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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo *** Capitolo 2: *** Capitolo primo: Divinità capricciose. *** Capitolo 3: *** Capitolo secondo: Pedine in movimento. *** Capitolo 4: *** Capitolo terzo: L'attacco dei Kouroi. *** Capitolo 5: *** Capitolo quarto: Resistenza disperata. *** Capitolo 6: *** Capitolo quinto: Battaglia nei cieli. *** Capitolo 7: *** Capitolo sesto: Strategie. *** Capitolo 8: *** Capitolo settimo: La legione furiosa. *** Capitolo 9: *** Capitolo ottavo: Questioni personali. *** Capitolo 10: *** Capitolo nono: Seguendo il cuore. *** Capitolo 11: *** Capitolo decimo: Sotto il cielo di Argo. *** Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo: La furia dei venti. *** Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo: La legione del mare. *** Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo: La lama degli spiriti. *** Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo: Battaglia nello Jamir. *** Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo: L'emissario del cielo. *** Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo: Assalto a Tebe. *** Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo: Cade l'ultimo petalo. *** Capitolo 19: *** Capitolo diciottesimo: Tra dei e coraggio. *** Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo: La storia di Nesso. *** Capitolo 21: *** Capitolo ventesimo: L'assedio di Tirinto. *** Capitolo 22: *** Capitolo ventunesimo: Tradimenti dall'interno. *** Capitolo 23: *** Capitolo ventiduesimo: Fuoco nel cuore. *** Capitolo 24: *** Capitolo ventitreesimo: Ritrovarsi. *** Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattresimo: Il melograno assassino. *** Capitolo 26: *** Capitolo venticinquesimo: Sentimenti umani. *** Capitolo 27: *** Capitolo ventiseiesimo: Lottando insieme. *** Capitolo 28: *** Capitolo ventisettesimo: Per amore degli uomini. *** Capitolo 29: *** Capitolo ventottesimo: Interludio. *** Capitolo 30: *** Capitolo ventinovesimo: Verso Samo. *** Capitolo 31: *** Capitolo trentesimo: L'ultimo canto. *** Capitolo 32: *** Capitolo trentunesimo: Il saluto del figlio. *** Capitolo 33: *** Capitolo trentadueesimo: La Dea dell'Arcobaleno. *** Capitolo 34: *** Capitolo trentatreesimo: Colori di speranza. *** Capitolo 35: *** Capitolo trentaquattresimo: Dell'amore perduto. *** Capitolo 36: *** Capitolo trentacinquesimo: Donne a confronto. *** Capitolo 37: *** Capitolo trentaseiesimo: Il Sacerdote di Era. *** Capitolo 38: *** Capitolo trentasettesimo: La regina degli Dei. *** Capitolo 39: *** Capitolo trentottesimo: Le lacrime di Ercole. *** Capitolo 40: *** Epilogo ***
Un’altra notte era trascorsa
sull’Olimpo, ma la Regina degli Dei non era riuscita a prendere sonno. Neppure
nei sogni riusciva infatti a trovare pace. Solamente ulteriore ansia. Era,
sorella e sposa del Sommo Zeus, si aggirava mesta ed errabonda per la grande
camera da letto della sua reggia, nella sempiterna città tra le nuvole, quale
l’Olimpo appariva agli uomini mortali.
Ancora una notte da sola, aveva giaciuto tra le bianche lenzuola del
suo letto di petali di giglio. Ancora una notte trascorsa a contare le ore, a
centellinare i minuti, ad attendere l’arrivo del Dio che un tempo si era
innamorato di lei, trasformandosi in cuculo e seducendola, promettendole amore
eterno, come la loro stessa esistenza. E ci aveva creduto, molto ci aveva
creduto Era in quell’amore. Ma in quel momento, sopraffatta dalla rabbia e dal
dolore, dall’ennesima delusione del fratello e amante distratto, Era avrebbe
chiesto al tempo di tornare indietro, avrebbe risvegliato persino il possente e
temuto Crono dalle profondità del Tartaro, per calpestare quel cuculo portatore
di sventura e cambiare il suo presente. Perché quello attuale la faceva
sembrare un’inquieta vecchia, dall’animo corroso dalla gelosia per le continue
infedeltà del marito.
Lo sapeva, Era lo sapeva, che ogni notte Zeus accoglieva
le driadi nel suo letto, sollazzandosi con i loro giovani e frizzanti seni,
ricevendo doni e carezze, in cambio di una promessa di eternità che il Dio non
avrebbe rispettato. E quando le ninfe giacciono con gli ebbri satiri,
ubriache sotto i pergolati del Vigneto di Dioniso, c’è Ganimede pronto a
bussare alla porta del Re! Pronto a sbattere i suoi occhi vitrei e ricordare a
Zeus di non essere soltanto un coppiere, ma il più bello dei mortali, colui che
irretì persino un Dio con la sua magnificenza! Mormorò Era, sfiorando la
fredda superficie della vetrata meridionale.
L’Olimpo, la cui cima era sempre avvolta da nuvole,
volute da Zeus per nascondere il Divino Tempio agli occhi dei mortali, scendeva
a picco sotto di lei, tra aguzze sporgenze rocciose e vallate nascoste, dove
fauni e ninfe si rincorrevano tra i timidi raggi dell’alba. Sorgeva il sole
nell’Egeo, dando inizio ad un nuovo giorno. Ma per Era quel giorno non avrebbe
portato niente di nuovo, solamente la stessa triste ed inesorabile malinconia
del precedente. E di tutti quelli che verranno! Si disse la Regina degli
Dei, strappandosi i bruni capelli con forza.
Tra le lacrime, si gettò sul letto, affondando il viso
tra i petali del suo fiore preferito, mentre attorno a sé si accendevano gli incandescenti
bagliori del suo cosmo. Di quel cosmo divino che le ricordò di essere ancora
una Dea. Nonostante le sue umane sofferenze, le sue angosciate notti di
disperazione che la ferivano nell’orgoglio, mostrandole le sue debolezze.
Quelle stesse debolezze che aveva sempre disprezzato negli uomini mortali.
Socchiuse gli occhi, ricordando le notizie che aveva
ricevuto il giorno precedente da Iris, la sua messaggera, relativamente
all’ultima Guerra Sacra conclusasi qualche anno prima in Grecia. Non posava gli
occhi sul pianeta circostante da troppo tempo, disinteressata come era sempre
stata ai patetici avvenimenti di quegli insulsi mortali che sempre aveva
detestato. Forse perché in fondo le ricordavano che il suo corpo, per quanto
intriso della Divina Volontà, rimaneva pur sempre quello di una donna.
Atena, Dea della Guerra, e Ade, Imperatore
dell’Oltretomba, avevano combattuto una lunga guerra, logorante e terribile,
che aveva sfiancato entrambi i contendenti. Il Signore degli Inferi era stato
sconfitto e imprigionato insieme alle 108 Costellazioni Demoniache in una
grande torre in Asia, costretto a languire in tale limbo per due secoli e
mezzo. Ma anche Atena era stata sconfitta, ed aveva lasciato il Grande Tempio
di Atene sguarnito, poiché soltanto due Cavalieri d’Oro si erano salvati: Dohko della Libra e Shin
dell’Ariete, incaricati rispettivamente di sorvegliare la torre di Ade e di
presiedere il Grande Tempio come Grande Sacerdote e Oracolo della Dea.
E Zeus non fa che lodare Atena! Quella patetica verginella che sempre
ha amato sporcarsi le mani a difendere quei ridicoli mortali! Sbraitò Era, sollevandosi di scatto sul
letto. Cosa avrà di così interessante da suscitare tutte queste attenzioni
di Zeus? Attenzioni, aggiunse orgogliosamente, che a me non dedica da
troppo tempo! Per un momento la parte più razionale del suo animo la
richiamò all’ordine, ricordandole che Ade avrebbe voluto conquistare la Terra,
facendone un secondo inferno, e che l’intervento di Atena, e il suo sacrificio,
avevano permesso di scongiurare ciò. Ma anche questo non bastò a frenare i suoi
primordiali istinti di gelosia. Il suo senso di donna ferita e messa da parte
per lodare esseri da lei considerati inferiori.
Gli uomini, Atena, Ganimede, quelle meretrici ninfe
dei boschi! È tempo che questo squallore finisca! Disse Era a se stessa, sollevandosi in piedi, ed
ergendosi in tutto il suo splendore divino. Sono la Regina dell’Olimpo,
figlia dei Titani Crono e Rea, e ho diritto al rispetto degli Dei inferiori e
delle umane genti! Anzi, sorrise biecamente, è loro dovere concedermelo!
Se davvero Zeus ha così a cuore Atena e gli uomini da lei difesi, cosa farebbe
il Signore dell’Olimpo nell’apprendere che la sua sposa dimostra il desiderio
di possedere lei stessa il Grande Tempio di Atene? Di toglierlo dalle
incompetenti mani di quella vergine guerriera, e stringerlo a me, per farne un
nuovo Heraion, una culla dove il mio amore per Zeus
tornerà vivido come fiamma ardente!E conosco l’uomo giusto a cui
affidare un simile incarico!
Passarono le ultime ore della notte ma la
Regina dell’Olimpo non dormì affatto, sovraeccitata dai pensieri che le
turbinavano in testa. Il suo sposo l’aveva abbandonata, per giacere con qualche
ancella nelle sue stanze, ma in quel momento il pensiero del tradimento non la
turbò più di quel tanto, poiché nel progetto che aveva ideato era compresa
anche la vendetta nei confronti del marito. Nei confronti di un Dio freddo ed
incapace di farla sentire se stessa, di un Dio a cui era stata data in dono,
come un oggetto da barattare. Di un Dio che mai l’aveva fatta sentire prima nel
suo cuore, che mai l’aveva fatta sentire donna.
Di primo mattino convocò immediatamente la sua
messaggera, Iris, l’ambasciatrice degli Dei, figlia di Taumante e di Elettra. La Dea arrivò pochi istanti dopo,
avvolta nella sua sgargiante veste dai sette colori dell’arcobaleno. Era una
donna snella ma non troppo alta, con sfilacciati capelli verdi che le
scendevano sulla schiena, risplendendo di un vivo colore solare, un viso dal
carnato chiaro su cui spiccavano celesti occhi azzurri, dono dei genitori dei
profondi abissi. Indossava una lunga veste colorata, un manto scintillante che
parve risplendere nel grigiore della stanza di Era, abbandonata a se stessa,
come la Dea aveva fatto con la sua persona negli ultimi tempi.
“Ho una missione da affidarti, Iris!” –Esordì la
Regina degli Dei, senza troppe riverenze. –“E conto sulla tua precisione e
velocità!”
“Ai vostri ordini, mia Signora!”
“Voglio che tu scenda subito sulla Terra! Vola sul tuo
scintillante arcobaleno fino alla residenza di Ercole e conducilo da me! Corri,
più veloce dei piedi alati di Ermes! Che nessuna voce invidiosa possa dire che la
Messaggera della Regina è meno lesta del Messaggero di Zeus!”
Iris rimase un attimo interdetta nell’udire quel nome
pronunciato da lei, la Divinità che maggiormente lo aveva ostacolato secoli
addietro. E adesso vuole invitarlo sull’Olimpo? Nella sua reggia?
Mormorò tra sé, senza dar troppo peso al richiamo alla millenaria contesa che
la vedeva contrapposta ad Ermes. Contesa che, seppur la toccasse nell’orgoglio,
adesso, di fronte a quella strana richiesta, passava in secondo piano.
“Quali che siano le mie motivazioni, ciò non ti
riguarda! Sei la Messaggera della Regina degli Dei, ed il tuo compito è consegnare
i miei divini dispacci! Hai forse intenzione di disubbidirmi?!”
“Come ho sempre eseguito i vostri ordini, Mia Signora,
così obbedirò stavolta!” –Si inchinò Iris, prima di scomparire, avvolta nel suo
manto iridato, carico di dubbi come mai prima di allora.
Non passò neanche un’ora che Era sentì bussare alla
porta della sua Stanza. Due colpi duri e ben decisi, come soltanto le rudi mani
di un maschio potevano dare. Le rudi mani del maschio per eccellenza dell’Olimpo:
Ercole, figlio di Zeus e di Alcmena.
Era sorrise, aprendo mentalmente le grandi
porte d’avorio del suo tempio, seduta sul suo scranno intarsiato, ed osservò
l’uomo dalle ampie spalle e dal portamento deciso varcare la soglia. Alto e
muscoloso, con robuste braccia in grado di sorreggere persino il cielo al posto
di Atlante, Ercole portava corti capelli neri, un leggero filo di barba e un
orecchino ad anello all’orecchio sinistro. Sul suo volto un’espressione
interrogativa, ma nient’affatto dubbiosa.
“Salute a te, figlio di Zeus! Unico tra i mortali!
Campione degli Dei!” –Esclamò Era, alzandosi in piedi e sollevando il braccio
destro.
“Divina Era!” –La salutò Ercole. –“A cosa devo l’onore
di questa convocazione?” –O forse, aggiunse mentalmente, dovrei dire
l’onere?
Era, che non aveva alcun problema ad intuire i
pensieri del figlio di Zeus, storse il naso, con aria altezzosa, ma non disse
altro, poiché non era uno scontro con lui ciò che aveva progettato. Sorrise,
avvicinandosi al Dio e pregandolo di accomodarsi ad un banchetto che aveva
fatto allestire dalle sue ancelle. Ma Ercole non era solo. Per costume, e forse
anche per prudenza, aveva scelto di farsi accompagnare da due Cavalieri delle
sue legioni, due Heroes, che molto teneva in considerazione, giudicandoli i più
fedeli tra tutti i suoi guerrieri: Nestore dell’Orso, Comandante della
Quarta Legione di Heroes, e Penelope del Serpente, sua fidata
Consigliera.
“Mia Signora, non mi avrà invitato per fare colazione
insieme?!” –Esclamò Ercole in una grossa risata, cercando di liberarsi di un
po’ di tensione che stava iniziando a provare di fronte agli enigmatici sorrisi
di una capricciosa Divinità che lo aveva avuto in odio fin da quando era nato.
–“Ho una capra che mi allatta a casa!” –Scherzò.
Era rise sonoramente, portandosi una mano al petto e
tirando la testa indietro, con un suono sgraziato e artificiale, al punto che
la stessa Iris, rimasta indietro, vicino al portone, insieme ai due Heroes di
Ercole, arrossì imbarazzata.
“Sei un uomo rustico a quanto pare! Beh, perché mi sorprendo? Lo sei
sempre stato! Nonostante tu sia stato assurto al Pantheon degli Dei, ancora
preferisci stare sulla Terra, rifiutando le celesti abitudini e gli agi di
questo Monte Sacro!” –Sospirò Era, camminando a passi lenti sul pavimento. –“Ed
è questo che ammiro di te, Ercole!”
L’ultima frase lasciò il Dio a bocca aperta,
obbligandolo a sgranare gli occhi stupefatti, come fecero anche i due Heroes
che lo avevano accompagnato. Ercole tentò di aggiungere qualcosa ma fu
interrotto dalla soave voce di Era, che riprese a parlare in tono melodioso.
“Nonostante tutti gli anni passati a combattere tra di
noi, una stupida guerra fondata su sciocche gelosie, c’è una cosa che ho sempre
apprezzato in te! La tua determinazione! Il tuo non venir meno ad un principio
in cui credi, senza scendere a patti o a compromessi! E questo ti fa onore!” –Disse
Era, ponendosi nuovamente a sedere sul suo trono intarsiato. –“Si può essere o
meno d’accordo con un’idea, ma bisogna sempre ammirare chi ha il coraggio di
portarla fino in fondo!”
“La mia parola è un giuramento di fede, Regina degli
Dei!” –Affermò seriamente Ercole, a cui molto piaceva lodarsi.
“Lo so!” –Esclamò subitamente Era, accennando un
sorriso, che lentamente, parve ad Ercole, assunse la sinistra forma di un
ghigno. –“Ed è per questo che ti ho convocato! Per affidarti un incarico! Un
compito che, ne sono certa, saprai eseguire alla perfezione, forte dei tuoi
principi e della lealtà che provi nei confronti degli Dei Olimpi!”
“A mio Padre devo tutto! Anche la vita!” –Affermò
fiero il Dio.
“Ed io, Regina degli Dei, che di tuo Padre sono
sorella e sposa, ascolto il tuo giuramento supremo!” –Parlò con enfasi la Dea,
sollevandosi in piedi, avvolta nel bagliore del suo cosmo, solenne e maestosa
come sempre. Sulla testa portava il Polos come
corona, il copricapo di forma cilindrica simbolo del suo essere Dea Madre,
custode della fertilità, ed in mano stringeva un fiore di melograno, simbolo di
fertilità e di morte.
Il gesto improvviso fece trasalire i due Heroes, che
furono sul punto di correre avanti, per paura di un improvviso assalto al loro
Dio. Ma Era parve calmarsi e rimettersi a sedere sul trono, continuando a
parlare.
“Ascolta le mie parole, Ercole, poiché questo è il mio
comandamento! Questa è la missione che soltanto a te, fiero guerriero, che non
conosce la sconfitta né l’onta della ritirata, posso affidare! Raggiungi Atene
con i tuoi Heroes e occupa in mio nome il Santuario abbandonato della Dea
Guerriera Atena! I tuoi guerrieri sono giusti ed abili e non avranno alcun
problema a prendere possesso di quell’abbandonato Tempio, custodito adesso da
un giovane ventenne, il quale, da solo, non potrà mai opporsi alla carica dei
valorosi Heroes di Ercole!”
“Mia Signora! Mi state chiedendo di occupare
impunemente il Tempio di un’altra Divinità, massacrandone il Sacerdote da lei
scelto?”
“È precisamente questo ciò che voglio, mio fidato
Guerriero! Come certamente saprai, neppure due anni fa si è svolta una violenta
Guerra Sacra, che ha visto contrapposti Atena e i suoi Cavalieri e Ade con
tutti gli Spectre a lui fedeli! Il sanguinoso
conflitto si è concluso sostanzialmente in parità! Atena è riuscita a
sconfiggere il fratello del mio sposo, confinando il suo esercito di ombre in
una grande torre in Asia, sigillandola con il suo cosmo! Ma il prezzo pagato è
stato la morte di tutti i suoi Cavalieri e la sua temporanea scomparsa! Soltanto
due Cavalieri rimangono ancora del grande esercito della figlia di Zeus, troppo
pochi per difendere il Grande Tempio dalla violenta carica degli Heroes! Vai
adesso, e torna vincitore! Rendi fiero l’Olimpo, e tuo Padre, delle tue gesta!”
“Regina degli Dei, mi state chiedendo qualcosa che va
aldilà delle mie capacità!” –Disse Ercole, scuotendo la testa. –“Non che mi
manchino forza e tenacia, o valorosi guerrieri da condurre in battaglia, ma non
potrò usare né ne le une né gli altri se non vi sono cause giuste per cui
lottare! Sono il Vindice dell’Onestà, non un mercenario che vende i suoi
servigi!”
“Forse non capisci la gravità della situazione!” –Puntualizzò
Era, sollevandosi in piedi nuovamente e discendendo dal trono. –“Atena è morta,
sconfitta insieme ad Ade! Questo significa che passeranno almeno duecento anni
prima che la sua anima possa reincarnarsi nuovamente, nel fragile corpo di una
donna, per difendere l’umanità! E per tutto questo tempo, cosa accadrà? Ade è
sconfitto è vero, ed anche Ares è imprigionato da due secoli e mezzo in un
vuoto indefinito! Ma se i sigilli perdessero efficacia? O se un’altra Divinità
o oscura potenza, mirante a distruggere o a sottomettere la Terra, dovesse
tornare a nuova vita, cosa accadrebbe? Cosa potrebbero fare due ragazzini,
soli, di fronte a così tanta oscurità?”
Era argomentò con enfasi la propria tesi, cercando di
usare il tono di voce più suadente possibile, ma coinvolto al tempo stesso, per
spingere Ercole a fidarsi di lei e ad accettare l’incarico. Ma Ercole rimase
inamovibile, fermo nelle sue convinzioni.
“In tal caso gli Olimpi dovrebbero abbandonare le
lussuose sale dove pasteggiano e uscire di nuovo sotto il cielo del mondo,
indossando le corazze forgiate da Efesto e sguainando
le armi di cui sono custodi! Atena combatte da secoli anche per noi,
impegnandosi per mantenere l’equilibrio sulla Terra, in modo da evitare
preoccupanti concentrazioni di potere!”
“Per questo motivo, adesso che Atena non c’è più,
dobbiamo prendere il suo posto! L’Olimpo non sarà teatro di guerre, mentre il
Grande Tempio di Atene è struttura ben più indicata per allenare giovani a
prendere confidenza con il cosmo dentro di loro! Tu, Ercole, lo occuperai e da
me riceverai il titolo di Comandante Supremo del Santuario di Era!”
“Il.. Santuario di Era?!” –Balbettò Ercole, quasi
inorridito.
“Un nuovo Heraion sorgerà!
Non più ad Argo o a Samo, le città che più di ogni
altre mi hanno dimostrato amore e venerazione, ma ad Atene, sulle ceneri di un
regno perduto!” –Esclamò Era, lasciandosi cullare dall’ebbrezza del potere.
–“Nel mio nuovo Tempio a te affiderò l’alto incarico della difesa, a te che sei
potente e umile, l’unico in grado di addestrare al meglio i guerrieri che a me
giureranno fede!”
“È un progetto ambizioso!”- Commentò infine Ercole.
–“E la promessa di gloria e onore che mi offrite potrebbe quasi tentarmi!”
–Ironizzò il Dio, e per un momento i due Heroes furono quasi sul punto di
credere che Ercole avrebbe accettato di combattere in nome di Era. –“Ma non
accadrà! Né adesso che mai!”
“Co… come?!” –Si voltò di
scatto Era, indignata.
“Non leverò un dito contro il Tempio sacro ad Atena,
né mi sporcherò le mani, o le farò sporcare ad alcuno dei miei Heroes, contro
gli innocenti difensori della Terra, unici superstiti di una cruenta battaglia
a cui noi, faziosi Olimpi, non abbiamo preso parte!”
“Le tue parole mi offendono, figlio di Zeus! Mi
offendono e mi mortificano!” –Tuonò Era, sollevando il braccio destro verso
Ercole. Il fiore di melograno che stringeva in mano lampeggiò per un momento,
prima di appassire, mentre gli occhi della Dea fiammeggiavano di ira.
–“Cercando di superare le antiche ostilità esistenti tra noi, ho abbassato il
mio orgoglio mandandoti a chiamare, scegliendo te, tra tutti i guerrieri che
vagano per questo sporco mondo, poiché credevo, e ancora lo credo, che tu fossi
il migliore! Che tu fossi il più adatto! Che tu fossi unico! Ma tu, gettando
via la generosa offerta che ti ho fatto, e la prospettiva di un futuro di
sicurezza, per noi e per la Terra intera, mi hai offeso profondamente!”
“Sicurezza per chi?! Per gli uomini innocenti che mai
avete degnato di uno sguardo, vedendo in loro soltanto schiavi e adulatori, o
per voi, che seduta sul trono dall’alto della Collina della Divinità di Atena
ammirereste l’esercito che io dovrei creare per voi, per farne carnefici senza
raziocinio volti solo al più infimo servilismo?!”
“Taciii!” –Gridò Era, con
voce acuta ed isterica, scagliando un violento attacco cosmico contro il Dio
dell’Onestà.
Ercole incrociò le braccia davanti al viso, contenendo
con il suo cosmo l’assalto di Era, venendo spinto indietro di qualche metro,
scavando profondi solchi nel pavimento. Subito i due Heroes scattarono al suo
fianco, accendendo i loro scintillanti cosmi di fulgida energia. Ed anche Iris
prese posizione, ponendosi di fronte alla Regina degli Dei.
“Le parole colpiscono più di un attacco impreciso, mia
Signora!” –Ironizzò Ercole, abbassando le braccia e fissando con decisione la
Dea.
“Bada a te, Ercole! Ti ho combattuto per millenni
nell’Età Antica! Credi forse che oggi non abbia più la forza per farlo?!”
“Vorrei che aveste la forza per fare altro, magari per
comprendere il mondo che vi gira intorno, troppo estraneo alla vostra
personalità!” –Disse Ercole e, senza attendere una risposta, si incamminò verso
l’uscita.
“Dove vai? Come ti permetti di comportarti in questo
modo offensivo?!” –Tuonò Era.
“Fermati Ercole! Non senti gli ordini della tua
Regina? Sei dunque privo di fede e di rispetto?!” –Intervenne Iris, con tono
saccente. Ma Ercole zittì la messaggera soltanto con poche parole.
“Tutt’altro! È grande la fede in me, negli uomini
giusti, non in corrotte divinità che a nient’altro mirano se non al
soddisfacimento dei propri interessi! Senza ritegno né rispetto per la vita,
dei miei Heroes o di quella degli uomini liberi, la tua Regina vorrebbe usarci come
carne da cannone per i suoi imperiali progetti di dominio! Se tu non sei capace
di comprendere il male che sta dietro questo progetto allora credo che ben ti
si addica il tuo servile ruolo!” –Nient’altro
aggiunse Ercole e se ne andò.
“Bada a te, Ercole! Se esci da questa stanza, se passi
il portone d’avorio, la mia maledizione ti raggiungerà! Il mio odio come un
fulmine si scaglierà su te e sui tuoi guerrieri e ti perseguiterà fino a
condurre tutti loro ad una morte certa!” –Gridò Era, avvampante nel suo cosmo
perverso. – “È questo che vuoi? Vedere tutti i tuoi Heroes sterminati dal fuoco
della mia vendetta? Poiché se è questo il tuo concetto di onestà e rispetto, allora… vedrò di trasformarlo in realtà!!!”
Ercole si fermò un istante sulla porta, mentre le
parole di Era gli risuonavano nelle orecchie. Sospirò, prima di ricominciare a
camminare e uscire dalle stanze della Regina degli Dei, seguito dagli Heroes a
lui fedeli.
Vattene pure!
Sogghignò la Dea. Tanto so come trovarti! Ooh, sì,
possiedo mezzi piuttosto validi per imporre la mia volontà!
“Mia Signora!” –Esclamò una voce di donna, facendo
voltare Era verso l’interno. Iris si era inginocchiata di fronte a lei e le si
rivolgeva con aria imbarazzata. –“Perdonatemi! La colpa è stata mia! Avrei
dovuto convincere Ercole ad accettare l’incarico che gli avete offerto!”
“Neppure entrando nel suo letto, Iris, lo avresti
convinto!”
