Moon River

di SomeoneNew
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosy. ***
Capitolo 2: *** Strange. ***
Capitolo 3: *** Pandora's box. ***
Capitolo 4: *** Wrong. ***
Capitolo 5: *** Masks. ***
Capitolo 6: *** No feelings. ***
Capitolo 7: *** For us. ***
Capitolo 8: *** Like an actor. ***
Capitolo 9: *** Things I can't. ***
Capitolo 10: *** Breakfast at Tiffany's. ***
Capitolo 11: *** Memories. ***
Capitolo 12: *** Memories (II) ***
Capitolo 13: *** Home ***
Capitolo 14: *** This is us ***
Capitolo 15: *** A New Beginning ***



Capitolo 1
*** Rosy. ***


Prologo.
"Rosy"




22/05/15

“Harry, il campanello” urlo dalla mia camera. 

Fine Maggio e gli esami universitari ormai alle porte, eppure tutto questo studio non mi pesa tanto, sono consapevole di aver scelto la facoltà giusta. Sono sempre stata attratta dal mondo della psicologia, potere entrare nei meandri della mente umana è sempre stato un mio sogno, basti dire che già all’età di 5 anni non facevo altro che chiedermi cosa stessero pensando le persone attorno a me, con le loro facce buffe e le bocche contorte come a soffocare una parte di se stessi.
Di nuovo quel dannato campanello al piano inferiore.

“Harryyy” urlo. Nessuna risposta. 

Harry è il mio coinquilino, ‘22 anni di pura bellezza’ come lo definisce Clio, la ragazza che lavora con me al Dress & Dress ogni pomeriggio dalle 15:00 alle 18:30. Per me è solo Harry, frequenta anche lui psicologia ed è proprio all’università che l’ho conosciuto. Uno dei miei soliti incontri-scontri teatrali, io in ritardo con il bricco del caffè nella destra e il capo chino sugli appunti della prima ora, e sbam, gli finisco addosso.  Ricci castani, occhi verdi e tratti delicati e limpidi, ‘22 anni di pure bellezza’, come darle torto.

Il suono del campanello diventa sempre più fastidioso e insistente. 

Lora tornerà verso le 20:00 dal corso di arte, Elisa sarà sicuramente ancora all’università. Lora ed Elisa sono le altre mie coinquiline. Conosco Elisa da quando avevo sei anni, migliore amiche d’allora. Alta, magra e capelli lunghi e castani, occhi castani contornati da lineamenti dolci ma che lasciano trasparire la sua vivacità. E’ una di quelle persone alle quali ti affezioni subito, capace di trovare il lato positivo in ogni situazione, riuscendoti a strappare sempre un sorriso con la sua goffaggine. Conosco Lora da circa sette anni, conosciute per caso, quasi per sbaglio. Una massa di ricci neri, un faccino rotondo e degli occhi scuri come la pece. Lora è molto simile a me, complicata fino allo sfinimento, fino a consumarsi le ossa, colma di complessi, ma a differenza di me, sicura delle sue azioni, pronta sempre a difendere l’indifendibile, a trovare l’introvabile, non per nulla frequenta giurisprudenza.

Il campanello. Dov’è finito Harry?
Ho capito, mi tocca scendere. 

Appena metto piede fuori dalla porta un’ondata di caldo mi avvolge completamente. Si tratta di un caldo afoso, il solito caldo di Maggio a Brighton, paesino ad un’ora da Londra. E’ qui che vivo da quasi un anno, terminato il liceo ho deciso di frequentare l’università in Inghilterra, un altro mio grande sogno da tempi immemorabili, e Lora ed Elisa hanno deciso immediatamente di seguirmi. Amo l’Inghilterra, amo Brighton, amo il fatto che Londra disti da me appena un’ora di macchina e non un paio d’ore di aereo. Sono nata e ho vissuto in Italia fino all’età di 19 anni, finché non ho avuto il repellente bisogno di andarmene.

Adoro la sensazione della balaustra in ferro battuto fredda sul palmo della mia mano. Arrivo al piano inferiore e spio nel piccolo salotto di fianco alle scale. Non c’è nessuno.

Per la quinta volta il campanello suona e, mi ritrovo a chiedermi chi possa essere, alle 19:00 di sera, a bussare con così tanta insistenza. Così prima che quel dito tocchi per la sesta volta il pulsante del campanello apro la porta.

“Rosy.”


SPAZIO AUTRICE.
Hi people! How are you?
Eccoci con il prologo di #Petrichor, come promesso. Sono le 00:47 e mi scuso per eventuali errori, ma non sono proprio riuscita a pubblicare prima. 
Vi spiego un pò le dinamiche della storia. In questo breve prologo vengono presentati quattro personaggi, Harry, Elisa, Lora e Rosy. Quest'ultima è la protagonista che verrà descritta nei prossimi capitoli, ed è attraverso i suoi occhi che noi entreremo nelle dinamiche della sua vita. 
Abbiamo questo fastidioso e insistente campanello che suona e questa fatidica persona alla porta che pronuncia il nome della nostra girl. Chi sarà secondo voi? 
E' abbastanza semplice visto che vi avevo già preannunciato un nome :)
I capitoli si alterneranno tra presente e passato e devo ancora deciderne l'impostazione di pubblicazione, but don't worry.
Ah e attenzione alle date poste all'inizio di ogni capitolo ;)
Ci tenevo a ringraziare infinitamente su twitter @/hughimismydream, @/ssweetpandicorn e @/Grais99, e su efp sasha_thestrange per la loro dolcezza ed il loro appoggio. Spero di non avervi deluso ragazze :)
Se vi ha incuriosito il capitolo e volete provare ad indovinare la misteriosa identità sull'uscio della porta, sarebbe fantastico se lasciaste una mini recensione. 
Potete anche farmi sapere cosa ne pensate su twitter (@/DaisyYrrel).
Grazie ancora di tutto!

Buonanotte,
Daisy.



 
 
  

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Capitolo 2
*** Strange. ***



1.
Strange

Attenzione alle date.

5/07/14
“Fantastico, Liam si è offerto volontario per dormire sul divano.”
“Hey, cosa?” risponde Liam dalla stanza accanto al salone, alla costatazione di Elisa.
“Perché dovrebbe toccare a me?”
“Perché sei arrivato per ultimo ad esempio? E poi è già deciso, Rosy in stanza con me, dormirà nel letto di mia sorella, Zayn nell’altra stanza da letto, e tu puoi scegliere tra il divano del primo piano o questo” dice sempre la padrona di casa indicando il divano sul quale siamo sedute.

I genitori di Elisa sono partiti per due settimane in vacanza permettendo alla loro primogenita ormai maggiorenne di invitare nella sua enorme casa me e i suoi due cugini, Liam e Zayn. Quest’ultimo, è seduto sulla poltrona di fianco al divano, ha le gambe semi aperte e i gomiti posati su di esse e le dita lunghe e sottili incrociate. E’lì, come a volere scaricare il peso dei suoi pensieri sul pavimento di questo salone, e poi quello sguardo, perso, nel nulla, sembra che qualcosa di troppo grande lo stia risucchiando. Alto, fisico atletico, capelli scuri tendenti al nero, tenuti in su dal gel. Gli occhi, non credo abbiano un colore bene definito, possono assumere sfumature che variano tra il cioccolato e il nero più scuro e neutro che possa esistere. Credo di aver osservato quegli occhi così attentamente fin troppe volte, diventa difficile dimenticare qualcuno se si conosce ogni sfumatura delle sue iridi.

“Zayn sei tra noi?” chiede Elisa scherzando al cugino.
“Idiota” sbuffa di rimando lui.

Questo ragazzo è sempre stato contrassegnato dai suoi modi gentili e delicati. Lo ricordo ancora alle elementari con i suoi occhietti vispi e la battuta sempre pronta. Ricordo quell’anno in cui siamo stati compagni di banco, come uno dei periodi più belli della mia infanzia. Io bambina timida e insicura, mi sono ritrovata di fianco ad un bimbo che sembrava esattamente il mio opposto, all’apparenza…
In realtà troppo simili.

“Ceniamo fuori stasera, vero?” chiede Liam.
“Per stasera passo, vado a letto.” Risponde Zayn ed  Elisa lo guarda stranita.
“Ma Zayn sono ancora le 20:00 e fa troppo caldo per rimanere in casa, potr…”
“Per stasera passo, voi andate” la interrompe bruscamente, uscendo dalla stanza e dirigendosi al piano superiore.
Osservo la scena in silenzio.

“Ma cosa cavolo gli prende ora? Non è da lui rimanere in casa, sabato sera.” Dice Elisa gesticolando.
“Sono ormai giorni che si comporta così, ho provato a parlargli, a chiedergli cosa stesse succedendo, ma non mi lascia entrare nel suo mondo. Non più.” Liam ha il viso contorto in una smorfia. E’ preoccupato.
“Mi stai dicendo che dovrei parlargli io?” Elisa ha gli occhi sbarrati dalla sorpresa.
“Potresti almeno provare..” 

Continuo a rimanere in silenzio. Ciò che riguarda lui non riguarda più me, da ormai molto tempo. Forse non mi ha mai riguardato.

6/07/14
“Buongiorno.” Esordisco entrando in cucina. 
“Giorno.” Rispondono in coro Elisa e Liam .

Mi siedo ed inizio a versarmi il caffè nella tazza, quando Zayn entra nella stanza.
“Drogata di caffè.” commenta osservando la mia tazza. Rimango basita, credo siano le prime parole che mi rivolge dopo anni. Ciò non soffoca però il fastidio che mi provoca la sua osservazione.
“La cosa non ti riguarda.” rispondo acida, e sorprendo me stessa per la mia freddezza.
“Mi riguarda eccome se lo finisci tutto.” risponde indicando la caffettiera e sedendosi di fronte a me.

Vi è una tranquillità inquietante nei suoi gesti e nelle sue parole. Tende la mano verso di me e con un cenno del capo indica la caffettiera. Sbuffo e decido di passargliela. La mia mano sfiora il suo palmo, alzo lo sguardo e lui incastra le sue pupille nelle mie. E’ una frazione di secondo. Poi il profumo di caffè mi inonda le radici e mi risveglia da quello stato di sonnambulismo. 

Bevo il contenuto della mia tazza in fretta e “Eli, a che ora andiamo a fare la spesa?” mi rivolgo alla ragazza poggiata al frigorifero.
“Tra un’oretta, credo.”
“Vengo con voi, devo comprare le batterie per il telecomando della tv, la scorsa notte stava per fare una bruttissima fine.” Esordisce Liam provocando la risata di tutti i presenti.
“Perfetto.” Esco dalla stanza e mi dirigo al piano superiore.
 
Qualche ora dopo.
“I gelati si scioglieranno prima che arriviamo a casa con questo caldo.” mi lamento. Sono ormai le 12:30 e il caldo è divenuto insopportabile, mentre la macchina si trasforma in una fornace.
“Stanotte Zayn non ha dormito.” dice Liam a bassa voce, come se lui potesse sentirci. 
Alla fine ha deciso di rimanere a casa. Sarei rimasta anch’io se avessi avuto una minima idea del caldo che mi aspettava. ‘Una delle estati più calde che si siano mai presentate in Italia’,  aveva detto il meteorologo questa mattina. Ottimo, direi.

Il sospiro di Elisa al mio fianco mi risveglia dai miei pensieri. Stringe il volante e le nocche le sono diventate bianche, sembra indecisa sulle parole da usare.
“Eppure questa mattina sembrava abbastanza tranquillo.” Dice, ma capisco che sta riflettendo tra sé e sé. “Okay proverò a parlargli, anche se non capisco come possa confidarsi con me se non permette a te, suo migliore amico, di avvicinarti.” Sospira di nuovo e questa volta, insieme a lei Liam.
Sono seriamente preoccupati.

Zayn è sempre stato l’animatore delle feste, colui che porta da bere.
Sguardo perforante, atteggiamento sicuro ed un sorriso da toglierti il fiato, qualcosa che non può essere descritto, un misto tra vissuto e amato, come il Petrichor, l’odore della terra dopo la pioggia. Troppe volte l’ho intravisto sul retro di qualche locale in compagnia di qualche ragazza incontrata nel momento in cui l’alcool era entrato in circolo e il volume della musica si era alzato vorticosamente. Abituato a soffocare le sue emozioni nella gioventù di un diciottenne. Ma si sa, puoi spingere e reprimere ciò che provi finché, tutto come un frisbee, torna di rimando colpendoti proprio nello stomaco.  

Sospiro anch’io.



SPAZIO AUTRICE.
Good evening everyone,
ecco il primo capitolo di #Petrichor, e come avevo promesso non mi sono fatta attendere troppo ;)
Soooo, la data del capitolo è 5-6/07/14 e se avete fatto attenzione alla data posta all'inizio del prologo allora avrete sicuramente notato che vi è una differenza di quasi un anno, infatti come vi avevo già annunciato, i capitoli si alterneranno tra presente e passato, e quest'ultimo servirà a comprendere meglio il primo. In questo capitolo i ragazzi, ormai diplomati, si trovano in casa di Elisa. Vengono presentati due nuovi personaggi, Liam e Zayn, che viene descritto, attraverso gli occhi di Rosy, come turbato e malinconico, cosa lo starà affliggendo secondo voi?
Nel prossimo capitolo torneremo al presente, e scopriremo l'identità alla porta di casa di Rosy, anche se probabilmente l'avrete già capito haha, ma cosa vorrà? Cos'è successo nel corso di quest'anno?
Ringrazio come sempre su twitter @/hughimismydream, @/Grais99, @/ssweetpandicorn e @/misshoran, e su efp sasha_thestrange per il loro supporto, e anche i 70 lettori silenziosi, love you guys :)
Se il capitolo vi è piaciuto sarebbe fantastico se lasciaste una mini recensione, potete anche scrivermi su twitter (@/DaisyYrral) per qualunque cosa, in tal modo aggiornerò con più frequenza.

Un bacio,
Daisy.

 

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Capitolo 3
*** Pandora's box. ***




2.
Pandora's box.


(Presente.)
22/05/15
Istintivamente faccio un passo indietro.
“Rosy.”  Fa un passo in avanti ed io indietreggio, ancora.

I pantaloni neri, aderenti risaltano le sue gambe muscolose e slanciate. Indossa una maglia bianca di un tessuto molto leggero che risalta la sua pelle ambrata e i suoi addominali, maggiormente definiti rispetto all’ultima volta in cui l’ho visto, stropicciata da un lungo e stancante viaggio. Ha una mano posata sulla tracolla di un borsone e l’altra chiusa a pugno. Un ciuffo di capelli gli ricade davanti agli occhi ma lui non fa nulla per spostarlo, sembra avere paura di fare qualsiasi movimento. Sul viso intravedo ancora quei tratti decisi che un tempo lasciavano trasparire un’aria sbarazzina, dove ora la stanchezza fa da padrone. Ha le labbra schiuse e sembra che le parole stiano facendo a pugni tra di loro. Poi, per la prima volta dopo quasi nove mesi, incontro i suoi occhi. Ha le iridi dilatate e si intravede solo il contorno di un colore cioccolato. Incastra i suoi occhi nei miei.

FLASHBACK.
“Smettila di guardarti allo specchio ed esci da questo fottuto bagno, non c’è nulla ammirare” urlo davanti alla porta.
 “Vorresti dire che non ti piaccio? Perché in ogni caso non ti crederei. Guarda tu stessa.” Mi soffia sul viso ammiccando, dopo avere finalmente aperto la porta. 
“Ma fammi il piacere, ripeto, non c’è nulla da guardare.” 
“Ho degli occhi stupendi, per non parlare delle mie labbr....” 
“Tu hai seri problemi.” Rispondo interrompendolo e ridendo. “I  tuoi occhi non sono nulla di particolare, semplice cioccolato e...” 
“A chi non piace il cioccolato?” Sempre più sicuro di sé. 
”Scansati và. E non fare quel sorrisetto strafottente.” 
“L’ho detto io che ho delle labbra stupende” Idiota.
FINE FLASHBACK.


Devo andarmene da qui, da lui, ma non riesco a muovermi. Non so che ore siano, percepisco l’aria fresca e mi accorgo di avere la pelle d’oca. 
Sto singhiozzando.  
No, non piangere, non crollare, non davanti a lui.
Sento un tonfo e delle braccia mi stringono. Cerco di reagire ma sembra che ogni mia forza sia stata prosciugata. Ho perso il controllo di me stessa. Vedo il borsone che un attimo prima aveva sulla spalla a terra. Poi lo sento, il suo profumo, pulito e vaniglia. E’ lui. Questa consapevolezza mi basta per trovare la forza di scostarmi dalle sue braccia. Mi allontano e lui contrae il viso in una smorfia. Ricomincio a tremare, e mi accorgo di avere bisogno di una boccata di aria, così faccio qualche passo fuori dalla porta e mi siedo su uno degli scalini all’ingresso.

E’ accanto a me e continua a fissare le mie mani che stanno ancora tremando. Cerco di fermarle.
“C-come mi hai trovata?” è tutto ciò che riesco a dire in un soffio.
“Liam…” risponde. Chiudo gli occhi e lascio che un’altra lacrima cada. Le mani ricominciano a tremare e non so se sia per l’effetto che mi fa la sua voce o perché in questo momento vorrei prendere a pugni quell’idiota di Liam.
“C’è voluto del tempo, ma quando l’ho minacciato dicendogli che avrei spifferato a sua madre che aveva perso la verginità a 14 anni, ha ceduto.” Continua, e senza guardarlo percepisco l’accenno di sorriso che ha sulle labbra.

Resto in silenzio, l’unico rumore che riesco a percepire è il battito del mio cuore, e per un istante mi chiedo se riesca a sentirlo anche lui.

FLASHBACK.
“Senza sentimenti.” gli sussurro nell’orecchio sinistro, sussulto al tocco delle sue labbra sulla mia pelle.                        
“Senza sentimenti.” mi risponde mentre rafforza la presa sui miei fianchi.
FINE FLASHBACK.



POV. Zayn

Sono le 19:30.
Il sole sta tramontando. Intravedo gli ultimi raggi sfuggire dalla presa di questo, tra il tetto rosso e squadrato della palazzina di fronte e il grande albero che padroneggia accanto ad essa. Le foglie diventano di un verde sbiadito, mentre i rami, nascosti da esse, si illuminano di una luce dorata,quasi magica, nostalgica. E’ la stessa luce che emana lei adesso, al mio fianco.

Sta fissando un solitario filo d’erba nato tra un mattone e l’altro del vialetto, e sembra affogare nei suoi pensieri. Ha i capelli, dello stesso colore della luce al tramonto, raccolti in una coda disordinata che le ricade sulla spalla destra, mentre qualche ciuffo ribelle le accarezza il viso ai lati, credo siano  più lunghi rispetto all’ultima volta in cui l’ho vista. Gli occhi colore natura, castani in cui spiccano pagliuzze verdi, incorniciati da ciglia chiare e lunghe. Ha le labbra serrate come a trattenere ciò che gli occhi invece non possono fare a meno di urlare. La pelle chiara del collo fa risaltare il filo nero e sottile del ciondolo a forma di lucchetto che indossa dall’età di 14 anni. Ha le braccia nascoste tra le gambe da quando mi ha sorpreso a fissarle le mani tremanti, ma intravedo i resti dello smalto nero sulle unghie mangiucchiate delle dita sottili e sfilate. Indossa dei legghins neri che le fasciano le gambe magre fino al collo del piede, e 
su di essi una canotta larga bianca con su la stampa “Sussex University”.

FLASHBACK.
“E’ nota per avere una posizione a dir poco fantastica, pensa che il campus è circondato dal Parco Nazionale del South Downs, ma relativamente vicino a Brighton, Hove e Lewes. I corsi sono tutti interessantissimi, e la biblioteca è qualcosa che non si può descrivere, ENORME.” Sorride.
“Ti brillano gli occhi” Sorrido. “Sembra tutto enorme, interessantissimo e fantastico.” Rido prendendola in giro.
“Lo è.” Dice mentre tira ancora più in su il lenzuolo bianco.

Ha un sorriso stupendo stampato sulle labbra mentre gioca con le dita delle mie mani come una bambina, e non riesco a fare a meno di continuare a sorridere. Incastra il mento nell’incavo del mio collo e percepisco il suo respiro caldo sulla mia pelle, mentre affondo il viso nei suoi capelli raccolti in uno chignon disordinato. Profuma d’estate consumata. E' un profumo leggero e soave, delicato e fresco. 
FINE FLASHBACK.


Mi scosto da questo ricordo e un brivido di freddo misto a nostalgia e delusione mi percorre la schiena. Intorno a noi regna un silenzio sovrumano, anche il mondo circostante ha paura di fare qualsiasi movimento o rumore. Sembra che il tempo si sia fermato e non riesco più a percepire gli scalini sotto di me. Sembra di essere in una realtà parallela. Tutto ciò che sento è il suo respiro, seduta ad una ventina di centimetri da me.

“Come stai?” la mia domanda rompe la sacralità di qualche secondo fa, e la mia voce traspira un’insicurezza di cui io stesso mi sorprendo.
Fa un respiro più profondo, sta combattendo contro se stessa. Vorrei solo prenderle le mani nelle mie e guardarla negli occhi, per ritrovare quell’intimità e quel calore di cui mi appropriavo qualche mese fa.

Poi qualcosa sembra rompersi. Lo percepisco da come si tocca il ciondolo che porta al collo, non mi lascerà entrare.

“Tu… non puoi presentarti davanti alla porta di casa mia dopo tutto questo tempo, dopo…” fa una pausa “…e chiedermi come sto. Tu non sai cosa… non ne hai la minima idea.” Urla continuando a guardare davanti a sé.
Poi si alza “Basta… “ sussurra.
 

POV. Rosy

Mi alzo di scatto ormai allo stremo delle mie forze.
“Basta… “ sussurro.

Ma prima che io possa risalire il primo dei tre scalini che separano la piccola stradina dalla porta di casa, lui mi afferra il polso. Il palmo della mano è caldo sulla mia pelle fredda, e la sua presa è forte e decisa. Non trovo la forza di dimenarmi, sono sfinita emotivamente e fisicamente.

“Guardami.” Urla con prepotenza dietro di me, tenendomi ancora per il polso. Lo guardo negli occhi ed eccolo, un dolore lancinante proprio lì, al centro del petto. “Io potrò anche non sapere cos’hai passato tu in questi mesi, ma sicuramente anche TU non hai la minima idea di cosa ho passato IO, e probabilmente non ti sei neanche posta la domanda.”

La sua figura mi sovrasta nel suo slanciato metro e ottantacinque e probabilmente sembro molto più minuta davanti a lui di quanto io lo sia già. Ha le labbra serrate e gli occhi lucidi, quasi trasparenti, e soprattutto stanchi.

Non credo di averlo mai visto ridotto in questo stato prima d’ora.

Mi sento mancare l’aria e non riesco più a percepire i mattoni sotto i miei piedi. Cerco di visualizzare attorno a me la bolla nella quale entro ogni volta che percepisco che qualcosa di troppo doloroso sta per impossessarsi di me.
Per la seconda volta nella mia vita la bolla è troppo fragile, e si frantuma in una leggera nebbiolina, mentre le sue parole si mutano in piccoli spilli.

No no no, non può essere. Non ora. Non sta succedendo davvero.

“Io lo so che… dopo tutto quello che…” non riesce a finire la frase. Le parole gli rimangono impigliate da qualche parte tra lo stomaco e la gola.

Ricomincio a tremare.

Allenta la presa sul mio polso. Percepisco che continua a guardarmi negli occhi, eppure io non ci sono più. Sto affogando tra le immagini di qualche mese. Non riesco più a respirare. Ricordi, ricordi ovunque. Devo tornare al presente.

Ho sempre amato il contrasto tra la sua pelle e la mia, caldo e freddo. Ogni volta che mi toccava mi provocava brividi, e ogni volta mi rimproverava perché ero troppo fredda.

FLASHBACK.
"Vuoi deciderti a mettere un paio di calzini, e magari già che ci sei anche i guanti."
"I guanti? Ad Agosto? Sei serio?" Scoppio a ridergli in faccia. "E quante volte dovrò dirti che ho mani e piedi constantemente freddi?"
"Ti prenderà un accidente, sei congelata." Sbuffa ancora serio.
"Va bene paparino, vado in soffitta a recuperare i guanti con su l'albero di Natale con le palline colorate in rilievo." Scherzo e gli mostro la lingua.
Sbuffa ancora più rumorosamente ed io continuo a ridere. Così ancora più scocciato prende le mie mani nelle sue riscaldandomele, e con tutta tranquillità torna a guardare il programma su real time, mentre rimango interrotta da quel gesto.
FINE FLASHBACK.


Ho l’impressione di avere appena fatto un respiro profondo, come quando dopo essere stato per troppo tempo sott’acqua, ritorni a galla, così mi rendo conto che per l’ennesima volta, è stato il suo tocco a darmi respiro.
La sua mano è posata delicatamente sulla mia guancia, come se tenesse tra le sua dita un fiore troppo delicato. Con esitazione fa scorrere il suo pollice sul mio labbro inferiore, mentre segue il gesto con le pupille.

Rimango immobile. Vorrei solo chiudere gli occhi, abbandonarmi.
Non posso.

Faccio un passo indietro, scostandomi dalla sua mano destra sul mio polso sinistro, e dalla sua mano sinistra sulla mia guancia, e leggo la paura improvvisa nei suoi occhi. Quella paura.
La stessa paura che ho visto otto mesi fa. Teme che io scappi, di nuovo.
Ma io rimango immobile, lascio che il freddo entri nuovamente nelle mie ossa.

“Hai la pelle d’oca…” Dice con un filo di voce. Tentenna. “…possiamo entrare, se vuoi.” Trova il coraggio di dire.
Non rispondo, e senza guardarlo salgo i tre scalini e scosto la porta, rimasta aperta.

Entrando in casa, riesco a recuperare un briciolo di stabilità.
Mi guardo intorno. Il giubbino di jeans di Elisa che non usa quasi mai, appeso all’entrata. Dopo averlo pagato lo stipendio di un mese al Dress & Dress, lo mise una sola volta, e quell’unica sera non fece altro che lamentarsi perché le prudeva.
Gli occhiali da sole di Harry abbandonati malamente sul mobiletto di legno di fianco alla ringhiera in ferro battuto. Tecnicamente non sarebbero proprio suoi, bensì del suo ragazzo, spero di essere presente nel momento in cui lo scoprirà, quei due sono davvero buffi.
 Il dipinto che uno dei bambini dell’orfanotrofio ha fatto a Lora, come ringraziamento per aver reso le sue giornate meno noiose con il corso di pittura. Ha due buchi al posto del naso e gli occhi fin troppo vicini. Ricordo chiaramente quella sera in cui ritornò con questo quadro e per le ore successive non fece altro che fissarsi allo specchio, chiedendoci se i suoi occhi ci sembrassero troppo vicini.
Tutto ciò rappresenta il presente, il mio presente. Ciò che sono riuscita a costruire dal nulla, perché otto mesi fa ciò che era rimasto di me era il nulla.

Sento la porta d’ingresso chiudersi mentre entro in cucina. Mi avvicino al lavandino ed apro il rubinetto.
“Vuoi qualcosa da bere?” chiedo senza girarmi.
 

POV. Zayn

“Acqua, grazie.” Rispondo dopo averla seguita nella stanza di fronte all’ingresso.

L’ambiente non è molto grande ma abbastanza luminoso,grazie alla finestra alla destra, e il balconcino alla sinistra. A destra, di fronte ad un televisore non molto grande vi è un piccolo divano viola, affiancato da due poltrone dello stesso colore ma più scuro, e ai piedi di esso un soffice tappeto panna. La parete alle spalle del televisore è lilla, e vi sono appesi due quadri, nel primo vi è rappresentato un prato, il secondo invece mi accorgo essere uno di quei puzzle dai pezzi minuscoli, e raffigura una piccola barca in un porto, mentre sullo sfondo si vede un’alba dai colori che richiamano molto il lilla della parete.  A sinistra vi è un’isola rettangolare con sei sgabelli, sulla quale è posta una piccola fruttiera semivuota. Dietro essa si trova la cucina, con uno stretto piano cottura, e vicino ai due lavandini, affiancati da un frigo argentato, un piccolo forno.

Mi avvicino all’isola nel momento in cui lei, dalla parte opposta, si volta  e posa un bicchiere di vetro su di essa, spingendolo nella mia direzione.
Scosto uno degli sgabelli e mi siedo, lei fa lo stesso.
Inizia a seguire con l’indice della mano destra il bordo del suo bicchiere mentre fissa l’acqua contenuta in esso,  e mi sembra di averla persa di nuovo, come qualche istante prima sugli scalini.

“Che ci fai qui?” mi chiede alzando gli occhi verso di me.
 

POV. Rosy

Fa un respiro profondo, è in difficoltà ma non distoglie lo sguardo. Ha paura, cerca di misurare le parole com’è suo solito fare nei momenti in cui non può usare il suo sarcasmo per uscire da situazioni difficili.

Un altro respiro. Poi…
“Ci ho provato… ho provato ad andare avanti, ma…” distoglie lo sguardo da me, “…qualcosa si è rotto dentro di me quel  quattro settembre.” Gli si incrina la voce quando pronuncia la data, e io chiudo gli occhi per qualche secondo, cercando di assimilare il tutto. Quando li riapro il suo sguardo è di nuovo su di me.
“Quindi, non so bene cosa io ci faccia qui ora, so solo che vivo ormai nella paura che tutti nella mia vita prima o poi mi abbandoneranno.”

E’ proprio ciò che ho fatto, l’ho abbandonato, ho abbandonato tutti, tutto.

