Give Your Heart A Break

di Hagne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Someday ***
Capitolo 2: *** 2- The Coldest Heart ***
Capitolo 3: *** 3 - A Never Ending Dream ***
Capitolo 4: *** 4 - Comatose ***
Capitolo 5: *** 5 - Hero ***
Capitolo 6: *** 6 - Awake and alive ***
Capitolo 7: *** 7- Hold on ***
Capitolo 8: *** 8 - On My Own ***



Capitolo 1
*** 1 - Someday ***


Capitoli revisionati
" How the hell did we wind up like this
Why weren't we able
To see the signs that we missed
And try to turn the tables "

[...]




" Someday , somehow
gonna make it allright but not right now
I know you're wondering when
You're the only one who knows that "

( Someday - Nickelback )











Faceva freddo, ed era buio, troppo buio.
La schiena gli doleva, e il poco fiato che aveva non riusciva ad uscire dalla bocca accartocciata in una smorfia di dolore che gli irrigidiva il viso.
Era steso su qualcosa di duro, viscido e ruvido al tatto, una strada forse, non più il manto sabbioso della sua isola o il viottolo pietroso che portava al villaggio.
Era una strada di pietra  intarsiata da ghirigori che si ritrovò a  seguire con le punta delle dita tenendo gli occhi chiusi.

Non che non volesse schiudere le palpebre, ma era stanco, affaticato, dolorante in più punti, come se un gruppo di uomini lo avesse arpionato per ogni suo arto tirando nella propria direzione per vedere quanto a lungo avrebbe resistito prima di spezzarsi.
E c’era una voce, quella voce  che continuava ad urlare il suo nome mentre tutto diventava nero e  quegli occhi azzurri continuavano a cercare sul suo viso una risposta che neanche lui si sarebbe saputo dare.
- Dove stai andando Pluto? Hai sentito qualcosa?
Una voce di donna, gentile e venata di curiosità  rimbalzò da parte a parte, quasi fosse rinchiuso in antro piccolo e limitato, il vicolo stretto e umido nel quale la voce di donna tornò a spezzare il silenzio dei suoi pensieri.
- Allora?  Hai forse …oh!
Quell’esclamazione di sorpresa fu seguita dal fiato caldo e dalla linguetta umida che aveva cominciato a scorrere sul suo volto impolverato prima che un profumo di fiori gli stuzzicasse il naso.
Un odore dolciastro e delicato che lo convinse a schiudere debolmente le palpebre per seguirne la fonte, e quando le ciglia grigie vibrarono sui suoi occhi stanchi Riku non vide  il cielo nero trapuntato di stelle, rinchiuso fra le  due mura di mattoni, ma un viso ovale e pallido che fendeva il paesaggio e la sua vista sfocata.

Perchè c'era una ragazza  china su di lui, seduta sui talloni,  intenta ad osservarlo  con la guancia poggiata su un pugno, gli occhi verdi vibranti di curiosità.
- Stai bene? Hai bisogno di aiuto?
Aveva delle belle labbra si ritrovò a pensare.
Labbra bianche e sottili  piegate innaturalmente verso l’alto, quasi faticasse a non sorridere continuamente,  ed aveva una voce calda e morbida   come quella  di sua madre, una voce che non poteva fare male.
Una voce che forse non avrebbe vibrato dall'orrore come quella di Sora.
- Allora? Non ti ho mai visto da queste parti. Da dove vieni? Ti sei perso?
Parlava troppo, ma aveva una voce allegra,  e Riku era troppo stanco per sentirsi infastidito o quantomeno irritato.
Voleva solo chiudere gli occhi e smetterla di sentire e di pensare a quello che aveva fatto.
A quello che aveva fatto a tutti loro.
- Capisco – mormorò la donna, picchiettando un dito sul mento con aria comprensiva  e decisa.
Riku dubitava che quella ragazza avesse davvero capito il perché della sua presenza in  un vicolo, di notte, ma quando un palmo caldo si accostò alla sua fronte non potè che rabbrividire nel percepire  le parole confuse dell’allegra sconosciuta,  una sorta di litania.
Era fastidioso quel bisbiglio, ma faceva un po’ meno freddo, e il buio cominciava a schiarirsi, ma soprattutto Riku non lo sentiva più urlare.
Ed era quello che più importava, che l’espressione tradita di Sora smettesse di strizzargli il cuore facendolo sentire un mostro.










°°°
 






- Sei la solita sconsiderata! Non puoi portare qui chiunque trovi svenuto per strada!
Fu una voce rabbiosa quella che lo strappò dal faticoso dormiveglia, un vibrare di corde vocali molto simili al gorgoglio profondo di un leone irritato, un tono di rimprovero che non sembrò smorzare l’allegria di quella voce che Riku aveva continuato a sentire persino nei suoi sogni.
- Dovresti smetterla di aggrottare così tanto  le sopracciglia o  ti verranno le rughe! Guarda qui! Sembri una vecchia tartaruga brontolona!
Uno schioppo improvviso lo ridestò completamente, e quando riaprì di scatto gli occhi  ci fu di nuovo quel viso ovale ad attenderlo, delicato e arrossato un poco a causa della risata che ancora le solleticava la gola.
- Scusalo, sembra un tipo scorbutico  ma è solo preoccupato per me – mormorò lei dolce, ammiccando con gli occhi alla porta appena chiusa  con forza.
- Come ti senti? Scusami se ti abbiamo svegliato.
Come stava?
Riku fece mente locale sui dolori alla schiena e al petto che lo avevano fatto gemere di dolore poco prima, ma ora non percepiva nulla se non un piacevole tepore lì dove i muscoli avevano rischiato di accartocciarsi per lo sforzo che stava esercitando su se stesso.
 Stava bene, almeno fisicamente, mentre non si poteva dire la stessa cosa della sua mente.

Nella sua testa cominciavano infatti ad  accavallarsi  i ricordi confusi di una porta, di una voce melliflua che lo chiamava dalle ombre  e dello sguardo sorpreso e spaventato di Sora, inghiottito dal nulla assieme a lui.
E no, non stava bene, almeno, non lo sarebbe stato fino a quando non avesse trovato Kairi e Sora, probabilmente sperduti e confusi  quanto e più di lui .
- Perché quella faccia triste? Hai perso i tuoi amici?
La donna allungò una mano sul suo volto, strofinando i polpastrelli sulla pelle fredda della guancia per raccogliere la lacrima che Riku non si era accorto di aver appena versato, e fu in un moto di disagio che le si allontanò con sguardo duro e diffidente.
Una smorfia dispiaciuta irrigidì il viso della ragazza seduta  sul ciglio del letto, un lampo di tristezza che la sua voce allegra e delicata ripulì dal suo viso.
- È successo anche a te?
Riku si schiacciò contro la parete  tenendo d’occhio la porta dove l’uomo era uscito poco prima e inarcando un sopracciglio alle parole prive di senso della ragazza.
La donna lo osservò con l’ombra di un sorriso consapevole, puntando le iridi chiare sullo stralcio di cielo che si riusciva ad intravedere dalla finestrella .
- Il tuo mondo intendo. Anche il tuo è stato invaso dagli Heartless?
Continuava a non capire, a non comprendere quel suo sguardo così triste e amaro,  ma fu un attimo, un momentaneo sguardo addolorato che la donna scacciò con un lungo sospiro prima di  stirare  le labbra in un sorriso  mite.
- Ti aiuterò a trovare i tuoi amici  – se ne uscì d’improvviso, saltando giù dal letto con gli occhi grandi e colmi di aspettativa.
- Ti aiuterò io! E sono sicura che anche Leon vorrà aiutarti – continuò euforica, battendo le mani tra loro con una risata allegra, e Riku non  ebbe nè la forza nè  la voglia di contraddirla o di andarle contro.
Era troppo felice, troppo gentile, troppo tutto, e lui non avrebbe avuto la forza di smorzare tutta quella sua allegria, non ne vedeva il motivo in quel momento.
Poi lei tornò a guardarlo, e fu uno sguardo che da quel momento in poi, senza saperlo, Riku  non sarebbe  mai più riuscito a dimenticare.
- Non ti ho chiesto la cosa più importante.
Passi frettolosi cominciarono a tuonare fuori dalla porta, passi pesanti , maschili e quasi arrabbiati.
- Qual'è il tuo nome? Io mi chiamo-
- Aerith!
Quello fu il suo primo incontro con Leon.
Durò meno di un istante.
Un  breve scambio di sguardi diffidenti e circospetti, carichi di domande alle quali ogni risposta avrebbe deciso se considerare l'altro nemico o amico.
Riku arricciò le labbra nel sentire  lo sguardo annoiato del ragazzo levitare su di sè, ma ancor prima che potesse sbottargli contro Aerith picchiettò due dita tra le sopracciglia profondamente aggrottate dell’uomo, incurvando l’angolo della bocca verso l’alto con un sorriso affettuoso che presto avrebbe imparato a riconoscere ed amare.
- Vecchia tartaruga – gli ricordò lei  severa, lisciando la pelle arricciata con i suoi polpastrelli,  incurante del colore bluastro assunto dal compagno ma incuriosita dal sorrisetto a mezza bocca del suo nuovo amico  tanto silenzioso.
Mago Merlino fece appena in tempo ad afferrare la pozione esplosiva prima che questa cadesse a terra  sotto l'onda  d’urto generata dalla voce maschile che il mago aveva imparato a riconoscere anche a distanza di  porte spazio-temporali.
Una voce che periodicamente urlava il nome della sua tenera allieva, la ragazza dagli occhi verdi  e dal sorriso misterioso  dalla quale tutta la città di Mezzo sapeva di poter ricevere un aiuto che lei non avrebbe mai negato a nessuno.
 

Continua...

Un crack-pairing nato dalla visione di un video su youtube che mi ha fatto apprezzare questa strana coppia.
Riku & Aerith, una coppia insolita,  ma dai risvolti più che interessanti .
Buona lettura!
Un saluto caloroso,
 Gold eyes.

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Capitolo 2
*** 2- The Coldest Heart ***


Capitolo revisionati (2)
" My halo is broken now and I'm all that's left
I hate to disappoint you but it's thw way things went
I was blind to the things I did
And after what was said ,
Tie up these loose ends
These voices are calling me out "

[...]

"I'm losing hope ,
There's a hole in my heart
That's been cut out of stone
Could you fill this hole ?
'Cause  I can't do it alone "
( The coldest heart - The Classic Crime )





Non c’era mai stato un noi.
Questo Riku lo aveva sempre saputo.
 Da bambini, forse, Sora poteva essere stato  la parte mancante di se stesso, quella   infantile e sciocca che non era mai riuscito a fare propria.

Lui in fondo non aveva mai amato sorridere troppo.
Era sempre stato un bambino atipico,  mite e pacato, quasi indifferente a ciò che lo circondava, a chi  lo circondava, ma aveva imparato ad amare  a modo suo, ad affezionarsi a qualcuno, a modo suo, non riuscendo, il più delle volte, a mostare che anche lui un cuore per amare ce lo aveva.
Un cuore capace di essere ferito.
Di rompersi.
E Kairi era stata la prima crepa.
La novità della sua vita, delle loro vite.
Una bambina tanto misteriosa da attrarlo verso qualcosa che non fosse se stesso e Sora, tanto curiosa e bizzarra da convincerlo a lanciare lo  sguardo al di fuori del suo piccolo mondo, ma le novità non sempre portano qualcosa di bello, e  Riku questo lo aveva imparato sulla propria pelle.
Sul proprio cuore.

Perché, più il tempo passava,  più il ritmo dei loro passi si faceva incalzante e il profilo dei loro volti sorridenti diveniva impossibile da guardare,lì dove  il baluginio delle loro iridi chiare si tingevano di qualcosa di nuovo, complicità.
E ancor prima di esserne pienamente cosciente, ancor prima di avere il tempo di difendersi dal dolore che sarebbe  sopraggiunto  si era trovato indietro, nel buio, nascosto  dalle ombre di entrambi, dimenticato, da entrambi.
Solo.

E Riku  aveva cominciato ad apprezzare il buio, ne era rimasto affascinato, ma Aerith non sembrava essere del suo stesso avviso in quel momento.
-  Andiamo via – lo pregò infatti con voce sottile, stringendo le dita attorno al suo gomito.
Intanto, dall’altra parte della piazza affollata Leon lanciava loro occhiate di apprensione,  incupendosi nel cogliere la smorfia che  Aerith tendeva nel non riuscire a smuovere Riku da lì,  nel non riuscire a difenderlo  dalla visione del  grottesco ballo ondeggiante dell’ Heartless morente.
- Riku, per favore – tornò a pregarlo accorata, stringendo la presa  sulla casacca di lui.
E sembrava spaventata,  ma lui non aveva paura, non ne aveva mai avuta.
A lui le ombre piacevano, lo avevano sempre ammaliato, e quella piccola creatura nera sembrava fissare lui.
Solo lui .

Quando Leon trafisse l’Heartless   Riku sentì una sorta di strappo all'altezza del petto poco prima che le braccia morbide di Aerith gli cingessero il capo, una mano immersa nei suoi capelli e la sinistra andata a coprirgli la guancia, come per ricordargli che qualcuno c'era, con lui.
Che lei ci sarebbe sempre  stata.

Ed Aerith, lei c'era stata davvero per lui, anche quando non aveva chiesto di essere toccato, di essere consolato,  anche quando non aveva dato a vedere quanto rancore covasse nel petto, quanta rabbia e frustrazione serbasse per se stesso.
Quanto l'odio lo stesse mangiando dentro.
Lei che era   morbida, profumava di buono,  era gentile e sembrava capirlo.
Sembrava vedergli dentro e accettare comunque quello che lo stava divorando.

L'oscurità che ritrovò in fondo allo sguardo spento dell'Heartless e nel proprio cuore  mentre intorno a loro le ombre continuavano ad aumentare, a smorzare la luce dei lampioni e delle stelle inghiottite dalla notte.
Un nero pece al quale  il fluttuare di un lungo mantello diede un suono e un viso che l'angolo della via inghiotti, lasciando alle sue spalle  una scia verdastra e luminosa intenta a guardarlo come un occhio di rettile sospeso nel vuoto.

Un occhio che guardava lui.
Solo lui .









°°°








Leon non gli era mai piaciuto.
Nessuno oltre  Sora e Kairi gli era mai piaciuto, e lo spadaccino sembrava ricambiare la sua antipatia, la sua diffidenza con lo stesso ed identico fervore.

Il soldato era ombroso, scorbutico e silenzioso,  ma diventava incredibilmente loquace quando doveva mettere bocca su di lui, sul suo comportamento scostante e sull’insensato attaccamento di Aerith nei suoi confronti, su quel bisogno di difenderlo sempre.
La ragazza sembrava aver preso infatti la snervante abitudine di non ascoltare i suoi consigli, i sui ordini, e da buona insubortdinata qual'era sempre stata, continuava a cercarlo con lo sguardo, come se volesse assicurarsi della sua presenza.
Una premura che Leon  accoglieva con il gorgoglio infastidito della sua gola.
- Non hai notato qualcosa di strano? Le ombre sembrano essere attratte da lui. Non è normale. Credo che ci sia qualcosa di tremendamente sbagliato in te – ringhiò rivolgendosi direttamente a lui, ma Riku non mostrò irritazione per le accuse rivolte e la parole dette.
Leon non gli piaceva, e ciò che pensava di lui non gli importava.
- Credo che tu stia esagerando adesso – lo  rimproverò severamente Aerith, troppo occupata a sistemargli una ciocca di capelli dietro l’orecchio per badare all’occhiata incredula del compagno.
Con un ringhio frustrato Leon abbandonò lo studio di Merlino, facendo vibrare il cardine della porta per la forza che esercitò per chiuderla.
Lei non sembrò però  farvi caso, china su Riku con un sorriso morbido a curvarle le labbra pallide.
- Non preoccuparti, è solo preoccupato per l’aumentare di Heartless nella città,  non crede davvero a ciò che ha detto – lo giustificò con aria gentile,  sfilando il fiocco rosa che le acconciava i capelli  prima di sporgersi verso il suo busto e allacciarlo attorno al suo polso.
Il rosa della stoffa stonava con i suoi polsini giallo acido, ma non gli dispiaceva vederlo lì, come il fiore in sboccio sulla pelle bianca e tenera dell’avambraccio .
- Ci tengo molto, perciò devi promettermi che me lo riporterai integro.
Lo disse con gentileza, l’indice che gli picchiettava la fronte a più riprese, ma c’era qualcosa di incredibilmente triste nel suo sguardo, una consapevolezza che rendeva i suoi lineamenti delicati terribilmente malinconici e dolorosamente amati.
Lo era lei per lui, amata, davvero tanto amata, ma non avrebbe dovuto saperlo, come lui non avrebbe dovuto per forza capire quanto Aerith lo avesse capito, quanto in fondo alla sua anima avesse guardato.
 Quando Riku uscì di corsa dallo studio la ragazza non potè che abbandonare il braccio lungo la vita con occhi stanchi che si trovò a chiudere pesantemente,   il lampo verde appena comparso dietro la finestra a ferirle lo sguardo.

E mentre il mantello di Malefica calava come una mannaia alle spalle di Riku, Aerith non poteva che pregare di avergli dato qualcosa in cui sperare.
Qualcuno in cui credere.
Qualcuno per il quale combattere, a  cui promettere di tornare prima di perdersi nelle ombre.
In se stesso.
Perchè il mondo gridava di paura mentre la notte e il buio calava  fuori , al freddo, nel buio dei vicoli e nel fondo dell’anima dell’uomo, ma in Riku, in lui  erano dentro e fuori.
Nei suoi occhi spenti, e nel battito di quel cuore che sembrava sempre  sul punto di cedere.
Di spaccarsi a metà.








°°°








Lo sghignazzare   di Jafar e del Baubau,  più simile ad un latrato che a vere e proprie risate strisciavano come una mano artigliata lungo il pavimento di marmo bianco salendo ad unghiate lungo la schiena ricurva di Riku, accovacciato accanto al corpo dormiente di Kari con la spada abbandonata di lato.
Teneva il mento sollevato con le nocche della mano chiusa a pugno, gli occhi chiari  fissi sul viso delicato della sua migliore amica, la bocca tirata dolorosamente in un sorriso amaro.
Perchè 
Kairi aveva perso il cuore, e mentre lui si affannava nella ricerca di una soluzione, Sora si era fatto nuovi amici, tanti, troppi amici, lasciando entrambi indietro, lasciando lui, indietro.
Sora che continuava a cercare lei,  a chiamare il suo nome, mentre il suo, di nome, non aveva sfiorato le labbra dell'amico.
Mai. 
Non quando ne aveva avuto bisogno davvero.
Non quando le ombre lo avevano reclamato.
E ora non poteva più salvare nessuno, neanche ora che  
era diventato il custode del keyblade,  l’eroe dei mondi.
Riku sapeva di non poter essere più salvato.

Perchè il suo migliore amico era stato  troppo occupato a salvare il mondo che rischiava di crollare in pezzi per accorgersi della sua, di caduta, del crollo di quell’anima umana che veniva divorata dalle ombre del suo cuore, fagocitata dall’odio e dal rancore che gli infiammavano gli occhi e il cuore.
La luce oramai lo infastidiva, doleva agli occhi, irritava l’epidermide, era repellente, una carezza calda che odiava ricevere, sentire su di sé.
Il freddo delle tenebre era invece un toccasana per il suo sguardo tradito, per la rigidità dei suoi arti e di quell’organo che continuava a raggrinzirsi nel suo petto,  giorno dopo giorno.
- Riku ?
Malefica gli arrivò alle spalle nel solito frusciare di vesti serpentine e fluttuanti, le pupille nere inghiottite dal verde raccapricciante dell’occhio.
Era una strega potente,  e avrebbe potuto aiutarlo a trovare il cuore di Kairi, lei che gli aveva già  concesso il potere che bramava, la libertà dai ricordi che tanto agognava.
Il potere era ciò che desiderava, e un Keyblade, quello sì.
La chiave da affondare nel petto di Sora per strappargli il cuore e costringerlo a chiedergli in ginocchio perdono per averlo abbandonato.
Per averlo lasciato solo.
- Ho bisogno che tu vada in contro al custode della chiave. Bisogna finirla, una volta per tutte.
Le gambe erano rigide per la posa scomoda mantenuta tanto a lungo, ma lo ressero abbastanza da fargli raggiungere le alte porte della Fortezza Oscura.
E quando il vetro della finestra rimandò la sua immagine Riku osservò il proprio viso divenuto adulto, il petto ampio e   lo sguardo dorato del mostro che era diventato.
Del traditore che si era ritrovato ad essere.






°°°







Ironia, la vita era piena di ironia.
Lo era lui, lo era stato il destino.

La luce lo infastidiva ancora, ma il suo corpo umano necessitava la luce  mentre il suo cuore d’ombra si ribellava a quella  carezza indesiderata.
Kingdom Hearts era la luce.
Pura e semplice luce, e lui continuava ad essere diviso in due, in bilico tra ciò che  il suo corpo desiderava e ciò che il suo cuore chiedeva.

Re Topolino lo sorpassò con un balzo  fendendo l’aria e urlando a Sora di andare via, di chiudere la porta alle loro spalle.
Sora .
Riku abbozzò un passo nella sua direzione,  fermandosi poco dopo aver sentito la voce del Re che urlava loro di salvarsi, di richiudere il passaggio per il cuore di tutti i cuori e proteggere gli altri mondi.
Ma anche se lui non poteva più essere salvato, c'era una persona che voleva proteggere.
E non era Sora.
Non era Kairi.
Ma qualcuno che si era scoperto di amare più di entrambi, più di se stesso.
Sentì lo sguardo ferito di Sora pungergli la schiena, ma quando la porta si chiuse alle sue  spalle seppe di aver fatto la cosa giusta, per una volta.
Perchè quello non era un addio, non lo avrebbe permesso, lui che aveva ancora una promessa da mantere, una persona da cui tornare.
Chi aveva capito e lo aveva lasciato andare con qualcosa su cui abbandonare il proprio sguardo stanco e fragile quando la solitudine fosse divenuta straziante, il nastro rosa che anche nell'ombra più nera riusciva a vedere.
Lei, la riusciva a vedere.
Nella sua mente, e in quel cuore che imparò a battere per qualcosa che non fosse l'odio e il rancore.
Per qualcosa per cui valesse la pena lottare.
E vivere.
Amare.










Continua...

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Capitolo 3
*** 3 - A Never Ending Dream ***


Capitoli revisionati (3)
" I'm standing on a hill and beyond the clouds,
The wind's blowing still and catching my doubts
I'm watching all the flowers dying away
Enheated by the fire at the dawing day "

[...]

" An illustrated sea descends in the steam
We're playing for the vice, emotional games
I'm turning off my eyes and hiding my shame "

( A Never Ending Dream - Cascada )









Merlino era il mago più anziano, saggio e incorrutibile  a memoria d'uomo, ma Aerith sapeva bene come scucire il permesso del suo mentore con uno dei suoi più bei sorrisi, una linea di labbra morbide  che Leon poi incassava con uno sguardo oltraggiato, come se qualcuno lo avesse appena preso alle spalle, una mossa che il soldato riteneva scorreta e priva d'onore, ma  l'arma in questione era  un sorriso, e da quelli non  ci si difendeva di solito, perchè erano innocui e semplici sorrisi, incapaci di mietere vittime.
Eppure quello  di Aerith poteva tramutarsi in un'arma di distruzione di massa, una sorta di potente e indomabile  vibrazione elettrostatica che  riusciva ad entrarti sotto pelle per scuoterti dentro fino a farti scrollare  di dosso l'orgoglio e quel briciolo di dignità con il quale si era creduto scioccamente  di poterle negare qualcosa.
Le bastava dunque relativamente poco  per riuscire a strappare al non tanto incorruttibile mago e al poi non così tanto invicibile guerriero  la possibilità  di gironzolare per le strade senza la supervisione e protezione dovuta.
Una protezione necessaria per i tempi che correvano.
La Fortezza Oscura in fondo era divenuta  sempre più vulnerabile agli attacchi nemici, più indifesa  e dunque più soggetta alle retate degli Heartless e dei Nessuno.
Quelli, in verità, erano il motivo principale del cipiglio tetro di Leon.
Lei ne aveva visto uno, una volta.
Un uomo dai curiosi capelli color fiamma, ritti come stalattiti di rubini, che mangiucchiava per strada un gelato dal particolare colore azzurro cielo.
Leon diceva che erano esseri malvagi, privi di scrupoli, ma Aerith non lo aveva trovato pericoloso, ma tremendamente triste e malinconico.
E solo.
E nessuno più di lei sapeva quanto fosse triste essere soli al mondo.
Ricordava che aveva un' andatura dinoccolata, come se faticasse a reggersi  sulle gambe lunghe e sottili come spilli, e che faceva vagare gli occhi chiari lungo la via, negli angoli, sul cielo terso e rannuvolatosi al tramonto come se fosse in cerca di qualcosa, di qualcuno.
Leon diceva molte cose, alcune  non tanto giuste e imparziali, ma non aveva mai mentito sulla pericolosità di un individuo,  questo Aerith lo sapeva bene, ma non aveva potuto  fare a meno di essere attratta dalla tristezza di quel Nessuno.
Un'attrazione gravitazionale che un giorno l'aveva portata  a collidere con un mondo tanto diverso dal suo.
Avvenne  per caso in realtà, in uno di quei giorni in cui il bisogno di stare un pò in pace con i suoi pensieri l'aveva convinta a convincere Merlino di poter  tornare un po’ più tardi del solito, un ritardo che si era trovata  costretta  a dilungare  quando, nel riconoscere la stramba e appariscente capigliatura lungo la via non aveva potuto fare  a meno di  seguire lo strano essere d’ombra fino a   ritrovarsi  a scendere il sentiero   scosceso che portava al grande fossato.
Quello era uno dei luoghi che lei amava meno in verità, ma il Nessuno dallo sguardo spento continuava a scendere,  ignaro di lei che guizzava alle sue spalle  saltando da una roccia all’altra per non farsi vedere.
Era troppo perso nei suoi pensieri per curarsi di lei, pensieri molti tristi a giudicare dalla smorfia che gli piegava le labbra sottili.
Una smorfia contrita che Aerith osservò con un peso sul cuore.
Aerith è troppo ingenua  diceva Leon ogni qual volta aiutava  per strada un passante dall'aria pericolosa e scarmagliata.
Aerith non conosce ancor il mondo continuava, ma a dispetto di ciò che si poteva pensare di lei, la maga sapeva fin troppo, aveva vissuto più di quanto la sua età desse ad intendere, e il destino che aveva patito era stato fin troppo crudele e tragico.
Perciò lei capiva la tristezza, la malinconia, l’amarezza, il dolore, quando li vedeva.
Li aveva provati, li aveva vissuti sulla propria pelle, aveva provato persino a curarli,  e quel Nessuno soffriva fin troppo per un essere che non avrebbe dovuto possedere un cuore.
Per qualcuno che sarebbe dovuto essere pericoloso.
Era troppo fiduciosa nella bontà altrui forse, e dopo tutto quello che aveva passato, dopo tutto ciò che aveva vissuto, avrebbe dovuto essere selettiva nello scegliere di chi fidarsi,  ma non riusciva a sopportare la sofferenza di altri, neanche quella dei loro nemici.
Non vi riuscì, non volle neanche provarci, perchè sarebbe andata contro se stessa, e se c'era una cosa che aveva imparato col tempo, era che ci si doveva accettare per quello che si era.
 Per questo sbucò da dietro la roccia con un sorriso amichevole  e un saluto trepidante sulle labbra.
- Ciao.
Axel mandò giù il boccone ghiacciato   con il rischio di strozzarsi per la fretta, ritrovandosi poco dopo a stringere  le dita affusolate sulle armi abbandonate ai suoi piedi, ma quando rialzò gli occhi  la visione della ragazza non lo preoccupò, non lo mise in allarme perché, semplicemente, quella piccola umana  non  rappresentava un pericolo per lui.
- Cosa vuoi ? – soffiò lamentoso, tornando a mordere il gelato con aria indolente,  seguendo con la coda dell’occhio i passi fluidi con i quali la ragazza lo raggiunse, fermandosi a qualche metro di distanza da lui per studiarlo.
I capelli che aveva imparato a lasciare sciolti le coprirono metà viso quando piegò la testa di lato, rapita dal colore sgargiante di quei capelli che fissò  tra le ciglia frementi di curiosità mentre il viso pallido del Nessuno si contraeva per la stizza.
- Cos’hai da fissare? Non hai paura di me? – brontolò scontroso quello quando si sentì studiato a quel modo, aumentando la presa sulle armi.
Aerith tornò dritta con un movimento fluido, scivolando a sedere accanto a lui con un sorriso tranquillo.
- Dovrei ? – domandò enigmatica, sbirciando da sopra la spalla l’espressione infastidita del Nessuno.
Axel meditò un attimo su come avrebbe potuto strapparle il cuore, un modo come un altro per togliersi  dai piedi quella seccatura, ma quella ragazza era davvero carina, e sarebbe stato un peccato.
E poi non ne aveva voglia, in realtà non aveva più voglia di fare nulla oramai.
- Stai cercando qualcuno ? – tornò a domandare con la voce calma e gentile, picchiettando l'anulare sul braccio  abbandonato in mezzo a loro, un contatto che fece rizzare i capelli sulla nuca di Axel.
- Non toccarmi – sibilò irritato, sentendo il calore pizzicargli l’epidermide nascosta dal mantello, e rimase  sconvolto dalla vampata di tepore che aveva raggiunto persino le sue guance gelate.
Quella femmina umana era calda, profumava troppo, e faceva troppe domande per i suoi gusti, ma aveva uno sguardo gentile  e quando annuì alla sua domanda con un grugnito di fastidio  lei tornò a  sorridergli, poggiando una mano sul suo avambraccio.
L’espressione ghiacciata del Nessuno la fece ridere di cuore mentre il sole tramontava e le urla di Leon tuonavano per la vallata, e fu un tocco fuggevole che gli lasciò addosso una breve sensazione di pace prima che lei si spostasse e spezzasse l'incanto.
Con un saltello agile Aerith scese dal masso, spolverandosi il vestito rosa e tornando a fissarlo con gli occhi grandi e verdi, occhi troppo puliti, troppo chiari  per un mondo come il suo, occhi che persino nel buio, forse, sarebbero stati capaci di non farti perdere.
Di farti ritrovare la strada di casa.
- Ti aiuterò a trovarlo – promise accorata, voltandosi poi  nel sentire il proprio nome urlato da Leon per la terza volta.
Axel rimase a fissarla in silenzio mentre la vedeva andare via  agitando debolmente la mano in un saluto prima di ritrovarsi inspiegabilmente  a parlarle ancora.
- Come fai a sapere che si tratta di un lui ?
Aerith si fermò poco prima di svoltare l'angolo, lo sguardo proiettato oltre il cumulo di terra dietro al quale avrebbe trovato il cipiglio iracondo del guerriero, e si attardò un'istante di più  per alzare gli occhi  al cielo e sorridere debolmente nel pensare che lo avrebbe spaventato se avesse ammesso che lei sapeva riconoscerle, le persone che aspettano qualcuno.
Lei che aveva passato la vita ad aspettare, ma lui non avrebbe capito.
Nessuno, avrebbe capito.
- Istinto femminile. 
   







