuando a non afferrare il concetto. «Quando papà ha un caso e ci fermiamo in una qualche città per un po’, cerco sempre un lavoretto, visto che di pratico non mi fa fare niente. Mi adatto a tutto, ma la cameriera è quello che mi viene meglio, perché l’ho fatto per tanto tempo».
 
Dean addenta le sue uova piacevolmente colpito. «Intendi quando tua madre… »
«Sì. Mia mamma gestiva una tavola calda a Buckley, nello stato di Washington. Sono nata e cresciuta lì». Fa una piccola pausa, portandosi un pezzetto di pancake alla bocca per poi masticarlo piano. «Era di sua proprietà. Quando si è ammalata ha voluto venderla, io l’avrei tenuta ma poi ho capito che l’ha fatto perché voleva che andassi con papà».
«E non c’era nessuno a cui potevate lasciarla? Un parente, uno zio… »
«No. Era figlia unica ed i miei nonni sono morti prima che nascessi».
 
Dean annuisce pensieroso. L’albero genealogico della famiglia di Ellie sembra essere più spoglio del suo, il che è tutto dire.
 
«E le medicine costano. Un sacco. Con tutti i trattamenti che la mamma ha fatto nell’ultimo periodo ci servivano soldi» fa un’altra pausa abbassando lo sguardo per un secondo. Poi lo posa su uno dei pezzetti dei suoi pancake e torna a guardare Dean «E tu? Se non lavori come trovi i soldi?»
Dean tira le labbra in un sorriso sicuro. «Trucchetti con le carte di credito. O partite di poker, o il biliardo. E’ un modo divertente di guadagnare».
 
Gli occhi di Ellie si fanno grandi e si illuminano, quasi avesse sentito una grande rivelazione. «Bello il biliardo. Mi piacerebbe imparare a giocare» e Dean sorride a quelle parole. Quando se ne esce con quelle affermazioni gli provoca una grande tenerezza, non sa dire perché. «Un giorno posso insegnarti, se vuoi».

*

E’ quasi notte fonda e Dean ed Ellie non sono ancora giunti a destinazione. Si sono fermati un altro paio di volte, giusto per mangiare e dormire un po’ – soprattutto Dean, perché Ellie sembra un pozzo di energie inesauribile – e gli manca davvero poco per arrivare, per fortuna. Ed è più di un’ora che Ellie legge con la massima attenzione ogni riga del fascicolo che le ha dato suo padre.
 
«Quindi due uomini sono stati assassinati nell’arco di un paio di giorni».
«Già. L’unico collegamento tra le vittime è che vivevano nello stesso posto. Ah, ed erano entrambi sposati con delle donne bionde».
«Non mi sembra un motivo valido per morire. A me piacciono le bionde».
Ellie sorride. «Vedi di non trovartene una lì, allora».
«Oh, ma non c’è il rischio che io me la sposi. Ne uscirò comunque sano e salvo».
«Questo è da vedere. La cosa strana è che la stessa situazione si è verificata anche trent’anni fa».
«Potrebbe trattarsi di uno spirito, allora»
«Può darsi» Ellie richiude il plico di fogli e lo appoggia sul cruscotto, per poi stirare le braccia verso l’alto. «Siamo quasi arrivati, vero?»
 
Dean annuisce e la osserva con la coda dell’occhio. E’ tutto il giorno che è euforica, non se ne sta un attimo ferma ed ha sempre il sorriso stampato in faccia e Dean non riesce proprio a capirne il motivo.
 
«Posso farti una domanda?» Ellie annuisce, curiosa. «Perché sei così contenta? Insomma, io… non riesco a capire il tuo entusiasmo».
 
Ellie sorride, forse più a se stessa che a lui. «E’ che… beh, è la prima volta che papà mi affida qualcosa. Un caso. So che ci sei tu e che lo ha fatto per questo, non credo mi avrebbe lasciata andare se fossi stata da sola, ma… non lo so, sono felice che mi dia un po’ di quella fiducia che non mi ha mai concesso».
 
Dean ci pensa un attimo prima di rispondere. Da come ne parlava Jim, sembrava che volesse tenerla fuori per proteggerla, ma a giudicare da quello che ha appena detto Ellie, la questione è ben diversa. «Avrà paura tu ti faccia male» ma lei scuote la testa, senza esitazione. «No. Forse non mi crede in grado. Non lo so» e Dean non fa in tempo a dire altro che lei indica un punto fuori dal finestrino. «Guarda, un motel. Possiamo fermarci qui».
 
Dean annuisce e parcheggia, conscio del fatto che probabilmente quello era il tipico modo per cambiare argomento.
 
Una cosa che ha notato di Ellie è che parlerebbe per ore di sua madre morta e sempre con il sorriso sulle labbra, ma non è dello stesso avviso quando si tratta del padre. Non crede sia perché si conoscono da poco – relativamente poi, perché tre anni non sono così pochi; forse è per il modo in cui lui la tratta, quasi come se gli fosse d’impiccio. O almeno è questa l’impressione che ha avuto Dean dal principio, anche se Jim ha cercato di far trasparire il contrario fin da subito.
 
Eppure, per qualche strano motivo, lei continua a chiamarlo papà.
 
Prendono una sola stanza, un po’ per risparmiare e un po’ perché Dean proprio non se la sente di lasciarla a dormire da sola. Anche se li separerebbe una porta o due, non gli va. Il suo senso del dovere glielo impedisce. E, comunque, la cosa non sembra scocciare ad Ellie quindi va bene.
 
La stanza è uguale a tante altre: la carta da parati verde oliva con dei ricami gialli, un piccolo tavolo con due sedie accanto alla cucina, la porta del bagno a ridosso di uno dei due letti che si presentano ben sistemati e la coperta che vi giace sopra in tinta con tutto il resto. E’ tutto molto verde.
 
Ellie si chiude la porta alle spalle e appoggia il suo borsone per terra, sbadigliando appena. Lascia a Dean la scelta del letto – come se ci fosse davvero una grande differenza di comodità o qualcosa del genere, sono tutti uguali i letti dei motel, ma apprezza il pensiero –, afferra qualcosa dal suo bagaglio e si dirige in bagno.

Dean ne approfitta per cambiarsi e, quando lei esce dopo qualche minuto, alza lo sguardo e la vede indossare solo una lunga maglietta che le arriva fin quasi alle ginocchia, senza pantaloni. E’ verde smeraldo – un colore molto più acceso di quello della carta da parati, ma sembra particolarmente abbinato, e Dean non sa se la cosa gli piace – con una grossa stampa del muso di un elefante con gli occhiali al centro.
 
«Ma guarda, sembri tu quando leggi» mentre lo dice indica il disegno ed Ellie gli fa la linguaccia per poi mettersi seduta sul letto, incrociando le gambe scoperte. Che sono anche delle belle gambe, a dire la verità.
«A che ora ci svegliamo domani?»
Dean guarda l’orologio. «Beh, direi che fino alle sette e mezzo possiamo riposarci. Ho bisogno di almeno quattro ore di sonno».

Ellie annuisce e rimane in quella posizione. Dean va in bagno e la ritrova esattamente allo stesso modo quando esce. Bah, è strana. Si decide ad infilarsi sotto le coperte solo quando lo fa anche Dean e chissà cosa diavolo stava pensando per rimanere ferma tutto quel tempo.
 
Dean la osserva prima di spegnere la luce, pensando a come è vestita. Fa freddo, ma lei non sembra curarsene ed è assolutamente convinto che non lo fa per piacergli o per farsi vedere. Niente di quello che fa è per compiacere Dean. Lei è semplicemente così, non si nasconde, è se stessa, anche con lui che conosce da neanche una settimana.
La osserva rigirarsi nel letto ed è così buffa con quella trapunta addosso, rannicchiata in modo tale da formare un bozzo di coperte e lenzuola intorno a sé, come una fortezza. Sembra doversi difendere da qualcosa.
 
Spegne la luce e chiude gli occhi, addormentandosi in un lampo.
 
Quando li riapre è già mattina e la sveglia gli ricorda che ha un lavoro da fare e purtroppo non può dormire tutto il giorno. Si stropiccia e si volta verso il letto di Ellie, trovandolo vuoto. Allarga gli occhi di più, quasi non riuscisse a credere a quello che vede e si tira su con il busto verificando meglio che, sì, Ellie non c’è. Il letto è rifatto con cura e precisione.
 
Fa per alzarsi per controllare se è in bagno, ma la porta d’ingresso si apre e lei entra con un sorriso smagliante e un paio di sacchetti in mano.
 
«Buongiorno!» è pimpante e fresca come una rosa, sembra aver dormito per qualche secolo anziché per poco più di quattro o cinque misere ore. Dean la guarda con gli occhi ancora mezzi chiusi mentre lei si avvicina, sedendosi sul letto accanto al suo, e gli porge un sacchetto bianco. Dean lo apre e scopre che dentro ci sono un paio di belle brioche – che hanno tutta l’aria di essere anche buone – e un bicchierone di caffè. «Sono andata a prendere la colazione, così facciamo prima».
 
Dean addenta un pezzetto della sua brioche, la testa ancora avvolta nel mondo dei sogni. «Ma da quant’è che sei sveglia?»
«Un’ora, più o meno. Non riuscivo a dormire».
Dean scuote la testa e si stropiccia ancora gli occhi con le dita. «Tu non sei normale».
Ellie fa spallucce «Il concetto di normalità è relativo» poi sorride, stiracchiandosi appena la schiena «E poi ero agitata e ho pensato di avvantaggiarmi. Sono andata a prendere la colazione e ho preparato le cose da mettere» indica il letto e Dean osserva dei vestiti che non aveva notato. Sono un paio di pantaloni nocciola dal taglio leggermente diverso da quello dei jeans che Ellie indossa di solito – ma non abbastanza “eleganti” per una giovane reporter a caccia di scoop, che è quello che dovrà far finta di essere oggi – e una t-shirt bianca, semplice, senza disegni.
«E questa sarebbe la tua… divisa?»
Ellie annuisce. «Non ho niente di meglio».
 
Dean scuote la testa di nuovo, beve un lungo sorso del suo caffè e si alza in piedi, stirando le braccia e la schiena verso l’alto.
«Intanto vestiti. Anche se non mi convince, ma… almeno vediamo come ti stanno addosso».
Ellie annuisce e scatta in piedi. Dean, nel frattempo, prende dei vestiti dal suo borsone e si dirige in bagno.
 
Quando esce, un forte odore di qualcosa che dovrebbe essere smalto gli invade le narici. E’ una puzza atroce per lui, quasi peggio di quella di zolfo dei demoni. Segue la provenienza di quell’odore terribile e trova Ellie che, seduta su una delle due sedie accanto al tavolo, si spennella con particolare attenzione il pollice destro di un colore brillante, un bel rosso acceso – rosso ciliegia per l’esattezza – per poi fissare per un secondo tutte le unghie con un’espressione soddisfatta.
 
Dean la guarda accigliato. «Che è questa puzza?»
Ellie quasi trasale quando lo sente parlare, forse lo credeva ancora in bagno. Alza la testa e lo guarda. «Smalto».
«Sì, smalto, ma perché lo metti? Puzza da morire».
Ellie lo osserva perplessa, una piccola ruga si disegna tra le sue sopracciglia mentre aggrotta un pochino la fronte. «Perché dobbiamo andare sotto copertura».
«Ah, e la prima cosa a cui pensi è di metterti lo smalto?»
«Mi sono già vestita, e poi è un inizio».
 
Sorride e si alza tutta pimpante, facendo un giro su se stessa con le braccia alzate e le mani aperte. Dean scuote la testa e sospira. Non capirà mai lei e le sue manie. La squadra da capo a piedi e… no, non ci siamo proprio.
 
«No, così non va. Devi essere una mia collega, non una sottospecie di tirocinante sfigata. Dobbiamo trovarti qualcosa di più adatto».
 
Si sistema la giacca grigia e lei gli si avvicina per poi aggiustargli la cravatta blu sopra la camicia bianca, stringendo il nodo un po’ di più. «Sembri quasi un giornalista vero. Quasi».
 
Dean fa una smorfia e se la alliscia sul petto, prende le chiavi dell’Impala e si dirige verso la porta. Ellie scatta dietro di lui, la borsa in spalla e lo sguardo attento. Dean sbuffa appena. «Prima dobbiamo andare in un posto perché sembri uscita da un colloquio per una rivista di moda… »
Ellie sbatte le palpebre un paio di volte per poi guardarlo attenta, un piccolo sorriso sulle labbra. «Beh, allora vado bene, no?»
Dean sospira, lievemente irritato, passandosi le dita sugli occhi. «… dei tempi di mia nonna. No, non va assolutamente bene. Senti, per quanto io odi indossare questa roba… »
«Perché? Ti sta bene».
«Sembro un damerino».
«No, non… »
«Non è questo il punto» Dean quasi sbraita, la voce di un tono appena più alto del normale. Non può farci niente, odia quando Ellie divaga, lo odia davvero tanto, così come la sua dannata parlantina. «Quindi adesso andiamo».
 
Ellie lo segue senza fiatare – evviva! – e dopo pochi minuti entrano in un negozio di vestiti. Dean è sicuro che lì potranno trovare qualcosa che possa fare al caso suo.
 
La commessa – dal cartellino appiccicato alla maglietta sembra chiamarsi Madison ed è una tipa mora con gli occhi azzurri con tanto di scollatura e sorriso molto promettenti – si avvicina per aiutarli, ma non fa neanche in tempo a fiatare – e Dean a cacciare fuori il suo antico e rodato sorriso da seduttore – che vede Ellie dirigersi al reparto che le interessa. Dean è così irritato da seguirla senza emettere fiato – ma un sorriso di circostanza alla commessa lo fa e senza neanche troppo sforzo, almeno per chiedere scusa della mancanza di tatto o quello che è della sua collega – e la guarda mentre con una certa nonchalance prende dei vestiti per provarli. Dean non saprebbe dire se lo sta facendo a caso o se ha un ordine nella sua testa che sta seguendo, è troppo veloce per sembrare davvero concentrata. Ellie lo guarda per un secondo e poi si infila nel camerino e Dean aspetta fuori, seduto su un comodo divano mentre sfoglia distrattamente una rivista.
 
Ellie esce da quel camerino almeno quattro volte prima che Dean sia soddisfatto. Pare stia facendo una specie di sfilata e la cosa un po’ lo diverte. Anche se di solito preferisce tipi diversi di passerelle, con donne diverse e magari con meno vestiti addosso, ma molto di quello che fa Ellie, in un modo o nell’altro, lo diverte. Non sa dire esattamente perché, è così e basta.
 
Passa da uno stravagante vestito rosa avvitato che le arriva fino alle ginocchia ad un paio di pantaloni con una camicia di dubbia bellezza fino ad un completo più semplice e molto più adatto, composto da una gonna grigia e una giacca, una camicia celeste troppo abbottonata – almeno per i gusti di Dean – e si rimira soddisfatta allo specchio. Dean la osserva attentamente e sì, aveva ragione a pensare che se si cura un po’ è davvero più carina.
Si alza e si posiziona dietro di lei; già hanno perso abbastanza tempo e sarebbe anche ora di andare a controllare quello che gli interessa.
 
Ellie si volta e sorride, la domanda è solo implicita. «Stai bene. A parte… » Dean le si avvicina all’orecchio «Che sembri una suora» e butta un occhio sulla scollatura praticamente inesistente della camicia, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti allusivi.
 
Ellie si gira di nuovo e arriccia le labbra in una smorfia poco convinta, poi si avvicina allo specchio e slaccia quel bottone in più che tanto stonava a Dean. Si volta verso di lui che ora la guarda davvero soddisfatto e piega l’angolo destro delle labbra in una specie di sorriso.
«Ecco, ora sei perfetta».
Ellie sorride contenta e si avvia all’esterno insieme a lui.

*

La casa di Diana Lee è situata in un quartiere isolato nella periferia di Dearborn. Per certi versi è la tipica villetta americana, con tanto di steccato bianco e giardino di fronte; è piuttosto grande, in quanto è divisa in appartamenti, in uno dei quali vive la moglie dell’altra vittima, la signora Patricia Benton. C’è da chiedersi come mai il terzo residente finora ne sia uscito illeso. Dean dubita fortemente che la causa sia il colore della tinta di sua moglie, ma non si sa mai. Magari è semplicemente scampato alla morte solo temporaneamente e sarà la prossima vittima. O forse no.
 
Dean si avvia a passo svelto verso la porta del primo appartamento, seguito da un’affaticata Ellie. La cosa più difficile per lei sembra indossare le scarpe. Non sono molto alte, forse hanno cinque centimetri di tacco o poco più, ma è da quando le ha messe che sbraita.
«Ok, è vero che non metto mai gonne perché non sono esattamente il mio genere, ma questi tacchi… erano proprio necessari?»
Dean sbuffa. Glielo avrà chiesto almeno tre volte da quando sono usciti dal negozio. «Nessuno ti guarderà le mani o lo smalto, ma non si è mai vista una giornalista seria con le Converse».
«Ma mi fanno male i piedi!»
 
Dean alza gli occhi al cielo e sospira per l’ennesima volta. «Adesso suono. Comportati come ti ho detto».
Ellie sbuffa sonoramente e incrocia le braccia al petto. «Sì. Lascio parlare te e appunto le cose essenziali sul taccuino, ho capito».
 
Dean sospira sperando che abbia davvero capito e segua tutto alla lettera. Suona il campanello e ad aprirgli è una donna sulla trentina, bionda, bassina e abbastanza magra, con un bambino paffuto in braccio.
 
«Buongiorno signora. Siamo qui per conto della Dearborn Press, stiamo scrivendo un articolo. Vorremmo farle alcune domande sulla scomparsa di—» ma la donna non lo fa finire e li fa passare. Fa accomodare entrambi in salotto – un ambiente ben arredato, i muri bianchi e i mobili di legno scuro, pieno di piante e fiori ovunque – e sistema il piccolo sul seggiolone. Non avrà neanche un anno.
 
Dean si siede su un divano ed Ellie fa lo stesso, mettendosi accanto a lui e tirando il tessuto della gonna verso il basso, come a coprirsi le gambe. Dean non può fare a meno di sorridere sotto i baffi vedendola così a disagio e lei evidentemente se ne accorge, perché gli assesta una gomitata su un fianco. Si volta a guardarla male, ma è obbligato a spostare l’attenzione sulla signora Lee non appena lei si siede sulla poltrona di fronte.
 
«Immagino siate qui per mio marito».
Dean annuisce. «E’ stata lei a trovarlo?»
«Sì, fortunatamente» Dean sbatte un paio di volte le palpebre per evitare di spalancare gli occhi dalla sorpresa. Il tono che quella donna sta usando è troppo… rilassato, soprattutto per una che ha perso il marito da un paio di giorni. «Ho due bambini piccoli e sarebbe stato un vero e proprio trauma per entrambi, soprattutto per la più grande».
 
Dean cerca di rimanere impassibile dopo quelle parole, ma non è affatto semplice: Diana Lee sembra tutto fuorché affranta. Forse avrebbe pianto di più se le fosse morto un gatto. O un canarino.
 
Si volta appena verso Ellie e la vede osservare con attenzione un punto lontano, oltre il divano su cui siede la donna. Sta fissando il bambino sul seggiolone che sta lì, seduto, e sbatte le manine chiuse a pugno ogni tanto. Anche la madre sembra accorgersi di quei rumori e si alza di scatto, andando verso il frigorifero.
 
Ellie continua ad osservare la scena e Dean non capisce che cosa ci sia di tanto interessante. La donna torna dopo qualche istante, il bambino di nuovo in braccio e un biberon pieno di latte in mano. Lo avvicina alla bocca del piccolo che comincia a succhiare avidamente.
 
«Cos’altro volete chiedermi?» è così scocciata, sembra che tutta questa situazione la renda tremendamente nervosa, morte del marito compresa.
 
«Ha intenzione di trasferirsi presto?» stavolta è Ellie a parlare e il suo tono non è per niente accomodante. Dean la guarda male, ma lei non sembra accorgersene, le mani impegnate a tenere l’agenda e la penna e gli occhi a scrutare la stanza. Dean nota degli scatoloni sono posizionati proprio accanto al seggiolone del bambino e forse era quello ad aver catturato la sua attenzione poco fa.
 
«Sì. Da quando siamo qui ne sono successe di tutti i colori. Ho sempre odiato questo posto, e—»
«E ora che suo marito è morto è giusto cambiare aria. Certo».
Dean è allibito. Non capisce a che gioco stia giocando Ellie, ma di certo non è quello giusto.
«Per i bambini, ovviamente».
«Ovviamente». Il sorriso di Ellie è puramente ironico, così come il suo tono, e si rimette a scrivere sul taccuino. Dean ne approfitta per fare domande diverse.
«Ricorda qualcosa di strano quando ha ritrovato suo marito? Non so, odori particolari, rumori… »
«Odori particolari, certo. L’odore di un corpo morto. Per il resto, no, mi dispiace, non ricordo altro. E tutto quello che ho sentito e visto l’ho già detto alla polizia».
 
Dean ed Ellie escono da quella casa piuttosto alterati, soprattutto Dean. Attende che siano abbastanza lontani dall’abitazione per prendere Ellie per un braccio e strattonarla verso di sé. Lei lo guarda accigliata.
«Ti rendi conto che potresti farmi male?»
«E tu ti rendi conto che hai quasi mandato a puttane tutto? Ma che diavolo ti è preso?»
Ellie sospira e tira indietro il braccio. «Suo marito è morto ammazzato e l’unica cosa che le viene in mente è di traslocare».
«Sì, non incarna esattamente l’immagine della perfetta moglie americana, ma non sta a noi giudicare. Perlomeno non in sua presenza. La prossima volta che fai come ti pare ti rispedisco da tuo padre a calci, intesi?»
Ellie abbassa lo sguardo e si dirige verso l’Impala e Dean è davvero fuori di sé dalla rabbia. Ok una principiante, ma una che incasina le cose e fa di testa sua no. Questo non può accettarlo. 

*

Per tutto il giorno, Ellie ha seguito Dean come un cagnolino, in silenzio, senza mai lamentarsi di niente o dire nulla, appuntando ogni minima cosa ed eseguendo gli ordini che le aveva dato in precedenza e la cosa non lo ha disturbato affatto, anzi.
 
Hanno visitato l’appartamento della seconda vedova afflitta, che aveva tutta l’aria di fregarsene della morte del marito, esattamente come la prima. Era fredda, distaccata, quasi assente.
 
Nessuno dei due luoghi si è rivelato davvero utile alle loro ricerche, ma Dean è assolutamente convinto che ci sia di mezzo un fantasma ed ha democraticamente deciso che è bene studiarsi la planimetria dell’edificio e conoscerne la storia nel dettaglio. E’ per questo che ora sono chiusi nella loro stanza di motel a fare ricerche su questo fronte e sull’omicidio avvenuto trent’anni fa.
 
Ellie si è fatta una doccia e si è cambiata, tornando alla sua mise abituale – una felpa rossa, un paio di jeans aderenti e scalza ai piedi – e se ne sta sdraiata a pancia in giù sul letto, con il viso rivolto verso lo schermo del suo computer. Ha i capelli sciolti e gli occhiali sul naso ed è così concentrata che neanche si accorge quando Dean rientra con la cena. Alza lo sguardo solo quando le porge il sacchetto bianco con il suo hamburger e si mette seduta, toglie gli occhiali e bisbiglia qualcosa come un «grazie» per poi puntare gli occhi sul suo cibo.
 
Dean si siede sul letto accanto e scarta il suo hamburger guardandolo affamato. «Hai trovato qualcosa?»
Ellie scuote la testa. «No. Forse dovremmo trovare un testimone. Anche del primo omicidio, magari potrebbe—»
«Certo, troviamo la prima nonna che possa darci una mano, mi pare un’idea davvero brillante».
 
Ellie alza gli occhi verso di lui di scatto e sembra davvero ferita da quelle parole. «La moglie della vittima di trent’anni fa potrebbe essere ancora viva, non abbiamo controllato» e Dean si morde la lingua. E’ vero, non ha tutti i torti. E’ vero anche che può essere una nonna, ma potrebbe essere viva. Ellie fa un grosso sospiro. «Mi dispiace per stamattina. Ho fatto casino, mi sono scaldata e non avrei dovuto. Ma non per questo sono una buona a nulla. E’ quello che sto cercando di dimostrare a tutti, io… io posso farcela».
 
Ha l’espressione di chi vorrebbe davvero che qualcuno, anche una sola persona al mondo, la capisse, che riuscisse ad apprezzarla e questo convince ancora di più Dean del fatto che Jim non lo faccia.
 
«Perché ti sei innervosita tanto?»
Ellie intreccia le gambe tra loro e abbassa lo sguardo per un attimo. «E’ una mamma quella donna. Voglio dire, erano una famiglia… è proprio vero che chi ha il pane non ha i denti».
«Ma le famiglie non sono tutte rose e fiori, ci sono sempre litigi e problemi. Magari quei due avrebbero divorziato a breve o comunque discutevano spesso».
«E chi ci va di mezzo? I bambini. Era un padre quell’uomo per loro, e per quanto bastardo potesse essere con lei, quei due bambini lo hanno perso. Mancherà loro per tutta la vita e lei pensa solo a traslocare perché questo posto non le è mai piaciuto. E scusa, ma queste cose mi fanno proprio innervosire».
 
Dean capisce cosa sta cercando di dirgli. In fondo lui ha conosciuto il significato di famiglia tradizionale anche se per poco tempo e per quanto John e Mary non fossero esattamente una coppia modello, anche se non era un matrimonio perfetto, il loro amore era tangibile. Non c’erano ombre su quello.
 
«Quel bambino non ricorderà mai suo padre. E lei sembrava quasi felice che fosse morto, che se ne fosse liberata. L’altra donna lo stesso, ma almeno non avevano figli». Ellie sospira e addenta un pezzo del panino controvoglia. «Io avrei dato tutto quello che avevo per trovare il mio papà quando ero bambina, per avere una famiglia normale. E farei lo stesso per la mamma ora che non c’è più».
 
A quelle parole, Dean davvero non sa cosa rispondere. Forse è meglio cambiare discorso. «La prossima volta però cerca di non farti fregare dalle emozioni».
 
Ellie annuisce e tira le labbra in un piccolo sorriso, per poi fiondarsi di nuovo sul suo hamburger. Finisce la sua cena in silenzio, si pulisce le mani con un tovagliolo e ritorna a concentrarsi sul suo computer. Dopo un paio di minuti, lo volta e mostra lo schermo a Dean.
 
«Anna Fisher. E’ ancora viva ed abita a qualche isolato da qui» sorride appena e Dean annuisce, masticando un grosso pezzo del suo panino.
«Domani mattina paffiamo a farle una vifitina, ok?» Ellie annuisce e ride e Dean la guarda perplesso. «Niente. Sei buffo quando mangi e poi parli con la bocca piena».
Dean manda giù il boccone, in silenzio. Nessuno gli ha mai detto così, anzi, spesso suo padre lo rimprovera per quell’atteggiamento e Sammy era solito fargli dei versi strani, una serie di boccacce e smorfie che nel suo linguaggio “secchionico” volevano dire qualcosa come Dean, andiamo, mangia composto.
 
Passano la notte tra una pila di scartoffie “prese in prestito” all’ufficio del catasto e viene fuori che quella villetta è stata ristrutturata da poco. Prima era un vecchio casolare abbandonato da anni.
 
Poi, tanto per non farsi mancare niente, fanno un salto all’obitorio per controllare i cadaveri dei due uomini. Non c’è nessun segno particolare sui loro corpi, a parte quelli dello strangolamento – che sembra essere stato fatto con qualcosa di sottile, un filo di ferro o qualcosa di simile – e dalle cartelle cliniche risulta che erano entrambi sani come dei pesci prima di morire e Dean, dall’alto della sua esperienza, comincia a pensare che se non si trattasse di qualcosa di sovrannaturale la colpa potrebbe ricadere anche sulle stesse mogli. 

 


[1] Nell’episodio 1x02 “Wendigo”, Dean chiede a Sam se vuole guidare un po’ e Sam risponde: «Dean your whole life you never once asked me that» (tradotto con «E’ incredibile, lo sai che non me l’hai mai chiesto prima d’ora?»), quindi ho cercato di attenermi alle “tradizioni”. 
 

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Capitolo 4
*** Then you begin to make it better ***


Note: Mi trovo costretta ad anticipare la pubblicazione di questo capitolo perché domani mi attende una giornata a dir poco infernale, una di quelle che mi costringerà a stare perennemente lontana dal computer, perciò approfitto di quest’oretta libera per farlo adesso. Poi, data l’ora tarda, è praticamente già mercoledì XD
Ho riletto tutto con più attenzione possibile, ma essendo che è tardi ed i miei occhi avrebbero tanta voglia di chiudersi, potrebbe esserci scappato qualche errore… nel caso, me ne scuso e vi prego di segnalarmelo, così da poter correggere :)
A mercoledì! 

 

Capitolo 4: Then you begin to make it better
 

And anytime you feel the pain
Hey Jude, refrain
Don’t carry the world upon your shoulders.
 
(Hey Jude – The Beatles)

 
 

In tutta la sua lunga carriera di donnaiolo e amante del gentil sesso, Dean Winchester non aveva mai minimamente pensato a come sarebbe stato condividere degli spazi chiusi con una donna per più di una notte. La convivenza è un concetto che non l’ha mai sfiorato - o forse sì, in rari, rarissimi momenti della sua vita, ma non lo ammetterà a voce alta neanche sotto tortura - e quindi non poteva immaginare cosa volesse dire realmente finché Ellie non è piombata nella sua vita.
 
Si ritrova a fissare un punto all’interno del bagno per più di qualche minuto e, per la prima volta da quando la conosce, vorrebbe picchiare suo padre per aver acconsentito a quella specie di patto con Jim e soprattutto per avergliela affidata.
 
Ellie, che non riesce mai a stare ferma un attimo, ha messo a posto tutta la sua roba - neanche dovessero rimanere lì un mese. Ha sistemato anche i vestiti nell’armadio – la maggior parte, non tutti –, ma l’utilità del gesto sfugge a Dean.
 
Il problema vero però è, appunto, in bagno. Con Sam e suo padre, Dean non ha mai avuto particolari difficoltà in quanto a parte spazzolino, dentifricio, schiuma da barba e rasoio annesso non hanno un granché, ma con Ellie è tutt’altra storia. E’ la prima volta che entra in quel piccolo stanzino dopo che lei ci ha messo lo zampino per un tempo indefinito, chiudendosi dentro e non uscendo mai – ovviamente quando la sveglia è suonata lei era in piedi da un pezzo – ed ora si ritrova il ripiano accanto al lavandino pieno di, nell’ordine: spazzole, pettini, un’infinità di tubetti di tutte le forme e colori di creme varie, schiuma per capelli, un barattolo giallo con una strana crema – un’altra! – che profuma di qualcosa di tropicale e una piastra.
 
A parte la domanda spontanea che sorge a Dean, ovvero dove mette tutta quella roba visto che viaggia con un borsone poco più grande del suo, quella successiva è cosa diavolo ci fa. Sembra di stare in una beauty farm o in un negozio di profumi.
 
Ellie lo raggiunge e lo osserva per qualche istante. «Che c’è?»
«Hai intenzione di aprire una profumeria?»
Lei gli sorride «No, è tutta roba mia» e Dean la guarda alzando un sopracciglio.
«Sì questo l’avevo capito, era una battuta. Ma che ci fai?» si pente di averle fatto quella domanda quando lei comincia ad indicare ogni flacone e gli spiega con dovizia di particolari a cosa serve. E’ costretto ad interromperla, alzando una mano nella sua direzione. «Ok, basta, non m’interessa».
«Ma mi hai chiesto che ci facevo… »
«Non intendevo sapere ogni dettaglio, era una domanda retorica».
Ellie lo guarda confusa, poi fa spallucce e torna nella stanza. Dean scuote la testa, convinto che sarà un’ardua impresa dividere il suo spazio vitale con lei ancora per qualche giorno.
 
Rimane ad osservare ancora un attimo tutto quel casino di roba finché la voce di Ellie non lo distrae. «Non è meglio dare un’altra occhiata a quei fogli, prima di andare? Non abbiamo finito ieri sera».
Dean sospira. Il piano per la giornata è quello di fare colazione in fretta, passare per un salutino e qualche domanda da tale Anna Fisher, ex inquilina della casa nonché prima della lista delle vedove afflitte e muoversi a seconda dei risultati ottenuti. «Volevi dire ieri notte. Se avessi letto un’altra riga mi si sarebbero squagliati entrambi gli occhi. E adesso la vecchia è più urgente, finiremo di controllare dopo».
«Ok… devo vestirmi come ieri?»
 
Due o tre passi e Dean è nell’altra stanza e si appoggia allo stipite della porta mentre la osserva allisciare le lenzuola e rifare il letto con precisione. Qualcosa gli dice che sarebbe una fantastica donnina di casa.
 
«No. Ed è un peccato» osserva il suo corpo piegato in avanti, i jeans che le fasciano le gambe e il sedere e la camicetta arancione che ha addosso e ricambia con un sorriso da presa in giro il suo sguardo interrogativo «Perché con quella gonna eri davvero buffa» anche se non è proprio sincero e ride quando gli arriva il cuscino in pieno viso.
 
«Spiritoso». Ellie prende la giacca e si avvia verso la porta, seguita da Dean che ha troppa fame per mettersi a discutere.

*

Dean ed Ellie siedono sul divano di Anna Fisher, una donna sulla sessantina vestita di tutto punto, con tanto di occhiali e due grossi orecchini particolarmente vistosi che le penzolano dai lobi. Una collana altrettanto appariscente le adorna il collo e, a giudicare da questi elementi e da come è arredata quella casa – così diversa e lontana da quella in cui abitava un tempo –, la signora deve essere molto ricca.
 
Compare in salotto appoggiando il servizio da tè sul tavolino che hanno di fronte e si siede su un altro divano; sul vassoio d’argento sono disposti una teiera, tre tazzine e un piatto di biscotti da cui Dean ne pesca un paio e se li porta alla bocca, evitando di guardare Ellie per non incappare in uno sguardo severo – uno di quelli che Sam, in queste occasioni, gli rifilerebbe. Forse Ellie non si comporterebbe allo stesso modo di quel rompiscatole di suo fratello e lo lascerebbe fare, ma meglio non rischiare.
 
Piuttosto, concentra il suo sguardo su Anna Fisher; a guardarla bene, non sembra esattamente la riproduzione reale della simpatica nonnina di Titti, anzi, è piuttosto… inquietante. Forse per lo sguardo strano, o per l’espressione accigliata, o perché il marito è morto da trent’anni in circostanze sospette.
 
«Siamo qui per chiederle di suo marito, signora Fisher» Dean cerca di usare un tono il più professionale possibile.
La donna lo guarda negli occhi e – Dean potrebbe giurarlo – non c’è nessuna traccia di tristezza o rammarico per quello che è accaduto al defunto marito. «Oh, c’è ancora qualcuno a cui interessa quel vecchio bastardo?» e quelle parole non fanno altro che confermare a Dean quello che già pensava.
 
Quanto amore per il caro estinto, è davvero toccante. Hanno fatto un’iniezione di acidume a tutte le donne di Dearborn?
 
«Beh, sa, si sono verificati dei casi molto simili… »
«Oh sì, ne ho sentito parlare al notiziario. Spero che almeno quelle donne abbiano pianto i loro mariti, che fossero delle brave persone».
Dean la guarda sgranando gli occhi. Trova quella donna è sempre più inquietante. «Che intende, signora?»
«Beh, non è un mistero che io e mio marito non andassimo molto d’accordo. Lui era un rammollito, un fannullone, mentre io sgobbavo dalla mattina alla sera per farlo vivere il meglio possibile. Gli ho sempre detto che non mi piaceva quella casa, che era maledetta; c’erano delle strane voci di notte che mi tenevano sveglia e lui diceva che ero pazza e che rimanevo in piedi fino a tardi perché ero una casalinga e le casalinghe non si stancano. Mio Dio, quanto mi infuriavo» fa un grosso sospiro e si versa un po’ del tè in una tazzina per poi berne un lungo sorso. «Una notte, invece, si è alzato dal letto ed io ho sperato che lo facesse perché mi credeva, perché aveva sentito quelle voci. Non è tornato più. L’ho trovato strangolato ai piedi delle scale» altro sospiro – stavolta un po’ meno forzato del primo –, altro sorso di tè. «La polizia non ha mai trovato il responsabile e mi sembra buffo che dopo trent’anni qualcuno si ripresenti a fare lo stesso, ma evidentemente quegli uomini erano dei buoni a nulla come mio marito e forse anche le loro mogli, come me, se ne sono liberate».
 
Ellie guarda Dean abbastanza sconvolta, ma non dice nulla stavolta. Lascia che sia Dean a parlare ancora. «E quando è morto suo marito lei se n’è andata?»
«Oh, sì. Cos’avrei dovuto fare? Speravo la buttassero giù, quella maledetta villa» fa una pausa, arricciando le labbra «Era una villa quando io e Frank siamo andati ad abitarci».
«Sì, ne siamo a conoscenza».
«Ecco. Chissà che diavolo è preso a quel costruttore quando ha deciso di ristrutturarla. Deve aver pensato che fosse un buon affare. Io, al posto di quelle poverette, non ci avrei messo piede per niente al mondo».
 
Quando escono da quella casa, Ellie ha gli occhi spalancati e non emette fiato per qualche minuto buono. Salgono in macchina ed è Dean a prendere la parola. «Hai capito la vecchia? Morto il marito, con l’eredità se n’è andata dalla villa infestata e se n’è fatta un’altra di lusso».
«Questa storia comincia davvero a mettermi i brividi».
«Non dirlo a me. Mi è passata la voglia di sposarmi».
Ellie aggrotta le sopracciglia e lo guarda. «Scusa Dean, ma non mi sembri esattamente un tipo da matrimonio».
Dean scoppia a ridere; la faccia di Ellie è troppo buffa ed ha preso decisamente troppo sul serio quella frase, che non era altro che una semplice battuta.
«Infatti non lo sono» lei continua a guardarlo in modo strano e Dean sbuffa. Non è possibile che non capisca mai quando è serio e quando scherza. «Era una battuta. Io sono uno spirito libero».
 
Ellie arriccia le labbra in una smorfia. «Ne fai troppe, di battute. Non capisco mai quando sei serio».
«Perché lo sono raramente» lei sorride scuotendo la testa e Dean mette in moto, guardandola divertito.
 
Tornano al motel per controllare il resto degli incartamenti sulla villetta e scoprono che molto prima che la signora Fisher ci mettesse piede, quell’immobile apparteneva ad una famiglia di ricconi, tali coniugi Monaghan [1]. I due erano inglesi e si erano trasferiti insieme nelle Colonie Americane per far soldi e trovare fortuna. A quanto pare, c’erano anche riusciti.
 
Ellie e Dean si dirigono nuovamente al catasto e gli unici documenti che gli interessano sono ammucchiati in un vecchio scatolone impolverato situato in una stanza piena di tanti altri contenitori identici, accatastati uno sull’altro a prendere polvere.
 
Ellie infila le mani in quel vecchio scatolone, tirandone fuori altra polvere e plichi contenenti fogli vecchi e ingialliti. Legge velocemente quello che le si para davanti senza trovare niente di realmente interessante finché non trova qualcosa di più pesante, sigillato in una busta di plastica trasparente. Lo tira su e si ritrova tra le mani un vecchio diario.
 
Lo mostra a Dean che guarda quel coso facendo una smorfia ironica «Wow, questa mi mancava… le memorie di una riccona» Ellie lo guarda sottecchi e lo scarta dalla busta per poi concentrarsi su quelle pagine, leggendo attentamente. Dean continua a guardare gli altri fogli che ha in mano, finché Ellie non gli mette quel vecchio memoriale sotto gli occhi indicandogli un punto preciso «Leggi».
 
«Perché? Hai bisogno di una mano per leggere, quattr’occhi?»
Ellie gli assesta una gomitata «Dai, sii serio».
 
Dean ridacchia sotto i baffi e poi si concentra sullo scritto, lasciando scorrere gli occhi su quella scrittura grande e arrotondata.
 
“Mio marito, da anni ormai, non fa che darmi della buona a nulla, della scansafatiche. Ed io sono stanca.
Siamo ricchi, abbiamo le serve e tutto il lusso di questo mondo, ma lui continua a non essere contento di me. Riesce a trovarmi difetti su difetti ed io non ce la faccio più. Ero convinta di amarlo, ma questo sentimento è scomparso con il tempo e da un po’ frequento un uomo, un giovane stalliere, bello e premuroso, che mi fa sentire come una regina. Non oso immaginare cosa potrebbe fare Matthew se lo scoprisse, ma non è un mio problema. Non più. Se l’è voluta”.
 
Alza gli occhi dal diario e li punta su Ellie. «Direi che abbiamo trovato il colpevole» lei annuisce «E’ la più vecchia delle storie. Lei, frustrata e stanca del marito, si fa un altro; lui lo scopre e la uccide».
«Lo credo anch’io. Per me è andata così: all’inizio la proprietà era dei Fisher, ma dopo la morte di quel tipo la casa è rimasta disabitata finché quel costruttore non ci ha messo gli occhi».
Dean la osserva mentre cerca di fare il punto della situazione, concentrata. «Sì, complimenti per la sintesi» ma lei non lo ascolta e continua a parlare. «Il fantasma deve essersi vendicato sui mariti fannulloni di quelle due, ecco perché non ha toccato l’altro».
«Ancora».
«Sì, giusto» si gratta la testa con la punta di una matita. «Sarà lo spirito di questa donna, questa… » dà un’altra sbirciata al diario, sfogliando tra le prime pagine «Rose. Probabilmente davvero il marito si è accorto della sua tresca e l’ha uccisa ed ora si vendica di tutti i rammolliti come lei» sì, non fa una piega. «Che cosa si fa di solito a questo punto?»
 
Dean si alza stiracchiando appena la schiena. «Adesso si brucia tutto quello che appartiene alla cara signora Rose, ossa comprese».
 
Ellie annuisce; rimette dei fogli al loro posto nel vecchio scatolone, ma conserva il diario. «Questo è meglio che lo teniamo, magari c’è scritto qualcos’altro di interessante».

*

Ellie si guarda intorno, sfregando le mani tra di loro. L’atmosfera tetra, l’aria pungente che le arriva in pieno viso, facendola rabbrividire, sono tutte caratteristiche che ha sempre pensato avesse un cimitero di notte. Non che morisse dalla voglia di visitarne uno, ma conoscendo cosa fa suo padre per vivere si è sempre immaginata come sarebbe stato capitarci, un giorno.
 
Se ne sta seduta sul terreno gelido a leggere il diario di Rose Monaghan, lasciando a Dean il lavoro sporco. E’ lui che sta scavando e sbuffa ogni due per tre, asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano ed Ellie lo avrebbe anche aiutato volentieri se quel diario non fosse qualcosa di così interessante ai suoi occhi, un pozzo inesauribile di informazioni.
 
«Qui c’è scritto che Matthew Monaghan era un uomo d’affari rispettato e amato dal vicinato, tranne che da sua moglie. Continua a ripetere in tutte le pagine che era uno schifoso bastardo».
«Ci credo, le diceva continuamente che era una rammollita fannullona. Anche a me girerebbero».
 
La punta del badile tocca una superficie più dura; Dean colpisce forte e le assi di legno si rompono. Dalla borsa che si è portato dietro prende una scatola di sale e, una volta tornato sulla superficie, ci cosparge le ossa.
 
«Però c’è qualcosa che non mi torna. Perché Matthew avrebbe dovuto ucciderla? Sì, ok, lo stava tradendo, ma… non lo so».
Dean prende un fiammifero e lo sfrega contro il lato più ruvido della scatola. «Perché no? Lei muore ammazzata ed ora si vendica, dando la libertà che voleva a tutte le mogli con mariti come lei. Per me non fa una piega».
 
Fa per buttare il cerino nella buca, ma Ellie si alza in piedi di scatto e lo ferma «Aspetta!»
Dean la guarda perplesso. «Perché?»
«Perché è troppo semplice. Non mi convince… » storce il naso e si guarda intorno. «Non potremmo guardare se c’è anche la tomba di Matthew Monaghan, da queste parti? Magari è colpa sua».
 
Dean sbuffa e anche lui dà un’occhiata in giro, facendo qualche passo poco più in là finché non trova una lapide simile. «Eccola qua». Ellie lo guarda e Dean prende il badile, l’espressione di un condannato a morte. «Certo, tanto scavo io».
 
Ellie ridacchia tra sé e riprende in mano il diario, continuando a leggere. Dean scava anche questa fossa, scoprendo le ossa del defunto. Si avvicina prima alla tomba di Rose, però, convinto che è suo lo spirito che non riposa in pace e che quello di Ellie sia solo un inutile scrupolo.
 
Butta il fiammifero sulle ossa e tutto brucia in una sola fiammata. Dean sorride soddisfatto guardando i resti prendere fuoco, ma Ellie, alle sue spalle, spalanca gli occhi.
 
«Aspetta, avevo ragione! E’ stata lei ad uccidere Matthew!» Dean non fa in tempo a rimanere sorpreso che la vede scaraventata a terra, la schiena che striscia contro il pavimento erboso e il diario a qualche metro da lei. Si precipita a soccorrerla, ma una figura maschile compare al suo fianco e lo trascina lontano.
 
Un colpo di pistola e questa svanisce. E’ stata Ellie – ancora sdraiata, le braccia tese e una rivoltella stretta tra le mani – a sparare.
 
Dean scatta in piedi e le si avvicina a passo svelto «Te l’ho detto che a sparare me la cavo».
La aiuta ad alzarsi e la scruta attento «Ai complimenti ci pensiamo dopo. Stai bene?»
«Sì, ma dobbiamo sbrigarci prima che torni di nuovo».
 
Dean si precipita accanto ai resti di Rose che stanno ancora bruciando, recuperando la scatola dei fiammiferi. Ellie lo segue. «No, tu sta di guardia!» Dean grida e lei obbedisce senza esitazioni.
 
Si guarda intorno cercando di stare allerta, tiene la pistola spianata e, come il fantasma di Matthew ricompare, Ellie gli spara ancora, conscia del fatto che probabilmente non riuscirà a tenerlo lontano a lungo. Il sale è un deterrente per gli spiriti, sì, ma non ha la proprietà di farli sparire per sempre.
 
Un’altra volta si ritrova a terra, ma riesce a difendersi, tenendo saldamente in mano la sua unica arma. Al volo successivo, però, finisce contro una lapide, sbattendo forte la testa e una spalla. La pistola le scivola via dalle mani e finisce poco più in là, ma non ha la forza per riprenderla. Potrebbe allungare un braccio e forse ce la farebbe, ma sente del sangue colarle da una tempia e la vista le si è annebbiata e proprio non riesce a fare niente.
 
Non sa quanto tempo è passato quando si ritrova nell’Impala. Apre gli occhi e ne incontra due incredibilmente verdi che la guardano preoccupati, mentre un paio di mani la reggono per il bavero della giacca. Si appoggia meglio al sedile, chiudendo ancora gli occhi per un istante. Si sente incredibilmente stanca.
 
«Ehi, stai bene?» la voce di Dean la riporta alla realtà. Mette a fuoco e lo trova seduto accanto a lei, al posto di guida, gli occhi fuori dalle orbite e le mani che pian piano allentano la presa sul tessuto della sua giacca. Non sembra tranquillo.
Lei sorride appena «Sto meglio» e come in un flash si ricorda tutto quello che è successo e allarga gli occhi di colpo. «Ma il fantasma? L’hai—»
«E’ tutto a posto. Riposa in pace quel bastardo adesso».
Ellie annuisce, pensierosa. «Quindi era lui che… »
Dean fa sì con la testa, raddrizzando la schiena e appoggiando una mano sul volante. «Il suo spirito ha continuato a vivere in quella casa e si è sbarazzato di tutti i fannulloni che sono venuti dopo sua moglie. Che fossero uomini, a lui, poco importava».
Ellie picchietta l’indice sulle labbra, continuando a riflettere «Nelle ultime pagine, Rose aveva scritto che l’aveva strangolato perché era esasperata e voleva vivere finalmente con il suo amato. Le aveva chiesto di sposarla. Chissà se poi l’ha fatto».
«Non credo che lo leggerai mai» lei lo guarda confusa. «Ho bruciato il diario insieme ai resti di Matthew. Meglio cancellare ogni traccia anche di lei» ed Ellie annuisce ancora. In fondo è giusto così, anche se era curiosa di sapere com’era andata a finire.
«Certo che dev’essere brutto scoprire che la persona di cui ti innamori pensa tu sia un peso, per lui e per gli altri. Soprattutto se vuoi costruire una vita insieme a lui».
«E’ per questo che non sono un fan del matrimonio». Ellie sorride e lo guarda, le labbra di lui piegate in una smorfia divertita.
 
Tornano al motel distrutti. Ellie si tampona la ferita con un fazzoletto che le ha dato Dean e si sente un po’ uno schifo. Alla fine si può dire che ha risolto il caso da solo, lei si è fatta fregare proprio sul più bello.
 
Si ferma davanti alla porta tenendo il fazzoletto di stoffa appiccicato alla tempia e Dean si volta a guardarla. «Che fai lì impalata?»
«Pensavo».
«A cosa?»
Ellie arriccia le labbra in una smorfia «Beh, io non… non ti ho aiutato come avrei voluto. Insomma, mi sono fatta ferire come una stupida».
 
Dean le si avvicina appena, l’angolo sinistro delle labbra verso l’alto e le mani nelle tasche. «Ammetto che non pensavo riuscissi a cavartela, ma… sei stata brava. Per essere una principiante intendo. Di sbattere la testa durante la prima caccia può capitare a tutti».
Ellie aggrotta la fronte «Non dirlo solo per farmi sentire meglio».
«Ti sembro uno che fa questo genere di cose?»
 
Quello che c’è sul suo viso adesso è un sorriso sincero che Ellie non può fare a meno di ricambiare. Lo guarda dirigersi in bagno e chiudersi la porta alle spalle e si siede sul letto. E’ certa di aver imparato una lezione: mai fidarsi del primo tentativo, potrebbe non trattarsi del fantasma giusto.

*

Ellie scruta il suo avversario. Forse spera di fargli paura ma l’altro non trema, non fa nessun movimento che possa tradirlo, anche lui la osserva con attenzione. Prende in mano la sua arma e la stringe forte, sentendo la consistenza dell’oggetto tra le dita e il freddo che proviene dalla sua superficie.
 
«Al tre… Uno, due… e tre!»
 
Ellie stringe il bicchiere più forte e lo porta alla bocca con un movimento deciso, beve il liquido ambrato al suo interno tutto d’un fiato, cercando di trattenersi dal gustarselo un sorso per volta perché è forte e non ha mai provato niente di tanto alcolico. Appoggia il bicchiere sul tavolo con un tonfo, ma Dean l’ha già fatto da qualche secondo e le sorride trionfante, visto che le ha fatto perdere la scommessa. Ellie fissa il bicchiere vuoto e si allunga sul tavolo, il pugno chiuso appoggiato alla tempia “sana” e il gomito puntato sulla superficie di legno.
 
«Non vale».
«Oh sì, mia cara. E’ tutto frutto di anni e anni di allenamento».
 
Ellie sorride e fissa l’etichetta della bottiglia. E’ già il secondo giro di whiskey che si fanno. Dean dice che a caso chiuso bisogna festeggiare ed è questo il suo modo di farlo: ubriacandosi. Ellie è giovane e non è mai stata un’ubriacona, ma non le è sembrata un’idea tanto brutta. In fondo non ha niente da perdere ed è sempre meglio passare una serata a sparare cavolate sotto l’effetto dell’alcol che a dormire. Anche se ne avrebbero bisogno entrambi.
 
Dopo lo scontro con il fantasma di Matthew Monaghan e due docce per togliersi l’odore di terra e sudore di dosso, si sono addormentati per qualche ora per poi alzarsi all’alba e ripartire. Dean ha chiamato suo padre che gli ha detto di raggiungerli a Waco, in Texas, dove si sono occupati anche loro di un caso, qualcosa come una possessione demoniaca. Il viaggio è lungo ed hanno deciso di fermarsi per la notte, così da proseguire domani con calma.
La stanza di motel dove alloggiano ha ben poco di diverso rispetto alla precedente, a parte il colore con cui sono tinteggiate le pareti: arancione e giallo.
 
Dean ha appoggiato il borsone a terra e poi si è voltato verso Ellie con un sorriso furbo, dicendole che non avevano ancora festeggiato la conclusione e la buona riuscita del suo primo caso e dovevano assolutamente farlo. Così, oltre a tirare fuori la sua scorta segreta di whiskey, è andato a farsi un giro con la sua amata Impala ed è tornato dopo mezz’ora con altre quattro bottiglie, dicendo che non doveva rimanere una goccia al loro interno a fine serata.
 
Da quanto Ellie ha capito di lui, per Dean è normale prendersi una bella sbornia ogni tanto: è qualcosa di sacrosanto e dannatamente utile, soprattutto per scacciare i pensieri. Chissà se ci riesce davvero. Forse quella di festeggiare non era altro che una scusa per ubriacarsi.
 
Lei di certo non è abituata a questo tipo di bevande così forti. Di solito già è tanto se riesce a finire mezzo litro di birra e non crede che arriverà a fine serata senza aver infilato la testa nel water, ma non fa niente, può sopportare tutto. Un po’ già le gira la testa.
 
Dean riempie di nuovo i bicchieri e alza il suo a mo’ di brindisi, Ellie sorride e beve di nuovo, stavolta più piano, ma l’effetto per il suo palato è sempre quello.
 
«Allora?»
«Allora cosa?»
«Com’è la vita normale?»
 
Ellie sorride appena a quella domanda; muove il bicchiere tra le dita e il liquido al suo interno gira su sé stesso, creando un piccolo vortice e lasciando goccioline sul vetro chiaro. «E’… normale. Vai a scuola, hai degli amici… più o meno, diciamo che se trovi qualcuno che ti capisce è così. Ma, comunque, se cadi nella routine è noiosa». Dean beve un altro sorso di whiskey. «Perché, ti piacerebbe avere una vita normale?»
«In realtà non saprei. Credo sia più bella la mia». Ellie lo guarda intensamente. «Non avere un pensiero per il futuro, ogni giorno potrebbe essere l’ultimo… non lo so, è un modo facile di vivere. Tranne la parte in cui devi salvarti continuamente il culo, ovviamente».
«Sei stato sempre un cacciatore?»
«Per gran parte della vita, sì».
 
Ellie porta ancora una volta il bicchiere alle labbra e quando lo appoggia sul tavolo nota che Dean si è sporto appena verso di lei, le dita a sfiorare i ciondoli del braccialetto che porta al braccio destro. Lo guarda come se non l’avesse mai visto, in realtà lei lo indossa sempre.
«E questo?»
«E’ un regalo di mia mamma». Dean sgrana gli occhi, incredulo. Forse la sua perplessità è data dal fatto che ogni ciondolo rappresenta un simbolo di protezione contro i demoni e le creature a cui lui dà la caccia praticamente da sempre. [2] «Non so cosa vi ha raccontato papà, ma dopo che l’ha salvata, la mamma ha fatto delle ricerche. Si è resa conto che il mondo non era un posto poi così tranquillo e, beh, ha cercato di proteggermi»
 
Dean la guarda intensamente. Forse per lui tante cose stanno acquistando senso solo adesso. «Tu sapevi… »
«Che i mostri sotto il letto sono veri? Certo che sì. Perché credi che abbia proposto a papà di aiutarlo?»
Dean annuisce, come se stesse lentamente mettendo insieme i pezzi di un complicatissimo puzzle. «Ma anche tua madre era una cacciatrice?»
«Oh no, era la persona più normale che conoscevo» Ellie prende un altro sorso di whiskey «Però mi ha detto che papà lo era. Appena sono stata abbastanza grande da capirlo, intendo dire. Ha sempre cercato di dirmi la verità, non mi ha mai detto bugie su di lui, ha solo… omesso qualche particolare, diciamo».
 
Dean annuisce ancora e il suo bicchiere si svuota e si riempie in tempi record. Quello di Ellie, anche se non era del tutto vuoto, fa la stessa fine.
 
«Come è morta?»
Ellie sorride amaramente, fissando il bicchiere e rigirandolo tra le dita. Nonostante si dimostri sempre allegra e spensierata, non è facile per lei accedere a certi ricordi. Elencare i fatti in modo oggettivo è una cosa, ma andare oltre la superficie e far emergere tutto il dolore è qualcosa di completamente diverso, ma forse può sopportare lo sforzo.
 
Ha solo bisogno di una spinta – o forse un po’ più di una –, così prende la bottiglia e si versa un altro po’ di quel liquido ambrato così forte e al contempo così buono, quanto basta per far il bicchiere bello pieno e poterselo gustare a piccoli sorsi. Adora il modo in cui questo le scende giù per la gola, il fatto che la scaldi quel tanto che basta per allentare il nodo che ha lì da così tanto tempo. Se lo porta alla bocca e ne beve un goccio e non le sfugge il piccolo sorriso che si disegna sulle labbra di Dean, qualcosa che sa di soddisfazione.
 
«Tumore allo stomaco. Non lo auguro neanche al mio peggior nemico». Prende fiato, rigirando il bicchiere tra le dita. «Sai, dopo tutta quella storia ho capito che c’è un motivo per cui lo chiamano cancro. Perché parte da un organo e si espande andando a mangiare tutte le cellule buone di tutto il corpo finché non ti lascia neanche il fiato per respirare» beve ancora, ha bisogno di un altro impulso per poter continuare. «Ha fatto delle analisi per caso. Era una persona precisa in questo, si controllava spesso. Quella volta i valori erano sballati ed era strano e quando è andata dal dottore non le ha lasciato molte speranze. Abbiamo provato tutto il possibile, ogni cosa, ma non c’è stato niente da fare». Alza lo sguardo su Dean che la guarda comprensivo, la mano appena tremante sul bicchiere e lei beve ancora. «Per più di un anno ha dovuto fare le cure più terribili, guardarsi allo specchio senza neanche più un capello in testa ed era difficile non sembrare preoccupata o spaventata e provare a darle forza. Io ho cercato di fare del mio meglio e… non so, spero di essere riuscita a regalarle un po’ di conforto».
 
Finisce il whiskey e se ne versa di più, non fatica a buttarlo giù tutto d’un fiato stavolta. Dean la guarda e non dice niente, allunga le mani sul tavolo e stringe di più il bicchiere, rigirandolo tra le dita e plasmandole seguendo il disegno del vetro.

«Non so se lo sai, ma… mia madre è morta quando avevo quattro anni. E’ andata nella cameretta di Sammy e c’è stato un incendio in casa, papà non è riuscito a tirarla fuori. Ricordo tutto di quella notte anche se non l’ho mai detto a nessuno, neanche a Sam».

Ellie lo osserva attentamente, gli occhi di Dean puntati sul suo bicchiere e non accenna minimamente a guardarla, ma ha fatto un passo avanti: ha nominato suo fratello. Sam – o Sammy, come l’ha chiamato lui –, deve essere questo il suo nome. Forse non sarà l’unica ad aprirsi un po’ stasera. E forse è un bene. Ma vuole fare le domande giuste, non vuole che Dean si arrabbi come l’altra volta, che finiscano a litigare di nuovo. «Perché?»
«Perché a volte essere un bambino è una buona scusa per fingere di non ricordare. E ci sono troppe domande che Sam farebbe a cui non voglio rispondere».
 
Ellie annuisce e beve di nuovo; la testa è sempre più leggera e le viene meglio parlare, sente di avere molti meno vincoli di quando è sobria. «Cosa ha ucciso tua madre?»
«Non lo so, papà la sta cercando. E’ praticamente tutto quello che fa da quando è morta».
 
Dean si alza e prende un’altra bottiglia. Ellie sposta l’indice sul bordo del bicchiere, sentendo il desiderio di parlare ancora. Non è mai stato tanto forte, non si è mai sentita tanto libera di farlo e forse il fatto che Dean abbia appena condiviso qualcosa della sua vita – piccola, ma non strettamente legata ad un lavoro o una caccia – con lei, la spinge a confidarsi, ad aprirsi di più.
 
«Sai qual è la cosa che ti fa sentire più impotente in assoluto quando ti trovi una malattia come quella che ha colpito la mamma? L’idea che non c’è nessuno a cui dare la colpa, nessun mostro da uccidere per avertela portata via. E’ frustrante» beve ancora Ellie, il nodo alla gola sempre meno fastidioso e tutto più facile, tutto possibile. «E non riesci a fare a meno di chiederti perché è successo proprio a lei. Voglio dire, la mamma era… era buona, estremamente comprensiva e ogni tanto ancora mi chiedo come facesse ad essere tanto perfetta. Io spesso mi sentivo così fuori posto, mentre lei era fantastica e riusciva sempre a mettere tutto a posto. Non era qualcosa che dava fastidio, era semplicemente così, un dato di fatto. Non era perfetta per gli altri, lo era per me. Anche quando combinavo qualcosa di grosso, lei era al mio fianco. Non so come faceva».
 
Il silenzio cala di nuovo in quella stanza ed Ellie si rende conto improvvisamente di aver parlato troppo. Guarda Dean, gli occhi di lui puntati nei suoi e improvvisamente si sente piccola e inadeguata, come se avesse sbagliato di nuovo.
 
«Scusa, credo di aver esagerato».
Dean scuote la testa. «Nessun problema, a me piace ascoltarti».
Ellie aggrotta la fronte, ora è confusa. «Ma se dici sempre che parlo troppo».
Lui sembra pensarci, si versa un altro bicchiere, fa spallucce e beve ancora e forse ha ascoltato tutto ma non ha capito niente di quello che Ellie ha detto e in qualche modo sente che non le dispiace. Forse è meglio così. In fondo non vuole la sua compassione, non vuole niente da Dean, voleva solo parlare. Non lo fa da quando la mamma non c’è più.
«Sicuramente se me lo chiederai domani farò finta di non averlo mai detto, ma mi piace ascoltarti» ed Ellie lo osserva per poi scoppiare a ridere a crepapelle a quelle parole. Non sa perché, ma crede che Dean sia sincero. «Ma non dovevamo festeggiare?»
«Sì, ma hai cominciato tu con le domande pesanti».
Dean sorride bevendo tutto d’un fiato finché non c’è più niente in fondo al suo bicchiere. «Giusto».
 
Finiscono l’ultima bottiglia della scorta di Dean sul divano, seduti uno accanto all’altra, a parlare di cose stupide e fare imitazioni dei personaggi della tv. O meglio, è Dean a fare le imitazioni, Ellie ride e basta. Continuano a passarsi la bottiglia e a bere attaccandosi ad essa, senza più l’uso dei bicchieri, e ad un certo punto il torpore dato dall’alcol ha la meglio su di loro e si addormentano, seduti con le teste ciondolanti da una parte.
 
Dean si sveglia qualche ora dopo, nel cuore della notte, sentendo la gola arsa e la schiena a pezzi. Si siede meglio, massaggiandosi con una mano il collo indolenzito per la posizione in cui ha dormito e si alza per prendere una bottiglia d'acqua.
 
Neanche ha fatto caso a dove sia Ellie, se sta ancora dormendo lì o sul letto, ma andando verso il frigorifero deve strizzare gli occhi per abituarsi alla luce che proviene dal fondo del corridoio. E’ quella del bagno.
 
Butta un occhio sul divano e lo trova vuoto, così si avvicina, sentendo dei rumori poco rassicuranti man mano che si accosta alla porta. La apre appena un po’ di più e trova Ellie seduta a terra accanto al water, gli occhi chiusi e i capelli appiccicati al viso coperto di lacrime e sudore e realizza che i rumori che ha appena sentito non erano altro che conati di vomito. Bussa un paio di volte e, quando lei alza lo sguardo su di lui, quasi si pente di averla fatta bere. Lui regge bene, ma lei forse…
 
«Non farmi bere mai più» ecco, appunto. «Perlomeno non così tanto».
Poi abbozza un sorriso. La sbronza le è sicuramente passata e Dean la guarda mentre si asciuga il viso con un fazzoletto trovato chissà dove e le si avvicina. Ellie allunga una mano verso di lui che la afferra per farla alzare e lei ci si aggrappa e si tira su, cercando di non barcollare troppo. Tira lo sciacquone e si ferma davanti al lavandino per lavarsi il viso.
«Stai meglio adesso almeno?» lei annuisce, si asciuga e si avvia verso la stanza, senza l’aiuto di Dean che comunque non le cammina troppo lontano. Non ha nessuna voglia di vederla svenire di nuovo. Ellie si siede sul letto per poi sdraiarsi.
 
Dean prende la bottiglia d’acqua dal frigo – quella per cui si è svegliato – e ne beve un po’ senza curarsi di prendere un bicchiere; si avvicina al letto portandola con sé per poi appoggiarla sul comodino di mezzo. Si stende anche lui, un braccio appoggiato sulla fronte e il volto rivolto al soffitto.
 
«Sono proprio insopportabile» sbiascica Ellie ad un certo punto toccandosi la spalla. Non ha ferite visibili su quella, ma deve farle male. Anche ieri sera ci ha spalmato sopra una delle sue creme. Solo alla tempia ha messo un piccolo cerotto. «Prima mi faccio male sul più bello al lavoro, poi vomito anche l’anima perché non reggo l’alcol… deve essere proprio uno sballo viaggiare insieme a me».
 
Dean si accomoda meglio sul materasso. «No, non sei così male» aspetta una risposta che non arriva e quando si volta a guardarla la trova addormentata come un sasso, le mani intrecciate sopra il ventre e gli occhi chiusi e Dean sorride tra sé, girandosi appena e chiudendo gli occhi.
 
Lo pensa davvero che non è tanto male. E l’averlo detto a voce alta lo rende ancora più vero.

*

Dopo un’abbondante colazione e una bella tazza di caffè, Ellie si è sentita decisamente meglio ed è tornata ad essere la rompiscatole di sempre.
 
Per tutto il viaggio non ha fatto altro che parlare e cantare e Dean ad un certo punto avrebbe voluto tapparle la bocca o darle una botta in testa per farla zittire almeno un istante, ma ha abbandonato l’idea non appena sono arrivati ad un piccolo fastfood per il pranzo. Ormai ha capito che gli unici momenti in cui Ellie può stare completamente in silenzio sono quando mangia e quando dorme. O quando lo fa arrabbiare, ma non è questo il caso.
 
Ha promesso a Dean di offrirgli il pranzo e così attende di farsi “servire” in tutto e per tutto, per una volta, aspettandola al tavolo.
Ellie torna con due vassoi ripieni di roba; mingherlina com’è, Dean non può non chiedersi come ha fatto a portarli, poi ricorda che ha fatto la cameriera per tanto tempo con sua madre e quindi tutto torna. Ellie si siede ed indica i cibi disposti su quello che deve essere il vassoio per lui. «Ti ho portato: doppio cheeseburger al bacon con salsa piccante, patatine in grande quantità, Coca – cola, e… un frappé. Spero sia sufficiente».
Dean sorride scartando il panino e osservandolo con appetito «Vedo che hai capito come… aspetta un secondo» guarda il vassoio di Ellie e allibisce «Insalata e… formaggio? Che è questo cibo per conigli?» Lei gli sorride divertita. «Non hai fame?»
«Sì, ma… stanotte sono stata male, non vorrei fare il bis».
 
Dean annuisce appena e pensa a chi campava di insalata, manco fosse stato una capra. Un caprone forse, data l’altezza spropositata e le spalle che fanno provincia, ma… ma è meglio non pensarci, non gli fa bene farlo. Mastica il suo bel cheeseburger e già gli è tornato il sorriso.
 
Ellie divora il suo piatto in un battibaleno, aveva davvero fame. Dean se la prende con calma e mentre lei sta mangiando la sua macedonia e lui è ancora alle patatine, la vede distrarsi e osservare un punto lontano alle sue spalle. Si volta incuriosito e trova una mamma imboccare un bambino seduto sulle sue ginocchia. Più precisamente una bambina, a giudicare dal colore della tutina che indossa. E’ paffutella, con i capelli corti e ricciolini e gli occhi grandi. Dovrebbe avere sì e no un paio d’anni.
 
Ha già visto quello sguardo in Ellie: a casa della prima vittima del fantasma di Matthew Monaghan. Il bambino sul seggiolone. Anche se Dean aveva pensato che la sua attenzione fosse rivolta a qualcos’altro.
 
«Ti piacciono i bambini?»
Ellie trasale e lo guarda; sicuramente non si era accorta di essere osservata. «Sì».
«A me no… cioè, diciamo che preferisco le mamme». [3]
Ellie sorride divertita e concentra tutta la sua attenzione sulla sua macedonia. «Io adoro i bambini. Ho fatto tante volte da babysitter alla mia vecchia vicina di casa e, non so… mi piacciono perché ti guardano sempre negli occhi. E ti ascoltano sempre, anche se sono piccolissimi e non capiscono una parola di quello che gli dici».
 
Dean sbatte un paio di volte le palpebre riflettendoci su, poi sorride appena. Non ci aveva mai pensato.
Ellie butta il cucchiaio dentro il bicchiere di plastica vuoto e tira fuori dalla borsa una piccola agenda e una penna. Sfoglia le pagine velocemente e poi punta gli occhi nei suoi. «Quando è il tuo compleanno?»
 
Dean la guarda perplesso. «Perché?»
«Lo voglio scrivere qui». Dean continua ad osservarla, non capisce davvero il senso di questa cosa. «E’ un segreto per caso?»
«No, ma… va beh, il ventiquattro gennaio» e lo sguardo di Ellie si illumina, insieme a tutto il suo viso. «E’ tra poco! Bene».
 
Dean la osserva mentre toglie il tappo dalla penna e lo infila tra i denti, sfoglia altre pagine – stavolta all’indietro – e appunta qualcosa. Poi lo richiude, così come la penna, ripone tutto nella borsa e alza gli occhi, trovando Dean a scrutarla con un’espressione perplessa sul volto. «Che c’è?»
«Appunti tutti i compleanni della gente che conosci?»
«E’ per non dimenticarmene. Che c’è di strano?»
 
Dean scuote la testa e non le risponde. Hanno un concetto di normalità troppo diverso.
 
Si rimettono in viaggio e raggiungono i rispettivi padri prima del previsto nel luogo prestabilito, nei pressi di un ponte nella periferia di Waco. Li trovano accanto alle loro macchine a conversare.
Dean parcheggia l’Impala accanto al pick-up di suo padre e prende il borsone di Ellie dal bagagliaio. Lei ne afferra i manici con entrambe le mani e abbozza un sorriso nella sua direzione.
 
«Allora… è stato… sì, è stato un piacere lavorare con te». Dean toglie una mano da una tasca e la allunga verso di lei, un gesto forse un po’ troppo formale per due persone che si conoscono appena ma che hanno condiviso parecchio in una sola settimana – stanza, sbronze, confessioni, storie di fantasmi eccetera –, ma al momento crede di non poter fare di meglio. Ellie, però, lo coglie di sorpresa quando lascia andare il borsone a terra gettandolo di lato e di slancio gli butta le braccia al collo e lo abbraccia forte.
 
Dean stenta qualche secondo a capire cosa sta succedendo… insomma, lui non è esattamente un tipo tutto baci e abbracci ma crede che quello sia il modo più vero e sincero che Ellie ha per dirgli grazie, così la stringe a sua volta, pur facendo una smorfia.
 
Lei si scosta dopo qualche secondo buono e lo guarda negli occhi. «Ci vediamo presto».
Dean annuisce e la saluta con un gesto della mano mentre la guarda allontanarsi e andare verso la macchina di Jim, che con gesti poco carini e gentili le prende il borsone dalle mani e lo butta dentro il bagagliaio della sua auto.
 
Dean aggrotta appena le sopracciglia e osserva quell’uomo mettere in moto e partire e c’è proprio qualcosa che non gli torna nel rapporto tra quei due, un tassello mancante, ma suo padre gli si avvicina e questo è sufficiente per destarlo da quei pensieri.
 
«E’ andata bene?»
Dean annuisce abbozzando un sorriso «Dove andiamo adesso, papà?»
«Intanto a farci una dormita. Poi si vedrà».
 
Suo padre gli appoggia una mano su una spalla e sorride, dopo tanto tempo. E’ appena un’ombra che s’increspa tra le sue labbra, ma a Dean si scalda il cuore: sono mesi che non vede neanche un accenno di sorriso in quel volto stanco ed è bello constatare che è ancora capace di farlo. 

 


[1] Dominic Monaghan è un attore inglese, noto (almeno a me) per il ruolo di Charlie Pace (<3) nella serie televisiva Lost e… niente, mi piaceva utilizzare il suo cognome per i due coniugi arrabbiati.
[2] Mary Winchester, nell’episodio 4x03 “In the beginning”, indossa un braccialetto i cui ciondoli sono simboli di protezione come la Trappola del Diavolo, un crocefisso e la Stella dell’Acquario, divenuto poi nella serie simbolo degli Uomini delle Lettere. Ho pensato proprio a quel braccialetto quando me lo sono immaginato addosso ad Ellie, quindi diciamo che lei ne porta uno molto simile.
[3] Nell’episodio 1x03 “Dead in the water”, Dean non sembra nutrire un particolare interesse per i bambini. O meglio, è Sam a dirlo. 

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Capitolo 5
*** Bring hope when all seems hopeless ***


Note: E siamo arrivati al quinto capitolo di questo piccolo (ma neanche tanto XD) mio delirio.
Questa settimana, rispetto alle precedenti, ho notato che le visite sono state molte di più e la cosa mi rende mooolto contenta! Se avrete voglia anche di fermarvi un attimo di più per dirmi cosa ne pensate, sappiate che mi fareste felice il doppio (anche per mandarmi al diavolo o dirmi di andare a zappare la terra; potreste farmi scoprire la mia vera vocazione, magari! XD)
Ringrazio quindi, come sempre, tutti quelli che passano a dare una sbirciatina, coloro che seguono (che sono aumentati; un ciao alle new entry! :D), ricordano e addirittura preferiscono (me lusingatissima!!! :DD) questa storia e vi lascio al capitolo, che è uno dei miei preferiti.
A presto!

 
Capitolo 5: Bring hope when all seems hopeless
 
Just being there for someone
Can sometimes bring hope
When all seems hopeless.
 
(Dave G. Llewellyn)
 
 
Dean non ha mai capito se gli piace o no il suo compleanno. Potrebbe se qualcuno se ne ricordasse, come succedeva quando la mamma era ancora viva e gli dava tanti baci e gli cucinava una bella torta.
 
Non ne ricorda tanti – solo uno, a dire la verità –, quando ha compiuto quattro anni e la mamma era così felice, sorrideva contenta e lo guardava mentre gli scompigliava i capelli dicendogli di soffiare le candeline e chiudere gli occhi forte per esprimere un desiderio e Dean aveva ubbidito contento e aveva soffiato e non ricorda che desiderio aveva espresso – se mai lo aveva fatto –, ma era tutto così caldo e accogliente e anche se la mamma era un po’ più grassa del solito era bella e radiosa, come forse Dean non l’aveva mai vista.
 
Poi la mamma è morta e la sua vita è diventata tutta ordini e sta attento a Sammy che suo padre glielo avrà ripetuto fino allo sfinimento anche se non ce n’era bisogno; lo avrebbe fatto lo stesso. E Sammy si ricordava del suo compleanno, sempre.
 
Fin da quando erano bambini, Sam era la prima persona che appena apriva gli occhi cominciava a tormentarlo ogni ventiquattro gennaio, che gli faceva gli auguri saltandogli addosso e abbracciandolo forte anche se Dean faceva di tutto pur di scrollarselo via che quelle erano effusioni da femmine e dovevano mantenere le distanze, ma in fondo era così contento e quelle dimostrazioni di affetto gli scaldavano il cuore e lo ripagavano di tutti i sacrifici fatti, di ogni notte passata insonne a controllarlo quando aveva la febbre, di ogni premura, di tutto. E forse era il modo più semplice per Sam per esprimere affetto. Poi un paio di pacche sulle spalle avevano sostituito gli abbracci e gli stritolamenti quando Sammy era cresciuto, diventando un adolescente. Anche se rimaneva sempre un rompiscatole, almeno aveva capito il concetto di spazio personale e non si gettava più come un koala su Dean.
 
Quest’anno Sam non c’è e quando Dean si sveglia e si rende conto di che giorno è si stringe più nelle coperte e prova a chiudere gli occhi di nuovo e a riprendere sonno, ma non c’è verso di farlo.
 
Si alza malvolentieri mezz’ora più tardi, nervoso e agitato. Controlla il cellulare e non c’è nessuna chiamata persa, nessun messaggio in segreteria, niente.
 
Suo padre se ne sarà dimenticato, come succede da anni ormai, ma non gliene fa una colpa. E’ un cacciatore e per loro i giorni sono tutti uguali e avrà perso anche la cognizione del tempo a forza di fare su e giù per il Paese e cercare qualcosa contro cui sfogare la rabbia per una vita che non è andata esattamente come avrebbe voluto.
 
Nelle ultime settimane, oltretutto, è tornato quello di sempre: cupo, nervoso, stanco, sempre pronto a correre incontro ad un nuovo pericolo pur di non passare troppo tempo con Dean che, se aveva sperato in un miglioramento, si era sbagliato di brutto.
 
Forse non tornerà mai davvero quello di una volta. Anche se Dean, ogni tanto, si chiede quale sia la differenza tra questo John – schivo, lontano e distante – e quello di prima, con tante ferite sotto la pelle e una marea di rospi da buttare giù, ma che almeno un sorriso lo faceva. Di rado, ma lo faceva.
 
Invece Sam potrebbe telefonargli, però. Potrebbe essere l’occasione per sentirsi e raccontarsi qualcosa, per sapere come procede la sua vita e se è contento di averlo abbandonato a se stesso, con un padre che ha sempre odiato e un lavoro che non ha mai voluto. Ma già, Sam è troppo orgoglioso per chiamare e Dean troppo cocciuto e troppo nervoso e forse è meglio così, è meglio che continuino a mantenere le distanze – anche se oggi è il suo compleanno e, dannazione, non pretende un abbraccio stritolante come quando erano bambini, ma almeno un cazzo di messaggio di auguri sarebbe gradito – e che ognuno stia per conto suo. Tanto è proprio quello che voleva Sam.
 
L’unica che potrebbe ricordarsene è Ellie, ma poi pensa che non ha il suo numero e quindi non lo chiamerà mai e che diavolo gli ha chiesto a fare che giorno è nato se poi non può fargli gli auguri? E’ una cosa così stupida. Parecchie delle cose che fa Ellie, comunque, sono stupide quindi non deve neanche stupirsi più di tanto. Forse glielo ha chiesto solo perché fa la collezione delle date di compleanno di tutta la gente che conosce; è abbastanza strana da poterlo fare.
 
E comunque sono già passate un paio di settimane da quando l’ha vista l’ultima volta e non ha niente in programma – perlomeno suo padre non si è disturbato ad informarlo –, perciò non si farà viva neanche lei. In nessun modo.
 
Sta di fatto che Dean passa tutto il giorno da solo a ciondolare nella sua stanza di motel. Di dormire non se ne parla e, dato che il telefono squilla solo quando suo padre ha da chiedergli qualcosa di utile – «Cerca di rintracciare un certo Harry Harper, dovrebbe vivere dalle parti di Forth Wayne e mi deve un favore» o «Guarda sulla lista delle morti sospette dell’ultimo mese nello stato del Missouri» sono le frasi del giorno –, prende il giornale e prova a cercare un caso, così può muoversi e lavorare e smettere di pensare che gli fa male la testa e questo non è un bene, ma arriva la sera che non ha trovato niente ed è rimasto da solo tutto il giorno a friggersi il cervello per riflettere su cose una peggiore dell’altra e, quando ha abbastanza alcol in corpo ed ha finito l’unica bottiglia che aveva con sé, si incammina verso il primo pub aperto e beve fino a scordarsi che giorno è e come si chiama. Perfino i motivi che lo hanno spinto in quel posto tanto squallido gli sono sconosciuti quando si avvicina ad una tipa niente male – non molto alta ma slanciata, due tacchi ai piedi da far girare la testa a chiunque, mora e prosperosa – e quando si ritrova a casa sua e lei gli mostra tutta la sua generosità, pensa che in fondo poteva andargli peggio.
 
Ora ha coscienza di come si chiama, la mezzanotte è passata da un pezzo e almeno non ha finito il giorno del suo compleanno completamente da solo. Inoltre la tipa sembra non averne abbastanza e richiede esplicitamente un altro round – in un modo che a Dean fa rizzare tutti i peli che ha in corpo e in un senso tutt’altro che inquietante – e la accontenta, così da tornare alla sua squallida vita tra un altro po’ e, sì, poteva andargli decisamente peggio. O almeno è quello di cui vuole convincersi. 
 
Il tempo scorre via veloce e passa quasi un mese da quel giorno. E’ metà febbraio ormai e fuori fa sempre più freddo, così tanto che forse avrebbe bisogno di un cappotto più pesante, ma non è una cosa di cui si preoccupa. In fondo fuori ci sta poco ultimamente.
 
Suo padre lo chiama in piena notte chiedendogli di raggiungerlo a qualche miglio da Hobbs, New Mexico, il posto dove alloggia e Dean obbedisce, fermandosi poi in uno spiazzo dove si incontrano. John, come spiegazione al nuovo viaggio, gli dice semplicemente «Sembra che Jim abbia bisogno di noi» e Dean lo segue senza fare altre domande. 
 
Guidano a lungo, per ore intere che si susseguono lente mentre il paesaggio fuori cambia e Dean ogni tanto si volta a guardarlo, cercando rigorosamente di puntare gli occhi solo a sinistra perché tanto a destra non c’è nessuno ed è tutto più brutto visto da lì.
 
Arrivano a Farmington che è ormai sera e parcheggiano davanti ad uno dei soliti motel. John prenota una stanza, entrambi vi appoggiano i bagagli e poi vanno a bussare a quella che deve essere di Jim ed è Ellie ad aprire, i capelli raccolti in una delle sue trecce e un sorriso sulle labbra. Li fa accomodare dicendo loro che suo padre è uscito per una mezz’ora ma che tornerà presto.
 
I due Winchester si siedono sul divano ed Ellie gli porta un paio di birre e dei biscotti che Dean accetta molto volentieri.
 
Jim torna prima del previsto ed è tutto chiacchiere con John e sembra quasi non accorgersi della presenza dei ragazzi.
 
Dopo un po’ Ellie si alza come se fosse scocciata. Si avvia verso la porta, prende una giacca verde con il cappuccio e con un’occhiata chiede a Dean di seguirla. Lui accetta di buon grado e si avviano fuori.
 
Ellie si stringe nelle spalle. «Se volevi rimanere era ok, ma sai, a volte mi stanca sentirlo parlare».
Dean sorride. «Tuo padre è davvero logorroico quando ci si mette».
«Già» e a Dean non piace il suono di quella parola. Sa quasi di rassegnazione, come a dire lo è con tutti meno che con me, e poi è così raro che Ellie sia concisa su un discorso e non lo allunghi all’infinito, ma non fa in tempo ad approfondire che lei lo guarda e sorride e a lui non serve qualcuno che inserisca sottotitoli per capire che, nella sua testa, Ellie ha già cambiato discorso. «Allora, che mi racconti di bello?»… appunto.

Dean non ha poi così tante cose – soprattutto belle – da raccontare, così si ritrovano a parlare del più e del meno e si sono già spostati un po’ dal motel senza accorgersene, camminando.
 
Fanno una lunga passeggiata parlando delle cose più disparate. Dean scopre che il dolce preferito di Ellie è la torta al cioccolato, soprattutto se il ripieno è fatto con panna e nutella e non sembra una a cui piace così tanto la cioccolata a giudicare dalla sua forma fisica, ma l’apparenza può ingannare. Comunque Dean non ha mai mangiato una torta così che solo a farsela descrivere gli viene l’acquolina in bocca e lei gli promette che un giorno gliela farà assaggiare.
 
Dice che le piace molto nuotare – anche se è una cosa che non fa tanto spesso ultimamente – e adora le belle giornate di sole, ma i colori dell’inverno la affascinano. Quelli dell’autunno ancora di più. Di quella stagione le piace l’odore della pioggia e camminare sul tappeto di foglie che si forma sul ciglio della strada, quando gli alberi cominciano a lasciarle cadere.
 
Dean, come al suo solito, non condivide molto di sé, ma è sempre lei a parlare e francamente non gli dispiace. L’unica cosa su cui si sofferma molto a discutere sono i suoi gusti musicali. Afferma di amare il rock classico – anche se Ellie, a giudicare dalla cassetta dei Led Zeppelin che aveva nell’Impala, l’aveva già capito –, il suo amore per le auto – soprattutto la sua – ed i bei tramonti [1] e questa non sa neanche da dove gli è uscita, ma è una cosa che fa sorridere Ellie quindi va bene. Forse perché per un attimo ha creduto di avere davanti un romanticone, ma non è affatto così e ci tiene a precisarlo e la cosa la fa ridere ancora di più.
 
«Smettila di sghignazzare, è vero!» e non sa come ma alla fine si ritrova a farlo anche lui, perché solo a guardarla è così buffa mentre si tiene la pancia ed ha la testa piegata all’indietro, la sua risata così fragorosa e forte che se non abbassa la voce sveglierà l’intero vicinato, ma ormai sembra partita, come in preda ad un raptus e Dean non può fare a meno di ridere a sua volta, come travolto da quell’uragano che è la sua risata.
 
Quando riesce a tornare in sé, asciugandosi i bordi degli occhi con le dita e facendosi aria sulle guance, lo guarda con ancora gli angoli delle labbra piegati all’insù «Mi fa ridere che hai sentito il dovere di specificarlo. L’avevo capito che non sei esattamente il tipo da romanzi rosa» e sorride di nuovo e Dean si gratta la testa dietro la nuca. «Bene» il suo è praticamente un borbottio mentre Ellie cerca di trattenersi dal ricominciare a ridere. Deve trovarlo particolarmente divertente.
 
Poi Ellie ha un’improvvisa voglia di mangiare un gelato – nonostante sia inverno inoltrato… va beh, è proprio strana – così si alzano dalla panchina su cui erano seduti e fanno il giro di un paio di isolati, ma di gelati – soprattutto a quell’ora e in quella stagione – non se ne trovano, così ripiegano su un panino con il pollo e una birra a testa che mangiano seduti su un’altra panchina, chiacchierando ancora un po’ di tutto e di niente. Poi, decidono di tornare al motel.
 
Sono già passate un paio d’ore da quando sono usciti ed hanno cominciato a camminare senza una meta precisa ed ora l’intenzione è quella di andare a dormire. Quando si ritrovano davanti alle porte delle rispettive stanze, Dean fa per salutare Ellie e darle la buonanotte; lei sorride mettendo le mani nelle tasche della giacca e spalanca gli occhi, come se si fosse ricordata di qualcosa. Dean la guarda perplesso e lei mostra un timido sorriso. La fioca luce del lampione le illumina il viso e a Dean pare quasi stia arrossendo, o almeno gli sembrava prima che abbassasse lo sguardo. Ha tutta l’aria di stare per fare una tremenda confessione.
 
«So di essere in ritardo, ma non ci siamo visti prima e non sapevo quando dartelo» sfila le mani dalle tasche e tra le dita della destra tiene un piccolo pacchetto. Glielo porge con un gesto secco del braccio. «Buon compleanno».

Dean allarga gli occhi senza neanche rendersene conto e lo prende in mano, rimanendo qualche secondo buono a fissarlo senza fare niente. Sembra così infantile, ma è il gesto più carino che qualcuno abbia fatto per lui da molto tempo e questo, in qualche modo, l’ha spiazzato. Non se lo aspettava.

«Non ho il tuo numero e non sapevo come rintracciarti. Non potevo farti gli auguri e così ho pensato di farti un regalino» Ellie parla ma lui non è neanche sicuro di starla a sentire. «L’avevo messo qui per non dimenticarmene».

Trova il coraggio di scartare quel piccolo involucro di carta marrone che le dita aprono piano, strappandola vicino a dove Ellie – perché è sicuro che abbia impacchettato tutto da sola, per quanto la conosce poco sa che è una cosa da lei – ha applicato il nastro adesivo scoprendo un bracciale di pelle marrone con dei fili che si tirano a fargli da chiusura. [2]

«Dopo che ci siamo separati, io e papà siamo rimasti qualche giorno a Waco. L’ho comprato ad un mercatino lì vicino» Dean lo rigira tra le dita osservandolo: è fatto con dei fili di pelle doppi e legati in modo da formare una treccia. Ancora non è riuscito ad aprire bocca tanta è la sorpresa nell’averlo ricevuto. «Non conosco i tuoi gusti, ma ho pensato che questo potesse piacerti. Voglio dire… lo spero» sente Ellie sorridere – un piccolo sospiro che segue le labbra schiudersi – e la guarda per un secondo per poi spostare di nuovo l’attenzione su quel piccolo oggetto perché, anche se è una cosa semplice, il fatto che non se lo aspettava lo rende davvero speciale. Anzi, è proprio questo a renderlo particolare, il fatto che sia così semplice. «Dean?» Alza di nuovo lo sguardo su Ellie e la vede perplessa. «Non ti piace? Dalla tua faccia non lo capisco» Dean sorride e scuote la testa rigirando il braccialetto tra le dita di entrambe le mani.

«No, è che… » non mi fanno un regalo da prima che Sam se ne andasse e quest’anno si sono dimenticati tutti del mio compleanno e tu che sai a malapena come mi chiamo non solo te ne sei ricordata ma mi hai anche fatto un regalo e vorrebbe dirle tutto questo, ma le parole gli muoiono in gola e si sente un ragazzino davanti alla sua prima cotta ma quel gesto così genuino e spontaneo l’ha davvero spiazzato. «Mi piace un sacco. Davvero» ed ora Ellie sorride serena e sembra davvero contenta di quelle parole.
 
Dean allarga un po’ con le dita il bracciale finché non pensa che sia della sua misura e lo infila al polso destro. Prova a chiudere i laccetti per stringerlo ma con una mano sola non ci riesce ed Ellie ride, forse perché lo trova buffo – o magari sarebbe meglio dire patetico – e lo aiuta, tirando i due laccetti con le dita di entrambe le mani. 
 
«C’era anche più scuro, ma ho pensato che—»
«Va benissimo… grazie» Ellie sorride soddisfatta e Dean non può non ricambiare quel sorriso sincero e non sa perché si trattiene dall’abbracciarla, ma vorrebbe tanto farlo.
 
Scuote appena la testa, deve smettere di fare la ragazzina o finirà per vergognarsi di brutto. Già un po’ lo fa, non è da lui farsi prendere dalle emozioni. Non così tanto almeno e non senza nasconderlo.
 
Sorride ad Ellie e la guarda ancora un secondo; lei fa lo stesso dicendogli semplicemente «Allora… a domani» e poi sparire oltre la porta della sua stanza.
 
Quando Dean rientra, trova suo padre seduto sul divano, una bottiglia di scotch aperta e quasi vuota appoggiata sul tavolino di fronte e neanche alza lo sguardo verso di lui. Dean gli siede accanto e dà una sbirciata ai fogli che sta leggendo. «Jim ha un nuovo caso?»
«Qualcosa del genere. Io non ne sono così sicuro, ma dice di dover andare a dare una controllata». Dean si alza dal divano stropicciandosi gli occhi. «Tu ed Elisabeth avete fatto amicizia».
 
Dean annuisce e sorride tra sé, riflettendo ancora sul pensiero che Ellie ha avuto per lui. Non riesce a capacitarsene per quanto sia una cosa sciocca, ma ne è davvero sorpreso e non è abituato ad esserlo.
 
«E’ una brava ragazza» Dean lo pensa davvero. La conosce abbastanza da poterlo affermare con fermezza e convinzione.
Suo padre non gli risponde e Dean vede bene di andarsene a dormire. Ha guidato tutto il giorno ed è troppo stanco per fare qualsiasi altra domanda sul presunto caso, su Jim o su qualunque altra cosa.
 
Quando la mattina dopo apre gli occhi, trova il letto accanto al suo vuoto, ma non se ne preoccupa. In fondo ci è abituato. Suo padre deve essere andato da Jim o qualcosa del genere. Si rigira tra le coperte chiudendo gli occhi di nuovo, ma l’idillio non dura a lungo, perché appena due secondi dopo sente bussare.
 
Porca puttana, mai che si riesca a dormire cinque minuti in più.
 
«Un attimo» borbotta e si stropiccia gli occhi mettendosi seduto, poi stiracchia le braccia attorcigliandole dietro la schiena. Probabilmente è suo padre che ha dimenticato la chiave dentro la stanza. Si alza e, mentre si dirige verso la porta, l’attenzione gli cade su un fascicolo con sopra un piccolo biglietto appoggiato sul tavolino dove ieri sera il suo vecchio stava leggendo Dio solo sa cosa e gli dà un’occhiata.
 
“Io e Jim siamo andati a dare una controllata a quello che ti dicevo ieri sera. Questo è per te ed Elisabeth, avvertila tu”.
 
Dean sbuffa. Ma certamente, ora devo fare anche il messaggero…
 
Alla porta continuano a bussare ed ora è sicuro che non si tratta di suo padre. Un paio di passi e la apre, trovando Ellie sulla soglia. Una felpa grigia e un paio di jeans addosso, ha un bicchierone di caffè in mano e tutta l’aria di chi non è stata informata di niente. Sembra preoccupata.
 
«Buongiorno raggio di sole» le sorride per prenderla in giro, ma Ellie non è dello stesso avviso, non sembra avere tanta voglia di scherzare. Gli porge la tazza di caffè che Dean prende in mano e mormora qualcosa che lui percepisce come un «Posso entrare?» e la fa accomodare spostandosi da una parte per farla passare. Chiude la porta alle sue spalle e lei infila le mani nella tasca davanti della felpa e lo guarda con la tipica espressione di chi non sa assolutamente dove sbattere la testa.
 
«Non trovo papà» le trema la voce, è davvero spaventata. «Ho cercato dappertutto. In stanza non c’è, la sua macchina è sparita e non mi risponde al telefono. Non riesco a trovarlo. Tu ne sai qualcosa?» Dean allunga il braccio verso il tavolino appoggiandoci sopra il caffè e afferra il foglietto appiccicato sopra il fascicolo per poi porgerglielo. Lei legge velocemente, ma dall’espressione che fa Dean non riesce a capire se è sollevata o amareggiata.
 
«Ok, va bene». Accartoccia il post-it tra le dita con un gesto nervoso, infila nuovamente le mani dentro la tasca della felpa e fissa il pavimento. Dean le si avvicina e il suo braccio si muove praticamente da solo quando si ritrova ad accarezzarle la guancia sinistra con dolcezza. Lei alza lo sguardo – così perso e confuso, gli occhi blu opachi e stanchi – e vuole rassicurarla, in qualche modo. «Tuo padre sta bene, sta tranquilla» il suo pollice si muove sul suo zigomo e lei annuisce e abbozza un sorriso che di naturale e sereno ha ben poco. Sembra così delusa.
 
Non è affatto turbata o sorpresa dal gesto di Dean, dall’affetto che le sta dimostrando, qualcosa che invece ha sconvolto un po’ lui che ritrae la mano nel modo più naturale possibile – giusto per non farle intendere quello che ha appena realizzato di aver fatto – e la osserva attentamente. Tra la sveglia improvvisa e tutto quel trambusto, non si era accorto di quanto Ellie appaia diversa da ieri sera: due cerchi neri e scuri sotto gli occhi, è pallida, visibilmente stanca. Forse ha dormito poco, o forse proprio per niente. Aggrotta le sopracciglia «Stai bene?» e lei annuisce poco convinta, ma subito dopo scuote la testa.
 
«Non sono stata bene stanotte, non ho dormito molto» si avvicina al divano e si mette seduta. «Ma sto meglio, ho solo… ho solo bisogno di un po’ di riposo» abbozza un sorriso e Dean finge di crederci, ma non è proprio certo della sincerità delle sue parole.
 
Si avvicina al borsone estraendone una maglietta pulita e un paio di jeans. «Ok… vado a… vado a farmi una doccia. Tu… beh, mettiti pure comoda» lei annuisce senza guardarlo e Dean la osserva ancora un secondo prima di scivolare in bagno.
 
Si guarda allo specchio, i capelli spettinati e gli occhi ancora piccini rispetto al normale, ma con una bella doccia riuscirà a svegliarsi del tutto.
 
Ora che ci pensa, Ellie non sembra neanche essersi accorta delle condizioni in cui Dean le ha aperto la porta: i capelli scompigliati, la maglietta grigia a maniche corte e solo i boxer addosso e si ritrova a riflettere sul fatto che non crede Ellie lo trovi interessante in quel senso ed è meglio così. In fin dei conti hanno così tanto da dover condividere – tempo, spazi comuni, cacce e quant’altro – ed è un bene che nessuna complicazione di tipo sentimentale si metta di mezzo.
 
Esce dal bagno vestito e profumato e la trova a leggere il fascicolo lasciatogli da suo padre. Lui non l’ha neanche aperto ancora, ha avuto altro da fare.
 
Quando si accorge della sua presenza, Ellie alza la testa e gli sorride. Sembra molto più tranquilla rispetto ad un quarto d’ora fa, ma c’è ancora quella profonda traccia di stanchezza nei suoi occhi.
 
«Allora, dove andiamo?» si passa l’asciugamano tra i capelli bagnati e si sporge verso il tavolo a riprendere la tazza di caffè che aveva lasciato lì sopra.
«Orem, Utah».
 
*
 
L’Impala sfreccia sull’asfalto rovente già da un paio d’ore e, nonostante ci sia il sole ben alto in cielo e la giornata sia abbastanza calda rispetto alla media degli ultimi giorni – il che dovrebbe metterlo di buonumore –, Dean ha una strana sensazione addosso. Non si è svegliato esattamente come avrebbe voluto, ma non è questo a disturbare la sua mente, è qualcos’altro.
 
Osserva Ellie dormire lì accanto, la testa appoggiata al sedile. Ripensa a come l’ha trovata appena sveglio, pallida e stravolta e gli tornano alla mente le parole di Jim la sera che lui e John l’hanno rivisto. Tutti quei convenevoli, il volevo che accettasse il padre prima di farle conoscere il cacciatore, tutte quelle chiacchiere sul tenerla al sicuro e di quanto lei si prendesse cura di lui… una marea di stronzate.
 
Se prima aveva qualche difficoltà a mettere insieme i pezzi del puzzle, adesso il quadro è chiaro e completo. Jim non l’ha accettata, o perlomeno non si sta comportando da padre con lei, almeno non da uno vero e questo spiega tante cose. Perché lei sia sempre così restia a parlare di lui, per esempio.
 
Non le ha neanche detto che se ne andava, quello stronzo. Suo padre – che non è che meriti esattamente un premio come genitore dell’anno o roba simile – perlomeno gli ha lasciato un biglietto. Lui se non altro non sparisce, avverte. Il fatto che a volte fa passare giorni e giorni prima di fare una telefonata – soprattutto da quando non c’è Sam – è un altro paio di maniche.
 
E ancora una volta, Dean prova un profondo senso di tenerezza per Ellie. Ha perso la madre – che a quanto pare era l’unica persona a volerle davvero bene – che era una ragazzina e adesso ce la sta mettendo tutta per essere d’aiuto a quel padre che prima non sapeva chi fosse, che non era neanche a conoscenza della sua presenza nel mondo, e lui continua a considerarla trasparente, come se non esistesse. Non dev’essere una bella sensazione.
 
Si ferma per pranzo in un’area di servizio. Ellie dorme ancora e decide di non disturbarla, le prenderà un panino.
 
Quando torna all’Impala, la vede stiracchiare le braccia verso il basso, come una gatta. Si accomoda sul sedile e le porge il sacchetto in cui ha riposto il suo pranzo.
 
«E’ per me?» la voce impastata dal sonno e un piccolo sorriso sul volto, Ellie acciuffa il cartoccio bianco prima che Dean possa dirle di sì. Lo apre e comincia ad addentare il panino voracemente, come se non mangiasse da giorni.
 
Dean la osserva mentre lo fa – le dita sottili ai lati del pane e l’espressione contenta di chi ha vinto un qualche premio – e sembra essere tornata quella di sempre. La preoccupazione non c’è più e quel pisolino deve averle fatto bene.
«Grazie, avevo proprio fame».
«Vedo» Ellie sorride ancora e morde un altro pezzetto del suo panino mozzarella, insalata, pomodoro e tonno. «Te l’ho preso con il tonno, non so se—»
«Adoro il tonno» Dean beve un sorso della sua Coca–Cola con la cannuccia. «Allora, quanto manca?»
«Tre, quattro ore al massimo».
«Bene, ho tutto il tempo per leggere tutti quei fogli».
 
[1] «My name is Dean Winchester. I’m an Aquarius, I enjoy sunsets, long walks on the beach… and frisky women» è quello che dichiara Dean in una “confessione” nella puntata 2x07 “The usual suspects”.
[2] Nelle prime stagioni della serie, Dean indossa davvero un braccialetto al polso destro che credo sia sparito insieme all’anello nella sesta stagione. Ho fatto delle ricerche, non ricordando precisamente quale forma avesse, ed ho scoperto che era un semplice elastico con tanti teschietti bianchi e neri uno attaccato all’altro. Dato che mi sembrava molto poco “femminile” (nel senso di non scelto da una ragazza, in particolare da Ellie), ho pensato che qualcosa di molto simile a questo si adattasse meglio all’idea che avevo. Perciò, visto che Dean lo porta fin dalle primissime puntate – esattamente come l’amuleto –, ho pensato che qualcuno avesse potuto regalarglielo prima del “Pilot”, magari per un’occasione speciale.

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Capitolo 6
*** Eyes full of language ***


Note: Ed ecco un altro caso – anche questo diviso tra due capitoli – per Ellie e Dean. Spero che non sia una schifezzuola… e lo dico perché i capitoli come questo tendono sempre a mettermi un po’ di ansia xD Un po’ tutto mi mette ansia a dire il vero, ma quelli dove c’è un pizzico di azione in particolar modo.
Una cosa importante: solitamente, per ogni capitolo, il titolo è estrapolato dalla citazione che poi lo segue, ma in questo, visto che non mi usciva niente di decente da quella che ho scelto, ho dovuto prenderne un’altra, che chi è curioso può trovare qui. E’ un caso straordinario, perché questo è l’unico capitolo dove davvero non sapevo dove sbattere la testa, perciò ci tenevo a sottolinearlo :)
Ormai sto diventando un disco rotto, me ne rendo conto, ma ci tengo a ringraziare tutti voi che state seguendo, leggendo e recensendo questa storia. Quando ho cominciato a pubblicare, pensavo che qualcuno potesse sì e no darle una sbirciata per leggerla data la lunghezza dei capitoli e la scelta di inserire un nuovo personaggio che solitamente attira critiche non molto positive e tutto il resto, invece in queste settimane mi state sorprendendo e per questo vi ringrazio davvero dal profondo del cuore! <3
Vi lascio alla lettura. Alla settimana prossima! 
 

Capitolo 6: Eyes full of language

The eyes are one of the most powerful tools
 a woman can have.
With one look,
she can relay the most intimate message.
 
(Jennifer Salaiz)

 
Dean esce dall’Impala e sbatte lo sportello, stringendosi nella giacca verde militare. L’aria di febbraio è pungente e aggressiva e colpisce ogni angolo di pelle scoperta.
 
E’ così che li ha accolti Orem, un piccolo centro abitato in pieno Utah.
 
Lui ed Ellie sono lì già da un paio di giorni. Hanno studiato bene gli incartamenti e tutti i fogliacci di giornale che gli ha lasciato Jim – perché il metodo dei fascicoli è opera sua, ed è qualcosa che Dean non capisce. Ha decisamente un sistema diverso da quello di suo padre, che segna tutto nel suo diario. Lui scrive quello che vede, appunta tutto quello che si sente di scrivere riguardo casi e omicidi e basta, senza la mania di catalogare ogni cosa, di lasciare infinite cartellette sparse in giro che probabilmente a caso chiuso finiranno bruciate, o chissà. Dean lo considera un inutile spreco di carta.
 
A parte ciò, il caso che gli si presenta ora sembra piuttosto semplice.
 
Nel museo cittadino è stata allestita una mostra dove sono esposte opere di grandi artisti e, qualche giorno fa, due dei visitatori presenti sono stati ritrovati morti. I due, Alan e Virginia Westwood, sposati e originari del Wyoming, erano degli appassionati d’arte e si sono ritrovati da quelle parti per un viaggio di piacere.
 
Potrebbe essere un omicidio come un altro, ma salta agli occhi il fatto che erano sani come pesci, cosa che testimoniano con certezza gli esami fatti sui loro corpi.
 
Dean pensa possa trattarsi di un qualche spirito che vive all’interno del museo ed è per questo che hanno deciso di spacciarsi per degli studenti – inviati dal Dipartimento di Beni Culturali dell’University of Utah [1] – interessati agli oggetti esposti.
 
Si presentano senza tanti fronzoli, in jeans e maglietta, anche se Ellie ha optato per una camicia sopra i pantaloni chiari, giusto per sembrare un attimino più… adulta. E’ una cosa a cui sembra tenere molto, forse perché teme che qualcuno possa fare domande a cui non saprebbe rispondere se scoprisse la sua vera età e lei, di certo, non vuole che questo accada. 
 
Una cosa che sicuramente stona con quell’abbigliamento sobrio è il buffo cappello che ha in testa. Dean lo guarda perplesso, arricciando le labbra: è un berretto di lana bianco con delle strisce orizzontali colorate di rosa e celeste non tanto vicine le une alle altre. E' abbastanza lungo da coprirle anche le orecchie, in fondo ha due lunghi fili di lana – uno per parte – che terminano con due pompon degli stessi colori del berretto; ce n’è anche un altro – più grosso e più colorato – sulla cima.
 
Dean si chiede perché lo ha messo. E’ vero che fa freddo, ma quel coso è così… così… «Perché fai quella faccia?»
A quanto pare, Ellie si è accorta della sua smorfia di disgusto e lo guarda confusa, la fronte appena aggrottata.
«Stavo solo cercando di dare un nome al coso che hai in testa».
«Si chiama cappello peruviano. E’ caldo» Ellie se lo toglie e glielo porge. «Lo vuoi provare?»
Dean le scansa la mano e scuote la testa. «Non ci penso nemmeno a mettermi quell’affare» Ellie lo guarda e fa spallucce, poi se lo infila di nuovo. «Su, andiamo».
 
La sala d’ingresso è piuttosto grande. Un grosso lampadario di cristalli è piazzato sul soffitto e la illumina interamente, le pareti sono color crema con dei ricami damascati che danno un’aria seriosa e formale a tutto l’ambiente; un lungo tappeto rosso si stende di fronte al portone principale e si allunga fino ad un’altra porta, lasciata aperta, dove un grosso cartello su cui sopra è disegnata una freccia indica che è lì dove bisogna andare per dare inizio al Magical mistery tour [2] – si fa per dire, Dean non è per niente esaltato da tutto ciò. L’arte non ha mai suscitato particolare interesse in lui – perlomeno non quella noiosa che si studia sui libri di scuola, preferisce di gran lunga altre forme d’arte, tipo gli anime o i cartoni animati in genere – e ogni tanto gradirebbe altri tipi di casi, qualcosa che abbia a che fare con spogliarelliste, per esempio.
 
Alla sua destra vi è un lungo bancone in legno a cui Ellie si avvicina e Dean la segue, senza ben capire cosa ha in mente di fare. Lo fa solo quando la sente porgere delle domande alla tizia che vi siede dietro – occhialuta, le guance troppo rosa, i capelli neri e raccolti in una strana acconciatura e Dean ha idea che sia una mezza cugina di Heidi o qualcosa del genere, comunque il tipo di persona che non attirerebbe mai la sua attenzione se la incontrasse per strada – sulla loro “visita programmata”.
 
Come accordato in precedenza, si presentano come Dean Smith ed Elisabeth Jones, due studenti dell’Università, diretti lì per una ricerca da condurre per portare a termine i loro studi.
 
Dean ascolta Ellie parlare e riflette su tutto quello che sta dicendo, mentre articola bene le parole e si stupisce di come la receptionist – o chiunque sia – si dimostri gentile e pronta a darle una mano. A lui sembrava la balla del secolo, molto più grossa di quelle che si inventa di solito per imbambolare questa gente, ma Ellie ha insistito per scegliere questa “copertura” e, come da copione, la tipa ha abboccato come un pesce. Dean non ci avrebbe scommesso neanche un’unghia e finge di non vedere l’occhiata soddisfatta che gli rifila Ellie una volta che la tizia alza il telefono per avvertire uno dei curatori della mostra del loro arrivo. Non perché non si meriti dei complimenti, semplicemente Dean odia avere torto e non vuole darle la soddisfazione di avere ragione.
 
Si allontanano abbastanza da non riuscire ad essere più udibili alle orecchie della tipa ed Ellie sorride soddisfatta. «Ti avevo detto che avrebbe funzionato».
«Non cantare vittoria troppo presto, Laura Kipnis [3]» Ellie gli fa la linguaccia «A proposito, tu che ne sai di tutte queste cose?»
«Di come si visita un museo?» Dean annuisce. «Dalla scuola. Una delle poche gite che ho fatto era al Museo della Storia e dell’Industria a Seattle. Spiegavano un sacco di cose interessanti». Dean muove la testa esibendo una smorfia di finta ammirazione – lo fa essenzialmente per prenderla in giro – e sta per beccarsi una gomitata, ma l’arrivo della loro “guida” lo salva – per il momento.
 
Il ragazzo appena sbucato da un angolo è vestito di tutto punto – camicia bianca e cravatta sopra dei pantaloni grigi – e li accoglie con un sorriso caloroso. «Siete voi gli studenti, vero?» Dean annuisce e a guardarlo gli pare il tipico figlio di ricconi: capelli pettinati, portati più lunghi di come li ha lui – tipica lunghezza da secchioni… o forse la pensa così perché sono molto simili a come li aveva Sam –, comunque abbastanza da coprirgli la fronte, è castano scuro, alto un po’ più di Dean. Dovrebbe avere venticinque, al massimo ventisei anni. Dean non saprebbe dire il perché, ma gli dà esattamente l’idea di un secchione ricco. Sul cartellino che ha appeso vicino alla cravatta campeggia il suo nome: Jack Burke. [4]
 
Gli porge la mano «Sono Jack» e quando stringe quella di Ellie si sofferma leggermente più a lungo, guardandola dritta negli occhi. Lei ricambia lo sguardo e abbozza un sorriso.
 
Li invita a seguirlo e gli fa fare il giro del museo, una stanza dietro l’altra. Ognuna è decorata con la stessa carta da parati dell’ingresso e ad abbellirla, accanto ai quadri e le opere esposte, vi sono numerose piante e fiori ben curati, insieme alle lampade da esposizione.
 
A Dean la maggior parte sembrano vasi fatti male o disegni strampalati, mentre Ellie si mostra strainteressata a tutti i noiosi discorsi sulle opere d’arte; appunta tutto sul suo taccuino – proprio come le ha detto di fare Dean – e interviene ogni tanto, facendo domande. In realtà non sapeva niente di tutti quegli oggetti antichi e non fino a un paio di giorni fa, si è solo studiata tutti i manufatti degli artisti presenti per poter fare bene la sua parte.
 
Il ragazzo mostra loro tutto il museo tranne una stanza, dove Dean nota che sono stati applicati i classici nastri gialli della polizia.
 
«E’ qui che sono morti i coniugi Westwood?» Il ragazzo lo osserva per un attimo, perplesso, e Dean si affretta ad aggiungere qualcosa. «Ho letto la notizia sul giornale» a quelle parole, Jack Burke sembra incupirsi. Osserva il disegno del legno della porta e sospira. «Sì. Ed è un peccato, al suo interno c’era l’oggetto più importante di tutta la mostra».
«E non potreste esporlo altrove?»
Il ragazzo scuote la testa. «No. La polizia dice che è una prova importante, o qualcosa del genere» poi punta lo sguardo su Ellie. Di nuovo. Lo ha fatto per tutto il tempo della sua noiosa ed estenuante esposizione del suo sapere riguardo ogni suppellettile e non per dovere, Dean ne è praticamente certo.
«Si tratta del “Guardians of the Secret”[5]
«Esattamente» il ragazzo sorride – solo a lei stavolta – e Dean non ha più dubbi: il secchione ci sta provando con Ellie. Non ha ben capito se lei se n’è accorta o no, ma quello è il tipico sguardo sornione che si rivolge ad una tipa quando ti interessa. Anche se Dean crede di saperlo fare leggermente meglio. Leggermente.
 
«E non c’è nessuna possibilità che si possa vedere? Sarebbe importante per la nostra ricerca».
Jack Burke scuote la testa, arricciando le labbra in una smorfia dispiaciuta. «Temo di no». Merda. «Non è possibile accedere alla stanza, nemmeno per gli stessi curatori della mostra».
«Non hanno proprio idea di chi si nasconda dietro questo omicidio? Voglio dire, non hanno alcun sospetto, niente?»
«Ahimè, no. Brancolano nel buio. Credo che questo posto sia solo il teatro di una brutta storia».
 
Sia Ellie che Dean annuiscono. Dovranno trovare un altro modo per scavalcare quei sigilli.
 
Lei, comunque, chiede una lista di tutti gli oggetti esposti nel museo e in particolare quelli relativi alla mostra. Il ragazzo non ne ha una con sé al momento ed Ellie fa spallucce e annuisce, salutandolo per poi dirigersi verso l’ingresso assieme a Dean per uscire, quando la voce di quel tipo li richiama.
 
Entrambi si voltano e, quando lui fa cenno ad Ellie di avvicinarsi, lei obbedisce. Dean per un attimo crede che ci abbia ripensato e li guarda conversare. Jack cerca nella tasca dei pantaloni e ne tira fuori un piccolo rettangolino bianco; dev’essere il suo biglietto da visita. Lo porge ad Ellie che sembra confusa, per un attimo, ma poi allunga la mano e lo afferra, rigirandolo tra le dita sottili. Gli sorride e torna indietro, rossa in volto. Dean non ci mette troppo a capire quello che è appena successo e trattiene una risatina mentre si dirigono fuori dal museo in silenzio.
 
Nessuno dei due emette fiato finché non sono in macchina, quando Dean non ce la fa più e parla. «Hai fatto colpo!»
Ellie abbassa la testa, le guance rosse come due pomodori maturi. «Oh andiamo, Dean, taci».
«No, no, sul serio, tu hai fatto colpo» mette in moto e sorride, non sa neanche lui perché. «E scommetto che ti ha invitata a cena per “parlare” di tutta quella roba» mima le virgolette con una mano ed Ellie ci mette un po’ troppo a rispondere, ma sembra davvero in imbarazzo. «Beh… sì» Dean scoppia a ridere, se lo sentiva. «Ha detto che può procurarmi la lista che gli ho chiesto».
Dean scuote la testa divertito. «Tipica tecnica per rimorchiare. Bene, sarà molto utile. Stasera ci vai a cena»
Ellie si volta di scatto a guardarlo. «No, dai».
«Perché no?»
«Non mi piace sfruttare le persone. E’… scorretto».
«Ma questo non è sfruttare, è… »
«Sì, invece».
«… ricavare informazioni da chi può farci comodo».
«Sono sicura che se lo cerchi sul vocabolario questa è la definizione precisa».
Dean alza gli occhi al cielo ed emette un lieve sospiro. «Che sarà mai una cena? Io sono convinto che è uno spettro, magari uno di quei cocci vecchi apparteneva a qualche pazzo Van Gogh che non riposa ancora in pace. Posso sbagliarmi, ma non lo sapremo mai finché non avremo quella lista. Non credo che i tuoi appunti saranno poi così utili, visto che quello che ci interessa è sicuramente in quella maledetta stanza sigillata dai piedi piatti».
Ellie ci riflette un attimo, il labbro inferiore sovrapposto a quello superiore e le dita a grattare il mento. «Ok. Tu che farai nel frattempo, però?»
 
A pensarci bene, Dean potrebbe fare tante cose. Per esempio andare in un bel night club e trovarsi un passatempo, qualcosa che ora immagina come una bella ballerina alta e bionda. Poi però ci ripensa e… no, forse è meglio approfittare della notte per provare a trovare un sistema per accedere a quel museo. Sbuffa leggermente. «Io… cercherò un modo per entrare. Un’uscita secondaria, qualcosa. Ho dato un’occhiata durante il nostro fantastico tour e quel posto è sorvegliato da cima a fondo, ci sono telecamere praticamente ovunque. Ma nessun luogo è impenetrabile, quindi studierò la cartina e cercherò qualcosa».
Ellie annuisce soddisfatta. «Così ti voglio, Winchester».
 
Il pomeriggio vola in un lampo ed Ellie ha chiamato Jack, confermando l’appuntamento. Si vedranno in un ristorante in pieno centro cittadino ed Ellie sembra essere in crisi – o meglio, è in piena crisi – perché non sa cosa mettersi. Alla faccia che non voleva andarci. Tutto ciò è tipico di ogni donna che deve presentarsi ad un appuntamento galante e Dean non capisce quest’ansia. Sarà perché quelli che ha lui sono molto più informali e… veloci.
 
«Non ce l’hai un vestito?» da quando deve dare anche i consigli di moda? Ad una donna, per di più, che dovrebbe saperne di gran lunga più di lui di queste cose o di come ci si veste. Anche se, effettivamente, immaginare che Ellie abbia un vestito nell’armadio – considerando il suo solito abbigliamento – è abbastanza azzardato.
«No. Cioè… » Ellie, dall’interno del bagno, sembra prendersi una lunga pausa per pensare alla cosa più giusta da dire. «Ne avrei uno, ma… no, non è l’occasione adatta» chissà perché ha dovuto pensarci.
 
E’ almeno un’ora che è lì dentro e Dean comincia a stancarsi. Non che abbia bisogni fisiologici da soddisfare, ma che diamine, non è possibile. Insomma, come fanno le donne ad avere questa maledetta abitudine di non stancarsi mai a guardarsi diecimila volte allo specchio? Il tutto è dannatamente snervante.
 
Dopo altri cinque minuti buoni Ellie esce, finalmente, lisciandosi la gonna. Dean alza lo sguardo su di lei e si ferma un attimo a scrutarla con attenzione. Aveva assolutamente ragione quando ha pensato che se si fosse curata di più sarebbe stata molto più carina, questa è la prova lampante.
 
«Quando non c’eri ho comprato un po’ di cose, ci ho quasi finito i miei risparmi. Volevo qualcosa che mi facesse sembrare un po’ più grande, ma… non so, forse ho esagerato». Dean la osserva da capo a piedi senza ascoltarla davvero. La gonna che indossa è nera a vita alta, ma che comunque le arriva sopra alle ginocchia; sopra, una blusa con le maniche lunghe e piuttosto larghe beige scuro – due fasce di tessuto semplice ai polsi e una in vita, per il resto è traforata e crea un ricamo che lascia scoperti dei piccoli pezzetti di pelle solo sulle braccia – con uno scollo a barca non troppo ampio e ai piedi porta un paio di decolleté nere. Sugli occhi un trucco leggero, mentre le labbra sono colorate di un rosa antico. I capelli, lunghi e sciolti, le ricadono in onde morbide al di sotto del seno e deve avergli fatto qualcosa perché sono più mossi del solito.
 
Appoggia una mano su un fianco, facendo uno strano – e quasi sensuale – movimento e lo guarda con le labbra appena imbronciate.
 
«Allora? Ho scelto bene?» Dean si alza in piedi e le si avvicina, è davvero buffissima quando vuole. «Sono ridicola?» e lui si ritrova a sorridere di fronte a quell’esclamazione, mentre la sua espressione sembra così simile a quella di un cucciolo – affine anche a quella che gli faceva qualcuno, l’unico al mondo che gli abbia mai ispirato tanta tenerezza a tal punto da convincerlo talvolta ad agire come non avrebbe mai pensato di fare solo perché spronato da quello sguardo – e le si avvicina ancora un po’ porgendole la giacca nera abbinata alla gonna, quella che aveva appoggiato sopra il suo letto.
 
«Ho in mente molti altri aggettivi diversi da ridicola» piega un angolo delle labbra verso l’alto a mo’ di sorriso ed Ellie arrossisce quasi, anche se cerca di nasconderlo portando una mano dietro il collo e abbassando lo sguardo per un secondo.
«Potrei sapere quali?» Dean scuote la testa sorridendo perché molti sono vietati ai minori e non è il caso che lei li conosca.
 
Ellie fa spallucce e si dirige verso la porta, seguita da Dean che inclina indietro la testa per osservare anche il suo lato B – giusto per non lasciarsi sfuggire nulla –, continuando a pensare che se tutti i giorni si vestisse in questo modo sarebbe davvero – davvero – carina e probabilmente non esiterebbe neanche un secondo a provarci. O forse no. Chissà. Sicuramente se fosse una delle tante lo farebbe.
 
La accompagna nel luogo prestabilito con l’Impala e quando accosta la guarda ancora una volta. Lei sembra… tesa e Dean quasi si pente di averla “costretta” ad uscire con quel tipo. Magari non le piace neanche un po’, non è riuscito a capirlo con esattezza. «Ok, mi rendo conto che è tardi per dirtelo, ma se non te la senti—»
«No, va bene. Posso farcela».
Dean la guarda, colpito dalla fermezza che ha lasciato trasparire dalle sue parole. «Allora facciamo un piccolo ripasso».
«Non ce n’è bisogno. Cercherò di non farmi beccare, Dean, te lo prometto».
«Ok… ma mi raccomando. Sii il più discreta possibile e nessun accenno a niente di diverso a quello che abbiamo accordato. Intesi?» Ellie annuisce decisa con la testa. «Bene. Mandami un messaggio se hai bisogno di un passaggio o di qualcosa».
Ellie lo guarda perplessa, gli occhi grandi. «Come faccio se non ho neanche il tuo numero?»
Sorride e Dean si dà mentalmente del cretino. «Giusto» tira fuori il cellulare dalla tasca e si fa dettare il numero di Ellie. «Intanto te ne mando uno io, così lo segni».
Lei sorride. «Va bene» scende dalla macchina e gli dà le spalle, lasciandolo a sorridere mentre scuote la testa.
 
Che tipa. 

*

Da ormai una decina di minuti Ellie attende in piedi, di fronte alle immense vetrate di un ristorante che è troppo di lusso per essere vero, il posto dove Jack le ha dato appuntamento.
 
Sbircia al suo interno: bicchieri di cristallo, servizi da tavola bianchi e lucenti ed Ellie prova ad immaginare quanto potrebbe costare mangiare in un posto simile. E’ sicuramente il più chic che ha mai visto in vita sua, un po’ perché ultimamente vive di fastfood e cibo riscaldato male e poi, forse, avendo lavorato tanto tempo in una piccola tavola calda in un città come Buckley – che era tutto fuorché un posto lussuoso – non è abituata a questo genere di sfarzo.
 
Continua ad osservare quell’immenso salone attraverso la vetrata, cercando di captare una faccia conosciuta, ma non c’è nessuna traccia di Jack Burke e comincia a pensare le abbia dato buca.
 
Magari ha cambiato idea. O forse non è proprio interessato a lei. La cosa non la stupirebbe, non ha mai avuto una gran fortuna con i ragazzi.
 
Si sente toccare una spalla e, quando si volta, se lo ritrova davanti; Jack le sorride e lei, d’istinto, ricambia. Indossa un paio di pantaloni marroni chiari – più sportivi e informali di quelli che aveva stamattina – e una camicia celeste aperta di qualche bottone sul davanti. I capelli sono spettinati, ma in un modo carino, e gli occhi, di un bel castano chiaro, sembrano brillare di luce propria.
 
«Ciao, ho… ho parcheggiato qua sotto, ma possiamo andare a piedi».
Ellie lo guarda un attimo confusa. «Non ceniamo qui?»
«Oh no, questo era semplicemente un punto d’incontro. Vieni, ti porto nel ristorante più sconosciuto e anonimo di tutta Orem».
 
Ellie sorride e l’idea già la fa sentire più a suo agio. Abbigliamento a parte.
 
Camminano per non più di qualche minuto ed Ellie ha modo di constatare che non mentiva quando ha detto che era il posto più sconosciuto e anonimo. E’ una piccola casupola, situata in mezzo a molte altre, tanta edera a coprire tutta la fiancata che incornicia un grosso portone di legno.
 
Si siedono ad un tavolo apparecchiato con cura, la tovaglia bianca, piatti in tinta e al centro un vasetto con un paio di rose rosse.
 
«Vengo spesso a mangiare qui. Fanno delle bistecche favolose» Ellie sorride. «Ma puoi ordinare quello che vuoi, magari neanche ti piacciono».
«Io mangio tutto».
Il ragazzo sorride a sua volta. «Bene» la guarda per qualche istante senza dire nulla ed Ellie fa lo stesso. Deve ammettere che è un bel ragazzo – non che se ne accorga solo adesso, anche stamattina ne era consapevole, solo che ora, vedendolo così più a suo agio e rilassato in un posto diverso da quello dove lavora, le sembra ancora più affascinante – e forse non è stata poi un’idea così malvagia uscire con lui. Vorrebbe solo averlo fatto senza nessun doppio fine.
 
«Ho come l’impressione che tu non sia di queste parti». Ellie annuisce. «Quindi sei qui per studiare».
«Sì… lo faccio a Salt Lake City, sono qui solo per la ricerca».
Jack sorride. «Anch’io ho studiato lì. E’ un ottimo posto dove farlo».
 
La serata scorre in modo piacevole, anche troppo forse. Ellie è una buongustaia e quella bistecca era davvero deliziosa. Sono già al dessert – dei bignè ripieni di una crema squisita, molto simile a quella chantilly – e, come Ellie aveva previsto, dopo la consegna della famosa lista, parlano di tutto tranne che di musei ed oggetti rari e preziosi.
 
«Quel ragazzo che era con te oggi è un… tuo amico?» Ellie sorride e annuisce. «Per un minuto ho avuto l’impressione che foste fratelli, o parenti. Poi ho cambiato idea, non vi somigliate per niente».
Quella frase, in un certo senso, mette Ellie in crisi, facendola sentire in dovere di ribattere qualcosa per non farsi scoprire. «No, niente legami di sangue. Siamo amici da quando facciamo l’Università, ma lui è più grande e… eravamo interessati allo stesso argomento e facciamo ricerca insieme» per un attimo si stupisce di quanto le venga facile inventare balle. Non lo credeva possibile.
«Ah davvero?»
«Sì. Le ricerche non sono il suo forte, preferisce studiare sugli appunti e sui libri di base, cosa che invece non piace a me. Ci aiutiamo a vicenda».
 
Subito dopo la cena – gentilmente offerta da Jack – fanno una lunga passeggiata per le vie della città. Il ragazzo le illustra la storia di alcuni vicoli ed Ellie lo ascolta affascinata. Le sono sempre piaciute le storie di paese.
 
Parlano anche delle loro vite, per quanto possibile. Jack le racconta che si è laureato all’Università in Storia dell’Arte e Letteratura ed Ellie lo riempie di domande, ammaliata com’è da tutti gli argomenti che riguardano quell’ambito di studio.
 
Lo guarda negli occhi ascoltando i suoi discorsi con attenzione e c’è qualcosa di particolare nel suo sguardo, qualcosa che Ellie conosceva fin troppo bene: l’ingenuità di vivere in un mondo normale, senza mostri o sciagure soprannaturali. Ellie lo vedeva nei suoi compagni di scuola, quella spensieratezza che avevano nel credere che i demoni non sono altro che fantasie, solo storie che si raccontano per spaventare la gente. Nessuno degli sguardi degli uomini con cui Ellie passa del tempo adesso – soprattutto John Winchester e papà – sono così, non c’è quella purezza e quell’innocenza, ma solo dolore e amarezza.
 
Nemmeno Dean ha questo sguardo. Anche lui è così segnato dalla sofferenza – il che è assolutamente comprensibile, è dovuto crescere in fretta e imparare fin da bambino a cavarsela da solo –, nonostante sia più bravo a mascherarlo.
 
Camminano ancora a lungo e il tempo passa veloce e sono già le quattro del mattino quando si rendono conto di che ora è.
 
Jack la accompagna fino al motel ed Ellie lo ringrazia per la piacevole serata. Quando rientra in camera, trova Dean disteso sul letto intento a leggere qualcosa che si prodiga a nascondere di corsa sotto il letto non appena la vede. La guarda con un sorriso da presa in giro. «Bentornata Cenerentola».
Ellie lo osserva perplessa. Dà uno sguardo all’orologio e poi torna a guardarlo. «Ma mezzanotte è passata da un pezzo». Dean scuote la testa alzando gli occhi al cielo e si mette seduto. Ellie ha capito che si trattava di una battuta, solo che proprio non riesce a comprendere il nesso tra lei e Cenerentola, ma non sembra che Dean abbia molta voglia di spiegarglielo. «Com’è andato il tuo appuntamento galante?»
 
Ellie abbozza un sorriso. E’ stata davvero bene, ma non vuole farlo vedere a Dean – e magari dargli l’idea che deve trovarle un fidanzato e quindi spingerla a uscirci di nuovo, non sa perché ma le dà l’impressione di uno che potrebbe farlo –, così si morde il labbro inferiore voltandosi e cercando di non farsi beccare. «Bene».
«Bene… come?» Ellie alza gli occhi al cielo. Che razza di impiccione. «Bene… bene. Che vuoi sapere di specifico?» e quasi si pente di avergli fatto quella domanda, perché anche se è girata di spalle lo sente sorridere e gli ha praticamente dato carta bianca, perciò è esposta ad ogni genere di attacco.
«Boh, racconta un po’. Sono curioso». Ellie si tiene sul vago, parlando di quello che è successo senza andare nei dettagli, mentre si muove dalla stanza al bagno per struccarsi e mettersi il pigiama – o meglio, la lunga maglia che per lei è un pigiama. «Ci credo che ti ha pagato la cena. Mi pare sia uno pieno di soldi» e sentendo quelle parole ad Ellie viene da sorridere.
«Perché, tu quando porti a cena le ragazze non offri?»
«Il problema non si pone perché io non le porto a cena, mia cara. Al massimo offro una birra. O due».
 
Ellie si siede sul letto di fronte a quello di Dean e lo guarda scuotendo la testa. Non lo conosce sotto questo aspetto – in realtà sono molte le cose che ancora non sa di lui, ma alcune sono proprio lampanti anche se non ha mai detto niente a riguardo – ed è sicura che gli piace fare il ragazzaccio quando ha a che fare con il genere femminile. Questo atteggiamento strafottente e sicuro glielo conferma.
«E quindi avete solo… parlato?»
«Sì. Perché, che dovevamo fare?» il sorriso che le rivolge Dean non lascia spazio agli equivoci. Ellie arrossisce di botto, così afferra un cuscino e glielo tira addosso e lui sembra inizialmente preso alla sprovvista ma poi contrattacca al volo, acciuffando il suo e alzandosi in piedi cominciando a sbatterglielo addosso. Ellie si trova sprovvista e comincia a dimenarsi, riuscendo a scappare dalla sua presa e finendo dall’altra parte del letto di Dean, dove trova il suo cuscino e stavolta non ha intenzione di mollarlo. Si lancia all’attacco e lo colpisce. O meglio, sono i due cuscini a scontrarsi, ma poi si accanisce sul fianco scoperto di Dean, finché lui non riesce a strapparglielo di mano, lanciandolo chissà dove, ed è di nuovo disarmata, stavolta senza possibilità di fuga, perché più Dean avanza, più lei indietreggia e ben presto si ritrova sdraiata su uno dei due letti, intrappolata tra il materasso e il corpo di Dean. A dividerli solo il suo cuscino.
 
La osserva con un sorriso da presa in giro stampato sul volto e a guardarlo adesso sembra la persona più felice e tranquilla del pianeta, senza un pensiero a ronzargli in testa, gli occhi limpidi e luminosi di chi si diverte davvero e la vita potrebbe essere sempre così semplice per lui. Dovrebbe farlo ridere più spesso. 
 
Dean preme di più il cuscino contro il suo corpo, destandola da quei pensieri. «Ho vinto».
«Per stavolta. Dai, levati». Dean obbedisce rotolando di lato e mettendosi seduto, ma continua a tenere il cuscino in mano sorridendo. «Che ridi adesso?»
«Scommetto che se c’era il tuo spasimante al mio posto non gli avresti chiesto di togliersi» ed Ellie gli rifila una manata su un braccio che lo fa ridere ancora di più. «E dai, ammetti che un po’ ti piace».
Ellie sbuffa e osserva il pavimento per un istante. «Tu che facevi?» e Dean la guarda con fare colpevole. «Io? Ti aspettavo. Volevo aggiornarti su… su quello che ho scoperto».
 
Ellie non se la beve. Non del tutto. Un flash di come l’ha trovato quando è entrata le fa mordere il labbro inferiore ed escogitare qualcosa per vendicarsi di averla sconfitta nella battaglia coi cuscini – per non parlare del fatto che, come previsto, vuole appiopparle quel ragazzo –, così si fionda sotto il suo letto prima che lui riesca ad acciuffarla e quello che trova è un giornaletto che già dalla copertina – fucsia con l’immagine di una donna asiatica con sguardo ammiccante al centro – lascia poco spazio all’immaginazione. Ad Ellie capita di vedere riviste simili quando va al supermercato; di solito le mettono nei ripiani in alto, come se un normale cliente non ci buttasse l’occhio. E una, tempo fa, spuntava anche dal borsone di suo padre.
 
Guarda Dean e scoppia a ridere, soprattutto quando lui cerca di prenderglielo dalle mani. Sembra incredibilmente in imbarazzo, il viso così rosso Ellie non glielo ha mai visto.
«Busty Asian Beauties… ma ovviamente mi stavi aspettando… »
«Piantala. Ridammelo» Ellie glielo molla giusto perché proprio non ce la fa a smettere di ridere e non riuscirebbe mai a trattenerlo se volesse afferrarglielo di nuovo e lo guarda tenendosi la pancia con entrambe le mani quando lui lo butta dentro il suo borsone e la guarda con finto odio negli occhi. «Non farlo più».
 
Ellie si accomoda meglio sul letto, infilandosi sotto le coperte e recuperando il cuscino per poi appoggiarlo dietro la schiena. «Mi pare una giusta punizione per avermi battuta e soprattutto per aver pensato che mi sarei, come dire… data da fare la prima sera con un tipo che sì, potrebbe piacermi, ma è immischiato nel caso che stiamo seguendo».
Dean sorride compiaciuto «Vedi, ti piace» ed Ellie sbuffa di nuovo, accavallando le gambe. Stavolta un po’ se l’è cercata. «Vuoi raccontarmi che hai scoperto, o no?»
 
