No one ever said it would be this hard

di bemyronald
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come up to meet you, tell you I’m sorry ***
Capitolo 2: *** Tell me your secrets and ask me your questions ***
Capitolo 3: *** Nobody said it was easy ***
Capitolo 4: *** And tell me you love me, come back and haunt me ***



Capitolo 1
*** Come up to meet you, tell you I’m sorry ***


Come up to meet you, tell you I’m sorry,
uou don’t know how lovely you are.
I had to find you, tell you I need you,
tell you I set you apart.

 

─ CHAPTER ONE─ 

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Come up to meet you,
tell you I’m sorry

 


La familiare e sgradevole sensazione di oppressione che stringeva lo stomaco si fece sentire subito dopo che Harry gli ebbe afferrato il braccio. Solo qualche minuto prima erano in fuga dal Ministero, e un istante dopo si erano ritrovati in uno dei cubicoli di un bagno pubblico, con ancora Yaxley alle calcagna... e poi il buio li aveva avvolti. Adesso vorticavano e vorticavano ancora. Ron si concentrò sul posto da raggiungere, sicuro che lo stessero facendo anche gli altri due... numero dodici di Grimmauld Place... numero dodici di Grimmauld Place... pensava con tutte le sue forze, ma ben presto si accorse che qualcosa non andava. Sembrava che la stretta di Hermione si stesse allentando sempre di più, e lui cominciava a sentirsi soffocare. Perché durava così tanto l'attimo tra la Smaterializzazione e la Materializzazione? O forse aveva sbagliato qualcosa... quelle maledette tre D, non le aveva mai capite! Il senso di oppressione non faceva che aumentare, ogni secondo. E poi eccolo, finalmente, il numero dodici di Grimmauld Place. Solo pochi istanti, e tutti e tre avrebbero ricominciato a respirare, sollevati. Sentì nuovamente la stretta salda di Hermione, e poi l'orribile sensazione di essere strappato con forza da qualcosa, e il numero dodici sparì dalla sua visuale. E poi il buio, e di nuovo la luce.
Ron non riusciva a riflettere lucidamente, un dolore lancinante partiva dalla spalla sinistra, si sentì mozzare il respiro. Non osò voltare la testa in quella direzione, era quasi sicuro di essersi rotto il braccio, o qualcosa di peggio. Voleva chiedere aiuto, ma non riusciva ad articolare, né sentire, né vedere nulla, la vista era completamente offuscata, e il suo corpo debole scosso da forti tremiti. Per un terribile istante credette di essere solo, di aver perso sia Harry che Hermione, e che nessuno l'avrebbe aiutato. Ma poi sentì qualcuno sfilare la manica della sua camicia. Riuscì a distinguere a malapena il profilo di Hermione china su di lui, ma tutto continuava ad essere confuso, e le voci dei suoi amici più lontane che mai, irraggiungibili. Voleva resistere, rimanere lucido e cercare di capire cosa gli stesse accadendo, ma per quanto si sforzasse, quel dolore atroce ebbe la meglio e si ritrovò a scivolare in uno stato di incoscienza.
Quando riaprì gli occhi, si rese conto di trovarsi disteso sul terreno, tra le foglie, e chissà dove. 
«Come ti senti?» arrivò il flebile sussurro di Hermione. 
«Uno schifo» gracchiò Ron, che in uno slancio di coraggio decise di voltarsi per tastarsi lievemente il braccio. Con sollievo apprese di avercelo ancora attaccato alla spalla, gli faceva un male cane, ma almeno ce l'aveva. Decisero di stabilirsi lì, nei boschi dove qualche anno prima si era tenuta la Coppa del Mondo di Quidditch. Nonostante Ron fosse scettico all'idea, e dall'espressione di Harry capì che l'amico era dello stesso avviso,  giunsero alla conclusione che era praticamente impossibile che lui riuscisse a spostarsi in quello stato. In un primo momento, si sentì leggermente in colpa, ma poi dopo aver lanciato un'occhiata spaventata al suo braccio, ringraziò mentalmente l'amico per aver compreso la delicatezza della situazione. Ron si sentiva disperatamente debole, aveva bisogno di aiuto perfino per mettersi seduto, continuava a sudar freddo e pareva che le forze lo avessero completamente abbandonato. Il breve spostamento all'interno della tenda gli costò la perdita delle poche forze che ancora gli erano rimaste, una volta che Harry e Hermione l'ebbero fatto scivolare cautamente sulla piazza inferiore del letto a castello, calò le palpebre e per un bel po' si chiuse in un silenzio nel quale erano solo i suoi pensieri a disturbarlo, e scivolò in un sonno tormentato. Quando si svegliò, era calata la sera e, per un folle momento, quasi si aspettò di vedere i vecchi mobili impolverati del numero dodici di Grimmauld Place, ma sospirò tristemente quando vide la parte superiore del letto e le toghe che cigolavano ad ogni suo minimo spostamento. Non era stato solo un incubo, era tutto reale. La testa gli doleva, era sudato e sentiva uno strano calore, come se la sua temperatura corporea fosse eccessivamente alta rispetto la norma, senza contare i fastidiosi brontolii provenienti dal suo stomaco. Mosse piano il braccio sano, e il letto cigolò di nuovo attirando l'attenzione di Hermione, seduta al tavolo della minuscola cucina a pochi metri da lui.
«Come va?» chiese lei con una nota d'ansia nella voce. Chiuse il libro e si avvicinò al letto.
«Quasi rimpiango le ferite degli Schiopodi Sparacoda di Hagrid» borbottò Ron alzando il braccio sano per posarlo sugli occhi. Hermione fece una smorfia che doveva assomigliare ad un sorriso.
«Ron, dovrei controllare la ferita... per vedere in che stato è» disse dopo un po', sottovoce. «Forse... forse non dovresti ancora muoverlo ma... ma, ecco, sarebbe meglio se controllassi... Cercherò di fare molto piano, promesso...» sospirò. Ron non poté non notare un pizzico di incertezza e timore nella sua voce. 
Alzò appena il braccio dagli occhi e le sorrise debolmente.
«Va bene, ma non voglio guardare, d'accordo?» fece per alzarsi ma subito ributtò la testa sul cuscino. «Accidenti se gira tutto» mugugnò, e non riuscì a trattenere una smorfia di dolore mentre avvertiva una forte sensazione di nausea. Hermione si sedette sul bordo del letto e poggiò una mano sulla sua fronte. 
«Hai la temperatura alta... un po' di febbre, mi sa...» mormorò, in preda all'ansia. 
«Oh, fantastico, proprio quello che mi ci voleva» borbottò Ron.
«Scenderà, non ti preoccupare... intanto controlliamo prima il braccio, va bene?» Ron annuì, mentre Hermione lo aiutava a tirarsi su. Sentì di nuovo le forze venirgli meno, forti fitte al braccio e la testa come una trottola impazzita e assurdamente pesante. Ma cercò di resistere e tirò un profondo respiro mentre Hermione, con cautela, lo aiutava a sfilarsi il maglione, la maglia del pigiama e liberava il suo braccio dalle bende. Ron voltò per un attimo la testa verso di lei e vide che era arrossita leggermente, ma tornò subito a guardare davanti a sé per evitare di dover osservare il suo braccio mezzo lacerato.
«P-puoi guardare, se vuoi... ora non è così terribile...» disse Hermione dopo un po', mentre si alzava dal bordo del letto. Ron prese coraggio, e girò la testa. In effetti, non era messo proprio male, se solo pensava al dolore lacerante provato quella stessa mattina. Sapeva di aver perso molto sangue e ora riusciva a vedere uno strato di pelle fresca, non avrebbe sopportato la visione di una ferita aperta, e non ebbe comunque il coraggio di toccarsi. Hermione tornò pochi minuti dopo con un flaconcino tra le mani.
«Cos'è?» chiese Ron incuriosito, seguendola con lo sguardo mentre si sedeva vicino a lui stappando via il tappo del flaconcino.
«Gel. Sarà in grado di ricostruire il tuo braccio. Ci vorrà un po' di tempo però...» spiegò, mentre se ne versava sulle dita. «Riusciresti a... a stendere... ecco, così...» e cominciò a spalmargli il gel sulla ferita. Ron avvertì subito una sensazione di frescura, che contrastava nettamente con la sua temperatura corporea, decisamente troppo alta, ed era piacevole e fastidiosa al tempo stesso, sentiva forti pizzichi lungo tutto il braccio. Voltò la testa e prese ad osservare le mani di Hermione intente a cospargere la medicina. Si concentrò per un po' su quei movimenti lenti e delicati. Poi spostò gli occhi su di lei e cominciò a fissarla in viso, sorridendo appena alla sua espressione concentrata. E pensare che gli era sempre piaciuto osservarla mentre era concentrata, quando studiava o leggeva, non c'era un motivo preciso... semplicemente, pensava che fosse estremamente rilassante. E, be', certo, anche perché la trovava così bella quando aggrottava la fronte perché un concetto le era poco chiaro o quando strabuzzava appena gli occhi perché stupita da ciò che aveva appena scoperto o imparato. E adesso era lì che la fissava, pensò che nulla era cambiato, gli piaceva davvero guardarla. Si rilassò sotto quel suo tocco leggero, era un po' come una carezza per lui.
«Che c'è?» chiese Hermione alzando per un istante lo sguardo su di lui, senza smettere di massaggiargli il braccio. 
«Pensavo» rispose di getto Ron, arrossendo sulle orecchie e distogliendo subito lo sguardo da lei per spostarlo sulle sue mani. «Lascia una bella sensazione»
«Anche Madama Chips lo usa, aiuta davvero tanto a rimarginare le ferite aperte» cominciò a spiegare lei, come se nulla fosse, come se stessero studiando insieme nella Sala Comune. «Certo, se la tua ferita non fosse così grave, il tuo braccio starebbe già benissimo» disse, mentre la sua voce si affievolì. «Ci... ci sarebbero un paio di incantesimi che conosco e che lo aiuterebbero a rimettersi in sesto in poche ore, ma non sono tanto sicura di essere in grado di farli, e se...»
«Sei brava» sussurrò dolcemente Ron, interrompendola e tornando a guardarla. «Hai delle mani così delicate» aggiunse, e arrossì più di quanto non lo fosse già. 
«Oh, io... grazie...» disse piano Hermione, che subito avvampò.
«Comunque puoi provare qualche incantesimo» riprese Ron, distogliendo lo sguardo per un attimo. «Mi fido di te, sai?» disse e in uno slancio di coraggio, alzò nuovamente il capo per cercare i suoi occhi che subito trovò.
«Oh, grazie... ma io... no, meglio di no... hai già perso così tanto sangue e se dovessi sbagliare qualcosa, non...» s'interruppe e sospirò scuotendo lentamente il capo. Ron non aggiunse altro, comprese la sua incertezza e la sua paura, gli bastò essere certo che sapesse che lui si fidava di lei e delle sue cure.
Hermione gli avvolse delicatamente la benda attorno al braccio.
«Grazie, mi sento un po' meglio ora» disse Ron con gratitudine. Poi, lentamente, con l'aiuto di Hermione, si infilò la maglia del pigiama, escludendo il maglione pesante. Con cautela, si distese in posizione supina, e quando avvertì la testa girare portò nuovamente il braccio sano sugli occhi.
«Ti lascio riposare, va bene? Sono qui fuori» disse lei, dirigendosi verso la sedia per recuperare la sciarpa di lana. C'era qualcosa che non andava nel tono di voce di Hermione, qualcosa che a lui proprio non piaceva. Percepiva agitazione, panico, tensione. Anche lui si sentiva irrequieto, oltre che debole fisicamente, e se c'era una cosa che in quel momento non voleva, quella era essere lasciato da solo con i suoi pensieri.
«Hermione?» Ron alzò appena il braccio dagli occhi e la vide voltarsi nella sua direzione.
«Resteresti ancora un po'?» le chiese, in un sussurro.
Hermione esitò per qualche secondo sul posto, poi si spogliò della sciarpa che riposò sulla sedia e in pochi passi raggiunse il letto sul quale si accomodò. Ron scostò il braccio dagli occhi e le fece segno di stendersi, Hermione in un primo momento lo guardò, poi si distese al suo fianco. Stettero in silenzio in quella posizione per parecchi minuti: Ron con gli occhi chiusi mentre cercava di sopportare le fitte alla testa, Hermione intenta ad osservare il profilo di Ron. 
«Scusa...» bisbigliò improvvisamente Hermione, quasi senza fiato. «Mi dispiace...»
Ron voltò appena la testa verso di lei e la scosse leggermente.
«Non sapevo proprio cosa fare quando ho sentito la mano di Yaxley che mi afferrava... lui continuava a tirarmi... e le vostre mani stavano per scivolarmi via...» disse, con la voce che le tremava appena. «E tu hai perso così tanto sangue... e se non avessimo avuto con noi l'Essenza di Dittamo, cosa avremmo fatto? E se... se io non ce l'avessi fatta e avessi mollato le vostre mani? E se tu...» gli occhi le si riempirono di lacrime. Ron si sentì colpire da una nuova ondata di nausea che non aveva nulla a che fare con la febbre. Non sapeva cosa dire, continuava a fissare Hermione che cercava di asciugarsi gli occhi. Si girò su un fianco anche lui, quello sforzo lo fece sbiancare e gli costò parecchie fitte al braccio. Ma non gli importava, cercò gli occhi di Hermione che non trovò subito. 
«Ehi...» bisbigliò debolmente Ron. «Se non fosse stato per te, chissà cosa staremmo scontando a quest'ora, al Ministero. Forse saremmo stati sbattuti ad Azkaban.... o  forse saremmo morti, e Harry sarebbe tra le mani di Tu-Sai-Chi» disse, cercando di impostare un tono deciso. «Hermione, se non fosse stato per te, avrei perso un braccio o forse... be', forse sarei morto dissanguato» 
«Ma se solo fossi stata più svelta, se solo avessi...» Hermione si bloccò a metà frase, scuotendo desolatamente il capo.
«Hermione, tu ci hai salvato la vita» sbottò Ron, con un tono un po' più brusco di quello che avrebbe voluto. Hermione smise di strofinarsi gli occhi e si decise finalmente ad incontrare i suoi.
«Mi hai salvato la vita» continuò Ron, stavolta più dolcemente. «Non devi sentirti in colpa se tutto non è andato alla perfezione. Anzi, tu... tu sei stata straordinaria e... be', ora siamo qui, tutti e tre insieme, sani e salvi... e per ora tanto basta...» disse senza staccare gli occhi dai suoi, e sentendo crescere in lui un forte impulso di stringerla. Era così piccola rannicchiata vicino a lui e sembrava così vulnerabile mentre cercava di trattenere le lacrime che sapevano di angoscia e terrore. Nessuno dei due disse altro, per un interminabile istante non fecero che guardarsi, poi Hermione tirò un lungo respiro e chiuse gli occhi per un bel po'. Ron continuò ad osservarla, assorto, si sentì pervadere da un forte senso di protezione e, al contempo, da tristezza.
«Chissà dove sono i Cattermole, adesso» disse poi, colto all'improvviso da quel pensiero per la seconda volta in quella giornata. «Deve essere terribile»
«Cosa?» chiese Hermione aprendo gli occhi per guardarlo.
«Be', essere preoccupato per la propria moglie solo perché è una Nata Babbana. Oggi si sarebbe dovuto presentare al lavoro mentre lei era sottoposta ad un interrogatorio... è ingiusto...» disse a voce bassa e seria. «È orribile... quello che sta succedendo è... è folle!» sbottò, mentre Hermione lo osservava con un velo di tenerezza nel suo sguardo.
Nella famiglia di Ron, erano maghi da generazioni. Sapeva benissimo cosa fosse il rispetto, gliel'avevano insegnato i suoi genitori, e a lui il pensiero che qualcuno fosse considerato indegno di studiare la magia, non lo aveva mai minimamente sfiorato. La sua famiglia, in teoria, era al sicuro sotto questo nuovo governo, ma ciò non gli impediva di pensare a chi, invece, veniva accusato di "rubare" la magia e forse, chissà, torturato, solo perché primo mago in una famiglia di Babbani. E, ovviamente, la sua preoccupazione più grande era rivolta a Hermione. Chissà cosa sarebbe successo se fossero tornati nella nuova Hogwarts, chissà cosa sarebbe successo se li avessero trovati in fuga nel bel mezzo dei boschi della Gran Bretagna: un Purosangue traditore del suo sangue, una Nata Babbana e Harry Potter, erano proprio un bel trio. Quel pensiero lo fece rabbrividire. Non doveva pensarci, non in quel momento, non voleva che dal suo sguardo trasparissero preoccupazione e panico.
«Allora, quand'è che vuoi imparare il mio albero genealogico? Sei mia cugina, no?» fece, tentando di impostare un tono scherzoso, con scarso risultato. Tuttavia, riuscì a rivolgerle un sorriso. «Hermione Weasley, non ti piace?»
Hermione rise piano, un po' imbarazzata, ed era da un po' che non lo faceva, eppure Ron si accorse di ricordare perfettamente il suono della sua risata.
«Forse... forse dovresti tingerti i capelli di rosso, sai» e un'altra breve risata le sfuggì. Era un suono così piacevolmente familiare.
«Ne abbiamo già parlato, Ron» rispose, sorridendogli teneramente. «E poi, non te lo permetterei mai»
Ron sospirò stancamente, la sua espressione mutò di colpo.
«Perché deve essere sempre tutto così difficile, Hermione?» sussurrò in tono mesto. Hermione continuava ad osservarlo con uno strano sguardo, serio e dolce al tempo stesso. 
«Forse perché abbiamo scelto di essere amici di Harry» disse, continuando a guardarlo. Ron sostenne il suo sguardo, vi lesse tristezza, e avrebbe tanto voluto che le sue orecchie si riempissero di nuovo del suono della sua risata. Ma in quello stesso sguardo malinconico, vi colse anche comprensione e dolcezza, questo lo fece sorridere, malgrado tutto.
«È vero. Così dev'essere. Harry... Harry ha bisogno di noi» disse con decisione. Hermione annuì abbozzando un lieve sorriso che si spense subito, ma senza staccare gli occhi da quelli di Ron che, da parte sua, fu contento di fare esattamente lo stesso. Dopo qualche minuto passato in silenzio, fu Ron il primo ad interromperlo.
«Hermione?» la chiamò sottovoce.
«Che c'è?»
«Ma tu l'hai sentito prima, l'Horcrux?» gli chiese in tono ansioso. 
Quella domanda gli frullava per la testa da quasi tutto il giorno. Nel momento in cui aveva stretto tra le mani il Medaglione di Serpeverde, aveva provato una stranissima sensazione. Non avrebbe saputo spiegarla esattamente, ma era stata orribile quasi quanto l'effetto causato dai Dissennatori. Hermione annuì lentamente.
«Era... era strano, non è vero? Come se qualcosa si muovesse lì dentro... quasi come se fosse... viva...» 
Hermione avvicinò la mano al suo viso per scostargli alcune ciocche dalla fronte. Ron sgranò gli occhi per un attimo, arrossendo sulle guance, ma poi subito si rilassò.
«C'è qualcosa lì dentro, sì» fece Hermione, toccandogli leggermente le ciocche. «E hai ragione, è stata una sensazione strana»
«Spero davvero non faccia casini, quella roba lì. Dopotutto, è un pezzo dell'anima di Tu-Sai-Chi... ricordi Ginny?» e l'angoscia gli attraversò il volto. Hermione annuì debolmente, scoraggiata. Poi cominciò ad accarezzargli lentamente i capelli, fin dietro l'orecchio, e Ron notò che aveva preso a fissargli le labbra. Lui rimase immobile a guardarla, un po' perché il braccio e il mal di testa non gli permettevano di fare alcunché, un po' perché il suo tocco lo rasserenava tanto e un po' perché sapeva che se si fosse mosse di un solo centimetro per avvicinarsi a lei, si sarebbe lasciato andare all'istinto, avrebbe mollato il loro accordo, la loro promessa e, sì, l'avrebbe baciata. Perché voleva, perché lo desiderava. Erano così vicini che riusciva ad avvertire persino il suo respiro leggero sulla pelle. Avrebbe voluto farlo tante di quelle volte, aveva sempre pensato che pian piano l'avrebbe conquistata, come si deve, come una donna va conquistata. E adesso il destino li aveva chiamati, aveva affidato loro una missione, e loro avevano risposto alla richiesta silenziosa di un amico. Così, prima un tacito accordo, poi un accordo chiarito ed accettato a malincuore da entrambi.
Per Harry, solo per Harry.
Mentre la mano di Hermione continuava a sfiorargli delicatamente i capelli, Ron, guardandola, pensò a quanto tutto fosse ingiusto e difficile. Lui l'amava, Hermione. Era certo di non aver mai provato nulla del genere in vita sua. Ed ora che era sicuro dei suoi sentimenti, ora che finalmente sapeva ciò che voleva veramente, avrebbe voluto dimostrarglielo. Avrebbe tanto voluto dimostrarle qualcosa di forte, qualcosa di vero. Da molto, ormai, aveva cominciato a rendersi conto di quanto fosse forte il desiderio di sentirla vicino, di abbracciarla, di proteggerla, di perdersi sotto le sue carezze e le sue attenzioni, di baciarla. Ma si sarebbe limitato a dichiararle quelle tante, troppe cose che provava per lei, silenziosamente. 
Incertezza, instabilità, confusione. Era tutto ciò che lì circondava.
Equilibrio. Era ciò di cui avevano disperatamente bisogno. Per loro, e per Harry.
Hermione parve essere stata colta improvvisamente da un pensiero, forse lo stesso di Ron, perché dopo quelli che parvero minuti infiniti, smise di accarezzargli i capelli, distolse lo sguardo da quello di Ron e trasse un profondo respiro. Ron, spontaneamente e con molta più fatica di quanto richiedesse un breve spostamento come quello, si sporse verso di lei per posarle un delicato bacio sulla fronte. Cercò di prolungare quel contatto quanto più poté, senza badare al fatto che il suo viso fosse in fiamme e che il suo cuore battesse all'impazzata. 
Quando si allontanò da Hermione, la guardò intensamente negli occhi, e gli venne spontaneo sorridere quando anche le labbra di lei si aprirono in un sorriso.
Ron pensò, a quanto, infondo, fosse bello anche esprimersi in silenzio, purché ci fosse lei di fronte a lui, al suo fianco. 
Un rumore improvviso, accompagnato da un flebile gemito, attirò l'attenzione di entrambi.
«Harry...» bisbigliò Hermione, senza staccare gli occhi da quelli di Ron. Solo quando lui annuì, un attimo dopo, Hermione scattò in piedi. Ron la seguì con lo sguardo mentre recuperava velocemente la sciarpa e raggiungeva a passi svelti l'uscita della tenda. Sparì dalla sua visuale, e lui si sentì invadere da un senso di solitudine. 

