Renzoku-tekina ~ 'The continued' di KomadoriZ71 (/viewuser.php?uid=805793)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Calm before the storm [By Lily] ***
Capitolo 2: *** 2. Proximus sum egomet mihi [By Xavier] ***
Capitolo 3: *** 3. Check Raise [By Lily] ***
Capitolo 4: *** 4. Mala Parta male dilabuntur [By Xavier] ***
Capitolo 5: *** 5. Voices [By Lily] ***
Capitolo 6: *** 6. Quantum sufficit [By Xavier] ***
Capitolo 7: *** 7. Be here again [By Lily] ***
Capitolo 8: *** 8. Velle est posse [ By Xavier ] ***
Capitolo 9: *** 9. Un piccolo favore [By Lily] ***
Capitolo 10: *** 10. Ben fatto Maxie [Xavier] ***
Capitolo 11: *** 11. Il ritorno [By Lily] ***
Capitolo 12: *** 12. Captatio Benevolentiae [By Xavier] ***
Capitolo 13: *** 13. Il Diversivo [By Lily] ***
Capitolo 14: *** 14. Dum Spiro, Spero - parte prima - [By Xavier] ***
Capitolo 15: *** 14. Dum Spiro, Spero - parte seconda - [By Xavier] ***
Capitolo 16: *** 15. La resa dei conti [ By Lily ] ***
Capitolo 17: *** 16. Nunc est bibendum! [ By Xavier ] ***
Capitolo 1 *** 1. Calm before the storm [By Lily] ***
1. calm before the storm
By Lily & Xavier
1.
Calm before the storm
By
Lily
«Ivan,
svegliati».
Sono le cinque del mattino quando la voce stridula di
Max si infila con prepotenza nelle mie orecchie, dimostrandosi
più
fastidioso del normale. Da bravo dormiglione mi giro dall'altra parte
per ignorarlo, ma il rosso mi afferra la maglia e mi scuote con una
certa violenza.
«Ivan, che diavolo. Basta dormire pelandrone,
devi venire a vedere subito!» continua lui senza nascondere
le sue
emozioni, mi costringe a spalancare le palpebre.
Anche se
assonnati i miei occhi si spostano sulla figura esile e gracile di
Max, nascosta sotto i tipici indumenti da carcerato, la cui pelle
lattea entra in sintonia con la lunga cascata rossa che gli
incornicia i tratti marcati del viso. Un dettaglio improvviso mi
prende alla sprovvista, vale a dire l'espressione disperata del mio
compagno di cella.
«Maxie ma insomma! Sono le cinque del mattino,
cosa vuoi adesso?!».
«Shh! Non urlare troppo o svegli
Giovanni...».
«Ah sì, Giovanni...» sospiro e faccio
scorrere
una mano sulla barba che ricopre il mio volto mascolino, sono
talmente abituato a vivere in quel minuscolo spazio vitale che mi
dimentico di essere costretto in un carcere d'alta sicurezza.
È
strano un destino così bizzarro per un uomo che un tempo era
il capo
del Team Idro ma, da quando il progetto dell'espansione del mare
è
andato in fumo a causa di due marmocchi usciti da chissà
dove, la
polizia di Hoenn ha preveduto il nostro piano di fuga e siamo finiti
in manette. Durante l'udienza il Giudice ha deciso di isolarmi in
questa prigione, grazie all'intervento di Max si è
trasformata nella
mia nuova casa e non mi è rimasto niente per le mani, solo
un letto
in cui dormire la notte.
Non sono più un uomo libero di un tempo,
ma un elemento pericoloso. Se solo le cose fossero andate
diversamente...
«Mi senti Ivan?!».
«Uhm sì...Perché mi hai
svegliato con così tanta insistenza? Il nerd qui accanto si
è
suicidato?».
«Smettila di parlare così e ascoltami!»
gracchia
Max infuriato e si porta le braccia al petto per osservarmi con
un'espressione piena di rimprovero, non ha mai digerito il modo
scorretto con cui canzono Cyrus, il Leader del Team Galassia.
«Stamani le guardie hanno rinchiuso due nuovi soggetti, anche
loro
hanno fatto parte di una banda di scagnozzi come noi. Provengono da
Unima».
«Unima?».
Alla notizia sento l'ansia prendere il
controllo delle mie azioni e, sceso dal letto con un balzo, indosso i
pantaloni per attaccarmi alle sbarre di ferro e vedere ciò
che
succede lì fuori, oppure per conoscere direttamente i nuovi
personaggi, i quali avranno la possibilità di condizionare
le mie
giornate da galeotto. Dietro alle mie spalle c'è Max, non la
pianta
di urlare offese di ogni forma e genere, tenta invano di trascinarmi
via perché giudica il mio come un gesto scortese. Non
è mia
intenzione quella di lasciarmi condizionare dalle volontà
del mio
rivale, procedo indisturbato con l'osservazione della cella opposta
alla nostra: appoggiato alla parete c'è un uomo dall'aria
giovane e
dal fisico slanciato, possiede dei capelli corti e biondi ma che
sembrano morbidi al tatto però, sull'angolo destro della
fronte,
parte uno strano ciuffo azzurro dalla forma circolare che gli ruota
attorno alla testa; i suoi occhi mi colpiscono nel profondo, gialli
come quelli di un felino e costretti dietro a un paio di occhiali
dalla montatura fine. Deve essere uno scienziato, non ci sono
dubbi.
Arriccio il naso in una smorfia quasi disgustata,
preferisco stare alla larga dagli intellettuali. Quando mi sto per
voltare verso Max per dargli un cazzotto sulla testa, mi rendo conto
del secondo carcerato, molto più inquietante e misterioso
rispetto
allo studioso. Si tratta di un uomo che sfiorerà come minimo
la
sessantina d'anni, forse fa concorrenza a Giovanni che fino ad oggi
abbiamo considerato come il più vecchio del gruppo; i suoi
capelli
sono di un verde abbastanza sbiadito ma decorati da due ciuffi
laterali e uno sopra alla fronte, assomigliano a un trio sconnesso di
corna che lo avvicinano alla figura di un vero diavolo. L'individuo
in questione è seduto sopra al letto, non riesco a
inquadrarlo come
vorrei, ma sono sicuro di aver intravisto delle pupille rossicce
sotto due sopracciglia piuttosto folte, con uno strano oggetto che
gli nasconde l'occhio sinistro. È una specie di monocolo, ma
quella
forma talmente assurda mi permette di fantasticare sugli utilizzi
più
bizzarri.
Chissà
a cosa serve!
«Hai
finito di tenere gli occhi appiccicati a quei due? Non sono dei
fenomeni da baraccone Ivan, quindi porta un po' di rispetto nei
confronti dei nostri nuovi compagni...» parlotta Max che non
si è
mai smosso, invogliandomi a fare ritorno alla realtà.
«Sì...»
non commento con altro, troppo distratto dalla mia mente che
partorisce i pensieri più malsani o macabri, quella visione
continua
a turbarmi. E io che credevo di poter schiacciare qualsiasi
personaggio strambo con i miei modi di fare pirateschi, Max
compreso.
«Ivan
tutto bene? Hai una brutta cera...».
«Sì
sto bene, grazie per l'interessamento Max».
«Quando
ti sei svegliato non eri così, non dirmi che hai paura dei
nuovi
arrivati» mi canzona con una delle sue risatine, sono odiose
ma sono
troppo occupato a sedermi sul letto per seguire il suo discorso.
«Non
ho paura Max, ho solo notato che in loro c'è qualcosa che
non va e
questo non mi piace».
«Ehi
anche loro provengono da un Team di cattivoni e hanno provato a
conquistare la regione da cui provengono, che cosa ti aspettavi?
Abbracci e baci per caso?».
«Beh
no...Ma almeno sarebbe stato meglio».
La
vita da carcerato non fa al caso mio, non ho hobby con cui distrarre
la mente, non mi sono mai interessati ma dentro a un angolo
claustrofobico sento il bisogno di fare qualcosa di costruttivo, devo
divertirmi per cancellare i dettagli aspri che caratterizzano la mia
nuova realtà. Da quando sono arrivato sono stato separato
dalla mia
squadra di Pokémon e, ciò che mi ha distrutto,
è l'idea di non
poter più vedere il mare. Eppure mi trovo in una struttura
costruita
in mezzo alle acque salmastre, posso sentirlo ma non toccarlo. E
ciò
mi fa salire la nausea ogni volta che ci rifletto sopra, questo
è un
vero spregio.
Non
sono come Max, che è rimasto a stretto contatto con
ciò che fa
parte del suo ambiente, cioè la terra. Durante la notte mi
affaccio
alla finestra della cella, da questa postazione posso ammirare
indisturbato la tavola azzurra e sconfinata fino alle prime luci
dell'alba oppure, quando noi detenuti lasciamo i lavori forzati per
godere dell'unica ora a contatto con l'esterno, mi isolo dal resto
del gruppo e mi fermo davanti alla parte più estrema delle
mura per
poter udire il dolce rumore delle onde che si infrangevano contro gli
scogli, per verificare se la brezza marina è in grado di
accarezzarmi ancora una volta il viso. Ma ciò è
impossibile da
realizzare, percepisco a malapena l'odore della salsedine e se sono
fortunato mi lascio cullare dai versi acuti degli Wingull selvatici.
E
basta.
Sono
sulla via giusta per diventare pazzo, me lo sento.
Ma
non è il momento adatto per rimuginare sulla mia nostalgia
nei
confronti del mare, sono ore che sto seduto sul materasso del letto
per alzare i pesi all'infinito con la mano sinistra, nell'altra
trattengo l'ennesimo mozzicone di una sigaretta che fumo quando mi
stanco. Questo vizio l'ho incrociato per puro errore nei periodi
passati a stringere amicizia con gli altri carcerati, i quali sono
sempre stati abili nel passarmi oggetti particolari come bottiglie di
birra, sigarette o qualche giornale pieno di foto di donne nude, un
po' come mi succedeva negli anni passati al liceo. Ma non sempre ho
la sigaretta accesa, in quest'occasione fumo di sgamo solo
perché
Max è nel letto di sopra per rilassarsi con uno dei suoi
sonnellini
pomeridiani, non sopporta l'odore acre delle sigarette quindi mi
impegno a non disturbarlo o esagera come al suo solito. Spesso mi
incita a smettere ma non l'ascolto, nnon mi sono mai preso il
disturbo di ascoltare i consigli del mio rivale, ecco come mai siamo
finiti nell'imboscata organizzata dalle autorità. Lui mi ha
consigliato di prendere una strada più complessa, ma io
preso dal
panico ho preferito soffermarmi sulla via più facile ma
prevedibile
così, grazie a una litigata quasi interminabile, la polizia
è
riuscita a prenderci con le mani nel sacco.
Che
sciocca figura, per due Leader come noi!
Quando
l'abbiamo raccontato a Giovanni, non la smetteva più di
ridere.
Già,
Giovanni: colui che ha fatto tremare due regioni grazie al suo Team,
un uomo dalle larghe vedute che ammiro fin da ragazzino, anche se non
è il massimo come vicino di cella. Nonostante le vesti da
carcerato
che è costretto a indossare dimostra di essere ancora un
uomo
portato per gli affari più piccanti ma, particolare che
sicuramente
non va dimenticato, è che le sentinelle l'hanno limitato
dentro una
cella che non può condividere con nessuno visto che, insieme
al Nerd
che affianca la nostra, è considerato come un elemento molto
più
pericoloso rispetto a me e Max. Nelle ore che passa dietro alle
sbarre sembra un tipo fragile che si diverte a osservare gli episodi
che gli accadono attorno ma, quando ci sono i lavori forzati oppure
è
il momento dell'ora d'aria, Giovanni si cimenta in giochi d'azzardo
in cui vince sempre e sottrae i pochi averi posseduti dal prossimo.
È
un colosso della criminalità anche se sta invecchiando a
vista
d'occhio, eppure ha lo charme giusto per tenere testa ai più
giovani.
Giovanni
non è mai riuscito a farmi paura, in passato ho preso parte
a
qualche suo sporco piano e lo troverei simpatico se non ricoprisse
sia me che Max con gli insulti. Ma almeno godiamo della sua
protezione, mi basta sapere che Max è al sicuro quindi
lascio che la
gente creda a fandonie simili.
«Ivan
stai ancora fumando?».
«Ben
svegliato Max...Comunque non vedo perché dovrei
nascondertelo. Sai
già come la penso e non voglio rotture di scatole attorno.
Non
usciremo mai vivi da questa cella, almeno fammi godere di alcuni
aspetti della vita e...».
«Bel
modo per definire il fumo, eppure ti danneggia e basta»
borbotta Max
da sopra il letto, furioso nell'avermi beccato con la sigaretta in
mano. Sono pronto a dire qualcosa per replicare e far esplodere
l'ennesima lite ma, la sua ultima mossa, riesce a strapparmi un
sorrisetto. Si affaccia dal piano di sopra per guardarmi con la sua
solita espressione di rimprovero solo che, nel farlo, rimane con la
testa capovolta e quella posizione lascia svolazzare da una parta
all'altra la fluente chioma rossa. È davvero carino ma non
è il
momento giusto per sottolinearlo ad alta voce, è furioso con
me e
non si è reso conto che gli occhiali sono scivolati dal
naso,
possono cadere in terra quando meno se l'aspetta. I miei riflessi
pronti saranno utili a qualcosa...Spero. «Smettila di
tormentarmi
testone rosso, sei stressante quando ti ci metti di impegno».
«Sei
tu che dovresti darmi ascolto ogni tanto, brutto scaricatore di porto che non sei
altro. Disobbedici in continuazione e ciò ti rende un
pessimo
compagno di cella Ivan! Lo sai che il tuo fumo danneggia anche i miei
polmoni?! Non voglio morire di cancro solo perché te vuoi
goderti
alcuni aspetti della vita e...».
Non
è divertente ascoltare le sue polemiche...
Non
ce l'ho fatta.
Mi
avvicino alle sue labbra con le mie, scioccandogli un veloce bacio a
stampo e ciò lo ammutolisce per almeno cinque minuti.
Diventa
rosso come i suoi capelli, agita le braccia come se fosse un cucciolo
di Litleo pronto a giocare insieme al padrone. A momenti crolla di
sotto, ma io non lo perdo mai di vista. Pronto a proteggerlo dalle
cadute goffe, non si farà mai del male se ci sono io al suo
fianco.
«PUZZI DI FUMO, CHE SCHIFO!».
E
di nuovo parte l'ennesima bisticcio da coppia sposata, in sottofondo
ci sono le risatine becere di Giovanni. La porta principale si apre e
si presentano le sentinelle con in mano la cena, nelle ore serali
siamo isolati dal resto del carcere, non possiamo partecipare al
pasto come gli altri detenuti e ci portano le razioni direttamente in
cella.
Vita
da leoni, la nostra.
Solitamente
le guardie mettono i piatti attraverso le sbarre così da non
aprire
la porta, solo in una qualcuno si prende l'impegno di entrare senza
rischiare. Si tratta di quella a fianco la nostra, appartiene a
Cyrus, il cattivone che è stato arrestato dopo di noi.
Sappiamo
molto poco sul suo conto, è l'unico che in anni di
“vicinato”
non ha mai spicciato parola eppure gli ho sempre dato del filo da
torcere con battutine o spregi vari, quello che basta per vedere il
modo in cui reagisce; ma non si ha mai aperto bocca e si limita a
stare in un angolo della cella per fissare un punto vuoto con quegli
occhi scavati, apatici, come se fossero privi di un'anima. Il giorno
dorme beatamente nel letto ma, di notte, ecco che si mette in moto
per costruire non so cosa. Le sue intenzioni sono ancora avvolte dal
mistero, ma da alcune occhiate capisco che non gradisce la presenza
di noi Leader.
Quel
personaggio mi mette i brividi, più dei tizi che ho visto
questa
mattina. Max, che sa sempre tutto su tutti, dice che Cyrus ha goduto
dello stesso privilegio di Giovanni perché considerato
instabile a
livelli mentali.
Uno
psicopatico come vicino di cella, non potevo chiedere di meglio.
Il
tramonto si avvicina, un'altra giornata è quasi giunta al
termine.
Per fortuna?
Sono
vicino nel lavello posto nella parte più appartata della
cella,
davanti ho uno specchio fissato al muro e mi lavo i denti per
cancellare il sapore amaro lasciato dalla cena.
«Hai
finito Ivan?».
«Un
momento Max, non mi manca molto, poi ci puoi passare tutto il tempo
che vuoi».
«Meglio
per te e, mi raccomando, lava per bene quei denti da squalo».
Dire
che ho i nervi d'acciaio è poco, Max non perde occasione per
riempirmi di frecciatine o offese. Se uscirò da questo
microbo di
prigione, qualcuno mi farà santo. «Mh,
mh».
«Sei
molto silenzioso Ivan, che ti è successo? Sei ancora
preoccupato per
i nuovi arrivati? Nel pomeriggio Giovanni ha attaccato bottone con
Acromio, lo scienziato, sembra un tipetto abbastanza delizioso e ben
istruito. Secondo te mi vorrà come amico?».
«Penso
di sì».
«Secondo
me andrai molto d'accordo con il suo compagno di cella, Ghecis!
Dovresti imparare a conoscerlo, ho sentito dire che anche lui
è a
capitano di un'enorme nave. Forse è un pirata proprio come
te!».
Non
riesco a non voltarmi nel sentire parlare di navi, osservo Max per
verificare se ciò è una bugia oppure no.
Quell'uomo anziano, un
pirata?
Non
può essere vero. No, no.
I
soggetti che spuntano fuori da Unima sono davvero strani, è
una
regione di cui avevamo solo sentito parlare e non l'ho ancora
inquadrata come si deve. Se un giorno sarò libero ci
farò un bel
viaggio, sono curioso di vedere i Pokémon che la popolano,
ma ciò è
un sogno irrealizzabile. «Domani ci parlo durante l'ora
d'aria, poi
vediamo ciò che salta fuori».
«Bravo
Ivan, così mi piaci!».
Max
mi guarda per un paio di minuti, preferisce pensare all'igiene
personale che continuare il discorso, non posso che concordare con
lui. Sono allettato dall'idea di affacciarmi alla finestra per dare
un ultimo sguardo al mare, però la stanchezza mi trascina
nella
morbidezza del letto. Non la perdo di vista, le onde marine
echeggiano nelle mie orecchie. Mi cullano, mi aiutano a sprofondare
in un profondo sonno.
La
mia vita nel carcere è una schifezza, devo trovare un modo
per
evadere da questa prigionia insieme a Max.
Ma
ignoro la nuova avventura che sta aleggiando sopra alla mia testa.
È
una questione di tempo.
La
quiete prima della tempesta.
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Capitolo 2 *** 2. Proximus sum egomet mihi [By Xavier] ***
2. Proximus sum egomet mihi
2.
Proximus sum egomet mihi
By Xavier
Due
anni.
Cinque
mesi.
Due
settimane.
Quattro
giorni.
Sette
ore.
E…
minuti e secondi fuggono troppo in fretta le barriere del tempo,
affinché la mia mente umana possa coglierli. Da quando son
rinchiuso
in questa cella angusta la Terra ha compiuto quindi ben due periodi
siderali attorno al Sole. Quante altre rivoluzioni dovranno avvenire
prima che io venga liberato? Non m'interessa neppure tanto saperlo,
se penso che fuori non ho più nessuno. Ho sempre desiderato
rimanere
da solo, il solo e l'unico essere, ma non in un mondo corrotto e
marcio come questo. La solitudine è qualcosa di positivo
quando si è
Dio, è assenza di conflitto, pace eterna, dominio su se
stessi e sul
resto.
Qui
sono circondato da persone che, similmente a me, hanno fallito in
qualcosa. Chi in un piano di conquista, chi in una rapina, ancora in
un omicidio, ed infine chi, come me, ha fallito nella vita. Ero un
fallimento, un caso perso, anche e sopratutto per i miei genitori.
Chissà cosa staranno facendo adesso, se sono ancora vivi. La
questione non mi fa né caldo né freddo, non avrei
risparmiato
nemmeno loro, come non avrei risparmiato neppure quelle persone del
team Galassia alle quali avevo promesso la salvezza. Giovia, Martes,
Saturno… non eravate neppure voi convinti della riuscita del
mio
piano, ma allora perché mi avete seguito per poi
abbandonarmi
all'apparizione di Giratina? Patetici. No, non ho bisogno di nessuno,
tanto meno di sottufficiali.
Ah, Giratina.. non era per nulla
previsto quell'incidente, non avevo minimamente calcolato la remota
possibilità di una cosa simile. Nonostante tutto, preferirei
di gran
lunga venir lasciato abbandonato nel Mondo distorto, piuttosto che
rimanere in questo posto. Quel luogo non era poi così
terribile,
anzi! Io ero l'unico essere umano, a farmi " compagnia" vi
era solo l'ombra di quel demonio che aleggiava sulla mia testa, quasi
temesse di avvicinarsi ulteriormente. Ma allora se mi temeva
così
tanto, perché non ha riaperto un varco per farmi tornare
nella mia
dimensione? Che volesse semplicemente la presenza di qualcuno al
proprio fianco? Solo sfiorare questa patetica idea mi fa venire la
nausea. Inizialmente, e ancora me ne vergogno, provai paura alla sua
apparizione. Che sentimento inutile e dannoso, fonte di gran parte
dei mali. La mia paura era dovuta all'ignoranza, non all'imponenza o
alla bestialità di quella creatura, perché
purtroppo sono solo un
uomo, e una volta catapultato nell'antimateria, laddove tutte le
leggi della fisica alle quali siamo abituati sono stravolte o
inesistenti, mi son ritrovato spaesato, non sapevo come agire. Non si
percepiva lo scorrere del tempo, né l'attrito dell'aria,
allo stesso
modo era assente la forza di gravità. Non avevo neanche
bisogno di
respirare o di nutrirmi! L'ambiente circostante infine, era
un'accozzaglia di materia di ogni tipo, rocce, pietre, alberi che
crescevano sottosopra con le radici piantate in isolotti fluttuanti
nel nulla, acqua immobile e scura, pareti disconnesse e schegge di
materia sospese e vaganti. Non c'era aria e quindi non si diffondeva
il suono, provai ad urlare ma non si sentiva alcun'eco, a stento io
stesso riconoscevo la mia voce. L'oscurità imperava su
tutto, o
quasi. La cosa stranissima era il fatto che riuscissi a vedere coi
miei occhi, sebbene non vi fosse né il sole, né
altre stelle,
nessuna fonte luminosa a irradiare energia, oltre alle pupille
scarlatte di Giratina che scintillavano come rubini quando puntavano
lo sguardo carico d'arroganza verso di me. Lo presi come un gesto di
sfida, quello, e così quando mi passò davanti per
l'ennesima volta
gli saltai addosso, aggrappandomi ad uno dei suoi tentacoli per poi
arrampicarmi e sedermi comodamente sulla sua groppa. Il suo corpo
sinuoso serpeggiava lento e flemmatico in quel lenzuolo di tenebre,
di tanto in tanto con un colpo della robusta coda spazzava via quel
che ci lasciavamo alle spalle facendolo disperdere per sempre, mi
chiedevo allora che forma avesse quello spazio e se fosse
effettivamente infinito, ma ecco che i medesimi oggetti ci
ritornavano contro, e allora ipotizzai che quel mondo dovesse avere
una forma circolare e fosse certamente limitato. Stavo formulando
ipotesi e man mano facevo scoperte sempre più sorprendenti,
ma ciò
che mi stupì davvero avvenne poco dopo.
Ero
ancora intento ad accarezzare col palmo la "pelle" di
quella creatura per capire di cosa fosse fatta, se era simile a
quella di altri Pokémon o se anche la sostanza del suo corpo
era
qualcosa di estraneo alle mie conoscenze, quando le mie iridi si
dilatarono percependo un aumento dell'intensità luminosa e
il mostro
si fermò, aveva abbassato la testa per permettermi di
contemplare
quella meraviglia che mi si materializzò davanti: una
miriade di
specchi cristallini, incastonati gli uni tra gli altri come le
cellette che costruiscono i Combee per custodire le uova,
sfavillavano di luce propria e riflettevano ciascuno un luogo diverso
della Terra. In uno di essi potei benissimo riconoscere la mia
Arenipoli, non era cambiata per nulla, ammesso che quei vetri
riflettessero in tempo reale ciò che accadeva. Pensai subito
che
fossero tanti piccoli varchi dimensionali attraverso i quali sarei
potuto tornare nel mio mondo d'origine, ma appena mi alzai per
toccarne uno, Giratina s'infuriò lanciando un terribile
boato che
fece tremare tutti i corpi sospesi nel giro di qualche chilometro.
Non voleva che mi avvicinassi. Mi cinse il corpo con una delle sue
appendici artigliate e poi si precipitò su un promontorio
roccioso,
si acciambellò proprio come faceva il mio Gyarados quando
doveva
riposarsi e mi lasciò libero. Mi arrampicai sulle sue spire
attorcigliate e, una volta saltato giù, mi sedetti con la
schiena
poggiata al suo collo. Entrambi eravamo nella totale contemplazione
di quegli schermi tersi e sgargianti, ci sentivamo esclusi da tutto e
da tutti, rifiutati, respinti… Ma non era affatto qualcosa
di
negativo, non mi sono mai sentito integrato in quel putridume che i
miei simili chiamano " società", la Terra è come
una
ferita aperta nel grembo dell'universo, infettata da miliardi di
germi purulenti che si moltiplicano sempre di più e
diventano giorno
dopo giorno sempre più violenti e affamati d' ingordigia, si
contagiano a vicenda e si espandono oltre i confini. Io volevo
semplicemente chiudere, suturare, cauterizzare una volta per tutte
questa piaga, in modo da eliminare l'"infezione" umana e
salvare l'intero spazio sconfinato che prima o poi verrà
inevitabilmente rovinato da quest'epidemia. Mi voltai per guardare il
Pokémon che sembrava essersi assopito e provai una strana
sensazione
scorrere nelle mie vene: una forza vitale, una voglia di riprendere
tra le mani le redini del destino del mondo, di dominare… Il
mio
piano non era stato per niente mandato a monte! Mi sarei alleato con
Giratina e insieme avremmo spodestato Arceus, io avrei preso il suo
trono e così Palkia e Dialga sarebbero divenuti delle
semplici
pedine nelle mie mani, avrei messo fine alla razza umana e avrei poi
ricreato un mondo tutto mio dove avrei regnato da imperatore
assoluto, parallelamente al mio alleato che avrebbe fatto lo stesso
nel suo. Due divinità, una dell'universo e l'altra
dell'antimateria.
Non avrei potuto chiedere di meglio. Mi distesi sul terreno e alzai i
pugni verso l'alto, con fare trionfante, non mi rimaneva altro che
comunicarlo al Pokémon per trovare insieme una soluzione.
Calmai a
stento la mia euforia e abbracciai uno dei suoi tentacoli, usandolo
come giaciglio, per provare ad immergermi in un sonno ristoratore
come stava facendo lui e destarmi al suo risveglio. Ecco, cosa
accadde in quel lasso di tempo me lo devo ancora spiegare. Un intenso
fascio luminoso mi fece svegliare violentemente e rividi la stessa
ragazzina che aveva intralciato il mio progetto di conquista! Era
venuta a riprendermi! Per quale assurdo motivo stava facendo una cosa
simile? Provava compassione verso di me? Era preoccupata per colui
che considerava un nemico terribile da stroncare ad ogni costo?
«Cosa
stai facendo ragazzetta? E dov'è Giratina? Non riportami
sulla
Terra! Non farlo!»
non voleva sentire ragioni. Ricordo solo che mi prese la mano e mi
strattonò con una forza inaudita verso un bagliore talmente
luminoso
che mi fece serrare le palpebre, e poi, così,
all'improvviso, ecco
che ci ritrovammo ad Arenipoli.
Stavo per prenderla per le spalle,
percuoterla, estorcerle delle risposte ma.. Ecco il pronto intervento
delle autorità. Mi presero a peso morto senza che lei
dicesse nulla
e mi trascinarono in quella che adesso è la mia prigione,
senza
neppure processarmi o darmi la possibilità di appellarmi ad
un
avvocato. Ma non avrei spiaccicato parola comunque. Non parlo
più da
quel giorno, cerco di muovermi il meno possibile, di non reagire agli
stimoli esterni. Molti qui attorno pensano che lo shock subito nel
Mondo Distorto mi abbia reso pazzo, mi abbia privato dell'anima,
ammesso che esista e che ne abbia mai avuta una, mi abbia tolto ogni
facoltà mentale. Sciocchi. Mi fanno pena, chi più
chi meno.
Appena
giunto c'erano solo Giovanni, Max e Ivan. Il primo è sempre
stato un
attaccabrighe vanaglorioso e attaccassimo al denaro, l'ultima parola
deve sempre esser la sua, ha sempre qualcosa da fare e quando non fa
nulla è perennemente pronto ad aizzare una rissa tra
detenuti. Che
parassita insopportabile. Gli altri due mi sembrano, detto
schiettamente, due imbecilli. Sia per il modo in cui si son fatti
catturare, sia per il loro atteggiamento. Ivan ha il QI inferiore
alla media di parecchio e non fa altro che allenare i suoi muscoli
per mettersi in mostra e sentirsi qualcuno, che pallone gonfiato. Max
almeno sembra intelligente, d'altronde anche lui è uno
scienziato,
ma basta un nonnulla per farlo innervosire, e quando si innervosisce
è peggio di una donnetta isterica, e la sua isteria
è contagiosa,
certi momenti riesco a stento a trattenermi dal reagire in modo
brusco ai suoi schiamazzi acuti. Ma tutto si può sopportare,
quando
si ripone la speranza in qualcosa di più elevato e
gratificante, e
la mia è riposta nel ritorno di Giratina, sarebbe tornato
prima o
poi.
Riesco
comunque a mantenere la calma e l'apatia, durante il giorno cerco di
dormire per poi esser attivo la notte mentre tutto tace e nessuno mi
guarda. Ma ecco che giungono altri due altri detenuti, come se i miei
vicini non bastassero, e vengono stipati nella cella di fronte: un
vecchio acciaccato dall'età con una lunga chioma verde e uno
strano
monocolo rosso, traboccante d'ira da tutti i pori, e accanto a lui un
altro scienziato alto e snello con un paio di occhiali e uno strano
ciuffo azzurro che gli orbita attorno alla testa. Quest'ultimo non
pare per nulla turbato dalla prigionia, anzi, guarda tutti con
un'aria di superiorità mista a rassegnazione che lo fa
apparire
freddo e sadico. Meglio distogliere lo sguardo, o potrebbero
insospettirsi. Torno quindi a guardare quello che Ivan definisce "
un punto nel vuoto", che in realtà è un punto
strategico e ben
studiato: nella parte interna dello stipite della porta che chiude la
mia stanzetta ho attaccato con delle gomme da masticare alcuni pezzi
del grande specchio che si trovava nel mio bagno prima che lo
rompessi, e, in altri punti ho appiccato altrettanti frammenti
attraverso i quali, cambiando semplicemente l'angolazione, riesco a
vedere le immagini riflesse di quel che accade nelle altre celle o
fuori dalla finestra, spostandomi semplicemente di pochi metri, dal
letto alla sedia, dalla sedia alla scrivania o anche per terra.
Così
ho un modesto controllo su ciò che accade qui attorno senza
far
nulla. Mi muovo talmente poco, anche nell'ora d'aria, che adesso le
guardie entrano senza timore nella mia camera per portarmi da
mangiare, e se non mi mettono il piatto davanti agli occhi faccio
finta di non accorgermene neppure, per poi mangiare molte ore dopo,
con una flemma ineccepibile. Mi crederanno incapace d'intendere e di
volere, così chiederanno un trasferimento di postazione e a
quel
punto, quando nessuno se l'aspetta, scapperò via.
Filerebbe
tutto liscio, se non ci fosse quel dannatissimo Maxie che non si fa
mai gli affari suoi e tenta sempre di parlarmi, di estorcermi una
qualsiasi parola, di trattarmi come un bambino bisognoso di tutto e
di difendermi dagli insulti di quel depravato di Ivan. Qualsiasi cosa
sia, altruismo o semplice compassione, mi disgusta. Rischierei
davvero di danneggiare la mia sanità mentale con questo
atteggiamento di chiusura, se non ci fosse uno strano Clefairy che,
ogni notte di luna piena, viene alle sbarre della mia finestra per
farmi compagnia con la sua presenza eterea, e la sua sola visione mi
dona un senso di pace indescrivibile. Ci fissiamo intensamente e
provo a comunicargli i miei pensieri, che pare intendere e
comprendere. Nessuno ci ha mai visti, né quelli della
sicurezza dal
momento che non rientra nel raggio di visuale della telecamera (e per
essere un carcere di sicurezza, devo dire, i sistemi di sorveglianza
sono alquanto scarsi e alcuni neppure funzionano, il mio quartier
generale a Rupepoli era molto più fornito), né
gli altri carcerati,
chi perché dorme chi perché come quell'accoppiata
di scostumati
pensa a far cose poco pudiche a letto illudendosi anche di "
tanto non ci sentirà nessuno Maxie!" Mi fanno una pena
indescrivibile quei due, mi chiedo se anche loro, come me, hanno
assunto quell'atteggiamento ridicolo per un qualche scopo, o sono
proprio idioti per natura. Ad ogni modo, sono alquanto stufo di tutto
ciò, perché Giratina tarda a venirmi a prendere?
Che si sia
dimenticato anche lui di me? Sento che qualcosa sta per succedere,
ancora non per molto dovrò atteggiarmi così.
Cambierà, lo
percepisco nell'atmosfera.
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Capitolo 3 *** 3. Check Raise [By Lily] ***
3. Check Rise
3. Check
Raise*
By Lily
Il
cielo è oscurato da enormi nuvoloni grigi, la pioggia e
violente
raffiche di vento ricoprono il cortile fuori dalla struttura e lo
rendono impraticabile, la forza del mare in tempesta è
eccellente
per far comprendere agli esseri umani di come sono deboli e fragili
davanti alla natura. Nell'arco della settimana le condizioni
atmosferiche si sono dimostrate catastrofiche e io, Giovanni, sono
costretto all'interno di un'ampia stanza insieme agli altri detenuti,
ci possiamo svagare come meglio ci aggrada.
Ma per me...No, no. Il
biliardo o la lettura non mi interessano.
Sono
seduto nel punto più illustre della tavola dalla forma
circolare,
impegnato mentalmente e fisicamente in una partita a Poker con alcuni
cattivoni di cui a stento conosco i nomi. Grazie agli avvertimenti di
Ivan, so con certezza che quei tizi ignoti si sono aggiunti al gioco,
solo per ottenere qualche oggetto di vitale importanza. Ma
c'è poco
da fare, sono il più forte e domino ogni omuncolo che si
mette
contro di me, vinco sempre con le mie strategie da buon uomo d'affari
e mi accaparro gli effetti più interessanti che i rivali
mettono al
c'entro del gioco. Sigari di ottima qualità, fedi o altri
gioielli
in puro oro zecchino, fiaschette di alcool, monete che mi aiutano a
corrompere le sentinelle a guardia della mia cella e, nelle occasioni
più rare, posso mettere le mani
su alcuni
attestati di proprietà. Con l'aiuto dei miei trucchetti sono
diventato il proprietario di alcuni territori sparsi in ogni parte
del mondo, dentro a queste mura hanno un valore abbastanza dubbio, ma
preferisco metterli da parte. Prima o poi me ne andrò e
sfrutterò
quei possedimenti a favore del Team Rocket.
Uno.
Due.
Tre.
È
il numero degli sfidanti che abbandonano la sfida, abbattuti dalla
perdita dei tesori per cui nutrivano un valore affettivo. Ma non
è
colpa mia se non hanno la stoffa per essere dei veri vincitori, non
ci posso fare niente per cambiare l'andamento degli aventi, devo
dimostrare la mia abilità nel gioco delle carte, mi ricorda
il mondo
delle battaglie Pokémon.
Ah,
quanto mi mancano le deliziose creature! Una fonte di guadagno nella
regione di Kanto.
Mi accendo un sigaro in santa pace mentre
qualcuno si prende l'impiccio di mischiare le carte, il mio
è un
pretesto innocente per scrutare i personaggi che sono sopravvissuti.
Ivan è alla mia destra che a stento regge in mano il mazzo
di carte,
è un innocuo ragazzone con più muscoli che
cervello ma che negli
ultimi mesi uso per strappare le informazioni esterne, ha un buon
rapporto con ogni detenuto del carcere e questo particolare mi frutta
qualcosa di concreto, ma ancora sono incredulo di vedere che ha
un'abilità discreta in un gioco in cui i conti sono
essenziali...Forse ha imparato le regole basilari e si impegna per
difendersi dall'oppressione che provoco. Alla mia sinistra godo della
presenza di Max, io stesso lo definisco come la
“controparte” di
Ivan, per l'occasione resta seduto in una posizione ridiga e composta
sulla sedia, osserva le carte che gli hanno passato senza emettere un
fiato, è già concentrato sulle mosse che gli
servono per mettermi i
bastoni tra le ruote perciò non lo perdo mai di vista. I
suoi
occhiali dalla montatura spessa gli nascondevano gran parte del viso,
i suoi lunghi capelli rossi sono impeccabili nell'acconciatura di
sempre, da questi proviene un delicato profumo di pulito e non
può
farmi che piacere. Quel soggetto mi ricordo la versione più
adulta
di mio figlio Silver, per questo gli concedo la mia protezione.
E
infine ci sono i due nuovi arrivati, Acromio e Ghecis. Sopravvissuti
per miracolo alla mia strage.
Anche quei due condividono la solita
cella, ma non li ho mai sentiti parlare. quasi mai. Noiosi e
ridicoli. Due palle al piede, insomma.
Le carte che ho in mano
sono ottime, faccio un'altra boccata con il sigaro e lascio uscire il
fumo dalla bocca senza farlo passare dai polmoni, decido di
intervenire.
«Perché
non proviamo a rendere piccante questa sfida, visto che siamo rimasti
in cinque?».
Ghecis
alza lo sguardo, Acromio invece mi ignora completamente.
Mi mette
una curiosità addosso quel tizio dai lunghi capelli
verdognoli, lo
conosco dalla fama ma non sono al corrente delle sue malefatte nella
regione di Unima.
«E
cosa vorresti proporre di interessante Giovanni? È solo una
partita
e ti sei già preso tutto»
esclama Max per poi perdersi in un sonoro sospiro, sono minuti che
indirizza lo sguardo verso la figura neutrale e assente di Cyrus, che
si trova nell'angolo più buio della stanza per osservare la
pioggia
che si infrange sul vetro della finestra. Max è l'unico che
si
interessa alle condizioni di quel tipo, non capisco nemmeno come
mai.
«Con
il potere che ho qui dentro: colui che vince questa partita si
potrà
infiltrare in una delle roulotte, quelle che a fine mese servono alle
coppie per le visite coniugali. Dovete sapere che c'è una
donna che
è rimasta vedova da poco, quindi ha
bisogno di un “marito” per essere soddisfatta.
Badate bene,
perché questo servizio lo faccio sempre pagare. Ma se mi
battete
posso fare uno strappo alla regola, solo questa volta»
affermo senza
vergogna per far venire l'acquolina in bocca a uno dei due novellini,
tanto per metterli alla prova, conosco il rapporto che c'era tra Ivan
e Max quindi sono sicuro che quei due non cercheranno mai di
accaparrarsi quello strano premio.
Ma
solamente Ghecis presta ascolto, il secondo è ancora alle
sue carte.
«Allora Ghecis, cosa ne pensi? Quella donna potrà
rimetterti un po'
in sesto, ti vedo un po' troppo malandato».
Ho gli occhi di tutti
addosso, finalmente attiro l'attenzione generale.
«Non
ho bisogno di una donna in questo momento, tanto meno mi interessa la
prostituzione. Mi sono unito a ciò che voi definite come una
normale
partita a Poker, perché volevo conoscere il mio vicino di
cella...Ma
noto solamente un branco di ruffiani senza spina dorsale, che
preferiscono rifugiarsi dietro alla figura più importante
per
restare alla larga dai problemi. Mi fate solamente ribrezzo, tutti
quanti» borbotta Ghecis in risposta ma senza scomporsi, Ivan
e Max a
quel punto si sono lanciati delle occhiate sbalordite ma hanno
mantenuto il silenzio per non entrare nella discussione. Io sono al
settimo cielo a differenza loro, almeno gli ho levato le parole di
bocca.
«Vedo
che qui c'è qualcuno che ha la lingua più
avvelenata di un Arbok,
non c'è bisogno di così tante parole per
nascondere il fatto che
sei impotente. Lo sappiamo tutti che è portata dalla
vecchiaia, non
c'è niente di cui vergognarsi tra uomini».
«Sono più grande di
te e questo non lo metto in dubbio, ma ancora mi funziona».
«E
allora come mai non vuoi passare un pomeriggio in compagnia di una
femmina? Sei forse dell'altra sponda come questi due che ho accanto?
Beh, sarebbe la soluzione più azzeccata. In fin dei conti
quei
capelli ti danno l'aria della femminuccia, non dirmi che te la fai
con lo scienziato che ti sei portato da Unima...Haha, questo
sì che
sarebbe divertente!».
Ghecis si ferma prima di aprire bocca,
indirizza l'occhio scoperto sul personaggio che ha vicino. Lo
scienziato non sembra turbato dalle parole che sono uscite dalla mia
bocca, ho detto la verità o è semplicemente
insensibile? Un evento
davvero curioso.
«Cosa devo fare per farti smettere di parlare a
vanvera, Giovanni? Mi sto stancando della strafottenza con cui mi
stai parlando, non sono di certo un bamboccio».
«Affrontami, se
hai coraggio».
«Come se avessi paura di un semplice pallone
gonfiato».
«Dimostralo che non hai paura Ghecis. Se vincerai la
partita non solo ti donerò quel pomeriggio nella roulotte,
ma ti
concederò tutto il bottino che ho vinto questa sera. Ma
vediamo...Sarai capace di soddisfare anche il mio appetito? Non mi
accontento di pochi spiccioli, esigo qualcosa di veramente
importante».
Ghecis a quel punto abbassa le carte sul tavolo e
con l'unica mano che riesce a muovere recupera il bastone che usa per
camminare, lo appoggia direttamente sul tavolo: «Questo non
è un
semplice bastone, si tratta della chiave della mia nave, la Fregata
Plasma. Se vinci è tua».
La sfida lanciata dal Leader del Team
Plasma è in grado di farmi venire l'acquolina in bocca,
sembra un
buon affare e non posso farmelo sfuggire.
«Davvero interessante
Ghecis, non ti facevo così stupido e...Voi tre? Continuate
la
partita o preferite smettere sul più bello?»
esclamo, osservo i tre
uomini che sono rimasti fuori dalla discussione.
«No Giovanni mi
sono stancato di giocare, vado a vedere come sta Cyrus»
afferma Max
con un leggero accenno di stanchezza nelle parole, si alza per poi
avanzare verso il Leader del Team Galassia, che è rimasto
nella
solita posizione.
«Anche io smetto, forse Max ha bisogno del mio
aiuto» farfuglia in fretta e furia Ivan, abbandona il
“campo di
battaglia” per stare a stretto contatto con il rosso.
«Io? Beh,
non continuo. Però guardo volentieri!» e quelle
sono state le
parole di Acromio, sono minuti che usa le carte per costruire una
sottospecie di piccolo castello.
«Perfetto. Scopriamo le carte
Ghecis».
Un
grido si sollevò nell'aria quella sera.
Il
re era caduto e con
lui andò giù anche il suo castello.
Glossario:
*Check
Raise — Quando
un giocatore fa check e successivamente rilancia sulla puntata di un
avversario all'interno del medesimo round di puntate. Sebbene fare
check e poi rilanciare sia una pratica legale e largamente accettata
dalla maggior parte delle poker room, in alcune è contro il
regolamento. È sempre una buona idea controllare le regole
della casa prima di prendere parte a una qualsiasi partita di poker. Il
"check raise" è un modo di giocare altamente produttivo ed
è una dimostrazione di forza al tavolo da poker.
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Capitolo 4 *** 4. Mala Parta male dilabuntur [By Xavier] ***
4. Mala parta male dilabuntur
4. Mala
parta male dilabuntur
By Xavier
Che
mal di schiena. Questa mattinata non è iniziata nel migliore
dei
modi… A stento riesco a mettermi seduto sul mio letto a
causa dello
stiramento muscolare procuratomi ieri durante i lavori forzati. Non
sono abituato a questo genere di attività, cosa devo farci
insomma?!?
«Ehi
scricciolo,
che ti prende stamattina? Andiamo alzati, non vorrai perderti la
colazione?»
Eccolo. Anche
Ivan, il più dormiglione di tutti, s'è destato.
Lui non pare
risentirne minimamente della fatica, non ha mai un acciacco o un
crampo muscolare, fortunato.
«Scusa
Ivan ma non me la sento proprio di alzarmi. Mi faresti un enorme
piacere se prendessi la mia porzione e me la portassi a
letto…»
«Maxie?
Vuoi fare la principessina? Alza le chiappe e fa' da solo! Non sono
il tuo maggiordomo, accidenti.»
«Allora
va' al diavolo! Ti ho chiesto solo una piccola cortesia, hai paura di
sciuparti se me la porti a letto?»
«Non
vorrei che poi prendessi l'abitudine. Già ti muovi poco di
tuo, se
adesso non ti stacchi neppure dal tuo bel lettino
caldo..»
«Dannazione,
Ivan! Ho mal di schiena, mi faresti il sacrosanto piacere di portarmi
qualcosa da mettere sotto i denti?»
«Solo
se mi dai un bacetto all'oland-»
«FOTTITI!».
Quanto lo odio? Quanto lo odio quando fa così? Mi fa passare
per
ridicolo, non voglio essere lo zimbello dei cattivoni, ho pur sempre
una dignità.