E in realtà Dean non ha trovato molto. Diciamo pure che non ha trovato niente. Il museo sembra blindato.
 
Ellie recupera dalla borsa la lista che le ha dato Jack e leggono qualche nome finché non crollano per la stanchezza.
 
Dormono il giusto necessario e, al mattino, si recano alla stazione di polizia per recuperare gli oggetti personali delle vittime, in caso riuscissero a ricavarne qualche dato utile.
 
Stavolta devono fingersi agenti dell’FBI, sembra l’unico modo per accedere a quelle informazioni ed Ellie è un po’ in ansia, temendo di non essere riuscita a mascherare al meglio la sua giovane età. Le fanno male i piedi, soprattutto dopo una serata intera a spasso con i tacchi alti e sta constatando che portarli anche il giorno dopo non è un granché per la sua salute. Sta cercando di non brontolare troppo, è già la terza volta che Dean sbuffa per un qualche suo borbottio e, uffa, vorrei proprio vedere cosa farebbe se li dovesse portare lui.
 
Il telefono squilla proprio un attimo prima che uno degli agenti li riceva. Dean mostra il suo badge falso e la indica come una sua collega chiedendo di poter parlare con lo sceriffo locale mentre lei prende il telefono dalla borsa e dà un’occhiata al display: è Jack.
 
Rifiuta la chiamata e fa per rimettere il cellulare al suo posto – non ha decisamente tempo per lui adesso – ma quando alza gli occhi e incontra uno sguardo stupito e attonito almeno quanto il suo rimane per un attimo senza fiato, in cerca d’aria.
 
«Voi che ci fate qui?» vorrebbe dare una risposta sensata, lo vorrebbe davvero, ma è troppo sconvolta per riuscire a parlare. 
 


[1] The University of Utah è realmente situata a Salt Lake City, capitale dello Stato situata a una quarantina di miglia da Orem. Il Dipartimento di Beni Culturali è una mia invenzione, ma l’Università esiste realmente xD
[2] Noto album dei Beatles pubblicato nel 1967.
[3] Famosa critica d’arte americana.
[4] Altro riferimento a Lost: il cognome Burke è “preso in prestito” a Juliet Burke, interpretata da Elizabeth Mitchell che è anche l’attrice che ho scelto come presta volto per la mamma di Ellie.
[5] Dipinto di Jackson Pollock, noto pittore americano vissuto nel secolo scorso. E’ esposto al Museum di Modern Art di San Francisco, ma mi sono presa la piccola libertà di immaginare che potesse essere stato portato ad Orem per questa mostra :P

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Capitolo 7
*** Can you show me where it hurts? ***


Note: Stasera sono in giro e con questa scusa sono riuscita a pubblicare ad un orario decente, hurrà! XD
Sono molto offesa, però: ho pubblicato una cosina piccina picciò su Bobby l’altra notte e nessuuuuuno si è azzardato a commentarla. Era così brutta? :( O forse vi siete stancati di me e pensate che sto solo intasando il sito con le mie orribili pubblicazioni… ditelo, fatevi avanti se avete coraggio! *alza i pugni e si prepara a ricevere tante botte* XD
A parte gli scherzi, sono molto orgogliosa di come sta andando questa storia. La state seguendo in tanti (molti di più di quanto avrei mai potuto immaginare) e per me è una gioia immensa leggere i vostri pareri e vedere il numero delle visualizzazioni salire. Non smetterò mai di ringraziarvi per questo! <3
Detto ciò, vi lascio alla conclusione del caso (sperando non aver fatto pastrocchi) e… a mercoledì! 
 

Capitolo 7: Can you show me where it hurts?
 

Come on, now,
I hear you're feeling down.
Well I can ease your pain
Get you on your feet again.
Relax, I’ll need some information first.
Just the basic facts
Can you show me where it hurts?
 
(Comfortably numb – Pink Floyd)

 

Se c’è una cosa che fa proprio innervosire Dean – una delle tante, ma proprio quando sta cercando di risolvere un caso che si sta pure prospettando più incasinato di quanto non sembrasse all’inizio questa è una delle peggiori – è quando gli salta la copertura. Deve essere decisamente anche nel podio della lista delle dieci cose che gli fanno girare le palle appena sveglio, quando il caffè ancora non ha fatto l’effetto che deve. 

 
Il suo sguardo guizza da quello incredulo di Jack Burke ad Ellie, che lo fissa in modo allucinato, sicuramente convinta che ora sono nella merda totale e non ha poi tutti i torti.
 
«Voi che ci fate qui?» ripete pure la domanda, il cretino.
 
Dean prova a creare nella sua testa una balla convincente, qualcosa che regga, ma non c’è verso – il che è strano, lui è un maestro nell’inventare balle, ma stavolta è proprio preso alla sprovvista – ed è Ellie a prendere la parola prima di lui. «Sì, ok, credo ci sia un leggero equivoco».
«Non siete studenti, non è così?» Ellie scuote la testa. Fa bene, tanto ormai sono stati beccati, tanto vale essere sinceri.
 
Che poi che ci sta a fare qui questo idiota? Dovrebbero essere loro a chiedere a lui che ci fa qui, alla stazione di polizia, proprio nello stesso momento in cui loro stanno andando a controllare gli effetti personali dei coniugi uccisi. Dean non si ritiene di certo l’uomo più intelligente del pianeta, ma nel suo lavoro le coincidenze possono dirsi praticamente inesistenti.
 
«E tu che ci fai qui?» Ellie lo guarda storto per un attimo, forse non le è piaciuto il tono che ha usato.
Jack Burke sembra incespicare in cerca delle parole giuste e Dean sorride sghembo. «Mi sa che non siamo gli unici a dovere delle spiegazioni. Facciamo che adesso ci aspetti qui fuori e poi ne parliamo con calma».
 
Il ragazzo fa un sorriso sbieco, quasi abbia ritrovato una certa sicurezza nel giro di pochi istanti «Io non devo spiegare niente a nessuno, l’ho già fatto a chi di dovere» e non aspetta neanche una risposta che si dirige verso la porta.
 
Dean scuote la testa. Avranno modo di affrontarlo quando sarà il momento. Si avvia verso l’ufficio dello sceriffo ed Ellie lo segue ma è visibilmente più nervosa di prima, non solo per i tacchi o qualsiasi cosa le stesse frullando per la testa. Si ferma un secondo e lei lo guarda perplessa; a Dean basta immergersi nei suoi occhi per un istante per capire che è preoccupata perché sono stati scoperti e l’unica cosa che può fare è cercare di rassicurarla. «Sta tranquilla, andrà tutto bene» e lei annuisce, per niente convinta, però lo fa. Forse Dean sa infondere un minimo di fiducia nella gente. O forse Ellie lo ascolta solo perché non lo conosce abbastanza da sapere che a Dean succede spesso di incasinare tutto. Però poi se la cava bene a sistemare le cose – la maggior parte delle volte, almeno.
 
Dean sa bene che con un distintivo dell’FBI si possono ottenere molte informazioni e quelle che servono loro sono tutte a portata di mano: gli effetti personali dei due coniugi – quello che avevano nelle tasche al momento della morte e tutto quello che è stato trovato nella loro stanza – e il rapporto della polizia locale riguardo all’accaduto.
 
Escono dalla centrale senza dire una parola e Dean osserva Ellie in silenzio, finché non salgono in macchina ed è lei a parlare per prima. 
«Che facciamo adesso?»
«Avevo in mente di guardare quello che abbiamo trovato qui, ma se preferisci prima passiamo dal tuo fidanzato».
Ellie sbuffa «Non è divertente» e Dean è convinto di non averla mai vista tanto irrequieta.
Sospira «Ho capito, sei preoccupata perché ci ha beccati, ma sono sicuro che non lo dirà alla polizia o a qualcun altro. Piuttosto a me puzza il perché era lì».
Ellie lo guarda perplessa «Non l’ha detto».
«Non fa niente. Di certo le stesse cose che ha detto alla polizia le dirà anche a noi» Dean si guarda intorno prima di mettere in moto «Per caso sai dove abita?»
Ellie annuisce «Ha un appartamento accanto al centro commerciale, sulla Orem Boulevard» Dean soffoca una risatina, giusto perché Ellie è già parecchio tesa – anche se ancora non ha del tutto chiare le motivazioni – e non ha intenzione di litigare. «Me lo ha detto perché mi ha fatto fare il giro della città, ieri sera. Non sono stata a casa sua, se è questo che stai pensando» e a quelle parole Dean si zittisce. Non aveva detto niente a riguardo, ma ogni tanto sembra che Ellie riesca a leggergli nel pensiero. O forse lo ha detto solo per evitare un’altra battutina da parte sua, in fondo ormai lo conosce abbastanza da sapere che non si farebbe scrupolo a farne qualcuna per prenderla in giro.
 
Guida fino al luogo indicato da Ellie e poi ferma la macchina sul vialetto di fronte al complesso residenziale dove abita Jack Burke. Non sembra tanto di lusso, è un semplice palazzo a mattoncini rossi, conterrà al massimo tre o quattro appartamenti. Forse non è un riccone come Dean aveva pensato all’inizio.
 
Fa per scendere ma Ellie rimane seduta a torturarsi le mani intrecciate in grembo. Dean la guarda «Si può sapere che hai?»
Ellie si mordicchia il labbro inferiore, inquieta «Stavo pensando che… che se entriamo io voglio dirgli la verità» Dean richiude lo sportello e sgrana gli occhi e solo adesso Ellie lo guarda in faccia, ma non gli dà neanche la possibilità di replicare che parla ancora «E’ la cosa giusta da fare e poi non posso chiedergli di aiutarci senza prima essere stata sincera».
«Aiutarci? Ma che cosa—»
«L’hai detto tu che il museo è praticamente impenetrabile e qualsiasi sia la cosa che ha ucciso quei due vive lì dentro.  Lui è l’unico che può farci entrare, solo dobbiamo… devo raccontargli chi sono».
 
Dean forse un po’ capisce quello che sta cercando di dirgli, ma non per questo trova la sua idea accettabile «Ok, ho capito. Ti senti in colpa perché hai dovuto mentirgli e adesso vuoi scaricarti la coscienza mettendolo in mezzo».
«No! Non c’entra niente» sbatte le palpebre un paio di volte, poi inclina appena il capo e annuisce debolmente «Ok, forse un po’ sì, ma sono sicura di quello che dico».
 
Dean scuote la testa «Mentire fa parte del gioco. E si dà il caso che non sai se lui c’entra qualcosa» Ellie aggrotta le sopracciglia «Ti ricordo che era dalla polizia, quando l’abbiamo visto».
«E allora?»
«Allora potrebbe avere a che fare con—»
«Oh, andiamo! Non è vero. E poi noi non siamo giustificati»
«Invece sì!» il tono della voce di Dean si fa più alto; odia quando qualcuno insiste tanto e sta decisamente perdendo la pazienza. «Prima di chiedere aiuto devi essere sicura che lui non c’entri niente».
«Ma cosa vuoi che c’entri? Sono certa che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato ed è solo andato a dirlo a chi di dovere, cosa c’è di scorretto in questo?»
«Posso essere libero di avere dei sospetti? Dannazione, sono io l’esperto tra noi due, ne saprò qualcosa più di te! E poi perché lo difendi a spada tratta? Lo conosci da un giorno, come fai a sapere se è sincero oppure no?»
«Non c’entra niente questo» Ellie si umetta le labbra e sospira. «Fammi parlare con lui. Gli spiegherò come stanno le cose e—».
«Certo, e ti darà una mano così, ad occhi chiusi!»
«Almeno tentiamo!»
«No!» si rende conto di stare urlando, prende fiato sospirando rumorosamente e passandosi le dita sugli occhi «Senti, ho tutto il diritto di nutrire dubbi su quel tipo, va bene? Ho una strana sensazione».
«Ma non sai neanche quello che ha detto alla polizia! Boh, io… io sono sicura che non è questo il problema per te».
 
Dean la guarda perplesso «E quale sarebbe allora?»
Ellie non sembra essere tanto sicura di voler dire quello che sta per dire, ma al contempo è chiaro che non ha intenzione di trattenersi. «Tu non ti fidi delle persone. E lo capisco, ok? Però stavolta è diverso» Dean alza gli occhi al cielo e scuote la testa. «Lo so che fa parte del modo di essere di tutti voi, ma—»
«Noi chi? Noi cacciatori? Ellie tu sei una di noi, ormai. E’ quello che vuoi essere, sei stata tu a sceglierlo!»
«Non è vero. Non l’ho scelto, lo faccio solo per papà, per aiutarlo».
«E allora vedi di abituartici, perché è così che ragionano tutti quelli come me. Mio padre, tuo padre, siamo sospettosi per natura. Ed è così che devi diventare anche tu se vuoi essere brava in quello che fai».
 
Ellie rimane un attimo sorpresa a guardarlo, stringendosi nelle spalle. «Jack non è cattivo, io ne sono sicura. Se non ti fidi di lui, prova a fidarti del mio istinto».
Dean incrocia le braccia al petto. Ci riflette un attimo, poi chiude gli occhi per un lungo istante, appoggiandosi meglio al sedile; espira ed annuisce «D’accordo. Ma non mi lasci fuori».
«Dean… »
«O così o niente».
 
Ellie sbuffa, ma accetta. Scende dall’Impala e Dean la guarda avvicinarsi al citofono. Non vuole fare lo stronzo, ma… qualcosa non gli torna in quel tipo. Se n’è andato senza dargli neanche mezza spiegazione, e per quanto ne abbia tutte le ragioni, di solito il distintivo dell’FBI fa zittire tutti ma con lui non è successo. Di certo è in qualche modo coinvolto e non è detto che sia per una buona cosa.
 
Dalla sua esperienza, Dean ha imparato che, di solito, se un sospetto scappa lo fa perché è colpevole di qualcosa. Dean ha poca fiducia nella gente – niente gli dice che non deve fidarsi di quel tipo, ma neanche il contrario – perciò non vede tante altre alternative. Vorrebbe solo che Ellie riuscisse a capirlo prima di fare qualche cazzata.

*

Ellie suona il campanello, le dita quasi tremanti sul pulsante. Sa che la sua idea può essere anche folle, ma non ha intenzione di rinunciarci solo perché Dean non è d’accordo. E’ vero che un po’ si sente in colpa; non le piace mentire alle persone, soprattutto se queste si mostrano gentili e disponibili con lei e Jack non ha fatto niente di sbagliato. E’ assolutamente convinta che si tratta solo di un equivoco ed è sicura che riuscirà a dimostrarlo.
 
Il portone d’ingresso si apre e Dean ed Ellie salgono le scale in fretta, finché non si ritrovano davanti alla porta di Jack Burke. Lui non è sulla soglia, ma l’ha lasciata appena aperta ed Ellie entra quasi titubante, seguita da Dean.
 
Trovano Jack seduto su uno sgabello, accanto all’isola della cucina. L’ambiente è spazioso, pieno di quadri e soprammobili in tinta con i mobili di legno. C’è un grosso divano accanto ad una scrivania piena di fogli e libri disposti con ordine ed ogni cosa sembra essere collocata in un certo posto della stanza con precisione e cura.
 
Jack punta gli occhi su entrambi «Sapevo che sareste venuti a cercarmi».
«Molto perspicace da parte tua, amico» ma è Dean a rispondere ed Ellie si volta verso di lui che la guarda con aria di sfida. Quando ha pensato che forse sarebbe stato zitto si sbagliava di grosso. Le aveva promesso di farla parlare e così deve fare, per una volta deve essere lui a rimanere in silenzio, ma Ellie ha imparato a sue spese che odia quando gli viene chiesto di mettersi da parte – non è passato così tanto tempo da quando le ha gentilmente chiesto di farsi gli affari suoi per quella storia di suo fratello –, ma non può fare altrimenti stavolta.
 
Jack li invita a sedersi, ma solo Ellie lo fa, scegliendo lo sgabello accanto al suo; appoggia un braccio sul mobile – la mano aperta sul ripiano liscio – e lo guarda negli occhi. «Mi… mi dispiace averti mentito ieri sera».
«Chi diavolo sei? Anzi, chi siete?»
«Prima vorrei che ci spiegassi perché eri dalla polizia» Ellie sbuffa, ma ormai le è chiaro che non riuscirà a far stare Dean in silenzio. Tanto vale lasciarlo sfogare come meglio crede. Ogni tanto pensa che tutta questa aggressività che dimostra con i “cattivi” è un modo come un altro per dare sfogo ad una rabbia che deve sentire dentro di lui per un qualche motivo.
 
Jack lo guarda ed espira; non sembra avere paura di lui. «Volevano interrogarmi per la morte dei coniugi Westwood».
«Perché, tu che c’entri?»
«Ero lì quando è successo» appoggia un gomito sul ripiano lì accanto, tenendosi comunque a distanza dal braccio di Ellie. «Non avevano prenotato la visita guidata. Erano venuti qualche altra volta, ogni tanto al museo organizziamo delle mostre a tema e loro venivano spesso, erano dei grandi appassionati d’arte» sospira appena «Perciò erano da soli. Io ero poco più in là e mi sono accorto che stavano toccando la cornice di un quadro».
Ellie lo guarda attenta «Ma non è vietato?»
«Appunto. La prima volta ho fatto finta di non vedere, ma poi hanno fatto la stessa cosa con un altro poco più in là e sono stato costretto ad intervenire. Gli ho detto che era contro il regolamento e il signor Westwood ha provato a rispondermi, ma non riusciva a parlare e qualche secondo dopo era sdraiato per terra, cianotico, e non sono riuscito a fare niente per salvarlo. Stessa cosa con la signora».
 
Dean incrocia le braccia al petto, sbuffando «Che aspettavi a parlarcene?»
«Voi non me l’avete chiesto» Ellie sposta lo sguardo da lui a Dean che lo guarda perplesso. «Vi siete presentati come due studenti, ma avete mentito» punta gli occhi in quelli di Ellie che deglutisce, mortificata.
«Lo so. Non… non siamo stati sinceri. Io non sono stata sincera e mi dispiace davvero tanto».
 
«Però adesso vorrei sapere chi siete».
«Cacciatori».
Lo sguardo di Jack si posa su Dean, poi su Ellie. «Che vuol dire, cacciatori di cosa?»
«Mostri. Lupi mannari, demoni… esistono davvero». Jack la guarda stralunato, poi abbassa lo sguardo senza fare nulla; sembra quasi stia per scoppiare a ridere e questo basta per far scattare Dean in avanti con aria minacciosa. Ellie si sente come schiacciata da entrambi e respira, giusto per ritrovare il suo posto nell’universo e cercare di aggiustare le cose. Alza un braccio in direzione di Dean, quasi a pregarlo di non fiatare, e quando Jack rialza la testa la guarda negli occhi, ma continua a tacere. Ellie si sente quasi in dovere di aggiungere qualcosa «Non sto scherzando».
«E’ la cosa più assurda che io abbia mai sentito… »
«Eppure faresti meglio a crederci» Dean interviene di nuovo; sembra che non riesca proprio a starsene zitto.
«La maggior parte delle cose che ti ho raccontato è vera, a parte il nostro lavoro. Noi uccidiamo queste cose malvagie».
Jack la guarda negli occhi «… non so perché, ma qualcosa mi dice che avete ragione. Insomma, se così fosse… se così fosse tutto avrebbe un senso» Ellie stringe gli occhi e lo osserva, perplessa «Ho sentito tante leggende in vita mia, ed ho sempre creduto fossero delle scemenze, ma poi… » prende un attimo fiato, fissando ancora Ellie «Ma poi è successo quello che è successo ai Westwood e forse è vero quello che si dice».
«Perché, che si dice?»
 
Jack si alza in piedi e prende il suo computer dalla scrivania. Lo accende ed apre una pagina per poi mostrarla ad Ellie. Anche Dean si avvicina per poter leggere sullo schermo. «Jackson Pollock, per un breve periodo, ha avuto un allievo. Si chiamava Randy Connor [1], era un ragazzo giovane che—»
«Sì, va bene, Wikipedia, passa ai punti salienti».
Il ragazzo annuisce, non sembra irritato da quell’interruzione «Era un pittore minore, ma l’essere stato allievo di Pollock lo ha reso famoso e si racconta che uno dei suoi ultimi dipinti sia maledetto. Numerosi collezionisti, dopo esserne entrati in possesso, sono morti in circostanze sospette e perciò per un lungo periodo nessuno ha più acquistato quel quadro. Poi, però, un uomo ricco, tale Henry Gale [2], lo ha venduto ad un Museo di Seattle, il Seattle Art Museum [3], ed è per questo che noi lo abbiamo esposto tra le nostre opere. Lo abbiamo chiesto in prestito appositamente per la mostra» Ellie sbatte le palpebre, pensierosa «Alcune fonti dicono addirittura che Connor sia morto dopo essere stato maledetto insieme al quadro, una specie di opera del Diavolo».
 
Ellie arriccia le labbra e guarda Dean «E’ possibile una cosa simile? Insomma, che se un oggetto di questo tipo venga toccato per sbaglio… »
«Assolutamente sì».
Lei sembra pensarci un secondo, poi torna a concentrarsi su Jack. «E’ per questo che avevo bisogno di quella lista. Se questo quadro è veramente stregato, possiamo distruggerlo e nessun altro si farà del male».
 
Jack ci riflette, poi annuisce. «Il danno all’arte è enorme, ma… non devono morire altre persone. Perciò ok, dimmi come posso darti una mano».
 
Ellie sorride e si volta di nuovo verso Dean, che non sembra ancora convinto. Non fa niente. In fondo non le importa di avere ragione, vuole solo giustizia per due persone che, non per aver infranto una stupida regola, abbiano per questo meritato la morte.
 
«Devi aiutarci ad entrare, Jack» la sua sembra quasi una supplica, per quanto non volesse esserlo.
Il ragazzo spalanca gli occhi e scuote la testa vigorosamente «Non posso farlo, rischio il posto di lavoro».
«Non lo saprà mai nessuno, devi solo dirci come fare. Lo faremo passare per un furto».
 
Jack ci pensa per un po’ più di un istante, poi sospira, quasi rassegnato «D’accordo» ed Ellie gli sorride ancora.
 
Nel pomeriggio, quando Ellie e Dean si spostano nella loro stanza di motel per preparare tutto l’occorrente, il ragazzo li segue.
 
Dean si assenta per andare a prendere il necessario per bruciare il quadro che recupereranno durante la notte ed Ellie non sa se le dispiace o no rimanere da sola con Jack.
 
E’ seduta sul letto, il laptop sopra le ginocchia e gli occhiali sul naso. Jack – che si guarda intorno da quando è entrato – le si avvicina sedendosi lì accanto. «Mi dispiace essere stato brusco stamattina. Non è da me, ma… quando ho capito che mi avevi mentito non c’ho visto più».
Lei lo guarda, sorridendo appena. «Non importa. Ero io ad essere in torto».
«Sei uscita con me solo per quella lista, non è così?»
Ellie abbassa lo sguardo e si toglie gli occhiali. «Non volevo prenderti in giro» lo guarda e lui le sorride, anche se lei non ne capisce il motivo.
«Non fa niente ormai. Sai, l’ho capito dal primo momento che c’era qualcosa di strano in te» Ellie lo osserva perplessa e lui scuote la testa, continuando a sorridere «Non intendo dire in senso brutto, piuttosto… particolare. Sembravi un pesce fuor d’acqua. In realtà mi sembri un po’ così anche adesso».
«Credo sia perché non ho sempre fatto parte di questo mondo. Io… io ero una persona normale, fino a qualche tempo fa».
Jack annuisce «Ecco perché sei diversa».
 
Ellie lo osserva con attenzione. C’è qualcosa di nuovo nei suoi occhi, nel modo in cui la guarda, ma non riesce a capire cosa. Sa solo che è diverso da ieri sera.
 
Non fa in tempo a rispondere nulla che la porta si apre e Dean è di nuovo sulla soglia. Li guarda strano e poi le sorride a mo’ di presa in giro. La rabbia sembra essergli passata, o forse è solo una maschera momentanea. 
 
Ha in mano un sacchetto bianco da cui tira fuori sale a sufficienza per un esercito. «Una bella spruzzata di questo insieme a una fiammata e tutto tornerà al suo posto».
Jack si alza in piedi e lo osserva, curioso «Quindi voi sareste tipo… tipo dei Ghostbusters, giusto?»
Dean si avvicina al tavolo, non prima di avergli rivolto uno sguardo accigliato. «Non credo. Noi siamo meglio dei Ghostbusters» ed Ellie scuote la testa. E’ ancora arrabbiato e, nonostante Jack stia cercando di dar loro una mano, continua a non fidarsi di lui. E’ un problema suo, però. Ellie non è per niente pentita di avergli detto la verità.
 
La notte arriva in un battibaleno e tutti e tre si dirigono fuori dal museo. Hanno studiato a lungo – grazie all’aiuto di Jack – la piantina del posto; conoscono a memoria ogni entrata ed uscita e sanno perfettamente come comportarsi per evitare di far scattare l’allarme. Usare il tesserino di Jack era fuori discussione: nessun dipendente può entrare dopo la chiusura del museo e, sebbene non abbia un sistema d’allarme infallibile, sarebbe stato comunque difficile riuscire ad accedere senza l’intervento di una mano esperta.
 
Jack ha insistito nel volerli aspettare fuori una volta terminato il lavoro. Ellie non voleva, ma non c’è stato verso di convincerlo e lo guarda ancora un istante prima di avviarsi insieme a Dean all’interno del museo. Lui le sorride e sussurra qualcosa che Ellie percepisce come un «Sta attenta» e lei annuisce accennando un sorriso. Non è abituata a tutte queste premure.
 
Segue attentamente Dean, cercando di fare meno rumore possibile e stando attenta a mettere i piedi nei punti giusti per non disattivare in nessun modo l’allarme antifurto. 
«Hai pensato a come prendere in mano quell’oggetto senza morire, vero?»
Ellie sfila dalla tasca un paio di guanti e glieli porge «Tieni questi. Mi sono fatta spiegare le misure di sicurezza da Jack, quelle che prendono gli addetti all’allestimento di queste mostre» Osserva Dean fare una smorfia. «Oh, piantala. Hai visto che alla fine ci ha aiutato?»
«Certo, glielo hai chiesto tu».
Ellie lo guarda perplessa. «Per forza, tu non sai domandare le cose con garbo» Dean si trattiene visibilmente dal ridere «Sì, come no» ed Ellie continua a non afferrare il concetto. «Che vorresti dire?»
«Te lo spiego un’altra volta. Dai, muoviti».
 
Ellie fa spallucce e lo segue ancora. Riescono furtivamente ad entrare nella sala sigillata dalla polizia; il quadro è ancora esposto in bella vista.
 
«C’è da dire che quei due erano dei veri idioti» Ellie lo guarda storto, ma Dean non si scompone. Indossa i guanti e lo prende in mano per poi appoggiarlo a terra, infilandolo all’interno di un sacco di plastica che Ellie gli regge.
 
Percorrono la strada a ritroso, sempre attenti a dove camminano, ed escono appena fuori dal perimetro del museo, lontani da sguardi indiscreti.
 
Dean apre il sacco di plastica, ci cosparge del sale e prende dalla tasca della giacca un contenitore rettangolare; lo stappa e versa il liquido contenuto – che a giudicare dal colore dovrebbe essere benzina – sull’involucro e al suo interno per poi dare fuoco a tutto e il quadro brucia lentamente, emanando uno strano fumo bluastro.
 
Ellie lo osserva attentamente. Non le piace lasciare le faccende in sospeso, ma non crede di aver sbagliato poi così tanto a confidare in Jack Burke. Non doveva necessariamente farlo anche Dean, va bene, ma potrebbe almeno fidarsi di lei, ogni tanto. «Sei ancora arrabbiato con me?»
 
Lui si gira verso di lei ed ancora una volta Ellie si rende conto della grossa differenza che c’è tra lui e quel ragazzo. Dean è così segnato dalla sofferenza, dal dolore e dal doversi alzare ogni mattina e combattere una qualche battaglia, anche se fa di tutto per nasconderlo e mostrarsi forte. Jack Burke, invece, era innocente, ignaro di tutto quello che il mondo nasconde di brutto e malvagio ed Ellie realizza di trovarsi nel mezzo. Non è né carne né pesce, né una cacciatrice né una “persona normale” e forse è il suo lato più “umano” ad essere attratto da Jack. Per quanto sa benissimo che non c’è alcun futuro per loro.
 
Ripensa a quando le ha parlato quel pomeriggio, al momento in cui le ha chiesto il perché è uscita con lui ed ora capisce cosa c’era di strano rispetto alla sera precedente: non c’era più quello sguardo ingenuo. C’era una nuova consapevolezza, la sicurezza che spesso non si tratta solo di leggende, che c’è davvero qualcos’altro nel mondo e questo la convince definitivamente che, a caso concluso, lo lascerà andare. Non che aveva altre idee per la testa prima, ma si rende conto che rimanere ancora significherebbe togliergli definitivamente quell’innocenza che l’aveva colpita in lui. 
 
«Non mi sembra il luogo né il momento adatto per discuterne» la voce di Dean la riporta alla realtà.
«Rispondimi e basta».
Dean si umetta le labbra «Sì. Perché sei un’irresponsabile» Ellie aggrotta le sopracciglia, perplessa. «Non puoi parlare del nostro lavoro al primo che incontri».
«Non volevo farlo, sono stata costretta».
«Non è vero. Morivi dalla voglia di renderlo partecipe della nostra festicciola soprannaturale, così potevi scaricarti la coscienza. Dovresti saperlo: la regola è fare quello che facciamo e tenere la bocca chiusa [4] e vale per tutti, tu non sei diversa dagli altri».
 
Ellie punta lo sguardo sul fuoco che si va spegnendo lentamente. E’ tutto il contrario di quello che le ha detto Jack nel pomeriggio. Chissà chi dei due ha ragione.
 
«Ok, va bene. Avrò sbagliato a renderlo partecipe, ma non l’ho fatto per scaricarmi la coscienza. Volevo solo una mano, invece tu… tu sei troppo chiuso» prende fiato «Non ti conosco ancora bene, ma ho capito che ti fidi solo di te stesso e se da un lato può essere un bene considerando il lavoro che fai, dall’altro… no. Perché dovresti aprirti con le persone, almeno un po’. Te la prendi sempre con me quando faccio qualcosa che non ti piace, e va bene, ma a volte ho l’impressione che lo fai per sfogarti con qualcuno e non prendertela con te stesso. Sei tu quello che ha dei problemi, non io» stringe involontariamente i pugni e deglutisce «E forse dovresti parlarne con qualcuno. Sono sicura che riusciresti a sentirti meno solo».
 
Sente lo sguardo di Dean su di sé, ma non si volta. In fondo gli ha detto tutto quello che doveva dirgli.

Il mattino seguente Ellie e Dean dormono fino a tardi, dopo aver passato tutta la notte a rendere il furto il più credibile possibile ed essere rientrati all’alba.
 
Nel primo pomeriggio, Jack Burke bussa alla stanza del loro motel. E’ rimasto ad aspettarli finché non sono usciti e Dean deve riconoscere che la sua parte di lavoro l’ha svolta egregiamente. In fondo Ellie non aveva tanto torto, ma rimane il fatto che non può dire certe cose al primo che incontra e Dean spera che tutto questo, in qualche modo, le serva da lezione.
 
E’ proprio lui ad aprirgli la porta e lo trova con in mano un pacco di biscotti. «Ho pensato che vi avrebbero fatto comodo per il viaggio».
 
Dean afferra il sacchetto, facendo un cenno con la testa a mo’ di ringraziamento, ma sa benissimo che quei biscotti non sono per lui. Come il fatto che li ha aiutati. Probabilmente lo ha fatto solo per impressionare Ellie e, a giudicare da come lei lo guarda, forse un po’ ci è riuscito.
 
Dean sorride tra sé e prende in mano il suo borsone. Guarda Ellie «Ti aspetto in macchina» e lei annuisce. Si chiude la porta alle spalle e qualcosa gli dice che non saprà mai quello che succederà in quella stanza. Sa anche che non dovrà aspettare molto e infatti quando la vede comparire di nuovo – lo sguardo basso e le mani dietro la schiena – non si meraviglia. Forse non sono passati neanche cinque minuti da quando è uscito.
 
Rimane appoggiato all’Impala anche mentre la vede avvicinarsi e lei continua a non guardarlo finché non è praticamente a un palmo da lui.
 
Vorrebbe farle qualche domanda, giusto per divertirsi a metterla in imbarazzo e farsi una risata ma non fa in tempo a fare nulla che Ellie toglie le mani dalla schiena e ne tira fuori il suo assurdo berretto con i pompon e lo pianta in testa a Dean che, preso alla sprovvista, si ritrova quel coso lanoso in testa che gli copre la vista. Lo tira appena più su e la trova a ridere a crepapelle di lui che sbuffa, ma poi sorride. Forse questo non è altro che il suo modo per fare pace… o per evitare domande. 

*

Sono in viaggio già da un po’ ed Ellie guarda fuori dal finestrino, la testa appoggiata sul sedile dell’Impala. Dean la osserva con la coda dell’occhio, chiedendosi come mai sia tanto silenziosa. Forse si è davvero affezionata a quella sottospecie di secchione, magari le piaceva sul serio.
 
«Potevamo fermarci qualche giorno in più se volevi passare più tempo con quello lì».
Ellie scuote la testa. «Quello lì si chiama Jack. E poi no, va bene così». Non è proprio triste, Dean non sa decifrarla. Sembra… pensierosa, ma non triste. Qualche secondo più tardi si volta verso di lui con il sorriso sulle labbra. «Mi porti a mangiare un gelato?» e l’unica cosa a cui Dean riesce a pensare è quanto sia incredibile il modo in cui riesce a passare da uno stato d’animo all’altro nel giro di pochi secondi.
 
Trovare una gelateria aperta in pieno febbraio non è stato semplice. L’unico baracchino che sembra fornire un gelato decente alla popolazione di Orem e dintorni si trova nei pressi del Lago Utah ed Ellie se lo gusta con immensa gioia stampata sul viso. «Lo sognavo da settimane».
Dean sorride a quella battuta e la guarda mentre il vento le scompiglia i capelli e lei non sembra farci caso, presa com’è dalla frenesia di mangiare il tanto agognato gelato. Si sono presi un cono a testa, entrambi con il cioccolato.
 
Si fermano a mangiarlo su una panchina e il paesaggio è davvero suggestivo: il lago si estende davanti ai loro occhi e non riescono a vederne la fine tanto è grande. Grandi alberi costeggiano la strada di fronte al lungolago e quella panchina, piuttosto isolata rispetto alle altre cosparse nel parco, sembra il tipico posto dove restare da soli quando si vuole pensare.
 
Si gustano il gelato in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Dean ripensa a quello che gli ha detto Ellie la notte scorsa, davanti a quel fuoco. Per qualche motivo, non si è sentito offeso dal fatto che lei lo abbia definito chiuso. In fondo è vero: condividere i suoi pensieri e le sue debolezze non è mai stato il suo forte. Inoltre non ha neanche più nessuno con cui farlo. Prima c’era Sam che era davvero l’unico in grado di fargli confessare l’inconfessabile, ma ora è tutto diverso, più difficile.
 
Aprirsi con suo padre è sempre stato alquanto impossibile e adesso sarebbe ancora peggio. Non solo perché lo vede davvero di rado ultimamente, ma anche perché – di questo ne è sicuro – l’unica cosa che otterrebbe sarebbe allontanarlo ancora di più.
 
Con la coda dell’occhio osserva Ellie, concentrata sul suo cono, e c’è solo il rumore della brezza leggera e Dean non è a suo agio con tutto questo silenzio.
 
«A mio fratello piacerebbe questo posto» non sa come abbia fatto ad uscirgli quella frase di bocca. Ellie lo guarda senza dire niente, aspetta solo che lui continui. Non sembra davvero stupita di quella piccola confessione – o qualsiasi cosa Dean stia cercando di fare –, si limita ad osservarlo senza mettergli alcuna fretta e Dean si sente libero di tirare fuori quello che sente, o almeno una piccola parte. «Sai, tra noi due lui è quello sensibile… » scuote la testa sorridendo al pensiero di tutte le volte che l’ha preso in giro per questo. «E… non lo so, credo gli piacerebbe». Dà un morso al cono, Ellie continua ad ascoltarlo senza fiatare, dandogli tutto il tempo che gli serve se vuole continuare oppure no. «Credo che la parte bella del nostro lavoro è che ti dà l’opportunità di viaggiare tanto. Oltre a quello di salvare delle vite, è chiaro. Anche se non hai un tetto sulla testa, visiti più posti di quanti un qualsiasi cittadino americano riuscirà mai a fare in tutta la vita ed io e Sammy abbiamo ancora tanto da vedere. In alcune città, lui non apprezzerebbe la vita notturna, secchione com’è, ma paesaggi come questo gli piacerebbero, ne sono convinto». Ellie ora sorride e lo guarda dritto negli occhi. Sembra leggerci dentro chissà cosa. «Siamo molto diversi. Il fatto che lui adesso è all’università è la prova lampante, credo».
 
Ellie lo guarda con molta attenzione, forse troppa, tant’è che per un attimo Dean si sente piccolo sotto quello sguardo concentrato, ma non ne ha paura. Ellie non è lì per giudicarlo, vuole solo capire. «Studia a Stanford. E’ lì, adesso, e… non ci sentiamo da un po’. Per questo non mi fa tanto piacere parlare di lui». Prende un grosso respiro e punta gli occhi sul lago di fronte a lui. «Abbiamo sempre avuto un bel rapporto. Io sono il più grande e mi sono sempre preso cura di lui da quando la mamma è morta. La casa ha preso fuoco ed io l’ho portato fuori e da lì è sempre stata una specie di missione per me, un lavoro. Adesso però è via quindi si prenderà cura di se stesso. O almeno lo spero».
 
Ellie arriccia le labbra in una strana smorfia. Resta in silenzio per qualche istante, fissando un puntino davanti a sé, a terra, e poi si volta di nuovo, gli occhi blu fissi in quelli di Dean. «Posso dirti una cosa?» lui annuisce «Io capisco che ti manca, ma… ne parli come se fosse morto». Dean aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Forse non posso comprendere quello che senti, ma in fondo lui sta bene. Voglio dire, è fuori da ogni pericolo, è a posto. E se è un cacciatore sa difendersi in caso di pericolo, quindi non vedo il problema».
 
Dean si passa una mano davanti alla bocca, la schiena piegata in avanti e i gomiti puntati sulle ginocchia. «E’ che io e lui siamo sempre stati insieme, capisci? Eravamo noi due contro il mondo. Poi lui se n’è andato, ha pensato solo a se stesso» fa una pausa, sospirando appena «Non mi sto lamentando, ok? Voglio dire, a me piace questo lavoro. Solo non voglio farlo da solo».
 
Non ha idea di come sia arrivato ad ammettere una cosa del genere. Non pensava di riuscire più a parlare sinceramente, di non nascondersi dietro una scrollata di spalle o un sorriso, come fa di solito, e soprattutto non con una persona che non è Sam. Lui era in grado di farlo sfogare, prima o poi, e Dean pensava che nessun altro sarebbe mai riuscito a farlo, ma Ellie continua a guardarlo negli occhi e sembra tutto facile in questo momento, tutto possibile.
 
Si sente leggero come forse non è mai stato, libero da quel peso che gli opprimeva lo stomaco e certo la situazione non è cambiata, Sam è ancora un secchione e sta a mille mila chilometri di distanza da lui e gli manca esattamente come dieci minuti fa, ma l’averne parlato con qualcuno lo fa sentire meglio, anche se non lo ammetterà mai a voce alta.
 
«Dovresti chiamarlo» Ellie tira le labbra in una linea sottile, un gesto per certi versi molto simile ad un piccolo sorriso. «Anche solo per sapere come sta. Sarebbe un inizio» Dean annuisce e promette a se stesso di pensarci, ma non è poi così sicuro di farlo. Non vuole essere lui a fare il primo passo.
 
Sorride appena e ricorda i giorni più spensierati, le prese in giro e i sorrisi del suo fratellino, che in certi momenti erano l’unica cosa che lo mandavano avanti, che lo facevano continuare a tenere duro, a sorreggere quel peso sulle spalle.
 
Emette un piccolo sbuffo e senza rendersene conto si ritrova a parlare ancora di suo fratello. Racconta di quella volta in cui Sammy aveva mangiato un’intera confezione di caramelle gommose in un giorno solo per fargli un dispetto; aveva sei anni ed era molto più impertinente di adesso o di come se lo ricorda. E poi dei suoi orrendi gusti musicali e del suo essere sempre così appiccicoso e di voler sempre dimostrare affetto in modi che a Dean non è che siano poi mai piaciuti tanto, tipo gli abbracci e quelle cose da femminucce che ogni tanto Sam faceva.
 
Ellie sorride spesso, forse immaginando Dean bambino o poco più grande alle prese con un fratello completamente diverso da lui e a guardarla con attenzione adesso capisce il vero significato delle sue parole, del perché gli abbia parlato in quel modo ieri notte. Il suo era un modo schietto per dirgli che lei, in caso di bisogno, lo avrebbe ascoltato. Ed è proprio quello che sta facendo adesso e quella piccola presa di coscienza lo fa sentire più al caldo, più… a suo agio, ora che lei sa e che una parte del suo dolore è uscita allo scoperto.
 
Il tempo passa senza che se ne accorgono mentre parlano di cose passate e sì, forse dovrebbe chiamare Sam, ma Dean sa per certo che, testardo com’è, non lo farà. Non senza una massiccia dose di whiskey in circolo. 

 


[1] L’allievo di Jackson Pollock è frutto della mia immaginazione. Semmai esiste un Randy Connor, probabilmente non ha mai neanche visitato il suo atelier XD
[2] Henry Gale è il nome che viene usato da uno dei personaggi di Lost (non dico chi per evitare spoiler a chi ha intenzione di vederlo) per non svelare la sua vera identità.
[3] Il Seattle Art Museum, invece, esiste davvero e spesso viene abbreviato con la sigla SAM.
[4] Citazione di Sam dall’episodio 1x13 “Route 666”

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Capitolo 8
*** All she wanted was to make you proud ***


Note: Eccomi qua, anche oggi ad un orario stranamente decente. Forse diventerà una buona abitudine, o magari la perderò presto, chissà XD
Questo e il prossimo capitolo erano stati concepiti come uno solo, ma ovviamente ho dovuto dividerli in due per evitare che chi leggesse si addormentasse sulla tastiera visto che si sono allungati in modo spropositato XD
Ne approfitto ancora una volta per ringraziarvi dal profondo del cuore per tutto il calore che mi dimostrate ogni settimana e per salutare le nuove “reclute” (posso chiamarvi così? XD) che hanno deciso di seguire e addirittura preferire (!!! *lancia cuori*) la mia storia. Il numero di visite questa settimana è stato altissimo e ogni volta che entro nel sito e vedo il contatore salire mi vengono gli occhi a cuore dalla felicità. Quindi potete immaginare come rimango quando leggo i vostri commenti, ecco! *.*
Vi lascio al capitolo… a presto! 

 

Capitolo 8: All she wanted was to make you proud
 

You weren't there, distant, far away
It's like this every day, they see you in their heads
Wonder if you'll come
Afraid to close their eyes, and miss you once again.

 
(You weren’t there – Lene Marlin)

 

Se ne sta sdraiata a pancia in giù sul suo letto in quel motel di Rochester, nel Minnesota. Le sembra di stare da sola tanto è il silenzio che la circonda; l’unica cosa che fa rumore – per così dire – è la matita che tiene tra le dita della mano destra, che si muove e graffia sul foglio del taccuino – le piace chiamarlo così, ma in realtà è qualcosa di più simile a un grosso diario o un’agenda – sul quale sta disegnando.
 
E’ una cosa che piace molto ad Ellie. La rilassa, un po’ come leggere o ascoltare la musica. Quando non riesce a spostarsi per cercare una libreria o qualcosa di nuovo da sfogliare si diverte a fare degli schizzi, ma poi non li mostra a nessuno, perché sono qualcosa solo suo. Sa che potrebbe imparare a fare di meglio, che a livello di tecnica potrebbe migliorare, ma quando il volto che disegna le viene abbastanza simile a quello che è in realtà si accontenta. In fondo il suo è solo un hobby. 
 
La maggior parte delle volte si ritrova a ritrarre sua madre. Cerca di riprodurre il suo volto fedelmente, ricordando il suo sorriso e i suoi occhi, la sua espressione felice quando la guardava e sembrava che Ellie fosse tutto il suo mondo. La stessa cosa valeva per lei, che non aveva altro che la mamma nella sua vita.
 
Ha sempre avuto pochi amici – una in particolare –, una specie di fidanzato ai tempi del liceo, ma sua madre era la sua unica ancora di salvezza, e quando si è ammalata Ellie ha sentito il suo mondo sgretolarsi in mille pezzi.
 
Ricorda con estrema precisione – non riuscirà mai a dimenticarlo, qualcosa di così importante e così vivo nella sua memoria – l’ultima volta che le ha parlato di papà. E’ successo qualche mese prima che lei morisse; era ricoverata già da un po’ e se ne stava lì, sdraiata su quel letto, gli occhi stanchi che si spegnevano giorno dopo giorno. «Ho chiamato tuo padre» la voce era sempre più bassa, sempre più frammentata «Lo incontrerai tra qualche giorno» ed Ellie l’aveva guardata con le lacrime agli occhi. Non tanto di commozione, ma di rabbia. Per tutta la vita aveva desiderato incontrarlo, ma la mamma non le aveva mai dato la speranza che fosse vivo e quello era davvero il momento meno opportuno per scoprirlo, con lei morente in un letto d’ospedale.
 
Tutto quello che sapeva sua madre era anche di sua conoscenza, perché non le aveva mai nascosto nulla su di lui, voleva che sapesse. Ellie ha sempre pensato che fosse un modo per non farglielo cercare, perché sapendo che tipo di uomo era forse avrebbe represso il desiderio di volerlo conoscere, ma la cosa aveva ottenuto l’effetto contrario su Ellie, da sempre affascinata dagli uomini forti e leali.
 
Di suo padre sapeva che era un cacciatore, che i demoni e i mostri se li mangiava a merenda e che salvava le persone, proprio come aveva fatto con la mamma. Se l’era vista brutta quella volta, quando un mostro con uno strano nome – un Wendigo, nome che Ellie ha associato per molto tempo a quello dell’amichetta di Peter Pan – aveva cercato di ucciderla ed Ellie si era immaginata suo padre come un eroe, un uomo dall’armatura scintillante, come un prode cavaliere, che aveva preso la mamma e l’aveva salvata e lei, passando del tempo con lui, ci aveva visto un bagliore forse, o una scintilla, qualcosa che l’aveva attirata a tal punto da finirci a letto insieme, pur sapendo che non l’avrebbe più visto.
 
Ellie ha fantasticato su una storia così chissà quante volte, pensandola come la più bella delle fiabe, nonostante conoscesse a memoria com’era andata veramente. Da bambina, però, era bello sognare, immaginare l’incontro tra i suoi genitori il più romanzato possibile, ma soprattutto dopo aver incontrato suo padre e averci passato del tempo si era accorta di quanto quei sogni e quelle fantasie fossero sbagliate.
 
Jim Davis non aveva nessuna armatura. Non era un cavaliere o un prode scudiero, era solo un uomo e come tale aveva il maledetto vizio di lasciarsi dei casini alle spalle. Quello lasciato a Buckley, però, era diverso dagli altri, perché aveva un nome e una data di nascita: una figlia.
 
Ellie continua a disegnare, ripensando al passato, agli ultimi momenti di vita di sua madre. La rivede in quel letto, gli occhi chiusi e la mano stretta alla sua ed Ellie piangeva silenziosamente, asciugandosi le lacrime ogni tanto e cercando di fare meno rumore possibile. La mamma dormiva e non sarebbe riuscita a sentirla, ma Ellie voleva fare piano lo stesso per non disturbarla.
 
Era da sola in quella stanza fredda e c’era tanto silenzio. L’unico rumore che lo intaccava era il bip delle macchine attaccate alla mamma, che per quanto fosse un suono orribile – ormai era in coma da giorni e non c’era più niente da fare se non aspettare il peggio –, aveva un qualcosa di rassicurante. C’era la speranza che le cose sarebbero andate diversamente, che quel piccolo suono avrebbe preso un ritmo diverso, più vitale, e che la mamma si sarebbe risvegliata e l’avrebbe guardata con un sorriso, come faceva sempre.
 
Ma niente di tutto questo è accaduto ed Ellie non era pronta quando i macchinari hanno cominciato ad impazzire – il bip che è diventato un suono continuo, assordante e definitivo -, perché non si è mai preparati quando si perde qualcuno, soprattutto quando quel qualcuno è tutto il tuo mondo.
 
Ellie aveva alzato lo sguardo verso il monitor, le lacrime ancora fresche sulle guance e non aveva neanche fatto in tempo ad asciugarle, tanta era la frenesia di stringere la mano della mamma, quasi fosse in grado di tenerla viva con quel gesto. Si era alzata in piedi in fretta per controllare meglio – la sedia di plastica era caduta a terra con un tonfo sordo dopo il suo gesto –, perché proprio non riusciva a credere che quella linea costante accanto allo zero fosse la vita della mamma che si era spenta – e non c’era più rimedio, la mamma era finita in quel letto d’ospedale tante volte ma stavolta era finita, non c’era più niente a cui aggrapparsi –, ma Ellie non aveva nessuna intenzione di arrendersi e dopo aver premuto il pulsante di emergenza per chiamare il dottore con un gesto nervoso aveva cominciato a scuoterla forte e a chiamarla, ma la mamma non rispondeva e non l’avrebbe più fatto.
 
Nessuno ha idea di quanto ci abbiano messo i dottori – due o tre, Ellie era troppo scossa per capacitarsi di quanti fossero – a farla uscire, afferrandola per le braccia e tirandola via mentre si dimenava e urlava e chiamava la mamma in preda alle lacrime e al dolore. Era ancora scossa dai singhiozzi quando uno di questi – Ellie non si ricorda il suo nome ma non dimenticherà mai il suo viso, mentre si toglieva la cuffia chirurgica e la guardava, un accenno di barba sulle guance, i capelli corti neri e gli occhi buoni – è uscito scuotendo la testa. Si è stretta di più in se stessa sentendosi sola come mai prima di allora, lo sguardo vuoto fisso verso il basso e il cuore a pezzi al pensiero che la mano della mamma non l’avrebbe più stretta e che i suoi occhi – blu, così belli e profondi – non si sarebbero aperti più.
 
Il dottore è rimasto con lei qualche minuto, sedendosi lì accanto. Le ha appoggiato una mano sulla spalla, cercando di darle un po’ di conforto – lo aveva incrociato più volte e lei era sempre da sola vicino a quel misero letto su cui era sdraiata la mamma –, ma Ellie non rispondeva, tanto era sconvolta, e dopo un po’ si era alzato, lasciandola da sola con la sua sofferenza.
 
Erano già passate un paio d’ore da quando avevano portato la mamma in obitorio quando suo padre si è fatto vedere. Ellie era seduta su una sedia, a pezzi. Non riusciva a smettere di tremare né a staccare gli occhi dal corpo ormai esanime della sua mamma. Non l’avrebbe lasciata da sola fino a che le sarebbe stato concesso, perché lei non l’aveva mai fatto con Ellie. Aveva sacrificato tutta la vita per lei, per crescerla, cercando di darle tutto l’amore possibile ed Ellie non sarebbe uscita da quella stanza fino a che non l’avrebbero portata via con la forza.
 
Suo padre era lì vicino, appoggiato al muro con le braccia conserte. Era entrato silenziosamente ed era rimasto lì a lungo, forse incapace di dire o fare qualsiasi cosa e quando si è deciso ad avvicinarsi e le ha appoggiato una mano sulla spalla, Ellie si è stretta in se stessa, provando a percepire del calore da quel gesto, cercando di vederci del vero affetto, qualcosa di profondo e sincero, quello che dovrebbe trasmettere un padre ad ogni figlio, ma non ha sentito niente. Nessun conforto, né allora né mai dopo.
 
Non è solito abbracciarla o toccarla in qualche modo, in realtà. Si limita a darle degli ordini ed Ellie li esegue senza fiatare, portandogli il massimo rispetto e cercando di assecondarlo in tutto e per tutto, facendo del suo meglio.
 
Non si lamenta mai, neanche con il pensiero, perché per diciassette anni non ha avuto nessun padre ed ora è meglio averne uno che ritornare a come era prima.
 
Non dà nessuna colpa alla mamma per non averlo cercato in “tempo utile”, per non avergli dato modo di essere una famiglia. Conoscendolo adesso, non sarebbero mai riusciti ad esserlo. Quello che vorrebbe, però, è che lui si comportasse da papà qualche volta. Che la chiamasse Ellie anziché Elisabeth, che non usasse quel tono di voce freddo e distante, che le volesse bene. Ellie non è sicura che gliene voglia.
 
La mamma era solita mostrarle affetto in molti modi. Non solo a parole – perché la mamma le parlava tanto e la sua voce era sempre pacata e gentile, a volte quasi un sussurro ed era il suono più dolce e rassicurante che Ellie avesse mai sentito –, ma anche attraverso dei piccoli gesti.
 
A volte la sera, prima di andare a dormire, si mettevano davanti allo specchio e si raccontavano le proprie giornate. Non c’erano segreti tra loro, parlavano liberamente di tutto e la mamma era simpatica in un modo tutto suo, riusciva sempre a farla ridere. Le pettinava i capelli lunghi e le faceva le trecce e ad Ellie piacevano così tanto che ci andava anche a dormire, avvolta tra le coperte e da quella lunga maglietta con l’elefante, una delle tante che la mamma le aveva regalato. Ne ha di più colori: quella verde, una rossa con uno scoiattolo che legge un libro e una blu su cui è disegnato un panda steso a pancia all’aria che guarda le stelle. Le aveva comprate al mercato ed Ellie aveva apprezzato così tanto il gesto che le era corsa addosso e l’aveva abbracciata forte, come tutte le volte in cui le faceva un regalo.
 
E’ consapevole del fatto che per suo padre – cacciatore da sempre, per quanto ne sappia, e fedele all’arte della guerra e delle battaglie di sangue – dimostrare di voler bene a qualcuno non è così semplice, soprattutto se quella a cui devi farlo capire è una ragazza ed è tua figlia, una persona che non conoscevi fino a qualche anno fa, ma ormai dovrebbe aver preso confidenza con lei e potrebbe cercare un punto di contatto, qualcosa. Invece se ne sta lì impalato, a leggere un giornale ed Ellie si chiede che ci sarà mai scritto di così interessante da concentrarlo a tal punto da non poter affrontare un qualsiasi discorso con lei.
 
Torna al suo taccuino e al suo disegno, la mano sinistra chiusa a pugno sotto il mento e l’altra a sfumare i contorni della sagoma. Tira su col naso e stringe forte le palpebre per ricordarsela ancora: i capelli biondi, le piccole rughe intorno agli occhi che le spuntavano quando sorrideva e le guance piene. Sfuma con le dita anche quei particolari quando un paio di colpi di tosse la riportano alla realtà.
 
«Io devo andare» suo padre si alza, prende la giacca appesa alla sedia dietro di lui e se la infila. «Ho trovato qualcosa di interessante giù nel Nebraska».
Ellie non è sicura di aver capito le sue intenzioni. «Mi lasci qui?» credeva che qui stesse seguendo un caso.
«Sì, puoi finire tu il lavoro. Dean ti ha insegnato qualcosa, no?»
 
Negli ultimi mesi, si sono rivisti – l’ultima volta un paio di settimane fa – ed hanno seguito un paio di casi insieme. E sì, qualcosa le ha insegnato – i punti precisi dove colpire un avversario quando devi farci a calci o pugni, per esempio, o come si fanno le pallottole di sale –, ma Ellie è sicura non sia abbastanza.
 
Si tira su di scatto, mettendosi seduta e incrociando le gambe. «Sì, ma—»
«E’ un lupo mannaro questo qui, niente di che. Devi ucciderlo con questo» gli passa un fucile e un sacchetto pieno di proiettili d’argento. «Ci sarà la luna piena domani sera e per i due giorni successivi ed io non ho il tempo di aspettare che questo bastardo si faccia vivo, ho altre questioni di cui occuparmi». Ellie non risponde, guardandolo perplessa. «Ah, e queste» gli porge un paio di chiavi «Sono della stanza qui accanto. E’ una singola, ti verrà a costare di meno» Ellie le afferra esitante, ancora incredula sulle reali intenzioni di suo padre.
«E il mio lavoro? Avevo detto che sarei restata per tutta la settimana» ha trovato un piccolo impiego come cameriera in una tavola calda e si trova bene; ha anche fatto amicizia con una sua collega, una ragazza di nome Susan.
«Ti licenzi. Non vedo dove sia il problema».
 
Ellie annuisce, per niente convinta. Forse è l’unico modo per dimostrargli che vale qualcosa, forse così riuscirà a stimarla almeno un po’. E’ questa una delle più grandi paure di Ellie, che lui non l’apprezzi, che la veda come un dannato sacco ricoperto di peli e capelli da portare in giro senza nessuno scopo, nessun valore. E’ per questo che fa tutto quello che fa senza mai lamentarsi. Vuole solo che lui la veda, la veda davvero.
 
Jim si avvicina alla porta dopo averle lasciato altre armi e si volta a guardarla. «Mi raccomando, Elisabeth. Non mancarlo».
Ellie annuisce e lo guarda sparire oltre l’uscio, emettendo un lieve sospiro.
 
Non ha una macchina o un altro mezzo di trasporto, solo un dannato fucile e nessuna idea su come trovare un lupo mannaro in una città tanto grande. La cosa buona è che almeno le ha lasciato il fascicolo con i suoi appunti.

*

La radura è un posto decisamente troppo silenzioso di notte. Ogni minimo movimento può essere fatale ed Ellie l’ha constatato solo dopo, quando si è sentita prendere da quella cosa grossa e pelosa, con un fetore addosso indescrivibile, i suoi artigli addosso e la carne strappata via di netto, prima su un fianco e poi su una spalla. Ha piegato la testa all’indietro urlando e non sa neanche come ha fatto a scappare, afferrando il fucile che le era caduto poco più avanti e sparando al lupo ad una zampa, riuscendo a ferirlo. Ha indietreggiato più che ha potuto, la ferita sanguinante e il dolore lancinante che si espandeva in tutto il corpo in una fitta continua.
 
Ci ha messo due giorni a trovarlo, l’ha seguito fino a qui ed ora non può lasciarselo scappare, ma non vuole neanche rimetterci la pelle.
 
Ha riflettuto molto sul fatto che quel maledetto è un essere umano, una persona, ma gli ordini sono ordini e se suo padre è stato tanto categorico significa che per quel poveretto non c’è più nulla da fare. Non c’è niente da salvare in lui ed Ellie non può fare altro che pensare alla sua di sopravvivenza. Non c’è tempo per i sensi di colpa durante una caccia, la propria pelle è troppo importante per rischiare di sacrificarla rimanendo a pensare troppo a lungo.
 
Mira ancora con fatica, il dolore tale da offuscarle la vista, e spara di nuovo, colpendolo in pieno petto dopo un paio di tentativi, stavolta al posto giusto. Il lupo cade a terra, privo di vita ed Ellie tira un sospiro di sollievo.
 
Appoggia una mano sulla ferita e, quando la porta all’altezza degli occhi, la vede ricoperta di sangue; cerca di non svenire alla vista di quel liquido rosso vivo e pensa solo ad arrivare il prima possibile all’unico mezzo di trasporto che è riuscita a trovare in quei giorni di ricerche e di sonno mandato a farsi benedire, quando l’unica cosa da fare era sbrigarsi e rintracciare quel mostro prima che il ciclo lunare finisse e si estinguesse l’unica possibilità di beccarlo.
                                                       
Cerca di sbrigarsi, che la radura è grande e silenziosa e chissà quale altro figlio del demonio ci vive e fa un bel po’ di passi a piedi, ma poi non riesce più, troppo stanca e sfinita per camminare ancora e si ritrova a strisciare quasi. Tutto è lecito pur di arrivare alla macchina in tempo utile e quando la vede le sembra un miraggio, tanta è la stanchezza e il dolore e la voglia di fermarsi a riprendere fiato.
 
Si siede lì accanto, la schiena appoggiata sulla portiera e respira forte, cercando di concentrare tutte le forze rimaste. Sfila il cellulare dalla propria tasca con nessuna intenzione di chiamare suo padre – non in quelle condizioni – e si appresta a fare il numero dell’unica persona che, in questo preciso momento, potrebbe darle un aiuto concreto.

*

Dean è nel bel mezzo di un pedinamento insieme a suo padre quando sente il telefono squillare. Lo prende dalla tasca della giacca e risponde senza guardare chi è. «Sì?» L’unica cosa che sente è il respiro ansante e affannato di qualcuno venire dall’altra parte, così guarda il mittente e sgrana gli occhi quando legge il nome che compare sullo schermo. «Ellie? Che è successo?»
«P-puoi venirmi a prendere? Sono ferita» lo dice quasi con naturalezza nonostante la voce rotta da sospiri di dolore.
«Ferita quanto?»
«T-tanto, Dean, dovrei avere il sangue anche nei capelli o nelle mutande».
 
Dean si trattiene dal ridere per poi tornare assolutamente serio, ma proprio non capisce come qualcuno tanto ferito possa fare del sarcasmo, ma se quel qualcuno è Ellie forse dovrebbe smettere di stupirsi.
«Dove sei?»
«Dalle parti di Rochester, nel Minnesota. Lascio acceso il GPS così puoi tro-trovarmi, è l’unica cosa che posso fare. S-sono in mezzo al nulla, appoggiata a-alla mia macchina. E’ una ve-vecchia Ford blu».
«Macchina? Da quando ne hai una?»
«Dio, non è importante! Te lo racconto d-dopo! Vieni o no?»
«Sì, sì, farò il possibile».
«Fai presto».

Dean riattacca e spiega velocemente la situazione a suo padre. Non può lasciare Ellie in quelle condizioni mentre lui può cavarsela, non solo perché è suo padre ed è un genio, ma perché è una caccia semplice e da solo non dovrebbe avere alcun problema.
 
Scende dal pickup nero di John per poi salire nella sua amata Impala e prendere a guidare a tutta velocità. Per fortuna non è così distante dal punto indicato da Ellie e viaggia per due ore abbondanti, premendo forte il piede sull’acceleratore – i limiti per stanotte possono anche andare a farsi fottere, ha altri casini da risolvere. Si ferma solo quando arriva a destinazione e finalmente vede la macchina.
 
Parcheggia lì accanto e scende rapidamente; gira intorno alla vettura e trova Ellie seduta a terra, la testa appoggiata alla portiera, gli occhi chiusi e una mano posata sul ventre, mentre con l’altra impugna un fazzoletto sporco di sangue che Dean spera con tutto il cuore non sia suo. Si precipita su di lei e la scuote appena, chiamandola. Ellie apre gli occhi lentamente e gli sorride.
«C-ciao Dean».

Dean la prende in braccio senza dire una parola e quasi corre fino all’Impala; lei non oppone alcuna resistenza, le dita che afferrano forte il lembo della sua camicia e la testa appoggiata contro la sua spalla. Trema come una foglia e respira piano e Dean non sa neanche descrivere la paura che sente a vederla tanto impaurita, così piccola e fragile raggomitolata tra le sue braccia. Si fa forza perché è quello che ha sempre fatto in questi casi, è quello che gli hanno insegnato, e la adagia piano sul sedile per poi mettere in moto come una furia.
«Dove alloggi?»
Ellie ci mette un po’ a rispondere «Sei a-arrabbiato».
La sua è una constatazione più che una domanda e ci ha preso – perché a volte è con la rabbia che Dean nasconde la paura e questo è sicuramente uno dei casi –, ma non ha tempo di discutere adesso. «Rispondi».
«Motel Creek, stanza 108».

Dean dà gas alla sua piccola e si precipita verso il luogo indicato da Ellie. Una volta arrivato, parcheggia, la aiuta a scendere e si dirige all’interno della stanza.
«Hai messo il sale alle finestre?» Ellie annuisce e Dean la aiuta a sedersi sul letto e le sposta le mani dal fianco alzandole poi la maglietta impregnata di sangue.
 
Ellie stringe i denti e fa una smorfia di dolore, ma Dean non la guarda neanche, troppo impegnato ad imprecare mentalmente e a pensare a come curare quel brutto taglio.
«Ne ho uno anche sulla schiena, da… da qualche p-parte». Dean si limita a riservarle uno sguardo di fuoco; prende la cassetta del pronto soccorso e tira fuori bende, garze e tutto il necessario per medicarle la ferita. Poi penserà a quella dietro. «La prossima volta che devo farmi soccorrere da qua-qualcuno chiamo un infermiere vero, magari lui me lo fa un sorriso».
 
Dean alza gli occhi di nuovo per un secondo solo per guardarla male e poi torna a concentrarsi sulla ferita. «Non sei divertente».
«Ho capito, sei arrabbiato p-perché ti ho chiamato, ma—»
«No, sono arrabbiato perché sei andata a caccia da sola! Sei impazzita?» Ellie non risponde e lui si sente libero di continuare ad inveire contro di lei. «Ti è andata bene che ero ad un paio d’ore da qui, ma che sarebbe successo se fossi stato più lontano? Potevi morire dissanguata, sei un’incosciente! Hai poca esperienza, non sei mica Xena!»
«E tu non sei mio padre». A quelle parole, Dean si morde la lingua. Non l’ha mai vista tanto arrabbiata – o meglio, non l’ha proprio mai vista arrabbiata – e da come lo guarda teme di aver toccato un nervo scoperto. In fondo poteva almeno aspettare un po’ prima di aggredirla… dannato caratteraccio d’un Winchester. «Non ti ho chiamato per sentire la predica, ma per farmi aiutare. Quindi se vuoi farlo, b-bene, sennò quella è la porta».
Dean sospira, si inginocchia davanti a lei e si appresta a fare quello per cui è stato chiamato.
«Quello che voglio dire è che… » fa un lungo respiro e cerca di trovare le parole giuste «Potevi farti male sul serio. Hai perso parecchio sangue ed è rischioso, non sei ancora pronta per andare sul campo da sola. Tutto qui». Ellie tiene la testa bassa e non risponde, il suo viso si muove solo per esprimere dolore. «Perché non hai chiamato tuo padre?»

Ellie fa un grosso sospiro. «Per lo stesso motivo per cui tu non chiami tuo fratello» lo guarda negli occhi e Dean si sente rabbrividire, come ogni volta che sente quella dannata parola, ma non è mai stato colto tanto sul vivo «Per orgoglio. Volevo pensasse che sono brava a cavarmela da sola».
 
Ellie non aggiunge altro; nella stanza cala uno strano silenzio e Dean riflette sulle sue parole. Non hanno più parlato di Sam dopo quella lunga chiacchierata. Dean non l’ha chiamato e tutto è rimasto come sempre, per questo Ellie dice così. Forse pensa che se fosse cambiato qualcosa glielo avrebbe detto. Probabilmente è vero, perché Dean non parla mai delle cose brutte, ma a volte gli piace condividere quelle belle.
 
Sta di fatto che, anche se non lo dirà mai apertamente, Ellie ha ragione. E’ l’orgoglio a fregarlo, ma Sam se n’è andato e qualcosa gli dice che non hanno più niente da spartire a parte il sangue che è lo stesso, ma non ha né tempo né voglia di pensarci o di pensare a Sam adesso, quindi preferisce spostare il discorso su di lei.
«Che cos’era?»
«Cosa?»
«Qualsiasi cosa ti ha attaccata».

Ellie tiene le mani aperte sul materasso e le braccia tese a sostenere il busto e stringe il copriletto ogni volta che sente dolore.
 
«Un lupo mannaro. Mi ha afferrata prima che potessi ucciderlo, maledetto bastardo… ma almeno è morto, quel coso merdoso. Non pensavo fossero tanto brutti. Questo era spelacchiato e puzzava di pipì di mostro». Dean sorride dopo la descrizione buffa di Ellie e sa che probabilmente glielo ha detto solo per sciogliere un po’ la tensione. Non che i lupi mannari siano profumati, ma di certo non puzzano di pipì. «Oh, il mio infermiere mi ha fatto un sorriso! Quale onore!»
 
Dean la guarda e la voglia di prenderla a schiaffi per la sua dannata imprudenza forse gli è passata. Per ora. Prende una grossa benda e le fa alzare le braccia per poi avvolgergliela addosso. Ellie prova a togliersi la maglietta per permettergli di dare uno sguardo anche all’altra ferita, ma quella al fianco le fa troppo male. Dean si avvicina per poterle dare una mano, ma lei scuote la testa «Posso farcela». Lui fa spallucce e la guarda mentre – con non poca difficoltà – si alza in piedi e si impegna a togliere prima una manica e poi l’altra, facendosi male ad ogni movimento «Non mi sono mai sentita tanto vecchia».
Dean le sorride appena. «Ti passerà» si avvicina e, quando riesce nell’impresa, Ellie si volta di scatto, forse per nascondere il suo viso e le gote colorate appena di rosso, sicuramente per l’imbarazzo che sente a farsi vedere così.
 
Dean sorride tra sé; le sposta i capelli e la piccola spallina del reggiseno delicatamente, lasciandola scivolare lungo il suo braccio mentre Ellie incrocia le braccia sul petto. La ferita è meno profonda di quella sul fianco e Dean la medica con attenzione e con la dovuta cura, cercando di non farle troppo male e di fare più in fretta possibile per non farla sentire a disagio più del dovuto. Appiccica tutti i lati del cerotto sulla sua pelle chiara ed Ellie si allunga appena per prendere qualcosa da sotto il cuscino. E’ una lunga camicia rossa chiara, più grande della sua misura, ed Ellie la infila con cautela, abbassando la testa per abbottonarla con attenzione. Probabilmente è un’alternativa alla maglietta con cui è solita dormire, ma Dean non gliel’aveva mai vista.
 
«Questa da dove spunta?»
La sente sorridere «Era della mamma» infila l’ultimo bottone nella rispettiva asola «Ho tenuto un po’ delle sue cose».
Dean annuisce ed Ellie si volta a guardarlo. «Per ora può andare, ma credo ti ci vorrà un po’ di riposo e qualcuno di più esperto di me con queste cose, la ferita davanti è abbastanza profonda».
«A chi pensi?»
«Bobby Singer» Ellie lo guarda perplessa «Anche lui è un cacciatore, un amico di—»
«No, non ci vado da un amico di papà, ho chiamato te per questo, perché tu mantenga il segreto».
«Anche Bobby starà zitto, fidati. Mi ha praticamente cresciuto, non farà la spia, te lo prometto». Ellie annuisce poco convinta. «Adesso riposati».
 
Dal suo borsone Dean prende degli antidolorifici e glieli passa. Ellie afferra la scatolina da cui estrae un paio di pillole che manda giù con l’aiuto di un bicchiere d’acqua, sperando che le allevino il dolore almeno per poterle permettere di dormire qualche ora.
 
Si siede sul letto, lasciando il bottone dei jeans aperto e provando a sfilarseli da sola, ma le braccia non le arrivano dove dovrebbero tanto è il dolore alla spalla ma soprattutto al fianco e Dean si accorge della sua difficoltà, così si inginocchia di nuovo davanti a lei e la aiuta, tirandoli giù con le mani e lasciandoli scivolare lungo le sue gambe nel modo più clinico possibile, come ha fatto con Sam per buona parte della sua vita, senza un minimo di malizia. Ellie lo guarda e gli sorride e Dean sa benissimo che quello è lo sguardo di chi non ha parole per dirti grazie ma ci sta provando con tutto il cuore a farti capire quanto ti è grato. Si alza e le bacia la fronte con tenerezza, cercando di trasmetterle un po’ di tranquillità – vuole che Ellie si senta al sicuro ed è davvero convinto del fatto che Bobby non dirà niente se glielo chiederanno –, per poi spostarle le coperte per farla mettere lì sotto.
 
Ellie si accomoda meglio e si sdraia – con un po’ di difficoltà ma ci riesce e quasi si congratula con se stessa. Si mette di lato, nella posizione che le permette di sentire meno dolore possibile, e appoggia le mani sotto il cuscino, guardando Dean che osserva le sue cose piegate sopra il tavolo.
«Dean?» lui si volta a guardarla «Puoi prendermi l’iPod? Lo tengo dentro lo zaino, nella tasca davanti».
 
Dean obbedisce e lo trova subito. Il viso di Ellie è rivolto verso la finestra e così gira intorno al letto e si appoggia con un ginocchio su di esso per allungarsi e porgerglielo.
La guarda mentre lei srotola le cuffiette «Che ci fai?»
«Ci ascolto la musica».
Lo dice con un tono ovvio e Dean non sa se mettersi a ridere o darle dell’idiota. «Intendevo adesso».
«Ah… mi fa male la ferita, la musica mi aiuta a rilassarmi».

Dean annuisce e fa per allontanarsi; c’è un divano, può dormire lì, ma Ellie lo blocca capendo le sue intenzioni e gli fa cenno di stendersi accanto a lei. «Posso solo immaginare quanto hai guidato e quanto sei stanco. Non mordo e poi c’è posto per entrambi».

Dean non può fare altro che acconsentire; effettivamente è molto stanco ed ha bisogno di riposare come si deve almeno per qualche ora. Si siede e toglie le scarpe e la camicia per poi infilarsi sotto le coperte; prende una cuffietta ad Ellie per sentire cosa sta ascoltando e fa una smorfia schifata quando sente la voce di Christofer Cross.
 
«Andiamo, non puoi fare sul serio».
«Ho bisogno di rilassarmi, se volessi un eccitante ascolterei i Metallica».
«A me i Metallica calmano».
Ellie sorride e chiude gli occhi. «Poi sono io quella strana».
 
Dean si accomoda meglio; rimane in silenzio, un braccio sotto la testa e l’altra mano appoggiata sul petto e gli occhi che gli si chiudono da soli tanta è la stanchezza che ha accumulato in quelle ultime ore.
 
«Dean?»
Al sentire quella vocina li riapre di nuovo, sospirando. Ma non ha mai sonno? «Che c’è?»
«Ho… ho ucciso una persona, non è così?» Dean si volta appena per guardarla negli occhi, in silenzio. Non è sicuro di dove voglia arrivare. «Quel lupo puzzolente. Era un essere umano».

Dean prende un respiro, incerto su come rispondere. «L’ultimo che ho visto è stato una vita fa, ero un ragazzino, ma… sì, sono esseri umani» Ellie si muove piano, le mani più all’altezza della sua testa. «Però non c’è più niente di buono in loro. Voglio dire, uccidono le persone. Stava per fare a pezzi anche te».

«Ma sono principalmente esseri umani. Solo quando cambia la luna diventano lupi, giusto?» Dean annuisce in silenzio.
«Quindi ho ucciso un uomo».
Dean si morde il labbro inferiore. «Non era un uomo, era—»
«Sì, invece».
«Ma era malvagio».

Ellie sbatte le palpebre un paio di volte e poi scuote la testa decisa. «Era comunque una persona ed io gli ho sparato solo perché… » Dean la guarda aspettando che termini la frase, ma lei non lo fa; abbassa per un attimo il capo e stringe le labbra. «Esiste una cura per queste persone?»
«Non che io sappia» Ellie annuisce pensierosa. «Tu hai comunque fatto il tuo lavoro. Era giusto così».
 
Ellie punta gli occhi nei suoi, osservandolo con attenzione. «Tu sei felice di tutto questo?» Dean la guarda senza capire. «Voglio dire… pensi che sia giusto uccidere qualcuno se non puoi più salvarlo?»

Dean non ha bisogno di pensarci più di tanto «Se serve a salvare altre persone, sì» gli è chiaro che lei vorrebbe aggiungere qualcos’altro, ma la blocca prima che possa farlo «Hai fatto quello che dovevi, Ellie» e a quelle parole lei annuisce, poco convinta, ma non pronuncia più una parola.
 
Dean non ci aveva mai riflettuto, in fondo ha sempre vissuto nello stesso modo ed è disposto ad uccidere qualunque cosa se poi ne va della salvezza di qualcun altro. Ha sempre visto le cose in questo modo, è cresciuto così, con un odio smisurato per queste creature e non vede come altro avrebbe potuto fare Ellie, come sarebbe riuscita a cavarsela senza ucciderlo. Piuttosto non si aspettava che da questa sua esperienza ne nascesse un discorso etico – filosofico.
 
Ellie rimane in silenzio e Dean chiude gli occhi. Riesce a rilassarsi completamente solo quando la sente dormire e in pochi secondi la segue nel sonno. 
 

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Capitolo 9
*** I know the sun must set to rise ***


Note: E’ passata un’altra settimana ed eccomi qui con un altro capitolo :)
C’è una cosa che devo specificare qui. So che, nella serie, Bobby compare nell’episodio 1x22 “Devil’s trap”, ma tutto verrà aggiustato a tempo debito. Al momento, ho ritenuto la sua presenza fondamentale. E perché poi mi piace troppo per lasciarlo fuori dai giochi, oh u.u <3 
Saluto con la manina i nuovi che hanno deciso di seguire, preferire e ricordare la storia e soprattutto chi la recensisce con tanta puntualità e affetto. Non avrei mai pensato di ottenere così tanti commenti positivi, perciò davvero, grazie a tutti! ** *lancia una valanga di cuori*
Vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia. Un abbraccione a chi passa di qui, a presto! :D 

 
Capitolo 9: I know the sun must set to rise
 
And so lying underneath those stormy skies
She'd say, "oh, ohohohoh I know the sun must set to rise".
 
(Paradise – Coldplay)
 

E’ mattina presto quando Dean viene disturbato dal sole, questo fantastico rompipalle che non aveva niente di meglio da fare che andarlo a disturbare mentre dormiva beato, centrandogli la faccia con uno dei raggi che filtra dalle tende sbiadite. Apre gli occhi piano, sbattendo le palpebre un paio di volte, e grugnisce appena. Avrebbe dormito volentieri un altro po’, per una volta che non sarebbe suonata nessuna sveglia.
 
Si stropiccia gli occhi con la mano sinistra e prende lentamente coscienza di dove si trova e con chi e… ehi, perché non riesce a muovere il braccio destro?
 
Si volta e scopre velocemente cos’è quel qualcosa che non gli dà modo di fare alcun movimento: Ellie. Durante la notte deve essersi spostata verso di lui ed ora abbraccia il suo arto come se fosse un orsacchiotto di peluche; lo fa con entrambe le braccia, sembra quasi aggrapparsi ad esso.
 
Dean sorride tra sé e la lascia stare, sebbene abbia una gran voglia di sgranchirsi un po’. La osserva con attenzione per qualche istante: ha i capelli sparsi sul cuscino e le labbra appena schiuse e gli sembra così docile e innocua, assolutamente tranquilla, mentre quando è sveglia è sempre iperattiva, con mille idee in testa e sempre un mare di cose da dire o fare. Ora invece è calma, serena e non vuole svegliarla, è ancora presto e non vede perché non può lasciarla dormire un altro po’.
 
Sente il suo iPod cantare ancora – deve essersi addormentata senza spegnerlo –, prende una cuffietta e se la porta all’orecchio, per sentire cosa può offrirgli di piacevole quel piccolo oggetto. Fatica un po’ per trovare i pulsanti giusti – è sempre stato Sammy il fratello tecnologico/nerd –, ma quando riesce a impostare la riproduzione casuale si accomoda meglio e scorre le tracce curioso.
 
Inaspettatamente, ci trova parecchie cose interessanti, ma anche tante che non gli piacciono: un sacco di soft rock che a lui fa venire sonno – la stessa cosa valeva per Sam [1] -, un po’ troppe canzoni lente – che spesso e volentieri sono sinonimo di strappalacrime –, ma soprattutto tanta musica e davvero non pensava che un simile aggeggio, addirittura più piccolo e sottile di un normale telefono, potesse contenere una mole di materiale tanto vasta.
 
Alza il volume quando trova “Back in Black”; i suoi piedi si muovono quasi involontariamente seguendo il ritmo della musica e batte le dita della mano libera sopra il petto.
 
Non riesce a finire di ascoltare tutta la canzone che sente Ellie muoversi. Si volta verso di lei e la vede stropicciarsi gli occhi con le dita e poi alzare lo sguardo verso il suo iPod nelle sue mani e sorridere. «Che fai, spii i miei gusti musicali?»
«Più o meno». Ellie sorride e si sposta leggermente, stendendosi a pancia in su e liberando il suo braccio. «Come ti senti?»
«Meglio, mi fa meno male». Ellie si passa una mano sugli occhi e fa una smorfia di dolore, poi la appoggia sulla ferita al fianco. «Come non detto, sono ancora un rottame».
 
Dean sorride; spegne – dopo un paio di tentativi senza successo – l’iPod e glielo porge per poi spostare le coperte, appoggiando entrambe le braccia sopra di esse. «La scatola degli antidolorifici è piena, svuotala pure se ne hai bisogno».
«Grazie… poi te li ricompro».
Dean fa una smorfia e scuote la testa «Non ce n’è bisogno».
 
Ellie ci pensa un po’; fa per parlare, ma alla fine alza le spalle e tira le labbra in una linea sottile. Poi sembra essere attirata da qualcosa posizionato sopra il petto di Dean e gli si avvicina curiosa, osservandolo attentamente. Dean abbassa lo sguardo e la trova a rigirare tra le dita l’amuleto che capeggia sopra la t-shirt grigio topo e che porta sempre al collo; ci è talmente affezionato da non toglierlo neanche quando va a dormire.
 
E’ stato Sammy a regalarglielo, il giorno di Natale di parecchi anni fa. Ne hanno festeggiato – per così dire – uno solo, forse. Sam aveva appena scoperto che papà era un cacciatore e il regalo che aveva fatto a lui, che non si era presentato quel giorno, lo aveva dato a Dean. Da allora, Dean non se n’è mai separato.
 
La domanda di Ellie è solo implicita e Dean risponde ancor prima che lei possa formularla, senza guardarla «Me l’ha dato Sam» e si stupisce del fatto che lei l’abbia notato. E’ vero che lo indossa sempre, ma a volte lei non sembra neanche guardarlo, non sembra fare caso a certe cose che Dean ha addosso e invece non le sfugge niente. Ogni dettaglio, per Ellie, è importante e Dean ormai dovrebbe saperlo ma rimane sempre un po’ spiazzato da quella sua estrema – e silenziosa – attenzione ai particolari.
 
Ellie lo ripone al suo posto e non risponde; sicuramente capisce di aver involontariamente toccato un nervo ancora scoperto – una delusione e un pensiero che probabilmente Dean non si toglierà mai di dosso del tutto – e rimane in silenzio per un po’.
 
Dean si siede sul bordo del letto, allungando una mano verso il basso per cercare e poi infilare le sue scarpe. «Possiamo andare a fare colazione in un posto qui vicino?» Ellie glielo chiede con la voce ancora un po’ impastata dal sonno. «Devo… devo salutare una persona».
Dean annuisce. Tanto uno vale l’altro per lui, basta che si mangia.
 
Si alza ed osserva Ellie di spalle mentre prova a fare lo stesso e stavolta ci riesce; si volta a guardarlo vittoriosa e lui le sorride appena. Ellie si allunga verso il borsone per prendere qualcosa da mettersi addosso per il viaggio – l’aveva già preparato, evidentemente sapeva che una volta ucciso il cattivone di turno non sarebbe rimasta a lungo – e si infila in bagno. Esce dopo cinque minuti abbondanti – mettersi un paio di pantaloni deve aver implicato più fatica del previsto, ma con la maglietta se la deve essere cavata meglio perché è una di quelle con la zip sul davanti – e Dean ne ha approfittato per mettersi una camicia pulita e caricare i bagagli e il resto in macchina.
 
Mette in moto e si dirigono velocemente verso il luogo indicato da Ellie. «Chi devi salutare?»
Lei lo guarda attenta «Una ragazza con cui ho lavorato in questi giorni».
«Lavorato?»
«Sì… come cameriera. Te l’ho detto che lo faccio ogni tanto». A Dean, in realtà, non piace il suono di quelle parole. Jim dovrebbe mandarla con lui per imparare qualcosa ma per poi portarla con sé, non per lasciarla alla tavola calda di turno a sgobbare per guadagnare qualche centesimo mentre lui fa il lavoro che vorrebbe fare anche lei. Si ripromette, però, di non giudicare troppo in fretta; in fondo la sua è solo un’ipotesi e magari stavolta si sta sbagliando.
 
Parcheggia ed entrano in questo posto carino, dove tutto sembra in tinta: le pareti arancioni, le sedie con l’imbottitura dello stesso colore solo un po’ più chiaro e la divisa delle cameriere che fa pendant con tutto l’ambiente. Per il resto è la tipica tavola calda americana.
 
Ellie si avvicina al bancone e chiede ad una ragazza di una certa Susan e, prima di annuire, la tipa butta un occhio su Dean che non ne è per niente dispiaciuto. Dovrebbe complimentarsi con Ellie per aver deciso di lavorare proprio in questa tavola calda in tutti gli Stati Uniti. Segue i suoi movimenti con lo sguardo e dopo qualche secondo esce di nuovo da uno stanzino con un’altra ragazza – decisamente più insignificante – e Dean si incanta un attimo a guardarla: mora, la pelle olivastra, gli occhi grandi e sembra avere tutto al posto giusto – soprattutto sul davanti.
 
Torna in se stesso solo quando Ellie gli dà una gomitata e gli presenta la sua amica che dice di chiamarsi Susan o qualcosa del genere; Dean non ci presta molta attenzione perché è interessato ad altro.
 
Si siedono ad un tavolo ed ordinano uova strapazzate e pancake e Dean continua ad osservare la cameriera con piacere. Ci farebbe volentieri un bel giro di giostra se non fosse in compagnia e soprattutto se potesse restare. Dallo sguardo che gli ha rivolto, sembra che anche a lei piacerebbe e la conferma gli arriva quando dietro lo scontrino ci trova scritto il suo numero di telefono. Ellie sembra non essersene accorta e Dean rimira quel pezzetto di carta pensando al da farsi.

«Quando la smetti di farti dei film su Riley che a parte l’essere zoccola non ha niente perché non è neanche tanto simpatica, ti piacerebbe raccontarmi qualcosa su questo Bobby Singer?»

Dean sposta lo sguardo su Ellie che gli sorride furba e appoggia lo scontrino sul tavolo; evidentemente non era concentrata sul suo piatto come pensava. In fondo dovrebbe saperlo, Ellie è sempre attenta. A volte anche troppo.
 
Sbuffa appena «Non capisco perché voi donne vi accanite tanto con una quando è… disponibile. Fa un ottimo servizio alla società, qual è il problema?» al suo sorrisetto allusivo, Ellie risponde con un’occhiataccia e Dean scuote la testa decidendosi a rispondere alla sua domanda. «Bobby è un cacciatore. Mio padre mi lasciava sempre da lui quando poteva, mi ha insegnato un sacco di cose. E’ qualcuno su cui puoi contare».
Ellie annuisce con la bocca piena, come a registrare in testa quello che le è stato appena detto. «E lo conosce anche papà?»
«Beh, praticamente tutti i cacciatori lo conoscono. E’ una specie di… direttore generale. Lui li manda dove c’è un caso da risolvere o li aiuta quando glielo chiedono. E’ un po’ l’esperto del settore nel nostro lavoro».
Ellie annuisce di nuovo. «Grandioso. E lo sarà più se non parlerà a papà di questa storia».
«Non lo farà, te l’ho già detto» Ellie sorride e addenta l’ultimo pezzetto di pancake.
 
Qualche minuto dopo Susan gli si avvicina, portandogli un vassoio con due piatti con un paio di waffle ciascuno cosparsi di nutella. «Questi li offre la casa». Ellie ringrazia e si rimette a mangiare, divorando tutto in qualche boccone. Dean, ovviamente, fa altrettanto, buttando ancora lo sguardo su quella Riley che si sarebbe mostrata sicuramente gentile e generosa se avesse avuto il modo di restare.
 
Ripartono un quarto d’ora dopo e passa qualche minuto prima che Ellie apra bocca di nuovo. «Sei ancora arrabbiato?»
Dean si volta un secondo a guardarla. «No, perché?»
Lei stringe appena le spalle «Ieri sera eri isterico, sembravi una donna nel periodo delle mestruazioni».

Dean rimane con gli occhi fissi sulla strada; non capisce se lo sta prendendo in giro o cosa, ma non è proprio entusiasta di essere stato appena paragonato ad una donna, per di più nel momento clou del suo essere femmina.
 
«Non… beh, è solo che non capisco perché una come te debba andare a caccia di lupi… da sola».
Ellie sorride «Sei gentile a preoccuparti per me ed è vero che sono una principiante, ma da qualche parte dovrò pur cominciare. Sennò quando inizio a cavarmela da sola?» gli rifà il verso e Dean fa una smorfia seccata. «Vuoi starmi sempre appresso, Winchester? Perché io ti voglio bene, ma vorrei smetterla di chiamarti se ho un problema e magari farlo per qualcosa di più piacevole».

Il discorso si sta facendo interessante per Dean, anche se non capisce che piega prenderà. «Del tipo?»
«Beh, fare due chiacchiere, vederci un film».
«Mi dispiace, ma non vedrò mai più un film con te. Ti addormenti».
Ellie ridacchia divertita «Giusto… va beh, qualcosa di più divertente, non perché sto morendo dissanguata in mezzo ad una radura e a lupi mannari che puzzano».

Dean sorride di nuovo e accelera un poco. Una domanda gli ronza in testa da ieri sera e non riesce più a trattenerla.
«Tuo padre dov’è?»

Dopo qualche secondo di silenzio si volta; Ellie non lo guarda adesso, ha il viso rivolto verso il finestrino. «Aveva una caccia più importante di questa da qualche parte in Nebraska» a Dean cominciano già a prudere le mani per il nervosismo – i suoi sospetti erano più che fondati e cazzo quant’è figlio di puttana –, ma dalla voce di Ellie – ridotta ad un sussurro, quasi si vergogni anche a dirlo – non percepisce nient’altro che il dispiacere che deve sentire ad essere stata lasciata da sola di nuovo «Pensava che me la cavassi facilmente. Era un caso semplice ed io dovevo… solo finire il lavoro».

Dean stringe il volante più forte, la rabbia che gli circola in tutto il corpo. Quel bastardo l’ha tenuta fuori un’altra volta dalle sue faccende per poi lasciarla a finire quello che lui stesso aveva cominciato e non può fare a meno di chiedersi come diavolo faccia Jim ad essere tanto stronzo con lei. Ellie è una principiante, ma soprattutto è sua figlia, possibile che quelle due parole non abbiano alcun significato per lui? Non può lasciarla da sola a gestire un lupo mannaro.
 
Ellie rimane in silenzio e Dean decide di cambiare argomento, giusto per non innervosirsi ancora di più. «Devi ancora spiegarmi la storia della macchina».
Ellie fa una smorfia e quello che esce dalle sue labbra è qualcosa di molto simile ad un piccolo sbuffo. «Non era mia, ovviamente. L’ho rubata… ma non ne vado fiera».
Dean sorride, mostrando la dentatura bianca. «Essere una buona cittadina e cacciare non sono cose che vanno tanto d’accordo».
«Dissacrare tombe va bene, alla fine dai fastidio alla gente morta e se non sono fantasmi neanche se ne accorgono. Ma rubare auto… no, non fa per me» e il tono buffo con cui lo dice fa sorridere di nuovo Dean.
 
Il resto del viaggio lo passa a spiegargli chi è Bobby Singer. E deve farlo nei minimi dettagli, perché Ellie fa domande a raffica e vuole sapere tutto, ma proprio tutto e Dean le racconta quello che sa, che non è molto in realtà. [2]
 
Bobby è come un padre per lui, ma il motivo per cui è diventato cacciatore è un mistero. Lo ha fatto come suo padre John per molto tempo, sul campo, ma poi ha smesso, forse perché si sente troppo vecchio o chissà. Adesso si rende utile in altro modo, aiutando gli altri cacciatori come lui.
 
La casa in cui vive, a Sioux Falls nel Sud Dakota, deve averla sempre avuta. Dean ci ha passato molto tempo da bambino e Bobby, con la sua semplicità, è stato l’unico ad insegnargli tante cose al di fuori della caccia. Ricorda ancora quando, anziché portarlo a prendere “confidenza” con il fucile a doppia canna come voleva suo padre, sono andati al parco a giocare a baseball. E’ un bel ricordo per Dean - uno dei più belli che ha, a dire il vero – e non sa come ha fatto ad arrivarci – e soprattutto perché lo sta dicendo a voce alta –, ma lo racconta ad Ellie, senza sapere perché.
 
Non sa spiegarlo, ma lei ha questa capacità di farlo aprire un po’, di farlo parlare di cose che non ha mai confidato a nessuno, neanche a Sam – soprattutto a Sam – e vorrebbe che lui fosse qui, in questo preciso istante, e condividere tutto ciò anche con lui, tutti questi ricordi e queste storie di cui non ha mai parlato. Perché Sam, nonostante sia il suo fratellino e abbiano vissuto tanto tempo insieme, non conosce proprio tutto di lui e Dean vorrebbe tanto confidargli quello che non sa. Non parlano da troppo tempo e ci sono tante cose che vorrebbe dirgli, cose che prima non sembravano importanti e invece adesso lo sono.
 
Questo pensiero, però, decide di tenerlo per sé; esternarlo lo renderebbe troppo vero.
 
«Secondo te a Bobby dispiacerà se gli prendo in prestito un paio di fornelli per qualche ora?» quella domanda interrompe il suo flusso di pensieri.
Si volta verso Ellie e la guarda perplesso. «Boh, penso di no… perché?»
«Perché se ci ospiterà per qualche giorno vorrei sdebitarmi in qualche modo e… mi piacerebbe fare un dolce».
«Non possiamo comprarlo al supermercato?»
Ellie lo guarda con gli occhi sgranati. «Ma certo che no! La può comprare anche da solo una torta preconfezionata, vuoi mettere con quella che faccio io?» A Dean già è venuta l’acquolina in bocca a parlare di dolci e torte. «Però fermati comunque al supermercato, che devo comprare gli ingredienti».
Dean annuisce, riflettendo tra sé. «Sei sicura? Voglio dire… sarà commestibile se la fai tu?» e ottiene solo una manata su un braccio in risposta.
 
*
 
Casa di Bobby è sempre la stessa. Non c’è la minima speranza che quel vecchio ubriacone si decida a mettere un po’ in ordine – Dean lo pensa solo osservando la vecchia rimessa per le auto, ma non crede che all’interno le cose siano cambiate, conoscendo il padrone di casa. Eppure di tempo libero ne dovrebbe avere a sufficienza.
 
Ellie scende dalla macchina e si guarda intorno. «Sei sicuro che è in casa?» e Dean fa una smorfia molto simile ad un sorriso. «Assolutamente sì».
 
Non gli dispiace questa sosta. E’ da tanto che non vede Bobby – l’ultima volta che è passato da queste parti c’era ancora Sam, se lo ricorda bene – e un po’, deve ammetterlo, gli manca.
 
Bussa un paio di volte alla porta e dopo qualche istante se lo ritrova di fronte: il solito berretto in testa, una camicia a quadri stropicciata sopra la maglietta unta e la barba incolta, Bobby sembra aver passato giorni migliori. Lo guarda in un’espressione che è un misto tra la perplessità e l’incredulità, muovendo gli occhi da lui ad Ellie per qualche istante. Poi gli abbozza un sorriso.
«Ciao, ragazzo! Quanto tempo!»
 
Dean gli sorride e gli dà un paio di pacche sulla spalla, per poi entrare senza neanche presentargli Ellie che rimane lì, impalata sulla porta, con lo sguardo abbastanza perso. Fa qualche passo indietro e lo sguardo di Bobby è più confuso di quello di Ellie e si guardano aspettando, senza ombra di dubbio, che lui spieghi qualcosa.
«Oh, ehm… Bobby, lei è Elisabeth» non fa in tempo a realizzare che deve spiegargli parecchie cose su di lei, tipo di chi è figlia, che lo vede aggrottare la fronte e guardarlo in modo strano, quasi arrabbiato.
«Non penserai di portarti le ragazze qui, spero, razza di idiota!»
 
Dean spalanca gli occhi e non sa se scoppiare a ridere perché Bobby sta pensando che tra lui ed Ellie ci sia del tenero o spaventarsi per la faccia cattiva che ha in questo momento.
«Cosa? No, che hai capito… è la figlia di Jim. E’ ferita, siamo qui per… per supporto morale, o qualcosa del genere».
 
Bobby sposta di nuovo lo sguardo su Ellie che sembra non essersi mossa da lì per tutto il tempo ed ora gli tende la mano con un piccolo sorriso disegnato sul volto; Bobby allunga la sua e la stringe. «Puoi chiamarmi Ellie».
 
*
 
«Jim? Jim Davis? Quel Jim?» Bobby continua a ripetere quel nome come un disco rotto, incredulo nel sentire le ultime notizie. «Lo credevo morto, quel bastardo. Non si fa vivo da… »
«Tre anni. Lo so, era con Ellie. Insomma, è stato quando ha scoperto di essere suo padre, o almeno così dice» ora che ci pensa, Ellie non gli ha mai parlato di quei tre anni sola con Jim. Non se ne stupisce, non parla mai di lui. O perlomeno non lo fa volentieri e Dean pensa che ne abbia tutte le ragioni – soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti.
 
Lei è di sopra a mettere a posto le sue cose – come fa di solito quando arriva in un posto nuovo – nella stanza che Bobby ha in più. Dean ha dovuto faticare per convincerla a portarle su almeno il borsone – l’allestimento dell’armadio può anche farlo da sola –; la battaglia non è stata affatto semplice, ma alla fine ce l’ha fatta. E’ testarda come un mulo.
 
«Quindi cacciate insieme adesso?»
«Più o meno. Era nei guai e mi ha chiesto una mano». Bobby annuisce, come a registrare le informazioni. «Ti sarei grato se non dicessi niente a Jim. Del fatto che siamo qui, intendo. Le ho promesso che qui il suo segreto sarebbe stato al sicuro e—» non ha bisogno di concludere la frase, gli basta uno sguardo di Bobby per sapere che non c’è problema e che possono rimanere per quanto tempo desiderano.
 
Dean lo guarda e sa che sta morendo dalla voglia di fargli delle domande su Sam, glielo legge negli occhi, ma per fortuna Ellie scende appena in tempo guardandosi un po’ intorno, mettendo le mani in tasca e avvicinandosi un po’ a loro due, comodamente seduti sul divano.
«Mi dispiace averti invaso il territorio, ma—»
Bobby non la fa finire di parlare, alzando una mano nella sua direzione. «Non preoccuparti. Come per Dean, mi casa es tu casa» ed Ellie sorride, rassicurata.
«Grazie. Per l’ospitalità, intendo. Dean dice che sei un po’ scontroso a volte» e Dean si volta di scatto a guardarla con gli occhi spalancati. Ma che cazz… «Ma spero che potrò usare la tua cucina per un po’. Abbiamo comprato gli ingredienti per fare un dolce».
Bobby la guarda in modo strano, c’è una specie di… ammirazione nel suo sguardo. «Ma non sei ferita?»
«Sì, ma se mi siedo dovrei farcela. Magari mi ci vorrà un po’ più del solito, ma ho preso gli antidolorifici e non sento dolore».
Bobby annuisce e dà una mezza spinta a Dean che lo guarda aggrottando la fronte. «Facciamo che tu, scansafatiche, le dai una mano. E più tardi facciamo i conti per quello che vai a dire in giro su di me».
Dean si alza sbuffando appena e Bobby abbozza un sorriso in direzione di Ellie. 
 
In cucina, Ellie tira fuori dalla busta gli ingredienti necessari: cioccolata, farina, panna e tutto l’occorrente.
Dean la aiuta a rovistare nella piccola dispensa, a prendere pentole e tutto quello che può farle comodo. Alla preparazione della torta vera e propria dovrà pensarci lei, però, che lui non ha nessuna intenzione di farle da aiuto cuoco.
 
La guarda mentre comincia a scartare la cioccolata fondente e cerca di trattenere a stento una risata. «Che diavolo ridi?»
«Niente. E’ che… » Ellie scuote appena la testa e apre del tutto la carta della confezione. «Sto cercando di immaginarti come una seria donnina di casa» ride di gusto staccando un paio di pezzi di cioccolata di cui uno ne porge a Dean che lo afferra mostrando una faccia crudele che la fa ridere ancora di più.
 
Ci mette più di un’ora a preparare quella torta. Il forno di Bobby non è che sia un granché – tra l’altro chissà da quanto tempo non lo usava – e la base ci mette più del dovuto a cuocersi, ma a parte dei piccoli imprevisti tecnici, Ellie se l’è cavata alla grande. Sembra che niente riesca a fermarla.
 
Dean le ha fatto compagnia per la maggior parte del tempo. Non solo perché Bobby gliel’ha praticamente “ordinato”, ma anche per piacere. Non è una novità che la compagnia di Ellie non gli dispiace.
 
Gli ha detto che quello è il suo dolce preferito, la famosa torta con il cioccolato e la panna di cui aveva parlato tempo fa e a Dean è venuta ancora più curiosità di assaggiarla. A vederla sembra buona. 
 
Per l’ora di cena è pronta. Ellie avrebbe voluto cucinare di più, ma Bobby, con un paio di borbottii a Dean del tipo «Falla riposare» o cose del genere, è riuscito a farla desistere ed è andato a comprare un paio di hamburger a testa, patatine a volontà e birra.
 
«Quindi hai vissuto per di più nello stato di Washington» Bobby sembra molto curioso riguardo il passato di Ellie. Forse perché, esattamente come tutti quelli che conoscono Jim, non si sarebbe mai aspettato che uno come lui potesse avere una figlia.
 
«Sì. A Buckley, per la precisione» Ellie racconta un po’ di com’era la sua vita lì, di sua madre – evitando i dettagli sulla sua malattia che, almeno in parte, ha confidato a Dean quando erano sbronzi – di cui parla sempre con il sorriso stampato sulla faccia e Bobby sembra abbastanza colpito dalla sua storia. Ovviamente non lo dà a vedere, ma Dean lo conosce abbastanza da riuscire a comprenderlo.
 
Tira fuori il famoso dolce dal frigorifero ed è talmente buono che tutti e tre prendono un paio di fette a testa. Dean farebbe anche un terzo giro, ma non appena fa per prendere il coltello per tagliarne un’altra porzione, Ellie lo guarda come a dire giù le zampe, non l’ho fatta per te e Dean lascia stare solo perché con Bobby nei paraggi è meglio non discutere, non si sa mai. Qualcosa gli dice che non si schiererebbe dalla sua parte.
 
Passano la serata a parlare di tutto e di niente e presto sono tutti a dormire, tranne Bobby che ha delle ricerche da fare.
 
Ha solo una stanza in più e Dean si è beccato il divano, visto che Ellie è ferita. Sta molto meglio rispetto a ieri notte, ma è comunque malaticcia ed è bene che si riguardi, anche se ha già voluto stabilire che se rimarranno lì a lungo vuole che dormano in quella stanza una sera per uno, a prescindere. Dean gliela lascerebbe per galanteria, ma ha stretto le spalle ed ha sorriso. Non vorrebbe, ma sa che Ellie non sentirebbe ragioni se solo provasse a dire qualcosa perciò sicuramente finirà con l’assecondarla. Quando starà bene, però.
 
E’ notte fonda quando si alza dal divano, ancora affamato. Quella torta gli ha lasciato l’acquolina in bocca e ce n’è ancora un po’ in frigo, potrebbe approfittarne. Era troppo buona.
 
Si alza dal divano e fa due passi verso la cucina e con sua sorpresa trova Ellie seduta al tavolo, i capelli legati in una delle sue solite trecce, la lunga camicia di sua madre addosso e gli sorride con la bocca sporca di cioccolato.
 
Dean stringe gli occhi con fare di sfida; di certo non le permetterà di papparsi tutta la torta – anche se è la sua preferita e l’ha fatta lei. Una fetta gli spetta di diritto, perché ci si è alzato di notte appositamente.
 
Si avvicina un pochino ed Ellie manda giù il boccone «Siediti, ce n’è rimasta ancora un po’» Dean si rilassa visibilmente a quelle parole, strappandole un altro sorriso.
«Meno male, temevo te la fossi mangiata tutta».
Ellie scuote la testa. «No, non sono così ingorda».
 
Dean si siede e lei gli porge un piatto pulito e il coltello e lui se ne taglia una generosa striscia.
«Sono contenta che ti sia piaciuta».
«Fì, è veramente buona, falla più fpeffo» Ellie ride di gusto vedendolo e sentendolo parlare con la bocca piena, come fa di solito. Prende l’ultimo pezzetto della sua con la forchetta e abbassa lo sguardo per un attimo. «Io avevo fame, tu che fcufa hai per ftare in piedi a queft’ora?»
Ellie sorride ancora; Dean dev’essere davvero buffo in quelle “condizioni”.
«Pensavo» appoggia la forchetta sul piatto e lo guarda, tirando le labbra in una linea sottile. «Mia mamma diceva sempre che quando sei triste devi farti una torta e mangiartene un paio di fette, così ti torna il sorriso».
 
Dean finisce di mangiare e anche lui appoggia la forchetta sul piatto, leccandosi le labbra. «A volte servirebbe qualcosa di più di una fetta di torta per sorridere, ma è vero, con me funziona. Soprattutto con una bella crostata».
Elllie sorride e lo guarda intensamente. «Posso farti una domanda?» Dean annuisce. «Secondo te papà mi vuole bene?»
 
Dean allarga appena gli occhi, senza neanche accorgersene. Se ne aspettava una decisamente più semplice.
«Lo so che te ne sei accorto. Io e lui… non siamo l’allegra famiglia che si è ritrovata dopo tanto tempo. Siamo tutto il contrario, ed io… io a volte me lo chiedo. In questi giorni soprattutto. Insomma, se ne va con John senza dirmi niente, non mi chiama, mi ha lasciata con un lupo puzzone da sola quando non ero chiaramente pronta per farlo fuori. Prima mi teneva in una bolla di vetro, ora… ora sembra non vedere l’ora di liberarsi di me».
Dean si umetta le labbra, indeciso su cosa dire. Si alza dalla sedia e si avvicina al frigorifero per poi aprirlo e prendere un paio di birre, di cui una ne porge a lei. «Con questa si discute meglio».

Ellie sorride appena. Beve un sorso dalla bottiglia e abbassa lo sguardo. «Sai, io non gli do nessuna colpa. Prima che la mamma si decidesse a chiamarlo, lui non sapeva neanche che esistessi e non dev’essere piacevole ritrovarsi me tra i piedi». Lo dice come se fosse la peggiore delle fannullone, una grossa palla al piede, di quelle che non riesci mai a scrollarti via. Invece è tutto il contrario, Ellie è… è una forza della natura e Dean è convinto che anche Jim riuscirebbe a capirlo se la portasse con sé, se imparasse a conoscerla. Riuscirebbe senz’altro ad apprezzarla se provasse a fare il padre, se si sforzasse solo un po’. «Ma non lo so, pensavo che con il tempo si sarebbe affezionato a me».
 
Dean rigira la bottiglia tra le mani senza sapere davvero cosa dirle. Le fa così tanta tenerezza che qualsiasi cosa, anche la più semplice, risulterebbe stupida. Poi è il modo in cui ne parla, non è davvero triste e non c’è nessuna traccia di lacrime in arrivo o tempeste ormonali da femminuccia, è solo… rassegnata, amareggiata. Delusa, forse, ma neanche tanto, perché quello che è peggio, è che lei in un certo senso lo capisce e questo fa rabbia a Dean.
 
«Per me ti sottovaluti» beve un sorso di birra e la guarda negli occhi. Lei sembra non credere a quello che le ha appena detto. «Voglio dire, eri una persona normale e sei finita a cacciare per lui, in pratica. Potevi rimanere nell’ombra a non fare niente, a leggere qualche giornaletto o che ne so e invece ti sei rimboccata le maniche e sai più cose di quante ne sappia io che in questa merda ci sguazzo da quando ho quattro anni. Sapevi già cavartela da sola prima, ed ora non mi pare tu ti sia rammollita, anzi. Non te ne stai un attimo ferma e ti fai sempre in quattro per renderti utile. A volte fai qualche cazzata, ma è comprensibile, sei agli inizi. Nessuno nasce imparato e tu… tu sei sulla buona strada». Non sa come gli stia uscendo di bocca tutto quello che sta dicendo, non sa neanche se abbia un senso. Non è neanche certo di averlo detto davvero, ma è sicuro di pensarlo. «Se Jim non ti apprezza è perché è uno stronzo».
 
Lo sguardo di Ellie si illumina di una luce nuova, come se sentire quelle parole, vedersi attraverso gli occhi di Dean le abbia dato un appiglio, qualcosa su cui riflettere. «Lo pensi davvero?» l’incertezza con cui fa quella piccola domanda è disarmante per Dean, perché lei veramente crede di non essere abbastanza. Non tanto per suo padre, neanche per se stessa. Aveva capito fosse un po’ insicura, ma non così tanto. E pensare che credeva di essere lui quello con i problemi.
 
«Sì. Anzi, per fortuna ci sono io a dirtelo sennò diventeresti una balena a forza di mangiare torte al cioccolato» Ellie sorride e Dean fa lo stesso, per poi tornare serio.
 
Se è riuscito a rassicurarla, almeno un po’, la cosa lo rende felice, ma non può fare a meno di cercare di darle una via di fuga e finisce col dirle l’unica cosa che forse nessuna figlia vorrebbe mai sentirsi dire, ma è senza dubbio quella che gli sembra più logica. «Però mi chiedo… perché rimani con lui? Ti rendi conto da sola che ti tratta da schifo, perché non… te ne vai?»
 
Ellie fissa la bottiglia e la rigira tra le dita, per poi alzare di nuovo lo sguardo su di lui. «Perché ho aspettato tutta la vita per conoscerlo, Dean, e anche se non è come mi aspettavo, non voglio andarmene. Magari un giorno riuscirà a volermi un po’ di bene». Dean deglutisce, in silenzio. «Io gliene voglio. Voglio dire, anche se non era come lo immaginavo… è mio padre. Non ero neanche maggiorenne quando l’ho conosciuto. Sai, credo che la mamma mi abbia mandata con lui per questo, per non farmi finire in una casa famiglia. Non lo so, voglio farlo anche per lei e lui… » sorride, come se avesse trovato qualcosa di bello e vero a cui attaccarsi, una speranza «Sì, mi apprezzerà un giorno».
 
Dean annuisce poco convinto. Ellie nutre troppa fiducia in quell’uomo e lui, che lo conosce bene, sa che prima o poi finirà per deluderla davvero. Spera solo che lei sia abbastanza forte da reggere il colpo, ma… lo è, e ce la farà.
 
Beve per mascherare l’amarezza che sente e per allentare il nodo allo stomaco, e fortunatamente Ellie cambia discorso – il sorriso sulle labbra e gli occhi luminosi – porgendogli il piatto con il dolce rimanente. «Vuoi un’altra fetta?»
 
Dean annuisce e sa che, con quel piccolo gesto, Ellie sta cercando di dimostrargli la sua gratitudine nel modo più vero e sincero che conosce.
 
Ha notato che grazie è una parola che lei non pronuncia spesso – non per questo genere di cose, per il resto è una delle persone più educate che abbia mai incontrato –, ma quando lo fa, in fondo ai suoi occhi c’è una scintilla, qualcosa che Dean vorrebbe vedere ogni giorno e in fondo sa che dovrebbe essere lui a ringraziarla, perché da quando la conosce non è più solo. 
 
[1] Piccolo riferimento all’episodio 7x16 “Out with the old”: Sam ha problemi a dormire per colpa di Lucifero e Dean gli dice che cercherà una stazione di soft rock alla radio per farlo addormentare.
[2] La storia di come Bobby diventa un cacciatore viene esplorata nell’episodio 3x10 “Dream a little dream of me” e poi successivamente, nella settima stagione, e non me la sono sentita di “accelerare” i tempi.

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Capitolo 10
*** Sometimes you can’t make it on your own ***


Note: Sono di frettissima oggi, ma lasciarvi due righe ormai è diventata una specie di tradizione perciò non mi lascio scappare l’occasione :)
Come al solito ne approfitto di ringraziarvi per la costanza con cui leggete, recensite e passate a dare un’occhiata; siete sempre troppo buoni! :D
Spero che il capitolo vi piaccia (siamo già arrivati al decimo, queste settimane sono volate) e vi saluto mandandovi un abbraccio forte! Alla prossima! ;) 
 

Capitolo 10: Sometimes you can’t make it on your own

Tough, you think you’ve got the stuff
You’re telling me and anyone
You’re hard enough
You don’t have to put up a fight
You don’t have to always be right
Let me take some of the punches
For you tonight.
 
(Sometimes you can’t make it on your own – U2)

 
Nella vita dei cacciatori ci sono giornate estremamente lente ed altre davvero veloci, di quelle che hanno un senso e scorrono via in fretta, e, sebbene queste ultime siano davvero rare, quando arrivano è bene godersele fino in fondo.

I giorni che Dean passa con Ellie non sono mai noiosi o ripetitivi e ne sono passati già cinque da quando sono da Bobby; lei sta molto meglio con la spalla, nonostante la ferita al fianco le faccia ancora un po’ male. Si è rimessa abbastanza in fretta, comunque.
 
Non si sa che cosa la tenga lontana dai fornelli, considerando che se fosse per lei passerebbe tutto il giorno lì davanti, ma Bobby, con il suo meraviglioso caratterino, le ha detto espressamente che preferiva mangiare pizze a pranzo e cena tutti i giorni piuttosto che avere la sua salute sulla coscienza, e magari beccarsi una pallottola nel cranio da parte di quell’altro simpaticone di suo padre Jim.
 
A sentire quelle parole, Ellie ha finalmente capito cosa intendeva dire Dean quando glielo aveva descritto come un “uomo burbero”; da quel momento si diverte a chiamarlo “brontolone” e Dean non ha ben capito se a Bobby la cosa piace o no, ma non le ha ancora detto niente a parte lanciarle qualche mezza occhiataccia quando lo fa – le tipiche di Bobby –, quindi forse gli sta bene, chissà.
 
Quello che è assolutamente certo per Dean è che, se solo ci provasse lui, Bobby prenderebbe il primo machete a disposizione e gli staccherebbe la testa.
 
Ha cercato il più possibile di evitare di rimanere da solo con Bobby. Sempre più spesso percepisce quello sguardo e chiaramente sta aspettando il momento giusto per cominciare il suo interrogatorio – con tanto di lavata di capo annessa – e Dean non ha voglia di starlo a sentire. O di parlare di Sam.
 
Ellie, comunque, essendo incredibilmente logorroica, in un certo senso glielo ha evitato, spostando sempre i discorsi sugli argomenti più disparati, e Dean gliene sarà sempre silenziosamente grato. Non si sono accordati su niente, ovviamente, non c’è nessun patto segreto dove nessuno deve nominare Sam o cose del genere, ma la sua parlantina gli è stata d’aiuto, per una volta.
 
Un paio di sere è andato a farle compagnia nella stanza che Bobby le ha lasciato, prima di andare a dormire. Di certo non per non rimanere da solo con lui, ma per fare due chiacchiere e, come succede sempre, sono rimasti sempre a parlare fino a tardi.
 
Rispetto al primo giorno, ha trovato quella stanza molto più ordinata: il comò alla destra della porta – in legno e con una vecchia specchiera al centro – era coperto di polvere, ma già dal secondo era scomparsa – certamente per opera di Ellie. Anche sui comodini ai lati del letto è tutto perfettamente sistemato.
 
Quella stanza, poi, non è molto grande, ma è spaziosa e ben illuminata dalla finestra di fronte alla porta e l’armadio – dentro il quale Ellie ha già messo di tutto –, situato proprio davanti al letto, è a tre ante ed è grande, anch’esso in legno.
 
Ellie ha ringraziato mille volte Bobby per l’ospitalità e per averle ceduto quella stanza e lui si è limitato a rispondere che poteva starci tranquillamente per il tutto il tempo che voleva, che nessuno ci dormiva quindi era tutto a posto.
 
Il letto, poi, sembra davvero comodo, anche se Dean non ha avuto ancora l’occasione di provarlo. E’ vero che Ellie sta meglio, ma non se l’è sentita di “reclamare i suoi diritti”. Continuerà a dormire sul divano finché resteranno lì, non è un grosso problema per lui.
 
Non sono neanche le dieci di mattina quando Bobby lo raggiunge in cucina, con in mano una tazza di caffè bollente.
«Dì un po’, ragazzo» fa una di quelle pause strategiche e Dean teme che il fottuto momento di parlare di Sam sia arrivato. «Elisabeth… come se la cava a caccia?»
Dean tira internamente un sospiro di sollievo. «Se la cava».
Bobby sbatte le palpebre un paio di volte, palesemente perplesso «Fammi capire, tu porti in giro una persona che non conosci e non provi ad allenarla? Non provi a… testarla, in qualche modo?»
 
Dean fa una smorfia arricciando le labbra «Un paio di volte le ho fatto da insegnante, ma… in generale no, so tutto quello che devo sapere. Nelle ricerche è brava e sul campo un po’ meno, ma come ho già detto sa cavarsela» sorride tranquillo e non è decisamente pronto allo scappellotto tra capo e collo che riceve subito dopo. Alza lo sguardo verso Bobby e lo guarda con gli occhi spalancati, la mano sinistra a massaggiarsi la parte dove è stato colpito. «Che ho detto di sbagliato?»
 
«Tu devi esserti fritto il cervello!» Bobby appoggia la tazza sul tavolo e si avvicina verso la porta. «Non c’è altra spiegazione!» borbotta qualcosa che Dean non comprende, ma non crede siano complimenti, e prende la giacca «Muoviti, cialtrone che non sei altro. Andiamo a fare qualche tiro qua vicino. Vai a chiamarla».
«Ma è brava a sparare! E nessuno mi ha detto di farle da personal trainer, devo solo—»
«DEAN!»
 
Un’altra voce interrompe la conversazione e sia lui che Bobby si voltano di scatto a sentire quel grido e Dean si precipita su per le scale. Ellie è nella “sua” stanza da un po’; ora che ci pensa, non è scesa per niente dopo colazione.
 
Si fionda lì dentro di corsa e quello che vede lo lascia piuttosto perplesso: Ellie è in piedi sul letto, una scopa in mano puntata verso un angolo lontano della stanza e lo sguardo completamente terrorizzato.
 
Dean sbatte le palpebre un paio di volte, confuso. «Che stai facendo?»
Ellie lo guarda seria, la scopa ancora rivolta verso la parete. «Guarda». Dean volge lo sguardo nel punto che lei sta indicando e non sa se ridere o piangere per quello che vede: c’è un ragno sul muro, un povero minuscolo esemplare di ragno che ha evidentemente scelto il posto sbagliato dove andare a tessere la sua preziosa ragnatela. «Mi fanno paura quei cosi, potresti gentilmente ucciderlo?»
 
Dean la guarda ancora dubbioso; non sa se dare la scopa in testa a lei o limitarsi a darle della stupida per averlo fatto correre come un idiota su per le scale per un dannato niente. «Tu hai urlato come se ti stessero scannando per un semplice… ragnetto?»
Ellie si siede intrecciando le gambe tra loro, l’espressione imbronciata. «Non è un ragnetto. E’ un bastardo a otto zampe che potrebbe pungermi mentre dormo. Preferisco non averlo tra i piedi».
 
Gli porge la scopa e Dean la prende in mano riluttante, sbuffando aria dal naso e aggrottando nervosamente la fronte.
 
Si avvicina al ragno maledetto e allunga la sua arma nella sua direzione; l’animaletto scappa, evidentemente spaventato, e Dean sente distintamente Ellie cercare di soffocare un lamento impaurito. Si concentra sulla “caccia” e dopo qualche istante riesce ad ucciderlo, aiutandosi con la scopa a buttarlo a terra e schiacciandolo poi sotto la suola di una scarpa.
 
Si volta verso Ellie che lo guarda vittoriosa e non riesce a nascondere una smorfia scocciata. «Vai in giro ad ammazzare lupi mannari come se fossero mosche ed hai paura di un semplice ragno?»
 
Ellie incrocia le braccia al petto e lo guarda accigliata. «Ehi, ognuno ha le sue fobie. A me fanno schifo quei cosi» fa una pausa e allunga appena il collo per osservare l’animaletto stecchito schiacciato a terra, sbattendo le palpebre un paio di volte, quasi a volersi capacitare che sia morto davvero. «Anche tu ne avrai una».
 
Dean appoggia la scopa accanto all’armadio per poi alzare lo sguardo su di lei. «Io non ho paura di niente» Ellie cerca di nascondere una smorfia divertita, ma non lo fa neanche più di tanto, infatti Dean la becca subito ed ora è lui ad incrociare le braccia al petto. «E’ vero».
Ellie sorride con aria impertinente. «Non è possibile. Tutti hanno paura di qualcosa».
Dean sbuffa roteando gli occhi. Lei non sembra avere alcuna intenzione di mollare, così si rassegna e confessa. «Ok… gli aerei».
 
Ellie trattiene – male – una risatina. «Hai paura di volare?»
«Diciamo di… sì» Ellie si mette una mano davanti alla bocca, forse nel tentativo di nascondere ancora di più il risolino che sta comparendo sulle sue labbra. «Gli aerei possono cadere».
«E’ per questo che vai ovunque in macchina?» non attende neanche la risposta che scoppia a ridere di gusto, le mani a tenersi la pancia e la testa piegata all’indietro e non sembra minimamente accorgersi del fatto che Dean la sta guardando malissimo. Smette dopo qualche secondo buono, asciugandosi i bordi degli occhi con le dita. «Faresti molto prima a spostarti da un posto all’altro. E poi gli aerei sono i mezzi di trasporto più sicuri al mondo».
«Beh, niente è più sicuro della mia piccola» il petto gli si gonfia di orgoglio al solo pensiero di quella bella macchina sempre tirata a lucido. «Ed io almeno non mi metto a strillare se vedo un ragno!»
 
Ellie gli tira il cuscino ed ora è Dean a sorridere divertito. «Non mi fanno paura tutti gli insetti, solo… quelli» Dean non è neanche sicuro che i ragni siano insetti. Forse glielo ha detto Sam in una delle sue meravigliose – si fa per dire – uscite da secchione so-tutto-io.
 
Sorride al pensiero che la fobia di Sammy è senza dubbio la più ridicola di tutte: quella per i clown. Lo ha sempre preso in giro per questo.
 
Ellie scende dal letto e lo guarda curiosa «Che ridi?» e Dean scuote il capo, scacciando via l’immagine che aveva nella sua testa di Sam bambino che si nascondeva dietro le sue gambe alla vista di un povero disgraziato con tanto di naso rosso e vestito da pagliaccio che voleva fargli uno scherzo; avrà avuto sì e no cinque anni ed era spaventato come se si trovasse davanti ad un enorme cobra o un essere soprannaturale davvero spaventoso. «Niente. Bobby dice se andiamo a sparare qua vicino».
 
Dean vede gli occhi di Ellie letteralmente illuminarsi – un po’ come tutta la sua faccia – al solo udire quelle parole; sorride e neanche gli risponde, si limita a uscire dalla porta e precipitarsi giù per le scale.

*

Bobby finisce di sistemare dei barattoli su un vecchio tavolo giù nella rimessa delle auto – sicuramente il luogo più tranquillo dove potersi allenare senza destare sospetti o attirare l’attenzione. Li ha posizionati in modo tale che agli occhi di Ellie, in piedi accanto a Dean e incapace di stare ferma – da quando sono usciti non fa altro che muoversi da una parte all’altra ed è agitata o semplicemente emozionata per qualcosa che Dean davvero non riesce a comprendere –, risultino ad una distanza crescente.
 
Bobby si sposta più verso di loro e la guarda, un mezzo sorriso appena accennato. «Coraggio, mostraci cosa sai fare».
 
Ellie annuisce e Dean indietreggia appena; la guarda con attenzione mentre lei divarica un po’ le gambe e porta le braccia di fronte a sé, ben tese, e le mani a stringere forte il calcio della pistola. L’espressione incredibilmente seria che ha dipinta sul viso è la tipica di una persona concentratissima in qualcosa di assolutamente importante: le labbra appena imbronciate, lo sguardo sicuro e una piccola ruga tra le sopracciglia per la fronte lievemente aggrottata.
 
Fa un respiro e prende la mira per poi sparare una, due, tre volte. I barattoli cadono uno dietro l’altro ed Ellie si rilassa quando li vede a terra, voltandosi verso di loro con un sorriso sulle labbra.
 
Bobby le si avvicina ancora. «Bene. Passiamo a qualcosa di più difficile» riprende i barattoli e li posiziona in maniera diversa, ad una distanza più elevata ed Ellie centra anche quelli senza alcuno sforzo.
 
Il vecchio cacciatore prende un altrettanto vecchio cartello su cui aveva disegnato dei cerchi concentrici con della vernice rossa, creando una specie di bersaglio – un oggetto che Dean è assolutamente sicuro di aver già visto. Lo distanzia sempre di più finché Ellie non lo manca e le spiega con fermezza e pazienza come deve fare per mirare meglio.
 
Dean li osserva senza dire nulla, le mani nelle tasche della giacca. Non parla perché non c’è maestro migliore di Bobby al mondo e, in fondo, buona parte di quello che sa la deve a lui. Ogni volta che suo padre lo lasciava a Sioux Falls imparava qualcosa di nuovo e si rivede ancora da bambino, quando avrebbe dovuto giocare con le macchinine o con i soldatini, ad allenarsi proprio come sta facendo Ellie adesso.
 
La guarda mentre ascolta con estrema attenzione tutte le indicazioni di Bobby e segue ogni mossa; si volta spesso verso Dean, come a volersi assicurare che anche lui stia prestando attenzione ad ogni cosa, che segua con interesse ogni suo miglioramento e gli sorride e lui si ritrova a fare lo stesso più di una volta.
 
Al vederla così quasi gli fa tenerezza. Succede spesso in realtà; Ellie gli ispira qualcosa che era riuscito a fare solo Sam prima nella sua vita, quando quello che doveva fare era prendersi cura di lui in tutto per tutto, lavarlo e cambiarlo e mettergli i vestiti. E proprio Dean che non ha mai amato i bambini, ha amato più di ogni altra cosa Sam, anche – e forse soprattutto – quando era piccolo e gli colava il naso e gli doveva insegnare anche come soffiarlo o come allacciarsi le scarpe. Dean non si è mai tirato indietro per Sam che era il più speciale dei bambini e forse non gli piacciono perché nessun bambino potrà mai essere come lui. O forse perché gli ricordano l’infanzia che Dean non ha mai vissuto, occupato com’era a crescere suo fratello e a provare a darne una degna di poter essere ricordata a lui.
 
Sorride al pensiero di quella volta che Sam voleva a tutti i costi l’ultima confezione di “Lucky Charms” per sé e Dean, anche non ne aveva mangiato neanche uno, alla fine gliel’aveva ceduta perché Sam lo guardava con quegli occhi e quell’espressione che gli faceva così tanta tenerezza che non se l’era sentita di prenderlo e mangiarlo lui, anche se gli andava tanto. E poi Sam gli aveva dato la sorpresa e andava bene così, anzi… molto di più. [1]
 
Ha sempre avuto un debole per Sam da bambino – forse un po’ di meno quando è cresciuto, perché se n’è andato e Dean proprio non riesce a mandare giù tutta questa cazzo di storia – e poi Sam ogni volta lo guardava con quegli occhi grandi e profondi e spesso gli regalava un sorriso e quello era il suo modo per dire grazie, lo stesso che tante volte ha anche Ellie.
 
Forse è questa una delle ragioni per cui prova tanta tenerezza per lei, per quel suo modo di fare e quegli occhi di bambina in cui si rispecchiano i suoi e dove a volte lei sembra cercare sicurezze e approvazione – proprio come adesso -, qualcosa che deve aver conosciuto molto poco nella sua vita. Forse da sua madre, ma sicuramente non da suo padre.
 
Dean ripensa al discorso di qualche sera fa e a quanto si sia aperta con lui su Jim, al contrario di quello che è successo nei mesi precedenti; non ne aveva mai parlato e non si era mai lamentata e in realtà non l’ha fatto neanche quella sera. Continua a non lamentarsi del tenore di vita a cui Jim la sottopone e, a quanto ha capito, non si è neanche pentita di averlo seguito. Vorrebbe semplicemente essere compresa, cosa che Jim non sembra fare e Dean più si sforza, più non riesce a capirne il motivo.
 
E’ vero che Jim non è mai stato un amante della famiglia tradizionale. Neanche del matrimonio o dei bambini, se è per questo, ma Ellie non è una bambina, non è qualcuno che devi crescere. E’ praticamente adulta e sa cavarsela da sola e Dean proprio non capisce come Jim non riesca a non vederlo, perché la tenga a distanza.
 
Chissà se Ellie l’ha chiamato per dirgli che sta bene e che quel lupo di merda che le ha lasciato cacciare è morto. Vorrebbe chiederglielo, ma forse è meglio non farlo, che Ellie si stranisce quando le si fanno domande su suo padre, perciò… sì, è meglio se sta zitto.
 
Si riscuote da quei pensieri quando la vede corrergli incontro, gli occhi luccicanti e felici. «Hai visto?»
Dean annuisce e le sorride, quasi come si fa ad un bambino che ha appena scoperto una cosa nuova. A guardarla attentamente adesso capisce il perché del suo entusiasmo: più impara, più riuscirà a diventare brava e più Jim potrà cambiare idea su di lei. Dean sente un nodo allo stomaco a pensare quelle cose, eppure non ha dubbi. Non dopo i discorsi dell’altra sera.
 
Abbassa lo sguardo per un attimo, pensieroso, e poi la guarda di nuovo. «Aspettami qui» ed Ellie annuisce senza capire.
 
Dean si avvia all’Impala e ne apre il portabagagli; rovista nel doppio fondo e prende un paio di fucili, uno a pallettoni e l’altro con la doppia canna, per poi tornare dove ha lasciato Bobby ed Ellie. Sentendo i suoi passi i due si girano di nuovo ed Ellie lo guarda confusa.
 
Dean gliene porge uno «Tieni. Prova a usare questo qui per sparare adesso, fammi vedere se sei brava anche con i fucili».
 
Ellie si morde il labbro inferiore quasi a soffocare un sorriso; sembra non riuscire a stare in sé dalla gioia. Annuisce e lo afferra e Dean la guarda tornare accanto a Bobby che con pazienza riaggiusta il bersaglio, lanciandogli uno sguardo fiero.

*

Hanno passato l’intero pomeriggio – o forse è meglio dire l’intera giornata, visto che il pranzo è stato praticamente uno spuntino fatto in fretta e furia perché Ellie voleva tornare a sparare di nuovo e non riusciva a contenere la frenesia – ad allenarsi giù nella rimessa.
 
E’ stata una grande giornata per lei. Ha una resistenza incredibile anche in questo, neanche Bobby sembrava riuscire a starle dietro ad un certo punto. Ha talmente tanta voglia di imparare che non si stanca mai, o forse è perché è così tanto l’entusiasmo che ci mette che si esalta a tal punto da non riuscire a staccare la spina.
 
Bobby l’ha dovuta praticamente pregare per farla tornare e Dean se ne stava lì a ridere sotto i baffi mentre lei gli chiedeva di spostare il bersaglio da un’altra parte.
 
Hanno cenato ed ora è di sopra a leggersi un libro. Bobby le ha praticamente imposto di riposarsi ed Ellie – Dean ne è certo – gli ha detto così solo per farlo contento. Se fosse per lei sarebbe ancora al campo, al buio, a trovare qualcosa di nuovo da scoprire.
 
Dean rigira la bottiglia di birra tra le dita e se ne sta fuori, seduto su un gradino, lasciandosi accarezzare dalla brezza leggera della sera.
 
Un paio di passi dietro di lui e Bobby gli siede accanto, il berretto sulla testa e lo sguardo dritto di fronte a sé. «E’ in gamba quella ragazza».
Dean sospira appena sorridendo. «Sì. Non so dove trova tutta quella forza di volontà».
 
Bobby annuisce e Dean sa che non potrà più sottrarsi a lungo alle sue domande. E’ solo una questione di minuti prima che… «Allora, come sta tuo fratello?» eccolo, puntuale come un orologio. Ha resistito anche troppo.
 
Dean sorseggia la sua birra, sorridendo appena – un sorriso di circostanza, qualcosa dietro cui maschera l’amarezza che gli sale in corpo al solo sentire nominare quel maledetto figlio di puttana di Sam – ed evitando accuratamente di guardarlo. «Non ne ho la più pallida idea». Sente lo sguardo severo di Bobby su di sé ma non lo ricambia, continua a schivare i suoi occhi.
«Non lo hai mai chiamato?» Dean deglutisce e scuote la testa. «In tutti questi mesi, mai una volta tu—»
«No, ma neanche lui ha fatto altrettanto. Siamo pari».
 
Bobby prende un respiro profondo e Dean può già sentire l’odore della tempesta in arrivo. «Non hai altro al mondo se non quel testone e ti metti a fare l’orgoglioso?»
 
Adesso Dean lo guarda, la mascella contratta e l’espressione dura «Io? Sam se n’è andato per farsi i cazzi suoi, si è lasciato alle spalle tutto questo; ha mollato papà, gli affari di famiglia, ha mollato me e l’orgoglioso sarei io?» Si alza in piedi, incapace di contenere la rabbia, brandendo la bottiglia ancora mezza piena in aria. «Papà gli ha detto di non tornare e lui l’ha fatto, fregandosene delle conseguenze e… ma sì, certo, sono io quello orgoglioso. Come no».
 
Sorride amaro, più a se stesso che a qualcun altro e beve ancora, rivolgendo lo sguardo verso il cielo.
 
Bobby si alza in piedi e lo guarda con attenzione. «Allora è questo il problema?» la sua voce è calma e scava a fondo dentro Dean, in un modo che gli fa salire ancora più rabbia.
«Cosa?»
«Pensi che Sam ti abbia abbandonato, che se ne sia andato per lasciare te».
 
Dean abbassa lo sguardo, il sorriso stampato sulle labbra si affievolisce trasformandosi in una smorfia delusa. «Non è forse così?» deglutisce e sospira, afflitto. L’ha praticamente ammesso e sente un peso in meno sullo stomaco, ma in realtà questo non lo aiuta a stare meglio, a sentirsi a posto con la coscienza e a farsene una ragione. Probabilmente non ci riuscirà mai. «Non ho fatto altro che prendermi cura di lui per tutta la vita e alla prima occasione mi ha voltato le spalle».
«Ce l’aveva con tuo padre, ce l’ha sempre avuta con lui».
«Io ero incluso nel pacchetto. Sam lo sapeva… e se n’è andato lo stesso».
 
