Skinny Love

di feelthepain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Sei mesi dopo. ***
Capitolo 3: *** Si svegliò il mattino seguente. ***
Capitolo 4: *** Quella mattina, non ne aveva proprio voglia. ***
Capitolo 5: *** Errare humanum est, perseverare diabolicum ***
Capitolo 6: *** Il giorno della visita era arrivato ***
Capitolo 7: *** E' finita. ***
Capitolo 8: *** Informazione! ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo (1).

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«Stai diventando troppo magra, Scar.» la riprese la madre, dopo averla fatta sedere sul divano, davanti a lei. Scarlett abbassò lo sguardo sulle sue mani, strette in grembo. I suoi genitori non capivano. Non capiva nessuno. Le sue cosce erano troppo grosse, aveva troppa pancia e la sua taglia di jeans rasentava a malapena la 36. Non era abbastanza.

Non è mai abbastanza.

«Scarlett, mi stai ascoltando?» la richiamò la donna e lei alzò gli occhi, fissandoli in quelli grigi di sua madre.

«No.» rispose semplicemente, con la sfacciataggine che la caratterizzava. Lei era sempre stata così: una facciata dura per proteggere la sua parte fragile. Più la corazza era spessa, più ciò che nascondeva era fragile.

«Questa conversazione non ha senso.» terminò, dedicando a sua madre un'occhiataccia.

Era sempre stata brava a spaventare le persone con uno sguardo. Non se lo sapeva spiegare, ma le tornava molto utile. Anche se, a volte, finiva per allontanare tutte le persone a cui teneva. Ma, forse, era giusto così. Non voleva rovinare la vita a nessuno. Lei non era fatta per stare in compagnia. Lei amava leggere, ascoltare musica e scrivere. Sì, lei viveva per scrivere, per trasmettere emozioni con delle parole che molti ritenevano inutili. Lei voleva diventare una scrittrice, da grande. Voleva aiutare le persone.

«Bene, allora, visto che non lo capisci con le buone, domani parti per la riabilitazione.» pronunciò Ashley, guardando la figlia con un dolore negli occhi, che nessuno sarebbe riuscito ad immaginare. La sua bambina aveva bisogno di aiuto e lei non l'aveva capito. Era una donna separata dal marito e costretta a crescere due figli da sola, anche se erano rimasti in buoni rapporti dopo il divorzio e lui si era offerto per accompagnare Scarlett, il giorno dopo.

La ragazza impallidì visibilmente. «Che...No!» urlò, scattando in piedi, così come fece la madre, con più calma. Scarlett divenne rossa dalla rabbia.

«Scarlett, cerca di capire...» tentò di spiegare, protendendo le mani verso la ragazza che, prontamente si allontanò, guardandola stupita.

«No! Cerca di capire tu! Per una volta, mamma, cerca di capirmi!» gridò, ancora, mentre percepiva le lacrime salire agli occhi e un nodo chiuderle la gola.

«Tesoro, io ho capito ed è per questo che...» provò di nuovo Ashley, ma le lacrime della figlia le fecero sprofondare il cuore nello stomaco.

«E' per questo che hai deciso di spedirmi in uno stupido centro di riabilitazione senza nemmeno chiedermelo!?» la interruppe Scarlett, prendendo la sua borsa e le chiavi della macchina.

«Lo faccio perchè ti voglio bene, Scar.» la donna le afferrò l'avambraccio, nel tentativo di calmarla, ma quello che sentì la fece gelare sul posto. Il braccio di Scarlett era magro, troppo magro. Scommetteva che se l'avesse stretto tra il pollice e l'indice, le due dita si sarebbero toccate senza problemi.

Scar approfittò dell'improvvisa debolezza della madre per tirar via il braccio.

«Non si direbbe.» disse, dandole le spalle ed aprendo la porta. Ashley si riscosse dai suoi pensieri, ignorando l'ultima frase della figlia.

«Dove vai?» le chiese, mentre la vedeva uscire di casa.

«Fuori.» borbottò Scarlett in risposta e Ashley fece per seguirla, ma la porta si chiuse con un tonfo a un centimetro dal suo naso ed intuì che era meglio lasciarla sola.

La donna scoppiò in lacrime pochi secondi dopo. Non voleva perdere la sua bambina e se solo fosse stata più presente, tutto questo non sarebbe successo.





Scarlett si accorse di star andando troppo veloce solo quando il contachilometri segnò i 150 km/h. Inchiodò improvvisamente e le ruote stridettero sull'asfalto, ma a quell'ora non c'era nessuno in città. Scese dall'auto, sbattendo la portiera e scoprì di essere finita al parco giochi. Si sedette su una panchina, davanti alle altalene e pensò. Quando è notte e sei solo, che altro puoi fare?


«Tu non puoi salire sull'altalena.» le disse piccata la bambina bionda che, nonostante la tenera età, sembrava essere uscita da una rivista di moda. Scarlett la guardò confusa.

«Perchè?» le chiese e lei si scambiò delle occhiate divertite con le sue amiche.

«Perchè sei troppo grassa. La romperesti, Oltre che brutta sei anche stupida!» rispose la bambina, prima di scoppiare a ridere con i suoi cloni.


Scarlett era sempre stata una bambina che soffriva di una leggera obesità, ma non era nulla che non si potesse risolvere con una dieta equilibrata. Non pensava che importasse. Lei voleva solo giocare con le sue amiche. Che c'entrava l'aspetto fisico? Le era sempre stato insegnato che quel che contava era ciò che avevi dentro e non capiva quelle bambine. Ma crescendo, si vedeva sempre più esclusa, sempre più ignorata, sempre più invisibile e si era beccata talmente tante porte sbattute in faccia, che aveva capito che la storia del `E' importante ciò che c'è dentro, non fuori´ era solo un'enorme stronzata. Per quanto volesse crederci, nessuno si sarebbe innamorato di una ragazza che portava una 48, invece di una 40, nessuno si sarebbe innamorato di una ragazza che il sabato sera rimaneva a casa a leggere Bukowski, invece di andarsi a sbronzare in qualche discoteca. Per quanto volesse crederci, nessuno si sarebbe innamorato di lei, di Scarlett `la grassona´.

«Ehy.» la voce del fratello minore la fece sussultare e si voltò verso di lui, in piedi pochi metri più distante, la borsa di basket in spalla, le mani in tasca e uno sguardo preoccupato e confuso negli occhi.

«Ciao.» rispose Scarlett, riabbassando lo sguardo sull'erba. Mike si sedette accanto a lei, poggiando con poca delicatezza la borsa a terra.

«Che ci fai qui?» gli chiese la sorella senza guardarlo.

«Ian mi ha dato buca, quindi stavo tornando a casa.» le rispose, abbandonandosi contro lo schienale della panchina. Notò lo sguardo di Scarlett fisso sull'altalena.

«Vuoi che ti spingo?» le chiese, sorridendo, nel vano tentativo di risollevarle il morale, ma lei scosse la testa, affranta. Non era mai più salita sull'altalena. Nonostante odiasse le ragazze che la prendevano in giro, sapeva di non essere magra come loro e si era davvero convinta che se si fosse seduta, l'altalena avrebbe ceduto.

«Mike.- lo richiamò e, finalmente, gli occhi dei due s'incontrarono. -Che faresti se mamma e papà non si fidassero di te?» gli chiese e lo osservò mentre la sua espressione si faceva pensierosa. Lui sapeva cosa faceva la sorella; aveva notato che a tavola non mangiava praticamente nulla ed aveva provato a farle capire che aveva raggiunto il peso ideale, ma lei non l'aveva ascoltato e adesso assomigliava ad uno scheletro.

«Gli darei una ragione per farlo.» Mike aveva intuito cosa era successo. Era più piccolo di Scarlett di due anni, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento.

«Cosa dirà la gente, Mike?» la domanda di Scarlett era evidentemente retorica, ma quando Mike vide i suoi occhi pieni di lacrime, non potè fare a meno di abbracciarla.

«Devi smetterla di dare peso alle parole degli altri.» le sussurrò.










Non rovinatevi, maledizione.
Che importa di quello che pensa la gente?
Voi siete così, prendere o lasciare.
E chi lascia, si renderà conto di ciò che ha perso.
Voi non siete inutili.
Esistete per un motivo.
Dio non fa errori.

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Capitolo 2
*** Sei mesi dopo. ***


1. Sei mesi dopo.
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-6 mesi dopo.-



«Eccoci qui.» la voce del padre rimbombò in tutta la casa, mentre chiudeva la porta con un piede e poggiava le valigie della figlia a terra. Scarlett, davanti a lui, si guardò intorno, inspirando il profumo di casa sua. Quanto le era mancato tutto questo!

Lo scalpiccìo di piedi pesanti che scendevano le scale attirò la sua attenzione, prima di essere stretta in un abbraccio mortale e sollevata da terra da Mike. Scarlett era ritornata dalla riabilitazione, dopo aver preso il giusto numero di chili ed era intenzionata a non far soffrire mai più la sua famiglia, nè, tantomeno, aveva intenzione di ritornare in quell'edificio. La madre accorse subito dopo, unendosi all'abbraccio e stringendo entrambi i figli, che si lamentarono vanamente. Quando, finalmente, i tre si separarono, Scarlett si voltò verso il padre, che sorrideva.

«Rimani a cena?» gli chiese, mentre Mike le passava un braccio intorno alle spalle.

«Certo, stasera dobbiamo festeggiare.» assentì e i due ragazzi gli saltarono in braccio, mentre i due genitori si scambiarono un sorriso d'intesa.




«Cerca di non far scappare tutti, ok?» la ammonì Mike, sistemandosi lo zaino in spalla, mentre camminavano verso il cancello della scuola.

«Non sono io che faccio scappare tutti, sono gli altri che non si vogliono avvicinare.» rispose Scarlett, piccata e dedicandogli un'occhiataccia che lo fece ridacchiare.

«Sì, certo.» fece solo in tempo a dire lui, prima che un'orda di ragazzi lo assalisse, lasciandogli pacche e pugni amichevoli sulle spalle. Venne trascinato via, senza che i due potessero scambiarsii più di uno sguardo.

Scarlett cercò di farsi il più piccola possibile, mentre camminava tra la folla di studenti, ma se pensava di poter passare inosservata in una citta dove le persone vivevano solo per sparlare degli altri, si sbagliava di grosso. Prima ancora che raggiungesse il suo armadietto, si rese conto di essere l'oggetto di conversazione di almeno metà scuola. L'unica cosa che sperava era che l'attenzione su di lei calasse in fretta, lasciandola nell'anonimato, dove era sempre stata. Ma quando aprì l'armadietto, tutte le sue speranze svanirono. Milioni di piccole pillole, che riconobbe essere le stesse che prendeva prima di finire in riabilitazione, caddero sul pavimento piastrellato, spargendosi per metà del corridoio. Tutti i ragazzi che le erano intorno scoppiarono a ridere e lei digrignò la mascella, allungando la mano e prendendo il quaderno degli appunti. Chiuse l'armadietto con forza, calpestando alcune pillole, mentre si faceva largo tra la folla di curiosi, sgomitando.

Si sentiva così umiliata. Possibile che nessuno la capisse? O forse, qualcuno c'era, ma non aveva il coraggio di uscire allo scoperto in un mondo talmente ipocrita e superficiale. Le persone buone e vere c'erano, lei lo sapeva, ma sapeva anche che spesso si nascondevano dietro maschere di indifferenza, per proteggersi, per far parte del gruppo e non rimanere escluso.

Cosa non si farebbe per un pò di amore.





«Allora, dov'eri ieri pomeriggio?» chiese Niall, mentre addentava il suo panino, rivolgendosi a Harry, di fronte a lui.

«Perchè dovrebbe interessarti?» ribattè Harry, guardandolo con un sopracciglio alzato.

Harry era arrivato in città da pochi mesi, eppure era riuscito ad entrare nel gruppo più popolare della scuola. Forse era grazie al suo bell'aspetto, o all'alone di mistero che si portava sempre dietro o alla sua innata personalità alpha.

«Perchè,- intervenne Louis, dall'altro lato del tavolo della mensa. -ti abbiamo cercato, ma eri, evidentemente, troppo impegnato per passare un pò di tempo con i tuoi migliori amici.» Harry lo guardò sorpreso, mentre poggiava la sua lattina di coca cola sul tavolo, dopo averne bevuto un sorso.

«Ho avuto da fare.» spiegò, scrollando le spalle.

«E da quando in qua hai a che fare con gli sfigati.» lo incalzò Liam.

«Co-?» ma prima che Harry potesse anche solo formulare una frase di senso compiuto, Zayn gli mise davanti agli occhi il suo cellulare, aperto su una foto che ritraeva Harry seduto su una panchina, mentre aiutava un ragazzo a studiare per un test importante. Il suo stomaco si contorse, mentre alternava lo sguardo dal display all'amico.

«Lo conosco da quando eravamo piccoli e aveva bisogno di una mano in Chimica.» tentò di spiegare, ma lo sguardo di Zayn gli fece capire che era inutile

«Ti rendi conto che se qualcuno ti avesse visto, la tua reputazione sarebbe andata a fondo, insieme alla nostra?» lo riprese Louis e Harry alzò gli occhi al cielo, non abituato a dover sottostare a delle regole.

«Ragazzi, state tranquilli, ok? Ho fatto in modo che nessuno potesse vederci. Non ho intenzione di-»

«Già e sei stato talmente tanto attento che qualcuno è riuscito a scattarvi una foto senza che te ne accorgessi.» controbattè Liam, un sopracciglio alzato, da capo tavola.

«Non avete scattato voi la foto?» domandò Harry, la fronte aggrottata.

«No e non sai quanto ci è costato il silenzio di quel ficcanaso. Almeno la metà degli incassi di questo mese. Adesso dovremo aumentare il prezzo della roba e ci saranno meno clienti. Tutto per parare il culo a te.» lo attaccò Niall, parlando velocemente e a bassa voce. Harry si sentì terribilmente in colpa.

«Ragazzi io non avevo intenzione...-»

«Sai cosa potrebbe aiutare i nostri affari?» chiese Zayn, guardandolo dritto negli occhi e lui scosse la testa. Il sorriso che fece arricciare le labbra del moro gli suggerì che lui un'idea ce l'aveva. Indicò con il capo un tavolo in fondo alla sala e gli occhi di Harry scivolarono sull'unica persona che vi era seduta: una ragazza minuta, dai capelli castano scuro, quasi neri, che si rigirava una mela tra le mani, ma non sembrava intenzionata a mangiarla. Non la conosceva, ma sembrava veramente sola.

«Quella è Scarlett Jones. E' finita in riabilitazione per sei mesi ed è una vera sfigata.» Zayn parlò con cattiveria e si formò un solco tra le sopracciglia di Harry.

«Perchè è finita in riabilitazione?» domandò curioso, senza distogliere lo sguardo dalla figura della ragazza, che adesso aveva poggiato la mela sul proprio vassoio. I loro occhi si incontrarono e vide le sue guance divenire più rosee, prima che abbassasse lo sguardo.

«Che ti importa? L'unica cosa che devi sapere è che la sua debolezza è la nostra forza.» spiegò Louis e gli occhi di Harry scivolarono su di lui.

