Di luoghi in cui ti voglio portare, di storie che ti voglio raccontare

di Ladyriddle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** Al di là del bene e del male ***
Capitolo 3: *** Un sentiero per i Campi Elisi ***
Capitolo 4: *** Il tempo è breve; chi insegue l'immenso perde l'attimo presente ***
Capitolo 5: *** Prometeo incatenato ***
Capitolo 6: *** Sogni andati a male ***



Capitolo 1
*** Indice ***




Indice storie presenti,
una raccolta disomogenea

 
1- Al di là del bene e del male Tom Riddle Flash Fic in 500 parole. [Ha partecipato al contest 'Soldati' indetto da Rosmary sul forum di efp, classificandosi terza]

2- Un sentiero per i Campi Elisi Regulus Black, OS introspettiva. [Partecipa al contest ''I mille volti dell'insicurezza'' 

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Capitolo 2
*** Al di là del bene e del male ***



Personaggio scelto: Tom Riddle
Altri personaggi presenti:  Tom Riddle Senior (accenno)
Genere: Introspettivo
Nota: Missing Moment
Contesto: Luglio/Agosto 1943
Rating: Giallo
Introduzione: “Non esiste bene e male, esiste solo il potere... E quelli troppo deboli per averlo!”
Tom Riddle ha un progetto, ma per farlo ha bisogno di superare se stesso, di rinascere dalle ceneri di un’ umanità scomoda e controproducente. Un taglio netto.

Note:   
Terza classificata al contest 'Soldati' di Rosmary;
Prima classificata al contest ''In Character - perché vero è meglio" e vincitrice del premio IC valutato da Merion Selene; 
Prima al“Flash Contest – Only Old Generation” e vincitrice del miglior personaggio maschile  indetto da Himeko Kuroba 

 
 Al di là del bene e del male
 
"Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te."
-Friedrich Nietzsche
 
Tom era sempre stato abile nell’arginare le proprie emozioni, a indossare una maschera che lo rendesse garbato e piacevole.
Sapeva come mettere a proprio agio chiunque, soprattutto coloro di cui aveva bisogno.
In quel momento, però, sentiva che il suo sguardo era fuoco, ghiaccio e ferro pungente: provava una strana emozione intrappolata nel petto, qualcosa che scalpitava per uscire.
Doveva sembrare terribile, e lo era.
In quegli occhi d’onice cupo, così simili ai suoi, aveva scorto un guizzo: quell’uomo gli aveva rivolto lo stesso sguardo di coloro che gli avevano dato del 'bastardo', di quelli che avevano arricciato il naso, lamentando una puzza di Babbano al suo passaggio. 
Respirò per contenere l'Ardemonio che gli scorreva nelle vene: la rabbia e la collera erano emozioni umane, umilianti, non degne di lui.
 
‘Solo il potere’
 
Si concesse un minuto, prima di fare quello che andava fatto; si concesse qualche secondo per domare le immagini che gli danzavano dinanzi agli occhi, come l’ultimo barlume di una candela quasi consunta.
Per un attimo non vide l’uomo immobilizzato con un incantesimo ai suoi piedi, ma il bambino che era stato: cresciuto tra mocciosi che piangevano per le ginocchia sbucciate e i morsi della fame, lui che sapeva di essere diverso, speciale.
Il Mondo a cui apparteneva per diritto di nascita lo aveva accolto tra gli scherni e i sussurri, per via del cognome Babbano che una sciocca donna innamorata gli aveva imposto in punto di morte.
Aveva dovuto ingoiare la bile, nascondendo con sorrisi perlacei la fitta rete di inganni e bugie che lo avevano portato a capo dei Cavalieri di Valpurga.
Persino il più algido dei compagni Pureblood si era chinato, riconoscendo la sua superiorità. Il primo di quelli che sarebbero venuti.
Risalì dal mulinello di quei pensieri e studiò ancora l’uomo chino dinanzi a lui: qualche filo grigio tra i capelli, il viso più pieno, piccole rughe ad increspargli la pelle
lo specchio di come sarebbe diventato nel giro di una ventina d'anni.
Sovrappose la faccia di quel Babbano alla sua e no, semplicemente no!
Aveva un Mondo Magico da conquistare, una società da plasmare su tradizioni che non dovevano essere dimenticate.
Per raggiungere il fine che si era prefissato non importavano né il modo né il mezzo, tantomeno una morale ipocrita e perbenista.
Quel viso, però, gli provocava un brivido collerico.
Come futuro Signore Oscuro avrebbe dovuto essere Magia Pura: doveva distaccarsi da qualsiasi cosa lo allontanasse dalla fredda ragione.
Per andare avanti aveva bisogno di lavare quell'unica macchia, così da innalzarsi e superare se stesso.
Sarebbe rinato dalle ceneri di quell’umanità scomoda, controproducente.

“Avada Kedavra”
 
Un fiotto di luce verde, un colpo sordo sul pavimento, una carcassa vuota.
Un buco nero nel petto.
Non provava nulla: né gioia né soddisfazione.
Si era aspettato di sentirsi almeno appagato, ma niente.
Immaginò che fosse il definitivo simbolo del suo elevarsi al di là del bene e del male.
La morte di Tom Riddle Senior aveva dato alla luce un nuovo figlio: Lord Voldemort.

