Tanto non mi prendi. [Sospesa]

di Cheshireyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno. ***
Capitolo 2: *** Alla ricerca di risposte. ***
Capitolo 3: *** I primi indizi. ***
Capitolo 4: *** Inchiostro e sangue. ***
Capitolo 5: *** Giornali. ***
Capitolo 6: *** Verità e segreti. ***



Capitolo 1
*** Ritorno. ***


N.d.A: Salve a tutti, sono Cheshireyes, registrata da poco ma lettrice da tanto. Questa è la prima storia che pubblico, quindi per i primi capitoli spero possiate essere clementi con me in caso le mie doti di scrittrice possano far pena, ma in ogni caso cercherò di migliorare, magari anche con il vostro aiuto (in caso contrario mi munisco di scudi per difendermi dalla folla inferocita).
Okay, non mi divago troppo. Credo che l'introduzione sia chiara e quindi non approfondisco, spero solo che il rating giallo sia una buona scelta. And yes, it's Royai.
Spero davvero che vi piaccia!


Ritorno.

I passi decisi riecheggiavano per l'enorme quartier generale di Central mentre tutti i presenti, girando la testa in direzione dei passi, ammutolirono, per sorpresa o rispetto.
Roy Mustang aveva infatti fatto il suo ingresso per recarsi nel suo solito ufficio, nella sua solita divisa e con i capelli color pece strategicamente spettinati che gli ricadevano in faccia, accompagnato dal suo fidato Tenente, che se ne stava qualche passo più indietro a sorvegliargli le spalle. Nulla di particolare rispetto alla routine.
Solo che Roy Mustang fino a poco tempo fa era cieco, rinchiuso nella stanza dell'ospedale insieme ai suoi compagni feriti e insieme alle sue speranze morte, questo fino a quando Marcoh non gli propose di curarsi con l'ausilio della pietra filosofale, diventata l'ultima risorsa, permettendogli quindi di riacquistare la vista; il suo ritorno in un mondo luminoso e colorato però non fu immediato, e dovette rimanere segregato in casa per la riabilitazione, potendo uscire solo per le visite di routine.
In quel momento, sotto gli occhi di tutti, il Colonnello Mustang sfoggiò un sorriso quasi trionfante, come a indicare che nessun'avversità l'avrebbe mai potuto fermare. Molti gli fecero il saluto militare, mentre la maggior parte delle donne non si preoccuparono a nascondere il loro sollievo e la loro felicità nel rivederlo, le più spinte gli lanciarono pure sguardi ammiccanti, sperando di non essere beccate dal braccio destro del Colonnello, l'inflessibile Riza Hawkeye.

-Colonnello, è sicuro che sia la scelta giusta?- chiese Riza, una volta entrati nel loro ufficio -la sua riabilitazione si è conclusa ieri, mi sembra azzardato ricominciare a lavorare così presto. Pure il medico ha suggerito un riposo ulteriore di due giorni.
-Tenente, sai che la tua preoccupazione nei miei confronti mi lusinga, ma credo tu sappia quando aspettassi questo momento.- fece una pausa, incupendosi per qualche secondo -Pensavo che non sarebbe mai arrivato.
Riza annuì, dopodiché si diresse verso la sua scrivania per compilare moduli e scartoffie varie. La verità è che pure lei aveva pensato che non ci sarebbe stata nessuna soluzione, nessun futuro per il suo adorato superiore. Nel momento in cui finalmente lo aveva rivisto, dopo che la Verità l'aveva inghiottito, quello stesso momento in cui vide che gli occhi di lui erano spenti e persi nel profondo buio della disperazione, si era sentita per un istante smarrita. Come se senza di lui nemmeno lei potesse vedere un futuro. Perché la verità e che lei ormai il futuro lo aspettava insieme a lui, era diventata la custode dei suoi sogni, e avrebbe fatto di tutto purché lui avesse potuto portare a termine le sue ambizioni. L'aveva confessato perfino quando lo stesso Mustang era preda della sua stessa sete di vendetta verso Envy, dicendo che se lui moriva, lei lo avrebbe seguito subito dopo.
-Se è questo che desidera, la seguirò anche all'inferno.-bisbigliò lei nella scia dei ricordi.
-Hm? Hai detto qualcosa, Tenente?
-No, signore.- rispose guardandolo con espressione rassicurante. -Non ho detto nulla.
Dopo mezz'ora di “lavoro” (in realtà Mustang si limitava a occuparsi di alcune pratiche di scarsa rilevanza che si erano accumulate nel suo periodo di convalescenza), si sentì qualcuno bussare alla porta. Prima che il Colonnello riuscisse a dire “avanti”, una figura alta e circondata da una vaga puzza di fumo entrò senza troppi complimenti.
-Ma guarda chi è tornato fra noi! Colonnello, poteva almeno avvertirci- lo rimproverò scherzoso Havoc, che nel frattempo aveva fatto un cenno cordiale di saluto al Tenente Hawkeye e si era avvicinato a Mustang. Per l'appunto, gli unici a sapere del ritorno definitivo di Roy erano il Generale Supremo Grumman (quel vecchietto si è dato da fare in fretta, pensava fra l'altro il Colonnello) e Riza, che l'aveva assistito per tutto il tempo, sempre sotto richiesta di Roy: non si sarebbe fidato di nessun altro se non di lei.
-Preferivo evitare le smancerie di bentornato. Non che quelle facce di stupore fossero il massimo, ma perlomeno se ne stavano in silenzio.
-Il solito lavativo. Scommetto che già da domani inizierai a sonnecchiare a lavoro.
-La tua fiducia in me mi commuove, Havoc.- il sorrisone del Tenente Havoc non sembrava voler abbandonare quel suo volto rilassato. Ci voleva una bella sigaretta per rendere quel momento perfetto, secondo il suo punto di vista.
-Come vanno le gambe?- chiese infine il moro, con evidente interessamento. Lui e il Tenente Havoc avevano diviso la pietra filosofale in modo che anche quest'ultimo potesse usufruirne per rimediare ai danni causati da Lust.
La loro conversazione fu stroncata da altre persone che entrarono all'improvviso (anche loro senza permesso; qualcuno dovrebbe insegnare la buona educazione a quell'ufficiali dell'esercito), ovvero Falman, Breda con un panino in mano, Fury e perfino Sheska.
A differenza di Havoc, i nuovi arrivati, prima di iniziare con le informalità, dedicarono al Colonnello un saluto militare come si deve. Altro che le mura dell'ospedale o di quella sua vuota abitazione, fu in quel momento che Roy Mustang, dopo la lotta contro il Padre, si sentiva davvero tornato a casa, alla normalità. Ma questo, col cavolo che l'avrebbe ammesso.
La stanza iniziò a riempirsi di chiacchiere e confusione, tanto che ormai nessuno stava più pensando al lavoro. Il clima di felicità che si era creato dava una sensazione di paradiso, ma erano pur sempre in orario di lavoro, e per questo, quando il Tenente Hawkeye sparò al soffitto lasciando un bel buco, tutti i presenti di fermarono di botto sotto il suo sguardo severo.
-Capisco quanto possiate essere felici nel rivedere il Colonnello- li rimproverò, stavolta puntando la sua adorata pistola su di Havoc
-Ma perché la punti addosso a me?- disse quest'ultimo nascondendosi sotto la scrivania di Mustang (con quella biondina non c'era da scherzare: preferiva abbandonare la sua virilità da uomo e nascondersi come una checca piuttosto che affrontare lei).
-Ma ora dovete lasciarlo lavorare!- concluse lei alzando il tono della voce come suo solito quando qualcuno non faceva il suo dovere. Ovviamente, tutti si ritirano per paura della terribile cecchina. Eh, sì, tutto di nuovo alla normalità. L'unica a essere rimasta al suo posto (nonostante stesse per farsela addosso) fu Sheska, che si affrettò subito a mostrare una busta bianca senza alcun tipo di sigillo militare, e di conseguenza era una lettera da parte dell'esterno.
-È una lettera con destinatario Riza Hawkeye- disse, praticamente deludendo le aspettative del Colonnello. Per qualche motivo infatti si aspettava che fosse per lui, anche se dato che nessuno sapeva del suo ritorno era assurdo che fosse lui il destinatario, ma in quei ultimi mesi aveva imparato che ogni possibilità andava analizzata.
-Non sappiamo chi l'abbia mandata, c'è solo scritto il suo nome sulla busta- si affrettò a dire Sheska, quasi scusandosi per non si sa cosa -è anonima.
Gli occhi di Riza lasciavano intendere un leggero senso di agitazione, e il battito del suo cuore accelerò, cosa che agli altri due non sfuggì. Se era ciò che pensava lei, i due non potevano sapere di che si trattasse (il Colonnello non era stato informato di questioni che non avessero come soggetto Ishbal, e per quanto riguardava Sheska, quello non era il suo campo), il che, pensò, era meglio per la loro sicurezza. Prese la busta e la aprì leggendo le poche righe della lettera, attenta che gli altri due, seppure morissero dalla curiosità, non potessero intravederne il contenuto. Era esattamente ciò che credeva lei. Era ritornato.
-Scusate, devo andare.- annunciò e fece per andarsene dando le spalle.
-Cosa?- Mustang era interdetto. -Cosa c'è scritto in quella lettera?
-Preferirei che lei, Colonnello, per la sua sicurezza non sapesse. Ora, con permesso, devo proprio andare.
-Ma..
-Signore- il Tenente bloccò il suo superiore bruscamente, cosa alquanto rara -per favore, niente domande. Io devo andare dal Comandante Supremo, prima che sia troppo tardi.
Detto ciò, se ne andò. 
“Prima che sia troppo tardi”;quelle parole continuavano a riecheggiare nella testa del Colonnello.

Il Tenente Hawkeye sapeva di non essersi comportata con il massimo dei riguardi verso il suo superiore, ma sapeva anche cosa stava succedendo a Central in quel periodo: un misterioso criminale minacciava con l'ausilio di lettere anonime i soldati dell'esercito, e il suo scopo non era stato ancora individuato, dato che fino a quel momento le sue vittime non sembravano avere molto in comune. Il modo di agire di quella persona era sempre imprevedibile, difatti nessuno poteva affermare con certezza cosa capitasse ai poveretti che prendeva di mira e chi sarebbe stato il prossimo a far parte di quel suo giochetto contorto. Prima di lei, altri quattro ufficiali avevano ricevuto una lettera, e uno ad uno sembravano cambiare comportamento giorno dopo giorno, fino a scomparire senza lasciare traccia, senza che si sappia se fossero vivi o morti. Come se non bastasse, nel momento stesso in cui ognuna delle precedenti vittime scompariva, a Central City accadevano cose che erano fra loro scollegate, proprio come gli ufficiali scomparsi: furto di tutte le mele rosse, crollo di un ponte abbandonato, salto in aria di tutti i tombini e avviò improvviso dell'allarme nel cuore della notte. La quinta ad essere presa di mira a quanto pare era il Tenente Hawkeye, che però non si sarebbe fatta suggestionare: aveva visto di tutto ormai. Il Tenente già immaginava che magari il delinquente (o il gruppo, perché no) voleva solo creare confusione a Central e seminare panico fra gli ufficiali, ma gli/li avrebbe dimostrato che con lei certi giochetti non sarebbero funzionati.
Non si preoccupava di quello che sarebbe potuto succedere a lei, ma delle ripercussioni sul Colonnello che aveva giurato di proteggere, ancora scosso dalla convalescenza.
Si ritrovò davanti alla porta dell'enorme ufficio di Grumman, sperando di poter elaborare un piano d'azione, il tutto senza che Mustang ne venisse a conoscenza.
Ciò di cui non si era resa conto perché troppo immersa nei suoi pensieri, era che lui l'aveva silenziosamente seguita.