Per Harry, solo per Harry.









Angolo di un'autrice che chiede perdono cwc

Cinque mesi, cinque mesi di assenza. Jess chiede umilmente scusa. 
Jess si è dovuta stirare le mani per questo!
Oh, davvero, chiedo scusa, soprattutto perché avevo promesso che sarei tornata... ehm presto... con questa stra-benedetta mini-long. Non starò qui a raccontarvi tutti i bei casini blablabla, adesso, purtroppo o per fortuna, sono tornata a rompervi. u.u Bene, credo di essere un po' arrugginita *ehmehm*. Allora, che cosa ne pensate di questo primo capitolo? Ci tengo molto, è quello che mi ha ispirata a continuare la storia che inizialmente doveva essere una one shot formata, appunto, da questo unico capitolo. Gli altri capitoli non sono tutti necessariamente collegati tra loro, ve ne accorgerete. Sono quattro e, lo so, sono pochi, ma credetemi se vi dico che trovo siano intensi, ci ho messo tutta me stessa e tutto l'amore che provo per i Romione e per Ron, e spero si percepisca. Questa mia voglia di raccontare dal punto di vista del nostro Ron, di alcuni giorni a caso nel periodo della ricerca degli Horcrux, nasce dal forte bisogno di mostrare a chi lo giudica crudelmente per aver abbandonato Harry e Hermione nel bel mezzo della spedizione, cosa veramente può aver provato, cosa può aver sentito. E' un ragazzo, è umano, e spesso credo che si giudichi il suo gesto con un po' troppa superficialità, dimenticandosi di provare a scavare nel profondo.
«Perché quella cosa mi fa male!» sbottò Ron, allontanandosi dal medaglione sulla pietra. 
«Non posso toccarlo! Harry, non cerco scuse per come mi sono comportato, ma su di me ha più effetto che su di te e Hermione, mi ha messo in testa delle cose, cose che pensavo comunque, ma le ha peggiorate, non riesco a spiegarlo, poi me lo toglievo e ritornavo in me, ma poi dovevo rimettermelo addosso... non posso farlo, Harry!» 

Questo dovrebbe bastare, anzi, l'intero capitolo (che io amo follemente) "La cerva d'argento" dovrebbe bastare, ma per molti non è sufficiente. u.u Spero con tutto il cuore di aver dato giustizia ai suoi pensieri, alle sue paure più profonde, alle sue parole, a ciò che sente e che ha paura di dire. Spero di aver incuriosito chi, disgraziatamente, si è trovato a cliccare su questa storia, e spero, con questo primo capitolo, di essere sulla buona strada per il perdono da parte di chi ha sempre letto, recensito, aspettato le mie storielle. Mi piacerebbe moltissimo sapere cosa ne pensate, è davvero taaanto importante per me. *w*
E... visto che siamo anche in tema consigli per gli acquisti, la sottoscritta qui vi dice di cercare La battaglia della Torre di Astronomia di Frava, perché se amate i Romione, non potete davvero perdervi questo piccolo capolavoro. Okay, ho finito. Be', allora ci si sente tra due/tre giorni massimo per il secondo capitolo, mi troverete qui (per davvero, eh u.u) a sclerare o non so che. Grazie a chi mi seguirà in questa breve avventura. *w*
Regà,
peace, love & Romione
sempre.
Jess


 

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Capitolo 2
*** Tell me your secrets and ask me your questions ***


Tell me your secrets and ask me your questions,
Oh, lets go back to the start.
Running in circles, coming in tales,
heads are a science apart.


 

─CHAPTER TWO─

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Tell me your secrets and ask me your questions
 