«Dai
Maxie, non
alterarti e abbassa la voce!»
«Col
cavolo, Ivan! Col cavolo! Quando Giovanni ti chiede un favore accorri
subito come un cagnolino, perché con me devi fare tutta
questa
scenata? Eh?»
«Non
mettere in mezzo Giovanni, adesso! Stavo solo scherzando,
perché
devi sempre prendertela tanto? Su, andiamo
signorinella!»
«S-Signorin..»
non faccio in tempo a replicare quell'assurdo nomignolo
che
con un solo gesto delle sue possenti membra mi carica in braccio,
come se il mio peso fosse nullo. «I-IVAN
FAMMI SCENDERE!»
gli urlo contro,
picchiandolo sulla testa col giornale, inutilmente. Ecco che il
quotidiano si spagina in mille fogli volanti che fluttuano qua e
là
all'interno della cella! Potrebbe andare peggio di così?
«E
va bene! Scendi!»
con fare
maldestro mi poggia a terra. Una fitta dolorosissima mi sale lungo la
spina dorsale e son costretto a poggiarmi al muro; mi mordo le labbra
e strizzo gli occhi, per non gridare parolacce a prima mattina.
Odio
il momento della colazione. Una volta svegliati, le guardie vengono
ad aprire le nostre celle, a piccoli gruppi di una decina di detenuti
per volta, e ci conducono alla mensa comune, dove troviamo una tavola
imbandita con fette di pane avanzato del giorno precedente che
possiamo condire con marmellata o burro e delle tazze di
caffè, tè
o latte. Io e gli altri capi siamo fortunati ad essere i primi
serviti, non oso immaginare cosa rimanga agli ultimi arrivati. Dopo
una ventina di minuti, neanche il tempo di leggere le notizie del
giorno, ci smistano nei vari reparti per fare i lavori forzati, in
catene, nel mentre un'altra squadra di detenuti va a "godersi"
il pasto mattutino. Inizio ad incamminarmi lungo il corridoio,
strisciando una mano sulla parete per avere un appoggio ma…
Ho
dimenticato gli occhiali. Ce la farò a tornare indietro?
«NEEEEERD!»
Ivan mi scorrazza intorno, reggendo e tenendo sollevato da sotto le
braccia come fosse un gattino quel povero martire di Cyrus, al quale
ha anche messo i miei occhiali.
«Ivan
no! Ridammeli! Sono graduati, potresti rovinargli la vista,
somaro!»
«Se
proprio ci tieni, riprenditeli! La vista dello psicopatico dipende
solo da te, Maxie!»
«Grrrr!
Quanto sei idiota!»
allungo alla
cieca la mia mano per riprendermi le lenti, ci sono quasi, ma Ivan
improvvisamente alza ancor di più l'uomo, vanificando i miei
sforzi.
«Ah Ah!
Scricciolo e
anche nanerottolo. Adorabile, Maxie.»
«Ivan!
Spero ti vengano tante ernie spinali quante sono le tue
vertebre!»
Inizio ad alterarmi
seriamente, fomentato dalle sue risa sguaiate ma…
«Signori,
con permesso…»
quel novizio di
Acromio ci passa in mezzo, dividendoci. Sospira e prende i miei
occhiali dal volto di Cyrus, il quale lo squadra con un accenno di
curiosità, e dunque me li restituisce, dopo aver ripulito le
lenti
sulla sua divisa. «Ivan,
non
dovresti giocare così con questo genere di oggetti, ha
ragione
Maxie, potresti danneggiare la vista altrui. E ora, se non vi
dispiace…»
Dà una pacca
sulla testa di Cyrus e, silenzioso, così com'era arrivato,
si
allontana, con un alone di fascino e mistero unici. Non faccio
neppure in tempo a ringraziarlo.
«Wow,
hai visto? Che classe, che eleganza, che passo felpato e felino, che
portamento nobile e altezzoso..»
«E
che chiappe!»
«IVAAAN!»
restiamo un paio di minuti a fissarci sbigottiti dalla sua
apparizione per poi dirigerci tutti e tre nella sala mensa. Come mio
solito, mi siedo in un angolino e imburro una fetta di pane, che
accompagno con una bella tazza di tè caldo, mentre raccatto
un nuovo
quotidiano da leggere in santa pace. Nulla di interessante oggi, i
soliti fatti di cronaca nera, una rapina qua, un sequestro di persona
là, ma ecco che alla terza pagina qualcosa attira la mia
attenzione:
"Team
Flare, una nuova minaccia per la regione di Kalos?"
Dannazione,
non faccio in tempo a leggerlo tutto 'che son venuti a prelevarci.
Senza troppi giri di parole e con un tono di stizza spiego ad una
guardia il mio disagio fisico, la quale, senza polemizzare, per
fortuna, mi indirizza in infermeria. Qui mi fanno delle domande e
qualche controllo, mi applicano dei cerotti terapeutici nei punti che
mi dolgono ed infine mi rimandano in un'altra grande stanza adibita
ad accogliere gente infortunata o incapace di lavorare. Mi guardo un
po' attorno ed infine decido di andarmi a sedere accanto a Ghecis,
intento a guardare fuori dalla finestra, voglio parlarci e fare
conoscenza.
«Ehm,
buongiorno,
Ghecis. Come mai anche tu qui? Non ti dispiace se mi siedo accanto a
te, vero?»
non mi degna neppure
di uno sguardo, continuando a guardare fuori dalla finestra,
«Secondo
te, quattrocchi?»
che uomo
nervoso e freddo, evidentemente non ha molta voglia di discutere con
me. Solo dopo mi accorgo che ha una spalla ed un braccio totalmente
immobili.
«C-Capisco..
Non hai
molta voglia di parlare, mi pare di comprendere. Tolgo il disturbo,
allora».
Sospiro e accavallo le
gambe, riprendendo a sfogliare il mio quotidiano finché non
ritrovo
quella pagina:
"TEAM
FLARE, UNA NUOVA MINACCIA PER LA REGIONE DI KALOS?
Stamani
alle prime ore dell'alba la fabbrica di
Poké Ball a nord di
Romantopoli è stata presa d'assalto
da una nuova banda criminale
che si fa chiamare con l'appellativo di Team Flare.
I dipendenti
sono momentaneamente tenuti in ostaggio all'interno della fabbrica
stessa,
le cause di tale sequestro restano ancora ignote.
Le
autorità stanno procedendo a trattative, tutte le emittenti
tv
stanno assiduamente seguendo la vicenda".
Prendere
d'assedio un'industria di quel calibro non è roba da poco,
questa
nuova gang dev'esser ben organizzata, non di certo un gruppetto di
teppistelli, mi chiedo chi sia il loro capo. Il mio giornale si
riempie di bricioline, mi volto e con gran sorpresa noto che Cyrus
era venuto a sedersi accanto a me ed era ancora intento a
mangiucchiare del pane tostato che spezzettava con le mani,
portandosi i bocconi alle labbra. Forse anche lui aveva letto.
«Ehi,
dove sono gli altri? Già finito di lavorare?».
Una
pioggia intensa e fitta inizia a martellare sul vetro, mi sporgo
dalla finestra e noto tutti i detenuti correre dentro per evitare di
bagnarsi. Le previsioni meteo prevedevano brutto tempo per i prossimi
giorni, quello era solo l'inizio. Ghecis a quel punto si alza dalla
panca e si allontana, arrancando a fatica col proprio bastone.
Evviva, c'era qualcuno messo peggio di me allora! Mal comune mezzo
gaudio, quel vecchio dalla lunga chioma mi fa una certa pena.
«Ghecis,
hai bisogno di una mano?»
chiedo,
avvicinandomi a lui, ma ecco che mi sbraita in faccia parole
incomprensibili, puntandomi contro il supporto, e riprende a
camminare. «Crisi
di mezza età,
pff… Vieni Cyrus, torniamo anche noi in cella!»
gli sorrido in modo solare, per portare un po' di luce in quella
giornata tetra e deprimente, ma per lui è indifferente. Gli
prendo
la mano e lo aiuto ad alzarsi, dunque imbocchiamo il corridoio per
"rincasare". Non pondero minimamente le beffe e le male
voci che ci latrano contro gli altri prigionieri, non c'è
assolutamente nulla tra me e lui, semplicemente mi sta a cuore la sua
salute. Perché? Lo stimo molto, era un uomo dalle ampie
vedute, è
riuscito a metter su un grandissimo Team di sostenitori col quale ha
catturato ben cinque Pokémon leggendari! I tre protettori
dei laghi
e le due divinità, dello spazio e del tempo. Non solo,
è anche
riuscito a sopravvivere al Mondo Distorto, del quale si sa
pochissimo, e a tornare sulla Terra. Quindi, vedere adesso un Ulisse
del suo calibro ridotto ad un corpo privo di emozioni e di anima,
muto, indifferente a tutto quel che lo circonda, mi dispiace
enormemente e cerco di fare il più possibile. Anche lui era
uno
scienziato, sono convintissimo che se riuscissi ad aprire una
comunicazione con lui, potrei discutere insieme un metodo su come
evadere da qui. Sarebbe bellissimo, penso, scappare via da questo
inferno e dargli un posto come tenente del team Magma! Da quanto ho
capito adesso lui è solo, non c'è più
traccia del team Galassia e
i suoi comandanti hanno disertato. Ma questo Ivan non lo capisce, per
lui ogni pretesto è buono per fare il geloso e tempestarmi
di
domande, creando situazioni alquanto imbarazzanti per il
sottoscritto.
Siamo di nuovo insieme, chiusi in cella, vado
immediatamente a stendermi a letto per stiracchiarmi, e la mia
schiena scricchiola alquanto rumorosamente.
«Maxie!
Stai diventando croccante!»
ridacchia Ivan, mentre si toglie i vestiti bagnati dalla pioggia per
metterli sul calorifero acceso, in modo da farli asciugare
rapidamente.
«Croccante?
Tch, sta' zitto. Già è un miracolo se riesco a
camminare!»
«Era
un modo carino per dire che stai diventando vecchio e decrepito,
hmhm!»
«VECCHIO
DECREPITO A CHI, PALLONE GONFIATO?»
mi sporgo pericolosamente dal letto, in uno scatto d'ira, per
tirargli un'altra giornalata in testa, fallisco il colpo, perdo
l'equilibrio e chiudo gli occhi mentre mi sento precipitare di sotto.
Li riapro, e mi ritrovo supino tra le braccia del mio rivale.
«E
ora testiamo la tua croccantezza!»
«I-Ivan
no! Fammi scendere!»
le parole
sono totalmente inutili contro quell'energumeno. Affonda le labbra
nell'incavo della mia clavicola e del mio collo, tempestandoli di
bacetti o morsi o qualsivoglia altra cosa disgustosa! Mi metto a
ridere e sbraitare, perché soffro tremendamente il solletico
in
quelle zone, e nel contempo con entrambe le mani cerco di
allontanargli la testa dalla mia pelle. Passano ben dieci minuti, e
finalmente molla la presa, riponendomi nel mio lettino.
«Arrr!
T'è piaciuto? L'ho imparato dal mio Sharpedo! Quando deve
abbattere
una preda mira sempre a quei punti e non la lascia andare
finché non
respira più!».
Non so che
rispondergli. Se dicessi che ho apprezzato, se ne approfitterebbe, se
al contrario dicessi che è stato orribile, ci rimarrebbe
male e si
comporterebbe da offeso.
«Hmm…
Il mio Mightyena avrebbe saputo farla meglio, una cosa simile!»
a quell'affermazione scoppiamo a ridere entrambi come due amici di
vecchia data che si scherniscono amorevolmente a vicenda. Dalle altre
celle sento rimbombare le risate di Giovanni e degli altri che hanno
assistito alla scena, insulti e fischi rivolti a me, come se fosse
colpa mia e mi lasciassi trattare in quel modo senza reagire, da
passivo totale! Poco importa, se sono soltanto parole sputate da
lingue avvelenate, invidiose del bellissimo rapporto che s'è
instaurato tra me e Ivan. La sua gelosia in fondo non è poi
così
male, se penso che grazie a ciò nessuno osa avvicinarsi a me
con
cattive intenzioni, per timore del mio compagno. E dire che non
è
stato sempre così! All'inizio il nostro odio e la nostra
rivalità,
talmente erano elevati e accesi, sfociavano in azioni abominevoli,
mettendo contro non solo noi leader del team Magma e del team Idro,
ma anche i nostri rispettivi seguaci e reclute. Adesso, ragionandoci,
mi pare una cosa assurda che delle persone debbano odiarsi tra di
loro, senza neppure conoscersi a fondo, solo perché facenti
parte di
due squadre diverse con ideologie differenti. Ma questo l'abbiamo
capito quando ormai era troppo tardi, quando ogni forza dell'ordine
di Hoenn ci stava alle costole ed eravamo ricercatissimi in ogni
punto della regione. Solo a quel punto, per sfuggire ad un nemico
comune, abbiamo deciso di allearci, ma non c'era più tempo.
Siamo
stati catturati, ma almeno abbiamo dato scampo ai nostri tenenti e
alle nostre reclute, e penso che il saper salvaguardare la salvezza
degli altri membri sia una qualità indispensabile per un
comandante
che si rispetti, per cui tutto sommato posso dire di esser in pace
con la mia coscienza. Quei farabutti dei carcerieri ci hanno messo
nella stessa cella, insieme, sperando che così ci saremmo
scannati
come cane e gatto fino alla fine. Mi spiace ma, abbiamo deluso
appieno le loro aspettative. In una situazione critica come questa
bisogna restare il più uniti possibile e lasciar da parte
rancori e
acredini personali, se si vuol in qualche modo alleviare la
sofferenza e, perché no, trasformarla in qualcosa di quasi
vivibile
e piacevole; ma quando lo capiranno gli altri?
Fulmini,
pioggia e grandine sono sempre uno spettacolo estasiante per la
vista, sebbene mi facciano un po' paura, mentre Ivan pare totalmente
affascinato e preso da questi fenomeni naturali. Ce ne stiamo comodi,
seduti sul mio letto, a guardar fuori dalla finestra, non avendo
nulla di più gratificante da fare.
«Sai
Ivan, oggi sul giornale ho letto che nella regione di Kalos, ben
lontano da qui, è in azione un nuovo Team, che si fa
chiamare Team
Flare. Sembrano far sul serio, sin da subito. Pensi che potrebbero
venire a liberarci tutti? Ci stavo sperando».
«Non
illuderti, Maxie. Nessuno verrà mai a salvarci.
Perché rischiare la
pelle per noi? Ormai siamo dimenticati da tutti, l'unico modo che
abbiamo per fuggire è fare tutto da noi stessi.»
«Già,
penso tu abbia ragione purtroppo. Ma se qui nessuno si muove, cosa
possiamo fare soli, noi due? Vedi Giovanni, a lui va benissimo
così,
ha la TV in camera, pasti caldi ad ogni ora del giorno, può
uscire
liberamente quando vuole, da dietro le sbarre riesce comunque a
gestire i suoi traffici criminali ed è rispettato anche dai
custodi.
Vedi Cyrus, neanche a torturarlo caccerebbe una sillaba. Vedi i nuovi
arrivati, infine, quel vecchiaccio a momenti mi sbranava stamattina,
e mi ero proposto di aiutarlo. Lo scienziato mi sembra un freddo
menefreghista, non mi fiderei di un tipo come lui.»
«Calma
Maxie, neppure noi possiamo lamentarci. Stiamo insieme adesso, no?
Quest'occasione ci ha fatto capire quanto possiamo benissimo andare
d'accordo, sebbene le idee diverse. Non finiremo i nostri giorni
marcendo in questo sgabuzzino, vedrai, e se così dovesse
finire…
Per me sarebbe un onore, passare il resto della mia vita al tuo
fianco. Ti voglio bene, amico mio.»
«Anche
io Ivan, anche io..».
Neanche
ci appoggiamo mollemente l'uno sull'altro, che udiamo lamenti e
proteste provenire da tutto l'edificio. I prigionieri sono in
rivolta, dal momento che per via del maltempo ci sono state tolte le
ore d'aria e di svago a passeggio nel cortile del carcere. Hanno
ragione a ribellarsi, rimanere chiusi in pochi metri quadrati per
oltre ventiquattr'ore è insopportabile, per questo hanno
deciso di
concederci delle ore di libertà all'interno dell'enorme sala
giochi
posta al centro della costruzione, traboccante di tavoli per i
più
disparati giochi d'azzardo, dal Poker Texano alla Roulette, tavoli da
biliardo, slot machines e qualsivoglia altro divertimento che possa
intrattenere un detenuto, infine c'è anche una piccola ma
ben
fornita libreria, dalla quale spesso e volentieri attingo qualche
testo da leggermi in santa pace. Vorrei fare così anche
oggi, ma
Ivan mi ha trascinato alla famigerata "tavola rotonda"
capeggiata da Giovanni, il re dei giochi d'azzardo, poiché
abbiamo
come avversari due nuovi "moschettieri" e pensa che questa
sia un'ottima occasione per conoscerci meglio. Ma io quel vecchio
già
non lo tollero! Questa situazione mi mette un'ansia assurda addosso,
preferirei perdere tutti e subito quei pochi spiccioli che ho puntato
e abbandonare la partita, piuttosto che continuare e trovarmi faccia
a faccia con uno dei due boss. Mi distribuiscono le carte, le scopro
piano, una ad una.. Dannazione! Mi è capitato un full, e io
dovrei
lasciare il gioco adesso? Un colpo di fortuna del genere non mi
capita neppure se mi riempio le maniche di assi. Alzo appena gli
occhi per osservare Ivan, posto esattamente di fronte a me, ma a
quanto pare è ancora impegnato a capire quale sia il senso
corretto
di King, Queen e Jack, dal momento che è da due ore che non
fa altro
che rigirarsi in mano le solite tre carte. Come glielo devo spiegare
che sono la stessa figura messa in modo speculare? E si lamenta anche
di perdere sempre. Sarà la volta buona, decido di stare al
gioco. La
prima puntata me l'aggiudico io, sono al settimo cielo ma…
Ecco che
i due più anziani si mettono a discutere e la posta in gioco
si
alza. Uno punta il proprio bastone e l'altro tutto l'incasso, in
più
una nottata con una donna. Non abbiamo nulla da dare, né io
né
Ivan, è la volta buona per battere in ritirata, il gioco si
sta
facendo sporco, e se Giovanni l'imbattibile ha alzato così
tanto la
posta, significa che qui gatta ci cova.
«No
Giovanni mi sono stancato di giocare, vado a vedere come sta Cyrus»
replico alla sua domanda riguardo alla mia permanenza nel poker.
Stanco e assonnato vado a sedermi accanto al leader del team
Galassia, intento a fissare quasi incantato i fenomeni atmosferici
che si stanno abbattendo là fuori; «bella
la forza della natura, non trovi? Così come ci dà
la vita, è
capace di togliercela via in un istante con la sua furia
incontrollab…»
«MAXIEEEE!»
Ivan corre verso di me agitando una stecca di cioccolato al latte
come fosse un trofeo vinto con il sudore e con il sangue. «L'ho
presa ad una guardia, corrompendola con la misera vincita di oggi.
L'ho fatto per te!»
«Grazie
Ivan. Beh Cyrus, è di tuo gradimento questo dolciume? O
preferisci
quello fondente?»
la scarto e gliela agito sotto il naso, sperando se ne accorga, ma mi
degna appena del suo tipico sguardo atarassico e torna a mirare
fuori. Ivan invece mi lancia un'occhiataccia e fa per andare via,
infuriato, non avevo minimamente pensato alla sua cupidigia nei miei
confronti in quel momento, troppo preso a tentare invano di strappare
un sorriso all'uomo, ma ecco che sentiamo Giovanni urlare come mai
aveva fatto in vita sua e il silenzio cala nella sala. Che abbia..
Che abbia perso? Alquanto impossibile.
Lascio
lo snack sul davanzale della finestra e corro da Ivan, prendendogli
la mano per trascinarlo sul campo di battaglia, dove una scena tanto
unica quanto eccezionale si prostra sotto le nostre pupille: Giovanni
è stato sconfitto. Ha perso, tutti i suoi averi e i suoi
record, ma,
più di tutto, ha perso la sua fama di bluffatore
invincibile. Com'è
possibile?!? Nessuno, e ribadisco, mai nessuno in tanti anni era
riuscito a competere con lui. Questo Ghecis deve essere un prodigio,
con la vincita di oggi si è praticamente guadagnato il
rispetto e la
stima di tutti. «Ivan,
ma noi rimaniamo fedeli a Giovanni, non è vero? Lui
è il nostro
protettore, sarebbe sciocco voltargli le spalle di punto in bianco
dopo tutto quello che ci ha offerto».
«Non
lo so, Maxie, ma Ghecis mi affascina. Un vecchio autoritario e regale
alto due metri, per giunta abilissimo nel poker, dove lo trovi uno
così? Giovanni ormai è passato di moda, ed
è durato fin troppo per
i miei gusti».
«Ivan!
Non dovresti sputare nel piatto dove hai mangiato. La situazione si
sta scaldando, non voglio rimanere qui. Andiamocene a letto adesso».
Mi volto verso Cyrus per portare via anche lui da quell'atmosfera che
ben presto sarebbe diventata una ressa, ma con enorme stupore noto
che è sparito, e con lui anche la barretta di cioccolato.
Quell'uomo
mi stupisce sempre di più. Ivan allora, come vede che la
situazione
è diventata alquanto caotica, mi prende come un sacco di
patate alla
sua solita maniera e di corsa mi riporta in cella, stendendomi sul
letto. So già cosa mi aspetta, per farmi "perdonare" il
gesto di prima, ma con la schiena a pezzi sarà molto
più doloroso
del normale.
«Ivan
perché non
rimandiamo a domani?»
«Perché
ne ho voglia adesso, e mi sento rifiutato, messo da parte»
«Ma
cosa vai dicendo? Volevo solo vedere se reagiva».
Arrabbiato e deciso, lo sento salire e stendersi sul mio corpo
appiattito contro il materasso duro e scomodo di quel giaciglio che
definiscono "letto", ben presto l'ardore del suo corpo mi
invade e mi schiaccia, non nego di essere in tensione e ciò
non farà
che aggravare quel che sta per avvenire, tanto vale serrare i denti e
aspettarsi il peggio da questa situazione senza via di
scampo…
«Accidenti,
Maxie!
Non possiamo più farlo!»
«E-Eh?
C-Come mai Ivan?»
«Ci
fissa. Ci sta fissando coi suoi poteri psico-autistici!».
Scoppio
a ridere alla sua affermazione e volto il capo, notando che
effettivamente il mio adorato vicino di stanza ci stava puntando con
il suo sguardo ghiacciato capace di raggelare il sangue nelle vene di
chiunque, e Ivan ha una paura infondata di Cyrus quando lo fissa
negli occhi col suo tipico modo di fare, assolutamente inoffensivo.
Nel men che non si dica, il mio compagno scivola via da me e va a
mettersi nel proprio giaciglio, affossandosi per bene nei lenzuoli
fino a tirarseli oltre la testa.
«Buonanotte
Maxie. Domani ti sistemo».
«Buonanotte
Ivan, non aspetto altro».
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Capitolo 5 *** 5. Voices [By Lily] ***
5. Vocies
5. Vocies
By
Lily
Voci.
Sento
centinaia di mormorii scorrere alle mie spalle ogni volta che cammino
per i lunghi e stretti corridoi del carcere, non ho il tempo di
voltarmi che i miei coetanei si sono già raccontati le
vicende più
bizzarre sul mio conto: “Ho
sentito che ha perso l'occhio e il braccio per colpa del suo
Pokémon”
oppure “Sapete
che è riuscito a battere Giovanni in una partita a Poker?
Secondo me
ha barato”.
Ho una voglia immensa di fermarmi per sbraitare contro quei dannati
maiali ma, la sentinella che possiede l'incarico di scortarmi verso
la cella, mi strattona il braccio con una certa violenza per
costringermi a tornare sui miei passi. Ovviamente ha puntato
sull'unico che muovo, maledetto bastardo.
Per
fortuna il tragitto che devo percorrere è piuttosto breve e,
il
motivo che mi spinge a cimentarmi in questi mille spostamenti,
è
dato dal mio pessimo stato di salute: ogni mattina una sentinella si
preoccupa di prelevarmi dalla cella così, quando i detenuti
sono a
faticare sotto ai cocenti raggi del sole, io vengo sbattuto
nell'infermeria per sottopormi a molteplici analisi, poi mi
abbandonano in una stanza fredda e spoglia in cui sono obbligato ad
aspettare l'ora di pranzo prima di uscire; ma quegli incompetenti non
sono in grado di curare la parte destra del mio corpo, rimasta semi
paralizzata appena sono riuscito a entrare in contatto con i poteri
glaciali del leggendario Kyruem, pare che il braccio sia quello che
ha accusato maggiormente il colpo visto che non riesco a spostarlo di
un millimetro e la carnagione si è colorata di un
orripilante nero
simile a quello della pece, è talmente insensibile che se
vengo
colpito in quella zona non percepisco il minimo dolore. In molti
durante la colazione hanno provato a infilzarlo con le forchette,
inutile dire che sono stato abile nel recuperare il mio bastone per
usarlo come arma difensiva.
«Buon
pomeriggio Ghecis, com'è andata la visita medica di
stamani?».
Quello
è stato il benvenuto nella cella da parte di Acromio, il mio
“inseparabile” compagno di disavventure, ogni volta
che si
rivolge a me cerca di mantenere il classico comportamento che
utilizzava all'interno del Team Plasma: educato, sofisticato e con un
piccolo accenno di malizia per decorare al meglio l'immagine che
offre al prossimo.
Dal
giorno in cui sono stato rinchiuso per colpa di Bellocchio non mi
faccio più scrupoli a ignorarlo, conosco fin troppo bene la
perfidia
che si nasconde dietro a quel viso angelico, per cui preferisco
procedere sui miei passi senza chiedere il suo aiuto.
Però
molte volte il mio corpo mi costringe a tendere una mano verso di
lui, maledetta vecchiaia.
«Bene».
«Tutto
qui? Ancora non ti hanno dato nessun risultato? Accidenti Ghecis, hai
deciso il momento peggiore per ammalarti» .
Insieme
a quell'assurda frecciatina Acromio mi ha dato una mano a raggiungere
il letto, lo scienziato già conosce il fatto che i Dottori
si siano
messi a parlare di amputazione, quindi sta cercando di farmi perdere
le staffe: «Almeno sai come si maneggia il monocolo? Resti da
solo
ogni mattina, saresti un inetto a non fare pratica con quel
fantastico oggettino».
«Sai
già la risposta, Acromio».
«Già
è vero, l'incontro a Poker con Giovanni. E tu che non volevi
farmi
installare i raggi X, lo vedi che ti sono tornati utili?» e
una
leggera risatina è uscita da quell'essere ripugnante, il
quale ha
preso posto proprio vicino a me.
Inutile
dire che mi sono scostato, non lo voglio attorno: «Se hai
vinto è
solo grazie al mio intervento Ghecis caro, quindi che ne pensi di
dividere ciò che hai ottenuto con la tua vincita? Non vorrai
che da
questa boccuccia uscisse la verità sul tuo trionfo, sono
sicuro che
sarebbe divertente vedere la reazione del nostro Giovanni».
«Tappati
quella boccaccia, Acromio».
Il
sole è tornato a risplendere dopo i giorni di pioggia,
quindi posso
godermi a pieno il piazzale che è stato costruito apposta
per noi
detenuti e, anche se lo nascondo, sono contento di essere qui;
iniziavo a detestare sul serio quella misera stanza piena di arnesi
poco interessanti, i carcerati colmavano l'ambiente con il fumo delle
sigarette e ciò rendeva l'atmosfera a dir poco nauseante.
Adesso
sono su una sorta di panchina, ormai diroccata, mi guardo attorno e
mi rendo conto che questo spazio aperto sembra più una landa
desolata, almeno verso ovest si innalzata l'inferriata che separa la
zona maschile da quella femminile. Da quello sputo di terreno
spuntano delle donne veramente assurde, tra tutte hanno uno sguardo
omicida e alcune di loro hanno un aspetto talmente mascolino, che
faccio fatica a comprendere come mai siano state inserite lì.
Eppure
i maschi ronzano continuamente attorno a quella barriera di ferro,
non si fanno problemi a nascondere la malizia nelle parole oppure le
guardano come se fossero delle dee scese in terra. Ciò mi
dà la
nausea, per cui stringo il mio amato bastone e svolto gli occhi
altrove. A momenti vomito il poco che ho mangiato per
colazione.
«Gheeeeeecis!»
Di
nuovo lui, Acromio, si sta avvicinando a me e sembra abbastanza
allegro. Fin troppo.
No.
No. No.
Stavo
così bene senza nessuno attorno, perché
è venuto qui se prima si
divertiva con Ivan e Max? Di sicuro sta escogitando un piano
azzardato per separarli, ormai conosco quella volpe e sono sicuro che
i suoi piani porteranno scompiglio tra il marinaio e il
secchione.«Ghecis caro non sai che notizia è
arrivata alle mie
orecchie».
«Smettila
di chiamarmi in quel modo, portami un po' di rispetto
Acromio».
«La
pianterai di fare il cane con me appena i medici ti taglieranno via
quel braccio, è solo una questione di tempo. Poi verrai a
piangere
da me perché ne desideri uno meccanizzato, ma sappi che ti
ho già
fatto fin troppi favori con il monocolo e il bastone, perciò
non
farmi arrabbiare troppo o mi riprendo tutto e subito».
«Acromio
cerca di darti una mossa, non ho molta voglia di parlare con te
oggi».
«Grazie
a Max ho scoperto che tra un mese i Leader dei Team potranno
incontrare la loro squadra di Pokémon, e questo capita
solamente una
volta all'anno. Siamo stati fortunati a essere rinchiusi vicino a un
giorno così speciale, no? Non vedo l'ora di abbracciare di
nuovo i
miei tesorini. Mi mancano!».
A
quelle parole a momenti esplodo dalla gioia, ma non rispondo al
discorso e mi alzo malamente dalla panchina. Per cui afferro
saldamente il bastone e inizio a zoppicare verso l'enorme porta,
l'ora d'aria è vicina alla fine e ogni carcerato deve
prepararsi
alla cena.
Davvero
avrò l'occasione di rivedere Hydreigon?
Sapere
che potrò stare in contatto con il mio vecchio amico riesce
a farmi
sorridere.
«Ghecis
perché non mi hai risposto?».
«Perché
sono stanco Acromio, voglio andare a letto presto questa
sera».
«Ma
non hai sentito la parte più importante, riguarda
Giovanni!».
«Giovanni?»
giro la testa e guardo il mio collega negli occhi, aggrottando le
sopracciglia: «E cosa vuole da me?».
«Gira
voce che sta cercando di tornare quello di un tempo, quindi sta
architettando un piano per schiacciarti davanti a chiunque.
Perciò
stai attento a quello che fai. Se i miei calcoli sono
esatti...Beh...Forse ti lancerà una sfida
Pokémon. Te la senti di
lottare Ghecis?».
«Vuole
davvero farmi questo per una stupida partita a Poker? Che venga pure
da me, io non aspetto altro. Non permetterò a nessuno di
schiacciare
me, Ghecis, capo del Team Plasma».
E
detto questo mi incammino nella struttura, ne ho abbastanza ormai di
questa storia.
Da
quando ho fatto ritorno nella mia cella ho tenuto la mente impegnata
sul bastone, l'ho lucidato a fondo e mi sono anche preoccupato di
rendere scintillante lo stemma del Team Plasma, Acromio invece si
è
rifugiato sul letto superiore per leggere così non ha aperto
bocca e
finalmente sono riuscito a godermi un po' di meritato riposo. Anche
se il silenzio non regna sovrano, ma bisogna sapersi arrangiare nella
vita.
La sera è calata velocemente sul carcere e la cena non
è
stata nemmeno un granché, la solita poltiglia dal colore
grigiastro
e dall'odore nauseante che le guardie ci rifilano, mi scoppiano i
nervi nel sapere che la spacciano per cibo commestibile quando loro
sono i primi a ingozzarsi di schifezze. Però evito di
brontolare e
passo la mia misera razione al mio compagno di cella, il quale sembra
più bisognoso di cibo visto che è secco
allampanato, domani mattina
saprò soddisfare il mio stomaco così non
toccherò più niente.
Ormai faccio un solo pasto abbondante al giorno, almeno evito di
ingrassare o di inghiottire schifezze simili.
Alla fine scoccano
le sette di sera e il mondo mi crolla addosso appena vedo arrivare la
sentinella, ho dimenticato che oggi è Domenica la giornata
dedicata
alla doccia. Per cui abbandono il mio piatto ancora pieno senza fare
storie e, con l'aiuto del bastone, mi avvicino al corridoio dove gli
altri Leader dei Team sono già pronti. Ogni fine settimana i
tanti
detenuti che sono chiusi qua dentro vengono divisi in gruppi di sei
persone e spediti all'interno delle docce, così si possono
lavare a
loro piacimento ed evitano di puzzare come somari, per fortuna noi
Boss abbiamo il privilegio di usarle per primi altrimenti i sanitari
sarebbero stati scandalosi. Per non parlare dell'acqua, quella calda
funziona solo per un breve lasso di tempo.
Condividere
un attimo così intimo con altre cinque persone è
veramente
imbarazzante, specialmente per un individuo come me che ha il corpo
in pessime condizioni, detesto da morire far vedere agli altri che il
mio braccio sembra quasi il piumaggio di un corvo.
Però
arrivato a destinazione evito di perdermi in chiacchiere, entro
dentro al box doccia fatto in legno e appoggio il bastone in un
angolo. A quel punto mi spoglio della vestaglia logora, poi mi levo
il monocolo dall'occhio e finalmente apro il rubinetto.
Un
getto caldo mi investe fin dal primo momento, mi sento quasi in
paradiso.
Allora
evito di osservare il caos che stanno combinando Ivan e Max, quei due
si comportano più come due bambini dell'asilo che da uomini,
e
comincio a lavarmi velocemente. Non vedo l'ora di tornare dentro alla
cella per infilarmi nel letto, sono talmente stanco che temo di
crollare da un momento all'altro, in piedi oppure sdraiato.
«Vedo
che le voci sul tuo braccio, allora, sono vere».
Roteo
gli occhi verso il soffitto nel sentire quella voce, Giovanni. Di
nuovo lui. Accidenti.
Proprio
accanto al mio box si doveva mettere?
Maledetto
bastardo, giuro che se mi innervosisce saprò sfruttare bene
la punta
del mio bastone.
«Cosa
vuoi, adesso? Non ti è bastata la lezione che ti ho dato
giorni fa?
Vuoi forse il bis?».
«Hai
vinto solo perché hai sfruttato il giocattolino che ha
creato il tuo
amico, Acromio me ne ha parlato».
Mi
mordo il labbro dal nervoso, poi inizio a insaponarmi alla meglio il
corpo. È un po' difficile visto che sono mezzo paralizzato,
ma sono
sicuro che ce la posso fare.
Acromio.
Quel bastardo, questa me la paga cara.
«Anche
tu hai la meglio sulle partite con le truffe, secondo te ero
così
fesso da non accorgermene? Io ti ho solo fatto assaggiare la tua
stessa medicina, almeno capisci cosa si prova nel perdere qualcosa di
veramente caro. Perdente».
«Sì,
sì, certo. Comunque avevo voglia di parlare con te, due
semplici
chiacchiere. Siamo colleghi».
«Colleghi?
No. Per le mani ho già Acromio e mi basta».
«Oh
beh, ti volevo chiedere di fare coppia fissa con me qui dentro, sai
quanti vermi possiamo schiacciare se diventiamo soci in
affari?»
«Mi
dispiace Giovanni, ma solamente una persona ha il diritto di essere il
Re e il tuo turno ormai è finito».
A
questo punto mi avvolgo dentro all'asciugamano che le guardie hanno
lasciato a disposizione ed esco dal box insieme al bastone,
avvicinandomi alle panchine in legno con l'intenzione di asciugarmi e
vestirmi. Finalmente questa tortura è giunta al termine.
Non
ne posso più.
Se
è la guerra che Giovanni desidera, allora l'avrà.
Non
vedo l'ora di mettere le mani sulla Pokéball di Hydreigon,
così
vedremo chi tra i due avrà la meglio.
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Capitolo 6 *** 6. Quantum sufficit [By Xavier] ***
6. Quantum Sufficit
6. Quantum
Sufficit
By Xavier
Meno
uno, niente male. Vedo l'idrotenente Alan venir portato dentro,
ammanettato, nell'altra ala del carcere, ben lontano da Ivan che,
gridando disperato il suo nome, si avvinghia alle sbarre della sua
stanza come fosse un vero e proprio Octillery, le scuote con una tale
forza da riuscir quasi a scardinarle, ma ecco che, sfinito da tutto
quel furore, ci rinuncia e scivola sulle ginocchia, ansimando dalla
prostrazione, e poi accorre Maxie a consolarlo, lo stesso Maxie che
in questo momento mi lancia sguardi omicidi, che non mi intimidiscono
per nulla; mi fanno così pena quei due! Mi ricordano
esattamente due
piccole cavie chiuse in gabbia, esauste dopo molteplici test ed
esperimenti alle loro spalle, che tentano in tutti i modi di aprirsi
un varco tra le inferriate, coi denti, con le unghie, con la
violenza…. inutilmente. Ma non sanno che ancora il peggio
deve
arrivare, che non vi è modo di uscirne vivi e illesi dalle
grinfie
di uno scienziato dedito solo e soltanto al proprio lavoro, che non
dà ascolto a nient'altro che non sia la propria ragione o il
proprio
scopo. Ebbene, da quando sono stato catturato anche io, assieme al
mio ex capo, non faccio altro che collaborare con le
autorità per
ricevere uno sconto di pena e tornare al più presto in
libertà. Ad
insaputa di Ghecis, ho confessato loro ogni covo del team Plasma e a
quest'ora tutti i seguaci saranno già stati braccati e
presi. Vorrei
tanto vedere la faccia di Ghecis, quando lo scoprirà! Non
solo, sono
anche riuscito ad ammaliare quel rozzo marinaio di Ivan con le mie
belle parole e i miei gesti raffinati, è stato facilissimo,
che
persona scostumata e disgustosa, per delle piccole e frivole
attenzioni di "un uomo galante e soave" come usava
definirmi, ricorrendo ai più remoti meandri del suo
dizionario, ha
spifferato informazioni segretissime e importanti, come il
nascondiglio del suo sottoposto; l'altra, Ada, è riuscita a
mettersi
in salvo appena in tempo. Mi è stato richiesto dal direttore
di
trovare informazioni anche sui rimanenti del team Magma, ho usato la
stessa tecnica con Maxie ma non ha funzionato. Quell'ometto non pecca
in astuzia certamente, ma il motivo della sua diffidenza risiede nel
muro di rivalità che ha innalzato tra noi due. Evidentemente
non
sopporta la concorrenza di un nuovo "studioso sapientone"
accanto, o ancora, molto più probabilmente, mi odia per il
fatto che
dal mio primo giorno Ivan non fa altro che venirmi dietro come un
depravato, oh la gelosia, che sentimento sciocco e futile!
«Acromio!
Dannazione! Sei diventato sordo? Acromio della malora!».
Ah, quel vecchiaccio vuole qualcosa di nuovo, non posso
rilassarmi un momento. Mi volto verso di lui, poggiando la schiena
alle sbarre: «Ghecis?
Dimmi pure, ti stavo ascoltando, mentre contemplavo quel quadretto
patetico composto dai cattivoni di Hoenn…».
«Non
mi interessa! Vieni subito qua, non riesco ad alzarmi, e una
bastonata in testa non te la leva nessuno! Che sia la volta buona che
tu ti morda quella lingua biforcuta!»
cerco di non ridere, è troppo ridicolo quando sbraita, preda
degli
acciacchi della vecchiaia.
«Ghecis,
se mi dici così io non mi avvicino. Le cose vanno chieste
con una
certa gentilezza, non sono il tuo valletto».
Digrigna i denti nervosamente e prova a calmarsi con un sospiro,
una calma forzata e artificiosa, e mi rivolge nuovamente la parola:
«Acromio,
dammi una mano a tirarmi su. Mi duole il femore, quest'oggi».
Inizia a farmi seriamente pena anche lui adesso, e ancora non sa la
bella sorpresina che gli ho preparato.
«Andiamo
Ghecis, afferra la mia mano e tirati su».
Lo aiuto a mettersi in piedi, nonostante la sua stazza non
indifferente che raggiunge i due metri in altezza, e per motivi di
sicurezza, rimango con lui mentre il resto degli altri detenuti va a
fare colazione. Io mangerò dopo, e sceglierò
personalmente cosa
mangiare, una delle tante piccole comodità che spettano a
chi
collabora con la giustizia! Attendo pazientemente e finalmente le
nostre guardie personali vengono a prelevarci. Le saluto
cordialmente, solo per far arrabbiare Ghecis che continua a
comportarsi in modo ostile verso tutti.
«Ma
buongiorno! Mi auguro siano rimaste uova e pancetta questa mattina,
sarebbero l'unica cosa capace di mettermi in moto stamani»
«Scienziato,
ti stai prendendo troppe libertà, ti ricordiamo che sei pur
sempre
un detenuto accusato di crimini contro i Pokémon. Abbassa le
tue
aspettative».
Sospiro
e mi becco anche uno scappellotto da Ghecis, mi massaggio il capo e
taccio, il vecchio non deve sapere del traffico di informazioni. A
sua insaputa veniamo portati direttamente in sala operatoria, senza
passare dall'infermeria com'era solito avvenire. Leggo il
disorientamento nei suoi occhi.
«Acromio,
perché siamo qui? Non erano questi i patti! Che significa
tutto
ciò?». «Visita
di routine, avanti non fare così, mettiti sul lettino e
attendi
pazientemente che i dottori…».
«Figlio
di un raticate! Oggi ti squarto!»
è pronto a prendermi a bastonate, peccato che sia troppo
lento e che
intanto sia stato bloccato da ben cinque infermieri che tentano in
tutti i modi di tenerlo a letto. Non l'ha presa bene il vecchiaccio,
no no!
Me la svigno rapidamente e mi faccio scortare dal
direttore, mi siedo alla scrivania di fronte a lui e lo ascolto,
mentre consumo la mia deliziosa colazione al bacon. Non mi metto mai
all'opera, se prima non mi danno il mio carburante.
«Scienziato,
innanzitutto ti ringraziamo per la collaborazione, siamo già
riusciti a stanare i restanti del team Plasma e un tenente degli
Idro. Di questo passo, potresti addirittura meritarti gli arresti
domiciliari».
«Arresti
domiciliari? Interessante. Ma non ho una residenza tutta mia, dove mi
stiperete?».
«Spiraria.
Avrai una residenza tutta tua, ma sarai costantemente sorvegliato e
non potrai allontanarti dal raggio di un chilometro».
«Interessante,
ma non basta. Io voglio un laboratorio fornito delle più
sofisticate
attrezzature, dove poter continuare le mie ricerche..»
«Avrai
anche quello».
Rispondo
con un ampio sorriso e mi scintillano gli occhi a quella frase!
Finalmente potrò lavorare per me senza dar conto a nessuno,
pagato e
mantenuto, dedicarmi alla scienza per tutta la vita, non potrei
chiedere di più. «D'accordo
direttore, sono a sua totale disposizione. Qual è il mio
prossimo
compito?».
«Cyrus.
Devi riuscire a scoprire che fine ha fatto il team Galassia,
innanzitutto. Questo non basta però, lui è
l'unico umano ad esser
sopravvissuto al Mondo Distorto e vogliamo saperne qualcosa a
riguardo. Pensi di esserne all'altezza, scienziato?»
mi
porge scartoffie e documenti riguardanti quell'uomo, mi metto a
leggere il tutto con attenzione, so ben poco di Cyrus, ma scopro cose
alquanto allettanti su di lui. Mi sta già simpatico, per il
solo
fatto che dicono sia privo di emozioni ma colmo di risorse ed
intelligentissimo.
Sarà
un piacere farlo cantare. Restituisco piatto e posate e mi alzo, sono
proprio curioso di vedere come se la sta passando il mio vecchio.
Varco la soglia della sala operatoria: sono da poco riusciti a sedare
quel bestione, accanto a lui vi sono ben tre anestesisti pronti ad
agire in caso di risveglio improvviso, un infermiere che gli tiene
bloccate entrambe le gambe ed infine altri quattro chirurghi che si
stanno occupando dell'operazione vera e propria. Indosso anche io uno
di quei camici bianchi sopra alla divisa da carcerato e mi avvicino
cautamente alla scena. Anche a me, durante degli esperimenti mal
riusciti, capitava di dover amputare uno o più arti alle mie
cavie,
ma non sono mai sopravvissute all'intervento. Solo adesso ne capisco
il motivo! I chirurghi hanno innanzitutto bloccato la circolazione
sanguigna del braccio di Ghecis, passaggio che ho sempre sorvolato.
Ah, ad averlo saputo mi sarei risparmiato ore ed ore di pulizia dei
residui delle emorragie fatali di quei Pokémon ormai
inutili. Ecco,
adesso stanno procedendo al taglio vero e proprio a metà
dell'omero,
sarebbe un vero peccato se… uhm! Scaffali ricolmi di
siringhe e
flaconi di ogni tipo. Approfitto della loro distrazione e ne
rubacchio qualcuno che finisce dritto nelle mie tasche, insieme a un
bel bisturi.
«Posso
tenermi il camice, non è vero? Mi fa sentire più
sicuro..».
«Fa'
che vuoi, ma adesso esci di qui, non vedi che siamo occupati?».
«Oh,
perdonate l'intrusione allora».
