Piccoli momenti Romanogers

di Natalia_Smoak
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di disegni e barrette al cioccolato ***
Capitolo 2: *** di armadi stretti e confessioni al buio ***
Capitolo 3: *** Di paura e di morte ***
Capitolo 4: *** Di insonnia e Di Materassi ***
Capitolo 5: *** Di baci e lezioni pratiche ***
Capitolo 6: *** Di proiettili e magliette troppo larghe ***
Capitolo 7: *** Di sindrome postraumatica da stress e confessioni p1 ***
Capitolo 8: *** Di sindrome postraumatica da stress e confessioni p2 ***



Capitolo 1
*** Di disegni e barrette al cioccolato ***


Di disegni e di barrette al cioccolato
 
La luce del giorno filtrava dalle persiane leggermente tirate su. Non era intensa, malo era abbastanza da disturbare il sonno di Natasha.
La ragazza aprì gli occhi disorientata. Dove diavolo era? Tutto quello che si ricordava era la battaglia, Tony che sfrecciava su in cielo, Thor che lanciava il suo martello e poi una forte esplosione, Steve che gridava. Da lì in poi buio totale. Lentamente, molto lentamente per i suoi gusti, riuscì a destarsi dal torpore che provava, torpore che era indotto dalla flebo di morfina a cui era attaccata.
“Ora si spiega tutto” pensò, mentre si guardava intorno; era in una stanza di ospedale dello S.H.I.E.L.D. Provò ad alzare il busto, cosi da potersi mettere semi seduta e girarsi.
La prima cosa che vide quando lo fece fu il volto addormentato di Steve Rogers.
Era seduto su una sedia, il gomito destro appoggiato su un tavolino e la testa retta in parte dal medesimo braccio in parte dal muro dietro di lui, le gambe allungate e i piedi appoggiati, rigorosamente senza le scarpe, sul suo letto.
Natasha l’osservò; sembrava così tranquillo, così in pace con se stesso, forse come non lo era mai stato prima. Aveva i vestiti sgualciti, le occhiaie ed un filo di barba che gli incorniciava il volto.
Da quanto tempo era lì?
Natasha spostò lo sguardo sul tavolino affianco a loro, solo in quel momento si rese conto che sopra vi erano posati dei fogli da disegno con una matita e una gomma vicino.
Con non poca fatica si allungò per prenderli. Se non fosse stato tremendamente fuori dal suo personaggio avrebbe fatto un sorriso, Steve Rogers aveva davvero usato il retro di dei referti medici per farle un ritratto?
Passò le dita sopra il disegno, i tratti erano precisi, era come vedersi in uno specchio. Per quanto tempo l’aveva osservata?
Non vi era nessun colore nel disegno, tranne che quello sulle labbra e sui capelli, rossi come i fuoco
“Ecco, quelli non avresti dovuto vederli”
“Oh, Buongiorno bell’addormentato” disse la rossa voltandosi verso il ragazzo ormai sveglio. Lo osservò stiracchiarsi inarcando la schiena come un gatto lezioso, mentre con una mano copriva uno sbadiglio. La felpa e la maglietta che indossava si scoprendo un invitante porzione di pelle sopra la cintura.
“Come ti senti?” le chiese realmente preoccupato
“Come qualcuno che si trova in un letto di ospedale attaccata a delle flebo. Per quanto tempo sono stata…mmm…indisposta?”
“Tre giorni, 14 ore, 38 minuti e 53 secondi primi scattati in questo momento” rispose lui guardando il suo orologio da polso, gentilmente regalatogli dalle industrie Stark.
“Quelli non gli avevate nel 1940, eh?” rispose lei sorridendo
“No, decisamente no” affermò Steve sorridendo a sua volta
“Sei stato qui tutto il tempo?” chiese conoscendo già la risposta. Lo vide arrossire e distogliere lo sguardo
“Si” ammise alla fine lui, mentre si passava una mano dietro il capo imbarazzato. Era quasi tenero; un uomo alto 1,85 e che pesava 90 chili era tenero, se qualcuno glielo avesse detto avrebbe riso.
“Sei un paradosso, Rogers, sul serio”
Steve alzò un sopracciglio e fece per replicare, ma un’infermiera si introdusse nella stanza.
“Miss Romanoff, si è svegliata finalmente, eravamo in pensiero per lei. Come si sente? Dopo verrà un dottore a controllarla. Vuole che le porti qualcosa da mangiare?” chiese gentilmente la donna
“No grazie, non ho molta fame” scosse la testa la rossa
“Dovresti mangiare qualcosa per rimetterti in forze” disse Steve
Per la prima volta l’infermiera sembrava essersi accorta di lui: immediatamente la ragazza iniziò a sbattere le ciglia e a sorridere al capitano
“Ho detto che non ho fame” ribattè Natasha
“Il signor Rogers ha ragione, dovrebbe rimettersi in forze” cinguetto la donna mentre guardava Steve con occhi adoranti
“Ho detto che non voglio nulla” disse secca.
Di mala voglia l’infermiera andò via lasciandogli soli, non prima di aver fatto l’occhiolino al capitano
“Dovresti chiederle di uscire”
Lui la guardò confuso
 “Steve, stava flirtando con te, se mi avessi suggerito di iniettarmi una fila completa di morfina direttamente in vena lei avrebbe detto che sarebbe potuta essere una buona idea” sospirò Natasha, possibile che non si rendesse conto di nulla?
“Non mi interessa uscire con qualcuno al momento, ho altro di cui occuparmi in questo momento”
“Tipo?” chiese alzando un sopracciglio
“Te” disse lui prima di tirare fuori dalla tasca della sua felpa una barretta al cioccolato e allungargliela davanti al naso
Natasha lo guardò perplessa
“So quanto faccia schifo il cibo d’ospedale, quindi ecco qui”
La ragazza afferrò il dolce: ”Non è stata tre  giorni nella tua tasca vero?”
“In realtà l’ho presa sta mattina per me, nonostante la colazione abbondante ho spesso fame, sai, super metabolismo e tutto il resto”
Natasha scartò la barretta la prese in mano e la spezzò a metà allungando al biondo la sua parte
“Perché cotanta gentilezza?” chiese lui afferrando la gentile concessione della ragazza
“Perché sei qui. Potresti essere da qualsiasi parte del mondo, invece sei qui, in ospedale con me a mangiare una stupida barretta al cioccolato. Meriti una ricompensa” disse lei strizzandogli l’occhio
 