Un altro respiro profondo, e ritorna con gli occhi su di me.
“Mi manchi.” Una pugnalata dritta allo stomaco. “Mi manchi da quel quattro settembre. Mi manchi dall’ultima volta che il mio sguardo ha incontrato il tuo, dal’ultima volta che ti ho sfiorato.” Non riesco più a reggere il suo sguardo, e una voragine si è aperta nel mio petto al suono di queste parole.
“Te ne sei andata, sei andata via, e non dimenticherò mai lo sguardo che avevi quando sei salita su quell’auto. Dire che eri distrutta è riduttivo, ed è stato in quel momento che ho avuto paura di perderti…per sempre.” Pensava che mi sarei tolta la vita.

Come ha potuto pensarlo davvero? Cosa ho fatto? 

I ricordi di quei pochi istanti riaffiorano nella mia mente sotto forma di spezzoni. Urla, lacrime amare come mai in vita mia, e quel dolore lancinante nel petto.

“Con te hai portato via una parte di me.” No no no, ti prego basta, smettila. Quelle urla ritornano a rimbombare nella mia mente, credo di potere sentire di nuovo il sapore salato delle lacrime.

Continuo a fissare quella piccola increspatura di paglia che si è formata sul bordo del cestino della frutta, non ho il coraggio e la forza di guardarlo ora.
“Non capisco cos…” Inizio, ma non mi lascia finire la frase.

“Quindi non lo so, ma credo di essere qui ora per ritrovare quel pezzo mancante di puzzle.” Torno a guardarlo negli occhi e lui tenta un sorriso.

FLASHBACK.
“Sei impazzita, sei proprio pazza.” Ride mettendosi le mani davanti agli occhi.
“Hai detto di cercare stabilità nella tua vita? E’ scientificamente provato che i puzzle aiutino a trovare stabilità.” Rispondo cercando di sembrare convinta. 
“Millecinquecento pezzi. MillecinqECENTO PEZZI. MILLECINQUECENTO PEZZI. TU SEI PAZZA. NON CE LA FAREMO MAI.” Urla.
“Shh, sono le due di notte abbassa la voce, idiota. Invece di lamentarti inizia a cercare.” Lo zittisco ridendo. 
“Dove l’hai trovato? La scatola sembra vecchissima!” osserva prendendo il coperchio del contenitore dei minuscoli pezzi.
“Su in soffitta, sarà dei genitori di Elisa.”
“Suo non sicuramente.” Scoppia a ridere e io lo seguo a ruota. Elisa non è proprio famosa per la sua pazienza.
“Okay iniziamo. Mettiamo che sono più bravo io?” Qualcuno gli tappi quella boccaccia da sapientone.
“Si certo, vedremo.” Gli faccio il verso e lui mi fa una smorfia.

FINE FLASHBACK.


I ricordi vengono interrotti dalla porta d’ingresso che si apre. Harry e Lora entrano nel soggiorno e sembra stiano litigando per il parcheggio di Harry nel vialetto. Quando ci vedono si bloccano.

“ ‘sera.” Esordisce Harry sorridendo. Non ha la minima idea di chi sia Zayn, a differenza di Lora che continua a fissarmi senza pronunciare parola.

“Piacere, sono Zayn, e stavo per andare via.” Dice salutando i due e alzandosi dallo sgabello.
Harry è sorpreso dalla situazione, così pronuncia un semplice “Harry, piacere.” con un gesto della mano.

“Alloggio al Holiday Inn Brighton, possiamo vederci domani, se vuoi.” Temporeggia Zayn sulla porta del soggiorno rivolto a me.
Mi gira vorticosamente la testa, sussurro un “okay”, e non sono neanche sicura che lui abbia sentito, ma accenna un piccolo sorriso ed esce dalla stanza.

La porta d’ingresso cigola e dopo qualche secondo sento la serratura scattare.

Il vaso di Pandora è stato aperto. E ora?



LOOK AT ME.
Hola bella gente, come state?
Eccoci con il secondo e luuuuuuuuuuuuuuungo capitolo di #Petrichor, al presente (appunto che vi ho messi anche all'inizio.).
Allooooooora, abbiamo scoperto il misteriosonontantopiùmisterioso personaggio alla porta di casa di Rosy. Come possiamo ben notare la situazione tra i due non sembra essere delle migliori, come mai secondo voi? Cosa sarà successo? Cosa conterrà di così doloroso il vaso di Pandora di Zayn e Rosy? E' un capitolo pieno di flashback, che ho amato scrivere, e spero vi siano piaciuti :) 
Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono e mi sostengono, ed anche le spie che leggono in silenzio, I see you hahaha. Grazie mille.
Se vi è piaciuto questo capitolo sarebbe fantastico se lasciaste una mini recensione per farmi sapere che ci siete, o potete contattarmi su twitter (@/DaisyYrral) per qualunque cosa.

Good night guys,
Daisy.

 

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Capitolo 4
*** Wrong. ***


3.

Wrong.


7/07/14 (Un anno fa...)

POV. Zayn
-Scopri come ricaricare il tuo telef…- -Oggi scopriremo i misteri degli abiss…- -Ma Eric io ti am…- -Ragazzi venite qui è pronta la merend…- -Mamma sono incinta…-
“MA TI PREGO, QUALCOSA DI DECENTE IN TV, NON CHIEDO TANTO.” Urlo agitando le braccia, sdraiato sul divano del soggiorno al secondo piano, dove ormai mi trovo da un’oretta nell’intento di trovare qualcosa di interessante da guardare in tv. Direi che tra pubblicità varie, film da vomito e ’16 anni e incinta’, il mio tentativo sia fallito, e come se non bastasse, il caldo pomeridiano e appiccicoso, inizia ad essere sempre più fastidioso.

“Hey.” Sbuca dal nulla Elisa dalla porta di vetro scorrevole che collega il soggiorno con il corridoio. “Che fai?” chiede mentre mi sollevo per farle spazio sul divano.
“Nulla di che come puoi notare, tu?” Mi giro verso di lei mentre si siede sul tessuto bordeaux, a pochi centimetri da me
“Nella tua stessa situazione.” 

Indossa un paio di pantaloni blu da tuta che nascondono le sue gambe magre, e un top del medesimo colore sul quale ricadono in maniera disordinata, come sempre d’altronde, ciocche castane di capelli sfuggite da una coda fatta in maniera frettolosa.
Ho sempre ammirato mia cugina, fin dalla più tenera età. Elisa ha un qualcosa di speciale e umano che, non saprei, permette di lasciarti andare quando le parli. E’ sbadata, disordinata, alle volte egocentrica e ha la testa dura, ma di lei puoi fidarti, c’e sempre per chiunque.

“Come stai?” Mi chiede improvvisamente dopo qualche minuto di silenzio.
“Bene…” esito “…e tu?” Le chiedo scrutandola negli occhi. E’ in difficoltà.
“Io bene.” Si morde il labbro inferiore spostando lo sguardo da me al televisore.
“Ne sei sicura?” Cosa le prende ora?
“Si..e tu?” Rivolge nuovamente gli occhi a me.
“Okay, ora mi dici cos’hai?” Le dico con tono scocciato per il giochetto che ha iniziato.

Sbuffa mentre appoggia la schiena al bracciolo del divano, girandosi completamente verso di me, con le gambe incrociate sulla stoffa dal colore spento.

“No Zayn, dimmelo tu cos’hai. Non ti riconosco più, sei spento, svogliato e la notte non dormi, cosa ti pren…” Inizia continuando a guardarmi negli occhi. La interrompo.
“E’ stato Liam a dirti di parlarmi giusto? Che idiota, è da un mese ormai che mi tortura con le sue stupide teorie sul fatto che io non stia bene, che non sono più io, e non fa altro che assill…”
“Zayn, sono passati tre giorni da quando viviamo insieme l’ho capito da sola che c’è qualcosa che non va. Credi che non ci abbia fatto caso che sono due sere che io, Liam e Rosy usciamo e tu accampi scuse e ci rifili un ‘sono stanco’? Credi che non mi sia resa conto della tua stanchezza la mattina, anche se cerchi di nasconderla? E si, Liam mi ha parlato, ma solo perché ti vuole bene ed è seriamente preoccupato.”

Parla velocemente, e quando si ferma non accenna a scostare lo sguardo da me. E’ preoccupata, Liam è preoccupato, e vogliono risposte. E lo so, so che gliele devo ma non so da dove iniziare, le parole non trovano un senso logico e se tento di mettere in ordine ogni pezzo, la testa rischia di esplodermi . Così continuo a fissarla in silenzio.

“Zayn, ti prego dì qualc…”
“Cosa vuoi che ti dica Elisa?” la interrompo bruscamente. “Che la testa rischia di esplodermi? Che tutto va troppo veloce intorno a me, mentre io rimango qui fermo su questo divano a fissare i contorni di persone e cose che scorrono via?” Alzo la voce, e le parole fuoriescono dalla mia bocca come un fiume in piena, non riesco più a controllare tutto ciò che con tanta cura, per settimane, sono riuscito a tenere dentro di me.

“Hey hey, guardami. E’ normale che finito il liceo tu ti senta spaventato di fronte al cambiamento, devi solo riuscire a prendere il passo di ciò che ti sta attorno, e quei contorni ricominceranno ad essere sempre più nitidi.” Prende le mie mani nelle sue ma io le ritiro.
“No, non capisci. E se non ce la facessi? Insomma, se non fossi in grado di stare al passo con gli altri? La questione dell’università…” Dico tutto d’un fiato.
“Sei stato accettato ad una delle più importanti università di medicina, te ne rendi conto? Devi essere orgoglioso di te stesso. Chi se lo sarebbe mai immaginato!” mi guarda sorridendo.
“Già, chi se lo sarebbe mai immaginato che un festaiolo, una testa calda come me sarebbe entrato a medicina? E’ questo il punto, se non riuscissi a sostenere lo studio, la pressione. Forse ha ragione mia madre, non sono fatto per queste cose.”
“Hai sempre avuto la media più alta nelle materie scientifiche. Ti ricordi quando il primo giorno di scuola, in prima media, chiedesti se avremmo mai avuto l’occasione di svolgere una vivisezione, e tutto l’auditorium inorridì facendo versacci?” Ride appoggiando la testa sulla spalliera.

Sussurro un “già” abbozzando un sorriso, mentre quei vecchi e così lontani ricordi riappaiono nelle nostre menti.

“Tu mi conosci, alcool, feste, ragazze. Non sono mai riuscito a mettere la testa a posto, non ho mai avuto una ragazza fissa, non credo di essermi mai innamorato.” E lascio che quest’ultima frase rimanga sospesa in aria. Elisa, ancora con la guancia appoggiata allo schienale, continua a sorridere guardandomi.
“C’è tempo per innamorarsi, c’è tempo per l’amore non…” inizia.
“E se non ci fosse poi così tanto tempo? Se non riuscissi a trovare il cosiddetto amore? Questa ‘cosa’ così grande di cui tutti parlano? Così necessaria nella vita dell’uomo? Se non riuscissi a trovare quella persona, la mia persona?”
 

POV. Rosy

Questo gelato fa veramente schifo, sarà ai mirtilli? Oh Gesù meglio non farsi certe domande. Salgo le scale tra il piano terra ed il secondo piano, diretta verso il frigo della cucina, magari avrò più fortuna lì. Arrivo sul corridoio e la porta scorrevole è semi-aperta, mentre sento un vociare dalla parte opposta.

Nel preciso instante in cui scosto la porta per entrare…

“…e se non riuscissi a trovare quella persona, la mia persona?”

“Benvenuti su ‘The Carrie diares’, ora si che vomito.” Porca vacca incinta, perché non riesco mai a tenere a freno la mia lingua?

Alzo la testa dal gelato viola e mi ritrovo davanti Zayn ed Elisa seduti sul divano al centro della stanza, intenti molto probabilmente ad intrattenere una conversazione seria, molto seria… fino a pochi secondi fa almeno. Entrambi ora sono rivolti verso di me, l’uno con un’espressione scocciata e la bocca ancora semiaperta dal momento in cui l’ho interrotto, l’altra sta per incenerirmi con lo sguardo.

Torno a guardare il gelato dal colorito improbabile e poi rialzo gli occhi verso di loro.

“Scusatemi non volevo interrompervi, me ne vado in cucina.” Dico con una improbabile espressione sul viso, ed a bassa voce come a volere rimediare del guaio appena fatto, indicando con la mano libera la stanza alla mia sinistra.

Dopo qualche minuto percepisco il profumo di Elisa nella stanza e ho paura a girarmi.
“Possibile che tu non possa proprio fare a meno dei tuoi commentini acidi?” Mi volto lentamente, la guardo e rispondo con un’alzata di spalle. Ha le braccia incrociate e un’espressione seria in volto.

Lei sa che sono così. Mi conosce da circa quattordici anni ormai e conosce bene quasi ogni aspetto del mio carattere. Sa che faccio fatica ad esternare i miei sentimenti, che qualsiasi cosa sdolcinata mi fa venire la nausea, che non sopporto il lieto fine da fiaba ‘e vissero tutti felici e contenti’ nei libri, che molto spesso posso risultare acida, fredda e scontrosa. . .

“Ti chiedo solo un po’ di tregua nei suoi confronti. So che ce l’hai ancora con lui per…” inizia.
“Elisa, sei pazza? Risale a quattro anni fa, è stata una semplice cotta adolescenziale finita male. Tutto qui. Credi davvero che ce l’abbia ancora con lui per avermi rifiutato all’età di quattordici anni? Prima non volevo, è stato un atto involontario, le parole mi sono uscite di bocca prima che io me ne potessi rendere conto. Sai come sono fatta. Stop.” Le dico velocemente.
“Ti conosco da troppo tempo per non sapere che i tuoi atti involontari non sono poi tanti involontari. Ti ripeto, ti chiedo solo un po’ di tregua, ignoralo e andrà tutto bene, okay?” mi sussurra avvicinandosi e accarezzandomi il braccio.
“E perché dovrei dargli tregua? Voglio dire, non che io non voglia, ma ne parli come se fosse in procinto di suicidarsi.” La punzecchio con un sorrisetto divertito.
“Mi dispiace deluderti, ma niente casi da strizza cervelli per te questa volta.” Sorride di rimando.
“Elisa fottiti!” le urlo ridendo mentre esce dalla cucina.
“Stasera devi essere pronta per le otto e mezza.” Urla, già sulle scale.

Già, me ne ero dimenticata. Stasera al Coke si terrà la festa di compleanno di Luca, un nostro amico d’infanzia e per questo tutti e quattro, io, Elisa, Zayn e Liam siamo stati invitati.

Okay, sono solo le sei del pomeriggio, posso farcela.
 
20:50

“Rosyyyyy!” è la quinta volta che le sento urlare il mio nome per le scale. “Se non scendi immediatamente dovrai arrivarci a piedi!” A piedi? Con questi tacchi non sono neanche sicura di riuscire ad arrivare sana e salva alla fine delle scale.
“Sto scendendo!” Sbuffo, e decido di togliermi le scarpe e di camminare scalza fino alla porta di casa, cercando di limitare la tortura. 

Arrivata al secondo piano trovo un’Elisa total black nel suo tubino con una scollatura a cuore e su dei tacchi vertiginosi. Come diavolo fa?
“Dove cavolo sono le scarpe? Oh no, non dirmi che le hai diment…” La zittisco mostrandole il paio di scarpe blu, dello stesso colore del vestito che indosso, che ho nella mano sinistra. Ho cercato delle ballerine che si potessero abbinare ma non sono riuscita a trovarle, e il colore del vestito, stretto in vita e che cade leggero sui fianchi, non mi ha aiutata molto.
“Ho pensato che sarebbe stato più veloce arrivare alla porta di casa senza.” Le spiego.
“Ma se sono almeno di cinque centimetri più basse rispetto alle mie!”
“Io e i tacchi, amore eterno, lo sai no?” Ironizzo mentre ci dirigiamo verso la porta di casa. “Anzi sai cosa ti dico? Che posso arrivare scalza anche fino alla macchina.”
“Basta che ti sbrighi, sono già le nove.”
Così mi metto a correre per il vialetto fino a raggiungere la macchina nera già in moto sulla strada.

“Sbaglio o sei scalza?” Chiede Liam guardandomi attraverso lo specchietto, mentre Elisa entra in macchina chiudendo lo sportello.
“Hai qualcosa contro il mio spirito hippie?” Scherzo tentando di infilarmi i distruggipiedi blu.
Liam ed Elisa ridono.
Zayn si porta le mani davanti gli occh. “Anche mia cugina, di tre anni, saprebbe camminare su dei tacchi del genere.” Commenta poi.
Lo minaccio guardandolo dallo specchietto, mentre gli altri due stanno per scoppiare a ridere. “Magari non saprò camminarci, ma posso sempre usarli come arma infilzandoteli nel centro del cranio razza di idiot…”
“Liam ma gli hippie non erano tutti ‘pace e amore’ una volta? I tempi sono proprio cambiati.” Mi lancia una sguardo di sfida, Liam ed Elisa scoppiano definitivamente a ridere ed io continuo a fissarlo in cagnesco.
“Vaffanculo Zayn!”

Siamo, o meglio, sono stata tanto in pace le sere precedenti in cui non è voluto uscire.Ccos’è? Tutto ad un tratto è uscito dalla sua depressione per venire a rompere le scatole a me?
 
2:30

“Bhé, direi che si sia ripreso del tutto.” Affermo bevendo l’ennesimo drink dal sapore strano quanto il colore. Il volume alto di ‘When love takes over’ mi rimbomba nel petto, la testa sta per esplodermi e i piedi… ho ancora dei piedi?
“Già, meglio così.” Dice Elisa fissando a sua volta Zayn di fianco ad una moretta tutto pepe praticamente spalmata su di lui, su uno dei divanetti rossi sul lato destro del piccolo locale.
“E tu dove hai lasciato il tipo sul quale ballavi prima?” mi dice Elisa.
“Hey, intendi CON cui ballavo non SU cui ballavo!” Scoppio a ridere e lei con me.
“Si si certo, come dici tu. Per un momento ho davvero creduto che me lo sarei ritrovata domani mattina a colazione, e mi sono ritrovata a chiedermi se mi sarebbe davvero dispiaciuto.”
“E poi sarei io l’ubriaca qui?” Inizio a ridere sguaiatamente insieme ad Elisa, mentre tutto intorno a me continua a girare per il troppo alcool. “Comunque l’ho seminato tra ‘bring me to life’ e ‘don’t you worry child’ dicendogli che mi sarei andata a rinfrescare.”
“Ma dai poverino, ci ha seriamente creduto?” Annuisco. “Cosa aveva che non andava? Muscoli, capelli da ‘dottor stranamore’…”
“Occhi verdi…” continuo io.
“OCCHI VERDI?” Urla Elisa sbarrando gli occhi. “CHE DIAVOLO AVEVA CHE NON ANDAVA?”
“Mi ha chiesto se fossi fidanzata.” Le spiego guardandola.
“E allora?”
“Come e allora? Vuole una cosa seria. E’ un bravo ragazzo, non faccio decisamente al caso suo.”
“Oh Rosy…”
“Andiamo a cercare quei due, sono quasi le tre di notte.” La interrompo.
Lei annuisce e scendiamo dagli sgabelli. Per poco non cado tra l’alcool che ho in corpo e le scarpe che non accennano a darmi tregua.
 
3:20

Elisa riesce a stento ad aprire la porta nel buio. Si è dimenticata la chiave della porta principale, per fortuna la chiave del piano terra è sulla sbarra della tenda fatta di perline, altrimenti avremmo dovuto aspettare l’alba per chiedere ai nonni la chiave di riserva.

Entriamo, e la prima cosa che faccio e togliermi i tacchi e sdraiarmi sul piccolo divanetto verde nel grande soggiorno della cucina rustica.
“Grazie al cielo. Potrei anche dormire qui.” Sospiro massaggiandomi i piedi, mentre Elisa e Liam, troppo stanchi anche per proferire parola iniziano a dirigersi al piano superiore.

“Avanti scansati, fammi posto.” Inizia ad imprecare Zayn, gesticolando verso di me. Non sembra tanto ubriaco, non so come faccia a reggere tutto quell’alcool, mentre io sono molto poco lucida. Credo che la sua stanchezza sia dovuto per lo più al fatto che non dorma da giorni.
“Stai parlando con me?” biascico, anche se ho capito, ma non ho nessuna intenzione di alzarmi da questo divano.
“Rosy, non costringermi ad usare le maniere forti.” Inizia spostandomi le gambe.
“Come mai in questo momento non sei nel letto di quella troietta bruna invece di rompere le palle a me?” Sussurro ad occhi chiusi.
Allontana le sue mani dalle mie gambe, arrendendosi evidentemente nello spostarle.

Un minuto di silenzio, credo se ne sia andato.

Ad un tratto mi sento sollevare dal divano, apro gli occhi incontrando i suoi e noto che sono in braccio a lui, capisco le sue intenzioni quando si volta verso la poltrona di fianco al divano.
“METTIMI GIU’ IDIOTA NON AVRAI IL DIVANO!” urlo dimenandomi tra le sue braccia.
“Fa silenzio, sono le tre di notte, e smettila di dimenarti così cadr…”

Non fa in tempo a finire la frase che cadiamo entrambi sul divano, lui su di me. Sento il suo respiro caldo sul mio collo e il suo profumo di pulito e vaniglia mi pervade le narici, perdo totalmente quel che era rimasto della mia lucidità. Inizio a ridere come una deficiente, per la situazione, per l’imbarazzo, per l’alcool, per noi che non ci toccavamo da anni e adesso…
Lui mi segue, mentre solleva il viso dalla fessura del mio collo. Si ferma a fissarmi negli occhi con un'espressione seria per qualche secondo, poi si alza.

“Vado di sopra okay.” Alza le mani in segno di resa, continuando a non staccare gli occhi dai miei.
“Finalmente l’hai capito.” Dico con un sorrisetto soddisfatto alzandomi dal divano e dirigendomi verso il frigo, abbandonando definitivamente le scarpe al centro della stanza.

Ci voltiamo le spalle.
Dopo qualche secondo due mani si appoggiano sui miei fianchi facendomi voltare velocemente, mentre un paio di labbra estranee intrappolano le mie. Mi morde il labbro inferiore approfondendo il bacio, mettendo una mano dietro la mia nuca.

“Zayn siamo ubriac…non possi...” tento di reagire dopo un pò poggiando le mie mani sul suo petto, ma qualcosa in me si spezza.

Si allontana per riprendere fiato, “Se vuoi che mi fermi, dillo adesso.” Soffia sulle mie labbra, e sento che la testa potrebbe esplodermi da un momento all’altro. Lo guardo negli occhi e…no, non posso, continuo a ripetermi che non posso ma non riesco ad oppormi. Così mi lascio andare.

“Senza sentimenti.” gli sussurro nell’orecchio sinistro e sussulto al tocco delle sue labbra sul mio collo.                       
“Senza sentimenti.” mi risponde mentre rafforza la presa sui miei fianchi.

Mi solleva da terra riportando le labbra sulle mie, e mi fa sedere sul tavolo del soggiorno, mentre inizio a sbottonargli la camicia nera iniziando ad intravedere il fisico asciutto ed allenato, inizio a seguire il contorno immaginario degli addominali e lui rafforza la presa sulle mie cosce.

E’ sbagliato, è tutto sbagliato, eppure non riesco a muovere un muscolo per scappare da lui, da me.



LOOK AT ME.
Hola bella gente, come va?
Scusate per l'attesa e per il capitolo schifoloso, ma il caldo asfissiante mi sta fondendo il cervello.
Questa volta il capitolo è ambientato nel passato, abbiamo scoperto cosa tormentava Zayn ed è venuto fuori il lato oscuro(?) di Rosy lol. Riguardo questi due...MA COSA MI COMBINANO?
Ringrazio come sempre tutti per il vostro appoggio e, se il capitolo vi è piaciuto sarebbe fantastico se lasciaste una mini recensione.

A presto,
Daisy.

 

 

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Capitolo 5
*** Masks. ***


         

4.

Masks.

Provate a leggere il capitolo con sottofondo una playlist di Einaudi.
23/05/15 (Presente)

Quand’ero in seconda liceo, Alexis, una mia compagnia di classe dai capelli ramati e lunghi fino ai fianchi e dagli occhi grandi e vispi, in un tema in classe mi descrisse come una persona equilibrata.          
“Equilibrata”, fu proprio questo l’aggettivo che utilizzò, e ricordo ancora cosa pensai appena me lo disse… è davvero così che appaio all’esterno? Rimasi sbigottita, mi sarei aspettata di tutto, introversa, ordinata, ritardataria, secchiona, bacchettona, complessata, riservata, ma non equilibrata. Forse cercava un termine più gentile per racchiudere tutti questi aggettivi, forse tentava di non ferirmi con qualcosa del genere ‘troppo chiusa, non parla mai’ come era suo solito farmi notare, eppure scelse“equilibrata”. Ricordo di essere rimasta lì ferma a fissarla per i successivi trenta secondi senza fiatare, finché non aveva intervenuto Elisa con “Già, trasmetti una sorta di tranquillità.”. Fu uno dei momenti che mi segnò di più al liceo, continuai a ripensarci e a rimuginarci sopra per giorni, settimane, mesi.

Mi chiedo se sia tranquillità ciò che trasmetto ora, se anche a te in questo preciso istante appaia come una persona equilibrata. Quanto può essere spessa la maschera dell’uomo? E quanto può essere indistruttibile tale maschera? Pirandello diceva:  “C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.” Con quale numero di maschere siamo in grado di giocare e prendere in giro le persone che ci circondano? Arriverà mai un giorno in cui ci stancheremo di nasconderci dietro strati di sorrisi, lacrime, smorfie e saremo nessuno anche di fronte a qualcun altro che non sia il nostro riflesso allo specchio? Nessuno. Fa paura pensare di essere nessuno, qualcuno senza identità, senza un nome, un cognome, o dei tratti da associare a qualcun altro. Essere nessuno, essere senza regole, limiti, la parte più cruda di noi, quella che ci fa paura. Essere nessuno ci spaventa perché quando rimani in quell’angolo della camera, solo, non sei più un’identità in un gruppo, ci sei solo tu, ed è in quel momento che arriva il vero affronto con te stesso. Allora usiamo le maschere perché ce lo imponiamo, non possiamo essere nessuno davanti a qualcun altro, nemmeno davanti alla persona che amiamo. Ci imponiamo di non farlo, perché il nostro inconscio sa che se mai quella persona uscirà dalla nostra vita, noi dovremo essere capaci di gettare quella vecchia maschera per indossarne una nuova, ma se mai ci fossimo rivelati come nessuno, allora dovremmo gettare noi stessi, perché la nostra identità si sarebbe ormai fusa con quella dell’altra persona e noi non esisteremmo più. Allora si, ben vengano le maschere se ci permettono di sopravvivere, ben vengano se ci permettono di distaccarci dalla colonia, ben venga la mia maschera della persona equilibrata, della tranquillità.

E chissà quale maschera sto indossando ora, mentre osservo i bordi delle maniche della mia felpa grigia, rovinati dal sudore, mentre cerco di non farmi toccare dalle parole, che continuano ad aleggiarmi intorno come falchi, mentre cerco di far resistere la mia bolla di sicurezza, mentre cerco di distaccarmi da quella voce a pochi passi da me, dalla tua voce.

E chissà quale maschera stai indossando ora tu, mentre tenti di far combaciare le parole e di farle susseguire una dietro l’altra in modo ordinario, senza alterazioni, lasciando fuori le emozioni, come per evitare di potere distruggere l’equilibrio dell’universo, la cosiddetta entropia, la misura del grado di disordine di un sistema, eppure bastiamo noi due a pochi centimetri di distanza a creare disordine. Mi racconti della tua vita in questi otto mesi, del lavoro da meccanico, della tua vecchia moto che hai venduto, del tuo anno sabatico, della tua decisione di iniziare l’università questo settembre. Ogni emozione viene scartata, messa da parte, chiusa in qualche scatola troppo piccola e deformata, nascosta su qualche alto ripiano di qualche impolverata libreria, una di quelle librerie dal legno scuro e secco al tatto, una di quelle che profumano di vissuto e amato, di Petrichor, come te, una di quelle librerie dagli scaffali soffocati da libri ingialliti e dalle copertine dai colori ormai spenti, quei libri che contengono vecchie storie di mare, di terra, di sorrisi, lacrime, silenziosi sospiri, di noi. E dove siamo noi adesso? Intrappolati in quelle vecchie pagine ingiallite, o qui seduti su una scomoda panchina nel piccolo e vecchio parco giochi a pochi passi da casa mia? Dov’è il nostro noi? Esiste ancora? Appartiene al passato? Dove siamo? Cosa stiamo facendo? Quale maschere stiamo usando?

E vorrei chiederti il perché del tuo anno sabatico, tu che eri così orgoglioso della tua scelta, di ciò che eri riuscito a conquistare, hai deciso di premere il tasto pausa, il maledetto tasto dei ricordi. E io non ci credo che tu abbia fatto vincere la paura,la paura di rimanere fermo mentre tutto intorno a te è frenetico. E la tua vecchia moto? “E’ l’unico momento in cui è il mondo a fermarsi, ed io riesco a correre via.”, mi dicevi. E chissà quante maschere nascondevi lì sopra, o se magari, proprio lì, eri nessuno.

