Cookies from Dangerous Feelings

di Opalix
(/viewuser.php?uid=1985)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'agguato del cacciatore ***
Capitolo 2: *** Il rumore delle catene che si spezzano ***
Capitolo 3: *** Passavamo di qui per caso ***
Capitolo 4: *** Una notte, un surfista di Berkeley ***
Capitolo 5: *** Malfoy ***



Capitolo 1
*** L'agguato del cacciatore ***


Questo primo cookie è dedicato a Ryta Holmes che mi ha fatto venire l’idea, con una frasetta che magari non si ricorda neanche, ma non fa niente, me la ricordo io.
Forse molti criticheranno la scelta di piazzare Draco sulla riviera romagnola, ma per fare le cose più realistiche e divertenti, preferisco sempre descrivere luoghi e modi di vita che conosco bene. E poi in DF ho raccontato più volte che Draco è sempre in fuga e ha girato tutta l’Europa.
Buon divertimento!! Un bacio a tutti quelli che mi recensiscono sempre!

L’AGGUATO DEL CACCIATORE

“Al doni at cascan ados da tôti al pèrt.
Sei fasinante, Gig…
Perché te non ci dici micca permetti un ballo
E tot cal sviolinèd aspunèdi che po’ insòma… ‘sa vut mai
Te ti metti contro il muro e spetti…
E po’, sanza ‘na mosa… at lìv’ un oc’.
E le ragazole, i arìvan tot quanti
Ch’i pèran incalamitate.”(*)
Andrea Mingardi e Luca Carboni
“Gig”

Milano Marittima.
Serata invernale. Quasi Natale.
Luci basse e rosate di un pub babbano… locale di lusso della Romagna-bene.
Uomini e ragazzi in giacca stirata e camicia alla moda. Ragazze inguainate in lucidi e stretti abitini da cocktail. Profumi. Capelli arricciati da parrucchieri esperti. Trucco pesante e unghie smaltate. Gambe lunghe e accavallate, mostrate senza avarizia sotto alle aderenti minigonne.
Da far girare la testa. Forse per il profumo intenso e costoso che riempiva l’aria, mescolandosi all’odore acre delle sigarette, forse per lo scintillio di denti sbiancati e orecchini di brillanti, forse per il riflesso satinato della luce sulle collant di Christian Dior… chi lo sa.

Era solo. Seduto ad un tavolino laterale, posizione distrattamente sexy ed espressione intensa… occhi di ghiaccio bollente. Si guardava attorno, cacciatore che sceglie la preda a cui tendere l’agguato. Capelli biondi, sapientemente spettinati da cospicue dosi di gel, pelle chiara, lineamenti mascolini ma non eccessivamente marcati. Mani curate ma non effeminate… anche questo colpiva le donne. E tutte erano pronte a lasciarsi cadere nella rete, come i biscottini nel latte caldo a colazione… Quel viso, quegli occhi, quell’espressione, quel fascino oscuro, a metà tra il lupo solitario e l’angelo caduto… accecate, ecco come le rendeva, semplicemente incrociando i loro occhi con il suo sguardo metallico: assolutamente incapaci di percepire la parola “bastardo” incisa a caratteri cubitali sulla fronte liscia del bellissimo straniero… il classico tipo di uomo che la mamma ti insegna a riconoscere ed evitare fin dalla tenera infanzia…

Un cacciatore non sempre viene per cacciare… a volte vuole solo studiare il territorio, a volte vuole osservare le abitudini delle prede… a volte non trova la preda adatta a lui.
Ma quella sera Draco l’aveva trovata.
Non era una strega ovviamente: tutte le streghe d’Europa conoscevano, almeno per aver visto una sua fotografia, il suo viso. Per questo Draco frequentava locali babbani quando aveva voglia di svagarsi.
Aveva grandi occhi verde-azzurro, con lunghissime ciglia nere. Capelli castani, tenuti sollevati in un elaborato nodo da fermagli di strass, mentre alcune ciocche arricciate scendevano ad incorniciare la fronte. Labbra carnose, sapientemente dipinte dal rossetto color mattone scuro… lineamenti mediterranei, morbidi e dolci… nasino aristocratico, dalla leggera piega all’insù…
La ragazza ruotò agilmente sullo sgabello.
Classe, senza dubbio classe: abito nero, corto, elegante e non appariscente, sdrammatizzato dal pizzo dell’autoreggente, che spuntava malizioso dallo spacco della gonna; fini bracciali d’argento al polso sinistro, mentre a quello destro si attorcigliava una catenella a cui era appesa la borsetta di velluto rosa; stivaletti della stessa tonalità, dal tacco altissimo… su cui dimostrò di riuscire a camminare con grazia e naturalezza, una volta scesa dal suo trespolo per dirigersi al bancone del bar e ordinare un Bloody Mary.
Sola. Espressione disincantata. Aria di assoluta padronanza di sé e della propria bellezza… preda ideale. Il cacciatore non ama mai le prede troppo facili…e una volta individuata quella giusta, inizia a tendere la rete, senza mai perderla di vista.

E finalmente i loro sguardi si incontrarono.
Verde sul grigio. Smeraldo contro acciaio. Un fenomeno di elettromagnetismo… e improvvisamente lo smeraldo inizia a brillare.
Non c’era nulla di interessante quella sera, per lei. Era uscita con degli amici, ma sembravano tutti così noiosi… Il ragazzo nordico in fondo alla sala aveva catturato la sua attenzione; “Sei mia, stasera…” sembravano dirle con sicurezza quegli occhi chiarissimi, baluginanti nella semioscurità come quelli di un predatore notturno. Amava la sicurezza… tutte le donne sono conquistate da un uomo sicuro di sé… iniziò a guardarlo a sua volta, studiando le sue mosse e i suoi lineamenti.

Il gioco degli sguardi… un classico. Come se Draco non sapesse già in partenza di vincere: appena dieci minuti, e già la donna si allontanava dal balcone e si dirigeva verso di lui.
“Posso?” chiese indicando la sedia vuota, di fronte a lui.
Bella voce, morbida e sensuale.
Draco fece cenno di sì, muovendo quasi impercettibilmente la testa, e osservò il movimento elegante delle curve formose, mentre la ragazza si sedeva. Il tintinnio dei braccialetti, il ricciolo che cadeva sull’occhio e la mano che si muoveva veloce a spostarlo, con un movimento fluido, la ventata di profumo… dolce, aromatico…
“Caterina.” mormorò la ragazza con un sorriso, allungando la mano destra verso di lui.
“Draco…” fu la sua risposta, sussurrata sulla mano di lei, prima di eseguire un impeccabile baciamano.
Il sorriso sulla bocca di Caterina si allargò: aveva modi eleganti il biondino, voce profonda e calda… e ancora quegli occhi accattivanti. E quel nome… un brivido lungo la schiena.
“Sei straniero, vero?”
“Inglese.”
“Non sembra… complimenti.”
“Per cosa?”
“L’accento.”
“Grazie.”
Sorso di Martini.
Sorriso.
“Sei un lord?” tentò di scherzare la ragazza.
“Diciamo di si…”
“Oh…”
Sguardo di ammirazione.
“E tu?”
Caterina rise.
“Romagnola doc. Mio padre ha una catena di alberghi ai lidi ravennati. Non sono una lady, io…”
“Potresti esserlo.”
Altro sorriso. Ovviamente non corrisposto: Draco odiava sorridere, lo faceva sentire un manichino.
“Grazie.”

“Come mai in Italia?”
“Affari…”
“E passi le feste lontano dalla famiglia?”
Draco la guardò attraverso il vetro spesso del bicchiere, i suoi occhi emanarono per un istante un bagliore quasi crudele; Caterina sentì una brivido alla base del collo e lasciò cadere il discorso… tutto ad un tratto non era poi così curiosa di sapere i fatti personali dell’affascinante straniero…
La piccola pista da ballo del disco-pub aveva iniziato a popolarsi e il programma della serata prevedeva anche un po’ di latino-americano; sulle note di una languida rumba, Draco fece alzare la bella romagnola e la condusse in mezzo alle altre coppie.
“Non conosco i passi.”
“Si che li conosci…” mormorò Draco guardandola intensamente.
Con abilità la guidò in figure complicate, attirandola, alla fine di ogni giro, sempre più vicina al proprio viso; quando le loro labbra finalmente si sfiorarono, quasi per caso, Caterina si sentì svenire. Era un sogno… chissà perché nella sua mente, i lord inglesi avevano sempre avuto la carica sessuale di un pezzo di ghiaccio. Questo di ghiacciato aveva solo lo sguardo… il resto era… fuoco, tizzoni ardenti.
Ma le labbra di lui, invece di approfondire il contatto si allontanarono immediatamente, per andare a posarsi sul suo collo, e percorrerlo lentamente fino alla sottile spallina dell’abito.

“Andiamocene.” gli sussurrò col fiato corto.
Era impazzita. Quante volte suo padre le aveva detto di non dare confidenza agli sconosciuti? Per un momento si domandò se il ragazzo non l’avesse drogata… non era abituata ad abbordare ragazzi nei pub… era una brava ragazza, insomma! Di solito, prima di concedersi, pretendeva almeno due uscite, una cena a lume di candela, qualche chiacchierata degna di chiamarsi tale… o per lo meno di conoscere il suo cognome!
“Andiamocene, vieni.” ripetè guardandolo negli occhi.
Si… era impazzita. Non c’era altra spiegazione plausibile.
Lui la seguì al tavolo, e la aiutò a indossare il cappotto; poi agguantò la sua giacca di pelle e insieme si diressero verso l’uscita del locale.

“Hai l’automobile?”
“No. Sono in hotel qui vicino.”
“Sali sulla mia.”
Se proprio doveva giocare pericoloso, preferiva farlo in casa. Gli fece cenno di salire sulla sua Celica nera e mise in moto il piccolo bolide. Pochi minuti dopo la macchina era parcheggiata sotto un grande albergo a Lido di Classe; entrarono nella luminosa hall, quasi vuota, e Caterina si diresse sicura verso l’anziano consierge.
“Paolo?”
“Signorina! Buonasera…”
Il vecchio rispose con un dolce sorriso alla giovane figlia del suo datore di lavoro; nonostante si ostinasse a chiamarla signorina, la conosceva da quando era nata, poiché aveva sempre trascorso sei mesi all’anno in quell’hotel, tutte le sacrosante estati.
“Paolo, la camera 42 all’ultimo piano è libera vero?”
“Direi di si… controllo… si.”
“Dammi le chiavi… dai. E…”
“…lo so, lo so: e non dirlo a papà.”
Caterina fece un enorme sorriso.
“Fuori per le otto.”
“Sarà fatto. Grazie Paolo.”
La ragazza gli mandò un bacio sulla punta delle dita e ritornò accanto al gelido straniero, che aveva seguito lo scambio di battute a poca distanza, appoggiato allo schienale di uno dei divanetti rossi. Insieme entrarono nell’ascensore e sparirono dalla vista del vecchietto.

Entrati nella camera, Caterina richiuse a chiave la porta; voltatasi trovò che Draco si era appoggiato al davanzale della finestra e la stava fissando.
“Allora, che programmi avevi per passare la serata?” mormorò il ragazzo con un ghigno sarcastico.
“Non lo so. Tu che pensi?”

La guardava. La guardava e basta. E tanto bastava per farla sentire già eccitata.
Mio Dio, ma chi diavolo sei?!
Si avvicinò a lui con passo lievemente malfermo… perché lui rimaneva immobile? Perché non faceva cenno di volerla abbracciare… se ne stava lì, guardandola solamente, con un’intensità da far accapponare la pelle, ma le sue mani rimanevano testardamente ferme sul cemento del davanzale. Caterina alzò un braccio, quasi timidamente, e gli sfiorò il collo con la punta delle dita… la mano di Draco scattò velocissima a bloccarle il polso. Con forza la attirò a sé e si decise a baciarla, profondamente e a lungo, lasciandola stordita e senza fiato.
“Ma chi sei?!” sussurrò la ragazza contro le sue labbra.
“Tu chi credi che io sia?” fu l’enigmatica risposta.
Caterina si attaccò di nuovo alle sue labbra, facendo scorrere le mani sottili sul petto ampio del biondo; finalmente sentì che anche le mani di lui iniziavano a giocare sul suo corpo, scendendo leggere sulle cosce e sfiorando lentamente il pizzo delle autoreggenti…
“Sei fantastico…”
Per tutta risposta Draco la sollevò da terra con un movimento fluido, come se la ragazza fosse assolutamente senza peso, e la depositò sul letto, schiacciandola poi con il proprio corpo; con infinita sensualità iniziò a far scivolare la spallina sottile dell’abito dalla sua spalla, seguendo il movimento con le labbra, che accarezzavano leggere la pelle morbida… Il biondo riconobbe il profumo della ragazza e avvertì anche la fragranza dolce di una crema idratante; si sollevò, posizionandosi più comodamente al suo fianco e la attirò verso di sé. Con il movimento, la spallina scivolò ancora di più verso il basso, lasciando che una buona parte della pelle candida del seno facesse mostra di sè; le mani esperte di Draco arrivarono alla nuca di Caterina, prendendo a sfilare dolcemente i fermargli luccicanti e lasciandoli cadere, uno a uno, sul copriletto. Pochi minuti dopo la chioma scura e morbida della ragazza ricadevano sulle spalle… profumava di spray per capelli.
Le mani e le labbra di Draco ritornarono ad occuparsi delle sottili spalline dell’abito, continuando a giocare con esse finchè il respiro di Caterina non iniziò ad accelerare… anche le mani di lei avevano iniziato a torturare i bottoni della camicia di Draco, quasi aspettando impazienti il permesso di slacciarli; quando entrambe le spalline scivolarono verso il basso e il vestito nero non fu più una barriera tra loro, la ragazza si sentì libera di eliminare anche l’ostacolo della camicia.
Le mani di Draco erano dovunque… esigenti e appassionate, eppure mai violente… la ragazza non riusciva a smettere di accarezzare la schiena e il petto di lui: aveva il torace scolpito di uno che ha sempre fatto tanto sport, ma la pelle pallida di chi non ama stare ad arrostirsi al sole… un binomio inaspettatamente eccitante.
Caterina riuscì a invertire le parti, facendolo stendere sulla schiena e chinandosi a baciargli il petto; scendendo verso il basso slacciò la cintura e si impegnò a togliergli i pantaloni. Draco si sollevò sui gomiti a guardarla e lei si rese conto che addosso le erano rimaste solo le calze autoreggenti e il perizoma nero… istintivamente portò un braccio sul seno nudo e si lasciò sfuggire un sospiro di eccitazione. Si avvicinò di nuovo a lui che, gentilmente, spostò il braccio dalla pelle candida dei seni e piegò la testa per baciarli con avidità… Caterina chiuse gli occhi e affondò le dita nei capelli biondi del partner, godendo appieno di quelle sensazioni meravigliose.
E fu di nuovo Draco a prendere il controllo della situazione, costringendola sul letto, sotto di sé e liberandola dagli ultimi pezzi di stoffa… anche i suoi boxer volarono sul pavimento, poco dopo, sfilati dalle mani della donna, ormai impaziente.
Caterina allungò il braccio verso la borsetta appoggiata sul comodino e vi rovistò dentro alla cieca, senza smettere di baciarlo; con un po’ di imbarazzo gli mise in mano un profilattico e lo guardò esitante… non aveva perso la testa del tutto, in fondo.
Draco sogghignò: non avrebbe accettato di interrompere un gioco così coinvolgente, rischiando di rovinare tutto. Rimise il piccolo incarto nelle mani della ragazza e con un movimento veloce si rivoltò sulla schiena portandola sopra di sé. Caterina capì e sorrise: lentamente scivolò verso il basso, baciando ogni centimetro della pelle del ragazzo… arrivata a destinazione, strappò l’involucro e infilò il preservativo con movimenti e carezze sensuali. Si ritrovò, se possibile, ancora più eccitata di prima; risalì, fino a ritrovarsi il viso di lui all’altezza del collo e, mentre chiudeva gli occhi assaporando la sensazione della sua lingua sulla pelle sudata, lo fece entrare dentro di sè.
Il movimento di Caterina sul corpo di lui era lento e dolce, e seguiva il ritmo dei suoi sospiri di piacere… ma Draco era arrivato al punto di volere molto di più: senza staccarsi da lei, capovolse di nuovo le parti e cominciò a dettare un ritmo più sostenuto. La ragazza gridò di piacere, colta alla sprovvista, e cominciò ad ansimare con molta più forza. Dopo un imprecisato numero di lunghissimi minuti sollevò il viso arrossato verso di lui e catturò le sue labbra in un bacio appassionato; quando il piacere che provava raggiunse il suo apice, non riuscì a fare a meno di mordere il labbro inferiore di Draco, anch’egli prossimo al capolinea.
Draco ricadde sfinito su di lei, senza emettere un suono; gocce di sudore impregnavano i biondi capelli ribelli e bagnarono anche la fronte di Caterina, quando lei si sollevò leggermente per baciarlo.
Il cacciatore rispose al dolce bacio della sua preda, ma si staccò da lei quasi subito, alzandosi per dirigersi verso il bagno, dove si concesse una lunga doccia. La caccia era finita, la preda era stata catturata.