 
Spazio autrice:
bho, mah, umm,
perché sta cosa?
Cosa mi rappresenta…. Non lo so mi sono semplicemente messa la pc e ho lasciato lavorare le mani mmm
Ah io non capisco più nulla, secondo voi questa va postata nella categoria Avengers o in Captain America? Aiutatemi t.t

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Capitolo 2
*** di armadi stretti e confessioni al buio ***


Di armadi stretti e confessioni al buio
 
Faceva caldo, tanto caldo, ed essere rinchiusi in un armadio metallico di 2x4 non migliorava certo la situazione.
“Almeno risparmio sulla sauna” disse ironica Natasha.
“Non sei divertente” sospirò Steve. Dannato S.H.I.E.L.D e dannato Fury- sarà facile, una semplice missione di recupero- diceva lui.
In parte aveva avuto ragione; Steve e Natasha avevano recuperato l’hard disk contenente informazioni sensibili sugli spostamenti e sulle abitudini del Presidente degli Stati Uniti, l’unico problema è che essendo una missione segreta avevano ricevuto l’ordine di non farsi vedere da nessuno e tantomeno di mettere ko qualcuno.
Ecco, questo era il motivo per cui lui e Natasha erano nascosti dentro uno degli armadi presenti nella azienda in cui il possibile terrorista lavorava come copertura.
Natasha si era subito diretta alla postazione dell’uomo, aveva hackerato il suo computer, prelevato i dati sensibili inserendoli nella sua chiavetta e distrutto in seguito la matrice del computer dall’interno. Erno pronti per andarsene, quando un rumore li fece voltare: la signora delle pulizie stava per scoprirli.
La ragazza si mise subito in posizione d’attacco, ma Steve le mise una mano sul braccio:
“Hai sentito che ha detto Fury”
La rossa sbuffò :”Cosa suggerisci allora, capitano?”
I passi si stavano facendo sempre più vicini, dovevano pensare e in fretta.
L’inserviente inserì le chiavi nella toppa della porta, borbottando contro chi non l’aveva chiusa bene prima di andare a casa. Steve fu veloce, tirò l’anta di uno degli armadi a muro ci s’infilò dentro con Natasha.
“Allora, ancora contento di aver obbedito agli ordini di Fury?” sussurrò la rossa ad un palmo dal suo viso. Lo spazio era quello che era quello che era, Steve si trovava con in piedi con le spalle contro il muro e Natasha si trovava davanti a lui, petto contro petto, la testa della ragazza arrivava a malapena alla sua spalla e il ragazzo si ritrovò a sorridere; così piccola e così potente. Natasha si mosse leggermente cercando una posizione più comoda, anche se viste le circostanze risultò essere più difficile del previsto.
“Natasha…” sospirò il ragazzo
“Che c’è sei a disagio Rogers?” Steve capì anche al buio che la ragazza aveva alzato la testa per poterlo guardare in faccia e che un sorrisetto malizioso adornava le sue labbra.
Steve si limitò a non risponderle e appoggiò la testa al muro cercando rilassarsi, se la donna delle pulizie avesse continuato a quel ritmo ne avrebbero avuto ancora per un bel po’.
“Steve, posso farti una domanda?”
“No se è una di quelle a cui rispondere mi metterebbe nei guai più del non farlo” disse sospirando il soldato
Natasha lo ignorò: “ è la prima volta?”
“La prima volta di cosa?” domandò confuso
“La prima volta che ti trovi così tanto vicino al corpo di una donna”
Steve boccheggiò, perché si divertiva a tormentarlo con sta storia?
E perché nel ventunesimo secolo la sessualizzazione era così dilagante?
“Lo prendo per un si” aggiunse Natasha interpretando correttamente il silenzio del ragazzo
“Io… stavo…stavo aspettando la persona giusta” balbettò lui a disagio. Era vero, Steve stava aspettando Peggy.
Peggy, chissà dove si trovava in questo momento, chissà come sarebbe stato rimanere con lei e mettere su famiglia.
“Sono uno stupido, vero?” mormorò rivolto a Natasha.
“No, affatto” rispose la rossa con una voce flebile che non sembrava appartenerle.
“Tutto ok?” chiedendosi cosa potesse aver scatenato un così repentino cambio di umore nella ragazza.
“Avevo tredici anni” affermò la rossa con voce atona.
Steve era confuso e lei doveva averlo intuito, così aggiunse:” La prima volta che sono stata con un uomo, avevo tredici anni”
“Lo amavi ?” domandò lui d’impulso, infondo tredici anni erano un po’ pochi anche nel 1940.
Capì che Natasha aveva scosso il capo perché sentì i capelli di lei muoversi sulla sua spalla.
“Era una missione, un ordine da eseguire. Lui era un bersaglio da annientare ed io avevo il compito di far si di guadagnarmi la sua fiducia, dovevo entrare nelle sue grazie.”
“Ti ha…ti ha stuprato?” chiese Steve deglutendo.
“Non proprio; ero consenziente, sapevo che dovevo obbedire agli ordini, ma una parte di me avrebbe voluto rifiutarsi”
Steve rimase zitto, non sapeva davvero come reagire a quella confessione. Quante ne aveva passate quella ragazza?
“Allora, pensi ancora di essere stupido ad aspettare?” chiese Natasha cercando di stemperare la tensione.
Il ragazzo non rispose ma si limitò a farle un’altra domanda domanda. ”Cosa si prova, voglio dire come ci si sente a…”
“Non lo so Steve, io non sento più nulla ormai”
I rumori dentro la stanza cessarono e i due sentirono i passi della donna allontanarsi e richiudersi la porta alle spalle.
“Forza, usciamo di qui” disse Natasha prima di aprire l’anta dell’armadio e precipitarsi fuori.
Senza nemmeno degnarsi di guardarlo si precipitò nel corridoio e si avviò verso l’uscita dell’edificio, Steve la seguì con lo sguardo puntato contro la sua schiena e l’amaro in bocca.
 