La sequenza di parole viene interrotta, fai un sospiro e mi chiedi della mia, di vita, in questi otto mesi. E cosa potrei dirti? Potrei raccontarti delle mie macerie quando sono arrivata qui quel cinque Settembre, che sembra così lontano e distante da questa panchina, così lontano da ciò che siamo ora, anzi, da ciò che io sono e che tu sei, perché non mi sembra giusto usare il noi, quel noi dei libri impolverati, no, non è giusto. Potrei raccontarti delle mie notti insonni durante i giorni che succedettero, delle urla soffocate nel cuscino, delle mie lunghe e solitarie passeggiate alla ceca, senza sapere dove stessi andando, cercando semplicemente un posto per me, un posto dove potere essere nessuno, dove potere togliere ogni maschera facendo crollare ogni pezzo del mio puzzle. Potrei, ma non lo faccio, perché so che indosserei una maschera troppo sottile e non posso. Così ne cerco una migliore, una maschera che mi permetta di restare nella mia bolla. E ti racconto dell’università, dei corsi, del mio lavoro al Dress & Dress, della casa, di Lora, Elisa, Harry, Louis, e continuo a guardare questi lembi rovinati delle maniche perché è l’unica cosa alla quale posso aggrapparmi per rimanere nel presente, e non venire risucchiata in un’altra dimensione, quella che un tempo era nostra. E non so perché continuo ad utilizzare questi pronomi, noi, nostro. Ci sono io, e poi ci sei tu, su questa panchina.

Quante maschere sono poggiate su questa panchina, in questo tardo pomeriggio di una primavera quasi soffocata dai colori, una primavera indecisa, ancora incastrata tra un lungo inverno paralizzante, ed un’estate troppo frenetica. Sembra quasi non riuscire a decidere se il mondo sia pronto ad affrontare la frenesia, o se sia meglio rintanarsi ancora per un po’. “L’estate, è dove l’inizio e la fine si incontrano.” credo di avere letto da qualche parte, e quando l’inizio e la fine si incontrano noi siamo lì, in mezzo a loro, davanti il nuovo, dietro il vecchio, e noi siamo la primavera, e la paura prende il sopravvento, fino a che punto si può lasciare andare? Eppure basta così poco, il tempo di un sospiro, oppure ci illudiamo che sia così facile per imporci che in realtà il problema siamo noi. Noi che creiamo legami, noi che utilizziamo maschere sempre più sottili, nonostante sappiamo quanto pericoloso possa essere. Cos’è che ci spinge ad un tale pericolo? Un bisogno carnale? O forse spirituale? L’adrenalina è un potente anestetico, ma quando  tale effetto anestetizzante passa, il dolore è così crudo e vivo da lacerare la parte più intima di noi. Possiamo indossare centomila maschere, nasconderci nella nostra bolla di sicurezza, ma sarà troppo tardi. Ed ogni pezzo del nostro puzzle crolla, come se non trovasse più una base d’appoggio, come se ci mancasse la terra sotto i piedi. Siamo fatti proprio come i puzzle, ogni pezzo è legato ad un altro, e poi ad un altro ancora, ed è così difficile farli incastrare tra di loro nel modo corretto, strano come basti poi un soffio di vento a distruggere tutto ciò che hai costruito. Per questo, quella sera quando ti chiesi spiegazioni sulle tue stupidi abitudini da festaiolo e tu mi risposi che era l’unico modo per dimenticare quanto tutto fosse incasinato attorno a te, io ti costrinsi a seguirmi di sotto a fare un puzzle, perché è ciò che siamo noi, è ciò che è la nostra vita, pezzi di puzzle che cerchiamo di far combaciare, per una volta avremmo potuto indossare la stessa maschera. Ed è forse stato quello il momento in cui ho abbassato la guardia, ho indossato una maschera troppo sottile, e tu eri lì, davanti a me, e mi guardavi stupito ma con aria di sfida, quel tratto che ti ha sempre caratterizzato.

E mi ritrovo a chiedermi quale maschera tu stia indossando adesso, adesso che sei a pochi centimetri da me e queste quattro assi di legno sono l’unica cosa che ci unisce, perché se avessi la forza di cercare una maschera abbastanza spessa allora mi girerei a guardarti, o forse… forse non basterebbe neanche questo. Ho il timore di guardarti da quando, questo pomeriggio allo stesso orario di ieri, hai suonato al mio campanello, e da nessuno qual’ero sono dovuta diventare qualcuno. E quando ho aperto la porta ti ho visto, ma non guardato, ho preso le chiavi di casa e la felpa, e sono uscita, mentre tu eri al mio fianco. Il vento iniziava a soffiare quando hai iniziato a parlare dopo qualche minuto,  ed era già tornato il freddo sulla mia pelle quando ho indossato la felpa dai lembi delle maniche rovinati, e di nuovo  non sono riuscita a distinguere l’effetto del freddo, dall’effetto che mi provoca il suono della tua voce. E quante maschere dovrò ancora indossare con te, fino al momento in cui non troverai il tuo pezzo di puzzle mancante e te ne andrai? E sai anche a me mancano dei pezzi di puzzle, ma cerco di far incastrare quelli che ho, e anche se alle volte il disegno appare distorto rispetto a come era raffigurato sulla scatole delle istruzioni, va bene comunque, e come dicesti tu, “Chi ha architettato questo rebus non l’ha mica risolto eh, quello l’ha lasciato da fare a noi.”, e allora io faccio del mio meglio.

Come sembra lontana quella notte del puzzle. E chi l’avrebbe mai immaginato? Eccoci, dopo otto mesi da sconosciuti, qui su di una panchina qualsiasi, in un piccolo insignificante parco di Brighton, a parlare delle nostre vite da sconosciuti, senza avere il coraggio di guardarci in viso, escludendo qualsiasi tipo di sentimento e di emozione, escludendo noi stessi, con la nostra pila di maschere accanto.



LOOK AT ME.
Scuuuuuuuuuuuuuuuuuuusate l'enorme ritardo, ma ho avuto una settimana abbastanza intensa.
Comunque eccoci con il nostro quarto capitolo di #Petrichor, questa volta al presente. E' un capitolo un pò particolare, perché come avrete potuto notare si tratta di un soliloquio di Rosy, non vi sono dialoghi evidenti, ma si può notare come sia presente tra i due (Rosy e Zayn) una sorta di riassuntivo racconto delle loro vite in questi otto mesi, durante i quali sono praticamente stati sconosciuti. E' un capitolo al quale tengo particolarmente perché incentrato molto sulle emozioni e su ciò che prova Rosy, e vi sono molto aspetti di me presenti in esso. 
Perciò spero di non avervi deluso, e ringrazio come sempre tutti coloro che seguono la storia :)
Se il capitolo vi è piaciuto allora sarebbe fantastico se lasciaste una mini recensione, oppure potete contattarmi su twitter (@/DaisyYrral) per qualsiasi cosa.

Buonanotte people,
Daisy.

P.S.
E se scrivessi una One-shot su Niall? Work in progress, fatemi sapere cosa ne pensate ;)





 
 

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Capitolo 6
*** No feelings. ***



 
 5.

No feelings.

 

8/07/14 (Un anno fa..)

La luce che filtra attraverso la sottile tenda del balcone mi risveglia del tutto dal mio dormiveglia, eppure non riesco ad aprire gli occhi a causa del forte mal di testa che mi dà il buongiorno. Mi volto a fatica verso il piccolo comodino color nocciola di fianco al letto, concentrando ogni mia forza nello spostare il braccio destro verso il cellulare posato su di esso. Nel momento in cui lo schermo si illumina il mio mal di testa aumenta notevolmente nello scoprire che sono le undici, e non ho nessuna intenzione di alzare la testa dal cuscino visto che probabilmente la forza di gravità avrebbe la meglio su di me e mi ritroverei sdraiata sul pavimento. Credo proprio che non avrei dovuto prendere quel settimo drink, forse a quest’ora starei molto meglio. Quando trovo il coraggio di sollevarmi, sedendomi sul bordo del letto la stanza inizia a girare vorticosamente, e mentre tento di fermare la giostra intorno a me noto di essere in intimo e che Elisa non è nel suo letto, fantastico. Mi alzo lentamente dal letto, e scorgo il vestito che indossavo la sera prima appoggiato malamente sulla sedia arancio della scrivania. Seguendo il profilo del muro mi dirigo, sempre molto lentamente, verso il bagno di fianco alla stanza. Una volta entrata in esso chiudo la porta alle mie spalle e apro il getto freddo della doccia, evitando appositamente lo specchio, mi basta sentirmi uno schifo, quindi al momento posso anche evitare la visione celestiale della mia faccia e dei miei capelli. Mi libero degli ultimi due pezzi di tessuto che indosso, e mi infilo nel box doccia quando la temperatura dell’acqua sembra essere tiepida. Il getto dell’acqua è forte sulla mia pelle, alzo il viso verso di esso e mi sembra di ritornare a respirare, risvegliandomi del tutto dai ricordi confusi di ieri sera.

Aspetta un attimo…
Ieri sera…
NO.
OH MIO DIO.
IO NON… MERDA.

Okay, va tutto bene, abbiamo solo fatto sesso, non è la prima volta che le mie notti estive finiscono in questo modo, l’unico problema è che… DIAMINE NON CON LUI. NON DOVEVA ACCADERE CON LUI. Niente panico, eravamo entrambi ubriachi, è stato solo sesso da ubriachi, del buon sesso da ubriachi, okay, continua a respirare.

 


Non ho avuto il coraggio di utilizzare il phon e così ho lasciato i capelli bagnati, sciolti sulle spalle, e tento di prepararmi mentalmente alla ramanzina che mi farà Elisa per questo.  Il caldo oggi sembra essere opprimente nonostante indossi dei miseri pantaloncini di stoffa ed una canottiera, e mentre entro in cucina mi viene da pensare che sarebbe ora di aprire il condizionatore.

“Rosy hai i capelli bagnati? Ti farà male Dio mio, poi non venirmi a starnutire intorno!” Ecco appunto. Sbuffo mentre mi avvicino al piano cottura cercando la mia tazza. Lancio una veloce occhiata verso il tavolo al centro della piccola stanza dove sono seduti Liam che mi fa un cenno con la mano in segno di saluto, Elisa che continua a guardarmi male, e Zayn che… mi fissa le gambe nude…  Faccio finta di niente, apro lo sportellino in alto nel mobiletto di fianco al frigo, e prendo la mia tazza. Nel momento in cui mi volto il suo sguardo è ancora lì, giuro che se non la smette potrei lanciargli da un momento all’altro la tazza che mi ritrovo tra le mani. Mi avvicino al tavolo trascinando fastidiosamente la sedia a terra, provocando un orribile stridio, e finalmente scosta lo sguardo dalla mia pelle fino al mio viso con un espressione in volto al quanto infastidita.

“Potresti evitare…?” Si lamenta accennando al rumore fastidioso che ho ACCIDENTALMENTE fatto con la sedia, di tutta risposta lo incenerisco con lo sguardo. Mi siedo di fronte Liam, che non perde occasione per ridere dei nostri battibecchi. Credo si siano svegliati pochi minuti prima di me, perché sono ancora tutti intenti nel fare colazione. Inizio a versarmi il caffè, sperando che questo mi aiuti a trovare il coraggio per affrontare la giornata dopo circa quattro ore di sonno, quando la caffettiera mi viene letteralmente rubata dalle mie stesse mani. Cos’ho fatto di male per meritarMI QUESTO?

Mi volto verso di lui imbestialita e credo di potere percepire Liam ed Elisa smettere di respirare per qualche secondo. Zayn rimane tranquillo, con la caffettiera appena rubata stretta nella mano destra, mentre si versa del caffè nella tazza.

“CHE CAZZO FAI?” Okay, forse sto urlando un po’ troppo ma, diamine… nessuno mi toglie il caffè la mattina.
“Mi verso del caffè nella tazza, perché?” Sto per dare di matto, me lo sento, darò di matto.
“BHE’ CONTROLLA CHE IN QUELLA CAZZO DI TAZZA INSIEME AL CAFFE’ NON CI SIA CADUTO ANCHE IL TUO STUPIDO MICROSCOPICO CERVELLO.” Sbraito mentre mi riprendo la caffettiera dalle sue mani.
“E tu vorresti bere del caffè? Sai che effetto fa sul sistema nervoso? Mi pare che stamattina tu sia già abbastanza nevrotica di tuo, lo faccio solo per il tuo bene.” E così dicendo mi sfila nuovamente la caffettiera dalle mani.

Gli lancio un sguardo che credo si avvicini molto a quello di un assassino in procinto di compiere l’atto, mentre lui continua a fissarmi con la sua solita aurea tranquilla e… DIAMINE ADESSO VEDIAMO CHI LA SPUNTA!

“Oh che gentile a preoccuparti della mia salute…” dico riprendendo la caffettiera.
“…allora…” mi alzo facendo il giro del tavolo avvicinandomi a lui, che mi guarda confuso.
“…lascia che io mi preoccupi della tua igiene.” Ed è un istante, una frazione di secondo, che il restante caffè rimasto nella caffettiera si riversa addosso a Zayn in modo copioso.
“Anzi guarda, in omaggio ti faccio anche un massaggio per far in modo che lo shampoo abbia più effetto.” E inizio a massaggiargli i capelli zuppi ormai di caffè. Spalanca la bocca e la sua espressione è indescrivibile quando mi  avvicino al suo volto, chiedendogli se vuole in aggiunta anche una maschera nutriente a base di marmellata, indicando il barattolo di quest’ultima, al centro del tavolo.

“SEI CADUTA DAL LETTO QUESTA MATTINA E HAI SBATTUTO LA TESTA PER CASO?” Urla alzandosi, e sottraendosi alle mie mani. Liam trattiene a stento le risate, penso per evitare di ferire emotivamente ulteriormente l’amico, mentre Elisa scoppia totalmente a ridere osservando come la canottiera di Zayn, bianca fino a qualche minuto fa, sia ora dello stesso colore del caffè.

“Lo prenderò per un no, ma ne sei sicuro? Perché le punte mi sembrano un po’ secche, farebbe bene un po’ di maschera nutrien…  No grazie, io noN NE HO BISOGNOZAYNALLONTANATIDAMEEPOSALAMARMELLATA” Urlo allontanandomi, camminando all’indietro, da lui.
“Tu hai controllato le mie punte, voglio solo restituirti il favore…”
“Zayn no… ZAYN… ELISA FERMALO!” Urlo mentre inizio a correre fuori dalla cucina, entrando nel grande salone, ma dopo pochi secondi mi ritrovo spalle al muro.
“Ti ringrazio per l’interessamento Zayn, ma le mie punte stanno benissimo e i miei capelli sono super idratati.” Dico tutto d’un fiato quando si avvicina sempre di più, e io faccio aderire maggiormente la mia schiena al muro.

“Mmh forse hai ragione…” Dice guardandomi negli occhi, e non mi sembra di potere cantare vittoria di già, così capendo che sta tramando qualcosa cerco di terminare questa storia al più presto strisciando lungo il muro, tentando di allontanarmi da lui, ma è più veloce di me. Mi blocca appoggiando il braccio sinistro al muro, a qualche centimetro dal mio viso.
“Che ne diresti invece di una maschera facciale?” Fa uno dei sui soliti sorrisetti sghembi,  e dopo neanche una frazione di secondo inizia spalmarmi marmellata appiccicosa su tutta la faccia, mentre l’odore acre delle ciliegie è in contrasto con il sapore fin troppo dolce che percepisco leccandomi i lati della bocca.

Inizio ad urlare e ad imprecare mentre lui continua a riempirmi la bocca di marmellata, così poggio le mani sul suo torace nel tentativo di allontanarlo, ma anche questo risulta essere inutile, finché non riesco ad affondare i denti sul lato della sua mano e pestandogli un piede lo spingo facendolo indietreggiare, e liberandomi dalla sua presa. Zayn si lamenta guardando i segni che i miei denti hanno lasciato sul suo pollice.
“Hai delle zanne al posto dei denti?” Sputa fuori, agitando al mano.
“Fottiti Malik.” Sbotto con espressione orgogliosa, iniziando a ridere per la smorfia di dolore che ha sul viso ora. “E smettila di piagnucolare, sembri una femminuccia.”
“Vuoi davvero che ti dica a cosa somigli tu in questo momento?” Risponde riferendosi al capolavoro che ha appena fatto sulla mia faccia, che in questo momento deve avvicinarsi molto ad una ciliegia gigante.
“Per colpa tua ora dovrò andare a fare un’altra doccia.”
“Oh povera piccola Rosy, come sopravvivrà ad una seconda doccia? Se risulta essere un’esperienza così terribile e stancante per te, potrei offrirti il mio aiuto, se vuoi…”
“Non provare a toccarmi maniaco!” Urlo un po’ troppo forte puntandogli l’indice contro.
“Eppure ieri notte non mi è sembrato ti dispiacesse molto che io…”
“SMETTILA.” Lo interrompo di nuovo, “…e abbassa la voce, eravamo ubriachi, soprattutto IO ero ubriaca.”
“Ma abbastanza cosciente da potertene ricordare stamattina…” dice facendo qualche passo verso di me. “Non prendiamoci in giro, eri abbastanza consapevole di quello che stavamo facendo.” Sorride. “Lo volevi anche tu, e ti è piaciuto.”
“Perché, vorresti dire che a te non è piaciuto?” Questa volta sono io ad alimentare il discorso, con un sorrisetto strafottente.
“Non ho mai detto questo, Rosy.” Sussurra, ormai ad un palmo dal mio viso, e rieccomi di fronte a quelle sfumature castane, quanto tempo è passato dall’ultima volta che mi sono concessa di riflettermi in esse.
“Bene.” Esordisco ad un tratto come risvegliandomi e, allontanandomi da lui indietreggiando. “La doccia la faccio prima io e non provare a contraddirmi, mi hai già tolto il caffè stamattina, e non so davvero se riuscirei a rispondere delle mie azioni.”
“Oh che paura.” Dice in modo ridicolo. Sbuffo voltandogli le spalle, diretta verso il corridoio.

“Ah… e Malik…” mi volto verso di lui.
“Mmh…” Alza lo sguardo dal mio fondoschiena, come previsto.
“Smettila di guardarmi come se mi avessi vista nuda.” Termino la frase voltandomi, ed entrando nel corridoio che porta al piano superiore.
“Ma io ti ho vista nuda.” Mormora ridendo, e per tutta risposta alzo il dito medio, mandandolo mentalmente a quel paese.
 


Pov. Zayn

Le gocce d’acqua scendono lentamente lungo la schiena quasi a volere donare per qualche secondo in più una sensazione di sollievo sotto il getto dell’acqua. E mi sembra di potere sentire ancora il suo profumo incastrato fra di esse, sui vetri appannati del box doccia, o forse è solo la mia pelle che profuma ancora di lei dopo la scorsa notte.

E quando la tentazione era divenuta ormai troppo forte, quando i nostri corpi si erano sfiorati per la prima volta dopo così tanto tempo su quel divano, quando la sua risata troppo forte e felice da ubriaca aveva invaso le mie orecchie, avevo ceduto. Nonostante il tentativo di andare via e allontanarmi da lei, quando l’avevo guardata negli occhi, così lucidi e vivi, il desiderio di appropriarmi di quella luce, anche solo per così poco tempo aveva ormai iniziato a farmi impazzire. Poi c’era stato quel bacio, e ora devo chiudere gli occhi per tentare di materializzare quelle labbra di nuovo sulle mie. La sua leggera esitazione, il suo “no, siamo ubriachi” soffocato da un altro bacio. Poi quella frase, che di riflesso avevo ripetuto, “Senza sentimenti”,come a volere sigillare una promessa silenziosa. E in quel momento avevo letto, nonostante il luccichio, nei suoi occhi, la paura, e mi era sembrata casa. Perché io nella paura ci vivo ogni giorno, nella paura di perdermi, di perdere, di sprofondare, e vederla riflessa nei suoi occhi, mi era sembrata quasi più leggera, quasi sopportabile, la paura.

E la scansione del tempo si era persa tra un rintocco e l’altro, tra un sospiro e l’altro, e il luogo era divenuto momento, e il momento era divenuto noi. Quel suo leggero movimento del capo all’indietro, abbassando le palpebre, mentre le mie labbra seguivano la linea delle sue clavicole, e i soffi diventavano sospiri, e i sospiri voglie. Non avevo voluto lasciare segni su quella pelle così sua, come a volere passare inosservato, quasi come un ladro. Eppure io di lei non avevo rubato nulla, se non una notte, ieri notte, quando la sua pelle era divenuta fuoco a contatto con la mia. E giurerei di essermi sentito vita, mentre tremava sotto il peso del mio vuoto, che forse  poi, non era più tanto tale.

E qualche volta la sento questa sensazione di completezza, attraverso l’alchool, il sesso, mi  permettono di percepire il mondo, e i vari sentimenti in modo ampliato, permettendomi di afferrarne qualche sfaccettatura, magari solo per pochi secondi, poi ritorna, la paura. Ma ieri, ieri qualcosa era andato al posto giusto, e quel vuoto non ero riuscito a trovarlo più, e quella piccola fitta di paura l’avevo sentita di nuovo, ma era paura di avere perso anche quella sensazione, alla quale, alla fine, mi ero abituato così tanto da averne bisogno, il vuoto. Ma poi la paura era scomparsa, anche lei, e a quel punto ero rimasto solo io, solo io e nient’altro come non succedeva da tanto tempo. E no, questo non era mai successo.

E quando lei si era alzata, scostandomi e aggiustandosi i bordi del vestito, quando quel calore era iniziato a mescolarsi con l’aria che ci circondava, e la pressione delle sue dita sottili stava iniziando a svanire sul mio collo, lei aveva alzato lo sguardo verso di me, ed era stato come se l’avessi guardata per la prima volta, con il battito ancora appena accelerato nel petto, riflesso sul suo. I capelli appena più lunghi dell’altezza delle spalle, di quel colore simile alla luce al tramonto, biondo affogato in sfumature quasi rossicce, gli occhi verdi, ma non quel verde acceso, quasi un verde terra, con pagliuzze dorate autunnali, le labbra piene ancora arrossate, che non accennavano a far trasparire alcuna emozione, e quei lineamenti così delicati, ma allo stesso tempo decisi. Ed era di una bellezza quasi distruttiva, mentre si portava la mano a scostare una ciocca di capelli davanti al viso. Ed io mi ero sentito così piccolo ed impotente mentre lei si avvicinava a me con esitazione, ma senza smuovere gli occhi dai miei, mentre compiva quello scarso metro che ci separava, che aveva risucchiato in pochi secondi i sospiri soffocati da scontri di labbra e il groviglio di emozioni che si era creato fra i nostri corpi. E poi ci aveva ripensato, come risvegliata da un sonno profondo, aveva fatto qualche passo indietro, e si era voltata, interrompendo quel contatto visivo, andandosene, e avevo finto di non seguire la sua ombra mentre saliva le scale, allacciando la cintura dei miei pantaloni. E pochi minuti dopo, seduto su quello stesso divano dove tutto era cominciato, il vuoto era ritornato. Lentamente e quasi impercettibilmente era tornato al suo posto, mentre cercavo di trovare il coraggio di addormentarmi, di abbandonarmi al sonno, come ormai non riuscivo a fare da circa due mesi. E tutto era tornato come prima, quasi inviolato. E quanto avrei voluto in quel momento che lei avesse lasciato dei segni, sulla mia di pelle.

L’acqua scorre, e insieme a lei i miei pensieri, e come a volere porre fine anche ad essi chiudo il rubinetto della doccia. Mi avvolgo un asciugamano in vita ed esco dal bagno, trovando Liam sul mio letto mentre utilizza il mio portatile.

Alza lo sguardo accorgendosi della mia presenza nella stanza.
“Capisco che hai quei bei pettorali da potere mettere in mostra, ma non vorrai rendere la situazione ancora più calda con Rosy…”
Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva. “Liam, di cosa diamine stai parlando?”.
“Voglio solo sire che…” inizia, mettendosi seduto sul sottile lenzuolo bianco, mentre chiudo la porta alle mie spalle e mi appoggio ad essa, “… insomma, i litigi tra di voi sono sempre più frequenti, e sappiamo entrambi che tu non sei un tipo attaccabrighe, a meno che...” Lo guardo sempre più confuso, e lui sembra capire, sospira alzando gli occhi al cielo. “…A meno che non ci sia qualcosa sotto, qualcosa che ti interessa davvero, ecco.”
Sbuffo sonoramente, e lascio andare pesantemente le braccia lungo i fianchi. “Liam…”
“No Zayn.” Mi interrompe prima che io possa dire qualcosa. “Non tentare di prendermi in giro, non tentare di prendere in giro ME, ci conosciamo da fin troppo tempo.”
“Smettila. Ed esci dalla mia camera, dovrei vestirmi.” Gli dico abbastanza scocciato da questa situazione, scostando lo sguardo da lui e dirigendomi verso il comodino della biancheria intima.
“Ma insomma Zayn, era davvero necessario rubarle la caffettiera stamattina?! O fare quella sciocca battuta sui tacchi e… perché per una volta non ti lasci andare a ciò che provi.” Dice a voce un po’ troppo alta, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta, mentre tento di ignorare le sue parole.
“Come al’asilo, quando avevi preso una cotta per quella bambina, quella con i capelli ricci che portava sempre le fasce per capelli…Jase…Jane…”
“Jade.” Lo interrompo, chiudendo in modo brusco il cassetto e alzandomi da terra. “Si chiamava Jade.”
“Si ecco lei. Continuavi a farle i dispetti per attirare la sua attenzione… Bhé, la storia si ripete.” Dice aprendo la porta e uscendo dalla stanza.
“Fottiti Liam.” Sbuffo, prima che si chiuda definitivamente la porta alle spalle, lasciandomi andare sul letto.

Senza sentimenti.
Ripeto a bassa voce chiudendo gli occhi, quasi come a volere essere un promemoria.

Senza sentimenti.




SBAAM! HOW ARE YOU?
Si sono viva, se questa è la domanda che vi state ponendo in questo momento lol. So che è passato probabilmente un mese dall'ultima vlta che ho aggiornato, ma purtroppo per svariate ragioni non ho potuto pubblicare prima. Non ho avuto molta voglia di scrivere in queste ultime settimane, ma ora le cose vanno meglio, e tenterò di recuperare il tempo perduto, I promise.
Ringrazio come sempre tutte le persone che mi stanno sostenendo nel corso di questa mia avventura, soprattutto @/hughimismydream e @/ssweetpandicorn, grazie mille di tutto.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, o per lo meno spero sia decente, e mi raccomando lasciate una piccola recensione e fatemi sapere cosa ne pensate, in tal modo aggiornarò ancora più velocemente, e mi farebbe infinitamente piacere :)
Vi ricordo che potete contattarmi anche su twitter (@/DaisyYrral) per QUALUNQUE cosa.

A presto,
Daisy.
 

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Capitolo 7
*** For us. ***



6.

For us.

23/05/15 (Presente...)

Non posso fare a meno di posare lo sguardo su i due alberi solitari, oltre l’altalena dalla vernice rossa e verde che forma ormai delle crepe sul ferro arrugginito, che sembrano essersi volutamente isolati dagli altri alberi, che per mano dell’uomo o per volere di madre natura, sono incentrati a Est del parco. Il leggero vento ne smuove le foglie appena verdi, e alcune di loro cadono a terra, dopo avere disegnato per aria una sorta di addio.

Strano come qualcosa di così invisibile e leggero, come il vento, possa smuovere dalla loro tranquillità e sedentarietà gli alberi, considerati un po’ come rappresentanti di sicurezza, con le loro radici e la loro maestosità nel mostrarsi padroni del mondo, dall’alto della loro saggezza. Eppure basta il vento a piegarli, a piegare le loro folte, o per alcuni di loro povere, chiome. Il vento, qualcosa di così mistico e affascinante mentre si dimena nel silenzio della sua teatralità, arriva con un urlo rotto da singhiozzi, e nel tempo di un respiro, piega ai suoi piedi tutto ciò che incontra, non fa domande, non attende risposte, prende tutto ciò che gli viene offerto senza dare nulla in cambio, se non un brivido di vita soffocata. Alle volte sembra stia ridendo, ma una di quelle risate distruttive, come a volere nascondere un pianto amaro, una di quelle risate isteriche, bagnata da lacrime e incastrata tra urla atroci di dolore. Eppure non piange mai, il vento, non si piega mai alle sue stesse emozioni, combatte, combatte fino allo sfinimento, fino a lacerarsi, combatte contro tutto e tutti, cielo e terra, e la sua forza diventa quasi tagliente, dolorosa e viva. E il vento è un po’ come l’amore, una ferita dolorosa che ti ricorda di essere vivo, è tutto ciò che ti dà in cambio. Distrugge tutto ciò che incontra lungo il suo cammino, ogni tua certezza, tutti i tuoi piani, ti toglie il respiro invadendo ogni tua più piccola particella. Ti graffia la pelle, fino ad arrivare all’anima, ti lascia delle cicatrici profonde, perché è così egoista da dovere essere certo che, anche quando andrà via, quando scivolerà via silenziosamente come un’ombra, nulla nella tua vita sarà più come prima del suo arrivo, nulla sarà più lo stesso. Tu non sarai più lo stesso.

