V Per Vendetta

di Memi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


 
‘’Meredith!’’ Urlai nel vento, permettendo che alcune gocce di pioggia mi bagnassero il volto.
‘’Dai Al, sarà divertente!’’ rispose lei, urlando a sua volta. Era distante da me, e non credevo fosse possibile raggiungerla; era sera, non vedevo molto bene.
‘’ E’ pericoloso, torna indietro!’’ continuai io, cercando di fermarla, mentre il vento forte mi contrastava.
‘’Allison Miller’’ annunciò lei, voltandosi ‘’Non fare la guastafeste e vieni con me!’’ Misi un braccio davanti al viso, per tenere gli occhi aperti.
‘’Meredith Moore’’ gridai io ‘’Torna indietro!’’ Il vento disperdeva le mie parole, e forse fu per quello che Meredith non mi ascoltò.
Cominciai a correre per raggiungerla. Il cappuccio scese, lasciando che la pioggia mi bagnasse anche i capelli. La raggiunsi, e l’afferrai per un braccio. Lei si girò, sorridente. ‘’Vedrai che ti divertirai, Al.’’
‘’Mer, ti prego, torniamo a casa.’’ Stavo cominciando a piangere. Sapevo che convincere Meredith a tornare a casa era un’ impresa tutt’altro che facile. Pensate farle capire che poteva morire da un momento all’altro, era addirittura impossibile.
Meredith mi guardò per qualche secondo, poi mi abbracciò. ‘’Va bene, torniamo indietro.’’ Aggiunse infine. Mi guardai intorno, la presi per mano e cominciai a correre sotto la pioggia torrenziale. Eravamo a circa 20 metri da casa mia, quando una voce, ci fermò.
Quella voce.
No, non poteva avermi trovata. Non adesso.
‘’Guarda chi si rivede.’’ Il suo accento ironico mi urtò i nervi.
Mi voltai di scatto. Non era solo. C’era un ragazzo con lui, credo fosse il figlio. Avrà avuto la mia stessa età, circa 16 anni. Aveva i capelli color del grano e due occhi color nocciola, un po’ intimoriti e perplessi.
L’uomo estrasse una pistola.
‘’Meredith, vai via.’’ Ordinai, prima che potesse reagire impulsivamente.
‘’No, i-io non ti lascio.’’
‘’Ho detto vai via!’’ Mentre stavo per darle una spinta e cominciare a correre anch’io, l’uomo premette il grilletto. Il proiettile sfiorò solamente il braccio di Meredith, che cominciò a piangere e a correre più forte, allontanandosi velocemente. Il ragazzo, spinto dal padre, partì al suo inseguimento, ma non so con quale scarica di adrenalina lo atterrai e gli sfilai la pistola dalle mani. Mi voltai appena in tempo per vedere il padre correre verso me.
Non feci in tempo a rialzarmi che mi ritrovai la sua mano intorno al collo. Stavo soffocando. Cercai di dimenarmi.
‘’Perché dobbiamo ucciderla?’’ chiese il ragazzo, a terra. Oh, piccolo, ti sei preoccupato per me. Potevi anche pensarci prima che tuo padre mi spezzasse il collo.
‘’Questa ragazza non merita di vivere.’’ Si limitò a dire l’uomo, mentre io cercavo di prendere aria. Stavo per perdere i sensi quando mi ricordai della pistola. Non ci pensai due volte e con le mie ultime forze alzai le braccia.
Il ghigno sul volto dell’uomo scomparve, e quando cadde a terra, io precipitai al suolo con lui, sporcandomi del suo sangue.
Il ragazzo gridò, e si buttò sul corpo del padre.
‘’Vendicherò mio padre, te lo prometto!’’ Ringhiò il ragazzo, mentre io mi rialzavo atterrita, ancora incredula per quel che avevo fatto. Quelle parole, sì, quelle parole, le sento nelle orecchie ancora adesso.


Spazio autrice.
Saalve a tutti. Spero vi ricordiate di me, ahahah.
Sto pubblicando di nuovo i capitoli corretti di questa FF, dato che ci tengo abbastanza. 
E ora puff, spero vi piaccia. L'intro non è un granché, ma fate uno sforzo per me, plis.
Love you all. <3

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Mi sveglio di colpo, quasi urlando. Odio svegliarmi così.
Mi passo una mano sul volto, scoprendomi spaventosamente sudata. Quel ricordo ora mi perseguita sotto forma di incubo, e ogni sera vorrei non sognare nulla.
Sono passati due anni ormai, e anche se ci ho fatto l’abitudine, il senso di colpa di non sentire nessun rimorso per quel che avevo fatto mi fa riflettere ogni mattina.
Ma quell’uomo mi seguiva da quando avevo cominciato la terza media. Ha segnato la mia vita e il fatto che ora lui non poteva nuocere né a me né ad altre ragazze mi rende solo felice.
Afferro il cellulare e controllo l’ora. Le 6:30.
Poco male, mi sarei dovuta svegliare comunque.
Mi alzo in fretta, cercando i vestiti nell’armadio.
Li butto distrattamente sul letto sfatto, e mi dirigo verso la camera di Meredith.
Da quella notte non si è più voluta staccare da me, e a me non da fastidio. Mi da un certo senso di protezione, lei è praticamente l’unica, a parte la mia famiglia, che sa cos’è successo veramente.
-Sveglia, dormigliona.- Lei si rigira nel letto, voltandomi le spalle.
-Lasciami due minuti, mamma- Delira, mettendosi un cuscino sopra la testa ramata.
-Ok, ci rinuncio- Esclamo, dirigendomi in bagno.
Dopo essermi vestita, vado in cucina a preparare la colazione.
Cucino qualche frittella, forse l’odore potrebbe svegliare Meredith dal suo sonno post-sbornia della domenica.
-Buongiorno!- Esclama una vocina furba, prendendo un paio di frittelle dal mio piatto.
-Ehi, quelle sono le mie!- La riprendo, mentre lei se ne frega, mangiandosi anche il resto.
-Che ore sono?- Chiede, massaggiandosi la pancia come una bambina troppo golosa.
-Sono le 7. E vedi di sbrigarti, non voglio fare tardi di nuovo.- Meredith sembra amare arrivare in ritardo in qualunque luogo debba andare. Non capisco come faccia, dato che alcune volte è praticamente impossibile ritardare. Credo che mi arrenderò presto al fatto che sia così solo perché lei è Meredith Moore.
-Le 7? Oh merda.- Aggiunge lei. La guardo perplessa dal suo francesismo, mentre afferra entrambi gli zaini e si mette a correre per casa, cercando il suo cappotto.
Mi accorgo con stupore che si è cambiata in circa un quarto d’ora, e rimango un po’ stranita.
‘’Oggi sarà una giornata strana’’ penso ironica.
Alzo gli occhi al cielo, e spengo il fornello, andando a fare colazione.
-Trovato. Ora, corri.
Faccio appena in tempo a vedere un turbine di capelli rossi che esce correndo dalla porta di casa, che la seguo sbuffando. Non mi piace correre di prima mattina, soprattutto con quattro frittelle sullo stomaco. Non è salutare.
La raggiungo alla stazione del bus, mentre lei riprende fiato, piegandosi sulle ginocchia.
-Cosa cazzo metti nello zaino?!- Ansima lei, guardandomi con odio.
-I libri che tu non porti, testona.- Le do un vendicativo cazzotto sul braccio.
-Spiegami il perché- piagnucola barcollando. Mi metto a ridere e le tolgo la mia borsa dalle spalle.
L’autobus arriva 15 minuti dopo, mentre io batto i denti dal freddo.
Sto seriamente cominciando a chiedermi del perché la gente definisca Los Angeles come una delle città più calde d’America. Ok che siamo in California, ma si gela.
 Prendiamo posto sul bus, e Meredith si gira verso di me.
-Senti..- comincia a dire. Oh, no. Quando fa così non c’è niente di buono in arrivo.
Con un cenno del mento la sprono a continuare.
-Pensavo che.. beh, io.. potrei andare da mio nonno.- Alzo un sopracciglio. Tutto qui? Mi aspettavo di peggio.
-Oggi.
Sbatto un paio di volte le palpebre.
-E quindi?
Apre la bocca come per dirmi qualcosa, ma poi la richiude.
-Dovrei rimanere per due settimane. La moglie di nonno sta male e lui ha bisogno di me.
All’improvviso non sapevo cosa dirle.
-Beh, vai. Non devi mica chiedermi il permesso.- Le sorrido, cercando di apparire tranquilla.
-Sicura?-  mi chiede sospettosa lei. Annuisco, portandomi la frangia dietro l’orecchio.
* * *
Arriviamo a scuola.
Inferno. E’ un inferno, seriamente.
Le solite oche sculettanti mi passano davanti, guardandomi con disprezzo. Meredith ridacchia, facendo  una qualche battuta sull’alquanto poco pudico vestito di una biondina tutta fronzoli.
Intanto siamo arrivate ai nostri armadietti, e controllando il programma della giornata, prendo il libro di inglese per la prima ora.
-Ok, ci vediamo dopo a scienze, Mer.
-A dopo.- Mi da un rapido bacio sulla guancia, congedandosi, e mentre  passo davanti al gruppo di troiette rifatte che fanno le gatte morte con qualcuno di cui noto solo i capelli, arrivo alla mia aula.
E’ biondo anche quel tipo.
Color del grano.
Un brivido mi percorre la schiena, e fingo nonchalance, chiudendo di colpo la porta dell’aula dietro di me.
Inspiro ed espiro, tentando di calmarmi. Sento un casino dentro il mio cervello, e la mia vocina interiore sta gridando ‘’Allarme rosso!’’ con un grande megafono.
Non può essere lui.
Mi sento succube di questa cosa. E’ come se la sua morte non fosse bastata a far sparire quel senso di prigionia.
Mi guardo di nuovo intorno, e ancora pensando a quei capelli e al mio stato mentale, mi siedo ad un posto in fondo all’aula, sperando di scomparire.

Due ore dopo.

Corro verso il mio armadietto, e lo apro di fretta. Ho paura di rimanere fuori le aule a lungo da questa mattina. Non riesco a togliermi dalla testa quel ciuffo biondo.
Che poi, andiamo, Al. Quante persone con quel colore di capelli esistono, su sette miliardi di esseri umani? Potrebbe essere chiunque.
‘’Ma ovviamente a te questo non importa.’’
Afferro il libro di scienze, sbattendo l’anta arrugginita dell’armadietto.
Osservo il corridoio. Scorgo Meredith in lontananza .
‘’Ringraziando il cielo.’’
-Mer, sono qui!- Esclamo, facendole un cenno con la mano. Lei si avvicina velocemente, quasi come se cercasse proprio me.
-Al cara, hai visto il ragazzo nuovo?- mi chiede lei, con gli occhi che le brillano, mandando lampi di euforia-da-bel-ragazzo.
-No- Le rispondo, un po’ scioccata. Penso che deve essere un bel tipo, e mi sento rincuorata. Meredith ha visto il ragazzo, quella notte, lo avrebbe riconosciuto, se fosse stato lui.
-E’ assolutamente bellissimo!-Continua trepidante. Spero non si metta a sbavare.
-Sicura di stare bene? Non è mica un modello di Abercrombie.- Dico ridacchiando mentre lei cammina guardandosi continuamente intorno. Si fionda in classe dicendo qualcosa sottovoce che non capisco e mi lascia sola nel corridoio.
Mi guardo intorno. Sono in ansia qui fuori.
‘’Meglio entrare in classe.’’
Faccio per voltarmi quando qualcuno mi urta malamente, facendomi perdere l’equilibrio.
Ecco che cado e faccio la mia figura di merda giornaliera. Sono consapevole che sarei più ridicola tentando di rimanere in piedi e non oppongo resistenza alla forza di gravità.
Oppure no? Perché sono a pochi centimetri dal pavimento? E’ improbabile che si sia fermato il tempo.
Poi realizzo che qualcuno mi sta tenendo per un braccio.
-Ehi, stai più attenta!- Mi ammonisce una voce maschile abbastanza spazientita. Bene.
Riacquisto l’equilibrio, imbarazzatissima.
‘’Allison non cambia mai.’’
-Scusami, io non volevo..- Non riesco a terminare la frase, perché mi sono resa conto chi ho davanti.
Capelli biondi come il grano, occhi color nocciola.
Quegli occhi.
La vista mi si annebbia.
‘’Sosia’’.
Vendicherò mio padre, te lo prometto!’ Sento solo, mentre tutto si fa nero.



Spazio autrice.
Eccomi di nuovo qui. 
Ho aggiunto subito il primo capitolo per recuperare quelli persi, e credo che ne aggiungerò circa tre al giorno, fino ad arrivare a quello che sto scrivendo attualmente.
Spero veramente che vi garbi, e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensioncina. 
<3.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Apro gli occhi. Scorgo un soffitto bianco sopra di me.
Bene, sono in infermeria.
Mi viene istintivo toccarmi il collo.
-Ti sei svegliata.- Sento dire. Di nuovo quella voce. Rabbrividisco. Ho paura. C’è ancora la vocina col megafono, nella mia mente, ma adesso è muta. E’ spaventata quanto me.
La sua voce non è troppo profonda, e se non gli appartenesse sarebbe anche piacevole da ascoltare.
Mi giro di scatto. Temo che mi abbia riconosciuta. Vorrei solo andare a nascondermi e piangere.
‘’Che situazione di merda.’’
-Cosa ci fai qui?- Domando brusca. La sua espressione cambia per un secondo, percependo il mio distacco.
-Ti ho portata io qui. Mi sei svenuta quasi tra le braccia.- Risponde lui, grattandosi la nuca, ora leggermente imbarazzato.
Oh, magnifico. Sento lo stomaco chiudersi.
‘’E’ proprio quello che volevo accadesse.’’
Mi limito a girare il volto dall’altra parte, scacciando le immagini che mi tornano in testa.
Mi sento toccare una spalla.
Sussulto, mentre un brivido improvviso mi attraversa la schiena.
‘’Oddio.’’
Sposto di malo modo la sua mano, cercando di non guardarlo negli occhi.
-Oh, ehm, ok. Cosa ti ho fatto?
Mi mordo la lingua prima che possa insultarlo.
Lo ‘conosco’ da 5 minuti e già devo trattenermi. Voglio solo tagliare la corda da qui, non c’è nessuno nella stanza, non mi sento sicura. Dove cazzo sono le infermiere quando servono?
-Nulla. Ma se vuoi scusarmi, ora devo tornare in classe. Grazie mille.
Balzo in piedi e me ne vado, mentre lui mi guarda con un sopracciglio alzato, evidentemente perplesso.
Torno in aula, cercando di nascondere la pelle d’oca.
-Ehi, Al, cos’è successo?- mi sussurra Meredith all’orecchio.
-Ti spiegherò tutto quando saremo da sole. Ora non è il momento.
Annuisce, evidentemente preoccupata.
Le sorrido senza coinvolgere gli occhi. Sono sconvolta, sento il bisogno di parlarle.
* * *
-Allora, io vado.- Mi dice Meredith, afferrando il suo trolley fucsia.
‘’Si è portata dietro tutta la casa.’’
-Certo, stai attenta e salutami Mike.- le dico, abbracciandola.
-Devi ancora dirmi cos’è successo.- mi guarda severa lei. E’ curiosa fino all’osso.
-E’ arrivato il tuo taxi, ora. Te ne parlerò stasera quando sarai arrivata, ok?- lei sbuffa contrariata, e l’abbraccio. Mer esce di casa e mi fa un cenno con la mano prima di scomparire dentro il taxi che la porterà a New York.
Rientro dentro, e mi guardo intorno. Il silenzio mi rende inquieta e noto con dispiacere che non ho nulla da fare per evitare di pensare a quel tizio. Decido che è meglio prendere qualcosa da mangiare e mettermi a dormire.
Mi fiondo sul frigorifero, prendendo qualcosa a caso. Ci sono degli affettati, del formaggio e una fetta della torta che la signora Steward, la nostra vicina di casa, ci ha portato circa tre giorni fa. Deliziosa.
Corro nella mia stanza e chiudo la porta. Sto per mettermi sotto le coperte quando sento suonare il campanello.
L’ansia mi prende di colpo. Chi sarà adesso?
Scendo cauta le scale, mentre un’altra scampanellata riecheggia per la casa.
Non ho nessuna intenzione di aprire la porta, ma la persona là dietro sembra non arrendersi.
Apro la porta con cautela.
‘’Oh mio Dio.’’
Faccio appena in tempo a realizzare che lui è davanti la porta di casa mia che la richiudo immediatamente.
Il mio respiro accelera, così come il battito cardiaco.
Ora ho paura. Come ha fatto a scoprire dove abito? Perché mi ha cercata? Oddio e se mi avesse riconosciuta? Sto per morire e Meredith non è qui, Santo Cielo.
Sento di nuovo il campanello.
-Cosa vuoi?- chiedo a voce alta, cercando di nascondere il terrore puro che mi attanaglia lo stomaco e la gola.
-Voglio entrare!- Risponde il biondo.
-E perché, scusa? Non ci conosciamo nemmeno!
-Sei paranoica, eh, Miller?
La bile mi sale in gola. Come sa il mio nome?
Voglio chiamare la polizia.
-Vattene subito, non voglio nemmeno chiederti come fai a conoscere il mio cognome.
-Ok, ok. Mi arrendo. Ciao.
Ho il fiatone. Si è veramente arreso?
Butto uno sguardo alla finestra del salone, e lo vedo lì.
Chiudo subito la serranda.
Corro in cucina e faccio lo stesso. Non deve trovare punti di accesso oppure le cose potrebbero mettersi male.
Decido di barricarmi in casa. Non deve entrare. Non può farlo. La violazione di domicilio è un reato e lui mi ha appena seguita, potrei benissimo denunciarlo.
Volo da una parte all’altra del piano inferiore della casa, chiudendo la porta sul retro e tutte le finestre.
‘’Bene, ho finito. Di sopra non può arrivarci, a meno che non si arrampichi sull’albicocco in giardino.’’
Sorrido al pensiero di averla avuta vinta, quando mi rendo conto che la finestra della mia camera è aperta.
Mi fiondo sulle scale, e faccio appena in tempo ad entrare che lo vedo saltare nella mia stanza.
Caccio un urlo. Penso mi stia per venire un infarto.
‘’Lui è qui, lui è qui, lui è qui’’ non faccio altro che pensare.
Mi guarda come se fossi strana, e sorride.



