What if you can see the darkest side of me

di Quasar93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coming Home ***
Capitolo 2: *** Thanks for the memories ***
Capitolo 3: *** Crawling ***
Capitolo 4: *** Final Masquerade ***
Capitolo 5: *** This is war ***



Capitolo 1
*** Coming Home ***


 
I'm coming home
I'm coming home
tell the world I'm coming home
let the rain wash away
all the pain of yesterday
I know my kingdom awaits
and they've forgiven my mistakes
I'm coming home
I'm coming home
tell the world I'm coming...
 
 
Erano passati anni, secoli perfino.
Ma finalmente ce l’aveva fatta.
Tirò l’ultima leva e la TARDIS atterrò con il suo caratteristico suono su un suolo di erba rossa.
Il Dottore esitò un attimo, poi si staccò dalla console e appoggiò le mani tremanti sulla maniglia della porta.
E se si fosse sbagliato di nuovo?
Se quelle coordinate che aveva così faticosamente calcolato non fossero quelle giuste?
Bah! Bando alle ciance pensò, mentre spalancava di colpo le porte.
Gallifrey.
Finalmente.
L’aria del suo pianeta lo investì di odori che non sentiva da anni, la luce dei due soli lo colpì in viso, mentre alzava gli occhi al cielo beandosi di una visione che non pensava gli mancasse così tanto.
Inspirò a pieni polmoni, mentre usciva piano dalla TARDIS, quasi temendo che se ci avesse creduto troppo Gallifrey sarebbe scomparsa di nuovo davanti ai suoi occhi.
Ma la beatitudine durò poco.
Improvvisamente sentì un rumore strano provenire dall’interno della cabina e si lanciò dentro, cercando di capire cosa non andasse.
Le porte si chiusero immediatamente alle sue spalle mentre la nave iniziava le procedure di controllo.
- No no no no! Cosa stai facendo? Non ora! - urlò, lanciandosi sulla console per capire cosa ci fosse che non andava. Fece partire un veloce programma di diagnostica, pigiò vari tasti e tirò una leva, ma fu tutto inutile.
- Mi hanno scavalcato! Stanno pilotando a distanza! - urlò il Dottore, tirando un pugno sulla console.
Aveva dimenticato quel simpatico lato della sua gente.
Se volevano parlare con te, avrebbero parlato con te. E la tua volontà contava molto poco.
Si rassegnò a non fare nulla e attese che la TARDIS atterrasse ovunque i Signori del Tempo avessero deciso che sarebbe dovuta atterrare.
Dopo quelli che al Dottore parvero come pochi secondi ecco di nuovo il suono tipico dell’atterraggio, seguito dal progressivo spegnimento dei comandi.
Provò a riattivarli, anche se sapeva che se avevano deciso che non sarebbe ripartito, non sarebbe ripartito. La TARDIS non dava segni di vita, se non qualche gorgoglio per rassicurare il suo Signore del Tempo.
Era ora di uscire e affrontare chiunque ci fosse dietro alla sua così cortese convocazione.
Questa volta non esitò nemmeno un secondo ad aprire le porte e a fare un passo avanti con sicurezza. Non si sarebbe certo mostrato intimorito dalla sua gente dopo che aveva passato secoli a ritenersi superiore.
Si guardò intorno, i colori erano cambiati, così come il design, ma quel lusso, quei fregi... era sicuro di trovarsi nella sala presidenziale. Davanti a lui si stagliava una lunghissima scalinata di marmo nero e lucido, in tono coi colori scuri dell’ambiente. Il pavimento era dello stesso marmo corvino e splendente come uno specchio e da esso si innalzavano altissime pareti di mattoni neri drappeggiate ovunque di paramenti dei colori Prydonian. Non si vedeva la fine della stanza, nonostante se ne intuisse la forma semicircolare al cui termine, probabilmente, si collegavano svariate altre camere. In cima alla scalinata, invece, era certo si trovassero gli appartamenti del Presidente.
- Forza! Mi hai convocato qui, ora vieni fuori! - urlò il Dottore, spazientito. Già in una situazione normale non amava perdere tempo nelle questioni dei Signori del Tempo, ora non voleva altro che godersi in pace il suo pianeta ritrovato.
- Sempre così impaziente, Dottore - disse una voce fin troppo familiare.
Il Dottore, che stava guardando in cima alle scale, fece giusto in tempo a dirigere lo sguardo al lato di queste che un raggio lo colpì in pieno petto, facendogli perdere i sensi.
L’unica cosa che riuscì a vedere fu una figura avvolta nelle vesti del presidente, ridimensionate e nere anziché bianche, ma ne era sicuro: chiunque gli avesse sparato era il Presidente in carica.

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Capitolo 2
*** Thanks for the memories ***


 
I'm gonna make you bend and break
Say a prayer but let the good times roll
In case God doesn't show - Let the good times roll
And I want these words to make things right
But it's the wrongs that make the words come to life