Era proprio questo ciò che tu temevi, perdere te stessa, arrivare un giorno a guardare la tua immagine riflessa in uno specchio e non riuscire più a riconoscere quella persona. E quando ti eri ritrovata faccia a faccia con i tuoi sentimenti, quando questi si erano scaraventati su di te quasi soffocandoti, quando non eri più riuscita a sfuggire a loro, hai avuto paura. Ed io ero lì, davanti a te, e quando avevo letto lo smarrimento nei tuoi occhi che avevano smesso di riflettere i miei e vagavano per la stanza in cerca di un aiuto, un appiglio, una risposta, a quel punto, avevo iniziato ad urlare parole sconnesse tra loro, nel vano tentativo ti riportarti in superficie, nel vano tentativo di farti ritornare a respirare, con me. Eppure, mi era sembrato che quelle parole rimanessero sospese in aria per qualche secondo per poi smaterializzarsi nel nulla, andandosi a mescolare con l’aria circostante, come piccole bolle di sapone. E tu te ne stavi lì, a fissare il vuoto. Il tuo petto aveva iniziato ad abbassarsi e a sollevarsi quasi in modo impercettibile, come a volere consumare il meno possibile l’ossigeno presente in quella piccola stanza, come se quello potesse bastare  a farti scomparire, tipico di te, quando ti sentivi di tropo in una situazione tentavi sempre di diventare minuscola, quasi trasparente agli occhi degli altri. Ma con me non sarebbe andata come previsto, tu non avevi previsto questo, non avevi previsto noi. E quando ti eri ritrovata a dovere affrontare tutto ciò, che ti sembrava fin troppo grande anche per potere essere definito, avevi fatto un passo indietro, mentre io ne facevo uno in avanti. A quel punto mi era sembrato quasi di potere leggere il mio vuoto, il vuoto che mi ero portato dentro in tutto quel tempo prima di Noi, riflesso nei tuoi occhi, ed era come vederti scomparire in quella voragine. Cosa ti avevo fatto?

Soffiava il vento in quel tardo pomeriggio di fine Agosto, quel vento tipico del periodo, quando l’estate inizia ad essere stanca, stanca di quella finta euforia nell’aria, stanca di se stessa, e allora inizia ad invecchiare. Non era un vento distruttivo, somigliava quasi all’esalazione di un ultimo stanco respiro, ad una resa. Non c’era voglia di combattere, non c’era resistenza, solo un sussurro appena percettibile all’udito, e quel leggero pizzichio sulla pelle, quanto basta per farti venire la pelle d’oca, l’annuncio della conclusione dei giochi, la resa dei conti.

Era un vento ben diverso da quello che ci circonda adesso. Se quello segnava una conclusione, una fine, questo non sta facendo altro che mescolare con violenza le carte di gioco, di nuovo. Questo vento, contro il quale stanno combattendo quei due alberi in fondo al parco, sembra essere qui per rispolverare il passato. Non è una fine, è quasi una sorta di pungente e fastidiosa speranza.

Sei qui, io sono qui, e tutto ciò che ci separa è una porzione di queste assi di legno ossute e ruvide al tatto. Ti stringi nella tua felpa grigia come a volerci scomparire dentro, e continui a torturare i bordi consumati delle lunghe maniche, allungandoli verso l’esterno per poi stringerli nei palmi delle mani, come a volerti aggrappare ad un qualsiasi contatto con il presente. Eppure, nonostante i movimenti spasmodici delle tue mani, esse non smettono di tremare da quando le hai posate sul pomello della porta d’ingresso tirandolo verso di te, facendo scattare la serratura, e io devo cercare di rivolgere l’attenzione altrove, devo per forza cercare di concentrarmi su qualcos’altro, perché in un gesto improvviso potrei finire col prenderle nelle mie e soffiarci sopra nel tentativo di riscaldarle, e tu finiresti per guardarmi con quell’aria scocciata e cercando di nascondere una risatina, e fingendoti annoiata, mi diresti a bassa voce di smetterla, ma le tue mani rimarrebbero comunque nelle mie. E’ ciò che sarebbe accaduto circa nove mesi fa, quando tutto era ancora così indistinto e bello nella sua confusione, senza un nome, senza una definizione, tutto così congelato. Ora… ora un brivido mi percorre la schiena al solo pensiero di come potresti reagire al mio tocco, e mi manca, il contatto delle tue dita fredde sulla mia pelle. Hai lo sguardo fisso davanti a te, su un punto indistinto, mentre io mi volto lentamente verso di te, quasi in modo impercettibile, come a non volere distruggere questa sorta di calma straziante. E inizio a soffermarmi su ogni minimo particolare del tuo profilo. Un’espressione stanca, quasi arrendevole, si fa spazio tra i lineamenti dolci, ma più marcati rispetto all’ultima volta in cui ho potuto delinearne i contorni, le sopracciglia leggermente aggrottate, e le corte ciglia a contornare quegli occhi, persi chissà dove, così sfuggenti che a stento riesco a riconoscere, le labbra screpolate e in alcuni punti più rosse, segno che hai ricominciato a morderle nel sonno. I capelli raccolti in una frettolosa treccia che ricade sulla spalla sinistra e che arriva fino a metà seno, a conferma del fatto che tu non li abbia tagliati in questi nove mesi. La mia attenzione viene catturata dal collo magro e chiaro, sul quale risaltano alcune sottili vene, e alla base di esso, il filo nero della collanina con il ciondolo a forma di lucchetto, che ricade nello spazio tra le due clavicole, quest’ultime, sembrano essere più sporgenti di come io le ricordassi, e ciò mi porta a pensare a quanto tu sia dimagrita in questi mesi. Indossi una semplice t-shirt bianca, probabilmente di una o due taglie più grandi, visto come la tua esile figura si perda in essa, mentre le magre gambe sono strette da un paio di skinny jeans scuri. Risalgo lentamente con lo sguardo, fino a soffermarmi sulle tue mani posate in grembo. Le dita sottili e lunghe continuano a stringere i bordi della felpa, diventati ormai più scuri probabilmente a causa del sudore, mentre lo smalto nero rovinato sulle corte unghie mangiucchiate fa risaltare ancora di più il colore quasi trasparenti di esse, che nel frattempo continuano a tremare in modo quasi impercettibile. Risalgo ancora con lo sguardo, e mi mordo l’interno guancia quando la mia attenzione ricade sui tuoi occhi. Dove sei? Sembri persa chissà dove, e io vorrei solo prenderti per mano e trattenerti qui, con me. Ti prego, torna, ovunque tu sia, ti prego. E sarà quella luce spenta che hai nello sguardo, il tremolio delle tue mani, o forse semplicemente il tuo corpo, l’insieme di frammenti di ossa, che urla di stare combattendo da troppo tempo, una battaglia contro un nemico che non esiste, ma per un momento, una frazione di secondo, ho avuto quasi l’istinto di prenderti per un polso e tirarti a me, facendoti posare al testa contro il mio petto e accarezzandoti la schiena. Perché Dio solo sa quanto mi manchi il tuo profumo, il tuo corpo contro il mio, pelle contro pelle, anima contro anima. Ma qualcosa mi blocca dal compiere tale gesto, probabilmente la crudele consapevolezza di quanto tu possa sbriciolarti tra le mie stesse mani, fino a quasi scomparire del tutto. In ogni cosa tu, ora, non sei qui.

Volti il viso dall’altro lato perché evidentemente ti sei resa conto del mio sguardo su di te, e sembra  quasi che esso bruci sulla tua pelle, così distolgo gli occhi, riportandoli su i due alberi in lontananza. Fai un respiro profondo, come se fossi appena tornata in superficie dopo essere stata sott’acqua per troppo tempo, e quando ritorni a fissare quel punto indistinto davanti a te inizi a torturarti le labbra.

“Io non ce la faccio, scusa.” Ed è un sussurro, un attimo.
Stai scappando, di nuovo. Ma non questa volta, questa volta sarò abbastanza forte da combattere per entrambi, per quel noi




AND IT'S A BEAUTIFUL DAY NANANA.
Hola bella gente, how are you? Come promesso non ci ho messo troppo ad aggiornare, anche se il capitolo mi fa abbastanza schifo ed è anche un pò più corto del solito, ma vi prometto che con il prossimo mi farò perdonare. Come avrete potuto notare è un capitolo di passaggio che mi serviva per analizzare la situazione vista da parte di Zayn, dopo averlo fatto da parte di Rosy nel quarto capitolo. Vi posso assicurare che dal prossimo le cose inizieranno a movimentarsi, SICURAMENTE LOL.
Ringrazio tutti coloro che seguono la storia, lettori silenziosi e non, I see you haha.
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una piccola recensione, anche se vi ha fatto schifo, siamo qui per migliorare.
Potete trovarmi anche su twitter (@/DaisyYrral), per QUALSIASI cosa.


Al prossimo capitolo,
Daisy.



 

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Capitolo 8
*** Like an actor. ***


7.
Like an actor.



9/07/14 (Un anno fa...)

“Credo che ordinerò una pizza per stasera, anche perché sembra che mia madre non abbia avuto proprio tempo per fare la spesa in questi giorni se si prova ad aprire il frigo.”
“Ai pomodorini?”
“Rosy, ma che domande fai?” Alzo le mani con espressione ingenua, Lora e la sua pizza con i pomodorini.

Credo mi si sia addormentato il sedere a causa della posizione scomoda in cui mi trovo, seduta sulle scale color panna, con il pc poggiato sulle gambe. Lo schermo del mio cellulare, posato accanto a me si illumina, e solo adesso mi rendo conto che è passata circa un’ora e mezza dall’inizio della video chat con Lora, su skype. Mi sembra così strano pensare al modo in cui ci siamo conosciute quella sera di inizi Settembre di circa sei anni fa. Mi trovavo distesa su una stuoia la cui paglia continuava a darmi un fastidioso prurito alla schiena, e la testa continuava a girarmi vorticosamente. Ricordo quella sera come se fosse successo l’altro ieri. Il suono a cui mi ero ormai abituata dopo circa trenta minuti che mi trovavo lì, era quello delle piccole onde che andavano ad infrangersi a riva, e il fresco tipico delle sere di Settembre iniziava ad essere pungente sulle braccia scoperte. Poi era arrivata lei, i passi incerti sulla sabbia, e il forte odore di birra, e senza aprire gli occhi avevo pensato ‘Dio ti prego, chiedo solo un po’ di pace lontano da tutti.’. Quando avevo aperto gli occhi, si era seduta a pochi passi da me, sulla sabbia, mentre una musica indistinta da discoteca proveniente da molo, dove si stava tenendo la festa di fine estate, rimbombava alle nostre spalle, e aveva poggiato la bottiglia di vetro verde accanto a lei. Era buio, ma per quel poco che riuscivo a vedere, osservando i lineamenti di profilo, mi sono ritrovata a pensare che doveva avere al’incirca la mia stessa età, capelli ricci e lunghi fino a metà spalle, di colore scuro, quasi nero. Aveva lo sguardo perso lì dove mare e cielo si incontrano, fino a fondersi in una strano indistinto blu, profondo come entrambi. Ad un tratto si era coperta il viso con le mani e aveva urlato “Dio perché ci ricasco sempre?” E io avevo pensato ‘Ecco la solita stupida ragazzina che si ubriaca per un ragazzo a soli quattordici anni, per favore, non stasera.’ E a quel punto non mi ero più trattenuta, ne avevo abbastanza di ragazzi per quella sera. “Sul serio ti ubriachi per un ragazzino?” Le avevo detto a voce un po’ troppo alta, alzandomi sui gomiti e voltandomi verso sua direzione, “Andiamo, vuoi davvero sprecare la tua vita dietro uno stupido ragazzo al quale non frega nulla di te?”. Ero stata dura e crudele, talmente crudele che quando si era girata verso di me con gli occhi lucidi, sul punto di piangere, mi ero affrettata a borbottare scuse insensate, dicendole che quelle parole erano per lo più riferite a me stessa, e che mi ero solo sfogata su di lei, ma questa mi aveva interrotto e “Quello stupido ragazzo e mio padre, che se n’è andato di casa quando avevo solo quattro anni, ogni estate ritorna, illudendomi che ‘questa volta rimango, davvero’, e poi sparisce nel nulla dopo neanche una settimana.” Delle lacrime le erano scese lungo le guance, quando aveva terminato la frase, che era molto più di essa, era un pezzo della sua vita, e dalla sua espressione, quasi rassegnata, sembrava che quelle parole avessero preso forma solo nel preciso istante in cui le aveva pronunciate ad alta voce. E lei si era lasciata andare in balia di esse di fronte a me, una ragazzina sconosciuta, che aveva incontrato per sbaglio in spiaggia, acida, e che per poco non le dava anche della stupida. Iniziò tutto in quel preciso istante, quando i nostri mondi si erano scontrati, e la sua vita era entrata a fare parte della mia. Lei si trovava qui solo in vacanza, e sarebbe ripartita una settimana dopo per ritornare in un piccolo paesino del Piemonte. La distanza non fu mai un problema per noi, e ora eccoci, meno di due mesi e mezzo e ci ritroveremo ad essere coinquiline in una piccola città a meno di un’ora da Londra, Brighton. Sembra quasi un sogno. Lo è.

“Oh cazzo Rosy, chi diavolo è ciaosonounostrafigosenzamaglietta alle tue spalle?!” Il fiume di ricordi che mi stava investendo pochi secondi fa viene interrotto dall’urlo eccitato di Lora. Mi risveglio bruscamente dai miei pensieri, e la guardo in modo interrogativo, mentre lei, con gli occhi sbarrati, fa un gesto di saluto con la mano destra, continuando a guardare alle mie spalle. Inizio a voltarmi lentamente, quando la figura di Zayn, in lavanderia appoggiato alla lavatrice, senza maglietta, e con solo indosso un paio di pantaloncini grigi da tuta, entra nella mia visuale. Sta ricambiando il saluto di Lora, mentre un sorrisetto compiaciuto, probabilmente per il nomignolo con cui la mia amica ha richiamato la sua attenzione, ‘ciaosonounostrafigosenzamaglietta’, gli si stampa in viso.

Un sonoro sbuffo fuoriesce dalle mie labbra. “Ti fanno tanto schifo le magliette, Zayn?”
“E a te dà tanto fastidio che io non le indossi, Rosy?” Risponde, marcando il mio nome alla fine della domanda.
“La cosa non mi tocca minimamente. Altro tessuto ti stava troppo stretto a causa dei vari strati di presuntuosità che hai addosso?” Ribatto, voltandomi di nuovo verso lo schermo del pc , dal quale Lora non fa altro che continuare a fissare con occhi sbarrati prima me e poi Zayn, e vedo chiaramente il suo sguardo saettare da un punto all’altro dello schermo.
“Alla tua amica, ad esempio, non sembra dispiacere affatto.” Dice con tono altezzoso, e io non posso fare altro che portarmi una mano davanti al viso, imprecando tra me e me, e chiedendomi cosa io abbia fatto di male in questo stupido tardo pomeriggio. Quando ad un tratto percepisco  una presenza al mio fianco. Riapro gli occhi di scatto, e lancio un urlo esasperato notando  Zayn seduto di fianco a me, con la sua solita fastidiosa espressione tranquilla.

“Non ci hanno presentati. Piacere di conoscerti, io sono Zayn.”
“Lora.” Risponde la mia amica con un sorriso.
“Allora… da quanto tempo vi conoscete voi due?” dice Zayn facendo un cenno verso me.
“Circa sei an…”
“SPARISCI MALIK!” Urlo interrompendo bruscamente Lena, che rimane con la bocca semi-aperta.
“Hey, stavamo facendo solo conversazione.” E il suo tono, a differenza del mio, rimane sempre calmo, ma stavolta sembra essere scocciato.
“Bhé, se volete raccontarvi le storie delle vostre vite posso anche darti il suo numero, o preferite che vi lasci soli adesso? Sai com’è, non vorrei mai abbattere un amore da ‘colpo di fulmine’.” Termino la frase mimando le virgolette sulle ultime parole.

Mi fissa intensamente negli occhi, e non sembra affatto turbato dalle mie parole, e questo non fa altro che contribuire a farmi alterare ancora di più. Razza di pallone gonfiato, ma chi si crede di essere? Poi con il suo solito sorrisino strafottente in viso, si volta nuovamente verso lo schermo, dal quale traspare una Lora in procinto di prendere dei popcorn per gustarsi al meglio lo spettacolo.

“E’ stato un piacere conoscerti, Lora.” Le rivolge un mezzo sorriso mentre si alza dal gradino, dirigendosi al piano di sotto, mettendo in bella mostra i muscoli tesi della schiena, liscia e ambrata, mentre si porta la mano sinistra sulla nuca.

Distogli lo sguardo. Rosy, distogli lo sguardo.

“Quello è il tizio che ti sei scopata l’altra notte?!” E per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva, mentre mi accingo a cliccare ripetutamente sul tasto del volume, pregando che Zayn non abbia sentito nulla.
“Sei impazzita Lora? Potevi urlarlo un po’ più forte già che c’eri, forse mio cugino in Francia non ti ha sentita!”
“OH MIO DIO! Voglio dire… wow! E’… wow. E poi voi insieme siete..”
“Wow.. si si, ho capito. Ora smettila.” Dico facendo trasparire ogni mia intenzione di chiudere l’argomento lì. Perché insomma, Zayn è Zayn, ed io sono io. Conosco perfettamente l’effetto che mi fa, e non ho nessuna intenzione di concedergli di nuovo tale potere, soprattutto in un momento così delicato della mia vita. Il trasloco, la partenza, l’università, sta avvenendo tutto con una tale velocità da concedermi a malapena di rendermene conto. Non posso permettermi di  pensare ad una storia ora come ora, anche se Zayn non è per niente un tipo da storie, e sinceramente, neanche io, non so perché io mi stia ponendo questo problema a dire la verità.
“Okay okay, come vuoi tu tesoro. Ora devo chiudere, prima che consegnino la mia pizza a qualcun'altro.” Dice Lora in tono rassegnato, e sporgendomi di poco sulla schiena intravedo la luce calda del tramonto, aleggiare fuori dal balcone della mia camera da letto. 

Guardando in basso, sullo schermo del pc, sono contrassegnate le 20:00, così mi accingo a salutare la mia amica, mentre mi raccomanda di non combinare guai, in sua assenza. E quando uno strano suono, simile ad una bolla che scoppia,  segna la fine della videochiamata, abbasso lo schermo del portatile, fino allo scatto automatico.
Cerco di prepararmi mentalmente al fatto che devo alzarmi da questo scalino, dove sono stata seduta per più di due ore, dandomi mentalmente della stupida sul perché abbia scelto una postazione tanto scomoda. Era l’unico posto fresco in tutta la casa, ecco perché.
 
Il salone è ormai illuminato solamente dalla scarsa luce che entra dalla finestra, che mi permette a malapena di intravedere i lineamenti di uno Zayn al quanto annoiato, ancora senza maglietta, sdraiato sul divano intento a fissare un punto indefinito sul soffitto. Sono quasi le otto e mezza di sera, e a quanto pare sono l’unica a preoccuparsi di una possibile cena. Entrando in cucina sblocco il cellulare trovando la notifica di un messaggio da parte di Elisa, dice che Marianna farà ritardo, e di conseguenza anche lei. Un secondo, chi è Marianna? Probabilmente la donna per la quale sta lavorando come babysitter per i suoi due bambini. Elisa ha una dote innata per i mocciosetti, cioè… volevo dire i bambini. Quella dolce semplicità negli occhi, che ti infonde sicurezza, maniere delicate, questo solo quando si tratta di bimbi, e soprattutto un grande cuore. E’ da quando la conosco, quasi quattordici anni, che non fa altro che inseguire a grandi falcate il suo sogno, diventare pediatra, e nonostante tutto e tutti, le avversità da parte della famiglia, i vari ostacoli che ha dovuto affrontare in questo lungo percorso,  a Settembre inizierà a seguire gli studi di medicina all’università di Brighton, e non credo ci sia cosa che la renda più felice in questo periodo della sua vita.

Io e i bambini, invece, non andiamo molto d’accordo, o forse è solo una strana e distorta convinzione scaturita dalla mia strana e contorta mente, probabilmente legata al fatto che, nei miei sogni più lontani, nei miei progetti futuri, non c’è mai stato nulla di tradizionale e classico. Non ho mai sognato una di quelle famiglie numerose da film americani, stile ‘Una scatenata dozzina’, non ho mai davvero sognato di avere una famiglia tutta mia. Avete presente, all’età di otto-nove anni, quei grossi quaderni , strapieni di foto di abiti da sposa, ritagliate qua e là dai giornali, di nascosto dalla mamma, che non vedi l’ora di fare vedere alle tue amiche al prossimo pigiama party? Ecco, io non ho mai avuto uno di quei grossi quaderni, non ho mai ritagliato foto di abiti da sposa, e non ho mai fantasticato sul mio futuro marito, in sella al cavallo bianco. Nella mia mente, il matrimonio, non è mai stato un punto fisso, un passaggio fondamentale nella mia vita. Ciò non significa che io non creda in Dio, nelle relazioni, che sia una ninfomane, o robe del genere, solo che ho uno schema diverso al momento, da volere perseguire, e il matrimonio e una possibile famiglia non fanno parte di esso. Insomma, non che non creda nell’amore, e nell’innamorasi di qualcuno, nel perdersi negli occhi della persona che hai di fronte, e tutte quelle cose lì, ma a questo punto della mia vita tutto ciò mi spaventa, quasi come se fosse troppo grande, troppo devastante per potere essere affrontato ora come ora.  Probabilmente potrei risultare acida e anche un po’ masochista, eppure credo sia una sorta di autodifesa che mi impongo, una barriera, un muro dietro al quale nascondo un vortice di emozioni che alle volte mi fa talmente paura da dovere chiudere gli occhi per cercare di fermare questa continua marea.

Shakespeare diceva:

 “Come un pessimo attore in scena
 colto da paura dimentica il suo ruolo,
 oppur come una furia stracarica di rabbia
 strema il proprio cuore per impeto eccessivo,
 anch’io sentendomi insicuro, non trovo le parole
 per la giusta apoteosi del ritual d’amore,
 e nel colmo del mio amor mi par mancare
 schiacciato sotto il peso della sua potenza …” .

 



Un primo squillo del telefono mi fa sobbalzare, così rivolgo il mio sguardo al cellulare che ho ancora in mano, dopo avere letto il messaggio di Elisa, ma non appare alcun avviso di chiamata, un secondo squillo, e capisco che si tratta del telefono fisso. Mi dirigo verso il corridoio attraversando il salone, e noto con l’ennesimo sbuffo della giornata, che Zayn non si è mosso di una virgola, nonostante l’insistenza del suono del telefono.

“No ma tranquillo, non disturbarti, vado io.” Dico con sarcasmo gesticolando verso il corridoio, dove si trova il telefono, e lui si limita ad alzare gli occhi al cielo. Sbruffone.

Il corridoio è completamente al buio, e i miei occhi ci mettono qualche secondo ad abituarsi all’oscurità. Quando finalmente trovo il telefono, rispondo.

 

 
POV. Zayn

Il tessuto ruvido del divano punge sulla mia schiena, mentre tento di conservare il più a lungo possibile quel minimo di freschezza che ho provato appena sdraiato.

Vorrei solo potere chiudere gli occhi e addormentarmi. Solo questo, eppure, non ci riesco. Sono sei settimane e tre giorni che non dormo per più di tre ore a notte. Ogni volta che le palpebre calano sui miei occhi, la paura mi assale, e nel momento in cui tento di ignorarla, di spingerla in quel piccolo angolino nella mia mente, e mi abbandono al sonno, dopo poco più di tre ore mi risveglio dai miei incubi. Il primo di questi, circa tre mesi fa, lo ricordo ancora. Ero al centro di quella che, più che una stanza sembrava essere il cyberspazio. Ero circondato di bianco, avevo le braccia tese ai lati del busto, e aggrappate ad esse vi erano all’incirca una decina di persone, tra queste credo di avere riconosciuto mia madre, mio padre, Liam, Elisa, e alcuni miei amici. Avevano tutti una mano posata su una delle mie braccia, e ad un tratto avevano iniziato a correre, facendomi girare sempre più velocemente, come quando si fa quello stupido gioco in cui due persone si tengono per le mani, iniziando a girare, finché una delle due non viene spinta fuori dalla forza centrifuga. E così era accaduto anche nel sogno. Ad una ad una le persone aggrappate a me avevano mollato la presa, scomparendo nel nulla, finché non mi ero ritrovato completamente solo. Avevo iniziato a guardarmi attorno, cercando qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa, ma tutto ciò che mi circondava era il nulla, il vuoto, avevo urlato a squarciagola chiedendo aiuto, ma le parole continuavano a rimbombare, a sbattere contro pareti invisibili, ritornando indietro come un boomerang, ancora più strazianti alle mie orecchie. Mi ritrovavo in un posto senza confini, ma allo stesso tempo limitato, dove vita e morte si scontravano confondendosi, bene e male, luce e buio, giorno e notte, nulla sembrava avere più un senso, e io stavo vivendo la mia paura, perso nelle mie incertezze. Avrei preferito che un buco nero si aprisse sotto ai miei stessi piedi, divorandomi, invece no, ero rimasto lì, rannicchiato a terra, abbandonato a me stesso, che poi di me non era rimasto nulla. Avrei preferito la morte alla solitudine più totale che mi avvolgeva. Nessuno aveva tentato di aggrapparsi con entrambe le mani a me, di tenermi, tutti avevano mollato la presa.

C’è un telefono che squilla, ma non riesco a capire da dove provenga il suono.
“No ma tranquillo, non disturbarti, vado io.” Sento la voce di Rosy, e quando mi volto la vedo passare davanti al salone sbruffando, dirigendosi verso il corridoio. La guardo di sfuggita, mentre varca la porta scorrevole dello stretto e buio corridoio, indossa un paio di shorts neri e una semplice canottiera bianca. Non posso fare a meno che il mio sguardo cada sul suo fondoschiena, e poi sulle lunghe e snelle gambe chiare, e il solo ricordo di due notti fa mi provoca un brivido lungo la schiena. E per un istante, chiudendo gli occhi, mi sembra quasi di potere percepire sulla mia pelle, un minimo di tutte le emozioni provate, emozioni che non provavo da tempo. E io che non volevo altro che ignorare per qualche istante quel vuoto nel petto, con del semplice sesso, come mi era capitato di fare altre volte, mi ero ritrovato a rivivere emozioni che credevo essersi prosciugate da mesi ormai, sulle sue labbra, sulla sua pelle, nei suoi occhi. E le parole di Liam continuano a rimbombarmi nella mente, a saltare fuori illuminandosi, come una fastidiosa insegna al neon ‘… perché per una volta non ti lasci andare a ciò che provi.’. Non so perché. Forse la paura di potere credere in qualcosa che non esiste, dare importanza a qualcosa di irrilevante e passeggero, eppure, nonostante mi ostini ad ignorare il pensiero di lei, sono ormai due giorni che rincorro il suo profumo sulla mia pelle.

Rientra in salotto con un’aria ancora più scocciata di prima, si gira verso di me mettendo le mani sui fianchi.
“Era Liam. E’ bloccato sull’autostrada, non torna per cena, o almeno per la cena immaginaria visto che non c’è cibo in frigo, oltre quei stupidi e insignificanti yogurt alla vaniglia di Elisa. Ma tu tranquillo, continua a startene lì sul divano, perso Dio solo sa dove. Camperemo d’aria per stasera.” Ha uno strano e disordinato chignon in testa che lascia sfuggire alcune ciocche disordinate ai lati del viso, le labbra serrate e gli occhi puntati su di me, in modo minaccioso. E non posso fare a meno di sorridere appena, quando con quell’aria buffa, entrando di nuovo in cucina, allarga le braccia e, lancia un urletto imprecando qualcosa del genere ‘Zayn reagisci’. Già, è quello che dovrei fare, reagire contro i miei demoni, e smettere di vivere in questo continuo stato di 
sonnambulismo.

 

 
POV. Rosy

“Dov’eri quando Dio distribuiva l’altezza?” Abbasso con sconforto il braccio che avevo teso inutilmente verso il piccolo stipetto arancio, dove si trovano le tazze, posto troppo in alto. Mi giro lentamente, e lo ritrovo appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate al petto, posizione che non fa altro che risaltare i muscoli delle braccia e del petto, ancora senza maglietta.

Concentrati su ciò che ha detto Rosy. Cos’è che ha detto?

“Aiutavo i tipi come te a cercare un cervello.” Rispondo acida, “… e una maglietta …” aggiungo tra me e me.

Si affianca a me con un sorrisetto sghembo, guardandomi negli occhi, e senza distogliere lo sguardo, con i nostri corpi a pochi centimetri di distanza, e con il suo respiro sul mio volto, allunga il braccio destro e prende una tazza bianca, porgendomela. Afferro la tazza, eppure lui non si decide a mollare la presa su di essa, che rimane perciò sospesa tra di noi.

“Mi sarei potuta arrampicare su una sedia e prenderla da sola, non c’era bisogno che tu arrivassi con i tuoi stupidi centimetri di altezza in più, a salvare la damigella in pericolo.”
“Mmh… saresti potuta cadere.”
“Pff, ieri ti preoccupavi della mia salute mentale, e oggi di quella fisica? Sono i tuoi istinti da sto-per-iniziare-gli-studi-di-medicina-all’università o cosa?”
“No, dovevo solo ricambiare il favore di prima, sai… con la tua amica, mi devi ancora un numero ora che ci penso…”
“Che idiota.” Dico fulminandolo con gli occhi, ancora riflessi nei suoi, e facendo un passo indietro segnando la fine della conversazione.
“Adesso ti sei offesa?” Anche con la visuale coperta dallo sportello del frigo, percepisco dal suo tono ironico la soddisfazione di avermi fatta irritare ancora di più.
“Zayn, quando capirai che il mondo non gira attorno a te, fammelo sapere…”
“‘fammi un fischio’ è passato di moda?”
“Cosa?” E quando rialzo la testa dal frigo, è poggiato con la schiena al piano cottura, ad un passo da me. Razza di imbecille, perché continua a perseguitarmi.
“Non era ‘fammi un fischio’?” dice scrutandomi negli occhi.
“Non sono mica un cane. Non c’è bisogno che tu fischi, siamo umani, dialoghiamo.” Rispondo chiudendo il frigo con un fianco, e nelle mani la tazza e la bottiglia del latte di mandorla. La mia cena.
“Tu più che dialogare aggredisci.” Sussurra ridendo.
“E quand’è che ti avrei aggredito, Zayn?” Dico in modo falsamente ingenuo.
“Mmh vediamo… ad esempio prima sulle scale? Stavo solo socializzando.” Alza le mani in modo innocente,
“Con una delle mie migliori amiche? Sul serio?” Lo supero, e poggio la tazza sul piano cottura, iniziando la mia lotta contro il tappo della bottiglia, incastrato dallo zucchero appiccicoso.
“Qual è il problema? Io con le tue amiche non posso, ma tu con i miei amici si?” Dice avvicinandosi a me, con il solito sorrisino idiota stampato in faccia.