********
Draco guardò con indifferenza la donna addormentata al suo fianco, nuda sotto il lenzuolo, con quell’aspetto sbattuto e scarmigliato, ma allo stesso tempo incredibilmente sexy, che solo una donna che ha appena finito di fare l’amore riesce ad assumere. Aveva rimesso i pantaloni e ora se ne stava seduto, appoggiato alla testiera del letto, bevendo un whisky babbano che aveva trovato nel frigobar.
Il profumo costoso di Caterina era ancora percepibile, mescolato a quell’odore inconfondibile che rimaneva sempre nell’aria dopo un incontro di passione. Era stato… coinvolgente. Draco dovette ammetterlo… proprio un ottimo modo di passare una serata… Seccò l’ultimo sorso di whisky, facendo tintinnare leggermente il ghiaccio nel bicchiere, e rivolse la sua attenzione al foglietto di carta posato sulla sua coscia; fece ondeggiare per qualche minuto la penna tra il pollice e l’indice, come a cercare ispirazione, con la nuca appoggiata al muro freddo e la fronte aggrottata. Scrisse di getto poche righe, piegò il biglietto in quattro e lo lasciò cadere sul cuscino, accanto al viso della ragazza, con un sorriso soddisfatto, ripensando a quello che aveva scritto.

Una pioggia di fuochi d’artificio nella notte più scura… così sarà il ricordo di questa notte da sogno nella mia mente… Addio. D.

Sono un mago…ironizzo mentalmente.
La ragazza sarebbe stata presa da un attacco di romanticismo, leggendo un tale biglietto al suo risveglio, si sarebbe sentita eccitata e avrebbe sospirato sognante all’idea di un amante sfuggente e sconosciuto, al pensiero di essere stata scelta per quella notte come preda di un misterioso principe straniero… e sarebbe riuscita a passare sopra alla realtà nuda e cruda, di essere stata usata e scaricata. Nel giro di poche ore. Come ultimo tocco di classe, fece apparire dal nulla un fiordaliso azzurro intenso e lo posò sul biglietto.
Si alzò in piedi, senza svegliarla, infilò la camicia e la riallacciò con calma, senza distogliere gli occhi dalla sagoma di Caterina… si guardò per un secondo allo specchio e si sistemò i capelli biondi, lunghi fino alle orecchie: era inutile, lo sapeva che così diventava monotono, ma proprio non gli piacevano corti e non aveva voglia di farseli crescere come quell’arretrato di suo padre.
Dopo essersi assicurato di non aver lasciato in giro alcun segno della propria presenza, a parte il fiore e il pezzo di carta, lanciò un ultimo sguardo alla bella addormentata pensando che sì, aveva proprio buon gusto, e si smaterializzò.

FINE

(*) Traduzione del testo di “Gig” per i profani del dialetto bolognese:
“Le donne ti cascano addosso da tutte le parti.
Sei affascinante Gigi.
Perché te non le dici mica permetti un ballo
E tutte quelle sviolinate insaponate che poi, insomma… cosa vuoi mai…
Te ti metti contro al muro e aspetti.
E poi senza una mossa tiri su un occhio.
E le ragazze, arrivano tutte quante
Che sembrano attirate da una calamita.”
Un grazie al mitico Mingardi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il rumore delle catene che si spezzano ***


Dopo il primo cookie dedicato a Draco, mi sembrava doveroso scrivere qualcosa anche su Ginny, e questo è quello che sono riuscita a partorire. Visto che la situazione in DF si sta facendo critica ho pensato di regalarvi qualcosina di meno angosciante. In più volevo farvi questo regalino per farmi perdonare di quanto vi ho fatto aspettare per il chap 19… chiedo di nuovo perdono, e grazie a chi l’ha recensito!
La dedica questa volta è al mio elfetto personale Klaretta. Lo so che te ne avevo promesso un altro, ma l’ispirazione non è controllabile… spero che ti piaccia lo stesso!
E una dedica aggiuntiva a tutti quelli che, come me, si sentono un po’ come Ginny, e per i quali nulla ha valore quanto la libertà di essere se stessi.

IL RUMORE DELLE CATENE CHE SI SPEZZANO

Scavalcò il davanzale della finestra e rimase seduta, aspettando… dondolava svogliatamente un piede nel vuoto. Le nuvole che durante il giorno avevano fatto cadere più di un metro di neve si stavano ritirando, piano piano… gli alberi sembravano sagome scure su quello sfondo azzurrino e conferivano al paesaggio buio un aspetto lugubre, grottesco. Persino le orme del cane sul manto bianco parevano un po’ minacciose… ma lei non sembrava curarsene, non la impressionavano. Anzi… sorrideva ironicamente all’idea che questo mondo volesse in qualche modo darle un addio quasi triste… quasi offeso dal suo desiderio di lasciarlo.
“Piangi stupido pianeta” pensò con amarezza “non saranno certo le tue lacrime di ghiaccio a costringermi a restare.”
Finalmente uno spicchio di luna apparve dietro alle nubi scure… poi salì e si mostrò in tutta la sua bellezza del plenilunio.
La ragazza si assestò più comodamente, gettò indietro i capelli lunghissimi e attese, cercando di rilassare i muscoli; uno dei raggi lunari, che si riflettevano sui cristalli di neve cominciò a prendere un aspetto fumoso, opaco… lentissimamente le spirali di fumo iniziarono ad unirsi, finchè il raggio non divenne qualcosa di incredibilmente solido, come se la luce della luna si fosse congelata. Appoggiò un piede sul raggio, poi l’altro… si alzò e, senza guardarsi indietro, cominciò a camminare, finchè la sua sagoma non scomparve nell’ombra del Mare della Tranquillità.

Ginny si svegliò infreddolita: si era addormentata di nuovo alla scrivania. Si alzò in piedi e si affacciò alla finestra scrutando le ombre notturne del giardino alla luce della luna piena; era caldo… bè, era Luglio... la sensazione di freddo doveva derivarle dal sogno.
Ancora sogni… questa volta c’era la neve (perché poi doveva sognare la neve a Luglio…mah)… e questa volta la ragazza se ne andava con l’aiuto di una strana magia… che probabilmente nemmeno esisteva. Ma come sempre la ragazza se ne andava. Non ricordava quando aveva iniziato a fare quei sogni strani… probabilmente li aveva sempre fatti; a volte erano realistici, e la ragazza se ne andava su un treno o volava via su una scopa… altre volte erano completamente assurdi e prendevano spunto da quei libri fantasy che aveva iniziato a leggere ultimamente: “Le nebbie di Avalon”, “Il pozzo della Luna”, “Il racconto della maga”… tutti libri babbani. Liberavano la mente, erano divertenti.
Nei sogni non vedeva mai il viso della ragazza… non che ne avesse bisogno, chi mai poteva essere se non lei stessa… era lei che sognava di andarsene, era lei che non sopportava più quella stupida e piatta vita.
Tese l’orecchio e captò il ritmico russare di Ronald nella stanza accanto (sembrava un maiale, l’idiota… gliel’aveva anche detto una volta)… risate sommesse dalla stanza dei gemelli (ma non dormivano mai quelli!?)… la porta sul retro che si apriva: Bill, che probabilmente ritornava in quel momento dopo essere uscito con Fleur. Era tutto così prevedibile in quella casa, tutto così… piatto. Dalla finestra aperta giungeva il monotono cigolio dell’altalena sul retro, che dondolava pigramente nel vento caldo di quella notte estiva... Il fruscio delle larghe foglie del platano faceva nascere pensieri incoerenti nella sua mente inquieta: il grande albero le appariva ora come un enorme essere vivente, lamentoso… come in fin di vita… chissà cosa voleva dirle quel continuo mormorare delle foglie che sfregavano tra loro? Chissà quali segreti le sussurrava il vento, servendosi di quel grande strumento musicale, pur sapendo che lei non poteva capirlo?
Ginny scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli… erano lunghi fin sotto al sedere, di un brillante rosso scuro… sarebbero stati mossi se il peso, e la sua abitudine a tenerli quasi sempre legati, non li costringessero a stare dritti… li odiava. Odiava sua madre per la sua ostinazione a non permetterle di tagliarli, odiava quel cretino di Charlie per quella sua mania di accarezzarle la chioma, quasi fosse una bambola, e ripeterle che era bellissima… per lei erano orribili. Si incagliavano dappertutto, le davano un’aria smorta e triste da Maddalena pentita, erano pesanti… e soprattutto erano tanti, tanti e lunghi… la coprivano. Ecco qual’era il punto: quella specie di tenda vermiglia non faceva altro che nasconderla… non contava nemmeno farsi le trecce, perché comunque tutti notavano quelle due lunghe corde color rubino prima del suo viso, del suo corpo… prima di lei; le trecce erano un appiglio semplice per chi voleva prenderla in giro, e una specie di calamita per i complimenti idioti…
Sollevò la criniera (o la pelliccia, come la chiamava lei quando aveva caldo) per cercare di far arrivare un po’ d’aria alla nuca sudata e sentì i passi del fratello fermarsi davanti alla sua porta solo accostata; l’andatura di Bill era inconfondibile, perché ad ogni passo i piccoli speroni dei suoi stivali emettevano quel tintinnio argentino, estremamente snervante.
“Piccola, che ci fai ancora sveglia?” sussurrò il ragazzo scostando leggermente la porta di legno.
“Non dormo.” fu l’infastidita risposta.
“Questo lo vedo… che hai? Stai male?”
No cazzo, non ho voglia di dormire, ok? Devo fornire giustificazioni anche per questo?!
“Ho caldo.”
“Eh già… dai, vai a letto.”
Vai a letto tu e smettila di rompere...
“Buonanotte Bill.”
“’notte, piccola. Sogni d’oro.”
La porta si richiuse.
Merlino grazie… razza di ficcanaso invadente… chissà se la smetterai mai di trattarmi come un animaletto di Swarovski…
Ginny osservò il diario aperto sul tavolo… stava scrivendo prima di addormentarsi ed entrare in quell’inquietante sogno. La data del giorno dopo era segnata con una bella X celeste… era “il giorno”, il giorno in cui avrebbe parlato con sua madre, approfittando dell’assenza dei fratelli… tutti i fratelli… che se ne andavano a vedere una partita di Quiddich. Avrebbe sfruttato quel momento di relativa pace per metterla al corrente dei suoi progetti, ora che aveva finito la scuola finalmente… e aveva scelto proprio quel giorno per evitare di dover affrontare l’ira di sette o otto persone contemporaneamente, invece di una soltanto. Certo, prima o poi avrebbe dovuto scontrarsi anche con loro ma…
Un passo alla volta, Gin… essere uccisa dai tuoi fratelli non sarebbe utile per ottenere quello che desideri. Meglio prima affrontare solo la mamma…
Non che la cosa non fosse ugualmente spaventosa… come minimo avrebbe preso qualche schiaffo. Questo era poco ma sicuro: Molly Weasley era un madre particolarmente nervosa e manesca nei confronti dei suoi pargoli. E sentire la sua figlia minore esprimere il desiderio di andarsene, non solo da casa, ma addirittura dal paese… no, di certo non l’avrebbe indotta a trattenersi.