 
Spazio autrice:
era partita come una cosa carina e coccolosa, poi questo… non me lo spiego nemmeno io, spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno, cioè sono temi un po’ delicati, ma non ci sono descrizioni ed è tutto affrontato alla larga, molto alla larga.
Fatemi sapere, un feedbeck di qualsiasi tipo va bene.
Baci!

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Capitolo 3
*** Di paura e di morte ***


Attenzione: possibili spoiler non confermati di “Captain America Civil war”
Questa ff nasce dopo la visone di uno stupendo gifset di tumblr, non ho idea di chi lo abbia fatto, ma sappia che mi ha ispirato!
 
Di paura e morte
 
La cerimonia era stata solenne; tutte le più importanti figure di riferimento dello S.H.I.E.L.D e i loro agenti vi avevano preso parte.
La bara era stata avvolta nella Union Jack, la bandiera britannica.
Fury aveva addirittura tenuto un discorso in cui incoraggiava i suoi agenti a non mollare mai e lottare per i loro obbiettivi. Steve avrebbe voluto parlare ma non lo fece; la fatica era troppa e la voce era flebile, senza contare che tutto lo S.H.I.E.L.D avrebbe visto Captain America piangere e questo non avrebbe certo contribuito a mantenere il morale alto.
Steve si trovava ancora lì, nella chiesa ormai deserta. Era starvaccato su una panca a fissare il vuoto, il completo elegante stropicciato, la cravatta allentata e la giacca posata malamente accanto a lui.
Sapeva che sarebbe dovuto succedere, ma faceva lo stesso male.
“Ha avuto una bella vita, sai?”
Steve non alzò lo sguardo sul suo interlocutore, ma con la visione periferica riuscì a scorgere un lembo di vestito nero e una ciocca di capelli rossi.
Natasha si sedette accanto a lui: “Margeret “Peggy” Carter, nata il 9 aprile del 1921 in Virginia, ufficiale delle forze aeree speciali inglesi, combattente nella seconda guerra mondiale contro le armate tedesche e fondatrice dello S.H.I.E.L.D”
“Hai letto il suo dossier” sospirò Steve
“Diciamo che ho fatto i miei compiti. Era lei vero?”
Steve si girò confuso.
“La ragazza della fotografia appesa vicino a quella del padre di Stark nella stanza dove abbiamo osservato il video del Dr Erskine lo scorso anno”
“Si, era lei” rispose triste il ragazzo.
“La conoscevi ? Avete combattuto insieme?”
“Si eravamo nello stesso regimento, all’inizio ero sorpreso di vedere una donna nell’esercito, ma infondo chi ero io per giudicare? Nessuno avrebbe scommesso un nichelino su di me. Lei era così forte, fiera, determinata…”
“L’amavi? Chiese Natasha a brucia pelo.
“Molto. Vorrei aver avuto la possibilità di dirglielo.
“Lei vorrebbe che tu andassi avanti” disse la rossa posando la mano sul suo ginocchio per attirare l’attenzione del ragazzo. “Chiudersi nel passato non serve a nulla, fidati, te lo dice una che dal suo passato sta cercando di fuggire” la malinconia con cui lo disse strinse il cuore a Steve che si girò per guardarla negli occhi.
“Natasha…”
“Rogers, noi Avengers affrontiamo la morte quotidianamente “
Steve non rispose  e Natasha continuò sospirando:” Thor è quello che sfida la morte, combatte, combatte per salvare il suo regno sfidando forze oscure e ripudiando anche il suo stesso fratello. Stark, beh, lui è quello che crede di essere immortale. Con la sua armatura e tutto il resto pensa di essere invulnerabile, ma si sbaglia, ci sono dolori peggiori di quello fisico da cui nemmeno la più forte delle armature può proteggerci. Bruce è quello che vuole morire. Preferisce scomparire dalla faccia della terra piuttosto che accettare di convivere con quello che è, con quello che potrebbe fare. Clint è quello che vede la morte, tutti i giorni. Mi ha raccontato cose terribili vissute durante le sue prime missioni, cose che non lo fanno dormire la notte.”
Calò per un po’ il silenzio, non imbarazzante ma confortevole, poi Steve prese coraggio e parlò:” Secondo questo tuo schema io chi sono? Quello che è già morto?” chiese con l’accenno di un sorriso il soldato
“No, tu sei quello che è sopravvissuto, quello che ha la possibilità di vivere due volte. Coglila” detto questo la rossa si alzò e si diresse verso l’uscita della chiesa, ma prima che potesse andarsene Steve la richiamo:” Natasha, tu, tu chi sei”  le domandò girandosi verso di lei
“Quella che non ha paura di morire”  rispose lei senza voltarsi e uscendo dalla chiesa
 