Me ne esco dalla stanza e intanto noto con piacere che il
trasferimento di cella è avvenuto: ora non sarò
più con Ghecis,
bensì con il comandante del team Galassia, per facilitarmi
l'interrogatorio ma soprattutto per evitare la furia iraconda del
vecchiaccio dopo questa sgradita "sorpresina". Era certo di
poter recuperare la funzionalità del braccio tornando di
nuovo da
Kyurem, ma io ho convinto i medici che si trattasse di gangrena da
curare il prima possibile e che quello che confabulava Ghecis era
frutto della sua immaginazione e della vecchiaia.
Con puntualità
impeccabile, mentre tutto il resto dei detenuti è ancora
fuori a
godersi l'oretta d'aria, Cyrus viene ricondotto in camera come avevo
richiesto, onde evitare di render pubblico il mio operato. Eccolo
lì,
con la sua altezza imponente, spalle larghe e solide, fisico snello
ma incredibilmente robusto, che presenta qualche accenno di
affievolimento dovuto forse alla scarsezza di cibo che vige qui, e
ciò mi lascia immaginare a quanto dovesse esser stato
maestoso
costui prima di finire dietro le sbarre! Ma ciò che
più mi colpisce
è il suo sguardo incredibilmente gelido che schizza per un
istante
su di me, mi scruta, mi contempla, mi analizza… e dopo aver
raccolto informazioni nel giro di un secondo si abbassa e viene
appena appena velato da un battito di palpebre, e così
rimane,
semichiuso, mentre placido egli si accomoda sul letto, accanto a me,
e fissa il pavimento senza apparente motivazione. Ha le mani legate
con una fune dietro la schiena, e questo non va bene! Avevo detto di
lasciarlo libero, perché non mi danno ascolto? Non esito a
sciogliergli il nodo e liberargli i polsi, segnati da escoriazioni
cutanee, mentre noto che per un brevissimo istante la sue pupille si
erano rivolte a me, segno evidente che diffida, di me.
«Un
uomo così alto e forte che fa il timido con questo misero
quattrocchi? Su, non aver timore e guardami in faccia, se proprio
devi. Non fai altro che spararmi occhiatine fugaci da quando sei
entrato!».
Mi alzo dal suo letto e inizio a camminargli davanti, su e
giù,
guardando per terra in modo da lasciarlo libero di studiarmi senza
che si senta in soggezione. Non accenna ad aprir bocca, mi
toccherà
nuovamente rompere il ghiaccio. «Oh,
perdonami, sono stato molto scortese a non presentarmi. Dunque, io
sono Acromio, mente geniale dell'ormai sciolto team Plasma. Sono uno
scienziato anche io, non penserai forse che questo camice ce l'abbia
per bellezza? Anche!»
sfoggio un sorriso per smorzare la tensione, un sorriso che lascia il
tempo che trova. «Sei
più laconico di quanto pensassi. Vuoi che sia io per primo a
parlare, e ti dirò subito che nutro profonda stima per te!
La storia
delle tue eroiche gesta è giunta anche ad Unima, addirittura
il
grande Ghecis ti teme! Sai che onore e che fama? Adesso devi dirmi
come hai fatto a costruire la rossocatena,
forse non uscirò mai fuori di qui, non avrò mai
la possibilità di
farne una tutta per me, ma ti sarei infinitamente grato se mi
svelassi il procedimento».
A quel punto mi blocco esattamente di fronte a lui e mi chino,
alzandogli il mento con un dito per metterlo faccia a faccia con me.
Ci ammiriamo intensamente per un tempo indeterminato, troppo
concentrati l'uno nel carpire le intenzioni dell'altro, due, tre,
quattro battiti di ciglia, Cyrus rimane impassibile, inizio
seriamente a sospettare che abbia, come dicono, qualche problema
psicologico dovuto al trauma. No! Non può essere
così, sta solo
recitando, esperto com'è a nascondere ogni tipo di emozione.
Mi
sento quasi a disagio in questa situazione, sotto scacco, non
otterrò
nulla se continuerà a fingere, e continuerà a
farlo! Sono disposto
a tutto pur di raggiungere i miei obiettivi, e questo caso non
rappresenta per alcun motivo un'eccezione alla regola. Lo afferro con
una certa determinazione per la mandibola e mi avvicino ancor di
più
a lui, prima piano, poi con uno scatto rapido e impercettibile
finalmente le nostre labbra s'intersecano in una sorta di violento
bacio, le mie palpebre automaticamente si serrano. L'azione
è
celere, percepisco appena la bocca di Cyrus schiudersi in un sussulto
e allontanarsi di qualche millimetro dalla mia, sento il suo fiato
spezzarsi sul mio e i suoi occhi puntati su di me. Questo non mi
basta, la mia mano sulla sua mascella è ancora ben salda, lo
avvicino per la seconda volta senza che lui opponga resistenza,
scosso com'è dal mio comportamento, e trovo le sue labbra
ancora
semiaperte ad accogliere le mie. Sta ansimando, la sua lingua tremola
e indietreggia per evitare il contatto con la mia. Mi va bene
così.
Lo mollo immediatamente tornando in posizione eretta e lui riprende a
respirare rumorosamente, lasciando piombare la testa verso il basso
per non farsi vedere in quella condizione. Ritorno seduto accanto a
lui e scorgo sulle sue gote e sui suoi zigomi un lieve rossore in
contrasto alla sua candida pelle, chiara conseguenza di un certo
imbarazzo. Sono soddisfatto al 50%, questo azzardo mi era necessario
per capire se effettivamente fosse privo di emozioni e coscienza, in
modo da evitare un interrogatorio che sarebbe terminato con un buco
nell'acqua. Non gli dò neanche il tempo di realizzare il
tutto e
riprendersi, che la mia mano gelida scorre lungo il suo collo,
traccia il contorno dello sternocleidomastoideo fino a raggiungere il
punto esatto in cui si sente pulsare l'arteria (eccome se pulsa!) ed
infine con l'altra gli conficco l'ago della siringa, iniettandogli
una buona dose di lorazepam rubato in precedenza che lo
terrà
tranquillo e quieto per un bel po'. Lorazepam!
Che sedativo eccezionale. Veloce e duraturo, una sola boccetta
calmerebbe anche un Bouffalant infuriato. Ecco che la mano incerta di
Cyrus si allunga fremendo verso la puntura, gliela afferro
accarezzandone il dorso col pollice e la rimetto come prima, posata
sulla sua coscia. «Non
è niente, non ti ho avvelenato. Ti ho solo somministrato un
calmante, voglio assicurarmi che tu non sia arrabbiato con me e non
voglia vendicarti. Certo che no! Perché mai? Non dirmi che
era il
tuo primo bacio quello..!».
La sua respirazione torna normale, poggia i gomiti alle ginocchia e
si regge la testa, segno dell'effetto imminente del farmaco. «Chi
tace annuisce. Il mio sarà il primo e l'ultimo bacio che
ricevi, se
adesso non collabori. Non penserai certo che ti abbia sedato per
farti dormire, hm?».
Scuote il capo indolenzito e poggia una mano sul bordo del letto,
quindi con le buone lo faccio accomodare sul giaciglio, gli afferro
le caviglie e gli distendo anche le gambe sul materasso, la
comodità
è tutto. «Adesso
va meglio, vero? Vedi di non lasciarti cadere tra le braccia di
Morfeo, o sarò costretto a destarti bruscamente. Fatta
questa
premessa, adesso risponderai a tutte le mie domande. Dovresti ben
sapere che la curiosità per uno scienziato è
tutto, quindi non hai
speranza di sfuggirmi. Primo quesito! Come hai costruito la
Rossocatena?».
Mi allontano da lui e vado a controllare l'orario, ho ancora 55
minuti prima del ritorno degli altri detenuti. «Allora?
Hai avuto parecchio per pensare, esigo una risposta».
Poggio le mani sullo schienale del lettino e lo fisso, mentre si
copre la visuale con un polso, infastidito dalla luce. «Cyrus,
non è il momento di dormire. Se collaborerai ti
lascerò in pace, mi
sembrano chiari i patti».
Che abbia abbondato con la dose? Improbabile, il suo corpo dovrebbe
essere in grado di reggere, ma non si sa mai. Faccio il giro e salgo
sul materasso, sprofondando seduto a cavalcioni sul suo ventre,
facendolo trasalire di colpo.
«Oggi
ho proprio la testa tra le nuvole! Ho dimenticato di dirti una cosa
importantissima. Ascolta, ho fatto occasionalmente disattivare la
telecamera della tua stanza, quindi per ancora 50 minuti potrai
comportarti normalmente senza che nessuno si accorga di te. Avanti,
è
la tua occasione! Là fuori pensano tutti che tu sia
psicopatico, non
sarò certo io a rovinarti la reputazione».
Si stropiccia gli occhi, ormai appannati da un sonno incombente,
arrossati e lacrimanti e tenta con le forzute mani di spodestarmi
dalla mia posizione, ma non mi ci vuole nulla a bloccargli i polsi
per rimetterlo in riga, indebolito com'è. Ma forse ha
ragione, sono
seduto sul suo stomaco e ciò gli dà fastidio.
Scivolo un po' più
dietro e, stufo di attendere, estraggo dalla tasca del mio camice
l'affilatissimo bisturi della sala operatoria, puntandoglielo
esattamente sullo sterno. «Sai,
il fatto che non ci sia sorveglianza è un'arma a doppio
taglio. Non
vedono te, ma neppure me, e quindi sono libero di agire coi metodi
meno ortodossi. Non ti metterai a gridare, certamente, non è
da te.»
Contrae gli addominali, forse tenta di alzarsi, ma si trova stretto
nella morsa delle mie gambe e abbandona l'idea di sollevarsi. «Lascia
stare la Rossocatena,
parliamo di qualcosa di più importante. Ah, e guai a te se
provi a
temporeggiare!»
per fargli capire che faccio sul serio, infilzo la lametta sotto il
pettorale sinistro, tracciandone tutto l'arco di contorno, lasciando
che un piccolo rivolo di sangue prenda a sgorgare. «Ora
quello che ha fretta non sono più io, ma sei tu. E se muori,
dico
che ti sei suicidato e mi crederanno. Non se ne fanno nulla del tuo
corpo, non hai parenti, non hai amici, nessuno verrà a
reclamare la
salma o a sporgere denuncia verso la struttura. Hm? Ora che ci penso,
solo soletto non sei. Gli altri comandanti del Team Galassia? Loro
dove sono, adesso?».
Lascio il bisturi conficcato nella sua carne e osservo il suo viso
contrarsi in uno sbuffo di sofferenza. Potrà anche essere
immune
alle emozioni, ma non al dolore fisico. «Cyrus
allora? Non vorrai porre fine alla tua splendida esistenza qui e
oggi! Voglio sapere che fine hanno fatto i tuoi colleghi, m'interessa
e forse so come contattarli. A loro certamente importerà di
te,
farebbero di tutto per venirti a prendere».
Attendo
ed estraggo la lama, un piccolo fiotto di sangue m'insozza la divisa,
incrocio le braccia al petto e aspetto. Non pare importargliene molto
del suo futuro, tanto meno dei suoi collaboratori, devo far leva su
qualcos'altro. «Sai,
ho iniziato la mia carriera di scienziato come biologo. Avevo
scoperto questa mia passione vivisezionando piccoli e docili
Pokémon
nel mio laboratorio improvvisato nel garage di casa. Non disponevo di
sedativi chimici, quindi mi limitavo a inchiodare i loro arti ad un
pannello ligneo. Pensavo, oggi potrei improvvisamente appassionarmi
all'anatomia umana! Non ho mai riservato lo stesso trattamento ad un
umano, ti andrebbe di essere il primo?»
sfoggio un sorriso tra i più maliziosi e freddi, ma non noto
nessuna
reazione in lui. Stiamo perdendo troppo tempo, con un veloce fendente
gli procuro una lacerazione diagonale lungo tutta la palpebra e parte
dello zigomo, destando di nuovo la sua attenzione. «Con
te non sarebbe divertente una cosa simile, non emetteresti un singolo
gemito. O forse mi sbaglio? Le urla di dolore sono musica per le mie
orecchie!».
Faccio
roteare davanti ai suoi occhi il coltellino, le sue pupille
spalancate seguono ogni mio movimento con evidente terrore,
è
prossimo a confessare?
Invano
muove confusamente la mano sinistra per togliersi l'arnese davanti,
ma la mia è più veloce e ne approfitto per
infliggergli altri
taglietti sul viso e sulle mani. Adesso basta giocare, glielo punto
esattamente sulla trachea lasciando scivolare il gelido fil di lama
sul pomo d'Adamo, senza infierire, quanto basta per tenerlo in
guardia. «Perché
ti opponi in questa maniera? Disprezzi davvero la tua vita? Genitori
assenti, infanzia difficile, forse anche abusi in famiglia…
è quel
che dicono, è per questo che sei così? Avanti
parla!»
sono incerto che la tortura psicologica funzioni con un soggetto
simile, ma tentare non mi costa nulla, il tempo stringe e non ho
ancora ottenuto niente di tutte le cose che voglio sapere. «Forse
si sbagliano. Forse la caduta nel Mondo Distorto ti ha rimbambito,
penserei davvero che tu sia un rimbambito se solo non ci fosse quella
perfetta architettura di specchi sull'architrave che da qui riesco a
vedere. Ingegnoso, davvero ingegnoso. Tranquillo, non dirò
nulla di
tutto questo, nessuno sa niente. Piuttosto, adesso hai risvegliato
un'altra mia curiosità. Com'è il Mondo Distorto?
Cosa c'è laggiù?
Buio? Antimateria? Assenza di tempo?».
Scosto
il bisturi e lo passo, leggermente premuto, lungo tutti i suoi
pettorali marmorei, gli addominali, i fianchi e il costato,
tracciando circonferenze e linee che ben presto si vivificano di
rosso scarlatto e, ordinate e lente, si riversano cremisi sulla sua
pelle eburnea, irrorando ogni solco, ogni fessura, ogni incavo,
mischiandosi le une nelle altre, ribollendo di fredda
vitalità e
terminando il corso in tante piccole cascate che si riversano sul
candido lenzuolo. L'uomo inizia a tremare sotto di me, ma non si
agita per evitare che il battito cardiaco aumenti e perda
più
sangue. Mancano
solo 10 minuti al ritorno degli altri, non posso lasciare le cose
così.
«E
va bene Cyrus, sei stato più bravo di me. Non sono riuscito
ad
estorcerti niente, neppure coi mezzi più illeciti. Questo
è un vero
peccato collega, sai perché? I superiori hanno detto che
vogliono
disfarsi di te, che tu non servi in queste condizioni. Sei solo un
peso inutile e le spese per uno psichiatra costerebbero troppo e
sarebbero di esito incerto. Era la tua ultima chance quella di
collaborare con me, oggi stesso decideranno quando e come condannarti
a morte. Se nel frattempo non muori dissanguato, ovviamente. Ma
dovresti resistere, non ti ho reciso alcuna vena».
Sfogo tutta la mia frustrazione per non esser riuscito nella mia
missione con una sguaiata risata di sadismo, fissandolo trucemente da
dietro le lenti dei miei occhiali: «Speravi
di poter scappare, vero? Carino il tuo piano, ammiro la tua
atarassia, ma non sempre la pazienza è la virtù
dei forti. Ci
rivedremo all'inferno!».
Non mi era mai successo che qualcuno rimanesse zitto sotto le mie
torture, ottengo sempre quello che voglio e proprio per questo sono
uno scienziato ricercatissimo, l'idea che una cavia non abbia ceduto
mi sconforta parecchio, sebbene Cyrus non sia una cavia qualunque.
Con entrambe le mani gli serro la gola in una morsa e inizio a
stringere… Stringo, stringo, premo i miei polpastrelli sui
suoi
nervi, tendini e muscoli, mentre le mie gambe gli immobilizzano il
busto e le braccia distese lungo esso. Spalanca finalmente le
palpebre in un'espressione terribile, glaciale, non più
apatica e
vacua come prima, riesco quasi a percepire i suoi pensieri attraverso
quelle iridi così squisitamente cerulee e delicate da
farmici
perdere! Basterebbe fermarsi un attimo a contemplarlo per venire
irrimediabilmente affascinati dall'aura di imponenza e
solennità che
emana, che sia questo il segreto di tanta adesione al Team Galassia?
In questo momento uno dei suoi occhi è rigato dalla sferzata
di
prima e la sclera s'è tinta di porpora, fiammeggia, rendendo
maledettamente più viva e concreta tutta l'ira e la vendetta
che sta
covando dentro nei miei confronti. Vorrebbe, gli piacerebbe potermi
uccidere, e l'idea che non possa farlo mi aggrada come poche cose in
questo mondo. Inizia a non ricevere abbastanza ossigeno, il suo
fisico freme e finalmente apre anche quelle belle labbra sottili e
armoniose alla ricerca di più aria. Ansima, singhiozza,
soffoca
gemiti nel profondo della trachea che adesso riesco quasi a sentire
sotto la mia pelle, attendo che stia quasi per perdere i sensi e
allento la presa, piano, gradualmente, dandogli appena il tempo di
calmarsi e, a quel punto, alla sua prima distrazione, mi precipito
sulle sue irresistibili labbra, assaporandole con avidità e
malizia
quasi fossero di mia proprietà. La sua fiacchezza gli
impedisce di
reagire e l'occasione fa l'uomo ladro, non mi accontento e
m'impossesso anche della sua bocca ammaliante dal piacevole sapore di
cacao, dei lembi, delle guance, degli zigomi irsuti e appuntiti,
della fronte e delle palpebre, che lambisco bramosamente togliendo
via ogni goccia del suo prezioso sangue dal sapore divinamente
metallico.
Negligo
momentaneamente lo scorrere del tempo, percependo un altro tipo di
scorrere, quello delle mani di Cyrus sui miei fianchi, un tocco
spasmodico, confuso, palpitante, ma estremamente piacevole e
delicato. Lo lascerei fare per tutto il raggio di durata del
Lorazepam, ma la campanella che indica il termine dell'ora d'aria
è
appena squillata e, anzi, sono anche in un certo ritardo. Balzo
giù
dall'uomo e mi prendo la briga di coprirlo fin sopra la testa con il
lenzuolo, per permettergli di dormire e soprattutto di non esser
visto dagli altri, e con "altri" intendo specialmente
Maxie. Cyrus è la MIA cavia e solo io posso occuparmi di
lui. Mi
appendo alle sbarre e richiamo l'attenzione di una guardia, dalla
quale mi faccio scortare nella camera del direttore per fare
rapporto.
«Sono
immensamente desolato dell'insuccesso. Temo di necessitare di qualche
giorno in più per ottenere qualche risultato».
«Ancora
niente? Hai avuto un'ora abbondante. Dunque sentiamo, sei riuscito
almeno a farlo parlare, anche solo una parola?».
Digrigno
i denti quasi a sorridere, in realtà non sto facendo altro
che
celare la mia frustrazione: «Nessuna
parola. Ma gli occhi, i suoi occhi, comunicano più di mille
parole.
Comunicano la pazzia latente che lo divora, giorno dopo giorno, la
totale assenza di ogni sentimento umano, l'atarassia da ogni
emozione. Cyrus è un corpo senz'anima, direttore, le chiedo
una
cortesia. Qualora riuscissi a dimostrarle che è incapace di
intendere e di volere, lei me lo lascerebbe per alcuni…
esperimenti?».
«Cosa?
Che genere di esperimenti? Sai che va contro i diritti umani fare
questo genere di cose, non posso concederti un permesso simile».
«Niente
di crudele o disumano, direttore. Dai documenti risulta che
dall'arrivo di Cyrus in questa struttura mai nessuno si è
recato a
fargli visita. Deduco che non abbia famigliari, ergo nessuno
verrà a
sapere niente e la reputazione del carcere rimarrà al
sicuro.
Allora, me lo concede?»
lo fisso intensamente con fare docile e mite, sperando in un consenso
che ben presto arriva. Mi alzo trionfante dalla scrivania e seguo una
sentinella che mi conduce in una stanza sotterranea del carcere: una
sala enorme, illuminata da potentissimi neon pensili, pavimento
lucidissimo e riflettente, file e file di scaffali metallici
contenenti miriadi di strumenti interessanti e altrettanti tavoli da
autopsia con tutte le attrezzature necessarie. Sarà qui, il
luogo
del prossimo "colloquio". Mi precipito, con la gioia di un
bambino, verso un microscopio elettronico di nuovissima generazione,
capace di ingrandire di sei milione di volte un minuscolo frammento
in osservazione. Mi trovo talmente a mio agio che rimarrò
qui fino
al termine della giornata.
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Capitolo 7 *** 7. Be here again [By Lily] ***
7. Be here again
7. Be here
again
By Lily
Il
mio amico.
Il mio migliore amico.
È stata tutta colpa mia se
Alan è finito dietro alle sbarre da circa una settimana, non
dovevo
rivelare quelle informazioni segrete ad Acromio, mi sono comportato
da verme e adesso devo pagarne le conseguenze. Sono giorni che Max
non mi rivolge più la parola o cerca di evitarmi,
evidentemente è
stato abbastanza in gamba da capire ciò che è
successo con il
secondo scienziato. Volevo comunque consumare un rapporto con un
altro uomo, non posso biasimarlo.
In questo istante è in vigore
l’ora d’aria e sono seduto su una sedia diroccata,
alle spalle ho
le mura del carcere e sono abbastanza lontano dal resto dei detenuti,
ho deciso che un drastico isolamento mi sarà utile se voglio
trovare
un modo per rimediare ai guai. Ma sono dell’idea di procedere
a
passo lento, l’ultimo con cui tornerò a parlare
sarà sicuramente
Max.
Il mio Max.
Nemmeno oggi è uscito dall’edificio per
passeggiare lungo il cortile, resta dentro alla cella per controllare
Cyrus.
Cyrus, sì, quel maledetto vegetale dalla chioma azzurra.
Abbiamo saputo dalle sentinelle che quel bastardo, non appena
è
rimasto da solo, ha provato a auto infliggersi delle ferite e nessuno
è in grado di spiegare bene le dinamiche
dell’incidente. Solamente
Max è così preoccupato per lui che non
è in grado di accettare la
storia dell’autolesionismo, sta puntando i nastri della video
sorveglianza come un cane da tartufo e, se continua di questo passo,
le guardie lo puniranno e io non potrò fare nulla per
fermarle.
Dannazione.
Anche questa non ci voleva.
È passato
poco tempo dall’inizio della pausa giornaliera,
però questi mille
pensieri sono già riusciti a farmi venire il mal di testa.
Per cui
ho afferrato l’unica sigaretta che tenevo nascosta,
è un miracolo
se non si è spezzata dentro al taschino della tunica,
l’ho accesa
con un gesto veloce della mano e ho guardato il panorama ostile che
offre il cortile. Ho notato subito la figura imponente di Ghecis. Sta
zoppicando verso la mia direzione e a malapena si regge in piedi, non
ha più la faccia temibile con la quale si è
presentato, sembra più
un anziano bisognoso di cure e attenzioni. È rimasto solo
come me,
forse sono l’unico qua che lo capisce veramente.
«Posso…?».
Questo
è stato il suo unico commento, vuole sedersi.
«Certo,
certo, fai pure Ghecis»
la mia risposta è stata piuttosto chiara, quindi ho liberato
il
posto senza esitare.
«Grazie».
E
poi si è accomodato con dei movimenti molto goffi, ha
sbuffato per
trattenere un’imprecazione e si è messo a guardare
il carcere. Il
silenzio è scivolato tra di noi. Inutile dire che
l’ho spiato per
diversi minuti, devo ammettere che non voglio invecchiare in quel
modo.
«Cosa
hai da guardare, Ivan?»
«Niente,
niente, ero solo perso nei pensieri»
«La
pianti di ripetere sempre le stesse parole? Sembri un disco
rotto»
«Scusa»
«Non
fa niente, pare che parlare in questo modo sia molto comune tra voi
del Team Idro. Ho avuto modo di conoscere il tuo amico, non ricordo
come si chiama, ma anche lui non è il tipo che brilla con il
lessico. Faccio ancora fatica a comprenderlo, sono sincero».
Sono
rimasto spiazzato dalle sue parole, talmente tanto che mi è
caduta
la sigaretta dalle labbra: davvero Ghecis si è messo a
parlare con
Alan? E in quale circostanza? Impossibile. Non riesco a credere che
sia vero. Come mai tutti questi cambiamenti? Cosa sta succedendo?
«Tu
hai parlato con Alan?»
«Sì,
il giorno in cui è arrivato. Non guardarmi in quel modo
Ivan, non
sono stato io che l’ho cercato»
«Ah,
davvero?»
«Esatto.
Avevo finito l’operazione quando mi hanno concesso
l’ora d’aria,
alcuni carcerati volevano approfittare della mia nuova condizione, ma
lui è riuscito a farsi rispettare. Sembra che il tuo amico
detesti
la prepotenza».
Adesso
la situazione è davvero più chiara, conosco
benissimo Alan e in fin
dei conti è sempre stato il tipo pronto a difendere i
più deboli,
per cui lo stupore è già passato. Non
è un caso se ha cominciato
ad allenarsi con una frequenza assurda, voleva essere abbastanza
forte da proteggere le Reclute del Team, Ada e me.
«Alan
ha avuto i suoi motivi per prendere le tue difese Ghecis, grande e
grosso com’è poteva farsi rispettare anche senza
alzare un solo
dito. Non è difficile spiaccicare quella mandria di
acciughette
salate, specialmente se si è provvisti di muscoli come i suoi».
Non
potevo descriverlo con parole migliori il mio fedele idro tenente e,
per un solo attimo, i miei occhi sono scivolati sul resto cortile, da
qui riesco a identificarlo benissimo. È vicino alla
recinzione che
separa gli uomini dalle donne, ovviamente sfrutta l’assenza
della
maglia per mettere in mostra i pettorali. Non è un caso se
oggi
molte donne sono vicine alla zona degli uomini, di solito le femmine
snobbano tutti.
Maledetto farfallone, è disposto a vendersi la
madre pur di attirare l’attenzione.
«Ne
sono consapevole, Ivan».
La mia realtà è appena tornata da Ghecis, mi
domando se anche lui
ha notato l’atmosfera che si è creata a pochi
passi da noi: «Mi
chiedo come mai non sei andato a salutarlo, sono giorni che ripete a
tutti il tuo nome. Ti sta cercando».
Ecco
che iniziano le famose note dolenti e sono insicuro se aprire o no la
bocca, sapevo che prima o poi il discorso avrebbe avuto una svolta
del genere. Devo forse prendere la palla al balzo e liberarmi? Oppure
diffidare? Ghecis è comunque il collega di Acromio, quel
bastardo
dalle buone maniere. Però di recente ho notato che
è rimasto solo,
è pure riuscito a crearsi un discorso con Alan, forse devo
procedere
con estrema calma. Non è il momento adatto per commettere
altri
errori.
«Dubito
che mi tratterà come un fratello, dopo quello che
è successo»
«Cosa
hai combinato, Ivan?»
«Il
tuo amichetto non te ne ha parlato, Ghecis? Si è avvicinato
a me
solo per farmi canticchiare, poi da buon canarino è andato a
riferire tutto alle autorità. Se Alan si trova qui dentro,
è solo
colpa mia»
«Canarino,
hai detto?»
«Sì
canarino, hai capito bene Ghecis. Oltre al Leader dei Magma era
l’unico ad avere delle informazioni riguardo al rifugio, e
Max non
è così subdolo per fare del male a qualcuno»
«Non
ti giudico per ciò che hai fatto Ivan, però ti
sarei grato se tu mi
ascoltassi»
«Certo
Ghecis, dimmi tutto»
«Conosco
fin troppo bene quella dannata faina, ormai è chiaro che sta
piantando discordia solo per ottenere qualcosa. Per cui noi Leader
dobbiamo cercare di eliminarlo, non possiamo lasciare che si muova
indisturbato».
Ghecis
non aveva tutti i torti per questo ho promesso di schierarmi dalla
sua parte, in effetti solo con un’alleanza ferrea si
può
combattere un nemico simile. Ma come? Non è un progetto
facile da
realizzare. Assolutamente.
Giovanni non ha alcun legame amichevole
con Ghecis, sono sempre sul punto di farsi la guerra. Max e io siamo
separati da un litigio bello tosto, mai ha tenuto il muso per
più di
una settimana. E Cyrus…Beh… Lui è il
primo soggetto su cui non
farei mai affidamento, quindi l’ho eliminato immediatamente
dalla
lista. È evidente che si tratta di un tipo mentalmente
instabile,
potrebbe reagire in modo negativo al primo accenno di stress, non
voglio mettere in pericolo la vita degli altri. Specialmente quella
di Max. Se parlassi con il rosso forse lo prenderebbe con le buone
maniere, ma la fortuna non gira dalla nostra parte.
Almeno non per
ciò che vogliamo realizzare.
Accidenti.
«Senti
male Ivan?»
Questa
è stata l’unica domanda che mi ha posto Gerardo
nell’ultimo
quarto d’ora, si tratta di un grande amico che ho
“conosciuto”
durante i lavori forzati, ma in realtà la prima volta che
l’ho
incontrato prestavo servizio come Recluta Rocket, ero molto giovane a
quei tempi e lui era un ventenne dagli occhi scuri che non parlava
molto, a stento si è aperto con me, ma già allora
lo vedevano come
un ottimo scassinatore. Quelle mani sono magiche, veloci e dalle dita
snelle, infallibili ogni volta che le usa per mettersi
all’opera
seriamente.
Devo ammettere che è stato bello notare il suo
cambiamento, però mi si stringe il cuore nel sapere che
dovrà
passare anni dentro a questo maledetto carcere.
La sua condizione
familiare è un po’ triste, ma questo non
è il momento giusto per
ricordarla. Troppo dolore a causa dell’ago, maledizione.
Cercando
di nascondere il nostro passato, mentre si parlava di interessi che
avevamo in comune, all’improvviso quel moretto mi ha proposto
di
farmi un tatuaggio ed io ho accettato senza esitare, è anche
il più
esperto in circolazione quindi la fiducia è molta per lui.
Ovviamente non ho raccontato niente a Max, lui odia talmente tanto
questo genere di cose, che avrebbe fatto un discorso lungo e ben
pianificato per farmi rinunciare all’impresa.
Ma dare retta al
rosso è solo un optional per il sesso, adesso che siamo in
lite sono
sicuro che passeranno mesi prima del prossimo bacio, per cui ho
afferrato la palla al balzo e mi sono fatto rinchiudere nella cella
del mio amico. Sono adorabili le sentinelle quando sei uno scagnozzo
di Giovanni, ti permettono di fare cioè che preferisci solo
perché
nomini il suo nome. Naturalmente ho sfruttato i servigi dati in
precedenza, nessuno è a conoscenza del piano che
metterò in piedi
insieme a Ghecis. Ancora dobbiamo discuterne nei minimi dettagli,
perciò mi reputo dalla parte del buon vecchio boss.
In questo
momento sono circondato da ben cinque detenuti, in realtà
sono i
compagni di cella di Gerardo e non possono stare altrove, percepisco
un dolore immenso e mi sto consolando con una sigaretta che ho
scroccato. Ma sono pronto a sopportare questo malessere, visto che
sul braccio sinistro avrò una bellissima ancora circondata
dal corpo
maestoso di un Gyarados. Potente Pokémon degli abissi,
talmente
feroce che non ho mai avuto il coraggio di allenarne uno.
Guarda
caso Cyrus ne tiene uno in squadra, è veramente pazzo
quell’uomo.
«No,
non sento male. Vai pure avanti».
Ho
mentito, ho mentito spudoratamente.
«D’accordo
Ivan».
Ha
borbottato lui, evidentemente la mia espressione mi ha tradito, poi
dai cinque carcerati sono venuti fuori commenti sulla sua opera
d’arte. La stanno apprezzando e ciò mi rende
veramente felice,
sapevo di poter contare su quest’amico.
Chissà se anche Max lo
vedrà di buon occhio. Penso proprio che dovrò
prepararmi a una
bella ramanzina, ma cosa ci posso fare? Resto comunque uno spirito
libero.
Finalmente la tortura è giunta al termine,
Gerardo ci ha messo veramente poco ma ha detto che domani
dovrò
passare da lui per ulteriori ritocchi, però per ora posso
tornare
nella mia cella e sono felice. Mi considero un vero galeotto, adesso.
Ma non è il momento adatto di festeggiare o esultare, anche
perché
sono tornato nel mio spazio e sento lo sguardo di Max addosso.
L’ho
ignorato completamente, poi sono sprofondato tra le coperte ruvide
del letto. Voglio riposarmi e basta, è stata una giornata
molto
faticosa per me.
«Dove
sei stato, Ivan?».
Oh,
finalmente la principessa si è decisa a rivolgermi la parola.
«Da
quando sei diventato mia madre Maxie? Fatti gli affari tuoi, per una
volta»
Ho
borbottato senza calibrare la cattiveria, poi mi sono acceso una
sigaretta sotto ai suoi occhi. Voglio dargli filo da torcere, ancora
non si è capito?
«Con
che coraggio mi parli in questo modo, Ivan? Non sei nella posizione
giusta per essere arrabbiato, sei tu quello che ha sbagliato da
principio. Dovresti solo vergognarti»
«Vergognarmi,
io?!».
Sono
sul punto di mettermi a urlare dalla rabbia, però sono
riuscito ad
alzarmi senza perdere le staffe. Almeno non del tutto. Ho fatto un
tiro alla sigaretta, poi gli ho sbuffato del fumo sul viso.
Al
diavolo le carinerie, al diavolo il tatuaggio. Al diavolo tutto.
Ormai ne ho fin sopra ai capelli di questa storia, non mi interessa
più la sua reazione. Sono abbastanza uomo da decidere
ciò che è
meglio per me, non posso passare la mia esistenza sotto la sua
influenza: «Sei
tu quello che ha cominciato a stare dietro a quel cavolo di nerd, lo
capisco che lo stai facendo per ripicca. Mi credi forse
idiota?!»
«No,
non ti credo idiota Ivan. Lo sei e basta, vedo che la natura non
è
stata molto gentile con te. Ti ha donato dei muscoli, ma vedo che non
si è sforzata per crearti un cervello e…
No, quello che hai in
mezzo alle gambe, di certo non lo è».
E
poi si è sistemato gli occhiali, non ha trattenuto il suo
solito
sorrisetto beffardo. Odioso. Infame.
Sono persuaso dalla voglia di
spaccargli il viso con un solo pugno, non si scherza con il Leader
del Team Idro, ma non voglio attirare l’attenzione delle
guardie e
mettere entrambi nei guai.
«Pensi
che dicendo così mi ferisci, Maxie? Sono anni che me lo
ripeti,
ormai ci sono abituato».
«Forse
perché lo sei, ecco perché ti sei abituato. Passi
il tempo a
preoccuparti solamente di te stesso, di come ti manca il tuo bel mare
e a soddisfare le tue malsane voglie. Hai condannato un tuo amico a
una sorte come la nostra, e per cosa? Per una sveltina con uno
scienziato.
Se prima provavo un briciolo di stima per te, se prima
pensavo che fossi almeno una brava persona, adesso sono sicuro che mi
sbagliavo sul tuo conto e che non ci si può proprio fidare
di
te».
Sento
che il battito cardiaco è accelerato, il sangue scorre
velocemente
nelle vene e la rabbia, mista a un po’ di disprezzo, ha preso
il
sopravvento sulla mia ragione. Una bestia, ecco in cosa mi sono
trasformato.
Ho afferrato il nerd per il colletto della divisa a
strisce, poi l’ho avvicinato ai miei occhi per poterlo
scrutare,
inutile dire che l’ho scosso con un movimento poco galante.
Mi
sento cattivo in questo momento, in collera con l’intero
mondo.
Le
iridi di Max sono a stretto contatto con le mie, sono in grado di
percepire la sua paura, quell’odore inconfondibile ha
penetrato di
netto le mie narici. È quasi piacevole, a dirla tutta.
Ma è mai
possibile che non sono in grado di costruire un discorso, di trovare
le parole adatte per ferirlo emotivamente? Devo veramente ricorrere
alla violenza?
Non mi sento all’altezza di fargli del male, è
solamente andato a toccare un argomento ormai noto a chiunque, prima
o poi doveva arrivare la batosta della verità.
Io lo amo.
E
lui si è innamorato di un verme.
Perciò lo lascio andare e mi
porto alla sigaretta alle labbra, mi dedico a un profondo tiro mentre
lui è già crollato in terra, sta tremando come
una foglia e mi sta
guardando. Forse si sta facendo alcune idee sulla mia prossima mossa,
magari starà cercando di indorarsi la pillola per conto suo,
però
non ho alcuna intenzione di parlargli.
Non adesso. Mai più,
credo.
Non sono ciò che mi aspettavo di essere, ciò che
poteva
accompagnarlo durante il corso della vita. Mi sono illuso,
semplicemente.
Credevo di essere abbastanza forte, capace,
intelligente fino al punto giusto.
Ma quelli erano inutili
castelli di sabbia che ho costruito durante la prigionia,
evidentemente mi aggrappavo a quel corpo esile perché non
avevo
altre consolazioni, infatti è bastata una piccola scossa di
terremoto che i nostri progetti sono andati a terra.
Chissà se è
questo il momento adatto per dirci addio, se la magia di quegli
attimi di puro amore è andata persa, magari devo uscire
dalla sua
vita per non causargli altri dolori in futuro.
Forse soffrirà, ma
sono sicuro che tutto passerà.
Più in fretta di quello che
immagino.
Ormai è inutile continuare a essere la sua
ombra.
«Ivan…»
Ha
mormorato Max all’improvviso, la sua voce trema ma
è già in
piedi.
Mi giro per poterlo osservare con indifferenza, sbuffo il
fumo dalle narici, poi mi attacco nuovamente al filtro marroncino
della sigaretta. L’amore è veramente uno schifo, a
qualsiasi
età.
«Vedo
che ti sei fatto un tatuaggio…»
ha sussurrato allora, evidentemente vuole cambiare discorso, poi ha
accarezzato la pelle olivastra attorno allo schizzo. «Sei
un vero idiota, lo sai? L’inchiostro che viene usato nel
carcere è
dannoso, potresti fare la stessa fine di Ghecis e…»
«Max,
non ha importanza».
L’ho
fermato subito, basta parlare, non me la sento. Sono stanco per la
miseria.
Ancora non ha intuito che è finita?
Maledizione Max,
sei proprio un ragazzino.
Non c’è voluto
molto per separarsi da Max, è bastato avvicinarsi alle
guardie per
chiedere un trasferimento.
Me l’hanno concesso, fortunatamente,
ho afferrato l’attimo più giusto.
Adesso ho Ghecis come
“coinquilino” e devo ammettere che non è
poi così male, alcune
volte lo sento che mi chiama per ricevere un aiuto fisico, è
talmente anziano che non è in grado nemmeno di alzarsi dal
letto.
Pover’uomo, rimanere senza un braccio a
un’età così
avanzata.
Non lo invidio per niente.
Per il resto è molto
silenzioso, è raro udire la sua voce. Il fatto che ancora
non abbia
accennato al piano mi fa innervosire, ma sono dell’idea che
stia
aspettando il momento giusto per farlo, evidentemente qualcosa di
losco frulla in quella mente malvagia.
Ma io non sono in vena di
chiacchierare, questi attimi di silenzio mi saranno utili per
riprendermi dalla batosta, infatti scendo sempre meno dalla brandina
fissa alla parete. Almeno qui posso stare in alto, fin da bambino
avevo il letto a soppalco, mi piace da morire.
Dalla finestra di
questa stanzetta è impossibile vedere il mare, si nota
solamente la
sabbia che ricopre il cortile destinato all’ora
d’aria, piatta,
noiosa e silenziosa. Odio la terra!
Prima Max, poi il mare.
Non
ho più niente per le mani, ma è ciò
che mi merito.
Mi domando a
cosa stia pensando Max, evidentemente dalla separazione ha capito che
è finita, ho preferito lasciare spazio ai gesti e non alle
parole.
Se solo riuscissi ad addormentarmi presto, è un
po’
impossibile dato che Ghecis verso una certa ora inizia a russare,
almeno eviterei di percepire il modo in cui singhiozza.
Sta
piangendo a causa mia, sono io la causa del suo più grave
dolore.
Ho
un peso tremendo sullo stomaco.
Ma sono sicuro che prima o poi
passerà.
Max tornerà a essere felice, quello di un
tempo.
Peccato che allora io non sarò al suo fianco.
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Capitolo 8 *** 8. Velle est posse [ By Xavier ] ***
8. Velle est Posse
8. Velle
est Posse
By Xavier
Quanto
ho dormito? Ma soprattutto, dove mi trovo adesso? Non mi sembra la
mia cella, questa. Un freddo secco, metallico oserei dire, mantiene
serrate le mie braccia lungo il busto supino, abbandonato in un
gelido giaciglio privo d'ogni mollezza che possa accogliere il
fardello devastato del mio corpo. Il clima del Tempio di Nevepoli,
ove io mi recai anni addietro per catturare un esemplare di Sneasel
da annettere al mio Team, è nulla messo a confronto con il
gelo che
aleggia in questa stanza. Sento un languore serpeggiare nelle mie
viscere, da quant'è che non mangio? Sto forse per.. morire?
No, non
posso permetterlo, non prima di essere evaso da qui e non dopo tutti
i miei sforzi di ricerca per un universo migliore. Che miserabile
destino sarebbe il mio, se morissi tra queste sudicie quattro mura
per colpa di uno scienziato esecrando e libidinoso? Non mi interessa
vendicarmi per quello che mi ha fatto, per quanto ignobile e
vituperabile possa esser stato, voglio semplicemente riprendermi e
uscire da qui, per adesso.
Provo a rimembrare cosa sia successo
precedentemente, ma gli unici ricordi che affiorano sono i suoi
fendenti sferrati con sadica crudeltà. Perché gli
uomini sono
sadici, perché amano vedere la sofferenza stampata nei volti
dei
loro simili? Cosa li spinge a spargere afflizione e tormento negli
animi? Ma il caso di Acromio è già più
semplice da analizzare:
voleva delle informazioni ed era disposto a tutto pur di ottenerle.
Già, anche io sono disposto a tutto pur di ottenere il mio
mondo, ma
il mio fine è qualcosa di positivo per tutti, non mi sarebbe
importato se la mia scia si fosse tinta di rosso sangue alla buona
riuscita, ne sarebbe valsa la pena. Il fine giustifica i mezzi,
sempre.
Quello scienziato, lui sì che è un criminale. Il
suo
scopo era il suo stesso egoismo, a che gli sarebbe servito conoscere
i segreti della Rossocatena, se non ad una propria sete di
curiosità?
E le altre faccende sul Team Galassia e il Mondo Distorto? Erano
domande che mi son sentito ripetere sin dal primo giorno di
permanenza in questo penitenziario, e non ho mai dato a nessuno la
soddisfazione di alcuna risposta. Il bastardo dunque spera di essere
scarcerato facendo da spia, collaborando con quella cosa che mi fa
inorridire anche solo a chiamarla "giustizia", se questa è
giustizia, allora davvero non c'è speranza per il genere
umano.
Basta rimuginare a vuoto, devo trovare la forza di alzarmi
e prendere in mano la situazione. Apro gli occhi ma i fasci di luce
che filtrano dalle imposte mi saettano dritti nelle pupille, mi
abbagliano e son costretto a richiuderli nuovamente, coprendomeli con
un avambraccio. Bruciano, uno in particolare, quello sfregiatomi da
Acromio, fatica anche solo a muovere la palpebra. Quantomeno non
sanguina più, ma avrebbero anche potuto applicarmi una benda
sterile
per agevolare la guarigione. Un momento.. perché mi hanno
gettato in
questa specie di obitorio? Non avranno pensato che io sia morto? Se
così fosse me ne scapperei anche ora .. per poi stramazzare
al suolo
dalla fame dopo nemmeno due passi.
Ahaha, faccio così pena!
Non
ho scampo, ma ora un'altra preoccupazione mi torna in mente: la faina
aveva detto qualcosa riguardante la mia condanna a morte, che non mi
avrebbero mandato, come mi aspettavo, in una sorta di manicomio di
riabilitazione, ma dritto dritto al patibolo per risparmiare sulle
spese. No! No non può essere, non dopo due dannatissimi anni
che son
qui a fingere pazientemente e reprimere ogni minimo impulso di
volontà. Perché attendere così tanto,
poi? Mi avrebbero potuto far
fuori dopo appena un anno, senza problemi, quella volta che mi
rifiutai di mangiare per ben tre giorni di seguito, non per
autolesionismo o ripicca, semplicemente perché il cibo
faceva
schifo. Non che qui io possa permettermi le deliziose lasagne di
Baccagrana che sapeva preparare Giovia o i Dolci Gateau alla
marmellata di Baccaliegia di Martes, ma in quella settimana gli
"chef" del carcere superarono loro stessi: quel pane era
vecchio di cinque giorni, duro e ammuffito, l'acqua era un evidente
scarico putrido di qualche pietanza lavata alla buona, e la carne era
di così bassa qualità che per trovare qualcosa di
commestibile e
poco poco nutriente dovetti spezzare gli ossi alla ricerca del
midollo.
Fu Maxie a salvarmi, ad accorgersi che non toccavo più
pietanza; ma sì, lui poteva permetterseli, i cibi decenti,
grazie
agli agganci con Giovanni. Divise la sua "abbondante"
porzione con me, finché io non mi fui almeno in parte
ripreso. In
circostanze diverse avrei rifiutato un gesto così
misericordioso e
pateticamente compassionevole, ma in quel caso lasciai da parte il
mio orgoglio e i miei ideali, lo stomaco vuoto prevalse su tutto, ne
andava di mezzo la mia sopravvivenza. Maxie… avrebbe fatto
lo
stesso, se il cibo non fosse stato abbastanza per entrambi? Oppure si
sarebbe comportato da ingordo egocentrico, come son tutte le persone?