«Se la umilii davanti a tutti, siamo a cavallo. Diventerai l'idolo di tutta la scuola e gli incassi saliranno alle stelle.» terminò, pulendosi le mani, dopo aver mangiato il suo pranzo.

«Ma lei ci starà male.» replicò Harry, dando fiato alle parole senza pensarci e guadagnandosi così, le occhiatacce dei suoi amici.

«Da quando in qua ti importa di cosa provano gli altri?» gli chiese retorico Niall, confuso. L'attenzione di Harry fu nuovamente concentrata sulla ragazza, che si stava alzando per mettere a posto il vassoio. Harry scosse la testa. Lui era Harry Styles, a lui non importava di niente e di nessuno, lui voleva solo fare soldi e scappare lontano. E se il prezzo da pagare era la dignità di una ragazza sconosciuta, tanto meglio. Sarebbe stato molto più semplice.

Afferrò il vassoio di Niall, su cui era appoggiato un piatto pieno di spaghetti al sugo, e si alzò in piedi.

«Ehy, devo ancora finire di mangiarli, quelli!» esclamò il biondo, guardando male l'amico, che lo ignorò abilmente, cominciando a camminare verso Scarlett, o come si chiamava.

La ragazza, appena vide Harry venirle incontro, abbassò il volto, incurvando la schiena, come faceva quando doveva camminare in luoghi pubblici. Quella era la sua arma di autodifesa. Si chiudeva in un guscio, come una tartaruga. Harry prese un respiro profondo, osservando quanto quella ragazza sembrasse piccola e indifesa, prima di rovesciarle addosso il piatto di pasta. Scarlett sussultò, alternando lo sguardo dal suo petto ricoperto di sugo e pasta, agli occhi verdi di lui. Cose succede quando due persone che provano tanto dolore, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, si guardando negli occhi? Si riconoscono.

Nella sala calò un silenzio teso, mentre i due si guardarono. Tutto il dolore, la tristezza che Harry lesse nei suoi occhi, lo fece rabbrividire. Scarlett non mosse un muscolo e la sua espressione rimase impassibile. Come faceva ogni volta che qualcuno la attaccava o umiliava; chiudeva tutto fuori. Quando la sala esplose in fragorose risate e applausi e fischi di ammirazione, i due rimasero immobili. Harry non avrebbe dovuto farlo, ma ne valeva della sua reputazione, mentre Scarlett non sarebbe dovuta tornare a scuola. Come poteva pensare che sarebbe stato tutto migliore? Come poteva pensare che le cose sarebbero andate per il verso giusto?

Scarlett posò il suo vassoio sul primo tavolo che trovò, prima di oltrepassare Harry di corsa, urtando la sua spalla di proposito. Harry si voltò, rendendosi conto di quello che aveva appena fatto e fece per inseguirla fuori dalla sala, ma una folla lo assalì, riempiendolo di pacche e pugni sulle spalle.

Ci voleva così poco per farla crollare; bastava una frase sbagliata, un gesto irruento o uno sguardo astioso per ridurla in lacrime. Ma lei non lo dava a vedere. Lei alzava un muro per tenere fuori tutti e poi, quando era sola, eslodeva, si lasciava andare, crollava in mille pezzi.







«Non sentirti `diversa´.
Tu non sei diversa.
Sei unica.
Nel bene e nel male.
Coccola il tuo bene,
sopporta il tuo male.
E ringrazie sempre di essere come sei.
Persino quando esserlo significherà
soffrire con un'intensità superiore a quella di
qualcun altro.»
-M. Gramellini.

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Capitolo 3
*** Si svegliò il mattino seguente. ***


2.
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Si svegliò il mattino seguente con la luce del sole già alto che filtrava dalle tende della sua camera. Sentiva gli occhi doloranti per il troppo pianto e la pelle sulle guance le tirava, probabilmente perchè si era addormentata piangendo e le lacrime le si erano seccate sul viso. Guardò la sveglia e notò essere quasi ora di pranzo. Con riluttanza, si alzò e si diresse in bagno per farsi una doccia. Sotto lo scroscio d'acqua calda, ripensò a cosa era successo il giorno prima, a come quel ragazzo le aveva rovesciato addosso un piatto di pasta, con una tale nonchalance da risultare quasi un incidente. Lo aveva notato, qualche minuto prima che si scontrassero al centro della mensa, mentre la guardava e parlava con il gruppo di Louis e gli altri. Non ricordava di averlo mai visto prima e, nonostante i suoi ricordi precedenti al periodo della riabilitazione fossero un pò tutti confusi, annebbiati, a causa delle pillole che prendeva, era più che sicura che quel ragazzo dalle labbra rosee, i capelli spettinati e quegli occhi verdi pieni d'arroganza, curiosità, e sicurezza di sé, non aveva niente a che fare con la sua vita precedente.

Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successa una cosa del genere. I ragazzi popolari non guardavano lei, Scarlett Jones, perchè era carina. Scar si lasciò scappare una risatina ironica al solo pensiero di un ragazzo interessato a lei. Cos'era lei in confronto a tutte le altre bellissime, spigliate, sexy, intelligenti, simpatiche, ragazze che c'erano lì fuori?
Scosse la testa, tirandola all'indietro, lasciando che l'acqua la colpisse in pieno viso e trattenne le lacrime.

Non ora, si disse; hai pianto abbastanza. Ora finiscila.

Si passò una mano sul viso, prima di uscire e avvolgersi in un asciugamano. Evitò di guardarsi allo specchio. Insieme ai vestiti, indosso il suo solito sorriso, prima di scendere al piano di sotto. In cucina la madre stava sistemando le ultime cose per il pranzo, aiutata da Mike.

«Buongiorno! Appena svegliata?» le chiese il fratello, mentre la madre si voltava a sorriderle, per poi tornare a controllare il cibo sui fornelli.

«Cosa te lo fa pensare?» domandò sarcastica Scarlett, guardandolo divertita. Mike alzò gli occhi al cielo, cercando di trattenere un sorriso.

«Alle cinque c'è la mia partita di basket. Ti va di venire a vedermi?» chiese Mike, rivolgendosi alla sorella maggiore, davanti a lui, mentre mangiavano il pranzo.
Uscire non era proprio nei suoi piani, soprattutto per andare in un posto pieno di ragazzi che l'avrebbero presa in giro.

«Sarebbe magnifico, Scar! Così ne approfitti per stare un pò con i tuoi amici.» esultò Ashley, seduta a capotavola, tra i due figli. Scarlett inforcò un broccolo con forse troppa intensità.

Quali amici, mamma?

Ma non poteva rinchiudersi in camera, nel suo dolore. Lei doveva fingere di star bene, doveva dimostrare ai suoi genitori e a Mike che aveva superato i suoi problemi. Non voleva tornare in riabilitazione.

«Certo, sembra divertente.» assentì, quindi, e il suo sorriso non vacillò nemmeno un istante. Ashley annuì, soddisfatta, tornando al suo pasto, mentre Mike la guardava con uno strano ghigno.





«Ci sarà tanta gente?» chiese Scarlett, mentre parcheggiava, dedicando un'occhiata a Mike, che scrollò le spalle. (Scar's outfit)

«Non tanta. Il basket non è molto seguito quanto il calcio.» le rispose solo.

Bene, pensò Scarlett.

Probabilmente erano tutti alla partita di football della squadra della scuola. Attraversarono il parcheggio ed entrarono in un piazzale asfaltato. Al centro c'era il campo da gioco, delimitato da due canestri, con il terreno colorato di rosso, per distinguerne meglio i confini. Solo da un lato vi erano le gradinate per gli spettatori, coperte alla bell'e meglio da una tettoia. I due fratelli si divisero e Mike raggiunse i suoii amici, buttando il borsone da una parte, accanto a tutti gli altri e Scarlett lo vide ammiccare verso una delle cheerleader, mentre incitava la squadra con le sue compagne, tra balletti e urla. Scar roteò gli occhi, cercando di nascondere il divertimento, andando a prendere posto su una delle gradinate. Non c'erano molti spettatori, ma lei decise comunque di sedersi il più lontano possibile da chiunque. Non le piaceva stare a contatto con troppa gente.

Così, passarono venti minuti, la squadra di Mike stava combattendo fino allo stremo per poter vincere, ma il punteggio rimaneva sempre fermo sulla parità. Lei, d'altro canto, non capiva nulla di basket, quindi si limitava ad applaudire quando vedeva suo fratello esultare.
Il sole stava già calando e la temperatura non era né troppo fredda né troppo calda e Scarlett amava guardare il cielo che cambiava colore: rosa, arancione, turchese.

«Bella partita, eh?» le chiese una voce profonda e sconosciuta, alla sua destra e, sobbalzando e voltandosi di scatto, fu rapita da due occhi verdi. Ricordava perfettamente chi era il ragazzo che si era seduto accanto.

«A dir la verità, non ci capisco nulla di basket.» rispose lei, fredda come il marmo, tornando subito con lo sguardo sul fratello. Le piaceva, era inutile mentire a se stessa, ma la dignità e l'orgoglio venivano prima dell'attrazione.

Harry si morse la lingua per non ridere ed osservò come i suoi capelli assumessero sfumature rossastre a contatto con i raggi del sole.

«Comunque, non ci siamo presentati; io sono Harry.» disse il ragazzo, dopo qualche minuto di silenzio. Lei tornò a guardarlo e questa volta non indugiò a piantare le sue iridi blu in quelle di lui.

«Credimi, so perfettamente chi sei. Sei il `cattivo ragazzo´ della banda più popolare della scuola, sei quello misterioso, sei il classico bello e impossibile. Sei lo stronzo che mi ha rovesciato addosso un piatto di spaghetti al sugo.» non voleva dirlo davvero, ma quelle parole piene di ironia e disprezzo le erano scivolate via dalle labbra senza farlo apposta e l'espressione sorpresa di Harry la informò che erano andate a fondo. Quant'era che qualcuno non lo trattava più in quel modo?

«Mi dispiace che sia stata tu la vittima, davvero.» cercò di riparare al danno. Non sapeva nemmeno lui perchè era andato lì a parlarle. Forse perchè l'aveva vista lì, seduta da sola e gli aveva fatto pena e perchè si sentiva in dovere di scusarsi. Scarlett scosse il capo, abbassando gli occhi sulle punte delle sue scarpe.

«No, non ti dispiace e lo sappiamo entrambi. Solo perchè non parlo mai, non vuol dire che sono stupida. So che l'hai fatto perchè era l'unico modo per tornare al centro dell'attenzione.» disse, schietta, con un semplicità unica. Sentiva la necessità di fargli capire che lei non era invisibile, che lei esisteva ed aveva un cervello perfettamente funzionante, o quasi. Le labbra di lui si dischiusero leggermente, di fronte a tali parole. Non si sarebbe mai immaginato che una sfigata come lei potesse avere il coraggio di dire certe cose.

Passarono altri minuti di silenzio, in cui lei osservava la partita, senza davvero seguirla, troppo distratta dalla presenza del ragazzo, e lui la guardava. Lo incuriosiva il modo in cui si muoveva, parlava o si mordeva il labbro.

«Io penso che tu sia molto di più di quello che vuoi mostrare.» le parole che pronunciò non gli passarono nemmeno per l'anticamera del cervello e sentì se stesso dirle, come fosse un corpo estraneo al suo. Voleva farle capire che lui non la pensava come tutti gli altri. Lui lo faceva perchè doveva guadagnare, perchè voleva andarsene. Non aveva nulla contro di lei.

La vide sorridere, prima che lasciasse che i capelli mori e mossi le coprissero il viso, nascondendolo alla vista di Harry.

«Scarlett.» parlò lei, dopo alcuni secondi e il ragazzo le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Mi chiamo Scarlett.» aggiunse, dedicandogli il piccolo sorriso di poco prima, al quale lui rispose, felice.

«Lo so.» si limitò a dire Harry e nessuno dei due pronunciò altre parole. Rimasero in silenzio, entrambi con lo sguardo fisso sulla partita, ma con la mente sulla presenza dell'altro, finchè Mike non si piazzò  davanti alla sorella. Lei gli sorrise, alzandosi in piedi e, grazie agli spalti, guardandolo dall'alto in basso. Lo sguardo confuso del fratello oscillò per qualche istante dalla sorella a Harry.

«Che sta succedendo qui?» domandò ad entrambi e Scarlett e Harry si guardarono, prima che lei distogliesse gli occhi in fretta.

«Niente, Mike. Styles era venuto a chiedermi a quando è fissato il compito di storia.» mentì ed Harry aggrottò la fronte.

«C'è un compito di storia?» domandò confuso, rivolgendosi direttamente a lei. Scarlett lo fulminò con lo sguardo, voltandosi di scatto a guardarlo.

«Sì.- rispose, stringendo i denti e pregandolo con gli occhi. -Questo mercoledì, Styles.»

Harry si grattò la nuca, dedicando la sua attenzione a Mike, che era rimasto perplesso dal loro scambio di battute.
«Giusto. Sai com'è, non sto mai attento in classe.»

Mike alzò un sopracciglio, guardandolo e fece per ribattere, ma Scarlett gli si mise a braccetto, distraendolo.

«Beh, che stiamo aspettando? Andiamo o no?» disse con voce nervosa e Harry si chiese come faceva Mike a non accorgersi che stava mentendo. Si vedeva lontano un miglio.

«Sì, andiamo.» mormorò il fratello in risposta e poi si rivolse a Harry, a voce più alta. « Ci si vede, Styles.»

Lui ammiccò un piccolo sorriso e gli rivolse un cenne della mano e fece per salutare Scarlett, ma lei si era già voltata e si stava trascinando dietro anche Mike.
Il sorriso gli morì sulle labbra, mentre la guardava allontanarsi. Aveva fatto o detto qualcosa di sbagliato?