 
[500 parole]
 

Note al testo:
  • Il titolo si ispira all’omonimo capolavoro di Nietzsche.
  • Ho usato il termine Pureblood invece della traduzione italiana ‘Purosangue’, mi piaceva di più nel contesto.
  • Walpurgis Knights, “Cavalieri di Valpurga” è il nome originario dei Mangiamorte, poi la  Rowling decise per il termine Death Eaters (tradotto in Mangiamorte). Fonte: Lexicon. Molte Fanwriter preferiscono il termine Valpurga per designare i primi 'seguaci' di Tom Riddle, quelli che Silente definisce “i Precursori dei Mangiamorte” (“Harry Potter e il Principe Mezzosangue”, pag 332). 

-              Una volta ho letto di un Tom che, dopo aver ucciso il padre cominciava a piangere, la cosa mi ha disturbato parecchio, più che altro perchè l'ho trovato molto OOC.
Allo stesso modo mi disturba quando scrivono di un Tom adolescente senza neanche un briciolo di umanità. Tom è umano, ma quella stessa umanità viene da lui rifiutata, poiché vista come debolezza.
Ha sicuramente provato una grande collera verso il padre che lo ha abbandonato, disprezzo verso la madre che ha osato morire, rabbia per lo scherno iniziale dei compagni di scuola (è un Mezzosangue, cresciuto in un orfanotrofio Babbano, non credo che gli abbiano steso un tappeto di rose); questi sono tutti sentimenti che non vorrebbe provare, che cerca di domare,  perché solo una mente lucida può andare al di là del bene e del male.
Ovviamente, mi sono rifatta alla citazione moviverse del primo film: “Non esiste bene e male, esiste solo il potere... E quelli troppo deboli per averlo!”
Mi si chiedeva di scegliere un soldato- io forse ho scelto un condottiero.
La morte di Riddle Senior, segna il momento in cui Tom si libera di una maschera, appare realmente per come è: uccide per rabbia ma soprattutto anche per liberarsi di quella rabbia.
In fondo, nei ricordi del settimo libro, prima di uccidere i Potter, Voldemort afferma di provare un senso di ‘decisione, potere e giustizia…niente rabbia… quella è per le anime più deboli della sua’
Ok, la smetto di psicanalizzare il personaggio ^^'
Tom è molto complesso, è stato una sfida delinearlo in soli 500 parole, specie per me che, in genere, sono molto prolissa. Una bella sfida con me stessa!

 

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Capitolo 3
*** Un sentiero per i Campi Elisi ***


 
Un sentiero per i Campi Elisi
 
Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?
O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?
Matteo 16,26
 