Rimane per qualche istante con la testa bassa e sente Bobby sospirare. «Non tutti possiamo prendere le stesse strade, ragazzo. Sam non ha mai voluto essere un cacciatore. In fondo, chi lo vorrebbe? Ha fatto una scelta e, giusta o sbagliata che sia, devi accettarla. Tuo fratello non ha smesso di volerti bene solo perché non fa più le stesse cose che fai tu. Fa sempre parte della tua famiglia, anche se non è fisicamente accanto a te».
Dean si volta a guardarlo adesso «Che mi chiami lui, allora. Io sono stanco di stare dietro alle sue manie e alle sue… uscite di testa».
 
Non aspetta che Bobby gli risponda, non ha più voglia di parlare – non ne ha mai avuta, e poi ha già parlato troppo e non ha trovato la pace che pensa di meritarsi –, si volta e si incammina a passo svelto verso l’Impala, la bottiglia ancora nella mano destra. Non finisce neanche di berla, in realtà. Si appoggia al cofano della sua macchina e rimane lì fermo, in silenzio, lo sguardo basso ad osservare il terreno sotto i suoi piedi.
 
Non crede di avere torto. Per quanto si sforzi, non riesce a pensarla diversamente. Sammy se n’è andato da papà, sì, ma ha abbandonato anche lui, senza un minimo di esitazione e, per quanto vorrebbe pensarla diversamente, non ci riesce.
 
Ha ancora in mente tutto di quella sera: la strada, le urla, papà che così incazzato non l’aveva mai visto e «Se esci da quella porta non azzardarti a tornare!!!» e Sam l’aveva sbattuta, quella dannata porta, con forza e rabbia e Dean si era sentito solo come mai prima.
 
Non sa quanto tempo passa immobile, senza fare niente, la mente racchiusa in una nube di pensieri spiacevoli quando sente dei passi andare verso di lui. Alza lo sguardo. «Che fai qui?»

Ellie lo guarda attentamente, gli occhi grandi lo scrutano così a fondo che Dean si sente quasi nudo, estremamente vulnerabile sotto quello sguardo concentrato e sicuro. «Ti cercavo».
 
Dean non dice niente e lei gli si avvicina, i capelli lunghi e sciolti sulle spalle, qualche ciocca ribelle che le ricade sulla camicetta celeste e i jeans scuri a fasciarle le gambe. Lo guarda e gli ruba la bottiglia dalla mano per poi berne un lungo sorso. Per tutto il tempo non distoglie mai lo sguardo e nemmeno Dean ha intenzione di farlo, non sa dire perché. «Non mi va di andare a dormire».
 
Sorride, ma Dean non riesce a fare lo stesso. «Non sei stanca?»
Ellie scuote la testa. «No. E tu hai bisogno di qualcosa di più forte di questa». Tiene il collo della bottiglia con il pollice e l’indice e gliela sventola sotto gli occhi, sorridendo sicura. Deve aver sentito tutto il suo litigio con Bobby, Dean non è stato esattamente silenzioso. «Andiamo a bere qualcosa. Offro io. E… se non sbaglio, mi avevi anche promesso di insegnarmi a giocare a biliardo, una volta».
 
Dean sorride appena adesso, è proprio strana. «C’è un modo di spegnerti? Non so, hai delle pile attaccate da qualche parte?» Ellie lo guarda perplessa; magari prima o poi riuscirà a capire qualche sua battuta al primo colpo, ma sicuramente non stasera perciò tanto vale parlare chiaro «Voglio dire… non ti stanchi mai di imparare?» lei scuote la testa. «Ok… andiamo, ma visto che da bere non lo puoi comprare da sola, sarò io ad offrire stavolta. Sappi, però, che non voglio responsabilità se stai male».
Lei sorride divertita. «Starò attenta a non esagerare, allora».

*

Il bar non è tanto distante da casa di Bobby, ma Dean ha preferito portarsi dietro l’Impala; non si sa mai che Ellie svenga per le troppe emozioni della giornata o cose del genere.
 
Insegnarle a giocare a biliardo è stato più facile a dirsi che a farsi. Di certo non perché non riusciva a tenere la stecca in maniera corretta, piuttosto perché non ha fatto altro che far saltare la palla bianca sul tavolo – neanche fosse una di quelle da ping pong che sfuggono spesso al controllo – in continuazione per poi scoppiare a ridere di gusto. E non aveva neanche bevuto tanto.
 
Dean ad un certo punto ha cominciato anche a pensare che lo facesse apposta per farlo arrabbiare. O per farlo sorridere, perché dopo il suo sbuffo di disapprovazione lei si concentrava e tirava meglio, riuscendo anche a fare qualche punto e sorrideva in quel modo genuino che Dean non poteva far altro che ricambiare, anche se in modo più beffardo, perché la sua velocità ad imparare lo rendeva più competitivo, in un certo senso.
 
Il fatto che la partita l’abbia vinta lui è secondario. E’ stato onesto e non ha usato trucchetti, ma Ellie, essendo una principiante, non poteva schiacciarlo.
 
Ora siedono ad un tavolo, una bottiglia di whiskey al centro – una sola stavolta – circondata da un paio di bicchieri da cui loro bevono piano, senza fretta.
 
Una bella bevuta era sicuramente quello che ci voleva. Dean non ha voglia di pensare a Sam o alla quasi litigata di prima con Bobby, vuole solo rilassarsi ed Ellie aveva ragione: aveva bisogno di qualcosa di più forte di una birra del supermercato.
 
Il tasso alcolico nel sangue di entrambi è andato leggermente a puttane da un po’ e Dean può considerarsi brillo abbastanza da potersi sentire libero di fare certe domande invece di altre. «Toglimi una curiosità… perché non ti sei concessa a quel tipo ad Orem, un paio di mesi fa? Ti piaceva, io ti avrei lasciato spazio» le fa l’occhiolino con lo sguardo allusivo ed Ellie ride di gusto, forse per l’effetto dell’alcol o forse perché la cosa la fa ridere a prescindere.
 
«Ti deciderai mai ad imparare il suo nome? Si chiama Jack, Jack Burke» beve un lungo sorso dal suo bicchiere e lo guarda «Primo perché non mi ha chiesto niente in quel senso, e secondo perché non… non… oh al diavolo, non capiresti».
 
Dean la osserva, un mezzo sorriso sulle labbra. «Cosa? Se fai così mi incuriosisci di più».
Ellie svuota il bicchiere e lo appoggia sul tavolo con forza. «No, non te lo dico».
«Perché?»
«Perché tu hai una concezione del sesso da… da maschio».
 
Dean ride forte, inclinando la testa all’indietro. Non erano mai entrati in questo tipo di argomento prima e Dean non ha mai espressamente parlato della sua concezione da maschio, ma forse altri elementi sono stati sufficienti per Ellie per capire come la pensa lui. Anche se non è sicuro di aver intuito cosa intende dire esattamente con quella frase. «Da quando c’è una differenza di pensiero a seconda se sei maschio o femmina?»
«Forse da quando ci sono quelli come te, che fanno sesso solo per divertirsi».
Dean trattiene un’altra risata «Perché, a cos’altro serve?»
Ellie lo guarda scuotendo la testa. «Vedi?»
«No, no, spiega. E’ un discorso interessante».
 
Ellie sbuffa e beve ancora. A Dean piace quando è brilla, è più… sciolta, in un certo senso. Anche se lo è abbastanza da sobria, ma quando beve cadono le poche difese che ha e si sbottona completamente. «E’ una cosa seria. Voglio dire… sì, è anche divertimento, ma è più bello se c’è un coinvolgimento diverso».
 
Dean fatica parecchio a non scoppiare a ridere di nuovo, e non solo per l’espressione buffa con cui ha esposto la sua versione filosofico – romantica della faccenda. «E chi lo dice?»
«Io».
 
Beve anche lui «La tua è una visione femminista».
«E la tua maschilista».
Dean fa spallucce, allungando il bicchiere sul tavolo; la guarda e si avvicina, il gomito puntato sul legno e il pugno chiuso a sorreggere la testa «Non c’è niente di diverso tra il sesso… e il sesso. Il sesso è tutto uguale».
Ellie fa una smorfia. «Se dici così vuol dire che non hai mai provato la differenza».
 
Sorride di nuovo – è una vena di malizia quella che si nasconde nei suoi occhi? – e porta ancora una volta il bicchiere alla bocca e Dean sarebbe tanto curioso di sapere da dove tira fuori tutte queste teorie. O meglio, se è solo teoria o c’è di mezzo anche la pratica. «Hai tutta quest’esperienza per poter dire questa cosa con tanta fermezza o hai visto troppe volte “Titanic”
 
Ellie posa il bicchiere sul tavolo e lo guarda dritto negli occhi. «Non così tanta, ma abbastanza da capire certe sottigliezze» abbassa lo sguardo e per un istante Dean ha l’impressione che stanno scavando troppo a fondo, che sta emergendo qualcosa di doloroso per lei. Dura solo un attimo, perché poi lo guarda di nuovo e sembra che sia tutto passato «E non ho mai visto “Titanic”. Non guardo film romantici. Mi fanno addormentare, proprio come tutti gli altri».
 
Dean sorride per poi scrollare le spalle e rigira il resto del liquido che gli è rimasto nel bicchiere, osservandolo vorticare. «Io sono convinto che dipende tutto da quanto uno è bravo a farlo. Voglio dire, esiste del brutto sesso o del bel sesso, fine» beve un lungo sorso e vorrebbe aggiungere qualcosa, tipo che se lei volesse potrebbe dimostrarglielo, ma si morde la lingua e sta zitto.
 
E’ vero che è ubriaco, ma non così tanto da non avere il controllo su quello che dice o fa ed è meglio tacere. Ellie potrebbe offendersi e non vuole avere niente di cui pentirsi domattina e nessun rapporto da mandare a puttane; gli è successo troppe volte, ha già mandato all’aria troppe cose ed Ellie non la vuole perdere.
 
Lei fa spallucce «Punti di vista» e Dean non ha il tempo di replicare alcunché perché il suo telefono comincia a squillare.
 
Guarda il display e preme il tasto verde. «Papà! Finalmente!» Dean lo ha chiamato almeno tre volte negli ultimi giorni, se non altro per avvisarlo che era da Bobby e che stava bene, ma non ha mai ricevuto risposta. In fondo, però, non è una novità. «Ti ho lasciato non so quanti messaggi».
«Lo so. Sei ancora da Bobby?»
 
Mai una volta che gli chiedesse se sta bene – o se ha bevuto, perché a John Winchester non sfugge mai niente ed è successo più di una volta, da quando Sam non c’è, che al telefono Dean risultasse più… su di giri del solito, ma dalla bocca di suo padre non è mai uscito niente a riguardo, forse non si è neanche chiesto il perché lo ha fatto. «Sì» cerca di essere più serio possibile «Stai bene?»
«Sì, ma ho un caso ed è qualcosa che mi sta dando del filo da torcere. Avrei bisogno di una mano».
 
Dean non ha neanche bisogno di pensare alla risposta. «Ok. Dove sei?»
«Ti mando le coordinate. Cerca di farti vedere entro domani».
«Sissignore» Dean riattacca senza ascoltare la risposta – che potrebbe essere un ciao come un bip ripetuto, ma è convinto che sarebbe stata un bip ripetuto quindi è meglio non ascoltarlo – e guarda Ellie.
 
«Devi andare?» Dean annuisce e lei gli sorride più per circostanza che perché ne abbia effettivamente voglia – Dean la conosce abbastanza da poter notare la differenza – e non sa neanche come e cosa gli prende quando semplicemente le dice «Vieni con me».
 
Ellie lo osserva per un attimo – assolutamente seria, come se stesse verificando la veridicità di quelle tre piccole e insignificanti parole nella sua testa – e quello che gli regala dopo è un sorriso talmente bello e sincero, così pieno di gratitudine che Dean fatica per un attimo a rimanere concentrato.
 
Ha lo stesso sguardo che le ha visto addosso per tutto il giorno, come se avesse appena acquistato la consapevolezza che qualcuno la apprezza a tal punto da portarla con sé, da avere fiducia in lei senza che nessun altro glielo abbia comandato.
 
Dean è sicuro di doverle tutto questo. Per averlo portato a bere e a svagarsi quando tutto quello che poteva fare era invece fregarsene e lasciarlo sbollire; per non prendersela mai per tante cose sbagliate che Dean fa o dice e semplicemente per apprezzarlo così com’è. La cosa di cui, però, è assolutamente più sicuro è che non lo fa per dovere. Non più. 

 


[1] La scena dei “Lucky Charms” è un riferimento alla puntata 1x18 “Something wicked”

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Capitolo 11
*** Connected ***


Note: Con la sessione d’esami ormai dietro le spalle (alleluia!), stavolta mi dilungo in un commento un po’ più corposo. Anche perché ho un paio di avvisi da fare.
Finora ho mantenuto fisso l’appuntamento con questa storia al mercoledì, ma dalla prossima settimana fino alla fine del prossimo mese le cose potrebbero un pochino cambiare, a causa delle mie vacanze: da domenica sarò oltreoceano fino al 24 Agosto. Sarò ospite di una famiglia, perciò sicuramente avrò una linea Wi-fi, ma visto che porterò via un computer che ha una velocità di navigazione praticamente disastrosa, non so se riuscirò a postare i capitoli. Mi sento ottimista e fiduciosa, ma non sapendo ancora la tabella di marcia e tutto il resto, ho intenzione di pubblicare il prossimo capitolo tra due settimane, così da potermi ambientare, avere il tempo di rileggere per bene e capire se è possibile riuscire a pubblicare anche da lì oppure no.
Per il resto, vorrei lasciare l’ordine e il giorno di pubblicazione così com’è, quindi intendo riprendere la pubblicazione settimanale già dalla settimana successiva, quella del 12 Agosto, sperando di farcela.
In caso non riuscissi a pubblicare nulla metterò un avviso. Magari qualche volta potrei slittare di qualche giorno, ma spero di non lasciarvi per troppo tempo a bocca asciutta. Ovviamente questo vale anche per le risposte alle recensioni che magari si faranno attendere un po’ di più del solito.
Scusate per questo piccolo cambiamento, ma preferisco slittare di una settimana ed essere comunque puntuale che dover cambiare tutto all’ultimo minuto. Potrei anche pubblicare dal tablet, ma non mi trovo molto bene con quello, perché mi sfalsa tutti i caratteri e mi fa arrabbiare -.- u.u
In caso non dovessi farcela a pubblicare spero di mancarvi… almeno un pochino u.u XD se non io, almeno Ellie! Ahahah :D
Dopo questo lungo preambolo, mi appresto a salutare con la manina i nuovi arrivati che sono sempre graditi (e sono sempre tanti ogni settimana *saltella e scodinzola felice*) e spendo le mie solite due parole per ringraziarvi dal profondo del mio cuoricino per tutto l’affetto che avete dimostrato finora a questa storia. Siete sempre troppo buoni! :D
Vi lascio con il capitolo di oggi che è un pochino particolare; spero vi piaccia e come al solito di non aver combinato pasticci XD
Vi mando un abbraccio enorme, sperando di ritrovarvi tra un paio di settimane! A presto! :)

 
Capitolo 11: Connected
 
In that instant of eye contact,
in the mesmerizing depths of that sweet emotion,
 she felt bound to him in a way
 she’d never felt connected to another man.
 
(Carla Cassidy)
 
 
Ellie siede silenziosa sul sedile anteriore dell’Impala, osservando il panorama fuori dal finestrino scorrere davanti ai suoi occhi. E’ una bella giornata di sole e la strada, lunga e diritta, costeggia un immenso prato verde dove Ellie nota dei tavolini su cui delle famiglie stanno facendo dei picnic. Scorge anche un paio di persone stese sull’erba a godersi il sole d’aprile, il primo davvero caldo della stagione. 
 
John li aspetta a Charleston, nel West Virginia; sono in viaggio da tutta la mattina e secondo Dean non manca molto all’arrivo.
 
Ieri sera sono tornati a casa di Bobby ed hanno fatto i bagagli in fretta e furia, spiegandogli il motivo di quella partenza improvvisa. Il vecchio cacciatore li ha salutati augurandogli buon viaggio e guardando Dean in modo strano, come se volesse dirgli di stare attento a chissà cosa. 
 
Il suo, comunque, non era uno sguardo di rimprovero. Non sembrava essersela presa per la sfuriata di Dean, o meglio… sembrava averla digerita. O forse è solo Ellie che non lo conosce abbastanza da capire quand’è arrabbiato e quand’è tranquillo, perché lo sembra sempre un po’. Lui e Dean si sono salutati normalmente, però, quindi forse è tutto a posto tra di loro.
 
Ellie, a forza di passare tanto tempo con quegli uomini, ha capito che non sanno chiedere scusa. Almeno non tra di loro. Dovrebbero dirselo con lo sguardo o con qualche gesto che considerano affettuoso, perché scusa a parole non se lo dicono mai. Boh. Non sembra sappiano affrontare i problemi in maniera normale. Che poi la normalità è un concetto relativo, sì, ma loro sono così… chiusi, rispetto ai sentimenti. Cercano con tutte le forze di nascondere ciò che sentono, di non far trasparire quello che provano, chissà per quale strambo motivo.
 
E’ vero che anche alcune donne sono così, ma i maschi devono averlo proprio nel DNA. Alcuni di più, altri di meno, ma, da quello che ha capito Ellie, i cacciatori hanno proprio impressa a fuoco sotto la pelle questa paura di mostrarsi fragili e insicuri. Devono sempre far vedere al mondo che sono forti, dei cavalieri senza macchia e senza paura, ma in quanto esseri umani è abbastanza logico che non siano così. Non sempre.
 
Ellie, vivendo con una donna come la mamma per buona parte della sua vita, ha sempre pensato che gli uomini siano strani. Poi ci sono sicuramente eccezioni, ma di certo non le ha trovate in quel mucchio di maschi – cacciatori, per di più – che ha conosciuto negli ultimi tempi e stare con suo padre non ha di certo aiutato la causa, non le ha fatto minimamente cambiare idea.
 
Quello che ha scoperto di nuovo sui cacciatori è che sono persone piuttosto rudi, pratiche – anche troppo a volte – e molto poco inclini al fermarsi per riflettere. Spara, poi fai le domande. Questa regola, probabilmente, ha salvato i loro preziosi fondoschiena più di una volta, ma Ellie non è molto d’accordo con questa linea di pensiero. C’è sempre un motivo dietro le azioni di qualcuno e, anche se stupido, va ascoltato. E’ quello che le ha sempre detto la mamma.
 
Osserva Dean al suo fianco, il suo sguardo concentrato sulla strada, le mani che stringono il volante che rilassa ogni tanto per battere piano le dita lì sopra, seguendo il ritmo della musica che proviene dall’autoradio.
 
Anche lui, per certi versi, è come gli altri cacciatori. Ha questa… mania del controllo, di voler tenere a bada ogni cosa e nascondere ciò che sente, quasi come se le sue emozioni debbano essere un problema, un ostacolo, per lui e per gli altri.
 
Non è neanche colpa sua, in fondo. Insomma non del tutto. E’ stato educato così, è cresciuto con quest’idea che il mondo sia equamente diviso in buoni e cattivi, senza nessuna sfumatura nel mezzo.
 
A modo suo, però, sa differenziarsi dagli altri cacciatori. Quando è insieme a lui, Ellie ha sempre l’impressione che gli basti uno sguardo per capirla, che quel suo guardarla sempre negli occhi sia il modo che ha per arrivare fino in fondo e cercare di comprendere cosa succede dentro di lei, per scavare oltre la superficie. Non che ce ne sia poi così bisogno perché Ellie è molto trasparente con tutti – perlomeno crede di esserlo –, ma c’è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che la induce ad aprirsi di più, a confidarsi e a non avere paura di dire o fare qualcosa. Non sa dire perché, semplicemente si sente… compresa, capita. 
 
Poi le viene in mente anche che Dean, nonostante sia chiuso come un riccio, con lei si è confidato qualche volta. Di rado – molto meno spesso di quanto accada a lei –, ma è successo ed Ellie lo ha ascoltato con attenzione, seguendo ogni racconto per filo e per segno, cercando di non perdersi neanche una parola di quelle preziose confessioni.
 
E’ sempre stata affascinata dai suoi racconti, ma le piace tanto quando lui si apre a tal punto da raccontarle qualcosa di davvero personale, non strettamente legato al lavoro che fanno; le piace soprattutto quando parla di Sam, perché gli legge negli occhi quanto ci tiene, quanto gli manca. Lo conosce abbastanza da sapere che non lo ammetterebbe mai a voce alta, ma a lei non serve che glielo confessi chiaramente per capirlo, le basta guardarlo.
 
Vorrebbe tanto conoscere Sam, vedere di persona e capire meglio il legame che hanno. Ellie non ha fratelli o sorelle, è sempre stata da sola ed ha avuto pochi amici nella sua vita, e prima di passare tanto tempo con Dean non sapeva cosa significasse davvero dividere tanto spazio con qualcuno. Per lui dev’essere stato difficile a volte, magari quando lui e suo fratello erano piccoli e da soli e Dean doveva fargli tutto in quanto fratello maggiore.
 
Nei rari momenti in cui ne ha parlato con lei, però, c’era qualcosa oltre la rabbia per la partenza di Sam, quando l’ha chiamato Sammy e le ha raccontato di quando combinavano qualcosa insieme o quando Sam si lamentava per qualcosa e Dean lo prendeva in giro.
 
Vorrebbe che ne parlasse più spesso, ma non fa mai niente per forzarlo, neanche una domanda, perché capisce perfettamente quanto possa dispiacergli di questo suo distacco, del fatto che l’ha lasciato da solo a combattere i mostri e non sia più la sua spalla come prima. E’ ferito in modo davvero profondo e di certo Ellie non aveva bisogno di sentire che lo dicesse a Bobby per capire che lui si sente davvero abbandonato da Sam.
 
E’ completamente immersa in quei pensieri quando Dean si volta e la guarda, aggrottando un po’ le sopracciglia. Forse si stava sentendo un po’ osservato. «Che c’è?»
Ellie scuote leggermente la testa. «Niente».
Dean torna a guardare la strada, ma le sue labbra si incurvano in un sorriso poco convinto, seguito da una specie di mugolio. «Niente, certo… stai zitta da mezz’ora e mi guardi così».
«Così come?»
«Come se stessi pensando a qualcosa che mi riguarda. Allora, che c’è?»
 
Ellie sorride, arrossendo appena. «Pensavo ai cacciatori».
«In che senso?»
«A come… a come vedono la vita» Dean la guarda perplesso «Dai, lascia stare. Dove siamo?»
«Lexington. Mancano un paio d’ore».
 
Ellie torna a concentrarsi di nuovo sul paesaggio fuori dal finestrino. «Tuo padre ti ha detto per cosa devi aiutarlo?»
«No. So solo che ha bisogno di una mano» e a quelle parole lei annuisce; c’è una cosa che vorrebbe chiedergli da quando sono partiti, però, così si volta di nuovo a guardarlo. «Sei sicuro non gli dispiaccia che ci sono anch’io?»
 
Nella testa di Ellie, John Winchester incarna perfettamente il tipo di cacciatore rude a cui stava pensando poco fa. Non ne è sicura, però, perché lo conosce appena. O forse sarebbe meglio dire che non lo conosce affatto, ma le dà quell’idea di generale addestrato per eseguire gli ordini e tramandarli alla prole, facendogli rispettare tutto un protocollo rigido e indiscutibile.
 
Dean incrocia un attimo i suoi occhi per poi tornare a guardare la strada. «Non vedo dov’è il problema».
«Ma glielo hai detto, almeno?» lui scuote la testa. «No. Devo comunque portarti da Jim, è normale che—»
Ellie quasi salta sul posto e lo guarda attonita «Perché no? Potrei… potrei dargli fastidio».
«Perché mai?»
«Perché non mi conosce. Come io non conosco lui» ed è vero, in fondo le rare volte che l’ha visto – nonostante dia una mano a suo padre per chissà cosa da mesi – non le ha mai rivolto la parola. Dean e papà, invece, dovrebbero conoscersi da quando lui era piccolo, perciò per loro è diverso.

Dean ingrana la marcia e continua a guardare la strada. «Non farti tutte queste paranoie, Ellie. Non sarà un problema per lui».
Ellie fa spallucce e si morde il labbro inferiore, nervosa. «Se lo dici tu» ma ha come l’idea che Dean non aveva neanche pensato alla possibile reazione del padre quando le ha chiesto di andare con lui.
 
Ad Ellie non è dispiaciuta per niente la sua richiesta, anzi. Si è sentita felice come raramente le è successo negli ultimi tempi – compresa e apprezzata davvero da qualcuno –, solo non vuole essere di troppo. Non sa che idea ha John di lei e non vuole creare problemi tra Dean e suo padre. Non sarebbe giusto.
 
Quando si ritrova davanti alla porta della stanza di John e vede la sua faccia, capisce di non aver sbagliato una virgola a pensare che poteva non essere poi così contento quando l’avrebbe vista comparire insieme a suo figlio.
 
John alloggia in uno dei motel a cui è abituata – forse anche un pochino più squallido dei precedenti – e non si scomoda neanche ad abbozzare un sorriso nella sua direzione, nemmeno uno di quelli di circostanza; rifila solo un’occhiata poco rassicurante a Dean.
 
Li lascia passare ed Ellie si sente di troppo e se ne sta impalata accanto alla porta, le mani nelle tasche e i denti a torturare il labbro inferiore, ma nessuno dei due sembra far caso al suo atteggiamento.
 
John illustra il caso a Dean, senza neanche curarsi di chiedergli se sta bene dopo che ha guidato per quasi quindici ore di fila per raggiungerlo il prima possibile e questa è un’altra cosa che Ellie non sopporta di tutti loro. Perché non si chiedono mai come sta l’altro? Affrontano l’Inferno ogni giorno, come fanno a dare per scontato che la persona con cui stanno parlando sta bene?
 
Ha notato che Bobby è un po’ diverso in questo. E anche Dean, ma comincia a pensare che siano delle vere e proprie eccezione in questo mondo.
 
Lo sguardo di Dean la riporta alla realtà. Le fa segno di sedersi accanto a lui, sul letto di John, ma Ellie rifiuta. Già non si sente a suo agio, non vuole peggiorare la situazione.
 
Ascolta con attenzione le parole di John; dice di aver messo gli occhi addosso a Mothman – chiamato anche Uomo Falena –, una creatura che viene avvistata di tanto in tanto nel West Virginia. Dalle descrizioni fatte dai testimoni, si tratta di un essere alto più di due metri, con dei grossi occhi rossi e delle enormi ali, simili a quelle di una falena, ed ha le gambe e il corpo umani.
 
John descrive con dovizia di particolari tutti gli elementi che ha raccolto negli ultimi giorni, un elenco di avvistamenti in West Virginia, Ohio e Kentucky che partono dal millenovecentosessantasei fino a quelli più recenti. In nessuno di questi casi, però, Mothman ha mai attaccato o ucciso esseri umani.
 
«Deve nascondersi nei boschi. Dobbiamo scovarlo e farlo fuori, una volta per tutte».
«Sissignore» Dean scatta in piedi ed Ellie lo osserva con attenzione: le mani lungo i fianchi e il corpo rigido, quasi avesse ricevuto un ordine da un suo superiore, non da suo padre. Non sembra neanche volerlo contraddire in nessun modo.
 
«Ma se non ha mai attaccato nessuno potremmo lasciarlo anche stare» Ellie si morde la lingua immediatamente dopo essersi beccata uno sguardo fulmineo da parte di John, ma non è riuscita a rimanere in silenzio. In fin dei conti, è quello che ha pensato da quando ha cominciato a parlare di questa strana creatura.
«Non mi sembra un valido motivo per lasciarlo in pace. Insegue le persone, è pericoloso». Ellie ora non ribatte, dondolandosi appena sui piedi. Non è d’accordo, ma tanto sicuramente si farà come dice lui, perciò tanto vale tacere.
 
John torna a guardare il figlio «Trovatevi una stanza e fatevi una doccia, stasera andiamo a dare un’occhiata».
«Sissignore» ancora quella parola – un suono così fastidioso alle orecchie di Ellie, quasi stridulo –, poi Dean va verso la porta, ma suo padre lo trattiene richiamandolo. «Aspetta, possiamo fare due chiacchiere… » punta lo sguardo su Ellie «… da soli?»
 
Dean si volta verso di lei che non dice una parola e semplicemente se ne va fuori, chiudendosi la porta alle spalle. Si dirige verso la “reception” – se così si può chiamare il piccolo banchetto con il misero computer che utilizza il proprietario per le prenotazioni – e prende una stanza. Fa per mandare un messaggio con il numero a Dean, ma solo adesso si rende conto di aver lasciato il borsone in quella di John, così torna indietro e quasi si maledice quando sente la sua voce – aspra e tagliente – inveire contro Dean.
 
«Mi era sembrato di aver chiesto il tuo aiuto, non di portarti estranei».
«Ellie non è un’estranea. Poi eravamo da Bobby, non mi sembrava il caso di lasciarla lì. E Jim non risponde» ed è vero, papà è sempre momentaneamente irraggiungibile ed Ellie ci ha provato a chiamarlo, per dirgli che stava bene e aveva concluso il suo lavoro – quello che lui le aveva lasciato –, ma si è ritrovata a parlare con una dannata segreteria telefonica.
 
Appoggia una mano sul muro colorato di verde, forse l’unica cosa che rende questa specie di topaia leggermente più decente; non dovrebbe origliare, non sta bene, ma la voce di John è fin troppo udibile alle sue orecchie e non riesce a farne a meno.
 
«Mi bastavi tu, Dean. Non ho bisogno di altri problemi o di chi mi vuole spiegare come fare il mio lavoro» la sua voce – cupa e bassa, così imponente – diventa un po’ più alta e ad Ellie arriva nel petto come una lama, colpendola nel punto dove più le duole. Sa di non essere poi così brava come cacciatrice, di avere ancora tante cose da imparare, ma sperava di sbagliarsi su John, che le desse almeno una chance – un po’ come ha fatto Bobby –, una possibilità di fargli vedere che con un po’ di impegno può riuscire e può essere utile.
 
E’ stanca di ascoltare e le sembra di violare un momento solo loro – Dean non vede John tanto quanto Ellie non vede suo papà e forse è con lui che dovrebbe e vorrebbe stare invece che “badare” a lei – e torna verso la sua stanza; poi, certe volte, è meglio rimanere nell’ignoranza e tutto quello che ha sentito non è che una conferma di quello che pensava già.
 
Va verso la stanza che ha appena prenotato e si decide a mandare un messaggio a Dean – la sua voce che cerca di difenderla e valorizzarla, per così dire, agli occhi di suo padre si fa sempre più lontana – per comunicargli il numero; entra al suo interno ed è assurdo quanto questa sia più sporca e più incasinata di quelle precedenti, sembra che la cameriera non sia neanche mai passata da quelle parti. C’è anche un’enorme macchia di muffa sul soffitto.
 
Ellie si siede su uno dei due letti, accertandosi che non ci siano chiazze strane anche sulla coperta – quella in alto è più che sufficiente e non vorrebbe neanche soffermarsi a pensare di cosa potrebbe essere imbrattato un copriletto come quello –; non ha sonno, non ha nessuna intenzione di farsi una doccia – almeno non al momento, preferisce lasciare il bagno a Dean – e attende che lui rientri, così da poter prendere il suo computer e fare qualche ricerca. Vuole indagare a fondo prima di stanotte.
Non tutte le creature sono per forza malvagie ed ha la vaga impressione che questa non sia altro che una caccia fatta a caso, perché non si hanno altri pesci su cui scaricare la rabbia. E’ l’impressione che ha avuto non appena John ha cominciato il suo sermone su quanto sia pericoloso l’Uomo Falena.
 
Quando Dean torna in stanza – qualcosa come una mezz’ora dopo – sembra distrutto. Più di quando è arrivato. Le porge il suo borsone «L’avevi lasciato di là» ed Ellie annuisce senza dire nulla; si limita ad aprire il suo sacco e ne tira fuori il suo computer e gli occhiali. Lo appoggia sul tavolo, si siede e comincia a fare ricerche.
 
Dean si fa una doccia con calma e quando esce dal bagno è perfettamente vestito, ma ha ancora l’asciugamano tra i capelli bagnati. Ellie è ancora intenta a fare ricerche ed ha scoperto molte cose interessanti.
 
«Non sei stanca?» tira l’asciugamano dall’altra parte della stanza, centrando il divano, e si butta quasi a pesce su uno dei due letti.
«No, voglio guardare una cosa».
Dean mugola irritato. «Abbiamo viaggiato tuuuutta la notte, mangiato qualche schifezza per strada e tu hai ancora voglia di fare ricerche?»
 
Ellie si alza e si siede sul bordo del suo letto, portando il computer con sé. «Guarda» Dean volta la testa nella sua direzione, gli occhi mezzi chiusi per la stanchezza «Nessuno dei testimoni ha mai trovato sgradevole la presenza di Mothman. Anzi, alcuni lo ritengono una specie di… portafortuna, qualcosa che compare nei momenti critici dell’umanità. Hanno anche fatto una statua in suo onore». [1]
 
Dean punta i gomiti sul cuscino, appoggiando la testa sopra i pugni chiusi, e la guarda. «E con questo?»
«Con questo voglio dire che non è per forza cattivo. Avevo letto di questa creatura in un trafiletto su un giornale tempo fa, per questo ho fatto delle ricerche immediatamente».
Dean si stropiccia gli occhi. «Senti Ellie, il fatto che non ha ancora ucciso qualcuno non lo rende docile e simpatico come ET o un puffo. Insegue la gente, non è un bene».
«E deve morire per questo?»
«Papà ha detto così e così faremo» il suo tono di voce è leggermente più aspro, più aggressivo, anche se di poco.
Lei sposta il computer e lo chiude, appoggiandoci sopra gli occhiali. «Ma—»
«Ellie, dannazione, ho sonno. Sono distrutto, mi lasci dormire in pace?» Ellie abbassa la testa e annuisce, anche se Dean è già voltato da un lato e non la guarda più in faccia. Scende dal letto e prende il laptop per poi appoggiarlo di nuovo sopra la scrivania. «Fatti una dormita pure tu, ne hai bisogno. Stanotte dobbiamo essere riposati».
 
Ellie annuisce a se stessa, poco convinta. Toglie le scarpe e si infila sotto le lenzuola di quello che per chissà quante notti – spera il meno possibile – sarà il suo letto, gli occhi spalancati e nessuna intenzione di dormire. Fa per voltarsi per dire qualcosa a Dean, ma lo sente russare sommessamente e cambia subito idea.
 
Non le interessa cosa ne pensa lui, ma il fatto che l’Uomo Falena sia chiaramente una creatura soprannaturale non dà loro l’autorizzazione di farlo fuori se non se lo merita.
 
*
 
La stanza di John ha uno strano effetto su Ellie. Quell’uomo è in grado di farla sentire grande e ingombrante, di troppo, come un elefante in un negozio di cristalli. Ormai è lì, però, e non può tirarsi indietro.
 
Se ne sta in silenzio ad aiutare Dean a caricare pistole e fucili, mentre John spiega loro il piano d’azione. Anche se non c’è molto da spiegare, in realtà. Devono solo far fuori il disgraziato che il Winchester Senior ha molto democraticamente deciso che devono ammazzare.
 
«E’ stato avvistato per di più sempre nei pressi di una fabbrica. Dovremmo andare da quelle parti a dare un’occhiata».
Dean annuisce silenzioso – almeno per una volta si è risparmiato quella fastidiosissima parola, qualcosa che stona in lui considerando il suo atteggiamento di sempre –, ma Ellie non ce la fa a tacere ancora ed è pronta ad affrontare le conseguenze, se necessario.
 
«Ho controllato: nessuno dei testimoni ha descritto questo Uomo Falena come aggressivo». Ellie deglutisce quando lo sguardo di John si fa minaccioso, ma non molla. «Non capisco perché dobbiamo ucciderlo». Sente anche gli occhi di Dean puntati su di sé, ma non ha alcuna intenzione di rimangiarsi quello che ha detto.
 
«Perché è una creatura sovrannaturale che dà fastidio alla gente comune. E’ questo quello che facciamo noi, Elisabeth. Uccidere queste bestiacce. In fondo, è solo un bene che ancora non ci sia scappato il morto».
«Non è detto che debba scapparci, però. Voglio dire… potrebbe essere innocuo».
 
Lo sguardo di John si fa più intimidatorio; le si avvicina ed Ellie quasi trema «Sentimi bene, ragazzina, nessuno qui ti ha chiesto un parere su quello che dobbiamo fare. Hai molte cose da imparare, perciò, se vuoi farlo, esegui gli ordini che ti do e fallo in silenzio».
 
Ellie abbassa gli occhi e torna a concentrarsi sui proiettili. Non è per niente pentita della sua osservazione, si limita a  non rispondere solo per rispetto di Dean che l’ha portata con sé.
 
Passano molti minuti prima che lui rompa nuovamente il silenzio «Beh, però non ha tutti i torti».
Ellie si volta a guardarlo, confusa, e John fa lo stesso. «Come dici, ragazzo?»
«Beh, voglio dire… se il farfallone è solo uno che guarda la gente ogni tanto, potremmo lasciarlo anche campare, che male fa?» ma si zittisce immediatamente quando riceve un’occhiataccia da suo padre, di quelle che non lasciano tanto scampo ad altre parole.
 
Per tre notti vagano alla ricerca dell’Uomo Falena finché non lo trovano e Dean non si fa scrupoli a sparargli per primo. Ellie rimane concentrata sull’obiettivo, cercando di non pensare a quanto sia un peccato che uno come lui – che è diverso dagli altri cacciatori, più buono e incline ad ascoltare gli altri, a scendere a compromessi se si rende conto di avere torto – si “rovini” in questo modo, dando retta a suo padre senza mai dubitare delle sue parole.
 
Ellie ripensa ai suoi rari racconti su Sam e, stando a stretto contatto con John Winchester, capisce perché il più piccolo dei due se ne sia andato. Da come glielo ha descritto, ha un carattere molto diverso da quello di Dean e probabilmente si è sentito schiacciato da quest’uomo così autorevole e rigido.
 
Quello di cui è assolutamente certa, però, è che la paura di Dean – che suo fratello sia fuggito anche da lui – è assolutamente infondata. Le è bastato passare qualche giorno con John per capirlo e, per quanto non conosca Sam, Dean gliene ha parlato abbastanza da comprendere certi atteggiamenti e chiunque – a parte Dean, per qualche strano motivo – se potesse vorrebbe fuggire da quell’uomo. E’ come un sergente, è arrogante e bisogna obbedirgli e basta. Neanche Dean è perfetto – ed è forse questa la cosa che lo rende più umano agli occhi di Ellie –, ma non è cattivo. Sicuramente non lo è neanche John, ma il problema è come si pone con gli altri, soprattutto con suo figlio, che potrà avere mille difetti ma gli è rimasto accanto e non lo avrebbero fatto tutti.
 
Ellie vorrebbe spiegare tutto questo a Dean, ma non vuole neanche discutere, perciò sa che probabilmente non ci proverà neanche. O forse lo farà – perché non è tanto capace a tenersi le cose dentro, soprattutto quando si tratta di voler aiutare qualcuno – e finiranno per litigare, ma pazienza. Vuole solo essere sincera.
 
Inevitabilmente pensa al suo rapporto con suo padre, a tutto quello che vorrebbe costruire con lui e le piacerebbe che, un giorno, lui possa darle un po’ della fiducia che John ripone in Dean. Perché è vero, non sarà il miglior padre del mondo, ma di tutte le persone a cui poteva rivolgersi ha chiamato proprio suo figlio e per Ellie questo vuol dire qualcosa. Anche se potrebbe dimostrarlo molto meglio a lui, farglielo capire diversamente, ma tutto questo la fa riflettere e la porta a concludere quanto John e Dean siano una famiglia molto più di quanto lei e suo padre siano mai stati.
 
Se c’è una cosa che ha imparato di Dean da che lo conosce è che si spezzerebbe in due per i propri cari ed è proprio mentre questo pensiero le affolla la mente che Ellie vede l’Uomo Falena cadere a terra, praticamente in fin di vita, colpito proprio da Dean ed è John a finirlo, tagliandogli la testa con un machete.
 
Ellie alza lo sguardo su Dean e lo vede immobile a fissare la sua vittima; le grandi ali dell’Uomo Falena sono accasciate sul terreno, i suoi occhi spalancati e vitrei e giace immobile mentre il suo sangue si riversa a terra.
 
Ellie non riesce a smettere di scrutare Dean, studiando ogni suo movimento; non c’è traccia di rimorso o di pentimento nei suoi occhi, soprattutto quando suo padre gli si avvicina appoggiandogli una mano su una spalla, quasi a congratularsi per la “vittoria”.
 
Dean abbozza un sorriso e guarda Ellie e solo allora la sua espressione cambia; si fa appena più mortificato, ma neanche così tanto. Ellie a volte crede che uccidere una qualsiasi creatura sovrannaturale gli provochi piacere, a prescindere che abbia effettivamente fatto del male a un qualche essere umano o no. Quella è l’unica cosa che cambia davvero per lui.
 
Ellie vorrebbe fargli capire che a volte non è l’essere umani a fare la differenza, perché le persone sanno essere bestie esattamente come e a volte anche più di qualsiasi vampiro o licantropo o creatura infernale. E non è l’uccidere i cattivi che ti salva dal diventare un assassino. La linea è davvero molto sottile ed Ellie se ne sta rendendo conto giorno dopo giorno. 
 
Sta di fatto che, se questa creatura era buona e innocua o meno, Ellie non lo saprà mai. Tutto finisce con la sua vita.
 
Tornano al motel dopo essersi disfatti del cadavere e, non appena chiudono la porta, Ellie si avvicina al borsone e comincia a frugarci dentro, in cerca di chissà cosa. Non sa neanche lei cosa sta facendo, vuole solo evitare Dean.
 
Non passa molto tempo prima che lui le appoggi una mano sulla spalla, quasi fosse un invito a guardarlo, ma Ellie non lo fa.
«Che c’è?» lei non risponde, intenta a sistemare una camicia sgualcita, ma la presa di Dean sulla sua spalla si fa più forte. «E’ da quando siamo qui che sei strana. Pensavi non me ne fossi accorto?»
 
Ellie sospira appena abbassando la testa e si siede sul letto, fissandosi i piedi. E’ proprio vero che a volte gli basta uno sguardo, ma forse anche di meno, per capirla.
 
Dean fa lo stesso e passa qualche istante prima che lei alzi lo sguardo e incontri i suoi occhi. «L’altro giorno, quando siamo arrivati… ho sentito quello che ti ha detto tuo padre su di me».
Dean deglutisce e la osserva con attenzione. «Tutto quanto?»
«No. Ero venuta a prendere il borsone, ma sono andata via subito. Parlavate a voce alta, però, perciò vi ho sentito. Non volevo ascoltare di proposito».
 
Dean abbassa lo sguardo per un secondo. «Non ricordo le parole precise, ma… non ha detto quello che ha detto con cattiveria. Voglio dire, non farci troppo caso. Lui è un po’ burbero e—»
«Lo hai detto anche di Bobby, ma lui ha cercato di aiutarmi».
«Perché sono diversi. Papà non è cattivo, è solo stanco e non gli piace condividere troppo».
Ellie sospira di nuovo, poco convinta. «Non avresti dovuto portarmi».
«Invece sì. Papà è un genio, hai imparato qualcosa insieme a lui».
«Oh sì, come si uccidono i mostri a cui sono ispirati i giocattoli dei bambini». [2]
 
Dean si alza in piedi, sbuffando; fa un paio di passi in avanti e poi si volta di nuovo a guardarla. «Ok, anch’io penso che a volte si accanisce sulle cose per rabbia o… o non lo so. Non è così male, però, è un brav’uomo. Cerca solo di fare quello che è giusto».
 
Ellie lo guarda e prova quasi tenerezza per lui in questo momento. Sembra voler fare tutto quello che è in suo potere per difenderlo.
Prende fiato e si inumidisce le labbra prima di parlare ancora. «Io non voglio giudicare. Solo… » si ferma, prima di dire qualcosa che sicuramente non piacerà a Dean «Solo non capisco questo tuo atteggiamento quando c’è lui. Non… non discuti mai le sue scelte, ti limiti ad annuire e ad assecondarlo».
«Oh, andiamo… non è vero. E poi tu fai lo stesso con tuo padre».
Ellie ci riflette un secondo, ma… no, non è proprio così. «No, invece. E’ vero che obbedisco, però… però ci provo a contestare i suoi ordini se mi dice qualcosa che non mi piace. Provo a fare domande, tu non lo fai mai».
 
A quelle parole, Dean sorride ed Ellie non ne capisce il motivo; lo guarda mentre scuote il capo e le si avvicina di nuovo, la testa bassa e lo sguardo rivolto alla moquette. «Parli come Sam».
 
Ellie sbatte le palpebre un paio di volte, perplessa. Allora la sua opinione su Sam non è così sbagliata.
 
Dean si siede di nuovo accanto a lei sul letto, pensieroso. Ellie capisce che questo è uno dei rari momenti in cui ha bisogno di sfogarsi, quando si apre come fa raramente: si passa la mano sulla bocca e la lascia scivolare sul mento, gli occhi sono più attenti e sbatte le palpebre più volte, quasi a doversi convincere che parlare sia la cosa giusta. «So che forse quello che dirò adesso ti sembrerà strano, ma… per me quell’uomo è un eroe. E’ una delle poche cose care che ho rimasto al mondo. Voglio solo stargli vicino come ritengo più giusto».
 
Ellie si volta un po’ verso di lui, guardandolo negli occhi. «Io non dico che questo è sbagliato. E’ giusto che tu voglia bene a tuo padre, anzi più che giusto. Solo che lui… lui ti tratta come un soldato».
«Sì, ma io gli devo tutto. Voglio dire, lui… lui ha fatto del suo meglio per tirare su me e Sam da solo» di fronte a quelle parole, Ellie rimane in silenzio. «Se lo assecondo è solo perché voglio che sia orgoglioso di me».
 
Ellie prova così tanta tenerezza per lui in questo momento che d’istinto allunga una mano e cerca il suo braccio destro, stringendolo appena sopra il polso; Dean dapprima la osserva in modo strano, ma, a giudicare da come lo fa subito dopo, sembra aver capito il perché di quel suo gesto e si limita ad osservarla senza aggiungere altro.
 
Ellie continua a guardarlo negli occhi senza dire nulla. In fondo non è quello che cerca di fare ogni giorno, provare a rendere suo padre fiero di lei? Cercare di dimostrargli che non è un semplice sacco di pelle e vestiti da portarsi dietro?
 
Non può biasimare Dean per questo, solo vorrebbe che pensasse un po’ di più con la sua testa.
 
Ha apprezzato il modo in cui ha cercato di difenderla, di stare dalla sua parte qualche giorno fa di fronte a suo padre, e questo forse può essere un punto di partenza per lui. Forse può imparare ad essere un bravo figlio senza però per forza comportarsi da perfetto soldatino.
 
Gli sorride, cercando di rassicurarlo in qualche modo, e lo guarda comprensiva. Forse in fondo non sono poi così diversi. 
 
[1] Le informazioni trovate da Ellie riguardo al cosiddetto “Uomo Falena” sono vere, facilmente reperibili su Wikipedia o centinaia di altri siti. Esiste davvero una statua a lui dedicata a Point Pleasant, nel West Virginia, e addirittura anche un museo.
[2] Alcuni autori di giochi si sono ispirati alla figura dell’Uomo Falena per creare una serie di giocattoli e videogiochi.

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Capitolo 12
*** The diary we carry with us ***


Note: … sorpresa! :D 
Come vi avevo annunciato, la scorsa settimana l’ho passata ad orientarmi da queste parti, tra il fuso orario differente e tutte le varie informazioni nuove da assorbire.
Ho testato la velocità della mia connessione rispondendo alle vostre ultime recensioni e, fortunatamente, è piuttosto buona. Oltretutto, ho pensato che il martedì, finché sarò qui, è un buon giorno per pubblicare, perché ho la mattina libera. :)
Le cose torneranno com’erano quando tornerò a casa, dopo il 24 di agosto, quindi questo leggero cambio di programma è solo temporaneo.
Faccende “burocratiche” a parte, spero che questa piccola anticipazione al martedì non vi dispiaccia e che questa storia vi sia mancata almeno un pochino in questa settimana di assenza.
Vi anticipo che questo capitolo – che, per certi versi, è un po’ di passaggio – avrà un setting un po’… particolare, diciamo inusuale per Supernatural. E’ una parte a cui sono molto legata, perciò a maggior ragione spero che comunque non lo troviate una forzatura.
Non ho fatto in tempo a rileggere tutto, quindi se c’è qualche errore non esitate a segnalarmelo ;)
Il capitolo è già piuttosto lungo di per sé, perciò vi lascio e vi aspetto la prossima settimana! A presto! :D

 
Capitolo 12: The diary we carry with us
 
Memory is the diary
We all carry about with us.
 
(Oscar Wilde)
 
 
Si muove tra le lenzuola e si accomoda meglio, stirando appena i muscoli delle gambe mentre una melodia lontana si avvicina sempre di più alle sue orecchie, facendolo sospirare irritato.
 
E’ evidentemente mattina e Dean è sdraiato su un fianco, le braccia quasi conserte a stringere le coperte contro il petto. La musica continua a suonare e una fastidiosissima voce femminile gli si infila nelle orecchie.
 
When you’re alone and life is making you lonely you can always go downtown… [1]
 
Qualche secondo dopo quella musichetta irritante è svanita e Dean espira ancora, quasi sollevato. Ellie deve aver spento la sveglia. Maledetto il giorno in cui ha scoperto come modificare la suoneria e ci ha messo quella dannata canzone, così che ogni mattina che passa insieme a lei è praticamente obbligato a sentirla.
 
Apre solo un occhio, per niente intenzionato ad alzarsi, e osserva Ellie seduta sul bordo del letto alla sua destra. Gli dà le spalle, la lunga maglietta rossa che le fa da pigiama, i capelli legati in una lunga treccia che sposta da un lato – come mai non se li è sciolti e ci è andata a dormire è un mistero per Dean – e allunga le braccia verso l’alto per stirarsi la schiena. Si alza e Dean chiude gli occhi di nuovo, fingendo di dormire ancora. L’ultima cosa che vuole è che lei cominci a parlargli così da farlo svegliare del tutto, preferisce che non sappia che quella stupida musichetta – che tra l’altro lei continua a canticchiare, maledetta – gli si è infilata nelle orecchie fino a destarlo.
 
La sente chiudere la porta del bagno e sospira con il naso, accomodandosi meglio tra le coperte e cercando di riprendere il sonno da dove l’ha lasciato, ma sente uscire Ellie poco dopo e, quando riapre gli occhi, se la ritrova di fronte, con le mani appoggiate al bordo del suo materasso e la lunga treccia che le pende in avanti, quasi a sfiorare la figura di Dean che indietreggia di riflesso; lei gli sorride.
 
«Dormi o no?» Dean si stropiccia gli occhi sospirando irritato e si sdraia di schiena, grattandosi il petto da sopra la maglietta grigia. Ellie ride e si siede accanto a lui, senza invadere troppo il suo spazio personale.
«Dormivo… finché la tua stupida sveglia non mi ha disturbato».
Ellie lo guarda quasi mortificata «Ma ho messo la suoneria bassissima».
«E’ la voce di quella che mi entra nelle orecchie! Cristo santo, perché di tutte le canzoni al mondo hai scelto proprio quella per svegliarti la mattina?»
 
Ellie abbassa lo sguardo, le sue labbra si curvano in un piccolo sorriso e Dean teme per un secondo di aver detto qualcosa di sbagliato. Di solito Ellie fa così quando si nomina sua madre. «Era la canzone preferita della mamma» ecco, appunto. La guarda con attenzione ed Ellie punta gli occhi nei suoi. Non sembra offesa. «La cantava sempre quando aveva una giornata storta. Le ridava il sorriso».
 
Si alza e va verso l’armadio. Dean si mette a sedere tirandosi su con la schiena e appoggiandosi alla testiera del letto e la osserva, nonostante l’anta aperta del mobile gli blocchi la visuale.
 
«Dove andiamo oggi?»
«Dove vuoi» la testa di Ellie sbuca da dietro lo sportello, le dita sottili a tenerlo fermo, e guarda Dean. «Non abbiamo nessun caso?»
Dean scuote la testa sorridendo appena «E non ho nessuna intenzione di cercarne uno» e lei lo guarda perplessa. «Questa sì che è una sorpresa».
 
Dean si stropiccia gli occhi. La sente armeggiare con i vestiti e può scorgere le sue gambe alzarsi una alla volta per permetterle di infilarsi qualcosa.
 
Da una settimana ormai suo padre e Jim sono spariti per un caso nel Maine. Li hanno lasciati da soli – come succede sempre più spesso e sempre per più tempo – a risolvere una faccenda di fantasmi di nonnette e spiriti poco carini ed ora che è conclusa e hanno cambiato aria, dei loro padri continua a non esserci l’ombra e Dean non vede perché debbano rimettersi subito al lavoro. «Abbiamo appena finito una caccia. Non ho voglia di cercare qualcosa».
 
Ellie rimane in silenzio per qualche secondo, poi spunta fuori dall’armadio vestita – un paio di jeans scoloriti a fasciarle le gambe e una maglietta a maniche corte celeste – ed ha una strana espressione sul viso, le labbra strette tra i denti, e tra le dita si rigira la punta della treccia. «Effettivamente è presto, ma… non so, tu che vuoi fare?»
 
Dean sorride appena «Un’idea ce l’avrei».
 
*

Dean non è mai stato tanto a lungo in un posto vicino all’oceano. Sa che a Sam sarebbe certamente piaciuto – non sa perché, ha solo quest’idea di Sammy sdraiato a prendere il sole e a sorseggiare una bevanda fresca come uno stoccafisso.
 
Hanno avuto tante “case” – se così si possono chiamare i motel in cui alloggiano in continuazione –, hanno fatto innumerevoli traslochi ma mai in un posto vicino all’oceano, o almeno non per tanto a lungo e Dean oggi ha deciso che è il momento di prendersi una vacanza, anche se durerà solo un giorno o due, e vuole farlo in un posto dove può sentire il profumo della salsedine arrivargli alle narici.
 
Erano a Sandy, nell’Oregon, e a Dean è bastato prendere in mano la cartina per trovare un posto abbastanza vicino a qualche spiaggia dove poter passare qualche giorno. Ellie non ha fiatato, si è limitata a guardarlo con gli occhi luccicanti e Dean l’ha preso come un buon segno. Vuol dire che la sua idea non è stata poi così male.
 
La guarda mentre è affacciata fuori dal finestrino dell’Impala e delle ciocche di capelli le volano via dalla lunga treccia e svolazzano qua e là. E’ da quando sono partiti – un paio d’ore fa – che è irrequieta, ma non in senso negativo, semplicemente sembra non stare nella pelle. Fa sempre così quando hanno un caso per le mani, ma oggi è diverso, oggi sembra davvero contenta.
 
Appoggiano i bagagli in una stanza – solito motel da quattro soldi ai lati della strada, ma Dean ha idea che non ci passeranno tanto tempo stavolta – e corrono in spiaggia.
 
Il vento tira forte ma non fa freddo, l’aria di giugno è frizzantina e il sole picchia sulla testa e riscalda quel tanto che basta da permettergli di lasciare le giacche in macchina.
 
Pranzano in un ristorantino ai lati della spiaggia, situato su una specie di casupola di legno, alla fine di un pontile. Ellie osserva il paesaggio con occhi attenti, il pugno chiuso sotto il mento e Dean mastica il suo boccone e la guarda curioso. «Non l’avevi mai visto?»
Lei si volta e sbatte le palpebre un paio di volte. «Cosa?»
«L’oceano».
Ellie scuote la testa. «Quando ho detto di aver vissuto sempre a Buckley intendevo letteralmente. La mamma aveva un sacco di impegni con la tavola calda che gestiva e, se ci prendevamo una vacanza, era per un giorno o due e lì vicino. Non avevo mai viaggiato così tanto».
 
Dean annuisce. Non ne è stupito, in realtà. Più di una volta si è accorto di quanto Ellie si guardi intorno quando parcheggia l’Impala in un posto nuovo, sempre in cerca di nuovi dettagli e nuovi colori, quasi voglia imprimere nella mente ogni scorcio e ogni sfumatura di quei luoghi per non scordarli più. Pensava che fosse solo un modo di fare, una delle sue tante stramberie, ma adesso capisce che invece è la sua maniera di scoprire il mondo.
 
Lei punta lo sguardo nuovamente all’oceano, al moto delle onde che s’infrangono sulla spiaggia «Possiamo fare il bagno, se vuoi» a quelle parole, Ellie si volta di nuovo verso di lui, gli occhi più grandi e le guance le si colorano di rosso, di botto. Abbassa lo sguardo «Meglio di no» e Dean non riesce a capire cos’ha detto di tanto sbagliato. «Non ho neanche un costume».
«Sai quanti ne vendono da queste parti? Potremmo trovarne uno» ma Ellie scuote la testa, ributtando di nuovo gli occhi verso l’oceano e Dean capisce che il suo è puro imbarazzo. Forse non vuole farsi vedere così da lui – con solo un paio di strisce di stoffa addosso – e decide di non insistere. Non vuole metterla a disagio in nessun modo.
 
Una passeggiata, però, decidono di concedersela ed Ellie è decisamente più felice di quella proposta, forse soprattutto perché è accompagnata da un buon cono gelato. Ormai Dean la conosce da un po’ e gli è chiaro che tutto ciò che è dolce, per lei, è buono. Ed ha questa strana predilezione per i gelati e le torte al cioccolato.
 
Camminano a lungo, le scarpe in mano e i piedi scalzi. Fa caldo ed Ellie ha deciso di cambiarsi; ora indossa una canottiera bianca in tinta unita, semplice e non troppo scollata sul davanti, e – cosa strana – una gonna a balze nera che le arriva più su delle ginocchia. Di solito mette i pantaloni – almeno quando non sono “in servizio” –, ma a Dean quell’abbigliamento non dispiace. Forse ha deciso che può sentirsi comoda così.
 
E’ una cosa che ha notato ultimamente: Ellie sembra sentirsi a suo agio con abiti meno… “maschili” anche quando non hanno una caccia. Continua a conservare l’odio per i tacchi, però. Non fa che lamentarsi quando ne mette un paio.
 
La spiaggia è piena di famiglie ed Ellie fa un sorriso a tutti i bambini che le passano accanto, per poi fermarsi ad osservarli camminare o rincorrersi. E’ davvero troppo giovane anche per pensarci, ma Dean pensa che potrebbe essere un’ottima mamma, se ne avesse la possibilità.
 
A Dean mancava la sensazione della sabbia sotto i piedi e l’aria colma di salsedine ad accarezzargli la pelle. E’ tanto tempo che non si ferma in una spiaggia per un po’ [2], gli ci voleva questo pit-stop. E poi è contento di vedere tranquilla e rilassata Ellie.
 
Si siedono in un posto isolato, lontano dagli schiamazzi dei ragazzini che fanno il bagno e dalle persone comuni e osservano il panorama di fronte a loro senza dire niente per un po’. Il vento non è troppo forte, c’è solo una brezza leggera.
 
Dean, le ginocchia piegate al petto e le braccia appoggiate lì sopra, si ritrova a pensare all’ultima volta che ha visto un posto così. Dev’essere stato più di un anno fa e c’era ancora Sam insieme a lui. Non sapeva che sarebbe andato a Stanford ed era tutto più o meno tranquillo. Lui e papà litigavano come sempre, ma non c’era nessuna forte burrasca in arrivo e le cose andavano bene, per quanto sia mai andata bene tra le mura invisibili di casa Winchester.
 
E’ passato quasi un anno da quei giorni, da quando Sam gli ha detto che se ne sarebbe andato, eppure gli manca come il primo giorno. Non riesce a fare a meno di pensarci, ma negli ultimi tempi ha constatato di stare meglio. Non si sveglia più in preda al pensiero di suo fratello, è più… tranquillo. Continua a non avere alcuna intenzione di telefonargli e tutto il resto, ma si sente un po’ più in pace riguardo la decisione che ha preso – rispetto alla sua vita e allo studio, un po’ meno sul tenerlo a distanza – e forse un po’ è merito di Ellie, che quando c’è riesce a distrarlo. Lei ha questa capacità di fargli porre la concentrazione in altre questioni a volte più stupide e altre – forse – più serie, ma ultimamente è sempre più raro che pensi a lungo a Sam quando c’è anche lei. Qualcosa le ha raccontato, ogni tanto capita, ma poi passa e anche Sam sembra più lontano dopo, come se il parlarne insieme a lei riesca ad alleviargli un po’ il dolore.
 
La osserva con la coda dell’occhio – il suo viso rivolto verso l’oceano e gli occhi attenti a seguire ogni sfumatura di azzurro, ogni minimo movimento – e se ne sta in silenzio, lo sguardo concentrato e tranquillo. Anche Dean non parla, si gode il panorama e la brezza leggera e gli ci vorrebbe una birra per completare il quadretto, ma forse va bene anche così.
 
«Posso farti una domanda?» saranno passati almeno cinque minuti dall’ultima volta che Ellie ha aperto bocca e Dean si volta a guardarla, gli occhi di lei curiosi ma appena insicuri, come se stesse per chiedere chissà cosa di imbarazzante o estremamente delicato. Dean annuisce «Tu credi nell’amore?» e fatica parecchio per non scoppiare a ridere. Forse perché è una domanda che – almeno così esplicitamente – non gli aveva mai fatto nessuno e poi di certo non se l’aspettava. «Non quello della famiglia, intendo dire quello tra due persone».
Dean sorride per prenderla in giro «L’avevo capito».
«Beh, allora… allora rispondi».
 
Dean si prende un po’ di tempo per farlo mentre Ellie continua a guardarlo, in attesa. «Sinceramente non lo so. Io… io credo solo a quello che vedo e non ho mai visto niente del genere».
Ellie sorride «Ma non è qualcosa che vedi a occhio nudo. Lo percepisci, lo senti».
«Ma non ho mai sentito niente del genere per nessuna».
«Quindi per te non esiste?»
«Non lo so, perché me lo chiedi?»
 
Ellie prende un profondo respiro e non lo guarda, gli occhi rivolti verso un punto lontano nell’orizzonte. «Perché a volte ci penso. Voglio dire, penso… a come potrebbe cambiare la mia vita se trovassi una persona con cui condividerla, qualcuno che mi capisca e che mi voglia bene davvero. A te non succede mai?»
Dean non ha tanto bisogno di pensarci «Io non posso permettermi un pensiero simile» e lo sguardo che gli rivolge Ellie adesso è così triste, pieno di una brutta consapevolezza, come se avesse capito di colpo come funziona per un cacciatore. «Non posso avere niente del genere».
«Per questo salti da un letto all’altro?»
«Sono fatto così. E non ho illusioni, so di non potermi concedere nient’altro».
Ellie sbuffa appena «Per me è una scusa» Dean la guarda negli occhi, accigliato. Non ha capito una parola di quello che le ha detto o lo prende in giro? «Essere un cacciatore per te è una scusa per non lasciarti andare».
«Come faccio a farlo se viaggio da un posto all’altro in continuazione e non posso parlare a nessuno del mio lavoro?»
 
Ellie rimane in silenzio per un attimo, pensierosa. «Boh, forse hai ragione» ma a Dean tutte queste domande lo hanno inevitabilmente incuriosito e vuole spostare l’argomento su di lei.
«Non capisco perché mi chiedi queste cose però».
Lei lo guarda perplessa «Te l’ho già detto, è perché—»
«No, no… non me la bevo. C’è qualcos’altro sotto».
 
Ellie abbassa lo sguardo e annuisce. Dean sorride soddisfatto; ormai ha imparato a conoscerla e sa quando vuole arrivare a dirgli qualcosa. Passa sempre per dei lunghi discorsi, quasi a voler sondare il terreno prima e poi andare al dunque. Non è certo che il suo giudizio sia davvero influente se lei vuole parlargli di qualcosa, ma piuttosto che quel suo girarci intorno non sia che un preambolo, un modo come un altro per iniziare il discorso. «E’ che… non… »
«Ti sei innamorata del bagnino e devo presentartelo?» Ellie scoppia a ridere e scuote la testa con forza «Perché mi alzo e lo faccio, non c’è problema» anche Dean ride divertito, ma non lo sa se lo farebbe davvero.
«Non ci provare» sorride e stringe a sé le ginocchia «E’… complicato» è più seria adesso, la mascella contratta e lo sguardo insicuro.
 
Dean aspetta qualche secondo prima di rispondere «Non hai mai avuto un ragazzo? Credevo di sì» e a quel pensiero ne segue un altro, perciò aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Voglio dire, non eri tu quella che faceva distinzioni di genere tra sesso e… sesso?»
Ellie lo guarda di sbieco «Non ricominciare, te l’ho già spiegato» sorride e scuote appena la testa, come a rendersi conto che su quell’argomento non troveranno mai un punto in comune «Sì, c’era un ragazzo quando andavo al liceo. Ci sono stata anche per un po’, a dire il vero».
«Quanto?»
«Qualche mese. Era gentile e generoso, mi riempiva di attenzioni ed io ci stavo bene, anche se… » prende fiato per un attimo «Anche se non sono mai riuscita ad aprirmi del tutto con lui. Credevo fosse normale, però, visto che c’era ancora la mamma e con lei parlavo sempre di qualsiasi cosa. L’ho lasciato quando lei si è ammalata. Lui c’è rimasto male, però… però io non volevo pensare a nient’altro che a lei. Non volevo ci fosse qualcuno a rubarmi del tempo prezioso che potevo passare con lei».
 
Dean la ascolta in silenzio. Chissà a quante cose deve aver rinunciato Ellie per passare del tempo con sua madre, ma non se ne stupisce: ha dedotto da tempo che tanto di quello che ha fatto era per “sdebitarsi”, in un certo senso, con lei. Deve aver capito molto presto quanto la vita di sua madre fosse piena di rinunce, e lei, in un modo tutto suo, deve aver cercato di ricambiare. La conosce abbastanza da sapere per certo che è così.
 
«Quindi, boh… non so se conosco l’amore. Voglio dire, a sedici anni cosa ne sai? Ero molto attratta da lui e certamente mi sentivo innamorata, all’epoca, ma… chissà, forse adesso sarebbe differente. Forse potrei… stabilire una connessione diversa con qualcuno, più profonda. Sarebbe bello scoprirlo».
 
Lo guarda e Dean non crede di aver capito il punto. In realtà spesso non capisce se Ellie gli parla di alcune cose perché si fida a tal punto da aprirsi così o perché vuole semplicemente parlare con qualcuno. All’inizio sicuramente era così, forse adesso è un po’ diverso. In fin dei conti si conoscono da mesi e parlano molto – molto di più di quanto Dean abbia mai parlato con qualcuno, Sam incluso – e forse per lei è diventato naturale confidarsi e parlare con lui di certe cose. Anche se fa fatica e ogni tanto arrossisce per l’imbarazzo che sente.
 
«E non c’è stato nessun altro? Insomma, tu una vita normale ce l’avevi, possibile che non—»
Dean si interrompe quando la vede abbassare lo sguardo, di botto. «Sì, ma… è una cosa di cui mi vergogno».
Lui si umetta le labbra; è curioso, a questo punto, ma sa che non insisterà più di tanto se lei non vorrà parlargliene. «Come vuoi, se non me lo vuoi dire va bene».
 
Ellie si morde le labbra, inquieta, poi prende un sospiro e fa spallucce «Si… si chiamava Thomas. Lo vedevo sempre a scuola; era più grande e bello e anche se mi piaceva non avevo mai cercato un approccio per timidezza, o non lo so. L’ho incontrato ad una festa di compleanno, lui si è avvicinato ed ha cominciato a parlarmi e siamo finiti in una stanza. Non so perché gli ho detto di sì» abbassa nuovamente lo sguardo, sospirando appena «Avevo quindici anni e non ero… non ero mai stata con nessuno, prima».
 
Oh, beh, Dean questa proprio non se l’aspettava «Però, precoce la ragazza» cerca di metterla sullo scherzo, ma Ellie non sembra dello stesso avviso.
«Lo so, ho sbagliato» incrocia le gambe e rigira le dita tra di loro, nervosa «E’ per questo che è qualcosa di importante, per me. Perché mi sono resa conto di aver sprecato una cosa bella e mi sono pentita e non voglio farlo più».
«Non l’hai più visto, dopo?»
Ellie scuote la testa «Chissà che idea si è fatto di me. E ne ha tutte le ragioni» sorride amara «Per fortuna non l’ha detto a nessuno, almeno. Forse si vergognava di essere venuto a letto con una come me» deglutisce «Non mi stupirebbe… ma perlomeno ho continuato ad essere solo “quella strana” e non mi sono beccata pure la fama della troietta. Ci mancava solo quello» scuote appena la testa e Dean non sa davvero cosa dire. Non ha cambiato idea su di lei dopo questa cosa, non gliene importa niente in realtà. Capita a tutti di fare cazzate. «Non l’ho mai raccontato a nessuno, solo alla mamma. Quando sono tornata a casa, quella sera, lei mi aspettava ancora in piedi; era tardi e quando mi ha vista tanto stravolta è stato naturale per me dirle cos’era successo e lei mi ha guardata, gli occhi grandi e comprensivi, e mi ha chiesto solo se mi aveva fatto male. Non era così, non sentivo male, era solo che me l’ero immaginato diverso» guarda Dean negli occhi intensamente «Puoi prendermi in giro quanto vuoi, ma per una ragazza… per me… è una cosa… speciale. Io ho sbagliato perché non è stato né bello, né brutto… non aveva niente di speciale».
 
Dean si prende un momento prima di risponderle. In fondo, non c’è così tanto da stupirsi. Ellie mette il cuore in ogni cosa che fa, è comprensibile che si aspettasse qualcosa di diverso. «Eri una ragazzina, abbiamo fatto tutti delle stronzate a quell’età. Forse credevi che era giusto» Ellie continua a guardarlo senza battere ciglio «A volte uno deve fare le cose senza pensare».
Lei sorride debolmente «Tu lo fai anche troppo spesso».
 
Ecco, ora è lei a buttarla sullo scherzo, forse non ha più voglia di parlare adesso «Stai cercando di offendermi, per caso?» Ellie scuote la testa divertita e sorride con più convinzione ed i suoi occhi sono così pieni di gratitudine per qualcosa che Dean non comprende inizialmente, poi lo fa.
 
Ellie è spontanea, sincera e allegra con tutti, non porta rancore praticamente a nessuno – neanche a questo tipo che a quanto pare non ha fatto altro che usarla –, però fatica ad aprirsi completamente. Lo ha fatto solo con sua madre e, ormai sempre più spesso, lo fa con Dean, in un modo in cui lui non riuscirebbe mai a fare e non sa come sentirsi di fronte a quelle confessioni a cuore aperto. Non è neanche sicuro di meritarle, ma gli basta guardarla negli occhi per capire che se lo ha fatto, se si è aperta a tal punto da confidargli una cosa del genere, Dean deve aver fatto qualcosa per guadagnarsi tutta questa fiducia. Sarebbe curioso di capire cosa, però, lui che non crede di essere mai riuscito a meritarsi qualcosa di bello da qualcuno.
 
E’ ancora immerso in quei pensieri quando Ellie si alza su di scatto, si liscia la gonna togliendosi tutta la sabbia incastrata tra le pieghe di tessuto e gli prende le mani tirandogli le braccia verso di sé per costringerlo ad alzarsi. «Dai pigrone, andiamo. Voglio vedere cosa c’è più avanti»
 
Dean si mette in piedi e lei lo guarda divertita, camminando all’indietro e trascinandolo ancora senza fermarsi fino a quando non è sicura che la seguirà.
 
Per il resto del tragitto parlano senza seguire nessun discorso serio; Ellie ride gioiosa quando Dean fa una qualche battuta e sembra che tutto quello che gli ha raccontato è solo un pallido ricordo, tanta è la spensieratezza con cui si lascia andare alle risate e Dean è sempre più convinto che hanno fatto davvero bene a prendersi dei giorni lontano da cacce e doveri, che era proprio di leggerezza che avevano bisogno.
 
*
 
Dean pigia i tasti del telecomando praticamente a caso, senza fare particolare attenzione al canale che imposta.
 
Sta così da almeno un’ora, le braccia conserte e le gambe accavallate sopra il suo letto, cercando di trovare qualcosa da guardare che possa piacergli. Vorrebbe andare a prendere un film ed è certo che Ellie lo asseconderebbe e gli farebbe compagnia, ma poi si addormenterebbe a metà, quindi forse è meglio non chiedere.
 
Butta un occhio sul suo cellulare, immobile sul comodino al suo fianco. Sono a Lincoln City da tre giorni e non ha idea di quante volte ha chiamato suo padre per sapere cosa dovevano fare, se tornare da lui e Jim o cercarsi un caso, ma ultimamente per l’attività soprannaturale sembra esserci una strana calma piatta – cosa che non riguarda quello che stanno cercando Jim e suo padre, a quanto pare – quindi è da tre giorni che lui ed Ellie sono praticamente disoccupati e se la cosa non gli dispiaceva all’inizio, adesso un po’ comincia ad essere stanco. Non per Ellie, che è di ottima compagnia, ma per la situazione che si è venuta a creare tra lui e John. Si comporta così da mesi, cercando di tenerlo a distanza il più possibile e Dean ne è stufo. 
 
Hanno fatto il giro della città un paio di volte, mangiato di tutto; Ellie si è ritagliata pure un momento della giornata di ieri per fare un po’ di quello che lei ha definito “sano shopping” e va tutto bene, davvero, solo che… è davvero seccato da tutta questa storia di suo padre. Sarebbe più tranquillo se avesse almeno risposto ad una telefonata con un semplice “sto bene”. Se lo farebbe bastare.
 
Osserva Ellie sdraiata a pancia in giù sul letto al suo fianco, gli occhiali appoggiati sul naso e i capelli raccolti in una coda storta. E’ concentrata sul libro che sta leggendo – “Alice nel paese delle meraviglie” e dice che è una delle cose più belle che abbia mai letto, mentre Dean ha visto solo il cartone animato e l’ha trovato così caotico e strampalato da non arrivare neanche alla fine – e la sente solo sfogliare le pagine. Qualche volta c’è da chiedersi se sta respirando, tanto è silenziosa.
 
Dean sbuffa e spegne la TV, appoggiando il telecomando sul materasso con poco garbo – tant’è che questo fa un paio di balzi prima di atterrare sul letto – e si mette le mani dietro la schiena, sospirando appena. E’ solo allora che Ellie gli dà udienza. «Che fai?» lo guarda con gli occhi curiosi e attenti.
«Mi annoio. In televisione non c’è niente».
 
Ellie annuisce. Dean è sicuro che si è accorta del fatto che si è stancato di qualcosa, che è più nervoso rispetto al primo giorno di questa stramba vacanza che aveva deciso di prendersi. Sicuramente sa anche che non è colpa sua; lei non ha nessuna colpa se suo padre è sempre più lontano da lui, se lo mette sempre più in disparte.
 
A volte si chiede come diavolo faccia Ellie con Jim, visto che lui non fa altro che ignorarla costantemente.
 
Ellie chiude il libro e si toglie gli occhiali, appoggiandoli lì accanto. Lo guarda senza dire nulla e il suo sguardo si accende; Dean sa che quando fa così è perché sta architettando qualcosa e non fa in tempo a capacitarsene che la vede schizzare giù dal letto e dirigersi verso l’armadio.
 
La osserva curioso, ma lei è così veloce che non fa neanche in tempo a vedere cosa prende da lì dentro perché lo arraffa insieme, creando un mucchietto di vestiti, e poi corre in bagno neanche avesse visto la morte in faccia.
 
Dean ha scoperto da un po’ che ad Ellie piace molto fare scherzi. Sempre più spesso è vittima delle sue marachelle, cose stupide come rubargli vestiti o nascondere le sue cose in giro per la stanza. Dean all’inizio pensava che fosse solo un modo per farlo arrabbiare, poi ha capito che vuole solo giocare con lui che, ogni tanto, trova il modo per contrattaccare, ma finora è lei a detenere il premio come “miglior burlona”. Dean, comunque, è sicuro che non durerà a lungo. Deve solo trovare il suo punto debole.
Quello in cui è molto brava è coglierlo di sorpresa: a volte, ad esempio, gli fa delle domande sciocche dal nulla e quando Dean incrocia il suo sguardo per dirle che è un’idiota a pensare certe cose – e ancora di più a dirle –, lei lo guarda e scoppia a ridere, perché ogni volta riesce a farlo cascare nei suoi scherzi.
 
Quando torna – qualcosa come dieci minuti dopo – indossa un paio di jeans e una camicia lunga, aperta sopra una maglietta in tinta unita; sopra la camicia, una giacca verde gigante – è per caso di Dean? – e cammina molleggiando sulle gambe, le braccia lontane dal corpo. Si volta a guardarlo e scoppia a ridere, ma Dean non ha la più pallida idea di quello che sta facendo.
 
Poi torna seria e si schiarisce la voce «Chi ti sembro?»
Fa un giro su se stessa, quasi inciampando e Dean capisce il perché quando si sporge a guardarle i piedi e le vede indossare i suoi scarponi – ovviamente immensi per quei suoi piedini minuscoli.
«Quando me li hai rubati quelli?» ora che ci pensa forse li aveva lasciati in bagno, ma Ellie gonfia il petto e scoppia di nuovo a ridere senza riuscire a rispondergli. Si tiene la pancia e sembra non riuscire a trattenersi e per Dean adesso è tutto chiaro «Fammi capire, stai cercando di imitare… me?»
«Ma certamente!» fa la voce più grossa del solito, altro chiaro segno di quello che sta facendo «Non era evidente?»
 
Dean scuote la testa divertito. Alla fine con lei non riesce mai ad annoiarsi. Afferra il cuscino accanto al suo e glielo lancia, ma lei lo prende con entrambe le mani e gli sorride.
«Non tirarmi i cuscini, Winchester, la mia è un’ottima interpretazione».
«Ti butterei addosso una scatola piena di pomodori se ne avessi, perché è quello che ti meriti… Davis!»
 
Ellie abbassa lo sguardo e il suo sorriso divertito si trasforma velocemente in qualcosa di amaro. Dean capisce di aver sbagliato qualcosa e si tira su con la schiena, mettendosi seduto. «Ho detto qualcosa che non va?»
Lei scuote la testa e siede lì accanto, lo sguardo fisso sulla moquette ed è assolutamente chiaro che non ha più voglia di scherzare.
 
«Non… non è colpa tua. Certe cose non puoi saperle» alza lo sguardo su Dean «E’ che… non è quello il mio cognome».
Dean allarga gli occhi, perplesso. Effettivamente è qualcosa che non le ha mai chiesto, ma dava per scontato che… che sei uno stupido, Dean. Cosa c’è da dare per scontato con un padre come Jim?
«Non… » deglutisce, non sa come porgerle la domanda che ha in mente «Tu e Jim non—»
 
Ellie scuote la testa. «Sai com’è fatto, è il classico tipo di persona che non si fida di nessuno. Qualche giorno dopo il funerale della mamma, ha… ha richiesto un test di paternità» abbassa lo sguardo velocemente e sospira forte. Dean le si avvicina quasi di riflesso, facendo leva sui piedi per poi incrociare le gambe quando le è accanto. «Voleva… assicurarsi che fossi davvero sua figlia».
 
Dean la ascolta in silenzio. Senz’altro c’era da aspettarselo da uno come Jim. Che poi è anche un po’ nell’indole dei cacciatori voler essere sicuri di tutto, avere una certa mancanza di fiducia per ogni cosa, ma perlomeno poteva credere alla parola di una donna moribonda, almeno… avrebbe potuto evitare un altro dolore ad una persona che lo ha cercato e aspettato per tutta la vita e che aveva perso una figura importante solo qualche giorno prima.
 
«Ovviamente è stato positivo. La mamma non era una bugiarda e… » Ellie deglutisce, togliendosi gli scarponi di Dean e allontanandoli quasi con rabbia «E non mi ha mai mentito su questo. Era onesta, soprattutto con me». Tira su col naso, sembra quasi sul punto di piangere, ma non lo fa. Dean non riesce a capacitarsi di come riesca a trovare la forza per buttare fuori certe cose senza mai versare una lacrima. «Non mi ha neanche chiesto se volevo cambiare cognome, ma non lo avrei fatto. E’ una delle poche cose della mamma che mi resta».
 
Tiene ancora lo sguardo basso, però sorride adesso, chissà cosa le frulla per la testa. «Come si chiamava tua madre?»
Ellie si volta e lo guarda, gli occhi luccicanti «Sarah… Sarah Morgan. E’ questo il mio cognome. Non lo sostituirei mai con quello di papà, io… io sono fiera di portare il cognome della mamma. E’ una delle cose che non cambierei per niente al mondo».
 
Dean sorride appena, ammirando silenziosamente la sua forza di volontà. «Scusa per quella battuta, io non lo sapevo».
«Te l’ho detto, non puoi sapere tutto. Non fa niente, non… non scusarti di niente» si alza e appoggia la giacca di Dean sull’appendiabiti, per poi tornare a rovistare dentro l’armadio. Stavolta ne estrae una specie di quaderno rilegato in pelle.
 
Si avvicina di nuovo e siede sul letto, ancora accanto a Dean, e gli porge quello strano taccuino; lui la guarda curioso «Cos’è?»
Ellie gli sorride «Aprilo» e Dean obbedisce anche se non capisce fino in fondo il perché di questa cosa. «Ti faccio vedere la mia mamma».
 
Dean scorre le pagine con attenzione – è chiaramente un oggetto importante per Ellie e cerca di trattarlo con estrema cura – e quello che trova è un insieme di fotografie e disegni. «Li hai fatti tu?»
Ellie annuisce e sorride appena e Dean continua a sfogliare, curioso. Non è un esperto di disegni – non sapeva neanche che Ellie sapesse disegnare, non glielo aveva mai detto prima –, ma quelli che vede sono fatti molto bene, precisi e curati nei dettagli.
 
Il volto che compare di più è quello di una donna adulta e Dean non ha bisogno di trovare una fotografia per sapere di chi si tratta. La trova qualche pagina più avanti, ed ora oltre ad un volto ha anche i colori che le appartengono: i tratti del viso sono gentili, gli zigomi appena pronunciati, le fossette sulle guance, i capelli biondi e gli occhi blu esattamente come quelli di Ellie che non ha fatto altro che disegnare il volto di sua madre in tutto il quaderno.
 
Una foto la ritrae insieme ad Ellie ancora bambina che si stringe alla mamma con una margherita in mano; aveva già le trecce e le lentiggini e a Dean viene da sorridere guardando quell’immagine. Si volta verso Ellie e lei non lo guarda, ha gli occhi bassi puntati sulla fotografia ed è leggermente arrossita.
 
«Su questa avevo nove anni. Eravamo andate a fare una passeggiata al parco» Dean va avanti e lei continua a descrivere quello che c’è nelle fotografie; gliene mostra almeno cinque e a Dean non dispiace scoprire qualcosa in più sul suo passato, dare un volto alla donna che è sempre nei suoi pensieri e nei suoi discorsi – Ellie la nomina ogni due per tre e sempre con il sorriso stampato in faccia, Dio solo sa come fa – e sapere di questa sua passione per il disegno.
 
La osserva mentre è così concentrata e attenta nel raccontare ogni aneddoto che lega quelle fotografie alla sua vita passata. Dean non si era mai fermato a pensare che quanto effettivamente sa del suo passato è molto di più di quanto sa del suo presente. Ellie, nonostante ormai si conoscano da svariati mesi, continua a non parlare di Jim o se è cambiato in qualche modo il loro rapporto. C’è come un buco tra la morte di sua madre e gli anni che ha passato con suo padre prima di conoscere Dean che, tranne quando passano del tempo insieme, non sa niente di quello che fa quando lui non c’è e gli piacerebbe saperlo, come gli piace quando parla degli anni della sua adolescenza. Lo fa sempre col sorriso; probabilmente le piaceva la sua vita, anche se non c’erano tante persone a farne parte.
 
Ellie conserva dei bei ricordi del passato – nonostante tutto quello che le è capitato – e Dean vorrebbe che ne avesse anche del presente. E’ un pensiero assurdo, ne è consapevole, ma qualcosa lo fa scattare e sa esattamente dove vuole andare in questo preciso istante.
 
Chiude il quaderno e la guarda, lei – gli occhi ancora pieni di euforia – è visibilmente perplessa «Mettiti le scarpe» Ellie butta lo sguardo sui suoi scarponi, quelli che ha gettato di fronte a sé poco prima «No, non quelli, le tue scarpe!»
«Ah… »
Si alza e appoggia il quaderno sopra la scrivania, ma sembra ancora dubbiosa. Dean fa lo stesso «Dai, ti porto in un posto».
 
Ellie lo segue titubante ed è davvero confusa quando Dean parcheggia l’Impala di fronte alla spiaggia. Prende un paio di birre dal frigo che si porta sempre dietro e si appoggia al cofano, aspettando che lei faccia lo stesso.
 
Ellie lo imita ma continua a guardarlo senza capire minimamente le intenzioni di Dean che stappa la sua birra e ne beve un lungo sorso, lo sguardo rivolto verso il cielo stellato – così bello e luminoso, non c’è neanche una nuvola ed ogni stella è brillante – e non ha bisogno di chiedersi da quanto tempo non gli prendeva un’idea simile, sa già la risposta.
 
«E’ una cosa che facevo con mio fratello. Ogni tanto ci prendevamo una pausa e andavamo a vedere le stelle» si volta a guardare Ellie che lo osserva come incantata, totalmente presa dal suo racconto. «Ci rilassava. Ti ho portata qui per questo».
 
L’unico rumore udibile è quello dell’oceano che si infrange sulla spiaggia e Dean beve un altro sorso di birra guardando verso l’alto ed è tutto perfetto come quando c’era Sam al suo fianco. Anche stasera sente la sua mancanza, è vero, ma pensa a quello su cui rifletteva l’altro giorno sulla spiaggia e sorride a se stesso; Ellie riesce ad arrivare dove altri hanno fallito – un pensiero che non lo aveva mai sfiorato prima – e proprio per questo le deve questa “scampagnata”. Vuole regalarle un po’ della leggerezza che sente lui, vuole… condividerla. Che domani magari sarà sparita ed è meglio spartirsela finché c’è.
 
Ellie si accomoda meglio al suo fianco, allungando la bottiglia nella sua direzione e Dean la accosta alla sua; brindano a nessuno dei due sa bene cosa, ma Ellie è visibilmente più tranquilla di prima – Dean ha ancora nelle orecchie il suono dei suoi scarponi sbattere con tonfi sordi sulla moquette, qualcosa che sapeva di rabbia e rassegnazione – e sorride mentre gli indica le poche costellazioni che le hanno insegnato a scuola nel breve corso di astronomia che ha seguito.
 
Le ore corrono velocemente mentre gli argomenti si infittiscono e cambiano continuamente e arriva l’alba che neanche sono andati a dormire, ma va bene così. In fondo, hanno tutto il giorno per recuperare il sonno buttato al vento, ma questa era una di quelle cose da fare prima di abbandonare l’oceano, che fosse tra un giorno o altri dieci.
 
*
 
Il mattino seguente, quando sono rientrati al motel, Ellie e Dean sono andati a dormire – anche se lei non era stanca, ma si è detta felice di poter vivere “un giorno al contrario come i vampiri”… la sua stranezza non ha limite – ma la pennichella è durata poco, perché John, poco prima dell’ora di pranzo, si è deciso a chiamare Dean chiedendogli di raggiungere lui e Jim da qualche parte in Virginia.
 
Così, si sono messi in viaggio come gli è stato ordinato, ma la strada è lunga ed è arrivata la sera che avevano una gran fame, perciò si sono fermati in un piccolo ristorante cinese per cena. Non avevano voglia di sentire il chiasso della gente ed hanno preso un paio di porzioni di pollo alle mandorle a testa, decidendo di mangiare in macchina.
 
Dean sta litigando da un’ora con le bacchette e sembra non riuscire nell'immane impresa di domarle e fare in modo che il cibo gli finisca giù per la gola. Ellie lo osserva divertita e scoppia a ridere quando lo sente sbuffare in modo rabbioso.
«Ma non le hanno le forchette in quel posto? E tu piantala, sono in seria difficoltà e ho fame!»

Ellie continua a ridere, non riesce proprio a fermarsi mentre Dean borbotta imprecazioni poco gentili contro i cinesi e chiunque abbia inventato quell’assurdo e decisamente poco pratico modo di mangiare; quando torna a prendere fiato, Ellie si fa aria sulle guance e appoggia il cibo sul cruscotto. Si volta verso di lui, manda giù il boccone e lo guarda; si avvicina un pochino, gli prende le bacchette dalle mani e lo aiuta a metterle nel modo giusto, tenendogli la mano destra ferma e muovendo le bacchette e le dita fino a fargli raggiungere la posizione corretta mentre le sue – sottili e calde per aver tenuto quel cartoccio tiepido in mano – gli accarezzano la pelle e si soffermano a insegnargli il modo giusto per tenere quelle dannate cose.
 
Dean la guarda ammirato, il profumo del pollo si confonde con quello dei suoi capelli ora che lei è così vicina e si ritrova a pensare che è incredibile come sembra che riesca a fare qualsiasi cosa con un po’ di impegno.
 
Parla ma lui non la ascolta davvero, incantato ad osservarla e poi Ellie si ferma, lo guarda negli occhi e lo incita a provare e Dean obbedisce, infila le bacchette nel cartone e prende un pezzetto di pollo e quando riesce a portarlo alla bocca e mangiarlo la guarda trionfante e le sorride. Lei fa altrettanto e torna a mangiare soddisfatta.

«Mia madre odiava i baracchini dei cinesi, diceva che le facevano concorrenza… ma a me il loro cibo piace un sacco».
 
Dean sorride con meno spensieratezza, riflettendo sul fatto che lui non le ha mai raccontato tanto della sua vita. Qualcosa su Sam ogni tanto, ma sua madre, ad esempio, è un argomento tabù ed Ellie ha detto così tanto in pochi giorni, si è aperta parlando delle cose per lei più importanti – talvolta anche più dolorose – ed è giusto che Dean faccia altrettanto. O almeno ci provi.
 
Ci stava pensando da ieri sera, in realtà, e forse è per questo che gli è saltata in mente l’idea di portarla in spiaggia: per non dover parlare di sua madre. Ma adesso forse è pronto per farlo – o per mostrarle qualcosa – e, non appena finisce di mangiare, cerca il suo portafogli dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni e ne estrae una foto di lui insieme a sua madre, quella che tiene sempre con sé, e la porge ad Ellie allungando il braccio nella sua direzione quasi timidamente.
 
Lei lo guarda perplessa per un attimo e Dean è assolutamente certo che sappia chi è rappresentato in quella fotografia, ma è come se stenti a credere a quello che Dean ha appena fatto.
 
La guarda mentre afferra quel piccolo pezzetto di carta spessa da entrambi i lati – le gambe incrociate tra loro e lo sguardo fisso rivolto su quell’immagine – e poi sorride. «Che bella tua madre» Dean fa altrettanto e annuisce. Ellie punta gli occhi nei suoi «Tu però avevi i capelli strani» ride guardandolo e porgendogli la fotografia e Dean è troppo preso dall’emozione di averle mostrato una parte così importante della sua vita che non riesce neanche a risponderle con una battuta.
 
Rigira la sua foto tra le dita – la mamma così sorridente, i capelli luminosi e quello sguardo bellissimo, qualcosa che, nonostante fosse un bambino, ricorda con così tanta lucidità – e la ripone nel portafogli [3], sotto lo sguardo attento di Ellie ed è davvero contento di avergliela fatta vedere.
 
Poi ogni argomento muore sul nascere e per un lungo momento l'unica cosa che emette un qualche suono – a parte le loro bocche affamate che finiscono di divorare il cibo – è la radio che passa un pezzo di Paul McCartney che canta di un giovane ragazzo in cerca d’amore [4]; a Dean sembra una musichetta troppo allegra, strana, e vorrebbe cambiare stazione, ma Ellie dondola la testa seguendo il ritmo della musica, segno che le piace, e allora cambierà quando sarà finita. Il brano successivo, però, è di George Harrison «Che cazzo, ma è la reunion dei Beatles stasera?» e decide di cambiare davvero stavolta, incurante delle lamentele di Ellie.

Per la notte decidono di rimanere nell’Impala. Dean ha solo una coperta nel bagagliaio ed Ellie gliela cede volentieri. «Prendila tu, io non avrò freddo» Dean la guarda e cerca di insistere, ma lei non sente ragioni, così si sfila la giacca di pelle di suo padre e gliela porge. «No, Dean, davvero, non… » ma lo sguardo di lui non ammette repliche ed Ellie si ritrova, suo malgrado, ad accettare.
 
La prende e la indossa e a Dean sembra che sia caduta in un enorme sacco di patate; quella giacca sta grande a lui, per lei è davvero gigantesca.

«Non avrai di certo problemi di freddo, ci cadi dentro». Ellie si allunga verso di lui per rifilargli una manata su un braccio e poi sorride. «Già dormi con magliette extralarge, questa ti va alla grande. Te la presterò più spesso».
 
Ellie sbuffa appena sorridendo e non risponde, concentrata ad incastrare uno per uno i bottoni nelle asole.
 
Decidono di usare la morra cinese per stabilire chi andrà dietro e chi resterà a dormire sul sedile anteriore ed Ellie gioca la prima cosa che le viene in mente che è sasso e Dean rimane quasi impietrito a guardare la piccola mano che lo ha battuto. La sua vittoria è certamente casuale, ma lui gioca sempre forbici, da anni, e Sam lo ha sempre fregato e a quanto pare anche Ellie sembra più furba di lui, quasi sapesse la sua tecnica da sempre mentre lui sperava di cavarsela almeno con lei che se ne va pimpante e soddisfatta sul sedile posteriore.
 
Dean si sdraia davanti, la testa appoggiata al finestrino e l’unica cosa che sente prima di addormentarsi è la vocina di Ellie che gli augura la buonanotte.
 
Lei, invece, sdraiata con il viso rivolto alla portiera sinistra, osserva attentamente i dettagli di quella macchina che le piace così tanto e nota qualcosa che attira la sua attenzione.
 
Dentro il posacenere, irradiato dalla luce della luna, scorge un piccolo pezzo di plastica. Lo prende in mano e lo rigira tra le dita: è un soldatino verde, indossa l'elmetto ed ha il fucile spianato. Ellie lo osserva con attenzione, poi sorride e tante domande le sorgono spontanee in mente: chi l'ha messo lì, quando e perché e, visto che sembra un piccolo giocattolo, qualcosa potrebbe dedurlo anche da sola. Sicuramente è opera di Dean o di suo fratello, magari erano dei bambini e giocandoci l'hanno lasciato lì a controllare la zona; potrebbero averlo dimenticato oppure messo di proposito e decide di non chiedere niente a Dean, non vuole farlo pensare a suo fratello.
 
Lo ripone al suo posto e cerca di trovargli un nome che si adatti a lui nella sua testa, qualcosa come Colonnello Donovan o Comandante Silente, ma poi decide per qualcosa di meno importante, in fondo è solo un soldatino e così si chiamerà Ryan [5]. Solamente così.
 
Non dirà mai di quel nomignolo a Dean. Probabilmente non gli dirà neanche di aver trovato quel piccolo pezzo di plastica, ma gli ha messo una grande tenerezza addosso. A volte sembra tutto d'un pezzo, così sfrontato e sicuro, ma in realtà ha un gran cuore ed anche lui è un soldato semplice, proprio come Ryan, ed è questo che lo rende tanto speciale agli occhi di Ellie. 
 
[1] La canzone in questione è “Downtown” di Petula Clark.
[2] Nell’episodio 10x18 “The Book of the Damned”, Dean dice che lui e Sam non sono mai andati su una spiaggia ed esprime ad alta voce il suo desiderio di visitarne una. Quando ho scritto questo capitolo, però, la puntata non era ancora andata in onda, perciò la mia immaginazione mi ha portata a pensare che, anche se nella “realtà telefilmica” non ce l’avevano mai mostrato, ne avessero visitata qualcuna, anche se solo di passaggio.
[3] La fotografia è la stessa della scena iniziale della puntata 8x14 “Trial and error”
[4] La canzone è “Young boy” di Paul McCartney
[5] Il cognome Donovan viene dal fatto che il “presta volto” (se così vogliamo chiamarlo) per Jim, il padre di Ellie, è Tate Donovan; Silente è il famoso preside della scuola di Hogwarts nell’altrettanto famosa saga di Harry Potter e, infine, l’appellativo Ryan deriva dal titolo del celebre film Salvate il soldato Ryan con Tom Hanks e Matt Damon. 

 

 

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Capitolo 13
*** First step ***


Note: La connessione in questo posto è una manna dal cielo e il mio caro computer sembra riceverla meglio di quanto abbia mai fatto negli ultimi anni con altre linee Wi-Fi. Forse il cambio di antivirus lo ha aiutato in questo senso XD
Premesse inutili a parte, sono contenta di essere riuscita a rispondere alle vostre bellissime recensioni per cui vi ringrazio ancora. Spero di riuscirlo a fare anche in questa settimana che verrà (se mai ce ne saranno, ovviamente… non si sa mai! XD)
Ne approfitto ancora una volta per ringraziarvi per la costanza che dedicate alla mia storia e per tutto il vostro supporto. Le visite stanno aumentando di settimana in settimana e, davvero, non avrei mai pensato di ricevere tutte queste recensioni. Per non parlare delle persone che l’hanno messa tra le seguite, ricordate e addirittura preferite. Non so davvero come dirvi grazie! <3
Detto questo, vi lascio con il capitolo che è abbastanza lungo e parla da sé.
Un abbraccio fortissimo, alla prossima settimana! :D

 
Capitolo 13: First step
 
First step is the beginning of a change.
 
(Shesh Nath Vernwal)
 
 
Il parcheggio sul retro del motel è un luogo ampio e praticamente vuoto, un posto perfetto dove poter passare del tempo in solitudine. L’Impala aveva bisogno di una revisione ormai da qualche giorno e Dean approfitta di questo lasso di tempo per dargli una controllata anche se, in realtà, sa perfettamente che questo è il suo modo di stare da solo e provare a scrollarsi di dosso i pensieri che questo pomeriggio sono più pesanti del solito. 
 
Si passa una mano sulla fronte sudata e alza lo sguardo, puntandolo sulla strada, e l’insegna del motel in cui alloggia riesce a fargli spuntare un sorriso quando scorge il piccolo nome che c'è sotto la scritta in rosso, quello della cittadina in cui si trova adesso.
 
Ha visto talmente tanti posti in vita sua e ha percorso talmente tante volte le stesse strade che a volte gli sembra di conoscere ogni luogo – nonostante sa per certo che non è così, che ha ancora tanto da vedere –, ma non si era mai soffermato a lungo a pensare ai nomi di certi paesini.
 
Ellie, però, non sembra essere dello stesso avviso: da quando sono arrivati a Nampa, nell’Idaho, ride perché le sembra il nome più strano e più senza senso che una cittadina potesse mai avere. Non si sa perché tutto ciò la fa ridere, ma Ellie, che sembra sempre riuscire a trovare del buono in ogni cosa, dice che è lui ad essere idiota per non prestare attenzione ad una cosa così buffa come può essere il nome di un posto dove parcheggia l’Impala, anche se sono solo di passaggio.
 
Dean crede di sapere perché fa così: questo è il suo modo di trovare qualcosa per farlo sorridere e distrarre, soprattutto quando ha dei pensieri scomodi a ronzargli per la mente.
 
E’ già passato più di un mese da quei giorni di relax a Lincoln City e quella leggerezza che Dean sentiva dentro di sé – o pensava di sentire – è ormai lontana. Forse si è solo illuso che ce ne fosse un po’, non lo sa, ma ora il ricordo di quei momenti gli porta un po’ di malinconia, pensando che sono stati veramente bene e una vacanza come quella se la dovrebbero prendere più spesso.
 
La routine di tutti i giorni è tornata e Dean la sente più pesante del solito su di sé. Forse perché quando assaggi un po’ della spensieratezza che hai bramato tutta la vita il ritorno alla realtà è più traumatico, o forse perché è semplicemente stanco di alcuni meccanismi che si sono instaurati ormai tra lui e suo padre e, davvero, farebbe di tutto pur di riavere il suo vecchio. Riaverlo com’era prima che un pezzo del suo cuore volasse verso la California.
 
Dean comprende tutto ciò, cosa sta passando suo padre e come sta vivendo l’assenza di Sam, quel vuoto costante che sente da quando quel maledetto testardo ha deciso di andare a fare il comodo suo; quello che sfugge alla sua comprensione, però, è il perché si comporti in un certo modo con lui.
 
E’ successo qualche giorno fa: erano appena arrivati in quella cittadina col nome così buffo e l’aria di agosto, calda e umida, li aveva investiti fin da subito anche lì. Jim ed Ellie erano da quelle parti e suo padre aveva pensato bene di unirsi a loro e la cosa andava alla grande, non c’era alcun problema a riguardo e anzi, tutto stava procedendo normalmente finché Dean non ha sentito qualcosa che lo ha disturbato profondamente.
 
Era uscito a prendere qualcosa da mangiare al distributore automatico situato lì fuori e, mentre stava per aprire la porta della sua stanza, ha sentito un discorso strano e suo padre dire a Jim che giorni prima era stato a Palo Alto per un lavoretto e Dean era rimasto muto di fronte a quelle parole, il cuore stretto in una morsa dolorosa e tanti piccoli pezzetti che si collegavano finalmente tra di loro.
 
Non ha nessuna prova, è vero, ma è quasi sicuro che non era la prima volta che suo padre si concedesse un viaggetto di questo tipo e che, anzi, era lì che andava quando spariva per giorni interi, da Sam… il tutto rigorosamente senza dirgli nulla.
 
E’ certo invece del fatto che neanche ha provato ad avvicinarlo o a parlargli; si sono lasciati troppo male e Sam sarebbe capace di mettersi a fare una scenata se solo scoprisse che papà lo ha osservato da lontano in silenzio, ma quello che più dà fastidio a Dean non è che sia andato a “controllarlo”, ma che, piuttosto, glielo abbia nascosto. In fondo, cosa c’è di strano? Perché non dirglielo?
 
Ormai è una settimana che sono lì e Dean ha cercato di comportarsi normalmente, come fa sempre: ha ascoltato suo padre quando questo aveva bisogno che lo facesse – ovviamente per cose sciocche, niente di serio –, ha eseguito gli ordini che gli ha dato, insomma è tutto regolare, ma Dean, dentro di sé, non sta così bene come vuole far credere a tutti. Suo padre non sembra essersi accorto di niente, Ellie però sì. E’ per questo che si comporta in modo più strano del solito, per questo è così… “giocosa”, Dean ne è certo, ma non le chiederà niente e non farà niente per tradirsi.
 
Sa benissimo che, se volesse parlare, Ellie non avrebbe problemi ad ascoltarlo e, anzi, lo farebbe più che volentieri, ma non ne ha voglia ed Ellie ha già abbastanza problemi con Jim – che forse non hanno soluzione – e non vuole caricarla ulteriormente con i suoi impicci. E poi un conto è parlare di Sam – anche se Dean lo fa di rado e mai con piacere – che Ellie non conosce e un conto è di John. Già non le piace, è meglio lasciar perdere. Non vuole che si faccia un’idea sbagliata di suo padre perché lui, per quanto sia strano e incasinato e pieno di contraddizioni, non è cattivo, ma soprattutto non è sempre stato così. Non con lui, ma Dean non sa davvero dove mettere le mani per risolvere il problema.
 
Il cofano dell’Impala si chiude con un tonfo secco; si pulisce le mani con lo strofinaccio che aveva proprio lì accanto e osserva la sua macchina, la compagna più fedele che potrebbe mai desiderare di avere.
 
Ci sta lavorando da un paio d’ore, ormai. Aveva sentito che qualcosa non andava ed ha trovato l’occasione per aggiustarla proprio oggi, visto che suo padre e Jim sembrano avere di meglio da fare che stargli appresso – come succede sempre – ed Ellie è scomparsa nella sua stanza da dopo pranzo, chissà a fare che. Forse ha capito che Dean non aveva una gran voglia di starla a sentire – non per lei, ma per il suo umore che non è dei migliori – e si è decisa a prendersi un po’ di tempo per se stessa. Negli ultimi giorni non lo ha mai fatto e forse ne sentiva il bisogno, chissà.
 
A volte vorrebbe essere come lei e riuscire a farsi scivolare tutto addosso, trovare una giustificazione a certi gesti e riuscire a sdrammatizzare davvero, non indossare una maschera e far finta di averlo fatto quando non è così. Non sa davvero dove trovi la forza per andare avanti con tutto quello che passa ogni giorno con suo padre, come riesca a convivere con l’idea di essere passata da un rapporto perfetto ad uno che non esiste; come faccia a ridere in quel modo spontaneo – la testa all’indietro e le mani sulla pancia, quasi debba contenere un dolore fisico – e fargli scherzi e cercare di portare un po’ della sua costante gioia nella sua, di vita, che di gioioso non ha mai avuto niente e tutto quello che gli provocava un po’ di sollievo – un pacca sulla spalla da una mano grande e callosa, segnata dal freddo delle pistole e dal dolore, o il sorriso sincero di un bambino cresciuto un po’ meno in fretta di lui – è sempre più distante, più lontano.
 
Si riscuote da quei pensieri, ripromettendosi di andare a cercarla. E’ stato troppo scostante negli ultimi giorni e, anche se non ha alcuna intenzione di spiegarle niente – per quanto sia assolutamente convinto che lei non lo giudicherebbe -, vuole almeno passare del tempo con lei, fare due chiacchiere. In fin dei conti non è colpa di Ellie se ogni membro della sua famiglia sembra pensare che Dean abbia una sorta di malattia rara o cose del genere, che sia in qualche modo “felice” di tenerlo a distanza.
 
Butta lo strofinaccio nel bagagliaio e lo richiude per poi avviarsi verso la sua stanza. Ha solo intenzione di prendere una bottiglia d’acqua e poi andarla a cercare nella stanza che divide con suo padre, ma non fa in tempo neanche ad entrare che la trova seduta di spalle su uno dei gradini delle scale del motel. Dean le si avvicina con l’intenzione di farle uno scherzo – da poco ha scoperto che soffre il solletico sui fianchi, oppure potrebbe semplicemente metterle paura –, ma cambia idea quando la vede così cupa, la schiena incurvata in avanti e la testa bassa poggiata sopra la mano sinistra. Man mano che le si avvicina, scorge un rivolo di fumo andare verso l’alto, qualcosa che sembra provenire da lei e infatti è proprio così, perché tra le dita della mano destra ha una sigaretta accesa e l’unico movimento che fa è quello di portarsela alla bocca e aspirare piano, per poi rilasciare una nuvoletta di fumo.
 
«Da quando sei diventata Amy Winehouse?» Ellie si volta, visibilmente sorpresa di vederlo lì, ma non gli presta neanche attenzione più di tanto. Alza le spalle e si gira nuovamente, lo sguardo rivolto a terra.
«Lasciami in pace».
 
Dean è sorpreso da quelle parole – da che la conosce, Ellie non ha mai cercato di allontanarlo, tutt’altro –, ma se ne frega e si siede lì accanto, osservando la colonnina di fumo salire lenta verso l’alto. Prova la forte tentazione di toglierle la sigaretta dalle dita e gettarla lontano, ma qualcosa gli dice che farebbe solo peggio.
 
«Allora?»
Ellie sbuffa «Quale parte di “lasciami in pace” non hai capito, Dean?» lo guarda con occhi tristi e Dean è assolutamente sicuro di non averla mai vista così sconsolata, così abbattuta. E’ molto più che arrabbiata, è… delusa, profondamente.
 
L’unica cosa certa per Dean è che non ha nessuna intenzione di andarsene e rimane fermo, in attesa. Ellie sospira più forte e stringe le ginocchia al petto, buttando la sigaretta lontano senza averla finita e puntando lo sguardo su uno dei sassolini adagiati sull’asfalto grigio.
«Che succede?»
Ellie si stringe nelle spalle, muovendo appena i piedi. Poi appoggia la testa sulle ginocchia, voltandola di lato e lo guarda «Tu sai che giorno è oggi?»
Dean deve pensarci un attimo, ogni tanto perde la cognizione del tempo. «Il… sedici agosto?» Ellie annuisce e torna a guardare davanti a sé. «E cos’ha di speciale?»
«Sarebbe… o meglio, è… il mio compleanno».
 
Dean sbatte le palpebre un paio di volte e poi sorride, anche se lei non se ne accorge e d'istinto il suo braccio destro va dietro le sue spalle e l'attira a sé. «Beh, allora… auguri!» sorride ancora, ma Ellie non fa altrettanto «Finalmente puoi offrirmi una birra senza tanti problemi! Era ora!» la stringe appena più forte, ma Ellie non fa nulla per ricambiare il suo abbraccio, si limita solo ad annuire. Dean la lascia andare, ma continua a guardarla, perplesso. «E’ questo il problema? Che ti stai invecchiando?»
 
«No, no… ti pare? E’… » sbuffa di nuovo, stavolta con più decisione «E’ per papà. Anche quest’anno se n’è dimenticato» si stringe nuovamente nelle spalle ed è chiaramente offesa «Probabilmente non dovrei arrabbiarmi, lo so, ma… non fa altro che portarmi da un posto all'altro, quando si stanca di avermi tra i piedi mi abbandona come una valigia dove gli capita, ultimamente dove ci sei tu, ed io non pretendo niente, cerco di fargli meno domande possibili e non mi lamento mai, anzi, faccio tutto quello che mi chiede, ma gradirei che si ricordasse del mio compleanno» guarda Dean negli occhi e lui può leggerci dentro tutta la sua frustrazione «Non lo fa mai. Io per il suo mi alzo sempre presto e gli preparo una colazione con i controfiocchi, anche se siamo in una topaia, e ci metto tutto l’amore possibile perché ci tengo a lui e… cavolo, perché non può fare lo stesso per me? Perché non può mai spendere una parola carina nei miei confronti?» Dean non sa cosa dire né come alleviare il suo dolore. Lui ci è passato, ci sta passando tuttora anche se la sua situazione è meno… complicata. Lui sa qual è il problema di suo padre, cosa lo allontana da lui, ma per Ellie è diverso. «A me non… non sembra di pretendere tanto. Voglio dire, non chiedo né la torta né le candeline, solo… solo una parola o un sorriso. Sarebbe sufficiente anche quello, me lo farei bastare».
 
Dean non sa se quello che sente è rabbia – perché Jim ogni giorno che passa si comporta peggio e, anziché apprezzarla, sembra detestare lei e la sua presenza sempre di più – o profonda comprensione. Forse entrambi. Un po’ perché è successo anche a lui: l’ultimo compleanno l’ha passato da solo e l’unica che se n’è ricordata è stata proprio Ellie; ha ancora al polso il braccialetto che gli ha regalato.
 
«Quindi come pensi di festeggiare?»
Ellie lo guarda perplessa. Sicuramente si sta chiedendo se non ha capito una parola di quello che ha appena detto oppure è davvero convinto della sua domanda. «L’idea è quella di trovare un angolo remoto della Terra dove poter stare lontano da lui e dal resto dell’umanità, ubriacarmi fino a svenire e possibilmente dimenticare questa giornata del cazzo».
Dean ci pensa su e… beh, sì, il suo ultimo compleanno non è stato tanto diverso, quindi la capisce, ma non per questo ha intenzione di farle toccare la stessa sorte che è capitata a lui.
«Potremmo farlo insieme».
Ellie lo osserva con attenzione, confusa. «Perché ne hai bisogno tu?» e a Dean è sempre più chiaro il fatto che ha capito che lui non sta bene, ma non ha importanza e no, oggi non è per lui.
«No. E’ per il tuo compleanno».
Lei fa spallucce «In fondo è un giorno come un altro. Non fa niente e poi oggi non sono di compagnia».
«Non dire così. Tu ci tieni, è giusto che facciamo un po’ di festa per una volta» la guarda e lei non sembra comprendere fino in fondo cosa sta cercando di dirle. «Facciamo così… stasera lasciamo i nostri vecchi alle loro chiacchiere e al loro whiskey scadente. Io e te andiamo a cena che è quasi ora e ho fame e facciamo come si deve».
«Abbiamo il whiskey anche noi, Dean. Possiamo sbronzarci anche qui. E un panino striminzito del supermercato o del fastfood qui accanto andrà benone come sempre».
«No. Ventuno anni si fanno una volta sola nella vita, dobbiamo festeggiare come Cristo comanda».
 
Ellie lo osserva attentamente, sembra quasi stentare a credere che le sia arrivata una proposta così. In fondo non è niente di nuovo, sono usciti a mangiare o a bere più di una volta e per Dean non c’è niente di strano, ma chissà, forse non se l’aspettava oggi. Attende qualche secondo buono prima di rispondere, poi annuisce.
 
Dean sorride appena e le arruffa i capelli per dispetto; lei lo allontana – il busto piegato di lato e le braccia a spingerlo via – e un mezzo sorriso spunta anche sulle sue labbra «Ooh, Sarah Lind [1] ha sorriso! Quale onore!»
Ellie lo guarda perplessa «Chi è Sarah Lind?»
«Una musona come te» e a quelle parole lei gli fa la linguaccia e si alza, togliendosi la polvere dai pantaloni con un paio di gesti secchi.
 
Dean fa lo stesso e fa per avviarsi nella sua stanza «Forza, vai a cambiarti, ci vediamo qui fuori tra un quarto d'ora».
Ellie sgrana gli occhi. «Che? Un quarto d’ora è poco tempo per fare qualsiasi cosa!» e lui sbuffa «Ok, mezz'ora».

Lei annuisce e si morde il labbro sorridendo con l'aria furba e Dean sa che quando fa così lo prende in giro – ma almeno per il momento ha smesso di tenere il muso e sembra essere tornata quella di sempre – e sicuramente ci metterà molto di più a prepararsi, ma non fa niente. Per una volta Dean può aspettarla senza farle nessuna battuta in merito. Non che riuscirebbe a farla arrabbiare – oggi ha scoperto che ci vuole davvero molto di più per farlo –, ma è meglio evitare.

Rientra nella stanza che divide con suo padre e lo guarda per un secondo: è seduto alla scrivania intento a leggere chissà cosa e non sembra neanche essersi accorto che è rientrato. Fa niente, tanto Dean non ha nulla da dirgli. O meglio, sì, ma… è bene evitare. Non ha tempo di affrontare certi discorsi stasera.
 
Si fa una doccia e si veste velocemente; non ha idea di dove portare Ellie per cena, ma un paio di jeans e una maglietta di cotone nocciola a cui lascia aperti i tre bottoni che ha sul davanti, all’altezza del collo, andranno bene.
 
Si siede sul letto, aspettando che la mezz'ora passi ed è allora che suo padre gli presta attenzione, forse intenzionato a capire cosa sta facendo. «Dove vai?»
«Esco. Ho fame, vado a fare un giro con Ellie».
John lo scruta con aria severa; poggia i fogli che teneva in mano sul tavolo e si volta con il busto a guardarlo. «Dean, non fare come fai sempre». Dean rimane un attimo in silenzio mentre quelle parole gli si incastrano una per una in fondo al petto, scavando sempre più in profondità. Tiene la testa bassa e si china ancora un po’ con la scusa di sistemarsi le scarpe, aspettando che suo padre finisca la sua predica, anche se non avrebbe bisogno di altre parole perché sa già dove vuole arrivare e vorrebbe dirgli che la porta a farsi un giro perché Jim è un coglione che non si ricorda neanche del compleanno di sua figlia, non c’è nessun doppio fine. «E’ vero che state sempre insieme e che sicuramente le sei affezionato, ma… è la figlia di Jim e non vorrei tu facessi una delle tue solite cazzate».
 
Dean incassa ancora una volta il colpo in silenzio, tirandosi su con la schiena; vorrebbe urlargli che Ellie per lui è più un'amica che una da portarsi a letto – cosa che avrebbe già fatto se avesse voluto e di occasioni ne ha avute tante – e che le sue intenzioni sono più che pulite, ma da bravo soldatino, o meglio da bravo figlio, annuisce; si alza, prende e infila la giacca di pelle, tirandone su il colletto, e decide che forse è meglio aspettare fuori, in un luogo in cui suo padre possa evitare di fargli la paternale.
 
Si appoggia al cofano dell'Impala, muovendo i piedi a terra seguendo il ritmo che suona nella sua testa, cercando disperatamente di togliersi dalla mente le parole di suo padre e aspetta meno di quanto pensasse, perché dopo non più di cinque minuti Ellie esce dalla sua stanza. Borbotta qualcosa che Dean non comprende, si riavvia i capelli con la mano destra e chiude la porta dietro di sé.
 
Dean si alza quasi istintivamente e la osserva con attenzione. Indossa un vestito molto semplice, bianco con una bella fantasia di fitti fiori blu scuro – o neri, da quella distanza Dean non saprebbe dirlo –; le bretelle non sono sottili, ma neanche troppo larghe, e scendono giù sul davanti, dove il tessuto si curva e si apre appena tra i seni, formando una piccola V, in una scollatura non troppo profonda ma comunque insolita per Ellie, sempre attenta a non far trasparire troppo di sé. L’abito le arriva più su delle ginocchia e le disegna le curve in modo perfetto, allargandosi nella gonna con qualche piccola piega poco più su dei fianchi.
 
Gli si avvicina e Dean continua a scrutarla attento – ai piedi un paio di sandali bianchi con qualche centimetro di tacco, il trucco leggero sugli occhi e i capelli mossi sciolti che mette da un lato con una mano – ed è così bella nella sua semplicità che a Dean pare di vederla per la prima volta.
 
In verità non pensava neanche che Ellie potesse avere un vestito del genere dentro l’armadio e gli sembra di aver già fatto una considerazione simile una volta, ma non riesce a ricordare quando o perché.

Non si rende conto che forse la sta mettendo in imbarazzo – le sue guance appena più rosse del solito – finché lei non infila la giacchetta di jeans che teneva in mano, puntando poi gli occhi sulla stoffa del suo abito e distogliendoli da quelli di Dean che deglutisce e torna in sé. «Hai finito di pettinarti, Raperonzolo?» niente, non ce la fa a non prenderla in giro.
Ellie sorride ed alza lo sguardo adesso «Non lamentarti. Sono stata veloce».
Dean annuisce; per quanto si sforzi, non riesce a staccarle gli occhi di dosso «Ti sei messa in testa di fare colpo su di me? Perché con questo vestito potresti anche riuscirci».
Lei continua a guardarlo, confusa. «No… insomma, è il mio compleanno e volevo… volevo solo essere diversa dal solito».
Dean cerca di trattenersi, ma poi scoppia a ridere perché la sua faccia è troppo buffa e il tono delle sue parole troppo sincero. A volte Ellie sembra proprio venire da un altro pianeta. «Stavo solo scherzando, non sono abituato a vederti scendere dalle scale come la principessa Sissi».
Ellie sorride e scuote lievemente la testa, divertita.
 
Decidono di andare a piedi – Dean ha la vaga impressione che al ritorno non sarà in grado di salire in macchina, tanto meno di riportarla sana e salva perciò meglio lasciarla dove sta – e parlano del più e del meno durante il tragitto. Ellie ha fame di pizza e si fiondano sul primo ristorante che fa al caso loro.
 
Ne ordinano un paio insieme ad una bottiglia di vino rosso – Ellie non sembra essere intenzionata a bere acqua stasera – e rimangono in silenzio per un po’.
 
«Mi dispiace per prima» Dean la guarda confuso ed Ellie si massaggia il collo con una mano, puntando lo sguardo sulla tovaglia a quadri bianchi e rossi «Per aver parlato in quel modo. Non è da me».
«Non fa niente. E poi tutti hanno diritto ad uno sfogo, ogni tanto. Tu ne hai tutte le ragioni».
Ellie sospira appena, rigirando una forchetta tra le dita sottili «E’ che sono stanca. Io cerco… cerco di fare del mio meglio per compiacerlo, di rendergli le giornate di festa meno monotone, invece per lui è tutto uguale. Non esiste Natale, una ricorrenza, niente».
«Questo vale per tutti, però. Anche mio padre è così».
Ellie lo guarda «Anche lui si dimentica del tuo compleanno?» e Dean lotta contro se stesso per non dirle che ha fatto anche di peggio, in realtà, ma il cameriere gli porta la pizza e Dean ne approfitta per distogliere l’attenzione da lei e finisce col non risponderle, perché ammetterlo a voce alta – e con questo tutte le cose che sono successe negli ultimi mesi – sarebbe una sconfitta troppo grande. Poi, in fondo, con il suo silenzio le ha già risposto.
 
Tiene gli occhi bassi tagliandosi un pezzo di pizza e quando li rialza quelli di Ellie sono ancora puntati su di lui, ma non accenna minimamente a riprendere il discorso e, anzi, lo sposta su di lei «Quindi sei una fumatrice?» ora lei lo guarda perplessa, poi sorride, segno che ha capito a cosa si riferisce Dean.
«No… l’ho fatto solo per infastidire papà, ma neanche se n’è accorto» fa spallucce e afferra forchetta e coltello per tagliare la sua pizza «Ogni tanto lo facevo da ragazzina».
Dean scuote la testa, un sorriso da presa in giro disegnato sulle labbra «Ed io che ti credevo una santarellina».
Lei sorride, anche se con meno spensieratezza del solito «Lo facevo di rado. Credo sia quello che succede quando passi troppo tempo assieme a Janis Johnson».
«Chi?»
Ellie sorride ancora «Una mia compagna di classe, l’unica che mi parlava» e Dean annuisce. Ellie gli ha raccontato che non aveva un bel rapporto con i suoi compagni, ma non aveva mai nominato questa ragazza. «Per tutti ero quella strana che sedeva al penultimo banco sulla fila di destra, quello accanto alla finestra. La scheletrica senza un papà. Veramente non ero così magra, solo che mi vedevano così. Janis però era diversa, prendeva sempre le mie difese» gli racconta un sacco di storie su questa tipa, di quanto lei fosse strana – da come la descrive, sembra la classica rockettara menefreghista e insolente, con il piercing sul naso e i capelli tinti di nero – e Dean non pensava che una tipa del genere potesse attirare la simpatia di Ellie, ma lei vede sempre del buono in tutto e tutti e forse c’era qualcosa che le accomunava nel profondo.
 
La osserva mentre parla, gli occhi luminosi e intensi al ricordo di quest’amica così speciale – forse l’unica che Ellie abbia mai avuto – e c’è qualcosa di diverso in lei, ogni dettaglio nei suoi gesti e nel suo modo di parlare sembra più interessante agli occhi di Dean adesso e non sa se è per il vestito o per il vino che al terzo o quarto bicchiere comincia a fargli un po’ effetto, ma più la guarda, più prova la forte tentazione di avvicinarsi e lasciarsi andare all’istinto. Peccato, però, che non ne ha il coraggio perché Ellie non è una qualunque, è la persona che più gli è stata vicina negli ultimi mesi e fare questo vorrebbe dire mandare tutto all’aria.
 
Escono dal ristorante che è già buio, dopo che Dean ha dovuto insistere parecchio per convincerla a farsi offrire la cena da lui, stavolta; è riuscito a farlo solo quando le ha detto che le tocca pagare da bere visto che ora ha tutte le carte per farlo e non è stupito quando Ellie approfitta di quelle parole per trascinarlo nel pub lì accanto. Aveva già chiaro dal principio che per lei è questa la tappa principale della serata e, se è l’unica maniera per vederla sorridere nel modo spensierato con cui lo fa sempre, Dean è disposto a ordinare fiumi di whiskey.
 
Solitamente non ha bisogno di alcol o di qualcosa per ridere, ci riesce tranquillamente, ma stasera è nervosa, non riesce a rilassarsi completamente – segno che il macigno che porta nel cuore ogni giorno è più opprimente del solito – ed è incredibile che una come lei, sempre allegra e gioiosa, abbia bisogno di una spinta per farlo o forse sta diventando come Dean in questo e Dean non sa se la cosa è un bene oppure no. Sa solo che non vorrebbe mai vedere il sorriso di Ellie spegnersi, perché nei giorni peggiori è una delle poche cose che lo spinge a scendere dal letto la mattina e non capisce come ha fatto a realizzare una cosa del genere.
 
Ordina al bancone un paio di bottiglie e si sofferma a guardare le donne presenti nel locale solo per un istante, perché poi lo sguardo gli ricade su Ellie – seduta ad un tavolo, gli occhi bassi e concentrati su una ciocca di capelli che tiene tra le dita – e non gli piace quello che sta pensando, ma la verità è che non gli è mai sembrata bella come stasera. Spera, tuttavia, che il tutto sia frutto di quel vino rosso delizioso e che domattina sarà tutto finito senza nessun danno irreparabile.
 
Prende quello che gli serve e torna al tavolo e lei accenna un sorriso nella sua direzione prima di fiondarsi sulla bottiglia e versare un’abbondante quantità di liquido nel suo bicchiere.
 
Riempie anche quello di Dean che poi lo alza per brindare a qualcosa; Ellie lo asseconda e beve tutto d’un fiato e Dean realizza che non è più la stessa ragazza che perdeva ogni gara con lui fino a qualche mese fa, non stasera. E ancora una volta non sa se la cosa gli piace oppure no, sa solo che se avesse Jim tra le mani dovrebbe faticare molto per trattenersi e non fargli del male.
 
Ellie sembra essere veramente al limite della sopportazione e sicuramente sono tante le cose che Dean non sa, ma proprio non se la sente di chiedere. Sicuramente non stasera.
 
«Non ho capito se questo vestito ti piace o no».
Dean si riscuote da quei pensieri e la guarda attento «Sì. Credevo l’avessi capito».
Ellie scuote la testa «Non proprio. Hai solo detto che ero come la principessa Sissi».
«La prossima volta ti farò un complimento più esplicito» Ellie sorride appena e punta il gomito sul tavolo per poi appoggiare la testa lì sopra. «E’ che tu… beh, non sei esattamente una tipa da vestito».
«Lo so. Infatti questo era della mamma» a Dean sono chiare molte cose adesso «Te l’ho detto che ho tenuto alcune delle sue cose. Questo… era di quando era ragazza e non me la sono sentita di buttarlo».
 
Ellie si stringe nelle spalle e beve ancora; è evidente che ha intenzione di cambiare discorso – ed è così strano, solitamente passerebbe le ore a parlare di sua madre –, ma la asseconda e si prende la briga di farlo lui stesso. «Quindi adesso hai l'età per bere, era ora».
Ellie piega le labbra in un piccolo sorriso «A me non cambia molto in realtà. Prima venivo in un posto come questo con i documenti falsi, quindi è lo stesso».

Bevono ancora e dopo un po’ non sono più sicuri di riuscire a reggersi in piedi una volta usciti dal locale, ma un brindisi tira l'altro: uno per il compleanno, uno perché Ellie è finalmente maggiorenne a tutti gli effetti, uno ai documenti falsi e, perché no, anche al litigio con Jim e lei sembra aver ritrovato un po’ di quella spensieratezza che le era venuta a mancare prima e Dean si sente quasi più tranquillo, come se un piccolo pezzo del suo mondo fosse riuscito a tornare al suo posto.
 
Continua ad osservarla come ha fatto per tutta la sera e pian piano si rende conto di non averla mai guardata con la dovuta attenzione, di non aver mai fatto caso a troppe cose: i tratti gentili del viso, il naso leggermente all'insù, le guance colorate di rosso per l’effetto dell’alcol, il modo in cui le dita di Ellie si stringono sul bicchiere e di quanto le sue mani siano affusolate e femminili, di quanto Ellie sia femminile nei suoi modi di fare e di parlare; e poi i capelli lunghi che sposta dal viso quando le vanno sugli occhi e le impediscono la vista, le labbra sottili ma non troppo e ancora una volta si domanda cosa potrebbe succedere se lasciasse andare ogni freno, ma poi si pente e scuote la testa, concentrandosi di nuovo sul suo drink.
 
Non aveva mai fatto un simile pensiero prima di stasera – o meglio, una volta sì, ma era per gioco e poi se n’è stato zitto quindi non conta –, ma sicuramente è l’alcol a fargli questo effetto. O forse è il vestito di Ellie che le evidenzia le forme e… no, è solo ubriaco, non c’è dubbio.
 
Quando non c’è rimasto quasi più nessuno, Ellie si alza in piedi e va verso il jukebox. Inserisce una moneta e aspetta qualche istante, poi si siede di nuovo.
 
Dean la guarda curioso «Che canzone hai scelto?»
Ellie ride sotto i baffi. «La tua preferita» ma, dal sorriso che gli fa prima di bere un altro sorso di qualsiasi cosa stiano bevendo, Dean non è convinto che sia sincera e infatti qualche secondo dopo parte “Total eclipse of the heart” di Bonnie Tyler ed Ellie scoppia definitivamente a ridere – il suono fresco della sua risata si espande intorno a loro e Dean finalmente la riconosce – di fronte alla sua espressione schifata.

«Vuoi farmi vomitare?»

Ellie continua a ridere e lo fa a crepapelle, toccandosi la pancia e quando parte il ritornello chiude la mano a pugno e, facendo finta che sia un microfono, la porta vicino alla bocca e comincia a cantare a squarciagola. Dean vorrebbe dirle di smetterla che la sentono tutti e sta facendo un gran casino, ma si ritrova a ridere anche lui e non riesce a fermarsi e si chiede da quanto tempo non lo faceva così.
 
Non ha un pensiero in testa, è incredibilmente tranquillo e ad un certo punto anche lui si mette a cantare ed Ellie lo guarda sbigottita perché conosce le parole, ma lui alza le spalle e ride di nuovo.
 
Non si sa per quante volte Ellie si alza e quante monete inserisce in quel povero jukebox che è costretto a cantare le canzoni che sceglie fin quando il proprietario, evidentemente stanco delle loro urla, li manda fuori dal locale quasi a calci.
 
Ellie esce da lì e cerca di trattenersi, ma poi ride di nuovo e Dean non prova alcun rimorso per essere stato cacciato da quel posto e la segue nella risata, sentendosi leggero come non è stato per troppo tempo.
 
Si incamminano verso il motel a passo lento – sono troppo ubriachi anche solo per pensare di andare veloci – ed Ellie lo guarda, gli occhi birichini «Che succede se mi tolgo le scarpe?»
Dean punta gli occhi al suolo, coperto di asfalto «Che ti fai male ai piedi».
«Ma mi fanno già male».
«Vorrà dire che starai peggio» a quelle parole, lei alza le spalle e ride spensierata, riprendendo a cantare “Can’t fight this feeling” degli REO Speedwagon da dove l’aveva lasciata prima che il proprietario del locale li cacciasse e Dean è assolutamente sicuro di non averla mai vista tanto brilla. Non sa neanche come fa a camminare diritta.
 
Quando raggiungono il motel, Ellie si ferma, proprio davanti alla porta della sua stanza, e gli sorride nel modo più spontaneo e naturale possibile. Dean la guarda e, anche se forse un po’ la sbronza gli è passata, continua a trovarla attraente come ha pensato per tutta la sera, ma non farà un passo verso di lei, non vuole fare cazzate.

Lei gli si avvicina appena, un sorriso strano sulle labbra «Tu non eri quello che non offriva mai le cene alle ragazze con cui usciva?»
Dean la guarda perplesso «Cosa?»
«Me l’hai detto una volta, tempo fa» Dean distoglie un attimo lo sguardo, cercando di riflettere su quando possa aver detto una cosa così, ma proprio non gli viene in mente e scuote la testa «Non mi ricordo».
 
Ellie stringe le spalle e continua a sorridere e Dean non ha idea di cosa volesse dire con quella frase, ma si ritrova a fare lo stesso e finalmente la riconosce. Ha aspettato questo sguardo e questo sorriso per tutta la sera e adesso è bello ritrovarlo sulle sue labbra. Forse è riuscito a distrarla un po’.
 
Ellie fa un altro paio di passi in avanti, guardandosi le scarpe, e poi punta gli occhi su quelli di Dean per lunghi secondi.
«Grazie per stasera. Nessuno mi aveva mai portata fuori per il mio compleanno».

Dean le sorride appena senza realizzare che è davvero vicina, così tanto che gli basterebbe allungare un braccio, ma continua a pensare che sia giusto non fare nulla e rimane un po’ sorpreso quando è Ellie ad avvicinarsi un altro po’ – lo sguardo sempre fisso negli occhi di Dean, una sicurezza che ha visto poche altre volte trasparire da quegli occhi blu incredibilmente limpidi – e si alza sulle punte, cingendogli il collo con entrambe le braccia.
 
Dean la guarda ed è confuso, ma non fa niente per fermarla, Dio solo sa il perché. Rimane immobile – le braccia lungo i fianchi, come incapaci di muoversi – ed Ellie gli sorride mentre gli accarezza i capelli corti dietro la nuca, ed è così vicina – troppo vicina, cazzo – mentre lo guarda negli occhi e Dean non è più tanto perplesso quando lei si allunga quel tanto che basta a premere le labbra contro le sue per un lungo istante.
 
Si scosta e continua a scrutarlo e a Dean non importa il perché lo abbia fatto, se si è presa una cotta per lui o è semplicemente ubriaca e si sta comportando così per questo, o se è un altro suo strambo modo per dire grazie; non gliene frega niente e la guarda mentre lei gli sorride sicura, le braccia ancora attorno al suo collo e nessuna intenzione di spostarsi.
 
Dean sarebbe davvero stupido se negasse a se stesso che ha desiderato un contatto come questo per tutta la sera – nonostante abbia lottato con tutta la forza che ha in corpo per evitare di fare un solo passo verso di lei – e, per quanto si sforzi, non riesce a trovare un solo motivo per dirle di no.

Fanculo papà, fanculo anche Jim.

Abbassa la testa e la bacia davvero, chiudendo gli occhi e prendendola per i fianchi per attirarla più a sé ed Ellie non si tira indietro, anzi, la sente sorridere contro le sue labbra e semplicemente lo asseconda con naturalezza, alzandosi un altro po’ sulle punte per andargli più incontro.
 
Non ha idea di cosa gli stia succedendo, ma gli piace la sensazione di averla così vicina, il modo in cui lo bacia. Vuole esplorare ogni spazio, ogni piccolo angolo della sua bocca ed Ellie – le sue labbra morbide e sicure – risponde al suo desiderio con naturalezza, come se lo stesse aspettando da un po’, come se fosse tutto assolutamente giusto ed inevitabile.
 