Quel maledetto stomaco continuava a brontolare, quando aveva cominciato la sua fastidiosa attività, Ron neppure se lo ricordava... ci aveva quasi fatto l'abitudine. Ron era disteso sulla piazza inferiore del letto, con le lunghe gambe penzoloni, la catenina al collo e il medaglione stretto tra le dita, che continuava ad osservare con un'espressione imbronciata dipinta sul volto. Avrebbe tanto voluto spaccarlo in due, una volta per tutte. Lanciò uno sguardo in tralice a Hermione, che era in piedi vicino al tavolo della cucina, gli dava le spalle e aveva il capo chino su qualcosa che, da quella posizione, Ron non riuscì ad identificare. Di sicuro libri, pensò, e per qualche strana ragione, si sentì seccato. Riportò nuovamente l'attenzione all'Horcrux per qualche istante, prima di lasciarlo andare sul petto, per poi frugarsi le tasche alla ricerca del Deluminatore. Era da un po' che non gli dedicava un'accurata analisi, in realtà aveva deciso di lasciarlo perdere... insomma, si rivelava sempre e solo lo stesso strumento creato da Silente, che catturava e rilasciava le luci... niente di più. E, con tutto quello che stavano affrontando, era praticamente uno strumento inutile. Ciononostante, spesso si era ritrovato a pensare che doveva esserci per forza un motivo che aveva spinto Silente a lasciarglielo nel testamento, e lui voleva scoprirlo. Eppure c'era quella disperata sensazione che si faceva sempre più forte: Silente li aveva lasciati soli, con quell'inutile arnese, un vecchio boccino e uno stupido libro per bambini. La verità era che Ron si scopriva ogni giorno sempre più frustrato e furibondo. Sì, era furente con Silente, furente per tutto quello che stava accadendo, furente con Harry per la sua incapacità di guidare quella folle spedizione. Era adirato con se stesso. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, cosa lo rendesse estremamente irascibile, irrequieto, continuamente deluso, cosa lo portasse ad essere silenzioso, a sentirsi così solo ed arrabbiato. Si strofinò con vigore gli occhi assonnati, come a voler scacciare via quel malessere, qualsiasi esso fosse. Si mise a sedere, osservò con aria assente la medicatura che Hermione aveva applicato qualche ora prima al suo braccio, erano passate settimane dall'incidente, ma non era ancora del tutto guarito. Poi scosse il capo come richiamato improvvisamente alla realtà, fissò il Deluminatore, lo impugnò e lo fece scattare. Nella tenda calò il buio, e Ron poté avvertire il sussulto di Hermione, ma non ci badò. Premette di nuovo il tasto e la fiamma tornò al proprio posto. Si alzò dal bordo del letto, continuando a rigirarsi lo strumento tra le mani. Non sapeva nemmeno perché lo faceva, continuare a farlo scattare era diventata una vera ossessione, un'ossessione che metteva a dura prova i nervi di Hermione. Ma a lui non importava nulla di cosa pensasse Hermione né tantomeno se gli desse fastidio, lui voleva solo che qualcosa - magari proprio il suo Deluminatore -, o qualcuno desse una svolta definitiva a quella disperata ricerca. Voleva trovare un senso a tutto quello che gli stava accadendo, voleva che l'aver abbandonato la sua famiglia cominciasse finalmente ad avere un senso. Quasi senza accorgersene, fece scattare per la seconda volta il tasto e la luce venne nuovamente risucchiata.
«Ron» la voce di Hermione, esasperata, risuonò nel buio. «Smettila»
Trascorsero due secondi prima che la luce fioca della candela tornasse al proprio posto. Ron cominciò a camminare smaniosamente avanti e indietro, con lo sguardo fisso sull'arnese, fino a quando non si lasciò cadere sulla panca, di fronte a Hermione. Chissà cosa stava accadendo a casa sua. Chissà come stavano mamma e papà, chissà come se la passava Ginny a scuola, doveva essere un inferno anche lì. E i suoi fratelli? Erano tutti irrimediabilmente coinvolti, per quanto ne sapesse, quella stessa mattina uno di loro poteva essere stato vittima di un incidente grave o forse... forse stava morendo proprio in quel preciso istante. Se solo lui avesse potuto fare realmente qualcosa per loro, anziché fuggire. Sarebbe morto, non li avrebbe mai più rivisti e non avrebbe mai nemmeno avuto la possibilità di chiedere scusa o di accettarsi che stessero bene. Sentì l'agitazione crescere, cominciò a sudar freddo, si passò una mano tra i capelli, ingoiò il vuoto prima di trarre un profondo respiro. Dopo essersi calmato, con una certa insistenza, cominciò a tamburellare con le dita sul piccolo tavolo di legno e, ancora una volta, distrattamente, il pollice scivolò sul pulsante, e il buio avvolse la tenda. 
«Ron, potresti smetterla?» grugnì Hermione a denti stretti. Ron fece ritornare nuovamente la fiammella al suo posto, sbuffando infastidito.
«Sai, dovrei proprio scoprire a cosa diavolo serve 'sto coso! Altrimenti perché Silente me l'avrebbe lasciato?» sbottò, lasciandolo poi cadere sul ripiano del tavolo. 
«Non c'è nulla da scoprire» rispose Hermione, mantenendo una strana calma. «L'abbiamo controllato innumerevoli volte, sappiamo quello che fa, quindi basta»
«Ma tu cosa ne sai» ribatté lui, incrociando le braccia al petto. «Stai sempre a leggere quello stupido libro»
«Ron, non è uno stupido libro! Come puoi essere così...» 
«Oh, no» la interruppe Ron, portandosi le mani tra i capelli. «Ancora con queste mappe, Hermione? Non ci posso credere»
Stavolta Hermione lo guardò, combattuta tra l'esasperato e l'irritato, ma si limitò a sbuffare riportando poi la sua attenzione ad un punto sulla mappa che spuntò con la piuma. 
«Non capisco perché insisti» proseguì Ron, guardando ora Hermione, ora il punto della mappa che la ragazza stava tracciando. «Tanto è tutto inutile, perché non lo capisci?» 
Hermione gli lanciò un'occhiata di traverso. 
«Pensi che sia inutile?» gli chiese, seccata. 
«Certo che lo penso» rispose prontamente Ron, senza smettere di guardarla. «Credo che tu stia solo perdendo tempo, tempo prezioso che potremmo occupare in...» 
«Allora dimmi, maestro delle azioni utili» scattò Hermione, lasciando cadere la piuma e fissandolo con sguardo di sfida. «Cosa credi che dovremmo fare, eh? Stare tutto il giorno a lamentarci per la mancanza di cibo?» 
«Be'» cominciò Ron, mantenendo lo sguardo fermo in quello di Hermione, «almeno io ho ragione! Non c'è mai niente da mangiare, si muore di fame! E non mi metto mica a fare i disegnini per perdere tempo»
«Io non perdo tempo a fare i disegnini, Ronald» ribatté Hermione, a voce bassa e pericolosamente rossa in viso. «Sto cercando di capire dov'è che siamo finiti! E scusa tanto, potremmo avere un punto chiaro della situazione, queste mappe potrebbero aiutarci a capire dove siamo e...» 
«Hermione!» intervenne bruscamente Ron, scattando in piedi. «Che cosa importa dove siamo? Serve a qualcosa? Siamo nel bel mezzo del nulla, ecco dove siamo! Non ti basta questo? Non sappiamo nemmeno perché siamo qui, non sappiamo cosa stiamo facendo! Non sappiamo nulla! Sono giorni che ci sballottiamo a destra e manca, roba da impazzire, e a che scopo? Qual è lo scopo, eh? Segnare dei benedetti punti su un pezzo di carta non ci aiuterà di certo. È una cosa stupida! Non torneremo più indietro. Non ci torneremo più, quindi smettila, per la miseria, smettila!» Ron batté un pugno sul tavolo, sentiva il viso in fiamme, la rabbia crescente. Hermione, difronte a lui, appariva visibilmente turbata, ma Ron era completamente concentrato su se stesso, sentiva che sarebbe esploso, che avrebbe perso il controllo da un momento all'altro.
«E a te cosa importa se traccio punti sulle mappe?» disse Hermione, un leggero tremolio tradì la decisione della sua voce. «Che cosa ti importa, eh? Io... io voglio sapere dove siamo, e se...» 
«Non torneremo a casa» la interruppe nuovamente Ron, con un sorriso di scherno. «Come fai a non rassegnarti? È sempre peggio. Ogni dannato giorno. Per cui smettila di perdere tempo con quelle» indicò le mappe aperte sul tavolo con un gesto brusco.
«Io non smetto proprio nulla» rispose Hermione, con gli occhi velati di lacrime. «Se ti dà fastidio allora vattene da un'altra parte!» 
«Be', sì» sbraitò Ron, avviandosi verso l'uscita, «certo che me ne vado, tanto meglio che vederti disegnare stupide mappe». 
Ron si lasciò cadere sul terreno freddo, appoggiò la schiena al tronco di un albero. Si sentiva talmente arrabbiato e tremendamente stanco. Il freddo della notte gli penetrava fin dentro le ossa, si strinse nel cappotto e sollevò la sciarpa oltre il naso. Mantenne per un po' lo sguardo fisso davanti a sé, sforzandosi di non pensare a nulla. Ma gli risultò piuttosto difficile svuotare la mente. Continuava a pensare a Hermione e alle sue stupide mappe. Che cosa credeva di fare, Hermione? Proprio non capiva, come faceva a pensare, a sperare, in un ritorno a casa?
Casa. Rabbrividì e, senza accorgersene, si ritrovò a stringere i pugni così forte da affondare le unghie nel palmo della sua mano. Era assurda, tutta quella situazione. Assurda e pericolosa. Cominciava ad essere stufo di quell'Horcrux, di come lo faceva sentire ogni volta, era stufo degli spostamenti, della fame, del freddo... e di Harry. Loro si erano fidati, l'avevano seguito, senza alcuna esitazione.
"Noi ci saremo, Harry. Verremo con te, ovunque tu vada" (*) gli aveva detto Ron. E in quel momento l'aveva pensato sul serio, con tutto se stesso. Voleva seguirlo, come aveva sempre fatto. Ma adesso? Adesso che sembravano esser perduti, adesso che tutto sembrava non solo estremamente pericoloso ma anche inutile... lo voleva davvero? Lui, per seguire Harry, aveva lasciato la propria famiglia, l'aveva fatto, era sparito... l'aveva fatto solo per il suo migliore amico. Un amico di cui adesso cominciava a dubitare, un amico di cui, forse, non avrebbe dovuto fidarsi. Ma era pur sempre il suo miglior amico. Ed era solo
Ron si portò la mano alla fronte e la sfregò con forza. Ovvio che Harry è solo, ovvio che ha bisogno del nostro aiuto. Ovvio che io voglio aiutarlo. Pensò, con la fronte aggrottata e un'espressione concentrata. Era giusto che lui e Hermione fossero lì, con lui. Ma molte, troppe cose non andavano per il verso giusto, da giorni, da settimane. E poi c'era quell'Horcrux, quel dannato Horcrux che sembrava essere indistruttibile... e pronto a distruggerli. Lo odiava, quell'Horcrux. Lo odiava con tutto se stesso, perché lo spaventava a morte. Aveva paura.
Lo estrasse da sotto il maglione, afferrò la catenina e lentamente se lo sfilò. Ogniqualvolta lo allontanava da sé, aveva la netta impressione di liberarsi da un invisibile peso enorme. Il medaglione era freddo, nonostante fosse stato al caldo fino a quel momento e, nel silenzio penetrante della notte, Ron poté sentire dei sibili indistinti, da far venire la pelle d'oca. D'improvviso, come scottato, lo lasciò cadere a terra. Non era la prima volta che percepiva qualcosa, il contatto col medaglione gli causava quasi sempre strani brividi, terrore, forse sensazioni che non avrebbe saputo rendere a parole. Spesso pensava a quanto stessero rischiando portando con sé una piccola parte dell'anima di Voldemort. Ron aveva capito da sé che, nonostante fosse sigillato, sembrasse impenetrabile, era perfettamente in grado di agire. Non era essenziale che si dissigillasse, quella... cosa... sapeva esattamente cosa fare. Era viva, e lui lo sapeva perché la sentiva. Gli vennero in mente le parole di suo padre: "Non ti fidare mai di niente che pensi da solo se non riesci a capire dove ha il cervello" (**), e in un qualche strano modo, a loro sconosciuto e che forse non avrebbero mai compreso, il medaglione riusciva a scavare nel profondo dell'animo, era capace di fargli pensare o sognare le cose più orribili. Sua sorella, molti anni prima, era stata sotto il completo controllo di Tom Riddle, che aveva agito sotto forma di ricordo tramite il suo Diario. Quel pensiero gli causò una forte scossa di orrore: se avesse preso il pieno controllo anche su di lui e se lui, inconsapevolmente, avesse fatto del male a Harry e a Hermione?
Inorridito, fissò l'oggetto che giaceva apparentemente privo di vita tra le foglie, poi, con riluttanza, afferrò la catenina tra l'indice e il pollice, e cominciò a farlo ondeggiare davanti a sé. Forse doveva dire la verità ai suoi amici, doveva spiegargli i suoi timori. Poi i suoi pensieri, improvvisamente, cambiarono direzione. Non stava seguendo i movimenti dell'Horcrux, non pensava più alla sua potenza, a quanto lo spaventasse, davanti agli occhi gli si presentò l'espressione ferita di Hermione, e quasi sentì rimbombare nella testa la sua stessa risata di scherno e il tono rude usato contro la ragazza. Scosse con decisione il capo come per scacciare via quell'immagine. Ma cosa diavolo gli era preso? Mancava poco che gliele stracciasse quelle mappe.
Si sentì pervadere da un forte senso di vergogna e sconforto, si passò con forza una mano tra i capelli. Horcrux o no, lui era un completo disastro, lo era sempre stato. Probabilmente Hermione avrebbe avuto bisogno di qualche parola di conforto, in quel momento, non di qualcuno che le urlasse contro perché sperava in qualcosa di impossibile. E lui non l'aveva fatto. Era un incapace. 
E ora era lì, con la consapevolezza di averle fatto del male, con quel peso che gravava sullo stomaco, lasciando che il senso di colpa lo divorasse. Il Medaglione cadde sul terreno, Ron lo guardò per qualche secondo, poi mosse una gamba nella sua direzione, allontanandolo ulteriormente da sé. Magari avesse potuto allontanarlo definitivamente, magari avesse potuto distruggerlo per sempre. Non seppe dire quanto tempo passò a pensare col volto nascosto tra le mani, mentre gli occhi protestavano per la stanchezza, ma quando sentì dei passi leggeri, qualcosa si risvegliò in lui.
Forse un senso di leggero sollievo... Hermione era tornata da lui, era tornata nonostante, ancora una volta, non lo meritasse. Avvertì il profumo di un'aroma familiare, lentamente sollevò il capo, e senza guardarla direttamente, vide che stringeva due tazze fumanti di tè. Gliene porse una, poi si accomodò accanto a lui, in completo silenzio. Entrambi presero a sorseggiare la calda bevanda, senza guardarsi, senza parlarsi. Ron sentì il calore diffondersi fino alla punta dei piedi, e fu davvero grato del fatto che Hermione avesse pensato a lui. Avrebbe voluto dirglielo, ma era bloccato, lì, sul terreno freddo, nel suo logoro cappotto, confuso, il medaglione a pochi centimetri di distanza, e ancora quel forte senso di vergogna a fargli compagnia. Si chiese a cosa stesse pensando Hermione, mentre lui si tormentava. Si chiese se fosse amareggiata, delusa, stanca, arrabbiata, o peggio, triste. Si chiese cosa avrebbe mai potuto fare lui per lei. Si chiese se avesse mai potuto essere abbastanza, per lei. Ron continuava ostinato a fissare la sua tazza, la verità era che aveva timore di incrociare lo sguardo di Hermione. Sentì la ragazza sospirare, mentre si sporgeva in avanti per afferrare la catenina dell'Horcrux, sotto il suo sguardo atterrito. Hermione teneva il Medaglione sul palmo della sua mano, lo stava osservando con un'espressione corrucciata. In quel momento, Ron pensò che non aveva la minima idea di che effetto avesse su di lei. Di solito, durante i suoi turni, Hermione diventava taciturna, si isolava per immergersi totalmente nella lettura, non che fosse una novità, ma Ron aveva notato che tendeva ad essere più agitata del normale ed imbronciata. Però non avevano mai parlato apertamente degli effetti dell'Horcrux, e in quell'istante, una leggera fitta gli attraversò il petto quando si rese conto che probabilmente anche Hermione pensava cose terribili quando lo indossava. Non ci aveva mai pensato davvero in quelle settimane, troppo occupato a tenere il broncio o ad essere arrabbiato con il mondo. Egoista. 
Istintivamente spostò lo sguardo dall'Horcrux che Hermione stava ancora osservando, e cominciò a fissarla. Cosa e a chi pensava quando lo indossava? Cosa gli aveva mostrato quando, giorni fa, si era addormentata con quell'affare al collo e dopo, spaventata, gli aveva tassativamente vietato di non commettere quel suo stesso errore? Avrebbe voluto chiederglielo, ma temeva che Hermione gli porgesse le stesse domande, e lui non aveva la minima intenzione di dirle cosa e chi esattamente gli mostrava l'Horcrux. Non poteva parlarle delle cose che pensava quando lo portava con sé, o peggio, delle cose che sognava quando, senza riuscire a resistere alla stanchezza, si lasciava cadere in quei sonni agitati con l'Horcrux al collo, nonostante i continui avvertimenti di Hermione. Non gliel'avrebbe mai detto.
Hermione si voltò verso di lui e i loro sguardi si incrociarono per un breve attimo, ma Ron pensò bene di distogliere lo sguardo. 
«Mi... mi dispiace per prima» farfugliò, fissandosi le scarpe. Sperò che Hermione non lo guardasse, ma cominciò a sentire il suo sguardo addosso, e l'imbarazzo crebbe. Lei fece per parlare, ma poi fece semplicemente un sospiro e tornò a guardare davanti a sé. Ron le gettò un'occhiata: con una mano si stava reggendo stancamente la testa. Trascorsero parecchi minuti durante il quale rimasero in silenzio, vagando con lo sguardo, facendo attenzione a non incontrarsi mai. Ad un certo punto, Hermione tirò su col naso, girò la testa di scatto verso Ron e con voce sommessa disse: «So che è difficile crederlo, vista la situazione, che magari può sembrarti stupido, ma...» si bloccò, e Ron, come richiamato da qualcosa, si voltò finalmente verso di lei, che lo fissava con un'espressione stremata. Si guardarono ancora per qualche istante, poi Hermione chiuse per un secondo gli occhi, e solo quando li riaprì riprese.
«Ma insomma, io... io voglio tornare a casa, Ron, e...» 
«E tu credi che io non lo voglia?» fece Ron, scaldandosi. 
«No, non ho detto questo, e non credo sia così» rispose Hermione, sulla difensiva. «Stavo solo...» 
«Lasciamo perdere, va bene?» tagliò corto Ron. «Ti chiedo solo scusa per come mi sono comportato» chiuse gli occhi e appoggiò la testa al tronco. Hermione lo fissò per qualche istante, perplessa, aprì la bocca per ribattere, ma poi ci ripensò e scosse il capo. Dopo molti minuti, fu Ron a rompere il silenzio. 
«Perché ci ha fatto questo?» disse a voce bassa. «Silente»
Non si aspettava una risposta da Hermione, non la voleva nemmeno una risposta, stava più che altro dando voce ai suoi pensieri, non sapeva perché, ma ne sentiva il bisogno. «Ci ha lasciati soli» .
Il silenzio che ne seguì, cadde su di loro, pesante come mai prima d'ora. La temperatura della notte cominciava a farsi sentire, avrebbero potuto tornare alla tenda, al caldo, ma nessuno dei due sembrava aver l'intenzione di abbandonare l'altro. 
«Non ci ha lasciati soli» sussurrò dopo qualche minuto Hermione. 
«Come fai a dire questo?» Ron adesso la stava guardando, lo sguardo accigliato. «Ma ci vedi, Hermione? Harry non sa niente. Che cosa facciamo? Dove siamo diretti esattamente? E questi maledetti Horcrux, come li distruggiamo?» lanciò uno sguardo misto di odio e terrore al Medaglione di Serpeverde che giaceva ancora sul terreno. 
«Non lo so...» sospirò Hermione desolata. Trascorse qualche minuto prima che riprendesse a parlare, senza guardare Ron. «Abbiamo indizi su dove Vol...» 
«Hermione, per favore!» ruggì subito Ron. 
«E va bene!» ribatté Hermione, stizzita. «Dicevo, abbiamo indizi su dove Tu-Sai-Chi avrebbe potuto lasciare i suoi Horcrux. Silente sapeva quello che faceva, Ron. Io... io credo che non ci avrebbe mai lasciati completamente soli...» 
«Sarà... eppure l'ha fatto, lo siamo. Siamo soli» 
Hermione scosse il capo, ancora con lo sguardo fisso a terra.
«Non ti sembra, come dire... strano... forse addirittura sbagliato... dubitare di Silente?» gli chiese poi, aggrottando la fronte.
«Mah, un po' strambo lo è sempre stato... quindi, non saprei... E poi anche Harry ha detto che è stato stesso Silente a dire che... be', che anche lui può sbagliare... insomma, può aver sbagliato qualcosa...»
«Dubiti di Silente, Ron?» domandò Hermione. «E di Harry?» aggiunse, stavolta fissandolo negli occhi. Ron ricambiò lo sguardo, serio, senza batter ciglio. 
«Hermione, Harry è completamente incapace di guidare questa spedizione» cominciò Ron. «Stiamo rischiando la vita per lui, ma sembra che lui ci stia solo prendendo in giro. Che cosa crede di fare, eh?» fece in tono sprezzante, stavolta senza guardare Hermione. «Vuole fare l'eroe come suo solito? Io sono stanco! E poi tanto a lui cosa gli importa? Non deve pensare a nessuno, non ha nessuno da proteggere, lui...»
«Ron!» il tono sconcertato e addolorato di Hermione, lo costrinse a voltarsi nella sua direzione.
«Che c'è?» scattò lui. «Tu vuoi difenderlo, non è vero?»
«Ron, smettila» sbottò Hermione, con gli occhi leggermente umidi, ma con un'espressione dura. «Tu... tu non pensi realmente queste cose. Come puoi pensare che Harry ci stia prendendo in giro? Come puoi pensare che non gli importi niente?»
Improvvisamente, Ron si sentì a disagio, all'istante puntò lo sguardo a terra, sull'Horcrux. Qualcosa si era insidiato nella sua mente e aveva rafforzato quei pensieri maligni. 
«Io lo so che non lo pensi davvero» continuò Hermione, cercando con insistenza il suo sguardo, che lui evitò.
«Anch'io nei momenti di sconforto penso di essere delusa da Harry» gli confessò Hermione, lui si sorprese di quell'affermazione, ma continuò a tenere gli occhi fissi a terra. «Ma non importa, non importa perché lui è il nostro migliore amico, e noi non dobbiamo lasciarlo solo. So che hai paura, anch'io ho paura, anche Harry ha paura... ma dobbiamo resistere, dobbiamo restare uniti, Ron... tu lo sai questo, non è vero?» Hermione continuava a fissare il profilo di Ron, ansiosa. 
«Ti prego, guardami» 
Il flebile sussurro di Hermione gli spezzò il cuore. Si vergognava dei suoi pensieri, delle sue debolezze, delle sue parole, di se stesso. E quando guardò i suoi occhi terrorizzati, sentì una stretta alla gola, un magone, si limitò a fare un debole cenno col capo, senza smettere di guardarla. Hermione fece un breve movimento come per avvicinarsi a lui, forse per abbracciarlo, pensò Ron, che si rese conto di desiderarlo davvero, ma poi sembrò ripensarci, così tornò a guardare davanti a sé, senza dir niente.
Ron si sentì improvvisamente affranto, come se tutta la forza avesse abbandonato la sua mente, il suo corpo. Guardò il medaglione ancora sul terreno, tra loro due, a momenti avrebbe dovuto recuperarlo, portarlo con sé, conviverci ancora per qualche ora, e il solo pensiero gli fece mancare il fiato. 
«Come... come lo distruggiamo quello, Hermione?» le chiese Ron, con voce stanca. Non sapeva nemmeno perché le aveva rivolto quella domanda, in fondo sapeva già la risposta. Hermione si voltò di nuovo verso di lui, lo guardò sconfortata, in silenzio. Ron si accorse di non provare più rabbia, quel che provava era solo vera e propria paura. Si chiese se Hermione glielo leggesse negli occhi, se fosse così evidente, perché lui la sentiva crescere dentro di sé, attimo dopo attimo. All'improvviso, sentì la mano piccola e fredda di Hermione appoggiarsi sul dorso della sua. Chiuse per un istante gli occhi quando lei iniziò ad accarezzargliela con gesti lenti. Provò a dimenticarsi del mondo, di tutti quei casini, provò a concentrarsi sul suo tocco esitante. Ma niente, quello strano e vago malessere al centro del petto, quel nodo alla gola, persistevano. Sollevò le palpebre e la guardò, con apprensione.
«Cosa pensi quando lo indossi?» bisbigliò, quasi senza fiato. Hermione rimase zitta per un po', lo sguardo serio e triste fisso nel suo, le dita che lente sfioravano la sua mano.
«Penso... penso che non ce la faremo» rispose dopo un po', in tono sommesso. «Penso che sia tutto inutile, ogni sforzo, ogni sacrificio, tutto. Penso che Tu-Sai-Chi distruggerà tutto. Penso ai... ai miei genitori... e a quando li ho lasciati andar via... e che forse non rivedrò mai più» continuò con la voce leggermente incrinata. Poi d'impulso, strinse la mano di Ron, e si portò quella libera al viso per scacciare via una lacrima. «Penso a Harry... e penso a te e... e a volte io vi vedo... morti...» tirò su col naso, lasciò andare la mano di Ron per asciugarsi le lacrime che non era riuscita a trattenere. «E t-tu?» gli chiese, con voce tremante. «Tu che c-cosa vedi?»
Ron ingoiò il vuoto. Era terrorizzato, si sentì completamente svuotato, sfinito, sconfitto, perso. Rimase lì, inerme, a fissare le lacrime di Hermione che continuavano a scorrere. Si sentiva distrutto, si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Sapeva che non sarebbe riuscito a parlare, se avesse aperto bocca, probabilmente avrebbe vomitato. Così, lasciandosi guidare dall'istinto, allungò un braccio per afferrare delicatamente il polso di Hermione e l'attirò cautamente a sé. Lei si avvicinò, continuando a piangere silenziosamente. Quando Ron avvicinò il capo al suo petto, si sentì arrossire, ma non gli importò più di tanto. Si concentrò sul respiro irregolare di Hermione e sui suoi leggeri sussulti. La strinse un po' di più a sé, si chiese se anche lui sentisse il bisogno di piangere stretto a lei. In realtà non aveva forza neanche per quello. Guardò lì dove si nascondeva il braccio Spaccato in via di guarigione. A volte, quando si lasciava prendere completamente dalla disperazione, pensava che sarebbe dovuto morire, quel giorno. Dopotutto era per causa sua se avevano rallentato e rinviato i loro spostamenti, era per colpa sua se erano stati costretti a proseguire a piedi perché lui non ce la faceva a Smaterializzarsi. Era ferito, troppo debole, incapace, praticamente inutile. Alla sua famiglia non era di alcun aiuto, in fin dei conti li aveva lasciati, e per i suoi migliori amici era più che altro d'intralcio. Cosa ci facesse ancora lì, se lo chiedeva tutti i giorni. 
D'improvviso, Hermione aumentò convulsamente la stretta sul suo cappotto, mentre un singhiozzo strozzato le sfuggì dalla gola. Ron, sempre più spaventato, cominciò a carezzarle la schiena, con lenti gesti impacciati, nel tentativo di calmarla, e nel tentativo di calmare anche se stesso. Chiuse gli occhi. Che stupido. 
Lui non doveva morire, nessuno doveva morire. E quello era il suo posto. Lui doveva stare accanto a Harry e doveva proteggere Hermione. A tutti i costi.
Ma col passare dei giorni, trovava sempre più difficile mantenere un atteggiamento determinato, non ce la faceva più, era stanco, e non si preoccupava più nemmeno di sforzarsi. Desiderava tanto essere più forte e coraggioso, proprio come Harry. Desiderava essere più intelligente e deciso, desiderava essere all'altezza di Hermione. Ma lui era soltanto lui, e nient'altro.
Dopo un'ora o forse più, Hermione parve essersi calmata. Teneva ancora la testa poggiata al suo petto, Ron si sentì leggermente più sollevato dal momento che aveva smesso di piangere. Sorrise appena pensando a quanto fosse bello tenerla tra le sue braccia. 
Poi un suono breve, a lui conosciuto, attirò la sua attenzione. Era il suo orologio, e le lancette illuminate puntavano entrambe sul numero dodici. Era mezzanotte, un nuovo giorno era scattato. Era il diciannove settembre. 
Ron si calò leggermente per raggiungere il suo orecchio. 
«Buon compleanno, Hermione» bisbigliò, poi le sfiorò i capelli con un tocco leggero. Non era sicuro che fosse ancora sveglia, e per un attimo desiderò che non lo fosse, perché non voleva che lei, guardandolo, si accorgesse che fosse arrossito. Ma quando dopo infiniti secondi di attesa, Hermione si staccò lentamente da lui per incontrare i suoi occhi, Ron si rese conto di non desiderare altro. Tutto quello che riuscirono a fare, fu guardarsi intensamente. Cosa voleva veramente dirle, nemmeno lo sapeva... sapeva solo che non avrebbe desiderato altro che starsene lì, a stringerla e a guardarla per il resto della notte, in silenzio. Per un lungo istante, puntò lo sguardo sulle labbra di lei. Avrebbe tanto voluto baciarla. 
Tremò sotto il tocco di Hermione che gli accarezzò dolcemente la guancia. 
«Grazie» gli sussurrò, accennando un piccolo sorriso sincero che gli fece tremare il cuore. Hermione riposò il capo sul suo petto e si lasciò stringere dolcemente da Ron. Entrambi si sentirono protetti e al sicuro quella notte.

 

 

(*) «Noi ci saremo, Harry» annunciò Ron. «Cosa?» «A casa dei tuoi zii. E poi verremo con te, ovunque tu vada»
 (Harry Potter e il Principe Mezzosangue, capitolo 30, pag. 5
87)

(**) «Ginny!» esclamò il signor Weasley esterrefatto. «Ma allora io non ti ho insegnato proprio niente? Che cosa ti ho sempre detto? Non ti fidare mai di niente che pensi da solo se non riesci a capire dove ha il cervello [...]»
(Harry Potter e la camera dei Segreti, capitolo 18, pag. 296)




 

Angolo dell'autrice

Ah, dovrei smetterla di fare promesse. "Tra due/tre giorni massimo" certamente, Jess. Ma voi non mi prendete mai sul serio, dico bene? u_u Dite che riuscirò a farmi perdonare anche stavolta? ^^'' Ragazzi, questo è il capitolo che più mi ha fatto penare. Mancanza di ispirazione per un luuungo periodo, l'avrò riscritto almeno cinque o sei volte, per la miseria, ma alla fine è venuta fuori 'sta roba qui. Non sarà niente di eccezionale, ma almeno esiste u_u. Quuuindi, i nostri eroi sono partiti agli inizi di settembre, ora siamo al diciannove di settembre - il compleanno della nostra Hermione, e scusate ma non li trovate tanto dolci? aw - e già si sono verificati i primi episodi sclerotici da parte di Ron. Nel prossimo capitolo ci proietteremo mooolto più avanti, sarà mooolto più dura, per entrambi. Quindi se volete sapere che cosa combineranno questi due, ci ritroveremo tra... ehm... un tot. di giorni qui, di nuovo (no, scherzi a parte, in questa stessa settimana verrà pubblicato il terzo capitolo, lo giuro). Vorrei proprio sapere come avete trovato questo secondo capitolo, se vi sembra abbastanza realistico, se Ron vi è piaciuto, se l'avete trovato insopportabile o vi ha fatto tenerezza, se pensate che possa essere andata più o meno così, o quello che volete... insomma, che effetto vi ha fatto, come vi è sembrato il tutto. ;)  Intanto, un grandissimo e sentito GRAZIE va in particolare a Hermione Jean Granger, donny93 e Frava (tre tra le mie straordinarie lettrici più fidate che continuano a farmi miseramente sciogliere ogni santa volta), per le bellissime parole che hanno speso per il primo capitolo. Grazie davvero, vi meritate una riposta all'altezza delle vostre splendide recensioni, giuro che l'avrete. Sapeste quanta commozione a leggervi. 
GRAZIE di cuore anche a chi ha scelto di seguire in silenzio i Romione in questa breve avventura. Vi sono MOLTO grata.
Devo sempre parlare troppo, vero? Be', allora, per chi vorrà, ci si sente tra qualche giorno! :'D
Peace, love and Romione
Jess

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Capitolo 3
*** Nobody said it was easy ***


Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No-one ever said it would be this hard,
Oh take me back to the start.
 

CHAPTER THREE

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Nobody said it was easy

 

Risate. Sussurri e ancora risate. Possibile che quando quei due erano insieme, da soli, avessero sempre tanto da raccontarsi... e da ridere? Ma poi che avevano da ridere? Affamati, dispersi nel nulla, da settimane lontani dalla civiltà, senza che quella maledetta ricerca cominciasse a dare i suoi frutti. E loro ridevano. Ma certo, a loro cosa importava? La famiglia al sicuro... una risata potevano permettersela, loro due. Ron si riscosse debolmente dal torpore, cercando di tenere gli occhi aperti per non appisolarsi di nuovo e provò a concentrarsi su altro. Sentiva una piccola parte del torace particolarmente gelida, proprio lì dov'era appoggiato il medaglione. Ma ormai ci era così abituato da non farci nemmeno poi tanto caso. Avvertiva brividi di freddo nonostante indossasse un pesante maglione, era disteso lungo la piazza inferiore del letto e si sentiva esausto. Troppo per impedire alle sue palpebre pesanti di abbassarsi definitivamente... troppo stanco per provate ad opporre resistenza...

