Skinny Love di feelthepain (/viewuser.php?uid=521168)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Sei mesi dopo. ***
Capitolo 3: *** Si svegliò il mattino seguente. ***
Capitolo 4: *** Quella mattina, non ne aveva proprio voglia. ***
Capitolo 5: *** Errare humanum est, perseverare diabolicum ***
Capitolo 6: *** Il giorno della visita era arrivato ***
Capitolo 7: *** E' finita. ***
Capitolo 8: *** Informazione! ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Prologo (1).
«Stai diventando
troppo magra, Scar.» la riprese la madre, dopo averla
fatta sedere sul divano, davanti a lei. Scarlett
abbassò lo sguardo sulle sue mani, strette in grembo. I suoi
genitori non capivano. Non capiva nessuno. Le sue cosce erano troppo
grosse, aveva troppa pancia e la sua taglia di jeans rasentava a
malapena la 36. Non era abbastanza.
Non è mai
abbastanza.
«Scarlett,
mi stai ascoltando?» la
richiamò la donna e lei alzò gli occhi,
fissandoli in
quelli grigi di sua madre.
«No.» rispose semplicemente, con la sfacciataggine
che la
caratterizzava. Lei era sempre stata così: una facciata dura
per
proteggere la sua parte fragile. Più la corazza era spessa,
più ciò che nascondeva era fragile.
«Questa conversazione non ha senso.»
terminò, dedicando a sua madre un'occhiataccia.
Era sempre stata brava a spaventare le persone con uno sguardo. Non se
lo sapeva spiegare, ma le tornava molto utile. Anche se, a volte,
finiva per allontanare tutte le persone a cui teneva. Ma, forse, era
giusto così. Non voleva rovinare la vita a nessuno. Lei non
era
fatta per stare in compagnia. Lei amava leggere, ascoltare musica e
scrivere. Sì, lei viveva per scrivere, per trasmettere
emozioni
con delle parole che molti ritenevano inutili. Lei voleva diventare una
scrittrice, da grande. Voleva aiutare le persone.
«Bene, allora, visto che non lo capisci con le buone, domani
parti per la riabilitazione.» pronunciò Ashley,
guardando
la figlia con un dolore negli occhi, che nessuno sarebbe riuscito ad
immaginare. La sua bambina aveva bisogno di aiuto e lei non l'aveva
capito. Era una donna separata dal marito e costretta a crescere due
figli da sola, anche se erano rimasti in buoni rapporti dopo il
divorzio e lui si era offerto per accompagnare Scarlett, il giorno
dopo.
La ragazza impallidì visibilmente.
«Che...No!»
urlò, scattando in piedi, così come fece la
madre, con
più calma. Scarlett divenne rossa dalla rabbia.
«Scarlett, cerca di capire...» tentò di
spiegare,
protendendo le mani verso la ragazza che, prontamente si
allontanò, guardandola stupita.
«No! Cerca di capire tu!
Per una volta, mamma, cerca di capirmi!» gridò,
ancora,
mentre percepiva le lacrime salire agli occhi e un nodo chiuderle la
gola.
«Tesoro, io ho capito ed è per questo
che...»
provò di nuovo Ashley, ma le lacrime della figlia le fecero
sprofondare il cuore nello stomaco.
«E' per questo che hai deciso di spedirmi in uno stupido
centro
di riabilitazione senza nemmeno chiedermelo!?» la interruppe
Scarlett, prendendo la sua borsa e le chiavi della macchina.
«Lo faccio perchè ti voglio bene, Scar.»
la donna le
afferrò l'avambraccio, nel tentativo di calmarla, ma quello
che
sentì la fece gelare sul posto. Il braccio di Scarlett era
magro, troppo magro. Scommetteva che se l'avesse stretto tra il pollice
e l'indice, le due dita si sarebbero toccate senza problemi.
Scar approfittò dell'improvvisa debolezza della madre per
tirar via il braccio.
«Non si direbbe.» disse, dandole le spalle ed
aprendo la
porta. Ashley si riscosse dai suoi pensieri, ignorando l'ultima frase
della figlia.
«Dove vai?» le chiese, mentre la vedeva uscire di
casa.
«Fuori.» borbottò Scarlett in risposta e
Ashley fece
per seguirla, ma la porta si chiuse con un tonfo a un centimetro dal
suo naso ed intuì che era meglio lasciarla sola.
La donna scoppiò in lacrime pochi secondi dopo. Non voleva
perdere la sua bambina e se solo fosse stata più presente,
tutto
questo non sarebbe successo.
Scarlett si accorse di star andando troppo veloce solo quando il
contachilometri segnò i 150 km/h. Inchiodò
improvvisamente e le ruote stridettero sull'asfalto, ma a quell'ora non
c'era nessuno in città. Scese dall'auto, sbattendo la
portiera e
scoprì di essere finita al parco giochi. Si sedette su una
panchina, davanti alle altalene e pensò. Quando è
notte e
sei solo, che altro puoi fare?
«Tu non puoi salire sull'altalena.» le disse
piccata la
bambina bionda che, nonostante la tenera età, sembrava
essere
uscita da una rivista di moda. Scarlett la guardò confusa.
«Perchè?» le chiese e lei si
scambiò delle occhiate divertite con le sue amiche.
«Perchè sei troppo grassa. La romperesti, Oltre
che brutta
sei anche stupida!» rispose la bambina, prima di scoppiare a
ridere con i suoi cloni.
Scarlett era sempre stata una bambina che soffriva di una leggera
obesità, ma non era nulla che non si potesse risolvere con
una
dieta equilibrata. Non pensava che importasse. Lei voleva solo giocare
con le sue amiche. Che c'entrava l'aspetto fisico? Le era sempre stato
insegnato che quel che contava era ciò che avevi dentro e
non
capiva quelle bambine. Ma crescendo, si vedeva sempre più
esclusa, sempre più ignorata, sempre più
invisibile e si
era beccata talmente tante porte sbattute in faccia, che aveva capito
che la storia del `E'
importante ciò che c'è dentro, non
fuori´ era
solo un'enorme stronzata. Per quanto volesse crederci, nessuno si
sarebbe innamorato di una ragazza che portava una 48, invece di una 40,
nessuno si sarebbe innamorato di una ragazza che il sabato sera
rimaneva a casa a leggere Bukowski, invece di andarsi a sbronzare in
qualche discoteca. Per quanto volesse crederci, nessuno si sarebbe
innamorato di lei, di Scarlett `la grassona´.
«Ehy.» la voce del fratello minore la fece
sussultare e si
voltò verso di lui, in piedi pochi metri più
distante, la
borsa di basket in spalla, le mani in tasca e uno sguardo preoccupato e
confuso negli occhi.
«Ciao.» rispose Scarlett, riabbassando lo sguardo
sull'erba. Mike si sedette accanto a lei, poggiando con poca
delicatezza la borsa a terra.
«Che ci fai qui?» gli chiese la sorella senza
guardarlo.
«Ian mi ha dato buca, quindi stavo tornando a
casa.» le
rispose, abbandonandosi contro lo schienale della panchina.
Notò
lo sguardo di Scarlett fisso sull'altalena.
«Vuoi che ti spingo?» le chiese, sorridendo, nel
vano
tentativo di risollevarle il morale, ma lei scosse la testa, affranta.
Non era mai più salita sull'altalena. Nonostante odiasse le
ragazze che la prendevano in giro, sapeva di non essere magra come loro
e si era davvero convinta che se si fosse seduta, l'altalena avrebbe
ceduto.
«Mike.- lo richiamò e, finalmente, gli occhi dei
due
s'incontrarono. -Che faresti se mamma e papà non si
fidassero di
te?» gli chiese e lo osservò mentre la sua
espressione si
faceva pensierosa. Lui sapeva cosa faceva la sorella; aveva notato che
a tavola non mangiava praticamente nulla ed aveva provato a farle
capire che aveva raggiunto il peso ideale, ma lei non l'aveva ascoltato
e adesso assomigliava ad uno scheletro.
«Gli darei una ragione per farlo.» Mike aveva
intuito cosa
era successo. Era più piccolo di Scarlett di due anni, ma
sapeva
che prima o poi sarebbe arrivato quel momento.
«Cosa dirà la gente, Mike?» la domanda
di Scarlett
era evidentemente retorica, ma quando Mike vide i suoi occhi pieni di
lacrime, non potè fare a meno di abbracciarla.
«Devi smetterla di dare peso alle parole degli
altri.» le sussurrò.
Non rovinatevi, maledizione.
Che importa di quello che pensa la gente?
Voi siete così, prendere o lasciare.
E chi lascia, si renderà conto di ciò che ha
perso.
Voi non siete inutili.
Esistete per un motivo.
Dio non fa errori.
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Capitolo 2 *** Sei mesi dopo. ***
1. Sei mesi dopo.
-6 mesi dopo.-
«Eccoci
qui.» la voce del padre rimbombò in tutta la casa,
mentre chiudeva la
porta con un piede e poggiava le valigie della figlia a terra.
Scarlett, davanti a lui, si guardò intorno, inspirando il
profumo di
casa sua. Quanto le era mancato tutto questo!
Lo scalpiccìo di
piedi pesanti che scendevano le scale attirò la sua
attenzione, prima
di essere stretta in un abbraccio mortale e sollevata da terra da Mike.
Scarlett era ritornata dalla riabilitazione, dopo aver preso il giusto
numero di chili ed era intenzionata a non far soffrire mai
più la sua
famiglia, nè, tantomeno, aveva intenzione di ritornare in
quell'edificio. La madre accorse subito dopo, unendosi all'abbraccio e
stringendo entrambi i figli, che si lamentarono vanamente. Quando,
finalmente, i tre si separarono, Scarlett si voltò verso il
padre, che
sorrideva.
«Rimani a cena?» gli chiese, mentre Mike le passava
un braccio intorno alle spalle.
«Certo,
stasera dobbiamo festeggiare.» assentì e i due
ragazzi gli saltarono in
braccio, mentre i due genitori si scambiarono un sorriso d'intesa.
«Cerca
di non far scappare tutti, ok?» la ammonì Mike,
sistemandosi lo zaino
in spalla, mentre camminavano verso il cancello della scuola.
«Non
sono io che faccio scappare tutti, sono gli altri che non si vogliono
avvicinare.» rispose Scarlett, piccata e dedicandogli
un'occhiataccia
che lo fece ridacchiare.
«Sì, certo.» fece solo in tempo a dire
lui, prima che un'orda di ragazzi lo assalisse, lasciandogli pacche e
pugni amichevoli sulle spalle. Venne trascinato via, senza che i due
potessero scambiarsii più di uno sguardo.
Scarlett cercò di
farsi il più piccola possibile, mentre camminava tra la
folla di
studenti, ma se pensava di poter passare inosservata in una citta dove
le persone vivevano solo per sparlare degli altri, si sbagliava di
grosso. Prima ancora che raggiungesse il suo armadietto, si rese conto
di essere l'oggetto di conversazione di almeno metà scuola.
L'unica cosa che sperava era che l'attenzione su di lei calasse in
fretta, lasciandola nell'anonimato, dove era sempre stata. Ma quando
aprì l'armadietto, tutte le sue speranze svanirono. Milioni
di
piccole pillole, che riconobbe essere le stesse che prendeva prima di
finire in riabilitazione, caddero sul pavimento piastrellato,
spargendosi per metà del corridoio. Tutti i ragazzi che le
erano
intorno scoppiarono a ridere e lei digrignò la mascella,
allungando la mano e prendendo il quaderno degli appunti. Chiuse
l'armadietto con forza, calpestando alcune pillole, mentre si faceva
largo tra la folla di curiosi, sgomitando.
Si sentiva così umiliata. Possibile che nessuno la capisse?
O forse, qualcuno c'era, ma non aveva il coraggio di uscire allo
scoperto in un mondo talmente ipocrita e superficiale. Le persone buone
e vere c'erano, lei lo sapeva, ma sapeva anche che spesso si
nascondevano dietro maschere di indifferenza, per proteggersi, per far
parte del gruppo e non rimanere escluso.
Cosa non si farebbe per un pò di amore.
«Allora, dov'eri ieri pomeriggio?» chiese Niall,
mentre addentava il suo panino, rivolgendosi a Harry, di fronte a lui.
«Perchè dovrebbe interessarti?»
ribattè Harry, guardandolo con un sopracciglio alzato.
Harry era arrivato in città da pochi mesi, eppure era
riuscito ad entrare nel gruppo più popolare della scuola.
Forse era grazie al suo bell'aspetto, o all'alone di mistero che si
portava sempre dietro o alla sua innata personalità alpha.
«Perchè,- intervenne Louis, dall'altro lato del
tavolo della mensa. -ti abbiamo cercato, ma eri, evidentemente, troppo
impegnato per passare un pò di tempo con i tuoi migliori
amici.» Harry lo guardò sorpreso, mentre poggiava la sua
lattina di coca cola sul tavolo, dopo averne bevuto un sorso.
«Ho avuto da fare.» spiegò, scrollando
le spalle.
«E da quando in qua hai a che fare con gli
sfigati.» lo incalzò Liam.
«Co-?» ma prima che Harry potesse anche solo
formulare una frase di senso compiuto, Zayn gli mise davanti agli occhi
il suo cellulare, aperto su una foto che ritraeva Harry seduto su una
panchina, mentre aiutava un ragazzo a studiare per un test importante.
Il suo stomaco si contorse, mentre alternava lo sguardo dal display
all'amico.
«Lo conosco da quando eravamo piccoli e aveva bisogno di una
mano in Chimica.» tentò di spiegare, ma lo sguardo
di Zayn gli fece capire che era inutile
«Ti rendi conto che se qualcuno ti avesse visto, la tua
reputazione sarebbe andata a fondo, insieme alla nostra?» lo
riprese Louis e Harry alzò gli occhi al cielo, non abituato
a dover sottostare a delle regole.
«Ragazzi, state tranquilli, ok? Ho fatto in modo che nessuno
potesse vederci. Non ho intenzione di-»
«Già e sei stato talmente tanto attento che
qualcuno è riuscito a scattarvi una foto senza che te ne
accorgessi.» controbattè Liam, un sopracciglio
alzato, da capo tavola.
«Non avete scattato voi la foto?»
domandò Harry, la fronte aggrottata.
«No e non sai quanto ci è costato il silenzio di
quel ficcanaso. Almeno la metà degli incassi di questo mese.
Adesso dovremo aumentare il prezzo della roba e ci saranno
meno clienti. Tutto per parare il culo a te.» lo
attaccò Niall, parlando velocemente e a bassa voce. Harry si
sentì terribilmente in colpa.
«Ragazzi io non avevo intenzione...-»
«Sai cosa potrebbe aiutare i nostri affari?» chiese
Zayn, guardandolo dritto negli occhi e lui scosse la testa. Il sorriso
che fece arricciare le labbra del moro gli suggerì che lui
un'idea ce l'aveva. Indicò con il capo un tavolo in fondo
alla sala e gli occhi di Harry scivolarono sull'unica persona che vi
era seduta: una ragazza minuta, dai capelli castano scuro, quasi neri,
che si rigirava una mela tra le mani, ma non sembrava intenzionata a
mangiarla. Non la conosceva, ma sembrava veramente sola.
«Quella è Scarlett Jones. E' finita in
riabilitazione per sei mesi ed è una vera
sfigata.» Zayn parlò con cattiveria e si
formò un solco tra le sopracciglia di Harry.
«Perchè è finita in
riabilitazione?» domandò curioso, senza
distogliere lo sguardo dalla figura della ragazza, che adesso aveva
poggiato la mela sul proprio vassoio. I loro occhi si incontrarono e
vide le sue guance divenire più rosee, prima che abbassasse
lo sguardo.
«Che ti importa? L'unica cosa che devi sapere è
che la sua debolezza è la nostra forza.»
spiegò Louis e gli occhi di Harry scivolarono su di lui.