Questo è uno dei tanti quesiti che, in casi come questo, mi
ritornano alla mente, pungolando fastidiosamente le parti
più remote
dei miei pensieri.
Non mi sta proprio andando di alzarmi, sarà
ancora l'effetto del Lorazepam, ma credo che per il momento sia
meglio starmene qui, seduto, con la testa poggiata di lato alla
parete destra, quasi il mio collo non riuscisse a reggerne il peso,
gambe penzoloni dal lettino e occhio semi-aperto, in modo che possa
abituarsi alla nuova luminosità. Coi piedi sfioro il
liscissimo
pavimento che, per quanto possa esser freddo, mi trasmette uno strano
senso di tepore lungo le piante, indice evidente di quanto il mio
corpo sia a rischio di ipotermia. Dove avranno messo i miei vestiti?
Non possono buttarmi in questa cella frigorifera con solo un
asciugamano addosso! Ritiro le ginocchia, serrandole al torace, in
modo da poterle abbracciare e disperdere il meno calore possibile con
una posizione ben chiusa. Sono un uomo di Sinnoh, la regione
più
fredda tra tutte, dovrei reggerlo bene, eppure, ironia della sorte,
sono nato e cresciuto ad Arenipoli, un'energica città sul
mare dal
clima piacevolmente temperato che fa eccezione alla regola, dunque mi
sento un po' a disagio conciato così.
Sebbene
quella città non mi vada a genio, visto tutto quel pullulare
di
gente mattina e sera per via del fiorente mercato, odiosa attrazione
che richiamava turisti da ogni parte, in questo istante ne sento una
fastidiosissima mancanza quasi nostalgica. Era da veramente tanto,
tanto tempo che non ci pensavo. Non m'è mai piaciuto
ripensare al
mio passato, alla mia infanzia in particolare, avvolta da un alone di
malinconia e perpetuamente immersa in una nebbia di mestizia
difficile a diradarsi. Non ho quasi mai conosciuto la spensieratezza
e l'allegria tipica dei bambini, subivo sempre e solo le pressioni
dei miei genitori e avevo addosso il terrore di deludere le loro
aspettative, terrore che ben presto si materializzò in
illusione,
odio, apatia.
Nella
maggior parte dei casi, cosa si aspetterebbero due genitori dal
proprio figlio? Che sia educato, rispettoso, si comporti bene e
ottenga buoni voti a scuola per garantirsi un futuro e l'indipendenza
quando essi saranno divenuti vecchi e bisognosi. Non peccavo in una
sola di queste cose, ma per qualche motivo non era mai abbastanza,
non erano mai soddisfatti del loro pargolo. L'impotenza e la
frustrazione che in questo momento attanagliano la mia psiche altro
non fanno che trascinarmi nel baratro orrendo e sconfinato della mia
mente dove risiedono tutte le mie memorie, rimbombano i miei sbagli e
tutto ciò che mi strugge riecheggia, mi sembra di essere un
oggetto
privo di volontà in balia dello spazio siderale,
m'è bastato un
piccolo stimolo e come per inerzia mi trovo costretto a fare
un'anamnesi di tutto ciò che mi ha portato ad essere quello
che
sono.
Il
naufragar non mi è certo dolce in questo mare…
Mio
padre lavorava come impiegato in un ufficio adiacente alla zona
commerciale della città, per circa 8 ore al giorno e, quando
tornava, non voleva sentir ragioni, né da parte mia e
né da parte
di sua moglie. Non gliene facevo una colpa, il suo lavoro era davvero
una sfida alla pazienza, io non avrei retto un giorno alle prese con
tutti quei clienti, uno più imbecille dell'altro. Lei,
piuttosto,
aveva studiato come stilista ma non era mai riuscita a diventare
famosa e rinomata, non per questo si arrese, sebbene fosse suo marito
a portare soldi a casa, lei dal canto suo confezionava vestiti che
disegnava da sé, e alcune volte qualcuno li acquistava
anche, cosa
che le dava enorme gioia. Io ero molto diverso da loro due, non avrei
mai seguito le loro orme e lo esplicitai più volte, sia
quando mio
padre tornò dal lavoro dicendomi che s'era impegnato
tantissimo ad
ottenere, per me una volta divenuto maggiorenne, un posto nella sua
agenzia, sia quando mia madre espresse il suo volere di farmi entrare
nel mondo della moda, come modello precisamente (lo dicevano tutti
che ero un bel bambino e che una volta adulto avrei potuto far
carriera col mio aspetto), e così appena divenuto abbastanza
famoso
avrei potuto sponsorizzare i suoi capi d'abbigliamento e coronare
finalmente il suo sogno mancato di diventare una stilista illustre e
andare a lavorare a Kalos. I due litigavano, litigavano spesso su
questa cosa, per mio padre, convinto maschilista, sarebbe stato
assurdo se il suo unico figlio maschio avesse trovato impiego in un
"settore femminile", come se i mestieri si dividessero tra
quelli per maschi quelli per femmine, assurdi luoghi comuni di questa becera società. Mia madre, tutto al
contrario, avrebbe voluto una figlia femmina che avesse potuto
realizzare ciò che lei non aveva ottenuto, e anche il solo
fatto che
io fossi nato un maschietto rappresentava una profonda delusione per
lei, ma almeno aveva capito che un tipo come me non poteva
assolutamente svolgere un lavoro da scrivania per tutte quelle ore al
giorno. E mentre loro bisticciavano, io avevo già scelto
quello che
avrei fatto: sarei diventato un astronomo, un astrofisico oppure un
astronauta. Mio nonno, l'unica persona che mi trasmetteva affetto e
sicurezza concreti, fu entusiasta della mia scelta, tant'è
vero che
fu proprio lui a trasmettermi la passione per ogni cosa che avesse a
che fare con l'universo. Quando mi lasciavano da lui non facevamo
altro che leggere libri e manuali di ogni tipo, astrologia,
mitologia, storia e leggende, fisica e matematica, e se rimanevo a
dormire da lui, appena calato il crepuscolo, mi portava sul terrazzo
a guardare le costellazioni col suo telescopio, e dopo un certo
orario, inevitabilmente, cadevo addormentato e mi risvegliavo la
mattina dopo nel mio comodo lettino, abbracciato ad una
Poké-Bambola
a forma di Clefairy. Non volevo più tornarmene a casa mia,
mi
piaceva la zona di periferia esente da inquinamento luminoso dove
abitava il nonno.
Decisi
comunque di comprarmi un telescopio tutto per me, al mercato
dell'usato di Arenipoli, un modello poco costoso che potevo
permettermi. La notte stessa, dopo averlo calibrato adeguatamente,
salii in terrazzo e lo puntai verso quella magnifica luna piena,
perfetta, lucente e tersa, ma quando mio padre si destò e mi
colse
in flagrante, non si risparmiò a darmele con la cintura di
cuoio, e
mia madre ad urlarmi contro, perché "quell'aggeggio
è uno spreco di soldi!"
e "i
bambini della tua età dovrebbero dormire a quest'ora!
Altrimenti si
ritrovano con le occhiaie e non sono più carini e graziosi".
Le occhiaie effettivamente già ce le avevo…. A
ben poco servì
quella lezione, le mie idee erano chiare e non le avrei cambiate per
nulla al mondo. Ero già lo scolaretto più bravo
della classe,
soprattutto nelle materie scientifiche, anche grazie al supporto di
mio nonno, un ex matematico; pure per questo motivo molti dei miei
compagni mi detestavano, sfogavano su di me i loro insuccessi
scolastici dovuti alla loro poca voglia di studiare o direttamente
alla loro inettitudine. Brutta cosa l'invidia, non era certo colpa
mia se loro andavano male e preferivano far altro piuttosto che i
compiti. L'odio ben presto divenne reciproco: loro erano contenti,
uscivano da scuola e trovavano i loro genitori ad abbracciarli, a
coccolarli, a premiarli per un buon voto o ad incoraggiarli a far di
meglio ad uno negativo. I miei no, non venivano mai a prendermi,
tornavo da solo, mi avevano regalato una bicicletta proprio per
quello. Arrivavo a casa e provvedevo a prepararmi qualcosa per
pranzo, poiché mia madre era perennemente occupata alla
macchina da
cucire e il pasto caldo al rientro glielo permetteva giusto a mio
padre, che rincasava nervoso e affamato come una belva. Mangiavo in
camera mia, solo, unica compagnia la TV accesa e qualche fumetto. Non
durava neppure tanto quella quiete, presto infranta dalle sue grida:
“Cyrus!
Lava i piatti! Cyrus, pulisci la tua camera! Cyrus metti a posto i
tuoi giocattoli!"
ed eran guai se osavo replicare, quel battipanni era sempre in
agguato. Finite le faccende domestiche, passavo tutto il pomeriggio
sui libri, chiuso nella mia stanzetta. La conoscenza era uno dei
pochi piaceri che davvero apprezzavo, insieme alla cioccolata
calda e alla volta stellata del cielo notturno.
Verso
la fine della quinta elementare le maestre ci chiesero di portare in
classe i nostri Pokémon per farli conoscere ai compagni. Ma
io non
avevo ancora un Pokémon, pregai i miei di prendermene uno,
ma fu
tutto inutile. Non mi arresi, volevo un Pokémon tutto mio e
l'avrei
ottenuto. Così, dopo il rifiuto, salii in sella e mi diressi
verso
la spiaggia: reperiti ramoscelli lunghi e resistenti e un semplice
spago al quale avevo legato una graffetta deformata a mo' di amo,
creai una canna da pesca rudimentale eppure funzionante, con la quale
non mi fu difficile pescare il mio primo Pokémon, nientemeno
che un…
Magikarp. Si fece catturare subito con una semplice Poké
Ball e
sebbene non fosse il massimo, mi rese soddisfatto, almeno per quella
sera. Ritornai a casa e non dissi nulla a nessuno, cenai in fretta e
furia e mi barricai in camera, dunque lo lasciai uscire e lo sistemai
in un acquario, dandogli anche da mangiare, rimboccai le mie coperte
e finalmente mi coricai. La mattina seguente avevo addosso un
insolito entusiasmo, che non passò inosservato, anzi. Ero
ancora un
bambino d'altronde, non sapevo gestire questo mio lato emotivo,
purtroppo. Avevo legato la sua Poké Ball alla cintura dei
miei
pantaloni e, sfrecciando per le vie di Arenipoli, col vento in
faccia, mi sentivo come un vero allenatore di Pokémon che
parte
all'avventura, libero. Un piccolo stupido momento di gloria, come
possiamo essere liberi se siamo condannati a morte nell'istante
stesso in cui nasciamo? Tutti noi esseri viventi siamo passivamente
vincolati come da una piccola clessidra che scandisce il tempo delle
nostre vite in fragile equilibrio, e basta un nonnulla in un momento
qualsiasi ad arrestare il suo flusso continuo, decretando il nostro
decesso. Chissà, chissà se la mia clessidra
cesserà di travasare
sabbia oggi stesso, in questo frigido obitorio. Giunto in classe mi
sistemai al mio banco attendendo pazientemente il mio turno, in
ordine di elenco. Tutti quanti avevano Pokémon molto
più belli e
potenti del mio. Qualcuno si era addirittura procurato uno starter
proveniente da regioni esotiche e lontane come Hoenn, alcuni dei loro
genitori avevano girato in lungo e in largo tutto il mondo pur di
acchiappare un Pokémon che potesse soddisfare le esigenze di
un
piccolo allenatore alle prime armi, altri li avevano semplicemente
aiutati ad acciuffare uno Shinx o uno Starly nell'erba alta, altri
ancora avevano regalato ai propri figli un uovo in modo che potessero
occuparsene personalmente, e poi c'ero io… Toccava a me,
quell'entusiasmo di prima andava via via smorzandosi dopo aver visto
le loro esibizioni, ma provai comunque a non demoralizzarmi. Lanciai
la sfera, si aprì e Magikarp schizzò via,
iniziando a saltare per
terra come in preda a convulsioni, forse spaventato da tutti gli
altri scolaretti. Lo raccolsi dal pavimento e provai a tenerlo in
braccio, ma quello si liberò dalla mia presa e
balzò sulla
cattedra, riprendendo quello sguazzare spasmodico e poco elegante.
Scoppiarono risate generali, insulti, offese e per evitare che la
situazione degenerasse lo ritirai immediatamente, tornando a sedere.
L'imbarazzo era tantissimo, a momenti mi mettevo a piangere per
quella figuraccia, mi sentivo in totale disagio. Dopo di me
toccò ad
una ragazzina trasferitasi ad Arenipoli per motivi di lavoro legati
al mestiere dei suoi genitori, la quale da poche settimane aveva
iniziato a frequentare la mia scuola.
Era
già abbastanza alta, vestiva in maniera raffinata e al tempo
stesso
graziosa, aveva capelli biondi e lisci come il manto di un Ninetales,
lunghi ben oltre le spalle e decorati con fermagli o broches
variopinti, sempre profumati di lavanda. Sì, Cynthia,
proprio lei.
Mi chiedevo che cosa potesse mai tirar fuori quella meraviglia, un
Beautifly? Un Espeon? Una Gardevoir? Un Altaria? Niente di tutto
ciò.
Aveva un misero Feebas, persino più brutto del mio Magikarp.
Incredibilmente, però, quel pesciolino d'acqua dolce
conosceva già
mosse come Geloraggio e Dragopulsar, tant'è vero che con una
sfida
riuscì a sconfiggere senza problemi il Grimer di
quell'odioso
bulletto che mi aveva preso di mira. Tanti applausi e onore per lei.
Iniziarono tutti ad andarle dietro. Tutti tranne me, chiaramente; non
che non apprezzassi, semplicemente avevo molti altri interessi e
preoccupazioni in quel periodo. Terminata la lezione sgattaiolai via
di fretta, sperando di non incontrare più nessuno, ma lei
era lì ad
aspettarmi.
«Se
sei qui anche tu per dirmi quanto abbia fatto pietà
Magikarp.. beh,
levati, ho fretta di tornare. Ah, complimenti per il tuo Feebas, se
vuoi sentirti dire questo».
«Non
dire così. L'hai catturato da poco, non è vero?
Ha solo bisogno di
essere allenato. Dovete fare un po' di pratica. Comunque lo trovo
molto carino! E anche tu lo sei».
«E
tu? Perché voi siete così forti invece? Sei anche
te un'allenatrice
alle prime armi. Se proprio ti piace prenditelo, facciamo uno
scambio. Io voglio un Pokémon valente».
Si mise a ridere, come potrei dimenticarlo? Pagherei oro per
risentire ancora la sua soave voce femminile in contrasto con
l'inquietante silenzio di questa stanza che mi opprime, e che viene a
mia volta oppresso da tutte queste reminiscenze.
«Smettila
di dire sciocchezze, Cyrus! I miei genitori mi hanno spinto nel mondo
delle lotte Pokémon già da quando avevo cinque
anni, Feebas fu un
regalo di compleanno, e non lo scambierei per nessun motivo al mondo.
Piuttosto, ho dimenticato le chiavi di casa, mi inviteresti a
pranzo?»
«Allora
un giorno Magikarp diventerà un enorme Gyarados capace di
distruggere interi villaggi, e io a quel punto sarò
diventato un
genio della scienza! Così dimostreremo a tutti di cosa siamo
capaci.
Comunque, per me non ci sono problemi, ma se i miei scoprono che
adesso ho un Pokémon… farai meglio a scappare,
mio padre fa paura
quando si arrabbia».
Altroché. Mio padre era già davanti all'uscio con
la famigerata
cintura e mi stava urlando contro cose a distanza, deglutii, che
figura avrei fatto davanti a quella ragazzina? Mi ero già
preparato
a subire quando, incredibilmente, lei prese le mie difese,
contrastando le parole dell'uomo con un discorso solido e acceso,
sembrava un'avvocatessa in tribunale, e rimaneva tuttavia adorabile e
graziosa. Ammutolì mio padre e lasciò senza fiato
mia madre,
totalmente affascinata da Cynthia che venne riempita di lodi come
"ahh ho sempre desiderato avere una figlia come te!" e
bazzecole simili. Si ottenne che Magikarp potesse restare in camera
mia, nell'acquario, a patto che non si evolvesse. Era già un
passo
avanti. Posso benissimo affermare che da quel giorno io e lei eravamo
diventati amici, era l'unica compagna di banco che sopportavo,
l'unica ragazza che mi comprendeva e mi conosceva fino in fondo,
poiché d'altronde era stata l'unica a conoscere i miei e la
mia
famiglia, l'unica alla quale non mi dispiaceva passare quei banali
esercizi di fisica o chimica che non sempre riusciva a svolgere, e
l'unica verso cui provavo sinceramente qualcosa. La nostra amicizia
proseguì e si intensificò nella stagione estiva,
il più bel
ricordo che mi sia rimasto, un qualcosa di infinitamente dolce e
letale, come l'ambrosia degli dei, deliziosa ma intoccabile dai
miserabili uomini. Le mattine scorrevano quiete e placide, come le
acque del litorale di Arenipoli dalla soffice sabbia chiara e fina,
che tanto odiavo, quando si incollava alla mia pelle bagnata dopo un
tuffo in mare. A lei invece piaceva giocarci e piuttosto odiava
nuotare, per via della fastidiosa salsedine che s'insinuava tra i
suoi morbidi capelli biondi, più dorati della rena riflessa
dal sole
di mezzogiorno. I pomeriggi, allo stesso modo, volavano via in una
squisita routine quotidiana fatta di semplici, piccoli gesti che
rimangono immortalati per sempre monotoni e serafici, come
passeggiate nei boschi, picnic all'aperto ed escursioni. Il momento
più bello rimaneva comunque la notte, che si calava
giù dai meandri
dell'universo, puntuale, spingendo negli abissi marini il breve ma
intenso crepuscolo che tingeva di rosso e arancione l'orizzonte,
l'arenile, le onde e tutto ciò che ci circondava. Il vello
cobalto
dello spazio, maculato da galassie e puntellato da costellazioni, si
slanciava abbracciando tutta la volta celeste, chiudendola in un alto
recinto di stelle che parevano sorriderci e bisbigliare tra loro,
invidiose, ciance e voci su quei due ragazzini distesi in spiaggia,
mano nella mano, intenti a contemplarle e a chiedersi stupidamente se
esse non si sentissero in imbarazzo a venir insistentemente fissate
da quegli occhietti vispi e colmi di curiosità verso quel
mondo
tutto di misteri da scoprire. Fu in una nottata così limpida
e
perfetta che commisi uno degli errori più gravi della mia
gioventù:
mi dichiarai. Non riuscivo più a tenermelo dentro, non era
una di
quelle stupide cotte passeggere tipiche dell'età, sentivo
che era
qualcosa di molto più spinto e concreto, bastava la sua sola
presenza a farmi dimenticare ogni dolore esistente, presente e
passato, a farmi sentire… felice. Tutti i mali che avevo
subito
altro non fecero che rendere incredibilmente più beato e
meraviglioso quel tanto agognato "sì" e il successivo
primo bacio per entrambi. Le sue labbra carnose e delicate
s'incastravano perfettamente tra le mie, sottili e spigolose,
riuscendo ad aprirle in un raro sorriso sincero e spontaneo, che in
nessuna situazione avrei mai sfoggiato. Nessuno venne a sapere del
nostro piccolo segreto, per timore di possibili calunnie e gelosie,
come poteva infatti, la ragazza più carina della classe,
essersi
messa insieme a quello scarto asociale di Cyrus?
La
mia vita era divenuta stupenda, perfetta, da sogno…
destinata a
disciogliersi. L'euforia toccò l'apice quando il nonno mi
regalò un
cucciolo di Houndour, molto più attivo e sveglio di
Magikarp, che
aveva per caso ritrovato nel suo giardino. Cynthia aveva tanto
insistito per mettergli un collare rosa a fiori che detestavo e che
accettai controvoglia, e così lo portavamo legato al
guinzaglio
durante le nostre avventure. Una sera, improvvisamente, mentre ci
trovavamo fuori, scoppiò un violento temporale estivo e
fummo
costretti a rifugiarci al coperto per evitare di far bagnare il
Pokémon di tipo fuoco. Unico rifugio disponibile
un'insenatura
rocciosa in una falesia, abbastanza accogliente per tutti e tre nella
sua ristrettezza. In breve però ci rendemmo conto che non
eravamo un
trio, bensì cinque. Uno Zubat prese a volteggiare sulle
nostre
teste, emanando ultrasuoni che ben presto rimbombarono in tutta la
caverna mandando in confusione Houndour e, ancor più dietro
ben
nascosto da un masso, un rarissimo Spiritomb provava a spaventarci
con Furtivombra. Non eravamo i benvenuti. Ci trovavamo nei guai,
pensai fosse mio dovere proteggere Cynthia, provai a dare ordini a
Houndour ma era troppo confuso per potermi comprendere e agire di
conseguenza. A lei, il mio angelo custode, venne in mente la geniale
idea di spostare il conflitto all'esterno, in modo da poter sfruttare
l'abilità Nuotovelox dei nostri Pokémon d'acqua
per batterli in
velocità sotto la pioggia. Feebas si muoveva in modo
magistrale
sotto quel tempaccio, e sferrò un Idropulsar talmente rapido
da
abbattere Zubat in volo, che venne poi mandato al tappeto da un
Azione del mio Magikarp. Spiritomb, sebbene avesse subito la medesima
mossa in pieno, non dava cenni di cedimento, anzi, era pronto a
contrattaccare con Inseguimento e venne bloccato solo da un repentino
Neropulsar del Pokémon Buio che lo fece tentennare,
permettendo alla
ragazza di lanciare un' Ultraball che lo catturò
all'istante. Io
avevo una Pokéball con me e non esitai ad usarla su Zubat:
adesso
avevamo due nuovi compagni di squadra. A me inizialmente
risultò
difficile prendermi cura di tre Pokémon contemporaneamente,
ma
grazie al suo sostegno e ai suoi consigli degni di una veterana e non
di una semplice ragazzina di 11 anni, ben presto iniziai a
destreggiarmi discretamente bene nelle lotte, sebbene non l'abbia mai
sconfitta. Era troppo forte. Verso la fine di quell'estate, una
mattina, non vedendola scendere in spiaggia al solito orario, nel
solito posto, iniziai a preoccuparmi. Che le fosse successo qualcosa?
Corsi e corsi a perdifiato per raggiungere la sua abitazione il prima
possibile, preceduto dal Pokémon Volante-Veleno che fendeva
l'aria
con le sue alette affilate e sottili. Arrivato lì notai
diversi
camion adibiti a trasloco, nei quali alcuni Machoke addestrati si
stavano curando di stipare i mobili e gli arredamenti di casa.
Cynthia stava dando una mano ai genitori sistemando le proprie cose
in scatoloni di cartone chiusi da del nastro adesivo.
«Cynthia?
Dov'è che ti stai trasferendo? Potevi dirmelo, sarei venuto
ad
aiutarti».
La mia mente ingenua
da undicenne sperava inconsciamente che sarebbe venuta ad abitare in
un posto ancora più vicino a casa mia. Stupido me.
Sobbalzò nel
vedermi col fiatone e con uno sciocco sorriso addosso, restò
in
silenzio per interminabili secondi e finalmente si decise a parlare:
«Mi
dispiace. Non volevo dirtelo per non ferirti. Sapevo fin da subito
che sarei dovuta ben presto ripartire per Memoride, torno da mia
nonna».
Fingevo
di non comprendere, o forse non comprendevo sul serio quello che
voleva dirmi.
«Se
le cose stanno così, fai bene ad andare da tua nonna. Anche
io
dovrei andare a trovare più spesso il mio. Sarò
qui ad aspettarti,
non temere».
«Cyrus
non hai capito. Io me ne vado da qui per sempre. I miei genitori mi
hanno avviato alla carriera di allenatrice Pokémon,
dovrò
viaggiare, sconfiggere Allenatori, Palestre, vincere Medaglie, e
anche studiare tanto, tantissimo. Non volevo che tu…»
Io.
Sì proprio io. Sarei rimasto nuovamente solo e isolato,
abbandonato
in quel modo dalla persona che amavo di più. Ma quella era
la sua
strada, il suo sogno, sarei stato uno schifoso egoista ad
impedirglielo solo per averla al mio fianco. Non ero e non sono un
tipo possessivo, tanto meno geloso. Non ne avevo motivo con Cynthia,
non mi avrebbe mai tradito con un altro ragazzo. E qualora l'avesse
fatto, avrebbe avuto tutte le ragioni di questo mondo. Avevamo
trascorso un piacevolissimo tratto di strada insieme, era giunto il
momento di dividerci. Aveva preferito non dirmi nulla per farmi
sentire felice e spensierato fino all'ultimo giorno, e poi sparire.
Dopo la sua partenza troncai ogni contatto umano e iniziai a
trascurare i miei Pokémon. Che senso aveva provare emozioni
e
sentimenti verso gli esseri animati, riporre in loro speranze e
aspettative? Prima o poi se ne sarebbero andati tutti, lasciando
dentro di me un vuoto incolmabile. Provare emozioni equivaleva a
soffrire, provare sentimenti ad esser debole. Parlavo sempre meno e
le mie giornate alternavano le ore di scuola alle ore di studio
chiuso in camera mia, ormai divenuta un piccolo e attrezzato
laboratorio, a smontare e costruire piccoli congegni elettronici. Le
macchine, loro sì che erano gratificanti. Non mi sentivo mai
solo in
loro compagnia, sono così perfette da sole, basta un piccolo
input,
un generatore e un circuito ben piantato per farle partire e
funzionare all'infinito. Può una persona lavorare
così
ininterrottamente senza lamentarsi e perdere la voglia? No,
certamente. E questo perché? Ovviamente perché
prova emozioni ed è
debole. Se dicessi che ero felice, sarebbe un paradosso, non lo ero e
non lo sono affatto. Ma non ero neppure triste o depresso, cosa che
probabilmente sto diventando, lontano da ciò che mi faceva
stare
semplicemente bene, a mio agio. Ero in equilibrio con me stesso in
quell'angolo di paradiso tecnologico, non avevo bisogno di nessuno,
se sentivo freddo mi bastava avvicinarmi ad un motore in
surriscaldamento per riscaldarmi e sentirmi protetto, più di
un
banale abbraccio tra persone. Scendevo da lì solo per
mangiare e
andare in bagno, e quelle rare volte che veniva a trovarmi il nonno.
A lui non andava per niente bene il mio nuovo comportamento, non
conosceva la storia finita male con Cynthia, ma aveva intuito che mi
era successo qualcosa di grave che i miei genitori ignoravano e coi
quali lo sentivo spesso litigare per ottenere la mia adozione. Loro
si rifiutavano, sempre, dicendo che erano troppo attaccati a me per
potermi cedere in quel modo. La verità era che faceva comodo
avere
un piccolo elettricista aggiusta-tutto in casa, quando si guastava un
elettrodomestico. Adesso mi vien spontaneo chiedermi che fine abbia
fatto lei, spero si sia sistemata, abbia trovato un compagno o una
compagna degni di lei con cui condividere la sua vita e, soprattutto,
si sia dimenticata di me.
Ma cosa vado a
pensare… questa
prigionia mi sta denaturando.
A me non deve importare nulla di
nessuno, che non sia me stesso. Sento un rumore, uno strano cigolio,
ombre, figure umane mi si stanno avvicinando. No, non può
essere,
non quell'infame di Acromio!
«C-Cyrus?
Cyrus sei sveglio?».
Questa è la voce di Maxie, credo sia la sua, è
orribilmente
distorta e spezzata da singhiozzi. Schiudo una palpebra e metto a
fuoco con estrema difficoltà: sì, è
proprio lui, accompagnato da
due altri detenuti a lui fedeli, forse ex membri del Team Magma.
«Cyrus
sei ancora vivo! Cosa ti hanno fatto? Chi è stato? Mi sono
spaventato tantissimo quando ho visto che ti portavano qui!».
Si siede accanto a me e mi stringe forte, a momenti gli cado addosso,
ma almeno è così.. caldo.
«C-Cyrus,
stai piangendo?».
Sussurra lieve, dietro quegli occhiali appannati e pieni di impronte.
Cosa? Cosa diamine ha detto? Impossibile, io non.. mi strofino gli
occhi con l'avambraccio e trasalisco nel notare gocce porpora sulla
mia pelle. Non capisco cosa mi stia succedendo, mi sento
improvvisamente accaldato, mi manca il respiro, voglio prendere a
calci qualcosa..
«Ehi
stai fermo, così si riapre la ferita. Lascia fare a me».
Lascio fare a lui, sa essere premuroso e accurato quando si tratta di
queste minuzie. Intanto gli altri due mi porgono i miei vecchi
indumenti, aiutandomi a vestirmi. Troppa, troppa gentilezza Maxie,
perché? So benissimo che in questo stato faccio pena, ma
sfidare ed
eludere la sicurezza solo per venire a darmi una mano mi pare
esagerato, senza un tornaconto personale. O, più
probabilmente, si
tratta di una carenza d'affetto dal momento che, se non erro,
ultimamente la sua situazione sentimentale con Ivan si sta
sgretolando. Che ci stia provando con me? No! Maxie non puoi farmi
questo! Rimarresti tremendamente deluso, non sono più capace
di
amare, è una cosa che mi fa ribrezzo. Termina di medicarmi
il taglio
e mi applica una benda bianca, la smette di singhiozzare e fruga tra
le sue tasche, tirando fuori due stecche di cioccolato fondente
purissimo. Mi lecco le labbra.
«Sarai
affamatissimo, tieni, le ho prese per te corrompendo le guardie con
una misera vincita a poker, puoi mangiarle tut…»
che importa come le ha ottenute, sto morendo di fame e mi fiondo sul
palmo della sua mano contenente tre quadrati, a pochi centimetri
dalla mia bocca, faccio attenzione a non morderlo e li mando
giù in
un solo boccone. Deliziosi. Tutti e tre iniziano a ridere per il mio
impulso di cafonaggine repressa; Maxie che almeno ha finito di
piangere ordina ai due di controllare che non vi siano altri nei
paraggi e poi ricomincia ad imboccarmi un pezzo per volta. Ci ha
preso gusto, ma se non si velocizza gli stacco le falangi a morsi.
«Cyrus,
mi ricordi tantissimo il mio Ivan, a volte ci divertivamo
così
quando avevamo l'occasione di permetterci dei dolci. Adesso ci siamo
divisi, non ho più nessuno con cui stare, mi rimani solo tu».
Santa pazienza, non paragonarmi a quello scaricatore di porto. Non
gli somiglio neppure un poco e non sono il tuo confidente o l'agenzia
dei divorzi! Maxie dovrebbe smetterla di stargli appresso, si sta
solo rovinando e soffre inutilmente. Uno scienziato così
bravo che
si mette a piangere per un marinaio di sobborgo che non ha neppure un
quarto della sua intelligenza? Che cosa assurda è mai
questa, se non
quell'obbrobrio che chiamano "amore"? Se Maxie fosse stato
come me, freddo e calcolatore, e avesse evitato quel rapporto con
Ivan, molto probabilmente adesso avremmo già trovato un
piano per
evadere via, solo noi due. Per farlo tacere gli mordo una mano,
guardandolo in modo serio e minaccioso e lui a sua volta deglutisce e
mi guarda alquanto spaventato, ritraendo l'arto. Gli ho fatto male,
non volevo arrivare a tanto. Mi sento un balordo adesso,
sarà la
seconda se non la terza volta che Maxie mi salva la vita e io non gli
ho mai dimostrato un briciolo di gratitudine, eppure lui continua a
starmi accanto. La sua è un'alleanza preziosissima per me,
non posso
permettermi di perderla. Prima che possa sgridarmi abbasso umilmente
la testa con fare dispiaciuto, non so più chiedere "scusa".
Per fortuna i gesti sono più chiari delle parole e Maxie
coglie al
volo il messaggio, abbracciandomi e accarezzandomi la schiena.
Brividi.
«Non
fa niente, non l'hai fatto di proposito. Dovrei dimenticare Ivan,
dici? Forse hai ragione, ma lui è l'unica persona che amo
sul serio,
è parte integrante della mia vita, abbiamo condiviso gioie e
dolori
e separarci in una situazione come questa è terribile. Non
voglio
rimanere da solo».
Povero ingenuo
Maxie, siamo tutti da soli, e detto così mi sembra che il
loro sia
una sorta di patto di convivenza e protezione, piuttosto che un
rapporto amoroso vero e proprio. «Adesso
non voglio pensarci, finisci la tua cioccolata così poi
usciamo da
questa gelida sala e andiamo in cortile. C'è una sorpresa
per te.
Qualcuno, in anonimo, è venuto a portarti i tuoi
Pokémon e ci sono
anche i miei. Voglio farti conoscere Camerupt».
A momenti mi va di traverso il bolo a sentirlo. L'anno scorso non era
venuto nessuno, perché quest'anno sì? Lascio da
parte ogni briciola
di galanteria e inizio a masticare voracemente a bocca aperta tutto
il restante dolce, entratomi a forza nella cavità orale.
«Calma
calma, non vorrai strozzarti? Aggrappati e tirati su!».
Provo a fare tutto da me, ma la testa mi gira e sono costretto ad
usare Maxie come appoggio, almeno per salire le scale. Gli altri due
seguaci ci fanno segno che la via è libera e rapidamente
sgattaioliamo via, ritrovandoci in breve nel cortile all'aperto.
Aria, aria pulita! Ci accomodiamo sulle panchine in legno all'ombra
di una robusta quercia e attendiamo il nostro turno. Prima a lui, poi
a me, vengono consegnate tutte le Pokéball in una cintura
nera in
cuoio che si può anche legare al busto. Maxie è
impaziente e
trepida, non ci mette molto a lanciare in aria le sfere facendo
uscire rispettivamente Camerupt, Crobat e Mightyena, tutti quanti
euforici e allegri. Uggiolano, mugolano e riempiono il proprietario
di attenzioni.
«Cyrus
vieni
qui, Camerupt è curioso di conoscerti. Puoi accarezzarlo,
è molto
socievole e riscalda meglio di un piumone».
Non sono bravo in queste cose, in più ho sentito dire che se
uno di
quei cosi Terra/Fuoco si arrabbia, erutta e diventa pericolosissimo.
Hm, sarebbe un bel modo per evadere dopotutto. Il grosso muso di quel
Pokémon si avvicina a me, incuriosito, iniziando ad
annusarmi e
riempirmi di leccate, tirandomi per i vestiti e poggiando l'enorme
zampa sulla mia gamba. Tutto ciò mi fa ribrezzo!
Dannatissimo Rosso
Malpelo, non vedi che a momenti mi sbrana? Toglimelo di dosso
accidenti! Tossisco rumorosamente nella vana speranza di richiamare
la sua attenzione, focalizzata adesso sulle figure di Ivan e Gerardo
ad una ventina di metri da noi. Il marinaio non sembra sofferente,
anzi, suppongo abbia già sostituito Maxie con un nuovo
amichetto, a
giudicare dal suo tono di confidenza col quale ci dialoga e dal fatto
che stia socializzando con il Roserade e il Venusaur dell'altro. Tra i
due avviene un rapido, fugace scambio di sguardi, gli occhi del
pirata gaudiosi e frizzanti calano repentinamente in un'espressione
torva, crucciata, quasi minacciosa all'incrocio con quelli di Maxie
velati da una lucida patina di gelosia. Lascio uscire dalla
Pokéball
Houndoom e, afferrando un lembo della manica dello scienziato, lo
strattono con forza a tornare seduto sulla panca, mentre lascio
avvicinare il tipo Buio ancora un po' sbigottito nel vedermi. Abbaia,
scodinzola e con un balzo mi è addosso a lambirmi il volto
con la
sua lingua calda e ruvida. Non faceva così da quand'ero un
ragazzetto. Maxie pare divertito e affascinato dal tipo Fuoco,
proprio come immaginavo, dunque inizia ad accarezzarlo lasciando
perdere Ivan che adesso mi fissa in modo intimidatorio. Crede di
spaventarmi? Pfff…
«Non
pensavo avessi un Houndoom! Complimenti, è un esemplare
meraviglioso
e sembra volerti molto bene. Potrei conoscere anche gli altri tre
Pokémon?»
fisso le rimanenti
sfere. Ne manca una, quella di Gyarados, ma forse è meglio
così,
quel bestione è alquanto ingombrante e se si lasciasse
andare
all'euforia sarebbe un bel guaio. Tutto il furore di
curiosità che
avevo prima ha lasciato posto ad una stranissima sensazione mista di
trepidazione e ansia, non mi sento pronto a rivedere i miei compagni
dopo tutto questo tempo. Non voglio lasciarmi andare o farmi
immortalare in atteggiamenti affettuosi con esseri animati, non
sarebbe da me.
«Allora,
Cyrus?»
Se questo servirà a
distrarre Maxie, ben venga. Ne prendo una a caso e la lancio: vien
fuori Weavile, atterra, si volge e mi punta con gli occhietti lucidi.
Perché mi guarda così? Non mi sono mai curato di
lui, l'ho solo
usato per lottare fino all'ultimo sangue, cosa che ha sempre fatto
impeccabilmente, eppure adesso muore dalla gioia di vedermi. Si
arrampica sul mio corpo e mi cinge il busto con le braccine,
affondando il viso nel mio torace. Questa scena mi mette in un
incredibile imbarazzo poiché adesso tutti gli sguardi sono
puntati
su noi due, cerco di ignorarli, fare l'indifferente, strabuzzo le
pupille in tutte le direzioni non facendo altro che incontrarne di
altre, sospiro, sbatto la palpebra, guardo in basso. Weavile
singhiozza di felicità e alza la testolina, schiudendo il
musetto in
un enigmatico sorrisetto, come per chiedermi se anche io sia contento
di rivederlo. Il comandante dei Magma, intenerito dalla scena,
allunga una mano verso quell'esserino accoccolato su di me, in
procinto di accarezzarlo. Mi aspetto una reazione violenta da parte
di Weavile, non si fa toccare da nessuno ed è sempre pronto
a
sfoderare gli artigli per difesa, eppure, stranamente, non
contrattacca alla carezza di Maxie, anzi pare gradirla. Che sia stato
rieducato in mia assenza? Che cosa assurda, chi mai si prenderebbe la
briga di rieducare quella bestiolina indomabile appartenuta ad uno
dei peggiori criminali? Proprio non capisco. Vorrei poter ricambiare
le sue moine, ma la mia reputazione di uomo freddo e privo di
sentimenti verrebbe meno, e con ciò tutto il mio lavoro
durato due
anni di prigionia. Mi dispiace, mi dispiace davvero. Il suo giubilo
si spegne gradualmente, mi pungola con gli artigli ma non reagisco.
Deluso dal mio atteggiamento si lascia prendere in braccio da Maxie,
il quale si occupa di regalargli qualche gesto d'affetto. Mi fa
malissimo avercelo a pochi centimetri e non potergli dimostrare
quanto in realtà mi sia mancato, lui e tutti gli altri, gli
unici
che mi abbiano seguito davvero fino alla fine. Non so perché
lo
abbiano fatto, ma se ci penso è qualcosa di sublime. Che sia
lo
stesso tipo di.. "amore" che intercorre tra due umani? O
forse una forma di gratitudine, come quella che devo io a Maxie?
È
qualcosa d'invisibile, eppure incredibilmente forte, un po' come la
forza di un campo elettromagnetico o quella dell'attrazione
gravitazionale. Il rapporto che si instaura tra Allenatori e
Pokémon,
dunque, è circa come quello che c'è tra il nucleo
di un atomo e i
suoi elettroni?
Mi perdo in queste fantasticherie chimeriche ma ben
presto son costretto a destarmi: al centro del cortile Giovanni e
Ghecis, coi rispettivi Nidoking e Hydreigon si sono lanciati in un
duello e siamo stati appena sfiorati da delle schegge di un
Dragobolide. Mi lego la cintura con le restanti sfere e insieme al
rosso arranco in un posto più riparato dal quale seguire la
battaglia. Sono dei bambinoni, quei due, a giungere a tanto per una
stupida giocata a Poker vinta con l'inganno dal nuovo arrivato e
persa con la troppa vanagloria dell'altro. Certo che la sfida si sta
facendo interessante, il drago seppur acciaccato dalla potenza di
quella mossa riesce ad evitare maestosamente ogni Geloraggio sparato
dal nemico, che va a colpire zone di cortile a destra e sinistra,
spargendo il panico tra gli altri detenuti. Una lotta alla pari,
nessuno prevale sull'altro, terminerà in un prolungato
logoramento
se nessuno dei due si deciderà a cambiare strategia.
Poiché tutti
sono concentrati su quello che sta accadendo e posso passare
inosservato, raccolgo Weavile e, per la prima volta dopo tanti,
tantissimi anni, gli concedo un caloroso abbraccio, o almeno
è
quello che sto cercando di fare. Non sono più capace neppure
di un
gesto così naturale. Annuso il suo pulitissimo pelo scuro e
una
nebulosa di lavanda inonda i miei polmoni; amo questo aroma. Si
accomoda supino tra le mie braccia e mi accorgo di un particolare
tutt'altro che trascurabile: qualcuno gli ha attaccato al collo un
piccolo papillon dello stesso colore della sua pelliccia, nero, che
potrebbe sfuggire ad una prima occhiata disattenta. Non è la
prima
volta che vedo quell'accessorio. Un flusso di reminiscenze galoppa
nella mia mente fino a materializzarsi in una sola ed elegante figura
umana: Cynthia. Non sono solo. Esisto ancora per qualcuno,
lì fuori.
Qualcuno di molto importante. Chissà il nonno come sta, se
è a
conoscenza della sorte del suo adorato nipotino che non vede da un
buon lustro di anni, se… se è ancora vivo e ha
bisogno di un
ausilio. No, non posso starmene qui con le mani in mano ad attendere
un'ipotetica esecuzione capitale in balia della vacuità e
tra le
grinfie di Acromio. Lui, quell'infame, non si è neppure reso
conto
di aver perso il bisturi. Non è stato per nulla difficile
sfilarglielo dalla tasca del camice mentre s'intratteneva in luride
effusioni e nasconderlo sotto il materasso. Fin troppo semplice, che
l'abbia fatto di proposito e che abbia un piano per incastrarmi? Non
riesco a prevederlo, ma so per certo che quella lama mi
tornerà
utile, prima o poi. Che peccato, le sentinelle sono intervenute per
porre fine allo scontro tra i due, li hanno immobilizzati e
confiscato loro ogni Pokéball. Mi stavo divertendo. Guardo
Maxie,
intento a giocare con Houndoom e Camerupt, regalo qualche ultima
carezza a Weavile e lo poso delicatamente per terra, è ora
di
tornare alla realtà di sempre, seppur ancora per poco.
Consegnamo
indietro i nostri Pokémon, mi duole non esser riuscito a
rivedere
Crobat e Honchkrow, ma ciò mi sprona ad ingegnarmi con la
massima
dedizione per escogitare un piano d'evasione infallibile e ben
pianificato.
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Capitolo 9 *** 9. Un piccolo favore [By Lily] ***
9. Un piccolo favore
9. Un
piccolo favore
By Lily
Se
c'è qualcosa che adoro più del mio amato Persian,
sicuramente è la
Domenica.
I lavori forzati sono sospesi fino a Lunedì, le ore di
svago si prolungano nel pomeriggio, e la sera i detenuti si
sollazzano sotto al getto caldo della doccia. Mi ritengo un uomo
abbastanza pulito, ordinato ed elegante; detesto sguazzare nella
sporcizia, per non parlare del sudore e del fetore che può
provocare, odio l'idea di passare sei giorni a secco. È
complicato
prendersi cura del proprio corpo, specialmente se non si hanno a
disposizione acqua e sapone. Credetemi, so bene quel che dico.
Se
durante la settimana non dovessi spaccare pietre, non avrei alcun
motivo per polemizzare. Ho provato più volte a corrompere le
sentinelle, a quei tempi promettevo soldi in cambio dell'attestato di
invalidità, così da non creare scompigli vari con
il resto dei
carcerati, ma le guardie non si sono mai piegate alle mie
volontà.
Non mi sono mai arreso e ho continuato a insistere, adesso la durata
del mio turno si interrompe dopo un'oretta scarsa.
Mai Giovanni
dovrà spaccare pietre sotto al sole cocente, spezzarsi la
schiena
con un movimento brusco e puzzare come un animale. Anche se chiuso in
carcere resto il Leader di una nota banda di criminali, ho una
dignità da mantenere se voglio guadagnarmi del rispetto,
quei
maledetti insetti che vivono a stretto contatto con me devono tremare
dalla paura, devono percepire il bisogno di scappare a gambe levate
nello stesso attimo in cui mi vedono arrivare.
Sono l'unico Dio
qui dentro.
E la nomea del malefico Boss è crollata a causa di
un'insulsa partita a Poker. Ero in grado di controllare ogni antro
nascosto del carcere, non poteva succedere qualcosa che arrivava
subito alle mie orecchie, poi è spuntato dal nulla quel
vecchio
decrepito di Ghecis e ogni sacrificio è andato sprecato.
Dannazione.
Del suo compagno di merende non ne parliamo neanche.
Acromio è quella persona che si limita a mostrare sorrisi o
gentilezze varie ma, se prende confidenza, lo sciacallo famelico che
c'è in lui esce allo scoperto. È chiaro che devo
gettare nella
spazzatura quel rifiuto umano.
All'inizio ha messo in ginocchio
Ivan con l'arresto del suo sottoposto, in un secondo momento l'ha
separato da Max per renderlo vulnerabile. Poi è passato
direttamente
a Cyrus, l'ha torturato per strappargli informazioni. Almeno
è
l'idea che si è creata nella mia mente, rifletto
sull'episodio da
quando ho saputo l'agghiacciante notizia.
Il ventisettenne dai
capelli azzurri è sempre stato calmo, fin dal primo giorno
dormiva o
passava le giornate a osservare il vuoto. Nessuno mi ha permesso di
esaminare le ferite, ma sono certo che non aveva alcun motivo per
porre fine alla sua esistenza. È evidente che sotto
c'è lo zampino
dello scienziato.