“Guarda pure i muscoli scolpiti del bel figlio di
Zeus, osserva pure i suoi zigomi maschili, e trova, se vuoi, un modo per
ammaliarlo!” –Ironizzò la Dea, camminando a fianco di Iris, fino a portarsi di
fronte alla grande vetrata panoramica. –“Ma niente riuscirebbe a convincere
Ercole, neppure un ordine diretto di Zeus! La sua fede negli uomini e
nell’onestà è grande, come la sua ammirazione in Atena e nella giustizia, ed è
per questo che egli non vive sull’Olimpo, i cui fasti non poco disprezza, bensì
mescolato tra le umane genti, circondato di uomini e donne comuni, che ha
addestrato fino a crearsi le sue personalissime Legioni, i suoi Heroes!”
“Ma… se voi sapevate tutto questo… se sapevate che Ercole avrebbe rifiutato, perché lo
avete invitato sull’Olimpo? Perché farsi sbattere in faccia un così ignobile
rifiuto?!”
“Non capisci Iris? È proprio ciò che volevo! Ah ah!”
–Rise Era, prima di incitare la messaggera a prepararsi. –“È tempo di andare
adesso!”
“Dove, mia Signora?!” –Domandò Iris, sempre più
sconcertata.
“A casa!” –Rispose Era, al culmine dell’eccitazione.
–“C’è una guerra che ci aspetta! E farò tutto ciò che è in mio potere per
vincerla!”
Pochi minuti dopo i cosmi di Era e di Iris scomparvero
dall’Olimpo, proprio mentre Zeus, il possente signore dell’Olimpo, si sollevava
pigramente dal letto. Scansò il corpo ancora caldo di una driade e raggiunse la
grande vasca da bagno piastrellata di marmo bianco. Vi si immerse per
rinfrescarsi e poco dopo si addormentò di nuovo.
In un lampo di luce Era raggiunse
l’isola di Samo, nell’Egeo Orientale, tra Chio a Nord e il Dodecaneso a Sud, poco lontana dalle coste
della Turchia, la cui vicinanza e i rapporti di scambi le avevano permesso di
ottenere anche un nome turco, Sisam. Il terreno dell’isola
stretta e allungata era prevalentemente montuoso, percorso dalla catena del Kerketeus, la continuazione di una presente sulla penisola
anatolica.
Era apparve proprio sulla sommità di uno dei tanti
picchi rocciosi che costellavano l’isola, dove un tempo sorgeva un tempio a lei
dedicato, l’Heraion di Samo.
Contemplò le rovine dell’antico santuario, le poche colonne rimaste, con
arbusti aggrovigliati attorno, e i resti delle statue giganti, i Kouroi, a lei consacrate, mentre una leggera brezza
mattutina soffiava nel Mediterraneo, scombinandole i mossi capelli castani.
“Attendevo con impazienza il vostro ritorno!” –Esclamò
una voce, apparendo tra le colonne in rovina.
“Ero certa che ti avrei trovato qua, mio fedele
servitore!” –Affermò Era, senza neppure voltarsi verso colui che aveva parlato,
perché già sapeva chi fosse. –“Argo, Sacerdote di Era, braccio destro
della Regina degli Dei!”
Argo apparve tra le abbandonate colonne dell’Heraion,
ricoperto da una scintillante veste color verde scuro, con rifiniture in perla
e verde chiaro. Era un uomo alto, con folti capelli marroni, dal viso altero,
con un sorriso beffardo sul volto che ben si addiceva al suo ruolo di Ministro
del Culto di Era. Provava forte disprezzo per gli esseri umani, da lui
giudicati infimi e ignoranti, incapaci di comprendere la vera essenza di una
Divinità, che soltanto pochi eletti potevano invece percepire, grazie al potere
interiore del proprio cosmo. Ed egli si compiaceva di essere uno di costoro, il
più fedele ad Era. L’Oracolo della Dea.
“Braccio destro e armato!” –Precisò il Sacerdote,
intuendo che se la Regina degli Dei aveva lasciato l’Olimpo, discendendo
nuovamente sulla Terra, dopo centinaia di anni passati ad osservarla da
lontano, con disinteresse crescente, qualcosa di molto scottante era in corso,
ed egli avrebbe voluto esserne partecipe.
“Voglio sperarlo!” –Disse Era. –“Ho bisogno di te e
dei guerrieri a me fedeli, per vendicarmi di un torto che ingiustamente ho
subito!”
“Un torto?!” –Gridò Argo. –“Quale essere così
inferiore e irrispettoso ha osato oltraggiare la vostra possente persona?! Un
uomo dev’esser stato! Sì, un uomo! Perché soltanto
quelle zotiche bestie possono offendere così impunemente gli Dei, bestemmiando
invano il loro nome!”
“Dici il vero, mio Sacerdote! Ma l’uomo che ha osato
rivolgermi parole ostili è un uomo che dal mio consorte, il Sommo Zeus, fu
elevato al di sopra delle schiere mortali, e fu fatto Dio!”
“Ercole, figlio di Zeus e protettore degli uomini! Mi
ha offeso, rifiutando un incarico che gli avevo affidato, e adesso merita la
morte! Poiché nessun castigo, nessuna pena può essere commisurata ad un bestemmiatore
che ha osato oltraggiare la sua Divina Madre!” –Tuonò Era, ed il suo volto
aggraziato per un momento si oscurò, divenendo il rugoso viso di una vecchia
gelosa, con occhi iniettati di sangue e sguardo capace di fulminare qualsiasi
essere vivente.
Ma Argo, che ben la conosceva, resse quello sguardo,
unico in grado di farlo, senza indietreggiare di un sol passo, e concordò con
la Dea, accennando un malizioso sorriso.
“È tempo che l’abbandonato Tempio di Samo risorga dalle sue rovine! È tempo che i colli di Samo tornino ricchi di melagrane, e nidiate di pavoni si
moltiplichino in mio onore su tutta l’isola!” –Esclamò la Dea, accendendo il
suo cosmo. Un fiore di melograno comparve nella sua mano destra, completamente
avvolto in un’aura lucente. –“Ergiti nuovamente, Heraion!!!”
–Gridò, mentre il vento trascinava via il fiore di melograno, che si posò al
centro della sommità del monte.
Immediatamente, lo stelo del fiore si allungò, dando
vita a lunghe radici che penetrarono il terreno, scendendo in profondità,
portando con sé il possente cosmo Divino della Regina dell’Olimpo. Un attimo
dopo l’intero monte tremò, facendo risuonare in tutta la Grecia, in tutto il
Mediterraneo, il sorgere di una nuova era di Dei. Dal terreno sorsero alte
colonne in stile ionico, in doppia fila, e dopo di esse, come base di appoggio,
dei basamenti in pietra caratterizzati da scalanature
orizzontali. In pochi attimi, ricreato dalla Divina Volontà della Dea, il
tempio di Samo tornò a vivere, di fronte agli occhi
affascinati del Sacerdote.
Argo mosse un passo avanti, mentre l’ombra dell’Heraion torreggiava su di lui, sotto il mattutino sole del
Mediterraneo, ed osservò lo splendore di quel Santuario. L’Heraion
era di tipo dittero, circondato cioè da una doppia fila di colonne, con un pronao
a tetto quadrato e una cella chiusa dietro di esso, entrambi divisi in tre
spazi uguali da due file di colonne. Argo sorrise, strofinandosi le mani per
l’eccitazione, quasi incapace di trattenersi ancora.
“Non trovi che sia splendido, mio Sacerdote? Da questo
tempio, dall’alto di quest’isola, dirigerò la mia vendetta, osservando
scolpirsi sulle mura dell’Heraion la sconfitta e la
morte di Ercole e dei suoi stupidi Eroi! Fammi strada, Sacerdote della Dea del
Matrimonio!”
Argo si inchinò di fronte alla Divinità, pregandola di
accomodarsi all’interno. Mentre saliva i gradini dell’Heraion,
con il vento del Mediterraneo che le sbatteva sul viso, insinuandosi tra le
decorate colonne restaurate, Era sembrò ringiovanire, aumentare in potenza e
possanza, permettendo al suo cosmo di fortificarsi ulteriormente, uscendo da
quell’apatia che aveva contraddistinto i suoi ultimi giorni sull’Olimpo.
Arrivati al centro della prima cella, Era si fermò, e
la trovò vuota. Ma convenne che presto, con il ritorno della sua seconda
Sacerdotessa, anche quella stanza sarebbe stata invasa da un cosmo devastante.
Argo intuì i suoi pensieri, ma cercò di dissimulare il suo interesse, cambiando
argomento e chiedendo ad Era dove fosse Iris, la sua Messaggera.
“L’ho inviata nel Mar Tirreno a contattare un vecchio
amico!” –Rispose Era, osservando il volto altero di Argo storcersi in una
leggera espressione di incredulità. –“Per quanto io sia potente, essendo
sorella e amante del Sommo Zeus, sono sicura che Ercole non accetterà la sconfitta
tanto facilmente, e che farà di tutto, come già ha fatto nei tempi antichi, per
contrastarmi e mettermi in cattiva luce di fronte al Signore degli Dei!”
“Non permetterò che ciò accada!” –Tuonò Argo. –“No!
Non accadrà!” –Ed il suo cosmo si accese di violente striature verdi e
violacee.
“Per questo motivo, per combatterlo, dovremo usare
tutti i mezzi a nostra disposizione!” –Affermò Era, espandendo il suo cosmo. Un
nuovo fiore di melograno apparve nella sua mano ed ella lo caricò del suo cosmo
divino, lanciandolo in aria, mentre il vento lo trasportava via. –“Oh voi, che
dormite sonni silenti, che foste abbattuti, dimenticati e dispersi tra le
rovine del Medioevo, guardiani del Tempio di Hera,
custodi dell’Heraion, giganti di pietra! Ergetevi
nuovamente! Estirpate le erbacce della dimenticanza che attorno ai vostri
robusti corpi si sono annodate e tornate a vivere! Tornate a combattere miei Kouroi! Io, Era, la sempre Giovane Vacca, ve lo ordino!”
E in quello stesso momento, risvegliate dal cosmo
divino della Dea, una decina di statue giganti, disseminate sull’isola di Samo e nella Grecia Meridionale, tra Argo e Micene,
crollate nel Mondo Antico, e di cui erano rimasti soltanto i resti e le rovine,
tornarono a nuova vita. La terra tremò e gli antichi colossi si sollevarono
nuovamente, drizzandosi sotto il sole del mattino, mentre le popolazioni civili
fuggivano in preda al panico, sconvolte da tale repentino e terrificante
avvenimento.
I Kouroi si mossero,
sollevando le loro immense braccia di pietra al cielo e battendole con forza
contro i loro robusti petti, lasciando risuonare grida oscene, dal suono
profondo e gutturale, simbolo della loro rinascita. Se avessero potuto parlare,
avrebbero ringraziato Era per averli riportati in vita, soffiando via la polvere
di dimenticanza depositata sopra di loro. O forse, se avessero potuto
discernere, avrebbero preferito continuare a dormire nel loro sonno eterno, ma
di pace, invece di iniziare a marciare verso Tirinto,
per portare distruzione nel mondo.
Capitolo 3 *** Capitolo secondo: Pedine in movimento. ***
CAPITOLO SECONDO: PEDINE IN MOVIMENTO.
Splendida era stata un tempo Tirinto, che il mito canta da Proteo, fratello del Re di
Argo, fondata. Nel cuore dell’Argolide, riparata da
robuste mura di ampio spessore, la città greca era stata ricostruita trent’anni
addietro da Ercole stesso, dopo la distruzione operata da Argo nella prima metà
del V secolo a.C. E il Dio ne aveva fatto la sua dimora, rinnovando i fasti che
un tempo la accompagnavano, quando Esiodo la descriveva come santa e quando
Omero la cantava nell’Iliade: Seguìa
l'eletta de' guerrier, cui d'Argo mandava la pianura
e la superba, d'ardue mura Tirinto e le di cupo golfo
custodi Ermïone ed Asìne.
Abbandonata dopo la distruzione, Tirinto era caduta
in rovina, ma Ercole gli era rimasto legato, scegliendola come sede della sua
magione, riportandola all’antico splendore, semplicemente spostandola più a
occidente, in una pianura tranquilla a ovest di Argo e di Micene, riparata da
sguardi indiscreti.
Il Palazzo Reale era stato ricostruito e il Dio dell’Onestà vi dimorava,
mentre tutto intorno si aprivano le palestre e gli alloggi dei suoi Cavalieri,
i prodi Heroes, il mercato e i luoghi del commercio, le stalle e i vani
dedicati agli animali, il tutto circondato da ampie mura dallo spessore di
sette metri, sollevate da Ercole stesso, con l’aiuto di fidi compagni,
utilizzando massi giganteschi. Dalla terrazza del Palazzo Reale, a ovest della
fortificazione, Ercole osservava la sua piccola cittadina, i suoi operosi
abitanti, sempre intenti in qualche opera di pubblica utilità, mai oziosi, mai
inerti, incapaci di attendere indolentemente il passare fugace del tempo, ma
sempre pronti a sbarrargli il passo.
Un uomo alto e slanciato, dai rosacei capelli al vento, parlava con
enfasi, in mezzo al piazzale centrale della fortezza di Tirinto,
circondato da un gruppo di giovani in armatura, estasiati, a bocca aperta, di
fronte alle sue parole: storie di eroi e di battaglie che egli, questo è ciò
che raccontava, aveva vissuto in prima persona.
“Gonfiale meno le tue storie, Agamennone!” –Esclamavano scherzosamente
altri, passando vicino al gruppetto.
“Siete solo invidiosi!” –Rispondeva Agamennone del Leone, che
adorava sentirsi chiamare per nome, simbolo fascinoso di mito e leggenda.
“Raccontane un’altra!” –Lo incitavano i ragazzi, che adoravano
trascorrere ore ad ascoltare i racconti di Agamennone, considerandolo una
specie di leggenda vivente.
Poco distante operosi fabbri erano all’opera, impegnati a riparare
corazze danneggiate negli allenamenti e a forgiare armi per gli Heroes, che
Ercole voleva fossero impiegate soltanto in difesa, non per offendere.
“Siamo Cavalieri che combattono per l’onestà e la giustizia, e per
difendere gli uomini, i più deboli, che non riescono a difendersi da soli!”
–Amava ripetere il Dio ai propri Cavalieri. –“Non siamo assassini! Ma eroi!”
–Aggiungeva sempre, fissando uno per uno i suoi compagni.
Quelle stesse parole, Ercole le ripeteva nella sua mente, osservando
dall’alto, in una bella mattinata di sole, la sua piccola città, il suo piccolo
mondo, da lui stesso forgiato e messo in vita. Per un momento una fitta corse
lungo la sua schiena, facendolo rabbrividire. Gli sembrò che il sole venisse
oscurato da una spessa coltre di nubi, da cui fulmini incandescenti scaricavano
tempesta su Tirinto. In breve, dei racconti e delle
storie, delle stalle piene di cavalli focosi, degli operosi fabbri e delle
messi abbondanti, non sarebbe rimasto niente, e la città sarebbe caduta
nuovamente in rovina. Come nel mito, così adesso.
Ercole si scosse, abbandonando la terrazza del Palazzo e rientrando
nelle sue Stanze, un piccolo lussuoso appartamento adibito ad ufficio in cui il
Dio amava trascorrere le sue giornate. Vi erano accumulati quadri e trofei,
oggetti di ogni genere che aveva collezionato in ricordo delle sue imprese o
che gli erano stati donati da uomini e donne comuni, in segno di riconoscimento
per l’aiuto che dal Dio avevano ricevuto.
“Non vorrete appassire come quelle vecchie rose!” –Esclamò una acuta
voce di donna, distogliendo il Dio dai suoi pensieri. –“Sono mesi che vi
suggerisco di gettarle, ma come al solito amate fare di testa vostra!”
“Non criticare un ricordo, Penelope! Perché questo per me esse sono!”
–Rispose pacatamente il Dio, carezzando un mucchio di rose seccate, sistemate
in un raffinato vaso di vetro proveniente da Venezia.
“Qualcosa vi turba, mio Signore? Siete preoccupato per le aspre parole
che Era vi ha rivolto contro?” –Continuò la donna.
Ercole sollevò lo sguardo e se avesse potuto guardare al di là della
maschera d’oro bianco, avrebbe visto gli occhi di Penelope, Sacerdotessa del
Serpente, puntarlo con determinazione. Ma era una donna e, come tutte
coloro che sceglievano una vita di battaglia, al servizio di un Dio come
Guerriere, aveva il volto coperto da una maschera che aderiva perfettamente al
suo viso. Penelope era una donna alta e snella, ricoperta dalla sua Armatura
degli Eroi, rappresentante un Serpente, animale incantatore ma al tempo stesso
prudente stratega. Le meravigliose rifiniture della corazza risplendevano di
oro lucente, con rubini incastonati nella sua cintura, e un ondeggiante
mantello di seta bianca che le scendeva lungo la schiena, sormontato da una
morbida criniera arancione: i suoi capelli, lasciati crescere naturalmente, e a
tratti un po’ selvaggiamente.
“Nestore ha ragione! Non ti si può nascondere niente! A volte credo
anch’io che tu sia un’incantatrice!” –Esclamò Ercole, accennando un sorriso.
Non aggiunse altro e si affacciò nuovamente alla terrazza del Palazzo
Reale. Cercò con lo sguardo il Monte Olimpo, non troppo distante in linea
d’aria, eternamente avvolto da candide nubi velate, ma gli sembrò che un
fulmine sfrecciasse nella sua direzione. Ripensò in fretta alla conversazione
con Era, alla delusione maturata uscendo dalle Stanze della Regina degli Dei e
ai timori espressi dai due Heroes che lo avevano accompagnato: Penelope, per
l’appunto, e Nestore dell’Orso.
“È una strega! Ci ha ingannato!” –Aveva iniziato ad incalzare Nestore,
non appena erano usciti dal Tempio di Era. –“L’invito, il banchetto…
era tutto falso! Lei voleva soltanto un vostro rifiuto, mio Signore! Voleva
sentirsi trattare male, umiliare di fronte ad altri testimoni, in modo da
trovare un pretesto, uno sciocco motivo, un futile appiglio, per scatenare la
sua ira repressa su di voi!”
“Modera i termini, Nestore dell’Orso!” –Lo aveva zittito il Dio, pur
condividendo le sue ragioni. –“Per quanto viva in una vita di torto,
insoddisfatta e incapace di provare anche solo per una volta il piacere e la
serenità, Era resta pur sempre la Regina degli Dei, sorella e sposa del Sommo
Zeus! E non è consigliabile entrare in guerra con lei!”
“Ma siamo già entrati in guerra, mio Signore! Lo siamo da secoli,
ormai! Da quanto va avanti questa millenaria disputa tra voi? Eh? Da quando,
voi sempre un bambino in fasce, quella strega tentò di uccidervi con due
velenosi serpenti!! E adesso, decine di secoli più tardi, continua ancora a
trarre piacere e godimento nel giocare con voi, suo sempiterno burattino!”
–Aveva esclamato Nestore, prima di venire zittito da Penelope.
“Mio Signore, Ercole! Come vostro consigliere, suggerirei di non
sottovalutare affatto la possibilità che la Regina degli Dei riversi la sua,
indubbiamente malcelata, collera verso di voi e verso la città a cui avete
ridato una vita! Sottostimare questo pericolo, senza approntare difese
adeguate, sarebbe un rischio troppo grande! Per voi, e per tutti gli uomini che
vivono sotto la vostra protezione!”
“Hai ragione!” –Aveva approvato Ercole, annuendo con il capo.
–“Soltanto vorrei che…” – Ma le parole gli erano
morte in bocca.
“Vorreste non dover combattere di nuovo? Vorreste non dover indossare nuovamente
la vostra splendida armatura, che Efesto forgiò nelle
viscere dell’Etna, e la Clava d’oro, simbolo di possanza e potere?” –Aveva
esclamato Penelope, con voce gentile. –“Lo vorremmo anche noi! Ma, come la
Guerra Sacra tra Atena e Ade ha da poco dimostrato, pare che questo
diciottesimo secolo non sia destinato ad essere un’epoca di pace!”
“Esisterà davvero un’epoca di pace?!” –Aveva esclamato il Dio,
sollevando la testa al cielo, lasciando Penelope e Nestore stupefatti.
“Co… Come?!” –Avevano balbettato entrambi.
“Esisterà davvero un’isola felice?!” –Aveva chiesto Ercole, ripetendo
alla sua mente la stessa domanda che ormai da tempi immemori si faceva.
“Tu che ne pensi, Penelope?” –Domandò il Dio, abbandonando i suoi
pensieri e ritornando nel suo studio, di fronte all’Hero
del Serpente.
“Credo che dovremmo prepararci per un assalto! Era non è tipo da
accettare un “no” come risposta, anche alla luce della vostra sempiterna, e mai
risolta, contesa!” –Esclamò la donna, con voce decisa e determinata. –“Con il
vostro permesso, mio Signore, Nestore ed io ci siamo presi la briga di inviare
messaggeri, al fine di riunire in fretta le sei Legioni di Heroes! Druso il
fabbro ha già iniziato a lucidare e riparare Armature e armi da battaglia, e Neottolemo del Vascello veleggia già verso Tebe, per
avvisare la Quinta Legione, di stanza in quella città!”
Ercole rimase in silenzio, con gli occhi leggermente sgranati, sorpreso
dalla puntuale organizzazione messa in moto da Penelope.
“C’è qualcosa a cui non hai ancora pensato?” –Le sorrise.
“A voi, mio Signore!” –Rispose diretta Penelope. –“Sembra che vogliate
evitare questa guerra!”
“Evitare una guerra?! Ah ah ah!” –Ercole
esplose in una risata genuina, divertito dalle ingenue parole della sua
consigliera. –“Mia cara Penelope, se tu avessi vissuto tutte le Ere del Mondo
che ho conosciuto io, attraversando una doppia vita, da mortale e da Divinità,
e conoscendo ogni sfaccettatura dell’esistenza, dal fatalistico concepimento
alla smisurata forza che scoprii in gioventù, dalle leggendarie imprese cantate
nel mito alla pazzia che mi pervase, dagli amori rubati alla schiavitù, e se tu
vedessi aleggiare su tutto questo il fantasma di una Divinità che a nient’altro
mira se non al tuo annientamento, forse neppure tu saresti così ansiosa di
entrare in guerra! Perché la guerra, Penelope, a nient’altro porta che al
dolore e alla sofferenza! In guerra muoiono i giovani, i bambini perdono i
padri e le mogli rimangono vedove! In guerra tutti i legami vengono recisi, e
piedi barbari calpestano da invasori un suolo che finora avevano visitato da
fratelli e da buoni vicini! E non vi è ingannevole gloria né traboccanti coppe
di oro e diamanti che possano ripagare dalle sofferenze chi tanto ha patito!”
–Esclamò Ercole, con una forte malinconia sul volto.
“Non vi ho investito del titolo di Heroes per fare di voi carne da
macello, da utilizzare come scudo contro i miei nemici! Se Era vuole me, me
avrà, e nessun altro dovrà sporcarsi le mani a combattere con lei!” –Concluse
seccamente Ercole.
“Le vostre parole vi fanno onore, Dio dell’Onestà! Ma per quanto vi sia
fedele, e dalle vostre parole io penda, non potrò ubbidirvi! Non questa volta!
Né nessun altro Hero lo farà!” –Esclamò Penelope, ed
in quel momento la porta delle Stanze di Ercole si aprì, e ne entrarono tre
uomini rivestiti delle loro splendide Armature.
“Adone, dell’Uccello del Paradiso! Comandante della Prima
Legione di Heroes!” –Esclamò il primo, inchinandosi di fronte al Dio.
“Marcantonio dello Specchio! Comandante della Seconda Legione!”
–Affermò il secondo, imitando il compagno.
“Chirone del Centauro!
Comandante della Sesta Legione!” –Concluse il terzo, rimanendo in piedi, con le
braccia incrociate al petto.
“Aggiungendo la mia Legione, la Quarta, guidata dal valoroso Nestore
dell’Orso, e quella di Alcione, impegnata nel Mediterraneo, e di Tereo, di stanza a Tebe, avete sei Legioni, di quindici
Heroes ciascuna, per un totale di novanta guerrieri a disposizione con cui
affrontare la Regina degli Dei!” –Esclamò Penelope, passando davanti ai tre
Comandanti inginocchiati. –“Non combatterete nessuna guerra senza di noi, mio
Signore! Non abbiamo accettato il titolo per pura onorificenza, ma perché crediamo
realmente in voi e negli ideali che rappresentate! E non abbiamo paura di
correre in fronte alla morte, se la morte ci attenderà in uno scontro con
l’olimpica Regina!”
“Parole fiere le tue,
Penelope! Fiere ed incaute!” –La
rimproverò bonariamente Eracle, prima di addolcire il suo sguardo con un
sorriso. Un sorriso d’orgoglio. –“Alzatevi, Heroes di Ercole! Fuori da queste
mura, dal protettivo cosmo che Tirinto difende,
troverete la guerra, voluta da un nemico nient’affatto disposto ad ascoltare!
Conosco troppo bene Era da credere che questo sia soltanto un capriccio! No!
Questa è l’ennesima guerra che scatena contro di me, dopo secoli in cui il suo
sguardo è rimasto lontano dalla Terra! Ma adesso, delusa probabilmente dalle
mancate attenzioni del compagno e dalla faziosa vita olimpica, e invidiosa
della prosperità di questa nostra piccola colonia, dove onestà e serenità sono
le uniche leggi a cui prestare giuramento, ha deciso di volgermi il palmo
contro, caricandolo di folgori incendiarie! Che venga pure! Troverà Ercole con
la clava in mano, pronto a darle battaglia!”
“E troverà gli Heroes a protezione del nostro Dio!” –Esclamarono
all’unisono i quattro guerrieri di Ercole, prima di incamminarsi all’esterno,
seguendo il Vindice dell’Onestà nei corridoi del Palazzo di Tirinto.
Non fecero in tempo neppure ad uscire all’aperto, nell’ampio cortile
interno, limitato da un quadruplice portico, che tutti sentirono grida
agghiaccianti risuonare nell’aria. Un suono greve, pesante, quasi provenisse
dalle profondità dell’Inferno. Un suono che sapeva di antico.
“I Kouroi!” –Esclamò Ercole, chiamando a sé
tutti i suoi fedeli.