Le dita pallide di Regulus si muovevano lente, appuntando con cura ogni piccolo bottoncino in madreperla nell’asola della camicia di seta. Sembrava quasi come se stesse svolgendo un rituale, in quel caso la vestizione di un cavaliere prima della Giostra, di un guerriero prima della guerra.
Guardandosi allo specchio, Regulus si convinse che nessun protagonista delle ballate epiche che tanto amava leggere da ragazzino, prima di una battaglia o di una tenzone, avesse avuto i tratti contratti dall’apprensione, gli occhi colmi di paura e le mani scosse da lievi e quasi impercettibili tremori.
Paura.
Aveva paura.
Non solo timore dell’ignoto, ma di mettere un passo dietro l’altro e uscire da quella stanza perché se lo avesse fatto, se solo lo avesse fatto, non sarebbe più potuto tornare indietro.
Regulus aveva sempre calpestato i sentieri di una vita che rientrava in paletti che gli erano stati imposti fin da bambino; dentro quelli che erano i canoni della società Pureblood.
Era stato un figlio esemplare, uno studente modello e tutti si aspettavano che sarebbe stato anche il perfetto membro dell’élite nobiliare; uno degli ultimi baluardi di quegli antichi valori che andavano a scemare di generazione in generazione.
Era una pianta rara, come le orchidee che ornavano le serre della loro tenuta di campagna e, come quelle piante dai petali delicati e dalla fioritura breve, anche lui, in quel momento, si rese conto di essere sempre stato come un qualcosa di puramente ornamentale.
Regulus non aveva mai dovuto preoccuparsi del suo destino perché era stato scritto prima ancora che nascesse e, se suo fratello aveva visto quelle opportunità come imposizioni, vivendole con sofferenza, lui aveva sempre pensato che fosse quasi rassicurante non dover pensare, non doversi preoccupare.
Gli era sempre piaciuta la sua vita, ma non era più come quando gli bastava giocare come Cercatore per la squadra della sua Casa, prendere ottimi voti a scuola e comportarsi in modo da rendere fieri i suoi genitori per sentirsi soddisfatto e orgoglioso di se stesso.
Aveva bisogno di altro.
Un tempo, l’immagine specchiata negli occhi degli altri lo compiaceva, insieme alla sensazione di avere tutto ciò che si potesse desiderare: ricchezze, un nobile retaggio e un futuro riflesso dalla luce sfolgorante del nome della sua famiglia. Era tutto come doveva essere, non come voleva che fosse.
In realtà, lui non si era mai chiesto come e chi voleva essere. Sapeva solo a chi non avrebbe dovuto somigliare: a Sirius, suo fratello.
Era stato felice quando Sirius si era chiuso la porta alle spalle rinnegando tutti e tutto e sua madre, presa dalla collera e dalla vergogna, aveva ripulito l’onta bruciando il nome del suo primogenito dall’arazzo di famiglia. Regulus si era sentito trionfo e orgoglioso nell’aver surclassato definitivamente quel fratello che in realtà non era mai stato una minaccia, e che con la sua fuga l’aveva designato come l'unico erede della famiglia, come avrebbe sempre dovuto essere.
Sarebbe stato lui l’eredità vivente di tutti i principi e di tutte le tradizioni che gli avevano inculcato e che avevano sempre ripetuto come una nenia.
Per quei principi si era unito alle schiere dell’Oscuro Signore, portavoce della causa dei Pureblood; per quei valori avrebbe combattuto, lui che non era mai stato un guerriero.
Era facile leggere di guerre e di battaglie sulle pagine ingiallite di ballate e romanzi, ma le guerre, quelle vere, non erano parole in rime o in versi. Le guerre tiravano fuori il meglio o il peggio di un uomo, ma lui si era scoperto ancora ragazzo le cui mani troppo piccole non riuscivano a impugnare la bacchetta per ferire, torturare, uccidere.
La morte, ormai, se la portava dentro.
Tutto puzzava di morte da quando aveva visto la luce spegnersi negli occhi del primo uomo che aveva visto morire, Caradoc.
Erano quasi coetanei, Regulus lo ricordava vestito con i colori dei Grifondoro mentre scorrazzava per i corridoi della scuola accompagnandosi a volte con il fratello e quel branco di animali che Sirius chiamava ‘amici’.
Era poco più grande di lui, si erano affrontati in volo sul campo da Quidditch e fisicamente non sembrava cambiato dai tempi di Hogwarts. Eppure, tra gli scherni dei presenti, Caradoc aveva gridato che prima di morire voleva vedere il volto del suo assassino, che voleva vedere in faccia chi avesse il coraggio di uccidere un uomo senza bacchetta. Non gli era stato concesso.
Regulus aveva sentito il tonfo del capo ricciuto sul pavimento in pietra al di sopra delle grida di giubilo degli altri Mangiamorte e aveva osservato quel corpo robusto immobile con occhi vitrei, schiacciato e tremante come una foglia.
Aveva la sua età, era un Purosangue, un ragazzo che aveva scelto di lottare dall’altra parte, come suo fratello. Poteva essere Sirius, poteva essere chiunque, poteva essere persino lui.
Passato il febbrile brivido che Regulus associava a un volo in picchiata, si era reso conto che l’Oscuro Signore era talmente assetato dal  potere che avrebbe spazzato via dal suo cammino come foglie chiunque, persino i suoi alleati – servi, si corresse.
I Mangiamorte erano semplici marionette con un cappio di seta legato al collo. Il Lord aveva preteso che lo chiamassero padrone, che si prostrassero con reverenza ai suoi piedi, che baciassero l’orlo della sua veste e Regulus aveva cominciato a chiedersi chi fossero gli inferiori, adesso.
La purezza del sangue non li avrebbe protetti ancora a lungo e l’illusione di libertà si sarebbe infranta nel momento in cui una bacchetta sarebbe stata puntata alle loro spalle o alle spalle di uno dei loro cari.
Regulus credeva ancora in tutto ciò che l’aveva portato a prendere il Marchio; credeva ancora che la società magica avesse bisogno del rinnovamento delle antiche tradizioni, di farsi guidare dalla cerchia dei migliori, d’impedire che filtrassero nel loro Mondo influenze filo- Babbane.
Credeva ancora in tutto questo, con convinzione, eppure qualcuno doveva fermare il Lord specie perché questi stava andando oltre la condizione umana, sfidando persino il confine naturale della morte.
Un brivido freddo s’inerpicò lungo tutta la schiena mentre rammentava ciò che aveva scoperto sull'Oscuro Signore. Sarebbe stato inarrestabile e lui… Lui, cosa?
Non poteva correre semplicemente da sua madre per nascondersi dietro la sua ampia gonna né poteva chiedere consiglio ad altri: non si fidava di nessuno.
Aveva pensato a Sirius, quel fratello che se n’era andato senza neanche salutarlo, ma che aveva lasciato sul suo letto la bussola a cui era tanto affezionato e che Regulus aveva pensato di gettare, ma poi l'aveva conservato tra le sue cose.
Sirius l’avrebbe aiutato, forse, ma se Regulus gli avesse chiesto una mano avrebbe messo in pericolo anche lui e, ancora, si sarebbe comportato come il ragazzino che non sapeva creare né disfare.
Era un uomo ormai e voleva vivere scegliendo da sé.
Aveva paura perché stava scegliendo di vivere morendo. Come un guerriero che nessuno avrebbe ricordato, un eroe di cui nessuno avrebbe rammentato il nome e lui… Non era in grado di muoversi, non era in grado di agire, non poteva!
Aveva paura di quello che sarebbe accaduto fuori, di non riuscire a farlo ed era inquieto per ciò che sarebbe venuto dopo. Aveva paura della morte, di non riuscire a guardarla come un uomo, di…
Non era mai stato coraggioso: non era un Grifondoro, non era suo fratello e, infine, non era neppure un vero uomo. Sapeva che non sarebbe stato capace di farlo senza aver paura, reprimendo fino alla fine l’impulso di scappare e vivere e respirare in un mondo che, però, non sarebbe mai stato all’altezza dei suoi sogni.
Non era un Grifondoro, non era suo fratello; era un Serpeverde ed era Regulus, non Sirius, e Regulus poteva non essere coraggioso, forte e testardo, ma il suo onore gli impediva di inginocchiarsi ancora ai piedi di un padrone, di Voldemort.
Il suo onore gli imponeva di proteggere quello che restava della sua famiglia e di vivere e morire come un Black, come un Purosangue, come l’uomo che forse non sarebbe mai stato.
Prese il mantello, drappeggiandoselo intorno alle spalle, dandosi un’ultima occhiata allo specchio dagli intarsi barocchi: aveva la pelle cerea e tirata, gli occhi spalancati, ma almeno era in ordine, ben vestito e le mani avevano smesso di tremare.
Uscì dalla stanza, senza voltarsi.