 
Spazio autrice:
In questo periodo non sono molto allegra..bho..gira così.
Spero che vi piaccia!

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Capitolo 4
*** Di insonnia e Di Materassi ***


Di insonnia e materassi troppo morbidi



Steve si rigirò nel letto con la vana speranza di prendere sonno, anche se sapeva che la sua era una speranza vana. Quando non erano l’incubi a tenerlo sveglio ci pensava il letto.
Era inutile, non si sarebbe mai abituato a quei letti così morbidi, passi la televisione, internet e quel diavolo di telefono cellulare che molto probabilmente gli avrebbe preparato anche un espresso se glielo avesse chiesto; a queste cose poteva abituarsi, ma ad un letto che sembrava una nuvola no. Sapeva benissimo che si trattava di “deformazione professionale”, ma almeno non era l’unico dato che anche Sam sembrava pensarla come lui.
Incapace di acquietarsi si alzò, la sua sveglia segnava le tre del mattino.
Sconsolato si mise un paio di pantaloni della tuta, una vecchia t-shirt bianca e uscì dalla stanza dirigendosi verso la sala d’allenamento, almeno a quell’ora non ci sarebbe stato nessuno a disturbarlo.
 
 
Natasha si mosse silenziosamente per i corridoi della Avengers tower, e con la grazia letale che la contraddistingueva aprì la porta della palestra che lei e Steve usavano per addestrare i nuovi Avengers, o Avengers 2.0 come li chiamava Fury. Quella sera non ne voleva proprio sapere di addormentarsi, gli incubi  avevano deciso di tormentarla più del solito. Sperava che sfogare un po’ di tensione in palestra le avrebbe fatto bene, ma a quanto pare non era stata l’unica ad avere questa idea; le luci del locale erano accese e lei sentiva un rumore strano, come un ronzio
Quando mise piede nella stanza capì da cosa, o meglio da chi fosse prodotto quel rumore: Steve Rogers, il temibile Captain America stava dormendo  su uno di quegli scomodissimi materassini blu spessi appena cinque centimetri e sembrava  pure starci bene a giudicare da come russava.
Natasha lo guardò; gocce di sudore gli imperlavano il viso e i capelli, la maglia era stropicciata e i resti di una decina di sacchi da box giacevano poco lontano da lui. Era disteso a pancia in su con un braccio piegato ed abbandonato accanto alla sua testa e le gambe leggermente flesse.
“Si è allenato fino a sfinirsi?” pensò, ben consapevole della sua capacità di resistenza. La ragazza si focalizzo sul viso del giovane, era la prima volta che lo vedeva così disteso e rilassato sembrava che i suoi tratti si fossero addolciti. Chissà come doveva essere prima del siero. Vederlo così imponente e ben piantato non riusciva a farle credere che una volta fosse stato addirittura più basso di lei. L’unica cosa che doveva essere rimasta sempre delle stesse dimensioni era il suo cuore. La rossa sorrise amaramente; il suo idealismo, il suo coraggio e la su bontà d’animo cozzavano in maniera tremenda con la società odierna, forse  quelle qualità sarebbero potute andare bene nel 1940, ma di sicuro non oggi. Il mondo se lo sarebbe dovuto mangiare, ma nonostante tutto lui era ancora lì, vivo e pronto a combattere contro tutti i suoi demoni. La sua vera forza non era quella fisica.
Natasha si allontanò piano piano, attenta a non svegliarlo e sbuffando pensando che avrebbe dovuto trovare un altro modo per  passare la nottata
 


Spazio autrice: ecco, qualcosa di sicuramente più allegro e fluffoso delle ultime due !
Spero piaccia, alla prossima!