Di che diavolo parla ora? Lo guardo confusa. E poi eccolo, quel particolare, quel piccolo segno sfuggibile ad un occhio poco attento. Si gratta l’anulare di entrambe le mani, gesto che lo porta a chiudere le mani a pugno. Irritazione. Questa cosa lo innervosisce.

“Josh?… Sbaglio o te lo sei scopata?” Continua. Oh oh. Ecco cos’era. Adesso mi diverto io.
“Ah Josh. Eh già … e che scopata.” Dico fronteggiandolo, stampandomi in faccia un bel sorriso soddisfatto. In realtà non era stato poi un granché. Sarà stata la sua squallida macchina, probabilmente di quinta mano, o quella sua forte acqua di colonia che aveva impregnato tutti i miei vestiti, e che non aveva fatto altro che aumentare la mia nausea, e quella musica fin troppo alta, ma decisamente non era stata una delle mie notti migliori.

Zayn assottiglia gli occhi fino a diventare due fessure, mi guarda per qualche secondo per poi sbuffare un "Come se non avessi provato di meglio".
“Non so davvero a cosa tu ti riferisca …” Sto al gioco.
“Mmh, in tal proposito, devo ancora portare la camicia dalla sarta, dopo che me l’hai letteralmente strappata di dosso, l’altra notte.”
“Non so se essere più indignata per il fatto che tu non riesca ad attaccare due bottoni ad una camicia, o per esserti inventato questa storiella, dipingendomi come una maniaca sessuale. E poi, ha un vuoto di memoria forse? Sei tu che mi sei saltato addosso baciandomi come un ossesso. Ma okay, è stata colpa mia, non avrei dovuto mettere quel vestitino che ti ha fatto perdere il controllo … “ Dico sollevando di pochi centimetri i lembi dei pantaloncini, imitando il vestito corto.

Abbassa lo sguardo sulle mie gambe, leccandosi il labbro inferiore, poi incrocia di nuovo il mio sguardo, e mentre il sole scompare dietro il grande campanile che si intravede dal balcone della cucina, e la luce inizia davvero a scarseggiare, continuo a fissare i suoi occhi brillare, mentre sorrido vittoriosa consapevole di essere riuscita a zittirlo.

Poi è un attimo, questione di secondi. Fa un ultimo passo verso di me e annulla ogni distanza, posando le sue labbra sulle mie. Rimango immobile, mentre posa la sua mano destra poco sotto il mio collo, e la sinistra sul mio fianco, e quando passa la lingua sul mio labbro inferiore, chiudo gli occhi e schiudo la bocca, approfondendo il bacio. Non è un bacio come quello di due notti fa, dove il sapore dell’alchool ti invadeva le narici, e la passione, quasi un bisogno carnale, annebbiava la mente. Questo, lo definirei un bacio più consapevole, eppure tutto intorno a me appare come ovattato e confuso.

Mi morde il labbro, prima di interrompere il bacio, mentre continuo a mantenere gli occhi chiusi, e senza allontanarsi troppo soffia sul mio viso “Il tuo vestito sarà anche stato troppo corto, ma poi io ti ho baciata in questo modo …” fa una pausa e apro gli occhi, incrociando i suoi, lucidi, ancora con il viso a circa un centimetro da me, “… perciò credo sia stata colpa mia.” Termina sorridendo in modo sghembo.

E guerra sia. Non mi allontano, mentre cerco di regolarizzare il respiro.

“Sarà … ma poi ho poggiato le mie mani sul tuo petto.” Dico imitando il gesto, e tentando di ritrovare quel minimo di autocontrollo, trattenendo il respiro, già corto per il bacio, quando le mie mani entrano in contatto con la sua pelle, e sento i muscoli del petto irrigidirsi sotto le mie dita.

Non mi tiro mai indietro di fronte alle sfide. Vogliamo vedere chi cederà per primo? Benissimo, sarà lui.

La distanza tra i nostri corpi è talmente ridotta che riesco a percepire il calore del suo corpo tramite la mia canottiera, eppure il contatto visivo non è mai crollato, e per qualche secondo ho una voglia istintiva di mettermi a contare le pagliuzze dorate in questi due occhi cioccolato, che mi scrutano come a volermi scavare dentro.

Mette le sue grandi e sottili mani sulle mie, ancora posate sul suo petto, poi lentamente le fa scivolare sulle mie braccia, come a volere tracciare un percorso da ricordare al ritorno, arriva fino alle mie spalle e le poggia ai lati del mio collo, mentre tento di non far vacillare la mia stabilità mentale.
“Ho posato le labbra sulla tua mascella, lasciando piccoli baci su di essa, fino ad arrivare al collo …” dice ciò compiendo ogni minimo gesto che accenna, ripetendo esattamente ciò che ha fatto quella notte, solo in un modo più lento ed estenuante. Richiudo gli occhi, e piego la testa di lato trattenendo il respiro, mentre continua a lasciarmi baci umidi fino ad arrivare alla clavicola sinistra.

Devo rimanere lucida. Devo rimanere lucida.
“Io ho iniziato a fare scivolare le mie mani lungo il tuo petto, fino allo stomaco, la pancia, e …” Si lascia sfuggire un leggero gemito, con le labbra ancora socchiuse sulla mia pelle, nel momento in cui poggio le dita sull’elastico dei pantaloncini grigi. Eh già, qualcuno sta perdendo il controllo qui.

“Questo non avresti dovuto farlo, Rosy.” Sussurra al mio orecchio. Porta le mani sui miei glutei facendo pressione, spingendomi ancora di più verso il suo corpo, e riesco a percepire la sua erezione sulla mia coscia.

CAZZO.

Riporto le mani sul suo collo, mentre mi solleva da terra, e avvolgo le gambe alla sua vita. Riprende a baciarmi, questa volta con più foga, infilando le mani sotto la mia canottiera, iniziando a sollevarla, fino ad arrivare al reggiseno. Riporto le mani sull’elastico dei suoi pantaloncini, facendoli scivolare a terra, iniziando a giocare con il bordo dei boxer. Geme nella mia bocca, e questa non fa che eccitarmi ancora di più.

“C’è… il divano… di là ..” farfuglia tra un bacio e l’altro.
“A me… va benissimo qui..” Rispondo, e lo sento ridere sulle mie labbra.
“Ciò… non significa … che hai vinto … tu..” dice, togliendomi definitivamente la canottiera, “... direi… che possiamo fare una … tregua… per oggi.. " continua, ".. Ah... e quel numero... non mi serve.." conclude, con un sorrisetto sghembo.

Lo spingo verso di me con forza, affondando le dita nei suoi capelli scuri, come a volere nascondere quelle troppe parole tra le nostre pelli, a volere mantenere quel silenzio intatto, puro nei suoi mille difetti.

“…Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
 E muti messaggeri della voce del mio cuore,
 a supplicare amore e attender ricompensa
 ben più di quella lingua che più e più parlò.
 Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore
 è intelletto sottil d’amore intendere con gli occhi.”

 (Shakespeare, Sonetto XXIII) 





VAS HAPPENIN'?

Salve people, how are you? 
Se siete ancora integre dopo una settimana del genere, vi faccio i miei più sinceri complimenti lol. Coooomunque, non voglio stare qui ora a commentare tutto il caos che stiamo affrontando nel fandom, in questo periodo, ma sappiate che per qualsiasi cosa io sono qui, potete anche scrivermi su twitter (@/DaisyYrral), per QUALUNQUE cosa, anche un abbraccio a distanza.


PASSIAMO AL CAPITOLO.
E' stato un parto HAHAHA. Come avrete potuto notare, è più lungo del solito, come vi avevo promesso. Avrete anche notato che per le scene di sesso sono negata, proprio un grande e grosso NO lol, infatti arrivati ad un certo punto mi fermo sempre, lasciando alla vostra immaginazione, per evitare conati di vomito vari. 
In ogni caso, spero vi sia piaciuto, se si, lasciate una mini recensione per regalare un sorriso ad una povera sopravvissuta come voi, accetto anche critiche, ovviamente siamo qui per migliorare.
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo la fanfiction, se potessi vi manderei un biscotto virtuale per ringraziarvi.

Recensite e aggiornerò super presto. A breve inizierò a postare anche su Wattpad, ecco il link :) -- http://w.tt/1IYWugN

Un abbraccio,
Daisy.

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Capitolo 9
*** Things I can't. ***



8.

Things I can't.


23/05/15 (Presente.)

Alle volte vorresti solo che qualcuno congelasse il tempo, quel continuo ticchettio delle lancette che rimbomba nelle orecchie, quell’atroce promemoria del tempo che scorre, mentre tu sei lì a cercare di rimettere in sesto la tua vita, te stessa. Allora inizi a cercare, cerchi tra i mille pezzi di puzzle sgretolati ai tuoi piedi, il tuo pezzo, quello che ti serve per cercare di andare avanti, per rendere quei rintocchi di orologio meno pesanti, per poi accorgerti che quel pezzo di puzzle perfetto non esiste più, e che di esso sono rimasti solo frammenti del passato, di ciò che eri. Tutto ciò che puoi fare è rattoppare quel vuoto con quei pezzi che ti sono rimasti, con la pesante consapevolezza che una parte di te è ormai svanita nel nulla. E tu avverti quel vuoto, lo senti, lo percepisci fin sotto la pelle, fino alle ossa, quella mancanza, quella voragine al centro del petto, quella sensazione che ti abbiano svuotata, privata di ogni emozione. E quando ti poni davanti allo specchio, ti ritrovi a fissare l’immagine sfocata, quasi doppia di qualcuno che non riesci più a riconoscere, quella figura così familiare, ma allo stesso tempo estranea.

Chi sono? Dove sono finita? E adesso?

Tutto ciò che riesci a provare è il panico, la paura di non provare nulla, quella voglia malata di far cessare quel vuoto in te, di metterti a graffiare le pareti interne, dello stomaco, del petto, per riuscire a trovare qualcosa, una speranza, per riempire in qualche modo quel nulla. E tutto ciò che riesci a sentire è il battito del tuo cuore che rimbomba nelle orecchie, andandosi a mescolare con quel fastidioso ticchettio delle lancette, che insieme sembrano prendersi gioco di te, come a ricordarti che tutto ciò che ti circonda continua a scorrere come un fiume lungo il suo letto, mentre tu … tu dove sei?

Ma se Alessandro Baricco convinse il suo personaggio, Ismael Adelante Ismael prof. Bartleboom, che ‘lì dove l’acqua arriva, sale sulla spiaggia, poi si ferma,proprio quel punto, dove si ferma, dura proprio un attimo, poi sparisce, ma se uno riuscisse a fermare quell’attimo, dove l’acqua si ferma, lì finisce il mare’, allora un motivo ci sarà. Perché se qualcosa di così immenso come il mare, ha un luogo e un istante dove finisce, allora tutto ha una fine, ma anche la fine ha un inizio, ed è un circolo vizioso, e noi ci stiamo dentro, incastrati fra l’inizio e la fine, come in un gioco malato. E quando ti ritrovi a cercare di sfumare quella linea netta tra fine e inizio, cercando di rievocare il passato per colmare il tuo presente, inizi a sentirti assalire dalla consapevolezza che c’è qualcosa che non va, qualcosa di sbagliato, e ti ritrovi da sola, isolata dal resto del mondo a fare i conti con te stessa, con ciò che è rimasto di te. Ogni decisione presa, ogni scelta fatta, ogni parola detta, o non detta, ogni sguardo, gesto, viene ora soppesato. Inizi ad esaminare ogni passo compiuto, a classificare il giusto dallo sbagliato, e quando l’elenco sotto la parola sbagliato, supera la colonna di fianco, inizia a mancarti l’aria, inizi a sentirti soffocare da tutto quel dolore accumulato nel tempo.

Mi chiedo come si faccia a classificare il dolore, non quello fisico, bensì quello morale. Chi classifica il dolore delle persone, e in base a cosa? E chi stabilisce quale dolore morale sia più devastante di un altro? Non credo si possa, eppure noi stessi continuiamo a paragonare le nostre disgrazie e i nostri drammi, come se tutti vivessimo e affrontassimo tali allo stesso modo. Quanto stupida e ignorante può essere l’arroganza dell’uomo? Che si crede padrone del mondo, quando invece non è neanche padrone di se stesso, e delle sue emozioni. Prigionieri di noi stessi, rinchiusi da sbarre di nostri stessi errori, soffocati da emozioni represse, troppo impegnati a crederci invincibili per accorgerci di quanto in realtà siamo fragili, nello spazio, e nel tempo, scandito da rintocchi di vecchie lancette arrugginite dalla salsedine, di onde ormai stanche di infrangersi, che cessano di esistere, inalando l’ultimo respiro su una spiaggia deserta.

E quando finalmente, riesci a marcare quel confine netto, tra passato e presente, il passato viene a cercarti, ti rincorre e ti urla di voltarti e guardarlo in volto. Ti assicura che tutto tornerà come prima se solo farai quel passo indietro, ti conforta con ricordi, ed è come se ti offrisse di rindossare la tua vecchia pelle. Suoni di vecchie e lontane risate, il cui tonfo rimbomba in una pozzanghera di vecchie lacrime, prima ride in modo sguaiato, poi urla straziando ogni altro rumore intorno a te. E tu ti ritrovi a dover fare una nuova scelta, a dover prendere una nuova decisione, proprio adesso che avevi strappato quella vecchia lista del giusto e dello sbagliato, sbriciolando quei piccoli frammenti di carta dietro di te. Ed è buffo pensare ora che, quasi in modo incosciente, ti eri comportata come Pollicino, che per ritrovare la strada di casa, traccia il sentiero con i sassolini. E la scelta sta proprio in questo, scegliere dov’è casa, nel passato o nel presente? Quale persona vuoi essere? Ciò che eri, o ciò che sarai?

E nel frattempo il passato è lì, e tu non riesci a fare a meno di pensare a quanto sia bello, mentre, immobile davanti a te, ti fissa e ti scruta con i suoi occhi color nocciola, nei quali spuntano pagliuzze dorate, con le sopracciglia corrugate in un’espressione quasi di supplica, con le guance più scavate rispetto all’ultima volta che l’hai incontrato, e le labbra rosee ancora semi-aperte, dopo le ultime parole che ti ha rivolto.

'Questa volta no, questa volta non ti lascio andare.' 
E' ciò che ti ha appena detto, mentre stringe la sua mano calda sul tuo polso freddo, mentre l’ennesimo contatto tra due mondi che dovrebbero essere opposti, appartenere a due galassie completamente diverse, avviene. E mentre quasi mi sembra di potere osservare tale scena, tale collisione, dall’esterno, io sono uno dei due pianeti, ed è come se l’attrazione gravitazionale non abbia più effetto su di me,  e io stia collassando nel buio dell’immenso universo. E in quella che sembra essere un interminabile caduta nel nulla, continuo a ripetermi di dovere prendere una decisione, perché neanche qui, neanche in questa dimensione parallela in cui mi sono rifugiata, il tempo sembra fermarsi, mentre sento l’aria smorzarsi nei miei polmoni, e capisco che sto trattenendo il respiro.

Respira Rosy, va tutto bene. Sei ancora qui, va tutto bene.

Sento i battiti del mio cuore percuotersi nel petto, mentre apro lentamente la bocca, in un tentativo di difesa. Le labbra rimangono schiuse per un po’, mentre gli occhi vagano intorno al tuo volto, volto che ha assunto le sembianze del mio passato, di ciò che ho deciso di abbandonare, di lasciarmi per sempre alle spalle, un per sempre durato forse troppo poco. E solo dopo qualche secondo riesco a pronunciare con esitazione, poche parole che vanno ad aggiungere un altro mattone, a quel muro che segna il confine, quel confine, tra me e te.

“Non posso.”
E’ tutto ciò che riesco a dire, mentre sfuggo al tuo sguardo, ma la tua presa rimane forte sul mio polso, perché lo sai, nei sei consapevole, che se mi lascerai scapperò, scapperò da te, per l’ennesima volta.

I tuoi occhi si assottigliano in un espressione confusa. “Cos’è che non puoi?” mi chiedi quasi con scherno.

Non posso stare accanto a te, senza che i brividi mi percuotano. Non posso guardarti negli occhi, senza sentire un enorme peso sul petto e gli occhi bruciare. Non posso toccarti, senza quasi scottarmi al ricordo di quelle notti in cui lasciavo dei segni sulla tua pelle, per il mio masochismo, a volere sparire senza lasciare alcuna traccia, eppure di tracce ne stavo seminando troppe. Non posso rimanere qui con te, Zayn, perché solo pronunciare il tuo nome mi fa tremare la voce, solo ricordarlo è come un lampo seguito da uno di quei tuoni che fanno tremare i vetri delle finestre di casa, che ti fanno provare paura, nonostante tu abbia staccato tutte le spine della corrente, e ti trovi tra quelle stesse mura, al riparo dal temporale in arrivo. Non posso accettare che tu si qui, perché è come se venissi trascinata nel passato, dopo tutto ciò che sono riuscita a ricostruire nel mio presente. Non posso.

“Rosy, cos’è che non puoi?” mi richiedi per la seconda volta, in tono quasi più dolce, dopo qualche secondo di silenzio, mentre continui a fissarmi, e Dio farei di tutto per farti scostare lo sguardo da me.
“Stare qui … tu … non capisci …” cerco di spiegare ma tu mi interrompi bruscamente.
“Cosa non capisco? Cosa? Dimmelo Rosy, dimmelo, perché è da ieri che continui a ripetere che io non capisco, ma tu non me lo permetti. Non mi permetti di capire. Non fai altro che fuggire, anche adesso, se qui … ma in realtà non ci sei. Stai scappando, ancora, non hai mai smesso di farlo. E vorrei solo fermarti e stringerti tra le mie braccia. Stringerti talmente forte da farti smettere di tremare, da spezzare questo patto di fuga che hai fatto con te stessa. Ma tu continui a fuggire, da me, da te stessa, dalla vita. Dici di esserti rifatta una vita qui, di aver abbandonato il passato in Italia, allora perché fuggi da esso? Perché hai quella costante paura negli occhi di cadere? Come se fossi sospesa sul nulla. Perché?”

Hai alzato la voce sulle ultime parole, eppure il tuo sguardo rimane fisso nei miei occhi. Sei in piedi di fronte a me, e siamo poco distanti dalla panchina sulla quale eravamo seduti fino a qualche minuto fa. Tieni ancora stretto il mio polso destro che hai afferrato prima, quando stavo per andarmene, quando stavo per scappare. Di nuovo.

'Stai scappando, ancora, non hai mai smesso di farlo.'
Cosa c’è di sbagliato in me? Perché tutto ciò che tocco appassisce? Perché distruggo tutto ciò che incontro lungo il mio cammino? E’ tutto così sbagliato.

'E vorrei solo fermarti e stringerti tra le mie braccia. Stringerti talmente forte da farti smettere di tremare, da spezzare questo patto di fuga che hai fatto con te stessa.'
Ti prego Zayn, basta, smettila. Per favore.

“Ti prego, dì qualcosa.” E somiglia tanto ad una supplica la tua, ad una preghiera, e assieme ad essa, in marcato contrasto, si sente risuonare nell’aria un tuono non molto lontano. E tutto ciò mi sembra quasi paradossale, talmente paradossale che quasi mi convinco di averlo solo immaginato, visto che non c’era alcun accenno di temporali in arrivo quando sono uscita di casa. Invece ecco essere seguito da un altro, questa volta più forte e cupo del primo, mentre il vento diventa più forte, agitando i rami degli alberi che ci circondano, facendo crollare da essi ogni minimo accenno dell’arrivo di una debole primavera.
Un’immagine distorta della mia vita.

“Devi andartene.” Dico in un sussurro, guardando altrove, mentre tento di mantenere ferma la voce. Sento la tua presa alleggerirsi sul mio polso.
“Devi andartene da qui, da me …” continuo, “… Non vedi? Non facciamo altro che farci del male.” Ed è vero. Nonostante mi tremi la voce, e nonostante io faccia di tutto per non incrociare il tuo sguardo, è la verità. Non facciamo altro che distruggerci a poco a poco, da mesi. E andando avanti così, cosa ne rimarrà di noi?
“Ti prego, vattene.” Concludo, mentre mi sciolgo completamente dalla tua presa, tenendo gli occhi bassi.

Faccio qualche passo indietro, e non faccio altro che pensare che non devo incrociare il tuo sguardo, perché sarebbe la fine. E si, sto scappando, perché andarsene è la cosa più maledettamente facile di questo mondo. E io ho paura. Mentre mi volto, dandoti le spalle, iniziando a correre più lontano che posso da te, mentre la pioggia inizia a scendere sempre più violenta, mentre l’acqua appesantisce la mia felpa già zuppa, e i capelli mi si appiccicano ai lati del viso, mentre la vista mi si offusca, e non riesco più a distinguere le mie lacrime dalla pioggia, penso che sto scappando, ancora, di nuovo, e continuerò a farlo, se questo mi permetterà di sopravvivere.

Perdonami Zayn, perdonami.
 

POV. Zayn

E mentre sento le gocce d’acqua trapassare la mia maglia, e percorrermi la schiena, e l’ennesimo tuono irrompe bruscamente in questo doloroso silenzio, la tua figura è ormai lontana, eppure le tue parole sono ancora qui, a tormentarmi, aleggiano nell’aria e neanche la pioggia riesce a lavarle via.

‘Devi andartene.’ hai detto, ed io sono rimasto in silenzio, troppo stordito da riuscire ad aprire bocca.
‘Ti prego, vattene.’
E sei fuggita via, impaurita dalle tue stesse parole.

“Non posso, Rosy.” Sussurro adesso, quasi alla pioggia, in questo vecchio parco abbandonato.
“Non posso.”
 


MA CIAO FIORELLINI DI CAMPO :)
How are you?
Eccomi con il nuovo capitolo, a distanza di una settimana, ciò significa che non sono in ritardo, che sono stata brava, e che quindi mi merito una piccola recensione. Vii pregoo.
Si conclude qui la scena del parco che andava ormai avanti da tre capitoli (Presente), gioite con me, yeee.
Sono troppo curiosa di sapere secondo voi cos'è successo nel passato che abbia allontanato così tanto Rosy e Zayn, susu spremete le meningi.
Vorrei ringraziare tanto tanto, ma tanto tanto, sasha_thestrange per la sua bellissima recensione, e per avere pensato al nome della ship tra i due protagonisti, ovvero Rayn. Love you Sasha.
Sooo, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, della storia in generale, e dell'
oscura faccenda del passato, lol.
Potete trovarmi anche su twitter (@/DaisyYrral).

All the love,
Daisy xx.

P.s.
In onore del titolo del capitolo, vi lascio questa splendida foto del vecchio tatuaggio di Harry.
Tesoro, quando ci incontreremo, mi dovrai delle spiegazioni riguardo il perché tu l'abbia coperto uff.




 

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Capitolo 10
*** Breakfast at Tiffany's. ***



9.
Breakfast at Tiffany's.


9/07/14 (Un anno fa...)

Sono fermo a fissare questo pezzo di carta ormai da minuti, eppure non c’è nulla di complesso da decifrare in ciò che c’è scritto.

Numero Lora. E a seguire dieci cifre, è ciò che recitano queste due righe strappate da qualche vecchio quaderno trovato per caso. Era stato posato sul mio letto, probabilmente mentre stavo facendo la doccia, e il mittente non era stato difficile da individuare. Ma perché? Insomma, dopo tutto quello che è successo neanche un’ora e mezza fa, dopo averle chiaramente detto che questo numero non mi serviva.

Mi alzo dal letto, infilo un paio di pantaloncini ed esco dalla mia stanza diretto verso quella opposta alla mia. La porta è semi-aperta. La sera è ormai calata da circa un’ora eppure non circola un filo d’aria in tutta casa, nonostante le svariate finestre e balconi aperti. Proprio nell’esatto istante in cui mi avvicino alla porta, e poggio la mano sulla maniglia, essa viene spalancata dall’interno. La figura di Rosy sussulta, quando si accorge della mia presenza, e si porta una mano al petto in modo teatrale.

“Dio, Zayn che diamine fai?!” urla facendo qualche passo indietro, e cerco di trattenermi dal ridere per l’espressione sconcertata che ha in volto.
“Cosa significa questo?” Dico ricordandomi il motivo per il quale mi trovavo davanti alla porta della sua camera, e sventolandole il bigliettino stropicciato a pochi centimetri dal suo naso.
“Il numero di Lora.” Dice con fare ovvio.
“Dimmi un po’, ti sembro idiota per caso?” Le rispondo ironicamente.
Lei tenta di non ridere mordendosi il labbro. “Devo proprio rispondere a questa domanda?”
Poi, notando la mia irritazione continua “Oh andiamo Zayn, mi hai chiesto tu quel numero ed eccoti accontentato.” Dice indicando il pezzo di carta che ho in mano e superandomi, uscendo dalla stanza.
“Mi pare di averti chiaramente detto che non ne avevo bisogno, prima.” Dico voltandomi, perché no, non ho nessuna intenzione di chiudere questa faccenda qui, e non so neanche perché mi importi così tanto, ma mi deve delle spiegazioni dopo tutto. O forse no?
Lei si gira sbuffando, e anche immersi nel buio del corridoio riesco ad intravedere che alza gli occhi al cielo.

Solo adesso, illuminati solo dalla luce proveniente dalla porta alle mie spalle, mi accorgo che è truccata. I capelli sono sciolti sulle spalle, mossi in alcune onde, e sta indossando un paio di pantaloncini neri a vita alta, e una camicetta bianca con alcune decorazioni floreali sui lati, sempre di colore nero. La borsa e le ballerine del medesimo colore confermano che di certo non sta andando a letto.

“Dove stai andando?
“Esco.” Risponde, rimanendo impassibile. La guardo con un’espressione corrucciata. Dove va a quest’ora? Saranno almeno le nove passate ormai, e per di più da sola.
“Ma saranno almeno le nove e mezza, e poi vai da sola?” Dò voce ai miei pensieri, “Fuori è buio e …”
“Oh Dio. Vedi …?” Dice con fare scocciato e gesticolando. “… è proprio per questo che ti ho lasciato quel biglietto.”
“Per cosa?” Dico, guardandola ancora più confuso.
Lei sembra essere indecisa sulle parole da usare, ha un’espressione contorta, e il suo sguardo inizia a vagare nel buio della stanza. Fa un respiro profondo.
“Avevamo detto senza sentimenti.”
“No aspetta, fammi capire. Perciò tu hai pensato ‘prima che il povero Zayn si innamori della piccola Rosy meglio dargli il numero della mia migliore amica, in modo che lui si innamori di lei e si mettano insieme, mentre NOI facciamo sesso’. Le parole scorrono una dopo l'altra prima che io riesca a reagire alla rabbia che sto provando in questo momento. “Giusto? E’ questo il pensiero che ha fabbricato il tuo stupido cervello da maniaca del controllo, no? Mmh… ma sei sicura che alla tua amica andrebbe a genio il fatto che noi facciamo sesso? Perché sec… ”
“Dovremmo smetterla.” Dice quasi impercettibilmente interrompendomi e incrociando le braccia al petto sulla difensiva.
“Cosa?” Le chiedo credendo di avere capito male.
“Dovremmo smettere di fare sesso.” Risponde con più convinzione alzando lo sguardo su di me.
“Lo dici come se fosse colpa mia.”
“Oh ti prego Zayn, adesso non iniziamo questi giochetti di chi sia la colpa o meno. Basta. Questa storia finisce qui, ciò che è successo qualche ora fa non dovrà più ripetersi.”
“Bene.” Incrocio le braccia di rimando.
“Bene.” Risponde con decisione, proprio nel momento in cui il fastidioso suono di un clacson irrompe nel silenzio tra le mura della casa.
“Sono in ritardo” aggiusta la catenella argento della pochet nera, e senza alcun segno di esitazione si precipita giù per le scale.
 

POV. Rosy
3:00 A.M.

“Oh oh qualcuno ci ha dato dentro un po’ troppo stasera.”
“Per favore Zayn, non ho alcuna voglia di litigare.” Sbuffo senza neanche voltarmi verso la sua figura, che intravedo essere appoggiata al basso muretto di fronte la porta del bagno, con le mani nelle tasche dei pantaloncini da tuta. La sola luce giallastra che filtra dalla piccola lampadina sullo specchio mi costringe ad assottigliare gli occhi, e questo non mi aiuta per nulla nella ricerca della stupidissima scatola delle aspirine. Mi balena per la testa l’idea di rinunciare del tutto a quella che sembra un’ardua impresa, finché un’altra atroce fitta alla tempia destra mi costringe a strizzare del tutto gli occhi appoggiandomi con le mani al lavabo. Dovrei smetterla di bere così tanto ogni volta che esco. Ogni estate è sempre la stessa storia, dopo un inverno di solo studio e concentrazione assoluta, mi lascio completamente andare a quella parte di me che di razionale conserva ben poco. Alchool, sesso,  alle volte mi dimentico di avere anch’io dei limiti.