 
Ancora, si ricordi, che il futuro non è né nostro, né interamente non nostro: onde non abbiamo ad attendercelo sicuramente come se debba venire, e non disperarne come se sicuramente non possa avvenire.
-Epicuro
 

 
Mani morte e bianche, viscide e fredde, gli stringevano le braccia e lo trascinava in basso. Gli parve di sentire la voce disperata di Kreacher, ma forse era frutto della sua immaginazione.
Qualcosa si strinse attorno alla sua gola, tanto forte da spezzargli il fiato eppure, stranamente, con le unghie che si artigliavano nella carne e l’acqua gelida che gli entrava nei polmoni, gli sembrò di… respirare.

 
*
 
 Il più terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi,
perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più

 
-Epicuro
 
 
Note al testo:
  • Regulus nasce nel 1961, diventa Mangiamorte intorno al 1977, all’età di sedici anni, muore nel 1979. Il nome Regulus, dal latino= Piccolo re, è il nome della stella più luminosa della costellazione del Leone. Regulus era anche il nome della famiglia di Marco Attilio Regolo, un comandante navale romano la cui abnegazione eroica è leggendaria. Arcturus, dal latino  'sopportare tutore;' la stella più luminosa quarta nel cielo notturno, il cui sorgere e tramontare è stato pensato dai Romani per predire il tempo tempestosa.  Per chiarezza, tutte le informazioni su Regulus le ho prese QUI
  • Dearborne Caradoc non è un OC ma un membro del primo Ordine della Fenice. Sparì durante la prima guerra contro Lord Voldemort e si presume sia morto. Il nome Caradoc apparteneva ad un principe Celtico (il nome di questo principe è spesso riportato come Caractacus) che guidò una ribellione contro le regole imposte da Roma ed è anche il nome di uno dei Cavalieri della Tavola rotonda.                                                                                                                                                                            Inizialmente avevo pensato alla morte di un Prewett, o un McKinnon ma facendo qualche ricerca, le morti di questi personaggi  sono sicuramente posteriori a quella di Regulus. Caradoc si è “prestato” bene allo scopo in quanto non sappiamo la data della scomparsa e inoltre, non avendo informazioni, ho potuto giocare sulle caratteristiche del personaggio – rifacendomi anche al nome-, sull’età, sulle amicizie.

 
  • Il Campi Elisi sono, per la mitologia romana, il luogo nel quale dimoravano dopo la morte le anime di coloro che erano amati dagli dèi. Non trovo inverosimile che Regulus conosca la mitologia e l’epica anche se Babbana.

 
Note linguistiche e varie:
 
Pureblood= Purosangue nella versione inglese, credo che stilisticamente si sposi meglio o, in definitiva, mi piace di più.
 
“…qualcosa di puramente ornamentale”: con quel ‘qualcosa’ intendo proprio un oggetto.
 
‘’…di farsi guidare dalla cerchia dei migliori’’ : cito involontariamente "La democrazia come violenza’’ di un Anonimo Ateniese che denuncia la violenza della democrazia cioè la possibilità da parte di tutti – quindi ‘giusti’ e ‘sbagliati’ di poter accedere alla gestione dello stato. La politica non è per tutti, ma dovrebbe essere preclusa ‘ai migliori’.

Il ritmo di tutta la OS è volutamente spezzato, cadenzato e confusionario.
 

Note finali:
Ho scritto quesra Os di getto, tardissimo, mentre cercavo di convincere quella sadica di Nuel a non distruggere le mie OTP <3
Credo di avere un sacco di deya vu per quanto riguarda questa Os: leggo molto su Regulus (e sui Mangiamorte in generale) e non mi sembra di per sé una descrizione originale, anzi. Ma ho sempre immaginato così il personaggio anche alla base delle FF che ho letto.
(Appena mi viene a mente qualche OS le credito. In particolare stavo pensando a una ragazza che pubblica su NA, ma adesso non ricordo il nome. Aggiunta:Hikaru Ryu, bravissima, la adoro  ) 
Regulus è una specie di 'eroe' decadente, il volto del milite ignoto, sempre all'ombra del fratello anche se era lui il preferito di casa. Alcune immagini sfumano (la bussola che Sirius gli regala, per esempio), proprio nel tentativo di dare al tutto una specie di atmosfera sospesa. 
Credo che sia una delle cose più deprimenti che abbia scritto ultimamente e credo anche di essere stata criptica, cosa insolita per me. 
Il poco simbolismo (Regulus che alla fine chiamava l'Oscuro per nome, ad esempio) così come il titolo sono un po'... ad cazzum, ma, boh... si è scritta così. Spero che vi piaccia e che non vi deprima come ha depresso me mentre la scrivevo. 
Niente, Note lunghissime. Mi sembra quasi di aver fatto un'analisi testuale ^^'
Love. Lady




 

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Capitolo 4
*** Il tempo è breve; chi insegue l'immenso perde l'attimo presente ***


Seconda Classificata al Flash Love contest  indetto da S.Elric_ 

Pairing:  Alphard Black /Bilius Weasley
Rating: Giallo
Note: Ho usato il diminutivo Bil per Bilius;
 Per il resto, in fondo.
 
 
Il tempo è breve; chi insegue l'immenso perde l'attimo presente

 
 
‘Conoscere l’infelicità
non è spaventoso.
Ciò che è spaventoso è sapere che la felicità perduta
non tornerà più.’