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Capitolo 5
*** Di baci e lezioni pratiche ***


Di baci e lezioni pratiche




“Ah, ho capito è quella della contabilità. Lo sapevo, ci vedevo giusto” disse Tony puntando il dito contro un rassegnato Steve intento a bere un bicchiere di spremuta
“No, Tony, non è nemmeno lei, e prima che tu me lo chieda non è nemmeno l’infermiera e la ragazza che ci porta la posta” sbuffò frustrato il biondo
“Ehi, non sarà mica Maria Hill spero…non che non sia una bella donna, ma chi lo sentirebbe Fury?”  intervenne Clint, mentre spaparanzato su una sedia finiva di leggere la nuova copia del “Times”
“Ma tu non stavi leggendo il giornale?” chiese il capitano scoccando a Clint un occhiataccia.
“Esatto Capitano, stavo”
L’arrivo in cucina di Natasha interruppe la conversazione dei ragazzi:
“Si può sapere che avete da urlare tanto? Vi si sente fin dal corridoio” sbottò infastidita la rossa mentre si apprestava a prepararsi un caffè
“Il nostro ghiacciolo qui dice di aver baciato una ragazza, una ragazza del ventunesimo secolo” le disse Tony
“Buon per lui” rispose Natasha guardando di sottecchi Steve che intanto aveva assunto il colore di una bella mela mature, persino le orecchie sembravano andargli a fuoco.
“Ma come, non t’interessa? Io credevo che la curiosità fosse femmina” sospirò Stark, certamente aveva sperato che l’arrivo di Natasha potesse costringere Steve a parlare.
Chi non sembrava voler parlare invece era  Clint, che per il momento si limitava a spostare lo sguardo tra la rossa e il capitano.
“Beh, per la verità c’è una cosa che mi piacerebbe sapere…era brava?” chiese Natasha a Steve con un sorriso malizioso sul volto mentre alzava gli occhi dalla sua tazzina di caffè fumante.
La prima reazione di Steve sarebbe stata quella di prendere e andarsene prima che l’imbarazzo lo facesse sprofondare in una pozza, ma per una volta decise di contrattaccare. Quel gioco lo potevano fare in due.
“In realtà non molto, credo che avesse bisogno di un po’ di pratica”
Steve non seppe dire se lei si fosse sorpresa, di sicuro lo era lui di sé stesso, non pensava di avere tanta spavalderia
“Non c’è bisogno di fare pratica” disse dopo alcuni secondi Natasha, citando Steve stesso, che aveva pronunciato quelle stesse parole circa due anni prima in una macchina, rubata, anzi, no, “presa in prestito”, come diceva lui
“Tutti hanno bisogno di partica”  ribattè lui stando al suo gioco
“Beh, perché non glielo vai a chiedere, scommetto che sarebbe felice di fare partica con te”  rispose Natasha prima di girare i tacchi e andare via.
Steve fece lo stesso pochi secondi dopo
“Non ho idea a cosa ho appena assistito” affermò Stark dubbioso
“Io si, Stark, io  si” disse Clint con un sorriso sorione sul volto
 
 
Sapazio autrice: No, non sono morta, anche se vorrei esserlo visto che tra 4, anzi, ormai 3 giorni ho la maturità, con la quale giustifico i miei ritardi nell’aggiornare.
Ho mille idee e zero tempo!
Spero che vi piaccia e alla prossima
 

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Capitolo 6
*** Di proiettili e magliette troppo larghe ***


Di proiettili e magliette troppo larghe

Steve sbuffò alzandosi dal letto, chiunque stesse bussando alla porta della sua stanza alle tre del mattino avrebbe fatto meglio ad avere  una valida motivazione. Sonnolento si avviò verso la porta e l’aprì, sicuramente non aspettandosi ciò che gli si parò davanti.
Natasha, o meglio la sua versione un po’ più ammaccata ed infreddolita. La ragazza non aveva una bella cera; era pallida in volto, le labbra tendevano al violaceo e tremavano un pochino, senza contare che era completamente zuppa da capo a piedi per colpa del violento temporale scoppiato quella notte.
“Natasha, cos..”
“La puoi sistemare?” chiese la ragazza aprendo sul davanti la felpa scura che indossava e rivelando una maglietta completamente macchiata di sangue, acqua e fango, sotto la quale vi era grossa ferita d’arma da fuoco, proprio all’altezza del fianco destro.
“Entra” le disse soltanto lui preoccupato
Con non poca fatica la ragazza si trascinò sul suo letto sdraiandosi e trattenendo a stento un gemito di dolore
“Vado a prendere garze, ago, filo e disinfettante, tu sta ferma lì” ordinò metodico il Capitano Rogers.
“Dove vuoi che vada?” sussurrò lei.
Steve, mentre si affrettava verso il bagno per cercare l’occorrente, osò gettare un occhio alla ragazza.
Non sembrava essere in pericolo di vita, ma doveva farle male, senza contare che la ferita poteva essersi infettata a causa della pioggia e del fango che sporcava  i suoi vestiti.
Steve si avvicinò a Natasha e cercò di alzarle la maglietta.
“Devi tagliarla, il sangue solidificato non esattamente ideale per una ceretta fuori programma” disse sarcastica la rossa cercando di dissimulare il dolore.
Effettivamente il sangue attorno alla sua ferita era tanto ed aveva iniziato a solidificarsi, tirarle via la maglietta avrebbe solo provocato altro dolore. Steve si alzò e prese un paio di forbici da cucina, poi tornò dalla ragazza e iniziò a tagliare per tutta la lunghezza del tessuto, poi rimosse la parte tagliata della maglia.
“Sai, se avessi saputo che mi avresti spogliato avrei almeno fatto in modo che il mio reggiseno fosse coordinato con le mutande” disse la ragazza con fiato corto.
Steve le rifilò un occhiataccia mentre con un panno imbevuto di alcool aveva iniziato a ripulirle la ferita. La ragazza strinse i denti.
“Che è successo?”
“Una missione finita male, il mio target si è rivelato un po’ più furbo del previsto.” sospirò Natasha mentre con molta cautela Steve inseriva l’ago nella morbida pelle del fianco della ragazza per poter ricucire la ferita
“Perché sei venuta proprio da me? La tua stanza è al piano di sopra e le l’infermeria della Avengers Tower avrebbe avuto tutto l’occorrente per curarti” le chiese l’uomo guardandola
“Beh, diciamo che io non avrei dovuto trovarmi lì quando l’uomo ha sparato, dovevo battere in ritirata, ordini di Fury, che per la cronaca mi crede a dormire nel mio bel lettino al piano di sopra”
“Uh, isubordinazione eh Romanoff” rispose lui mentre finiva di suturare la sua ferita
“Già” rispose lei guardandolo di sottecchi
“Ecco fatto. Vado a lavarmi le mani, tu intanto indossa questi” disse il ragazzo mentre le porgeva una sua maglietta ed un paio di pantaloni puliti ed asciutti, poi si diresse verso il bagno per sistemarsi e lavare via il sangue dalle sue mani.
Quando Steve uscì dal bagno si appoggiò allo stipite della porta e osservò la scena che gli si parava davanti: Natasha dormiva sul suo letto con indosso una sua maglia evidentemente troppo grossa per lei, i pantaloni che le aveva portato erano stati ignorati e sbattuti infondo al letto.
Steve sorrise; vista così Natasha poteva fare quasi tenerezza, era così piccola…
Il ragazzo sospirò, poi aprì l’armadio ed estrasse un cuscino e delle lenzuola; almeno sta notte avrebbe avuto una scusa per dormire sul pavimento.
 