 
Aprì gli occhi.
D-dove sono?
Il Dottore ci mise un secondo a realizzare di essere ancora sulla Valiant, prigioniero del Maestro.
Si guardò improvvisamente le mani.
Si, era ancora vecchio e rugoso. E dire che gli piaceva così tanto quella rigenerazione.
Sospirò.
Ogni giorno, quando si svegliava, gli serviva sempre un attimo per realizzare come stavano le cose. Forse perché da un lato non riusciva ancora a concepire come quello che una volta era il suo migliore amico avesse potuto fare una cosa simile.
D’accordo, erano sempre stati nemici negli ultimi secoli, ma non si era mai spinto a tanto.
- Gooooooood mooooooorning Vieeeetnaaam! - urlò il Maestro, entrando nella stanzetta dove l’aveva confinato quel mese. Ogni tanto gli cambiava sistemazione, in base al suo umore principalmente.
Il Dottore non rispose, limitandosi a raggomitolarsi in un angolo e a guardare il Maestro con disprezzo.
- Suvvia, Dottore! Cos’è quella faccia triste? - chiese ironico l’altro, esagerando le espressioni del viso mentre parlava.
- Allora dimmi... - continuò, prendendo una sedia e sbattendola davanti al Dottore, sedendosi con le gambe attorno allo schienale e i gomiti appoggiati sulla spalliera - oggi sei dell’umore di dirmi dove hai spedito la tua amichetta umana? - si passò la lingua sulle labbra, mentre con una mano tirava fuori il cacciavite laser da una tasca della giacca.
- Perché io ho ancora parecchi... assi... nella mia manica - sibilò, fissando il cacciavite e poi il Dottore.
- E di certo non mi manca il tempo! - gridò, mentre la sua espressione diventava sempre più folle.
Il Dottore si limitò a non rispondere, come sempre.
- Non ti dirò nulla, e lo sai - sputò fuori, dopo un po’, vedendo che l’altro continuava a fissarlo.
- Oh beh, allora maniere forti siano. Poi non dire che non ti ho lasciato la possibilità di scegliere! - esclamò calcando l’espressione fintamente dispiaciuta.
- Ma prima vediamo di risistemarti un attimo, non voglio che al nonnetto venga un infarto - sghignazzò, puntandogli contro il cacciavite laser e riportandolo al suo solito aspetto.
- E ora… - caricò il tono di aspettativa spalancando gli occhi e fissando il Dottore nei suoi - stop! - gridò, divertito, immobilizzando l’altro telepaticamente.
Iniziò a canticchiare mentre muoveva il corpo del suo amico per farlo sedere sulla sedia e ammanettarlo, mentre questi lo seguiva con lo sguardo. Schioccò le dita e l’altro fu di nuovo libero di muoversi. Non appena riacquistò la mobilità cercò subito di liberarsi, provocandosi solo un inutile dolore ai polsi che presto iniziarono a sanguinargli.
- Dottore, Dottore… così mi togli tutto il divertimento - sorrise divertito, prendendo di nuovo la sedia e sedendosi di fronte alla sua vittima, nello stesso modo in cui si era seduto prima.
- Sai qual è la tua sfortuna? Che in questa rigenerazione sei particolarmente bravino con le telepatia - disse, picchiettando la tempia dell’altro, che per quanto si tirasse indietro non riusciva a sottrarsi a quel tocco fastidioso.
- E a quanto pare hai ficcato le informazioni che mi interessano in un angolo così profondo del tuo cervellino che nemmeno io riesco a penetrare - continuò il Maestro, mentre la sua espressione si lasciava deformare dalla collera.
Guardò intensamente l’altro negli occhi. Il Dottore ricambiò, sul viso un espressione di rabbia mista a disgusto.
Poi iniziò.
Il Dottore urlava, urlava, e urlava mentre il Maestro usava le sue abilità telepatiche per torturalo, con un sorriso compiaciuto sul viso mentre l’altro si dimenava su quella sedia, cercando per quanto gli era possibile di raggomitolarsi su se stesso.
Si fermava solo per fargli altre domande, a cui il Dottore si rifiutava puntualmente di rispondere, consapevole di cosa sarebbe successo.
Ma non avrebbe consegnato Martha, e con lei la Terra, al folle che aveva di fronte.
- P-perché fai tutto questo? - chiese ansimante, in uno dei momenti in cui il Maestro si era fermato.
La testa gli faceva malissimo e pensare era diventato difficile.
- Perché? - si chiese ad alta voce il biondo, l’espressione fintamente pensierosa sul viso.
- Non c’è un motivo. Anzi, in realtà non lo so nemmeno. Sono i tamburi. Loro mi dicono cosa devo fare. Puoi sentirli, Dottore?
- No, lo sai - rispose solo, abbassando la testa.
- E dov’è Martha Jones? Questo lo sai?
- Morirei piuttosto che dirtelo.
- Come siamo melodrammatici. - disse scuotendo la testa - Forse dovrei forzare la tua rigenerazione. Chissà che il prossimo te non sia più ragionevole... - sentenziò spalancando gli occhi e il Dottore si tirò indietro di colpo, spaventato, ansimando.
Il Maestro invece si lasciò andare a una risata fragorosa.
- Pensavi che l’avrei fatto davvero? - rise ancora, di una risata che non aveva nulla di allegro.
- Beh, ho capito che per oggi non otterrò niente facendoti male, ma posso ritentare di abbattere le tue barriere psichiche, cosa ne dici? - avvicinò ancora di più la sedia all’altro e gli strinse la testa tra le mani, avvicinandosi fino a far combaciare le loro fronti.
- Leeet’s start! - ghignò il Maestro, entrando nella sua mente senza nessuna premura.
Il dolore fu così forte che il Dottore perse i sensi.
 
Been looking forward to the future
But my eyesight is going bad
And this crystal ball
It's always cloudy except for
When you look into the past


- Per quanto ancora hai intenzione di dormire? - sibilò qualcuno vicino al suo orecchio, svegliandolo di soprassalto.
Ricordi improvvisi gli invasero la mente: Gallifrey, la sala presidenziale, qualcuno che lo colpiva con un raggio.
Aprì gli occhi ma la sua vista era annebbiata.
- I-io... ho fatto un incubo - biascicò solo, cercando di mettere a fuoco la figura di fronte a lui.
- Non ci vedo.
- Effetti collaterali del mio nuovo cacciavite laser, temo - ghignò una voce vagamente divertita.
Una voce che ora era finalmente era riuscito a inquadrare.
- Maestro?
- Finalmente ci sei arrivato, Dottore! - rispose euforico l’altro.
- Sei presidente?
- In persona!
- Hai riarredato tutto. Non mi piace - commentò il Dottore, mano a mano che i suoi occhi riuscivano finalmente a mettere a fuoco l’ambiente.
Cercò di muoversi ma si rese conto di essere seduto per terra con le mani legate in alto da quelle che sembravano manette e catene.
- Liberami subito - disse serio, fissando l’altro negli occhi.
- Fammici pensareee… mhhhhh no. Non credo che lo farò.
- Perché mi hai portato qui?
- Non credo di volertelo dire. Non ora. Sappi solo che ho avuto molto tempo per pensare. Ma parliamo di te. Stavolta hai fatto tutto da solo, non ho nemmeno bisogno di renderti un vecchio decrepito con le mie mani.
- Tu invece sei sempre uguale, eh? Come hai fatto a tenerti quel corpo? Era già ridotto male prima che quel portale ti trascinasse su Gallifrey.
- Questo qui? Beh è semplice. Ho rubato l’energia Artron di un altro Signore del Tempo e ora è come nuovo.
- Mi fai venire il voltastomaco. Mi chiedo se in te sia rimasto qualcosa dell’amico che avevo un tempo - sentenziò il Dottore, osservando l’espressione strafottente del Maestro tentennare un secondo.
- L’amico che avevi un tempo non è stato spedito in mezzo a una guerra con un corpo morente - sibilò - e hai una vaga idea di quanto tempo da allora sia passato nell’universo in cui tu ci hai relegati? Soli? Senza possibilità di fuga? - esclamò, con la voce che andava alzandosi mentre si avvicinava sempre di più al Dottore.
- E poi pensi davvero che allora fossi molto diverso da adesso? - si inginocchiò di fronte all’uomo incatenato.
- Pensi davvero di ricordare tutto quanto? - Gli prese la testa tra le mani e appoggiò la fronte alla sua, prendendolo alla sprovvista e iniziando un contatto telepatico.
- Osserva attentamente! - gridò, mentre entrambi precipitavano in un tempo molto lontano da quello
in cui si trovavano.