°°°







- Roxas è un bel nome – rimuginò ad alta voce, addentando poco dopo il terzo gelato che Axel le aveva allungato  con aria imbronciata prima di addentare il proprio.
- Vero – assentì sovrappensiero – è proprio un nome da lui, è così- si morsicò la lingua appena in tempo quando la vide sporgersi verso di sè con occhi enormi, curiosi e vibranti, uno sguardo che lo imbarazzò e lo portò a tacere.
- È così?-  ripetè lei con espressione trasognata, avvicinandosi ancora di più.
- Così e basta! Non capisco perché fai tutte queste domande! Sono giorni che chiedi perché, dove, chi! – gracchiò con la voce incrinata per l’imbarazzo, scartando il terzo gelato e ficcandoselo in bocca con sguardo irritato.
Aerith fece spallucce, addentando il suo e osservando la desolazione del loro piccolo nascondiglio, la conca di detriti e sabbia dove la ragazza passava ogni sua giornata da quando aveva promesso di aiutarlo nella sua ricerca qualche settimana prima.
- Perché mi interessa saperlo, mi pare ovvio. Non siamo amici forse ? – buttò lì tranquillamente, conservando lo stecchetto appiccicaticcio nella tasca del suo bell’abito rosa per non lasciare prove.
Era sempre  stata molto attenta in quello.
Perchè Leon poteva risultare troppo rude nei modi, ma era un ottimo soldato, e non si sarebbe lasciato sfuggire una torre di stecchetti di gelato senza farsi qualche domanda su chi li avesse lasciati,  e lei non era brava a mentire.
Perciò aveva preso l'abitudine di conservarli nella sua stanza, lì certamente Leon non avrebbe mai osato metter piede senza prima chiederle il permesso.
- Amici ? – ruggì il Nessuno poco dopo, il viso illividito dalla collera  – amici dici? E da quando in qua io e te saremo amici? Sei tu che mi pedini da undici gio-
- Sedici giorni– rettificò puntigliosa, e tanto bastò ad Axel per gettare indietro il capo con un ringhio di frustrazione.
Un fiotto di sangue andò a colorargli  le guance  per la stizza, ma era l'incredulità a farlo tremare da capo a piedi.
Lo infastidiva il  non riuscire a capirla, il non poter prevedere le sue mosse.
Tuttavia non sembrava cattiva, e se avesse voluto fargli del male lo avrebbe fatto da tempo, ma non era abituato ad un contatto fisico tanto prolungato, men che meno con donne ciarliere che  sorridono  sempre e fanno domande su domande.
Lo metteva in imbarazzo, eppure  non era  un imbarazzo che ti mette a disagio,  non era come quello che provava con Roxas, nessuno lo avrebbe mai fatto sentire come si sentiva con Roxas, ma era ugualmente piacevole, ugualmente bello, e capire che quella dannata  umana  era altrettanto capace di farlo sentire a suo agio, di farlo sentire di nuovo bene  lo lasciava perplesso.
Perchè era fuori dalla sua portata e dalla sua comprensione.
Perchè  lo trattava con gentilezza, non mostrava segno di paura, di raccapriccio, ma lo definiva  addirittura  un …amico?
Un fastidioso rimescolio allo stomaco gli ricordò che lui di amici non ne aveva mai avuti, che nessuno aveva voluto esserlo, e che quello era  normale per uno come lui.
Per un Nessuno come lui.
Ma lui non lo era, normale, non lo era stato.
Eppure lei lo trattava come se lo fosse, e forse  il suo rossore non era da attribuire solo alla stizza ragionò stanco, osservando tra le ciglia frementi l’espressione dolce della femmina umana.
- Perché? Lo mettevi in dubbio ? – lo riprese  con aria severa, raggiungendolo e picchiettando un dito sulla sua spalla.
- Mi pare ovvio che lo metta in dubbio. Guardaci. Io sono un Nessuno. Colui il quale dovresti temere, colui il quale potrebbe e dovrebbe strapparti il cuore,  mentre tu sei-
- Una fioraia – lo precedette con voce dolce, intrecciando le dita a quelle tremanti delle creatura, le mani alzate in aria in un eccesso di sorpresa mista ad orrore ed incredulità.
Era calda si trovò a pensare inconsciamente,  profumava di buono,  e gli stava stringendo le mani, come se fosse un suo pari, come se fosse un umano.
- Una fioraia ? – singhiozzò incredulo, osservandola da capo a piedi con un sopracciglio alzato.
Aerith sorrise, un sorriso morbido che però non raggiungeva gli occhi.
- Si, una fioraia. Sono semplicemente una-  il rumore di passi la interruppe.
Passi veloci  perfettamente sincronizzati, passi di soldato, passi che Aerith riconobbe con un colpo al cuore.
Quando la ragazza lo spinse a nascondersi dietro una roccia  Axel non capì il perché di tutta quella fretta, ma quando udì una voce maschile chiamare la fioraia non potè che capire.
Lo stava nascondendo.
Lo stava proteggendo.
Gli occhi di Leon erano sempre gli stessi, occhi stretti, troppo azzurri, calcolatori, iridi che Aerith fissò senza l’ombra di un cedimento, allontanandosi dal masso e andandogli in contro con un sorriso a mezze labbra.
- Cosa ci fai qui ?
Un ringhio sommesso fu l’unica risposta che ebbe, e si preoccuupò del modo in cui quegli occhi perlustravano l’aria circostante,  cercando nemici, cercavano sempre nemici.
- Questa dovrebbe essere la mia domanda. È qui che vieni a rifugiarti ogni giorno?
Axel trattenne il respiro quando gli parve di essere osservato, fissato con odio, ma lei tornò a parlare, ad attirare l’attenzione del soldato, a salvarlo da un combattimento inutile dal quale non sapeva se sarebbe uscito vincitore,  ora che era solo.
- Si, mi piace stare in solitudine qualche volta – spiegò con voce delicata – ma è tardi, credo dovremmo tornare entrambi a casa.
Leon sembrava restio, non sembrava crederle, non le credeva, ma Aerith  non poteva permettergli di trovare Axel,  non lui, non un Nessuno.
Perché il soldato non avrebbe ascoltato,  non avrebbe capito, avrebbe solo combattuto,  sempre, senza chiedersi  chi avesse davanti, senza capire chi dovesse essere  sconfitto o risparmiato.
- Leon. Torniamo a casa – lo richiamò ancora, porgendogli la mano e aspettando che lui la prendesse.
Nel non ricevere un cenno o una risposta si trovò allora a strattonarlo  per la manica del giacchetto di pelle, trascinandolo via dalla conca, dal Nessuno che tentava di proteggere.
E quando Axel tornò in piedi gli parve di vederla, lì, poco sopra il vecchio arco  che lo salutava con la mano prima di strattonare Leon con sé,  ignara dello sguardo che il soldato aveva lanciato alle sue spalle e  alla chioma rosso rubino appena scomparsa in una nuvola nera.
Quella sera  Leon non la sgridò, non le rivolse la parola, le fece solo una semplice domanda.
- Cosa credi sia sbagliato Aerith?
E lei non rispose.
Si limitò ad osservare  le fiamme del camino lambire la legna, consapevole dello sguardo confuso di Cid e dell’occhiata curiosa di Yuffie mentre Leon le stava innanzi con le braccia incrociate sul petto, ad aspettare.
Ma la gente urlava nella sua testa, sua madre la pregava di fare attenzione, e il mondo esplodeva  sotto i suoi occhi, nelle sue ossa, dentro il suo cuore e  tra le sue braccia aperte in un abbraccio di morte e comprensione.
Alzò il viso con decisione,  piantando le iridi chiare in quelle azzurre di Leon, senza ripensamenti, senza il minimo rimorso.
 - Non sta a me deciderlo.
Merlino irruppe nel suo studio in una nuvola di scintille e profumi esotici, ma quando i suoi occhiali a mezzaluna tornarono a stare ritti sul suo naso acquilino  non potè che chiedersi perché Leon fosse appena scappato via con un espressione tanto  furiosa e perché la sua pupilla sembrasse sul punto di piangere.








°°°

 




Aerith sapeva che non era compito suo decidere cosa fosse giusto o sbagliato.
Non era compito suo, non era compito di nessuno.
Lei e Leon lottavano per proteggere la città e le loro vite.
I Nessuno lottavano per avere un cuore.
Entrambi avevano qualcosa per cui combattere, entrambi erano nel giusto, ma la morte non lo era, per nessuno.
La morte era lo sbaglio,  era l’errore, era ciò che la fioraia temeva, e  non per sé,  ma per coloro che le stavano attorno.
Lei in fondo  era morta, una volta, ed era stato orribile, una sensazione di disfacimento, di annientamento totale che l’aveva prosciugata dalla forza di rialzarsi, di ricomporre i pezzi, di guardare avanti.
La responsabilità delle vite altrui l’aveva sempre influenzata nelle sue scelte, l’aveva portata al sacrificio di se stessa, all’annullamento del suo essere,  perché  era suo dovere,  era ciò che era.
Eppure, sebbene tante morti e vite avessero influenzato il suo cammino, Aerith avrebbe continuato ad essere atterrita dalla morte degli altri, dal dolore che ne sarebbe derivato, dalla visione dei suoi amici che perivano davanti ai suoi occhi.
Non ancora.
Non un'altra volta .
Aveva fatto una torta quel giorno, una torta salata visto i gusti di Axel, il regalo che si schiantò al suolo quando allentò la presa sul cestino mentre gli occhi si dilatavano per l'incredulità.
Perché c’era polvere, nella sua conca.
Polvere e sangue.
Lacrime e sudore.
C’era il cozzare  di lame, e c’erano urla,  tante , troppe urla, le urla di sua madre, le urla della sua gente.
Le sue urla .
Axel si schiantò contro il terreno roccioso quando la udì, lasciando il fianco scoperto e dando la possibilità a Leon di colpirlo con la spada, un taglio lungo tre centimetri che il Nessuno provò a tamponare con le mani mentre lo sguardo rimaneva piantato sulla femmina umana.
Piccola, e spaventata, con le mani portate al viso pallido e le labbra schiuse in un altro urlo, ancora  più forte, ancora più acuto, squillante  come la voce di mille anime, come l’urlo della terra, l’urlo di un mondo che dentro di lei esplodeva di dolore.
Leon le lanciò un'unica occhiata, tornando a brandire la spada con il respiro ansante, uno squarcio sul braccio destro e parte della giacca bruciata dalle fiamme zampillate dal corpo del Nessuno.
- Vattene via. Questo non è affar tuo – la aggredì con voce roca, incurante di quegli occhi verdi lucidi di pianto,  ma si sentì  comunque ferito  da quella voce spezzata e tremula che chiamava il suo nome con una richiesta.
Una richiesta che lei si vide negare.
Aerith si trovò a stringere le labbra in un moto di rabbia,  materializzando il suo  bastone nella mano destra per avere qualcosa con il quale difendersi, con il quale far sentire la voce che Leon non aveva voluto ascoltare, e quando il metallo gelido dell’arma prese conoscenza con il calore delle sue dita  scattò in avanti appena in tempo per  parare il fendente con il quale  l'amico avrebbe voluto   spezzare la vita del Nessuno.
Lo sfrigolio derivato dal contatto tra le due lame stordì entrambi,  ma la fioraia riprese lucidità ancor prima del soldato,  facendo forza sulle braccia e scostando con un colpo secco la mole minacciosa del compagno per frapporsi tra lui e la creatura d'ombra.
Con un ringhio frustrato Leon  la osservò  brandire con più decisione il suo misero bastone, flettendo le gambe e ponendosi a difesa del Nessuno dai capelli rossi.
- Cosa credi di fare? Lui è uno di loro  – soffiò furibondo, scuotendo la spada di lato per intimorirla, ma Aerith  non tentennò, non diede segno di resa, continuò a parare i fendenti nonostante le braccia le tremassero e le dita le dolessero per il peso del bastone.
- Lui non ti ha fatto nulla – tossì quando il colpo di Leon la spedì per terra  senza però ferirla, lui che  non voleva seriamente farle del male, ma solo allontanarla, farle capire le sue ragioni.
Con una smorfia contrita la strattonò di lato,  avvicinandosi ad Axel che continuava  imperterrito  a guardarlo in volto  senza l’ombra di paura.
- Non ha importanza, prima o poi farà qualcosa,  a me, a te e a Sora.
Una vampata di fuoco cinse le braccia del Nessuno, il volto esangue illuminato dal sorriso macabro che Leon osservò con disgusto prima di calare la lama sul capo della creatura d’ombra  mentre il sole tramontava e tingeva di sangue il profilo di entrambi.
Eppure non fu il sangue di Axel quello che zampillò  dalla ferita al braccio, ma quello di Aerith, gettatasi addosso al Nessuno per fargli da scudo con il proprio corpo.
E mentre la spada gli scivolava tra le mani, mentre Leon dentro moriva,  la fioraia lo guardava da sopra la spalla del Nessuno con rammarico,  aumentando la presa sul corpo che stringeva prima di  perdere conoscenza nel vortice d'ombra  che la inghiottì.
Lei e il Nessuno.
Quando Yuffie cominciò il suo giro di perlustrazione fu così che trovò Leon, fermo, immobile,  le mani protese in alto, la spada insanguinata ai piedi e gli occhi puntati su un cumulo di terra smossa, una piccola conca che aveva ospitato due corpi  fagocitati dalle tenebre.

Perché erano spariti, catapultati in una cittadina perennemente al Crepuscolo che Axel osservò con sguardo stanco  prima di chinare il viso  e guardare in silenzio la ragazza esanime tra le sue braccia.
E si chiese  per la prima volta  da quando l'aveva incontrata se davvero  si  potesse giudicare la sua vita da essere senza cuore tanto importante come  quella di chi, di avere un cuore per amare chi amore non aveva mai ricevuto, era sempre stata capace di fare.





Continua…

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Capitolo 4
*** 4 - Comatose ***


Capitoli revisionati (4)
" I hate feeling like this
I'm so tired of trying to fight this
I'm asleep and all I dream of is aking to you "

[...]

" Tell me that you will listen
Your touch is what I'm missing
And the more I hide I realiza I'm slowly losing you "




( Skillet - Comatose )







L’arancio era un colore caldo, una sfumatura meno cruda del rosso vivo che fin troppe volte aveva visto sporcare l'erba che soleva calpestare in passato, una tinta accesa ma morbida  che ad Aerith piaceva vedere mescolarsi tra  i capelli di Axel, un tocco di luce che  rendeva  la folta chioma ancora più stramba e piacevole alla vista, un commento bizzarro e insensato per il quale  il Nessuno non aveva  trovato  la forza, né la voglia di chiederle da dove le venissero certi pensieri.

Perchè era strana, davvero troppo strana.
Quando era rinvenuta infatti,  non solo la ferita pareva essersi cicatrizzata nel suo dormiveglia, mentre nessuno guardava, ma il primo bisogno che la fioraia aveva espresso era stato accompagnato dal  brontolio dello suo stomaco, zittito poco dopo  dai quindici ghiaccioli al sale marino che Axel le aveva allungato con titubanza,  come se stesse nutrendo qualche animale esotico e particolare, uno di quei cuccioli mansueti e pacifici capaci di azzannarti la mano e staccarti un braccio se stuzzicati, e  il suo cucciolo, se così la voleva pensare, aveva l'abitudine di  discorrere su  cose strane, delle quali  non avrebbe colto il senso, nè il pensiero di fondo.
 
Era inoltre  così piccola e minuta da dare l'impressione di poter essere saziata con qualche pagnotta  e un bicchiere di latte, ma in realtà mangiava in quantità industriali, una voracità  per la quale si era trovato a bazzicare per  le vie commerciali della città in cerca di provviste annuali che sarebbero bastate a sfamarla per quache ora.
Conosceva la città a meno dito,  e sapeva esattamente dove poter repire quanto gli serviva, ma evitava di portarsi dietro la fioraia, non solo perchè voleva  liberarsi di quello sguardo penetrante che sembrava scavargli dentro, ma perchè la fioraia avrebbe attirato  l’attenzione con i suoi  grandi occhi verdi  e il suo viso dolce, ed Axel doveva nascondersi, non essere sulla bocca di tutti.
Ma  Aerith era fuori dalla sua portata e dal suo controllo, e si era trovata a pedinarlo a sua insaputa fino a quando, stanco di dover terrorizzare i passanti che le allungavano sguardi curiosi quando lei si fermava a chiedere se conoscessero qualcuno di nome Roxas,  si era trovato costretto a tenersela stretta al fianco  per paura di vederla incappare in qualche brutto ceffo.
Perchè tanto nessuno avrebbe saputo risponderle, e
 non credeva possibile che un così blando tentativo potesse aiutarlo nella sua ricerca,  quando tuttavia  Aerith tornò da lui dopo essere sgusciata dalla sua presa con un sorriso enorme e un pacco di caramelle tra le mani capì che qualcosa era successo, doveva solo capire se fosse qualcosa di positivo o negativo.
Il metro di giudizio della fioraia era infatti   sbagliato, tremendamente sbagliato.
Perché la ragazza aveva deciso di aiutare lui, un Nessuno, andando consapevolmente contro i suoi compagni  per qualcuno che  avrebbe potuto rubarle il cuore da un momento all’altro.

Era forse  fiduciosa nel suo buon cuore, nella sua bontà d'animo, e se anche Axel avrebbe voluto ricordarle che lui, un cuore, non ce lo aveva, quell'imprevedibile e pericolosa ingenuità lo aveva portato a nutrire uno strano senso di protezione nei suoi confronti, un insano quanto complesso senso di tenerezza quando lei gli sorrideva sincera.
Perchè molti dei suoi simili avrebbero provato a toglierglielo dal viso, quel sorriso, se la avessero avuta davanti,  e chissà perchè bastava quel pensiero a mettergli una terribile angoscia addosso.
- Cosa sono quelle ? – la interrogò con fare circospetto, scoccando un' occhiataccia   da sotto il cappuccio al venditore di caramelle in fondo alla strada.
- Caramelle – spiegò ovvia, ingurgitandone tre e porgendogliene una dalla carta di brillantini – sono riuscita a trovarne anche al sale marino. Te ne ho prese un pacchetto – e trasse dalla tasca un cartoncino dal peso considerevole, un regalo che Axel non ebbe modo di rifiutare quando la fioraia lo intascò nel suo mantello nero con un sorriso dolce.
- Inoltre – continuò misteriosa, sventolando davanti al volto del Nessuno l’indice affusolato – ho una sorpresa per te.
Axel odiava le sorprese, specialmente se venivano da lei, ma quando Aerith cominciò a trascinarlo per le strade  non ebbe modo di opporsi alla sua richiesta e al suo volere,  sia perché, nonostante la statura minuta, la fioraia poteva sfoderare una forza considerevole, sia perché Axel non voleva mostrarsi ingrato.
Lei in fondo lo aveva salvato, gli si era parata davanti per difenderlo, lo aveva protetto, e non avrebbe potuto farle un torto o metterla nella condizione di chiedersi se avesse fatto male a fidarsi di lui, non ci riusciva, non voleva.
Perchè, per quanto odiasse ammetterlo, aveva cominciato a pensare a lei come una piacevole compagnia, come ... un'amica.
Aerith era veloce e  agile quando voleva,  ed incredibilmente forte se questo voleva dire trainare con sé un uomo sul metro e novanta senza perdersi nel flusso di gente, ma era decisa, e il venditore di caramelle le aveva dato un indizio.
Man mano che entrambi avanzavano  la folla aumentava, le urla di incitamento si facevano più intense, e stare uniti cominciava a risultare impossibile
D’un tratto però, poco prima di infilarsi nel cerchio di spettatori  Aerith si bloccò d'improvviso, rischiando di far inciampare il Nessuno che le era finito addosso  affondando il naso tra i capelli profumati della ragazza.
Axel si ritrasse con un grugnito infastidito, impossibilitato a liberarsi dall’odore dolce dei suoi capelli  quando i suoi occhi incrociarono quelli verdi e puliti della fioraia.
- Cosa c’è ora ? – sbottò esasperato, tirandosela contro quando un passante rischiò di farla inciampare.
Si trovò anche ad  incenerire  con qualche fiammella il capello di piume di una donna alla loro destra che guardava la ragazza, la sua amica  con fastidio.

-  Potresti darmi qualche particolare in più su questo Roxas ? Il fatto che sia biondo e con gli occhi azzurri non mi aiuta molto.
Il Nessuno la osservò con sguardo confuso, aggrottando le sopracciglia ma cominciando comunque  a sciorinare la descrizione del suo compagno, dilungandosi in particolari  sulla bellezza delicata di Roxas, sulla sua chioma dorata, sui suoi occhi profondi,  su …
- Sora!
Aerith fuggì via ancor prima che il Nessuno potesse fermarla, scostando la gente che le veniva di fronte e aumentando l’andatura per raggiungere il ragazzo dai capelli biondi fermo in mezzo al ring di sabbia.
Con un salto riuscì a scavalcare un omino nero dallo strambo cappello a punta, scivolando sulla sabbia con un sorriso enorme che zittì il cronista e ammutolì gli spettatori attoniti di fronte l'entrata a sorpresa della giovane.
Seifer indietreggiò leggermente quando la ragazza si buttò addosso al suo avversario, abbracciandolo stretto e ridendo di cuore sotto lo sguardo scandalizzato del sindaco di Crepuscopoli.
Dal fondo del ring  Axel si trovò a spintonare  con qualche spallata alcune ragazze, macinando maledizioni contro quella piccola e dannatamente veloce fioraia una volta che  riuscì  a sbucare di fronte ai due combattenti, ma tutto ciò che fece fu  dilatare le pupille e trattenere il fiato nel vederlo. 
Nel riconoscerlo.
- Sono così  felice di averti trovato Sora. Mi sei mancato – esclamò felice, rafforzando la presa sul suo busto.
- Credo… credo che lei abbia sbagliato persona – bisbigliò  il ragazzo affogato nel suo abbraccio,  il viso in fiamme.
Aerith lo scostò curiosa, aggrottando le sopracciglia quando lo vide tanto disorientato, come se non l'avesse riconosciuta   mentre alle sue spalle qualche passante urlava  di terrore nel vedere il vicino prendere letteralmente fuoco.
- Io mi chiamo Roxas – continuò con voce tremula, arrossendo quando la sconosciuta si chinò verso di lui per studiarlo da vicino.
Un momentaneo sguardo di sorpresa, e la ragazza capì di essersi sbagliata, registrando solo in seguito il nome del ragazzo che tornò ad abbracciare stretto, ridendo di cuore prima di voltarsi a cercare il compagno.
- Guarda Axel! L’ho trovato!
Olette lanciò un urlo di sorpresa  quando vide il suo amico perdere i sensi tra le braccia della bella sconosciuta mentre sotto lo sguardo  di un'atterrita  Crepuscopoli veniva   raggiunta da uno strambo ragazzo dai capelli rossi a punta che, una volta caricato entrambi sulle spalle, svanì   in un nugolo di fiamme e calcinacci.







°°°






- Lasciatemi andare!
Aerith scoccò un' occhiata rammaricata  a Roxas, legato ad una sedia per volere stesso del Nessuno abbandonato lungo la parete apposta del vicolo con sguardo perso e spento, incurante delle urla del giovane dai capelli biondi.
Una desolazione più che giustificata dal comportamento di quello che non era più il suo compagno, il suo Roxas, ma un ragazzino che nel guardarlo con terrore  aveva esalato una  semplice frase che, se aveva sorpreso Aerith, aveva ferito lui.
Chi sei?
Era stata una sorpresa il sentirlo così deciso, il vederlo così arrabbiato, ed aveva sbraitato contro entrambi, zittendosi solo alla vista dell’espressione addolorata del Nessuno che si era trincerato dietro un muro di silenzio e freddezza per affrontare stoicamente il proprio dolore.
- Lasciatemi ho detto! Non vi conosco ! Devo tornare dai miei amici, Olette e gli altri  saranno-
- Loro non sono tuoi  amici. Tu non esisti, questa è solo una simulazione virtuale di Crepuscopoli.
Roxas si zittì  sentendo il magone gonfiargli gli occhi di pianto, ferito dalle parole dello sconosciuto e dai ricordi e dalla voci che lo tormentavano la notte, avvisaglie di una realtà che il ragazzo non voleva accettare, non ancora.
Con un sibilo scocciato Axel si rimise in piedi, irritato da tutto quello, e quando svanì in un nugolo di fumo nero  Aerith si inginocchiò  davanti al ragazzo con un sorriso triste.
- Non dovresti reagire così – mormorò docile, cominciando a sciogliere la corda che lo teneva legato  – Axel era molto preoccupato per te.
Roxas deglutì con rabbia, trattenendo le lacrime e lasciando che le mani calde della sconosciuta gli sfiorassero la testa e il viso in una dolce carezza che lo convinse a  sollevare lo sguardo e  fissarla negli occhi gentili.
- Non posso farci niente se non lo ricordo, io non ricordo nulla, io - le braccia della ragazza portarono via con sé il suo pianto silenzioso,  lasciandolo spossato e dolorante in  viso.
Aerith lo lasciò andar via con la promessa di vedersi il giorno seguente prima di  cercare per le vie bagnate dalla luna la figura dinoccolata di Axel.
E non era nella luce che doveva cercare, questo lei lo sapeva bene.
Era negli angoli bui,  nelle tenebre, nelle ombre, che il Nessuno si celava,  e lì lo trovò, nascosto nella pozza d’ombra poco dietro la ferrovia, uno stralcio di tenebre che Aerith illuminò con il suo sorriso delicato.

- È andato via.
Axel non mosse un muscolo, continuò a rimanere immobile, ghiacciato dal dolore,  un braccio corso a cingergli le gambe portate al petto e quello libero abbandonato contro il freddo marciapiede sul quale poco prima aveva deciso di crollare seduto.
- Credo che-
- Gli hanno cancellato la memoria – soffiò con un filo di voce, stringendo la mano poggiata sull’asfalto in un pugno - Ha dimenticato tutto. Le nostre giornate sull’orologio, i nostri pomeriggi a mangiare i ghiaccioli, ha dimenticato tutto. Ha dimenticato me.
Solo quando Aerith percepì la sua voce spezzarsi e andare in frantumi tese la mano per  toccarlo, e quando Axel sentì le braccia morbide della donna stringerlo con calore sorrise con riconoscenza tra le lacrime.
Perchè era grato che lei fosse lì, in quel momento, che non fosse tornato solo, che lei avesse deciso di seguirlo, di aver visto qualcosa di  diverso in lui.
Un Nessuno capace di  trovare un  buon motivo per cui piangere il proprio dolore.
- Andrà tutto bene. Ricorderà prima o poi,  lo aiuteremo a ricordare – mormorò dolce, intrecciando le mani sul petto del Nessuno, immobile nel suo abbraccio caldo e profumato .
Ed anche se quelli come lui non potevano avere un cuore, anche se non era nella loro natura, quando la giovane fioraia cominciò a smozzicare una ninna nanna a mezze labbra  Axel giurò di aver sentito il suo cuore gonfiarsi di commozione e affetto.
Anche se lui non ne aveva mai avuto uno, anche se tutto ciò che stava provando era solo un' illusione.