In pochi attimi, tutti gli Heroes presenti a Tirinto
quel mattino si allinearono di fronte al Dio dell’Onestà, disposti in cintura
concentrica intorno a lui, suddivisi per legione di appartenenza. Non era
l’esercito di Ercole al gran completo, poiché un’intera legione risiedeva a
Tebe e un’altra era in parte impegnata in missioni nel Mediterraneo e in
Grecia. Ma era un numero sufficientemente alto di cuori impavidi, capace di far
emozionare Ercole per la devozione e per lo spirito di sacrificio, di
sacrificio in suo nome, che parvero dimostrare.
“Che suoni grevi risuonano nell’aria, mio Signore! Cosa è uscito dalle
viscere del mondo?” –Domandò un ragazzo, con l’aria imbarazzata.
“Dici bene, Argo del Cane! Perché queste voci appartengono a
creature addormentate, travolte dalla polvere della dimenticanza e risvegliate
adesso da Era!” –Spiegò Ercole ai suoi Guerrieri. –“Sono i Kouroi,
antiche statue cerimoniali che un tempo adornavano gli ingressi dei Templi
dedicati ad Era! Non hanno spirito né anima, e sono sorretti soltanto dal
Divino Cosmo della Regina degli Dei! Pur tuttavia rappresentano un pericolo,
per la nostra bella Tirinto, la cui luce risplende su
tutta l’Argolide, e per le popolazioni circostanti, i
cui mezzi di difesa sono incapaci di danneggiare quelle creature mostruose!”
“Ci occuperemo noi di quei giganti di pietra!” –Esclamò Nestore
dell’Orso, battendo la mano destra sul pettorale robusto della sua Armatura.
–“Ne faremo ciottoli di ghiaia con cui la Regina degli Dei potrà decorare il
suo giardino nel Tartaro dove la sprofonderemo!” –Continuò, sprezzante del
pericolo, tra le grida incitanti di alcuni Heroes a lui vicini.
“Non parlare di cose che vanno al di là della vostra competenza!” –Lo
rimproverò Ercole, pregandolo di rimanere con i piedi per terra. –“E non
sottovalutate questi Giganti! Sarebbe troppo facile pretendere che non
nascondano qualche segreto! Sarebbe troppo semplice, e forse sciocco,
immaginare che Era abbia soltanto animato delle statue di pietra!”
“Saremo prudenti!” –Esclamò Agamennone, il secondo ufficiale della
Quarta Legione, chiedendo che venisse affidato a loro tale incarico.
“Sento una decina di cosmi oscuri muoversi nell’Argolide!
Era deve aver risvegliato tutti i Kouroi di cui ha
trovato traccia!” –Rifletté Ercole. –“Credo che ben più di una Legione dovrà
occuparsi di questo problema!” –E si voltò verso Aureliano del Pittore, della
Sesta Legione, pregandolo di avvicinarsi. –“Abbiamo bisogno di una mappa
dettagliata della zona, su cui individuare i punti in cui i Kouroi
si muovono!”
“Sono ai vostri ordini, mio Signore!” –Esclamò l’Hero,
svolgendo una lunga tela. La distese in terra ed iniziò a dipingerla, con
alcuni pennelli che portava inseriti nella sua cintura, di fronte allo sguardo
attonito, quasi burlesco, degli altri compagni. In pochi attimi
un’accuratissima mappa dell’Argolide apparve sulla
tela, ricreando perfettamente l’ampia pianura su cui sorgevano le città di Argo
e di Micene, luoghi dove il culto di Era era molto
acceso, e da cui i Kouroi erano risorti, e le mura
fortificate del Palazzo di Tirinto, non molto
distanti. Alcune macchie lampeggiavano sulla cartina disegnata da Aureliano,
muovendosi velocemente in direzione della città di Ercole.
“Stanno arrivando! Tre a nord e tre a sud! E due sono ancora nelle
città di Argo e di Micene, impegnati probabilmente a distruggere edifici e a
generare il caos!” –Esclamò Ercole.
“Credo sia una tattica per tenerci impegnati su più fronti, mio
Signore!” –Esclamò Nestore dell’Orso, ed Ercole concordò con lui, pregandolo di
condurre alcuni Heroes a Micene, per mettere in salvo la popolazione civile e
distruggere il gigante di pietra. Stessa cosa avrebbe fatto Agamennone del Leone,
il suo secondo ufficiale, per la città di Argo.
“Mandate noi ad Argo!” –Esclamò una voce rude e decisa.
Ercole si voltò ed incontrò il volto ombrato di Chirone
del Centauro, seguito dai suoi Heroes, i Guerrieri della Sesta Legione. –“Chirone!” –Mormorò Ercole, osservando il volto scuro del
Comandante fissarlo con un sorriso di sfida sul viso. –“No! Tu condurrai i tuoi
Heroes a sud, per difendere Tirinto dai Kouroi che provengono da quella direzione! Mentre Adone e
la Prima Legione si occuperanno dei Kouroi che
vengono da nord! Andate adesso, ogni esitazione può esserci fatale!”
Agli ordini del Dio dell’Onestà, la Prima Legione e la Quarta, guidate
da Adone dell’Uccello del Paradiso e da Nestore dell’Orso, si mossero, rompendo
ordinatamente le riga, mentre la Sesta Legione rimase immobile per qualche
altro minuto ancora. Ercole si voltò nuovamente verso di loro e per un momento
gli sembrò di percepire un oscuro cosmo sovrastare la figura di Chirone, quasi come se volesse scontrarsi con lui, prima
che l’altezzoso Comandante gli voltasse le spalle, incamminandosi a passo
svelto verso il Portone Principale della Fortezza.
“Non credere di aver vinto, elefante! La nostra sfida è ancora aperta!
E non troverà risoluzione finché Ercole non si degnerà di concedere anche a noi
un’occasione di gloria, smettendo di favorire voi, i suoi beneamati!” –Esclamò il
Centauro, passando accanto a Nestore, che stava radunando i suoi Heroes di
fronte al Portone della Fortezza.
Scontroso e ombroso, con il viso in parte nascosto dal suo elmo a
maschera e da un folto ciuffo di capelli grigiastri, Chirone
urtò deliberatamente Nestore, provocandolo com’era solito fare, amando
rivaleggiare con lui per ottenere il posto privilegiato di Comandante scelto
del Dio dell’Onestà, titolo che, seppure non ufficialmente, sembrava essere
destinato a Nestore e alla Quarta Legione. La
Prima nel cuore di Ercole! Commentò Chirone,
accennando un sorriso malizioso, che teneva conto di precedenti che andavano al
di là del puro valore militare. Senza neppure fermarsi, il Comandante della
Sesta Legione uscì fuori dalle mura di Tirinto,
conducendo i suoi guerrieri verso sud, in direzione del cosmo rabbioso dei Kouroi, che a grandi passi stavano avvicinandosi.
Nestore non diede molto peso alle provocazioni di Chirone,
considerandole come sempre frasi dette tanto per dire, ma senza alcun
significato valido. Egli non si sentiva affatto un favorito di Ercole, né il
glorioso Comandante che Chirone pareva sempre cantare
con un pizzico di invidia. Era soltanto Nestore, l’Hero
dell’Orso, ed amava il suo Dio per la sua bontà e la sua onestà, come lo
amavano tutti gli altri suoi compagni. E per questo amava svolgere il suo
lavoro al meglio.
“Buona fortuna a tutti voi, amici!” –Esclamò Nestore, rivolgendosi ad
un altro gruppetto di Heroes della sua Legione, diretto ad Argo sotto la guida
di Agamennone. –“E tu!” –Aggiunse, indicando il suo secondo ufficiale con il
robusto indice destro. –“Non essere avventato! Hai delle responsabilità!”
–Esclamò, guardando Agamennone con cipiglio, riferendosi ai giovani Argo e Gleno, sentiti ammiratori delle gesta dell’Hero del Leone di Nemea.
“Non hai niente di cui preoccuparti, Nestore! I ragazzi ed io ce la
caveremo egregiamente!” –Esclamò Agamennone, con serietà, prima di aggiungere con
ironia. –“Ehi, in fondo si tratta solo di prendere a pugni una statua di
pietra! Cosa mai potrà farci? Schiacciarci? Ah ah ah!”
“Non sottovalutare l’incarico che hai ricevuto, Agamennone! E attieniti
al mandato, senza prendere decisioni di testa tua, senza avermi consultato in
merito!” –Precisò Nestore, prima di allontanarsi, seguito da quattro Heroes:
Teseo del Camaleonte, Giasone del Cavallo, Priamo
della Lucertola e Asterione della Giraffa.
Agamennone a sua volta radunò un gruppetto di cinque Heroes della
Quarta Legione, composto dalla Sacerdotessa del Falco, da Neleo
del Dorado, dal solitario Tindaro
di Cigno Nero e dai giovanissimi Argo del Cane e Gleno
di Regula e e li condusse
via, alla volta della città di Argo.
Nestore, che già sfrecciava verso Micene, li sentì allontanarsi, con
una strana angoscia nel cuore. Dopo tanti anni era infatti la prima volta in
cui non li accompagnava in missione. E di questo si dispiacque non poco. Ma
doveva dare ad Agamennone la sua possibilità, l’occasione di dimostrare di non
essere soltanto un cacciatore di gloria e di un nome scolpito sulle mura del
tempo, ma un condottiero ed un abile guerriero, come egli, suo maestro e
compagno, lo aveva istruito per tutti quegli anni.
“Non essere in pena per loro!” –Esclamò una voce, proveniente dal lato
destro di Nestore, il quale però, voltatisi in quella direzione, non vide
niente. Soltanto dopo pochi attimi una figura iniziò a materializzarsi di
fronte a lui, assumendo i tratti di uno degli Heroes a lui fedeli, Teseo del
Camaleonte, le cui abilità mimetiche erano così grandi da riuscire persino
a nascondere il suo Cosmo.
“Agamennone è avventato, non lo nego! Ma è anche
coraggioso e valoroso! Sono certo che si farà onore! E renderà onore a tutta la
Quarta Legione!” –Esclamò Teseo, sfrecciando a fianco del Comandante.
“Ne sono certo!” –Si limitò a rispondere Nestore,
incitando i compagni ad accelerare la loro andatura. Micene era ormai vicina, e
il cosmo oscuro della creatura di pietra sembrava aleggiare su tutti loro,
dall’alto del colle dove sorgeva la cittadina greca.
“Eccolo!” –Gridarono alcuni Heroes, fermandosi ai
piedi della collina, mentre un’ombra oscurava per qualche momento il sole.
Da dietro il colle tuonò improvvisamente una voce
profonda e gutturale, facendo tremare i Guerrieri di Ercole per qualche
secondo. Una voce che sembrava provenire dall’orrendo abisso del Tartaro. Una
voce che anticipò l’arrivo del Gigante di Pietra, uno degli otto Kouroi disseminati nell’Argolide
e risvegliati dal potere di Era.
Era un gigante altissimo, costruito interamente di
pietra, una pietra grezza, non troppo lavorata, che aveva avuto origine dalle
antiche statue del periodo ellenistico che erano state scolpite in onore ad
Era, per ornare gli splendidi Heraion di Samo e di Argo. I Kouroi
rappresentavano in origine giovani uomini nudi a figura intera, possenti e
fieri, in posizione frontale eretta e con una gamba generalmente avanzata
rispetto all'altra. Adesso erano diventati macchine distruttrici, prive di ogni
raziocinio, che nient’altro erano in grado di fare se non distruggere tutto ciò
che trovavano sul loro cammino, schiacciare, percuotere, sbriciolare con le
loro immense mani, frantumare alberi ed edifici, portatori di un caos
primigenio che Era aveva risvegliato in loro.
“Per Ercole!” –Esclamò un giovane Hero
dai capelli azzurri, Priamo della Lucertola.
–“Non avrei mai immaginato fossero così grandi!”
“E sembrano ben corazzati!” –Commentò Teseo del
Camaleonte, osservando l’alone di cosmo divino che pareva circondare quelle
immense figure di pietra vivente.
“Non ci faremo abbattere per così poco, no?!” –Tuonò
Nestore, per rinfrancare lo spirito dei suoi compagni. –“Siamo Heroes di
Ercole, e il nostro compito è far valere gli ideali di onestà e giustizia del
nostro Dio! Avanti allora!” –E si lanciò contro il Kouros, bruciando il proprio
cosmo.
Altri tre Heroes lo seguirono, mentre un quarto rimase
indietro, a braccia conserte ad osservare il Gigante di pietra e i suoi
compagni da lontano, per studiarlo meglio, convinto che lanciarsi frontalmente
contro di lui non avrebbe prodotto alcun risultato utile. Infatti il Kouros,
vedendo quattro bagliori luminosi ai suoi piedi sfrecciare verso di lui, batté
le sue robuste braccia sul petto, emettendo violenti suoni gutturali, prima di
sollevare l’enorme piede destro e calarlo con violenza a terra.
Nestore e gli Heroes riuscirono ad evitare di essere
schiacciati al suolo, balzando in ogni direzione, ma il Gigante sollevava e
abbassava la gamba continuamente, provocando continui smottamenti nel terreno,
che rendevano sempre più difficile muoversi. Gli Heroes si unirono in gruppo,
scagliando un violento attacco di energia cosmica contro il Kouros, ma rimasero
stupefatti quando lo videro scivolare via, quasi fosse acqua, contro la sua
immensa mole. Una goccia di pioggia sul marmo.
“Maledizione!” –Esclamò Nestore, saltando indietro,
mentre l’enorme piede del Kouros sfondava il terreno di fronte a lui. –“Un
campo di energia sembra proteggerlo e renderlo refrattario ai nostri assalti!”
“Tutto questo non fa presagire niente di buono!”
–Esclamò Priamo della Lucertola, ed anche il suo
compagno, il timido Asterione della Giraffia, dovette dargli ragione.
In quella il Gigante si chinò sul terreno, affondando le sue immense
mani nel suolo, sollevando enormi pezzi di terra e sradicando alberi, prima di
gettare tutto sui guerrieri di Ercole, schiacciandoli al suolo, facendoli
precipitare dentro piccoli crateri scavati dal suo pesante passaggio. Un colpo
secco di mano del Kouros sul terreno aprì una fenditura, che spaccò la terra
per centinaia di metri, facendo precipitare Priamo e Asterione al suo interno, mentre Nestore saltava da una
sponda all’altra, cercando di evitare il continuo smottamento delle zolle di
terra su cui poggiava il piede. Non vi riuscì e venne travolto da una vasta
piattaforma di terra che il Gigante lanciò su di lui, schiacciandolo a terra,
prima di poggiarvi con forza il suo immenso piede di pietra. In segno di
vittoria batté le sue robuste braccia sul petto, prima di accorgersi che vi era
ancora un uomo, ricoperto da scure vestigia, in piedi tranquillo di fronte a
lui: Giasone del Cavallo, Hero di Ercole.
Capitolo 4 *** Capitolo terzo: L'attacco dei Kouroi. ***
CAPITOLO TERZO: L’ATTACCO DEI KOUROI.
Quando
gli Heroes della Quarta Legione guidati da Agamennone del Leone arrivarono in
prossimità della cittadina di Argo, distante pochi chilometri dalla splendida Tirinto, un terrificante spettacolo si palesò di fronte ai
loro occhi. Gli abitanti della città si erano rifugiati in massa nel kastro, il castello fortezza che dominava la sommità
della collina di Larissa, edificato dai Franchi sulle
rovine dell’antica Acropoli. E da quelle mura stagliate contro il sole uscivano
disperate grida di terrore. Il Kouros, il Gigante di Pietra, che un tempo
ornava l’ingresso dell’Heraion di Argo, era stato
risvegliato dal cosmo di Era ed aveva iniziato immediatamente a distruggere
tutto ciò che aveva trovato sul suo cammino.
La
popolazione in fuga aveva tentato di raggiungere il vicino porto di Nauplia, a
cavallo o fuggendo disperatamente a piedi, ma il Kouros aveva fatto strage dei
loro pallidi tentativi di fuga, obbligando i superstiti a rifugiarsi sull’alto
colle di Larissa e a caricare i cannoni. Ma a niente
potevano le loro armi da fuoco. Le palle di cannone sembravano punture di zanzara
sulla sua immensa massa e sortivano l’unico effetto di alterarlo ulteriormente,
spingendolo a distruggere ogni cosa. Così, quando i sei Heroes di Ercole
arrivarono, lo videro intento ad assediare il forte, percuotendo il terreno con
le sue mani, provocando violenti terremoti e smottamenti, che facevano vibrare
l’antica fortezza fino alla base.
“Quella
gente ha bisogno di noi!” –Esclamò l’uomo che guidava la piccola pattuglia di
Eroi: Agamennone del Leone, secondo ufficiale della Quarta Legione di Ercole.
Era un
uomo alto, con folti capelli rosa, rivestito da un’Armatura rappresentate il
Leone di Nemea, una delle prime fatiche di Ercole ai tempi del mito. E non era
un caso che fosse proprio lui, il valoroso Agamennone, come amava farsi
chiamare, a fregiarsi di tale titolo, poiché il giovane, pochi anni prima,
aveva ricevuto in dono da Ercole stesso un reperto prezioso, che il Dio aveva
conservato per millenni, in attesa di un uomo giusto e ardito, e
sufficientemente folle, a cui poterlo cedere.
Al suo
fianco vi erano altri cinque Heroes della Quarta Legione, quasi tutti molto
giovani, soltanto uno di loro, Niobe del Falco, elegante Sacerdotessa,
fedelissima di Penelope e sua profonda ammiratrice, superava i vent’anni. Tutti
gli altri non ne avevano neppure diciotto. Ma possedevano una grande grinta e
notevole audacia, sorretti da un profondo desiderio di combattere per Ercole e
compiere grandi imprese in suo nome, per essere un giorno cantati negli annali
e nelle leggende, come oggi ancora venivano cantate le imprese del loro Dio.
“E noi
non ci faremo attendere!” –Esclamò la giovane voce di Argo del Cane,
subito affiancato dall’amico e compagno di avventure, Gleno
di Regula.
“Corriamo a
distruggere quel Gigante!” –Lo seguì Gleno.
“Frenate
il vostro entusiasmo, giovani rampolli!” –Esclamò Niobe del Falco, pregandoli
di essere prudenti, non avventati. –“Siamo qua per proteggere gli abitanti di
Argo dalla furia di quel bestione! Non per combinare guai!”
“Lasciali
fare!” –Intervenne Agamennone. –“Sono giovani! È normale che vogliano
combattere, che vogliano emergere!”
“Sono
d’accordo!” –Intervenne improvvisamente Tindaro
di Cigno Nero, un taciturno guerriero che li aveva accompagnati,
recentemente inseritosi nella Quarta Legione. –“Un Eroe non deve avere
esitazioni o tentennamenti di sorta! Ma lanciarsi a testa alta in battaglia!
Qualunque siano le condizioni!”
“Per
lanciarsi in mare, bisogna essere in grado di nuotare!” –Commentò saggiamente
Niobe, senza prestare attenzione alle parole di Tindaro,
ci cui troppo non si fidava. –“E voi ne siete capaci?” –Si rivolse quindi ai
giovani Heroes, che pendevano dalle labbra di Agamennone, in attesa di un suo
cenno per iniziare la battaglia. Ma la conversazione fu interrotta da un
violento smottamento del terreno. Il Kouros infatti li aveva notati ed aveva
iniziato a muoversi nella loro direzione, schiacciando il suolo con i suoi
enormi piedi di pietra.
“Attenzione!!!”
–Gridò Agamennone, ordinando agli Heroes di separarsi, per non essere
schiacciati.
Argo e
Gleno furono lesti a balzare verso destra, seguiti da
Tindaro del Cigno Nero, mentre Niobe, Agamennone e il
sesto Hero, Neleo
del Dorado, scattarono indietro, evitando la
furia animalesca del Gigante, che passò oltre. Senza aspettare altro,
Agamennone concentrò una sfera di energia nel palmo della mano destra,
scagliandola contro la schiena del nemico, davanti allo sguardo pieno di
ammirazione dei giovani Argo e Gleno. Ma la sfera si
infranse contro il corpo del colosso, squagliandosi come neve al sole sulla sottile,
ma insormontabile, barriera di energia cosmica che ricopriva tutti i Kouroi, e che altro non era se non il Cosmo Divino di Era.
“Cosa?!
Incredibile!” –Mormorò Agamennone.
“Fai
provare me stavolta!” –Gridò Argo, bruciando il suo cosmo. Gleno
fece lo stesso ed insieme si lanciarono contro il Gigante, il quale, avvedutosi
di loro, piccoli insetti ai suoi piedi, abbassò il capo, fissandoli con i suoi
enormi occhi di pietra.
Agamennone
fece appena in tempo a vedere una luce rossastra brillare come fosse una
stella, prima che un lampo di energia scattasse dagli occhi del Kouros
dirigendosi verso i due giovani Heroes.
“Nooo!” –Gridò Niobe, gettandosi contro i due ragazzi,
afferrandoli e facendoli rotolare sul terreno erboso, sottraendoli così ai raggi
distruttori del Gigante di Pietra.
“Niobe!”
–Esclamò subito Argo, aiutando la ragazza a rimettersi in piedi. –“Sei ferita?”
–Aggiunse, ma il Kouros fu subito su di loro.
“Maledizione!”
–Esclamò la Sacerdotessa, rialzandosi ed espandendo il suo cosmo, simile ad un
maestoso uccello che vola verso l’infinito. –“Assaggia gli Artigli del Falco,
mostro preistorico! Volo del Falco!!!” –Gridò Niobe, lanciandosi in alto
e liberando violenti fasci di luce, simile a fitta pioggia, diretti verso il
volto del Gigante. Ma il Kouros non la prese troppo sul serio, colpendola
distrattamente con la mano sinistra mentre era in volo e scaraventandola
lontano, contro alcune rocce distanti, dove il corpo indebolito della
Sacerdotessa si schiantò poco dopo.
“Niobeee!” –Gridarono Argo e Gleno,
sentendosi responsabili.
“Non
possiamo più esitare!” –Esclamò Agamennone, vedendo che la situazione si faceva
pericolosa. Espanse il proprio cosmo e sfrecciò avanti, spiccando un agile
salto fino a portarsi sopra il palmo della mano sinistra del Kouros.
Il
Gigante, avvedutosene, scrollò la mano, cercando di liberarsi dell’indesiderato
ospite, ma Agamennone fu abile ad aggrapparsi alle sue dita con forza, cercando
di non essere scaraventato via. Ai suoi piedi, gli altri Heroes pensarono di
distrarre il Kouros, attirando la sua attenzione con sfere di energia che
diressero verso una gamba di pietra, sperando magari di farlo cedere e
barcollare. Ma anche stavolta i loro colpi non lo raggiunsero, scivolando via,
come acqua, senza intaccare la gelida pietra del Kouros.
“Di
pietra sei fatto, e pietra tornerai ad essere!” –Gridò Agamennone, spiccando un
nuovo balzo, usando il dito a cui era aggrappato come leva e lanciandosi in
alto, davanti al viso del Gigante, che parve quasi abbandonarsi ad un’espressione
di sorpresa. –“Artiglio del Leone di Nemea!” –Esclamò, portando avanti
il braccio destro, avvolto da fulmini incandescenti.
Ad
Argo del Cane, e agli altri Heroes riuniti ai piedi del colosso, parve di
vedere la splendida sagoma di un leone con le fauci spalancate scagliarsi
contro il viso del Kouros, completamente avvolto da un bagliore di stelle.
L’attacco raggiunse il Gigante nell’occhio sinistro, obbligandolo a chiuderlo
in fretta, ma non così in fretta da poter evitare di essere ferito da alcuni
sprazzi di luce. D’istinto, il Kouros reagì, afferrando Agamennone con la mano
destra e stringendolo nel suo pugno, fino a sentire le ossa scricchiolare
sinistramente, prima di gettarlo a terra, scaraventandolo contro un mucchio di
rocce.
“Capitano!!!”
–Gridarono Argo e Gleno, correndo verso l’Hero del Leone, mentre il Kouros si agitava selvaggiamente,
battendosi le mani sul petto, preso alla sprovvista da quell’assalto
improvviso, che era riuscito a ferirlo, anche se pur minimamente, all’occhio.
“Non è
dunque invulnerabile!” –Mormorò tra sé Niobe, raggiungendo Agamennone e gli
altri e sincerandosi delle condizioni del suo capitano.
“Sto
bene!” –Mormorò Agamennone, con qualche graffio sul viso e le vesti un po’
strappate. E Niobe e gli altri dovettero dargli ragione, pur sgranando gli
occhi per la sorpresa. –“Non è così facile superare le mie difese!” –Commentò,
scuotendo la polvere dalla propria Armatura.
Niobe
lo osservò per un momento, notando un baluginare di stelle che ricopriva la
corazza dell’Hero, e ricordò la leggenda del Leone di
Nemea, un leone dalla pelle coriacea e invulnerabile.
“Sei
come il Leone della leggenda!” –Commentò, avendo compreso la natura del suo
potere.
“Più
che altro, ho la sua stessa pelle!” –Sorrise Agamennone, prima che il Kouros
fosse nuovamente su di loro, scalciando, muovendosi selvaggiamente, battendo i
piedi con forza sul terreno e agitando le braccia a mulinello, in modo da
togliere sempre di più ai guerrieri di Ercole la possibilità di avvicinarsi a
lui.
“Sei
riuscito a colpirlo! Le sue difese sono dunque superabili?!” –Esclamò Niobe,
balzando di lato, evitando un assalto del Gigante.
“Purtroppo
no! C’è una protezione divina che circonda questo Kouros, che nessuno di noi ha
il potere per superare! A meno che non si disponga di un manufatto, dono di un
Dio, le cui origini sono altrettanto divine!” –Commentò Agamennone, saltando a
sua volta, e riunendosi con la Sacerdotessa del Falco. Sollevò il braccio
destro e mostrò il pugno alla ragazza, la quale inizialmente rimase un attimo
stranita, non capendo a cosa si riferisse. –“Ricordi la leggenda del Leone di
Nemea, e il modo in cui Ercole lo vinse?”
“Il
Leone di Nemea era un animale gigantesco, figlio di Echidna e Tifone, che
terrorizzava l’Argolide! La sua pelle era
indistruttibile e non poteva essere trapassata da alcuna freccia o spada!”
–Rispose Niobe, ricordando gli insegnamenti della sua maestra, Penelope del
Serpente. –“Per sconfiggerlo, Ercole entrò nella grotta in cui il Leone si era
insediato, dopo aver bloccato una delle due uscite! Gli si gettò addosso,
stordendolo con la sua clava, e quindi lo strangolò!”
“Esatto!