Correva lungo una strada tortuosa, circondata dal verde. Erba altissima ovunque, non riusciva ad intravedere una via d'uscita, a lui sembrava che stesse correndo da ore, e il buio della notte, rendeva tutto più cupo e spaventoso.
Udiva delle urla. Urla strazianti, insopportabili, che giungevano prepotenti alle sue orecchie, quasi a perforargli i timpani. Ad ogni passo, accresceva il senso angoscia e d'impotenza.
Correva.
Gli sembrava di aver percorsi migliaia e migliaia di km, aveva il fiato corto ed era certo che le gambe avrebbero ceduto da un momento all'altro. Ma non poteva permetterglielo. Lui le conosceva, quelle voci, sapeva a chi appartenevano... e gli chiedevano disperatamente aiuto.
Correva.
Gli parve di cominciare a vedere la fine di quella corsa, l'erba ora era più bassa, riusciva persino ad intravedere il tetto della Tana e, proprio in quell'istante, sopra casa sua, apparve il Marchio Nero. Quell'immagine lo terrorizzò a tal punto da costringere le sue gambe a velocizzare la corsa. Sentiva che sarebbe crollato da un momento all'altro, le mani gli tremavano, il respiro affannato, il battito cardiaco incontrollabile. Ma doveva correre, non poteva permettersi di perdere un secondo di più. Improvvisamente, senza sapere come, si trovò nel familiare giardino di casa... era proprio lui, eppure la Tana era ancora così lontana. Proprio in quell'istante, uno di quegli gnomi che infestavano il giardino dei Weasley, lo afferrò per una caviglia e Ron ruzzolò a terra, con la faccia dritta nella fanghiglia. Imprecò, pulendosi di fretta il volto, e quando alzò lo sguardo, fissò la piccola creatura in faccia: aveva gli occhi rossi, iniettati di sangue, un sorriso beffardo e una viscida coda verde. Dedicò a Ron un'occhiataccia maligna prima di fuggir via. Ron, scioccato, rimase per un attimo immobile, ma si riscosse subito e, istintivamente, alzò lo sguardo sulla Tana. Quel che vide gli mozzò il fiato in gola: un enorme serpente circondava l'abitazione e sembrava che la sua morsa aumentasse secondo dopo secondo. Ron non aveva mai visto un Basilisco dal vivo, ma pensò che quella cosa potesse somigliare esageratamente alla spaventosa creatura secolare, se non fosse addirittura peggio. Fu l'urlo di sua sorella ad attirare l'attenzione di Ron, e senza pensarci oltre, si rimise in piedi a fatica, barcollando, e riprese quella disperata corsa. Correva, con la bacchetta stretta in pugno, avrebbe raggiunto la Tana in pochi metri. Ma sembrava esserci un problema, un grave problema: correva, correva con tutto se stesso, eppure sembrava stesse fermo sempre allo stesso punto, o forse era la sua casa ad allontanarsi, non riusciva a capirlo. Una sensazione di puro panico lo pervase quando le grida strazianti dei suoi familiari si fecero più assordanti. Gli rimbombavano insistenti nelle orecchie, nella testa.
Correva.
Più correva e più i suoi fratelli sembravano allontanarsi da lui. Oramai le gambe non reggevano più e sentiva la gola e i polmoni in fiamme. Inciampò in una radice e rovinò sul terreno freddo. Col respiro ansante, alzò appena il capo e quando vide due figure familiari a pochi metri da lui, un sorriso appena accennato, sollevato gli si allargò in viso.
«Harry! Hermione!» li chiamò, tra un respiro e l'altro, ma i due ragazzi, abbracciati, apparentemente ignari della presenza dell'amico, gli davano le spalle. Ron non si perse d'animo, riprese fiato e tentò di nuovo.
«Harry! Hermione! Aiutatemi!» Hermione in tutta risposta, scoppiò in una risata fredda senza mai voltarsi verso di lui, anzi, buttò le braccia al collo di Harry e lo baciò con trasporto. Harry rispose al bacio senza alcuna riserva. Baciava Hermione con foga. Erano così avvinghiati da sembrare un unico corpo. Ron sentì il respiro mancargli.
«Hermione...» sussurrò, addolorato, mentre i due ragazzi si staccavano ansanti, si fissavano negli occhi, adoranti, per poi scoppiare a ridere, Hermione stretta tra le braccia di Harry. 
Ridevano. Ridevano ancora e ancora. Ma cosa avevano tanto da ridere?
Poi tutto accadde in un nano secondo: il mostruoso serpente diede un'ultima stretta decisiva alla casa, che si disintegrò, tra le urla. Ron tentò di rialzarsi per intraprendere un'ultima disperata corsa, ma una voragine si aprì davanti a lui e si sentì sprofondare giù... ancora giù... sempre più giù...


«AAAAAAAAAARG!» una fitta atroce e, d'istinto, portò le mani alla testa. Completamente stordito, ributtò il capo all'indietro, lieto di sentirlo toccare una superficie morbida, come un cuscino...
«Ron, stai bene?» 
Ci mise un po' prima di riuscire a collegare quella voce tremante a Hermione. Provò sollievo, ma tempo di un attimo, perché poi fu sopraffatto dalla rabbia. Era in stato confusionale, incapace di rendersi conto di cosa fosse vero e cosa fosse finzione. Nausea. Una fastidiosa sensazione di nausea lo riportò poi alla realtà.
«Santo cielo» sussurrò Hermione spaventata. «Non devi addormentarti con quel coso al collo, te l'ho già detto un...»
«Grazie, lo so... ci arrivo... da solo...» biascicò Ron, con difficoltà.
«Sei pallidissimo» mormorò lei, senza fiato. «Hai... hai dato una testata tremenda qui, sulle toghe del letto superiore. Sei tutto sudato! E quel coso, non riuscivo a togliertelo di dosso... continuavi a dimenarti... ma cosa...?» «Hermione, zitta» mugugnò Ron a fatica, ancora con le mani sulla testa dolorante, visibilmente scosso. Si alzò di botto per raggiungere il piccolo bagno. Con un gesto brusco si sfilò il maglione, la sensazione di nausea divenne opprimente, cominciava a star malissimo. Non ricordò di aver mai vomitato tanto in vita sua, nemmeno quando da piccolo si beccava quei tremendi virus influenzali. Con le mani ancora tremanti, immerse completamente la testa sotto l'acqua che scorreva dal rubinetto del lavandino e fu invaso da una momentanea piacevole sensazione di sollievo. Uscì dal bagno con i capelli bagnati, ancora tremante. Buttò una veloce occhiata di sbieco a Hermione che non si era mossa, era ancora lì in piedi,  in un silenzio teso, e Ron fu certo che stesse tentando in tutti i modi di incontrare i suoi occhi. Si sedette sul bordo del letto e cominciò a guardarsi intorno frenetico, torturando la fredda catenina dell'Horcrux, che ancora indossava, sfuggendo di proposito allo sguardo della ragazza. Dopo un lungo istante di indecisione, scattò di nuovo in piedi e senza degnarla di uno sguardo, si avviò verso l'uscita della tenda.
«D-dove vai?» chiese flebilmente Hermione.
«Aria» rispose Ron, con voce roca. Scostò il lembo della tenda e l'aria tagliente della notte lo colpì dritto in viso. Non aveva né cappotto né sciarpa e neanche il maglione, indossava una t-shirt leggera a lunga manica. Era madido di sudore, i capelli bagnati, era stanco e tutto quello a cui riuscì a pensare fu: camminare. Voleva solo allontanarsi da lì e volevo che il gelo lo investisse.
«Non puoi uscire così!» l'urlo di Hermione che gli stava alle calcagna, non gli impedì di proseguire. La ignorò.
«Non essere sciocco, Ron! Prendi il cappotto» ribatté lei affannata, mentre cercava di stare al passo.
«Non mi serve!» sbottò brusco Ron.
«Ma che dici? Sei tutto sudato, non puoi...»
«Hermione, vuoi lasciarmi in pace? Dannazione!» urlò, con una furia spaventosa, non da lui. Si fermò e si voltò di scatto verso di lei che, pietrificata sul posto, lo fissava con occhi impauriti, stringendo il suo cappotto tra le mani.
«Cosa vuoi da me? Perché mi hai seguito?» 
Hermione sembrava sul punto di sprofondare. Era spaventosamente pallida sotto lo sguardo iracondo di Ron, che col respiro affannoso la fissava senza batter ciglio. Per un lungo istante, entrambi non fecero che scrutarsi negli occhi. Ron teneva i suoi azzurri, gelidi, inespressivi, fissi in quelli scuri, intimoriti, lucidi di Hermione. Nello spazio che li separava, in quei pochi metri che li tenevano distanti l'uno dall'altra, era possibile respirare un miscuglio di emozioni spaventosamente contrastanti. Inquietudine, delusione, rabbia, debolezza, angoscia, collera. Paura.
Alcune di esse leggibili negli occhi chiari di uno e altre negli occhi scuri dell'altra. Si fondevano fino a creare una tensione palpabile per entrambi. Potevano avvertirla fino a rabbrividire.
«Va' da Harry» disse all'improvviso Ron, con  pericolosa, estenuante calma. «Non capisco perché tu mi abbia seguito. Torna a ridere con Harry»
Hermione continuava a tenere i suoi occhi lucidi su di lui, mentre sul volto le si dipinse un'espressione dura.
«Cosa significa torna a ridere con Harry?» chiese, cercando di impostare un tono fermo.
«Proprio quello che ho detto. Mi stupisci, Hermione, è strano che tu non abbia afferrato» la voce di Ron era bassa, decisa. Parlava con una convinzione da far spavento. Dopo averle lanciato uno sguardo sprezzante, si voltò e proseguì più lentamente rispetto al passo accelerato di qualche minuto prima. Cominciava a sentirsi strano, come se qualcosa avesse cominciato a combattere dentro di lui. Avvertiva una strana sensazione di sicurezza, di forza, una rabbia che sembrava racchiudere odio. Un forte odio verso il mondo, verso tutto ciò che aveva attorno. Ma c'era qualcosa che contrastava questo deciso e adirato stato d'animo. Ma cos'era? Cosa c'era in lui che non andava?
Forse era quel fastidioso nodo alla gola o il tremolio alle gambe.
Aveva freddo. Un freddo strano. Si sentì raggelare il sangue. 
Sentiva i passi incerti di Hermione che arrancava sulla sua scia.
«Per favore, Ron, ti fermi un secondo?» ancora una volta un leggero tremolio tradì la sicurezza nella voce della ragazza.
«E perché dovrei?» rispose Ron, continuando a camminare. «Devi dirmi qualcosa di importante? Dilla a Harry, no? Che cosa t'importa di me?» 
«Ron, che cosa vuoi dire... io... io non capisco, se...»
«Ah, non capisci? Va bene, ti darò una mano. È semplice, sai. State sempre lì a confabulare, a ridere, a parlare, parlare e parlare!» 
Il tono di voce di Ron si alzò di colpo, si era voltato nuovamente verso Hermione, a mezzo metro di distanza da lui, e la fissava dritta negli occhi. 
«E cos'è che vi dite, eh? Cosa... cosa... fate... quando...»
«Ma cosa stai dicendo, Ron?»
«State sempre a ridere, Hermione! Che cosa avete tanto da ridere? Non c'è proprio un cazzo da ridere! Proprio un bel niente! A voi non importa un bel niente!» Ron aveva il respiro affannato e i suoi occhi lampeggiavano per l'ira. Hermione lo fissava inerme, col fiato mozzo e con le mani che stringevano convulsamente il suo cappotto.
«E nei miei sogni... anche nei miei sogni! Dentro... la mia... testa... voi... voi... dannazione, io non lo sopporto più!»
Con un gesto improvviso, si strattonò la collanina che portava al collo e con violenza scaraventò l'Horcrux a terra. Dopodiché, si lasciò cadere pesantemente sul terreno umido, portandosi entrambe le mani tremanti sul viso, poggiando poi i gomiti sulle ginocchia. Per parecchi, interminabili minuti, un silenzio teso li avvolse completamente. Ron cominciò ad avvertire il freddo pungente della notte arrivargli fin dentro le ossa, cominciò a tremare. Percepiva la presenza di Hermione, lì, a pochi passi da lui. Il suo sguardo quasi gli perforava le mani con le quali nascondeva accuratamente il volto. Non sapeva ancora ben definire il suo stato d'animo di quel preciso istante, ma di una cosa era certo: si vergognava. Si vergognava da morire. 
Lo scricchiolio delle foglie cadute al suolo, schiacciate sotto il peso dei passi di Hermione, raggiunse l'udito di Ron.
«Prendi il cappotto» propose tranquillamente lei. Ma Ron non si mosse.
«Forza» insistette Hermione. «Non puoi restare così. È una notte gelida» Ron liberò il viso dalle mani, attento a non incontrare lo sguardo di Hermione, allungò una mano per afferrare il cappotto pesante che subito indossò.
«Vuoi... vuoi che lo porti io?» chiese Hermione, insicura. Non fu necessario specificare cosa, Ron capì e scosse piano la testa, abbattuto.
«Lascialo... lascialo lontano per un po'» borbottò, fissando imperterrito una foglia vicino al suo piede destro. Hermione non rispose, né annuì, si limitò a fissarlo con un misto di ansia e compassione.
«Sei pazzo ad esser uscito solo con quella addosso» gli disse dopo un po', accennando appena un sorriso che Ron non vide perché troppo interessato alle foglie che li circondavano. Per un bel po', il silenzio regnò nuovamente su di loro. Ron, che giocherellava con le foglie secche sbriciolandole in un solo gesto della mano, si sentiva ancora stordito e debole... e vulnerabile. Avvertì quel forte desiderio di trovarsi completamente solo. Eppure, al contempo, voleva che la persona al suo fianco restasse proprio lì dov'era, anche in silenzio. Ma non gliel'avrebbe mai chiesto. Sapeva di non meritarsi la sua presenza, e forse Hermione, per tutti quegli improvvisi scatti di ira immotivata, l'avrebbe odiato per il resto del suoi giorni. 
Che mi odi! pensò Ron, stringendo ulteriormente il pugno con la quale aveva appena disintegrato una foglia. Che mi odi! Mi ha sempre odiato, mi sono sempre fatto odiare. E poi chi sono io, quando c'è Harry? Lui è migliore di me, questo... questo lo sanno tutti! Che mi odi! Ora andrà via e mi lascerà solo. Lei deve odiarmi. C'è qualcosa che non va in me. Deve lasciarmi solo. Un'altra foglia si sbriciolò.
L'azione successiva di Hermione, seppur apparentemente semplice ed innocua, pensò che probabilmente l'avrebbe fatto impazzire. La ragazza si sedette sul terreno umido, proprio accanto a lui. Sospirò ed incrociò le gambe, senza più cercare lo sguardo di Ron. Ma Hermione non doveva essere lì! Non doveva stargli vicino, a meno che non fosse per rinfacciargli la sua stupidità. Cosa ci faceva lì, al suo fianco? Perché non gli urlava contro? Perché non lo schiaffeggiava o gli scagliava una bella fattura? 
Ron pensò ai tanti battibecchi scoppiati in quelle settimane. Spesso era lui stesso ad obbligarsi ad allontanarsi da Harry, da Hermione... ma tante altre volte, Hermione l'aveva seguito o gli si era seduta accanto, in silenzio, semplicemente per fargli compagnia.
Ma lei non deve. Deve odiarmi. Non merito nemmeno che mi stia vicino.
Improvvisamente, si ritrovò a pensare all'incubo di poco prima. Pensò alle grida dei suoi familiari e alla sua casa disintegrata. Pensò al Marchio Nero, e il solo pensiero lo fece rabbrividire. Pensò a Harry e Hermione.
Si baciavano, Harry e Hermione, nei suoi incubi. E succedeva spesso e, durante le lunghe ore di dormiveglia, la mente gli faceva brutti scherzi, presentandogli spudoratamente quella scena davanti agli occhi, così vivida, quasi reale. Poi la scena svaniva, ma non la sensazione di frustrazione che gli lasciava addosso. E la odiava, quella scena. E odiava quando li vedeva vicini, li sentiva parlare come perfetti complici o, quelle rare volte, ridere.
Era un'ossessione e sapeva che, ogni volta che avrebbe indossato il medaglione, si sarebbe intensificata. Era sempre così, ogni maledetta volta. E lui non riusciva a controllare le sue emozioni, non riusciva a tenerle a bada, non riusciva a far nulla. 
Sospirò pesantemente e lanciò uno sguardo a Hermione che si tirò su il cappuccio della felpa, prima di distendersi sul terreno. Lo scricchiolio delle foglie schiacciate dal suo peso, per un attimo, riempì il silenzio penetrante della notte. Ron distolse gli occhi da lei per puntarli davanti a sé. Erano poco distanti dall'accampamento che si erano lasciati alle spalle. Mantenne fisso lo sguardo nel buio, senza dire una parola.
«Come alla Tana...» la sentì bisbigliare improvvisamente. Ron si voltò di scatto verso di lei e la fissò per un lungo istante. Hermione era ancora distesa, teneva i capelli raccolti in una coda, nascosti nel cappuccio, la sciarpa fin sopra al mento e le mani al caldo nelle tasche della felpa. Ron continuava a guardarla, e di colpo si sentì ancor più stanco, stupido, senza forze, come se non potesse far altro che crollare. Hermione si accorse del suo sguardo.
«Guarda» disse a voce bassa, con un breve cenno al cielo, «come alla Tana. Sembra quasi lo stesso cielo stellato che si vede da casa tua»
Ron alzò lentamente il capo e il suo sguardo fu rapito da miliardi di piccoli puntini luminosi che sembravano occupare ogni centimetro del cielo. Ed era vero, sembrava proprio di guardare la volta celeste che aveva la fortuna di osservare, anche se raramente, da casa sua. Non necessariamente accorreva in giardino o fissava le stelle dalla finestra per ore, gli bastava uno sguardo fugace al cielo e il solo pensiero che durante le notti serene e senza nubi, quei puntini luminosi sovrastavano casa sua, lo rendeva allegro, quasi spensierato... anche se delle volte sentirsi così, non si rivelava di certo la cosa più facile del mondo...