«Se la umilii davanti a tutti, siamo a cavallo. Diventerai
l'idolo di tutta la scuola e gli incassi saliranno alle
stelle.» terminò, pulendosi le mani, dopo aver
mangiato il suo pranzo.
«Ma lei ci starà male.»
replicò Harry, dando fiato alle parole senza pensarci e
guadagnandosi così, le occhiatacce dei suoi amici.
«Da quando in qua ti importa di cosa provano gli
altri?» gli chiese retorico Niall, confuso. L'attenzione di
Harry fu nuovamente concentrata sulla ragazza, che si stava alzando per
mettere a posto il vassoio. Harry scosse la testa. Lui era Harry
Styles, a lui non importava di niente e di nessuno, lui voleva solo
fare soldi e scappare lontano. E se il prezzo da pagare era la
dignità di una ragazza sconosciuta, tanto meglio. Sarebbe
stato molto più semplice.
Afferrò il vassoio di Niall, su cui era appoggiato un piatto
pieno di spaghetti al sugo, e si alzò in piedi.
«Ehy, devo ancora finire di mangiarli, quelli!»
esclamò il biondo, guardando male l'amico, che lo
ignorò abilmente, cominciando a camminare verso Scarlett, o
come si chiamava.
La ragazza, appena vide Harry venirle incontro, abbassò il
volto, incurvando la schiena, come faceva quando doveva camminare in
luoghi pubblici. Quella era la sua arma di autodifesa. Si chiudeva in
un guscio, come una tartaruga. Harry prese un respiro profondo,
osservando quanto quella ragazza sembrasse piccola e indifesa, prima di
rovesciarle addosso il piatto di pasta. Scarlett sussultò,
alternando lo sguardo dal suo petto ricoperto di sugo e pasta, agli
occhi verdi di lui. Cose succede quando due persone che provano tanto
dolore, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, si guardando negli occhi?
Si riconoscono.
Nella sala calò un silenzio teso, mentre i due si
guardarono. Tutto il dolore, la tristezza che Harry lesse nei suoi
occhi, lo fece rabbrividire. Scarlett non mosse un muscolo e la sua
espressione rimase impassibile. Come faceva ogni volta che qualcuno la
attaccava o umiliava; chiudeva tutto fuori. Quando la sala esplose in
fragorose risate e applausi e fischi di ammirazione, i due rimasero
immobili. Harry non avrebbe dovuto farlo, ma ne valeva della sua
reputazione, mentre Scarlett non sarebbe dovuta tornare a scuola. Come
poteva pensare che sarebbe stato tutto migliore? Come poteva pensare
che le cose sarebbero andate per il verso giusto?
Scarlett posò il suo vassoio sul primo tavolo che
trovò, prima di oltrepassare Harry di corsa, urtando la sua
spalla di proposito. Harry si voltò, rendendosi conto di
quello che aveva appena fatto e fece per inseguirla fuori dalla sala,
ma una folla lo assalì, riempiendolo di pacche e pugni sulle
spalle.
Ci voleva così poco per farla crollare; bastava una frase
sbagliata, un gesto irruento o uno sguardo astioso per ridurla in
lacrime. Ma lei non lo dava a vedere. Lei alzava un muro per tenere
fuori tutti e poi, quando era sola, eslodeva, si lasciava andare,
crollava in mille pezzi.
«Non sentirti `diversa´.
Tu non sei diversa.
Sei unica.
Nel bene e nel male.
Coccola il tuo bene,
sopporta il tuo male.
E ringrazie sempre di essere come sei.
Persino quando esserlo significherà
soffrire con un'intensità superiore a quella di
qualcun altro.»
-M.
Gramellini.
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Capitolo 3 *** Si svegliò il mattino seguente. ***
2.
Si svegliò il
mattino seguente con la luce del sole già alto che filtrava
dalle tende della sua camera. Sentiva gli occhi doloranti per il troppo
pianto e la pelle sulle guance le tirava, probabilmente
perchè si era addormentata piangendo e le lacrime le si
erano seccate sul viso. Guardò la sveglia e notò
essere quasi ora di pranzo. Con riluttanza, si alzò e si
diresse in bagno per farsi una doccia. Sotto lo scroscio d'acqua calda,
ripensò a cosa era successo il giorno prima, a come quel
ragazzo le aveva rovesciato addosso un piatto di pasta, con una tale
nonchalance da risultare quasi un incidente. Lo aveva notato, qualche
minuto prima che si scontrassero al centro della mensa, mentre la
guardava e parlava con il gruppo di Louis e gli altri. Non ricordava di
averlo mai visto prima e, nonostante i suoi ricordi precedenti al
periodo della riabilitazione fossero un pò tutti confusi,
annebbiati, a causa delle pillole che prendeva, era più che
sicura che quel ragazzo dalle labbra rosee, i capelli spettinati e
quegli occhi verdi pieni d'arroganza, curiosità, e sicurezza
di sé, non aveva niente a che fare con la sua vita
precedente.
Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successa una cosa del genere. I
ragazzi popolari non guardavano lei, Scarlett Jones, perchè
era carina.
Scar si lasciò scappare una risatina ironica al solo
pensiero di un ragazzo interessato a lei. Cos'era lei in confronto a
tutte le altre bellissime, spigliate, sexy, intelligenti, simpatiche,
ragazze che c'erano lì fuori?
Scosse la testa, tirandola all'indietro, lasciando che l'acqua la
colpisse in pieno viso e trattenne le lacrime.
Non ora, si
disse; hai pianto
abbastanza. Ora finiscila.
Si passò una mano sul viso, prima di uscire e
avvolgersi in un asciugamano. Evitò di guardarsi allo
specchio. Insieme ai vestiti, indosso il suo solito sorriso, prima di
scendere al piano di sotto. In cucina la madre stava sistemando le
ultime cose per il pranzo, aiutata da Mike.
«Buongiorno! Appena svegliata?» le chiese il
fratello, mentre la madre si voltava a sorriderle, per poi tornare a
controllare il cibo sui fornelli.
«Cosa te lo fa pensare?» domandò
sarcastica Scarlett, guardandolo divertita. Mike alzò gli
occhi al cielo, cercando di trattenere un sorriso.
«Alle cinque c'è la mia partita di basket. Ti va
di venire a vedermi?» chiese Mike, rivolgendosi alla sorella
maggiore, davanti a lui, mentre mangiavano il pranzo.
Uscire non era proprio nei suoi piani, soprattutto per andare in un
posto pieno di ragazzi che l'avrebbero presa in giro.
«Sarebbe magnifico, Scar! Così ne approfitti per
stare un pò con i tuoi amici.» esultò
Ashley, seduta a capotavola, tra i due figli. Scarlett
inforcò un broccolo con forse troppa intensità.
Quali amici, mamma?
Ma non poteva rinchiudersi in camera, nel suo dolore. Lei
doveva fingere di star bene, doveva dimostrare ai suoi genitori e a
Mike che aveva superato i suoi problemi. Non voleva tornare in
riabilitazione.
«Certo, sembra divertente.» assentì,
quindi, e il suo sorriso non vacillò nemmeno un istante.
Ashley annuì, soddisfatta, tornando al suo pasto, mentre
Mike la guardava con uno strano ghigno.
«Ci sarà tanta gente?» chiese Scarlett,
mentre parcheggiava, dedicando un'occhiata a Mike, che
scrollò le spalle. (Scar's
outfit)
«Non tanta. Il basket non è molto seguito quanto
il calcio.» le rispose solo.
Bene,
pensò Scarlett.
Probabilmente erano tutti alla partita di football della squadra della
scuola. Attraversarono il parcheggio ed entrarono in un piazzale
asfaltato. Al centro c'era il campo da gioco, delimitato da due
canestri, con il terreno colorato di rosso, per distinguerne meglio i
confini. Solo da un lato vi erano le gradinate per gli spettatori,
coperte alla bell'e meglio da una tettoia. I due fratelli si divisero e
Mike raggiunse i suoii amici, buttando il borsone da una parte, accanto
a tutti gli altri e Scarlett lo vide ammiccare verso una delle
cheerleader, mentre incitava la squadra con le sue compagne, tra
balletti e urla. Scar roteò gli occhi, cercando di
nascondere il divertimento, andando a prendere posto su una delle
gradinate. Non c'erano molti spettatori, ma lei decise comunque di
sedersi il più lontano possibile da chiunque. Non le piaceva
stare a contatto con troppa gente.
Così, passarono venti minuti, la squadra di Mike stava
combattendo fino allo stremo per poter vincere, ma il punteggio
rimaneva sempre fermo sulla parità. Lei, d'altro canto, non
capiva nulla di basket, quindi si limitava ad applaudire quando vedeva
suo fratello esultare.
Il sole stava già calando e la temperatura non era
né troppo fredda né troppo calda e Scarlett amava
guardare il cielo che cambiava colore: rosa, arancione, turchese.
«Bella partita, eh?» le chiese una voce profonda e
sconosciuta, alla sua destra e, sobbalzando e voltandosi di scatto, fu
rapita da due occhi verdi. Ricordava perfettamente chi era il ragazzo
che si era seduto accanto.
«A dir la verità, non ci capisco nulla di
basket.» rispose lei, fredda come il marmo, tornando subito
con lo sguardo sul fratello. Le piaceva, era inutile mentire a se
stessa, ma la dignità e l'orgoglio venivano prima
dell'attrazione.
Harry si morse la lingua per non ridere ed osservò come i
suoi capelli assumessero sfumature rossastre a contatto con i raggi del
sole.
«Comunque, non ci siamo presentati; io sono Harry.»
disse il ragazzo, dopo qualche minuto di silenzio. Lei tornò
a guardarlo e questa volta non indugiò a piantare le sue
iridi blu in quelle di lui.
«Credimi, so perfettamente chi sei. Sei il `cattivo
ragazzo´ della banda più popolare della scuola,
sei quello misterioso, sei il classico bello e impossibile. Sei lo
stronzo che mi ha rovesciato addosso un piatto di spaghetti al
sugo.» non voleva dirlo davvero, ma quelle parole piene di
ironia e disprezzo le erano scivolate via dalle labbra senza farlo
apposta e l'espressione sorpresa di Harry la informò che
erano andate a fondo. Quant'era che qualcuno non lo trattava
più in quel modo?
«Mi dispiace che sia stata tu la vittima, davvero.»
cercò di riparare al danno. Non sapeva nemmeno lui
perchè era andato lì a parlarle. Forse
perchè l'aveva vista lì, seduta da sola e gli
aveva fatto pena e perchè si sentiva in dovere di scusarsi.
Scarlett scosse il capo, abbassando gli occhi sulle punte delle sue
scarpe.
«No, non ti dispiace e lo sappiamo entrambi. Solo
perchè non parlo mai, non vuol dire che sono stupida. So che
l'hai fatto perchè era l'unico modo per tornare al centro
dell'attenzione.» disse, schietta, con un
semplicità unica. Sentiva la necessità di fargli
capire che lei non era invisibile, che lei esisteva ed aveva un
cervello perfettamente funzionante, o quasi. Le labbra di lui si
dischiusero leggermente, di fronte a tali parole. Non si sarebbe mai
immaginato che una sfigata come lei potesse avere il coraggio di dire
certe cose.
Passarono altri minuti di silenzio, in cui lei osservava la partita,
senza davvero seguirla, troppo distratta dalla presenza del ragazzo, e
lui la guardava. Lo incuriosiva il modo in cui si muoveva, parlava o si
mordeva il labbro.
«Io penso che tu sia molto di più di quello che
vuoi mostrare.» le parole che pronunciò non gli
passarono nemmeno per l'anticamera del cervello e sentì se
stesso dirle, come fosse un corpo estraneo al suo. Voleva farle capire
che lui non la pensava come tutti gli altri. Lui lo faceva
perchè doveva guadagnare, perchè voleva
andarsene. Non aveva nulla contro di lei.
La vide sorridere, prima che lasciasse che i capelli mori e mossi le
coprissero il viso, nascondendolo alla vista di Harry.
«Scarlett.» parlò lei, dopo alcuni
secondi e il ragazzo le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Mi chiamo Scarlett.» aggiunse, dedicandogli il
piccolo sorriso di poco prima, al quale lui rispose, felice.
«Lo so.» si limitò a dire Harry e
nessuno dei due pronunciò altre parole. Rimasero in
silenzio, entrambi con lo sguardo fisso sulla partita, ma con la mente
sulla presenza dell'altro, finchè Mike non si
piazzò davanti alla sorella. Lei gli sorrise,
alzandosi in piedi e, grazie agli spalti, guardandolo dall'alto in
basso. Lo sguardo confuso del fratello oscillò per qualche
istante dalla sorella a Harry.
«Che sta succedendo qui?» domandò ad
entrambi e Scarlett e Harry si guardarono, prima che lei distogliesse
gli occhi in fretta.
«Niente, Mike. Styles era venuto a chiedermi a quando
è fissato il compito di storia.» mentì
ed Harry aggrottò la fronte.
«C'è un compito di storia?»
domandò confuso, rivolgendosi direttamente a lei. Scarlett
lo fulminò con lo sguardo, voltandosi di scatto a guardarlo.
«Sì.- rispose, stringendo i denti e pregandolo con
gli occhi. -Questo mercoledì, Styles.»
Harry si grattò la nuca, dedicando la sua attenzione a Mike,
che era rimasto perplesso dal loro scambio di battute.
«Giusto. Sai com'è, non sto mai attento in
classe.»
Mike alzò un sopracciglio, guardandolo e fece per ribattere,
ma Scarlett gli si mise a braccetto, distraendolo.
«Beh, che stiamo aspettando? Andiamo o no?» disse
con voce nervosa e Harry si chiese come faceva Mike a non accorgersi
che stava mentendo. Si vedeva lontano un miglio.
«Sì, andiamo.» mormorò il
fratello in risposta e poi si rivolse a Harry, a voce più
alta. « Ci si vede, Styles.»
Lui ammiccò un piccolo sorriso e gli rivolse un cenne della
mano e fece per salutare Scarlett, ma lei si era già voltata
e si stava trascinando dietro anche Mike.
Il sorriso gli morì sulle labbra, mentre la guardava
allontanarsi. Aveva fatto o detto qualcosa di sbagliato?
« Il problema delle
persone
orgogliose è che non dicono quello
che provano per paura di soffrire. Si tengono
tutto dentro e soffrono lo stesso, ovviamente.
Le persone orgogliose, vanno prese di sorpresa
e abbracciate.»
- R. Daniels
|
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Capitolo 4 *** Quella mattina, non ne aveva proprio voglia. ***
3.
-Quella mattina, non ne aveva proprio voglia.-
Quella mattina, di andare a scuola, proprio non ne aveva voglia. Non
che gli altri giorni facesse i salti di gioia alla sola idea di dover
passare sei ore tra bradipi perversi e galline gracchianti. No, le
galline non gracchiano, lo sapeva, ma alle sei del mattino, mentre si
trascinava malvolentieri in bagno, non aveva voglia di fare ricerche
sul verso delle galline.
Si vestì in fretta, cercando calore nella felpa larga e nei
jeans che stava indossando. Solo quando uscì, si rese conto
che quella mattina faceva fin troppo freddo. Si strinse le braccia al
petto, mentre saliva sull'autobus e constatava che sarebbe dovuta
rimanere in piedi.
Sbuffò, sistemandosi meglio lo zaino in spalla, mentre
l'autobus apriva le porte ad una fermata. Osservò
attentamente i ragazzi della sua stessa scuola salire, ridendo e
scherzando. Non la videro nemmeno, non che lei si aspettasse che
metà della squadra di football potesse notarla. Forse era
meglio così.
Anche loro rimasero in piedi e la schiacciarono contro i finestrini
dietro di lei, impedendole di muoversi. Aveva i loro zaini a un palmo
dal naso e dalla larghezza delle loro spalle, capì che non
sarebbe riuscita a spostarli nemmeno di un centimetro.