°°°
 
 


- Quindi voi siete amici di Roxas?
Axel grugnì una maledizione nell’udire la voce di quell’umano impiccione, ma venne  zittito  dalla gomitata che Aerith gli rifilò prima di sorridere  conciliante.
- Si, siamo suoi amici. È un piacere per me ed Axel conoscervi. Vi ringraziamo per averci invitato alla vostra gita.
Olette ricambiò il sorriso, scendendo gli scalini del treno con l’aiuto di  Pence prima di  lanciare un' occhiata in tralice a Roxas, silenzioso e attento a non incrociare lo sguardo dello strambo individuo dai capelli a punta.
L’uomo dal lungo mantello nero rifuggiva a sua volta lo sguardo, preferendo aggrottare le sopracciglia rubino ogni qual volta la sua compagna di viaggio provava a farli parlare tra loro, anche se con scarsi risultati.
- Che ne dite di un gelato ? – esclamò Aerith  con una punta di esasperazione, ammutolendo la probabile risposta scocciata del Nessuno con un' occhiata caustica.
Axel deglutì rumorosamente, picchiettando la punta del piede con fare annoiato  prima di serrare la mascella e flettere le gambe, stranendo lei e la combriccola di umani.
- Cosa diavol-  cominciò Hayner,  ammutolendosi poco dopo con il viso e il corpo  cristallizzato  in una posa innaturale che i compagni alle sue spalle imitarono poco dopo.
Aerith si portò  una mano al viso quando una folata di vento le turbinò attorno, e fu solo nello schiudere le palpebre che capì il perché dell’espressione guardinga del Nessuno e dell’aria turbata di Roxas, incredulo di fronte al grottesco ondeggiare degli Heartless che li avevano appena circondati.
- Li vedete anche voi vero ? Non me li sto immaginando  ? – chiese il ragazzo con voce strozzata, indietreggiando di un passo quando uno di quegli esseri provò ad andargli in contro, ma una vampata di fuoco  costrinse l' Heartless balzare indietro mentre Axel impugnava le armi e digrignava i denti .
Il cozzare del bastone di Aerith con il corpo frusciante della creatura d’ombra coprì l’urlo del Nessuno, troppo impegnato a difendere Roxas per accorgersi della ragazzina bionda apparsa alle loro spalle.
Neanche la fioraia la notò  presa com'era dall’evitare le artigliate dei nemici, ma quando Aerith cadde  a terra con uno sbuffo scocciato la vide.
Piccola, pallidissima e con uno sguardo assente che la colpì, ma quando vide Roxas correrle in contro non potè far a meno di richiamare Axel a gran voce,  colpendo con il bastone la testa grigio perla del suo avversario.
- Naminè!
La ragazzina osservò con sguardo vacuo il Nessuno che l’aveva appena  richiamata, scomparendo alla loro vista e lasciando Roxas con il respiro ansante per la corsa e gli occhi pieni di domande.
- Dove pensi di andare ? – lo riprese Axel  quando vide il compagno correre via in tutta fretta,  lasciando Aerith a bloccare con un blizzaga i nemici prima di accostarsi all'amico  ed udire l’urlo lontano di Roxas chiamare ancora la nuova venuta.
- Villa – soffiò lei  con voce rotta dalla fatica, guardando brevemente l’aria cupa del compagno  – ha detto Villa, ma non capisco cosa …- Axel la trascinò per un braccio senza una parola, abbandonando Olette e gli altri  ancora pietrificati con il fischio del vento e il sibilo dei Nessuno alle loro spalle.
Correva Axel, correva per le strade  seguendo con lo sguardo la zazzera bionda appena scomparsa in un foro nella parete, e quando lo raggiunse fu costretto a trarre al petto la fioraia quando Saix  lo travolse con il suo ghigno orribile.
Aerith si trovò dietro le spalle del compagno senza neanche accorgersene, attirata dalla chioma blu notte del Nessuno a loro di fronte, tanto differente dalla creatura d’ombra che la difendeva.
Troppo diverso .

Perché Axel era gentile, mentre lo sguardo di quel Nessuno era cattivo, crudele, una malignità dettata dall’egoismo e dalla rabbia, sentimenti che non riuscì a comprendere, giustificare.
Non ci era mai riuscita .

- Vai da Roxas – le sussurrò piano  in un'orecchio, richiamando un turbine di fiamme attorno al proprio corpo – trovalo e salvalo.Credo vogliano farlo ricongiungere con Sora, e non posso permetterlo , non ora che l’ho trovato.
Era spaventato, lo era la sua voce fioca e graffiata dalla disperazione, emotivo come sarebbe stato un essere umano.
Come sarebbe stato un uomo qualunque.
Perchè i  loro nemici non erano tanto  diversi da loro, lui non era diverso da lei, da Leon, da Sora.
Erano tutti esseri viventi, e lei lo avrebbe aiutato ancora una volta nonostante le sue azioni risultassero  incoerenti con la fazione alla quale lei sarebbe dovuto appartenere.
Loro che erano i buoni mentre tutti gli altri erano i cattivi, ma Aerith sapeva che non era compito suo giudicare.
Lei si era sempre limitata ad aiutare chi aveva bisogno, a capire chi nessuno voleva capire, a proteggere chi nessuno voleva proteggere.
E non avrebbe smesso.
Con un aero riuscì a librarsi sopra la testa del Nessuno, sgusciando via dalle sue braccia simili a tenaglie per raggiungere il Nessuno di Sora.
Un suo amico.
Axel lo era, e non avrebbe mai abbandonato un'amico nei guai.
Mai.







°°°








C’era disperazione nei suoi occhi,  tanta disperazione.
Per ciò che era,  per quello che rappresentava, per il ragazzo inglobato in quel fiore pallido, e Roxas non riuscì a soffocare a lungo  il suo urlo di frustrazione quando lo ebbe davanti.
Quando venne messo di fronte alla cruda realtà.
Sora, il protagonista dei suoi ricordi.
L’eroe dei mondi, l’essere dal quale era stato generato mentre lui, lui era lo scarto che ora quell’uomo bendato descriveva come feccia, immondizia.

Era un ologramma,  ma Roxas lo colpì lo stesso, brandì il Keyblade e lo colpì una, due, tre volte, finendo carponi a terra con il viso arrossato dalla rabbia e gli occhi gonfi di lacrime.
- Cosa credi di fare ? Non è compito tuo decidere, tu non sei niente  se non un surrogato,  una brutta copia dell’eroe dei mondi.
Lo sapeva, Roxas lo sapeva bene, ma faceva ugualmente male sentirselo dire, un male del diavolo, perchè  era un dolore che gli graffiava la gola e gli apriva il petto a metà, anche se  il cuore  lui non ce l’aveva, anche se era  un Nessuno.
- È tempo che lui si risvegli, tu non saresti dovuto esistere fin dall’inizio.
Roxas sentiva su di sé  gli occhi cattivi dell’uomo bendato, non dell’ologramma, di quello vero, quello fatto di carne, ossa e sangue, la sagoma che l'ombra poggiata  mollemente contro la parete fissava in silenzio, gli occhi dorati incollati allo schermo del computer sul quale DiZ digitava i comandi.
- È più cocciuto di quanto pensassi – si lamentò l’uomo, battendo un pugno contro la scrivania in metallo prima di osservare con rabbia il Nessuno di Sora.
L'ombra  si limitò a seguire il dibattersi frenetico del ragazzo con noia, una reazione che giudicava eccessiva e priva di dignità.
Roxas avrebbe infatti dovuto accettare il suo destino in silenzio, con un po’ di orgoglio, come un vero uomo avrebbe fatto.
Ma quel ragazzino piangeva  come un bambino e urlava  a squarciagola la sua frustrazione, il suo dolore, pur sapendo che nessuno sarebbe andato a salvarlo.
Che nessuna voce gli avrebbe risposto. 
Si sarebbe spento in silenzio, come era giusto che fosse, come doveva essere.
Come aveva calcolato.
Eppure una voce ci fu a rispondere a quel suo grido di aiuto, una voce di donna per la quale si trovò a sgranare gli occhi e sibilare un nome che dopo tanto tempo passato a brancolare nel buio riuscì a ridare un nome all'ombra che per un momento smise d'essere.
Quando fu abbastanza vicina da prendere la mira Aerith colpì con forza l’ologramma, abbandonando la presa sull’arma quando questa rotolò lungo il pavimento candido, emettendo un tintinnio fastidioso che interruppe il pianto silenzioso di Roxas e lo convinse ad alzare su di lei uno sguardo incredulo.
- Non si dovrebbero dire queste cose ad un ragazzino – proruppe severa, gli occhi grandi e verdi accesi di rabbia - Dovrebbe essere più gentile – lo aggredì ancora, raggiungendo il Nessuno di Sora per aiutarlo ad rialzarsi.
E Roxas si sentì stranamente al sicuro, tra quelle braccia.
Come se più nulla avrebbe potuto fargli del male.
Come se le mani corse ad accarezzargli il volto avessero raccolto tutto il suo dolore.
- E lei chi è ? – domandò  DiZ con voce tetra,  voltandosi per incrociare lo sguardo dell'ombra  che sorprendentemente ritrovò all'interno dell'illusione di Crepuscopoli.  

 Aerith si irrigidì nel percepire il sibilo del vento grattarle la nuca, segno che qualcun'altro era lì con lei, e quando vide  l’incappucciato accostare l’ologramma soppresse un sussulto di spavento, aumentando la presa su Roxas e armandosi di uno dei suoi sguardi più minacciosi.
- Non ho paura di te - spiegò nervosa -   Non credere-
- Cosa ci fai tu qui  – le sbraitò contro l'uomo incappucciato, zittendo la sua replica  e costringendola ad assottigliare le palpebre con attenzione.
Perché quella voce era familiare, lo erano  i ciuffi grigi  che sfuggivano al cappuccio, e  la posa altera delle spalle che l'aveva fatta sempre sorridere. Era più alto e cupo di come ricordava,  ma quello era...
- Riku ?
Il ragazzo soppresse un ringhio di frustrazione per zittire il singhizzo rumoroso che quella voce e quegli occhi gli aveva causato in petto,  affrettandosi   a  scostare il cappuccio per  guardarla meglio in viso.
Perchè gli era mancata, gli era mancata terribilmente.

Era passato molto tempo dal loro ultimo incontro, tanto, troppo tempo, ma  si ritrovò comunque  a sorridere nel pensare che lei non era cambiata,  che quegli occhi verdi erano rimasti morbidi come ricordava, lei, era rimasta come la ricordava.
Come l'aveva sempre amata.

- Ti sei fatto alto – sussurrò morbida, ignara dello sguardo stranito  di Roxas e di quello sorpreso di Riku.
Perchè era passato tanto tempo dall'ultima volta che si erano visti, e l’unica cosa che Aerith aveva evidenziato era stata la sua levatura, non il suo aspetto feroce, non le ombre che gli avevano mangiato  il cuore e lo sguardo, ma l’altezza.
Lei si era interessata solo di quello,  come se nulla importasse.
Come se per lei fosse rimasto  lo stesso Riku che aveva raccolto in quel vicolo buio tanti anni prima.
- Lo conosci ? – bisbigliò con un filo di voce Roxas tra le sue braccia, incassando l’occhiata caustica dello sconosciuto con un groppo in gola mentre Aerith tornava ad aprirsi in un sorriso.
- Si, lo conosco.
Roxas si fece guardingo,  ma si limitò a stare in silenzio nell’abbraccio della donna, perché era calda, profumava di buono e non ricordava di essere stato stretto da qualcuno in quel modo.
Nel vedere il Nessuno di Sora crogiolarsi nel calore della stretta  Riku impugnò il proprio Keyblade con sguardo torvo, puntando la lama sotto la gola del ragazzo che Aerith strinse maggiormente contro il petto con fare protettivo.
- Cosa stai facendo ? – lo interrogò stranita, ruotando il busto e nascondendo Roxas sotto quegli occhi divenuti  freddi e calcolatori nel posarsi su di lui. 
- Quello che deve essere fatto. Lui deve ricongiungersi con Sora, non sarebbe dovuto esistere comunque. 
Era stato secco, era stato crudele, ed Aerith reagì irrigidendo le braccia attorno al corpo del ragazzo con sguardo severo.
- O no, no,  no, no – negò con foga, scuotendo il capo e suscitando sorpresa in Riku – lui non si tocca, Roxas è mio amico. Ed ho promesso ad Axel che lo avrei protetto.
- Non dirai sul serio – sibilò  Riku con voce sepolcrale, stringendo le dita attorno all’elsa della spada  prima di lanciare un’occhiata significativa a Sora.
- Lui è tuo amico , non quel-
- Non è compito mio giudicare, né tuo – lo interruppe frettolosamente, poggiando le mani sulle orecchie di Roxas per non fargli udire quella cattiveria – tutti hanno bisogno di aiuto, e lui è importante tanto quanto Sora. In più ho promesso di proteggerlo, ed è quello che farò .
- Vuoi davvero che combatta contro di  te?
Il rammarico le intristì i lineamenti, adombrando la felicità che aveva illuminato le iridi chiare pochi attimi prima.
- Mi faresti davvero del male ?
Lo aveva detto con un filo di voce,  una tonalità fioca e bassa che gli causò un fastidioso strappo al cuore, ma Riku non riuscì  ad abbassare il Keyblade.
Perchè Sora doveva essere risvegliato, così da potersi ricongiungere con Kairi,  e lui avrebbe finalmente  estinto il debito che sapeva di aver contratto con lui  per il suo tradimento.
Sarebbe tornato tutto come prima, ma in quel momento non riusciva a sentirsi completamente a suo agio nel pensare alla loro felice riconciliazione.

Forse erano quegli occhi  verdi a lasciarlo con l’amaro in bocca, o  l’ombra di quel sorriso un po’ meno aperto, o semplicemente,  la malinconia di quei lineamenti adombrati dal rammarico.
- Io-
Un muro di fiamme scarlatte interruppe il contatto visivo con Aerith, e quando Riku riuscì a trovarla dietro il fumo nero dell’incendio  non potè che storcere la bocca e serrare la presa sul Keyblade quando la vide stretta ad un  Axel che, furioso, ricambiava lo sguardo con altrettanto astio.
- Non ti lascerò torcerle neanche un capello – masticò acido, reggendo Roxas contro di sé e sistemando Aerith contro il suo fianco  con un movimento fluido del braccio destro.
Lei lo guardò ancora un istante, come se volesse dirgli qualcosa, come se volesse provare a spiegargli, ma si limitò a nascondere sotto le palpebre il dispiacere e  svanire in una nuvola di fumo nero mentre  Riku abbandonava il braccio lungo il fianco,  lasciando che le ombre lo inghiottissero ancora.
Che lo facessero perdere, ancora.
Quando Sora si risvegliò dal suo lungo sonno  lui non fu lì ad accoglierlo.
E mentre Aerith fissava con curiosità una  fila di canne di bambù  Riku si abbandonava all'abbraccio gelato della pioggia che lavò via ciò che non doveva essere visto sul suo viso prima che un’orda di Heartless captasse l’odore del suo cuore, quel cuore sempre gravido di rabbia e rancore.
Rimpianto.
Perchè,  anche se Sora si era svegliato, anche se era riuscito a fare la cosa giusta, non si sentiva sollevato, non si sentiva appagato, non provava orgoglio per aver saldato il debito di una vita, per aver mostrato al mondo che era cambiato, perchè non era al mondo, che aveva voluto dimostrarlo.
Non era la gratificazione, ciò che voleva provare.
Ma era amore.
L'amore che provava ma che, cordardo, non riusciva ancora a  chiederle.
Quell'amore sordo  che  lo spinse a  frantumare il silenzio angosciante del Mondo che non esiste con un grido, frustrato  per  quel doloroso  e inappagato  bisogno di allungare la mano e riempirsi le dita di un viso che nell'oscurità del suo cuore era stata l'unica fonte di luce, quella fragile e timida lucciola che sembrava sempre sfuggire alla presa disperata di chi avrebbe solo voluto tenerla stretta a sè e chiudere gli occhi per avere finalmente la possibilità di riposare.
La possibilità di amare.
 





Continua…

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Capitolo 5
*** 5 - Hero ***


Capitoli revisionati (5)
" Heroes are made when you make a choice
You could be a hero
Heroes do what's right
You could be a hero
You might save a life
 
 [...]


" You could be a hero
You could join the fight
For what's right "

( Hero - Superchick )








Il frinio  delle cicale era fastidioso, o almeno,  Axel non poteva che ritenerlo tale ora che  cominciava a comprendere e  non apprezzare particolarmente la piega che aveva preso quella che oramai, viste le circostanze,  aveva smesso  di considerare  una ricerca infruttuosa.
Perchè alla fine quel  qualcuno lo aveva trovato, li  aveva trovati lo corresse la voce petulante della sua coscienza  quando udì  Aerith definire   quel dannato cicaleccio  estremamente rilassante.
Sì, li aveva trovati.
Al plurale.
 Roxas tese una smorfia nel  guardarsi attorno e vedere solo una noiosa e illimitata distesa d'erba davanti a sè, e avrebbe preferito trovarsi di gran lunga nella simulazione virtuale di Crepuscopoli piuttosto che  in quella landa desolata, ma almeno c'era qualcuno con lui pensò con un velo di sollievo.
Anche se i suoi compagni di viaggio erano un uomo che farneticava di ricordi dimenticati e una donna che era appena diventata il suo eroe dalla scintillante armatura.
Axel si scrollò di dosso i fili di paglia con un grugnito di fastido mentre la consapevoleza di essere finiti in un mondo estremamente noioso cominciava a prendere piede nella sua testa, una constatazione rinforzata
dall'incredibile presenza di tanto, troppo verde e dell’aratro che avevano scovato andando più avanti, lungo  la via ciottolosa che si inoltrava nella foresta.
Gli alberi erano alti e rigogliosi, e il profumo degli iris disseminati lungo il cammino era delicato, un odore che Axel aveva catalogato come ‘puzza quando Aerith gli aveva sbattuto in faccia  un mazzo di quei dannati e maleodoranti fiori.
- Un po’ di allegria – soffiò lamentosa nel venire scostata gentilmente di lato per poi chinarsi a raccogliere da terra un fiore di ciliegio trasportato dal vento, incurante dell’occhiata al vetriolo del Nessuno che la fucilò con lo sguardo per invitarla a non accostare quella cosa ai suoi capelli e dello sbuffo scocciato di Roxas.
- Allegria ? E di cosa dovremmo essere allegri ? – smozzicò torvo Axel, calciando un sasso e afferrando la fioraia prima che questa potesse inciampare nella fossa alla sua destra che ovviamente, presa com'era a raccogliere quei fiori puzzolenti non aveva visto.
Aerith lo ringraziò con un sorriso, lanciando uno sguardo di gratitudine anche a Roxas che si era  istintivamente piegato sui talloni per attutire l’eventuale caduta, un atto spontaneo che  trovò estremamente tenero .
Perché il Nessuno di Sora lo era.
Tenero,  ma confuso e triste, sentimenti che avrebbe trovato il modo di migliorare, perchè erano in un mondo nuovo, un mondo da esplorare e visitare, un pianeta che sentiva vibrare di vita, di pace.

- Del fatto che siamo insieme. E dal momento che Roxas non sembra recuperare la memoria, potremmo creare nuovi ricordi – esordì ovvia, annusando il ciclamino che aveva scovato dietro una siepe di rovi.
- Vuoi davvero che io... -  ma Axel si morse la lingua a sangue quando colse il barlume di speranza  appena comparso nello sguardo di  Roxas, come se fosse stato rincuorato dalla possibilità di avere dei ricordi solo suoi, di avere un fine più alto dell'essere la copia sbiadita di un eroe.
E non era una cattiva idea  ponderò  con un po’ di titubanza, non se la sua concessione poteva  regalargli un sorriso.
Poteva essere davvero un modo per strappargli quell’aria sofferente dal volto e accontentare allo stesso tempo la smania di Aerith di rendere felice il mondo intero.

- Non mi sembra una cattiva idea – mormorò con un filo di voce, osservando l’ombra di un sorriso affiorare sul viso bianco di Roxas con le farfalle nello  stomaco.
Con un sorriso affetuoso  la fioraia accolse l’assenso di entrambi, soffocando una risata all’espressione imbarazzata di Axel, ma quando il fischio del vento le ferì un orecchio Aerith si trovò a terra  con Roxas ed Axel sopra di lei e lo sguardo verde puntato verso il cielo terso.
- Stai bene ? – le chiese il ragazzo con sguardo allucinato,  tastandole la fronte e le braccia in cerca di ferite, gesti convulsi  compiuti con mani tremanti, il risultato della paura di vedere una freccia mancarla per un soffio.
 La freccia che Aerith trovò piantata nel tronco di un albero poco lontano quando riabbassò lo sguardo.

- Oh .
- Non darmi un ‘oh – esplose Axel nel rimettere in piedi entrambi, frizionando le ciocche scure  con le dita lunghe e gelate, tutto sotto lo sguardo mite  della giovane – stavi per essere uccisa, e tutto ciò che sai dire è un ‘oh?
Era arrabbiato, lo era la  voce roca per la paura e gli occhi furenti, ma Aerith non potè che bloccargli le mani con dolcezza e allontanarlo da sé con un sorriso.    
- È  tutto a posto, sto bene – soffiò conciliante, accarezzando con una mano la spalla di Roxas – non c’è nulla da …
Il fischio di una tromba la zittì e portò  Axel a nasconderla contro il proprio petto mentre il Nessuno al suo fianco brandiva il Keyblade con sguardo duro.
Quattro  sagome comparvero al limitare del bosco,  prendendo le sembianze di un uomo smilzo dall’espressione poco intelligente, un omone pelato dal sorriso bonario,  un ometto basso e tarchiato dalla barba ispida e un ragazzino sottile e dal viso delicato, il soldato che Aerith guardò con curiosità, inclinando il capo e assottigliando le palpebre per metterli a fuoco.
Yao fu il primo a rinfoderare la spada,  adocchiando con aria maliziosa l’avvenente creatura che quello strano uomo dai capelli rossi stringeva al petto.
- Non sono degli Unni – li avvisò  stupito,  indietreggiando di un passo quando una palla di fuoco lo mancò per qualche misero millimetro.
- Unni ? Che diavolo state dicendo ? – eruttò Axel con voce sepolcrale,  incenerendo con lo sguardo il bassotto barbuto e lo smilzo dal sorriso da imbecille.
- Potremmo portarli dal capitano Li Shang – consigliò Ling con la sua voce squillante, infastidendo i due Nessuno ma facendo ridacchiare Aerith.
Yao annuì convinto, estraendo nuovamente la spada ed ordinando a Chien – Po di andarli a prendere.
Il soldato annuì con aria serena, raggiungendo il Nessuno e chiedendo cortesemente di farsi catturare da loro .
- Andiamo con loro – esclamò eccitata la fioraia, sgusciando via dalla presa di Axel e accostandosi mansueta al lato del soldato pelato.
Roxas sospirò con  sconforto, imitando la ragazza  con sguardo dubbioso mentre il Nessuno alle loro spalle si schiaffava il viso con la bocca arricciata in una smorfia incredula.
- Sarà meglio andare – esordì Mulan, attirando su di sé gli occhi verdi della graziosa donna dai capelli scuri, uno sguardo intelligente e comprensivo che le annodò la gola per la paura di essere  stata appena scoperta.






°°°
 





- Ricapitolando, voi affermate di essere un guerriero, un venditore di gelati e una fioraia?
L’espressione scettica di Li Shang causò una repulsione istintiva in Axel, ma Aerith lo ammansì pestandogli il piede e annuendo brevemente all’uomo dall’aria severa.
- È proprio come le ho detto capitano – esordì con voce sicura, sentendo   lo sguardo oltraggiato del Nessuno che si era sentito etichettare dall’amica come un venditore di gelati   pungerle la schiena.
Il capitano strinse le labbra scrutando quel curioso terzetto, soffermandosi poi sul ragazzo mingherlino che la giovane donna aveva definito un guerriero.
- Credo stia dicendo la verità – si intromise con sguardo basso Mulan, zittita dall’occhiata imperiosa dell'uomo che si ritrovò con l’indice della fioraia pressato sul naso.
Axel espirò bruscamente, chiudendo gli occhi e cominciando a contare fino a cento per calmarsi mentre Roxas sgranava gli occhi per la sventatezza  della compagna di viaggio.
- Non dovrebbe rivolgersi così ad una … - l’espressione terrorizzata del soldato cinese la portò a scegliere frettolosamente un'altra parola – una creatura di sesso maschile – concluse soddisfatta, indietreggiando e aspettando che il capitano ribattesse.
Li Shang si limitò però  ad aggrottare profondamente le sopracciglia e uscire dalla tenda  in tutta fretta, masticando parole che Aerith non capì ma alle quali non diede alcun peso.
Solo allora, quando finalmente rimasero soli Mulan fissò la donna con sospetto, avanzando di un passo e fronteggiandola a testa alta.

- Hai capito.
Aveva provato ad usare una voce grossa, da uomo, ma la fioraia aveva notato la vibrazione tremula in quelle parole, la paura che la faceva sentire braccata in un accampamento di soldati.
- Non mi è così difficile riconoscere una donna  quando la vedo– rispose delicata, accostandola con un sorriso complice - Ma non preoccuparti, non lo dirò a nessuno – la tranquillizzò poi, ammiccando anche ai suoi compagni di viaggio con espressione sicura.
- Ci mancherebbe – ruggì una voce profonda, ma Axel non aveva aperto bocca, e Roxas non si sarebbe rivolto mai con quel tono ad Aerith, per questo, quando un piccolo dragone scarlatto sgattaiolò fuori dalla casacca di Mulan la fioraia non potè che inarcare le sopracciglia per la sorpresa.
- Se provate anche solo a dire una parola io … - l’occhiata minacciosa del Nessuno zittì Mushu, acciambellatosi attorno al collo della protetta con uno squittio che fece ridere delicatamente Aerith.
- Ma che carino – esclamò deliziata, punzecchiandolo con il dito mentre il soldato la osservava con riconoscenza.
- Perché ti sei travestita da uomo allora  ? – chiese dal fondo della tenda Roxas,  scrutando l’espressione mortificata della donna dagli occhi a mandorla, incoraggiata dal sorriso morbido della donna gentile che la affiancava a  raccontare la sua storia .
Solo quando ebbe terminato Axel tornò a sfoggiare la sua indelicatezza, trovandosi con Mushu e un grilletto a strattonargli i capelli sotto gli sguardi divertiti delle due donne e quello esasperato del compagno.
- Ti aiuteremo noi a superare l’addestramento, vero ragazzi ?
Axel sapeva che la smania della fioraia di aiutare tutti lo avrebbe portato prima o poi  alla morte cerebrale e non solo fisica, ma Aerith sorrideva, e il Nessuno non sarebbe riuscito a contraddirla, non fino a quando avesse ricevuto quel sorriso.
Non fino a quando  fosse stata lei a rivolgerglielo.







°°°





- Quell’uomo è davvero un esibizionista – si lamentò Axel con la voce soffocata dal drappo nero con il quale Aerith gli aveva nascosto il viso e la capigliatura fin troppo evidente, appariscente e fin troppo visibile anche  tra le alte spighe nelle quali si erano nascosti  per sorvegliare Mulan durante l’allenamento.
Il Capitano Li Shang stava infatti mostrando  con una certa boria  come maneggiare un bastone di legno,  esibendosi in giochi di abilità con due vasi di terra cotta, movimenti fluidi e veloci che Aerith commentava con un “anche io sono capace di farlo”.
Non che lo mettessero in dubbio, ma Mulan non se la stava cavando molto bene  presa di mira com'era  dalle angherie dei  soldati, particolarmente maligni e vendicativi con la povera donna.
- Non è giusto – si infervorò Roxas, brandendo il Keyblade tra le mani e avanzando nel campo dorato, ma al gemito terrorizzato di Yao  il Nessuno seguì con lo sguardo la piccola fiammella che bruciacchiava il posteriore del soldato.
Axel soffiò la punta dell’indice con un sorrisetto  gongolante mentre il panico si disperdeva per l’accampamento  e Mulan guardava verso di loro, sorridendo debolmente e accennando un saluto con la mano libera dall’arma.
Un saluto che Aerith ricambiò agitando freneticamente le braccia prima di venire issata sulla spalla di Axel per raggiungere il fiume nel quale avrebbero eseguito la seconda prova.
E dopo la prima sfida,
aiutare Mulan non fu facile,  per nessuno di loro.
 Per quanto Axel avesse preso gusto nell’incendiare le vesti dei soldati, si era rivelato  inutile il più delle volte  vista la sua unica abilità di creare panico e null’altro, un diversivo particolarmente efficace se si voleva fare qualche trucchetto per mascherare l’esito della prova, ma non era sempre necessario.

Dal canto suo Roxas aveva fatto del suo meglio.
Si era offerto di  immergersi nel fiume per riempire un' intera cesta di pesci che Mulan aveva mostrato con un sorriso conciliante a quello scorbutico di Li Shang che, con sua profonda indignazione, non era rimasto per  nulla impressionato da quello che  a sua detta doveva essere il risultato minimo di un suo sottoposto, e benché la prova fosse stata sufficientemente superata, Roxas si era ritrovato fradicio con un pulcino, con lo sguardo altezzoso del Capitano a grattargli la schiena fradicia e a rodergli il fegato per la stizza.