Spazio autrice.
Rileggendoli da qui, sembrano un tantinello più corti del previsto.
Oh, Gosh.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


‘’Tale padre, tale figlio.’’
Non riesco a muovermi. Sono semplicemente paralizzata. Spero che sia soltanto un sogno, e invece la sua voce mi ricorda che questa è l’inesorabile realtà.
-Ciao, io sono Justin Bieber, piacere- Dice tutto d’un fiato, porgendomi la mano. Penso che neanche Meredith parli così velocemente.
E ce ne vuole.
Guardo la sua mano. E’ grande e ha le dita affusolate.
-Cosa vuoi?- rispondo, cercando di indietreggiare verso il corridoio alle mie spalle, nonostante la paralisi mi renda difficili le cose.
-Conoscerti.
-Perché sei entrato dalla finestra?
-Hai chiuso tutte le porte.
-Come hai fatto a trovare casa mia?
-Ho consultato il tuo fascicolo personale a scuola.
-Cosa? Non è illegale?- faccio una faccia scioccata.
-Forse.- Fa spallucce lui. Non sembra preoccuparsene più di tanto.
Sbatto un paio di volte le palpebre e scuoto la testa.
-Sai già tutto quello che ti serve sapere su di me, giusto?
-Beh ho solo letto qualcosa. Vorrei sapere di più da te.
Sento un nodo in gola. Non so cosa intenda né perché voglia conoscermi e sinceramente non penso che voglia veramente saperlo.
-In che senso?- cerco di non avere la voce tremante. Diventa pensieroso per una frazione di secondo. A parte i cambi repentini d’umore, credo abbia capito che ho paura.
Forse è meglio stare al suo gioco. Se lo faccio non mi scoprirà e se ne andrà presto.
-Non so, come vai a scuola, cosa ti piace fare, cose così.
-Ok. Anche se sai già come mi chiamo non so come, piacere. Sono Allison.
Mi sorride gentile, porgendomi di nuovo la mano. Forse la stringo troppo in fretta, perché fa troppe espressioni lampo.
Cerco di risultare tranquilla sedendomi sul letto, e spero vivamente che non lo faccia anche lui.
‘’Io non l’ho invitato a sedersi e non ci conosciamo, non può farlo.’’ Cerco di rilassarmi, e mi sento morire mentre lui si siede proprio accanto a me.
Mi sposto verso il bordo del letto, e lui si avvicina di conseguenza.
Odioso piccolo mostriciattolo.
C’è troppo silenzio, ma sinceramente non voglio essere io ad interromperlo, quindi mi alzo e vado a sedermi sulla sedia della scrivania.
‘’E’ evidente che non voglio stargli vicino.’’
La sua presenza mi inquieta.
-Da quanto vivi a Los Angeles?- Chiede, riprendendo a parlare.
‘’Sembra quasi che mi abbia letto nel pensiero’’ tremo.
Cazzo, la mia mente mi rema contro.
-Sono nata qui.- Rispondo cauta.
Si avvicina a me, osservando le foto sulla scrivania.
-Sei brava a fare foto.
-Non le ho fatte io. E’ stato un mio amico.
-Lui?- mi indica una fotografia con il gruppo di kick boxing.
-No, non lui.
Mi guarda, alzando un sopracciglio.
Mi vado a sedere di nuovo sul letto, tanto per rendere un tantino più chiaro che non lo voglio fisicamente vicino, ma non sembra capirlo, dato che mi segue ancora.
‘’Ma ce l’ha nel DNA o cosa?’’
Indietreggio, lui avanza. Indietreggio ancora.. ancora.. e bum.
La spalliera.
Mi fissa, facendo scorrere gli occhi lungo il viso, poi scende al collo.
Dopo quella notte ho avuto i segni delle dita di suo padre sul collo, ora non si vedono più, e nonostante questo mi sento dannatamente scoperta sotto il suo sguardo, ho paura che li veda. La mia paura è irrazionale quanto concreta, e so che sarei nei guai.
Mi butto dall’altra parte del letto, cercando di evitare una situazione pericolosa.
Sento la sua risatina candida entrarmi nelle orecchie.
-Sai, non mordo.
Gli faccio un sorrisetto tirato, mentre mi rialzo.
-Credo che sia meglio che tu vada. Tra poco devo uscire. E fai in modo di non seguirmi anche stavolta.
Dico, passandomi il palmo della mano sul braccio.
-Ok, scusami. A domani.
Mi fa un occhiolino, ed esce dalla finestra.
Beh, potevo farlo uscire dalla porta. Vabbè.
Chiudo la persiana e mi accascio sul letto, priva di forze.
Mi ha totalmente spiazzata.
Voglio piangere. Ora mi perseguita anche lui e io non so che fare. In cosa mi sto cacciando?
Dannazione, non me lo toglierò di torno facilmente.
Non posso nemmeno ucciderlo. Già il fatto che io fossi quasi maggiorenne quando ho sparato al padre mi ha creato un sacco di casini con la polizia. La mia famiglia ha dovuto tenere a bada i media per far rispettare loro la mia privacy perché avevo paura di lui. Se non lo avessi fatto e non avessi cambiato appartamento ora sarei sicuramente già morta.
Sospiro, asciugandomi il volto. Mi giro su un fianco e chiudo gli occhi.
* * *
Quando mi risveglio, sono le 16:30. Mi alzo dal letto con un gran mal di testa, un po’ per il pianto di prima, un po’ per quello che è successo. Non ho per niente voglia di andare agli allenamenti, oggi. Vado svogliatamente in bagno, mi sistemo, prendo il borsone ed esco di casa.
Mi guardo dietro. Senza Meredith al mio fianco e Justin in giro sto per impazzire. La paranoia che qualcuno mi segua ce l’ho da quando Justin Senior ha cominciato a perseguitarmi. Anche se fino a ieri non avevo motivo di preoccuparmi, ho sempre avuto paura. Non è bello vivere nel terrore ed essere schiavi del proprio passato.
Arrivo ad uno Starbucks, prendo un caffè e poi mi dirigo verso la palestra.
Un coro di ‘Buongiorno’ mi accoglie, facendomi sentire improvvisamente al sicuro. E’ come se quella fosse un po’ come la mia seconda casa. Forse è leggermente più grande e luminosa, ma le persone che ci lavorano trasmettono un gran calore.
-In anticipo, oggi, eh?- mi punzecchia Michael, il mio allenatore, accostandosi alla parete di fronte a me.
-Scusa, Coach. Oggi non è giornata.
Sorrido timidamente  e mi vado a cambiare, buttando il bicchiere del caffè nel cestino accanto al bancone della segretaria.
-Ehi, Al.
Mi volto e vedo Caroline.
-Salve, Caro.
Mi sorride e mi da una pacca sulla spalla con la sua solita delicatezza da uomo.
‘’Dovrebbe smetterla di fare robe per le braccia extra.’’
Dopo essermi cambiata, vado nella sala per gli allenamenti. Non sono ancora sicura di voler allenarmi, ma ormai sono qui.
Arriva il resto della squadra. Alex, Victorie e Daniel.
-Magnifico, ci siete tutti. Ora, a terra, oggi potenziamento.
Oh, fantastico.  Questa giornata non potrebbe andare meglio.
 * * *
Sono esausta. Sia sul piano fisico che su quello psicologico.
Esco dalla palestra come uno zombie. Daniel sembra averlo notato, dato che mi tiene per la vita. Forse teme che cada a terra come un sacco di mele.
Non vedo l’ora di farmi una doccia calda e di dormire otto ore di filato. Non sono veramente in vena di fare nient’altro.
-Ci vediamo mercoledì, ragazzi.- li saluto, stringendo delicatamente il braccio di Dan, che mi sorride di rimando. Vorrei dirgli tutto, ma dovrei confessare e non sono sicura che vorrebbe ancora vedermi, dopo.
-Ti vedo stanca. Vuoi un passaggio?
E’ come se sapesse tutto quello che mi passa per la testa. C’è davvero un gran bel feeling tra noi due.
-Sì, ti ringrazio.
Mi sorride e guardo quanto sia bello, con quei lineamenti marcati e i capelli scuri.
Mi fa sedere sul sedile del passeggero e penso a quanto sia grata al Cielo di avermi donato un amico così.



S.A.
Io vi vedo. :')

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


 Mi risveglio a causa della luce del sole che filtra dalla finestra.
Mi stiracchio, e dopo essermi stropicciata gli occhi mi accorgo di essere ancora terribilmente stanca.
Mi tiro su in automatico, priva di ogni forza vitale. Mi rendo conto che quel tizio biondo mi ha sconvolta più di quanto mi fossi resa conto ieri. Dannazione, perché tutte a me?
Sto per mettermi un cuscino sul viso per soffocarmi, quando il flusso dei miei pensieri viene interrotto dalla vibrazione del cellulare.
Con un gesto lento lo afferro, notando che il numero è sconosciuto.
‘’Non mi piace.’’
E’ un messaggio.
‘’Da: Numero Sconosciuto
Buongiorno Allison. Sono Justin. Questo è il mio numero, non arrabbiarti perché ho preso il tuo. Preparati, alle 7:30 a.m. Sarò sotto casa tua per accompagnarti a scuola.
xoxo’’

Sono terrorizzata. Come è riuscito a prendere il mio numero?
Controllo l’ora. Merda, sono le 7 e 15. Ho perso il bus.
‘’Impazzirò.’’
L’unica opzione che ho per salvarmi è Daniel, ma sento che c’è qualcosa che mi sfugge.
Oggi è martedì, giusto?
Un pensiero mi attraversa la mente, e sento che la mia sanità mentale si sta per spezzare sopraffatta dagli eventi e dalla paura.
Il martedì Dan fa il primo turno a lavoro la mattina presto. Sono fottuta.
Blocco subito il telefono e cerco di regolarizzare il mio battito cardiaco.
Non sono una cagasotto, posso affrontarlo. Odio il fatto che lui evochi tutto questo terrore in me. Non va affatto bene.
Corro in bagno, e mi faccio una doccia veloce.
Mi cambio lentamente, come se stessi per andare alla mia esecuzione capitale.
‘’Poco ci manca.’’.
* * *
Il suono di un clacson mi fa sobbalzare.
E’ qui.
Scendo le scale lentamente e afferro  lo zaino dal divano.
Respiro profondamente ed esco dalla porta, trovandomi davanti un Justin sorridente.
‘’Se solo sapesse.’’
Cerco di cacciare quel pensiero dalla mia mente, e lo saluto.
-Buongiorno.-Mi limito a dire, mentre lui cerca di darmi un bacio sulla guancia, ma per fortuna riesco ad evitarlo. Non mi serve il ‘’bacio della morte’’.
-Ehi, calmo.
-Scusami.- dice solo, aprendomi la portiera dell’auto, come se fosse stato un gesto istintivo. Altro motivo per non farmi piacere i suoi atteggiamenti.
Mi costringo a salire e non mi tranquillizzo finché non mi rendo conto che stiamo andando veramente a scuola e non in un posto isolato per farmi fuori.
-Allora, come stai?
-Bene.- sillabo.
-Non mi sembri molto convinta. Ti faccio paura?- ironizza lui, con un sorrisetto indecifrabile sul volto.
Rimango pietrificata. Spero non si accorga che ha colpito al centro.
-Perché dovrei averne? Anche se mi hai seguita fino a casa e hai preso il mio numero di telefono non so come?- cerco di sdrammatizzare facendo una risatina, ma penso che sia uscita troppo stridula.
-Giusto, scusami. Di nuovo.
Gli faccio un sorriso, cercando di risultare il più naturale possibile.
 * * *
Hallelujah. Siamo finalmente arrivati davanti al cancello della scuola.
Faccio per aprire lo sportello dell’auto quando lui mi ferma, poggiando la sua mano sul mio avambraccio.
-Allora, volevo chiederti..
Il battito cardiaco è accelerato. Prima o poi mi prenderà un accidente sul serio.
-Cosa?- Cerco di tagliare corto io. Si è creato un silenzio abbastanza inquietante. E’ come se potesse sentire la voce dei miei pensieri e scoprire tutto. Non mi piace.
Credo che dovrò prendere appuntamento con uno psicologo.
-Beh mi chiedevo se volessi uscire con me, sabato.
‘’Cazzo. Ora cosa mi invento?’’
-Non so se ho da fare. Ti faccio sapere, ok?
Mi sorride suo malgrado e scende dalla macchina.


Due ore dopo.