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Capitolo 3
*** Crawling ***


There's something inside me that pulls beneath the surface
Consuming, confusing
This lack of self-control I fear is never ending
Controlling. I can't seem...
 
Tamburellò con le dita sulla scrivania.
Dov’era Koschei?
Era tardi e tutti dovevano essere nei dormitori già da un pezzo, ma del suo amico nessuna traccia.
Effettivamente erano giorni che si comportava in modo strano. Forse per colpa dei tamburi, che in quel periodo erano più insistenti del solito.
Si alzò in piedi e strinse i pugni, sentendosi arrabbiato con se stesso per la sua inutilità.
Stupida, stupida telepatia Old Blood.
Spense la luce e cercò di andare a dormire, ma dopo una mezz’ora abbondante passata a fissare il soffitto si rassegnò ad aspettarlo alzato.
Certo, non era la prima volta che tornava dopo il coprifuoco, ma non aveva mai fatto così tardi.
E se gli fosse successo qualcosa?
Proprio mentre questi pensieri gli affollavano la mente la porta si aprì di scatto e il suo compagno di stanza entrò, tenendosi un braccio stretto alla vita e chiudendosi subito la porta alle spalle.
Senza dire una parola a Theta né degnarlo di uno sguardo, si trascinò verso il bagno.
Era sporco di sangue ovunque, sulle mani, in viso, sulle vesti.
- Kos! Kos! Cosa è successo? Stai bene? - urlò Theta con apprensione, correndogli in contro.
- Sto benissimo - rispose secco l’altro, iniziando a spogliarsi e buttando a terra i vestiti insanguinati.
- È... è sangue quello? - chiese spaventato il biondo.
- Non è mio. Non tutto almeno. - disse freddo, senza guardare negli occhi l’amico - Vai a dormire, Theta. È tardi. Io ho bisogno di farmi una doccia.
- Prima dimmi cos’è successo! Torni tardi, sporco di sangue. Ti ho aspettato alzato perché non riuscivo a dormire, ero in ansia per te, preoccupato che ti fosse successo qualcosa. Mi devi una spiegazione.
- No, non ti devo proprio nulla. - sibilò tagliente - Quello che è successo sono affari miei. Vai a dormire.
Theta abbassò lo sguardo, ferito, senza sapere cosa replicare.
- Come vuoi... - si limitò a dire, uscendo dal bagno e chiudendosi la porta alle spalle.
Dormire? Certo, avrebbe sicuramente dormito quella notte.
Ma perché con lui era sempre tutto così difficile?
A un certo punto Theta doveva essersi addormentato, pensando e ripensando a cosa poteva essere successo al suo migliore amico.
Si svegliò di soprassalto poiché stava facendo un incubo orribile.
Si mise a sedere ancora ansimante e si guardò intorno, Koschei era già uscito.
Sospirò e si vestì per andare a lezione.
L’altro non era nemmeno lì e non lo vide nemmeno quel pomeriggio, in laboratorio, né alla sera in camera di Mortimus, dove si era ritrovato con gli altri.
Quando tutti quanti erano tornati nelle loro stanze era ormai tardi, e del suo amico ancora nessuna traccia.
Restò alzato ad aspettarlo, di nuovo.
E di nuovo l’altro tornò tremendamente tardi.
Per lo meno stavolta sembrava star bene.
- Koschei... - mormorò non appena l’amico si fu chiuso la porta alle spalle.
- Dormi, Theta - si limitò a rispondergli, mentre si dirigeva verso il bagno - e non c’è bisogno che mi aspetti alzato fino a quest’ora.
Lo guardò infilarsi svelto nel bagno e sentì l’acqua scorrere nella doccia.
Cosa credeva? Che non si fosse accorto dell’occhio nero e del braccio che non gli aveva ancora visto muovere una volta?
Perché non voleva parlare con lui di quello che gli stava succedendo?
 
To find myself again
My walls are closing in
without a sense of confidence and I'm convinced that there's just too much pressure to take
I've felt this way before
So insecure
 