E io sono il prossimo della lista quindi le
scommesse, il Poker, la rivalità con Ghecis e gli altri
affari
potranno sicuramente attendere, c'è in gioco la mia
reputazione e
non posso lasciarmi sconfiggere.
Scrollo
le spalle e mi lecco velocemente i denti, poi i miei occhi si mettono
a esplorare con calma l'ambiente semi buio che mi circonda, una
stanza priva di finestre dalle pareti e i pavimenti scuri, decorata
da un tavolo lungo e stretto messo in risalto dalla luce bianca del
neon. Accendo un sigaro e mi concedo un meritato tiro, ne tengo
sempre uno di scorta per i casi di emergenza, più
precisamente nel
taschino della tuta. Sospiro e continuo ad aspettare l'arrivo di
Acromio, ieri l'ho avvicinato e gli ho dato appuntamento;
evidentemente è talmente occupato a parlare con il direttore
(mentecatto anche lui) che si è dimenticato di
raggiungermi.
Cominciamo male. Molto male. Veramente
male.
Finalmente la porta si apre e vengo colpito da un fascio di
luce, rimango abbagliato e strizzo gli occhi per non lacrimare, lui
intanto si avvicina con indifferenza e indignazione, poi liquida le
sentinelle che l'hanno accompagnato. Qui saremo da soli, nessuno ci
potrà mai sentire, sempre se non dispone di un microfono
nascosto.
Devo stare attento. Essere prudente, i fallimenti non
sono i benvenuti.
...Come mai queste preoccupazioni? Solamente
oggi mi sono passati per la mente dei pensieri simili, da giovane non
mi facevo problemi a divorare i nemici che incontravo. Sto forse
invecchiando?
Evidentemente è così e devo farmene una ragione,
lo scontro di Pokémon con Ghecis ne è la prova
schiacciante, è
stata la prima volta che ho visto Nidoking in seria
difficoltà, quel
drago a tre teste a momenti aveva la meglio sul mio fedele compagno
di squadra. Ma gli anni trascorsi alla Palestra di Smeraldopoli hanno
dato i loro frutti, ho gestito al meglio le potenzialità
dell'imponente creatura e ho terminato la battaglia con una
parità.
Durante la lotta sono stato ferito da una scheggia di vetro,
è
saltata in aria dopo un attacco Dragobolide ben piazzato, mi ha
colpito all'altezza della fronte e i medici hanno impiegato ore a
lavorarci sopra, ma almeno posso mostrare con comportamento fiero la
nuova cicatrice.
Ghecis
non è forte o robusto come me, sul suo conto circolano solo
dei
pettegolezzi infondati, già è in
prossimità di rinunciare e ciò
glielo si può leggere in faccia.
Stai attento capellone. Sei
sulla mia lista nera.
«Sei un vero maleducato a invitarmi in un
posto simile, Giovanni. Disponi di così tanti servigi,
potevi farmi
accomodare in una stanza più confortevole, un po' di luce
naturale
non guastava. Voglio evitare di far stancare i miei occhi. Se trovavo
la tavola imbandita di tè e dei pasticcini, ero al top,
è risaputo
che sono ottimi per garantire una buona conversazione. Ma visto che
mi devo accontentare...Be'...perché hai insistito per
vedermi?».
Acromio biascica quelle parole con un portamento
infantile, non ho ancora aperto bocca e già si lamenta del
più e
del meno, è tipico dei cocchi degli agenti pretendere ogni
meraviglia presente al mondo. Si sta tradendo da solo, che
sciocco.
Dalla prima volta che l'ho incontrato non mi ha fatto una
bella impressione, adesso che è d'accordo con la polizia
sento la
nausea appena punto lo sguardo su quel viso sbarazzino. Pelle ben
curata dalle guance rosee e paffute, a prima vista pare ricoperto da
un involucro di seta pregiata; i suoi lineamenti sono perfetti e
armoniosi, il suo volto infatti ha la forma di un preziosissimo
topazio. I particolari rimangono ben nascosti sotto alla montatura
leggera e ovale degli occhiali metallizzati, che gli donano un'aria
da vero intellettuale. È abbastanza eccentrico come
soggetto, non
posso negarlo.
Ammetto
che mi affascina questo suo particolare, in genere le persone che
hanno dimestichezza con lo studio non sono portati per la cura
dell'estetica, sono più sciatti del normale e basta metterlo
a
confronto con Cyrus (quel ragazzo ha delle borse sotto agli occhi
così profonde da sembrare dei crateri lunari), per far
capire anche
a un caprone come Ivan che Acromio è in grado di
distinguersi dalla
massa. Il suo fisico potrebbe fare invidia a qualsiasi modello,
scommetto che con il camice da laboratorio farebbe una bella figura
qui dentro:
«Con calma, Acromio, lasciami almeno il tempo di
salutarti. Sei arrivato in ritardo all'appuntamento, non vorrai farmi
credere che correrai direttamente al sodo» esclamo per
tranquillizzarlo, poi appoggio il sigaro marroncino su un lato del
posacenere circolare. Lo lascio consumare per diversi minuti e mi
lecco i denti con un gesto istintivo, così facendo una
nuvola
grigiastra si solleva delicatamente verso il soffitto, è
elegante
notare quella straordinaria danza astratta.
Mi divide da Acromio.
La contemplo, mi rilassa: «Ho parlato con le sentinelle prima
del
nostro incontro, avranno modo di presentarsi solo quando avremo
finito di consultarci. Perciò faresti meglio a
rilassarti».
«Ti
ringrazio per questo gesto Giovanni, è divertente vedere
come ti
impegni a mantenere alto il tuo ego. Da quando mi sono messo in mezzo
per la partita a Poker, hai ricevuto delle belle batoste da parte di
Ghecis. Non è forse così?» il volto
dello scienziato si macchia
con un ghigno, dovrebbe essere un sorriso, ma le sfumature grottesche
che racchiude mi saltano subito all'occhio.
Ci sta provando, vuole
stuzzicarmi e smontarmi. Povero illuso.
Mi calmo istantaneamente e
scrollo le spalle robuste, non devo cadere nella sua tela. Se ci
fosse il mio adorato Persian, offrirei un'immagine più
minacciosa e
autoritaria. Mi sarebbe di grande aiuto, ma in questo momento devo
cavarmela con le mie sole forze, come ho sempre fatto:
«Esattamente,
devo ammettere che sei un tipo abbastanza intelligente, Acromio
caro»
scoppio a ridere: «Devo ringraziarti per quella soffiata
sull'apparecchio elettronico, da quando l'ho saputo mi hai aperto un
mondo».
«È stato un piacere poter dare una mano a
Giovanni, il
Leader del famoso Team Rocket. Da sempre sento i racconti delle tue
imprese, ammiro ciò che sei riuscito a realizzare»
vaneggia, dal
tono di voce sembra convincente, i suoi occhi sono ricchi di pure
emozioni. Non lo facevo un attore così bravo, meriterebbe un
premio
per la performance che sta offrendo: «Ma non posso immaginare
che,
un uomo così sofisticato e potente, sia costretto a fare la
muffa in
un luogo così scadente. Come sei riuscito a farti arrestare
dalla
polizia? Il tuo nascondiglio alle cascate sembrava ottimo. Avanti,
dimmelo, sono curioso!».
Mi sforzo di sorridere, riprendo il
sigaro e mi rilasso con qualche tiro. È un metodo
eccezionale per
pensare a una risposta, Acromio è così bene
informato sul mio
conto. A quanto pare il direttore si è offerto di aiutarlo,
dovevo
immaginarmelo: «Non mi sono fatto catturare» lo
correggo, infine mi
rilasso sullo schienale rigido della sedia di plastica: «A un
certo
punto mi sono annoiato, poi mi sono costituito. Se resto dentro al
carcere è solo per trarne dei benefici, semplici profitti,
la mia è
una vera pausa di riflessione Acromio».
«Pausa
di riflessione? Benefici? Oh Giovanni, sei un uomo dalle mille
sfumature. Non ti immaginavo così arguto, così
intelligente da fare
un passo talmente estremo!» noto la luce nelle sue iridi
cristalline, sono riuscito a catturare il suo interesse, adesso
comincerà il suo interrogatorio: «E cosa hai in
mente di fare? A me
puoi dirlo, dopo ciò che ho fatto per te posso considerarmi
tuo
amico. Vero Giovanni?».
«No» scuoto la testa, rido e poso
nuovamente il sigaro: «Assolutamente no» ripeto e,
questa volta,
scandisco bene le parole. Lo guardo negli occhi, dimostro di non
provare alcun timore per lui: «Al massimo possiamo
considerarci
conoscenti, non accetto amicizie dopo un misero favore. Le mie sono
informazioni assolutamente riservate e private, non le dirò
a
nessuno, nemmeno a Ivan e a Max che in passato hanno avuto modo di
aiutarmi. Me le porterò direttamente nella tomba,
specialmente se in
caso di fallimento».
«Ivan e Max? Quei due? Quale ruolo hanno in
tutto questo?».
«Niente di interessante, te lo posso garantire»
sono felice di aver cambiato argomento, forse le domande sul Team
saranno finite.
«Può darsi, ma non ci casco» annuisce
pensieroso, infine si sistema gli occhiali da vista: «In che
modo
sono riusciti ad aiutarti? Ho letto molto su quei due, ma non ho mai
trovato un collegamento con il Team Rocket. Solo delle assurde
imprese da ambientalisti, episodi frivoli per la storia della
criminalità».
«Eppure i due si sono conosciuti all'interno
della mia organizzazione, entrambi si sono arruolati per un motivo
diverso dall'altro. Ivan non ti ha parlato di
ciò?» racconto senza
provare vergogna e spengo il sigaro, in effetti è vero che i
due
Leader si sono conosciuti nel periodo del reclutamento, entrambi
giovani e con le menti rivolte su un futuro provvisorio e incerto.
Sorrido
compiaciuto e mi passo la mano tra i capelli scuri, non mi sono mai
dimenticato di quella strana coppia. Anche io allora avevo anni in
meno sulle spalle, ero meno stanco dopo una giornata passata in
ufficio.
«No, non sono stato informato» lo scienziato
è teso,
noto con piacere che la notizia l'ha messo in confusione. Assume una
posizione rigida, stringe così forte le mani da far
sbiancare le
nocche, non è più il ruffiano di pochi secondi
fa. Adesso che la
maschera è andata in frantumi, posso divertirmi.
«È un vero
peccato, mi hai veramente deluso Acromio. Un canarino che si rispetti
dovrebbe avere i mezzi necessari per compiere il suo dovere»
mi
lascio trasportare in una fragorosa risata, questa volta molto
più
cattiva della precedente, così intreccio le braccia al
petto.
Osservo l'uomo che sta seduto davanti a me, è sbiancato
come un cencio, è scosso e non ha la forza per cercare
argomentazioni con cui rispondere. Colpito e affondato.
Giovanni
è sempre in grado di cogliere di sorpresa il nemico, anche
il più
intelligente e sofisticato: «Pensavi davvero di farla
franca?».
«Le
tue sono delle parole campate in aria, non hai prove concrete per
dimostrarlo» borbotta e annuisce soddisfatto, si schiarisce
la voce
con un colpo di tosse e sospira. Poi sistema gli occhiali, il
riflesso che si è creato con la luce del neon oscura le
iridi dello
scienziato: «La base delle tue teorie si concentra
all'arresto di
Alan, non è forse così? Non mi vergogno a dire
che ti sbagli,
Giovanni. Ero a conoscenza di quelle informazioni
perché è
stato Ivan a rivelarmele, forse vaneggiavo distrattamente con Ghecis
quando, gli agenti a guardia della mia cella, hanno origliato la
conversazione e si sono dati da fare».
Sicuramente Acromio è
nato per essere un criminale, sono in pochi i soggetti che si creano
una giustificazione in cinque minuti di pausa. Devo dargli un merito,
almeno si guadagna la medaglia del professionista, è molto
credibile: «Stronzate» lo blocco immediatamente, la
mia intenzione
è quella di smascherarlo: «Non ho mai parlato del
tenente Idro, hai
forse la coda di paglia Acromio?».
Un sorriso beffardo nasce sul
mio viso, adoro tenerlo in pugno:
«Volevo precisarlo, è scomoda
la colpa del canarino».
«Forse perché lo sei?».
«Il tuo
discorso non ha alcun senso Giovanni, prima di puntare il dito
dovresti avere delle certezze. Ma vedo che ne sei sprovvisto, quindi
è il caso di chiudere qui la faccenda se non ti
dispiace» scrolla
le spalle e appoggia le braccia sul tavolo, poi unisce le mani.
È
stanco, glielo si legge chiaramente sul volto. Forse è
meglio
lasciarlo andare, per oggi non sono riuscito a ottenere ciò
che
speravo, però mi avvicinerò alla sua confessione
e solo allora
sfrutterò i suoi servigi per ottenere la libertà.
È questo a cui
miro, non è nel mio interesse dare una mano a Ivan o a
quello
psicotico di Cyrus, ho un'improvvisa voglia di uscire e lui
è la
sola chiave per farlo.
In maniera pulita, sembrerebbe.
«Ti
preferivo quando eri addosso a Ghecis» commenta, è
nervoso.
«Con
lui non ho ancora finito, sono ancora all'inizio».
«Oh
interessante, mi terrò aggiornato» ridacchia.
È irritante.
«Non
accetto il tuo sarcasmo in mia presenza, quindi sparisci».
«La
sai una cosa, Giovanni?».
«No, che cosa?».
«Da quando hai
iniziato questa rivalità con Ghecis, confesso che entrambi
vi
somigliate molto. Più di quello che pensi».
Stringo il pugno e
mi mordicchio il labbro, le sue parole sono un vero oltraggio. Mai
Giovanni somiglierà a qualcun altro, specialmente se il
diretto
interessato è un essere nauseante come Ghecis:
«Oh, ma davvero? E
cosa te lo fa pensare?».
«Tu e Ghecis avete molte
caratteristiche in comune. Specialmente una».
«Quale?».
«Anche
lui ha un figlio».
Quelle
parole mi frullano costantemente nella testa, non riesco a pensare ad
altro e la rabbia cresce in me. Vorrei urlare, spaccare tutto in
preda a un attacco d'ira, ma nella mia cella ci sono dei mobili
costosi che la trasformano in un mini appartamento, non me la sento
di rinunciare alla loro presenza. Non è facile corrompere le
sentinelle, gli uomini in divisa mi accontentano per farmi spifferare
informazioni importanti sul Team Rocket, ma Giovanni non è
l'individuo che si piega così facilmente. Hanno molto su cui
lavorare.
Ghecis. Padre.
Non me lo immagino mentre culla con
amore un neonato, che lo allatta con un biberon senza lamentarsi,
oppure mentre gli cambia il pannolino. Sono convinto che
l'avrà
fatto fare a qualcun altro, sporcarsi le mani non è da
lui. Non
mi darebbe così fastidio la notizia, se non ci fosse
quell'essere di
mezzo. Da quando l'ho conosciuto non riesco a scrollarmelo di dosso,
ogni volta che provo a rilassarmi, il ricordo di quei lunghi capelli
verdognoli e di quella partita a Poker mi assale. È vero che
ha
avuto la meglio grazie a uno strambo congegno elettronico, l'ha
nascosto bene dato che si tratta del monocolo che gli oscura la
cicatrice sull'occhio, ma non posso dedicarmi ad altro se è
riuscito
a mettermi i piedi in testa. Con o senza aiuto esterno.
Appena
c'è il cambio delle guardie e vengo lasciato da solo,
sprofondo
sulla poltrona con un gesto secco e torturo la benda sulla fronte,
recupero un sigaro dal tavolino in stile moderno, infine l'accendo
con l'acciarino che se ne sta sempre nel taschino della divisa a
strisce bianche e nere. Il mio sguardo intanto si incastra in un
punto vuoto della cella, la mia mente per un attimo la pianta di
concentrarsi su Ghecis e il suo pargolo, così riesco a
visualizzare
alla meglio il volto giovanile di Silver e dei suoi capelli rossi
ereditati dalla madre, Ariana.
Una donna dal fisico eccezionale,
carattere forte e molto fedele nei miei confronti, così
tanto da
garantirsi un rango abbastanza alto nel Team Rocket, ha avuto la
meglio anche sul mio interesse da uomo. Maledetta arpia succhia
soldi, era fantastica come amante, avrò passato numerosi
notti a
dormire sul suo morbido seno. Ricordo ancora quando mi
confessò
di essere rimasta incinta: era inverno e la pioggia cadeva dal cielo
da diverse ore, io e lei avevamo appena finito di crogiolare nei
piaceri della carne. Me lo sussurrò con dolcezza quando ero
impegnato a rivestirmi, lei mi amava e scoppiava di gioia, i suoi
occhi brillavano come delle meravigliose gemme.
Ma
io ero talmente stupido da non ricambiare. Veramente sperava
di
creare una famiglia con il suo superiore?
La mia reazione è stata
negativa e l'ho lasciata da sola in quel letto, ero giovane e troppo
indaffarato con gli scopi del Team per preoccuparmi della situazione;
Ariana, però, era così forte che non si
azzardò a comunicare il
disagio in cui era inciampata, era gelida e silenziosa come l'aria
che penetrava dalla finestra lasciata aperta. Abbiamo passato
settimane a litigare per la gravidanza, io le imponevo l'aborto ma
lei non voleva rispettare i miei ordini, non accettavo l'idea di
crescere un figlio e di assumere certe responsabilità,
sentivo la
nausea quando percepivo il pianto o la risata di un bambino. Nel
momento in cui ero arrivato al limite della pazienza, ho preso la
decisione di trasferirla nel rifugio di Mogania, attualmente si trova
nella regione di Johto. Il mio scopo era quello di farle trascorrere
una gravidanza gradevole, poi avrebbe ripreso in mano i ranghi e
tutto sarebbe tornato alla normalità. Con o senza marmocchio.
Però
ero rimasto di sasso quando tornò dal viaggio, non c'era
nessun
bambino e io pensavo che fosse deceduto dopo il parto.
Solo dicei
anni dopo avevo scoperto che Ariana aveva trovato una sistemazione
per lui, l'aveva fatto crescere all'interno del rifugio da cui
scappò
senza esitare, a quanto pare il signorino non condivideva il "credo"
sui cui si basava il Team. Io ero già diviso dagli affari
dei
Rocket, quindi dal mio nascondiglio seguivo attentamente i suoi passi
e lo individuai nel villaggio più piccolo di Johto, si
aggirava
attorno allo stabilimento gestito dal Professor. Elm e lo puntava da
diversi giorni. Silver, questo era il nome del bastardello che era
venuto al mondo, era stato così coraggioso da rubare un
Pokémon in
quel laboratorio, anche se aveva l'opportunità di chiederlo
e di
comportarsi civilmente.
Già a dieci anni era in grado di rendermi
fiero, aveva messo le mani su un Totodile cioè un
Pokémon talmente
raro da essere introvabile.
Le nostre vie si sono incrociate
un'unica volta. Ero stato io a fare il primo passo.
Scoppiavo di
gioia quando ci siamo ritrovati faccia a faccia, se non mi sbaglio in
squadra aveva dei Pokémon particolari e che allenava secondo
un rude
criterio, ma era troppo tardi per recuperare il rapporto, sentivo
l'odio che provava nei confronti miei e della mia organizzazione,
quindi non potevo reclutarlo per garantire un prossimo Leader al Team
Rocket. Perciò ci siamo confrontati con una critica
battaglia e, al
termine dello scontro, gli ho dato la possibilità di tornare
sui
suoi passi, aveva perso e ciò sottolineava che il suo
percorso da
allenatore non era finito.
Da allora non l'ho più sentito
nominare, ero già in manette quando era scomparso dalla
circolazione, quindi non potevo seguirlo in segreto e garantirgli la
protezione che meritava. Ero suo padre, accidenti.
Ma non ha
importanza se con lui ho commesso una lunga serie di errori, adesso
sarà grande e i suoi Pokémon provvederanno ad
aiutarlo, non ha
bisogno di me.
«Giovanni,
preparati, è l'ora della doccia».
Massaggio
le tempie con movimenti circolari, sospiro e spengo il sigaro che si
è consumato tra le dita. Il mio continuo rimurginare ha
preso il
controllo totale, limita ogni mio movimento più semplice,
è il
momento perfetto per tornare alla realtà con un bagno caldo.
Servirà
per rilassare i nervi, è una settimana che non dormo
adeguatamente.
Osservo l'uomo in divisa che mi ha appena interpellato, dalla sua
espressione apprendo che si è svegliato con la luna storta
(stare a
contatto con i criminali non deve essere una passeggiata, non lo
invidio per niente), perciò annuisco senza aggiungere una
delle mie
sentenze e abbandono il posto a sedere, raggiungo la porta e aspetto
che si apra. Il tempo di fare un passo che ho già le manette
ai
polsi, cinque poliziotti sono già pronti per scortarmi fino
alla
parte opposta del corridoio.
Partirò
da solo, poi arriveranno anche gli altri.
Noi
boss siamo costretti all'isolamento più totale, ci troviamo
all'ultimo piano dell'edificio, in una sezione desolata ma pronta a
ospitare i soggetti più pericolosi della malavita. Dalle sei
del
mattino ci mescolano al resto dei carcerati, così facciamo
colazione
nella mensa e ci spediscono ai lavori forzati, durano fino all'ora di
pranzo. Nel pomeriggio non possiamo fare altro che aspettare l'ora
d'aria, ma alle cinque torniamo nei nostri angoli ristretti. La sera
gli inservienti, detenuti che cercano la libertà tramite un
impiego
onesto, iniziano a bazzicare tra le celle dei Leader per servire la
cena e, dopo un'ora esatta, le luci si spengono automaticamente a
causa del coprifuoco.
È
noioso essere un detenuto, molti impazziscono nel restare chiusi qui
dentro, però dalla mia bocca non escono mai lamentele e
continuo la
routine come se niente fosse, Giovanni è in grado di
adattarsi a
qualsiasi circostanza. Grazie ai mille favori, godo di una situazione
adagiata e tranquilla e, i giri che ho creato, impegnano la mia mente
a ogni ora del giorno.
Ma
con le riflessioni ho chiuso definitivamente per oggi, le sentinelle
mi hanno liberato dentro alla stanza delle docce, quindi posso
finalmente rilassarmi.
Sorrido
deliziato. Attendo quest'attimo da sei giorni.
In
breve tempo mi rintano tra i separè di legno e, mentre i
miei
compagni di disavventure prendono postazione sotto gli occhi delle
guardie, l'acqua bollente scorre sul mio corpo robusto e leggermente
muscoloso, così dimentico gli eventi che sono successi
nell'arco
della settimana.
«Entra,
non fare il timido».
Apro
gli occhi all'eco di quella voce, poi punto la parete lignea posta
alla mia destra. È Max, a quanto pare è insieme a
qualcuno.
È
forse tornato con Ivan?
Non ci posso credere.
L'ultima litigata
dei due è stata micidiale, sfido chiunque a sistemare una
relazione
dopo ciò che si sono detti, dopo anni Ivan ha mostrato il
lato da
barbaro per cui è diventato famoso.
Un ghigno divertito si
impossessa del mio volto però, quando mi arrampico per dare
una
sbirciatina nella doccia accanto, la scena che mi si para davanti
è
in grado di sottrarmi l'entusiasmo.
Quello che vedo è sicuramente
Max e il suo corpicino snello, ma in questo caso è in
compagnia di
Cyrus. Il vegetale.
L'ha messo sulla sedia che era riservata
all'ultimo compagno del rosso, se ne sta curvo per coprire
l'intimità
maschile, ma non dà alcun segno di vita. L'altro invece
è
entusiasta della nuova compagnia, è talmente occupato a
insaponargli
gli inspidi capelli azzurri che non si è accorto di me.
Movimenti
circolari, lo sta sottoponendo a un massaggio.
Confesso che lo
invidio.
«Ehi, Maxie».
Lo chiamo.
Lui sussulta,
spaventato, poi mi guarda.
«Ciao, Giovanni» risponde con calma,
infine torna a coccolare quel coso.
«Vedo che ti sei fatto un
nuovo amichetto, sono contento» sghignazzo: «Dove
l'hai mandato il
tuo dolce marinaio?»
«Non lo so e non mi importa» afferma, ha
gli occhi lucidi.
«Va bene, ho capito, non sei dell'umore»
scrollo le spalle e incrocio le braccia sopra al bordo in legno, poi
ci appoggio il mento. Continuo a fissarlo, è imbarazzato
dalla mia
presenza, devo cercare di essere il più veloce possibile:
«Non
vorrei disturbarti in un momento simile ma, io e te, dobbiamo fare
una chiacchierata. Appena hai finito con quel coso fai un salto nella
mia cella, ceneremo insieme stasera»
«Non posso, Cyrus ha
bisogno di qualcuno che l'aiuti a mangiare e...»
«Quel coso si
può ingozzare da solo» lo interrompo bruscamente,
non amo essere
rifiutato: «Sii puntuale, ho bisogno che tu mi faccia un
piccolo
favore».
Pulito
e abiti profumati, non posso chiedere di meglio.
Dopo il mio
invito Max si è presentato in tempo per la cena, appena si
è messo
a sedere sulla poltrona per gli ospiti, gli inservienti sono arrivati
con le pietanze. Due bistecche al sangue, proprio come piacciono a
me, contornate da patate arrosto e un buon bicchiere di vino rosso.
Non guasta mai. Giovanni non mangia spazzatura, specialmente
se
ha ospiti:
«Perché mi hai fatto venire, Giovanni? Di cosa mi
volevi parlare?».
Scrollo le spalle all'affermazione e mi stendo
contro lo schienale, poi accendo il sigaro e lo guardo direttamente
negli occhi. Max non è cambiato molto, è rimasto
il ragazzo che ho
conosciuto anni fa.
Adesso è un uomo, ha solo qualche ruga in
più:
«Prima
di cominciare, in realtà, volevo soffermarmi un attimo sulla
tua
situazione» esprimo dopo minuti di pausa, intanto giocherello
con il
sigaro marroncino: «Sei veramente sicuro di ciò
che stai
facendo?»
«Non capisco dove vuoi andare a parare»
«Perché
stai facendo coppia fissa con Cyrus? Quel tipo è senza
speranze»
«Non dire così» afferma, nelle sue
parole è
presente un leggero accenno di rimprovero: «Ha bisogno di
qualcuno
accanto, sono sicuro che un po' di compagnia gli farà bene.
Quando
abbiamo incontrato i nostri Pokémon, era diverso. Dovevi
vederlo».
«Non ha importanza» sbuffo e faccio roteare gli
occhi: «Anche prima eri apprensivo, ma ora stai esagerando.
Ti rendi
conto che gli dedichi attenzioni per ripicca? Non ti starai mica
prendendo una cotta per lui?»
Max abbassa la testa, poi incrocia
le mani tra loro. Forse è arrossito, quello scienziato
è
imprevedibile: «Non ho la mentalità adatta per
dedicarmi
completamente a un'altra persona, anche se volessi non ci riuscirei.
Sai delle mie condizioni attuali, forse più di chiunque
altro»
«Lo
spero bene. Cyrus non è l'uomo che fa al caso tuo,
fidati»
«Accetterò il tuo consiglio ma ti ricordo che non
sono
tuo figlio, quindi smettila di comportarti come se fossi mio
padre»
conclude e resta immobile.
Schiocco la lingua contro al palato e
lo fisso senza replicare, ha ragione. È talmente simile al
mio
Silver che non riesco a trattenere gli istinti...Vecchiaia, sento il
tuo peso sulle mie spalle. Dannazione.
Ma è il momento di mettere
da parte i sentimenti per passare agli affari, mi disgusta perdere
tempo per discutere su situazioni da fiction per casalinghe
depresse.
«Max, cosa sai di Acromio?».
«Niente di
particolare, solo che è un bastardo» sussurra tra
i denti e volta
lo sguardo verso la finestra, percepisco lontano un chilometro l'odio
che scorre nelle vene dello scienziato. Ha tutte le ragioni del mondo
per detestarlo: prima l'ha separato dalla persona che più
amava, poi
si è accanito con quella specie di animaletto domestico.
Cyrus
era sul punto di fare le fusa, lo giuro su mia madre.
«L'ho
notato, ho avuto il piacere di scambiarci due chiacchiere proprio
ieri. Bisogna tenerlo sotto stretto controllo, ogni suo spostamento
è
sinonimo di guai» spengo il sigaro nel posacenere
lì vicino, poi
rilasso i muscoli stanchi sullo schienale della poltrona.
«Scommetto
che è stato lui a mettere le mani addosso a Cyrus»
conferma con un
tono di voce talmente sottile da sembrare un sibilo, se lo guardo
sembra un Arbok pronto ad attaccare una preda tanto ambita:
«I tagli
che ha riportato sono degni di un chirurgo provetto e, secondo
ciò
che mi è stato detto, Cyrus ha più
familiarità con le macchine e
non con la medicina».
«Ma queste non sono prove sufficienti, se
Acromio lavora insieme alle autorità lo proteggeranno,
dobbiamo
mettere le mani su qualcosa di concreto. Appena il resto dei detenuti
vedrà il tradimento, correranno ad acchiapparlo».
«Ci sono i
nastri della video sorveglianza, lì ci deve essere la
risposta alle
nostre domande».
Mi
lecco i denti e sorrido sotto ai baffi, la sete di vendetta di Max
è
capitata a fagiolo dentro al mio piano diabolico. Se riesco a mettere
le mani sul video che incastra quel canarico, di sicuro sarà
un
gioco da ragazzi metterlo in ginocchio. Poi lo ricatterò
senza farmi
alcuno scrupolo, lo convincerò a lavorare per conto mio e
sarà quel
bastardo ad assicurarmi la via d'uscita. Il direttore non si
potrà
rifiutare, gli ho fatto fin troppi favori da quando sono dietro alle
sbarre.Ero d'accordo con lui ancora prima di finire in galera, quello
sporco soggetto lavorava per il mio Team anche se era schierato verso
la giustizia.
Poliziotti
corrotti, sono adorabili.
Lui doveva portarmi in cella per
0ttenere una promozione, io con le mie informazioni l'aiutavo a
scovare i criminali più incalliti delle regioni e, quando la
mia
presenza non gli garantiva più una buona condizione, doveva
liberarmi o favorirmi una possibilità di fuga. Ma non ha
mantenuto
la sua promessa, è stato così assetato di soldi e
fama quando sono
venuti a galla il Team Galassia e il Team Plasma. Anche lui merita
una punizione, forse quella più brutale, ma avrò
modo di vendicarmi
in futuro. Adesso è in circolazione una nuova banda di
criminali, il
loro nome è comparso sul quotidiano di qualche settimana fa,
se non
levo le tende il prima possibile mi terrà chiuso qui dentro
per
scovare anche loro.
«Ricordi quando ti ho chiesto un piccolo
favore?» domando, Max è ancora lì che
aspetta un mio segnale di
vita.
Accidenti, oggi sto riflettendo così tanto che a momenti
assomiglio a Cyrus.
«Sì».
«Ecco, è un compito talmente
semplice che anche un bambino lo saprebbe fare. Tu dovrai portarmeli,
non sarà difficile procurarseli visto che al tuo fianco hai
uno
scassinatore provetto come Gerardo» comincio a raccontare con
il
volto macchiato da un sorriso deliziato, poi mi lecco il labbro per
assaporare il gusto estremo della vittoria: «In cambio
farò due
chiacchiere con il direttore, annullerò la condanna a morte
di
Cyrus.
Il giorno del misfatto è stabilito per la prossima
domenica, sette giorni.
Hai le ore contate Maxie».
|
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Capitolo 10 *** 10. Ben fatto Maxie [Xavier] ***
10. Ben fatto Maxie
10. Ben
fatto Maxie
By Xavier
"Il
giorno del misfatto è stabilito per la prossima domenica,
sette
giorni. Hai le ore contate Maxie".
Erano
state queste le sue ultime parole. Le ultime parole di Giovanni, il
più temuto tra tutti i capi delle organizzazioni criminali
Pokémon.
Mi sale l'ansia solo all'idea, sebbene sette giorni non siano
così
pochi, se si pensa che Dio abbia creato tutto l'universo in questo
breve lasso di tempo (per come la vedono i creazionisti), mentre io
dovrei solo rubare dei nastri dall'archivio delle registrazioni. No,
no! Questo non basta, dalla mia riuscita dipende anche la vita
di Cyrus, pover'uomo, non c'entra nulla con tutta questa storia, non
ha mai fatto del male a nessuno da due anni a questa parte, eppure
grava su di lui la peggior conseguenza di un ipotetico fallimento. Ci
mancava solo Giovanni, mi sembra di esser tornato indietro di almeno
vent'anni, quando ero ancora una sua recluta e dovevo obbedire ai
suoi ordini senza discutere, pena l'abbassamento del salario. Non
è
cambiato di una virgola, lui, lascia sempre il lavoro sporco agli
altri. Potrebbe benissimo procurarseli con le sue risorse, e invece
mi ha messo in mezzo coinvolgendo inevitabilmente anche "il
coso". Vuole farmi sentire in colpa, responsabile, ormai mi
conosce bene e sa quali sono i miei punti deboli. Cosa farò?
Che
cosa farò se giustizieranno il mio unico amico rimasto? Non
voglio
rimanere da solo e scontare in solitudine il resto dei miei giorni
tra queste quattro mura, è qualcosa di denigrante e
disumano. Non
voglio neppure tornare in ginocchio da Ivan dopo quanto è
successo,
sebbene la sua mancanza si stia facendo sentire sempre più
come la
soma appesantita sul dorso di un Rapidash lasciato a briglia sciolta.
Sospiro esausto e affondo la testa nel cuscino dopo essermi tolto gli
occhiali ed averli riposti sul comodino accanto al letto: non ho
sonno, sebbene sia stata una giornata piuttosto intensa e il mio
fisico ormai non è più quello di un giovanotto
adolescente. Non è
la prima volta che mi capita di vivere una situazione simile.
Quando
ero a capo del Team Magma e urgeva elaborare un piano di riserva o
qualcosa di simile, non andavo mai a dormire prima di aver concluso,
anche a costo di stare in piedi più di 36 ore con l'aiuto di
qualche
tazza extra di tè o caffè. Fa parte
della mia natura, non
riesco a rilassarmi se prima non ho portato a termine il mio
lavoro.
Mi giro e rigiro più volte nel giaciglio, nella vana
speranza di trovare una posizione accomodante e che mi concili il
sonno finché, stufo, non mi decido a prendere un libro
qualsiasi tra
quei pochi che mi hanno concesso di portare in cella, così
per
ammazzare il tempo. "Vulcanologia e minerali". Ah, ma tu
guarda, proprio il manuale che adoperai ai tempi
dell'università,
quand'ero poco più che un adolescente. Quanti ricordi,
quanta
dedizione e quanto entusiasmo ci misi nella mia tesi di laurea! Non
posso far a meno di sorridere amaramente, ripensando a quegli anni.
La mia enorme passione per la Terra e per tutto ciò che la
concerneva mi ha reso ogni lavoro successivo quasi un divertimento,
mai un peso.
Le
ricerche, le spedizioni, i calcoli minuziosi, tutti compiti odiati e
disprezzati dai miei compagni di corso, erano per me una fonte di
diletto e di gioia. Non fui mai più così felice
come quando
diventai il capo del Team Magma, a comando di tante tantissime
reclute, tutte dedite e devote alla medesima passione. Com'ero
felice… Sbadiglio rumorosamente e ripongo il libro al suo
posto,
per poi distendermi di fianco e prendere finalmente sonno. Un sonno
per nulla tranquillo, ma sufficiente a recuperare le energie e
rinfrescarmi la mente.
Mi
alzo alle prime luci dell'alba e passo un buon quarto d'ora a
stiracchiarmi come si deve, facendo scattare ogni singola
articolazione del mio esile corpo, è una sorta di
riscaldamento per
me. Come al solito mi sciacquo per bene il viso e gli occhi nel
lavello e poi pulisco delicatamente le lenti dei miei occhiali. Non
deve esserci neppure un'impronta digitale o un granello di polvere a
compromettere la mia visuale! Ultimati questi preparativi di routine
attendo che arrivino le guardie per scortarci fino alla mensa; oggi
come non mai ho bisogno di un'abbondante colazione e un carico di
zuccheri. Sì, voglio togliermi questo peso il prima
possibile, oggi
stesso, se non si era capito. Per mia fortuna il mio fisico
è
alquanto acciaccato e non ho mai dato problemi al personale
penitenziario, per cui la loro attenzione nei miei confronti
è
alquanto blanda e non sospettano mai nulla di tutto ciò che
mi
frulla per la testa. Non hanno idea di quanti piani di fuga io abbia
pensato e continui ad escogitare, solo perché sono alquanto
silenzioso. Ma chi, mai, progetterebbe un omicidio ad alta voce? Che
ingenui.
Una volta giunto in sala mi siedo al solito posto,
accanto a Cyrus. Lo osservo con una certa compassione, dritto negli
occhi. Forse a lui neppure importa tanto di vivere o morire e mi sto
affannando per nulla. Questo non lo so e probabilmente non lo
saprò
mai, ma so solo che sto facendo la cosa giusta che quantomeno mi
eviterà futuri sensi di colpa. Consumo con flemma le mie
fette di
toast inzuppate nel caffellatte, ma ho ancora fame e sono
nervoso.
"Amico mio, vorrai perdonarmi, ma probabilmente dopo
mi ringrazierai" sussurro al mio compagno e celere celere gli
soffio via la sua merenda. Lui non dice nulla, ovviamente, ma
d'altronde non sembra avere molto appetito. "Un giorno usciremo
da qui, vedrai. E tu sei ancora giovane, rispetto a me o a Giovanni.
Non deprimerti, ci riprenderemo la dignità e non
commetteremo più
certi errori". Gli lascio una pacca d'incoraggiamento sulla
spalla, per rafforzare la mia affermazione, e inizio a guardarmi
intorno. La situazione è quella di tutti i giorni,
né troppo né
poco controllo. Devo innanzitutto capire dove si trova la sala
archivi. Ma sarà al piano di sopra, suppongo, dal momento
che non
l'ho mai vista e ho solo accesso ai piani inferiori e al cortile. La
grande orda di carcerati pian piano si sposta verso l'esterno per
andare a fare i consueti lavori forzati. Che io non voglio fare e non
farò! Cammino contromano, cercando di mischiarmi con la
folla e
passare inosservato ma..
«Ehi,
Rosso Malpelo, non ti funzionano gli occhiali oggi? Stai sbagliando
direzione»
mi ammonisce una delle sentinelle. Ormai quello è il mio
epiteto.
«Meglio
rosso che pelato come te»
rispondo con astio, faccio un colpo di tosse e riprendo a parlare:
«ebbene
ho dimenticato la custodia dei miei occhiali in cella. Come potrei
spaccare le pietre con loro addosso? Se dovessero rompersi non potrei
fare proprio nulla e poi…»
«Sì
sì certo, ma fa' in fretta. Tanto non puoi scappare».
Annuisco
e mi trascino per la mia via, sparendo dietro la parete
dell'angolo.
La via sembra libera, dovrò fare molto in fretta.
Cammino velocemente con passo silenzioso lungo il corridoio,
fermandomi ad un cartello attaccato al muro che riporta la pianta
dell'edificio: bingo! Proprio come pensavo, per raggiungere la stanza
di video sorveglianza devo salire un'altra rampa di scale, giungere
quindi all'ultimo piano e proseguire dritto. Dovrò fare
molta
attenzione perché sia a destra che a sinistra vi sono le
camere con
dormitorio delle guardie carcerarie, le quali, data la posizione di
questa struttura, isolata da tutto e da tutti, lavorano e dormono qui
a turni di mesi. Ci vogliono almeno 5 ore di navigazione per
raggiungere la costa più vicina e 2 ore di elicottero per
fare tutta
la traversata di mare che ci separa dalla terraferma. Ciò
parla da
sé, anche per questo tutto sommato la sicurezza non
è attentissima,
proprio perché non c'è modo di scappare. L'unico
modo sarebbe
fuggire dal carcere, scavalcare le altissime mura con filo spinato e
poi rubare uno dei mezzi di trasporto rigorosamente
vigilati.
Impossibile in pratica.
Bene, sono arrivato.
Non
sento alcun rumore, probabilmente, come avevo previsto, la gran parte
del personale in questo momento si trova in cortile a sedare le risse
e a controllare che i detenuti svolgano i lavori, o a ripulire le
camere, la mensa, i bagni e il soggiorno. Ogni tanto si degnano di
fare queste pulizie, d'altronde anche loro vivono qui e di certo sono
abituati ad un tenore di vita nettamente migliore. E poi, detto in
tutta sincerità, non hanno granché da fare e si
annoiano, ed è
meglio che si diano da fare con qualche faccenda domestica piuttosto
che scontare la loro frustrazione sui carcerati.
Inspiro ed espiro
più volte per rallentare i miei battiti talmente
tamburellanti che
mi pare di udirli e calmare i nervi tesi come cavi d'acciaio che
reggono un ponte. Ora mi sento più pronto e avanzo. Passo
due,
quattro, sei stanze e tutto sembra tranquillo: le aule sono vuote, i
letti appena rifatti e le imposte spalancate per far entrare quanta
più luce possibile. Mi sento più tranquillo
adesso, come protetto
da una buona sorte e favorito dal destino, ammesso che esista. Un
altro paio di camere e sarò arrivato a… No,
troppo presto per
parlare, riesco a sentire una voce provenire dalla prossima a destra.
Accidenti! Che sia un ritardatario che non ha sentito la sveglia e si
sta alzando solo adesso? Ben venga, sarà ancora stordito dal
sonno e
non si accorgerà di me. Mi appiattisco al muro e tendo le
orecchie
per capire meglio e le voci adesso sembrano esser diventate due.
Avanzo un poco fino a scoprire che la porta di tale camera è
chiusa.
Tiro un lungo sospiro di sollievo. Sollievo che vien presto stroncato
nell'istante in cui riesco a riconoscere una delle due voci: Acromio!
Sebbene la mia voglia di dargli una bella lezione sia tantissima,
adesso ho altro per la testa. E poi che diamine ci fa nella stanza
del direttore? Scivolo via tutto acquattato e giungo finalmente alla
mia tanto anelata meta; è ancora presto, dunque l'addetto
alla
sorveglianza ancora non è arrivato, sarà ancora
giù a fare
colazione quindi devo sbrigarmi e non perdere tempo. Sono sempre
più
convinto di avere il fato dalla mia parte, oggi, e devo giocarmi al
meglio tutte le mie carte. Mi siedo alla scrivania che si apre su
innumerevoli schermi che mostrano gran parte degli angoli
dell'edificio. Avevo un'attrezzatura simile nel rifugio del Team
Magma, quindi so bene come muovermi su questi congegni informatici.
Forse per questo Giovanni ha mandato proprio me, perché si
fida e mi
ritiene in grado di eseguire un compito tanto complesso che necessita
di calma, intuito e soprattutto praticità tecnica. Mi fa
piacere che
abbia questa buona opinione di me, lui, che mi ha dato le prime
speranze sul futuro quand'ero una giovane recluta. Mi chiedo quale
opinione abbia su Ivan a questo punto. O forse… no, meglio
di no,
non è il momento di pensare a queste sciocchezze e non
sarà mai più
il momento di pensare a Ivan, devo dimenticarlo. Osservo per un poco
tutti gli schermi notando, come previsto, che tutto il personale
è
occupato a sedare una rissa in cortile, forse per una sigaretta o una
dose di tabacco; continuate! Continuate pure e scannatevi. Ad esser
sincero, mi aspettavo molte, molte più telecamere. Tanti
punti della
struttura sono senza sorveglianza, che gran parte delle videocamere
siano fasulle? Che ci diano solo l'illusione di essere monitorati
anche nel bagno, ma che in realtà, la vigilanza è
alquanto scarsa,
giustificata dall'impossibilità materiale di una fuga? Tutto
è
possibile. Ma adesso torniamo a noi. Mi sposto al monitor che
dovrebbe contenere tutti i nastri di video sorveglianza, sistemati in
ordine di data.
Basterà
inserire il giorno (del quale sono a conoscenza) e l'orario,
approssimato a tutta la mattinata fino all'ora di pranzo. Quella
della cella di Cyrus dovrebbe essere la numero 0.4. Hm sì,
perfetto.
Digito tutti i dati necessari, trepidante dal ricevere il resoconto
ma una voce meccanica smorza il mio entusiasmo: "informazione
non trovata".
Come? Come sarebbe a dire? Scrollo tutta la cronologia e noto, con
mia grande sorpresa, che per un'intera ora la telecamera non ha
ripreso proprio niente, e per le restanti ore mattutine non
è
successo assolutamente nulla all'interno delle sbarre. Come..
Com'è
possibile? Che sia saltata l'elettricità proprio in quel
lasso di
tempo, e Acromio ne abbia approfittato? O che l'abbia disattivata lui
stesso? Sì ma in che modo? Assurdo, impossibile. Ci
penserò dopo,
adesso devo scappare, mi auguro solo che Giovanni non vada su tutte
le furie e mi creda, e creda che io abbia davvero rischiato la pelle
per un buco nell'acqua.
Esco dalla sala di controllo e non posso
far a meno di fermarmi dietro la porta dello studio del direttore per
origliare la loro discussione. Non riesco a distinguere benissimo
quel che si dicono, colpa in parte della tenue voce dello scienziato,
ma metto mano sul fuoco che abbia detto "Cyrus" più di una
volta. Ma che intenzioni ha? Perché vuole rovinarci? Non
sarebbe
meglio se si alleasse con noi, dal momento che è in una
situazione
analoga alla nostra? Cosa spera di ottenere col suo atteggiamento
doppiogiochista?