-Ragazzi..- esordisce la professoressa di filosofia, attirando la mia attenzione, e mi stupisco di me stessa. E’ una cosa abbastanza rara.
-Non so se ieri avete potuto conoscere il nuovo ragazzo che è arrivato in questa scuola..
Sento le ragazze della classe ridacchiare.
‘’L’ho conosciuto eccome.’’ Alzo gli occhi al cielo.
-Beh, vi presento Justin .
Justin a quel punto entra nell’aula sfoggiando un sorriso da pubblicità.
Vedo che con lo sguardo percorre la classe. Mi vede, si sofferma su di me e allarga il suo sorriso.
Fingo un sorriso di risposta, ricordandomi improvvisamente che sono sola nel banco.
‘’Meredith.’’ Penso solo, e improvvisamente mi rendo conto di quanto la mia vita faccia schifo.
-Oh, toh guarda. Allison, fai posto al tuo nuovo compagno.
Tutti si girano verso di me, chiacchierando tra di loro e ridacchiando.
Forse ho i capelli spettinati?
Poi mi tocco una guancia e capisco. Sono arrossita.
‘’Certo, ovvio che sono arrossita. Sta per prendermi di nuovo un attacco cardiaco.’’ Penso, spostando l’astuccio e i libri sotto la mia parte di banco.
Vedo che si dirige verso di me, e si siede, ancora sorridente.
-Buongiorno. -Mi sussurra, e ricambio con un cenno del capo.
Sono una sfigata cronica.
Dopo gli ultimi cinque minuti che ha passato a fissarmi, forse sperando che io mi giri, si mette a scrivere su un foglietto.
’per sabato?’’ c’è scritto sopra, in uno stampatello gettato lì rapidamente.
Afferro una matita.
Cosa posso dirgli?
‘’Non lo so. Non ho avuto tempo di controllare.’’
Glielo allungo, cominciando a prendere appunti, visto che la prof sta scrivendo alla lavagna.
Vedo che annuisce con uno strano sorrisetto sul volto.
 * * *
-ALLISON CAZZO, QUANDO AVEVI INTENZIONE DI DIRMELO?!- Urla Meredith, e sono costretta a staccare il cellulare dall’orecchio per evitare che mi sfondi  un timpano.
-Non riesco a liberarmene. Mi sta puntualmente addosso, ieri è persino entrato in casa dalla finestra!
-COSA?! IO ORA PRENDO UN AEREO E TORNO SUBITO A LOS ANGELES!
-Mer, calma.
-COME POSSO STARE CALMA?! SEI IN PERICOLO DI VITA PER COLPA MIA E MI DICI DI STARE CALMA?!
-Dannazione, non è colpa tua. Stai tranquilla. Riuscirò a cavarmela. Te l’ho detto solo perché avevo bisogno di sfogarmi.- mento. Mi da un enorme fastidio la consapevolezza che io debba dipendere da lei. Rivoglio indietro la mia indipendenza e la mia sicurezza, ammesso e non concesso che ne abbia mai avuta.
-Allison, non so se ti sei resa conto di quello che stai dicendo. Mi stai mentendo, entrambe sappiamo come stanno le cose, ok? Ti rendi conto di chi era suo padre?!
-Lo so.
-Non mi sembra che tu lo sappia!
-Mi ha chiesto di uscire sabato.
-MAGNIFICO.
-Gli ho detto che ho da fare.
-SARA’ MEGLIO PER TE, SIGNORINA.
-Mer, sta arrivando. Ti voglio bene.
Meredith sospira, forse cercando di calmarsi.
-Ti voglio bene anch’io. Stai attenta.- dice infine, concludendo la telefonata.
Justin mi guarda allegro.
-Chi era?- mi chiede, mentre faccio sparire il cellulare nella tasca.
-Meredith, la mia migliore amica. Vive con me, ma ora è da suo nonno.
‘’Perché gli ho detto che sono da sola a casa? Sono un genio.’’
-Ah, capisco.
Scende di nuovo il silenzio.
-Ti va se ti porto a casa dopo scuola?
-No, grazie, prendo il pullman.- rispondo, sperando vivamente che non trovi un’altra scusa per starmi addosso, ma fortunatamente annuisce, leggermente dispiaciuto.
Silenzio di nuovo. Dannazione, se parlo mi pento di ciò che dico e se sto zitta temo noti qualcosa. Sono completamente in confusione.
Senza dire nulla mi afferra per la mano e mi riporta nella scuola, mozzandomi il respiro.
-E’ finita la ricreazione. Ora cosa c’è?
-Inglese.- rispondo senza fiato.
Annuisce distrattamente e mi trascina fino alla porta dell’aula.
Lo guardo stranita, mentre entro nella classe e mi siedo.
Lui prende posto accanto a me, sfiorandomi la gamba con la mano mentre spostava la sedia. Mi irrigidisco.
Il professore fa capolino nella sala, e tutti si alzano.
 * * *
-Allison!-Una voce mi ferma, facendomi girare.
-Justin, ciao, che sorpresa.- Dico, evidentemente a disagio. Credo che abbia un tono di voce seccato, perché fa una smorfia.
-Momento no?-dice, prendendomi sottobraccio.
-Decisamente.-Dico io, staccandomi da lui.
-Perché mi stai evitando?
‘’Ah, non so. Sei solo il figlio dell’uomo che ho ucciso e mi hai anche giurato vendetta, quindi hai ragione, perché evitarti? Tanto sei talmente stupido che non mi riconosci anche se mi hai probabilmente guardata in faccia.’’
-Allison?
Scuoto la testa.
-Oh, sì, scusa. E comunque non ti evito. Credo che ci conosciamo troppo poco per stare.. sempre insieme.
-Beh, qual è il miglior modo per conoscersi?
-Questo, ma a me da fastidio.-Biascico infastidita. Voglio stargli lontana.
Non aggiunge altro.
Lo guardo per qualche istante, e lui fa lo stesso.
Noto che i suoi occhi sono lievemente tristi.
-Vuoi venire con me? Il pullman è partito, ormai.
Mi volto e quasi bestemmio in arabo. Perché sono così idiota?
-No, preferisco camminare. Devo pensare ad una cosa. Grazie lo stesso.
Annuisce. Meno male che non ha insistito.
-A domani, Allison.
Lo saluto con un cenno della mano, mentre lui si sporge velocemente.
Non faccio in tempo a spostarmi che lui mi schiocca un bacio sulla guancia.
Avevo parlato di bacio della morte, giusto?
Sto per svenire e lo guardo mentre se ne va. Decido che gli ho dato troppa corda, in questi due giorni.
Devo creare un muro.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Sono le 19:30.
Lei è stravaccata sul divano a godersi il dolce far nulla e la sensazione del non pensare a Justin.
Sono le 19:31.
Suonano al campanello. ‘’Come non detto.’’ Sbuffa, alzandosi col cuore a mille per aprire la porta.
Sono le 19:31:30.
E’ ferma davanti l’uscio. Non sa chi c’è fuori e ha paura di scoprirlo.
Sono le 19:32.
Altri 30 colpi di campana risuonano in casa. Ma lei è ancora indecisa.
Sono le 19:33.
-APRIIII!- una voce alterata la sorprende.
Sono le 19:33, quando Allison decide di far entrare lo sconosciuto.
Sono le 19:34, quando vede che è Caroline.
-HALLELUJAH!- grida la bionda, entrando in casa.
Mi rendo conto di aver avuto paura che ci fosse stato Justin, dietro. Come biasimarmi, alla fine.
-Gli altri?-domando, chiudendo la porta.
-Ahi!- Un mugolio proviene da fuori.
-Eccoli.- Sorride Caroline, andando in cucina.
La apro di scatto, e vedo Alex intento a massaggiarsi il naso.
-Scuusa.- Dico io, soffocando le risate.
-Se ridi mi offendo.-Dice lui solenne, entrando in casa.
-Posso chiudere la porta senza paura di uccidere qualcuno?-chiedo ad Alexander, che annuisce.
-Eh no, adesso aspetti.-Esclama Victorie, passando sotto il mio braccio.
Scoppio a ridere, mentre chiudo la porta.
-Dan?- chiedo, seguendoli in cucina.
-Boh. Penso che arriverà a momenti. Suppongo che abbia dovuto fare gli extra al bar.- fa spallucce Alexander, prendendo un bicchiere dallo scolapiatti.
-Allora, come va la scuola?- mi chiede Victorie, collaudando le sedie girevoli.
-Tutto a posto. Dovrei essere ammessa all’esame di fine semestre.-Dico, poggiandomi allo stipite della porta della cucina.
-Caro, tutto bene?-chiede Alexander all’improvviso, vedendo Caroline pensierosa.
Effettivamente non è come al solito. E’ sempre allegra e solare. Non si stanca mai, e penso a quanto siano differenti. Potrebbero essere nemesi. Lui ha i capelli rossi, gli occhi scuri ed è pigrissimo. Una volta ha quasi rischiato di spezzarsi le gambe cadendo da un tetto sul quale si era addormentato dopo non aver dormito. Quasi rido, ma mi rendo conto che sembrerei troppo idiota e cerco di evitarlo.
-Domani sarà una giornata no.-Biascica lei, sbattendo il cellulare sul tavolo, e comincia a massaggiarsi le tempie.
-Perché?-esclamiamo.
-L’oroscopo dice così.- Io e gli altri la fulminiamo con lo sguardo.
-Dlin dlon!- fa una voce da fuori la finestra della cucina.
Mi volto preoccupata e mi accorgo che è solo Dan, quindi sorrido.
-La porta è di là, genio.
Fa spallucce e scavalca noncurante.
-Buonasera- dice.
-Buona scavalcata, 9.8.- asserisce Victorie, e scuoto la testa in segno di rassegnazione. Non cambieranno mai.
Dan viene verso di me e mi abbraccia.
Ricambio volentieri, nonostante questo sia un gesto inusuale. Non mi ha mai abbracciata così di colpo, e ora è quello di cui ho più bisogno.
Sembra captare i miei pensieri, e mi stinge più forte.
Mi da un buffetto sul naso, cosa che odio, e si prende una porzione di pasta al sugo.
Ho fame e lo seguo, apparecchiando per sei.
- - - -
-Adesso, si fa un gioco che non abbiamo MAI fatto prima d’ora.-Annuncia Victorie, con tono molto poco rassicurante.
-Oh no.- Caroline si mette una mano sul volto.
-Obbligo o verità alcolico! TADAH!
Un coro di dissenso generale riempie la mia stanza, ma a quanto pare a Vic non sembra importare.
-Allison, hai delle birre?
Scuoto la testa.
-Super alcolici?
-Cosa ci faccio con dei super alcolici?
Fa spallucce. –Beh allora obbligo o verità classico! TADAH!
-Era meglio con l’alcool.- sbuffa Alexander evidentemente contrariato.
Dopo 5 minuti passati a scegliere i cuscini su cui sedersi, siamo pronti. O almeno lo siamo relativamente parlando.
-Comincia Allison- batte le mani allegramente, mentre io la fulmino con lo sguardo.
-Obbligo o verità?
-Obbligo.-Biascico spazientita. Non so neanche cosa sia meglio scegliere.
-Mmmh- dice, mettendosi una mano sul mento.
-Dai un bacio a Daniel.
Sgrano gli occhi e sbianco.
Guardo lui, ed è nelle mie stesse condizioni. Intanto io passo dal bianco al rosso acceso come un semaforo in funzione.
‘’NE HO ABBASTANZA DELLA TACHICARDIA, PER IL CIELO’’
-Bacio come?- domanda il moro, porgendomi uno sguardo impossibile da decifrare.
Victorie ci sta guardando con uno strano sorrisetto compiaciuto che non mi piace per nulla.
-Sulla guancia. Cosa pensavate?- la malizia nella sua voce è chiaramente percepibile. Spero non stia architettando qualcos’altro.
Cerco di nascondere un sospiro di sollievo, e mi sporgo su Dan.
-Va bene, scegli la vittima.- mi incita Daniel.
* * *
Non so perché sia ancora qui.
Non lo so.
Per quale contorto e oscuro motivo, poi?
Sbuffo, facendo svolazzare la frangia appesantita dalla mole incalcolabile di acqua che mi è arrivata addosso.
-Al, tutto ok?
-Ovvio.- rispondo glaciale io.
-Sono solo bagnata quando fanno tre gradi e mezzo, perché dovrei stare male?
Sento che Dan sospira.
-Non volevo.
Scuoto violentemente la testa.
-Penso che tu la voglia morta.- Ci prende in giro Caroline.
La guardo con gli occhi iniettati di sangue.
Mi siedo pesantemente sulla panchina della fermata del bus, mentre una brezza leggera mi fa rabbrividire.
-Ti odio, Dan.
-Sì, ti voglio bene anche io.-Risponde lui, roteando gli occhi.
-Dai, non è stato poi così terribile, no?- cerca di raddolcirmi Alexander, fallendo miseramente nel suo intento.
-Certo, non è terribile essere stata usata come scudo umano quando una vecchietta che un idiota ha infastidito per fare il coglione ti fa una doccia ghiacciata con il suo tubo da giardinaggio, così come non è terribile e assolutamente antartico che lo stesso idiota, per farsi perdonare, ti abbia accidentalmente fatta inciampare nella bacinella di un bambino altrettanto idiota che invece di andare a scuola gioca con l’acqua a febbraio. E poi, spiegami com’è fisicamente possibile che io sia caduta in una fottuta bacinella.- Dico alzandomi, e con finta drammaticità mi getto lo zaino in spalla, scaturendo le risate di tutto il gruppo.
Entro nervosamente sul pullman che si è appena fermato davanti a noi.
-Dai, non volevo!-esclama Daniel, seguendomi.
-Perché sei salito?-gli domando dopo un paio di minuti che gli tenevo il broncio.
-Eh?
Scoppio a ridere, mentre mi vado a sedere in fondo al pullman.
-Dai, mettiti qui.- Gli faccio cenno di sedersi con la mano.
-Sicura?
-Sì, non ti uccido.- gli porgo un sorriso sincero, e lui mi crede.
Rabbrividisco quando mi mette una mano sul braccio. Ho così tanto freddo che è il calore a farmi strano.
-Senti freddo?
-Quando mi ricordi che sono fradicia sì.
-Arrivati a scuola mi faccio perdonare.
Annuisco poco convinta.
 * * *
-Eh? Ma se non abbiamo nemmeno la stessa taglia!- esclamo, facendo una faccia scioccata.
-Dai, ti prederai un raffreddore conciata così!