Note finali: Beh, come primo capitolo diciamo che è più che altro un'introduzione.
Il misterioso criminale ha fatto la sua comparsa appunto mentre Mustang era sotto le cure dei medici e della pietra, e nessuno per precauzione lo aveva informato. Uhm, non ho molto da dire riguardo al capitolo, spero davvero che sia stato di vostro gradimento come primo tentantivo, e mi piacerebbe anche ricevere qualche recensione, che sia positiva o negativa (nell'ultimo caso magari formulata in maniera carina ^-^")
Detto ciò vi lascio (non so a chi mia stia riferendo, non so nemmeno se qualcuno la leggerà questa fanfiction, diciamo che tengo le dita incrociate), cercherò di aggiornare al più presto.

 




 

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Capitolo 2
*** Alla ricerca di risposte. ***


Alla ricerca di risposte.

Riza indugiò per qualche secondo davanti alla porta del Comandante Supremo, continuando a guardare con insistenza la busta nella quale aveva riposto quella stupida lettera. Il suo nome, scritto nero su bianco, era presentato in un corsivo elegante privo di sbavature, ma non sembrava un indizio particolare. Si chiese cosa avesse provato colui o colei che aveva inciso il suo nome su quel pezzo di carta, che, fra l'altro, iniziava a bruciare mentre lo teneva in mano. Indifferenza? Rancore? Malsana gioia? Le domande inerenti a quel caso erano tante, molte delle quali non ancora formulate dai suoi pensieri, ma in quel momento non poteva perdere tempo con quei suoi sciocchi dubbi. Ponendo fine alle sue esitazioni, si decise a bussare, tre colpi decisi e uniformi. Il permesso del Comandante Grumman non tardò ad arrivare, e lei quindi entrò richiudendosi la porta alle spalle.
Il Colonnello Mustang, che fin'ora se ne era stato buono buono nascosto dietro il muro, decise di avvicinarsi di soppiatto cercando di origliare la conversazione. Evidentemente c'era qualcosa di cui lui non era a conoscenza, e pur di scoprirlo era pronto a premere il suo orecchio per riuscire a sentire oltre il legno.
Dall'interno dell'enorme stanza riuscì a sentire i soliti saluti convenevoli che ci si dava fra soldati, forse un po' più formali dato che uno dei due soggetti dopotutto era il Comandante Supremo. Mustang avrebbe preferito poter vedere anche i gesti, le espressioni e le reazioni dei due mentre si parlavano, e avrebbe decisamente preferito che parlassero più forte, perché tutto ciò che riusciva a percepire erano parole distinte che per lui non avevano alcun senso.
-Mandato la lettera.. possibilità.. tornato.. senza indizi..- la voce del Tenente Hawkeye, come al solito, non sembrava tradire emozioni, ma sarebbe riuscito a leggere dentro le righe se qualcuno si fosse degnato di spiegarli perché il suo Tenente stesse parlando alla più alta carica dell'esercito di una lettera qualsiasi.
-Molto grave.. non si può.. quando ti è arrivata?
-Non molti minuti prima. Ero con il Colonnello in ufficio, e dopo varie distrazioni Sheska mi ha consegnato la busta dicendo che un anonimo l'aveva lasciata per me.- oh, finalmente si riusciva a sentire decentemente. -Niente sigilli, niente indirizzi, solo il mio nome nero su bianco. E la lettera che c'è all'interno lascia allo stesso tempo messaggi espliciti che impliciti.
-Potrei vedere questa lettera?- chiese Grumman. Roy si chiese perché quel foglio mandasse tutti in agitazione. Cosa si era perso? Era convinto che una volta sconfitti i terribili homunculus e quell'essere che chiamavano 'Padre' tutte le stranezze sarebbero sparite. A quanto pare sbagliava.
-Come crede che sia meglio agire?- si sentì dire dalla donna dopo un breve periodo di silenzio, in cui probabilmente Grumman aveva letto il contenuto della lettera.
-Per il momento cerca di stare al sicuro e in luoghi dove ci sia gente, vedrò se sarà il caso di farti sorvegliare e/o scortare, Tenente. Io assumerò dei specialisti che possano decifrare eventuali messaggi criptati. Questo è tutto. Puoi andare.
-Scusate l'insolenza, Comandante, ma non c'è proprio niente che io possa fare attivamente?
La risatina furba di quel acuto vecchietto arrivò chiaramente alle orecchie di Mustang.
-Solo una cosa, Tenente Hawkeye.- rispose, e dal tono si intuiva che aveva ancora un piccolo e mesto sorrisetto impresso in faccia -Assicurati che il tuo caro superiore, Roy Mustang, eviti di ascoltare conversazioni a cui non è stato invitato. Sarai d'accordo con me che origliare è forma di maleducazione.

La pausa pranzo stava ormai terminando, e molti si apprestavano a tornarsene ai loro incarichi.
Mustang si ritrovava però ancora circondato da alcune persone, che si erano avvicinate a lui non appena aveva messo piede nell'enorme mensa, per poter congratularsi e dargli il bentornato che non avevano potuto riservargli quella mattina a causa dello shock generale. Lui non faceva che annuire e formulare frasi brevi con la speranza che fossero esaustive, pensando che così si sarebbe liberato in fretta di quei rompiscatole. Infatti, per quanto potesse essere orgoglioso di se stesso e per quanto normalmente non avrebbe esitato a mettersi in mostra, non poteva far a meno di pensare a ciò che era successo qualche ora prima, dato che non aveva potuto parlare con il Tenente a riguardo.
Per l'appunto, non appena Riza uscì dall'ufficio di Grumman, se lo ritrovò davanti con suo disappunto. L'unica cosa che la donna gli aveva detto era un neutro “Torniamo a lavorare, signore”, dopodiché silenzio per tutto il resto del tempo. Nel loro ufficio tutto ciò che spezzava quell'innaturale e fastidiosa quiete era la penna del Tenente, con la quale compilava e firmava documenti, e di tanto in tanto si sentiva anche quella del Colonnello, usata quando non era troppo occupato a guardare in direzione di lei per scrutarne l'impassibile espressione. Averla seguita, in poche parole, non gli era servito a nulla, perché, per averlo fatto, era sicuro che lei sarebbe stata ancor più restia nel dirgli la verità.
Quando anche l'ultimo collega gli porse i suoi saluti, la mensa era ormai vuota, fatta eccezione per lui, qualche dipendente e la stessa Hawkeye, che ancora silenziosa se ne stava a debita distanza in attesa di ricominciare a compilare fogli e/o in attesa di ricevere ulteriori ordini.
-Tenente.- la chiamò lui, avviandosi verso i corridoi, anch'essi vuoti.
Lei lo seguì come suo solito.
-Non capisco il bisogno di tenermi nascosto qualcosa.- tentò lui -Hai parlato della mia sicurezza, quando sai bene che oramai ho affrontato di tutto. E tu in tutto questo eri al mio fianco, quindi non far finta di averlo dimenticato.
Sapeva
 a cosa si riferiva, ovviamente: lei aveva assistito al suo addestramento da alchimista presso suo padre, l'aveva visto in azione come arma umana ad Ishval, aveva affrontato con lui centinaia di casi a East City e avevano combattuto insieme contro homunculus, chimere, fantocci immortali e quel temibile essere che voleva sacrificare gli umani per i suoi egoistici piani. Era difficile immaginare che Roy Mustang, dopo tutto ciò, potesse spezzarsi davanti a un caso di scomparse e corrispondenza anonima a Central, eppure..
-Sissignore, ne sono consapevole.- gli rivolse infine la parola -Però sono anche consapevole del suo atteggiamento davanti a questo tipo di problemi: andrebbe dritto in azione senza preoccuparsi delle conseguenze. Ma le ricordo che l'intervento alla sua vista è assai recente, e non sappiamo se l'effetto della pietra filosofale possa essere in qualche modo compromesso in futuro.
Un altro breve silenzio. Quel silenzio, in quella giornata, sarebbe riuscito a far sanguinare le orecchie al Colonnello, che però aveva colto il punto di vista del Tenente.
-Per favore, cerchi di capire i rischi che corre.- disse infine lei, quasi supplicandolo.
Lui tirò un sospiro e si massaggiò la fronte, fermandosi. Dopo una riflessione, i suoi occhi neri incontrarono quelli ambrati di lei.
-Capisco benissimo.- ammise infine. -Ma questo non significa che io non possa sapere che diavolo stia succedendo. Non puoi cambiare atteggiamento davanti a un foglio e poi pretendere che non sia successo niente. Io devo sapere cosa ti ha turbato.
-Colonnello..- cercò di giustificarsi, ma il suo tono serio e disciplinato lasciava spazio a un' inclinazione di incertezza. Aprì la bocca pensando di dirgli tutto, ma la richiuse prima di commettere questo sbaglio. Giocò quindi la sua ultima carta. -Per ordini del Comandante Supremo in persona, non posso fare parola di questo caso con nessuno, neppure con lei. Mi dispiace, Colonnello. Ora, con il suo permesso, devo fare delle chiamate e controllare dei documenti in archivio. A dopo, signore.
Detto ciò se ne andò, con i suoi passi che facevano centinaia di echi nella testa del Colonnello, deluso dall'essersi avvicinato così tanto al suo scopo senza riuscire a compierlo davvero.
Non gli rimase altro che tornarsene nel suo ufficio. Aveva preso in considerazione l'idea di presentarsi davanti a Grumman per chiarimenti, ma probabilmente quella vecchia volpe avrebbe trovato una scusa per farlo andare via. Il dover ritornare in quello stupido ufficio aveva già iniziato a scoraggiarlo, nonostante la sera prima fosse dannatamente impaziente di riprendersi la sua vecchia vita, ma tutti quei moduli da completare, le telefonate inutili da sbrigare e tutti quei problemi di minore importanza da risolvere, per lui, da sempre abituato ad esperienze forti, erano una noia totale. Sapeva che quei compiti gli erano stati assegnati per non affaticarlo troppo dopo l'intervento subito da poco, e sapeva anche che grazie ai meriti guadagnati e al contributo che aveva dato a tutta Amestris, oltre che a Ishval, la sua promozione non sarebbe tardata ad arrivare, ma si stava già stancando di portare pazienza. Si chiese anche quanto altro tempo sarebbe rimasto al Quartier Generale di Central prima di essere spedito nuovamente ad East City.
Decise di fare una sosta ai bagni per rinfrescarsi la faccia, quando avvertì il pericolo alle sue spalle. Passi pesanti andavano verso di lui, impazienti di ritrovarselo davanti, e l'enorme corpo lasciava sul pavimento un'ingombrante ombra. La massa muscolosa, a contrario di tutte le leggi fisiche, non era sinonimo di lentezza, perché quelle spaventosa creatura non conosceva ostacoli lungo il suo cammino, bensì poteva distruggere senza sforzo tutto ciò che potesse trovarsi davanti.
-Colonnello Mustang!- gridò compiaciuta quella bizzarra creatura che portava il nome di Alex Louis Armstrong. -Che piacere rivederla! Lasci che mi congratuli con lei per la forza d'animo con cui ha affrontato tutte queste avversità, la prontezza dei suoi movimenti, la sua temerarietà nel andare avanti! Il modo in cui le sue fiamme divampavano mentre nel suo cuore pioveva e la sua scelta di continuare a combattere sono fonte di ispirazione! Ma ora basta recitare la parte, Colonnello, non finga di essere forte e si lasci abbracciare!- prima che il povero Roy venisse catturato dalle sue possenti braccia, Armstrong si levò la maglietta sfoggiando i muscoli (certe cose non cambiano mai, eh) e lo stritolò in quello che lui definiva un caldo abbraccio. A determinati pericoli nemmeno Mustang poteva sfuggire.
-Maggiore, maggiore, mi lasci!- lo richiamò lui, ancora intrappolato nella morsa.
-Suvvia, Colonnello, non sia timido! Si rilassi pure nell'accogliente calore dei miei muscoli!- il Maggiore ignorò l'ordine e rispose con la sua solita enfasi. -Avverto che qualcosa la turba, sono pronto a scommettere che si senta teso per gli ufficiali dell'esercito scomparsi, non è così?
“Ufficiali..scomparsi?” si chiese il Colonnello. E subito un lampo di genio lo attraversò: il Maggiore era stato rilasciato dall'ospedale molto prima di lui dato che le sue ferite erano meno gravi, e, di conseguenza, da quando tornò in servizio fino a quel momento, c'era la probabilità che avesse sentito qualcosa inerente a ciò che chiunque altro osava non dire a lui. Conoscendolo, non ci sarebbe voluto molto prima che parlasse. Bastava fare buon viso a cattivo gioco.
-Sì, Maggiore, ha centrato in pieno. Per non parlare di quelle inquietanti lettere..
-Oh, non me lo ricordi signor Mustang! Da quando sono comparse in forma del tutto anonima stanno succedendo solo cose strane, sia all'interno dell'esercito che fra la gente comune. Chiunque le abbia scritte è totalmente insensibile, non solo per l'ambiguità di quel tetro contenuto, ma perché sono sicuro che le abbia ideate come avvertimento! Oh, quelle povere persone scomparse senza che si sappia nulla di loro, mi si spezza il cuore a pensarci.
-Sono d'accordo con lei, Maggiore. Come crede che agiscano i piani alti riguardo a questo?
-Tutto ciò che so è che delle squadre di ricerca sono andate a ispezionare ogni singolo angolo della città con la speranza di ritrovare almeno uno dei quattro scomparsi. Sperando siano ancora vivi. Lo giuro, questi pugni puniranno chiunque possa recare dolore ai miei compagni e ai miei colleghi, perché nessun gioco presenta questo tipo di regole!
Mustang si ritrovò perplesso per un po'.
-Gioco?
-Ma certo, Colonnello: in ognuna delle quattro lettere che quel infame ha spedito fino ad ora vi era scritto: “Ci divertiremo parecchio. Pronti a giocare?”.
Roy era rimasto interdetto per tutto ciò che aveva appreso. Era sicuro che chiunque si celasse dietro quella storia non avesse intenzione di trovarsi degli amichetti con cui giocare, bensì voleva divertirsi nello sfidare un elemento potente e autoritario quale l'esercito. Avrebbe lasciato, a meno che lui non avesse ricevuto ordini a riguardo, che se ne occupassero i diretti interessati al caso, ma quell'individuo aveva compiuto l'errore di comprendere nel suo insensato “gioco” la sua Riz-ehm, il suo Tenente Hawkeye, e quindi la questione per lui diventò personale. Avrebbe giocato, ma solo per vincere.