“C’era in loro qualcosa che mi spingeva a tenermi alla larga, lontana dal fascino della loro vita sedentaria e dalla loro dorata stupidità.”
Tanith Lee
“Nata dal vulcano”

Circa un mese dopo

Ginny si stese sul letto sfondato e polveroso che le era toccato occupare da quando aveva iniziato a lavorare al Paiolo Magico, come cameriera. Sua madre probabilmente ora già sapeva che non era a casa di Hermione… dove in teoria avrebbe dovuto passare le vacanze… non aveva ben capito se i suoi avrebbero voluto mandarla a Londra come punizione per la sua sfacciataggine, o per cercare di rabbonirla con una economica vacanza tra i babbani… mah… Fatto sta che non ci era andata. E non si era nemmeno presa la briga di chiedere a Ron e alla sua fidanzatina di coprirla… tanto non l’avrebbero fatto. Che pensassero pure quello che volevano, anche che fosse morta, per quello che gliene fregava. Se anche fossero capitati alla locanda probabilmente non l’avrebbero riconosciuta, tanto erano abituati a vederla come la dolce bambina dalle trecce più lunghe di lei… Si era tagliata i capelli; era stata la prima cosa che aveva fatto appena preso possesso del suo stanzino di servizio (per inciso, più adatto a una scopa che a un essere umano): si era messa davanti allo specchio del bagno, con due grosse forbici da sarta e ZAC!... a livello delle scapole. Era stato come tagliare un pezzo di se stessa… cioè, tecnicamente aveva davvero tagliato un pezzo di se stessa… ma nel senso figurato dell’espressione la cosa assumeva risvolti psicologici non indifferenti (anche fisici… avete idea di quanto possa pesare una chioma lunga fino culo!?!). Poi, con i primi soldi che aveva guadagnato, era andata da un parrucchiere babbano di Londra e se li era fatti sistemare a regola d’arte; era uscita dal salone con una leggera corona di riccioli morbidi, lunghi fino alle spalle. Il parrucchiere aveva adoperato una lozione (lozione, non pozione) strana per mettere in risalto il naturale riflesso color rubino della sua capigliatura, regalandole come minimo tre anni in più di quelli che dimostrava prima… e siccome quelle trecce idiote non facevano altro che darle un’aria da eterna scolaretta, si può dire che alla fine dimostrava esattamente l’età che aveva: 17 anni. Un discreto bocconcino diciassettenne, a voler essere onesti.
Guardò l’orologio: mancavano dieci minuti all’inizio del suo turno. Sospiro di rassegnazione… non sarebbe stato un pessimo lavoro quello della cameriera, se almeno non avesse incontrato maghi, maghi, esclusivamente maghi dalla mattina alla sera… una palla tremenda.
Si decise ad abbandonare il materasso (scomodo, ma meglio di niente) e scendere nelle cucine. Legò il grembiule azzurro attorno alla vita e aspettò pazientemente…
“Ginny!”
No, mi correggo, NON aspettò l’urlo del vecchio proprietario che la richiamava a rapporto.
“Siii…”
“Quattro té caldi alle signore là in fondo e due Whisky Incendiari ai ragazzi del 5. Veloce!”
“Volo…” rispose ironicamente.
Se non fosse che in fondo in fondo so che mi adori, e che mi metti sempre un paio di galeoni in più nella paga settimanale, vecchio lumacone inacidito… te lo direi io dove devi andare… veloce…
Ginny lasciò le quattro tazze di tè alle quattro streghe (o meglio ai quattro spaventapasseri) del tavolo 12 e corse dietro al banco per versare due bicchieri di Whisky; col vassoio in precario equilibrio su una sola mano, fece un rapido slalom tra i tavoli per raggiungere il numero 5. Occupata com’era a non rovesciare nulla e, soprattutto, a non incrementare la popolazione di lividi bluastri che le fioriva sulle anche ogni sera, a forza di sbattere sugli spigoli dei tavoli di legno, non si rese conto di chi esattamente fosse seduto al tavolo numero 5.
“Ecco a voi.” disse allegramente, senza guardare in faccia i ragazzi.
“Ma guarda che deliziosa cameriera…” disse una voce strascicata.
Ginny alzò la testa e la rispostaccia, già in dirittura d’arrivo, le morì sulle labbra alla vista del ragazzo seduto alla sua destra. Capelli scuri, occhi azzurro intenso, lineamenti virili caratterizzati dal curato pizzetto, e addolciti da un sorriso ironico ma non troppo e da un lampo di ammirazione nello sguardo… come cavolo si chiamava quella visione? Cazzo, non aveva memoria per i nomi… aveva un anno in più di lei, era a Serpeverde di sicuro… dai Ginny!
“Ti do una mano, Weasley… N…” la stava prendendo in giro; a quanto pare lo sforzo mnemonico doveva essere palese.
Nott!! Theodore Nott!! Accipicchia che lusso… non solo il cognome, anche il nome si era ricordata!
“Salve Nott...”
Doveva essere gentile? Doveva rispondere alla provocazione? Doveva allontanarsi il più in fretta possibile? Tutti pensieri che la sfiorarono DOPO aver pronunciato quel saluto… una Grifondoro che saluta gentilmente un Serpeverde, roba da matti…
“Complimenti Weasley… sono lusingato, ma non era necessario farti esplodere il cervello per me…”
Di nuovo quel lampo di ammirazione… Ginny fu improvvisamente conscia dei suoi jeans aderenti e malandati, a vita bassa (molto bassa… troppo bassa…) e del suo vecchio top rosso fragola, che a malapena copriva lo stomaco… il grembiulino era corto, come una minigonna… Ginny si portò una mano ai riccioli e prese a tormentarne uno, senza distogliere lo sguardo da quegli ammiccanti occhi blu.
“Weasley, per quanto mi rincresca interrompere la tua esibizione, io e Nott stavamo parlando… si suppone che una cameriera lasci la consumazione e si allontani…”
La rossa scosse la testa, ripigliandosi al suono di quella voce familiare. L’altro ragazzo, quello alla sua sinistra, che non aveva nemmeno notato, aveva parlato con tono irritato da dietro una copia della Gazzetta del Profeta. Il giornale si abbassò quel tanto che bastava per rivelare una zazzera biondo platino e due occhi grigi, dall’espressione corrucciata e infastidita.
Malfoy.
Arrossì furiosamente e fece un passo indietro; mormorò un imbarazzatissimo “Scusatemi…” e scappò via veloce.
Per tutto il tempo che occuparono quel tavolo, i due ragazzi discussero animatamente… ad un certo punto Ginny li vide quasi litigare. Malfoy se ne andò dal locale sbattendo la porta, senza degnare di no sguardo nessuno dei presenti. Nott si fermò a pagare alla cassa e lasciò anche una bella mancia, salutando la rossa con un bel sorriso. Dopo quel giorno Ginny non rivide nessuno dei due per molti anni…

Parla Ginny:
Molto molto tempo dopo avrei ricordato quell’episodio con un sorriso ironico… quel giorno non avevo nemmeno “notato” quello che poi sarebbe divenuto il mangiamorte più famoso d’Europa… quel giorno non avevo compreso il motivo del litigio tra quelli che un tempo erano amici… i due serpeverde più ammirati di Hogwarts. Alla luce degli eventi che poi si sarebbero verificati, non è poi così difficile immaginarlo: Nott si sarebbe distinto come ottimo auror… Malfoy…

La Tana, fine agosto.

“Mamma, non aprire nemmeno la bocca… so cosa vuoi dire…”
Ginny aveva parlato senza nemmeno sollevare la testa dalla valigia appoggiata sul letto, che stava riempiendo nervosamente con ogni sorta di abiti e cianfrusaglie; aveva solo sentito la porta della sua stanza aprirsi e non aveva nemmeno lasciato il tempo all’intruso di aprire bocca. Il problema di fondo era che “l’intruso” non era certo qualcuno che si lasciava intimidire…
“No, Ginevra Weasley… adesso tu mi ascolterai, e vedi di aprire bene le orecchie perché non sai nemmeno la metà delle cose che voglio dirti!”
Il tono di Molly non era certo di quelli che ammettevano repliche, ma anche la pazienza di Ginny era già andata a farsi benedire da un pezzo…
“E l’altra metà non mi interessa, mamma!” disse stizzita.
Un ceffone le arrivò fulmineo, prima ancora che potesse terminare la frase, lasciandola sorpresa e intontita; Molly Weasley non era certo una madre contraria alle punizioni corporali, ma Ginny, unica femmina della famiglia e “cocca del papà”, aveva avuto meno occasioni dei fratelli di sperimentare i noti “schiaffoni Weasley”… diciamo che non ci aveva proprio fatto il callo.
“E invece tu mi ascolterai, ragazzina! O ti farò passare quell’atteggiamento strafottente a suon di sberle!”
“Mf…” mugugnò la ragazza, massaggiandosi la guancia… cazzo, che manata…
“Ascoltami attentamente Ginny, perché non lo ripeterò due volte: tu andrai a restituire quel biglietto domani stesso… poi tornerai a casa di corsa e ti riterrai in punizione fino a data da destinarsi! Hai una vaga idea di come ho passato le ultime settimane non sapendo dov’eri?! Sei una sconsiderata! Ora togli quella roba dalla valigia e vieni a preparare la cena!”
“No.”
Molly guardò la figlia con gli occhi spalancati per lo stupore.
“No?”
“No.”
“Forse non sono stata abbastanza chiara: non-era-una-domanda! Domani andrai a restituire il biglietto, è un ordine! Tu non ti muoverai da questa casa per nessun’altra ragione!”
“E chi me lo impedirà?”
“Io. Dovessi anche legarti… tu non te ne andrai da qui, da questo paese!”
“Ah si? E perché?”
“Perché lo dico io! E sono tua madre!”
“Non è una ragione!”
“Oh, si che lo è, Ginevra! Tu obbedirai… e lo farai anche senza fiatare… te lo garantisco!” urlò mamma Weasley uscendo dalla stanza e sbattendo la porta alle proprie spalle.

“Io me ne vado.”
Ginny si era presentata in cucina, dove tutti stavano per mettersi a mangiare, con la grossa valigia in mano e la borsetta a tracolla; aveva un’espressione decisa e sicura, non sembrava minimamente preoccupata di quello che gli altri avrebbero potuto dire o fare.
I ragazzi Weasley la guardarono con tanto d’occhi… Molly si alzò in piedi e puntò sulla figlia uno sguardo inceneritore.
“Non sono stata abbastanza chiara Ginny?” chiese trattenendo a stento la stizza.
Ginny sostenne lo sguardo di sua madre.
“Sei stata cristallina mamma… sono io che forse non mi sono spiegata bene: non ti ho mai CHIESTO di lasciarmi andare.”
“Non sei in condizioni di prendere decisioni!”
“E perché? Sono maggiorenne. Non ti ho chiesto soldi e non te li chiederò. Perché non dovrei prendere una decisione…”
“Perché sei mia figlia, per Merlino!”
“Sono tua figlia quando ti fa comodo! Quando devo pulire le stanze dei tuoi figli sono la loro sorella, quando bisogna tenere compagnia a Hermione mentre Ron gioca a quiddich, sono sua amica, poverina… mi sono rotta le palle di fare sempre quello che volete voi! Voglio andarmene e me ne andrò! Farò esattamente quello che voglio!”

…“Ginny che cazzo stai dicendo?”
“Ginny piantala!”
“Ginny!”
“Ginny non pensarci neanche!”…

Tutte le imprecazioni dei fratelli arrivarono alle orecchie di Ginny come attutite dalla nebbia… ormai era abituata a “chiudere l’audio” con loro… di norma ascoltava le loro voci per un massimo di due minuti, poi ritornava a pensare ai cavoli suoi. La lotta era tra lei e sua madre, che si guardavano in cagnesco dai due lati opposti della tavola… uno scontro di due volontà focose e testarde… e Ginny vinse.
“Se te ne vai da questa casa, Ginny… puoi anche non tornare mai più!” urlò Molly.
La ragazza rimase a fissarla per un breve istante, poi si chinò, raccolse la sua valigia, e si avviò faticosamente verso la porta. Nessuno fiatò. Nessuno la salutò. Nessuno tentò di fermarla. Lo sguardo triste e amareggiato di suo padre la seguì per tutto il tragitto dal tavolo alla porta.
Uscì. Si appoggiò al muro di fianco all’ingresso e ingoiò le lacrime di amarezza. Non avrebbe pianto… non avrebbe dato loro quella soddisfazione. Non avrebbe più pianto per loro. Mentre si ricomponeva e tentava di afferrare bene la valigia per dirigersi meno faticosamente verso il paese più vicino, dove avrebbe preso una corriera per Londra, la porta di ingresso si spalancò e si richiuse; Ginny non alzò la testa, sapeva chi era.
“Dove credi di andare?” mormorò una voce tagliente.
“A vivere, Ron.”
“Che significa?”
“Significa che voglio una vita diversa da quella che voi avete progettato per me… voi! Anche tu! Proprio tu…” Ginny inghiottì a vuoto “Torna in casa Ron… lasciami partire, arriverò in ritardo.”
“Ginny è questa la tua vita! Perché vuoi scappare?! È questo il tuo mondo, non lo capisci!” Ron aveva iniziato a urlare.
“No. Questa è la tua vita. E te la puoi anche tenere per quel che mi riguarda… ma io non posso accettarlo. Una volta mi avresti capita Ron…” disse Ginny amaramente.
“Ma cosa c’è da capire, Cristo santo! Non c’è niente per te nel mondo babbano… iscriviti al corso da auror se non ti piace fare la guaritrice! Ma rimani qui! Cosa credi di fare andandotene?! C’è una guerra Ginny! E tu pretendi di andare a giocare alla babbana, facendo cose che non conosci solo per divertirti! Alla fine dovrai tornare qui… e fare quello che devi! Perché vuoi sempre fare la ribelle! Io non ti riconosco più!! Pensavo ti importasse qualcosa di noi! Che cosa pensi di ottenere, eh? I tuoi amici sono qui!”
“No Ron… i miei amici non sono qui… lascia perdere, torna in casa, è troppo tardi.” sussurrò la rossa tormentandosi un ricciolo con le dita.
“Ma come fai a essere così ostinata!! È solo un capriccio!”
“Torna dentro Ron.” Ginny tentò di dargli un bacio sulla guancia, ma il ragazzo si scostò velocemente; la rossa chinò la testa, perché i capelli nascondessero la sua delusione, e mormorò un saluto quasi incomprensibile. La porta si chiuse con un colpo secco e Ginny rialzò la testa.
Guardò verso la strada bianca… in lontananza si vedevano le case del paese più vicino… da lì sarebbe iniziata la sua nuova vita… da li sarebbe iniziato il suo viaggio… oh si, l’avrebbe ripercorsa un giorno quella strada, in senso contrario… ma prima… c’era il mondo ad aspettarla.