Le sembrò il viaggio più lungo di tutta la sua
vita, stretta lì, tra i finestrini appannati e freddi
dell'autobus ed il calore soffocante di quei corpi mastodontici. Quando
arrivò il momento di scendere, temette seriamente di
rimanere frantumata nel tentativo di farsi strada fuori dall'abitacolo.
Ricevette una gomitata nello stomaco, o forse era più di
una, e non riuscì a capire se furono intenzionali o meno.
Uno zaino le schiaffeggiò duramente il viso, segnandole la
guancia sinistra di rosso, a causa della superficie ruvida della borsa.
Scarlett scese per ultima, fulminando con lo sguardo le schiene dei
giocatori di football, mentre si sistemava la felpa. Li odiava, ma non
aveva mai avuto il coraggio di ribattere alle loro battute, di
difendersi. Sapeva perfettamente che se l'avesse fatto, ci sarebbero
state delle ripercussioni non solo morali e, ammettiamolo, per quanto
potesse essere coraggiosa, l'istinto di autoconservazione superava di
gran lunga l'orgoglio e la dignità. Non aveva intenzione di
farsi picchiare da quei gorilla.
La mattinata passò velocemente e forse troppo
tranquillamente, secondo Scarlett. Non che le dispiacesse,
assolutamente, ma non era affatto convinta di essere tornata
nell'anonimato dopo solo un giorno. Per quanto volesse crederlo, quello
non era proprio ciò che l'aspettava.
Era l'ora di pranzo quando uscì dalla classe di storia,
diretta al suo armadietto per posare i libri. Quel giorno, non aveva
intenzione di mangiare e chiudersi nella sala mensa; doveva ripassare
per il compito di matematica e non si sentiva affatto pronta.
Aveva appena tirato fuori dall'armadietto il suo quaderno degli
appunti, e si era soffermata ad osservare la foto di sua madre e suo
fratello, appesa ad abbellire l'armadietto, quando lo sportello di
metallo si chiuse di scatto, con un tonfo sordo. Sussultò,
rendendosi conto che se non avesse tolto la mano, le sue dita avrebbero
fatto davvero una brutta fine.
Tre enormi ragazzi le erano davanti e Scarlett intuì
facessero parte della squadra di football, a giudicare dalle loro
dimensioni e dalle divise. Il cuore aumentò il battito e
pregò che non lo sentissero.
«Ehy Jones, vai da qualche parte?»
domandò lascivo uno dei tre, quello con i capelli biondi e
gli occhi cattivi. Scarlett cercò di fingere di non aver
sentito la domanda e fece per superarli, ma i tre si avvicinarono tra
loro, creando un muro invalicabile.
«Come mai scappi?» insistette l'altro, quello moro,
con la faccia da scimmia. « Hai fretta di andare a mangiare?
Immagino che non morirai se salterai il pranzo, no?»
l'accenno al suo disturbo non passò inosservato a Scarlett,
che preferì non rispondere.
Era indecisa tra girarsi e scappare via correndo o rimanere
lì a subire, sperando che non sarebbero arrivati alle mani,
quando il biondo colpì con forza sovrumana i suoi libri,
facendoli cadere dalle sue mani. I fogli si sparsero intorno a loro e i
libri produssero un tonfo che echeggiò lungo il corridoio
deserto. Scarlett fece un passo indietro, il respiro accelerato,
incapace di abbassarsi e raccogliere le sue cose. Temeva che se avesse
distolto lo sguardo dai tre, l'avrebbero colpita a tradimento.
«Se ti facciamo una domanda, è buona educazione
rispondere, chiaro?» sibilò il biondo tra i denti,
avanzando verso di lei, puntandole l'indice alla gola.
Dio, ma
perchè era andata a scuola quel giorno?
«Ho detto: chiaro?!»
alzò il tono di voce e il suo corpo si fece sempre
più vicino a quello esile e fragile della ragazza, che
saltò sul posto, dallo spavento e chiuse gli occhi, cercando
di deglutire il nodo che le chiudeva la gola. Annuì
leggermente, incapace di parlare e sentì il suo respiro
caldo e disgustoso accarezzarle la fronte.
«C'è qualche problema qui?» una voce
profonda e quasi familiare a Scarlett, li distrasse attirando
l'attenzione alle spalle dei tre, dove stava in piedi, uno sguardo
scuro, Harry Styles.
Magnifico, adesso mi
picchiano in quattro; pensò Scarlett, abbandonando
ogni speranza.
I tre ragazzi, compagni di squadra di Harry, si spostarono accanto a
Scarlett, incastrandola tra di loro, in modo da vedere meglio Harry.
«Styles, tempismo straordinario!»
esclamò il biondo, prendendola per l'avambraccio e le punte
delle sue all stars sfiorarono il pavimento. «A te il primo
pugno.» il biondo la strattonò con violenza verso
Harry, davanti a loro. Scarlett chiuse gli occhi, nel tentativo di non
mostrare le lacrime che le stavano offusando la vista.
Che avrebbe raccontato a sua madre quando sarebbe tornata a casa, con
lividi e sangue ovunque? Come avrebbe reagito Mike? L'ultima cosa che
voleva era che si mettesse nei guai per colpa sua. Aprì gli
occhi, sorpresa di non aver ancora ricevuto alcun colpo. Harry era
sempre lì, di fronte a lei, con la mascella contratta e le
mani chiuse a pugno lungo i fianchi, che alternava lo sguardo da lei ai
suoi compagni di squadra. Quando il ragazzo allungò la mano,
fu per mostrarle il palmo, aperto verso l'alto.
«Andiamo.» disse, muovendo il capo verso la parte
opposta del corridoio. Scarlett lo guardò confusa, non
capendo a che gioco stava giocando. Voleva rovinarsi per sempre la
reputazione?
Quando stava per prendergli la mano, la stretta del biondo intorno al
suo braccio, si intensificò e fu lasciata cadere a terra con
ben poca delicatezza. Non riuscì a reggersi in piedi e
battè le ginocchia sul pavimento piastrellato. Emise un
gemito soffocato, lasciandosi scivolare seduta.
«Che cazzo fai, McDermott?» sbottò
Harry, facendo per andarle incontro, ma la mano del biondo, McDermott,
si posò sul suo petto, spingendolo con la schiena contro gli
armadietti.
«Che cazzo fai tu,
Styles?! Da
quando in qua difendi gli sfigati?» abbaiò, con
rabbia.
«E tu, da quando in qua picchi le ragazze?!«
rispose a tono Harry, che cominciava ad innervosirsi e nemmeno poco.
Stavano mandando in fumo quel poco di autocontrollo che aveva.
«Da quando quelle ragazze sono sfigate, ecco da
quando.» rispose ringhiando McDermott, spingendolo sempre
più contro gli armadietti.
Scarlett pregò che non gli facessero male, mentre tentava
invano di alzarsi in piedi e pensava a come fare per distrarli.
«Levati di mezzo.» mormorò Harry,
spingendolo via con la forza di una mano, allontanandosi dagli
armadietti e facendo per raggiungere la ragazza a terra.
«Tu non mi dici di levarmi di mezzo, ok?!»
McDermott gli poggiò una mano sulla spalla, ma prima che
potesse far altro, Harry si voltò e gli tirò un
pugno in piena faccia, spaccandogli il labbro.
«E tu non mi metti le mani addosso, McDermott. Credo non ti
sia chiaro il tuo posto in questa scuola. Tu non mi dai
ordini.» ringhiò quasi, Harry e Scarlett
sentì la voce del ragazzo incupirsi spaventosamente.
«Va' a farti fottere, Styles.» sbottò
McDermott, allontanandosi con gli altri due e sparendo dietro l'angolo.
Scarlett osservò l'ampia schiena di Harry alzarsi ed
abbassarsi velocemente, prima che si voltasse verso di lei, gli occhi
molto più scuri del solito.
«Alzati.» le ordinò, poco gentilmente,
la mano tesa verso di lei. Lo guardò stranita e lui, ormai
ben poco paziente, si allungò a prenderle la mano e a
tirarla in piedi con la forza. Scarlett strattonò via la
mano, ignorando il dolore alle ginocchia.
«Qual è il tuo problema?!» quasi
urlò, Scar, mentre osservava quegli occhi quasi neri e
rimpiangeva il verde, quel verde giocoso, dolce e malizioso. Era
costretta a guardarlo dal basso all'alto, ma non per questo si lasciava
intimorire.
«Tu! Per colpa tua, adesso avrò tutta la squadra
di football contro. Solo per parare il culo a te!»
sbraitò nel silenzio innaturale del corridoio. Possibile che
nessuno, nè professore, nè studente, accorresse a
controllare cosa stesse succedendo?
Questo ragazzo doveva essersi fatto davvero una brutta nomina se
perfino i docenti temevano le conseguenze della sua ira. Ma aveva
sbagliato persone se credeva di poterle urlare contro senza che lei
reagisse. Poteva essere timida, insicura di se stessa, ma anche lei
aveva una dignità e si rifiutava di farsi trattare come una
pezza da piedi.
«Beh, mi dispiace se la tua preziosissima reputazione sia
stata rovinata da una ragazzina inutile, che non sa nemmeno difendersi
contro tre giocatori di football. Ma non mi sembra di averti chiesto
aiuto, nè oggi, nè mai prima d'ora.»
intrise quelle parole di rabbia e sarcasmo.
Harry strinse i pugni lungo i fianchi e digrignò la
mascella. Scar non aveva paura di lui. L'aveva appena salvata da quei
tre esseri indegni; per quanto poco lo conoscesse, dubitava che avrebbe
osato alzare le mani su di lei. Si fissarono negli occhi. Se lo sguardo avesse potuto
incenerire...
«Pensavo ti avrebbe fatto piacere che qualcuno
si preoccupasse di venirti a salvare, ma evidentemente, oltre che
acida, sei anche ingrata.» sputò quelle parole con
una tale rabbia che Scarlett percepì un groppo in gola.
Altro difetto da aggiungere alla lista: quando qualcuno le urlava
contro, aveva l'istinto di mettersi a piangere, non perchè
si offendesse, semplicemente perchè si arrabbiava talmente
tanto da non riuscire a tenersi tutto dentro.
Questa volta però, mandò giù il groppo
e, nonostante avesse la vista appannata dalle lacrime, fissò
lo sguardo in quello del ragazzo. Ad Harry si strinse il cuore quando
vide quegli occhi tanto belli, annebbiati dal pianto trattenuto, che
lui stesso aveva causato.
«Non ho bisogno di una guardia del corpo che mi salvi dai
bulli cattivi della scuola, ok? Non devi rovinarti l'esistenza per una
come me; non ne vale la pena.» disse, tornando
improvvisamente ad un tono di voce normale ed Harry si
pietrificò sul posto. Cosa voleva dire quella frase?
Scarlett scosse leggermente il capo, come a voler dire di aver perso le
speranze, poi gli voltò le spalle, stringendosi le braccia
al petto ed abbassando il capo, lasciando finalmente cadere le lacrime.
«Non ho intenzione di correrti dietro!» la voce di
Harry si alzò leggermente, ormai non più
arrabbiato. Gli era bastato guardarla negli occhi, vedere il dolore che
vi si celava sul fondo, osservarla, per capire di non essere
più arrabbiato con lei. Sperava solo che si voltasse e gli
dicesse che andava tutto bene, che non ce l'aveva con lui. Odiava il
solo pensiero di saperla triste a causa sua. Ma lei non fece nulla di
tutto ciò. Si limitò a raccogliere i suoi appunti
da terra, ignorando le fitte alle ginocchia e ad allontarsi.
«Vai dai tuoi amici, Harry.» aveva mormorato
Scarlett, ma nel silenzio di quel corridoio, sembrava un grido. Si
strinse il quaderno al petto, lasciando Harry in piedi, stordito per
ciò che era appena successo. Uscì sul retro della
scuola, dove c'erano i tavoli, che venivano usati da chi voleva
pranzare all'aria aperta, quando era bel tempo. Con quel freddo, non
c'era nessuno ed era proprio questo che sperava.
Era circondata da nebbia e gelo, mentre si sedeva ad un tavolo, ma non
ci fece nemmeno tanto caso. Tutta quella solitudine non era nulla in
confronto a ciò che aveva dentro. Poggiò il
quaderno sulla superficie di legno e si tirò le maniche
della felpa sopra le mani, in un gesto abituale. Lasciò che
i capelli mossi e scuri le ricadesso davanti al volto, mentre piegava
la testa verso il basso e si fissava le cosce.
Scoppiò improvvisamente a piangere. Piangeva forte. Pensava
a sua madre, a tutto il dolore che le avrebbe causato se le avesse
parlato di ciò che doveva sopportare ogni giorno a scuola,
pensava a suo fratello, alla sua delusione se fosse venuto a sapere che
non riusciva a vivere bene, che non riusciva ad essere la sorella
maggiore che lui meritava di avere. E poi, pensava a se stessa. Si
vergognava di ciò che era diventata. Non sapeva farsi
rispettare, non aveva amici, era lunatica, acida, inavvicinabile. Era
diventata tutto ciò che da piccola si era ripromessa non
sarebbe mai diventata.
Si passò le mani sul viso, cercando di togliere, alla cieca,
il trucco che le era sicuramente colato sulle guance. Quando scoppiava
a piangere, le era difficile smettere.
«Jones.» una voce sconosciuta le fece alzare di
scatto il viso, scoprendo un ragazzo biondo, con gli occhi che
riflettevano l'oceano, una ragazza rossa, che stringeva il braccio del
biondo, un ragazzo dagli occhi dolci, che si dondolava sui talloni, e
Harry. Niall Horan, Liam Payne, Amy Jacobs e Harry erano di fronte a
lei, i primi tre con un vassoio pieno di cibo tra le mani, l'ultimo con
un leggero sorriso appena accennato sul volto.
Sbarrò gli occhi, portandosi i capelli all'indietro ed
approfittandone per asciugare le ultime lacrime. Alternò lo
sguardo di ragazzo in ragazzo, confusa e interrogativa.
«Possiamo sederci?» domandò gentile Amy.
Che diavolo stava succedendo?
«C'è gente
che mi prende
troppo sul serio quando dico di
non aver bisogno di nessuno.»
- cit.
|
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Capitolo 5 *** Errare humanum est, perseverare diabolicum ***
4.
-Errare humanum est, perseverare
diabolicum.-
Harry
si era scusato per ciò che era successo il giorno prima, per
averle urlato contro, e aveva detto che voleva mostrare ai suoi amici
che persona meravigliosa fosse Scarlett. Amy aveva subito accettato e
quindi anche Niall aveva dovuto seguirlo, Liam era incuriosito dallo
strano atteggiamento di Harry e voleva vedere l'unica ragazza di cui
l'amico, conosciuto da tutti come superficiale, annoiato, arrogante, si
fosse interessato da quando lo conosceva. Louis e Zayn si erano
arrabbiati. A dir la verità, quello furioso era Louis; Zayn
aveva tentato di convincerli a desistere, dicendo che nessuno li
avrebbe più rispettati. Harry aveva ignorato entrambi ed era
uscito come un uragano dalla mensa, seguito da una trotterellante Amy,
da un abbattuto Niall e un curioso Liam.
Amy aveva subito tentato di mettere Scarlett a suo agio, Niall si
limitava a guardarla annoiato e Liam le porgeva qualche domanda,
raramente. Harry le si era seduto accanto e lei, nonostante tutto,
aveva apprezzato il gesto. Si ritrovava circondata da persone che non
conosceva, che la guardavano come fosse un alieno ed avere qualcuno che
conosceva, anche se poco, vicino, la faceva sentire meglio.
Amy le aveva chiesto di andare a fare shopping insieme, il giorno dopo
e lei era rimasta in silenzio per alcuni secondi di troppo. Niall si
era portato una mano sul viso, in segno di disperazione e Liam
attendeva con ansia la sua risposta, quasi come stesse assistendo ad un
film. Harry si era limitato a sorridere.