E sai cosa ne fece Ercole di quella pelle che nessuna lama poteva scalfire?”
–Domandò Agamennone, con un sorriso di orgoglio sulle labbra. –“La tagliò e la
indossò, come armatura impenetrabile, utilizzando proprio un artiglio dello
stesso Leone! Ed in me, nel mio braccio destro, rivive quell’artiglio, capace
di trapassare qualsiasi difesa e raggiungere il cuore di tutte le cose!”
“Capace
anche di superare l’alone protettivo del Gigante?” –Si chiese Niobe, non troppo
convinta della cosa.
“Questo
è qualcosa su cui dovremo lavorare!” –Commentò Agamennone, prima di essere
distratto dalle grida dei suoi compagni.
Argo e
Gleno infatti si erano nuovamente lanciati
all’assalto, scagliando ripetute sfere di energia contro il Kouros e venendo
sistematicamente respinti. Neleo del Dorado era dovuto intervenire più volte per salvarli, per
toglierli dalla traiettoria dei violenti raggi di energia che il Gigante
lanciava dagli occhi, mentre Tindaro di Cigno Nero
pareva disinteressarsi completamente della battaglia. Si era avvicinato
soltanto ad Agamennone alla fine della sua conversazione con Niobe, rimuginando
qualcosa tra sé, mentre osservava con crescente cupidigia ed interesse il
braccio destro dell’Hero del Leone, quasi fosse un
tesoro da conquistare.
“Ragazzi!!!
Attenti!” –Gridò Agamennone, scattando avanti, subito seguito da Niobe. I due
Heroes scagliarono un violento attacco energetico contro il volto del Gigante,
ma essendo troppo distanti non produssero risultato alcuno, se non quello di
essere scaraventati di lato con un rozzo calcio da parte del Kouros.
Agamennone, in volo, afferrò Niobe, mettendola davanti a sé, prima che la sua
schiena impattasse malamente contro una roccia sporgente, frantumandola e
precipitando al suolo.
“Agamennone!!!”
–Esclamò agitatamente Niobe, cercando di rialzarsi. Schiaffeggiò il capitano,
stordito dall’impatto, prima di ringraziarlo per averla protetta.
“Dovere
di ogni uomo, prima ancora di un Cavaliere!” –Commentò Agamennone, rimettendosi
in piedi, con la schiena dolorante, ma con l’Armatura ancora completamente
integra. Argo e Gleno rotolarono fino ai piedi dei
due Heroes, scaraventati lontano da un colpo brusco di mano del Gigante, che
aveva incrinato in alcuni punti le corazze dei due giovani. Argo aveva lividi
su tutto il corpo e Gleno sanguinava pure dal labbro
inferiore, notevolmente ingrossato, ma erano entrambi determinati a non
arretrare di un solo passo.
“Il
nostro nome sarà scolpito nel cielo stellato, come quello di Ercole e dei
nostri comandanti! Il valoroso Agamennone, nel cui onesto cuore risiede
l’ardita fiera di Nemea! La timida ma risoluta Niobe, Sacerdotessa del Falco!
Possano le tue ali portarti sempre più in alto! E il vigoroso Nestore
dell’Orso, che ci ha accolto tra le sue truppe, permettendo a due ragazzini
inesperti di imparare a vivere!” –Commentò Argo del Cane, mettendosi di fronte
al suo Capitano. Gleno fece altrettanto, aprendo le
braccia, proprio mentre la mostruosa sagoma del Gigante oscurava il sole,
ergendosi proprio di fronte ai quattro Heroes.
***
In
quello stesso momento, dal suo maestoso Tempio sul colle dell’isola di Samo, Era osservava gli eventi svolgersi sul muro
interno della terza cella dell’Heraion. Appeso ad
esso vi era un magnifico arazzo, tessuto per lei dalle abili cucitrici
dell’isola, che mostrava Ercole, il Dio dell’Onestà, circondato dalle sue
Legioni. Novanta simboli stilizzati che rappresentavano tutti gli Eroi che
combattevano per lui, e per i suoi sciocchi ideali di correttezza, come Era
ripeteva periodicamente per disprezzarli.
Ai piedi
dell’arazzo, sedute sopra tre vecchi sgabelli, consumate dal tempo e
dall’invidia, tre scarne figure rinsecchite, avvolte in logori mantelli scuri,
con il volto oscurato dalle tenebre, filavano e svolgevano un lungo fuso,
collegato direttamente all’arazzo, in attesa di tagliare con le loro lucide
cesoie lo stame della vita.
“Tre donne
siedono in cerchio a uguale distanza! Ciascuna sul proprio trono!” –Esclamò la
temibile Regina degli Dei, parafrasando Platone. –“Sono le Moire, figlie
di Ananke, colui che domina il destino! Sull'armonia
delle Sirene Lachesi canta il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro!”
Le Moire non
risposero, né sollevarono il capo, disinteressate a tutto ciò che passava loro
attorno. A niente prestavano attenzione, a nessuno sembravano essere fedeli,
garanti perfette dell’equilibrio del mondo. Disincantate verso la vita,
disinteressate verso la morte, indifferenti agli uomini e, in parte, anche agli
Dei. Tessevano, filavano e, quando era tempo, tagliavano.
Argo,
massimo officiante di Era, entrò in quel momento nella terza cella,
inchinandosi di fronte alla Regina degli Dei, che gli sorrise, compiaciuta
dell’andamento del proprio piano di battaglia. Sedette sul trono, ascoltando
Argo che parlava ai suoi piedi, percependo la sua gioia nel sentire gli Heroes
di Ercole in pericolo.
“Presto
cadranno tutti quanti, sconfitti, schiacciati, pressati al suolo dalle sovrastanti
forze dei Kouroi! Cosa possono degli uomini contro il
potere divino? Come osano soltanto credere, soltanto immaginare, di poter
levare lo sguardo verso l’alto senza rimanere abbagliati dallo splendore dei
campi di melograno e dalle affascinanti ruote del pavone, simbolo sacro alla
Regina degli Dei!” –Esclamò Argo, mentre Era gli sorrideva beffarda.
“Osserva,
mio Sacerdote!” –Esclamò Era con enfasi, indicando l’arazzo. –“Presto la tela
di quest’arazzo inizierà a disfarsi! Lentamente, ma inesorabilmente, tutti gli
uomini che si sono autoproclamati Eroi cadranno, vittime del fato inesorabile
che gli Dei hanno imposto loro! Ed Ercole, che adesso si erge al centro, con la
clava in mano, perderà quel suo sorriso di tronfia superbia e rimarrà solo! Soloooo!!!” –Gridò Era, e la sua voce parve un suono
agghiacciante che scosse l’intera isola di Samo.
“È il
castigo che meritano gli insolenti e gli ingrati! E nessuno lo merita più di
Ercole!” –Commentò Argo. –“Pur tuttavia, mia Regina, se desiderate accelerare i
tempi, io sono ai vostri ordini! Sempre pronto per ogni missione che vogliate
affidarmi! Basterebbero le mie dita per porre fine all’inutile esistenza di
quegli uomini che si sono autoproclamati Eroi!”
“Ne sono
certo, mio Oracolo! Nessuno ha più brama di servirmi di te!” –Esclamò la Dea,
con un tono divertito dal totale servilismo di Argo, che nascondeva in realtà
un cinico odio profondo verso gli uomini e i loro protettori divini. –“Ma
lasciali fare! Lascia che sprechino le loro insulse energie a scagliarsi contro
le mura di pietra rappresentate dai miei Kouroi!
Così, quando privi saranno di risorse ed inermi si prostreranno ai miei piedi,
vinti, basterà un dito, un fulmine dalla mia mano, per condannare all’oblio
eterno quella patetica stirpe di Eroi! Quella stupida generazione di mortali
che ha osato sfidare la collera celeste!” –Si infervorò Era, espandendo il
proprio cosmo. –“Assicurati che Iris sia arrivata a destinazione! Non voglio
lasciare ad Ercole nessuno spazio di manovra! Lo attaccherò su tutti i fronti
ed egli non riuscirà a tamponare le ferite! Una su tutte, quella che sarà
mortale, quella che gli strapperà il cuore! Poiché non vi è fronte su cui
lanciare migliore attacco che non su quello dei suoi sentimenti! Ah ah ah!” –Ghignò la Regina degli Dei, seduta scompostamente sul
suo alto scranno.
Mentre nel
Peloponneso Orientale la guerra era in corso, e Argo e Micene erano sotto
assedio da parte dei Kouroi, e altri Giganti
muovevano le loro possenti gambe di pietra verso Tirinto,
qualche miglia ad ovest, in un’isola del Mar Tirreno meridionale, Iris
raggiungeva la metà del suo viaggio: la grotta che la sua Signora in persona
aveva scelto millenni prima, come luogo di custodia.
“Cosa ti conduce
nella mia dimora, Messaggera degli Dei?” –Disse un uomo, apparendo all’ingresso
della grotta: Eolo, Dio dei Venti.
Era alto e
robusto ed indossava eleganti vesti dal colore celeste, che gli conferivano un
aspetto regale e al tempo stesso leggiadro. Il volto chiaro era dominato da
occhi dal colore argentato, capaci di mutare d’intensità al variare
dell’esposizione solare, creando affascinanti giochi di luce. Era figlio di Ippote e da Zeus in persona aveva ricevuto il dominio sulle
isole poste a Nord della Sicilia, da lui poi chiamate Eolie.
“È vento di
guerra ciò che muove i miei passi! E nessuno meglio di te, che dei venti sei
signore e sovrano incontrastato, può comprenderlo, oh possente Eolo!” –Esclamò
Iris, inchinandosi di fronte al Dio.
“Nonostante
non mi aspettassi una tua visita, Messaggera degli Dei, avevo udito, portate a
me dal Vento dell’Est, notizie di una nuova guerra in corso ad Oriente! Non vi
è dunque pace su questo pianeta? Solo pochi mesi fa Atena e Ade hanno deposto
le armi, incontrando entrambi il riposo celeste, e adesso qualcuno ancora si
ostina ad anticipare l’inesorabile? Forse gli uomini sono così convinti di
essere superiori agli Dei, e quindi immortali, da poter combattere
continuamente senza incorrere nel rischio della morte?” –Rifletté Eolo,
tastandosi la folta barba grigia.
“Pare
che gli uomini abbiano perso il senno, Sommo Eolo! Istigati da qualcuno che un
tempo era anch’egli un uomo, per quanto fosse figlio di Zeus, si ostinano a
volgere i pugni contro i Celesti Signori dell’Olimpo!” –Rispose Iris. –“Egli,
rifiutandosi di compiere una missione che la mia Signora gli aveva affidato,
adducendo nient’altro che frivoli scusanti, ha oltraggiato l’Olimpo e la Dea
che riverisco, la stessa a cui voi, possente Eolo, siete devoto! La stessa che
qua mi ha inviato per domandarvi aiuto!”
“Aiuto?!
E quale aiuto può dare un Dio inferiore come me alla tua Regina? Posso dunque
pretendere di interferire con il fato, di inserirmi nella millenaria contesa
tra Ercole ed Era?!” –Esclamò Eolo, che, in cuor suo, avrebbe preferito
rimanerne al di fuori, per non avere complicazioni.
“L’aiuto
di un amico!” –Rispose Iris decisa. –“E l’aiuto di un Dio riconoscente alla sua
protettrice, la stessa che vi permise di sedere tra gli Dei dell’Olimpo,
intercedendo presso il Sommo Zeus, suo fratello e sposo!” –Aggiunse Iris, e ad
Eolo sembrò più un ordine che una richiesta di aiuto.
Per
quanto non fosse pienamente convinto, Eolo era un Dio, legato ad Era da un
tributo di riconoscenza, che in quel momento sembrò pesare sul suo animo come
un debito. Sospirò, annuendo con il capo, prima di chiamare a sé i suoi
figliastri. Splendenti, avvolti nelle Vesti Divine che Efesto
aveva forgiato per loro millenni prima, apparvero i Quattro Venti, figli di Astreo, il Cielo Stellato, e di Eos, l’Aurora: Borea, il
Vento del Nord, Euro, il Vento dell’Est, Zefiro, il Vento del Sud,
e Austro, il Vento dell’Ovest, in uno scintillio di luci che parve per
un momento oscurare l’iridescenza delle vesti della Messaggera degli Dei.
“Quali
nuove, Dio dei Venti?” –Esclamò Borea, con forte ansia di sapere. –“Perché ci
hai convocato d’urgenza?”
“Per
combattere!” –Iris anticipò Eolo, facendosi spazio tra i quattro Venti Divini.
–“Per la Regina degli Dei, che in persona mi ha chiesto di nominarvi suoi
alfieri scelti! I combattenti del Monte Olimpo il cui nome sarà inciso nelle
stelle per aver eliminato colui che agli Dei ha osato ribellarsi!”
“La
Divina Era?!” –Esclamò Zefiro, inginocchiandosi insieme ai compagni alla vista
della Messaggera degli Dei. –“Quale onore!”
“Siamo
al suo servizio!” –Incalzò Austro. –“Indicaci la meta e noi là ci recheremo!”
“La
meta è Tirinto, residenza di Ercole!” –Tuonò Iris,
con decisione. –“E gli ordini della mia Signora sono straordinariamente
semplici, come semplice è il suo candore e la sua personalità! Radere al suolo
quell’imborghesita città, sterminando i guerrieri bastardi che la proteggono,
prima di condurre il corpo inerme di Ercole di fronte ad Era, osservarlo
prostrarsi ai suoi piedi ed implorare perdono, per tutte le offese che le ha
recato, per le umiliazioni che le ha impartito, non ultima l’affronto causatole
nel rifiutare la proposta della mia Dea di distruggere il Santuario di Atena!”
“Ercole
si è rifiutato?! Ah ah!” –Risero Austro e Zefiro. –“Tipico di quel cialtrone!
La sua adorazione per gli uomini e per Atena è sempre stata grande, e questo fa
di lui un uomo più che un Dio!”
“Ciò nonostante…” –Intervenne per la prima volta Euro. –“Non
sarà una battaglia facile! Ercole è nemico potente, dotato di straordinaria
forza e resistenza, che gli deriva dal possente Zeus! E gli Heroes sono
numerosi e ben addestrati, allievi di un maestro dotato di carisma e capaci di
insegnare loro le migliori tecniche di attacco e di difesa, oltre che di dare
loro uno scopo per cui valga la pena vivere!”
“Hai
intenzione di tirarti indietro?” –Lo derise Borea. –“Vuoi offendere anche tu la
Regina degli Dei?!”
“Sto
solo valutando la situazione! Noi siamo in quattro, contro novanta guerrieri ed
Ercole stesso, la cui forza è pari a quella di un Dio dell’Olimpo, a noi decisamente
superiore!” –Precisò Euro.
“Non
dovrete curarvi molto degli Heroes! E neppure di Ercole stesso!” –Esclamò Iris,
con un sorriso beffardo. –“La mia Signora ha ideato un piano perfetto! I Kouroi che marciano su Tirinto
sono sorretti dal suo Divino Cosmo e non vi è niente che possa fermare la loro
avanzata! Non vi è colpo segreto, pur potente che sia, che possa distruggere
gli atomi che compongono i loro robusti corpi! A meno che non si possieda la
chiave per cacciar fuori il loro cuore! Gli Heroes sono destinati ad essere
schiacciati come insetti! E voi sarete là, ad anticipare quel momento!” –Li
incalzò Iris, prima che un rumore, quasi come di cocci, disturbasse
l’attenzione di tutti.
Un
ragazzetto dai capelli mori e ritti, con il volto sbarbato e l’aria timida e
impacciata, spuntò poco dopo all’ingresso della caverna, scusandosi con Eolo
per il rumore provocato.
“Mi..
mi dispiace, Signor Eolo! Stavo pulendo le Anfore, come mi ha ordinato… Devo averle urtate e sono cadute…
ma non sono rotte! Non si preoccupi!” –Balbettò, di fronte allo sguardo irato
del Dio dei Venti e di Borea e degli altri fratelli.
“Ne
farai mai una giusta, Nesso?!” –Lo derisero Austro e Zefiro, mentre Borea balzò
sopra di loro, giungendo proprio davanti al giovane. Lo afferrò per la
maglietta che aveva indosso e lo sbatté con forza contro la parete rocciosa,
schiaffeggiandolo più volte.
“Mio
Padre ti ha assunto per fare un lavoro di precisione, stupido bamboccio!
Intendi forse mancargli di rispetto?” –E lo picchiò di nuovo, gettandolo a
terra, con il volto arrossato dagli schiaffi ricevuti.
“No!
No! Mi dispiace! Non succederà più!” –Gridò spaventato, rientrando di corsa
nella caverna, per sistemare le anfore di Eolo, dove il Dio custodiva i venti.
“In
tal caso non ci sarà una prossima volta! Poiché non sarai più vivo per
permettere che ciò accada!” –Tuonò Borea, prima di ricongiungersi ai suoi
fratelli.
Iris
sorrise, indicando loro la strada da percorrere, prima di scomparire a cavallo
di un arcobaleno, seguita da Eolo e dai quattro Venti.
Nesso,
il garzone assunto mesi prima da Eolo con il compito di pulire la caverna e
lustrare le anfore, rimase da solo, ad osservare le scintillanti ali colorate
degli Dei dei Venti scivolare nel cielo terso del
Tirreno. Quando furono lontani, scomparsi ormai nell’orizzonte, gettò via il
panno inumidito e corse fuori dalla caverna, inerpicandosi per gli irti pendii
dell’isola di Lipari. Senza prendere mai fiato, corse fino al mare,
raggiungendo la costa piena di scogli e sporgendosi avanti, proprio su uno di
essi.
Canticchiò
qualcosa, un motivetto simile ad un fischio, che ad orecchi umani niente
avrebbe potuto significare, e pochi attimi dopo un folto gruppo di pesci
apparve nel mare di fronte a lui, quasi attirati dal suo canto, che nient’altro
era se non un richiamo. Aveva udito abbastanza, della conversazione tra Iris e
i quattro Venti, e compreso che le sorti della guerra erano quanto mai incerte,
soprattutto in assenza di un modo per fermare i Kouroi.
“Ercole
non resisterà a lungo! E i miei compagni sono in pericolo!” –Si disse il
giovane moro, e senz’altro esitare si gettò in mare, iniziando a nuotare nelle
calme acque del Mar Tirreno.
Mesi
prima, quando Eolo lo aveva assunto come garzone, affidandogli ingrati compiti,
spesso umilianti, che Borea e gli altri non volevano eseguire, aveva creduto
che Ercole gli avesse assegnato il peggior incarico della sua vita, forse per
liberarsi di lui. Ma adesso, con le parole che aveva udito, aveva cambiato
opinione su se stesso e sulle finalità del suo incarico, poiché ora, Nesso
del Pesce Soldato, Hero di Ercole della Terza
Legione, era in possesso dell’unico modo per abbattere i Kouroi,
dell’unico modo per assorbire l’energia Divina.
Giasone del Cavallo era rimasto
in disparte per tutta la durata del primo assalto, con le braccia incrociate al
petto e i lunghi capelli mogano che gli coprivano in parte gli occhi, ad
osservare il suo comandante, Nestore dell’Orso, esperta guida della Quarta
Legione, e i suoi compagni lanciarsi contro il Gigante di Pietra che minacciava
la città di Micene. Li aveva visti schiantarsi contro la nuda roccia di cui il
Kouros era composto, mentre i loro colpi segreti, pur lanciati con violenza e
tenacia, scivolavano via, incapaci di penetrare quella sottile ma profonda
barriera di energia divina che avvolgeva il colosso, antico guardiano del
Tempio di Era.
“C’è un Cosmo Divino che protegge
questo Kouros!” –Mormorò Giasone del Cavallo, fermo a una decina di metri
dall’alto Gigante. –“La Regina degli Dei non ha risvegliato soltanto gli
ancestrali custodi dei suoi Heraion, non ha soltanto
dato loro la vita, soffiando con il suo alito sulle immobili costole di questi
colossi, ma ha immesso in loro una parte del suo Cosmo, rendendoli forti e
resistenti, capaci di sopportare qualsiasi attacco! Se anche gli altri Kouroi dispongono di tale invisibile protezione, un’ardua
lotta attende Agamennone e gli altri Heroes!” –Rifletté il taciturno guerriero,
mentre il Gigante distruggeva il terreno sotto i suoi piedi, creando ampie
fenditure dove precipitarono i suoi compagni, Priamo
della Lucertola e Asterione della
Giraffa, lasciando il loro Comandante, Nestore dell’Orso, da solo di
fronte al colosso, schiacciato da cumuli di terra ed alberi che il Kouros aveva
scagliato contro di lui. –“Comandante!” –Gridò Giasone, attirando
deliberatamente l’attenzione del Gigante di Pietra. –“Sono con te!” –E accese
il suo cosmo, di scarlatti bagliori, lanciandosi in una rapida corsa attorno
all’immenso corpo del Kouros.
Nestore lo osservò, liberandosi a
fatica dal mucchio di terra franata su di lui, e gli parve davvero di osservare
un cavallo, un magnifico destriero dal manto infuocato, che sfrecciava veloce
come il vento attorno al colosso di pietra, il quale cercava di fermare i suoi
movimenti, di afferrarlo, di schiacciarlo, di colpirlo, mancandolo sempre,
essendo Giasone troppo veloce per poter essere raggiunto. Dopo pochi minuti, il
Gigante, infuriato per non riuscire a bloccare quel piccolo moscerino che
ronzava ai suoi piedi, e disorientato, quasi stordito, dal suo continuo
procedere circolarmente, iniziò a barcollare, gemendo sinistramente.
“Ora!” –Gridò Giasone, fermandosi di
scatto e concentrando il cosmo sulla mano destra. Nestore fece altrettanto, e
così pure Teseo del Camaleonte, ricomparso a fianco del suo Comandante,
dirigendo tre rapidi assalti energetici contro il Kouros, colpendolo
ripetutamente e spingendolo indietro, fino a farlo schiantare a terra, con un
boato fragoroso che fece tremare l’intera collina e la vallata circostante.
Lo schianto aprì nuove fenditure nel
terreno, ma Nestore e Teseo furono abili a mettersi in salvo, raggiungendo
Giasone ed iniziando a salire i dolci pendii della collina di Micene. Presto
vennero raggiunti da Priamo e da Asterione,
riusciti a risalire dalla fossa in cui erano precipitati in precedenza, sia
pure con fatica e qualche ammaccatura.
“Si rialzerà tra breve!” –Commentò
Giasone, osservando l’immenso corpo del Gigante giù lungo disteso.
“E a quanto pare non siamo in grado di
sconfiggerlo!” –Rifletté Nestore, con un profondo dispiacere. Ercole gli aveva
affidato questa missione, confidando in lui, perché proteggesse gli abitanti di
Micene e distruggesse il Gigante. Se la seconda impresa sembrava per il momento
lontana anni luce, questo non doveva dirsi della prima. –“Raggiungiamo Micene!
Non possiamo annientare questo Kouros, ma possiamo impedirgli di portare guerra
e distruzione nella città!”
“Non dovremmo condurlo via da qui? Se
raggiungiamo Micene porteremo il Gigante con noi e…”
–Ribatté Giasone, ma la sua voce fu sovrastata da un terribile urlo, un lamento
infinito che proveniva dalla carcassa del Gigante di Pietra, il quale,
smuovendo pericolosamente il terreno, si rimise in piedi, agitandosi come una furia.
Sollevò il piede sinistro e lo sbatté
nuovamente a terra, creando una profonda faglia che si diresse verso gli
Heroes, obbligandoli a separarsi e a scattare in direzioni diverse. Nel farlo
però, i guerrieri non prestarono attenzione al Kouros, che si piegò su di loro,
colpendoli con le proprie robuste mani. Priamo ed Asterione vennero afferrati e stretti in un’opprimente
mossa, schiacciati dall’insostenibile pressione del Kouros, abbandonandosi a
selvagge grida di dolore.
“Priamo! Asterione!” –Gridò Nestore, con rabbia, per non essere in
grado di uscire da quella disastrosa situazione.
“Sono perduti!” –Commentò amaramente
Giasone del Cavallo.
“No! Se lottiamo per liberarli!” –Tuonò
Nestore, bruciando il cosmo, molto di più di quanto avesse fatto finora, di
fronte agli occhi stupiti di Teseo e, per quanto non lo desse a vedere, dello
stesso Giasone. Un’aura di luce azzurra circondò il Comandante della Quarta
Legione, espandendosi a dismisura, e all’interno di quell’aura Teseo e Giasone
poterono vedere la sagoma di Nestore crescere progressivamente, come se
cercasse di inseguire quell’alone di luce che continuamente si allontanava, che
continuamente si faceva più grande, fino a divenire immenso e robusto, proprio
come il Gigante di Pietra. –“Ursusarctosmiddendorffi!” –Gridò
Nestore, mentre la luce calava di intensità, rivelando la sua nuova forma:
quella di un immenso guerriero, dal volto e dalla corporatura simile a un orso
bruno.
“Eccolo!”
–Commentò Teseo del Camaleonte, osservando con ammirazione il Comandante. –“Il
sopito potere dell’Orso che Nestore ha acquisito dopo anni di addestramento e
meditazione, nelle foreste assieme ad Ercole! L’Ursusarctosmiddendorffi, detto
anche Orso Kodiak, è il più grande carnivoro esistente! E in Nestore rivive
quell’imponente specie!”
Senz’altro aspettare, Nestore si lanciò
contro il Gigante di Pietra, scagliandogli un violento pugno sul volto, che lo
fece barcollare di lato e perdere la presa, permettendo a Priamo
e ad Asterione di uscire dalla sua stretta e ricadere,
seppur malamente, a terra. Un secondo colpo lo raggiunse sull’altro lato del
volto roccioso, spingendolo nell’altra direzione, ma Nestore non riuscì a
colpirlo nuovamente che dovette fronteggiare la ripresa del Gigante, che si
gettò contro il Comandante di Ercole afferrandolo per i fianchi e sbattendolo a
terra, montando sopra di lui. I due colossi si affrontarono duramente,
rotolando per diversi chilometri sul terreno, travolgendo tutto ciò che
incontravano sul loro cammino, alberi e costruzioni sporadiche, facendo tremare
l’intera vallata.
Teseo, nel frattempo, aiutò Priamo e Asterione a rimettersi
in piedi e propose a Giasone di correre a Micene, per tranquillizzare gli
abitanti e, eventualmente, aiutarli a trovare un riparo in cui rimanere finché
la minaccia dei Kouroi non fosse stata sventata. A
malincuore, i quattro Heroes abbandonarono il Comandante, consapevoli di non
essere in grado di portargli aiuto. Contro quel colosso di pietra, sorretto da
Cosmo Divino, i loro colpi segreti non avevano alcuna efficacia.