Faccio un respiro profondo e lentamente tento di riaprire gli occhi mentre mi sembra quasi di essere nel mezzo di un vortice per quanto mi giri la testa. E’ ancora qui. Lo so perché il suo respiro è l’unico rumore percepibile in casa, oltre al frinire dei grilli che sento attraverso i balconi e le finestre lasciati aperti. Con le mani ancora posate sul lavabo per evitare di perdere l’equilibrio, mantengo gli occhi bassi, mentre lo sguardo si posa sul ritmico gocciolio del rubinetto che probabilmente non è stato chiuso bene. Ma finisce per darmi la nausea anche questo, le gocce, così sistematicamente ordinarie, a distanza di due secondi l’una dall’altra finiscono per cadere sempre nello stesso preciso punto. Quasi mi viene da ridere. La precisione, proprio ciò che mi manca.

Ma cosa diamine ha da guardare?

Presa da un moto di coraggio alzo lentamente lo sguardo davanti a me, e ricomincio a tirare fuori svariate scatoline di dimensioni e colori diversi. Dove saranno finite le aspirine? Mi chiedo ormai stanca di cercare.

“Perché lo fai?”
Mi immobilizzo. Oh Dio, ti prego fa che sia stato solo un miraggio, un’allucinazione dovuta al pessimo stato in cui mi ritrovo. Fa che non mi abbia davvero rivolto la domanda che credo di aver sentito. Cerco di auto-convincermi che si, è solo questo, non è reale, e continuo a rovistare tra questi tre stretti scaffali.

“Rosy…”

“E tu perché non dormi?” Ed è più forte di me perché sono troppo stizzita dal suo tono saccente, come se, alla fin fine, fosse migliore di me.
“Stavo scendendo a bere ma poi tu e la tua sbronza avete catturato la mia attenzione.”
“Non raccontarmi cazzate Zayn! Da quante notti non dormi? Settimane? Forse un mese? Allora non venire a fare la ramanzina a me chiedendomi perché mi riduco così se prima non risolvi i tuoi problemi di insonnia, okay?” Occhi negli occhi, niente di più vero e crudo direbbe qualcuno, io ho imparato a mentire anche con quelli.

Non saprei decifrare la sua espressione in questo momento, forse perché non si potrebbe descrivere a parole, o molto più probabilmente perché non permette a me di farlo. Mentre io, bhé io richiudo gli occhi come a volere sfuggire in ogni modo a questa situazione, qualunque via d’uscita andrebbe bene.

E lui non si muove, non accenna a contrarre un minimo muscolo, nulla. Lo sguardo ancora fisso su di me, mentre tortura con i denti il labbro inferiore. E in qualunque altra persona assocerei quest’azione al nervosismo, eppure con lui ogni mia certezza vacilla e questo mi spaventa a morte. Perché per quanto io possa cercare di negarlo, per quanto io possa cercare di ignorare ciò che provoca la sua vicinanza al mio corpo, o come io mi senta fin troppo scoperta ogni volta che specchia i suoi occhi nei miei come se volesse leggere la verità in essi, la mia verità, non posso ignorarlo. Forse cerca me e non sa che neanche io so più dove sono o chi sono. Non so bene quando le cose siano iniziate a precipitare. So solo che un giorno mi sono fermata a fissare la mia immagine riflessa nello specchio chiedendomi dove fossi finita. Credo che alla fine, continuando a scappare dai miei demoni, mi sia persa da qualche parte. Non so bene dove, forse a metà tra un qualcosa ed un altro, perché di definito in me non c’è mai stato nulla. Nulla di stabile ha mai caratterizzato la mia personalità, costantemente in bilico tra una commedia americana ed una tragedia francese.  Non so bene perché, insomma non c’è un motivo ben preciso perché io sia così instabile. Ho una bellissima famiglia, degli amici stupendi, e ora mi sono diplomata e realizzerò il mio sogno di conseguire gli studi in Inghilterra, in una delle più importanti università di una città che ha catturato il mio cuore già dalla prima volta in cui ho respirato quell’aria marittima che ha un qualcosa di dolciastro misto al salato. Credo che il mio principale problema sia il volere sempre scavare troppo a fondo in ogni cosa, sempre a cercare l’acqua anche in uno dei terreni più solidi. E alle volte ho bisogno di fermarmi e costringermi a ricordare tutto ciò che di bello mi circonda. Perché non c’è nulla di normale in una bambina di sette anni che pensa al suicidio come ad una sicurezza nel caso in cui le cose di facessero troppo complicate, a come potrebbe finire tutto in pochi istanti se solo lo volesse. Senza neanche riflettere sul dolore che provocherebbe alle stesse persone che la circondano, perché i legami sono ciò che la spaventano di più. Ed è da sempre che mi comporto un po’ come Mss. Holly Golightly in Colazione da Tiffany, allontanando chiunque minacci di mettermi in gabbia. E chissà se è vero che nel frattempo la gabbia me la sono costruita da sola, come dice Mr. Paul Varjak sullo sportello di quel classico taxi newyorkese.

Ed è ancora qui, come congelato dalle mie allusioni, che d'altronde non sono niente più di questo. Perché in fin dei conti io non so nulla di lui, figuriamoci dei suoi problemi, e in pochi secondi mi sono attribuita l’arroganza di sapere. Con quale diritto? Quando imparerò a tenere a freno la lingua sarà troppo tardi. E adesso questa sensazione di colpevolezza non fa altro che andare ad aggiungersi all’enorme pila di sensi di colpa che devo scontare e che vacilla sempre di più per l’altezza ormai raggiunta, minacciando di crollare da un momento all’altro. Un po’ come me adesso, aggrappata a questo lavello, con gli occhi chiusi nel tentativo di controllare il senso di nausea e l’emicrania.

“Zayn, mi disp … “
“Ultimo scaffale, angolo a destra.” E’ tutto ciò che dice prima di sollevarsi dal muretto di marmo bianco ed iniziare a scendere le scale sotto di esso.
Ed eccole, sono proprio lì quasi a prendermi in giro. Anche le aspirine si divertono a ricordarmi quanto io sia idiota.
 

POV. Zayn
4:20 A.M.

Nel buio delle scale si intravede sugli ultimi gradini la flebile luce gialla della lampadina sullo specchio del bagno, ancora aperta. Non sono pronto ad un altro affronto con lei. Mi passo una mano sul viso mentre prendo un respiro profondo, e mi costringo a salire gli ultimi gradini, decidendo di ignorarla completamente dirigendomi dalla parte opposta. Eppure arrivato sul pianerottolo una calma quasi inquietante sembra essersi impossessata dell’aria. E non so cosa sia a convincermi a voltarmi proprio quando ormai mi trovavo sulla porta della mia stanza, ma eccola lì. E’ rannicchiata nell’angolo tra il muro del bagno e lo stipite della porta, la testa poggiata ad esso e le ginocchia strette al petto. Le palpebre calate ed un espressione rilassata, le incorniciano il volto in una strana bellezza, quasi stanca, celata in un sonno profondo.

Non cambierà mai. Non cambierà mai il suo volersi allontanare da tutto e da tutti, la sua convinzione di potercela fare da sola sempre e comunque. Non cambierà mai il suo modo di rivolgersi male a chiunque si preoccupi per lei, quasi con la paura che un giorno debba ricambiare quel sentimento. Non cambierà mai il suo egoismo, anche nei confronti di se stessa alle volte. Non cambierà la sua testardaggine, la sua presunzione, o quanto sia stronza. Non cambierà la sua risata, delle volte talmente forte da domandarti cosa possa celare anche in quella, e non cambieranno i suoi sorrisi, che veri o finti hanno la capacità di toglierti il fiato.

E l’immagine che dà di sé, della ragazza forte e indipendente, entrano in contrasto nella mia mente con colei che ho di fronte in questo momento. I resti di una realtà che viene nascosta e seppellita sempre più a fondo, giorno dopo giorno.

Se solo mi mostrassi chi sei davvero, Rosy. Chi sei mentre piangi nel sonno, mentre le lacrime ti scorrono sulle guancie, e tu sembri non accorgertene, perché chissà in quale mondo ti trovi ora. Forse potremmo soffocare le nostre paure, possedere il nostro futuro, dimenticandoci del passato. Potremmo guarirci a vicenda, se solo ti fidassi di me. Se solo ti concedessi di essere amata.

Senza il minimo sforzo la sollevo da terra circondandole la schiena con un braccio, e l’altro sotto le gambe. E mi sento quasi privilegiato a poterla tenere tra le mie braccia, a potere sbirciare nel suo mondo per un istante. Rosy è stata l’oggetto di una mia ossessione per quasi tutta la mia infanzia trascorsa alle scuole elementari.

Mi ricordo ancora il periodo in cui eravamo compagni di banco, adoravo farla sorridere per le mie stupidaggini. Alle volte bastava uno sguardo a farci scoppiare in una fragorosa risata, per poi beccarci un’occhiataccia da parte della maestra. Sembrava che ogni barriera di timidezza crollasse quand’era con me, era se stessa. Poi qualcosa accadde. Il divorzio dei miei, vari sbandamenti e ci perdemmo di vista. Io la persi di vista, mentre lei era sempre rimasta lì, nell’ombra, a osservare chi fossi diventato. E ho ormai perso il conto di tutte le volte che mi sono maledetto dal giorno in cui le spezzai il cuore. Eravamo forse in terza media, quando la allontanai da me in un modo così brusco da temere di avere scavato per sempre una voragine tra me e lei.
Lei, la mia compagnia d’infanzia. Lei che mi faceva la ramanzina per ogni errore di grammatica che commettevo per poi riderci su insieme. Lei che per prima mi firmò il gesso quando mi ruppi il braccio, con quella sua timida e ordinata calligrafia. Lei che mi raccontava anche i più strani segreti, come la sua fissazione per le coccinelle e per Colazione da Tiffany, la sua fobia per le piramidi egizie, e il ragazzo che piaceva ad Elisa che le stava proprio antipatico perché ‘a me sembra proprio stupido’ mi diceva con quella sua vocina piccola piccola, perché odiava le urla come quelle che le rivolgeva la madre, e l’espressione buffa. Lei che c’era sempre stata, ed io l’avevo abbandonata.
Che cosa ci è successo, Rosy?

Adesso rannicchiata contro il mio petto arriccia il naso, probabilmente per l’odore di fumo di cui è impregnata la mia canottiera, dall’ultima sigaretta fumata. Apro lentamente la porta della sua stanza spingendola con la spalla, sperando che non faccia alcun cigolio. Entro in punta di piedi, scorgendo la figura scomposta di Elisa sul letto in fondo che dorme beatamente. Mi dirigo ai piedi del letto di Rosy e lentamente la poso su di esso. Lei fa un respiro profondo ma per fortuna non accenna a svegliarsi. E nonostante i capelli aggrovigliati sparsi sul cuscino, e il trucco nero sbavato, non posso fare a meno di pensare che sia bellissima , come una rosa appassita che nonostante il colore smorto dei petali sul punto di cadere, risulta essere ancora più poetica di quando era nel pieno del suo splendore.

Le accarezzo delicatamente una guancia, togliendo con il pollice la scia nera di trucco tracciata dalle lacrime.

Ti regalerei un centinaio di coccinelle se potessi. Ti porterei in Egitto affrontando insieme la tua fobia per le piramidi. Ti porterei a New York, mangeremmo quelle stupide caramelle in cui si trova la sorpresa, poi faremmo colazione davanti la vetrina di Tiffany, entreremmo perché ‘lì non può accaderti nulla di male’, e farei incidere le nostre iniziali all’interno dell’anello trovato nel pacchetto delle caramelle. E infine, litigherei con te in uno stupido taxi solo per poi poterti abbracciare sotto la pioggia.

Perché dopo tutto, sei ancora la mia Rosy.
 


TAM TAM TAM TAAAAAAAAAM.
Chiedo umilmente perdono pietà per lo stratosferico ritardo. Lo so lo so, saranno tipo due settimane piene che non pubblico, o forse di più, ma purtroppo prima non ho proprio potuto. Coooooomunque spero che il capitolo vi sia piaciuto, se è così lasciate una recensione o potete farmi sapere cosa ne pensate anche su twitter (@/DaisyYrral). Volevo ringraziare franci10 per la stupenda recensione sull'ultimo capitolo, e grazie mille anche ai lettori silenziosi.
Prometto che tenterò di aggiornare il più presto possibile.

Sempre vostra,
Daisy :)


P.S
Ho iniziato a pubblicare anche su wattpad :) 
https://www.wattpad.com/user/DaisyYrral
 

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Capitolo 11
*** Memories. ***


 
 
 
 

 

10.

Memories.

26/05/15 (Presente...)

A risvegliarmi è il fastidioso suono del termometro accompagnato da una stupida musichetta dello spot pubblicitario di una marca di dentifricio alquanto sconosciuta. Tiro via il termometro da sotto il braccio e, il numero trentotto si riflette a chiare cifre sul piccolo schermo di esso. Fantastico. Ben mi sta. Me ne ricorderò la prossima volta che mi metterò a correre in stile commedia romantica americana, sotto un temporale, che aveva tanto di diluvio universale. E adesso eccomi incastrata tra un paio di coperte in una tarda mattinata di fine Maggio, a cercare di studiare i restanti appunti per uno degli ultimi esami di questa sessione primaverile, che terrò domani, febbre o non. Il cestino accanto al letto è ormai pieno di fazzolettini, mentre la tv è sintonizzata su di un canale che non sembra dare nulla di interessante, a parte repliche di sciocchi talk show che odio profondamente. Mi sarò trasferita ormai da circa nove mesi eppure, tra lo studio e il lavoro non ho ancora avuto tempo di sintonizzare il decoder su qualche canale minimamente decente.

Nonostante i frammenti di svariate raccomandazioni da parte di Elisa che ho cercato di acchiappare prima che lei uscisse dalla mia stanza questa mattina presto, ho aperto la finestra appena ho sentito il rumore del motore della macchina allontanarsi, perché non sopporto in alcun caso l’aria viziata. Eppure ora come ora me ne sto pentendo amaramente perché la luce regalatami dal sole di mezzogiorno non fa che contribuire a darmi noia a tenere gli occhi aperti, così affondo ancora di più la testa tra le pagine dell’enorme libro che ho tra le mani, immergendomi tra le svariate coperte che ho addosso.

Due colpi alla porta e “Chiunque tu sia non ho fame, sete o qualunque altra cosa possa averti spinto a venire a bussare alla mia camera. Lasciatemi in pace.” Urlo per quanto mi sia possibile senza alzare lo sguardo dal foglio sul quale mi sto accuratamente impegnando ad evidenziare tutto ciò che mi è possibile.

“Non ho cibo con me, e neanche da bere. Vengo in pace.” Non può essere. Diamine.

Sollevo lentamente gli occhi dal penultimo rigo fino alla porta, incontrando i suoi. Sorride in modo incerto con le braccia alzate in segno di innocenza. Rimango senza parole per qualche secondo perché lui NON dovrebbe decisamente essere qui, e NON dovrebbe decisamente sorridermi in quel modo, come se nulla fosse.

“Zayn, che ci fai qui? Noi … ne abbiamo già parlato …” Mi interrompe.
“Ho incontrato Elisa ieri sera al supermercato e dopo svariati ‘Oh mio Dio cuginetto da quant’è che non ci vediamo?! Mi sei mancato un sacco!’, mi ha detto che eri malata. In realtà non ce n’è stato davvero bisogno, insomma bastava osservare il suo carrello pieno di brodi già pronti, frutta, verdura e dei disgustosi yogurt che assomigliavano a quelli con i cereali che si ostinava a comprare anche in Italia.” Parla tutto d’un fiato mentre si avvicina con passo incerto, probabilmente per la paura che io possa finire la frase iniziata prima che mi interrompesse. Provo un moto di stizza nei confronti di Elisa, avrebbe dovuto dirmelo, ma poi mi ricordò che effettivamente, ero stata proprio io ad impedirglielo. Tecnicamente avevo impedito a chiunque di avvicinarsi in qualunque modo a me da quel pomeriggio di tre giorni fa, quando ero tornata a casa con i vestiti zuppi, i capelli appiccicati sul viso e sicuramente molto poco propensa a parlare del perché mi trovassi in quelle condizioni. Avevo anche ignorato qualsiasi allusione da parte di Harry e Lora alla mia cera, che già all’ora non doveva essere davvero un granché. Al ‘prendi un’aspirina, hai un raffreddore tremendo’ di Elisa, l’avevo gentilmente mandata a quel paese. Perciò no, non potevo decisamente avercela con lei.

Questo però non cambia il fatto che Zayn, in questo preciso istante si trovi nella mia stanza, a parlare come se nulla fosse dei cereali iper-proteici di Elisa, guardandosi attorno e soffermandosi su una copia distorta del ‘L’urlo’ di Munch, uno dei miei artisti preferiti del 1800, acquistata due anni fa ad una fiera autunnale in un piccolo paesino a pochi chilometri dal mio.

“L'opera è simbolo dell’angoscia e dello smarrimento che segnarono la vita del pittore. La scena rappresenta un'esperienza vera della vita dell'artista.” Dice citando le mie stesse parole, mentre fa scorrere l’indice e il medio sul bordo inferiore della sottile cornice in legno scuro. “Si trovava a passeggiare con degli amici su un ponte della città di … mmh aspetta me lo dicesti. Era Nizza? No no, era qualcosa come Nord …”
“Nordstrand.” Dico a bassa voce. Chiudo gli occhi appoggiando la schiena alla parete alle mie spalle.

« Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.»” Termino riaprendo gli occhi, come ad esalare l’ultimo respiro, revocando i ricordi di pochi mesi fa. Mesi che sembrano essere diventati anni.

Si volta verso di me sorridendo.

“Zayn …”
“Tu odi i talk show.” Afferma osservando il piccolo schermo appeso al muro di fronte al letto. In questo preciso istante odio ancora di più il modo in cui conosce troppi aspetti di me, e ne faccia uso così scorrettamente.
“Zayn …” pronuncio il suo nome in un modo vergognosamente esasperato. E lui cosa fa? Di tutto risposta mi ignora volutamente sedendosi sul bordo del letto ed iniziando ad armeggiare con il telecomando finché il programma in tv si interrompe sostituito da varie schermate di diverse dimensioni nelle quali a turno, strisce rosse e verdi aumentano e diminuiscono, come quando scarichi un programma sul pc.
“Mi spieghi cosa diamine stai facendo?” Sbotto irritata, abbandonando il libro sul quale stavo concentrando ogni mia forza fino a qualche minuto prima, accanto a me. E con lui abbandono ogni mia speranza di riuscire ad uscire fuori da questa scomoda situazione il più velocemente possibile.
Lui non risponde. Continua ad alternare il suo sguardo tra il televisore e i vari tasti del telecomando, finché un’unica piccola schermata grigia appare al centro dello schermo nero con su scritto ‘okay’. E dopo neanche due secondi sembra ritornare il segnale, perché all’angolo dello schermo appare chiaramente il logo della BBC One, che per giorni avevo cercato tra i duecento canali presenti, senza alcun risultato.
“Ho re-sintonizzato il decoder.” Dice facendo spallucce. E’ qui da neanche cinque minuti ed è riuscito a fare un qualcosa che io ho rimandato per mesi, credendo ci volessero ore? Bene.

“Ti piace ancora sputare odio sulle neo-spose in tv?” Si volta verso di me quasi ridendo. Ha perso qualche rotella o … Credo abbia letto la mia espressione alquanto confusa perché continua. “White dress è forse il programma più simile ad Abito da sposa cercasi.” Si sistema meglio sedendosi di fianco a me sul letto ad una piazza e mezzo, appoggiando anch’egli la schiena al muro. Sembrerebbe una scena al quanto normale, se non fosse che non c’è nulla di normale in tutto ciò. Seduti a pochi centimetri di distanza sul mio letto, della mia camera, nella mia casa a Brighton, a guardare un programma di abiti da sposa su un canale inglese. No. Decisamente non c’è nulla di normale. D'altronde quando mai siamo stati normali noi due?

“Cosa stavi studiando?” mi chiede posando gli occhi sul libro ancora aperto tra di noi per poi chiuderlo guardando la copertina.
“Psicofisiologia.” Rispondo per poi starnutire.
“Salute.”
“Grazie.”
“Sembra interessante.” Sfoglia l’enorme libro catturando qualche parola tra una pagina ed un’altra.
“Lo è.” Dico dopo essermi soffiata il naso per la millesima volta.

Zayn mi guarda e scoppia a ridere. “Quella corsa teatrale sotto il temporale potevi risparmiartela.”. Ma quanto può essere idiota questo ragazzo?! E quanto posso esserlo io che quasi sorrido accorgendomi che si, solo venti minuti prima ho pensato la stessa cosa. Basta questo a riesumare nella mia mente la scena del parco, di noi sotto la pioggia, della sua mano sul mio polso, delle sue parole:

Non fai altro che fuggire, anche adesso, se qui … ma in realtà non ci sei. Stai scappando, ancora, non hai mai smesso di farlo. E vorrei solo fermarti e stringerti tra le mie braccia. Stringerti talmente forte da farti smettere di tremare, da spezzare questo patto di fuga che hai fatto con te stessa. Ma tu continui a fuggire, da me, da te stessa, dalla vita. Dici di esserti rifatta una vita qui, di aver abbandonato il passato in Italia, allora perché fuggi da esso? Perché hai quella costante paura negli occhi di cadere? Come se fossi sospesa sul nulla. Perché?

“Zayn, ascoltami io …”
“Okay, quell’abito fa decisamente schifo. Pizzo ovunque.” Ci prende gusto ad interrompermi? “Allora? Non dirmi che non hai alcun insulto sulla punta della lingua per quella mostruosità.” Dice indicando l’abito nello schermo. Sospiro per l’ennesima volta. Perché non capisce? Perché non capisce che non posso far finta di nulla, che non ce la faccio. “Oh mio Dio, Rosy. Non ti riconosco più.” E forse si rende conto che l’accostamento di quelle parole non è davvero dei più felici per la situazione in cui ci ritroviamo, perché si morde il labbro inferiore mentre io abbasso lo sguardo sulle mie sottili dita. Ma sembra non demordere perché dopo pochi secondi “Anche un unicorno tutto pace e amore sputerebbe su quell’obbrobrio.”

E non so se sia per la tensione accumulata in questi ultimi attimi, anzi, in questi ultimi giorni, o per la sua stupidissima battuta ma semplicemente scoppio a ridere, nel modo più naturale e genuino di questo mondo. Rido per la sua espressione a dir poco esilarante, rido perché non ho la minima idea di come lui sia a conoscenza di un programma di abiti da sposa su un canale inglese. Rido perché lui inizia a ridere con me. Rido perché effettivamente, quell’abito fa davvero schifo e la ragazza che lo sta indossando non fa altro che piangere di gioia, perché è l’abito giusto per lei.
“Sarebbe un insulto anche chiamarlo tenda, per le tende intendo.” E’ tutto ciò che riesco a dire tentando di riprendere fiato.
“Oh andiamo. Puoi fare di meglio.” Mi sprona lui.
“Sembra abbiano attaccato tutti insieme tra loro i centrini della nonna. Oh mio Dio aspetta un attimo. Sbaglio o sotto il pizzo non c’è nessuno tessuto? Ma è trasparente?!”
“Secondo me non la faranno neanche entrare in chiesa con una roba del genere addosso.”
“Io non la farei entrare da nessuna parte, neanche a cibare i porci.”
“Poveri porci, ho pietà per loro.” Dice in modo teatrale portandosi una mano al petto. “Molto belle le mutande con i bordi rossi, mi complimento per la scelta.” Continua.
 “Guarda l’espressione del padre.” Dico portandomi una mano sugli occhi.
“Addolorata.”
“Già.” Concordo quasi sul punto di scoppiare a ridere di nuovo.
“Non dovremmo ridere sulle disgrazie altrui, lo sai vero?” Mi chiede anche lui trattenendosi dal ridere.

Ma questa resistenza dura ben poco, perché appena incrociamo gli sguardi sbottiamo per la seconda volta in una fragorosa risata. E non so se siano state le nostre risate o semplicemente l’illusione di esserci nascosti in quella che sembra essere una dimensione indistinta, in cui non esiste passato e presente, ma semplicemente noi. Sta di fatto che probabilmente non sentiamo i colpi alla porta, perché Louis entra come se nulla fosse, con una tazza in mano. Ma molto probabilmente non ha neanche bussato perché Louis è così, entra esce e vedo molto lontano il giorno in cui capirò se vive o meno in questa casa.

“Oh, ho interrotto qualcosa?” Chiede nel suo perfetto accento londinese. Tentiamo di ricomporci, assumendo un’aria che di serio ha ben poco.
“Louis, che ci fai qui?” Domanda abbastanza scontata visto che è costantemente qui. Mangia qui, studia qui, dorme qui, e nessuno ha il coraggio o la voglia di cacciarlo, perché semplicemente è Louis. E non è solo il fidanzato di Harry, ma è un nostro amico, il mio migliore amico. E anche se alle volte, anzi molto spesso si rivolge a te in modo alquanto brusco, e sbruffa se gli chiedi di fare la spesa, c’è sempre per chiunque, anche se cerca di non darlo a vedere, perché sai com’è, altrimenti ci sarebbe la fila, e dovrebbe affiggere un cartello fuori dalla porta ‘Consulenze da Louis’. E’ un po’ la mia versione maschile, due facce della stessa medaglia.

“E’ un piacere anche per me vederti, Rosy del mio cuore.” Dice mettendo su un sorrisino falso. Poi si rivolge a Zayn. “Piacere di conoscerti, sono Louis e non so come fai a sopportarla.” Dice indicandomi e porgendogli la mano libera.
Zayn non mi dà il tempo di ribattere sul fatto che lui non sappia parlare l’inglese che, con una fluidità che quasi mi fa strozzare con la mia stessa saliva risponde stringendogli a sua volta la mano, “Piacere mio, sono Zayn e si, me lo chiedo anch’io.” Cosa diamine …? Da quant’è che parla l’inglese?

“Rosy questo è thé, l’unica cosa decente che so preparare con le mie manine, quindi abbi almeno la decenza di apprezzare lo sforzo.” Si rivolge a me porgendomi la tazza, con la quale per poco non mi scotto prendendola tra le mani.
“Certo certo.” Rispondo svogliatamente troppo intenta a montare nella mia mente ogni pezzo di puzzle che pian piano risulta assumere un senso logico.

L’università rimandata, il lavoro da meccanico, la moto venduta, il quasi perfetto inglese. E all’improvviso tutto appare più chiaro.

“Okay ho capito. Me ne vado così potete continuare a fare quello che stavate facendo.” Ammicca nella nostra direzione allontanandosi verso la porta.
“Idiota.” Gli urlo dietro, prima che si richiuda la porta alle spalle.

Una volta calato nuovamente il silenzio nella stanza poggio la tazza sul comodino di fianco al letto e mi volto completamente verso Zayn, stringendomi le gambe ancora sotto le coperte, al petto. Lui mi guarda a sua volta, e si fa serio in viso appena capisce che questa volta non riuscirà ad interrompermi.

“Zayn …”

E la bolla attorno a noi scoppia sotto il peso della sua stessa fragilità.
 


MA CIAO MARGHERITINE DI CAMPO :)
How are you? Spero bene.
Stranamente non sono in ritardo lol, e anche solo per questo mi meriterei una piccola recensione haha.
Spero che il capitolo non vi abbia fatto completamente schifo e che siate riusciti ad arrivare alla fine, lo apprezzerei davvero tanto.
Ringrazio chiunque segua questa storia, lettori silenziosi e non. E' un lavoro di squadra, senza lettori non esisterebbero scrittori. Anche se c'è quella storia del 'si scrive per se stessi bla bla' alla fine si scrive per far sentire la propria voce, si scrive ciò che non si riesce ad esprimere giornalmente, e se non c'è nessuno con cui condividere questi pensieri che senso ha? Giusto?
Fatemi sapere la vostra, sono anche su twitter (@/DaisyYrral), come sempre potete contattarmi per qualunque cosa :)
Buon rientro a scuola a tutti e, ci vediamo al prossimo capitolo :)

Still here,
Daisy :)

P.S.
E-mail: daisyyrral@gmail.com

 

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Capitolo 12
*** Memories (II) ***



 
 

 

11.

Memories (II)


26/05/15 (Presente ...)

Una volta calato nuovamente il silenzio nella stanza mi volto completamente verso Zayn, stringendomi le gambe ancora sotto le coperte, al petto. Lui mi guarda a sua volta, e si fa serio in viso appena capisce che questa volta non riuscirà ad interrompermi.
“Da quant’è che parli e capisci così bene l’inglese, Zayn?”
 “Rosy …”
“Da quant’è che conosci gli orari e i canali per stupidi programmi sulla televisione inglese?”
“Io …”
“Cosa sta succedendo?”

Fa un respiro profondo, poi “Mi hanno accettato all’università di Brighton, in medicina.” sputa come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
Probabilmente in questo momento la mia espressione non ha precedenti, un misto di confusione, perplessità, istinto omicida nei confronti della persona che si trova davanti a me, e sto tentando con ogni mia forza di reprimere un urlo agghiacciante stile film horror.

Ora tutto torna, tutto ha un senso. L’anno sabatico, la vendita della moto, ogni cosa torna al suo posto, tranne noi. Mi sento quasi sopraffare dal panico. Come ha potuto? Come ha potuto rinunciare alla sua vita? Come ha potuto stravolgere i suoi piani in nove mesi?