 
Era passata già una settimana da quando Koschei aveva iniziato a tornare tardi e, nonostante le parole taglienti che gli rivolgeva sempre, Theta si ostinava ad aspettarlo alzato tutte le sere.
Anche solo per essere sicuro che effettivamente tornasse, dato che usciva prima di lui la mattina.
La porta scattò distogliendo il biondo dai suoi pensieri e Koschei entrò di soppiatto.
- Theta... - disse solo con tono esasperato, notando che l’altro l’aveva aspettato alzato di nuovo salvo poi perdere l’equilibrio e cadere in avanti.
Il biondo lo prese al volo prima che cadesse a terra e sentì che aveva difficoltà a reggersi sulle gambe. Lo portò sul suo letto, che era il più vicino, e lo fece sedere.
- Non ho bisogno che tu mi faccia da balia - sibilò Koschei cercando di alzarsi, ma Theta gli mise le mani sulle spalle, tenendolo giù.
- Adesso basta. - disse con un tono che non gli si addiceva e uno sguardo così deciso che Koschei non gli aveva mai visto in viso.
Se ne andò un attimo nel bagno e tornò con una bacinella piena d’acqua e un asciugamano umido. Sotto un braccio il kit del pronto soccorso.
- Le cose stanno così. - continuò poi - Adesso tu mi dici esattamente cosa ti sta succedendo in questo periodo, per filo e per segno. Ti lascerai aiutare da me e, qualunque problema ci sia, lo risolveremo insieme. Capito? - l’espressione sul suo viso era seria e non lasciava scampo a repliche.
Koschei sapeva che Theta non era lo scemo ingenuotto che tutti credevano, ma non aveva avuto occasione di confrontarsi con il suo lato serio molto spesso.
Alzò un braccio per pulirgli il sangue dalla faccia, ma Koschei gli prese l’asciugamano umido di mano in un gesto di stizza. - Questo posso farlo da solo - ribadì, iniziando a pulirsi il viso e lasciando trasparire l’occhio nero che ancora si vedeva e qualche altro livido che Theta non aveva notato prima.
Mentre l’altro si ripuliva lo aiutò a sfilarsi la parte sopra della tunica e dovette sforzarsi di rimanere impassibile di fronte alle ferite dell’amico.
Ripulì tutto e lo medicò per bene mentre l’altro se ne stava in silenzio, storcendo ogni tanto il naso quando il disinfettante bruciava o lanciando versi di disapprovazione.
Non gli piaceva essere aiutato e non gli piaceva mostrarsi debole e in quel momento stavano succedendo entrambe le cose.
Ma del resto così non poteva più andare avanti, quindi lasciò fare all’altro quello che doveva fare, ma che non si aspettasse chissà quale collaborazione.
Quando Theta ebbe finito si sedette di fianco a lui sul letto e lo fissò negli occhi, lo sguardo eloquente.
- Non posso dirti nulla, Theta. E non posso restare qui, lo capisci?
- No che non lo capisco. Come posso capirlo, se non mi spieghi nulla? - lo guardò con sguardo sconsolato.
- Devi solo fidarti di me.
- Io mi fido di te, Kos. Sei la persona di cui mi fido di più al mondo. Ma stai tornando in camera una sera sì e una no con dei lividi e delle ferite che uno studente non dovrebbe procurarsi. Non ci sei mai e stai saltando perfino le lezioni. Guardati. Stasera non ti reggevi nemmeno in piedi. - abbassò lo sguardo nel momento in cui sentì le lacrime inumidirgli gli occhi, non doveva piangere, non doveva. Stasera doveva essere freddo e deciso... forte... o non avrebbe saputo nulla dal suo amico.
Koschei lo fissò negli occhi e lo vide abbassare lo sguardo dopo aver parlato. Sapeva cosa significava quel gesto, glielo aveva visto fare così tante volte, e solo in quel momento si rese conto di quanto avesse fatto preoccupare l’amico chiudendolo fuori in quel modo.
Notò le occhiaie, dovute probabilmente al fatto che lo aspettava sempre alzato, anche se probabilmente non stava nemmeno dormendo quanto avrebbe dovuto.
- Theta, io... - iniziò a parlare, deciso finalmente a spiegare le sue ragioni.
Non era facile dire quello che stava per dire e doveva sforzarsi per parlare, come se ogni parola fosse incastrata in profondità nella sua gola.
Inoltre non sapeva davvero da dove partire.
- Io... sono i tamburi. Da una decina di giorni non mi lasciano in pace. Ho già avuto crisi così intense, ma duravano un giorno, massimo due... - si accorse che Theta aveva alzato la testa, e lo stava guardando con interesse, sorrise impercettibilmente prima di tornare serio. - Al quarto giorno non sapevo cosa fare... - si interruppe un attimo, pensieroso, e Theta si morse la lingua per non commentare che avrebbe potuto, per esempio, rivolgersi a lui.
- Erano così forti, così difficili da combattere e io... - mentre ricordava quelle sensazioni inconsapevolmente aveva iniziato a tamburellare con le dita sulla sua gamba - io ho ceduto, Theta. - ammise infine. - Mi sono lasciato guidare da loro. Sono andato in città, ho cercato un posto poco frequentato e ho attaccato briga con un teppista. Ho pensato che, se li avessi assecondati per una volta, per una volta soltanto, poi mi avrebbero lasciato in pace. E infatti più lo prendevo a botte più sentivo il dolore diminuire. Ovviamente anche io ho preso la mia dose di manrovesci - si indicò l’occhio nero – ma stava funzionando. Sai cos’è la cosa peggiore, però? Che è stato... che... che mi è piaciuto farlo, Theta. Stavo bene e mi sentivo invincibile. Poi ho perso il controllo e l’ho... - le parole gli morirono in gola, mentre Theta lo fissava con apprensione crescente nello sguardo - l’ho ucciso. - sputò fuori in un colpo, lo sguardo basso.
- Kos… - disse solo Theta, non sapendo come rispondere all’altro.
- Sono un mostro, lo so - continuò.
- Non è vero, non lo sei - ribadì immediatamente Theta, sentendosi in colpa per non aver saputo confortare subito l’amico. - Non è colpa tua.
- Sì, invece. Avevo promesso a te, agli altri... a me stesso... di essere abbastanza forte da controllarli. Da non cedere. Ma dopo quattro giorni di inferno ho ceduto. Sono un debole, nient’altro che questo.
 
 
Discomfort endlessly has pulled itself upon me
Distracting, reacting
Against my will I stand beside my own reflection
It's haunting how I can't seem...

 
 
 
Theta rimase in silenzio, era ovvio che non pensava affatto che l’altro fosse un debole, né che fosse un mostro.
Ma non sapeva come dirglielo, non c’erano parole per comunicare quelle sensazioni, così si limitò a stringergli la mano. Non era un genio con la telepatia, ma quello riusciva a farlo.
- Grazie, Theete- gli rispose Koschei, sorridendogli triste.
- Le altre sere - riprese poi a raccontare - un po’ me ne stavo per i fatti miei, un po’ sono andato a cercarmi altri guai - si indicò il petto, fasciato e pieno di lividi. - Non è più successo… quello, non ho più perso il controllo. Ma i tamburi non si calmano, è la prima volta che restano a questo volume per così tanto tempo. Quindi capisci perché volevo essere ovunque tranne che qui.
Fissò Theta negli occhi, sperando che capisse a cosa faceva riferimento.
- Tu dovevi essere solo qui. Insieme avremmo trovato un modo. Potevamo chiedere aiuto a Drax e Magnus...
- Nemmeno loro avrebbero potuto fare nulla, figuriamoci tu. - replicò, poi si rese subito conto di quello che aveva detto - Scusami, Theta, non intendevo…
- Lo so. - abbozzò un sorriso triste, senza allegria - Non sono capace di aiutarti coi tamburi, l’ho capito anni fa. Non mi offendo - Koschei annuì.
- Restando qui... - cercò di finire il discorso - restando qui rischio solo di farti del male Theta. E se dovessi perdere il controllo e ferirti, o peggio... io non so cosa fare, non sono mai stato così. E se fosse finito il tempo in cui potevo illudermi di controllarli? Theta, devi portarmi lontano da qui e lasciarmici finché non passa. E se non passa...
- E se non passa cosa? Eh? - disse improvvisamente energico il biondo, alzandogli forzatamente il viso che aveva di nuovo piegato per fissare intensamente le coperte.
- Guardami, Koschei. Io non ti porterò proprio da nessuna parte e di certo non farò quello che mi stai implicitamente chiedendo di fare. Risolveremo questa cosa insieme, non so più come devo dirtelo. Assecondare i tuoi istinti non ti ha portato a nulla, quindi ora aspetteremo tranquillamente che passi. Sarà dura, ma non sarai solo. Capito? Non devi fare sempre tutto da solo.
- E se dovessi perdere il controllo? Cosa credi, che le altre volte sia andato in giro a picchiare la gente per divertimento? Mi sento in colpa. Tutte le volte. Non importa quanto stia bene nel momento in cui mi lascio andare, dopo mi sento morire! - gli urlò in faccia, buttando finalmente fuori tutta la rabbia che provava.
- Non faremo nulla di strano finché non starai bene, ok. Camera, lezione e mensa, stop. Così non rischierai di far male a nessuno. E se proprio non riesci a trattenerti... - esitò un momento, poi si fece coraggio - se proprio non puoi farne a meno puoi picchiare me. Non farò resistenza.
- Sei completamente idiota, Theta? Ti ho detto che ho ucciso una persona! Come puoi chiedermi di rischiare che questo succeda a te? - gli gridò contro, gli occhi sgranati.
- Sono sicuro che non lo farai. E se devo prendermi solo qualche pugno per farti stare meglio mi sta bene. Non ho mai potuto fare nulla per aiutarti, ora posso. E mi fido di te.
- Sei un cretino! Non alzerò un dito contro di te. - rimase in silenzio un attimo - Però per il resto va bene. Accetto. Solo ti prego, non coinvolgere gli altri. Non voglio che sappiano nulla, soprattutto che non sappiano che...
- Tranquillo, Kos, non dirò nulla. Se mai vorrai che lo sappiano sarai tu a dirglielo.
 