Scarlett aveva pensato a qualsiasi motivo per cui Amy avesse voluto
invitarla a uscire. Umiliarla, minacciarla, illuderla e poi ferirla, ma
quando la guardò negli occhi, non vi lesse nessuna
cattiveria,
nessun intento diabolico, per cui accettò, non abbandonando,
però, la sua posizione sulla difensiva.
Fu per questo motivo che quel sabato mattina si alzò un
pò più leggera del solito. Si fece una doccia
calda e
rilassante e poi scelse con cura cosa mettersi. (Scar's
outfit)
Scese in cucina, per salutare la madre e trovò, seduto sul
divano che guardava la televisione, Mike.
«Buongiorno tesoro.- la accolse Ashley, un sorriso smagliante
sul volto. -Dove stai andando?»
Scarlett afferrò una fetta biscottata al volo, rispondendo
con la bocca piena.
«Esco con una... compagna di scuola.» definirla
amica le
era sembrato esagerato, ma non poteva di certo raccontarle la vera
storia. Aveva optato per una mezza verità.
L'espressione che lesse sul volto della madre, però,
ripagò tutte le sofferenze che aveva passato fino a quel
momento. Era felice. Era talmente felice che sembrava brillare.
«Una compagna di scuola?» intervenne Mike. Con lui
sarebbe
stato più difficile evadere le domande. Afferrò
il mazzo
di chiavi, posato sul mobile all'ingresso, mentre il fratello la
seguiva, in attesa di una risposta.
«Sì, Mike. Una compagna di scuola.»
sbuffò,
aprendo la porta di casa, ma la mano del fratello la fermò
di
colpo. Scarlett gli lanciò uno sguardo di fuoco.
«Da quando esci con le ragazze della nostra
scuola?» le chiese retoricamente e lei alzò un
sopracciglio.
«Sei tu che mi hai detto di dovermi comportare normalmente.
Hai
cambiato idea?» lo punzecchiò, regalandogli un
sorriso
ironico.
«Sì, cioè no. Voglio solo che...- si
interruppe,
osservandola per alcuni secondi. -Stai attenta.» concluse,
abbattuto e, questa volta, lei gli sorrise sincera.
«Lo sarò.» si guardarono un'ultima
volta, prima che
lui la lasciasse e lei uscisse, richiudendosi la porta d'ingresso alle
spalle.
Era una bella giornata; il cielo era blu, nemmeno una nuvola, gli
uccellini cinguettavano e l'aria fresca di inizio novembre le
accarezzava il viso. Per la prima volta dopo molto, troppo, tempo, si
sentiva più leggera, senza preoccupazioni. Si disse che per
quella volta, non si sarebbe autodistrutta, avrebbe lasciato che la
speranza le invadesse il corpo e la rendesse una persona felice. Per
una volta, non voleva pensare al domani. Salì in macchina e
poggiò la borsa sul sedile del passeggero. Amy le aveva
detto
che si sarebbero incontrate in centro, davanti a un negozio che,
così aveva, era molto conosciuto e frequentato.
Che sarebbe successo quando si sarebbero incontrate? Ci sarebbe stato
un momento di imbarazzo o sarebbe stata tutta l'uscita un continuo
imbarazzo? Almeno, Amy si sarebbe presentata?
Parcheggiò dalla parte opposta della strada rispetto al
negozio.
Amy era lì, bellissima come sempre, che si guardava intorno,
cercando di scorgere la figura della sua nuova amica. Scar spense il
motore e si abbandonò contro il sedile. E adesso? Aveva una
paura tremenda. Come sempre. Sembrava che l'unica cosa che sapesse fare
era vivere nella paura e nell'ansia. Si disse che se doveva andare
male, allora sarebbe andata male. Chiuse gli occhi, prese un respiro
profondo, le mani strette intorno al volante, prima di afferrare la
borsa, scendendo dall'auto. La chiuse e controllò entrambi i
lati, prima di attraversare la strada.
Gli occhi di Amy si focalizzarono sulla figura della ragazza che le
stava venendo incontro, e poi si aprì in un sorriso che fece
tentennare Scar, appena la vide. Nessuno le aveva mai sorriso
in
quel modo. Le sue labbra si tesero con qualche secondo di ritardo, e
quando furono abbastanza vicine, Amy la abbracciò di
slancio. Si
irrigidì, prima di stringerla in risposta. Dio, ma quella ragazza era
sempre così espansiva?
«Pensavo non saresti venuta.» le disse Amy,
tenendola per le spalle.
«Eppure sono qui.- rispose, allontanandosi dalla sua presa.
Non
era abituata a tutto quel contatto fisico. - Qual è il
programma?»
Amy la prese sottobraccio, senza smettere di sorridere.
«Potremmo
andare per qualche negozio e poi a mangiare qualcosa.» le
spiegò e Scarlett si limitò ad annuire e a
seguirla lungo
il
marciapiede.
«Stavo pensando che potremmo approfittarne per comprare il
vestito per il ballo d'inverno.» propose la rossa e Scar si
morse
il labbro.
«Oh. Sì, certo.- ci fu un secondo di pausa. -Ti
aiuto a
sceglierne uno, tanto a me non serve.» concluse Scarlett,
scrollando le spalle e passando davanti alla vetrina di un negozio. Amy
faticò a stare al suo passo.
«Che intendi? Ne hai già uno?» le chiese
la rossa e
Scar ridacchiò, guardandola come se avesse appena fatto una
battuta.
«Amy, non mi ha invitata nessuno.» le
spiegò, come se fosse qualcosa di scontato.
«Per ora.» aggiunse l'altra, sorridendole
incoraggiante e
Scar non ribattè nemmeno. Si limitò a roteare gli
occhi e
tornare ad osservare le vetrine.
«Questo negozio mi sembra quello giusto.»
suggerì
Scar, indicandone uno un pò più avanti, ma che
esponeva
vestiti per un ballo scolastico e, soprattutto, vestiti perfetti per
una come Amy
Il negozio era pomoso, con file di ragazze, che a Scarlett sembrarono
essere all'altezza del ruolo sociale di Amy, che si spintonavano per
arrivare per prime a mettere le mani sul vestito più ambito.
Amy storse il naso. «Perchè non proviamo in quel
magazzino
laggiù? Ci ho sempre trovato ottimi completi.»
Scar aveva
bocciato a prescindere quell'edificio. Da quando in qua ragazze del
rango di Amy compravano i vestiti ai Grandi Magazzini? Scarlett la
guardò come se fosse la prima volta che la vedesse. Forse la
stava prendendo in giro; anzi, sicuramente adesso sarebbe sbottata a
riderle in faccia e ad insultarla perchè aveva anche solo
provato a credere che una come lei, come Amy Jacobs, potesse entrare in
un negozio come quello.
Si divertirono a provare ogni tipo di abito, facendo smorfie davanti
agli specchi del negozio. Scar scoprì in Amy un'amica vera e
sincera, che nonostante fosse una delle ragazza più popolari
della scuola, non era come tutte le altre barbie,
che pensavano solo all'aspetto esteriore, non era vuota, anzi, era
piena di vita, di sentimenti, che quasi spaventavano Scarlett, lei che
aveva sempre trovato difficoltà ad esprimersi, ad esprimere
le
emozioni che la attraversavano.
«Questo devi comprarlo.» la incitò Amy,
porgendole
il vestito che Scar si era appena tolta. «Ti sta da
Dio.»
aggiunse, notando la diffidenza dell'amica.
«Amy non...» Scar tentò di dissuaderla,
ma Amy era più che decisa a farle portare a casa quel
vestito.
«Ma perchè no? Sono sicura che ti
inviterà
qualcuno. Devi solo imparare a valorizzare ciò che
hai.» Amy poggiò il vestito su una poltrona
lì accanto all'entrata del camerino e le prese le mani.
Scarlett scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore a sangue per
trattenere le lacrime.
«Non ho nulla da valorizzare, Amy.»
sussurrò, abbassando il capo, i capelli scuri le coprirono
gli occhi.
«Possibile che non te ne rendi conto? Tanto per iniziare, hai
degli occhi bellissimi. Devi solo smetterla di truccarti come un
panda.- iniziò e sorrise quando sentì la risatina
dell'amica. -E poi vogliamo parlare delle labbra? Basta un
pò di burro cacao. Hai un corpo
così bello, fai la dieta?»
domandò Amy e Scar alzò gli occhi di scatto su di
lei. Stava scherzando? Un bel corpo? Lei? O Amy aveva bisogno di una
visita dall'oculista, oppure ciò che Scar stava facendo,
stava dando i suoi frutti. Si ricordò di dover rispondere ad
una domanda, improvvisamente.
«No. Nessuna dieta.» o almeno, non credeva che il
suo tipo di alimentazione potesse essere definito tale. Amy la prese
sottobraccio, trascinandola alla cassa, con i vestiti di entrambe.
Scarlett non se ne accorse finchè non la vide tirar fuori la
carta di credito.
«Lascia almeno che lo paghi io.» estrasse dalla
borsa il portafogli e dicendo alla cassiera che avrebbe pagato lei. Amy
accettò di buon grado. Almeno era riuscita a convincerla a
comprarlo.
Continuarono la loro passeggiata, entrando in qualche negozio,
guardando attentamente i vestiti appesi alle stampelle. Scarlett
sperava che quel momento non arrivasse mai, ma quando Amy ammise di
aver fame, e propose di andare a mangiare un pezzo di pizza al volo,
prima di tornare a casa, si sentì con le spalle al muro. Non
poteva dirle che non aveva voglia di mangiare e che preferiva tornare a
casa. Aveva appena trovato un'amica, era fuori discussione mettersi a
fare la tipa strana. Così acconsentì. Si
trovò dentro ad una piccola pizzeria a taglio, in fila
davanti al bancone, soffocata dall'aria pesante del luogo, piena di
odori e spezie. Ordinò un trancio di pizza rossa, mentre Amy
ne prese una ai funghi. Comprarono una lattina di coca-cola ciascuna e
si sedettero ad un tavolo.
Era arrivato il momento di sperimentare ciò che aveva
imparato in riabilitazione. I pezzi di pizza erano stati serviti in
piattini di carta e le avevano dotate anche di forchetta e coltello di
plastica.
Scar poggiò il piatto sul tavolo, davanti all'amica, che
mordeva la pizza. Cominciò a staccare piccoli pezzi di pasta
con coltello e forchetta, indossando un nuovo sorriso, distrasse Amy
con le sue parole.
«Quindi stai con Niall?» domandò,
facendo per portarsi lo stesso pezzo alla bocca e riportandolo nel
piatto dopo che lei ebbe abbassato lo sguardo per mordere.
«Sì.- rispose sorridendo e tornando occhi negli
occhi. - E' davvero un bravo ragazzo. So che a volte può
sembrare il contrario, può sembrare un ragazzo cattivo, ma
è solo una facciata.» Scar rimase in silenzio,
tagliando un nuovo boccone ed aspettando che continuasse. Si limitava a
fingere di portare il cibo alle labbra quando Amy la guardava, e poi lo
abbandonava nel piatto, mischiandolo con gli altri pezzi di pizza
tagliati, sparsi un pò ovunque. Cavolo, stava funzionando
davvero!
Doveva ricordarsi di ringraziare la ragazza che glielo aveva insegnato,
quando sarebbe tornata in clinica per una delle solite visite di
controllo. Quando Scar intuì che Amy aveva finito, finse di
pulirsi la bocca e bevette un sorso di coca-cola, che, al contrario
della pizza, era quasi finita, perchè le era servita da
distrazione.
«Hai finito?» domandò retorica
all'amica, che annuì felice, ignara di ciò che
era accaduto sotto il suo naso. Scarlett si sporse lungo il piccolo
tavolo, prendendo il piatto di Amy e cominciando a far passare il cibo
avanzato da un recipiente all'altro. Quando lo sguardo di Amy si fece
curioso, Scar si ricordò di cosa le aveva detto quella
ragazza in clinica.
«Oh Dio, mi sono appena ricordata di dover studiare
letteratura per il compito di domani! Ti dispiace se torniamo subito a
casa?» recitò, fingendosi sorpresa e mortificata.
Come aveva previsto, Amy abboccò.
«No, certo che non mi dispiace.» la
rassicurò, dedicandole un sorriso raggiante.
«Puoi buttare le lattine di coca-cola, intanto?» le
domandò, tanto con le bevande non aveva nulla da nascondere.
Amy assentì, dandole le spalle e Scar si sbrigò a
prendere entrambi i piatti, su cui era sparso il suo pranzo, e li
buttò nel primo cestino che trovò.
«Pronta?» le chiese Amy, mentre si mettevano le
borse in spalla.
«Pronta.» si allontanarono dal tavolo e si
salutarono qualche metro più lontano, abbracciandosi.
Ed ecco, che tutti quegli sforzi, tutti i finti sorrisi quando dentro
stava morendo, tutte le bugie che aveva detto e pensato, ecco che
l'avevano portata a tutto questo. Questo era ciò che
meritava. Sta a voi decidere se era giusto che fosse felice dopo tutto
ciò che aveva dovuto affrontare o se era da pazzi dover
affrontare tutto ciò solo per essere accettati.
Era appena uscita dalla doccia, si era stretta nel suo accappatoio e si
era sistemata un asciugamano sulla testa, a mo' di turbante, quando
sentì il telefono di casa squillare. Attese i primi due
squilli, pensando che qualcuno sarebbe andato a rispondere, ma quando
non successe, si precipitò fuori dal bagno, portandosi
all'orecchio il cordless del piano superiore. Fece per dire qualcosa,
quando alcune voci la avvertirono che qualcuno aveva già
risposto. Voleva attaccare, ma la curiosità ebba la meglio
su di lei.
«Ti ho detto di non chiamare a casa e soprattutto non a
quest'ora, Rob.» la voce della madre, attualmente al piano
inferiore, le arrivò in un sussurro.
Rob? Perchè stava parlando con suo padre?
«Lo so, Ashley, ma avevo bisogno di sentirti.» la
voce di Rob era terribilmente smielata, troppo smielata per una coppia
divorziata.
«Ci saremmo visti comunque domani mattina.»
mormorò la donna e Scar riuscì a percepire che
stava sorridendo.
Domani mattina? Da quando in qua i suoi genitori si incontravano la
mattina?
«Non posso aspettare fino a domani, Ash. Vediamoci
stasera., vengo io.» Rob propose e Scar quasi non cadde in
ginocchio.
Ash?!
Vediamo stasera?!
Stava per vomitare.
«Ma, Rob, ci sono i ragazzi...» la donna stava
cedendo, Scarlett glielo percepiva nella voce.
«Non fa niente. Facciamo piano.»
OK, questo è
abbastanza.
Scar mise giù il telefono e si
appoggiò al muro con la schiena. Buttò la testa
all'indietro. Che diavolo stava succedendo? Sua madre e suo padre... di nuovo?!
Non avrebbe dovuto ascoltare, è vero, ma i suoi non potevano
tornare insieme!
Che cosa gli stava passando per la testa!? Sbagliare una volta
è lecito, ma fare lo stesso errore due volte è da
ottusi.
«Perchè sei così cattiva?»
«Perchè l'unico modo per non lasciare che
qualcuno ti spezzi il cuore,
è fingere di non averne uno.»
-Skins
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Capitolo 6 *** Il giorno della visita era arrivato ***
5.
- Il giorno della visita era
arrivato.-
Il
giorno della visita era arrivato. Scarlett si svegliò di
buon'ora per prepararsi alla visita in clinica, che le avrebbe
conferito la libertà da qualsiasi tipo di controllo di
dottori
che si ritenevano esperti dei comportamenti umani, oppure che sarebbe
potuta essere la causa di altri mesi di riabilitazione.