Il sole picchiava caldo in quel pomeriggio di fine Agosto. Una ragazzina dai capelli rossi camminava faticosamente sulla strada, trascinando una grossa valigia. Era sola… ma c’era un sorriso sulle sue labbra. C’era una luce dorata nei suoi occhi. C’era una vita intera ad aspettarla… alla fine di quella strada.

“Una brezza ardente mi bruciava il volto nudo, agitando le ciocche dei miei capelli. Sono sola. Non ho nessuno accanto a me. […] Ma ho me stessa. Finalmente ho me stessa. E in questo momento mi sembra abbastanza. E molto, molto di più.”
Tanith Lee
“Nata dal vulcano”

*******************

Non è nulla di eccezionale… solo un insieme di immagini e scene che mi sembravano carine. All’inizio era partito come divertente, poi si è trasformato in qualcosa di un po’ malinconico, spero che vi sia piaciuto comunque!!
Un bacio a tutti!
Opy

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Passavamo di qui per caso ***


Per l’ultimo capitolo di LFF dovrete aspettare qualche altro giorno, non sono ispirata… intanto vi faccio questo regalino… niente di che, solo un escursus sul “pomeriggio tipo” dei nostri amici Slytherin, il sesto anno ad Hogwarts. Per chi ha già letto il Principe sarà una Alternative Universe. Mi dispiace ma l’avevo già in mente da un pezzo e mi piaceva così tanto che mi dispiaceva non pubblicarla.
Il titolo è ispirato ad una battuta del film “Lo chiamavano Trinità” e, come potrà vedere chi magari ricorda quel fantastico western, anche altre parti della storia sono ispirate ad esso e al suo seguito, “Continuavano a chiamarlo Trinità”.

La dedica… vediamo… direi che, visto l’argomento, la dedica più appropriata è rivolta alle lettrici affette da mangiamortite in fase terminale: Saturnia ed Euridice, un bacio!

PASSAVAMO DI QUI PER CASO

-Salve! È il Signore che vi manda!-
-No… passavamo di qui per caso!-
Dal film “Lo chiamavano Trinità”

Dolce far niente.
Il sesto, l’anno più tranquillo… l’intermezzo pigro e rassicurante tra i temibili “anno dei GUFO” e “anno dei MAGO”.
Dolce, rassicurante… far niente.

I tre ragazzi si diressero pigramente verso un grosso albero, ai margini della Foresta Proibita; le loro scarpe di costosa pelle di drago calpestavano svogliatamente il prato verde, illuminato dal sole primaverile. Una giornata ideale per riposare apaticamente all’ombra delle foglie di quercia, mentre un venticello profumato di erica accarezzava la pelle dei loro avambracci muscolosi, scoperti dalle maniche sollevate della camicia… le cravatte verdi e grigie erano allentate, in modo sexy e disinteressato, e i mantelli scuri erano appoggiati distrattamente su una spalla.
Un sospiro rapito si sollevò da un gruppo di ragazzine del quart’anno, sedute sulla riva del lago, tra fogli di pergamena accartocciati che, certamente, non erano pieni di compiti; uno dei ragazzi gettò uno sguardo nella loro direzione, concedendo alle ragazze un sorriso seducente e socchiudendo gli occhi turchesi al riflesso del sole sull’acqua… gli altri due proseguirono senza voltarsi, forse troppo pigri per girare la testa, forse troppo superiori per accorgersi di quelle occhiate semplicemente… adoranti.
Il ragazzo che si era voltato, il più alto dei tre, si lasciò cadere contro il tronco del grosso albero e si stiracchiò con enfasi, facendo attenzione a non sgualcire troppo la costosa camicia; gli altri due stesero i mantelli sul prato e vi si accomodarono sopra, sbadigliando…
Erano belli. Semplicemente belli… ragazzi nel fiore della loro giovinezza, germogli rigogliosi dell’albero delle Serpi.
Il ragazzo biondo si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli: sottili fili dorati crollarono morbidi sulla sua fronte, riflettendo un timido raggio di sole filtrato tra le fronde della quercia.
L’amico si accomodò meglio contro il tronco dell’albero e fissò il biondo con fare pensieroso.
“Dovresti deciderti, Dra… o li tieni lunghi una volta per tutte, o te li tagli. Non ha senso quella mezza misura.”
Il biondo accarezzò lievemente i ciuffi biondi che erano caduti a celare due penetranti occhi grigio ghiaccio: il taglio dei suoi capelli era irregolare, scendeva di poco sotto le orecchie, e sembrava essere volutamente spettinato, regalando ai suoi lineamenti aristocratici una parvenza di trasandatezza; Draco “angelo dannato” Malfoy scrollò le spalle con indifferenza.
“Mi piacciono così.”
“Piacciono a te o sono un buon appiglio per Pansy?”
La voce pigra che aveva formulato l’ultima, provocatoria, domanda, proveniva dalle labbra ben disegnate del terzo Serpeverde, già disteso in una posa di assoluto relax, alla destra di Draco: i capelli scuri e ricciuti, raccolti in una coda sulla nuca, e gli occhi neri, lucenti come ossidiana, tradivano le origini mediterranee della famiglia paterna…
“Fottiti, Blaise.”
Zabini annuì educatamente, e tornò a dedicarsi al suo pacifico “riposo dello studente affaticato”.
“Non prendertela Blaise, è solo timido…” lo prese in giro l’altro ragazzo.
Malfoy rivolse all’amico un’occhiata che avrebbe gelato il deserto del Sahara, ma questi non mostrò di curarsene particolarmente: Theodore Francis “nessuna-mi-resiste” Nott non era certo tipo da preoccuparsi di un occhiataccia di Malfoy… almeno non quando quest’ultimo era spaparanzato sul prato, semiaddormentato e, in ultima analisi, inoffensivo.
“A proposito…” fece il moro, con una luce divertita negli occhi azzurri “ti sei deciso a portartela a letto, alla fine?”
Draco, ad occhi semichiusi, emise un grugnito che Nott interpretò come risposta affermativa.
“E poi?”
“Poi cosa?!” domandò il biondo, esasperato.
“Poi la sposerai il giorno dei diplomi come vorrebbe paparino-Parkinson?”
La risposta arrivò, secca e lapidaria.
“Paparino-Parkinson può andare a farsi fottere.”
“Anche lui…” commentò sottovoce Zabini.
“Dormi, Blaise… dormi.”

________________

Una bambina del primo anno correva verso di loro, incespicando sul prato leggermente in discesa; aveva i capelli biondi legati in due codini sottili, trattenuti da nastri verde scuro… la divisa di Hogwarts, arricchita dallo stemma argenteo della casa del beneamato Salazar, pendeva floscia, troppo grande, su quelle spalle esili e ossute.
“Ma…Malfoy?” balbettò la bambina, non appena si trovò a portata di voce.
Draco aprì appena un occhio e fulminò la piccola Slytherin seduta stante; l’occhiata gelida la trapassò da parte a parte, facendola rabbrividire per tutta la lunghezza del gracile corpicino…

-Trinità… la mano destra del diavolo…-
Dal film “Lo chiamavano Trinità”

“Che vuoi?” domandò in un sibilo infastidito.
La ragazzina spalancò gli occhioni verdi e tremò visibilmente.
“Draco! L’hai spaventata!” lo rimproverò Nott, pigramente divertito.
Il mago dagli occhi azzurri allungò una mano verso un codino biondo, prendendo dolcemente la morbida ciocca di capelli fini tra due dita. “Guarda com’è carina!”
La piccola diventò violacea ed abbassò velocemente gli occhi, non osando scostarsi. La mano di Draco arrivò a spostare quella di Nott dal viso della bimba, poi afferrò a sua volta il codino e lo tirò leggermente verso di sé… abbastanza per spaventare a morte la giovane strega, ma senza farle alcun male.
“Forza, gnomo… rantola.” le ordinò.
L’espressione sul volto della biondina si fece terrorizzata mentre cercava di balbettare qualcosa di sensato.
“P-pi… Piton… il pro-professor P-piton desidera veder… vederla nel suo ufficio!” mormorò precipitosamente.
“Non ho sentito, tesoro, devi venire più vicino…”
La bimba mosse un passo malfermo nella direzione del ragazzo e ripetè, a velocità incredibile.
“Il professor Piton desidera-vederla-nel-suo-ufficio… Si-signor Malfoy!”
Draco sbuffò.
“Il ‘signor Malfoy’ è mio padre, mostriciattolo.” fece laconico “Puoi riferire alla vecchia cornacchia che il culo di Draco Malfoy sta bene dov’è e se mi vuole parlare veda di alzare lui il suo.”
Quella quasi si metteva a piangere all’idea di dover riferire una frase del genere al temibile professore di pozioni; fece per aprire la bocca, ma la voce tranquilla e pacata di Blaise la precedette.
“Dra, non sparare cazzate… non vedi che la stai torturando?”
Draco alzò gli occhi al cielo, mollando la presa sui capelli della ragazzina.
“Qualcuno ti ha nominato voce della mia coscienza, Blaise?” chiese con sarcasmo, mentre riacchiappava la biondina, che stava tentando di sgusciare via in silenzio, per un lembo della gonna.
“Non mi pare di averti dato il permesso di muoverti, gnomo…” le disse, con una nota di perfidia nella voce morbida “Facciamo così: visto che i miei amici sono così… protettivi nei tuoi confronti, io vado a sentire che cazzo vuole Capello-Colante e tu rimani qui a far loro compagnia… finchè non torno.”
Il sogghigno sulle labbra di Malfoy era dolce e crudele, mentre il viso della piccola si contraeva in una smorfia di paura.
“Su, tesoro… non mordiamo mica…” fece Nott.
Draco si alzò in piedi in un movimento fluido ed elegante, prese la bimba per le spalle e la sollevò senza fatica, quasi fosse senza peso, per appoggiarla senza troppe cerimonie sul proprio mantello steso per terra, tra gli altri due Slytherin; lanciandole un’occhiata di perfido divertimento si cacciò le mani in tasca e si avviò verso il castello, senza voltarsi indietro.

____________

-Oh, sei qui… sia lodato…-
-…chi ti mette una palla in fronte!-
Dal film “Continuavano a chiamarlo Trinità”

Severus Piton stava camminando avanti e indietro, nella penombra del suo studio.
Quel dannato… quel piccolo, ignobile…
“Ave Cesare…” biascicò Draco sulla soglia.
Piton si voltò di scatto, facendo ondeggiare il lungo mantello nero; il pallido viso aguzzo dell’insegnante era pallido di rabbia.
“Alla buon’ora! Tu! Piccolo sbruffone… razza di idiota che…”
Il “piccolo sbruffone”, che ormai superava di almeno dieci centimetri la testa del capo della sua casa, entrò con nonchalance nell’ufficio, storcendo il naso all’odore acre delle pozioni che ribollivano in un angolo… si stravaccò sulla poltrona e guardò l’imprecante professore con aria interrogativa.
“Si può sapere che diamine hai fatto a quegli ignobili ragazzini?!?”
Draco sembrò afferrare finalmente il tema della conversazione e si passò una mano sulla faccia.
“Quante storie per un pugno di Hufflepuff…”
Piton sbattè le mani aperte sulla scrivania di mogano, costringendo Draco a sobbalzare lievemente.
“Draco, io non ce la faccio più a pararti perennemente il culo, va bene?!?” sbraitò.
Il ragazzo sollevò un sopracciglio… se erano già alla fase “parolacce” era davvero incazzato…
Intanto il professore continuava ad imprecare a ruota libera.
“Solo perché sei della mia casa non significa che posso lasciarti fare quello che ti pare, pezzo di idiota! Minerva mi sta col fiato sul collo, lo sai cosa vuol dire?!?”
“No…” sospirò Draco “cosa vuol dire?”
Piton prese a gesticolare furiosamente.
“Vuol dire che se non la pianti ti faranno espellere! E io non ci potrò fare niente!”
Draco alzò gli occhi al cielo…
…tutte le volte la stessa storia…
“Cristo…” mormorò “per aver fatto crescere la coda a qualche nanerottolo…”
“Una coda che nessuno riesce a togliere!” abbaiò Piton.
Il biondo non riuscì a trattenere un sogghigno soddisfatto, che gli costò un discreto schiaffo sulla nuca da parte del capo della sua casa. Piton prese il ragazzo per il collo della camicia e avvicinò il suo viso al proprio, con aria quantomeno minacciosa.
“Tu…” ansimò “Tu, stupido ragazzino! Tu e quegli altri due furboni, che vi credete i principini del castello… voglio che la finiate una volta per tutte! Siete peggio di quegli idioti che stanno alle calcagna di Potter, razza di sbruffoni!”
Ahi… questa è brutta.
“Voi tre…” continuò il professore, balbettando per l’ira “voi tre, farete una brutta fine se non la piantate! Smettetela di farmi fare queste figure, o vi farò fare una fine che nemmeno riuscite a immaginare, sono stato chiaro?”
Draco non rispose.
“Sono stato chiaro, Draco?!?”
“Ah-a…”
Piton mollò la presa sulla camicia del ragazzo.
“Ricordatelo bene, Draco… e riferiscilo anche a Blaise e Theodore! È una promessa, ragazzi… datevi una regolata o ve ne pentirete, ve lo garantisco! Sapete quanta fatica devo fare a convincere Silente che siete solo “ragazzini esuberanti”, eh? Lo sapete?!”
Draco scosse la testa, obbediente.
“Per Merlino, Draco!” imprecò l’insegnante “come diamine fa uno col tuo cervello ad essere così… inutile! Non è possibile che tu ti diverta solo a rompere le scatole!”