« Il problema delle persone
orgogliose è che non dicono quello
che provano per paura di soffrire. Si tengono
tutto dentro e soffrono lo stesso, ovviamente.
Le persone orgogliose, vanno prese di sorpresa
e abbracciate.»
- R. Daniels

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Capitolo 4
*** Quella mattina, non ne aveva proprio voglia. ***


3.
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-Quella mattina, non ne aveva proprio voglia.-





Quella mattina, di andare a scuola, proprio non ne aveva voglia. Non che gli altri giorni facesse i salti di gioia alla sola idea di dover passare sei ore tra bradipi perversi e galline gracchianti. No, le galline non gracchiano, lo sapeva, ma alle sei del mattino, mentre si trascinava malvolentieri in bagno, non aveva voglia di fare ricerche sul verso delle galline.
Si vestì in fretta, cercando calore nella felpa larga e nei jeans che stava indossando. Solo quando uscì, si rese conto che quella mattina faceva fin troppo freddo. Si strinse le braccia al petto, mentre saliva sull'autobus e constatava che sarebbe dovuta rimanere in piedi.
Sbuffò, sistemandosi meglio lo zaino in spalla, mentre l'autobus apriva le porte ad una fermata. Osservò attentamente i ragazzi della sua stessa scuola salire, ridendo e scherzando. Non la videro nemmeno, non che lei si aspettasse che metà della squadra di football potesse notarla. Forse era meglio così.
Anche loro rimasero in piedi e la schiacciarono contro i finestrini dietro di lei, impedendole di muoversi. Aveva i loro zaini a un palmo dal naso e dalla larghezza delle loro spalle, capì che non sarebbe riuscita a spostarli nemmeno di un centimetro.
Le sembrò il viaggio più lungo di tutta la sua vita, stretta lì, tra i finestrini appannati e freddi dell'autobus ed il calore soffocante di quei corpi mastodontici. Quando arrivò il momento di scendere, temette seriamente di rimanere frantumata nel tentativo di farsi strada fuori dall'abitacolo.
Ricevette una gomitata nello stomaco, o forse era più di una, e non riuscì a capire se furono intenzionali o meno. Uno zaino le schiaffeggiò duramente il viso, segnandole la guancia sinistra di rosso, a causa della superficie ruvida della borsa. Scarlett scese per ultima, fulminando con lo sguardo le schiene dei giocatori di football, mentre si sistemava la felpa. Li odiava, ma non aveva mai avuto il coraggio di ribattere alle loro battute, di difendersi. Sapeva perfettamente che se l'avesse fatto, ci sarebbero state delle ripercussioni non solo morali e, ammettiamolo, per quanto potesse essere coraggiosa, l'istinto di autoconservazione superava di gran lunga l'orgoglio e la dignità. Non aveva intenzione di farsi picchiare da quei gorilla.
La mattinata passò velocemente e forse troppo tranquillamente, secondo Scarlett. Non che le dispiacesse, assolutamente, ma non era affatto convinta di essere tornata nell'anonimato dopo solo un giorno. Per quanto volesse crederlo, quello non era proprio ciò che l'aspettava.
Era l'ora di pranzo quando uscì dalla classe di storia, diretta al suo armadietto per posare i libri. Quel giorno, non aveva intenzione di mangiare e chiudersi nella sala mensa; doveva ripassare per il compito di matematica e non si sentiva affatto pronta.
Aveva appena tirato fuori dall'armadietto il suo quaderno degli appunti, e si era soffermata ad osservare la foto di sua madre e suo fratello, appesa ad abbellire l'armadietto, quando lo sportello di metallo si chiuse di scatto, con un tonfo sordo. Sussultò, rendendosi conto che se non avesse tolto la mano, le sue dita avrebbero fatto davvero una brutta fine.
Tre enormi ragazzi le erano davanti e Scarlett intuì facessero parte della squadra di football, a giudicare dalle loro dimensioni e dalle divise. Il cuore aumentò il battito e pregò che non lo sentissero.

«Ehy Jones, vai da qualche parte?» domandò lascivo uno dei tre, quello con i capelli biondi e gli occhi cattivi. Scarlett cercò di fingere di non aver sentito la domanda e fece per superarli, ma i tre si avvicinarono tra loro, creando un muro invalicabile.

«Come mai scappi?» insistette l'altro, quello moro, con la faccia da scimmia. « Hai fretta di andare a mangiare? Immagino che non morirai se salterai il pranzo, no?» l'accenno al suo disturbo non passò inosservato a Scarlett, che preferì non rispondere.

Era indecisa tra girarsi e scappare via correndo o rimanere lì a subire, sperando che non sarebbero arrivati alle mani, quando il biondo colpì con forza sovrumana i suoi libri, facendoli cadere dalle sue mani. I fogli si sparsero intorno a loro e i libri produssero un tonfo che echeggiò lungo il corridoio deserto. Scarlett fece un passo indietro, il respiro accelerato, incapace di abbassarsi e raccogliere le sue cose. Temeva che se avesse distolto lo sguardo dai tre, l'avrebbero colpita a tradimento.

«Se ti facciamo una domanda, è buona educazione rispondere, chiaro?» sibilò il biondo tra i denti, avanzando verso di lei, puntandole l'indice alla gola.

Dio, ma perchè era andata a scuola quel giorno?

«Ho detto: chiaro?!» alzò il tono di voce e il suo corpo si fece sempre più vicino a quello esile e fragile della ragazza, che saltò sul posto, dallo spavento e chiuse gli occhi, cercando di deglutire il nodo che le chiudeva la gola. Annuì leggermente, incapace di parlare e sentì il suo respiro caldo e disgustoso accarezzarle la fronte.

«C'è qualche problema qui?» una voce profonda e quasi familiare a Scarlett, li distrasse attirando l'attenzione alle spalle dei tre, dove stava in piedi, uno sguardo scuro, Harry Styles.

Magnifico, adesso mi picchiano in quattro; pensò Scarlett, abbandonando ogni speranza.

I tre ragazzi, compagni di squadra di Harry, si spostarono accanto a Scarlett, incastrandola tra di loro, in modo da vedere meglio Harry.

«Styles, tempismo straordinario!» esclamò il biondo, prendendola per l'avambraccio e le punte delle sue all stars sfiorarono il pavimento. «A te il primo pugno.» il biondo la strattonò con violenza verso Harry, davanti a loro. Scarlett chiuse gli occhi, nel tentativo di non mostrare le lacrime che le stavano offusando la vista.

Che avrebbe raccontato a sua madre quando sarebbe tornata a casa, con lividi e sangue ovunque? Come avrebbe reagito Mike? L'ultima cosa che voleva era che si mettesse nei guai per colpa sua. Aprì gli occhi, sorpresa di non aver ancora ricevuto alcun colpo. Harry era sempre lì, di fronte a lei, con la mascella contratta e le mani chiuse a pugno lungo i fianchi, che alternava lo sguardo da lei ai suoi compagni di squadra. Quando il ragazzo allungò la mano, fu per mostrarle il palmo, aperto verso l'alto.

«Andiamo.» disse, muovendo il capo verso la parte opposta del corridoio. Scarlett lo guardò confusa, non capendo a che gioco stava giocando. Voleva rovinarsi per sempre la reputazione?
Quando stava per prendergli la mano, la stretta del biondo intorno al suo braccio, si intensificò e fu lasciata cadere a terra con ben poca delicatezza. Non riuscì a reggersi in piedi e battè le ginocchia sul pavimento piastrellato. Emise un gemito soffocato, lasciandosi scivolare seduta.

«Che cazzo fai, McDermott?» sbottò Harry, facendo per andarle incontro, ma la mano del biondo, McDermott, si posò sul suo petto, spingendolo con la schiena contro gli armadietti.

«Che cazzo fai tu, Styles?! Da quando in qua difendi gli sfigati?» abbaiò, con rabbia.

«E tu, da quando in qua picchi le ragazze?!« rispose a tono Harry, che cominciava ad innervosirsi e nemmeno poco. Stavano mandando in fumo quel poco di autocontrollo che aveva.

«Da quando quelle ragazze sono sfigate, ecco da quando.» rispose ringhiando McDermott, spingendolo sempre più contro gli armadietti.

Scarlett pregò che non gli facessero male, mentre tentava invano di alzarsi in piedi e pensava a come fare per distrarli.

«Levati di mezzo.» mormorò Harry, spingendolo via con la forza di una mano, allontanandosi dagli armadietti e facendo per raggiungere la ragazza a terra.

«Tu non mi dici di levarmi di mezzo, ok?!» McDermott gli poggiò una mano sulla spalla, ma prima che potesse far altro, Harry si voltò e gli tirò un pugno in piena faccia, spaccandogli il labbro.

«E tu non mi metti le mani addosso, McDermott. Credo non ti sia chiaro il tuo posto in questa scuola. Tu non mi dai ordini.» ringhiò quasi, Harry e Scarlett sentì la voce del ragazzo incupirsi spaventosamente.

«Va' a farti fottere, Styles.» sbottò McDermott, allontanandosi con gli altri due e sparendo dietro l'angolo. Scarlett osservò l'ampia schiena di Harry alzarsi ed abbassarsi velocemente, prima che si voltasse verso di lei, gli occhi molto più scuri del solito.

«Alzati.» le ordinò, poco gentilmente, la mano tesa verso di lei. Lo guardò stranita e lui, ormai ben poco paziente, si allungò a prenderle la mano e a tirarla in piedi con la forza. Scarlett strattonò via la mano, ignorando il dolore alle ginocchia.

«Qual è il tuo problema?!» quasi urlò, Scar, mentre osservava quegli occhi quasi neri e rimpiangeva il verde, quel verde giocoso, dolce e malizioso. Era costretta a guardarlo dal basso all'alto, ma non per questo si lasciava intimorire.

«Tu! Per colpa tua, adesso avrò tutta la squadra di football contro. Solo per parare il culo a te!» sbraitò nel silenzio innaturale del corridoio. Possibile che nessuno, nè professore, nè studente, accorresse a controllare cosa stesse succedendo?
Questo ragazzo doveva essersi fatto davvero una brutta nomina se perfino i docenti temevano le conseguenze della sua ira. Ma aveva sbagliato persone se credeva di poterle urlare contro senza che lei reagisse. Poteva essere timida, insicura di se stessa, ma anche lei aveva una dignità e si rifiutava di farsi trattare come una pezza da piedi.

«Beh, mi dispiace se la tua preziosissima reputazione sia stata rovinata da una ragazzina inutile, che non sa nemmeno difendersi contro tre giocatori di football. Ma non mi sembra di averti chiesto aiuto, nè oggi, nè mai prima d'ora.» intrise quelle parole di rabbia e sarcasmo.

Harry strinse i pugni lungo i fianchi e digrignò la mascella. Scar non aveva paura di lui. L'aveva appena salvata da quei tre esseri indegni; per quanto poco lo conoscesse, dubitava che avrebbe osato alzare le mani su di lei. Si fissarono negli occhi. Se lo sguardo avesse potuto incenerire...

«Pensavo ti avrebbe fatto piacere che qualcuno si preoccupasse di venirti a salvare, ma evidentemente, oltre che acida, sei anche ingrata.» sputò quelle parole con una tale rabbia che Scarlett percepì un groppo in gola. Altro difetto da aggiungere alla lista: quando qualcuno le urlava contro, aveva l'istinto di mettersi a piangere, non perchè si offendesse, semplicemente perchè si arrabbiava talmente tanto da non riuscire a tenersi tutto dentro.

Questa volta però, mandò giù il groppo e, nonostante avesse la vista appannata dalle lacrime, fissò lo sguardo in quello del ragazzo. Ad Harry si strinse il cuore quando vide quegli occhi tanto belli, annebbiati dal pianto trattenuto, che lui stesso aveva causato.

«Non ho bisogno di una guardia del corpo che mi salvi dai bulli cattivi della scuola, ok? Non devi rovinarti l'esistenza per una come me; non ne vale la pena.» disse, tornando improvvisamente ad un tono di voce normale ed Harry si pietrificò sul posto. Cosa voleva dire quella frase?

Scarlett scosse leggermente il capo, come a voler dire di aver perso le speranze, poi gli voltò le spalle, stringendosi le braccia al petto ed abbassando il capo, lasciando finalmente cadere le lacrime.

«Non ho intenzione di correrti dietro!» la voce di Harry si alzò leggermente, ormai non più arrabbiato. Gli era bastato guardarla negli occhi, vedere il dolore che vi si celava sul fondo, osservarla, per capire di non essere più arrabbiato con lei. Sperava solo che si voltasse e gli dicesse che andava tutto bene, che non ce l'aveva con lui. Odiava il solo pensiero di saperla triste a causa sua. Ma lei non fece nulla di tutto ciò. Si limitò a raccogliere i suoi appunti da terra, ignorando le fitte alle ginocchia e ad allontarsi.

«Vai dai tuoi amici, Harry.» aveva mormorato Scarlett, ma nel silenzio di quel corridoio, sembrava un grido. Si strinse il quaderno al petto, lasciando Harry in piedi, stordito per ciò che era appena successo. Uscì sul retro della scuola, dove c'erano i tavoli, che venivano usati da chi voleva pranzare all'aria aperta, quando era bel tempo. Con quel freddo, non c'era nessuno ed era proprio questo che sperava.

Era circondata da nebbia e gelo, mentre si sedeva ad un tavolo, ma non ci fece nemmeno tanto caso. Tutta quella solitudine non era nulla in confronto a ciò che aveva dentro. Poggiò il quaderno sulla superficie di legno e si tirò le maniche della felpa sopra le mani, in un gesto abituale. Lasciò che i capelli mossi e scuri le ricadesso davanti al volto, mentre piegava la testa verso il basso e si fissava le cosce.
Scoppiò improvvisamente a piangere. Piangeva forte. Pensava a sua madre, a tutto il dolore che le avrebbe causato se le avesse parlato di ciò che doveva sopportare ogni giorno a scuola, pensava a suo fratello, alla sua delusione se fosse venuto a sapere che non riusciva a vivere bene, che non riusciva ad essere la sorella maggiore che lui meritava di avere. E poi, pensava a se stessa. Si vergognava di ciò che era diventata. Non sapeva farsi rispettare, non aveva amici, era lunatica, acida, inavvicinabile. Era diventata tutto ciò che da piccola si era ripromessa non sarebbe mai diventata.
Si passò le mani sul viso, cercando di togliere, alla cieca, il trucco che le era sicuramente colato sulle guance. Quando scoppiava a piangere, le era difficile smettere.

«Jones.» una voce sconosciuta le fece alzare di scatto il viso, scoprendo un ragazzo biondo, con gli occhi che riflettevano l'oceano, una ragazza rossa, che stringeva il braccio del biondo, un ragazzo dagli occhi dolci, che si dondolava sui talloni, e Harry. Niall Horan, Liam Payne, Amy Jacobs e Harry erano di fronte a lei, i primi tre con un vassoio pieno di cibo tra le mani, l'ultimo con un leggero sorriso appena accennato sul volto.
Sbarrò gli occhi, portandosi i capelli all'indietro ed approfittandone per asciugare le ultime lacrime. Alternò lo sguardo di ragazzo in ragazzo, confusa e interrogativa.

«Possiamo sederci?» domandò gentile Amy.

Che diavolo stava succedendo?









«C'è gente che mi prende
troppo sul serio quando dico di
non aver bisogno di nessuno.»
- cit.

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Capitolo 5
*** Errare humanum est, perseverare diabolicum ***


4.
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-Errare humanum est, perseverare diabolicum.-


Harry si era scusato per ciò che era successo il giorno prima, per averle urlato contro, e aveva detto che voleva mostrare ai suoi amici che persona meravigliosa fosse Scarlett. Amy aveva subito accettato e quindi anche Niall aveva dovuto seguirlo, Liam era incuriosito dallo strano atteggiamento di Harry e voleva vedere l'unica ragazza di cui l'amico, conosciuto da tutti come superficiale, annoiato, arrogante, si fosse interessato da quando lo conosceva. Louis e Zayn si erano arrabbiati. A dir la verità, quello furioso era Louis; Zayn aveva tentato di convincerli a desistere, dicendo che nessuno li avrebbe più rispettati. Harry aveva ignorato entrambi ed era uscito come un uragano dalla mensa, seguito da una trotterellante Amy, da un abbattuto Niall e un curioso Liam.
Amy aveva subito tentato di mettere Scarlett a suo agio, Niall si limitava a guardarla annoiato e Liam le porgeva qualche domanda, raramente. Harry le si era seduto accanto e lei, nonostante tutto, aveva apprezzato il gesto. Si ritrovava circondata da persone che non conosceva, che la guardavano come fosse un alieno ed avere qualcuno che conosceva, anche se poco, vicino, la faceva sentire meglio.
Amy le aveva chiesto di andare a fare shopping insieme, il giorno dopo e lei era rimasta in silenzio per alcuni secondi di troppo. Niall si era portato una mano sul viso, in segno di disperazione e Liam attendeva con ansia la sua risposta, quasi come stesse assistendo ad un film. Harry si era limitato a sorridere.
Scarlett aveva pensato a qualsiasi motivo per cui Amy avesse voluto invitarla a uscire. Umiliarla, minacciarla, illuderla e poi ferirla, ma quando la guardò negli occhi, non vi lesse nessuna cattiveria, nessun intento diabolico, per cui accettò, non abbandonando, però, la sua posizione sulla difensiva.