 
Crawling in my skin
These wounds they will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real
 
 
I primi due giorni passarono relativamente tranquilli.
Per quanto potesse essere tranquillo Koschei durante quella che pareva essere la crisi più grave attraverso cui fosse mai passato.
Passava le giornate rannicchiato a letto, non riusciva quasi mai ad andare a lezione.
Un paio di volte Theta gli si era sdraiato vicino, abbracciandolo forte e tenendogli le mani per trasmettergli emozioni positive, cercando di attenuare un po’ il dolore dell’altro e ripetendogli che sarebbe passato tutto.
Più volte si era offerto di chiamare Magnus, ma non ne voleva sapere. Non lo voleva nella sua testa: avrebbe visto, avrebbe saputo.
In realtà, fosse stato per lui, non avrebbe voluto nemmeno Theta intorno così preoccupato per lui, si vergognava terribilmente a dipendere da qualcuno in quel modo, ma sapeva che non poteva fare a meno di lui in quel momento.
E non stava sempre a letto solo perché stava male.
C’erano momenti in cui avrebbe voluto alzarsi e distruggere tutto, ma non poteva, non doveva. Quindi si stringeva solo la testa tra le mani, ripetendosi “non è niente, passerà” o frasi simili a mo' di mantra.
Un giorno però le cose peggiorarono, non riusciva più a starsene fermo a letto e si mise a girare per la stanza.
- Kos, cosa c’è?
- Non c’è niente, Theta. - rispose secco - C’è che sono stanco. Perché a me, eh?
- Non lo so, Kos, nessuno lo sa. Perché non chiamiamo Magnus? Non ce la faccio più a vederti così.
- No! - gli urlò in faccia, con molta più rabbia del dovuto. - Ho bisogno di uscire, stare qui mi fa solo impazzire di più! - aggiunse, sentendo il volume dei tamburi crescere e il confine della sua coscienza farsi più indefinito.
Stava succedendo, di nuovo.
 
There's something inside me that pulls beneath the surface
Consuming, confusing
This lack of self-control I fear is never ending
Controlling. I can't seem...
 
 
- Non ci pensare nemmeno - ribadì Theta.
- Devo andare, non capisci.
- Capisco benissimo. - replicò, allargando le braccia, mostrandosi inoffensivo - Se devi prendertela con qualcuno prenditela con me.
- Quanto sei idiota? Non potrei mai! -urlò, ma poteva sentire le sue mani tremare, i tamburi lo chiamavano.
- Puoi, ti sto dando il permesso.
- Non sai davvero quello che stai facendo i... - non fece in tempo a concludere la frase che Theta lo colpì in viso con un pugno.
I tamburi schizzarono al massimo in un secondo e Koschei perse il controllo che stava faticosamente trattenendo da giorni.
Si lanciò sull’amico colpendolo in viso, poi all’altezza dello stomaco, il che lo fece piegare in due, senza fiato. Lo colpì ancora, facendolo cadere a terra e si mise cavalcioni sopra di lui. Theta non reagiva, gli stava lasciando campo libero.
Iniziò a colpirlo in viso standogli sopra più e più volte, fin tanto da farsi male alle mani.
Poi si alzò, lo tirò su e lo sbatté contro il muro, portandogli le mani alla gola e stringendo sempre più forte.
- K-kos... Fe-fermati - balbettò il biondo, con uno sforzo incredibile. Sentiva l’ossigeno venire meno e la stretta dell’altro farsi sempre più forte.
- S-so che ci... so che ci sei ancora, li dentro. - continuò, non importava lo sforzo, non importava il sapore di sangue che sentiva in bocca o il dolore che provava ovunque, quello era il momento. - P-puoi controllarlo.
Improvvisamente Koschei lo lasciò andare, sconvolto.
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre osservava l’altro, appallottolato e sanguinante, per colpa sua.
La mente finalmente chiara e i tamburi a un volume normale.
Aveva capito, finalmente aveva capito cosa provare, quale emozione, per controllarli, quando erano così forti, ma a che prezzo? E per quanto avrebbe funzionato?
- Theta! - gridò mentre si precipitava ad abbracciare l’amico, più svenuto che cosciente. - Theta, ce l’hai fatta, dovevi tirar fuori questo da me, la possibilità di scegliere. Ma sei un cretino, guarda cosa ti ho fatto. Sono un mostro. Theta, dimmi che stai bene, ti prego - urlava e piangeva, stringendo il suo amico come se fosse stata la cosa più preziosa del mondo, incurante di sporcarsi del suo sangue.
Poi iniziò ad emanare una leggera luce arancione e le ferite di Theta iniziarono a chiudersi. Fortunatamente Koschei, essendo un new blood, aveva un maggiore controllo sulla sua energia Artron e riusciva, con molto impegno, ad usarla per guarire qualcuno.
Lui ci avrebbe perso solo qualche anno di vita, ma glielo doveva.
Finì di guarirlo e lo guardò negli occhi, ancora stordito.
- Kos... cosa stai facendo?
- Ti ringrazio - rispose solo, prendendogli la testa tra le mani e cancellandogli i ricordi delle ultime due settimane.
- Grazie, Theta.
 
To find myself again
My walls are closing in
without a sense of confidence and I'm convinced that there's just too much pressure to take
I've felt this way before
So insecure

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Capitolo 4
*** Final Masquerade ***


Salve! Siamo arrivati al punto in cui i nostri (cattivissimi) Time Lords fanno tutti la loro entrata in scena, e volevo specificare i fancast per i personaggi dato che li ho presi in una rigenerazione non canonica. Li scrivo alla fine del capitolo, nel caso non voleste spoiler sui personaggi~ buona lettura!

