Arkivet av Berättelser [L'Archivio delle Storie]

di FeatherJoshua
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio - Si alzi il sipario ***
Capitolo 2: *** 1st Story - Masquerade ***



Capitolo 1
*** Preludio - Si alzi il sipario ***


.Preludio – Si alzi il sipario.

 
 
Stoccolma, 19 Settembre 1895.
 
 
 
  - Siamo arrivati, mamma? Siamo arrivati? -
  - Sì tesoro. È questo il posto. –


«Arkivet av Berättelser»
«L’Archivio delle Storie»

 

Non c'era bisogno di insegne, tanto era riconoscibile quel negozio: quella facciata apparentemente anonima, infatti, nascondeva un luogo talmente singolare da riuscire ad emettere, in qualche modo, una sorta di aura carica di mistero ben percepibile da chiunque vi posasse gli occhi.
Le due entrarono velocemente all'interno, spostando con un gesto aggraziato le leggere tendine tempestate di minuscoli cristalli, ritrovandosi così dinnanzi ad uno scenario che aveva del meraviglioso: una stanza enorme, le cui innumerevoli mensole in mogano contenevano gli oggetti più disparati; una tale varietà di forme, luci, colori, sommate al delicato profumo di vaniglia misto all'intenso aroma d'antico, rendeva quel luogo quanto di più vicino al fiabesco esistesse a questo mondo.
 
  - La contessa Margareta Svan-Fjäder e la contessina Odette, giusto? Benvenute in quest'umile negozio d'antiquariato. -
A interrompere quel momento estatico era stata una giovane fanciulla in abito bianco, probabilmente non più grande della contessina, ora piegata in un leggero inchino di cortesia verso le sue due ospiti. Sorridendo, continuò.
  - Provvederò subito ad avvertire Mr. Vissångare. Nel mentre, sentitevi pure libere di curiosare per il negozio. -
E dopo un secondo leggero inchino si allontanò verso la stanza adiacente.
 
La giovane aiutante tornò dopo qualche istante, preceduta dal proprietario dell'antiquario, che certamente non deludeva le aspettative date da quel luogo magico: si presentò infatti davanti a loro un uomo alto, con capelli candidi come la luna e occhi di un rosso intenso e brillante, solcati tuttavia dall'ombra di una tristezza profonda, ormai sfumata dal tempo. La carnagione diafana, poi, unita a quei lineamenti quasi efebici - seppur la sua figura facesse trapelare nel complesso una certa maturità -, non facevano che farlo sembrare ancor di più un personaggio uscito direttamente da un racconto incantato.
  - Il mio nome è Vincent Vissångare, umile proprietario di questo luogo. Enchanté, lei deve essere la contessa Svan-Fjäder. -
Con un leggero scatto si inginocchiò davanti alla Contessa, e con la grazia con cui si maneggia una bambola di ceramica le prese la mano destra, e ne sfiorò il dorso con le labbra sottili. Lei arrossì un poco, ma lo lasciò fare con piacere.
Quindi, con un movimento altrettanto leggiadro, l'uomo si chinò all'altezza della bambina, sorridendole.
  - Tu invece devi essere la piccola Odette, giusto? Mi hanno detto che oggi è il tuo nono compleanno, quindi potrai scegliere uno di questi oggetti come regalo - fantastico, vero? -
Le strizzò l'occhio, e si rialzò lentamente.
 - Però sai, è veramente difficile scegliere uno solo di questi oggetti, e sai perché? -
La bambina fece segno di no con la testa, mentre fissava l'antiquario con gli occhi sgranati, senza proferire parola.
  - Semplice, perché il mio negozio ha una particolarità: vedi, tutti noi abbiamo una storia. Essa sancisce la nostra individualità, differenziandoci gli uni dagli altri. Dopo la morte, è l'unica parte di noi che può essere trasmessa, rendendoci eterni.
Ogni oggetto qui presente cela una di queste storie, uniche ed irripetibili, che aspettano solamente di essere tramandate.
Ed oggi, ancora una volta, io darò loro voce. -
Dicendo ciò, come un attore che, presentato il tema del suo spettacolo, si congeda cortesemente dal suo pubblico per levare il sipario, l'antiquario si diede ad un profondo inchino, e voltandosi disse, accompagnato da un delicato movimento della mano:
  - Ora prenditi pure tutto il tempo che desideri per scegliere i tuoi oggetti preferiti: io vi aspetterò nel salotto qui sul retro per raccontarvi le loro storie, così che tu possa scegliere il tuo favorito. -
Poi aggiunse, rivolgendosi alla sua piccola assistente:
  - Lilian, tu intanto potresti preparare il nostro miglior tè nero per allietare le nostre ospiti durante i racconti? -
  - Sì, Maestro. -
E lentamente se ne andarono, scomparendo dietro alle tende purpuree che dividevano le due stanze.
 