Sbuffo. E’ vero, mi sarei certamente ammalata, ma date le circostanze non sarebbe nemmeno una brutta idea. Justin non si è fatto sentire da dopo le lezioni di ieri e non so se preoccuparmi o no.
-Ok, va bene.
Dan mi prende la mano e mi porta dietro la scuola.
Si guarda intorno e si sfila velocemente la felpa, alzando anche la maglietta a mezze maniche che portava sotto, mostrando parte del suo addome.
Mi accorgo che lo sto fissando e distolgo lo sguardo dal suo corpo finché non mi porge il suo felpone.
-Ehm, girati.- gli dico, gesticolando imbarazzata.
Lui alza un sopracciglio, evidentemente divertito,  ma non replica.
Me la sfilo alla velocità della luce e metto subito la sua. Indosso solo delle canottiere, sotto alle felpe e mi imbarazza tantissimo cambiarmi di fronte a qualcuno, specialmente se è un ragazzo. Specialmente se quel ragazzo è Dan.
‘’Eh?’’
Gli porgo la mia felpa, e lui la afferra, infilandosela.
-Mi va un po’ stretta di spalle ma va bene così.
-Sicuro?
-Stai meglio?
-Sì.
-Allora sono sicuro.
Lo guardo con dolcezza e lo stringo a me.
-Grazie.
-Di nulla, piccola.
Un leggero colpo di tosse innaturale alle nostre spalle ci fa sussultare.
-Scusate?
Oh no, conosco quella voce. Mi irrigidisco e Dan mi stringe più forte con fare possessivo, evidentemente non capendo il motivo della mia reazione.
Mi stacco da lui anche se non vorrei e mi volto verso il biondo.
-Buongiorno Allison.- dice lui, con un tono di voce fin troppo calmo. Penso stia cercando di trattenere la seccatura.
‘’Seccatura di che, poi? Ehi bella, sei tu quella seccata, qui.’’
Decido di non rispondergli, nonostante tra noi tre si stia creando troppa tensione.
-Al, chi è?
‘’Un coglione.’’
-Lui è.. Justin.
Vedo che Daniel lo sta squadrando da capo a piedi, e Justin sta facendo lo stesso. Sembrano due cani pronti a saltare al collo dell’altro tra pochi istanti.
Dan mi lancia uno sguardo fugace e si congeda con un fulmineo bacio sulla guancia.
-Ci sentiamo dopo.
Gli sorrido e lui se ne va, non degnando più Justin di uno sguardo, che intanto sta fissando me quasi come se gli appartenessi. E’ lo stesso sguardo che aveva suo padre. Non mi piace per nulla.
Mi sento a disagio. Daniel mi ha lasciata da sola con Justin.
Il biondo mi afferra la mano.
-Chi è lui?
-Il mio migliore amico.
-Cosa ci faceva qui?
-Mi ha accompagnata a scuola. E poi, a cosa ti serve saperlo?
-Potevo accompagnarti io.
Alzo un sopracciglio, sfilando la mano dalla sua.
-Non hai risposto alla mia domanda.
-Mi da fastidio. Non mi serve a nulla saperlo.
Quella risposta mi ha fatto venire la pelle d’oca. Tutto ad un tratto mi fa ancora più paura di prima. Voglio andarmene da qui.
-E perché ti da fastidio, scusami?
Sono passata dalla paura alla rabbia. Che motivo ha per infastidirlo?
-Perché nessuno deve toccarti. Tu sei mia.
Un moto di rabbia mi attraversa tutto il corpo come una scossa elettrica. L’adrenalina è troppa per metabolizzare subito quello che ha detto. Temo che potrei fargli del male, se non mi calmo subito.
Vedo che sta per aprire bocca quando lo zittisco.
-NON AGGIUNGERE ALTRO.
Mi guarda come se non avesse capito, leggermente preoccupato. Le sue labbra a cuore sono leggermente schiuse e non so nemmeno perché l’abbia notato.
-Che razza di problemi hai, Bieber? Mi conosci da due giorni e già ti comporti come un ragazzino ossessivo nei confronti dei propri giocattoli? Non sono una bambola, non provare mai più a dire che sono tua. Io appartengo a me stessa e basta, chiaro?
Non so come abbia trovato la forza di mentire a me stessa e dirglielo con tale convinzione, ma sento che è giusto così. Io sono schiava del fantasma di suo padre. Mi ha rubato la libertà.
Il sangue mi sta ribollendo nelle vene.
-Non ti considero un giocattolo.
-Non mi sembra che tu mi abbia dato la prova del contrario. Ora, se vuoi scusarmi, me ne vado, e sparisci dalla mia vita rapidamente quanto ci sei entrato.
Mi guarda con uno sguardo da cagnolino maltrattato. Probabilmente l’ho ferito, ed è meglio così. Se è questo il modo in cui me lo toglierò dalle palle, allora continuerò a dargli filo da torcere.
Spero non mi tormenti più, dopo avergli detto così.
-Scusami.
Mi trattengo dallo sputargli in faccia per completare l’opera, afferro la borsa da terra e vado dritta di filato in classe.
 * * *
-Ci ho discusso.-Sussurro al telefono di casa.
-Oh, grazie al Cielo. Come mai?-chiede Meredith.
Faccio un respiro profondo. Ogni volta che ripenso a quel ‘’tu sei mia’’ ho i brividi.
Ripensando a quello che mi ha detto, ho metabolizzato e soppesato ogni sua parola. Ora sono spaventata.
-Ha detto che... ha detto che sono sua.
Per qualche momento non sento rumori provenire dall’altro capo del telefono.
-Mer?
-Ha detto che sei sua? E tu cosa hai fatto?
-Gli ho detto che non sono la sua bambola e che deve sparire dalla mia vita.
-Cazzo, sei una grande.
Sorrido flebilmente, nonostante sappia che Meredith non può vedermi.
-Ora ho paura.
-Eh?
-Daniel.
-Perché?
-Probabilmente Justin gli darà la colpa del mio comportamento ribelle e Dio solo sa cosa è in grado di fare. Ho paura di lui, Meredith.
-Al, Daniel è capace di difendersi da solo. Stai tranquilla, ok? La moglie di nonno sta meglio ora, posso tornare questo fine settimana se vuoi.
‘’Oh Cielo sì.’’
-Ti prego,  sì.
-Ok, ok. Domenica sera sarò lì a casa. Ora devo andare, ti voglio bene.
-Grazie, Mer. Ti voglio bene anch’io.
Riaggancio, mettendo al suo posto la cornetta del telefono.
Controllo l’ora, e constato che ho saltato gli allenamenti. Sospiro e quindi mi chiudo nella mia camera, assicurandomi di essere barricata in casa.
Abbasso la tapparella della finestra, e proprio mentre stavo per addormentarmi, il cellulare si mette a vibrare. E’una telefonata.
‘’Da: Justin Bieber’’
Guardo spiazzata lo schermo e premo su ‘declina’.
Io non sono sua.
* * *
‘’Quindici chiamate perse da: Justin Bieber’’
Fisso terrorizzata il cellulare. E’ passata solo una notte.
Cerco di regolarizzare il respiro, temendo l’iperventilazione.
‘’Sii determinata, Al. Sii determinata. Tu non sei sua, non può comportarsi così. Non puoi essere schiava del tuo passato, cambia le cose. Io non sono sua. Io non sono sua … ’’
Oggi non voglio andare a scuola. Non mi importa se così facendo cedo al suo comportamento ossessivo ma devo intervenire. La storia non può ripetersi, non di nuovo, ora ho diciotto anni e non quindici e mezzo, sono molto più matura e posso benissimo affrontare la situazione.
‘’Io ho paura.’’
Blocco il telefono e mi premo le mani sul volto, soffocando un singhiozzo.
‘’Io ho paura’’ non faccio altro che ripetermi, e temo che stia per impazzire. Non posso sopportare tutto questo di nuovo.
Compongo un numero sul cellulare.
-Ehi, piccola.
-Dan, hai da fare?- chiedo, con voce tremante.
-No, oggi è il mio giorno libero. Ehi, stai piangendo?
Tiro su col naso per risposta.
-Arrivo subito.
Riaggancia e io non posso far altro che scoppiare a piangere, come se questo fosse l’unico modo che ho per esternare tutto.
E forse è così.
* * *
-Sono arrivato. Perché ci sono tutte le finestre chiuse?
-Ora vengo ad aprirti.- sussurro in un soffio sul cellulare, chiudendo la telefonata.
Scendo velocemente le scale e gli apro la porta. Per un attimo mi ricordo che ho pianto e non mi sono struccata, ieri sera, quindi che assomiglio ad un orsetto lavatore.
-Al, cos’è successo?- chiede Daniel, preoccupato, entrando velocemente in casa e chiudendo la porta alle sue spalle. Gli sono grata per quel gesto.
-Devo raccontarti una cosa.- asserisco, tirando su col naso ripetutamente. Sento una morsa afferrarmi il cuore e lo stomaco ma è la cosa giusta, non riesco a tenermi tutto dentro ancora. Rischio seriamente di impazzire.
-Certo, dimmi tutto.- dice lui, cercando di non far trapelare la preoccupazione. Sembra non curarsi del mio aspetto orribile, e all’improvviso mi abbraccia.
-Andiamo su.
Annuisce e lo porto in camera mia.
* * *
-Io lo ammazzo, a quello stronzo!- sbotta Daniel.
All’improvviso mi rendo conto che non avrei dovuto dirglielo così presto.
 O mi sono forse appena salvata la vita?
-No ti prego, ho paura di lui.
-Questo è un ottimo motivo per volerlo morto. Tu hai ucciso il padre, ora io faccio sparire il figlio!
Ho paura anche di Daniel, in questo momento. E’ in collera. Non fa altro che girare per la camera come se fosse sul punto di esplodere, non mi degna di uno sguardo e penso che sia meglio così. Riesco a scorgere i suoi occhi quando mi passa davanti e cela un misto tra odio, collera, disprezzo, impotenza e senso di colpa. Riesco a sentirlo.
-Dan, ti prego.
Alza lo sguardo improvvisamente e mi inchioda sul posto, fissandomi a lungo, come se mi vedesse per la prima volta.
-Perché non me l’hai detto prima? Ieri mattina avrei potuto spezzargli le gambe!- sentenzia poi, guardandomi fisso con quel suo sguardo stralunato.
Sento qualcosa attanagliarmi lo stomaco.
-Te la stai prendendo con me?
-Perché gli hai dato corda? Ora quello è qui fuori da qualche parte, magari ad aspettare che tu ti addormenti!
-Ti prego, calmati.
-Non dirmi di calmarmi, porca puttana, non dirmelo- grida lui.
Distolgo lo sguardo dal suo volto. Ho sbagliato a raccontargli tutto.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime per l’ennesima volta. Non voglio che lui sia arrabbiato con me.
-Scusami.- dico flebile, e faccio per alzarmi, quando Daniel mi mette una mano sulla spalla, obbligandomi a sedermi nuovamente sul letto.
-Allison, non piangere. Mi fa incazzare tantissimo che tu lo faccia. Io sono qui, ora. Scusami se me la sono presa con te.
Non riesco a rispondere. Vorrei farlo, ma ho un nodo alla gola troppo grande per poter dire qualcosa.
-Ti prego, guardami.
Alzo lentamente lo sguardo su di lui.
Mi fissa a sua volta, e poggia la sua fronte sulla mia.
-Ho paura.
-Paura?- domando con la voce rotta.
-Di cosa, secondo te?
-Non lo so.- chiudo gli occhi.
-Ho paura di perderti, piccola.
Mi getto tra le sue braccia.
-Ti voglio bene.- mi sussurra all’orecchio, anche se non mi sembra del tutto convinto.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Tre giorni dopo.
-Meredith, oh mio Dio sei qui!- le salto al collo, sollevata dal fatto che sia tornata.
Negli ultimi tre giorni non ho fatto altro che stare in casa a mangiare cibo spazzatura e guardare tv. Ho lasciato le finestre chiuse e così le porte. Justin continua a telefonarmi più di cinque volte al giorno, e ho deciso di spegnere il cellulare definitivamente. Ora giace nel cassetto del mio comodino in camera.
-Allison, madre del cielo- mi stringe a sua volta, preoccupata.
-Sei in gran forma. Hai preso il sole?-cerco di non entrare subito nell’argomento. Non mi piacerebbe parlarne ora.
-Sì, l’ho fatto, nonostante fossi  presa a pensarti.
Ora mi sento in colpa. Ho fatto preoccupare Meredith da morire e la pressione di Daniel è schizzata alle stelle.
-Mi dispiace.- do voce ai miei pensieri infine.
-Non dirlo nemmeno, Al.
Le sorrido grata, e la conduco in cucina.
-Cosa vuoi per cena?- chiedo, prendendo in mano il telefono.
-Della pasta. Perché hai il telefono in mano?
-Ehm. Non ho fatto la spesa per niente, in questa settimana. A dire il vero sono tre giorni che non vedo la luce del sole.
-EH?!
Faccio una risatina isterica.
-Già.
-Io lo ammazzo a quello stronzo!
Ehi, quella frase non mi suona per nulla nuova.
* * *
-Meredith. Ora che sei di nuovo a casa posso andare a scuola tranquillamente, per cui, alzati.
-No ti prego lasciami a marcire qui dentro!- esclama, scomparendo nelle profondità abissali del suo letto a due piazze.
-Eh no.- sussurro a me stessa, prima di toglierle le coperte di dosso.
-Ti odio!
-Buongiorno.- apro la finestra, rischiando seriamente il linciaggio.
-TI ODIO!- urla lei, mentre fuggo dalla sua stanza.
A malincuore decido di riaccendere il telefono, e fortunatamente non devo sorbirmi il numero esorbitante delle notifiche delle chiamate e dei messaggi di Justin.
Mi siedo sul divano, decisa a non preparare la colazione a Meredith.
All’improvviso, il mio strano buonumore scompare quando sento la vibrazione del cellulare martellare sul tavolo di fronte a me.
Lo afferro, titubante e spaventata.
‘’Da: Daniel
Ehi, Al. Perché non rispondi alle mie telefonate? Comunque, se vuoi posso darti un passaggio per andare a scuola. Ti voglio bene.
xoxo’’

