{indie boys are neurotic}

di DelilahAndTheUnderdogs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


{indie boys are neurotic}
 

Buona giornata, miei prodi! Benvenuti in questa, statene certi, pazzia colossale. Ovviamente, il tutto nasce dagli svarioni che mi faccio fra un compito di Economia Aziendale e Italiano, quindi non so cosa ne verrà fuori ... sinceramente, spero che vi piaccia. Lasciate una recensione, se vi va.
Prima di leggere fate attenzione a queste note.
Nota 1: la storia è ambientata all'inizio degli anni duemila e vedono protagonisti, oltre agli 5 Seconds Of Summer, un'altra delle mie band preferite: i Moldy Peaches.
Nota2: in questa storia, tutti hanno più o meno diciassette anni.
Nota 3: divertitevi (anche se non ne sono certa xD) e un bacione a tutti voi.
Nota 4: è TUTTO romanzato quindi ... non è accaduto nulla di cui scrivo. Inoltre, i personaggi sono tutti esistenti, quindi di conseguenza non mi appartengono ... se non a loro stessi :D

 




Prologo
 

Who mistook the steak for chicken?
Who am I gonna stick my dick in?
We're not those kids, sitting on the couch.

-"Steak for Chicken", The Moldy Peaches

 

Se avessero saputo in tempo quello che sarebbe accaduto, si sarebbero risparmiate un bel po' di seccature; un corpo rimane pur sempre un corpo, nasconderlo sarebbe come negare la realtà o nascondere il sangue di una passione in cantina, giù nel seminterrato.
C'avevi sperato, Ashton più di Luke, di Calum e di Michael: volevi (anzi no, esigevi) che lei ti rivolgesse la parola, anche solo per un nano secondo, per capire l'effetto che faceva.
Avere i suoi occhi riflessi nei tuoi.
Eri quello più arrabbiato: non ti sarebbe mai passata quella stupida, goffa, grottesca, magnifica cotta.
Facevi di tutto, pur di farti notare, risultando antipatico e arrogante.
Chi poteva, uno sano di mente e con principi saldi, innamorarsi di una ragazza di quel genere?
Eppure, Ashton, le tue viscere si contorcevano appena la vedevi passare fra i corridoi, lei dallo sguardo spento e vago, con i capelli nerissimi intrecciati in pesanti trecce.
Dire che, all'inizio, quand'eri in prima liceo, ti piaceva prenderla in giro: certo, non sei mai andato sul pesante ma a tua volta l'avevi fatto.
Chi aveva smistato le carte in tavola, ancora una volta?
Chi ti aveva messo al tappeto?
Un piccolo elfo dai fianchi larghi.
Kimya Dawson.

 

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Capitolo 2
*** I ***


I.
1° settembre 2000,
Abraham Lincoln High School,
New York City.



Kimya Dawson difficilmente parlava con qualcuno, non chiedeva nemmeno il permesso di passare.
Lei non lo faceva, punto.
Era talmente timida che ormai i professori non le rivolgevano alcuna domanda durante le lezioni.
Ashton, non ricordavi neppure di che consistenza fosse la voce della ragazza.
Era forse pastosa? Civettuola? Trillante oppure strascicata?
Avevi fantasticato ore ed ore sul possibile sapore delle sue labbra, mentre l’intera Lincoln High la prendeva in giro in modo quasi sistematico: ma lei se ne fregava altamente.
‘Grassona’ o ‘Balena’ era pochi dei dolci epiteti che le rivolgevano, ma ci rimanevi male come se le avessero indirizzate a te.
Lei, invece, muoveva le mani in segno di diniego, come a voler scacciare via una mosca fastidiosa.
Di fastidioso era quell’onnipresente senso di complicità misto a nausea che gli altri la giudicavano.
Per i corridoi era sempre al fianco di Adam, un ragazzo allampanato dai grandi occhi azzurri, che scrutavano senza sosta Kimya e lei ricambiava, sempre.
“Dawson, può renderci partecipi dei suoi pensieri?” chiese il professor Ricciardi, scoccandole un’occhiata furiosa.
“Ehm … scusi, professore” la sua voce era flebile, come una bambina che ha paura di essere nel torto. Subito dopo s’affrettò ad appuntare una frase sul quaderno.
“Guardala, sempre distratta. Cos’avrà mai per la testa?” chiedesti a Luke, mentre vi dirigevate verso la cafeteria.
“Mmmphf … cosa?” la sua visuale catturò Kimya che prendeva da mangiare al bancone. “Non ti ci mettere adesso, già ci considerano sfigati non serve che sbavi per la Dawson.”
“Ehi voi, fuori dai piedi, fottuti emo” queste parole soavi appartenevano a Kendall Kendrick, un giocatore di football che possedeva un cervello pari a quello di gallina.
“Kenny, non serve essere scontrosi in una giornata così bella” lo apostrofò Luke.
“Non. Chiamarmi. Kenny.”
“E tu non chiamarci emo, d’accordo?”
Kendall rimase interdetto e si allontanò raggiungendo i suoi amici al tavolo più affollato.
Guardasti di sottecchi Kimya, mentre questa si dirigeva verso Adam e un altro ragazzo dai capelli castano tendente al biondo con una collana giamaicana al collo.
Ridevano e parlavano in fretta, e tu ti sentivi geloso … non eri tu a farla ridere, non eri tu quello che le stava accanto, ti limitavi solo ad ammirarla da lontano.
“Allora, ci troviamo oggi pomeriggio per le prove con gli altri?” ti chiese Luke “Ashton ci sei? Terra chiama Ashton!”
“Sì, ci sono” rispondesti, girandoti bruscamente.
“Ci sei alle prove o occuperai il tempo a pensare a quella ragazza?”
“Ci sono per le prove, ti dico”
“Riprenditi, amico, intesi?”
“Intesi”
E guardasti la Dawson sorridere e la pace si impossessò delle tue membra.