Anche Aerith si era destreggiata durante l’allenamento, riuscendo a bilanciare la traiettoria della freccia di Mulan con la forza del vento, un trucco di magia che le era costata un' occhiata torva di Axel e una sorpresa di Roxas.
Eppure, nel sentirsi chiedere cosa fosse in realtà  lei aveva risposto con la stessa identica  affermazione.
“Sono una fioraia”.
Nonostante tutto
si erano divertetiti davvero, e avevano creato nuovi ricordi, proprio come Aerith aveva suggerito di fare,  memorie che  Roxas si sarebbe premurato  di serbare nel cuore e di riportare alla mente nei momenti più bui, quando il bisogno di rammentare a se stesso di avere qualcosa di suo sarebbe divenuto pressante.
E di ricordi ne crearono molti, così tanti da poter quasi colmare il vuoto che Roxas aveva in fondo al cuore.
Axel si  potè ritenere molto  soddisfatto  del bombardamento  dei manichini di paglia che Aerith e Roxas gli avevano indicato  tra le risate, 
e perdere la voce per  urlare di frustrazione quando il Capitano non degnava Mulan di uno sguardo  nonostante la buona volontà non era mai sembrato a Roxas così divertente, ma alla fine di tutto  la giovane guerriera  si era  dimostrata molto più forte di quanto si fossero aspettati, e ben presto fu pronta per andare in battaglia.
L’idea di combattere non era molto allettante per Aerith, ma aveva promesso di aiutare l’amica dagli occhi a mandorla, e avrebbe vegliato su di  lei, una protezione che si decise a concederle  dall'ombra dopo l'arrivo di Sora, Paperino e Pippo, altrettanto desiderosi di rendersi utili.
La reazione di Roxas era stata di puro panico, terrorizzato all’idea di doversi riunire con lui, ma Aerith lo aveva ammansito con calore, promettendogli di andare via subito dopo la buona riuscita della missione, così da non attirare l'attenzione del prescelto.
E il giorno prima della battaglia
 Aerith si era sentita in vena di una passeggiata in solitaria.
Quando uscì la luna era alta e libera dall'abbraccio soffocante di nuvole nere che da bambina fissava con terrore  per paura di vederle cadere giù, e le tenebre erano così fitte da rendere difficile non perdersi per strada, ma lei era abituata a viaggiare nell'oscurità.
Non lo aveva mai temuto, in compenso, aveva avuto paura di trovarsi in alto, tanto vicina al cielo da poterlo toccare con una mano, un terrore che con l'avanzare dell'età e la scoperta sulle sue origini aveva risposto alle sue domande, a quelle voci che la chiamavano ma alle quali, in presenza di Elmyra, evitava di rispondere.
Era stato difficile mostrarsi sorda a quei richiami, ma aveva tentato di essere il più normale possibile per il tempo che le rimaneva, per quanto aveva potuto, una normalità dalla quale era stata spogliata per essere investita dal peso dei suoi antenati, del suo compito e onere.
Raggiunse il lago in silenzio, e non si sorprese di trovare  Mulan raggomitolata su se stessa.
Perchè il bisogno di cercare il silenzio dentro se stessi lo aveva provato anche lei, lo capiva, e  non perché fosse una maga, ma perché anche lei era stata  una donna che un tempo era stata braccata e  costretta a mantenere l’anonimato, perciò, quando la  raggiunse il soldato  la guardò  con un sorriso incerto prima di tornare ad osservare il proprio riflesso tremolante. 

Era triste, dubbiosa sul suo futuro, su ciò che era, su ciò che doveva essere, così simile a lei, a come si era sentita in passato.
Prigioniera di un destino che non aveva scelto.
Vittima di una condizione che la rendeva incapace di scegliere per sè, di decidere cosa diventare.
Il destino di anime grandi dicevano alcuni, ma lei non aveva mai voluto essere un'anima grande.
Lei per tutta la sua vita non aveva desiderato altro che essere normale.
- Cosa vedi ?

Mulan sobbalzò per la sorpresa di averla udita parlare  prima di  seguire con la coda dell’occhio la  silohuette della donna appena sedutasi su uno spuntone, tornando  ad osservare poco dopo se stessa nello specchio d'acqua.
Cosa vedeva?

Una donna che aveva mentito al proprio padre, all’uomo del quale si era innamorata, una sposa indegna,  una ragazza che non sapeva qual’era il suo posto nel mondo.
Ecco cosa vedeva.
- Nulla – sussurrò con voce fioca, lasciandosi cadere accanto alla fioraia con un sospiro di sconforto.
Aerith osservò lei, il suo riflesso, allungandosi  e sciogliendo il pezzo di stoffa che teneva i capelli del soldato  legati  severamente, e quando le ciocche corvine le caddero ai lati del viso con dolcezza  Mulan sentì gli occhi pungere.
- Io vedo una donna coraggiosa  che non ha paura dei giudizi della gente. Io vedo un eroe.
Mulan si lasciò sfuggire un singhiozzo a quelle parole, asciugando con la manica della tunica le guance umide prima di guardarla con un sorriso tremulo in viso.
- Lo credi davvero ?
- Riconosco un eroe quando lo vedo, ne ho incontrati molti nella mia vita, e tu Mulan sei una di loro– e le prese il viso tra i palmi per invitarla a leggere la verità in fondo al suo sguardo, a specchiarsi e vedere ciò che era davvero –e sei tu a decidere cosa diventare, cosa essere, non i tuoi genitori, non i tuoi amici, solo tu. E se credi di essere un eroe, allora lo sei.  Il tuo riflesso ti mostrerà sempre quelo che sei davvero.
La superficie del lago era limpida, immobile e sfocata per le lacrime che lasciò scivolare nella pozza  quando si voltò a fissare il  riflesso che  le sorrise dolcemente in risposta,  brandendo una lancia illuminata  dal suo sorriso, dalla forza del suo orgoglio. 
- Grazie.
Aerith le  sorrise con dolcezza prima di decidersi a tornare nella grotta dove Axel sarebbe esploso in urla nel non trovarla dove l'aveva lasciata, e per un attimo, solo per un istante  si soffermò a guardare il suo, di riflesso, ma scostò subito lo sguardo con un sospiro pesante, ignara degli occhi sgranati con i quali il soldato  osservava la superficie del lago.
Un alone magico, un fascio di luce delicato che tendeva le sue mani d'aria verso la donna sulla quale   Mulan  sollevò uno sguardo incredulo, ritrovando  solo una figura minuta accarezzata dal vento che percorreva la via illuminata  da pulviscoli di luce,  residui di un passato che non avrebbe mai smesso di ricordarle che anche lei, molto tempo prima, aveva voluto essere qualcosa di diverso.
Qualcosa di normale.








°°°



Faceva freddo lì  in montagna, un gelo secco che faceva battere i denti e arrossare le mani e le guance, ma Axel non sembrava risentirne, né tantomeno i compagni che teneva al caldo con il calore del proprio corpo.
Roxas era imbarazzato dalla posizione, ma Aerith non sembrava  farci molto caso, issata sulle spalle del Nessuno mentre il ragazzo si trovava stretto tra le braccia muscolose della creatura d’ombra.
- Sei meglio di un camino – cinguettò serena, strofinando il viso gelato contro i capelli rosso fiamma dell’amico, annoiato come d’abitudine, ma con un lieve sorriso ad arricciargli le labbra.
- Dovrei prenderlo come un complimento ?
Aerith gli lanciò un' occhiata saccente, tornando ad annidarsi sulle spalle con un pigolio di soddisfazione.
- I miei sono sempre complimenti – ci tenne a sottolineare, rizzando le orecchie quando udì la tromba degli Unni dare inizio alla battaglia.
Erano nascosti sulla cima più alta della montagna, accovacciati su un spuntone di neve che fendeva la conca dove le due fazioni si correvano in contro, e lo videro, Sora, correre con il Keyblade verso i nemici assieme a Mulan, intrepidi e coraggiosi più delle truppe che avanzavano con titubanza alle loro spalle.
- È forte – si ritrovò a sussurrare Roxas nel vederlo difendere l’amica con maestria, fronteggiando gli Heartless con sguardo sicuro e mano ferma  come lui non era riuscito a fare, come forse non sarebbe mai riuscito a fare pensò amareggiato.
Nel vederlo tanto triste Aerith gli scompigliò affettuosamente i capelli, pizzicandogli le guance con un sorriso dolce.
- Siamo tutti diversi. Lui ha i suoi punti forti, tu i tuoi.
Ma l’espressione scettica di Roxas mostrò quanto il suo tentativo di consolarlo fosse andato a vuoto, ed Aerith si ritrovò a scalciare con stizza, strozzando Axel con la forza delle sue braccia.
- Digli qualcosa tu  – esclamò infine    esasperata, allentando la presa e tornando a guardare con naturalezza la battaglia in corso.
- Ha ragione lei.
Aerith roteò gli occhi con una smorfia contrariata, picchiandogli il capo con un pugno.
- Tutto qua? Non puoi fare di meglio ? Non sei convinto neanche un po’ di quello che dici!
Axel digrignò i denti scrollando le spalle per infastidirla ma riuscendo solo a farle rafforzare nuovamente la presa attorno alla sua povera giugulare.
- Mi stai … soffocando …  
- E tu cerca di essere più convinto,
- Non …
- Perché Mulan ci sta puntando contro un razzo ?
Con un gemito sconsolato Axel vide la giovane dagli occhi a mandorla puntare davvero l’arma contro lo spuntone di neve sul quale si trovavano, e fu con crescente apprensione che il Nessuno seguì il  consumarsi della miccia prima di udire il fischio che precedeva lo scoppio.
Roxas si lasciò sfuggire un gemito strozzato quando il razzo sfrecciò nella loro direzione, e mentre  Axel  si chiedeva perché mai Aerith gli avesse appena  ordinato  di incidere nel ghiaccio una lastra spessa tre metri e lunga uno capì che non c’era tempo di capire la fioraia, non ce ne sarebbe stato mai abbastanza.
Sora sobbalzò nel sentire il frastuno del colpo, e seguì  con occhi increduli la caduta di un quantitativo di neve che li avrebbe sommersi tutti,  lui ed i suoi nemici compresi, senza lasciare a nessuno di loro via di scampo.
Paperino cominciò a starnazzare frasi incomprensibili,  colpendo con il bastone magico la testa del povero Pippo  mentre i soldati urlavano la ritirata e Mulan osservava con decisione la valanga che aveva appena sommerso Shan-Yu.
C’era gente che urlava, voci maschili che gridavano il nome dei propri comandanti o, più semplicemente, chiedevano pietà per la propria vita, perciò nessuno si sarebbe aspettato di sentire qualcuno ridere, non in quel momento, non quando una valanga rischiava di sotterrarli vivi.
Sora fu il primo a vederla, una macchia scura che scendeva velocemente sulle onde di neve con le iridi chiare sgranate per l’eccitazione, le mani artigliate sulla placca di ghiaccio e la bocca schiusa in una risata profonda.
- Ma quella non è  Aerith ? - chiese Pippo con aria confusa, riconoscendo  la massa di capelli scuri che Axel masticava tra i denti mentre Roxas, seduto in mezzo ai due,  si stringeva alla donna con gli occhi chiusi e il viso affondato nella schiena della giovane.
Stavano surfando sulla cresta della montagna con una placca di ghiaccio come slitta e una fioraia come capitano di bordo, una constatazione che strappò un gemito strozzato  ad Axel e un urlo angosciato a Roxas.
Eppure Aerith non riusciva a smettere di ridere, virava ogni qual volta uno spuntone rischiava di farli rovesciare,  puntando decisa verso la conca senza sentirsi impaurita.
Era solo inspiegabilmente euforica, perchè si sentiva viva.
Si sentiva libera.
Sora si vide strattonare d'improvviso, e quando Mulan lo trascinò di forza dietro uno spuntone che fendeva la pianura Yao, Ling e Chien-Po  con il Capitano stretto tra le braccia di quest’ultimo volarono già dal dirupo assieme alla neve.
Paperino gettò un verso isterico nel piantare i piedi palmati nella neve, reggendo per le bratelle  Pippo che a sua volta si caricava del peso di Mulan, Sora, i tre soldati e Li Shang,  una catena umana che oscillava nel vuoto e che un papero reggeva a fatica.
 - Stanno per cadere, dobbiamo aiutarli!

- Cosa ? Ma sei impazzita ? - le urlò contro Axel sopra il brontolio della neve.
Aerith  rise di cuore, pizzicando la gamba del Nessuno sempre così scorbutico e virando verso destra per far rientrare nella traiettoria Sora e i loro amici.
- Prendi Paperino per le zampe, e tu Roxas , non lasciarmi per nessun motivo.
- Non ne ho alcuna intenzione ! – strillò il ragazzo con voce acuta, stritolando la vita della donna e sentendo Axel allungarsi alle sue spalle.
- Te la farò pagare  – la minacciò arcigno il Nessuno prima di gettarsi  di lato e afferrare Paperino prima che questo potesse scivolare nel vuoto assieme agli altri, e quando Ling urlò con la sua voce agghiacciante nel vedersi cadere nel vuoto  il sibilo della placca di ghiaccio che  scivolava via coprì il gemito di angoscia di Mulan.
Eppure, quando ognuno di loro schiuse gli occhi poco prima serrati  si trovò  sì il nulla sotto di sè,  ma si trovò  anche vivo e   sospeso  in aria, sorretto dalla donna dagli occhi verdi che, senza un motivo plausibile, sembrava aver ripescato dal suo strambo repertorio l'improbabile capacità di volare.
Aerith prese un lungo respiro prima di fare forza sulle braccia e dondolare tutti verso il limitare del dirupo, cosicchè potessero toccare terra, zittendo con un' occhiata la maledizione a fior di labbra di Axel che aveva ripreso a rimbrottarla alacremente.
Ling affondò i denti nella neve per far da leva alla povera fioraia, e quando tutti riuscirono ad issarsi sul terreno ghiacciato Axel potè puntare gli occhi in aria e osservare con incredulità la figura fluttuante della compagna di viaggio.
- Scendi subito da lì!
Come se fosse facile pensò divertita, ma era stanca, tanto stanca.
Aveva usato un vecchio incantesimo che Merlino le aveva insegnato tempo addietro, ma erano secoli che non si esercitava, e i tempi di pace avevano raffredato i suoi rapporti con la magia, perciò richiedere un incantesimo di quelle proporzioni l'aveva sfinita.
Non riusciva a trovare neanche la forza di  ammansire l’amico con un sorriso perché anche le ossa del viso le dolevano per lo sforzo, ma quando  nel discendere a terra  rischiò di sbilanciarsi all’indietro  qualcuno la afferrò appena in tempo con una presa salda.

- Ti sei deciso ad intervenire alla fine – sbottò Axel con asprezza, fulminando con occhi irritati l’alta figura del ragazzo che gli riservò un'occhiata di ghiaccio – volevi rimanere nascosto per tutto il tempo ?
Riku schioccò la lingua senza alcuna voglia di rispondergli prima di  aiutare la donna  a reggersi a lui benché Aerith riuscisse a malapena a tenere gli occhi aperti.
- Ti senti bene ?
Sora le si avvicinò cautamente nel  vederla ondeggiare pericolosamente  su se stessa, ma la vide tornare in sè nel riconoscere la sua voce, riservandogli uno sguardo che valeva un abbraccio.
- Certo, io … -
- Sei una  dannata incosciente, ecco cosa sei - la rimbrottò Axel, sfilandola da un irritato Riku mentre Roxas  accorreva al fianco del Nessuno con sguardo preoccupato.
Si sporse per tastarle  il polso, e l'ondata di panico che lo aveva assalito si quietò nel sentirle il battito. 
Quando Paperino, nello scrutare con apprensione la vecchia amica  riconobbe il Nessuno di Sora cominciò ad inveire, consigliando al custode di colpirlo con il Keyblade per riappropriarsi dei suoi ricordi, ma il giovane eroe non avrebbe potuto  avanzare o indietreggiare,  neanche se avesse voluto, non  quando un vortice  di migliaia di minuscoli pulviscoli di luce circondò Roxas con fare protettivo, quasi  a fargli da scudo.
- Cosa-
- Credo sia Aerith, non ho ancora capito come ci riesca, ma sembra riuscire a trovare ogni espediente possibile  per impedire che qualcuno gli faccia del male   – spiegò asciutto Riku,  sfiorando delicatamente  una di quelle graziose lucciole con  una mano, e quando le vide  esplodere con un grazioso 'pop accanto al suo viso,  una bolla di calore gli soffiò sulle guance il calore di un bacio per il quale si trovò a socchiudere dolcemente le palpebre.
 Aerith sollevò il viso con  un sorriso morbido,  attirando l’attenzione di Axel che le riservò un' occhiata torva  con le sopracciglia color rubino profondamente aggrottate.

 - Ciao Sora.
Il custode addolcì  il sorriso di circostanza quando riconobbe  la voce delicata dell'amica, una tonalità calda che aveva sempre avuto il potere di farlo sentire meno spaesato, meno confuso e impotente, da bambino, quando tutti lo chiamavano il prescelto e pretendevano da lui di essere salvati.
Ma c'era stata lei, che di domande non gliene aveva mai poste, come se avesse intuito il bisogno di ascoltare più dell'essere ascoltato, e lei lo aveva fatto.
Gli aveva dato delle risposte, e quando il peso diveniva  troppo gravoso  lo invitava sempre a sedere accanto a lei davanti al camino nello studio di Merlino per avere un pò di calma,  per pensare a cosa volesse fare lui, della sua vita,  non a quello che avrebbero voluto gli altri che lui facesse.
 
Ed era cresciuto con la consapevolezza di voler essere il prescelto, perchè diventarlo avrebbe voluto dire proteggere le persone che amava, e lui  voleva sapere tutti al sicuro.
E nel suo viaggio aveva imparato cos’era la giustizia,  il perdono, e a non cercare  nemici,  ma amici anche in chi non ci sarebbe aspettato di poter trovare un aiuto, una persona della quale fidarsi,  e Aerith  sapeva che non avrebbe fatto del male a Roxas, lo leggeva nel suo sguardo buono.
- Hai fatto delle conoscenze davvero insolite – scherzò divertito, portando il Keyblade sulle spalle larghe mentre Axel rispondeva all’occhiata vispa dell’eroe dei mondi con un sibilo scocciato.
- E tu devi essere  il mio Nessuno, molto piacere.
Nel vedersi tendere la mano con tanta innocenza Roxas non seppe cosa dire, cosa fare, come interpretare il sorriso amichevole di Sora e quegli occhi azzurri  puliti come quelli di Aerith.
Gli occhi di chi non avrebbe mai fatto del male.
Fu proprio quell’ultima constatazione a convincerlo a ricambiare la stretta  prima di ritrarre la mano, non del tutto abituato a quello scambio di effusioni,  benché amichevoli .
Il custode si decise allora a voltarsi  verso l’uomo incappucciato alla sua sinistra, la sagoma affusolata che la donna vide fremere sotto i suoi occhi attenti.
E si aprì un sorriso sul volto disteso di Sora,  un sorriso vero, uno di quelli che ti riscaldano dentro e raschiano il dolore incrostato nel cuore,  in fondo allo sguardo, un sorriso che Riku non ricambiò.
Non perché non volesse  ma perché,  semplicemente,  a lui  non piaceva sorridere, non gli era mai piaciuto, e questo Sora lo sapeva bene.
- Ti trovo bene .
Riku fece spallucce, indifferente alla pacca che l’amico gli aveva rifilato con una risata profonda prima di tornare a fissare Aerith,  sorretta  tra le braccia di Axel, con un espressione sollevata.
- Anche tu in viaggio per i mondi ? Leon starà dando di matto.
Una risata le sfuggì al pensiero – non immagini quanto, e tu Sora ? Chi stai cercando ora ?
Un' ombra scura solcò il volto del custode per un secondo  prima che questo tornasse a sorridere, a illuminarsi per qualcuno.
- Ora che so che Riku sta bene  non  mi resta che trovare Kairi. Le ho promesso che sarei tornato da lei.
Riku  non potè fare a meno di contrarre il viso in un moto di insofferenza al  quale, per quanto impercettibile fu,  nessuno sembrò far caso, ma lei, lei lo aveva visto, il dolore, lì, proprio in fondo ai suoi occhi dorati.
E il senso di colpa,  il disagio.

Era ancora incredibilmente fragile, combattuto tra ciò che era giusto fare e ciò che voleva, ma era ancora giovane,  e un cuore spezzato poteva  guarire, con il tempo, questo Aerith lo sapeva bene. 
- Se avete finito di ciarlare come vecchie comari potremmo anche andare ora, questo mondo mi ha stancato.  
Lo aveva detto con quell’aria indolente che la faceva sempre sorridere, le iridi chiare cariche di fastidio ed irritazione, sentimenti, emozioni che persino Roxas aveva cominciato a riconoscere, ad apprezzare.
- Pensi che ci rivedremo ? – le chiese Sora poco prima di vederli fare un passo indietro.
- Ne sono sicura  – affermò risoluta, allacciando un braccio attorno alla vita  del Nessuno – credo che ci rivedremo spesso, vero Axel ?  Magari prima di quanto pensiamo.
- Spero il più tardi possibile – fu il commento acido di lui, infastidito dallo sguardo torvo con il quale Riku aveva preso a fissarlo, anche se a pensarci bene, quel ragazzino  lo aveva sempre fissato a quella maniera, quasi volesse dirgli qualcosa, avvertirlo di qualcosa che non andava fatto, non in sua presenza  almeno.

E quando Aerith gli si aggrappò all'avambraccio  lo vide,  sentì l'odio, la furia,  e capì che quello che gli incupiva il viso non era ovvia avversione nei suoi confronti, ma gelosia.
Pura e semplice gelosia.

- Oh.
Roxas lo fissò inorridito quando udì quell’esclamazione così da …Aerith, una constatazione che  fece comprendere ad Axel  quanto in profondità la bella fioraia fosse giunta,  quanto ascendente avesse sulle sue azioni e, a giudicare dalla sua esclamazione, ora  anche sul suo modo di parlare .
Aerith li salutò entusiasta mentre le ombre cominciavano ad addensarsi ai suoi piedi, e si scoprì sorpresa dal modo in cui  Riku serrò d'improvviso le mani in pugni nel guardare nella sua direzione  prima che  le ombre la  inghiottissero.
Fu allora, solo allora  che Axel si lasciò scivolare tra le dita la ciocca bruna che aveva  accostato alle labbra e che abbandonò una volta  perduto il contatto visivo con gli occhi incattiviti del ragazzino, consapevole di aver appena trovato il punto debole di quel rompiscatole dai capelli d’argento.
Perché Riku era innamorato, ma non di chi Aerith si sarebbe aspettata.
Oh no. 



Continua … 

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Capitolo 6
*** 6 - Awake and alive ***


Capitoli revisionati (6)
" I'm  at war with the world and they
Try to put me into the dark
I struggle to find my faith
As I'm slippin' from your arms "

[...]

" I'm awake, I'm alive
Now I know what I belive inside
Now it's my time
I'll do what I want , because this is my life
Here, right now "

( Awake and Alive - Skillet )











Non era mai capitato di essere separati  nel  passarre da un mondo all’altro, mai,  ma quando Axel non la trovò tra le sue braccia, lì , dove Aerith sarebbe dovuta essere, dove l'aveva lasciata,  un profondo quanto inaspettato senso di panico lo scosse da capo a piedi.
Ma ancor prima che il Nessuno potesse abbandonarsi  ad  una crisi isterica con tanto di mani affondate tra i capelli e occhi sgranati, Roxas si   trovò a fissare con un certo e angoscioso senso di inquietudine  la moltitudine di uomini e donne che li osservava in silenzio dall'alto mentre il terreno  sotto i suoi piedi cominciava a tremare.
Tremare ?
Quando Axel lo tirò a sé per sollevarlo tra le braccia  capì che c’era qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato nell’espressione allucinata del Nessuno,  nello sguardo eccitato di quelle persone  e nel ruggito  appena sopraggiunto alle loro spalle.
Tremendamente sbagliato.
Perché erano inseguiti da una donna con dei serpenti in testa   in quello che solo poco dopo capì essere una sorta di anfiteatro.
Eppure, ciò che lasciò Roxas con un enorme punto di domanda   non fu il perché non si sentisse minacciato da quella creatura, o infastidito da quegli sguardi che sembravano apprezzare il suo terrore freddo,  ma   perché,   il trovarsi tra le braccia di Axel, il trovarsi sempre tra le braccia di Axel non lo turbasse quanto avrebbe dovuto.





°°°








Ade capì che qualcosa di inquietante si aggirava per l’Oltretomba, qualcosa che amava  ornare Panico e Pena di orrendi fiori rosa e che si premurava  di illuminare la strada alle anime che avevano perso la via.
C’era un fastidioso odore di ciclamino lì sotto, lungo la ripida scalinata che portava la livello più basso degli inferi, una puzza aberrante per le narici divine di Ade,  arrossate da quello che gli umani definivano profumo.
I suoi leccapiedi erano scappati in lacrime, pregandolo di liberarli dalla corona di fiori che un orrendo mostro rosa aveva fatto loro indossare, un mostro con occhi enormi, spiritati, e  una bocca aguzza che sorrideva sempre.
Neanche i Titani erano riusciti a turbare a tal punto il dio,  ma quando, nel discendere  l’ultimo scalino,   i suoi divini sandali calpestarono l’erbetta rigogliosa di un prato fiorito, un enorme spazio verde lì dove sarebbero dovuto esserci una distesa di corpi in putrefazione e chiazze di sangue, Ade venne avvinto dall'orrore.
E poi, poi   lo vide,  il mostro rosa.
Un essere piccolo e bianco, con una disordinata  massa di capelli scuri e
una voce delicata che lo fece schiumare di rabbia, d'indignazione.
Perché quella piccola ‘cosa  stava legando un enorme corona di azalee attorno al collo di Cerbero, il mastino degli inferi, il cane infernale che fissò sperando in qualche scherzo delle parche, ma era tutto vero .
Lo erano i boccioli di rosa infilati dietro le orecchie, lo era il  profumo che appestava l'aria, un profumo dolce e tanto delicato da bruciare irrimediabilmente l’olfatto della povera divinità.
 - Tu!
Era stato come il ruggito della terra, il dibattersi delle onde sugli scogli e  il tuonare dei lampi del cielo,  una voce che convinse Aerith ad abbandonare la corona di fiori sul manto erboso per voltarsi a guardare il nuovo venuto.
Non sobbalzò quando quell’essere tornò ad additarla con enfasi,  non se ne curò, ma venne rapita dal colore bizzarro della sua pelle.
Nel vederla sgranare gli occhi  Ade capì di essere riuscito a spaventarla,  di averle iniettato la paura, il giusto terrore da serbare di fronte alla sua persona.
- Sei davanti al Re degli Inferi – proclamò solenne, battendosi un pugno sul petto e mettendo in mostra una fila di denti simili a lame di argento ossidato – inchinati di fronte al mio cospetto.
- Perché sei tanto … - mormorò lei con voce bassa, interrompendosi e aggrottando le sopracciglia sottili con fare curioso.
Un sorriso veleggiò per il volto cinereo di Ade, un sorriso che sapeva di vittoria.
- Cosa ? Perché sono tanto malvagio, crudele  ? – si pavoneggiò, borioso e sicuro del terrore che prima o poi le avrebbe fatto tremare le ginocchia e gridare aiuto.
Eppure Aerith non tremò, non urlò, non lo supplicò di risparmiarla,  si limitò a sbattere le folte ciglia brune sugli occhi di un verde brillante  come il prato sul quale sedeva, schiudendo le labbra pallide in una smorfia indecisa.
- Perché sei tanto blu ?
Non aveva detto pericoloso.
Non aveva detto malvagio, si era limitata a sottolineare la sua carnagione smorta e bluasta   con ingenuità, incurante dell'espressione orripilata e della fiammata amaranto della quale si investì la sua intera figura quando l'incredulità si tramutò in  oltraggio.
- Io non sono blu – sibilò saccente, protendendosi  in avanti e trapassandola da parte a parte con le iridi di pece – la mia carnagione è color pervinca. Tu piccola e stupida femmina umana.
Aerith si limitò a osservarlo per un'altra manciata di secondi prima di annuire brevemente e riassettarsi le gonne con un sorriso tranquillo, dandogli nuovamente  le spalle nel cogliere l'avanzare indeciso dell' anima spaesata alla quale si offrì come guida.
Ade rimase a fissarla incredulo, la mente ottenebrata dalla voce stizzita di una coscienza che gli ricordò l'accondiscendenza con la quale la donna lo aveva appena guardato, come se avesse dovuto mettere in riga un moccioso, come se avesse appena fronteggiato un comune e semplice umano,   e non la terribile divinità dell'Oltretomba.
Una vivente che si prendeva gioco di lui  gridò isterica quella vocina stridula, una donna  che … che lo aveva definito blu, non crudele, non malvagio solo tanto … blu.
In superficie l’urlo isterico del dio  fu percepito sotto forma di un terremoto di media intensità, un avvenimento all’ordine del giorno con le orde di mostri che attaccavano la Grecia,  perciò nessuno lo  collegò al  grido oltraggiato  di una divinità greca che era stata appena usurpata dal suo trono  da una semplice umana, una viva.
Una donna che semplice  in realtà non era mai stata, perchè  era  Aerith, e  da lei c’era sempre qualcosa di inaspettato da aspettarsi.