 

****


Ron ingurgitò il terzo bicchiere d'acqua, la gola arida non voleva dargli pace quella notte e continuava a bruciare. Poggiato il bicchiere sul ripiano della cucina, si sporse appena verso la finestra, scostò la tendina verde e sorrise istintivamente alla vista del cielo stellato che incombeva fuori. Era una notte limpida e nemmeno una nube che macchiasse il cielo scuro. Era una cosa strana, si ritrovò a pensare, visto che solo qualche ora prima, in quello stesso cielo, si era combattuta una battaglia... e avevano perso qualcuno. Ron fece un respiro stanco, lasciò andare la tendina e si diresse verso la porta per uscire dalla cucina.
SBAM!
Un colpo secco dritto sul naso.
«Santo cielo, scusa, Ron!» urlò Hermione, mortificata. «Non sapevo ci fosse qualcuno e... oh, scusa»
Ron si premette una mano sul naso, senza riuscire ad impedire ai suoi occhi di lacrimare.
«Ma come diamine le apri le porte?» farfugliò. «Si sbattono quando si chiudono, mica quando le apri! Mi hai ammaccato il naso, ora morirò dissanguato per colpa tua...»
Hermione ridacchiò.
«Scusa. Fa' vedere un po'...» disse, scostandogli la mano dal volto. «Suvvia, nemmeno un po' di sangue» constatò Hermione, più tranquilla.
«Be', resta il fatto che mi fa male. Comunque, che ci fai in giro a quest'ora?» chiese, guardandola accigliato e cominciando a massaggiarsi il naso.
«Oh... io... io non riuscivo a dormire, avevo bisogno di aria, sai...»
Solo in quel momento, Ron notò che aveva gli occhi arrossati.
«Già. Be', anch'io ne avevo bisogno. Volevo solo prendere una boccata d'aria, sì, ma poi qualcuno ha pensato bene di disintegrarmi il setto nasale» borbottò, con una smorfia. Hermione sorrise imbarazzata, e passarono qualche secondo di troppo in silenzio, guardandosi di tanto in tanto. 
«Hai visto cosa c'è lì fuori?» domandò improvvisamente Ron, guardando distrattamente la tenda che copriva la finestra. Hermione scosse il capo. Ron mantenne lo sguardo fisso ancora per qualche secondo sulla tendina, poi senza pensarci troppo, afferrò la mano di Hermione e la condusse verso l'uscita della cucina.
«Ron, ma cosa...?»
«Shhh» le face segno di abbassare la voce, avevano appena varcato la soglia e si trovavano nel piccolo corridoio. «Se la mamma ci sente, mi ammazza. È tardissimo»
Ron si voltò e continuò a camminare senza lasciare la mano di Hermione, mentre sentiva uno strano calore diffondersi sulle orecchie. Ora che ci pensava... ma che diamine stava facendo?
Hermione non disse una parola, e Ron non osò voltarsi fino a quando non raggiunsero la porta sul retro, che era sempre sigillata, così borbottò: 'Alohomora', e la serratura scattò. Non appena varcarono la soglia, entrambi rabbrividirono avvertendo l'aria fredda della notte.
«Che ci facciamo qui?» chiese Hermione a voce bassa, guardandolo tra il curioso e l'imbarazzato.
«Be', volevi un po' d'aria, no?» disse Ron, stringendosi nelle spalle. «Eccoci qui»
«Sì, ma...»
«Guarda su» la interruppe. Nello stesso momento, entrambi alzarono gli occhi al cielo.
«Oh...» esclamò Hermione in un sussurro ammirato.
«Bello, no?» fece Ron, visibilmente entusiasta. «Ho dato un'occhiata prima dalla finestra e visto che è una serata limpida... qui è sempre così quand'è... sereno...» disse, bisbigliando le ultime parole. Per qualche minuto, nessuno dei due parlò, lo sguardo fisso rivolto verso il cielo. Tutto era immobile e taceva.
Ci fu un momento in cui Ron captò lo sguardo di Hermione su di lui, e di colpo avvampò, ma non ebbe il coraggio di voltarsi. Fece due passi e raggiunse gli scalini di legno che affacciavano sul piccolo giardino, non li discese, semplicemente si sedette, per poi stiracchiarsi. Non dovette attendere molto prima di essere raggiunto da Hermione, che si accomodò accanto a lui. Un silenzio tranquillo li accompagnò per un po', e all'improvviso, Ron non avvertì più imbarazzo. Capì di sentirsi contento. Contento di essere lì, in quel preciso momento. Era contento perché era con lei.
«Di solito non mi metto a guardarle per ore e ore» disse improvvisamente Ron. «Mi basta vedere che ci sono, che sono tante per sentirmi un po' allegro... so che è una cosa stupida... ma sono davvero belle» aggiunse poi, con un sorrisetto imbarazzato, mentre lentamente si stendeva sul pavimento di legno, sempre con gli occhi fissi sul cielo stellato. Hermione accennò un sorriso, si tirò su il cappuccio della felpa e, un attimo dopo, si ritrovò distesa al fianco di Ron. Solo pochi centimetri li separavano, potevano sentirsi perfettamente anche se bisbigliavano appena, ma loro due non si toccavano minimamente. Né uno sfioramento, né uno strusciare distratto di vestiti. Il silenzio fece loro compagnia ancora per un po', prima che Hermione sussurrasse: «Non è una cosa stupida». Non si guardarono, eppure Ron si sentì arrossire.
«Solo che stasera non mi sento allegro...» sussurrò poi.
«Io credo sia da stupidi non apprezzare una bellezza del genere» riprese Hermione. «E credo anche che sia normale sentirsi gioiosi. È una cosa bella... E stasera... be', stasera è diverso...» osservò, tenendo un tono di voce molto basso.
Entrambi tacquero per un po', fu Hermione la prima a parlare.
«Da casa mia non ho mai visto nulla del genere. Ho visto uno spettacolo simile solo una volta. Ero in vacanza con i miei, nel Sahara, avevo sette o otto anni. Pensai che non avrei mai visto nulla di più bello in tutta la mia vita» 
Ron girò la testa verso di lei e gli sfuggì un sorriso alla sua espressione serena.
«Erano tante, così tante che avrei voluto sapere quante fossero per poterlo raccontare. Ma papà mi disse che era impossibile contare le stelle. Io ne rimasi delusa e cominciai a contarle ugualmente, fino a che non mi addormentai. Feci un sogno bellissimo quella notte. Un sogno che ricorda molto il viaggio intrapreso dal piccolo principe... tu non conosci "Il piccolo principe", vero?» chiese Hermione, voltando appena la testa verso Ron che ancora la stava fissando. Lui scosse il capo. 
«Già, non... non puoi conoscere quella storia...» fece Hermione, e Ron avvertì un pizzico di delusione nella sua voce. «È... era uno dei libri preferiti della mamma, sai... io volevo che me lo leggesse tutte le sere...» le sfuggì una breve risata spenta. «Be', sono passati tanti anni, e adesso probabilmente non se lo ricorderà nemmeno... o meglio, lei non lo sa... e non ce l'ha nemmeno con sé...» mormorò infine, sospirando lentamente.
Ron sentì un pugno allo stomaco. E gli si mozzò il fiato quando la vide portare le mani al viso per scacciare via alcune lacrime che non era riuscita a trattenere.
Lui rimase lì, in silenzio, tentò di dedicare la propria attenzione allo spettacolo che si ritrovava alzando gli occhi, ma i suoi pensieri erano interamente rivolti alla ragazza distesa al suo fianco. Cercò di concentrarsi con tutto se stesso, cercò di pensare ai capitoli di "Dodici passi infallibili per sedurre una strega", doveva pur esserci qualcosa che potesse aiutarlo in una situazione simile...
Ma nulla, non riusciva proprio a pensare. Avvertì un piccolo brivido quando la mano di lei, prima di toccare il legno, sfiorò inavvertitamente la sua. Così, d'impulso, con la propria mano coprì quella di Hermione. Le lacrime della ragazza continuavano a scendere silenziose, e Ron, ancora senza guardarla, cominciò a carezzarle lentamente il dorso della mano con le dita. Passarono lunghi istanti in cui non smise un attimo di accarezzarle la mano, voleva in qualche modo consolarla, farle capire che poteva contare su di lui. Avrebbe voluto abbracciarla. 
Perché non lo faceva? A quel pensiero chiuse gli occhi, smise di sfiorarle il dorso della mano e gliela strinse appena.
Ron la sentì sospirare e, dopo un po', avvertì la mano di lei, girarsi in quella di Ron, e le dita intrecciarsi con le sue, senza però stringere troppo. Ron arrossì di colpo, ma sorrise. Era bello sentire la mano nella sua. 
«Raccontami la storia» disse inaspettatamente Ron, con voce rauca e lo sguardo fisso al cielo. «Raccontami la storia del piccolo principe... ti va?» 
«Oh...» fece Hermione, senza guardarlo. «Non ho il libro con me, non sarei capace di...»
«Certo che lo sei» la interruppe Ron. «Conoscerai ogni particolare, a te non sfugge mai niente» non riuscì ad impedire ad un sorriso di farsi largo sul suo viso. Avvertì lo sguardo di Hermione su di sé, e così anch'egli voltò la testa nella sua direzione. Hermione rispose con un lieve sorriso, prima di puntare nuovamente lo sguardo davanti a sé e, concentrandosi sui tanti puntini luminosi, cominciò a raccontare, con voce bassa e pacata, la storia che l'aveva accompagnata durante la sua infanzia. Ron ascoltò in assoluto silenzio, ad occhi chiusi, lasciandosi cullare dalla voce di Hermione.
«'L'essenziale è invisibile agli occhi'» (*) ripeté Ron, interrompendola a metà racconto.
«Sì...» rispose lei, voltandosi verso di lui, leggermente sorpresa. «È il segreto che gli confessa...» Hermione teneva ancora un tono basso, parlava lentamente, quasi sussurrando. Ron pensò a quanto fosse bello starsene lì, a stringerle la mano mentre ascoltava i suoi bisbigli, mentre ascoltava quelle parole che sceglieva con gran cura. Nonostante l'aria fresca che si percepiva, avvertì un calore piacevole diffondersi all'altezza del petto. 
«Lei dice» continuò Hermione, senza smettere di guardarlo. «'È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante...'» (**)
«E questo convince il piccolo principe a tornare da lei, vero?» intervenne Ron, che invece non si era ancora voltato verso di lei.
«Sì...» rispose Hermione, osservando attentamente il suo profilo. «Anche se il realtà lui si convince già da prima... da prima che lei gli svelasse quel segreto...» 
Ron tacque per un lungo istante riflettendo sulla storia, e rimuginando sulle parole che aveva usato Hermione. Quand'è che il piccolo principe aveva capito quanto la sua rosa fosse la sola e unica? Un termine che di sicuro Hermione non aveva usato per caso, gli lampeggiò nella mente: "addomesticare".
«Hermione?» la chiamò.
«Sì?» 
«Cosa intende la volpe quando parla dell'importanza di essere 'addomesticata'?»
D'impulso, Hermione portò lo sguardo sulle loro mani ancora unite.
«Legami» sussurrò. «Vuole che il piccolo principe capisca l'importanza dei legami. Vuole che capisca che un'amicizia nasce lentamente, che...»
«... che si costruisce insieme, passo dopo passo...» aggiunse Ron, voltandosi per guardarla. Hermione distolse l'attenzione dalle loro mani per incontrare finalmente il suo sguardo azzurro. E Ron, per la prima volta quella sera, o forse da giorni, vide un vero sorriso. Ed ebbe l'impressione che proprio quel sorriso, non avesse mai perso il potere di scaldarlo, di farlo sentire al sicuro. Quel tipo di amicizia, somigliava molto alla loro. Costruire insieme, passo dopo passo. E anche se, inconsciamente, avevano cominciato a costruire qualcosa di più forte, il solo pensiero di quel legame appariva così dolce e genuino. Per un attimo non fecero che guardarsi, poi Ron, resosi conto di essere arrossito di colpo, lentamente si tirò su a sedere, facendo in modo da non sciogliere la stretta delle loro mani. Quando, dopo un po' di secondi, Hermione si ritrovò seduta al suo fianco, Ron ripensò a quando, qualche ora prima, lei gli era corsa incontro. Pensò all'incredibile sensazione di sicurezza e sollievo che gli aveva infuso l'abbraccio di Hermione. Al fatto che avrebbe voluto essere abbracciato da lei ancora e ancora. Non poté proprio evitare di pensare a quanto avesse avuto paura durante la fuga dai Mangiamorte. Gli sembrò di essere tornato a respirare solo nel momento in cui si era accertato che lei stesse bene... che fosse viva e che lo stesse aspettando.
Ma ora toccava a lui. Senza rifletterci molto, liberò la propria mano dalla stretta, allungò il braccio per cingere la spalla di Hermione, per poi stringerla dolcemente, senza però attirarla a sé. Le sue orecchie non avrebbero potuto essere più rosse di così, e fu sollevato dal fatto che Hermione tenesse il cappuccio della felpa tirato su e la testa appena poggiata sulla sua spalla, cosicché non potesse vedere il suo viso in fiamme. Rimasero in silenzio per parecchi minuti, poi Ron fu colto da un pensiero: si chiese se in quel momento Hermione si sentisse meno sola. Voleva tanto riuscire a tranquillizzarla, si rese conto di non aver fatto molto e di avere ancora timore di osare con lei. Però pensò che, forse, dopo aver condiviso con lui un piccolo pezzo della sua infanzia avrebbe potuto sentirsi un po' più allegra. Forse Hermione si sentiva un po' meno sola. 
«È una bella storia» sussurrò ad un certo punto Ron. Hermione non rispose subito, e prima di farlo, fece un sospiro.
«Sai, ho portato il libro con me» mormorò. «Lo so... lo so, è stata un'idea stupida!» si affrettò ad aggiungere. «Con tutto quello che ho ficcato in quella borsa, con tutte le cose importanti e necessarie, con tutti quei libri che ci serviranno per davvero... ma, vedi, tra tutti quei libroni che parlano di Magia Oscura, di Horcrux, volevo... volevo qualcosa di veramente mio! Qualcosa che mi ricordasse... oh, che cosa stupida...» ripeté scuotendo il capo. Si spostò di poco, in modo da avvicinarsi maggiormente a lui, per appoggiare il capo al suo petto. Ron si chiese se avvertisse il battito impazzito del suo cuore.
«Non è stupido» sussurrò poi, sorridendo al pensiero che entrambi, scioccamente, trovassero stupide le proprie piccole emozioni. «E poi, non vorrai mica impazzire a leggere tutta quella roba oscura? Va bene così, Hermione»
«Vorrei solo che lei lo ricordasse... che ricordasse a chi raccontava questa storia... ed è stupido quanto impossibile, la verità è che io non sono davvero più nessuno per loro...» disse sottovoce, con la testa immobile sul suo petto. Lui sfregò la sua mano lungo il braccio di lei.
«Lei... lei se lo ricorda... perché... perché lo sa. Lo sa, nel suo profondo» balbettò Ron, arrossendo. «Ci sono quelle cose che... che neanche gli incantesimi possono cancellare... cose che si sanno e basta...» bisbigliò infine. 
Lei tacque, Ron non poté vedere la sua espressione ma, dopo un po', poté giurare di sentirla più rilassata, mentre lui la stringeva dolcemente a sé. Ancora una volta, quella sera, lasciarono che il silenzio e la bellezza di quel cielo stellato parlassero per loro. Ron pensò che, nonostante l'imbarazzo, i battiti incontrollati e il rossore, si sarebbe presto abituato al calore di Hermione, a quella voglia di sentirla vicino. Ed era una delle sensazioni più belle che avesse mai provato.
Dopo un tempo che parve infinito, senza parlare, Hermione si liberò delicatamente dal suo abbraccio. Ron ebbe il tempo di un secondo per guardare i suoi occhi finalmente sereni, prima di avvertire le sue labbra poggiarsi delicatamente sulla sua guancia calda. Le sue orecchie divennero scarlatte all'istante, e quando Hermione si staccò da lui e gli sorrise timidamente, rossa in volto, Ron credette che il cuore gli avrebbe sfondato la cassa toracica. Poi lei si alzò in piedi e gli offrì la mano che lui afferrò.
Ron, nel silenzio della sua stanza, sorrise e pensò che sarebbe stata proprio lei la rosa da cui lui sarebbe sempre tornato.

 

****


Un rumore proveniente da molto lontano, ma che arrivò ai due ragazzi come amplificato, li ridestò all'istante dai loro pensieri. Ron, tornato bruscamente alla realtà, non seppe dire quanto tempo avessero passato stesi sul terreno, in completo silenzio.
Sbuffò stancamente ed incrociò entrambe le mani dietro il capo e non badò alle foglioline e ai fili d'erba che si insinuavano tra i capelli. Si sentiva così stanco e abbattuto in quel momento, che se si fossero presentati dei Mangiamorte, forse non si sarebbe nemmeno preso la briga di fuggire, non ne avrebbe avuto la forza. Tenendo lo sguardo fisso su quei puntini luminosi che brillavano nel cielo scuro, si rese conto che non riusciva a sentirsi allegro come quando li guardava da casa sua. Ma si cambia, pensò, le circostanze ti cambiano. Eppure non voleva che fosse così. Gli venne un'idea, un'idea dettata dal forte bisogno di sentirsi a casa. Quel cielo meraviglioso, Hermione stesa lì, al suo fianco... ancora una volta a fargli compagnia. Ancora una volta presente per lui, che non riusciva proprio a capire come la vita potesse tornare ad essere bella, come lui potesse tornare a provare belle sensazioni.
«Mi racconti di nuovo la storia del piccolo principe?» bisbigliò all'aria. Per un lungo istante nessuno dei due parlò né si guardò. Poi Ron, con la coda dell'occhio, la vide tirarsi su e aprire la piccola borsa di perline che teneva sempre con sé.
«Ho qualcosa di meglio del mio racconto» disse prendendo la bacchetta, e con un incantesimo di appello, fece in modo che un libro le giungesse tra le mani.
«Tieni» disse porgendogli il libro de Il piccolo principe, senza però guardare Ron direttamente. «Puoi leggerlo tu»
Ron fissò la copertina per qualche secondo, poi guardò Hermione.
«Vorrei che me lo leggessi tu, se... se ti va...» disse sottovoce. 
Hermione aveva i capelli in parte nascosti nel cappuccio, il volto cinereo e smagrito, occhiaie le contornavano gli occhi spenti e aveva un'espressione triste e stremata. Adesso Ron la stava osservando davvero per la prima volta quella sera e si rese conto di essere sopraffatto da un incontenibile voglia di abbracciarla. Voleva farle avvertire un po' di calore. Lui stesso sentiva il bisogno di avvertire il suo calore. Deglutì, ma non mosse un solo muscolo. La sua mente, il suo corpo, erano sfiniti da tutto quell'alternarsi di emozioni contrastanti, si limitò a fissarla ancora. Sentì un nodo alla gola, una gran voglia di piangere.
Hermione accennò un piccolo sorriso prima di distogliere lo sguardo e cominciare a sfogliare con lentezza le prime pagine e, senza dire altro, cominciò la lettura.
Ron, ancora disteso, con le mani incrociate dietro la nuca, chiuse gli occhi, si sforzò per lasciarsi andare all'immaginazione, voleva con tutto se stesso che la voce di Hermione lo rassicurasse, come aveva sempre fatto. Ma non ci riuscì. Erano giorni, settimane, mesi che non provava sensazioni di pace e spensieratezza. E non appena sollevò le palpebre, la realtà lo colpì in piena faccia, per l'ennesima volta. No, proprio non ce la faceva.
Un senso di oppressione lo pervase, e senza darsi del tempo in più per riflettere, interruppe la voce di Hermione.
«Perché torni sempre da me?» chiese a voce bassa, evitando accuratamente di guardarla. «Perché mi... mi segui sempre nonostante io dica quelle cose? Nonostante io sia... così»
Hermione, seduta, lo scrutava dall'alto. Lui non la stava guardando, ma lo sapeva, poteva avvertire il suo sguardo comprensivo e preoccupato, quasi come se gli stesse implorando di voltarsi verso di lei. Sentì il libro chiudersi di colpo e Hermione sospirare.
«Forse per lo stesso motivo che spinge  il piccolo principe a tornare dalla sua rosa» sussurrò Hermione, a voce così bassa che, per un attimo, gli parve di averlo solo immaginato. Portò per un momento lo sguardo su di lei, che aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia incrociate, mentre era concentrata su un filo d'erba. Anche Ron si tirò su a sedere.
«Puoi dirmi cos'è che sogni, Ron» disse ad un certo punto Hermione, con un filo voce. «Puoi... puoi dirmi cosa vedi quando lo indossi...»
Ron abbassò lo sguardo di colpo e, come un proiettile, la paura lo trafisse. Riaffiorarono alla mente, ancora una volta, le ultime immagini che aveva visto quella notte. Le immagini che vedeva così spesso. Ma lui aveva già trovato la soluzione: isolarsi. Non voleva che Hermione sapesse. Cosa avrebbe pensato di lui? Un Grifondoro di diciassette anni che non è nemmeno in grado di controllare le proprie emozioni, di dargli un freno... così vulnerabile ed incapace.
Era un bersaglio così facile per quell'Horcrux a cui dava l'agio di leggergli dentro, nell'inconscio, e quasi poteva sentire la sua risata malefica prendersi gioco del suo essere, delle sue stupide paure e dei suoi timori. Quell'oggetto aveva il controllo totale su di lui. E lui non riusciva ad impedirglielo, non era abbastanza forte. E odiava sentirlo, odiava avvertire quella sensazione di gelo che quasi gli bloccava il petto, che gli faceva venire voglia di urlare, di vomitare... di andarsene via.
Ma se gliel'avesse detto, Hermione cosa avrebbe pensato di lui? Un Grifondoro di diciassette anni che sente la mancanza della madre che, al suo ritorno - se mai un giorno fosse tornato a casa - molto probabilmente l'avrebbe odiato per esser scappato via, per aver abbandonato la sua famiglia. Dopotutto, lui era soltanto il sesto di sette fratelli.
E di quella stupida gelosia? Cosa avrebbe pensato Hermione della sua stupida gelosia nei confronti di Harry? Cosa avrebbe detto se lui le avesse confessato che nei suoi incubi peggiori lei, Hermione, baciava Harry, sceglieva Harry? Si sentiva tremendamente stupido.
E incapace. Debole. Sfinito.
Non poteva farcela.
Scosse il capo con decisione, puntando lo sguardo a terra e, tutt'a un tratto, sentì una gran voglia di sprofondare, di restare solo. E di piangere. 
Senza rendersene conto, strinse con forza il proprio ginocchio e, un attimo dopo, avvertì le dite di Hermione sfiorargli delicatamente il dorso della mano.
«Ti prego...»
Il suo flebile sussurro lo atterrì. Una morsa allo stomaco e poi un bruciore, come un solletico, agli angoli interni degli occhi.
«Non posso...» biascicò lui, con voce leggermente tremante. «Io... io non voglio... e tu non devi tornare sempre... non devi... non per forza...»
Hermione cominciò ad accarezzargli lentamente il dorso della mano che tremava leggermente e, ad ogni tocco, Ron sentiva un formicolio allo stomaco e le lacrime, che ancora lottavano per uscire, bruciargli gli occhi. Poi, senza che Hermione parve averlo premeditato, d'impulso, si mise in ginocchio e buttò le braccia al collo di Ron. Lo strinse forte, così forte da fargli mancare il fiato. Eppure era così dolce, la stretta di Hermione, quasi come se volesse cullarlo, come se volesse, con tutta se stessa, far sì che si sentisse al sicuro. Ed era proprio così che si sentiva in quell'esatto momento.
Possibile che fosse lui ad aver bisogno di sentirsi protetto? L'aveva vista, Hermione, un attimo prima, e l'aveva trovata così indifesa... E lui non aveva fatto nulla, non l'aveva nemmeno abbracciata. Non l'aveva protetta. Non credeva di aver mai provato nulla di peggiore nella propria vita, questo senso di impotenza, di inutilità, di debolezza mentale e fisica. Così incapace.
Un singhiozzo. Un singhiozzo eruppe dalla gola di Hermione, e fu in quel momento che anche lui cedette, strinse gli occhi e cominciò a piangere in silenzio. Era la prima volta che piangeva da quando era cominciata quella pericolosa avventura. Per quanto Ron ricordasse, non vi era stato giorno in cui non avesse sperato che tutto finisse. Non vi era stato giorno in cui non  avesse creduto che fosse inutile sperare, che loro si sarebbero persi per sempre. Ma mai aveva ceduto alle lacrime. Per qualche stupida ragione, si era imposto che non avrebbe pianto, mai.
Ma quella sera, lacrime calde e silenziose, gli bagnavano le guance fredde. Mantenne gli occhi serrati mentre posava una mano sulla schiena di Hermione, che di tanto in tanto sentiva sussultare per i singhiozzi. Cominciò ad accarezzarla dolcemente, fregandosene di quei gesti impacciati, concentrandosi sulla vicinanza di Hermione, così stretta a lui, tanto che poteva avvertire il tremore del suo corpo. Si concentrò sul dolore di entrambi, sulla paura, sullo sconforto. Si concentrò sul calore che gli trasmetteva e che avrebbe tanto voluto riuscire a trasmetterle anche lui. Avrebbe voluto che il tempo cominciasse a scorrere con estrema lentezza... o che si fermasse... per sempre. Avrebbe voluto che il mondo intero si fermasse. Avrebbe tanto voluto che li lasciasse in pace.
Quando si separarono, Hermione si asciugò subito gli occhi con i polsini della felpa, mentre Ron si strofinava con vigore gli occhi rossi e le guance ancora bagnate, e lasciava che un forte senso di solitudine lo pervadesse.
Osservò Hermione per un po', aveva smesso di piangere, cominciando a respirare ed inspirare lentamente. Lui era come pietrificato, la gola arida... non riusciva a muoversi, a parlare. Una parte di lui avrebbe voluto starsene lì a guardarla, in silenzio. Desiderava abbracciarla per l'intera notte. L'altra parte di lui avrebbe voluto sparire, non avrebbe voluto più farsi vedere da lei. In qualche modo, sapeva di essere la causa del suo pianto... per l'ennesima volta nella sua breve vita. Nonostante ciò, non riuscì a staccarle gli occhi di dosso, e quando Hermione, con un ultimo, profondo respiro riuscì a calmarsi, i loro occhi finalmente si incontrarono. E fu un dolce scontro, che mozzò il fiato in gola ad entrambi. Non fecero che guardarsi per diversi lunghi istanti, con una tale intensità che Ron non ricordò di aver mai provato prima d'ora. Poteva ancora provare forti sensazioni. E voleva provarle con lei.
La voce sommessa di Ron ruppe dolcemente il silenzio.
«Ti va... ti va di continuare a leggermi la storia? Qualche altra volta magari...»
Hermione continuò a scrutarlo attentamente negli occhi, come a voler cogliere ogni sfumatura di quelle intense emozioni che lo tormentavano.
«Tutte... tutte le volte che vorrai» bisbigliò. La sua voce apparve dolce e sicura al tempo stesso. Ron sentì un piccolo brivido.
«Devi... devi dirmi quando... altrimenti non saprò mai a che ora vestirmi il cuore...» (***) le sussurrò, guardandola negli occhi. E poté giurare di vedere in quegli stessi occhi, lacrime di commozione, prima che lei annuisse e gli sorridesse fievolmente. Inaspettatamente, Ron le sfiorò appena una guancia con le dita, senza smettere di fissarla negli occhi. Gli occhi di Hermione erano tristi, sembrava che gli implorassero di parlarle. Ma nonostante quella visione gli facesse male, Ron sperò con tutto se stesso che Hermione smettesse di guardarlo in quel modo, che smettesse di chiedergli in che maniera lo torturasse l'Horcrux. Non poteva davvero aprirsi con lei, non poteva raccontarle niente di quello che gli mostrava il medaglione. Si vergognava, aveva paura del suo giudizio, di risultare ridicolo. Non poteva, non voleva.
Hermione abbassò lo sguardo, era visibilmente affranta, e questo, se possibile, scoraggiò e angosciò Ron ancor di più, che rimase immobile a fissarla. La vide alzarsi e recuperare l'Horcrux ai suoi piedi.
«Sei sicuro di non volerlo lasciare a me?» chiese, stringendo la lunga catenina tra le dita e voltandosi verso di lui. «Potrei...»
Ron scosse il capo con decisione. Per nessuna ragione avrebbe lasciato che Hermione lo indossasse al posto suo, per molto più tempo. Allungò subito una mano verso l'Horcrux. Ma Hermione non glielo consegnò, si avvicinò di un passo, cercò i suoi occhi spenti che subito trovò, e senza interrompere quel contatto visivo, infilò lentamente la catenina al collo di Ron. 
Rabbrividì quando percepì le dita di Hermione sfiorargli la pelle del collo. La mano destra della ragazza scivolò lenta fino al punto in cui batteva il cuore di Ron. Vi esitò per alcuni istanti, senza distogliere gli occhi dai suoi. Un ultimo scambio di sguardi, poi Hermione allontanò la mano dal suo petto e, sospirando debolmente, si voltò. Ron la guardò andar via, vide la sua figura sparire nel buio della notte e lui rimase solo, proprio come spesso gli capitava di desiderare da tempo, ormai.