The light on the horizon
Was brighter yesterday
Shadows floating over
Skies begin to fade
You said it was forever
But then it slipped away
Standing at the end of
The final masquerade



 
Il Maestro si staccò, allontanandosi dal Dottore, una volta finita la connessione telepatica.
L’uomo più vecchio riaprì gli occhi che aveva chiuso poco prima e fissò l’altro dritto negli occhi, con un’intensità che fece vacillare per un secondo la sua spavalderia.
- Pensi davvero che avrei mai potuto dimenticare quell’episodio?
Il Maestro restò un attimo in silenzio, colto di sorpresa.
- Tu... ricordavi? Com’è possibile?
- Non da subito, no. Ma una volta stavi avendo un incubo, ti toccai, per tranquillizzarti e vidi cosa stavi sognando. Poi piano piano sono riemersi i ricordi. Eri stanco e non completamente lucido, probabilmente non li avevi cancellati del tutto.
- Perché non mi hai mai detto niente?
- Perché non serviva farti una colpa di qualcosa per cui ti avevo già perdonato.
Il Maestro rimase a corto di parole per un momento e, fortunatamente per la sua reputazione di lingua tagliente, qualcuno arrivò ad interrompere la loro conversazione prima che quel silenzio divenisse troppo difficile da rompere.
- Maestro, la riunione del consiglio è iniziata - disse un uomo alto, giovane, col viso a punta e gli zigomi taglienti. I suoi glaciali occhi azzurri si fissarono per un attimo sul Dottore in catene. Sembrò riconoscerlo, ma non lo degnò di una parola.
- Arrivo, Magnus. - rispose solo il Maestro, non voltandosi nemmeno a guardarlo. - E tu, Dottore, non metterti troppo comodo. Riprenderemo la conversazione non appena avrò finito col Consiglio. A presto, mio caro - disse mentre gli dava le spalle, sorridendo sarcasticamente.
Rimasto solo, il Dottore, si mise a pensare.
Non provò nemmeno a liberarsi, si era accorto di non avere più in tasca il cacciavite sonico e, se Magnus era lì, poco ma sicuro le segrete erano state progettate da lui. Il che significava che, anche nella remota evenienza in cui qualcuno fosse riuscito a fuggire, il destino che lo aspettava sarebbe stato peggio della prigionia.
Si appoggiò al muro con la schiena e cercò di rilassare un po’ le braccia, che iniziavano a fargli male.
Rivivere il ricordo degli eventi di quando era ragazzo lo aveva spinto a vagare nel viale dei ricordi, a quando Magnus non era un uomo freddo che non lo degnava neanche di un saluto e Kosc- e il Maestro non era il suo peggior nemico. Chissà se c’erano anche gli altri, lì nel palazzo presidenziale, chissà se anche loro erano cambiati così tanto.
Sì, perché anche il Maestro era diverso. Certo, da molto tempo non era più il ragazzo con cui passava le giornate spensieratamente all’Accademia. E già altre volte aveva avuto modo di confrontarsi con l’uomo spietato e senza scrupoli che era diventato, ma in lui c’era qualcosa di diverso. Per la prima volta, nei suoi occhi, aveva visto solo malvagità e nient’altro.
Dottore, stai diventando vecchio pensò poi e pensi troppo.
 
 
Tearing me apart
With words you wouldn't say
Suddenly tomorrow's
Moment washed away
Cause I don't have a reason
And you don't have the time
We both keep on waiting
For something we won't find
 
 
 