Sua madre quel giorno aveva un'importante riunione di lavoro dall'altra
parte della città, mentre suo fratello aveva scuola e dopo
gli
allenamenti di basket. Ciò significava che aveva il via
libera
per sistemarsi al meglio.
Non aveva nessuna intenzione di mangiare, ma doveva. Il cibo che
avrebbe ingerito a colazione, avrebbe aggiunto qualche grammo al suo
peso; grammo che avrebbe potuto segnare per sempre la sua vita. Quindi
si fece forza e scese in cucina. Cosa poteva mangiare che fosse
abbastanza sostanzioso da evitarle una strillata dalla dottoressa e un
richiamo per i suoi genitori, che si sarebbero sentiti ancora peggio?
Aprendo gli sportelli delle credenze e il frigo, giunse alla
conclusione che avrebbe mangiato delle fette di pane con il burro e la
marmellata. Per mandarle giù, ci bevve una confezione di
succo d'arancia.
Si alzò da tavola che avrebbe voluto ributtar fuori tutto,
liberarsi di tutto quel cibo che si agitava nel suo stomaco, ormai
disabituato a ingerire tutti quei carboidrati. Dovette trattenersi dal
mettersi due dita in gola, mentre si lavava i denti e la faccia. Decise
di non pensarci e di ignorare quelle orribili sensazioni. Doveva ancora
terminare la sua preparazione. Corse in camera di suo fratello, si
accovacciò davanti al letto e cercò a tentoni
ciò che le serviva. Estrasse due pesetti a forma di disco da
hokey e le sembrarono abbastanza pesanti, a prima vista. Li
controllò meglio, rigirandoseli tra le mani, e una scritta
la avvertiva che erano di 1kg ciascuno. Si disse che potevano andare,
che in quella visita non ci sarebbero stati controlli particolari, solo
qualche domanda e poi la dottoressa l'avrebbe pesata, ma non sarebbe
stata particolarmente rigida come nelle visite precedenti. Le servivano
solo dei dati da scrivere sul modulo di dimissioni dalla clinica.
Quindi, Scarlett incastrò i pesetti nelle coppe del
reggiseno. Si mise davanti allo specchio, controllando se si notava la
presenza degli oggetti di ferro. Decise che era meglio se metteva un
top sopra al reggiseno. Non voleva rischiare proprio questa volta.
Finì di vestirsi e truccarsi, ignorando il peso degli
oggetti che le gravavano addosso e il terribile istinto che aveva di
vomitare e togliersi dallo stomaco quella maledettissima colazione.
Riuscì a prendere un taxi che erano quasi le dieci, in
perfetto orario per la visita, che si sarebbe tenuta alle undici e
trenta. Combattè per tutto il tragitto contro quell'orribile
mal di pancia. Si costrinse a resistere fino a dopo la visita, poi
sarebbe potuta tornare a casa e buttare fuori tutto
ciò che il suo corpo giudicava di troppo.
Quando vide la reception, si ricordò improvvisamente di
quella ragazza che le aveva insegnato a sopravvivere in riabilitazione,
di quella ragazza che era stata costretta a rimanere lì,
quando lei aveva avuto il permesso di tornare a casa. Non aveva fatto
in tempo a ringraziarla per averle insegnato come fare a far credere
alla gente che lei non aveva problemi a mangiare.
Chiese alla donna dietro al bancone dove fosse la stanza adibita per la
sua visita e, dopo aver ricevuto l'informazione che le serviva, si
avvicinò impercettibilmente alla donna, sporgendosi sul
bancone.
«Ho bisogno di incontrare una ragazza ricoverata
qui» le disse.
«L'orario di visite è dalle 17:00 alle
19:00» rispose lei, senza nemmeno alzare lo sguardo su Scar.
«Sì...sì, lo so,- riprese la ragazza,
cercando di attirare l'attenzione della signora. -Senta, io ero in
riabilitazione qui, qualche settimana fa. Conosco questa ragazza, ho
bisogno di parlarle. Si chiama Vanessa. Per favore»
implorò, poggiando i palmi delle mani sul bancone di marmo
freddo.
Finalmente gli occhi nocciola della donna incontrarono quelli blu di
Scarlett.
«Intendi Vanessa Richards?» domandò
allora, occhi di ghiaccio. Scar si limitò ad annuire. La
donna diede una veloce occhiata a dei moduli, poi tornò a
guardare quella ragazza che aveva una strana luce negli occhi.
«E' morta» la freddezza con cui
pronunciò quelle due parole lasciò Scarlett
tramortita. Il peso del corpo gravò sui palmi delle mani,
ancora sul bancone.
«M-morta?» il mondo si era improvvisamente fermato.
«Non mangiava più, si rifiutava di prendere le
medicine,- un accenno di dispiacere si diffuse sul viso della signora.
-Lo ha deciso lei.»
Scarlett si allontanò dalla reception senza dire nulla.
Quella ragazza l'aveva salvata, era riuscita a farla uscire da quella
prigione, le aveva trasmesso i suoi trucchi, i suoi segreti. Non poteva
essere morta. Si trascinò di malavoglia fin davanti alla
porta che le aveva indicato la receptionist e rimase alcuni secondi
immobile, disgustata da ciò che le era stato detto.
Fece dietrofront, intenzionata a chiudersi in bagno e vomitare anche
l'anima, ma venne placcata da un'infermiera.
«E tu chi sei?» la guardò con
curiosità, cercando in giro con gli occhi se c'era qualcuno
a cui potesse affidarla. Scar dovette concentrarsi sulla domanda, per
poi riuscire a rispondere.
«Scarlett Jones.» biascicò, gli occhi
vuoti. Com'era potuto accadere una cosa del genere?
«Devi fare una visita, tesoro?» l'infermiera aveva
cominciato a trattarla come una bambina. Si riscosse a forza da quel
torpore che l'aveva catturata.
«Io...sì, devo entrare qui.» rispose,
indicando la porta davanti alla quale si era fermata poco prima.
L'infermiera annuì e le disse di entrare, allora, prima che
la visita venisse annullata. Scarlett mise da parte i sentimenti,
nascose la rabbia, la tristezza, il dolore, la sensazione di vuoto, in
un angolo remoto della sua mente e del suo incoscio, poi
entrò, guardandosi intorno, sull'attenti.
La dottoressa la stava aspettando seduta dietro la sua scrivania. La
riconobbe e le sorrise. Scar si passò i palmi delle mani
sulle cosce, fasciate dai jeans, un chiaro segno di nervosismo.
«Scarlett, ciao!» la salutò, alzandosi e
porgendole la mano. Scar gliela strinse, ed entrambe si sedettero, una
di fronte all'altra.
«Allora, prima d'iniziare la visita, parlami un po' del
ritorno a casa. Stai meglio? Segui la dieta che ti ho
prescritto?» gli occhi della dottoressa la osservavano
attenti, da dietro gli occhiali da vista. Scarlett si sentì
le gambe molli.
«Sto molto meglio ora, grazie. La dieta è
perfetta, davvero. Percepisco un vero e proprio
miglioramento.» l'unica cosa che desiderava era non tornare
in quel posto. La dottoressa annuì, un sorriso soddisfatto
sul volto, mentre firmava alcuni documenti.
«Ok, Scarlett, intanto spogliati e mettiti sul lettino; ti
raggiungo subito.» lei fece come le era stato detto e si
nascose dietro la tendina che circondava la postazione per la
visita. Cominciò a spogliarsi e si sistemò meglio
il top, cercando di nascondere i pesetti sotto di esso.
La dottoressa aprì la tendina e azionò la
bilancia. Scarlett si strinse le braccia al petto, cercando di
trasmettersi sicurezza.
«Prego, accomodati.» la dottoressa le sorrise,
incoraggiante, indicandole lo strumento e Scarlett vi salì
sopra, il cuore a mille. Sperava davvero che non si accorgesse di
ciò che stava nascondendo sotto il reggiseno.
«Allora...- borbottò la donna, avvicinandosi alla
ragazza. Osservò i numeri che comparvero sulla bilancia
professionale e Scarlett trattenne il fiato, aspettando e temendo la
sua reazione. -Stai migliorando in effetti.»
Scarlett sgranò gli occhi dalla sorpresa e la dottoressa le
sorrise, orgogliosa, prima di abbassare lo sguardo sui fogli che aveva
tra le mani, per scrivere il suo peso. Scar rilasciò il
respiro in uno sbuffo, rilassando i muscoli che non si era nemmeno
accorta di star contraendo.
Le fece fare altre visite che riuscì a superare senza troppi
problemi. Solo una volta, quando la dottoressa le chiese
perchè non voleva togliersi il top, Scar si sentì
messa con le spalle al muro. Boccheggiò per alcuni istanti,
prima di recuperare il controllo. Le disse che si sentiva
più a suo agio coperta dal top e la pregò di
poterlo tenere. La signora titubò alcuni secondi, poi
acconsentì, guardandola con aria di rimprovero. Scarlett
cercò di non pensare a cosa sarebbe successo se
l'avesse scoperta. Sarebbe finita in un mare di guai.
La dottoressa la lasciò andare, facendole firmare delle
scartoffie e dicendosi soddisfatta, perchè era
guarità dalla sua malattia. Scar fece buon viso a cattivo
gioco mise in borsa il foglio che dichiarava ufficialmente
che era una persona nuova e sana.
Stava scendendo le scale, quando il cellulare cominciò a
squillare. Frugò nella borsa, cercando alla cieca l'oggetto
rettangolare. Quando riuscì ad afferrarlo e lo
portò davanti al viso, non riconobbe il numero che
lampeggiava sullo schermo. Rispose, fermandosi sul pianerottolo del
secondo piano.
«Pronto?»
«Scarlett, sei tu?» una voce maschile, vagamente
familiare, chiamò il suo nome. Scar aggrottò la
fronte.
«Sì, chi è?»
domandò, spostandosi più vicina al muro per
lasciar passare una signora.
«Scar, sono Harry.» il cuore le esplose nel petto.
«Harry, che succede?» chiese allarmata.
Perchè Harry la chiamava nel bel mezzo della giornata?
«Ero passato a casa tua per vedere come stavi, sai, non sei
venuta a scuola, solo che tuo fratello mi ha detto che eri a fare una
visita e che non ti avrei trovata a casa. Quindi sono qui
fuori.» l'ultima frase fu pronunciata con un sorriso sulle
labbra, percepì Scar.
«Qui fuori? Qui fuori dove?» domandò
Scarlett, allarmata. Lo sentì ridacchiare.
«Fuori dalla clinica, Scar. Sono in macchina.»
«Oh.- e ora? Sarebbe dovuta andare da lui e fare cosa? Come
si sarebbe dovuta comportare? -Va bene, allora arrivo.» il
primo pensiero che le affollò la mente fu come fare a
togliersi i pesetti di dosso. Glielo avrebbe detto chiaro e tondo,
pensò, scendendo l'ultima rampa di scale, lei non sarebbe
tornata con lui. Non poteva lasciarsi prendere da lui e dalla
situazione. Tutto quello che sarebbe potuto nascere non avrebbe fatto
bene a nessuno dei due.
Superò la reception, allontando il pensiero di Vanessa e
spinse le porte di vetro per usciree all'aria aperta. Si
coprì gli occhi con una mano dai raggi del sole, cercando la
macchina di Harry. Lo vide appoggiato al cofano di una Range Rover, le
mani nelle tasche anteriori dei jeans e gli occhiali da sole sul viso.
Quando la notò, ferma sulla soglia della clinica, sorrise,
incosciamente, e alzò un braccio per farsi vedere. Scarlett
rilasciò un sospiro per infondersi coraggio e si mosse verso
di lui, con passo incerto.
«Ciao, bellissima.» la salutò Harry, un
sorriso sornione che gli adornava il volto. Lo stomaco di Scar,
già messo a dura prova durante la giornata, fece un doppio
salto carpiato. Come l'aveva appena chiamata?
«Ciao...» mormorò lei, cercando di non
arrossire, ma fallendo miseramente il tentativo.
«Allora, com'è andata la visita?» le
chiese, interessato e lei dondolò sui talloni.
«Bene, superata senza problemi. Non devo più
preoccuparmi di ciò che mangio.» Scar aveva un
bellissimo sorriso, e Harry pensò che avrebbe dovuto
sorridere più spesso.
Lui non sapeva che problemi avesse Scarlett, ma potè farsene
un'idea da quello che aveva sentito dire in giro da qualcuno e da lei,
che adesso aveva parlato di cibo.
«Perfetto, allora dove andiamo a mangiare per
festeggiare?» le domandò, non sapendo quale
meccanismo aveva appena innescato.
Scarlett si sentì improvvisamente soffocare. Il suo stomaco
le stava ancora chiedendo pietà per la colazione che si era
costretta a ingerire, non poteva mangiare altro cibo. Harry
notò i suoi occhi blu sgranarsi di colpo e cercare una via
d'uscita dalla situazione in cui si era cacciata. Avrebbe quasi potuto
percepire le rotelle nella sua testa girare vorticosamente.
«Harry, io non posso venire, devo tornare a casa.»
sotto lo sguardo accigliato del ragazzo, Scarlett si sentì
messa alle strette. «Assolutamente.»
«Scar, andiamo. Mangiamo insieme e ti riporto a
casa.» insistette il ragazzo, guardandola dall'alto in basso,
ora dritto in piedi; non più poggiato alla macchina.
«No, Harry, davvero.» Scar scosse la testa, ma il
ragazzo non aveva la minima intenzione di lasciarla andare. Si
avvicinò alla portiera del passeggero e gliela
aprì davanti, incitandola a entrare. Scarlett
indugiò alcuni secondi, non avrebbe voluto salire, ma si
vide costretta dalle circostanze. Si bloccò con il piede
già dentro l'auto, quando si voltò
improvvisamente per parlargli.
«Vengo, ma ad una condizione.- attese che il ragazzo
annuisse, per poi riprendere. -Devo sistemare una cosa e per farlo,
devo sedermi dietro.» Harry la guardò confuso per
alcuni secondi, poi si riscosse.
«Va bene, come vuoi.» Mentre lui si sedeva al posto
del guidatore, lei si sistemava sui sedili posteriori.
Harry mise in moto e si immise nel traffico. Scarlett gli
voltò le spalle, girata in ginocchio verso il retro
dell'auto per non far vedere cosa stava facendo. Lui la
guardò dallo specchietto retrovisore, mentre armeggiava con
la maglietta. Aggrottò la fronte, non capendo le intenzioni
della ragazza. Si stava spogliando? La vide estrarre prima uno e poi
due oggetti rotondi e scuri e la sentì emettere un sospiro
di sollievo. Harry impiegò qualche secondo per collegare
ciò che aveva appena visto, alla situazione in cui si
trovava Scarlett. Accostò improvvisamente la macchina, nero
dalla rabbia. Scar non fece nemmeno in tempo a realizzare il motivo per
cui si era fermato, che Harry era sceso, aveva aperto la portiera
posteriore e le aveva afferrato malamente il braccio, la mano che
ancora stringeva il pesetto.
«E' così che hai superato la visita?»
Harry dovette controllarsi dall'urlare, mentre le scuoteva il braccio.
Lei era sospinta sempre più vicina a lui.
«Allora? Rispondi!» Harry la scosse ancora e il
pesetto cadde tra loro due, sul sedile di pelle nera.
«Harry, mi fai male.» sussurrò Scar,
un'espressione di dolore sul volto. Il ragazzo la lasciò
andare dopo qualche secondo.
«Siediti davanti.» le ordinò, la voce
fredda, prima di scendere e tornare al suo posto, alla guida. Il cuore
di Scarlett le stava martellando la cassa toracica. Aveva davvero avuto
paura che la potesse picchiare. Fece come le era stato detto e si
allacciò la cintura, mentre Harry partiva di nuovo.
Passarono minuti interminabili in un silenzio soffocante.