«Ehi,
Rosso Malpelo! Cosa diamine ci fai qui?»
la possente voce della guardia mi tuona improvvisamente dietro e
trasalisco, urtando col gomito la maniglia. Il dialogo tra i due si
arresta. Cosa posso dire, adesso?
«Ehm…
Io… Temo di aver sbagliato strada, ecco, non vedo
granché bene
e…»
«Ah!
E speri che io me la beva? Sai come vengono puniti i trasgressori,
hm?».
Annuisco e mando giù rumorosamente.
«I
trasgressori vengono messi in isolamento, le loro razioni di cibo
drasticamente diminuite e diventano lo sfogo preferito dei carcerieri
più cattivelli! Non dirmi che non lo sapevi, oh povero
Maxie…»
la fastidiosissima voce di Acromio risuona alle mie spalle.
«Potevi
risparmiarti lo sproloquio, ne ero già a conoscenza. Non mi
oppongo
a tale castigo, ma prima, per cortesia, vorrei scambiare due parole
con Giovanni, tempo di pochi secondi… Ugh!».
Vengo immediatamente colpito al ventre dalla ginocchiata
dell'energumeno e sono costretto a piegarmi a terra. Non riesco ad
alzarmi. «Solo…
Due parole..»
replico con un ultimo sforzo, ma di rimando ricevo un altro
strattone. Se solo, se solo avessi un briciolo della prestanza fisica
di Ivan. Se solo ci fosse lui qui! Adesso non m'importa più
dell'orgoglio o delle promesse fatte a me stesso, il dolore reprime
tutto, desidero ardentemente la sua presenza, la sua protezione,
com'è sempre stato da quando ci hanno catturati. E
lui… come
reagirebbe se mi vedesse in questo stato? Correrebbe in mio soccorso,
come sempre, o a questo punto non gliene importerebbe più
nulla? Io
non…
«E
alzati! O vuoi essere trascinato come un sacco di patate, eh?».
Raccolgo le forze e mi tiro sulle ginocchia, mi appoggio al muro e mi
alzo in piedi, barcollante e instabile. Ho la vista un po' offuscata
ma riesco a distinguere nettamente la figura del biondino.
«Acromio…
Perché tutto questo? Cosa pretendi da Cyrus, da me, da noi
tutti?».
La sua unica risposta un ghigno alquanto inquietante che non promette
nulla di buono. So già cosa mi aspetta… Non
oppongo resistenza e
mi lascio ammanettare per essere condotto nella cella d'isolamento
per non so quanto.
Giovanni, ho fallito, mi dispiace, mi dispiace
tantissimo.
Cyrus… vorrei poterti chiedere scusa in questo
momento, è solo e soltanto colpa mia se ti
accadrà qualcosa di
brutto.
|
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Capitolo 11 *** 11. Il ritorno [By Lily] ***
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11. Il
ritorno
By Lily
Il
sole si innalza nella volta celeste, gli schiamazzi delle sentinelle
mi perforano le orecchie. Apro gli occhi e sbuffo, sposto una ciocca
di capelli dietro l'orecchio sinistro e agguanto il bastone, mi alzo
dal letto senza fare troppe storie. Un'altra giornata è
appena
cominciata, da carcerato non posso fare altro che rimanere immobile,
a lasciarmi scorrere addosso il susseguirsi degli eventi.
Sospiro
silenzioso e poso lo sguardo sulla finestrella, da qui è
possibile
intravedere i colori pastello dell'aurora, dolci e morbidi come i
disegni di un infante. Questa tortura si placherà con
l'avvenire
della mia stessa morte, la legge ha deciso di punirmi con un
ergastolo. Sono stato trattato come un animale destinato al macello,
mi hanno sbattuto in mezzo al marciume della società,
composto da
esseri ripugnanti come il loro passato, che si ammazzano l'un l'altro
solo per accaparrarsi un misero pacchetto di sigarette, alcoolici o
un giornaletto che raffigura le vere bellezze delle curve
femminili.
Patetici, davvero patetici.
Se non ho perso il conto
sono passate tre settimane da quando sono stato rinchiuso, Acromio
non ha perso tempo e ha messo il suo zampino nella vita di alcuni
carcerati, l'aria che si respira dentro alle celle è
cambiata
radicalmente. Prima potevo contare sull'anonimato, agire nell'ombra
come un verme per nascondere i miei delitti contro la regione di
Unima, ma la rivalità che si è creata con
Giovanni mi ha messo
sotto alle luci dei riflettori.
Ovunque mi giro si parla di me,
Ghecis, l'uomo che ha sconfitto un tiranno che, per anni, ha
controllato la miglior organizzazione criminale della storia. Ma non
mi stupisco più di tanto se sono riuscito nel mio intento,
il suo è
solo un muro di ipocrisia, sfrutta l'immagine per controllare i
più
forti e schiacciare i deboli. Adesso è dietro alle sbarre
come un
comune mortale, è un perdente proprio come tutti gli altri,
un
fallito che sopravvive grazie al gioco sporco, un re che ha perso la
sua corona cosparsa di smeraldi luccicanti.
E così anche io. Non
sono da meno.
Cosa racconterò ai figli delle nuove generazioni?
Cosa mi resta delle mie imprese? Niente. Un cumulo di polvere e
amarezze.
Sono un fallito, un prigioniero condannato a spaccare
pietre sotto il sole.
E basta.
«Ghecis?
Sei già sveglio?».
Ivan.
Un
ragazzo sopra le righe ma dal cuore d'oro, un altro soggetto che ha
provato a sconvolgere il mondo con le sue imprese catastrofiche.
Fallendo miseramente.
Mi volto verso di lui con movimenti lenti e
precisi, sorrido amabile. Lui si deve fidare di me, seguire il mio
progetto senza provare dubbi o incertezze.
Sarei uno sciocco a
farlo tentennare proprio adesso, abbiamo l'opportunità di
avviare il
mio piano e non posso commettere errori.
Se i Boss delle
organizzazioni si aiuteranno tra loro, sarà un gioco da
ragazzi
evadere da questo posto. Ma è una vera sfida far ragionare
quei
testardi, a quanto pare ognuno ha un pretesto valido per litigare o
tenere il muso.
E Ivan non è da meno. Sappiamo già cosa
è
successo con Max, lo sanno tutti ormai.
Peccato
che non conosca la notizia che circola nei corridoi, non
sarà
contento quando la verrà a sapere. Meglio procedere con
calma.
«Non
riesco a dormire con tutti i miei dolori, lo sai»
«Sì...»
borbotta qualcosa di incomprensibile, si stropiccia gli occhi e
sbadiglia. «Sai
che ore sono?»
«Non
di preciso»
mi volto verso la finestra per un'ultima volta, ho imparato a leggere
l'orario grazie allo spostamento del sole. «È
presto,
la colazione sarà servita a momenti»
Finisco
di parlare e la sentinella arriva a prelevarci.
La mensa è la
sala che detesto di più, come il cibo scadente che viene
servito. Il
primo pasto è commestibile rispetto al resto delle pietanze
giornaliere, cerco di farmelo bastare per non farmi prendere alla
sprovvista dalla fame.
Al tavolo la situazione è caotica come
sempre. Da diverso tempo Ivan è accompagnato dai suoi amici
del
cuore, Alan e Gerardo. Il secondo è un ragazzo con cui non
ho mai
conversato, ha il volto angelico incorniciato da una massa di capelli
scuri che tiene schiacciati sotto a un buffo cappello, occhi color
ambra e una barbetta folta che gli ricopre gran parte del mento. Mi
piace quel ragazzo, apre bocca solo se viene interpellato, una
caratteristica che apprezzo. Di solito rimane in un angolo per
leggere il giornale, ma una notizia in particolare ha cambiato il
corso degli eventi, sembra aver qualcosa di interessante da
dire.
«Prima
i lavori forzati, adesso questo. Non posso crederci!».
Ivan
e Alan restano di sasso e smettono di azzannare le fette di pane
imbottite di confetture, lo guardano senza capire. «Guardate
qua»
mormora il moro senza nascondere la sorpresa, poi mette l'articolo di
giornale sotto agli occhi di tutti. «Hanno
intervistato il direttore del carcere, quella faina ha trovato un
modo per spillare soldi al comune e arricchire la struttura».
«E
in che modo?»
borbotta Ivan, incredulo.
«Ma
non sai leggere?! Qui dice che, nelle prossime settimane, un gruppo
di detenuti si trasferirà a Unima. Lì lavoreranno
per ristrutturare
la via ferroviaria del paese, questo significa che il direttore
intascherà soldi senza muovere un dito».
«Davvero
un'ottima pensata»
esclama Alan, da quest'angolatura posso intravedere un misto di
emozioni negli occhi di quel gigante, non sembra terrorizzato
dall'idea di separarsi dal suo capo per andare a sgobbare in una
regione che non conosce. Ma non riesco ad afferrare la pagina del
quotidiano, lui l'agguanta per leggerla per conto suo. «Ma
le pietre che spacchiamo ogni giorno, a cosa servono?»
Domanda
legittima, direi.
«Le
utilizzano per creare materiali utili nel campo dell'edilizia, sono
molto richieste da queste parti»
risponde Gerardo con il sorrisetto sulle labbra.
Stiamo per
proseguire con la conversazione, ma l'atmosfera viene interrotta
dall'entrata rumorosa e brusca di Giovanni.
Il solito guasta
feste.
Sono giorni che è nero di rabbia, il motivo è
sconosciuto
a chiunque, ma non si fa scrupoli a urlare in faccia sui pochi che
incrociano il suo cammino. Cerco di non badare al suo comportamento,
mi nascondo dietro alla figura imponente di Alan per non inciampare
nell'ennesima lite.
Secondo me è solo un esibizionista.
«Giovanni
si è svegliato con la luna storta, è meglio
andare via».
Il
momento in cui mi hanno messo sotto ai ferri per amputarmi il braccio
è stato orribile, questo ricordo resterà impresso
nella mia mente
fino al giorno della mia morte.
Un solo braccio.
Questo
è il prezzo che ho dovuto pagare per essere entrato in
contatto con
la potenza glaciale di Kyurem, anche se l'operazione non era
così
necessaria, è stato Acromio a raggirare i medici con
racconti
inesistenti sulla mia salute. Quel maledetto bastardo, un giorno la
pagherà cara.
Sospiro
per levarmi di dosso i pensieri negativi, in questi momenti di
solitudine dovrei concentrarmi per organizzare l'evasione perfetta,
ma gli elementi che compongono il mio nuovo stile di vita sono
molteplici, mi distraggono e non riesco mai nel mio intento iniziale.
Se continuo con questo ritmo rischio di fare la muffa, devo sbrigarmi
se voglio far intervenire gli altri e correre verso la
libertà.
E'
una parola, a stento riesco a muovere una gamba. Scrollo le spalle e
mi lascio andare in una risatina aspra, punto la coda dell'occhio
verso la finestra per vedere i miei colleghi mentre lavorano sotto al
sole. Siamo in primavera e la temperatura è ottimale, ma non
voglio
pensare a ciò che succederà con il sopravvento
dell'estate. Sono
sicuro che ci sarà una carneficina, il caldo si
porterà via i cuori
dei più deboli. Non c'è motivo per stupirsi
così tanto, è il
ciclo della natura che stabilisce le regole fin dal principio, i
più
forti sopravvivono e chi non si adatta perisce.
L'invalidità
mi impedisce di intervenire direttamente come vorrei, non posso
aiutare i miei compagni se sono sprovvisto di un arto, ogni mattina
resto chiuso dentro a questa stanza spoglia, decorata da una misera
panchina traballante e una finestra chiusa dalle sbarre. Di inverno
sarà difficile combattere contro al freddo glaciale, qui
è pieno di
spifferi che mi penetrano le ossa e mi riempiono di dolori.
«Permesso».
Una
voce mi distoglie dalle riflessioni più intime, la saletta
si
riempie con il rumore dei passi.
Volgo lo sguardo sulle nuove
figure intente a chiudere la porta principale, due sentinelle vestite
di tutto punto sono venute a farmi visita. Perché?
I lavori
forzati non sono ancora terminati, è successo qualcosa di
cui sono
all'oscuro?
Non parlo e guardo fuori dalla finestra senza
preoccuparmi dei due, non ho niente da dire e preferisco tacere. Se
mi porteranno via, lo faranno senza chiedermi il permesso.
«E'
da molto che non ci vediamo, non riconosci tuo figlio quando lo vedi?
Padre, mi stai invecchiando male».
Sgrano
gli occhi a quell'affermazione, intanto i due si tolgono i cappelli
dalla testa per svelare la loro identità. Il primo
è mio figlio N,
ha gli occhi chiari e una massa informe di capelli verdognoli che gli
incorniciano il viso, il suo sorrisetto è beffardo e vispo
come al
solito. Al suo fianco è presente un ragazzo dai capelli
rossi che
non ho mai visto in vita mia, la sua espressione imbronciata mi
ricorda vagamente qualcuno, ma dalla confusione non riesco a
inquadrarlo come dovrei. Perché è insieme a mio
figlio?
«Cosa
ci fai qui?»
«Non
essere scorbutico padre, volevo solo rivederti dopo tutto questo
tempo»
“«on
hai motivo per essere qui, non capisco come mai continui a chiamarmi
padre, dall'ultima volta pensavo di essere finito sulla tua lista
nera».
Sbotto
e provo ad alleviare la tensione stringendo il bastone, devo
mantenere la calma per non mandare a rotoli la conversazione, inoltre
non posso mettere in imbarazzo il terzo elemento. Con N non ho mai
avuto la pazienza di un padre, per me è sempre stata una
marionetta
per i miei sporchi piani, non ho allevato quel selvaggio per pura
carità cristiana.
Però...Se questi due marmocchi sono riusciti a
raggiungermi senza insospettire la sorveglianza, significa che questo
non è il carcere di sicurezza che immaginavo. La mia
posizione non
mi permette di dare fiducia al prossimo, N potrebbe essere qui solo
per strapparmi delle informazioni utili alle autorità, il
che
spiegherebbe la sua visita inaspettata. È meglio tenerlo
d'occhio,
non si sa mai.
Per un attimo porto lo sguardo sul rosso, è
impassibile e tiene le mani nascoste dentro alle tasche, non spiccica
nemmeno una parola e si guarda intorno con indifferenza. Quello
sguardo è troppo familiare, devo indagare su di lui.
«Non
ti smentisci mai, vedo che il carcere non è servito per
cambiarti»
«Sei
qui per farmi la morale come tutti gli altri? Vedere Bellocchio
mentre mi metteva le manette, non ti è bastato per
soddisfare il tuo
ego personale? Anche tu eri un membro del Team Plasma N, a quest'ora
dovresti essere a marcire dentro a una cella. Non dimenticartelo»
«A
differenza tua ho capito dove fermarmi»
mi zittisce come se niente fosse, il suo sguardo si fa più
intenso e
cupo, poi ricomincia a parlare. «Se
ancora non ci sei arrivato, ti faccio presente che ho affrontato
diverse peripezie solo per farti evadere».
Il
silenzio cade su di noi, provocando una situazione al limite
dell'imbarazzo. Perché? Non capisco. Giuro che quel ragazzo
resterà
un mistero anche per me, oppure ha delle rotelle fuori posto.
Lui
si inginocchia davanti a me, afferra la mia mano con una dolcezza
insolita.
«Ti
stai mettendo in un grosso guaio N, tu e il tuo amico non dovreste
impicciarvi in queste situazioni. Ho già pianificato tutto e
a breve
evaderò, non mi serve il vostro aiuto».
«Sono
mesi che io e Silver lavoriamo su questa fuga, abbiamo conquistato la
collaborazione dell'esercito di Genesect, appena arriverà il
momento
giusto libereremo i Pokémon per creare scompiglio e...»
«L'esercito
di Genesect?! Sei pazzo N, completamente pazzo».
«Non
sono pazzo padre, ho solo preso dal migliore. L'unica cosa che ti
chiedo è... quella di prestarmi il tuo bastone, senza la
chiave non
possiamo far partire la Fregata Plasma».
Quell'affermazione
mi lascia spiazzato, eppure dovrei conoscere mio figlio e dovrei
aspettarmi certi tiri mancini. Mi pento per non avergli dato
così
tanta importanza in passato, se mi comportavo da vero padre potevo
evitare di finire in carcere insieme a quello scienziato da due
soldi.
Sospiro e annuisco, non posso fare altro.
«E
va bene, avrai la chiave della nave. Ma... Dimmi... Come sei riuscito
ad arrivare fin qui? Nessuno sospetta di te?»
«Non
preoccuparti, io e Silver sappiamo mimetizzarci a meraviglia. In
questa camera non sono presenti delle videocamere di sorveglianza,
siamo due fantasmi qui dentro»
«Vedi
di non farti scoprire, non vorrei rivederti come compagno di cella».
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Capitolo 12 *** 12. Captatio Benevolentiae [By Xavier] ***
https://i.imgur.com/2e7SQG1.png
12.
Captatio Benevolentiae
By Xavier
Sono
molto combattuto, ultimamente. Se da un lato son riuscito a
dissociare Maxie, neppure per merito mio oltretutto, dall'altro lato
mi son quasi fatto fregare da Giovanni e non ho concluso un bel
niente con Cyrus. Qualcun altro potrebbe dirsi soddisfatto, ma non
io, non di certo io, Acromio! Se non riesco al 100% in ciò
che
faccio non posso dirmi soddisfatto,
mai. Tuttavia i fallimenti fanno parte della carriera di uno
scienziato, senza di essi non si può migliorare ed aspirare
alla
perfezione, per cui evito di prendermela più di tanto, ho
ancora
molte carte da giocarmi.
Un nuovo giorno è iniziato e decido di
prendermela comoda, mentre consumo la colazione nella sala del
dirigente, chissà cosa avrà da chiedermi oggi.
Mastico molto piano,
con la testa poggiata mollemente sulla mano sinistra e il gomito sul
tavolo: guardo fuori. Ancora un altro giorno di vento e pioggia, a me
non dispiace affatto, anzi devo dire di apprezzare il clima cupo in
certi giorni come questo, mi aiuta a riflettere meglio e non
può che
farmi bene. Gli altri detenuti ovviamente non la penseranno
così,
per loro le brutte giornate sono una tragedia dal momento che non
possono uscire fuori a prendere una boccata d'aria senza rischiare
una polmonite. Povere stelline senza cielo!
«Scienziato,
ti decidi a finire? Ho una certa fretta, ricordati che sei pur sempre
un carcerato e ciò che ti sto concedendo è pure
troppo!»
Abbiamo
un altro più nervoso di me, a quanto vedo: «mi
perdoni, direttore, non era mia intenzione farle perdere il suo
preziosissimo tempo, devo essermi un attimo perso tra i miei
pensieri. Sa, tutta questa pioggia, di questi tempi…»
«Acromio!
Vuoi farmi uscire fuori dai gangheri?»
Accenno
un adorabile sorrisino per tranquillizzarlo e riprendo a mangiare con
più ritmo, finendo la mia porzione in pochi minuti. Odio
quando mi
mettono fretta mentre mangio… Mi ripulisco educatamente le
labbra
col tovagliolo, lo ripiego e lo ripongo nel piatto sporco, insieme
alle altre posate, è importante dargli una buona
impressione. «Mi
dica pure direttore! Come posso servirla oggi?»
Assumo
un aspetto invitante, addolcendo il tono di voce e schiudendo gli
occhi in uno sguardo mellifluo, le mie preoccupazioni non devono
trasparire. Devo dimostrarmi sempre accondiscendente e sicuro al suo
cospetto, solo così potrà fidarsi di me.
«Senti
qua, Acromio: il tuo aiuto è stato certamente prezioso,
facendo un
resoconto ci siamo accorti che, se catturassimo Ada, l'ultima
Idro-tenente, potremmo dichiarare annientato il Team Idro. Senza un
capo quelli non sono nessuno, capisci che intendo? Vorrei che
scoprissi il suo nascondiglio».
Ada…
Ma sì, certo, so già a chi chiedere, un lavoretto
facile facile,
così potrò avere tutta la giornata libera e una
nuova
promozione.
«Certamente
direttore! Lasci fare a me! Mi metterò subito all'opera»
dico tutto contento mentre mi alzo dalla sedia, ma ecco che l'uomo mi
afferra per una manica tirandomi indietro:
«Non
ho ancora finito, scienziato, rimettiti seduto».
Deglutisco,
parecchio imbarazzato dal mio scatto d'euforia e obbedisco
all'ordine, rimettendomi sullo sgabello. «Mi
perdoni, non volevo assolutamente svignarmela, credevo solo avesse
finito di impartirmi…»
«Vuoi
stare zitto un attimo e lasciarmi parlare?»
Male,
lo sto facendo innervosire, avevo capito che fosse un tipo permaloso,
ma non così tanto, devo stare più attento se
voglio ingraziarmelo
per bene. Deglutisco ancora e mi ricompongo, posando le mani sul
tavolino e osservandolo con la massima attenzione.
«Per
quanto riguarda Cyrus, non so bene cosa tu abbia combinato l'ultima
volta, non voglio neppure saperlo, ma gradirei che provassi ancora
una volta a estorcergli informazioni. Del Team Galassia non sappiamo
praticamente nulla, ci sono ben tre comandanti a piede libero e
questa cosa non va assolutamente bene!»
Eccolo,
ci risiamo, guarda caso rientrava nelle mie intenzioni andare a fare
una visitina a quella magnifica creatura. «Ah
ma certo! Certo che sì. Se non le dispiace però
mi occuperei prima
di Ada, voglio andare sul sicuro, solo dopo vedrò cosa
potrò fare
con Cyrus. Ah, comunque tengo a precisare che ha fatto tutto da solo,
io non ho mosso un dito, ha provato a suicidarsi, probabilmente devo
avergli in qualche modo provocato un qualche...»
«NON
perderti in chiacchiere! Fuori di qui, lesto! Non mi importa cosa fai
prima e cosa fai dopo, ma datti una mossa ed esegui il mio
ordine!»
«Come
desidera, direttore. Sarà eseguita ogni cosa».
Finalmente
mi alzo e me ne vado, non lo stavo sopportando più. Certo,
se
sapesse cosa ho in mente, in questo momento, mi ritroverei al posto
di Maxie, quindi non è il caso di lamentarsi, è
solo un Growlithe
che abbaia tanto e morde raramente, giusto se gli viene pestata la
coda. D'altronde quando ero sotto il controllo di Ghecis non mi
andava meglio, i loro caratteri sono molto simili verso i sottoposti,
posso benissimo sopportarlo per quel poco che mi resta da fare qui
dentro. La fuga è sempre più vicina!
Cammino allegro su per i
corridoi del carcere guardando in modo altezzoso tutti i detenuti che
si trovano dietro le sbarre, rabbiosi e frustrati per il brutto tempo
che impedisce l'ora d'aria, mi stanno letteralmente sbranando con lo
sguardo, che carini! Mi avvicino ad uno in particolare, un uomo alto
e nerboruto con una faccia da Carvanha, e mi chino per scrutarlo
meglio, tenendomi comunque a distanza di sicurezza: «Ma
tu guarda! Non trovi che la pioggia sia un fenomeno bellissimo?
Voglio dire, miriadi di stille cristalline che precipitano,
all'unisono, drip drop, drip drop, e che si schiantano sulle vetrate,
frammentandosi in altre goccioline ancora più piccole e
luminose e…
Oh? Ti sto forse… annoiando?».
Osservo compiaciuto il viso letteralmente ringhiante di quell'uomo,
sull'orlo dei nervi, e faccio per andare via: «Mi
dispiace di averti tediato, è che adoro queste giornate
tempestose,
mi mettono una certa voglia di danzare sotto la pioggia!»
Mi
rigiro con una semi-piroetta e torno sui miei passi, adesso mi sento
più carico per affrontare Maxie. Non se la starà
passando bene in
isolamento, deve essere terribile, dunque se i miei calcoli sono
giusti il vulcanologo farà qualsiasi cosa pur di uscire da
quella
topaia, e lo manipolerò coi guanti di velluto.
Mentre
scendo la ripida scalinata che conduce ai sotterranei sono costretto
a stringermi di più nel camice a causa degli spifferi di
vento e
pioggia che entrano dalle inferriate sempre aperte, rendendo
quell'ambiente umido e gelido, assolutamente invivibile.
Giunto
nel sotterraneo mi metto a ricercare la cella di Maxie, con enormi
difficoltà dal momento che devo abituarmi le pupille alla
scarsa
luminosità di questa specie di catacomba.
«Maxie,
batti un colpo se mi senti!»
Mi
fermo e tendo bene le orecchie: sento appena appena il rumore di
qualcosa che struscia per terra e poi il suono metallico delle mani
che si avvinghiano alle sbarre di ferro. Mi decido a seguire quei
rumori e ben presto mi ritrovo faccia a faccia con il prescelto.
«Maxie,
carissimo Maxie! Deve essere una rogna stare qui, non ho ragione?»
La
sua piccola cella di appena 4x4m è corrosa
dall'umidità, la pioggia
penetra dal soffitto con innumerevoli infiltrazioni da ogni dove,
gocciolando perennemente sul pavimento ormai scivoloso, e un forte
odore di muffa permea tutta l'aria. Non lo invidio per
niente.
«Acromio…
cosa sei venuto a fare qui? Cosa vuoi da me? Non mi hai già
rovinato
abbastanza?»
Maxie
si regge a stento in piedi, tossisce rumorosamente, sembra parecchio
ammalato, ha un pessimo aspetto.
«Maxie,
perché ti metti subito sulla difensiva? Ti ho forse fatto
qualcosa
di male hm?».
Sbotta
improvvisamente: «hai
anche bisogno di chiederlo?».
Rimaniamo
interminabili istanti a fissarci. Lui ansima, riprende fiato,
digrigna i denti verso di me, io intanto mi siedo su uno sgabello e
inizio a tamburellare le dita sulle ginocchia, così per
gioco,
mentre il mio sguardo si perde nel suo e viceversa. Devo andarci con
estrema cautela, è una bomba ad orologeria pronta ad
esplodere in
qualsiasi momento. Tossicchio e mi raddrizzo gli occhiali:
«Sì,
ne ho bisogno. Ragiona un attimo Maxie, non pensare a questo
momentaneo isolamento, dammi retta».
Forse
ho attirato la sua attenzione, non riesco a capirlo bene talmente sta
tremando di freddo. Resta zitto. «Non
sei contento di esserti diviso da Ivan? Shh! Non rispondere subito!»
gli faccio cenno di mantenere il silenzio, avvicinandomi col viso al
suo, dunque riprendo a parlare, ho catturato la sua attenzione: «Ce
l'hai con me, tu, si legge lontano un miglio. Ahh, quando si
è
innamorati è normale non ragionare lucidamente, posso
capirti…».
Vengo
bruscamente interrotto- «perché,
tu sei stato mai innamorato in vita tua?»
Non
mi aspettavo una domanda simile, dove vuole arrivare? Che stia
soltanto delirando?
«Maxie,
non essere scortese, sto finendo di parlare. Tu ce l'hai con me
perché Ivan ti ha tradito, vero? Ma non ci arrivi da solo?
Avrebbe
potuto tradirti con me, come con qualcun altro. Ci fosse stato Cyrus
al posto mio? Sarebbero cambiate le cose? No Maxie, ovviamente no! La
colpa del tradimento è assolutamente la sua, se fosse stato
un
compagno fedele e affidabile non ti avrebbe tradito neppure se si
fosse trovato davanti la bellissima Orthilla! Inoltre non ero a
conoscenza della vostra relazione…»
cerco di apparire mortificato, abbassando lo sguardo e girandomi
altrove. Maxie rimane seduto per terra, con le braccia attorno alle
ginocchia tenute strette al petto. Devo aver fatto breccia con quelle
parole.
«Maxie…?»
provo ad avvicinarmi a lui. «Maxie,
guardami adesso, posso tirarti fuori da qui».
Alza
di scatto la testa, con gli occhi velati di lacrime, è
troppo scosso
per poter parlare. Che scena straziante! Davvero commovente, ma
adesso deve smetterla o non otterrò nulla. «Tieni
Maxie, copriti, non credevo che quell'infame ti sbattesse in un luogo
così freddo…»
mi sfilo il camice bianco, rabbrividendo, e glielo metto addosso
attraverso le sbarre ma in un gesto fulmineo il rosso scosta
violentemente la mia mano, lasciando che l'indumento cada per
terra.
«Oh…
perché mai? Era un gesto carino il mio, tutta questa
umidità ti
penetra nelle ossa e fa male, sarebbe stato meglio coprirsi…
ma
pazienza».
Alzo le spalle e torno a sedermi.
«Non
mi importa, Acromio. Se ti fa piacere, il tuo camice sarà
ottimo
come carta igienica sai, non ho nemmeno quella qui dentro».
Non
riesco a trattenere una risatina ingenua, ma che faccia tosta! Ho
ancora molto da lavorare con lui, non credevo… «Potresti
risparmiarti certe spavalderie, le broncopolmoniti sono un tantino
peggiori rispetto ad un sedere sporco. Ma non importa,
perché se
collabori ti faccio uscire da qui».
«E
dovrei crederti? Dopo tutto quello che hai fatto per sbattermi qua
dentro?»
ringhia il rosso.
«Qua
dentro ti sei cacciato con le tue stesse mani, Maxie. Lo sanno tutti
che è vietatissimo gironzolare ai piani alti, ti ci ho
mandato forse
io?»
Scuote
la testa e stringe i denti:
«…no.
Non proprio».
«Spiegati
meglio!»
lo incalzo energicamente.
«Ci
sono andato perché volevo rubare i nastri e vedere cosa hai
combinato al povero Cyrus, razza di infame. E poi c'eri anche tu,
nella sala del direttore, cosa stavi facendo?»
Bravissimo,
sta tutto andando secondo i miei piani. Quant'è prevedibile
un uomo
messo alle strette? Mi sto divertendo da morire, ben presto
confesserai ciò che mi serve mio caro.
«Cyrus?
Ah! Dovevi vederlo, era completamente uscito fuori di testa. Mi sono
seduto al suo fianco per parlargli e, come gli ho rievocato certi
ricordi riguardanti il mondo distorto e Giratina, è
impazzito! Ha
preso una scheggia di vetro e ha provato a lesionarsi il volto e il
torace, ho fatto di tutto per fermarlo, proprio di tutto, sono
arrivato a mettergli le mani alla gola! Temevo potesse ferire anche
me! Alla fine per fortuna sono intervenuti facendogli un'iniezione di
Lorazepam».
Annuisco, fomentato dalla narrazione degli eventi, quasi fosse andata
realmente così. «Quell'uomo
è pazzo, devi credermi. Basta innescargli una scintilla di
ricordi
del passato che esplode di furia come un Electrode, è un
caso perso,
pover'uomo».
Chino
il capo, in segno di dispiacere e rimango così per
indefiniti
secondi. Maxie mi scruta molto attentamente, alla ricerca di un
qualche tratto fisiognomico che possa far trasparire la menzogna. Ma
io sono più bravo!
«Acromio…
è davvero andata come dici tu? Non mi hai ancora risposto
alla
domanda riguardante il direttore… Cosa ci facevi
là?»
Tiro
un gran sospiro e placo il tono di voce, quindi ricomincio a parlare:
«è
andata davvero così. Cyrus purtroppo ha ormai perso contatto
con la
realtà, la sua anima è rimasta in qualche modo
legata a quegli
eventi, a quel mondo. Deve aver visto cose orribili laggiù,
che
l'hanno condotto alla follia e, ti dirò Maxie, col direttore
parlavo
proprio di questo…».
Mi
passo una mano tra i capelli per fare giusto una pausa e ponderare
meglio le parole da usare con lui, è un momento
delicatissimo
questo, non mi è concesso nemmeno il minimo margine
d'errore, se
voglio ottenere ciò che voglio. Mi inginocchio, in modo da
stargli
ancora più vicino, talmente tanto da fargli percepire il
calore del
mio fiato sul collo.
«Sia
a me sia al direttore interessa sapere cos'è successo
laggiù. Sono
uno scienziato dopotutto. Volevo sapere i segreti della Rossocatena
e qualche informazione su Giratina e, dal momento che sia io che lui
ci trovavamo d'accordo, ha deciso di lasciarmi un po' da solo con
Cyrus, sperando si trovasse a proprio agio con un suo collega, ma
così non è stato, come ben sai…»
sibilo lievemente le ultime parole, mi lecco le labbra e mi discosto
un poco dal mio interlocutore. Maxie rimane incredulo, sbalordito,
ancora una volta non sa come rispondermi. Gli lascerò del
tempo,
intanto scarto uno snack al cioccolato rubato prima dal porta
cioccolatini del dirigente e lo annuso con un certo languore. Che
delizia. Scruto Maxie con la coda dell'occhio, deve essere parecchio
affamato.
«Acromio…
Ti avevo posto un'altra domanda. Sei mai stato innamorato?»
Stavo
per mordere la merendina, ma mi blocco di scatto, non credevo
insistesse tanto con questa faccenda! Che rogna.
«Questa
domanda così a sproposito? Se proprio vuoi saperlo, applico
il
metodo scientifico anche all'amore. A me piace sperimentare, se
qualcuno o qualcuna mi affascina, ci provo. Se va bene mi diverto,
altrimenti lascio stare e aspetto un'altra persona, tutto qui. Non mi
sono mai seriamente innamorato, per fortuna. Una relazione stabile
comprometterebbe il mio lavoro, sto bene così».
Mi
guarda incredulo, prova a balbettare qualche sillaba incomprensibile
ma lo metto a tacere: «che
importa? Sono ancora giovane. Anche tu lo sei, in effetti, e avresti
tutto il tempo di rifarti una vita. Non devi per forza affezionarti
ad una persona, puoi anche sperimentarci qualcosa di divertente e poi
non rivederla più. Non sei d'accordo?»
gli porgo il dolce che ormai aveva riempito l'aria di quella golosa
fragranza, ma Maxie non pare volerlo.
«Oh,
credi ti voglia avvelenare?»
ne stacco un morso e lo mando giù, dunque gli lascio il
resto. Sto
divagando troppo? Forse sì, ma se tutte queste frasi
languide
serviranno ad aumentare la sua fiducia nei miei confronti, posso
anche dirne di altre. Non mi era mai capitato, tuttavia, di
confessare mie questioni personali in questo modo, che debba un po'
tirare il freno? Sistemo lo sgabello vicino alle sbarre e mi siedo,
usandole come fossero una sorta di schienale e lo osservo compiaciuto
mentre ingurgita lo spuntino.
"«i
disprezzi forse per la mia sessualità promiscua? Non saresti
il
primo. Per questo è un argomento tabù per me, ne
parlo solo con chi
reputo degno di comprendermi».
Maxie
finisce di mangiare e scuote la testa: «non
mi importa chi hai avuto a letto. Non mi importa nemmeno di Ivan, a
questo punto. Tu volevi solo sperimentare, giusto? Lui mi ha
volutamente tradito e ti ha anche detto di Alan,ma perché
sei andato
a riferirlo?»
Lo
blocco di scatto, facendogli cenno di tacere.
«Quelle
cose me le ha dette così, per caso, perché tra
detenuti ci si
confessa anche le cose più segrete. Lo stesso ho fatto io
con
Ghecis, per il medesimo motivo, ma non mi sono accorto che una
guardia era lì ad origliare… Mi spiace. Tuttavia
che importa?
Sicuramente Alan è un tipo come lui».
Allungo
una mano verso Maxie, scostandogli una ciocca di capelli dietro
l'orecchio, per guardarlo meglio in viso: «fossi
in te mi preoccuperei più di Cyrus, che di quell'altro. Ha i
giorni
contati, è una spesa inutile per il carcere, come ben sai.
Nessuno
mai verrà a reclamarlo..»
«Ti
sbagli, Acromio. C'è ancora qualcuno, là fuori,
che tiene a lui.
Non lo sapevi? Qualcuno ha portato i suoi Pokémon, ben
nutriti e
curati. Cyrus deve avere una sorta di angelo custode, là
fuori».
Diamine,
non lo sapevo! Il direttore non mi aveva parlato di questo dettaglio,
che non lo sappia nemmeno lui? Questa faccenda è molto
sospetta, che
gli dico adesso?
«Oh, ma
davvero?
Chi mai potrebbe assumersi un onere simile? Che io sappia, i suoi
Pokémon sono bruti e aggressivi, nessuno rischierebbe
tanto…».
«Ti
sbagli Acromio, ti sbagli anche adesso. Ho avuto modo di passare del
tempo con loro, sono dei Pokémon normalissimi, docili,
giocherelloni
e attaccatissimi al proprio allenatore».
Inizio
a non capirci più niente, immagino solo che chiunque si sia
preso
questa briga sia un allenatore eccellente, o comunque qualcuno che ha
avuto legami stretti con Cyrus, sicuramente uno dei suoi comandanti.
Devo scoprirlo, accidenti!
«Caspita,
questa sì che è una bella cosa. Dimmi, Maxie, tu
hai qualche
ipotesi a riguardo?»
Scuote il capo
in segno negativo, deve essere un mistero anche per lui.
«Non
fa niente, ma angelo custode o meno, Cyrus è destinato al
patibolo.
Come lo so? Me l'ha detto il direttore. Lo tiene in vita solo
perché
gli serve, ma se non si decide a parlare è inutile, ha
commesso dei
crimini gravissimi. Gli metteranno del cianuro nei pasti e lo faranno
morire così, diranno che gli è venuto un infarto
e il caso verrà
chiuso. La cosa positiva è che soffrirà poco,
meno di noi
sicuramente».
Maxie all'improvviso alza
lo sguardo e si aggrappa alle sbarre, leggo la disperazione nei suoi
occhi, devo aver fatto centro, manca solo il colpo di grazia.
«Già,
hai capito bene. Dobbiamo farlo parlare, Maxie! Io ci ho già
provato, l'ultima speranza sei tu, Cyrus si fida ciecamente di te, ne
sono certo».
Maxie
sembra aver preso confidenza con le mie parole, quant'è
sciocchino,
ancora un poco e cederà. «Ascoltami
bene, possiamo prendere due Pidove con una Baccarindo. Sai dove si
nasconde Ada? Se me lo dici lo riferirò al direttore, diamo
un altro
smacco a Ivan e otterrò di farti spostare di cella, mi
sembra
un'ottima offerta».
«Già»
- conferma Maxie- «questa
situazione tuttavia è assurdamente paradossale. Ancora non
mi fido
completamente di te, Acromio, se lo faccio è solo
perché sei
l'ultima sponda e voglio a tutti i costi uscire da questo buco che a
breve potrebbe diventare la mia tomba!»
Perfetto!
Così! Non attendevo altro, è tutto filato liscio
secondo i miei
piani. «Avrai
modo di fidarti al 100%. Diventeremo buoni amici noi due, un
giorno».
«Questo
non lo so, tuttavia… Ada dovrebbe trovarsi in un bunker
posto
sempre nel rifugio Idro di Alghepoli. Vi è un bunker
nascosto non
ancora stanato, non so altro. Probabilmente avrà cambiato
postazione
dopo la cattura di Alan, questo non posso saperlo, mi spiace».
Tutto
secondo i piani, non è stato per nulla difficile far leva
sulla
voglia di vendetta di Max nei confronti di Ivan, mi chiedo come la
prenderà lo scaricatore di porto, sarà
divertentissimo vedere la
sua reazione, non me la perderò per nulla al mondo! «Eccellente
Maxie, eccellente… lascia fare a me il resto.
Dirò al direttore
che il tuo aiuto è fondamentale per far parlare Cyrus,
dunque lo
costringerò a riportarti di sopra. Fa tanto il duro, in
realtà è
il tipico uomo insicuro che fa di tutto pur di avere vita tranquilla,
non gliene importa granché di farti scontare la punizione».
Gli
porgo la mano e lo aiuto a rialzarsi, quindi gli sorrido per
infondergli maggiore sicurezza.
«Acromio,
io non ci sto capendo più nulla qui dentro, voglio solo fare
la cosa
giusta. Come si usa dire, il Mightyena sarà sempre cattivo,
se si
ascolta soltanto la versione dei Mareep, e tutti parlano male di te,
tanto che senza neppure una prova mi sono fatto influenzare dal loro
giudizio. Ancora però non mi è ben chiara la
vicenda delle
telecamere. Perché sono state disattivate durante quell'ora?».
Dannazione, me ne ero dimenticato, la scelta di spegnere le
telecamere s'è rivelata un'arma a doppio taglio. Calma,
calma, non
devo farmi prendere dall'agitazione, non andrà
com'è andata con
Giovanni! Mi sistemo gli occhiali e tergiverso un po', mi lecco le
labbra con un briciolo di nervosismo e di scatto riprendo a guardare
Maxie:
«Semplice.
Dalla bocca di Cyrus sarebbero dovute uscire informazioni
segretissime che nessun altro al di fuori di me e del direttore
avrebbe dovuto sapere, dunque ha preventivamente fatto spegnere la
sorveglianza perché, come sai, non è troppo
difficile hackerare i
sistemi di sicurezza e qualcun altro se ne sarebbe potuto
impossessare, a quel punto sarebbero stati guai grossi se un suo
emulatore o seguace avesse ritentato l'impresa».
dico tutto d'un fiato.
«Hai
ragione… Tuttavia, lo metto in chiaro fin da subito, non
confesserò
mai le postazioni dei miei tenenti, chiaro Acromio?»
«Chiarissimo,
amico Maxie. Adesso preparati, la tua permanenza qui sta per finire.
Mi è piaciuto tantissimo collaborare con te, credo che
diventeremo
ottimi amici!»
«Non
correre, Acromio»-
dice in tono severo e fermo-«non
siamo ancora amici, è una parola grossa che non ti
affibbierei dopo
appena una chiacchierata».
Com'è
orgoglioso, guardalo, si vede che è stato allievo di
Giovanni, lo
adoro!
«Ti
ricrederai Maxie, un giorno o l'altro».
Gli
accarezzo il volto e sguscio via velocemente, l'aria dei sotterranei
è insopportabile, non so come abbia fatto a resistere
là sotto per
tutto quel tempo.
Mentre attraverso i corridoi un pensiero
molesto inizia a ronzarmi in testa, così senza preavviso, mi
pungola
e non riesco ad ignorarlo, dunque mi fermo un attimo e mi appoggio
coi gomiti sul davanzale di un'enorme finestra per guardare al meglio
il tempaccio e riflettere con calma. Decisi di allearmi con Ghecis
per pura simbiosi, avevo bisogno di strumenti e soldi per ottenere
ciò che desideravo, ovvero un mezzo per estrapolare il vero
potenziale dei Pokémon, e lui ne avrebbe tratto beneficio a
sua
volta. Ci sono in parte riuscito, ma non era ciò che mi
aspettavo
realmente. Qualcun altro però ci è riuscito, da
solo, con le sue
sole forze e quel qualcuno è nientemeno che Cyrus. Quali
sono i
segreti della Rossocatena?
Come può aver creato un dispositivo che permette di
imprigionare
tutto il potere di due Pokémon divini come Palkia e Dialga e
di
poterlo poi usare a proprio piacimento? Cyrus è…
geniale,
assolutamente geniale, farei qualsiasi cosa pur di estorcergli il
segreto, anche allearmi con Maxie se necessario. E una volta che
avrò
saputo tutti i misteri della
Rossocatena,
cosa mi conviene fare? Collaborare con Cyrus o metterlo a tacere per
sempre? Sono troppo confuso a riguardo, dovrei prima capire bene che
uomo sia e solo dopo prendere una decisione. E se… Se
riuscissi a
scappare e a portarmelo dietro? Sarebbe perfetto! Un fragoroso tuono
piomba nel cortile, sfiorando la finestra e per lo spavento
trasalisco e arretro, ancora ansimante. Mi accorgo che sto perdendo
troppo tempo, quindi mi affretto a ritornare nella stanza del
dirigente con passo veloce.
«Direttore,
direttore! Buone notizie. Ho saputo dove si nasconde Ada, possiamo
dichiarare annientato il Team idro!»
irrompo
giulivo e gaudioso nella sua camera, mentre lui era evidentemente
intento a sonnecchiare. Sobbalza dalla sedia quasi cadendo
all'indietro e si ricompone, lanciandomi un'occhiata torva:
«Acromio!
Non lo sai che si bussa? E no, non stavo dormendo! Fallo un'altra
volta e ti sbatto fuori prendendoti per la cuticagna».
Non
ce la faccio, mi fa troppo ridere per quanto mi faccia pena, tossisco
rumorosamente e mantengo l'atteggiamento mite e docile: «oh,
le mie più profonde scuse. Ero talmente euforico di
comunicarle
questa notizia che ho tralasciato le buone maniere. Non si
ripeterà
più per il bene della mia collottola e del suo…
Della sua
privacy!»
«Bene
bene, vedo che ragioniamo, manderò il prima possibile una
squadra
per stanarla. Piuttosto, novità del Team Galassia? Ci
basterebbe
scovare anche un solo comandante per dirci soddisfatti».
Abbasso la testa dispiaciuto e la scuoto lentamente a destra e a
sinistra in segno di negazione, quindi riprendo a parlare con un
mugugno costernato:
«Ancora
no, volevo chiederle una mano, altrimenti mi sarà
impossibile far
parlare Cyrus».
«Ancora?
Che cosa vuoi, sentiamo!».
«Ho
bisogno di Maxie. Deve riportarlo alla sua cella originaria,
è un
punto di riferimento per l'ex comandante del Team Galassia, non ci
avevo pensato prima e ci sono arrivato solo adesso, se riprovassi a
parlargli con la sua rassicurante presenza molto
probabilmente… e
poi Maxie non merita una così grave punizione per essersi
trovato al
posto sbagliato nel momento…»
«Ho
capito! Va bene basta, manderò subito l'ordine di
trasferirlo. Ma
questa è la tua ultima chance, Acromio, non voglio perdere
ulteriore
tempo appresso ad uno psicopatico del genere. E adesso va'!»