°°°







- Cosa significa che l’avete persa ?
Quello di Riku era stato uno di quei sibili che ti frustavano l'udito e  ti facevano sudare freddo per la paura, uno di quei rantoli sommessi che ti ingurgitavano e ti sputavano solo perchè non eri neanche buono come digestivo.
E da quando era arrivato, nessuno aveva avuto più la forza di alzare su di lui uno sguardo che non fosse di puro e semplice terrore.
Persino  Axel gli aveva lanciato una lunga e intensa occhiata, ma lui era già  a terra  e non correva il pericolo di stramazzare al suolo  per l’ansia o di essere percorso da brividi  vista la propria temperatura corporea arrivata a picchi mai visti, ma il giovane dai capelli d’argento faceva ugualmente una fottuta paura.
Anche mentre prendeva profonde boccate d’aria, respirando dalle narici frementi  con gli occhi chiari che  ti facevano venire  davvero  la tremarella.
- Si possono perdere gli oggetti, si può perdere una scarpa, le proprie armi, ma non una persona, e non lei.
Axel grugnì all’ennesima critica di Riku, una critica che non solo metteva in serio pericolo il suo equilibrio mentale, ma minava la sua già scarsa pazienza,  perché Aerith era scomparsa, e non si trovava da nessuna parte.
Hercules, il bamboccio tutto muscoli che aveva salvato lui e Roxas da Medusa li aveva aiutati nella ricerca, e persino Sora, sopraggiunto con suo profondo disappunto poco dopo  aveva dato man forte  visitando le grotte, persino i buchi sotto terra, ma Aerith non c’era,  da nessuna parte.
E Axel non avrebbe saputo dire chi fra lui e il ragazzino dalla testa grigia era quello più in ansia.
- Se posso – si fece avanti il semidio, subito incenerito dall’occhiataccia di Riku che non amava essere interrotto – se non è qui,  né sull’Olimpo, forse può essere caduta nell’Oltretomba.
- Oltretomba ?
Quello di Roxas era stato un verso strozzato,  come se qualcosa fosse scivolato nella sua cavità orale fino a bloccare le vie respiratorie,  perché  Oltretomba era davvero una brutta, brutta parola, e il pensiero che l’amica fosse lì sotto  con una divinità vendicativa a torturarla era più di quello  che il ragazzo potesse  sopportare.   
 - Cosa aspettavi a dircelo ? – saltò su Axel con una fiammata a irradiare il suo profilo minaccioso,  un'aperta intimazione  che  Hercules tentò di placare con le mani portare con reticenza davanti al viso.
- Non avrebbe avuto senso visto che nessuno di voi può accedervi. I vivi non possono varcare le soglie dell’Oltretomba senza essere prima passati a miglior vita.
Si udì un ‘crack provenire dalle loro spalle, lo sbriciolarsi del terreno che cominciò a franare sotto i loro piedi mentre  Roxas tornava a  colpirlo con il Keyblade  sotto le sferzate di calore di Axel, troppo impegnato ad incenerire e ad ammorbidire la terra con le sue fiamme per far caso all’espressione sbigottita di Hercules .
Pippo, forse l'unico ad aver realmente compreso il tentativo dei due  Nessuno di aprirsi un varco andò in loro soccorso per primo, cominciando a    raschiare con lo scudo il cumulo di cenere  che andava piano piano accumulandosi ai loro piedi.
- State distruggendo lo stadio – belò Filottete con il viso  scurito dai calcinacci che presero a zampillare dall’interno di quella fornace, alzando la voce nell’ultimo tentativo di fermarli.
Ma quando anche   Sora si lasciò scivolare nella conca di terra per  farsi spazio con le mani e la propria arma il satiro capì che avrebbe solo sprecato fiato.
Solo allora Hercules, una volta capito che tentare di farli ragionare non sarebbe comunque servito  lanciò un' occhiata implorante  al cielo appena rannuvolatosi, percependo la presenza di suo padre farsi tangibile attorno a loro mentre il fascio di luce dorato si raggrumava attorno a loro, tanto da formare una pellicola protettiva che avrebbe facilitato la discesa negli inferi.
E poi, d'improvviso,  tutto si fece  nero.
Lo stadio, l’erba, il terreno,  tutto.
E quando Riku scostò dal terreno la mano con la quale aveva richiamato le ombre per creare un passaggio,  una fessura grande quanto la tana di coniglio, si gettò  nel passaggio senza emettere fiato  prima di essere seguito a ruota dagli altri, e più  Axel si trovava a cadere  nel vuoto,  masticando maledizioni su maledizioni, più quel profumo di ciclamini   si faceva  più forte e maledettamente familiare.








°°°






- Questo posto me lo ricordavo meno … verde.
Quella fu la prima considerazione che Hercules condivise con i suoi amici quando sbucarono al centro del disco di pietra nera che un tempo era occupata da anime in pena e che ora, per un motivo a lui oscuro, era stato sostituito da un letto di fiori ed erba profumata.
Ed era tutto davvero troppo verde, un colore verso il quale  suo zio non aveva mai espresso un interesse particolare, non per qualcosa di così mortale, non lui, non una divinità che dimorava perennemente nell’ombra e che dei frutti della luce ne  era disgustato.
Per questo,  quando il semidio si chinò per cogliere una margherita non potè che aggrottare le sopracciglia e chiedersi cosa avesse spinto il dio dei morti a rimodernare la propria dimora a quella maniera.
- È molto diverso da come me l’immaginavo – commentò Sora  perplesso,  seguendo con aria stranita un rampicante di fiori di lilla diramarsi per le pareti di pietra nera in un disegno astratto.
- In verità non era così – spiegò Hercules con la stessa perplessità, adocchiando un grazioso bouque di rose poco prima dell’entrata di un cunicolo – era più cupo,  e puzzava di zolfo, ora invece profuma di-
- Aerith.
Il sibilo angosciato di Axel stroncò il monologo del semidio, sorpreso di vedere il Nessuno rigirare tra le dita un ciclamino, i fiori che quella maledetta  faceva comparire come per magia dovunque andasse.
- Credete sia stata la vostra amica a fare questo? Ti sbagli - e c'era durezza nella voce dell'eroe -  nessuno potrebbe far crescere la vita qui dentro, neanche mia madre, né qualunque altra divinità. Voi avete dovuto ricorrere al potere di mio padre per scendere quaggiù, la vostra amica potrebbe essere  mo-
La punta della lama  scivolò lungo il pomo d’adamo che Hercules fu costretto a fermare in fondo alla gola quando si trovò  a  trattenere  il respiro sotto lo sguardo caustico di Riku,  gli occhi dorati colmi di un odio talmente feroce da lasciarti languire di dolore mentre la paura, il senso di perdita provava a  rendersi visibile con più di un lieve pallore delle nocche.
- Non ci provare. Non provare neanche a dirlo. Aerith non è morta, lei è-
- Scusi buon uomo.
Riku ritrasse il braccio  aggrottando profondamente le sopracciglia nel sentirsi picchiettare la spalla mentre una voce di donna, calma e cortese tornava a richiamare la sua attenzione con  quel ”buon uomo” per il quale si decise a voltarsi.
Il primo a comprendere  che la donna che sostava alle spalle del ragazzo era un fantasma fu Roxas, incuriosito dal libero fluttuare dell’anima di un' anziana signora dal sorriso sdentato ma bonario .
-Scusi buon uomo, stavo passando di qui, e  non ho potuto fare a meno di ascoltarvi,  avete forse detto Aerith?
L’anima dell’anziana era di un caldo amaranto,  opalescente e impalpabile come la brezza gelida dell’inverno, un soffio di vento fresco che solleticò le guance di Riku quando la donna tornò a parlare.
- Siete suoi amici ?
 Dal momento che il compagno  sembrava troppo sorpreso per risponderle,  Sora lo accostò con un sorriso amichevole.
- Si, siamo suoi amici. La conosce ?
Il sorriso dell’anziana si ingrandì, mostrando una fila di denti mancanti con gli occhi scuri solcati dalle rughe raddolciti da un pensiero  che la fece sorridere con affetto.
- La conosco, una  cara ragazza, sempre pronta ad aiutare.
Axel le fu sopra ancor prima che la povera anziana potesse chiedersi perché quel bel giovane le fosse saltata addosso con un ringhio frustrato, ma quando le mani del Nessuno provarono ad artigliarle gli arti superiori  le dita strinsero l’aria, niente di solido da scuotere.
- O caro, sono troppo vecchia per queste cose – chiocciò ridente quella, sventolando la mano davanti alla smorfia contrariata del Nessun tornato in piedi con un grugnito di fastidio .
- E quando l’avrebbe vista, la cara ragazza?
- L’avete mancata di poco, è corsa verso il pozzo oscuro, all’ultimo piano degli  inferi. M sembra per liberare l’anima di Auron.  Sapete,  quell’uomo è stato isolato per la sua aggressività, persino Ade ha difficoltà a tenerlo a bada – spettegolò con sempre più foga, coprendosi la bocca, come per confidare loro un segreto impronunciabile.
- Non che quel buono a nulla  sia riuscito a fermarla come avrebbe voluto, è davvero un-
Uno scossone particolarmente feroce fece tremare il terreno, il soffitto di pietra e i cunicoli che si snodavano davanti ai loro occhi,  risultato di un urlo agghiacciante che,  se fece sgranare gli occhi a quella combriccola di vivi, sembrò divertire l’anziana pettegola.
- Sembra che l’abbia appena trovata.
Corsero ancor prima che la povera anziana avesse finito di parlare, lanciandosi verso il cunicolo più scuro e meno confortante,  percorrendo un pezzo di terra ciottolosa che si gettava su un enorme e inquietante voragine verde acido.
Riku era il più veloce tra loro,  e fu il primo ad intravedere il mantello di tenebra della divinità degli inferi che sbraitava contro qualcosa di piccolo e rosa, la donna dai grandi occhi verdi china su un uomo con una cicatrice sull’occhio.
- Meg?
La giovane sollevò gli occhi viola con sguardo incredulo, scostandosi un poco dalla giovane e curiosa umana  che continuava  imperterrita a strattonare le catene d’ombra che inchiodavano al suolo l’anima di Auron.
- Mega Fusto ?
Solo allora Ade smise di inveirle contro  per torcere dolorosamente il collo con un tic nervoso all’occhio destro,  arricciando le labbra in una smorfia incredula alla quale Hercules rispose con uno sguardo fermo.
- Cosa ci fai tu qui ? E cosa… tu !
Sora sobbalzò appena quando la divinità lo richiamò con quel tono accorato, assistendo in silenzio allo  sgranarsi inquieto delle iridi scure del dio.
- Tu! Cosa ci fai qui ? Perché sei …
Quando il prescelto del Keyblade  gettò un' occhiata preoccupata all’amica poco più in là  Ade sembrò capire il perché della presenza di tutti quei visitatori nel suo regno, dei dannati  viventi che si aggiravano indisturbati per gli inferi.
- Lo sapevo che fosse colpa tua ! Tu hai portato quel piccolo demonio nell’Oltretomba, tu e la tua patetica squadra di eroi di seconda categoria – sbraitò fuori di sé, puntando  il dito ossuto sulla donna che si girò a guardarlo  con le sopracciglia aggrottate prima di dirottare lo sguardo alla destra del dio.
E quando Aerith li vide  un sorriso sollevato le si aprì in volto mentre gli occhi verdi si sgranavano per la sorpresa.
- Ciao.
Axel patì l’ennesimo schianto dei suoi nervi  contro la scatola cranica,  un fragore di neuroni che implodevano e vene sul punto di cedere.
Perché la leggerezza con la quale la donna li aveva salutati era sbagliata,  tremendamente sbagliata, lo era quel sorriso rassicurante e la calma con la  quale accostava un uomo dall'aria pericolosa.
Lo erano sempre stati i  suoi racconti.
Perchè  diceva di essere una fioraia, solo una comune e semplice fioraia, ma riusciva a muoversi tranquillamente  e a far crescere addirittura l’erba nel regno dei morti, nel luogo in cui neanche un dio sarebbe riuscito a sopravvivere.
Poteva volare,  controllare il vento,  e viaggiare per i mondi senza minimamente risentirne.
Perchè sembrava sapere tante, troppe cose per la sua giovane età, quasi fosse molto più vecchia e saggia di quanto sembrasse, come se avesse vissuto tante altre vite.
E perchè c’era comprensione in fondo al suo sguardo, la conoscenza di eventi accaduti in un passato del quale avevano  sentito solo parlare, conscia di una ciclicità che la rendeva pronta ad ogni nuovo risvolto in quella bizzarra avventura, una consapevolezza che la rendeva tanto triste e malinconica.
Perché sorrideva loro, ma sembrava sorridere a qualcos’altro, a un destino già conosciuto, già visto.  
Hercules raggiunse l’amata senza minimamente curarsi delle lamentele dello zio, stringendola tra le braccia e udendo appena i passi frettolosi con i quali Roxas e il resto della truppa raggiunse Aerith.
Eppure, oltre ad un entusiasta “siete ancora vivi”  la donna non sembrò badare all’espressione arcigna di Axel o allo sguardo sollevato di Riku, troppo occupata a tirare la catena con rinnovata foga.
Auron provò a scostarla sgarbatamente per  la seconda volta, ma la donna riuscì ad intercettare il suo movimento e a scansarsi con le mani piantate sui fianchi e l’aria severa.
- Smettila di lamentarti e fatti aiutare – lo riprese  con rinnovata enfasi, strattonando la catena e finendo seduta carponi quando riuscì a liberarlo dal metallo nero che lo aveva tenuto inchiodato nelle profondità degli inferi.
 Uno sguardo tagliente fu tutto ciò che la fioraia ebbe quando  l’uomo tornò libero, ma lei non sembrò risentire né  della voce laconica del guerriero  né del suo sguardo irriverente.
Ad Axel quell’uomo non  piaceva per nulla, ma non sembrava intenzionato a far del male ad Aerith, e tanto gli sarebbe bastato,  anche se Riku non sembrava essere dello stesso avviso.
I suoi occhi azzurri analizzavano l’anima perduta con l’interesse che si sarebbe riservato ad un cadavere in putrefazione, un'attenzione che Auron non sembrò apprezzare.
La lama tesa non riuscì tuttavia a raggiungere il viso del ragazzo dacché  Aerith gli si era parata davanti, osservando la punta della spada ad un soffio dalle sue labbra con fredda calma.
Roxas smorzò l' urlo frustrato che era stato in procinto di lanciare nel riconoscere  l' avventatezza fin troppo frequente dell’amica,  un’imprudenza che prima a poi avrebbe fatto impazzire Axel e avrebbe portato lui all’isteria.
 - Mi state facendo venire le carie ai denti.
Il commento al vetriolo di Ade richiamò l’attenzione di tutti, persino quella di Hercules che sembrava essere stato assorbito completamente dalla presenza di Megara.
- Allora ? Avete finito le presentazione o vogliamo, come dire, divertirci un po’ ?
La dentatura della divinità era  simile a quella di uno squalo,  una bocca enorme che richiamava alla mente una voragine senza fondo,  aguzza e irta di spuntoni acuminati.
Ade non aveva mai amato la compagnia dei vivi, ma soprattutto, non amava giocare pulito.
Per questo, quando un' orda di Heartless cominciò a frusciare alle sue spalle  l’orrendo buco che aveva al posto della bocca aumentò di diametro, facendo inorridire persino Aerith.
Il cozzare del Keyblade di Sora con gli artigli delle creatura d’ombra venne seguito dallo stridere della lunga spada di Auron strisciata con il terreno, ma quando la fioraia provò a dar man forte ad Axel qualcosa la inchiodò lì, sul posto, una mano maschile dalla presa ferrea che la convinse a fissare l’uomo alla sua destra con le sopracciglia aggrottate.
Riku storse la bocca di fronte quello sguardo severo, rafforzando la presa su di lei  e scacciando con un colpo del proprio Keyblade l’ondeggiare fastidioso di un Heartless,  attento a non far avvicinare nessuno alla donna a lui di fianco.
Perché loro erano guerrieri, lui lo era, mentre lei riusciva solo a renderlo  vulnerabile agli attacchi nemici per la preoccupazione di saperla al sicuro.
Ed anche se Aerith era combattiva era pur sempre una donna,  e il pensiero che qualcosa o qualcuno  potesse ferirla rendeva Riku particolarmente nervoso, angosciato.
Neanche con Sora aveva mai provato quell'involontario spasmo di panico nel saperlo in pericolo,  quel senso di protezione quasi ossessivo, non con Kairi,  nessuno era riuscito a  farlo sentire tanto  impotente, inutile come  un ragazzino alle prime armi.
Ma lui era cresciuto, tanto nel corpo quanto nella mente, e odiava sentirsi tanto debole, odiava sentirsi tanto inadeguato.
- So difendermi da sola – soffiò  frustrata la maga, dimenandosi nella presa con rinnovata foga, ma riuscì solo a farlo innervosire ancora di più, a distrarlo, ancora di più.
Perché quando la fiammata lo colse in pieno petto   Riku non potè dirottare la sferzata di calore, non ebbe il tempo né la forza di fare nulla, in realtà .
E quando Aerith sentì la presa allentarsi  sulla sua vita sgranò gli occhi, orripilata, allungando una mano per afferrare la figura di Riku che vide cadere nel pozzo di anime senza che nessuno potesse fare alcunché se non stare a guardare.
Riuscì a sfiorarlo con la punta delle dita, un solo secondo, lo sprazzo di tempo necessario a farle nascere in gola un urlo disperato che ghiacciò Sora  e il resto dei compagni.
- Oh.
Ade esalò quel monosillabo con espressione incredula, scoppiando a ridere subito dopo con divertimento, piegandosi su se stesso con lo stridere della propria risata a graffiare l’udito di Axel e di Aerith.
- Non ci posso credere, lui è- è caduto nel pozzo con un solo colpo.
Non faceva ridere.
Non era divertente, ma  doleva al cuore, pulsava nella testa di Sora come la più dolorosa delle ferite, la più profonda delle cicatrici.
Perché Riku era morto davanti ai suoi occhi senza che lui potesse evitarlo, così, semplicemente, sprofondando in una voragine di anime disperate e urlanti.
E Roxas lo udì, lo strappo proprio lì, all’altezza del proprio petto,  lì dove sarebbe dovuto esserci il suo cuore, un annichilimento che sembrò strappargli la forza alle gambe  facendolo piegare su se stesso come un castello di carte abbattuto dalla ferocia del vento.
L’ombra gemella della caduta in ginocchio dell’eroe dei mondi, il Keyblade abbandonato al suolo e gli occhi azzurri lucidi di un pianto che gli strozzava la gola.
E nessuno aveva mai colto l'ombra di disperazione in lui, su quel viso che riscoprirono rigato di lacrime.
Mai.
Perché  Sora non amava piangere,  come Riku non amava ridere troppo, con nessuno, parti mancati di un’anima che condividevano sin da bambini, un legame che niente avrebbe spezzato, per il quale entrambi avrebbero lottato.
Eppure piangeva,  il custode del Keyblade, piangeva come il bambino che non era più,  come l’infante che aveva dovuto combattere senza sapere come fare, contro chi lottare,  trovandosi persino a fronteggiare le sue più grandi paure.
Ma erano sempre riusciti a farcela,  insieme,  divisi dalle ombre dei propri cuori, ma ce l'avevano sempre fatta mentre ora, ora non gli restava che quell’immagine a bruciare la retina  e renderlo cieco per il dolore.
E intanto Ade rideva di quel pianto, dello sguardo addolorato di Roxas, degli occhi sgranati di Aerith che continuava a stringere l’aria e il vuoto tra le dita come aveva sempre fatto da bambina.
Sempre ad abbracciare il nulla, a tendere le orecchie  a quelle voci che la chiamavano e chiedevano aiuto, soccorso, salvezza.
Una mano tesa alla quale potersi reggere durante la caduta.
La risata gli uscì strozzata quando  Ade si trovò ad espirare bruscamente nel vedere il piccolo demonio, l'umana che aveva portato la vita nel suo regno  tornare ritta per indietreggiare di qualche passo prima di  gettarsi  nella voragine senza paura, senza mai  guardarsi indietro.
E fu il turno di Axel quello di urlare.
E strepitò,  si ritrovò a stringere e aprire i pugni in preda al dolore sordo, all’incredulità, mentre la risata grottesca del dio tornava a far male,  a pulsare nelle teste,  nelle ossa, nei cuori.
Fino a quando giunse  la luce.
Un fiotto di luce calda e morbida che piovve loro addosso come un fiume in piena che affogò nel suo abbraccio caldo il dolore, l'amarezza, la disperazione che ripulì dai loro volti, zittendo le urla eterne delle anime perdute per concedere al mondo un lungo e piacevole minuto di silenzio.
Di pace.







°°°





 

Riku aveva sempre avuto freddo.
Perché le ombre non riscaldano,  non emettano calore, ma  riflettono solo il tepore dell’esterno  come la luna riflette la luce del sole, restando al buio in assenza di essa, e lui lo era,  al buio, ci si era trovato più di una volta.
E avrebbe mentito a se stesso nel non ammettere che, sebbene le ombre lo avessero sempre attratto,  la solitudine lo aveva dilaniato da dentro, aveva creato solchi profondi quanto un pugno che nulla riusciva a colmare, a riempire.
E così Riku si era sempre sentito nella sua vita,  pieno di buchi, di solchi che nulla riusciva  ad appianare, come se fosse crivellato dentro, una superficie tarlata capace solo di far   scivolare  via ogni traccia di calore e affetto che riusciva a raccogliere nel palmo delle mani.
Per questo non capì il perché di quel calore che bruciava l'anima,  di quel flebile soffio di luce che gli baciava le ciglia.
Era cinto da qualcosa di caldo, morbido e profumato, un bozzolo di amore che lo portò a socchiudere le palpebre con curiosità, affamato di quel delizioso tepore che riscaldava gli arti stanchi e il suo cuore raggrinzito dal troppo tempo passato al buio.
Seguì la linea morbida della mandibola, il profilo grazioso del naso sottile, il taglio dolce  degli occhi adombrati dalle ciglia prima di vederli, quegli occhi.
 Gli occhi di chi si era innamorato da bambino.
Chi, senza realmente esserne cosciente, assieme a quel suo sorriso gentile e profumato gli aveva regalato anche qualcosa per cui lottare.
Qualcosa da amare.
 E Aerith gli sorrideva ancora,  accarezzandogli la fronte e ammorbidendo la linea della bocca nel vederlo finalmente sveglio.
- Hai dormito tanto  – sussurrò flebile,  soffiando un bacio sulla guancia che Riku sentì pizzicare,  come se una  fiammella gli avesse appena sfiorato lo zigomo.
Come se tutto si fosse  stranamente amplificato.
La percezione del calore corporeo delle gambe sulle quali poggiava la testa.
La sensazione del respiro della donna sul viso.
La forza di quello sguardo che sapeva scavare fin dentro l’anima.
E vedeva meglio,  come se avesse aperto gli occhi per la prima volta dopo tanto tempo, come se …
- Cerchi questo ?
Quando Aerith indicò il fiocco nero che le acconciava la lunga treccia  Riku capì il perché di quelle sensazioni enfatizzate, di quel senso di libertà che ora lo faceva respirare meglio, a pieni polmoni, il perchè, semplicemente,  attraverso le iridi chiare poteva vedere il suo riflesso, il suo vero riflesso.
Era tornato a vedere la luce.
Lei, era la sua luce.
Quella che aveva cercato a lungo, sprofondando sempre più in fondo nella speranza di riuscire ad afferrarla.
Ma era lì.
Era sempre stata lì.
Aerith  fece leva sul lungo bastone metallico quando la voce esagitata di Axel attrasse l’attenzione di entrambi, ma mentre lei abbozzava i primi passi in contro al Nessuno dalla chioma fulva  Riku prese tempo per se stesso, per percepire di nuovo l’aria pulita riempirgli i polmoni, ripulirli dallo sporco.
Aveva le gambe piantate nel terreno farinoso dell’anfiteatro oramai distrutto, le braccia rigide lungo il busto ricurvo e i capelli grigi impigliati nell’enorme spada che aveva legato sulla schiena, ma stava bene.
Si sentiva, bene.
Si voltò un attimo verso la voragine nero pece che portava negli inferi, e  percepì le voci delle ombre, la gelida carezza del buio sfiorargli lo zigomo caldo in una carezza seducente.
La pelle divenne violacea, bluastra a quel contatto impalpabile, un soffio di malvagità che gli tinse le iridi d’oro, ma poi quella voce tornò a chiamarlo, a sfrattare dalla sua testa tutto quel gelo.
E avrebbe voluto sorridere quando la trovò ad aspettarlo in fondo al piccolo sentiero sterrato mentre i compagni riprendevano il cammino, la mano tesa verso di lui, una mano che non aveva fatto altro che tendergli, fin da bambino. .
Perché lei capiva il suo bisogno di essere aiutato anche quando il suo orgoglio glielo impediva,  sentiva la voce che teneva chiusa nella gola stretta dall'amarezza ma  che i suoi occhi avevano imparato a gridare, e  lei lo salvava da se stesso.
L’aveva salvato da bambino, continuava a farlo ora che era un uomo.
Afferrò quella mano, la strinse,  si lasciò irradiare dal calore del sorriso che lei gli regalò mentre la consistenza morbida del palmo di lei ammorbiva i tratti ruvidi delle sue falangi  rese rozze dall’impugnatura della sua lama.
 Riku  il traditore aveva sempre avuto freddo, e aveva imparato ad amarlo, ad apprezzare il degradante silenzio della solitudine, ma si era riscoperto vulnerabile, aveva trovato il suo  punto debole, e lo aveva ritrovato in lei.
Nel calore di una mano che non aveva mai smesso di guidarlo.
Nel viso che di sottechi aveva seguito con occhi innamorati.
In quella voce morbida e gentile che fin dal primo istante, fin da quando l'aveva udita per la prima volta in quel vicolo buio e sporco, lo aveva convinto di poter essere anche lui come Sora.
Di poter vedere anche lui la luce.


Continua…



Ringrazio chi ha letto , segue e seguirà questa storia .
Un ringraziamento particolare a kalea95 per il bellissimo commento , grazie davvero , a te dedico questo capitolo .
Un saluto ,Gold eyes 

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Capitolo 7
*** 7- Hold on ***


Capitolo 7
“Instead of giving in give it all
All we get to is far gone
Instead of looking up just look down
And see how far we've come”

  […]

“You gotta hold on, hold on
Why do we keep Hold on, hold on
Why do we let it go out our way?
Why don't we stand up and try again?
You never know
What you lose by letting go
You gotta hold on, hold on or letting go?”