(*) 
«Addio,» disse la volpe. «Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi»
(Il piccolo principe, pag 101, capitolo XXI)
(**) 
«È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante» (Il piccolo principe, pag 102, capitolo XXI)
(***) 
«Se per esempio tu vieni alle quattro del pomeriggio, già dalle tre io comincerò a essere felice. [...] Alle quattro mi agiterò e mi preoccuperò; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni in qualunque momento, io non saprò mai a che ora vestirmi il cuore... C'è bisogno di riti» (Il piccolo principe, pag 100, capitolo XXI)




Angolo dell'autrice


Salve, salvino maghi e streghe. Ecco, in ritardo - ma davvero? -, il terzo capitolo di questa triste raccolta o come vogliamo definirla. Volevo dirvi che non sono fissata con Il piccolo principe, è solo un'impressione. Mi ha solo ispirata tantissimo (ma non si vede mica!) ed è uno dei libri della mia vita, nient'altro. u.u Tengo molto a questo capitolo, mi ha preso tantissimo durante la scrittura... e mi ha lasciato un senso di vuoto e tristezza che non saprei nemmeno spiegare. Vorrei tanto sapere cos'ha lasciato a voi, invece... se sono riuscita, in effetti, a lasciarvi qualcosina. D: Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, lo definirei sicuramente più leggero di questo, anche se... sì, insomma, persiste quel dolore nell'animo che... aiuto. cwc Spoiler-ino-ino: la scena descritta non è presente nel libro, ma nel penultimo film. E' stata spudoratamente tagliata, perché Yates è un babbano che shippa Harmony, ma a noi non importa niente di lui. u.u 
Grazie di cuore, ancora e ancora, a Greta, Veronica e Francesca che non solo stanno seguendo le tristi vicende di Ron e Hermione (T_T) maaa utilizzano il loro prezioso tempo per scrivermi recensioni che... niente, muoio ogni volta. Sinceramente grazie anche a chi mi fa sapere cosa pensa di questa storia su Twitter. Il vostro entusiasmo mi commuove, giuro. Grazie, come sempre, a quei lettori silenziosi che dimostrano il loro interesse per la storia inserendola tra le preferite/seguite. 
Al prossimo capitolo! *w*

Peace, love and Romione
Jess

 

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Capitolo 4
*** And tell me you love me, come back and haunt me ***


And tell me you love me, come back and haunt me,
Oh and I rush to the start.
Running in circles, chasing tails, 

And coming back as we are.


 

─CHAPTER FOUR─
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And tell me you love me, come back and haunt me

 

L'aria del mattino era fredda contro il suo viso. I deboli raggi del sole mattutino non avevano alcuna possibilità di riscaldarlo. Tuttavia, quell'aria pungente, lo rinfrancò e Ron non poté negare a se stesso di sentirsi leggermente meglio. Aveva riposato per circa un'oretta, senza che nessun incubo disturbasse il suo sonno e non godeva di un tale privilegio da settimane. E c'era di più: erano ventiquattro ore che non indossava il medaglione di Serpeverde, un nuovo turno sarebbe cominciato tra più di un'ora e decise di non  pensarci. 
Ogniqualvolta il suo turno giungeva al termine, provava quasi un piacere perverso a liberarsi dell'Horcrux. Ma poi si rendeva conto che sarebbe comunque toccato a Hermione o a Harry, e che quindi anche i suoi amici avrebbero dovuto sopportare dodici ore di tormenti. 
Ron si guardò attorno, erano giunti in quel posto quella mattina stessa. Senza che ci riflettesse molto, cominciò a camminare lentamente, fino a quando i suoi passi non lo condussero sulla riva di un lago non lontano dal loro accampamento. Ron stringeva tra le dita il suo Deluminatore, gli lanciò un'occhiata piuttosto scoraggiata, per l'ennesima volta, pensando a quanto alla fine si fosse rivelato inutile. Non era stato capace di dargli un senso, e forse era proprio quello il compito che Silente gli aveva affidato, probabilmente si era fidato ciecamente di lui e delle sue capacità, ma Ron pensò che forse l'aveva decisamente sopravvalutato: il Deluminatore, nelle mani di uno come lui, non era altro che uno stupido aggeggio buono solo a spegnere e a riaccendere le luci. Quella sua incapacità di rendersi utile cominciava a farlo impazzire.
Lo guardò un'ultima volta, prima di scuotere il capo e riporlo nella tasca dei jeans. 
Si avvicinò ancora di qualche passo alla riva del lago che si ergeva davanti a lui, perfettamente piatto e scintillante sotto i raggi di quel debole sole che non riusciva a percepire sulla pelle. Fece scorrere lo guardo in giro, poi inspirò profondamente l'aria pulita lasciando che quegli odori, che la natura era tanto generosa da offrirgli, penetrassero nelle narici. Nonostante si sentisse estremamente affranto, nonostante non ci fosse nulla per cui gioire e la situazione non gli permettesse di essere sereno, ammise più volte a se stesso che, senza quel freddo metallo che gli sfiorava la pelle e i vestiti, la sua mente riusciva finalmente a regalargli un pizzico di leggerezza e i suoi pensieri erano meno angoscianti del solito. Tanto per cominciare, non pensava ossessivamente alla sua famiglia. Riusciva ad avere maggior controllo di sé e dei suoi pensieri, a tal punto da riuscire a scacciare, a gestire quelli più temibili.
A volte, in quei rari momenti di ottimismo, credeva addirittura che loro, dei ragazzini contro il resto del mondo, avevano una minima possibilità di farcela. Cercava la compagnia di Hermione, e perfino la gelosia sembrava assopirsi. Ma sapeva benissimo che quelle erano sensazioni brevi, passeggere, l'Horcrux era sempre lì, in attesa. E allora la gelosia che si sforzava di reprimere, si sarebbe risvegliata e le conversazioni tra Hermione e Harry gli sarebbero sembrate di nuovo troppo lunghe, troppo intime ed importanti perché lui potesse farne parte. E nei suoi sogni sarebbero tornati prepotentemente quei due, sempre. Si abbracciavano, Harry e Hermione, e non come farebbero due semplici amici, non proprio. E poi si baciavano. 
Ron abbassò lo sguardo e si rese conto che le mani avevano cominciato a tremare, mentre affondava così forte le unghie nei palmi, fino a farsi male. Respirò profondamente, come spesso gli aveva suggerito di fare Hermione quando sentiva la rabbia montargli dentro. A volte ci riusciva, la dominava, ma il più delle volte falliva miseramente.
Adesso non indosso l'Horcrux, posso riuscire a controllarmi, ricordò a se stesso, prima di riaprire gli occhi.
Si guardò ancora attorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a distrarsi, e quando guardò ai suoi piedi, si rese conto di essere circondato da sassi di ogni forma e dimensione. Si calò e afferrò il più piatto che riuscì ad individuare. Lo osservò per un po' rigirandoselo più volte tra le mani, poi si abbassò appena, piegò leggermente il braccio, fece quel movimento del polso a lui così familiare e scagliò il sasso lontano. Questo fece tre balzi sulla superficie dell'acqua, e un sorriso soddisfatto sfuggì dalle labbra di Ron. Non l'aveva dimenticato.
Gliel'aveva insegnato Bill, quel movimento, una domenica di agosto di tantissimi anni prima. Faceva un gran caldo quel giorno alla Tana, e Ron, che allora aveva cinque anni, aveva seguito Bill in giardino. La mamma non faceva che minacciare il ragazzo dicendo che avrebbe perfino potuto pietrificarlo pur di tagliargli quegli orribili capelli che, già da sedicenne, gli sfioravano quasi le spalle. A Ron era sempre piaciuto molto Bill, aspettava con trepidazione il suo ritorno a casa quando sapeva che sarebbero cominciate le vacanze estive. Suo fratello maggiore gli aveva insegnato un mucchio di cose e spesso lo portava in giro con sé.
Quel giorno, al laghetto poco distante da casa, Bill gli aveva mostrato cosa erano capace di fare i sassi.
«I sassi saltano sull'acqua!» aveva esclamato Ron guardando prima il punto dove era sparito il sasso e poi il fratello, con ammirazione.  
«Questa è una magia, Bill?» gli aveva chiesto senza staccare gli occhi dal fratello maggiore.
«Sì, Ron, può essere una magia senza bacchetta, se vuoi» gli aveva risposto, ridacchiando e scompigliandogli i capelli.  «Vuoi imparare? Io dico che con un po' di pratica potresti diventare davvero bravo» aggiunse poi, strizzandogli l'occhio. Ricordava bene lo stupore, davvero non riusciva a capire come i sassi potessero rimbalzare sulla superficie dell'acqua, ma voleva a tutti i costi imparare. Voleva essere in grado di farlo, così poi l'avrebbe raccontato a Charlie e perfino Percy l'avrebbe ascoltato. E poi voleva tanto che la mamma lo premiasse per aver imparato una cosa nuova e difficile.
Ron non poté evitare di sorridere a quel ricordo della sua infanzia. 
Prese un altro sasso che rigirò un paio di volte tra le mani: posizione, colpetto di polso e via... cinque balzi.
Quante risate e quanti litigi con i suoi fratelli, lì, giù al laghetto? Sorrise, stavolta amaramente, ripensando a quei giorni d'agosto... lontani, certo, ma a lui sembrava proprio di aver vissuto un'altra vita. Sospirò stancamente e afferrò un altro sasso, poi un altro e un altro ancora. Quattro, cinque, sei balzi, schizzavano via sempre più veloci, sempre più lontano. Si allontanavano dalla terra ferma, dalla sicurezza, per poi sprofondare. Un po' come stava accadendo a loro tre...
«Wow, sei bravo» udì la voce di Hermione alle sue spalle, prima di scagliare un altro sasso. 
«Me l'ha insegnato Bill» le disse senza voltarsi, fissando il punto in cui il sasso era appena sparito. «Molti anni fa, alla Tana...» ne afferrò un altro che scattò subito via... fece quattro balzi.            
«Tieni» disse all'improvviso, voltandosi verso Hermione e porgendogliene uno.
«Oh, no, non so farlo... non ci ho mai provato» Hermione prese ugualmente il sasso dalle mani di Ron, limitandosi a fissarlo.
«Be', provaci» disse lui con un'alzata di spalle. Lei alzò lo sguardo perplesso su Ron che le sorrise incoraggiante.
«Guarda» le disse poi, afferrando un altro sasso.  «Questa è la chiave: più piatti sono, meglio è. Ti cali leggermente così...  pieghi appena il braccio e colpetto di polso... così...» il sasso sfuggì dalla mano di Ron, accarezzò rapidamente la superficie dell'acqua... cinque balzi.
«Aspetta, ci provo» disse Hermione che subito piegò il braccio destro, assunse un'espressione concentrata, lanciò il sasso che fece un breve salto prima di affondare.
«Oh...» si strinse nelle spalle e si voltò verso Ron che la guardava accigliato. «Che c'è? Però il movimento era giusto» Ron continuava a fissarla.
«No» disse infine in tono severo e scuotendo il capo, prima di scoppiare a ridere.
«Non ridere! Te l'ho detto che non ci ho mai provato» ribatté Hermione.
«Ma non hai nemmeno provato il colpetto di polso! Hermione, tu sei geniale e tutto, ma questa è un'arte e non tutti ne sono capaci. Non ha fatto nemmeno un salto, l'hai fatto affondare direttamente» la riprese, scuotendo più volte la testa come a sottolineare la delusione.
«Un'arte! E poi l'ha fatto un balzo» borbottò Hermione, un po' irritata, un po' divertita. «Solo perché era minimo, non puoi far finta di non averlo visto» 
«Certo, che è un'arte! Dici così solo perché tu non ci riesci. E no, è affondato direttamente» insistette Ron con aria indifferente, mentre un altro sasso si liberava dalla sua mano.
«Non è vero»
«Sì che è vero» affermò ancora lui, voltandosi poi verso Hermione. Accennò un piccolo sorriso che, fu felice di vedere, Hermione ricambiò.
«Tieni» le disse poi, offrendole un sassolino, mentre con la mano libera si grattava la nuca, un po' imbarazzato. «Cerca di non farlo affondare subito stavolta, eh» aggiunse, riacquistando un tono scherzoso. Hermione prese il sasso dalle sue mani, guardandolo con aria di sfida. Ron prese ad osservarla, a braccia conserte, mentre la ragazza si concentrava per eseguire il giusto movimento. Il sasso schizzò via, fece un solo balzo.
«Uhu! Questo sì che è un salto, facciamo progressi, vedo»
«Ha-ha. Maestro, era giusto il movimento del polso stavolta?» chiese Hermione, in tono acido.
«Ancora non ci siamo! Braccio troppo molle» rispose Ron, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
«Mi insegni la nobile arte del lancio del sasso, allora» disse Hermione, esibendosi in un breve inchino.
«Sarò lieto di insegnarle, signorina Granger» acconsentì Ron, ridendo sotto i baffi.
«Bene, iniziamo daccapo» si schiarì la gola e riprese un tono fintamente altezzoso. «Allora, può cominciare scegliendo il sasso giusto» la seguì con lo sguardo, fino a quando Hermione non gli mostrò il sasso scelto.
«Ora sta attenta alla posizione... sì... e al movimento del polso...  bene... così...»
Il sasso di Hermione fece di nuovo un solo salto, questa volta più lungo. Ron prese a guardarla serioso, fino a quando Hermione non si voltò verso di lui, sbuffando.
«La smetti di guardarmi in questo modo? Sei irritante» bofonchiò lei. E ancora, nel giro di pochi minuti, a Ron venne da ridere.
«Va bene, scusa. È che mi diverte» confessò divertito, mentre Hermione alzava gli occhi al cielo. Poi Ron si avvicinò di qualche passo.
«Posso?» chiese tendendole la mano. Hermione la fissò per qualche secondo, poi senza guardarlo negli occhi, mentre le gote diventavano di un leggero color cremisi, farfugliò un debole «Sì».
Ron le prese la mano con decisione, ma senza stringere troppo. Si posizionò alle sue spalle, poggiando la mano libera sulla spalla destra di Hermione. Automaticamente si abbassò e raggiunse il viso di lei. Le sfiorò appena la guancia e avvertì i suoi ricci solleticargli il volto. Non appena il suo cervello registrò l'estrema vicinanza a Hermione, arrossì fino all'inverosimile: guance, orecchie, collo. Le era così vicino che poteva avvertire il suo respiro leggero, sentire l'odore dei suoi capelli. Era il solito profumo delicato, quello che aveva imparato a riconoscere, quello che gli faceva venir voglia di affondare le narici in quei folti ricci castani.
Chiuse gli occhi per un istante, il profumo di camomilla ebbe un effetto quasi rassicurante. Ron puntò lo sguardo sulla sua mano che stringeva il pugno di Hermione, aumentò appena la presa.
«Allora... sì... a-abbassati leggermente...» mormorò, in un filo di voce. Hermione guardava un punto non identificato del lago.
«Ora devi... piega il braccio e...»
«Colpetto di polso...» concluse per lui, in un bisbiglio, prima che il sasso si liberasse dalla stretta. 
«Due salti» disse Hermione, a voce bassa. Ron, che ancora le stringeva il polso, allontanò la mano non appena se ne rese conto.
«Va meglio?» chiese Hermione, senza guardarlo in faccia. 
Meglio così, si ritrovò a pensare Ron, o le orecchie gli sarebbero esplose da un momento all'altro. Era certo che anche Hermione fosse particolarmente imbarazzata, l'aveva percepito dalla sua voce. Eppure, come negarlo? Quel gioco di rossori, contatti, odori e respiri vicini piaceva ad entrambi... probabilmente da sempre.
«Oh... s-sì... certo» borbottò lui, distrattamente. Lei gli sorrise dolcemente, le guance arrossate... peccato che a quel Ron troppo imbarazzato, quel sorriso sfuggì. 
Hermione recuperò un nuovo sasso e dopo averlo velocemente analizzato, guardò Ron, e finalmente, per un breve istante, i loro occhi s'incrociarono. E una forza invisibile alla quale non seppe - o meglio, non volle - opporsi, fece sì che le si avvicinasse nuovamente, facendo appello a tutto l'autocontrollo di cui disponeva. Ancora si ritrovò a sfiorarle il viso... pelle contro pelle. Respiri che si incontravano per poi fondersi. E quel profumo che il più delle volte aveva la capacità quasi di stordirlo... acqua di colonia, che mischiata al suo odore naturale, creava quella fragranza unica e speciale... dolce... che avrebbe riconosciuto tra mille... la sua.
La guidò nei movimenti, senza dire una parola. Stavolta, il sasso lanciato da Hermione, accarezzò la superficie del lago per due volte prima di sprofondare.
«Ancora due» sussurrò lei. Ron annuì, osando a malapena respirare, e stavolta non si scostò da lei. Qualcosa - quel qualcosa che poté benissimo chiamare istinto -, gli diceva di restare proprio lì, di non lasciarla subito andare. Le dita di Ron erano ancora debolmente strette attorno al polso di Hermione, mentre la mano libera scivolava cauta dalla spalla per poi posarsi sul braccio di lei. Senza averlo premeditato, rispondendo ad un forte impulso, chiuse gli occhi avvicinandosi ancora di qualche centimetro fino a toccare con la sua guancia quella di lei, che poi sfiorò dolcemente. Una volta sola. 
Sentì il leggero sospiro di Hermione e un brivido gli corse lungo la schiena.
Che stai facendo?
Era come se la stesse abbracciando. Se solo avesse mosso appena il volto e si fosse avvicinato al suo viso più di quanto non lo fosse già, allora avrebbe annullato definitivamente quella brevissima distanza e avrebbe trovato le sue labbra.