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Capitolo 3
*** II ***


II.
1° settembre 2000,
Garage sulla 24° Avenue,
New York City.



Ci avrebbero rimesso la pelle, oltre che ai polmoni e l’anima, se avessero continuato a provare in quel posto pullulante di topi e scarafaggi.
Non era uno dei luoghi migliori ma era preferibile di niente.
Luke ricordava ancora la prima volta che vi entrarono.
Bella merda, aveva esclamato Michael alla vista del lerciume che circondava tutto il pavimento.
C’hanno fregato in bomba, ragazzi – aveva continuato – porca troia, sembra che ci sia passata Tank Girl col suo carro armato.
Quel pomeriggio del primo settembre duemila erano arrivati tutti puntualmente e, mentre Michael tentava l'apertura della saracinesca, Calum aveva iniziato a farsi beffe di Kendall Kendrick e la sua idiozia, cercando di esorcizzare la paura che quell'individuo incuteva.
Luke ne fece un’imitazione degna di Oscar: “Io sono una scimmia e faccio football. Le ragazze amano i miei touchdown”
“Ma si può essere talmente stupidi? Essere popolari per correre dietro una palla?”
“Non è calcio, Michael”
“Quel che è. Sempre una cretinata rimane”
“E la sua faccia da ebete che si porta in giro?” continuò Calum sghignazzando.
“Possiamo dire quel che vogliamo ma rimane il fatto che lui è considerato figo mentre noi quattro degli imbecilli che suonano”
“Quanto sei caustico oggi, Ashton. Che ti succede?”
“Nulla. Vogliamo provare, sì o no? Siamo venuti per questo, giusto?” prendesti le bacchette e ti dirigesti verso la tua posizione di batterista.
Adoravi essere a contato con il tuo strumento, ti sentivi vivo e gratificato.
Sentisti il basso di Calum partire potente come un rombo di tuono mentre la chitarra di Michael cercava di stare dietro alla raffica di suoni prodotti dalla batteria, dal basso e dalla voce di Luke.
Sembrava una gara a chi si faceva male per primo, un corrosivo atto di auto vandalismo, come un pugnale conficcato fra le costole.
“Cos’è questo piagnisteo?” chiese Michael sull’orlo della disperazione “Sembriamo i Simpsons senza i Simpsons”
“Non è giornata” replicasti lapidario.
“Gli piace la Dawson” sussurrò Luke nell’orecchio destro di Calum, indicando simultaneamente il colpevole.
“Smettila, Hemmings”  lo apostrofasti “E poi, che male c’è scusa?” detto questo, prendesti il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans.
Ne sfilasti una e te la appoggiasti alla bocca, facendola pendere leggermente.
La accendesti con uno scatto facendo arrossare la testa della cicca e inspirasti l’acro sapore, arrossandone la gola.
Ti guardarono sgomenti e perplessi: da sfigato patentato avresti dovuto puntare a qualche fantasia impossibile, magari una cheerleader ... ma a te, invece, piaceva Kimya Dawson, al tempo stesso possibile e irraggiungibile.
“A parte la stazza – e qui scoccasti uno sguardo truce a Calum – fattene una ragione: non ti noterà mai. Poi è della squadra avversaria, lo sai meglio di me”
“Solamente perché fa parte di una band indie, non vuol dire che è automaticamente il nemico da abbattere” urlavi Ashton, eri fuori di te.
“Tu non capisci. Kimya Dawson e compari vogliono iscriversi al Summer Rock Festival , giù a Central Park. Quest’anno possiamo iscriverci e non voglio assolutamente perdere, Ashton. È brutto metterla su questo piano, ma dobbiamo concentrarci sull’obiettivo: intascare l’assegno da un milione e firmare con la major discografica. E far musica decente”
L’odore amaro della nicotina invadeva la stanza, già lurida di per sé.
“Ci stai, vero?” ti chiese Calum rivolgendoti un tono misto fra la supplica e il disperato.
Pensandoci un po’ su, rispondesti irruente: “Ci sto”
“Te la toglierai dalla testa?”
“Ci proverò, ma non ti prometto nulla”