( Hold On – Jojo )







Discutevano da ore, ma non sembrava che si riuscisse comunque a venire a capo di niente.
Axel, dal canto suo, non sembrava voler scendere a compromessi, e la sua reticenza nel concedere a Sora il desiderio di unirsi in un'unico gruppo di viaggio non facilitava la coesistenza tra i due gruppi.
Eppure Aerith  non poteva fare a meno di sorridere.
In cuor suo sapeva che prima o poi il Nessuno avrebbe ceduto  al  bisogno di far squadra con il salvatore dei mondi  per avere maggior protezione, per essere più preparato nell’eventualità di un nuovo attacco da parte dell’Organizzazione, che la sua avversione  in fondo nasceva dal desiderio di non mettere Roxas a disagio, di non porlo in una posizione scomoda, di svantaggio.
Per proteggerlo.
Quello era il vero motivo della sua rigidità sull’argomento.
Era sempre stato quello.
E se prima Roxas si era mostrato diffidente nei confronti di quell’ingiustificata apprensione nei suoi confronti, col senno di poi,  dopo gli ultimi accadimenti, aveva cominciato a nutrire l’ombra di un affetto consumato che aveva  gettato  su entrambi il profumo di ricordi dimenticati ma non del tutto svaniti.
Lo intuì dal fare maldestro con il quale il ragazzo tentava di camuffare la propria gratitudine per  una protezione che non aveva chiesto, per quel continuo cercare di renderlo felice, di assicurarsi di non ferire i suoi sentimenti, sentimenti che per natura non avrebbe potuto provare, sentimenti dei quali Axel però sembrava tener sempre conto, nonostante tutto.
Ma non si era mai trattato di cosa non si potesse o  si potesse provare, perché ogni creatura, che fosse fatta d’ombra o luce era stata creata, era nata  per nutrire emozioni,  per  desiderare di avere qualcuno accanto,  per desiderare di essere amati da qualcuno, voluti, da qualcuno, e lei sapeva quanto in realtà avessero tutti bisogno di intessere legami, di crearsi una famiglia, di avere un motivo per combattere.
Qualcuno da chiamare quando la solitudine diveniva così straziante da stringerti la gola e intristirti gli occhi.
- Non abbiamo bisogno di nessun aiuto – tuonò Axel d’improvviso, il viso accartocciato dalla stizza feroce che gli avvelenava la voce – sono in grado di proteggere entrambi da solo.
La reazione di Sora in quel caso tuttavia non si esaurì in un’esasperata ma paziente sguardo comprensivo, perché ci fu l’improvvisa rigidità delle pupille a inasprire la piega di un dialogo che Aerith non potè più definire pacifico.
Non  quando era Sora, il ragazzino dal cuore gentile a tingere il proprio sguardo di durezza, smorzando il sorriso amichevole per il quale si trovò lei stessa a perdere il proprio.
- Io non voglio costringere nessuno di voi a seguirmi, ma ho una responsabilità verso Aerith – spiegò loro, attirando con l’inflessione ferma della sua voce lo sguardo incuriosito di Riku su di sè– perciò voi potete anche decidere di non accettare la mia proposta, ma lei viene con me. È stata già troppo  coinvolta.  
Fu per la rabbia incontrollata che gli azzannò il cuore nel cogliere l’errore in quel “con me” e “Aerith” a farlo agire a quel modo, o fu l’improvvisa scossa di panico che lo assalì nel pensare che se davvero il custode avesse ingaggiato battaglia per riportarla indietro, Axel  non avrebbe potuto impedirglielo, ma bastò  scagliarsi  con un ringhio sul prescelto per  far scattare Riku nella sua direzione e  far materializzare nelle mani di Roxas il  Keyblade.
 E ancor prima di poter anche solo provare a quietare gli animi  Aerith si trovò a guardare dal fusto spezzato della colonna sulla quale era seduta la violenza di uno scontro derivato dalla tensione di qualche attimo, da uno sguardo sbagliato, da una parola mal intrepretata, rimamendo  immobile a pensare su  come si fosse passati dal discutere animatamente a metter mano alle armi.
Ma la risposta giunse decisa e rumorosa come il cozzare delle lame nelle quali riflesse lo sguardo che puntò in  basso con rammarico, ritrovandosi a desiderare di non dover assistere ad una contesa che l’aveva sempre privata della libertà di scegliere, di poter mostrare quanto in realtà fosse capace di decidere da sola, di difendersi, da sola.
Non voglio coinvolgerti  le spiegava una voce che in passato, quando ancora poteva guardarsi allo specchio e sorridersi senza doversi sforzare di non mostrare il peso dei suoi anni, aveva amato più di se stessa.
Vogliamo solo assicurarci di sapere dove trovarti  le rammentava il tono accondiscendete di un uomo dall’elegante completo scuro che  vegliava su di lei per monitorarla, perché era stato deciso che fosse così.
Che lei venisse controllata da chi aveva gettato l’ombra ingombrante del suo egoismo, del suo desiderio di potere su di lei e su sua madre Ifalna.
Eppure,  alla fine di tutto, quando il mondo si era trovato sul punto di pagare per l’odio di chi da questo era stato tradito, quando si era decisa ad accettare il suo compito, il suo destino, aveva capito cosa fosse giusto fare.
E giudicare chi meritasse la salvezza e chi no, non  lo era mai stato.
Distogliere lo sguardo da quelle ombre che la guardavano e tapparsi le orecchie per divenire sorda alle voci che la chiamavano non lo era mai stato.
Decidere di salvare, di proteggere, di aiutare lo era stato.
Lo fu gettare un incantesimo elementare sulle figure che si trovarono a fissare il proprio riflesso nella spessa lastra di ghiaccio prima di accorgersi finalmente della voce che nessuno di loro aveva udito, dell’ arrendevolezza di uno sguardo che Aerith rivolse alla polvere che si scrollò di dosso con un gesto nervoso della mano.
- Sono davvero troppo vecchia per assistere ancora a queste cose – cominciò, la voce vibrante di un’indignazione che le segnò  il viso tornato a sollevarsi –  se il problema riguarda chi si debba accollare o meno la mia protezione, allora posso liberarvi da questo senso del dovere, perché sono sempre stata capace di difendermi da me.
- Io non volevo-
- Lo so Sora, ma parlare di me come se non fossi presente non è stato molto carino.
Il custode raggrumò le labbra in un moto di dispiacere che Roxas specchiò mentre Riku faceva svanire la propria arma in un abbraccio d’ombre e Pippo si scusava per la mancanza di educazione.
Solo Axel non si mostrò rammaricato da quanto detto, dall’insensibilità dimostrata, e non perché non si fosse risentito della propria mancanza, ma perché era ancora scosso dall’apparizione del ghiaccio che si trovò a toccare con le sopracciglia aggrottatesi gravemente.
- Non sapevo che le fioraie sapessero controllare il ghiaccio – soffiò, fissando assieme al proprio riflesso il sorriso appena comparso sul viso di Aerith.
- Da dove vengo io una fioraia sa fare molte cose.
Piccola e enigmatica donna.
Avrebbe voluto dirglielo, porle le domande che non aveva mai potuto rivolgerle perché non c’era mai stato un momento adatto, ma Axel aveva colto l’ombra calata sul suo sguardo, un velo impalpabile che riluceva di qualcosa che non andava scoperto, di un vaso che non andava aperto, e la rabbia evaporò, il bisogno di sapere anche mente  l’irritazione lo portava ad afferrare Roxas per l’avambraccio e raggiungerla, un gesto che segnò la sua resa.
Una concessione per la quale Aerith lo ringraziò in silenzio, invitando Sora a tornare alla Fortezza Oscura  per chiedere notizie su Re Topolino e decidere il da farsi, su come prepararsi per quella che si prospettava come una nuova avventura alla quale ognuno di loro avrebbe dato il proprio contributo.
Promisero a Hercules di fare ritorno per un nuovo combattimento una volta che l’arena fosse stata ricostruita, e mentre Sora si lasciava colpire amichevolmente con una pacca sulla spalla dal semidio Riku seguiva con la coda dell’occhio gli sguardi che di sottecchi Axel lanciava ad una pensierosa e silenziosa fioraia.
- Allora? Vecchia hai detto – gettò lì con finto disinteresse, sentendo su di sé gli occhi verdi della donna farsi attenti e curiosi  – quanto vecchia?
Roxas si trovò a tendere le orecchie pur pentendosi di mostrarsi così poco fiducioso, ma era  curioso al pari del compagno di scoprire qualcosa in più sulla misteriosa compagna di viaggio.
E non perché volesse informarsi di una possibile ed improbabile  pericolosità della donna, ma per potersi sentire parte del bizzarro e nutrito gruppo di strani eroi ed anti-eroi  nel quale Aerith, pur non ricoprendo un ruolo ben definito, ne era divenuta la colla.
Lei che sembrava aver salvato ognuno di loro da qualcosa, da qualcuno, e poter riuscire a ricambiare il favore era divenuto uno degli obbiettivi che Roxas si era prefissato di raggiungere.
Quando Sora attivò il portale tra i mondi si strinsero l’uno all’altro per non venire sbalzati via dal campo di forza ed essere divisi durante il viaggio, una possibilità della quale  Axel impedì il riverificarsi allacciando un braccio attorno alle spalle della donna per impedirle di andare a innervosire qualche altra divinità vendicativa.
E fu mentre la luce li bagnava che Aerith si decise a rispondergli, afferrando la mano che Riku aveva  inconsciamente fatto veleggiare attorno al suo avambraccio con titubanza senza realmente afferrarla.
Li strinse tutti a sè in un moto di commozione, tirando con la mano libera la casacca di Sora e guardando il lampo di luce che le  illuminò il viso di una consapevolezza che le ricordò che nonostante tutto, nonostante gli sbagli commessi e le perdite subite, valeva la pena soffrire per circondarsi di tanto amore.

Ne sarebbe sempre valsa la pena.
- Non ti hanno insegnato che è maleducazione chiedere l’età ad una signora?




°°°


Leon non si era sempre chiamato così.
Un tempo, quando ancora aveva un orgoglio e un nome del quale andare fiero,  quando ancora poteva definirsi un  guerriero, il suo nome era stato un altro, lui, era stato qualcun altro.
Un uomo forte, coraggioso, e invincibile, un tempo.
Ma  poi non lo era stato più.
E quando era successo, quando si era trovato in ginocchio a guardare impotente la distruzione della sua città, della sua casa, quando era stato sconfitto, era fuggito per salvarsi la vita senza più guardarsi indietro.
Come un codardo avrebbe fatto.
Come l’uomo che era stato, lo Squall che la gente conosceva, non si sarebbe mai permesso di fare.
Eppure  lo aveva fatto, era fuggito, e il disonore lo aveva spogliato di un nome che non era stato più quello di un eroe, ma di un vigliacco che non era riuscito a difendere la propria casa.
Aveva vagato a lungo senza sapere dove stesse andando,  da quanto  stesse camminando, da quanto non mangiasse o bevesse, quanto ancora mancasse per potersi sentire meglio, per potersi guardare allo specchio, per poter alzare lo sguardo da terra.
E quando era successo, 
quando si era ritrovato  a fissare  dopo mesi di silenzio e freddo gelido la tonalità calda di uno sbuffo di capelli profumati che gli aveva frustato il viso,  lo aveva alzato  per sibilare al malcapitato di fare più attenzione  prima di sentire il passante fermarsi ad osservarlo e decidere poco dopo di toccargli la spalla per chiedergli se stesse bene.
L'aveva guardata a lungo, in silenzio,  preso in contropiede dall’abbraccio morbido di un sorriso che la giovane donna gli aveva rivolto con gentilezza, tendendogli al contempo una mano che lui aveva poi guardato diffidente, come sempre era stato.
Come non aveva mai smesso d’essere.
Lui che guardingo era stato costretto ad esserlo, fino a divenire paranoico, fino a nutrire sospetto per un’innocua e innocente ragazza dal sorriso gentile che pareva solo volergli dare aiuto, ma lui non ne aveva bisogno.
Tutto ciò che voleva era dimenticare l’orgoglio ferito e fingere di non esistere, di non aver bisogno di un’inopportuna e stupida donna che gli offriva qualcosa che lui non aveva chiesto, e le cose sarebbero andate diversamente, se non si fosse deciso a guardarla negli occhi per consigliarle di farsi gli affari suoi.
Forse non  si sarebbe trovato  dove era ora.
Non avrebbe avuto una casa.
Non avrebbe costruito una famiglia della quale assumersi la protezione.
Non sarebbe tornato ad essere qualcuno al quale valesse la pena dare un nome.
Ma lo aveva fatto.
Era stato tratto in salvo, era stato liberato dal peso di una vergogna che il verde acceso di quelle iridi  aveva ripulito come un sorso d’acqua fresca che lava via il dolore, l’amarezza, il rimorso e i rimpianti.

Perché Aerith lo era stata per lui.
La mano da stringere per poter tornare in piedi.
La voce da seguire per poter trovare la strada di casa.
Lo sguardo in cui poter ritrovare se stesso.
Ed era colpa sua se ora si trovava a rovistare tra i libri di Merlino con l’ansia di scoprire un modo alternativo per viaggiare tra i mondi, per andare a cercarla.
Perché era stato lui, lui e il suo stupido e ossessivo bisogno di lottare, di trovare qualcuno da punire per quello che aveva passato, ad averla allontanata da lui, ad averle segnato il viso di delusione, di rammarico, e non sarebbe bastata una vita a cancellare il dolore di quell’aria ferita.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Avrebbe pagato il suo errore per la vita, e lo avrebbe fatto, ma dopo averla trovata, dopo essersi assicurato che quel Nessuno non le avesse fatto del male, che stesse bene, che fosse al sicuro.
Quando la porta e il suo cigolio lo avvisarono  dell’arrivo di qualcuno Leon non si diede pena di alzare il viso dal libro che sfogliava da giorni, un libro che parlava di porte segrete e passaggi che avrebbero potuto condurlo da lei.
- Leon? – chiamò Yuffie nel precedere le figure che invitò a  rimanere nell’ombra mentre Sora accostava la giovane ninja e posava dopo tanto tempo lo sguardo su quello che fin da bambino aveva preso come esempio da seguire.
Un eroe, uno di quelli che solo guardandoli ti facevano sentire al sicuro, protetti dai pericoli. 
- Ci sono delle visite.
- Merlino è tornato? – chiese il soldato con urgenza, ringhiando di frustrazione nel richiudere il tomo e gettare uno sguardo esasperato al soffitto – ancora nulla – mormorò poi tra sé e sé.
Yuffie soppresse un sorriso – no, ma è qualcuno che sono sicura sarai contento di rivedere.
- Davvero? E chi-
- Hey Leon!
Il tono era stato amichevole,  allegro e tanto familiare da  convincerlo ad abbandonare le ricerche e  cercare con lo sguardo quello  che tempo prima aveva considerato un piccolo moccioso sulle cui spalle gravava un peso troppo grande, troppo importante.
Il bambino inesperto dal sorriso buono che stentò a riconoscere quando si voltò.
Perchè era cambiato, Sora.
Era diventato un uomo.

Era diventato un  eroe.
L’eroe dei mondi al quale concesse uno sguardo colpito, orgoglioso.
- Guarda chi si rivede. Ne è passato di tempo.
-  Già – concordò il custode in preda all’imbarazzo, grattandosi la nuca con fare impacciato mentre Paperino e Pippo lo accostavano e salutavano il temibile e silente guerriero della Fortezza Oscura  con meno enfasi  – ho avuto molto da fare.
- Tutti hanno sempre qualcosa da fare – lo riprese con il solito tono inflessibile, abbandonando lo sgabello scomodo che occupava da ore per raggiungerlo a braccia conserte e sopracciglia aggrottate – ma il tempo per fare un salto dai vecchi amici e far sapere loro se si è ancora vivi lo si trova sempre.
La battuta colpì lì dove doveva colpire, e il rossore che gli tinse le guance mostrò quanto davvero Sora si sentisse in colpa per averli fatti stare in pensiero, ma soprattutto, per non ricordarsi abbastanza spesso  che qualcuno ad aspettarlo ci sarebbe sempre stato.
- Lo so e  mi dispiace – mormorò impacciato, schiudendo un sorriso largo per sopperire al disagio – ma Aerith mi ha già rimproverato a sufficienza per questo.
Quello Leon non lo aveva visto arrivare.
Ma quando quel nome lasciò le labbra del custode Yuffie non poté che lanciare un’occhiata indignata all’amico, colpevole  di aver rovinato la sorpresa mentre il soldato pareva aver subito una paresi facciale per la quale  l’aura minacciosa che già lo rendeva temibile si accentuò tanto da far sobbalzare Paperino e Pippo per la paura.
- Cosa hai detto? – lo sentirono sussurrare con un filo di voce.
- Ecco io-
- Dov’è? Dov’è lei?  – cominciò a ringhiare irritato, avanzando minaccioso di un passo – dov’è quella piccola-
Il passo frettoloso di quello che pareva un piccolo cerbiatto sovrastò il sibilo che avrebbe rischiato di far perdere a Sora altro colore al viso, e quando le assi del pavimento accolsero i piccoli piedi di una donna dal sorriso ampio  e le guance spruzzate di rosso Leon non potè fare altro che tacere e stare a guardare.
Aerith si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio nel nascondere dietro la propria schiena le figure spaventate di Pippo e Paperino, studiando in silenzio l’espressione sorpresa del soldato dallo sguardo divenuto improvvisamente vitreo.
- Sono tornata – esclamò, le braccia schiuse nell’accenno di un abbraccio nel quale Leon avrebbe anche potuto  lasciarsi stringere se l’irritazione non lo avesse reso tanto inavvicinabile.
Perché  Aerith gli sorrideva come se non fosse scomparsa per settimane senza dare notizie di sé facendolo sprofondare in un baratro di disperazione e paura, e avrebbe voluto urlare quanto fosse stato in pensiero, quanto si fosse sentito in colpa per averla trattata a quel modo, per non averle dato modo di spiegarsi, di farsi ascoltare, ma tutto ciò che fece fu rimanere immobile e silente sotto lo sguardo curioso della donna.
- Credo stia elaborando di chiuderti in uno scantinato e buttare via la chiave – le bisbigliò Yuffie in un orecchio, adocchiando l’espressione granitica dell’amico – non faceva che brontolare che quando ti avesse trovato ti  avrebbe chiuso da qualche parte per impedirti di raccogliere per strada qualche altro brutto ceffo.
Ma Aerith che conosceva il linguaggio del corpo del soldato poteva vedere il sollievo in fondo agli occhi chiari di Leon.
Leon che non era bravo a mostrare i propri sentimenti.
Leon che proteggeva e amava in modo sottile, in un modo che il più delle volte non si riusciva a cogliere, né a vedere.
Ma amava, e lei aveva passato troppo tempo  a leggere le anime degli esseri viventi per non notare come  quella di Leon fosse di un colore sgargiante,  il rosso vivo di un leone dalla folta criniera capace di ruggire di fronte un nemico e soffiare dolcemente su chi sceglieva di proteggere.
Di amare.

Quando la vide andargli in contro Leon non seppe come reagire, cosa aspettarsi, se indietreggiare o lasciare che lei lo toccasse, un’indecisione che fu lei a tramutare in azione allacciando le braccia attorno alla sua vita per stringerlo in un abbraccio che sapeva di casa, che sapeva di Aerith.
Aerith che amava, e che quando lo faceva  amava troppo anche chi quell’amore non se lo meritava.
Aerith che non aveva paura di lasciare il fianco scoperto, ma che aspettava di essere accettata, di essere vista per quella che era.
Una donna che non faceva distinzioni di razza e origine.
Una donna che quando decideva di salvare, salvava tutti indistintamente senza  differenze di sorta.
Ma quando ti salvava, quando tendeva la sua mano verso di te, non si poteva dirle di no.
E Leon non lo fece.
Smise di pensare a cosa dirle, a come spiegarle il perché delle sue azioni, a  come chiedere perdono per i suoi sbagli, perché lei aveva capito,  e nonostante tutto,  lo aveva già perdonato, lo aveva salvato ancora una volta dalla sua incapacità di mostrare che oltre al viso inespressivo e lo sguardo duro c’era un uomo qualunque.
Un uomo come gli altri, capace di ferire ed essere ferito, come gli altri.
Perciò si arrese all’idea di trovare parole complicate delle quali comunque non  avrebbe capito pienamente il significato, e si limitò ad agire come sempre aveva fatto, a esprimere in gesti quello che non riusciva a dire a parole.
L' abbracciò forte, sorridendo debolmente nel sentirla rafforzare la presa attorno alla sua schiena, dimentico di chi avesse davanti, di essere guardato e magari giudicato, ma non gli importava, e si abbandonò a quel momentaneo silenzio  prima che il suono di una voce che non conosceva, che non ricordava di aver  mai sentito lo portasse a schiudere le palpebre poco prima serrate.
E ciò che trovò gli causò un brusco  aggrottamento di sopracciglia  per il  quale Roxas, che non era riuscito a non tollerare quel silenzio, si aggrappò istintivamente al braccio di Axel, incupitosi a sua volta nel cogliere lo sguardo duro del soldato che nel riconoscerlo si abbandonò a un basso sibilo di sconcerto.
- Cosa ci fa quello qui? E chi è quel ragazzino?
Aerith comprese con un sospiro rassegnato di non poterlo più blandire,   sciolse dunque l'abbraccio per seguire gli occhi cupi dell’amico puntati alle sue spalle, sulle tre figure appena uscite dall’ombra una volta capito di non aver più bisogno di rimanere nascoste.
- Che hai da guardare? – latrò Axel in un eccesso di irritazione, rafforzando la presa attorno alle spalle del compagno mentre Riku reggeva con sfida lo sguardo feroce con il quale Leon si trovò a fissarlo, inasprito dall’aura cupa che se da bambino aveva reso Riku sbagliato e pericoloso, ora che era adulto pareva aver  persino incattivito quegli occhi di un gelo che ghiaccia il cuore e il respiro.
- Lui è Roxas – intervenne Aerith con voce calma, rigirandosi nell’abbraccio per indicare il ragazzino biondo che faticò a mantenere l’occhiata feroce del soldato – lui invece è Axel e ti ricordi di Riku vero?
- Credo che sia difficile dimenticare uno come lui – si ritrovò a sibilare cattivo, cogliendo il modo in cui il ragazzo pareva averlo frustato con lo sguardo incupito da una rabbia fredda che gli vomitava addosso con le pupille strette e sottili.
- Ma - ma siamo di nuovo tutti insieme, ed è questo ciò che conta – esclamò Yuffie nel  vano tentativo di stemperare la tensione nelle spalle del compagno e nei suoi nuovi amici.
- Yuffie ha ragione – soggiunse Sora con entusiasmo, accostando l’amico d’infanzia per rimarcare la sua posizione al riguardo – l’importante è che siamo riusciti a trovarci di nuovo.
Leon ammorbidì la piega delle labbra a quell’ultima frase, toccato anche lui dal ricongiungersi della vecchia squadra, tuttavia  rimaneva il fatto che ancora non capiva cosa ci facessero quelle tre figure lì con loro, ma in fondo sapeva già a chi era dovuta quella visita inaspettata.
Perché Aerith aveva sempre avuto la pericolosa abitudine di portare a casa personaggi di dubbia provenienza, a partire dal migliore amico di Sora che in lui aveva sempre lasciato un retrogusto amaro, una diffidenza che non aveva potuto che acuirsi col passare del tempo e con il tradimento compiuto da questo.
Ragionamenti che una persona con un minimo  senso del pericolo avrebbe formulato, sfortunatamente per lui, l’amica sembrava aver maturato negli anni un metro di giudizio che riteneva tutti bisognosi di aiuto, di un posto in cui stare, di una persona in cui confidare.
E Leon odiava che lei si rivestisse sempre di quel ruolo, come se si sentisse in dovere di aiutare l’umanità intera.
Come se non avesse fatto altro per tutto la vita.
Un pensiero che non poteva sapere, non si discostava così tanto dalla realtà, ma in fondo Aerith aveva  trovato il suo posto nel mondo, una stanza nella quale avrebbe cercato di far entrare quante più persone possibili per essere loro d’aiuto, di sostegno, per mostrare che tutti avevano bisogno di amore.
Anche chi non si credeva capace di provarlo.
E la prova era sotto gli occhi di tutti, nei cuori di quei compagni che Aerith era riuscita a riunire ancor una volta.
- Loro sono con me Leon – spiegò pratica, abbracciando con lo sguardo i nuovi arrivati  prima di sorridere e alzare il viso verso il compagno che  per un’attimo, avrebbe potuto giurare di aver visto masticare una maledizione a mezze labbra – ti avevo promesso che avrei trovato  nuovi membri per il  nostro Comitato di Restaurazione di Hollow Bastion. Non sei contento?
Gridarle contro a quel punto sarebbe stato sciocco, perché tanto lei non avrebbe ascoltato, non avrebbe accettato un rifiuto da parte sua, si sarebbe opposta con tutte le sue forze affinchè lui li accettasse, e il terrore di vederla andare via con quella stramba squadra di salvataggio lo atterriva.
Il pensiero di non poterle andare contro, lo atterriva.
Ma si arrese con un blando cenno del capo.
Perché  era tornata, e Leon aveva sempre saputo che quando l’avesse vista entrare da quella porta, quando si fosse decisa a tornare a casa dopo le sue lunghe e solitarie passeggiate   non l'avrebbe mai trovata sola, ma in compagnia di  qualche anima persa che lungo la strada  si era decisa ad aiutare, a salvare.
Perché lei era Aerith, era luce, e nessuno poteva impedirsi di seguire quell’unico barlume di speranza in un mare di oscurità.
Neanche lui.



°°°

 

Quando Aerith si chiuse la porta alla spalle tentò di non far scricchiolare l’asse del pavimento che Leon non si era mai deciso a cambiare, convinto di poterlo  adoperare come eventuale segnale dall’arme nel caso qualcuno avesse tentato di coglierli di sorpresa nella pace dei loro letti.
Un pensiero da Leon  aveva risposto lei quando lo aveva udito la prima volta, ma con il passare degli anni si erano quasi affezionati a quel lieve scricchiolare, perché sentirlo avrebbe voluto dire che chi era stato di turno quella sera per la ronda era tornato sano e salvo a casa, e ciò era bastato a lasciarlo lì dov’era sempre stato.
Tuttavia, svegliare Sora e i compagni dopo la lunga ed esasperante lotta verbale tra Leon e Axel avrebbe impedito a tutti di avere il giusto riposo dopo un viaggio lungo come il loro, perciò si premurò di scavalcarla in silenzio  e discendere in punta di piedi le scale che portavano allo studio.
Aveva riposato per un paio d’ore, e benchè Cid le avesse sempre ripetuto che una ragazzina come lei aveva bisogno di più tempo per recuperare le forze, spiegargli che lei in passato  aveva dormito anche troppo a lungo avrebbe sollevato domande alle quali non voleva dare una risposta.
Perché era complicato.
La loro situazione, era complicata, e sarebbe stato doloroso riportare alla memoria ricordi dei quali Yuffie e Cid avevano perduto cognizione.
Prima magari, quando li aveva ritrovati e non l'avevano riconosciuta aveva provato il desiderio   di  confessare loro che lei li aveva conosciuti, in una vita passata, che avevano viaggiato e lottato insieme prima che il loro mondo scomparisse, prima che lei andasse a raccoglierli per condurli nel lifestream, ma quando aveva letto la pace nei loro volti, quando aveva colto la felicità nei loro occhi non aveva avuto cuore di rivangare il passato.
In fondo, era passato davvero tanto tempo da allora, da quando il loro pianeta aveva ceduto ed era stato inghiottito dalle tenebre che avevano divorato i cuori di chi ancora era rimasto.
Da quando era stato  permesso solo ad alcune anime di salvarsi e di ritornare in vita, da quando  solo ai cuori più forti, a chi nel futuro sarebbe  potuto tornare a combattere una nuova guerra  era stato concesso di poter avere un’altra possibilità, di poter rinascere, e lei invece, lei aveva dormito fino a quando qualcuno non l’aveva trovata e risvegliata.

Il suo compito, più di tutti gli altri, non era mai finito in verità, perché lei era l’ultima dei Cetra, l’unica che potesse attraversare  il ponte tra morte e vita per condurre le anime alla luce, alla pace, e quando il suo mondo era venuto meno, quando la salvezza non era stata più possibile, un altro mondo aveva richiesto il suo aiuto, il suo potere.
- Bentornata bambina.
Non si era aspettata di trovare qualcuno, ma quando sentì la voce e  il calore del camino acceso lambirle il viso riconobbe l’uomo abbandonato sulla poltrona a fiori intento a rimirare le fiamme e bere una tazza di tè.
Bambina.
L’aveva chiamata così la prima volta che l’aveva vista, quando era andato a svegliarla, a chiederle aiuto.
Merlino era un mago potente, molto più potente di quello che le apparenze lasciavano intendere, ed era forse il suo fare maldestro che ingannava i più sul suo vero ruolo in tutto quello.
Perché ancor prima che il keyblade fosse stato scoperto, prima ancora che un prescelto fosse stato scelto, era  a lui che i mondi si erano rivolti per ricevere aiuto.
Lui che viaggiava nel tempo con fare svampito e brontolava quando qualcosa andava storto, un eroe avrebbero detto alcuni, un eroe strano e dimenticato  visto tutto il tempo trascorso da allora, ma lei non aveva dimenticato niente, e quando lui aveva deciso di prenderla sotto la sua ala protettrice e farne sua allieva, anche lei aveva potuto avere la sua  seconda possibilità.
- Una tazza di tè con un vecchio brontolone? – la invitò il mago con voce gentile, allungando una mano per indicarle la poltrona accanto alla sua.
Aerith gli sorrise con calore, raggiungendolo in silenzio mentre le fiamme del camino disegnavano un gioco di luci e ombre sulla lunga vestaglia che sollevò da terra per non sporcarla con la cenere che si era depositata ai piedi del mago.
- Non declinerei mai l’invito di un uomo tanto galante.
Merlino si abbandonò ad una risata soffice, raddolcendo le pieghe attorno agli occhi quando l’ebbe tanto vicina da poterne percepire il profumo di fiori e bagnarsi della luce di uno sguardo che anche nella penombra tingeva  ciò che la circondava di un mite e  dolce bagliore.
 - Allora, ho saputo della tua piccola avventura. Un Nessuno quindi?
- Axel – lo corresse  istintivamente  – Si chiama Axel. E non è stata una vera e propria avventura. Ho solo aiutato un amico nei guai.
Con un sorriso bonario il mago fece comparire una tazza di tè tra le mani della pupilla, allungando uno sguardo alla scala in ombra  nel cogliere un lieve scricchiolio dal quale Aerith, catturata dal movimento sinuoso delle fiamme non sembrò esserne stata attratta.
- Molti farebbero fatica persino  a considerare un Nessuno una persona,  mentre tu lo hai appena  definito un  amico – le  fece notare con voce indulgente, un sorriso sottile in viso.
Aerith sollevò su di lui uno sguardo sinceramente stupito, quasi non avesse colto la lieve nota di orgoglio e sorpresa nel suo dire puntiglioso.
-  Ma Axel è   una persona. Una brava persona oltretutto,   un po’ bellicoso alle volte – e lì si lasciò sfuggire l’accenno di una risata – ma è un buon amico.
- Da come lo descrivi non sembra uno di quei Nessuno  pericolosi di cui Leon parla sempre – constatò.
- Axel non è pericoloso,  non metto in dubbio che  vi siano personaggi pericolosi tra loro, ma essere un Nessuno  non equivale ad essere una creatura pericolosa e crudele. Ho conosciuto uomini ben più terribili di loro.
E non mentiva.
Aveva conosciuto uomini capaci di mostruosità irripetibili, esseri umani capaci di calpestare la vita di un loro simile pur di raggiungere i propri fini, uomini tanto crudeli e meschini da lasciare una bambina orfana di madre dopo averla tormentata come il peggiore degli incubi.
- Non hai mai pensato di condividere il tuo passato con altri? Sai che Leon ha sempre sofferto di questo tuo silenzio– mormorò Merlino sovrappensiero, le rughe del viso che si inspessivano nel cogliere l’ombra calare crudele sull’espressione ferita  di Aerith.
 Seguì con la coda dell’occhio il breve guizzare di un profilo che scomparve subito dietro l’angolo,  un movimento del quale la giovane donna, presa com’era dal vortice di ricordi che le intristiva il viso non prese coscienza, ed era meglio così.
Perché Merlino era vecchio, tanto vecchio, più di quanto volesse credere lui stesso, e sapeva che Aerith era circondata da persone che la amavano, persone che avrebbero sacrificato se stessi  pur di renderla felice, compagni che si struggevano per conoscere il motivo di quel breve ma sordo dolore che alle volte feriva gli occhi della maga.
Un lampo di sofferenza che lui stesso avrebbe voluto catturare tra le dita per liberarla da ciò che la tormentava.
E c’era qualcuno dietro quell’angolo che si sarebbe voluto caricare di quel dolore, qualcuno che avrebbe potuto amarla come avrebbe meritato, perchè  lui  aveva visto brillare negli occhi di quel bambino senza luce il desiderio di proteggerla, di poter essere per lei  un giorno l’uomo al quale affidarsi.
L’uomo dal quale lasciarsi amare.
- E a quale scopo. Non farei altro che farlo soffrire – sussurrò a se stessa, il viso inghiottito dalle fiamme nelle quali per un attimo rivide una figura femminile che correva, che non aveva mai smesso, una figura che alla fine di tutto, nonostante la distanza guadagnata, veniva sempre raggiunta – credo che ognuno di noi abbia già qualcosa per cui essere tristi. Ed aggiungere dolore al dolore non sarebbe giusto.
- Ma neanche sminuire il proprio per il bene altrui lo è Aerith – e nella voce di quel vecchio mago si potè percepire la tristezza di un padre incapace di consolare il dolore di una figlia afflitta da un male incurabile.
Le coprì la mano con la propria in un gesto affettuoso che lei ricambiò debolmente, inghiottita da immagini che nella sua testa divenivano sempre più cupe, tristi, dolorose.
- Io non sminuisco ciò che ho subito, ma li  amo troppo per potermi permettere di condividere il mio passato con loro. Voglio che mantengono la visione che hanno di me.
La stretta si rafforzò sulla sua mano, quasi a darle un conforto di cui Aerith non aveva bisogno, perché non era per orgoglio che non voleva scoperchiare il vaso dei propri ricordi, non era per la paura di essere commiserata che non parlava, ma era per difenderli da un dolore che era suo dovere reggere da sola.
Lei che le sue responsabilità se le era assunte fin da bambina.
Fin da quando  lo sguardo stupito di sua madre Elmyra  le aveva fatto capire di essere diversa.
Di avere un compito da assolvere, un dovere che forse mai avrebbe smesso di portare a termine.
Perché ci sarebbe sempre stato bisogno di una guida in quel mare di oscurità, e avrebbe sempre teso la sua mano quando fosse giunto il momento di accogliere una nuova anima sola.
Lo doveva  ai suoi antenati.
Lo aveva voluto per se stessa.
Aiutare chi non chiedeva aiuto. Salvare chi non voleva essere salvato.
Essere le braccia in cui potersi abbandonare ad un sonno pacifico e sereno che niente avrebbe più turbato.
- Ma loro conoscono solo l’Aerith gentile e caritatevole, mentre l’altra parte di te stessa rimane nascosta in quell’ombra che anche se non te ne accorgi, qualche volta si riesce ad intravedere – le mormorò con un filo di voce.
- E lì deve rimanere – si trovò ad affermare lei con durezza, alzando sul suo mentore uno sguardo che sapeva divenire più forte di un uomo con la spada in mano, più saggio di un vecchio dalle rughe pesanti come coltri di sabbia, e in quel momento, più triste di un ultimo respiro spirato nelle braccia di chi si sta per lasciare.
- Perché anche se sono stata braccata come un animale, anche se sono stata trattata come una cavia da laboratorio da dissezionare e accoppiare  ciò non ha mai cambiato  quello che sono sempre stata.
- Cosa?
Attese Merlino.
Attese per secondi nei quali potè percepire i due respiri strozzati in fondo alla stanza, e su per le scale, fermi ad attendere assieme a lui un’affermazione che ripulì lo sguardo di Aerith dalla tristezza e della rabbia che le aveva scavato il viso.