N.d.A finale:
Uhm, ho cercato di rendere questo capitolo interessante e dettagliato ma senza riempirlo di inutili particolari, e credo che in fin dei conti io ce l'abbia fatta (..circa).
Ho anche cercato di caratterizzare i personaggi come sono nell'opera originale, e mi sono divertita parecchio quando sono arrivata ad Armstrong e ai suoi discorsi "commoventi".
Avrei preferito trovare un finale migliore, ma per quanto ci abbia pensato e ripensato, alla fine mi sono dovuta accontetare di questo, e di conseguenza ve ne dovete accontentare pure voi, sorry.
See you next time! :)

 

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Capitolo 3
*** I primi indizi. ***


I primi indizi.
 

Il sole picchiettava insistente sull'addormentato Havoc, che fu obbligato a interrompere il suo riposo per scostare le tendine rosse del treno. Purtroppo, quei sedili non erano il massimo del comfort, e dormire in quello spazio scomodo e spigoloso sarebbe stata un'ardua impresa. Ma il Tenente, stanco com'era, aveva comunque deciso di fare un pisolino con la testa appoggiata al finestrino, fino a quando non fu svegliato dall'intensità della luce solare. Mezzogiorno. Presto sarebbero arrivati, o almeno così sperava.
Una volta che il sole fu tenuemente coperto, si stiracchiò e vide che il suo compagno di viaggio non era al suo posto. Ancora assonato, il primo pensiero che gli venne fu che fosse andato ai servizi, o che fosse andato a cercare qualcosa di decente da mangiare fra tutte quelle improponibili “pietanze” che il vagone ristorante aveva da offrire. Poi però si guardò intorno, e vide che il resto dei passeggeri aveva un'espressione preoccupata o irritata in viso, molte mamme cercavano di spiegare ai propri bambini cosa fosse successo, sebbene nemmeno loro lo sapessero con esattezza.
“Ecco cosa succede a prendere i treni civili di terza classe. Insoddisfacenti e sempre con un problema”, pensò Havoc. Non che i treni destinati ai militari avessero una condizione migliore rispetto a quello dove viaggiava lui in quell'istante, ma almeno quelli erano puntuali e sapevi sempre cosa ti aspettava. E per quanto fossero scomodi, c'erano sempre i compagni che rendevano quei viaggi sopportabili (tranne quando la destinazione era un campo di guerra, in quel caso il rumore delle rotaie era l'unica distrazione), mentre quel treno era pieno di viaggiatori pieni di valigie, famiglie così numerose da poter pagare a tutti solo la terza classe, vecchietti mummificati sui sedili e nemmeno un bella hostess che desse un contegno al tugurio con le ruote in cui si era ritrovato. 
-Le missioni in borghese fanno schifo..- mugugnò a bassa voce.
Fece per alzarsi, ma poi vide che il suo compagno si era deciso di farsi vivo, quindi rimase al suo posto in attesa di spiegazioni.
La faccia di Breda indicava stanchezza, non solo per il fatto che viaggiavano ormai da due giorni, ma perché era andato a parlare con il capotreno, e le risposte che aveva ricevuto non servirono di certo a migliorare il suo stato umorale.
-C'è un guasto nella parte anteriore del treno: non è sicuro proseguire prima che venga aggiustato, altrimenti si rischia il malfunzionamento definitivo che comprometterebbe l'andamento delle prime locomotive e di conseguenza di tutte le altre. -spiegò il rosso -dobbiamo aspettare che i tecnici risolvano, stando al capotreno ci vorranno due orette.
Havoc sbuffò. Un altro problema? Erano ormai due giorni consecutivi in cui se n'era stato seduto e fermo, senza la possibilità di sgranchirsi le gambe. Il mezzo di trasporto aveva proseguito lentamente, e tutte le fermate che aveva preso erano durate almeno mezz'ora, cosa che a lui sembrò ridicola. E ogni tre ore c'era stato un “guasto”, e quello della parte anteriore era (momentaneamente) l'ultimo  di una lunga lista.
-Quanto distiamo dalla nostra meta?- chiese allora.
-Non troppi chilometri, ma abbastanza da non poterci permettere di farli a piedi, se è questo a cui stavi pensando- rispose schietto Breda -siamo in incognito, Tenente, non sono certo io che devo ricordartelo. Dobbiamo comportarci come dei comuni civili il cui treno è in ritardo.
-Ma dobbiamo proprio andare da lei?- domandò ulteriormente Havoc -Fino al sud per cercare un'alchimista.. come se al Quartier Generale non ce ne fossero.
-Tenente, sai perché abbiamo bisogno del suo aiuto, no?
Havoc non rispose, rimase in silenzio con una smorfia in viso. Breda proseguì.
-Sono stati ritrovati segni alchemici sconosciuti lungo il perimetro del Quartier Generale a Central. I cerchi e i simboli non dicono niente a nessun soldato alchimista a cui sono stati fatti vedere, e continuare ampliando il campo di indagine creerebbe solo futile confusione. I fratelli Elric forse saprebbero dirci di cosa si tratta, ma entrambi sono in viaggio, uno verso ovest e l'altro a Xing. Izumi Curtis è l'unica che ci rimane per capire che tipo di alchimia è stata trovata.
Il biondo sbuffò ancora quando il suo interlocutore ebbe finito di parlare. Capiva la gravità del fatto che un alchimista non riconosciuto dall'esercito fosse arrivato al cuore di Central City, senza che nessuno se ne accorgesse e lasciando come traccia cerchi alchemici sparsi senza un ordine preciso. In ogni caso, avrebbe preferito che fosse la donna a recarsi da loro, e non il contrario, ma evidentemente il suo carattere forte e ostinato aveva avuto la meglio, e perciò l'assistente di Grumman in persona aveva spedito i due fino a Dublith in cerca di risposte.
-Mi chiedo come abbiano deciso di giustificare la nostra assenza al Colonnello- disse infine -Non gli hanno ancora detto niente, giusto?
-No, anche se ha scoperto qualcosa grazie alla bocca larga del Maggiore Armstrong. In ogni caso appena ha cercato ulteriori chiarimenti è stato interrotto e hanno fatto in modo che si tenesse occupato. -spiegò il rosso-probabilmente avranno sfruttato il fatto che il Colonnello debba ricevere una promozione, e in questo momento starà avendo chissà quali incontri convenevoli o starà eseguendo qualche pratica.
-Ormai è passata una settimana e mezza, però.
-Vero, e proprio per questo al nostro ritorno lo troveremo più impaziente di dodici giorni fa.