Fu per questo motivo che quel sabato mattina si alzò un pò più leggera del solito. Si fece una doccia calda e rilassante e poi scelse con cura cosa mettersi. (Scar's outfit)
Scese in cucina, per salutare la madre e trovò, seduto sul divano che guardava la televisione, Mike.

«Buongiorno tesoro.- la accolse Ashley, un sorriso smagliante sul volto. -Dove stai andando?»

Scarlett afferrò una fetta biscottata al volo, rispondendo con la bocca piena.
«Esco con una... compagna di scuola.» definirla amica le era sembrato esagerato, ma non poteva di certo raccontarle la vera storia. Aveva optato per una mezza verità.

L'espressione che lesse sul volto della madre, però, ripagò tutte le sofferenze che aveva passato fino a quel momento. Era felice. Era talmente felice che sembrava brillare.

«Una compagna di scuola?» intervenne Mike. Con lui sarebbe stato più difficile evadere le domande. Afferrò il mazzo di chiavi, posato sul mobile all'ingresso, mentre il fratello la seguiva, in attesa di una risposta.

«Sì, Mike. Una compagna di scuola.» sbuffò, aprendo la porta di casa, ma la mano del fratello la fermò di colpo. Scarlett gli lanciò uno sguardo di fuoco.

«Da quando esci con le ragazze della nostra scuola?» le chiese retoricamente e lei alzò un sopracciglio.

«Sei tu che mi hai detto di dovermi comportare normalmente. Hai cambiato idea?» lo punzecchiò, regalandogli un sorriso ironico.

«Sì, cioè no. Voglio solo che...- si interruppe, osservandola per alcuni secondi. -Stai attenta.» concluse, abbattuto e, questa volta, lei gli sorrise sincera.

«Lo sarò.» si guardarono un'ultima volta, prima che lui la lasciasse e lei uscisse, richiudendosi la porta d'ingresso alle spalle.

Era una bella giornata; il cielo era blu, nemmeno una nuvola, gli uccellini cinguettavano e l'aria fresca di inizio novembre le accarezzava il viso. Per la prima volta dopo molto, troppo, tempo, si sentiva più leggera, senza preoccupazioni. Si disse che per quella volta, non si sarebbe autodistrutta, avrebbe lasciato che la speranza le invadesse il corpo e la rendesse una persona felice. Per una volta, non voleva pensare al domani. Salì in macchina e poggiò la borsa sul sedile del passeggero. Amy le aveva detto che si sarebbero incontrate in centro, davanti a un negozio che, così aveva, era molto conosciuto e frequentato.
Che sarebbe successo quando si sarebbero incontrate? Ci sarebbe stato un momento di imbarazzo o sarebbe stata tutta l'uscita un continuo imbarazzo? Almeno, Amy si sarebbe presentata?

Parcheggiò dalla parte opposta della strada rispetto al negozio. Amy era lì, bellissima come sempre, che si guardava intorno, cercando di scorgere la figura della sua nuova amica. Scar spense il motore e si abbandonò contro il sedile. E adesso? Aveva una paura tremenda. Come sempre. Sembrava che l'unica cosa che sapesse fare era vivere nella paura e nell'ansia. Si disse che se doveva andare male, allora sarebbe andata male. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, le mani strette intorno al volante, prima di afferrare la borsa, scendendo dall'auto. La chiuse e controllò entrambi i lati, prima di attraversare la strada.
Gli occhi di Amy si focalizzarono sulla figura della ragazza che le stava venendo incontro, e poi si aprì in un sorriso che fece tentennare Scar, appena la vide. Nessuno le aveva  mai sorriso in quel modo. Le sue labbra si tesero con qualche secondo di ritardo, e quando furono abbastanza vicine, Amy la abbracciò di slancio. Si irrigidì, prima di stringerla in risposta. Dio, ma quella ragazza era sempre così espansiva?

«Pensavo non saresti venuta.» le disse Amy, tenendola per le spalle.

«Eppure sono qui.- rispose, allontanandosi dalla sua presa. Non era abituata a tutto quel contatto fisico. - Qual è il programma?»

Amy la prese sottobraccio, senza smettere di sorridere. «Potremmo andare per qualche negozio e poi a mangiare qualcosa.» le spiegò e Scarlett si limitò ad annuire e a seguirla lungo il
marciapiede.

«Stavo pensando che potremmo approfittarne per comprare il vestito per il ballo d'inverno.» propose la rossa e Scar si morse il labbro.

«Oh. Sì, certo.- ci fu un secondo di pausa. -Ti aiuto a sceglierne uno, tanto a me non serve.» concluse Scarlett, scrollando le spalle e passando davanti alla vetrina di un negozio. Amy faticò a stare al suo passo.

«Che intendi? Ne hai già uno?» le chiese la rossa e Scar ridacchiò, guardandola come se avesse appena fatto una battuta.

«Amy, non mi ha invitata nessuno.» le spiegò, come se fosse qualcosa di scontato.

«Per ora.» aggiunse l'altra, sorridendole incoraggiante e Scar non ribattè nemmeno. Si limitò a roteare gli occhi e tornare ad osservare le vetrine.

«Questo negozio mi sembra quello giusto.» suggerì Scar, indicandone uno un pò più avanti, ma che esponeva vestiti per un ballo scolastico e, soprattutto, vestiti perfetti per una come Amy
Il negozio era pomoso, con file di ragazze, che a Scarlett sembrarono essere all'altezza del ruolo sociale di Amy, che si spintonavano per arrivare per prime a mettere le mani sul vestito più ambito.

Amy storse il naso. «Perchè non proviamo in quel magazzino laggiù? Ci ho sempre trovato ottimi completi.» Scar aveva bocciato a prescindere quell'edificio. Da quando in qua ragazze del rango di Amy compravano i vestiti ai Grandi Magazzini? Scarlett la guardò come se fosse la prima volta che la vedesse. Forse la stava prendendo in giro; anzi, sicuramente adesso sarebbe sbottata a riderle in faccia e ad insultarla perchè aveva anche solo provato a credere che una come lei, come Amy Jacobs, potesse entrare in un negozio come quello.

Si divertirono a provare ogni tipo di abito, facendo smorfie davanti agli specchi del negozio. Scar scoprì in Amy un'amica vera e sincera, che nonostante fosse una delle ragazza più popolari della scuola, non era come tutte le altre barbie, che pensavano solo all'aspetto esteriore, non era vuota, anzi, era piena di vita, di sentimenti, che quasi spaventavano Scarlett, lei che aveva sempre trovato difficoltà ad esprimersi, ad esprimere le emozioni che la attraversavano.

«Questo devi comprarlo.» la incitò Amy, porgendole il vestito che Scar si era appena tolta. «Ti sta da Dio.» aggiunse, notando la diffidenza dell'amica.

«Amy non...» Scar tentò di dissuaderla, ma Amy era più che decisa a farle portare a casa quel vestito.

«Ma perchè no? Sono sicura che ti inviterà qualcuno. Devi solo imparare a valorizzare ciò che hai.» Amy poggiò il vestito su una poltrona lì accanto all'entrata del camerino e le prese le mani. Scarlett scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore a sangue per trattenere le lacrime.

«Non ho nulla da valorizzare, Amy.» sussurrò, abbassando il capo, i capelli scuri le coprirono gli occhi.

«Possibile che non te ne rendi conto? Tanto per iniziare, hai degli occhi bellissimi. Devi solo smetterla di truccarti come un panda.- iniziò e sorrise quando sentì la risatina dell'amica. -E poi vogliamo parlare delle labbra? Basta un pò di burro cacao. Hai un corpo così bello, fai la dieta?» domandò Amy e Scar alzò gli occhi di scatto su di lei. Stava scherzando? Un bel corpo? Lei? O Amy aveva bisogno di una visita dall'oculista, oppure ciò che Scar stava facendo, stava dando i suoi frutti. Si ricordò di dover rispondere ad una domanda, improvvisamente.

«No. Nessuna dieta.» o almeno, non credeva che il suo tipo di alimentazione potesse essere definito tale. Amy la prese sottobraccio, trascinandola alla cassa, con i vestiti di entrambe. Scarlett non se ne accorse finchè non la vide tirar fuori la carta di credito.

«Lascia almeno che lo paghi io.» estrasse dalla borsa il portafogli e dicendo alla cassiera che avrebbe pagato lei. Amy accettò di buon grado. Almeno era riuscita a convincerla a comprarlo.

Continuarono la loro passeggiata, entrando in qualche negozio, guardando attentamente i vestiti appesi alle stampelle. Scarlett sperava che quel momento non arrivasse mai, ma quando Amy ammise di aver fame, e propose di andare a mangiare un pezzo di pizza al volo, prima di tornare a casa, si sentì con le spalle al muro. Non poteva dirle che non aveva voglia di mangiare e che preferiva tornare a casa. Aveva appena trovato un'amica, era fuori discussione mettersi a fare la tipa strana. Così acconsentì. Si trovò dentro ad una piccola pizzeria a taglio, in fila davanti al bancone, soffocata dall'aria pesante del luogo, piena di odori e spezie. Ordinò un trancio di pizza rossa, mentre Amy ne prese una ai funghi. Comprarono una lattina di coca-cola ciascuna e si sedettero ad un tavolo.
Era arrivato il momento di sperimentare ciò che aveva imparato in riabilitazione. I pezzi di pizza erano stati serviti in piattini di carta e le avevano dotate anche di forchetta e coltello di plastica.
Scar poggiò il piatto sul tavolo, davanti all'amica, che mordeva la pizza. Cominciò a staccare piccoli pezzi di pasta con coltello e forchetta, indossando un nuovo sorriso, distrasse Amy con le sue parole.

«Quindi stai con Niall?» domandò, facendo per portarsi lo stesso pezzo alla bocca e riportandolo nel piatto dopo che lei ebbe abbassato lo sguardo per mordere.

«Sì.- rispose sorridendo e tornando occhi negli occhi. - E' davvero un bravo ragazzo. So che a volte può sembrare il contrario, può sembrare un ragazzo cattivo, ma è solo una facciata.» Scar rimase in silenzio, tagliando un nuovo boccone ed aspettando che continuasse. Si limitava a fingere di portare il cibo alle labbra quando Amy la guardava, e poi lo abbandonava nel piatto, mischiandolo con gli altri pezzi di pizza tagliati, sparsi un pò ovunque. Cavolo, stava funzionando davvero!

Doveva ricordarsi di ringraziare la ragazza che glielo aveva insegnato, quando sarebbe tornata in clinica per una delle solite visite di controllo. Quando Scar intuì che Amy aveva finito, finse di pulirsi la bocca e bevette un sorso di coca-cola, che, al contrario della pizza, era quasi finita, perchè le era servita da distrazione.

«Hai finito?» domandò retorica all'amica, che annuì felice, ignara di ciò che era accaduto sotto il suo naso. Scarlett si sporse lungo il piccolo tavolo, prendendo il piatto di Amy e cominciando a far passare il cibo avanzato da un recipiente all'altro. Quando lo sguardo di Amy si fece curioso, Scar si ricordò di cosa le aveva detto quella ragazza in clinica.

«Oh Dio, mi sono appena ricordata di dover studiare letteratura per il compito di domani! Ti dispiace se torniamo subito a casa?» recitò, fingendosi sorpresa e mortificata. Come aveva previsto, Amy abboccò.

«No, certo che non mi dispiace.» la rassicurò, dedicandole un sorriso raggiante.

«Puoi buttare le lattine di coca-cola, intanto?» le domandò, tanto con le bevande non aveva nulla da nascondere. Amy assentì, dandole le spalle e Scar si sbrigò a prendere entrambi i piatti, su cui era sparso il suo pranzo, e li buttò nel primo cestino che trovò.

«Pronta?» le chiese Amy, mentre si mettevano le borse in spalla.

«Pronta.» si allontanarono dal tavolo e si salutarono qualche metro più lontano, abbracciandosi.

Ed ecco, che tutti quegli sforzi, tutti i finti sorrisi quando dentro stava morendo, tutte le bugie che aveva detto e pensato, ecco che l'avevano portata a tutto questo. Questo era ciò che meritava. Sta a voi decidere se era giusto che fosse felice dopo tutto ciò che aveva dovuto affrontare o se era da pazzi dover affrontare tutto ciò solo per essere accettati.





Era appena uscita dalla doccia, si era stretta nel suo accappatoio e si era sistemata un asciugamano sulla testa, a mo' di turbante, quando sentì il telefono di casa squillare. Attese i primi due squilli, pensando che qualcuno sarebbe andato a rispondere, ma quando non successe, si precipitò fuori dal bagno, portandosi all'orecchio il cordless del piano superiore. Fece per dire qualcosa, quando alcune voci la avvertirono che qualcuno aveva già risposto. Voleva attaccare, ma la curiosità ebba la meglio su di lei.

«Ti ho detto di non chiamare a casa e soprattutto non a quest'ora, Rob.» la voce della madre, attualmente al piano inferiore, le arrivò in un sussurro.

Rob? Perchè stava parlando con suo padre?

«Lo so, Ashley, ma avevo bisogno di sentirti.» la voce di Rob era terribilmente smielata, troppo smielata per una coppia divorziata.

«Ci saremmo visti comunque domani mattina.» mormorò la donna e Scar riuscì a percepire che stava sorridendo.

Domani mattina? Da quando in qua i suoi genitori si incontravano la mattina?

«Non posso aspettare fino a domani, Ash. Vediamoci stasera., vengo io.» Rob propose e Scar quasi non cadde in ginocchio.

Ash?!  Vediamo stasera?!  Stava per vomitare.

«Ma, Rob, ci sono i ragazzi...» la donna stava cedendo, Scarlett glielo percepiva nella voce.

«Non fa niente. Facciamo piano.»

OK, questo è abbastanza.

Scar mise giù il telefono e si appoggiò al muro con la schiena. Buttò la testa all'indietro. Che diavolo stava succedendo? Sua madre e suo padre... di nuovo?!
Non avrebbe dovuto ascoltare, è vero, ma i suoi non potevano tornare insieme!
Che cosa gli stava passando per la testa!? Sbagliare una volta è lecito, ma fare lo stesso errore due volte è da ottusi.













«Perchè sei così cattiva?»

«Perchè l'unico modo per non lasciare che
qualcuno ti spezzi il cuore,
è fingere di non averne uno.»
-Skins

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Capitolo 6
*** Il giorno della visita era arrivato ***


5.
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- Il giorno della visita era arrivato.-



Il giorno della visita era arrivato. Scarlett si svegliò di buon'ora per prepararsi alla visita in clinica, che le avrebbe conferito la libertà da qualsiasi tipo di controllo di dottori che si ritenevano esperti dei comportamenti umani, oppure che sarebbe potuta essere la causa di altri mesi di riabilitazione.
Sua madre quel giorno aveva un'importante riunione di lavoro dall'altra parte della città, mentre suo fratello aveva scuola e dopo gli allenamenti di basket. Ciò significava che aveva il via libera per sistemarsi al meglio.