Spazio autrice:
mmm che dire non so nemmeno io… voglio uno Steve cucciolo che si prende cura di Nat…Confidiamo in Civil War…
baci

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Capitolo 7
*** Di sindrome postraumatica da stress e confessioni p1 ***


Di sindrome post traumatica da stress e confessioni p1

 

Steve aveva caldo, molto caldo, intendiamoci da un lato era grato che il suo corpo avesse un metabolismo elevatissimo, ma in casi come questo avrebbe preferito essere come una persona normale. Era sudato come non mai e la tuta che aveva indossato per andare a correre era zuppa. Forse non era stata una grande idea correre per 12 chilometri senza fermarsi. Ormai andava avanti così da mesi; tutte le notti si svegliava in  preda agli incubi e il suo corpo e la sua testa non ne volevano sapere di rimettersi a dormire.
A volte sognava Peggy, altre volte Bucky, ma i sogni peggiori erano quelli in cui lui era lì, da solo, in un grande cimitero e loro erano tutti morti, ogni tomba , ogni epitaffio…tutte persone che conosceva.
Arrivò all’Avengers Tower che era quasi l’alba, non si aspettava nessuno in giro a quell’ora; i ragazzi avrebbero dovuto allenarsi tra più di due ore e Steve decise di approfittarne farsi una doccia.
Era stanco, impossibile negarlo, sarà anche stato un super soldato, ma ormai era quasi un mese che non riusciva a dormire più di due ore/tre ore per notte.
In maniera meccanica si tolse la tuta e si infilò sotto l’acqua ghiacciata della doccia, appoggiò la fronte contro il muro e lasciò semplicemente che l’acqua lo avvolgesse. Sotto quel getto ghiacciato si rilassò, piano piano chiuse gli occhi e il suo corpo divenne molle.
All’improvviso non era più nella doccia ma in un campo di battaglia; le bombe stavano esplodendo da tutte le parti, i tedeschi attaccavano, ma lui non poteva fare nulla per fermarli, era come il fantasma di se stesso.
Aprì gli occhi di scatto ed uscì dalla doccia, nel farlo si guardo allo specchio sopra il lavandino; i suoi occhi erano piccoli e spiritati, il viso pallido e doveva necessariamente farsi la barba. Prese un asciugamano e se lo legò in vita, poi uscì dalla stanza per recuperare delle lamette.
“Sai, ho sempre trovato affascinante  la barba incolta”
Steve si girò di scatto: Natasha era seduta sul suo letto a gambe incrociate e con un sorriso stanco sul volto
“Come sei entrata?” domandò lui arrossendo e cercando disperatamente qualcosa per coprirsi. Natasha gli lanciò una felpa trovata su d’una sedia: “Sono una spia, ricordi? E poi quando sei rientrato non hai richiuso la porta a chiave”
“Oh” sospirò Steve
Ci fu qualche minuto di silenzio imbarazzante, poi la rossa parlò:
“Sai ultimamente ti vedo un po’ distratto…stai bene?”
“Da quando Natasha Romanoff si preoccupa per me?” le disse inarcando un sopracciglio
“Da quando Captain America ha imparato a flirtare?” rispose lei  guardandolo negli occhi e notando con piacere che il ragazzo era arrossito.
“Vado a mettermi un paio di pantaloni, non serve che ti dica di metterti comoda nel mentre” disse il Capitano cercando di glissare su quella conversazione che non avrebbe di sicuro preso una buona piega per lui.
Natasha si distese sul letto con le braccia dietro la testa ed aspettò pazientemente che  Steve tornasse asciutto e vestito.
“Allora, hai intenzione di dirmi perché sei qui?” domandò il ragazzo mentre si frizionava i capelli con un asciugamano.
“Lo hai detto tu, sono qui perché sono preoccupata per  un amico” rispose semplicemente e sinceramente la donna
“Non c’è bisogno di preoccuparsi, sto bene” disse lui seccato. Perché continuavano tutti a tormentarlo?
“Cerchi di convincere me o te stesso?”  chiese la rossa sedendosi sul bordo del letto per poterlo guardare in faccia.
Per un momento, solo per un momento venne anche lei inghiottita dai ricordi; due anni prima, a casa di Sam, quella scena l’avevano già vissuta.
Natasha si fece coraggio e ricominciò a parlare:” Steve, ascolta, tu non stai bene…nessuno di noi sta bene…non dopo le visoni di Ultron almeno. Hai bisogno d’aiuto, di dormire…e anche se so di non essere la persona più adatta a dirtelo devi parlare con qualcuno perché credo che questo potrebbe veramente aiutare.”
“Ah, aspetta, magari vado a cercare Banner anche io visto come ti ha aiutata..” Steve si pentì subito dopo di ciò che aveva detto, le parole gli erano uscite spontanee, prima che potesse fermarle.
Natasha trasalì, Steve vide la sua bocca schiudersi ed i suoi occhi farsi più grandi, poi la ragazza si alzò dal letto, e come era andata così come era arrivata.
Steve rimase lì, con l’ asciugamano bagnato in mano e lo sguardo fisso nel vuoto. Aveva combinato un gran bel casino.
 