«Sissignore»
mi inchino in segno di rispetto e mi avvio, chiudendomi la porta alle
spalle senza far rumore.
Bingo! Sgattaiolo via insieme agli uomini
della sicurezza addetti al trasloco del rosso, tuttavia mi fermo
davanti alla cella di Cyrus e avvinghio le mani alle sue sbarre,
fissandolo intensamente in quegli occhi apparentemente vuoti. Mi sale
un'emozione che non riesco a decifrare, che sia invidia? No, certo
che no, deve trattarsi di ammirazione ovviamente:
«Salve,
chi si rivede. Ti converrà parlare la prossima volta,
potrebbe
essere l'ultima…».
** Angolo di
Lily **
Ciao!
Mi presento per chi non mi conoscesse. Sono Lily e, insieme al
mio "collega" Xavier, sono autrice del profilo di KomadoriZ71.
Dopo un periodo prolungato di inattività siamo riusciti a
rendere pubblico il capitolo di Acromio e, di conseguenza, mandare
avanti questa fan fiction che è prossima alla fine. Non
è ancora arrivato il momento dei saluti e dei ringraziamenti
vari, quindi potete tirare un bel sospiro di sollievo.
Però vi avverto che la strada è ancora in salita,
ma il passo che ci separa dalla discesa è più
breve di quel che sembra.
Colgo l'occasione per scusarmi con i lettori che ci seguono dal giorno
in cui siamo comparsi sul sito, senza di voi questo profilo non
esisterebbe e ci dispiace se i periodi d'attesa sono fin troppo lunghi.
Proveremo a rimediare come meglio possiamo, però abbiamo i
nostri impegni e preferiamo dedicarci alla scrittura creativa quando
l'umore ce lo consente.
Per il resto...
Non so.
Vi chiedo solo di non esagerare con i termini / confidenze quando
scrivete una recensione, specie se questa è tutt'altro che
positiva.
Non dico che io && Xavier siamo perfetti
perché sappiamo impostare il capitolo di una fiction, ma
bisogna capire che nella vita bisogna essere costruttivi e giusti. E'
necessario guardare le storie da ogni prospettiva, fare un complimento
a chi se lo merita è cosa buona e giusta, non importa se la
storia che vi proponiamo si avvicina o meno alle vostre preferenze.
Ci tengo a precisare che Efp nasce per darci la possibilità
di condividere la nostra passione per la scrittura, dovrebbe unirci e
darci la possibilità di migliorare grazie alle recensioni
dei lettori. In passato ho ricevuto diversi consigli da parte di una
ragazza che saluto calorosamente e questi, se uniti alla presenza del
mio amatissimo collega, mi hanno aiutata a rivalutare il mio stile per
riuscire a portarvi dei testi ben scritti e con un'impaginazione che si
avvicina alla decenza.
Se qualcuno è in difficoltà, se qualcuno ha delle
carenze perché non riesce a capire gli errori che commette,
va aiutato e non deriso.
Vi faccio presente che le offese o le prese in giro sono severamente
vietate nel regolamento del sito, perciò evitiamo di fare i
saccenti perché si ha avuto la possibilità di
leggere i manuali.
E' vero che esistono i casi umani, quelli che pubblicano storie solo
per trollare le persone, ma cerchiamo di sfruttare la materia grigia
che ci è stata concessa e di cominciare a separare queste
due fazioni. ;)
See you later!
- Lily
Ps: Nell'introduzione di una fiction noi aggiungiamo sempre degli
avvertimenti relativi al contenuto e, usare una recensione per
lamentarsi del genere su cui si basa il racconto perché non
si è speso cinque secondi per leggere i vari tag. . .
Scusatemi, ma questo è un comportamento che reputo da babbei.
Adesso posso lasciarvi stare, siete belli e vi voglio bene <3
|
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Capitolo 13 *** 13. Il Diversivo [By Lily] ***
13. Il diversivo
13. Il
diversivo
By Lily
Le
giornate scorrono lente da quando Ghecis mi ha informato del suo
piano di fuga, è cominciato un conto alla rovescia che rende
l'atmosfera molto più ansiosa e tetra del previsto. Mi sono
preso la
libertà di informare Alan e Gerardo a riguardo, anche loro
fanno
parte della squadra e io necessito del loro contributo per portare a
termine l'unico incarico che mi è stato assegnato. Devo
creare il
diversivo perfetto per mettere in difficoltà le guardie
durante la
fuga, ma è un'impresa da eroi attirare l'attenzione di ogni
sentinella che lavora dentro al carcere.
La
mia sola speranza è quella di chiedere consiglio a Max e di
sfruttare la sua mentalità da scienziato, nell'ultimo
periodo non si
separa mai da Giovanni e sarà difficoltoso avvicinarlo senza
attirare l'attenzione. Altra impresa eroica che non entra in sintonia
con la mia personalità impulsiva da pirata, stavolta non
voglio
collezionare fallimenti e dovrò arricciarmi le maniche per
raggiungere il risultato desiderato.
Stamani
i lavori forzati si sono prolungati più del dovuto, sono
giorni che
il direttore si presenta nel cortile per selezionare i carcerati che
dovranno essere trasferiti a Unima, io faccio del mio meglio per
continuare a spaccare pietre come se niente fosse, ma dentro di me
comincio a temere il peggio. Alan è un uomo abbastanza
robusto e con
la forza fisica di uno Swampert Megaevoluto, questa caratteristica
può farlo finire nel centro del mirino e la sua partenza
provocherà
dei dolori che voglio evitare a ogni costo. Non mi sono dimostrato
come il Leader migliore del mondo durante il periodo di prigionia,
devo impedire di farlo partire per una regione lontana e sconosciuta
o, almeno, confessargli l'errore che ho commesso per chiedere il suo
perdono e scrollarmi di dosso il senso di colpa.
«Io
e te dovremo parlare uno di questi giorni».
Gerardo
riesce a prendermi alla sprovvista ogni volta che apre bocca, mi giro
di scatto per guardarlo con un'espressione confusa e, senza
rendermene conto, lascio andare il manico del piccone che si schianta
contro al suolo sabbioso del cortile. «Come,
scusa?!»
«Dovresti
aver capito da solo, sono giorni che assomigli a un'anima in
pena»
mormora con un sogghigno sfuggente, grattandosi con calma la barbetta
scura che gli ricopre gran parte del mento. «Anche Ghecis si
è
accorto che c'è qualcosa che non va, forse non è
stata una buona
idea affidarti un incarico al di fuori della tua portata»
«Ma
cosa dici?!» esclamo senza alzare troppo il tono della voce,
attorno
a noi ci sono troppe orecchie indiscrete e non è il caso di
correre
dei rischi. «Non dovresti mettere in discussione le mie
capacità,
ti ricordo che l'ultima volta che l'hai fatto ho sorpreso l'intero
Rifugio dei Rocket con il mio discorso di benvenuto!»
«Hehe...»
Gerardo sospira con aria sognante. «Quelli sì che
sono stati dei
bei momenti, ma stavolta non stiamo parlando di due parole messe in
croce. Ivan non puoi continuare a negare l'evidenza, sono giorni che
tenti di avvicinare il Growlithe che custodisce le chiavi delle celle
con un osso di pollo!»
«Ehi,
è un piano astuto e ben architettato! Ieri sera quel
cagnaccio si è
avvicinato di qualche centimetro!»
«E
poi? Cosa hai intenzione di fare quando aprirai la porta della
cella?»
«Improvviserò».
Gerardo
scrolla le spalle davanti alla mia uscita e si dilegua con il resto
dei carcerati, il segnale acustico ci avvisa che i lavori forzati
sono appena giunti al termine, recupero il piccone da terra e mi
incammino con il gruppo. Avrò l'intera giornata per
riflettere su
una strategia eccezionale e che servirà a impressionare i
miei nuovi
colleghi, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Sospiro e
appoggio il piccone nell'apposito contenitore, ne approfitto per
accendermi una sigaretta visto che tutto questo pensare mi ha appena
chiuso lo stomaco, confesso che in questi casi vorrei una mente
brillante e geniale come quella di Max.
Già, Max. Quel rosso è
sempre nel mezzo.
Mentre procedo urto qualcosa con la spalla, sono
costretto a interrompere i miei passi per voltarmi. Mi paralizzo
all'istante appena intravedo Max chino sul suolo sabbioso a cercare
gli occhiali, il silenzio mi permette di percepire le imprecazioni
che sussurra sottovoce. Nemmeno lui è messo bene dal giorno
della
nostra separazione, noto con molto dispiacere che ha perso peso e mi
commuove l'idea di vederlo in quello stato a causa del mio ennesimo
capriccio. Lui e la sua intelligenza non si meritano di essere in
mezzo a un branco di balordi, è colpa della mia
testardaggine se la
polizia è riuscita a mettergli le manette ai polsi.
Scrollo le
spalle e mi abbasso per rimediare, prendo con delicatezza la
montatura squadrata per posarla tra le sue mani. Lo vedo sussultare,
a quanto pare non si aspettava un aiuto esterno.
«Dovresti
prestare più attenzione, di questo passo finirai per
romperli»
«...Ivan?!»
la sua voce è più squillante e sorpresa del
solito, è passato
molto dall'ultima conversazione e nessuno dei due sembra preparato a
un incontro simile.
«Sì...»
mi mordo il labbro inferiore e sospiro per recuperare un po' di
coraggio, mi attacco al filtro della sigaretta e sbuffo una nuvola di
fumo per alleviare la tensione. Sono sicuro che questa conversazione
non è casuale, forse qualcuno dei piani alti ha deciso di
darmi
l'ultima opportunità per riuscire a rimettermi in
carreggiata, tra
poco non sarò più un carcerato e devo recuperare
la fiducia di Max
per portarlo via con me. Ghecis non è stato molto chiaro ma,
se la
Fregata Plasma è in arrivo, significa che solo i suoi
sottoposti
hanno il privilegio di darsi alla fuga e sarebbe sleale lasciarlo
indietro perché ha preferito fare il bravo ragazzo e
sostenere il
volere di Giovanni.
Non
importa se non siamo più una coppia di amanti, o se il
destino ha
voluto dividerci per un motivo che non ci è chiaro, ma so
che in
questi casi bisogna mettere da parte l'orgoglio e fare la cosa giusta
senza pensare alle conseguenze. Ghecis capirà le mie
motivazioni, mi
conosce e sa di che pasta sono fatto, sono sicuro che si
dimostrerà
molto comprensivo a riguardo e che accetterà l'idea di far
salire
Max sulla sua nave volante.
«Vorrei
chiederti come stai» blatero dopo un minuto di pausa, credo
di
essere arrossito.
«Mi
dispiace Ivan, preferisco non approfondire la faccenda».
Mi
rendo conto della sua innaturale pazienza nel momento in cui inforca
gli occhiali, non mi convince il tono freddo e distaccato che
utilizza per mandare avanti la conversazione. Conosco il suo modo di
fare e il suo atteggiamento parla chiaro, vuole allontanarmi per
impedire di scatenare l'ennesima lite che ci metterà l'uno
contro
l'altro e, a giudicare dall'espressione del suo viso, ne ha
abbastanza di soffrire per delle sciocchezze prive di significato.
«Scusa
se ti ho fatto cadere gli occhiali, non era mia intenzione
e...»
«Non
preoccuparti Ivan, lo so che hai sempre la testa tra le
nuvole».
Mi
da sui nervi il fatto che tronca i miei discorsi con una
facilità
impressionante, per lui sono come un libro aperto e capisce in
anticipo ogni mia mossa. In questo caso non so come comportarmi, mi
sembra di tornare ai periodi in cui mi spronava a imparare il gioco
degli scacchi, ma ogni partita finiva con il mio Re che veniva messo
alle strette dalla sua Regina.
Una
Regina molto agguerrita oserei dire.
«Già...Hai perfettamente
ragione, hehe, lo sai che sono un disastro»
«Dove
vuoi andare a parare, Ivan?»
«Come...?!»
«Dopo
tutti questi anni ho capito che non ti tradisci mai, appena finisci
di nutrire il tuo ego personale torni da me strisciando come un
verme» resto immobile per colpa della sorpresa e getto la
sigaretta,
devo lasciarlo parlare se il mio intento è quello di
portarlo via
con me, è lui quello che ha il coltello dalla parte del
manico e non
posso fare niente per difendermi. «Sono lieto di sapere che
la tua
vita fa schifo senza di me, che l'aiuto dei tuoi nuovi amici non
basta, ma hai oltrepassato ogni limite e non credo che ti
darò il
permesso di trattarmi come un ripiego»
«Stavolta
è diverso Maxie...Io...»
«Non
chiamarmi così!»
Credo
di averlo fatto arrabbiare sul serio, con una forza impressionante mi
afferra per le spalle e mi inchioda al muro dietro di me. Trattengo
un gemito di dolore e sento il fiato mancare a causa dell'impatto, se
guardo i suoi occhi...Posso...
Posso
vedere il mare.
Perché
sì, è lui il mio mare, lo è sempre
stato. È grazie a lui se sono
riuscito a sopravvivere dentro a una cella, ma allora ero troppo
interessato a soddisfare la mia personalità per rendermene
conto.
«Max...Lasciami
spiegare...È importante».
«Ivan...non
ho alcuna intenzione di sentire le tue chiacchiere, ne ho abbastanza
di essere trattato come una seconda scelta».
«Non
poteva andare peggio di così!»
Alan
e Gerardo sono seduti al tavolo per ascoltare le mie lamentele mentre
giocano a carte, di recente hanno la brutta abitudine di invadere la
cella che condivido insieme a Ghecis, io ne approfitto per unirmi ai
loro giochi. Il mio reale compagno di “stanza” non
ha niente da
dire in merito, non sembra turbato dalla presenza dei miei amici e
non è la prima volta che Alan e Gerardo lo paragonano a un
fantasma.
Ma come dargli torto? Trascorre la maggior parte del tempo a dormire,
quando è sveglio resta seduto sul letto per osservare il
panorama
fuori dalla finestra senza spiccicare una parola.
«Non
so Ivan...» mormora Gerardo con aria dubbiosa mentre mischia
le
carte, le sue mani sono talmente svelte che è impossibile
intercettare il singolo movimento, potrebbe barare in mille modi
diversi grazie alla sua innaturale agilità. «Tutto
il carcere ha
sentito la vostra lite, come ti è saltato in mente di
parlarci come
se niente fosse?! Devo ammettere che per certe cose resti il
capoccione di sempre»
Roteo
lo sguardo, scocciato.
«Capo...»
ora è Alan a parlare. «Questo qui ha assolutamente
ragione, lo sai
che non brillo di intelligenza e che non ho mai avuto relazioni
più
lunghe di una settimana, ma è risaputo che
con...Insomma...Ci vuole
delicatezza con il gentil Sesso o roba simile...»
«Alan!
Max non è una femmina!».
«Lo
so...hehe...» Alan mi tira una gomitata con fare complice,
grazie al
cielo afferro il tavolo o rischio di cadere per terra come una pera
cotta. Sono stufo di essere sballottato da una parte all'altra.
«Ada
diventerebbe bianca come un cencio se lo venisse a sapere... Il
grande Capo del Team Idro che inciucia con il suo acerrimo rivale!
Sarebbe lo scoop più incredibile degli ultimi tempi,
lasceresti di
stucco tutte le nostre Reclute! HAHA!»
Sospiro
e divento rosso come un pomodoro, vorrei replicare per metterlo a
tacere una volta per tutte, ma il discorso viene interrotto dal
notiziario trasmesso dalla cella di Giovanni. Anche Ghecis esce dal
suo stato di trance per voltarsi, tutti noi siamo increduli della
notizia appena comunicata.
“
Il
Team Flare è di nuovo in agguato!
Sono
passati giorni dall'ultima volta in cui i membri del Team Flare sono
stati avvistati nei pressi di Romantopoli, ma la loro sconfitta non
è
servita ad allontanarli. Stamani le autorità hanno ricevuto
diverse
segnalazioni dai cittadini di Luminpoli, i quali attestavano di aver
intravisto gruppi di uomini dalle bizzarre acconciature e vestiti di
rosso aggirarsi tra i vicoli bui.
Stanno
tramando qualcosa nell'ombra?
I cittadini di Kalos non vivono più
sonni tranquilli a causa della nuova organizzazione criminale,
invitiamo le autorità del luogo a prendere seri
provvedimenti,
consigliamo ai giovani allenatori di Pokémon di viaggiare in
gruppo
e di prestare attenzione durante le ore notturne.
E
questo è tutto, linea allo studio”
«Team
Flare? Non è la prima volta che lo sento nominare»
il mio sguardo
finisce direttamente sulla figura di Gerardo, che si è fatto
molto
più serio da quando ha appreso la notizia. Vorrei scoprire
il motivo
di così tanto turbamento, è mio il compito di
tranquillizzare
l'animo del mio migliore amico, ma oggi ho rischiato grosso e non
sono dell'umore adatto per toccare certi tasti dolenti.
«La
scorsa settimana sono finiti su tutti i giornali, hanno preso il
controllo della fabbrica di Pokéball di Romantopoli e questo
gesto
li farà entrare nella storia» esclama Gerardo per
interrompere il
silenzio, poi scrolla le spalle e posa il mazzo di carte prima di
alzarsi dalla sedia. «A breve avremo dei nuovi amici con cui
dividere le nostre celle».
Io
non ho aggiunto altro.
Quando
scatta l'ora d'aria io e Alan ci precipitiamo nel cortile, queste
sono le uniche occasioni in cui possiamo sfruttare il nostro animo
infantile e divertirci come ai bei vecchi tempi, non perdiamo tempo e
andiamo a nasconderci dietro al nostro “rifugio
segreto” per
conversare su tutti gli argomenti che ci balenano in testa. In
realtà
non è niente di speciale, il nostro angolo di paradiso
è composto
da un cumulo disordinato di tubi e di rottami vari, ma cerchiamo di
indorare la pillola come possiamo portandoci dietro una buona scorta
di sigarette e bevande alcooliche scroccate dagli altri carcerati.
«Capo...»
«Sì?
Dimmi»
«È
vero che Ghecis ci aiuterà a fuggire da qui? Sei sicuro di
fidarti
di un simile personaggio? Non sono molto informato sul suo conto, ma
so che è diventato famoso per essere un paroliere, molti si
sono
uniti alla sua causa dopo aver sentito i suoi discorsi di amore nei
confronti dei Pokémon e...Guarda com'è andata a
finire».
Mi
fermo per un attimo e osservo il fumo che esce dalla sigaretta,
accompagno il filtro alle labbra per concedermi un unico e profondo
tiro.
Confesso che non ho mai pensato a una conseguenza del
genere, ero talmente accecato dall'idea di sconfiggere Acromio che mi
sono fidato subito del Leader del Team Plasma, non ho mai avuto
l'occasione per riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. Alan
mi ha appena aperto un mondo, una possibilità che non posso
escludere, anche se non è una buona idea piantare il seme
del dubbio
in un momento così delicato.
«Non
lo so, ma vedi soluzioni migliori?»
«Non
molte in realtà...»
«Ecco,
allora non preoccuparti e fidati delle mie scelte. So che ti ho fatto
finire qui dentro, ma prometto che ti tirerò fuori alla
velocità
della luce»
«...Come?...Cosa
vorresti dire?!».
Caspita.
Sono nei guai adesso.
«Non
te l'ho mai detto ma...» mi mordo il labbro inferiore.
«Sei stato
arrestato per colpa mia, ho fatto il canarino per riuscire a entrare
nelle grazie di uno scienziato» sospiro, sprofondando nella
più
totale vergogna. «So di aver fatto schifo di recente e...Che
ho
deluso diverse persone a causa delle mie decisioni, ma sono cambiato
da allora e...Credimi, se potessi tornare indietro giuro che non lo
rifarei.
Tu sei troppo importante per me Alan, non ti meriti un
torto simile. Ti sei ritrovato sotto al comando del Capo più
imbranato della storia, anche quel vegetale di Cyrus è mille
volte
meglio del sottoscritto e...»
«Ivan»
«Cosa?»
«Finiscila
di commiserarti e di comportarti come una vittima» mi
rimprovera
lui. «Ho capito che sei cambiato da quando sei finito qui
dentro, ma
non mi aspettavo di ritrovarti in queste condizioni. Ti sei
rammollito, mi manca la spavalderia che un tempo ti ha reso
così
famoso.
Sei o non sei un pirata? Non dovresti preoccuparti di
come stanno gli altri, so che hai commesso un errore ma sono felice
di essere vicino a te, per questo ti perdono e vado avanti per la mia
strada»
Sorrido.
Non riesco a non farlo.
Non capisco come mai Alan continua a
seguirmi nonostante i mille errori e le incertezze, mi aiuta a far
tornare il sorriso quando sono giù di morale, arriverebbe a
piangere
insieme a me se fosse necessario. È l'unico che non dubita
mai di
me, accetta le mie decisioni senza fiatare.
Per questo gli voglio
bene e lo tratto con un minimo di riguardo, è il fratello
che ho
sempre desiderato.
«Ti
voglio bene, fratello»
Mormoro
poco prima di trovare rifugio tra le sue braccia.
«Ti
voglio bene anche io Ivan, ma devi essere forte. Il direttore mi ha
detto che sono stato scelto per andare a Unima, per questo non devi
permettere agli altri di schiacciarti».
Non
riesco a credere che la situazione sia degenerata così
tanto, quando
ho visto Ghecis e Acromio per la prima volta non mi sarei mai
immaginato di arrivare fino a questo punto. Prima la lite che mi ha
separato da Max, poi l'alleanza, l'arrivo e la partenza dell'unica
persona che riesce a farmi tornare il pirata spavaldo di un tempo.
Non c'è tempo da perdere e devo affrettarmi, posso solo
seguire la
decisione di Ghecis e creare il diversivo perfetto, ciò che
permetterà a molti di scappare da questo schifo di posto e
correre
verso la libertà.
Sogghigno
quando penso che riuscirò a rivedere il mare per una seconda
volta,
ancora non posso immaginare come sarà la mia vita quando
oltrepasserò le mura del carcere, ma sono sicuro che
recupererò ciò
che resta del mio Team per partire verso la regione più
remota che
conosco. Voglio ricominciare a vivere senza dover scappare dalle
autorità, rimediare ai miei errori tramite un'esistenza
modesta e
pacifica anche se non ci sarà Max. Non sono molto pratico
dei mari
esterni alla mia adorata Hoenn, ma l'unico posto che si adatta alle
mie esigenze è Alola, la regione di cui si sente parlare
nelle
pubblicità che trasmettono alla televisione.
Sembra così esotica
e bella, un vero paradiso per ogni pirata che si rispetti.
Ciò di
cui ho bisogno per allontanarmi dalla vita da criminale e tornare la
persona spensierata di un tempo, quella che si alza la mattina presto
per andare a lavorare e senza troppi problemi nella testa. Forse
dovrei smetterla di farmi questi film mentali, grazie al mio passato
non potrò mai godere di un simile trattamento, ma in questi
casi la
speranza è l'ultima a morire e ne vale la pena combattere
per una
giusta causa. Ognuno di noi deve avere una seconda
possibilità, no?
In fin dei conti sono stato arrestato per aver risvegliato un
Pokémon
troppo cresciuto, non mi sono macchiato le mani con del sangue
innocente e le mie gesta non sono state distruttive come sembravano.
Un po' grazie all'intervento di due marmocchi, ma questo è
uno dei
tanti discorsi a cui non voglio pensare, si tratta del passato
perciò
deve rimanere come tale.
Entro
dentro alla cella e sospiro, non è stato bello dover
salutare Alan
per l'ultima volta, ma cerco di essere sereno perché
andrò a
salvarlo quando evaderò del carcere. Mi guardo intorno e
noto la
figura di Ghecis rannicchiata sul materasso, a quanto pare ha
rinunciato alla cena per andare a dormire. Divoro le due razioni di
cibo con una foga incredibile, il cibo non deve essere sprecato, poi
mi arrampico in silenzio per raggiungere il letto appeso alla parete
grazie a delle catene dall'aspetto discutibile.
«Hai
pensato al diversivo?»
Domanda
lui.
«Non
ancora, ma sono a un buon punto»
«Ivan...La
Fregata Plasma sarà qui a breve, sei sicuro di avere il
piano
perfetto per un momento così delicato? Sarà
difficile fuggire dalle
guardie, bisogna distrarle per arrivare indisturbati fino al cortile.
È questo il piano»
«Lo
so» mormoro e mi stendo su un fianco. «Ma l'hai
visto anche tu, la
situazione si è sviluppata sotto una luce che non mi
aspettavo e non
è facile inventarsi qualcosa»
«Oggi
volevi chiedere a Max ti venire insieme a te, non è forse
così?»
«Ehm...»
sospiro. «Sì, ci avevo pensato. So che il nostro
rapporto non è
uno dei migliori, ma abbiamo passato così tanto tempo
insieme che mi
dispiace l'idea di doverlo abbandonare qui...Non
è...Giusto».
«Ti
capisco» sussurra lui. «Ma non dovresti far entrare
qualcuno nei
piani solo perché ti è amico, non sappiamo cosa
frulla nella testa
di quel rosso e potrebbe rivelarsi un traditore»
«Ti
sbagli!» urlo, quasi. «Conosco bene Maxie e so che
è un tipo leale
e sincero, non farebbe mai una cosa del genere»
«Oh
Ivan, sei grande e grosso ma ancora vivi nel mondo dei
sogni».
|
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Capitolo 14 *** 14. Dum Spiro, Spero - parte prima - [By Xavier] ***
14. Dum Spiro, spero
14. Dum
spiro, spero.
(parte
prima)
By Xavier
Cosa
mi spaventa più della morte? Acromio, certamente. Prima,
ciò che
più temevo era proprio perire entro queste quattro mura,
giovane o
vecchio poco importava, impossibilitato ad evadere per tornare ai
miei studi e ai miei piani. Adesso, temo il suo sguardo più
di
qualsiasi altra cosa, temo di finire sotto le sue grinfie ed essere
sottoposto ad ogni suo trattamento, proprio come una cavia. Porto
ancora i segni delle sue torture, non andranno via presto e fanno
male, tanto male. Sento la mia pelle bruciare ad ogni tocco ma, ancor
di più, sento ardere la mia voglia di libertà e
la otterrò, la
libertà, anche a costo di scavarmi un tunnel nel pavimento
con un
cucchiaio, finire in mare e diventare pasto per gli Sharpedo che
infestano la zona. Almeno morirei libero, e potrei vantarmi di essere
evaso! Purtroppo però, ho solo un bisturi al mio servizio,
quella
maledettissima arma usatami contro da quel pazzo, e non ho intenzione
di sprecarla nel vano tentativo di segare le sbarre, sarebbe
inutile.
Non dormo da oltre ventiquattr'ore, da quando è passato
a salutarmi non sono più riuscito a chiudere occhio. Come
potrei
dormire sapendo di avere quella spada di Damocle puntata sulla mia
testa, pronta a ferirmi? Non so cosa abbia in mente, ma non
sibilerò
neppure una lettera in sua presenza, morissero con me tutti i miei
segreti!
Ma, a quanto pare, non sono l'unico in questa condizione.
Vedo che anche Maxie fatica a rilassarsi, mangia poco ed è
piuttosto
nervoso, deve aver litigato con Ivan, forse gli manca, che sciocco,
se crepa prima di me sono davvero spacciato. Che abbiano scelto anche
il pirata tra coloro che dovranno partire per Unima? Fortunato, ma
considerando quant'è stupido non coglierebbe neppure
l'occasione per
scappare. Ah, se solo avessero scelto me, accidenti! Ma come avrei
potuto prevedere una cosa simile?
Mi stropiccio le palpebre per un
minuto intero, le riapro e vedo un'immagine ancora sfocata al di
fuori della cella, è un'ombra o è reale? Sembra
una figura snella e
slanciata con le mani posate sulle sbarre metalliche, che
sia…?
«Cyrus,
buonasera! Ti sei appena svegliato? Sai che ho proprio voglia di una
bella chiacchierata con te adesso?».
Dannazione! Perché proprio
lui? Ormai mi ha visto sveglio, non posso più fingere di
dormire,
alzo appena l'angolo sinistro del labbro superiore con una smorfia di
disgusto e mi metto a guardare altrove, sembro uno scolaro
impreparato che spera di non essere interpellato dal professore
mettendosi a frugare nello zaino, solo che io frugo sotto il
materasso, con le mani dietro la schiena, alla ricerca della piccola
lama; questa è la volta buona che gliela faccio ingoiare, se
solo
osa metter piede qui dentro!
Comincia a camminare su e giù,
osservandomi malizioso da dietro le sue lenti ovali. Odio quel
sorrisetto, è lo stesso che aveva stampato in viso l'ultima
volta e
non è finita bene, mi vergogno ad ammetterlo ma mi fa
raggelare il
sangue. Io, Cyrus, mi sono davvero ridotto a questo? Ad un animale
prigioniero ed impaurito da un essere come lui? Se solo ci fosse
Cynthia qui, gli farebbe mangiare la polvere! Che dico, mi
basterebbero i miei Pokémon e gliela farei mangiare io
stesso, da
solo!
«Acromio, lascialo stare! Così lo infastidisci e
basta,
non riuscirai mai a dialogarci se ti comporti
così».
Questa voce
non può che appartenere a Maxie. Non ne comprendo il motivo,
ma
prende sempre le mie difese, senza che tragga mai alcun profitto da
me, perché lo fa? Voglio capirlo, diamine!
«Hai ragione Maxie,
sembra piuttosto nervoso oggi, forse ha fame» -ribatte lui,
osservandomi come fossi un Pokémon sotto esperimenti-
«facciamo
così allora: tornerò sul tardi, dopo l'ora di
cena, così saremo
tutti e tre più tranquilli e faremo salotto come si
deve!»
«Non
te lo garantisco, Acromio. Dopo cena andrò subito a dormire
e credo
che Cyrus farà lo stesso, non vorrai mica
destarci?» chiede Maxie,
un po' allarmato.
«Oh, se vuoi riposare non ti sveglierò
certo»
- fa schioccare la lingua sul palato e dopo una pausa di riflessione
riprende- «beh, significa che mentre tu farai i sogni d'oro
io e lui
discuteremo!»
«Acromio, no! Non erano questi i patti! Dobbiamo
provare a farlo parlare insieme, te ne sei dimenticato? Acromio!
Fermati!» grida Maxie, avvinghiandosi alle sbarre, ma l'altro
lo
ignora e torna a fissare me, di nuovo, con quel maledetto sorriso:
«ci vediamo più tardi, ci conto!» mi fa
un occhiolino, poi gira i
tacchi e sparisce nel lungo corridoio, come un Seviper sparisce
nell'erba alta quando capisce che il momento non è propizio
per
attaccare la preda.
Guardo
Maxie, il mio sguardo questa volta trasmette un misto di rabbia e
sospetto, trasmette finalmente qualcosa dopo anni di apatia. Di che
"patti" parlava? Com'è possibile che si siano messi
d'accordo dopo tutto quello che è successo? La solitudine
dopo il
distacco da Ivan gli ha fottuto il cervello a tal punto? Sto perdendo
le staffe, stringo forte i pugni fino a sbiancarmi le nocche e
continuo a puntarlo; è affranto e scomposto, poggiato
mollemente
all'inferriata. Deve essere allo stremo anche lui, ma non è
da lui
prendere decisioni sconsiderate, tantomeno tradire quelli che
considera "amici", e anche io rientro in questa categoria,
seppur non gli abbia mai dimostrato un briciolo di gratitudine.
Forse… forse s'è stancato di me e ha deciso
di… "vendermi"
a quello squilibrato? Per il sacro diamante di Dialga! Si
sarà
stufato di me, Maxie ha un irrefrenabile bisogno di compagnia, di
qualcuno con cui parlare, di affetto, tutte cose che non ho mai
potuto né voluto dargli. La sua reazione è
più che lecita, me la
sarei dovuta aspettare, prima o poi. Sospiro rumorosamente e mi metto
le mani tra i capelli, coi gomiti poggiati sulle ginocchia, seduto
sul mio giaciglio. Cosa posso fare?
Dovrei davvero prendere in
considerazione l'ipotesi di affidarmi alle mani di Acromio?
Sarà un
sadico e un bastardo, ma non un beota, forse ha già in mente
un
piano per evadere e sta solo aspettando me, gli servo vivo, vuole
informazioni sui miei studi dopotutto, e questo non è il
luogo
adatto per disquisire sulla Rossocatena o sul Mondo Distorto.
Inoltre, posso fare affidamento sulla presenza di Maxie, lui non gli
permetterebbe mai di usarmi violenza.
Ahah, ma che vado a pensare?
Io, il grande Cyrus, offrire su un piatto d'argento fior di anni di
studi a quello scellerato, per cosa? Per un'incerta libertà?
Giammai! Mai il grande Cyrus dovrà piegarsi a qualcuno!
Mi mordo
freneticamente le labbra, sono alquanto nervoso, devo darmi una
calmata o qualcuno mi noterà e inizierà a
sospettare. Maxie
fortunatamente sembra essere troppo assonnato per potersi accorgere
di me. Decido allora di distendermi prono sul mio letto, con la
faccia nel guanciale, e rimarrò così, immobile,
in attesa della
cena; sono sempre l'ultimo ad essere servito, e a me tocca
ciò che
gli altri non mangiano. Perché? Semplice, perché
sanno che, al
contrario degli altri, non mi lamento mai, infatti non mi considerano
più neppure una persona, non vedono l'ora ch'io tiri le
cuoia, e se
non le ho ancora tirate è solo per merito di… ah,
lasciamo
perdere. Maxie probabilmente non ha ben chiaro in testa quali fossero
i miei piani, nei quali credo ancora adesso, altrimenti mi
disprezzerebbe ed eviterebbe come fanno tutti i nostri
"colleghi".
Nel mentre di queste riflessioni, un rumore
sordo giunge alle mie orecchie, proviene da fuori, da lontano, e man
mano lo sento avvicinarsi ad intervalli regolari. Alzo il viso dal
cuscino e presto attenzione, sembra la sirena di una nave, possibile
che…?
Scivolo giù e mi arrampico fino a sporgermi dalla
finestra sbarrata che dà sul mare, scruto accuratamente
l'orizzonte
e noto la sagoma di una grossa nave farsi sempre più nitida.
Per
tutte le spire di Giratina, deve essere l'imbarcazione destinata al
trasporto dei detenuti per Unima! Questa è la mia occasione,
non
posso assolutamente fallire adesso!
Non
appena odo il chiacchiericcio delle guardie, ritorno seduto composto
sul giaciglio, serrando nel pugno nascosto l'affilatissimo bisturi.
Riesco a distinguere nettamente due voci, una più grave e
profonda,
l'altra più acuta ed insicura, deve essere nuovo costui. Si
accostano alla stanza di Maxie e prendono dal carrello la sua
porzione, l'ultima rimasta d'altronde, e la poggiano sul suo
tavolino, destandolo dal dormiveglia. Il più giovane della
coppia si
volta verso di me, fissandomi incuriosito: «e lui? Non
è rimasto
niente per lui?» chiede preoccupato. Ci mancava solo la
compassione
di un carceriere per rendere ancora più patetico il mio
status!
«Ah
sì, quello…» -sbuffa il più
vecchio- «aspetta che gli altri
abbiano finito, poi potrai dargli quello che avranno lasciato.
Qualcuno dovrà pur lavare i piatti stasera, no
ahah?» mi
schernisce, si crede simpatico, piuttosto che lambire i loro piatti
mi taglierei la lingua, e già me la sarei dovuta mozzare
dopo quel
turpe contatto con Acromio!
«Ma ne sei sicuro? Non è un
comportamento molto umano!» ribatte il più piccolo.
«Si vede
che sei appena arrivato. Questo… questo essere qui,
è tutto
fuorché umano, è un automa, non parla, non ha
espressione, non
prova emozioni, fatti meno crucci e sbrigati» gli consegna le
chiavi, facendo per andare via.
«Aspetta! Vorrai mica lasciarmi
solo? Dove vai? Dobbiamo essere in due!»
«Te la caverai, quel
coso neppure si muove. Ho fretta, il PokéQuiz
sarà già iniziato,
ci sono delle priorità nella vita!» bofonchia in
fretta e furia e
arranca via verso i piani superiori. Spero rotoli giù dalle
scale,
quel Grumpig.
Quello rimasto, scuote il capo a destra e sinistra,
sbigottito dall'atteggiamento del suo superiore, ne ha da imparare;
Maxie intanto, con la lentezza di uno Slakoth, manda giù
qualche
boccone controvoglia. Mi chiedo se anche qui prenda GiubiloTV,
ricordo che da bambino seguivo sempre i quiz con mio nonno e non ne
sbagliavo mai una, era così orgoglioso di me…
spero soltanto che
stia bene, chissà magari anche lui ora sarà
seduto davanti allo
schermo intento a seguire il nostro programma preferito.
«Tu devi
essere Cyrus, giusto?» mi domanda, sedendosi sui talloni per
poter
scrutare il mio sguardo. Lo ignoro.
«Sai, si parla spesso di te,
ti conoscono un po' dappertutto. Sei affamato, vero?»
Continuo ad
ignorarlo.
«Perché non parli? Ti hanno offeso le parole di
quel
bifolco? Non dargli retta, è un cafone, fa così
con tutti…»
Santo
cielo che pesantezza, crede di essere in un asilo? La nave
sarà già
approdata, se non troverò un modo per uscire da qui mi
sarò giocato
l'occasione d'oro per scappare!
«Sono sazio, dagli pure quello
che resta» biascica Maxie, lasciando pietanza e posate, poi
si
sistema sulla branda, quella un tempo occupata da Ivan.
La
sentinella si rialza e va da lui per riprendere il piatto, io intanto
mi sfilo la maglia a righe e la lascio penzolare da un braccio, non
posso permettermi il minimo margine d'errore. Il garzone torna, apre
la mia cella, entra dentro e posa il tutto sulla mia scrivania, poi
ancora mi fissa, sembra incuriosito dalle mie cicatrici. A mia volta,
lo studio di soppiatto: è davvero giovanissimo, non
avrà più di
ventidue anni, il suo sguardo è colmo di speranza e
sincerità,
perché ha scelto di lavorare qui? Non fa per lui, diamine,
che
spreco! Quasi mi spiace che si trovi nel posto sbagliato al momento
sbagliato, avrei preferito ritrovarmi quel tanghero di prima, farei
un favore a tutti se lo eliminassi; mi auguro solo che il giovanotto
non abbia famiglia. Bah, ma che differenza fa? Si vede lontano un
miglio quanto sia debole, non è degno di sopravvivere in
questo
mondo, finirebbe comunque sopraffatto da qualcun altro, prima o
poi.
«E queste? Come te le sei procurate?» - mi si
accosta, ha
persino dimenticato di richiudere la porta- «ti fanno ancora
male?
Spero non sia stato uno dei miei colleghi…» una
goccia di sudore
mi scivola dalla tempia, finisce sulla spalla e scorre rapida lungo
il mio arto, il mio cuore pulsa a mille: è il momento!
In un
gesto fulmineo più rapido di un secondo gli sono addosso, il
mio
avambraccio avvolto nel tessuto gli serra la gola con una morsa
più
tenace degli artigli di uno Staraptor conficcati nella preda, prova a
dimenarsi, a scalciare, a chiedere aiuto, ma la mia lama ha
già
spento i suoi lamenti ancor prima che possano uscirgli di bocca; le
bianche righe della mia maglietta presto si colorano di porpora.
Eccellente, i suoi vestiti non si sono sporcati. Adagio delicatamente
quel corpo sul letto, lasciando che le lenzuola assorbano
ciò che
gli rimane.
Maxie s'è destato ed è subito saltato alle
sbarre,
deve aver visto tutto: «C-Cyrus! Cosa… cosa hai
combinato!?»
Finisco di scambiare i miei abiti consunti con la
sua divisa da poliziotto, mi metto il berretto sulla testa e
finalmente mi volto a rispondergli: «evado Maxie, sai
è stato un
piacere averti come vicino!»
«Sei pazzo! Come speri di scappare? A
momenti sarai circondato! Non puoi farcela da solo, liberami
avanti!»
sibila a bassa voce, ma nonostante ciò si intuisce bene la
sua
agitazione.
«Queste non mi servono più» - dico con
strafottenza e
gli passo il mazzo di chiavi- «spero tu abbia ancora
abbastanza
meningi da non arrischiare la vita dietro a quell'idiota di un
marinaio. Addio, Maxie!»
«Quello sconsiderato sei tu, razza di
incosciente! Se ti beccano, nessuno ti toglierà il cappio
dal
collo!» mi sbraita da dietro e si affretta ad aprire la sua
cella, poi corre in direzione opposta alla mia. Stolto sarà
lui! Si
farà fregare così, ma tanto meglio, almeno una
volta fuori di qui
non dovrò né sopportarlo né sdebitarmi
dei suoi aiuti, potrò
dimenticare tutto e tutti e ricominciare una nuova vita, solo con le
mie forze. Ma che mi importa, poi? Infilo le mani in tasca e cerco di
apparire quanto più naturale possibile, se riesco a fingere
bene
passerò inosservato senza problemi. A quest'ora, saranno
tutti
riuniti in sala pranzo a guardare la tv e bersi qualcosa, non faranno
troppo caso a me. Attraverso tutto il corridoio con lo sguardo basso,
raggiungo la famigerata camera e, come previsto, trovo i miei
"colleghi" attaccati al televisore ad esultare davanti alla
partita: chi si ringalluzzisce per una squadra, chi si dispera per
l'altra, chi ancora cerca di metter mano al telecomando per cambiare
canale, non è facile far andare d'accordo così
tanti uomini uno
diverso dall'altro ma, in fondo, tutti uguali, ugualmente stolti,
ammassati in quattro pareti. Nessuno fa caso a me. Sfilo silenzioso
come un'ombra nella notte, favorito dalla semioscurità
dell'ambiente: i neon infatti sono spenti, l'unica fonte di luce
è
lo schermo dell'elettrodomestico. Solo qualche Arcanine accucciato ai
piedi del tavolo mi annusa con sospetto, ma se manterrò la
calma
riuscirò a non farmi smascherare, l'importante è
non andare nel
panico, i Pokémon potrebbero avvertirlo e ringhiare o
avventarsi su
di me. Vedo già il cortile, mi basterà
attraversarlo
e…Repentinamente, tutte le luminarie della sala si accendono
all'unisono, mi fermo terrorizzato e getto un'occhiata agli
interruttori con la coda dell'occhio… non è
possibile!
"Cyrus!
Dovevi proprio essere ansioso di vedermi, se sei addirittura arrivato
fin qui da solo!"
-
Fine prima parte
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Capitolo 15 *** 14. Dum Spiro, Spero - parte seconda - [By Xavier] ***
14. Dum spiro, spero.
(parte seconda) By Xavier
Non posso crederci! Stava tutto filando così liscio, perché Acromio è qui a rovinare il mio piano? Come diamine ha fatto a riconoscermi? «Non muovetevi! Gettate le armi, subito!» - grido con tutto il mio fiato in gola, tirando a me una guardia un po' alticcia, poi le punto la pistola d'ordinanza alla tempia- «ritirate anche gli Arcanine, o gli faccio saltare la testa!» Tutti i carcerieri, colti alla sprovvista, obbediscono ai miei ordini, ritrovandosi ben presto disarmati ed inermi, ma più che dalla mia Colt sono spaventati dal vedere il buon caro Cyrus fuori dalla sua cella e pronto ad evadere, e loro sanno bene ciò che combinerò una volta evaso! «Suvvia Cyrus, non c'è bisogno di essere così violenti, stavo scherzando!» sghignazza e mi si avvicina, con le mani in alto e quel dannatissimo sorriso stampato in faccia. «Stammi lontano, non sei nella condizione di farti gioco di me!» ringhio, a denti stretti, mentre lo fisso con due occhi intimidatori come quelli di un Honchkrow che usi Malosguardo sui suoi sottoposti, o almeno ci provo, poiché in realtà sono sgomentato dalla sua presenza, le mie dita tremanti sul grilletto lo fanno ben intendere e lui lo sa. «Altrimenti che fai, spari? Non vorrai mica uccidermi, mio caro!» «E invece lo vorrei, ma la circostanza non me lo permette, dunque sparisci finché sei in tempo» rispondo, con voce ferma mentre continuo a puntarlo. «Oh, è questo il tuo modo di ringraziarmi? Non smetti proprio mai di essere scorbutico, vero Cyrus?» - continua ad avvicinarsi, non capisco cosa abbia in mente di fare- «Ma te lo concedo, d'altronde hai già fatto il tuo dovere!» «…dovere? Ma di che diamine stai parlando?» vuole solo provocarmi, immagino. «Cyrus suvvia, pensi che quel bisturi te l'abbia lasciato lì per mera dimenticanza? Ti facevo più sveglio!» «N-Non… non rivangare quella vicenda, screanzato!» maledetto, maledetto bastardo, vuole in tutti i modi farmi perdere le staffe ma no, non ci riuscirà, non con me, serro meglio la pistola nel pugno e ogni vena del metacarpo si gonfia a fior di pelle, sto sudando, non deve cadermi di mano. «Sarò pure uno screanzato, ma faceva tutto parte del mio piano e tu l'hai seguito alla perfezione, e tra poco saremo liberi!» - avanza, e come avanza di un passo, io ne arretro due- «avanti, dammi l'arma, fidati di me!» «Giammai, dopo avermi usato speri pure di guadagnarti la mia fiducia? Scordatelo!» grido ancora, mentre il mio fiato si fa sempre più corto. «Allora proprio non capisci Cyrus, mi costringi alle maniere forti così…» - incupisce la voce e si sistema gli occhiali, quel gesto non promette nulla di rassicurante- «come speri di salvarti, da solo? Guarda, i cancelli esterni sono chiusi, a breve saremo circondati, solo io conosco una via di fuga che ci permetterà di uscire da questo posto illesi, ma devi consegnarmi l'arma e affidarti completamente al sottoscritto! Non te lo ripeterò una seconda volta!» Merda. Ha ragione, ha fottutamente ragione, non ho modo di oltrepassare la cancellata esterna che mi separa dall'imbarcazione diretta a Unima. Rimango in silenzio, ansimando, fissando un punto imprecisato del pavimento, non voglio credere che la mia unica chance di sopravvivenza sia proprio lui. Un tintinnio metallico pizzica i miei timpani e mi costringe a seguire con lo sguardo il movimento delle sue mani: ha appena estratto dall'ampia tasca un mazzo di chiavi e dopo averne infilato l'anello all'indice inizia a farlo roteare intorno al dito. Deve essersi impossessato di uno degli elicotteri di vigilanza, non posso freddarlo o non saprò mai dov'è parcheggiato. E se stesse semplicemente bluffando? Calmati Cyrus, calmati dannazione! Dev'esserci un'alternativa! Il fragore dirompente scaturito dall'abbattimento di una porta desta entrambi e ci costringe a voltarci a destra dove, dalla breccia appena aperta, vediamo spuntare Maxie e Ivan alla testa di un folto branco di altri detenuti appena scagionati, pronti a confluire nella sala da pranzo. «E chi ti ha detto che sono da solo, Acromio?» -sogghigno allo scienziato, godo nel vedere la sua faccia sorpresa e sbalestrata- «divertiti, sono sicuro anche loro fossero ansiosi di vederti» e detto ciò, scaglio via l'ostaggio e approfittando del caos appena creatosi fuggo via verso l'esterno.