Vorrebbe accarezzarle il viso ma non riesce, intrappolato tra le sue braccia sottili, così sale con le mani seguendo la stoffa del vestito fino ad arrivare alla sua pelle, sotto la giacca di jeans, disegnando la curva della sua schiena con le dita, e la stringe un po’ di più a sé, per sentirla vicina e annaspa in cerca d’aria man mano che il bacio si fa più appassionato.
 
E’ lei a distaccarsi piano dopo un tempo che a Dean sembra troppo breve e lo guarda, gli occhi luminosi e lo sguardo sicuro e non accenna a muoversi o a togliere le braccia dal suo collo, tenendolo ancora stretto. Gli accarezza i capelli e i contorni del viso – le mani piccole e fredde e il tocco così dolce – e strofina la punta del naso contro quello di Dean mentre si avvicina di nuovo per sussurrargli «Buonanotte» e stampargli un altro bacio sulle labbra e Dean vorrebbe afferrarla ancora e far durare tutto di più, riprendersi quegli spazi che sono stati suoi per qualcosa di più di qualche istante.
 
Non sa spiegare il perché di questo suo desiderio e quel che è peggio è che non gli importa, ma Ellie scioglie l’abbraccio ed è già lontana quando si volta a guardarlo e gli sorride per poi sparire dietro la porta della sua stanza.
 
[1] Sarah Lind è un’attrice canadese, nota per le sua espressione sempre imbronciata. Nell’anno preso finora in considerazione in questa fanfiction (2004) interpretava la protagonista nella serie “Edgemont”. 

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Capitolo 14
*** Heat of the moment ***


Note: Questa settimana mi sono ridotta all’ultimo per rispondere alle vostre – come sempre bellissime <3 – recensioni e vi chiedo scusa, ma neanche nel weekend ho trovato un momentino perciò mi sono trovata a farlo oggi. Non sono riuscita a finire purtroppo, ma sono un sacco di fretta quindi troverò un sistema per farlo prima possibile, lo prometto! :D
Approfitto di questo spazietto per comunicarvi che dalla prossima settimana sarò di nuovo in patria, perciò l’appuntamento con Wash away torna al mercoledì, come prima di questa mia lunga vacanza.
Un’altra cosa: c’è una piccola parte di questo capitolo che forse è un po’ troppo influenzata dalla mia cultura ed educazione scolastica – e dai miei gusti letterari. Ho fatto delle ricerche a riguardo, scoprendo che anche gli americani possono venire a contatto con un certo tipo di letture se frequentano dei corsi specifici nelle loro scuole, per questo ho continuato a seguire la corrente dell’ispirazione senza pormi troppi problemi, ma spero comunque che non risulti forzato. Capirete di cosa sto parlando leggendo ;)
Vi lascio al capitolo, che sarà un pochino più di passaggio rispetto al precedente. Sono contentissima di leggere che la svolta finale di quello precedente non sia risultata forzata o inadatta a questo punto della storia ed ora vedrete come Dean ed Ellie affronteranno quello che è successo. O meglio, uno dei due, per l’altro/l’altra dovrete attendere ancora un po’ :)
Spero che abbiate passato un bellissimo Ferragosto e vi saluto augurandovi un’altrettanto splendida settimana… a presto! :D

 
Capitolo 14: Heat of the moment
 
It was the heat of the moment
Telling me what your heart meant
The heat of the moment
showed in your eyes.
 
(Heat of the moment – Asia)
 
 
Ha gli occhi chiusi ed inspira piano, sdraiato su quel letto scomodo e piuttosto cigolante su cui dorme ormai da una settimana. Sa perfettamente che il sole è alto in cielo già da un po’ e che sarebbe anche ora di alzarsi, ma la notte è stata lunga ed avrebbe ancora sonno. Peccato che è già un’ora che si rigira tra le lenzuola fingendo che tutto sia perfetto e che l’unica cosa che non gli permette di dormire come dovrebbe, oltre ad un martellante mal di testa, è l’idea di alzarsi e che non c’è nient’altro a impedirglielo.
 
«Dean!» la voce di suo padre lo desta dai pensieri e non fa neanche in tempo ad aprire gli occhi – o almeno fingere che stesse veramente dormendo tranquillo – che la sua mano grande e pesante gli afferra una spalla e lo scuote un poco. Dean si volta con la testa verso John che lo scruta severo «Vuoi dormire tutto il giorno? Sono quasi le sette e un quarto, alzati».
 
Sette e un quarto. Da come lo dice sembra essere mezzogiorno. Dean sospira e si tira su a sedere, stringendo le palpebre quando sente la sensazione del dolore alla testa diventare più forte. Guarda suo padre prendere la giacca e mettersela addosso, gli occhi ridotti a due fessure per il fastidio che gli procura la luce del giorno che filtra dalla finestra.
 
«Hai fatto tardi ieri sera? Non ti ho sentito rientrare» a quelle parole, Dean deglutisce. E’ vero: quando è tornato, suo padre dormiva come un ghiro e Dean ha fatto di tutto pur di non svegliarlo, nonostante trovare il letto nelle condizioni in cui era non sia stato poi così semplice.
«No… non tanto».
 
John si aggiusta il colletto della giacca e lo guarda. «Vado a fare un giro con Jim da queste parti. Tu—»
«Tieni d’occhio Ellie, sì» ormai sembra essere un lavoro quasi quanto lo era badare a Sam, per quanto Dean non lo abbia mai considerato tale.
 
Osserva suo padre andarsene e sospira, appoggiando la testa alla testiera del letto per poi chiudere gli occhi.
 
Non sa se è un bene che lui ed Ellie debbano passare altro tempo insieme… da soli. Non che gli dispiaccia, certo, ma dopo ieri sera…
 
Dean si passa una mano sul viso, cercando di riscuotersi da quel pensiero. In realtà, è un chiodo fisso da quando Ellie è rientrata nella sua stanza. Fa fatica anche ad ammetterlo a se stesso, ma è stato proprio questo a tenerlo più sveglio del dovuto durante la notte, più del mal di testa che gli ha dato il buongiorno quando sono spuntate le prime luci dell’alba.
 
Per un paio di volte – diciamo pure tre – si è trovato a rigirarsi nel letto con gli occhi spalancati e non c’era verso di smettere di pensarci, di ricercare nella memoria ogni particolare di quel bacio.
 
Che poi non dovrebbe essere così grave. Insomma, Dean bacerebbe qualsiasi essere vivente di sesso femminile che sia in grado di respirare – a meno che non sia proprio inguardabile –, perché è fatto così, perché gli piace la sensazione che prova quando lo fa. Cosa c’è di strano in questo?
 
Si gratta dietro la nuca e si alza, sbadigliando. Va in bagno per poi cominciare a vestirsi, ma non c’è verso di togliersi quel pensiero dalla testa.
 
Un bacio è solo un bacio, fin qui non c’è assolutamente niente da dire. Dean ha baciato tante di quelle donne nella sua vita, ha anche perso il conto e sa perfettamente che nessuna somiglia ad un’altra. Quindi forse è per questo che un po’ è stato diverso ieri sera, che baciare Ellie… e sì, perché è questa la cosa che lo stupisce di più.
 
Sarebbe un ipocrita se non ammettesse a se stesso che un piccolo – ma davvero minuscolo – pezzetto del suo cervello avesse immaginato un finale di serata simile. Peccato che nei piani non era affatto calcolato che sarebbe stata Ellie a prendere l’iniziativa.
 
Forse perché ha sempre pensato di non piacerle in quel senso. Insomma, a volte gli basta fare lo sguardo languido o sorridere in maniera appena più maliziosa ad una ragazza per farla sciogliere, ma Ellie è sempre stata immune a questo suo “potere”. Non che Dean ci abbia mai effettivamente provato con lei, ma non per questo gli è mai sembrata interessata a delle ipotetiche avances da parte sua.
 
Anche se… beh, il fatto che lei abbia baciato lui potrebbe starci. In fondo passano tanto tempo insieme e probabilmente qualcosa è cambiato… per lei. O forse no, magari era solo ubriaca e si sentiva un po’ sola e… boom. Ma questo non è il punto del suo complicato ragionamento, perché quello che gli fa più arrovellare il cervello è senza dubbio il perché lui abbia baciato lei.
 
Sì, è carina, simpatica, gentile, sempre sorridente e Dean le è affezionato, ma non ha mai pensato di baciarla. E senza dubbio non in quel modo.
 
Gli duole ammetterlo, davvero tanto, ma sta di fatto che, per quanto strano e improbabile, è successo e… non vorrebbe farci i conti. Sa benissimo che se fosse una persona ordinaria sarebbe bene parlarne con Ellie e metterci una pietra sopra. Per fortuna, Dean non rientra in quella categoria, ma Ellie un po’ sì. Non nel senso classico del termine, ovviamente, perché è più matta di lui, ma ha vissuto con la gente comune per tanto tempo e per certi versi ha più i loro modi di fare e di pensare che quelli di una normale cacciatrice e quindi forse vorrà affrontare il discorso e Dean non sa come farlo.
 
Sbatte le palpebre un paio di volte, riuscendo a riscuotersi da quei pensieri. E’ sempre bene non fasciarsi la testa prima di romperla, quindi, prima di pensare al peggio, decide di prendere un paio di analgesici per calmare il mal di testa e preoccuparsi del suo stomaco, che sta brontolando da qualche minuto buono.
 
Esce, vestito e profumato, e si dirige verso la prima tavola calda che incontra. Tra tutto si sono già fatte quasi le otto, ma Ellie non si è fatta viva – cosa strana, di solito è sempre lei ad alzarsi per prima – così prende la colazione per entrambi.
 
Bussa alla porta della sua stanza con un sacchetto e un paio di caffè fumanti in mano e, quando lei gli apre, fatica parecchio per non far cadere tutta la roba a terra.
 
Ellie ha solo un misero asciugamano bianco attorno al corpo, i capelli asciutti ma raccolti in una specie di chignon sulla testa e lo guarda con un sorriso gioioso stampato sul viso. «Buongiorno!»
Ma perché le sembra tutto normale? Perché… perché diavolo apre in questo modo? A lui poi! «Ellie! P-perché stai così?»
Lei piega leggermente la testa di lato, perplessa «Mi… mi sono fatta una doccia. Cosa c’è di strano?»
«C-come cosa… » Dean si rende conto di star balbettando e probabilmente è diventato pure rosso in viso – si sente le guance più calde del normale – così sguscia oltre di lei ed entra nella stanza, cercando di nascondere l’imbarazzo.
 
Appoggia il sacchetto e i caffè sul tavolo – l’ambiente è praticamente uguale a quello dove dorme Dean, perciò ha una certa confidenza con l’arredamento – e si volta verso di lei che ha chiuso la porta, ma è ancora lì in quel modo.
 
Continua a guardarlo confusa; un paio di goccioline scivolano sul suo collo per poi morire incontrando la stoffa dell’asciugamano e lei ne tira su il lembo superiore e lo tiene stretto al petto «Scusa, è che papà non c’è e… e per una volta volevo fare un pochino più con calma, ma non mi sono accorta di che ore sono».
Dean sospira. Non smette di osservarla e non è normale tutto ciò – il leggero calore che sente un po’ troppo in basso, ma neanche quello sulla sua faccia è regolare – e deglutisce cercando di ritrovare la salivazione oltre che un minimo di contegno. «Sì, ehm… ok… però… avvisa, la prossima volta».
«Scusa, non pensavo ti desse fastidio. E poi tu… tu non sei mai in imbarazzo».
«Io non… al diavolo, vestiti! Datti una mossa!»
 
Ellie annuisce ancora perplessa e si dirige verso il bagno – l’asciugamano appena più lento dietro che le lascia scoperta la schiena liscia –, ma non chiude del tutto la porta che rimane leggermente aperta. Forse è perché vuole dirgli qualcosa.
 
Dean si siede e prende un respiro, ascoltando il suo cuore battergli nel petto ad un ritmo leggermente più accelerato e non è normale tutto questo, cazzo, non lo è.
 
Si passa le dita sugli occhi e sospira ancora. Qualsiasi cosa gli stia succedendo o è ancora sotto l’effetto dell’alcol o… no, non c’è nessun’altra spiegazione. Anche se non si sente tanto sbronzo. Anzi, sta bene. Ma… no, non può essere altrimenti.
 
Ellie torna dopo qualche minuto – stavolta vestita – con indosso un paio di jeans slavati e una maglietta celeste leggera.
 
Riflettendoci, è anche comprensibile che lei, circondata sette giorni su sette da soli uomini, approfitti dell’assenza di suo padre per avere un po’ di tempo per sé. Magari per stare di più davanti allo specchio o qualsiasi cosa facciano le ragazze una volta uscite dalla doccia. Solo che dovrebbe ricordarsi di evitare di farlo quando nei paraggi c’è anche Dean.
 
Ellie si accomoda sulla sedia accanto a lui e rovista dentro il cartoccio bianco. «E’ per me, giusto?» Dean annuisce e lei sorride, avventandosi sul bombolone alla crema che le ha portato.
Dean prende il caffè e ne beve un sorso «Come mai hai fatto così tardi stamattina? Di solito sei la prima a svegliarti».
«Lo so, ma… avevo un po’ di mal di testa e sono rimasta più a dormire» e Dean annuisce, masticando il suo bombolone «Fei ftata male?»
«No, solo mal di testa stamattina» gli sorride e a Dean non sembra che sia cambiato il modo in cui lo osserva: è sempre lo stesso sguardo di Ellie, la stessa… espressione. Lo guarda come si fa con un eroe, come Ellie ha sempre fatto dal primo momento in cui l’ha visto. Perché sembra diversa a lui, però?
Lei continua a scrutarlo attentamente per poi deglutire il boccone «Sono stata bene ieri sera» Ahia. Questo era proprio l’argomento che Dean voleva evitare. Adesso andrà tutto a rotoli, Ellie comincerà a parlare di quello che è successo, di quel maledetto bacio e… «Solo che non pensavo fossimo così disastrosi da farci cacciare in quel modo».
Dean ride e magari riesce anche a nascondere il sollievo che sente. Ellie non vuole parlarne, è evidente, ed ora che l’ha capito può rilassarsi. «E’ colpa tua. Non davamo così fastidio prima, ma poi hai cominciato a cantare come una pazza».
Lei spalanca gli occhi «Non è vero! Non sembravo pazza».
«Un po’ sì».
 
Ellie mette su il broncio per finta «Secondo me, invece, è colpa tua. Perché sei stonato e non ti ricordi tutte le parole delle canzoni».
«Ha parlato Maria Callas» lei, in tutta risposta, gli fa la linguaccia e gli sorride ancora. Ha già finito la sua brioche – doveva avere proprio fame, se l’è pappata in un minuto scarso – ed ha la bocca sporca di zucchero a velo e Dean prova la forte tentazione di avvicinarsi e fare a modo suo. In fondo sono da soli e non ci sarebbe niente di male se… spalanca gli occhi, terrorizzato, non appena realizza dove era arrivata la sua mente. Che diavolo di pensiero è mai questo?
 
Si appresta a prendere uno dei tovaglioli che gli ha lasciato la cameriera – sembrava carina ma le ha dato un’occhiata solo di sfuggita, talmente impegnato a pensare a cosa diavolo dire ad Ellie – e glielo porge. Lei lo guarda perplessa, ma poi capisce di essersi sporcata e se lo passa sulla bocca, pulendosi per bene.
 
Appoggia la salvietta vicino al sacchetto, piegandolo con attenzione, e afferra il bicchierone di caffè per poi berne un lungo sorso. «Cosa dobbiamo fare oggi?» Dean si stringe nelle spalle. Il suo compito – tanto per cambiare – è “badare” a lei, quindi in pratica non devono fare niente. «Perché dovrei andare in libreria tra un po’. Mi serve un libro» Dean annuisce; non è proprio il suo luogo preferito, ma per un giorno può sopportare. «Però nel pomeriggio potremmo fare qualcosa che piace anche a te. Tipo andare al cinema, per esempio».
 
Dean la guarda storto. Nella lista dei posti dove portare una ragazza quando vuoi provarci, il cinema è proprio in cima e, per quanto lo sguardo di Ellie sembri innocente e le sue intenzioni più che pulite, quella non gli sembra per niente una buona idea.
 
«No» Ellie lo osserva dubbiosa, anche se la cosa che l’ha turbata di più sembra essere il tono – piatto ma leggermente più alto del solito – che Dean ha usato e lui, rendendosene conto, si affretta ad aggiungere qualcosa per non sembrare troppo scortese «E’… è meglio di no. Non voglio portarti fuori di peso da lì perché ti sei addormentata dopo mezzo film».
Ellie non sembra aver gradito la battuta e porta le gambe al petto, un’espressione accigliata dipinta sul viso. «Ti ha morso qualche animale stamattina? Sei così nervoso».
 
Dean deglutisce. Sì, è vero, è nervoso, ma perché… insomma, non è affar suo il perché. E poi non lo sa neanche lui il motivo, sa solo che questa situazione lo rende strano.
 
«Te l’ho proposto solo per fare qualcosa di diverso, non c’è bisogno di urlare per dirmi che non ti va» si alza senza guardarlo e butta il sacchetto ormai vuoto sul cestino accanto alla porta, poi va in bagno per un secondo e quando torna si siede incrociando le gambe sul letto, senza degnare di mezzo sguardo Dean che si rende conto di averla offesa e non era davvero sua intenzione, solo non capisce perché se la prenda così tanto. Si gira sulla sedia, voltando la testa nella sua direzione e stringendo il legno dello schienale tra le dita. «Non ho urlato».
Ellie lo guarda dritto negli occhi «Lo so che preferiresti andare con John e papà, che ti dà fastidio che ti lascino sempre qui. Ma non è colpa mia» prende fiato «Sono stanca di questa storia. Va avanti da mesi ormai, e non è la prima volta che te la prendi con me. Prenditela con tuo padre piuttosto o con il mio che te lo porta via, o con chi ti pare, ma non con me perché io non c’entro niente. Se vuoi andare con loro la prossima volta, fallo, posso stare da sola».
 
Dean non sa davvero cosa dire dopo quelle parole. Sa benissimo che la situazione tra Ellie e Jim non migliora e che anche a lei – sebbene non lo dica – farebbe piacere se una volta tanto la portassero con loro, se la facessero sentire importante. Almeno un pochino. Sa altrettanto bene che non parla di questa cosa fino in fondo con nessuno – neanche con Dean –, ma è talmente palese e si sente così idiota a buttare tutta la sua frustrazione su di lei – anche se per una volta non è suo padre a preoccuparlo – e dovrebbe cercare di renderle le cose più semplici anziché aggiungere altri problemi e isterismi.
 
Si alza e va a sedersi sul letto di fronte al suo «Non è questo. Insomma, non… non è che preferisco andare con loro» è che non capisco che diavolo mi sta succedendo e starti vicino mi rende nervoso. Sarebbe questa la risposta giusta, forse, ma è meglio non dirla. «Non volevo offenderti» Ellie lo guarda, ma non sembra tanto convinta «Che facciano pure quello che vogliono, quei due. Non m’importa di andare con loro» ed è sicuro che non sta mentendo. E’ stanco delle loro uscitine da fidanzatini, questo è vero, ma rimanere con Ellie non è un peso per lui. Solo vorrebbe avere le idee chiare su di lei come le aveva ieri, lo aiuterebbe a sentirsi più tranquillo. «Non c’è niente al cinema in questo periodo, però in libreria possiamo andare».
 
Ellie è ancora un po’ perplessa. «Vado da sola se non ti va, non c’è problema. Io… io non ho problemi a stare da sola, non sono come voi» Dean rimane in silenzio, incassando il colpo. Gli fa sempre male quando Ellie rivendica la sua diversità, come se essere un cacciatore fosse un problema. Non ha tutti i torti, è vero che è diversa – un po’ per le sue “origini”, forse –, ma sembra usare quella scusa come un’arma, a volte, quasi debba difendersi dalla loro “categoria”.
 
«Ora esageri però» contrae la mascella in maniera del tutto involontaria e poi abbozza una specie di minuscolo sorriso, decidendo che è meglio lasciar perdere «Dai su, togli quel muso lungo e infilati un paio di scarpe. Prendiamo l’Impala e svaligiamo la libreria».
Ellie sbatte le palpebre un paio di volte «Non possiamo farci cacciare di nuovo da un luogo pubblico».
«Allora cercheremo di essere discreti» le sorride e lei ricambia, anche se non è tranquilla come sempre.
 
Sembra nervosa oggi. Forse è ancora un po’ agitata per la storia di suo padre oppure le girano per la testa gli stessi pensieri che ha Dean, chissà. Dean crede che non se la sarebbe mai presa tanto in un giorno qualunque, o forse si sta solo facendo un po’ troppe paranoie.
 
Si alza e prende la giacca ed Ellie si infila le Converse velocemente per poi raggiungerlo.
 
La libreria che aveva visto lungo la strada non è tanto lontana dal motel, ma Dean non ha nessuna voglia di camminare e, quando entrano dentro il negozio, dà un’occhiata in giro: sembrava molto più piccolo da fuori, ma è accogliente, pieno di scaffali di legno chiaro dove milioni di libri sono ordinati per genere e, a loro volta, in ordine alfabetico. A guardare quell’ambiente con attenzione, ha un po’ il sapore di una piccola bottega artigianale.
 
Ellie si guarda intorno curiosa e sembra molto meno inquieta adesso, circondata da tutta questa marea di libri. Vola da uno scaffale all’altro quasi, probabilmente seguendo un filo logico tutto suo nella sua testa.
 
Si allunga per arrivare ad un ripiano in alto e Dean osserva la linea del suo corpo slanciarsi, la maglietta che le si alza appena lasciando intravedere una piccola porzione della sua pelle ed è così graziosa, le dita sottili che afferrano e circondano il libro su cui è concentrata e gli occhiali sul naso mentre legge qualcosa sul retro della copertina, osservandone attenta ogni sfumatura.
 
Alza lo sguardo e gli si avvicina, mostrandogli il volume che ha in mano. «Hai mai letto qualcosa di Kerouac?»
Dean la guarda perplesso «Dovresti sapere bene che io non leggo».
Ellie dondola appena la testa sorridendo «E invece dovresti. Potresti imparare tante cose dai libri» lo ripone al suo posto e fa qualche passo avanti, continuando ad osservare gli scaffali con attenzione «E poi lui parla di viaggi lungo il continente americano e delle tante avventure dei suoi amici pazzi. A volte sembra parlare di noi» lo guarda negli occhi per un lungo istante e poi torna alla sua ricerca, ma Dean non ha idea di come interpretare quest’ultima frase e soprattutto quello sguardo, ma è assolutamente certo che il suo cuore abbia perso un paio di battiti e tutto questo non è un bene e “ma che cazzo mi succede?” a quanto pare è la domanda del giorno «Volevo un genere diverso però, stavolta. Qualcosa di più… storico».
 
Ellie va appena più avanti e si morde le labbra, mascherando un sorriso, quando trova quello che cerca «Eccolo qua. L’Odissea» prende anche questo in mano e ne sfoglia curiosa le prime pagine.
Dean si avvicina e si allunga per dare una sbirciatina «Come fa a piacerti questa roba? E’ un polpettone» ed Ellie cerca di trattenersi dal ridere – il collo leggermente piegato in avanti e gli occhi chiusi – ma non sembra riuscire a farlo tanto bene «Potrei farti la stessa domanda su tante delle cose che piacciono a te».
Dean inarca un sopracciglio «Per esempio?»
«Mmm… i tuoi giornaletti porno».
«Ma quelli non sono polpettoni!»
«Non c’entra niente, io non riuscirei a leggerne neanche mezza pagina» stringe il libro tra le dita e si incammina verso la cassa, il passo lento mentre continua a sbirciare ogni copertina – perché Dean è assolutamente sicuro del fatto che stia leggendo ogni titolo – e la scruta con interesse mentre si solleva sulla punta dei piedi e si allunga verso l’alto per riuscire a leggere dove non arriva, le mani appoggiate alle mensole per reggersi e non cadere e la strana sensazione di ieri sera non passa.
 
C’è qualcosa di diverso in Ellie, ogni dettaglio sembra a Dean nuovo e speciale e, per quanto abbia paura di tutto questo e del modo in cui certi pensieri – che di puro hanno ben poco – si stiano infilando nella sua mente e facciano rumore, non riesce a scacciarli.
 
Spera che sia qualcosa di semplicemente passeggero, nonostante questa voglia che non sembra riuscire a placare, ma quello di cui è assolutamente sicuro è che, qualunque cosa sia, dovrà imparare a conviverci, perché non ha nessuna intenzione di fare passi falsi e rovinare quello che ha costruito con Ellie. La sua amicizia o qualsiasi nome abbia il rapporto che ha instaurato con lei è troppo importante per comprometterlo e lui di certo non ne ha alcuna intenzione.
 
Oltretutto lei non è cambiata: pare la stessa di ieri o di due giorni fa, prima che le venisse la stramba idea di avvicinarsi a lui in un modo del tutto nuovo e di stravolgere l’equilibrio che avevano creato. Forse, però, si è solo lasciata trasportare dal momento e dal torpore dell’alcol, senza badare più di tanto alle conseguenze e senza avere alcun fine particolare, perciò, a maggior ragione, è bene lasciare le cose come stanno.
 
*
 
E’ già sera da un po’ quando Dean si stende sul letto, distrutto. Lui ed Ellie hanno fatto un po’ di giri per Nampa – evitando accuratamente il cinema e le “sciagure” che si sarebbero potute presentare in quella sede – e sono tornati solo adesso, dopo aver mangiato per cena un paio di panini a testa – anche se quello di Dean era molto più… farcito di quello di Ellie – ed è stata una bella giornata, tutto sommato.
 
Dean ha scoperto che ad Ellie piacciono i cappelli di forma strana: ne ha provati almeno cinque in un negozietto accanto alla libreria ed erano uno più ridicolo dell’altro, ma Ellie li ha messi per divertirsi – un paio anche perché le piacevano, Dean ne è certo – e alla fine è riuscito a farle una foto di nascosto – o almeno ci ha provato – con il cellulare mentre ne indossava uno con delle piume colorate; Ellie ha tentato per tutto il pomeriggio di fargliela cancellare, ma non ci è riuscita e Dean è convinto che sarà un’arma perfetta per un qualche genuino ricatto, in caso un giorno ne avesse bisogno. E poi è venuta carina, perciò non ha nessuna intenzione di eliminarla.
 
Ora sono nella stanza che Dean divide con suo padre; di lui e Jim, tra l’altro, neanche l’ombra. Non gli hanno fatto nemmeno una telefonata, niente, ma Dean ancora non se ne preoccupa. E’ abituato a ritardi peggiori.
 
Ellie è seduta al piccolo tavolo situato sotto la finestra e sfoglia le prime pagine del libro che ha comprato; quel coso ne avrà almeno mille e Dean non ha la più pallida idea del perché abbia scelto proprio quello tra tutti i volumi più brevi e magari più interessanti di quello lì.
 
Incrocia le braccia al petto e la guarda, la testa appoggiata alla testiera del letto. «Mi spieghi perché hai comprato quel mattone?»
Ellie alza la testa e si toglie gli occhiali, tenendo una delle due asticelle della montatura tra le dita e facendogli fare un paio di giri. «Mi piace. L’avevo preso in prestito dalla biblioteca della scuola ai tempi del liceo, ma ora voglio rileggerlo per bene».
«Sì, ma perché proprio questo? Non ha una specie di prequel tipo “Lo Hobbit” con “Il signore degli anelli”? Perché partire dal secondo?»
 
Ellie lo guarda, sforzandosi tantissimo di rimanere seria, ma poi non ci riesce e scoppia a ridere di gusto – la schiena appoggiata alla sedia e la testa all’indietro, mentre quel suono gioioso si espande nella stanza fredda – e Dean non sa se offendersi o se mettersi a ridere con lei. Opta per una via di mezzo, esibendo una smorfia irritata.
 
Ellie riprende fiato e lo guarda, gli occhi vispi e lo sguardo tranquillo di chi si sente a proprio agio. «Scusa, la tua sicurezza nel dire le cose ogni tanto mi fa ridere» ridacchia un altro istante e poi torna più seria, guardandolo negli occhi. «Non è che c’è un prequel è un po’ diverso» si accomoda meglio sulla sedia, lisciando la copertina del suo libro nuovo con una mano «L’Iliade è la storia della guerra e di Achille, l’Odissea quella di Ulisse».
«Sì, fin qui c’ero arrivato anch’io» Dean proprio non ci riesce a fargliela passare liscia dopo che ha riso un quarto d’ora sopra la sua palese ignoranza in materia letteraria e cerca quantomeno di recuperare in qualche modo, scavando a fondo nella sua testa cercando il ricordo di una qualche probabile scenetta illustrativa di suo fratello perché Dean ha sempre studiato poco, preferendo attività più… ricreative alle lezioni. «Quindi perché salti la prima parte?»
Ellie tira le labbra in una linea sottile «Perché Ulisse è scaltro. E’ furbo e intelligente e… e ci sa fare con le parole. Riesce sempre a trovare una scappatoia per salvarsi la pelle e questo lo rende un personaggio molto più interessante di Achille, troppo preso dalla rabbia o dalla gloria. E poi di guerra già ne viviamo tanta ogni giorno, non voglio leggere un poema su battaglie e conflitti. Preferisco la storia di un uomo che lotta per tornare a casa».
 
Dean non risponde, riflettendo sulle sue parole in silenzio. Effettivamente, la loro vita è una guerra costante, tra l’altro contro tutto ciò che le altre persone non riescono a vedere, quello che tutti credono sia solo una fantasia e, per quanto i gusti letterari di Ellie siano davvero strani – un po’ come tutto ciò che la riguarda –, non c’è da biasimarla sulla scelta di questo libro.
 
Sorride, lo sguardo basso «Dovresti conoscere mio fratello. Scommetto che avreste di che discutere su tutte queste cose che leggete» e non sa come gli è uscita una cosa così – più che altro come ha fatto a dirla ad alta voce –, ma vorrebbe davvero farle incontrare Sam. E’ sicuro che andrebbero d’accordo e che si troverebbero a pensarla nello stesso modo su molte più cose di quanto non facciano lui ed Ellie che lo guarda attenta e una scintilla le balena veloce negli occhi, come una piccola scossa, un qualcosa di bello «Mi piacerebbe tanto» e Dean è sicuro che sia così. Ellie è sempre curiosa quando si parla di Sam – nonostante cerchi sempre di fare meno domande possibili – e forse, a forza di parlargliene, anche se raramente, Dean l’ha convinta che è qualcuno che vale la pena conoscere, un tipo in gamba. Ed è effettivamente così: Sam è intelligente, è… è il classico tipo di persona con cui tutti dovrebbero andare più o meno d’accordo. A parte papà, ma forse perché sono troppo simili per capirsi e, nonostante ciò, vogliono cose troppo diverse dalla vita.
 
Si riscuote da quei pensieri dando uno sguardo all’orologio: è quasi mezzanotte. Suo padre e Jim non si vedono e Dean non sa se è davvero il caso di preoccuparsi o meno, perché in fondo andavano a fare solo un giro e ci stanno mettendo decisamente troppo a rientrare.
 
Continua a fissare l’orologio riflettendo sul da farsi «Sei preoccupato per tuo papà?» alza lo sguardo ed Ellie lo sta osservando attenta.
Dean scuote la testa «Nah… » anche se si rende conto di non essere del tutto sincero mentre lo dice «In fondo fanno sempre così. No?»
 
Ellie annuisce e fa spallucce. «Che dici, passeremo tutta la vita ad aspettarli rientrare?» Dean la guarda serio e lei si appoggia nuovamente allo schienale della sedia «Voglio dire… ultimamente non facciamo altro. Sembra che si divertano ad arrivare sempre con ore o giorni di ritardo da come ci dicono».
Dean alza le spalle, indeciso su cosa rispondere. «Boh, ma… cos’altro potremmo fare?» e lei sorride in modo un po’ forzato, senza tanto entusiasmo e soprattutto senza guardarlo «Ribellarci. Andarcene in giro per conto nostro… » riflette un secondo prima di continuare «Cosa che facciamo comunque. Insomma, stargli lontano, invece di obbedire come cagnolini».
 
Dean scuote la testa «Questo è abbastanza improbabile».
«No, invece. Dovresti farlo».
Dean abbassa lo sguardo, pensieroso. Pensa sempre che Ellie gli nasconda un sacco di cose sul rapporto – se così si può definire – che ha con Jim, ma, in fondo, Dean non ha mai parlato apertamente con lei del suo problema con suo padre. Non vorrebbe neanche farlo, in realtà, ma… si ritrova a scrollare le spalle e stringere le braccia al petto «Io e mio padre ultimamente non siamo proprio culo e camicia. Meglio che lo tengo buono».
«Lo avevo capito» Dean alza la testa di scatto e la trova a studiarlo attenta, un sorriso appena accennato «Non sei l’unico che si accorge delle cose» accavalla le gambe e punta un gomito sulla scrivania, appoggiando la testa sopra la mano aperta «Secondo me è proprio adesso che dovresti comportarti diversamente. Così riusciresti a spronarlo e a convincerlo a discutere di quello che non va. Tanto è così che funziona, no? Immagino non parliate molto dei vostri problemi».
 
Dean l’ascolta ed è sicuro che neanche uno psicologo, se lo avesse chiamato, avrebbe saputo fare un riassunto migliore. Forse Ellie passa troppo tempo insieme a loro, così tanto da capire tutto il complesso meccanismo delle loro relazioni.
 
Alza le spalle ancora una volta «Non credo che cambierebbe niente» e cerca di spostare il discorso di un poco prima che lei riesca a rispondere «E’ quello che fai tu?»
«Cosa?»
«Ribellarti».
«No… è tutto il contrario di quello che faccio io» Ellie sorride amara «Ma ogni tanto penso che sarebbe l’unico modo per farmi considerare da quella… » si morde le labbra, cercando visibilmente di trattenersi dal dire qualcosa «Da papà» ma Dean è sicuro che non avrebbe voluto usare quella parola, non stavolta, e avrebbe tanti aggettivi da poterle suggerire al posto di quel papà che suona così male messo addosso ad una testa di cazzo come Jim. Ecco, queste tre parole, ad esempio, lo descrivono senz’altro meglio. «Ma va beh, sono solo pensieri, in fondo».
 
Dean annuisce, pensieroso, ed è convinto che Ellie non avrebbe tutti i torti ad opporsi a quel verme. Anzi, le darebbe ragione se lo facesse. Quello che si chiede, però, è se lui potrebbe fare la stessa cosa con suo padre, se ne sarebbe in grado e conclude velocemente che… no, non ci riuscirebbe. Quell’uomo ha fatto troppo per lui da quando l’ha messo al mondo e gli deve tutto. Non ce la farebbe mai a comportarsi diversamente.
 
Ellie torna a concentrarsi sul suo libro, gli occhi bassi sulla copertina ed è evidente che questo è solo un modo per terminare il discorso. Dean si alza e le va accanto, posando una mano sulla sua schiena in un gesto quasi involontario «Finché non tornano rimani qui. Se hai sonno ti presto il mio letto, e sennò… sennò possiamo tenerci compagnia».
 
Ellie si volta alzando la testa nella sua direzione e gli sorride annuendogli.
 
Subito dopo che Sam è partito per Stanford, Dean non aveva nessuno con cui aspettare suo padre in piedi quando tornava tardi. Spesso passava le notti seduto su una sedia o sul divano, cercando di rimanere sveglio e, quando invece cedeva alla stanchezza, finiva con l’addormentarsi con il collo piegato in avanti e le braccia incrociate al petto e, quando apriva gli occhi di nuovo, sentiva dolori dappertutto. Adesso, invece, non è da solo a dover vegliare di notte per aspettare il ritorno del suo vecchio e qualcosa gli dice che, almeno su Ellie, potrà contare sempre. 

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Capitolo 15
*** But you're crying, you're crying now ***


Note: Mi fa strano tornare a pubblicare di mercoledì con l’orario italiano già pronto ahahah ma eccomi qua :) Le vacanze sono finite – e sono letteralmente volate – e sono ritornata alla normalità, com’è giusto che sia.
Anche questa settimana non sono riuscita a rispondere alle vostre recensioni prima di oggi e mi dispiace. Ora le cose dovrebbero tornare com’erano, quindi magari i miei ritardi saranno più contenuti xD scusate ancora, ma la scorsa settimana è stato tutto un tran tran ed ora che sono tornata si sono giù messi a catena altri impegni.
Abbiamo passato la metà della storia, a quanto pare, ed io vi ringrazio come sempre per le splendide parole che mi lasciate ogni volta :’) e invito i lettori silenziosi – nuovi e non – a lasciarmi un salutino, se ne hanno voglia. Avanti, non siate timidi, io non mordo XD e se avete da dire la vostra siete senz’altro graditi! :D
Il capitolo di oggi me lo ricordavo un pochino più carino, ma meglio di così non mi è uscito quindi spero che a voi piaccia e che soprattutto gradiate la presenza di un personaggio che per un po’ è stato assente ma che vi farà compagnia nei prossimi tre o quattro capitoli.
Vi lascio mandando un bacione grande a tutti voi, a presto! :D

 
Capitolo 15: But you’re crying, you’re crying now
 
You used to think that it was so easy
You used to say that it was so easy
But you're trying, you're trying now
Another year and then you'd be happy

Just one more year and then you'd be happy
But you're crying, you're crying now.
 
(Baker street – Gerry Rafferty)
 
 
Entra nella sua stanza di motel, gli occhi fuori dalle orbite dopo aver visto la morte in faccia nell’ultima caccia. Gli capita spesso di vederla brutta, ma mai come stavolta. Peccato che quel maledetto, adesso, non avrà modo di raccontare ai suoi amichetti quanto sa essere bastardo Dean Winchester, quando vuole, e sarebbe stato meglio per lui stare da qualche parte a zonzo piuttosto che trovarsi sulla sua strada.
 
Si siede sul letto stanco e spossato, buttando il borsone il più lontano possibile da lui e si sdraia sul materasso cigolante con un mezzo grugnito. Si passa una mano sugli occhi e li chiude. L’idea è quella di farsi una bella dormita, ma cambia idea quando sente l’acqua della doccia smettere di scorrere; non aveva fatto caso fosse aperta.
 
Non passa neanche un minuto quando la porta del bagno si apre e ne esce Ellie con un sorriso allegro e gioioso stampato sulla faccia. Ha solo un asciugamano addosso legato sopra il seno, i capelli sciolti e bagnati appiccicati alle spalle e a Dean, in questo momento, sembra una specie di apparizione.
 
«Finalmente sei tornato, ti stavo aspettando» Dean la guarda estasiato, tirandosi appena su con la schiena e facendo leva sui gomiti per sostenersi; Ellie gli si avvicina e gli sorride «Vuoi che ti faccia un massaggio? Sembri così stanco».
 
Ed effettivamente è così, è stanco di tante cose, ma soprattutto di fuggire e più che un massaggio vorrebbe sentire il calore di Ellie contro la sua pelle. Si tira su un altro po’ e la afferra per un braccio, portandola su di lui «Già che sei qui, potresti fare di meglio». Ellie ride – nel modo più genuino in cui Dean abbia mai sentito ridere qualcuno – e alcuni capelli le ricadono sul viso all’altezza di quello di Dean che la guarda e glieli sposta più indietro sulle spalle sorridendo malizioso per poi attirarla più a sé e incontrare le sue labbra morbide. Lotta per scioglierle l’asciugamano che lei tiene stretto al petto e ribalta le posizioni, tenendola stretta sotto di lui che lo guarda ridendo, gli occhi luminosi. Le bacia il mento, il collo e lei lo stringe forte finché un rumore in lontananza lo desta e, quando apre gli occhi, si rende conto che era solo un sogno e che la situazione è molto più grave di quanto pensasse.
 
Si passa una mano sugli occhi lasciandola poi scivolare sul petto – la gola arsa e il cuore a mille – e rimane in silenzio, fin troppo conscio di quello che sta succedendo poco più in basso e cercando di non pensarci – o di non pensare a quello che ha appena sognato.
 
Di certo non è la prima volta che sogna di divertirsi con qualcuna; a volte è successo anche di peggio nelle sue fantasie, solo che stavolta c’è di mezzo Ellie e… porca puttana.
 
Non sa cosa gli sta succedendo. O meglio, non è certo di voler arrivare a quella conclusione.
 
E’ passato già un mese dal compleanno di Ellie e da quella serata che hanno trascorso insieme, dandoci dentro con l’alcol e non solo; dopo che i loro padri sono tornati a Nampa, si sono rincontrati solo una volta in questo lasso di tempo, ma non hanno avuto l’occasione di starsene per conto loro. Ellie, comunque, è sempre la stessa, non c'è nessun cambiamento in lei e… va beh, è una buona cosa, forse l’unica visto che Dean, invece, non riesce a levarsi il pensiero di quella sera dalla testa. Fa di tutto per non pensarci, ma se poi questa specie di “dramma” viene a disturbarlo anche nei sogni è logico che tutti i suoi buoni propositi se ne vanno affanculo.
 
E… sì, ok, non era neanche la prima volta che l’ha sognata, a dire il vero. E’ successo solo un’altra volta, ma era stato subito dopo il “fattaccio” perciò Dean non ci aveva fatto caso più di tanto, pensando che fosse solo una specie di coincidenza, ma forse le cose sono più incasinate di quello che sembrano.
 
Può girarci intorno quanto vuole, ma la verità è che a Dean quel bacio è piaciuto un po’ troppo. Ne ricorda anche il dettaglio più insignificante, nonostante fosse abbastanza sbronzo, e la cosa lo spaventa a morte. Non è sicuro di voler immaginare come sarebbe finita la serata se avessero avuto la stanza libera, senza i rispettivi padri, ma la cosa peggiore in assoluto è che si è reso conto, con il passare del tempo, che lo ha lasciato abbastanza insoddisfatto, perché ne vorrebbe ancora.
 
Si stropiccia gli occhi con le mani e si guarda intorno. Ieri sera, lui e suo padre sono arrivati a casa di Bobby; Dean aveva voglia da un po’ di fargli una visita – soprattutto dopo le ultime due settimane che sono state a dir poco estenuanti – e, con sua sorpresa, ci ha trovato anche Ellie.
 
Era nella stanza che Bobby le aveva lasciato l’altra volta a leggere il suo chilometrico libro – i capelli raccolti in una treccia spostata da un lato e gli occhiali sul naso – e gli ha raccontato che suo padre l’ha lasciata lì una settimana fa perché hanno litigato. Non ha aggiunto altro, a parte che sono tre giorni che non le risponde ed è un po’ preoccupata.
 
Dean, come al solito, avrebbe voluto fare domande, ma… niente, meglio lasciar perdere, soprattutto perché Ellie si è affrettata a cambiare argomento, dicendogli che, se voleva, poteva dormire sul letto e che lei si sarebbe presa il divano e Dean, stanco com’era, non ha proprio potuto rifiutare. Al diavolo la galanteria, per una volta. E poi avevano già stabilito che avrebbero fatto una volta per uno, come Ellie gli ha prontamente ricordato quando lui ha provato a replicare.
 
Si alza in piedi stiracchiandosi la schiena e cercando di ricomporsi, si veste e si dirige di sotto dove trova Bobby intento a fare il caffè.

«Buongiorno figliolo».
 
Dean lo saluta con una mano e si stropiccia gli occhi nuovamente. Si guarda intorno in cerca del padre, ma l’unica cosa che vede è Ellie ancora addormentata di peso sul divano. Si ferma un attimo a guardarla: ha una coperta di lana a scacchi marroni e bianchi addosso ed è sdraiata a pancia in su, le mani sopra il ventre e gli occhi chiusi. Gli spunta un sorriso sulle labbra a vederla così rilassata e tranquilla ma, quando si rende conto di ciò che sta facendo – fissare una ragazza addormentata come il peggiore dei deficienti –, scuote leggermente la testa e si volta di nuovo verso Bobby.
 
«Notizie di Jim?»
Bobby gli allunga una tazza di caffè «No, tuo padre è andato a cercarlo».
Dean sorride sghembo, amareggiato. Giustamente restare per una cazzo di volta che avevano deciso di prendersi una “pausa” era troppo complicato. «E non poteva chiamarmi? Sarei andato con lui».
«No. Sei appena arrivato» Bobby lo scruta, il cipiglio severo tradito dallo sguardo buono che sembra quasi voler nascondere sotto il logoro cappello «Qual è il problema? C’è anche Ellie, vi farete compagnia. E poi tuo padre può cavarsela da solo. Tra caproni, si sa, si intendono».
 
Dean non può fare altro che annuire – anche se a lui Jim più che “caprone” sembra più una gigantesca testa di cazzo ed è sicuro che anche Bobby concorderebbe se sapesse almeno un quarto delle cose che sa lui – e sorseggiare un po’ del suo caffè. Forse Bobby ha ragione, forse gli farà bene un po’ di pace. O forse no, ma senza dubbio avrebbe gradito che suo padre lo avvertisse di persona.
 
Tra l’altro, non ha mai capito questa specie di “astio” tra Bobby e suo padre. Non che si odino, però sono sempre stati… strani tra di loro. Forse perché hanno una concezione della vita diversa, o chissà. Dean ha sempre avuto l’impressione che fatichino seriamente a non sbranarsi ogni volta che stanno nella stessa stanza.
 
Non fa in tempo ad aggiungere nient’altro che sente una mano stringergli appena la spalla destra; si volta ed Ellie è in piedi lì accanto che gli sorride. E’ visibilmente assonnata, ha i capelli spettinati e indossa solo una delle sue lunghe magliette. Un paio di strani pensieri attraversano la testa di Dean come frecce impazzite ed è meglio non rimuginare sul sogno di ieri notte perché potrebbe farlo davvero uscire di testa.
 
Ellie fa un paio di sbadigli, mettendosi una mano davanti alla bocca; Bobby lascia strisciare sul tavolo una tazza piena di caffè nella sua direzione «Allora, hai dormito bene?»
«Beh, sicuramente in un letto che ho ceduto ad un pappamolle sarei stata meglio, ma c’era chi ne aveva più bisogno di me».
Dean la guarda quasi offeso «Io non sono un pappamolle!»
Ellie ride di gusto e si siede accanto a lui agguantando un biscotto e portandoselo alla bocca. Fa una faccia schifata e poi fissa Bobby. «Uomo forte dal cuore tenero, da quanto non vai a fare la spesa?»
Bobby la osserva con finto disappunto. «Qualche giorno».
«Vorrai dire da qualche mese! Questi biscotti sono più vecchi di te!» Bobby la incenerisce con lo sguardo, ma lei gli sorride furba «Senza offesa, lo sai che ti voglio bene» poi punta gli occhi su Dean senza dargli il tempo di studiare la reazione del vecchio cacciatore a quelle parole – perché Dean è uno che si diverte con poco «Posso prendere la tua bambina?»
Dean si volta di nuovo a guardarla, gli occhi ridotti a due fessure. «Tu sei pazza solo a pensare di chiedermelo. Assolutamente no».
Ellie sbuffa appena e poi sorride di nuovo. «Allora portami tu».
Si alza e Dean è perplesso; ma perché non riesce mai a darsi pace? «Scusa, tu sei qui da qualche giorno ormai e vuoi andare a fare la spesa adesso? Le altre mattine che ti sei inventata per fare colazione?»
«Facevo i pancake!»
«E non puoi farli anche stamattina?»
«No, mi sono alzata con l’intenzione di mangiare i biscotti e… dai, che ti costa accompagnarmi?»
Dean la guarda, un’espressione colma di odio dipinta sul viso. «E la colazione?»
«La faremo con dei biscotti decenti quando torniamo, muoviti».
 
Prende carta e penna e li dà a Dean che sbuffa sonoramente e gli dice di scrivere tutto quello che serve in quella casa. Dean esegue gli ordini tra uno sbuffo e l’altro, sotto lo sguardo di Bobby che cerca di celare – male – il suo risolino dietro la sua tazza di caffè per poi dirigersi a passo lento verso il suo studio, e si mette a scrivere.
 
La cosa che, però, lo stupisce di più è che la lista di Ellie è mentale, come se avesse già in mente cosa comprare senza aver guardato in nessuna dispensa. Fa un lungo elenco dove ci sono pasta, pane, carne, bevande per niente alcoliche, acqua, un sacco di frutta e, mentre scrive, Dean si chiede cosa diavolo sta facendo anziché frugare nei cassetti e, quando si volta, la vede vicino al divano, girata di spalle; non indossa più quella lunga maglietta verde, ma un paio di jeans che le fasciano le gambe e solo la striscia di tessuto del reggiseno nero a stringerle la schiena e Dean non può fare a meno di domandarsi se…
 
Si volta di nuovo prima di concludere quel pensiero – e che lei possa accorgersi di essere “spiata” –, tornando a scrivere su quel foglietto stropicciato e, dopo neanche un minuto, Ellie è di nuovo dietro di lui e glielo prende dalle mani. Per fortuna adesso è vestita.
«Ma hai segnato la metà delle cose che ti ho detto!»
«La prossima volta parla più lentamente» ed evita di farmi distrarre…
«Ho capito, me ne ricorderò da sola. Andiamo». Dean sbuffa ancora e si alza, andandole dietro.

Nel giro di pochi minuti, Ellie e Dean raggiungono il supermercato più vicino e, armandosi di cestino, entrano e lei si ferma ad ogni scaffale per prendere ogni cosa le viene in mente. Sono almeno il doppio di quelle che erano scritte nella lista e Dean è convinto che non è che si è dimenticato di appuntarle, ma piuttosto è lei che sembra voler prendere qualsiasi cosa possa servirle.
 
Per un momento, Dean pensa a quando andava a fare la spesa con Sam che ogni maledetta volta leggeva l’etichetta di ogni cibo che prendeva in mano e pensava che, in quelle situazioni, Sammy si trasformava in una pedante casalinga, ma ora si rende conto che una donna vera è pure peggio. Anche se non darà mai a Sam la soddisfazione di farglielo sapere. A patto che riuscirà a rivederlo prima di farsi sbranare da qualche cane infernale o affini, ovviamente.

«Mi spieghi cosa ci fai con la farina?»
Ellie lo guarda, il sorriso sulle labbra e gli occhi vispi. «Un dolce… e tu mi aiuterai».
«Hai bevuto ieri sera? Perché devi essere completamente impazzita. Io non ti aiuterò a fare nessun dolce».
«Una volta mi hai aiutato!».
«Eri ferita e Bobby mi avrebbe preso a bastonate se non l’avessi fatto. Oggi stai anche troppo bene, mi pare».
Ellie sorride di nuovo, mordendosi il labbro inferiore con un’espressione divertita. «Neanche se si tratta di una crostata?»

Dean allarga gli occhi, piacevolmente sorpreso, e la osserva prendere un vasetto di marmellata alle ciliegie; Ellie ormai ha capito come prenderlo per la gola, riesce senza dubbio a farlo meglio di chiunque altro e forse sì, una mano potrebbe dargliela, ma più che altro si divertirà a vederla cucinare.

Arrivano alla cassa ed Ellie tira fuori il portafogli mentre Dean osserva il carico di roba che hanno preso; c’è da mangiare per un esercito.
«Almeno Bobby sarà rifornito anche quando ce ne andremo io e te» Ellie risponde alla sua tacita domanda e, sì, il suo discorso non fa una piega e Dean si ritrova ad annuire.
 
Quando tornano a casa di Bobby, Ellie e Dean riprendono la colazione esattamente da dove l’avevano lasciata; Dean non lo ammetterà mai, ma la sua idea non è stata poi così male perché quei biscotti erano veramente incommestibili, mentre quelli appena comprati sono decisamente più buoni.
 
Nessuno fiata per un po’ ed Ellie rigira la tazza di caffè tra le mani, facendo vorticare il liquido al suo interno, pensierosa.
«John è andato a cercare papà?» Dean annuisce. Non vorrebbe chiedere, ma… al diavolo, è troppo curioso. E poi Ellie si è sciolta negli ultimi tempi sull’argomento “ho un padre che è uno schifo”, perciò potrebbe rispondere senza offendersi. E se non lo farà, pazienza, Dean non se la prenderà di certo. «Che è successo con Jim?»
Ellie tira le labbra in una linea sottile e Dean quasi si pente di aver chiesto. «Ricordi quando siamo venuti qui la prima volta?» Dean annuisce; è stato quando quel pezzo di merda le aveva ordinato di ammazzare un lupo mannaro da sola «Beh… eravamo da queste parti e prima di arrivare mi è sfuggito che conoscevo già Bobby» lo guarda con l’aria afflitta e Dean cerca di trattenersi, ci prova con tutto se stesso ma poi scoppia a ridere sotto lo sguardo perplesso di lei.
«Scusa, è che… » cerca di riprendere fiato «Mi fa ridere perché tu… tu non sai raccontare balle».
«Non è vero! Mi era solo passato di mente che non dovevo conoscere Bobby» incrocia le braccia al petto, tutta seria «Sono brava a dire bugie, quando voglio».
Dean la guarda con aria di sfida «Con me non riesci».
«Ma che c’entra, tu sei tu» lo guarda dritto negli occhi «Sei mio amico, certo che mi capisci meglio di lui. Mi conosci di più. E poi non fare tanto il sapientone, anche tu non sei tanto bravo a dire bugie a me. Lo capisco sempre quando menti» ecco, questa è una delle cose che Dean farebbe bene a tenere a mente. Non si sa mai.

Ora, quindi, è tutto chiaro: una volta che Jim ha capito che Ellie gli aveva rifilato una bugia – assolutamente innocente, tra l’altro –, lui l’ha scaricata da Bobby per poi andarsene. Tipico.
 
«Però… sto bene qui. Bobby è gentile» Ellie gli racconta di questi giorni passati a Sioux Falls; Bobby l’ha portata a sparare un paio di volte e le ha insegnato delle cose sulla lotta corpo a corpo. Lei ne parla con gli occhi luminosi, come tutte le volte che impara qualcosa di nuovo e si sente felice dei suoi miglioramenti. Dai suoi racconti, sembra che lei e Bobby abbiano legato abbastanza e Dean ne è senz’altro contento.
 
Una volta sazi, Ellie si alza e Dean la guarda indaffararsi per mettere a posto tutto quello che le capita a tiro, non solo la spesa.
«Che brava donnina di casa».
Il suo tono è scherzoso e lei si volta, facendogli la linguaccia. «Quando ero una persona normale e non la figlia di un cacciatore di bestiacce infernali, eravamo solo io e la mamma, perciò l’aiutavo sempre in casa. Adesso non ho più modo di cucinare visto che la maggior parte delle volte alloggiamo in motel o posti simili, ma quando ne ho occasione mi diverto».
 
Riprende a sistemare e Dean la guarda piacevolmente colpito. La sua mente viaggia da sola e lo porta a quando era solo un bambino e suo padre lo lasciava insieme a Sammy in qualche squallida stanza di motel e l’unico modo che aveva di sopravvivere era cucinare per entrambi. Si cimentava nelle cose più semplici, quelle che implicavano il minor utilizzo possibile di fornelli, ma poi col tempo aveva imparato a cavarsela anche con quelli ed era diventato bravino. I panini che preparava per lui e Sam erano davvero buoni e suo fratello glielo diceva sempre e lo guardava con quegli occhi grandi e i capelli sempre un po’ spettinati ed è un pensiero che gli fa male considerando che adesso Sam è…

«Puoi mettere questo lassù che non ci arrivo?» La voce di Ellie lo distrae e Dean annuisce alzandosi e facendosi indicare lo scaffale giusto. Ripone qualsiasi cosa abbia in mano – è troppo immerso nei suoi pensieri per prestarci davvero attenzione – e poi si volta verso di lei che gli sorride, ma poi il suo sguardo si spegne un po’ e lo guarda con preoccupazione. «Ho detto qualcosa che non va?»
 
Dean scuote la testa; non sa perché, ma gli manca l’aria a stare ancora chiuso lì dentro e, anche se è uscito solo mezz’ora fa, ha bisogno di farlo di nuovo. Da solo, stavolta.
 
Abbassa lo sguardo e prende le chiavi dell’Impala dalla tasca della giacca. «Vado a farmi un giro» posa un ultimo istante lo sguardo su Ellie che annuisce perplessa e vorrebbe spiegarle quello che sente, davvero, ma non ci riesce, tanta è la confusione che ha in testa; vuole solo stare per conto suo per un po’.

Guida a lungo fino a raggiungere uno spiazzo isolato fuori Sioux Falls. Scende dall’Impala e prende una birra dal piccolo frigo che porta sempre con sé; la stappa, se la porta alla bocca e ne beve un lungo sorso e la sua mente continua a vagare lontana, a quando Sam era solo un marmocchio curioso che gli chiedeva il perché di ogni cosa. Gli sembra ancora di sentirlo mentre gli faceva tutte quelle domande, con quella vocina da ragazzino moccicoso: perché papà non c’è mai e perché non abbiamo una mamma erano le più gettonate, ma poi arrivavano anche quelle più innocenti, più infantili e Sam era così curioso da domandare qualcosa anche sul colore della marmellata, perché per lui anche quello era un mistero. Poi Sam è cresciuto e probabilmente ha smesso di farsi domande; Dean, invece, non riesce a farla finita di chiedersi certe cose e adesso è lui a domandarsi perché.
 
Perché l’unica persona al mondo che sembrava capirlo – in un modo tutto suo – ha scelto un’altra strada? Perché ha la sensazione che si sia liberato di lui più che di suo padre? Perché nonostante tutto quello che ha fatto in tutta la sua vita per la sua famiglia ora si ritrova nel bel mezzo del niente alle dieci di mattina a bere da solo come un dannato idiota?
 
Sa che dovrebbe smetterla di lamentarsi nella sua testa e tornare da Bobby, nel posto dove due persone a lui davvero care lo aspettano e lo accoglierebbero a braccia aperte, ma oggi si sente lontano da loro, perché quello di cui avrebbe bisogno è qualcuno che sia sangue del suo sangue, qualcuno con cui ha sempre spartito tutto e che non è arrivato nella sua vita per caso. Qualcuno che c’è stato e che Dean vorrebbe ci fosse sempre ed è un pensiero doloroso quello che gli si incastra al centro del petto, come un enorme ago che lo trafigge senza lasciargli tregua.
 
Sente qualcosa di caldo cadergli sulle guance e, preso dalla rabbia, butta la bottiglia lontano, così tanto da non vederla neanche cadere; lascia scivolare una mano sopra gli occhi e si appoggia meglio al cofano dell’Impala, lasciandosi andare al pianto. Perché è passato ormai un anno da quando Sam è a Stanford e non si sono neanche mai sentiti per telefono; perché continua a sentirsi solo, a volte, perché ci sono delle cose che non riuscirà mai a comprendere e il bisogno che suo fratello ha sentito, quello che l’ha spinto ad allontanarsi da suo padre ma soprattutto da lui, ecco, quello è una delle tante cose.
 
Per qualcun altro è più facile, forse. Per Ellie, ad esempio, che non ha mai avuto un padre e che da quando c’è è come se fosse un fantasma che aleggia sulla sua testa, per lei forse è differente. Perché quando trovi una persona che hai cercato da sempre ma che prima non c’è mai stata per te, se manca un giorno non te ne fai un problema. Ma quando passi la vita con qualcuno con cui dividi tutto – Dio, erano veramente poche le cose che lui e Sam non facevano insieme – allora è diverso.
 
La cosa che gli fa arrovellare più di tutte il cervello, però, è che non capisce cos’ha fatto di sbagliato per spingerlo via, per allontanarlo. Perché è sicuro che Sam si sentiva oppresso, in qualche modo. Per questo se n’è andato nella fottuta California, per stare lontano… da papà, sì, ma anche da lui. E dovrebbe dirsi che non ha colpe, che Sam ha sempre voluto studiare e tutto, ma non riesce a inventarsi altre balle in proposito. Non oggi.
 
Non riesce a capire come ha fatto ad arrivare a ridursi in quello stato, perché negli ultimi tempi stava meglio e gli sembrava quasi di pensarci di meno, non di essersene fatto una ragione ma di essere meno afflitto da tutta questa storia. Ci pensa un altro istante e poi gli viene in mente: è per suo padre. Perché non gli ha chiesto di andare con lui? Perché l’ha lasciato a prendersi cura di un’altra persona, come ha sempre fatto da quando aveva quattro dannatissimi anni? Non è per Ellie, o per Bobby, ma… cazzo, perché non lo porta con sé invece di fargli fare sempre da balia a qualcuno?
 
E’ stanco di questa storia, del modo in cui suo padre cerca di scivolare fuori dalla sua vita. Pensava che andasse tutto bene nelle ultime due settimane; hanno passato più tempo insieme – nonostante fossero impegnati nella caccia di un demone e ci fosse poco tempo per parlare – e John non sembrava voler sgattaiolare dalla stanza ogni cinque minuti per qualcosa, era più… normale, con Dean, più simile al vecchio John Winchester di quanto non lo sia stato nell’ultimo anno e Dean sperava che le cose fossero tornate ad essere quelle di una volta e invece, a quanto pare, non è così.
 
Non sa per quanto tempo rimane lì, immobile, scosso solo dai singhiozzi e da tante domande che si affollano nella sua mente, poi prende un grosso respiro e si asciuga gli occhi con le dita. A forza di pensare a tutte quelle stronzate gli è venuto un forte mal di testa.
 
Sale in macchina e rimette in moto e guida fino a casa di Bobby; lo trova nel suo studio a leggere un libro polveroso e, anche se lo guarda strano, per fortuna non gli chiede spiegazioni su niente. Appoggia la giacca sul divano e va in cucina, dove c’è Ellie con i capelli legati in una coda alta e un grembiule addosso. E’ concentrata in quello che sta facendo: un impasto di un colore molto normale e appetibile. Quando si accorge di lui, alza lo sguardo e gli sorride.

«Ciao! Giusto ti aspettavo… mi chiedevo se volevi un po’ di insalata per pranzo o le patate fritte».
Dean la guarda «E le patate fritte dove le troveresti?»
«O le compro o le cucino. Stamattina mi sono dimenticata di prenderle».
«Per oggi mi accontenterò dell’insalata».
 
Ellie lo osserva con attenzione e il suo umore nero quasi la contagia; qualsiasi sia il motivo della sua “uscita di scena” di prima, non le piace vederlo in queste condizioni – visibilmente triste e sconsolato –, così decide di fargli uno scherzo per tirargli un po’ su il morale. Prende una manciata di farina senza farsi vedere e lo guarda con l’espressione furba.
 
«Puoi venire qui un secondo?» Lui gira intorno al tavolo, completamente ignaro di tutto, si avvicina e la guarda come per chiederle cosa vuole; lei sorride con l’aria birichina e si concentra sui suoi capelli. «Hai qualcosa lì… »
Dean si abbassa quasi di riflesso. «Dove?»

Ellie gli passa la mano sporca di farina tra i capelli e scoppia a ridere quando vede il castano chiaro diventare più sbiadito. Dean, quando realizza quello che Ellie ha appena combinato, si allontana scompigliandosi i capelli e cercando di togliersi la farina, ma sono ancora bianchicci e lei ride a crepapelle, senza riuscire a fermarsi.
 
Dean contrattacca, prendendo a sua volta una piccola quantità di farina in mano e gliela butta un po’ addosso a caso, senza badare a dove la colpisce, e in breve tempo diventa una lotta a chi si sporca di più finché Dean riesce ad intrappolarla contro il lavello e bloccarle le mani mentre lei ride ancora e non ce la fa proprio a smettere.
 
«Mi spiegate che diavolo state combinando?» La voce di Bobby li riporta alla realtà e, quando vede come sono conciati, deve trattenersi perché l’immagine che ha di fronte è veramente buffa: Dean con la farina ovunque, anche sui capelli e sulla faccia, non gli è mai sembrato tanto bambino ed Ellie ha la coda sfatta e disordinata, le guance arrossate per il troppo ridere e il sorriso furbo di chi è stato appena beccato a fare qualche marachella.
«Ha cominciato lei!» Dean le punta il dito contro, proprio come fanno i bambini quando litigano tra loro per cose stupide.
«Lo sai che quando provi a lavarti via la farina diventa colla e non la togli più?»
Dean la guarda allarmato. «Cosa?»
«Pensa quando ti laverai i capelli… »

Il viso di Dean è sempre più una maschera di terrore ed Ellie scoppia di nuovo a ridere nonostante lui le tiri un altro po’ di farina addosso.
 
«Smettetela, mi sembra di stare all’asilo». Bobby indossa la sua migliore espressione cattiva, ma è quasi grato a quei due per il rumore di risate che invade la stanza di una casa troppo vuota per la maggior parte del tempo.
«Non preoccuparti, brontolone, poi pulisco tutto».
 
Ellie si scrolla di dosso un po’ di tutta quella farina, si aggiusta i capelli e si lava le mani per poi tornare a concentrarsi sul suo dolce. Anche Dean si pulisce alla bell’e meglio, poi punta nuovamente l’indice contro di lei. «Questa me la paghi».
 
Lei gli fa una smorfia e torna ad impastare, sorridendo tra sé al pensiero che, anche se è stato solo per cinque minuti scarsi, Dean ha riso e magari si è dimenticato per un po’ di tutti i problemi che lo affliggevano a tal punto da farlo sparire per un’ora e farlo tornare altrettanto arrabbiato ma soprattutto triste – Ellie potrebbe giurare di aver visto tracce di lacrime nei suoi occhi –, mentre Dean si dirige nello studio di Bobby dove si siede.
 
Si guarda ed è ancora bianco di farina; scuote leggermente la testa e lancia uno sguardo assassino a Bobby che se la sta ridendo in modo un po’ troppo evidente per i suoi gusti. Parlano di tutto e di niente per un po’, poi Dean lo aiuta – o almeno ci prova – con delle ricerche per un cacciatore che l’ha chiamato in precedenza ed ha bisogno di una mano e, quando Ellie li chiama per pranzo, si dirigono in cucina e a Dean viene l’acquolina solo a guardare la tavola imbandita.
 
Ci sono delle bistecche che non aspettano altro che essere mangiate, una scodella piena di insalata fresca, della frutta, due o tre ciotoline piene di salse, una crostata che ha un odore davvero invitante, acqua e birra. Magari averlo ogni giorno un pranzo del genere.
 
Dean si siede e prende una bistecca, ne taglia un pezzetto e lo mette in bocca esclamando un «Buona!» quasi sorpreso ancora prima di aver mandato giù.
«Ancora ti stupisci? Dovresti saperlo che sono una cuoca». Ellie gli fa l’occhiolino e gli passa una salsina rosa che ha tutta l’aria di essere squisita.

Dopo mezz’ora, in tavola non c’è più niente se non una marea di piatti da lavare e mezza crostata, visto che l’altra metà è stata equamente divisa: una fetta a testa a Bobby ed Ellie e il resto l’ha fatto fuori Dean in qualche boccone. Ora siedono sul divano mentre Bobby risponde ad una telefonata che aveva tutta l’aria di essere importante.
 
Dean prova a chiamare suo padre ma – al solito – non gli risponde, così si alza e decide di andare a mettere a posto le armi.
Si ferma davanti ad Ellie «Hai programmi per oggi pomeriggio?»
Lei lo guarda curiosa «A parte pulire questo casino, intendi? No, perché?»
«Così, mi chiedevo se avevi voglia di andare a fare un giro».
«Volentieri. Tra un paio d’ore però, prima ho da fare qui. Chiamami quando hai finito così andiamo». Dean annuisce e sorride appena.
 
In realtà, passa il pomeriggio a lucidare l’arsenale che ha dentro l’Impala. Pulisce qualsiasi cosa gli passi sotto gli occhi, nessun’arma esclusa, immerso ancora in una nuvola di pensieri poco confortanti che è tornata a disturbarlo con prepotenza, spazzando via quei pochi momenti di spensieratezza che aveva vissuto dopo essere tornato dal “viaggio dei perché” e, quando Ellie esce per porgergli una birra e controllare se è ancora vivo – le due ore sono passate da un po’ e non si è neanche fatto vedere per dirle che non aveva intenzione di andare da nessuna parte –, è già l’ora di cena e di uscire non se ne parla.
 
Dean gira la bottiglia tra le mani e la segue in silenzio fino alla cucina. Dopo aver mangiato, si accomoda fuori, un’altra birra in mano e si sente così stanco che rientra presto. Ellie sta ancora mettendo a posto e la saluta dicendole che vuole andare a dormire.
 
«Prendi il letto». E’ l’unica cosa che gli dice e Dean vorrebbe replicare, dirle che per stanotte può farne a meno e che è riposato, ma lei, come se gli leggesse nel pensiero, aggiunge solo «Ne hai più bisogno tu».
 
Dean non dice niente e sale di sopra dopo aver salutato anche Bobby. Si toglie i vestiti e si infila sotto le coperte girandosele addosso e cercando di prendere sonno, ma la mente è sempre più affollata e il dolore alla testa non accenna a smettere, proprio come il temporale – tipico del mese di settembre – che è scoppiato fuori dalla finestra.
 
Non sa quanto tempo passa a rigirarsi nel letto senza trovare un minimo di pace. Dopo ore – o forse minuti, non lo sa di preciso – infinite di silenzio, sente la serratura della porta scattare e richiudersi subito dopo e, d’istinto, si volta di botto, la mano sotto il cuscino pronta a sguainare il coltello che ha lì sotto in caso si trattasse di qualche malintenzionato – casa di Bobby potrebbe essere il posto più sicuro del mondo, ma Dean sa che non esiste niente di abbastanza protetto se un mostro vuole farti la pelle. Quello che vede, però, è Ellie, in piedi accanto al bordo del letto, con le mani alzate, lo sguardo innocente e un timido sorriso appena accennato.
«Pensavo stessi dormendo».
Dean scuote la testa, indeciso su cosa dire. Ellie si limita a infilarsi sotto le lenzuola e si rannicchia, portando le gambe verso il petto e le mani sotto il cuscino. Lo osserva e Dean non ha la più pallida idea di quello che sta facendo.

«Che diavolo fai? Hai paura dei tuoni come i bambini?»
Ellie aggrotta la fronte «No. Voglio… voglio solo dormire qui».
 
Si tira più su le coperte senza aggiungere altro. Lo guarda per qualche secondo e gli sorride, per poi abbracciare il cuscino e chiudere gli occhi senza dar modo a Dean di chiederle spiegazioni.
 
Dean la osserva e fatica un attimo a capire il vero motivo del perché sia lì, ma poi lo afferra e quella consapevolezza gli alleggerisce un po’ il macigno che per tutto il giorno gli ha oppresso il cuore.
 
Ellie è in questo letto per ricordargli che non è solo, non più, e non importa se lei non fa parte della famiglia di Dean “in senso stretto”, se non potrà mai sostituire con il suo affetto quello che ha ricevuto da Sam e che ora gli manca così tanto; quello che gli dà lei, sebbene sia diverso e poco paragonabile a quello di suo fratello, è autentico e sincero. E Dean ha tutta l’intenzione di tenerselo stretto.
 
Sospira appena – l’ombra di un sorriso che si staglia sulle sue labbra – e chiude gli occhi e stavolta non gli ci vuole molto prima di riuscire a prendere sonno.

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Capitolo 16
*** Can’t get away from the magnet ***


Note: So che sto diventando petulante, ma le visite la scorsa settimana sono state più numerose del solito ed io non so più come dirvi grazie. Per non parlare del numero di recensioni e di tutti coloro che hanno messo la storia in qualcuno dei loro elenchi per ricordarsi di leggerla e stare al passo con gli aggiornamenti. Davvero, grazie di cuore. Non avrei mai pensato di ottenere tanto calore quando ho cominciato a pubblicarla e la cosa mi fa sgranare gli occhi dalla gioia e saltellare settimana dopo settimana. Perciò grazie, grazie di cuore <3
Lo scorso capitolo siamo tornati alle origini con tutte le “paranoie” – più o meno legittime – di Dean riguardo la sua situazione familiare, mentre in questo torniamo al problema del momento – ma potrà mai stare in santa pace quel povero ragazzo? XD
Spero che la lettura sia di vostro gradimento e, come sempre, se volete farmelo sapere sarò più che lieta di leggere le vostre opinioni :D
Vi mando un abbraccio grandissimo e vi aspetto la prossima settimana! A presto! 

 
Capitolo 16: Can’t get away from the magnet
 
Polar north can’t get away from a magnet;
The magnet finds it,
No matter what.
 
(Jodi Picoult)
 
 
L’acqua scorre lenta sul suo corpo, bagnandolo interamente per poi scivolare sul piatto della doccia e finire nello scarico. Dean si passa le mani sul viso e non crede di aver mai fatto una doccia tanto lunga, ma non riesce a uscire da lì. La nube di vapore sale lenta sopra la sua testa ed è convinto che Bobby si incazzerà tantissimo quando troverà il bagno in queste condizioni – i muri e lo specchio ricoperti di fitte goccioline –, ma non fa niente. Ha pensieri peggiori che gli frullano per la testa.

Quando si è svegliato, mezz’ora fa, si è rigirato nel letto e si è ritrovato da solo. Ellie si è addormentata ed è rimasta con lui tutta la notte – una volta si è svegliato e lei era lì che dormiva tranquilla –, ma al suo risveglio era sparita. L’unica traccia di lei era il libro che ha lasciato ancora sopra il comodino; è lì da quando Dean è arrivato.
 
Sicuramente, conoscendola, si è alzata presto per andare a preparare la colazione. E chissà quali sono i suoi piani per la giornata.
 
Dean, comunque, non sa se svegliarsi da solo sia stato un bene o un male, più che altro per le sue condizioni: l’ha sognata nuovamente – e siamo già a due volte in due giorni. Ellie aveva un misero grembiule con dei fiori e poco più addosso; era allegra e aveva tanti buoni propositi e soprattutto tanta voglia di renderlo felice. Erano nella cucina di Bobby e lei lo spingeva a sedere sul divano – lo sguardo voglioso e le mani che vagavano un po’ ovunque – e… Dean scuote la testa, cercando di togliersi quelle immagini dal cervello perché sarebbe solo peggio ripensarci.

E’ conscio del fatto che tutto ciò sta diventando un problema. Una volta può capitare; è strano, sì, ma può succedere, ma ormai… sta diventando un’abitudine e non una di quelle che gli piace.
 
E’ consapevole di non poter andare avanti così. Qualsiasi sia quello che sente per Ellie è sbagliato, perché sono amici nel senso più profondo del termine e non è giusto mandare tutto a puttane per qualcosa di cui non è neanche sicuro.
 
Si è convinto – o comunque è quello che sta cercando di fare con tutto se stesso – del fatto che pensa continuamente a lei in quel senso semplicemente perché è troppo tempo che non sta con una donna. Sì, deve essere così.

Esce dalla doccia qualcosa come cinque minuti - abbondanti – dopo e si ripromette di andare a fare un giro nel posto giusto quella sera stessa o forse anche prima, così da placare ogni sua voglia e sperare che gli passi quella per Ellie.

Non avrebbero mai dovuto baciarsi. Anzi, non dovrebbero proprio stare tanto a contatto. E’ una ragazza e lui va pazzo per le ragazze, soprattutto se sono carine e si dimostrano gentili e amorevoli nei suoi confronti; era normale che prima o poi sarebbe finito col farsela piacere – a patto che sia questo ciò che sente davvero –, ma è ancora in tempo per rimediare, ne è sicuro.

Si veste e controlla il telefono prima di scendere a fare colazione. Suo padre non ha ancora chiamato. Prova a fare lui un tentativo, ma fallisce per l’ennesima volta, perciò si limita a riattaccare dopo i primi due squilli a vuoto. Molto meglio della voce di papà registrata dalla segreteria.

Scende in cucina e trova la tavola piena di ogni ben di Dio: pancake, cereali, biscotti, latte, succo di frutta, caffè… ce n’è per tutti i gusti. E’ assolutamente certo che la colazione a casa di Bobby non gli è mai sembrata così invitante e sorride istintivamente di fronte a tutto quello che vede.
 
Ellie è di spalle e sta rigirando qualcosa in un pentolino; non si è accorta della presenza di Dean. «Ci sono ospiti a colazione?»
Lei si volta e gli sorride con gli occhi luminosi. «Buongiorno dormiglione! No, ho preparato solo per noi».
«Alla faccia, pare stia per arrivare una mandria di gente» si siede guardandola sorridere; Ellie spegne il fornello e fa lo stesso per poi prendere una porzione di pancake e metterci sopra un bel po’ di sciroppo d’acero. Dean, invece, è più attirato dalla crostata. O meglio, da quel poco che ne è rimasto.
«Dov’è Bobby?»
«E’ uscito per fare delle commissioni, torna tra un po’».
 
Dean annuisce, come a registrare l’informazione. C’è tanto silenzio stamattina e Dean non sa se è per stanotte o se c’è qualcos’altro, ma sente il bisogno di chiarire la faccenda, anche se non riesce a trovare le parole giuste per farlo. Non è bravo in queste cose, eppure deve spezzare quel silenzio e lo fa sparando fuori la prima cosa che gli viene in mente. «Ellie, per ieri sera… »
Lei alza lo sguardo e lo punta nei suoi occhi, un sorriso che le increspa le labbra. «Che è successo ieri sera?» continua a sorridere, sembra una ragazzina.
«Non scherzare».
«No, veramente, che è successo? Io non me lo ricordo». Dean capisce il gioco e abbozza un sorriso prima di addentare un altro pezzo di crostata, poi lei torna seria. «Non devi scusarti di niente. E’ vero, ieri eri strano, ma avrai avuto i tuoi motivi e se non vuoi parlarne non importa. A me andava solo di farti compagnia» fa una pausa, guardandolo fisso negli occhi. «Siamo amici, no? Gli amici fanno questo».

Dean annuisce con la bocca piena e si sente un po’ più leggero.
 
Apprezza tantissimo il fatto che lei non gli chieda mai spiegazioni – o almeno non tutte le volte che vorrebbe o potrebbe farlo – su tutti i suoi sbalzi di umore e le sue stranezze.
 
Ricorda il loro primo scontro, quando lo aveva fatto innervosire parecchio facendogli domande su Sam e, ora più di allora – sembra conoscerla da un’eternità, ma sono passati solo sette o otto mesi da quando l’ha incontrata la prima volta –, si rende conto del fatto che Ellie non è invadente, ma che, anzi, cerca sempre di rispettare i suoi spazi. Ha un modo tutto suo di provare ad aiutarlo – come intrufolarsi nel “suo” letto nel bel mezzo della notte –, ma la sua è solo benevolenza.
 
Il problema è che Dean non sa più se scambiarla per affetto o per qualcos’altro.

Prima era assolutamente sicuro che non ci fosse nient’altro dietro, adesso… adesso non sa più un cazzo. Ma non capisce neanche quello che prende a lui, quindi forse è tutto normale.

«Che programmi hai per oggi?»
 
Ellie si guarda intorno e sospira appena «Credo… che mi toccherà dare una ripulita a questo posto».
Dean allarga un po’ gli occhi «Stai scherzando spero» ma lo sguardo perplesso di Ellie gli dice che no, non sta scherzando.
«Perché? Prima che arrivassi tu, ho dato una sistemata alla cucina. Non ci hai fatto caso?» Dean scuote appena il capo. Non solo non ci ha prestato attenzione, ma non gli è neanche balenato in testa che Ellie poteva aver messo il suo zampino in quell’ambiente.
«E Bobby ti ha dato il permesso di spostare e mettere a posto le sue cose?»
«Non sono mica andata nella sua stanza!» Ellie sorride, gli occhi limpidi «Lo faccio solo per dare una mano. E’ sempre tanto disponibile con me, io… faccio quello che posso per aiutarlo. Anche se non credo si renda conto che in una casa più decente si vive meglio».
Dean sorride divertito. In effetti, Ellie non ha tutti i torti e poi, forse, doveva aspettarselo visto com’è fatta: cerca sempre di sdebitarsi quando qualcuno fa qualcosa di carino per lei, perciò, in fondo, questo suo atteggiamento non lo stupisce. «Sai che è un’impresa, vero?»
«Lo so, ma c’è troppo… disastro. Ci vuole un tocco femminile in questa casa». Dean annuisce; ancora una volta crede che Ellie abbia ragione, solo che sarà un lavoro a dir poco immane. «Tu hai qualcosa da fare o ti va di darmi una mano?» Dean la guarda stralunato e lei sbatte gli occhi un paio di volte «Niente di pesante, solo aiutarmi tipo a spostare libri e forse qualche mobile».
«I mobili sono pesanti».
Lei sorride «Ma no, al grosso del lavoro ci penso io. Niente straccio o olio di gomito per te, ti chiedo solo di usare la tua forza bruta in caso io ne abbia bisogno» lo osserva continuando a sorridergli «E di farmi compagnia».
 
Dean non può proprio rifiutare un invito così; poi non ha niente da fare e… riflette un secondo e gli viene in mente che, invece, anche lui deve sbrigare un lavoretto, perciò forse… «Ok, ma ad una condizione».
Ellie lo guarda «Sono tutta orecchi».
«Prima tu aiuti me a fare una cosa».
 
*
 
Dean non ha mai tanto da fare quando non ha un caso per le mani, ma c’è qualcosa a cui non può rinunciare: tenere in ordine e tirare a lucido la sua piccola. E’ un po’ che non le dà una sistemata e una pulita, sia fuori che all’interno, e forse questa è la giornata giusta per farlo.
 
Nonostante il temporale improvviso di ieri notte, ora il cielo è sereno: il sole è bello alto e spunta tra le poche nuvole bianche sparse qua e là nel manto azzurrino. C’è anche una leggera brezza perciò non poteva chiedere tempo migliore per fare un lavoro di questo tipo.
 
Ellie lo guarda perplessa da quando sono usciti; forse non ha capito bene le intenzioni di Dean.
 
«Se devi lavare la tua macchina, perché… perché devo aiutarti?»
«Semplice: tu fai l’interno, io la carrozzeria. In due si fa prima».
 
Lei sembra pensarci un attimo, poi fa spallucce. Dean non ha bisogno di spiegarle niente: sa perfettamente che Ellie è una specie di perfetta casalinga, perciò di certo non dovrà insegnarle come si pulisce il cruscotto o l’abitacolo di una macchina. La guarda mentre apre lo sportello e sale sul posto di guida guardandosi intorno. Ormai la conosce abbastanza da sapere che quando fa così – lo sguardo sicuro e le labbra arricciate in un’espressione allo stesso tempo concentrata e pensierosa – è perché sta cercando di pensare a come fare una certa cosa al meglio.
 
Dean prende un secchio e lo riempie con dell’acqua e un po’ di sapone che trova nella vecchia rimessa delle auto; prende anche una spugna e trascina il tubo dell’acqua fino all’Impala.
 
Mentre “insapona” la sua auto, Ellie si occupa del cruscotto, passando un piccolo straccio bianco sulla superficie e Dean sorride tra sé, convinto di aver lasciato la sua bambina in buone mani.
 
Dopo poco più di un quarto d’ora, Ellie esce dalla macchina, proprio mentre lui la sta risciacquando e gli balena in testa l’idea che non gliel’ha ancora fatta pagare per lo scherzo insolente di ieri.
 
Lei si avvicina e non appena l’Impala è fuori pericolo – lo sportello ben chiuso e nessun rischio che una gocciolina, seppur minuscola, di acqua vi entri all’interno – punta il tubo contro Ellie che rimane immobile e interdetta mentre quel getto la bagna completamente. Evidentemente era troppo sorpresa per pensare di ribellarsi o fuggire e Dean sposta il tubo – dopo essersi assicurato che Ellie sia davvero fradicia – e ride forte, così tanto da dimenticare per qualche istante ogni pensiero negativo. E’ una sensazione così bella che si lascia travolgere, buttando la testa all’indietro e ridendo ancora più forte sotto lo sguardo arrabbiato e incredulo di Ellie.
 
Quando riesce a tornare in sé la guarda e solo adesso realizza l’entità del suo “danno”: Ellie è immobile, zuppa dalla punta dei capelli fino a metà coscia e lo guarda accigliata.
 
«Tu devi essere impazzito» non è realmente arrabbiata, ma non riesce a ridere. «Non è mica estate!»
Dean le si avvicina, un sorriso beffardo stampato sul volto «Prendila come… una risposta a quello che mi hai fatto tu ieri».
Ellie si muove un po’, agitando le braccia, incarnandosi nella perfetta imitazione di un cane bagnato che ha tutta l’intenzione di scrollarsi l’acqua di dosso. «Quella era farina!»
«Sì e ogni tanto ho ancora l’impressione di averla in mezzo ai capelli!»
Ellie sorride e adesso Dean è perfettamente consapevole del fatto che non è arrabbiata «Vuol dire che non ti sei lavato bene» fa un ghigno che ha tutta l’aria di essere sinonimo di una vendetta in arrivo e Dean scappa, cercando un posto dove nascondersi e corre a perdifiato fino all’entrata di casa di Bobby, riuscendo a schivare la maggior parte della massa di acqua e sapone che Ellie – dietro di lui che lo insegue come una pazza – cerca di buttargli addosso usando il secchio come arma.
 
Quando chiude il finestrone lasciandola fuori a bussare – il secchio vuoto nella mano libera e un’espressione sconfitta sul volto –, Dean ride ancora, felice di avergliela fatta pagare e la lascerebbe volentieri penare lì un altro po’, ma cambia idea quando Ellie stringe le braccia intorno al suo corpo, forse in preda a qualche brivido di freddo.
 
Le apre e lei lo guarda accigliata, ma Dean sa che è una facciata e che sta solo fingendo di essere arrabbiata. Lui continua a ridacchiare sotto i baffi «Smettila di ridere, sto congelando».
«Ma piantala, per due gocce d’acqua!» Ellie si volta e lo guarda con il broncio e la fronte aggrottata e a Dean viene ancora più da ridere.
«Ti è andata bene che non ho le mie cose».
Dean spalanca gli occhi «Eh?» e, a giudicare dalla sua faccia, realizza in fretta che Ellie glielo ha detto apposta. E’ comunque strano sentirla parlare di questa cosa: è vero che sono parecchio amici, ma questo è un po’ troppo… personale.
«Perché mi guardi così? Sono una femmina e come tutte le fem—»
«Sì, va bene, ho capito». Ellie ride – ora è assolutamente chiaro che ha parlato così di proposito – e Dean la osserva mentre viaggia da una stanza all'altra alla velocità della luce. Forse sta cercando un asciugamano.
«E poi scusa, oggi non è il ventidue settembre?» Ellie annuisce sfrecciando in un altro ambiente «Tecnicamente l’estate è finita solo ieri, quindi non lamentarti».
«Tecnicamente sei un cretino!» Ellie continua la sua ricerca quasi volando sulle scale e Dean rimane da solo ad ascoltare l’eco della sua stessa risata.

La malinconia è di nuovo lontana, distante. Non sa se è per lo scherzo, o per la straordinaria capacità di Ellie di metterlo di buonumore, ma è tutto molto meglio di ieri.
 
Dopo qualche minuto, lei scende nuovamente le scale – una serie di strani tonfi ad accompagnare i suoi passi – e quando Dean la vede comparire cambiata con vestiti perfettamente asciutti e un vecchio aspirapolvere in mano quasi scoppia a ridere.
«Non te lo meriteresti, ma… a quanto pare, Bobby ha un paio di strumenti per pulire questa casa. Anche se credo lo faccia di rado» alza appena le spalle «E questo mi serve per togliere tutta la sporcizia che c’è nella tua adorata macchina».
Dean incrocia le braccia al petto, aggrottando la fronte «Ehi! Io la tengo bene!»
«Per fortuna! Sembra ci siano passati un paio di contadini con le scarpe molto sporche».
 
Dean assottiglia gli occhi con aria di sfida «Sono un cacciatore io, mica un damerino!» a quelle parole Ellie ride e quel suono così frizzante e gioioso si incastra proprio all’altezza del petto, sciogliendosi in qualcosa di caldo e familiare e Dean non può fare a meno di chiedersi se è sempre stato così da che la conosce o se anche questa sensazione sia nuova, diversa, un po’ come tutta la percezione che ha di lei nell’ultimo periodo. E, davvero, non sa se è una cosa buona o qualcosa da cui fuggire a gambe levate.
 
*

Decidere di aiutare Ellie a dare una sistemata non è stata una grande idea. Non tanto per lei, ma proprio perché la sua intenzione di ripulire casa Singer era pessima in partenza.

Bobby ha tante di quelle cianfrusaglie che è stato più il tempo a chiedergli se potevano buttarle che quello di mettersi a spolverare e, ovviamente, quando è tornato e lei gli ha chiesto il permesso, lo stesso Bobby ha bocciato la sua iniziativa. Non tanto per l’idea che è stata certamente carina e gentile, ma per la mole di lavoro da fare. Anche se quello che è sembrato a Dean è che Bobby fosse un po’ scocciato perché avrebbero inevitabilmente frugato fra le sue cose. Ellie, però, gli ha promesso che non si sarebbero messi a ficcanasare, nonostante la cosa fosse alquanto inevitabile e, alla fine, Bobby ha ceduto, lasciandola fare e Dean, ogni tanto, vorrebbe avere su di lui lo stesso effetto che ha quella ragazza. 

Comunque, qualcosa di interessante è venuto fuori davvero sul conto di quel vecchio brontolone: nella vecchia credenza del salone praticamente inutilizzato – il posto dove, a volte, Dean e Sam giocavano da piccoli perché molto spazioso [1] –, Bobby tiene dei servizi da tavola buoni – e per buoni Dean intende davvero buoni, di quelli da cerimonia – e tanta di quell’argenteria che Dean non si sarebbe mai immaginato potesse esistere in quella casa.
 
Dean non ne sa molto, ma Bobby non ha mai una grande quantità di ospiti – e, a dire il vero, neanche conosce altri cacciatori che lo vanno a trovare spesso, a parte loro – ed è come se ci fosse vissuto qualcun altro in quella casa, come se quel piccolo mobile racchiudesse dei cimeli di un’altra vita.

Dean si è posto delle domande a riguardo ed è sicuro che Ellie abbia fatto lo stesso, ma non ne hanno parlato apertamente tra di loro. Bobby era a qualche metro di distanza e sicuramente non avrebbe gradito un ciarlare a sproposito sul suo conto e non avrebbe neanche tutti i torti.

E’ tardo pomeriggio quando Dean si butta a peso morto sul divano, distrutto. Ellie lo guarda con un sorriso.
«Sei stanco?» è seduta proprio lì accanto, sul bracciolo del divano, le mani appoggiate sulle ginocchia.
«E me lo chiedi? E’ impossibile starti dietro, sei un… trattore umano».
Ellie ride «Ma se hai fatto la metà della metà delle cose che ho fatto io!»
 
In effetti non ha tutti i torti: più si avvicinava l’ora di cena, più Ellie faceva qua e là dal salone ai fornelli per cucinare qualcosa. Dean fatica a capire dove trova la forza per riuscire a fare tutto senza stancarsi, anche se oggi è un pochino più provata del solito. La casa di Bobby non è di certo gigantesca, ma neanche piccola, ed Ellie deve essersi un po’ affaticata a forza di pulire e rimettere a posto; per non parlare dell’Impala, che ha passato con l’aspirapolvere da cima a fondo, senza tralasciare neanche i tappetini poggiapiedi e le pieghe di pelle dei sedili.
 
«Ok, ma ciò non toglie che sei un trattore».
Ellie sorride ed è così vicina che Dean prova la forte tentazione di allungarsi verso di lei per prenderle le guance e stringerle tra le dita; è una voglia pericolosa e quando si riscuote da quel pensiero – sbattendo le palpebre un paio di volte per tornare in sé – si alza in piedi di scatto, sotto lo sguardo perplesso di Ellie.
«Vai da qualche parte?»
«S-sì» si passa una mano dietro la nuca, nervoso «Vado a fare un giro».
Ellie annuisce, ancora un po’ confusa. Dean va verso la porta, ma si volta quando si sente richiamare «Puoi… puoi passare al supermercato?» Dean la guarda perplesso «Non ho avuto tempo di fare un dolce ed è finita la crostata. Te la sei mangiata tutta» sorride appena «Perciò, se vuoi, prendi qualche gelato. O una torta gelato… scegli tu, quello che ti piace di più».
Dean annuisce per poi sgusciare verso l’appendiabiti per recuperare il suo giubbotto.
 
*
 
Quando è uscito da casa di Bobby, gli sembrava di voler andare in capo al mondo. Lui e la sua Baby, soli, lontani dai problemi, dai doveri e, soprattutto, da Ellie.
 
Dean non sa cosa gli succede, ma quando passa del tempo insieme a lei, negli ultimi tempi, sente come una forza attrattiva che lo spinge verso di lei in un modo… insolito e un’altra, repulsiva, che gli chiede di riflettere e di trattenersi, di fare la cosa giusta. Che poi dovrebbe essere anche la legge che regola il funzionamento delle calamite; Sam deve averglielo detto in una delle sue tante uscite da secchione o quando andava ancora a scuola e doveva studiare il comportamento dei magneti.
 
Quello che ha realmente fatto, invece, è il giro di Sioux Falls per poi ritrovarsi davanti al supermercato neanche una mezz’ora dopo.
 
Il bello – se così lo può chiamare, perché lui lo trova particolarmente snervante – è che ogni volta che esce per svagarsi in realtà si ritrova a pensare ancora di più a quello per cui se n’era andato. Anche adesso, in piedi davanti al banco frigo, si chiede se è giusto scappare così ogni volta che si ritrova a desiderare di… fare un passo in avanti verso Ellie.
 
In fondo, cosa ci sarebbe di sbagliato? Potrà anche essere stata ubriaca di brutto – e lo era –, ma è stata lei a baciarlo quella maledetta sera e se lo ha fatto forse… forse lo voleva veramente.
 
Dean non ha mai creduto sul serio a tutte quelle stronzate che si dicono sul fatto che quando si beve si dice la verità, ma forse è il caso di Ellie che segue tutte regole sue a modo suo. O forse no. Forse l’ha fatto solo perché voleva divertirsi per un attimo e buttare nel cesso tutti i cazzo di principi che ha nella testa.
 
Solo che avrebbe fatto meglio a starsene ferma, così magari nessuno si sarebbe fatto nessuna paranoia a riguardo.
 
Dean sospira, le mani aperte sul bordo del banco frigo e le braccia tese a sorreggere il peso del suo corpo. E’ inutile fingere che sta lì da cinque minuti buoni perché non sa quale torta gelato prendere. La verità – e cazzo se fa male ammetterlo – è che probabilmente non sarebbe cambiato niente se Ellie non avesse fatto quella mossa. Forse, da qualche piccola parte del suo cervello, Dean sapeva già che sarebbe andata in questa maniera, che avrebbe finito col desiderarla perché le cose vanno in tanti modi, ma forse la miccia si sarebbe accesa comunque, ad un certo punto.
 
Quello che non vuole fare, però, è cedere. E’ vero che Ellie lo conosce, che vede e soprattutto apprezza cose di lui che ad altri sfuggono o che sottovalutano, ma c’è sempre il rischio che finisca col deluderla, perché Dean non è fatto per le storie a lungo termine. Non sa neanche come ci si comporta. E’ vero, sa essere abbastanza scaltro da convincere una donna a stare con lui per una sera, ma non sa fare il fidanzato – la sola parola gli mette i brividi, porca troia – che è sicuramente quello che vorrebbe Ellie perché glielo ha praticamente detto, quella volta in spiaggia.
 
Ricorda il suo sguardo deciso, la sua sicurezza nell’affermare di voler “scoprire se è possibile per lei stabilire una connessione profonda con qualcuno”. Dean ha ancora in mente quelle parole perché, in un certo senso, lo avevano colpito, nonostante gli sembrasse un discorso tanto “da femmina”. Non che fosse sbagliato, ma era un desiderio, ai suoi occhi, prettamente femminile. Più ci pensa, però, più si convince del fatto che lui non è adatto a queste faccende romantiche, non è… adeguato e non ha neanche intenzione di provarci, perché significherebbe mettere a repentaglio troppe cose e allora no, meglio non rischiare, meglio avere Ellie come amica che fare qualche cazzata e non averla più per niente. Non vuole assolutamente fare casino.
 
E la torta ai frutti di bosco andrà benissimo. Tanto a lei quello che è dolce piace tutto e Bobby non si farà certamente problemi.
 
Va alla cassa e appoggia la scatola sul nastro. Cerca il portafogli nella tasca dei pantaloni e, quando alza lo sguardo per pagare i sette dollari e cinquanta di quella dannata torta, incontra due bei occhi scuri che sembrano volerlo mangiare. Inquadra bene il viso a cui appartengono: bionda, i capelli lisci lunghi fino a poco più su delle spalle e tenuti in ordine da un cerchietto rosso, il viso pieno e le labbra carnose; è pure ben fornita di curve nei punti giusti e, per di più, non ha niente che gli ricordi Ellie. Lo sguardo suadente e languido che continua a lanciargli convince Dean che è la persona giusta con cui attaccare bottone per colmare il bisogno di farsi una sana scopata e poi – ne è sicuro – tutto andrà per il verso giusto: la voglia per Ellie passerà e tutto tornerà alla normalità. Si sente così sollevato dopo un pensiero simile che di slancio le sorride nel modo in cui riesce a farle cascare tutte ai suoi piedi; lei, che dalla targhetta che ha appiccicata al petto sembra chiamarsi Brittany, fa altrettanto, visibilmente compiaciuta di essere stata notata.
 
Quando esce da lì, qualcosa come un quarto d’ora dopo, Dean ha in tasca il suo numero di telefono e un appuntamento per stasera stessa da qualche parte nei dintorni a bersi qualcosa e tutto ciò, nel suo gergo da seduttore incallito – e dai vari sguardi ammiccanti che gli ha lanciato lei –, è sinonimo di prima beviamo e poi ci divertiamo. Non poteva chiedere di meglio.
 
Torna a casa di Bobby tutto pimpante e si dirige subito in cucina, dove però non trova nessuno. Sente, però, un mormorio provenire dallo studio; si avvicina e si appoggia allo stipite della porta con un sorriso, osservando quei due che giocano a carte come due vecchi.
 
Bobby alza lo sguardo verso di lui, un gesto che deve catturare l’attenzione di Ellie in qualche modo perché anche lei poco dopo si volta e lo guarda sorridendo. «Hai preso la torta?» Dean annuisce «Come—»
«Frutti di bosco» risponde prima che possa finire la domanda ed Ellie gli sorride ancora annuendo, per poi tornare a concentrarsi sulle carte. Dean si avvicina, curioso, e dà un’occhiata: c’è un mazzo sul tavolo – quello che solitamente è ricoperto da vecchi libri polverosi – e alcune carte scoperte.
«Le sto insegnando a giocare a Burraco» è Bobby a replicare alla sua curiosità ed Ellie annuisce di nuovo, allungando il collo verso le carte che Bobby ha in mano e che ritira prontamente, appoggiandole al petto «Ehi! Non sbirciare, marmocchia!»
«Ma hai detto che devo imparare!»
«Sì, ma non lo farai guardando il mio mazzo. A carte scoperte ci abbiamo giocato prima».
«Lo so, ma credevo che anche stavolta, se avessi avuto dei dubbi, avrei potuto dare una sbirciatina».
Bobby scuote la testa «Ti stavi approfittando della mia distrazione perché è tornato il tuo compagno di marachelle, non sono mica rincitrullito» mette su il broncio ed Ellie ride gioiosa, il collo appena piegato all’indietro.
Dean scuote la testa, divertito «Ma ti pare Burraco? Insegnale a giocare a Bridge o a Poker! Qualcosa di più avvincente!»
«Il Poker è troppo complicato per una che non sa niente di carte e per il Bridge ci vogliono minimo quattro giocatori [2]. Noi siamo in tre, zuccone» Bobby lo guarda con il solito cipiglio «E la prossima volta combattici tu invece di andartene in giro» si alza dalla sedia e si avvia verso la cucina lasciando le carte sul tavolo e borbottando qualcosa.
 
Ellie alza le spalle «Forse non ha più voglia di giocare» e sembra parlare più a se stessa che a Dean; si alza e si volta a guardarlo. «Mi voleva insegnare Burraco così dopo cena possiamo giocare tutti insieme».
Lei sorride e Dean sente lo stomaco contorcersi, ma non è fame. Si morde il labbro, nervoso «Dopo cena non ci sono».
Ellie lo guarda perplessa «Esci di nuovo?» e Dean annuisce «Ho un appuntamento».
La bocca di Ellie si chiude in una piccola “o” di stupore e poi tira le labbra in un piccolo sorriso «Va beh, allora non fa niente. Giocheremo un’altra volta se ti andrà». Dean la osserva con attenzione e non c’è nessuna traccia di gelosia nei suoi occhi – o almeno così gli sembra – e va bene così. Già ci sono troppi problemi – perlomeno lui ne vede parecchi –, è bene evitarne altri di questo tipo.
 
In fondo non è per farla ingelosire che esce con quella… insomma, non era questa l’idea e lui ha solo bisogno di svagarsi, tutto qui. Non c’è nessun doppio fine; è solo il suo modo di non cedere, di preservare un rapporto bello e non distruggerlo per una voglia che, sicuramente, non saprebbe far durare a lungo. Lui non è così.
 
Ellie mette le carte a posto nel mazzo e si dirige verso la cucina. Dean la segue, in silenzio.
 
Durante la cena, Dean ripensa a come li ha trovati quando è tornato e guarda Ellie «Non sai giocare a carte?»
Lei scuote la testa e manda giù il boccone, sorridendo «Poco. Solo i giochi dei bambini» il suo sguardo si sposta su Bobby «A proposito, brontolone, niente partita a carte stasera. Dean non c’è».
Gli occhi del vecchio cacciatore si piantano sul diretto interessato «E dove andresti?»
Dean mostra un sorriso malizioso, cercando di celare l’amarezza perché è sempre meno convinto che sta facendo la cosa giusta «A prendermi una birra con la cassiera del supermercato. Niente di che».
 
Bobby fa spallucce e non risponde a lui, si limita ad osservare Ellie «Troveremo qualcos’altro da fare». Lei gli sorride e annuisce e neanche per un secondo si volta a guardare Dean che non sa se è per questa storia o perché se ne sta andando di nuovo – dopo che non fa altro praticamente da un paio di giorni, anche se ieri si sentiva più giustificato, in un certo senso – o è una semplice coincidenza e si sta solo facendo delle paranoie per qualche strano motivo, ma decide di ignorare tutto e non pensarci. E’ meglio così.
 
Dopo cena, sale in camera per vestirsi velocemente. Non ha bisogno di presentarsi a quella tipa con tanti fronzoli; una camicia a quadri blu con le righe bianche e rosse e un paio di jeans vanno alla grande. E poi andranno in un pub, non al Gran Galà di chissà cosa, perciò è già tanto se mette la cintura ai pantaloni.
 
Scende di sotto e prende la giacca di pelle, preoccupandosi di alzarne il colletto come fa di solito e dà una sbirciata in cucina per salutare Bobby ed Ellie, ma non trova nessuno. Tutto è a posto e in ordine – Ellie è già passata e ha dato l’olio di gomito, a quanto pare –, ma di loro nessuna traccia.
 
E’ già la seconda volta in un giorno che “li perde”, così prova a cercare dove li ha trovati prima, ma non sono neanche nello studio. Capisce dove “si nascondono” solo quando sente una voce provenire dal salotto, il posto dove Bobby tiene la televisione [3].
 
Si avvicina alla porta e quello che vede lo fa sorridere: Ellie e Bobby, seduti rispettivamente sul divano e su una sedia, si stanno guardando un film, uno dei western che a lui piacciono tanto, con Clint Eastwood come protagonista ed ogni suo proposito di uscire, in questo momento, si fa incredibilmente meno prorompente.
 
Non badano a lui finché non si dirige verso il divano, dando le spalle ad Ellie – vestita con una delle magliette che mette per dormire e dei pantaloncini gialli di dubbia bellezza che le arrivano fino a metà coscia – che però deve accorgersi della sua presenza perché si volta verso la sua direzione. «Che fai? Non dovevi andare a fare conquiste?»
Bobby fa lo stesso. «Già, che ci fai ancora qui?»
Dean si accomoda la giacca, stringendone uno dei lembi quasi di riflesso «Stavo per farlo. Ma state guardando—»
«“Per un pugno di dollari”. Lo conosci?» Dean annuisce «Ho raccontato a Bobby del mio problemino con i film e mi ha detto che questo è bello e che non dovrebbe farmi addormentare».
«Me lo auguro per te. Clint Eastwood non farebbe dormire neanche un cavallo».
Ellie sorride «Ti piace?» e Dean si avvicina di più al divano, senza neanche rendersene conto. «Certo che sì» si toglie la giacca e la appoggia sullo schienale, per poi fare il giro e sedersi alla destra di Ellie che lo guarda stralunata. «Ma il tuo appuntamento?»
Dean si tira su le maniche della camicia «Può aspettare» e si accomoda meglio. Sì, l’appuntamento – o quello che è – può davvero attendere perché nessuna Brittany ha il sapore di casa quanto una serata con una birra e un vecchio film a casa di Bobby.
 
Quando lui e Sam erano piccoli e papà li lasciava qui per settimane, hanno visto tanti di quei film in questo salotto e ne nascevano i battibecchi più stupidi, le classiche discussioni che Bobby riusciva a placare con uno dei suoi soliti borbottii ed è questa l’aria che si respira adesso e Dean non vuole perdersela per niente al mondo.
 
Bobby scuote la testa sorridendo, ma Dean non gli dà peso, concentrando tutta la sua attenzione sullo schermo del televisore.
 
Divide la birra con Ellie e ben presto si ritrova a finirla, dato che a lei non va più e la prima mezz’ora di film fila alla grande. Dean ogni tanto gira lo sguardo verso di lei e la trova sempre interessata e attenta e non gli sembra vero che qualcuno sia riuscito a farle apprezzare qualcosa che lui adora, addirittura uno dei film del suo genere preferito.
 
Finisce col non prestarle più attenzione, dopo un po’, convinto che ormai non crollerà più e quasi sussulta quando sente qualcosa appoggiarsi al suo braccio sinistro.
 
Si volta e trova Ellie con la testa lì sopra, ancora concentrata sullo schermo, ma con una faccia un po’ meno vispa di prima. Lei alza lo sguardo e gli sorride, senza muoversi però.
«Tranquillo, non dormo. Mi appoggio soltanto» si accomoda meglio, le ginocchia piegate verso di sé e il busto leggermente disteso verso il fondo del divano; Dean non è tanto convinto che riuscirà a rimanere sveglia, ma non le chiede di spostarsi o altro, non le dice niente.
Non passa molto tempo quando si volta ancora, non sentendola più muoversi, e la trova addormentata come un sasso, la sua mano sinistra appoggiata al suo braccio. Aveva tutte le ragioni a dubitare del suo proposito di rimanere sveglia. 
 
Sbuffa sonoramente, ma non la sveglia; era convinto che almeno questo film le piacesse e non la facesse addormentare, ma ha cantato vittoria troppo presto. La guarda ancora un secondo e riflette che Ellie deve essere davvero stanca stasera dopo tutto quello che ha fatto oggi e, in fondo, non importa se è crollata, non fa niente ma, soprattutto, a lui non dispiace essere rimasto.
 
Ne è valsa la pena lasciare quella tipa ad aspettarlo nel parcheggio del supermercato e pazienza per la sua serata di sesso praticamente sicuro, ma è convinto che gli è andata molto meglio, perché non c’è niente di più appagante di una birra fresca e un bel film insieme a chi vuole bene – anche se Dean ha davvero uno strano modo di dimostrarlo – dopo una lunga giornata come quella appena trascorsa. 
 
[1] Il salone a cui faccio riferimento è quello che si vede nella puntata 5x15 “Dead men don’t wear plaid”, quando Bobby, Sam e Dean (soprattutto Dean) mangiano la torta fatta da Karen, la moglie di Bobby resuscitata dall’incantesimo di Morte. Non ricordo se si era visto in altre puntate e, sicuramente, l’idea che Sam e Dean potessero averci giocato durante le loro visite a Bobby quando erano piccoli è frutto della mia fantasia.
[2] Secondo le regole internazionali pervenute alla sottoscritta tramite un’accurata lettura della pagina di Wikipedia (XD), è possibile giocare a Burraco con squadre di due giocatori o singolarmente ed esiste anche una versione per tre giocatori. Poker o Bridge, invece, prevedono da due a nove giocatori il primo (almeno nella versione americana), un minimo di quattro il secondo.
[3] Il “salotto”, invece, è – almeno nella mia immaginazione – la stanza che si vede nell’episodio 7x10 “Death’s door”, quando prima di morire Bobby ricorda di quando i ragazzi bisticciavano prima di vedersi un film insieme. 

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Capitolo 17
*** The best thing ***


Note: Voglio essere breve, stavolta, perché questo capitolo è un altro di quelli piuttosto lunghi e non voglio tediarvi con note altrettanto chilometriche. Che magari potrete anche capire qualcosina di cosa pensa Ellie di tutta questa faccenda, perciò a maggior ragione non voglio dilungarmi troppo :)
Ringrazio tutti voi per la vostra presenza, perché mi state accompagnando nella pubblicazione di questa storia con tantissimo entusiasmo, perché andate sempre oltre le mie aspettative ed io non so più come dirvi grazie <3
Saluto calorosamente le new entry (che questa settimana tra preferite e seguite sono state un sacco) e vi lascio alla lettura… un abbraccio a tutti voi, a presto! 

 
Capitolo 17: The best thing
 
I might shoot to win and commit the sin
Of wanting more than I’ve already got
I could runaway but I’d rather stay
In the warmth of your smile lighting up my day
The one that makes me say
‘Cause you’re the best thing that ever happened
to me or my world.
 
(You’re the best thing – The style council)
 
 
Mugugna qualcosa di indefinito muovendo appena le gambe verso il basso, sistemandosi meglio sul materasso. E’ sdraiato di lato, la faccia rivolta verso la finestra; sposta la testa sul cuscino e avverte qualcosa di insolito, di troppo vicino e morbido accanto a sé, ma è caldo ed è una sensazione confortevole, qualcosa da cui non vuole separarsi, anche se è sicuro che quando è andato a dormire non c’era. Inspira senza aprire gli occhi e un forte profumo di frutti tropicali gli arriva alle narici.
 
Dean è sicuro di essersi addormentato nella stanza di Bobby, ma c’è qualcosa di strano perché non ha la minima idea di come diavolo… sbatte le palpebre un paio di volte, cercando di realizzare meglio dove si trova e cosa sta facendo e scopre che quel buon odore non è altro che lo shampoo di Ellie che è lì, ancora nel mondo dei sogni, rannicchiata tra le sue braccia; ha la testa praticamente appoggiata sul suo collo, i capelli sparsi sul cuscino e le braccia strette al petto.
 
Non abbraccia Dean, è lui a farlo. Eppure si ricorda distintamente di averla lasciata sull’altro lato del letto.
 
Dopo aver visto il film, Bobby se n’è andato a dormire – per una volta ad un orario decente, dato che tutti i suoi telefoni sono rimasti stranamente muti per tutta la sera – e Dean non se l’è sentita di svegliare Ellie. Era tardi e dormiva così tranquilla che l’ha presa su per portarla di sopra e lei non si è mossa, non si è accorta di nulla, neanche quando Dean ha scostato le coperte e l’ha adagiata sul materasso; l’unica cosa che ha fatto è stata accomodarsi meglio, abbracciando il cuscino e continuando a dormire profondamente.
 
Dean è rimasto qualche secondo ad osservarla: aveva un’espressione felice sul viso, la stessa che hanno i bambini quando si sentono sereni e amati.
 
Ormai era tardi per uscire e alla tipa del supermercato aveva dato buca, ma non aveva importanza e presto si è ritrovato a togliersi la camicia per poi infilarsi sotto le coperte e osservare la schiena di Ellie muoversi piano.
 
Poteva andare sul divano, è vero, ma era lì e aveva fatto le scale e quel letto è certamente più comodo, come ha constatato già da un po’, perciò se n’è fregato ed ha chiuso gli occhi, mettendosi a dormire.

Non ha idea di come abbiano fatto a ritrovarsi così, stretti l’uno all’altra. Ellie durante la notte deve aver rincorso una fonte di calore più consistente di quelle misere lenzuola e Dean – o almeno il suo inconscio – deve averla semplicemente accolta, come se la stesse aspettando.

Sbatte le palpebre un altro paio di volte, giusto per capacitarsi che non sia un sogno o qualcosa del genere. Abbassa di poco il capo per guardarla, ma incastrata com’è in quella strana posizione non riesce a vedere niente a parte quell’ammasso di capelli morbidi e profumosi. Sorride appena e lascia che una mano scenda sui suoi fianchi e la accarezzi dolcemente. Non ha intenzione di svegliarla, vuole solo… prendere confidenza con il suo corpo. Forse. Non lo sa neanche lui cosa sta facendo, in realtà.
 
Segue la linea del suo fianco fino ad avventurarsi più su, il palmo aperto sulla sua schiena; vorrebbe scostarle appena quella lunga maglietta e carezzare la pelle che c’è sotto, che immagina morbida e vellutata, ma non lo fa perché gli sembrerebbe quasi di violarla, in un certo senso, di toccarla senza che lei gli abbia dato un esplicito permesso perciò rimane così, gli occhi chiusi e il respiro tranquillo. Potrebbe anche rimettersi a dormire, già che c’è. Ellie è calda come un pulcino e non gli dispiace stare così, per niente.
 
Non sa quanto tempo passa quando la sente muoversi, stringersi di più al suo corpo. Ellie sospira appena e strofina la punta del naso lungo la linea del suo collo, in un modo che a Dean procura uno strano solletico.

La sente sorridere «Le abbracci tutte così quelle con cui dormi di solito?» Dean si prende un secondo per riflettere su quella domanda e la verità è che lui non dorme con nessuna e se lo fa non è di certo per sua spontanea volontà. Perché si addormenta, magari, ma non succede mai e, senza ombra di dubbio, l’unica persona con cui ha veramente dormito e basta è Ellie.
 
E’ sempre stato qualcosa di piuttosto naturale, come ieri sera, qualcosa che ultimamente – da quando è da Bobby, almeno – è diventata quasi una specie di abitudine e gli è pure piaciuto, tutte le volte. Ma non può essere tanto sincero, deve sviare l’argomento.

«Veramente sei stata tu ad abbracciare me questa notte» ed Ellie sorride ancora; deve aver capito che quello di Dean è solo un modo per tirarsi fuori dai guai ed ora è lei ad abbracciarlo, allungando il braccio sinistro intorno a lui. Si muove ancora con la testa e gli posa un bacio sul collo, così piccolo che per un attimo Dean teme di esserselo immaginato.
 
Non l’ha ancora guardata in faccia e forse questo rende tutto meno tremendo, meno spaventoso. Perché è convinto che se dovesse succedere qualcosa tra lui ed Ellie – qualcosa che è già successo, è vero, ma adesso sarebbe diverso – finirebbe per rovinare tutto e non vuole. Tiene troppo alla sua amicizia per mandarla a puttane così.
 
Nonostante ciò, lei non accenna a spostarsi e lui la lascia fare, continuando a stringerla e tutto questo lo fa sentire terribilmente incoerente.
 
«Ieri sera sei rimasto, alla fine».
Dean si morde appena il labbro inferiore. Doveva immaginare che Ellie avrebbe fatto un’esclamazione del genere «Sì, beh… il film era più interessante di quella lì».
Ellie sorride di nuovo «Il film, eh?» usa un tono canzonatorio che sa tanto di presa in giro.
«Certo, e te ne saresti accorta anche tu se non ti fossi addormentata a metà».
Lei scoppia a ridere, divertita «L’ultima cosa che ricordo di ieri sera è un tizio a cavallo e il tuo braccio».
«Eh, ti ci sei addormentata sopra».
Ellie stringe appena le spalle «Mi sa che tu e Bobby dovete cambiare genere. Magari qualcosa di meno… cruento».
«Oh, andiamo… era un bel film. E poi ieri sera non ti sei neanche accorta che ti ho messa a letto, perciò non credo sia colpa di quello che stavamo guardando».
Con la mano destra, Ellie stringe il tessuto della maglietta di Dean e abbassa la testa, osservando le sue stesse dita muoversi sul suo petto. «Ero stanca. Ti ricordo che ho pulito quel salone enorme da cima a fondo» si muove ancora, la testa di nuovo incastrata perfettamente con l’incavo del collo di Dean che sospira appena, senza nessuna intenzione di lasciarla andare e si rende conto che gli va bene così. Sta bene sotto quella coperta insieme a lei e non vede un solo motivo per cui dovrebbe andarsene. Perlomeno non uno importante.
«Che ore sono?» Dean fa un immenso sforzo per controllare; il suo orologio è sul braccio sotto di lei, così gira la testa e dà un’occhiata alla sveglia sul comodino. Si volta di nuovo ed Ellie ha fatto lo stesso movimento, tirandosi un po’ su con il busto ed ora riesce a guardarla in faccia: ha i capelli tutti spettinati, gli occhi ancora socchiusi ed è così vicina che, se volesse, potrebbe contarle tutte le piccole lentiggini che ha disegnate sugli zigomi. Non sono tante, finirebbe anche presto, ma questo potrebbe aiutarlo a distrarsi dalla curva perfetta delle sue labbra, così vicine che se solo allungasse un braccio…

«Dio, ma è tardissimo!» Ellie fa uno scatto verso sinistra e quasi salta giù dal letto. Il perché di tutta questa improvvisa fretta per Dean è un mistero, visto che sono solo le sette e mezza.
«Tardi per cosa?»
«Per la colazione! A quest’ora di solito ho già fatto il caffè» apre l’armadio e sembra tirare fuori cose a caso.
 
Dean sbuffa; sa che può essere sincero con lei e non capisce perché si sta comportando così. Tira su la schiena, le braccia piegate a sorreggere il suo peso e la guarda mentre lei, in piedi, muovendo le gambe riesce a sfilarsi i pantaloncini giallo limone che indossava ieri sera ed è un vero peccato che quella lunga maglietta riesca a coprire tutto quello che c’è sotto «Sai, non devi farlo per forza».
 
Ellie si volta e punta gli occhi su di lui; i lunghi capelli le ricadono di lato mentre è piegata in avanti per indossare un paio di pantaloni grigi di una qualche tuta. «Cosa?»
«Tutto questo. La colazione, le pulizie… non sei una cameriera e non è necessario».

Lei finisce di infilarsi i pantaloni e lo fa con un’insolita calma adesso; prende il laccetto per capelli che ha spesso al polso, se li lega in una specie di crocchia e gli si avvicina, sedendosi sul bordo del materasso accanto a lui che si accomoda meglio, appoggiando la schiena al muro dietro il letto.
«Lo sai che mi piace sdebitarmi. Lo faccio per questo».
«Sì, Ellie, ma prendi fiato. Sono qui da tre giorni e non fai altro che andare su e giù per la casa e cucinare e fare non so cosa. Rilassati. Non sei Bree Van de Kamp [1]» Ellie lo guarda senza comprendere «Una delle casalinghe disperate, l’ho visto una volta» e lei inarca le sopracciglia, perplessa «Ok, forse due. Facevo zapping».

Ellie scoppia a ridere, la testa piegata all’indietro e la bocca aperta e quel suono gioioso si espande in tutta la stanza, tanto che anche Dean ne è contagiato e sorride, benché lei non lo stia guardando. Poi Ellie torna in sé e lo guarda, gli occhi che le brillano di una luce nuova e intensa, qualcosa che Dean ha visto davvero raramente in lei.
 
Sembra sempre spensierata, sempre gioiosa e allegra ma raramente è davvero tranquilla. Questo è decisamente uno di quei momenti.
 
Gli si avvicina e continua ad osservarlo e Dean vorrebbe vederla sempre così, con questa luce nello sguardo. Gli prende il viso tra le mani e sorride e a Dean manca il fiato. «Non cambiare mai, Dean Winchester» preme le sue labbra sulla guancia di Dean per molto più di un secondo e lo guarda appena un istante per poi alzarsi di nuovo, prima che Dean possa realizzare che cosa è appena successo. Indossa un paio di scarpe e si ferma sull’uscio della porta, gli occhi ancora puntati su di lui. «Oggi non mi stanco come ieri, promesso. Se vuoi andiamo a fare una passeggiata più tardi».

Dean annuisce meccanicamente, guardandola sorridere e poi sparire oltre la porta. Il suo cuore sta scalpitando dentro il suo petto e si passa una mano sul viso, come a volersi capacitare del fatto che hanno davvero condiviso un letto in un modo del tutto insolito, più intimo e vicino, come una coppia di fidanzati e non aveva mai pensato che una cosa del genere potesse succedere a lui ma soprattutto che potesse piacergli.
 
Teme di non poter più resistere se gli si presenterà un’altra occasione, se la troverà ancora una volta così vicina, però… però deve trovare una soluzione.
 
Andare a farsi un giro negli ultimi giorni non ha migliorato granché la situazione, ma magari può recuperare con quella Brittany e… no, non gliene frega niente di quella lì, sa solo che deve trovare una scusa per stare lontano da Ellie. E’ per il suo bene, lui… non vuole rischiare. E’ anche quello che si ripete da giorni, è vero, e scappare finora non lo ha portato a nessuna conclusione – anzi, in un modo o nell’altro ha sempre finito con l’avvicinarsi di più a lei –, ma deve mettere una distanza, in qualche modo.

Si veste velocemente – non ha ancora deciso se uscire o no, ma una maglia di cotone grigia con tre bottoni sul collo è perfetta anche se vuole rimanere in casa – e scende di sotto, trovando la tavola imbandita come quasi ogni mattina da quando è a Sioux Falls; Ellie è nei paraggi e gli sorride appena mentre Bobby è seduto poco più in là, il giornale in mano e una tazza fumante da cui sorseggia il suo caffè ogni tanto.

Dean si siede e mangia in silenzio, senza scambiare una parola con nessuno. E’ troppo distratto dai pensieri che lo martellano costantemente, come se la sua testa fosse diventata un piccolo tamburo.
 
Ellie si mette seduta solo quando ha pronti i pancake; li mette su un piatto che poi appoggia al centro della tavola e da cui ne prende una porzione.
 
Dean sente il suo sguardo su di sé, ma non si volta finché lei non gli mette una mano su un braccio, reclamando la sua attenzione.

«Mi ascolti?» ma se ha detto qualcosa Dean non l’ha sentita, preso da tutto il suo cumulo di pensieri. Scuote la testa e lei riprende a bere il suo caffè, tenendo la tazza con entrambe le mani. «Dicevo, se mi aiuti a finire di sistemare di là un’oretta, poi andiamo a fare una passeggiata, se ti va. Mi piacerebbe andare a vedere Sioux Falls. Da che sono arrivata non ci sono mai andata» Dean continua a guardarla senza rispondere «Ho letto su internet che è molto grande, ma mi piacerebbe visitare almeno il centro oggi».
«E tu vai in un posto solo perché ti dicono che è grande o bello?»
«No, ma mi piace documentarmi. E poi sono già qui, voglio cogliere l’occasione di poterla vedere, in parte. Volevo anche chiedere a Bobby di farmi da guida» Dean la vede sorridere sotto i baffi mentre alza la tazza guardando nella direzione di Bobby che rotea gli occhi e non le risponde ed Ellie ride in modo più vistoso.
 
«Non c’è niente di bello, veramente, ma se sei curiosa fatti portare a fare un giro da questo scansafatiche» Bobby dice solo questo prima di immergere nuovamente il naso tra i fogli di giornale e Dean scuote la testa, deciso. «No… non… » non vorrebbe dirle di no, ma si sente soffocare al solo pensiero di averla accanto e non nel modo in cui vorrebbe veramente e, davvero, l’ultima cosa che vuole è fare qualche sciocchezza «Prima non ho fatto in tempo a dirtelo, ma… ho un po’ da fare oggi. Non so se riesco a portarti» e dopo quelle parole è come se il mondo si fermasse. Ellie lo guarda sbattendo le palpebre un paio di volte, ma dura solo un istante e poi è lontana, la testa bassa sulla sua tazza di caffè ed è chiaramente offesa, ma Dean non può fare altrimenti. Vorrebbe urlarle che lo fa per lei, perché non vuole deluderla ma si rende conto presto che così ha fatto solo peggio: Ellie non ha mai voluto tenerlo a distanza, ha sempre cercato di coinvolgerlo nelle sue cose e, comportandosi in questo modo, Dean forse sta solo facendo più casino, ma non conosce altro modo per tornare indietro e riuscire a frenarsi.

Anche Bobby lo guarda strano, ma Dean fa finta di niente e finisce di mangiare in silenzio.
 
Ellie si alza dopo un po’ – gli occhi rivolti in basso, verso un punto invisibile – e recupera tutti i piatti sporchi e le varie cianfrusaglie da lavare. Bobby fa lo stesso per poi dirigersi verso il suo studio e Dean ne approfitta per avvicinarsi ad Ellie; si mette in piedi accanto a lei che, però, tiene la testa china e non lo guarda. Non sa perché, ma sente il bisogno di rimediare «Non ho detto di no, cioè… vediamo se faccio in tempo quando ho finito di sistemare le mie cose» ma lei continua ad ignorarlo completamente, neanche si prende la briga di annuire; prende i piatti sporchi e li passa sotto il getto dell’acqua e Dean sospira, nervoso, e le afferra un braccio. Non sa se lo fa per attirare la sua attenzione quando sa benissimo che Ellie lo sta evitando apposta – perché si è offesa o è arrabbiata –, ma è solo allora che lei reagisce, ritraendo il braccio e sbattendo una mano con forza sul bordo del lavello.
 
«Perché fai così adesso?» lo guarda dritto negli occhi, senza la minima intenzione di nascondere la rabbia che sente. «Ce l’hai con me, va bene, ma allora perché ci tieni tanto a recuperare? Perché ce l’hai con me, non è così?»
Dean è perplesso «No, perché—»
«Non provare a prendermi in giro. Lo capisco quando mi racconti balle» continua a guardarlo sicura e incazzata e Dean non sa cosa rispondere. Non è che ce l’ha con lei, è proprio che non… «Da quando sei qui va avanti questa storia. Va a momenti, è vero, ma ogni volta che puoi te la svigni e non credo sia per Bobby. Ce l’hai con me, ok, ma vorrei… vorrei solo sapere cos’ho fatto di sbagliato» appoggia meglio le mani sul bordo del lavandino e lo stringe saldamente, gli occhi attenti che lo fissano «E’ perché non sono rimasta, prima?» la sua voce è più bassa adesso, forse per non farsi sentire da Bobby anche se è in un’altra stanza, ma non smette di guardarlo in quel modo «Perché volevo solo venire a preparare la colazione, non stavo… non stavo fuggendo da niente».
Dean scuote la testa deciso «No, quello non c’entra».
«E allora che c’è? Davvero, Dean, puoi dirmelo. Ne parliamo e risolviamo la cosa, perché non mi piace quando mi eviti».
 
Dean si morde il labbro e, no, non c’è niente da chiarire, perché l’unica cosa sbagliata tra di loro è il desiderio che ha di allungare le mani e sa come andrebbe a finire se dovesse succedere e non vuole. E poi ha paura di lasciarsi andare perché farlo con Ellie potrebbe cambiare troppe cose e ok, non sa neanche come ha fatto ad arrivare a questa conclusione, ma non può dire nulla ad alta voce perciò espira dal naso e scuote appena la testa. Ellie fa spallucce «Va beh, chiarisciti le idee. Quando hai voglia di parlarmi, fa un fischio. Io non so cos’altro dirti» gli dà le spalle voltandosi e torna a concentrarsi sui piatti da lavare e Dean sospira ancora, irrequieto.
 
Non ci prova neanche a rispondere qualcosa, certo del fatto che sicuramente Ellie neanche lo ascolterebbe e, purtroppo, ne ha tutte le ragioni. Si rende conto solo adesso di aver fatto peggio con lei, perché così la sta allontanando a prescindere, anche come amica.
 
Passa tutto il giorno praticamente da solo, tra le armi che decide di tirare a lucido e mettere a posto – anche se lo ha fatto solo due giorni fa, ma è sempre meglio che non fare nulla – e lo studio di Bobby, quando lo chiama per farsi aiutare con qualcosa. Ellie lo evita, non lo guarda neanche in faccia quando le passa accanto e addirittura prende una delle macchine di Bobby – che lui le presta senza farsi alcun problema – e va a fare un giro a Sioux Falls da sola e Dean si sente un verme, un enorme e mellifluo verme che striscia da una stanza all’altra come un cane bastonato.
 
Bobby se ne sta zitto per la maggior parte del tempo ma, quando Ellie parte, lo scruta silenzioso e Dean sa già che non è un buon segno.
 
«Da quando ti dà tanto fastidio la presenza di quella ragazza?»
Dean lo guarda perplesso «In che senso?»
«Sembra che ti diverta lasciarla con me. Non si trova male, per quanto io non sia altro che un vecchio pieno di avventure poco piacevoli da raccontare, ma tu… perché la tratti così? L’altra volta, quando siete venuti qui, eravate pappa e ciccia».
Dean scuote la testa e che cazzo, ci mancava la predica di Bobby per completare questa favolosa giornata di merda. «Non… non c’è niente che non va. Avevo solo… da fare».
«Cosa?» Bobby lo guarda negli occhi, con una calma e una fermezza che mette i brividi a Dean «Te ne stai a gironzolare da stamattina. Sei talmente nullafacente che sei qui ad aiutare me, quando potevi andare con lei e portarla dove voleva».
«Ce l’ha la patente, non devo per forza accompagnarla dovunque vuole andare. E’ grande, può farlo da sola» ma a quelle parole Bobby scuote la testa, un sorriso da presa in giro stampato sulla faccia barbosa.
«Di che hai paura, ragazzo?» Dean lo guarda perplesso e boccheggia per un secondo, in cerca di una risposta corretta o quantomeno coerente da dargli, ma non la trova e perciò decide di rimanere in silenzio, ignorando il sorrisetto che si nasconde sotto i baffi del vecchio cacciatore.
 
Ok, sì, va bene, ha paura. Una paura fottuta che quello che sente per Ellie sia reale, di non riuscire a tornare indietro e che si ritroverà ad essere dipendente da lei un po’ come lo era con Sam, ma in modo diverso e forse più profondo e no, cazzo, non se lo può permettere. Non tanto per il lavoro che fa, perché quella è la scusa che si racconta per convincersi che non può neanche pensare di volere una donna fissa, ma per tutto il resto. E’ sempre scappato da un certo tipo di legami perché… beh, forse la sua vita potrebbe prendere una piega diversa e riuscirebbe ad essere felice, ma la verità è che non sa neanche se esiste, la felicità.
 
Quando era bambino, sapeva che si nascondeva nel sorriso caldo e affettuoso della mamma, dietro le sue parole dolci e le sue amorevoli carezze. Poi lei è morta e Dean provava a cercarla in suo padre senza mai riuscirci perché, le rare volte che c’era, era tutto ordini e, talvolta, urla e botte se Dean faceva qualcosa di sbagliato e Dean aveva imparato a cercare un po’ di gioia nel fratellino, quella piccola pulce piena di capelli e strane idee che lo faceva ridere e, se si guarda intorno adesso, non c’è nessuno di loro e non vuole che la stessa cosa accada anche con Ellie.
 
Può girarci intorno quanto vuole, ma la paura che sente è più forte di tutto il resto e non riesce a scrollarsela di dosso. Tutto il resto – che Ellie potrebbe non ricambiarlo, il rischio che possa cambiare tutto e tutte le mille puttanate che si racconta – sono solo paranoie.
 
Strofina il pollice e l’indice della mano destra sugli occhi, cercando di ricacciare la brutta sensazione della vista appena appannata da pensieri sconvenienti e torna a concentrarsi su quello che stava facendo in precedenza, la noiosa ricerca per Bobby. 
 
Ellie torna che è quasi buio con un paio di buste in mano e un sorriso radioso sulla faccia. Si affaccia alla porta dello studio per fare un saluto a Bobby e poi torna in cucina; Dean la sente canticchiare e chissà che ha fatto di tanto bello da renderla così allegra.
 
Li chiama quando la cena è pronta e, non appena Bobby si siede, comincia a raccontargli ogni cosa che ha fatto e ha visto, di quanto le sia piaciuto il centro città e di quante cose ha trovato passando da un negozietto all’altro. Dean ascolta in silenzio, intingendo il cucchiaio nel suo piatto di zuppa e la lascia chiacchierare finché lei sembra non aver più niente da dire e non gli sfugge lo sguardo che gli lancia Bobby ogni tanto, mentre presta attenzione al suo racconto.
 
Una volta finito di mangiare, appoggia il cucchiaio nel piatto e sorride spavaldo, stirando la schiena all’indietro – le braccia stese verso l’alto – e fingendo che stia andando tutto alla grande «Che fai stasera?» guarda nella sua direzione e finalmente Ellie fa altrettanto, dopo aver passato ore ad evitarlo.
Lei alza le spalle «Volevo leggere un po’».
«Ancora quel polpettone?»
Ellie abbozza un sorriso – molto meno luminoso e spensierato di quelli che ha riservato a Bobby fino a un minuto fa – e annuisce «Sì. Voglio vedere come va a finire, anche se ancora non sono neanche a metà» si alza in piedi e punta lo sguardo sui vari piatti che comincia a sovrapporre sul lavello.
Dean appoggia i gomiti sul tavolo e la guarda, cercando invano di catturare la sua attenzione «No perché… beh, mi chiedevo se ti andava di fare quella partita a carte che avete rimandato ieri sera» ma Ellie scuote la testa senza guardarlo, con decisione. «Ormai mi sono organizzata così. Pensavo che andassi a fare un giro con qualche cassiera o che volessi uscire da solo, perciò ho pensato di… starmene un po’ per conto mio».
 
Dean sbuffa; è vero che se lo merita, ma non pensava che ad Ellie avesse dato così tanto fastidio il suo atteggiamento degli ultimi giorni. Non che non le importasse per niente, ma neanche che la prendesse così di petto. Ha anche nominato quella cavolo di cassiera – a cui, tra l’altro, Dean ha dato buca per rimanere con lei e Bobby, quindi di che si lamenta proprio non si sa –, ma Dean è convinto che la sua non sia gelosia; glielo ha solo detto per farglielo pesare, ne è sicuro, e questo lo innervosisce ancora di più.
 
La aiuta a mettere a posto i piatti – neanche lui sa per quale cavolo di motivo vuole rendersi tanto utile – e la guarda salire le scale, pensieroso.
 