- Ma non hai uno scopo nella vita! Fai qualcosa, ruba del bestiame, assalta una diligenza… rimettiti a giocare magari! Una volta eri un ottimo baro! Ma fa qualcosa! -
Dal film “Lo chiamavano Trinità”

“Fila a togliere quell’incantesimo!” gli urlò contro il professore.
“Agli ordini…” brontolò il ragazzo.
Draco si alzò con calma e strascicò i piedi fino alla porta.
“Subito!”
“Si… si…”

____________

Draco attraversò il prato rigirandosi tra le mani la bacchetta.
La bambina era ancora nell’esatto punto in cui l’aveva appoggiata, con le labbra ostinatamente chiuse e le braccine gracili strette attorno al petto ancora acerbo; il biondo la squadrò e sogghignò, annoiato.
“Allora, ti sei divertita con i miei amici?”
La bambina trasalì a quella voce falsamente gentile e non si arrischiò a proferire verbo.
“è noiosa, Dra… non ha spiccicato parola…” fece la voce assonnata di Blaise, sempre steso sul prato, ad occhi chiusi.
“Ma tu dormi mai davvero?” gli chiese Draco, distrattamente.
“Un vero uomo dorme sempre con un occhio solo…” sentenziò il “bello addormentato”.
Draco non ritenne necessario rispondere e riportò lo sguardo sulla bambina.
“Sparisci.”
La piccola non se lo fece ripetere due volte e corse via come un fulmine.
“Non ha nemmeno riso quando le ho raccontato un barzelletta…” brontolò Blaise, sbadigliando “Che voleva la cornacchia?”
“Le solite cose… ho dovuto togliere la coda da mulo a quei mocciosi con cui ci siamo divertiti l’altro giorno.”
“Nooo… peccato. Stavano bene.”
“Che vuoi farci…”
“Solita ramanzina?”
“Solita ramanzina. Stavolta siamo stati paragonati agli scagnozzi di Potter.”
“Che umiliazione…”
“Già.”

__________________

- Ha detto che nostra madre era una vecchia bagascia!-
- Ma è la verità…-
- Si… ma non è vecchia!-
Dal film “Lo chiamavano Trinità”

“Figlio di puttana!”
Draco e Blaise aprirono un occhio e misero a fuoco il temerario disturbatore… anzi i temerari, perché dietro al folle strillante si era radunato un piccolo gruppetto di retroguardia.
Mai che si possa riposare in pace…
“Blaise credo ce l’abbiano con te.” fece Draco.
“Dici?”
Il pazzo si decise a chiarire a chi si stava rivolgendo con tanta passione.
“Theodore Nott, alzati se sei un uomo!”
“No, ce l’hanno con lui, vedi…”
Draco sospirò e diede di gomito all’amico ronfante.
“Eeh…”
“Thed ce l’hanno con te.”
Thed aprì gli occhi e scrutò la piccola banda che si era radunata davanti a loro.
“Che vogliono?” biascicò.
“Hanno detto che tua madre è una puttana.”
Nott girò la testa.
“Allora ce l’hanno con Blaise…”
“No. Hanno specificato nome e cognome.”
Theodore si alzò a sedere e scrollò il capo, tentando di svegliarsi.
“Sono Ravenclaw…” constatò dopo averli osservati ancora.
“Ti sei fatto qualche Ravenclaw ultimamente?”
Due occhi azzurri si puntarono, scandalizzati, sul viso di Draco.
“Non ce l’hanno mica scritto sulla biancheria, di che casa sono!”

Finalmente le urla del pazzo chiarirono anche questo ulteriore dubbio.
“Ti farò pentire di aver toccato mia sorella!”
“Ah… ecco” fece Blaise.
“Chi è sua sorella?”
“E che ne so?” rispose Nott sconsolato.
“Amico, mi sa che ti toccherà alzarti… non hanno l’aria di volersene andare interi.”
Thed sospirò e si stiracchiò.
“Quanti sono?”
Blaise contò velocemente.
“Sette… sette e mezzo, se conti la sorella di Weasley, là dietro. Ma forse è lì solo a curiosare.”
Draco spalancò gli occhi del tutto.
“C’è anche Potter?” chiese, eccitato.
“No, non lo vedo. Non c’è neanche Pel-di-Carota, mi sembra.” constatò il ragazzo “Ah, Thed… il pazzo è Calver, settimo anno, se non mi ricordo male… ti dice niente?”
“No.”
Theodore si alzò in piedi e sbadigliò di nuovo.
“Sette…” borbottò pensoso.

- Te li fai da solo?-
-Yawn… dammi una mano, mi sono appena svegliato…-
Dal film “Lo chiamavano Trinità”

“Dra…”
“No, Thed, sono cazzi tuoi. Io ho già preso la mia per oggi.”
“Bell’amico.”
“Dai, falli sparire…” borbottò Blaise “Ho sonno.”
Thed fece scrocchiare le vertebre del collo e avanzò a grandi passi verso la piccola banda che lo attendeva al varco. I due amici si sistemarono più comodamente per godersi la scena.
“Quanti ne rimangono in piedi, secondo te?”
Blaise ci pensò un attimo.
“Solo la Weasley.”

Il pazzo si lanciò su Thed.
Pazzo.
Il primo manrovescio che tentò di abbattersi sul viso impassibile di Thed fu bloccato con un movimento quasi svogliato e l’aggressore si ritrovò il braccio ripiegato in una posizione innaturale, dietro la schiena.
“Tua sorella…” fece Thed pensoso, continuando a stringere il polso del ragazzo senza alcuna pietà “Non è che mi ripeteresti il suo nome?”
Con un colpo di reni lanciò il pazzo contro l’albero più vicino, facendogli perdere i sensi per aver colpito il tronco con la testa.
Non solo Thed era più alto e più imponente di tutti loro, ma era anche un formidabile duellante... data la sua reputazione, era stata davvero una mossa molto azzardata da parte dei Ravenclaw attaccarlo solo in sette.
Il branco di incapaci si precipitò contro il mago dagli occhi azzurri; quest’ultimo estrasse gelidamente la bacchetta e prese a colpirli uno ad uno con schiantesimi precisi e potenti.
“Dai, Draco dammi una mano… sono stanco…” si lagnò il ragazzo, tirando un calcio ad un impavido idiota che si era rialzato.
“Rictusempra…” mugugnò il biondo, puntando la bacchetta contro quelli che riconobbe come i battitori del team Ravenclaw; questi furono catapultati all’indietro e, rialzatosi, se la diedero a gambe levate.
“Non sprecarti…”
“Ce la fai da solo, Thed… non rompere.”

Dieci minuti dopo, Theodore Nott si ripuliva le mani, osservando gli ultimi due Ravenclaw sollevare lo svenuto Calver e trascinarlo verso il castello; fissò i suoi occhi turchesi sulla Weasley, rimasta in disparte ad osservare, torturandosi con i denti la punta di una treccia rossa… evidentemente Blaise aveva ragione: era lì solo per curiosare.

- Che ti avevo detto?-
- Madre de Dios… chi è quel hombre, seňor?!-
- La mano sinistra del Diavolo… -
Dal film “Lo chiamavano Trinità”

“Ne vuoi anche tu, o sei qui per chiedermi un appuntamento…?” chiese Nott alla ragazza.
La rossa scosse la testa, gettò la lunga treccia dietro la propria schiena e passò a rosicchiarsi un’unghia.
“Mi annoiavo…” gli disse, con aria indifferente
“Che c’è, Thomas che salta ad ogni tuo comando non ti diverte più?”
La rossa gli lanciò un’occhiata di ghiaccio che avrebbe fatto tranquillamente a gara con una delle migliori occhiate di Draco, poi girò sui tacchi e si avviò tranquilla verso la propria torre.
Nott scosse la testa.
Strana ragazza…
Si cacciò le mani in tasca e ritornò dai propri compagni.

“Begli amici…”
“Un po’ di movimento ti fa bene…” sentenziò il saggio Blaise.
“Torniamo dentro?”
Draco sollevò il polso per guardare l’orologio. Erano quasi le sei e mezza di sera…
“Si, è meglio…”
I tre si alzarono, pigramente, raccattarono i mantelli e si incamminarono nella stessa direzione che aveva preso la Weasley poco prima.

Anche le ragazzine sulla riva del lago si stavano rialzando per rientrare all’ovile. Una di loro arrischiò un timido “buonasera, Malfoy…” che rimase ovviamente senza risposta.
Camminavano alteri, tranquilli, con la sicurezza di chi… anche stavolta… l’avrebbe passata liscia. Non perché erano più belli, più furbi o più bravi degli altri… semplicemente perché erano loro.
Perché portavano quei cognomi.
Perchè non contavano su nessuno.
Perchè le buie segrete del castello nascondevano i veri principi di Hogwarts…

-Andate, e che il Signore sia con voi!-
-No! Andiamo da soli!-
Dal film “Continuavano a chiamarlo Trinità”

***************

Non era niente di speciale, lo so… ma spero vi abbia comunque fatto ridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una notte, un surfista di Berkeley ***


Ritorno con un cookie sul passato di Ginny, questa volta… un episodio che Ginny accenna a Draco in un’imbarazzante conversazione sulle prime esperienze sessuali (uno dei primi capitoli di DF). Forse qualcuno ricorda l’aneddoto.
Nonostante il titolo, non ha niente di hot… non ero ispirata su quel piano, lascio alla vostra immaginazione.

Questo cookie, il primo dopo la fine della lunga avventura di DF e LFF, lo voglio dedicare a Minami77 per ringraziarla di una recensione finale che mi ha colpito ed emozionato tantissimo… grazie!

UNA NOTTE, UN SURFISTA DI BERKELEY

I ragazzi uscirono dall’acqua trascinando un po’ faticosamente le colorate tavole da surf; era quasi il tramonto ed il falò per la festa era già acceso sulla spiaggia. Una canzone rock usciva gracchiante da uno stereo portatile, nel quale probabilmente il vento aveva già fatto entrare un po’ troppa sabbia perché potesse funzionare bene; alcune ragazze, intente a preparare panini e bottiglie i birra su un tavolo pieghevole, scherzavano allegramente, muovendo i fianchi al ritmo della musica… l’aria fresca della sera le aveva già costrette a coprire con magliette e pantaloncini i colorati bikini che avevano indossato fino al pomeriggio. Un paio di visi arrossati dal sole regalarono un sorriso al gruppetto di surfisti, qualche mano si agitò in segno di saluto.

“Ehi Lew! Andavi forte!”
“Ciao Lew! Ciao Bob!”

Mani abbronzate si alzarono in segno di saluto ed esclamazioni di apprezzamento si sprecarono alla vista di ciò che le ragazze stavano preparando.

“Cavoli!...”
“Ragazze, siete favolose! Ho una…”
“Dio che fame!”

Una splendida bionda dagli occhi verdi strillò divertita, vedendoli dirigersi verso i tavolini.
“Eh no!! Doccia, ragazzi… forza!”
Sguardi da cucciolo bastonato si puntarono su di lei, che brandiva minacciosamente una forchetta di plastica.
“Dana…! Siamo affamati!”
La bionda gli fece il verso: “Lewis…! Puzzi di pesce!”
Il ragazzo che aveva risposto al nome di Lewis si finse indignato.
“No! Non è vero!”
“Oh, si… fratellino! Vai a lavarti o non mangi!”

Lew scosse i capelli castani, schiariti dal sole, per staccarli dalla fronte bagnata e sospirò rassegnato; mentre si allontanava salutò allegramente le amiche della sorella, soffermandosi un po’ più a lungo con lo sguardo su una di esse, un sorriso ammiccante appena accennato sulle labbra seccate dal sole... la ragazza, rimasta in silenzio fino a quel momento, sollevò il cavatappi che aveva in mano e inclinò la testa in un gesto di saluto: i capelli, di un intenso rosso rubino, si agitarono nel vento e arrivarono a coprirle i profondi occhi scuri, celando con essi il lampo di piacere che il sorriso di Lew era riuscito ad accendervi… occhi che seguirono, rapiti, la corsa del ragazzo verso gli amici e le docce…

“Attenta tesoro, se lo fissi così potrei anche supporre che mio fratello ti piace…”
La rossa trasalì e si voltò verso Dana, che le era strisciata alle spalle in silenzio e la guardava con aria saputa e divertita; scosse la testa e si legò con noncuranza i riccioli dietro la nuca.
“Sei fuori strada, Dana…” mormorò freddamente.
“Oh, non fare il ghiacciolino inglese con me, Jenny… vi conoscete vero? Cos’è… arte moderna… è quella che frequentate insieme, no?”
La ragazza aveva ormai fatto l’abitudine a sentire il proprio nome storpiato sulle labbra di Dana; si chiamava Ginevra realmente, e il suo soprannome, oltreoceano, era sempre stato Ginny, o al massimo Gin … a detta della bionda californiana “un nome da principessa bigotta e un soprannome da cagnolina d’appartamento”.
“Arte contemporanea.”
Dana masticò quel “contemporanea” tra i molari e i premolari…
“Si… è uguale.” sentenziò. Studiava medicina, lei… mica semantica.

Dana era una delle prime ragazze che Ginny aveva conosciuto, appena arrivata dall’Europa qualche mese prima… fresca fresca di un volo di 8 ore e assolutamente priva di un posto dove stare. Si erano conosciute al cafè dove Ginny aveva iniziato a lavorare, facevano entrambe le cameriere; due settimane dopo la rossa aveva raccattato armi e bagagli dal suo ostello e si era trasferita nella stanza accanto a quella di Dana, al college… il resto è storia: la bionda californiana DOC, di due anni più grande di Ginny, era il vero prototipo di una Reginetta di Maggio ormai cresciuta, con un futuro come brillante chirurgo plastico in una clinica privata, un presente fatto di locali alla moda (e conoscenze altolocate che le permettevano di entrare gratis nei suddetti locali alla moda) e un fratello minore supersportivo, idolatrato dalle ragazze e, guarda caso, della stessa età di Ginny. Per la giovane e inesperta inglesina, Dana aveva costituito una vera e propria manna dal cielo: le aveva fatto conoscere gente simpatica e divertente, l’aveva aiutata ad ottenere la borsa di studio e l’aveva introdotta alla brillante vita di Berkeley.