Le due rimasero lì, immobili, come ipnotizzate di fronte a quella realtà ovattata, quasi magica, che tanto si avvicinava alla dimensione del sogno da mettere in discussione anche la realtà più concreta e la veglia più vivace.
Quando la contessa si riprese da quello stato di trance, guardò affettuosamente la figlia, ancora immersa in quel Paese delle Meraviglie.
Sorrise, con il sorriso che solo una madre, nel momento in cui vede dinnanzi a sé la propria bambina veramente felice, saprebbe mostrare.
Le adagiò una mano sul capo, carezzandola lievemente per farla tornare nel mondo reale.
- Mamma, grazie! -
Il sorriso della bambina nel pronunciare quelle parole, probabilmente, avrebbe avuto il potere di alleviare ogni dolore, ogni sofferenza, ogni tormento da chiunque lo ammirasse.
- Allora, hai già visto qualcosa che ti piace? -
La bambina si guardò intorno con aria incerta, cercando con lo sguardo qualche oggetto che spiccasse in quell’oceano di meraviglie.
Era davvero una scelta difficile.
 
- Chissà quali storie racconterai oggi, papà. -
Lilian sedeva sul parquet, ai piedi dell’antiquario, lasciandosi dolcemente carezzare i lunghi capelli bianchi mentre, illuminata dalle fiamme danzanti del camino, giocava spensierata con una piccola bambola di porcellana del tutto identica a lei.
Vincent restò a guardarla per qualche secondo, il volto immobile in un sorriso che aveva del nostalgico.
- Non so. Nonostante mi dedichi a questo lavoro da molti, troppi anni, le storie che l’umanità ha ancora da raccontare sono davvero troppe per poter anche solo azzardare un’ipotesi. -
La bambina sorrise, continuando a giocare con la piccola se stessa.
- Be’, comunque sia saranno sicuramente meravigliose… anche solo perché sarai tu a raccontarle. -
Sorridendo a tale constatazione, l’albino chiuse gli occhi, come a volersi distaccare per qualche momento da quel mondo così fisico e concreto, in preparazione allo spettacolo che di lì a breve avrebbe portato in scena, cullato dal dolce, ripetitivo movimento delle sue lunghe dita che scorrevano fra i candidi capelli della bambina.
 