 - Una fioraia.
La risata che cavò dal petto del vecchio mago fu dolce, una cascata di zollette di zucchero che continuarono a galleggiare nel flusso dorato del tè che ripresero a bere in silenzio, le mani strette in un abbraccio che sapeva di un amore filiale che né l’uno né l’altra avevano avuto la possibilità di provare fino in fondo.
E mentre le prime luci dell’alba rischiaravano le strade di un' assonnata Fortezza Oscura Axel  chiudeva   in silenzio la distanza tra le scale e la stanza da letto, il viso prosciugato dal colore che la luce filtrata dalla finestra del corridoio gli donò con gentilezza.
Toccò l’asse che scricchiola, quello che aveva svegliato lui e l’altra figura  scivolata assieme a lui fuori dal letto per  tendere l’orecchio e ascoltare ciò che non doveva essere udito, ciò che Aerith aveva fatto bene a non raccontare.
Perché faceva male.
A lui, fece male.
Un dolore che se in Axel aveva risvegliato il desiderio di correre sotto le coperte e stringere al petto Roxas nella speranza di aver solo sognato tutto quello, nel ragazzo fermo sugli ultimi  quattro scalini aveva ucciso la luce nello sguardo.
E fu quando i raggi di una nuova aurora  raggiunsero  lentamente il primo scalino, fu quando il passo soffice di piedi piccoli e la voce sottile toccò le corde di un cuore che nessuno prima d’allora era anche solo riuscito a sfiorare che Riku si convinse a muoversi, scendendo gli ultimi scalini in due e celeri falcate che lo portarono lì dove il suo cuore gli aveva sempre sussurrato di voler essere.
Lì dove si fermò a guardare il sussulto di sorpresa con il quale Aerith alzò su di lui uno sguardo perso  prima di riconoscerlo e augurargli il buon giorno con un sorriso mentre lo sguardo tornava ad illuminarsi  e in fondo, lì dove la luce non arrivava,  un’ombra ancora più terribile e crudele si annidava come un serpente in attesa di mordere e infettare del suo veleno chi quella stessa luce aveva provato a smorzare.
Un veleno  nero  come il cuore che quelle piccole mani pallide aveva raccolto da terra, divenendo inconsapevolmente una prigione di dita  dalla quale Riku  non era più riuscito a liberarlo.






Continua…



Dopo una vita, ecco un nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha letto, e dedico questo capitolo a kalea95  per essere stata ancora una volta così gentile da farmi sapere la sua sulla storia, davvero, grazie di cuore.
Cercherò di aggiornare per quanto possibile, un saluto
Gold Eyes

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Capitolo 8
*** 8 - On My Own ***


Capitolo 11
“There’s gotta be another way out
I’ve been stuck in a cage with my doubt
I’ve tried forever getting out on my own.
But every time I do this my way
I get caught in the lies of the enemy
I lay my troubles down
I’m ready for you now”

[...]

“Bring me out
Come and find me in the dark now
Every day by myself I’m breaking down
I don’t wanna fight alone anymore

Bring me out
From the prison of my own pride
My God
I need a hope I can’t deny
In the end I’m realizing I was never meant to fight on my own”

[…]

“I don’t wanna be incomplete
I remember what you said to me
I don’t have to fight alone”

( On My Own – Ashes Remain)



Di cose difficili, nella sua vita, ce ne erano state molte, forse anche troppe se si prendeva in considerazione  la sua età come cintura su cui imporre le tacche.
Accettarsi. Fidarsi. Amarsi. Tante, e non tutte le aveva portate fino alla fine, ma ci stava lavorando, aveva deciso di lavorarci sù per  migliorarsi.
Cambiarsi d’abito, dunque, in comparazione a tutto ciò che aveva compiuto fino a quel momento, non avrebbe dovuto rappresentare una tale sfida o richiedere un tale dispendio di energie da parte sua, eppure, per quanto la cosa potesse risultare ridicola, Riku faticava a compiere un’azione semplice come quella.
Era incapace, inabile, quale che fosse l’aggettivo più appropriato a descrivere la sua inettitudine non lo sapeva, ma si trovava  comunque a essere completamente inerme di fronte ad una sfida che pareva più difficile di quelle che aveva affrontato in passato, ed erano state tante,  alcune, alle volte tanto complesse da aver richiesto più di un solo sforzo fisico, ma  la pila di abiti che fissava in silenzio da ore, con il cuore stretto in gola e le mani serrate lungo i fianchi sminuiva quasi ciò che aveva passato, tutto impallidiva di fronte ad un’azione che, quella volta, avrebbe richiesto troppo da parte sua.
Una sfida che gli avrebbe tolto più di quanto era disposto a cedere, eppure,  ogni qual volta la rabbia gonfiava i muscoli del suo braccio  distendendo i tendini nervosi dei polsi,  Riku arrivava quasi a sfiorare la stoffa con la punta delle dita  irrigidite dalla frustrazione prima di far  ricadere indietro la mano sotto il peso di un coraggio che tornava a mancargli ogni volta.
Codardo.
Riku lo masticò a labbra strette, gli occhi che guardavano con disprezzo  il sedicenne dallo sguardo impaurito e le labbra impallidite  riflesso nello specchio, un’immagine  che  sembrava prendersi gioco di lui, di quell’incapacità che ora risultava così ridicola se messa in confronto a ciò che aveva fatto, a ciò di cui ancora era capace.
Ma non era per vanità che Riku stentava a compiere una simile azione, perché, per quanto di bell'aspetto sapesse d'essere, nascondersi era sempre  stata una scelta ben più allettante e sicura del mostrarsi alla luce del sole.
Eppure, in quel momento gli pareva di starsi comportando come una tra le donne più sciocche e superficiali che si dibatteva su quale tonalità di rosa abbinare per mettere  in risalto il pallore delicato del proprio incarnato, ma lui non aveva nessun incarnato da mettere in mostra, nessuna vanità da soddisfare, solo la paura di un ragazzino che si rifiutava di tornare ad essere  ora che il suo fisico aveva preso le fattezze che gli erano proprie.
Quelle di un bambino.
Un gorgoglio di collera gli ruggì in petto, una violenta vibrazione di frustrazione che gli fendette il  viso strattonando in basso l’angolo della bocca che si trovò ad arricciare quando la consapevolezza di non essere altro che quello, agli occhi del mondo, ai suoi  occhi, lo fece ribollire di rabbia.
Di frustrazione.
Un bambino che si fingeva uomo. Ecco cosa vedeva in quello specchio. Cosa aveva sempre visto.
Come doveva sembrare agli occhi di Aerith.
Un bambino da aiutare, un adolescente da capire, ma non un uomo da amare.
Mai, un uomo da amare.
Come avrebbe potuto poi, se neanche lui amava ciò che vedeva. Come avrebbe potuto lei amare ciò che lui odiava?
Eppure, come Ansem, come l’ombra che si era abituato ad essere, avrebbe potuto avere la possibilità di essere visto da lei come un suo pari, come qualcuno al quale sentirsi attratta,  mentre ora, ora non gli rimaneva che guardare gli abiti ordinatamente riposti sul lavabo con  il viso mangiato dal dubbio e il cuore divorato dall’ansia.
Dall’incertezza.
Stupido. Si sentiva così stupido ad essere rimasto così a lungo a fissare quelli che chiunque avrebbe visto come abiti,  semplici e normali abiti, ma che per lui non lo erano, non lo sarebbero mai stati, non quando a spogliarsi non sarebbe stato solo il suo corpo, ma la sua anima.
Quell’anima stanca che con il suo nero pece avrebbe dato  troppo nell’occhio, facendolo sentire diverso.
Una macchia.
Non era stato che quello. Da sempre.
Una sbavatura che aveva penetrato la carta fino a corroderne la filigrana e fare marcire tutto ciò con cui era  entrato in contatto.
Una macchia,  una chiazza che passava inosservata nell’oscurità più nera alla quale era abituato.
Lì, lui non era diverso, non era strano, sbagliato, lì lui poteva persino diventarlo, oscurità, e persino trovare riparo, un  nascondiglio  in cui nessuno lo avrebbe giudicato, perché non ci sarebbe stato nessuno ad attenderlo, a compatirlo, lì.
Come biasimare dunque la sua reticenza ad abbandonare un simile angolo di pace, per quanto piccolo e scuro fosse?
Come mal giudicare la sua paura di abbandonarlo, quel timore viscerale per ciò che stava fuori, per chi, fuori da lì, avrebbe parlato, accusato, e odiato lui per quello che aveva fatto e che tuttora era disposto a fare?
Eppure, rannicchiarsi nelle ombre, bardarsi nella gobba del suo mantello non sarebbe servito a niente, perché ogni qual volta la possibilità si fosse ripresentata, ogni qual volta il bisogno di nascondersi, di tacere le sue colpe e con queste anche se stesso fosse tornato prepotente a spingerlo indietro,  ci sarebbe stato il ricordo di una promessa da mantenere a convincerlo a rimandare il riposo nelle ombre, ci sarebbe stato un pezzo di stoffa a rammentargli che lui, una via ancora ce l’aveva, che alla fine di tutto, qualcuno lo stava aspettando, fuori di lì.
Che non tutti lo avrebbero odiato.
Era stata un ricordo al quale aggrapparsi, quello, un ritornello da canticchiare quando il buio diveniva troppo soffocante e la solitudine troppo angosciante, così da ricordare a se stesso, quando l’oscurità si faceva troppo fitta e lui faticava a distinguere il suo stesso profilo, di guardare in basso e ritrovare nel fiocco rosa che non aveva mai avuto il coraggio di strappare dal suo braccio la sua ancora di salvezza.
La corda allacciata attorno alla vita che gli aveva sempre impedito di cadere troppo giù.
Prezioso. Non aveva mai avuto nulla di più prezioso in vita sua di quello.
Un fiocco rosa.
Ironico che una cosa così sciocca potesse risultare tanto importante, ma per lui lo era, importante e troppo amato da potersene separare, da poterlo scambiare per altra forza, lui che in fondo, aveva barattato tutto per un po’ di potere, sacrificando ogni volta un po’ di se stesso, pezzo dopo pezzo, persino il suo cuore per l’orgoglio, ma quello, quello non sarebbe mai riuscito a lasciarlo andare.
Lei, non sarebbe mai riuscita a lasciarla andare.
Amore.
Riku non aveva mai saputo se si potesse chiamare così quella stretta al petto che, con il passare degli anni,  non aveva fatto altro che rafforzarsi, arrivando ad avvolgersi attorno al suo busto fino ad  abbracciare il suo cuore e ricoprirlo di una patina traslucida e delicata capace, nonostante la sua impalpabile consistenza, di riparare ciò che racchiudeva e porre una barriera tra il suo cuore e ciò che minacciava di avvelenarlo, di strappargliene un altro pezzo.
Un  battito mancato.
Aerith era sempre stata questo per lui.
Quel respiro strozzato  in gola per l’emozione, l’incosciente dilatarsi delle pupille nel cogliere qualcosa di tanto bello da far male.
Amore.
Riku non sapeva cos’era, l’amore, ma se qualcuno glielo avesse domandato, e lui avesse dovuto dare una risposta sincera, allora, in quel caso, avrebbe detto che Aerith era l’amore.
Il suo.
Il sussulto al cuore che lo coglieva ogni qual volta la sua mente, il suo cuore e i suoi occhi si aggrappavano all’immagine di  quella donna dal sorriso gentile che anni fa l’aveva trovato agonizzante in un sudicio vicolo.
Non aveva mai avuto modo di paragonarlo a nient’altro, neanche negli anni di solitudine e isolamento, ma se non era amore quell’insensato bisogno di vederla sorridere, di sentirsi chiamare da lei, di essere anche solo guardato da quegli occhi verdi, allora, non sapeva cos’altro potesse essere.
Amore. Lo era, o forse no.
Un  amore non ricambiato. Taciuto. Fragile. E forse troppo immaturo, ma un amore per il quale Riku ora si preparava ad affrontare quell’ennesima sfida, quel salto nel buio per trovare ancora una volta alla fine del tunnel  il suo sorriso.
 E se per ritrovarlo doveva tornare ad  essere se stesso e smettere di sembrare qualcun altro, allora, per lei, per quel sorriso, lui l’avrebbe fatto.
Avrebbe fatto di tutto per farsi amare un po’ da Aerith.
Come se davvero ci fosse qualcosa da amare in lui  schioccò la voce tesa della sua coscienza, maligna e cruda come una frustata tra le scapole, ma un colpo che Riku incassò con una smorfia, tentando invano di non perdere la presa su quella corda rosa alla quale strenuamente tentava di rimanere aggrappato, ricordandosi che lei sembrava crederci davvero, che qualcosa di bello, qualcosa da amare ci fosse lì, da qualche parte, in lui, dove, non era suo desiderio scoprirlo, gli bastava sapere che lei ci credeva, che lei lo vedeva.
Perché Aerith non gli aveva  mentito, mai, neanche una  volta, neanche quando farlo sarebbe stato più semplice e meno doloroso che dire la verità.
Ma lei non lo aveva fatto.
Non aveva mai negato la sua oscurità, non aveva mai fatto finta di non vederla, ma l’aveva sempre abbracciata, e persino consolata, quando le tenebre dentro di lui stentavano a colmare il vuoto nel suo petto, nella sua anima.
Lei, quel fiocco, erano il cammino che aveva scelto per sè, il confine tra oscurità e luce sul quale si destreggiava  a rimanere in equilibrio.
Nel mezzo.
Era sempre stato così.
In mezzo ad ogni cosa.
In mezzo a Kairi e Sora.
In mezzo tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, una posizione che lo aveva sempre angosciato assieme al peso delle sue scelte che alla fine si erano sempre rivelate sbagliate, ma un posto che era suo, che si era scelto lui, e nessun altro.
In mezzo come ora tornava ad essere, a metà tra il bambino al quale voleva smettere di assomigliare e l’uomo che agognava a diventare.
Per lei. Era sempre, per lei.
Lei che non aveva smesso di aspettarlo, di pensarlo, di accettarlo e che, Riku sapeva, con uno strano nodo alla gola,  lo avrebbe cercato,  trovato e trascinato per mano via dalle tenebre che lei avrebbe rischiarato con la luce del suo sorriso.
Lo avrebbe fatto.
 Lui lo sapeva, ne era certo, e di certezze Riku nella sua vita ne aveva avute davvero troppo poche per lasciarla andare, per non tenerla stretta a sé con forza fino a lasciare i segni, proprio come si trovò ad allacciare le dita attorno al fiocco che gli fasciava il polso per prendere coraggio.
Non lo aveva rivoluto indietro.
Riku aveva temuto, aveva atteso con angoscia che lei glielo chiedesse indietro, che lo privasse di qualcosa che gli ricordava lei, che gli dava l’impressione di avere una parte di Aerith, con sé, quando era lontano.
In fondo, era stato un prestito, il suo, un gesto di carità quasi, ma a dispetto di quello che aveva pensato, creduto  e temuto, Aerith non aveva chiesto niente indietro.
Non gli aveva chiesto qualcosa in cambio come invece aveva fatto il resto del mondo.
Ed era stato quando, preda di una realtà virtuale, si erano trovati ancora una volta sugli angoli opposti della barricata  che Riku aveva capito.
Lui.
Aerith, più che al suo ornamento, più che a quel fiocco, si era riferita a lui.
Si era sempre riferita a lui.
Al suo, di ritorno.
E si era sentito spaesato, confuso dall’inaspettato fiotto di calore che gli aveva riempito il cuore e la bocca di un sorriso che aveva poi ingoiato a quella scoperta, perché il solo pensiero che qualcuno potesse tenere così tanto a lui, che lei, potesse tenere così tanto a lui dopo tutto quel tempo, dopo tutto quel silenzio, lo aveva scosso, turbato, e fatto sorridere.
Sì, sorridere, a lui, che sorridere non piaceva.
Perché per un istante, per un solo, singolo istante, lui si era sentito felice, e quando Riku aveva pensato di non poterla amare di più di così, aveva  dovuto ricredersi ancora una volta quando, nel riaprire gli occhi, nell’abbandonare il buio sicuro dietro le sue palpebre, nel  tornare a vedere, aveva trovato tutto quello che gli serviva, che gli sarebbe servito per ripagarlo di ciò che aveva lasciato indietro, per ricordargli che ne era valsa la pena, alla fine, tornare.
E ne sarebbe valsa anche adesso, solo che quella volta avrebbe dovuto metter mano a tutto il coraggio che ancora gli rimaneva per scegliere chi essere.  
Una scelta difficile, combattuta, la sua, e forse persino sofferta, una scelta che forse non avrebbe neanche preso in considerazione, neanche per Sora, neanche per Kairi.
Nulla e nessuno sarebbe valso quel prezzo.
Nessuno, eppure, per lei ne valeva la pena, perché se fosse stato qualcun altro ad averlo privato di ciò che gli era familiare, a chiedergli di rinunciare all’oscurità, Riku se ne sarebbe risentito, ne avrebbe fatto una questione d’orgoglio,  ma per lei, e per il ricordo del tessuto grezzo della sua benda avvolto nei capelli di Aerith si decise a scegliere.
Ad essere.
Una benda per un fiocco.
Quello era stato lo scambio tra loro.
Qualcosa di vecchio per avere qualcosa di nuovo, di migliore, e Aerith aveva sempre avuto il potere di far sembrare il mondo migliore, di far sentire lui, migliore di quello che era in realtà.
Di come si sentiva.
Spogliarsi del suo mantello, scegliere,  nel suo caso prendeva quindi un significato più profondo, ben più angosciate di quello che sembrava.
Uno scambio che avrebbe  voluto dire spogliarsi di ciò che si era stato fino a quel momento,  privarsi di un ruolo che aveva ricoperto con fierezza e orgoglio,  perché era stato lui, a volerlo.
Era stato lui, per una volta, ad  essere scelto.
Ed anche se erano state le tenebre, a volerlo, qualcuno lo aveva comunque giudicato degno di poter essere preferito ad altri, di essere migliore ad altri, e Riku sapeva di esserlo sempre stato.
Migliore, a suo modo, di tutti.
Di Sora.
Degli altri bambini del villaggio.
Di chiunque altro.
Una presunzione che alla fine presunzione non era mai stata, non per lui, non per chi davvero avrebbe potuto fare grandi cose, se solo fosse stato lui, ad essere scelto come custode del Keyblade.
E c’erano state volte in cui aveva immaginato a come sarebbe stata la sua vita se fosse stato lui e non Sora, a diventare l’eroe dei mondi, se fosse toccato a lui il compito di salvare gli altri, di essere quel bambino speciale circondato da tutto quella meraviglia, da tutta quell’ammirazione, ma poi, poi quel se cominciava a sbiadire sotto la mano bianca che si tendeva verso di lui e pronunciava quattro lettere in un modo diverso da quello che il mondo era solito adottare.
Un nome facile da pronunciare, il suo, semplice  da ricordare, ma un nome che molti nel corso della sua vita avevano chiamato senza riuscire a ricevere da lui più di uno sguardo di traverso, diffidente, annoiato, un nome che era stato strillato, sibilato e mai, mai  semplicemente invocato, almeno fino a quando non era stata lei, a pronunciarlo, a chiamarlo.
E quando lo aveva fatto, quando Aerith aveva pronunciato il suo nome, lui aveva sorriso,  si era voltato,e  si era riempito il cuore e gli occhi  di quella gentilezza che aveva ingentilito anche il suo nome, il suo viso.
Il suo cuore.
Pareva quasi prendere un altro significato, sulle labbra di Aerith, quella parola così tanto abusata, una parola che risultava più una spigolosa successione di lettere dal taglio aguzzo, ma un sussurro che si ammorbidiva se pronunciato da quella voce che nella sua mente soffiò parole che, d'improvviso, nel ricordare quanto udito la notte prima,  gli riempirono  gli occhi d’orrore e la voce di sibili  che aveva dovuto soffocare contro le labbra mentre il suo cuore inciampava e rovinava in un oceano di oscurità, venendone inghiottito, divorato da denso, torbido liquido nero che aveva impastato la sua bocca in una sola domanda simile ad un ruggito.
Chi?
Chi aveva osato farle del male? Come si poteva trovare il coraggio di ferirla?
- …anche se sono stata braccata come un animale, anche se sono stata trattata come una cavia da laboratorio da dissezionare e accoppiare.
La porcellana del lavabo crepò sotto la pressione delle dita, i denti che penetravano con forza nella carne del labbro che si trovò  a mordere a sangue per non urlare la propria rabbia, per non dar voce al mostro che gorgogliava nel suo stomaco e chiedeva solo una cosa.
Un cuore.
Un cuore da strappare, rompere, spaccare e sbriciolare tra le sue dita fino ad arrivare a stringere solo polvere.
Semplice e appagante, lo sarebbe stato, ma troppo codardo per chiedere il nome di chi aveva provato a toglierle dal viso il sorriso, troppo confuso sul proprio ruolo nella vita di Aerith, su quale diritto potesse vantare per arrivare a tanto, tutto ciò che Riku poteva fare per lei  era proteggerla ora, quando poteva farlo, e alla luce del sole non avrebbe potuto.
Lì fuori, non avrebbe potuto, non se non avesse lasciato la presa su quel manto di tenebra che veleggiava alle sue spalle in attesa di tornare a coprire la sua vita e una realtà nella quale faticava a trovare il proprio posto come Riku, ma era arrivato il momento per lui di prendersi le sue colpe e gli sguardi di sbieco.
Era arrivato il momento di essere l’eroe di qualcuno, e aveva scelto di essere quello di Aerith.  
Un lungo, profondo respiro e un ultimo sguardo lanciato di sbieco allo specchio fu tutto ciò che Riku si concesse prima di sfilare il cappuccio  dal proprio capo con lentezza, quasi ad abituarsi al freddo che, filtrato dal collo oramai scoperto, scivolò lungo la schiena nuda che lo specchio rimandava assieme ad ogni sua mossa, aiutandolo a mantenere un contatto con ciò che stava per abbandonare, con ciò che stava per diventare.
Perché, mentre il fruscio degli abiti accompagnava il guizzo teso delle sue pupille, mentre il pavimento accoglieva quello che un tempo era stato, l’ombra che il buio ora avrebbe faticato a riconoscere con quelle tonalità accese a renderlo così diverso, così normale,  un nuovo viso sbucava dal collo della maglietta, e un uomo nuovo tornava a fissare il riflesso di un Riku che non era più Riku il traditore, Riku l’ombra, Riku il disperso.
Ma Riku.
Riku e basta.