Non aveva nessuna intenzione di mangiare, ma doveva. Il cibo che avrebbe ingerito a colazione, avrebbe aggiunto qualche grammo al suo peso; grammo che avrebbe potuto segnare per sempre la sua vita. Quindi si fece forza e scese in cucina. Cosa poteva mangiare che fosse abbastanza sostanzioso da evitarle una strillata dalla dottoressa e un richiamo per i suoi genitori, che si sarebbero sentiti ancora peggio?
Aprendo gli sportelli delle credenze e il frigo, giunse alla conclusione che avrebbe mangiato delle fette di pane con il burro e la marmellata. Per mandarle giù, ci bevve una confezione di succo d'arancia.
Si alzò da tavola che avrebbe voluto ributtar fuori tutto, liberarsi di tutto quel cibo che si agitava nel suo stomaco, ormai disabituato a ingerire tutti quei carboidrati. Dovette trattenersi dal mettersi due dita in gola, mentre si lavava i denti e la faccia. Decise di non pensarci e di ignorare quelle orribili sensazioni. Doveva ancora terminare la sua preparazione. Corse in camera di suo fratello, si accovacciò davanti al letto e cercò a tentoni ciò che le serviva. Estrasse due pesetti a forma di disco da hokey e le sembrarono abbastanza pesanti, a prima vista. Li controllò meglio, rigirandoseli tra le mani, e una scritta la avvertiva che erano di 1kg ciascuno. Si disse che potevano andare, che in quella visita non ci sarebbero stati controlli particolari, solo qualche domanda e poi la dottoressa l'avrebbe pesata, ma non sarebbe stata particolarmente rigida come nelle visite precedenti. Le servivano solo dei dati da scrivere sul modulo di dimissioni dalla clinica.

Quindi, Scarlett incastrò i pesetti nelle coppe del reggiseno. Si mise davanti allo specchio, controllando se si notava la presenza degli oggetti di ferro. Decise che era meglio se metteva un top sopra al reggiseno. Non voleva rischiare proprio questa volta. Finì di vestirsi e truccarsi, ignorando il peso degli oggetti che le gravavano addosso e il terribile istinto che aveva di vomitare e togliersi dallo stomaco quella maledettissima colazione.

Riuscì a prendere un taxi che erano quasi le dieci, in perfetto orario per la visita, che si sarebbe tenuta alle undici e trenta. Combattè per tutto il tragitto contro quell'orribile mal di pancia. Si costrinse a resistere fino a dopo la visita, poi sarebbe potuta tornare a casa e buttare fuori tutto  ciò che il suo corpo giudicava di troppo.
Quando vide la reception, si ricordò improvvisamente di quella ragazza che le aveva insegnato a sopravvivere in riabilitazione, di quella ragazza che era stata costretta a rimanere lì, quando lei aveva avuto il permesso di tornare a casa. Non aveva fatto in tempo a ringraziarla per averle insegnato come fare a far credere alla gente che lei non aveva problemi a mangiare.

Chiese alla donna dietro al bancone dove fosse la stanza adibita per la sua visita e, dopo aver ricevuto l'informazione che le serviva, si avvicinò impercettibilmente alla donna, sporgendosi sul bancone.

«Ho bisogno di incontrare una ragazza ricoverata qui» le disse.

«L'orario di visite è dalle 17:00 alle 19:00» rispose lei, senza nemmeno alzare lo sguardo su Scar.

«Sì...sì, lo so,- riprese la ragazza, cercando di attirare l'attenzione della signora. -Senta, io ero in riabilitazione qui, qualche settimana fa. Conosco questa ragazza, ho bisogno di parlarle. Si chiama Vanessa. Per favore» implorò, poggiando i palmi delle mani sul bancone di marmo freddo.

Finalmente gli occhi nocciola della donna incontrarono quelli blu di Scarlett.

«Intendi Vanessa Richards?» domandò allora, occhi di ghiaccio. Scar si limitò ad annuire. La donna diede una veloce occhiata a dei moduli, poi tornò a guardare quella ragazza che aveva una strana luce negli occhi.

«E' morta» la freddezza con cui pronunciò quelle due parole lasciò Scarlett tramortita. Il peso del corpo gravò sui palmi delle mani, ancora sul bancone.

«M-morta?» il mondo si era improvvisamente fermato.

«Non mangiava più, si rifiutava di prendere le medicine,- un accenno di dispiacere si diffuse sul viso della signora. -Lo ha deciso lei.»

Scarlett si allontanò dalla reception senza dire nulla. Quella ragazza l'aveva salvata, era riuscita a farla uscire da quella prigione, le aveva trasmesso i suoi trucchi, i suoi segreti. Non poteva essere morta. Si trascinò di malavoglia fin davanti alla porta che le aveva indicato la receptionist e rimase alcuni secondi immobile, disgustata da ciò che le era stato detto.
Fece dietrofront, intenzionata a chiudersi in bagno e vomitare anche l'anima, ma venne placcata da un'infermiera.

«E tu chi sei?» la guardò con curiosità, cercando in giro con gli occhi se c'era qualcuno a cui potesse affidarla. Scar dovette concentrarsi sulla domanda, per poi riuscire a rispondere.

«Scarlett Jones.» biascicò, gli occhi vuoti. Com'era potuto accadere una cosa del genere?

«Devi fare una visita, tesoro?» l'infermiera aveva cominciato a trattarla come una bambina. Si riscosse a forza da quel torpore che l'aveva catturata.

«Io...sì, devo entrare qui.» rispose, indicando la porta davanti alla quale si era fermata poco prima. L'infermiera annuì e le disse di entrare, allora, prima che la visita venisse annullata. Scarlett mise da parte i sentimenti, nascose la rabbia, la tristezza, il dolore, la sensazione di vuoto, in un angolo remoto della sua mente e del suo incoscio, poi entrò, guardandosi intorno, sull'attenti.

La dottoressa la stava aspettando seduta dietro la sua scrivania. La riconobbe e le sorrise. Scar si passò i palmi delle mani sulle cosce, fasciate dai jeans, un chiaro segno di nervosismo.

«Scarlett, ciao!» la salutò, alzandosi e porgendole la mano. Scar gliela strinse, ed entrambe si sedettero, una di fronte all'altra.

«Allora, prima d'iniziare la visita, parlami un po' del ritorno a casa. Stai meglio? Segui la dieta che ti ho prescritto?» gli occhi della dottoressa la osservavano attenti, da dietro gli occhiali da vista. Scarlett si sentì le gambe molli.

«Sto molto meglio ora, grazie. La dieta è perfetta, davvero. Percepisco un vero e proprio miglioramento.» l'unica cosa che desiderava era non tornare in quel posto. La dottoressa annuì, un sorriso soddisfatto sul volto, mentre firmava alcuni documenti.

«Ok, Scarlett, intanto spogliati e mettiti sul lettino; ti raggiungo subito.» lei fece come le era stato detto e si nascose dietro la tendina  che circondava la postazione per la visita. Cominciò a spogliarsi e si sistemò meglio il top, cercando di nascondere i pesetti sotto di esso.

La dottoressa aprì la tendina e azionò la bilancia. Scarlett si strinse le braccia al petto, cercando di trasmettersi sicurezza.

«Prego, accomodati.» la dottoressa le sorrise, incoraggiante, indicandole lo strumento e Scarlett vi salì sopra, il cuore a mille. Sperava davvero che non si accorgesse di ciò che stava nascondendo sotto il reggiseno.

«Allora...- borbottò la donna, avvicinandosi alla ragazza. Osservò i numeri che comparvero sulla bilancia professionale e Scarlett trattenne il fiato, aspettando e temendo la sua reazione. -Stai migliorando in effetti.»

Scarlett sgranò gli occhi dalla sorpresa e la dottoressa le sorrise, orgogliosa, prima di abbassare lo sguardo sui fogli che aveva tra le mani, per scrivere il suo peso. Scar rilasciò il respiro in uno sbuffo, rilassando i muscoli che non si era nemmeno accorta di star contraendo.
Le fece fare altre visite che riuscì a superare senza troppi problemi. Solo una volta, quando la dottoressa le chiese perchè non voleva togliersi il top, Scar si sentì messa con le spalle al muro. Boccheggiò per alcuni istanti, prima di recuperare il controllo. Le disse che si sentiva più a suo agio coperta dal top e la pregò di poterlo tenere. La signora titubò alcuni secondi, poi acconsentì, guardandola con aria di rimprovero. Scarlett cercò di non  pensare a cosa sarebbe successo se l'avesse scoperta. Sarebbe finita in un mare di guai.
La dottoressa la lasciò andare, facendole firmare delle scartoffie e dicendosi soddisfatta, perchè era guarità dalla sua malattia. Scar fece buon viso a cattivo gioco  mise in borsa il foglio che dichiarava ufficialmente che era una persona nuova e sana.

Stava scendendo le scale, quando il cellulare cominciò a squillare. Frugò nella borsa, cercando alla cieca l'oggetto rettangolare. Quando riuscì ad afferrarlo e lo portò davanti al viso, non riconobbe il numero che lampeggiava sullo schermo. Rispose, fermandosi sul pianerottolo del secondo piano.

«Pronto?»

«Scarlett, sei tu?» una voce maschile, vagamente familiare, chiamò il suo nome. Scar aggrottò la fronte.

«Sì, chi è?» domandò, spostandosi più vicina al muro per lasciar passare una signora.

«Scar, sono Harry.» il cuore le esplose nel petto.

«Harry, che succede?» chiese allarmata. Perchè Harry la chiamava nel bel mezzo della giornata?

«Ero passato a casa tua per vedere come stavi, sai, non sei venuta a scuola, solo che tuo fratello mi ha detto che eri a fare una visita e che non ti avrei trovata a casa. Quindi sono qui fuori.» l'ultima frase fu pronunciata con un sorriso sulle labbra, percepì Scar.

«Qui fuori? Qui fuori dove?» domandò Scarlett, allarmata. Lo sentì ridacchiare.

«Fuori dalla clinica, Scar. Sono in macchina.»

«Oh.- e ora? Sarebbe dovuta andare da lui e fare cosa? Come si sarebbe dovuta comportare? -Va bene, allora arrivo.» il primo pensiero che le affollò la mente fu come fare a togliersi i pesetti di dosso. Glielo avrebbe detto chiaro e tondo, pensò, scendendo l'ultima rampa di scale, lei non sarebbe tornata con lui. Non poteva lasciarsi prendere da lui e dalla situazione. Tutto quello che sarebbe potuto nascere non avrebbe fatto bene a nessuno dei due.

Superò la reception, allontando il pensiero di Vanessa e spinse le porte di vetro per usciree all'aria aperta. Si coprì gli occhi con una mano dai raggi del sole, cercando la macchina di Harry. Lo vide appoggiato al cofano di una Range Rover, le mani nelle tasche anteriori dei jeans e gli occhiali da sole sul viso. Quando la notò, ferma sulla soglia della clinica, sorrise, incosciamente, e alzò un braccio per farsi vedere. Scarlett rilasciò un sospiro per infondersi coraggio e si mosse verso di lui, con passo incerto.

«Ciao, bellissima.» la salutò Harry, un sorriso sornione che gli adornava il volto. Lo stomaco di Scar, già messo a dura prova durante la giornata, fece un doppio salto carpiato. Come l'aveva appena chiamata?

«Ciao...» mormorò lei, cercando di non arrossire, ma fallendo miseramente il tentativo.

«Allora, com'è andata la visita?» le chiese, interessato e lei dondolò sui talloni.

«Bene, superata senza problemi. Non devo più preoccuparmi di ciò che mangio.» Scar aveva un bellissimo sorriso, e Harry pensò che avrebbe dovuto sorridere più spesso.

Lui non sapeva che problemi avesse Scarlett, ma potè farsene un'idea da quello che aveva sentito dire in giro da qualcuno e da lei, che adesso aveva parlato di cibo.

«Perfetto, allora dove andiamo a mangiare per festeggiare?» le domandò, non sapendo quale meccanismo aveva appena innescato.

Scarlett si sentì improvvisamente soffocare. Il suo stomaco le stava ancora chiedendo pietà per la colazione che si era costretta a ingerire, non poteva mangiare altro cibo. Harry notò i suoi occhi blu sgranarsi di colpo e cercare una via d'uscita dalla situazione in cui si era cacciata. Avrebbe quasi potuto percepire le rotelle nella sua testa girare vorticosamente.

«Harry, io non posso venire, devo tornare a casa.» sotto lo sguardo accigliato del ragazzo, Scarlett si sentì messa alle strette. «Assolutamente.»

«Scar, andiamo. Mangiamo insieme e ti riporto a casa.» insistette il ragazzo, guardandola dall'alto in basso, ora dritto in piedi; non più poggiato alla macchina.

«No, Harry, davvero.» Scar scosse la testa, ma il ragazzo non aveva la minima intenzione di lasciarla andare. Si avvicinò alla portiera del passeggero e gliela aprì davanti, incitandola a entrare. Scarlett indugiò alcuni secondi, non avrebbe voluto salire, ma si vide costretta dalle circostanze. Si bloccò con il piede già dentro l'auto, quando si voltò improvvisamente per parlargli.

«Vengo, ma ad una condizione.- attese che il ragazzo annuisse, per poi riprendere. -Devo sistemare una cosa e per farlo, devo sedermi dietro.» Harry la guardò confuso per alcuni secondi, poi si riscosse.

«Va bene, come vuoi.» Mentre lui si sedeva al posto del guidatore, lei si sistemava sui sedili posteriori.

Harry mise in moto e si immise nel traffico. Scarlett gli voltò le spalle, girata in ginocchio verso il retro dell'auto per non far vedere cosa stava facendo. Lui la guardò dallo specchietto retrovisore, mentre armeggiava con la maglietta. Aggrottò la fronte, non capendo le intenzioni della ragazza. Si stava spogliando? La vide estrarre prima uno e poi due oggetti rotondi e scuri e la sentì emettere un sospiro di sollievo. Harry impiegò qualche secondo per collegare ciò che aveva appena visto, alla situazione in cui si trovava Scarlett. Accostò improvvisamente la macchina, nero dalla rabbia. Scar non fece nemmeno in tempo a realizzare il motivo per cui si era fermato, che Harry era sceso, aveva aperto la portiera posteriore e le aveva afferrato malamente il braccio, la mano che ancora stringeva il pesetto.

«E' così che hai superato la visita?» Harry dovette controllarsi dall'urlare, mentre le scuoteva il braccio. Lei era sospinta sempre più vicina a lui.

«Allora? Rispondi!» Harry la scosse ancora e il pesetto cadde tra loro due, sul sedile di pelle nera.

«Harry, mi fai male.» sussurrò Scar, un'espressione di dolore sul volto. Il ragazzo la lasciò andare dopo qualche secondo.

«Siediti davanti.» le ordinò, la voce fredda, prima di scendere e tornare al suo posto, alla guida. Il cuore di Scarlett le stava martellando la cassa toracica. Aveva davvero avuto paura che la potesse picchiare. Fece come le era stato detto e si allacciò la cintura, mentre Harry partiva di nuovo. Passarono minuti interminabili in un silenzio soffocante.