A risvegliarlo da quello stato di trance furono il leggero suono dei passi delle due clienti, finalmente pronte ad ascoltare le parole dell’antiquario.
Apparvero da dietro le tende di velluto, sorreggendo due vassoi di cristallo su cui avevano adagiato gli oggetti preferiti della contessina, i volti spaesati alla vista di un ambiente così ampio ed elegante, seppur così famigliare: la tappezzeria, il camino, gli arredi costosi… più che il retrobottega di un negozio d’antiquariato, sembrava più il salotto di un principe.
«Prego, accomodatevi. Posate pure i pezzi che avete scelto sul tavolino.»
Le due obbedirono, prendendo velocemente posto sulle due poltrone libere di fronte al camino.
L’albino si incurvò leggermente sul tavolo, così da osservare gli oggetti scelti. Sorrise.
«Una Maschera veneziana, un ciondolo Portafortuna, un Flute di cristallo, un Giglio di seta, una Bambola di porcellana, un Carillon d’argento, un libro di Fiabe, uno Specchio decorato ed infine una Lanterna ad olio… devo dire che hai davvero un ottimo gusto, contessina.»
Odette sorrise, ma la sua attenzione venne subito dirottata dal dolce profumo che aveva invaso la stanza.
Senza che nessuno se ne fosse accorto, Lilian era entrata nella sala portando con sé il tè e i dolci appena sfornati per le ospiti.
Adagiò il vassoio d’argento su di un secondo tavolino, esponendone brevemente il contenuto.
«Si tratta di Tè nero Darjeeling raccolto a mano, più precisamente una first flush. Ad accompagnarlo ho preparato dei bigné ripieni di crema chantilly, completamente fatti in casa. Spero sia tutto di vostro gradimento.»
Sorrise dolcemente, quindi si sedette nel suo posto preferito, accanto alle sue due bambole predilette, in tutto e per tutto identiche a lei.
Vedere quelle tre creature, una di fianco all’altra, con la consapevolezza che, per quanto fossero terribilmente simili, solo una di loro era dotata di vita, mentre le altre non erano che gusci vuoti, e riuscire a malapena ad individuare quella vera, aveva un che di veramente inquietante. Tuttavia, le due ospiti cercarono di non farci troppo caso.
Prima di iniziare, l’antiquario si concesse un piccolo sorso di quel tè pregiato.
«Bene, si alzi il sipario

 
 

«In questo ballo in Maschera
sottostante al volere della Sorte
tintinnano flute di Champagne.
Ah, questo candido Giglio
non è che una Marionetta
che danza al suono dell’Elegia…
Ma fra tutte le Fiabe,
non è forse questa la più Bella,
narrata alla luce della Lanterna?»

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Capitolo 2
*** 1st Story - Masquerade ***


.1st Story – Masquerade.
 
«Una Maschera pregiata, un valzer infinito fra amore e passione.
La prima Storia: un amore oltre i limiti dettati dal denaro.»
 