Anche Nestore non incontrò miglior
sorte, trovandosi in aperta difficoltà contro il Kouros, infiammato da ardore
divino, che risaliva indietro nel tempo, agli albori dell’ostilità tra Era e
Ercole, e che in lui rifluiva adesso, scorrendo dentro il suo corpo e
incitandolo alla lotta. Dura e violenta, proprio come Era voleva che fosse. Il
Kouros afferrò il cranio di Nestore e lo sbatté al suolo, schiacciandolo nel
terreno, sprofondandolo con violenza, fino a spaccargli l’elmo protettivo,
rivelando il suo viso solcato da leggera barba incolta. Nestore tentò di
reagire, di liberarsi della presa del colosso, ma ben presto dovette ammettere
di non essere in grado di porre termine a quello scontro. Ogni colpo che
scagliava, ogni pugno o calcio che fosse, con il quale riusciva a raggiungere
il bersaglio, non intaccava mai la superficie del Kouros, non produceva mai
danno alcuno a quella levigata massa di pietra. E ciò era frustrante, quanto la
consapevolezza di non avere altro modo, altre idee per bloccarlo.
“Se neppure l’immenso potere dell’Orso
Kodiak riesce a vincere questo Gigante, temo che la città di Micene presto sarà
in grave pericolo!” –Mormorò Nestore, lanciandosi nuovamente contro il Gigante,
ma venendo bloccato da un pugno secco in pieno sterno, che sfondò il pettorale
dell’Armatura dell’Orso, facendo colare sangue a terra.
L’assalto scaraventò Nestore indietro
di parecchi metri, schiantandolo contro la collina di Micene, di fronte agli
occhi attoniti e impauriti dei suoi Heroes, in piedi di fronte alle mura della
città. Indebolito notevolmente, Nestore fu obbligato ad assumere nuovamente la
sua forma normale, ritornando alle sue abituali dimensioni, privo di elmo e con
lo sterno in fiamme per il cazzotto ricevuto. Cercò di rimettersi in piedi,
mentre la tozza sagoma del Gigante di Pietra torreggiava su di lui, allungando
le sue grosse mani per stritolarlo. Ma Priamo e Asterione lo anticiparono, lanciandosi contro di lui, con
il cosmo acceso e ardente di energia cosmica, che diressero contro il Kouros
sotto forma di violente sfere incandescenti. Ma il Gigante parò l’assalto,
semplicemente spostando il braccio sinistro, quasi a usarlo come scudo, contro
il quale rimbalzarono gli attacchi energetici dei due Heroes, prima di
schiacciarli a terra con un secco colpo di mano, fracassando le loro corazze e
ferendoli.
“Aaa..
Amici!” –Mormorò Nestore, rimessosi in piedi, prima che Teseo del Camaleonte
comparisse nuovamente al suo fianco. –“Fai evacuare la città! Porta in salvo
gli abitanti! Terrò impegnato questo mostro ancora per un po’!”
“Per portarli dove? Non vi è posto in
cui fuggire!” –Rispose Teseo. –“E tu non sei in grado di continuare a
combattere, Nestore!”
“Non da solo!” –Intervenne Giasone del
Cavallo. –“Per quanto non ami la compagnia, in questa situazione di emergenza
propongo di unire le forze! La protezione di Era forse non cederà, ma noi moriremo
con onore, nel tentativo di proteggere gli uomini, ad Ercole tanto cari!”
“A te non sono cari, Giasone?” –Domandò
Nestore, incuriosito, prima di bruciare il proprio cosmo.
“Sono un Hero
di Ercole, Nestore! Non devo necessariamente essere d’accordo con lui su
tutto!” –Commentò l’Hero del Cavallo, espandendo il
suo cosmo.
Lo stesso fece Teseo del Camaleonte,
prima di unirsi ai due compagni e scagliare un violento fascio di energia
diretto verso il volto del Kouros. L’attacco congiunto sembrò ottenere qualche
risultato, spingendolo indietro tra spaventosi lamenti e obbligandolo a
portarsi le mani al volto. Ma quando i tre compagni riprovarono, vennero
scaraventati indietro da una violenta esplosione di energia. Qualcosa si era
intromesso, intercettando il loro assalto e rinviandolo contro di loro.
Quando la luce calò d’intensità e i tre
Heroes riuscirono a rimettersi in piedi, notarono con sgomento una donna
sospesa in cielo di fronte a loro. Rivestita dalla sua Veste Divina,
risplendente di sette colori, il cui riflesso pareva continuamente cambiare
sotto i raggi del sole, Iris, Dea dell’Arcobaleno era comparsa sul campo
di battaglia, con un’espressione determinata nel volto. Non era più la timida
Messaggera della Regina degli Dei, che aveva accolto Ercole sull’Olimpo, adesso
era una combattente, un’ardita guerriera, che prontamente rivolse il palmo
verso i Guerrieri di Ercole, schiacciandoli a terra con il suo potere.
“Agonizzate, compagni di un traditore!
Rantolate al suolo come lucertole! È la vostra punizione per aver scelto di
servire un uomo che ha abbandonato la sua essenza divina, offendendo la suprema
Signora del Cielo!” –Esclamò Iris, premendo i tre Heros
a terra, con imponenti di onde di luce, dai colori dell’arcobaleno.
“I…Iris…” –Mormorò Nestore, tentando di liberarsi da quella
pressione devastante che stava frantumando le loro armature.
“Non agitatevi! Il vostro compito è
finito!” –Esclamò Iris. –“Vi farò un ultimo regalo! Osservate, dal fango in cui
siete sprofondati, la distruzione di Micene, opera del guardiano del tempio di
Era!” –Aggiunse, mentre il Kouros si incamminava verso la cittadina, col fine
di annientarla.
Nestore, alla vista di quello
spettacolo, reagì d’istinto, bruciando al massimo il cosmo, facendolo
infiammare come una stella, per liberarsi dall’invisibile pressione di Iris. Vi
riuscì e mutò forma, richiamando il potere dell’Orso Kodiak e aumentando a dismisura
le proprie dimensioni, fino a diventare un immenso guerriero che si lanciò
contro il Kouros, gettandolo a terra, lungo il fianco devastato della collina
di Micene.
Iris, a tale vista, concentrò il cosmo,
dai variopinti colori, sul palmo della mano destra, ma prima che potesse
dirigere il suo attacco contro Nestore, venne afferrata per la caviglia
sinistra da una lunga frusta carica di energia cosmica e tirata a terra, con un
brusco strattone. Teseo del Camaleonte infatti aveva snodato la sua arma da
battaglia e l’aveva prontamente diretta verso la Dea, cogliendola di sorpresa,
e tirandola verso il suolo, proprio mentre Giasone del Cavallo, dal cosmo
ardente come quello di un possente stallone spagnolo, si lanciava contro di
lei, balzando in aria ed eseguendo una splendida piroetta, fino a schiantarsi a
piedi uniti contro il petto della Messaggera degli Dei. In quel momento, Teseo
lasciò la presa della frusta e la Dea venne scaraventata indietro dal violento
assalto di Giasone, schiantandosi sul terreno devastato.
Gli Heroes non ebbero il tempo di
gioire perché la loro avversaria si rialzò immediatamente, adirata come non mai
per essere stata atterrata. Scosse la polvere dalla propria corazza, si tastò
il petto, sentendolo ancora caldo, tanta era la potenza cosmica che Giasone
aveva liberato nel suo attacco, ed infine sollevò lo sguardo verso i due
guerrieri, in piedi una decina di metri sopra di lei. Bastò quello sguardo, a
Teseo e Giasone, per rimanere immobili, bloccati da un’invisibile pressione che
fermò ogni loro movimento, facendo vibrare tutto il loro corpo e le loro
Armature.
“Onde dell’Iride!” –Esclamò la
Dea greca, mentre onde di energia, dai sette colori dell’arcobaleno,
scrosciavano sul terreno, investendo in pieno i guerrieri di Ercole con la loro
infinita potenza.
Teseo, Giasone e Priamo
ed Asterione, appena rialzatisi, vennero immersi in
quel flusso potente di energia, caldo e rassicurante da un certo punto di
vista, e freddo di morte da un altro. Tremarono, impauriti fino alla punta dei
piedi da un potere così penetrante e al tempo stesso così mutevole, e sembrò
loro di affogare in quel flusso continuo, in quelle onde di energia multicolore
che Iris dirigeva contro di loro.
“Provate sui vostri corpi l’infinito
potere dell’Arcobaleno!” –Tuonò Iris, spingendo il palmo destro avanti,
ricreando il moto ondoso dei flussi di energia multicolore, che nuovamente
travolsero i fedeli di Ercole.
Priamo tentò
di reagire ma Iris lo fulminò con una potente onda di energia, disintegrando la
sua corazza e il corpo al di sotto di essa, di fronte agli occhi attoniti dei
suoi compagni. Asterione, in lacrime nell’osservare
l’amico trucidato selvaggiamente, cercò di muoversi, di lanciarsi avanti ma si
accorse di non riuscire a muoversi, tanto potente era il flusso di energia in
cui era immerso. Tentò di urlare, ma le parole gli morirono in bocca; cercò di
bruciare il proprio cosmo, ma si accorse che ancora non bastava per uscire da
quella tenaglia divina. E allora comprese, mentre un sorriso di beatitudine
compariva sul suo volto. Era un Hero anche lui, come Priamo, il suo vecchio amico d’infanzia, e anche se non
possedeva la forza di Nestore, i poteri mimetici di Teseo o l’abilità di
Giasone aveva comunque un grande cuore volto al servizio di Ercole e della
giustizia.
“Cercate di liberarvi adesso! E dite ad
Ercole di perdonarmi!” –Mormorò Asterione, espandendo
il suo cosmo al massimo. –“Aaaaah!!!” –Gridò, mentre
l’energia ardeva come fiamma astrale tutto intorno a lui. –“Per Ercoleee!” –E si lanciò avanti, contro la Messaggera degli
Dei, facendo esplodere tutto il cosmo che portava dentro.
Lo scontro tra i due poteri generò
un’esplosione di luce che scaraventò Teseo e Giasone indietro, danneggiando
notevolmente le loro corazze e crepando il terreno in più punti. Quando l’Hero del Cavallo riuscì a rimettersi in piedi, toccandosi
la testa dolorante, comprese che anche di Asterione
della Giraffa non era rimasto niente. Neppure le ceneri. Un urlo spaventoso
distrasse i suoi pensieri, riportandolo sulla guerra in corso e anticipando il
crollo di Nestore dell’Orso sul fianco della collina. Esausto, con numerosi
lividi sul viso e sulle braccia, il Comandante della Quarta Legione dovette
assumere nuovamente il proprio aspetto, incapace di continuare ad utilizzare il
potere dell’Ursusarctosmiddendorffi, che troppa energia gli richiedeva.
Il Kouros era ancora di fronte a lui, con la sua immensa superficie pietrosa
nient’affatto scalfita.
“È inutile!” –Rantolò Nestore sul
terreno, sputando sangue. –“Questo nemico, protetto da cosmo divino, è al di là
delle mie possibilità!” –Dovette ammettere amaramente, venendo raggiunto da
Giasone, che allungò una mano per aiutarlo a rialzarsi.
“Se ti vedesse Chirone
adesso, avrebbe materiale per sbeffeggiarti fino alla prossima Guerra Sacra!”
–Esclamò Giasone, con un certo sarcasmo, prima di accennare un sorriso.
“Se usciremo vivi da qui, sarò ben
lieto di rivedere persino quell’odioso sbruffone!” –Commentò Nestore, mentre
l’ombra del Kouros si allungava sopra di loro.
Improvvisamente una luce comparve nel
cielo, interponendosi al Gigante e ai due Heroes, che ne rimasero profondamente
abbagliati. E subito la luce si sdoppiò, moltiplicandosi in sette fasci di
energia, ognuno con un proprio colore, i sette colori dell’arcobaleno, che
piombarono sui due guerrieri, accecandoli con il loro intenso bagliore.
“Prigionia dell’Arcobaleno!”
–Gridò Iris, sospesa a mezz’aria di fronte ai due guerrieri. Un possente iride
sfrecciò nell’aria, avvolgendo Giasone e Nestore e stringendoli con forza al
suo interno, in una stretta che rendeva impossibile qualsiasi movimento. –“Un
gradito regalo sarete per la mia sovrana!” –Commentò la Messaggera, scendendo
sopra gli Heroes e osservando le loro facce sporche di sangue. –“Un bene da
barattare con Ercole in caso di bisogno! In fondo, per uccidervi, c’è tutto il
tempo che vogliamo! Ah ah!” –E rise di gusto, con un sorriso che era più di
scherno che non di reale malvagità. –“Adesso andiamo, Kouros! Abbiamo ottenuto
ciò che volevamo! E forse anche qualcosa in più!” –E si incamminò verso il
cielo, scivolando leggiadra su un arcobaleno dagli scintillanti colori.
Il Gigante di Pietra, obbedendo agli
ordini della Messaggera, afferrò i due guerrieri, avvolti in fasci di energia
luminosa, e la seguì, con passo greve, diretto verso l’Isola di Samo, dando le spalle a Micene e alla vallata devastata. Né
Iris né il Kouros si accorsero di un uomo, col respiro affannato e numerose
ferite sul corpo, che li osservava allontanarsi, appoggiato al tronco di un
albero abbattuto. Era Teseo del Camaleonte, sfuggito alla cattura grazie ai
propri poteri mimetici, che volse subito lo sguardo verso Tirinto,
preparandosi per raggiungere il suo Signore.
Ercole, nel frattempo, era rinchiuso
nel proprio studio, in cui aveva trascorso le poche ore passate da quando aveva
riunito gli Heroes nel piazzale di fronte al Palazzo Reale. Un paio di
guerrieri avevano cercato di avvicinarlo, per elaborare una strategia di difesa
della fortezza, ma il Dio pareva non voler incontrare nessuno. Così, su
suggerimento di Penelope del Serpente, Consigliera di Ercole e aiuto fidato di
Nestore dell’Orso, erano stati il Comandante della Seconda Legione, Marcantonio
dello Specchio, vecchio compagno e seguace del Dio, e il suo braccio destro, il
generoso Polifemo del Ciclope, ad organizzare la
difesa di Tirinto, disponendo tutti gli Heroes
rimasti in posizioni ben stabilite. Per quanto egli avesse potere soltanto sui
soldati della propria legione, tutti gli altri non furono affatto restii a
seguirlo, conoscendo il suo valore e la sua abilità strategica. Inoltre
Marcantonio era al momento l’unico, dei Comandanti delle sei Legioni di Ercole,
presente a Tirinto.
“Adone sta combattendo contro i Kouroi a nord, mentre Chirone li
tiene impegnati a sud! Nestore sta lottando duramente a Micene, e Tereo è ancora a Tebe!” –Mormorò Penelope del Serpente,
riflettendo assieme a Marcantonio sulla strategia difensiva da adottare. –“Mi
chiedo dove sia finita Alcione!” –Aggiunse, incamminandosi verso l’interno
della fortezza. –“Manca ormai da parecchio tempo, e con lei quasi tutti gli
Heroes della Legione da lei comandata, la Terza! Che Ercole le abbia affidato
un incarico particolare?!” –Si chiese, sollevando lo sguardo verso la terrazza
del Dio ed incrociando, anche se solo per un momento, lo sguardo malinconico di
Ercole, appoggiato alla grande terrazza panoramica.
Il Dio scostò subito lo sguardo,
rientrando all’interno del proprio studio. Aveva seguito l’organizzazione della
difesa dall’alto della terrazza, sorridendo compiaciuto nell’osservare
Marcantonio, Polifemo e gli altri compagni lavorare
alacremente, senza fermarsi un solo istante, felice di averli addestrati al
meglio. Non aveva soltanto fatto di loro dei guerrieri, investendoli del titolo
di Heroes, ma aveva forgiato anche il loro spirito, dando loro un motivo per
cui vivere e combattere: l’amore verso la giustizia e verso l’umanità cuori. E
di questo si rallegrò, rattristandosi al tempo stesso. E anche
colpevolizzandosi.
Tirinto, la
splendida Tirinto, che con le sue robuste braccia
aveva ricostruito, aiutato da Nestore, Marcantonio, Polifemo
e altri ancora, guerrieri e compagni di avventure da molti anni ormai, da prima
che il Dio riorganizzasse ufficialmente le sue truppe, suddividendole in sei
Legioni e marchiando ognuna con un segno distintivo, presto sarebbe stata cinta
d’assedio. Sarebbe stata stretta in una morsa spietata, dai sicari di Era,
Giganti di Pietra o mostri mitologici di cui la Dea non avrebbe esitato a
servirsi pur di raggiungere il suo scopo: l’annientamento di Ercole, il suo
giurato nemico fin dai tempi del mito.
Non per orgoglio muovi le tue truppe
contro Tirinto! Mormorò Ercole. Non è il
capriccio di una Divinità offesa, lo sappiamo entrambi, Era! È la tua natura:
gelosa e battagliera, pronta a sterminare un popolo intero, ad isterilire un
giardino fiorito, se esso potesse allontanarti da Zeus! Se esso potesse dare
qualcosa a Zeus che tu non sei in grado di dargli! Mi hai perseguitato per una
vita intera! Hai scatenato su di me le ire di uomini e di Dei, obbligandomi ad
inumane fatiche, condannandomi alla pazzia e alla morte, strappandomi l’unico
vero amore che abbia mai avuto! E adesso, dopo due millenni e mezzo, ancora ti
struggi inseguendo un fantasma? Ancora ti torturi l’animo, invidiosa di ciò che
sono stato? Degli occhi con cui Zeus mi ha guardato, sollevandomi dalla mortale
plebe e facendomi assurgere all’Olimpo, come suo figlio! Come un Dio?! Tuonò
improvvisamente, e il suo cosmo crebbe, espandendosi a dismisura, allargandosi
sull’intera Tirinto, venendo avvertito da tutti i
suoi Heroes, che ne furono rasserenati. Perché sono un Dio, Era,
ricordalo!!! Che tu voglia accettarlo o meno, hai sfidato un Dio! Non più un
ragazzino, non più un uomo ambizioso desideroso di dimostrare al Padre di essere
degno della sua fiducia! Ma un Dio dell’Olimpo, circondato da un esercito di
guerrieri valorosi e leali, la cui forza e il cui coraggio mi riscaldano il
cuore persino in questi momenti freddi! Non oserai levare un dito contro di
loro, contro uomini a cui non sei degna neppure di lucidare gli stivali
infangati dal duro lavoro, o incorrerai nella mia ira, Regina degli Dei!!!
La porta dello studio di Ercole cigolò
lentamente, mentre leggeri passi varcarono la soglia, entrando all’interno,
attirando l’attenzione del Dio, che diminuì l’intensità del suo cosmo,
rimanendone comunque avvolto. Sorrise, Ercole, osservando la snella figura di
una donna avanzare verso di lui, con lunghi capelli castani leggermente mossi,
ed un viso su cui spiccava uno splendido sorriso. Il sorriso di una donna
rimasta in casa tutto il giorno ad aspettare l’uomo amato in trepidazione. Il
sorriso di una donna che aveva pianto, e a lungo si era disperata, invocando
gli Dei e chiedendo soltanto che l’amato potesse rientrare sano e salvo. Il
sorriso di una donna che aveva ceduto al timore e alla gelosia. E aveva
sbagliato.
“Mio Signore!” –Mormorò Penelope del
Serpente, un po’ stranita dal trovarsi Ercole così vicino, così stretto al
suo corpo, con le mani che le carezzavano i lunghi capelli lucenti e gli occhi
che sembravano non staccarsi dalla sua maschera argentata. –“Ci sono delle
notizie importanti!”
“Uh?!” –Balbettò Ercole, rendendosi
conto di aver immaginato tutto. Di aver volato con la fantasia verso un tempo
lontano. –“Scusami! È che… le somigli così tanto!”
–Mormorò, allontanandosi da Penelope e girovagando per lo studio.
La Sacerdotessa del Serpente rimase per
un momento interdetta, colpita dalle parole del suo Signore, e intuì che egli
ancora soffriva per quella perdita che tanto le era costata. Avrebbe voluto
dirgli qualcosa, magari che il tempo avrebbe spazzato via ogni ricordo, ma
realizzò che in quel caso, dopo duemila anni, ciò non era affatto accaduto.
“Quali notizie?” –La risvegliò Ercole.
Ed ella le rispose con un leggero fischio da sotto la maschera.
La porta dello studio cigolò di nuovo,
mentre il maggiordomo di Ercole, Artemidoro
della Renna, faceva entrare un ragazzo sui diciotto anni, non troppo alto
ma con un fisico ben definito: Nesso del Pesce Soldato, Hero della Terza Legione, che si inginocchiò di fronte ad
Ercole.
“Nesso ha importanti notizie che
possono mutare il corso di questa battaglia!” –Commentò Penelope, ringraziando Artedmidoro, che si congedò con un inchino. Se Penelope
avesse prestato attenzione al corridoio fuori dallo studio, avrebbe visto
un’ombra balzare all’indietro, incuneandosi in uno spazio cavo nella parete,
per non essere vista.
“Maledizione!” –Mormorò una stridula
voce di donna, incapace di ascoltare la conversazione in corso nello studio di
Ercole. E si mosse per ridiscendere al piano di sotto, ma nel farlo si scontrò
con un Guerriero dalla scura armatura: Dione
del Toro.
“Non sai che è maleducazione ascoltare
le conversazioni altrui?!” –Ironizzò l’uomo.
“Dione!
Finiscila, stupido! E vieni con me!” –Esclamò la donna, afferrando il guerriero
per un braccio e conducendolo in una sala laterale, scarsamente arredata e poco
utilizzata per la sua scarsa luminosità. Era una sorta di magazzino, dove
Ercole aveva accatastato mobili, libri, tappeti e altri oggetti, per farne una
biblioteca privata. –“Ercole è a colloquio con la sua Consigliera! Ed è
arrivato pure un ragazzetto! Non l’avevo mai visto prima! Chi è? E perché
Ercole lo tiene in così grande considerazione?!”
“È Nesso del Pesce Soldato, uno degli
Heroes di Alcione! È giovane, ma è con noi da parecchi mesi! Da prima che
arrivassi tu!” –Rispose l’uomo . –“Ma non chiedermi il motivo del loro
incontro, perché non conosco assolutamente i piani di Ercole!”
“E invece dovremmo scoprirlo, stupido!
Per poter utilizzare le informazioni a nostro vantaggio!” –Esclamò la donna,
schiaffeggiando il guerriero. –“Non dimenticare il patto che ci lega, Dione del Toro! Un patto di sangue! Da onorare fino alla
morte!”
“Non ho dimenticato il mio giuramento, Opi!”
“Ma non fai niente per prestargli
fede!!” –Si infuriò Opi della Lepre,
pur continuando a parlare a bassa voce. –“È nostro dovere mettere in atto ogni
strategia possibile per danneggiare Ercole e i suoi Heroes! Solo in questo modo
otterremo la ricompensa promessaci dalla Somma Era! Solo in questo modo
usciremo a riveder le stelle!”
“Lo so!” –Commentò Dione,
e alla donna parve cogliere un sospiro di tristezza in quelle sue brevi parole.
–“Indagherò, se è soltanto questo che vuoi da me! E ti terrò informata!”
“Io voglio soltanto che tu sia più
partecipe! La tua indolenza mi infastidisce, anzi mi disgusta! Ambisci soltanto
alla ricompensa finale, lasciando però che siano gli altri a sporcarsi le
mani!” –Lo rimproverò la donna. –“Ma tu farai la tua parte, proprio come me! E
come tutti gli altri!” –Aggiunse, uscendo dalla sala in fretta.
Dione rimase
ancora per pochi secondi, ad osservare le sue provocanti forme uscire dalla
stanza e a riflettere sulle sue parole. Quindi si allontanò, senza curarsi troppo
di guardarsi attorno. Forse, se lo avesse fatto, avrebbe notato, oltre ai
mobili confusamente ammucchiati, ai tappeti persiani e ai libri e le pergamene,
anche un uomo, seduto proprio su un tappeto, a gambe incrociate, nella
posizione del loto. I lunghi capelli blu scuro gli scendevano sulle spalle,
coprendo in parte il suo sguardo. Ma Tiresia
dell’Altare, che trascorreva le giornate meditando, non aveva bisogno di
occhi per vedere, soltanto di acuti sensi, con cui comprese che qualcosa di
sospetto stava accadendo all’interno della stessa Tirinto.
Capitolo 6 *** Capitolo quinto: Battaglia nei cieli. ***
CAPITOLO QUINTO: BATTAGLIA NEI CIELI.
La prima Legione si era appostata sulla
cima di una collina, a poche miglia da Tirinto, in
modo da dominare la vallata sottostante e bloccare l’avanzata dei tre Kouroi che presto sarebbero giunti da Nord. Era un colle
boscoso, ricco di alberi mediterranei e vegetazione abbondante, ed era un luogo
che ben si prestava al combattimento per i guerrieri di Ercole appartenenti
alla Legione Alata, come era soprannominata la Prima Legione, poiché quasi
tutti i suoi membri avevano come simbolo un animale con le ali, che fosse un
insetto o un uccello.
Il Comandante era il bellissimo Adone
dell’Uccello del Paradiso, affascinante maschio cipriota, che aveva appena
compiuto venticinque anni ed era oggetto delle attenzioni e dei sorrisi
nascosti della maggioranza delle Sacerdotesse. Nonostante infatti le donne,
scegliendo di diventare Heroes, avessero rinunciato a parte della loro
femminilità, coprendosi il volto con una maschera, come era consuetudine fin
dai tempi del mito, anche nell’esercito dei Cavalieri di Atena, in cuor loro
avevano continuato a provare sentimenti, di passione e ammirazione, verso il
Dio dell’Onestà e verso i loro compagni. E Adone, che oltre ad essere piacente
possedeva anche una notevole dose di galanteria, attirava il massimo degli
sguardi e dell’interesse, per quanto ogni Sacerdotessa cercasse di dissimulare
i propri sentimenti, per non apparire poco ligia al proprio dovere.
Al suo fianco, sette a destra e sette a
sinistra, vi erano i suoi compagni: gli Heroes della Legione Alata, posizionati
lungo i fianchi della collina in modo da formare una cupola protettiva, pronta
a sollevarsi in un poderoso assalto contro i tre Kouroi.