“Ho semplicemente salutato tuo fratello.” borbottò la rossa mollando il cavatappi e accendendosi una sigaretta.
Bel tentativo, Ginny… peccato che per Dana il discorso fosse tutt’altro che chiuso.
“Jenny, cara…” iniziò la bionda con l’espressione al tempo stesso paziente e apprensiva che normalmente appare sul volto delle madri quando si accorgono che la loro piccolina è cresciuta “…quante volte devo dirti che fingere con me non serve?”
“Non sto fingendo.”
“No… stai facendo la timida, ritrosa, frigida inglese…” snocciolò Dana senza mezzi termini.
“Dana!”
“Dana un corno, tesoro! Se pensi che la cosa mi infastidisca… no, che dico… se credi che la cosa possa anche solo minimamente interessarmi, ti sbagli di grosso! Potresti farti anche mio padre, per quel che me ne frega, così almeno mia madre andrebbe dall’analista per qualcosa… ma voglio vederti smettere di recitare quella parte da perfetta inglese di buona famiglia prima che faccia completamente buio… o sarà mia premura somministrarti qualcosa di utile alla situazione.”
Ginny spalancò la bocca, sbalordita: l’amica la stava guardando di sottecchi, con un lampo di sfida nei begli occhi verdi enfatizzati da una spessa riga di kajal, e Ginny la conosceva abbastanza bene da credere che non avrebbe esitato a mantenere la promessa… Dana trafugava ben più che qualche innocua provetta dal laboratorio in cui lavorava part-time.

“Togliti quella maglietta, è orribile.”
Dana cercò con gli occhi la propria borsa e si chinò ad afferrarla; tirò fuori un top verde chiaro, semitrasparente e luccicante di perline, e lo tirò in faccia alla giovane amica.
“Ah… per inciso: se conosco mio fratello, e credo proprio di si, ha una cotta da manuale per una misteriosa straniera dai capelli rossi…”

La bionda se ne andò, ancheggiando leggiadramente sui sandali alti… come Dana riuscisse a camminare nella sabbia con quelli addosso era probabilmente l’ultimo mistero della fisica quantistica.
Ginny sospirò e si tolse la maglietta, obbediente; il top le donava, le era sempre piaciuto il verde…

Circa due ore dopo

Lew continuava a fissarla.
E più si concentrava per guardare da un’altra parte, più il suo sguardo finiva sempre su di lei, accoccolata in una posa tranquilla al di là delle fiamme alte del falò.
E più la fissava più gli lacrimavano gli occhi per la luce del fuoco.
Una situazione snervante da ogni possibile punto di vista.

Le perline sul top verde luccicavano allegramente, colpite a tratti dalla luce dorata delle fiamme.

…ma non aveva una maglietta, prima?!?...

Teneva la testa inclinata di lato, il mento che sfiorava la spalla nuda, alla sommità del braccio rigido e steso al quale si sosteneva; sembrava ascoltare davvero Dana ciarlare incessantemente sulle delizie di chissà quale nuovo locale in cui avrebbero assolutamente dovuto passare una serata.
Mosse la testa per scansare un ricciolo rosso che le era caduto sull’occhio destro… il movimento fece scivolare sul braccio la precaria spallina intrecciata, scoprendo il segno chiaro del costume da bagno sulla pelle ancora abbronzata. Si sollevò subito, con un movimento fluido, portando la spallina a celare di nuovo quel lembo malizioso di pelle…

…un dolore sordo alla gola, come se quel nastro sottile avesse per un istante mozzato il respiro di Lew…

Piegò leggermente le gambe snelle, lasciate scoperte dai corti pantaloncini di jeans, e si guardò intorno… mentre si allungava verso la borsa, posata sulla sabbia poco distante da lei, il top verde salì sotto al seno, scoprendo quasi completamente la pelle levigata dello stomaco.

L’intensificarsi del bruciore alla gola e il respiro che si ostinava a non proseguire… colpa di quel sorso di birra che sembrava aver perso la giusta rotta per l’esofago…

La borsa non doveva essere esattamente a portata di mano perché la ragazza quasi perse l’equilibrio e si sarebbe ritrovata distesa nella sabbia se… se una mano provvidenziale non l’avesse aiutata in extremis a sorreggersi.
Una mano che ora le porgeva gentilmente una borsa.
Una mano attaccata ad un braccio muscoloso… un braccio attaccato ad una spalla abbronzantissima sopra la quale stava, ovviamente, un collo…
(ancora per poco)
…e sopra ancora una faccia,…
(da riempire di pugni)
… un bel viso sorridente da sano boy scout di Long Beach, con brillanti occhi verdi e capelli scuri e ricciuti. Lo stesso viso che raccoglieva…
(come un merdoso gatto che fa le fusa, dannato sporco ruffiano…)
…la riconoscenza sorridente per il gesto così gentile.

Il dolore alla gola fu soppiantato da un’acuta fitta tra le scapole… il pugnale traditore che attende nell’ombra… o la mano di un amico che non ti lascia soffocare nell’ amaro luppolo della gelosia…

“Ehi, amico! Non sai più come si beve?!?”

Ansimi di tosse nervosa, i polmoni impazziti per il bisogno di aria… il petto inondato di birra versata e di improvvisa, inspiegabile, voglia di lei…

“Eh… eh?!?”
“Lew, hai rantolato per cinque minuti buoni… per fortuna mi sono voltato, stavi soffocando…”
“Ehhr… coff… gra-grazie, Bob…”

Distratta l’attenzione al sorriso bonario su quel viso amico… di nuovo gli occhi che lacrimano per i colpi di tosse… o per le fiamme a lungo fissate: bastarde lingue divampanti nell’aria che nascondono a tratti chi non sa di essere da troppo tempo guardata…

Lo sguardo di Bob incrociò per un istante soltanto quello di Lew, ma bastò per capire cosa ci fosse di tanto interessante nel falò… o meglio al di là del falò.
“Caro mio… sei cotto” decise allegramente il surfista.
“Eh…?”

Capire che cazzo avevano da ridere quegli idioti… o continuare a guardare Ginny rovistare nella borsa… mentre muoveva inconsapevolmente le gambe sulla sabbia in quel modo così sexy… Il pacchetto di sigarette che cadeva nella sabbia da una tasca laterale… lo strillo stizzito di chi non trova mai l’accendino…

… poi ne sfili una
l’accendi piano piano
chiudi gli occhi un attimo
avvolta da quel fumo.
Tutti qui ti osservano
ma non vedi nessuno,
guardi un po’ la gonna e poi
l’accarezzi con la mano…

Lew deglutì di nuovo e si costrinse a distogliere lo sguardo.
“Lew! Per la miseria, vai da lei e portatela a fare un giro! È da quando tua sorella te l’ha presentata che te la mangi con gli occhi!”

Era vero.
Lew mise a fuoco quella triste verità, mentre con un ultimo colpo di tosse si schiariva definitivamente le idee… e liberava i polmoni dagli ultimi residui della Bud andatagli di traverso.
Erano due mesi che se la guardava e riguardava da capo a piedi in quelle uniche ore di arte contemporanea che frequentavano insieme…
…un radiografo non avrebbe potuto conoscere più a fondo di lui quel fisico minuto…
…ed erano due mesi che non riusciva a capire da cosa esattamente le derivasse quel fascino magnetico che tutti avevano avvertito e dal quale lui si era sentito… stregato.
I capelli rossi da fata irlandese erano senza dubbio inconsueti in quel paradiso di Barbie abbronzate, la carnagione chiara e le maliziose lentiggini altrettanto una rarità… ma era tutto lì? O era quell’aria confusa e un po’ spaurita ad attirare tanto l’attenzione dei ragazzi, quella curiosità aperta con cui sembrava guardare il mondo e anche le cose più semplici che incontrava sulla sua strada, quello sguardo da Bimbo Sperduto appena sbarcato dall’Isola che non c’è… lei, che poi prendeva appunti, seria e concentrata, dietro quegli invitanti occhialini da vista dalla montatura celeste? O forse era quella bellezza discreta e mai volgare di principessa medievale il suo segreto, quel nasino aristocratico spruzzato di efelidi dorate, quel modo di muoversi…
…naturalmente sensuale, eccitante senza ostentazione…
Lew ricordava di aver occhieggiato quelle gambe snelle accavallarsi sulle scomode panche dell’aula di arte, sapeva di essersi più volte fermato a fissare la candida linea del collo, scoperta dai riccioli vermigli sollevati disordinatamente con un bastoncino di legno. Sapeva di aver desiderato quella sirena straniera fin da quando…

“Lew… Ecco, Jenny questo è mio fratello Lewis.”
“Piacere, Jenny.”
“Piacere… anche se sarebbe Ginny, in realtà. Ginevra.”
… la speranza realizzata di non fare la conoscenza di un novello Lancillotto…

Lew vuotò d’un fiato la bottiglia e scosse violentemente la testa; guardò fisso per qualche minuto il vecchio Bob seduto al suo fianco, come valutando la sua versione dei fatti… gli prese una mano, ignorando l’espressione di lui che lo fissava come uno che deve al più presto essere rinchiuso, gli chiuse dolcemente le dita attorno alla bottiglia vuota di Bud, poi si alzò in piedi e se ne andò senza una parola, lasciandogliela in mano. Un coro di risate e un allegro “vai, Lew!” raggiunse le sue orecchie, mentre aggirava il falò e si avvicinava alla colpevole del suo quasi-soffocamento.

“Steve, levati dalle palle.”
E con questa entrata di gran classe alla Cary Grant dei tempi d’oro, Lew interruppe dolcemente la fase del “come ti chiami - di che segno sei” che si stava svolgendo tra Mr. Occhi-Verdi-di-Long-Beach e la rossa inglesina.
Il leggero lampo di sollievo che gli occhi di Ginny non riuscirono a nascondere fece sorridere di sadico trionfo il ragazzo in piedi dietro di lei.
“Che cazzo vuoi Lewis…?”
Mr. Occhi-Verdi-di-Long-Beach non sembrava aver intenzione di cedere nemmeno una briciola di terreno di caccia. Il sorrisetto crudele sulle labbra di Lewis si allargò impercettibilmente… con il mento accennò alla bionda che si stava stappando una birra vicino allo stereo, ridendo con alcuni amici.
“Forse è proprio giunto il momento di dire a Dana con chi hai passato la notte di Halloween di un anno fa, Steve, vecchio mio… se non sbaglio stavate ancora insieme all’epoca…”
Steve parve desiderare di trucidarlo con lo sguardo, ma fu costretto ad alzarsi, prendere i suoi stracci e andarsene con la coda tra le gambe; il ghigno di Lew lo seguì per qualche metro, poi il ragazzo si accomodò accanto a Ginny e le sorrise apertamente.
“Non importa che mi ringrazi” le disse in tono leggero.
Ginny scrollò le spalle.
“Non era un gran conversatore” commentò soltanto “Non sapevo che lui e Dana fossero stati fidanzati.”
Lew rise, divertito anche dal suo linguaggio, a volte un po’ strano o antiquato.
“Non ha un gran cervello” si sentì in dovere di spiegare, avendo almeno la buona grazia di assumere un’aria lievemente colpevole “…altrimenti avrebbe capito che il ricatto non stava in piedi.”
“Ah no?”
“No. Dana sa tutto… e non gliene importa assolutamente nulla. Ma a me fa comodo far credere ad un sacco di suoi ex ragazzi di essere l’unico custode dei loro cosiddetti segreti. E mi aiuta il fatto che Dana si sia creata una brutta fama… in materia di pestaggio dei suoi ex amanti…”
Ginny rise, incredula.
“Davvero?”
“Ne abbiamo ridotti male un paio, alla scuola superiore… e lei si è presa tutta la colpa.”
“Sei diabolico.”
“Sopravvivo. È la legge della jungla.”

Entrambi si osservarono sorridendo per qualche istante; la mano di Ginny corse inconsciamente a tormentare la spallina del top e Lew si sentì di nuovo mancare l’aria… peccato che stavolta non avesse sorsi ballerini di birra a cui attribuire la colpa…
Ginny fu la prima ad abbassare gli occhi e tornare a guardare il fuoco… Lew non potè fare a meno di notare che le guance arrossate dal sole della giornata si erano tinte di un colore più intenso; capì che se mai c’era stato un “suo momento”… bè, era quello. E si lanciò: allungò una mano per sfiorare la spalla di lei e ottenere di nuovo la sua attenzione.
“Ti dispiace che l’abbia mandato via?” le chiese sottovoce.
“No. Non mi piacciono i mori con gli occhi verdi.”
Il lampo infastidito che passò negli occhi di lei incuriosì Lew.
“…qualcuno che ti ha spezzato il cuore in passato?”
“Qualcosa del genere. Ma più che il cuore, alla fine dei conti mi ha scassato le palle…”
Entrambi sorrisero di nuovo… forse ad un occhio esterno avrebbero potuto sembrare due idioti, ma l’importanza che avrebbero attribuito ad un tale dettaglio sarebbe stata tendente a zero.
Le dita di Lew incontrarono i riccioli rossi di Ginny nella loro lentissima risalita verso il collo della ragazza… si puntellò sull’altro braccio per avvicinarsi di più a lei.
“Lew…”
Vedeva le labbra del ragazzo dirigersi pericolosamente verso le sue.
“Ssh…” sussurrò lui “lo so che lo vuoi anche tu…”
Ginny allontanò di qualche centimetro la testa e sorrise, maliziosa.
“E cosa ti dà tanta sicurezza?”
Lew sorrise a sua volta.
“Beh… non mi hai ancora spinto via per esempio…”
“Potrei semplicemente essere una persona molto educata…”
Lew rise apertamente e le sue labbra si avvicinarono di nuovo, sfiorando quelle di lei nel respiro di una risata; ormai erano al punto di non ritorno… le loro bocche si unirono in un bacio via via più appassionato.

Solo un poco opportuno “Vai Lew!!” proveniente dal lato opposto del fuoco riuscì ad interrompere il travolgente isolamento in cui Lew e Ginny erano piombati; Lew mugugnò qualcosa e sorrise, come per scusarsi, contro le labbra di Ginny.
“Ti va di allontanarci un po’?” le sussurrò, accennando con la testa al gruppetto di disturbatori che sghignazzava, brindando a loro con le bottiglie di birra.
Si alzarono in piedi e Lew la abbracciò mentre la trascinava via, rivolgendo un sogghignò fugace al gruppo di amici al di sopra della spalla di lei; un coro di fischi e un’occhiata di compiaciuta approvazione di Dana accompagnò l’uscita della coppia dalla zona illuminata vicino al falò.