 
Catherine non si sentiva affatto a suo agio in quell’abito.
Era bellissimo, è vero, e le calzava come se le fosse stato cucito su misura… però non era quello il suo posto.
Essendo una povera sarta di periferia, il suo compito si limitava al creare vestiti di quel tipo, e anche solo pensare di poterne, un giorno, indossare uno non era che la più infantile delle fantasie.
Una pelle come la sua, consumata dal lavoro, che non era mai stata coperta da qualcosa che non fosse uno straccio consunto, non era degna del delicato abbraccio della seta.
«Sei bellissima, tesoro.»
La flebile voce della madre interruppe i suoi pensieri, riportandola nel mondo reale.
La ragazza la guardò negli occhi.
Stava piangendo.
In diciannove anni di vita passati fianco a fianco con quella donna, Catherine non l’aveva mai vista versare una lacrima. Nemmeno nei momenti più difficili, quando riuscivano a stento a permettersi del pane, nemmeno alla morte del marito, che la lasciò sola con una bambina di appena sei anni.
Aveva sempre trovato la forza di sopportare, di portare il peso della propria esistenza sulle spalle, senza mai tentennare… ma ora, per la prima volta, stava piangendo.
Non era un pianto dovuto alla tristezza, o al dolore; era il pianto pieno di gioia ed orgoglio di una madre che vede di fronte a sé la propria figlia finalmente cresciuta, divenuta una donna.
Istintivamente, Catherine l’abbracciò.
Avrebbe voluto dire che no, lei non era bella e non lo sarebbe mai stata, che non era che una normalissima ragazza dai tratti rozzi e anonimi, che la bellezza era un’altra cosa e non l’avrebbe mai toccata… ma non avrebbe mai potuto dirlo a sua madre, soprattutto in quel momento, dopo che per lei aveva deciso di chiudere temporaneamente la bottega per dedicarsi notte e giorno alle modifiche da apportare a quell’abito, un tempo ripudiato da una cliente forse troppo pretenziosa. Non poteva.
«Grazie.»
La vecchia si asciugò rapidamente gli occhi arrossati, e continuò.
«Però, manca ancora qualcosa. Stai andando al Gran Ballo in Maschera, e non hai ancora un elemento fondamentale per la partecipazione.»
Catherine la guardò con aria interrogativa, come se non si aspettasse una frase del genere.
Lentamente, la madre le porse un piccolo cofanetto di legno.
La ragazza era ancor più confusa ed interdetta di prima.
Si trattava di un cofanetto in mogano intarsiato, probabilmente parecchio costoso – più costoso di quanto potessero permettersi – e pensare che si trattasse solo di un contenitore la metteva un po’ a disagio.
Con mani tremanti, lo afferrò, e lo aprì.
All’interno, adagiata su una fodera di velluto, giaceva una maschera da ballo.
Anzi, probabilmente era la più bella Maschera da ballo che avesse mai visto.
Su di una base dalle tinte autunnali, si districavano arabeschi dorati che formavano decorazioni floreali eleganti e raffinate.
Catherine sbiancò. Si era già posta il problema della maschera, e si era presto resa conto che i prezzi erano ben oltre la loro portata.
Ma forse è solo un’imitazione. Non può essere un’originale, una maschera del genere verrebbe a costare… troppo, decisamente troppo.
Deglutì.
La voltò lentamente, nella speranza di trovare conferma alla sua constatazione… e, quando lo vide, sbiancò.
Quel timbro sul retro della maschera ne sanciva l’originalità, e per di più ne affermava chiaramente la sua provenienza: Venezia.
Si sentì svenire.
La madre la guardava, gli occhi di nuovo lucidi.
«Allora, ti piace?»
Il volto era piegato in un sorriso che emanava tristezza.
Aveva chiaramente dato fondo ad ogni suo risparmio per comprarla. Anzi, forse si era persino indebitata per farlo.
«M-Madre… Perché?!»
Il grido riecheggiò nella stanza, ma la vecchia rimase immobile, lo sguardo basso.
«Non dovevi spendere una cifra del genere. Non dovevi usare i risparmi di una vita per… per un’inutile maschera!»
Delle lacrime iniziarono ad uscire dagli occhi della giovane, mentre afferrava con rabbia il prezioso regalo.
«Tutti i tuoi sforzi, tutta la fatica di questi anni… Perché hai voluto buttarli così? E per cosa poi--»
La vista di Catherine iniziava ad annebbiarsi per il pianto, ma riuscì a distinguere il volto della madre alzarsi e guardarla negli occhi, decisa.
«Per la tua felicità, ecco per cosa. Tutti gli sforzi di cui parli… li ho fatti solo per questo. Per poter vedere la mia bambina felice»
La giovane non rispose.
Si limitò a lasciarsi cadere lentamente al suolo, piangendo, la maschera stretta fra le mani.
«…Ti voglio bene, mamma»
La vecchia si chinò per abbracciare nuovamente la figlia.
«Anch’io, vita della mia vita»
 
 
La notte calò presto.
I goffi passi della giovane calpestavano l’erba già umida della prima rugiada.
A giudicare dalla luce e dalla musica proveniente dalla grande villa del Marchese, il Gran Ballo aveva già avuto inizio.
Tutto stava procedendo alla perfezione: il leggero ritardo le avrebbe consentito di approfittare del momento di massima affluenza di nobili per infiltrarsi all’interno senza farsi notare dalle guardie.
Prima di procedere, si prese un momento per fare ordine fra i suoi pensieri.
Davanti a lei, una breve scalinata conduceva all’ingresso di quella villa sfarzosa… la stessa villa in cui viveva il suo amato.