Ai lati di Adone si ergevano i suoi più fidati collaboratori: a destra Damaste
della Gura, uomo integerrimo e dalla notevole
forza fisica, e a sinistra Ecuba di Antlia, uno dei pochi guerrieri della Prima Legione a
non avere un uccello come simbolo. E poco più sotto, riparata tra le fronde
degli alberi, c’era la bella Deianira, l’unica donna
che potesse far perdere la testa ad Adone, per quanto egli preferisse che
fossero le donne a perderla per lui. Sospirò, il Comandante della Prima
Legione, e tornò a fissare il panorama, concentrando i sensi.
Il suolo tremò, avvertendo gli Heroes
dell’arrivo dei Kouroi. Alti, con il sole che
illuminava le loro immense schiene di pietra, i Guerrieri di Era apparvero nel
mattino, muovendosi pesantemente sul terreno, travolgendo tutto ciò con cui i
loro massicci piedi venivano a contatto.
“Sono dei distruttori!” –Mormorò Adone,
in collera con quei mostri e con la Dea che li aveva forgiati. –“Esseri senza
cuore né ragione, che a niente mirano se non alla distruzione! A niente pensano
se non al caos! Non abbiate pietà per loro, poiché voi non ne riceverete!
Castigateli, come meritano, per l’offesa suprema che hanno recato al mondo
creato dagli Dei! Per aver deturpato questa terra, questa rigogliosa natura che
risplendeva sotto di noi, e per la quale essi non hanno dimostrato rispetto
alcuno! Sollevatevi, Heroes!!!” –E nel dir questo spalancò le ali della sua armatura,
dal colore marrone e rosato, e balzò in alto, librandosi leggero nel cielo. I
suoi compagni lo seguirono istantaneamente e pochi attimi più tardi quattordici
Guerrieri fluttuavano nel cielo di fronte ai Kouroi.
Bastò un gesto del loro Comandante e tutti si tuffarono in picchiata sui
Giganti invasori, accendendo il loro cosmo di variopinti colori, gettandosi
come comete incandescenti contro i Kouroi.
Ma nonostante la foga dell’attacco,
nonostante l’ardente cosmo che li ricopriva, tutti vennero respinti e
scaraventati indietro. Qualcuno cadde a terra, qualcuno si scontrò con un
compagno, ma la maggioranza rimase salda in volo e tentò un nuovo assalto in
picchiata, come una pioggia di stelle che batte continua e non dà tregua. Al
terzo assalto fallito però Adone dovette cambiare strategia, intuendo che una malia
di natura divina proteggeva quei Giganti, rendendo la rozza pietra di cui erano
composti al pari dei preziosi materiali delle Armature o delle Vesti Divine.
“Comandante!” –Esclamò Damaste della Gura, avvicinandosi ad Adone, sopra il Kouros centrale.
–“Non riusciamo a penetrarli! È come se la roccia ci respingesse, come se fosse
più resistente dell’oro!”
“Cambiate strategia! Ma non cedete!”
–Gridò Adone, lanciandosi di nuovo in picchiata, di fronte agli sguardi di tutti
i suoi guerrieri. Piombò sul gigante centrale, mirando al collo, ma su esso
rimbalzò duramente, venendo spinto di lato, proprio come aveva previsto. Il
Kouros fece per catturarlo, ma Adone fu più svelto di lui, balzandogli dietro e
sciogliendo i lacci della sua coda, facendone due fruste elastiche ma molto
resistenti.
“Lacci del Cuore, stringete il
Gigante senz’anima e vendicate la splendida natura che egli ha offeso!” –E scagliò
avanti i propri lacci, avvolgendoli attorno al collo del Kouros, fino a
bloccarsi saldamente. Quindi liberò una grande quantità di energia cosmica,
caricando le fruste del suo potere e avvolgendo l’intero Gigante in scariche
dal colore rosato. Ma nonostante la violenza dell’assalto, e l’impeto con cui
Adone stava liberando energia, il Kouros parve sentire soltanto un lieve
pizzicore ed iniziò ad agitare le braccia confusamente, sballottando Adone in
aria.
Il Comandante della Prima Legione tirò
con tutta la forza che aveva in corpo i lacci che aveva stretto attorno al
collo del Gigante, ma questi li schiantò con violenza, scaraventando lontano l’Hero dell’Uccello del Paradiso. Alla vista del suo Comandante
in difficoltà,Damaste della Gura si infervorò, dando ordine agli Heroes da lui
dipendenti di scendere immediatamente in picchiata. Cinque comete lucenti
piombarono quindi sul Gigante di Pietra, ma questi le respinse tutte,
colpendole bruscamente con le proprie braccia e scaraventandole a terra.
“Maledizione!” –Commentò Ecuba di Antlia, osservando la
scena dal basso. Egli infatti non era in grado di volare, poiché la sua corazza
non possedeva ali, ma era un grande stratega e un attento osservatore, e Adone
lo utilizzava come vettore per dirigere i suoi attacchi dal basso. –“Caricate
nuovamente! Concentratevi in un unico assalto! Dobbiamo scoprire i loro punti
deboli! Caricate di nuovo!” –Gridò, incitando i compagni dal basso.
“Ma cos’ha da strillare quello?!”
–Borbottò in aria un ragazzo dai capelli rossi, a cui presto rispose il proprio
compagno.
“Lascialo parlare! La fatica la
facciamo sempre noi!” –Commentò ridendo Antioco del Quetzal, spalancando
le splendide ali piumate della sua corazza, dagli scintillanti colori dorati.
–“Sei con me, Eumene?” –Domandò, bruciando il proprio
cosmo, in un turbine di energia infuocata.
“Come sempre!” –Rispose Eumene della Mosca, concentrando il cosmo
sulle mani, creando due sfere di energia. –“Occhi della Mosca!”
“Fuoco del Serpente Piumato!”
–Gridò l’amico, mentre la gigantesca sagoma di un Serpente piumato avvolto tra
le fiamme saettava nell’aria, dirigendosi verso il viso del Kouros che avevano
di fronte.
L’assalto energetico dei due Heroes
raggiunse in pieno il Gigante di Pietra, esplodendo con fragore, ma non riuscì
neppure a scalfire le sue tozze forme. Preoccupati, Eumene
e Antioco aprirono le ali delle loro Armature, per allontanarsi prima che il
Gigante potesse catturarli, ma il secondo venne afferrato per le lunghe piume
dorate della sua corazza e stretto in una morsa mortale dalle robuste mani del
Kouros.
“Maledetto! Lascialo andare!” –Urlò
l’amico, scendendo in picchiata sul colosso di pietra, completamente avvolto da
un lucente bagliore bianco. Ma il Kouros neppure si curò di lui, colpendolo con
la mano destra e scaraventandolo a terra.
“Eumene!!!”
–Gridò Antioco, preoccupato, espandendo il proprio cosmo, per cercare di
liberarsi da quella possente stretta che stava facendo vibrare tutto il suo corpo
e la sua corazza.
Improvvisamente due lacci elastici si
arrotolarono intorno al dito indice del Gigante di Pietra, attirando
l’attenzione di Antioco, che sollevò lo sguardo e trovò il suo Comandante
proprio di fronte a lui, sospeso in aria dalle ali della sua corazza.
“Cerca di liberarti!” –Esclamò Adone,
iniziando a tirare con tutta la forza che aveva dentro di sé. Il suo corpo
venne circondato da una luminosa aura dal colore rosato, alla cui vista tutti
gli Heroes, per quanto affaticati da quei continui e infruttuosi voli in
picchiata tirarono un sospiro di conforto. –“Lascialooo!!!”
–Gridò Adone, riuscendo a smuovere un poco il robusto dito di pietra, lo spazio
sufficiente per permettere ad Antioco di respirare nuovamente, ma ancora troppo
poco per liberarlo.
“In picchiata!” –Gridò all'improvviso
una voce di donna, attirando l’attenzione di Adone, che sollevò lo sguardo
verso il cielo.
Di fronte a lui apparve uno squadrone
di Heroes, tutti completamente avvolti in un guscio di energia cosmica, che
piombò istantaneamente sul Gigante, puntando verso il suo viso. Per difendersi,
il Kouros si agitò, muovendo le braccia scoordinatamente
e allentando la presa della sua mano, permettendo ad Antioco di liberarsi,
anche grazie all’aiuto di Adone, che lo afferrò per le braccia e lo portò fino
a terra.
“Come stai, ragazzo?” –Domandò il
Comandante, depositando il giovane Hero del Quetzal
ai piedi di un albero.
“Un tempo avevo una schiena!” –Ironizzò
Antioco, sentendo forti fitte lungo la colonna vertebrale. Alcune piume della
sua folta coda dorata erano state distrutte e qualche crepa era spuntata sul
resto dell’Armatura, ma il ragazzo non aveva perso l’umorismo né la voglia di
combattere. Eumene discese poco dopo accanto a lui,
per sincerarsi delle condizioni dell’amico, proprio mentre Damaste della Gura guidava nel cielo sopra di loro un nuovo assalto degli
Heroes contro i tre Giganti di Pietra.
“Sono felice di vederti sano e salvo!”
–Esclamò una voce di donna, sbucando tra gli alberi abbattuti. Era alta e
snella, con un corpo affascinante, ricoperta da un’armatura blu e argento,
rappresentante l’uccello Lofoforo. Sul capo portava
un elmo a forma di corona, che si incastrava tra lunghi capelli grigi, così
folti da sembrare un mantello. Il volto, come quello di tutte le Sacerdotesse,
era coperto da una maschera bianca. Ma Adone aveva avuto modo di vederla in
viso molte volte.
“Sei stata avventata!” –Commentò il
Comandante, mentre Deianira del Lofoforo si avvicinava a lui. –“Ma ti ringrazio!”
“È il dovere di ogni guerriero servire
il proprio Comandante!” –Disse la donna, allungando le mani verso quelle di
Adone, che le afferrò con un sorriso. Rimasero così, a guardarsi per qualche
minuto, senza riuscire a dirsi altro, prima che un boato facesse sobbalzare entrambi.
Il nuovo assalto guidato da Damaste della Gura era
fallito e tutti gli Heroes volanti erano stati respinti e atterrati, con gravi
crepe sulle loro corazze. Ecuba di Antlia arrivò correndo, chiamando Adone a squarciagola.
“Comandante! Comandante! La Legione
Alata è stata abbattuta! Adrastea del Toco e Briseide del Cardinale
sono stati atterrati e schiacciati dai Kouroi! E
tutti gli altri sono in grave difficoltà! Sarà difficile volare ancora con le armature
in queste condizioni!” –Spiegò, con angustia. –“Come possiamo abbattere un muro
che non vuol crollare?”
“Non possiamo, infatti!” –Commentò
Adone, con un sospiro, prima di spalancare le ali della sua armatura,
accendendo il suo cosmo di rosati bagliori. –“Ma ci proveremo comunque! Abbi
cura di te!” –Si rivolse a Deianira, spiccando il
volo.
“Lo farò! Fallo anche tu!” –Rispose
lei, balzando in aria.
Eumene e
Antioco si rialzarono, espandendo a loro volta i cosmi, di fronte agli occhi
preoccupati di Ecuba, che avrebbe voluto proibire
loro di spiccare nuovamente in volo, viste le ferite sulle loro corazze. Ma
tacque, consapevole che le sue parole non sarebbero servite a niente, che non
avrebbero fermato i loro ideali. E sospirò, osservandoli balzare in alto,
subito seguiti da Deianira. Il fidato stratega di
Ercole seguì dal basso, come molte altre volte, l’azione organizzata dal suo
Comandante, che aveva deciso di riunire tutti gli Heroes in fila, e puntare
agli occhi del Kouros centrale. Egli avrebbe aperto la fila, seguito da Damaste
e da tutti gli altri, in una lunga striscia continua di ardente energia.
Arrivati a pochi metri dal viso del Gigante, gli Heroes dietro Adone avrebbero
dovuto separarsi e scattare alternativamente verso i visi dei Giganti laterali.
“È una mossa disperata! Ma è l’ultima
che posso proporre! Prima del corpo a corpo!” –Esclamò Adone, prima di
sospirare. –“Terreno su cui la Legione Alata non è molto preparata!” –E scattò
avanti, sfrecciando come un fulmine nel cielo, seguito dai suoi Guerrieri.
Ecuba, dal
basso versante della collina, osservò il Comandante schiantarsi contro il viso
del Kouros di fronte a lui, prima di essere colpito bruscamente e scaraventato
via, come tutti gli Heroes che lo avevano accompagnato in quell’azione suicida.
“Nove feriti!” –Commentò Ecuba con un sospiro, prima di riflettere su un
particolare. –“Nove?! Ma, anche escludendo Adrastea e
Briseide, non più in condizioni di volare, gli Heroes
rimangono dodici! Dove sono i tre Guerrieri mancanti?!” –Si chiese, tastandosi
il mento e cercando di capire chi fossero i tre Heroes che non avevano preso
parte all’azione. –“Forse qualche ferito che non ho notato?!”
Un rumore dietro di lui attirò la sua
attenzione, costringendo Ecuba a mettersi sulla
difensiva, con le braccia sollevate di fronte al petto. Da un cespuglio
sbucarono fuori tre figure, rivestite dalle loro colorate Armature di Heroes: Alexandros del Ramo e di Cerbero, Caropo
del Pappagallo e Agelao del Pigmeo.
“Ah, siete voi!” –Commentò Ecuba, rilassandosi per un momento, avendo temuto che
fossero tre guerrieri di Era. Ma subito la sua espressione si incupì
nuovamente, apostrofando gli Heroes con durezza. –“Si può sapere dov’eravate
finiti? Il Comandante ha guidato un’altra azione contro i Kouroi,
e voi non vi avete preso parte!”
“Finiscila di strillare come una
gallina!” –Lo schernì un ragazzo dal sorriso superbo, mentre i due Heroes che
lo accompagnavano scoppiarono a ridere, accerchiando lo stratega di Adone.
–“Abbiamo avuto da fare! Piani di conquista da elaborare!”
“Umpf! Mentre
voi giocavate ai piccoli imperatori, la Legione Alata caricava il nemico! C’è
bisogno dell’aiuto di tutti noi o i Kouroi ci
annienteranno!” –Brontolò Ecuba, mangiandosi le mani
per non poter essere in cielo, a scendere in picchiata a fianco del suo
Comandante, dove avrebbe tanto desiderato essere.
“Tanto meglio!” –Disse il ragazzo dal
sorriso superbo. –“Risparmieremmo tempo e fatica!” –E fece un cenno ai
compagni, che bloccarono Ecuba, afferrandolo per le
braccia.
“Ma cosa state facendo?! Che vi salta
in mente?!” –Gridò lo stratega di Adone, mentre il ragazzo di fronte a lui dava
un calcio ad un ramo spezzato, facendolo saltare in aria e cadere nella sua
mano.
“Lo sai perché mi chiamano Alexandros del Ramo e di Cerbero?!” –Commentò il ragazzo,
con aria apparentemente distratta. –“Lo sai perché tutti gli Heroes di Ercole
prendono il nome da un animale o da un oggetto che simbolicamente è legato al
Dio dell’Onestà, mentre io invece ne sono rimasto escluso?” –Domandò,
accendendo il cosmo, dagli oscuri riflessi verdastri, con cui avvolse l’intero
ramo che reggeva in mano, al punto da farne una lancia di energia
incandescente. –“Perché io controllo i rami degli alberi e posso usarli a mio
piacimento, per sbranare i miei nemici, come la zanne di Cerberooo!!!”
–Gridò, balzando su Ecuba e conficcando il ramo
carico di energia nel centro del suo petto.
“Aaaah!!”
–Gridò lo stratega di Adone, sputando sangue dalla bocca, mentre Alexandros spingeva con forza il ramo di energia
all’interno del suo sterno, sfondandoglielo dopo pochi istanti.
“Poiché tanto bramavi raggiungere il
cielo per volare con il tuo Comandante, io, Alexandros
del Ramo e di Cerbero, ho esaudito il tuo desiderio! Ora… muori!” –Sibilò Alexandros, estraendo il ramo di energia e conficcandolo
nuovamente nello sterno di Ecuba, il quale emise un
ultimo disperato grido, prima di accasciarsi al suolo in un lago di sangue.
–“Fuori uno!” –Commentò cinicamente il ragazzo.
“Adone non tarderà a scoprire cos’è
accaduto!” –Esclamò uno dei due compagni, un uomo alto e con folti capelli
bianchi.
“Credo che Adone abbia altro a cui
pensare!” –Rispose Alexandros, osservando, nel cielo
sopra di loro, gli Heroes continuare a lottare contro i Kouroi.
–“E noi avremo tutto il tempo per preparargli una degna accoglienza! Ah ah ah” –E scoppiò a ridere selvaggiamente.
Adone nel frattempo era
giunto alla conclusione che nessun attacco si sarebbe rivelato efficace contro
i Kouroi, non essendo nei loro poteri distruggere il
campo di energia divina che li circondava. L’unica cosa che potevano fare,
ritenne, era rallentare la loro marcia verso Tirinto,
anche a costo di rischiare un immobilismo eterno.
“Se non possiamo abbatterli, li
fermeremo qua! Adesso!” –Gridò Adone, riunendo tutti gli Heroes ancora in grado
di volare.
“Comandante…
Intendete dire?!” –Domandò l’Hero del Corvo.
“Sì, Pandaro,
utilizzeremo il potere ultimo della Legione Alata! L’Eterna danza di piume!
Con essa, fermeremo l’avanzata di questi mostri verso la splendida Tirinto!” –Esclamò Adone, a cui soltanto il pensiero che quei
giganti avrebbero potuto radere al suolo la città di Ercole, con le sue opere
d’arte, i suoi giardini nascosti, dove tante notti romantiche aveva trascorso
con Deianira, lo faceva infervorare.
“Non abbiamo il potere per chiudere il
cerchio, mio Signore!” –Esclamò Pandaro del
Corvo. –“Siamo rimasti in pochi, e le nostre energie sono minime! Ci
esauriremo in un moto perpetuo!”
“Fosse soltanto un minuto, il tempo in
più che concederemo ad Ercole e ai nostri compagni per difendere la splendida Tirinto, saremo morti con l’onore di farne loro dono!” –Esclamò
Adone, bruciando al massimo il cosmo e disponendosi in cielo proprio di fronte
ai tre Kouroi.
Senza esitare un momento, Damaste della
Gura e i due giovani Antioco di Quetzal e Eumene della Mosca affiancarono il Comandante in quella
mossa disperata, disponendosi vicino a lui, in modo da iniziare a creare un
cerchio attorno ai tre Giganti, di fronte agli occhi attoniti, e forse un po’
scettici, degli altri Heroes. La quarta ad inserirsi fu Deianira
del Lofoforo, piena di orgoglio per la decisione del
Comandante, e quel gesto sbloccò le incertezze dei rimanenti combattenti,
spingendoli ad aderire al piano di Adone. Persino Briseide
del Cardinale e Adrastea del Toco
usarono, dalla collina su cui giacevano riversi, i loro residui di cosmo per
chiudere il cerchio di energia intorno ai tre colossi. Quando tutti gli Heroes
furono in posizione, Adone iniziò ad intonare un canto, muovendosi nel cielo
attorno ai Giganti, seguendo un cerchio ben preciso, lungo il quale si mossero
tutti i compagni. Cantava, Adone dell’Uccello del Paradiso, e sembrava danzare
sulle note del vento, mentre le ali delle Armature degli Heroes rispondevano al
richiamo, liberando dorate piume di energia che scivolarono nell’aria,
incollandosi ai corpi dei giganti. Come vittime di un suadente incantesimo, i
tre Kouroi parvero rallentare i loro movimenti, fino
a fermarsi, paralizzati da quell’eterna danza di piume che gli Heroes della
Legione Alata avevano messo in atto. Una danza a cui nessuno poteva sfuggire
una volta che aveva udito la splendida ed incantata voce del Comandante della
Prima Legione e una volta in cui il suo corpo era stato sigillato dalle piume di
energia cosmica di tutte le armature.
“Sembra che la Danza di Piume abbia
effetto!” –Commentò Caropo del Pappagallo, a terra
con i due compagni, osservando il cerchio di energia chiudersi intorno ai tre
Giganti di Pietra. –“Credevo che per essere eseguita necessitasse della
presenza di tutti e quindici gli Heroes!”
“In quel modo sarebbe completa e non vi
sarebbe scampo per coloro che all’interno del cerchio verrebbero imprigionati,
poiché dormirebbero un sonno quiete per l’eternità!” –Spiegò il suo compagno, Agelao del Pigmeo, un uomo così basso da
sembrare un ragazzetto.
“Adone sta utilizzando tutto il suo
potere per mantenere il cerchio unito, con così pochi Heroes a disposizione!”
–Commentò Caropo, osservando i suoi compagni danzare
lungo una scia luminosa, avvolti in svolazzanti piume cariche di energia. E
vide anche lei, la bella Deianira, la donna di cui
era innamorato da sempre. La donna per cui aveva scelto di diventare Hero di Ercole, in modo da rimanere al suo fianco. La donna
che non l’aveva mai visto niente più di un compagno di battaglia. Che non mi
hai mai visto come guarda Adone! Ringhiò Caropo e
il suo viso si contrasse in un’espressione di ira e di gelosia accecante.
“Credo che sia il momento di aiutare il
nostro Comandante!” –Esclamò Alexandros, afferrando
un ramo e caricandolo della sua energia cosmica. –“Tutto quello sforzo deve
averlo indebolito notevolmente! Mi chiedo, cosa accadrebbe se improvvisamente
venisse a mancare un elemento nel cerchio?” –Sghignazzò il ragazzo, caricando
il braccio e scagliando il ramo in cielo, quasi fosse un giavellotto di
energia. –“Riuscirebbe il nostro Comandante a mantenere chiuso il cerchio di
energia, in modo da poter celebrare ancora la Danza di Piume?”
Il ramo carico di energia sfrecciò nel
cielo, rapido come un fulmine, senza che nessuno dei nove Heroes che danzavano
in aria, attorno ai Giganti di Pietra, se ne accorgesse, finché non trafisse la
schiena di uno di loro: il giovane Icaro della Colomba, sfondando la sua
Armatura e strappandogli un terrificante grido di dolore.
L’Hero della
Colomba, attaccato alle spalle di sorpresa, perse i sensi per il dolore e
l’enorme ferita e non riuscì a mantenersi in volo, precipitando verso terra in
caduta libera, di fronte agli occhi attoniti dei suoi compagni e del Comandante
della Legione che non riuscirono a capire cosa potesse essere accaduto. Antioco
pensò di raggiungere Icaro, per afferrarlo prima che toccasse terra, ma Eumene lo pregò di non lasciare il cerchio, poiché
l’ulteriore assenza di un elemento avrebbe reso impossibile mantenerlo unito.
Ma nonostante gli sforzi di Adone, che bruciò il proprio cosmo
all’inverosimile, e di tutti i suoi compagni, la magia che univa il cerchio di
piume era stata spezzata e i tre Kouroi si liberarono
improvvisamente, emettendo violenti suoni, quasi si risvegliassero da un
incubo. Iniziarono a muovere le braccia caoticamente, colpendo senza logica
tutto ciò che gli ronzava intorno. Uno dopo l’altro gli Heroes vennero travolti
e scaraventati a terra, feriti e con le corazze in parte in frantumi, troppo
deboli per riuscire a mantenersi in volo.
“Pandaro!”
–Esclamò Adone, avvicinandosi all’Hero del Corvo.
–“Tu che tra tutti noi sei il più veloce, corri a Tirinto
sulle ali del vento! Avverti Ercole della nostra disfatta! Digli che il
Comandante della Prima Legione pagherà per le sue colpe e le sue mancanze, se
dovesse ritornare alla città, ma che farà tutto il possibile per fermare la
loro avanzata a costo di spingere le loro gambe di pietra con le sue misere
braccia!”
“Mio Signore, se avete una colpa è
quello di esservene fatta una!” –Commentò Pandaro,
prima che un gesto di Adone lo incitasse a volare via, più veloce del vento.
In quel momento un grido di donna
attirò l’attenzione del Comandante della Prima Legione, che si volse indietro,
giusto per vedere Deianira colpita da un secco colpo
di mano di un Gigante e precipitare a terra. Stringendo i denti, Adone si
lanciò in picchiata, turbinando nell’aria come un fulmine, interamente avvolto
dal suo cosmo lucente, ma non riuscì a raggiungere la donna in tempo, che andò
a precipitare, quasi a sprofondare, in una strana ragnatela biancastra,
costituita da pura energia.
“Ooff!”
–Balbettò Deianira, realizzando che qualcosa di
relativamente soffice aveva attutito la sua caduta. Stordita, si guardò intorno
e le sembrò di essere una mosca prigioniera di una grande ragnatela. –“Che… è accaduto?” –Si chiese, voltandosi e incontrando lo
sguardo soddisfatto di un uomo che ben conosceva.
Caropo del
Pappagallo era infatti sotto di lei, con le braccia incrociate al petto,
intento ad osservare quanto fosse bella. L’aveva vista cadere dal cielo,
proprio sopra di lui, ed aveva immediatamente intessuto una rete di energia per
salvarla, battendo finalmente Adone sul tempo. Per un momento, accecato dalla
bellezza di Deianira e ossessionato dai suoi continui
rifiuti, dalle sue continue attenzioni al Comandante, Caropo
ritenne che quello fosse un segno del destino, che ella fosse caduta tra le sue
braccia perché così doveva essere.
“Ha fallito questa volta!” –Commentò,
di fronte ad un’attonita Deianira. –“Il tuo Eroe non
vale poi molto se non riesce a proteggere i propri soldati!”
“Che stai dicendo, Caropo?!”
–Domandò Deianira, cercando di liberarsi, ma solo
allora si accorse che quella rete di energia non l’aveva soltanto salvata, ma
l’aveva anche intrappolata, in una maglia stretta stretta
che aveva il compito di tenerla ferma ancora un po’, il tempo di farle
osservare il trionfo del suo spasimante.
Adone atterrò nella radura, poco
distante da Deianira e da Caropo
sotto di lei, e subito si rivolse al guerriero del Pappagallo, ringraziandolo
ingenuamente per averla salvata.
“Non si fa mai niente per niente,
Comandante!” –Esclamò Caropo, con aria di sfida,
osservando negli occhi Adone, e trovandolo un vero pezzente, come mai lo aveva
guardato prima.