-Matsumoto, Bleach
 
Dalla Torre di Astronomia si poteva scorgere tutto il parco, la foresta, le montagne innevate all’orizzonte che riflettevano le cime nel Lago Nero.
A Hogwarts non c’era luogo che Alphard amasse di più. Era lì che lui e Bilius si vedevano; era l’unico posto in cui si sentiva al sicuro mentre gli posava le labbra nell’incavo del collo, mentre gli scostava le vesti per sfiorargli con i polpastrelli la pelle baciata dalle piccole efelidi che risaltavano sull'incarnato dorato.
Era il loro posto speciale.
Eppure, in quel momento, Alphard avrebbe voluto essere in qualsiasi altro luogo. Ovunque, ma non lì.
Bil lo guardò furioso, trapassandolo da parte a parte, facendolo sentire a disagio; represse a stento la voglia di accartocciarsi su se stesso e sostenne lo sguardo duro dell’altro, scrutandolo torvo di rimando.
“Cosa significa, Alphard?”
La voce di Bilius, solitamente tanto allegra da essere contagiosa, in quel momento scavava la pelle e feriva impietosa. 
“Significa che dobbiamo smetterla di vederci, qui come altrove” rispose e la sua voce gli sembrò diversa, sterile, come quella di un vecchio che non ricordava più i profumi della giovinezza.
Avrebbe passato volentieri la sua vita con un uomo come Bil, con Bil, ma non poteva. Poco meno di un mese e avrebbero terminato gli studi, Alphard avrebbe dovuto fare ciò che i suoi genitori avevano scelto molto prima che nascesse.
Il mondo di Alphard non prevedeva Bil: era un Weasley, un traditore del suo sangue e, soprattutto, era un uomo.
Avrebbero sempre potuto vedersi, ma di nascosto e Bil avrebbe voluto di più. Meritava di più.
“Sapevi che sarebbe arrivato questo momento” disse atono.
Bilius calò le palpebre, scrutandolo da dietro la corona di ciglia scure. “Perché?”
‘Perché i miei genitori vogliono che sposi la figlia dei Selwyn, perché sarebbe un abominio, perché…’ deglutì quei pensieri come se fossero bile. Non c’erano motivi che Bil potesse capire: era solo il dovere verso la sua famiglia a tenerli lontani.
“Mi sono stancato” ribatté gelido e freddo, col chiaro intento di ferirlo e allontanarlo.
I loro sguardi s'incontrarono e Alphard vide in quegli occhi azzurro cielo scattare qualcosa di simile al balenio improvviso di un lume.
Bilius sapeva che stava mentendo, ma non disse nulla; lo fissò amaro, come se lo avesse deluso, poi si voltò senza chiedergli altro, senza pregarlo.
Andò via, lasciandolo lì dove gli aveva sfiorato le labbra la prima volta, proprio in quel punto, sotto il porticato che dava sulla Foresta Proibita.
Alphard rimase a guardare il vuoto lasciato da Bil.
L’aveva fatto e riusciva solo a pensare che non ci sarebbero stati più i baci e le carezze, le risate e le coccole, le giornate insieme e la vita che avrebbe voluto avere con lui, ma che non poteva avere.
Il respiro gli si bloccò in gola. 
Maledisse se stesso, la sua famiglia e quel bastardo che l’aveva lasciato solo, quasi volesse che gli corresse dietro.
 
Vide la sua vita senza Bil...

Senza indugiare ancora, lo fece.

 
[499 parole]
 
Note al testo:
  • ‘Il tempo è breve; chi insegue l'immenso perde l'attimo presente’ è una citazione di Euripide e in larga misura ha ispirato questa Flash, contrapponendosi alla citazione/prompt. Alphard è proiettato nel futuro, quello fuori la scuola e al futuro che non avrà con Bilius. Ma secondo me, in amore vince il presente e le piccole cose che con la persona giusta diventano immenso. Una sorta di ‘Carpe Diem’ [quanto mi sento mielosa <3 ].
  • La Torre di Astronomia è la più alta del Castello, mi sono ispirata alla foto di copertina per l'ambientazione.
 
Note alla storia:

Bilius Weasley è lo zio di Ron, da cui prende il secondo nome. Non sappiamo molto su di lui, solo che ai matrimoni… beh, era l’anima della festa e non si è mai sposato XD È morto per aver visto un Gramo.
Alphard Black è lo zio di Sirius, quello che gli ha lasciato una piccola eredità e per questo, secondo il canon, il suo nome è stato depennato dall’albero genealogico. 
Alphard è un Black, ha dei doveri verso la sua famiglia, la Casata dei Black, un amore omosessuale con un Waesley, un traditore del suo sangue è quanto peggio potesse succedergli… amo questa coppia, praticamente è una mia invenzione e sono convinta che sia canon ^^'
Per una volta sono assolutamente contenta di quello che ho scritto, perché la flash è solo un miscuglio di tante cose e di tante porte che potrebbero restare aperte o che potrebbero chiudersi.
Rifacendomi alla citazione, Alphard non pensa al dolore del momento, ma pensa a tutto quello che non potrà avere e allora, per un attimo o per tutta la vita, decide di muoversi e fare quello che ‘colui che fugge in amore’ spera…  ovvero essere inseguito.