Mi sono completamente dimenticata del fatto che non solo Justin comunica con me tramite il cellulare, e mi sento un po’ in colpa per aver fatto preoccupare Daniel dopo quello che ci siamo detti lo scorso giovedì.
’Per: Daniel
Ehi, Dan. Scusami, ma tu sai chi continuava a telefonarmi e ho deciso di staccare il cellulare. Grazie del passaggio, io e Mer lo accettiamo volentieri.
xoxo’’

Rileggo velocemente il testo del messaggio e salgo le scale.
-Mer, ci passa a prendere Daniel.
-Va bene, ma ti odio ancora.
Rido leggermente, andando in cucina a prepararle la colazione per farmi perdonare.
* * *
-Grazie del passaggio, Dan.
-Di nulla. Ciao ragazze.- Daniel sorride a Meredith e da un bacio sulla guancia a me. –Stai attenta.- mi sussurra all’orecchio. Annuisco velocemente e scendo dall’auto.
Guardo l’auto di Daniel sfrecciare in avanti, e mi volto, notando lo sguardo malizioso di Meredith.
-Che c’è?
-Daniel, eh? Bella scelta.
Spalanco la bocca. –Eh? Cosa stai dicendo?
-Nulla, nulla, tranquilla.- ridacchia lei.
Scuoto la testa rassegnata, sapendo che ormai sia lei che Victorie stavano macchinando qualcosa, e quando alzo gli occhi, vedo Justin che mi fissa a pochi metri di distanza.
Distolgo subito lo sguardo e lo ignoro spudoratamente.
Potrebbe interpretarlo come una sfida, ed entrare in competizione con lui non mi piacerebbe affatto.
* * *
-Mer, io vado. A stasera.- le do un abbraccio veloce e poi esco di casa.
-Sicura che non vuoi che ti accompagni?
‘’Sì ti prego vieni con me’’
-Tranquilla. La palestra è qui vicino.
Sono un’idiota. Prima non esco di casa perché ho paura e poi rifiuto l’accompagno di Meredith. Poi dici che una non si caccia nei casini.
Non so se sia l’ansia o cosa, però mi sento osservata.
Comincio a camminare velocemente e a guardarmi intorno di nascosto.
Dopo cinque minuti comincio ad andare in iperventilazione e sono costretta a fermarmi per non sentirmi male.
‘’Dannazione, no. Non ora.’’
Mi calmo, e quando sto per riprendere a camminare, sento una voce fin troppo familiare.
-Ciao, Allison.
Nonostante sia terrorizzata, mi volto. Justin è di fronte a me con uno sguardo serio e freddo.
Sento che sto per perdere la lucidità.
‘’Lui è qui, lui è qui, lui è qui’’, sento solo.
-Vuoi venire con me?
Apro la bocca per dire qualcosa, ma riesco solo a svenire.
Mentre tutto si fa scuro, spero che non sia caduta tra le sue braccia.
Quando riapro gli occhi, un mal di testa lancinante mi attanaglia il cervello, e non posso far altro che non pensare a quanto odi svenire così spesso davanti a lui.
Lascio cadere la mia testa di lato, e una parete azzurra sconosciuta mi si para davanti agli occhi.
‘’Non sarò mica a..’’
-Ti sei svegliata.
Mi si mozza il respiro.
Mi volto velocemente –o almeno ci provo- dall’altra parte.
Justin siede accanto al letto dove sono stesa.
-Perché sono qui?
-Mi sei svenuta tra le braccia.
‘’Di nuovo.’’
-Dove mi hai portata?
-A casa mia.
‘’Cazzo.’’
-Grazie di avermi salvato la vita, ma adesso devo andare.
Faccio per alzarmi, quando lui mi inchioda al letto, stringendomi le braccia.
-Non andrai da nessuna parte.
Vorrei urlare, ma la mia voce sembra scomparsa.
Mi dimeno, ma lui è sorprendentemente più forte.
Sta per tenere fede alla sua promessa.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Mi sveglio di soprassalto, urlando.
Meredith, che si è addormentata accanto a me, si sveglia all’istante.
Scoppio a piangere istericamente. Non riesco a trattenermi né a fermarmi, sono spaventata a morte.
-Al che succede?
Non riesco a risponderle. Vorrei solo che questo momento passi in fretta.
-Ti preparo un thè- dice, preoccupata – Vieni con me in cucina.
Mi asciugo gli occhi e la seguo.
Sto tremando. Non sto più piangendo, ma la sensazione delle mani di Justin sulle mie braccia è così vivida da sembrare reale. Sto rivivendo tutto quello che pensavo fosse morto con il funerale di suo padre.
Meredith mi lancia delle occhiate di nascosto, di tanto in tanto. Crede che non la noti, anche se dovrebbe accorgersi del contrario.
-Ecco il tuo thè.
-Grazie- dico tra i singhiozzi, rincuorata dal calore della tazza tra le mie mani.
-Allora, cos’è successo?
Guardo Meredith affranta e le racconto tutto.
-E’ proprio come prima, eh?
-Sì. Sembra che stia seguendo le orme del padre.- dico, ora più tranquilla, bevendo un sorso di thè.
Mer annuisce, preoccupata.
-Che ore sono?
-Le dieci e mezza.
-Dannazione, ho perso un altro allenamento. Michael sarà furioso.
-Già, lo penso anch’io. Andiamo a dormire, ti va?
Prendo un’altra sorsata di thè e metto in frigo ciò che ne è rimasto.
Spengo la tv e salgo in camera con Meredith, sperando di non sognare più nulla.
* * *
Torno a casa da scuola. Sono esausta.
Getto lo zaino da qualche parte in salotto, e lascio cadere il cappotto sul tavolo.
Oggi non ho visto Justin da nessuna parte, e decido di interpretarlo come un segno positivo. Dopo l’incubo di questa notte non sono sicura che reggerei emotivamente.
Mi stravacco sul divano, e inizio a riflettere.
‘’Come al solito, no? Poi una dice che è stressata. Dovresti staccare la spina, Al.’’
Scuoto la testa, chiudendo gli occhi e crogiolandomi nella sensazione dei muscoli che si abbandonano completamente alla superficie comoda del divano. Potrei starci per anni senza muovermi.
Sto per schiacciare un pisolino quando il cellulare comincia a vibrare insistentemente nella tasca destra dei miei jeans. Sbuffo rumorosamente e lo afferro.
‘’Chiamata in arrivo da: Caroline’’
Uh, Caroline? Strano. Di solito non mi telefona.
-Ehi, Caro. Come va?
-A me bene. A te, piuttosto?
-Bene, perché?- mento. Fingo naturalezza e sincera curiosità nel scoprire il perché di quella domanda.
-E’ una settimana che non ti presenti agli allenamenti. Hai la febbre?- investiga lei, curiosa.
-No, sono solo stanca per lo studio. Si avvicina il test di fine semestre e se voglio liberarmi della scuola devo per forza studiare parecchio. Mi dispiace per gli allenamenti, di a Michael che tornerò presto.
‘’Al, sei un genio.’’
-Mh, ok, faccio finta di crederci. Buona fortuna con lo studio. A domani.- mi liquida noncurante lei.
‘’Come non detto.’’
Non faccio in tempo a poggiare il cellulare sul tavolino accanto a me che ricomincia a vibrare.
‘’Chiamata da: Daniel’’.
Ma che cos’è tutta questa preoccupazione?
‘’Idiota.’’
-Ehi, Dan.
-Ti va di vederci tipo ora?
-Ehm, ok. Cosa succede?
-Ho solo bisogno di vederti. A tra poco.
Non faccio in tempo a dirgli di aspettare che ha già attaccato.
Sto cominciando a preoccuparmi. Perché ha così urgenza di vedermi?
Due minuti più tardi, suonano al campanello.
‘’Ci ha messo poco.’’
Apro la porta.
-Ehi Dan--
Le parole mi muoiono in gola.
Quello davanti a me non è Daniel.
-Ciao, Allison.
Temo che possa rigettare.
Chiudo istintivamente la porta, ma lui la blocca col piede.
-Vattene- dico col poco fiato che ho in corpo.
-Lasciami entrare, ti prego, devo parlarti!- esclama il biondo.
‘’Cazzo, Daniel sarà qui tra poco. Se lo vede qui è morto.
Il che non dovrebbe dispiacermi.’’
So che mi pentirò di quello che sto per fare, ma afferro Justin per un braccio e lo trascino dentro, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
-Di sopra, ora.
Corro su per le scale, aprendo di colpo la porta dello sgabuzzino.
-Entra.
-Eh?
-Subito.- ringhio.
Justin alza le mani in segno di resa ed entra.
Entro nello sgabuzzino dopo di lui e chiudo la porta.
‘’Ma sei stupida?’’
Temo di sì. Mi sono appena pentita di ciò che ho fatto.
-Cosa vuoi?
-Volevo chiederti scusa per l’altro giorno. Hai ragione ad ignorarmi dopo quello che ti ho detto, ma voglio solo starti vicino.
Rimango zitta. Ripenso a tutto quello che ho passato in questi giorni per colpa sua, ripenso a tutto questo incubo, e non so quale passo fare. E’ come un’infinita partita a scacchi.
-Ok.
Nella penombra e nello spazio stretto dello sgabuzzino, mi sento in ansia in sua compagnia. Ma stranamente, non ho paura che mi faccia del male. Penso sia perché se non mi ha riconosciuta fino ad ora, vuol dire che difficilmente ci arriverà più avanti.
 -Grazie.- dice lui dopo qualche secondo di silenzio, abbracciandomi stretta.
Un gridolino mi muore in gola, seguito dall’irrigidimento dei muscoli.
Sento il suo profumo al muschio invadermi le narici. Non so esattamente cosa mi spinge a pensare che non sia adatto a lui.
Mi stringe più forte, evidentemente non capendo perché sia così tesa.
Questo pensiero mi ricorda che non devo dare troppi segni di tensione, o potrebbe sospettare qualcosa.
E, anche se mi costa tantissimo farlo, cerco di rilassarmi e lo abbraccio anch’io.
Mi tocca il braccio con la mano, e le immagini del sogno cercano di spezzare il mio autocontrollo.
Dopo una manciata di secondi decido che è abbastanza, e proprio in quel momento, suonano il campanello.
-Ora tu devi rimanere qui, ok? Ti faccio uscire tra poco.
-Ok. Chi è arrivato?
-Prometti che rimarrai qui dentro.
-Sì.
Esco di fretta, sentendo il suono ripetuto del campanello.
Chiudo la porta dietro di me e scendo le scale due a due.
Apro la porta di casa.
-Ehi, Dan, cosa succede?
Lui è di fronte a me, ansante.
-Al.
Mi guarda fisso negli occhi per un paio di secondi, per poi gettarsi al mio collo.
-Ho bisogno di te.
Sono spiazzata.
‘’Eh?’’
Ricambio l’abbraccio e lui mi stringe ancora di più. Sento la sua muscolatura stendersi e il suo volto tra i miei capelli.
‘’Cosa sta succedendo a tutti quanti?’’
-Sento che è tutta colpa mia.
-Dan, non dirlo nemmeno per scherzo.
-Non lo so. Avrei così tanto voluto proteggerti.
-E’ passato, ora.
-Per qualsiasi cosa io sono qui. Non farti scrupoli a chiamarmi, ok?
-Ok.
-Promettimelo.- ora mi fissa dritto negli occhi. Posso vedere tutta la sua fragilità e il suo desiderio ardente di essere utile per me.
Non so esattamente quale effetto mi faccia  essere empatica con lui in questo momento. Sembra uscito fuori di testa, ed è tutto per colpa mia.
-Te lo prometto.
Scioglie l’abbraccio, e si dirige in cucina.
Lo seguo dopo aver chiuso la porta.
‘’Perché è così distrutto?’’
Lo osservo mentre si siede su uno sgabello, e anche mentre poggia la fronte sulla sua mano.
-Non faccio altro che pensare a giovedì scorso. A quanto fossi arrabbiato e a quanto..
Si interrompe, guardandomi in modo strano.
Non riesco a capirlo.
Mi siedo accanto a lui e poggio una mano sulla sua.
-A cosa?- chiedo dolcemente, riconoscendo il suo stato di caos emotivo.
-A quanto sia stato orrendo vederti così affranta per quel tipo.
Mi sento in colpa.
-Dan, io non volevo farti sentire in questo modo. Sembri veramente confuso e non era mia intenzione farti star male. Penso di aver sbagliato a dirtelo.
Lui mi guarda, ancora più confuso di prima.
-Non sentirti in colpa, hai fatto bene a farlo. Non hai aspettato troppo ed è un bene.
Annuisco.
Ora mi guarda fisso negli occhi.
Sento una strana sensazione attanagliarmi da qualche parte.
Siamo spaventosamente vicini.
Lo stomaco si contorce su sé stesso. Non riesco a capire se sia una cosa positiva o negativa.
‘’Eh no. Troppi eventi uno dopo l’altro, non posso reggere tutte queste cose.’’
Continua a guardarmi negli occhi, mentre si avvicina sempre di più. Non riesco a muovermi.
e poi, (finalmente) poggia le sue labbra sulle mie.
Dopo un attimo di smarrimento, allaccio le braccia attorno al suo collo e lui mi stringe a sé, in una disperata richiesta di aiuto. Sembra frustrato.
Dopo qualche secondo, si stacca.
Sciolgo la presa dal suo collo, facendo ricadere il più dolcemente possibile le braccia sulle mie gambe.
Dal suo volto capisco che sta elaborando cos’è successo, dandomi abbastanza tempo per farmi sentire inutile per me stessa e per il mondo.
E’ come se mi avesse formattato velocemente il cervello, cancellando temporaneamente tutto quello che ha a che fare con la vita.
‘’Com’è che mi chiamo?’’
Dopo pochi attimi, si alza dallo sgabello ed esce velocemente dalla porta senza nemmeno guardarmi.
Sono impietrita, riesco a malapena a muovermi e a pensare.
‘’Cazzo, Justin è nello sgabuzzino. Alzati, Allison. E’ un ordine. Penserai dopo a Daniel.’’
Il mio cervello, per una volta, ha ragione.
Non so come trovo la forza di correre, e mi getto sulle scale. Ho pochissimo tempo a disposizione.
Il mondo sembra immerso nel miele. La mia percezione dei movimenti sembra essere sfasata.
‘’Cosa cazzo..’’
Quando arrivo finalmente in cima, però, trovo la porta dello sgabuzzino aperta.
Non sono nemmeno troppo sorpresa, era una cosa prevedibile.
‘’Avrei dovuto chiudere la porta a chiave.’’
E ora dove si è cacciato?
Inizio a correre per tutta casa, cercando Justin.
In bagno e nelle altre camere non c’è.
Mi affaccio dalla finestra della mia stanza, pensando all’albicocco in giardino.
Lancio una rapida occhiata al cortile, ma non vedo nessuno.
-Justin!- dico a mezza voce, quasi piagnucolando.
-Ehi.
Abbasso lo sguardo e lo trovo a meno di cinque centimetri dal mio volto.
Urlo, inciampando all’indietro.
-Dannazione, cosa ci fai qui? Ti avevo detto di rimanere là dentro!
-Mi annoiavo. Era buio e stretto. Ho tentato di uscire salendo sull’albero come l’altra volta, ma quando stavo per scendere ho sentito Dan alla porta, così sono salito di nuovo.
-Da quanto sei appeso qui?
-Da un po’.
Sbuffo, e gli porgo una mano, issandolo nella mia camera.
- Bieber, pesi decisamente troppo.
Justin ridacchia divertito, facendo finta di togliersi della polvere dalle spalle.
-Ok Mister Albicocco, ora esci subito di qui dalla porta sul retro. Meredith sarà qui a momenti.
-Ah davvero? Posso rimanere? Mi piacerebbe conoscerla.
-No, è fuori discussione.- rimango irremovibile io. Sbuffa e mi fa il labbruccio.
-Non se ne parla. Smettila di fare così, esci. Vuoi che ricominci ad ignorarti?
Scuote la testa. – Ehi, non puoi ricattarmi in questo modo. Sei perfida.
-Sbrigati.
Sbuffa nuovamente, e lo accompagno fino alla porta sul retro della cucina.
-Ciao, Al. E grazie. Una volta riuscirò a conoscere anche Meredith.
-Certo, come no. Ciao, Justin.
Mi fa una linguaccia irriverente, per poi voltarsi e andare via.
Chiudo la porta, e dopo qualche secondo metabolizzo tutto ciò che è successo.
‘’Fanculo la mia vita.’’
Non so quali pesci prendere.
Devo tenere le distanze da Justin, istigando i suoi istinti primordiali da stalker, oppure è meglio essere sua amica in modo che non mi uccida?
La seconda opzione risulta la migliore, per quanto catastrofica. Sarei riuscita a sostenere il peso di quella amicizia?
Ora però Dan sa chi è veramente Justin. Spero solo che non si metta in mezzo.
Dovrei parlargli, ma dopo il bacio di poco fa non sono sicura che voglia sentirmi. E’andato via senza dire nulla.
E’ stato troppo strano, così come lo è stato l’abbraccio di Justin.
Oh, santo cielo.
La porta di casa si apre con un tonfo, e si richiude rumorosamente.
-Ehilà- mi saluta Meredith.
-Ehi- rispondo, con poco entusiasmo.
Mi guarda con un sopracciglio alzato.
-Prima mi aiuti a sistemare la spesa e poi mi racconti cos’è successo.
Dopo aver messo a posto tutto, la faccio sedere sul divano.
Le racconto di Daniel e lei asserisce che è magnifico, nonostante il suo comportamento sia molto strano.
-Forse è rimasto traumatizzato quanto te perché non sa come sia potuto accadere.
Faccio spallucce.
-Molto probabilmente hai ragione.
Decido di raccontargli anche di Justin.
-COSA?!
Mi gratto la nuca, imbarazzata.
-Sei una folle, Allison, sei una folle.
-Una folle con le mani legate.
-Già, esattamente. Penso che ormai, la tua seconda opzione sia quella più sicura.
Annuisco.
Sono fregata.
* * *
-Certo che ti accompagno.
Sorrido grata a Meredith.
Dopo qualche minuto arriviamo in palestra.
-Grazie mille.
-Di nulla.- mi fa l’occhiolino lei, e si congeda dandomi un bacio sulla guancia.
Mi guardo intorno ma non vedo Daniel da nessuna parte.
E’ veramente rimasto così spiazzato da quel bacio?
Caroline mi getta un’occhiata soddisfatta. Credo pensi che sia stata opera sua, il mio ritorno in palestra.
-Ehi, chi si rivede- mi saluta Michael, con una pacca sulla spalla.
-Ciao, Mike.
-Vai ai sacchi. Hai un bel po’ di lavoro da recuperare.
-Va bene, volo.
Michael ridacchia, e torna a seguire Victorie.
-Ehi, Alex!- lo saluto, e lui mi rivolge un sorriso dolce di rimando.
-Come stai?- mi domanda, visibilmente felice, probabilmente di vedermi.
-Bene, grazie. Hai visto Daniel per caso?
Scuote la testa. – No, a dire il vero non lo sento da stamattina. Come mai nessuno sa dove sia?
-Non lo so. Sono leggermente preoccupata.
Annuisce distratto, mentre Michael mi rimprovera di star perdendo tempo.
* * *
-Sono dannatamente esausta!- esclamo, mentre Meredith canticchia una qualche canzone pop uscita da poco.
-E’ normale che tu lo sia. Sarebbe strano il contrario, nella tua situazione.
Penso che abbia ragione, e afferro il cellulare.
-Chi chiami?- domanda lei, interrompendo la melodia del ritornello.
-Daniel. Oggi non è venuto nemmeno agli allenamenti.
-Sicura di volerlo sentire?
-Sì.
-Buona fortuna.- mi augura lei, tornando a fare zapping sui canali di musica.
Me ne vado in camera mia, decisa a parlare con Dan. Ho bisogno di sentire come sta.
Compongo il numero e premo il pulsante verde che appare sullo schermo.
Dopo qualche squillo, parte la segreteria.
‘’Risponde la segreteria telefonica di Daniel McKelly. Lasciate gentilmente un messaggio dopo il BIP.’’
-Ehi, Dan. Sono io, Allison. Ho bisogno di parlarti. Richiamami appena puoi. Ti..voglio bene.
Prendo un respiro profondo e attacco, poggiando non troppo delicatamente il cellulare sul comodino.
Mi butto sul letto, sprofondando la testa nel cuscino. Decido che sento troppo freddo per addormentarmi senza coperte e non appena mi copro col piumone provo a mettermi comoda.
Mi giro con il viso rivolto verso la finestra della camera e mi getto a capofitto tra le braccia di Morfeo, sperando anche stanotte di non sognare nulla.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