Agli occhi di Caropo,
alto e robusto, con il volto lucido e senza un graffio, Adone adesso appariva
come un contadino, con il volto sporco e sudato, qualche crepa sulla corazza,
non più linda com’era la sua. E sapere che Deianira
lo aveva preferito a lui per tutti quegli anni, fin da quando l’aveva
incontrata per la prima volta, e che forse anche adesso, nonostante ansimasse
stancamente di fronte a lui, lo avrebbe preferito, lo fece imbestialire,
facendo avvampare il suo cosmo, che si manifestò sotto forma di fiammelle di
energia bianca e azzurra.
“Che stai dicendo Caropo?
Libera Deianira!” –Esclamò Adone. –“E dove sei stato
tutto questo tempo? Avevo bisogno di te, lassù!!”
“Mi dispiace, Comandante!” –Rispose Caropo, e a Adone non sfuggì il disprezzo con cui si
rivolse a lui. –“Ma io non ho più bisogno di voi!” –Esclamò, liberando un
poderoso vortice di fiamme biancoazzurre, che avvolse Adone, facendolo urlare
dal dolore. –“È utile saper modellare il cosmo come fosse creta! Non è stato
uno dei vostri primi insegnamenti? Siate duttili, mi diceste quel giorno! Non
ho imparato bene la lezione?” –Ringhiò Caropo, mentre
il vortice di energia si diradava, sfilacciandosi in una ragnatela cosmica dal
colore biancastro, identica a quella che teneva Deianira
sospesa sopra di loro, che avvolse Adone al suo interno, fermando i suoi
movimenti e intrappolandolo, sospeso tra due alberi.
“Caropo!! Che
razza di scherzo è mai questo?! Liberami immediatamente! Questo è alto
tradimento!” –Esclamò Adone, bruciando il proprio cosmo per cercare di liberarsi
da quella vischiosa prigionia.
“Parole grosse le vostre, Comandante!
Ma tra poco non sarete più in grado di fare la voce alta con me, di umiliarmi,
come avete fatto per tutti questi anni! Di mettermi in ombra, dietro di voi,
impaurito dalle mie doti e dal mio talento, di oscurarmi…
di fronte a lei!” –Esclamò Caropo, e per un momento
parve quasi sciogliersi nell’alzare lo sguardo ed osservare Deianira
che lo fissava, attonita e sgomenta.
“Sei impazzito forse? Cosa vai
blaterando?!” –Continuò Adone, bruciando a dismisura il proprio cosmo, mentre Caropo, che sembrava quasi ignorarlo, si avvicinò a Deianira, portandosi proprio sotto di lei. Allungò una mano
verso l’alto, fino a sfiorarle i morbidi capelli grigi che filtravano dalla
griglia di energia in cui la donna era intrappolata.
A quel gesto Adone esplose, liberando
un’energia che Caropo mai aveva immaginato che
possedesse. Si voltò verso il Comandante e gli parve di vedere la maestosa
sagoma dell’Uccello del Paradiso spalancare le sue variopinte ali e recidere i
legami che lo tenevano prigioniero. Per un istante Caropo
si spaventò, ma presto recuperò il sangue freddo, stringendo la morsa della
ragnatela di energia, per limitare il più possibile i movimenti di Adone, che
continuava a dimenarsi come un selvaggio.
“Adoneee!!!”
–Gridò Deianira, per avvisare il suo Comandante di un
nuovo pericolo. Ma non fece in tempo a dire altro che una figura uscì fuori
dagli alberi, brandendo un giavellotto carico di energia cosmica. Balzò sulla
schiena di Adone, affondando l’arma dentro la sua spalla destra, mentre getti
di sangue schizzavano in aria e l’Hero dell’Uccello
del Paradiso si accasciava a terra.
“Con tutto il rispetto, Comandante!”
–Sghignazzò Alexandros del Ramo e di Cerbero. –“Siete
destituito!”
Mentre i quattro gruppi di Heroes
affrontavano i Kouroi, a TirintoErcole era a colloquio con Nesso del Pesce Soldato, uno degli
Heroes della Terza Legione. Giovanissimo, con diciotto anni compiuti da poco,
Nesso era un ragazzo sveglio e intelligente, con un enorme potenziale, che
Ercole aveva da tempo intuito e per questo lo aveva incoraggiato a coltivarlo.
Tra le altre sue qualità, oltre all’alta velocità a cui era capace di muoversi
e alla sua discreta forza fisica, superiore a quella dei suoi coetanei, Nesso
conosceva tantissimi linguaggi naturali ed era in grado di captare informazioni
anche dal sussurro del vento o dal linguaggio dei pesci.
Pochi mesi or sono, nell’ambito di una
dislocazione strategica delle proprie truppe, Ercole aveva inviato Nesso in
missione, affidandogli un incarico noto soltanto al Comandante della Terza
Legione. Poiché era a conoscenza del legame stretto esistente tra Era e il Dio
dei Venti, Ercole aveva pensato bene di premunirsi, inserendo un uomo di sua
fiducia nell’Isola di Lipari, dove Eolo abitava ormai da secoli, in compagnia
dei quattro Venti, figli di Eos, al fine di ottenere tutte le informazioni
possibili sui movimenti di Era, di cui, con molta probabilità, anche Eolo
sarebbe stato informato. Come infatti avvenne. Ma ciò che Ercole non avrebbe
mai pensato, né Era potuto prevedere, era di venire in possesso di
un’informazione così potente, in grado di mutare le sorti del conflitto.
“Esiste un modo per fermare i Kouroi!” –Esclamò Nesso, ansimando per la fatica. Fin da
quando aveva lasciato l’isola di Lipari non aveva avuto modo di riposarsi un
momento, nuotando, cavalcando un delfino fino in Grecia ed infine correndo attraverso
l’intero Peloponneso, per raggiungere Tirinto in
fretta, prima dei Kouroi. –“Un modo per estirpare il
cosmo divino che sorregge quei Giganti e farli ritornare pura pietra! Iris lo
ha spiegato ad Eolo! La Lama degli Spiriti!”
Ercole ascoltava con interesse il
resoconto di Nesso, ricordando le antiche leggende sull’arma da lui citata, per
quanto non l’avesse mai vista: la Lama degli Spiriti era una spada che, si
raccontava, era nata nel Mondo Antico dalle lacrime di una Dea, che aveva
pianto così tanto per la perdita del suo amore che le lacrime si erano
solidificate, diventando un’affilata lama impregnata del suo amore e di tutta
la sua rabbia. Tale arma possedeva il potere di assorbire l’energia cosmica del
corpo in cui veniva immersa, svuotandolo di forze e di vita e trasferendole al
suo interno.
“Se potessimo usarla…
Se potessimo disporne, mio Signore!” –Esclamò Nesso, eccitato dai poteri di
questa lama, che Ercole gli stava descrivendo. –“Per i Kouroi
sarebbe la fine, e anche Era tremerebbe, lassù, sul suo trono tra le nuvole!”
“Frena il tuo entusiasmo, giovane Pesce
Soldato! La Lama degli Spiriti, quantunque scoprissimo dove è celata, non è
arma da poter essere usata con leggerezza! È nata da una lacrima e morirà tra
le lacrime di chi la impugna! Così recita la profezia, e non vorrei fosse una
maledizione!”
“Dobbiamo trovarla!” –Incalzò Nesso,
muovendo poi lo sguardo verso la parete laterale, dove una donna era rimasta
immobile per tutta la durata della conversazione, Penelope del Serpente,
Sacerdotessa di Ercole e sua Consigliera. –“Non credi anche tu?” –Nesso si rivolse
infine a lei, introducendola nella conversazione.
“Indubbiamente possedere quell’arma ci
darebbe un vantaggio innegabile sui nostri avversari, considerando il fatto
che, se davvero i Kouroi sono protetti da cosmo
divino, non ho altre idee sul modo in cui potremmo abbatterli!” –Esclamò infine
Penelope. –“Tuttavia le notizie al riguardo sono molto poche! Scarse, le
definirei!” –E si avvicinò alla grande libreria di Ercole, recuperando un
librone e poggiandolo sulla scrivania del Dio. Lo aprì e ne tirò fuori vecchie
carte ingiallite dal tempo, redatte in greco antico, che Penelope sapeva
leggere alla perfezione.
“Cosa dicono le antiche cronache?”
–Domandò Ercole. –“Quante speranze abbiamo di trovare la Lama degli Spiriti?”
“Tante quanto quelle di affrontare i Kouroi senza di essa!”
In quel momento bussarono con forza
alla porta, obbligando il Dio ad affacciarsi, proprio per trovarsi di fronte il
volto preoccupato di Artemidoro della Renna,
il maggiordomo di Ercole, timido ed elegante, che sorreggeva il corpo stanco e
ferito di Teseo del Camaleonte, uno dei guerrieri inviati a Micene
insieme a Nestore.
“Teseo!” –Incalzò subito Ercole,
aiutando l’uomo a sedersi su una seggiola. –“Che è successo? Dove sono gli
altri?”
“Rapiti! Catturati! Annientati!” –Farfugliò
Teseo, tenendosi la testa che gli scoppiava, mentre Penelope si avvicinava con
un secchio pieno d’acqua, per bagnargli la fronte febbricitante e pulirgli le
ferite. –“La Messaggera degli Dei ha catturato Nestore e Giasone, portandoli via!”
“E Priamo? E Asterione? E cosa ne è stato del Kouros? Lo avete
abbattuto? Micene è salva?” –Continuò Ercole.
“Micene è salva, ma abbiamo fallito!” –Disse
Teseo, abbassando lo sguardo. –“Sono riuscito a salvarmi grazie ai miei poteri
mimetici! Io… perdonatemi ho abbandonato i miei compagni… non avrei voluto! Non è stata viltà la mia, ma
praticità! Nessuno di noi, neppure i nostri cosmi uniti, è riuscito a scalfire
il Kouros! Il cosmo divino di Era lo protegge interamente, al punto da essere
uno scudo impenetrabile! Non avrei avuto speranze da solo contro di esso,
mentre adesso, così facendo, ho potuto portarvi queste notizie! Insieme
possiamo liberare Nestore e Giasone!”
“Temo per loro!” –Commentò Ercole,
sospirando. –“Se Era prova per i miei guerrieri anche soltanto un decimo
dell’odio che prova per me, di loro non rimarrà niente! Pur tuttavia…
confido in Nestore, nella sua capacità di resistere e nella sua forza di
volontà!”
“Mio Signore! Concedetemi di andare a
liberarli! Seguirò le tracce da Micene e forse riuscirò a scoprire dove Era si
nasconde! Magari, con un gruppo di guerrieri scelti potremmo condurre un’azione
improvvisa…” –Esclamò Teseo, agitatamente.
“Dove vuoi che si nasconda la Regina
degli Dei? Sull’Olimpo, non credi?!” –Intervenne Nesso, ma Ercole li chetò.
“Era non è più sull’Olimpo da questa
mattina! Ha lasciato il Monte Sacro poco dopo la nostra partenza, scivolando
nell’alba verso oriente! Non posso permetterti di partire, Teseo! Non adesso! Tirinto sta per essere assediata e ho bisogno dell’aiuto di
tutti voi per difenderla!”
“Ma mio Signore…Nestore…” –Tentò di convincerlo Teseo.
“Ho fiducia in lui! Se la caverà!”
–Tagliò corto Ercole, prima di fare cenno ad Artemidoro
di condurre Teseo nell’infermeria, per farlo medicare in fretta. Usciti i due
Heroes, Ercole fissò Penelope nel volto e la Sacerdotessa resse il suo sguardo
per mezzo minuto.
“Adesso più che mai abbiamo bisogno
della Lama degli Spiriti! E forse conosco l’uomo adatto per ritrovarla!”
–Esclamò infine, stupendo Nesso e lo stesso Ercole.
Pochi minuti più tardi un uomo alto e
magro, con lunghi capelli blu notte, raccolti in trecce sul davanti, entrò
nello studio di Ercole, per la prima volta nella sua vita. Indossava la sua armatura
violacea, con una fascia bianca intorno al petto, simbolo del livello di
conoscenza raggiunto nelle sue meditazioni, e teneva gli occhi chiusi.
“Tiresia dell’Altare al vostro
servizio, potente Ercole!” –Esclamò l’uomo, inginocchiandosi di fronte al Dio.
“Perdonami se ho disturbato le tue
meditazioni, Tiresia! Ma ho bisogno del tuo aiuto! Tirinto
e i tuoi compagni ne hanno bisogno!” –Spiegò Ercole. –“Pare che tu disponga di
un potere particolare, di una fantomatica vista capace di spaziare su luoghi
lontani, capace persino di andare indietro nel tempo, seguendo la scia di ciò
che è stato!”
“Voci simili che sussurrano sul mio
conto quasi mi lusingano, oh potente Ercole, per quanto mi facciano somigliare
più ad uno stregone che ad un guerriero!” –Rispose Tiresia con voce pacata.
“A me serve quel potere, Tiresia! Qua!
Adesso!” –Esclamò Ercole con decisione, mentre Penelope posizionava di fronte a
Tiresia una bacinella colma d’acqua di fonte. –“La Lama degli Spiriti! Dobbiamo
trovarla! È l’unica arma con cui possiamo abbattere i Giganti di Era!”
“La Lama degli Spiriti?!” –Ripeté
Tiresia, mentre Ercole gli spiegava in breve la situazione. –“Il mio maestro me
ne parlò qualche anno or sono! Pare che se ne siano perse le tracce in Asia!
Forse qualche monaco che vive in ascetismo, nascosto tra le impervie vallate
dell’Hindu Kush o del Karakoram
ne è il custode!”
“Puoi trovarla?” –Domandò infine
Ercole.
“Posso provarci!” –Commentò Tiresia,
inginocchiandosi di fronte alla bacinella. –“Ma ho bisogno di un tramite! Di un
oggetto che sia appartenuto all’ultima persona che impugnò quell’arma, se non
al creatore dell’arma stessa, che mi permetterà, se ne sarò capace, di seguire
i flussi vitali della sua esistenza!”
“Magnifico!” –Ironizzò Nesso,
gettandosi a sedere su uno sgabello. –“Non sappiamo neanche dove si trovi questa
lama! Come possiamo avere un oggetto appartenuto a chi l’ha impugnata l’ultima
volta? Siamo arenati!”
Tiresia sospirò, scusandosi per non
essere in grado di fare di più, ma Ercole si chinò su di lui, rinnovandogli la
sua fiducia e porgendogli una ciocca di capelli di donna, consumati e antichi,
ma, a sentir l’Hero, ancora impregnati di energia
vitale. Un’energia vitale che, per quanto egli non l’avesse mai conosciuta, era
molto simile ad un’altra che conosceva bene, essendo proprio di fronte a lui in
quel momento.
“Mio signore…ma…?!” –Balbettò, per la prima volta in vita sua
colto dal dubbio.
“Trova la Lama degli Spiriti!” –Esclamò
Ercole, osservando Tiresia chinarsi sulla bacinella e gettarvi i capelli che
aveva in mano. Quindi concentrò i propri sensi, espandendo il suo cosmo, caldo
e profondo, che si dischiuse attorno a lui come i petali di un fiore, mentre il
suo sguardo spaziava lontano, al di là delle robuste mura di Tirinto. Abbracciò l’intera Grecia, immersa nel pallido
sole di un mattino d’estate, scivolando verso Oriente, lungo le coste
dell’Anatolia e perdendosi nell’interno, tra i deserti della Mesopotamia e i
grandi fiumi, culla delle antiche civiltà. Ma non si fermò, continuando a
spaziare ad oriente, superando le bianche vette dell’Hindu Kush,
perdendosi nei meandri delle immense vallate dello Jamir,
dove le immagini che scorrevano davanti alla sua mente presero a farsi confuse.
Tiresia tremò improvvisamente,
agitandosi a scatti, mentre parole indistinte, molto confuse, uscivano dalla
sua bocca. Parole nebulose che non riuscivano ad esprimere le immagini che
turbinavano nella sua mente, preoccupando non poco Penelope e Nesso, e persino
lo stesso Ercole.
“Sangue!” –Gridò Tiresia, tremando,
mentre la sua mano destra era sospesa sulla bacinella d’acqua, senza mai
sfiorarla. –“Una grande battaglia! Ombre! Lampi di luce! Una guerra tra monti impervi… scontri, lotte e sangue, sangue, sangue! Oooh, quanto sangue dovrà ancora essere versato affinché
l’uomo impari a volersi bene e a rispettarsi?” –Mormorò, prima che,
nell’agitazione che lo scuoteva, la sua mano sfiorasse l’acqua della bacinella,
rompendo l’incantesimo e facendolo crollare all’indietro di colpo, mentre Nesso
si chinava per aiutarlo, preoccupato quasi che fosse morto. –“La Lama degli
Spiriti è nello Jamir!” –Gridò, risollevandosi di
scatto, con gli occhi aperti, dall’iride completamente bianca.
Penelope e Nesso rimasero in silenzio,
un po’ turbati da quel rito particolare a cui avevano assistito, limitandosi ad
aiutare Tiresia a rimettersi in piedi, in attesa di un cenno da parte del Dio
dell’Onestà.
“Perfetto! Forniscimi ti prego le
coordinate ben precise! Invierò una squadra di Heroes nello Jamir,
alla ricerca della Lama degli Spiriti!” –Esclamò infine il Dio, scrivendo
alcune note su una pergamena. –“Nesso! Ancora una volta devo approfittare della
tua velocità!”
“Ai vostri ordini!” –Affermò il
ragazzo, inchinandosi, mentre il Dio gli consegnava un rotolo di pergamena,
chiuso dal sigillo di Ercole.
“Affido a te questa missione
perigliosa! Raggiungi Alcione, il tuo Comandante! La sua Legione è di stanza
nel Mediterraneo Orientale, arroccata nella fortezza di Spinalonga,
a Creta! Lei vi guiderà in Asia, grazie alle indicazioni di Tiresia!” –Spiegò
Ercole, prima di mettere una mano sulla spalla del ragazzo. –“Non ho sbagliato
quel giorno, dandoti la mia fiducia! Sei degno di meritarla!”
“Tornerò con la Lama degli Spiriti, mio
Signore! E Alcione e i miei compagni della Legione del Mare saranno con me!”
–Rispose Nesso, salutando il Dio e gli altri due Heroes ed uscendo in fretta
dallo studio.
Anche Tiresia, appurato che il Dio non
necessitava più dei suoi servigi, si mosse per andarsene, ma prima di uscire,
si voltò verso Ercole, avvicinatosi alla terrazza, e azzardò una domanda, con
voce calma e pacata. –“C’è una cosa che vorrei chiedervi, possente Ercole ma
non vorrei recarvi disturbo!”
“I capelli?!” –Lo anticipò Ercole,
avendo compreso a cosa si riferisse. –“Appartenevano a Deianira,
la mia Deianira, fidata compagna, figlia di Oineo, Re di Calidone, ingannata
e abbandonata, e morta suicida per disperazione!”
A quelle parole, pronunciate con
asprezza, Tiresia e Penelope si irrigidirono un momento, certi di aver toccato
un tasto dolente nella vita di Ercole. Tutti gli Heroes infatti, così come le
Divinità dell’Olimpo e i cantori degli uomini mortali, conoscevano la triste
storia di Deianira, la sposa amata da Ercole nell’età
adulta. Per lei, il possente uomo sconfisse il Dio fluviale Acheloo
e uccise a morte il centauro che l’aveva rapita. Ma questi, in punto di morte,
convinse Deianira a prendere un po’ del suo sangue,
di modo che se il marito avesse indossato una veste imbevuta della sua linfa
vitale le sarebbe stato per sempre fedele. Deianira,
debolmente accecata dalla gelosia, realizzò quindi per Ercole una veste
cosparsa del sangue del centauro, ignorando che esso fosse in parte avvelenato,
poiché Ercole lo aveva ucciso con una freccia imbevuta del sangue dell’Idra di Lerna. Infatti quando il marito indossò la veste, la pelle
iniziò a bruciargli e capì che la sua fine era vicina. Così, chiese al figlio Illo di preparargli un rogo sul monte Eta
e vi salì, ma mentre cominciò a bruciare Zeus con un rombo prelevò il figlio e
lo portò sull’Olimpo, elevandolo al rango di Dio. Ma Deianira,
quando seppe ciò che era accaduto, disperata si suicidò, in preda ai sensi di
colpa. E i due non si rividero mai più.
“Dalle lacrime di Deianira
nacque la Lama degli Spiriti ed ella, prima di morire, ne fece dono ad un
Cavaliere di Atena, certa che la Dea l’avrebbe usata per difendere la giustizia
e gli uomini, ideali a cui il marito da lei involontariamente tradito aveva
dedicato parte della vita!” –Continuò Ercole. –“E soltanto le lacrime di una
donna, dal cuore traboccante di amore e di dolore, potranno mettere fine al suo
potere!”
Tiresia e Penelope annuirono, prima di
accomiatarsi dal Dio, non prima che l’Hero
dell’Altare confessasse un dubbio che tormentava il suo cuore. La paura che Tirinto potesse essere distrutta anche dall’interno.
***
Nel frattempo, a Samo,
nel risorto Heraion, Era contemplava dall’alto
del trono le ambite prede che Iris, sua fedele Messaggera, le aveva consegnato.
In ginocchio ai suoi piedi, con le braccia e le gambe avvolte da cerchi di
energia dal colore dell’arcobaleno, stavano due Heroes di Ercole: Nestore
dell’Orso e Giasone del Cavallo, catturati dalla Dea con l’aiuto del
Kouros di Argo, che adesso si ergeva all’esterno del Tempio di Era, adibito
nuovamente alla sua missione primaria, di difesa del luogo sacro per eccellenza
della sua Dea.
“Mi congratulo per l’ottimo lavoro
svolto, Iris!” –Sogghignò Era, alzandosi in piedi e iniziando a discendere la
lunga scalinata in marmo chiaro che dal trono scendeva fino al pavimento
dell’ampia sala, dove il suo braccio destro, il sacerdote Argo, e la Messaggera
degli Dei controllavano a vista i due Heroes inginocchiati a forza. –“Queste
prede, ai miei regali piedi prostrate, saranno un’utile merce di scambio che ci
permetterà di condurre il gioco a modo nostro!”
“Mai!” –Gridò Nestore, rantolando a
terra, stretto in una robusta morsa energetica. –“Non farete di noi ostaggi con
cui ricattare il nostro Signore Ercole! Uccideteci piuttosto!”
“Lo farò, non preoccuparti, stupido
orso!” –Lo zittì Era bruscamente, fissandolo con i suoi occhi color nocciola.
–“E con voi sterminerò tutta quest’inutile brigata di derelitti, di patetici
umani che hanno abbandonato la venerazione degli Dei Olimpici, per dedicarsi
all’idolatria di un uomo che ha osato sfidare impunemente la collera celeste! Ercole
imparerà, pagando con la sua stessa vita, che non è concesso agli uomini di
prendersi gioco degli Dei!”
“È per questo che lo odiate non è
vero?” –Esclamò infine Nestore, cercando di rialzarsi, senza curarsi delle
conseguenze delle sue parole, che sapeva essere ben calibrate e dirette al
bersaglio. –“Perché lui, unico tra tutti i Signori Olimpici, è ammirato tra gli
uomini, e da loro lodato, amato, venerato, come fosse un Dio, per quanto egli
in fondo non si sia mai sentito tale! Come voi non siete mai stati adorati!”
“Taci, bestia!” –Lo schiaffeggiò Argo,
Sacerdote di Era, facendo cadere Nestore a terra. –“Hai dimenticato chi hai
di fronte? La Grande Dea Madre da cui ogni forma di vita discende! È così
irritante vedervi muovere le labbra, che gli Dei vi hanno donato, per esprimere
parole indegne piene di ingratitudine!”
“Parole che mi vengono dal cuore!”
–Ringhiò Nestore, tentando di rimettersi in piedi, per quanto i cerchi di
energia lo stringessero sempre più. –“Siete una Divinità patetica! Una Regina
priva di trono e soprattutto di un regno su cui imperare! Di sudditi che
possano adorarvi! È per questo che odiate Ercole! Perché egli ha avuto, ha ed
avrà, senza che lo avesse voluto, tutto ciò che voi inseguite da secoli senza
essere mai riuscita ad averlo: l’ammirazione delle umane genti, che per Ercole
dimostrano amore e affetto spontaneo, poiché vedono in lui l’amico a cui
rivolgersi, perché lo sentono come uno di loro! Mentre voi, che gli uomini
avete sempre tentato di usare, di asservirli ad una venerazione forzata,
languite dimenticata tra le nebbie del Monte Olimpo, rodendovi l’animo per la
gelosia e l’invidia, incapace di trovare un modo per uscire dalla vostra crisi
interiore che non sia distruggere l’isola felice del vostro rivale!”
Era arrossì in viso, adirata per le
violente parole che Nestore le aveva rivolto, colpita nel profondo del suo
orgoglio, di fronte ai suoi più stretti collaboratori. Sollevò il braccio
destro, mentre il suo cosmo infiammava lo spazio attorno, esplodendo sotto forma
di gigantesche onde di luce che travolsero i due Heroes, annientando le morse
di energia che li attanagliavano e scaraventandoli lontano, con le Armature
distrutte.
“Distruggerò Ercole, sì! E Tirinto e tutti i suoi difensori con lui!” –Gridò Era istericamente,
mentre le onde di luce travolgevano imperterrite i due Heroes. –“Se per invidia
o per brama di potere, lascio a voi stabilirlo! Se sarete anche vivi per poter
giudicare! Ah ah ah!”
Travolti dalle onde di luce, Nestore e
Giasone furono scaraventati contro un muro laterale dell’ampia sala dell’Heraion, schiantandosi proprio sull’arazzo che raffigurava
i novanta Heroes di Ercole. Immediatamente, i simboli dell’Orso e del Cavallo
iniziarono a brillare, mentre le Moire, chine sul loro lavoro, ai piedi della
scalinata di marmo, cominciarono ad intonare una cantilena, monotona e greve
come la morte. Nestore vi prestò orecchio e parve riconoscere un requiem di
morte.
“Nooo!!!”
–Gridò, espandendo il suo cosmo, cercando di liberarsi da quel pressante potere
che lo stava schiacciando contro il muro, facendo a pezzi la sua Armatura e il
suo corpo. –“Ursusarctosmiddendorffi!” –Ed aumentò la propria massa
corporea, diventando un gigante, un colossale orso dagli artigli affilati che
si lanciò avanti, esplodendo in un rabbioso grido animalesco.