La serata scorre lenta tra lo zapping alla TV e un paio di birre ghiacciate che scola una dietro l’altra. Non sono neanche le dieci e mezzo che si stanca – ha resistito anche troppo – e la spegne, tanto non c’è niente da guardare e continua a girargli nella testa lo scomodo pensiero che è un idiota e che è così che rischia davvero di perdere Ellie, non passando del tempo insieme a lei. 
 
Si alza dal divano dopo averci appoggiato il telecomando, e si dirige di sopra, fregandosene dei piani di Ellie e di quello che aveva pensato di fare.
 
Bussa un paio di volte e deve attendere qualche secondo buono prima di sentire uno scalpiccio familiare avvicinarsi alla porta. Ellie apre – la lunga maglietta blu che le fa da pigiama, i capelli sciolti e i piedi scalzi – e lo guarda con un sorriso furbo.
 
«Però, ci hai messo tanto a farti vedere».
Dean la guarda, confuso. «Ti aspettavi che lo facessi?»
Ellie – le dita sottili a stringere il bordo di legno della porta – lo osserva attenta, mordendosi il labbro inferiore cercando chiaramente di mascherare un sorriso, poi annuisce «Vuoi entrare?»
Dean accetta l’invito, i passi sicuri che varcano la soglia di quella stanza ormai calda e familiare, una delle poche che possa vantare di avere, anche se in prestito.
 
Si guarda intorno ed è tutto come l’ha lasciato stamattina, persino le buste degli acquisti di Ellie sono sparite di già. Sul comodino accanto al letto c’è il suo libro e sopra gli occhiali, come sempre; la lampadina è accesa, segno che Ellie stava veramente leggendo quando è arrivato.
 
Una volta gli ha detto che non le piace leggere con la luce del lampadario, ne preferisce una più piccola e più vicina. Dev’essere una delle sue solite fissazioni cretine.
 
Ellie lo guarda, gli occhi grandi e le mani adagiate ai fianchi e Dean è abbastanza confuso dal suo atteggiamento. «Non eri arrabbiata?»
Lei annuisce «Lo sono ancora un po’, ma… pensavo che saresti venuto qui ed effettivamente è quello che hai fatto. Anche se ti ci è voluto un po’» sorride appena «Forse non ce l’hai così tanto con me».
Dean scuote la testa «Non ce l’ho con te. Solo… » cerca di inventare una balla decente, ma proprio non gli viene in mente e abbassa la testa scuotendola appena. Basta mentire, non ce la fa più a farlo, e poi Ellie non se lo merita.
«Se devi dirmi una bugia preferisco non sapere niente» Dean la guarda ed Ellie piega le labbra in un piccolo sorriso che Dean si ritrova a ricambiare, alzando appena le spalle. Anche dire la verità è un rischio, e poi non saprebbe da dove cominciare quindi preferisce rimanere in silenzio… o cambiare argomento.
«Allora, ti è piaciuta Sioux Falls?»
Ellie sorride e annuisce «Molto. Il centro non è immenso, ma c’è tutto. E mi andava di vederla da quando sono tornata qui».
 
Gli racconta qualcosa in più, quello che evidentemente le era sfuggito prima a tavola, e poi gli mostra ciò che ha comprato – un maglioncino con lo scollo a V e delle grandi righe blu e nere, un paio di jeans e degli orecchini celesti – e lo fa col sorriso, come se la piccola discussione di oggi non fosse mai avvenuta. E’ incredibile come riesca a passare da uno stato d’animo all’altro in poco tempo, o forse aspettava solo che Dean si facesse avanti e le chiedesse scusa in un modo tutto suo per tornare ad essere quella di sempre.
 
La osserva concentrato, cercando di prestare attenzione ad ogni cosa che dice o fa – il viso distendersi per sorridergli o le mani che muove mentre parla o per togliersi i capelli dal viso – e Dean si sente in pace, nonostante certi pensieri continuino a ronzargli per la testa.
 
Non sa quanto tempo è passato quando si avvicina alla porta con la chiara intenzione di andare a dormire sul divano. Si volta verso Ellie che lo guarda con un piccolo sorriso, un po’ meno convinto dei precedenti.
 
«Hai programmi per domani?»
Lei alza le spalle «Non saprei. Al momento no» prende una pausa e lo guarda dritto negli occhi «Tu?» sembra quasi abbia paura a chiederlo e Dean non può biasimarla dopo il suo comportamento degli ultimi giorni.
Scuote la testa e le sorride appena «Potremmo andare a fare un giro. Per… non so, forse ti è rimasto qualcosa da vedere».
Ellie lo guarda strano «Sicuro? Potrei voler girare la città da cima a fondo stavolta» ma Dean annuisce deciso «Non c’è problema. Basta che non mi lasci di nuovo qui ad aiutare Bobby a fare ricerche. Oggi mi si stavano per liquefare gli occhi».
 
Ellie abbassa la testa e ride, le mani a coprirsi la bocca per non fare troppo rumore e Dean non capisce cos’è che la diverte tanto, ma la asseconda, seguendola nella risata.
 
Riprende fiato e lo guarda negli occhi «Posso farti una domanda?» Dean annuisce, ma ha come la vaga impressione che quello che sta per chiedergli non c’entra niente con Bobby o con la “discussione” che hanno avuto oggi. «Perché non… non mi hai lasciata dormire sul divano, ieri sera?»
Dean svia lo sguardo per un secondo, grattandosi la nuca. Non ha bisogno di pensare a una risposta, è come se lo sapesse da sempre «Beh, perché… » la guarda negli occhi «Perché non volevo lasciarti da sola» ed è la pura e assoluta verità, non ha neanche uno straccio di dubbio a riguardo.
 
Ellie lo fissa per qualche istante; sbatte le palpebre un paio di volte e abbassa lo sguardo, puntandolo sulle dita che sta rigirando tra di loro, ma dura solo un attimo, perché poi si scioglie in un sorriso e lo guarda di nuovo «Sai è… è proprio questo che mi piace di te: l’attenzione costante che hai nei miei confronti. Non so, io… io credo che tu sia la cosa più bella che mi è successa da quando la mamma non c’è più».
 
A quelle parole, Dean si fa più serio. La osserva intensamente mentre lei continua a sorridere come se avesse detto la cosa più naturale e semplice dell’universo, le guance che le si arrossano leggermente, forse per l’imbarazzo dovuto al silenzio che è seguito dopo quella piccola confessione.
 
Non prova neanche a cercare le parole per replicare perché non c’è una risposta corretta dopo una cosa così, Dean non conosce un modo onesto per dirle ciò che sente in questo momento, perciò si fa avanti senza riuscire più a resistere e, con un piccolo scatto, azzera la distanza che li separa, le prende il viso tra le mani e preme le labbra contro le sue.
 
Ellie sembra tentennare, sicuramente non si aspettava quel gesto, ma Dean neanche realizza cosa sta facendo finché non sente le mani di lei sulle sue, ma non ha nessuna intenzione di tornare indietro. Non più.
 
Fanculo tutti i propositi di tenerla a distanza e la paura e tutte le stronzate che si è raccontato per tutto il tempo. E’ questo il suo posto.
 
Non registra neanche quell’informazione nella testa – il sentirla tesa, i muscoli appena più rigidi –, convinto che lei non potrebbe mai tirarsi indietro perché è già successo e non può essere altrimenti.
 
Sente il cuore galoppargli nel petto e il suo è un mugolio di disapprovazione quando Ellie si distacca piano, guardandolo negli occhi. Qualcosa si spezza dentro di lui ed è solo in questo momento che il panico lo assale.
 
Se avesse fatto una sciocchezza? Se avesse capito male, se Ellie non volesse davvero dire quello che ha detto?
 
Rimane a fissarla senza toglierle le mani dal viso e lei continua a guardarlo, il respiro leggermente irregolare e lo sguardo appena confuso. Abbassa gli occhi per un attimo e il terrore è sempre più reale, la paura di non poter più tornare indietro e di aver sbagliato, di averla persa per sempre. Le alza appena il viso facendo in modo che lei lo guardi, perché ne ha un estremo bisogno e perché non solo ha voglia di baciarla ancora – magari in modo meno brusco e più a lungo, con dolcezza –, ma deve volerlo anche lei.
 
Non coglie nessun segnale da parte sua che gli chiede di allontanarsi; Ellie rimane immobile, in attesa, le mani ancora sulle sue ma la presa meno forte, più gentile, e Dean si avvicina di nuovo, stavolta in modo meno avventato e la bacia piano.
 
Lei sembra opporre ancora un po’ di resistenza, ma poi si lascia andare, schiudendo le labbra e Dean si rilassa, intrecciando le dita tra i suoi capelli e attirandola più a sé e non gliene importa più niente di mantenere le distanze, di suo padre, di Jim o di non fare cazzate. Non c’è niente di più giusto di questo desiderio adesso, qualcosa che ha voluto tanto in silenzio – anche se fa ancora fatica ad ammetterlo ed ha cercato in tutti i modi di reprimere – e che finalmente sembra volersi concretizzare.
 
Avanza di qualche passo e dà un piccolo calcio alla porta che si chiude con un tonfo. Non gli interessa neanche di fare troppo rumore, che qualcuno possa sentire, niente ha più importanza perché non vuole più nascondersi.
 
Non ha alcuna intenzione di fermarsi, ma la sente ancora un po’ rigida, quasi titubante. Le sue piccole mani scorrono piano più in basso, afferrandogli e accarezzandogli le braccia con dolcezza e timore, come se avesse paura di toccarlo. E’ decisamente meno intraprendente di quando era l’alcol a guidarla, ma Dean non gliene fa una colpa: è di certo diverso da quella sera, adesso, è tutto più… reale. Le morde appena le labbra, cercando di incitarla a lasciarsi andare che, qualunque cosa succeda, non ha intenzione di fuggire da nessuna parte e può fare di lui ciò che vuole questa notte e anche domani e quella dopo ancora se vorrà, ed Ellie coglie il messaggio e pian piano si scioglie, alzandosi sulle punte e andandogli più incontro, le dita sottili a sfiorare la pelle del collo.
 
Dean lascia scivolare le mani lungo la sua schiena ed Ellie le sente scendere sempre più in basso, le dita a cercare un punto di accesso alla sua pelle coperta solo da quella lunga maglietta, ma lei rallenta e lo stringe un po’ più forte, cercando di fargli capire che non vuole che succeda tutto troppo in fretta, vuole gustarsi ogni istante.
 
Non ha di certo dimenticato quando si sono baciati la prima volta, davanti alla stanza del motel di quella città con quel buffo nome, ma non aveva avuto modo di realizzare che Dean bacia come un uomo nonostante sia solo un ragazzo. O forse è solo una sensazione, perché adesso le sembra tutto più vero, più travolgente. Non c’è più la scusa dell’alcol, non c’è nessuna bugia o pretesto che possano usare per difendersi dal dimostrare quello che sentono l’uno per l’altra, ma non è questo a spaventarla.
 
Dean avanza ancora un po’ continuando a baciarla e per lui tutto ciò è meglio di qualsiasi sogno, di qualsiasi fantasia.
 
Quando Ellie tocca il bordo del letto con i polpacci si scosta di nuovo, stavolta per riprendere fiato e guardarlo negli occhi che brillano di una luce intensa e così viva da farle tremare il cuore. Lui le sorride appena, spostandole una ciocca di capelli dietro le orecchie e le accarezza ancora il viso, osservando ogni dettaglio e muovendo il pollice piano, quasi a cercare di imprimere nella mente ogni particolare; lo fa per tutte le volte in cui avrebbe voluto abbandonarsi a questo desiderio e si è trattenuto per paura, lottando con tutte le forze per non accettare quello che stava accadendo, per non rovinare tutto, per dovere o chissà per quale altra idiozia si era messo in testa. Adesso non ha più intenzione di scappare, però, e allunga una mano verso il comodino per poi spegnere la piccola lampadina. Non perché gli dà fastidio, ma non vuole che Ellie si senta in imbarazzo – è ancora piuttosto tesa – e vuole fare tutto quello che gli viene in mente pur di metterla a suo agio il più possibile. La luce della luna filtra dalle serrande della finestra lasciate aperte e, cavolo, non poteva chiedere di meglio.
 
Ellie continua a guardarlo, i denti a torturare il labbro inferiore e Dean la aiuta a sdraiarsi, guidandola con le braccia che lei stringe per sostenersi e lasciandola adagiare sul materasso per poi farlo lui stesso. Lo osserva con attenzione, le mani dietro la sua nuca e non oppone alcuna resistenza quando Dean la bacia ancora.
 
Con un paio di tonfi i suoi scarponi cadono sul pavimento. Lascia scorrere la sua mano sicura sulla sua coscia mentre continua a baciarla ed Ellie trema: piccole scosse di freddo invadono tutto il suo corpo e la sente stringersi di più a lui, le braccia intorno al suo collo e, più che freddo, Dean teme che Ellie possa avere paura.
 
E’ sempre stata sincera con lui, non si è mai nascosta, sempre chiara e trasparente e, in fondo, è comprensibile che possa sentirsi così. Anche Dean ha un po’ di timore – che possa cambiare tutto ma soprattutto di non essere quello che lei vuole al suo fianco –, ne ha sempre avuto e forse è per questo che capisce quello che sente lei.
 
Quello di cui è certo, però, è che vuole fare del suo meglio per non deluderla ed è per questo che non ha alcuna intenzione di tornare indietro.
 
La stringe più forte e la guarda, i capelli lunghi abbandonati sul materasso e lo sguardo desideroso di un po’ di amore e sicurezza, qualcosa che lui, forse, non è mai riuscito a dare a nessuno. Di certo è quello che ha sempre pensato di se stesso e adesso non sa se è in grado di trasmetterle quello che sente, qualcosa che nemmeno lui capisce fino in fondo, così appoggia la fronte su quella di Ellie e traccia la linea delle sue labbra morbide con le dita. I respiri si confondono ed Ellie fa per dire qualcosa ma Dean la ferma, le dita della mano aperta sulla sua bocca. Non perché non voglia ascoltarla, ma sa che basterebbe una sola parola per rovinare tutto e non vuole.
 
La lascia ancora così, sospesa; si prende tutto il tempo per guardarla intensamente e c’è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che sa di deciso e definitivo: è il desiderio di donarsi davvero per una notte e la speranza che l’altro riesca a fare lo stesso. Forse è questo ad impaurirla davvero: il pensiero che uno come Dean non possa fare altrettanto.
 
Punta gli occhi nei suoi ancora un momento e si convince che invece può farlo, che può trattarla in modo speciale e usare tutta la delicatezza di cui è capace con lei che forse un po’ lo ha cambiato, tirando fuori il meglio di lui e mostrandogli tante sfaccettature nuove del mondo in un modo tutto suo, riuscendo a farlo riflettere su cose su cui prima non aveva mai posto l’attenzione.
 
Continua a guardarla e si abbassa a baciarla di nuovo; Ellie tentenna per un istante, ma poi si sporge con il collo allungandolo appena verso di lui ed è di nuovo calda e accogliente, decisa e convinta di voler andare fino in fondo. Dean scende con le labbra sul suo collo con dolcezza e l’abbraccio di Ellie si fa meno timoroso e più gentile, più sicuro e avverte anche lui un brivido mentre sente le sue mani scendere piano e percorrere tutta la sua schiena e le sue dita farsi timidamente strada sotto il tessuto della sua maglietta.
 
Ellie lo aiuta a sfilarsela e lo osserva con attenzione, la mano sinistra ad accarezzargli la guancia. Dean si avvicina ancora, ma lei si scosta e si dà una spinta, finendo su di lui; vuole scoprirlo, un pezzo alla volta e non ha nessuna intenzione di andare di fretta. Lo guarda negli occhi e si abbassa a baciargli il petto e lui sembra non aspettarsi quei gesti, la tenerezza che Ellie vuole dedicargli. Parte dal basso e risale su, lentamente, una scia di baci lungo tutto il torace, cercando di ascoltare ogni sfumatura, di percepire ogni movimento e ogni brivido che lo scuote appena, il suo respiro farsi più pesante e sono ancora occhi negli occhi e Dean continua ad osservarla attento e non gli è mai sembrata donna come adesso mentre continua a muoversi lentamente su di lui, spostandosi piano e seguendo percorsi invisibili sulla sua pelle, intenta ad esplorare ogni piccolo pezzetto. Poi si tira su, andandole incontro; la tiene stretta a sé, le mani a cercare la pelle della schiena e realizza che ancora è decisamente troppo vestita per i suoi gusti.
 
Le afferra il bordo della maglietta e lo arrotola tra le dita, per poi tirargliela su lentamente. Ellie alza le braccia rispondendo al suo desiderio e Dean gliela sfila del tutto, soffermandosi ad ammirare il suo corpo con lo sguardo; le accarezza i fianchi prima di scendere con il viso verso di lei ed ora è lui a volerla scoprire, a voler baciare quella pelle chiara e morbida che si offre totalmente alle sue carezze.

Ellie inclina la testa indietro, sospirando piano e lui ne approfitta per baciarla sul mento e lungo la linea del collo, spostandole i lunghi capelli più indietro e stringendola con le dita sulla schiena per poi scendere ancora, cercando di assaporare ogni più piccola parte del suo corpo, di conquistare ogni centimetro mentre le mani di lei lo accarezzano piano, con dolcezza.

Si distende di nuovo, portandola con sé e lei gli sorride sicura mentre si adagia su di lui con delicatezza. Gli prende il viso tra le mani e le sue dita sono come piume sulla pelle di Dean che si sporge a baciarla e ancora una volta lei lo lascia fare mentre scende a carezzargli il petto, fermandosi proprio sopra al suo cuore.
 
I baci si fanno pian piano più urgenti, le mani cercano e stringono la pelle umida e Dean chiude gli occhi per un istante, compiacendosi di questo contatto nuovo – la pelle calda di Ellie contro la sua, il suo respiro un po’ affannato e le sue labbra a cercarlo e scoprirlo pezzo dopo pezzo – e si chiede perché mai ha aspettato tanto, perché ha cercato di lottare contro tutto questo, contro questa sensazione di pace assoluta.
 
I pochi vestiti rimasti scivolano sul pavimento con facilità ed è tutto perfetto e il mondo fuori non esiste più, non c’è più niente, né demoni, mostri o doveri. Ellie prende sempre più confidenza con lui – ogni gesto meno impacciato e timido, più deciso – e quasi non si accorge quando finisce nuovamente con la schiena contro il materasso e Dean continua ad assaporarla piano, alternando sul suo corpo il tocco delle sue dita e delle sue labbra per poi scivolare impaziente su di lei che lo accoglie ed è un dolce dondolare insieme su quel letto sfatto che cigola appena ad ogni movimento.
 
Le dita di Ellie scavano sulla sua schiena e a Dean piace il modo in cui si aggrappa a lui, come se ne avesse bisogno per non perdersi completamente. La guarda con trasporto e desiderio mentre lei cerca di riempire ogni spazio, di farsi sempre più vicina, quasi i loro corpi debbano combaciare e fondersi più di quanto non stiano già facendo e c’è qualcosa di particolare nel suo sguardo, qualcosa di giusto e perfetto, così come il modo in cui si dona a lui, guardandolo negli occhi e regalandogli ogni istante di quello che sta provando in questo momento mentre lei sembra studiare ogni dettaglio, ogni nuova sfumatura, come a volerla imprimere nella mente per non scordarla più.
 
Ellie cerca le sue mani e ne intreccia le dita, mantenendo sempre gli occhi fissi nei suoi, seguendo e assecondando i suoi movimenti che sono lenti e profondi e c’è tanta dolcezza, qualcosa di cui non credeva capace un cacciatore. Lo bacia con tenerezza e si sente protetta come forse non è mai stata, così viva e completa e non può fare a meno di chiedersi se per lui è lo stesso, ma non gli dà neanche troppo peso, in realtà, perché una parte di lei sa che è così.
 
Sente il piacere crescere fino a travolgerla come un’onda e si aggrappa di più a lui, stringendolo e sospirando più forte ma non urla, perché non c’è bisogno che fuori si accorgano di quanto si sente bene in questo momento; è una cosa solo sua, sua e di Dean che la osserva estasiato, continuando a muoversi in lei accarezzandole le gambe con una lentezza e una delicatezza che non pensava gli appartenessero finché non si lascia andare, sfinito e appagato come mai nella vita.
 
Preme forte la fronte su quella di Ellie – le palpebre abbassate, le labbra schiuse e il respiro totalmente fuori controllo – mentre una mano di lei lo accarezza dietro il collo e l’altra è ferma e aperta sul suo petto, all’altezza del cuore; Dean lo sente battere così velocemente che teme possa uscirgli dal petto, ma ha la vaga sensazione che quello di Ellie stia per fare lo stesso.
 
Apre gli occhi e la guarda: anche lei ha il fiato corto e lo osserva con attenzione; sembra porre lo sguardo su ogni sfumatura, come se lo stesse guardando per la prima volta. Dean le scosta i capelli dal viso; lei ha la fronte imperlata di sudore e lo sguardo appagato e felice, qualcosa che non dimenticherà facilmente. Ellie continua a fissarlo intensamente e le sue labbra morbide si incurvano in un sorriso, uno dei più belli che Dean le abbia mai visto fare.
 
Poi qualcosa cambia, c’è un’ombra nei suoi occhi; si morde il labbro inferiore con fare insicuro ed è come se avesse paura di aver sbagliato qualcosa o chissà quando gli prende il viso tra le mani e si sporge a baciarlo ancora una volta e lui ricambia, le mani sui suoi fianchi e, per quanto si sforzi, non riesce a ricordare un altro momento in cui è stato così bene, in cui si è sentito così.
 
Ha bisogno di rassicurarla e si mette di lato, portandola con sé e la abbraccia, il viso incastrato nell’incavo del suo collo sottile e le mani a stringerle la schiena; lei sembra non aspettarsi quel gesto ma poi ricambia, le braccia che circondano le sue spalle larghe. La sente sorridere e, anche se non può vederla, il piccolo sospiro che segue i muscoli del suo viso distendersi gli riempie il cuore.
 
Si accomoda meglio tirando le lenzuola a coprirli e continuando a stringere Ellie che lo bacia dolcemente proprio vicino al cuore, appoggiando poi la testa lì sopra. Il suo respiro gli solletica la pelle; vorrebbe dire qualcosa, ma preferisce tacere piuttosto che rovinare tutto con una battuta stupida e si ritrova a constatare che è proprio vero che il silenzio, a volte, vale più di mille parole.
 
Ellie si sistema meglio e Dean sente il suo respiro calmarsi ancora di più. Le bacia la fronte e la guarda addormentarsi in quella strana posizione – le gambe intrecciate alle sue e un braccio a circondare il suo torace – ed ha la vaga impressione che lei, la persona più iperattiva che conosce, in questo preciso momento abbia trovato la pace.
 
Sorride tra sé, chiude gli occhi e si gode la tranquillità di questi preziosi istanti; non ha nessun pensiero negativo a disturbarlo e, per una volta nella vita, sente di aver fatto la cosa giusta.
 
Accarezza la schiena di Ellie e la raggiunge tra le braccia di Morfeo.
 
[1] Non ho mai seguito “Desperate Housewives”, ma dopo ricerche in internet (grazie Wikipedia! XD) ho scoperto che tra tutte le casalinghe della serie è Bree Van de Kamp la più “attiva” dal punto di vista delle pulizie, in quanto pare esserne ossessionata.
 

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Capitolo 18
*** Making his eyes kind for me ***


Note: Un’altra settimana è passata – non so a voi, ma a me il tempo vola – ed eccomi qui con il nuovo capitolo.
Arrivati a questo punto della storia, spero che continuerà a piacervi e di non deludervi, perché ci sono grossi cambiamenti in ballo. Siete autorizzati ad odiarmi, se volete (la mia amica lo faceva :P) XD
Questo capitolo è un po’ di passaggio – soprattutto rispetto al precedente –; rivedrete qualcuno e magari qualche dubbio troverà risposta… o forse no :) Presto, comunque, molti nodi verranno al pettine, dovete solo avere un altro pochino di pazienza.
Non so quanto questa cosa di rivelare un pezzetto per volta sia efficace, ma per me buttare fuori tutto il malloppo in un secondo toglie la suspense. Perciò ho applicato questo principio un po’ in ogni cosa di questa storia e spero che a voi non dispiaccia.
Detto questo (e l’ho fatta più lunga di quanto credevo… dannata prolissità! XD) vi saluto e aspetto con ansia sempre crescente i vostri riscontri.
Un abbraccio enorme, a presto! :D

 
Capitolo 18: Making his eyes kind for me
 
My father understood.
Maybe he had known. Maybe he hadn’t.
It doesn’t matter anymore.
He understood.
I knew he understood, just from his nod,
Just from his eyes on mine,
Making his eyes kind for me,
And the wave of pain went away for a moment.
 
(Adam Berlin Belmondo Style)
 
 
Stira le gambe verso il basso stringendo forte le palpebre, disturbato dalle luci del mattino. I raggi del sole filtrano attraverso le tende chiare e non c’è voluto molto prima che lo colpissero in pieno viso, portandolo dal sonno alla veglia.
 
Dean si mette di lato con un mugolio e la chiara intenzione di dormire ancora per un po’. Non ha la minima idea di che ore sono e non trova un solo motivo nella sua testa per cui la cosa dovrebbe in qualche modo interessargli.
 
Si stropiccia gli occhi con le dita senza aprirli e piega le labbra in un minuscolo sorriso stendendo un braccio verso la sua destra, in cerca del corpicino caldo che lo ha tenuto stretto per tutta la notte, lasciandogli fare una delle più belle dormite che abbia mai fatto da tipo tutta la vita, ma più la sua mano si avventura tra le coperte, più trova il vuoto. Non convinto, si allunga ancora un po’ e si decide ad aprire gli occhi solo quando le sue dita incontrano un oggetto freddo: il braccialetto di Ellie.
 
Dean si gira ancora tra le lenzuola, sdraiandosi sulla schiena, e lo scruta con gli occhi ancora mezzi chiusi. Le sarà caduto senza che se ne sia accorta, di solito non lo toglie mai.
 
Sorride tra sé al pensiero di quello che è successo e volta appena la testa per osservare la parte di letto vuota accanto a lui, sospirando irritato.
 
Non nasconde a se stesso il fastidio che prova all’idea che Ellie non si sia svegliata insieme a lui – che magari aveva anche in mente un paio di idee su come cominciare la giornata – e sbatte le palpebre un paio di volte.
Poteva aspettare invece di alzarsi all’alba come fa sempre, ma magari è solo andata a preparargli la colazione e quando Dean scenderà in cucina a salutarla avrà per lui uno dei suoi caldi e splendidi sorrisi e tutta l’amarezza che sente adesso sarà sparita, rimpiazzata da qualcosa di più dolce.
 
Dean non è un romanticone – ci tiene sempre a precisarlo –, ma quello che ha vissuto con Ellie solo qualche ora fa, oltre ad averlo decisamente colto di sorpresa, lo ha lasciato stordito. In senso buono. Forse perché era così convinto che non tentare sarebbe stata la soluzione più giusta da non fermarsi mai troppo a lungo a pensare a cosa avrebbe potuto scatenare dentro di lui tutto questo.
 
Per quanto la sua fervida immaginazione abbia lavorato a lungo ultimamente, mai una volta aveva ideato quello che è successo in realtà, quanto Ellie sia stata dolce e perfetta in ogni carezza, in ogni singolo gesto. Solitamente non è qualcosa su cui si sofferma più di tanto anche perché, di solito, se va a letto con una donna è perché ne ha voglia, non perché senta chissà quale attrazione o connessione mentale – non ha neanche mai il tempo di scoprirlo poi –, ma per Ellie il discorso è ben diverso.  
 
Si passa le dita sulle labbra, ricordando la sensazione di quelle di Ellie sulle sue ed osserva ancora la parte vuota del letto al suo fianco. Sì, lei deve essere di sotto a preparargli la colazione come fa sempre e la conferma gli arriva quando sente qualcuno armeggiare con delle pentole, in cucina.
 
Si alza in fretta e si veste altrettanto velocemente, infilando il braccialetto nella tasca dei jeans e pensando ad un modo carino per restituirlo alla legittima proprietaria.
 
Della doccia se ne parlerà più tardi. Prima scende le scale e si dirige di sotto perché deve assicurarsi che sia tutto a posto. In fondo c’è sempre il rischio che dopo stanotte Ellie possa tirarsi indietro presa da qualche paura o… no, non ha senso, Ellie non è spaventata da queste cose, è lui che dovrebbe esserlo ma per qualche strano motivo non lo è affatto.
 
Quello che trova quando entra in cucina, però, non è esattamente ciò che si aspettava.
 
Bobby, in piedi davanti ai fornelli, osserva la caffettiera grigia in silenzio, forse aspettando che si metta a bollire. Dean si guarda attorno e deglutisce a fatica quando nota che, con suo immenso dispiacere, non c’è nessun altro insieme a lui.
 
«Oh, ben alzato» Bobby si volta e lo guarda e Dean non ha davvero idea di cosa cazzo stia succedendo. «Vuoi un caffè?»
Dean dapprima scuote la testa, poi però dopo un secondo cambia idea e annuisce. Bobby spegne il fornello non appena il fischio della caffettiera irrompe nella stanza e prende un paio di grosse tazze, dentro le quali versa il liquido marrone scuro e poi la porge a Dean.
 
Lui si appoggia con la schiena al ripiano, accanto al vecchio cacciatore; beve un sorso ma ha un nodo talmente grosso all’altezza dello stomaco che non ha idea di come quella brodaglia nera che chiama caffè riuscirà a passare laggiù dopo essergli scesa giù per la gola. E non ha intenzione di mangiare; qualcosa gli dice che vomiterebbe tutto un secondo dopo, visto che fa fatica anche ad ingoiare quello e non solo perché è bollente.
 
«Stai bene ragazzo?» si volta verso Bobby che lo guarda serio.
«Sì, perché?» mente spudoratamente e pazienza se Bobby se ne accorgerà.
«Hai una faccia. Sembra che ti abbia appena investito un treno in corsa».
Bobby pare seriamente preoccupato, ma Dean scuote il capo, distogliendo lo sguardo. «No, va tutto bene. Sono solo stanco».
 
Ha raccontato più balle negli ultimi giorni – alle persone a cui tiene, per di più – che negli ultimi cinque anni di vita e Dean è uno che di frottole ne racconta parecchie visto che lo fa per campare, ma una in più o in meno, ormai, non fa la differenza.
 
Gira la tazza tra le dita, la mano che si riscalda al tocco della ceramica piena di quel liquido fumante; se ne frega dei segreti e delle supposizioni e va dritto al sodo «Dov’è Ellie?»
Bobby si porta la tazza alla bocca e beve giusto un sorso «E’ passato Jim a prenderla» e Dean sospira appena, fingendo una tranquillità che non gli appartiene. Questa proprio non se l’aspettava.
 
Non fa in tempo ad aggiungere granché che sull’uscio di casa di Bobby compare suo padre e Dean lo guarda perplesso. E’ certamente felice di rivederlo dopo giorni in cui non si è fatto vivo, ma ne è anche sorpreso. Di solito prima di una settimana da quando sparisce è già tanto se telefona – o almeno che risponde a qualcuno dei suoi innumerevoli messaggi in segreteria –, le improvvisate non sono proprio nel suo stile. O meglio, sì, ma non così, a soli pochi giorni dalla sua “scomparsa”.
 
«Oh, sei già in piedi. Meglio così, dobbiamo andare».
Dean allarga appena gli occhi «Ciao anche a te, papà. Dove andiamo?»
«Non tanto lontano da qui. Devo sbrigare una faccenda ed ho bisogno del tuo aiuto».
Dean, per il momento, non se la sente di investigare sul motivo di questa nuova partenza. E’ abituato agli spostamenti continui, ma è sicuro che gli stia sfuggendo qualcosa in tutta questa storia.
 
Fa spallucce e beve un altro po’ di caffè; è davvero troppo bollente per mandarlo giù tutto in una volta.
 
Suo padre esce di nuovo e Dean scuote appena la testa, pensando tra sé. Ellie è andata con Jim – senza salutarlo – e papà è più strano del solito e tutto questo è decisamente… strano, appunto.
 
Si volta verso Bobby «L’hai chiamato tu?» che fa cenno di no con il capo e lo guarda perplesso.
«Certo che sei proprio buffo qualche volta, lo sai?» Dean stringe gli occhi, confuso «Fino a ieri pareva non vedessi l’ora di andartene e cambiare aria, oggi che è tornato tuo padre sembra che ti dispiaccia. Ma che diavolo hai nella testa?»
 
Dean non risponde, perfettamente conscio del fatto che Bobby abbia capito tutto. Non tanto per rumori particolari o altro – è praticamente convinto di non essere mai stato a letto con una silenziosa quanto Ellie –, ma perché forse quel vecchio brontolone sapeva che sarebbe andata a finire così.
 
Può sembrare assurdo ma è incredibilmente vero: Bobby è una specie di veggente, tipo un indovino che fiuta le cose prima degli altri e la cosa peggiore è che ci prende sempre.
 
Forse era questo che voleva davvero dirgli ieri, quando gli ha chiesto “di che cosa aveva paura”. Perché l’aveva capito e voleva dargli – a modo suo, ovviamente – un consiglio dei suoi. Dean piega un angolo delle labbra verso l’alto seguendo il filo dei suoi pensieri e sì, è altamente probabile che sia andata così.
 
Appoggia la tazza sul ripiano; non riuscirà mai a bere quel caffè ad una temperatura tanto elevata senza lessarsi la lingua e buona parte del palato, perciò stabilisce dentro di sé una specie di tabella di marcia, in modo da sfruttare meglio i tempi. Sale in camera e comincia a fare i bagagli, fingendo di non pensare a quanto quella stanza gli sembri vuota ora che non c’è il polpettone di Ellie sul comodino di fianco al letto e tutto il resto della sua roba; decide di farsi una doccia veloce, per provare a distendere i nervi e perché suo padre, per una mattina, può attendere un po’ più del dovuto. Poco gliene importa di dove vuole andare e di quello che vuole fare. Si è presentato all’improvviso, può almeno aspettare i suoi tempi per una volta.
 
Ovviamente la missione di rilassarsi fallisce miseramente – e non solo perché deve sbrigarsi – e, quando saluta Bobby dopo aver finito quel maledetto caffè e monta sull’Impala, realizza che non c’è niente che rimpiange di aver fatto.
 
Non ha cambiato idea: non si è affatto pentito di essersi lasciato… trasportare dagli eventi solo perché Ellie non si è svegliata con lui, ma di certo vorrebbe capire cosa c’è sotto, perché questa storia gli puzza di bruciato. E parecchio. Di una cosa, però, è assolutamente sicuro: gli ultimi tre giorni sono stati i più intensi e straordinari che abbia vissuto da molto tempo.
 
*

La radio è l’unica cosa che disturba i suoi pensieri mentre guida ad una velocità stranamente regolare, seguendo il pick-up di suo padre.
 
Dean non ha la minima idea di dove siano diretti, né tantomeno del perché – se c’è qualche caso all’orizzonte o chissà – e approfitta di questo momento di solitudine per riflettere.
 
La mente viaggia da sola e Dean si ritrova ad immaginare come sarebbe stato stamattina se ci fosse stata Ellie al suo fianco anziché un misero ciuffo di lenzuola bianche.
 
L’avrebbe svegliata con dolcezza, accarezzandole il viso piano e godendosi ogni istante del suo risveglio: il respiro cambiare e le palpebre aprirsi e chiudersi lentamente un paio di volte prima di mostrargli quegli intensi occhi chiari. Le avrebbe dato un bacio e poi un altro e un altro ancora e forse avrebbero finito col farlo di nuovo e se poi Ellie gli avesse fatto qualche domanda sul loro rapporto – un po’ come fanno tutte le donne dopo essere state a letto con un uomo – Dean le avrebbe risposto o l’avrebbe presa in giro, a seconda se sarebbe stato in grado di farlo o l’avrebbe messo in qualche modo in imbarazzo. Anche se dubita che Ellie avrebbe seguito uno di questi cliché. Finora ha sempre saputo stupirlo, in un modo o nell’altro.
 
E’ una cosa sciocca, quasi da ragazzina alla prima cotta, è vero, ma Dean non riesce a scrollarsi di dosso l’idea che deve esserci una ragione se non era con lui.
 
La conosce abbastanza da sapere che non è una persona che cerca del sesso occasionale, è sempre stata chiara su questo. Insomma, da quello che gli ha raccontato, se si lascia andare con qualcuno – e a Dean non è di certo sfuggito quanto ci abbia messo a farlo con lui, ma non gliene fa una colpa – vuol dire che sente qualcosa e di certo è quello che gli ha dimostrato stanotte. Non aveva lo sguardo lussurioso di quelle con cui lo fa di solito – quelle donne che condividono con lui solamente la stessa solitudine –, c’era davvero il… il bisogno di lui.
 
Quello che è successo è così impresso nella sua mente che Dean lo rivede chiaramente e non sa come chiamarlo, ma c’è stata una sensazione particolare con Ellie: c’era un feeling, una connessione, qualcosa che non ricorda di aver mai avuto con altre. Forse perché non ci aveva mai prestato attenzione o perché c’era qualcosa di davvero speciale tra di loro.
 
Nessuno dei due ha proferito parola, forse per non rovinare tutto o forse, più semplicemente, perché non ce n’era bisogno: era tutto molto spontaneo, come se stessero seguendo uno schema conosciuto solo a loro due. Ciascun movimento, ogni gesto era naturale, dettato solo dall’istinto e dalla voglia di aversi.
 
Nonostante questo, però, non è stato troppo brusco o veloce. Anzi, Dean ha cercato di utilizzare tutta la tenerezza di cui è capace con lei e questo, in un certo senso, ha stupito anche lui, ma Ellie era lì che lo guardava sospirando e gemendo appena e la luce che c’era nei suoi occhi era così bella e intensa da convincerlo che stava andando bene, che era quello il modo in cui Ellie voleva essere trattata: con dolcezza. E Dean si è impegnato come non mai, cercando di essere attento a non farle male e prenderla con tutta la delicatezza possibile ed è anche questo a fargli arrovellare il cervello.
 
Insomma, non è possibile che Ellie non fosse lì perché lui si è comportato male o perché non le è piaciuto perché se ha fatto felice lui – che davvero dubitava potesse piacergli una cosa del genere, qualcosa che implicasse, in un modo o nell’altro, dei sentimenti – non può averla delusa. Anche per quello che lei ha fatto dopo, quindi… no, cazzo, dev’esserci qualcos’altro e sicuramente c’entra quel pezzo di merda di Jim, che tanto di solito se c’è qualcosa che non va la colpa è sua.
 
Scuote la testa, ancora pensieroso perché… boh, davvero non riesce a scrollarsi di dosso l’idea che sia successo qualcosa di grosso, magari proprio mentre dormiva, perché altrimenti Ellie sarebbe rimasta.
 
Ieri mattina era lì a coccolarlo e non era successo nulla e proprio oggi che… no, non è possibile, deve esserci sotto qualcosa.
 
Ripensa a quando Ellie gli ha detto che lui “è la cosa più bella che le sia successa” e cazzo se l’ha lasciato di stucco. Non si riferiva all’aver trovato suo padre che, per quanto stronzo e menefreghista, è comunque la persona che ha cercato e sperato di incontrare per buona parte della sua vita, ma a lui, che non ha mai pensato di essere abbastanza neanche per se stesso. E la cosa ancora più “assurda” è che Ellie era assolutamente e incredibilmente sincera e, in quel preciso momento, Dean ha spento il cervello e mandato avanti l’istinto, che lui con le parole non è mai stato bravo e non c’era un modo migliore di dirle che per lui è lo stesso, anche se non ci aveva mai riflettuto sopra in precedenza.

Prima, quando Sam era ancora con lui, era certo che fosse lui la sua “cosa bella”, la persona che più di tutte lo tirava fuori dai brutti pensieri e dall’idea che stesse vivendo una vita da schifo, fatta di sangue e di mostri costantemente appiccicati al culo e gli bastava un suo sguardo per superare la paura e la solitudine che talvolta gli si incastrava dentro, lasciandolo a crogiolarsi nei pensieri peggiori. E’ stato così fin da quando erano bambini: Dean ritrovava un po’ di fiducia quando guardava suo fratello, perché era la sola persona che lo faceva stare bene, anche con se stesso. Poi lui se n’è andato, lasciandolo da solo, ed Ellie è arrivata in modo insolito – quasi in punta di piedi, senza fare troppo rumore – ed ha portato uno spiraglio di luce nella sua vita e… sì, in fondo anche per lui Ellie è qualcosa di bello. E crede di averglielo detto nel modo migliore.
 
Guida da quasi due ore quando suo padre accosta vicino ad un fastfood ed è forse questo che riesce davvero a togliergli dalla testa tutti quei pensieri. O almeno a farglieli mettere da parte per un po’.
Dean fa altrettanto e scende, andandogli dietro. Ordina il suo panino – non ha mangiato niente stamattina e adesso sente di avere una certa fame – e una quantità industriale di patatine, con tanto di gelato per chiudere al meglio il pasto.

Prende un tavolo dove si siede nel frattempo che aspetta suo padre; ingurgita qualche patatina e senza pensarci sfila il cellulare dalla tasca e lo apre, osservandone lo schermo.
 
Nessuna chiamata, nessun messaggio. Sta seriamente pensando di telefonare ad Ellie per chiederle che fine ha fatto – qualcosa gli dice che forse sarebbe la sola che potrebbe dargli una risposta davvero sincera –, ma cambia idea quando suo padre lo raggiunge.

Comincia a mangiare senza dirgli nulla e Dean lascia nuovamente scivolare il telefono nella tasca della giacca, ponendo la massima attenzione su chi gli sta di fronte: la barba piuttosto lunga, gli occhi stanchi, nessuna ferita visibile sul viso o sulle parti del corpo scoperte dalla maglietta a maniche lunghe che indossa, suo padre sembra quello di sempre eppure Dean, non sa perché, ha la forte sensazione – più del solito – che gli stia nascondendo qualcosa e non sa se riuscirà a frenare l’istinto di fargli delle domande.

«Quando finiamo di mangiare partiamo di nuovo» John gli parla e Dean lo scruta ancora mentre mastica con la bocca piena.
«E già fai di precifo dove andare?» suo padre lo guarda di traverso, il classico sguardo che fa quando Dean parla con il boccone; il ragazzo deglutisce e constata all’istante che è proprio in questi momenti che gli manca Ellie che, se ci fosse stata, avrebbe senz’altro riso anziché guardarlo in questo modo.
«Sì, certo che lo so».
 
Che palle, potrebbe anche sbottonarsi ogni tanto e anticipare a questo povero stronzo che gli va sempre appresso dove caspita ha intenzione di andare. Dean lo pensa ma di certo è meglio non dire ad alta voce queste cose e si limita ad alzare le spalle e… però no, decisamente non ce la fa a contenersi.
«Perché non sei rimasto, papà?» John lo osserva, sembra quasi non riesca a capire cosa Dean gli sta chiedendo. «Intendo da Bobby. Perché sei andato via?»
«Avevo una faccenda da sistemare con Jim. Dovevamo andare lì per questo» Dean, ovviamente, non era a conoscenza di questi dettagli.
«Ed è tutto a posto?»
John continua a guardarlo, quasi accigliato «Sì, certo» stringe un poco gli occhi; Dean per un istante ha l’impressione che vorrebbe tanto leggergli la mente e capire cosa sta pensando «Cos’è questo interrogatorio?» e Dean stringe le spalle. Decide di lasciar perdere, tanto non caverà un ragno dal buco così, ma non è per niente convinto delle parole del padre – perché se fosse tutto a posto forse Jim non se ne sarebbe andato alla velocità della luce portandogli via Ellie.
 
Il discorso si smorza praticamente da solo e Dean finisce col concentrarsi solo sul suo cibo, terminando il panino e le patatine in qualche boccone.
 
Si sta gustando il gelato con sopra lo sciroppo al cioccolato quando suo padre lo guarda perplesso. «Hai fatto la fame da Bobby?»
Dean alza lo sguardo «No, perché?»
«Non so, sembra che non tocchi cibo da qualche giorno».
Dean sorride, pulendosi la bocca con un tovagliolo «No, è che stamattina non ho fatto colazione, ho bevuto solo caffè. Gli altri giorni ha cucinato sempre Ellie».
 
John fa una smorfia, qualcosa che Dean non sa decifrare perché sembra un misto tra stupore e indifferenza o, peggio, incredulità, ma non fa neanche in tempo a comprendere che suo padre si alza, costringendolo a seguirlo ancora.
 
Non ha del tutto chiaro il perché quell’uomo sembra sempre avercela un po’ con Ellie. Praticamente non la conosce, perché diavolo si comporta così? Forse si lascia condizionare da quello che gli racconta Jim su di lei – a patto che lo faccia – ma comunque non ha senso perché dovrebbe almeno parlarci prima.

Guidano per qualche altro chilometro, uno dietro l’altro come un paio di soldatini, finché John parcheggia in uno spiazzo isolato, vicino ad un fiume nei pressi di Ponca, Nebraska, poco lontano dal confine con il South Dakota e Dean fa altrettanto, del tutto ignaro dei propositi del suo vecchio. Ovviamente gli viene da chiedersi cosa diavolo ci fanno lì, in un posto sperduto dove non c’è niente a parte un tavolo, un paio di panchine e un enorme prato e sì, è carino, c’è un bel panorama, ma questo non vuol dire nulla. Dean pensava che avessero una faccenda reale e urgente da sbrigare, tipo una roba di mostri terribilmente voraci che stessero decimando la popolazione e da far fuori al più presto, non un’escursione.

John scende dal pick-up e va a sedersi proprio sulla panchina, gli occhi rivolti verso il fiume. Dean fa altrettanto e gli si siede accanto, sempre più confuso.
 
«Vuoi fare un picnic, papà?» John scuote la testa, un mezzo sorriso sul volto; Dean lo osserva con attenzione: i gomiti appoggiati alle ginocchia e le braccia in avanti, le mani a strofinarsi tra di loro e gli occhi stanchi che adesso lo osservano, però, in un modo in cui non lo facevano da tanto tempo.

Dean ha sempre seguito suo padre. Anche nei giorni peggiori, anche quando – forse – se lo meritava di meno, anche quando aveva torto. Lo ha fatto senza mai pentirsene e ne sarà sempre fiero, ma di rado riceveva questo sguardo in cambio, questa specie di bontà che traspare dai suoi occhi, questo senso di… Dean vorrebbe pensare che sia qualcosa di tanto simile alla gratitudine, ma no, sarebbe troppo.

«Sai, figliolo… ci sono tante cose che non ti ho detto» Dean vorrebbe rispondere che se n’è accorto, che l’ha capito da un sacco di tempo quante bugie gli ha raccontato – soprattutto ultimamente –, ma rimane in silenzio, in ascolto. «Gli ultimi mesi sono stati difficili e ci siamo visti poco. E… non so, forse ci sono delle cose che dobbiamo chiarire».

Dean continua a guardarlo senza ribattere nulla e si chiede se è veramente suo padre quello che gli sta davanti, se è un clone o, peggio, un demone che ha preso possesso del suo corpo. Non l’aveva sentito parlare così – il tono sempre austero e severo quasi più dolce, più aggraziato e meno rude e il viso più rilassato, più tranquillo del solito – neanche per un’occasione importante. Vero che non ne hanno mai avute o festeggiate molte, ma ecco, questo è proprio strano.

«Ad esempio… hai più parlato con tuo fratello da quando se n’è andato?» Dean sgrana un pelo gli occhi. Nessuno dei due ha più nominato Sam da quando si è sbattuto quella porta alle spalle in presenza dell’altro, non così liberamente, e Dean è sempre più convinto che ci sia qualcosa di veramente bizzarro oggi in suo padre. L’ipotesi del demone si fa sempre più probabile.
«No» la sua voce è appena un sussurro, non tanto perché è una cosa che a lui fa male, ma proprio perché è stupito del fatto che ne stiano parlando.
«Beh, nemmeno io. Ma sono andato da lui, un paio di volte» Dean rigira le dita tra di loro, inquieto. Stenta a credere che suo padre l’abbia ammesso.
«Ci hai parlato?»
«No, non mi sono fatto vedere. Ero lì solo per… per vedere se stava bene».
Dean annuisce «Ed è così? Insomma, sta bene?»
«Sì. Sembra cavarsela. Ha anche una ragazza, una bella bionda».

Dean sorride a quest’ultima informazione, pensando a quanto suo fratello sia prevedibile. Certo che se la sarebbe cavata da solo e che si sarebbe fatto la fidanzatina al college. Proprio… proprio come aveva sempre voluto.
 
Sospira appena seguendo il filo dei suoi pensieri e, non sa perché, ma comincia a fare domande a raffica a suo padre, a chiedere le cose più disparate su Sam e sul resto, sulle cacce che ha fatto senza di lui negli ultimi tempi – cercando accuratamente di non riferire parole sconvenienti sulle sue lunghe e talvolta ingiustificate assenze – e non gli sembra vero di poter parlare così con lui, come due ragazzini che si scambiano confidenze e anche il pensiero di Ellie si allontana per un po’, diventando appena più sbiadito.
 
Adesso vuole solo godersi questo tempo con suo padre, che chissà quando rivivrà di nuovo momenti così e se mai lo farà, soprattutto.
 
*
 
E’ ormai tarda sera quando Dean e John decidono di prendersi una stanza proprio a Ponca. Il paese non è tanto grande e sembra il posto ideale dove fermarsi per un po’, almeno fino al prossimo caso che Dean è sicuro lo costringerà a spostarsi molto presto. Già gli erano sembrati tanti i tre giorni di “vacanza” da Bobby, ora che è tornato con suo padre non crede che la pacchia durerà ancora a lungo.

John è andato a prendere la cena e Dean non sa se si tratta di una scusa per allontanarsi come fa sempre, ma per oggi potrebbe anche lasciargliela passare. In fondo sono stati insieme tutto il pomeriggio e questo non accadeva da un sacco di tempo.
 
Non credeva che suo padre potesse essere tanto loquace. Insomma, non che abbia parlato a macchinetta come fa Ellie quando ci si mette, ma per i suoi canoni ha chiacchierato tantissimo. Di caccia, per di più, e molto poco di altre cose magari anche più importanti – tipo cos’è davvero successo con Jim –, ma è un inizio.
 
Appoggia la giacca sull’appendiabiti – situato dietro la porta come sempre, un po’ come tutti i mobili della stanza che è uguale a chissà quante altre; ogni tanto si chiede perché in tutti gli Stati Uniti le stanze dei motel abbiamo quasi sempre la stessa disposizione – e ne estrae il telefono che, purtroppo, è stato docile e silenzioso per tutto il pomeriggio.
Lo rigira tra le dita incerto sul da farsi. Potrebbe chiamare Ellie, magari con la scusa del braccialetto, e cercare di capire come stanno le cose.
 
Anche se… insomma, vuole veramente saperlo? Se Ellie fosse normale e tranquilla – come spera – e magari la sentirebbe felice di parlare con lui andrebbe tutto bene, ma… se fosse strana? Se si fosse pentita e magari per questo ignorerebbe la chiamata – e lui, soprattutto – e farebbe finta di niente?
 
Sa che forse è una paranoia cretina – anche se una piccola parte del suo cervello ha covato silenziosamente quest’idea per tutto il giorno – ma questo Dean non potrebbe davvero sopportarlo, perché non è stata una botta e via ieri sera, non stava colmando un bisogno. Ed è vero che non lo ammetterebbe mai – fa anche fatica a concretizzare questa cosa, perché lo fa sentire fragile, in un certo senso, esposto a qualsiasi possibile delusione –, però gli farebbe davvero male sapere che per Ellie, invece, non sia stato nient’altro.
 
Scuote la testa, deciso a non pensarci; appoggia il telefono sul comodino, toglie il piccolo braccialetto di Ellie dalla tasca dei jeans dove è rimasto per tutto il giorno e lo rigira tra le dita. Osserva ogni ciondolino con la dovuta attenzione e, quando arriva con gli occhi al gancetto, nota che è rotto. Dev’essere per questo che le è caduto tra le lenzuola.
 
Si mette alla scrivania per vedere se può aggiustarlo – non che abbia una grande esperienza nel campo dell’oreficeria, ma tentar non nuoce –, però suo padre rientra poco dopo e l’istinto lo porta a nascondere quell’oggetto furtivamente, come un ladro.
 
Forse non dovrebbe, ma non gli va che sappia di questa storia. Non solo perché non ha dimenticato la predica che gli aveva fatto la sera del compleanno di Ellie – quella che poi ha completamente ignorato –, ma per altri mille motivi, e… sì, meglio lasciar perdere.
 
John sembra non accorgersi di nulla; appoggia la cena proprio accanto a lui e Dean abbozza un sorriso nella sua direzione.
 
Vanno a dormire abbastanza presto per una sera che possono farlo – Dean, poi, non è che si sia riposato chissà quanto ieri notte, perciò si sente anche un po’ stanco – e sta sognando qualcosa di bello quando un rumore in lontananza lo porta a svegliarsi.
Sbuffa leggermente e allunga una mano verso il comodino alla sua destra dove ritrova il suo telefono che sta vibrando da non sa quanto tempo, facendo tremare tutto il legno del piccolo ripiano.
 
Preme il tasto verde e porta il cellulare all’orecchio senza controllare chi lo sta chiamando «Pronto?»
«Ciao Dean» sorride appena a risentire il tono gentile di Ellie a cui ha pensato praticamente per tutto il giorno; la sua voce suona squillante alle sue orecchie e gli sembra di non aver mai sentito un suono più bello. Si sente anche un po’ idiota a pensare queste cose, ma la sua non è una reazione controllata. «Stai… bene?»
«Sì, tu?» si volta e suo padre ronfa tranquillo alle sue spalle. Probabilmente non si accorgerebbe di nulla neanche se urlasse, ma meglio parlare piano.
«Anch’io» Ellie fa una piccola pausa «Dormivi? Mi… mi dispiace, non volevo svegliarti».
Dà uno sguardo all’orologio «Beh, all’una di notte cos’altro dovrei fare?» stringe gli occhi forte e cerca di mascherare quella battuta con un sorriso. Non sa perché sta risultando così acido quando in realtà vorrebbe solamente chiederle se sta davvero bene e che fine ha fatto stamattina, ma è il sonno a parlare per lui. Forse.
«No è che… pensavo fossi ancora da Bobby».
«No, è tornato papà e sono andato con lui. Siamo ripartiti prima di pranzo».
 
Ellie non risponde per qualche istante e Dean può immaginarla annuire all’altro capo del telefono.
 
Non ha idea del perché, ma questa conversazione gli sembra terribilmente atipica. Sa benissimo che farebbe un’allusione alla notte passata insieme se si trattasse di una ragazza qualsiasi, ma con Ellie c’è un rapporto diverso e lui non sa davvero cosa dire.
 
«Io… beh, volevo chiederti se avevi trovato qualcosa di mio. Perché—»
«Sì, il braccialetto di tua madre».
«Ce l’hai tu?»
«Sì».
«O-ok, allora quando ci vediamo—»
«Sì, te lo ridò» fa una piccola pausa, stropicciandosi gli occhi con le dita della mano libera; è quasi certo di non aver mai avuto una conversazione tanto imbarazzante. «Tanto… ci rivediamo presto, no?»
Un altro piccolo momento di pausa, poi sente un piccolo sospiro e gli sembra che Ellie stia sorridendo, ma non ne è sicuro «Spero di sì».
«Ok, allora… »
«A presto e… scusa ancora se ti ho svegliato. Buonanotte».
«Buonanotte».

Dean chiude la chiamata e si sdraia sulla schiena, passandosi le dita della mano destra sugli occhi, il telefono stretto nella sinistra e un milione di pensieri che gli affollano il cervello.

Ellie non ha praticamente fatto nessun riferimento a quello che è successo e anche lei sembrava imbarazzata e… boh. Forse la piccola parte di sé che gli stava suggerendo che per Ellie non ha significato nulla aveva ragione e non ci sarà niente a parte quello che è già successo o forse si sta facendo solo tante paranoie inutili.
 
Sospira appena e volta nuovamente lo sguardo verso suo padre, ancora profondamente addormentato nel letto di fianco al suo.
 
Qualsiasi cosa stia succedendo ad Ellie, è sicuro di poterla risolvere quando la vedrà di persona e potrà parlarci faccia a faccia. Non si possono chiarire queste cose per telefono – a patto che ci sia davvero qualcosa da spiegare e non siano tutte sue strane fissazioni o complessi idioti – e pensa a godersi questi giorni con suo papà; sono tante le cose di cui devono parlare e gli farà di certo bene trascorrere un po’ di tempo insieme, anche se probabilmente sarà sul campo di battaglia.

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Capitolo 19
*** Can't get no love without sacrifice ***


Note: … *deglutisce per la millesima volta e muove con lentezza estrema i ditini sulla tastiera, conscia che sta per subire un pestaggio*
Ok, scherzi a parte (ma neanche tanto), non avete idea di quanto io sia agitata e in ansia a pubblicare questo capitolo e quelli a venire. E presto scoprirete perché… il che mi mette ancora più ansia! XD
Come vi ho anticipato nelle risposte alle vostre (sempre splendide) recensioni, qui comincerete a capire cosa è successo tra i “migliori” papà in circolazione e molte cose che riguardano Ellie. E sì, io spero di non deludervi perché la faccenda comincia a farsi delicata… *si asciuga la gocciolina di sudore dalla fronte che tradisce il suo nervosismo*
Di certo, a chi è mancata l’azione nei prossimi capitoli sarà accontentato, perché saranno impegnati da un nuovo caso.
L’ho fatto anche nelle note in fondo, ma ci tengo a specificare la cosa anche qui: il mostro della settimana è una mia invenzione, a partire dal nome a tutto il resto. Se esiste una qualche leggenda che parla di qualcosa di simile, io non ero a conoscenza XD ho cercato ovunque qualcosa che facesse al caso mio, ma quando non l’ho trovata mi sono rassegnata e mi sono convinta che la cosa migliore era fare da sola u.u
Alla luce di tutto ciò, vi chiedo di non risparmiarvi nei commenti: se il mostro e tutto quello che lo riguarda fa schifo, ditelo senza problemi XD
Ho chiacchierato abbastanza, perciò vi lascio un forte abbraccio e vi ringrazio come sempre per il vostro caloroso supporto.
Alla prossima settimana!

 
Capitolo 19: Can’t get no love without sacrifice
 
This is the way you left me,
I’m not pretending
No hope, no love, no glory,
no happy ending
This is the way that we love,
Like it’s forever
Then live the rest of our lives, but not together.
 
(Happy Ending – Mika)
 
 
E’ sdraiata sul letto, le gambe distese e le braccia incrociate su cui ha appoggiato la testa. Ha i capelli legati in una treccia spostata da un lato e fissa un punto preciso sopra il cuscino, a qualche centimetro dal suo viso.
 
E’ notte fonda eppure il sonno non arriva, così aspetta e osserva il nero intenso di quella specie di scatolina apribile e ne fissa il display, cliccando un pulsante a lato del piccolo marchingegno ogni due minuti per verificare che sia davvero rimasto com’era poco prima e si sente una come tante, senza nessun futuro di mostri o sciagure, solo una ragazza scaricata e illusa come chissà quante altre, magari proprio dallo stesso uomo.
 
Ellie sbuffa; si gira di lato e si copre con le lenzuola, portando un dito alla bocca e rosicchiandone l’unghia, l’ultima che le era rimasta più o meno intatta. Le altre le ha consumate in altre notti, nervose e insonni come questa ma tanto, con il lavoro che fa, non ha di certo bisogno di mettere lo smalto. Qualcuno glielo aveva anche detto una volta, quando hanno seguito il loro primo caso insieme, ma a ripensarci ora quella battuta – o qualsiasi cosa fosse – non la fa più tanto ridere.

Non è la prima notte che si ritrova ad eseguire gli stessi movimenti, che fissa il cellulare aspettando che squilli o emetta una qualche vibrazione, ma non succede mai niente. I giorni passano lenti – soprattutto adesso che suo padre ha deciso di starle spesso appresso – e i pomeriggi che trascorre nel piccolo fastfood di Wrigley, in Tennessee, dove ha trovato un impiego – era un po’ che non capitava – la distraggono quanto basta per aiutarla a non pensare, ma quando cala la sera e si ritrova da sola a dormire - o meglio, a provare a farlo - la mente la riporta in quel letto disfatto insieme a lui, a quando tutto le sembrava perfetto ma forse non era così.
 
Si chiede in che cos’altro ha sbagliato, quale altra mossa non era giusta e soprattutto perché, di tutte le ragazze al mondo, è andato a prendere in giro proprio lei. Pensava fossero amici, lei e Dean, sperava che, nonostante la sua ricerca costante di sostenitrici di sesso femminile, non si sarebbe mai abbassato a usare lei in caso di necessità estrema, ma a quanto pare è quello che è successo, perché non riesce a trovare un’altra spiegazione.
 
Ripercorre con la mente tutto quello che ha fatto da quella mattina, quando ha sentito delle voci provenire dal piano di sotto, tanto forti da svegliarla; si è ritrovata fra le braccia di Dean ed istintivamente ha sorriso vedendolo tranquillo e addormentato al suo fianco. Ha chiuso gli occhi di nuovo provando a riaddormentarsi, ma le voci erano troppo forti e, dopo aver riconosciuto quella di suo padre, si è scostata da Dean piano, attenta a non svegliarlo – in fondo erano solo le sei di mattina -, si è infilata la sua maglietta e gli slip – sparsi a terra insieme al mucchio di vestiti di Dean – ed è scesa al piano inferiore trovando in cucina Bobby e suo padre e il suo sguardo minaccioso non ammetteva repliche quando le ha ordinato di prepararsi immediatamente, che se ne sarebbero andati all’istante. Pensava fosse ancora arrabbiato con lei per la storia di Bobby ed ha provato a dirgli qualcosa, ma la risposta è stata solo un’occhiataccia e non ha potuto replicare oltre. Così, è tornata in stanza e si è vestita in fretta, cercando anche di recuperare tutti i vestiti che aveva nell’armadio; non ha avuto neanche il tempo di farsi una doccia ed è rimasta qualche istante ad osservare Dean dormire, incerta sul da farsi. Poteva svegliarlo e spiegargli la situazione velocemente, ma forse sarebbe stato assonnato e non avrebbe neanche capito fino in fondo cosa Ellie gli stesse dicendo e la voce di suo padre – o meglio, l’urlo – che le diceva di sbrigarsi – mai una volta che abbia un po’ di pazienza con lei – l’aveva convinta a lasciarlo stare. Lo avrebbe chiamato e gli avrebbe dato le spiegazioni che meritava.

Poi è stato più facile a dirsi che a farsi. All’inizio, aveva pensato di inviargli un messaggio, ma non le era sembrato il caso: troppo freddo e poi non sapeva cosa scrivergli. Insomma, cosa si dice in questi casi? “Sono stata bene”? Le sembrava brutto e distaccato. Alla fine aveva deciso di farsi coraggio e di telefonargli, pensando per ore intere a cosa dirgli, ma quello che aveva sentito dalla sua voce l’aveva scoraggiata, così tanto da farle dimenticare tutto il suo bel discorso e si era ritrovata a mettere insieme un paio di frasi quasi balbettate e a darsi della stupida subito dopo. Dean sembrava assente e distante e le poche certezze che Ellie pensava di avere erano crollate miseramente.
 
Nei giorni successivi, si è imposta di non telefonargli e lui non ha mosso un dito: non un messaggio né un niente a nessuna ora del giorno o della notte ed Ellie continua ad aspettare invano qualcosa che ormai è sempre più sicura che non arriverà. Ok che non si sentono spesso – non lo fanno mai a dire il vero –, ma le cose sarebbero dovute cambiare dopo quello che è successo.

Di sicuro Janis, l’unica amica che abbia mai avuto, se fosse qui con lei adesso le direbbe che ha fatto male, che non si richiama mai un tizio dopo esserci andata a letto. Deve essere lui a cercare te, anche solo per chiedere un altro giro.
 
Aveva una filosofia di vita tutta sua e le sembra ancora di risentire la sua voce nelle orecchie quando le dava consigli sui ragazzi e, ogni volta che Ellie non li ascoltava, le diceva che era pazza e continuava a perseguire le sue idee strampalate, cercando di “convincere” anche lei.
 
In questo caso, però, Ellie era davvero convinta che non ci fosse niente di sbagliato nel provare a telefonargli e spiegargli, che era una cosa normale – soprattutto per loro che hanno condiviso tanto – e adesso che ci pensa non è più sicura di niente.

Stringe il cuscino e chiude gli occhi, cercando di provare a prendere sonno; sono troppe notti che non si riposa a sufficienza e ci manca solo che suo padre si accorga che qualcosa non va.

Ha passato i giorni successivi a quella notte a coprirsi il collo spostando i capelli di lato, cercando di nascondere i piccoli segni rossi che Dean aveva lasciato sulla sua pelle e quasi le mancavano poi quando sono diventati più sbiaditi, praticamente invisibili. Le ricordavano l’ultima cosa bella che avevano condiviso ed ora non le rimane niente.
 
Sa con assoluta certezza che non sarebbe successo se ci fosse stato qualcun altro al posto di Dean. Non ha dubbi su questo, perché ha già fatto un errore del genere una volta e non aveva alcuna intenzione di ricascarci. Più volte aveva pensato a come sarebbe potuta andare a finire tra di loro e forse un po’ lo immaginava che avrebbe ceduto facilmente. Ormai dormivano insieme una sera sì e l’altra pure ed Ellie aveva imparato a sentirlo più vicino di prima, nonostante lui facesse di tutto per scappare. 
 
Ellie aveva notato quel suo continuo… fuggire quando si avvicinavano un po’ più del dovuto, ma lei non lo faceva per provocarlo o per scatenare una qualche reazione.
 
Non ha mai fatto niente per compiacerlo: è sempre stata se stessa, fin dal primo giorno, e di certo non voleva usare nessun mezzo strano per provarci. Un po’ perché aveva paura che le cose sarebbero potute cambiare, ma soprattutto perché… beh, perché non voleva che cominciasse a vederla come quella che non è, perché con lui è sempre stata libera di essere se stessa, sempre.
 
Per questo Dean è sempre stato diverso ai suoi occhi: c’è un rapporto vero con lui, una confidenza ed una fiducia tale da indurre Ellie a lasciarsi andare, perché era certa che non si sarebbe mai comportato con lei come con un’altra di cui non gli importa.
 
Ne avevano parlato quella volta in spiaggia. Ellie conosceva perfettamente il suo punto di vista, ma questo, quando ha cominciato a rendersi conto che qualcosa per lei stesse cambiando, non l’aveva portata a cambiare idea su di lui. E’ vero, non vogliono le stesse cose, ma Ellie cercava di sorvolare ogni volta che ci pensava e che lo guardava negli occhi e sembrava vedere qualcosa che la induceva a tentare, a non cercare di soffocare qualsiasi cosa le stesse nascendo dentro.
 
Da qualche parte del suo cervello, poi, ad un certo punto si era pure convinta che potesse piacergli, che ricambiasse quello che sentiva lei. Non tanto perché l’aveva baciata – quello avrebbe potuto farlo con chiunque, conoscendo il tipo –, ma che si comportasse in un certo modo perché forse provava qualcosa che andava oltre il semplice affetto e che, se avesse trovato il modo di capirlo da solo, poi sarebbe stato tutto più facile.
 
Per questo è stata discreta. Per questo non ha fatto un passo verso di lui dopo il suo compleanno; l’ha fatto per lui, perché voleva che realizzasse da solo quello che provava lei, la natura di quel sentimento che le cresceva forte nel cuore, quell’amicizia che si stava lentamente trasformando in qualcosa di più profondo. Non può chiamarlo amore, è qualcosa a cui non saprebbe nemmeno dare un nome perché è diverso ma altrettanto intenso.
 
La mamma le diceva sempre che le cose belle accadono a chi sa aspettare e lei lo aveva fatto, aveva atteso paziente, nella speranza che quel bacio non fosse l’ultimo e che forse anche Dean, da qualche parte del suo cuore, provava le stesse cose.
 
Di certo non può scoprirlo adesso però, “imprigionata” in una stanza puzzolente e lontana chissà quante mila miglia da lui.

Sospira afflitta, cercando ancora di trattenersi per non svegliare suo padre.
 
Non pensa di rivedere Dean a breve, visto che papà e John hanno litigato di brutto; è proprio per questo che era tanto arrabbiato quel giorno. Non perché John era andato a cercarlo, ma perché, a quanto pare, erano d’accordo per vedersi per parlare di Ellie non ha capito bene cosa e John alla fine si è arrabbiato, accusando suo papà di fargli perdere tempo, ed Ellie è sicura che un po’ la colpa sia anche sua.
 
John Winchester è troppo ligio al dovere, troppo concentrato sulla sua missione di vendetta per andare in soccorso a qualcun altro troppo a lungo e forse Ellie ha sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivato quel giorno, che le strade si sarebbero definitivamente divise e Dean è fin troppo sottomesso, troppo obbediente a suo padre per potersi opporre e forse non lo vuole neanche, forse anche per lui è stata tutta una perdita di tempo, tutto quanto e, ora che si è davvero preso tutto quello che poteva prenderle, è sparito e quest’ultimo pensiero fa scoppiare in lacrime Ellie.
 
Per giorni ha solo aspettato, sperando che qualcosa cambiasse in un modo o nell’altro, che ci fosse ancora una possibilità, ma adesso non ha più illusioni.
 
Butta il telefono a terra spingendolo via con la mano e piange così forte che chiude gli occhi e stringe le palpebre, pregando se stessa di smettere, ma non ci riesce, il macigno che ha nel cuore non glielo permette. Abbraccia il cuscino più forte sperando di calmarsi, si copre la bocca per soffocare i singhiozzi e per non svegliare suo padre che russa forte, ignaro di tutto quello che è successo, ma adesso che ci pensa non cambierebbe nulla. Non le chiederebbe mai niente, se sta male o se è accaduto qualcosa di brutto, perché non si è mai davvero interessato a lei, non gliene è mai importato niente.
 
Anche questi giorni in cui è stato praticamente costretto a passare del tempo insieme ad Ellie, a parte quando le ha raccontato di questa storia di John – e una parte di lei le dice che lo ha fatto apposta, per farla sentire in colpa –, non le ha mai rivolto la parola per cose più importanti, lasciandola al motel da sola a trovarsi un passatempo. Infatti, è per questo che Ellie ha deciso di tornare a lavorare; era un po’ che non lo faceva e ormai aveva rimasto pochi soldi da parte. Poi, meglio trovarsi un impiego che rimanere su un letto ad oziare per tutto il giorno. 
 
Lui, comunque, non è la mamma e Dean aveva provato a dirglielo più di una volta, ma lei ha sempre voluto chiudere gli occhi e le orecchie e non ascoltarlo, invece aveva ragione e questa consapevolezza le fa stringere ancora di più il cuore in una morsa di ghiaccio e dolore.
 
Sente di non avere più nessuno al mondo Ellie Morgan, nessuno che le voglia bene davvero e a cui potersi aggrappare e adesso si sente sola e confusa come non le succedeva da tanto tempo ed ha bisogno d’aria, così si alza e prende una coperta dal letto, avvolgendosela addosso. Esce fuori in punta di piedi, cercando di non fare il minimo rumore e appoggia la testa al muro, chiudendo gli occhi ed inspirando quanta più aria possibile.
 
Non fa tanto freddo, è quello che le esce dalle ossa a farla tremare, ancora scossa dai singhiozzi che non riesce a placare in nessun modo. Si siede a terra, rannicchiandosi il più possibile in quella coperta che trasmette tutto fuorché calore.
 
Si chiede cosa succederebbe se provasse a scappare, a fuggire via da quell’uomo che non le ha mai dimostrato un briciolo di affetto o comprensione in quei tre anni abbondanti di vita insieme. Potrebbe farlo davvero; lui neanche se ne accorgerebbe o perlomeno è sicura che non si scomoderebbe a cercarla e, anzi, forse sarebbe felice di liberarsi di lei.
 
Prova a pensare a dove potrebbe andare e il primo nome che le balena nella testa è un altro dal quale vuole fuggire e non le viene in mente nessun altro a cui potrebbe affidarsi e quel pensiero la rende ancora più triste.
 
Appoggia la testa sulle ginocchia e le lacrime continuano a scorrerle silenziose giù dagli occhi. I pensieri rimbalzano nella sua testa uno dopo l’altro, come le palline di un flipper impazzito e le vengono a galla tanti ricordi, tutti i momenti che ha passato insieme a Dean negli ultimi mesi: le torte, i gelati, le sbronze e tutte le cose stupide che hanno fatto; le cacce e le rare confidenze sulla sua vita, quelle che Ellie considerava tanto preziose e tutto quello che gli ha raccontato lei, cose che non aveva confidato a nessun altro, neanche alla mamma. E poi le sue mani quella notte che sembra sempre più lontana nella sua memoria, le sue carezze gentili e i suoi occhi, così sicuri e belli e luminosi e non c’era nessuna traccia di pentimento, solo affetto e tenerezza.
 
Ellie non ha tantissima esperienza in queste cose, è vero, ma è stata abbastanza a lungo con qualcuno da capire quando un ragazzo vuole solo del sesso o cerca qualcos’altro e, cavolo, neanche per un istante gli occhi di Dean si sono scostati dai suoi, quella notte. Ha cercato di mantenere un contatto visivo per tutto il tempo – soprattutto quando si muoveva su di lei – e quello era un forte segnale che le suggeriva che stava facendo sul serio, che non voleva solo scoparsela ma che era il suo modo di dimostrarle che la desiderava davvero e… e niente, perché invece ha finito col trattarla esattamente come tutte le altre, quindi forse non c’ha capito nulla.
 
Si passa le mani sul viso, lasciandole sugli occhi e sospirando forte. Che stupida.
 
E’ stata così superba da credere che sarebbe stato diverso, per lui, che appunto avevano un rapporto e non si sarebbe mai azzardato a muovere un dito su di lei se non fosse stato più che sicuro di quello che sentiva.
 
Ripensa a quanto le era stato difficile riuscire a lasciarsi andare con quel suo ragazzo del liceo. Non era passato tantissimo tempo da quel piccolo incidente a quella festa di compleanno quando l’ha conosciuto, ma lui era gentile e non le metteva fretta e questo suo atteggiamento, pian piano, l’aveva aiutata a superare i suoi complessi e l’imbarazzo e a voler andare fino in fondo.
 
Con Dean è stato diverso perché con lui si è sempre sentita a suo agio ed è convinta che se lo avesse fermato, se gli avesse detto che non se la sentiva, lui non avrebbe insistito. E’ sempre stato rispettoso nei suoi confronti e questa era un’altra delle cose che l’aveva convinta a buttarsi, a dargli ancora più fiducia di quanta gliene avesse già data da che lo conosce e quasi rimpiange di averlo fatto. Non è che si è pentita, perché lo voleva ed è stato bello – più di quanto avesse mai potuto immaginare –, ma… avrebbe semplicemente voluto una conclusione un po’ diversa, meno amara e tagliente, così difficile da mandare giù.
 
La cosa che le fa più male, in realtà, è il pensiero che lui possa pensarla come John, che in un angolo remoto della sua testa abbia sempre creduto che Ellie fosse una spina nel fianco, qualcosa di cui liberarsi il prima possibile perché inutile, una distrazione futile e priva di significato. Le fa male quel pensiero, più di tutti gli altri, perché è stato proprio lui, in una notte come questa – entrambi insonni nella cucina di Bobby a condividere la sua torta preferita e dei pensieri più o meno intelligenti – ad averle detto di non essere inutile, che era in gamba e si rimboccava le maniche e faceva del suo meglio. Però sembra non fregargliene più niente lo stesso.
 
Ellie non è solita passare subito alle conclusioni, ma ci ha pensato così a lungo nelle ultime settimane e, a forza di fare due più due, si è convinta che non può essere altrimenti: Dean l’ha presa in giro e lei ci è cascata con tutte le scarpe, come la peggiore delle stupide. 
 
Forse se suo padre non fosse tornato proprio quella mattina, se non avesse litigato con John e se lei avesse avvertito Dean della sua partenza le cose sarebbero andate in modo diverso, ma non può fare niente a parte chiedersi come sarebbe andata ed è meglio smetterla di farsi tante domande e lasciar perdere, tanto le cose non cambieranno e nessuno potrà mai restituirle il pezzo del suo cuore che Dean ha portato con sé.
 
Si asciuga le guance con le mani; il cielo sta cominciando a rischiararsi e l’alba sembra vicina ormai e forse sarebbe meglio rientrare, perciò fa per alzarsi ma cambia idea quando sente la porta aprirsi. Suo padre compare sulla soglia, già vestito. Dev’essere passato parecchio tempo da quando è uscita, non se n’era resa conto.
Poco più che la guarda in faccia «Vestiti, ho un caso per te».
Ellie si alza in piedi, senza darsi pena di asciugarsi meglio il viso. «Di che si tratta?»
«Ho sentito un comunicato della polizia alla radio. Pensavo che fossi in stanza e che avresti potuto pensarci da sola, ma non c’eri così ti ho segnato le cose più importanti su un fogliaccio. Io ho faccende più urgenti da sbrigare» Ellie annuisce e tira su col naso, schivandolo e rientrando dentro la stanza.
 
Ascolta la descrizione dell’accaduto da suo padre senza guardarlo mai, gli occhi puntati sul borsone che prepara in fretta, infilandovi vestiti e le sue cose alla rinfusa – come fa sempre più spesso ultimamente – e cercando di prestare attenzione ad ogni dettaglio.
 
Indossa un paio di pantaloni senza preoccuparsi di cambiare maglietta, lo farà strada facendo. Tanto quello che deve fare è semplice: rubare una macchina a qualche poveraccio che senza dubbio ne ha molto più bisogno di lei, andare sul posto e fingere, ancora; affittare per qualche giorno un’altra stanza polverosa e lavorare, concentrarsi per cercare, trovare e uccidere il cattivone di turno. 
 
«Comunque, è scritto tutto qui» appoggia un foglio stropicciato sul letto accanto al suo borsone e lei continua ad annuire senza osservarlo, come un piccolo soldatino. Alza appena lo sguardo solo quando è ora di andare e suo padre la blocca, tenendole un braccio fermo e la guarda negli occhi e per un attimo Ellie crede di essersi sbagliata, che forse – forse – gli interessa davvero di lei, che magari si è accorto che non sta bene e che ha bisogno di un po’ di affetto, quello che lui non è mai stato capace di darle. Fondamentalmente perché non si è mai curato di farlo. «Hai qualcosa da obiettare?»
Ellie aggrotta le sopracciglia. «No, perché?»
«Non lo so, di solito sei più… entusiasta, più reattiva». Ellie non risponde, mordendosi appena il labbro inferiore. «Ti ricordo che l’hai voluta tu questa vita. Sei tu che mi hai chiesto di istruirti».
Ellie espira dal naso emettendo un lieve sbuffo, le labbra piegate leggermente in un sorriso che ha poco di felice e di rilassato e lo guarda negli occhi, in un modo in cui è sicura di non aver mai fatto. «Già, peccato che non ti sei mai preso la briga di farlo da solo, hai sempre affidato il compito a qualcun altro» fa una piccola pausa, senza distogliere lo sguardo da quello appena incredulo di suo padre «Ed io l’ho fatto per starti accanto, non per farmi mandare in giro come un piccione viaggiatore a risolvere casini di cui tu non ti vuoi occupare perché hai faccende più urgenti da sbrigare».
 
Jim sembra sempre più allibito; sbatte le palpebre dei suoi occhi grandi – più del solito – un paio di volte, come a volersi capacitare di aver sentito bene, ma Ellie non gli dà il tempo di rispondere. Mette il borsone in spalla e se ne va, chiudendosi la porta alle spalle senza voltarsi indietro.
 
Cammina per un paio di isolati – gli occhi ancora lucidi e i pensieri ingombranti a martellarle la testa – e poi sfila dal borsone una grossa lama, facendo attenzione e assicurandosi di essere sola; la infila nel finestrino anteriore di una vecchia Toyota e riesce a far scattare la serratura. Non è esattamente pratica con quel gioco dei fili, ma con un cacciavite ed una pietra risolve il problema delle chiavi e mette in moto, partendo alla ricerca del prossimo mostro da far fuori.  
 
*
 
L’aria è ancora calda per essere quasi la metà di ottobre e Dean attraversa la strada di quel piccolo quartiere di Linden, Tennessee.
 
Completo grigio da federale addosso, cravatta rossa che gli stringe un po’ sul collo e allenta con le dita prima di avvicinarsi all’ingresso di una delle villette a schiera – una delle tipiche casette americane, anonima, incastonata tra tante altre – e suonare al rispettivo campanello.
 
Le ultime due settimane sono state terrificanti. Non tanto per la presenza di suo padre che, anzi, si è rivelato più piacevole e meno “sergente” del solito, ma si sono trovati faccia a faccia con una bestia che era tutto fuorché gradevole e che li ha tenuti in allerta e svegli per troppe notti.
 
Ed ora, per di più, si è ritrovato a dover seguire un altro caso quando l’unica cosa che vorrebbe fare è sdraiarsi su un letto e dormire per un giorno intero. Probabilmente la pensa così perché ha passato giorni troppo tranquilli prima e adesso gli mancano, così come Ellie.
 
Non l’ha più vista né tantomeno sentita dopo quella strana telefonata, ma pensava di rivederla a breve, solo che a quanto pare la caccia si è protratta più a lungo del previsto e l’unica cosa che aveva voglia di fare quando riusciva a staccare dalle ricerche e dagli inseguimenti era cercare di riposarsi. Poi – e questo è davvero strano – suo padre non ha mai nominato Jim nel tempo che hanno trascorso insieme e sì, è vero che a volte passavano settimane intere prima di incontrare di nuovo lui ed Ellie, ma almeno lo menzionava, ogni tanto.
 
A parte questo, però, sul fronte John Winchester sono state le due settimane più tranquille dell’ultimo anno: niente uscite strategiche, niente colpi di testa particolari, niente di niente. Dean non sa se è perché era particolarmente preoccupato per il caso che stavano seguendo o perché aveva davvero intenzione di passare del tempo insieme a lui. Ogni tanto si diceva che era solo la calma prima della tempesta, ma poi si zittiva, perché suo padre sembrava veramente e incredibilmente tranquillo per i suoi standard.
 
Tutta questa faccenda, comunque, non gli ha di certo impedito di pensare ad Ellie e, nonostante abbia un po’ paura che le cose possano essere cambiate per lei – visto che, appunto, non si è più fatta sentire –, non vede l’ora di rivederla.
 
Cammina lungo il piccolo vialetto della casa della signora Kathleen Miller, vedova del defunto marito Jonathan, il noto psicologo di trentatré anni ucciso due giorni fa. Nessun segno di strangolamento o ferita da arma da fuoco, solo due vistosi buchi sul collo che hanno contribuito alla morte – e al prosciugamento, perché ok che era morto, ma non aveva mai visto un cadavere tanto “secco” – e Dean, come prima ipotesi, ha pensato ad un vampiro, per quanto gli sembrasse assurdo [1], ma non riesce a ricordare l’esistenza di un’altra creatura che riesca a fare uno scherzo del genere per uccidere la sua vittima.
 
Sa tutto questo dal giretto che ha fatto all’obitorio stamattina ed ora tocca alla vedova afflitta, sperando – per così dire – che sia un po’ più addolorata delle ultime signore nella stessa condizione che gli sono passate davanti agli occhi.
 
Suona il campanello e attende almeno un minuto buono prima che una donna sui trent’anni, slanciata, castana e con due vistose occhiaie sotto gli occhi scuri gli apra la porta.
Dean, come da manuale, mostra prontamente il distintivo «Buongiorno signora, sono l’agente May [2], FBI. Volevo farle qualche domanda sulla scomparsa di suo marito».
La donna sbatte le palpebre un paio di volte, visibilmente perplessa. «Beh… se vuole entrare faccia pure, ma sto già parlando con una sua collega».
 
Dean aggrotta la fronte, confuso. Non ha altri colleghi che stanno seguendo il suo stesso caso, o almeno la cosa non è di sua conoscenza, ma a questo punto è curioso e convinto che si tratti di qualcuno come lui, perché nessun vero agente dell’FBI avrebbe interesse a scavare a fondo in questa strana storia praticamente già archiviata sotto la voce “attacchi di animali” così segue la signora fino al salotto.
 
Sbatte le palpebre un paio di volte tentando con tutte le forze di nascondere un sorriso quando trova Ellie seduta sul divano aranciato che lo guarda sorpresa. Indossa una gonna delle sue – avvitate e che le arrivano sopra al ginocchio, quelle che mette per queste occasioni più “formali” – e una camicetta bianca leggermente aperta sul davanti; i capelli sono raccolti in uno chignon e il trucco è un po’ più pesante del solito, più marcato, soprattutto sugli occhi, mentre le labbra sono colorate di un rosa chiaro. Dean, col tempo, ha scoperto di preferirla più al naturale, con i capelli sciolti e la postura meno rigida e impostata, ma questo non gli impedisce di constatare quanto sia bella anche in questa veste.
 
«Non so se vi conoscete, ma… la signorina Morrison mi stava già interrogando» è la vedova Miller a interrompere il suo flusso di pensieri e Dean si gratta dietro la nuca, cercando di non mostrare la leggera agitazione che sente.
«Sì, ma—»
«Non sapevo saresti venuto, altrimenti ti avrei aspettato per cominciare» Dean fissa Ellie per qualche secondo, realizzando in fretta quanto sia diventata brava a fingere. Non si è minimamente scomposta di fronte all’imprevisto che ha incontrato “per strada” e, se non la conoscesse a fondo, sarebbe caduto lui stesso in quella grossa balla che è appena uscita dalla sua bocca.
 
Abbozza un sorriso e, ovviamente, si presta al gioco «Mi dispiace non averti avvisata, ma l’ho saputo all’ultimo minuto» e la donna, non appena si rende conto che si conoscono, lo invita a sedersi sul divano e Dean obbedisce, sistemandosi accanto ad Ellie che prontamente tira verso il basso il lembo della gonna con uno scatto nervoso. Dean finge di non farci caso, ma la cosa in realtà non gli sfugge affatto.
 
La signora Miller si siede a sua volta, proprio sul divanetto di fronte. Dean non aveva avuto modo di osservare prima la stanza: l’ambiente non è particolarmente decorato e nessun oggetto presente in quella sala lascia intendere che quella donna sia ricca o in qualche modo benestante, ma la cosa che salta più agli occhi di Dean è che c’è aria di casa, di famiglia. Le fotografie appoggiate sul legno del caminetto addossato alla parete la ritraggono insieme ad un uomo che Dean sa già essere suo marito – anche se, quando l’ha “incontrato” stamani, aveva tutt’altro che la bella cera che ha invece in queste foto – e sembrano essere felici, ma soprattutto uniti. A giudicare da come la donna adesso stringe il fazzoletto tra le dita – altro particolare che Dean non aveva notato in precedenza –, la sua perdita deve essere stata davvero un brutto colpo, per lei.
 
«Quindi suo marito Jonathan faceva lo psicologo di professione» Ellie parla, forse riprendendo il discorso da dove l’aveva lasciato prima dell’arrivo di Dean. 
La donna annuisce «Tutti in città lo conoscevano. La maggior parte, diciamo».
«Di cosa si occupava precisamente?»
«Beh… aveva pazienti di tutte le età, ma l’ambito di studio che preferiva era la psicologia infantile. Seguiva molti bambini».
 
Ellie annota tutto su un taccuino, proprio come Dean le ha sempre detto di fare. E’ bello constatare che saprebbe anche cavarsela da sola, che ha imparato qualcosa dai casi che hanno seguito insieme. Non che avesse dubbi a riguardo, ma è soddisfacente averne la certezza.
 
«E non so, ha mai notato qualcosa di strano? Odori particolari, rumori… »
La donna scuote la testa, sbattendo le palpebre con la chiara intenzione di trattenere delle lacrime «Questa casa non è tanto grande, ma… a Jonathan piaceva proprio per questo, perché è tutto… sotto controllo, così. E gli piaceva spendere soldi per dei viaggi più che per q-queste cose, l-lui voleva vedere il m-mondo e… » non riesce a contenersi e abbassa la testa, singhiozzando in modo silenzioso.
 
Dean si volta a guardare Ellie e anche lei sembra visibilmente dispiaciuta per quella donna gentile. «Può sembrare una frase fatta, ma… mi dispiace davvero per la sua perdita, signora Miller».
 
La donna annuisce senza alzare il viso ed Ellie e Dean convengono silenziosamente che è meglio andarsene; non è a conoscenza di nessuna informazione utile per loro ma, soprattutto, non se la sentono di rimanere ancora a disturbarla.
 
Quando escono dal vialetto di quella casa modesta, Dean non riesce a dire una parola. Non solo perché non si aspettava di vedere Ellie, ma è come se tutto un malloppo di cose gli sia rimasto bloccato in gola e non riesca a sgrovigliarlo per farlo uscire.
 
Senza dubbio avrebbe saputo come salutarla se fosse rimasta con lui quella mattina, un po’ meno cosa dirle, ma adesso è tutto un po’… diverso.
 
Si morde il labbro, nervoso. Ellie stringe il taccuino al petto, senza guardarlo negli occhi; gli cammina di fianco ed è stranamente silenziosa, distaccata. Forse è rimasta un po’ così per la reazione di quella donna poco fa.
«Da quanto sei qui?» Dean non sa davvero come ha fatto a spiccicare parola, non ha idea del perché sia così agitato o… in imbarazzo. Con lei non gli era mai successo prima.
«Qualche giorno». Risposta secca, striminzita. E ancora non lo guarda in faccia.
Dean non sa come interpretare questo strano mutismo, perciò tenta di buttare il discorso sul lato professionale del loro incontro casuale «Beh, bene. Insomma, di materiale credo ce ne sia un po’. Io sono stato all’obitorio e—»
«Anch’io, ma… » Ellie prende fiato un attimo, continuando ad ignorare il suo sguardo «Voglio occuparmene da sola». Dean si ferma, incredulo di aver sentito realmente quelle parole ed Ellie fa altrettanto, la testa ancora bassa.
«Come?»
«Voglio… » alza gli occhi adesso, titubante, e solo ora Dean riesce ad osservarla bene e a capacitarsi del fatto che Ellie sembri davvero stanca. Le occhiaie sono nascoste con cura sotto il fondotinta, ma Dean sa riconoscere i segni della stanchezza in qualcuno, soprattutto se lo conosce «Voglio fare per conto mio. Ero nei paraggi e papà mi ha spedito qui e… e voglio fare da sola, per vedere se so cavarmela».
«Ma scusa ci sono io, perché vuoi—»
«Ti ho detto che voglio occuparmene da sola».
 
La sua voce suona aspra e antipatica – le ultime parole scandite in modo troppo secco – e Dean la guarda ancora più perplesso. Non si è mai comportata così e si chiede che cos’ha fatto o detto di sbagliato per provocare una reazione tanto brusca.
Ellie fa per voltarsi e allontanarsi, ma Dean d’istinto allunga una mano e afferra il suo polso, costringendola a girarsi nella sua direzione.
 
Rimane un attimo così, in attesa, ancora incredulo di averla sentita parlare così a lui e del tutto all’oscuro di quale potrebbe essere la sua colpa. «Che c’è Ellie?»
Lei allarga appena gli occhi «Che vuoi dire?»
«Perché fai così? Ti ho detto che voglio aiutarti, non che voglio soffiarti il caso. Voglio solo darti una mano».
«Sì, ma… » Ellie strattona appena il braccio, decisa a liberarsi dalla presa di Dean che invece non ci pensa neanche a mollarla «Davvero, è l’occasione che ho per dimostrare che posso fare da sola, che me la so cavare. Lasciamelo fare».
Dean continua ad osservarla e… perché tutta questa scenetta non lo convince per niente? Scuote la testa «Io non me ne vado da qui».
«E allora resta. Fai come vuoi, ma lasciami andare» ma Dean, anziché ascoltarla, istintivamente stringe la presa sul suo polso. C’è una patina di tristezza negli occhi di Ellie, un'ombra, qualcosa che è tanto che non traspare dal suo sguardo e tutto ciò lo convince ancora di più del fatto che gli sta nascondendo qualcosa. Lei strattona di nuovo il braccio «Lasciami, Dean, mi… mi fai male».
Quelle tre semplici parole con cui Ellie ha concluso la frase lo riportano alla realtà e Dean non riesce ad aggiungere altro e lascia la presa, la traccia rossa della sua mano sul suo polso sottile; evidentemente ha stretto più di quanto pensava. «Ok, senti… rimango nei paraggi, se hai bisogno alloggio al Blue Motel [3], stanza quattordici».
Ellie alza le spalle e si volta, proseguendo per la sua strada, le braccia incrociate al petto e Dean la guarda andarsene senza riuscire a capire cosa le sta succedendo e, soprattutto, perché fa così con lui.
 
*
 
I pomeriggi sono terribilmente lunghi quando non si ha nulla da fare e Dean si ritrova a constatare che non era vero che aveva bisogno di riposarsi. O meglio, sì, ma quando la noia – e soprattutto i pensieri – hanno la meglio non c’è verso di farlo.
 
Tutto quello che è riuscito a fare invece di dormire è stato pensare a quella specie di incontro–scontro con Ellie e… sì, in pratica è tutto quello che ha fatto.
 
Perché se l’era immaginato in modo diverso. Non si aspettava che Ellie gli saltasse addosso, ma almeno un sorriso – uno dei suoi, di quelli che ti scaldano dentro – avrebbe potuto farglielo. Una stretta, un abbraccio, qualcosa di diverso dalla freddezza e dal distacco che invece gli ha mostrato.
 
Non ha mai fatto così, neanche quando non si conoscevano; è sempre stata gentile e sorridente con lui, affettuosa, invece oggi era… strana, diversa.
 
Forse c’entra quella carogna di suo padre – Dean non sa perché, ma quando c’è un problema è la prima persona a cui pensa – o forse è lui ad aver fatto qualcosa di sbagliato, chissà; sa solo che quando arriva la sera non ce la fa più e, con la scusa che ha fame, prende un paio di panini e due birre al primo fastfood che incontra per strada e va da Ellie, nel motel dove alloggia.
 
L’unica cosa che ha fatto nel pomeriggio è stata proprio quella di cercare il posto dove lei sta trascorrendo questi giorni qui a Linden e non è stato poi tanto difficile: il GPS [4] del suo cellulare era acceso. Forse voleva farsi trovare, o forse è solo distratta e ha dimenticato di spegnerlo.
 
Il motel si trova a qualche isolato da quello dove alloggia lui e Dean bussa alla porta un paio di volte prima di vederla comparire sulla soglia. Ellie ha gli occhiali da vista appoggiati sul naso, un paio di pantaloni della tuta grigi ed un maglioncino leggero.
 
Lo guarda perplessa – o forse un po’ arrabbiata – «Che ci fai qui?»
Dean alza il sacchetto bianco con il cibo nella sua direzione «A te cosa sembra?» le sorride appena, ma lei non ricambia «Sono venuto a farti compagnia. Ho pensato avessi fame».
 
Ellie sembra un po’ titubante, ma poi alza appena le spalle e lo fa entrare. Dean si siede sul letto dopo essersi tolto la giacca verde militare e avercela appoggiata sopra e si guarda intorno. Questa stanza è una delle più piccole che abbia mai visto: è come se tutto fosse concentrato. La cucina, il letto, tutto quanto e Dean non può fare a meno di chiedersi se Ellie si è presa proprio questa perché è a corto di soldi o perché le piace davvero.
 
Vorrebbe dirle che potrebbe andare con lui e dividere l’ambiente che ha affittato per questi giorni – non perché sia più bello, ma almeno è più spazioso – invece di stare in questo buco, ma qualcosa gli dice che è meglio tacere.
 
Addenta il suo panino e la osserva mentre si stappa la birra e ne beve un sorso per poi appoggiarla sopra la tavola accanto alla quale è seduta – anche questa stipata contro il muro, praticamente addosso al ripiano del lavello.
 
«Hai scoperto qualcosa?»
Ellie si volta e, con immensa sorpresa di Dean, lo guarda quasi in cagnesco. «Sei venuto a controllarmi?»
Lui d’istinto aggrotta la fronte, lo sguardo duro «No!» Ellie lo scruta attentamente, gli occhi grandi ridotti a due fessure e a Dean dà sui nervi questo atteggiamento odioso, ma cerca di far finta di niente per quieto vivere o perché… boh, non lo sa neanche lui il perché. «Non ci vediamo da un po’, volevo solo fare due chiacchiere, tutto qui». Ellie continua a fissarlo e forse ha l’impressione che è sincero perché la smette dopo qualche istante, tornando a concentrarsi sullo schermo del suo computer.
 
Dean la osserva con attenzione mentre beve un sorso della sua birra: ha i capelli legati in una strana acconciatura sorretta da una pinza colorata di giallo e arancione, il pugno chiuso sotto il mento e le dita dell’altra mano a battere sulla tastiera e non gli è mai sembrata tanto distante.
 
Si volta dopo un’eternità e lo guarda un attimo, gli occhiali ancora sul naso «Potresti venire qui un momento?»
Dean obbedisce, appoggiando la sua cena sul tavolo e le si avvicina, finendo di masticare il boccone. Prende una sedia per mettersi accanto a lei, alla sua sinistra, ed Ellie gli porge il suo taccuino, quello che aveva stamattina dalla signora Miller, e gli mostra una specie di schema con un elenco di fatti, luoghi e date.
 
«Jonathan Miller non è l’unica vittima, non so se lo sai» Dean scuote la testa, perplesso. O non ha letto il giornale con attenzione oppure gli è proprio sfuggito ed è probabile, perché in fondo è qui da neanche un giorno «Ecco, c’è stato un altro omicidio. Una donna, un’insegnante alle scuole elementari» Ellie indica con una matita un nome scritto sul suo taccuino e batte un paio di volte sopra la carta «Cecilia Ford. Era nubile, viveva ancora con la madre».
Dean la ascolta con attenzione, ragionando tra sé. «Donna, nubile… non sembra avere niente in comune con l’altra vittima».
Ellie annuisce «Esatto, infatti ero in alto mare. Poi, però, mi è venuto in mente che una volta ho letto di una creatura che si nutre della linfa vitale delle persone, quindi sangue e tutte le sostanze nutritive, aspirandola dal collo».
 
Ellie si volta di nuovo verso lo schermo del computer e digita velocemente qualcosa; Dean segue i suoi movimenti e istintivamente le si avvicina, la mano destra a stringere lo schienale della sedia su cui è seduta e il viso sempre più vicino a quello di lei che, dopo un po’, riesce a trovare il sito giusto.
 
«Guarda qui».
Dean legge le prime righe di uno strano articolo «Un Kendra [5]? Che diavolo—»
«E’ una creatura e si nutre di umani. Li uccide prosciugandoli».
«Questo spiegherebbe perché il povero Freud era particolarmente asciutto, stamattina. E come si riconosce questo coso?»
Ellie si volta a guardarlo ed è terribilmente vicina – così tanto che lo sguardo di Dean si posa sulle sue labbra per un istante –, anche se ormai lui ha imparato ad apprezzare questo tipo di pericolo. «E’ difficile perché ha l’aspetto di un essere umano, ma sembra che quando individua una vittima i suoi occhi brillino di un blu intenso un paio di volte, come uno sfarfallio. So solo che si nutre ogni due anni e sempre in città diverse, infatti ho trovato una marea di casi simili» prende altri fogli che aveva sopra il tavolo e li mostra a Dean «Millenovecentonovantasei, novantotto, duemila… fino ad oggi».
«Evidentemente ha finito le sue scorte e ha deciso che questo posto gli piace tanto per ricaricarsi».
«Già» Ellie incrocia le gambe, appoggiando i gomiti sulle ginocchia «Ma devo ancora capire come sceglie le sue vittime».
 
Dean le sorride «Beh, ma sei già stata brava» fa una pausa osservandola mentre lei alza lo sguardo nella sua direzione, gli occhi limpidi e forse meno tristi di questa mattina «Anche se poi hai dovuto chiedere un consiglio all’esperto in materia».
Ellie sorride appena «Ma se non hai fatto altro che annuire!»
«Beh, ma hai comunque avuto bisogno di me! Vedi che ho fatto bene a restare?»
 
Ellie abbozza un sorriso – molto meno luminoso del precedente –, la testa china, e a Dean sembra di nuovo lontana, distante. Vorrebbe chiederle perché si comporta così, ma ha l’impressione che lei finirebbe per cambiare discorso o non gli risponderebbe. Per di più, c’è un pensiero che gli gira in testa da tutto il giorno – o forse anche da prima – e non ce la fa più a tenersi dentro quest’idea, così cerca di sondare il terreno in un altro modo.
 
Si allunga a prendere quello che resta della sua cena «Ah, ho ancora il tuo braccialetto, mi sono scordato di portartelo» ed è vero. Lo ha tenuto dentro il suo borsone per tutto questo tempo, per non perderlo e non l’ha lasciato lì di proposito. Ok, forse un po’ sì, ma non crede di doverlo utilizzare come scusa per rivederla. O almeno ne era sicuro fino a qualche minuto fa.
 
Ellie lo guarda di nuovo, prestandogli forse più attenzione di quanto abbia fatto nell’ultima mezz’ora. «Ah, già… mi ero dimenticata che ce l’avessi tu». Dean la osserva ed è assolutamente certo del fatto che sta mentendo. Non si separava mai da quel dannato braccialetto, non può essersi dimenticata che era lui a tenerlo con sé in attesa di restituirglielo e questa certezza scava una traccia profonda e terribilmente amara dentro di lui.
 
Era questo il pensiero che lo ha disturbato per tutto il giorno: l’idea che Ellie si fosse pentita di essere andata a letto con lui e che per questo era così strana, per questo lo stava tenendo a distanza e questa risposta non fa altro che accreditare la sua consapevolezza, facendogli stringere il cuore in una morsa.
 
Non gliene sarebbe fregato niente se ci fosse stata un’altra ragazza al posto suo, ma con Ellie è differente perché è stato diverso e così bello e completo che il solo pensiero che lei possa essersi pentita lo scuote e divora. Non tanto per il suo orgoglio, ma per il suo cuore, che è crollato con un tonfo sordo non udibile a lei né a nessun altro.
 
Annuisce in modo totalmente meccanico, senza un minimo di convinzione e sente di aver bisogno d’aria, così si mette in piedi, appoggiando la bottiglia ancora mezza piena sul tavolo, e riprende la giacca che aveva appoggiato sul letto.
«Va beh, io vado».
Ellie lo guarda confusa e si alza a sua volta. «Dove?»
«Io, beh… a dormire, sono stanco. Ho avuto delle settimane pesanti e ho bisogno di riposarmi».
«Non finisci neanche la birra?»
«No, non… non mi va. Ci vediamo».

Sente lo sguardo di Ellie su di sé ma non si volta né si ferma e in pochi passi è alla sua amata macchina.
 
Non sono tanti i chilometri che ha fatto quando si accosta al ciglio della strada. Scende dall’Impala per poi richiudere lo sportello e appoggiare le mani sul tettuccio, proprio sopra il finestrino e quello che sa per certo è che si sente terribilmente imbecille.
 
Forse si è lasciato coinvolgere troppo, da lei e da quello che è successo, eppure dovrebbe essere allenato a tenere le distanze, dovrebbe sapere più di chiunque come si fa, ma si è fatto fregare come un ragazzino alla prima cotta.
 
Non sa se ha senso prendersela tanto, ma credeva che con Ellie potesse essere diverso, che forse c’era la possibilità di… scuote appena la testa, stringendo forte le palpebre ed ispirando l’aria fresca di questa strana serata di ottobre. In fondo, quella di Ellie era solo una frase e forse non ce l’ha davvero con lui e, comunque, prima di fasciarsi la testa deve essere certo di quello che sta succedendo, ma di una cosa è sicuro: non ha nessuna intenzione di lasciare la città. Ellie potrà anche voler provare a cavarsela da sola, ma questo non gli impedirà di tenerla d’occhio perché l’ultima cosa che vuole è che si faccia male in qualche modo. 
 
[1] Nella prima stagione, precisamente nell’episodio 1x20 “Dead’s man blood”, Dean scopre per la prima volta l’esistenza dei vampiri. Dice espressamente che credeva fossero una semplice leggenda ed è suo padre John a dirgli che, invece, esistono sul serio. Ho cercato di mantenere la “tradizione” XD
[2] Il cognome per la copertura di Dean è stato “preso in prestito” da Brian May, noto chitarrista dei Queen.
[3] Piccolissimo e forse insignificante riferimento rigirato a mio piacemento all’episodio 4x18 “The monster at the end of the book” poiché Chuck aveva predetto che Lilith e Sam avrebbero passato una notte “sprofondando in un vortice di ardente passione demoniaca” nel Red Motel.
[4] Non so da quando ha cominciato a funzionare la tecnologia del GPS, ma mi sono presa una piccola licenza. In fondo, nel 2008 (quando Dean è tornato dall’Inferno) è in questo modo che ha trovato Sam, perciò ho pensato che in quattro anni la situazione “tecnologica” non fosse così tanto diversa.
[5] Non sono minimamente a conoscenza del fatto se effettivamente esista oppure no una creatura con questo nome. Che io sappia, non esistono leggende su esseri simili che sono solo frutto della mia fantasia e il nome, Kendra, proviene dall’universo Buffyano. Più precisamente, è lo stesso della cacciatrice mandata a combattere insieme a Buffy, l’antenata – se così si può chiamare – di Faith. 

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Capitolo 20
*** Say something ***


Note: Dopo aver risposto alle vostre recensioni con il mio solito ritardo cronico, eccomi qui con un nuovo capitolo :)
Che dire, se l’altra volta siete stati così magnanimi da non odiarmi, dubito che oggi riuscirò a farla franca… ma le storie non possono essere sempre rose e fiori, altrimenti uno si annoia. Io di sicuro XD
Come vi ho detto la scorsa settimana, se il mostro e come l’ho gestito vi fa schifo non fatevi scrupolo a dirmelo, visto che è tutto frutto della mia mente malata e a maggior ragione ho bisogno di riscontri sinceri. Non sarete linciati, ve lo assicuro XD
Detto questo, ringrazio come sempre tutti voi che avete così tanta pazienza da starmi dietro con così tanto affetto e rinnovo il mio invito ai lettori silenziosi (vecchi e non) di farsi avanti e dire la propria, che a me leggere le vostre opinioni piace da matti. :D
Fuggo che sono abbastanza di corsa… alla settimana prossima! Un abbraccio immenso! :D

 
Capitolo 20: Say something
 
Anywhere I would have followed you
Say something I’m giving up on you
 
And I am feeling so small
It was over my head
I know nothing at all

And I will stumble and fall
I’m still learning to love
Just starting to crawl

 
(Say something – A great big world feat. Christina Aguilera)
 
 
Quando si hanno brutti pensieri per la testa, una delle poche cose che riesce a distrarre davvero è il lavoro, si sa. Dean non conosce molte altre medicine valide contro il malumore – a parte l’alcol –, ma stavolta non sta proprio ottenendo il risultato sperato.
 
Sospira forte, seduto su quella sedia sgangherata di fronte al tavolo della sua stanza, appoggiando la testa sul pugno chiuso.
 
Sta chiuso lì dentro da un giorno intero. Stamattina si è alzato all’alba dopo aver dormito sì e no quattro ore – giusto perché era davvero stanco, perché altrimenti avrebbe passato buona parte della notte a rimuginare – ed è andato a svaligiare la biblioteca cittadina. Si è portato dietro tutti i volumi di folklore e culture popolari che pensava potessero interessargli e gli si sono squagliati gli occhi a forza di leggere leggende su leggende, una dietro l’altra.
 
Neanche per un momento gli è balenato in testa di andare da Ellie. Cioè, sì, ma ha preferito concentrarsi e lavorare piuttosto che tornare da lei e ritrovare il suo muso lungo per qualcosa che Dean proprio non capisce.
 
Sa perfettamente che per lui è l’orgoglio a parlare, ma non gli è andata giù la risposta che gli ha dato, il suo tono e soprattutto il fatto che abbia palesemente finto di essersi scordata una cosa di cui – è sicuro – proprio non poteva dimenticarsi.
 
Ellie è incredibilmente attenta per ogni cosa che riguarda sua madre, soprattutto gli oggetti che le appartenevano, le cose tangibili che le sono rimaste di lei. Le custodisce come dei tesori preziosi perciò è impossibile che si sia dimenticata della loro conversazione – l’unica che hanno avuto dopo la notte che hanno passato insieme, per di più – quindi ha chiaramente fatto finta di non ricordare e questo Dean proprio non riesce a digerirlo.
 
Può raccontare balle a chi vuole, ma lui riesce sempre a capire quando lo fa. Glielo aveva anche detto, una volta, perciò dovrebbe sapere che anche se è diventata brava a farlo con chi non conosce, di certo non riesce ad incantare lui.
 
Si riscuote da quei pensieri e ributta lo sguardo verso il basso, picchiettando la penna sul libro ancora aperto sulla pagina che parla di queste bestie strane – di cui non aveva mai sentito parlare prima –, il tappino in bocca che ormai è consumato per quante volte lo ha morso per il nervosismo che sente addosso e lo butta sul tavolo, appoggiandosi con la schiena alla sedia e passandosi poi le dita sugli occhi.
 
Non gli piace questa situazione, avere Ellie lontana quando è a solo qualche isolato di distanza e non gli piace come si sta comportando con lui. Vorrebbe avere una spiegazione, perlomeno, visto che lei ha sempre parlato chiaro quando c’era qualcosa che non andava, senza mai farsi problemi se dall’altra parte Dean si sarebbe potuto offendere oppure no e adesso fa così, lo ignora, come se non esistesse, come se non sapesse che è a pochi passi da lei e non aspettava altro che rivederla e parlarle.
 
Quando si decide ad andare a dormire si rigira a lungo tra le lenzuola pensando al da farsi e, il mattino seguente, ha fin troppo chiaro come deve comportarsi: manderà affanculo l’orgoglio che tanto non lo sta portando da nessuna parte e andrà da lei. Non sopporta tutta questa situazione e preferisce starle intorno e rischiare di infastidirla piuttosto che rimanere nella sua stanza a perdere tempo o ad iniziare altre ricerche che non lo stanno portando a niente, perché non ha scoperto nulla di diverso rispetto a quello che Ellie gli aveva detto e che quindi già sapeva.
 
Gli dispiace solo di essere riuscito a resistere solo un giorno. Avrebbe voluto farla penare un po’ di più o almeno aspettare per vedere se lei avrebbe fatto un passo o no verso di lui, ma pazienza. L’istinto gli dice che è meglio agire e, per una volta, sente di far bene a seguirlo.
 
Bussa alla porta di Ellie con la colazione in mano – anche per lei – e la trova con i capelli spettinati e addosso una delle sue maglie enormi addosso. Dean rimane un attimo fermo a fissarla e, cavolo, quando gli è balenato in testa che la voglia per lei gli sarebbe passata non ci aveva capito proprio niente, perché è tutto il contrario.
 
Ellie si stropiccia gli occhi con una mano «Ciao Dean» non sembra molto contenta di vederlo e neanche… riposata. Non ha una bella cera. «Che fai qui?»
«Ti porto da mangiare. Come sempre ultimamente» entra schivandola e senza chiederle il permesso, perché non ha la minima intenzione di rimanere ancora fuori con quel sacchetto in mano come un imbecille. «Visto che non ti fai viva, sono venuto a trovarti» di nuovo. Non gli interessa di risultare acido o se finiranno a litigare, non ha importanza. Vuole solo sapere che cazzo succede e soprattutto perché Ellie si sta comportando così.
 
Lei chiude la porta e gli si avvicina «Sei andato via come una furia l’altra sera. Pensavo non volessi—»
«Ero stanco, te l’ho detto» la interrompe prima di farla finire di parlare, non vuole ascoltare altre bugie. Non sa se questo sta diventando una specie di gioco a chi dice la balla più grossa, ma una domanda gli sorge spontanea: era così che si sentiva lei quando lui cercava tutti i modi possibili di starle alla larga per non fare cazzate? Perché si sta rendendo conto che non è una bella sensazione. «Hai scoperto qualcosa di nuovo?»
 
Ellie stringe le spalle «Non proprio. Solo come ucciderlo: una pallottola d’argento in testa e non darà più fastidio a nessuno» si avvicina alla scrivania per poi sedersi sulla sedia, incrociando le gambe. Prende il sacchetto che le ha portato Dean e ne estrae la brioche per poi addentarla piano. «Grazie per la colazione».
 
Dean annuisce, ma non le risponde. Non è di convenevoli o stupidi ringraziamenti che vuole parlare. «Anch’io ho scoperto come si uccide, ma nient’altro».
Ellie lo guarda storto. «Ti ho detto che volevo fare da sola, perché non—»
«Perché sono qui anch’io e non ho intenzione di stare a guardare mentre tu rischi la pelle».
Lei sbuffa sonoramente e si alza lasciando a metà la sua brioche. A Dean dà l’impressione che si sia parecchio innervosita dopo questa sua uscita, ma non gli interessa. Non ha intenzione di lasciare questa storia a metà o di abbandonarla nelle grinfie di quel succhiatore di colli.
«Ci fosse una volta che mi dai retta, che mi lasci fare quello che voglio» ok sì, è arrabbiata, ma non fa niente.
Anche Dean si alza in piedi adesso «Tuo padre è uno stronzo e probabilmente ti ha detto di venire qui da sola e magari anche di farti ammazzare pur di portare a termine questa cosa, perché lo conosco a sufficienza da credere che possa comportarsi così. Se non avessi saputo niente ok, ma sono qui anch’io e non ho intenzione di farmi chiamare se stai per morire dissanguata come quella volta a Rochester».
Ellie neanche lo guarda mentre afferra un paio di pantaloni stropicciati dall’armadio e si incammina verso il bagno «Pensa al tuo, di padre, prima di giudicare il mio» la sua voce è poco più alta di un sussurro, ma alle orecchie di Dean arriva forte e chiara e non riesce a far finta di niente.
«Come hai detto?»
Ellie continua a non voltarsi «Niente. Mi cambio così poi possiamo lavorare insieme» chiude la porta dietro di sé ed è uno sbuffo nervoso quello che esce dalla bocca di Dean che si risiede e finisce di mangiare, più per rabbia che per una fame vera e propria.
 
Non è mai stata così scontrosa con lui. Mai, in nessun momento da che la conosce si ricorda che gli abbia risposto in questo modo secco e arrabbiato, e questo lo convince sempre di più del fatto che ce l’ha con lui. Magari lavorando accanto a lei riuscirà a capire cosa le passa per la testa.
 
*
 
L’autunno è ormai nel pieno del suo splendore. Le foglie gialle e marroni cadono a terra, lasciando un manto colorato sull’asfalto e gli alberi sempre più spogli. Non fa ancora tanto freddo, ma è decisamente alle porte e Dean si stringe un po’ di più nella giacca grigia scura del suo completo da federale per poi tirare su il finestrino della sua adorata Impala.
 
E’ a Linden ormai da qualche giorno e, nonostante l’intenzione di Ellie di voler fare per conto suo, alla fine si è adeguata ed ora seguono tutto insieme. Più o meno.
 
Non è una vera e propria convivenza piacevole… non come le altre volte, insomma. Il primo giorno, Ellie gli ha tenuto il muso per la maggior parte del tempo, rimanendo in silenzio per ore se non interpellata. Poi si è sciolta un po’, ma non abbastanza, non così tanto da far pensare che le cose siano davvero a posto tra di loro.
 
Dean può dire che si è trasferito nella sua stanza, a parte per dormire – ancora non capisce perché debbano farlo separatamente, in due motel diversi ma continua a far finta che la cosa gli sta bene – e con le indagini sono arrivati ad un punto morto. Il problema è trovare questo Kendra, perché è una maledetta creatura con sembianze umane e, per di più, gli sfugge il collegamento tra le vittime, quindi non sanno neanche come cercarlo.
 
Sono anche tornati a far visita alla madre della prima vittima e la moglie della seconda e non c’era nessuna relazione di nessun tipo, non si conoscevano né erano legati da un qualche lavoro o cose del genere e loro non riescono proprio a capire come faccia questo coso a scegliere le sue prede.
 
Dean, comunque, negli ultimi due giorni ha cercato di evitare le scuse più assurde per andare da Ellie – quella che devono unire le forze e lavorare insieme gli è sembrata più che sufficiente –, ma non le ha mai ridato il braccialetto. Deve essere lei a chiederglielo dopo quello che gli ha detto, dopo aver fatto palesemente finta di essersi dimenticata se lo avesse lui o Bobby ed è qualcosa che continua a dargli profondamente fastidio.
 
Poteva andargli bene non parlare di quel bacio che si sono scambiati ormai un paio di mesi fa, ma questa è una cosa diversa perché è più grossa e lui ci ha buttato dentro l’anima, anche se forse Ellie non se n’è accorta. Per questo non riesce ad accettare che lei continui a far finta di nulla.
 
Ellie, comunque, è ancora strana e sembra sempre trovare un po’ di troppo la presenza di Dean quando le sta intorno, ma lui crede di poter sopportare un altro po’. Non sa quanto – qualcosa, in effetti, gli suggerisce che sbotterà presto –, ma per il momento è ancora tranquillo, più o meno. Vorrebbe solo sapere cos’è che la turba, più che altro perché se non ce l’avesse con lui – cosa sempre più improbabile – e avesse un altro problema, Dean vorrebbe saperne qualcosa, così da poter capire se è in grado oppure no di aiutarla.
 
Lei, comunque, non è quella di sempre. Non scherza, ride poco e Dean proprio non capisce come una persona possa prometterti il mondo solo guardandoti negli occhi – perché è questo che ha fatto in quel letto, nuda sotto di lui – e poi trattarti come sta facendo adesso. Forse ha sbagliato qualcosa senza accorgersene, perché ormai è praticamente convinto del fatto che ce l’abbia con lui. Il motivo gli è oscuro, ma non trova altre spiegazioni al suo comportamento.
 
Sospira appena per poi decidersi a scendere dalla sua auto e cammina fino all’ingresso dell’obitorio cittadino. 
 
Sono passati solo tre giorni dalla scomparsa di Jonathan Miller ed ora un’altra persona è stata uccisa da quel mostro con quello strano nome, prima che Ellie o Dean siano riusciti a scovarlo. Il fatto che quel dannato coso abbia fattezze umane non è proprio d’aiuto alla ricerca.
 
Entra nella stanza dove è stata momentaneamente riposta la vittima e trova Ellie lì dentro, i capelli sciolti e il volto concentrato su quel poveraccio senza vita sdraiato su quel tavolo freddo.
 
Quando si accorge della presenza di Dean, alza gli occhi e lo guarda, andandogli incontro. Sembra dispiaciuta e preoccupata «Non c’è pace neanche per chi lavora fino a tardi, a quanto pare».
Dean fa una piccola smorfia «Allora di questo passo dovremmo preoccuparci anche noi» sorride appena nella direzione di Ellie, ma lei non ricambia, ancora concentrata sul cadavere. «Hai parlato con il medico legale?»
«Sì, era qui fino a un minuto fa. Quest’uomo, comunque, si chiamava Arthur Nicol. Aveva quasi cinquant’anni e lavorava all’ospedale locale, era un pediatra. Viveva da solo e non aveva nessuno a parte una sorella. Stanotte l’hanno trovato dei passanti sul ciglio della strada».
Dean riflette un attimo tra sé. «Un pediatra, eh?» Ellie annuisce e lo osserva e Dean continua a pensare a questo particolare. E’ come se per tutto il tempo avesse avuto qualcosa che gli stesse sfuggendo e non sa se… «Bambini».
Ellie lo guarda perplessa «Come?»
«Bambini. E’ questo il pezzo mancante» lei sembra meditare sulle sue parole, senza capire fino in fondo cosa le sta dicendo. Dean la guarda e le si avvicina per parlare più piano possibile, in modo che solo lei riesca a sentire – nonostante siano soli in quella stanza, morto a parte, la precauzione non è mai troppa – «Tutti e tre, la maestrina, Freud e il dottor Spock [1] lavoravano con dei bambini. E’ questo il collegamento che ci mancava».
«Quindi tu pensi che il Kendra si nutra di tutti coloro che hanno a che fare, in qualche modo, con i problemi dell’infanzia?»
«Non vedo altre soluzioni. Insomma—»
Ellie storce la bocca, pensierosa «Sì, ha senso. Eravamo troppo presi a cercare qualcosa di più evidente per pensarci prima».
«Già. Andiamo a parlare con la sorella di questo tizio, forse ci spiegherà qualcosa in più sul suo conto e ci aiuterà a completare meglio il quadro della situazione».
 
Ellie annuisce e mette la mano davanti alla bocca per poi fare un grosso sbadiglio. Dean l’ha osservata parecchio negli ultimi giorni ed è sempre stanca e visibilmente assonnata; le si avvicina ancora e non riflette quando le alza il mento con le dita, costringendola a guardarlo.
«Ma dormi almeno un po’?»
Ellie abbassa lo sguardo e muove il capo, sfuggendo alla sua presa. «Poco. Ci penserò quando questa storia sarà finita».
Ma questa, per Dean, non è proprio una risposta soddisfacente. «Sì, ma se non sei riposata a sufficienza poi sarai tu a cacciarti nei guai».
«Sono già morte troppe persone ed altre potrebbero fare la stessa fine se non ci sbrighiamo a trovare quel verme. Il mio riposo viene dopo».
 
Dean la osserva scuotendo appena la testa mentre lei si incammina verso la porta. Una cosa è certa: prima riusciranno ad ammazzare questo simpatico – si fa per dire – figlio di puttana che si diverte a prosciugare la gente, prima troverà il modo di chiarire questa storia e il vero motivo di tutti gli isterismi di Ellie.
 
*
 
Nel momento preciso in cui si chiude alle spalle la porta della casa della sorella di Arthur Nicol, Ellie sa esattamente cosa deve fare.

Ci pensava da quando Dean ha capito il nesso tra le vittime, da quando ha compreso che il collegamento erano i bambini. Aveva letto accuratamente tutte le notizie possibili sulla vita di quelle persone: di Cecilia Ford e della sua infanzia distrutta dalla separazione dei genitori quando aveva solo otto anni e dall’allontanamento del padre; Jonathan Miller e la sua vita trascorsa passando da una famiglia all’altra, un’adozione e un successivo rifiuto fino alla maggiore età ed ora Arthur Nicol, i cui genitori erano morti in un incidente d’auto e che aveva trascorso tutta la vita con una sorella maggiore che si era occupata di lui per buona parte del tempo.
 
Era questo il vero collegamento tra le vittime: un’infanzia disagiata, triste. E nessuno più di Ellie può capire come potevano sentirsi quelle persone, come potevano aver vissuto i loro problemi cominciati fin da quando avevano una tenera età.

Era stato facile completare il puzzle ascoltando con attenzione la signora Cynthia, la sorella dell’ultima vittima, che raccontava tra le lacrime a lei e a Dean tutto quello che era successo nella vita sua e del fratello.

Tutte queste persone si occupavano di bambini per cercare di colmare il vuoto che sentivano dentro al pensiero della loro infanzia distrutta, per cercare di darne una decente ai piccoli esserini che gli comparivano davanti. Per questo avevano scelto quei tipi di impiego.
 
Ellie, quindi, capisce tutto questo meglio di chiunque. E’ vero che grazie alla mamma la sua non è stata un’infanzia poi così terribile, ma era pur sempre una bambina sola, che spesso si affacciava alla finestra la sera e cercava la stella più luminosa del cielo per chiederle di portargli il suo papà, che lo domandava anche a Babbo Natale nella letterina che spediva prima delle feste, al posto dei giocattoli. Lo voleva così tanto da immaginarlo per anni entrare in casa da un momento all’altro e stabilirsi per sempre con lei e la mamma.
 
Ecco perché Ellie sa cosa deve fare. L’ha capito non appena la signora ha detto che l’ultima volta che ha sentito suo fratello stava andando a comprare un giocattolo per suo figlio, un bambino di appena sei anni, nel nuovo negozio che è spuntato da poco accanto al supermercato cittadino.

Ellie lo sa perché questa storia deve finire e non c’è modo migliore di catturare il lupo se non andare nella sua tana. Sa che sarebbe una vittima perfetta perché è proprio dei suoi ricordi di bambina che il mostro ha bisogno per nutrirsi e lei saprà cavarsela se la attaccherà, riuscirà a difendersi meglio di coloro che, invece, non sono riusciti a scamparla.

L’unica cosa che la frena un po’ è che non sa come dirlo a Dean che cammina a passo sicuro davanti a lei e che ormai si è messo in mezzo in questa storia; è conscia del fatto che sarà difficile riuscire a distrarlo, trovare un modo per fare quello che vuole senza essere seguita o sgridata perché è sicura che la sua idea per Dean è pura follia. Forse ha anche ragione, ma Ellie non conosce altri metodi per portare il Kendra allo scoperto se non fare da preda.
 
Si ferma solo quando sono di fianco all’Impala. Dean ci si appoggia con la schiena e la guarda, le mani nelle tasche della giacca «Sembra che abbiamo una pista, finalmente». Ellie annuisce. «Ha senso. Un giocattolaio è il travestimento migliore per attirare persone a cui piacciono i bambini».

Ellie sbadiglia continuando ad annuire. E’ veramente stanca – non ha dormito poi così tanto le ultime notti, e non solo per il caso – ma… forse può usare questa cosa a suo favore.
«Io propongo di andare a cercare di scoprire che faccia ha e magari assicurarci che sia lui veramente. Non vorrei ammazzare un tipo che non c’entra nulla».
«Si, ma… » Ellie sbadiglia di nuovo, stavolta in modo più forzato «Mi sa che hai ragione. Forse ho bisogno di un po’ di riposo prima».
Dean la guarda strano «Hai cambiato idea? Non venivano prima gli altri che non dovevano morire e poi il tuo sonno?»
 
Ellie non vorrebbe mentirgli. Non le è mai piaciuto farlo e non ha mai odiato tanto come in questi giorni il fatto che le stia sempre intorno e la distragga perché, anche se in modo involontario, è questo che fa e lei vuole andare fino in fondo a questa storia, ma da sola per una volta.
 
«Sì, ma… pensandoci bene, ho davvero bisogno di dormire. Tu avvantaggiati con le ricerche, io mi riposo un paio d’ore e poi decidiamo il da farsi. Che ne pensi?»
Dean sembra ragionarci su. «Va bene. Anche se odio leggere tutte quelle cose da solo, dovresti saperlo. Ti accontento solo perché hai una faccia davvero stanca». Ellie abbozza un sorriso. Non sa se ha abboccato, ma non ha una grande importanza perché è decisa e sicura di quello che sta per fare «Ti do un passaggio».

Ellie annuisce ed apre lo sportello dell’Impala; il viaggio è piuttosto silenzioso fino al motel, finché Dean non accosta l’auto e la guarda. «Allora… »
«Ci vediamo più tardi» scende dalla macchina prima che lui abbia il tempo di risponderle e rientra a passo svelto nella sua stanza.

Si appoggia con le mani sulla porta, fissandosi le punte delle scarpe. Non le piace quello che sta facendo – le bugie, nascondergli le cose e tutto il resto –, ma non capisce neanche quello che pensa lui. Sembra normale, come si è sempre comportato ed Ellie non comprende se sta fingendo che sia tutto come prima o non si è reso conto di niente. Tra le due opzioni, non sa quale sarebbe peggio.

Controlla dalla finestra e attende che l’Impala sparisca dal parcheggio prima di agire. Si munisce di pistola, un paio di coltellini di dimensioni diverse che nasconde negli stivaletti neri bassi che indossa e si avvia fuori.

Il negozio di giocattoli non è poi così lontano da dove si trova ed Ellie decide di prendere in prestito un mezzo di trasporto – già il secondo di pochi giorni, dell’altro se n’era sbarazzata subito per non dare troppo nell’occhio – e dirigersi immediatamente in quel luogo.
 
Quando entra nel piccolo androne del negozio – stretto e quasi angusto, diverso dalle botteghe di Buckley dove andava la mamma a comprarle i peluche che le piacevano tanto – cattura immediatamente l’attenzione del negoziante perché le piccole tendine colorate all’ingresso sbattono tra di loro tentennando e producendo un piccolo rumore quando lei le scosta per entrare; gli occhi opachi di quell’uomo apparentemente giovane si fermano su di lei e si illuminano di blu per un paio di secondi ed è in quel momento che Ellie capisce di aver fatto bene i suoi conti.
 
Osserva gli scaffali con attenzione, fingendo di essere realmente interessata alla merce esposta. Trova un pupazzo a forma di coniglio, simile a quelli che le piacevano quando era una bambina, ma il ripiano è troppo alto ed Ellie si allunga per afferrarlo senza riuscirci.
 
«Lascia stare, faccio io» il negoziante – alto quattro o cinque centimetri più di lei, i capelli quasi biondi e ricci e il fisico asciutto – si stende verso l’alto e le porge il pupazzo, guardandola con un sorriso sghembo.
 
Ellie ha aspettato l’orario di chiusura per farsi vedere perché immagina che è questo che faccia il simpaticone ai suoi poveri e malcapitati clienti “segnati”: li addormenta stordendoli con un sedativo – il piccolo buco in mezzo alla macchietta violacea sul collo di Arthur Nicol è una prova più che sufficiente a sostegno della sua teoria – e li nasconde per poi portarli in un posto sicuro dove può succhiare loro tutto ciò che vuole indisturbato.
 
Continua a guardare i ripiani, fingendo di essere in cerca di qualche altro oggetto e stringendo il pupazzo con la mano destra mentre l’uomo rimane ancora alla sua sinistra; Ellie sente il suo sguardo curioso e meschino su di sé ma non si volta, convinta di voler andare fino in fondo.
 
«E’ un regalo quel peluche?» con la coda dell’occhio lo vede armeggiare e cercare qualcosa in una delle tasche dei pantaloni.
Ellie annuisce cercando di non tremare e di rimanere concentrata, di non lasciare che la paura prenda il sopravvento sul suo corpo.
 
Si accorge quando l’uomo avvicina una mano al suo braccio ed Ellie la scosta ed alza il gomito per colpirlo in pieno viso; il mostro indietreggia – il suono del vetro sottile di una siringa che gli cade dalle mani infrangersi al suolo e il liquido spargersi sul pavimento –, preso in pieno e totalmente sorpreso da quel gesto ed Ellie lo blocca, tirando fuori la pistola dalla parte posteriore dei pantaloni e costringendolo a rimanere fermo e piegato con la faccia e le mani appoggiate sul bancone.
 
Gli punta l’arma alla testa «La tua corsa è finita, bello» e il mostro sghignazza, storcendo il naso da cui scende un piccolo rivolo di sangue. Ellie non pensava di picchiare tanto forte, ma ha tanta rabbia da sfogare negli ultimi tempi e forse ha trovato pane per i suoi denti. Lo userebbe volentieri come sacco da prendere a pugni, peccato non abbia tanto tempo a disposizione per farlo.
 
«Una cacciatrice… avrei dovuto capirlo che dietro quegli occhietti impauriti si nascondeva una dura» Ellie non risponde, continuando a puntargli la pistola alla testa. Le mani le tremano leggermente, ma si sente sicura perché crede di averlo in pugno e sa di essere ad un passo dal farlo fuori. «Quello che mi coglie ancora più di sorpresa, però, è che hai portato compagnia».
 
Ellie non riflette più di tanto e, quando sente il rumore delle tendine dell’ingresso muoversi appena, si volta verso la porta, distratta da quel tintinnio leggero e questo dà la possibilità al Kendra di voltarsi e bloccarla, un braccio sotto la sua gola e un ghigno troppo divertito stampato sul volto. Ellie schiude le labbra respirando forte, gli arti paralizzati dalla paura, e quando lo vede comparire sulla soglia mentre attraversa le tendine chiare con la pistola puntata contro colui che la tiene in pugno non sa se quello che sente crescerle nel petto è sollievo o una profonda e terribile rabbia.
 
*
 
«Lasciala andare».
 
Dean tiene le braccia tese e l’arma puntata contro quel verme che ha un aspetto decisamente troppo umano per essere il mostro che invece è.
 
Dopo aver lasciato Ellie al motel, non è andato a fare ricerche come avevano stabilito. Ha fiutato l’inganno – gli sbadigli palesemente finti e i cambiamenti improvvisi di idea – e l’ha seguita. Si è anche sentito il peggiore dei maniaci nel farlo, ma almeno ha avuto le risposte che cercava. Anche se non pensava che Ellie fosse così stupida da andare nella tana del lupo da sola.
 
Il Kendra gli sorride sghembo «Perché? Ho appena cominciato a divertirmi» si passa la lingua sulle labbra guardando Ellie e Dean stringe la pistola più forte, pieno di rabbia.
«Ti ho detto di lasciarla andare!» Ellie lo guarda – gli occhi spaventati, terribilmente impauriti – e si muove per provare a liberarsi, ma il mostro non gliene dà alcun modo.
 
«Vedi, amico… c’è troppo cibo per me in questa stanza» i suoi occhi si illuminano di blu in un leggero sfarfallio, qualcosa di appena visibile «Ed ho la sensazione che farai tutto quello che ti dico per questa bella fanciulla» le prende il viso con una mano e Dean starebbe già sparando se ci fosse un’altra al posto di Ellie. Si avvicina di riflesso e il mostro scuote la testa divertito «No, no, no. Stai fermo lì, cowboy».
 
Dean obbedisce suo malgrado, ma non abbassa la pistola. «Perché ti piacciono tanto quelli come me e lei e gli altri che ti sei succhiato questa settimana, eh? Cos’abbiamo di speciale?»
 
Il Kendra alza le spalle «Ognuno ha i suoi gusti. A me, per esempio, piacciono quelli che hanno l’infanzia macchiata, incompleta. Hanno un odore particolare. Anzi, forse dovrei dire avete, visto che la tua puzza di malinconia mista a solitudine arriva fino a qui». Annusa l’aria e per Dean ogni tessera del puzzle, adesso, è al suo posto.
 
Ellie ha cercato suo padre fino all’adolescenza e ne ha sentito profondamente la mancanza, mentre lui è stato costretto a diventare grande quando di anni ne aveva solo quattro e sì, diciamo che non è stato un periodo pieno di unicorni e arcobaleni, ma avrebbe preferito capirlo un po’ prima che al figlio di puttana che ha davanti piacevano quelli come lui. O perlomeno che Ellie glielo avesse detto, visto che è chiaro che è qui per questo, per fare da esca.
 
«E quindi ti piace mangiarci per cena? Buono a sapersi. Adesso lasciala andare prima che ti spappolo il cervello».
Il mostro sogghigna «Ecco, a questo proposito… perché non abbassi quella pistola? Perché ho intenzione di cominciare a mordere la tua amichetta se non lo fai».
 