- Ti vedo pensieroso, Dottore - sibilò una voce femminile, cogliendolo di sorpresa.
- E adesso cosa c’è, di grazia? - borbotto l’uomo, agitandosi e facendo cigolare le catene.
- Ti sembra questo il modo di salutare una vecchia amica? -chiese con voce melliflua la donna che stava entrando nella sala, camminando al suo indirizzo.
- Rani... - disse tra i denti il Dottore. L’arrivo di quella donna non preannunciava nulla di buono.
- Mi fa piacere che ti ricordi di me - disse, spostandosi di lato i lunghi capelli corvini e deviando leggermente, per poi entrare in una cella diversa da quella del Dottore. - E spero ti ricorderai anche di lui - continuò, trascinando fuori un altro uomo in catene.
Aprì la cella del Dottore con uno schiocco di dita e gli sbatté l’altro prigioniero davanti.
Al Dottore servì solo un secondo, chiuse gli occhi e si concentrò un attimo. In quella rigenerazione sembrava portato per la telepatia.
- Jelpax! - esclamò poi, a metà via tra il sorpreso e l’inorridito.
L’altro era in una rigenerazione abbastanza giovanile di aspetto, i capelli corti e ricci e un fisico esile. Sembrava non essersela passata bene ultimamente, aveva lividi un po’ ovunque e se ne stava appallottolato su se stesso, impaurito.
- D-dottore?
- Cosa gli avete fatto? - ringhiò, distogliendo lo sguardo dall’amico e fissandolo negli occhi della donna.
Jelpax, a differenza degli altri, gli era sempre stato amico. O per lo meno, non nemico. Inoltre aveva optato per un tranquillo lavoro d’ufficio su Gallifrey quindi il Dottore proprio non riusciva a capire come potessero essersela presa con lui.
- Cosa gli abbiamo fatto? - ripeté sarcastica la Rani. - Gli abbiamo dimostrato cosa succede a chi aiuta i nostri nemici. Anzi IL nostro nemico. Nello specifico... - fece una pausa calcolata, in cui fissò il Dottore dritto negli occhi - ...tu.
- Io? - sbraitò incredulo l’uomo. - Ma se non lo vedo da millenni?
- Chi credi ti abbia passato un nuovo ciclo di rigenerazioni quando eri su Trenzalore? È stato questo scarto qui. - disse perfida, assestando un calcio al povero Jelpax che, per quanto possibile, si rannicchiò ancora di più su se stesso.
- Come se te lo meritassi - continuò, avanzando verso il Dottore. - dopo quello che ci hai fatto,- disse, alzando una mano, intenzionata a colpirlo - dopo che...
- Non mi sembra carino iniziare senza di noi - sibilò Magnus, apparso improvvisamente alle sue spalle e bloccandole la mano. - Non sei certo l’unica che ha due parole da dire al nostro vecchio amico - disse, emanando un’aura di superiorità che fece tremare per un attimo anche il Dottore. Inoltre, il fatto che riuscisse ad apparire così all’improvviso non gli piaceva per nulla.
- Come vuoi, Magnus - ribatté acida, facendosi indietro. - Vedi di muoverti a chiamare il tuo amico Presidente.
- Oh, ma sono qui. - ghignò il Maestro, entrando accanto ai suoi due compari - E comunque, la Rani qui, non ha tutti i torti. - continuò, prendendo per un braccio Jelpax e costringendolo ad alzarsi in ginocchio. - Tu non ti meritavi affatto un nuovo ciclo di rigenerazioni. Volevamo lasciarti li, ad arrangiarti, come tu hai abbandonato noi durante la guerra. Ma questo piccolo irriconoscente... - ringhiò avvicinando la faccia a quella di Jelpax - ha disubbidito ai nostri ordini e ti ha aiutato. È sempre stato così, questo idiota. - lasciò cadere il riccio, colpendolo con un calcio ben assestato - sempre ad aiutarti, anche quando nessun altro era disposto a tenere la tua parte.
Immagini di molto tempo prima si affacciarono alla mente del Dottore, il processo, dopo il viaggio dal Toymaker quando ancora chiamava amici le persone presenti in quella stanza.
Solo Jelpax l’aveva aiutato all’epoca, come solo Jelpax l’aveva aiutato ora.
- Mi riferivo esattamente a quello. - disse il Maestro, leggendo nella mente dell’altro. - Sei migliorato, con la telepatia. Almeno in questa rigenerazione. Ma proietti ancora certi pensieri, e io sono sempre il più bravo - sogghignò.
- Non vi ho abbandonati - disse con tono eccessivamente calmo il Dottore, che era rimasto in silenzio fino a quel momento - durante la Guerra del Tempo. - Si protese in avanti, dimenticandosi di essere ammanettato e ferendosi ai polsi. Fece una smorfia di dolore e continuò. - Ho combattuto finché ho potuto, poi ho dovuto prendere una decisione.
- Sì, abbandonarci alla mercé dei Dalek, chiusi per sempre in un universo tasca di cui nessuno sapeva dell’esistenza. Lo sai, Dottore, quanti Dalek c’erano sulla superficie del pianeta quando hai deciso da solo le sorti di milioni di Gallifreyani? Lo sai?- intervenne Magnus, con uno sguardo di gelida rabbia, accumulata nei secoli.
- No... - ammise il Dottore, abbassando lo sguardo. - Ma sicuramente meno di quelli che stavano devastando il pianeta dai cieli.
- Comunque abbastanza per decimarci. Ricordi anche tu com’erano le armi a nostra disposizione all’epoca. Fu una strage.
- Io propongo di mostrarglielo, poi potremmo dare una lezione a lui e a questo inetto qui. - sibilò la Rani. - Chi vuole avere il piacere?
- Ci penso io - sentenziò Magnus, avvicinandosi al Dottore, che cercò di evitare la presa delle sue mani per non consentirgli di formare un link telepatico sufficientemente forte. Al terzo tentativo l’uomo col viso a punta si stufò e sferrò al Dottore un pugno precisamente all’altezza dello stomaco, facendolo piegare in due e approfittando per stringergli le tempie tra le mani.
Entrò nella sua mente senza prendere troppe precauzioni, facendo urlare l’altro e iniziando a trasmettergli i ricordi più orribili che aveva.
 
All I ever wanted
Secrets that you keep
All you ever wanted
The truth I couldn't speak
Cause I can't see forgiveness
And you can't see the crime
And we both keep on waiting
For what we left behind
Fancast:
Magnus (Il Signore della Guerra) - James D'Arcy
Jelpax - Iain De Caestecker
Ushas ( Rani ) - Katie McGarth

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Capitolo 5
*** This is war ***


Ciao! Scusate la prolungata assenza ma sono in piena sessione di esami (maledetta vita reale (lol) . Comunque eccoci qui al primo vero e proprio capitolo durante la guerra! Come sempre alla fine troverete la legenda dei fancast che ho usat mentre scrivevo. Buona lettura!



A warning to the people,
The good and the evil,
This is war.