“Ho trascorso questi mesi tra una lezione di inglese e l’altra e …”
“Non … Non dirmi che … Non dirmelo ti prego …” Un sussurro è tutto ciò che esce dalle mie labbra, mentre cerco i suoi occhi nella speranza che mi confermino che mi sto sbagliando. E lui continua a mordersi quelle stupidissime labbra mentre tutto ciò che riesco a fare io è passare dal sussurrare all’urlare in preda ad un attacco isterico. “Oh Dio. Come hai potuto farlo? I tuoi progetti. L’università dei tuoi sogni. Come hai potuto gettare tutto all’aria come se nulla fosse. Per cosa poi? Per cosa?”

Ed ecco che il tentativo d’ispirazione Zen di mantenere la calma salta all’aria come anche le coperte sotto le quali ero seppellita fino a tre secondi fa. Adesso, inspiegabilmente mi ritrovo in ginocchio sul letto pronta ad un’immaginaria guerra, mentre tutto ciò che vorrei realmente fare è rintanarmi nuovamente in posizione fetale  sotto quelle stesse coperte ed iniziare a dondolarmi su me stessa cantando una di quelle inquietanti canzoncine da ospedale psichiatrico, fino ad addormentarmi e risvegliarmi in un’altra vita, magari su un altro pianeta.

Sento che se ne avessi la possibilità a quest’ora starei già lanciando saette dagli occhi. E in tutto questo lui sembra tutt’altro che essere scalfito dalle mie vibrazioni da assassina nei suoi confronti. Continua a fissarmi inerme, e come sempre riesce ad indossare una delle sue maschere migliori anche nelle situazioni più complicate.

“Parlami Zayn! Diamine, dì qualcosa prima che io non risponda più delle mie azioni! Cosa cazzo avevi intenzione di fare? Avevi un piano, cosa ne hai fatto? Perché?”
“Per te diamine! Per te!” Alza la voce sovrastando la mia e ammutolendomi.
“Io non sono come te, Rosy. Tu abbandoni tutto e tutti cercando di rifarti una vita richiudendo accuratamente il passato in una piccola scatolina, e pretendi che gli altri facciano lo stesso. Ma non è così che vanno le cose.” E le parole vengono fuori come spilli, per l’ennesima volta. Si allontana da me sedendosi sul bordo del letto e dandomi le spalle.

Io non sono come te.

Non è così che vanno le cose. E di questo me n’ero resa conto quando una settimana fa si era presentato sulla soglia di casa mia ed io l’avevo guardato come se il passato avesse appena bussato alla mia porta.

“Quando capirai che non vado bene per te, Zayn? Quando capirai che devi starmi alla larga perché … perché riesco a farti solo del male?”
“Di cosa stai parlando, Rosy? Frena un secondo …” Si volta verso di me. “Smettila, okay? Smettila perché potrai anche riuscire ad auto-convincerti di queste stronzate, ma non convincerai me …”
“Non sono stronzate! Tutto questo non è una stronzata, capisci? Non puoi pretendere che io dimentichi il passato, che io faccia finta di nulla come fai tu. Non ci riesco.”
“Io non sto facendo finta di nulla, non pretendo niente. Sto solo cercando …”
“Ti sei presentato dopo nove lunghi mesi, a casa mia, chiedendomi di fare una passeggiata, come due buoni vecchi amici fanno. Questo non è normale …”
“Ti ho chiesto di fare una passeggiata perché ben nove mesi fa sei partita trasferendoti a duemilaquattrocentoventi chilometri da me, senza neanche degnarmi di un saluto. Sei entrata in quella maledettissima auto sotto i miei occhi, mentre ti urlavo di fermarti, di non scappare, perché avremmo dovuto parlarne. Perché avremmo potuto risolvere le cose. Ne avevo il diritto, e tu lo sapevi. Eppure non mi hai degnato neppure di uno sguardo, neanche quando ho iniziato a colpire il vetro del tuo finestrino con le mani, implorandoti di fermarti. Neanche quando hai chiesto ad Elisa di chiudere le sicure degli sportelli. Avevi così paura di affrontare la realtà, che io stesso ero diventato la tua paura più grande.”
“Smettila…” sussurro.
 “Non mi sono dato per vinto. Ho passato dei mesi infernali, ma mi sono rimboccato le maniche perché credevo in noi. Ho messo da parte l’università, mi sono trovato un lavoro ed ho venduto la moto. Perché credevo in noi. Ho iniziato a prendere lezioni d’inglese, ho superato svariati esami e ho fatto domanda alla Sussex University, qui a Brighton per i corsi in medicina. Perché credevo in noi. E … mi hanno preso. E tutto questo potrà sembrare assurdo, da pazzi, quasi maniacale, ma alla fine c’è mai stato qualcosa di normale che riguardasse noi due?”

Mi fissa come se aspettasse una risposta da parte mia. Schiudo le labbra, ma le richiudo subito dopo.
“No. Ma io credo tutt’ora in noi.”

Ed ecco, ciò che chiamano i fantasmi del passato. Niente di più feroce di un affronto diretto con la persona che eri, raccontata da una voce esterna. Quasi come se fosse un po’ la voce narrante del tuo passato, tornata a tormentare i tuoi sogni con immagini storpie e intorpidite di ricordi che avevi seppellito accuratamente e con tanta perseveranza. Proprio per evitare che ciò ti sorprendesse in modo tremendamente brutale nel tuo futuro. Eppure il suo viso, i suoi modi, la sua voce, non hanno nulla di tremendo, nulla di brutale e spaventoso. E’ semplicemente lui. E per la prima volta riesco chiaramente a distinguere il passato da colui che ho di fronte. Come se le  due cose assumessero due identità separate, sdoppiate dalla stessa persona. E mentre un alone è  tutto ciò che mi resta di un anno fa, di fianco ad essa uno sguardo, reale, accarezza il mio presente accompagnato da un sorriso, senza alcun ombra di dubbio o incertezza. Gioca a carte scoperte, d’altronde come ha sempre fatto. Mentre io mi ostinavo a mostrare in scena le più svariate maschere, lui toglieva le sue.

C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.
Non ha mai avuto paura di essere nessuno con me.

E come appena sveglia da un sonno profondo, quasi in modo autonomo, mi riappoggio alla spalliera del letto ed inizio a fissare un punto indefinito sul muro di fronte a me.
Ho le mani ghiacciate, fredde come non mai, eppure non oso muovermi di un solo millimetro per evitare una qualsiasi reazione da parte di lui.
Passano secondi, minuti, potrebbero passare ore eppure tutto ciò che riesco a percepire è questa voce dentro di me che non fa altro che urlare di fermarmi, fermarmi finché sono in tempo. Ma fermarmi dal fare cosa?

Non so dopo quanto tempo percepisco movimenti dall’altro lato del letto.
Si sdraia perpendicolarmente a me, posando la testa sulle mie cosce. Non avevamo un contatto così diretto da talmente tanto che quasi mi sento smarrita. Eppure solo ora, solo in questo preciso istante mi rendo conto di quanto mi sia mancato in questi mesi. All’assenza che avevo percepito e poi volutamente ignorato associo adesso un volto, al quale solo dolore era stato accostato.
E mentre faccio scorrere quasi impercettibilmente le mie dita tra i suoi capelli corvini mi accorgo di quanto realmente la paura mi avesse immobilizzata, di quanto essa abbia realmente influenzato ogni mio gesto fino a potermi fidare solo di essa.

“Ho avuto paura.” L’ennesimo sussurro. E quasi mi feriscono le mie stesse parole, perché non mi sono mai realmente concessa di lasciarmi andare talmente tanto alle emozioni. Una rivelazione del genere, fatta ad alta voce fa crollare per l’ennesima volta ogni mia certezza. Ma questa volta mi rendo conto che non riuscirei a ricostruire di nuovo tutto da sola. Non riuscirei a ricomporre un altro puzzle sempre con gli stessi pezzi, ma in numero inferiore. Questa volta non posso farcela, da sola.
Chiude gli occhi e sospira, “Non mi hai permesso di avere paura insieme.”
E mi sono odiata per questo.
Perché tutto ciò è tremendamente vero. Avevo fatto in modo che ognuno pesasse il proprio dolore per sé, che ognuno facesse i conti con i propri fantasmi. Perché se c’era una cosa che pensavo non sarei mai riuscita a condividere era la disperazione che ho provato in quei momenti di panico.
Distolgo lo sguardo dal suo iniziando a vagare sui vari oggetti nella mia stanza. Ogni mobile in questa casa, ogni angolo, ha rappresentato fin da subito il mio presente, segno del confine tra ciò che era e ciò che sarebbe stato. Avevo finto la convinzione che si, tutto sarebbe andato per il meglio , perché era in questo modo che dovevano andare le cose. Non avevo mai scelto la via più semplice, non avevo mai tentato di barare, imbrogliare o aggirare le regole. Avevo sempre fatto la cosa che ritenevo più giusta. Eppure nel momento in cui mi ero ritrovata a dovere scegliere tra partire e abbandonare, e restare affrontando … tutto … avevo scelto di scappare. Per la prima volta, avevo preferito fare la scelta più semplice.

Prende la mia mano nella sua, risvegliandomi dai miei pensieri e facendomi riportare lo sguardo su di lui. Ne bacia delicatamente il palmo., un gesto che mi fa sorridere involontariamente.
“Zayn, funzionava a sette anni.” Rompo il silenzio, con un accenno di ironia. E lui capisce a cosa mi riferisco perché mette su il broncio e quasi offeso sbuffa “Ma dai funziona anche adesso. In effetti, ripensandoci … eri già acida all’età di sette anni.”
“Che cretino.” Rido, ma non mi lascia ancora andare la mano, stretta nella sua.
Zayn che schifo mi stai sbavando tutta la mano. Bleah!
“Hei! Non facevo affatto così.” Mi difendo dalla sua imitazione di me bambina.
“No, infatti eri molto peggio.” E mentre ridiamo di noi stessi, mi chiedo dove sia finita tutta la tensione presente nell’aria fino a pochi minuti fa. Come abbia fatto a dissolversi, come ogni barriera si sia abbassata, tra di noi.
“Zayn, posso chiederti una cosa?” richiamo la sua attenzione. Con la testa ancora sulle mie gambe, distoglie lo sguardo dalle mie dita per posarlo su di me e mi sorride incitandomi a continuare con la domanda.
“Perché sei ancora qui a perdere tempo con una come me ostinandoti a rovinarti la vita?”

Ecco, diretta e schietta. Come sempre. Senza troppi giri di parole. Prima ancora che io possa collegare il cervello alla bocca le parole escono in modo autonomo. E forse, o quasi sicuramente, potrà sembrare una domanda stupida e sciocca. Una battuta rubata dal finale di una di quelle commedie romantiche dai cuori rossi pieni di cioccolatini e da anniversari festeggiati sulla Torre Eiffel a lume di candela. Uno di quei film in cui i due, che sembrano inverosimilmente essere stati pescati durante un giro fortunato per stare insieme, si incontrano, si innamorano, poi uno dei due fa qualche stronzata solo per poi potersi rimettere insieme durante gli ultimi tre minuti di film. Il tutto ovviamente confezionato con tanto di fiocco e bacio. Ma la mia domanda non ha questo scopo. Forse perché quei tre minuti sembrano essere tanto i ‘7 secondi in paradiso’, gioco che ho sempre odiato. Forse perché racchiude ogni verità che il caos degli scorsi mesi ha spiazzato via. Forse perché la mia domanda non è la battuta di un film, tantomeno lo è la risposta che attende. Tutto ciò che adesso ho bisogno di sapere è il perché lui, dopo tutto, sia ancora qui a cercare di far funzionare le cose. A raccogliere i frammenti di vita che ho sbriciolato alle mie spalle.

E la sua reazione sarebbe quasi da fotografare, con la bocca semi aperta e l’espressione corrucciata, mentre lascia vagare lo sguardo smarrito per la stanza.  
Poi posa nuovamente lo sguardo su di me, “Non lo so.” sbotta quasi ridendo.
“Le notti durante il mese successivo alla tua partenza non chiusi occhio. Me lo aspettavo, insomma negli ultimi due mesi ero riuscito a risolvere i miei problemi di insonnia grazie a te. Come avrei potuto anche solo immaginare che il sonno sarebbe stato regolare?” Fa una pausa per esaminare la mia reazione, mentre tento di mantenere un’espressione calma, reprimendo quella isterica che potrebbe venir fuori tra meno di tre secondi.
Stringe la mia mano e riprende. “Erano passate probabilmente sei settimane quando, tra i vari flashback di noi, che mi assalivano quando chiudevo gli occhi, mi venne in mente quella volta in giardino, quando stizzita dal fatto che non volessi andare a dormire senza te mi dissi ‘smettila di pretendere da me ciò che non posso darti.’

Ricordo chiaramente quella volta, avevamo invitato a cena degli amici perché erano gli ultimi giorni prima che i genitori di Elisa tornassero. Era molto tardi e se ne erano andati da poco tutti, così io ed Elisa stavamo sparecchiando, mentre Liam spegneva le candele profumate, quelle per tenere lontane le zanzare. Zayn mi aveva tirato per un braccio in un angolino supplicandomi di andare a dormire con lui. Ero rimasta stizzita da quel gesto, quasi infastidita. Tutto ciò che riuscivo a pensare era che non doveva avere bisogno di me, non dovevo diventare indispensabile, per nessuno. Così tentando di mantenere la calma gli avevo risposto che doveva smetterla di comportarsi da bambino, che non doveva dipendere da me e che quella notte non avrei dormito con lui perché stava diventando un’abitudine, ed era tutto ciò che avevo sempre cercato di evitare. Per lui più che un rifiuto sembrò un invito a nozze ad insistere sulla questione, questione che per me era già conclusa, chiusa ermeticamente, impacchettata in uno scatolo spedito in Boemia. Fu a quel punto che presa da un moto di rabbia, nei suoi confronti, ma soprattutto nei miei gli urlai che io non appartenevo a nessuno, e che lui doveva dare conto solo a se stesso. ‘Smettila di pretendere da me ciò che non posso darti.’

“Si, mi ricordo. Ero un po’ brilla effettivamente quella sera.” Risi di me stessa, rievocando l’immagine di me a gesticolare nel buio di quel minuscolo angolo di giardino, dietro al muro della porta principale.
Lui sorride. “Brilla o no, è stato in quel momento che ho deciso di riprendere in mano quei pezzi che rimanevano della mia vita, per tentare di crearne qualcosa di buono. Così ho ricominciato pian piano a dormire. Prima tre ore di seguito, poi quattro, poi cinque, finché il sonno non è diventato regolare. Peccato continuassi a sognare te.”
Probabilmente in questo momento se gli dissi che i miei più che sogni erano veri e propri incubi su di lui finirei per spezzare definitivamente l’atmosfera che si è creata. Meglio lasciar fare a lui.

Si solleva, mettendosi seduto e voltandosi completamente verso di me. Mi guarda negli occhi per secondi prima di allungare una mano accarezzandomi la guancia.
“Sono qui a darti ciò che pretendevo da te, Rosy. Sono qui ad insegnarti a vedere ciò che non riesci a vedere in te. Sono qui per imparare, insieme, a credere in noi.”
“E se non ci riusciamo? Se per l’ennesima volta falliamo? Se qualcosa … va storto?”
“Noi possiamo farcela, ti fidi di me?”
“La fiducia si basa su così tante cose …”
“Rosy …”
“Mmmh”
Mi guarda con insistenza, attendendo una mia risposta.
“Hai intenzione di toglierla la mano dalla mia guancia o vogliamo aspettare che diventino una cosa unica?”
Scoppia a ridere mentre io cerco di mantenere un’espressione che di serio ha ben poco.
“Come diamine fai a rovinare ogni momento intenso rimarrà per sempre uno dei misteri della mia vita. E’ una partita persa in partenza, appena si cerca di …” 
“Si.” Pronuncio. “Mi fiderò sempre di te, Zayn.” Dico senza distogliere lo sguardo dal suo, mentre un sorriso sornione si distende sul suo volto. “Si ma adesso togliti quel sorrisino strafottente dalla faccia prima ch …”



FOCUS ON ME.

Si, sono ancora viva. No, non è un miraggio. Si, so che mi meriterei che mi sputaste in faccia.
Sappiate solo che I'm back e che sto tentando di riprendenre la storia.
Riguardo il capitolo, so che doveva essere ambientato ad un anno prima ma non mi andava di lasciare incompleto quello precedente e, il capitolo si conclude proprio così, non è un errore di battitura. A voi scoprire il perché.
Il prossimo capitolo è già pronto perciò ci risentiremo presto.
Se vi va lasciate una mini recensione. Vi ricordo che potete trovare la storia anche su wattpad (DaisyYrral).

Potete contattarmi su twitter per qualunque cosa (@/DaisyYrral) o tramire email (daisyyrral@gmail.com)

Buonanotte fiorellini di campo,
Daisy.  

 

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Capitolo 13
*** Home ***


12.

Home

 

13/07/14 (Un anno fa ...)

La musica fastidiosamente alta mi rimbomba nel petto. Non capisco se sia per la quantità probabilmente eccessiva di alchool che mi circola in corpo o per queste altrettanto fastidiose luci, ma la mia vista continua ad annebbiarsi ad ogni passo in più che compio, e a tratti mi sembra di star vivendo in una di quelle scene dei film a rallentatore. Appena riesco a superare la calca di persone e ad uscirne apparentemente illesa ritorno a respirare, intravedendo il bancone del bar. Oh grazie!

Probabilmente sarà la duecentoquarantaduesima volta che utilizzo l'aggettivo 'fastidioso', ma non credo che il mio cervello riesca ad elaborare qualcosa di meglio quando, appoggiandomi con i gomiti sulla superficie fredda del bar, uno Zayn Malik un po' troppo sobrio, seduto su uno sgabello, mi squadra da capo a piedi, con quello sguardo tra la compassione e il disgusto. Semplicemente 'fastidioso'. Decido di ignorarlo mentre faccio un cenno al barista. Quest'ultimo fa scivolare un bicchiere pieno sul bancone, di fronte a me, accennando un sorrisetto che viene subito spiazzato dal mio 'cazzo guardi?'. Quando riabbasso lo sguardo sul bancone, il bicchiere è però sparito, e okay che non sono nel pieno delle mie facoltà mentale ma sono quasi certa che proprio sotto il mio naso, pochi istanti fa, si trovasse un bicchiere pieno.

"Direi che per stasera basti, mh?" Oh, ecco un altro punto da aggiungere sotto l'aggettivo 'fastidioso'. La sua voce.

"Oh, certo paparino, come vuoi." Continua a fissarmi con quella sua aria di superiorità. "Non ricordo che tu mi abbia avvisato che avremmo giocato a 'mamma e figlia' però."

"Se mai sarebbe 'padre e figlia'." Ribatte accennando una risata.

"Non prenderti gioco di me, Zayn." Gli dico avvicinandomi con fare minaccioso e puntandogli l'indice contro. "E ora ridammi il mio bicchiere"

"Non ci penso proprio." Punta il suo sguardo nel mio con aria di sfida. Giuro che se ne avessi la forza gli toglierei quel ghigno dalla faccia a suon di schiaffi. "Non credi di essere già abbastanza ubriaca? A stento ti reggi in piedi."

"Senti puritano dei miei stivali, poco mi importa se improvvisamente aspiri a diventare un monaco. Fatti i cazzi tuoi e dammi quel maledettissimo bicchiere." Urlo sovrastando la musica. Niente mi impedisce di ordinarne un altro ma io voglio quello. E' una questione di principio. Chi si crede di essere per dirmi cosa posso o non posso fare.

"No." No? No? Ma io ti spacco la faccia. Okay, magari non ora. Rimandiamo a domani, mh?

"Sai cosa, Zayn? Vaffanculo."

Mi allontano dall'angolo bar fino a ritornare in pista.

E' talmente irritante e idiota e pieno di sé che riesce a farmi perdere il controllo anche quando l'ho già esaurito da un pezzo. Inizio a muovere i fianchi come se non ci fosse un domani, anche se ho ormai perso il ritmo della musica. Voglio solo lasciarmi andare. Voglio che questa costante pressione che sento sulle spalle si dissolva nel nulla. La testa mi gira vorticosamente ma non mi importa. Non mi importa che mi stia muovendo in modo sconnesso. Non mi importa che un tizio che non conosco abbia appena poggiato le mani sui miei fianchi e tenti di muoversi a ritmo. Voglio solo scomparire, non esistere per un po'. Solo per un po'.

Sento la presa suoi mie fianchi venir meno e quando riapro gli occhi un secondo ragazzo mi sta dando le spalle mentre dice qualcosa al tizio di prima che mi lancia un'occhiata fugace per poi dileguarsi nella folla. Quando il ragazzo si volta verso di me emetto qualcosa simile ad un gemito esasperato.

"Ma perché cazzo mi perseguiti?" Urlo scagliandomi contro il suo petto. "Sei ovunque. Non posso voltare l'angolo che la tua aurea di 'hey donne è arrivato l'arrotino' mi schiaffeggia in pieno volto." Continua a fissarmi in modo impassibile "E non guardarmi in questo modo. Smettila di fissarmi come se riuscissi a leggere cosa mi passa per la testa. Giuro che sono talmente incazzata che potrei persino cavarti gli occhi con le mie stesse dita." Nulla. Ancora nessuna reazione. Finché non mi afferra per un gomito mimando qualcosa come un 'usciamo'. Il contatto con la sua pelle mi fa perdere totalmente le staffe, mentre la rabbia inizia a ribollirmi nelle vene.

"Non toccarmi." Sibilo strattonandomi dalla sua presa. Poggio entrambe le mani sul suo petto e lo spingo con talmente tanta forza da venir spinta io stesso di rimando, mentre lui fa appena mezzo passo indietro. Fantastico. E' chiaro che non è la mia serata migliore.

Inizio ad affrettare il passo allontanandomi da lui. Sento la musica a stento e la vista diventa sempre più annebbiata. Mi tremano le mani mentre le sollevo coprendomi gli occhi e cercando di regolare il respiro. Inizio a ripetermi mentalmente che va tutto bene. Si va tutto bene. No. Non va bene un cazzo perché qualcosa, o qualcuno mi colpisce facendomi perdere l'equilibrio già precario e condannandomi ad una catastrofica caduta, che però viene sventata da due braccia che mi afferrano prontamente dalle spalle. Il mal di testa è talmente forte che non capisco più se predomini il bisogno di scoppiare in un pianto liberatorio o semplicemente di vomitare qui, nel bel mezzo della pista da ballo del locale. In tutto questo non mi accorgo che la persona che pochi istanti fa mi ha salvata dall'atterraggio di sedere sul pavimento sta ora agitando una mano davanti al mio naso e solo quando smette riconosco il volto.

"Hey Rosy, tutto bene?" Dal suo sguardo intuisco di dovere assomigliare a qualcosa come un Grinch ubriaco.

"Alla grande. " sussurro ironicamente, arricciando il naso mentre sbircio alle sue spalle.

"Ti andrebbe di ballare?" Lo ignoro totalmente cercando di fare mente locale. Allora da dov'è che sono entrata? Che lato era?

"Cerchi qualcuno?"

"L'uscita." Ammetto in modo esasperato.

"Oh. Wow. Bastava dirlo che non ti andava di ballare con ..."

"Oh Dio. No, no. Non è per te Luke. Voglio dire, guardati ... cioè ... nel senso che ... Mh. Dobbiamo discuterne proprio adesso? Meglio di no. Rimandiamo? Certo. Magari a quando sarò un po' più vigile." Mi guarda con aria alquanto confusa e al contempo divertita, mentre mi sbatto una mano in fronte dandomi della rincoglionita.

Praticamente ho appena fatto un monologo da pazza di fronte al ragazzo più scopabile nel raggio di trentadue chilometri? Grande Rosy. Complimenti. Gran bella figura di merda. E mentre accenno ad un saluto verso il biondino e tento di far tacere le vocine nella mia testa che ancora insistono a farmi i complimenti per la figuraccia, mi rimetto alla ricerca dell'uscita. Finché non riconosco il top bordeaux di Elisa in un angolo del locale, affiancata da ... Ah. Fantastico. Affiancata dal Tizio con cui stavo 'ballando' prima che venissimo interrotti da 'Zayn l'arrotino'. Mi avvento contro Elisa che dallo spavento sobbalza facendosi rovesciare il drink che ha in mano addosso. Inizio a divulgarmi in una serie di 'mi dispiace' quando il Tizio al quale sto rivolgendo le spalle inizia fastidiosamente a picchiettarmi sulla spalla.

"Hey! Ma tu sei la ragazza di prima." Si rivolge a me sorridendo sornione. Lo fulmino con lo sguardo intimandogli di far silenzio e mi rivolgo nuovamente ad Elisa che con un tovagliolino sta cercando di tamponare la macchia sul top.

"Mi spieghi che cazzo ti è passato per la testa? Sai benissimo quanto poco abbia i nervi saldi e tu cosa fai? Mi salti addosso? Ottima mossa, davvero."

"Scusa, scusa, scusa. Sono entrata nel panico, è da quindici minuti che cerco l'uscita e giuro che potrei svenire da un momento all'altro." Tento di giustificarmi.

"Effettivamente hai una faccia orribile. Quanto hai bevuto?"

"Prossima domanda? ..."

"Sai, comunque potevi avvisarmi di avere un ragazzo prima che io iniziassi a strusciarmi su di te." Una terza voce proveniente dalle mie spalle ci interrompe. Senza voltarmi lo liquido con un 'non è il momento'. Continuo a parlare con Elisa che ha ora un gran punto interrogativo stampato in faccia.

"Stavo anche per beccarmi un pugno in faccia per colpa tua." Ma che ...? Mi giro con gli occhi infuocati di chi potrebbe incenerirti da un momento all'altro, verso il diretto interessato.

"Di che cazzo stai parlando?"

"Dell'eccessiva gelosia del tuo ragazzo, tesoro." Ragazzo? Tesoro? Va bene l'alchool che ho in corpo io, ma il Tizio non scherza neanche eh.

"Senti ma perché non vai a farti un giretto, razza di idiota?" Finalmente accenna a cambiare aria biascicando un 'siete proprio fatti l'uno per l'altra', seguito dal mio poco aggraziato dito medio.

Quando mi rigiro verso Elisa, questa ha il viso contratto in una smorfia che non promette nulla di buono. E infatti, "Stavo intrattenendo una conversazione con quel ragazzo, mi piaceva." Inizia ad urlare ed a gesticolare. "Sai cosa penso Rosy? Che dovresti darti una regolata e non sto parlando dell'alchool. Perché non inizi a preoccuparti un po' di più delle persone che ti stanno attorno? Quando ti ricorderai che non esisti solo tu?" E con questo alza i tacchi e si dilegua nella cerchia di gente nell'angolo del buffet.

Di bene in meglio direi. Devo riuscire a trovare quella dannata uscita. Così applico una nuova strategia. Inizio a camminare lungo il perimetro del locale finché, bingo! Grazie al cielo!

Spalanco la porta di vetro e per quanto fuori ci saranno più di trenta gradi, riesco finalmente a respirare, mentre le pulsazioni che prima mi comprimevano la testa sembrano pian piano affievolirsi. Mi dirigo verso l'unica panchina presente nel piccolo spiazzale. C'è qualcun altro ad occupare il lato opposto ma poco mi importa.

Quando mi ritrovo davanti alla panchina lo riconosco, ma mi siedo ugualmente perché sono davvero troppo stanca. Stanca di discutere, di arrabbiarmi, di urlare contro le persone. Sono stanca di tentare di non provare nulla quando ogni cosa mi colpisce e mi demolisce poco alla volta.

Mi rannicchio su me stessa.

"Questa volta non ho fatto nulla. Ero qui prima di te." Sussurra. Ed è come se qualcosa si rompesse in me, perché inizio a piangere. E non è un pianto esasperato fatto di singhiozzi e urla. Ci sono solo lacrime che bagnano le mie guance e, semplicemente non riesco a fermarle, e non so se voglio. Chiudo gli occhi e mi lascio andare, per la prima volta dopo non so quanto tempo.

"Hey ... che succede?" Non so dopo quanto tempo si avvicina a me, sfiorando il mio braccio. Mi ritraggo subito, scottata dal suo tocco.

"Non toccarmi." Sibilo. Risponde con un incerto 'okay', facendomi sentire ancora più in colpa per il mio tono acido.

Non so cosa mi spinga ad aprire bocca dopo qualche minuto, quando lui è tornato a fissare un punto indefinito davanti a sé.

"E' solo che ... sono stanca. Alle volte è talmente difficile essere quella che sono che vorrei prendere le ferie da me stessa. Ho appena litigato con Elisa, perché sono egoista e menefreghista. Mi ha urlato contro dicendomi che prima o poi dovrò accorgermi che attorno a me ci sono persone con dei sentimenti. E ... ha ragione. Ha tremendamente ragione, ma non ci riesco. Non riesco a essere diversa, anche se so che questa non è la vera me. E ho questa assurda paura di esternare ciò che provo perché tutto è incerto, e nulla mi assicura che dopo non rimarrò sola. Ma la cosa peggiore è che la solitudine non mi spaventa. Quindi non so di cosa io abbia paura davvero. Forse di me stessa." Prendo un respiro profondo. " E' tutto talmente assurdo ..." rido amaramente "... io odio piangere e ... guardami ..." mi volto verso il ragazzo che è ancora di fianco a me, tentando un sorriso "... ora non riesco a smettere."

E non riesco a pensare ad altro che a quanto sia bello il suo viso illuminato solo dalla luce della luna. "Gli altri si aspettano da te ciò che tu fai intendere loro di aspettarsi, e vorrei tanto cambiare questo circolo vizioso."

"Già." Sospira.

"Mi dispiace." Ammetto dopo qualche minuto senza neanche accorgermene, mentre si volta verso di me con sguardo confuso. "Mi dispiace per stasera. Mi dispiace per l'altra notte, non è affar mio se non dormi, non avevo il diritto di accusarti in quel modo ..."