Baciala.

Il solo pensiero gli mozzò il respiro e fu travolto da una miriade di emozioni che gli accelerarono il battito cardiaco.

Baciala.

Poteva, lui voleva farlo sul serio! Non avrebbe aperto nemmeno gli occhi, così forse in questo modo avrebbe trovato il coraggio.

Baciala.

Deglutì. 
Questo è il momento giusto. È questo, non ce ne saranno altri.
Quel pensiero lo agitava, lo elettrizzava... lo rendeva debole, privo di forze. Sentiva di poter far tutto... e niente...
Ma che diamine stai facendo?

No, non poteva.
Non esiste il momento giusto per noi.
Non osò stringerla né accarezzarla. Non osò girare il volto né avvicinarlo ulteriormente. Non osò andare oltre.
Sapeva di non poterlo fare. Non in quel momento.
Trasse un respiro dopo quelli che gli parvero lunghissimi secondi di apnea. Sollevò le palpebre e allontanò il suo viso da quello di Hermione, senza però scostare le mani dal polso e dal suo braccio.
D'improvviso, il profumo dei capelli di Hermione arrivò leggero alle sue narici. Ron si chiese se fosse possibile imprimere un odore nella mente per non scordarlo mai più. Aveva imparato molto bene a conoscere il profumo di Hermione e quello dei suoi capelli e amava pensarci. Ma se non avesse potuto sentirlo mai più e l'avesse dimenticato?
Assunse un'espressione spaventata. No, non ci avrebbe pensato, non sarebbe accaduto. E quegli odori sarebbero stati suoi per sempre.

Hermione, sentì i muscoli distendersi, la tensione sciogliersi. Si rilassò, nonostante sentisse il respiro di Ron molto vicino, nonostante sentisse la sua guancia ispida toccare la sua. Lasciò che lui la stringesse delicatamente, in quel modo strano ma tutto loro. Chiuse gli occhi, mentre cominciava a rendersi conto di poter percepire un odore tanto familiare. Quel profumo che solo un anno prima aveva avvertito per la prima volta tra i vapori a spirale dell'Amortentia. Aveva fatto davvero tanta fatica ad accettare il fatto che fosse inequivocabilmente collegato al suo migliore amico.
"...A seconda di ciò che ci attrae..." no, non può essere... non può essere l'odore dei suoi capelli! Si era ripetuta almeno cento volte, quella giornata, in preda al panico. Ci aveva pensato tutta la notte, ed era arrivata alla conclusione - senza evitare di arrossire nervosamente - che... dopotutto non era improbabile che sentisse proprio l'odore di Ron, dei suoi capelli... perché in fondo lo sapeva: non poteva che essere il suo profumo. 
E perché in quel momento avrebbe dovuto agitarsi? Quel contatto la rassicurava così tanto e il suo odore era la cosa più familiare che potesse desiderare di sentire. Avrebbe voluto chiedergli di stringerla di più, avrebbe voluto dirgli che non gli importava nulla della fuga, della guerra, degli Horcrux, di quella stupida teoria sull'equilibrio da mantenere tra loro. All'improvviso le parve tutta un'emerita stronzata. Forse fra un attimo, solo un attimo, si sarebbe girata di scatto e dopo aver incrociato per un breve istante i suoi occhi chiari e rassicuranti, l'avrebbe baciato.

Sì, bacialo.

Hermione strinse gli occhi.
No.
Tutto doveva essere al proprio posto, sotto controllo.
Equilibrio. Doveva essere così, lei voleva che fosse così.
Ma non sei a scuola, Hermione, sai? Sei in un posto sperduto della Gran Bretagna, sei nel bel mezzo del nulla, altrove si combatte una guerra. La gente muore. E voi siete soli. Completamente soli.

Bacialo.

Calore umano. È quello che farebbe bene a chiunque, anche a te.

Bacialo.

Hermione sentì la gola seccarsi, il battito cardiaco aumentare. Gli occhi le bruciavano, lacrime lottavano per liberarsi dalla prigionia.
No, non è questo il momento giusto. Non posso farlo.
E se... e se non avessi mai più la possibilità di avvertire quel calore umano? Il suo calore? Forse dovrei...


Bacialo.

Si morse il labbro inferiore. Improvvisamente, nella sua mente lampeggiò il nome di Harry e, ancora, la parola equilibrio... e tutti quei stramaledetti validi motivi che impedivano ad entrambi di appartenersi per davvero.
Il lungo respiro di Ron, la ridestò dai suoi pensieri. Lui sciolse la presa dal suo polso, e piano, ma con decisione, le sfiorò il braccio. Ron sentì la pelle di Hermione rabbrividire sotto quella carezza.
Hermione si sentì all'istante come vuota. In un attimo, non c'era più Ron a stringerla e quel po' di calore, era già andato via. Qualcosa dentro di lei lottava per uscire, avrebbe voluto gridargli: "Non mi lasciare". Ma l'unica cosa che riuscì a liberarsi, fu una lacrima bruciante che scivolò lungo una guancia accesa, ebbe vita breve perché Hermione subito la scacciò via.
Che cosa diamine stavi facendo?