Erano passati esattamente quattro mesi dal loro incontro, da quando la sua vita fu cambiata irrevocabilmente.
Prima, lei non era che un’anonima artigiana, destinata alla più umile delle vite, priva di qualsivoglia obiettivo, senza alcuna ragione per la quale vivere.
Ma, dopo aver incontrato quel giovane, aveva finalmente trovato ciò che non aveva nemmeno mai pensato di cercare; ora amava qualcuno, e quell’amore era diventato il suo sangue, il suo corpo, la sua anima.
Improvvisamente, per uno scherzo della sorte, aveva ritrovato sé stessa in lui, e lui aveva ritrovato sé stesso in lei; assieme raggiungevano la completezza, la perfezione, l’estasi.
Tuttavia, lui non era un semplice paesano… o almeno, non lo era più.
Arricchitosi in seguito ad affari particolarmente prosperi con la capitale, il padre del giovane aveva infatti recentemente acquistato la carica di Marchese, elevando così l’intera famiglia a rango nobiliare… ponendo quindi i due giovani su due piani differenti, completamente distaccati l’uno dall’altri prima ancora che i loro destini si intrecciassero.
Il Gran Ballo era la loro unica possibilità.
Con l’identità di Catherine celata da quella maschera preziosa, quella notte nulla avrebbe potuto ostacolare il loro amore.
Magari avrebbero finalmente ottenuto il loro lieto fine, proprio come nelle fiabe che tanto amava da bambina.
 
Rassicurata da quest’ultimo pensiero, la giovane si decise ad entrare.
Abbandonato ogni timore, varcò il grande portone a testa alta, pronta ad entrare in scena sul palcoscenico del suo destino.
Dinnanzi a lei si estendeva un’immensa sala da ballo in cui, irradiati dalla luce dei lampadari e allietati dalla musica dell’orchestra, innumerevoli invitati ballavano, parlavano, bevevano…
Stava forse sognando? In quel mondo nel quale non aveva mai visto altro che la cruda miseria in cui aveva sempre vissuto, poteva davvero esistere qualcosa di così simile al paradiso?
Non appena Catherine rinvenne da quei pensieri, guidata dai leggiadri gesti del conduttore, l’orchestra iniziò a suonare un valzer elaborato, dal ritmo incalzante, quasi ipnotico.
La ragazza tentennò un istante, per poi immergersi rapidamente nella folla per cercare l’amato.
Una maschera dorata ed un mantello con animali ricamati in filo d’oro.
Questo era tutto ciò che sapeva, l’unico indizio per trovarlo.
Correndo fra maschere sconosciute, la ragazza seguiva il filo rosso che l’avrebbe condotta al suo principe.
La musica si faceva più veloce, più veloce…
Con l’acconciatura che iniziava a disfarsi, la ragazza continuava a correre seguendo il suo filo d’Arianna…
Le note suonate dall’orchestra erano così rapide, così confuse…
La ragazza continuava a correre per la sala, incurante persino di se stessa…
La melodia comandata da quel conduttore continuava a rimbombare nella sua testa, ancora e ancora…
Spinta dall’amore, la fanciulla mascherata correva, correva, correva…
Comandata dalla bacchetta, la musica si faceva sempre più incalzante, più incalzante, più incalzante…
La vista s’annebbiava, la testa iniziava a pulsare, il respiro si faceva sempre più pesante…
Avesse dovuto trovarne l’estremità in punto di morte, la ragazza avrebbe continuato a seguire il filo del suo amore fino alla fine…
Ed eccolo, il capolinea del suo destino!
La maschera, il mantello ricamato…
La fanciulla si gettò verso di lui, ansimando:
 
«Christopher»
 
L’uomo si voltò, e con un languido sorriso porse la mano all’amata.
Si toccarono.
Catherine si alzò.
I loro corpi si fecero sempre più vicini, il tepore sempre più intenso.
Avvinghiati fra loro, pronti a dare inizio ad un valzer appassionato, l’uno sentiva il respiro dell’altro inebriare la propria pelle.
«Mi concedi questo ballo, Catherine?»
La voce dell’amato risuonò distorta nella testa della ragazza, confusa da quell’attanagliante cacofonia di suoni ed emozioni.
Senza alcuna esitazione, la fanciulla cedette il suo corpo alle mani esperte dell’uomo che amava.
Come un guscio vuoto ormai animato solo da un amore divampante, iniziò a volteggiare sul palco, avvolta dal caldo abbraccio dell’amante.
Al pari di due variopinte farfalle che, spiegando le ali all’unisono, si accompagnano nel volo cullate dalla leggera brezza primaverile, così i due si facevano strada sulla pista, ignorando gli sguardi degli altri invitati.
Senza alcuna preoccupazione, senza alcun pensiero, i due continuavano a danzare, a danzare, a danzare, le note dell’orchestra che sembravano essere un tutt’uno con i loro passi, le loro vesti, i loro volti…
 