Inconcepibile.
Mai nella sua carriera Roy Mustang aveva avuto un processo di promozione così lungo, pieno di incontri, riunioni, pranzi e convocazioni. Tutti i gradi che si guadagnò li guadagnò e basta, lo promuovevano e la storia finiva lì.
Quando quell'interminabile giornata sembrava essere giunta a termine, non ci pensò nemmeno a fare gli straordinari e si avviò subito verso casa, lasciando il Quartier Generale che in quei giorni era diventato solo opprimente e stancante.
Il sole era tramontato da un'ora circa, ma il cielo non era ancora succube del buio notturno. La luna e le prime stelle della sera iniziavano a brillare in cielo, e a poco a poco i lampioni si accendevano lungo le stradine. Non c'erano molte persone in giro, e un venticello fresco chiudeva l'immagine rilassante e tranquilla di cui Mustang poteva finalmente godere, nonostante sapesse che l'indomani sarebbe comunque dovuto tornare a compiere le solite inutili faccende burocratiche. Ma, almeno mentre procedeva verso casa, voleva starsene indisturbato, e si concesse pure un andamento non troppo lento ma calmo, tanto per cambiare un po'.
La tranquillità della sera venne spezzata all'improvviso quando era a pochi metri da casa da un latrato non molto distante. Il verso del cane iniziava a farsi sentire sempre più vicino, e Roy l'aveva già riconosciuto prima ancora che Riza lo incitasse a rallentare e a smettere di abbaiare.
Hayate si fece avanti e a fare le feste all'uomo, mentre lui si abbassò per un istante e concedergli un'unica ma dolce carezza in capo.
-Mi dispiace del disturbo, signore- si scusò lei, riuscendo a mettere a cuccia il cane -Stavo passando per lasciarle le commissioni a casa, e a proposito, ecco le chiavi di riserva che mi ha dato.
Riza, infatti, aveva avuto la giornata libera, e si era offerta di andare a terminare le commissioni che il suo superiore non aveva potuto fare. Il che spiega perché non lo accompagnò in macchina fino a casa ma lo lasciò a piedi, sotto suo ordine.
-Grazie, Tenente. Vuoi fermarti un po' a casa mia? Sembri esausta.
-Non nego di essere stanca e la ringrazio per l'offerta, ma preferisco declinare. Ha bisogno di riposo e io le sarei solo di disturbo.
-Ma sei già rimasta con me quando avrei dovuto “riposare”- insistette lui, riferendosi chiaramente a quando se ne stava in ospedale con lei perennemente al suo fianco. -Quindi non credo che sia perché temi di essere di disturbo. Sai che ti conosco.
L'espressione intangibile di Riza le rimaneva impressa in volto, come se fosse ancora in servizio, ma gli occhi comunicavano un senso di dispiacere e di incertezza. Le dispiaceva dover comportarsi in quel modo con il Colonnello, erano anni che si conoscevano e gli era sempre stata fedele, mantenendo un rapporto di sincerità reciproco. Perfino quando Pride la teneva d'occhio era riuscita a trovare un modo di comunicare con lui. Eppure, in quel caso, non riusciva a non pensare che lui non dovesse sapere. Ed ecco che arrivava il senso di incertezza: forse, se avesse saputo, sarebbe stato meno in pericolo. In fin dei conti, nessuno le aveva assicurato che se lui fosse rimasto nell'ignoranza sarebbe stato più protetto dai pericoli esterni.
Ma forse, realizzò, nessuna delle due opzioni e le pareva giusta perché non spettava a lei decidere, ma a lui.
-Tenente?- continuò Mustang -Allora, ti fermi un po' a casa mia?
Si scambiarono un'occhiata fugace.
-Va bene, signore.- E si avviarono.
Quando ormai erano arrivati sotto il portico della residenza, Riza non si sentì fuori posto. Era già stata lì per assistere il Colonnello, e ormai poteva dire di conoscere bene l'abitazione. Notò che dalla sua ultima visita, di circa due settimane fa, non erano cambiate così tante cose: il divano beige era al suo posto così come l'elegante tavolo in mogano, e la cucina era leggermente in disordine, con piatti ancora da lavare e macchie quasi invisibili sui banconi. Dalla libreria mancavano due degli enormi libri dalla copertina rilegata in pelle che lei conosceva bene, perché essi erano stati scritti da suo padre in persona. Si chiese dove fossero, ma poi vide che erano appoggiati su un tavolino vicino alle grandi finestre, coperte da delle tende blu anziché rosse com'erano durante la sua ultima visita.
-Posso prendere il tuo soprabito?- la voce di Roy pose fine alle sue contemplazioni. -Sai, non mi dispiace vederti in abiti quotidiani. Ti valorizzano molto più di quanto non faccia la divisa militare.
Seppure fosse abituata a quel comportamento da parte sua, un po' si sentiva lusingata dal complimento, anche se sapeva che non doveva. Ma, in fin dei conti, nessuno poteva saperlo.
-La ringrazio. Vuole che lasci Hayate fuori?- lo liquidò quindi con disinvoltura.
-No, può anche restare dentro casa.- rispose- Preparo un thè, magari tu nel frattempo puoi organizzare il discorso.
-Discorso?- domandò lei.
-Certo. Ho capito che una parte di te vuole dirmi, finalmente, cosa ti sta succedendo, quindi ne approfitto. Grazie ad Armstrong so già un po' riguardo questo caso, ora tu puoi completare ciò che ho saputo da lui.

Dopo essere finalmente riuscito a convincerla, aveva ascoltato attentamente e aveva cercato di non interromperla troppe volte con le sue domande. Riformulò nella sua mente le frasi sentite più e più volte fino a quando non iniziarono ad avere un senso logico.
-Hai ancora la lettera con te?- le chiese. In quanto alchimista, sapeva che dietro la carta poteva esserci celato un vero messaggio mascherato per bene in attesa che venisse decifrato.
-No, è sotto attenta analisi da parte degli uomini assunti dal Comandante supremo.
-Fra questi uomini, che tu sappia, vi sono pure degli alchimisti?
-Che io sappia no. In effetti, non credo che qualcuno abbia pensato all'alchimia mentre leggeva quelle parole. E ora che ci ripenso, Colonnello, lungo il perimetro del quartier generale sono stati ritrovati dei cerchi alchemici e simboli vari di cui fino ad ora nessuno ha capito il senso o lo scopo.
-Cerchi alchemici?- Roy alzò le sopracciglia, aggiungendo anche quell'informazione al suo elenco mentale. Per tutto il tempo aveva avuto un atteggiamento attento e riflessivo, segno che stava già indagando per conto suo -Se la mia teoria è valida, c'è un nesso logico fra le due cose. Ma per poterne essere sicuro dovrei vedere sia una delle lettere fin'ora recapitate e i simboli alchemici ritrovati.- disse infine.
-Per favore, Colonnello, non si metta troppo in mezzo. Non è sicuro.- cercò ancora una volta di persuaderlo il Tenente, nonostante sapesse non ci sarebbe riuscita. Sperava però che almeno cercasse di essere più prudente.
-Se ci pensi, niente è mai davvero sicuro.
-Almeno mi prometta che sarà cauto.- lo guardò dritto negli occhi scuri, che sorrisero insieme alle sue labbra.
-Considerando che avrò te sempre al mio fianco, non corro rischi, no?
Riza si rilassò un attimo e gli concesse un sorriso. Non poteva dargli torto.
-Sì, Colonnello.- pausa -Comunque, prima che inizi un'indagine tutta sua, sappia che per quando riguarda i cerchi alchemici hanno mandato Havoc e Breda a Dublith. È lì che vive Izumi Curtis, la cui consultazione potrebbe essere di grande aiuto.
-Izumi Curtis, eh?- Roy rise al pensiero di uno come Havoc che si trovava davanti a una come lei -Quella donna è senz'altro formidabile, ma non sia mai che me la trovi contro.  

 

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Capitolo 4
*** Inchiostro e sangue. ***


Inchiostro e sangue.

Finalmente conosceva il grande segreto che mandava chiunque in paranoia, e poteva già pensare a un piano d'azione. Guardò l'enorme orologio a pendolo di cui nemmeno si ricordava l'origine, e vide che la mezzanotte era ormai passata. Il Tenente se ne era andata all'incirca mezz'ora dopo avergli rivelato le attualità di Central, e seppure lui avesse cercato di convincerla a rimanere ancora un po', lei lo aveva ammonito ricordandogli che il giorno seguente entrambi sarebbero dovuti tornare a lavoro.
Lui invece era ancorà lì, nel soggiorno, i suoi pensieri accompagnati dal ticchettio dell'orologio. Non era sicuro che sarebbe riuscito a dormire, considerando il mare di informazioni che aveva memorizzato in una sola notte, ma di certo non poteva rimanere in uniforme.
Prima di mettersi un indumento adatto per andare a letto, decise di farsi una doccia. L'acqua, inizialmente fredda, in pochi secondi divenne tiepida per poi trasformarsi in bollente, come piaceva a lui. Gli dava la sensazione che il fuoco avesse trovato un modo di congiungersi con l'acqua, in un'armonia fatta di energia e calma, calore e limpidezza. Per tutta la durata della doccia e pure nel momento di coricarsi nel suo letto aveva pensato a un piano d'azione iniziale. Per prima cosa, doveva trovare il modo di evitare l'assemblea a cui avrebbe dovuto partecipare non appena recatosi al Quartier Generale, e doveva anche scambiare qualche parola con Grumman: in fin dei conti erano amici, e seppure il vecchio fosse ostinato, lui riusciva sempre a persuaderlo a suo favore. Se il Comandante Supremo in persona acconsentiva a Mustang di partecipare al caso, nessuno avrebbe avuto il diritto di ostacolarlo, e semmai qualcuno sapesse qualcosa cui a lui sfugge, sarebbe stato obbligato a riferirlo. Stava già pensando alle parole giuste da usare, sebbene non avesse ancora trovato un modo di sottrarsi all'assemblea, ma, ne era certo, avrebbe comunque trovato un modo, come sempre.
La mattina che seguì non preannunciava una giornata solare e calda come quella precedente, anzi, dalle nubi che si erano radunate in cielo le probabilità di una precipitazioni imminenti erano abbastanza alte. In ogni caso, Mustang svegliandosi si stupì del fatto di essere riuscito ad addormentarsi, nonostante i pensieri che li vorticarono in testa dalla conversazione con il Tenente. A differenza della routine, non si era svegliato in ritardo, quindi decise di prepararsi il caffé e gustarselo comodamente a casa, piuttosto che andare a prenderlo a lavoro, sempre se quello potesse definirsi caffé.
Una volta gustato un caffé caldo e infilatosi la divisa, valutò il caso di portarsi dietro un ombrello uscendo. Scostò le tende per scrutare l'esterno in cerca di gocce e di segni di pioggia, ma tutto ciò che vide furono soltanto le chiome degli alberi mosse dal vento e persone che portavano a spasso il proprio cane. Poco prima di voltarsi, però, guardò a terra in prossimità della sua casa, e vide una macchina nera lucida affiancata da una donna in divisa con un soprabito altrettanto nero. Ma certo, si disse, come ogni mattina Riza era pronta ad accompagnarlo a lavoro. Però, pensandoci, quello non era l'orario in cui solitamente Mustang era sveglio, anzi, in genere sarebbe rimasto sotto le coperte per un'ulteriore quarto d'ora abbondante. Si chiese da quanto Riza lo stesse aspettando, e si chiese se ogni mattina arrivasse con così lungo anticipo per rimanersene lì fuori mentre lui dormiva beato. Per un breve istante, si sentì in colpa. Poi scese al piano terra per aprire il portone, salutando il suo Tenente e invitandola ad entrare.
«Colonnello, la ringrazio per la sua ospitalità nei miei confronti, ma fra poco dovremmo avviarci al Quartier Generale.» rifiutò lei «Posso chiederle perché è desto e già in divisa? Non ha dormito, per caso?»
«Oh, no, in qualche modo sono riuscito a dormire» rispose lui passandosi una mano fra i neri capelli «E mi sono svegliato presto senza apparenti motivi.»
Immaginando che non sarebbe più rientrato in casa fino a quella sera, si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò al Tenente, rispettando la distanza minima concessa dalle leggi contro la fraternizzazione. Roy odiava quella stupida e insensata legge: fosse stato per lui avrebbe trovato un modo di eluderla e cavarsela senza ripercussioni sulla propria carriera, ma tutti gli altri officiali dell'esercito di sesso femminile non erano d'accordo, mandando a monte numerosi tentativi di conquista da parte del Colonnello verso le belle fanciulle in uniforme. La stessa Hawkeye, forse lei più di tutti, rispettava rigorosamente quella norma, come quasi tutte le altre norme, e rimaneva irremovibile ogni qualvolta un individuo si avvicinasse a lei anche solo per un'innocente complimento. "Un giorno ti convincerò a lasciar perdere tutte queste formali stupidaggini" si ritrovò a pensare Roy guardandola, e cercò subito di scacciare quel sciocco pensiero che si era fatto strada nella sua mente.
«Comunque» riprese quindi «Tu vieni ogni giorno verso quest'ora nonostante non sia il mio orario di routine?» domandò incuriosito, perché era un qualcosa che non sapeva di lei, e di lei conosceva un sacco di cose.
«Approssimativamente sì. Vede, ogni mattina sono svegliata da Black Hayate, che poi porto a fare una passeggiata prima di lavorare. Dopodiché torno a casa e mi cambio in divisa e mi reco qui.»
«Oh, capisco.» disse infine, senza saper rispondere davanti alla risposta semplice ma esaustiva di lei. «Allora, ci avviamo?» chiese sorridendo un po' in quella cupa giornata e battendo la mano sul veicolo.
Entrarono in macchina con il Tenente alla guida e si avviarono.
La solita strada venne percossa allo stesso identico modo di tutte le volte precedenti, ovvero con i due che alternavano momenti di quiete e discreti scambi di parole. Tutto ciò non aveva mai creato imbarazzo fra i due, anzi, a entrambi andava bene così. In un certo senso, ambedue pensavano che quel loro modo di fare appartenesse solo a loro, in quanto persino standosene zitti comunicavano. Quando invece insieme a loro vi erano colleghi, civili, o i membri della loro squadra, quella sintonia fra di loro barcollava leggermente.
«Colonnello, siamo giunti.» lo avvisò il Tenente, che notò che lui si era perso nei propri pensieri. «Siamo più in anticipo del solito. La sua assemblea non è neancora iniziata, vuole fare un salto in ufficio?»
Perfetto, pensò Mustang. Se l'assemblea non aveva avuto inizio, non era mica obbligato a presentarsi in sala ad aspettare gli altri colleghi, e nessuno avrebbe protestato se lui avesse deciso di fare una piccola sosta da qualche altra parte. E quella sosta non consisteva nel suo ufficio.
«No.» rispose, poi affermò deciso «Ho deciso che farò una visitina al vecchio Grumman.»