«Voglio tornare a casa.» mormorò Scarlett, fissando dritta davanti a sè. Harry non le rispose, non diede nemmeno segno di averla sentita e lei non osò pronunciare un'altra parola.

Dopo circa dieci minuti di silenzio, quella situazione stava diventando veramente insostenibile, pensò Scarlett. Prese il coraggio a due mani e parlò.

«Harry, dove stiamo andando?» la voce della ragazza non era mai stata così ferma e dura. Il ragazzo le dedicò un'occhiata, prima di svoltare improvvisamente a sinistra.

La cintura strusciò contro il collo di Scar. La pelle delicata s'infiammò. Harry parcheggiò, frenando con forza e Scarlett fu sbalzata in avanti. Poggiò il palmo della mano aperto sul cruscotto, gli occhi impauriti e basiti fissi sul ragazzo che le era accanto. Harry tolse le chiavi e scese dall'auto. Scar stava ancora armeggiando con la cintura di sicurezza, quando la sua portiera si aprì. Il ragazzo le porse la mano, per aiutarla a scendere e lei la accettò, dopo qualche secondo di esitazione. Scar saltò giù dalla macchina, terribilmente alta, soprattutto per una come lei, che raggiungeva a stenti il metro e sessantacinque.
Harry le tenne stretta la mano anche mentre stavano entrando nel ristorante. Era un edificio arredato in modo molto rustico. All'entrata, dietro un bancone, c'era il maitre, con un librone enorme aperto davanti, per controllare chi entrava e chi usciva, poi la sala si apriva in larghezza, con tavoli da due, da quattro e da sei, sparpagliati secondo un ordine non apparentemente precisato. La stanza era illuminata da due o tre lampadare che scendevano dal soffitto, ma il risultato di penombra che si veniva a creare, donava un'atmosfera intima e accogliente.
Se Scarlett non fosse stata trascinata lì con la forza e non avesse avuto ancora la colazione di quattro ore prima ancora piantata tra lo stomaco e l'esofago, avrebbe pensato lei stessa che quel posto era carino.

«Styles, chi si rivede!» esclamò il maitre, con una cadenza scozzese. Harry forzò un sorriso.

«Ehy, Jay! Ce l'hai un tavolo libero?» gli chiese subito il ragazzo. Non aveva per niente voglia di stare a parlare con lui, in quel momento.

«Certo, nessun problema. Tavolo per...- lo sguardo dell'uomo cadde sulla piccola figura di Scarlett, che lo osservava, accanto a Harry. -...due, giusto?» gli occhi del maitre sfavillarono di una luce che a Scar non piaque per niente. Sussultò impercettibilmente e si strinse più vicina a Harry, nascondendosi dietro il braccio muscoloso di lui, che le strinse la mano.

«Sì, per due, Jay.» la voce di Harry avrebbe fatto rabbrividire il più spietato dei criminali, in quel momento.

Furono guidati da un cameriere a un tavolo appartato, lontano da occhi indiscreti. I due si accomodarono uno di fronte all'altra e il cameriere gli lasciò i menù. Scarlett lo aprì davanti al viso, in modo da non mostrare le espressioni che la attraversarono, mentre leggeva i nomi delle pietanze. Davvero tante emozioni. Lei stessa faceva fatica a capire quali emozioni fossero, non più abituata. Ma la rabbia, la rabbia era lì, presente come non mai. Quella la sentiva. Avrebbe voluto alzarsi da quello stupido tavolo, voltare le spalle a quel ragazzo che nemmeno la conosceva e lasciarlo lì a mangiare i piatti che quel maleducato si era appena preso la libertà di ordinare anche per lei. Scarlett poggiò il menù sul tavolo con ben poca delicatezza, appena il cameriere se ne fu andato. Harry la stava guardando e quando i loro occhi si incontrarono avrebbero potuto mandare in fiamme l'intero locale.

«Non ho neppure il diritto di ordinare ciò che voglio?» domandò pungente Scar.

«No,- la voce di Harry era terribilmente dura. -No, non ce l'hai.»

Rimasero in silenzio finchè non arrivarono i piatti. Scarlett giocava con le molliche della fetta di pane che aveva appena ridotto in piccoli pezzi, senza neanche rendersene conto, sotto gli occhi attenti di Harry. Lui la guardava e non capiva. Insomma, la maggior parte delle persone la guardava e non la capiva, anzi, a volte era spaventata, addirittura, come se quella minuta ragazzina potesse trasformarsi in un mostro da un momento all'altro; ma lui no. Lui la guardava e si chiedeva come. Come faceva una ragazza come lei, così piccola e all'apparenza così debole e indifesa, a sopportare tutto questo?
Sotto tutti gli strati di rabbia (ed erano tanti), di dolore e di tristezza, Harry ammirava quella piccola peste. La guardava, mentre ammucchiava tutte le molliche da un lato della tovaglia e poi le spargeva, per poter ricominciare lo stesso rito, dall'altro lato, e pensava che se fosse stato lui al suo posto, lui che era grande e grosso, lui che giocava nella squadra di football, lui che aveva affrontato il divorzio dei suoi senza fare una piega, apparentemente, e lui che ora viveva con suo padre, felicemente risposato, mentre sua madre era a disintossicarsi, in qualche clinica, lui non sarebbe riuscito ad affrontare tutto ciò che aveva affrontato Scar con la sua stessa forza. Lei alzò gli occhi su di lui.

«Beh? Qualche problema?» gli chiese, insolente e lui le sorrise con quel suo ghigno da non-provocarmi.

«Oh, parecchi problemi, credimi.» le rispose lui e lei alzò gli occhi al cielo.

Con rammarico e una lamentela da parte del suo stomaco, Scar apprese, dieci minuti dopo, che Harry aveva ordinato, per entrambi, due grandi piatti di spaghetti al ragù.
Attese educatamente che il cameriere gli avesse consegnato i piatti e si fosse allontanato con passo leggero, prima di fissare gli enormi occhioni blu in quelli verdi di Harry.

«Io...non credo che...» balbettò qualcosa e lui le sorrise di nuovo, incoraggiante, questa volta.

«Ce la fai, Scar.» le disse, poggiando la sua grande mano su quella piccola ed esile di lui, abbandonata sul tavolo, chiusa a pugno intorno alla forchetta. Lei scosse la testa.

«Harry, non posso farcela.» sussurrò Scar, mentre fissava quel piatto di pasta, come un bambino fissa il proprio armadio, di notte, attendendo che esca un terribile mostro, da un momento all'altro.

«Scar, va tutto bene. Devi solo mangiare quella pasta.» sussurrò Harry, stringendole la mano tra le sue dita. Quello sguardo nei suoi occhi gli metteva paura. Era lo sguardo di una bambina spaventata.

«Perchè?» mormorò lei, il volto basso, gli occhi fissi sul suo piatto. Harry aggrottò la fronte.

«Perchè ti farà bene, non puoi...» fece per dire lui, ma Scarlett scosse la testa e finalmente lo guardò.

«No. Perchè proprio tu, adesso, sei qui?» specificò lei e i suoi occhi, improvvisamente, nascosero tutta la paura che lui aveva visto qualche secondo prima.

Quella domanda lo spiazzò. Perchè era lì? Forse si sentiva in colpa per averle gettato addosso il pranzo di Niall e ora stava tentando di alleggerirsi la coscienza. Ma Harry sapeva che il motivo non era quello. C'era qualcosa di più profondo in quello che stava dacendo. Sua madre era finita in clinica e lui non aveva fatto nulla per aiutarla. Voleva aiutare Scarlett. Non voleva lasciarla sola.
Scrollò le spalle.

«Voglio solo aiutarti, Scar.» le rispose semplicemente lui e rimasero alcuni secondi a guardarsi. Lei voleva vedere se quello che diceva era la verità, voleva leggergli  negli occhi e lui lasciò che lo facesse. Per la prima volta da anni, lasciò che qualcuno gli guardasse nell'anima.

Scarlett sospirò pesantemente, capendo che era sincero e tornò sul suo piatto. Liberò la mano da quella di Harry e arrotolò un boccone di spaghetti intorno alla forchetta. Aveva ancora la colazione nello stomaco ed era più che certa che lo spazio disponibile che aveva in corpo, non sarebbe bastato per quell'enorme piatto.
Harry la guardò mangiare, attento. Non le toglieva gli occhi di dosso. Sapeva che le sarebbe bastato mezzo secondo per poter far scomparire magicamente gran parte del suo pranzo e, in effetti, Scar aveva già in mente un piano, ma non riuscì ad attuarlo sotto lo sguardo vigile del suo accompagnatore.
Aveva inghiottito almeno tre quarti della pasta e Harry la guardava, da sopra il suo, ormai da molto, piatto vuoto.
Alzò gli occhi su di lui, lo stomaco perforato da forti fitte, che la stavano dilaniando.

«Harry, ti prego...» sussurrò, poggiando entrambe le mani sulla tovaglia.

Lui la guardò imperscrutabile.
«Mangia.» ordinò solo e Scar si rese conto di odiarlo. Perchè non capiva? Perchè non dipendeva da lei o dalla sua volontà? Perchè non capiva che ogni boccone che teneva sulla lingua, il suo stomaco si rifiutava di inghiottirlo, obbligandola a trattenere gli impulsi a rimettere?

«Harry, te ne prego. Non. Posso.» disse a denti stretti.

«Scarlett, non ci alzeremo da qui finchè non avrai pulito quel piatto.» il suo tono duro non fece altro che far riaffiorare la rabbia di poco prima. Gli lanciò una delle sue occhiatacce e decise che aveva finito di farsi trattare come una bambina.

Sotto lo sguardo attento e curioso di Harry, si chinò di lato, sollevò la propria borsa e la aprì sopra le sue gambe, ne estrasse il portafogli e poggiò una banconota da venti sterline sul tavolo, con un tonfo sordo.

«Bene, allora me ne vado da sola.» sbottò, alzandosi in fretta, mentre Harry la guardava esterrefatto. Trattenne ancora i conati che le salivano alla gola, si mise la borsa in spalle e gli voltò la schiena, avviandosi di gran passo verso l'uscita.

Superò il maitre, senza degnarlo di uno sguardo, mentre le diceva preoccupato e fin troppo premuroso se avesse bisogno di qualcosa.

«Scar.» la voce profonda di Harry le arrivò terribilmente vicina.
Maledizione, doveva vomitare e non era intenzionata a farlo davanti a lui.

«Vattene.» gli urlò lei, accelerando il passo, senza voltarsi a guardarlo.

«Scarlett!» la richiamò e percepì le sue dita sfiorarle il braccio. Scar sussultò, mettendosi a correre, ignorando il cibo che le rimbalzava nello stomaco.

Superò la macchina di Harry e si buttò in mezzo alla strada, con l'intenzione di raggiungere l'altro lato  della via, dove si apriva un piccolo parchetto, coperto da alberi alti e pieni di foglie.
Nello stesso istante, la voce allarmata e piena di paura di Harry che chiamava il suo nome, si mescolò al suono di un clacson e delle stridore delle gomme sull'asfalto. La macchina frenò appena in tempo e Scarlett mise di riflesso le mani sul cofano caldo dell'auto, il sangue raggelato nelle vene.
Continuò a correre e venne nascosta dagli alberi. Il conducente attese che anche Harry gli sfrecciasse davanti, si assicurò che stessero entrambi bene e poi ripartì.
Scarlett si appoggiò contro il primo tronco che trovò, piegandosi in avanti, scossa dai conati.
Continuava a ripetersi che non poteva, che non voleva, che non doveva; non davanti a lui, non così.
Harry le poggiò una mano sulla schiena, come sostegno. Scarlett fece un debole tentativo di mandarlo via, ma la sua mano non accennò a sparire.

«Scar, non ho intenzione di lasciarti da sola. Quindi, fa' quello che vuoi, io non me ne vado.» le disse, il tono che le trasmise un'incredibile sicurezza, nonostante fosse sul punto di vomitare anche l'anima.

Harry le prese i capelli tra le mani e glieli tenne lontani dal viso. Scarlett pianse, pianse con tutta se stessa, perchè non era in grado di mangiare un fottuto piatto di pasta come tutte le altre persone. Chi era diventata? Poteva odiarsi più di così? Si appoggiò al tronco, la schiena a contatto con il legno duro, Harry le porse un fazzoletto di stoffa, che si passò sopra le labbra, le lacrime che le scendevano ancora lungo le guance.

«Mi dispiace.» mormorò, la voce rotta dai singhiozzi. Lui la guardò confuso, dall'altro del suo metro e ottantotto.

«Scar, non ti scusare.» le accarezzò una guancia, asciugandole le lacrime con il pollice.

«E' che...io...non volevo...» singhiozzò lei, coprendosi il viso con le mani. Harry la strinse d'istinto contro il proprio petto, stringendole le braccia intorno alla schiena. Lui poggiò il naso tra i suoi capelli, odorandone il profumo, chiuse gli occhi, concentrandosi sul respiro spezzato della ragazza che aveva fra le braccia.

«Io lo so che è difficile, Scar, davvero. Mi distrugge vederti così, ma bisogna superarlo, e se non ci riuscirai da sola, allora ci sarò io a guidarti sulla retta via.» Harry attese qualche secondo, poi Scar alzò il viso e puntò gli occhioni blu e bagnati come l'oceano in tempesta, dentro quelli verdi e preoccupati di lui. Lo guardò a lungo e, di nuovo, si sentì vulnerabile; non poteva più nascondere ciò che gli attraversava la mente, non davanti a Scarlett. Improvvisamente, la ragazza si aprì in un timido sorriso che lasciò Harry senza fiato. Era il primo vero e proprio sorriso che gli faceva.

«Come il grillo parlante?» gli domandò inaspettatamente e lui rimase in silenzio per alcuni secondi. Poi rise e la sua risata gli rimbombò nel petto e si diffuse nel petto di Scarlett, contagiandola con quel suono meraviglioso, a detta di Scar.

Si chiese perchè, se Harry aveva una risata così bella, perchè non rideva più spesso?
E, se può servire come risposta, io posso soltanto dire che Harry pensò la stessa identica cosa.









«Sii sempre come il mare,
che infrangendosi contro gli scogli,
trova sempre la forza di riprovarci.»

-
Jim Morrison

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Capitolo 7
*** E' finita. ***


6.
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-E' finita.-



«Siamo arrivati.» annunciò Harry, fermando la macchina davanti il vialetto di casa di Scar.

«Dovrei aver paura del fatto che sapevi già dove vivo, senza che ti dicessi nulla?» chiese lei, cercando di nascondere l'ilarità. Harry ridacchiò, slacciandosi la cintura di sicurezza e girando il busto verso di lei.

«Scar, tuo fratello è uno dei giocatori più forti della squadra di basket della scuola. Di solito, quando si vince una partita, si organizzano feste, si conoscono persone...» Harry lasciò in sospeso la frase e Scarlett sbarrò gli occhi.

«Hai conosciuto mio fratello a una festa?» gli chiese, guardandolo in un modo che lui non riuscì a interpretare.

«Sì, qualche mese fa. Aveva vinto una partita e la festa era a casa sua.» aggrottò la fronte, cercando di capire i pensieri della ragazza. Ovviamente, preferì omettere il motivo per cui lui e il suo gruppo si trovavano a una festa di ragazzi di due anni più piccoli, organizzata per la vittoria di una partita di basket, per giunta. Harry ricordava perfettamente quanto gli incassi fossero andati bene quella sera.