Si voltò lentamente verso di lui decisa a trovare il suo sguardo.
Ron osservava quegli occhi stanchi e spenti, contornati da occhiaie profonde. Si chiese se gli occhi di Hermione sarebbero mai tornati sorridenti, luminosi. Eppure, anche così, riuscivano a scaldarlo, ad ogni modo... e lui continuò a scrutarli per un tempo che parve incalcolabile.
Cosa cercassero l'uno negli occhi dell'altra, non avrebbero saputo nemmeno spiegarlo. L'imbarazzo era palpabile, ma importava davvero qualcosa? Quel filo invisibile sembrava deciso a tenere uniti quegli occhi così diversi che non facevano altro che cercarsi con insistenza da giorni, settimane, mesi... anni.
Ron era come incantato dal calore che gli trasmetteva lo sguardo di Hermione.
Che scoppiasse una guerra qui, proprio in questo istante, io non riuscirei a guardare comunque oltre... Pensò scioccamente e quel pensiero lo fece arrossire di colpo. Devo sembrarle proprio stupido, si disse, continuando comunque a fissarla, senza batter ciglio.
La mano di Ron sembrava sul punto di scattare per raggiungere il viso di Hermione... ma il ragazzo parve ripensarci e tutto quello che fece fu distogliere a malincuore lo sguardo, mentre la gola cominciava a bruciargli.
Sembrava non essere mai il momento giusto quando si trattava di loro due, che erano diventati così pazienti. Sapevano entrambi che se fossero andati oltre, se si fossero lasciati trasportare, sarebbe stato sbagliato, dannoso, da egoisti.
E loro due avevano fatto un maledetto patto. Loro due, i migliori amici di Harry Potter, dovevano pensare al loro migliore amico, prima di qualsiasi altra cosa. L'avevano promesso.
E poi c'era quella stramaledetta guerra che li terrorizzava a morte.
È così ingiusto!, pensò Ron, arrabbiato, con lo sguardo incrinato dalla stanchezza. Si voltò verso Hermione che, con le mani nascoste nelle tasche della felpa teneva lo sguardo fisso sul lago, dandogli le spalle.
Cosa abbiamo fatto di così... sbagliato... di così... male... da non poter stare insieme?
Si sorprese di quel pensiero, avvertì una morsa stringergli il petto.
Lo vorrei anch'io. Ma ora no. Ora è sbagliato.
Sembravano dirsi i loro occhi ogniqualvolta, speranzosi, si incontravano... per poi cambiare direzione, sconfitti.
Riflettiamo, Ron!, lo avrebbe ammonito Hermione, con un filo di voce tremante, non del tutto convinta di quella sua stupida teoria.
Anche tu non vuoi che sia così, Hermione.
Avrebbe voluto gridarle Ron. Ma non gliel'aveva mai detto e mai l'avrebbe fatto.
Solo che a dispetto di ciò che le loro menti suggerivano, a dispetto delle promesse, dei patti, delle riflessioni, c'erano i loro cuori che dicevano tutt'altro. C'erano i loro occhi che continuavano a cercarsi, ostinati, così come le loro mani che continuavano a tremare prima di ogni carezza o prima di toccarsi. C'erano quei brividi e quei rossori. C'era quella voglia costante di cercarsi semplicemente perché non potevano fare a meno l'uno dell'altra.
Ron si rese conto di essere rimasto lì, a fissare Hermione con la fronte corrucciata per tutto quel tempo. Solo quando quest'ultima si sedette a gambe incrociate sulla riva del lago, Ron si ridestò dai suoi pensieri e la raggiunse, imitandola.
«Mi sa che presto avremo una nuova sfidante ai nostri tornei alla Tana» le disse all'improvviso, un po' per rompere il silenzio e un po' per smorzare l'imbarazzo che sembrava essersi creato tra loro. Un debole sorriso riaffiorò dalle labbra di Hermione che teneva lo sguardo rivolto al lago.
«Ora che mi ci fai pensare, Fred mi deve una rivincita. L'ultima volta mi ha battuto per un pelo» disse pensoso e fissando un filo d'erba. «Ma quell'imbroglione continuava a fuggire ultimamente. Qualsiasi scusa pur di non sfidarmi. Ah, ci scommetto che ha paura che lo stracci davanti a tutti, quel codardo. Ma vedrà quando tornerò a casa... vedrà...» aggiunse poi, strappando con un po' troppa forza una manciata d'erba. All'improvviso si sentì sopraffare da uno strano senso di rabbia e sconforto. Non sapeva nemmeno cosa lo facesse parlare in quel modo, perché dicesse quelle cose... come se fossero tornati a casa l'indomani... come se volesse comunque mentire a se stesso...
«Scommetto che lui non ha il colpetto di polso come te l'ha insegnato Bill» disse Hermione, e il modo in cui lo disse, guardandolo con quel sorriso triste ma sincero, acquietò quello strano miscuglio di emozioni.
«Sapevo che avresti imparato in fretta» le rispose, abbozzando un sorriso. «Be', almeno la teoria» aggiunse sghignazzando piano, mentre Hermione gli mollava un buffetto sul braccio. 
«Mi manca, sai?» bisbigliò Ron, tornando di colpo serio e dedicando tutta la sua attenzione ad uno stelo d'erba. «La mia famiglia, intendo»
Non avvertì disagio, ma non poté evitare di chiedersi da dove venisse quel coraggio, quella voglia di aprirsi. Erano passate così tante settimane da aver perso il conto,  settimane che cominciavano a trasformarsi in mesi, e lui non una sola volta aveva espresso un pensiero simile. Eppure la preoccupazione era tanta, la mancanza dei suoi genitori, dei suoi fratelli la sentiva ogni ora, ogni minuto di ogni giorno. Ma aveva anche imparato che, con Hermione, il più delle volte, parlare poteva diventare improvvisamente facile, quasi naturale. Doveva solo trovare il coraggio.
Lei non rispose subito, ma Ron poté avvertire addosso il suo sguardo. Sentì automaticamente il calore propagarsi dal collo fino al viso, e mantenne gli occhi fissi a terra.
«Anche a me manca la mia» sussurrò tristemente lei, un minuto più tardi. «Sempre»
Ron lasciò perdere l'erba, il terreno e i sassolini, di colpo alzò lo sguardo su di lei. Aveva il volto ancora arrossato, ma vinse ogni imbarazzo.
«Come hai fatto, Hermione?»
C'era un filo di impazienza misto ad ammirazione nella sua voce.
«Cosa?» chiese Hermione, guardandolo a sua volta, incuriosita.
«A... a trovare il coraggio per... per far sì che andassero lontano e...» Ron si bloccò non appena vide, d'un tratto, il viso della ragazza impallidire più di quanto non lo fosse già. «Scusa» farfugliò subito, imbarazzato, riportando l'attenzione ai suoi piedi. «Io non... scusami...»
Passarono parecchi minuti durante i quali i due ragazzi pensarono bene di evitarsi, tanto che erano presi dai loro pensieri. Ron fu il primo a rompere il silenzio che cominciava a pesare.
«Non avrei dovuto» disse, schiarendosi la voce. «Io pensavo solo che... che sei stata molto coraggiosa e ti ammiro per questo» 
Ancora Ron avvertì gli occhi di Hermione che lo osservavano ma, arrossendo, fece finta di niente. Sentì un senso di angoscia, come una forte ondata che partiva dal petto, che per liberarsi aveva bisogno di trasformarsi in parole. E così, per liberare questo fiume in piena, cominciò a parlare.
«Io non ho fatto nulla per loro... quello stupido demone in soffitta a cosa servirà?» fece una smorfia disgustata, roteando gli occhi. «E se li scoprissero? E se l'avessero già fatto? Sarebbe solo colpa mia, li metterei ancor di più nei guai. E se avessero bisogno di un aiuto? Io me ne sto qua a far niente. E cosa gli farebbero, se li scoprissero? Li arresterebbero? Li torturerebbero? Li consegnerebbero a Tu-Sai-Chi? Voglio dire, traditori del proprio sangue e tutta quella porcheria lì, io...» 
Aveva cominciato a parlare e ora si lasciò prendere dal panico mentre la mente era impegnata a mostrargli scene terribili. Scosse la testa prendendosela tra le mani, quando la liberò fece un altro profondo respiro col tentativo di calmarsi.
«Me ne sono andato» disse, fu un bisbiglio pieno di frustrazione. «Me ne sono andato e basta. Li ho lasciati... e non ho avuto nemmeno il coraggio di parlare con la mamma perché... non volevo mentirle. Capisci? Avrei dovuto mentire invece, per tranquillizzarla! Lei era lì che quasi mi... implorava... avrei dovuto rassicurarla, almeno! Ma io niente... Perché sono uno stupido vigliacco. Un debole, ecco cosa sono in realtà. Avrei dovuto farlo. Avrei dovuto parlarle» si passò nervosamente una mano tremante tra i capelli. «Probabilmente mi odierà, se mai riuscissi a tornare a casa... non mi sorprenderebbe, sai? Anzi, probabilmente mi odia già. Avrei dovuto farlo... avrei dovuto parlarle... almeno per l'ultima volta...» 
Il suo volto si rabbuiò di colpo, mentre un macigno si posava sullo stomaco. La gola secca gli impedì di deglutire.
Realizzò che quei pensieri l'avevano sopraffatto nonostante non portasse l'Horcrux con sé. Non era riuscito a gestirli stavolta. Forse qualcosa stava cambiando in lui e il solo pensiero lo spaventava.
«Ron»
Hermione parlò dopo molti minuti di silenzio, il suo tono apparve dolce e deciso, e questo convinse il ragazzo ad allontanare le mani dal viso.
«È tua madre» proseguì Hermione, sforzandosi di impostare lo stesso tono risoluto, ma le parole tremarono appena. «Lei non potrebbe mai odiarti, come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Lei... lei aspetta solo di... be', aspetta solo di riaverti, come... come ogni mamma farebbe...»
Questa volta la voce di Hermione vacillò sul serio, Ron se ne accorse.
Che stupido. Lui ce li aveva dei genitori che lo pensavano, e come avrebbero potuto odiarlo? Come poteva pensare questo di loro?
Si vergognò profondamente di quel pensiero. Raccolse un po' di coraggio e alzò lo sguardo in cerca degli occhi tormentati di Hermione.
C'era qualcuno che si preoccupava, che pensava a lui. Qualcuno che lo aspettava. Ma, a Hermione, chi ci pensava? 
Un dolore profondo, tagliente, gli strinse il petto, e proprio mentre guardava gli occhi di Hermione, in profondità, si sentì piccolo e vuoto.
Impulsivamente, come se non potesse fare nient'altro, come se non ci fosse nient'altro attorno a lui, se non la ragazza seduta al suo fianco, allungò il braccio in direzione del ginocchio di Hermione per raggiungere la sua mano, poggiata proprio lì, che le sue dita sfiorarono delicatamente.
«Loro stanno bene» disse semplicemente Ron, con voce roca e lo sguardo serio, sincero ancora fisso in quello di Hermione. 
Lei, dopo un istante di smarrimento, gli sorrise con gratitudine, intanto che la mano di Ron si posava sulla sua fino a coprirla interamente. 
Ron si rese conto di sentirsi tremendamente stanco e mentalmente abbattuto. Avrebbe desiderato spegnere ogni tipo di pensiero, che questo tentasse di uscire o che semplicemente restasse in un angolo della sua mente pronto ad ossessionarlo. Avrebbe desiderato abbandonarsi ad un sonno profondo, senza sogni. Sparire, annullarsi.
Passò una buona mezzora, durante la quale la mano di Hermione rimase stretta in quella di Ron.
Fu proprio lui, che ancora non riusciva a tenere a bada nessuno di quegli strani e tormentati pensieri, a prender parola. Aveva una strana e gran voglia di parlarne.
«Hermione?» la chiamò, con lo sguardo fermo a terra.
«Dimmi» 
Si chiese come facesse a percepire ogni volta il suo sguardo concentrato su di lui... e se avesse mai trovato il coraggio di parlarle guardandola per davvero negli occhi. Nel silenzio che li circondava, Ron poté avvertire il respiro regolare di Hermione, in attesa.
«Se tutta la mia famiglia rimane uccisa, io cosa...»
«Ron...» tentò Hermione, inclinando la testa per cercare i suoi occhi.
«No, aspetta» la fermò Ron, sospirando stancamente. «Non riesco a cancellare il pensiero che possa accadere qualcosa di terribile. Vedi, ci penso pure adesso che non ho quello stupido medaglione. Non posso escludere una cosa del genere» proseguì, con la voce che si ridusse ad un sussurro angosciato. «È un maledetto pensiero fisso: ogni notte, ogni dannato giorno, è lì. Io... io mi chiedo come mi sentirei se accadesse qualcosa... a tutti loro... o anche ad uno solo di loro. Immagina la sensazione... tu sei qui, consapevole della tua impotenza, della tua lontananza, della tua codardia... non puoi fare nulla - non hai fatto nulla - per proteggerli. Come mi sentirei?» Ron teneva ancora gli occhi bassi, come se si vergognasse, e sembrava che la voce potesse sfumare da un momento all'altro. 
«Vorrei solo che nessuno facesse parte dell'Ordine» continuò, si sentiva distrutto. «Vorrei che non ci fossero dentro fino al collo. E pensare che, fino a qualche mese fa, mi rendeva orgoglioso il fatto che la mia famiglia fosse veramente d'aiuto... che ricoprisse un ruolo importante in questa maledetta guerra» una smorfia che doveva essere un sorriso triste gli disegnò le labbra per un istante. «Adesso odio questa realtà. La odio. Vorrei che si facessero da parte, vorrei che si facessero gli affari loro, che scappassero, che si nascondessero» 
Ron cominciò a torturarsi le mani e a osservarsele con uno sguardo quasi furioso. «Vorrei che mandassero a cagare Silente e tutto l'Ordine... non m'interessa... vorrei che lo facessero, vorrei che si proteggessero e basta»
Percepì la collera crescere dentro di lui. Si chiese di nuovo perché non riuscisse a tenere a bada quei pensieri; e se fosse improvvisamente esploso nonostante non stesse indossando l'Horcrux in quel momento? Davanti a Hermione poi, ancora una volta. Ma lui non voleva che questo accadesse. E desiderò ardentemente starsene da solo. Eppure rimase lì, si concesse ancora qualche secondo per calmarsi, sentiva che se avesse anche solo provato ad alzarsi, le gambe avrebbero ceduto.
«Mi restano solo gli incubi. Nient'altro. E vorrei che non fosse così per sempre» 
Disse flebilmente. Gli si formò un nodo alla gola non appena un nuovo pensiero prese forma nella sua mente: tra le cose che più temeva, c'era il fatto che quegli incubi - incubi che spesso gli facevano compagnia quando durante i suoi turni il sonno aveva la meglio - potessero trasformarsi in realtà... e così l'avrebbero tormentato per davvero ogni giorno della sua vita.
Strinse forte gli occhi, ancora rivolti al terreno, come se questo bastasse a scacciare via quel pensiero, a cancellarlo. Ma non ne fu capace, il senso di frustrazione crebbe. E di colpo, quasi per assurdo, una nuova sensazione fece capolino nella sua testa: si sentì sopraffare dal rimorso per quello che aveva detto. 
«Sono un egoista» mormorò, forse più a se stesso che a Hermione, che ancora non aveva detto una parola. «Loro non farebbero mai nulla di simile. Mai. Sono lì fuori a combattere... per una giusta causa... combattono per il bene, per il futuro... forse anche per me... mentre io sono qui a piagnucolare e a desiderare che si nascondessero come dei topi di fogna, per salvarsi la pelle. Desidero questo solo perché, se riuscissi a sopravvivere, non credo che potrei mai sopportare il dolore di una perdita. Capisci? È un pensiero egoistico» disse tutto d'un fiato, mentre sentiva gli occhi inumidirsi.
«Ma loro non sono questo!» aggiunse scuotendo il capo. «Forse questo è esattamente quello che farei io: scappare, nascondersi come solo i vigliacchi sanno. Ma loro non sono come me, loro so-» 
«Adesso basta» intervenne Hermione. Ron inizialmente fu sorpreso, ma poi sollevò la testa e la vide: lo sguardo duro, deciso. La fissò con quegli occhi chiari, ormai sempre più spesso privi di quella luce che rendeva il suo sguardo infantile, spensierato.
«Smettila di parlare in questo modo di te stesso. Io... io non te lo permetto» 
La voce di Hermione era seria, gli occhi le brillavano di una luce triste. Ron li scrutò attentamente, rapito, si chiese se avessero ceduto al pianto.
«È una bella situazione del... cavolo» sbottò Hermione, sfilando la propria mano da quella di Ron, per poi posizionarsi in ginocchio di fronte a lui. «Ma mai - mai - ho pensato che tu ti fossi comportato da codardo o da egoista. Nemmeno i tuoi pensieri lo sono. Anzi, sono più che legittimi»
Il ragazzo, come scottato da quelle parole, distolse immediatamente lo sguardo.
«Hai capito?» 
Sì, aveva capito, ma crederci era un'altra cosa... e lui sentiva di non avere più forza per credere.
«
È chiaro?» Hermione quasi urlò. «Guardami, Ron» 
Ma lui non mosse la testa di un centimetro, sentiva gli occhi bruciare. Poi il gesto improvviso di Hermione lo stordì: lei gli prese il volto tra le mani sollevandogli la testa, costringendolo finalmente a guardarla dritto negli occhi. Fu un duro scontro e Ron si rese conto che in realtà non aspettava altro che quel momento. Le piccole mani di Hermione erano calde e sentiva la pelle morbida dei suoi palmi sulle sue guance fredde e ruvide. Quel contatto lo fece tremare appena.
«Neanche un maledetto Horcrux può cambiarti così tanto» gli sussurrò con veemenza, con un'espressione talmente decisa da sembrare arrabbiata. «Puoi essere tante cose, Ron, ma di certo non sei un codardo egoista. Hai capito?» 
Ron non rispose, non fece alcun cenno, si limitò a fissare stupito Hermione che aveva il respiro un po' affannato e gli occhi pieni di lacrime. Ma non piangeva. 
Sentiva il calore delle sue mani che ancora gli circondavano il viso, adesso non più tanto freddo.
Poi qualcosa nello sguardo di Ron, fece improvvisamente addolcire l'espressione dura della ragazza.
Con entrambi i pollici, Hermione gli sfiorò le occhiaie scure e profonde. Ne tracciò il contorno una, due, tre volte. Ron pensò che doveva avere un aspetto davvero orribile, ma non gli importava nulla. Non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Hermione, non riusciva a non pensare a quanto gli piacesse il modo in cui lo stava toccando e guardando. Non riusciva a non pensare a quanto lei gli piacesse in quel momento. 
«Scusami»
Il bisbiglio di Hermione lo distrasse da quei pensieri, ma non le staccò mai gli occhi di dosso.
«Non avrei voluto essere così... dura» disse sottovoce Hermione, allontanando le mani dal suo viso e sistemandosi a gambe incrociate.
Ron, dopo un breve attimo di smarrimento, scosse il capo.
«Non è successo nulla» disse soltanto, ma avrebbe voluto chiederle di dimenticare tutto, ogni cosa e di continuare ad accarezzarlo ancora e ancora. 
«Voglio che tu capisca che il coraggio sta proprio nelle scelte» riprese Hermione, seria. «La mia non è stata una scelta facile come non lo è stata la tua. Tu hai scelto Harry... perché Harry ha bisogno di te più di chiunque altro. Ed è stata la scelta più coraggiosa che avresti mai potuto fare.  Non pensare nemmeno per un secondo di aver agito con viltà. Non esiste. E poi, in ogni caso, avresti fatto una scelta coraggiosa» qui Hermione si fermò e gli fece un sorriso mesto accompagnato da un sospiro. «So che essere all'oscuro di tutto ti distrugge dentro... lo so... ma se la caveranno. Noi la nostra missione ce l'abbiamo e ci impegneremo a portarla avanti... lo faremo per loro, Ron, per la tua famiglia... e per tantissima altra gente...» 
Ron continuò a mantenere lo sguardo fisso in quello di Hermione durante tutto il discorso. Improvvisamente si sentì male: non credeva veramente alle parole di Hermione. Non credeva più nella loro missione. Non credeva in Harry. Non credeva nemmeno in una singola, misera possibilità. Non credeva in se stesso più di quanto non avesse mai fatto in vita sua, non credeva nelle sue scelte. Non credeva più in niente. Voleva arrendersi. Mollare tutto e arrendersi definitivamente.
Avrebbe preferito rimanere impassibile davanti alle parole di Hermione, avrebbe voluto non provare niente. Invece qualcosa era lì, a serrargli il petto, impedendogli quasi di respirare. Ebbe la conferma di quanto in realtà fosse debole.
Annuì impercettibilmente, con gli occhi agganciati ai suoi.
Lei gli sorrise, lieve.
Lui si sentì uno sporco bugiardo.
Debole e bugiardo.
Hermione distolse lo sguardo, e Ron, nonostante si vergognasse come un ladro, continuò a fissarla. Ma mai gli sfiorò l'idea di dirgli tutto quello che in realtà gli passava per la testa.
Per almeno una quindicina di minuti nessuno dei due parlò. Il cinguettio degli uccelli riempì dolcemente l'aria, mentre i due ragazzi, ancora seduti l'uno accanto all'altra, erano impegnati a strappare le erbacce, giocherellare con i sassi... a pensare e pensare. Ad un certo punto, Ron guardò il suo orologio da polso un po' ammaccato, rendendosi conto che mancava mezzora all'inizio del suo turno. Altre dodici ore con l'Horcrux al collo. Una tortura che non sembrava non avere una fine.
Il panico lo invase, cominciò improvvisamente a sudar freddo.
«Ho paura»
Il suo sussurro improvviso fu talmente leggero che se non ci fosse stato un simile silenzio Hermione non l'avrebbe sentito. Quelle sue stesse parole lo sorpresero e gli fecero sgranare gli occhi per un breve istante. Hermione voltò la testa verso di lui, in completo silenzio, e Ron vide calare un'ombra sul suo volto pallido e smagrito, coperto da un velo di tristezza.
Si guardarono per un attimo, poi Hermione disse piano:
«Anch'io» 
E come se spinto dalla solita forza invisibile che, inevitabilmente, lo avvicinava sempre ad Hermione, Ron si sporse verso di lei e la circondò con le braccia, stringendola leggermente a sé. Cosa avrebbe voluto esattamente dirle con quel gesto del tutto impulsivo, proprio non lo sapeva. Forse avrebbe voluto scusarsi per tutti gli errori commessi e per quelli che ancora avrebbe commesso. Forse avrebbe voluto scusarsi per averle mentito un attimo prima... e in quello stesso momento. O forse avrebbe semplicemente voluto stringerla per paura di perderla... o per la paura di perdersi.
Ron serrò gli occhi, il mento sulla spalla di Hermione, le mani che le sfioravano la schiena e i capelli.
Le parole di lei riecheggiarono nella sua testa: "Neanche un maledetto Horcrux può cambiarti così tanto", gli aveva detto. E gliel'aveva detto con una tale sicurezza, una tale rabbia da lasciarlo spiazzato.
Paura.
Ron non era riuscito a nascondere quel pensiero che aveva oscurato il volto di Hermione. Era proprio quella la sua paura, la paura di essere già cambiato. Cambiato nel peggiore dei modi, come se qualcosa si fosse rotto dentro di lui. Come se quell'Horcrux non avesse fatto altro che distruggere la parte più intima e profonda di se stesso, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Fino ad annientare quello che lui era veramente. Si vergognava dei suoi pensieri più profondi, che da tempo erano diventati così crudeli, così sospettosi, soprattutto nei confronti di Harry. E quando non riusciva a respingerli, a cancellarli definitivamente, perché lui, l'Horcrux, glielo impediva, si chiedeva se fosse stato già contaminato, segnato per sempre. Certe volte arrivava perfino ad odiare. Lui che non pensava si potesse odiare così tanto.
Sentì uno strano e vago malessere proprio al centro del petto. Stava trattenendo il fiato.
Lanciò un altro sguardo all'orologio. Mancavano quindici minuti.
Hermione si mosse, allontanandosi lentamente da lui, che liberò la stretta.
In quell'istante, guardandola, senza però incontrare i suoi occhi, avrebbe desiderato avere la forza e il coraggio di confessarle tante cose, di dirle di cosa lui esattamente aveva paura. Se solo mezzora prima aveva trovato quasi naturale dar voce ai suoi pensieri, ora gli parve la cosa più complessa e sbagliata del mondo. Non l'avrebbe fatto. Sapeva che non l'avrebbe mai fatto.
Ad un certo punto, vide Hermione avvicinarsi lentamente a lui, ben presto sentì il suo respiro accarezzargli il volto. Percepì un brivido attraversargli la schiena quando gli posò un bacio all'angolo della bocca. Leggero, veloce, delicato. Un contatto che durò un attimo, un attimo che gli sconvolse completamente la mente, che gli fece tremare il cuore.
Poi Hermione si alzò di scatto e quando gli offrì la mano, Ron l'afferrò dopo alcuni secondi di esitazione. Fece scorrere lo sguardo sul suo viso, rosso per l'imbarazzo, resistendo all'impulso di accarezzarlo, di baciarlo. Quando poi i loro occhi si incrociarono, Ron vide in quelli di Hermione una tristezza mai vista prima. Una tristezza che lo spaventò. Gli fece pensare che quasi avrebbe preferito vederla piangere. Cercò di dire qualcosa, ma tutto quello che sentiva era quel dolore persistente al petto, e quando Hermione si voltò per raggiungere la tenda, si sentì sprofondare nel vuoto. Ancora più giù.
Guardò l'orologio. Mancavano cinque minuti. Harry avrebbe potuto finalmente liberarsi del medaglione.
Ron sapeva che il suo turno sarebbe cominciato nel peggiore dei modi, sentiva già quell'aria pesante gravargli addosso. Non aveva mai avuto un presentimento peggiore.
Pensò al momento in cui aveva abbracciato Hermione, al suo bacio.
E sapeva che qualsiasi bacio, abbraccio o carezza, qualsiasi attenzione o parola, avrebbero potuto essere le ultime... in qualsiasi momento. Forse persino quello avrebbe potuto essere l'ultimo momento.
L'ultimo abbraccio.
L'ultimo bacio.
Con il terrore che gli si leggeva in volto, che sentiva crescere dentro di sé fino ad opprimerlo, mentre le gambe cominciavano a tremare, si diresse verso l'accampamento, con la consapevolezza che le sue stesse paure l'avrebbero soffocato ancora.




«Lascia qui l'Horcrux» ordinò Harry.
Ron si tolse la catena e gettò il medaglione su una sedia. Si rivolse a Hermione.
«Tu cosa fai?»
«Cosa vuoi dire?»
«Resti o cosa?»
«Io...» Era a pezzi. «Sì... sì, io resto, Ron, avevamo detto che saremmo andati con Harry, che l'avremmo aiutato...»
«Capito. Scegli lui».
«Ron, no... ti prego... torna indietro, torna indietro!»
Era bloccata dal suo stesso Sortilegio Scudo; quando l'ebbe rimosso, Ron era già corso via nella notte. Harry rimase immobile, in silenzio, ad ascoltarla singhiozzare e chiamare Ron tra gli alberi.
Dopo un po' lei tornò, i capelli zuppi incollati al volto.
«E'... an-an-andato! Si è Smaterializzato!»
Si gettò su una sedia, si raggomitolò e pianse.

(Harry Potter e i Doni della Morte, pag. 287, capitolo 15) 




Angolo dell'autrice:

Innanzitutto, vorrei chiedere scusa a chi stava seguendo questa storia e si è tanto impegnato per lasciarmi bellissime recensioni. Tre mesi e mezzo di assenza sono davvero troppi, me ne rendo conto... mi sento così in colpa. Purtroppo quest'ultimo non è stato un bel periodo per me e, insomma, mi sono un po' allontanata dalla scrittura. So che ho detto più volte che in realtà i capitoli di questa breve storia avevano bisogno solo di una revisione prima di essere pubblicati, ed era vero... quest'ultimo capitolo, come gli altri, era pronto. Solo che è successo che una sera ho aperto il documento, ho letto il capitolo e l'ho sentito totalmente estraneo e... nulla, mi sono... ehm... più o meno innervosita (?) e così di colpo ho deciso di cancellarlo e di ricominciare. Non lo sentivo per niente mio, come se l'avesse scritto un'altra persona... forse perché è stato scritto tempo fa... non lo so, non ne ho idea, so solo che, in qualche modo, la cosa mi infastidiva. Il lavoro che c'è dietro questa nuova versione - che sento decisamente più mia - è stato difficile ed impegnativo (ma manco avessi scritto la tesi (?) però va be', ditemi che mi capite, lol). Sentivo il bisogno di dover scavare ancora nella parte più profonda della mente e del cuore di Ron, mi sono impegnata, io voglio dar giustizia a questo personaggio complesso nella sua semplicità (?). Ma questo scavare si è rivelato molto più complicato del previsto, senza contare che il mio umore altalenante non è stato proprio d'aiuto... ed ecco perché sono tornata dopo più di tre mesi. Scrivevo, leggevo e rileggevo, cancellavo e riscrivevo di continuo e avevo sempre l'impressione che Ron non risultasse abbastanza credibile, che fosse incoerente col personaggio originale, che i suoi stessi pensieri fossero incoerenti o non abbastanza forti da "motivare" il suo abbandono... che, insomma, era più o meno quello che avrei voluto dimostrare con questa storia. Ho avuto molti dubbi persino sul momento spensierato che condividono Ron e Hermione, non volevo che i due personaggi apparissero forzati, spero di averli resi al meglio. Adoro quella scena, così tanto da andarmela a riguardare ogni tanto su youtube o tra le scene cancellate presenti nei dvd quasi tutte le volte che finisco di vedere la prima parte di the deathly hallows (rinfrescatevi la memoria e fangirlate come si deve: https://www.youtube.com/watch?v=8l33qmYT968 - c'è anche un Rupert Grint che supera i livelli di gnoccaggine/?/  -). Inoltre, io volevo che si passasse dalla spensieratezza ai pensieri più tormentati... spero che questo passaggio risulti naturale. 
Bene, quindi questo breve progetto è giunto al termine. Nel complesso, come vi è sembrato? Spero di avervi lasciato qualcosa e spero con tutto il cuore di non avervi deluso con quest'ultimo capitolo.
Un enorme, sentito grazie a Francesca (Frava), Veronica (donny93), Chiara (HP_dream), Lucrezia (happy ending), per le splendide recensioni - che quasi mi hanno tolto il fiato - che hanno dedicato al terzo capitolo, grazie per aver seguito questa storia. Boh, siete fantastiche. E, da twitter, grazie infinite ad una delle mie favs, @PergamenaNuova che, non solo è stata dietro a tutti i capitoli, ma mi ha sempre lasciato il suo pensiero tramite tweet. Grazie, grazie a tutti. Anche a te che stai leggendo, che sei arrivata fin qui, perché l'hai scoperta ora, o perché l'hai inserita tra le seguite e attendevi... GRAZIE.
Ora datemi due secondi per il momento Consigli per gli acquisti. *musichetta della gomma, se avete visto inside out potete capirmi anche se questa cosa non ha senso ma va be' (?)*
Vi consiglio, ancora una volta, l'ultima storia avvincente di Frava che trovate qui: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3123823&i=1 (e anche la sua long che non è conclusa, per cui non è troppo tardi per cominciare... e ne vale la pena, assicurato).
E poi c'è questa Romione di happy ending che ho riletto ultimamente e che mi ha sciolto di nuovo il cuore: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3062906&i=1.
Non so quando tornerò a pubblicare altre storie su questo profilo, dipende da molte cose //umore, esami//... ma sono sicura che non lascerò perdere i Romione per ancora mooolto tempo, per cui GIURO che ci tornerò.
Bene, credo di aver finito, è sicuramente l'angolo autrice più... ampio... che abbia mai scritto (?) perché io-sono-una-noioooosa!
A presto streghe e maghi!

Peace, love and Romione
fino alla fine dei tempi!


 

 

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