-Allison svegliati per favore!
La voce di Meredith arriva ovattata alle mie orecchie. Non sono esattamente in vena di alzarmi.
-Mer ti prego, sono esausta.
-Hai all’incirca un migliaio di telefonate perse da Justin, smetti di far vibrare questo coso!
Sento il tonfo del cellulare che atterra sul materasso accanto a me. Mi rifiuto di aprire gli occhi e devo mettermi a cercare il telefono con la mano. Lo afferro, e quando apro un occhio, comincia magicamente a vibrare.
‘’Chiamata in arrivo da: Justin Bieber’’
Lo maledico sottovoce, accettando la telefonata.
-Ehilà!- dice troppo forte lui. Il suo saluto mi arriva direttamente al cervello.
-Ehi.- cerco di non sembrare ancora mezza addormentata, ma capisco di aver fallito miseramente quando sento una risata cristallina dall’altra parte del telefono.
-Scusami se ti ho svegliata. Pensavo fossi più mattiniera.
-Che ore sono?- decido di ignorare le sue scuse per evitare di insultarlo.
-Mezzogiorno, Allison.
Sgrano gli occhi, facendo un gridolino confuso. Sento di nuovo la risata di Justin, ma scelgo di non farci caso. Scaravento violentemente le coperte dal mio corpo ancora caldo e butto via il cuscino dalla mia testa.
-Che giorno è oggi?- domando, aprendo l’armadio e togliendomi la maglia del pigiama.
-Sabato, non agitarti così tanto.
‘’Così tanto? Ma che diavolo..’’
Corrugo la fronte, mentre mi rendo conto di non dover andare da nessuna parte.
-Carino il reggiseno.
-EH?
Mi volto verso la finestra, e all’improvviso noto una testa bionda fare capolino dal davanzale.
Mi copro all’istante con le braccia, gettando il telefono sul letto.
Corro in bagno e afferro velocemente la maglietta del pigiama, rimettendomela.
‘’Deve smetterla.’’
Torno in camera ed apro la finestra.
-Ehi stronzetto, esci fuori, devo dirti un paio di cosucce riguardo il tuo concetto di ‘privacy’.
Dove si è arrampicato, poi? Se fosse stato sull’albicocco l’avrei visto di certo.
Noto una scala, e la butto giù.
Sembra scomparso. Dove si è cacciato ora?
Infilo le ciabatte e scendo le scale di corsa, notando una scatola di cioccolatini poggiata sul mobile del salotto.
Mi ci avvicino e sento due voci provenire dalla cucina.
‘’Magnifico, è qui.’’
Entro nella stanza, e quando Mer mi sorride, inizio a preoccuparmi.
‘’Cazzo l’ha drogata.’’
Justin è seduto davanti al bancone al centro della cucina, e mi guarda divertito. Gli scocco un’occhiataccia e lui reprime un sorrisetto compiaciuto sul volto.
-Buongiorno.
-Buongiorno.
Vado verso il frigorifero, e prendo del latte. Meredith mi lancia un pacco di biscotti che afferro al volo, e comincio a mangiare.
-Cosa ci fai qui?- chiedo a Justin, nascondendo non troppo bene la seccatura del fatto che mi abbia vista in reggiseno.
‘’E’ anche peggio di quanto pensassi.’’
-Sono passato per conoscere la Meredith di cui mi hai parlato e invitarvi a cena. Vi va?
Guardo di sottecchi la rossa. Va dietro Justin con la scusa di dover prendere una cosa e mi guarda come se mi volesse morta.
‘’Ehi, non gli ho parlato molto di te!’’ le dico con lo sguardo, ma sembra non importarsene.
-A me va bene. A te, Al?- mi domanda, facendomi un sorriso fintissimo, provando a nascondere l’inviperimento.
‘’Ma cosa ho fatto di male?’’
-Ok.- dico solo, mettendomi un biscotto in bocca per non dover parlare ancora.
-Magnifico. Vi passo a prendere alle 8. Ci sarà anche un mio amico, in modo da essere pari.
‘’In modo da essere due coppie.’’ Mi sussurra una vocina, ma caccio subito via il pensiero.
Si alza dallo sgabello, sorridendoci, e Meredith lo accompagna alla porta. Mi limito a salutarlo con un cenno della mano mentre mi fingo impegnata a masticare un altro biscotto.
Quando sento la porta di casa chiudersi, mi preparo subito un’altra manciata di cose ‘da masticare’.
-Allison, cosa intendeva con la Meredith di cui mi hai parlato?
Scuoto la testa in segno di innocenza, ma toglie dal tavolo tutti i biscotti. E purtroppo io avevo finito di masticare il mio.
-Io gli ho detto solo che viviamo insieme.
-Sei pazza? Ok che sono cambiata tantissimo da due anni a questa parte e fatico anch’io a riconoscermi nelle foto, ma cazzo Allison!
Non ci avevo pensato. Lui ha visto quasi sicuramente Meredith direttamente in volto.
La guardo, con una sensazione di terrore fin troppo insistente nel petto.
Ora ha i capelli rossi lunghi fin sotto le spalle, invece che il suo caschetto moro. E’ dimagrita di molto e ha acquisito almeno dieci centimetri in più di altezza.
Io invece sono più o meno come due anni fa. Ho solo pochi centimetri in più d’altezza, i tratti più marcati e i capelli più lunghi e lisci invece del caschetto come lo portava Meredith. Lei ora è considerata una delle ragazze più belle della scuola, mentre io rimango la solita ragazza normale che potrebbe benissimo scomparire senza che nessuno se ne accorga. Ma mancano pochi mesi alla fine dell’Inferno e non ci faccio più tanto caso.
-Non volevo.
Chiude l’acqua del rubinetto con cui sta lavando i piatti, e si volta.
-Non fa nulla. L’importante è che non riconosca te.
Le sorrido, e dopo aver bevuto tutto il latte, le porgo la mia tazza.
* * *
Non so perché sono in ansia per questa cena.
Come al solito, non so cosa mettermi, non avendo la minima idea di dove Justin ci voglia portare.
-Meredith, ho bisogno di te!- grido, e lei emerge dal bagno, con un asciugamano attorno al corpo e vari bigodini tra i capelli.
-Allison, sei ancora così? Dannazione, sono le 6:30, faremo tardi.
Alzo un sopracciglio. Mi avvicino cauta e le tocco la fronte.
-Sicura di stare bene? E da quando ti importa di uscire con Justin?
Mi guarda come se fossi troppo stupida per capire e poi inizia a parlare, scandendo lentamente le parole.
-Non mi interessa uscire con Justin, ma conoscere l’amico che porta.
Mi metto una mano sul volto. – Mer, sei incorreggibile.
Mi sorride divertita, e poi apre il mio armadio.
-Bene, dov’è il vestito del ballo dell’anno scorso?
-In un qualche cassetto là dentro.- dico con noncuranza, fissando le scarpe nel cassettone subito accanto a lei.
Decido di optare per un paio di decolté nere, col tacco non troppo alto.
-Eccolo qui!
Meredith mi lancia sulla testa l’abito che ho usato per il ballo. E’ nero, ha le maniche di pizzo sempre dello stesso colore e mi arriva più o meno al ginocchio.
Mi alzo e mi cambio.
I capelli mi ricadono umidi sulla schiena, e chiedo a Meredith di chiudermi la lampo.
-Oddio, non è troppo corto?- chiedo, osservandomi nello specchio a figura intera nel bagno.
-E’ perfetto, ti sta benissimo.
Sorrido, e dopo essermi infilata le scarpe, passo al trucco.
Meredith si offre di aiutarmi, ma la liquido dicendole che voglio vedere il suo vestito.
Come previsto, rientra nella mia stanza quando sto per attaccare il phon.
-Guarda qui!
Mer finge di non notare che mi sono truccata da sola e si esibisce in un breve balletto sui suoi tacchi 12 bianchi.
Ha un nuovo vestito – forse comprato a New York – e lo trovo magnifico.
E’ un tubino lungo fino al ginocchio bianco che si adatta perfettamente al suo fisico.
-Sei stupenda come al solito.
Lei mi sorride felice e fa qualche saltello, facendo ondeggiare i suoi capelli rossi ora ricci.
Quando abbiamo finito entrambe di prepararci, sono quasi le otto, e decido di voler telefonare a Daniel.
Non si è fatto sentire da quando se n’è andato.
Lascio Meredith in salotto alla scelta delle pochette e salgo in camera mia velocemente, o almeno quanto i tacchi mi consentono di fare.
Compongo il suo numero e chiamo.
Dopo molti squilli, sento la sua voce seccata.
-Sì?
-Ehi.
-Mi hai telefonato per dirmi qualcosa in particolare?
-Volevo sentire come stessi.
Dopo un attimo di silenzio, risponde.
-E perché ti interessa?
Mi sento ferita.
-Perché non dovrebbe?
-Preferirei non sentirti per un po’.
-Come scusa?
-Hai capito perfettamente.
Le lacrime mi salgono agli occhi, e guardo in alto per non cominciare a piangere.
-Ciao.
Riaggancio prima che possa farlo lui e mi chiedo cosa abbia fatto di male per meritarmi un trattamento del genere. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


Sono seduta sul mio letto a riflettere.
Cosa potrei mai avergli fatto?
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dal rumore di un’auto e dal suono di un clacson.
Scendo rapidamente le scale e Meredith mi passa una borsetta a spalla nera e bianca.
-Per staccare un po’.- mi fa l’occhiolino lei, e provvedo ad infilarci portafoglio, chiavi di casa e cellulare.
Dopo esserci messe i soprabiti, usciamo entrambe, e noto subito il ragazzo accanto a Justin.
E’ alto, moro e ha gli occhi di un verde magnifico.
Chiudo a chiave la porta di casa e vedo che Meredith ha già gli occhi a cuoricino. Spero che non si metta in imbarazzo da sola e la seguo, andando verso il SUV di Justin.
Appena sono abbastanza vicina a lui, mi sorride allegro e mi bacia velocemente su una guancia.
Cerco di non rimanere pietrificata, e il suo amico mi cede il posto sul sedile del passeggero.
‘’Spero non debba abituarmi ai baci.’’
Meredith sale in macchina facendo di tutto per non piegarsi troppo e fa spazio allo sconosciuto ragazzo moro.
-Ragazze, lui è Ryan. Ryan, la mora è Allison e la rossa Meredith.- Justin ci presenta velocemente, e Ryan fa un cenno con la testa ad entrambe, soffermandosi un po’ troppo sulla scollatura di Mer.
Lei sembra non farci caso, e decido di non scatenare una guerra diplomatica sulla buona educazione.
Mi allaccio la cintura, e Justin mette in moto.
-Dove si va?- domanda subito Meredith, impegnata a ignorare per cinque secondi Ryan, che ora gioca col cellulare, buttando ogni tanto qualche occhiata su Mer.
-Al Blue Sky Palace.- risponde Justin, sorridendole dallo specchietto retrovisore. Lei caccia un urletto, facendoci ridere.
-Quel Blue Sky Palace?- domanda lei, cadendo vittima della sua euforia.
-Sì, proprio quello. Un mio amico lavora lì e sono riuscito ad avere un tavolo per quattro.
Il Blue Sky Palace è uno dei ristoranti più in di Los Angeles. All’improvviso mi chiedo come Justin possa permetterselo. 
Lui sembra captare i miei pensieri e mi guarda, dicendomi con lo sguardo che non devo preoccuparmi.
Non mi riesce affatto facile fidarmi, ma gli sorrido di rimando.
* * *
-Eccoci arrivati.
Justin mi apre lo sportello, e mentre Ryan aiuta Meredith a scendere senza uccidersi per via dei tacchi, mi prende per mano.
Un brivido mi percorre la colonna vertebrale. All’improvviso mi ricordo di nuovo dell’incubo che ho fatto poche notti fa e vorrei che non lo avesse fatto.
Un uomo con una divisa rossa e blu ci chiede le chiavi, e Justin gliele porge.
-Almeno i problemi del parcheggio li ha lui.- mi sussurra, e io ridacchio.
Sento Meredith parlare di qualcosa con Ryan. Vorrei tanto sentire quello che si stanno dicendo, ma Justin comincia a camminare, tenendo la mia mano salda nella sua.
Entriamo nel ristorante e rimango per un attimo abbagliata dalla luce dei lampadari appesi al soffitto scuro, come se fossero stelle molto luminose. Sulle eleganti pareti color crema, ci sono vari quadri e le sedie di velluto scuro sono attorno a vari tavoli apparecchiati con tovaglie dello stesso colore.
Non mi accorgo di star ancora camminando finché Justin non mi ferma con l’altra mano.
Le mie osservazioni vengono interrotte, e Justin dice alla donna in tailleur nero il suo nome.
Sembra avere una trentina d’anni,  ma non ne sono sicura. I capelli tirati in su e l’aspetto ben curato nascondo la sua vera età.
-Justin Bieber, tavolo per quattro persone, eccovi qui. Seguite quell’uomo laggiù su per le scale.- sorride gentile la donna.
-Scale?- sento Meredith sussurrare.
Il Blue Sky Palace è famoso per il suo terzo piano, che apre solo di notte: le pareti sono tutte completamente di vetro, in modo che si possa cenare con le stelle.
L’idea mi piace tantissimo, e dopo aver ringraziato, seguiamo l’uomo accanto alle scale, che ci porta direttamente al terzo piano.
Entriamo nella sala, e subito devo adattarmi alla scarsa luminosità.
Le luci sono sparse per il pavimento e sui tavoli, in modo da non inquinare troppo l’oscurità adatta per osservare al meglio le stelle.
Sono incantata dalla mole di astri che riesco a vedere, e Justin sembra capirlo. Mi sorride e mi sposta la sedia per farmi sedere.
-Grazie.
Quando ci siamo seduti tutti, un cameriere vestito di bianco (probabilmente per rendersi visibile) ci porge i menù.
-Cosa desiderate per cena, signori?- il cameriere prende un block notes e una penna dalla tasca, rimanendo in attesa.
Scegliamo tutti e quattro della pasta come primo. Io e Meredith optiamo per il pesce con patate come secondo e della torta al cioccolato per ultimo.
Justin e Ryan prendono del pollo e del tiramisù.
Il cameriere si dilegua subito dopo aver preso le ordinazioni, e noi quattro cominciamo a parlottare, come tutte le altre persone nella sala.
-Vi piace?- esordisce Justin, guardando me e Meredith.
-Sì, tantissimo.- rispondo io.
-E’ meraviglioso!- Meredith si guarda intorno stupita. Ryan ridacchia e Justin sembra compiaciuto.
* * *
La cena procede bene.
Mi chiedo se questa alta classe sia destinata a quattro diciottenni, ma decido di accantonare il paradosso, per il momento.
Justin non la smette di lanciarmi occhiate di nascosto, credendo che non me ne accorga. Lui e Meredith dovrebbero migliorare la loro tecnica.
Intanto, Ryan discute con Mer di qualcosa riguardo alla psicologia. Io mi limito a mangiare la mia torta e a intervenire ogni tanto.
Dopo aver finito il dolce, decidiamo che sia meglio andare e chiediamo il conto.
Il cameriere ce lo porge, e se ne va alla velocità della luce.
‘’E’ probabilmente un centometrista’’ penso, osservando la Luna.
-Oh santo cielo!
Mi volto subito verso Ryan e Justin, che tengono il foglio del conto in mano.
-E’ davvero così caro?- li canzona Meredith, allungando una mano per rendersi partecipe.
-Oddio ma è un furto!- esclama indignata anche lei, e butto un occhio anch’io.
La cifra quattrocento dollari è scritta con un corsivo elegante.
Justin e Ryan decidono di dividersi il pagamento, nonostante io e Meredith abbiamo insistito per aiutarli.
-Prima ed ultima volta al Blue Sky Palace.- esordisce il biondo, alzandosi dal tavolo e mettendo i soldi sul piattino apposito.
Scendiamo tutti e quattro le scale, e Ryan mette un braccio attorno alla vita di Meredith con la scusa dei tacchi. Lei mi lancia un’occhiata super eccitata e io non posso far altro che ridacchiare sottovoce.
Justin si volta verso me e afferra di nuovo la mia mano.
Usciamo dal ristorante e, dopo aver recuperato l’auto, partiamo.
* * *
-Grazie, Justin!- Meredith lo saluta entusiasta, forse dimenticandosi chi è lui, e poi si allontana, trascinata via da Ryan.
Mentre cammina via mi fa il pollice in su e io sorrido, ricambiando il gesto.
-E’ sbocciato l’amore.- li prende in giro Justin, ridendo.
-Buon per loro- aggiungo io, ridendo a mia volta.
Dopo di ché, cala il silenzio.
Questa rimane ancora una parte inquietante.
-Grazie della serata.- decido di dire io. Preferisco ringraziarlo mille volte piuttosto che creare silenzi.
Lui mi guarda negli occhi, e mi sussurra nell’orecchio destro un ‘’sei bellissima’’.
Cerco di allontanarmi e dico un flebile ‘grazie’.
Quel ‘’sei bellissima’’ mi ha fatto annodare lo stomaco su sé stesso.
Indietreggio, fingendo di star cercando le chiavi di casa, e quando decido che posso trovarle, sono ad una distanza ragionevole dal corpo di Justin.
Lui mi sorride, leggermente imbarazzato. C’è ancora silenzio e non lo sopporto.
Sto per dire qualcosa a caso completamente privo di senso quando vediamo Ryan e Meredith tornare da noi, al ché Justin mi da un fugace bacio sulla guancia.
-Buonanotte.
‘’Non faccio mai in tempo a spostarmi, dannazione.’’
-Buonanotte anche a te.
Meredith si avvicina a me, reprimendo un sorrisetto compiaciuto e da la buonanotte ai ragazzi.
Saluto Ryan, e quando rientriamo in casa, sento l’auto partire.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. ***


-Hai visto quant’è bello?!
Meredith si lascia cadere sul divano, con la testa tra le mani.
Rido, sedendomi accanto a lei.
-Beh è un bel ragazzo.- le dico, sfilandomi i tacchi dai piedi. Non mi sono accorta di quanto avessi bisogno di togliermeli.
-Molto più di bel ragazzo. E’ anche colto e intelligente, oh Dio è fantastico.
Meredith si stende, poggiando la testa sulle mie gambe.
-Cosa vi siete detti, quando vi siete allontanati?
-Mi ha dato il suo numero e poi mi ha baciata. Ti rendi conto?!
-Cosa? Di già?
-Dice che sono una mangia uomini.
-Come dargli torto.- la punzecchio, poggiando la schiena sul divano.
Lei mi fa una linguaccia e poi si alza, dandomi la buonanotte.
Agguanto la pochette che ho gettato poco fa sul tavolino di fronte a me, e sblocco il cellulare.
Nessuna nuova notifica di chiamate perse.
Rimango delusa.
Mi aspettavo almeno un messaggio di scuse da parte di Daniel. Sono decisa a non contattarlo.
Mi ha trattata veramente male e non so nemmeno il motivo.
 * * *
Meredith irrompe nella mia stanza come un terremoto.
I suoi capelli ramati si muovono ondeggiando attorno a lei, e i suoi occhi verdi sono carichi di euforia.
-Allison oddio!
La sua voce è tremolante. La guardo con le sopracciglia inarcate, aspettando che continui a parlare.
Intanto continuo a muovermi leggermente al ritmo della musica incalzante che sto ascoltando.
Meredith fa qualche saltello qua e là, sventolando in aria il suo cellulare.
-Guarda qui!
Me lo lancia e lo prendo al volo.
Guardo lo schermo, ancora un po’ perplessa, e leggo che c’è un messaggio da Ryan.
‘’Da: Ryan <3
Ehi bellezza! Come stai? Ti va di uscire?
’’
Alzo un sopracciglio e osservo Meredith, che ora sta ballando una sorta di ‘’balletto della vittoria’’, come piace chiamarlo lei.
-Hai visto? Mi ha chiamata bellezza!
-Ma ti chiamano tutti così.
-Ma lo sta facendo lui!
Mi guarda ancora super eccitata e mi dico che forse è meglio essere felice per lei.
Le sorrido.
-Hai fatto colpo.
Lei mi sorride allegra di rimando e si viene a sdraiare accanto a me.
-A te come va? Con Dan?
Il sorrisetto che avevo in volto ora scompare repentinamente, e viene rimpiazzato da un’espressione neutra. Credo abbia in volto una smorfia confusa o una faccia troppo seria, perché la rossa mi chiede subito cosa sia successo.
-Non vuole più sentirmi. Cosa posso avergli fatto di male?- sono arrabbiata e delusa. Non ha motivo di prendersela con me, soprattutto dopo che mi ha detto che ci sarebbe stato sempre. Ma cosa gli prende? Non riesco a capirlo. Forse sono troppo ottusa.
Meredith mi guarda pensierosa per un attimo, con un’espressione leggermente accigliata.
-Forse tu gli piaci e avendo paura che tu possa rifiutarlo preferisce allontanarsi per un po’ finché non gli sarà passata.
Sbatto le palpebre un paio di volte, come se stessi registrando le parole di Meredith.
‘’Forse ha ragione.’’
-Ne sei sicura?
Lei annuisce, ora più convinta.
-Sicurissima- asserisce, alzandosi agilmente dal letto.
-Vado a comprare qualcosa da mangiare per stasera. Vieni con me?
Mi siedo sul letto, leggermente tentata dalla proposta, ma poi scuoto la testa, ributtandomi sul materasso.
-Non ho voglia.
-Va bene. A dopo.- Meredith si congeda con un occhiolino, e io le faccio un cenno con la mano.
La faccio ricadere malamente sul petto, fissando il soffitto bianco della mia stanza.
Comincio ad ondeggiare la testa a tempo di musica, quando la parte strumentale di Duality degli Slipknot viene interrotta da una chiamata in arrivo.
‘’Bieber.’’
Ruoto gli occhi, sbuffando, e accetto la telefonata.
-Ehilà.
-Salve.
-Come va?
-Bene, a te?
-Leggermente di meno. Le cose qui sopra si stanno mettendo male.
-Eh?
‘’Albicocco.’’
Giro la testa verso la finestra, sperando che abbia torto.
E invece Justin è lì, che mi saluta con la mano facendo uno strano sorrisetto ebete.
-Potresti aprirmi?
Lo vedo parlare al telefono. Ma come fa?
-Perché non suoni al campanello come tutte le persone normali?
‘’Perché non è normale.’’
-Non mi apriresti, se lo facessi.
‘’Giusto.’’
-Ok, ok.
Chiudo la telefonata, e mi alzo dal materasso, aprendo la finestra e permettendo a Justin di entrare nella mia stanza.
Mi riassetto i capelli e mi umetto le labbra, posando le cuffiette sulla scrivania.
Justin intanto si sta sistemando i vestiti.
Lo squadro da capo a piedi, e mi rendo conto che ha una foglia tra i capelli.
-Bieber, hai una foglia tra i capelli.- mi avvicino divertita, intenta a fare una buona azione. Ogni tanto fa bene farlo.
Ma, non appena mi avvicino si volta, lambendomi i fianchi con le braccia.
Con una mossa veloce mi stende sul letto, mettendosi a cavalcioni su di me.
Mi faccio prendere dal panico quasi subito, e quando si avvicina al mio viso, sto per avere un infarto.
-Soffri il solletico, Miller?
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. ***