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Capitolo 5
*** Prometeo incatenato ***


 
{Prima classificata al contest "Il peggior giorno della mia vita"
e vincitrice del premio Feels, indetto da Mary Black}
 
Prometeo Incatenato




 
 
« Guardate il dio incatenato e doloroso, il nemico di Zeus, il detestato da tutti gli dei, perché amò i mortali oltre misura »
(Prometeo incatenato, Eschilo)


Negli ultimi cinque anni hai temuto questo momento più di ogni altra cosa. Era inevitabile, eppure hai temporeggiato.
Lui ti ha accolto con un ghigno divertito, come se fossi semplicemente in ritardo per il tè.

 
Profumo di biscotti appena sfornati, il sorriso di Gellert da sopra la tazza fumante e i riccioli biondi illuminati dai raggi del sole…

Sbatti le palpebre.

Gellert è davanti a te, ansimante – un taglio netto sulla mancina che sanguina copiosamente; la Bacchetta nelle tue mani.
Senti i polpastrelli formicolare, ma riesci solo a pensare che Gellert è in ginocchio tra polvere e macerie.

 
Si spinge in te, sussurra e vedi attraverso il piacere.
Vedi le sue parole, la sua visione.
La vedi perché ci credi anche tu.


Gellert ride.
Ride, ride, ride. Ride in modo esagerato e inopportuno – in quello scorgi il ragazzo che è stato.

''Bravo!” La voce! Quella voce ti trascina in un limbo sospeso a metà tra una dolce illusione e la dura realtà della tua esistenza. “Non fare quella faccia. Hai vinto” ride ancora. “Acta est fabula. Plaudite!” È così da lui un'uscita del genere.
In un altro luogo, tempo e vita avresti sorriso per quel tono esultante – un vittorioso sconfitto, ma chi ha perso sei tu.
Lo osservi mentre allarga le braccia per esporre il busto al tuo sguardo.
“Avanti… Che aspetti a uccidermi?” Te lo dice con tono ironico e guarda beffardo il tuo volto stranito. “Non è questo che volevi?”

 
Aberforth sputa insulti e grida contro di te, contro Gellert.
Ariana si tiene la testa tra le mani, dondola avanti e indietro, piange.
Un rumore di vetri e ceramica e il corpo di Ariana è tra cocci sparsi e schegge come spilli sul pavimento.


Senti quel dolore che non ti ha mai abbandonato, che non ti abbandonerà mai, riaffiorare.
Il dolore ti stagna il petto; i singhiozzi si spezzano in gola, la vista ti si appanna.
La vendetta non è quello che vuoi, nonostante tutto.
Gellert lo sa, l'ha sempre saputo e ride crudele, della tua debolezza e della tua colpa. “L'ho uccisa io, Albus”

Bugiardo! È un bugiardo anche quando dice il vero.
Speri che lo dica per sollevarti la coscienza, per ridarti il sonno, ma senti che non è così – lo conosci, sai quello che vuole.
Sollevi la bacchetta ma... Maledizione, non puoi!

 
''Ich liebe dich.''  

“Incarceramus” soffi, senza forze, mentre lacrime amare ti bagnano le gote.

Lo guardi mentre ti osserva sbigottito, arrabbiato.
Vedi funi bianche che si stringono attorno ai suoi polsi – non stai morendo, sei all'Inferno, ma non sei morto.

Gellert è l'unico che è riuscito a metterti in ginocchio anche da vinto.
Un uomo dai sogni sconfinati: tanto forti da illuminare il cielo d'estate, tanto intensi da sacrificare l'intera Europa, tanto grandi che sarai tu, Albus, a portarne il peso.
Lui voleva morire, ma tu l'hai condannato a vivere e così facendo siete perduti entrambi.


Di nuovo.
[477 parole -Utelio]


Lunghissime note al testo:

- Gellert è mancino (per me, ovvio, la mano del diavolo è cosi secsiiii), nel mio headcanon Silente vince la bacchetta ferendogli la mano;

- Acta est fabula. Plaudite! La commedia è finita. Applaudite! (sembra siano state le ultime parole di Augusto) e mi piaceva farle dire a Gellert che sì, secondo me conosce molto bene le imprese dei grandi condottieri del passato, anche se Babbani, e sì, amo la scuola di pensiero che vede in lui un anti -Voldemort (idealista, inopportuno, con la risata sempre pronta);

-Prometeo Incatenato è il titolo di una delle più belle tragedie di Eschilo. Esistono varianti del mito, ma Prometeo è il titano che dona il fuoco divino agli uomini che grazie a questo dono cominciarono a civilizzarsi. La solitudine in catene è la sua punizione, con un'aquila che gli divora ogni giorno il fegato (per gli antichi simboli del coraggio);

- Ho usato frasi brevi e lapidarie (ho notato che nei contest è una mia costante) e molte ripetizioni. Dato che è un esperimento (di solito scrivo in terza persona e al passato) non faccio eccessive note al testo, sperando che arrivi come l'ho inteso in fase di scrittura.

- L'immagine di Gellert che confessa ad Albus di aver ucciso Ariana dopo essere stato sconfitto non è assolutamente originale, ma nelle Grindeldore è il più banale dei cliché.
La mia originalità, se così si può dire, sta nell'aver collocato questo come il giorno peggiore di Albus e non il giorno della morte di Ariana, come in molti potrebbero pensare (tra l'altro era un obbligo del contest)
Credo che questo sia il giorno in cui Albus sente il peso dei sogni di Gellert (che in gioventù ha condiviso) e dei morti, di Ariana in primis – volutamente riprendo dei frammenti dell'estate del 1898- e di quelli che sono venuti poi.
Sarà un giorno terribile perché Albus non riesce a uccidere Gellert che ormai ha perso tutto e vuole morire e lui non può perché lo ama.Lo incatena e incatenandolo, imprigiona se stesso. Entrambi.