To the soldier, the civilian,
The martyr, the victim,
This is war
 
 
- Mort! Nasconditi, ne stanno arrivando altri tre! - urlò Magnus, appiattendosi contro quello che restava di un muro, stringendo un enorme fucile, mentre il suo amico gli correva incontro. Alla sua destra tre Dalek avanzavano sparando.
- Troppo tardi! - urlò il Monaco. - Non ti raggiungerò mai! - gridò ancora nel comunicatore che aveva nel collo della divisa, sperando che l’altro lo sentisse nonostante le esplosioni che i laser dei Dalek provocavano tutt’intorno.
- Al mio tre buttati a terra - gridò il Signore della Guerra, stringendo più forte il fucile, ricevendo un segnale di ok dall’altro.
- Uno! - urlò, impostando la massima potenza. - Due! - si preparò all’attacco, i muscoli tesi, la tensione alle stelle.
- Tre! - gridò uscendo dal suo nascondiglio.
Mortimus si abbassò lanciandosi a terra tra le macerie, giusto in tempo per schivare l’enorme raggio di energia arancione che uscì dall’arma di Magnus. Il colpo colpì in pieno il Dalek in mezzo, facendolo esplodere e danneggiando gli altri due.
In una frazione di secondo il Signore della Guerra lasciò cadere l’arma ed estrasse due pistole più piccole che teneva sui fianchi, le strinse più forte e le vide caricarsi di energia. I due Dalek rimasti non ebbero nemmeno il tempo di realizzare cosa stava succedendo che un raggio piccolo ma preciso li colpì alla base dell’occhio facendoli saltare in aria.
Magnus rimise a posto le pistole e andò ad aiutare l’amico, che faticava ad alzarsi.
- Fenomenale, Magnus! È il nuovo fucile a reazione di Drax?
- Già, ma è solo un prototipo. Spara un colpo micidiale, ma poi ha bisogno di molto tempo per ricaricarsi. Ci sta lavorando, ma avrebbe bisogno di più tempo. Spero che presto tutti ne avrete uno. Inoltre, vorrei usare queste - toccò le pistole legate sulle gambe - il meno possibile. Sparano sempre, è vero, ma funzionano ad Energia Artron - sorrise amaramente.
- Già - ricambiò il sorriso tirato Mortimus, toccando l’arma uguale che teneva sotto il braccio. - Spariamo letteralmente anni della nostra vita.
- Pensi che ci daranno un nuovo ciclo di rigenerazioni, finita questa guerra?
- Penso che saremo fortunati se ne vedremo la fine, amico mio. - rispose, mettendosi un braccio di Mortimus dietro al collo. - Ora andiamo al riparo, per oggi abbiamo fatto abbastanza. Gli altri ci aspettano alla base.
Durante la Guerra del Tempo, quando le forze su Gallifrey iniziavano a non essere più così tante, il Consiglio aveva deciso che per la difesa della Cittadella i restanti membri utili allo stato sarebbero stati divisi in team operativi, così da creare più coesione tra i membri e azioni più ramificate sul territorio. Inoltre dividendo le risorse scientifiche in vari laboratori di ricerca il numero complessivo di idee disponibili si moltiplicava.
Mortimus e Magnus facevano parte di un team di 6 persone, una squadra scelta.
Loro due erano l’unità d’azione, Drax e Ushas erano i loro tecnici in laboratorio.
Il loro compito era di progettare le armi e pensare alle cure mediche.
Poi c’era Jelpax, addetto alla pianificazione e all’intelligence. Doveva sempre sapere dove mandare i due combattenti e, infine, c’era Vansell che era l’agente di coordinamento con gli altri team e che, occasionalmente, collaborava con Jelpax anche se questi non era mai davvero presente in prima persona, ma appariva qua e là in forma olografica.
Questi sei non erano stati messi insieme a caso, erano l’eccellenza della loro annata, all’accademia, ed erano tutti amici tra di loro.
Molti, inoltre, erano stati riportati in vita apposta per la guerra, da prima che Gallifrey finisse rinchiuso nell’universo tasca dal Dottore.
Il comandante dell’unità era Magnus, anche detto il Signore della Guerra, nome quanto mai appropriato alle circostanze.
Lui era uno di quelli resuscitati per combattere, tessuto e cresciuto come un soldato dalla famiglia Mirraflex era l’uomo perfetto per gestire uno dei più forti team su cui la Cittadella e il consiglio contassero.
Mortimus, anche detto il Monaco, non era interessato a combattere, aveva sempre preferito restarsene per i fatti suoi, al più combinare qualche guaio con le linee temporali, per puro divertimento. Era stato richiamato per la guerra e combatteva più per dovere che per volere anche se, col passare del tempo, era diventato molto unito con gli altri della sua squadra, cosa che gli faceva seriamente pensare di essersi rammollito.
Ushas, o la Rani, era sempre stata un genio negli esperimenti genetici e in generale nelle ricerche di laboratorio. Si occupava delle cure mediche e del potenziamento dei soldati. Inoltre, se qualcuno veniva ucciso era in grado di riportarlo in vita ritessendolo a tempo di record. Non che le piacesse farlo o che il procedimento fosse piacevole, ma il telaio genetico del loro laboratorio era spesso in attività, nonostante il loro team non dovesse collaborare alla tessitura dei soldati semplici.
Drax, avendo vissuto per molto tempo lontano da Gallifrey, aveva acquisto informazioni tecnologiche che si stavano rivelando molto preziose nella progettazione di armi e tecnologie.
Jelpax poteva contare su una sconfinata conoscenza di Gallifrey grazie alle ore passate su archivi più o meno legali della biblioteca della cittadella e Vansell... beh, era entrato nella CIA che ancora era all’Accademia, era l’uomo perfetto per lavori di coordinazione. I trascorsi tra lui e gli altri non erano stati buoni in passato, aveva tradito la loro fiducia e causato la fine della loro amicizia da ragazzi, per questo, anche ora, nonostante la guerra, non si era integrato bene nel team come gli altri e se ne stava spesso sulle sue.
 
It's the moment of truth, and the moment to lie,
The moment to live and the moment to die,
The moment to fight, the moment to fight
To fight, to fight, to fight!
 
Magnus entrò in laboratorio appoggiando poco delicatamente l’enorme fucile di fronte a Drax.
- Devi migliorarlo. Nel tempo che fa saltare in aria un Dalek ne arrivano altri tre prima che possa ricaricarsi. Anche oggi ho dovuto usare un po’ troppo le ragazze qui sotto - disse, poggiando una mano sulla spalla del tecnico.
- Lo so, lo so, - mormorò Drax - sai che da quando sono rimasti senza tecnici nei team 4 e 8 abbiamo dovuto occuparci anche di loro. Abbiamo un sacco di lavoro.
- Lo so, amico mio. Ma dobbiamo farcela. Là fuori è un inferno.
- Ho presente. - disse toccandosi la testa. - Mente alveare, ricordi? Non tutti abbiamo imparato ad isolarci quando eravamo piccoli. Le cose che posso sentire, Magnus...
- Tutti possiamo sentirle, Drax. - lo rimbeccò Ushas - Adesso questo qua me lo prendo io. - disse tirando Magnus da una parte e facendolo sedere, poi iniziò ad attaccargli strane cose addosso.
- Cosa mi stai facendo?
- Controllo quanta energia Artron stai usando per le tue... ragazze... se rimani senza poi finirai anche tu là in fondo - indicò un tavolo di metallo con un corpo steso sopra. Probabilmente in attesa di essere ritessuto. O usato come materiale genetico di ricambio. Magnus rabbrividì leggermente ma non lo diede a vedere.
- Tutto ok - sentenziò la scienziata. - ...per ora. Adesso vedi di sparire e non bighellonare per il laboratorio che abbiamo da fare. Con il lavoro degli altri team a sommarsi al nostro non abbiamo un attimo libero.
Magnus fece per alzarsi e andarsene, ma prima raccomandò a Ushas di dare un’occhiata a Mortimus, era sicuro che avesse come minimo qualche osso rotto, anche se non se ne lamentava.
- Magnus. - lo chiamò Drax, tirandolo per una manica per fermarlo. - Ushas non lo dice e nemmeno Jelpax, ma siamo stati alla sede generale, là è anche peggio di così. Corpi a non finire. Vi prego, non finite su quel tavolo. Se ci dessero ordine di non tesservi più e di usarvi come materiale genetico di ricambio noi... noi dovremmo farlo, sai.
- Non succederà. Tu non pensarci, progetta nuove armi, tieniti occupato. Non - sottolineò con particolare enfasi questa parola - perderti nella mente alveare. C’è troppo dolore, troppa sofferenza. Finirai per rimanerci intrappolato. Cerca di non ascoltare. Mi hai capito?
Drax annuì e tornò al lavoro, poco convinto.
Era la sua gente quella là fuori a morire, come poteva non ascoltare?
 
A warning to the prophet,
The liar, the honest,
This is war.

To the leader, the pariah,
The victor, the messiah,
This is war

 
Fancast:
Magnus (Il Signore della Guerra) - James D'Arcy
Jelpax - Iain De Caestecker
Ushas (Rani) - Katie McGarth
Vansell - Paul Bettany
Drax - Frank skinner (Perkins nella season 8)
Mortimus (Il Monaco) - Ben Whishaw

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