«Io...non sapevo organizzasse delle feste.» borbottò Scar, rendendosi conto che si era persa sei mesi importanti nella vita di suo fratello. Forse anche di più; negli ultimi tempi prima del ricovero, non era quasi mai lucida, colpa delle pasticche, della droga, dei frequenti svenimenti che la colpivano. Mai, prima di quel momento, aveva tanto desiderato di poter essere come tutte le altre ragazze.
Harry intuì i suoi sentimenti e cercò di portare la conversazione verso un altro tema.

«Beh, non ne ha organizzate tante. Sai, alla fine la squadra che vince di più è quella di football.» si vantò, assumendo una finta aria di superiorità.

Scarlett lo guardò per alcuni istanti confusa, poi capì cosa stava cercando di fare e decise di assecondarlo. Non aveva voglia di buttarsi giù, dopo essersi appena ripresa e dopo la magnifica piega che stava prendendo la giornata.

«Beh, Styles, immagino che questo non abbia nulla a che fare con il fatto che tu faccia parte di tale squadra, o sbaglio?» Scarlett alzò un sopracciglio, fingendo un tono da donna con la puzza sotto il naso. Notò che Harry stava cercando di trattenere un sorriso.

«Sbagli, mia cara Jones. Io sono il fulcro di tale squadra. E' ovviamente grazie a me se stiamo vincendo il campionato.» continuò lui, guardandola dall'alto in basso e Scarlett non riuscì più a evitare di scoppiare a ridere. Gli diede un piccolo, scherzoso pugno sulla spalla, ancora ridendo.

«Ma smettila, pavone.» il suono della risata di Scarlett lo fece sorridere.

«Tu mi sottovaluti, Jones.» le disse, in tono minaccioso e Scarlett alzò nuovamente il sopracciglio, trattenendo a stento le risa.

«Ma come diavolo fai?!» sbottò Harry, avvicinando il viso a quello di lei.

«Faccio cosa?» la curiosità nella sua voce.

«Alzare il sopracciglio. Io non ci riesco.» spiegò e Scarlett lo guardò, cercando di capire se era veramente serio, ma quando lo vide tirare fuori la lingua, incastrarla tra le labbra e incrociare le iridi verdi, facendo un evidente sforzo sovrumano per tentare di muovere un sopracciglio solo, non ebbe dubbi. Harry era terribilmente, irreparabilmente, comicamente serio.

Scarlett scoppiò a ridere forte, di una risata vera, così cristallina che Harry s'immobilizzò a quel suono, la lingua ancora tra le labbra, mentre la guardava contorcersi sul sedile di pelle della sua auto. Poteva esserci uno spettacolo più bello?

«Styles, mi sorprendi ogni giorno di più.» disse lei, ancora scossa dalle risate, mentre poggiava una mano sulla maniglia della portiera e la apriva, scendendo, seguita, pochi secondi dopo, da Harry.

«Lo prendo come un complimento.» lui la guardò dall'alto al basso, sorridendole sornione e lei alzò gli occhi al cielo.

Senza dire un'altra parola, entrambi si avviarono lungo il vialetto di casa di Scar, quando, improvvisamente, ormai quasi arrivati alla porta, lei sussultò.

«Harry, i pesetti sono rimasti in macchina!» esclamò, guardandolo. Lui si rabbuiò, ricordando a cosa le erano serviti quei pesetti.

«Non puoi lasciarli lì? Me ne occupo io dopo.» tentò allora di convincerla, ma Scar storse le labbra.

«Non sono miei. Li usa mio fratello per allenarsi.» gli spiegò, con occhi che lo analizzavano attentamente. Non capiva cosa passasse per la mente di quel riccio terribilmente bello. Lui capì subito che non c'era possibilità di poterla convincere.

«Questo non mi stupisce. Non sembri il tipo che fa pesi.» scherzò, un sorriso a trentadue denti che contagiò anche Scarlett, prima che lui le stringesse il braccio, con una mano.
Quell'improvviso contatto, pelle contro pelle, la fece rabbrividire. Fu come se una scossa avesse attraversato i loro corpi, tanto che anche Harry percepì quell'energia tra loro. Scarlett gli sorrise debolmente, scostandosi dal suo tocco, prima di tornare alla macchina e raccogliere i dischetti neri da un chilo ciascuno, che erano stati abbandonati sul pavimento dell'auto.

Ripercorse i suoi pessi a ritroso, cercando di ignorare la presenza di Harry, che la stava guardando in modo strano, che Scar non riuscì a decifrare. Eppure lei era sempre stata brava a capire gli stati d'animo delle persone che la circondavano. Stava per infilare le chiavi di casa nella toppa, quando la porta si aprì improvvisamente, facendo sussultare entrambi i ragazzi. Mike li stava guardando tra l'incuriosito e il sorpreso.

«Mike!» esclamò lei.

«Scar, com'è andata...- poi notò la figura alta di Harry, che si stagliava dietro quella minuta di sua sorella, -Styles, che ci fai qui?» aggrottò le sopracciglia, lasciando che il suo lato di fratello iperprotettivo prendesse la meglio.

Harry fece per dirgli che era andato a prendere Scar in clinica e che poi erano passati in un ristorante per pranzo, ma la ragazza lo precedette.

«Un progetto per scuola.» spiegò lei, semplicemente, e gli occhi di Harry schizzarono subito sulla schiena della ragazza, non capendo cosa stesse facendo.

Mike sembrò dubbioso inizialmente, ma quando vide che Harry non obiettava, si convinse che quella fosse la verità. Poi notò gli oggetti neri che Scarlett aveva tra le mani e li riconobbe all'istante.

«Perchè hai tu i miei pesetti per gli allenamenti?» continuò il suo terzo grado, tornando al suo tono da poliziotto cattivo. A Harry sembrò di essere finito in una dei soliti interrogatori ai quali era stato sottoposto fino a qualche tempo prima, per i soliti problemi di spaccio.

Questa volta lui attese che Scarlett confidasse al fratello tutta la verità, credendo che dopo ciò che era succcesso durante il pranzo, lei avesse capito cos'era giusto fare, invece la velocità impressionante con cui riuscì a inventarsi una bugia lo lasciò interdetto.

«Per il progetto di fisica. Stiamo studiando le leve e tutte queste cose qui e ci servivano dei pesi.» spiegò semplicemente e Harry si chiese come fosse possibile che Mike non si accorgesse per niente che la sorella gliela stava facendo sotto al naso.

«Ok, come volete. Io sto uscendo per gli allenamenti.» il fratello ritornò dentro casa e Scar fece per seguirlo, ma Harry le afferrò un braccio.

«Ancora bugie?» parlò con una strana nota di rimpianto nella voce.

«Non potevo dirgli la verità.» si giustificò Scarlett, scrollando le spalle e, di nuovo, provò a entrare dentro casa, ma la presa di Harry era ferrea.

«Si può sempre dire la verità.» disse lui e Scarlett alzò gli occhi al cielo, strattonando via il braccio dalla presa del ragazzo.

«Senti, grillo parlante, smettila di sparare queste stronzate filosofiche. Non ho tempo.» Scarlett parlò con tono talmente duro che Harry ne rimase sorpreso.

«Adesso, se non ti dispiace, devo andare. E' stato un piacere e grazie per il pranzo.» finalmente Scar riuscì a entrare e fece per chiudere la porta, ma la voce di Harry la fermò.

«Scar, io sono qui per aiutarti. Non c'è bisogno che fai l'eroina.» Nello stesso istante in cui le parole gli furono uscite di bocca, avrebbe voluto rimangiarsele tutte.

L'espressione di Scar s'indurì spaventosamente, non permettendo più a Harry di poter leggere le emozioni che la attraversavano. Il muro era tornato al suo posto, tra Scarlett e il resto del mondo; Harry compreso.

«Non ti ho chiesto aiuto, Harry. Puoi anche smettere di comportarti come se ti dovessi qualcosa.» parlò con lo stesso tono di poco prima e a Harry venne la pelle d'oca. Odiava quando Scar parlava in quel modo.

«No, non mi hai chiesto aiuto, ma io non ho intenzione di lasciarti sola, te l'ho già detto.» la conversazione stava superando la sottile soglia tra accesa discussione e litigata del secolo.

«Beh, puoi tornare anche a casa. Non ho bisogno di te.» detto questo, la porta venne chiusa con un tonfo, che fece sobbalzare Harry.

Scarlett davvero non voleva trattarlo male, ma il suo istinto di autoconservazione aveva prevalso, ancora una volta. Avrebbe voluto aprire la porta e corrergli incontro, per abbracciarlo stretto e chiedergli scusa, eppure rimase lì, con la schiena poggiata contro il legno lavorato del portone di casa, ad ascoltare il rombo del motore dell'auto di Harry accendersi, allontanarsi e poi sparire in lontananza.
Si trascinò al piano di sopra, consegnò i pesetti al fratello e si chiuse in camera, abbandonandosi sul letto, scoppiando in lacrime.

Come poteva rovinare sempre qualsiasi cosa bella le capitasse?
Ma una cosa, sopra le altre, la spaventò a morte.
Da quando Harry era diventato una cosa bella, nella sua vita?




Un lontano trillo la ridestò dal suo stato catatonico. Ci mise alcuni secondi per capire che quel lontano trillo era il suo telefono che squillava, perso nelle profondità remote della sua borsa, e impiegò altri secondi per decidere se rispondere o no. L'immagine di Harry che la chiamava per fare pace si fece largo nella sua mente e in meno di un attimo si precipitò a rispondere.
Quando lesse il nome di Amy che lampeggiava sullo schermo non potè far altro che esserne delusa. Rispose comunque.

«Pronto?» la voce roca e impastata a causa delle ore passate a piangere, in silenzio.

«Scar? Sono Amy, stai bene?» l'amica si era ovviamente accorta dello strano tono che aveva assunto la sua voce. Scarlett tossì leggermente.

«Sì...sì, tutto bene, Amy, tranquilla. Che succede?» era strano che la rossa la chiamasse. Probabilmente aveva bisogno di qualcosa. La sentì balbettare leggermente, cercando le parole giuste per iniziare un discorso.

«Ehm...mi chiedevo se volessi venire in un locale, stasera.» disse, finalmente, Amy e Scar sospirò pesantemente. Ma proprio quando stava per declinare gentilmente l'invito, lei proruppe in una nuova informazione.

«Vengono anche Niall e gli altri, ovviamente.» continuò Amy e le parole di Scar le morirono in gola. Forse non sarebbe stata proprio una cattiva idea andare in quel locale. Aveva bisogno di parlare con Harry e chiarire ciò che era successo quel pomeriggio. L'ultima cosa che voleva era litigare con lui e perderlo. Si rese stranamente conto che, per la prima volta dopo un tempo che a Scar sembrava infinito, si era affezionata a qualcuno e non era pronta a perderlo e, con lui, anche quel poco di umanità e felicità che era riuscita a conquistare faticosamente.

«Va bene, io ci sono.» assentì, quindi Scar ed Amy emise un urletto di gioia.

«Perfetto, allora ti passo a prendere tra due ore.» la avvertì e Scarlett si chiese perchè l'amica aveva l'urgenza di vederla così presto. Poi il suo sguardo cadde sull'ora e si rese conto che erano le otto di sera.

Maledizione, ma quanto ho dormito?

Le disse che andava benissimo e poi attaccarono. Scese al piano di sotto, cercando il fratello per avvertirlo che quella sera sarebbe uscita e che non sarebbe tornata a casa presto. Lo trovò in cucina che cenava.

«Ehy Mike.» lo richiamò alla realtà, vedendolo perso in chissà quali pensieri, lo sguardo perso nel vuoto. Gli occhi di lui corsero subito sulla sorella.

«Scar.» Mike la salutò con un cenno del capo. Scarlett si poggiò allo stipide della porta con il corpo e incrociò le braccia al petto.

«Stasera esco. Non mi aspettare alzato.» gli disse e aggrottò la fronte davanti allo strano sguardo negli occhi del fratello.

«Sì, esco anch'io.» era completamente perso nel suo mondo. Scarlett abbandonò la sua precedente posizione, per andarsi a sedere accanto a lui. Gli prese le mani fra le sue e lui sembrò risvegliarsi dal nuovo stato catatonico in cui era finito.

«Che succede?» chiese allora lei, da sorella maggiore apprensiva quale era. Lui scosse il capo, forse come segno di una risposta a lei, o forse per scacciare tutti quei pensieri che gli affollavano la mente, sperando, magari, che scivolassero fuori dalle orecchie e lungo le spalle e che se ne perdessero per sempre le tracce.

«Mike.- lo richiamò lei, il tono di voce perentorio. Gli occhi del fratello erano di nuovo su di lei. -Forza. Parla.» non lo disse in tono duro, esigente, ma, bensì, lo disse con una dolcezza che indusse il ragazzo ad aprirsi con la sorella.

«Problemi con una ragazza. Nulla di serio.» scapeggiò lui, scrollando le spalle. Sicuramente, era un problema serio, se Mike era ridotto in quello stato. Magari questa ragazza era importante. Scar gli sorrise. Il suo fratellino alle prese con il primo amore. Quel sorriso scaldò il cuore di Mike. Non la vedeva sorridere così da davvero tanto tempo, troppo.

«Mike, io non lo so di preciso che generi di problemi sono, però se ci tieni davvero diglielo e, soprattutto, non lasciarla scappare.» glielo disse con tutto l'amore fraterno che aveva. Una cosa aveva imparato da questo schifo di vita: non lasciarsi sfuggire le occasioni, e voleva che suo fratello lo capisse, senza dover affrontare tutto il dolore che aveva dovuto sopportare lei.

Gli occhi di Mike si addolcirono. Quella era la sua sorellona.

«Grazie Scar.» le disse e nel suo sguardo, la sorella potè leggere tutto il bene che Matt provava per lei. Ne fu sorpresa. Non si aspettava tutto quell'affetto.

«Di nulla, fratello.» rispose lei, un grande sorriso che le adornava il viso. Uscì dalla cucina e salì in camera per prepararsi.