«Voglio tornare a casa.» mormorò
Scarlett, fissando dritta davanti a sè. Harry non le
rispose, non diede nemmeno segno di averla sentita e lei non
osò pronunciare un'altra parola.
Dopo circa dieci minuti di silenzio, quella situazione stava diventando
veramente insostenibile, pensò Scarlett. Prese il coraggio a
due mani e parlò.
«Harry, dove stiamo andando?» la voce della ragazza
non era mai stata così ferma e dura. Il ragazzo le
dedicò un'occhiata, prima di svoltare improvvisamente a
sinistra.
La cintura strusciò contro il collo di Scar. La pelle
delicata s'infiammò. Harry parcheggiò, frenando
con forza e Scarlett fu sbalzata in avanti. Poggiò il palmo
della mano aperto sul cruscotto, gli occhi impauriti e basiti fissi sul
ragazzo che le era accanto. Harry tolse le chiavi e scese dall'auto.
Scar stava ancora armeggiando con la cintura di sicurezza, quando la
sua portiera si aprì. Il ragazzo le porse la mano, per
aiutarla a scendere e lei la accettò, dopo qualche secondo
di esitazione. Scar saltò giù dalla macchina,
terribilmente alta, soprattutto per una come lei, che raggiungeva a
stenti il metro e sessantacinque.
Harry le tenne stretta la mano anche mentre stavano entrando nel
ristorante. Era un edificio arredato in modo molto rustico.
All'entrata, dietro un bancone, c'era il maitre, con un librone enorme
aperto davanti, per controllare chi entrava e chi usciva, poi la sala
si apriva in larghezza, con tavoli da due, da quattro e da sei,
sparpagliati secondo un ordine non apparentemente precisato. La stanza
era illuminata da due o tre lampadare che scendevano dal soffitto, ma
il risultato di penombra che si veniva a creare, donava un'atmosfera
intima e accogliente.
Se Scarlett non fosse stata trascinata lì con la forza e non
avesse avuto ancora la colazione di quattro ore prima ancora piantata
tra lo stomaco e l'esofago, avrebbe pensato lei stessa che quel posto
era carino.
«Styles, chi si rivede!» esclamò il
maitre, con una cadenza scozzese. Harry forzò un sorriso.
«Ehy, Jay! Ce l'hai un tavolo libero?» gli chiese
subito il ragazzo. Non aveva per niente voglia di stare a parlare con
lui, in quel momento.
«Certo, nessun problema. Tavolo per...- lo sguardo dell'uomo
cadde sulla piccola figura di Scarlett, che lo osservava, accanto a
Harry. -...due, giusto?» gli occhi del maitre sfavillarono di
una luce che a Scar non piaque per niente. Sussultò
impercettibilmente e si strinse più vicina a Harry,
nascondendosi dietro il braccio muscoloso di lui, che le strinse la
mano.
«Sì, per due, Jay.» la voce di Harry
avrebbe fatto rabbrividire il più spietato dei criminali, in
quel momento.
Furono guidati da un cameriere a un tavolo appartato, lontano da occhi
indiscreti. I due si accomodarono uno di fronte all'altra e il
cameriere gli lasciò i menù. Scarlett lo
aprì davanti al viso, in modo da non mostrare le espressioni
che la attraversarono, mentre leggeva i nomi delle pietanze. Davvero
tante emozioni. Lei stessa faceva fatica a capire quali emozioni
fossero, non più abituata. Ma la rabbia, la rabbia era
lì, presente come non mai. Quella la sentiva. Avrebbe voluto
alzarsi da quello stupido tavolo, voltare le spalle a quel ragazzo che
nemmeno la conosceva e lasciarlo lì a mangiare i piatti che
quel maleducato si era appena preso la libertà di ordinare
anche per lei. Scarlett poggiò il menù sul tavolo
con ben poca delicatezza, appena il cameriere se ne fu andato. Harry la
stava guardando e quando i loro occhi si incontrarono avrebbero potuto
mandare in fiamme l'intero locale.
«Non ho neppure il diritto di ordinare ciò che
voglio?» domandò pungente Scar.
«No,- la voce di Harry era terribilmente dura. -No, non ce
l'hai.»
Rimasero in silenzio finchè non arrivarono i piatti.
Scarlett giocava con le molliche della fetta di pane che aveva appena
ridotto in piccoli pezzi, senza neanche rendersene conto, sotto gli
occhi attenti di Harry. Lui la guardava e non capiva. Insomma, la
maggior parte delle persone la guardava e non la capiva, anzi, a volte
era spaventata, addirittura, come se quella minuta ragazzina potesse
trasformarsi in un mostro da un momento all'altro; ma lui no. Lui la
guardava e si chiedeva come. Come faceva una ragazza come lei,
così piccola e all'apparenza così debole e
indifesa, a sopportare tutto questo?
Sotto tutti gli strati di rabbia (ed erano tanti), di dolore e di
tristezza, Harry ammirava quella piccola peste. La guardava, mentre
ammucchiava tutte le molliche da un lato della tovaglia e poi le
spargeva, per poter ricominciare lo stesso rito, dall'altro lato, e
pensava che se fosse stato lui al suo posto, lui che era grande e
grosso, lui che giocava nella squadra di football, lui che aveva
affrontato il divorzio dei suoi senza fare una piega, apparentemente, e
lui che ora viveva con suo padre, felicemente risposato, mentre sua
madre era a disintossicarsi, in qualche clinica, lui non sarebbe
riuscito ad affrontare tutto ciò che aveva affrontato Scar
con la sua stessa forza. Lei alzò gli occhi su di lui.
«Beh? Qualche problema?» gli chiese, insolente e
lui le sorrise con quel suo ghigno da non-provocarmi.
«Oh, parecchi problemi, credimi.» le rispose lui e
lei alzò gli occhi al cielo.
Con rammarico e una lamentela da parte del suo stomaco, Scar apprese,
dieci minuti dopo, che Harry aveva ordinato, per entrambi, due grandi
piatti di spaghetti al ragù.
Attese educatamente che il cameriere gli avesse consegnato i piatti e
si fosse allontanato con passo leggero, prima di fissare gli enormi
occhioni blu in quelli verdi di Harry.
«Io...non credo che...» balbettò
qualcosa e lui le sorrise di nuovo, incoraggiante, questa volta.
«Ce la fai, Scar.» le disse, poggiando la sua
grande mano su quella piccola ed esile di lui, abbandonata sul tavolo,
chiusa a pugno intorno alla forchetta. Lei scosse la testa.
«Harry, non posso farcela.» sussurrò
Scar, mentre fissava quel piatto di pasta, come un bambino fissa il
proprio armadio, di notte, attendendo che esca un terribile mostro, da
un momento all'altro.
«Scar, va tutto bene. Devi solo mangiare quella
pasta.» sussurrò Harry, stringendole la mano tra
le sue dita. Quello sguardo nei suoi occhi gli metteva paura. Era lo
sguardo di una bambina spaventata.
«Perchè?» mormorò lei, il
volto basso, gli occhi fissi sul suo piatto. Harry aggrottò
la fronte.
«Perchè ti farà bene, non
puoi...» fece per dire lui, ma Scarlett scosse la testa e
finalmente lo guardò.
«No. Perchè proprio tu, adesso, sei
qui?» specificò lei e i suoi occhi,
improvvisamente, nascosero tutta la paura che lui aveva visto qualche
secondo prima.
Quella domanda lo spiazzò. Perchè era
lì? Forse si sentiva in colpa per averle gettato addosso il
pranzo di Niall e ora stava tentando di alleggerirsi la coscienza. Ma
Harry sapeva che il motivo non era quello. C'era qualcosa di
più profondo in quello che stava dacendo. Sua madre era
finita in clinica e lui non aveva fatto nulla per aiutarla. Voleva
aiutare Scarlett. Non voleva lasciarla sola.
Scrollò le spalle.
«Voglio solo aiutarti, Scar.» le rispose
semplicemente lui e rimasero alcuni secondi a guardarsi. Lei voleva
vedere se quello che diceva era la verità, voleva leggergli
negli occhi e lui lasciò che lo facesse. Per la
prima volta da anni, lasciò che qualcuno gli guardasse
nell'anima.
Scarlett sospirò pesantemente, capendo che era sincero e
tornò sul suo piatto. Liberò la mano da quella di
Harry e arrotolò un boccone di spaghetti intorno alla
forchetta. Aveva ancora la colazione nello stomaco ed era
più che certa che lo spazio disponibile che aveva in corpo,
non sarebbe bastato per quell'enorme piatto.
Harry la guardò mangiare, attento. Non le toglieva gli occhi
di dosso. Sapeva che le sarebbe bastato mezzo secondo per poter far
scomparire magicamente gran parte del suo pranzo e, in effetti, Scar
aveva già in mente un piano, ma non riuscì ad
attuarlo sotto lo sguardo vigile del suo accompagnatore.
Aveva inghiottito almeno tre quarti della pasta e Harry la guardava, da
sopra il suo, ormai da molto, piatto vuoto.
Alzò gli occhi su di lui, lo stomaco perforato da forti
fitte, che la stavano dilaniando.
«Harry, ti prego...» sussurrò, poggiando
entrambe le mani sulla tovaglia.
Lui la guardò imperscrutabile.
«Mangia.» ordinò solo e Scar si rese
conto di odiarlo. Perchè non capiva? Perchè non
dipendeva da lei o dalla sua volontà? Perchè non
capiva che ogni boccone che teneva sulla lingua, il suo stomaco si
rifiutava di inghiottirlo, obbligandola a trattenere gli impulsi a
rimettere?
«Harry, te ne prego. Non. Posso.» disse a denti
stretti.
«Scarlett, non ci alzeremo da qui finchè non avrai
pulito quel piatto.» il suo tono duro non fece altro che far
riaffiorare la rabbia di poco prima. Gli lanciò una delle
sue occhiatacce e decise che aveva finito di farsi trattare come una
bambina.
Sotto lo sguardo attento e curioso di Harry, si chinò di
lato, sollevò la propria borsa e la aprì sopra le
sue gambe, ne estrasse il portafogli e poggiò una banconota
da venti sterline sul tavolo, con un tonfo sordo.
«Bene, allora me ne vado da sola.»
sbottò, alzandosi in fretta, mentre Harry la guardava
esterrefatto. Trattenne ancora i conati che le salivano alla gola, si
mise la borsa in spalle e gli voltò la schiena, avviandosi
di gran passo verso l'uscita.
Superò il maitre, senza degnarlo di uno sguardo, mentre le
diceva preoccupato e fin troppo premuroso se avesse bisogno di qualcosa.
«Scar.» la voce profonda di Harry le
arrivò terribilmente vicina.
Maledizione, doveva vomitare e non era intenzionata a farlo davanti a
lui.
«Vattene.» gli urlò lei, accelerando il
passo, senza voltarsi a guardarlo.
«Scarlett!» la richiamò e
percepì le sue dita sfiorarle il braccio. Scar
sussultò, mettendosi a correre, ignorando il cibo che le
rimbalzava nello stomaco.
Superò la macchina di Harry e si buttò in mezzo
alla strada, con l'intenzione di raggiungere l'altro lato
della via, dove si apriva un piccolo parchetto, coperto da
alberi alti e pieni di foglie.
Nello stesso istante, la voce allarmata e piena di paura di Harry che
chiamava il suo nome, si mescolò al suono di un clacson e
delle stridore delle gomme sull'asfalto. La macchina frenò
appena in tempo e Scarlett mise di riflesso le mani sul cofano caldo
dell'auto, il sangue raggelato nelle vene.
Continuò a correre e venne nascosta dagli alberi. Il
conducente attese che anche Harry gli sfrecciasse davanti, si
assicurò che stessero entrambi bene e poi ripartì.
Scarlett si appoggiò contro il primo tronco che
trovò, piegandosi in avanti, scossa dai conati.
Continuava a ripetersi che non poteva, che non voleva, che non doveva;
non davanti a lui, non così.
Harry le poggiò una mano sulla schiena, come sostegno.
Scarlett fece un debole tentativo di mandarlo via, ma la sua mano non
accennò a sparire.
«Scar, non ho intenzione di lasciarti da sola. Quindi, fa'
quello che vuoi, io non me ne vado.» le disse, il tono che le
trasmise un'incredibile sicurezza, nonostante fosse sul punto di
vomitare anche l'anima.
Harry le prese i capelli tra le mani e glieli tenne lontani dal viso.
Scarlett pianse, pianse con tutta se stessa, perchè non era
in grado di mangiare un fottuto piatto di pasta come tutte le altre
persone. Chi era diventata? Poteva odiarsi più di
così? Si appoggiò al tronco, la schiena a
contatto con il legno duro, Harry le porse un fazzoletto di stoffa, che
si passò sopra le labbra, le lacrime che le scendevano
ancora lungo le guance.
«Mi dispiace.» mormorò, la voce rotta
dai singhiozzi. Lui la guardò confuso, dall'altro del suo
metro e ottantotto.
«Scar, non ti scusare.» le accarezzò una
guancia, asciugandole le lacrime con il pollice.
«E' che...io...non volevo...» singhiozzò
lei, coprendosi il viso con le mani. Harry la strinse d'istinto contro
il proprio petto, stringendole le braccia intorno alla schiena. Lui
poggiò il naso tra i suoi capelli, odorandone il profumo,
chiuse gli occhi, concentrandosi sul respiro spezzato della ragazza che
aveva fra le braccia.
«Io lo so che è difficile, Scar, davvero. Mi
distrugge vederti così, ma bisogna superarlo, e se non ci
riuscirai da sola, allora ci sarò io a guidarti sulla retta
via.» Harry attese qualche secondo, poi Scar alzò
il viso e puntò gli occhioni blu e bagnati come l'oceano in
tempesta, dentro quelli verdi e preoccupati di lui. Lo
guardò a lungo e, di nuovo, si sentì vulnerabile;
non poteva più nascondere ciò che gli
attraversava la mente, non davanti a Scarlett. Improvvisamente, la
ragazza si aprì in un timido sorriso che lasciò
Harry senza fiato. Era il primo vero e proprio sorriso che gli faceva.
«Come il grillo parlante?» gli domandò
inaspettatamente e lui rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi rise
e la sua risata gli rimbombò nel petto e si diffuse nel
petto di Scarlett, contagiandola con quel suono meraviglioso, a detta
di Scar.
Si chiese perchè, se Harry aveva una risata così
bella, perchè non rideva più spesso?
E, se può servire come risposta, io posso soltanto dire che
Harry pensò la stessa identica cosa.
«Sii sempre come il
mare,
che infrangendosi contro gli scogli,
trova sempre la forza di riprovarci.»
-Jim Morrison
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Capitolo 7 *** E' finita. ***
6.
-E' finita.-
«Siamo
arrivati.» annunciò Harry, fermando la macchina
davanti il vialetto di casa di Scar.
«Dovrei
aver paura del
fatto che sapevi già dove vivo, senza che ti dicessi
nulla?» chiese lei, cercando di nascondere
l'ilarità.
Harry ridacchiò, slacciandosi la cintura di sicurezza e
girando
il busto verso di lei.
«Scar,
tuo fratello
è uno dei giocatori più forti della squadra di
basket
della scuola. Di solito, quando si vince una partita, si organizzano
feste, si conoscono persone...» Harry lasciò in
sospeso la
frase e Scarlett sbarrò gli occhi.
«Hai
conosciuto mio
fratello a una festa?» gli chiese, guardandolo in un modo che
lui
non riuscì a interpretare.
«Sì,
qualche
mese fa. Aveva vinto una partita e la festa era a casa sua.»
aggrottò la fronte, cercando di capire i pensieri della
ragazza.
Ovviamente, preferì omettere il motivo per cui lui e il suo
gruppo si trovavano a una festa di ragazzi di due anni più
piccoli, organizzata per la vittoria di una partita di basket, per
giunta. Harry ricordava perfettamente quanto gli incassi fossero andati
bene quella sera.