°°°


Il senso di colpa era uno di quei noiosi e sgradevoli stati d’animo di cui Axel, in quanto Nessuno, non avrebbe mai dovuto subirne l’influenza.
Eppure, per quanto ostinatamente si sforzasse di non dar un nome e un significato  all’amarezza che gli comprimeva il petto scosso dall’affanno della corsa, il Nessuno sapeva con una sconcertante e altrettanto irritante certezza che il suo, era solo il tentativo di ignorare il disagio che faceva fremere d’orrore le pupille ogni qual volta sulle pareti di mattoni che gli sfrecciavano di fianco nella sua fuga disperata compariva un’ombra dalle fattezze femminili.
Un’ombra dalla quale istintivamente distoglieva lo sguardo per paura di incrociare il verde acceso di grandi iridi nelle quali, la sola possibilità di leggere la delusione e la consapevolezza di aver dato fiducia, una casa e forse, anche un futuro migliore di quello che spettava ad uno come lui, a qualcuno che non se lo meritava, lo atterriva.
Lo angosciava.
Anche se Axel sapeva, e aveva sempre saputo, quanto immeritevole fosse di fronte tutto ciò che Aerith gli aveva dato e che lui, in un battito di ciglia, aveva scrollato di dosso come un peso irritante.
Attenzione. Comprensione. Qualcuno con cui condividere i propri patimenti e nel quale trovare aiuto, un alleato.
Aveva sprecato la sua unica possibilità di non essere solo in quell’accanita lotta per la propria sopravvivenza, ma se da una parte il rimorso per aver tradito la fiducia di Aerith gli gonfiava la gola di un ringhio frustrato, dall’altra, il palmo sottile e sudato che sentiva ricambiare la presa nel dover superare una via meno riparata gli ricordava che fuggire e lasciarsi inghiottire dal nulla fosse nella loro natura.
Dopotutto, non erano che ombre.
Non c’era salvezza per quelli come  loro.
Non c’era possibilità di fermarsi, perché, se mai lo avessero fatto, se mai avessero permesso ai loro desideri di prendere il sopravvento sull’istinto di sopravvivenza, allora gli altri  li avrebbero trovati, puniti, ed infine, gettati in pasto all’oscurità più nera che di loro non avrebbe lasciato che un sussurro angosciato di chi non avrebbe mai più riuscito a trovare la pace.
Non c’era che morte, per quelli come loro, e se non quella, ci sarebbe stata una lenta e dolorosa agonia che prima o poi li avrebbe portati alla pazzia, perciò Axel correva.
Correva e nel mentre, malediva se stesso.
Malediva la sua essenza. La sua inadeguatezza. La sua impotenza. E infine, malediva Aerith. Sì. Anche lei.
Soprattutto, lei.
Lei che gli aveva ridato ciò di cui non aveva bisogno, ciò che aveva abbandonato da tempo. La speranza.
La speranza di poter cambiare, di potersi salvare, di potersi fermare, e persino, di poter avere un lieto fine come tutti gli altri.
Gli aveva concesso, semplicemente, la speranza di poter continuare a vivere, e Axel la odiava per quello, perché ora aveva trovato un motivo in più per soffrire per qualcosa che non poteva avere, qualcosa di cui poteva solo immaginare l'entità, la sostanza.
Aerith gli aveva donato un “se”.
Se avesse potuto seminare l’organizzazione senza dover continuare a fuggire e nascondersi.
Se avesse potuto trovare per sé e per Roxas un lembo di mondo nel quale poter vivere senza dover temere di svanire.
Se avesse potuto finalmente capire come sarebbe stato avere qualcuno che in sua assenza  avrebbe sentito la sua mancanza, chiamato il suo nome, regalato un sorriso.
Se, ma lui non sapeva che farsene, dei se.
Axel, non poteva permettersi di pensare ai se, alle possibilità, perché lui semplicemente non ne aveva, proprio come Roxas.
 Roxas che  aveva sentito gli occhi pungere di lacrime di delusione quando, nel cuore della notte, mentre Hollow Bastion dormiva e le risate al piano di sotto concedevano al suo spirito stanco uno strano senso di calore, di appartenenza, di famiglia, si era visto strattonare verso il bagno per arrampicarsi al davanzale della finestra e fuggire.
Dove. Neanche Axel lo sapeva. Ma lontano, il più lontano possibile dal prescelto che non sembrava capire quanto vicino e crudele fosse il nemico contro il quale credeva di poter vincere.
Perché non poteva. Nessuno avrebbe potuto.
- Ho trovato delle impronte qui!
L’urlo che volò sopra le loro teste giunse inaspettato e, Axel, notò con orrore, tremendamente vicino, troppo vicino per non convincerlo ad imboccare alla cieca una biforcazione e tirare a sé Roxas  per allontanarsi dalla ninja che assieme al soldato dello sguardo di ghiaccio e alla compagnia di eroi li stava cercando.
Prevedibile.
Axel sapeva che prima o poi si sarebbero accorti della loro assenza, ma aveva sperato che gli concedessero almeno un paio di ore di vantaggio prima di doversi sobbarcare in una corsa contro il tempo che ora li vedeva schiacciati contro un muro, con il fiato corto, e gli occhi sgranati dall’angoscia di essere scoperti e riportati indietro.
E forse, si ritrovò a pensare il Nessuno mentre riprendeva fiato e si permetteva di socchiudere gli occhi con il capo ripiegato all’indietro contro il freddo muro, questa volta l’uomo dallo sguardo di ghiaccio non sarebbe stato tanto permissivo nei loro confronti.
- Credi che se ne siano andati?
Con un verso d’insofferenza volto più alla situazione che al sussurro concitato di Roxas Axel si costrinse a schiudere le palpebre e fissare il compagno stretto tra le braccia con attenzione, stiracchiando un sorriso storto per smorzare la propria e la sua ansia mentre con una mano gli scompigliava affettuosamente i capelli.
Roxas.
Una luce morbida gli accarezzò lo sguardo quando la sua mente bisbigliò quel nome.
Era per lui che continuava a combattere.
Era per quello sguardo sperduto. Per quelle mani sottili e bisognose di aggrapparsi a qualcosa. Per quel sorriso che lentamente, come lo schiudersi dei petali di un timido fiore, sbocciò nel viso delicato che Axel sfiorò in una carezza prima di scostarsi dal muro e osservare con un sospiro l’ennesima biforcazione che li avrebbe condotti, con un po’ di fortuna, alla loro salvezza.
- Coraggio – lo incitò, avvolgendogli un braccio attorno alle braccia minute per sospingerlo verso destra – è meglio continuare prima che –
Fu un attimo.
Un lieve scricchiolio alle loro spalle, e la parola che Axel stava per sospirare si tramutò nel ringhio minaccioso con il quale accolse la venuta di uno dei loro inseguitori, i denti snudati in un ghigno sinistro e le braccia rigonfie di fiamme che nella loro languida discesa verso il terreno illuminarono lo stretto sentiero di mattoni e un paio di vecchi e consumati scarponi marroni che videro fermarsi assieme alla figura flessuosa appena uscita dall’ombra dell’arco.
- Bella serata, non trovate?
Il tono era stato fra i più affabili e leggeri, come quello di chi si trova a discorrere sulle bellezze del mondo con uno sconosciuto attorno al fuoco di un falò improvvisato nel deserto, e proprio come un girovago dall'animo curioso non ci furono ombre nello sguardo gentile  nel quale Axel aveva tanto temuto di cogliere la delusione e l’amarezza.
Ma non c'era niente, negli occhi di Aerith illuminati dal bagliore delle fiamme.
Nessun rammarico, disprezzo, avversione, rancore, solo, una morbidezza piena che ingentiliva l’aria e riscaldava il cuore.
- Così – continuò Aerith con l'aria di chi si trovava a discorrere con vecchi amici che non vedeva da tempo e non con due fuggitivi che avevano rifiuato il suo aiuto, fuggitivi  ancora troppo scossi dall'aria rilassata della donna per riuscire a ritrovare una qualsivoglia compostezza – volevate andar via senza neanche un saluto?
Abbassare la testa e mormorare un mortificato ‘scusa fu un gesto istintivo per Roxas, il primo fra i due Nessuno a reagire all’inaspettata ma piacevole apparizione, le spalle incurvate in una aperta dimostrazione di rimorso a cui Aerith rispose con una risata leggera, abbozzando un paio di passi in avanti per poter guardare da sotto le folte ciglia castane lo sguardo che per un attimo, solo un attimo, Axel seppe di essere stato sul punto di diventare lucido prima che un paio di battiti di ciglia ripulissero ogni traccia del sollievo che gli aveva stretto la gola.    
Ma, nonostante tutto, la bocca continuava ad essere impastata, la voce troppo tremante da poter fare uscire e il cuore troppo debole per potersi permettere altro all’infuori di quel fissare insistente che Axel sapeva, poteva risultare sgradevole, uno sguardo che si tinse di nuova ansia mentre il mento di Roxas scattava verso l’alto quando una voce maschile, livida di rabbia, si alzò nell’aria per chiamare la donna che in silenzio li fissava con un sorriso.
La donna dallo sguardo mite e dal sorriso leggero che, senza curarsi di quelle voci insistenti, fece scivolare i palmi morbidi e asciutti verso quelli sudati e gelidi delle due figure bardate di nero che gentilmente strinse a sè per tirarli verso sinistra, imboccando una strada che Axel aveva scartato e che, nel più completo silenzio, cominciarono a percorrere un po’ alla volta.
Lentamente.
Come se ci fosse tutto il tempo del mondo.
Ed anche se non ne avevano, anche se il pericolo di essere scoperti era ancora dietro l’angolo,  e le voci scoccavano come dardi sopra le loro teste, tutto ciò che Axel riusciva a pensare era che, ancora una volta, Aerith aveva scelto di aiutarlo a dispetto di tutto.
Di ciò che avrebbero potuto dire i suoi compagni.
Di come fossero loro nel torto.
Di come crudelmente avessero tradito la sua fiducia infrangendo la promessa di rimanere lì, con lei.
Perché?
La domanda premeva sulle sue labbra sigillate in una linea secca,  ma per quante volte tentasse di emettere un suono, dalla bocca di Axel usciva solo un verso rauco come se soffrisse di arsura.
Ma era solo commozione quella che gli grattava la gola e appesantiva lo sguardo, una riconoscenza che Roxas non riuscì a tenere nascosta, aggrappandosi con forza  alla mano fresca e con lo sguardo alla schiena sottile ad  un passo di distanza da loro.
Salda, sicura, e incrollabile come niente Axel e Roxas avessero mai visto nella loro vita.
E fu forse per quel senso di protezione, per quell’inaspettata consapevolezza di non dover temere nulla, con lei, che si lasciarono trascinare senza porre  domande su dove li stesse portando, perché, in cuor loro, Axel e Roxas conoscevano già la risposta.
Al sicuro.
Lo scricchiolio dei sassi sotto le suole e il flebile ululato del vento accompagnò la loro lenta avanzata per una manciata di minuti, minuti nei quali  le voci si erano fatti distanti, il buio un po’ meno soffocante, e la sensazione di libertà un po’ più a portata di mano.
Una libertà che Axel e Roxas ritrovarono in uno spiazzo del quale, per un attimo, la parte più pragmatica del Nessuno dai capelli rossi fu confusa, perchè non c'era mai stato un posto simile ad Hollow Bastion, e lui lo sapeva, lo ricordava, ma quella era una voce fin troppo flebile per poter infrangere l’improvvisa meraviglia di cui si colorarono gli occhi di Roxas quando le sue caviglie vennero sfiorate dagli steli di fiori.
Fiori che riempirono  lo sguardo di Axel di incanto quando il Nessuno tentò di abbracciare completamente quel luogo che pareva quasi irreale come un sogno ad occhi aperti.
- Attenti a non calpestare i fiori.
Axel ingoiò il grugnito e il commento al vetriolo che era stato sul punto di brontolare ma che cavallerescamente si ostinò a ingoiare, preferendo non farle notare piccatamente quanto irragionevole fosse la sua richiesta dal momento che ogni.dannato.centimetro quadrato era occupato da fiori, ma se Roxas poteva farlo, allora anche lui poteva.
 Con un grugnito incastrato in gola, sì, ma poteva farlo anche lui. Si, ce la poteva fare.
Ce la fece. E quando Aerith si decise a fronteggiarli con ancora quel sorriso leggero ad accarezzarle il volto, Axel strizzò gli occhi per impedire a se stesso di non mostrare il dispiacere che lo assalì nel sentire la presa allentarsi attorno alla sua mano, cosa che Roxas non riuscì a fare, incurvando le labbra e fissando insistentemente la donna che li scrutava tra le ciglia con aria distratta e una luce di aspettativa in fondo al verde acceso dell'iride.
- Che aspettate? Coraggio!
La sorpresa lampeggiò sui loro volti quando Aerith agitò d'improvviso la mano nell’aria con quell’incoraggiamento, un incoraggiamento che oltre a prenderli alla sprovvista,  entrambi faticarono a capire per una buona manciata di minuti, trincerandosi in un attonito mutismo dal quale faticarono a liberarsi.
La risata che d'improvviso vibrò nell’aria si tramutò in una nuova ondata di sorpresa per Axel che, seppur habitué delle stranezze di quella stramba donna, ebbe l'ennesima  dimostrazione di quanto bizzarra e sconclusionata  potesse  ancora essere Aerith.
- Oh avanti – li pungolò scherzosamente con il gomito la donna, agitando subito dopo le braccia in un ingarbugliamento di arti che tentavano di ritrarre qualcosa, cosa, ancora Axel, faticava a comprenderlo – è ora di fare quella cosa che fai sempre, il ‘puff.
- Puff ? – le fece eco Roxas con aria perplessa, sbattendo le palpebre con aria sconcentrata.
- Avete capito – tornò a ribadire la ragazza, poggiandosi una mano sul fianco e piegandosi leggermente in avanti per scutarli negli occhi  e bisbigliare alla stregua di un segreto una  confidenza che fece sgranare gli occhi di entrambi all'unisono – la barriera magica non arriva fin qui, potete smaterializzarvi. 
 Il corpo reagì ancor prima che il cervello potesse dare l’ordine, e quando Axel vide la propria mano sfumare in una nuvola di fumo si trovò a rialzare sul viso di Aerith uno sguardo sorpreso che ben presto si costrinse a distogliere quando una nuova assurda consapevolezza si fece strada in lui.
Li stava aiutando a fuggire.
Il sorriso sul viso di Aerith si ammorbidì assieme allo sguardo quando la donna colse il guizzo nervoso nella mascella di Axel e il lieve luccicore nello sguardo di Roxas, ma non vi era nulla di straordinario in quello che stava facendo, nulla di eccezionale.
Stava aiutando degli amici. Nulla di più.
Non stava facendo fuggire dei criminali.
Non stava tradendo la fiducia di Leon.
Non stava facendo nulla di sbagliato, solo, quello che sapeva, era giusto fare.
Aiutare.
Non poteva che fare quello, per loro.
Dargli un po’ di tempo in più per pensare a cosa volessero fare, a come desiderassero vivere.
Vivere.
Non sopravvivere.
Perché era quello che avrebbero fatto fintanto che la paura, l’angoscia e l’ansia non avessero permesso loro di puntare i piedi e capire che non erano soli, che non lo sarebbero mai stati.
Un pensiero che le carezzò la voce in un sussurro che, nel silenzio della notte e nel gelo della sera, ebbe l’effetto di una scarica violenta negli occhi che d’improvviso Axel e Roxas puntarono su di lei, sul suo sorriso leggero, sul suo sguardo comprensivo e sul quella figura minuta dall’aria fragile ma salda come una montagna.
Un appiglio al quale istintivamente gli arti di Roxas si allacciarono in una stretta goffa e disordinata mentre la spalla di Aerith  accoglieva il peso  della fronte che  Axel premette ad occhi chiusi mentre quelli di Aerith si incrinavano nel percepire un lieve tremore scuotere le membra stanche di quei corpi  magri e nervosi che ora sembravano così fragili contro il suo, come quelli di un bambino spaventato.
E solo.
Roxas schiuse le palpebre che aveva serrato per trattenere le lacrime quando sentì la mano di Aerith accarezzargli la testa un’ultima volta prima che Axel si scostasse un poco per incrociare lo sguardo verde e stringersi lui al fianco con un lieve cenno del capo a sancire la separazione.
Quanto lunga, non stava a loro deciderlo, e forse, non volevano neanche saperlo.
Eppure, c'era qualcosa che poteva ancora fare, una cosa in cui Axel aveva perso fiducia ma che, per una volta, dopo tanto di quel tempo passato a lasciarsi condurre dagli eventi,si decise di tornare a fare.
Di tornare a sperare.



°°°


Eroe.
Cosa significava davvero essere un eroe?
Cosa si doveva fare per diventarne uno?
Bastava davvero solo salvare qualche vita per esserlo?
No. Riku chiarì il proprio dubbio con una convinzione e fermezza tale da far sembrare la risposta data a se stesso il  frutto di un profondo rancore nutrito verso il soggetto del quesito.
Ma non lo era.
La sua era, in realtà, una semplice constatazione, una presa di coscienza che difficilmente avrebbe potuto mutare.
Perché  il modo in cui la gente lo fissava non sarebbe mai cambiato, neanche, se avesse cominciato a fare l’eroe, neanche se avesse deciso di seguire le orme di Sora.
Sora che quando passava, calamitava su di sé sguardi bonari, grati e alle volte, persino ammirati, mentre a lui, a lui toccava la diffidenza, la paura e persino il sospetto.
Riku mantenne l’espressione granitica e impassibile quando sentì gli occhi dell’anziana vecchia che aveva appena sorriso a Sora gravitare su di lui, uno sguardo scrutatore al quale oramai si era abituato, avvezzo com’era a ricevere ben più che smorfie perplesse e guardinghe, ma l’anziana lo studiava con una tale meticolosità da fargli credere che forse, quella vecchia non era poi così svampita come appariva.
E ne ebbe la conferma quando la vide aggrottare le sopracciglia in un cipiglio serio mentre una frase a cui non diede voce ma forza con lo sguardo arrivò fino a lui come una scudisciata in mezzo alle scapole.
Sbagliato.
L’accusa di una vita.
Quanto sciocco era stato a pensare di aver lasciato l’ombra delle sue colpe in quel piccolo bagno profumato di fiori, quanto ingenuo e patetico si era scoperto a tornare, ora che era adulto, ora che avrebbe dovuto essere più forte, più duro, più insensibile a ciò che di lui veniva detto, ma la decisione era stata presa, la maschera era stata tolta e la volontà di non sembrare ma di essere lo portò a ignorare la donna e guardare Sora scambiare ancora qualche parola con Leon prima di partire.
Partire.
Riku non aveva voluto che quello.
Partire. Lontano. Scoprire mondi nuovi. Visitare luoghi sconosciuti.
Era tutto a portata di mano ora, non più il sogno di un bambino sognatore, non più il desiderio mai del tutto esaudito di un ragazzino deluso, ma la reale e concreta possibilità che tuttavia Riku aveva rifiutato.
Ironico.
La sua vita non faceva che tingersi di ironia ogni volta.
Poco tempo prima avrebbe dato di tutto per accompagnare Sora nei suoi viaggi, salvare mondi, diventare un eroe, mentre invece, ora, tutto ciò che voleva era rimanere fermo in un posto.
Era cambiato tutto.
Lui. Il suo modo di pensare. I suoi motivi per combattere, ed ora, anche il suo desiderio più grande.
Scoprire. Sì, ma non più un mondo, non più un posto lontano, ma una persona.
- Sei sicuro di non voler venire con me ?
La domanda giunse all’udito di Riku come un sussurro lontano, perso com’era in pensieri che avevano fatto nascere involontariamente sul suo viso un’espressione concentrata, ma quando i suoi occhi si focalizzarono sull’aria dubbiosa di Sora e non più su un’immagine che inconsciamente si era messo a cercare nei ricordi, Riku si trovò a dare un cenno di conferma all’amico di una vita.
Un cenno sicuro come forse mai le sue decisioni erano state, e Sora, che conosceva la sua ostinazione nel raggiungimento di quanto prefissato, non potè che incurvare le spalle con aria sconfitta prima di sentire la mano salda di Riku stringergli la spalla mentre un sorriso a labbra strette si apriva sul viso pallido del ragazzo.
- Ci rivedremo presto.
Tanto bastò a Sora per tornare a sorridere, ed anche in quello, Riku, trovò un motivo in più per sottolineare  la differenza  tra lui e Sora.
Tra l’eroe e l’anti-eroe.
Ma andava bene così, se lo ripetè mentre il viso sorridente del suo migliore amico svaniva in un cono di luce, se lo ricordò quando lo sguardo livido di Leon si puntò su di lui con la violenza di uno sparo quando il motivo della sua presenza lì venne meno.
- Stai andando da lei?
Non ci fu bisogno di specificare a chi fosse riferito quel lei ringhiato tra i denti, lo strascico di una rabbia che il soldato non sembrava aver ancora digerito, non dopo  ciò che Aerith aveva fatto la notte scorsa.
Quando, dopo l’infruttuosa caccia ai fuggitivi si erano ritrovati tutti nel laboratorio di Merlino per ragionare su una nuova modalità di ricerca e Aerith, da poco rientrata dal suo giro di perlustrazione, aveva confessato candidamente di aver lasciato andare Axel e Roxas, la rabbia di Leon non aveva fatto in tempo a manifestarsi in tutta la sua devastante violenza che il ‘non erano prigionieri di Aerith  aveva arginato il fiume di parole e la rabbia che l’uomo aveva ingoiato di fronte allo sguardo saldo della donna.
Occhi verdi capaci di tramortirti con la forza di quello sguardo di vetro verde, una forza contro la quale Leon aveva dovuto cedere, rinfoderando le domande e le maledizioni e trincerandosi dietro un mutismo che, a detta di Aerith, sarebbe venuto non appena avesse sbollito la rabbia.
Una rabbia che Leon non si faceva però problemi a sfogare su di lui ma che Riku faceva cozzare contro il proprio gelido disinteresse, proprio come si decise a fare anche in quel momento, ignorando l’aperto scontro che il soldato cercava per andare dalla donna per cui aveva deciso di restare.
Non fu difficile trovarla.
Yuffie lo aveva già informato sui posti in cui Aerith amava soffermarsi a pensare.
E sebbene la ninja gli avesse dato modo, con quell’informazione, di sfoltire le numerose possibilità, Riku aveva avuto lo strano istinto di cercare per primo il posto nella conca, lì dove Merlino gli aveva confessato che la sua allieva amava passare del tempo con Axel.
Bastò il solo pensiero di quel nome a far nascere sul viso di Riku una smorfia mentre i suoi occhi mettevano a fuoco la  schiena di Aerith in lontananza e un ricordo richiamava alla mente l’irritante voce del Nessuno che lo aveva  disturbato durante la sua lotta interiore nel bagno della casa.
- Ehi fiore di luna, il bagno serve anche agli altri sai? Hai finito di metterti il rossetto o ti serve altro tempo per farti le unghie?
Quando la porta si aprì, lo fece con uno schianto secco che fece sobbalzare Roxas ma non lui, non  l’uomo dalla chioma color fiamma che Riku si trovò a fissare in cagnesco mentre Axel, quasi estraneo all’aria tesa che cominciava a frizionare tra loro, si trovava ad allargare un sorriso scaltro ed ad aggirarlo per sistemarsi i capelli con noncuranza guardando attraverso lo specchio, tra una sistemata ed un sorriso scanzonato gli abiti che sembravano finalmente dare un’età a quel ragazzino impertinente prima  che Riku, accortosi  di quel fastidioso e inopportuno scrutamento, lo fulminasse con lo sguardo.
- Problemi?  – soffiò malevolo il Nessuno, una mano corsa a lisciare con accuratezza il collo della giacca che Aerith aveva ripescato da uno dei bauli di quel vecchio strambo dal cappello a punta per dare a lui e Roxas qualcosa da indossare.
Un verso di insofferenza fu tutto quello che Riku gli concesse prima di voltarsi ad osservare il Nessuno di Sora e rifilargli una spallata per la quale Roxas si trovò a strizzare gli occhi prima che Axel  lo fulminasse con un’occhiata cattiva.
- Vedi di tenere il tuo amico lontano da Roxas e da me se non vuoi che si faccia male– nella sua voce Riku captò una scia di  rancore fin troppo violento per non farlo reagire, per non farlo ruggire.
- Sarai tu quello a farsi male, invece, se non smetti di mostrarti così ingrato. – lo riprese con un sibilo.
- Ingrato? – ringhiò il Nessuno, ruotando il busto per mettere a fuoco il profilo affilato del ragazzo dai capelli di argento –   Io? E per quale motivo sarei un ingrato?
Riku fece forza sul suo buon senso per non metter mano alle armi, le labbra agitate da un ringhio che si costrinse a rigettare in fondo alla gola assieme a parole che avrebbero acceso la miccia di una tensione che faticava a ignorare.
- Perché  hai ancora una voce per parlare.
Credere davvero di non stracciare il filo sul quale entrambi si erano trovati a fare i trampolieri era stato sciocco, era stato inutile, ma quando i loro corpi si tesero come archi pronti a scoccare frecce avvelenate ci fu un muro a franare loro in mezzo, una barriera umana che Roxas rappresentò nello scivolare di fianco al compagno, afferrandogli l’avambraccio e frapponendosi tra loro con sguardo serio.
- Levati di mezzo – gli ringhiò contro Riku in un eccesso d’ira, la mano libera dall'arma corsa ad afferrare il polso che il Nessuno di Sora gli lasciò prendere, ma solo per averlo tanto vicino da poterlo guardare negli occhi e fargli leggere l’irreprensibilità del suo gesto, l’irremovibilità del suo cuore.
- Aerith non ne sarebbe felice se venisse a sapere quello che stavate per fare.
Axel lo liberò dalla presa ferrea di Riku con uno scrollo nervoso del braccio, scortando il compagno sul primo gradino  sul quale lui si fermò mentre Roxas lo precedeva nella discesa delle scale e Riku rimaneva indietro, lo sguardo proiettato in avanti ma la mente rimasta indietro, in quel bagno stretto dal grazioso lavabo rosa dal quale si decise a distogliere lo sguardo poco prima calato nuovamente quando lo udì parlare.
- Non esistono solo gli eroi in questo mondo, tu per primo sai che dall’altra parte della barricata ci sono persone di cui non importa a nessuno – lo sentì sussurrare come se avesse paura di alzare la voce, di rendere altri coscienti della sua presenza – e sai che quando la morte tocca chi si trova dall’altro lato questa  conta poco più di una goccia d’acqua gettata in un oceano, per questo non devo niente, né a te, né al vostro salvatore dei mondi. Se anche noi morissimo, se svanissimo  da un momento all’altro voi non ve ne rendereste neanche conto, non ve ne accorgereste.
Perché non siamo eroi, non siamo indispensabili, non siamo i protagonisti, siamo solo delle ombre di passaggio, e nessuno piangerebbe per delle ombre.
E fu su quell’ultima parola, su quella più breve ed intensa emissione di fiato che Riku si voltò per incrociare gli occhi che in silenzio lo fissavano, ricordandogli  una cosa che lui sembrava dimenticare troppo spesso.
- E perché non è stato lui, a salvarci.
L’asse scricchiolò rumorosamente prima che il Nessuno svanisse oltre il primo scalino, una scia di vento freddo che spirava d’improvviso, ecco cosa sarebbero stati loro, cosa sarebbe stato lui.
Una brezza di passaggio, un tocco che sarebbe durato un battito di ciglia, troppo poco per venire ricordato, visto come più di quello che era.
Un viso, un nome, un’ombra che con il tempo sarebbe sbiadita fino a scomparire.
Perché lui non era l’eroe, lui non sarebbe divenuto qualcuno di cui il mondo avrebbe sentito la mancanza, ma sarebbe rimasto un ragazzo sperduto in un mondo di tenebre che lo aveva inghiottito, che lo aveva mangiato fino a non lasciare nulla se non ossa e il sentore della paura.
Un mondo dal quale Riku, nel discendere le scale e nell’incrociare a metà di queste lo sguardo sollevato del custode del Keyblade, si ricordò di non essere stato salvato da Sora.
Quando Riku riaprì gli occhi socchiusi per meglio focalizzare il ricordo ciò che trovò di fronte lo portò ad aggrottare le sopracciglia con una nota di confusione quando Aerith entrò completamente nel suo campo visivo.
Gli stava di profilo, con la lunga treccia abbandonata in grembo alla cui fine il ragazzo riconobbe con un certo imbarazzo la propria benda, ma dal modo in cui teneva le palpebre leggermente socchiuse e il viso reclinato di lato non pareva essersi accorta di lui.
Bizzarro, ma la sua attuale distrazione gli diede modo di scrutare un po’ più approfonditamente la donna che gli stava davanti con un’aria che per un attimo gli parve malinconica, e triste.
Riku non capì perché la sua mente scelse proprio quell’aggettivo, ma c’era qualcosa di profondamente triste nel profilo di Aerith, come se vi fosse un velo a dividerla dal mondo che in quel momento non sembrava vedere.
Era una persona misteriosa, Aerith.
E avventata, alle volte.
Quello Riku lo aveva pensato fin da bambino, dal modo curioso e quasi ingenuo con il quale la donna  approcciasse  gli sconosciuti,  dal suo modo innocente di sorridere a chiunque, persino a lui.
 All’inizio  aveva scambiato l’impavido comportamento della giovane come ingenua curiosità, benevole ignoranza, ma Aerith sembrava capire più di quanto desse a vedere.
Era solo una sensazione quella di Riku, ma qualcosa gli diceva che il più delle volte, quando Axel o Leon provavano ad attirarne l’attenzione, lei stesse ascoltando altre persone oltre a loro, quasi ci fossero altre creature con le quali dialogare.
Persino in quel momento Aerith  sembrava ascoltare pazientemente il racconto di un fantasma, perché non c’era nulla davanti a lei, nulla se non un una conca di terra e sabbia e il vento a soffiarle nei capelli.
E il vento non parlava. Non in quel mondo. E non con gli esseri umani.
Fu dunque per  istinto più che per un vero e proprio desiderio di farsi notare che Riku la chiamò, così da strapparle dal viso quell’espressione malinconica e non sentirla così distante, così lontana da lui.
Troppo lontana per poterlo sopportare.
- Aerith ?
Un piccolo sussulto scosse il profilo immobile della fioraia a quel richiamo, e per un attimo Riku si maledì per averla spaventata, ma quando, sbattendo un paio di volte le palpebre come a riprendersi da un sogno, Aerith si voltò a guardarlo con un velo di sorpresa ad accenderle lo sguardo, il ragazzo scacciò il rammarico per sorriderle a labbra strette.
- Ho deciso di rimanere.
La sua era stata una constatazione alquanto sciocca, come se Aerith non potesse vederlo lo rimproverò la propria coscienza, come se non lo avesse intuito dalla sua presenza lì, e per un attimo Riku si trovò a maledire se stesso e quella goffagine che lo assaliva proprio di fronte a lei, ridicolizzandolo,  lei che però si limitò a sorridergli conciliante e con quella che intuì e in cuor suo sperò essere sollievo, prima di tornare a rimirare il cielo con le mani unite abbandonate in grembo.
- Scusami se non ti ho risposto prima, una vecchia abitudine – la sentì sussurrare sofficemente tra sè e sè,  picchiettando la  mano sul posto vacante accanto al suo che Riku guardò incerto prima di osservare il suo profilo e decidersi con un sospiro a sederle di fianco.
Rimasero in silenzio per quelle che gli parvero ore, ma quello fu un silenzio che a Riku trasmise quiete e pace, tanto che si trovò a sua volta a chiudere gli occhi e ascoltare il vento come Aerith, nella speranza, magari, di capirla un po’ di più e svelare il mistero che si celava dietro quello sguardo che, qualche volta, si colorava di tristezza.
Strano come il solo respirare potesse trasmettergli una simile tranquillità, a quanto calmante  fosse inspirare, espirare.
Dentro. Fuori.
Dentro. Fuori.
- Riku?
Sentirsi chiamare per nome fu più destabilizzante di quanto mai avesse creduto, e fu per puro orgoglio che Riku non si voltò a guardarla, costringendosi a tenere le palpebre chiuse per impedirsi di mostrare l’evidente sgranarsi delle  pupille che gli avrebbe dato le sembianze di un bambino spaventato, e lui, lui non voleva essere più un bambino.
- Hmm.
La sentì sorridere.
Un pensiero bizzarro il suo, perché il sorriso non faceva rumore, eppure, anche a palpebre chiuse, Riku potè  giurare di aver sentito un sorriso increspare le labbra di Aerith che, a sua insaputa, stava ammirando il profilo tagliente  del suo viso che con il rosso accesso del tramonto  come sfondo sembrava capace di fendere il cielo.
- Sono contenta che tu sia rimasto.
Un tremore nelle dita.
Riku riuscì a catalizzare la sorpresa, l’emozione e il turbamento in quel semplice e all’apparenza naturale reazione al freddo della sera mentre sentiva levitare su di sé lo sguardo di Aerith, penetrante e probabilmente bellissimo con le luci delle prime stelle a illuminarle il viso, ma quello se lo tenne per sè, aspettando di sentirla muoversi per tornare a guardare in alto il cielo che da bambino lui aveva fissato con meraviglia chiedendosi se fosse lo stesso in ogni parte del mondo.
Un cielo che i suoi occhi sbirciarono da sotto le ciglia grigie, trovando la risposta a quella vecchia e sciocca domanda rivolta al vuoto nel silenzio della sua stanza.
Perché quello, quello era il cielo più bello che avesse mai visto, ma anche quello, se lo tenne per sé, tornando a chiudere le palpebre e a tacere assieme al breve luccicore negli occhi quell’anche io che il sole morente portò via con sé assieme al suo sospiro di sollievo.



Continua…

In ritardo, tremendo ritardo, ma l’ispirazione è una bestia rara che poche volte, se si è fortunati, si riesce ad imbrigliare e la mia nell’ultimo periodo mi ha rifuggito come la peste.
Ringrazio chi ancora, nonostante la lunga pausa tra un capitolo e l’altro, continua ad interessarsi e a leggere la storia.
Dedico questo capitolo alla gentilissima Kelloggs Snowflakes che ringrazio con un inchino per il commento e per i complimenti, davvero, grazie infinite.  
Un saluto,
Hagne
 

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