"Rosy ..."

"No. Fammi finire." Mi impongo di mantenere il tono di voce fermo. "E ... mi dispiace per il sesso."

Accenna una risata. "Quello si fa in due."

"Lo so ma ..."

"E sappi che io non mi scuserò per quello." Lascia la frase in sospeso e riprende a fissare qualcosa al di là della stradina, mentre lo guardo sorpresa. "Sei pazza, egoista, menefreghista e assurdamente acida, alcuni giorni sei la personificazione di un buco nero che risucchia ogni accenno di felicità. Insopportabile e per giunta lunatica ..." Oh, grazie per questa botta di vita. Adesso si che mi sento meglio.

"... il fatto è che non mi importa." Continua. "Sei ritornata nella mia vita con la prepotenza di un uragano. E forse adesso ci sarà più disordine di prima, ma ogni cosa inizia ad avere finalmente un senso, ad essere al posto giusto, come un puzzle." Ritorna con gli occhi su di me. "Perciò, non so cosa tu voglia fare delle tue convinzioni sulla solitudine e tutto il resto, Rosy ... ma ti sto chiedendo di ricomporre quel puzzle. Insieme."

Silenzio.

"Tra due mesi partirò per l'Inghilterra, Zayn ..."

"Lo so." Ancora silenzio.

Si solleva mettendosi in piedi di fronte a me.

Mi porge una mano. "Vieni, torniamo a casa." Dice. 

E quando stringe la mia mano nella sua, 'casa' assomiglia quasi ad una promessa.

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Capitolo 14
*** This is us ***


13.

This is us


29/05/15 (Presente ...)

Imbarazzo. Ecco cosa provo quando varcando la porta di casa lo rivedo per la prima volta dopo il nostro ultimo incontro. Sono passati due giorni dalla sua visita a casa mia, due giorni da quando so tutta la verità, o almeno spero sia tutta, due giorni dal principio di un qualcosa di ancora abbastanza indefinito,e forse è meglio così. Sono passati due giorni da quando Lora si è praticamente scaraventata nella mia stanza con un tempismo invidiabile ad un orologio svizzero, interrompendo una delle poche conversazioni importanti mai avute con un ragazzo in tutta la mia esistenza.

Ed ora eccolo, nei suoi skinny-jeans blu con le mani nascoste nelle tasche della sua solita felpa. Sorride appena si accorge della mia presenza e inizia a fare vagare lo sguardo sulla mia figura quasi come a volere prendere atto del fatto che io possa essere davvero qui, presente, e soprattutto che io possa avere accettato il suo invito ad andare al cinema. Cosa che devo dire sorprende anche me, e non poco. Ero molto scettica riguardo al 'si' che avrei potuto dargli. Troppi fattori in gioco, troppe paure, troppe paranoie. Insomma, si trattava di un 'si' per il cinema non per una proposta di matrimonio, ma allo stesso tempo questa cosa mi spaventava a morte. Forse perché una proposta del genere assomigliava tanto ad un appuntamento, e noi non ne abbiamo mai avuto uno. Non che non ce ne sia stata occasione, ma semplicemente non ne abbiamo mai sentito il bisogno. O almeno io. Ora che ci penso, forse a lui sarebbe piaciuto avere un classico appuntamento, cena, passeggiata mano nella mano e tutto il resto, come nelle commedie romantiche, in compagnia della luna e dei grilli che cantano. Proprio un bel quadretto romantico. Eppure non ho mai sentito la necessità di vivere una scena del genere, di rendere tutto così ufficiale. Ammettere l'esistenza di un qualcosa significa anche accettare la costante paura che quella cosa possa frantumarsi sotto i tuoi stessi occhi. Divertente come nonostante la nostra non-ufficialità ogni cosa si sia disintegrata in così poco tempo, come noi siamo diventati polvere in balia del vento e schiuma in balia della corrente.

Poi mi sono fermata a riflettere. Cinema, significa film, che significa buio, ovvero nessuna esigenza di parlarsi o guardarsi negli occhi per almeno un'ora e mezza. E mi sono detta 'okay Rosy, può andare bene'. Allora perché le mani stanno iniziando a tremarmi sempre di più ad ogni passo che compio verso di lui? Forse avrei dovuto pensarci meglio. Avrei potuto affidarmi alla solita vecchia saggia monetina. E ora non ricordo neanche il preciso motivo perché io mi trovi qui davanti a lui, che continua a sorridere come se tutto scorresse nel modo più naturale possibile. Come diamine fa a mantenere la calma in ogni santissima situazione?

Iniziamo a camminare l'uno di fianco all'altra senza proferire parola per i primi due minuti finché lui non interrompe il silenzio chiedendomi dell'ultimo esame che ho tenuto proprio ieri. Tento di mantenere il più possibile l'interesse vivo su questo argomento, per evitare di ricadere nell'imbarazzante silenzio, ma dopo il mio 'bene, spero.' Mi ritrovo a non sapere più cosa aggiungere. Wow Rosy, le tue capacità di eloquenza mi sorprendono ogni giorno di più, complimenti.

Probabilmente avrà notato il mio pessimo tentativo di mantenere vivo un normale dialogo, quando inizia a chiedere di come stiano i miei coinquilini.

"E Lora? Sai, non credo di starle molto simpatico." Effettivamente Lora prova un irrefrenabile e anche oserei dire ingiustificato odio nei confronti di Zayn da ... beh direi da quando ci siamo trasferite in Inghilterra. La parte peggiore è che, a quanto pare, non fa nulla per nasconderlo anche in sua presenza, l'ultima volta lo ha praticamente cacciato di casa solo con quel suo sguardo terrificante che mostra solo in casi eccezionali. E a quanto pare Zayn fa parte di questi. Così in tutta risposta alzo le spalle e liquido il discorso con un 'meglio se non le rivolgi la parola ed eviti di incrociare il suo sguardo'. E l'atmosfera sembra un po' alleggerirsi al suono della sua risata.

Arrivati davanti al cinema ci fermiamo ad osservare la grande bacheca con i volantini di tutti i film trasmessi attualmente nelle sale. Alla fine optiamo per Wild. E' la storia di una giovane donna che dopo avere perso ogni speranza, con la fine del suo matrimonio e la morte della madre, e dopo anni di sconsiderato comportamento autodistruttivo prende l'avventata decisione di imbarcarsi in un'impresa più grande di lei: percorrere da sola le oltre mille miglia di montagne del Pacific Crest Trail.

Al termine della proiezione del film usciamo dalla sala cinematografica in silenzio. Durante il film tutto sembra essere filato liscio. Nessuno scontro di mani o occhiate di sfuggita, nessun contatto di qualsiasi genere. Arrivati all'esterno mi accorgo che la sera è ormai calata e la temperatura si è abbassata di qualche grado, rispetto ad un paio di ore fa. Iniziamo a camminare dirigendoci verso casa mia.

Strano come ogni cosa sembri trovarsi in una diversa prospettiva, dall'ultima volta che ci siamo visti. Due giorni fa sembrava tutto così diverso, restavano un sacco di dubbi ma, alla fine non ci importava. Quasi come se andassimo a due velocità, la massima o la minima, nessuna via di mezzo, nessuna terza opzione. Bianco o nero, sole o tempesta, e credo che ciò che più ci manchi al momento sia un equilibrio. E' strano mettere la parola 'equilibrio' fra noi due, che un equilibrio non ce l'abbiamo mai avuto. E' sempre stato un eccesso di parole non dette, un ammasso di sentimenti repressi, e noi ai due poli opposti ma in costante contatto.

Alzo lo sguardo verso il cielo. Sembra essere una di quelle poche sere in cui le nuvole si sono dissolte a brandelli, e tra uno spiraglio ed un altro si intravede la luce della luna. Se potessi scatterei una foto, ma probabilmente sembrerei troppo matta. E mi stupisco nuovamente di come io mi preoccupi così tanto di sembrare strana ai suoi occhi. Eppure è sempre lui. Ci conosciamo dalla terza elementare, da quando mi ha starnutito in faccia il terzo giorno di scuola, da quando la prima firma a comparire sul gesso del suo braccio rotto è stata la mia. Non può andare in questo modo.

Sei tu, sono io.

"Io lo farei." Dico continuando a guardare la strada davanti a noi.

"Cosa?" E forse è il più stupito tra i due, perché ... insomma nessuno si sarebbe aspettato che io sarei stata la prima ad aprire bocca, neanche la vecchietta dall'aria impicciona che sembra essere appollaiata sul suo balcone come una civetta nel suo nido.

"Partire, andare via ..."

"Non credi di averlo già fatto?" mi volto verso di lui con sguardo interrogativo. "Voglio dire, sei qui ora, in Inghilterra ..."

"Non intendevo questo tipo di viaggio." Dico voltandomi di nuovo, "Partire senza una meta, o meglio non una sola. Partirei come ha fatto la ragazza del film, attraverserei valli e colline, scalerei montagne. E' un po' come una continua rinascita. E non c'è nessuno a metterti in gabbia, solo tu e i cielo, perché quello è sempre lo stesso."

"Parli proprio come Miss Golightly ..." sorride cercando il mio sguardo complice, perché sa di aver toccato un tasto delicato per me, la mia fissazione per Colazione da Tiffany dall'età di dieci anni.

"Io e il mio gatto siamo due randagi senza nome, che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene: ecco qual è la verità."

"Ma tu non hai un gatto." afferma ridendo.

"Ogni Miss Golightly ha un gatto che si chiama Gatto. Forse lui non lo sa ancora, ma io sono certa che da qualche parte nel mondo c'è il mio Gatto."

Lui sembra pensarci su annuendo con poca convinzione, eppure il mio discorso non fa una piega.

"E Paul? Se ogni miss Golightly che si rispecchi ha un gatto di nome Gatto, allora avrà anche un Paul."

"Mi sto rendendo conto solo ora di quante volte io ti abbia costretto a guardare quel film." Scoppio a ridere ignorando volutamente la sua domanda.

"Già, dovresti sentirti in colpa." Che bel sorriso che ha.

Passiamo i cinque minuti successivi a parlare degli studi che svolgerà qui e di come si senta a riguardo, e improvvisiamo una conversazione in inglese per testare il suo effettivo livello per quanto riguarda la lingua. Devo ammettere che non è niente male, ha fatto un ottimo lavoro in questi mesi e anche se la sua pronuncia non è delle migliori sulla conoscenza è molto preparato.

"Eccoci qui." Dico quando ci ritroviamo di fronte ai tre scalini che separano la strada dalla porta blu di casa mia.

"Eccoci qui." Ripete lui meccanicamente.

Proprio in questo preciso momento mi sto rendendo conto di quanto io sia pessima nei saluti al termine di una serata del genere. Insomma cosa dovrei dire? 'Grazie per la serata'? 'Alla prossima'? 'Ci sentiamo presto'?

"E' stato bello." E' lui a parlare per primo.

"Anche per me." Annuisco "Okay magari gli ultimi quindici minuti, perché prima c'era talmente tanta tensione da poterla tagliare con un coltello." Dico prima ancora di collegare la bocca al cervello. Era andato tutto troppo bene fin'ora, giusto?

Lui scoppia in una fragorosa risata, ed è forse il momento più bello dell'intera serata. Stiamo ridendo in modo sincero e genuino, senza aspettarci nulla. Siamo semplicemente noi, come un tempo.

Il nostro momento di gloria viene però bruscamente interrotto dalla musica rock ad un volume che definire 'troppo alto' sminuirebbe la realtà. Louis, ti uccido.

"E' Louis. E la parte peggiore è che non posso neanche minacciare di sfrattarlo dal momento che non vive effettivamente qui." Ammetto in tono esasperato. "E' meglio che vada prima che i vicini si affaccino minacciando di chiamare le forze armate." Dico salendo i primi due gradini all'indietro.

"Allora, buonanotte miss Golightly." Di nuovo quel sorriso.

"Buonanotte." E si volta.

Salgo l'ultimo gradino e mi volto.

"Paul?" Si volta sorridendo nel buio.

"Si, miss Golightly?"

"Credi che io ti appartenga?"

"Esattamente, proprio cosi." Sospiro.

"Lo so, lo credono sempre tutti, ma il guaio è che tutti si sbagliano."

Silenzio.

"Buonanotte, Rosy."

"Buonanotte, Zayn."

 

LOOK AT ME

Sarò breve, prometto.

Come avrete già notato ho cambiato il titolo della storia da 'Petrichor' a 'Moon River' perché mi sembrava più adatto. Andando avanti nella stesura mi sono effettivamente resa conto che il primo titolo che avevo dato alla storia non la rispecchiava più davvero, mentre erano sempre più evidenti le analogie con il famoso film 'Colazione da Tiffany' che io adoro, e così ecco fatto.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate un piccolo commento.

Felice weekend,

Daisy :)

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Capitolo 15
*** A New Beginning ***


14.

A New Beginning


14/07/14 (Un anno fa ...)

Mi sono svegliato e non c'era. Inutile dire che le immagini di ieri sera non accennano a darmi tregua.

'Ti sto chiedendo di ricomporre quel puzzle. Insieme.'

Che idiota. Come se avessi dimenticato che tra due mesi partirà. E la parte peggiore è che nel momento in cui l'ho detto ero talmente sobrio da sperare di essere abbastanza ubriaco da poterlo avere già dimenticato stamattina. Ma ovviamente ciò non è successo. Non ho la minima idea del perché io l'abbia fatto. Insomma, lei era lì, di fianco a me. E per la prima volta era così libera da ogni schema, da ogni gabbia costruita da sé.

'Gli altri si aspettano da te ciò che tu fai intendere loro di aspettarsi, e vorrei tanto cambiare questo circolo vizioso.'

E lo stava facendo proprio in quel momento, aveva scelto di farlo con me. O almeno credevo, finché stamattina, sceso a fare colazione lei non c'era. 'E' uscita presto, ha detto che non tornerà per pranzo.' Ha risposto Elisa al mio sguardo perplesso sulla sua assenza. Chi ha la forza di alzarsi ad un orario decente e per giunta di uscire di casa, dopo una sbronza come la sua di ieri sera? Lei, ovviamente.

Non mi aspettavo di certo una conversazione su ciò che ci siamo detti ieri notte, sulla panchina fuori dal locale, ma neanche che sarebbe scappata in questo modo. Diamine Zayn, sta un po' zitto! Al novanta percento non si ricorderà nulla di tutto ciò che è successo dopo il suo quarto bicchierino. Si, perché li ho contati. Ho trascorso la mia insulsa serata a tenere d'occhio quanto alchool ingurgitasse lei. Complimenti per la deficienza, sul serio Zayn saresti potuto rimanere benissimo a casa. Ti saresti sicuramente risparmiato gli innumerevoli sensi di colpa che ti hanno deviato la fame. Che poi, come se non bastasse, a pranzo Elisa non ha fatto altro che fissarmi per tutto il tempo con aria di rimprovero per la mia scarsa fame. Quella ragazza è seriamente troppo ossessiva maniacale. Per non parlare delle occhiate d'intesa che scambiava con Liam, come a dire 'Hai visto? Digli qualcosa.'. Ma, ritornando a noi, a questo punto non posso fare altro che sperare nella sua amnesia dovuta dalla sbronza e nel fatto che questa sia la più lunga amnesia temporanea di tutti i tempi. E adesso rieccoci, su questo splendido divano, con il quale devo dire che ultimante sto stringendo un gran bel rapporto, a fare il nulla più totale, a parte il solito vecchio zapping. L'ormai abituale rumore del condizionatore del corridoio che si inceppa rimbomba per tutta la casa, e prima di iniziare ad invocare Elisa, la sola che riesca a farlo ripartire, che poi come non si sa visto che è totalmente negata per i lavori manuali, ma questo è un altro discorso, ricordo di essere completamente solo in casa. Come non detto.

Dopo pochi minuti però scatta la serratura della porta principale alle mie spalle. Wow, avevano parlato di arrivare al centro commerciale e ritornare, ma non credevo lo avrebbero fatto davvero. Sembrava più qualcosa come un giustificarsi del fatto che preferivano uscire di casa il più in fretta possibile, che passare una domenica pomeriggio a deprimersi insieme a me, affondando allegramente nel divano finché non avremo fatto il culo piatto come una tavola da surf.

"Il condizionatore è di nuovo bloccato." Dico, incitando apertamente Elisa a fare qualcosa prima che questo piano della casa diventi una fornace a tutti gli effetti. Ma la voce che giunge alle mie orecchie non sembra di Elisa, ma ...

"Oh. Okay."

Mi volto di scatto, rischiando una paralisi alla cervicale. E ... no, non è affatto Elisa. Inizio a balbettare qualche scusa alquanto disconnessa, spiegandole che pensavo fosse mia cugina ma lei mi blocca con un cenno della mano, mentre appoggia delle buste sul tavolino all'ingresso.

"Tranquillo." Accenna un sorriso.

Tranquillo. Ha detto sul serio 'tranquillo'? Mi volto lentamente, dandole le spalle. Uno dei canali principali dà uno strano talk show che, ovviamente sto guardando. Perché non starò mica tentando di ignorare il tono con cui si è rivolta a me pochi secondi fa. No, assolutamente. Perché alla fine, non c'era nulla di strano in quel 'tranquillo', giusto? Si, forse saranno stati decenni, secoli, millenni che non mi parlava con gentilezza, ma per il resto tutto normale, no? Okay, forse non è assolutamente normale. Togliamo il 'forse'. Cazzo. Questo significa che si ricorda di ieri? Quanto ricorda? E cosa? E adesso, cosa devo fare? Aspettare che sia lei a parlare, fingendo che sia tutto normale, o dovrei ...

Un verso disgustato, proveniente dalla poltrona di fianco al divano, interrompe il mio monologo interiore. "Guardi davvero questa roba?"

Questa è sul serio la prima frase che ha deciso di rivolgermi dopo ... tutto? Mh, profonda direi, quasi quanto la fossa che mi scaverei adesso nel bel mezzo della stanza, per essermi fatto tante paranoie, quando a quanto pare, a lei non frega un emerito ceppo di legno. Mi prenderei a sberle fino a cancellare le ultime ventiquattrore della mia vita. A questo punto due sono le possibilità: uno, non ricorda nulla, due, ricorda ma finge di non ricordare. E sinceramente non so quale preferirei sia quella esatta tra le due. Continuerei a sentirmi un imbecille in entrambi i casi. Ma decido di stare al suo gioco, non mi va di dire o fare altro per il quale continuerei a mangiarmi le mani dai sensi di colpa per i prossimi due mesi.

"Si, e allora?" rispondo inacidito.

"Allora ho cambiato canale." Solleva le spalle con espressione angelica mostrandomi il telecomando furtivamente preso dal bracciolo del divano, sul quale lo avevo appoggiato. Che bastarda.

"Guarda che lo stavo seguendo quel programma." Dico in tono esasperato.

"Bella merda."

Certo, perché lei può spuntare dal nulla dopo un'intera giornata durante la quale non si è fatta viva, liquidarmi con un 'tranquillo' in un tono che solo mia nonna usa ormai con me, per poi rubarmi il telecomando da sotto il naso cambiando canale e criticando ciò che non stavo guardando. Pff. Tipico di lei. Ma stavolta no, stavolta proprio non te la faccio passare, Rosy.

"Dammi il telecomando." Affermo con certezza tendendo la mano oltre il bracciolo e facendola penzolare tra il divano e la poltrona sulla quale è seduta. Lei mi ignora. Mi ignora totalmente, e chissà perché questa scena mi ricorda vagamente quella di ieri sera con il bicchiere.

"Rosy ..."

"Sh. Non riesco a sentire." Mi ammonisce, accennando al bizzarro documentario su ...Oh Dio. Quelli non saranno mica scarafaggi? Ma che cazz ...

Adesso basta. Mi alzo in piedi piazzandomi a braccia incrociate proprio davanti a lei.

"Non hai i poteri dell'invisibilità, lo sai vero?" ma guarda un po' quanto sarcasmo.

"Molto divertente."

"Sicuro? Perché mi sembra di notare che tu non stia ridendo, anche se effettivamente la mia domanda non era una battuta, quindi non ci sarebbe nulla da ridere. Ma dal momento in cui tu affermi che sia così divertente, allora la tua espressione dovrebbe essere ben diversa da quella di un impiegato alla posta che tenta da un'ora e mezza di far capire ad una povera vecchietta che, invece della bolletta da pagare ha portato la ricetta del medico ..."

"Ce la fai a chiudere la bocca per mezzo secondo?"

"Potrei, se solo il tuo culo smettesse di bloccarmi la visuale di questo interessantissimo documentario."

"Va bene." Le dico accennando un sorrisetto. Mi avvicino lentamente a lei, abbassandomi alla sua altezza e sorreggendomi sui braccioli ai due lati "Ma prima ..." il suo sguardo non riesce più a trovare via di scampo ed è costretta a guardarmi negli occhi. Siamo talmente vicini che sento il suo respiro sul mio viso, basterebbe muovermi di qualche centimetro per ... No.

Le sfilo il telecomando dalla mano. "... prendo questo."

Ma evidentemente ho cantato vittoria troppo presto, perché mi arriva un calcio dritto nelle palle, e dal dolore lascio scivolare il telecomando a terra. Scatta in piedi e lo afferra con un'espressione di vittoria stampata in viso.

"Credevi davvero di avere la vittoria in pugno? Povero Zayn."

E precisamente non so quando io inizi a rincorrerla per tutto il salone, mentre lei saltella dalla poltrona al divano, so solo che non credo di averla mai vista così, o forse si. E' come se fossimo tornati a otto anni fa, a rincorrerci e a ridere per un qualsiasi innocuo motivo.

Scappa in corridoio e si infila in bagno tentando di chiudere la porta, ma purtroppo non fa in tempo. Che peccato.

Entro anch'io in bagno "A quanto pare non hai un ottimo senso di sopravvivenza, scegliendo un vicolo cieco."

"Non è ancora detta l'ultima parola." Mi guarda con aria di sfida.

"Ah no? Eppure io direi che la partita si possa concludere qui." Mi avvicino mentre lei fa un passo indietro. "Tu cosa ne dici?"

Scosta lo sguardo dal mio, spostandolo su qualcosa alla sua sinistra. Sembra il momento adatto per rubarle il telecomando dalla mano, ma quando compio il passo annullando quasi del tutto quella poca distanza tra me e lei, si muove più velocemente entrando nella vasca da bagno. La guardo in modo interrogativo, ma la mia espressione cambia totalmente quando afferra il getto della doccia puntandomelo contro.

"Fa un passo falso e ti faccio la doccia nel bel mezzo del bagno." Mi minaccia.

Alzo le mani mentre penso che, andiamo, non posso dargliela vinta. Lei continua a fissarmi, scrutando ogni mia possibile mossa.

"Okay, okay. Mi arrendo." Ma appena sputo fuori queste parole scatto verso di lei e ... in pochi secondi succede la catastrofe. Senza alcuna pietà mi punta addosso il getto dell'acqua ormai aperto e d'istinto entro nella vasca da bagno anch'io tentando di bloccare l'acqua che continua ad uscire. Finché non riesco a deviare la direzione, rendendo anche lei fradicia. Ormai completamente zuppi ci accasciamo ai due lati opposti della piccola vasca chiudendo l'acqua, ci guardiamo e iniziamo a ridere di noi stessi come due perfetti idioti.

"L'importante è che il telecomando si sia salvato." Dice nel tentativo di ritornare seria.

"Ah beh, certo." Dico fingendo un'espressione che si avvicini alla serietà. Ma il momento dura ben poco perché appena lei tenta di alzarsi scivola inesorabilmente con il sedere sul fondo della vasca e, so che forse non dovrei ridere ma ... Dio, è così buffa con quell'espressione fintamente offesa e una ciocca di capelli, sfuggita all'elastico, davanti al naso.

"Smettila, Zayn." Dice mettendo su un broncio adorabile, che però non riesce a mantenere ricominciando a ridere.

Uno strano silenzio ci avvolge completamente dopo qualche minuto. Non uno di quei silenzi pregni di imbarazzo e parole mozzate, no. Un silenzio strano, ma in senso buono. Il solo rumore percepibile sono le goccioline d'acqua che cadendo lentamente dal rubinetto si infrangono sul fondo bianco, mescolato ai nostri respiri. Una quiete quasi sovrannaturale, leggera, semplice. Uno di quei pochi momenti nella vita in cui ti accorgi che tutto ruota nel senso giusto, che sei proprio dove dovresti stare, e sei proprio chi dovresti essere. E ti vien da chiedere se ci sia qualcosa di sbagliato nello stare così bene con se stessi, una volta tanto. Quasi come se la felicità non fosse fatta per te, quasi come se ti aspettassi che dopo la quiete arrivi la tempesta, ma al momento non ti resta che goderti questo piccolo spicchio di vita quasi perfetta, in una bolla che potrebbe scoppiare da un momento all'altro.

"Dove sono andati Liam ed Elisa?" chiede dopo qualche minuto alzando lo sguardo su di me, interrompendo il silenzio.

"Al centro commerciale." Rispondo incrociando il suo sguardo. "E tu?"

"Io cosa?"

"Dove sei stata tutt'oggi?"

"In giro." Risponde in modo vago.

"Oh. Misteriosa la ragazza." Dico mentre lei appoggia la testa sul bordo della vasca, mostrando totalmente il collo. Perché diavolo ho questa irrefrenabile voglia di morderglielo? "Ha a che fare con il biondino di ieri?" chiedo così, a bruciapelo.

"Cosa?" chiede lei riportando velocemente lo sguardo su di me.

"Nulla, lascia perdere." Non è affar mio, non lo è affatto. "Dovremmo asciugare il lago che c'è a terra, prima che torni Elisa ed inizi ad urlare istericamente." Inizio a sollevarmi dalla vasca da bagno lentamente, nel tentativo di non scivolare.

"Luke è solo un amico." Afferma dopo pochi istanti, guardandomi dal basso.

"Mh, sareste una bella coppia." Dico svogliatamente cercando un modo per non scivolare.

"Nah. Litigheremmo continuamente su chi sia più biondo tra i due." Accenna una risata, forse nel tentativo di dissolvere un po' la tensione che si è venuta a creare negli ultimi secondi.

"Vero." Confermo sorridendo a mia volta. Ma ecco che proprio mentre sto per sollevare un piede per uscire dalla vasca qualcosa va storto e mi ritrovo con una gamba all'aria e il sedere di nuovo sul fondo bianco. Rosy scoppia in una fragorosa risata e non la biasimo perché la mia attuale posizione richiama molto quella di una donna che sta per partorire.

"Ti diverti tanto, eh?" e in tutta risposta lei ricomincia a ridere ancora più forte di prima, portandosi sempre il solito ciuffo di capelli dietro l'orecchio. "Se la metti in questo modo ..." Mi lancio su di lei mettendomi a cavalcioni, iniziando a farle il solletico e, presa alla sprovvista scivola di schiena sul fondo della vasca.

Inizia a dimenarsi afferrandomi i polsi, implorandomi di smettere e continuando a ridere fino a rimanere senza fiato. Ed è semplicemente bellissima, mentre troneggio su di lei a pochi centimetri di distanza dal suo viso, di nuovo, e non mi rendo neanche conto che io abbia smesso di solleticarle i fianchi. Le allontano la ciocca ribelle dal viso e ne approfitto per lasciarle una carezza sulla guancia. Senza smettere di guardarla negli occhi inizio a tracciare con il pollice il contorno del labbro inferiore. Lei non fa nulla per fermarmi, resta immobile sotto il mio tocco, non sorride ma non si ritrae, con le mani ancora sui mie polsi e gli occhi persi nei miei.

"Tra sette secondi potrei baciarti, se non farai nulla per fermarmi." Sussurro sul suo viso, e l'ombra di un sorriso si ferma per una frazione di secondo sulle sue labbra.

Passano cinque secondi, esattamente cinque prima che lei apra bocca. Ne sarebbero bastati altri due, solo due, ed ho la sensazione che anche lei li stesse contando. Ma ciò che dice distoglie totalmente la mia attenzione dalle sue labbra, facendomi rabbrividire.

"Non sono brava a fare i puzzle, Zayn." Basta a farmi ghiacciare sul posto. 'Ti sto chiedendo di ricomporre quel puzzle. Insieme.' "Troppi pezzi, troppe complicazioni ..."

"Ma è più semplice se si è in due, Rosy." Rispondo con fermezza. Ha paura, glielo leggo nello sguardo.

"E non sono brava a mantenere le promesse ..."

"Nessuno lo è." La interrompo.

"E non bevo mai così tanto da rischiare di dimenticare qualcosa." Sorride sull'ultima frase.

"Ora lo so." Sorrido a mia volta. E il tempo sembra fermarsi mentre tutto rimane sospeso, a galleggiare nell'aria.

"Ed ora cosa facciamo?" chiede addolcendo il tono.

"Io proporrei di rimettere in ordine questo posto prima che Elisa ritorni." Dico continuando a sorridere e sollevandomi dalla mia precedente posizione.

Lei annuisce, mettendosi seduta a sua volta. "Non mi riferivo solo a questo." Sospira "Potrebbe essere la fine."

"Lo so." Dico mordendomi il labbro. E lei sembra leggermi nel pensiero perché in meno di un secondo le nostre labbra si sfiorano.

Ed è tempesta.

Eppure, la fine non ha mai avuto un sapore così simile ad un nuovo inizio.

 

 

 

LOOK AT ME!

Zalve gente, how are you? 

Eccoci con un nuovo capitolo, se non vi ha fatto così tanto schifo lasciate un mini commento e fatemi sapere cosa ne pensate riguardo la storia in generale. 

A presto,

Daisy (:

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