Dean stringe i denti, serrando la mascella; preme forte le mani sul manico della sua pistola con l’idea di non cedere ma si ritrova a dover obbedire quando il Kendra sposta i capelli di Ellie, scoprendole il collo. Lei stringe le labbra e prova di nuovo a liberarsi, ma quel coso non le dà alcuna possibilità di movimento mentre Dean appoggia la sua arma a terra senza distogliere mai lo sguardo dalla scena che gli si para di fronte.

«Bravo soldatino. E adesso mettiti in ginocchio e alza le braccia» Dean obbedisce ancora, riluttante. «Ecco qua, così» sorride sghembo quel coso maledetto, ma a Dean viene un’idea e sa che c'è ancora una speranza, che non è tutto perduto e che Ellie non sarà cibo per quel mostro tanto quanto non lo sarà lui «E adesso osserva bene come mi nutro della tua amichetta, perché poi toccherà anche a te».
 
Il mostro tira fuori due canini degni di Dracula e sta per affondarli nel collo di Ellie che stringe forte le palpebre e forse azzarda un gesto disperato quando muove il piede e riesce a pestare quello del mostro; tenta ancora di divincolarsi e il Kendra cerca di tenerla ferma e questa distrazione dà a Dean l’opportunità di alzarsi, recuperare velocemente la pistola e avvicinarsi quanto basta per colpirlo alla testa una, due, tre volte finché il corpo del mostro cade a terra esanime.

Ellie cerca di non cadere – libera del peso dell’uomo che la teneva in pugno e per questo rischia di sbilanciarsi – e si passa una mano sul collo e l’altro braccio intorno a sé, come a volersi proteggere e tiene gli occhi sul pavimento.
 
Dean le si avvicina velocemente «Stai bene?» ma lei non risponde; fissa il corpo senza vita del mostro riverso a terra e Dean d’istinto la prende per mano, strattonandola verso di sé «Muoviti, dobbiamo andarcene» l’ultima cosa di cui hanno bisogno è la polizia alle calcagna – in fin dei conti, per chi non sa, è appena morto un “innocente” – ed Ellie lo segue, ma strattona subito il braccio togliendosi dalla sua presa. Dean non ha tempo per le scenate adesso e la lascia stare, assicurandosi però di essere seguito.
 
Si avviano fuori correndo quasi; fortunatamente Dean aveva parcheggiato abbastanza lontano dalla bottega, in modo da poter fuggire inosservato. Raggiunge l’Impala di corsa e sta per salire, ma Ellie tira dritto, andando in un’altra direzione e questo lo manda definitivamente su tutte le furie. Prima ha fatto prevalere la paura e il senso pratico, la logica di chi ha un minimo di sale in zucca da pensare alla sua pelle prima di mettersi a discutere, ma adesso c’è solo rabbia nei suoi occhi quando la raggiunge e le prende un braccio costringendola a voltarsi.

«Che cazzo hai nella testa? Potevi farti male, potevi farti uccidere!»

Ellie lo guarda furiosa e ancora una volta sfugge alla sua presa. «Me la sarei cavata alla grande se non avessi fatto rumore con quelle cazzo di tendine! Stavo per farlo fuori!»
«Oh grandioso, fatti ammazzare nel mentre già che ci sei!»
Ellie scuote la testa, gli occhi tristi e rabbiosi «Non ti fidi proprio di me, eh? Pensavo di sì invece sei proprio come tuo padre!»
Dean la guarda confuso «Che c’entra lui adesso?» Ellie fa qualche passo in avanti stringendosi le braccia, ma lui non ha intenzione di mollare e l’afferra di nuovo «Perché non mi hai detto niente di questa stronzata colossale che stavi per fare? Almeno avrei potuto aiutarti!»
Ellie sbuffa e chiude gli occhi per un istante «Perché ultimamente o non mi parli o mi stai sempre addosso ed io non ti sopporto! Devi lasciarmi in pace!» si libera della sua mano ancora una volta e Dean la lascia andare stavolta, osservandola fuggire via.
 
«Ah, tante grazie per averti salvato il culo! La prossima volta ti lascio con quello stronzo!» Ellie non si volta e Dean scuote la testa espirando furioso e torna alla sua piccola, mettendo in moto come una furia e tornando al motel prima che qualcuno si accorga del cadavere di quel maledetto mostro ruba infanzie tristi.

*

Fa i bagagli con rabbia, buttando nel borsone le sue cose senza nessun ordine e cercando di fare più in fretta possibile.
 
Dean è assolutamente convinto di aver ragione. Se non avesse raggiunto Ellie chissà che sarebbe successo e proprio non capisce perché deve pentirsi di esserle corso in aiuto. E’ vero che non se la stava cavando male, ma chissà come sarebbe andata, magari quel coso – che non sembrava ma, in un modo tutto suo, era parecchio furbo – avrebbe trovato un altro modo per fregarla e lei sarebbe rimasta ferita o, peggio, uccisa e questo Dean non poteva proprio permetterlo.
 
Le avrebbe sicuramente chiesto di scappare con lui se non fosse tanto arrabbiato, ma non ha nessuna intenzione di andarla a cercare e magari di prendersi pure un’altra strigliata totalmente immeritata come quella di prima. Fanculo lei e la sua diffidenza.
 
Capisce che Ellie voleva dimostrare di sapersela sbrigare da sola, ma non è a lui che deve provarlo. Sarebbe bastato chiedere un minimo aiuto e tutto sarebbe andato per il verso giusto.
 
Sente bussare alla porta con insistenza ed estrae la pistola dai pantaloni per poi appoggiare la canna al legno della porta – la prudenza non è mai troppa – ed aprire con esitazione; quando si trova davanti Ellie si rilassa, anche se sa che forse non dovrebbe.
 
Lei lo guarda, le braccia conserte ed è sicuro di non averla mai vista tanto furiosa «Perché mi hai seguita?»
Dean ripone la pistola al suo posto «Perché non sai mentire a me. Anche se, a quanto pare, ti sei divertita parecchio in questi giorni a provare a prendermi per il culo».
Ellie fa spallucce e sorride sarcastica «Beh, certo, giustamente sei bravo tu».
 
Dean non ce la fa a contenere la rabbia e spalanca le braccia, allargando gli occhi «Ma cosa vuoi da me?»
«Il mio braccialetto. Sono venuta qui per questo».
 
Era ovvio che Dean non si riferisse a quello, ma la fa entrare e chiude la porta per poi recuperare quell’oggettino dal suo borsone. Lo trova nella tasca davanti e glielo porge; da solo non è riuscito ad aggiustare la chiusura come aveva pensato di fare, ma lo ha portato da un tipo – uno che fa queste cose per mestiere – che è riuscito a trovarne un’altra e sostituirla. E’ stata una delle poche cose che Dean ha fatto a parte cacciare e dormire nelle ultime settimane, quando già era tanto riuscire a trovare il tempo di respirare, ma non ha intenzione di dire niente ad Ellie. Non vuole farsi bello ai suoi occhi e non gli sembra il momento più opportuno per dirle una cosa così sciocca. E poi, in fondo, è troppo arrabbiato per ammettere ad alta voce che gli sembrava di aver fatto un gesto carino per lei e che ha tenuto quel braccialetto in quella dannata sacca per settimane aspettando di vederla.
 
Ellie se lo allaccia al polso e guarda Dean «Per la cronaca: ho pensato di… di andare da sola perché sono una preda più facile. Avevo capito che stordisse le sue vittime ed i suoi… gusti ed ero perfetta perché sono una ragazza e non sembra che io sia in grado di difendermi» Dean la ascolta con attenzione; sì, ha senso, ma questo non toglie il fatto che poteva almeno metterlo al corrente di quello che aveva intenzione di fare. «E… se non ti ho detto niente è perché non me l’avresti mai lasciato fare. Tu hai… hai questo modo di soffocare le persone a cui vuoi bene impedendogli di rischiare».
Dean la guarda male, incrociando le braccia al petto «Ah sì? E’ questo che pensi?»
«Sì… cioè, è il tuo modo di fare. Vuoi proteggere tutti, ma a volte devi lasciare un po’ più di spazio agli altri» è stranamente calma adesso, molto più pacata, ma Dean è sicuro che sia solo qualcosa di apparente. Dentro sta ribollendo di rabbia, proprio come lui. «Te l’avevo detto dal principio che volevo cavarmela da sola e tu non hai voluto darmi ascolto».
«Volevo solo aiutarti».
«Non è vero. Volevi metterti in mezzo e controllarmi. Fai sempre così».
Dean alza le spalle, profondamente amareggiato da quest’analisi dettagliata del suo comportamento «Non pensavo ti desse tanto fastidio, ma va bene, ne prenderò atto».
 
Ellie si morde appena il labbro e fa per andare nuovamente verso la porta, ma Dean vuole fermarla ad ogni costo, stanco di questa situazione. Non riesce a comprendere il vero motivo per cui Ellie si sta comportando così e di certo non può aspettare un altro incontro per chiarire cosa sta succedendo, vuole saperlo ora.
 
Fa un mezzo passo avanti, le braccia lungo i fianchi «Ti sei pentita, non è vero?»
Ellie si ferma e si volta dopo lunghi secondi, gli occhi nei suoi. «Di cosa?»
«Di quello che abbiamo fatto» lei abbassa lo sguardo un attimo e si appoggia alla porta, le mani aperte sul legno freddo. «Hai sempre questo atteggiamento scontroso e non mi vuoi tra i piedi. Non hai mai fatto così. Insomma, sei strana ed io… io non riesco a trovare un’altra spiegazione».
 
Ellie scuote la testa e lo guarda di nuovo, esibendo un sorriso amaro. «Credi davvero che sia questo il problema?»
Dean, perplesso, aggrotta le sopracciglia. «Beh… sì. Sicuramente non ce l’hai con me solo perché ti ho seguita». Prende fiato ed Ellie non gli risponde, si fissa i piedi e rimane in silenzio. Forse sta aspettando che lui aggiunga qualcosa. Decide di provare a parlare con calma, forse sarà l’unica maniera in cui riuscirà ad ottenere qualche risposta «Se è così, possiamo parlarne. Voglio dire, possiamo metterci una pietra sopra e far tornare tutto come prima».
Ellie annuisce e sorride nervosamente. «Certo, perché è così che tu risolvi i problemi. Facendo finta di niente». Ha una strana calma nella voce, diversa da quella di sempre. E’ come se stesse aspettando qualcosa per scoppiare del tutto. «E comunque no, non è questo il problema e mi stupisce che sia l’unica cosa a cui hai pensato visto che mi sembrava evidente che sono stata davvero bene con te quella sera» inspira forte «Tuo padre ti ha raccontato quello che è successo con il mio?» Dean fa di no con il capo, senza riuscire a capire quale sia il punto. Deve ancora comprendere cosa diavolo c’entra John Winchester con tutta questa storia e perché Ellie lo nomini in continuazione «Ti ha detto che lui e papà hanno litigato perché siamo un peso per lui? Perché io sono un peso per voi due? Per te?»
 
Dean la fissa incredulo. Non è possibile che suo padre abbia detto qualcosa del genere. Non è un santo, ma questo è troppo. Anche per lui. «Aspetta, io non ne so niente».
«E non ti sei chiesto come mai non si sono più visti? Perché non c’ero quella mattina da Bobby? Non ti sei fatto nessuna domanda?»
 
Dean ci riflette un istante. Effettivamente suo padre non ha più menzionato Jim o Ellie, questo l’aveva notato, ma credeva fosse una cosa passeggera, che non ci fosse nessun problema tra di loro.
 
«No. Cioè… non ho pensato a questo». Ellie scuote la testa ancora una volta, le braccia incrociate al petto e sembra volerla buttare giù, la porta dietro la sua schiena, tanta è la forza con cui ci si appoggia addosso.
 
«E’ questo che mi fa arrabbiare. Il fatto che tu non ci abbia riflettuto, che abbia semplicemente creduto che io, sgattaiolata via dal letto, possa essermi pentita». Il suo tono non è più tanto calmo, adesso. «Che tu non mi abbia chiamata perché, semplicemente, non c’ero».
«Beh, io—»
«Sono due settimane che aspetto una tua telefonata. Un messaggio, uno squillo, niente. Sei sparito, neanche avessimo giocato una stupida partita a poker».
 
Dean non capisce cosa abbia a che fare il poker con quello che hanno condiviso, più che altro non capisce il nesso, ma forse è meglio non chiedere e non fare battute. Ellie non ne sembra in vena. «Beh, ma… non lo facciamo mai. Voglio dire, non… non ci chiamiamo mai».
«Appunto. E a te non è venuto in mente che forse, ma dico solo forse, perché non sia mai che io non segua gli stupidi schemi che hai nella tua stupida testa, abbia avuto un problema, che me ne sia dovuta andare, che non l’abbia fatto di proposito».
«Aspetta un momento… »
«Ovviamente no. Non ti è balenata nessuna idea del genere» prende fiato, lo sguardo di fuoco. «Alla fine sono stata io, la fuggitiva, a chiamare te e tu non hai mosso un dito».
«Volevi solo sapere del braccialetto!»
«E spiegarti! Ma mi hai risposto come se non t’importasse!»
«Non è vero!» Dean comincia a perdere la pazienza. «Ero solo… in imbarazzo, non sapevo cosa dire».
«Ma quello anch’io, avevamo appena… va beh, lasciamo stare. Pensavo che almeno dopo mi avresti detto qualcosa, che mi avresti cercata» e adesso la sua voce è leggermente incrinata, gli occhi velati da una profonda patina di tristezza. «Pensavo che avessimo condiviso qualcosa in tutto questo tempo, che t’importasse e che per una volta volevi qualcosa di più di una delle tue solite scopate». Il tono che usa per Dean è raccapricciante, perché è più delusa che arrabbiata, lo è in modo profondo e lui si sente un immenso e colossale imbecille. «Io… pensavo solo questo, ma tu non mi hai più cercata e quindi forse mi sono sbagliata». Dean non è in grado di replicare. Non pensava di averla ferita così tanto, di averla delusa in questo modo. «Ma sai, alla fine non è neanche la cosa peggiore. Quello che mi fa più innervosire è che tu sia d’accordo con tuo padre, che pensi che io sia inutile, un’incapace» gli occhi le si fanno incredibilmente lucidi e cerca visibilmente di trattenere le lacrime.
 
«Questo non è assolutamente vero».
«Invece sì e la dimostrazione ce l’ho avuta proprio stasera, quando mi sei corso dietro».
Dean stringe i pugni, tremendamente nervoso «Ma perché non capisci che volevo solo che tu stessi bene?»
«Ti credevo diverso. Dopo tutto quello che mi hai detto, io… io pensavo che facessi tutto quello che ti dice per gratitudine o che ne so, ma speravo tu fossi diverso, che ragionassi con la tua testa».
Ellie non sembra averlo ascoltato «Ma io non ho mai pensato niente del genere!»
«E allora perché? Perché mi hai trattata come tutte quante? Perché non ti sei neanche degnato di… di provare a capire, di—» non riesce a finire di parlare, la voce rotta dal pianto. Abbassa lo sguardo per un secondo cercando di controllarsi, ma non ci riesce, piange forte e Dean non sa cosa fare, non l’aveva mai vista così.
 
E’ sempre solare e allegra, sempre… piena di vita ed ora c’è solo tanta tristezza nei suoi occhi, qualcosa che lui non avrebbe mai voluto vedere e non sa come comportarsi. Vorrebbe consolarla, in qualche modo, dirle che si sta sbagliando a pensarla così e l’unica cosa che gli viene in mente di fare è provare ad avvicinarsi, ma Ellie si scansa di scatto, facendo qualche passo indietro muovendosi verso lo spigolo tra i cardini della porta e il muro.
 
Tira su col naso e si asciuga gli occhi con il dorso della mano, nonostante qualche lacrima sfugga al suo controllo, cercando di calmare i singhiozzi. «Io… io mi sono aperta con te, ti… ti ho dato tutto quello che ho. Ti ho confidato le mie paure e i miei problemi perché… perché mi fidavo di te, ma non… non per questo volevo essere l’amore della tua vita» sorride fredda, cercando di mostrare una spavalderia che non le appartiene «E’ questo che ti fa tanto paura, no? Che qualcuno ti si appiccichi addosso. Beh, notizia flash: non era mia intenzione farlo» prende fiato, togliendosi con forza le lacrime dalle guance «Quello che volevo era solo… solo un po’ di rispetto, che non mi usassi. Perché è esattamente così che mi sono sentita: usata, come un oggetto. E se a quelle con cui esci di solito non importa, a me sì perché eravamo amici» le ultime parole per Dean sono una coltellata in pieno petto e il tono di voce di Ellie è fermo e deciso, i suoi occhi tristi e disillusi e se mai c’era stata una possibilità di stare insieme, in qualunque forma, è svanita, sgretolata per sempre. «Dovevo saperlo che avresti fatto così. Avrei dovuto immaginarlo». Si scosta dalla porta e tiene gli occhi bassi, la mano sulla maniglia. Sembra quasi attendere qualcosa per qualche istante, poi scuote la testa «Vorrei evitare di vederti prossimamente. Diciamo per il prossimo paio d’anni o fino a quando non sarò sposata e avrò dei figli con qualcuno che mi rispetta oppure continuerò a fare questa vita, chi lo sa. Prima di allora non disturbarti a cercarmi» lo guarda ancora per un istante, in silenzio «Non posso metterci una pietra sopra, Dean, non… non adesso. Io non sono come te».
 
Apre la porta e Dean vorrebbe fare qualcosa per fermarla, vorrebbe dire una qualsiasi cosa, anche un semplicissimo scusa andrebbe bene, per quanto non ci siano parole che tengano e che possano riparare l’errore che ha commesso, ma non è mai stato bravo con queste cose e non gli esce niente di sensato dalla bocca.
 
Ellie esce sbattendosi la porta alle spalle, lasciandolo lì davanti come un coglione. Ci si appoggia con entrambi i pugni chiusi sul legno e la prenderebbe a calci pur di sfogare la rabbia che sente addosso.
 
E’ un completo idiota. Non solo non riesce a tenere unita la sua famiglia, ma non sa neanche tenersi stretta la persona che gli piace, che gli vuole bene e che gli è stata amica per tutto questo tempo che ha passato senza Sam.
 
Non aveva capito nulla: Ellie non si era affatto pentita e per uno stupido malinteso al quale non ha saputo porre rimedio è andato tutto a puttane. Dovrebbe uscire e rincorrerla e dirle che gli dispiace e che è stato uno stupido, che ha capito male e che gli piace sul serio, che non era solo una scopata, ma quando trova il coraggio di farlo Ellie è sparita, non c’è più nessuna traccia di lei e Dean rimane impalato sulla soglia senza fare niente se non fissare il parcheggio semivuoto e non si è mai sentito tanto fallito. 

 
[1] Il dottor Benjamin Spock era un famoso pediatra statunitense, famoso per aver pubblicato il libro “Common sense book of baby and child care”.

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Capitolo 21
*** When the levee breaks ***


Note: Finalmente dopo mesi di attesa oggi è il grande giorno: stanotte torna Supernatural! *-* Io non lo potrò vedere fino a domani sera – che pizza! – ma non sto più nella pelle! Non vedo l’ooora!
Scemenza d’introduzione (non) necessaria a parte, spero che abbiate passato una bella settimana. Io ultimamente non ho tempo neanche per respirare, uff -.-
Noi ci siamo lasciati con la burrascosa lite tra Ellie e Dean e spero che ognuno di voi l’abbia salutata per bene, perché per un po’ non la vedrete. Non sapete quanto è stato difficile scrivere questo e i capitoli a venire senza di lei… mi faceva tanto strano, visto che la sua presenza è sempre stata una costante nella storia fino ad ora.
Questo è un altro di quei capitoli che mi mette un’ansia indicibile pubblicare ed uno dei motivi è perché credo di essere andata un po’ OOC con un personaggio. E’ vostro compito quello di dirmi se l’ho fatto oppure no, ma ho pensato che, in una situazione così incasinata e particolare, chiunque andrebbe fuori dai gangheri, anche il personaggio in questione. Ma ecco, magari mi sono sbagliata ed ho fatto un casino :(
Ancora una volta ho parlato troppo, perciò vi lascio e aspetto che mi lanciate tanti pomodori i vostri pareri come sempre!
Un abbraccio grande, a mercoledì! 

 
Capitolo 21: When the levee breaks
 
If it keeps on rainin’
Levee’s going to break
When the levee breaks
I’ll have no place to stay.
 
(When the levee breaks – Led Zeppelin)
 
 
Il letto è particolarmente scomodo, questa settimana. Il materasso è pieno di molle e non c’è verso di trovare una posizione adatta per dormire decentemente. Come se non bastassero già i pensieri a tenerlo sveglio.
 
Dean osserva il soffitto più e più volte, contando il numero di macchie sul muro fino ad impararne i contorni a memoria.
 
E’ lì da due o tre giorni, ormai ha perso la cognizione del tempo. A caso chiuso ha chiamato suo padre – come sempre – e non ha trovato risposta – come sempre, appunto –, ma prima si è preoccupato di spostarsi, che non era sicuro rimanere nel posto dove ha fatto fuori un uomo innocente, perché è questo che figurava nella cartella di Ray Joseph McKay [1], il nome che aveva adottato il mostro per mischiarsi alla gente comune.
 
Nessuna fissa dimora, si spostava da una città all’altra dopo aver compiuto un numero imprecisato di omicidi – in pratica dopo aver fatto il bottino di cibo e prima di venire smascherato –, ma la polizia non l’aveva mai beccato; era effettivamente insospettabile.
 
Questo, però, Dean l’ha scoperto solo dopo. Visto che negli ultimi giorni non ha avuto un granché da fare, si è divertito – per così dire – a leggere quello che gli era rimasto in sospeso, cercando di sfruttare meglio che poteva tutto quel tempo libero e, incrociando le informazioni che aveva raccolto in precedenza – ad esempio i luoghi dove erano state uccise le prede di quel coso nel corso degli anni – era riuscito ad avere un quadro completo – quello che forse avrebbe dovuto avere prima – di tutta la sua indagine.
 
Comunque sia, ha pensato bene di concludere definitivamente questa storia lontano da Linden, che sostare troppo a lungo dove hai appena ammazzato un figlio di puttana sputato dall’Inferno non è un bene – soprattutto se lo hai fatto troppo vicino al centro città con tre colpi che erano uno più assordante dell’altro, o forse questa è stata solo la sua impressione – e bla bla bla. Si è solo attenuto al copione ripieno di stronzate che segue da tutta la vita, le stesse che, però, continuano a salvargli il culo quando ne ha bisogno. Poi suo padre si è deciso a richiamarlo e gli ha detto di aspettarlo dovunque si trovasse – quindi a Lewisburg, Tennessee – così avrebbero potuto ricongiungersi, ma sono due giorni che aspetta e di John Winchester neanche l’ombra. E pensare che diceva di non essere tanto lontano da lì.
 
Dean sbuffa, seguendo il filo dei suoi pensieri. Pensava che le cose andassero meglio con lui. Non che avesse sistemato tutto quanto, ma che fosse sulla buona strada e invece si è solo illuso – di nuovo – perché questa storia continua ad andare avanti; è così da troppo tempo e lui si ostina ancora a dar corda a suo padre, a lasciarlo stare senza protestare o dire nulla. Forse perché ormai sa di non poterlo più cambiare, che quello di sparire e tardare è un suo vizio e che se lo porterà dietro fino alla tomba, ma non sa se tutto ciò è giusto. Un altro al posto suo – Sam, tanto per dirne uno – avrebbe già fatto qualcosa, si sarebbe già lamentato, ma Dean non crede che sarebbe bastato a trasformare suo padre in una persona rintracciabile, anche se magari sarebbe riuscito a far cambiare leggermente la situazione. O forse no, chissà.
 
La verità, comunque, è che Dean è talmente confuso con tutti gli impicci che ha in testa da non sapere più cosa sia giusto o sbagliato e l’unica cosa che vorrebbe fare davvero non è neanche lentamente contemplata nel lungo libretto di istruzioni che è costretto a seguire da sempre.
 
Si mette a sedere sul letto, le mani che stringono il bordo del materasso e la testa dolorante. Ieri sera ha bevuto troppo e le prove della sua sbronza silenziosa sono ancora disseminate sul pavimento. Non è una cosa di cui si preoccupa molto, però: il suo fegato sopporta tutto ciò molto meglio di quanto facciano altri organi sparsi nel suo corpo – soprattutto quello situato al centro del petto –, perciò va tutto bene.
 
Volta il capo verso destra; c’è ancora mezza bottiglia di whiskey sul comodino e Dean l’afferra, portandosela alla bocca e bevendo un lungo sorso. Sarà anche mattina, ma ne ha bisogno per cominciare la giornata che sarà sicuramente una merda, proprio come quelle che sono venute prima.
 
Raramente beve prima delle dieci [2], ma ci sono sempre eccezioni e giorni di emergenza e questi sono decisamente momenti che rientrano nella lista dei casi straordinari.
 
Ieri sera non è andato in un bar come fa di solito. Ha preferito fare una bella scorta di liquore più o meno scadente al supermercato e rimanere nella sua stanza, seduto al tavolo. Il telefono lontano – che tanto nessuno si azzarda mai a telefonargli ultimamente –, ha cominciato a bere piano, un bicchiere dietro l’altro. La testa gli si affollava di pensieri e Dean beveva ancora e quando ha cominciato a sentirla più vuota e meno pesante, ha preso a farlo ancora di più, attaccandosi direttamente alla bottiglia, per non cancellare quella piacevole sensazione di leggerezza, per non lasciare che si affievolisse.
 
Era notte fonda quando si è ritrovato con entrambe le braccia sul tavolo e la testa affondata lì in mezzo. Non sa come ha trovato la forza di alzarsi e trascinarsi a letto, cercando di schivare le bottiglie vuote buttate a terra – una o due vittime di un’altra sera di bevute – che hanno avuto la fortuna di non frantumarsi perché cadute sul soffice tappeto di moquette di quella squallida stanza rimediata.
 
Appoggia un gomito su un ginocchio mentre con l’altra mano si stropiccia l’occhio destro. E’ stanco, ma nonostante ciò non riesce a dormire serenamente da quando ha litigato con Ellie. Anzi… da quando Ellie ha litigato con lui, perché si può dire che ha fatto tutto da sola.
 
Non l’aveva mai vista tanto stravolta, tanto arrabbiata. Non s’incazza mai e Dean crede di aver fatto qualcosa di davvero tanto sbagliato per averla portata a quel punto. O forse non solo lui.
 
Si è reso conto di essere veramente un mago nell’incasinare le cose, soprattutto quando è tutto perfetto e adesso per un maledetto malinteso è andato tutto a puttane. E pensare che gli sarebbe bastato fare una telefonata, una stupidissima telefonata.
 
Di certo adesso è tardi per cercare di rimediare, ma ha premuto davvero tante volte quel dannato pulsante verde per chiamarla ed ogni volta ha trovato la segreteria a rispondergli. Lo ha fatto per due giorni, poi ha deciso di rinunciare quando ha capito che potrà anche lasciarle ventimila messaggi per chiederle scusa, ma Ellie non risponderà mai perché non vuole parlargli e forse ne ha tutte le ragioni, anche se non gli era sembrato di sbagliare così tanto: voleva solo… vederla e poi chiarire tutto, aspettare per chiederle delle spiegazioni per qualcosa che ormai neanche si ricorda più.
 
La verità è che si è comportato così perché aveva paura che Ellie avesse cambiato idea, che si fosse pentita – e sarebbe stato peggio di qualsiasi rifiuto, per una volta che Dean si era lasciato andare davvero, che non si era limitato a infilarlo da qualche parte per distrarsi dai suoi casini per una fottuta ora o poco più – ed ha peccato di superficialità. Solo che adesso è davvero tardi per rimediare e non c’è proprio più niente che Dean possa fare in merito. Deve solo rassegnarsi all’idea di averla persa.
 
Fa per alzarsi, ma cambia idea quando sente la testa girargli forte. Forse ha davvero esagerato ieri sera. Non beveva così tanto da quando doveva festeggiare il compleanno di… afferra con rabbia la bottiglia poggiata precedentemente sul comodino prima di riuscire a concludere quel pensiero e la getta contro il muro dove questa finisce in mille pezzi. Una chiazza considerevole si espande sulla carta da parati beige e si aggiungerà alle altre già sparse su tutta la tappezzeria. Una in più o in meno… tanto scapperà, come succede sempre, prima che la donna delle pulizie potrà accorgersene e che il direttore del motel vorrà rincorrerlo per fargli pagare i danni, quindi non c’è nulla di cui preoccuparsi.
 
Le parole di Ellie gli rimbombano in testa da giorni e Dean le ricorda con fin troppa lucidità: tutto quello che gli ha detto prima di andarsene è ben piantato nella sua mente, come quanto era aspra e tagliente la sua voce. O almeno quanto provasse ad esserlo, perché Ellie non risultava davvero cattiva in quelle condizioni, con il viso rigato di lacrime e il naso gocciolante.
 
Dean, però, non avrebbe mai voluto vederla in quel modo, soprattutto per colpa sua.
 
«Io… io mi sono aperta con te, ti… ti ho dato tutto quello che ho. Ti ho confidato le mie paure e i miei problemi perché… perché mi fidavo di te».

Più riflette su quelle parole, più si convince del fatto che è vero: Ellie gli ha dato tutta se stessa e non solo in senso fisico. E’ quello che ha sempre fatto, dimostrandosi sincera e leale fin dall’inizio e Dean si rende conto solo adesso di quanto avrebbe dovuto apprezzare di più la sua presenza, le sue stramberie ma soprattutto quel suo modo di guardarlo negli occhi e confessargli le sue cose più intime, quelle che per lei erano le più importanti.

Gli vengono in mente tanti momenti in cui Ellie si è confidata e gli ha parlato del suo passato, della mamma che adorava e che ha perso troppo presto, dei compagni di scuola e quei due che sono stati qualcosa di più per lei e Dean a volte – soprattutto all’inizio – non capiva il perché parlasse così tanto, perché si aprisse a tal punto da raccontargli certe cose e invece la risposta è proprio in quello che gli ha detto l’altro giorno: si fidava di lui, forse come non ha mai fatto nessun altro.

Dean, invece, non crede di essersi aperto tanto quanto ha fatto lei. Un po’ dipende dal carattere del cazzo che si ritrova, sì, ma forse avrebbe dovuto farle capire meglio le sue intenzioni, almeno provare a dirle qualcosa di più e… no. A cosa sarebbe servito mostrarsi diverso da quello che è? A nulla. Anzi, il nocciolo vero della questione, la base del loro rapporto era questo: il fatto che entrambi volevano essere se stessi e non nascondersi dietro bugie e sotterfugi; volevano – più o meno inconsciamente – cercare di costruire qualcosa di diverso dai rapporti che sono costretti a vivere con le persone di passaggio per il lavoro di merda che si sono ritrovati a dover fare. Invece sono finiti proprio così, a mentirsi l’un l’altra e a litigare e mettere una distanza così grossa da non poter più riuscire a sanarla.

Questo non aiuta Dean a sentirsi meno coglione, però. Perché nessuna cameriera di nessun fottuto bar sparso nella provincia americana potrebbe mai dargli neanche la metà di quello che gli ha dato Ellie, sotto tutti i punti di vista e lui è riuscito a perdere tutto. Per questo si sente davvero una merda all’idea di non poter rimediare all’errore che ha commesso.

Si passa una mano sugli occhi rendendosi conto che ce li ha lucidi e li chiude espirando forte.
 
La verità è che ci è rimasto male, per questo non è riuscito a spiccicare parola, perché non si aspettava quella reazione da lei. Ellie non aveva mai mostrato quel lato di sé, quella rabbia così forte da trasudarle dagli occhi. Si è sempre mostrata comprensiva, attenta a provare a capire prima di giudicare, invece stavolta è solo saltata alle conclusioni e basta. Forse perché aveva accumulato tanto nervosismo nelle ultime settimane – quelle che ha passato con Jim e di cui Dean non sa assolutamente niente – o forse perché si è semplicemente stancata di provare a decifrare i suoi sbalzi d’umore, i suoi silenzi e le sue continue paranoie, tutti i problemi che Dean si è fatto su di lei nell’ultimo periodo e quante volte ha cercato di tenerla lontana anziché provare a dimostrarle che ci teneva davvero.
 
In fondo, se prova a mettersi nei suoi panni, non può neanche darle torto: Dean è stato scostante da Bobby per tutto il tempo e nonostante questo lei era sempre lì, a intrufolarsi in piena notte nel suo letto per fargli compagnia o a buttargli la farina addosso per farlo sorridere. Dean ha continuato ad essere strano finché hanno discusso e poi è tornato più o meno normale un attimo prima di portarsela a letto e, quando lei l’ha chiamato la sera dopo, le ha risposto di traverso per poi sparire per ben due settimane e rispuntare e pretendere spiegazioni sullo strano atteggiamento di lei e… sì, non ha tutti i torti ad essersela presa tanto. Proprio il classico atteggiamento che potrebbe dare una qualche sicurezza a qualcuno, come no.
 
Avrebbe solo voluto essere meno spiazzato e risponderle qualcosa di sensato – perlomeno provarci –, averle almeno chiesto scusa. Soprattutto perché l’ha ferita così senza rendersene conto e non credeva che lei stesse tanto male da scoppiare in quella maniera.
 
Quello che dà più dolore a lui, comunque, è sapere che stava in quel modo per colpa sua, che è stato così superficiale da credere che guardarla negli occhi dopo due settimane di silenzio immediatamente successive a tutto quello che erano arrivati a condividere – un letto, la consapevolezza di poter e voler essere di più l’uno per l’altra – sarebbe bastato.
 
Se avesse un minimo indizio su come trovarla, prenderebbe l’Impala e andrebbe a cercarla. Raccoglierebbe tutto il coraggio che gli è rimasto, fregandosene anche di quello che lei gli ha chiesto di fare, cioè di non cercarla più, e manderebbe affanculo l’orgoglio, quello che gli impedisce anche solo di pensare una cosa del genere, ma non ha indizi, nessuna traccia da seguire ed è stanco di beccarsi la porta in faccia. L’ha fatto per praticamente tutto il tempo a Linden, cercando di digerire i suoi isterismi e i suoi musi lunghi e adesso… adesso non sa neanche se potrebbe valerne la pena.
 
L’unica cosa che proprio non capisce, però, è cosa c’entri lui con tutta la storia di suo padre. Sì, avrà sbagliato a correrle dietro per salvarla – anche se è l’unica cosa che davvero non rimpiange –, a dubitare di lei e della sua capacità di riuscire a cavarsela davanti ad un mostro succhia vita, ma per il resto lui cosa c’entra?
 
Ripensa a quello che Ellie gli ha detto da giorni ormai e semplicemente non riesce a credere che l’uomo che lo ha cresciuto si sia comportato così. Senza dubbio non è perfetto, ma neanche così stronzo. E poi Jim è un suo amico, perché mai avrebbe dovuto dargli picche definitivamente? E’ vero che forse si stava prendendo una buona parte di braccio invece che una mano come aveva chiesto in partenza, ma… tutto ciò è abbastanza, per suo padre, per mandarlo al diavolo? Dean non ne è pienamente convinto, ma è sicuro del fatto che Ellie non abbia mentito. Era troppo stravolta, troppo… toccata nel profondo per poter parlare a vanvera e, con il passare dei giorni, Dean si è reso pienamente conto del perché.
 
Ellie non ha mai preteso niente, ma ha sempre cercato di dimostrare di valere qualcosa, di essere… utile, adeguata. E se suo padre ha davvero detto a Jim che Ellie è un peso – qualcosa che Dean non ha mai pensato neanche per sbaglio –, è piuttosto normale che lei si sia sentita offesa. In un certo senso, ne ha tutte le ragioni, ma l’unica cosa che gli sfugge è perché se la sia presa tanto anche con Dean quando sapeva benissimo – perché ne hanno parlato più di una volta e lui non è mai stato tanto sincero come quando le ha detto che era in gamba – che i suoi pensieri su di lei erano ben altri.
 
E’ altrettanto sicuro, tuttavia, che la sua non era una scusa per allontanarlo o per farla finita. Ellie lo pensava sul serio ed è questo ad addolorarlo di più, perché o non ha capito niente di lui oppure qualcuno le ha messo queste idee in testa e se quel qualcuno è Jim – che è un maledetto bastardo che non ha fatto altro che trattarla come un sacco di immondizia di cui liberarsi ed escluderla dai suoi affari per tutto questo tempo – gliela pagherà cara in un modo o nell’altro. Perché Dean è l’unico che è stato davvero vicino a sua figlia e che ha sempre cercato di capirla, perciò lui non ha il minimo diritto di mettersi in mezzo.
 
Dean si passa le mani tra i capelli ancora immerso in quei pensieri quando la porta si apre. Si volta in quella direzione con gli occhi ancora socchiusi e vede rientrare suo padre. Lo fissa e non sa come sentirsi adesso, dopo giorni di attesa e silenzio lunghi come la peggiore delle agonie.
 
John si chiude la porta dietro di sé e lo guarda storto «Beh? Ancora stai così? Sono le otto passate».
Dean non sa cosa dire dopo quell’affermazione, ma si stupisce che l’unico pensiero di suo padre dopo essere tornato da non si sa quale viaggio del mistero – l’ennesimo – è se suo figlio si sia alzato dal letto oppure no.
 
Si mette in piedi senza rispondere – la testa che gira e lo costringe a chiudere forte le palpebre per qualche secondo prima di riaprirle a fatica – e si incammina verso la porta del bagno.
 
Si lava la faccia senza guardarsi allo specchio – non gli è mai piaciuto tanto farlo, ma negli ultimi giorni meno che mai – e, quando torna indietro, trova suo padre osservare qualcosa a terra con sospetto.
 
«Che diavolo hai combinato, ragazzo? Questo posto è—»
«Un porcile, sì. Ma tanto lo lasceremo presto» si sfila la maglietta che portava per dormire e ne mette una pulita per poi afferrare un paio di jeans e indossarli sopra i boxer, continuando a dare le spalle a suo padre finché non è costretto a voltarsi e guardarlo.
 
John sembra rilassato rispetto al solito, un po’ com’è sempre stato nelle ultime settimane e solo adesso Dean si rende conto di quanto lo abbia preso in giro. Il suo silenzio, la costante sensazione che stesse andando tutto per il meglio, che stesse tornando quello che era prima che Sam se ne andasse era tutta una puttanata, una specie di messa in scena, un modo come un altro per fingere che tutto stesse andando alla perfezione e che non c’era niente che dovesse dirgli.
 
John aggrotta lievemente le sopracciglia «Va beh, allora… fa i bagagli. Vorrei farti vedere un posto».
Dean alza le spalle e si mette le scarpe per poi raccattare le poche cose che aveva lasciato in giro.
 
Lui, al contrario di Ellie, non disfa mai le poche valigie che ha. Di solito già è tanto se tira fuori due paia di calzini: vuol dire che è stato tanto a lungo in un posto da farlo.
 
Della sbronza gli è rimasto solo il mal di testa, perciò non gli pesa troppo guidare e quando sale sulla sua macchina in silenzio ne accarezza il manubrio quasi involontariamente, constatando che forse sarà sempre lei la sua sola e unica compagna. Poteva andargli peggio, questo è sicuro, ma non è la stessa cosa quando hai assaporato anche per un istante la felicità che puoi provare con la persona con cui ti senti completo. Peccato che la paura più grande che Dean aveva riguardo questa storia si è avverata, perché Ellie è lontana adesso e non solo fisicamente.
 
Segue il pick-up di suo padre e pensa che, in realtà, non ha mai veramente pensato di essere quello che Ellie voleva, la persona che desiderava, quella con cui lei avrebbe potuto condividere qualcosa di davvero profondo. Sa che ci avrebbe provato, però, se ne avesse avuto l’occasione, che si sarebbe impegnato perché gli sarebbe piaciuto tentare di renderla felice, di farla sorridere. Forse perché Ellie faceva stare bene lui.
 
Magari non sarebbero comunque durati neanche un giorno, ma sarebbe stato bello provare a vedere come poteva andare, se erano in qualche modo legati da un qualche filo invisibile e quelle stronzate di cui parlano tutti, se avrebbero potuto avere un qualche futuro.
 
Avrebbe voluto trovare le parole per dirglielo, almeno una volta. Peccato che adesso è troppo tardi.
 
Non sa come affrontare suo padre adesso che sa a grandi linee cosa è successo, però non ha più voglia di stare in silenzio a farsi prendere in giro. E’ stanco di questo suo modo di affrontare le cose, del suo essere sfuggente di fronte alle situazioni più delicate e magari, se Dean manterrà la calma, potrebbe anche riuscire a farlo parlare, com’è successo nell’ultimo periodo. Forse non ci sarà bisogno di litigare anche con lui per sapere qualcosa, per conoscere la verità.
 
A Dean non è mai interessata tanto come in questi ultimi giorni, ne è certo.

John ferma il pick-up – dopo aver percorso un lungo tratto di strada di terra battuta – nelle vicinanze di un’immensa zona di macchia, non tanto lontana da un campo coltivato, e Dean accosta, perplesso. Scende dalla macchina e lo guarda confuso.
«Che facciamo qui?»
John piega le labbra in una sottospecie di sorriso ed apre il portabagagli, da cui estrae un paio di fucili di cui uno ne lancia a Dean che lo afferra prontamente. «Andiamo a caccia. In questo posto si può». [3]
Dean serra la mascella. Quando era piccolo, era uno dei modi che aveva suo padre di insegnargli come gestire una preda, come mantenere la calma e non farsi sentire, avvicinarsi cauto e poi colpire quando questa era scoperta, ma adesso gli sembra di essere grande e soprattutto più esperto di allora per queste lezioni. «Cos’è, pensi che io sia fuori allenamento?»
John stringe le spalle «No, ma non credo ti faccia male. In fondo non dobbiamo fare niente». Oh ma certo, perché mai dovremmo fermarci e riposarci quando non abbiamo un cazzo da fare, tanto vale andare ad impallinare qualche pennuto selvatico.

Si avviano lungo la strada fianco a fianco e Dean osserva con la coda dell’occhio il profilo di suo padre che cammina diritto, come un soldato d’altri tempi e pensa a quanto a lungo ha provato ad essere come lui, ad avere quella fierezza nell’andatura e nello sguardo e quanto, però, in questo preciso momento si senta lontano da lui, distante. Forse è una sensazione solo passeggera, forse presto tornerà ad essere il soldatino personale di John Winchester, come ha sempre fatto e riprenderà ad esserlo senza lamentarsi di nulla, ma quel giorno non è oggi.

«Posso farti una domanda, papà?» John lo guarda e per un attimo Dean vorrebbe rimangiarsi quelle parole, scuotere la testa e fingere di non averle mai pronunciate, ma ormai il danno è fatto perché ha catturato la sua attenzione. «Perché non vediamo più Ellie e Jim?»

Vuole tastare il terreno prima di andarci giù pesante – e spera con tutto il cuore di non doverlo fare  – e non è riuscito a formulare un po’ meglio la domanda. Gli sembra di averlo fatto in un modo molto infantile, ma questo non cambia il succo della questione.
 
John sospira appena – un movimento quasi impercettibile per un occhio poco attento – ma non si scompone troppo «Ultimamente io e Jim non ci becchiamo molto. Ha interessi diversi dai miei e per questo non credo lo vedremo per un po’».
 
Dean rimane in silenzio ad ascoltare le balle di suo padre, la testa bassa e la consapevolezza sempre più tagliente che Ellie aveva ragione ed è qualcosa che fa così male a Dean da causargli quasi un dolore fisico, una fitta al centro del petto.

A Sam, papà ha sempre raccontato un sacco di bugie. Perché era il più piccolo e andava protetto, ma Dean invece era più grande e poteva gestire meglio le cose e caricarsi di pesi che con il passare del tempo hanno finito col farlo diventare vecchio dentro prima del tempo. Lui stesso, più di una volta, ha dovuto rivelare la verità a Sammy, quella che suo padre si prodigava con tutte le forze nel nascondere, e gli è sempre pesato tanto. Però, con Dean, papà era sincero perché era lui che doveva tenere d’occhio la situazione e quindi doveva sapere; per questo lui non è abituato alle menzogne di suo padre e fatica davvero a comprendere il perché di questo suo atteggiamento, quest’omissione di qualcosa che suona sempre più veritiero alle orecchie di Dean. Di cosa ha paura? Che suo figlio non riuscirà più a guardarlo in faccia, dopo? Perché non è così, Dean gli ha perdonato cose ben peggiori.

Di una cosa, comunque, è certo: stavolta ha tutta l’intenzione di andare fino in fondo. E’ stanco di mangiare pane e frottole, soprattutto perché provengono dall’uomo che più di tutti ha il dovere di essere sincero, almeno con lui.
 
*
 
La giornata è stata lunga e Dean ha fatto una bella collezione di fagiani: ne ha uccisi sette. Due ne ha falliti, ma ci ha pensato suo padre poi a farli secchi, proprio lui che non manca mai un colpo. Il suo vecchio è insuperabile in questo e Dean lo sa bene.
 
John, comunque, sembrava sereno. Forse perché è riuscito a passare un giorno intero con suo figlio, o perché anche lui, in fondo, aveva qualcosa da smaltire, un po’ di quella rabbia che ha sempre dentro.
 
Dean non crede di averlo mai visto davvero contento o tranquillo. E’ così da quando non c’è più la mamma ed ogni occasione è buona per trovare qualcosa da uccidere, per buttare addosso a qualcun altro quello che lo fa star male ogni giorno, ciò che non potrà mai placare.
 
Comunque sia, anche Dean ha sfogato un po’ della sua frustrazione contro quelle povere bestie, ma questo non è certo bastato a far calare il rancore che cova in corpo, nel profondo. Non tollera le bugie – soprattutto se è suo padre a raccontargliele – ed è ancora convinto di volere una spiegazione.
 
E’ sdraiato sul letto della stanza che hanno scelto per questa notte e chissà per quante altre, le gambe incrociate e lo sguardo perso mentre fissa un punto sul muro rigirando tra le dita l’amuleto che ha sempre al collo.
 
Un debole sorriso gli fa capolino sulla faccia quando pensa che Sammy, al posto suo, non si sarebbe fatto fregare dall’educazione e dal rispetto. Avrebbe parlato chiaro fin dall’inizio, senza paura che papà gli si sarebbe fiondato contro, senza il timore di litigare di brutto. Dean tante volte ne ha fatto le spese per questo, tante volte ha dovuto subire le urla e poi i silenzi strazianti perché quei due dopo a malapena si guardavano in faccia e se lo facevano era con rabbia, ma suo fratello non aveva paura di questo, non gliene importava niente.
 
Dean non crede di essere capace di comportarsi come faceva lui, di avere la stessa forza di andare contro il suo vecchio in quel modo. Però… è tanto stanco di tutto questo, di non sapere le cose come stanno. Forse perché, in cuor suo, vorrebbe tanto che Ellie si sia sbagliata, che abbia torto. Faciliterebbe le cose forse perché preferirebbe essersi sbagliato su di lei che su suo padre, che ha sempre venerato come si fa con un eroe o un idolo.
 
Per lui, John Winchester è sempre stato l’esempio con la E maiuscola, il modello per eccellenza da seguire senza esitazioni né dubbi e invece adesso sono il caos e la confusione a regnare nella sua testa e Dean ha tutta l’intenzione di fare chiarezza.
 
Se si è sbagliato su Ellie, beh… pazienza, avrà un motivo in più per farsela passare – anche se è difficile crederlo visto che lei, in queste cose, non ha mai mentito –, ma se avesse ragione…
 
Continua da non sa quanto a fissare quel punto invisibile sul muro, completamente assorto in quei pensieri, l’espressione cupa e gli occhi stanchi quando suo padre esce dal bagno, un asciugamano bianco che si passa sulla fronte.
 
John tira le labbra in una linea sottile per un istante e aggrotta un po’ la fronte «Hai sentito quello che ti ho detto?»
Dean trasale e lo guarda «No… cosa?»
«Dicevo, ci siamo divertiti oggi, no?» Dean annuisce, ancora pensieroso. John lancia l’asciugamano sull’altro letto e si avvicina appena, gli occhi comprensivi «Si può sapere che hai?»
«Niente, perché?»
«Sei strano. Parli poco, stamattina c’era un campo di bottiglie vuote per terra… che c’è? Qualcosa non va?»
 
Dean si mette a sedere sul letto, i gomiti sulle ginocchia e le braccia in avanti. Di stranezze ne ha viste tante nella sua vita, ma suo padre che si preoccupa per lui in questo modo, beh, è qualcosa di nuovo e, per quanto lo avesse desiderato tanto certe volte – di sentire parole appena più dolci del solito “Stai attento a Sammy” o tutta la tiritera di ordini che gli rifilava ogni volta –, oggi non gli crede. Non si fida di quella facciata di padre improvvisamente buono e caritatevole e pensa intensamente a cosa dire perché si fa presto a mandare tutto a puttane. Lui ne è la prova vivente perché non fa altro da che ricorda di essere al mondo. Solo che, davvero, non riesce più a rimanere coi dubbi che sono tanti e gli martellano la testa e anche rifletterci un secondo in più non riuscirebbe a fargli cambiare idea.
 
Volta la testa verso suo padre che lo guarda concentrato – non preoccupato, solo… attento, come si scruta una preda in una caccia importante – ma non abbastanza da capire cosa succede davvero «E’ solo che… perché non mi hai detto che tu e Jim avete litigato, papà?»
John lo guarda strano; aggrotta appena le sopracciglia e lo scruta attentamente «Cosa—»
«Ho visto Ellie giorni fa. Mi ha detto… mi ha detto che tu e Jim non vi parlate più».
 
Il viso di suo padre si incupisce. Stringe le labbra e sospira forte, buttando fuori aria dal naso, lo sguardo infuocato «Ellie, Ellie, Ellie, c’è un momento della giornata in cui quel maledetto nome non ti frulla per la testa?»
 
Dean quasi non riesce a credere a quello che suo padre gli ha appena detto. Non tanto per le parole che ha pronunciato, ma il come. C’è una sorta di rabbia malcelata, un rancore che non si sta per niente sforzando a nascondere e Dean continua a non capire il motivo di tanto odio nei confronti di Ellie.
 
Deglutisce a vuoto, cercando di celare il suo nervosismo «Volevo solo farti una domanda, non pensavo che—»
«Perché quella ragazzina non si fa mai gli affari suoi? E perché tu l’ascolti?»
Dean lo guarda ancora più perplesso, muovendosi sul materasso fino a voltarsi completamente nella sua direzione «Perché non dovrei? Da come reagisci, poi, credo che mi abbia detto la verità».
 
John scuote il capo e sbuffa, andando verso la finestra e appoggiandosi al davanzale, i pugni chiusi sul marmo freddo e le spalle appena chine in avanti. Dean si alza dal letto, camminando fino al centro della stanza; osserva la schiena di suo padre, la sua testa bassa finché lui non si volta di nuovo, scuro in volto.
 
«Va bene, sì, sono sorti dei problemi ed abbiamo discusso. Perché t’interessa tanto?»
Dean stringe gli occhi; non gli piace il tono che sta usando suo padre, soprattutto perché Dean non gli ha chiesto mai spiegazioni di niente, neanche di cose molto più importanti di questo cazzo di litigio e non gli sembra di chiedere la luna, vorrebbe solo sapere perché non è stato onesto con lui a riguardo. «Perché di solito ne parli e invece stavolta sei tutto misterioso e mi hai raccontato una marea di balle».
«Beh, la tua amichetta è stata tanto sincera in merito?»
«Speravo di no, ma sto cominciando a pensare che sì, lo è stata» fa una pausa «Mi spieghi perché non la sopporti? Che ti ha fatto?»
«E’ una palla al piede, va bene?» John lo guarda dritto negli occhi, sembra sempre più furioso «Jim aveva detto che era una frana, ma non pensavo così tanto! Credevo avesse bisogno di un addestramento di base, non di un cavolo di corso completo da principiante! E’ una mocciosa, non è adatta per questo lavoro e probabilmente non imparerà mai».
«Ma chi te le ha dette queste cazzate? Perché non è vero, è brava, deve solo migliorare un po’ ma sbagliamo tutti e lei sa cavarsela e… e poi tu come fai a saperlo se l’hai vista sparare sì e no una volta?»
 
Dean è consapevole del fatto che si sta scaldando, che sta alzando il tono della voce ma non sopporta che suo padre parli così per partito preso perché non sa niente di Ellie e sta dicendo queste cose solo sulla scia di uno stupido pregiudizio o, peggio, di qualcosa che gli ha detto quel figlio di puttana di Jim.
 
John allarga gli occhi «Ti sei fatto imbambolare proprio bene, vedo».
Dean aggrotta la fronte «Cosa? Ma che dici?»
«Credi che non me ne sia accorto? Lo sai come funziona nel nostro lavoro, Dean: nessuna distrazione di nessun tipo. Niente amici, niente legami».
Dean è un po’ spiazzato da quest’ultima uscita; è praticamente lo stesso ragionamento che ha fatto a Sam quando se ne voleva andare [4] e adesso capisce perché l’aveva fatto arrabbiare tanto. «Perché mi stai facendo questo discorso? Che cosa c’entra adesso?»
«Quello che devi capire è che lei è diversa. Viene da un mondo differente dal nostro, ha altre idee, altri… atteggiamenti! Vede le cose in un’altra maniera, prova addirittura pietà per quello che cacciamo, prima o poi finirà col farsi uccidere!»
«E per questo tu vuoi che smettiamo di aiutarla? Che lasciamo perdere?» Dean gesticola, tremendamente irrequieto «Jim la butta sul campo senza un minimo di riguardo, non gliene frega un fico secco di lei e—»
«Vedi? Ti dice quello che le fa comodo» John scuote la testa, espirando forte.
«Ma non è così! Maledizione, io l’ho visto con i miei occhi, una volta le ha addirittura fatto ammazzare un lu—» si ferma, rendendosi conto di quello che gli ha praticamente appena confessato suo padre «Quindi… quindi è vero, tu… hai smesso di parlare con Jim perché… perché non te ne frega niente».
«Ma certo! E’ solo una mocciosa, un dannato peso e mi ha fatto solo perdere tempo in questi mesi. Lo sai che stiamo cercando la cosa che ha ucciso tua madre e Jim mi chiamava in continuazione per ogni cavolata, per ogni caso, anche il più stupido, perché ha per figlia un’imbranata. A volte ero costretto a lasciare quello che stavo seguendo, a buttare notti insonni nel cesso per seguire quel coglione e alla fine mi sono stancato. Oltretutto, non potevo neanche contare su di te, ovviamente, visto che tu dovevi badare a lei».
 
Dean stringe i pugni; non gli ha mai dato tanto fastidio sentire quella parola «Non è una ragazzina, chiaro? Si è sempre badata da sola ed è Jim quello che ti ha riempito di balle, cazzo, perché Ellie non è così! Non è una rammollita, è una brava persona e… e non posso credere che tu ti sia fidato del giudizio di quel figlio di puttana».
 
Suo padre lo guarda e avanza di qualche passo, quasi minaccioso «Perché la difendi tanto?» Dean tentenna un attimo di troppo, rimanendo in silenzio «Dean che hai combinato? Non avrai mica—»
«Sì!» lo urla e abbassa gli occhi per un istante, quasi di riflesso, come si fosse tolto chissà quale peso dal cuore, quando in realtà è fin troppo consapevole del fatto che è stato tutt’altro «Sì, va bene? Cosa cambia adesso?»
 
Suo padre avanza ancora di qualche passo, finendogli praticamente davanti e sembra fuori di sé dalla rabbia, così tanto che Dean può sentire già le urla nelle sue orecchie. «Ci sei andato a letto, non ci posso credere! Maledizione, ma perché fai sempre così? Non è neanche maggiorenne!»
«Sì invece e poi… e poi non l’ho mica costretta!»
«Ma ti avevo detto di lasciar stare! E’ la figlia di Jim».
«E allora? A me piace Ellie e stavo… ci stavo bene con lei! Non capisco perché ti dà tanto fastidio tutto questo».
«Perché è una distrazione, Dean, tu non te le puoi permettere!» lo guarda ancora, gli occhi spalancati trasudanti di collera «Devi essere sempre concentrato e attento, non ti è concessa nessuna disattenzione di nessun tipo!»
Dean non ce la fa più a trattenersi «Basta, smettila!» si rende conto che sta davvero perdendo il controllo e non dovrebbe perché sa bene chi ha di fronte, ma non riesce più a frenarsi «Non lo so perché ti sei accanito così tanto con lei, ma non ha più importanza perché adesso non mi parla ed è tutta colpa tua e del tuo carattere di merda, perché tu rovini ogni cosa!»
John allarga di più gli occhi «Come sarebbe a dire?»
«Aveva ragione Sammy, tu… t-tu vuoi avere il controllo su tutto e l’hai allontanato perché non riuscivi più a tenerlo a freno. Prima lui, adesso hai mandato tutto a puttane anche con Jim. Chi sarà il prossimo, Bobby? O caccerai via anche me?»
John lo guarda male, molto più di quanto abbia fatto negli ultimi minuti «Dean non mi piace il tono che stai usando. Vedi di piantarla, stai esagerando».
«No, sei tu che esageri! Vuoi sempre fare tutto da solo e prima o poi discuti con tutti! Che c’è, vuoi anche crepare da solo, come un cane? Perché se continui così è sicuramente quello che accadrà!»

La mano di John è pesante sulla guancia di Dean dopo le sue parole, così tanto da fargli inclinare la testa di lato e mozzargli il fiato. Si tocca la guancia arrossata con la mano, facendo finta di non accorgersi che l’angolo della sua bocca perde sangue.

«Non azzardarti mai più a usare questo tono con me» Dean non lo guarda ed è così sconvolto da quello che ha detto e che ha ricevuto che non capisce come faccia a reggersi in piedi. «Hai capito?»
Tiene lo sguardo basso, rendendosi conto troppo tardi di quello che ha fatto «Sissignore» e la sua voce è un sussurro mentre si arrende, conscio di quello che ha combinato.
 
Suo padre si toglie dalla sua vista e Dean lo sente afferrare la giacca dall’appendiabiti prima di sbattersi la porta dietro le spalle e quando è da solo si siede a terra, la schiena appoggiata al bordo del letto, entrambe le mani sulla faccia e gli occhi chiusi.
 
Non ha idea di come si sente, ma avrebbe tanta voglia di sprofondare in un abisso e non tornare più in superficie, di nascondersi per sempre.
 
Vorrebbe capire come gli è venuto fuori tutto quello che ha detto. Non sa neanche se lo pensa veramente, ma non cambia il fatto che sta uno schifo. Non tanto per quello che gli è uscito dalla bocca, ma perché solo adesso si rende conto che chiedendo spiegazioni, alzando la voce e disobbedendo a quelli che sono sempre stati gli ordini di suo padre ha ottenuto quello che non avrebbe mai voluto per sé: il completo abbandono da parte di tutti quelli a cui tiene.
 
Si è fatto prendere dalla rabbia con la persona più sbagliata di tutte e rimane lì, rannicchiato su se stesso, stringendo più le ginocchia al petto e cercando quasi di fare da scudo con il suo stesso corpo contro qualcosa di invisibile che potrebbe assalirlo da un momento all’altro, perfettamente consapevole del fatto che d’ora in poi contare solo su se stesso sarà tutto quello che dovrà fare per andare avanti e sopravvivere all’ondata di solitudine che l’ha appena travolto. 

 
[1] Il cognome utilizzato dal mostro dei capitoli precedenti, McKay, è preso in prestito da un personaggio di Dexter, Hannah McKay, presente nelle ultime due stagioni della serie tv.
[2] Battuta barbaramente “scopiazzata” dall’episodio 2x06 “No exit”. Dean la pronuncia quando entra nella Roadhouse insieme a Sam e trova Jo ed Ellen litigare. 
[3] Negli Stati Uniti, la caccia alla selvaggina ha delle regole particolari: visto che entrare in apposite riserve o club di caccia è estremamente costoso, vi sono dei territori di macchia o foresta, situati accanto a degli appezzamenti agricoli, dove è possibile cacciare senza spendere una fortuna. L’unica cosa importante è prendere accordi con i contadini a cui appartengono i terreni vicini.
[4] Nell’episodio 4x19 “Jump the shark” Sam e Dean discutono sul fatto che questo stesso discorso – che il minore stava riproponendo al fratellastro Adam – era quello che John aveva fatto a lui quando voleva andare a Stanford, perciò questa piccola considerazione di Dean viene da lì. 

 

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Capitolo 22
*** The only one that I have ever known ***


Note: Ogni mercoledì sono più in ritardo, lo so, ma dopo giornate infinite come questa essere un pochino più puntuali diventa difficile.
Questo capitolo apre l’ultima (ditemi che state piangendo con me) parte della storia. E’ solo il trampolino di lancio al prossimo che entrerà più dentro una certa faccenda. Intanto scaldiamo i motori ;)
Non voglio dirvi molto in queste note, perché Dean ha molte cose da raccontarvi e credo sia giusto lasciare a lui la parola, ma approfitto di questo spazietto per me sempre più fondamentale per RINGRAZIARVI dal profondo del mio cuore per tutto l’affetto che mi dimostrate ogni settimana. Grazie, grazie, grazie! <3
Un grosso abbraccio, a mercoledì!

 
Capitolo 22: The only one that I have ever known
 
I'm walking down the line
That divides me somewhere in my mind
On the borderline of the edge and
Where I walk alone
Read between the lines of what's fucked up
 And everything's all right
Check my vital signs
 To know I'm still alive
And I walk alone.
 
(Boulevard of broken dreams - Green Day)
 
 
E’ seduto su uno sgabello in un pub, un bel bicchierone di birra chiara mezzo vuoto sul tavolo e un altro praticamente pieno accanto al suo.
 
«Andiamo Sammy, ti decidi a berla? E’ mezz’ora che la rigiri in mano, non abbiamo tutto il giorno!»
Sam sorride, i capelli spettinati sulla fronte e abbassa lo sguardo per un secondo togliendo con le dita la condensa sul vetro del grosso bicchiere che ha davanti. «Sono solo una persona educata, io».
Dean fa una smorfia, leccando la schiuma bianca che gli è rimasta sulle labbra «Ma smettila, non si offende mica se non l’aspetti».
«Veramente un po’ sì» una mano gli sfiora la schiena, risalendo lungo la linea della sua colonna vertebrale – il tocco leggero e sicuro – e Dean si volta a guardarla, sapendo perfettamente a chi appartiene, e sorride. «Non è vero, tu non ti offendi mai».
 
Lei – i capelli lunghi e gli occhi felici, le labbra arricciate in una smorfia divertita – appoggia una bottiglia sul tavolo e lancia un’occhiata a Sam per poi buttare lo sguardo su di lui. «Dovresti imparare da tuo fratello piuttosto. Lui sì che è un gentiluomo».
Dean alza le sopracciglia e la guarda imbronciato. «Prenditi lui la prossima volta allora, visto che è tanto migliore di me».
 
Ellie inclina la testa all’indietro e ride forte, una mano a toccarsi la pancia mentre il suono gioioso della sua risata riempie tutta la sala. Si siede lì vicino e lo osserva, gli occhi meravigliosamente limpidi. «Chi è che si sta offendendo, adesso?»
 
Dean sorride divertito e lascia che la sua mano le accarezzi il viso prima di avventurarsi tra i suoi capelli castani mentre si sporge verso di lei; nel farlo, però, urta il boccale che si rovescia sul tavolo e buona parte della birra le finisce addosso.
 
Si alza di scatto e abbassa lo sguardo per rovistare nelle tasche in cerca di un fazzoletto ma, quando rialza gli occhi, Ellie e Sam sono spariti. L’intero locale è vuoto: l’unico suono che sente è quello della birra che lentamente cola a terra, formando una piccola pozza accanto alle zampe del tavolo, e Dean comincia a chiamarli, prima piano poi la voce sempre più alta finché si ritrova a urlare il nome di suo fratello e gli riecheggia ancora nelle orecchie quando spalanca gli occhi e si sveglia.
 
Rimane immobile per qualche istante e poi si rilassa appena, accomodando meglio la schiena contro il sedile dell’Impala su cui ha dormito, stiracchiando le gambe e stringendo forte le palpebre per poi inspirare profondamente.
 
Era solo un sogno, uno stramaledettissimo sogno che si ripete periodicamente, a intervalli regolari. Era qualche tempo che non si ripresentava, ma evidentemente sembra che non ci sia verso di allontanare quella serie di immagini dalla sua mente. Per di più, si conclude sempre nello stesso dannato modo: la birra sul tavolo e Sam ed Ellie spariti dalla sua vista, insieme al resto della gente che sedeva tranquilla ad ubriacarsi e cazzeggiare e ci fosse mai una cazzo di volta che qualcosa vada diversamente, che quella cazzo di birra non si rovesciasse o che comunque Ellie e Sam fossero lì, ancora a chiacchierare come se niente fosse accaduto.
 
Si passa una mano sugli occhi e risale lungo la fronte sudata, passandola poi tra i capelli e mandandoli indietro.

Inspira ancora muovendosi un po’ per sgranchire le braccia e le gambe intorpidite dal sonno – e senza dubbio dalla posizione in cui ha dormito, che non era proprio delle più comode – e dà un’occhiata sul sedile al suo fianco, scorgendo la cartina stradale spiegazzata. Si accomoda meglio, mettendo la schiena più dritta e la prende in mano, seguendo con gli occhi il percorso che ha ancora da fare.
 
La strada per raggiungere suo padre – che lo aspetta a Cortez, Colorado – è ancora piuttosto lunga considerando che lui invece si trova alla periferia di Phoenix, in Arizona, e Dean decide di rimettere la cartina dove stava e di accendere il motore della sua bambina, per poi sgommare immettendosi nella carreggiata.
 
Il suo cammino – se così può chiamarlo – non s’intreccia tanto spesso con quello di suo padre ultimamente e a volte gli sembra di essere tornato indietro nel tempo, quando il suo problema più grande era cercare di capire perché mai l’uomo che l’ha messo al mondo sparisse tanto a lungo trovando una qualsiasi scusa per stargli lontano. La verità è che con il tempo, alla fine, crede di averci fatto l’abitudine e adesso non gli pare più neanche così strano, anche se, logicamente, vorrebbe che le cose andassero diversamente.
 
Gli sembrava che fossero riusciti a ritrovare una specie di equilibrio ad un certo punto, mesi dopo quel litigio, anche se è qualcosa che Dean, però, non ha ancora mandato giù del tutto.
 
E’ passato un anno ormai da quel fottuto casino e di Ellie e Jim neanche l’ombra. Non gli è capitato neanche una volta di rincontrarli per una caccia o di sentire anche solo nominare il vecchio James Davis da qualcuno di sua conoscenza. Niente. Quell’uomo sembra essere sparito proprio come quattro anni fa, quando Ellie è entrata nella sua vita.

Nonostante sia passato un anno, comunque, raramente passa un giorno in cui Dean non pensi ad Ellie per qualcosa. Non si è mai posto il problema di domandarsi il perché, sapendo perfettamente che ormai gli si era incastrata così tanto dentro da non riuscire più ad allontanarla dalla mente.
 
Soprattutto i primi tempi, a volte gli capitava di ritrovarsi a sorridere da solo ripensando a qualcosa di buffo che le aveva sentito dire, o quando gli aveva raccontato qualcosa di divertente, ma poi il sorriso si trasformava in una smorfia amara ed è stato piuttosto brutto capacitarsi del fatto che a volte lo stesso pensiero può procurare contemporaneamente gioia e dolore. Anche con Sam è un po’ così, benché sia una sensazione comunque differente, perché investono un ruolo un po’ diverso nella sua vita. O almeno, così era. 

Alla fine, ha fatto esattamente quello che Ellie gli aveva chiesto: non l’ha più cercata. Sebbene a volte abbia tanta voglia di farlo, di prendere il telefono e cercare quel numero per riascoltare la sua voce, non ne ha mai avuto il coraggio, perché sa di avere torto, che poteva fermarla quando ne ha avuto l’occasione e non l’ha fatto. Non può più tornare indietro – nonostante ci pensi spesso e si senta ancora un idiota per essere rimasto impalato davanti a quella maledetta porta per troppo tempo – e il danno, ormai, è fatto.
 
Da quando Ellie è lontana, Dean ha incontrato tante persone – che se c’è una cosa che il suo lavoro gli garantisce è proprio questa – ma non ha incrociato nessuno come lei, che gliel’abbia ricordata in qualche modo. Non che la cosa gli interessasse davvero, perché non ha più trovato la voglia e il coraggio di aprirsi, di confidarsi con qualcuno.
 
Con Ellie era stato difficile all’inizio, ma poi era nato tutto in modo spontaneo e Dean aveva conosciuto – o forse ritrovato, perché con Sammy ha sempre sentito di avere qualcosa di molto simile – la bellezza di un rapporto puro e sincero, senza ombre e giudizi, pulito. Non c’erano segreti, solo pensieri nascosti che mano a mano venivano fuori, liberandosi della nebbia del dolore che li circondava e uscivano sotto forma di fiumi di parole. Per Ellie era sicuramente così mentre Dean faticava molto di più, soprattutto all’inizio, ma da quando lei non c’è, se possibile, è diventato ancora più chiuso di prima. Parla ma non di sé e se c’è qualcosa che non sopporta è che suo padre non sembra accorgersene. O almeno, pare fare di tutto per far finta di niente.
 
Di John Winchester ha sempre pensato che, nonostante il suo orgoglio di uomo uscito dalla marina e il suo cipiglio sempre incazzato degli ultimi tempi, ci sarebbe stato nel momento del bisogno, perché in fondo è quello che ha sempre fatto, anche se a modo suo. Nell’ultimo anno però, non è stato sempre così: lo ha lasciato a mangiare la polvere quando gli sembrava giusto farlo, gli ha… non proprio negato il suo aiuto, perché questo, per quanto incazzato, suo padre non lo farebbe mai, ma sempre più spesso finiva con il lasciargli risolvere i suoi casini da solo.
 
Dean sa di avere la sua parte di torto in questo, che avergli detto in quel modo, quel maledetto giorno, non ha facilitato per niente le cose tra di loro – che erano già in un equilibrio piuttosto fragile –, e a volte crede di essere solo troppo paranoico, di attribuire la causa del loro distacco a quella storia quando, in realtà, questo è solo il modo di John di far crescere suo figlio, di farlo maturare davvero.
 
Chissà se era questo che voleva fare anche Jim con Ellie, mandandola sempre sul campo da sola e facendogli affrontare l’ira dell’Inferno senza darle nessun aiuto. Dean non ne è tanto convinto.
 
Di certo non ha smesso di preoccuparsi per suo padre. Anzi, può dire che è diventato un lavoro tanto quanto cacciare mostri – o forse è sempre stato così.
 
John sta via sempre più a lungo negli ultimi tempi e Dean si è davvero stupito quando ha sentito quel messaggio in segreteria dove gli chiedeva di raggiungerlo il prima possibile.
 
Dean ha appena concluso un caso dalle parti di Phoenix – una brutta storia che lo fa ancora rabbrividire al pensiero – e, non appena è riuscito a sbrogliare la faccenda, è salito in macchina e si è avviato verso Cortez, per raggiungere suo padre il più velocemente possibile. Dalla voce al telefono, sembrava solo stanco – più o meno come sempre –, ma non è decisamente il tipo che risponderebbe di no alla domanda “stai bene?” se ci fosse qualcosa di strano, perciò tanto vale sbrigarsi e verificare di persona che sta bene davvero.
 
E’ sempre stato così con suo padre, in realtà, ma nell’ultimo anno le cose non è che siano andate meglio. Dean non ha fatto altro che passare da uno Stato all’altro per cercare e cacciare quanti più mostri possibili, per distrarsi da tutte le brutte cose che gli erano capitate nell’ultimo periodo e sempre più spesso lo faceva da solo, senza suo padre al suo fianco, perciò è sempre più preoccupato quando lo vede sparire per una o due settimane. Non averlo “sotto controllo” lo fa stare in ansia, anche se… insomma, quando mai lo ha avuto? John Winchester ha sempre fatto il comodo suo, nel bene e nel male, fin da quando Dean era un ragazzino, quando gli lasciava suo fratello praticamente in fasce dicendogli semplicemente "prenditi cura di Sammy" e se ne andava chissà dove a dare la caccia ai demoni e tentare di rispedirli all’Inferno.
 
A pensare a tutto questo Dean riflette che sì, in realtà non è cambiato poi molto negli anni. Anzi, forse non è cambiato per niente.
 
Alza il volume della radio per provare a distrarsi da quei pensieri ingombranti; sta cambiando stazione per cercare qualcosa di più piacevole delle ultime stupide hit del momento quando la voce di Bonnie Tyler che canta di un male al cuore [1] gli riempie le orecchie e Dean sorride amaro all’idea che anche la radio, in qualche modo, a volte sembra volerlo prendere per il culo. Inevitabilmente, ripensa a quando il brano era un altro ma la cantante la stessa, quella sera in cui Ellie era ubriaca persa e cantava come una pazza, ma era spensierata – complice anche l’alcol, perché era incazzata nera con suo padre e voleva solo sentire un po’ di leggerezza addosso – e sembrava addirittura felice in quel momento.
 
Dean batte le dita sul volante, seguendo suo malgrado il ritmo di quella melodia troppo orecchiabile e stringe il labbro inferiore tra i denti per un lungo istante; quei giorni sono passati, sono lontani anni luce e Dean si rende fin troppo conto di essere sempre più solo, ma non può dare a nessun altro la colpa. Poteva comportarsi diversamente con lei quando ne ha avuto l’occasione e non l’ha fatto e quindi è questo quello che merita: rimanere da solo nella sua auto ad ascoltare quella voce fastidiosa che però canta esattamente di quello che sente lui da ormai troppo tempo a questa parte.
 
Perché la verità è che Ellie è sparita da un anno, ma a lui sembra non essere passato un giorno dall’ultima volta che l’ha vista; la ferita è sempre sanguinante, costantemente aperta e ogni cosa, qualsiasi piccolo dettaglio che gli passa sotto gli occhi lo riporta a lei, ai giorni che hanno passato insieme che, per quanto fossero duri – Dean che era sempre più preoccupato per le stranezze di suo padre e poi non c’era Sammy e lei che in certi momenti sembrava crollare per via di quel bastardo di Jim che la ignorava costantemente – erano sicuramente migliori di quelli che ha vissuto nell’ultimo anno lontano da lei.
 
Ogni tanto si sente patetico, come uno di quegli imbecilli che si vedono nei film strappalacrime, quegli uomini talmente pazzi d’amore da ricoprire la propria donna di diamanti e gioielli o confessare a quelle belle e giovani donzelle parole dolci all’orecchio nei momenti più intimi. Dean non è il tipo e probabilmente non lo farebbe neanche con Ellie, ma sta cominciando a pensare che forse – forse però, non ne è pienamente sicuro – sarebbe disposto ad abbassarsi un minimo pur di riaverla indietro. Se bastasse una parola o una telefonata, metterebbe da parte l’orgoglio e questo, un po’, lo mette in crisi, ma poi ci ripensa e non ha senso neanche farsi queste paranoie, tanto Ellie non gli risponderebbe neanche se le mandasse una lettera di scuse lunga due chilometri allegata ad un mazzo di ventimila rose rosse.
 
Ricorda perfettamente quando credeva che quella per lei fosse solo una voglia passeggera, solamente la necessità di colmare le distanze e che sarebbe svanita, poi, una volta dissetata, ma più passa il tempo, più si rende conto di quanto si fosse sbagliato.

Dean non sa cosa sia l’amore. E’ qualcosa che non ha mai provato sulla sua pelle per una donna perciò non sa riconoscerlo, non sa gestirlo. Non sa che a volte arriva come una tempesta improvvisa e spazza via tutto quello che trova, comprese certezze e attitudini; che è come una corrente di vento gelido che ti investe quando meno te lo aspetti e che non si cura minimamente di chi trascina nel suo ciclone, arrivando perfino a cambiarlo, a sconvolgergli la vita.

Per questo, Dean non sa quello che prova tuttora per lei, se ha mai sentito qualcosa di vagamente simile all’amore nei suoi confronti o se si tratta di un grande affetto. Sa solo che, qualsiasi cosa sia, non lo lascia andare, nonostante sia passato del tempo e di Ellie gli rimane solo il braccialetto di pelle che porta al polso e i contorni sbiaditi del suo sorriso impressi nella mente.
 
Dean pensava che gli sarebbe passata ad un certo punto, che avrebbe guardato oltre, che con il tempo avrebbe dimenticato qualsiasi cosa erano stati e tutto il bello che c’era stato tra di loro e l’avrebbe scordata, ma non è affatto così. A quanto pare il detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” per lui non è valido.

E’ stato con altre donne nell’ultimo anno. Ogni tanto si è concesso il lusso di illudersi di poter colmare così il vuoto di una perdita, sperando che tutto sarebbe passato con un po’ d’alcol e una bella pollastra al suo fianco per una notte, ma il mattino seguente si è sempre ritrovato con un dolore lancinante alla testa – anche se alla fine ha finito col farci l’abitudine – e la stessa sensazione di vuoto della sera prima. E le mani di chi gli dormiva accanto non assomigliavano neanche lontanamente a quelle che avrebbe voluto sentire sul suo corpo nudo e ansante e così fuggiva prima che potessero vederlo di giorno, prima che la luce del mattino disegnasse il suo profilo – quello di un uomo solo – in modo troppo nitido.
 
A volte si chiede cosa gli direbbe Sam se lo vedesse ridotto in questo modo, a trascinare il culo da una parte all’altra del Paese senza il minimo entusiasmo. Proprio lui, a cui non è mai fregato niente di praticamente nessuna ragazza che si è portato a letto e che invece per Ellie ci sta male come il primo giorno. Probabilmente lo prenderebbe in giro a vita, ma Dean potrebbe esserne felice lo stesso. Vorrebbe dire averlo di nuovo al suo fianco e sarebbe molto meglio della solitudine che ha sentito negli ultimi tempi, quella fitta rete di sensazioni negative che gli attanaglia il cuore.
 
Anche Sam non si è mai fatto sentire, proprio come ha sempre fatto da quando è diventato un secchione in piena regola ed è andato a Stanford per mischiarsi a quelli come lui. E, un po’ come succede per Ellie, a Dean dispiace come quando ha visto la sua schiena sparire oltre la porta. E’ qualcosa che non lo abbandona mai, ma tutto questo – almeno nella sua visione delle cose – in fin dei conti ha più senso, perché lui e Sam hanno passato praticamente tutta la vita insieme, perciò è normale che soffra la sua mancanza, mentre con Ellie… non sa neanche cosa erano insieme.
 
Quando c’era lei, comunque, almeno un po’ lo distraeva, perché trovava il modo di farlo concentrare su altre cose e il sapore amaro di quell’abbandono finiva in sottofondo, lasciando lo spazio a qualcosa di bello. Era sempre lì, in agguato e pronto ad uscire allo scoperto quando se lo aspettava di meno, ma si era un po’ assopito, affievolito quasi. Poi se n’è andata anche Ellie e, forse, si è addirittura duplicata l’agrezza di quel retrogusto amarognolo, la consapevolezza che forse è Dean quello sbagliato se adesso sono due le persone importanti che hanno mollato la presa su di lui, che l’hanno lasciato andare alla deriva da solo.
 
Questo pensiero fa capolinea spesso nella sua testa e Dean cerca sempre di ammazzarlo con una bella innaffiata di whiskey, ma raramente ci riesce, tanto è radicato a fondo dentro di lui.
 
Non sa più neanche se papà è andato a far visita a suo fratello come aveva fatto più volte, ma immagina di sì. In fondo perché dovrebbe aver smesso? Non avrebbe alcun motivo per farlo e Sam non se ne accorgerebbe mai, perché papà è furbo e sa mimetizzarsi fin troppo bene.
 
Spesso si chiede come se la sta passando. Se è felice e se sta bene nel posto che desiderava frequentare praticamente da tutta la vita – che la caccia, a lui, ha sempre fatto schifo –, se si tiene stretto la ragazza che si è scelto. Spera vivamente che lo faccia, lui che può. 
 
Dean spesso si domanda come sarebbe potuta andare tra lui ed Ellie se le cose sarebbero girate diversamente, se avesse funzionato. Magari avrebbero litigato tutti i giorni o forse sarebbero andati d’accordo per la maggior parte del tempo; forse avrebbero continuato a cacciare e a seguire i loro padri fino alla fine dei loro giorni o può darsi che avrebbero deciso di sistemarsi, ad un certo punto, di fermarsi e provare ad essere una coppia normale. Dean crede che l’ultima opzione sia quella più improbabile, ma fantasticare, in fin dei conti, è sempre lecito e non c’è alcuna limitazione. Quello che è più tremendo è tornare con i piedi per terra e realizzare che uno come Dean Winchester – un cacciatore, uno che ha passato la vita a masticare polvere e dolore – qualcosa del genere non potrà mai averlo.
 
Guida ancora a lungo, fermandosi solo per mangiare e raggiunge Cortez che è tarda sera. Suo padre gli ha dato le coordinate precise di dove si trova perciò parcheggia al motel dove sa che alloggia e bussa alla porta della sua stanza, la numero ventisette.
 
John gli apre «Ciao figliolo» e Dean lo saluta con un cenno della testa. Entra nella stanza – piccola e in disordine, non tanto diversa da quelle che è abituato ad utilizzare quell’uomo – e appoggia il borsone accanto al letto, per poi sedersi su di esso.
 
Dean, nelle ultime notti, ha sempre dormito in macchina ed avrebbe bisogno di un letto per qualche ora, ma ovviamente non domanda neanche a suo padre se può farlo, considerando che, se gli ha chiesto di essere lì, di certo non è per farlo riposare.
 
«E’ andata bene la caccia?»
Dean annuisce «Un mostro in meno di cui preoccuparsi» e John stira le labbra in un accenno di sorriso per poi dargli le spalle e prendere il suo borsone.
 
Dopo quel tremendo litigio, Dean non ha più accennato per niente a quella storia: nessuna domanda, nessuna richiesta di ulteriori spiegazioni, nessuna scusa di niente, perché sa come funziona e non solo perché lo aveva visto quando succedeva con Sam. In casa Winchester gli ordini non si discutono e Dean, invece, ha disobbedito, urlando e dicendo apertamente – anche troppo – quello che era il suo pensiero. Perciò, ha sempre evitato di fare domande e di cercare le vie più… “esplicite” per risolvere la situazione. Non servirebbe a niente se non a sembrare un leccaculo e non è certo quello che vuole.
 
Suo padre, poi, non ha più detto nulla a proposito, ma Dean ha sempre cercato di ingoiare quel rospo amaro e di rimanere in silenzio, sebbene a volte abbia tanta voglia di urlargli che gli dispiace, che è stanco di tutta questa storia, di sentirsi in colpa per non essere stato il bravo figlio di sempre, che se rivuole indietro Sam perché è il suo preferito o quello che è se lo andasse a riprendere e la smettesse di tenere il muso a lui che non ha nessuna colpa se suo fratello se n’è andato – anche se ancora, certe volte, il dubbio che abbia fatto qualcosa di sbagliato e che l’abbia cacciato via, in un certo senso, gli viene –, ma si morde la lingua ripensando che l’ultima volta che l’ha fatto – che era anche la prima, in realtà – non gli è andata poi tanto bene.
 
Ogni tanto, però, per quanto Dean non sia esattamente un chiacchierone, vorrebbe che lui e suo padre parlassero di quella storia, che la chiarissero una volta per tutte. Non per ritirare fuori vecchi rancori e magari riaprire una magagna che non si è ancora riassorbita del tutto – per lui, almeno –, ma solo per capire uno il punto di vista dell’altro e parlarsi senza urlare, confrontarsi in modo civile. Poi ci ripensa, però, perché un pensiero simile non dovrebbe venire neanche a lui, figuriamoci a suo padre.
 
Comunque sia, Dean crede di aver imparato dai suoi errori ed ha ripreso la via del silenzio, che forse meglio di tutte lo riporterà a quella che per lui è la normalità, ai silenzi soffocanti e alla solitudine che sentiva nelle notti che passava da solo ad attendere suo padre rientrare da una caccia o da chissà dove. L’unica compagnia che aveva trovato con cui condividere quelle lunghe attese è sparita, quindi tanto vale cercare di riprendersi la sola routine di cui Dean era a conoscenza prima di incontrare Ellie.
 
Le cose, comunque, hanno lentamente ripreso a girare; tutto è ricominciato ad andare come al solito tra lui e John e Dean si sforza di fingere che non sia mai accaduto nulla, che l’unica volta nella sua vita in cui ha davvero disobbedito a suo padre non sia mai esistita. E’ solo un’altra delle balle che si racconta; una in più o in meno non fa la differenza. 
 
A volte, però, risente ancora quello schiaffo sulla faccia ed è qualcosa che fa più male delle ferite sul campo di battaglia, quando ha davanti quattro o cinque bestiacce vomitate dall’Inferno che vorrebbero mangiarselo vivo.

Dean, poi, non ha mai pensato che suo padre fosse orgoglioso di lui. Mai un momento della sua vita l’ha fatto e mai ha colto uno sguardo di vera approvazione da parte di quell’uomo, ma quello che è successo mesi fa lo fa sentire anche peggio di come ha fatto per tutta la vita.
 
Quello che è cambiato, però, è il modo in cui suo padre lo guarda. E’ differente ed è qualcosa di assolutamente peggiore delle parole e delle urla, perché è una condanna duratura e silenziosa, certi giorni assolutamente insopportabile. Soprattutto nelle settimane successive a quel furioso litigio, ma è qualcosa che non è mutato molto nel tempo, e Dean sa bene che quello sguardo di rimprovero – costante, immutabile negli occhi del suo vecchio – non è perché è andato a letto con Ellie o perché, in un certo senso, ha disubbidito. Piuttosto è perché gli aveva risposto in quel modo, perché gli aveva detto quello che pensava. Dean non l’aveva mai fatto prima – almeno non in quel modo – e ancora non capisce quello che gli è preso.
 
Si è reso conto dopo un po’ di tempo – quasi subito, in realtà – che, effettivamente, per certi versi aveva esagerato. In fondo non era poi tutta colpa di suo padre se Ellie se n’era andata in quel modo, se gli aveva buttato addosso tutta la sua frustrazione, la stessa che poi lui ha riversato su John. Quindi sì, ha esagerato, perché non è colpa sua se Dean non sa tenersi strette le persone a cui tiene, ma di certo avrebbe preferito non sapere i meravigliosi pensieri che lui si era fatto su Ellie e sulla sua presunta inutilità.
 
Non è stato semplice all’inizio. Anzi, è stata dura. Ogni giorno che passavano insieme, per mesi, Dean cercava di trovare un modo per farsi perdonare. Non a parole, che tanto non ne è capace, ma con i fatti, cercando di essere sempre più preciso e attento nella caccia, di non mancare mai la preda e di farlo nel modo più intelligente possibile, provando in tutti modi a rendere suo padre fiero di lui, ma poi ha capito che non era quella la strada da percorrere, che John non si sarebbe piegato di fronte a quelle piccole dimostrazioni di tenacia e coraggio. C’era sempre quel maledetto sguardo negli occhi di John, quella patina di delusione e diffidenza e Dean si è arreso, alla fine, convincendosi del fatto che se avesse voluto davvero, suo padre sarebbe tornato quello di una volta da solo. Infatti, così è stato… più o meno. Perlomeno adesso lo guarda un po’ meno come se fosse un alieno, qualcuno che ha addirittura osato contraddirlo.

Su una cosa, però, Dean non aveva poi tutti i torti: il suo vecchio è riuscito a litigare anche con quel brontolone di Bobby. Il motivo è ignoto: Dean sa solamente che, l’ultima volta che quei due si sono visti, Bobby gli ha puntato un fucile contro [2]; suo padre se l’è data a gambe e, da lì, non c’è più stato nessun contatto tra di loro.
 
Neanche Dean, da quando l’ha saputo, si è più azzardato a telefonargli o a fargli visita. Sa di sbagliare in questo, perché lui non c’entra niente con i loro screzi e le loro divergenze – che poi, per qualche strano motivo, ne hanno sempre avute, forse perché hanno un modo totalmente diverso di vedere le cose –, ma non se la sente di andare contro suo padre di nuovo. L’ha già fatto una volta ed è qualcosa di cui si pente ogni giorno – le conseguenze sono state decisamente devastanti – e non gli va di farlo ancora, di incasinare una situazione già di per sé abbastanza precaria.
 
L’unica cosa che vuole davvero – a parte un altro paio che ormai sono nella sua lista dei desideri e che molto probabilmente resteranno lì e morirà prima di riuscire a realizzarle – è riacquistare la sua fiducia ed è disposto ad evitare il mondo pur di riuscirci.

Tutto questo, poi, in un certo senso è molto da Ellie: anche lei era disposta a tutto pur di conquistare un briciolo di apprezzamento da parte di Jim.
Chissà come se la passa adesso, se è riuscita a farsi dire “brava” almeno una volta da quello stronzo che ha per padre; chissà se sta bene e se è felice, se ha trovato ciò che ha sempre cercato o se ha mollato tutto, lasciando quella testa di cazzo a scavarsi la fossa da solo e se n’è andata; se è da sola o se c’è qualcuno insieme a lei, che magari si prende cura di lei come lui non è stato in grado di fare. 
 
Dean si pone spesso domande simili, ma qualcosa in fondo al suo animo gli dice che probabilmente non avrà mai una risposta. Un anno è un tempo lungo ed ogni tanto pensa che Ellie potrebbe anche averlo dimenticato, potrebbe aver voltato pagina ed essere andata avanti. Quello che è peggio è che Dean non potrebbe nemmeno darle torto, perché crede di averle fatto troppo male per sperare di poter schioccare le dita e riprendersela. E se qualcun altro è stato così furbo da capire quanto vale… dovrebbe tenersela stretta, perché è quello che Ellie merita: qualcuno che le voglia bene e che l’apprezzi sul serio.
 
Dean lo faceva. Si era reso conto di quanto fosse preziosa – per lui, soprattutto – e in gamba, ma non ha saputo dimostrarglielo quando Ellie voleva sentirselo dire di più.
 
Al di là di tutta questa storia, comunque, Dean crede che, se solo avesse avuto molto di conoscerla un po’ meglio e non si fosse basato solo sul suo giudizio superficiale, a John sarebbe potuta piacere. Perché Dean l’ha sempre vista impegnarsi nelle cose su cui metteva le mani e poi, in un certo senso, pensava che suo padre avrebbe potuto empatizzare di più con Ellie perché anche lui, in fondo, era una persona comune prima di diventare un cacciatore di mostri. E’ vero che aveva un addestramento militare alle spalle che certamente gli ha consentito di imparare più alla svelta “il mestiere”, ma dev’essere stato uno shock pure per lui all’inizio – Dean è troppo piccolo per ricordarlo, ma è sicuro che fosse così –, avrebbe dovuto… capire, in qualche modo, perché lui aveva la stessa visione della vita ai tempi. Più o meno. Forse si è dimenticato quello che succede quando si entra in questo vortice di sangue e morte, forse non ricorda più cosa si sente.

La voce bassa di suo padre lo riporta alla realtà «Credo di averti trovato un altro caso, comunque».
In altri momenti, Dean avrebbe sbuffato o comunque protestato – nella sua testa, almeno – perché l’ultima cosa di cui aveva bisogno era rimettersi ad investigare in qualcosa di nuovo dopo aver sgozzato un bastardo infernale da neanche un giorno, ma ha bisogno di lavorare per tenere lontani i pensieri – o perlomeno provarci –, perciò annuisce.
Suo padre lo guarda «Ti lascio il mio letto per stanotte, io devo andare a fare una cosa».
Dean aggrotta le sopracciglia «Dove?» ha imparato da tanto che non è bene fare domande, ma a volte, negli ultimi tempi, non riesce proprio a trattenersi. Cerca sempre, comunque, di sviare quelle più specifiche, tipo dove va a fare cosa, ma non sempre ci riesce perché è davvero difficile non avere curiosità per tutte le strane attività di suo padre.
«Qui vicino, devo sbrigare una faccenda. Così domani ripartiremo».
«Tu verrai con me?»
«No. Io ho un altro lavoro da sbrigare dalle parti di Jericho, in California». [3]
Dean vorrebbe fare più domande a riguardo, approfondire un po’ tutto questo discorso che sembra piuttosto serio – lo sguardo di suo padre, concentrato e sicuro, gli sta suggerendo questo –, ma si limita ad un semplice «Sissignore».
 
John annuisce – un gesto quasi impercettibile – e si infila la giacca, per poi chiudersi la porta alle spalle prima di aver salutato Dean con un semplice cenno del capo.
 
Lui si toglie gli scarponi e si stende di peso sul letto, le mani incrociate sulla pancia e gli occhi chiusi. Avrebbe bisogno di farsi una doccia, magari anche di mangiare, ma è la stanchezza ad avere il sopravvento su di lui che mette il cuscino sotto la testa per poi sprofondare immediatamente in un sonno profondo.
 
*
 
Il sole è alto nel cielo e Dean segue silenziosamente il pick-up di suo padre, battendo le dita ogni tanto sul manubrio della sua bambina a ritmo di musica. Ha deciso che la radio gli offre troppe brutte sorprese ultimamente – soprattutto quando è già immerso in pensieri poco piacevoli –, così ha ripiegato su una delle sue cassette, in questo caso quella degli AC/DC. Quello, almeno, lo distrae.
 
Suo padre è diretto in California, mentre Dean andrà dalla parte opposta, in Louisiana [4], però hanno deciso di fare un pezzo di strada insieme prima che John imbocchi la statale che lo porterà a Jericho.
 
Ha osservato con molta attenzione suo padre negli ultimi tempi e sa che gli nasconde qualcosa, ma non è neanche una novità oramai per Dean. Ha capito da tempo che John ha i suoi segreti e che, però, quando ha bisogno di una mano, è disposto a raccontargli cosa gli succede – almeno a grandi linee – perciò, per il momento, decide di non preoccuparsi. Andrà tutto bene anche stavolta, come è sempre successo, perché nonostante tutto suo padre è un genio e sa sempre cavarsela nelle situazioni peggiori.
 
Parcheggia l’Impala in uno spiazzo lungo la strada e scende, osservando il suo vecchio fare lo stesso. Gli si avvicina e lo osserva, le sue spalle leggermente curve verso il basso, le mani nelle tasche dei pantaloni e il viso stanco, segnato dal tempo, dai dispiaceri e dalle scarse ore di sonno e poi lo guarda intensamente.
 
«Allora, figliolo… fai attenzione, d’accordo?»
Dean annuisce. «Anche tu» che forse ne hai anche più bisogno perché sei strano a volte e non capisco se stai bene davvero o mi prendi in giro per non farmi preoccupare. Dean vorrebbe tanto dirglielo ma si morde la lingua per evitare di farlo.
 
John rivolge lo sguardo verso il panorama: i piccoli arbusti che costeggiano la strada, la vallata macchiata di marrone e verde che si estende fino alla linea dell’orizzonte e gli alberi che spuntano ogni tanto dal terreno, i sempreverdi rigogliosi e gli altri che cominciano già a sentire l’effetto dell’autunno sulla loro chioma.
 
Suo padre si allontana di qualche passo, volgendo lo sguardo verso la sua vettura e poi si volta di nuovo. Sembra quasi pensieroso. Dean lo scruta con attenzione, attendendo che dica qualcosa e lo fa per almeno qualche istante, poi John si passa la lingua sulle labbra e deglutisce. Pare un po’ nervoso.
Socchiude gli occhi, disturbato dai raggi del sole che picchiano sulla sua faccia e sembra sul punto di salutarlo sul serio e di salire sulla sua vettura, ma Dean sa che quando fa così significa che vuole parlargli di qualcosa.
 
John arriccia le labbra in una smorfia, le braccia lungo i fianchi, e si riavvicina di nuovo a Dean facendo qualche passo. «Sai, Dean… mi dispiace che abbiamo litigato quella volta».
Il ragazzo è visibilmente perplesso. Non ne avevano mai parlato ad alta voce, non avevano mai più toccato l’argomento. «Papà—»
«Fammi finire. Non è da te alzare la voce ed ho reagito d’istinto». Dean lo osserva senza rispondere stavolta, incapace di pronunciare una qualsiasi parola. Sussulta quasi quando suo padre si avvicina ancora e gli mette una mano su una spalla, un gesto che non ha fatto per mesi e che per Dean era quasi una dimostrazione d’affetto o d’orgoglio – ha sempre sperato lo fosse – di quel padre distrutto dalla sete di vendetta e dalla rabbia per aver perso la persona più importante del suo universo. «Quando torno ne parliamo meglio. Volevo solo dirti che è tutto a posto».
 
Dean continua ad osservarlo, stralunato e confuso da quelle parole, e quando suo padre toglie la mano da lì e si volta per partire davvero, fa un passo in avanti, quasi di riflesso, e lo richiama. John si volta ancora «Papà se… se sta succedendo qualcosa, io posso aiutarti. Posso provarci, perlomeno» fa una pausa quando vede suo padre stringere appena gli occhi «Non so, io… a volte sembri preoccupato e se c’è qualcosa che non va, io posso… voglio darti una mano».
John scuote la testa «Va tutto bene, ragazzo. Sul serio. Volevo solo dirti questa cosa da un po’ e… e basta. Adesso vai, dai. Hai tanta strada da fare».

Dean annuisce – le spalle rigide e la mascella contratta – e lo guarda ancora intanto che sale sul pick-up e gli rivolge un sorriso stanco mentre mette in moto.

Continua ad osservarlo andarsene e ripensa alle parole che gli ha appena sentito pronunciare, qualcosa che mai si sarebbe aspettato di sentir uscire dalla sua bocca, qualcosa che suonava come una richiesta di perdono; c’era traccia di pentimento nella sua voce e in questo preciso istante – gli occhi posati sul punto dove prima c’era la vettura nera e lucida del suo vecchio – Dean ha la strana sensazione che non vedrà suo padre per parecchio tempo.
 
Lo conosce meglio di chiunque altro e sa bene che non gli avrebbe mai detto nulla del genere se avesse avuto la certezza di rivederlo presto, non si sarebbe mai abbassato a tanto – perché, con quelle parole, John Winchester stava chiaramente cercando di chiedere scusa – se tornasse presto.

Dean scuote appena la testa sperando di sbagliarsi e si passa una mano sulla bocca prima di mettere in moto per partire alla volta di New Orleans. 
 
[1] La canzone che ascolta Dean in macchina è "It's a heartache" di Bonnie Tyler.
[2] Riferimento ad un avvenimento narrato nell’episodio 1x22 “Devil’s trap” e al primo incontro nella serie tra Bobby ed i fratelli Winchester. 
[3] Il caso che Sam e Dean risolvono nel “Pilot” era proprio quello che si svolgeva a Jericho e che John aveva “lasciato a metà”. In questa fan fiction, adesso, siamo nell’Ottobre del 2005, perciò gli eventi si stanno avvicinando a quelli avvenuti nel primo episodio del telefilm.
[4] Dean, nel “Pilot”, dice a Sam che stava seguendo un caso a New Orleans, in Louisiana. 

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Capitolo 23
*** Together we stand, divided we fall ***


Note: Sono abbastanza in ritardo anche oggi, ma è stata una lunga giornata ed il mio tremendo raffreddore – che odio – mi ha rallentata parecchio nella rilettura del capitolo. Perdonatemi :D
Allora, so che questo capitolo è un pochino più lento rispetto ad altri, ma volevo che la situazione fosse chiara e ben spiegata. Anche perché ci stiamo avvicinando al “Pilot”, perciò ho voluto riattaccare i pezzi ed ho cercato di fare del mio meglio, spero di esserci riuscita. E, comunque, verso il fondo già si accelera un po’ :)
A questo proposito, spero di non aver esagerato con una scena molto vicina al finale. Il rischio di andare OOC è sempre mooolto alto, ecco *si asciuga la gocciolina di sudore dalla fronte*
Ormai sono monotona ma non posso fare a meno di ringraziarvi per tutte le bellissime parole che avete sempre per me. Ogni commento è prezioso, davvero :’)
Vi abbraccio forte tra uno starnuto e l’altro… a mercoledì prossimo! :D

 
Capitolo 23: Together we stand, divided we fall
 
Hey you, out there on your own
Sitting naked by the phone
Would you touch me?
Hey you, with you ear against the wall
Waiting for someone to call out
Would you touch me?
Hey you, would you help me to carry the stone?
Open your heart, I'm coming home.
 
(Hey you - Pink Floyd)
 
 
Ogni città, per grandezza o attrazioni o più semplicemente per l’aria che si respira, è diversa da un’altra. Soprattutto in un posto tanto grande come gli Stati Uniti, ogni luogo è differente per colori, luci o atmosfere.
 
Anche un viaggiatore, un nomade, ha impressi nella mente dei posti che gli piacerebbe rivisitare e Dean, la prima volta che mette piede a New Orleans, sa per certo che è un luogo in cui, una volta lasciato, vorrebbe sicuramente tornare. E’ la sola atmosfera che aleggia per le strade a mettergli allegria: i colori delle vie, il profumo che si respira, insomma c’è qualcosa, un’aria particolare che è quasi sicuro di non aver mai inspirato in nessun altro posto “di passaggio”. Peccato che, come ogni buon cacciatore che si rispetti, non è gli permesso usare lo stesso cesso due volte [1], perciò sarà difficile riuscire a trovare una scusa per ripassare di qua a caso concluso.
 
Dean è qui da tre o quattro giorni, non se lo ricorda già più. La strada è stata lunga e gli sembrava di non arrivare mai, forse perché ultimamente era abituato a dei viaggi più corti e, nonostante non sia la prima volta che ha praticamente attraversato il Paese quasi da cima a fondo in breve tempo, era quasi avvezzo a dei tragitti più brevi e delle soste talvolta un pochino più lunghe dell’ultima, quando il mostro da uccidere era un po’ difficile da trovare e tutto ciò gli permetteva di rimanere un po’ di più nella cittadina designata.
 
Non si trova proprio a New Orleans – anche se un giro, l’altra sera, se l’è concesso e non se n’è affatto pentito – ma più in periferia, a Westwego [2] per la precisione, e qualcosa gli dice che dovrà rimanere a lungo da queste parti perché il caso che gli si presenta di fronte – a patto che lo sia – ha l’aspetto di qualcosa di incredibilmente… confuso.
 
A Dean non sembra poi tanto strano se una persona vince alla lotteria. Insomma, buon per lui. Questo cosa dovrebbe c’entrare con quello di cui si occupa lui? Cosa ha a che fare con tutta la malignità che, invece, riguarda il suo lavoro?
 
Sicuramente c’è qualcosa che gli sfugge perché se suo padre l’ha mandato lì vuol dire che era più che sicuro di quello che stava facendo. Di solito in queste cose è più che preciso e non spedisce mai Dean da qualche parte a caso. Su questo non c’è dubbio, quindi sicuramente qualcosa di strano in quella storia c’è, ma il problema è trovare cosa.
 
Il fatto è che gli ha lasciato solo un ritaglio striminzito di un foglio di giornale, un articolo su cui era scritto che un tale Kevin Dion [3], un ragazzo discendente da una famiglia sfortunata e soprattutto abbastanza disagiata, ha vinto una cospicua somma al lotto – qualcosa come centomila dollari – e che, con quei soldi, ha deciso di rimettere in sesto la sua casa e l’attività dei suoi familiari - una bottega artigiana di liquori, una di quelle tradizioni che in certe famiglie sono dure a morire e che si tramandano per generazioni -, caduta in rovina da qualche anno.
 
A Dean, quindi, questa è sembrata solo la storia di un ragazzo che, dopo tanta sfiga, ha finalmente trovato un po’ di serenità. Il suo lavoro, però, gli ha insegnato che se c’è qualcosa che non esiste è proprio la fortuna – sarà perché lui ne ha avuta così tanta che se qualche volta ha pensato che una qualche immaginaria ruota girasse nel verso che voleva lui poi è sempre andata a finire in modo opposto – e forse è per questo che suo padre l’ha spedito lì, perché c’è qualcosa che non va come dovrebbe.
 
Solo che non è proprio facile ricostruire un intero caso da un misero foglietto di carta di giornale, perciò, non appena si è sistemato nella classica e soprattutto vissuta camera – con tanto di asciugamani ancora umidi e un paio di preservativi usati nel cestino da chi l’ha prenotata prima di lui – del motel situato accanto alla strada, ha cercato una biblioteca pubblica, uno dei pochi posti che potrebbe fare al caso di un tipo come lui che un laptop tutto suo non l’ha mai avuto e che non ci tiene neanche a comprarselo, fondamentalmente perché lui e la tecnologia percorrono da sempre due strade parallele. In fondo, poi, a parte suo padre, con lui viaggiava sempre qualcuno che ne aveva uno e che lo tirava fuori per quasi ogni evenienza, facendo le ricerche – e quindi la parte rognosa del lavoro – al posto suo. Peccato che entrambi – perché ne ricorda due che lo avevano come “pregio” e non solo questo – si sono dati alla macchia – anche se per motivi diversi –, perciò questo è l’unico modo gratis che ha per cercare di cavare qualche ragno dal buco. Poi ci sono anche tanti libri, quindi… sì, è il posto perfettamente odioso dove trovare tutto ciò che cerca. O almeno spera.
 
E’ qui anche adesso, accanto alla polverosa libreria dove sono elencati tutti i dannati libri sull’intera storia della nascita dello stato della Louisiana e fandonie varie e smanetta il più velocemente possibile – per i suoi canoni, chiaramente – sulla tastiera per cercare di trovare qualcosa che faccia al caso suo.
 
In realtà, però, a parte un altro caso di fortuna sfacciata che ha toccato un altro ragazzino un paio di mesi fa – un tale di nome George Freeman, l’ultimo di cinque figli di una famiglia non così agiata da permettersi tanti lussi – che è riuscito a superare il test per entrare in una delle scuole private più prestigiose di tutta New Orleans. In pratica ha vinto una borsa di studio, arrivata con un tantino di ritardo rispetto agli standard, ma per il resto perfettamente regolare.
 
Dean, anche se non è completamente convinto che c’entri necessariamente qualche forza oscura dietro tutta questa faccenda, è andato comunque a parlare con quei due ragazzi che si sono mostrati molto cordiali – per la loro età, almeno, perché si tratta di due adolescenti di sedici anni che di solito non ispirano tanta simpatia a Dean – e gli hanno raccontato nel dettaglio le loro vicende senza fare tante storie.
 
Non ha scoperto cose molto diverse da quelle che già sapeva: il primo, Kevin, un ragazzo di colore, molto alto per la sua età, ha detto che comprava regolarmente un biglietto della lotteria per tentare la sorte. Non aveva mai vinto neanche un quarto di dollaro, poi, un giorno come un altro, è arrivata la fortuna vera. Giocava sempre gli stessi numeri – quelli che ha detto essere l’incrocio tra la data di nascita di sua madre e la sua – e, alla fine, ha vinto una cospicua somma.

George, invece, sognava di andare a studiare in una scuola importante per poi avere più facile accesso ad un’altrettanto prestigiosa università. I suoi, però, non avevano il denaro per realizzare questo suo desiderio e per un paio d’anni di fila George ha provato a vincere la borsa di studio senza successo. Credeva di aver fallito anche questa volta, ma non è stato così e l’hanno subito ammesso nell’istituto che lo ospiterà per i prossimi due anni e che forse gli garantirà maggiore accesso al college che sogna, se ci metterà l’impegno che serve.

Dean ha anche chiesto ai due se erano a conoscenza dell’altro fortunato, ma entrambi i ragazzi hanno risposto che si conoscevano solo di vista. Hanno un’amica comune, però, una certa Jennifer Hamford, ma questo indizio – se così lo può chiamare – non l’ha portato da nessuna parte, perché la ragazzina in questione non è stata “vittima” di nessun misterioso attacco di fortuna o eventi simili.
 
Dean ha cercato a lungo in tutti gli annuali scolastici e i documenti possibili dell’angusto ufficio scolastico della Junior High School di Westwego [4], ma non ha trovato nessuna traccia di qualcosa di sospetto, perciò è punto a capo. Non può neanche provare ad avvicinarla con una qualche scusa, perché non ha nessun motivo per farlo senza spaventarla o qualcosa del genere. Non saprebbe neanche cosa chiedere perché non c’è nessun legame evidente con niente che la riguarda.

Attraverso le sue ricerche, è arrivato anche a pensare che tutta questa faccenda avesse a che fare in qualche modo con dei patti con i demoni, ma questi sono dei ragazzini e, per quanto possano comunque trovare un sistema per cacciarsi nei guai abbastanza facilmente – magari anche più degli adulti –, non ha senso, perché di solito la posta in gioco in questi tipi di “contratti” è sempre più alta di una borsa di studio o la vincita di una lotteria. Ha comunque controllato, cercando se in qualche incrocio ci fossero segni evidenti di buche scavate da poco nel centro della strada sterrata o qualcosa di affine, ma niente, neanche questa è la strada giusta.

Sa anche che, però, rispetto al solito è molto più distratto. Un po’ perché, in fin dei conti, non crede che si tratti di un vero caso, o comunque non qualcosa che lo riguarda così da vicino, e poi perché è preoccupato per suo padre.
 
Non gli è andato giù tutto il discorso che gli ha fatto l’ultima volta che si sono visti, gli ha lasciato l’amaro in bocca. Non perché abbia detto qualcosa che lo ha offeso, tutt’altro, ma proprio perché non è da lui. Di solito è molto più brusco, meno incline al dialogo e al confronto, soprattutto su cose così delicate e Dean teme che gli stesse capitando qualcosa che l’ha quasi “costretto” a confrontarsi con lui, come se l’avesse fatto per paura di non rivederlo più.
 
Per questo Dean l’ha già chiamato un paio di volte due giorni successivi alla sua partenza, ma non ha trovato risposta se non la voce del suo vecchio registrata dalla segreteria telefonica.
 
Gli ha lasciato dei messaggi – con la scusa che questo caso lo mette in difficoltà –, non tutti i giorni per non farsi sentire troppo in ansia e cercando di non mettergli alcuna fretta, ma sta cominciando ad agitarsi. Sì, è da suo padre sparire per giorni interi, a volte addirittura settimane, ma ha una sensazione diversa stavolta, particolare. Forse per via di quel discorso che gli ha fatto e che Dean più ci prova meno riesce a togliersi dalla testa.
 
Per un anno intero – un tempo davvero lungo, soprattutto se lo si passa come ha fatto Dean, tra cacce, sangue e silenzi – non ha detto un cazzo, mai una dannata parola sull’argomento o su Jim, mai niente. Neanche il nome di Bobby è mai uscito dalla sua bocca da che ci ha discusso e improvvisamente salta fuori che a John Winchester – non proprio un santo, ma un osso duro, soprattutto quando si tratta di litigi e orgoglio da mantenere – dispiace di aver litigato con suo figlio. E’ troppo strano.
 
Quel discorso a Dean aveva cominciato a stonare dall’inizio: la faccia rilassata di suo padre che invece nelle settimane precedenti era sempre più cupa, come se fosse perennemente concentrato in qualcosa di incredibilmente complicato che non riusciva a districare, quella mano sulla spalla e tutte quelle parole – troppe per uno come John, che per certi versi è addirittura più silenzioso di lui – e i conti non gli tornano ma non trova un dannato modo per risolvere la situazione, per capire se si sta facendo delle paranoie inutili o se ha davvero qualcosa di cui doversi preoccupare seriamente.
 
Quello di cui è certo, comunque, è che avrebbe bisogno di un partner per risolvere questo caso, qualcuno che riesca a concentrarsi e non distrarsi continuamente come fa lui.
 
Passa le giornate in biblioteca, trangugiando due o tre tramezzini striminziti del supermercato – dipende dalla fame che ha – pur di fare in fretta e concentrare tutta la voglia di staccare in quella mezz’ora di pausa, ma alla sera si ritrova a fissare il blocco di appunti che ha preso durante la giornata – che sono sempre molto pochi – e stancarsi quasi subito senza aver risolto niente. Così esce e va a fare un giro, in qualche bar o in qualche night club – che da quelle parti, soprattutto a New Orleans, ce ne sono di strepitosi – e torna quando crede che sia ora di andare a dormire. Non è neanche da lui, perché di solito durante il lavoro di distrazioni ne tollera alcune ma non troppe – preferisce sfogarsi e divertirsi quando ha la mente sgombra dai problemi e dai fantasmi o un qualsivoglia mostro che potrebbero assalire anche lui –, ma non riesce a comportarsi diversamente.
 
Si sente come uno studente universitario sotto stress. Anzi, se è questo che prova Sammy ogni giorno, al diavolo la vita senza caccia. Dean preferisce di gran lunga la sua.
 
Si stropiccia gli occhi stanchi con le dita, il gomito puntato sul legno del tavolo accanto al quale è seduto e fa un grosso sbadiglio, senza curarsi di mettere la mano davanti alla bocca. Dovrebbe dormire di più, ma ha la testa stracolma di pensieri ed ogni volta che tocca il letto gli sembra di starci troppo quando in realtà si alza che non sono neanche quattro ore che ci si è addormentato. Tutto questo è dannatamente snervante.
 
Se almeno suo padre gli rispondesse, se gli facesse una fottutissima telefonata dicendogli anche quattro balle coronate da un “sto bene”, Dean smetterebbe di preoccuparsi… forse. Così, però, è solo peggio, perché è convinto che quell’uomo gli stesse nascondendo qualcosa, che fosse leggermente più schivo del solito e questi sono stati da sempre i piccoli segnali che hanno messo Dean in allerta.
 
E’ vero, non ci ha fatto caso come avrebbe fatto in precedenza perché quel furioso litigio ha incrinato un po’ – parecchio – le cose tra di loro e, nonostante facessero finta di niente, era come se la tempesta fosse sempre nell’aria. Almeno per Dean.
 
Quando passavano le notti dentro il pick–up di suo padre per qualche appostamento, le parole che volavano nell’abitacolo erano sempre poche, si parlava solo di cose essenziali. Dean osservava il profilo attento e concentrato di suo padre, i tratti ben delineati e la mascella perennemente contratta, lo sguardo fiero e sicuro. John, in quei momenti, vedeva solo il mostro da uccidere, quella che era la sua preda, e non c’era spazio per nient’altro. Tante volte Dean avrebbe voluto approfittare di quelle ore per fargli delle domande, chiedere cose che non c’entravano niente con Ellie o Jim o qualunque cacciatore abbiano mai incontrato lungo la via, ma anche storie sulla mamma o su come aveva passato la sua vita insieme a lei negli anni in cui erano felici.
 
Dean ricorda che, quando era un bambino, c’erano dei momenti poco sereni nella sua famiglia, che a volte la mamma urlava e lei e papà discutevano, ma il loro era un legame forte e Dean è convinto che sarebbe durato se lei fosse ancora viva.
 
Avrebbe voluto domandargli cose come queste in quelle notti gelide che passavano da soli a buttare giù litri di caffè nero come la pece per cercare di rimanere vigili e ad osservare i rari riflessi che brillavano nell’oscurità. Il resto era solo sangue e silenzio, quello che Dean ha sopportato a lungo senza fare un fiato e che, però, gli pesava davvero tanto.
 
Anche se in momenti come questi – la luce del lampadario che viene meno perché è tardi e la biblioteca sta per chiudere e la rugosa proprietaria che lo guarda dall’alto delle spesse lenti dei suoi occhiali da talpa per intimargli di smammare – in cui la solitudine e la noia fanno da padrone nel suo cuore, rimpiange quegli istanti, quelle notti silenziose e cupe che spartiva con il suo vecchio. Perlomeno, in quelle occasioni, sapeva di averlo accanto.
 
*
 
Una settimana a Westwego.
 
Il nulla totale sul fronte del “caso”, quello che Dean sta cominciando sempre di più a non considerare tale.
 
Ha vagliato la pista della stregoneria – che, si sa, New Orleans è famosa per i riti voodoo ed i dintorni risentono sicuramente di questa influenza –, ma le streghe sono persone normali nell’apparenza, proprio come lui, perciò non sa minimamente da dove cominciare a cercare. A patto che questa possa essere una vera pista, una strada da seguire. Senza dubbio questa teoria ha le sue valide radici, ma non ha uno straccio di prova a suo favore e questo di certo non lo convince che seguirla sia una cosa buona e giusta.
 
Si chiude la porta della biblioteca alle spalle, lasciando che la vecchia lo guardi male per un’ultima volta prima di far scattare la serratura poco oliata di quel posto polveroso che anche oggi ha lasciato quasi fuori tempo massimo e tira fuori il telefono dalla tasca, stringendo le spalle nella giacca di pelle del suo vecchio.
 
Se ne frega se non ha ancora trovato una risposta da lui e ricerca velocemente il numero nell’elenco delle ultime chiamate, premendo il tasto verde.
 
Prende un bel respiro «Papà, sono io. Non… non so perché non mi rispondi, ma io qua non trovo nulla. E vorrei tanto sapere dove cazzo sei finito. Non voglio chiederti niente a parte se stai bene e… non so, credo di aver bisogno di una mano, qui. Per favore, quando senti questo messaggio alza il culo e chiamami. E’ importante».
 
Chiude la telefonata senza alcun ripensamento e non gli interessa se risulterà troppo incazzato o stanco. Sa solo di aver bisogno di risposte.
 
*
 
Dieci giorni a Westwego, i più lunghi che Dean si ricordi di aver vissuto da molto tempo. E non è che se la sia esattamente spassata nell’ultimo periodo.
 
Strizza gli occhi davanti allo schermo del computer vecchio come la gentile signora che si prende cura di questo dannato posto, quello che Dean frequenta più della sua stanza ultimamente – e questo non è certamente un bene.
 
Avvia la stampa di un altro paio di fogli oltre a quelli che ha già messo da una parte sopra la scrivania e, mentre aspetta che quel marchingegno malandato si decida a buttargli fuori le pagine che vuole conservare, legge con attenzione quello che è riuscito a trovare finora: strane sparizioni in una strada nei pressi di Jericho, California. A parte il fatto che sono tutti uomini, all’apparenza non c’è nessun’altra connessione tra di loro. Scavando a fondo, ha scoperto che ci sono stati dieci episodi di questa natura negli ultimi vent’anni: uno nel millenovecentonovantadue, novantotto, duemilaquattro… quest’anno è successo ad aprile e l’ultimo risale ad un mese fa. [5]
 
E’ questo di cui papà si sta presumibilmente occupando. O almeno quello per cui lo ha “piantato in asso”.
 
Visto che il caso che ha lì si presenta moscio e confuso più che mai, Dean ha deciso che tanto vale concentrare l’attenzione su qualcosa di cui ha qualche indizio in più, perlomeno per tentare di tenere la mente occupata.
 
All’apparenza, questo di cui sta raccogliendo informazioni gli pare decisamente più semplice di quello che suo padre gli ha affidato – che non sembra neanche un caso vero se proprio deve dirla tutta – e quello che sta cominciando a pensare – anche se non vorrebbe – è che l’abbia mandato lì apposta, per far sì che Dean non intralciasse la sua strada tornando “troppo presto”.
 
Dean scaccia con forza quel pensiero che lo fa stare male, perché la sola idea che suo padre lo abbia mandato laggiù per depistarlo in qualche modo gli mette più angoscia; appoggia la testa sul pugno chiuso, inspirando forte e buttando fuori l’aria subito dopo. L’odore di polvere misto a quello delle pagine dei volumi che stanno sfogliando gli sfigatelli che hanno deciso di passare il loro pomeriggio qui gli arriva alle narici e Dean vede bene di alzarsi e lasciare un po’ prima del solito la biblioteca per oggi. Ha tutto il materiale che gli serve per leggere in pace sdraiato sul suo letto.
 
*
 
Alba del dodicesimo giorno a Westwego.
 
Nel buio della sua stanza, Dean fissa l’orologio sul suo polso: sono le quattro e mezzo del mattino e sarà già un’ora che si rigira in quella sottospecie di letto senza trovare pace.
 
Se non avesse il sentore che c’è davvero qualcosa sotto a tutta questa storia se ne sarebbe già andato, lo sa, ma è ancora lì solo perché è convinto che se suo padre gli ha affidato questa cosa c’è un motivo e sicuramente qualcosa non funziona in quelle persone, ma Dean non riesce a trovare e a capire cosa di preciso e tutto questo lo rende nervoso ed irrequieto.
 
Oltretutto, quel maledetto figlio di puttana continua ad essere desaparecido e tutto questo non è un buon segno e lo fa stare in pensiero.
 
Ha questa sensazione addosso, questa… idea che suo padre si stia cacciando nei guai – o che comunque ne avesse tutta l’intenzione quando l’ha salutato – e non riesce a togliersela dalla testa.
 
Non sa qual è la cosa più giusta da fare, ma di certo non può cercarlo da solo, o forse è meglio dire che non vuole [6], però telefonare a Sam è un rischio che non sa se si sente di correre perché potrebbe non rispondergli e Dean non può permetterselo.
 
Sono già due anni che non lo vede e non lo sente e, per quanto ne sa, Sam potrebbe essere cambiato così tanto da riconoscerlo a stento. Forse è troppo presto per coinvolgerlo e richiamarlo all’ordine, ancora non se la sente… anche perché non sa neanche se si tratta di un vero allarme. Non è sicuro di niente.
 
Rigira il cellulare tra le dita e scorre con gli occhi la rubrica; non trova neanche un nome che potrebbe dargli aiuto – suo padre ultimamente ha sempre viaggiato in solitaria e nessuno dei suoi amici o presunti tali potrebbe avere la minima idea di dove trovarlo, ne è certo – e lo pensa finché non arriva alla lettera E, quando quelle cinque lettere gli si parano davanti.
 
Si morde il labbro inferiore, inquieto. Si tira su a sedere sul letto e un’idea non lo abbandona.
 
Sa di essersi comportato da idiota con lei, che non ha fatto niente per dirle quanto si sbagliava e quanto stesse parlando a vanvera quel dannato giorno, ma non c’è nessun’altra persona che potrebbe chiamare in questo momento e deve tentare, deve cercarla e provare a farsi aiutare, almeno da lei. Al limite lo manderà a quel paese. Non è la prima volta che qualcuno lo fa e sicuramente non sarà neanche l’ultima – lei stessa gli ha detto cose ben peggiori –, ma vale la pena tentare.
 
Inspira forte e preme il tasto verde con non poca incertezza – il pollice che trema appena e il cuore che batte a mille per l’agitazione – e si porta il cellulare all’orecchio; la segreteria lo informa che il telefono di Ellie è spento o non raggiungibile e non c’è da stupirsi: in fondo è quasi l’alba e Dean spera vivamente per lei che stia dormendo, che si stia riposando e non sia insonne come lui. E forse, poi, è anche meglio così, almeno può parlare senza essere interrotto. O senza che gli riattacchi il telefono in faccia. Non è certo che quello riuscirebbe a sopportarlo.

«C-ciao Ellie, sono… sono Dean. Spero che questo sia ancora il tuo numero, perché… beh, so perfettamente di essere l’ultima persona che vorresti sentire, ma… ho un problema e vorrei il tuo aiuto. Sono a Westwego, in Louisiana, e c’è… c’è un caso che mi sta facendo vedere i sorci verdi. Se deciderai di venire ti… ti spiegherò tutto, ma ho bisogno di una mano e non te lo chiederei se non fosse importante. Ricordo che mi avevi detto di non cercarti più, ma… » non ho nessun altro a cui chiedere e sono stanco di stare da solo. Non fa in tempo a dirlo – e questa forse è una fortuna – perché un bip prolungato lo informa che non può registrare altro e chiude la conversazione pigiando il tasto rosso e stringendo il cellulare tra le dita, gli occhi chiusi e le palpebre strette.
 
Si sdraia di nuovo a pancia in su e fissa il soffitto, una mano sulla fronte e una marea di pensieri a ronzargli per la testa. 
 
Non gli importa se la sua voce risulterà ad Ellie leggermente disperata, non gli interessa di nulla. Ha solo bisogno di aiuto e tanta voglia di rivederla.
 
*
 
Prende fiato ancora una volta in quella stanza buia e così diversa da tutte quelle che cambia continuamente fin da quando era un ragazzino: le tende chiare e sottili, il legno scuro del comò e il letto di ferro battuto, le lenzuola candide e il profumo di donna misto a quello di pulito, qualcosa che dà a quel posto l’aria di casa che Dean non potrà mai sentire arrivargli alle narici, non in occasioni diverse da questa.
 
Ascolta il respiro della donna che siede su di lui, il volto arrossato e i capelli spettinati, mentre si muove seguendo il ritmo del suo desiderio.
 
E’ notte fonda e Dean si era stancato di cercare e scavare in archivi che non lo stavano portando a niente e così ha deciso di uscire, per svagarsi un po’ e cercare di liberare la testa dai pensieri sempre più ingombranti che la stavano affollando.
 
Quella tipa sembrava così sola quando l’ha incontrata, seduta ad un tavolino poco distante dal bancone e dal suo sgabello e, quando gli si è avvicinata con la scusa di ordinare un altro Cosmopolitan, gli è sembrato naturale provare ad attaccare bottone e ne era quasi contento.
 
Non sa dirne il motivo, sa solo che si è ritrovato in quel bar per caso, così solo da far schifo e profondamente desideroso di fare le cose che gli riescono meglio: ubriacarsi e rimorchiare. La prima stava andando in porto brillantemente quando quella tipa si è avvicinata per poi tendergli la mano e presentarsi dopo pochi minuti  – il suo nome inizia con la lettera K, ma non lo ricorda con precisione, era qualcosa come Karen o Kim – e aveva cominciato a parlare di tutto e di niente. Dean, per la verità, non si ricorda neanche una parola di quello che gli ha detto, neanche il lavoro che fa, ma poi lei l’ha invitato a casa sua e lui non ha saputo dirle di no, perché è quello che ha sempre fatto quando una ragazza glielo ha chiesto.
 
Solo dopo si è accorto di quanto aveva sbagliato stavolta, perché, molto più di altre volte, in quella tipa stava solo cercando consolazione, voleva vedere un’altra in lei.
 
La guarda mentre lei scende più verso il suo viso e la bacia distrattamente, pensando ad altre labbra meno carnose e ad altre braccia, più sottili e più accoglienti e gli sembra di rivederla mentre lo osservava dapprima impacciata e insicura, quando si sono rotolati tra le lenzuola in quella che forse più di tutte ha assunto la parvenza di casa nella sua vita. Almeno dopo Lawrence.

La tipa si alza su di nuovo, le mani sul suo petto; Dean la scruta ancora e non c’è niente in lei che gli ricordi Ellie, nessun lineamento del viso – più allungato rispetto al suo –, né il profumo – un aroma particolare, qualcosa che sa di fragola e caramelle – o i capelli che sono mori e ricci, niente, eppure è con lei che si trova adesso Dean, almeno in qualche parte della sua mente.

Sono già passati tre giorni da quando le ha lasciato quel messaggio in segreteria e lei non ha richiamato né risposto in nessun modo, niente, nessun segno di vita e l’ha lasciato da solo – ancora – a crogiolarsi tra pensieri e paure.
 
Ellie non tornerà più da lui, ormai ne è certo, e forse è per questo che è finito in quel bar stasera, mettendosi a cercare qualcosa nel fondo di un bicchiere e ritrovandosi poi a continuare la ricerca nel luogo dove vive quella sconosciuta e proprio non capisce come ha fatto ad arrivare a questo punto, come chissà quanti altri, così stupidi e ingenui da pensare che se una donna non ti vuole o le fai del male basta infilarsi tra le cosce di un’altra per rimpiazzarla o dimenticarla.
 
Non è così, ora Dean lo sa. Lo capisce mentre sposta la mano destra di quell’estranea portandosela sopra il cuore e la stringe, chiudendo gli occhi e immaginando che sia qualcun’altra a farlo.
 
La vede ancora, quei perfetti occhi blu – e la luce che vi era dentro Dean non l’ha trovata in nessun’altra delle donne che si è fatto dopo – e quel sorriso meraviglioso, sereno e così a suo agio mentre lo guardava decisa e quella manina sottile lì sopra in un gesto che Dean non ha mai compreso fino in fondo, ma che vorrebbe risentire addosso.
 
Gli manca tutto di Ellie. Darebbe tutto quello che ha pur di risentire il suono della sua risata o di specchiarsi un’altra volta nei suoi occhi sinceri, per incontrarla di nuovo e provare ad aggiustare le cose, a recuperare quello che ha perso.
 
Il bisogno che ha di rivederla è qualcosa di profondo e talmente radicato dentro di lui che vorrebbe ci fosse lei al posto di quella sconosciuta adesso, così tanto che finisce su di lei e chiude ancora gli occhi mentre la bacia con foga e quasi sembra convincersi che ci sono le labbra che desidera a rispondergli e ad assecondarlo.
 
Lei gli stringe un braccio con la mano libera, un gesto che lo costringe a guardarla e, quando lo fa, non distingue più i tratti del viso di quella ragazza da quelli di Ellie, la vede distintamente e perde ogni controllo, muovendosi più velocemente. Scende a baciarle il collo e spinge più a fondo mentre stringe più forte la sua mano finché non si lascia andare, accasciandosi su di lei con il fiato corto.
 
Si tira su a guardarla dopo un’infinità di tempo ed è deluso quando trova due iridi marroni a fissarlo, un colore molto simile alla sabbia ma così lontano e diverso dal mare profondo e sconfinato che si aspettava, quasi fosse riuscito ad illudersi che Ellie fosse lì davvero.
 
Tante volte, nell’ultimo anno, gli è capitato di scolarsi un’intera bottiglia di whiskey e di consolarsi con una delle tante puttanelle che incontra nelle vecchie bettole di passaggio. In questo non c’è niente di strano, è quello che ha sempre fatto da… beh, più o meno dopo aver passato il periodo della pubertà, quando Sam era abbastanza grande da badarsi da solo per qualche ora e suo padre non gli stava così tanto addosso da permettersi di riservarsi una stanza da qualche parte e spassarsela con chi gli capitava a tiro. Quello che non gli era mai successo finora, però, era di essere talmente ubriaco da addirittura immaginarsi quella che desidera con tutto se stesso al posto di un’altra di quelle donne qualsiasi che gli capita di scoparsi quando ne ha voglia. Deve aver davvero toccato il fondo.

Si sdraia a pancia in su fissando il soffitto, confuso e distratto, e non fa niente mentre quella tipa si muove e gli si avvicina; neanche se ne accorge finché non ritrova la testa di lei sul petto, ma non l’abbraccia, non fa niente, il braccio destro sotto la testa e l’altro abbandonato al suo fianco, proprio sotto di lei.
 
Avrebbe dovuto notarlo prima: quella ragazza, qualunque sia il suo nome, non stava cercando qualcosa di così diverso da lui. Il suo scopo non era tanto quello di mettersi in mostra – anche se la prorompente scollatura della sua maglietta aderente diceva il contrario –, ma essere notata da qualcuno di simile, attrarre un uomo che sentiva le stesse cose, la sua stessa solitudine. Ma Dean era troppo distratto per badarci, gli occhi troppo annacquati per distinguere un dolore diverso – anche se non troppo – dal suo e non ci ha prestato la minima attenzione.

«Te l’hanno mai detto che sei una forza della natura?» quelle parole lo distolgono da quei pensieri e Dean sorride appena, ma non è compiaciuto come sarebbe di solito dopo un complimento del genere; il suo sorriso è più spento, più tirato, solo una smorfia poco duratura sul suo viso stanco.
 
Continua a non guardarla, il soffitto sembra improvvisamente molto più interessante di lei che gli sposta il viso, costringendolo a incrociare i suoi occhi e quella carezza non richiesta – la sua mano che percorre con lentezza il suo zigomo, soffermandosi un po’ di più sul contorno del suo volto – lo destabilizza per un istante. Lei sembra avere l’intenzione di voler leggere chissà cosa dentro di lui, magari di vedere se anche Dean sa essere affettuoso – per quanto lo si possa essere dopo una scopata di cui non rimarrà niente domani se non le lenzuola umide e il ricordo del divertimento passato –, se sa – o forse è meglio dire vuole – regalare un po’ della tenerezza che lei sta cercando di mostrargli e gli si avvicina un po’, forse per dargli un altro bacio.
 
Qualsiasi cosa voglia, però, anche fosse sentire un po’ di calore extra sulla sua pelle, Dean sa di non essere in grado di donargliela così si scansa e si mette seduto dandole le spalle, improvvisamente scocciato dalla sua presenza.
 
Ha deciso che vuole stare da solo adesso, ubriacarsi di nuovo e magari risvegliarsi tra qualche giorno per ricominciare ancora. In fondo, tutte le persone più importanti della sua vita lo hanno abbandonato, forse perché è così che si merita di stare: da solo.
 
Si infila i vestiti velocemente e si alza senza rivolgere neanche lo sguardo alla tipa che non fa una mossa; rimane in silenzio ad osservarlo andarsene e, quando è sulla soglia della porta, Dean stringe lo stipite e si volta appena, intenzionato a chiederle scusa forse, perché nonostante non sia proprio quello che si definisce un gentiluomo con quelle che si sbatte, non è comunque da lui comportarsi così, ma è talmente destabilizzato da quello che gli è successo stanotte che non ha intenzione di restare un momento di più. Oltretutto, non è riuscito a chiedere perdono quando doveva a chi avrebbe voluto sentirselo dire, perciò non ha alcuna importanza farlo con quella lì – in fondo non ha poi fatto niente di così diverso da quello che fa di solito anche con altre – quindi non dice niente, si limita solo ad andarsene sbattendosi la porta alle spalle.
 
Cammina a lungo fino alla sua stanza di motel, inconsciamente grato a se stesso di non aver portato la sua piccola con sé e sta per infilare le chiavi dentro la serratura dell’uscio della sua stanza quando, con la coda dell’occhio, si accorge della presenza di una figura seduta su una delle panchine di plastica bianca situate tra una porta e l’altra di due stanze non tanto distanti dalla sua.
 
Nella penombra Dean non riesce a distinguerla, ma i sensi si amplificano e scattano quando questa si alza e sembra andargli incontro. Mette prontamente una mano dietro la schiena e rimane quasi deluso quando si accorge di non avere la pistola con sé. Stringe forte gli occhi per un secondo e sbuffa appena; che coglione.
 
La sua pistola, una delle poche compagne fedeli che può vantare di avere, abbandona raramente il dietro dei suoi pantaloni, ma stasera non se l’è portata appresso, forse perché non ci si aspetta un assalto dopo una notte di sesso, anche se lui è un cacciatore e dovrebbe essere preparato in ogni occasione se qualcosa ha intenzione di attaccarlo, perché potrebbe succedere in ogni momento – soprattutto in una città dove ha ancora un potenziale caso da risolvere –, ma semplicemente non ci ha pensato e sperava di concludere la serata in un letto invece che doversi difendere da qualcosa o qualcuno.
 