Seppure qualche volta Izumi Curtis assomigliasse più al demonio che a una semplice casalinga, non si poteva negare che nonostante i suoi "occasionali" modi bruschi riusciva a essere accogliente e generosa. A dimostrazione di ciò fu il fatto che ospitò nella propria dimora i due ufficiali in borghese, dandogli una consistente e deliziosa cena e una camera con due letti singoli dove poter passare la notte. Havoc, quella mattina, era immensamente grato a quella donna per avergli offerto finalmente un posto decente su cui riposare. Il viaggio in treno era stato per lui un disastro: urla di bambini, problemi, cibo pessimo, problemi, posti scomodi, altri problemi ancora.. Certo, la loro copertura di cittadini davanti a Izumi saltò immediatamente, dato che lei aveva subito capito la loro vera identità, e aveva assestato un doloroso pugno sia ad Havoc che a Breda rimproverando loro di aver cercato di mentirle. E dopo quel particolare benvenuto, li invitò a entrare.
La dormita era stata piacevolmente rigenerante, e dalla loro camera sentivano l'invitante odore della colazione. Si vestirono e si diedero una sistemata, per poi recarsi là dove Izumi e il suo cognuge parlavano fra di loro mentre la casalinga finiva di versare in quattro tazzine del caffé.
«Buongiorno.» li salutò cordiale il signor Shigu Curtis «Non siamo abituati ad ricevere visite, quindi alla mattina entrambi beviamo semplicemente del caffé. Ma voi siete pur sempre dei soldati, lavorate duro, penso meritiate una calda colazione. Purtroppo avevamo gli ingredienti solo per le cialde.»
«Oh, non viziarli così» lo rimproverò la moglie, che al contrario pensava che offrire loro addirittura dolci per colazione fosse esagerato. Si poteva essere dei buoni ospiti, garantendo cena e riposo, e qui erano d'accordo entrambi, ma l'idea delle cialde era stata portata avanti solo da Shigu. «Come hai detto sono soldati, possono stare giorni mangiando razioni sufficienti a sfamarsi. Non voglio passare per quella che accoglie ufficiali a casa propria per coccolarli. Sbaglio, signori?» si rivolse dunque ai due, che un po' rimasero spiazzati da come un macellaio grande e grosso fosse così cordiale a differenza della casalinga autoritaria e razionale.
«Non è nostra intenzione disturbarvi a lungo.» disse Breda dopo una fugace occhiata al compagno «Ieri era tardi per parlare, ma salvo imprevisti non ci dovremmo impiegare molto. È già al corrente del motivo della nostra visita, giusto, signorina Curtis?»
Prima di partire verso Dublith, qualcuno aveva avvisato Breda di sottolineare la parola "signorina", che effettivamente compiacque Izumi. Probabilmente, se avesse usato un altro appellativo si sarebbe beccato il secondo pugno da parte di una donna.
«Sì, sì, certo. Mi avevano pure chiesto di recarmi a Central City, inaudito.» fece lei, sorridendo del fatto che era riuscita ancora una volta a dimostrarsi più astuta dell'esercito. Nemmeno le più grandi autorità di Central o gli impassibili uomini di Briggs per lei erano una minaccia. «In ogni caso, tanto vale parlarne mentre mangiamo. Siete fortunati che il mio amoruccio abbia pensato a voi. Non è un vero tesoro?»
Le cialde, calde e soffici, erano una chicca per il palato dei due soldati, tanto che ne mangiarono addirittura tre con evidente apprezzamento. Shigu era compiaciuto, e seppure non lo desse a vedere, pure a Izumi non dispiaceva poi così tanto aver fatto qualcosa per il prossimo senza avere apparenti beni in cambio. Ma sapeva anche che i due non avevano affrontato quel tremendo viaggio in treno solo per conoscerla, dato che una settimana prima era stata contattata via telefono da un uomo che chiedeva la sua collaborazione e consultazione per un caso di alchimia non riconosciuta. La sua risposta fu: "Se siete così disperati da necessitare l'aiuto di una casalinga, tanto vale che siate voi a venire da me". Dopo che l'interlocutore dall'altra parte della cornetta mugugnò qualcosa cercando di convincerla della gravità della situazione e dopo aver ricordato il dovere di un cittadino di far fronte alle richieste del proprio governo, lei riattacò annoiata, per essere poi richiamata da un altro individuo più calmo e accondiscendente. Però anche egli aveva cercato di convincerla, fallendo miserabilmente. Decisero quindi di mandare due uomini scelti come aveva richiesto lei, con la busta con dentro fogli che riportavano i vari simboli e i cerchi alchemici ritrovati. Il suo compito consisteva semplicemente nel riconoscere l'alchimia utilizzata e fornire qualche informazione a riguardo, magari anche dicendo chi avrebbe potuto conoscerla e praticarla. In caso nemmeno lei sapesse da che punto iniziare, i simboli alchemici sarebbero rimasti irrisolti, e un possibile indizio sarebbe diventato inutilizzabile. C'era da sperare.
«Allora, vediamo questi fogli.»
Havoc e Breda annuirono, e il primo andò a prendere l'unica valigia con cui avevano viaggiato. Da lì prese la busta sigillata.
«Non garantisco di potervi essere d'aiuto quanto voi speriate» avvisò Izumi prendendo fra le mani la busta intenta ad aprirne il contenuto. «Ma a questo punto tentar non nuoce.»
Strapò il sigillo e i vari fogli finirono a ricoprire tutto il tavolo, lasciando i quattro sbigottiti: erano tutti quanti ricoperti di macchie di sangue, che coprivano ogni singolo disegno e appunto preso. I pochi cerchi non coperti di sangue erano stati compromessi da un nerissimo strato di inchiostro, rendendo così tutti quei fogli inutili. Ad Havoc scappò un'imprecazione di inorridita sorpresa, mentre Breda si chiese come sia potuto succedere.
«Non capisco» si innervosì il rosso «L'assistente del Comandante Supremo ci ha consegnato la busta. L'abbiamo messa in valigia, che è sempre stata con noi.»
«Non siete nemmeno capaci a trasportare della carta mantenendola intatta» Izumi schioccò la lingua, mentre dopo lo shock iniziale esaminava i vari fogli «Dubito che siano stati compromessi prima della vostra partenza. Forse, durante un attimo di distrazione, qualcuno ne ha modificato il contenuto.
«C'è stato solo un piccolo momento in cui nessuno di noi due mantenne l'attenzione sulla valigia» dichiarò Breda «Havoc dormiva, e io mi ero assentato per parlare con il capotreno.
«Potrebbe essere che sia successo in quel momento, ma ora il quando non è rilevante» Izumi bloccò le proteste di Havoc sul nascere. Il biondo, infatti, non credeva fosse successo in quel momento. Ma forse fu meglio starsene zitto, perché le sue opposizioni sarebbero state invane senza prove. La donna continuò «È successo e basta. Il che rende la vostra escursione fin qua al sud del tutto sconclusionata.»
Havoc dovette mantenere una calma che non gli apparteneva per non battere i pugni sul tavolo. Come aveva potuto, quel chiunque fosse, danneggiare in quel modo l'unico indizio che erano riusciti a racimolare? Certo, al Quartier Generale ci potevano essere altre copie, ma anche quelle potevano venir compromesse.
«Un momento» si intromise il signor Curtis che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare «Cos'è questo?»
Fu l'unico a notare che sotto i fogli vi era un cartoncino bianchissimo con un elegante scrittura sopra. La moglie prese in mano il cartoncino per leggere attentamente l'unica, breve frase. Inarcò un sopracciglio e lo fece vedere ai due soldati davanti a sé. "Il gioco è a Central, non a Dublith". Solo questo. Quantità cospiqua di sangue e inchiostro per mascherare gli indizi e solo una malsana frase come giustificazione.
Havoc spiegò ai cognugi Curtis cosa il biglietto intendeva con "gioco", rendendo palese il fatto che lo stesso individuo che preoccupava l'esercito e seminava il caos a Central era anche il colpevole di quel disastro. Nel frattempo, Breda ebbe un'illuminazione.
«Forse ha reso illeggibili le tracce di alchimia riportate perché lei è in grado di riconoscerla» si rivolse a Izumi «E il messaggio del cartoncino potrebbe essere una finta scusa per coprire la vera causa dell'azione.»
Lei ci pensò su, poi annuì. Sì, era una possibilità. Il caso iniziò pian piano a interessare pure lei.

Grumman non rimase sorpreso quando Mustang si presentò da lui. In realtà, era un po' deluso dal fatto che ci avesse impiegato quasi due settimane a farsi avanti, gli dava quasi l'impressione che in tutti quegli anni non avesse imparato nulla dal suo superiore.
«Ti aspettavo, sai?» disse il vecchio mentre si puliva gli occhiali. Era disinvolto e rilassato, e il fatto che il Colonnello avesse praticamente fatto irruzione da lui non lo sembrò disturbare. «Immagino tu non sia qui per una partita a scacchi, come i bei vecchi tempi.»
«Non si sbaglia, Comandante. Vede, il Tenente Hawkeye mi ha rivelato tutto.
«E quindi?» domandò calmo. Non era la risposta che Mustang si aspettava, ma proseguì comunque.
«E quindi non ho intenzione di stare fermo a non fare niente. Voglio partecipare alle indagini.»
Non appena finì la frase, un uomo bussò alla porta ed entrò senza aspettare risposta. Salutò militarmente i suoi il superiore e guardò con incertezza il Colonnello.
«Comandante Supremo.. i due incaricati che sono dovuti andare fino a Dublith hanno appena telefonato.. è una questione importante- annunciò, non sicuro di poter riferirlo davanti a qualcuno che non partecipava al caso.»
«Non preoccuparti, il mio amico Roy sa tutto. Cosa è successo?»
«Il Mittente ha compromesso tutti gli indizi cospargendoli di sangue. Breda è convinto che l'abbia fatto perché è consapevole che Izumi Curtis potrebbe decifrare i cerchi alchemici. Ma ella si rifiuta ancora di venire fino al Quartier Generale.»
Sia Grumman che Mustang elaborarono l'accaduto. Poi il Colonnello si rese conto di un dettaglio.
«Gli ufficiali scomparsi.. non si sa che fine abbiano fatto, non è così?» chiese guardando negli occhi il Comandante, il quale capì perfettamente la sua supposizione. Rispose con un cenno del capo, rabbuiandosi.
C'era la possibilità che il sangue ritrovato sui fogli fosse di una delle vittime.


Note finali: ebbene, sono riuscita a finire anche questo capitolo. Mi scuso già nel caso alcuni passaggi siano sbagliati o confusi, ma ho scritto con un po' di fretta e la rilettura è stata alquanto superficiale.
Vi anticipo già che nei prossimi capitoli (finalmente!) Mustang passa all'azione. E non solo ;)
Grazie a chiunque legga questa mia prima fiction, e, so di essere banale e potrei sembrare disperata, ma mi farebbe molto piacere ricevere le vostre recensioni affinché possa migliorare. Beh.. è tutto. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Giornali. ***


Giornali.