Ah, se solo questo momento potesse durare in eterno…
 
Fu solo quando le campane rintoccarono la mezzanotte che i due si accorsero di essere rimasti soli.
Ma a Catherine non importava: finché era assieme a lui, il mondo sarebbe anche potuto finire senza che la cosa li tangesse.
Insieme, i due diventavano uno.
Insieme, i due raggiungevano l’infinito.
 
Nel silenzio della pista ormai vuota, l’uomo dischiuse le labbra, e un flebile sussurro risuonò nella testa della fanciulla.
«Seguimi, Catherine. Ritiriamoci nelle mie stanze»
 
 
Non ci fu esitazione.
Subito, senza parlare, quasi senza nemmeno guardarsi, i due si misero a correre, incuranti della fatica che, dopo una notte di danze impetuose ed ininterrotte, aveva portato i loro corpi al limite dello sfinimento.
Finché erano assieme, non esisteva stanchezza.
Finché erano assieme, ogni loro movimento, ogni loro azione era dettata dall’amore che legava quelle due anime, separate solo da quei corpi mortali.
Così, continuando a correre incuranti degli affanni del fisico, si districavano in quel labirinto dorato, fra stanze, corridoi, saloni… finché non raggiunsero la porta dell’eliseo.
Ovviamente, non si trattava del passaggio per il luogo della beatitudine eterna, ma poco importava. Per i due amanti, quella porta era l’unica cosa che li separava dal loro personale paradiso, in cui il loro amore avrebbe potuto finalmente risplendere nella sua interezza, concretizzandosi.
 
Sorridendo, l’amato aprì la porta.
 
Catherine non fece nemmeno caso allo sfarzo di quella camera da letto. In quel momento esisteva solo il loro amore, che travolgente li spingeva, con impeto, su quel letto che li attendeva.
In pochi istanti, la ragazza sciolse i lacci che stringevano le sue forme in quel vestito ormai privo di senso, presentandosi nella sua forma più pura di fronte all’amante.
L’acconciatura era ormai disfatta, e i capelli le ricadevano sulle spalle ossute.
Adagiandosi sull’amato, iniziò a sussurrargli deliri d’amore mano a mano che sbottonava, velocemente, le vesti.
E finalmente erano lì.
Loro due, soli nell’universo.
L’uomo e la donna.
Separati solo dalla fragile barriera di una maschera.
Dischiudendo le sue labbra su quelle di lui, la fanciulla rimosse quell’ultima barriera.
 
«Ti amo, Christopher.»
 
Lui sorrise, macchiandosi di quel peccato.
 
 
«Ah, il tempo dedicato alla [Maschera] sta per esaurirsi:
è ora giunta l’ora del lieto fine tanto atteso.
Dimmi, mia piccola ascoltatrice:
questa Storia ha infine trovato la via per il tuo cuore?»
 
«Ti amo anch’io, Catherine.»
E si baciarono, si baciarono, si baciarono.
E il tempo giaceva immobile, mentre quei due corpi dimentichi di ogni stanchezza, di ogni tristezza, di ogni preoccupazione si riunivano in una cosa sola, nell’ombra della stanza, illuminati solamente dal pallido bagliore di una sottile falce di luna nel cielo stellato.
 