«Io...non
sapevo
organizzasse delle feste.» borbottò Scar,
rendendosi conto
che si era persa sei mesi importanti nella vita di suo fratello. Forse
anche di più; negli ultimi tempi prima del ricovero, non era
quasi mai lucida, colpa delle pasticche, della droga, dei frequenti
svenimenti che la colpivano. Mai, prima di quel momento, aveva tanto
desiderato di poter essere come tutte le altre ragazze.
Harry
intuì i suoi sentimenti e cercò di portare la
conversazione verso un altro tema.
«Beh,
non ne ha
organizzate tante. Sai, alla fine la squadra che vince di
più
è quella di football.» si vantò,
assumendo una
finta aria di superiorità.
Scarlett
lo guardò
per alcuni istanti confusa, poi capì cosa stava cercando di
fare
e decise di assecondarlo. Non aveva voglia di buttarsi giù,
dopo
essersi appena ripresa e dopo la magnifica piega che stava prendendo la
giornata.
«Beh,
Styles, immagino
che questo non abbia nulla a che fare con il fatto che tu faccia parte
di tale squadra, o sbaglio?» Scarlett alzò un
sopracciglio, fingendo un tono da donna con la puzza sotto il naso.
Notò che Harry stava cercando di trattenere un sorriso.
«Sbagli,
mia cara
Jones. Io sono il fulcro di tale squadra. E' ovviamente grazie a me se
stiamo vincendo il campionato.» continuò lui,
guardandola
dall'alto in basso e Scarlett non riuscì più a
evitare di
scoppiare a ridere. Gli diede un piccolo, scherzoso pugno sulla spalla,
ancora ridendo.
«Ma
smettila, pavone.» il suono della risata di Scarlett lo fece
sorridere.
«Tu
mi sottovaluti,
Jones.» le disse, in tono minaccioso e Scarlett
alzò
nuovamente il sopracciglio, trattenendo a stento le risa.
«Ma
come diavolo fai?!» sbottò Harry, avvicinando il
viso a quello di lei.
«Faccio
cosa?» la curiosità nella sua voce.
«Alzare
il
sopracciglio. Io non ci riesco.» spiegò e Scarlett
lo
guardò, cercando di capire se era veramente serio, ma quando
lo
vide tirare fuori la lingua, incastrarla tra le labbra e incrociare le
iridi verdi, facendo un evidente sforzo sovrumano per tentare di
muovere un sopracciglio solo, non ebbe dubbi. Harry era terribilmente,
irreparabilmente, comicamente serio.
Scarlett
scoppiò a
ridere forte, di una risata vera, così cristallina che Harry
s'immobilizzò a quel suono, la lingua ancora tra le labbra,
mentre la guardava contorcersi sul sedile di pelle della sua auto.
Poteva esserci uno spettacolo più bello?
«Styles,
mi sorprendi
ogni giorno di più.» disse lei, ancora scossa
dalle
risate, mentre poggiava una mano sulla maniglia della portiera e la
apriva, scendendo, seguita, pochi secondi dopo, da Harry.
«Lo
prendo come un
complimento.» lui la guardò dall'alto al basso,
sorridendole sornione e lei alzò gli occhi al cielo.
Senza dire
un'altra parola,
entrambi si avviarono lungo il vialetto di casa di Scar, quando,
improvvisamente, ormai quasi arrivati alla porta, lei
sussultò.
«Harry,
i pesetti sono
rimasti in macchina!» esclamò, guardandolo. Lui si
rabbuiò, ricordando a cosa le erano serviti quei pesetti.
«Non
puoi lasciarli lì? Me ne occupo io dopo.»
tentò allora di convincerla, ma Scar storse le labbra.
«Non
sono miei. Li usa
mio fratello per allenarsi.» gli spiegò, con occhi
che lo
analizzavano attentamente. Non capiva cosa passasse per la mente di
quel riccio terribilmente bello. Lui capì subito che non
c'era
possibilità di poterla convincere.
«Questo non mi stupisce. Non sembri il tipo che fa
pesi.»
scherzò, un sorriso a trentadue denti che
contagiò anche
Scarlett, prima che lui le stringesse il braccio, con una mano.
Quell'improvviso
contatto,
pelle contro pelle, la fece rabbrividire. Fu come se una scossa avesse
attraversato i loro corpi, tanto che anche Harry percepì
quell'energia tra loro. Scarlett gli sorrise debolmente, scostandosi
dal suo tocco, prima di tornare alla macchina e raccogliere i dischetti
neri da un chilo ciascuno, che erano stati abbandonati sul pavimento
dell'auto.
Ripercorse i suoi pessi a ritroso, cercando di ignorare la presenza di
Harry, che la stava guardando in modo strano, che Scar non
riuscì a decifrare. Eppure lei era sempre stata brava a
capire
gli stati d'animo delle persone che la circondavano. Stava per infilare
le chiavi di casa nella toppa, quando la porta si aprì
improvvisamente, facendo sussultare entrambi i ragazzi. Mike li stava
guardando tra l'incuriosito e il sorpreso.
«Mike!» esclamò lei.
«Scar, com'è andata...- poi notò la
figura alta di
Harry, che si stagliava dietro quella minuta di sua sorella, -Styles,
che ci fai qui?» aggrottò le sopracciglia,
lasciando che
il suo lato di fratello iperprotettivo prendesse la meglio.
Harry fece per dirgli che era andato a prendere Scar in clinica e che
poi erano passati in un ristorante per pranzo, ma la ragazza lo
precedette.
«Un progetto per scuola.» spiegò lei,
semplicemente,
e gli occhi di Harry schizzarono subito sulla schiena della ragazza,
non capendo cosa stesse facendo.
Mike sembrò dubbioso inizialmente, ma quando vide che Harry
non
obiettava, si convinse che quella fosse la verità. Poi
notò gli oggetti neri che Scarlett aveva tra le mani e li
riconobbe all'istante.
«Perchè hai tu i miei pesetti per gli
allenamenti?»
continuò il suo terzo grado, tornando al suo tono da
poliziotto
cattivo. A Harry sembrò di essere finito in una dei soliti
interrogatori ai quali era stato sottoposto fino a qualche tempo prima,
per i soliti problemi di spaccio.
Questa volta lui attese che Scarlett confidasse al fratello tutta la
verità, credendo che dopo ciò che era succcesso
durante
il pranzo, lei avesse capito cos'era giusto fare, invece la
velocità impressionante con cui riuscì a
inventarsi una
bugia lo lasciò interdetto.
«Per il progetto di fisica. Stiamo studiando le leve e tutte
queste cose qui e ci servivano dei pesi.» spiegò
semplicemente e Harry si chiese come fosse possibile che Mike non si
accorgesse per niente che la sorella gliela stava facendo sotto al naso.
«Ok, come volete. Io sto uscendo per gli
allenamenti.» il
fratello ritornò dentro casa e Scar fece per seguirlo, ma
Harry
le afferrò un braccio.
«Ancora bugie?» parlò con una strana
nota di rimpianto nella voce.
«Non potevo dirgli la verità.» si
giustificò
Scarlett, scrollando le spalle e, di nuovo, provò a entrare
dentro casa, ma la presa di Harry era ferrea.
«Si può sempre dire la
verità.» disse lui e
Scarlett alzò gli occhi al cielo, strattonando via il
braccio
dalla presa del ragazzo.
«Senti, grillo
parlante,
smettila di sparare queste stronzate filosofiche. Non ho
tempo.»
Scarlett parlò con tono talmente duro che Harry ne rimase
sorpreso.
«Adesso, se non ti dispiace, devo andare. E' stato un piacere
e
grazie per il pranzo.» finalmente Scar riuscì a
entrare e
fece per chiudere la porta, ma la voce di Harry la fermò.
«Scar, io sono qui per aiutarti. Non c'è bisogno
che fai
l'eroina.» Nello stesso istante in cui le parole gli furono
uscite di bocca, avrebbe voluto rimangiarsele tutte.
L'espressione di Scar s'indurì spaventosamente, non
permettendo
più a Harry di poter leggere le emozioni che la
attraversavano.
Il muro era tornato al suo posto, tra Scarlett e il resto del mondo;
Harry compreso.
«Non ti ho chiesto aiuto, Harry. Puoi anche smettere di
comportarti come se ti dovessi qualcosa.» parlò
con lo
stesso tono di poco prima e a Harry venne la pelle d'oca. Odiava quando
Scar parlava in quel modo.
«No, non mi hai chiesto aiuto, ma io non ho intenzione di
lasciarti sola, te l'ho già detto.» la
conversazione stava
superando la sottile soglia tra accesa discussione e litigata del
secolo.
«Beh, puoi tornare anche a casa. Non ho bisogno di
te.»
detto questo, la porta venne chiusa con un tonfo, che fece sobbalzare
Harry.
Scarlett davvero non voleva trattarlo male, ma il suo istinto di
autoconservazione aveva prevalso, ancora una volta. Avrebbe voluto
aprire la porta e corrergli incontro, per abbracciarlo stretto e
chiedergli scusa, eppure rimase lì, con la schiena poggiata
contro il legno lavorato del portone di casa, ad ascoltare il rombo del
motore dell'auto di Harry accendersi, allontanarsi e poi sparire in
lontananza.
Si trascinò al piano di sopra, consegnò i pesetti
al
fratello e si chiuse in camera, abbandonandosi sul letto, scoppiando in
lacrime.
Come poteva rovinare sempre qualsiasi cosa bella le capitasse?
Ma una cosa, sopra le altre, la spaventò a morte.
Da quando Harry era diventato una cosa bella, nella sua vita?
Un lontano trillo la ridestò dal suo stato catatonico. Ci
mise
alcuni secondi per capire che quel lontano trillo era il suo telefono
che squillava, perso nelle profondità remote della sua
borsa, e
impiegò altri secondi per decidere se rispondere o no.
L'immagine di Harry che la chiamava per fare pace si fece largo nella
sua mente e in meno di un attimo si precipitò a rispondere.
Quando lesse il nome di Amy che lampeggiava sullo schermo non
potè far altro che esserne delusa. Rispose comunque.
«Pronto?» la voce roca e impastata a causa delle
ore passate a piangere, in silenzio.
«Scar? Sono Amy, stai bene?» l'amica si era
ovviamente
accorta dello strano tono che aveva assunto la sua voce. Scarlett
tossì leggermente.
«Sì...sì, tutto bene, Amy, tranquilla.
Che
succede?» era strano che la rossa la chiamasse. Probabilmente
aveva bisogno di qualcosa. La sentì balbettare leggermente,
cercando le parole giuste per iniziare un discorso.
«Ehm...mi chiedevo se volessi venire in un locale,
stasera.» disse, finalmente, Amy e Scar sospirò
pesantemente. Ma proprio quando stava per declinare gentilmente
l'invito, lei proruppe in una nuova informazione.
«Vengono anche Niall e gli altri, ovviamente.»
continuò Amy e le parole di Scar le morirono in gola. Forse
non
sarebbe stata proprio una cattiva idea andare in quel locale. Aveva
bisogno di parlare con Harry e chiarire ciò che era successo
quel pomeriggio. L'ultima cosa che voleva era litigare con lui e
perderlo. Si rese stranamente conto che, per la prima volta dopo un
tempo che a Scar sembrava infinito, si era affezionata a qualcuno e non
era pronta a perderlo e, con lui, anche quel poco di umanità
e
felicità che era riuscita a conquistare faticosamente.
«Va bene, io ci sono.» assentì, quindi
Scar ed Amy emise un urletto di gioia.
«Perfetto, allora ti passo a prendere tra due ore.»
la
avvertì e Scarlett si chiese perchè l'amica aveva
l'urgenza di vederla così presto. Poi il suo sguardo cadde
sull'ora e si rese conto che erano le otto di sera.
Maledizione, ma quanto
ho dormito?
Le disse che andava benissimo e poi attaccarono. Scese al
piano
di sotto, cercando il fratello per avvertirlo che quella sera sarebbe
uscita e che non sarebbe tornata a casa presto. Lo trovò in
cucina che cenava.
«Ehy Mike.» lo richiamò alla
realtà,
vedendolo perso in chissà quali pensieri, lo sguardo perso
nel
vuoto. Gli occhi di lui corsero subito sulla sorella.
«Scar.» Mike la salutò con un cenno del
capo.
Scarlett si poggiò allo stipide della porta con il corpo e
incrociò le braccia al petto.
«Stasera esco. Non mi aspettare alzato.» gli disse
e
aggrottò la fronte davanti allo strano sguardo negli occhi
del
fratello.
«Sì, esco anch'io.» era completamente
perso nel suo
mondo. Scarlett abbandonò la sua precedente posizione, per
andarsi a sedere accanto a lui. Gli prese le mani fra le sue e lui
sembrò risvegliarsi dal nuovo stato catatonico in cui era
finito.
«Che succede?» chiese allora lei, da sorella
maggiore
apprensiva quale era. Lui scosse il capo, forse come segno di una
risposta a lei, o forse per scacciare tutti quei pensieri che gli
affollavano la mente, sperando, magari, che scivolassero fuori dalle
orecchie e lungo le spalle e che se ne perdessero per sempre le tracce.
«Mike.- lo richiamò lei, il tono di voce
perentorio. Gli
occhi del fratello erano di nuovo su di lei. -Forza. Parla.»
non
lo disse in tono duro, esigente, ma, bensì, lo disse con una
dolcezza che indusse il ragazzo ad aprirsi con la sorella.
«Problemi con una ragazza. Nulla di serio.»
scapeggiò lui, scrollando le spalle. Sicuramente, era un
problema serio, se Mike era ridotto in quello stato. Magari questa
ragazza era importante. Scar gli sorrise. Il suo fratellino alle prese
con il primo amore. Quel sorriso scaldò il cuore di Mike.
Non la
vedeva sorridere così da davvero tanto tempo, troppo.
«Mike, io non lo so di preciso che generi di problemi sono,
però se ci tieni davvero diglielo e, soprattutto, non
lasciarla
scappare.» glielo disse con tutto l'amore fraterno che aveva.
Una
cosa aveva imparato da questo schifo di vita: non lasciarsi sfuggire le
occasioni, e voleva che suo fratello lo capisse, senza dover affrontare
tutto il dolore che aveva dovuto sopportare lei.
Gli occhi di Mike si addolcirono. Quella era la sua sorellona.
«Grazie Scar.» le disse e nel suo sguardo, la
sorella
potè leggere tutto il bene che Matt provava per lei. Ne fu
sorpresa. Non si aspettava tutto quell'affetto.
«Di nulla, fratello.» rispose lei, un grande
sorriso che le
adornava il viso. Uscì dalla cucina e salì in
camera per
prepararsi.
Non aveva la più pallida idea di cosa mettersi. Per non
parlare
della voglia che aveva di rinchiudersi in un locale, con la musica
talmente alta da non riuscire a parlare, tra corpi sudati che si
dimenano, cercando di seguire il ritmo e di conquistare qualcuno. Come
pavoni che aprono la loro coda, esibendo piume di colori sgargianti per
attrarre la femmina e spaventare possibili avversari.
Aprì l'armadio alla ricerca dell'abito perfetto,
passò in
rassegna le grucce più volte, come se a ogni nuovo giro
comparissero nuovi vestiti. Ne estrasse almeno una decina, che poi, si
chiese, che diavolo ci faceva con più di dieci vestiti
nell'armadio, non lo sapeva, ma, ogni volta che si metteva davanti lo
specchio, scartava a priori l'abito.
Si guardava e l'unica cosa che poteva fare era disprezzarsi. Il viso si
contraeva in una smorfia di disgusto. Sembrava che chiunque vedesse in
lei dei miglioramenti, tranne che lei.
Miglioramenti? Dove? Glielo dicevano solo per farla ricominciare a
mangiare. Credevano che fosse stupida, che fosse pazza, da rinchiudere.