Il peso dei giornali non era di certo una minaccia nemmeno per il suo corpicino poco abituato allo scontro fisico, ma in compenso la quantità di pile che portava fra le braccia era tale che a ogni passo i giornali barcollavano e minacciavano di cadere al suolo. Fury cercava di mantenere la sua camminata moderatamente veloce e di far rimanere i fogli in equilibrio in modo da non ritardare ulteriormente. Un po' era seccato che, fra tutti i compiti che avrebbero potuto assegnarli, lo avessero incaricato di comprare tutti i giornali di tutte le case editrici che riusciva a trovare, perfino quando Havoc e Breda, a cui solitamente davano gli incarichi migliori, erano via. Alcune notti si addormentava sognando il suo tanto atteso momento di gloria, e al momento del risveglio si rendeva conto che i suoi sogni sarebbero sempre rimasti tali. Certo, poteva andargli peggio, ma avrebbe comunque preferito che lo trattassero con un po' più di rispetto. Svoltò un paio di curve e schivò a pelo alcune persone che, frettolose, rischiavano di urtare lui e i suoi giornali. Quando finalmente si ritrovò davanti alla porta della signorina Hawkeye, si concesse un sospiro di sollievo. Cercando di mantenere l'equilibrio delle pile in una sola mano, con l'altra busso e si fece avanti.
«Tenente, ho portato ciò che mi ha chiesto» disse, mettendo l'ammasso di notizie e informazioni sull'ordinata scrivania in mogano.
«La ringrazio.» gli sorrise di rimando lei, l'unica presente in ufficio. Fury apprezzava molto la cordialità della sua superiore, perché trattava chiunque come suo pari e sempre con una cortesia e una formalità che talvolta potevano anche sembrare ripetitive. In ogni caso, nel gruppo, Riza era l'unica che si fosse sempre stata comportata gentilmente con lui, e pure nei momenti di rimprovero non rimarcava la sua posizione deridendolo, come al contrario facevano Havoc, Breda, e qualche volta pure Mustang e Falman. In lei vedeva una figura rassicurante, composta, pacifica e letale allo stesso tempo, e questo lo spingeva di tanto in tanto a vederla come una sottospecie di sorella maggiore. Ma ovviamente non lo avrebbe mai detto a voce alta, di certo non aveva bisogno di altri motivi per essere sfottuto dai suoi compagni.
«Ha preso tutti i giornali?» chiese il Tenente, che dalla sua posizione accanto alla finestra si era avvicinata alla scrivania.
«Sì.» rispose «Di tutte le case editrici di Central e dintorni.»
«Molto bene.» Riza osservava i vari giornali, ne sfogliava uno senza leggerlo e poi passava ad un altro, come alla ricerca di un articolo in particolare che magicamente doveva spuntarle sotto gli occhi mentre controllava le varie pagine. «Sei anche riuscito a prendere quelli risalenti a due settimane fa?»
«Quelli di una settimana fa ci sono tutti, ma per quelli di due settimane fa ho avuto qualche problema.» ammise, mentre curioso osservava l'operato della donna. «Per alcuni giornali mi sono presentato a casa dei miei parenti più anziani, sa, i nonni e i prozii della famiglia Fury amano documentarsi da più fonti e tenere tutto ciò che comprano. Ma per il resto degli altri giornali nemmeno loro mi sono stati d'aiuto, e non sono proprio riuscito a trovarli.»
Riza, rimasta per tutto il tempo concentrata sulle date e sui titoli, liquidò la storia con un cenno del capo.
«Hai svolto comunque il tuo lavoro nei migliori dei modi» disse, guardandolo negli occhi. «Darsi così tanto da fare anche per incarichi quali questo è una qualità da apprezzare. Se il Tenente Havoc fosse qui e avessi mandato lui, lo avrebbe svolto nel modo più grossolano possibile e avrebbe portato metà della metà dei giornali che hai portato tu.»
Fury rimase in silenzio non sapendo cosa dire, con solo stupore e nessuna sfumatura di compiacimento negli occhi. Non era di certo abituato a sentirsi lodato per quello che svolgeva, e lei lo aveva colto alla sprovvista. Abbassò lo sguardo per un istante maledicendosi per essere lievemente arrossito, e il Tenente ebbe la premura di fingere di non essersene accorta. Se per una lieve congratulazione si comportava così, pensò lui, tutti gli altri non avevano poi così torto quando dicevano che non era abbastanza uomo per certe situazioni.
Riza, invece, riteneva tenera quella sfumatura del suo sottoposto, perché le piaceva l'idea che nell'esercito ci fosse ancora qualcuno di innocente, qualcuno che non si era macchiato del sangue altrui tramite una spada o una pistola. Per questo motivo aveva dei riguardi verso il giovane: sapeva che se avrebbe dovuto affrontare momenti delicati o violenti come quelli che aveva superato lei, la sua innocenza si sarebbe frantumata e la sua gioventù sarebbe stata ricordata solo come un susseguirsi di rimorsi. Nonostante l'addestramento da soldato e l'arma in dotazione, Kain Fury non si poteva considerare aggressivo. Lui non si faceva distinguere per la forza bruta o le sue abilità nel maneggiare le armi, ma per la sua intelligenza. Riza non poteva permettere che anche lui diventasse come il classico stereotipo del soldato, e pertanto cercava sempre di farlo sentire meglio e di sottolineare le sue qualità.
«In ogni caso» si schiarì la voce «A momenti arriverà Falman»
Quasi come se fosse stato evocato, Vato bussò alla porta ed entrò. Aveva un'aria composta e seria, e dalla tasca della divisa si vedeva un pezzo di carta con vari appunti. Anche a lui, come al suo collega più giovane, era stato affidato un incarico, ovvero quello di intervistare i parenti dei comparsi e raccogliere informazioni nel cuore del Quartier Generale. Il foglietto degli appunti gli serviva per non dimenticare nomi e indirizzi, ma grazie alla sua strabiliante memoria non ne aveva bisogno.
«Scoperto niente di interessante?»
«Poco. Come si può immaginare, i famigliari degli ufficiali scoparsi sono ancora preoccupati e riescono a ragionare ben poco. A ogni domanda sembravano andare in panico, quasi si volessero arrendere all'idea di non rivederli ma senza riuscirci davvero.» fece una pausa, per poi passare alle conclusioni delle indagini interessanti «Ho appreso una cosa relativamente importante, però: nelle lettere recapitate alle vittime ci sono dei passaggi ricorrenti in ognuna, e sotto il laboratorio numero 2 vi è una galleria nuova che si divide in due per poi sboccare, in entrambe le vie, in delle case abbandonate.»
«Per galleria nuova intendi che noi non ne sapevamo nulla a riguardo o che proprio nessuno ne conosceva l'esistenza?» chiese Fury sistemandosi gli occhiali cercando di darsi un'aria disinvolta. Quel caso gli metteva un po' d'ansia, perché si ricordava ancora bene di quel essere enorme che andava in giro cercando di mangiare i suoi amici, “homunculus” si chiamava, e preferiva non averci più a che fare. Al solo pensiero sperò che nessuno notasse la sua pelle d'oca, ma sia Riza che Falman erano troppo indaffarati nel scambiarsi informazioni.
«Farò personalmente rapporto al Colonnello stasera, finito di lavorare.» annunciò. «Vi ringrazio per aver eseguito ciò che vi ho chiesto di fare, sono sicura che anche il Colonnello lo apprezzerà molto. Sentitevi liberi di andare.»
Detto questo, iniziò per conto suo a sistemare i giornali secondo le pagine che a lei sembravano più interessanti, buttando nel cestino ogni articolo inutile e gli annunci di scarsa rilevanza. Prese poi un foglio e una penna, e iniziò a scrivere i numeri delle pagine giornalistiche rimaste nella nuova pila personalizzata, mentre su un altro foglio rielaborava ciò che aveva sentito da Fury e Falman. I due, diventati ormai un sottofondo per lei, si congedarono, lasciandola lavorare. Essendo quello il loro giorno libero, uscirono dal Quartier Generale.
«Allora, Fury» disse Falman con uno sbadiglio, causato dal poco sonno di quegli ultimi giorni. «Paura di essere il prossimo?»
«Un po'» ammise non sapendo quale fosse la risposta corretta: se avesse risposto di non sarebbe sembrato una femminuccia, se avesse risposto di sì sarebbe passato per lo spavaldo che non era «Ma credo sia normale. E poi sono fermamente convinto che non sarà uno di noi il prossimo a scomparire, bensì colui che chiamiamo Mittente. Nutro fiducia nel Colonnello.»
«Ottima risposta, soldato» Falman accarezzò la testa di Fury come se fosse un cane, che obbediente aveva riportato la pallina. Ma in quel gesto non c'era derisione. «In ogni caso, va a casa e riposati. I prossimi ordini saranno più impegnativi.»
«Uhm, sì. A domani, allora.»

La mattina del giorno seguente.
Il pavimento continuava a scricchiolare nonostante nessuno vi camminasse sopra, ma in ogni caso sapeva riconoscere quando scricchiolava di sua natura o quando invece c'era un intruso. Conosceva tutti i dettagli e i passaggi di quella casa, quindi anche se avessero scoperto la sua posizione, avrebbe sempre trovato il modo di fuggire. Presto i suoi desideri si sarebbero realizzati, tutti quanti. Già si gustava il momento in cui avrebbe raggiunto il suo obiettivo, e il solo pensiero fece spuntare un piccolo sorriso in faccia.
Andò nella stanza speciale. Era la sua stanza preferita: sempre pulita, ampia, e il pavimento era in costante silenzio. Gli armadi pieni di libri davano alla stanza un'aria antica e seria, così come il tavolino in legno d'ebano dove sopra vi era posto un costoso vaso contenente delle rose bianche e dei fiori dalla colorazione blu. Le due finestre non erano il massimo della grandezza, ma facevano passare la luce di cui aveva bisogno, anche quando le tende bianco crema facevano da barriera al sole. E poi c'era quel soffice tappeto persiano, che dava un aspetto regale combinato ai quadri appesi lungo le pareti. Oh, sì, amava quella stanza. Specialmente perché era un ottimo posto dove tenere le sue conquiste. Aprì la porta, e con malsano piacere vide che i suoi cari “ospiti” erano ancora lì legati, sotto l'effetto del sonnifero. L'ultimo ufficiale catturato, il più giovane, era adagiato più comodamente rispetto ai suoi colleghi di sventura, ovvero era legato su una poltroncina anziché sul pavimento. Dopotutto, andava premiato: il suo sangue era stato parecchio utile per coprire le prove in mano all'esercito, e le fasce sui suoi polsi lasciavano ancora intravedere le profonde quanto dolorose ferite. Si avvicinò all'addormentato donatore, gli accarezzò i polsi. Fra poco avrebbe dovuto cambiare le bende, ma prima voleva leggere il giornale: mantenersi aggiornati su Central era una priorità. E poi aveva il suo giornale preferito a portata di mano: lo aveva preso al momento del risveglio, e lo aveva portato con sé. Si sistemò su un divanetto e iniziò a leggere le solite notizie. Ma poi, un grande annuncio catturò la sua attenzione: “IL COLONNELLO MUSTANG ADERISCE AL GIOCO. CHIEDE CORDIALMENTE DI STABILIRE LE REGOLE.”. Non potendone fare a meno, scoppiò in un'incessante risata di vittoria. Sì, sì, esultò. Andava tutto come aveva immaginato. Fra tutti, sapeva che proprio lui, proprio la sua preda avrebbe abboccato e si sarebbe esposto. Non immaginava che lo facesse tramite un annuncio di giornale, ma l'idea in fin dei conti era astuta quanto stupida. Oh, avrebbe conosciuto le regole non appena anche quella donna sarebbe stata in suo possesso. Quell'ignara fanciulla non poteva che aspettare la sua ora, perché nessuno sarebbe riuscito a difenderla. Un po' provò dispiacere per i suoi avversari nel gioco, perché per quanto si sforzassero, sarebbero sempre stati non uno, bensì due passi indietro.
Un lamento soffocato di dolore fece interrompere il suo ghigno. L'ufficiale sulla poltrona, stordito, cercava di aprire gli occhi e cercava di capire perché provasse un dolore lancinante ai polsi. Quando riuscì a vedere chiaro, quasi ebbe un infarto nel vedere del sangue asciutto su delle bende di cui non ricordava nulla; preso dal panico, guardò intorno la stanza ricordandosi come e perché si trovasse in quella stanza legato, e il terrore iniziò e espandersi in tutto il suo essere. Poi, non l'avesse mai fatto, incrociò gli occhi della figura che, su un divano, teneva con entrambe le mani un giornale. Questa, si alzò e andò verso di lui.
«Avresti dovuto svegliarti fra due ore» disse con disappunto «Poco importa, ormai non mi servi più. Ora, lascia che ti punisca: nessuno può osare guardarmi senza il mio consenso.»