… la sabbia tiepida sotto la pelle nuda, quasi che la luna avesse potere di scaldarla, come e più del sole… il calore di un altro corpo tanto vicino al proprio…
... la sensazione concreta di lei tra le braccia, sovrapporsi al profumo soffuso del desiderio che i sogni proibiti avevano lasciato nella sua mente… la momentanea ma completa incapacità di distinguere tra l’immaginazione e la ben più appagante realtà.

Cristo, quanto la voleva!
Anche in quel momento appariva diversa dalle altre ragazze con cui era stato, come se davvero appartenesse ad un mondo che non conosceva… anche in quel momento, non solo nei sogni, quelle labbra avevano il potere di inebriarlo, come in preda agli effetti di un poco verosimile Filtro d’Amore…
Gli sembrava di non poter resistere e, allo stesso tempo, di non poter andare oltre per il timore di scoppiare. La prima sensazione ebbe, alla fine, il sopravvento: la mano di Lew sfiorò le perline rivide cucite sugli strati di tulle verde del top…

Concentrarsi sugli spigoli appuntiti di quei granelli di luce per non essere sopraffatto dalla morbidezza eccitante di ciò che celavano… combattere contro l’improvviso istinto frettoloso di un quindicenne, lottare per comportarsi come l’uomo che voleva credere di essere.
Dannata incantatrice, che con la sua presunta solitaria innocenza lo aveva indotto a guardarla e sognarla, a desiderare di toccarla, a perdere il controllo come mai gli era successo…

Notare che non lo respingeva e trovarsi disteso su di lei… fu quasi lo stesso istante.

Intrecciare le mani, accarezzare la pelle fresca e combattere contro tutto ciò che lo separava da quel contatto agognato…

“Lew, io…”
Il ragazzo si sollevò e la guardò negli occhi, intuendo cosa lei stava cercando di dirgli.
“è la prima volta?” sussurrò, con la voce roca per l’intensità di una eccitazione che nemmeno lui riusciva a spiegarsi.
Ginny annuì.
“E non ti piacerebbe fosse con me?”

Dolcezza nel tono della domanda che altrimenti sarebbe suonata brusca a causa dell’urgenza che celava…

La ragazza lo guardò stupita: non era scappato! Non se n’era andato a gambe levate una volta saputo che lei era ancora vergine…
Lew rise, vedendo la sua espressione, poi tornò a guardarla negli occhi, all’apparenza più tranquillo di quanto lui stesso pensasse di essere.
“Ginny… so cosa stai pensando, ma io non voglio che sia solo per stanotte, mi capisci? Mi piaci un sacco, vorrei conoscerti, uscire con te… lo so che non te l’ho detto… bè, se tu vuoi, è ovvio.” Osservò la reazione di lei e vide che non era delusa o altro, perciò proseguì “Io… non avevo programmato, questo! Credimi! Cioè… adesso vorrei, mi piacerebbe, certo… e l’atmosfera c’è tutta…” sorrise “ma se vuoi rispettare la prassi mi aspetti qui mentre vado a farmi una doccia fredda, poi torno e ti invito a cena per domani sera!”
Ginny scoppiò a ridere contro il suo collo e Lew rise con lei.
“Allora?” le domandò sommessamente.
La rossa lo guardò negli occhi.
“Al diavolo la prassi!”

***************

Lo ammetto: mi sono lasciata prendere dalla nostalgia e ho inserito una di quelle canzoni che ascoltavo più o meno quando avevo 10 anni: “Lasciati toccare” degli 883 (risalente ben ai tempi di “hanno ucciso l’uomo ragno”). Non vogliatemene, vi prego.
Secondo voi Ginny ha davvero stregato il nostro amico con un incantesimo?... lo lascio alla vostra fantasia! Un bacio!
Spero di avervi regalato cinque minuti di leggero e divertente romanticismo… intanto ringrazio chi ha già iniziato a seguire la mia nuova storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Malfoy ***


Scusate la mia assenza nelle ultime settimane, ho dovuto risolvere alcuni problemi sul lavoro, prometto che aggiornerò al più presto possibile anche “Trapped under ice”. Intanto vi regalo questo piccolo momento… e lo dedico a Euridice e Savannah, per ringraziarle di essere quello che sono! Un bacio, pazze!

MALFOY

PARTE 1: FATHER

L’uomo salì sul palco: il pianoforte, già illuminato, lo stava aspettando.
Camminava verso di esso con pacata tranquillità, con una naturale sicurezza esaltata, anziché smorzata, dalla rigida eleganza del completo scuro che indossava. Rivolse un lievissimo inchino agli spettatori, seduti nelle comode poltrone del teatro, e si accomodò sullo sgabello, prendendosi qualche minuto per concentrarsi. Nel momento in cui iniziò a suonare una coppia di ballerini sbucò dalle quinte e cominciò a danzare, sulle note vibranti del “Chiaro di Luna”.
Era il suo lavoro, la sua passione… suonare era, allo stesso tempo, un simbolo della sua vita attuale e un ricordo malinconico della vita che si era apparentemente lasciato alle spalle…

Ma… c’era ancora qualcosa in lui a ricordare quel piccolo bastardo arrogante che aveva spadroneggiato, viziato principino delle Serpi, sui sotterranei della scuola?
Cos’era rimasto in quell’uomo attraente del vecchio dannato assassino, spietato con i nemici come col cuore delle donne, lasciate a rabbrividire, sole, in letti d’albergo disfatti?
Dov’era il gelo sferzante che un tempo riempiva quegli occhi color ghiaccio? In essi ora brillava la luce serena e distaccata di chi ha visto tutti i lati di un mondo tremendamente ingannevole… e sa di aver scelto, alla fine dei conti, il compromesso migliore per sopravvivere.
Agli occhi di qualcuno che l’aveva conosciuto ad Hogwarts nulla sarebbe saltato all’occhio, nessun indizio per indicare che David McGray e Draco Malfoy fossero in realtà la stessa persona. Eppure, allo stesso tempo, nulla del vecchio Draco poteva essere morto… non del tutto, almeno.

“Cosa si celava dietro ai miei eleganti fronzoli, sotto i miei occhi tranquilli e remissivi? Chi ero? Non ricordo fiamma più calda di quella che si celava nell’argenteo bagliore del mio vago sorriso rivolto a chi me lo chiedeva…”
Anne Rice
“Armand il vampiro”

Muovevo le dita su quella tastiera amica, senza quasi pensare a ciò che stavo suonando; abbassavo lo sguardo su quelle persone eleganti, sedute sulle loro morbide poltrone, avvolte dal comodo velluto delle loro certezze…
Chi ero per loro?
David McGray. 40 anni. Pianista. Canadese.
Marito di Ginevra Weasley.
…Babbano.
Che altro avevano bisogno di sapere, in fondo? La verità…no, la verità era nella musica, l’unica verità che a loro serviva conoscere: il fatto che suonavo per loro, perché amavo suonare… e perché loro erano lì per questo.
La verità come principio, quando si arriva a tirare le somme alla fine dei giochi, non conta poi così tanto; questa era una delle poche cose che avevo imparato davvero in quegli anni… costretto a portare un falso nome, a fingermi babbano, a rimanere lontano dalla gente come me e dai luoghi che un tempo mi erano familiari.
Non contava così tanto che qualcuno mi chiamasse David, o che sul giornale un critico scrivesse “Il pubblico si alza per McGray”.
Non contava che quando viaggiavamo come babbani mia figlia venisse chiamata con il nome di Arianne.
Non contava che Vogue mostrasse la foto della famosa “Ginevra Weasley, insieme al marito, il noto pianista canadese David McGray”. Non contava che io non potessi togliermi la soddisfazione di sentirla chiamare “signora Malfoy”.
Non contava più nulla di tutto questo quando, una volta chiusa alle mie spalle la porta di casa, potevo abbracciare mia moglie e sentire sulle sue labbra il mio nome… il mio vero nome: Draco.
Che poteva importare il nome che il mondo usava per chiamarmi quando potevo avere lei… senza il rischio di doverle dire, improvvisamente, addio. In qualsiasi modo il mondo fosse costretto a chiamarmi, io sapevo di essere sempre lo stesso uomo che le aveva detto di amarla, su un’isola tanti anni prima, ero l’uomo che aveva rischiato e rischierebbe ancora ogni cosa, ogni respiro, pur di tenerla con sé… ero l’assassino che aveva ucciso e smesso di uccidere: entrambe le cose, in definitiva, per lei.
Io lo sapevo, Ginny lo sapeva. E lo sapeva anche nostra figlia… il resto del mondo poteva anche credermi nato sotto un verza, se gli aggradava. A me non interessava più.

Gli occhi del pianista si mossero lungo la sala, lasciando che le mani corressero da sole sui tasti d’avorio… occhi grigi, velati dall’ombra delle ciocche bionde disordinate, lo stesso taglio scomposto del giovane, bello e dannato, che torturava per puro diletto qualunque essere che non riteneva alla sua altezza…
Strinse le palpebre per cercare di riconoscere qualcuno… in fondo capitava, a volte: Alice e il caro Potter si concedevano spesso una serata per ascoltarlo, la Granger amava la musica classica e la danza (e Weasley amava accontentarla e farsi una dormita sulle poltrone…), Daisy portava qualche amica, o qualche ragazzo, e anche Ginny o Alnitak a volte lo sorprendevano, arrivando a sentirlo suonare senza avvertimento.
Il movimento dei suoi occhi si bloccò: in piedi in fondo alla sala, era appena entrata… capelli rossi, sciolti sul petto coperto da una camicetta verde chiaro, fisico slanciato e forse troppo magro, carnagione talmente chiara che sembrava riflettere la pochissima luce della platea. Alnitak, stranamente sola, si accomodò in una poltrona in ultima fila, senza distogliere gli occhi dal viso lontano del padre.
La fronte del biondo pianista si aggrottò impercettibilmente… qualcosa non andava.

Non capii perché fosse lì quella sera, non subito… anche se la telefonata di Alice di qualche giorno prima avrebbe dovuto mettermi in guardia.
Guardarla da lontano faceva sempre nascere dentro di me sensazioni contrastanti. A tratti la vedevo così simile a sua madre da mozzarmi il respiro in gola: orgogliosa, testarda, forte come l’acciaio sotto l’apparenza fragile e ricercata… con l’istintiva gelosia di un padre riuscivo a notare quella bellezza fine, ancora acerba, ma che già mostrava le basi dello stesso fascino magnetico di Ginny, fascino che avrebbe stregato qualcuno, un giorno non lontano… qualcuno che me l’avrebbe portata via.
In altri momenti invece vedevo in lei tanto, troppo di me stesso… e mi assaliva il timore di vederla commettere errori più grandi di lei; sapeva essere crudele se voleva, me n’ero accorto, sapeva mentire… anche se non a me, e sapeva mostrare la stessa freddezza che tante volte mi aveva salvato la pelle quando ero l’assassino al servizio di Voldemort. Da quel punto di vista, era una dannata… fantastica… Malfoy.
In lei ero riuscito a far nascere l’orgoglio per il nome che non poteva portare, ma che le sarebbe sempre appartenuto perché parte di lei; le avevo insegnato ad accettare il compromesso di un cognome babbano, a testa alta, con la dignità che sapevo di averle trasmesso… la dignità dei Malfoy.
Un nome non si ottiene per merito, non si vince come un trofeo, è qualcosa che non si chiede… è anche qualcosa che volendo può essere cambiata. Ma ci sono altre cose che viaggiano insieme al nome, e che, al contrario di esso, non si possono mai barattare; come il nome non si chiedono, non si imparano, si ereditano e basta… sono positive e negative, e non si possono separare, si possono solo accettare e, se si è abbastanza furbi, imparare a sfruttare. Qualunque cosa si dica, il sangue non è acqua… e nelle vene di Alnitak scorre sangue Malfoy, con tutte le doti e le maledizioni che comporta, qualunque sia il cognome con cui firma sul registro di scuola.
Forse era il richiamo del sangue che l’aveva condotta lì, quella sera, l’istinto che forse soltanto io sarei riuscito a capire… per quanto Ginny riuscisse a penetrare nella mia mente e in quella di Alnitak, soltanto io avrei potuto aiutarla a placare il drago infuriato dentro di lei. Perché il tempo e le sfide mi avevano insegnato a placare quello dentro di me.

PARTE 2: DAUGHTER

“…e quindi seguirò un corso per pozionista. Rimarrò in Francia per due anni, forse meno…”

Rimarrò in Francia per due anni.
Rimarrò in Francia per due anni.
Rimarrò in Francia per due anni.

Daisy sollevò finalmente lo sguardo dalle unghie della mano destra che aveva fissato ostentatamente per tutta la durata del suo frenetico discorsetto. La freddezza negli occhi grigi della ragazza di fronte a lei la colpì come una pugnalata… si portò la mano alla gola, torturando il collo della maglietta.
“Taki… cerca di capire…” mormorò.
Ma evidentemente era chiedere troppo.
Alnitak scattò in piedi, fissandola come se volesse trapassarla da parte a parte… dietro la facciata gelida, smaniava per traboccare la delusione rabbiosa di chi si sente tradito, di chi non vuole accettare di perdere qualcuno… in quel momento la rossa apparve come la bambina irascibile che raramente mostrava di essere.
La ragazzina lasciò cadere il cuscino che teneva in grembo ed, insieme ad esso, anche un’occhiata di odio divorante piovve come una doccia gelida sulla cugina; il cuscino cadde sul tappeto con un tonfo, Alnitak infilò la porta d’ingresso, incespicando nella corsa, e se la sbattè alle spalle con violenza.
Silenzio.
Il battito ripetitivo dei tasti di un computer che si sovrapponeva a quello impazzito del suo cuore.
Solo un istante e Daisy scattò in piedi a sua volta, pronta a balzare verso la porta.

“Stai lì.”

La voce tranquilla di Ginny la raggiunse attraverso la porta socchiusa dello studio. Daisy si bloccò e si portò le mani alla testa, sospirando, poi con uno scatto stizzito, spalancò la porta e fissò sulla zia due occhi azzurri in procinto di riempirsi di lacrime.
“Taki… se n’è andata! Zia… io…”
“Tu… non seguirla.” fece Ginny sollevando lo sguardo dal portatile; gli occhiali da vista celarono il lampo di leggero divertimento che aveva attraversato il suo sguardo all’apparenza distaccato.
“Ma… zia, è uscita…!”
“Daisy, sono sua madre nel caso ti fosse sfuggito: mi vedi preoccupata?”
“No…”
“Dunque non esserlo nemmeno tu. Alnitak è una Malfoy…” Ginny si tolse gli occhiali, posandoli di fianco al computer, e si rivolse finalmente alla nipote senza quella protezione, “…il loro cuore parla una lingua diversa dalla nostra. Lascia che lei venga a patti da sola con la propria possessività: non puoi aiutarla.”