Quando, il mattino dopo, come in un racconto incantato un singolo raggio di sole inondò i loro visi immersi nel mare del sonno, svegliandoli, lentamente, con il suo tenue calore, i due si guardarono negli occhi.
Non avevano più paura.
Velocemente, Christopher porse alla giovane un nuovo abito da indossare: una veste leggera e sobria, impreziosita da ricami floreali in filo d’oro che ricordavano quelli della maschera che ora giaceva sul comodino.
Vi si avvicinò e ne accarezzò la superficie con la mano candida.
Doveva molto a quella maschera, doveva molto a sua madre. Se non fosse stato per lei, non sarebbe mai arrivata a quel punto, non si sarebbe mai unita con Christopher… Non fosse stato per lei, il Destino le avrebbe riservato ben altra vita.
«Pronta?»
Il giovane, vestitosi anch’egli, la aspettava sulla soglia della stanza, la mano adagiata sulla maniglia dorata.
«Pronta.»
Insieme, i due amati si diressero nella sala da pranzo, dove i genitori di lui lo aspettavano per la colazione.
L’odore del caffè e dei croissant appena sfornati si stava diffondendo in tutto il maniero.
Dopo pochi minuti, la grande porta intarsiata si aprì sull’ampio salotto in cui sedevano, in totale serenità, il marchese e la marchesa.
Come alzarono gli occhi, videro i due giovani l’uno vicino all’altra, l’uno che completava l’altra.
Sorrisero.
Non ci vollero parole: certi amori sono semplicemente troppo grandi, troppo evidenti e prorompenti perché si possa anche solo pensare di fermarli, tanto meno per motivazioni vane come il denaro, o la classe sociale.
Conclusi i primi festeggiamenti, il marchese annunciò pubblicamente che, di lì a tre mesi, avrebbe sposato una giovane, povera apprendista sarta di cui si era follemente innamorato.
 
 
Fine della Prima Storia - Masquerade
 


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 «Un finale sospetto, dettagli discordanti che tradiscono una realtà distorta…
ma in fondo, perché il [Cantastorie] dovrebbe mentire?»
 


«È davvero un peccato.»
Catherine sentì una fitta al ventre.
Il dolore lancinante la riportò alla lucidità dei sensi.
Avvolta dall’oscurità di quel ripostiglio angusto in cui era stata condotta, aguzzò la vista che già iniziava ad annebbiarsi per osservare la figura che le stava dinnanzi.
Quando, per un istante, i suoi contorni si fecero chiari, Catherine si lasciò cadere a terra.
Estratto il vecchio pugnale dal corpo della giovane, il sangue iniziò a tingere l’abito su cui  la povera madre della ragazza aveva tanto lavorato.
Quell’odore pungente le stava lentamente penetrando nel cervello – poco male, perché di lì a poco avrebbe comunque lasciato questo mondo.
Non aveva più la forza di gridare, non aveva più la forza di piangere, non aveva più la forza di chiedere aiuto.
Un uomo di mezz’età, con tutta probabilità assoldato dal Marchese per ucciderla in modo da impedire sul nascere risvolti non voluti con il giovane, ingenuo figlio, vestito con quegli stessi abiti che Christopher le aveva indicato- o forse non era stato nemmeno Christopher, ma bensì il Marchese stesso, intercettando le loro lettere segrete… e ora il suo amato la stava forse aspettando, in vesti sconosciute, in quella sala da ballo così piena di gente tutta uguale ai suoi occhi… e nascosto da quella maschera sconosciuta, pure l’amore della sua vita non era che uno fra molti, indistingibuile tra gli altri, impossibile da scovare…
E lei, come una mosca attratta da un odore zuccherino, non aveva fatto altro che finire dritta nelle fauci di quella pianta carnivora, senza possibilità di fuga.
Il sicario se ne stava immobile, in piedi davanti a lei che giaceva ai suoi piedi, sorridendo nel vedere il lago di sangue che si espandeva sotto i suoi piedi.
Nei suoi ultimi secondi, riuscì a sentire quel farabutto che, senza alcuna cura, le sfilava la maschera dal volto.
Rigirandosela fra le mani, sembrava ripetersi
 
«Davvero una bella Maschera… Veramente adatta ad una graziosa fanciulla come lei… Maschera che ora si farà, suo malgrado, messaggera di una tragedia d’amore e morte… Già, senza dubbio è un oggetto di ottima fattura… Trovando la persona giusta, potrei ricavarci un gruzzoletto non indifferente…»
 
«Addio, Christopher. Scusami tanto, Madre mia.»
 
Fine della Prima Storia – Masquerade

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