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Capitolo 4
*** III. ***


III.
1° settembre 2000,
Hylan Boulevard,
Staten Island,
New York City.

 
Non eri mai stato ordinato, affatto.
La tua camera sembrava la conseguenza ben riuscita di un’esplosione nucleare.
Ti buttasti a peso morto sul materasso pieno zeppo di indumenti, pochi minuti dopo ti girasti sulla schiena fissando il soffitto di cartongesso.
Chiudesti gli occhi e immaginasti la risata di Kimya, le labbra che si adattavano perfettamente alle gengive mentre i lati della bocca si alzavano di poco, sollevando le guance paffute e invitanti.
E alla sua pelle che più volte eri stato tentato di accarezzare.
Già avevi il tuo bel daffare dovendo badare ai tuoi fratelli più piccoli, Jane e Miles, e sicuramente non era uno scherzo starci dietro … e ti perdevi in simili fantasie?
Tua madre quella sera avrebbe fatto il turno di notte al dinner sulla sessantaquattresima, tuo padre invece sarebbe rimasto di più alla ferramenta fino alle nove e mezza, magari facendo gli straordinari.
Quindi eri solo in casa coi tuoi fratelli e fantasticavi su Kimya Dawson, facendo di lei l’idealizzazione di una vita migliore, gratificante.
Eppure Calum aveva ragione: dovevate vincere quei soldi, a qualsiasi costo.
Jane si catapultò come un tornado nella tua camera da letto, smuovendo ancora di più il disordine che regnava lì dentro: “Ashton, Ashton! Cosa c’è da mangiare ‘sta sera? Ashton, Ashton! Ho fatto un bel disegno con la Crayola, vuoi vederlo?” sorridesti a quell’entusiasmo infantile.
Avrebbe ordinato il menù base da Burger King, cosa voleva Janey, certo s’intende, cheeseburger, patatine … quelle grandi, Ashton, ricordati quelle grandi!  Miles, avrebbe mangiato con loro? Sicuro … si fa per dire, vorrei vedere il disegno, bello, bello, ti piace sul serio Ashton?
“Sì, Janey, mi piace. La Crayola blu con cui hai fatto il mare è meraviglioso”
“Luke ha gli occhi blu. Blu Crayola”
“Con questo affermi che ha gli occhi di cera?” chiedesti a tua sorella, con un ghigno stampato in volto.
“Sai che non intendevo questo, Ashton” rispose seria tua sorella.
Vorresti abbracciarla e dirle che va tutto bene ma lei si rifugiò nella sua cameretta a terminare i compiti per casa mentre vai ad apparecchiare la tavola.
Chissà se a Kimya piacciono i cheeseburger, pensasti prima di prendere la macchina e partire alla volta del Burger King.

***

Avevi notato Kimya alle lezioni di chimica il primo anno: lo ricordi come se fosse ieri per il semplice fatto che non stava dentro la sedia e che il suo nome all’appello risultasse nell’insieme ridicolo e figo.
Non lo ricordi tutto ed è meglio così … sai il perché?
Perché avere troppi nomi fa male alla salute, così t’aveva zittito lei, una volta.
Non ricordi l’occasione.
Poteva essere una tigre dagli artigli affilati, lo sapevi per esperienza personale.
Era l’avvocato delle cause perse, difendeva gatti randagi e bici arrugginite, abbracciava alberi.
Ricordi quella volta che si era incatenata alla sequoia vicino a casa tua, per protestare l’abbattimento della zona boschiva di Staten Island?
Oppure quando fece sit-in e sciopero della fame davanti al municipio?
Questi lapsus le capitavano di continuo: la chiamavano hippie e lei stessa s’identificava alla perfezione, come se un foglio spalmato di colla vinilica le si fosse adattato perfettamente, meglio di un vestito.
Correvi liscio sulla strada col tuo minivan, la musica alla radio era al massimo: trasmettevano un vecchio pezzo dei Clash.
Arrivasti a destinazione e quando fu il tuo turno, una voce indubbiamente femminile t’accolse flebile e debole: “Benvenuto a Burger King. Cosa vuole ordinare?”
Alzasti lo sguardo e il suo volto era lì, a pochi centimetri dal tuo.
Arrossisti violentemente.
“Ehm” ti bloccasti di colpo e il tuo cuore iniziò a martellare all’impazzata contro il tuo petto, mentre le tue guancie s’incendiavano come quaranta lupi arsi vivi “vorrei … tre cheeseburger, patatine giganti e tre coca-cole”
“Arrivano subito” lo disse con tale dolcezza che non pare nemmeno vero “ecco a lei le sue patitine, i cheeseburger e le tre coca-cole. Fanno in tutto dieci dollari e quaranta centesimi. Grazie per aver scelto Burger King e buona serata”
Dopo aver pagato, accendesti il motore del veicolo e partisti a tutta birra.
Ora sapevi che a Kimya Dawson non piacevano i cheeseburger, per niente.

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