 
Spazio autrice:
Prima parte di un delirio nato dopo aver letto da qualche parte che Steve potrebbe avere una sindrome post traumatica da stress a seguito delle visioni di Ultron.
Ah prima o poi farò una petizione alla Marvel per avere un Cap con la barba… avete presente Chris con la barba? Se non lo avete presente non sapete che vi perdete.

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Capitolo 8
*** Di sindrome postraumatica da stress e confessioni p2 ***


Di sindrome post traumatica da stress e confessioni p2

Natasha si alzò di scatto dal letto  e si diresse verso la porta della sua camera, che ci fosse una missione improvvisa?
Cautamente aprì la porta pensando di trovarsi davanti Fury, o al massimo Maria Hill, invece difronte a lei si stagliava l’imponente figura di Steve Rogers. Aveva i capelli arruffati, una maglietta bianca a mezze maniche e un paio di pantaloni del pigiama, il suo sguardo era basso e si stava passando  una mano dietro alla nuca imbarazzato. Dopo alcuni secondi Natasha gli fece un segno con la testa: “Entra, dai”
Se Steve era a disagio prima ora molto probabilmente si sentiva veramente come un pesce fuor d’acqua, pensò la rossa osservandolo mentre si andava a sedere sul letto con le ginocchia al petto
Steve rimase lì al centro della stanza, fermo immobile come un pezzo di legno.
“Steve…” cominciò la donna anche se in realtà non sapeva nemmeno lei bene che dire. Dalla sera prima i due non si parlavano se non era strettamente necessario, sembrava avessero perso la loro sintonia e questo aveva reso gli allenamenti con gli altri parecchio problematici
“Mi dispiace. Non avevo diritto…ero arrabbiato con me stesso e ho scaricato tutto quanto su di te, mentre tu cercavi solo di essermi amica” disse Steve tutto d’un fiato.
Natasha pensò che Steve non aveva nulla da perdonarsi, infondo le aveva solo mostrato la realtà delle cose; aveva fatto cadere i suoi muri, si era fidata ed ora era di nuovo a pezzi, chi lo sa forse Steve aveva ragione, Banner non era stato la persona più adatta con cui confidarsi, ma in quel momento le era sembrato così giusto. Era una brava persona Bruce, lo era davvero, ma forse non era stato in grado di fare pace con i suoi demoni e lei gli aveva scaricato addosso anche i propri.
Per un po’ ci fu uno strano silenzio, poi la rossa parlò: “Steve, perché sei qui?”
“Ricordi quando mi hai detto che avrei dovuto parlare con qualcuno?” disse lui sottovoce
Natasha annuì silenziosamente
“Beh, mi stavo chiedendo se l’offerta era ancora valida…” continuò il capitano
Sul volto di Natasha comparve un piccolo sorriso mentre batteva la mano sul materasso di fianco a lei. Steve con titubanza si sedette, non appoggiato al muro come lei ma con i piedi che toccavano terra e la schiena dritta.
“Hai dormito?” gli chiese la rossa
“No, in questi giorni sembra impossibile farlo” rispose sconsolato lui
“Gli incubi” sussurrò lei comprendendo appieno la situazione. Steve mostrava tutti i sintomi della sindrome post traumatica da stress, una malattia che di solito veniva a i soldati al ritorno a casa, ironia della sorte che l’avesse avuta anche lei, anzi molto probabilmente ogni Avengers  mostrava almeno uno dei sintomi.
“Gli avevo anche prima, ma dopo Ultron sono peggiorati, non so veramente cosa fare, vorrei solo che la mia testa si azzittisse ogni tanto” affermò lui mentre poggiava i gomiti alle ginocchia e prendendosi  il capo tra le mani. All’improvviso sentì un tocco leggero sulla spina dorsale; erano le dita di Natasha, cercava di rassicurarlo mentre le muoveva piano, su e giù.
“Ti va di parlarne?” domandò la rossa sporgendosi con la testa verso di lui.
Steve sospirò:” Sogno il 1945, la guerra, le bombe, le urla dei bambini strappati alle loro madri, i colpi di fucile che rimbombano nell’aria, l’odore della polvere da sparo, ma sai qual è il problema? Questa roba  non è niente in confronto a quando sogno loro”
“Loro?” domandò lei curiosa
“Bucky…il..il soldato d’inverno e Peggy” rispose Steve girandosi a guardarla
“Gli amavi molto, vero?” chiese la rossa assottigliando gli occhi
“Erano la mia famiglia…Bucky, lui era mio fratello e mio padre insieme, si prendeva cura di me quando nessuno lo faceva, mi ha voluto bene quando era ancora…Steve magro, mettiamola cosi” disse Steve strappando un sorriso triste a Natasha.
“E Peggy?” sussurrò la  rossa