Passare tutto quel tempo al Quartier Generale iniziava a scocciarlo, ma non poteva sottrarsi agli ordini del suo Comandante Supremo, che lo aveva convocato nel suo ufficio.
Quando entrò, il viso di Grumman lasciava intravedere solo ira. Mustang purtroppo sapeva il perché: doveva essere cauto e invece aveva fatto il contrario.
«Seriamente, Roy? Annunci sul giornale?» Grumman lo guardò in cagnesco, gli occhi sprizzavano minacce di morte. Una reazione un po' esagerata, si disse il Colonnello.
«È un ottimo modo di ottenere la sua attenzione» si giustificò con un tono pacato. «E sono sicuro che è anche un modo per attirare il nemico nella mia trappola. Comandante, abbia fiducia.»
«Fiducia? Ti avevo detto di essere cauto, e tu fai pubblicare non su uno, ma su tutti i giornali di Central la tua dannata stravaganza! Hai pensato a cosa crederanno i cittadini leggendo la tua bravata?»
«Passeranno oltre credendo sia uno scherzo o una stupidaggine. Lo faranno tutti eccetto il diretto interessato. Signore, non mi sono esposto perché sono un idiota.»
Grumman sbatté con forza i pugni sulla sua scrivania, gelida furia stava per accanirsi sull'uomo davanti a lui. In quel momento, avrebbe davvero voluto ucciderlo per il rischio che aveva corso.
«Non hai esposto solo te stesso.» disse, senza nessuna sfumatura del vecchio buffo e arzillo che era sempre stato. «Hai esposto mia nipote.»
Roy si sentì confuso: che lui sapesse il suo superiore non aveva parenti ancora in vita o che vivessero in quella zona di Amestris. Con la mente cercò di associare il viso di tutti coloro che conosceva con il viso ormai vecchio e rugoso di Grumman, eppure nessuno aveva i suoi tratti, nessuno possedeva i vispi occhi viola della volpe. Forse lo stress lo stava facendo impazzire a tal punto da pensare di avere nipotini nelle vicinanze. Lo guardò inarcando un sopracciglio per avere spiegazioni, ma più che rivelazioni ebbe da parte sua un sospiro.
«Riza. Riza è mia nipote.»

Note finali:
E dopo venti giorni, ce l'ho fatta. Purtroppo, in questi venti giorni a quanto pare sono riuscita a produrre solo questo. Chiedo venia, ma la scuola mi sta prosciugando le forze vitali.
Ah, e mi sono divertita un sacco a scrivere la scena del Mittente (nonostante questo non credo scriverò molte altre scene simili), anche se ho dovuto far in modo di non farvi capire ancora il suo sesso o importanti caratteristiche. Comunque, nulla è lasciato al caso, e questa scena ne è la dimostrazione, ma questo lo capirete più avanti, hehe.
Il finale di questo capitolo l'ho scritto alquanto di fretta, in ogni caso, in questa fanfiction né Roy né Riza sono consapevoli che quest'ultima è imparentata con Grumman (beh, ora Roy sì).
Sperando non mi tiriate pomodori, alla prossima!

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Capitolo 6
*** Verità e segreti. ***


Verità e segreti.

Il volto di Riza era delicato, la sua pelle morbida era colorata di un vitale anche se pallido rosa sulle gote, e i suoi dolci occhi catturavano la luce e il calore del sole al tramonto, mescolandosi con la purezza e la concretezza della terra, mentre le sue labbra erano come due petali di rosa, che rimanevano sempre composte conferendole un'espressione seria e concentrata, ma che sprigionavano una bellezza unica quando, sebbene di rado, sorridevano, e che lasciavano intravedere l'entrata del paradiso tutte quelle volte che, ancor più raramente, rideva.
Roy ripensava alle caratteristiche di lei mentre scrutava con attenzione il viso del Comandante Supremo alla ricerca di una somiglianza, anche minima, ma tutto ciò che trovò fu il nulla: il suo volto era vecchio, ed era arduo immaginarselo nel pieno della gioventù. Gli occhi viola avevano una forma tagliente e vispa, e gli occhiali aiutavano invece a conferirgli un'aria bonaria. No, di certo i due non potevano essere imparentati: non solo non vi trovava tratti in comune, ma gli sembrava alquanto improbabile che dopo tutti quei anni nessuno fosse a conoscenza del loro legame di parentela. “Sta diventando pazzo” pensò.
Dal canto suo, Grumman si pentiva già della rivelazione fatta impulsivamente, in un momento in cui aveva perso la pazienza. Gli occhi indagatori di Mustang iniziavano a farlo sentire un viscido criminale, e se proprio doveva essere fissato così intensamente, avrebbe preferito fosse stata una leggiadra signorina a farlo. Ma ormai doveva affrontare la realtà. Tirò un sospiro e si sistemò nuovamente gli occhiali, un gesto che gli permetteva sempre di guadagnare tempo e pensare, per poi guardare a sua volta il sottoposto, che di sicuro era in attesa di spiegazioni. Come dargli torto, del resto. Aprì la bocca per parlare, ma nemmeno lui sapeva da dove iniziare, quindi la richiuse. Iniziare forse da sua figlia? No, era un' informazione ancor più riservata e totalmente irrilevante per la conoscenza di Mustang. Dalla promessa? No, ricordo doloroso. Ma, ripensandoci, la promessa fatta a sua figlia era alla base del perché nessuno sapesse di sua nipote.
«Ti avviso già, Roy, se non ti conoscessi da anni probabilmente ti ucciderei pur di non farti uscire da questa stanza.» Un inizio promettente «E sta certo che lo farò in caso tu dica a qualcuno della nostra conversazione.»
La minaccia arrivò chiara alle orecchie di Mustang grazie alla penetrante occhiata ghiacciale scagliata da Grumman, e aggrottò le sopracciglia per risposta, accompagnando la sua nuova espressione facciale con un «La ascolto.»
Il Comandante cercò di liberare la tensione creata nei suoi muscoli tramite un profondo respiro, il quale aveva anche il compito di prepararlo emotivamente ai ricordi sepolti nella sua coscienza, cui sperava di non dover più affrontare. Un uomo così vecchio ne aveva fatte di esperienze e di tragedie, specialmente durante il servizio militare, ne aveva viste fin troppe, ma una promessa e una nipote ignara di esserlo gli spezzavano il cuore giorno dopo giorno.
«Vedi Roy, in realtà è un concetto facile, ma è personale. Capirai ciò che sto per dirti, ma dovrai anche capire che se un individuo, oltre a te, venisse a conoscenza di ciò, ci saranno delle conseguenze, anche per te.» una breve pausa per accertarsi che lo stesse seguendo. «Riza Hawkeye è mia nipote. Mia figlia ha sposato quello stupido alchimista, non prenderla sul personale per il tuo maestro, e insieme a lui ha procreato un'adorabile bambina. Ero nonno, e spesso andavo a casa loro a visitare una Riza che ancor non sapeva reggersi sulle gambe. E l'ho vista crescere nei primi anni di vita, l'ho vista affrontare i primi passi e l'ho tenuta in braccio, assaporando ogni momento in cui lei, con i suoi immensi occhi, mi guardava innocentemente e cercava di stringere le sue minuscole braccia attorno a me.» Una sensazione di tenerezza mista a malinconia lo invase, facendolo guardare per terra con occhi immersi nella memoria. Ogni singolo momento di quei giorni li era rimasto impresso, un segno indelebile, forse perché non avrebbe potuto nemmeno più sfiorarli. I tentativi a vuoto della neonata Riza di proferire parole, le risate e la gioia di sua figlia mentre passava il tempo con la sua famiglia, i pomeriggi trascorsi in dolci chiacchiere e le notti passate cullando fra le braccia la nipote: tutto ciò e altri infiniti attimi gli avevano colmato il cuore, per poi spezzarglielo in un secondo momento, quando si rese conto che la sua vita non sarebbe più stata riempita da quei piccoli frammenti di felicità. Le parole di sua figlia, anch'ella dispiaciuta, erano un incubo costante. «Ma non si può essere felici per sempre. Pochi giorni dopo il terzo compleanno di Riza, mia figlia mi ha fatto fare una promessa: non avvicinarmi alla famiglia, in modo da non esporla a causa della mia dedizione al servizio militare.»
«Non capisco.» prese a quel punto parola Mustang. Aveva appreso il concetto sul perché ciò che gli stesse raccontando Grumman fosse molto personale, nella sua mente aveva pure tentato di immaginarsi il suo Tenente da neonata, cercando anche di non lasciar intravedere l'imbarazzo formatosi fra lui e i suoi pensieri a riguardo; ciò che non capiva era la fatidica promessa. «Sono molti i militari e gli ufficiali che hanno una famiglia: moglie, bambini.. E a loro non è mai stato fatto alcun male. Non ha senso.»
«Un'argomentazione sensata, tanto che all'epoca avevo controbattuto pure io così.» ammise la vecchia volpe, concedendosi l'ennesimo respiro. Era doloroso affrontare il passato a voce alta, ma in un certo senso era anche liberatorio. «Ma già da allora guadagnavo promozioni a gradi sempre più alti ed esposti. Tutta East City sapeva il mio nome e le mie imprese, mentre tu eri ancora un bambino, sai? E piano piano mi stavo anche facendo dei nemici. Ero abile ad eludere loro e i loro, diciamo, “attentati” alla mia persona, ma non sarei stato in grado di dedicarmi a mia figlia e a mia nipote e a proteggerle in caso di pericolo, il lavoro non me lo permetteva. Quindi, per salvaguardarle, l'unico modo di non mettere la loro vita in pericolo a causa della mia posizione era fingere di non conoscerle. Niente relazioni, niente visite, niente scambi di parole. Per questo non hai mai saputo niente, fino ad ora.»
Sebbene non lo riguardasse, il Colonnello provò, per poco, a sentire le emozioni del suo superiore: sangue del tuo sangue che gli chiede, gli fa promettere, di non avere più legami; il dolore di una perdita che non c'era stata letteralmente, ma era come se la famiglia Hawkeye fosse morta, e una parte di lui con loro. Non saper distinguere la notte dalla mattina, perché in ogni caso continuava a vivere nell'oscurità, nel rimorso. E questa era solo la punta dell'iceberg della devastazione che Grumman aveva dovuto sopportare, e Mustang non voleva andare oltre.
«Cosa sia successo ai signori Hawkeye lo so, ma.. se doveva proteggere il Tenente dalla sua carriera, perché ha permesso che si arruolasse?»
«Non era mio compito decidere chi poteva arruolarsi e chi no. Riza ha frequentato la scuola e ne è uscita con impeccabili risultati, e si è dimostrata molto abile nell'uso delle armi da fuoco.» L'ultima affermazione sembrava leggermente quella di un nonno fiero: dopo tanti anni, in un certo modo Grumman voleva riguadagnare i suoi “diritti da parente” sottratti, anche se questo significasse farlo senza esagerare. Era pur sempre una conversazione seria. «Sono rimasto sconvolto e perplesso quando ho visto il suo fascicolo. La prima volta che l'ho vista è stata in un archivio di East City, stava cercando dei documenti per conto tuo. Qualcosa nel suo volto mi sembrava famigliare, e non ho potuto fare a meno di cercare fra tutti i fascicoli il suo, dove ho trovato sia nome che foto. Non so come avrei dovuto reagire, ma mi sono sentito vuoto.»
«Vuoto?»
«Dalla promessa in poi ho vissuto come se non avessi avuto nipoti, il tutto solo per non permetterle di farsi del male. E poi si mette in testa di rischiare comunque la vita, sebbene io non avessi nulla a che fare con questa storia. A differenza tua.»
L'accusa finale non fu mascherata in nessun modo, lasciando la colpevolezza danzare attorno a Mustang, tirandogli pugni che sapevano di sensi di colpa. Però i sensi di colpa sparirono con la stessa velocità con cui erano arrivati, perché di fatto lui non aveva nulla per cui colpevolizzarsi.
«La scelta di diventare ciò che è ora è stata del Tenente. Il mio unico ruolo nella sua decisione è stato l'essere la fonte d'ispirazione.»
L'auto-complimento finale servì solo a guadagnarsi un'occhiata di sbieco, segno che la spavalderia in quel contesto non era ammessa. O, meglio, non era ammessa se il soggetto a cui erano indirizzate le allusioni era Riza; se si fosse trattato di una qualsiasi altra donna, senza alcun legame sanguigno, i due si sarebbero fatti insieme una risatina d'intesa: in fin dei conti, il fascino di Roy conquistava sempre, ma per quanto riguardava il suo talento oratorio con le signorine era gran parte merito del suo vecchio insegnate, che anche lui era stato irresistibile, prima che gli anni gli gravassero sulla faccia e sul corpo. In ogni caso, il nonnino aveva frainteso le due parole: l'ultima affermazione era un'informazione aggiuntiva formulata per compiacere il suo ego; non avrebbe mai osato parlare del suo Tenente come parlava delle sue avventure notturne.
«In ogni caso» riprese Mustang, scacciando ancora una volta i suoi pensieri. Perché in quell'ultimo periodo dedicava sempre qualche pensiero per il Tenente Hawkeye? «Una volta scoperto cosa avesse deciso il Tenente, avresti potuto dichiarare la verità.»
«Avrei infranto comunque la promessa.» rispose l'altro con un tono secco, stanco di tutte quelle ovvie domande. Aveva già preso in considerazione tutte le possibilità che il Colonnello continuava ad elencare con ostinazione, quasi desiderasse davvero di essere preso a pugni. «Ora basta con le domane. Anzi, basta con questo discorso. E bada a non proferire parola a riguardo.. nemmeno con me, mai più.»
Con un cenno del capo, Mustang annuì. Come se avesse potuto. Di certo non poteva andare da Riza a dirle “Buongiorno Tenente, sai che il Comandante Supremo è tuo nonno?”, e se avesse provato a dirlo a qualcun altro molto probabilmente non solo sarebbe stato smentito, ma avrebbe perso la sua credibilità.
«Torniamo al motivo per cui se qui, Roy. Non fare più mosse azzardate. Non esporti. Non prendere decisioni impulsive. E per l'amor del cielo, non mettere la vita dei tuoi sottoposti in pericolo per le tue egoistiche ragioni. Per il momento è tutto.. Adesso sparisci.»