Non aveva la più pallida idea di cosa mettersi. Per non parlare della voglia che aveva di rinchiudersi in un locale, con la musica talmente alta da non riuscire a parlare, tra corpi sudati che si dimenano, cercando di seguire il ritmo e di conquistare qualcuno. Come pavoni che aprono la loro coda, esibendo piume di colori sgargianti per attrarre la femmina e spaventare possibili avversari.
Aprì l'armadio alla ricerca dell'abito perfetto, passò in rassegna le grucce più volte, come se a ogni nuovo giro comparissero nuovi vestiti. Ne estrasse almeno una decina, che poi, si chiese, che diavolo ci faceva con più di dieci vestiti nell'armadio, non lo sapeva, ma, ogni volta che si metteva davanti lo specchio, scartava a priori l'abito.
Si guardava e l'unica cosa che poteva fare era disprezzarsi. Il viso si contraeva in una smorfia di disgusto. Sembrava che chiunque vedesse in lei dei miglioramenti, tranne che lei.
Miglioramenti? Dove? Glielo dicevano solo per farla ricominciare a mangiare. Credevano che fosse stupida, che fosse pazza, da rinchiudere.
Non vedevano ciò che vedeva lei.
La gente non voleva vedere ciò che vedeva lei. La gente aveva paura di farsi contagiare dai suoi problemi. La gente aveva l'infondata quanto stupida paura che starle troppo vicino a lei li avrebbe trasformati nel mostro che lei stessa stava cercando di combattere da quasi un anno.
Optò per uno dei tanti vestiti che aveva estratto dall'armadio. Si truccò con eyeliner e un rossetto che metteva in risalto le labbra carnose e un paio di scarpe con il tacco.
Non si sentiva per niente a proprio agio in quegli abiti. Preferiva di gran lunga i suoi jeans e le sue felpe, ma non poteva di certo andare in discoteca con i suoi vestiti più comodi. Doveva almeno dare l'impressione di stare meglio. Se la gente, i suoi genitori o suo fratello, si fossero accorti che c'era ancora qualcosa che non andava, non avrebbero esitato a rinchiuderla di nuovo in quella clinica che ancora sognava. Quella clinica che era ancora al centro dei suoi incubi.
Afferrò la pochette e il cappotto quando ricevette un sms da Amy che la avvertiva di essere davanti casa sua. Lanciò un urlò a Mike, dicendo di star uscendo e poi si chiuse il portone alle spalle.
Saltò nella macchina di lusso della sua amica e si salutarono con un bacio sulla guancia.

«Sei splendida, Scar.» le disse Amy e Scarlett ridacchiò leggermente. Non ci poteva fare nulla. Aveva imparato a non credere ai complimenti; ogni volta che qualcuno le diceva che stava bene truccata così, o che quel vestito le donava, o anche solo che era bella, Scarlett rideva perchè si sentiva presa in giro.

«Grazie, anche tu stai alla grande.» ma aveva anche imparato a fingere di crederci e a spostare la conversazione su un altro argomento.

«Quel vestito è stupendo! Dove l'hai comprato?» le chiese Scar e fece il massimo per fingersi interessata al fantastico negozio che Amy stava elogiando da quando era salita in macchina.

Finalmente c'era silenzio nell'abitacolo e Scar si sentì improvvisamente in ansia. Stava per rivedere Harry e doveva scusarsi. Doveva assolutamente trovarlo, tra tutta la folla, e chiedergli scusa per come si era comportata quel pomeriggio. E se lui non avesse più voluto parlarle? E se l'avesse ignorata? Se lei non fosse stata in grado di fargli capire quanto le dispiace? E se, ancora peggio, lui non fosse venuto alla festa?

«...Scar mi stai ascoltando?» la voce di Amy fece breccia nei pensieri affollati della ragazza, che scosse la testa e si concentrò di nuovo sull'amica.

«Sì, scusa ero sovrappensiero.» Amy le lanciò un'occhiata incuriosita, ma non disse nulla di quella piccola gaffe.

«Stavo dicendo che tu dovresti scendere e metterti in fila, mentre cerco parcheggio. Dovrebbero esserci Niall e gli altri ad aspettarci. Devi solo trovarli.» le spiegò e Scar sentì il cuore sprofondarle nello stomaco. Non conosceva quel posto e c'era troppa gente. Non poteva camminare tra tutte quelle persone e sperare di trovare anche i cinque ragazzi.

«Va bene.» rispose, nonostante tutto. Non era una ragazzina e poteva affrontare un po' di folla.

Le due ragazze si salutarono e Scar scese dall'auto. Il posto era enorme. Un grande parcheggio illuminato da qualche lampione, circondava il grande edificio a più piani che fungeva da discoteca. A Scarlett il posto sembrava più un magazzino abbandonato, ma continuò la sua ricerca. Persone di ogni tipo le passavano accanto. Si strinse le braccia al petto, in cerca di protezione. Individuò la fila per l'entrata, che sembrava non finire più. Due buttafuori enormi decidevano chi poteva oltrepassare la soglia della discoteca e chi no. Osservò le persone che erano in fila, cercando i cinque ragazzi, di cui, però, non c'era nemmeno l'ombra.
Si mise in fila comunque, abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, lisciandosi la gonna del vestito con le mani, in un gesto di nervosismo. Il pensiero che magari Harry aveva trovato di meglio da fare che andare in discoteca il venerdì sera, stava iniziando a insinuarsi nella sua mente. Era spaventata. Non sarebbe mai andata in quel posto sconosciuto se avesse saputo che Harry non sarebbe stato lì. Mentre faceva dei respiri profondi, per calmarsi, una mano le si posò sulla spalla, facendola sussultare.

«Scar! Alla fine sei venuta!» esclamò Liam, sorridendole dolce. La speranza tornò a diffondersi nelle sue vene, mentre alzava lo sguardo e lo posava sui ragazzi. Liam, Niall, Louis, Zayn e Harry. I primi due le sorridevano, gli altri due sembravano piuttosto annoiati, ma non avevano accennato a darsela a gambe, quando l'avevano vista, Harry, invece, cercava di non guardarla affatto. I suoi bellissimi occhi verdi si focalizzavano su qualsiasi altra cosa, piuttosto che su di lei.

«Amy sta parcheggiando. Ora arriva.» li avvertì lei e loro annuirono, mentre la fila scorreva. Scar notò che, nonostante non stesse simpatica a 2/5 del gruppo e che avesse litigato con 1/5, non accennavano ad andarsene. Forse aspettavano arrivasse Amy e poi sarebbero spariti, ognuno per la propria strada, lasciandola sola, eppure, anche quando arrivò la rossa, i ragazzi non sparirono, anzi, si strinsero intorno alle due ragazze, in un atteggiamento quasi protettivo. Amy sembrava non farci caso e forse nemmeno gli altri lo facevano intenzionalmente, ma Scar, con gli anni, aveva sviluppato un particolare senso di osservazione e poteva metterci la mano sul fuoco che non si stava sbagliando.
Ciò che la ragazza non sapeva, però, era un particolare non propriamente trascurabile: Harry aveva chiesto agli altri ragazzi di rimanere vicino anche a Scar, perchè non sapeva se sarebbe stata in grado di gestire tutte quelle persone. Ebbene sì, anche se non gli era piaciuto come si era comportata quel pomeriggio, non aveva intenzione di lasciarla sola.

«Harry...» la ragazza si avvicinò a Harry e gli sfiorò la mano, trovando il coraggio di stringerla, convincendosi che fosse solo per attirare la sua attenzione, ma dentro di lei sapeva perfettamente che aveva bisogno del contatto con la sua pelle. Gli occhi di Harry si concentrarono su di lei.

«Scarlett.» le disse, non accennando a voler allontare la mano dalla stretta della ragazza. Aveva percepito una certa energia quando le loro dita si erano intrecciate.
Scar aveva aperto la bocca per pronunciare le sue scuse, quando un gruppo di ragazzi circondò Harry, escludendola e costringendo i due a lasciarsi le mani. Prima che Harry fosse inglobato in una conversazione le lanciò uno sguardo per farle capire che accettava le sue scuse e Scar si sentì improvvisamente più leggera.

Il rumore si stava facendo più assordante e quando entrarono nel locale, divenne praticamente impossibile parlare. Amy le mimò di andare al bar per prendere qualcosa da bere e poi iniziare a ballare.  Si accorse che i ragazzi continuavano a non allontanarsi da Scar ed Amy. Niall fulminava chiunque si avvicinasse alla sua ragazza, anche solo per salutarla e anche se erano ragazze. Scar sorrise tra sè e sè, trovando dolce la gelosia del biondo. Presero dei cocktails per iniziare bene la serata e Scar si accorse che non reggeva molto bene l'alcool.
La testa aveva già iniziato a girarle e si sentiva terribilmente più leggera. Aveva la sensazione di volare, anzichè toccare il pavimento.
Harry li raggiunse qualche minuto dopo e poggiò una mano sulla schiena lasciata scoperta dal vestito di Scar. Lei percepì la scossa di energia, tanto forte quanto inaspettata.

«Scar andiamo a ballare!» urlò Amy all'orecchio dell'amica per farsi sentire. Scarlett avrebbe voluto dirle che preferiva stare lì, con la rassicurante sensazione della mano calda di Harry sulla schiena, ma la ragazza la prese per un braccio e la trascinò in pista, sotto lo sguardo attento di Harry.

Non le tolse gli occhi di dosso, nemmeno quando sembrava star parlando con amici di amici, quando sembrava stesse ordinando qualcosa da bere, nemmeno quando parlava con Louis per decidere il prezzo al grammo. La osservava attentamente, mentre ballava, con l'alcool nelle vene, che l'aiutava ad elimanare l'inibizione e a scatenersi in pista. Si accorse che Niall aveva raggiunto la sua ragazza e Scar ballava non troppo distante dai due, qualche volta avvicinata da un ragazzo o due, che si allontanavano in fretta quando si accorgevano dello sguardo di Harry su di loro. Fu il primo, quindi, ad accorgersi di un ragazzo, forse qualche anno più grande di Scar, che le si avvicinò, ma Harry stava discutendo con Louis e Zayn, che volevano abbassare il prezzo per attirare più gente.

Scar si accorse di quel ragazzo solo quando le poggiò le mani sui fianchi, ma si stava divertendo troppo per rovinarsi la serata. Non disse nulla al ragazzo, che interpretò il silenzio come un assenso e cominciò a muoversi a tempo con la musica, sempre più vicino a Scar, finchè non divenne troppo vicino.
Scarlett poteva percepire il respiro del ragazzo che sapeva di alcool, troppo alcool.
Cercò di allontanarsi, ma la presa di lui era ben salda sul corpo esile di lei, troppo salda.
Voltò la testa in più direzioni, cercando aiuto. I più vicini erano Niall e Amy, ma quando Scar urlò per chiamarli, la sua voce fu soffocata dal rimbombare della musica alta, troppo alta.
Vide Harry, che stava discutendo su qualcosa che sembrava piuttosto importante, con Louis e Zayn e non la notò nemmeno.
La presa del ragazzo intorno ai suoi fianchi si fece quasi dolorosa.

«Facciamo un gioco...» le sussurrò lui all'orecchio e a Scar mancò la terra sotto ai piedi, ma sapeva perfettamente che quello non era l'effetto dell'alcool.

La trascinò di peso, facendosi largo tra le persone accalcate che ballavano. Lei si dimenava, aveva iniziato a colpirlo sul petto con le mani, ma non stava ottenendo molti risultati. Erano arrivati vicino a una parte, quando lui perse la pazienza e la spinse con violenza con la schiena contro il muro. Scar percepì il respiro uscirle dai polmoni in una volta sola, lasciandola senz'aria.

«Stai ferma.» le disse, troppo vicino al suo viso. Scar notò per la prima volta il suo aspetto. Era biondo e aveva occhi neri, neri come pozzi profondi.

Il ragazzo la afferrò di nuovo e la trascinò fuori dal locale, sul retro, in un vicolo che portava al parcheggio. Ora avrebbe potuto urlare quanto voleva, ma non l'avrebbe sentita nessuno. Lui affondò il viso sul suo collo, lasciando una scia di baci umidi fino al petto, mentre le mani vagavano sotto la gonna del vestito. Scarlett gli aveva messo le mani sulle spalle e cercava di spingerlo via, ma quando si accorse che quella tecnica non stava funzionando, colpì con forza il piede del ragazzo con il tacco della scarpa destra. Lui lanciò un urlo e si allontanò leggermente da lei, quanto bastava a lei per tentare una fuga. Era quasi arrivata alla porta da cui erano usciti poco prima, quando la mano di lui si strinse con forza intorno al suo polso e la strattonò violentemente a terra.

«Brutta troia.» le disse, prima di colpirla con un calcio allo stomaco. Scar lanciò un urlo e lui la tirò in piedi con forza e la scaraventò contro il muro, per la seconda volta. Lei iniziò a piangere e urlava mentre le mani di quel ragazzo avevano superato il leggero velo delle sue mutandine.

«Lasciami...» lo pregò, le lacrime che le cadevano lungo le guance. Percepì il rumore della sua cintura che si slacciava e chiuse gli occhi, perdendo ogni speranza di potersi liberare. Pregò di morire in quel momento, di evitarle almeno quella punizione, almeno quel dolore.

Improvvisamente, il corpo di lui scomparve e non c'era più nessuno a sorreggerla. Cadde in ginocchio sull'asfalto. Sapeva che quell'impatto doveva far male, ma non percepì alcun dolore. Alzò gli occhi appannati dalle lacrime e Harry era lì, l'aveva salvata. Aveva preso per il colletto della camicia il ragazzo e con l'altra mano lo stava riempiendo di pugni. In faccia, sullo stomaco, sui fianchi.  Scarlett non riusciva a vederlo in viso, ma aveva la sensazione che fosse parecchio arrabbiato, soprattutto a sentire il respiro pesante che gli alzava e abbassava le spalle. Harry lo lasciò e il ragazzo cadde a terra.

«Ti piace spaventare le donne eh?» gli disse, prima di tirargli un calcio tra le costole e mettersi sopra di lui, per continuare a picchiarlo.

Scarlett si alzò in piedi a fatica, gemendo per il dolore che sentiva sparso ovunque.

«Harry...» mormorò, cercando di attirare l'attenzione del ragazzo, che, però, sembrava essere troppo preso dalla sua rabbia, per riuscire a sentire la voce di lei. Scar si mosse lentamente verso i due corpi che esalavano respiri pesanti e aveva la sensazione che se non fosse riuscita a fermare Harry in tempo, quelli sarebbero stati gli ultimi respiri di quel ragazzo sconosciuto. Si tenne lo stomaco con una mano, mentre l'altra la poggiava sulla spalla di lui.

«Fermati.» gli disse, passandogli la mano tra i ricci, delicatamente. Vide i muscoli della schiena oltre la maglietta rilassarsi leggermente. Smise di colpire il ragazzo sotto di lui e rimase immobile a respirare profondamente, per ritrovare la calma.

Dalla porta irruppero Louis e Liam, che allontanarono Harry dal corpo del ragazzo, e Scar, che aveva trovato il proprio equilibrio con la mano tra i capelli di Harry, rischiò di cadere all'indietro se lui non l'avesse afferrata in tempo per la mano e non l'avesse tirata contro il proprio petto. Le circondò il corpo con le braccia e le baciò la testa.

«E' finita, piccola. E' finita.» le sussurrò Harry, le labbra ancora tra i capelli di lei.

Scarlett scoppiò in lacrime solo quando ebbe la certezza di essere al sicuro e che Harry non avrebbe più fatto del male a nessuno. Pianse lì, contro il suo petto, stretta nel caldo abbraccio dell'ultima persona che avrebbe mai immaginato sarebbe corsa in suo aiuto.







«E' questo il problema di chi ci crede tanto:
se viene deluso,
poi non crede più in nulla.»
-cit


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Capitolo 8
*** Informazione! ***


Perdonatemi per non aver più aggiornato ma con la scuola sono stata davvero molto impegnata e non ho avuto tempo nemmeno per respirare. Volevo solo informarvi che la storia è stata spostata su wattpad, per motivi di comodità.
Mi farebbe molto piacere se continuaste a seguirla lì, grazie mille.
Di seguito vi lascio il link per leggere la storia:


Skinny love



P.s. Fatemi sapere se seguite la storia e contattatemi per qualsiasi cosa :*

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