Ha ancora dei residui della sua sbronza e non si sente tanto pronto in caso questo qualcuno che si sta avvicinando con passo lento voglia fargli la pelle. Pazienza, almeno andrà all’Inferno appagato – più o meno – dopo una scopata comunque degna di nota.
 
La figura gli si avvicina ancora e solo quando la luce del lampione alle sue spalle le illumina il viso la riconosce: la pelle candida e i capelli castani e mossi, gli occhi blu assolutamente perfetti e limpidi e un sorriso appena accennato.
 
«Ciao Dean».
 
[1] Citazione dall’episodio 6x13 “Unforgiven”: Dean lo dice quando sta discutendo con Sam sulla sua decisione di scavare a fondo ad un caso a cui aveva già indagato quando non aveva la sua anima.
[2] Nel “Pilot”, Dean dice che, quando suo padre è scomparso, stava lavorando ad un caso a New Orleans. Dato che, però, più che di grandi città, Supernatural racconta storie più di provincia, ho pensato che come ambientazione per questo caso non fosse sbagliato utilizzare una cittadina non tanto lontana da New Orleans, più in periferia. In fondo, nessuno ci ha mai dato informazioni precise a riguardo.
[3] Cognome di origine francese; la scelta deriva dal fatto che in Louisiana molti degli abitanti hanno origini di questo tipo.
[4] Il nome della scuola e la sua ubicazione nella città di Westwego sono frutto della mia fantasia.
[5] Queste elencate non sono altro che le informazioni che Dean illustra a Sam quando va a prenderlo a Stanford per convincerlo ad andare a controllare cos’è successo al loro padre.
[6] Citazione più o meno manovrata a mio piacimento dal “Pilot”: Dean dice queste parole a Sam quando va nel suo appartamento a Stanford e gli racconta cos’è successo con/a John.

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Capitolo 24
*** Sad eyes ***


Note: A quanto pare ogni settimana mi riduco più all’ultimo momento per ridare una letta alla roba che ho scritto, ma voi siete bravi e pazienti e mi perdonate… giusto? *incrocia le dita sperando di avere una risposta positiva* XD
A questo proposito, comincio subito col dire che se trovate qualche svista o imprecisione siete pregati di segnalarmela, perché è stata una lunga giornata ed ho gli occhi ridotti a due fessure per la stanchezza. Non volevo lasciarvi un altro giorno ad aspettare, però, così mi sono data una mossa per rileggere tutto, ma l’errore potrebbe esserci scappato, perciò… siate bravi e datemi una manina se ne scorgete uno, please :D
Spero che siate tutti entusiasti per il ritorno di Ellie (scrivere i capitoli senza di lei per me non è stato semplice, lo ammetto, perché mi è mancata un sacco ç_ç). Anche lei ha qualcosa da raccontare sul suo ultimo anno, ma non vi anticipo nulla per non rovinarvi la lettura.
Per quanto riguarda il caso, vi dico che questo qui sarà quello che occuperà il maggior numero di capitoli di “Wash away”. E’ stato così lungo da farmene sdoppiare uno, perché originariamente i capitoli erano ventisette, non ventotto, ma il caso in questione ha richiesto più pagine e quindi un ulteriore dimezzamento. Spero di non aver combinato casini, che come sapete è la cosa che mi terrorizza di più (insieme all’idea di mandare OOC i personaggi).
Per me è bellissimo e sconvolgente vedere che, nonostante la storia sia quasi alla fine, c’è ancora qualcuno che la nota e che decida di seguirla, perciò saluto con la manina i nuovi arrivati e invito come sempre i lettori silenziosi – insieme a quelli abituali, ovviamente, che non è assolutamente mia intenzione snobbarli! :P – a lasciare un commentino per dirmi che ne pensano. Leggere le vostre parole a me fa sempre più che piacere :D
Vi abbraccio fortissimo e mi auguro che la lettura sia di vostro gradimento… a presto! :*
 
Capitolo 24: Sad eyes
 
Everyday here you come walking
I hold my tongue, I don’t do much talking
You say you’re happy and you’re doin’ fine
Well go ahead, baby, I got plenty of time
Because sad eyes never lie
 
(Sad eyes – Bruce Springsteen)
 
 
Uno come Dean dovrebbe essere abituato alle sorprese, con tutto quello che vive ogni giorno. Il suo stesso lavoro poi, sempre pieno di imprevisti e delle cose più inaspettate, dovrebbe averlo forgiato e allenato ad ogni tipo di evento, persino il più inatteso, ma forse non è abituato a quelli belli, alle cose positive che la vita, a volte, decide di regalargli.
 
Per questo se ne sta lì, i piedi ben piantati a terra e lo sguardo appena confuso, fermo come il peggiore dei deficienti e incapace di srotolare la lingua e dire ad Ellie qualcosa di sensato dopo aver atteso per un anno intero che tornasse da lui. Forse perché l’ha aspettata così tanto, facendosi mille film mentali e fissando il soffitto per ore pensando a quello che avrebbe potuto dirle una volta che se la sarebbe ritrovata davanti. L’ha fatto fino a non sperarci più, invece eccola qui, proprio di fronte a lui che la fissa come un imbranato in cerca delle parole giuste.
 
Lei sorride appena «Che ti è successo, il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Dean scuote la testa e deglutisce a vuoto, cercando di allentare il nodo alla gola. «No, solo che… non ti aspettavo più».
Ellie alza appena le spalle «Mi sa che tu e la pazienza siete tipo… due universi paralleli. Ero a Washington, ci vuole un po’ da lì» Dean annuisce e già non saprebbe più che cosa dire, paralizzato com’è dall’emozione che sente. Per di più, si è accorto di avere il cuore a tremila e non sa da quanto tempo non lo sentiva battere così forte. «Allora, mi fai entrare o no? Non credo sia una buona cosa parlare di mostri alle tre del mattino qui davanti».
 
Dean annuisce ancora, pensieroso, ed infila la chiave nella serratura, facendola scattare; apre la porta e fa passare Ellie che si guarda intorno, curiosa.
 
La osserva con attenzione e la prima cosa che gli salta agli occhi è che ha i capelli molto più corti di come era solita portarli: le scendevano lungo la schiena, fino a metà, mentre ora le arrivano praticamente alle spalle. Deve ammettere che le stanno bene, ma prima erano più belli e non sa perché sente il bisogno di farglielo notare. «Che fine hanno fatto i tuoi capelli da Raperonzolo?»
Ellie si volta, un sorriso abbastanza spontaneo – ma completamente diverso da quelli a cui Dean era abituato – a ridisegnarle le labbra. «Li ho tagliati… da un po’, a dire il vero. Prima erano anche più corti».
«Un cambiamento radicale» lei annuisce «Ti… ti stanno bene, ma mi piaceva di più come li avevi prima».
A quella battuta, il sorriso di Ellie svanisce, rimpiazzato da una smorfia ironica. «Scusa se te lo dico, ma non devono piacere a te».

Non più, almeno. E’ sicuro che Ellie lo sta pensando e in fin dei conti non può darle torto, però… era abituato a dirle sempre il suo pensiero e non ha saputo trattenersi. Forse dovrà imparare a farlo se vorrà riaverla con sé, o forse dovrà semplicemente comportarsi come ha sempre fatto e sperare che Ellie si decida a perdonarlo, a dargli un’altra possibilità. In fondo non chiede altro.
 
D’istinto alza le mani in segno di resa e nasconde l’amarezza dietro uno dei suoi soliti sorrisi. Ormai crede di non saper fare altro.

Ellie continua a guardarsi intorno rimanendo in piedi, proprio accanto al letto e adesso gli sembra che sia un po’ in imbarazzo o qualcosa del genere, così la invita a mettersi comoda e a sedersi; Ellie lo asseconda dopo qualche istante di titubanza e si siede sul divano, senza però togliere la giacca verde che indossa, gli occhi puntati sulla bottiglia aperta e mezza vuota di whiskey poggiata sul tavolo accanto alla porta. Dean lo nota ma non dice niente e lei fa altrettanto.
 
«Non ho molto da offrirti, solo… quella» indica proprio quella bottiglia «O della birra» e, a prescindere dalla sua risposta, non ne prenderà una per lui. Ha già bevuto abbastanza stasera e sente che quel poco di lucidità che gli è rimasta non può sprecarla.
Ellie scuote la testa «Non mi va niente, ma grazie».
 
Dean stringe le spalle e si siede vicino al bordo del divano. Per quanto vorrebbe mettersi accanto a lei, non gli pare il caso di “accorciare” le distanze: non si sa mai come potrebbe prenderla Ellie visto che non la vede da una vita e l’ultima volta non sembrava tanto propensa ad una qualche vicinanza; appoggia i gomiti sulle ginocchia ed allunga un po’ la schiena in avanti, le mani congiunte di fronte a lui. Volta la testa e la guarda negli occhi; è ancora un po’ agitato «Allora—»
«Ho… ho sentito il tuo messaggio l’altro giorno e sono venuta il prima possibile» Dean annuisce ed abbassa lo sguardo, senza sapere bene cosa rispondere. «Hai avuto problem—»
«Beh, sì. Mi sembrava di avertelo spiegato» non sa perché gli viene da essere acido… o forse sì. Magari perché vorrebbe almeno chiederle se sta bene e come se la passa e poi parlare del caso, invece lei, a quanto pare, vuole subito discutere di quello.
«Sì, ma… mi hai detto che mi avresti raccontato tutto quando ci saremmo visti».
 
Dean rimane in silenzio per qualche istante, pensando a cosa risponderle. Effettivamente Ellie ha ragione – e Dean odia questa cosa – solo che, davvero, parlare di lavoro è l’ultima cosa che vuole fare ora che è tardi e lei è solo ad un passo ed avrebbe tante cose da chiederle, tante… domande da farle, ma visto che lei ha intenzione di mantenersi sul livello professionale, Dean farà lo stesso, ma la giocherà a modo suo.
 
«Se la metti così… » si muove appena sul divano, accomodandosi meglio «In pratica due ragazzi che si conoscono solo di vista hanno avuto un po’ troppa fortuna negli ultimi tempi. Il problema è che non sembra un vero caso, insomma non ha… non ho nessuna prova che questa botta di culo enorme che hanno avuto ultimamente sia dovuta a qualche stregoneria o qualcos’altro, non ho trovato uno straccio di niente».
«Hai guardato—»
«Negli archivi delle scuole che frequentano, giornali, articoli, ho letto tutto il leggibile su di loro» Dean enumera l’elenco con le dita e si sente anche un po’ snob nel parlare in questo modo, ma le sta solo dando quello che cerca, il motivo per cui è qui. «L’unica cosa che li lega è che erano entrambi degli sfigati cronici e conoscono una ragazzina che non ha fatto niente di male al momento, quindi non so neanche se c’entra davvero qualcosa oppure no» prende fiato e punta gli occhi nei suoi, gli stessi che non sa per quante notti ha sognato di rivedere, e lei fa altrettanto, risoluta ed attenta ad ogni parola «Tutto il resto, se non ti basta il riassunto, te lo mostrerò domattina».
 
Ellie annuisce, storcendo leggermente un angolo della bocca, visibilmente pensierosa. Alza le spalle «Ok, possiamo parlarne meglio domattina» forse ha capito che non è il momento di allungare questo discorso; Dean si rilassa un attimo di troppo al sentirle dire queste parole e non è pronto per la domanda successiva «Ma… posso sapere perché hai chiamato proprio me?» sbatte le palpebre, nervoso, e lei lo fissa in modo troppo intenso. E’ chiaro che non si fermerà ad una risposta poco chiara o ad una bugia, quelli sono gli occhi di chi vuole sapere la verità «Insomma, c’era Bobby, o… o tuo padre».
 
Dean sapeva che questo momento, prima o poi, sarebbe arrivato se lei si fosse presentata e sapeva altrettanto bene che parlarle della faccenda che lo preoccupa maggiormente non sarebbe stato così semplice. Non tanto perché non ne ha la completa certezza, ma perché sa benissimo che Ellie non è proprio una fan di suo padre e avrebbe tutti i motivi del mondo per mandarlo al diavolo dopo quello che sta per dirle, ma ora che è qui – e Dio solo sa quanto sia felice di ritrovarsela davanti dopo tutto questo tempo – gli sembra giusto rischiare e raccontarle tutto quanto.
 
Prende un bel respiro, stringendo le mani tra di loro «Io… io non vedo mio padre da quando sono qui. E’… è sparito e sono un po’ preoccupato».
Ellie stringe un po’ gli occhi «Quindi mi stai dicendo che non sapevi a chi altro rivolgerti».
Dean sospira forte, sempre più irrequieto. Che cazzo, ma perché deve farla sembrare una cosa tanto difficile? «Mi avevi detto di non volermi più vedere, quindi—»
«Infatti era così».
«E allora perché sei qui?» come ha fatto a far uscire dalla bocca una domanda del genere – per di più così a bruciapelo – è un mistero, ma ormai non può rimangiarsela.
Ellie deglutisce e inspira forte, abbassando lo sguardo per un singolo istante, poi lo fissa di nuovo «Perché ho capito che avevi bisogno di aiuto. Non mi hai detto molto altro, solo che ti serviva una mano, perciò… perciò sono venuta fin qui» sospira appena, come se stesse cercando di placare una rabbia interna o qualcosa di simile «Comunque… tuo padre è un cacciatore, quindi dovresti sapere meglio di me che persone come lui scompaiono sempre e poi tornano sempre».
«Non così a lungo». [1]
Ellie accavalla le gambe fasciate da un paio di jeans blu scuro e fa un sospiro. Non sembra troppo preoccupata e, davvero, Dean può capirla, vorrebbe solo che si mettesse nei suoi panni per un attimo e pensasse a come può sentirsi lui in tutta questa storia. Lo conosce abbastanza da poterlo immaginare «Non lo so, Dean… ho visto sparire papà così tante volte che ad un certo punto ho smesso di farmi prendere dall’ansia, ma se sei convinto che sia disperso… »
«Non lo so, io… lo sento. Non è una cosa certa, è solo una sensazione che ho addosso. Può darsi che mi sbaglio, ma comunque sia prima devo chiudere questo caso qui» e non sono riuscito a combinare niente negli ultimi giorni, avrei seriamente bisogno di una mano. Sarebbe bello dirglielo e provare a tornare come erano una volta, sinceri l’uno con l’altra e pararsi il culo a vicenda.
 
Dean sarebbe disposto a farlo, sarebbe pronto a ricominciare da capo come se niente fosse successo, facendo anche finta che quella fastidiosa fitta che sente all’altezza del petto quando ci pensa non esista. Non sa se ci riuscirebbe, ma sarebbe pronto a provarci perché sa che ne vale la pena. Riavere Ellie, anche se non nel modo in cui la rivorrebbe lui, andrebbe bene. Se lo farebbe andare bene di sicuro.
 
Ellie arriccia le labbra. «Quindi tu pensi che si tratti di stregoneria?»
«Non lo so, forse. Qualcosa del genere».
La guarda mentre lei annuisce, le labbra strette in una linea sottile, visibilmente pensierosa. «Ok, ti aiuto a risolvere qui, intanto, e… e poi posso provare a cercare di capire la cosa di tuo padre se non dovesse farsi vivo. A patto che sia sparito per un motivo. Più di così non posso fare».
 
Dean annuisce; le è davvero grato, ma non sa come farlo trasparire – o ringraziarla, in qualche modo – così annuisce, un debole sorriso sulle labbra.
 
Ellie si accomoda meglio sul divano, spostando la schiena più in basso, chiude gli occhi e sospira passandoci poi sopra le dita di entrambe le mani – affusolate e femminili, proprio come Dean le ricordava – e a vederla così crede che sia davvero stanca, a giudicare da come si sta rilassando. Anzi, sembra distrutta, forse non solo dal viaggio. 
 
«Come sei arrivata fin qui?»
Ellie riapre gli occhi, appoggia le mani in grembo e lo guarda «Con la macchina» e Dean sorride divertito, ripensando a quando ne aveva rubata una per andare a caccia di lupi. Lei se ne accorge «So a cosa stai pensando, ma no» gli sorride appena «Non l’ho rubata a nessuno stavolta».
«E di chi è allora?»
«Di Bobby. Me l’ha prestata mesi fa».
 
Dean abbassa lo sguardo quasi di riflesso. Bobby Singer è praticamente un padre per lui eppure non lo sente da quando ha discusso con John, non si sa per quale motivo preciso. Più volte ha pensato di telefonargli, ma senza poi riuscire a farlo. E’ da vigliacchi e da idioti, questo Dean lo sa, ma proprio non gli va di finire in mezzo a questi casini. Quando si risolverà tutto, quei due torneranno amici come e più di prima e Dean sarà ben felice di chiamarlo e andarlo a trovare di nuovo, ma per ora è bene tenersi alla larga.
 
«Da quanto non lo vedi?» Dean alza nuovamente gli occhi e il suo sguardo indagatore ancora una volta non lascia spazio alle bugie. Gli sembra assurdo: Ellie è qui da neanche mezz’ora e gli ha già strappato dalla bocca più cose di quanto siano riusciti a fare altri in una vita intera. «Oh, avrei dovuto immaginarlo… da quando tuo padre ci ha discusso, scommetto».
Dean stringe gli occhi «Tu come—»
«Faccio a saperlo? Perché io continuo a sentirlo per telefono. Cosa che tu evidentemente non fai perché sicuramente hai ancora lo stesso brutto vizio che avevi, quello di fare tutto quello che ti dice tuo padre».
Dean sospira. Non se la ricordava così irritante. O forse è perché gli sta dicendo la verità – o perlomeno una parte –, per di più con un tono che non gli piace per niente e questa cosa gli dà particolarmente fastidio. La guarda male «Tu hai ancora quello di essere così… così maledettamente sincera».
Ellie fa spallucce «Non sono cambiata molto in tutto questo tempo».
«Invece non ti farebbe male mentire ogni tanto. Potresti almeno provarci».
 
Lei si gratta distrattamente dietro la nuca senza rispondergli e Dean scuote la testa, sempre più irrequieto; ripensa a quello che gli ha detto quando è entrata, al fatto che sia arrivata da Washington ed ora la osserva come colto da un’improvvisa illuminazione. «Perché eri a Washington?» lei lo guarda per un istante e Dean non le dà il tempo di rispondere «Sei… sei tornata a casa tua, non è così?» Ellie sembra un po’ titubante, come se avesse paura a replicare o qualcosa di simile, ma poi annuisce. Ha lo sguardo triste di chi ha una vecchia ferita che sanguina ancora prepotentemente.
 
Tiene gli occhi bassi per un istante e sorride amara prima di rialzarli «Diciamo che l’ultima volta che l’ho visto, papà è stato così gentile da dirmi di rimettermi a fare quello che mi riusciva meglio ed io l’ho accontentato: sono tornata a Buckley ed ho ricominciato a fare la cameriera. Almeno non potrà dire che non sono una figlia obbediente».
Dean la guarda ancora negli occhi, aggrottando le sopracciglia. «Mi dispiace».
«No, non fa niente. E’ una cosa superata ormai» mente, è troppo disinvolta mentre lo dice e Dean sa quanto ha faticato per cercare di trovare un equilibrio con quell’uomo, di instaurare un rapporto e se pensa di prenderlo in giro si sbaglia di grosso. «E poi tu me l’hai sempre detto».
«Sì, ma speravo di sbagliarmi».
«Non è stato così».
Dean la guarda ancora, collegando nella sua testa alcuni dei tanti pezzi del grosso puzzle generato da un anno di rapporti ridotti a zero e di lontananza «Quindi hai smesso di cacciare?»
Ellie annuisce. «Lo facevo per lui. Non aveva senso continuare da sola» stringe le spalle ancora una volta «Perciò non aspettarti grandi cose da me. Sarò sicuramente arrugginita e non è che io abbia fatto chissà quali progressi da quando non ci vediamo, ma se ti accontenti… »
Dean, a sentire quelle parole, vorrebbe tanto urlarle quanto è cretina perché lo sa fin troppo bene cosa si nasconde dietro a quello stupido discorso, cos’è quella specie di… anticipazione degli eventi futuri.
 
Dovrebbe saperlo – anche se Dean da molto tempo nutre più di qualche dubbio, visto tutto quello che gli ha detto prima di andarsene – che non la considera una fallita o una persona inutile, perciò quella premessa – che Dean trova veramente fastidiosa – è del tutto superflua. Anzi, non era proprio necessaria, e deve trattenersi moltissimo per non dirle quello che pensa. E’ a tanto così dal farlo.
 
«Certo che sì, Ellie. Dovresti saperlo» suona forse un po’ più incazzato di quanto vorrebbe, ma non gliene frega un fico secco. E’ ora che Ellie capisca davvero qual è il suo pensiero e come stanno le cose, come la pensa lui. 
 
Dean sa benissimo che approfitterà di questi giorni – sperando che siano il più possibile – insieme a lei per provare a chiarire la situazione – perché, cazzo, ora che è ad un passo da lui non può lasciarsi sfuggire l’occasione e magari perderla un’altra volta – e parlare di quella storia, perciò non vuole neanche nascondere troppo quello che sente, perché con Ellie è sempre stato se stesso e non vuole cambiare atteggiamento proprio adesso.
 
Lei si alza dal divano e stringe le labbra in una linea sottile. «Io… ti lascio dormire, mi sembri stanco».
Anche Dean si alza con uno scatto «Prendi pure il letto. Dormirò qui sul divano» ma lei scuote la testa «Non ce n’è bisogno. Ho preso una stanza mentre ti aspettavo… è qui accanto, la numero quindici».
 
Ricominciamo con le stanze diverse… che culo, non vedevo l’ora.
 
Annuisce un po’ sconsolato – non è neanche arrivata e già si è attrezzata per la notte, a quanto pare ha intenzione di passare con lui il minor tempo possibile – e lei si avvicina alla porta. Si volta ed abbozza un sorriso verso di lui «Allora… ci vediamo domattina».
Dean stringe il labbro inferiore tra i denti e fa un piccolo passo in avanti, quasi involontariamente «Grazie per… per essere venuta fin qui. E’ bello rivederti». Non sa come ha fatto ad uscirgli di bocca una cosa simile… è come se quella parte del suo corpo funzionasse da sola stasera e, per qualche strano motivo, non crede sia un bene, ma forse si sbaglia.
Ellie sorride un po’ più convinta «Spero di poterti essere utile» poi il suo sguardo si rabbuia, diventando appena più triste. «Però non… non farti strane idee. Io sono qui perché avevi bisogno di una mano, nient’altro».
Dean aggrotta un po’ la fronte «Cos—»
«Insomma, non aspettarti che tutto torni com’era. Non ho scordato quello che mi hai fatto» stringe le labbra ed apre la porta «Buonanotte».
 
La chiude prima che Dean possa risponderle qualcosa – tipo che sì, ha sbagliato, ma vorrebbe aver avuto almeno il tempo di spiegarle come stavano le cose – e sospira con la bocca aperta. Di certo non era quello che si aspettava di ottenere, almeno non così su due piedi, ma non è di certo incoraggiante sentirla parlare così un’altra volta.
 
Stringe le labbra, pensieroso, ma poi accenna un sorriso. Sa che sarà un’impresa e le ultime parole di Ellie non sono esattamente rassicuranti, ma stavolta sa quello che vuole e, qualsiasi cosa succederà nei prossimi giorni, è comunque bello sapere che potrà contare sul suo aiuto come un tempo.
 
*
 
Quando la sveglia suona alle sette e un quarto, Dean ha gli occhi aperti da un pezzo. Stira le gambe verso il basso, mugolando qualcosa di indefinito; non ha dormito granché stanotte – o meglio, nelle ore di buio che erano rimaste – ed è stato a lungo a riflettere su quello che è successo.
 
Ellie è nella stanza accanto alla sua e quasi non gli sembra ancora vero. Forse perché è stato così tanto tempo ad immaginare qualcosa di simile che adesso gli sembra strano, quasi surreale.
 
Ha riflettuto a lungo su quello che gli ha detto e sulla piega che deve aver preso la sua vita adesso, lontano da Jim che si è mostrato essere la solita testa di cazzo ma che lei, nonostante tutto, si ostina ancora a chiamare papà.

Dean non se ne stupisce: in cuor suo sapeva che prima o poi sarebbe andata così – perché lui ed Ellie avevano idee troppo diverse e per di più quel deficiente non sa apprezzarla –, ma sperava per lei che riuscisse a trovare un equilibrio con l’uomo che, a prescindere da tutto, l’ha messa al mondo e che proprio per questo dovrebbe almeno cercare di accudirla e starle accanto.  

Dean, comunque, aveva immaginato che Ellie poteva anche aver intrapreso una strada diversa dalla caccia ma, non sa perché, non aveva immaginato che poteva essere tornata a Buckley, anche se forse era la cosa più naturale che potesse fare.
In fondo quella è sempre stata casa sua. Ellie non gliene parlava spesso – salvo rari accenni –, ma Dean ha sempre pensato che era un posto in cui stava bene, che era un po’ la sua dimensione: non tanto grande, accogliente, il tipico paesello dove tutti conoscono tutti ed Ellie forse si è sentita così smarrita da pensare che fosse l’unico posto rimasto che potesse accoglierla.
 
Di certo, se avesse chiamato, lui non le avrebbe chiuso la porta in faccia, ma dopo tutto quello che è successo tra di loro – e soprattutto il modo in cui Ellie gli aveva categoricamente chiesto di sparire dalla sua vita – non si sarebbe mai presa la briga di chiedergli aiuto. La conosce abbastanza da sapere che è così.
 
Solitamente – o almeno per come se la ricorda – non è una persona che rifiuta l’aiuto degli altri o che non lo chiede. Dean ricorda parecchie situazioni in cui gli ha chiesto una mano – a parte l’ultima volta che hanno lavorato insieme, ma tutta quella storia è un altro paio di maniche –, perciò non è il tipo. Questa volta, forse, si è sentita sola ed ha voluto semplicemente tornare nel posto che è stato una casa per lei negli anni in cui sua madre era ancora viva. Non può biasimarla per questo.
 
Non gli sfugge il fatto che ad Ellie, per quanto ne sa, ci è voluto poco per cambiare strada e tornare sulla vecchia via, quella su cui ha sempre marciato, ma non la giudica male per questo. In fondo, nella sua vita è stata più una cameriera che una cacciatrice, una persona comune, come tante altre, senza nessun fardello di gente da salvare o cose da trovare per vendicare l’unica persona che le abbia mostrato un po’ di tenerezza e di bontà. Per lei è sempre stato diverso, un dovere… “ereditato”, qualcosa da fare per stare vicino a suo padre, per conoscerlo. Per questo motivo Dean non la giudica e, anzi, forse in fondo la capisce, perché ha cercato di tornare nel suo habitat, quello che per lui, invece, è la caccia. E’ per questo che comprende il suo atteggiamento e molto meno quello di Sam, che invece se n’è andato per cercare una normalità che non gli è mai appartenuta, che ha mollato gli affari di famiglia per un futuro di carta e inchiostro e nottate perse a studiare per correre dietro ai voleri di professori intransigenti. Questo Dean non riesce proprio a comprenderlo.

Ovviamente ha riflettuto anche su quello che Ellie gli ha detto prima di andarsene a dormire, sul fatto che non deve farsi illusioni. Le parole erano altre, ma il succo, in sostanza, era questo.
 
Se avesse un po’ più di autostima, forse potrebbe credere che stava recitando la parte di quella che è ancora offesa e che invece è tornata in mezzo a tutti i casini sovrannaturali di cui aveva smesso di preoccuparsi perché è stato lui a chiederglielo, che se l’avesse chiamata un’altra persona non lo avrebbe fatto. Ma non è il suo caso, perciò… boh, forse è davvero lì per dovere o magari perché a sentirlo chiedere aiuto piagnucolando come l’ultimo degli imbecilli ha provato pena per lui.
 
Qualunque sia il motivo, non ha importanza perché quello che conta di più è se riuscirà o no a farle cambiare idea.
 
Si riscuote da quei pensieri e si passa le mani sul viso, per poi alzarsi e vestirsi velocemente. Non è certo di ricordarsi per filo e per segno tutte le strambe abitudini di Ellie, ma sicuramente non ha dimenticato il fatto che è una persona mattiniera – anche troppo. Perciò non si stupisce quando va a bussare alla sua porta con la colazione per entrambi in una mano ed il mucchio di fogli che ha “collezionato” in questi giorni di ricerche sfrenate nell’altra e la trova già vestita con una maglietta rossa a maniche lunghe ed un paio di jeans chiari.
 
Lei gli sorride appena «Mi hai letto nel pensiero, stavo per uscire per andar a prendere da mangiare».
Ha gli occhi vispi di chi è sveglio da un po’ «Vorrà dire che domattina offrirai tu».
 
Ellie sorride ancora – non come era solita fare un tempo, sembra un pochino forzata – e lo fa entrare. Lo invita a sedersi e Dean si chiede se la gentilezza che gli sta mostrando è semplice educazione o si comporta così perché vuole davvero farlo. Non crede che stia fingendo, se ne accorgerebbe, ed è visibilmente più tesa di quando passavano il tempo insieme prima di tutto quel casino, ma Dean se la immaginava più fredda, più scostante. Invece, nonostante tutto, si mostra piuttosto tranquilla rispetto a come si aspettava potesse essere il suo comportamento e non sa se questo sia un bene o un male. Forse perché crede che se scoppiasse poi sarebbe peggio; gliene ha dato prova quel maledettissimo giorno.
 
Dean si guarda intorno; quella stanza è praticamente identica alla sua, compresa la disposizione dei mobili: il tavolo vicino all’ingresso, sull’angolo tra le due pareti; il letto sulla destra e non molto lontano dalla porta del bagno, l’armadio addosso alla parete adiacente, proprio accanto alla finestra e il divano vicino al frigo, sull’altra parete. Oltre al colore della carta da parati che qui è un blu scuro mentre quella della stanza di Dean è verde, l’unica differenza è l’ordine. Ellie non è cambiata in questo e questa camera è precisa e a posto, il letto rifatto con cura e il borsone vuoto accanto ad una delle zampe del tavolo. Scommette che l’armadio è pieno dei suoi vestiti che avrà appeso a chissà quale ora del giorno o della notte. Sopra il tavolo c’è solo una barretta di cioccolata al latte e Dean sorride appena nel vederla aperta e scartata, ricordando quante volte Ellie ne mangiava un po’ durante i viaggi molto lunghi, perché diceva che le dava energia e la tirava su. A quanto pare, ha conservato quest’abitudine.
 
Dean ci ha pensato un po’ prima di addormentarsi, a tutta la strada che Ellie ha percorso per raggiungerlo. Non sa se identificarlo come un segno che ancora ci tiene – e che magari è una piccola speranza per appianare i rapporti e provare a riprendersela – o solo senso del dovere. Il fatto è che, anche se si trattasse della prima opzione, Dean non vuole sperarci troppo, perché non ha la più pallida idea di come potrebbe andare a finire questa storia.
 
Si siede sulla sedia e le porge il sacchetto, appoggiando poi il mucchio di fogli da una parte. Adesso vuole fare colazione in pace, poi si parlerà del “caso”, quello a cui lui si diverte a mettere le virgolette perché gli pare tutto tranne che qualcosa su cui ci sia veramente bisogno di indagare.
 
Ellie prende una delle due brioche e la addenta e Dean la osserva con attenzione mentre fa altrettanto, cercando di non dare troppo nell’occhio. A parte i capelli che sono diversi, è proprio come se la ricordava, non è cambiata nell’aspetto: i tratti gentili del viso, il naso all’insù, le piccole lentiggini sugli zigomi e le labbra morbide e delineate; anche fisicamente non è diversa, è magrolina ma non troppo secca o tendente all’anoressia, è… giusta. E’ passato un anno ma, almeno nell’aspetto, a Dean sembra sempre la stessa. E’ tutto il resto ad essere cambiato.
 
Lei lo guarda e questo lo fa tornare alla realtà. «Quindi nell’ultimo anno hai… cacciato, come sempre?»
Dean annuisce «Sì, solita vita. Il lavoro non mi è mancato» beve un sorso di caffè «Tu, invece, hai… una casa lì a Buckley?»
«Un appartamento. L’ho preso in affitto, non me ne posso permettere uno tutto mio. E’ un posto piccolino, ma anche i monolocali costano tantissimo ed io non sapevo per quanto sarei rimasta, quindi non ho voluto spendere chissà quanto per un luogo che non so per quanto mi apparterrà».
«Quindi conti di tornarci».
«Sì. Per venire qui ho preso le ferie, non è che mi sono—»
«E lavori nel posto che era di tua madre?»
 
Dean si accorge solo dopo di quanto possa essere stata indelicata la sua domanda. E’ vero che Ellie prima parlava con lui praticamente di qualsiasi cosa – soprattutto di sua madre, per qualche strano motivo –, ma adesso i tempi sono cambiati e potrebbe non essere più tanto aperta com’era prima.
 
Lei scuote la testa «L’hanno chiuso. Ho saputo che non avevano più tanta clientela ed era più la rimessa che il guadagno» prende un piccolo respiro «Da una parte meglio così. Non… non so che effetto mi avrebbe fatto rivedere la vecchia insegna e tutto il resto».
 
Lo guarda stirando le labbra in una linea sottile e Dean fa altrettanto, scrutando nei suoi occhi. Non si è offesa – per fortuna –, ma sono terribilmente tristi. L’ha notato da ieri sera – quando gli faceva quelle domande sul caso – che abbozza sorrisi come a coprire le magagne che porta dentro di sé. Dean non crede che sarà abbastanza bravo da riuscire ad estrapolare tutte le informazioni che vorrebbe, da scoprire le ragioni per cui ha litigato con Jim ed è rimasta da sola. Non avrebbe neanche tanto diritto ad indagare, questo lo sa bene, ma la sua non è una mera curiosità fine a se stessa, è il modo che ha per aiutarla, per capire perché la bellezza dei suoi occhi è oscurata da tutta quella tristezza.
 
Può solo immaginare quanto le sia mancata sua madre in quei momenti, quante volte abbia sentito il suo profumo e il suo richiamo in ogni via e in ogni più piccolo scorcio, l’eco della sua voce come una foglia trasportata dal vento. Dean crede che proverebbe la stessa sensazione se dovesse tornare a Lawrence, magari proprio in quella casa dove tutto è nato e morto insieme alla sua mamma – la speranza di una vita normale, sicura, sotto un tetto solido fatto di certezze – ed è proprio per questo che ha giurato che non ci metterà mai più piede, per nessun motivo al mondo. [2]
 
Sospira appena e addenta l’ultimo morso della sua brioche «Avrai comunque rivifto delle vecchie conoffenfe».
Ellie sorride – forse perché Dean ha parlato con la bocca piena; lo faceva sempre – e annuisce «Sì, è così. Quando sono partita più di quattro anni fa, non avevo avuto modo di salutare nessuno. Adesso ho potuto recuperare un po’».
 
Dean annuisce, pensieroso. Non aveva minimamente riflettuto sul fatto che Ellie, tra i vecchi affetti che avrebbe potuto ritrovare tornando a casa sua, potrebbe aver rincontrato il suo ex, quello di cui non parlava volentieri. Di lui, Dean non sa neanche come si chiama, solo che Ellie non ci stava bene perché non riusciva a parlarci come avrebbe voluto, ma potrebbe averlo ritrovato e magari…
 
«Allora, che mi hai portato?» la voce di Ellie e il suo sguardo curioso lo distraggono e Dean la guarda, porgendole poi il mucchietto di fogli che ha raccolto negli ultimi giorni di ricerche e letture.
«Qui ci sono i ritagli di giornale che ho conservato, le ricerche su quei due ragazzi, Theo Robinson dei poveri e l’ultimo dei Crawford [3] e—»
«Si chiamano così?»
Dean sbatte le palpebre per un paio di secondi. In questo momento, gli sfuggiva il fatto che Ellie non comprendeva molti dei suoi riferimenti e delle sue battute – perché ovviamente si addormenta ogni volta che punta gli occhi verso una qualsiasi televisione – e gli verrebbe quasi da sorridere nel constatare che non è cambiata, cazzo, neanche di una virgola.
«No, ma… » lei lo guarda con gli occhi grandi e curiosi e Dean sospira appena «Lascia perdere. Leggi e lo scoprirai da sola».
«E tu che farai nel frattempo?»
Dean alza le spalle «Aspetterò qualche tua domanda e che ti venga un’illuminazione».
 
*
 
Il tempo insieme ad Ellie passa che è una meraviglia. O almeno, sembra scorrere molto più velocemente di quando Dean doveva fare tutto da solo.
 
In realtà non ha scoperto niente di nuovo rispetto a quello che lui già sapeva e, purtroppo, non le si è accesa nessuna lampadina che l’abbia portata ad una strada diversa da quelle che anche Dean aveva considerato – stregoneria, patti con i demoni – e, perciò, può solo dire di averla messa in pari con tutte le informazioni che erano già a sua disposizione. L’unica cosa buona – forse – è che non ha dovuto sprecare il fiato per raccontargliele a voce.
 
Lei gli ha prestato il suo computer, dicendogli che potevano provare ad approfondire alcune cose che lui aveva cercato, magari quello che le veniva in mente mentre leggeva, e più volte si è interrotta, chiedendogli di cercare qualcosa per scovare qualcos’altro, ma a volte non ce n’è stato bisogno, perché Dean aveva già le informazioni che servivano. Era lei che non era riuscita a trovarle scritte, il che è anche abbastanza comprensibile, visto che i fogli che aveva raccolto non avevano un ordine o una certa sequenza. Quindi non è che abbiano fatto grandi progressi.
 
Dean l’ha osservata a lungo mentre era assorta in tutte quelle cianfrusaglie, studiando il modo in cui le si formavano delle piccole rughe in mezzo agli occhi quando era concentrata a leggere con gli occhiali sul naso, quando le scendevano appena e li spingeva con le dita per rimetterli al loro posto, o il modo distratto in cui spostava i capelli mettendoli dietro le orecchie. Erano piccoli gesti che Dean era abituato a vedere sempre, movimenti a cui non dava peso forse perché erano sempre sotto i suoi occhi, perché non gli sembravano importanti. Adesso, non sa dire il perché, ma è come se tutto avesse un altro sapore, come se la stessa presenza di Ellie portasse qualcosa di diverso rispetto a prima, a quando erano solo due persone che imparavano a conoscersi e a sopportarsi. Ora gli sembra tutto più speciale forse perché Ellie è stata così tanto lontana e solo in questi istanti, solo osservandola e riconoscendo quei piccoli gesti si rende conto veramente di quanto gli sia mancata.
 
Ovviamente si chiede se per lei è lo stesso, se le ha fatto un minimo effetto rivederlo, ma non può domandarglielo, come probabilmente non le dirà mai quanto questo ultimo anno sia stato vuoto senza di lei, senza la sua allegria e la sua risata contagiosa.
 
Si è accorto del fatto che tiene ancora il braccialetto di sua madre sul polso destro e non aveva alcun dubbio a riguardo. Ricorda quando le si era rotto e l’aveva fatto riparare senza dirle nulla, pensando di farle una sorpresa. Probabilmente non le dirà mai neanche questo.
 
Quello che lo spazientisce, però – oltre al fatto che, appunto, tutta questa merda non sembra essere un caso e la cosa è sempre più evidente –, è che Ellie tiene il cellulare accanto a lei, sopra il tavolo, come se stesse aspettando che qualcuno le telefoni o le scriva. Non lo faceva mai prima.
 
Un paio di volte si è fermata per controllare qualcosa sul display, ma l’apice del nervosismo di Dean arriva quando quell’aggeggio vibra leggermente e lei lo afferra in fretta, distogliendo l’attenzione da quello che le stava dicendo e leggendo qualcosa che la fa sorridere. Lui non ha idea del perché, ma la cosa gli dà incredibilmente fastidio.
Deglutisce per poi tossicchiare nervoso, cercando di catturare la sua attenzione in qualche modo, ma Ellie muove le dita sui tasti e non lo degna di uno sguardo.
Stringe gli occhi, irrequieto «Vuoi piantarla con quel telefono? Abbiamo cose piuttosto urgenti da risolvere, il fidanzato può aspettare».

Sbatte le palpebre un paio di volte, sorpreso dalle sue stesse parole. Forse non voleva dire proprio quella frase, forse… o forse sì. Insomma, questa era una di quelle domande che gli sta corrodendo la testa a forza di martellarlo per uscire fuori e forse questo è l’unico modo per scoprirlo. Anche se, a giudicare da come lei lo sta guardando, quasi vorrebbe rimangiarsela.
 
Infatti, Ellie ha alzato prontamente la testa – almeno è riuscito a farla tornare nel mondo reale, questa è una cosa buona – ed ora lo osserva confusa, la testa leggermente inclinata da un lato, ma tutto ciò dura poco più di un istante, perché poi sembra doversi trattenere dal ridere. «Vuoi vedere il mio… fidanzato
 
A Dean sembra troppo ironica per essere seria, ma sta di fatto che gli si è bloccato il respiro al pensiero che Ellie possa avere davvero qualcuno nella sua vita adesso – magari quel tipo con cui era stata quando andava al liceo o uno nuovo, che non ci vuole molto a trovarne uno migliore di Dean –, ma non vuole farglielo capire così annuisce e si prepara al peggio. Ellie sorride – un’altra coltellata al centro del petto – e, quando gli mostra una foto, Dean non sa se urlare di sorpresa o dirgliene di tutti i colori.

L’immagine che ha di fronte ritrae un gatto non tanto grande, con il pelo rosso e qualche macchia nera sparsa qua e là sulla schiena, seduto sul davanzale di una finestra. Dean la fissa piuttosto incredulo «Si chiama Mufasa [4] ed è il mio micio. Non ci avevo mai pensato, ma… sì, lui effettivamente è un fidanzato perfetto» sorride riponendo il cellulare dove stava prima «Era un randagio, l’ho trovato per strada». I gatti non piacciono a Dean – tollera meglio i cani, per quanto non lo facciano impazzire –, ma in un certo senso ce la vede Ellie a prendersi cura di un animale. Non sa perché. «L’ho lasciato a Janis questi giorni che non ci sono. E’ lei a mandarmi fotografie».
Dean è sicuro di aver già sentito quel nome. Ci pensa un attimo e… sì, ora ricorda «Janis la tua amica del liceo?»
Ellie annuisce senza dire nulla e Dean fa altrettanto, grattandosi la nuca e distogliendo lo sguardo e… ok, meglio un gatto che un ragazzo, anche se la sola idea lo fa starnutire visto che è allergico al pelo di quelle bestioline.  

Riprende a leggere il foglio che aveva davanti alla faccia e sente un piccolo sospiro provenire dalla direzione di Ellie, come qualcosa che precede un sorriso. Alza gli occhi ancora una volta e la trova a fissarlo.
«Beh? Che c’è?»
Si fa un pochino più seria «Niente, stavo solo pensando che se… se quello era un modo per chiedermi se ho un fidanzato… » si passa una mano dietro il collo «Uno vero intendo, potevi farlo direttamente. Non ho nessun motivo per dirti una bugia».
Dean scuote la testa deciso «Mi dà fastidio che ti distrai mentre lavoriamo. Per il resto puoi fare quello che vuoi… d'altronde è passato un anno e puoi vedere chi ti pare».

Ellie lo guarda perplessa, forse per il tono duro che ha usato Dean. Non è vero che non gli importa – magari fosse così, avrebbe risolto almeno la metà dei suoi problemi –, ma preferisce non farglielo notare.
Abbassa di nuovo gli occhi ed un sussurro esce dalle labbra di Ellie, qualcosa tipo «Sì, va beh» e Dean lo avverte distintamente ma, quando torna a guardarla, lei ha la testa bassa su un altro foglio e Dean decide di non andare più a fondo. Finirebbero solo per litigare.
 
Quello che cala subito dopo in quella stanza è un silenzio che è quasi un macigno. Ellie non alza più gli occhi nella sua direzione e se ne sta zitta a leggere qualcosa ed è terribilmente seria adesso, sembra quasi… imperturbabile e Dean non può fare a meno di chiedersi quando potrà smettere di mordersi la lingua dopo aver aperto bocca in sua presenza. Un tempo non era così, anzi, si sentiva libero di dire praticamente qualsiasi cosa gli passasse per la testa ed Ellie non si offendeva mai, cercava sempre di capire e non di giudicare, mentre adesso…
 
Una voce concitata e bassa proveniente dalla radio – che hanno tenuto accesa per tutto il giorno per intercettare quella della polizia, in caso qualcosa di nuovo gli giungesse alle orecchie – ed un particolare comunicato di un agente attira la sua attenzione.
 
In periferia, si denuncia la sparizione di un ragazzo di colore di sedici anni, alto e robusto, scomparso da più di ventiquattro ore.
 
Dean ascolta con attenzione, avvicinandosi alla trasmittente per girare la piccola manopola ed alzare il volume e spalanca gli occhi sorpreso. A giudicare dal posto in cui si trova l’abitazione della famiglia e dalla descrizione della persona scomparsa, Dean non ha bisogno di sentire pronunciarne il nome per capire di chi si tratta. «Cazzo!»
Anche Ellie porge l’orecchio in quella direzione e lo guarda «Credo che sia proprio questa la svolta che cercavi».
 
*
 
La casa di Kevin Dion non è molto grande, tutt’altro: è la dimora umile di chi fatica a campare. Le travi di legno del soffitto che sembrano voler cedere da un momento all’altro, la cucina vecchia e il forno che ha lo sportello che stenta a chiudersi per bene, il camino che sbuffa fumo con difficoltà. Dean ora capisce cosa intendeva quel ragazzo semplice e gentile quando parlava della sua famiglia, quando diceva di voler comprare una nuova casa con i soldi che aveva vinto a quella fortunata lotteria.
 
Non appena hanno sentito quel comunicato, lui ed Ellie si sono vestiti da agenti – ognuno nelle rispettive stanze, non sia mai che debbano mischiarsi troppo – e sono corsi ad interrogare i genitori di quel ragazzo ed improvvisamente tutto gli sembrava aver preso un senso nuovo: suo padre non l’ha mandato qui a Westwego per allontanarlo dalla sua strana missione californiana, l’ha spedito in questo posto perché aveva sentito la puzza di qualcosa che faceva al caso loro e Dean l’aveva capito, se lo sentiva nel profondo delle viscere, ma non aveva ancora trovato le prove sufficienti per dimostrarlo.
 
Si siede su una delle sedie sgangherate, accanto ad Ellie che non ha detto una parola da quando hanno sentito di quella storia. Non ha voluto sapere niente su Kevin perché aveva letto tutto in quei dannati fogli e c’è mancato poco che prendesse la macchina – anche se a chiamarla così le si fa un grosso complimento – che le ha prestato Bobby per andare dove dovevano da sola.
 
Dean non l’aveva notata prima, ma è una vecchia Volvo sessantasei rossa, uno di quei catorci che solo Bobby può ancora tenere nella sua rimessa. Di certo è sicura – se non ha abbandonato Ellie dopo che si è fatta a occhio e croce più di duemila miglia [5] per raggiungerlo è davvero affidabile –, ma nessun veicolo è migliore della sua bambina e Dean ha insistito per prendere lei. Non ha senso andare nello stesso posto con due macchine, è solo uno spreco di benzina ed un’incazzatura che vorrebbe evitare volentieri.
 
Per tutto il tragitto, comunque, lei è rimasta in silenzio. Chissà che diavolo le passa per la testa, anche se è sicuro che quella di Ellie non è rabbia per quella stupida battuta o qualcosa di simile. Forse non gli parla per partito preso, o perché non vuole distrarsi dal caso o chissà. Dean non ha tempo di rifletterci adesso, ha ben altro a cui pensare.
 
Incrocia le dita delle mani tra di loro, allungando appena le braccia sul tavolo «Signora, quando è stata l’ultima volta che ha visto suo figlio Kevin?»
 
La madre del ragazzo – una donna di colore piccola e grassottella, con i capelli pieni di treccine e gli occhi lucidi – lo guarda preoccupata. «Prima che andasse a scuola, ieri mattina. Ha preso la merenda e lo zaino e se n’è andato, come ogni giorno» tira su col naso e porta le mani davanti alla bocca, un fazzoletto bianco ben stretto tra le dita.

Il rumore della penna che Ellie sta usando per appuntare ogni cosa nel suo taccuino – come Dean l’ha sempre vista fare – è l’unica cosa che rompe il silenzio calato nella stanza. Poi lei prende fiato «Mi scusi se glielo chiedo, ma è solo un ragazzo e devo domandarlo: c’è… non so, qualche motivo per cui Kevin non sia tornato a casa? Magari avete litigato e voleva fuggire o—»
La donna scuote la testa decisa «Non fa niente, ma comunque no, è sempre stato un bravo ragazzo, senza nessun grillo per la testa» tira ancora su col naso e abbassa gli occhi per un istante. «Glielo avevo detto di non raccontare a nessuno di quella storia dei soldi. A… a nessuno doveva d-dirlo. Invece sono venuti q-qui, a intervistarlo, a f-fargli d-delle domande… e adesso… » stringe forte le palpebre nel chiaro tentativo di trattenere delle lacrime.
Dean sospira appena e poi prende la parola «Glielo riporteremo tutto intero, signora. Glielo garantisco» la guarda negli occhi lucidi e scuri e ci crede davvero a quello che ha detto, perché, qualsiasi cosa Kevin abbia combinato – a patto che sia davvero colpa sua – non merita di morire o di cacciarsi in guai seri. Dean sa di essere bravo a giudicare le persone ed è assolutamente certo che quel ragazzo sia una brava persona e farà di tutto pur di riportarlo sano e salvo alla sua famiglia.
Sente lo sguardo di Ellie su di lui, ma non le dà importanza. Lei parla ancora «Per che ora lo aspettava a casa, ieri?»
«Dopo cena».
«Frequentava un corso extrascolastico? O magari qualche sport… »
«No, era a studiare da una sua amica. Per questo non mi sono preoccupata quando non è rientrato nel pomeriggio… oggi avevano il c-compito in classe».
«Può dirci il suo nome?»
«Jennifer… Jennifer Hamford, è una sua compagna».

Dean sbatte le palpebre un paio di volte. Ascolta distrattamente Ellie chiedere altre informazioni su quella ragazza, se i due sono fidanzati o semplicemente amici e che tipo di rapporto hanno e Dean non presta troppa attenzione perché sa che finalmente ha trovato la scusa per interrogare quella ragazzina. Adesso non ha più dubbi: lei ha sicuramente a che fare con questa storia.
 
[1] Citazione dal “Pilot”: le parole che pronuncia Ellie sono le stesse che Sam ha detto a Dean quando è andato a cercarlo a Stanford e la risposta che le dà Dean è la stessa di quel dialogo.
[2] Nell’episodio 1x09 “Home”, prima che Sam lo convinca per via delle visioni che ha avuto sulla proprietaria di quella che era la loro casa a Lawrence, Dean afferma di aver giurato che non avrebbe mai più rimesso piede in quel luogo. Poi, i fatti lo hanno smentito perché è andato comunque a controllare.
[3] Theo Robinson è uno dei personaggi della sitcom I Robinson, mentre l’ultimo dei Crawford, Richard, è il più piccolo dei figli della numerosa famiglia protagonista di Otto sotto un tetto.
[4] Per chi non lo sa, Mufasa era il padre di Simba nel classico Disney Il Re Leone.
[5] La misura più utilizzata per le lunghe distanze negli Stati Uniti è il miglio ma, convertendo quella cifra nel nostro sistema di misurazione, risulta che Ellie ha percorso per la precisione 4168 chilometri per arrivare fino a Westwego (Louisiana) partendo da Buckley (Washington).

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Capitolo 25
*** A world I used to know before ***


Note: Oggi mi sono impegnata per essere un pochino più puntuale… spero che lo apprezziate XD ma ovviamente, ahimé, una cosa esclude l’altra, perciò non sono riuscita a finire di rispondere alle recensioni. Chiedo venia, mi metto all’opera ora, ma prima volevo pubblicare così da potervi dare la possibilità di leggere un po’ prima i miei deliri XD
Non vorrei tediarvi con note lunghissime, ma ho un sacco di cose da dirvi.
Questo è un capitolo a cui tengo davvero moltissimo. La citazione iniziale è molto lunga, ma non riuscivo a tagliarla considerando che ogni singolo pezzettino mi sembrava ci stesse a pennello, perciò alla fine mi sono ridotta a lasciarci il testo della canzone intatto. L’ho trovata particolarmente adatta alla situazione e vi invito ad ascoltarla in questa versione; io la adoro.
Se da una parte ho notato che il numero delle visite è un po’ calato – mi auguro che sia per problemi/impegni personali e non perché la storia si sta allungando troppo ed ha cominciato a farvi schifo XD –, dall’altra non mi è sfuggito che il numero di persone che segue/preferisce/ricorda si è alzato questa settimana e la cosa mi fa immensamente piacere! :D *appende uno striscione con un bel “Welcome” scritto in rosso a caratteri cubitali*
Alla soglia delle cento recensioni – che non mi sarei mai sognata di ricevere neanche per sbaglio –, approfitto ancora una volta per ringraziarvi immensamente per il sostegno e l’entusiasmo con cui ci tenete a darmi la vostra opinione e vi invito a farlo ancora, che la storia sta per finire ed io ho taaanto bisogno delle vostre bellissime parole. :D
Un abbraccio fortissimo, alla prossima settimana! <3 


Capitolo 25: A world I used to know before
 
Like the dust that settles all around me
I must find a new home
The ways and holes that used to give me shelter,
Are all as one to me now.
But I, I would search everywhere
Just to hear your call,
And walk upon stranger roads than this one in a world
I used to know before
I miss you more
 
Than the sun reflecting off my pillow
Bringing the warmth of new life
And the sounds that echoes all around me,
I caught a glimpse of in the night
But now, now I’ve lost everything,
I give to you my soul.
The meaning of all that I believed before
Escapes me in this world of none,
No thing, no one.
 
(Afterglow – Genesis)
 
 
Si guarda allo specchio, la spazzola tra i capelli castani che pettina con cura, mentre canticchia la canzone che metteva buonumore alla mamma, quella che le è rimasta impressa da quando ha spento la sveglia.
 
Accade praticamente ogni mattina: il telefono comincia a vibrare sul comodino, intonando quella melodia così allegra, e ad Ellie rimane nella testa per tutta la giornata, quasi fosse il suo carburante, la sua fonte di energia. O almeno, le piace pensarla così.
 
Appoggia la spazzola accanto al lavandino del bagno della sua stanza e si alliscia un’ultima volta i capelli con le dita. Sposta il piccolo ciuffo che le fa da frangia sul lato destro del viso, come fa di solito, e sorride appena, soddisfatta del risultato.
 
Ci sono dei modi di dire che affermano che, quando una ragazza si taglia i capelli, la colpa è sempre di uomo, che si sente frustrata o incompresa e allora cambia look, per piacere più a se stessa. Per Ellie, però, non è stato così.
 
Quando è tornata a Buckley, ha deciso di rimettersi a lavorare fin da subito per trovare un buco da poter prendere in affitto. Era decisamente stanca dei motel e le truffe con le carte di credito non erano il massimo per campare; voleva stare lontana da quei casini. Poi aveva riacquistato una parvenza di vita normale e voleva sudarsi un posto dove stare e tutto il resto per vivere, come aveva sempre fatto.
 
Per i primi tempi Janis, che Ellie ha rintracciato immediatamente, si è offerta di ospitarla ed Ellie aveva apprezzato tantissimo il gesto, ma aveva comunque cominciato a cercare un appartamento fin da subito per liberarle la stanza il prima possibile. E’ sempre stata una cara ragazza e si è rivelata altrettanto gentile a volerla tenere con sé dopo tanti anni che non si sono viste o sentite, ma quando arrivava il suo ragazzo a volte Ellie si sentiva di troppo e poi Janis non voleva in nessun modo dividere le spese di cibo, acqua, luce e tutto il resto. Diceva che quella casa era sua ed Ellie era solo un’ospite, quindi non doveva contribuire in nessun modo; voleva solo che cucinasse, perché adora il modo in cui Ellie lo fa. Perciò, non appena si è resa conto di avere soldi a sufficienza per l’affitto di un monolocale e per mangiare, è riuscita a trovare un piccolo appartamento comodo, a basso prezzo, in un quartiere silenzioso. Dopo aver fatto il trasloco e sistemato tutte le sue cose, Ellie si è guardata allo specchio e quei capelli non la convincevano, in un modo o nell’altro non la rispecchiavano più, così è andata dal suo vecchio parrucchiere di fiducia e li ha tagliati di netto.
 
E’ stata una sensazione strana vedere tutte quelle ciocche cadere a terra una dietro l’altra, come era strano all’inizio abbassare la testa e non vedere più i lunghi capelli che le scendevano sotto il seno, ma poi ci ha fatto l’abitudine. Appena fatti, li aveva più su delle spalle, a caschetto. Ora le sono ricresciuti un po’, ma continuano a piacerle.
 
Janis era sempre andata pazza per i suoi capelli lunghissimi ed Ellie sorride ripensando alla faccia che ha fatto quando glieli ha visti decisamente più corti.
 
Anche lei è cambiata molto. Al liceo, se li tingeva di nero e li teneva sempre legati in una coda di cavallo o in strane acconciature che richiedevano l’uso di una smodata quantità di forcine e mollette di ogni forma e colore; tutto questo perché, come diceva lei, “almeno i capelli non dovevano farla penare”.
 
Aveva una strana filosofia di vita, ma era la persona più simpatica che Ellie avesse mai incontrato. Rispondeva a tono a qualsiasi persona osava dirle una parola storta e tendeva sempre a difenderla, soprattutto di fronte ai suoi compagni di classe, anche quando aveva torto. La motivazione era semplice: “siamo amiche e tra amiche bisogna sempre pararsi il culo”, nient’altro.
 
Anche adesso la pensa in questo modo, per questo si è offerta di ospitarla. Attualmente vive da sola ed ha un lavoro fisso presso un negozio di abbigliamento; ha smesso di tingersi i capelli e li ha del suo colore naturale, castani scuri, e li porta mossi, con la frangetta davanti. In più, non si trucca più mettendo tutto quel nero sotto gli occhi ed ha tolto il piercing al naso; è cresciuta ed è anche più bella. [1]
 
Nelle serate che hanno passato insieme, Janis le ha confessato che il suo ragazzo – David Wilson, un tipo che Ellie conosceva di vista quando viveva ancora a Buckley – la rende felice, che è tutto ciò che non avrebbe mai aspettato di trovare nella sua vita. Janis è sempre stata un po’ cinica riguardo alle questioni di cuore e questa è stata una vera sorpresa per Ellie, ma in fondo aveva sempre saputo che la sua era solo una maschera, un modo per non far vedere agli altri – soprattutto quelli che la disprezzavano – quanto fosse piena d’amore. Ellie è davvero felice per lei ma, non potendo condividere la stessa gioia, a volte prediligeva farsi da parte quando c’era lui, lasciargli un po’ di spazio per stare da soli. Non sa dire perché, semplicemente preferiva così.
 
Janis non ha mai fatto troppe domande sul tempo che Ellie ha vissuto lontana da Buckley e lei, silenziosamente, gliene è stata infinitamente grata. Non le andava di ricordare, di pensarci anche quando era in sua compagnia. Le ha raccontato lo stretto necessario, di aver ritrovato suo padre e di aver preso poi una strada diversa dalla sua; le ha detto che era un commerciante d’arte, un uomo che doveva viaggiare molto per lavoro.
 
Ellie è diventata brava a raccontare bugie, per cui è assolutamente certa che Janis le abbia creduto, anche se le è dispiaciuto molto mentirle. Non solo per la gentilezza che le ha dimostrato, ma perché le vuole bene ed è sempre brutto dire balle a qualcuno a cui tieni, ma non ha potuto farne a meno. Non vuole metterla al corrente di cose che, inevitabilmente, le farebbero cambiare la sua visione del mondo. Janis le ha fatto un dono nei mesi che hanno vissuto a stretto contatto: le ha dato appoggio nel momento in cui ne aveva più bisogno, insieme alla forza di credere ancora in se stessa, ed Ellie non poteva ripagarla mostrandole la faccia più orribile del mondo che la circonda.
 
Quando le ha chiesto se c’era stato qualcuno con cui aveva condiviso qualcosa di diverso, Ellie è stata volutamente sulle sue. Con la scusa dei lunghi viaggi insieme a suo padre, si è limitata a dirle che non si fermava molto a lungo e non faceva mai in tempo ad approfondire certe conoscenze. Tutto il resto, Ellie ha voluto tenerlo per sé, come un tesoro prezioso da custodire in silenzio.
 
A Buckley, poi, qualcuno c’è stato… più o meno. Era un ragazzo moro, riccio; a parte l’altezza che era più o meno la stessa, fisicamente era il contrario di Dean: un po’ meno muscoloso, più asciutto e magrolino. Ellie lo incontrava spesso al lavoro; lui veniva sempre per pranzo e a volte si fermava a chiacchierare con lei.
 
Quando Janis l’ha scoperto – Ellie non si era neanche azzardata a dirglielo, sapendo perfettamente cosa avrebbe cercato di fare –, aveva provato in tutti modi a convincerla ad uscirci insieme, perché “un appuntamento non si nega a nessuno e poi è carino e devi buttarti in queste cose”, ma Ellie non sapeva neanche dire se le piaceva; non aveva alcuna voglia di “buttarsi” in una qualsiasi relazione e poi c’era qualcosa che stonava in lui. Poteva sembrare solo una scusa per non dargli una possibilità, ma a forza di parlarci, poi, Ellie si è resa conto di qual’era il suo “problema”: era spavaldo ed erano troppi i nomi delle ragazze che diceva di conoscere o di aver frequentato ed Ellie era talmente stanca di questi tipi da una botta e via che, alla fine, ha deciso di dargli il ben servito.
 
Era molto insistente – altro punto a suo sfavore –, ma si è dato proprio la zappa sui piedi quando le ha chiesto di andare a vedere un film a casa sua. Ellie ha preso la palla al balzo per toglierselo di torno e gli ha detto di sì, conscia del fatto che lui avrebbe sicuramente tentato di sedurla nel modo a lei meno congeniale.
 
Quella sera, dopo aver cenato insieme con qualcosa di veloce, si sono accomodati sul divano, ma lei si è addormentata molto prima che il film potesse acquistare un minimo di spessore, senza neanche dargli il tempo e la possibilità di provarci e proprio in quell’occasione si è resa conto che quello non era poi un difetto così brutto come qualcuno lo aveva definito più volte, ma che anzi, all’occorrenza, poteva essere davvero utile.
 
Dopo quella volta, infatti, Ellie non l’ha più visto se non di sfuggita e lui le ha rivolto sì e no la parola, ma non le è dispiaciuto affatto e anche Janis, alla fine, le ha dato ragione.
 
Si sono frequentate spesso nei mesi che Ellie ha trascorso a Buckley. Ritornare lì, dopo quel terribile litigio con suo padre, le era sembrata la cosa più naturale da fare; non aveva altra scelta perché quello è l’unico posto al mondo che conosce davvero bene e non aveva senso stabilirsi altrove.
 
Tornare a Buckley, poi, per Ellie è stato ritrovare la mamma… letteralmente. Non era più stata davanti alla sua tomba da quando è partita, fuggendo da quel posto insieme a suo padre come una ladra, ma, in quei mesi di permanenza, è andata a trovarla ogni volta che le è stato possibile. Le cambiava i fiori quando erano secchi – le portava in prevalenza gerbere gialle e orchidee, i suoi preferiti – e le parlava a lungo, inginocchiata davanti a quella pietra liscia o seduta sulla ghiaia. Quando non c’era nessuno, soprattutto, Ellie fissava la fotografia della mamma, la migliore tra quelle che aveva perché doveva rappresentarla per com’era stata in vita: l’aveva scelta sorridente, con i capelli sciolti e gli occhi blu luminosissimi, come due zaffiri che brillavano di luce propria. Ellie ne accarezzava il contorno, stringendo i denti per non piangere perché la mamma non lo avrebbe mai voluto e scusandosi per non essere stata mai a trovarla negli anni trascorsi con papà, per averla lasciata sola.
 
Le parlava a bassa voce, per non farsi sentire dai passanti che talvolta la guardavano strano ma lei non se ne curava, perché se c’era qualcosa che la mamma le aveva insegnato era di essere se stessa sempre, anche in mezzo ad una folla di gente ed Ellie non poteva venire meno a questo insegnamento mai, soprattutto quando era davanti a lei. Le raccontava le sue giornate, proprio come faceva quando erano ancora insieme e questo, in parte, la faceva stare meglio, le dava un po’ di quella leggerezza che le stava venendo meno negli ultimi tempi.
 
Le serate in cui non lavorava e non stava con Janis le passava da sola, per lo più, a leggere libri, ad ascoltare musica o a disegnare. Mufasa, invece, l’ha trovato un giorno accanto al cassonetto fuori dalla sua porta; miagolava in cerca di qualcuno che gli desse qualcosa da mangiare. Ellie, non appena l’ha visto, se n’è innamorata ed ha voluto tenerlo con sé.
 
Per tutto il periodo di permanenza a Buckley, le ha fatto un’immensa compagnia. Più che un randagio, era chiaramente un gatto fuggito a qualcuno o lasciato da qualche idiota abbandona-animali, perché era affettuoso e dolce, così diverso dai mici che vivono tutta la vita in strada. Le faceva sempre le fusa e la notte era solito appallottolarsi in fondo al letto e dormire accanto ai suoi piedi.
 
Ellie, lo sguardo puntato verso la finestra, si stringe le braccia attorno al corpo ed osserva il paesaggio fuori; il cemento della strada accanto al motel rimpiazza in modo brutale quello del suo appartamento a Buckley, di fronte al parco cittadino. Il verde adesso è un grigio topo, imbrattato qua e là da qualche macchia colorata di cartelli pubblicitari o macchine parcheggiate. Ellie ne scorge una rossa e pensa alla “sua”, posteggiata nel parcheggio antistante il motel.
 
E’ ormai abituata a definirla tale, perché la guida da mesi, ma la verità è che, ogni volta che ci sale, pensa a colui che gliel’ha prestata: Bobby.
 
Ricorda ogni dettaglio della sera in cui si è presentata alla sua porta: erano passati sì e no un paio di giorni da quando aveva litigato con suo padre e non aveva la più pallida idea di dove andare. Poi le era venuto in mente di salire sul primo autobus e dirigersi a Sioux Falls, nell’unico luogo dove qualcuno avrebbe potuto aiutarla. Non voleva rimanere molto, solo il tempo necessario per raccogliere le idee e decidere il da farsi.
 
Era fine gennaio, l’aria fuori era fredda e il cielo minacciava di mandare giù una valanga di neve quando si è ritrovata davanti a quella casa, il borsone sulle spalle e il gelo nel cuore.
 
Ha ancora impresso nella mente il viso di Bobby quando le ha aperto la porta, quella stanchezza che subito si è trasformata in preoccupazione quando l’ha vista lì, infreddolita e sola davanti al suo ingresso.
 
L’ha fatta accomodare ed Ellie gli ha raccontato – con non poca difficoltà – il raccontabile: aveva litigato con papà che l’aveva mandata via, dicendole chiaramente che l’aveva avuta per troppo tempo tra i piedi e che, adesso che era maggiorenne, doveva prendere la sua strada e togliersi dalle scatole. Bobby aveva ascoltato tutto senza battere ciglio, ma con una rabbia negli occhi che Ellie non gli aveva mai visto addosso prima.
 
Le ha detto che poteva trattenersi lì per tutto il tempo che voleva, che quella poteva essere la sua casa se Ellie lo desiderava. Una parte di lei avrebbe voluto accettare, ma l’altra le diceva che era meglio andarsene – il rischio di incontrare un altro volto che le dava dolore era troppo grande e la sua scelta non era quella di restare tra i cacciatori, ma anzi, di stare il più lontano possibile da tutti loro – ed è a quella che ha dato ascolto. Non era di certo Bobby il problema, ma aveva bisogno di disintossicarsi da quell’aria marcia, piena di ricordi dolorosi e sangue e da quel senso di colpa per qualcosa che lei non aveva commesso che aleggiava sempre intorno a quelle persone. Aveva bisogno di respirare aria pulita, dopo averne inspirata tanta piena di sofferenza. Era quello che credeva più giusto in quel momento.
 
Anche quella casa, in fondo, era piena di ricordi. Bobby le aveva detto che poteva usare la stanza che aveva in più, come aveva fatto altre volte, ma Ellie aveva preferito rimanere a dormire sul divano piuttosto che rimettere piede lì dentro. Poi, però, alla tentazione di tornarci aveva ceduto; l’ha fatto una sola volta, quando Bobby era uscito per delle commissioni.
 
Era tutto uguale a come l’aveva lasciato, solo un po’ più in disordine: un bel cumulo di polvere si era accasciato sul comò, ma il letto era rifatto con cura ed Ellie si era rivista lì sopra, rannicchiata su se stessa quando aveva avuto paura di un ragno o quando era entrata in punta di piedi, in una notte di pioggia, per cercare di dargli conforto; le sere in cui lui entrava ed interrompeva le sue letture per fare due chiacchiere e poi l’ultima volta, quando proprio lì sopra, spogliata dei vestiti e dei pensieri, si era sentita desiderata come mai prima di allora e le aveva fatto così male il cumulo di sensazioni che quei ricordi avevano fatto riaffiorare che era uscita di corsa, maledicendosi per quella stupida idea e, quando Bobby è tornato, si è decisa ed ha fatto i bagagli. Quel vecchio brontolone ha voluto prestargli a tutti i costi una macchina, dicendole che a lui non serviva e che “gli autobus li prendono i vecchi”. L’unica cosa che le ha chiesto, è stata quella di fargli sapere dove andava e di non fargli perdere le sue tracce. Non ne avrebbe parlato con nessuno, neanche a suo padre – semmai glielo avesse domandato, perché Ellie dubitava fortemente che potesse accadere – e lei è stata di parola, dicendogli dove si trovava non appena si è stabilita a Buckley.
 
Ha continuato a sentirlo almeno una volta a settimana, fino a qualche giorno fa. Bobby la chiamava per sapere come se la cavava e per scambiare due parole; Ellie sa bene che lo faceva perché era preoccupato – soprattutto i primi tempi, quando le telefonate erano più frequenti – e, anche se le loro conversazioni non duravano più di un minuto o due – giusto il tempo di chiedersi come stavano e come se la passavano –, a lei si scaldava il cuore a sentire quella voce buona perché voleva dire che c’era ancora qualcuno, incontrato lungo il cammino, che le voleva davvero bene. E talvolta questo, per qualche strano motivo, era anche più appagante della routine di Buckley.
 
Per tutto il tempo in cui è rimasta lì, ha avuto la strana sensazione che prima o poi sarebbe dovuta tornare sulla strada; se lo sentiva nelle viscere che qualcosa o qualcuno l’avrebbe richiamata all’ordine. Non si aspettava che a farlo sarebbe stato Dean, ma forse pretendere una telefonata da suo padre era troppo.
 
Si sono trattati troppo male e una parte di lei crede che probabilmente non lo vedrà mai più. Eppure ce l’aveva messa tutta per resistere all’irrefrenabile impulso che aveva a volte, quando la pazienza la abbandonava, di urlargli che era uno stronzo e che avrebbe almeno dovuto provare ad essere un padre, a guardarla non come un intralcio ma come una cosa bella, come parte della sua famiglia. Ci sono persone che darebbero via un rene pur di ritrovare un figlio perduto, ma di certo James Davis non appartiene a quella categoria e, quando la bomba è scoppiata, Ellie non ha saputo più trattenersi.
 
A volte di notte si sveglia e ripensa ad ogni istante di quel litigio furibondo, alle parole aggressive di suo padre e tutta la sua rabbia, quella che sembrava aver represso per tutto il tempo che hanno trascorso insieme. Si chiede se ne è valsa la pena di arrivare a questo punto, se mai sarà possibile tornare indietro e molto spesso si risponde che no, non lo è, e quel pensiero le fa così male da provocarle una fitta dolorosa – tremendamente intensa – tra le costole, qualcosa che non accenna a diminuire nonostante siano passati quasi nove mesi, lunghi e talvolta freddi come un inverno.
 
Non riuscirà mai a recuperare il rapporto con suo padre perché in realtà non ne hanno mai avuto uno che si potesse definire tale, ma la speranza è l’ultima a morire ed Ellie, da qualche parte nel suo cuore, ci crede ancora. Chissà se avrà mai il coraggio di andarlo a cercare, un giorno.
 
Un paio di colpi alla porta la riscuotono da quei pensieri. Si avvicina e non si sorprende quando apre e trova Dean lì fuori che le sorride di sbieco «Non hai ancora imparato a controllare chi è prima di aprire».
 
Ellie alza le spalle e non gli risponde. Era solo distratta. Sa di non poterselo permettere in questo lavoro, che deve essere sempre pronta e concentrata, ma ancora deve riabituarsi a tutto questo, al dover stare sempre allerta e attenta a tutto.
 
A Buckley era solita mettere strisce di sale alle finestre, anche se a volte era difficile perché a Mufasa piaceva arrampicarsi lì sopra per curiosare fuori e il sale si sparpagliava a terra. Sorride seguendo il filo dei suoi pensieri e sente il rumore di un paio di dita schioccare, in lontananza. Si riscuote e solleva lo sguardo trovando Dean che la guarda perplesso mentre agita una mano di fronte al suo viso per attirare la sua attenzione. «Ci sei?» Ellie annuisce. «Bene, perché dovremmo andare. E non sei ancora vestita».
 
Ellie si osserva da capo a piedi – la maglia verde con l’elefante che porta per dormire e nient’altro addosso – ed effettivamente deve cambiarsi. Prende qualcosa dall’armadio e si dirige in bagno senza dire una parola. Pazienza se oggi gli sembrerà più strana del solito, tanto non ha mai avuto un’alta opinione di lei… forse. Ellie credeva di sì, ma poi è cambiato tutto, quindi non sa più dirlo con certezza.
 
Durante il periodo trascorso a Buckley, ci ha pensato spesso – non può negarlo – e le è mancato. Il suo raro sorriso vero – quello che a volte sembrava riservare solo a lei – e il suono della sua risata, gli occhi limpidi e sinceri di quando si apriva – di rado, ma si ricorda ancora quando lo ha fatto la prima volta, un lago e un gelato al cioccolato a fargli compagnia –, le partite a biliardo e la sua totale incapacità nel mangiare cibo cinese. Le sono mancate le piccole cose di Dean, quelle che più lo rendevano speciale ai suoi occhi.
 
Più volte si è chiesta se quello che avevano vissuto, quelle sensazioni e quella sincerità che leggeva nei suoi occhi non fossero nient’altro che un’illusione, qualcosa che si è solo immaginata di vedere e non ci fossero davvero, ma sa di non essere pazza o visionaria, perciò era solita pensare che no, non si era sognata niente; è quello che è successo dopo che le sfugge, quello che è cambiato, come e perché, ma la risposta che si è data più volte non le è mai piaciuta e finiva col provare a non pensarci per non farsi più male.
 
Ha riflettuto spesso anche sul loro litigio, sulle cose che gli ha urlato contro. Non le pensava tutte, chiaramente, ma il fatto che Dean non l’abbia fermata, che non le abbia detto nulla, l’ha spinta a credere che forse, invece, era tutto vero. In realtà, se lui ha provato a dirle il contrario, Ellie neanche se lo ricorda. Probabilmente nemmeno l’ha sentito, presa com’era dalla sua rabbia.
Non si infuria mai, ma quando lo fa spesso dice cose che non pensa e quello, sicuramente, era uno dei casi.
 
Ricorda il suo sguardo smarrito di fronte alla sua collera, come se tutto quello che Ellie gli stava dicendo non avesse alcun senso per lui. Vorrebbe aver avuto la pazienza necessaria per fermarsi e riflettere e magari spiegargli tutto con calma, fargli capire il suo punto di vista senza aggredirlo in quel modo. Ormai, però, non può tornare indietro.
 
Esce dal bagno e lo trova seduto sul suo letto a guardarsi intorno. Le sorride quando la vede uscire «Pronta?» e la osserva, l’espressione è quella di chi sembra aver ritrovato qualcosa che credeva di aver perduto per sempre: non scruta il suo corpo come ha fatto a volte in passato, non è impegnato a seguire con lo sguardo le curve dei suoi fianchi o a sbirciare nella scollatura della camicia chiara; è semplicemente concentrato sul suo viso, sui suoi occhi.
 
Non svia lo sguardo, anzi, sembra prendersi tutto il tempo che vuole per studiarla, come per cercare di scavare più a fondo e leggerle dentro; è come se fosse consapevole di qualcosa che invece sfugge ad Ellie.
 
Lei fa altrettanto, prendendosi un momento per osservarlo con attenzione: i contorni regolari del viso, gli occhi verdi sempre un po’ spenti – se li ricordava più intensi, meno sbiaditi e stanchi –, la pelle delle guance quasi glabra e il lieve profumo di dopobarba che le arriva alle narici e in questo piccolo momento non sembra essere cambiato niente da un anno fa ad oggi.
 
Ellie si chiede se la sensazione che sente addosso – che gli è mancata, forse almeno quanto lui è mancato ad Ellie – è solo un’altra illusione oppure no, ma decide di fregarsene di trovare una risposta. Non le interessa neanche sapere in che modo gli è mancata, se come amica o come possibile amante – che lei ricorda quella notte come la più bella del mondo, ma forse lui è abituato ad altri standard – o qualsiasi cosa siano adesso, si limita semplicemente a cullarsi in quella piccola sensazione di benessere che quel pensiero le provoca.
 
Non ha dimenticato quello che le ha fatto e quanto ci è stata male, quanto ha sofferto per tutto quello che è successo e quanto sia ancora delusa da lui e dal suo atteggiamento, ma in questo preciso momento non ha alcuna importanza.
 
Prende la borsa e si avvia fuori, a seguire la pista che spera li porterà a trovare almeno una mezza soluzione a questo strano caso.
 
*
 
Parcheggia l’Impala di fronte a quel cumulo di mattoncini rossi ammassati l’uno sopra l’altro e tenuti insieme da chissà quanti strati di cemento.
 
A Dean non sono mai piaciute le scuole né frequentarle e, forse, gli piace ancora di meno l’idea che adesso, dopo anni di libertà, deve rimetterci piede e mischiarsi a tutti quei mocciosi saltellanti in balia dei loro sbalzi di ormoni.
 
Dà un’occhiata al cellulare, per la millesima volta in pochi giorni: nessuna chiamata, nessun messaggio, niente di niente. Suo padre è ancora disperso e Dean non sa più come cazzo comportarsi a riguardo. Forse dovrebbe mollare tutto e andarlo a cercare, che tanto questo caso non lo sta portando a niente e, anzi, gli sta solo facendo perdere un sacco di tempo prezioso, ma poi pensa che è comunque qualcosa che il suo vecchio gli ha affidato e, in un modo o nell’altro, è suo compito portarla a termine.
 
Sospira e osserva Ellie al suo fianco; è un po’ troppo silenziosa per i suoi standard, e Dean non sa se è questo l’atteggiamento che dovrebbe aspettarsi – e quindi tacere perché è giusto che lei si comporti così – o se invece, per qualche strano motivo, vorrebbe che fosse incazzata, più nervosa. Non sa per quale ragione, ma ha la sensazione che tutto questo, in un certo senso, le scivoli addosso, che non le interessi sul serio. Forse è solo un’idea, o forse l’anno che Ellie ha trascorso lontano da lui è stato così difficile da farle riconsiderare tutto quello che sapeva, da trasformare il suo atteggiamento e cambiarla nel profondo.
 
Si inumidisce le labbra «C’è qualcosa che non va?»
Ellie si volta nella sua direzione e scuote appena la testa «No, è tutto ok. Sono solo… pensieri» appoggia una mano sulla maniglia dello sportello, come se avesse fretta di uscire.
Dean annuisce pensieroso «Se… se devi tornare per il tuo lavoro o per qualcosa lo capisco, insomma… » sa che è contro il suo interesse dirlo e che vorrebbe averla sempre al suo fianco, anche quando tutto questo giro di stranezze sarà finito, ma non può dimenticare il fatto che Ellie ha lasciato – seppur temporaneamente – il suo lavoro per venire fin qui.
Lei scuote nuovamente il capo e abbozza un sorriso «E’ tutto sotto controllo» scende dalla macchina e Dean fa altrettanto, seguendola.
 
Ellie cammina a passo deciso, la gonna che le lascia scoperte le gambe e la giacca avvitata che le calza a pennello; una camicia bianca e i capelli sciolti, sembra la persona più professionale del mondo e, in questa mise, dimostra a malapena i suoi ventidue anni ormai compiuti. In un certo senso, però, è come se non fosse ancora abituata a quella specie di uniforme; Dean lo capisce dal modo in cui si liscia la gonna ogni tanto, come se fosse un po’ nervosa. Forse non si abituerà mai a tutto questo, all’eleganza che devono fingere di possedere per far credere a tutti che è quello il loro vero lavoro e Dean non può neanche darle tutti i torti.
 
Entrano all’ingresso e Dean si guarda intorno, constatando velocemente che le scuole americane sono tutte uguali. Lui, da ragazzo, ne ha girate parecchie: ogni volta che suo padre aveva un caso che si protraeva per un tempo piuttosto lungo, iscriveva lui e Sammy in una scuola, così da farli acculturare un po’. Sam era felice di questo, sebbene tollerasse molto poco l’idea che doveva cambiare compagni e classe ad intervalli più o meno regolari, ma per Dean era una cosa terribile. Studiare non è mai stato nelle sue corde.
 
Osserva quel corridoio infinito corredato da un’altrettanto sterminata fila di armadietti e sospira appena, notando che Ellie sta facendo lo stesso. «Ti è mancato un posto come questo?»
Lei alza la testa e lo guarda, le labbra incurvate in un sorriso stanco «Per niente».
 
Dean sorride di sbieco; neanche ad Ellie è mai piaciuta la scuola, non l’ha mai nascosto. Gli anni del liceo sono stati tutto fuorché piacevoli a quanto gli ha raccontato, quindi questo non è decisamente l’ambiente in cui si sente più a suo agio. Per una volta sentono le stesse cose – perché a Dean, da quando è tornata, sembra che vedano tutto in maniera opposta, ma magari non è così.
 
Dopo aver chiesto gli opportuni permessi al preside Stern, Dean ed Ellie si dirigono in palestra, dove Jennifer Hamford si sta allenando insieme alle sue compagne cheerleader. Sì, perché a quanto pare la ragazzina è tipo la punta di diamante della squadra e si fa rispettare all’interno di quello strano circolo pieno di altrettanto strane regole che è il mondo delle cheerleader.
 
Dean la osserva muoversi e, avendo già visto sue foto tra i documenti scolastici che ha spulciato nei giorni precedenti, la riconosce immediatamente: bassina, i capelli neri e lunghi raccolti in una coda di cavallo ed il fisico abbastanza asciutto. A lui, però, che conosce piuttosto bene i corpi di molte cheerleader – e non solo perché gli piaceva frequentarle quando passava dalle parti di un qualche liceo – stona qualcosa: potrà anche essere brava nella coordinazione, ma Jennifer Hamford ha il culo basso, il suo viso non è particolarmente grazioso – un po’ spigoloso, il naso a punta e il mento un po’ sporgente – e a Dean sembra strano che di tutte le ragazze magari anche più belle di lei che hanno fatto il provino per entrare nella squadra della Junior High School sia stata lei la prescelta. Ma forse è solo una sensazione, perché ormai si è convinto che lei c’entri qualcosa con questa faccenda.
 
Osserva Ellie al suo fianco mentre si guarda intorno curiosa e, non appena capiscono che l’allenamento è terminato, si avvicinano a quella ragazza.
 
Jennifer sta parlando con un’altra tipa, presumibilmente una sua amica, il sorriso a sessanta denti; sembra tutto fuorché sconvolta per la scomparsa di un suo compagno di scuola.
 
Ellie non le parla finché non sono praticamente al suo fianco. «Jennifer Hamford?»
Le due ragazze si girano e la guardano con la spavalderia tipica delle adolescenti di sedici anni «Chi la cerca?»
Entrambi tirano fuori il distintivo e Dean aggrotta la fronte; già gli girano le scatole «Agenti Malcolm e Angus [2], FBI».
A sentire quelle parole, tutte e due cambiano espressione: Jennifer mostra un sorriso – quello di chi è disposto a fare di tutto per leccarti il culo –, mentre l’altra – un po’ più alta ma comunque minuta, i capelli castani chiari e gli occhi celesti –, è visibilmente più titubante, sembra quasi abbia paura. Dean sa fin troppo bene che quel distintivo mette timore a chi deve averne perché ha fatto qualcosa di sbagliato e questo è un indizio che decide di tener bene a mente. «Vorremmo farti delle domande sulla scomparsa di Kevin Dion».
 
La ragazza si morde il labbro e annuisce. Guarda l’amica che le appoggia una mano sulla spalla e la saluta con un cenno del capo «Ci vediamo dopo Amy, aspettami a mensa» forse l’altra ha capito che per lei era bene togliersi di torno. Jennifer punta di nuovo gli occhi su di loro. «Quello che sapevo l’ho già detto alla polizia».
«Non credo ti farà male ripeterlo anche a noi» Dean si volta di scatto verso Ellie e non sa se essere compiaciuto o no di quella sua uscita; la ragazzina è evidentemente antipatica anche a lei, su questo non può darle torto, perciò eviterà di bacchettarla dopo, a meno che non continuerà ad essere acida per il resto dell’interrogatorio – o qualsiasi cosa sia questa chiacchierata al centro di una palestra scolastica.
 
La ragazzetta sbuffa e incrocia le braccia al petto «Ok… basta che sia una cosa veloce, tra un quarto d’ora ho il corso di letteratura».
«Ti aspetteranno» Dean sorride beffardo; e pensare che si era quasi fatto un’idea positiva degli adolescenti di questa città. Kevin e l’altro tizio erano tutto fuorché degli stronzetti come questa qui. «Allora, cosa puoi dirci di Kevin?»
Jennifer stringe le spalle «Beh, lui è… un ragazzo semplice, alla mano. Gli piace aiutare tutti».
«Aiutava anche te?»
«A matematica. Sono una schiappa con le disequazioni e… con tutta la matematica in generale, a dire il vero» sorride e si gratta dietro la nuca, sembra leggermente in imbarazzo «Lui è sempre disponibile per darmi delle ripetizioni».
«L’ultima volta che l’hai visto?»
«Martedì sera. Abbiamo studiato e poi è rimasto a cena da me».
 
Dean la osserva con attenzione: ha tolto quell’espressione stronza e altezzosa dalla faccia e lo guarda sempre negli occhi, come se volesse aggraziarselo, ma questo di certo non gliela fa piacere di più. C’è qualcosa di strano in lei, è come se nascondesse qualcosa. Dean non si sente più un adolescente da un pezzo – magari non lo è neanche mai stato; è cresciuto troppo in fretta anche solo per ricordarsi la sensazione – ma sa che sanno mentire molto bene pur di nascondere le loro marachelle sotto un mucchio di sabbia.
 
«Un’ultima domanda: tu e Kevin avete qualche amico in comune?» la ragazzina lo guarda perplessa «Perché non frequentate gli stessi corsi, dico bene?»
Jennifer sembra pensarci per un secondo «Solo… solo quello di matematica. Non è un ragazzo ultrasocievole, è—»
«Voglio solo sapere se avete conoscenze in comune, nient’altro».
«Beh, c’è… c’è Amy… voglio dire Amelia Duncan, la mia migliore amica. Quella che ho salutato un attimo fa».
 
Dean annuisce in modo quasi impercettibile, mentre un pensiero si fa velocemente strada nella sua testa. Infila la mano destra nella tasca della giacca e tira fuori un rettangolino di carta bianca; lo porge a Jennifer che lo afferra, dubbiosa «Se ti viene in mente qualcos’altro sai dove trovarci».
 
Lei annuisce, le labbra strette in una linea sottile; in fin dei conti è solo una ragazzina e, se si è messa in qualche casino più grande di lei e deciderà di volere un qualche aiuto, Dean crede sia giusto darle una mano ad uscirne fuori.
 
*
 
Il resto della mattinata e il pomeriggio sono stati piuttosto tranquilli, calmi. Ellie e Dean hanno anche parlato con Amelia, l’amica strana di Jennifer, e… gli è sembrata ancora più strana. Sembrava voler sviare le domande, era vaga… a nessuno dei due ha fatto una buona impressione, ma Dean ha lasciato un biglietto da visita anche a lei, nel caso le venga voglia di parlare di quello che ha combinato con la sua amica, perché è sempre più chiaro che entrambe hanno a che fare con tutta questa storia, anche se Amelia sembra un po’ più consapevole di quello che potrebbe succederle, più… timorosa. 
 
Infatti, dopo aver fatto delle ricerche anche su di lei, Ellie ha ascoltato Dean tirare le fila della situazione e il suo discorso, per lei, non fa una piega.
 
Jennifer Hamford, sicuramente aiutata dalla sua amica, avrebbe qualcosa a che fare direttamente con la scomparsa di Kevin. Non l’ha di certo ucciso o torturato – è pur sempre una ragazza e molto giovane, perciò non sarebbe stata tanto tranquilla in quel caso –, ma sa dove si trova.
 
Dietro tutta questa storia c’è chiaramente un pizzico di stregoneria: lei ed Amy si saranno divertite a fare qualche incantesimo, per esempio per migliorare i voti che avevano in alcune materie scolastiche – e questo le loro pagelle lo confermano, visto che in letteratura sono passate da due C a tre A- in brevissimo tempo – e ad entrare nella squadra delle cheerleader, in quanto, secondo Dean, “nessuno avrebbe fatto passare alle selezioni quella lì”. Per Ellie, invece, Dean si basa solo sul suo gusto personale in questo giudizio, ma effettivamente ricorda che le cheerleader che erano nella squadra della sua scuola erano molto diverse: più alte, più slanciate, nel complesso più belle e atletiche. Jennifer Hamford potrà essere una brava ballerina, magari, o una brava ginnasta, ma effettivamente è difficile pensare che sia riuscita a passare le selezioni solo per la sua estetica. Probabilmente Kevin ha scoperto l’inganno e le due amiche hanno trovato un modo per farlo tacere, seppur temporaneamente.
 
E’ per questo che si stanno dirigendo all’abitazione di quella ragazza adesso: hanno atteso la sera, così potranno appostarsi indisturbati.
 
Jennifer vive da sua zia, una donna di nome Kelly Hamford, la sorella del padre. E’ sola, senza marito o figli e, a quanto hanno trovato scritto nella sua cartella nell’ufficio scolastico, è l’unica in grado di prendersi cura della nipote nel periodo che sta vivendo adesso, mentre i genitori sono nel Maryland per questioni di lavoro.
 
Ellie batte piano le dita sulle sue cosce, aspettando che Dean rientri con la cena – chissà perché ha insistito per andare a prenderla da solo –, e si guarda intorno, accarezzando poi la pelle del sedile dell’Impala ed inspirando il profumo che le arriva alle narici. Ha già potuto constatare che i gusti musicali di Dean non sono cambiati e c’è sempre una delle sue cassette di un qualche gruppo rock che scalda l’atmosfera, ma non è questo che le era mancato di più: era la sensazione di un luogo familiare, protetto. Ricorda quando ci hanno dormito per non pagare l’affitto della stanza di un qualche motel, una delle tante volte in cui dovevano raggiungere i loro padri chissà dove: era riuscita a guadagnarsi il sedile posteriore dopo averlo battuto a morra cinese ed era molto più comodo di quello della piccola Volvo a cui si è affezionata, ma che è tutto tranne che confortevole per dormire; ha provato la sensazione un paio di sere fa, prima di arrivare qui a Westwego. E’ un periodo di magra per Ellie – tra l’affitto e le spese che son sempre tante – e non poteva permettersi di prendere una stanza – soprattutto in vista del suo soggiorno qui –, così si è raggomitolata sul sedile posteriore con una coperta addosso ed ha provato a prendere sonno, ma è stata solo la stanchezza ad aiutarla ad addormentarsi. La mattina dopo, infatti, si è ritrovata con un terribile mal di schiena.
 
Perciò sorride appena pensando alla differenza, a quanto invece era più largo e comodo il sedile di questa macchina e si volta verso la parte posteriore, dove sa che è nascosto quel piccolo soldatino di plastica e, sebbene non riesca a vederlo perché non c’è luce, è sicura che sia ancora lì e la cosa, non sa perché, la rincuora.
 
Il rumore dello sportello dalla parte della guida che si apre distoglie Ellie dai suoi pensieri. Dean rientra con la cena che, per oggi, ha la forma di un cartoccio di carta bianca.
Ellie sorride mentre lo afferra e riconosce immediatamente di cosa si tratta dalla forma del cartone e dai disegnini arancioni che vi sono sopra «Cinese, eh?»
Lo guarda annuire «Non lo mangio da un po’ e mi ricordavo ti piacesse».
 
Anche Ellie annuisce, mentre Dean mette in moto e guida fino a fermarsi di fronte alla dimora di Kelly Hamford, ma sul lato opposto della strada, per non dare troppo nell’occhio.
E’ una casa abbastanza semplice, ma sembra spaziosa; ha un solo piano, perciò tutte le stanze sono collocate al pian terreno e le ampie vetrate non nascondono al meglio le attività delle due donne. C’è un grande giardino davanti alla porta e un piccolo viale che conduce dal cancello all’ingresso principale. Molto semplice, ma carino.
 
Dean ha fatto scorta anche di caffè e porge uno dei due bicchieroni che ha comprato ad Ellie che lo prende in mano, sfiorando inavvertitamente le sue dita e sentendo un brivido correrle lungo la spina dorsale. Finge di non prestarci attenzione e afferra il cartoccio bianco, prendendo poi le bacchette e lo apre; il vapore e l’odore di spezie si espandono immediatamente nell’abitacolo e anche Ellie, ripensando a quello che le ha detto Dean prima, constata silenziosamente che non mangiava cinese da qualche tempo; l’ultima volta ci è andata con Janis qualche mese fa.
Prende uno dei bocconcini e lo porta alla bocca ed osserva Dean lottare con i bastoncini per fare lo stesso; sorride divertita «Ancora non hai imparato ad usarle?»
Dean la guarda leggermente irritato – la faccia tipica che fa quando non gli riesce qualcosa – e sbuffa, scuotendo appena la testa «Come ho detto, non mi esercito da un po’. E poi non avevo più la mia maestra personale».
 
Ellie si morde le labbra e abbassa lo sguardo mentre il risolino di prima sparisce velocemente. Forse a lui piace ricordare o parlare della loro “rottura” – se così può chiamare il furioso litigio che li ha tenuti separati per un anno –, ma a lei non molto perciò preferisce cambiare argomento. Ha notato che non hanno mai discusso mentre tentavano di mettere insieme i pezzi di questo caso che li sta facendo penare, non vede perché debbano rovinare il clima mite che si è instaurato tra di loro durante la giornata.
 
Manda giù il boccone «Comunque potremmo prendere la mia macchina, la prossima volta».
Dean sorride di sbieco «Senza offesa, ma i catorci di Bobby non fanno per me. Poi non mi fido di te che guidi».
Ellie fa altrettanto, mostrando poi un finto broncio «Non è tanto più vecchia della tua e poi è affidabile e… ed io non guido male».
«Resta il fatto che la mia piccola non si batte».
 
Ellie stringe le spalle e lo guarda accennare un sorriso nella sua direzione, gli occhi fissi nei suoi. A volte sembra la persona più spensierata e felice dell’universo, altre è più abbattuto, quasi triste. Anche il suo anno non dev’essere stato dei migliori.
 
Una domanda le ronza in testa da un po’ e non ce la fa più a trattenerla per sé. Forse perché prima non lo faceva mai «Dean, mi spieghi perché… perché non hai più chiamato Bobby?» non glielo chiede con cattiveria, ma vuole una risposta sincera «E’ quasi un padre per te, perché non—»
«Non è come pensi tu» Dean sbatte i pollici sul volante, lo sguardo rivolto verso il cancello di ferro battuto di casa Hamford, alla sua sinistra «Io non voglio mettermi in mezzo. Mio padre è strano e probabilmente Bobby ha le sue ragioni per essersi comportato in quel modo, ma… non voglio entrarci».
 
Ellie alza le spalle; non è d’accordo con questo discorso, perché se fosse così allora anche lei e Dean non dovrebbero parlarsi per la discussione che hanno avuto i loro padri, ma non ha intenzione di controbattere. E’ come se l’atmosfera tra di loro fosse sempre tesa – quando non parlano del caso, appunto – e non le va di approfondire troppo certi argomenti, non vuole creare altre discussioni. Quasi si pente di aver fatto quella domanda, solo che… una volta ci dicevamo tutto, maledizione. E’ come se fosse un’abitudine che non riesce a togliere.
 
Segue un attimo di silenzio, poi Dean parla ancora «Ti ha chiesto qualcosa di me?» ed Ellie si volta a guardarlo nuovamente «In che senso?»
«Se mi avevi visto o cose del genere».
Lei scuote la testa «Non è stupido. Credo abbia capito che io e te non ci parliamo granché adesso» prende un respiro «Non mi sarei presentata alla sua porta, altrimenti. Avrei chiamato te quando avevo più bisogno di aiuto».
«Potevi farlo» lei lo guarda negli occhi, un po’ sorpresa da quelle parole «Non ti avrei chiuso la porta in faccia, Ellie, lo sai».
«Lo avrei fatto se avessi voluto, ma non… » sospira, non sapendo bene come concludere la frase. La verità è che ci ha pensato, ci ha riflettuto per più di un lungo istante, ma se ne sarebbe pentita perciò non ha neanche tentato. E poi quello accanto a Dean non era più il suo posto… se mai lo era stato. «E comunque c’era tuo padre. Non avrei… insomma, non saremmo stati esattamente un’allegra famigliola felice» Dean la guarda, le sopracciglia leggermente aggrottate e l’espressione visibilmente confusa «Io, te e John. Immagino i salti di gioia che avrebbe fatto se fossi comparsa sul serio».
Dean scuote la testa sbuffando leggermente e appoggiando poi il gomito sul volante «Senti, papà ha esagerato a dire quelle cose su di te, è vero, ma tu non lo conosci».
«Nemmeno lui conosce me, però si è permesso di giudicarmi».
 
A quelle parole, Dean non risponde più e torna a concentrarsi sulla sua cena finché non finisce di mangiare – con non poca difficoltà. Ellie fa altrettanto e poi appoggia il gomito sulla parte dello sportello da cui sale il finestrino.
 
E’ passato del tempo, ma non riesce proprio a tollerare il fatto che Dean difenda continuamente suo padre, così, a spada tratta, anche se ha palesemente torto. Nonostante ne ammetta le colpe, trova comunque un qualcosa per farlo uscire pulito e ad Ellie tutto questo dà sui nervi. E forse è questo il motivo per cui probabilmente non si metterà mai quella storia alle spalle, perché si è sentita così ferita e non ha trovato in Dean l’appoggio che cercava. A volte crede di avergli scaricato addosso tutta la sua rabbia senza neanche avergli dato modo di rispondere nulla, ma altre si rende conto che ha avuto tutto il tempo possibile per dimostrarle che si stava sbagliando, che lui la pensava diversamente, ma non l’ha lasciata da sola a risolvere un problema quando avrebbe dovuto, quando Ellie si sentiva pronta per farlo; non le ha dato la fiducia che Ellie credeva di meritare. Perciò sì, anche lui ha le sue colpe.
 
Rimane in silenzio per non sa quanto tempo, osservando zia e nipote di casa Hamford spartirsi bonariamente la cena.
 
«Ci pensi mai a quella sera?»
La voce di Dean si espande nell’abitacolo ed Ellie si volta di scatto, trovandolo a guardarla dritto negli occhi. Sa fin troppo bene a cosa si riferisce ma, onde evitare figuracce, crede sia meglio chiedere. «Quale?»
«E dai, hai capito».
Sì, intendeva proprio quello. Non ha senso mentire, Dean lo capirebbe subito e non le va di fargli pensare chissà cosa. Meglio rimanere vaghi.
«A volte. Perché me lo chiedi?»
«Così». Ellie torna a concentrarsi su Jennifer, sperando che il discorso sia finito, ma si ricorda fin troppo bene l’atteggiamento di Dean di fronte a certe cose, perciò… sicuramente vorrà parlarne, altrimenti se ne sarebbe stato zitto. «Perché io… io credevo veramente che ti fossi pentita».
Ecco, appunto. Ellie si aspettava che, prima o poi, tutta quella storia sarebbe uscita fuori, dopo essere stata sepolta per un lungo anno nel mare del silenzio. Lo guarda, le braccia incrociate al petto «Vuol dire che non hai capito proprio niente di me» lui la osserva senza rispondere «Insomma… davvero non ti sei reso conto di quanto stavo bene?»
Dean si gratta dietro la nuca. Sarà passato del tempo, ma Ellie lo conosce e non la frega: sa che è nervoso in questo momento e lo celerebbe anche bene se avesse una sconosciuta davanti e non lei. «Questo non vuol dire nulla. Uno può… può sempre cambiare idea la mattina dopo. Succede. In fondo sbagliamo tutti, può capitare anche a te».
Ellie continua a guardarlo; non ha mai sentito addosso tanta voglia di prenderlo a schiaffi come in questo momento «Proprio perché mi è già successo ci ho pensato bene prima di… di lasciami andare con te quindi no, non ero pentita. Non lo sono neanche adesso» prende fiato, le guance che le prendono fuoco; non ha senso mandare questo discorso per le lunghe, tanto è sicura che Dean troverebbe comunque il modo per ritirarlo fuori. Tanto vale mettere le cose in chiaro una volta per tutte «Però per me era importante e mi sarebbe piaciuto che lo fosse stato anche per te».
«Nessuno ti ha detto il contrario» Ellie lo fissa, indecisa su cosa rispondere, il cuore che le scoppia nel petto al sentirgli dire quelle parole «Non avrò capito niente di te, ma potrei dirti la stessa cosa. Voglio dire, non credi che se veramente la pensavo come mio padre—»
«Oh, andiamo… avevi mille modi di dirmi che mi sbagliavo e non hai fatto niente».
«Se mi avessi dato il tempo di spiegarti quando ci siamo visti… »
«Ero arrabbiata».
«No, eri furiosa. Dio, non ti avevo mai vista in quel modo, sembravi una iena pronta a sbranarmi».
«Non pensavo ti spaventassi così facilmente».
 
Dean solleva un angolo delle labbra verso l’alto, roteando gli occhi; se non lo conoscesse, penserebbe che tutto questo lo diverte, ma ormai ha capito che è tutta una farsa per non far vedere quello che sente davvero. Non è la prima volta che fa così, che si mostra forte quando magari dentro sta uno schifo. Solo che Ellie non ha più nessuna voglia di capirlo o giustificarlo. L’ha fatto troppo a lungo e non l’ha portata a niente.
 
«Comunque sia» Dean riprende a parlare, tossicchiando leggermente «Io lo pensavo perché non ti ho trovata quella mattina, ma magari… »
Ellie stringe forte le palpebre. Non vuole che questa conversazione duri all’infinito, è già abbastanza infastidita da tutto questo discorso. Non ha senso tirarla ancora per le lunghe, tanto non c’è soluzione, non c’è modo di tornare indietro e rimediare agli sbagli commessi perciò lo interrompe prima che possa terminare quella frase «Va beh, ora dacci un taglio» Dean la guarda perplesso «Hai ottenuto quello che volevi, ora che sai che non ero pentita… perché devi farla così lunga? Perché devi… devi tediarmi ancora con questa cosa?»
Nota i muscoli della sua mascella guizzare velocemente, stringersi in una morsa «Di qualcosa dobbiamo pur parlare».
«Non di questo».
 
Dean inspira forte e si volta verso il finestrino, l’espressione arrabbiata. Ellie sa perfettamente di essere stata dura, di aver usato un tono brusco, ma non le importa perché era esattamente quello che voleva. Anche perché è perfettamente conscia del fatto che se non l’avesse interrotto le sarebbe scappato di bocca qualcosa di molto peggio.
 
Le due donne della famiglia Hamford rimangono buone e docili per tutta la sera: nessun battibecco, nessun tipo di traffico losco o gitarella particolare in qualche luogo sospetto; sono fin troppo tranquille ed Ellie deve lottare con tutte le forze che ha per non addormentarsi. Non è più abituata ad appostamenti notturni o a dormire poche ore per notte, perciò trova tutto questo tremendamente stancante.
 
Per di più, Dean non dice una parola e forse è meglio così. Non ha voglia di discutere ancora su quella storia; è passata e deve finire. Fondamentalmente perché non vuole peggiorare quello che è già parecchio deteriorato di suo.
 
Lo osserva silenziosamente, con la coda dell’occhio, e nota che, ogni tanto, Dean tira fuori il telefono dalla tasca della giacca di pelle e ne osserva il display per alcuni secondi, per poi richiuderlo e rimetterlo al suo posto. Forse sta aspettando una telefonata di suo padre. Ellie non lo biasima per questo; in fondo, quando suo papà spariva per giorni interi senza lasciare neanche un biglietto, lei lo chiamava fino allo sfinimento, intasandogli di messaggi la segreteria, perciò capisce la sua preoccupazione. E’ più che legittima.
 
Ellie sa che non possono permettersi di mettersi a dormire, perché c’è un ragazzo che è scomparso e potrebbe stare bene o forse no e non possono riposarsi finché non lo avranno trovato e riportato a casa sano e salvo, ma è talmente stanca che non riesce a resistere e neanche si accorge quando le palpebre le si chiudono da sole e il sonno la travolge totalmente fino a farla crollare, il collo storto sul sedile di pelle.
 
Si sveglia che il cielo fuori è più chiaro, brillante. Si stropiccia gli occhi e si ritrova in una posizione più comoda, la testa appoggiata al finestrino ed una coperta addosso. Si guarda intorno, gli occhi ancora piccini, ed è ancora nell’Impala; ritrova Dean seduto sul posto di guida, come sempre.
 
Ellie si tira su di scatto e lui, accorgendosi dei suoi movimenti, si volta nella sua direzione, abbozzando un sorriso stanco e non tanto caloroso. «Ben svegliata».
Lei lo guarda allarmata. «Oddio, scusa, mi sono—» ma Dean scuote la testa. «Non fa niente. Non sei più abituata a questi ritmi, eh?»
Scuote la testa «E’ successo qualcosa?»
«No. Sono andate a letto ad un’ora decente e la zietta si è alzata da poco per andare a lavorare… presumo. Per il resto tutto morto, Torrance Shipman [3] è ancora nel mondo dei sogni» Ellie aggrotta la fronte e lui scuote la testa abbozzando un sorriso «Dovresti guardarti qualche film ogni tanto, non ti farebbe male».
 
Ellie alza le spalle e guarda fuori dal finestrino: non sono più fuori dall’abitazione delle Hamford, ma nel parcheggio del motel. Era così stanca che non si è accorta di nulla, neanche del motore che si accendeva.
 
Scendono dall’Impala e Dean si avvicina alla porta della sua stanza, infilando poi la chiave nella serratura. Ellie dovrebbe andare nella sua per rinfrescarsi un po’, ma gli si avvicina, in modo del tutto istintivo. «Scusa se mi sono addormentata. Sul serio, io… non sono riuscita a tenere gli occhi aperti».
Lui scuote la testa «Per questo si fa conversazione, di solito. Per rimanere svegli» sorride appena e ad Ellie non sfugge la massiccia dose di ironia nel suo tono di voce «Comunque non fa niente, in fondo non… aspetta un attimo» si interrompe da solo, togliendo il cellulare dalla tasca.
 
Ellie lo osserva e vede i suoi occhi illuminarsi per qualche secondo, prima di aprire il display; forse crede che sia suo padre, e magari una cosa potrebbe essersi aggiustata, che forse è tutto a posto almeno su quel fronte ed Ellie sarebbe davvero contenta per lui se l’avesse ritrovato ma, quando quel luccichio si spegne, capisce di aver fatto male i suoi conti e che John Winchester ha ancora intenzione di darsi alla macchia per un po’. Osserva Dean mentre risponde e spalanca gli occhi sempre di più e poi pronunciare solo un secco «Arriviamo» al suo interlocutore.
 
Dean chiude la chiamata e la guarda allarmato «Non ci sto capendo più un cazzo… L’amica della ragazzina insolente, Amelia, è stata aggredita stanotte».

 
[1] Come presta volto per Janis, ho pensato a Lizzy Caplan perché l’ispirazione per “crearla” mi è venuta proprio dal suo ruolo in “Mean girls”, dove interpreta Janis Ian, l’amica ribelle della protagonista. La stessa attrice poi ha interpretato personaggi completamente diversi da quello che aveva in quel film (come in Masters of Sex, ad esempio, che credo sia il suo lavoro più recente), e da qui viene l’idea che, una volta cresciuta, con lei sia cambiato anche il suo look. Per capirci, qui è come me l’immagino quando frequentava il liceo insieme ad Ellie, qui e qui è com’è ora che si sono ritrovate a Buckley.
[2] I cognomi Malcolm e Angus provengono dai nomi dei fratelli Young fondatori della band AC/DC.
[3] Torrance Shipman, interpretata da Kirsten Dunst, è il capitano della squadra di cheerleader nel film “Ragazze nel pallone”.

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Capitolo 26
*** Pictures of you ***


Note: Hola a tutti! Terz’ultimo capitolo – piango – di questa storia che sta per giungere al termine. Che dire… se non avete capito niente del caso non vi preoccupate, perché in questo capitolo il tutto avrà più senso logico. Spero solo di non aver fatto un buco nell’acqua *faccina imbarazzata*
Per il resto, sono un pochino perplessa perché le visite – insieme alle recensioni – si sono abbassate notevolmente anche questa settimana. Continuo a dare la colpa agli impegni quotidiani/settimanali che ognuno di voi può avere, ma se non è così ed il motivo è che la storia comincia a non piacervi eccetera non esitate a dirmelo. Io sono qui anche per prendermi delle critiche, non ho paura di voi! *risata malefica* no, davvero, se c’è qualcosa che non vi piace non fatevi problemi a farmelo notare. Non mordo e le vostre puntualizzazioni possono aiutarmi a fare di meglio :)
Detto questo vi lascio al capitolo, sperando di trovarvi più numerosi delle ultime settimane. Un abbraccio, a mercoledì!


Capitolo 26: Pictures of you
 
Pictures of you,
Pictures of me,
Remind us all of what we could have been.
 
(Pictures of you – The Last Goodnight)
 
 
Ferma la sua macchina nel parcheggio e spegne il motore, sospirando irritato. Sì, perché se c’era una cosa di cui Dean era pienamente convinto era il fatto che quella ragazzetta, Amelia Duncan, insieme alla sua amica Jennifer, c’entrasse con tutto ciò che sta capitando, con gli episodi di stregoneria più o meno velati che si stanno succedendo uno dietro l’altro in questa cittadina, ma ora la probabile carnefice è diventata una vittima e tutto si ribalta e Dean comincia davvero ad essere a corto di idee.
 
Le cose sono due: o non c’ha capito un cazzo oppure la faccenda è ancora più intricata di quanto sembrava in precedenza e la verità su questo caso gli sembra sempre più sfuggevole, più lontana.
 
Chiude lo sportello dell’Impala e si avvia alla stazione di polizia della zona dove Daniel Jackson, il ragazzo che ha picchiato quella sedicenne, ha confessato immediatamente ed ora è in custodia lì, in attesa di un qualche giudizio.
 
Nel frattempo, Ellie si è diretta all’ospedale St. Thomas [1] di Westwego, dove invece è momentaneamente ricoverata Amelia; per una volta, è stata una fortuna che Ellie avesse un’automobile per conto suo, così da potersi separare e ridurre i tempi il più possibile. In fondo, c’è ancora un ragazzo che ha bisogno di un aiuto vero e che non hanno la più pallida idea di dove sia, perciò è bene fare più in fretta possibile.
 
Ellie non gli è sembrata proprio entusiasta di andare a parlare con Amelia e Dean ha avuto come l’impressione che non fosse il “compito” da svolgere il problema, ma il luogo, come se l’idea di entrare in un ospedale la mettesse un po’ a disagio. Effettivamente, non è proprio il posto che Dean preferisce al mondo o quello dove la porterebbe a fare una gita, ma purtroppo oggi questo passa il convento.
 
Entra nella stazione di polizia e si guarda intorno, in cerca di un qualche poliziotto a cui mostrare il suo distintivo, così da poter parlare con quel ragazzo.
 
E’ stata la stessa Amelia ad informarlo dell’accaduto. A sentire la sua voce, a Dean è sembrata sull’orlo di una crisi di nervi e non l’ha fatto neanche parlare, snocciolando velocemente tutta la situazione con la voce rotta e tremante.
 
In pratica, era uscita con questo ragazzo per mangiare qualcosa insieme e, quando se ne stavano andando dal locale dove erano stati a cena, lui, di punto in bianco, l’ha aggredita, cominciando a picchiarla.
 
Dopo quella telefonata, a Dean ed Ellie è bastato intercettare la radio della polizia per scoprire che lo stesso tipo era andato di corsa a confessare e questo gli è sembrato piuttosto strano – come un po’ tutta questa dannata storia –; Dean può immaginare le facce dei poliziotti che l’hanno “accolto” alla centrale, magari abituati solitamente a trattare con persone molto più restie ad ammettere i reati commessi.
 
Finalmente un agente lo nota e Dean mette su il suo show, fingendosi uno del Bureau con abilità e facendosi portare dritto nella stanza dove il ragazzo è seduto al tavolo, ammanettato, con la testa bassa, gli occhi fissi sulle sue stesse mani che rigira tra di loro, nervoso. Alza gli occhi solo quando Dean apre la porta e lo vede entrare; a Dean basta un’occhiata per percepire il panico che sente quel ragazzo. Sembra terrorizzato.
 
Si siede di fronte a lui e appoggia le mani sul tavolo, guardandolo negli occhi, e gli sorride sghembo. «Allora… che diavolo ti è saltato in testa, eh? Non si usano più le buone maniere con una signorina?»
Il tipo – anche lui visibilmente giovane, avrà al massimo diciannove o vent’anni – stringe le labbra, gli occhi lucidi «Io so che quello che dirò potrà sembrare folle, ma… ma non sono stato io. Cioè non… non io, non… non ero in me».
Dean ascolta con attenzione, captando in quelle parole qualcosa che potrebbe interessargli. Continua a fissare il ragazzo: sembra una persona pulita, i capelli riccetti ma non troppo lunghi e l’espressione di chi vorrebbe essere in tutt’altro posto, ma che ha confessato perché ci tiene alla sua coscienza, perché non voleva in nessun modo ferire un’altra persona. Dean lo percepisce e per questo si prefigge di non trattarlo troppo male, sebbene generalmente gli stiano sul cazzo quelli che picchiano le donne, a maggior ragione se sono molto giovani come in questo caso.
«Che intendi dire?»
Il ragazzo si inumidisce le labbra, teso «Io… io ed Amy ci conosciamo da tantissimo tempo. Abitiamo nella stessa strada e le nostre famiglie sono sempre state in contatto. Io e lei usciamo insieme ogni tanto… siamo amici».
«Ma tu vorresti di più, non è così?» Dean non fa fatica a capirlo: conosce lo sguardo di chi non si accontenta di un rapporto fine a se stesso, forse perché è la stessa sensazione che sente lui stando a stretto contatto con Ellie. Daniel Jackson annuisce «E quindi cos’hai fatto? Ci hai provato, lei non ci è stata e l’hai picchiata per questo?»
Il ragazzo aggrotta la fronte «Assolutamente no!» il suo tono è fermo, deciso «Non lo farei mai. Non l’avrei mai fatto di mia spontanea volontà» inspira forte, visibilmente scosso «S-siamo usciti dalla pizzeria ed io… io le ho solo messo la mia giacca sulle spalle perché aveva freddo. Lei mi ha sorriso e… e poi non so cosa mi è preso, ma è come se qualcosa si fosse impossessato di me. L’ho sbattuta contro il muro e lei… l-lei mi diceva di non farle male, che le facevo paura, ma era come se le mie mani si muovessero da s-sole mentre… » appoggia i palmi sul viso, nascondendo i suoi occhi «Non sapevo cosa stavo facendo, ero lucido, ma al tempo stesso non riuscivo a smettere».
 
Dean prende un grosso respiro e non ha bisogno di fargli altre domande per sapere che è sincero, che è davvero innocente sebbene i fatti dicano il contrario e sa solo che questa dannata storia deve finire. Sono coinvolti in troppi e sono tutti collegati ad un’unica persona. Quello che sfugge a Dean è, però, il perché Jennifer Hamford voglia fare del male anche alla sua amica.
 
Si alza dalla sedia e Daniel lo guarda ancora, lo sguardo perso «So che suona come qualcosa di assurdo, ma… io non volevo farle del male». Dean tira le labbra in una linea sottile e annuisce, sospirando appena, e dopo quel gesto gli occhi nocciola del ragazzo che ha di fronte si accendono, diventando visibilmente più brillanti «Lei… lei crede che—»
«Sì, ma questo non ti aiuterà ad uscire dai guai. Hai comunque commesso un reato e… e non penso sarà tanto facile spiegare alla tua amica quello che hai detto a me».
 
Fa per uscire, la mano sulla maniglia della porta, ma la voce di Daniel Jackson lo trattiene ancora per qualche istante. «Come… come farò a spiegare ad Amy che non sono stato davvero io quando sono state le mie mani a farle del male? Come faccio a… a riconquistare la sua fiducia?»
Dean stringe le spalle e volta appena la testa, giusto per guardare quel ragazzo che gli sembra la versione più disperata di se stesso e, proprio perché conosce troppo bene la sensazione, non sa neanche cosa dirgli.
Solitamente non è uno che spartisce consigli, anzi, fatica a farlo anche quando qualcuno gliene chiede esplicitamente uno, ma prova tenerezza per quel tipo, incastrato in una storia più grande di lui. Sorride amaro «Credo di essere la persona meno adatta per questo tipo di cose, ma credo che se vorrà ascoltarti, saprai dirle tutto quello che vuole sapere».
 
Esce dalla stazione con le idee sempre più ingarbugliate, ma l’assoluta certezza che quel ragazzo è assolutamente innocente. Il motivo per cui qualcun altro abbia cercato di incastrarlo, però, gli è oscuro.
 
Sfila il cellulare dalla tasca della giacca grigia e lo apre: Ellie gli ha mandato un messaggio per dirgli di raggiungerla nella sua stanza una volta finito con l’interrogatorio al ragazzo. Non c’è nient’altro: nessuna chiamata persa, nessun avviso della segreteria che gli è sfuggito, niente. Suo padre continua a giocare a nascondino e Dean è sempre più preoccupato: ormai sono quasi tre settimane [2] che non si fa vivo e sta cominciando a pensare che dovrà andarlo a cercare di persona molto presto.
 
Sta seriamente considerando l’idea di mettere al corrente Sam di tutta questa storia, anche se non ne è affatto certo. Non è sicuro di un cazzo. Chiamarlo sarebbe totalmente inutile, perché Sam sicuramente si rifiuterebbe di rispondere e, comunque sia, rimane il fatto che anche andare lì e parlargliene a quattr’occhi – per quanto avrebbe tanta voglia di farlo – vorrebbe dire mandargli tutto all’aria, distruggere quello che Sammy ha costruito con tanta fatica e sacrificio perché se c’è uno che lotta per ottenere quello che vuole è proprio suo fratello. E’ sempre stato così. E proprio adesso che se l’è andato a prendere – sfidando papà e lasciando Dean da solo a combattere i suoi fantasmi – non sa se è giusto presentarsi e riportare la guerra nella sua vita, ora che è riuscito a lasciarsela alle spalle.
 
Si avvia al motel intenzionato a non pensarci, sapendo perfettamente che anche lì lo aspetta un problema a cui sembra non riuscire a trovare soluzione.
 
Al contrario di come gli sembrava all’inizio, Ellie è distaccata, pare sia lì solo ed esclusivamente per dovere e, a volte, gli sembra fatichi anche a guardarlo in faccia. Capisce che è delusa ma, ogni volta che Dean prova a tirare fuori il discorso, lei trova un modo di chiuderlo bruscamente e non riesce mai ad avere il tempo di spiegarle niente, per una volta che crede di avere tanto da dire. Non sa neanche se gli conviene arrendersi, gettare le armi e far finta che quella notte che ha passato insieme a lei sia stata solo una parentesi felice nel loro rapporto, prima che tutto finisse a rotoli per un maledetto malinteso, oppure stringere i denti e sopportare ancora, non smettere di tentare di appianare questa situazione del cazzo.
 
Se l’è chiesto anche ieri sera, mentre la osservava dormire appoggiata al finestrino dell’Impala. Se sentisse qualcosa di vagamente diverso per lei da quando l’ha ritrovata, se fosse leggermente… affievolito quello che prova, getterebbe la spugna senza pensarci un attimo, ma la verità è che è tutto dannatamente uguale: niente di quello che è successo ha cambiato le cose, neanche l’anno che hanno trascorso lontani l’uno dall’altra, neanche tutte le donne che si è fatto aspettando il suo ritorno. E questo gli dice che, inconsciamente, ha già deciso cosa fare.
 
Parcheggia l’Impala fuori dal motel e, dopo essersi cambiato velocemente d’abito – il completo lo fa sempre sentire troppo damerino e non ci si trova mai a suo agio –, bussa alla porta di Ellie; lei apre poco dopo e sembra un po’ sconvolta, come se avesse visto qualcosa di terribile. Lo lascia entrare e lo fa accomodare su una sedia, proprio davanti al computer acceso sopra il tavolo.
 
Ellie rimane in piedi e si mette alla sua sinistra; prende fiato e gli racconta quello che ha visto da Amelia, di com’era ridotta: il suo viso, prima pulito e innocente, era ricoperto di lividi; gli occhi celesti stravolti dal pianto e lo zigomo destro violaceo, scuro. Aveva una fasciatura a sostenerle il braccio, i capelli scarmigliati e così diversi da come li portava a scuola, lisci e ordinati; da come la descrive, è come se, più che ad una “piccola” aggressione, sembrava aver scampato uno stupro o comunque una violenza fisica pesante.
 
Ellie sembra abbastanza toccata mentre gli racconta tutto ciò e, incrociando quello che le ha riferito lei con il racconto del ragazzo, le due storie coincidono: Amelia Duncan e Daniel Jackson sono usciti insieme per mangiare una pizza e, quando si sono allontanati dal locale, lui è improvvisamente impazzito, mettendola contro il muro e cominciando a picchiarla. Quello che ha aggiunto rispetto a lui è che, ad ogni colpo, Daniel aveva gli occhi sgranati, come se non credesse a quello che stava facendo, e le chiedeva continuamente scusa, totalmente incapace di controllarsi.
 
Dean si passa le dita sugli occhi stanchi «Alla fine, tutto ricade su quella Jennifer, ma sembravano unite quando ci abbiamo parlato, non vedo perché debba accanirsi anche con lei».
Ellie storce la bocca «Magari perché ha scoperto qualcosa anche lei, come può essere successo a Kevin Dion? Non lo so, io… non sono riuscita ad ottenere più informazioni. Però mi ha dato la sensazione che volesse dirmi di più, che volesse parlarmi di qualcos’altro. Ho cercato di farle domande più precise possibili, ma non è stato semplice, anche perché era sotto shock. Non volevo infierire più di tanto». Dean annuisce; in fondo non c’è da stupirsi, può solo immaginare in che condizioni fosse quella ragazza. «Però mi è venuta un’idea su quello che può essere successo a Daniel Jackson, del perché l’abbia aggredita» si piega un po’ in avanti, verso il computer, per mostrare una pagina di internet a Dean che legge incuriosito.
«Bamboline voodoo?»
«Beh… è un rito orribile e più vecchio del mondo, ma non mi stupirebbe scoprire che in questa città di matti qualcuno nel bel mezzo della notte si sia divertito a giocare con queste cose. In fondo servono per controllare le persone a distanza».
Dean ci riflette un secondo «Jennifer è andata a letto presto, magari nel buio… io ho solo visto che dormiva, non sono mica andato a sbirciare sotto le coperte».
Ellie stringe le spalle «Per me continua a non avere senso. Insomma, io non lo farei mai ad una mia amica».
Dean la osserva per un attimo e gli sembra un po’ meno a disagio del solito, ma forse è solo una sensazione. Lei si volta «Vado un attimo in bagno, torno subito… se vuoi leggi meglio di questa storia».
 
Annuisce pensieroso ascoltando in lontananza il rumore della porta del bagno chiudersi e, prima di puntare gli occhi sullo schermo del laptop, un altro oggetto che non aveva notato in precedenza attira la sua attenzione. E’ sull’angolo opposto del tavolo, chiuso, e Dean lo riconosce immediatamente: è il taccuino che Ellie gli ha mostrato ormai più di un anno fa, quello che lei dovrebbe considerare come una specie di diario e che racchiude le foto della sua infanzia.
 
Dean allunga un braccio e lo afferra; è un po’ più “gonfio” di come se lo ricordava. Ellie deve averci inserito altre fotografie e disegni, ma per il resto è esattamente lo stesso.
 
Ha capito che non sta con nessuno adesso, che al più c’è solo un gatto col pelo rosso nella sua vita, ma Dean ha sempre la sensazione che gli nasconda qualcosa, che la sua delusione non sia l’unico motivo per cui lo tiene a distanza e forse qui dentro potrebbe trovare la spiegazione, potrebbe saperne qualcosa di più senza chiederle nulla, perché ormai non è più sicuro che fare domande sia il mezzo più giusto per ottenere risposte da lei: è troppo schiva, troppo distaccata.
 
Cerca di comportarsi per bene e di resistere alla tentazione di dare una sbirciata, perché sarebbe tremendamente scorretto nei confronti di Ellie, ma la curiosità è troppo forte e, alla fine, cede: apre quel quaderno ed i suoi occhi scorrono su quelle immagini, sui disegni della madre di Ellie e le fotografie di loro due insieme quando lei era una bambina.
 
Come aveva previsto, Ellie ha aggiunto delle foto che la ritraggono insieme ad una ragazza castana dagli occhi vivaci. Seduta su un divanetto in pelle – tipico delle tavole calde –, Ellie sorride insieme a lei che la abbraccia e sembra volerle davvero bene a giudicare da come lo fa; probabilmente è Janis, anche se, dalla descrizione che Ellie gli aveva fatto quando gliene ha parlato per la prima volta, è molto diversa, meno… punk. Forse è cambiata nel tempo, o forse era lui ad immaginarsela così.
 
Sorride a quell’immagine di una Ellie spensierata, nonostante i suoi occhi sembrino tristi, spenti, così simili a quelli che ha anche adesso, e quando alza il quaderno per girare pagina e vedere meglio, un foglietto gli cade a terra. Si abbassa subito a raccoglierlo: è stropicciato e sembra essere stato accartocciato e poi rimesso in ordine; sta per riporlo al suo posto quando quello che vi è disegnato attira la sua attenzione. Si tratta di una coppia, due ragazzi che si abbracciano e Dean riconosce se stesso in quel disegno a matita, il suo stesso taglio di capelli e tante piccole lentiggini sulle guance e sul naso – forse qualcuna in più di quante ne ha realmente. Stringe una ragazza che immagina essere Ellie e sorridono felici, gli occhi rivolti all’osservatore, come se fossero immortalati in una qualche fotografia, e Dean si chiede se Ellie l’abbia fatto prima o dopo quell’immenso casino.
 
Forse aveva atteso tanto che Dean si accorgesse di lei, forse ha cercato di reprimere quello che sentiva dentro di sé per non rovinare tutto – un po’ come ha provato a fare lui –, o forse… Dean non sa che pensare, si sente solo un immenso idiota, ogni giorno che passa sempre di più. Le cose sarebbero potute andare diversamente se solo si fosse sforzato di più, se le avesse telefonato anziché attendere l’ultimo minuto per parlarle e capire cosa stava succedendo e non fa in tempo a concludere quel pensiero che Ellie esce dal bagno, cogliendolo in flagrante. Deglutisce e lei lo guarda accigliata – la fronte aggrottata e gli occhi ad indagare su quello che Dean ha in mano – e non ci prova neanche a difendersi; farebbe solo più danni.
 
Lei rimane in piedi accanto alla porta del bagno, le mani strette a pugno «Tienilo pure quel disegno. Io non lo voglio». Dean si umetta le labbra e sospira; se voleva una reazione di questo tipo forse avrebbe dovuto comportarsi così molto prima «Sta lì solo perché non ho avuto il coraggio di buttarlo, quindi se lo vuoi prendilo». Non è sicuro che stia dicendo la verità – o almeno non totalmente –, ma scuote appena la testa e lo appoggia sul tavolo, senza nessuna intenzione di portarlo via. Non sarebbe giusto. «Solo non… non toccare più le mie cose».
Dean sospira ancora «Non ho cercato niente di proposito, era lì sopra e—»
«Non m’importa» lo sguardo di Ellie è duro e non ammette repliche «Non devi toccare la mia roba» stringe un po’ di più i pugni; è visibilmente incazzata «Mettiamo in chiaro una cosa una volta per tutte: io non ho niente di prezioso, né gioielli o cose di valore ma… » indica quel taccuino con l’indice, facendo qualche passo verso Dean «In quel quaderno c’è tutto quello che ho di più caro al mondo, ci sono tutte le cose belle che… che ho vissuto e tu… tu eri una di queste finché non hai rovinato tutto» Dean la ascolta in silenzio, il cuore stretto in una morsa, ma la lascia parlare perché almeno adesso lo fa e preferisce che gli butti addosso tutta la rabbia che sente in questo momento – quella che, forse, non ha mai messo da parte – che sopportare ancora i suoi silenzi. Anzi, preferisce di gran lunga le urla a questo punto, almeno può capire cosa cazzo le passa per la testa. «Te l’ho mostrato quando volevo farti vedere la mamma, ma questo non ti dà il diritto di ficcanasarci adesso».

Dean scuote la testa, la rabbia che comincia a salirgli in corpo. Chiude il taccuino con un gesto secco e si alza in piedi, afferrando il bordo della sedia, le braccia a sostenere il peso del suo corpo. Si schiarisce la voce e parla stavolta, guardandola negli occhi. «Senti, mi… mi dispiace per quello che è successo». Ellie sta ferma, le braccia lungo i fianchi «Non era mia intenzione ferirti né tantomeno usarti. Ho semplicemente capito male e volevo… volevo chiarire tutto a voce, ma evidentemente era troppo tardi. Poi ci si è messo in mezzo il casino con mio padre e… va beh, il succo è che non volevo farti del male. Mi dispiace che per un cazzo di malinteso sia andato tutto a rotoli, io non volevo questo».
 
Ellie scuote la testa e stringe le braccia al petto, come se volesse difendersi da qualcosa «E’ da quando sono arrivata che non fai altro che curiosare nella mia vita. Se vuoi sapere se sono cambiate le cose, se… se vuoi chiedermi qualcosa, fallo. Non frugare tra la mia roba, però, perché questo non te lo permetto».
Dean stringe le labbra tra i denti, nervoso «E’ quello che ho cercato di fare finora, ma ogni volta che ho provato a iniziare questo discorso, non hai fatto altro che sbraitare».
«Ma cosa cazzo pretendi? Che sia felice di parlarne? Insomma cosa… cosa diavolo vuoi da me?»
«Che torni tutto come prima» non c’è incertezza nella sua voce mentre lo dice, nessuna inflessione, nessun ripensamento, perché non sta facendo altro che dirle la più sincera e completa verità «Che mettiamo a posto le cose e ci lasciamo alle spalle tutto questo casino. Non voglio nient’altro».
Ellie scuote la testa «Questo non sarà mai possibile».
«Perché no? Voglio dire, sei qui, vorrà pur dire qualcosa».
«Perché non mi fido!» Ellie fa un grosso sospiro, gli occhi pieni di rabbia «Non… non mi fido più» scuote la testa decisa e abbassa lo sguardo, stringendo forte le palpebre «Ascolta, io… io so di doverti delle scuse» rialza gli occhi e Dean la guarda perplesso; sembra molto più tranquilla di qualche minuto fa, inspiegabilmente «In fondo è anche colpa mia. Ma questo non cambia il fatto che… che non mi sono mai sentita tanto tradita e… e ferita come quando tuo padre ha detto quelle cose su di me».
«Ma questo non c’entra niente con me, io—»
«Sì, invece. C’entra perché tu non hai fatto niente per farmi pensare il contrario, tu… tu non mi hai dato fiducia ed io non aspettavo altro che sperare di sbagliarmi, di aver fatto bene a far affidamento su di te, di… di smetterla di pensare che tu fossi tanto meschino» rigira le dita tra di loro, gli occhi lucidi «Ci ho riflettuto a lungo, ho… ho pensato a quello che avevamo passato insieme, a tutte le cose che ci siamo detti e… e alla fine ho capito perché non è andata. Non è per tuo padre, o per come tu tratti le donne o tutto quello che c’è stato di sbagliato in quella storia» Dean la ascolta in silenzio, paralizzato dalla sua calma «La verità è che non abbiamo niente in comune, perciò anche volendo non potrebbe mai funzionare» stringe i denti; non sa perché ma si sente tremendamente offeso e amareggiato da quello che Ellie gli sta dicendo «Perché eravamo solo due persone sole che passavano del tempo insieme quando i loro padri avevano di meglio da fare che badare a loro e, a guardarci adesso, non è cambiato niente, perciò credo che sia l’unica cosa che ci lega veramente» Dean si limita a guardarla con gli occhi più piccoli e le sopracciglia aggrottate e deglutisce in silenzio, senza riuscire a dire nulla. Per qualche strano motivo è convinto che Ellie menta, che non pensi davvero tutte queste cazzate, ma è passato tanto tempo e forse non riesce a leggerle dentro come faceva prima. «Non voglio offenderti, ma hai insistito tanto per sapere cosa pensavo e… beh, è tutto qui».
 