Una lacrima si impigliò tra le ciglia scure di Daisy e la ragazza battè le palpebre per cacciarla; corse vicino alla zia e si accoccolò sul bracciolo della sua poltroncina.
“Hai sentito tutto?” mormorò.
Ginny passò un braccio attorno alle spalle di Daisy e la strinse leggermente.
“A-ah… bel discorsetto. Te lo eri anche scritto?”
Il sorriso di zia Ginny era dolce e canzonatorio; Daisy la guardò in viso a lungo, terrorizzata di trovare rimprovero o delusione in quello sguardo, ma gli occhioni scuri della donna era pieni soltanto di dolcezza e orgoglio. Le lacrime finalmente traboccarono, lacrime di sollievo e liberazione, e Daisy nascose il viso nella spalla della zia.
“Bè? E che c’è da piangere?” sussurrò Ginny, carezzandole la schiena.
“Taki…”
“Taki capirà. Io sono fiera di te, e anche Draco… quando si renderà conto che non sta veramente dicendo addio ad un’amica, anche Taki sarà orgogliosa del tuo coraggio.”
“Ehi… cioè, Draco… voi lo sapevate già?”
Ginny rise, divertita.
“Ehi, ragazzina! Tua madre è la mia migliore amica da una vita! Chi credi che le abbia ricordato che qualcun altro a caso se n’è andato di casa dopo la scuola? Ali era terrorizzata all’idea di lasciar andare la sua bambina!”
Daisy si rabbuiò ulteriormente.
“Tu hai litigato con i tuoi amici quando te ne sei andata di casa… me l’hai raccontato.” bisbigliò.
La rossa le sollevò il viso per farsi guardare negli occhi.
“Daisy, era una situazione completamente diversa. Io me ne sono andata da una prigione, tu ci lasci per qualche tempo per vivere un’esperienza che ti renderà migliore. Non vedi quanto suona diverso?”
Daisy annuì, poco convinta.
“Io non voglio perdere nessuno di voi… non voglio perdere l’amicizia Taki!”
“Non la perderai. Dalle solo del tempo… poi comincerà a organizzarsi per scroccare una vacanza a Parigi e venirti a trovare.”
Questa volta la ragazza ridacchiò e nascose il sorriso abbracciando di nuovo la zia.
“Certo che è assurdo…” disse “tu sei qui a consolare me, quando tua figlia è arrabbiata e fuori di casa…”
Ginny sospirò, non eccessivamente preoccupata.
“Conosco la mia pollastra, credimi.” rispose, fingendosi sconsolata “Io non posso aiutarla, ma sono sicura che è andata a pescare qualcuno che parla la sua stessa lingua.”

PARTE 3: FATHER AND DAUGHTER

“Credevo di averti insegnato a bussare prima di entrare nelle stanze private di qualcuno.”

I gelidi rimproveri di Draco avevano sempre avuto il potere di mandarla in bestia, per tutta una sensatissima serie di validi motivi; ad esempio per il fatto che magicamente suo padre aveva sempre ragione, per il fatto che li lasciava cadere proprio nei momenti in cui meno ne avrebbe avuto bisogno, per il fatto che non aveva mai la più pallida idea di come controbattere e, soprattutto, per il fatto che se avesse dato in escandescenze per tutte le sopraccitate motivazioni non avrebbe ricavato da lui assolutamente nulla… se non altri rimproveri gelidi per i quali friggere di rabbia.
Alnitak respirò, contò fino a dieci, imponendosi di non muovere un muscolo del viso, e parlò con voce piatta.
“Perdonami. Volevo vederti.”
La ragazza si congratulò con se stessa.
Draco fece scivolare la giacca scura sui polsini inamidati della camicia e la appese al piccolo guardaroba del suo camerino; poi si decise a guardare in viso la figlia e rivolgerle un sorriso sardonico.
“Desideravi vedermi con così tanta urgenza da non poter attendere nell’atrio per dieci minuti?”
Come non detto.
Alnitak contò fino a quaranta… raschiando con le unghie il fondo della sua scarsissima riserva di pazienza.
“Sai che non sarei stata così invadente se non si fosse trattato di qualcosa di importante” mormorò tra i denti.
Il sogghignò sul volto del padre si allargò impercettibilmente: aveva fatto un buon lavoro con Alnitak, sapeva cavarsela egregiamente in qualsiasi situazione… in un ricevimento dell’alta società o ad un raduno di criminali sarebbe riuscita sempre a conservare la sua classe.
“Aspettami nel corridoio, per cortesia” disse alla figlia, con la voce addolcita dall’orgoglio “non ci metterò più di un minuto.”
La ragazzina annuì e sgusciò fuori dalla porta, senza trattenersi dal lanciare al padre un’occhiata ammonitrice: non mezzo secondo di ritardo, paparino…

*******

“Dunque?”

Draco guardava la figlia di sottecchi, mentre uscivano insieme dal teatro, occhieggiati con ammirazione e curiosità dagli spettatori ancora nei pressi dell’uscita. Era ancora caldo, sebbene l’estate fosse ormai alla fine… la camicetta verde doveva essere più che sufficiente per ripararsi dall’aria appena frizzante di quella serata, ma Alnitak stringeva le braccia al petto, come infreddolita, e la sua pelle pareva ancora più diafana del normale.
“Non era così urgente quello che dovevi dirmi?” la provocò ancora il padre.
Un’occhiata di stizza, fu mascherata da una ciocca di capelli rossi, provvidenzialmente spinta sugli occhi da un alito di brezza.
“Vuoi farmi credere di non sapere nulla, papà?” chiese la ragazza, più gelida che mai.
Draco non mostrò di aver incassato il colpo: sorrise, con quel suo ghigno storto che lo ringiovaniva di almeno dieci anni, rendendolo sempre più simile al bastardo scapestrato di una volta.
“Alnitak, non giocare alla petulante con me, non sono tua madre. Se hai voglia di sfogarti e litigare vai da lei: non credo ti negherà la soddisfazione di vederla strillare, se la provochi abbastanza.”
La ragazzina si dimenò, fumante di esasperazione, ma si arrese.
“Daisy è venuta a dirmi che ha vinto una borsa di studio per andarsene a studiare da pozionista in Francia.”

“Ottima materia.”
Alnitak si bloccò sul marciapiede, sul punto di scoppiare in lacrime… e nemmeno lei sapeva per cosa, nemmeno capiva se la stizza verso suo padre superasse la rabbia per ciò che le aveva detto la cugina. L’emozione, infine, ebbe la meglio sull’autocontrollo, il ritegno e l’educazione che le erano stati inculcati: senza riuscire a trattenere oltre il pianto, si lanciò tra le braccia forti del padre e si lasciò stringere e cullare da esse, mentre la diga dei singhiozzi sembrava non volersi richiudere mai.

Draco lasciò calmare la figlia, tenendola stretta tra le braccia, poi la allontanò leggermente, sollevandole il mento per farsi guardare negli occhi, ma la ragazzina si ritrasse, abbassando le palpebre su uno sguardo velato di lacrime amare.
“Daisy è l’unica con la quale non devo fingere… se va via lei, io non ho più nulla di vero.”
Alnitak sottolineò quella frase con un calcio ad un ciottolo che si era trovata davanti al piede; Draco sospirò silenziosamente.
“Andiamo a casa a piedi, vuoi? Parliamo.”
La rossa annuì e accettò il conforto del braccio del padre sulle spalle, mentre si allontanavano piano piano.

L’avevo fatta innervosire di proposito, o avrebbe continuato a tenersi tutto dentro, ribollendo di rancore verso qualcosa che non esisteva: lo sapevo, perché ero come lei. A quel punto sarei stato pronto a tenerla stretta a me fino al mattino dopo, se fosse stato necessario…ma, sebbene mi facesse star male vederla piangere, abbracciarla soltanto non sarebbe servito a nulla, perché non era in me che aveva perso la fiducia. Non mi stava dando la colpa della sua condizione, ma quella frase mi aveva colpito nel vivo più di quanto lei immaginasse… eppure non dissi nulla: era lei a soffrire, erano lei e Daisy, in quel momento, a piangere.
Sorrisi al mio improvviso spirito altruista, se di altruismo di può parlare riferendosi al sangue del proprio sangue. In un momento simile mi stupii di trovarmi a pensare, dopo tanti anni, a quanto la sofferenza delle altre persone tendeva a non farmi né caldo né freddo, una volta; mi chiesi fino a che punto fosse domato l’assassino insensibile che ero stato… dubitavo seriamente che si fosse assopito del tutto. Senza motivo, mi sorpresi a chiedermi se sarei stato ancora in grado di uccidere e, ancora più stupito, mi risposi “si”. Tenevo mia figlia tra le braccia e mi resi conto che per lei avrei fatto qualunque cosa, senza esclusioni.

“Sai che comportandoti così stai facendo molto male a Daisy?”
Alnitak si voltò a guardarlo.
“E il male che mi fa lei andandosene?”
Il mago scosse la testa.
“Non ti fa del male, Taki… non devi avere paura della solitudine.”
La ragazzina si scostò da lui, ferita, ma Draco continuò, inesorabile.
“Non sarai mai come gli altri ragazzi, di questo ti avevo avvertito anche prima che tu andassi ad Hogwarts, lo sai. Hai troppo di me per poter essere amata e benvoluta da tutti nel modo in cui lo è Daisy… lei non smetterà di volerti bene solo perché sarà lontana, ma devi imparare a cavartela da sola, devi crearti la tua vita per quanto complicato possa essere.”
“Non capisci!” scoppiò Alnitak, di nuovo in lacrime “Credi che mi importi di essere amata perché sono l’amica della reginetta di Hogwarts! Io so bene quello che sono!”
La figlia di un assassino.
L’ultima Malfoy.

“E lo sarai anche se Daisy se ne va. Se lo sai, cos’è che ti tormenta? O forse non riesci ad accettarlo?”
Alnitak si strofinò rabbiosamente gli occhi con la mano. Odiava farsi vedere piangere.
“Non accetto che qualcuno prenda il mio posto per lei…”

Draco trattenne un sorriso, mentre rivedeva se stesso su una spiaggia lontana, una sera di molti anni prima… il viso di una donna illuminata dalla luce aranciata di un falò, le proprie dita tra quei capelli di fiamma e la propria voce secca che diceva non ti avviserò, non farti trovare con un altro. La durezza per mascherare, per dare una dignità ad una frenesia che sfiorava l’ossessione. Perché ciò che è di Malfoy non è di nessun altro… questo gli avevano insegnato; la verità era che ciò che gli entrava nel cuore aveva la tendenza fastidiosa a non volersene più andare…
“Non farti trovare con un altro.”
No. Non era ancora quel momento: la sua bambina di quattordici anni non sopportava l’idea che l’amica di sempre, la sorella di spirito, potesse dimenticarla e sostituire la loro amicizia. Eppure il sentimento era lo stesso: quella ossessività che nascondeva una minaccia, quell’implorazione umiliante celata dietro il muro dell’orgoglio rabbioso… il tutto racchiuso in un cuore che ancora non sa quanto è facile fare del male a se stessi ed agli altri.
Con un sogghigno nascosto, Draco non potè evitare di pensare che, figlia sua e di quel demonio di Ginny, Alnitak avrebbe fatto desiderare le attenzioni di un’acrumantula ad un eventuale ragazzo che l’avesse fatta soffrire… ovviamente in un futuro ancora molto lontano.

“La gabbia non è il metodo giusto per assicurarsene, Taki. La vostra amicizia non soffrirà della lontananza, ma non lasciare che Daisy parta con l’idea di averti tradita.”
Taki alzò la testa.
“Come puoi dire questo?”
“In ogni caso Daisy ha finito i suoi studi ad Hogwarts… non sareste state insieme comunque quest’anno.” La ragazzina fece per ribattere ma Draco la fermò con un gesto imperioso “Zitta. Posso dirlo perché lo so. Non fare questo errore, non fare del male alle persone che ami; sei così simile a me che è inevitabile: senti di doverti tenere stretta ciò che è tuo a tutti i costi, ma non è così che ci riuscirai. Io e Ginny siamo rimasti separati per un anno intero, a causa di Voldemort… ho patito come un cane pensando che avrebbero potuto portarmela via, ma niente ha potuto mettersi in mezzo a noi. Ti fidi così poco di Daisy e di te stessa da pensare che la vostra amicizia debba sparire alla prima difficoltà?”
Alnitak scosse la testa. “No… io…”
“Daisy non ti deluderà. Quegli stupidi Gryffindor sono geneticamente incapaci di essere sleali.”
La battuta strappò finalmente una risatina ad Alnitak, che si strinse di nuovo al padre in un abbraccio; Draco la circondò con le sue braccia, mentre riprendeva a parlare seriamente.
“Farò in modo che tu possa vederla spessissimo, Taki, questo te lo prometto.” la rassicurò “Ma vorrei che tu capissi quanto è difficile anche per lei: Daisy sarà completamente sola a Parigi, mentre tu sarai qui con tutta la tua famiglia e la sua! Non credi che lei sentirà la tua mancanza ancora più di te? Non credi che sarà lei a sentirsi meno vera così lontana da tutti quelli che le vogliono bene?”
“Immagino di sì.” ammise Taki “ma non ci ho pensato. Suppongo che un po’ di altruismo Gryffindor avrebbe fatto bene anche a me…”
Draco rise.
“Chissà… in fondo sei Gryffindor per metà!”
“Mamma non sembra poi tanto Gryffindor quando si arrabbia.”
“Non sarà perfetta, ma è la Gryffindor della mia vita. L’ho sposata perché una Gryffindor che insulta Potter non si incontra due volte.”
Anche Alnitak scoppiò a ridere e Draco la abbracciò ancora più forte.
“Andiamo a casa, piccola.” sussurrò “La Gryffindor arrabbiata ci starà aspettando…”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=31304