Corro. Sto correndo a perdifiato, gambe e petto mi dolgono, ho la vista annebbiata, non so quanto ancora potrò resistere in questo stato, raggiungo l'inferriata e mi ci accascio contro, battendo i pugni sul portone d'uscita, ho bisogno di riacquistare le energie prima di cimentarmi nell'arrampicata. Odo qualcosa sovrastare il monotono susseguirsi dei miei sospiri, una specie di ronzio ferroso e rombante d'incerta provenienza, che sia frutto del mio cervello? Sto forse per avere delle convulsioni? È così… insopportabile! Mi rivolto adagiando la schiena alle mura e mi copro i padiglioni auricolari con i palmi, ma proprio in quell'istante adocchio qualcosa che non avrei mai voluto adocchiare in una situazione come questa: uno degli Arcanine carcerieri sfrecciare verso di me a fauci spalancate. Cerco freneticamente la Colt, è a pochi centimetri da me, la brandisco, prendo la mira ma sono troppo agitato per far centro, sparo il primo colpo, il secondo, al terzo lo ferisco di striscio ma non s'arresta anzi, è diventato ancora più aggressivo ed io ho finito le munizioni. Ho bisogno di qualcosa per difendermi, dopo avergli scagliato addosso anche la rivoltella, e alla svelta, un bastone, una pietra, qualsiasi cosa andrà bene, ma mi ritrovo soltanto con un pugno di sabbia e ghiaia, alquanto inutile. L'Arcanine si slancia, serro le palpebre e porto gli avambracci a coprirmi il viso dall'imminente attacco… che succede? Percepisco un tonfo e poi il canide rantolare davanti a me, riapro gli occhi e lo vedo atterrato da un enorme Feraligatr, e dietro quest'ultimo un ragazzo adolescente dai capelli rossi balzato da chissà dove. «Ottimo lavoro Feraligatr, adesso usa Idropompa!» ordina il giovane al proprio Pokémon, riesco giusto in tempo ad appiattirmi al suolo per evitarla e permettergli di sfondare il cancello col devastante attacco di tipo acqua. Sono davvero stato salvato da un marmocchio? «Ehi, tu!» - irrompe l'Allenatore, afferrandomi con una mano per il colletto- «dimmi dov'è mio padre, se ci tieni alla tua pelle!» Come pretende che io lo sappia? È la prima volta che vedo il suo viso, non mi sembra familiare, ma a giudicare dai capelli direi che è imparentato con Maxie. «Credo sia lì, tuo padre…» gli rispondo titubante, indirizzandolo con un'occhiata verso la figura dello scienziato che, zoppicante e appoggiato ad Ivan, sta ora uscendo dal penitenziario. «… non è lui, razza di idiota!» sbotta il fulvo, spintonandomi indietro. Se non avesse lui il coltello dalla parte del manico, gliela insegnerei io la buona educazione, cosa che, evidentemente, questo suo famigerato padre non ha fatto. Che maniere. «Ragazzino, dove credi di andare? Se tuo padre è ancora vivo lo vedrai uscire a breve, aspetta qui» provo a trattenerlo, potrebbe ancora servirmi. «Mi chiamo Silver, dannazione!» «Bene, Silver, ti sconsiglio vivamente di entrare là dentr-» «Stai zitto, non m'interessano i tuoi consigli» replica girando i tacchi, e scapicolla in direzione della struttura. Che tipo, ma è pur sempre il figlio di un carcerato, non c'è da stupirsi. Mi rialzo e mi scrollo la polvere di dosso, quindi finalmente valico la cinta muraria e una volta all'esterno faccio un'interessante scoperta: perché ci sono ben due navi? Una è quella diretta ad Unima e l'altra… ha le sembianze di un veliero e da entrambi i suoi fianchi fuoriescono giganteschi pannelli solari. Non ho mai visto nulla del genere in vita mia, che appartenga a qualche vanitoso riccone? «Oh, tu devi essere… Cyrus, giusto?» un'accomodante voce maschile mi giunge alle orecchie, mi volto nella sua direzione: «hm? Ci conosciamo?» domando, squadrando da capo a piedi il mio interlocutore, un altro ragazzo probabilmente coetaneo di Silver, dalla folta chioma verde. «Ho sentito molto parlare di te. Puoi chiamarmi N, ma ora non c'è tempo per le presentazioni, dunque ti prego di ascoltarmi» «Silver è dalla tua parte? Cosa sta succedendo e cos'è quell'imbarcazione?» chiedo con apprensione, non mi piace l'estrema pacatezza dei suoi modi, esattamente opposti a quelli dell'altro moccioso. «Sì, Silver mi sta aiutando. Sono venuto qui per liberare mio padre, ma sulla Fregata Plasma c'è posto anche per te e per gli altri… colleghi» Non può che essere il figlio di Ghetsis, si somigliano tantissimo, ma questa precisazione preferisco non esplicitarla, non sia mai che sbagli un'altra volta. «N, penso tu abbia calcolato male. Per quanto possa esser grande la Fregata Plasma, ci saranno almeno un centinaio di uomini là dentro, come credi di fare?» «Gli altri detenuti prenderanno quell'altra nave» -spiega con calma, riferendosi a quella diretta ad Unima- «il mio esercito di Genesect ha già neutralizzato le sentinelle, adesso è pronta all'uso». Questo spiegherebbe il fastidioso ronzio di prima, ho sentito parlare dei Genesect ma personalmente non ne ho mai visto uno, sembrano Pokémon interessanti. Rifletto per un istante sulle sue parole: «buon piano, ma dobbiamo darci una mossa prima che arrivino i rinforzi. Il tuo amico s'è precipitato all'interno, va' a vedere che sta combinando e non fate tardi, o partirò senza di voi» «Cyrus, non hai una bella cera, ti senti bene?» «Mai stato meglio, non perdere tempo» mento, in realtà sento le forze abbandonarmi, non mangio né dormo da un giorno. «Hm, d'accordo… aspettami sul ponte allora, non ci vorrà molto» dice infine e anche lui prende la stessa via di Silver.
Arranco fino alla scalinata d'accesso del natante, salgo e mi metto a sedere sul bordo dello scafo, così da avere una buona visuale: Ivan e Maxie sono i primi a tirarsi fuori da quel guazzabuglio infernale, quest'ultimo accoccolato tra le braccia dell'altro. Ci mancava solo la scena patetico-romantica, santo cielo… «Ehi, vegetale! Maxie è ferito, fa' qualcosa!»- mi grida a gran voce il marinaio, dopo esser giunto presso la nave- «se me lo fai crepare in mia assenza, diventerai un delizioso bocconcino per gli Sharpedo, ci siamo intesi?!» e dopo avermi minacciato adagia lo scienziato sul ponte, davanti a me, poi torna di nuovo indietro a dare manforte agli altri compagni, a quanto pare le guardie stanno dando loro del filo da torcere. Sbuffo e mi inginocchio davanti all'infortunato, non posso fare altrimenti: «che ti sei fatto? Te l'avevo detto di non fare sciocchezze, Max» L'altro si alza un risvolto dei pantaloni e scopre una caviglia arrossata con evidenti segni di zanne: «sono stato morso da un Arcanine, ho cercato in tutti i modi di fermarlo quando ho visto che ti aveva preso di mira ma… beh, non ci sono riuscito» Rimango interdetto per qualche secondo, che cos'è tutta questa filantropia oggi? «… deve bruciare molto quel Rogodenti» - desumo mentre gli osservo la ferita- «però non sembra che sia rotta, hai solo una brutta ustione, sopravviverai» concludo e strappo un lembo della mia divisa così da improvvisargli un bendaggio. «Grazie, Cyrus… ero sicuro che avessi anche tu un lato buono» «No, non cominciare, lo sto facendo solo perché non voglio finire stritolato da Ivan» «Ed ero anche sicuro che avresti risposto così. Non c'è nulla di male in un po' di gratitudine, nessuno è morto ringraziando, sai?» Ci mancava solo il moralismo di Maxie. Ma non potevo finire sbranato da quel cane, a questo punto? La sua voce stridula è l'ultima cosa che voglio sentire dopo questa giornataccia. «Max ti prego, non è il momento di farmi la morale, risparmiatele per dopo queste rampogne» «Proprio no Cyrus, questo invece mi sembra il momento più adatto, dato che siamo soli, e un buon amico ti difende in pubblico ma ti corregge in privato, e non fare quella faccia!» Faccio per alzarmi ed andarmene, visto che lui è zoppo e non avrebbe modo di seguirmi, ma improvvisamente avverto un fastidioso capogiro che mi costringe a rimanere acquattato a terra, diamine, dev'essere un calo di zuccheri.«E da quando in qua mi consideri un amico, adesso?»«Da sempre, da quando sei finito nella cella di fronte alla mia. Dovevamo essere tutti amici là dentro, aiutarci a vicenda, abbiamo commesso degli errori e questo non lo nego, ma a tutti va data una seconda chance…» Se non fosse che sono sotto lo scacco di Ivan, a quest'ultima affermazione lo getterei dritto in mare.«Senti, lo sai bene che non credo a queste baggianate come l'amicizia o la fratellanza tra umani, sono cose frivole, lo capisci? Non bisogna contare su queste cose, ma solo su se stessi» sbotto infine, incrociando le braccia al petto e guardando altrove. «Certo, ma certo, contare su se stessi, bravo» - inizia ad applaudire con scherno- «come hai fatto tu oggi, ad esempio? Senza il nostro aiuto non saresti uscito vivo di lì! Abbi almeno l'onestà di ammetterlo, che è stato un lavoro di squadra, sii coerente!» «Ce l'avrei fatta anche da solo, so quel che faccio dannazione, per chi mi hai preso?» «Tu? Ma per favore Cyrus, non hai nemmeno trent'anni, cosa credi di saperne? Io ammiro il tuo intelletto, i tuoi progressi scientifici, i tuoi studi, si vede che sei un uomo intelligente ma, lascia che te lo dica… sei ancora un ragazzino immaturo, emotivamente immaturo…» Non replico, non saprei proprio cosa dire, tanto meno sono in vena di litigare, mi limito a scrollare le spalle con strafottenza, e lui infierisce: «lo vedi che ti comporti come un adolescente ribelle? E vuoi sapere una cosa?» vorrei solo tappargli la bocca e coricarmi, ma preferisco tagliare corto: «sì, voglio sapere che fine ha fatto Acromio. L'avete ammazzato e appeso da qualche parte immagino, giusto?» Stava per espettorare un'altra delle sue catilinarie, ma si ferma, sorpreso, deglutisce e poi balbetta: «n-no veramente… è riuscito a scappare, credo, non chiedermi come». Non ci posso credere che l'abbiano fatto scappare! Ma che branco di imbecilli sono? Erano cento, cento fottuti uomini contro uno! Mi sale il sangue al cervello, serro i denti, i pugni, inizio a sentirmi male, ho le vertigini, la mia vista si annebbia, mi accascio su di un fianco e mi sento venir meno.
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Capitolo 16 *** 15. La resa dei conti [ By Lily ] ***
13. Il diversivo
15. La
resa dei conti
By Lily
La
luce bianca e
fredda del neon illumina la stanza, solo la porta chiusa mi separa
dalla ribellione provocata dai carcerati. Le grida e i rumori molesti
della rivoluzione penetrano all'interno con una violenza unica, un
canto confuso che mi riempie il cuore e l'animo di speranza.
La libertà è più vicina di quel che
pensassi, la mia
vittoria sarà rapida e indolore.
Davanti a me c'è la figura invecchiata e grassoccia del
direttore del carcere, non emette alcun fiato e tiene la testa rivolta
verso il pavimento, le corde che lo legano alla sedia gli impediscono
di compiere anche il movimento più semplice e naturale.
Schiocco la lingua contro al palato, sbuffo una nuvola di fumo dalla
bocca e lo fisso con un sorrisetto divertito sul volto. Non
è
stato complicato scortarlo fin qui, mi è bastato indossare
un
travestimento per prelevarlo dal suo ufficio e condurlo nella mia
trappola, ma non ci sarei mai riuscito se non fosse intervenuto Max.
Non sono informato sull'episodio che ha permesso a quel testone rosso
di entrare in possesso delle chiavi, è successo tutto
così all'improvviso, non sono in grado di raccontare il vero
corso degli eventi. Non ho potuto trattenere un'espressione di sorpresa
quando lo scienziato ha aperto la porta della mia cella, non mi ha
detto niente in particolare, si è limitato a correre verso
gli
altri prigionieri con un Extra-rapido talmente agile da fare invidia a
un Arcanine appena evoluto.
Avrei potuto sfruttare la libertà per fuggire e dimenticare
questo postaccio, ma la sete di vendetta mi ha spronato a mettere in
atto il mio piano diabolico.
E ora sono qui, a fissare quel verme ambulante.
Resto immobile nella mia posizione, le spalle sono posate contro al
muro e tengo le braccia incrociate al petto. Nella mano destra stringo
il sigaro pregiato che ho acceso poco fa, ci giocherello prima di
scrollare la cenere in eccesso.
«Davvero siamo arrivati a questo?»
Borbotta lui dalla sua postazione, lasciandosi sfuggire un colpo di
tosse.
Rido.
Ha smesso di fare il gradasso ora che non è seduto dietro
alla
sua scrivania, non ha più niente per le mani. È
soltanto
un uomo come tanti altri, incatenato a una sedia senza la
possibilità di difendersi. «Giovanni, adesso ti
diverti a
fare il Dio? Non ti facevo così schizzato, se l'avessi
saputo
prima ti avrei rinchiuso insieme a quel vegetale e mi sarei sbarazzato
della chiave».
«Una mossa fin troppo intelligente per uno del tuo
stampo»
intervengo con una punta di sarcasmo, porto il sigaro alle labbra per
concedermi un tiro e sbuffare il fumo senza aspirarlo. «Ma
non mi
sarei fermato, sarei risorto comunque dalle mie ceneri»
«E per cosa? Per avere la soddisfazione di legarmi e
maltrattarmi? Tu sei malato, proprio come gli altri scagnozzi che ti
seguono come cagnolini!»
«No!» sbotto dalla rabbia e mi avvicino a lui come
una
furia, gli afferro il mento e gli strattono la testa per alzarla.
Voglio costringerlo a guardarmi negli occhi, ad assimilare tutta la
cattiveria e il malessere che mi porto dietro da anni. «Non
ho
niente da spartire con quella mandria di schizzati, sono solo dei
bambocci incapaci di gestire un vero giro d'affari.
Sono solo capaci di arraffare tutto quello che trovano lungo il loro
cammino, proprio come i parassiti della peggio specie.
Bramano potere per realizzare degli ideali campati in aria, non sanno
cosa significa essere un vero criminale!»
A quel punto lo lascio andare, sbraitando qualche altra imprecazione.
«Eppure sei qui grazie a uno di loro, o sbaglio?»
ride.
«Smettila di fare il grosso, Giovanni, sei soltanto un
Persian
selvatico che continua a leccarsi le ferite.
Sei solo un uomo come tanti altri, fuori di qui vali meno di un
Pokémon sterile»
Scrollo le spalle.
È incredibile, quell'uomo non demorde e continua a
sorprendermi.
Ho sempre apprezzato la sua personalità, anche come
poliziotto
non era male. Era un individuo ben addestrato e devoto alla giustizia,
a quei tempi aveva una famiglia a carico e un sogno da realizzare.
Lo incontrai quasi per caso, avevo abbandonato il Team Rocket e mio
figlio da poco per dedicarmi a un viaggio personale, intenzionato a
migliorare le mie doti da Allenatore.
Agli inizi giocavamo a fare il gatto e il topo, era divertente
affrontarlo o scappare dalla sua caccia. Solo alla fine abbiamo avuto
modo di confrontarci, di frequentarci per stabilire un legame
amichevole e malsano.
La sua proposta saltò fuori all'improvviso, quando il suo
lavoro
andava avanti a stento e il suo matrimonio iniziava a riempirsi di
falle. Accettai solo per permettergli di diventare qualcuno, ma lui non
rispettò la sua parte e preferì tenersi i meriti
della
mia cattura.
Diventò corrotto e occupò il posto al carcere
solo per
tenermi d'occhio, per controllare i miei spostamenti e impedirmi di
fuggire.
Ma quei tempi sono finiti, è ora di dare inizio a una nuova
era.
«Non parlerei in quel modo se fossi al tuo posto».
Mi infilo il guanto nero, estraggo la pistola che tengo nascosta dentro
alla tasca della divisa da sentinella e carico l'arma.
Lo guardo senza aggiungere altro e la punto contro alla sua tempia.
«Giovanni...» sussurra, in preda al panico.
«Cosa vuoi fare?»
«Non lo sapevi, mio caro?» borbotto divertito,
leccandomi i
denti con un gesto rapido della lingua. «È ora
della resa
dei conti».
Il corpo morto del direttore giace dentro la stanza, con un foro di
proiettile nella tempia destra.
Prima di abbandonare il luogo dell'omicidio mi sono preso diverse
precauzioni, non solo ho eliminato ogni segno del mio passaggio, ma ho
slegato il cadavere per fargli impugnare la pistola e inscenare un
suicidio.
Sono uscito da lì dopo aver controllato il dettaglio
più
piccolo e insignificante, mi sono interessato anche ai polsi, per
fortuna non c'è alcuna traccia della corda che ho usato per
legarlo.
In questo modo le autorità non indagheranno più
del
dovuto, lo individueranno come un gesto disperato, la ribellione che
c'è in corso è un movente molto efficace per
nascondere
la realtà dei fatti.
In un'altra occasione avrei chiesto a qualcuno di farlo al posto mio,
non sono il genere di uomo a cui piace sporcarsi di sangue, ma in
questa situazione mi sono dovuto arrangiare. Sbuffo dalle narici e
attorciglio la corda nella mano, cammino raso muro per evitare di
essere individuato dalle telecamere o da uno dei trogloditi che sta
devastando la struttura. Raggiungo il bagno senza compiere lo stesso
tragitto di prima, mi avvicino al lavabo e guardo il mio riflesso che
compare nello specchio.
Non posso fermarmi a pensare, il tempo non è dalla mia
parte,
apro l'acqua per togliermi di dosso le macchie di sangue. Devo trovare
il modo più semplice per sbarazzarmi delle prove, non devo
destare alcun sospetto o le conseguenze potrebbero essere spiacevoli.
Mi tolgo la divisa da sentinella imbrattata di sangue, guardo il corpo
privo di vita dell'individuo morto sotto alla furia dei carcerati, lo
stesso che ho spogliato prima di dirigermi dal direttore. Mi abbasso
sulla carcassa e mi preoccupo di rivestirla, sono tentato dall'idea di
lasciargli la corda nella tasca ma desisto all'idea.
Lì fuori sta accadendo il pandemonio, potrebbe tornarmi
utile in un secondo momento.
Sospiro per scrollarmi di dosso ogni pensiero, mi alzo e mi volto in
direzione della porta.
Adesso posso continuare la mia vendetta, non mi darò pace
fino a quando non avrò rimesso le cose al loro posto.
Proseguo la mia traversata con il passo di un felino, vago tra i
corridoi del carcere con le stesse movenze di un Persian in piena
caccia, sono pronto a lanciarmi sulla mia preda in qualsiasi momento.
Ghecis.
Non ho in mente altro, il suo nome mi echeggia nella testa.
È l'uomo che mi ha complicato l'esistenza qui dentro, prima
del
suo arrivo ero venerato e temuto. Ma non gliela farò passare
liscia, lo farò pentire dei torti che mi ha fatto.
A partire dalla sconfitta a Poker fino ad arrivare al nostro ultimo
scambio di battute.
Adesso sono libero e pieno di rancore.
Posso agire come preferisco, niente e nessuno potrà mai
fermarmi.
* * *
«Ero sicuro di trovarti qui».
Affermo nel preciso istante in cui sbarro la strada al Boss dei Plasma,
lo guardo e ridacchio prima di avvicinarmi a lui. La sua altezza non mi
spaventa, nemmeno il suo sguardo mi invoglia a fare un passo indietro.
Anche lui è solo, proprio come mi immaginavo.
Durante la fuga nessuno si è preoccupato di aiutarlo, non
potrà andare molto lontano con le gambe che si ritrova.
Un punto a mio favore, sarà divertente dargli ciò
che si
merita e facendo passare l'episodio come uno sfortunato incidente.
«Giovanni...Cosa ci fai qui? Non sei insieme agli
altri?»
domanda con perplessità, appoggiandosi al muro con una mano.
È strano, non vedo il suo bastone. Dove sarà
finito?
«So che non abbiamo dei trascorsi positivi, ma non credi che
sia
il caso di mettere da parte le nostre divergenze e fuggire?»
continua lui.
Mi fermo e lo guardo.
Davvero è caduto così in basso?
«Solamente una
persona ha il diritto di essere il Re e il tuo turno ormai è
finito»
gli sputo in faccia le stesse parole che mi ha riferito il giorno in
cui ho provato ad approcciarlo nelle docce. «L'hai detto
tu...O
sbaglio?»
«Sì...» borbotta, insicuro.
«Ma non avrei mai
immaginato di arrivare a questo, non così almeno»
«Non posso farci niente Ghecis» esclamo con
tranquillità, avvicinandomi a lui per riuscire a guardarlo
negli
occhi. «Ti sei rovinato con le tue stesse mani».
Sfrutto la sua distrazione per spingerlo, la mia forza riesce a fargli
perdere l'equilibrio. Poco dopo il Boss dei Plasma si ritrova a terra,
cascando con un unico schianto. Meglio così, farà
fatica
a muoversi.
«Si può sapere cosa ti prende, figlio di un
Arcanine?!» urla lui senza trattenere il suo caratteraccio,
ringhiando a causa della rabbia che si va a mischiare con il dolore
dovuto dall'impatto.
«Non hai il diritto di rivolgermi la parola!»
sbraito e
afferro la corda che tengo in tasca, la stendo per allacciarla intorno
al collo di Ghecis e cominciare a stringere. Forte, come un Arbok
intento a stritolare la sua preda.
Lui si muove a fatica sotto di me, sento il fiato di quel vecchio che
si spezza.
Una melodia malsana, che mi entra dentro alle orecchie per arrivare
dritto al cuore. «Cosa c'è? Adesso non parli
più,
mh?»
Sto per rafforzare la presa, quando...
«Leva
le mani da mio padre, mostro!»
Un urlo, poi percepisco un dolore lancinante.
Ricevo un colpo forte alla testa, sono talmente stordito che crollo e
impatto contro al suolo.
Nel farlo sbatto il mento sul pavimento. Sono dolorante e in bocca
sento il sapore metallico del sangue.
Mi giro ringhiando, poi mi fermo quando vedo un ragazzo vicino al corpo
di Ghecis. È giovane, i lunghi capelli verdognoli sono
raccolti
in una coda, gli regala un'immagine selvaggia e spigliata.
Addosso ha dei vestiti normali.
Non fa parte del carcere? Non capisco.
«Padre...»
Sussurra lo sconosciuto, accucciandosi accanto alla figura imponente di
Ghecis. «Come ti senti?»
Sgrano gli occhi.
È davvero lui, il figlio di Ghecis?
Non ci posso credere!
«Sto bene!» interviene Ghecis.
«Grazie...»
Voglio intromettermi con una frase sarcastica, tanto per interrompere
quel dolcissimo quadretto, ma un calcio ben piazzato allo stomaco mi
blocca il respiro.
Poso la mano sopra al punto colpito, poi alzo lo sguardo.
Non ci posso credere. No, no.
«Silver?!»
«Almeno ti ricordi il mio nome» borbotta lui prima
di sbuffare, poi si inginocchia per guardarmi negli occhi.
Lo squadro da testa a piedi, incredulo.
Sono passati anni dall'ultima volta in cui l'ho visto, devo ammettere
che è cambiato molto da allora.
Ma non parlo di una trasformazione fisica, in fin dei conti
è
rimasto gracile come al suo solito, ma di qualcosa di interiore. I suoi
occhi sono molto più mascolini e affilati, da vero uomo.
«Che ti è saltato in mente?»
«Io...».
Mi interrompo, non so più cosa dire.
«Non cambi mai» sbuffa e si volta verso gli altri
due.
Ghecis è tornato in piedi, si regge alla spalla di suo
figlio e mi fissa con uno sguardo omicida.
Il sangue continua a ribollirmi nelle vene.
Ma non posso fare altro, mio figlio e il suo nuovo amichetto mi
impediscono di continuare ciò che ho cominciato.
«Dobbiamo andare, non c'è tempo per le
spiegazioni» esclama il ragazzo dai capelli verdi.
Silver annuisce e si volta verso di me, si piega sulle ginocchia per
porgermi la mano. «Vieni con noi, vecchio, oppure preferisci
marcire qui dentro?»
Scrollo le spalle e gli afferro la mano.
«Solo perché non vedo l'ora di uscire da questo
inferno»
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Capitolo 17 *** 16. Nunc est bibendum! [ By Xavier ] ***
max
16. Nunc
est bibendum!
By Xavier
Finalmente
siamo usciti da quell'inferno di carcere, quasi non mi sembra vero,
dopo tutto questo tempo passato tra le sbarre, ed è ancora
più incredibile che dopo la rocambolesca fuga
siamo sopravvissuti, più o meno. La mia caviglia
fa ancora un po' male, sebbene sia stata medicata con un rimedio a base
di Baccafrago, e Cyrus non si è ancora destato dal suo
svenimento, per cui abbiamo deciso di adagiarlo su un letto del
dormitorio maschile.
Nonostante la
stanchezza, abbiamo imbandito una cena a bordo della nave, a cui sto
partecipando anche io, per celebrare l'evasione, rifocillarci e
appianare qualche divergenza che s'è instaurata durante la
permanenza nel penitenziario.
Come capotavola,
abbiamo Ghetsis da un lato e Giovanni dall'altro, e alla loro destra
rispettivamente N e Silver. Io sono posto tra quest'ultimo e Ivan, ed
infine c'è un posto vuoto che sarebbe riservato al Capo del
Team Galassia; sia Gerardo sia Alan hanno deciso di salpare con
l'imbarcazione destinata agli altri detenuti, per cui non sono presenti.
L'atmosfera
è apparentemente tranquilla, dal momento che siamo tutti
esausti ed affamati e non vediamo l'ora di andare a dormire,
nonostante questo però si può chiaramente
avvertire della tensione nell'aria, tensione dovuta agli sguardi torvi
che di tanto in tanto saettano tra i due più anziani
commensali. Non sono mai andati d'accordo quei due, fin dal primo
giorno non hanno fatto altro che sfidarsi in maniera più o
meno esplicita, eppure qualcosa mi dice che tra di loro deve essere
successo qualcosa di particolarmente grave e recente, e sebbene io
voglia capirne di più, credo sia meglio che mi faccia gli
affari miei per il momento, sono adulti e vaccinati e troveranno il
modo di fare pace, ne sono sicuro, anche perché ora hanno i
loro due figli accanto, sarebbe imbarazzante se si mettessero a
bisticciare come ragazzini proprio davanti a loro!
Mi verso dello
champagne appena stappato nel bicchiere e inizio a berlo, a piccoli
sorsi, ci voleva proprio questa rinfrescata, il mio palato deve
riabituarsi a dei piatti così saporiti e pieni di spezie, ed
è la prima volta che assaggio le tipicità di
Unima, meglio andarci adagio. Scuoto la testa e sospiro
spossato, Ivan invece non ha proprio il senso del "contegno", si sta
abbuffando di cibo a più non posso con una
voracità unica, insozzandosi la barba e i vestiti e
producendo rumori molesti.
«Ivan…
potresti fare più piano? Ti stanno guardando
tutti…»
«Nom nom
stai zitto Maxie, nom nom… non sottovalutare l'appetito di
un marinaio!»
«E tu non
sottovalutare gli standard di educazione del padrone di casa!»
«Zitto e
mangia»
Mi ritrovo con la
faccia nel piatto, grazie alla spinta del mio compagno, scena che desta
l'ilarità degli altri commensali. Mi tolgo gli occhiali, li
pulisco e mi risistemo, tutto pronto a tuonare una catilinaria nei
timpani del pirata, ma a vedere le risa degli altri banchettanti,
finalmente uniti e sorridenti, mi fermo, è un'occasione
più unica che rara, e sorrido anche io.
Ci lasciamo un po'
andare, sarà anche l'alcol che fa effetto, sarà
l'ebbrezza della libertà, l'aria frizzante della notte,
saranno un po' tutte queste cose a farci uscire da noi stessi ma, per
Arceus, quand'è stata l'ultima volta che io abbia
avuto modo di esprimere una spensieratezza tale? Dovrei risalire ai
tempi del reclutamento nel Team Rocket, o forse anche prima, ma non
è il momento di tuffarsi in questi pensieri, adesso!
«Beh,
allora? Un bel brindisi a Maxie non lo facciamo?» un Giovanni
non particolarmente sobrio si alza in piedi, rivolgendomi il suo calice
colmo di spumante.
«Un
brindisi… per me?» chiedo un po' confuso.
«Sei sordo,
quattrocchi? Ci hai salvato la pellaccia, per questa sera, e per questa
sera soltanto, devo ammettere che hai avuto fegato ahah, avanti
raccontaci come hai fatto a ottenere quel mazzo di chiavi, sono
curioso!»
Giusto, loro non sanno
la verità, quasi mi dispiace smorzare il suo entusiasmo.
«Temo,
Giovanni, di dover rifiutare l'onore di questo
brindisi…»
«Eh? Maxie
che fai? Ti sembra il momento di metterti a fare il modesto solo per
ricevere altri complimenti?» - farfuglia Ivan con la bocca
piena- «sempre a fare la principessa preziosa!»
«Ma che
c'entra questo, Ivan? Posso finire di spiegare prima di ricevere il tuo
giudizio universale?»
«Dai, Ivan,
lascialo finire, e ingoia quel boccone per piacere!»
interviene anche Ghetsis in mia difesa, sono sollevato.
«Dicevo…
in realtà è tutta opera di Cyrus, è
stato lui a prendere le chiavi da una guardia, si è liberato
e poi me le ha passate e non ho perso tempo a venire da voi. Ribadisco,
senza il suo intervento non sarei riuscito nell'impresa, se proprio
dobbiamo brindare alla salute di qualcuno, beh quel qualcuno
è decisamente lui».
Cala il silenzio sulla
tavola, mentre tutti iniziano a guardarsi sbigottiti tra di loro.
«Maxie,
quanto hai bevuto? Sul serio quel vegetale è riuscito a
fregare una sentinella?» Giovanni non sembra molto convinto
della mia testimonianza e sbraita.
«Sono
più sobrio di tutti voi messi insieme e so bene come sono
andati i fatti! Mi spiace solo che Cyrus non sia qui a
testimoniare!»
«Cyrus
sarebbe il tizio con i capelli azzurri? Tsk! Ma fammi il
piacere, credeva che tu fossi mio padre, Maxie! Quel tizio è
un idiota senza speranze» interviene anche Silver,
maldisposto come sempre.
«Su, non
dire così…» - la voce delicata di N,
l'unico a non aver toccato un goccio d'alcol, lo zittisce all'istante-
«non ti ha mai visto, non avrebbe mai potuto indovinare di
chi sei figlio, e quando ci ho parlato, m'è parso spaventato
e disorientato, ma nonostante ciò sono riuscito a dialogarci
con calma, non lo definirei affatto un idiota…»
«Tsk!»
è l'unica risposta che esce dalle labbra dell'altro
adolescente, le cui gote sembrano essersi mimetizzate col colore dei
suoi capelli.
N sorride celatamente
alla sua reazione, poi mi rivolge la parola: «le va di
raccontarci cos'è successo veramente?»
«Purtroppo
non ho avuto modo di vederlo nitidamente» - mento, ricordo
benissimo la scena, non sarà facile dimenticare un omicidio
di quel calibro- «inoltre, sarebbe meglio chiederlo al
diretto interessato, no? La mia deposizione potrebbe essere
fallace»
«Hm,
capisco, ha ragione…» - replica un po' amareggiato
il ragazzino, poi si alza dal tavolo e va via, seguito a ruota dal
coetaneo leggermente brillo- «beh, è stato un
piacere, buonanotte!».
Poco dopo anche i loro
padri, delusi dalla mia confessione, prendono vie separate sparendo
dalla mia vista. Rimaniamo solo io e Ivan.
«…Ivan
hai finito di ingozzarti?» gli pongo la domanda
retoricamente, incrociando le braccia al petto.
«Ma se ho
appena iniziato, nom nom… e ora che hai fatto andare via
tutti con le tue lagne, posso spazzolare anche i loro piatti, eheh,
grazie Maxie!»
«Come se
fosse colpa mia!» mi giro con stizza alla sua affermazione e
faccio per andarmene, ma la sua mano unta di olio mi blocca per una
spalla: «nom nom… dove credi di andare,
adesso?»
«Hm, fammi
indovinare, lontano da te? E non toccarmi con quelle zampe
fecciose!» mi libero dalla sua presa e lo fisso in malo modo,
sa che non sopporto le sue maniere avventate.
«Vuoi andare
da Cyrus, non è così?»
«Or dunque?
Voglio assicurarmi che stia bene, ti pare una cosa tanto strana? Vuoi
fare il geloso anche adesso?»
«Ma non ho
detto proprio nulla, Maxie!» trasalisce alla mia
frecciatina.
«Non fare il
finto innocente adesso! Ti conosco fin troppo bene per sapere che stai
mentendo…»
«Pensala
come vuoi, Maxie. Ad ogni modo, sbrigati con quel vegetale azzurro,
perché poi devo parlarti, da solo!»
«Non dirmi
di sbrigarmi, non posso sapere quanto tempo ci vorrà,
perché non vieni anche tu piuttosto? Sai, sarebbe gentile da
parte tua dopo quello che ha fatto!» gli ringhio contro, non
ha un briciolo di gratitudine!
«Va bene hai
vinto, ti aspetterò a prua, vicino al bompresso» -
termina la sua frase con una sonora eruttazione e mi porge un vassoio
riempito con bacche e altri avanzi della cena- «e portagli da
mangiare a quel disgraziato!»
Rimango esterrefatto
dal suo gesto, per una volta ha dimostrato di saper fare un gesto
carino verso qualcun altro.
«Grazie,
sarà affamato… a dopo, Ivan»
«A dopo,
Maxie».
Mi dirigo con il
piatto in mano verso il dormitorio maschile, sembra che tutti siano
già andati a letto, regna il silenzio, posso solo udire il
soffio mite del vento. Entro nella camera in punta di piedi e scorgo la
figura dell'uomo seduto sul giaciglio, con le ginocchia tirate al
torace e la testa tra le mani: accanto a lui, un esemplare di Clefairy.
«Cyrus, come
stai?» - mi avvicino silenziosamente, posandogli una mano
sulla spalla e il recipiente sul comodino- «sei
riuscito a riposare almeno un po'?»
«…
e così avete deciso di salvarmi, hm» replica, il
suo tono è basso e cogitabondo.
«Sì,
dopo che sei svenuto, ho chiesto a Ivan di portarti fin qui, al sicuro.
Dubitavi, forse?»
«Potevi
risparmiartelo questo disgustoso dettaglio. Perché l'hai
fatto? Perché non mi avete abbandonato sulla riva?»
«E
perché mai avremmo dovuto abbandonarti? Sei il nostro eroe!
Volevano dedicarti un brindisi a cena, sai?»
«Forse
perché siamo tutti criminali senza scrupoli, Max?»
«Senti…»
- sospiro e vado a sedermi alla sua sinistra, sotto lo sguardo
incuriosito del Pokémon- «tutti abbiamo commesso
errori, è un discorso che ti ho già fatto, ma in
qualche modo questa esperienza ci ha uniti, e proprio questa unione ci
ha permesso di evadere, insieme. Adesso puoi dirmi come stai?»
«Mpf, lo sai
che questi discorsi sono al di fuori della mia comprensione. Ad ogni
modo, sto meglio».
Tiro un sospiro di
sollievo, credevo che le sue condizioni fossero molto più
gravi, Cyrus ha proprio una pellaccia dura!
«Mi fa
piacere, anche perché, se te la senti, vorrei chiarire una
questione con te».
Mi guarda con gli
occhi sbarrati, sorpreso dalla mia richiesta: «…
che questione?»
«Riguarda
Acrom…» non riesco a finire la frase
perché vengo interrotto bruscamente da lui: «No!
Non nominarmelo nemmeno!»
«Per favore
Cyrus, è una cosa importante, non ti agitare!»
«Non
capisci, Max? Non voglio discuterne, soprattutto perché
è ancora vivo».
Lo osservo
preoccupato, sta ansimando e ha iniziato a sudare, devo aver toccato un
tasto molto dolente, sembra quasi che stia per avere un attacco di
panico, non l'ho mai visto così irrequieto.
«Questo non
lo sappiamo per certo, ad ogni modo… perché
non mandi giù un boccone? Guarda che
è tutto buonissimo» suggerisco,
indicandogli le varie pietanze.
Si mette a fissarle,
analizzandole una per una, indeciso su quale prendere; improvvisamente
il Clefairy, rimasto immobile per tutta la discussione, prende il
piattino su cui avevo messo un pezzo di torta e glielo porge,
squittendo allegro.
«Ah, ma
è tuo quel Pokémon?» chiedo, deliziato
dalla scena.
«No»
- risponde, iniziando a manducare il dolce- «quando mi sono
risvegliato l'ho trovato accanto al mio cuscino e non voleva scollarsi
da me. Sarà di qualche recluta»
«Devi
piacergli molto, che io sappia sono Pokémon abbastanza
timidi...»
«Taci».
Mi lancia uno dei suoi
sguardi minacciosi, al quale rispondo con un sorriso, e torna a
mangiare, mentre io ne approfitto per regalare qualche carezza al nuovo
compagno fatato.
Una volta terminato il
pasto, ripone le stoviglie sporche sul comodino e continua a leccarsi
le labbra con gusto, deve aver apprezzato molto, e sembra anche essersi
calmato assai rispetto a prima.
«Senti
Maxie…» - drizzo subito le orecchie a sentir
pronunciare il mio nome, cerco di guardarlo negli occhi ma il suo
sguardo continua ad essere puntato per terra- «se risolviamo
adesso quella questione, mi riferisco al bastardo… poi te ne
vai e mi lasci in pace almeno fino a domattina?»
Rimango alquanto
sorpreso dalla sua richiesta e non sono sicurissimo di voler rivangare
quei fatti, poiché noto dai suoi gesti che ha comunque degli
scatti di nervosismo.
«Ti
lascerò in pace fino a quando lo vorrai, in tal
caso»
«Bene»
- si schiarisce la voce con un colpo di tosse e riprende-
«avanti, dimmi cosa vuoi sapere, sii celere»
«Voglio solo
sapere se… se è stato lui, a conciarti in quel
modo, quel giorno… mi riferisco a quando ti abbiamo
ritrovato ricoperto di tagli ed escoriazioni…»
«Sì,
sì ho capito a cosa ti riferisci» - mi interrompe
praticamente subito- «e sì, è stato
lui, quel maledetto, dopo avermi drogato… contento
adesso?»
E me lo chiede pure?
Come potrei essere contento di una cosa simile? Ho mille pensieri che
mi frullano per la testa, mi sono fatto davvero prendere in giro
così facilmente da quel doppiogiochista? Sono stato davvero
tanto sciocco?
«Volevo
sapere solo questo… capisco… mi dispiace davvero
per tutto quello che hai dovuto passare...»
«Perfetto,
non mi pare di aver richiesto la tua pietà, quindi adesso
sparisci, voglio dormire».
Detto ciò,
mi fa cenno di togliermi dal suo giaciglio ed io obbedisco all'istante,
così da permettergli di infilarsi sotto le lenzuola.
«Buonanotte,
Cyrus» sussurro con un filo di voce, e con l'aiuto di
Clefairy raccolgo le varie scodelle della cena ed esco dal dormitorio,
chiudendo la porta alle mie spalle senza fare il minimo rumore. Sospiro
pesantemente, mirando il cielo stellato che si estende all'infinito,
visuale magnifica che vorrei condividere con una persona in
particolare, e riporto i piatti sulla tavola, dove alcune reclute di
Ghetsis hanno già iniziato a sparecchiare, poi mi reco nel
punto accordato con Ivan.
Eccolo là,
Ivan, poggiato al parapetto e intento a fumare una sigaretta.
«Ma quanto
ci hai messo, Maxie?» chiede, girandosi nella mia direzione.
«Giusto il
necessario» - rispondo in modo secco- «piuttosto,
vedo che tu non perdi mai l'abitudine di rovinarti la salute,
vero?»
«Beh se ti
fossi sbrigato prima, non mi sarei innervosito, e se non mi fossi
innervosito, non avrei sentito il bisogno di accendermi del buon
tabacco! Sempre colpa tua, Maxie!»
So che non lo pensa
davvero, cerca solo di giustificare il suo vizio.
«Questa mi
è nuova, e sai che ti dico? Sembra proprio che il tuo metodo
non funzioni più, non mi pare tu sia rilassato!»
«Quante
storie! Possiamo parlare, adesso?»
Mi sistemo gli
occhiali sul naso e annuisco, dunque vado ad appoggiarmi di schiena al
parapetto, proprio accanto a lui, sebbene il fumo mi infastidisca un
poco.
«Adesso
sì, fortunatamente ho risolto la questione con Cyrus anche
se, devo dire… avrei preferito non
farlo…» incomincio il discorso,
mordendomi il labbro inferiore ad ogni pausa.
«Perché?
Di cosa avete parlato, eh?» replica, guardandomi un po'
torvo, come se stessi nascondendo qualcosa.
«Ho
semplicemente scoperto che è stato Acromio a conciarlo
così quel giorno, non era un tentato suicidio, tutto qui.
Non deve essere stata una bella esperienza, Cyrus ne era evidentemente
traumatizzato»
«Suvvia
Maxie, se la caverà, è sopravvissuto al Mondo
Distorto, cosa vuoi che siano quattro molestie di uno
scienziato?» risponde e getta via la sigaretta, sbuffando
l'ultima nube dalle narici.
«Non
possiamo saperlo, ognuno reagisce in maniera diversa alle situazioni
che capitano» - affermo con un tono serio e stanco,
scuotendo la testa- «… ma adesso basta parlare di
lui, mi ha chiesto di essere lasciato in pace. Che dovevi
dirmi?»
«Beh volevo
parlare di noi due!» esclama concitato, lasciandomi un po'
sbigottito.
«Del nostro
rapporto, vuoi dire?»
«Esattamente.
So di non essermi comportato benissimo nel carcere, ma io,
ecco…»
«Tu,
cosa?» insisto, lo vedo titubante.
«Insomma, tu
ci tieni ancora a me, giusto? Non mi odi?»
«Perché
mai dovrei odiarti?»
«Perché
ti ho tradito, ma te lo giuro… ho capito di tenere a te
più di chiunque altro» e si volta a pronunciare le
ultime parole, rosso dall'imbarazzo.
«Sono solo
arrabbiato, ma non ti odio. Prima o poi mi
passerà» lo tranquillizzo posandogli una mano
sulla schiena.
«D-Davvero?»
«Dipende da
come ti comporterai da oggi in poi, devi riconquistarti la mia
fiducia… e non sarà
facile» sibilo con una certa malizia, tanto da
farlo sussultare.
«C-Cosa devo
fare di preciso? Portarti a cena? Lume di candela? Regalarti fiori e
cioccolatini, eh? So che sei una sirenetta pretenziosa!»
Osa chiamarmi in quel
modo in una situazione come questa? Sul serio?
«Per esempio
potresti smetterla di usare quell'epiteto!» sbotto
infuriato.
«M-Ma Maxie!
Ti chiamo così perché tu sei come una sirena, nel
senso che… mi hai ammaliato…»
«Ivan…»
rimango sorpreso dal suo intervento, credevo usasse quel termine per
prendermi in giro, e invece no, c'era un significato più
profondo e serio.
«M-Maxie?»
«Niente, per
una volta sei riuscito a dire qualcosa di sensato e lievemente carino,
fai progressi…»
«Quindi
adesso possiamo baciarci?» chiede tutto speranzoso,
afferrandomi per i fianchi.
«C-Cosa
baciarci ora? No Ivan, I-IVAAAAN!»
E ci ritroviamo
improvvisamente abbracciati, come un tempo, a intrecciare le nostre
labbra in bramosi baci.
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