Non faccio in tempo a disarcionarlo che lui comincia a sfregare le sue mani sul mio ventre e sul mio collo.
Per un momento dimentico che potrebbe strangolarmi e cerco solo di buttarlo giù dal letto.
-Bieber, smettila!- dico col fiato corto, ridendo convulsamente.
Riesco a tenere gli occhi aperti per qualche secondo e vedo un sorriso infantile sul suo viso.
Quando riesco finalmente a buttarlo dall’altra parte del letto, lui ha ancora quel sorrisetto da bambino.
In una frazione di secondo, mi attira su di lui.
Finisco col viso quasi sul suo, e cerco di alzarmi immediatamente.
-Tu lo soffri, il solletico?
-Non oseresti.- mi risponde divertito.
Alzo le sopracciglia come per sfidarlo e comincio a fargli il solletico.
Stavolta sono io sopra di lui.
Non penso nemmeno a quello che sto facendo, voglio solamente ripagarlo con la stessa moneta.
La sua risata cristallina riempie l’aria dopo pochi attimi, e nonostante cerchi di bloccarmi le mani, sono talmente veloce che non riesce a prendermi.
Sento che non riesce quasi più a respirare, e avendo rallentato, riesce a prendermi le mani.
‘’Ops.’’
Si tira su, con ancora i miei polsi intrappolati.
-Spero ti sia vendicata abbastanza.- dice ansante lui.
La parola ‘’vendicata’’ mi provoca una fitta da qualche parte.
-Non sono del tutto soddisfatta.- rispondo, per non dargliela vinta.
-Allora cosa potresti fare per esserlo?- mi domanda mellifluo lui, forse sbattendo troppe volte le ciglia.
-Non lo so.- rispondo, con una scrollata di spalle.
Lui cerca di reprimere un sorriso, e io sfilo rapidamente i polsi dalla sua presa.
Mi rendo conto della nostra posizione e scendo subito dal letto, facendogli una linguaccia.
-Ehi, torna qui.- mi prega lui. Scuoto la testa, risoluta.
Lui si sporge e mi afferra nuovamente per il polso sinistro, attirandomi a sé. Vado a finire contro la sua testa e lui la sistema sul mio ventre, abbracciandomi.
Sono leggermente confusa.
Lo abbraccio debolmente anch’io. Sembra percepire quello che penso, e mi stringe ancora di più.
-Cos’hai, Bieber?
Lui scuote la testa, sfregando il naso contro la mia maglietta.
-Nulla. Mi piace stare così.- Fa spallucce, senza muoversi. Sento il suo respiro caldo anche attraverso la  stoffa.
All’improvviso sento un senso di tenerezza, e rimango spiazzata da me stessa.
‘’Cosa? Tenerezza? Eh? Scherzi?’’
Lui alza il volto, incatenando il suo sguardo al mio.
Rimane a fissarmi, e io sono decisa a non distogliere lo sguardo.
Scioglie l’abbraccio e con la mano batte sul materasso accanto a lui, facendomi segno di sedermi.
Dopo qualche istante accetto, e mi siedo.
-La verità è che oggi è una giornata importante.
Corrugo la fronte, spronandolo a continuare.
-E’ il trigesimo della morte di mio padre.
Il mio cuore perde un battito, il respiro si mozza e sento la bile salirmi in gola.
Spero pensi che non sappia come rispondere.
-Ah. Mi dispiace.
Annuisce, un po’ triste.
-E’ stato ucciso da una ragazza.
Alzo un sopracciglio.
-Sì. So che quello che sto per dirti potrebbe sconvolgerti, ma mio padre era una persona un po’ ossessiva. Dopo che ho trovato il suo diario dove scriveva di questa ragazza mi ha raccontato che un giorno l’ha incontrata e non era più riuscito a togliersela dalla testa, per questo aveva cominciato a seguirla.
‘’Un.. diario?’’
Sono scossa dai brividi. Spero non lo veda. Spero non legga il terrore nei miei occhi.
Ma il suo sguardo ora sembra attraversarmi, preso dal racconto. Percepisco che vuole liberarsi di un peso troppo grande per le sue spalle, ma sfortunatamente sta aggiungendo pietre al mio carico.
Annuisco leggermente, come per fargli capire che ho sentito.
-Una sera mi ha detto solamente che doveva chiudere la storia con la ragazza, perché lei non voleva saperne di lui. Mi ha dato una pistola, e siamo usciti. Non sono stupido, avevo capito cosa intendesse fare. Ma quella sera mi faceva paura. Reclamava vendetta. Non so nemmeno per cosa. Così sono stato al suo gioco, avrebbe potuto sparare anche a me. Poi non ricordo precisamente cos’è successo. L’abbiamo trovata, era insieme ad una sua amica.- fa un attimo di pausa, passandosi una mano tra i capelli, come se fosse difficile mettere insieme un discorso. –L’amica ha cominciato a correre, e lui mi ha detto di seguirla e bloccarla. L’adrenalina mi ha fatto muovere. Poi la ragazza che interessava a lui mi ha buttato a terra, e ho sbattuto la testa. Penso sia per quello che non riesco a focalizzare i volti delle due. Mi ha preso la pistola dalle mani, mio padre si è avventato su di lei, e stava per strangolarla, quando lei ha sparato. Ricordo che ho promesso vendetta per la morte di mio padre. Lei è scappata via. So tutto questo perché ho letto i rapporti della polizia. Io.. io non riesco a ricordare.- finisce il discorso con gli occhi leggermente lucidi.
Oh, Dio. Se sapesse che io ho ucciso il padre, mi spedirebbe all’Inferno a calci in culo.
Sono salva grazie alla botta che gli ho fatto prendere. Almeno ho la certezza che non può riconoscermi, almeno non ora. Se torniamo spesso sull’argomento potrebbe ricordarsi di me. Devo nascondere tutte le foto.
Lo abbraccio.
-Credi che sia una cosa sbagliata promettere vendetta per mio padre? Alla fine lui non era giustificato. Le sue azioni devono aver disturbato parecchio quella ragazza.
-Dipende da quello che senti. Era comunque tuo padre.
Mi sento un’ipocrita.
Lo stringo.
Lui ricambia l’abbraccio, e quando lo scioglie, ha gli occhi ancora lucidi e un sorriso riconoscente sulle labbra.
-Grazie.
Alzo le spalle, fingendo un sorriso.
* * *
-Cosa?!
Meredith mi guarda stranita.
-Perché cazzo succede tutto quando non ci sono?
-Non lo so, Mer.
La rossa da una botta secca all’anta del frigorifero, che si chiude con un tonfo.
-E poi cos’è questa cosa degli abbracci?
-Non lo so.
Al mio ‘’non lo so’’, Meredith mi guarda stupefatta.
-Allison, non ti permetterò  che accada.
-Cosa?
-Non voglio che tu ti innamori di lui.
Cosa? Innamorarmi di lui? Andiamo, ma se ho paura anche solo a pensare che esista.
‘’Ti faceva tenerezza.’’
Decido che quello è stato solo per l’istinto materno tipico di ogni ragazza.
-Non scherzare. Non riuscirei mai ad innamorarmi di lui.
Mer sta per controbattere con un suo tipico ‘’io dico che non è così’’, quando suonano al campanello.
-Vado io.- mi offro, decisa a troncare il discorso.
Apro la porta, e rimango sorpresa.
-Ciao.
Guardo Daniel torva, e gli chiudo la porta in faccia.
-Chi è?
-Daniel.
-Beh, esci!
-No.
-Fallo.
-Ho detto no.
-ORA.
Meredith si scaglia contro di me, apre la porta all’improvviso e non ho nemmeno il tempo di rendermi conto di quello che vuole fare che mi trovo fuori casa, a fare i conti con la perdita d’equilibrio data dalla spinta di Meredith.
‘’Stronza.’’
Daniel è ancora lì, che mi fissa con un’espressione indecifrabile sul volto.
-Cosa vuoi?- dico, non curandomi di risultare troppo acida.
Lui non risponde e mi manda in bestia. Perché mi fissa in questo modo? Cosa vuole?
Abbassa lo sguardo, squadrandomi. Mi prende per un braccio e poi mi trascina via, verso la sua auto.
-Cosa fai? Non voglio salire in macchina con te. Lasciami stare. Non voglio vederti!- cerco di divincolarmi. Lui rimane ancora zitto, e io non so cosa fare. Fare kick boxing è inutile a quanto pare. O sono troppo forti le persone che mi prendono per le braccia, oppure sono troppo debole io. A quanto pare la risposta appare più chiara di quel che sembra.
Ovviamente sono loro più forti.
Arriviamo al vialetto davanti casa, e Daniel apre la sua auto, chiudendomi dentro. Sale anche lui dall’altra parte e io mi sento sempre più offesa dalla mancanza di dialogo o comunque delle scuse.
Mette in moto e partiamo a tutta birra.
-Dove vuoi andare, si può sapere?
Daniel continua a fissare la strada. Non mi guarda nemmeno per un attimo. Non so se possa essere una cosa negativa o positiva.
-Vuoi rispondermi per una volta tanto?
Ancora non mi guarda. Decido che è meglio smettere di provarci e mi giro verso il finestrino, con il mento poggiato sulla mano destra.
Guardo il paesaggio scorrere veloce. Gli alberi confondono le loro chiome verdi con le nuvole candide, il cielo limpido, la terra e l’asfalto.
Stiamo andando veramente forti.
Quando sto per insultare pesantemente Daniel, lui si decide a dare fiato alla sua bocca.
-Victorie mi ha detto che è successo qualcosa di grave, e che quindi dovevo portare anche te.
Mi risponde duramente, tenendo gli occhi fissi sulla strada.
Decido di non replicare per ripicca, e smetto di guardarlo anch’io.
* * *
Arriviamo davanti alla casa di Victorie.
Daniel toglie la sicura, e smonto dall’auto.
Chiudo malamente lo sportello per il nervosismo, e comincio ad avviarmi verso la porta.
Quando suoniamo, Victorie apre subito, come se fosse appostata lì dietro da molto tempo.
-Eccovi qui, finalmente!
Do un’occhiata veloce a Daniel. Scopro che sta guardando Vic torvo, evidentemente infastidito dalla situazione.
Victorie ci lascia entrare, e chiudo la porta.
-Cos’è successo di tanto urgente?- chiedo io, cercando di non far trapelare il nervosismo.
Non risponde nemmeno lei e decido di non farci caso per non farmi salire la pressione.
Ci porta fino al piano superiore, e alla fine del corridoio attraversato da una discutibile moquette bordeaux, apre una stanzetta. Noto subito la luce scarsa e il fatto che non deve essere stata usata di recente.
-Entrate.
Io e Daniel entriamo, leggermente titubanti, e quando siamo dentro, sentiamo la porta chiudersi di scatto.
‘’Ma che diavolo..’’
-Victorie? Cosa succede?
Sento il rumore di una doppia mandata di chiave. Capisco subito che ha organizzato tutto questo per noi due.
-Victorie, se è uno scherzo non mi piace per niente, facci uscire!- Daniel cerca di risultare calmo, fallendo miseramente nel suo intento. Mi da ancora più fastidio il fatto che parli, vorrei mettermi le mani sulle orecchie e andarmene a casa.
-Il problema siete voi due! Adesso state buoni lì e fate pace civilmente. A dopo.
-Victorie cosa stai farneticando?- ringhio io, spazientita.
-Alexander mi ha detto che ci sono delle tensioni tra voi due, e non va assolutamente bene. Ci vediamo tra due ore.
Prima che io e Dan possiamo replicare, sento una corsetta affrettata e la porta della casa di Victorie che si chiude con un tonfo.
Sono veramente incazzata. Potrei benissimo spaccare un qualche oggetto a calci, e l’unica cosa che c’è qui dentro, oltre la polvere e il pulviscolo, è Daniel. Non sarebbe una cattiva idea, se non avessi già appurato che lui è molto più forte di me.
C’è solo una piccola finestra, posta abbastanza in alto.
La penombra non è per niente rassicurante. Mi metto subito alla ricerca di un interruttore, e quando lo trovo sono leggermente più tranquilla.
-Sapevo che stava architettando qualcosa.- dice il moro, sbuffando per la frustrazione. Evito di guardarlo negli occhi, cercando improvvisamente qualcosa per arrampicarmi fino alla finestra e uscire di lì.
-Potresti guardarmi?- chiede ancora.
Quando lo faccio, ho gli occhi iniettati di sangue.
-Potresti chiedermi scusa?- replico io, acida.
-Non ho nulla di cui scusarmi.
Rimango sbigottita e anche delusa.
-Mi hai detto di punto in bianco che non vuoi più sentirmi senza darmi una spiegazione valida del tuo comportamento, non mi rispondi quando ti parlo, mi rapisci da casa senza dirmi il perché e hai la faccia tosta di dirmi che non devi scusarti di nulla?
-Esatto.
Sto per insultarlo pesantemente e chiudo gli occhi per calmarmi. Potrei picchiarlo.
-Senti, se quello che vuoi sono delle scuse, allora scusami. Ma lasciami in pace. Ho tutti i motivi per non volerne sapere di te.
-Mi sto offendendo.
-Sarà meglio che tu lo faccia.
-Vai a farti fottere.
-Non dopo di te.
‘’Eh no, cazzo.’’
L’adrenalina e la rabbia mi fanno muovere. Gli sferro un destro dritto sul volto, e lui indietreggia, sorpreso.
-Smettila di fare lo stronzo con me, McKelly, mi dici che ci sarai sempre, mi dici che mi vuoi bene, poi mi baci e mi tratti di merda? Penso che tu abbia bisogno di uno psicoterapeuta bravo, ma bravo sul serio-grido, fuori di me.
-Quella che ha bisogno dello psicoterapeuta sei tu, Miller, sei solo una cagasotto. Hai ancora paura di una persona morta, arriva il figlio, che è la persona più stupida di questo universo e ti diletti a fare la vittima, e intanto hai ammazzato una persona. Non mi avrebbe sorpreso se invece del pugno mi avessi accoltellato.- ribatte lui, ferendomi. Sta dicendo una vagonata di cazzate e non ne conosco il motivo.
-Cosa stai dicendo? Sei completamente impazzito forse?
-Non riesci neanche a rispondermi a tono, sai che ho ragione.
-Non hai ragione per niente, Daniel, sei tu il cagasotto qui. Vuoi una risposta a tono? Eccola servita. Sei solo un povero idiota che recita il ruolo dell’amico premuroso, di quello distrutto perché si sente inutile, ma siccome sei solo una persona vuota non puoi provare altro che odio, soprattutto verso una persona che ti vuole bene più di quanto voglia bene a sé stessa. Fatti schifo, ok? Fatti schifo.- gli urlo contro. Sono furiosa. Come può dirmi queste cose? Sto sanguinando.
Vorrei piangere.
 Lo guardo. Lui mi fissa. Noto che il suo petto fa su e giù velocemente. Il suo sguardo è un misto tra lo sconvolto, il ferito e il furente.
Sento le lacrime salirmi agli occhi.
-Cosa ti ho fatto?
Mi premo le mani al viso, soffocando un singhiozzo. Non voglio piangere davanti a lui, non in questa situazione.
Comincio a tremare e mi volto verso la porta per evitare il contatto visivo.
-Allison non piangere.
‘’Mi stai prendendo in giro?’’
Mi volto di nuovo verso di lui, stavolta con un’espressione dura.
-E a te cosa importa? A te non fotte un cazzo. Faccio quello che mi pare.
Lui si avvicina e mi abbraccia.
Temo sia bipolare.
Non faccio in tempo a scrollarmelo di dosso che mi afferra il viso tra le mani e mi bacia.
Sento delle lacrime sulle guance, ma non sono le mie, stavolta.
Chiudo gli occhi e lo spingo via.
-Vattene.
-Al, io..
-Vattene ho detto!-grido. Lui mi guarda, affranto, ferito, deluso, mortificato, afferra uno sgabello da un angolo della stanza e si volta.
-Addio.
 Lo posiziona sotto la finestra e si arrampica, uscendo.
Mi siedo a terra e comincio a singhiozzare. Sono maledettamente confusa, non so cosa gli passi per la testa. Cosa significavano quelle cose? E quel bacio?
Rimango a terra per un quarto d’ora, vinta dalla pesantezza del mio destino.
Dopo di ché, mi asciugo le lacrime con la manica della felpa, mi isso anch’io sullo sgabello e scappo da casa di Victorie.