Con la mente ancora turbata dalle informazioni assimilate sul Tenente, Roy sentiva il bisogno di dormire un po' per rilassarsi e non pensare. Era impaziente di sapere come il piano dei giornali, architettato strategicamente, fosse andato, sebbene ci fossero persone che non condividessero la sua impazienza. In realtà l'unica persona a non trovarsi d'accordo con lui era un nonno in incognito, perché prima di procedere nel suo piano aveva chiesto l'approvazione della sua squadra. Anche Havoc e Breda erano stati interpellati tramite una chiamata; i due si trovavano in un bar, da cui avevano telefonato il Quartier Generale per annunciare che quella sera sarebbero rientrati a Central. La chiamata arrivò direttamente a Mustang, il quale, compiaciuto del loro tempismo, aveva cercato il loro permesso di procedere.

Si diresse verso gli archivi, laddove avrebbe trovato Sheska, si sarebbe fatto dare le chiavi, e avrebbe goduto di qualche momento di riposo. Quando finalmente giunse nel suo dormitorio segreto, al posto di Sheska vi trovò un'altra donna. Anche ella porta degli occhiali, dalla rigida montatura nera che ricadevano severi sul naso, mentre gli occhi, anch'essi neri, si mantenevano concentrati su un registro pieno di numeri e calcoli. Roy conosceva quella donna, sebbene avesse scambiato con le all'incirca due parole. Se la ricordava solo perché, per quanto possibile, quando si trattava di lavoro era più inflessibile di Riza. Poteva scordarsi delle chiavi dell'archivio se le avesse dovuto chiedere a lei.
«Buongiorno, Colonnello.» disse lei senza alzare gli occhi dal suo lavoro, continuando a scrivere e calcolare come se non fosse un essere umano. «Posso aiutarla?»
«Ah, ecco.. Sheska non c'è?»
«Oggi non è venuta a svolgere le sue attività lavorative. Ha chiamato stamane per informarci che la sua salute non è in buone condizioni, e che necessita di riposo e di un medico.»
Evidentemente per quella donna le parole «No, sta male» erano passate di moda.
«Posso sapere perché necessita proprio della mia collega? Se le servono dei documenti o dei fascicoli che si trovano negli archivi può chiedere a me.»
«Se fosse così gentile da consegnarmi direttamente le chiavi, faccio da solo, grazie.»
«Negativo.» interruppe il suo lavoro e per la prima volta incatenò il suo sguardo a quello del Colonnello. I suoi occhi erano rigidi quasi quanto la sua postura. «Non mi è permesso lasciare entrare individui che non siano idonei o che non abbiano una delega. Se vuole entrare negli archivi, lo può fare solo se io vengo con lei a supervisionare.»
E le speranze sonnifere di Mustang morirono.
«No, non importa. Arrivederci.» e se ne andò, incurante del saluto di rimando che la donna gli aveva offerto. Non appena svoltò il primo angolo, sbuffò scocciato. Odiava quando le cose non andavano secondo i suoi piani, specialmente se poi gli toccava anche lavorare. Non avendo altra scelta, si rassegnò al destino e si incamminò verso il suo ufficio.

L'articolo di giornale spiccava sulla scrivania, sebbene non avesse chissà quali dimensioni. Non era niente di appariscente, e sarebbe stato tralasciato da chiunque non fosse a conoscenza del significato dietro quelle piccole parole. Ma Riza iniziava ad avere dei dubbi circa la sua decisione di assecondare il piano. Quella era una sfida pubblica, e se il Mittente l'avesse colta e accettata, nessuno avrebbe saputo come metterli in guardia dal tipo di gioco che avrebbero iniziato. Fece un profondo respiro rendendosi conto di quanto le sue preoccupazioni fossero insensate: aveva affrontato di peggio, e delle lettere anonime non avrebbero potuto distruggere il suo autocontrollo. Se qualcuno avesse voluto prenderla o provocarle lesioni, avrebbe prima dovuto assaggiare le sue adorate e micidiali Calibro 9. L'eccessiva preoccupazione era data dal fatto che solo di recente aveva superato un enorme pericolo, e i residui del trauma galleggiavano ancora in quello che era il mare che era Riza. Una donna calma, equilibrata, ma non appena arrivava la minaccia della tempesta, diventava letale e una sola delle sue micidiali onde poteva travolgere chiunque. 
Si massaggiò automaticamente la fronte, nel tentativo di alleviare il mal di testa. Era solo dell'innocuo stress. Una volta trovata la giusta pista da seguire, anche quel caso sarebbe stato risolto; e sperava di trovarla presto, quella pista, dato che il prossimo passo verso la risoluzione era un'indagine in borghese, che non sarebbe servita a molto visto come il Mittente era riuscito a compromettere le prove di Havoc e Breda.
«Tenente, a cosa pensi così intensamente?»
La ricerca del senso della vita e del Mittente fu interrotta dal suo Colonnello, rientrato in ufficio così silenziosamente che lei non se ne era accorta. O forse era entrato come aveva sempre fatto, ma lei era troppo assorta nei suoi pensieri per accorgersene.
«Oh, niente, signore.» Riza incrociò gli occhi di Roy, il cui la fissava con attenzione. Uno sguardo intenso, penetrante, talmente magnetico che era certa non lo aveva mai rivolto a nessun'altra donna con cui passare la notte. Uno sguardo che la faceva sentire nuda nonostante la rigida divisa. Iniziò a sentirsi confusa, e sperò che l'improvvisa vampata di calore che avvertì alle guance non fosse avvertimento di rossore. Quello che non poteva sapere è che in realtà lui la guardava senza staccarle gli occhi di dosso per un altro motivo, ovvero per il fatto che era ancora scosso dal segreto scoperto poco prima. Quando, finalmente, notò il Tenente arrossita, si decise a darsi un contegno e scacciare l'imbarazzo che si era creato.
«Il Comandante Supremo mi ha fatto la ramanzina sulla mia idea. A quanto pare siamo troppo esposti.» disse quindi, ancora scocciato dalla predica che aveva ricevuto e dalla quale non poteva liberarsi dormendo perché una stacanovista aveva preso il posto di Sheska.
«Posso capire, è di questo che avete parlato per tutto questo tempo?»
«Ah-ah» affermò evasivo alla domanda che in realtà lei aveva posto con noncuranza. «E il rimpiazzo di Sheska non mi ha nemmeno lasciato dormire.»
«Oh, se è per questo ha fatto bene.» scherzò il Tenente prima di passare alle cose serie. «I preparativi per l'ispezione della prima casa abbandonata sono pronti. Ha avuto ragione, l'articolo di giornale è stata un'ottima distrazione per i piani alti, nessuno sospetta che stiamo andando per conto nostro in quella vecchia villa.»
«Finalmente una notizia piacevole. Havoc e Breda sanno già cosa devono fare non appena tornati?»
«Sì, e Fury starà con loro a dargli un aiuto via radio. Ed ho già riferito a Falman tutto ciò che deve dire a tutti coloro che potrebbero notare la nostra assenza.»
Roy si concesse un sorriso trionfante. Tornare in azione con la propria squadra era una sensazione piacevole, specialmente se si provava ancora il brivido del pericolo e dell'agire di nascosto. Il suo piano gli sembrava sempre più geniale.
Guardò Riza e le fece segno di prepararsi.


Note finali:
Ogni volta che mi riprometto di pubblicare più spesso succede il contrario.
In ogni caso, spero davvero di non avervi annoiato con la storia del malinconico nonnino. Anche perché non è nemmeno tutta, tanto che pensavo di scriverci uno spin-off/one-shot per far capire come sono realmente andate le cose. E per quanto riguarda l'ispezione della casa abbandonata, fidatevi, ne vedrete delle belle ;)
Non prometto di pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile perché potrebbe anche passare un mese senza che io faccia niente. Ops.
Beh, alla prossima, e grazie a tutti coloro che continuano a leggere ciò che la mia mente si ostina a produrre <3
Bye! :)

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