- Albus risulta quasi in trance, volutamente meno… Albus, ma comunque credibile: stiamo parlando dell'uomo che ama, se per lui fosse stato facile non avrebbe rimandato il duello per cinque anni.

Ok, spero vi sia piaciuto. Alla prossima
Lady.

 

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Capitolo 6
*** Sogni andati a male ***


Seconda classificata al contest ''Viva la mamma di Nuel'';
Terza classificata al contest ''Un'edita per Serpeverde'';
Quarta classificata al contest ''Make it simple, make it memorable.
 Make it inviting to look at, make it fun to read'' di Stratovella, vincitrice del premio speciale ''Inviting to look'' per il miglior titolo.
 

Sogni andati a male



fan art by WunderVogel

 
I sogni, come gli incubi, sono destinati a divenir leggiadra polvere al tenero e caldo sorgere del sole. 
- Anonimo 

 
 
Merope conservava pochi sbiaditi ricordi di sua madre; ricordava il suono della sua voce mentre le narrava storie che a sua volta aveva imparato da bambina. Parlavano dell'avarizia dei folletti ai danni dei maghi, di streghe che vivevano ai margini di grandi foreste e che usavano la loro furbizia ai danni degli uomini o di sprovveduti Babbani. 
    Essere donna, nella casa dov'era cresciuta, equivaleva a essere una disgrazia inutile; ma le streghe di quelle fiabe erano potenti, astute e soprattutto bellissime coi loro lunghi capelli castani e le labbra rosse come sangue.
    Merope era una Maganò, come le ripeteva almeno una dozzina di volte al giorno suo padre, e non era neanche bella, come le ricordava Orfin con espressione maligna tra un sibilo e una risata gracchiante.
    Calde lacrime scendevano lungo i lineamenti disarmonici di una Merope bambina e avrebbero continuato a scendere durante tutta l'adolescenza, quando le fanciulle sbocciavano come rose di maggio, lei continuava ad avere i capelli stopposi come paglia e i lineamenti duri e marcati. 
    Non c'era magia nella sua vita se non in quei sogni in cui si abbandonava quando, finalmente, riusciva a posare il capo sul cuscino duro e da lì guardava fuori, attraverso il vetro delle finestre. Teneva lo sguardo fisso sulle stelle, cercando quella da cui prendeva il nome. 
    Sognava di essere liberata da un cavaliere che avrebbe ucciso il drago posto a difesa della torre in cui era rinchiusa, immaginava di danzare come una Veela o di essere ammirata e temuta per la sua capacità di distillare pozioni. 
     
“Sudicia piccola Maganò, traditrice del tuo sangue!!” 
Marvolo colpiva sua figlia e lei piangeva e a ogni lacrima la collera dell'uomo cresceva. Sciocca e debole, inutile donna e indegna di essere considerata l'erede di Salazar. 
Orfin rideva con quel suo ghigno storto, gli occhi strabici lucidi dal divertimento.


Una notte, la risata di suo fratello aveva infestato i suoi sogni. La sentiva da lontano flebile eppure insistente, tanto che non riusciva più a immaginarsi con lunghi capelli che si muovevano nel vento mentre camminava sull'acqua, aggraziata come una libellula.
      Aveva cominciato a sentire la risata gracchiante anche di giorno: scandiva il tempo quando la mano di Marvolo calava sul suo viso e Orfin non era in casa, poi, anche nei momenti di quiete, quando la testa le faceva male per le percosse subite e la vista le si appannava. Non riusciva più a distinguere se i suoi incubi fossero reali o sogni andati a male. 
    

 
Aveva i capelli tanto neri e opachi che non riflettevano la luce che filtrava dalle foglie che circondavano la catapecchia dove Merope viveva.
Era fiero ed elegante sul suo cavallo bianco ed era più bello di qualsiasi cavaliere avesse sognato.


Merope aveva smesso di guardare le stelle di notte, ma aveva comunque continuato a guardare fuori dalla finestra. 
    Tom passava vicino casa di Merope ogni volta che andava al villaggio, quindi tutti i giorni. In quei pochi secondi, da dietro le tende logore che dalla cucina davano sul vialetto, Merope osservava il giovane uomo sul suo destriero, desiderosa di scorgere i piccoli dettagli del suo viso. 
    Aveva ripreso a sognare a occhi aperti o chiusi, di giorno e di notte, e la risata del fratello non infestava più i suoi incubi, le percosse di suo padre non facevano più male. C'era Tom con il suo cavallo bianco, Tom che le si avvicinava per cingerle la vita e sfiorarle le labbra dolcemente. 

 
La Babbana aveva le labbra piene e rosse, lunghi capelli dorati che le scendevano in morbide ciocche che le coprivano il seno appena accennato.
Tom le parlava e le sorrideva teneramente, gli occhi scuri che brillavano come stelle.
 Merope non sentiva la sua voce per via della risata di Orfin che le rimbombava nella testa. 


Merope era sola, finalmente sola – libera!
   Si era portata le mani alle labbra per nascondere il sorriso mentre osservava la porta chiudersi alle spalle degli uomini che avevano portato via suo padre e suo fratello. Aveva squittito una risata tremula, poi aveva cominciato a ridere: una risata bassa e poi via via più forte, tanto ruvida da assomigliare allo sferragliare di un treno sulle rotaie. 

 
“Cecilia, tesoro.”

''L'ha chiamata tesoro, quindi non ti vorrebbe comunque!''

“Sudicia traditrice del tuo sangue!”
 