Non vedevano ciò che vedeva lei.
La gente non voleva vedere ciò che vedeva lei. La gente
aveva paura di farsi contagiare dai suoi problemi. La gente aveva
l'infondata quanto stupida paura che starle troppo vicino a lei li
avrebbe trasformati nel mostro che lei stessa stava cercando di
combattere da quasi un anno.
Optò per uno dei tanti vestiti che aveva estratto
dall'armadio. Si truccò con eyeliner e un rossetto che
metteva in risalto le labbra carnose e un paio di scarpe con il tacco.
Non si sentiva per niente a proprio agio in quegli abiti. Preferiva di
gran lunga i suoi jeans e le sue felpe, ma non poteva di certo andare
in discoteca con i suoi vestiti più comodi. Doveva almeno
dare l'impressione di stare meglio. Se la gente, i suoi genitori o suo
fratello, si fossero accorti che c'era ancora qualcosa che non andava,
non avrebbero esitato a rinchiuderla di nuovo in quella clinica che
ancora sognava. Quella clinica che era ancora al centro dei suoi incubi.
Afferrò la pochette e il cappotto quando ricevette un sms da
Amy che la avvertiva di essere davanti casa sua. Lanciò un
urlò a Mike, dicendo di star uscendo e poi si chiuse il portone alle
spalle.
Saltò nella macchina di lusso della sua amica e si
salutarono con un bacio sulla guancia.
«Sei splendida, Scar.» le disse Amy e Scarlett
ridacchiò leggermente. Non ci poteva fare nulla. Aveva
imparato a non credere ai complimenti; ogni volta che qualcuno le
diceva che stava bene truccata così, o che quel vestito le
donava, o anche solo che era bella, Scarlett rideva perchè
si sentiva presa in giro.
«Grazie, anche tu stai alla grande.» ma aveva anche
imparato a fingere di crederci e a spostare la conversazione su un
altro argomento.
«Quel vestito è stupendo! Dove l'hai
comprato?» le chiese Scar e fece il massimo per fingersi
interessata al fantastico
negozio che Amy stava elogiando da quando era salita in
macchina.
Finalmente c'era silenzio nell'abitacolo e Scar si sentì
improvvisamente in ansia. Stava per rivedere Harry e doveva scusarsi.
Doveva assolutamente trovarlo, tra tutta la folla, e chiedergli scusa
per come si era comportata quel pomeriggio. E se lui non avesse
più voluto parlarle? E se l'avesse ignorata? Se lei non
fosse stata in grado di fargli capire quanto le dispiace? E se, ancora
peggio, lui non fosse venuto alla festa?
«...Scar mi stai ascoltando?» la voce di Amy fece
breccia nei pensieri affollati della ragazza, che scosse la testa e si
concentrò di nuovo sull'amica.
«Sì, scusa ero sovrappensiero.» Amy le
lanciò un'occhiata incuriosita, ma non disse nulla di quella
piccola gaffe.
«Stavo dicendo che tu dovresti scendere e metterti in fila,
mentre cerco parcheggio. Dovrebbero esserci Niall e gli altri ad
aspettarci. Devi solo trovarli.» le spiegò e Scar
sentì il cuore sprofondarle nello stomaco. Non conosceva
quel posto e c'era troppa gente. Non poteva camminare tra tutte quelle
persone e sperare di trovare anche i cinque ragazzi.
«Va bene.» rispose, nonostante tutto. Non era una
ragazzina e poteva affrontare un po' di folla.
Le due ragazze si salutarono e Scar scese dall'auto. Il posto era
enorme. Un grande parcheggio illuminato da qualche lampione, circondava
il grande edificio a più piani che fungeva da discoteca. A
Scarlett il posto sembrava più un magazzino abbandonato, ma
continuò la sua ricerca. Persone di ogni tipo le passavano
accanto. Si strinse le braccia al petto, in cerca di protezione.
Individuò la fila per l'entrata, che sembrava non finire
più. Due buttafuori enormi decidevano chi poteva
oltrepassare la soglia della discoteca e chi no. Osservò le
persone che erano in fila, cercando i cinque ragazzi, di cui,
però, non c'era nemmeno l'ombra.
Si mise in fila comunque, abbassò lo sguardo sulle proprie
scarpe, lisciandosi la gonna del vestito con le mani, in un gesto di
nervosismo. Il pensiero che magari Harry aveva trovato di meglio da
fare che andare in discoteca il venerdì sera, stava
iniziando a insinuarsi nella sua mente. Era spaventata. Non sarebbe mai
andata in quel posto sconosciuto se avesse saputo che Harry non sarebbe
stato lì. Mentre faceva dei respiri profondi, per calmarsi,
una mano le si posò sulla spalla, facendola sussultare.
«Scar! Alla fine sei venuta!» esclamò
Liam, sorridendole dolce. La speranza tornò a diffondersi
nelle sue vene, mentre alzava lo sguardo e lo posava sui ragazzi. Liam,
Niall, Louis, Zayn e Harry. I primi due le sorridevano, gli altri due
sembravano piuttosto annoiati, ma non avevano accennato a darsela a
gambe, quando l'avevano vista, Harry, invece, cercava di non guardarla
affatto. I suoi bellissimi occhi verdi si focalizzavano su qualsiasi
altra cosa, piuttosto che su di lei.
«Amy sta parcheggiando. Ora arriva.» li
avvertì lei e loro annuirono, mentre la fila scorreva. Scar
notò che, nonostante non stesse simpatica a 2/5 del gruppo e
che avesse litigato con 1/5, non accennavano ad andarsene. Forse
aspettavano arrivasse Amy e poi sarebbero spariti, ognuno per la
propria strada, lasciandola sola, eppure, anche quando
arrivò la rossa, i ragazzi non sparirono, anzi, si strinsero
intorno alle due ragazze, in un atteggiamento quasi protettivo. Amy
sembrava non farci caso e forse nemmeno gli altri lo facevano
intenzionalmente, ma Scar, con gli anni, aveva sviluppato un
particolare senso di osservazione e poteva metterci la mano sul fuoco
che non si stava sbagliando.
Ciò che la ragazza non sapeva, però, era un
particolare non propriamente trascurabile: Harry aveva chiesto agli
altri ragazzi di rimanere vicino anche a Scar, perchè non
sapeva se sarebbe stata in grado di gestire tutte quelle persone.
Ebbene sì, anche se non gli era piaciuto come si era
comportata quel pomeriggio, non aveva intenzione di lasciarla sola.
«Harry...» la ragazza si avvicinò a
Harry e gli sfiorò la mano, trovando il coraggio di
stringerla, convincendosi che fosse solo per attirare la sua
attenzione, ma dentro di lei sapeva perfettamente che aveva bisogno del
contatto con la sua pelle. Gli occhi di Harry si concentrarono su di
lei.
«Scarlett.» le disse, non accennando a voler
allontare la mano dalla stretta della ragazza. Aveva percepito una
certa energia quando le loro dita si erano intrecciate.
Scar aveva aperto la bocca per pronunciare le sue scuse, quando un
gruppo di ragazzi circondò Harry, escludendola e
costringendo i due a lasciarsi le mani. Prima che Harry fosse inglobato
in una conversazione le lanciò uno sguardo per farle capire
che accettava le sue scuse e Scar si sentì improvvisamente
più leggera.
Il rumore si stava facendo più assordante e quando entrarono
nel locale, divenne praticamente impossibile parlare. Amy le
mimò di andare al bar per prendere qualcosa da bere e poi
iniziare a ballare. Si accorse che i ragazzi continuavano a
non allontanarsi da Scar ed Amy. Niall fulminava chiunque si
avvicinasse alla sua ragazza, anche solo per salutarla e anche se erano
ragazze. Scar sorrise tra sè e sè, trovando dolce
la gelosia del biondo. Presero dei cocktails per iniziare bene la
serata e Scar si accorse che non reggeva molto bene l'alcool.
La testa aveva già iniziato a girarle e si sentiva
terribilmente più leggera. Aveva la sensazione di volare,
anzichè toccare il pavimento.
Harry li raggiunse qualche minuto dopo e poggiò una mano
sulla schiena lasciata scoperta dal vestito di Scar. Lei
percepì la scossa di energia, tanto forte quanto
inaspettata.
«Scar andiamo a ballare!» urlò Amy
all'orecchio dell'amica per farsi sentire. Scarlett avrebbe voluto
dirle che preferiva stare lì, con la rassicurante sensazione
della mano calda di Harry sulla schiena, ma la ragazza la prese per un
braccio e la trascinò in pista, sotto lo sguardo attento di
Harry.
Non le tolse gli occhi di dosso, nemmeno quando sembrava star parlando
con amici di amici, quando sembrava stesse ordinando qualcosa da bere,
nemmeno quando parlava con Louis per decidere il prezzo al grammo. La
osservava attentamente, mentre ballava, con l'alcool nelle vene, che
l'aiutava ad elimanare l'inibizione e a scatenersi in pista. Si accorse
che Niall aveva raggiunto la sua ragazza e Scar ballava non troppo
distante dai due, qualche volta avvicinata da un ragazzo o due, che si
allontanavano in fretta quando si accorgevano dello sguardo di Harry su
di loro. Fu il primo, quindi, ad accorgersi di un ragazzo, forse
qualche anno più grande di Scar, che le si
avvicinò, ma Harry stava discutendo con Louis e Zayn, che
volevano abbassare il prezzo per attirare più gente.
Scar si accorse di quel ragazzo solo quando le poggiò le
mani sui fianchi, ma si stava divertendo troppo per rovinarsi la
serata. Non disse nulla al ragazzo, che interpretò il
silenzio come un assenso e cominciò a muoversi a tempo con
la musica, sempre più vicino a Scar, finchè non
divenne troppo
vicino.
Scarlett poteva percepire il respiro del ragazzo che sapeva di alcool, troppo alcool.
Cercò di allontanarsi, ma la presa di lui era ben salda sul
corpo esile di lei, troppo
salda.
Voltò la testa in più direzioni, cercando aiuto.
I più vicini erano Niall e Amy, ma quando Scar
urlò per chiamarli, la sua voce fu soffocata dal rimbombare
della musica alta, troppo
alta.
Vide Harry, che stava discutendo su qualcosa che sembrava piuttosto
importante, con Louis e Zayn e non la notò nemmeno.
La presa del ragazzo intorno ai suoi fianchi si fece quasi dolorosa.
«Facciamo un gioco...» le sussurrò lui
all'orecchio e a Scar mancò la terra sotto ai piedi, ma
sapeva perfettamente che quello non era l'effetto dell'alcool.
La trascinò di peso, facendosi largo tra le persone
accalcate che ballavano. Lei si dimenava, aveva iniziato a colpirlo sul
petto con le mani, ma non stava ottenendo molti risultati. Erano
arrivati vicino a una parte, quando lui perse la pazienza e la spinse
con violenza con la schiena contro il muro. Scar percepì il
respiro uscirle dai polmoni in una volta sola, lasciandola senz'aria.
«Stai ferma.» le disse, troppo vicino al suo viso.
Scar notò per la prima volta il suo aspetto. Era biondo e
aveva occhi neri, neri come pozzi profondi.
Il ragazzo la afferrò di nuovo e la trascinò
fuori dal locale, sul retro, in un vicolo che portava al parcheggio.
Ora avrebbe potuto urlare quanto voleva, ma non l'avrebbe sentita
nessuno. Lui affondò il viso sul suo collo, lasciando una
scia di baci umidi fino al petto, mentre le mani vagavano sotto la
gonna del vestito. Scarlett gli aveva messo le mani sulle spalle e
cercava di spingerlo via, ma quando si accorse che quella tecnica non
stava funzionando, colpì con forza il piede del ragazzo con
il tacco della scarpa destra. Lui lanciò un urlo e si
allontanò leggermente da lei, quanto bastava a lei per
tentare una fuga. Era quasi arrivata alla porta da cui erano usciti
poco prima, quando la mano di lui si strinse con forza intorno al suo
polso e la strattonò violentemente a terra.
«Brutta troia.» le disse, prima di colpirla con un
calcio allo stomaco. Scar lanciò un urlo e lui la
tirò in piedi con forza e la scaraventò contro il
muro, per la seconda volta. Lei iniziò a piangere e urlava
mentre le mani di quel ragazzo avevano superato il leggero velo delle
sue mutandine.
«Lasciami...» lo pregò, le lacrime che
le cadevano lungo le guance. Percepì il rumore della sua
cintura che si slacciava e chiuse gli occhi, perdendo ogni speranza di
potersi liberare. Pregò di morire in quel momento, di
evitarle almeno quella punizione, almeno quel dolore.
Improvvisamente, il corpo di lui scomparve e non c'era più
nessuno a sorreggerla. Cadde in ginocchio sull'asfalto. Sapeva che
quell'impatto doveva far male, ma non percepì alcun dolore.
Alzò gli occhi appannati dalle lacrime e Harry era
lì, l'aveva salvata. Aveva preso per il colletto della
camicia il ragazzo e con l'altra mano lo stava riempiendo di pugni. In
faccia, sullo stomaco, sui fianchi. Scarlett non riusciva a
vederlo in viso, ma aveva la sensazione che fosse parecchio arrabbiato,
soprattutto a sentire il respiro pesante che gli alzava e abbassava le
spalle. Harry lo lasciò e il ragazzo cadde a terra.
«Ti piace spaventare le donne eh?» gli disse, prima
di tirargli un calcio tra le costole e mettersi sopra di lui, per
continuare a picchiarlo.
Scarlett si alzò in piedi a fatica, gemendo per il dolore
che sentiva sparso ovunque.
«Harry...» mormorò, cercando di attirare
l'attenzione del ragazzo, che, però, sembrava essere troppo
preso dalla sua rabbia, per riuscire a sentire la voce di lei. Scar si
mosse lentamente verso i due corpi che esalavano respiri pesanti e
aveva la sensazione che se non fosse riuscita a fermare Harry in tempo,
quelli sarebbero stati gli ultimi respiri di quel ragazzo sconosciuto.
Si tenne lo stomaco con una mano, mentre l'altra la poggiava sulla
spalla di lui.
«Fermati.» gli disse, passandogli la mano tra i
ricci, delicatamente. Vide i muscoli della schiena oltre la maglietta
rilassarsi leggermente. Smise di colpire il ragazzo sotto di lui e
rimase immobile a respirare profondamente, per ritrovare la calma.
Dalla porta irruppero Louis e Liam, che allontanarono Harry dal corpo
del ragazzo, e Scar, che aveva trovato il proprio equilibrio con la
mano tra i capelli di Harry, rischiò di cadere all'indietro
se lui non l'avesse afferrata in tempo per la mano e non l'avesse
tirata contro il proprio petto. Le circondò il corpo con le
braccia e le baciò la testa.
«E' finita, piccola. E' finita.» le
sussurrò Harry, le labbra ancora tra i capelli di lei.
Scarlett scoppiò in lacrime solo quando ebbe la certezza di
essere al sicuro e che Harry non avrebbe più fatto del male
a nessuno. Pianse lì, contro il suo petto, stretta nel caldo
abbraccio dell'ultima persona che avrebbe mai immaginato sarebbe corsa
in suo aiuto.
«E'
questo il problema di chi ci crede tanto:
se viene deluso,
poi non crede più in nulla.»
-cit
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Capitolo 8 *** Informazione! ***
Perdonatemi per non
aver più aggiornato ma con la scuola sono stata davvero
molto impegnata e non ho avuto tempo nemmeno per respirare. Volevo solo
informarvi che la storia è stata spostata su wattpad, per
motivi di comodità.
Mi farebbe molto piacere se continuaste a seguirla lì,
grazie mille.
Di seguito vi lascio il link per leggere la storia:
Skinny
love
P.s. Fatemi sapere se seguite la storia e contattatemi per qualsiasi
cosa :*
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