Spazio autrice.
Scusate il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la connessione internet.
Spero che i capitoli vi piacciano, domani caricherò i rimanenti.
Grazie delle visualizzazioni. :)

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. ***


‘’Lo odio.’’
Sto camminando per strada, da sola, nell’ora di punta.
C’è un sacco di gente, ora, non mi stupirei di incontrare proprio Victorie.
Penso di volerla strangolare.
Prendo a calci un sassolino mentre torno a casa. Potrei metterci più di due ore.
Calcio il ciottolo fuori dal marciapiede con forza, quasi prendendo un bambino in testa.
Sbuffo frustrata e proseguo a testa bassa.
Sto per attraversare la strada quando il rumore di un clacson mi fa voltare.
-Allison!
Vedo Justin fare capolino dal finestrino della sua auto, e mi fa cenno di andare verso di lui.
‘’Di male in peggio.’’
Mi avvicino velocemente per non rischiare di essere investita e il biondo mi apre lo sportello del sedile del passeggero.
Entro nell’auto e cerco di chiudere lo sportello il più delicatamente possibile.
-Ciao- dico solo.
-Ehi.
Justin mi guarda, e io mi volto verso di lui.
Credo che abbia percepito il mio stato d’animo, perché fa una smorfia.
Mette in moto l’auto e parte, guardandomi di tanto in tanto di sottecchi.
-Cosa c’è che non va?- mi domanda dolcemente dopo un quarto d’ora, frenando davanti ad un bar.
-Nulla.- mento. Non voglio che provi a consolarmi. O forse sì. In ogni caso, ora non mi pare il momento adatto.
-Hai pianto. Si vede, hai il mascara colato.
Mi guardo rapidamente nello specchietto. Mi maledico mentalmente e passo velocemente l’indice destro sotto gli occhi.
Justin toglie la sicura ed apre lo sportello. Io rimango nell’auto, priva di vitalità, e quando mi afferra la mano per aiutarmi a scendere, gliene sono in qualche modo grata.
Scendo, con le gambe deboli, sperando di non cadere. Il biondo richiude lo sportello e mette la sicura.
Senza lasciare la mia mano, entriamo nel bar. Ordina un paio di caffè e mi fa sedere ad un tavolino in fondo al locale.
-Allora. Dimmi tutto.- mi guarda, preoccupato e sinceramente intenzionato ad essermi utile.
Non so quanto possa fidarmi. Non so se devo farlo oppure se anche lui è un voltagabbana.
Abbasso lo sguardo sul porta tovaglioli sul tavolo. Ne afferro uno giallo e comincio a giocarci.
-Beh, ho discusso pesantemente con Daniel. Penso che con me abbia chiuso.
Mi guarda ancora. Scorgo una scintilla entusiasta nei suoi occhi.
Mi rendo conto che Justin non è esattamente la persona adatta con cui parlare di Daniel, ma ho bisogno di sfogarmi.
Così decido di raccontargli tutto, ovviamente escludendo le parti che lo riguardano, e quando ho finito ci servono i caffè.
‘’Ottimo tempismo.’’
Lui fissa un punto indefinito dello spazio, pensieroso.
-Penso che lui sia un completo idiota.
-E’ quello che penso anch’io.
-Dovresti lasciarlo perdere per un po’ e cominciare a fregartene. Ti ha trattata malissimo e inoltre non meriti una persona del genere.
-Tu credi?
-Assolutamente.
Gli sorrido flebilmente. Bevo il mio caffè e quando ho finito Justin si alza dal tavolo, porgendomi una mano.
La afferro e dopo aver pagato usciamo dal locale.
Entriamo in macchina, e mi allaccio la cintura di sicurezza.
Justin mi sorride dolcemente, mette in moto l’auto e mi riaccompagna a casa.
-Grazie.
-Di nulla, Allison.
Scendo dalla macchina, e prima di aprire la porta, mi volto.
-Vuoi.. vuoi entrare?
‘’EH?’’
Non mi rendo conto di cosa sto dicendo. Le luci sono spente, probabilmente Meredith è già andata all’appuntamento con Ryan.
Lui mi guarda, sorpreso quanto me, e spegne il motore.
-Va bene.
‘’Cosa minchia sto facendo?’’
Prendo le chiavi dalla tasca e apro la porta, incredula.
L’ho veramente invitato ad entrare?
Oh santo Cielo.
Justin mi raggiunge, e mi faccio da parte, permettendogli di passare.
Chiudo la porta.
-Meredith?-chiede. Lo guardo sbattendo le palpebre un paio di volte e poi gli dico dell’appuntamento.
Lui annuisce. – Sì. Ryan era veramente contento di aver conosciuto Meredith.- ridacchia, e si fa serio di colpo.
Il suo cambio d’umore improvviso mi lascia un po’ spiazzata.
-Cosa c’è?
-Spero di non diventare zio.
Stringo le labbra in una smorfia e poi scoppio a ridere.
Lui mi sorride divertito e poi mi abbraccia, di colpo.
Mi coglie di sorpresa, mozzandomi il respiro.
Lui è pur sempre il figlio dell’uomo che ho ucciso.
All’improvviso sento che un abbraccio è quello di cui ho bisogno. Non sono nemmeno sicura del perché mi senta rassicurata, ma lo stringo di rimando.
-Ti voglio bene, Al.
Sento lo stomaco contorcersi. Faccio solo un mugolio di risposta, e lui mi da un bacio sulla guancia.
Improvvisamente imbarazzata mi stacco dall’abbraccio. Controllo l’ora e noto che sono solo le tre del pomeriggio. Sembra essere passato un sacco di tempo, e il cielo plumbeo sembra darmi ragione.
-Cosa vuoi fare?- mi chiede il biondo, temendo forse che stia pensando a Daniel. Faccio spallucce, prendendo un succo di frutta dal frigo.
-Vuoi?
Annuisce, e prendo due bicchieri dallo scolapiatti. Agito la bottiglia e verso.
Lui lo afferra, sedendosi su uno sgabello in cucina.
Dopo aver finito sistemo tutto e lo porto in camera mia.
-Scegli un film.
* * *
-Allison?
-Mh?
-Svegliati.
Faccio un mugolio carico di disappunto.
-Non fare la bambina. Mi devi delle spiegazioni.
Apro gli occhi, e dopo averli strofinati, scorgo il viso severo e pesantemente truccato di Meredith.
-Cosa succede?
-E’ quello che dovrei chiederti io.- risponde, indicandomi Justin, addormentato sul divano dove stavo sonnecchiando anch’io fino a qualche secondo fa.
Mi batto una mano sul viso.
-Abbiamo visto un film e ci siamo addormentati.
-Da quando in qua vedete film insieme?
-E’ un caso isolato.
Mer sbuffa.
-Senti, Ryan è in macchina che mi sta aspettando, stiamo per andare a cena. Fai meglio a buttare Justin fuori di qui.
-Calmati. Faccio quello che mi pare. - sono parecchio infastidita. Ok che Justin non dovrebbe essere qui e Meredith è giustamente preoccupata, ma so cavarmela da sola. Sono stufa di dover dipendere da qualcuno, sono stufa di vivere nel terrore e di fare la vittima.
All’improvviso spero che non pensi queste cose solo per quello che mi ha detto Daniel.
-Certo. Ma se devi farti uccidere, non farlo qui. Il sangue macchia.
Meredith se ne va nervosa, ed esce di casa, sbattendo la porta.
Sbuffo, e Justin si sveglia.
-Buongiorno.
-Buongiorno. – risponde lui, sorridendomi.
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. ***


Mi alzo frastornata dal letto.
E’ lunedì. Odio i lunedì.
Butto il pigiama da una qualche parte della mia stanza, e afferro i vestiti puliti. Mi dirigo in bagno per una doccia.
Mi accorgo che ho poco tempo a disposizione per prepararmi.
Finisco di lavarmi i denti poco prima che passi il pullman.
Meredith mi guarda torva da sopra il suo sgabello in cucina. Ce l’ha ancora con me perché ha trovato me e Justin che dormivamo sul divano.
Non mi parla quasi più. Non riesco a capire perché pensi che sia così grave. Stavamo dormendo, e poi non avevo passato dei bei momenti. Rivivo ancora ogni momento della discussione con Daniel.
Afferro giacchetto e zaino, e le faccio un cenno con la mano, indicandole che stavo per uscire.
Lei salta giù dallo sgabello ed esce di casa con me.
Arriviamo alla stazione del bus.
-Hai ancora intenzione di farmi il broncio? Non mi hai lasciato nemmeno il tempo di spiegarti perché ci hai trovati così.
-Non ci sono giustificazioni. Sono semplicemente preoccupata per te.
-Ho litigato con Daniel. Non ci rivedremo più. Ho incontrato Justin, mi ha offerto un caffè perché ha visto che ho pianto e mi ha riaccompagnata a casa.
Meredith mi guarda, perplessa.
-Primo, poi mi spieghi cosa ti ha detto Daniel. Secondo, Justin era dentro casa, non ti ha semplicemente riaccompagnata.
Lo stomaco mi si contorce.
-Gli ho detto io di entrare.- mi sento sprofondare, e Meredith mi guarda stralunata.
-Oh santo cielo, questo è l’inizio della fine.
-Cosa intendi?
-So io cosa intendo.
Oh, no. Ancora con le sue idee strane.
Alzo gli occhi al cielo.
Poco dopo arriva il bus. Salgo sul mezzo e mi siedo accanto alla rossa, ora presa a chiedermi i particolari dello scontro a casa di Victorie.
* * *
-Ehi, Al!
Justin mi guarda allegro, con un sorriso rilassato. E’ da quando l’ho invitato ad entrare in casa che è felice.
Non so perché tutti diano così tanto peso alla cosa.
-Ehi- rispondo solo, portandomi i capelli su una spalla, continuando a camminare.
Justin, ancora sorridente, mi mette un braccio attorno al corpo.
-Come stai?- mi chiede dolcemente, e non riesco a capire se stia facendo quel tono di voce di proposito.
-Sto molto meglio.
-Vuoi che ti riaccompagni a casa? Hai perso il bus a quanto pare.
-Non lo avrei perso se Miss Katie non avesse finito la lezione dopo.- sbuffo, contrariata. La lezione di scienze naturale è durata più del solito, oggi. Un altro secondo là dentro e avrei fatto una strage.
Lui ridacchia leggermente. Mi prende fulmineo per mano e mi porta verso la sua auto.
Mi apre lo sportello del passeggero e mi fa un mezzo inchino.
-Prego, madame.
Sorrido flebilmente ed entro.
Mentre mi allaccio la cintura mi rendo conto che fino a due settimane fa sarei scappata via, pur di non salire nella sua macchina. Forse sto cominciando a fidarmi troppo. Forse è proprio quello che vuole. Magari fa tutto il carino per farmi abbassare la guardia.
Rabbrividisco.
Justin intanto ha messo in moto. Schiaccia sull’acceleratore e partiamo a tavoletta.
* * *
-Grazie.
Smonto dal SUV, sbattendo delicatamente lo sportello. Il biondo mi fa un cenno con la mano dal finestrino, e mi lancia un bacio prima di partire.
Gli faccio un cenno con la mano ed entro in casa.
-Mi hai fatto prendere il pullman da sola.- mi aggredisce Meredith non appena chiudo la porta d’ingresso.
-Colpa di Miss Katie. Ha finito di spiegare l’apparato digerente mentre il pullman partiva.
-Sei venuta a piedi?
-No.
-Fammi indovinare, ti ha accompagnata Justin.
Sbuffo e alzo gli occhi al cielo, gettando lo zaino sul divano.
-Dobbiamo discuterne ora?
Meredith mi fulmina con lo sguardo e se ne va nervosa in cucina.
-Mi spieghi cosa ti prende ora? Mi hai detto tu che è meglio farmelo amico piuttosto che ignorarlo- asserisco, seguendola.
-Dobbiamo discuterne ora?-replica Meredith acida. Sbuffo.
-Sì, dobbiamo.
-Bene. Primo, va bene essere amici, ma io non ti ho mai visto dormire sul divano con qualcuno né tantomeno guardare un film in compagnia. E se è successo, eravate più di due.- Mer mi punta un dito al petto, battendolo ogni volta che parla. –Secondo, ti conosco. Prima o poi finirete col diventare talmente inseparabili che per salutarvi vi bacerete direttamente.- faccio una faccia perplessa, e sto per dirle di togliere l’indice dal mio sterno che riprende a parlare. –Terzo, se deve darti dei passaggi fai in modo che possa beneficiarne anche io.
-Mer, la cosa non è grave quanto pensi.
-Eccome se lo è.
La rossa si volta e butta del rosmarino sulla carne che sta cucinando.
Decido di lasciar perdere e mi butto sul divano. Avrei poltrito volentieri fino all’ora di dover andare agli allenamenti.
-Allison, è pronto.
-Non ho fame.
-Ti sei offesa?
-Non ho fame.
-Ti sei offesa.
-Meredith puoi spiegarmi cosa ti prende?- domando esasperata. Meredith si affaccia dalla cucina e mi lancia un’occhiata fredda.
-Non mi è preso nulla. Tranquilla.
Alzo gli occhi al cielo e mi raggomitolo sul divano, intenta a dormire.
* * *
Il cellulare comincia a vibrare.
Smetto di frizionarmi i capelli con l’asciugamano e do un’occhiata allo schermo.
‘’Chiamata in arrivo da: Justin Bieber’’
Afferro il cellulare e accetto la chiamata.
-Ehilà, Al. Come va la vita?
-Ciao, Justin. Come al solito. A te?
-Un po’ meno.- ridacchia lui. Intuisco subito che farei meglio ad affacciarmi dalla finestra.
Le giornate si stanno allungando, quindi adesso che sono le 8 di sera, non è molto buio.
-Come mai?- riprendo a parlare, sistemandomi l’asciugamano attorno al corpo e aprendo la finestra.
Sento il biondo sospirare.
-Beh, diciamo che sono in una situazione un po’ spiacevole. Puoi venire ad aiutarmi?
-Di cosa si tratta?
Continuo a cercare Justin con lo sguardo.
-Sporgiti un po’ di più per favore.
Attacco la telefonata, butto il cellulare sul letto e mi sporgo.
Vedo Justin sdraiato sull’erba, con un ramo di albicocco in mano. Capisco che è caduto e che deve essersi fatto abbastanza male.
Cerco di non ridacchiare.
-Sto arrivando.
Il biondo annuisce.
Chiudo la finestra, mi infilo al volo un paio di pantaloncini e una maglietta e corro verso la porta d’ingresso.
Sto per aprire la porta di casa quando la voce di Meredith mi fredda sul posto.
-Dove vai?
-Esco in giardino.
-Perché?
-Justin si è fatto male e mi ha chiesto una mano.
-Non farlo entrare.
-Sei mia madre per caso?- le rispondo duramente.
-E’ casa mia.
-In realtà ce l’hanno comprata i miei.
-Non voglio vederlo.
-Non puoi vietarmi nulla, faccio quello che mi pare- ribadisco acida, ed esco fuori, sbattendo la porta.
Raggiungo Justin, che fa un sorrisetto tirato appena mi vede.
-Ecco la mia crocerossina.- ridacchia, facendomi un occhiolino.

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