“Soffia, soffia, serpentello”


Merope aveva zittito le voci le voci nella sua testa e abbandonato in un cassetto i suoi sogni di fanciulla. C'era Tom ed era reale, era tutto ciò che desiderava dalla vita. 
     Prima o poi, Marvolo e Orfin sarebbero tornati e Merope aveva deciso di dare uno spintone al destino: voleva Tom accanto a sé e lo avrebbe avuto a qualunque costo.
     Una frenesia mai provata le scivolava nelle vene mentre cercava gli ingredienti con cui avrebbe confezionato la pozione che avrebbe portato Tom tra le sue braccia. Lei era una strega Purosangue, erede della nobile stirpe di Salazar Serpeverde.
Era una strega, nonostante ciò che aveva sempre affermato suo padre, la magia scorreva in lei e avrebbe potuto avere tutto ciò che voleva.

 
Tom la stringeva tra le sue braccia e la cullava dolcemente, 
le baciava le labbra e le accarezzava i capelli. 
La stringeva  facendola sentire protetta, desiderata e amata come mai in vita sua. 


Aveva smesso di sognare, in realtà aveva smesso persino di dormire. Trascorreva ore, intere notti, a osservare il viso perfetto di suo marito e ne tracciava i contorni con la punta di un dito, lieve, per non svegliarlo. 
    Tom aveva le ciglia lunghe che vibravano a ogni suo respiro, le labbra piene e rosee e la pelle pallida anche se con una leggera ombra a scurirgli la mascella squadrata – adorava quella leggera ruvidezza sulla pelle. 
     Ciò che più di ogni altra cosa Merope amava di Tom erano però le sue mani: grandi, con lunghe dita da pianista. Erano delicate e gentili mentre le accarezzavano i seni e il ventre gonfio.
     

 
Tom sarebbe tornato, non era andato via. 
Sarebbe tornato per lei e per il loro bambino. 
Le avrebbe sfiorato con le labbra il collo per poi chinarsi a baciarle la pancia. 
Avrebbero fatto l'amore, sarebbero stati insieme per sempre.
Non era andato via – era solo un incubo, un altro. L'ultimo. 


Sentiva movimenti concitati, i colori intorno a lei che sfumavano l'uno nell'altro insieme alle voci nella sua testa – i volti le danzavano come fiammelle consunte davanti agli occhi e le sussurravano nella lingua dei serpenti. 
    “Avanti, cara, spingi! Forza… Avanti, un bel respiro!” Qualcuno urlava da sopra i sussurri mentre un dolore mai provato le dilaniava la carne. 
    'Tom? Tom, dove sei?' Respirava a fatica e continuava a sentire solo qualcuno che urlava tra i sussurri e mani sottili – Tom?  –  che le premevano il ventre. Credette di urlare e forse lo fece e per un secondo, un secondo soltanto, i sussurri sparirono sostituiti dal pianto vigoroso.

 
“Non ti vorrebbe comunque”

“…traditrice del tuo sangue.”

''Soffia, soffia serpentello”

Stava guardando il suo bambino attraverso le palpebre grevi e stanche – non riusciva a tenerle completamente aperte e ancora stralci di lucidità ed illusione le appannavano la vista. Riuscì comunque a scorgere una zazzera di capelli neri e piccole labbra arricciate e rosee – Tom?
     “Come si chiama?” le chiese qualcuno in quello che doveva essere un sussurro, ma che le arrivò come un grido che le squarciò in due la testa. Si sentiva così stanca, senza forze.
“Tom come suo padre. Marvolo come il mio” sussurrò mentre sentiva che il peso tra le braccia le veniva portato via. “Il cognome dev'essere… dev'essere Riddle. Per favore” sussurrò debolmente.
    “Come si chiama?” Merope aprì gli occhi, riconoscendo la voce di Tom, del suo Tom. Mise a fuoco il suo viso, i capelli neri e il sorriso che gli increspava le labbra sottili e che rendeva il suo viso ancora più bello. 
Tom le allungò la mano e Merope sentì tutta la stanchezza scivolarle via mentre l'uomo che amava le prendeva una mano per portarsela alle labbra. 
    Merope rise mentre Tom le stringeva la vita e la sollevava e la faceva sentire leggera in quella mezza piroetta e le risate e la voce di Tom le riempivano le orecchie. Stava ancora affannando per la risata quando Tom si chinò, avvicinando il viso al proprio e Merope sorrise. 
    Chiudendo gli occhi, si abbandonò a quel bacio. 

 
 
*

Note:
Mi sono resa conto durante la stesura della storia che il personaggio di Merope è più difficile di quanto immaginassi, questa OS mi è costata molta fatica, molti cambi di prospettiva e stilistici.
Ho scelto un'impostazione stilistica particolare, cercando di confondere il lettore nell'inserire il testo rientrato che dovrebbe dare l'impressione degli incubi di Merope o (una volta letto il finale) di quello che prova durante il parto o di momenti salienti che si sovrappongono ai pezzi di quella vita che è allo stesso tempo un incubo e un sogno.
Oppure si possono leggere da soli, come se fossero slegati alla storia. 
Volevo dare un filo narrativo alla storia, pur mantenendo un carattere confusionario e spero di aver raggiunto l'obbiettivo.
Ho potuto scrivere di Merope solo vedendo in lei una persona profondamente disturbata e, alla fine, ho empatizzato molto con lei. Grazie a questa storia l'ho rivalutata. 

Il risultato finale mi piace e sono contenta di aver sperimentato qualcosa di nuovo per me.
  

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