Dean stringe i pugni, sentendo il sangue schizzargli nelle vene dalla rabbia. Anche se lo pensasse davvero, Dean crede che stia minimizzando quello che c’è stato tra loro, tutte le confidenze e il sostegno che si sono dati a vicenda e questo non può accettarlo, perciò proprio non riesce a trattenersi «Sai che sei una stronza? Sono tutte stronzate».
«Non è così».
«Invece sì, perché la verità è che non vuoi metterti in gioco. E lo capisco, insomma, ce l’hai ancora con mio padre per quello che ha detto e sei incazzata con me e va bene, ma le due cose non sono collegate perché io non l’ho mai pensata come lui».
«Però tu—»
«Fammi parlare!» urla, fuori di sé dalla rabbia «Quella sera ho rischiato grosso perché sentivo che le cose stavano cambiando e… e non ero sicuro che per te fosse lo stesso, ma mi sono buttato ugualmente ed è stato diverso perché c’ho messo tutto me stesso. Con te è sempre stato così, fin dal principio» fa una pausa e la guarda con attenzione «Ti ho detto cose che non avevo confidato a nessuno, mi sono… mi sono aperto con te nel momento in cui non c’era nessun altro che potesse ascoltarmi e tu l’hai fatto e non per tutte quelle cazzate che hai detto, perché volevi farlo» china il capo per un istante e scuote appena la testa, deciso ad abbassare un pochino il tono della voce «Quando ti ho vista qui davanti ho pensato che avremmo potuto chiarire le cose, che avevo finalmente l’occasione di spiegarti, ma se per te tutto questo non vuol dire niente, se… se pensi ancora che avrei mandato tutto all’aria per una scopata allora… allora sei tu quella che non ha capito proprio un cazzo di me».
 
Ellie lo guarda intensamente, ma Dean non ha più voglia di ascoltare quello che ha da dire e semplicemente si volta, apre la porta e la sbatte forte dietro di sé andandosene, ignorando i suoi richiami. Si allontana a passo svelto raggiungendo l’Impala; avrebbe tanta voglia di farci un giro ed andare il più lontano possibile, ma in fondo quello di cui ha bisogno davvero adesso è solo di prendere un po’ d’aria e calmarsi, perché quello che ha appena sentito gli fa così male da togliergli il respiro.
 
Sapeva che non sarebbe stato facile, che volersela riprendere era una follia, ma ci sperava così tanto che l’illusione che forse alla fine tutto sarebbe andato per il meglio, che l’avrebbe perdonato, era più forte di tutto il resto, invece adesso in mano non ha che un pugno di mosche e la convinzione assoluta che invece no, non ce la farà mai a riconquistarla, a farle cambiare idea, perché la delusione di Ellie è troppo profonda.
 
Magari non era neanche pienamente convinta di quello che ha detto, ma era troppo calma e distaccata e questo gli fa pensare che, almeno un po’, lo pensava.
 
Appoggia le mani aperte sulla carrozzeria scura e lucida dell’Impala, ripensando al disegno che ha trovato in quel quaderno. Probabilmente ne avrebbe riso se l’avesse trovato tra le cose di un’altra ragazza, perché gli sarebbe sembrata una cosa troppo romantica e sdolcinata, di quelle che gli fanno storcere la bocca, ma sa che il disegno è il modo in cui Ellie ricorda le cose a cui tiene e poi sembra che l’abbia conservato come il cimelio di una cosa importante, come qualcosa che conta. Per questo non capisce perché sia stata tanto dura e severa, perché non sia disposta ad ascoltare le sue ragioni, a provare a perdonarlo.
 
Ripensa alla sua immagine che, come quella di Ellie, in quel disegno era quella di una persona felice, sorridente e spensierata; nessuna maschera da indossare ogni giorno e nessun peso sulle spalle ed è sempre più convinto che non assomiglierà mai a quel ragazzo, per una marea di motivi. Si rende conto, però, che l’unica volta in cui ci è andato vicino era quando Ellie era insieme a lui, quando ogni giorno portava un po’ di gioia nella sua vita. Adesso, così distante e lontana, gli ricorda solo quello che è diventato senza lei e Sammy: l’ombra di se stesso.
 
Sospira forte, le palpebre strette, e sente il telefono vibrargli nella tasca della giacca di pelle; tira su col naso e preme il tasto verde per poi appoggiarlo all’orecchio. Una voce familiare – che non si aspettava minimamente di sentire – lo distoglie da quei pensieri e Dean ascolta in silenzio quello che ha da dirgli, concordando un appuntamento proprio qui, al motel. Chiude la chiamata e prende un bel respiro; non è tranquillo come vorrebbe essere, ma ora che ha questo impegno deve rispettarlo e si avvicina alla sua stanza con passo lento per darsi una rinfrescata e provare a rilassarsi.
 
Toglie dalla tasca della giacca la chiave della stanza per infilarla nella serratura e avverte una presenza al suo fianco, qualcuno che gli si è avvicinato un po’ troppo velocemente; si volta per chiedere allo sconosciuto che diavolo vuole ma non fa in tempo neanche a formulare una domanda, perché una forte botta su una tempia lo stordisce al punto di fargli perdere completamente i sensi.
 
*
 
L’acqua fuoriesce veloce dal rubinetto, impetuosa. Ellie, le mani attaccate saldamente al lavabo e le braccia a sostenere il peso del suo corpo, fissa il suo riflesso allo specchio, gli occhi fermi sulla sua immagine stanca e arrabbiata.
 
Non ha idea di quanto tempo sia passato da quando Dean è uscito da quella porta, da quanto sta così, ferma a contemplare il suo viso, come se da quell’azione potesse riuscire a realizzare qualcosa di importante. Sospira forte e si passa una mano sugli occhi stanchi, coprendoli con le dita per un lungo istante.
 
Non è cambiato. In questi giorni, Ellie l’ha osservato attenta, fissando i tratti del suo viso ed i suoi occhi, soprattutto quelli perché è lì che è nascosta la sua verità e no, non è cambiato affatto.
 
Non è cambiato il modo in cui la guarda, quel voler scrutare nei suoi occhi per sapere se sta dicendo la verità, se lo osserva nello stesso modo sincero con cui lo faceva fino a un anno fa, quando ha deciso che tagliare i ponti con lui era la cosa giusta da fare per non soffrire più. Ellie, però, non gli ha mai mentito da che l’ha ritrovato, neanche qualche minuto fa. E’ stata un po’ brusca a volte, questo sì, ma l’ha fatto per tenerlo lontano, perché non è cambiato neanche quello che sente quando le è vicino, non è cambiato niente nonostante la lontananza e il rancore che Ellie ormai non credeva di provare più e questo le fa paura più di ogni altra cosa al mondo.
 
Il terrore di ricascarci ancora, di finire di nuovo tra le sue braccia e lasciarsi andare come solo con lui è riuscita a fare da che respira è più vivo e bruciante che mai, più della prima volta in cui si è immaginata al suo fianco in un modo nuovo, quando ha capito che forse poteva esserci qualcosa di diverso, che poteva essere tutto ancora più bello e profondo. Era una sensazione così sbagliata ma al contempo così bella da spingerla a viaggiare con la mente fino a disegnarsi insieme a lui, stretta tra le sue braccia come in una fotografia di quelle che si fanno le coppie sorridenti e innamorate. Lo rigirava tra le dita quando lui era lontano con la speranza di essere ricambiata, che prima o poi si sarebbero ritrovati ad assomigliare a quel disegno a matita, stretti l’una tra le braccia dell’altro con gli angoli delle labbra all’insù e gli occhi felici.

Ricorda la rabbia con cui ha trattato quel foglio di carta dopo, quando ha capito che aveva dato tutta se stessa alla persona sbagliata, che si era approfittato di lei e di quel sentimento puro e ingenuo che era nato per lui e che Ellie aveva nutrito con forza nonostante l’incertezza ed i segnali confusi, lottando per tenerlo in vita. Sa di essercisi accanita abbastanza e poi di averlo lasciato appallottolato in fondo al suo borsone per mesi, sapendo perfettamente che fosse lì ma evitandolo con cura, per non ripiombare nella stupida illusione di essersi sbagliata, che forse – forse – in fondo a tutto quel casino la verità era che aveva esagerato e si era fatta trasportare dalla rabbia, da quella furia cieca che l’aveva travolta.

Quando ha ritrovato quella palla di carta e l’ha aperta di nuovo, ritrovando quel volto, era a Buckley, nel suo appartamento. Stava mettendo a posto le sue cose – sebbene non fossero molte – dopo il trasloco e sa di essersi presa una pausa per guardare quel foglio a lungo, di aver chiuso gli occhi e di essersi lasciata andare al pianto, all’idea più dolorosa di tutte: quella di averlo perso, di aver rinunciato al suo affetto e al suo sguardo rassicurante, ai suoi occhi buoni e gentili, quelli che non le hanno mai mentito. Ed è così che ha finito con l’allisciare quel foglio stropicciato con le dita e guardarlo ancora fisso per qualche istante prima di inserirlo nel quaderno pieno di foto e altri disegni, di tenerlo come ricordo di una cosa bella. Perché in fondo Dean è sempre stato questo e, nonostante avrebbe tanto voluto che fosse andata diversamente, sapeva che anche lui, in un modo tutto suo, le aveva dato tanto.
 
E’ vero, ha violato la sua riservatezza sbirciando in quel quaderno, cercando chissà cosa tra quelle pagine che raccontano solo una parte della vita di Ellie, quella più bella e felice, ed è altrettanto vero che l’idea la fa infuriare, ma quel che è peggio è che con tutti questi discorsi, con tutta la sua voglia di chiarire le cose – qualcosa che Ellie ha chiaramente letto nei suoi occhi e che era tanto decisa a voler ignorare per non cascarci ancora – ha riaperto una ferita che Ellie voleva seppellire per sempre, una delusione a cui non voleva pensare più. 
 
Non si può dimenticare una persona da un giorno all’altro. Non si può smettere di pensarla solo perché ti ha fatto del male, questo Ellie lo sa fin troppo bene. L’ha provato sulla sua pelle sia per suo padre che per Dean. La differenza, però, è che mentre con suo padre non era mai riuscita ad instaurare un rapporto vero, uno che si avvicinasse un minimo alla sua idea, a quello che le sarebbe piaciuto avere con lui, con Dean c’è sempre stato un legame, qualcosa di inspiegabile che si era creato nel tempo, scavalcando diversità e tutto quello che c’è di incompatibile tra di loro. Perché è assolutamente vero quello che gli ha detto: lei e Dean non hanno niente in comune, solo la voglia di piacere ai propri padri e di sentirsi adatti, compresi. Era per questo che riuscivano a capirsi, che in un modo o nell’altro le loro differenze si incastravano alla perfezione creando un collante, qualcosa che, nonostante tutto quello che è successo, li ha tenuti uniti – sebbene fossero lontani e incazzati l’una con l’altro – a tal punto da spingerla a prendere la macchina e farsi non sa quanti mila chilometri per raggiungerlo e aiutarlo.
 
Credeva di aver voglia di partire perché era giusto così, perché nonostante tutto gli vuole ancora bene, perciò le sembrava naturale pensare di mollare la sua nuova vita per qualche giorno e andare a dargli una mano. Solo che ha finito col capacitarsi del fatto che non è solo questo il motivo.
 
Ellie si è resa conto nel tempo che la ragione per cui voleva stare con Dean era che lui la comprendeva, che aveva un modo naturale di guardarla negli occhi e spingerla a parlare dei suoi problemi, delle sue perplessità. Lo faceva senza rendersene conto, in maniera del tutto spontanea, ed era proprio per questo che Ellie si trovava tanto bene con lui ed era addirittura arrivata a pensare che fosse lui quello giusto, quello con cui avrebbe voluto condividere le sue cose più intime perché con lui riusciva a parlare di qualsiasi cosa, ad essere se stessa.
 
Non riusciva a togliersi quell’idea dalla testa, neanche mesi dopo quel litigio, come se avesse qualcosa che la teneva comunque ancorata a lui, nonostante tutto.
 
Aveva persino chiesto il parere di Janis in merito, una volta, nel modo più discreto possibile. «Ti è mai successo di litigare tanto con qualcuno ed averlo lontano per tanto tempo e sentirne comunque la mancanza?»
La sua amica ci aveva riflettuto per un attimo e poi le aveva sorriso «Sì… sì, mi è successo. Credo sia perché certi legami non si possono spezzare. Neanche con il peggiore dei litigi».
Ed Ellie ci aveva pensato tanto, poi, chiedendosi se fosse davvero così che funzionava per lei e Dean, se c’era qualcosa di tanto forte tra di loro. Da parte sua, almeno, perché non era sicura che per lui fosse lo stesso.
Aveva sviato le domande successive, però, attenta a non rivelare niente su di lui a Janis. Quello che avevano passato, tutto ciò che avevano condiviso, per Ellie era un segreto prezioso, qualcosa che custodiva gelosamente nel cuore.
 
Per questo ha bisogno di tenerlo a distanza adesso, perché nonostante ci sia qualcosa nel suo cuore che le suggerisce di buttarsi di nuovo, che è totalmente sincero quando le chiede di riprovarci, di tentare e lasciarsi alle spalle quella storia, qualcos’altro la frena, dicendole che, facendo così, finirebbe solo per illudersi un’altra volta e nient’altro.
 
Passa entrambe le mani sotto il getto freddo dell’acqua e se le porta sul viso, per poi chiudere il rubinetto ed inspirare forte. Si passa un asciugamano sul volto e si guarda ancora allo specchio per un istante, per poi uscire dal bagno e avvicinarsi al tavolo dove il suo laptop è ancora aperto.
 
Apre il suo taccuino e rigira quel disegno tra le dita ancora una volta, osservando i contorni della sua immagine, così differente da com’è lei oggi; la stessa cosa vale per Dean.
 
Deve riconoscere di essere stata molto egoista con lui in questi giorni… troppo. Era così presa dall’evitare di affrontare quel discorso – cosa che, alla fine, hanno fatto comunque – e a cercare di concentrarsi sul caso per non pensare a tutte le altre cose che aveva per la testa – il lavoro e quello che aveva lasciato a Buckley, l’idea che tutto sarebbe tornato com’era per lei e che avrebbe solo finito per farsi male un’altra volta – che non gli è stata vicino come probabilmente lui avrebbe voluto.
Tra lui ed Ellie non c’è un gran feeling – non c’è mai stato, a dire la verità –, ma John è comunque il padre di Dean che è preoccupato ed Ellie non gli ha dato l’appoggio che forse si sarebbe aspettato da lei. Di questo si pente molto, perché se uno orgoglioso e testardo come lui l’ha chiamata dopo un intero anno di silenzio – a parte le telefonate post-litigio che lei ha volontariamente ignorato – non è solo per farsi aiutare in un caso che, con tutta la sua esperienza, in un modo o nell’altro sarebbe stato comunque in grado di risolvere. C’era dell’altro, ma Ellie l’ha capito solo adesso.
 
Scuote appena la testa seguendo il filo dei suoi pensieri. Sapeva che sarebbe andata a finire così, che alla fine avrebbe abbandonato l’ascia di guerra e provato almeno a chiarire la faccenda con lui. Non le è mai piaciuto lasciare le cose a metà ed ora che ha l’occasione di rimettere un po’ a posto tutto quanto, non vuole lasciarsela sfuggire. Su questo Dean ha ragione ed è disposta pure a lottare con la paura che sente pur di riprovare a far funzionare il loro rapporto. Magari non com’era arrivato ad essere poco prima di quel grosso litigio, ma potrebbero tornare ad essere amici… più o meno. Perlomeno provarci. Prima, però, devono mettere da parte le loro discussioni e risolvere questo maledetto caso, sennò non ne usciranno più.
 
Vuole andargli a dire tutto questo proprio adesso ed inspira forte, convincendosi che è la cosa più giusta da fare; appoggia il disegno sopra al taccuino aperto e poi lo richiude velocemente, infila la giacca verde sopra la camicia color carta da zucchero ed apre la porta della sua stanza, dirigendosi verso quella di Dean.
 
Quello a cui non è affatto preparata è che, proprio lì davanti, c’è una ragazzina, che ha visibilmente tra i sedici e i diciassette anni, che sta bussando insistentemente; è pallida in volto e sembra avere una gran fretta di trovare qualcuno – in questo caso Dean, visto che è sulla sua porta che sta battendo le nocche della mano in quel modo. Ellie le si avvicina piano e allarga gli occhi quando la riconosce: è quella simpaticona di Jennifer Hamford che, quando si accorge della sua presenza, la guarda con gli occhi sgranati.
 
«Io… io stavo cercando il suo collega, ma non… non mi risponde» Ellie si inumidisce le labbra, seria. E’ vero che era nero quando è uscito dalla sua stanza e probabilmente potrebbe essere chissà dove a sbollire la rabbia, ma le pare strano che l’abbia fatto proprio adesso che sono vicini alla soluzione di un caso che l’ha fatto dannare per settimane. Se cercava qualcuno con cui accanirsi, bastava rimanere nella sua stanza.
 
Si guarda intorno: l’Impala è parcheggiata al suo posto, accanto alla Volvo rossa di Bobby, com’è sempre stato in questi giorni e questo rende tutto ciò ancora più strano, perché se Dean avesse voluto andare da qualche parte avrebbe di certo preso la sua macchina.
 
Bussa un paio di volte, cercando di tenere sotto controllo quella ragazzina, quando il suo sguardo si sofferma su qualcosa di luccicante caduto a terra, tra il bordo inferiore della porta e il pavimento, e si abbassa di riflesso a raccoglierlo. Afferra quell’oggetto in mano e lo riconosce immediatamente: sono le chiavi della stanza di Dean che, a questo punto, non è andato a farsi nessun giro – neanche a piedi, per quanto fosse comunque improbabile – per sbollire nulla.
Se non è nella sua stanza, vuol dire che qualcuno l’ha aggredito o chissà e quella che monta dentro Ellie è una rabbia così grande che di scatto si alza e prende per il collo quella ragazzina, sbattendola contro il muro con forza. Lei si dimena, stringendo la sua mano tra le sue, cercando di allentare la sua presa e la fissa incredula.
«Dov’è Dean? Che gli hai fatto?» Jennifer, rossa in viso, tenta invano di divincolarsi «Dimmelo subito, altrimenti ti lego da qualche parte, ti faccio parlare e poi ti lascio a marcire, piccola strega bastarda».
La ragazza sgrana gli occhi «Io non… non so-sono una strega, mi-mia z-zia lo è». Ellie lascia la presa e la guarda; Jennifer tiene entrambe le mani intorno al collo, cercando di regolarizzare il respiro. «E’ per questo che s-sono qui».
 
*
 
Ellie mal sopporta gli adolescenti, perché molto spesso sono solo dei bambocci viziati che non riescono a tenere a freno gli ormoni e la voglia di libertà che cominciano a sentire quando si avvicinano ai diciotto anni. Non capiscono, però, che essere in una fase di transizione tra l’infanzia e l’età adulta non è una buona giustificazione per combinare cazzate.
 
In piedi e pronta a qualsiasi confessione, fissa con lo sguardo di fuoco Jennifer Hamford che è di fronte a lei, seduta su una sedia della sua stanza. Non è sicura di riuscire a tenere le mani a posto in caso si accorga che sta dicendo qualche bugia, però. E’ stufa di farsi prendere in giro.
«Allora?» La ragazza la guarda ed è visibilmente impaurita, ma Ellie non ha nessuna intenzione di abbassare il tono o addolcirsi per tenerla buona. Ha avuto fin troppa pazienza. «Non dovresti essere a scuola? Che diavolo stavi andando a fare da Dean?»
«Non ci sono andata stamattina, perché ho… ho telefonato all’agente Malcolm o come diavolo si chiama per dirgli che non… io… »
«Lavoriamo insieme, perciò sputa il rospo a me. E non si chiama in quel modo».
Jennifer si morde il labbro, nervosa «Ecco, infatti io… io credo di aver capito che non siete dell’FBI».
«Certo che no. Non siamo neanche imparentati con quei pomposi stronzi».
Jennifer si morde il labbro e annuisce «Lo immaginavo. Non… non ne avete l’aspetto».
Ellie aggrotta la fronte «Da quando bisogna avere una certa faccia per essere dell’FBI?»
«No, è che… siete giovani. Un po’ troppo, soprattutto tu» Ellie storce la bocca, l’espressione di chi è stanco di queste divagazioni e vuole passare al sodo «Comunque, io l’ho contattato perché ho bisogno di aiuto. Volevo dirgli la verità». Ellie ascolta attenta, mordendosi la lingua per non risponderle a traverso. «Questa storia è colpa mia ed è arrivato il momento che io paghi per tutto quello che è successo. Non… non avrei mai creduto che sarebbe diventato qualcosa di così oscuro, che avrebbe fatto del male a così tante persone».
Ellie si siede lì accanto, scrutando nei suoi occhi; non sta mentendo, ne è sicura, e questo è un punto a suo favore. «Stai parlando di tua zia?»
La ragazza annuisce «Vivo con lei da ormai qualche mese. I miei hanno sempre detto che era una persona strana, solitaria e taciturna, che si circondava solo di gatti come le streghe cattive, ma non avevano nessun altro a cui lasciarmi quando sono partiti. Quando mi sono trasferita a casa sua, ho scoperto che aveva davvero dei libri di magia, dei volumi particolari, antichi. All’inizio non rispondeva alle mie domande, poi… ho continuato a giocare con il fuoco e le ho detto che volevo provare a vedere se gli incantesimi che c’erano in quei libri funzionavano davvero, se avevano effetto» scuote la testa, sviando lo sguardo per qualche istante «Quella richiesta, ha innescato una specie di meccanismo in lei, come un… un vecchio desiderio che è tornato a galla».
Ellie riflette per un attimo sulle sue parole «Era veramente una strega».
Lei annuisce «E’ potente. E un po’ schizzata, ma questo l’ho capito solo dopo» sorride amara «In fondo non… non l’avevo mai conosciuta per bene. Ho imparato a farlo solo in questi mesi, ma non avevo intuito quanto fosse vendicativa» si gratta dietro la nuca «All’inizio, ho provato a farle fare degli incantesimi per me, per migliorare i miei voti a scuola. Era una figata: ad ogni compito, anche se non avevo studiato nulla, prendevo un voto più bello dell’altro. Era una bella sensazione, così ho… »
«Hai chiesto qualcos’altro, anche per i tuoi amici».
«Sì. George aveva sempre desiderato di entrare alla Pacific [3] ed io volevo aiutarlo a realizzare il suo sogno. Poi Kevin, lui… lui mi è sempre piaciuto, per questo non mi sono fatta aiutare dalla zia per la matematica… non volevo che smettesse di darmi delle ripetizioni» sorride furba e, per la prima volta da che è entrata in quella stanza, anche Ellie lo fa. E’ qualcosa che, più o meno, hanno fatto tutte quante ai tempi del liceo per passare un po’ di tempo con il ragazzo di turno per cui si erano prese una cotta; anche Ellie l’ha fatto con Ben, il suo ex ragazzo, perché era bravo in tutte le materie e per i compiti in classe poteva darle una mano «Volevo che avesse quello che meritava: dei soldi per ricostruire la sua vita, per la sua famiglia. E’ la cosa a cui tiene di più al mondo».
«E Amelia?»
Jennifer stringe le spalle «Amy si accontentava dei voti buoni e della squadra delle cheerleader. Era l’unica a sapere il mio segreto. E’ la mia migliore amica e… ed è speciale. Non so come fa, ma vede il meglio di me e sa tutto, qualsiasi cosa, perché non riesco mai a nasconderle nulla. Quando avevo capito di avere un potere così grande tra le mani, non potevo tenerlo per me».
 
Ellie la osserva e adesso capisce molte cose, tranne una. «E allora perché è finita in ospedale?»
Jennifer abbassa lo sguardo; sembra sentirsi colpevole «Perché, come ho detto, mia zia è la persona più vendicativa che io conosca. Sono stata io a consigliare a Daniel di portare Amy in quel ristorante. E’ sempre stato un po’ cotto di lei e volevo… volevo aiutarlo a far andare bene quell’appuntamento, perché ci teneva e magari Amy ha solo bisogno di una piccola spinta per capire che anche lei è cotta marcia di Dan. Volevo solo questo, invece… invece è andato tutto in modo diverso» sospira forte e si stropiccia gli occhi con le dita, rigirandole poi tra di loro «Il problema è che la zia è arrivata ad un punto in cui non… non riesce più a fermarsi, è come… assetata da un potere sempre più grande. Quando ho visto che le cose stavano degenerando, le ho chiesto di smetterla, di tornare alla vita di sempre. Il problema è che io so vivere senza magia, ma lei no» sospira afflitta, passandosi una mano sulla fronte «Pensavo che dicendole che avrei raccontato tutto alla polizia o a qualcuno avrebbe smesso, che l’avrebbe preso come avvertimento, invece ho ottenuto l’effetto contrario».
Ellie sospira, collegando lentamente tutti i tasselli del puzzle. «Prima ha rapito Kevin per farti capire che faceva sul serio. Poi… »
«Poi ha scoperto che Amy sapeva tutto e si è accanita con lei, sapendo quanto siamo legate e… non lo so, è come se mi seguisse sempre, come se avessi una sua microspia addosso e sapesse tutto quello che faccio».
«Quindi potrebbe sapere che sei qui».
Jennifer fa spallucce «Non lo so, può darsi. Ho chiamato quel ragazzo, quel… Dean per dire tutto a lui ed ora è sparito ed io non… »
 
Ellie allunga una mano nella sua direzione, come colta da un’illuminazione «E’ il tuo telefono. Lo controlla in qualche modo, devi… devi distruggerlo».
Jennifer la guarda storto «Cosa? Hai idea di quanto costa?»
«Oh andiamo, ne ricomprerai un altro. Devi liberartene».
 
La ragazza sbuffa e le consegna quel piccolo marchingegno con non poca incertezza. Ellie lo prende e lo scompone velocemente, buttandolo poi a terra e schiacciandone i pezzi sotto il tacchetto dei suoi stivali.
Sorride soddisfatta, anche se Jennifer non è esattamente dello stesso avviso ed ha una smorfia poco contenta in volto.
 
«Ora… hai una vaga idea di dove possa nascondere Kevin?»
Jennifer stringe le spalle «Frugando nel ripostiglio, quando ho trovato quei libri, ho scoperto che possiede un magazzino in periferia, isolato… ma non ho idea di dove possa essere esattamente».
Ellie annuisce «Bene, allora andiamo a scoprire dove si trova di preciso. Sicuramente è il suo nascondiglio» si alza in piedi ed apre l’armadio, rovistando tra i vestiti per trovare la sua pistola. La infila nel retro dei jeans e prende un paio di coltelli che mette dentro le scarpe, in caso possano esserle utili. Si volta verso Jennifer che la guarda allucinata, visibilmente stravolta. «Che… che cosa ci vuoi fare con quelli?»
Le si avvicina a passo svelto «Ascolta, so che si tratta di tua zia e che sicuramente le vuoi bene, nonostante tutto quello che ha fatto ai tuoi amici, ma è una strega e va fermata».
«E’ questo che fai? Uccidere le streghe?»
Ellie scuote la testa «No, è Dean che lo fa, è una… una parte del suo lavoro. Io sono solo un’aiutante però… spero che riusciremo a cavarcela anche senza di lui. La cosa importante, Jennifer, è non avere paura. Capisco che non è facile, ma sei venuta qui per parlare di quello che è successo perché vuoi aiutare i tuoi amici, quindi beh… questa è l’occasione che hai per farlo, per rimettere a posto le cose. E’ questo che vuoi, no?»
Jennifer stringe forte il labbro inferiore tra i denti ed annuisce, sebbene sembri poco decisa «Ecco. Allora prova a fidarti. Qualunque cosa accada, rimani al mio fianco e fai ciò che ti dico, intesi?» lei annuisce, nonostante sia ancora visibilmente titubante, ma Ellie non può biasimarla per questo «Non torcerò un capello a tua zia se non sarà strettamente necessario, te lo prometto. La cosa importante è che tu nasconda la tua paura il più possibile e ti faccia forza. Riporteremo tutti a casa, ne sono sicura».
 
La ragazzina abbozza un sorriso e stavolta annuisce più decisa, muovendo appena la testa per dirle che è d’accordo. Ellie le sorride appena ed apre la porta, sospirando forte prima di farla uscire.
 
Stavolta dovrà essere lei a salvare Dean. Lui l’ha fatto milioni di volte, perciò glielo deve e… e non è solo per dovere che lo fa. Non è mai stato solo questo, Ellie, in fondo, ne è sempre stata consapevole, ma l’unica cosa che conta davvero adesso è riportarlo indietro sano e salvo. 
 
[1] Dando uno sguardo alla cartina di Westwego, non ho trovato neanche mezzo ospedale (anche se sono assolutamente certa che almeno uno ne esista XD) se non quello per animali. Così, ho utilizzato il primo nome che mi è venuto in mente, che è quello di Charming (California), la cittadina fittizia dove si svolge Sons of Anarchy.
[2] Nel “Pilot”, Dean afferma di non vedere o sentire suo padre da tre settimane.
[3] Anche qui, il nome della scuola è una mia invenzione: proviene da The O.C. ed era uno degli istituti privati frequentati dai ricconi.

 

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Capitolo 27
*** Your stairway lies on the whispering wind ***


Note: Le settimane volano e siamo arrivati anche al penultimo capitolo di questa storia. Non avete idea quanto mi mancherà tutto questo, anche le mie note deficienti! ç_ç
Ho fatto il prima possibile anche stasera, ma il ritardo non è del tutto colpa mia: quei simpaticoni dell’Enel si sono divertiti a togliermi la corrente per metà pomeriggio proprio OGGI. -.-
Passando alle cose più serie, sono felice di constatare che il numero delle visite è tornato a pieno regime e che le mie erano solo paranoie. Perdonatemi, ma quando uno si abitua a certi numeri che poi calano si chiede sempre il perché *faccina imbarazzata con la gocciolina in testa* ora che ho capito che la storia non ha cominciato a farvi schifo, posso tornare a rilassarmi XD
Anyway, questo capitolo conclude un po’ di finestre ed io, come al solito, spero di averlo fatto in modo giusto. Ogni volta che lo rileggo – e l’ho fatto una marea di volte – mi dico che dovrei aggiustare qualcosa, che forse è tutto un po’ troppo veloce e potrei fare di meglio, ma poi non mi viene niente di effettivamente migliore e quindi lascio sempre più o meno tutto com’era. Sono paranoica, lo so XD spero che siano chiari tutti i passaggi come lo sono a me nella mia testa e, se c’è qualcosa che vi sfugge, non esitate a chiedere! ;)
Saluto con un’energica stretta di mano coloro che si sono aggiunti in settimana tra i preferenti e seguenti (si dice così?)… ogni volta che il numerino si alza io salto di gioia! A maggior ragione perché siamo quasi alla fine. Benvenuti tra le reclute, miei cari! :D
Vi invito a sfogarvi nei commenti che spero ci siano e vi abbraccio forte! A mercoledì! :*


Capitolo 27: Your stairway lies on the whispering wind
 
Dear lady, can you hear the wind blow?
And did you know
Your stairway lies on the whispering wind?
 
(Stairway to Heaven – Led Zeppelin)
 
 
Alza e abbassa le palpebre un paio di volte, scosso e intorpidito. La testa gli gira oltre a fargli male e c’è solo tanto silenzio intorno a lui, troppo.
 
Dean apre gli occhi completamente e inspira forte, cercando di tornare in sé e di mettere a fuoco i contorni del posto maleodorante e grigio in cui è rinchiuso: sembra un vecchio magazzino, apparentemente abbandonato da anni, di quelli solitamente situati nelle periferie delle città. C’è puzza di benzina, perciò probabilmente era un deposito di carburanti, ai tempi d’oro.
Davanti a lui, un vecchio tavolo di legno, su cui ci sono degli oggetti che non riesce a mettere bene a fuoco; ha la vista ancora troppo annebbiata.
 
Prende lentamente coscienza della sua condizione e si ritrova seduto su una sedia con il collo storto e dolorante – chissà per quanto tempo è rimasto in quella posizione –, mani e piedi legati rispettivamente ai braccioli e alle zampe di quella sedia sgangherata con delle corde troppo spesse per essere spezzate in qualche modo. Oltretutto non ha neanche un coltello con sé.
In fondo doveva solo tornare nella sua stanza, non difendersi da chissà quale pazzo che voleva rapirlo e legarlo come un dannato salame, ma ciò non toglie il fatto che si sia distratto troppo negli ultimi tempi. Probabilmente si sarebbe accorto di qualcosa, magari che qualcuno lo stava seguendo o cose del genere se ci avesse prestato più attenzione… in fondo è un maledetto cacciatore e queste cose sono all’ordine del giorno per lui.
Il problema è che ha troppi cazzi per la testa e non riesce a concentrarsi come dovrebbe, ormai ne è consapevole e si prefissa di ricordarsi dove l’ha portato tutta questa distrazione, se mai uscirà vivo da questo posto di merda.
 
Sospira appena, seguendo il filo dei suoi pensieri, e prova ad alzare un po’ i polsi per liberarsi, magari per allentare il nodo alla corda che lo tiene prigioniero, ma è tutto inutile. Non sa da quanto tempo sta così o da quanto è rinchiuso, ma deve assolutamente trovare un sistema per uscirne – possibilmente vivo.
 
Osserva con attenzione i cimeli posti sopra quel tavolo sbilenco e stringe gli occhi, constatando velocemente che il tutto sembra molto antico: una ciotola di legno, un po’ più larga ma simile ad un mezzo guscio di una noce di cocco, dei barattoli che contengono fiori rosa ed altre erbe che Dean non sa riconoscere – non è di certo un fan della stregoneria –, un mortaio [1] – sempre di legno, non sia mai che questa Strega dell’Ovest [2] abbia un arnese che non risalga al Paleolitico –, dei coltelli e un paio di candele, bianche e consumate, un paio di candelotti di cera rappresa colata lungo il fianco cilindrico. A Dean questo posto sembra il rifugio di una strega un po’ vecchio stile, una persona che pratica con devozione la magia nera e questo non sa se può essere nelle corde di una semplice ragazzina, forse un po’ esuberante ma comunque acerba, immatura. Forse c’è addirittura qualcos’altro dietro e tutto questo è molto di più di un “gioco” tra adolescenti annoiate.
 
Quando ha riconosciuto la voce di Jennifer Hamford al telefono, sperava che l’avesse chiamato per un motivo valido, non perché non sapeva come passare il tempo. Forse il suo era un pensiero cattivo, ma aveva l’impressione che lei e la sua amica avessero cercato di prenderlo in giro dal primo istante ed è qualcosa che non riesce a tollerare da un paio di sedicenni. Poi, però, Amelia era finita in ospedale vittima di quel brutto scherzo e forse Jennifer poteva essersi pentita, poteva cercare di fare ammenda e affidarsi alla persona che probabilmente avrebbe potuto risolverle il problema, visto che la polizia può fare tutto meno che mettere a tappeto una strega. Poi, però, invece di incontrare gli occhi da cucciola innocente – e anche un po’ finti – di quella, si è ritrovato con una botta in testa di quelle che buttano giù anche un cavallo, perciò dubita che la telefonata fosse quella di una che vuole confessare una qualche marachella.
 
Per un attimo aveva anche pensato di non avvertire Ellie di questa cosa. Fondamentalmente perché è un orgoglioso del cazzo, ma anche e soprattutto perché forse non aveva davvero bisogno del suo aiuto per mettere una pietra sopra a questa storia. Avrebbe ascoltato Jennifer ed avrebbe trovato una soluzione da solo, punto. Chissà che diavolo si era messo in testa quando le ha lasciato quel messaggio in segreteria; è stato così stupido da credere che Ellie fosse lì perché in fondo voleva perdonarlo, invece si è scontrato contro un muro insormontabile.
 
Ripensa ad uno degli insegnamenti di suo padre, una delle tante volte in cui l’ha portato in giro per un addestramento: “Se hai davanti una preda e sei sicuro di quello che stai facendo, sparale, perché non sai se avrai un’altra occasione di farla fuori. In questo lavoro, sei fortunato se arrivi vivo a vederla una seconda volta” e forse è così anche per queste questioni, chissà.
 
Di certo un po’ si è rassegnato. Ellie non sembra volerne sapere di lui e dovrà archiviare definitivamente questa storia, una volta per tutte. In fondo non aveva mai cercato una donna fissa per lui, non gliene era mai fregato niente di mettere la testa a posto e pensare ad una sola ragazza – o almeno, la sua parte da totale spirito libero ripudiava un simile pensiero, scacciandolo il più lontano possibile dalla mente – ma con Ellie… qualcosa gli diceva che sarebbe potuta durare, che si sarebbe impegnato per farla funzionare, ma lei non lo vuole perciò finirà col farsene una ragione, prima o poi.
 
Si muove ancora, rabbioso e incazzato, cercando almeno di allentare i nodi che lo tengono legato a quella sediaccia quando più in là, verso la sua destra, scorge un’altra corda, legata intorno ad una colonna di cemento. Non gli ci vuole molto a capire chi si trova intrappolato lì.
«Kevin?» la voce gli esce un po’ tremante dalla gola, ma non è per paura; sa che riuscirà a trovare un modo per cavarsela… o almeno, lo spera.
Riesce a scorgere la figura muoversi «Chi c’è?»
Dean sospira, un po’ più rilassato «Sono quello che è venuto a interrogarti per la storia della lotteria, quello… dell’FBI».
«Oh sì, ricordo… mi ricordo di te! Come hai fatto a finire in questo posto?»
«Credo di aver rotto le scatole a quella pazza della tua amichetta Jennifer, ma vedrai che ti tirerò fuori da qui».
Dean avverte Kevin muoversi ancora «Cosa? Cosa c’entra Jenny? Guarda che—»
«La mia adorata Jenny è a scuola in questo momento» alle spalle di Dean, una voce di donna – sconosciuta alle sue orecchie – lo coglie di sorpresa ed una mano si appoggia sulla sua spalla, costringendolo a voltarsi con la testa «Dov’è giusto che sia. Il corso di letteratura del pomeriggio è molto più interessante di questa storia».
 
La donna che gli compare davanti ha i capelli rossi e due occhi azzurri che incanterebbero chiunque e Dean ci avrebbe anche fatto un pensierino se fosse stata un po’ più giovane – avrà quaranta, massimo quarantacinque anni [3] – ed avesse avuto un sorriso meno malefico stampato sulla faccia – perché quella non è di certo l’espressione di una che vuole portarti fuori a cena – e Dean, malgrado l’abbia intravista da lontano e su una fotografia sbiadita, la riconosce immediatamente: è Kelly Hamford, la zia di Jennifer.
 
Stringe le spalle, un sorriso ironico sulle labbra «Allora ho beccato il ramo sbagliato della famiglia. Succede anche ai migliori».
Sul viso della donna si dipinge un ghigno poco rassicurante. Si muove ancora, andando dietro Dean e mette entrambe le sue mani sulle sue spalle per poi avvicinarsi al suo orecchio «E’ per questo che vivo in questo mondo… per eliminare i cosiddetti “migliori” che vogliono starmi tra i piedi. Quelli come te» annusa l’aria intorno a Dean e sospira disgustata «Dei luridi cacciatori».
«E allora perché hai rapito Kevin? Lui che ti ha fatto?»
La donna gira intorno al tavolo ed ora è davanti a lui; prende delle erbe maleodoranti da uno dei suoi vasi e comincia a sminuzzarle nella ciotola di legno. «Dovevo far capire a Jenny chi comanda, ma lei è andata prima a piangere dalla sua amichetta e poi da te, credendo tu fossi il suo salvatore. Ah, quali sciocchezze. Io li conosco quelli come te. Siete solo dei sacchi pieni di pulci che fingono di aiutare la gente, invece quello che fanno gli serve solo per sfogare la loro rabbia».
«Quante chiacchiere. Se avessi voluto mi avresti già spezzato l’osso del collo».
Kelly Hamford alza lo sguardo, sogghignando «E’ molto meglio vederti soffrire» riprende a tagliare le erbe e Dean tenta ancora di liberarsi, di allentare quelle maledette corde che gli impediscono qualsiasi tipo di movimento. «E’ quello che ti meriti».
«Per cosa? Per aver cercato di salvare tua nipote dalla tua follia?»
«Per averla quasi condannata!» ha gli occhi fuori dalle orbite e strilla, quella pazza sclerotica, e forse la cosa più giusta da fare sarebbe rinchiuderla in un manicomio «Lei ha bisogno di me, di tutto questo. E’ la magia che la fa essere quello che è».
«Non è vero!» la voce di Kevin rimbomba in tutto il magazzino, sembrando un po’ più lontana «Jenny non ha alcun bisogno di te. E’ questo che ti rode».
Dean non sa quanto provocarla sia un bene, ma non riesce a farne a meno «Già. Non le servivi prima e neanche adesso, vivrebbe sicuramente meglio senza di te» la donna assottiglia gli occhi, ignorando totalmente Kevin «Jennifer si è accorta di quanto sei viscida, per questo ha chiesto il mio aiuto. Perché ha capito che sei solo una puttana in cerca di attenzione, di qualcuno che ti dia un po’ di corda per fare i tuoi trucchetti di magia».
 
La donna scatta e torna alle sue spalle, gli afferra i capelli e lo fa sporgere all’indietro, scoprendo il suo collo. Dean deglutisce; deve averla fatta proprio arrabbiare, ma deve tirarla a chiacchierare il più possibile, altrimenti il prossimo che potrebbe lasciarci le penne sarà Kevin.
«Non sei il primo spavaldo sbruffone che mi capita davanti, sai» prende uno dei coltellacci da sopra il tavolo e glielo punta alla gola; la lama fredda contro la sua pelle manda a Dean dei brividi poco piacevoli. «Ed alcuni non potrebbero neanche raccontartelo visto come li ho conciati. Ah, bei tempi» sorride fredda e orgogliosa delle sue malefatte «Avevo rimesso la testa a posto, è vero, ma Jenny mi ha ricordato cosa significa avere tanto potere nelle proprie mani e giostrarlo a piacimento e sono disposta a fare di tutto pur di tenermelo stretto. Tu sei solo un impiccio che devo eliminare».
«Non credo proprio».
 
Una voce femminile – che Dean conosce bene – riecheggia poco lontano e Dean osserva la strega voltarsi verso la sua direzione. Si mette dietro di lui, la lama del coltello ben piazzata contro la sua gola e lo tiene in pugno mentre Ellie, in piedi con la pistola puntata contro di lei e lo sguardo fermo e deciso di chi sa esattamente cosa fare, osserva la scena e deglutisce.
 
«E tu chi diavolo sei? Sailor Moon? Da quando gli uomini si sono rammolliti a tal punto da farsi venire a salvare da giovani fanciulle?»
Ellie sorride sghemba «Non ho tempo per le chiacchiere, io. Lascialo andare».
«Non credo. Sai, stavamo giusto cominciando a fare amicizia».
«Fottiti» il ringhio basso di Dean non sfugge alle orecchie di Kelly Hamford che serra la presa un po’ più forte.
«Perché lui? E Kevin, e… ».
«Mi sembri abbastanza grande da capire il perché. Gli uomini sono una seccatura».
«Hai rapito due persone e tumefatto il corpo di una sedicenne. Il tutto per cosa? Per tenerti buona una ragazzina?»
«Il potere è più importante. E’ una sensazione troppo appagante, troppo soddisfacente». Ellie scuote la testa e fa un passo in avanti, ma Kelly Hamford rinsalda ancora la presa su Dean «Ah, ah. Un altro passo e il tuo amico avrà la metà delle corde vocali».
«Ho una buona mira, potrei spararti anche da quaggiù».
«Allora fallo. Che stai aspettando?»
«Me» dall’altro lato del magazzino, spunta Jennifer Hamford; sembra terribilmente intimidita, molto meno spavalda di come l’ha conosciuta Dean. «Perché stai facendo questo, zia? Io… io ti voglio bene, ma non voglio essere schiava della magia come te».
 
Kelly Hamford lascia cadere il coltello a terra e Dean tira solo mezzo respiro di sollievo perché ora è la ragazza ad essere sotto tiro; la donna si avvicina verso la nipote, con fare quasi supplichevole «Tesoro, io… » le prende il viso tra le mani e Jennifer la guarda con le lacrime agli occhi; Ellie non accenna ad abbassare la pistola neanche per un istante e Dean la osserva attento: in questo momento, è molto più concentrata di come se la ricordava, molto più determinata. Ricorda quant’era spaventata nell’ultima caccia che hanno affrontato insieme, quando tentava di tenere in pugno quell’infame giocattolaio. Cercava di essere forte ma era indecisa, insicura, mentre adesso non c’è ombra di incertezza sul suo viso mentre stringe la canna di quell’arma piccola tra le dita. La strega riprende a parlare «Io ho cercato solo di farti del bene».
«Non dirò niente a mamma e papà. Ascoltami, per favore, e lascia che torni tutto come prima, come… come quando vivevamo senza magia. Perché non riesci a farlo?»
 
La donna le accarezza ancora il viso con fare amorevole, tira le labbra in una linea sottile e poi sorride nel modo più malefico che Dean ricordi di aver visto qualcuno farlo da molto tempo «Perché è troppo tardi» Jennifer la guarda allucinata mentre la donna le afferra il collo e la stringe forte, provando a strozzarla, ma Ellie è più veloce e le spara, ferendola ad una gamba. Kelly Hamford grida e si tocca l’arto dolorante, abbassandosi un po’ e lasciando andare la nipote, mentre Ellie le si avvicina velocemente e la colpisce sullo stomaco con un poderoso calcio. Jennifer indietreggia, le mani sul viso e sua zia è a terra adesso, ai piedi di Ellie e la guarda mentre un rivolo di sangue le cola dalla bocca.
Ride ancora, sghignazzando «Cosa vuoi fare, eh? Ammazzarmi davanti a mia nipote?»
«Volevo darti la possibilità di tornare indietro, ma tu non vuoi coglierla».
Ellie si volta verso Jennifer che annuisce, alcune lacrime che le rigano le guance. Si avvicina a Kevin e scioglie la corda che lo tiene legato; lo aiuta ad alzarsi e a tenersi in piedi e si voltano solo un istante per guardare un’ultima volta quella scena prima di fuggire via.
 
Ellie tiene la pistola puntata contro la testa di Kelly Hamford, guardandola severa e impassibile; la pazza sorride, insolente «Non ne hai il coraggio, ragazzina, non—» tre colpi di pistola la freddano prima che possa concludere la frase e la donna rimane sdraiata a terra, gli occhi spalancati e vitrei ed il sangue che lento cola fuori dal suo corpo, espandendosi in una piccola pozza rossa lì accanto.
 
Dean sa che Ellie ha cercato di darle l’opportunità di riscattarsi, di provare a farla ragionare portando addirittura sua nipote qui a parlarci, ma non aveva altra scelta. Quella donna era ormai sull’orlo della pazzia; era evidente già dalla scia di “incidenti” che si è lasciata alle spalle, ma dopo aver tentato di uccidere la nipote ha certamente passato ogni limite di tolleranza.
 
Ellie osserva il cadavere per qualche istante – gli occhi spenti e disillusi, come se avesse fatto del suo meglio per provare a salvarla senza riuscirci –, poi si avvicina piano a Dean che non le dice niente – non saprebbe neanche da dove cominciare, in realtà – e si abbassa a sciogliere le corde che gli legano i piedi senza guardarlo, gli occhi bassi. Slega anche le mani e si ferma per un istante, in ginocchio lì davanti. Dean la guarda sospirare appena e finalmente lo guarda: è visibilmente frastornata, sorpresa, forse dal suo stesso atteggiamento. In fondo non ha esitato neanche un istante quando ha deciso di uccidere quella donna, Dean glielo ha letto negli occhi: era decisa e convinta, molto più di come l’aveva mai vista fare in una caccia.
 
Si alza in piedi e Dean fa lo stesso; sembra molto nervosa «Stai bene?»
Dean annuisce «Sono stato peggio. Tu?» lei annuisce a sua volta e Dean deve sforzarsi molto per resistere all’impulso di allungare una mano verso di lei per accarezzarla o stringerla forte al petto. Non tanto per lui – ormai ha smesso di preoccuparsi dell’effetto che gli fa Ellie –, ma per lei, che sicuramente lo scanserebbe o farebbe qualcosa per opporre resistenza e Dean decide di non rischiare, perché un altro rifiuto non riuscirebbe proprio a sopportarlo. Vorrebbe farlo perché gli sembra davvero sconvolta – forse per quello che ha appena fatto, per aver freddato una persona in quel modo – e per provare a darle il suo sostegno, come faceva quando lei glielo permetteva, ma forse è meglio lasciar stare.
«Devo… devo andare a vedere se Jennifer e Kevin stanno bene».
Dean annuisce «Grazie per—»
Ellie scuote la testa, senza farlo finire di parlare «Non ringraziarmi, tu… tu l’hai fatto un milione di volte».
Lui abbozza un sorriso e non è preparato quando Ellie, anziché voltarsi per andare fuori, di slancio lo abbraccia, alzandosi un po’ sulle punte e stringendogli le braccia intorno al collo.
 
Dean dapprima è leggermente titubante, ma poi la stringe a sua volta, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla e rilasciando tutta la tensione accumulata nelle ultime ore; la presa di lei è forte e Dean chiude gli occhi lasciandosi cullare dal calore del corpo di Ellie, qualcosa che gli è mancato così tanto nell’ultimo anno.
 
Non sa se quell’abbraccio dura un po’ più di un misero istante, ma sicuramente gli sembra sia passato troppo poco tempo quando lei si scosta un poco, senza allontanarsi del tutto e lo guarda negli occhi. «Ho avuto… ho avuto paura che ti avesse fatto qualcosa».
Dean accenna un piccolo sorriso – Dio solo sa quanto gli siano mancate le sue premure – e scuote la testa «Sto bene» ed Ellie si scosta completamente, facendo qualche passo indietro.
 
Gli sorride appena «Vado… vado fuori a vedere come stanno quei due. Vieni?» lui annuisce; Ellie tira le labbra in una linea sottile e si incammina, dando un’altra occhiata al cadavere di Kelly Hamford quando le passa accanto.
 
Dean sospira appena; ogni tanto gli sembra di fare dei passi avanti – anche se quasi invisibili – con Ellie, altre volte no. Forse il problema vero è che lei ha paura a lasciarsi andare di nuovo, perché l'ha già fatto una volta e, a giudicare da com’è andata a finire, può darsi non abbia voglia di farlo di nuovo. E’ tutto comprensibile, ma… Dean si rende conto che quando ha pensato di essersi rassegnato con lei stava probabilmente delirando, perché non è affatto così e chissà che riesca a farle cambiare idea alla fine.
 
Infila le mani nelle tasche della giacca e ritrova il suo cellulare; lo estrae e lo apre, per fissare il display che sicuramente ritroverà vuoto com’è sempre stato nelle ultime settimane ma, inaspettatamente, c’è un messaggio nella segreteria che aspetta di essere ascoltato.
Si incammina verso l’uscita mentre porta il telefono all’orecchio e ritrova la voce grave e bassa che ha aspettato di sentire per settimane.
«Dean… sta succedendo qualcosa… credo che sia grave, devo cercare di scoprire di che si tratta. Dobbiamo stare… molto attenti, siamo tutti in pericolo». [4]
Sorride di sbieco, scuotendo appena la testa. Mai una buona notizia, eh pa’? Anche se almeno è vivo e Dean tira un sospiro di sollievo al solo pensiero.
 
Riascolta il messaggio con attenzione e non gli sfugge che sembra quasi ci sia un’interferenza, qualcosa che disturba la voce del suo vecchio. Si morde il labbro, pensieroso, e si appresta a raggiungere fuori Ellie; ci penserà non appena si saranno liberati di quel cadavere di strega ed avranno riportato quei due ragazzi a casa.
 
*
 
Questa giornata per Dean è stata breve ma incredibilmente intensa: quando è uscito dal magazzino, il sole era già tramontato e, facendo qualche conto, ha constatato che deve aver passato tutta la mattina svenuto in quel lurido posto.
 
La sera è quindi già arrivata e lui ed Ellie hanno riportato a casa Kevin e Jennifer – che, a parte averli ringraziati, sono stati terribilmente silenziosi per tutto il viaggio –e la madre del ragazzo sembra non poter credere ai suoi occhi quando riabbraccia suo figlio, tornato sano e salvo da una “gita” da incubo.
 
Ellie e Dean osservano la scena, mentre entrambi commossi si abbracciano e si guardano come se non si incontrassero da anni. La signora li osserva emozionata «Grazie, grazie per avermelo riportato indietro».
 
Ellie sorride ed entrambi li osservano rientrare in casa, ancora abbracciati. Dean sposta lo sguardo verso Jennifer che se ne sta accanto a loro con un sorriso appena accennato, un po’ abbattuta.
 
Non ha voluto guardare mentre Ellie e Dean sistemavano il cadavere di sua zia per disfarsene. Non ha voluto vedere nulla, è rimasta fuori con il suo amico per spiegargli tutto quello che è successo nell’ultimo periodo e perché proprio lui tra tutti i suoi amici sia stato designato come una delle vittime di quella pazza furiosa di Kelly Hamford.
 
«Stai bene?» è Ellie a domandarglielo e Jennifer alza lo sguardo verso di lei, le labbra strette.
«No. Speravo che andasse diversamente, che… »
Ellie la guarda mortificata «Ho fatto tutto il possibile per salvarla, io—»
«Lo so. Non è colpa tua se ha cercato di uccidermi» sospira appena, fissando un punto lontano «Non è colpa di nessuno» si stringe le braccia, come per cercare di ripararsi da qualcosa «Mi aveva raccontato che aveva smesso con la magia perché la persona che le aveva dato quei libri era morta ed il dolore era troppo grande per continuare senza di lei. Mi ha solo usata per ritrovare il coraggio di tornare ad essere la bastarda che probabilmente era, ma non è colpa di nessuno» sospira ancora e il suo sguardo passa da Dean a Ellie mentre accenna un debole sorriso «Grazie per aver salvato Kevin. Ora posso mettere le cose a posto».
 
Ellie sorride appena e a Dean non sembra affatto convinta mentre lo fa.
La madre di Kevin esce dalla porta richiamando Jennifer e lei li saluta con un cenno della mano, ringraziando ancora e poi avviandosi verso l’uscio.
Ellie osserva la scena «Rimarrà con loro finché Amelia sarà in ospedale. Poi credo che andrà a stare da lei» si passa la lingua sulle labbra e sospira appena «Finché non torneranno i suoi genitori, intendo» sospira appena, ancora un po’ scossa «E prima che Amelia esca dall’ospedale, vorrebbe trovare dei soldi per pagare la cauzione e far uscire Daniel Jackson, ma non so se ci riuscirà. Chissà».
Dean le si avvicina un po’, appoggiando una mano sulla sua spalla «Non sentirti in colpa per com’è andata, Ellie» lei si volta a guardarlo; è visibilmente dispiaciuta e Dean vuole rasserenarla, perché davvero non aveva altra scelta «Era la cosa giusta da fare. Quella donna era irrecuperabile, le avrebbe solo fatto del male».
«Lo so, ma avrei voluto farla rinsavire, tutto qui» rigira le dita tra di loro, inquieta «Avevo dimenticato quanto questo lavoro fosse… complicato» Dean annuisce, abbozzando un sorriso; probabilmente nessun’altra parola potrebbe descrivere meglio la caccia.
 
Ellie si avvicina alla sua Volvo rossa e sale sul posto di guida; Dean fa altrettanto, sedendosi sul sedile accanto e, come ha fatto nel viaggio di andata, non fatica a notare tutte le differenze che quest’auto ha con la sua bambina: è più stretta, ha i sedili di stoffa, l’abitacolo è più piccolo e gli accessori sono disposti in maniera un po’ diversa. Sembra fatta su misura per Ellie, però.
«Mi posso fidare?» Ellie, a quella battuta, lo guarda aggrottando la fronte, poi capisce e rotea gli occhi, scuotendo la testa e accennando un sorriso «Ti riporterò al motel sano e salvo, stai tranquillo».
«Speriamo» Ellie sorride ancora e mette in moto. Dean si morde il labbro, riflettendo nuovamente sulla telefonata di suo padre – un pensiero che non l’ha mai abbandonato, neanche mentre si occupavano del cadavere – e si volta ancora verso di lei «Per caso… hai un qualche software nel tuo computer che riesce a manipolare dei file audio?»
Ellie ci riflette un istante, poi annuisce «Sì. A che ti serve?»
«Te lo spiego strada facendo».
 
*
 
«Ecco fatto, ora farà tutto da solo» Ellie sorride appena nella direzione di Dean, seduto lì accanto con una bottiglia di birra appoggiata sulla tempia – il punto dove quella puttana l’ha colpito gli fa ancora male e vorrebbe evitare che gli ci venga anche il bernoccolo –, di fianco al tavolo della sua stanza di motel, quella di cui ormai sa anche quanti puntini neri sono disegnati sul muro visto tutto il tempo che ci ha passato – cosa piuttosto insolita per lui.
 
Durante il tragitto fino a qui, Dean le ha parlato del messaggio di suo padre e del suo sospetto che ci fosse qualcosa di strano, un brusio particolare, ed Ellie si è offerta di aiutarlo e di passare in un software audio quel file. [5]
Ora lei gli racconta tutto quello che è successo mentre lui era intrappolato da quella pazza psicotica: dopo aver trovato Jennifer Hamford fuori dalla sua porta, sono andate insieme a casa della pazza ed hanno sbirciato nell’archivio dove sua zia teneva tutto ciò che la riguardava, documenti di ogni tipo, e sono riuscite a trovare l’indirizzo esatto di quella catapecchia dove Kelly Hamford aveva rinchiuso Kevin e Dean. Jennifer ha insistito per aiutarla, così si sono divise i compiti: lei sarebbe entrata da un lato per liberare Kevin ed uscire con lui, Ellie l’avrebbe affrontata direttamente.
«Sapevo che era rischioso portarla con me, ma Jennifer ha insistito tanto per venire, così… » stringe le spalle e Dean sa dove vuole arrivare, anche se non conclude la frase «Non era poi così male. Sembrava antipatica all’inizio, ma in realtà voleva solo aiutare i suoi amici».
 
Dean annuisce pensieroso e la guarda mentre lei osserva lo schermo del suo pc, controllando a che punto è il programma che sta analizzando quell’audio.
Stasera gli sembra che sia tornata quella di sempre, la ragazza semplice e gentile che ha conosciuto quasi un paio d’anni fa. Non sa se è solo una sua idea o meno e forse non vuol dire niente, o può darsi che lo stia solo immaginando, ma questo non significa che debba lasciare tutto al caso o non farglielo notare.
 
«Mi sono perso qualcosa?» Ellie si volta ancora e punta gli occhi nella sua direzione, un po’ confusa «Sei stata sempre distante finora, mentre adesso sembri più… te stessa. Cosa c’è, hai improvvisamente smesso di odiarmi?»
Ellie abbassa lo sguardo e incrocia le gambe sulla sedia. «Andiamo, Dean, non ti ho mai odiato» lo guarda e abbozza un sorriso minuscolo «Ero venuta a cercarti per parlarti, quando sei sparito. Volevo chiederti scusa» storce la bocca, forse in cerca delle parole giuste e Dean decide di darle tutto il tempo che le serve per pensarci su; non ha più voglia di litigare, l’hanno fatto troppo e per troppo tempo «So di essere stata sempre sulla difensiva in questi giorni, però… » stringe un po’ le spalle e sospira appena «E’ stata dura. E’ stato un anno difficile, io… non so, credo che vivere tanto a lungo con una convinzione ti porti a rivedere tutto sotto una luce differente».
«Era un’idea sbagliata».
«Anche tu ne avevi una» Dean non ha bisogno di chiedere, sa perfettamente a cosa si riferisce «E se quando ti ho chiamato fossi stato un pochino più… accomodante, forse sarei riuscita a trovare il modo di spiegarti che ero solo dovuta partire e magari niente di tutto questo sarebbe mai successo».
«Certo, in un modo o nell’altro la colpa è sempre mia».
«Non ho detto questo» Ellie lo guarda negli occhi; i suoi sono incredibilmente sinceri «Abbiamo commesso entrambi degli errori in questa storia e mi dispiace, io… io non volevo che andasse così. Sai, mi… mi sarebbe piaciuto rimanere quella mattina e vedere come sarebbe potuta andare tra di noi. Dico… dico sul serio» abbozza un sorriso amaro, arrossendo leggermente «Però ecco, non volevo parlarne perché è qualcosa che mi ha fatto male per tanto tempo e… e non avevo voglia di rivangare. Ti chiedo scusa per questo».
 
Dean la guarda e sa che è sincera, glielo legge negli occhi e vorrebbe tanto chiederle di ricominciare, di riprovarci perché anche lui avrebbe tanto voluto scoprire come sarebbe andata e non è troppo tardi per farlo, c’è ancora tutto il tempo del mondo, ma un piccolo bip proveniente dal suo laptop la distrae ed Ellie si volta ancora ed è di nuovo lontana, presa da altro.
 
Il programma deve aver terminato il suo lavoro e Dean si avvicina un poco, prima che Ellie muova le dita sul mouse per premere play.
 
La voce che esce dalle casse è femminile, poco più alta di un sussurro «Io non posso mai… andare… a casa». [6]
Ellie si volta verso Dean, perplessa «Significa qualcosa per te?»
Lui scuote la testa «Credo sia legato al caso che papà sta seguendo a Jericho… o stava, non lo so» si passa una mano sulla bocca, sospirando appena «Forse è giunto il momento di andare a dare un’occhiata. Ho aspettato anche troppo».
Lei annuisce «Mi sembra giusto».
 
Dean appoggia la bottiglia sul tavolo e la guarda intensamente «Sei migliorata, sai» Ellie lo guarda un po’ confusa «A caccia. Sei più decisa, più sicura».
Lei fa spallucce «Prima che papà ed io litigassimo, mi ha mandato spesso a caccia da sola. Forse a forza di prendere botte sono diventata più brava» Dean la osserva attento «Ne ho prese tante e me la sono vista brutta certe volte. Però ero costretta a cavarmela da sola e, alla fine, un modo per far fuori il mostro ed uscirne viva, per fortuna, sono sempre riuscita a trovarlo. Altrimenti non credo sarei qui».

Dean annuisce pensieroso e non riesce ancora a capire come Ellie abbia potuto sopportare tutto questo, come fa a dispiacersi di essersi liberata di un uomo tanto bastardo perché Dean glielo legge negli occhi che le manca ancora e, conoscendola, sa che probabilmente vorrebbe addirittura ritrovarlo e non per staccargli il cuore – che probabilmente neanche possiede – dal centro del petto e darlo in pasto ai cani; vorrebbe parlarci, rimettere a posto le cose e Dean, davvero, non riesce a comprendere. E’ vero che è suo padre, che l’ha cercato per tutta la vita, ma a tutto c’è un limite. Lui non sa se sarebbe in grado di perdonare tanta cattiveria.
 
Ellie dà un’occhiata al suo laptop «Riparto domattina. Te lo lascio in caso ti serva, ok?» Dean annuisce, ma è distratto da qualcos’altro e la guarda alzarsi in piedi e infilarsi la giacca verde che prende da dietro la sedia su cui era seduta e poi dirigersi verso la porta.
Accenna un sorriso, il più finto e forzato che Dean le abbia mai visto fare. «Vado, ho bisogno di una bella dormita. Buonanotte».

Anche Dean ne avrebbe tanta voglia – sono settimane che non si riposa come si deve –, ma ha un’altra idea adesso, un’ultima faccenda da chiarire e non ha intenzione di aspettare domattina per farlo; si alza e non vuole farsi altre domande, sa solo che non vuole vederla uscire da quella porta.
 
Non riesce a togliersi dalla testa le parole di Ellie di poco fa, che sarebbe stata disposta a provarci se fosse rimasta quella mattina, che le sarebbe piaciuto vedere come sarebbero potute andare le cose se non ci fosse stato nessun malinteso a scombinargli i piani e Dean non ha nessuna intenzione di lasciarla andare ancora, di farsela sfuggire.
 
«Aspetta» la prende per il polso e lei si volta a guardarlo, gli occhi limpidi e sinceri di chi vorrebbe che le cose fossero andate in maniera diversa e quello sguardo dà a Dean un’ulteriore spinta, quella di cui aveva bisogno. La attira più a sé ed Ellie lo guarda appena confusa, ma lui non vuole più tirarsi indietro da quello che ha in mente di fare perché è giusto e si è pentito di non averlo fatto abbastanza quando ne ha avuto l’occasione, finendo per farsela scivolare via dalle dita e fare ancora lo stesso errore sarebbe troppo stupido. Allunga una mano verso di lei per accarezzarle il viso ed Ellie sembra un po’ insicura ma non si ritrae; resta immobile, appena tremante, gli occhi fissi nei suoi. «Rimani adesso» non ha bisogno di spiegare a cosa allude, Ellie lo sa già e lo guarda intensamente «Non andartene» è l’unica cosa che riesce ad aggiungere – quasi fosse una preghiera e lui non prega mai, ma stavolta Ellie deve restare – ed è un sussurro lieve ad un centimetro dalle labbra di lei.

Ellie lo guarda ancora e non è stupita quando Dean si allunga il tanto che basta, lasciando scivolare la mano sulla sua nuca e attirandola ancora più a sé, premendo poi le labbra sulle sue. Lei tentenna un po’, ma presto cede e si lascia baciare, si lascia avvolgere dalle sue braccia e dalla sua bocca e per un attimo le sembra di essere tornata indietro nel tempo, a quando le cose erano molto più semplici e bastava un pezzo di crostata e una sua battuta stupida per far sorridere quel ragazzo bello e silenzioso e distrutto dalla lontananza di suo fratello, il suo punto di riferimento più importante.
 
Vorrebbe fuggire e allontanarsi, perché non crede di avere più tempo per i ricordi né tantomeno per i rimpianti e appoggia entrambe le mani sul petto di Dean; l’idea è quella di scostarlo, ma si rende conto di non poterlo fare, perché stavolta è il suo cuore a vincere la partita e, anziché allontanarlo, afferra entrambi i lembi della sua camicia a quadri rossa e blu e lo attira più a sé, aggiungendo trasporto a quel bacio tanto meraviglioso quanto sbagliato.
 
Ha commesso questo errore – anche se non l’ha mai davvero considerato tale – già una volta ed ora sta ricadendo nella stessa trappola, si sta lasciando trasportare dai sentimenti e sebbene sa che è uno sbaglio, non fa nulla per evitarlo, perché qualcosa dentro di lei ha smesso di lottare per opporsi a tutto questo.
 
Sa che non durerà neanche stavolta, perché crede di aver imparato che nella vita dei cacciatori non c’è spazio per l’amore né per ogni sua forma affine, ma per una sola notte forse tutto può essere concesso, anche sognare.
 
Le mani di Dean scendono sul suo collo e la tiene ferma mentre con i pollici le accarezza i contorni del viso e la vuole, Ellie sente il suo desiderio e più che altro le sembra un bisogno viscerale a giudicare da come la bacia. Non è come l’altra volta, è diverso, ed è qualcosa che non riesce neanche a comprendere fino in fondo.
 
Cerca di staccarsi appena perché ha bisogno d’aria, di respirare, ma non ci riesce, ed è Dean a farlo dopo qualche istante, ma non accenna a lasciarla andare, le mani ancora sul suo collo e il respiro fuori controllo. La guarda così intensamente che Ellie ha paura di perdere l’equilibrio da un momento all’altro, tanto è il tremore alle gambe e l’emozione che sente. Si avvicina ancora ed è di nuovo ad un soffio dalle sue labbra quando chiude gli occhi «Io ti voglio. Non capisco fino in fondo quello che sento, so solo che ti voglio» ad Ellie pare stia facendo un immenso sforzo ad ammetterlo, ma le sembra la “dichiarazione” più bella e sentita del mondo e se c’era un piccolo barlume di ravvedimento in lei è crollato: ogni barriera, ogni muro, tutto svanisce e si allunga ancora un po’ per baciarlo e lo fa con la stessa foga e lo stesso bisogno che sente lui.
 
Le sue dita si insinuano sotto la sua giacca ed Ellie lascia che gliela sfili e che cada a terra accanto alla porta con un tonfo secco, insieme al suo desiderio di fuggire. Ha ben altri piani al momento.
 
La fa voltare ed Ellie lo asseconda e indietreggia, incontrando presto il bordo del letto e si siede, la testa inclinata verso l’alto mentre le labbra di Dean non hanno alcuna intenzione di abbandonare le sue.
 
Dean si abbassa un po’ con il busto, gli occhi fissi nei suoi – così belli e luminosi Ellie in questi giorni non li ha mai visti – e riconosce quella luce in fondo al suo sguardo, quel bagliore meraviglioso che non aveva mai scordato. Ellie gli prende il viso tra le mani e Dean la bacia ancora, sbottonandole la camicetta con pazienza studiata, lasciandole un brivido sulla pelle per ogni bottone aperto. Le bacia il collo con dolcezza e scende più giù, abbassandosi fino ad inginocchiarsi davanti a lei, una scia umida sulla pelle scoperta arrivando poi ai jeans, a cui apre il bottone e la zip.
 
Si alza su mentre Ellie si sdraia e si sporge per afferrarlo per la maglietta, portandolo sopra di lei, e Dean sorride di fronte a quella presa di posizione così decisa. Gattona quasi per raggiungere il suo viso – i palmi aperti sul materasso – e le dita di Ellie si intrecciano tra i suoi capelli corti quando la bacia ancora e la sua camicia finisce a terra, insieme al resto dei vestiti e presto è solo il rumore di baci e sospiri leggeri a riempire la stanza.
 
Ellie ha passato così tanto tempo a pensare a tutto quello che l’aveva fatta soffrire che quasi non ricordava più quanto fosse bello abbandonarsi con lui, quanto potesse essere caldo e perfetto e giusto ogni contatto, ogni carezza.
 
Stavolta è tutto più veloce, più frenetico, ma Ellie riconosce nei suoi gesti la sua dolcezza, quella che non ha voluto cercare in nessun altro nella piccola speranza – negli ultimi tempi sempre più recondita – che prima o poi si sarebbero ritrovati. In fondo al suo cuore, sapeva che non voleva che nessun altro la toccasse, che nessuno prendesse il posto di Dean perché nessuno poteva farla sentire viva come aveva fatto lui in tutto il tempo che avevano trascorso insieme.
 
L’eccitazione è così tanta che non prova dolore quando Dean scivola in lei, nonostante sia passato un anno dall’ultima volta e ritrova il suo desiderio nel modo in cui lui cerca le sue mani e la guarda negli occhi senza aver paura di lasciar trasparire quello che sente e lei abbandona ogni freno ancora una volta e si lascia andare alle sue carezze, donandosi completamente all’unica persona per cui ne vale la pena, l’unica che le fa battere il cuore così forte da temere che possa uscirle dal petto. E’ così anche adesso, Ellie lo sente correre impazzito ed appoggia una mano sopra quello di Dean, quasi potesse ascoltare se per lui è lo stesso, e questo gesto scatena qualcosa dentro di lui, come un istinto particolare, e la stringe più forte mentre Ellie si spinge su di lui per scoprirlo a sua volta.
 
Ascolta il suo respiro affannato mentre le sue mani – grandi e calde – scorrono ancora sulla sua pelle chiara e le sue labbra la baciano dappertutto, il suo sguardo così intenso da farla rabbrividire, mentre fa l’amore con lei – perché potrà anche dire il contrario o non riconoscerlo o averne paura, ma questo non è il sesso da bottega che ha consumato con altre, Ellie ne è sicura –, mentre conduce il gioco anche se è lei a stare sopra e lo guarda stringendogli il viso tra le mani e lui la abbraccia forte, come se la stesse attendendo impaziente e non aspettasse altro che ritrovarla.

Ad Ellie era mancato, sì, ma non pensava così tanto. Non se n’era resa conto fino a quando non l’ha visto legato su quella sedia, lo sguardo vuoto e quel lumicino di speranza e terrore al centro degli occhi; fin quando non l’ha stretto tra le braccia assicurandosi che stesse bene, fin quando non aveva avuto paura di perderlo di nuovo, stavolta per sempre. Forse è stato questo a fare la differenza: la certezza che se fosse morto non ci sarebbe stata più possibilità di ritorno. Vorrebbe tanto che questa fosse una garanzia per non farsi lasciare più, che bastasse come certezza per rimanere insieme.
 
Si abbassa a baciarlo ancora e nei suoi occhi legge lo stesso desiderio che sente lei, la stessa speranza e realizza che forse non sono mai stati tanto diversi: hanno sempre voluto le stesse cose, si sono sempre cercati senza saperlo.
Si muove più velocemente e scende con la bocca a morderlo sotto il mento e sul collo perché vuole sentirlo suo il più possibile, perché ha la sensazione che finirà anche stavolta, ma lo vuole così tanto, forse anche più di un anno fa.
 
La schiena nuovamente appoggiata sul materasso, Ellie gli stringe forte le spalle, sospirando piano, mentre lui si muove ancora; lo bacia sul collo e Dean avvicina la bocca al suo orecchio, sussurrando qualcosa che Ellie non avrebbe mai creduto di sentire dalla sua voce – adesso così bassa –, quattro parole che è sicura che non riuscirà più a togliersi dalla testa neanche uscita da quella stanza per quanto Dean le ha pronunciate in modo vero e sincero.
Si scosta un po’ e la guarda in silenzio, la fronte sudata e il respiro spezzato ed Ellie gli risponde con un bacio, perché non conosce un altro modo per dirgli che per lei è esattamente lo stesso e si ritrova a pensare che allora forse una speranza c’è, forse c’è la possibilità di uscire da quel buco dimenticato da Dio insieme, fianco a fianco, e non devono buttare tutto all’aria un’altra volta, ma è un pensiero confuso insieme a tanti altri e, quando Dean esce da lei e la guarda ancora negli occhi, ha di nuovo la sensazione di vivere un sogno e niente di più.
 
La osserva ancora, gli occhi limpidi e più intensi mentre si accascia su di lei baciandola nuovamente, senza darle il tempo di riprendere fiato. Ellie lo asseconda, le mani di lui tra i capelli; Dean non dice niente e si stringe più al suo fianco ed Ellie d’istinto lo abbraccia, posandogli un bacio su una guancia e non le era mai sembrato così fragile, stretto in quell’abbraccio caldo, confuso da un sentimento a cui non sa dare un nome ma che non riesce più a negare, che forse non vuole più nascondere. Ellie capisce tutto questo, perché, nonostante tutto, sente che per lei è esattamente lo stesso.
 
Poi Dean si mette di lato ed Ellie nasconde il viso sul suo petto, carezzandogli distrattamente la schiena. Lo studia silenziosa mentre lui sembra voler prendere nuovamente confidenza con lei, disegnando la linea del suo fianco con le dita in una lenta carezza.
 
Ellie ha tanti pensieri in testa e molti lo riguardano e, nonostante abbia la sensazione di essere finita in Paradiso o in un luogo molto simile – in fondo è sempre così che si è sentita con lui: a suo agio, adeguata, al posto giusto – c’è qualcosa che disturba questa quiete ritrovata, ma non se la sente di condividere queste cose, non adesso.
 
Dean la stringe sulla schiena, abbassando il capo per posarle un piccolo bacio su una spalla ed è solo allora che lei alza gli occhi incontrando il suo sguardo così dolce e comprensivo; Dean le accarezza il viso per poi avvicinarsi piano, con cautela, il pollice e l’indice della mano destra a catturarle il mento, quasi dovesse sfuggirgli da un momento all’altro ed Ellie si lascia baciare ancora, dolcemente, e questi piccoli gesti rafforzano ancora di più la convinzione che albergava in lei che poco prima era sincero. Forse lo è sempre stato, anche se a volte non ha saputo dimostrarglielo.
 
Lo guarda negli occhi adesso – le braccia intorno a lui e nessuna intenzione di lasciarlo andare –, senza aver paura.
 
Dean si sdraia sulla schiena ed Ellie appoggia la testa sul suo petto rimanendo in silenzio, cercando di rilassarsi completamente e lasciandosi accarezzare piano la schiena e le spalle; Dean posa qualche bacio sulla sua pelle o tra i suoi capelli ogni tanto e ad Ellie viene da pensare che forse è solo il suo modo per rompere il silenzio, ma non riesce a non sorridere.
 
Avvolge il lenzuolo attorno al seno e punta un gomito sul cuscino, un sorriso da presa in giro dipinto sulle labbra «Quanti baci».
Non sa dire se quello che esce dalla bocca di Dean è uno sbuffo o un sorriso, le labbra leggermente incurvate verso l’alto «Ti dispiace?»
Ellie lo osserva con attenzione e il verde dei suoi occhi luccica nella penombra; non è del tutto tranquillo – non come vorrebbe vederlo sempre – ma è senz’altro più sereno di qualche ora fa. «No, ma se sei così premuroso mi viene da pensare che hai qualcosa da nascondere… o che forse un po’ ti sono mancata».
 
Dean ride adesso e ad Ellie si scalda il cuore a guardarlo farlo in questo modo tanto sincero e si chiede perché mai non debbano vivere ogni giorno così. Non ci sarebbe niente di più giusto.
 
«Forse te ne saresti accorta un po’ prima se non avessi fatto la difficile per tutto il tempo».
Ellie allarga gli occhi, fingendosi offesa. «Non facevo la difficile!» ma lo sguardo da presa in giro di Dean la fa cedere presto. «Ero solo… arrabbiata. Lo sarebbe stato chiunque al mio posto».
«Beh, non proprio chiunque».
«Io non mi arrabbio mai e lo ero. Quindi sì».
 
Dean sorride scuotendo la testa e ad Ellie fa piacere riuscire a sdrammatizzare finalmente tutto quello che è successo. Sente di aver bisogno di un po’ di serenità.
Lo guarda ancora e la mano destra di Dean le accarezza il viso con dolcezza, spostandosi poi un po’ più in avanti per metterle i capelli dietro l’orecchio sinistro e scopre una cosa che non aveva mai notato prima: sulla parte superiore, dove la cartilagine si incurva per poi riscendere fino al lobo, c’è un piccolo orecchino. Dean rigira la farfallina [7] tra le dita, provocando un sorriso di Ellie.
«E questo?»
«Quella pazza di Janis. Lei ha tutte le orecchie bucate e una volta le ho detto che mi piaceva questo qui. Visto che conosce tutti i tipi che fanno piercing a Buckley e nei dintorni, ha deciso di prendermi l’appuntamento e regalarmi questa cosa per il mio compleanno» Ellie scuote appena la testa, muovendo appena le gambe e a Dean non sfugge il modo in cui i suoi occhi si sono illuminati non appena ha nominato quella ragazza. Si vede che le è molto affezionata.
«Mi fa piacere che ti sia stata vicina in questo periodo. Da come ne parli, questa Janis è—»
«Speciale. Non so come avrei fatto senza di lei».
«Le hai detto del nostro lavoro?»
Ellie abbassa lo sguardo e scuote la testa, decisa «No. Non voglio rovinarle la vita». Dean comprende il suo punto di vista, come non gli sfugge che non si è minimamente soffermata sul fatto che, comunque sia, l’uccidere mostri è qualcosa da tenere in segreto, all’oscuro dalle altre persone, ma lei ha posto l’attenzione su qualcosa di forse anche più prezioso. La stringe un po’ più forte, accarezzandola su un fianco.
 
Ellie allunga la mano verso il suo braccio destro e riconosce il braccialetto che gli aveva regalato per il suo compleanno, poco dopo essersi conosciuti. E’ un po’ più sbiadito, il marrone della pelle più spento di un tempo, ma è sempre lo stesso. Ellie lo fa ruotare sul polso di Dean, muovendolo con le dita. «Lo tieni ancora?»
Lui annuisce e lei sorride appena, realizzando che è vero che non l’ha mai dimenticata, un po’ come è successo a lei, e quel pensiero le provoca una gioia così grande da espandersi a macchia d’olio e scaldarle il petto così si sporge verso di lui per baciarlo ancora una volta sulle labbra.
Dean ricambia e le accarezza i capelli, spostando l’attenzione su di lei «Ecco cosa mi manca veramente: la tua chioma da Raperonzolo».
Ellie fa una smorfia «Oh, andiamo… a me piacciono».
Lui fa spallucce «Gusti. A me piacevano più prima».
 
Ellie gli fa la linguaccia e si rannicchia di più tra le sue braccia, facendosi più vicina e appoggiando la testa sulla sua spalla.
Vorrebbe non avere alcun pensiero negativo a disturbarla, vorrebbe semplicemente godersi questa sensazione di pace assoluta fino in fondo, guardarlo e rimanere così per sempre, ma c’è una domanda che le ronza in testa, in modo quasi fastidioso, e non riesce più a trattenerla per sé.
 
«Posso chiederti una cosa?» Dean annuisce e gira un po’ la testa verso sinistra per guardarla ancora: ha i capelli spettinati e le guance arrossate, gli occhi più grandi e lucidi dal piacere e forse non gli è mai sembrata bella come in questo momento, così stropicciata e accoccolata tra le sue braccia. «Perché hai chiamato me invece di tuo fratello?»
Dean increspa le labbra in un sorriso amaro; avrebbe dovuto immaginare che prima o poi questa domanda sarebbe venuta fuori, perché conosce Ellie e sa che non è una persona che tiene le sue curiosità per sé. «E’ l’unica cosa che ti viene in mente di chiedermi dopo essere venuta a letto con me?» Ellie ride piano ed annuisce e, per la prima volta da quando è tornata, finalmente Dean la riconosce veramente. Peccato, però, che lei non sta scherzando e pretende una risposta seria. «Io… beh, credo che sia giusto lasciargli vivere la vita che si è scelto ancora per un po’. Anche se non sarà per sempre».
«Questo non puoi saperlo».
«Oh andiamo… per quanto si sforzi a fuggire, Sammy è uno di noi. Solo che crede ancora di avere una possibilità diversa».
Ellie punta gli occhi nei suoi, il suo naso a un paio di centimetri da quello di Dean e l’espressione seria e concentrata «E tu vuoi farlo cullare sugli allori ancora a lungo, non è così?»
Dean stringe le spalle «Per quanto sarà necessario. Ha una ragazza, una vita normale… non voglio rompergli le palle».
«Anche se si tratta di John? E’ anche suo padre».
«Se lo ritrovo entro breve non ci sarà neanche bisogno di chiamarlo. E poi ci sarai tu con me, no?»

Dean la attira più a sé, cercando la sua mano sinistra e intrecciandone le dita per poi baciarla sulle labbra e chiudere gli occhi, stanco. Ellie sorride appena, stringendosi ancora un po’ tra le sue braccia mentre la terribile sensazione che anche questa notte sarà fine a se stessa le attanaglia lo stomaco.

Dean si addormenta presto, sfinito da tutte le emozioni e gli sforzi delle ultime settimane – soprattutto degli ultimi tre giorni –, ma Ellie non riesce a fare altrettanto. Quel pensiero la tormenta ed è divisa tra la voglia di restare – che dopo tutto quello che hanno passato e tutto il tempo che hanno trascorso separati, un po’ di pace è quello che si meritano – e quella di fare la cosa giusta. Forse dovrebbe lasciarlo tornare a riattaccare i pezzi della sua famiglia, perché solo lui può farlo e lei di certo non vuole essergli d’intralcio. Tanto ha capito che finché ci sarà lei al suo fianco questo non sarà possibile e non lo trova giusto.
 
E’ anche vero che dovrebbe andare a Buckley per mettere a posto tutte le sue cose, tornare a quello che è ormai il suo lavoro e riprendersi la vita che ha costruito lì, ma è altrettanto consapevole del fatto che, ormai, le cose non sono più com’erano un tempo, come quando c’era la mamma.
 
Buckley è sempre stato il suo rifugio: sa a memoria vie, vicoli, le scritte sulle panchine del parco e tutto il resto, eppure in quei mesi è stato tutto diverso. O meglio, era tutto uguale a come l’aveva lasciato, ma era lei a non essere più la stessa.
 
Col tempo si è resa conto di quanto tutto questo fosse inevitabile: aveva passato tanto tempo con dei cacciatori ed aveva cominciato inconsciamente a guardare il mondo con occhi differenti; le sfumature della gente comune, dei luoghi e dei paesaggi attorno a lei sono cambiate, si sono ingrigite, irrimediabilmente.
 
Nei mesi in cui è rimasta lì, ha lottato a lungo con tutto questo. Ha fatto tante di quelle passeggiate nelle strade poco affollate di quella che una volta era la sua casa per ritrovare quei sapori e quegli odori che la caratterizzavano, che la rendevano il posto che più le piaceva, ma non crede di esserci riuscita, capacitandosi del fatto che è impossibile tornare indietro dopo qualcosa che ti cambia tanto nel profondo.
 
Forse sapeva dall’inizio che questo viaggio – che le ha dato la consapevolezza che la caccia e tutto quello che la riguarda non l’hanno mai abbandonata davvero – non avrebbe avuto ritorno. O meglio, non uno definitivo, perché è quasi certa del fatto che, quando tornerà a Buckley, non lo farà per rimanere a lungo. 
 
Quello non è più il suo posto ormai. Ellie l’ha capito, ma ha cercato di non dirlo ad alta voce o di non pensarlo troppo spesso per non accettarlo, per non andarsene da quella che era ormai solamente lo specchio della sua vecchia e tranquilla vita assieme alla sua mamma.
 
Buckley è parte di lei e così sarà sempre, ma non come aveva creduto prima. Sa di essersi goduta il più a lungo possibile quell’oasi di tranquillità – l’unica cosa che la caccia non aveva mai intaccato – che nonostante tutti i cambiamenti e le scelte fatte e tutto il resto resterà per sempre la sua casa. La sua vera casa.
 
Resta il fatto che, comunque, non può andare neanche con Dean. La sua famiglia è più importante adesso, ha la priorità. Ellie sa che Dean farebbe tutto per loro, per suo padre e suo fratello, e sa anche che prima era sincero, che vuole veramente stare con lei – anche se non glielo ha detto espressamente, ma era questo il senso – ma che non sarebbe giusto, che non potrà esserci lei al posto di Sam se vorrà cercare suo padre. Ellie non è compresa nel pacchetto delle strane e complicate dinamiche della famiglia Winchester, ha un altro ruolo e vuole farlo valere, per il bene di Dean. Sa che la cosa che lui vorrebbe più al mondo è riabbracciare suo fratello e vuole dargli la possibilità di farlo. 
 
Lo osserva con attenzione mentre lui dorme – il viso nella sua direzione ed il respiro tranquillo, rilassato – e si avvicina un po’ di più al suo volto, sorridendo appena.
 
Sa che Dean non gradirebbe un’altra fuga, non questa volta, e neanche lei, per nessuna ragione al mondo, vuole che finisca di nuovo così, perciò aspetterà che si svegli per parlargliene.
Si stringe di più a lui e gli posa un bacio sul naso per poi chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla stanchezza, prendendo finalmente sonno. 
 
[1] Arnese usato per pestare o ridurre in polvere sostanze solide. 
[2] Antagonista principale nel romanzo “Il meraviglioso mago di Oz”.
[3] Mi sono immaginata la zia come la versione un po’ più “invecchiata” di Rebecca Mader (che, tra le altre cose, ha interpretato proprio la Strega dell’Ovest in Once upon a time): l’attrice è nata nel 1977, ma in questa fan fiction avrebbe avuto solo trentadue anni dato che siamo nell’anno 2005.
[4] Le parole sono le stesse che John pronuncia nel “Pilot” nel messaggio che Dean fa ascoltare a suo fratello.
[5] Nel “Pilot”, Dean dice a Sam che, per ascoltare il messaggio “nascosto” in quello che suo padre gli ha lasciato in segreteria, ha passato il tutto in un software audio, ma Dean non ha mai avuto un computer personale nelle prime stagioni, perciò ho pensato che Ellie avesse potuto aiutarlo con il suo laptop.
[6] La frase trascritta è la stessa che viene pronunciata nel “Pilot”. Nella versione in lingua originale dell’episodio, la voce della donna in bianco è più bassa rispetto al doppiaggio italiano ed è meno decisa quando parla, più lenta, si prende delle pause nel recitare la frase “I can’t never go home”. In italiano, invece, è più veloce.
[7] So che è una cosa sciocca da puntualizzare, ma non si sa mai: per chi non lo sapesse (io pensavo che fosse tipo in dialetto, quindi mi metto nella lista xD), farfallina è il nome di un particolare tipo di chiusura degli orecchini. 

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Capitolo 28
*** Kiss me hard before you go ***


Note (parte prima): Siamo arrivati all’ultimo temuto capitolo e mettere la spunta al "Completa?" è più difficile di quanto pensassi. Oltretutto ho un’ansia nel pubblicarlo che non vi dico.
Vi chiedo tremendamente scusa per il ritardo, ma anche oggi è stata una di quelle giornate infinite e sono rientrata a casa da pochissimo, perciò non ho avuto un minuto per mettermi prima al pc. Non vi dico a che ora ho finito di correggere ieri sera per avvantaggiarmi >.< anzi, se scovate qualche errore non fatevi problemi a farmelo notare! ;)
Anyway, non vi anticipo nulla, perché credo che il capitolo parli da sé, e vi lascio alla lettura. Vi aspetto in fondo. :) 


Capitolo 28: Kiss me hard before you go

E’ giorno da parecchio ormai. I raggi del sole filtrano nella stanza attraverso le tende sdrucite e sottili e avanzano lenti, fino ad avvicinarsi sempre di più al bordo del letto sfatto di quella camera anonima e consumata.
 
Dean è sveglio da un po’ e il mattino l’ha trovato abbracciato ad Ellie: la testa sul cuscino, il braccio destro intorno alla sua vita e la schiena di lei stretta contro il petto. Ha sbattuto le palpebre un paio di volte, capacitandosi di essere fuori dal mondo dei sogni e di avere davvero ancora Ellie tra le braccia ed un sorriso si è stagliato prepotente sul suo viso al pensiero che stavolta è rimasta e chissà che non lo faccia ancora per molto tempo.
 
Non saprebbe neanche descrivere cos’ha provato mentre sentiva scorrere le mani sottili e affusolate di Ellie sul suo corpo, quando con quelle dita minuscole gli stringeva la schiena sospirando piano, le labbra schiuse, e cercava i suoi occhi e quelli di lei erano così luminosi, così belli e intensi e Dean ad un certo punto credeva che sarebbe collassato da un momento all’altro, tanta era l’emozione di averla di nuovo lì a guardarlo con quegli occhi sinceri, mentre gli donava tutta se stessa ancora una volta.
 
Si è fatto trasportare dall’impeto di averla di nuovo tra le braccia, all’inizio, perché la sola idea che stavano per farlo di nuovo gli ha mandato in pappa il cervello, mandando a puttane il suo autocontrollo. E poi perché la desiderava troppo per andare piano, ma quando si è reso conto che stava per farsi fregare dalla fretta, tutto si è rallentato, perché l’ultima cosa che voleva era prenderla con troppa forza e rischiare di farle male.
 
Oltretutto, ieri sera si è reso conto che con Ellie non c’è bisogno di parole o indicazioni esplicite: gli basta guardarla negli occhi per capire cosa sente, per sapere se sta andando bene.
Dean aveva quasi dimenticato questa sensazione, perché quelle che ci sono state nell’ultimo anno – ma anche prima, quando Ellie non era nei suoi pensieri o comunque non in questo modo – erano più distaccate, più frettolose, attente solo a prendere quello che lui aveva da dargli – quindi molto poco – e ricambiarlo come sapevano.
 
Non che per lui fosse molto differente: si limitava a prendere senza mai rendere neanche una briciola di sé, senza neanche chiedersi se chi gli stava accanto volesse qualcosa di diverso. Con Ellie, invece, non riesce a tenere niente per sé e le sue mani non sono solo uno strumento per dare piacere, ma la studiano e la toccano con delicatezza, con cura, come se stessero maneggiando qualcosa di estremamente prezioso.
 
Ellie è diversa e non solo perché è silenziosa rispetto a molte altre, ma piuttosto perché, per qualche strano motivo, è un libro aperto per lui, un manuale pieno di istruzioni semplici che non fa nessuna fatica a seguire. A letto, perlomeno, perché fuori è tutta un’altra storia. O forse è così anche perché Ellie ha molta meno esperienza di quanta ne avessero molte delle donne che si è scopato, ma non è convinto che questo sia un difetto. Lo sarebbe stato in una delle ragazze qualsiasi di cui la mattina dopo non ricorda neanche che faccia hanno, ma Ellie… no, Ellie è un bene che siano stati in pochi a toccarla.
 
Ha notato che lei, un po’ come un anno fa, è un po’ impacciata, un po’ titubante in alcuni momenti. Forse devono solo prendere un po’ di confidenza in più e poi andrà tutto ancora meglio – come se potesse desiderare ancora qualcosa di più da lei e da tutto questo.
 
Sembra buffo a pensarci, proprio lui che è stato con così tante donne da perdere il conto, ma c’è qualcosa in Ellie che gli fa girare la testa, che gliela fa vorticare così forte da fargli perdere il contatto con la terra ferma.
 
Non è il suo aspetto o la scollatura delle sue camicie colorate o i tacchi che odia portare. E’ come lo fa sorridere, il modo in cui gli scalda il cuore solo a guardarla, come il suo respiro diventa un po’ più veloce quando gli è accanto. E’ il fatto che Ellie è l’unica al mondo che sia riuscita a lavare via davvero tanta dell’amarezza che Dean porta nel cuore, un po’ della solitudine che si trascina dietro da buona parte della sua vita, specialmente nell’ultimo paio di anni. Perché questi giorni, nonostante lei fosse così distante e cupa e lontana, gli sono serviti a capire che togliersela dalla testa è impossibile e quello che è successo stanotte gli ha dato prova del fatto che anche i casini più assurdi, alla fine, possono risolversi. Forse sarà così anche con suo padre e Sam, chissà. Lui di certo lo spera.
 
Ripensa al bagliore che avevano gli occhi di Ellie stanotte, quella luce brillante e intensa che è la stessa che emanano quando è felice; Dean, ormai, crede di saperla riconoscere e a vederli risplendere in quel modo nella penombra il suo cuore si è fatto più grande, perché davvero non credeva che sarebbe riuscito ad avere la possibilità di riaverla indietro.
Nell’ultimo anno, ha passato gran parte del tempo a temere di non rivederla più e che, se mai l’avesse fatto, non gli avrebbe mai perdonato tutto quello che era successo, ma ora non gli interessa sapere cosa le ha fatto cambiare idea. L’importante è che sia qui adesso e che ci resti il più a lungo possibile.
 
E’ qualcosa che lo spaventa, in realtà, ma ha bisogno di lei e forse ha sbagliato a dirglielo tanto apertamente ieri notte, mentre si rotolavano tra quelle lenzuola ritrovandosi ancora uniti nonostante i mesi separati e le incomprensioni che li avevano divisi.
 
Nonostante gli sia uscito dalla bocca tutto in modo talmente spontaneo da mettergli i brividi, ora che ci ripensa non sa se ha fatto bene ad aprirsi tanto, però, perché ogni volta che sente di aver bisogno di qualcuno, in un modo o nell’altro, poi quel qualcuno gli volta le spalle. E’ successo più volte di quante riesca a ricordare.
 
Sa benissimo di non poter più nascondere questo desiderio, la voglia di portarla con sé e di farsi seguire ovunque qualche bastardo figlio del demonio si decida a farsi vedere e, da qualche parte del suo animo, è convinto che sia quello che vuole anche lei. Vorrebbe esserne più sicuro, però. 
 
Si muove un po’, scostando appena le lenzuola, ed abbassa gli occhi per osservare la sua schiena liscia, tutte le linee della sua pelle morbida e si sporge appena per guardarla mentre dorme, spostandole i capelli corti dal viso con una carezza leggera. Il suo respiro è tranquillo, sembra che niente possa turbarla ed i suoi capelli profumano del solito strano mix di frutti tropicali, un odore che Dean ormai associa a qualcosa di caldo e gentile, qualcosa che appartiene solo a lei.
 
E’ quello che fa da quando è sveglio, in realtà, e non è facile per lui prendere coscienza di quello che sta succedendo. Non si era mai fermato tanto a lungo ad osservare una donna dormire eppure non riesce a staccare gli occhi dall’immagine che ha davanti, da Ellie così profondamente addormentata e tranquilla tra le sue braccia, qualcosa che ha desiderato in silenzio di vedere e che gli toglie il fiato.
 
Ripensa a quando l’ha conosciuta, al modo silenzioso in cui è entrata nella sua vita e a come invece è finita a scatenare il caos dentro di lui, a far emergere qualcosa che non credeva di poter provare. Proprio lui, che ha passato la vita a saltare da un letto all’altro per non sentire niente, solo per divertirsi e per distrarsi dalla sua esistenza squallida fatta di sangue e di dolore.
 
Non credeva sarebbe mai riuscito a sentire la serenità che sente adesso, stretto a lei tra quelle lenzuola sgualcite, il suo respiro calmo che rompe quel silenzio che tanto lo spaventava in passato ma che non trova più così assordante, adesso. E’ giusto e perfetto, è quello che gli ci vuole.
 
Affonda la testa sul cuscino e chiude gli occhi, cercando di assaporare ancora la perfezione di questi istanti, stringendola appena più forte ed inspirando nuovamente il profumo dei suoi capelli e della sua pelle, qualcosa di così piacevole e delicato e non ha idea di quanto tempo sia passato quando sente un sospiro più profondo provenire dalla sua direzione. Ellie si muove lentamente, stirando le gambe verso il basso e quando capisce che è sveglia Dean l’abbraccia più deciso, schiudendo nuovamente le palpebre per poi baciarla lungo le spalle. Ellie stringe il suo braccio mentre la mano di Dean cerca la sua e ne intreccia le dita con dolcezza.
 
Lei si volta appena, girando solo la testa, e lo guarda con gli occhi socchiusi, ancora assonnata. Dean le sorride «Non eri tu quella mattiniera?»
«Perché, da quanto sei sveglio?»
«Da un po’».
Ellie fa spallucce e sorride sorniona «Sappi che ti stai lamentando per l’unica volta in questi giorni in cui ho dormito veramente bene. Dovresti esserne lusingato, piuttosto».
«Chi ha detto che mi stavo lamentando?»
 
Ellie sorride ancora e lui fa altrettanto ed è così sopraffatto dalla sensazione di pace assoluta che gli invade prepotentemente il cuore da quando ha aperto gli occhi che non ha alcuna esitazione quando semplicemente si allunga con il collo per baciarla sulle labbra. Ellie risponde con naturalezza, in un modo a cui forse Dean non si abituerà mai. Stringe la sua mano un po’ più forte ed è una musichetta che proviene dall’esterno ad interromperli. Entrambi si voltano verso la porta, ma poi Dean presta più attenzione, capendo che invece viene dall’interno e riconosce quella melodia dolce ed irritante e quando si unisce la voce di Petula Clark non ha più dubbi: si tratta della sveglia di Ellie; deve aver lasciato il suo cellulare in qualche tasca dei suoi vestiti o forse della giacca, rimasta accanto alla porta, a terra, da ieri sera. Dean constata in fretta che i gusti di Ellie nello scegliere le canzoni meno adatte – o almeno questa è la sua idea – per svegliarsi non sono cambiati.
 
La guarda sottecchi «Ancora questa?» e lei sorride, una scintilla un po’ più spenta che le brilla negli occhi «Sempre». Non gli sfugge la nota dolceamara con cui Ellie ha pronunciato quella piccola parola; sicuramente il ricordo di sua madre è ancora più vivo ora che ha passato così tanto tempo a Buckley tra le cose che, in un modo o nell’altro, la riguardavano.
 
Dean farebbe per alzarsi e spegnere quella sveglia, ma Ellie lo blocca prima che riesca a scostare le lenzuola per farlo «Lascia stare. Tra un po’ smette».
«Che vuol dire? Dobbiamo ascoltarla tutta?»
Ellie ride, chiudendo gli occhi per un istante «No. Se non la reimposti si spegne da sola tra un pochino, tipo… » si interrompe quando quella voce che Dean reputa così fastidiosa smette di cantare. «Ecco, ora non suona più».
«Bene».
 
Ellie sorride e si volta appoggiando nuovamente la testa sul cuscino, stringendosi un po’ di più a Dean, la schiena contro il suo petto. Gioca con la sua mano, osservandone il palmo e tracciandone le linee con le dita, e Dean sorride appena.
«Che ne dici di andare a fare colazione? Io ho una gran fame. Poi facciamo i bagagli e andiamo a Jericho. A occhio e croce sarà… boh, tipo un giorno di viaggio [1]. Un po’ meno se ignoro qualche limite di velocità. E se il tuo catorcio in prestito riesce a star dietro alla mia piccola, ovviamente».
 
Il modo in cui Ellie tace di fronte a quell’esclamazione, stringendo un po’ più forte la sua mano, non fa ben sperare Dean. Per niente. E poi sta zitta da troppi secondi di fila.
La sente sospirare appena e, davvero, non capisce cosa ha detto di sbagliato «Ti sei dimenticato quello che ti ho detto quando sono arrivata qui?» Dean non risponde, aspettando che finisca il discorso, perplesso «Sono ancora una cameriera alla tavola calda a tutti gli effetti, a Buckley. Ho solo chiesto delle ferie per venire fin qui».
«Beh? Chiami il tuo capo e gli dici che non ti vedrà più, fine».
«Ed ho un appartamento dove ci sono le mie cose. Non le ho portate tutte con me».
Dean abbassa lo sguardo «Cosa stai cercando di dirmi?»
«Che io… » Ellie stringe la sua mano più forte, quasi avesse paura che dopo aver parlato Dean sarà più lontano, più distaccato «Io non credo di poter venire con te, Dean». Lui chiude gli occhi per un istante, stringendo forte le palpebre. Probabilmente un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. «Non fraintendermi, non… non è che non vorrei. Però credo che… che tu debba occuparti di questa storia con tuo fratello. E’ la cosa più giusta».
 
Dean si allontana ancora di più, quasi avesse appena scoperto che Ellie abbia una qualche malattia infettiva molto grave e soprattutto molto contagiosa ed Ellie si volta piano e si mette a pancia in su, osservandolo con attenzione estrema. Lo sapeva che quelle parole avrebbero potuto turbarlo – anche se, a giudicare da come la sta guardando adesso, forse è un po’ più che semplicemente turbato – e, anzi, Ellie crede che l’espressione che ha – la fronte lievemente aggrottata, la mascella contratta e lo sguardo più aguzzo e nervoso, quasi fosse pronto a scattare da un momento all’altro – sia più delusa che arrabbiata, ma lo conosce bene, perciò sa che tutto questo si trasformerà in vera rabbia molto presto.
 
«La questione tra me e mio fratello non ti riguarda. E’ una cosa chiusa, lui non c’entra con tutto questo».
«Non c’entra con suo padre?» lo guarda ancora mentre Dean, la schiena contro il materasso, si tira più su, appoggiando un braccio dietro la testa e sospirando rumorosamente, gli occhi puntati sul soffitto. «Andiamo, Dean. Dovrai affrontarlo, prima o poi, e questa è l’occasione migliore. A John potrebbe essere successo qualcosa di grave, è giusto che lui lo sappia. Io non sono la persona più adatta per aiutarti a cercarlo e sono sicura che se ci sarò io non lo chiamerai e non… non va bene. Lo deve sapere».
 
Dean stringe il labbro inferiore tra i denti nervosamente, si passa una mano davanti alla bocca e non riesce a trattenersi, perché qualcosa nel profondo del suo animo lo induce a pensare che tutto questo non è altro che un semplice modo per fuggire un’altra volta e un moto di rabbia lo assale, partendo dallo stomaco fin su alla gola.
 
Volta il capo verso di lei «E’ questa la scusa stavolta, non è così?» suona un po’ più brusco di quanto vorrebbe, ma non riesce a farci niente; Ellie aggrotta le sopracciglia e lo guarda decisamente perplessa. Forse non si aspettava proprio questa domanda «Il nuovo… pretesto che hai trovato per filartela?»
«Io… io non me la sto filando».
«No? Perché a me sembra che ogni volta che vieni a letto con me trovi un modo per scappare a gambe levate. E non provare ad abbindolarmi con la storia di Buckley o magari una balla su tuo padre che hai detto di non vedere da tanto, o un’altra scusa del cazzo perché sono stanco di farmi prendere per il culo».
 
Ellie sbuffa aria dal naso, l’espressione più arrabbiata di qualche secondo fa; scuote la testa e si volta, poi raggiunge il bordo del letto e raccoglie la prima cosa che ha a tiro e la indossa velocemente, anche se è la camicia di Dean.
Si allaccia i bottoni nervosamente «Guarda che io lo faccio per te».
«Andartene di nuovo? Oh sì, è proprio una dimostrazione lampante di quanto ci tieni, è esattamente quello di cui ho più bisogno: che tu te ne vada trovando un’altra giustificazione per allontanarti» a quelle parole Ellie si blocca ancora, le mani ferme che stringono i lembi della camicia; tiene la schiena dritta mentre volta appena la testa verso Dean, giusto per guardarlo con la coda dell’occhio.
«Lo pensi veramente?»
«Sì».
Ellie abbozza un sorriso amaro e riprende ad abbottonare la camicia, sbuffando «Se non tenessi a te, non avrei fatto più di duemila miglia per raggiungerti qui, per non parlare di tutto il resto, perciò non devo dimostrarti proprio niente. Anzi, sai che ti dico? Non ho nessuna voglia di litigare. Non facciamo altro da quando sono qui ed io non voglio discutere ancora. Sono stufa di farlo. La prossima volta, leverò le tende quando ti addormenti, così avrai veramente qualcosa per cui rimproverarmi» scuote ancora la testa, abbassandola un po’ «Tanto con te non si può parlare. Perciò… vado a farmi una doccia e poi me ne vado. Tu fai quello che ti pare e rimani pure della tua idea, non m’interessa».
 
Gira intorno al letto, senza degnare di uno sguardo Dean che invece la scruta, attento e incazzato, e non sa come replicare perciò se ne sta zitto, accigliato e nervoso. Ellie si infila in bagno senza chiudere la porta del tutto e solo quando lo fa Dean riesce a dire qualcosa come «Allora comincia col ridarmi la mia camicia» e lei deve averlo sentito, perché poco dopo un ciuffo di stoffa rossa e blu vola fuori dal bagno, andando a raggiungere il resto dei vestiti sparsi sulla moquette.
 
Dean lascia uscire un sonoro sbuffo dalle labbra mentre si passa le dita sugli occhi. Come trasformare un risveglio perfetto in uno del cazzo, si sente quasi un maestro in questo.
 
Deve ammettere – almeno a se stesso – che Ellie non ha tutti i torti, ma è così difficile per lei essere un po’ egoista? Potrebbe andare con lui e basta invece di mettere in mezzo Sam. O andare con lui da Sam. Perché se ne vuole tirare fuori?
 
Si tira più su con il busto, appoggiandosi con la schiena contro la testiera del letto, e rimane lì, in silenzio, a riflettere su tutto questo. Sbuffa, rendendosi conto di essere stato davvero troppo brusco, che magari avrebbe potuto spiegarle un po’ meglio quello che voleva dire e realizza in fretta che si è fatto mandare in pappa il cervello dalla rabbia e basta. Cristo santo, che razza di coglione.
 
Si siede sul bordo del letto e si infila i boxer; afferra i pantaloni per fare altrettanto, ma si ferma un secondo ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorre all’interno della doccia. Ellie poteva andare a farla nella sua stanza, è proprio lì accanto e le bastava vestirsi e andarsene, invece è rimasta un altro po’ e, per quanto stupido, il pensiero di questo gesto riesce a strappargli un piccolo sorriso perché, in fondo, è proprio con dei piccoli gesti che Ellie gli ha mostrato il mondo.
E’ sempre stato così, dal primo momento, quando ha bussato alla porta della stanza ben messa di quell’albergo abbandonato, da quando gli ha offerto una barretta di cioccolata al latte con la naturalezza e la spontaneità di una bambina e forse ora, con questo modo – alquanto bizzarro, a dire il vero, ma Dean ormai dovrebbe essere abituato alle sue stramberie – di rimanere nonostante quello che le ha detto gli sta dicendo che sì, vuole andarsene, ma non senza aver risolto le cose. 
 
Negli ultimi giorni ha fatto un po’ la matta, ma di certo ieri sera l’avrebbe spinto via anziché restare se veramente avesse voluto prenderlo in giro, perciò forse non è proprio vero che è in cerca di una scusa, forse… forse ha ragione. La priorità di Dean, adesso, è trovare suo padre ed è vero: Sam può aiutarlo.
 
Sam dovrà aiutarlo. E’ anche suo padre, nonostante tutto, ma anche se gli sembra la cosa più giusta da fare, non vuole sacrificare quello che ha ritrovato un’altra volta. Anche perché non capisce per quale diavolo di motivo non può unire le due cose, perché Ellie non può andare comunque insieme a lui. Non vede dov’è il problema.
 
A pensare a tutto questo quasi gli è passata la rabbia e si alza dal letto, raggiungendo la porta del bagno in pochi passi; ascolta il rumore dell’acqua che cade sul piatto della doccia, incerto sul da farsi. Forse ad Ellie non piacerà questa “intrusione”, ma crede di non poter aspettare neanche un istante di più per parlarle e provare a spiegarsi un po’ meglio, così espira ed apre la porta.
 
La trova girata di schiena mentre si passa le mani sulle spalle, i capelli appiccicati sul collo e lo scroscio dell’acqua che le bagna tutto il corpo; i suoi movimenti sono lenti e indecisi, è come se fosse sovrappensiero, se stesse riflettendo su qualcosa.
 
Rimane qualche secondo fermo a guardarla e immagina come potrebbe essere una mattina come tante, svegliarsi insieme a lei ed ascoltare la sua risata, un suono così caldo da riempirgli le orecchie e scaldargli il cuore. Forse se le cose fossero diverse, se avesse una vita differente potrebbe concedersi il lusso di tentare, di provare a costruire qualcosa con questa tipa così strana e vera che gli ha rubato il cuore, ma non ci si può basare su delle ipotesi.
 
Cerca di convincersi del fatto che, se gli dirà di no, non insisterà più del dovuto, che è giusto lasciarla andare perché se non vuole restare non può costringerla a farlo e l’unica cosa che può fare davvero, adesso, è almeno vivere questi ultimi momenti con serenità, prima di tornare sulla strada per cercare di rimettere insieme i pezzi della sua famiglia.
 
Scosta la tenda e scivola dentro la doccia, richiudendola dietro di sé, abbraccia Ellie appoggiando il mento sulla sua spalla e la guarda mentre lei abbassa la testa senza dire nulla.
«Scusa» posa un bacio sulla sua spalla bagnata, incurante dell’acqua che ora bagna anche il suo corpo. «Non volevo offenderti, prima».
«Invece l’hai fatto».
«Mi dispiace, però—»
«Però niente. Sei uno stronzo» Dean continua a guardarla senza rispondere, senza smettere di tenerla stretta perché, in fondo, sa che Ellie ha ragione. Perlomeno una piccola parte di lui lo riconosce «Preferisci pensare che mi piaccia andarmene anziché credermi e capire che veramente lo faccio per te. Se non me ne fregasse niente non avrei fatto neanche mezzo miglio per raggiungerti».
Continua a tenere la testa bassa e Dean la stringe un po’ più forte, quasi di riflesso «Lo so. Ed hai ragione su questo, però io… » sospira; la sincerità, soprattutto quando si tratta di sentimenti e diavolerie varie, è qualcosa che lo mette sempre a disagio, che lo spaventa, in un certo senso, ma può fare questo sforzo per una volta ed ammettere a voce alta quello che sente davvero «Io non voglio che tu te ne vada».
 
Ellie si volta a guardarlo e ritrova la stessa sincerità delle sue parole nei suoi occhi. «Lo capisco, ma a me non fa piacere. Voglio dire, proprio adesso che… che… » non riesce a concludere la frase ed abbassa lo sguardo, sfuggendo alle dita di Dean che cercano di tirarle su il viso.
«Puoi comunque venire con me, Ellie».
Lei scuote la testa e stavolta alza gli occhi; Dean non fa fatica a notare quanto siano lucidi «E’ la tua famiglia. Io sono un’estranea per Sam e, anche se non dovrebbe essere così, in fondo lo sono anche per tuo padre. Devi risolvere le tue cose da solo e smetterla di scappare da tuo fratello».
«Guarda che è lui che se ne è andato, che ha lasciato la caccia e papà e tutto il resto, non io».
«Ma tu non l’hai fermato. Ci hai mai pensato?» Dean la guarda intensamente, quasi gli avesse detto qualcosa di assolutamente nuovo e sconcertante. «Ed ora non vuoi affrontarlo».
«Non è vero. Voglio solo… lasciarlo in pace».
Ellie tira le labbra in una linea sottile «Diciamo… un po’ e un po’» sorride appena, forse per mascherare la commozione che traspare chiaramente dai suoi occhi intensi e sinceri «Capisco che non è facile e che si tratta di una ferita che non vuoi riaprire, ma c’è di mezzo tuo padre. E’ più giusto che sia lui a venire con te, io non c’entro niente».
«Non è vero. Tu c’entri con me». Quelle parole la lasciano di stucco, così tanto da non essere in grado di replicare; Ellie lo abbraccia, appoggiando l’orecchio destro sul suo petto, e Dean fa altrettanto, stringendola a sé. Gli accarezza la schiena e si alza un po’ sulle punte per posargli un paio di baci su un braccio, con dolcezza.
 
Dean la scosta appena prendendole il viso tra le mani e spostandole i capelli dietro le orecchie; i suoi occhi sono ancora tristi e sembra che scoppierà a piangere da un momento all’altro tanto sono liquidi, estremamente lucidi, ma non lo fa. Ellie ha sempre avuto questo modo particolare di riuscire a trattenersi, di non mettersi a frignare per ogni cosa. E’ qualcosa che Dean ha sempre ammirato di lei. 
 
Gli sorride timidamente e non sembra sentirsi a disagio – o almeno non lo dà a vedere –, nuda ed esposta sotto la luce di quel lampadario da quattro soldi appeso al soffitto. A Dean, invece, un po’ dispiace, perché spogliarla è una delle parti che gli piace di più.
 
Si studiano a lungo senza parlare, come se volessero comprendersi un po’ più profondamente, ed Ellie spezza quel contatto per un istante, abbassandosi un po’ per prendere il bagnoschiuma a terra. Ne versa una piccola quantità su entrambe le mani per poi strofinarle tra loro e le passa sul petto di Dean che la guarda ancora per qualche istante e poi abbassa la testa per baciarla dolcemente.
 
Il tempo si ferma e non importa quanti chilometri dovrà fare per arrivare a Stanford e quanto ci metterà e tutto il resto, contano solo loro due e quello che provano in questo momento, il cuore battere forte dentro il petto, i baci, le carezze leggere e la sensazione di appartenersi a prescindere da tutto e da tutti.
 
*
 
Ellie siede sulla poltroncina di fronte a quella di Dean in una tavola calda non tanto distante dal motel dove hanno alloggiato questi giorni. Dalla velocità con cui sta divorando i suoi pancake, Dean non fatica a capire che ha una fame da lupi. E non è la sola.
 
Lui assapora piano il suo piatto del giorno, con tanta pancetta e uova e, nonostante sia davvero affamato, se lo gusta piano, perché vuole allungare il momento il più possibile. Sa che, quando usciranno di qui, Ellie prenderà la sua macchina e una strada diversa dalla sua, perciò vuole prendersi tutto il tempo possibile per ritardare quel momento.
 
Da quando sono usciti dalla doccia, Ellie è diventata silenziosa, un po’ troppo per i suoi canoni. Anzi, decisamente troppo. Non che prima abbia parlato tanto e il tempo lì dentro, tra il vapore dell’acqua calda e il sapone e quel bagnoschiuma che probabilmente Dean non cambierà mai ora che ha scoperto quanto piace ad Ellie, è stato piuttosto lungo, ma il suo silenzio mette a disagio Dean, così è lui a parlare, per smorzare la tensione. 
 
Parla di tutto e di niente, del tempo, della sua piccola alla quale deve cambiare al più presto il filtro dell’olio, del suo film preferito e parla a macchinetta, passando da un discorso all’altro senza sapere dove vuole andare a finire.
 
Ellie ascolta ogni parola, ride quando lui dice una cosa stupida e per lo più lo lascia parlare, sorridendo sempre quando dice qualcosa di buffo e rimanendo concentratissima quando, invece, dice qualcosa di più serio. A vederla adesso, sembra essere quella di sempre, ma Dean sa che non è così, perché glielo legge negli occhi che darebbe tutto quello che ha per non fare la scelta che ha fatto, per mandare affanculo tutto il resto e rimanere con lui. Vorrebbe chiederle di farlo sul serio, di lasciar perdere il lavoro e tutti gli impicci che ha a Buckley, ma sa già che, purtroppo, Ellie ha ragione e non può chiederle proprio nulla. E forse questa è la cosa peggiore.
 
Gli argomenti, dopo un po’,  si esauriscono e Dean pone l’unica domanda che gli è rimasta da fare. «Quindi… è deciso, tornerai a Buckley».
 
Ellie annuisce, manda giù il boccone e prende un altro pezzo di pancake con la forchetta, stavolta senza guardarlo. «Ho un po’ di cose da fare lì, poi potrei… » si ferma ed alza lo sguardo verso Dean, quasi a voler chiedere un permesso per qualcosa. O forse chiedergli implicitamente di non arrabbiarsi per quello che sta per dire. «Ho pensato che potrei cercare papà. Devo sistemare le cose con lui».
 
Dean annuisce, distogliendo lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginarlo che c’era molto di più nella sua testa, che Buckley è solo una sosta temporanea. In fondo Ellie, da quando la conosce, non fa altro che rincorrere suo padre – quel maledetto bastardo che non la guarda se non con disprezzo – e cercare di compiacerlo. Da qualche parte della sua testa, Dean spera che Ellie possa riuscirci un giorno.
 
I tasselli del puzzle ora tornano al loro posto perché Dean immagina che era esattamente questo a cui pensava Ellie prima, al motel, mentre si rivestiva lentamente, un pezzo per volta, o quando svuotava il suo armadio ripiegando ogni vestito con eccessiva lentezza, con la faccia di chi ha per la mente chissà quale tremendo rompicapo da risolvere. Non rifletteva sul fatto che se ne stava andando, o meglio… non era solo quello che le frullava per la testa.
 
Sospira appena senza guardarla, gli occhi fissi sul piatto quasi vuoto «Mi sembra giusto» e si rende conto di aver sparato una stronzata, la stessa che ha detto lei ieri sera quando le parlava di suo padre e che doveva andarlo a cercare e invece non è giusto, cazzo, non è per niente giusto che debbano allontanarsi un’altra volta quando ci hanno messo così tanto a riavvicinarsi.
Per lui, comunque, il discorso sarebbe anche chiuso se Ellie non allungasse una mano verso la sua, stringendola appena. Dean alza lo sguardo un po’ sorpreso, riemergendo dal cumulo di pensieri che gli stava annebbiando la mente. «Non voglio ricominciare a discutere. Tantomeno prenderti in giro. E’ solo che… » deglutisce e lascia scorrere il pollice sul dorso della sua mano un paio di volte «Lui è l’unica famiglia che mi è rimasta. Io devo… voglio mettere le cose a posto. Voglio provarci».
 
Dean annuisce e abbozza un sorriso, giusto per chiudere il discorso, stavolta per davvero. In fondo, Ellie non ha tutti i torti, ma non vuole continuare questa conversazione. «Ti fermerai molto a Buckley?»
 
Ellie lo osserva per qualche secondo, titubante, poi toglie la mano dalla sua e riprende a mangiare. «No. Per quanto io ami quella cittadina, non è più la mia casa» fa una pausa, abbozzando un sorriso che non ha niente di allegro, e a Dean sembra proprio che le dispiaccia parlare così di quel posto, ma che, nonostante ciò, non sia tanto entusiasta di tornarci, anche se solo per poco. «Rimarrò giusto il tempo necessario per riprendere le poche cose che ci ho lasciato e salutare Janis e Mufasa che… che spero lei deciderà di tenere con sé. Non voglio che quel bel micio coccolone finisca in strada di nuovo, non se lo merita».
 
Dean annuisce ancora, riflettendo sul fatto che Ellie sta parlando di un gatto come se si riferisse ad una persona in carne ed ossa e la cosa, per qualche strano motivo, non lo stupisce, e il silenzio cala di nuovo. Ellie beve il suo succo di frutta e lo guarda con il sorriso di chi è combattuto perché vorrebbe che questo momento non finisse mai e che al contempo passi alla svelta per non ripensare alla decisione che ha preso. Dean capisce l’antifona e spazzola via quello che ha rimasto nel piatto in qualche minuto per poi alzarsi e avviarsi fuori.
 
Ellie infila la giacca e lo segue silenziosa, camminando al suo fianco e Dean non sa che gli prende quando d’istinto afferra la sua mano e la stringe forte, non riuscendo a resistere a quell’impulso; sente lo sguardo di Ellie su di sé ma cerca di non badarci, fingendo di non accorgersene così come il fatto che, in fondo, trova un po’ strano e infantile questo suo desiderio, ma decide di accettarlo e basta, senza farsi tante domande. Ormai ha smesso di chiedersi il perché del suo comportamento quando sta con Ellie, sa solo che vuole averla vicina e forse questo è semplicemente il suo modo di dirle che non è arrabbiato con lei, non ha nessun diritto di esserlo perché in fondo capisce il suo desiderio di rimettere a posto la sua famiglia – quella che le è rimasta – e provare a ricominciare con suo padre. Lui vorrebbe lo stesso per sé e Sam e papà; gli piacerebbe solamente che questo non debba tenerli nuovamente divisi.
 
La accompagna fino alla sua macchina e la guarda fermarsi lì accanto; per una volta non vuole fingere che gli va tutto bene, perché la terribile sensazione che potrebbe non rivederla più gli attanaglia lo stomaco.
 
Tiene stretta la mano di Ellie, come se non si fosse reso conto di essere arrivato dove voleva portarla, e la guarda in cerca delle parole giuste da dire, solo che lui non è mai stato un chiacchierone e parlare non è il suo forte, perciò non gli esce niente di sensato dalla bocca e probabilmente sta anche facendo la figura dell’idiota a rimanere lì impalato come uno stoccafisso.
 
Ellie sorride nel modo più genuino possibile e gli accarezza il dorso della mano con dolcezza; si avvicina un po’ e gli mette le braccia intorno al collo, cogliendolo quasi di sorpresa, mentre un sorriso più convinto le si disegna sulle labbra «Voglio dirti una cosa, Dean». Lui la guarda appoggiando le mani sui suoi fianchi, il cuore in gola «Quattro giorni fa, prima che mi arrivasse il tuo messaggio, non avrei mai creduto che ti avrei rivisto, che saremmo riusciti a chiarire e… e a fare pace» a Dean non sfugge il fatto che le sue guance siano diventate molto più rosse e le sorride malizioso, capendo a cosa allude «Perciò… insomma, tutto è possibile. Non partire con l’idea che tuo fratello non ti ascolterà. Parlaci. Vai fino in fondo. Ha fatto una scelta, è vero, ma tutti possono cambiare idea e tornare indietro».
Dean abbassa lo sguardo per un istante, scuotendo la testa «Parli così perché non lo conosci. Sammy è testardo e orgoglioso e—»
«Mi ricorda qualcuno» Ellie abbassa gli occhi, cercando i suoi, e gli sorride ancora «Fidati di me. E’ suo padre, non ti negherà il suo aiuto».
 
Lo sguardo di Ellie si fa un po’ più insistente e Dean annuisce, non troppo convinto. Non è che non crede a lei, ma suo fratello è strano e non ha neanche idea di come lo ritroverà, di come si comporterà quando se lo ritroverà davanti. Si è immaginato la scena nella sua testa un milione di volte, ma qualcosa gli dice che nessuna delle sue fantasie si avvicini a quello che succederà poi in realtà.
 
«E questo, poi, non è un addio. Non ti libererai di me tanto facilmente» Dean sorride a quelle parole, riemergendo dalla sua nuvola di pensieri; la stringe più forte sui fianchi, guardandola negli occhi. Vorrebbe dire qualcosa di intelligente ma, ancora una volta, non gli viene niente di brillante. Ellie sorride ancora, forse per cercare di mascherare il leggero luccichio che ora risplende nei suoi occhi, tanto simile a quello che aveva un paio d’ore fa, quando è andato a chiederle scusa «Per esempio, c’è una cosa che si chiama telefono che potresti usare ogni tanto per chiamarmi e parlare con me».
Dean sorride appena «Tu la userai?»
«Mmh, credo di sì. Così potrò sapere se ho ragione su tuo fratello oppure no».
 
Dean arriccia le labbra in un sorriso smorto, prima di capacitarsi che non ha più alcuna voglia di parlare. Appoggia la fronte su quella di Ellie per un lungo istante e, ancora una volta, non riesce a tenere a freno l’istinto quando si allunga appena e la bacia dolcemente, le dita a stringerle la schiena, prendendosi tutto il tempo per imprimere nella mente più informazioni possibili, per marchiare a fuoco questa sensazione e sperando di farsela bastare per un po’, fino a quando Ellie non deciderà di fare di nuovo capolino nella sua vita. Spera che quel giorno non sia tanto lontano.
 
Ellie si stringe più a lui, allungando il collo e alzandosi un po’ sulle punte e, quando appoggia la testa sul suo petto, è consapevole che il momento di salutarlo è arrivato e non è più così sicura della scelta che ha fatto, ma una piccola vocina nella sua testa le ricorda che è per il suo bene che se ne sta andando e stringe forte il tessuto della maglietta di Dean tra le dita, alzando ancora gli occhi su di lui. Il suo sguardo è più eloquente di mille parole ed Ellie sfiora un’ultima volta le sue labbra con le proprie sentendo gli occhi farsi più lucidi e pensando a quanto le mancherà tutto questo quando saranno lontani e, soprattutto, a quanto dovrà aspettare per riaverlo. Non è per suo padre che vuole cercare e per quello che vorrebbe ricostruire – o perlomeno provarci – che lo sta facendo, ma per Dean che ha una famiglia vera che deve e, soprattutto, vuole rimettere in piedi. Ellie sa che è la cosa a cui tiene di più al mondo e non vuole negargli quest’opportunità, non vuole intromettersi in qualcosa che non la riguarda. Avranno modo di rincontrarsi e di restare insieme più a lungo, tra qualche tempo, ne è sicura, e attenderà quel giorno con impazienza e speranza.
 
Si scosta da lui e gli sorride, giusto per dargli l’impressione che è davvero convinta di quello che sta facendo, e si allontana a passo lento, salutandolo con la mano prima di salire in macchina e mettere in moto.
 
Dean la osserva partire con quel catorcio rosso e si avvicina all’Impala solo quando la vede immettersi sulla carreggiata e abbozzare un ultimo sorriso nella sua direzione prima di sparire dalla sua vista.
 
Sale sulla sua auto, sospirando rumorosamente; tira fuori la sua cartina stradale e segue con gli occhi la strada da percorrere dalla Louisiana fino alla California.
 
Appoggia quel pezzo di carta colorata accanto a lui un paio di minuti dopo, senza neanche ripiegarla. Sicuramente gli servirà ancora durante il viaggio che si prospetta lungo e probabilmente molto noioso data la scarsa compagnia e tutte le cose su cui deve riflettere. Prima fra tutte, come trovare Sam che in questi anni di assenza non gli ha mai dato uno straccio di indirizzo su dove rintracciarlo in caso di problemi, ma Dean ha mille risorse e trovare la gente – anche se spesso è morta – fa parte del suo mestiere, perciò non lo preoccupa così tanto. Anzi, forse è quello che lo angoscia di meno.
 
Si passa una mano sulla bocca, lasciandola poi scivolare sul mento, e accende la radio; una musica si espande subito nell’abitacolo, seguita poco dopo dal rombo dell’Impala.
 
Dean esce dal parcheggio della tavola calda e si immette nella carreggiata, picchiettando distratto sul volante seguendo il ritmo della musica; la voce allegra di Jeff Lynne gli consiglia di tenersi stretto il suo sogno [2] e Dean sorride appena, pensando che lui ne ha più di uno e che per un minuto può credergli perché, prima o poi, magari almeno qualcuno ne vedrà realizzato.
 
Accelera, sgommando sull’asfalto, il piede che spinge sull’acceleratore, deciso a macinare chilometri nel minor tempo possibile per raggiungere la meta in fretta e cominciare col provare ad avverare qualcosa che desidera da tanto: riprendersi suo fratello.
 
I think I’ll miss you forever
Like the stars miss the sun in the morning skies
Late is better than ever
Even if you’re gone, I’m gonna drive…
 
(Summertime sadness – Lana Del Rey)

 

[1] Secondo un sito che calcola distanze da un punto all’altro del globo, per andare da Westwego (Louisiana) a Jericho (California) in macchina ci vogliono un giorno e otto ore di viaggio.
[2] Jeff Lynne è stato il cantante degli Electric Light Orchestra fino al 2001 e la canzone che Dean ascolta è “Hold on tight”, un brano estratto dal loro decimo album. 



Note (parte seconda): Non è facile mettere la parola fine a questa storia. Soprattutto, non è facile arrivare qui e dover salutare chi mi ha accompagnata e mi ha tenuto compagnia in questa lunga avventura.
Sembra un paradosso: “Wash away” è nata per caso nel mese successivo al finale della nona stagione, in un momento in cui il mio bisogno di vedere Dean il più umano possibile era terribilmente profondo. Ci ho messo un anno a scriverla ed è stato un viaggio bellissimo e talvolta doloroso all’interno della mente di un personaggio che molto più di altri ha saputo regalarmi tante emozioni, un viaggio nella sua solitudine e nel suo coraggioso “cuore di leone”. Dean Winchester è questo, per me: un uomo con pregi e difetti – molti difetti, ed è questo a renderlo umano – che sa dare più di quanto crede.
Sono sicura che qualcuno storcerà il naso per la decisione di Ellie, ma lei ha capito il bisogno che Dean ha della sua famiglia e, nel momento in cui c’è da riunirla, preferisce farsi da parte. L’ha fatto per lui, perché crede che sia giusto così.
Comunque sia, questo non è un vero e proprio addio, ma più un arrivederci. Ebbene sì, perché questa storia avrà un seguito. :3 Non so quando verrà alla luce perché è ancora in fase di scrittura, perciò ci sarà da aspettare un po’ e spesso la “vita vera” rallenta i miei programmi, ma spero di riaffacciarmi qui insieme ad Ellie presto. So che solitamente con i seguiti si tende a rovinare la storia originaria, ma non potevo lasciare Ellie e Dean così. In più, sono troppe le domande che ho dovuto lasciare senza risposta – la storia di Jim, per esempio – per non mettere troppa carne al fuoco. Ogni aspetto di questo mosaico richiede il suo spazio e alcuni tasselli ho dovuto accantonarli per concludere altri passaggi, ma troveranno il loro posto nella prossima parte della storia. :)
Per finire – lo so, ho scritto note infinite, ma per una volta che il capitolo era un tantino più corto degli altri dovevo compensare, o no? XD – mi rivolgo a tutti coloro che sono arrivati qui in fondo insieme a me. Il giorno che ho pubblicato il primo capitolo ero tesissima e continuavo a chiedermi se facevo bene a buttarmi, a mettere “su piazza” un lavoro così importante per me perché nell’ultimo anno ho pubblicato tante cose qui dentro, ma questa è quella a cui tenevo di più. A distanza di mesi, mi rendo conto di aver fatto bene e che tutta l’ansia che avevo quel giorno è stata ricambiata nel migliore dei modi dal vostro affetto e da tutto il supporto che mi avete dato settimana dopo settimana.
Per questo ci tengo a ringraziare tutti coloro che si sono fermati a dare un’occhiata, che addirittura hanno speso tempo a leggere fino all’ultimo punto; grazie a chi è stato sempre puntuale e anche a chi è arrivato in ritardo; grazie a chi mi ha scritto recensioni che erano poemi, ma anche a chi ha speso anche due parole, anche un semplice “grazie per regalarmi delle emozioni” perché frasi come queste hanno avuto il potere di emozionarmi a mia volta e di farmi sorridere. Grazie a chi ha inserito la storia nelle loro liste di preferiti/ricordati/seguiti; non avevo mai visto numeri così grandi tutti insieme. Grazie a chi ha apprezzato il mio modo di scrivere e la mia prolissità ma, soprattutto, grazie per aver stimato così tanto la mia piccola Ellie, frutto della mia mente e del mio amore per Dean. Non so se, anche nel canon, sarebbe la persona più giusta per stargli accanto e accompagnarlo nelle sue avventure – Sam a parte, chiaramente –, ma io me la immagino bene a ricoprire questo ruolo. Spero che anche voi possiate dire lo stesso.
In particolare, ringrazio Jerkchester che è stata la prima a darmi fiducia, la prima a commentare questo mio piccolo delirio e a riempirmi di complimenti in ogni capitolo. Ogni tua parola è stata fonte di riflessione, per me. Te l’ho detto per ogni recensione, ma non mi stancherò mai di ripeterlo: grazie :’)
Grazie a Daisy_of_light che all’inizio era curiosa ma non sapeva se leggere o meno perché “era una storia senza Sam”, ma poi si è recuperata cinque capitoli in una notte, che se ci penso la cosa mi fa ancora sorridere. Sono davvero felice che tu abbia deciso di leggerla e accompagnarmi in questo viaggio. :’D
Grazie a Teacup, che mi ha dato gli strumenti giusti per capire come è meglio (de)scrivere; grazie a vannagio per avermi fatto fare un salto sulla sedia ogni volta che ho visto una sua recensione e, soprattutto, quando mi è comparso il suo nome nella lista dei preferenti, perché quando qualcuno che stimi apprezza ciò che fai l’emozione è doppia. E un grazie a tutti gli altri, a Saphi02, Eli Giaquy, Bella Miramax, DeanGirl, Nivei, Amnesha, iolus, AleDic e anche coloro che dimentico e che mi hanno lasciato recensioni anche se più sporadicamente, riempiendomi di complimenti e di belle parole. Questo viaggio non sarebbe stato lo stesso senza di voi. Ringrazio anticipatamente anche coloro che spero arriveranno, perché non voglio pensare che questa storia finirà nel dimenticatoio ma che, anzi, ci sarà ancora qualcuno in futuro che vorrà passare da queste parti e farsi incuriosire da Dean, Ellie e le sue stramberie.
Ci sono altre storie in questo sito che hanno molto più seguito, ne sono pienamente consapevole, ma non potete capire quanto per me arrivare in fondo con questi numeri sia stata una vittoria, un enorme successo. E senza di voi non sarebbe stato possibile.
Scusate se l’ho fatta un po’ lunga, ma ci tenevo a ringraziarvi uno per uno per la vostra presenza e per tutto l’affetto che mi avete mostrato. Ellie non vede l’ora di rincontrare tutti voi, di riabbracciare Dean e conoscere Sam. Spero che anche voi siate dello stesso avviso e che sarete con me nella prossima parte di questa bella avventura.
Vi abbraccio forte con le lacrime agli occhi e un’emozione addosso che non posso descrivere. 

 
Grazie di cuore.
La vostra Vali :')

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