“Peggy..lei è..era la donna più bella che avessi mai visto, dolce come una mamma, ma forte e fiera come un soldato. “ mentre parlava gli occhi di Steve si illuminarono
“Il primo amore di Captain America” proruppe Natasha per stemperare la tensione
“Già. Sai, se fossi rimasto nel 1945 avrei voluto lei al mio fianco, avrei voluto che fosse la madre dei miei figli” disse lui amareggiato
“Allora anche tu hai un lato tenero”  gli disse la rossa guardandolo con un piccolo sorriso
“Tutti ne hanno uno. Non dirmi che tu non sogni mai una vita…normale” le rispose lui guardandola negli occhi
“La normalità è un concetto molto relativo, pensavo lo avessi capito Rogers” 
“E tu…cos’è che ti tiene sveglia la notte?”
Natasha lo guardò senza parlare; se quella domanda gliela avesse fatta chiunque altro molto probabilmente avrebbe pensato che la persona volesse ficcare il naso nelle sue faccende, ma Steve no. Quello era solo il suo modo per ringraziarla, lei lo aveva aiutato e ora lui stava ricambiando il favore.
Vedendo che la donna non accennava a dare una risposta Steve capì di aver  esagerato; certo, erano amici, ma lui aveva imparato nel corso del tempo che con Natasha certi limiti personali non andavano superati, e lui lo aveva appena fatto. Fece per alzarsi e andar via, quando si senti tirare per il retro della maglia.
Natasha lo stava trattenendo. Con un sospiro Steve si risedette sul letto, il materasso attutì il suo peso.
“è il mio passato. Quello che mi viene a cercare la notte, quello che non mi fa dormire è il mio passato; è il sangue delle persone che ho ucciso e il pianto dei bambini che ho fatto rimanere orfani.” Confessò neutra la donna.
“Natasha, anche io ho ucciso delle persone…” rispose dolcemente lui.
“è diverso; tu eri in guerra! Io ho agito esclusivamente per un tornaconto personale, o per meglio dire per il personale tornaconto dei capi della Stanza Rossa”
“Non puoi biasimarti per quello che altri ti hanno costretto a fare. Ora sei una persona diversa, voglio dire sei qui con noi Avengers e combatti i cattivi, direi che ti sei ampiamente riscattata” la rassicurò lui
“Rogers, io non sono una redenta ma una peccatrice. Sono sporca dentro, un mostro” rispose lei con una risata amara
“Perché dici questo?”  chiese Steve allarmato
“Tu avresti voluto una vita normale, vero? Un matrimoni, dei figli…beh, diciamo che a me hanno negato questa possibilità”
“Natasha, tutti possono essere amati , basta solo trovare la persona giusta, poi il matrimonio e figli verranno col tempo” disse in un sussurro sapendo chela persona giusta lui l’aveva lasciata andare settant’anni fa.
“Steve, io sono sterile” affermò Natasha con un tono neutro
Steve si voltò a guardarla sorpreso, aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere alcun suono.
La donna continuò senza guardarlo negli occhi: “Sono stati loro, quelli della stanza rossa, un bambino sarebbe stato solo un impiccio per le loro allieve, senza contare che il rischiare di rimanere incinta durante  una missione avrebbe complicato notevolmente le cose”
Il ragazzo sapeva bene che ogni parola sarebbe stata inutile in questo caso, avrebbe solo voluto rassicurarla dirle che  andava tutto bene, ma questo non avrebbe cambiato nulla. Timidamente si avvicinò a lei e le poggiò la mano sulla spalla. La donna si girò a guardarlo e fece un debole assenso con la testa, segno che aveva capito cosa lui volesse fare.  Gli aveva dato il permesso, gli aveva dato il permesso di scavalcare quei confini.
Steve si avvicinò a lei e l’abbracciò. E per un breve momento entrambi sembrarono dimenticarsi dei loro demoni.
 
 
Spazio autrice:
Ok, la festa dell’oc questi due capitoli….sigh, volevo qualcosa di emozionante e tenero tra loro, ma per  farlo ho dovuto divergere un po’ dal canon, spero comunque che i personaggi  assomiglino vagamente a Stev e Nat.
Ah ovviamente come tutto quello che scrivo l’idea di partenza era diversa, poi le mie dita hanno fatto tutto da sole.
Non escludo di fare una versione rossa di questi due capitoli che ovviamente pubblicherò in maniera autonoma dalla raccolta, anche perchè nella mia testa il fatto che nat sia sterile significa che l’unica possibilità che lei ha di avere un bambino sia rappresentata da Steve dal suo super siero…come vorrei che la marvel mi desse retta !! ehhh

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