Argo e Iris immediatamente si
schierarono di fronte ad Era, sollevando un muro di energia cosmica contro il
quale si schiantarono gli attacchi del gigantesco Orso, mentre Giasone,
approfittando della distrazione di Era, riusciva a liberarsi dalla sua stretta
e a rimettersi in piedi. Nestore lo incitò ad andarsene, a tornare da Ercole,
sfruttando l’enorme velocità che gli era propria, ma Giasone esitò, non avendo
cuore di abbandonare il proprio Comandante, condannandolo a morte certa.
“Vattene!” –Tuonò Nestore, agitando le
braccia smaniosamente, per controbattere gli attacchi di Era, Iris e Argo. Ma
Giasone non riuscì a correre via che venne colpito da un violento assalto
energetico e scaraventato nuovamente al muro, mentre due figure apparivano ai
suoi fianchi, imprigionandolo in una gabbia di energia.
Nello stesso momento una corona di
rossi fiori di melograno circondò l’immenso corpo dell’Orso di Ercole,
scivolando attorno a lui, prima che ogni fiore esplodesse in un lampo di luce,
travolgendo l’attonito guerriero e obbligandolo a ritornare alle sue forme
umane, di fronte allo sguardo soddisfatto di un uomo che teneva un fiore di
melograno in mano. Un uomo che sembrava conoscere.
“Finalmente siete arrivati!” –Esclamò
Argo, abbassando la barriera difensiva.
Tre figure si avvicinarono ad Era,
inginocchiandosi ai suoi piedi, mentre Iris imprigionava nuovamente Nestore e
Giasone in una stretta morsa con i suoi cerchi di energia colorata.
“Lode a te, Regina degli Dei! Noi, tuoi
Emissari, siamo al tuo servizio, così ora come nel Mondo Antico!” –Esclamarono
le tre figure, prima di sollevarsi nuovamente.
Fu così che Nestore e Giasone poterono
osservare per la prima volta i tre Emissari, i guerrieri difensori di Era, i
cui simboli erano evidentemente ispirati agli elementi del potere della Regina
degli Dei: la Vacca, il comune epiteto alla Dea riferito, il Pavone, animale a
lei sacro per eccellenza, e il Melograno, simbolo di fertilità e di morte. Tre
Emissari dal cosmo vasto e potente, intriso di profonde venature divine, che
mancavano invece anche ai migliori Eroi delle Legioni di Ercole, essendo essi
soltanto degli uomini comuni, privi di qualunque legame con le Divinità che non
fosse la devozione alla causa di giustizia e di onestà rappresentata dal loro
Signore.
“Lasciateli a me, mia Signora! Saprò io
in che modo servirmi di loro!” –Esclamò uno dei tre Emissari, sollevando un
brillante fiore di melograno. Quindi si allontanò insieme ad Iris, per condurre
i due Heroes nei sotterranei dell’Heraion, riservando
loro un trattamento agonizzante al fine di risucchiare tutta la loro energia,
fino a svuotarli e a renderli simili a larve. Nestore e Giasone vennero
rinchiusi in una vasta stanza scavata nella roccia, molto aerata ed esposta a
mezzogiorno, che non somigliava affatto ad una prigione, bensì ad un’immensa
serra. Il pavimento era infatti costituito da terreno fresco e ben drenato e la
parete meridionale non era altro che un’enorme lastra di vetro da cui
filtravano i raggi del sole. Nestore e Giasone furono scaraventati a terra e
liberati dai cerchi di energia di Iris, che rimase ai bordi della stanza
insieme al guerriero che reggeva in mano un fiore di melograno.
“Non affannatevi troppo!” –Esclamò
l’uomo, lanciando il fiore, che si conficcò nel terreno proprio ai piedi dei
due Heroes, straniati da quella singolare situazione. Immediatamente il terreno
tremò e dalla terra sorsero lunghissimi steli di melograno, dalle foglie
caduche e lanceolate, di un acceso verde lucente, e con fiori dal colore bianco
perla; steli che fluttuavano nell’aria, agitati da vita propria, intrisi del
cosmo del loro creatore, il malefico giardiniere che aveva trascorso anni ad
interagire con le piante, rendendole sue schiave, fino a trasformarle in un’arma
da guerra. A un cenno dell’Emissario di Era, le migliaia di piante si avvolsero
attorno ai corpi di Nestore e Giasone, fermando i loro arti, bloccando i loro
movimenti, stritolandoli come fossero pezzi di pane, e più i due Heroes
tentavano, di liberarsi da quelle morse pressanti, maggiormente gli steli di
melograno sembravano stringerli, prosciugando la loro energia.
“Le piante che vi stanno stringendo in
una crudele morsa hanno il compito di succhiare la vostra linfa vitale,
l’essenza del vostro cosmo, che scorrerà via, bagnando il suolo di questa serra
e dando nuovo impeto ai miei melograni!” –Spiegò l’uomo. –“Perciò non
sforzatevi troppo di resistere, poiché non soltanto sarebbe vano, ma
accelererebbe la vostra fine! Ah ah ah!” –Rise
l’Emissario di Era, muovendosi per andarsene, lasciando Nestore e Giasone
imprigionati in un mare di piante.
“Aspetta un momento!!!” –Gridò Nestore
dell’Orso, dimenandosi all’interno di quella selva. –“Io ti ho riconosciuto!!!”
–Esclamò, prima che due steli robusti gli strozzassero il collo. –“Traditoreee!!!”
L’Emissario di Era, con il simbolo del
Melograno, si voltò un’ultima volta verso i due Heroes intrappolati in
quell’agonia naturale, prima di sfilarsi l’elmo blu dell’armatura e rivelare il
suo volto, solcato da un sorriso perverso. Un volto che Nestore e Giasone
conoscevano bene, poiché apparteneva a uno degli Heroes più cari ad Ercole.
Nuovamente assisa sul suo trono nella
grande sala, Era sorrideva soddisfatta, mentre Argo, in ginocchio di fronte a
lei, continuava a lamentarsi e ad offendere gli uomini, da lui eternamente
disprezzati. Improvvisamente un debole cosmo fece la sua comparsa nell’Heraion, venendo immediatamente percepito dalla Dea e dai
suoi Emissari, che subito si spaventarono, non riconoscendolo, ma Era fece loro
cenno di tacere, cercando di aiutare il suo informatore a mettersi in contatto
con lei.
“Mi avete dunque riconosciuto, Regina
degli Dei?!” –Domandò la giovanile voce.
“Dev’essere
accaduto qualcosa di preoccupante, Lica, se tenti di
metterti in contatto con me tramite il cosmo, rischiando di essere scoperto e
di far fallire i miei piani!” –Esclamò la Dea.
“C’è qualcosa di cui penso dobbiate
essere informata, mia Signora!” –Spiegò Lica,
raccontando ad Era la spedizione che Ercole aveva organizzato in Asia, con il
fine di recuperare la Lama degli Spiriti, spedizione di cui egli stesso faceva
parte. –“Le possibilità di riuscita sono minime! Pur tuttavia, qualora la
missione dovesse aver successo…”
“La missione fallirà!” –Tuonò Era,
interrompendo bruscamente il giovane e alzandosi dal trono di scatto, di fronte
allo sguardo preoccupato persino di Argo. –“È tuo compito adoperarti per farla
fallire, Lica, per boicottarla in ogni modo
possibile, per creare ritardi e disturbi di ogni sorta! Per far sì che la Terza
Legione si perda per sempre nelle impervie vallate del Karakoram!
Ah ah ah!” –Sghignazzò Era, mentre la comunicazione
con il suo informatore scemava di intensità.
“Farò del mio meglio, mia Signora!”
–Furono le ultime parole che Era udì, prima che il collegamento tramite il
cosmo scomparisse nel vento.
“Lo spero per te!” –Esclamò Era,
scendendo imbestialita gli scalini di marmo della sala del trono.
“Mia Regina!” –La chiamò Argo, rimasto
in ginocchio di fronte allo scranno. –“Inviate me in Asia! Saprò servirvi nel
migliore dei modi, facendo fallire quel miserabile tentativo di opporvi
resistenza!”
“Apprezzo il tuo intervento, Argo, ma
devo rifiutarti il permesso! Tu sei il mio Sacerdote, il mio più fidato
consigliere! L’unico uomo che valga la pena salvare! E rimarrai con me fino
alla fine, a contemplare la rovina di Ercole dall’alto di Samo
senza sporcare di sangue o di polvere la tua splendida veste!” –Esclamò Era,
prima di rivolgersi ai due guerrieri inginocchiati alla base della scalinata.
–“Vacca! Pavone! Sfrecciate in Asia e impedite a quei patetici umani di portare
a compimento la loro missione!”
“Con qualunque mezzo?” –Sogghignò Kyros del Pavone, alzandosi in piedi e
fissando la Dea con aria di sfida.
“Con qualunque mezzo!” –Puntualizzò
Era, prima di voltarsi e incamminarsi nuovamente verso il trono. –“La Lama
degli Spiriti non dovrà cadere in mano di Ercole! Costi quello che costi, essa
sarà mia!”
Capitolo 8 *** Capitolo settimo: La legione furiosa. ***
CAPITOLO SETTIMO: LA LEGIONE FURIOSA.
La Sesta Legione avanzava a passo
veloce nelle pianure boscose a sud di Tirinto,
proseguendo nella direzione da cui arrivavano le grida stridule dei Kouroi e il pesante risuonare dei loro grevi passi sul
terreno. Erano tredici guerrieri, tutti maschi, molto ben addestrati alla
battaglia, al punto che, tra le sei Legioni di Heroes, la Sesta era quella
caratterizzata dalla maggior esperienza e potenza bellica e veniva chiamata
anche la Legione Furiosa, poiché mai i suoi guerrieri avrebbero rifiutato un
combattimento, lanciandosi ogni volta con furore contro i loro avversari.
La guidava Chirone del Centauro,
un uomo affascinante quanto arrogante e solitario. Aveva un fisico piazzato,
frutto di un addestramento iniziato fin dall’infanzia, ed era anche molto agile
in battaglia, oltre che un esperto stratega e un ottimo Comandante. Era un
uomo, come lo definivano i suoi guerrieri, che sapeva farsi rispettare, anche
soltanto con un ordine dettato dall’imperioso tono della voce. I più giovani ne
avevano paura, poiché temevano di errare ed incontrare un rimprovero o una
punizione, che la voce di Chirone faceva sembrare una condanna a morte. Era
arrogante e vanaglorioso, amava prendersi il merito per i risultati che
otteneva, spingendo per essere sempre in prima fila e per mostrare il suo
potenziale, ed in questo era simile agli altri membri della Sesta Legione,
rozzi e brutali, poco inclini al dialogo e al compromesso. Uomini che
preferivano la battaglia e l’esercizio fisico all’arte e alla religione. Uomini
pratici, un po’ strafottenti, e non uomini di preghiera o di riflessione.
Ma Chirone era un Comandante onesto e
soprattutto un uomo sincero e fedele ad Ercole. Per lui un ordine del Dio
dell’Onestà valeva più di mille parole e mai si sarebbe opposto o avrebbe
contestato una sua decisione, anche se questa non incontrava il suo assenso. E
aveva tentato di trasmettere questa tendenza al rispetto delle gerarchie e al
culto del capo anche ai membri della sua Legione, cercando di massimizzarne i risultati,
potenziando le singole capacità di ognuno. Così la Sesta Legione era quella
maggiormente organizzata in caso di guerra, disponendo di esploratori, arcieri,
musici d’assalto, tattici e persino di fabbri, avendo Druso di Anteus nelle sue fila, il fabbro più abile dell’intera
Grecia.
Quel giorno, Druso era rimasto a Tirinto, per terminare la produzione di armi e la
manutenzione di armature per la guerra, e assieme a lui era rimasto anche Tiresia dell’Altare, l’unico tra i guerrieri della Sesta
Legione a non provare interesse per la guerra né per i combattimenti fisici,
preferendo trascorrere le giornate in meditazione, venendo per questo
etichettato come “diverso”, e spesso schernito dai suoi rozzi compagni. Ma
Chirone, che non era uno stupido, ma un uomo molto intelligente e dall’acume
profondo, non osava mai criticare l’operato di Tiresia,
lasciandolo libero di agire come meglio riteneva, purché non in contrasto con i
comandamenti di Ercole e di Chirone stesso.
“Quanto credi che manchi?!” –Esclamò
una decisa voce maschile, rivolgendosi al Comandante della Legione Furiosa.
Chirone si voltò verso l’uomo che
marciava al suo fianco, Mistagogo di Tifone, l’unico a cui permetteva di
rivolgersi a lui con un tono così informale. L’armatura che indossava, lo
sguardo maschile e deciso, i modi rudi e sprezzanti, rendevano Mistagogo
un’entità al livello dello stesso Chirone, capace di zittire i dissensi anche
solo con uno sguardo e di incutere paura e rispetto al tempo stesso. Erano in
pochi a saperlo, ma Mistagogo era legato a Chirone non soltanto da un rapporto
di dipendenza gerarchica, essendo il suo secondo ufficiale, ma anche da un
legame di parentela, essendo suo fratello maggiore.
“Fermiamoci!” –Esclamò Chirone, quando
la Legione giunse in una radura erbosa, circondata da un fitto bosco di alberi
e da alti cespugli.
Il suono dei passi dei Kouroi si faceva sempre più pesante e pareva che la terra
rispondesse con un fremito all’avanzata dei Giganti di Pietra. Alcuni guerrieri
della Sesta Legione sentirono un brivido correre lungo la loro schiena
all’udire quei suoni così violenti, che pareva provenissero dall’Inferno.
Chirone ordinò ai suoi soldati di armarsi e prepararsi per la battaglia.
“Sarà dura! Lo sento! Ma noi non
arretreremo! Nessuno di noi lo farà!” –Esclamò Chirone, incalzando i suoi
soldati.
“Come conti di affrontare questi
Giganti?! Rimanendo qua ad attendere il loro arrivo?!” –Lo criticò apertamente
una decisa voce.
“Ificle della Clava! Non mi
risulta di averti concesso la possibilità di usare un simile tono nei miei
confronti!” –Sentenziò Chirone, espandendo il cosmo e schiacciando con esso a
terra il guerriero della Clava, che ruggì nervosamente, battendo le sue enorme
mazze sul suolo.
“Comandante!” –Lo chiamò un altro
guerriero, Dinaste di Antinous,
dall’aria altera e superba. –“Come dobbiamo disporci?!” –E non si trattenne dal
sorridere maliziosamente, alla vista del corpulento e spaccone Ificle della
Clava inginocchiarsi forzatamente di fronte al Comandante che tanto
disprezzava, considerandolo più debole di lui.
“Prepariamoci per un attacco frontale!”
–Ordinò Chirone, disponendo i vari Heroes nella radura. –“Non ci sarà vittoria
rimanendo in difesa, ad attendere che il nemico invada la nostra terra!
Soltanto l’onta della sconfitta, che a noi non appartiene! Perciò, avanzate
Heroes, e non fermatevi, neppure quando il sangue sgorgherà copioso dalle
vostre ferite, neppure quando le forze per sollevare la spada non vi basteranno
più! Continuate ad avanzare! Sempre e comunque! Ci sarà tempo per riposare, nei
beati campi del Paradiso degli Eroi! Ma non oggi!” –Gridò Chirone, infiammando
lo spirito degli Heroes, che sollevarono congiuntamente le armi e le braccia al
cielo, gridando in preda ad un delirio profondo che li scuoteva ogni volta che
dovevano prepararsi ad una battaglia.
Un ruggito anticipò l’arrivo dei Kouroi, alti Giganti di Pietra, che marciavano verso di
loro, distruggendo gli alberi e le poche costruzioni sparse che sorgevano nel
bosco, ed esso fu il segnale per sferrare il primo attacco. La Sesta Legione
ruppe le righe e si lanciò avanti, con i cosmi carichi di fiammeggiante
energia. Chirone sfrecciava in testa al gruppo, con il pugno pronto a caricare,
mentre Mistagogo di Tifone, alla sua destra, aveva già evocato il suo possente
turbine di energia, scagliandolo per primo contro i tre Kouroi,
con l’intento di spazzarli via.
Dietro di loro, Diomede della
Balestra, abile arciere, sollevava il braccio destro, su cui era
posizionata la sua balestra, scagliando un centinaio di penetranti frecce
energetiche contro i Giganti di Pietra, mentre Ificle della Clava impugnava le
sue armi, lanciando violenti assalti, seguiti dagli altri Heroes loro compagni.
Ma tutti ebbero un’amara sorpresa, poiché per quanto possenti e ben coordinati
fossero i loro attacchi non sortirono alcun effetto se non far imbestialire
ulteriormente i Kouroi, che iniziarono a battere i
loro robusti piedi sul terreno, cercando di calpestare quei ridicoli insetti
che osavano opporsi al loro cammino.
“Maledizione!” –Esclamò Diomede,
caricando nuovamente l’arma e osservando sconcertato le frecce di energia che
sbalzavano via, senza danneggiare in minimo modo la superficie dei Giganti di
Pietra. –“I nostri colpi non hanno efficacia! Non riusciamo a raggiungerli!”
Dinaste
di Antinous, il più dotato psichicamente dei
guerrieri presenti, concentrò i propri sensi, fissando i Kouroi
che avanzavano verso di loro, e percepì un potente strato di energia cosmica
ricoprire la loro superficie, al punto da renderli pressoché invulnerabili.
Un’energia cosmica da loro non superabile, poiché di matrice divina.
“Mi rifiuto di crederci!” –Commentò
spavaldo Chirone del Centauro. –“Non esiste niente in natura che duri in
eterno! Neppure un cumulo di sassi e di ghiaia!” –Ringhiò, lanciandosi
nuovamente all’assalto, avvolto dal suo cosmo rossastro che lo rendeva simile
ad un’infuocata palla di energia, che nuovamente si schiantò contro un fianco
di un Gigante, venendo respinto senza provocargli alcun danno.
“Spero che ne siate convinto adesso, Comandante!”
–Ironizzò Dinaste, avvicinandosi a Chirone, che si stava
rimettendo in piedi.
“Questo complica le cose!” –Si limitò a
commentare questi, osservando il turbine energetico di Tifone scontrarsi contro
l’invisibile protezione dei Kouroi e ritornare
indietro, mentre Mistagogo precipitava proprio ai suoi piedi. –“Rialzati,
forza! Dobbiamo cambiare strategia!”
“Se non possiamo sconfiggerli, cosa
facciamo? Ci uniamo a loro?!” –Esclamò Dinaste, con
tono canzonatorio verso il Comandante.
“Ti sei venduto ad Era, Dinaste?” –Ringhiò Chirone, mentre il resto degli Heroes si
radunava attorno a loro.
“E se anche fosse?!” –Esclamò spavaldo Dinaste, fiero di tener testa al Comandante.
“Non vivresti abbastanza per vedere il
tramonto del sole quest’oggi!” –Sentenziò Chirone, prima di proporre la sua
nuova idea. –“Se non possiamo sconfiggerli con la forza bruta, useremo
l’astuzia! Aureliano, siamo nelle tue mani!” –Aggiunse, rivolgendosi al pittore
ufficiale di Tirinto, le cui creazioni erano intrise
della sua energia cosmica, potendo all’occasione trasformarsi in ottime armi da
utilizzare in combattimento. –“Devi creare un dipinto alto e vasto, dalle
dimensioni di questa radura, capace di contenere i tre Kouroi!”
“Che cosa?!” –Aureliano del Pittore
sgranò gli occhi sconcertato dalla richiesta del suo Comandante, ma dopo che vi
ebbe riflettuto un momento comprese l’astuto piano che Chirone aveva messo in
atto, e iniziò subito il suo lavoro. –“Se non possiamo sconfiggerli, possiamo
sempre metterli in condizione di non nuocere, no?!”
“Una tela immensa!” –Rifletté Lino
di Orfeo, musico della Sesta Legione, le cui melodie erano celebri per gli
incubi che generavano nella mente degli avversari, piuttosto che per
l’armoniosa composizione delle sue note. –“Ove attireremo i Kouroi,
per rinchiuderveli per l’eternità!”
“L’eternità è un periodo piuttosto
lungo anche per loro!” –Commentò Aureliano, continuando a lavorare sulla tela.
–“Questo dipinto è progettato in modo da ridurre progressivamente lo spazio
interno, fino a diventare un contenitore troppo piccolo per l’enorme massa ed energia
rappresentate dai Kouroi! Per cui, ad un certo
momento, esploderà, disintegrando tutto ciò che vi è stato imprigionato!”
“Questo piano è una grandissima
bufala!!” –Ringhiò Ificle della Clava, agitando le sue armi in aria come un
forsennato. –“Dovremmo credere che un dipinto possa contenere quei Giganti? Ma
li avete visti come sono? Esseri immensi, creature demoniache risvegliate dal
cosmo di Era!! E ritenete che il dipinto di un uomo possa fermarli?!”
“Hai qualche idea migliore, Ificle?!”
–Esclamò Chirone, posizionandosi a braccia conserte di fronte al muscoloso
guerriero.
“Un attacco diretto! È l’unica cosa che
possiamo fare! Continuare a provarci finché non sfonderemo le loro protezioni!
Non possono essere indistruttibili!” –Ringhiò Ificle, ma Chirone scosse la
testa, non intendendo sprecare tempo ed energie preziose in un’azione suicida.
“Ma se vuoi accomodarti…
fai pure!” –Ironizzò, incitando Aureliano a terminare in fretta la tela.
I Kouroi,
dopo aver calpestato il suolo attorno alla radura, si mossero verso Tirinto, tra grida infernali e frastuono assordante.
Chirone diede ordine di sorpassarli e di fermare la loro avanzata, attirandoli
verso il dipinto che Aureliano aveva appena terminato di realizzare, grazie ai
suoi pennelli in grado di riprodurre all’istante tutto ciò che gli occhi del
pittore visualizzavano, sì da snellire il suo lavoro. Un’enorme tela, lunga
decine di metri e alta una dozzina, venne srotolata ai margini della radura,
sorretta dalle possenti braccia di Efestione
di Erakles e di Mistagogo di Tifone, mentre gli
Heroes della Sesta Legione si disposero di fronte ad essa, per attirare il
primo dei tre Kouroi al suo interno.
Chirone scagliò un attacco contro il
suo volto, infastidendo il Gigante di Pietra, che deviò dal suo percorso,
dirigendosi verso il gruppo di uomini ai suoi piedi. All’ordine di Chirone del
Centauro, un gruppetto di Heroes si lanciò contro la tela dipinta da Aureliano,
che riproduceva alla perfezione il paesaggio circostante, rendendo impossibile
distinguerne la differenza. Come per magia, Chirone e gli altri si ritrovarono
all’interno della tela, in una radura identica a quella che si erano lasciati
alle spalle, con gli stessi alberi circostanti e una collina con una cascata in
lontananza. Quello era il massimo di profondità raggiunto dalla tela, uno
spazio infimo, dove i tre Kouroi avrebbero dovuto
rimanere imprigionati.
Il Gigante di Pietra entrò all’interno
della tela, senza rendersene conto, pochi attimi dopo, continuando a correre
avanti a sé, fino a percepire qualcosa di diverso, qualcosa che sembrava non
appartenere più alla sua dimensione. Come se fiutasse il pericolo, il Kouros si
fermò, guardandosi intorno con rabbioso sospetto, prima di notare il gruppo di
Heroes ai suoi piedi, e ringhiare loro contro con violenza.
“Comandante! Con tutto il rispetto,
credo sia l’ora di andarcene da questa tela e chiudere il portale alle nostre
spalle!” –Esclamò Diomede della Balestra, caricando nuovamente il suo braccio
di frecce energetiche. Pur sapendo che non lo avrebbe ferito, Diomede scagliò
un nugolo di dardi contro il volto del Gigante, che stava correndo
disperatamente verso di loro, senza scalfirlo, prima che le robuste mani di
Chirone del Centauro lo trascinassero via, portandolo fuori dalla carica del Kouros,
che continuò a girare in tondo, a guardarsi in giro, quasi potesse percepire
l’uscita da quella strana gabbia che sembrava così reale.
Chirone fece un cenno ad Aureliano e
assieme a Diomede si diressero verso l’uscita, un portale tra due dimensioni rimasto
aperto fino a quel momento grazie alla presenza di Lamia
dell’Amazzone, uno degli Heroes della Sesta Legione, a cavallo tra i due
mondi, in modo da mantenerlo aperto e visibile. Ma quando Chirone, Aureliano e
Diomede fecero per avvicinarsi al portale, Lamia
scomparve, rientrando nella radura e richiudendo il passaggio dietro di sé.
“Ma?! Lamiaaaa!!!”
–Gridò Chirone furibondo, continuando ad avanzare, rendendosi conto di aver
perso ogni traccia del passaggio dimensionale.
“Non può essere!” –Esclamò Aureliano,
sconcertato, mentre Diomede perlustrava ogni centimetro attorno a loro, alla
ricerca di un segno. –“Comandante! Non affannatevi a cercare! Se anche
trovassimo il luogo esatto del passaggio, non saremmo comunque in grado di
aprirlo! La tela che ho dipinto è una gabbia perfetta, apribile soltanto
dall’esterno!”
“Siamo in trappola!” –Si limitò a
commentare Diomede, fissando i suoi compagni con aria sgomenta.
All’esterno della tela, Lamia dell’Amazzone ne era uscito con un sorriso perverso
sul volto e a Mistagogo, che reggeva il dipinto dall’altro lato, sembrò di
cogliere un segno di intesa verso Efestione di Erakles.
“Che significa? Dove sono gli altri?!”
–Tuonò l’Hero del Tifone.
“Ti mancano? Lascia che ti aiuti a
raggiungerli!” –Ringhiò Ificle della Clava, apparendo alle sue spalle e
sollevando la sua possente arma, per calarla sul suo cranio. Ma l’Hero del Tifone fu abile a non lasciarsi prendere di
sorpresa, lasciando la presa del dipinto, la cui tela iniziò ad arrotolarsi, e
afferrando con entrambe le mani la clava del corpulento avversario. –“Stolto!”
–Sogghignò Ificle, liberando una violenta scarica di energia, usando la clava
proprio come catalizzatore. Mistagogo ritirò le mani, che sembravano ardere
come braci, ma determinato a non arrendersi si lanciò contro Ificle, per
colpirlo con una poderosa spallata.
“Fermo!” –Esclamò infine Dinaste di Antinous, fermando i
movimenti dell’Hero di Tifone, grazie ai suoi poteri
psichici. Ificle non diede tempo al secondo ufficiale di concentrare le forze e
lo colpì in pieno viso con un secco colpo della sua clava, sbattendolo a terra
e fracassando l’elmo della sua corazza. Con una violenta onda di energia
mentale, Dinaste scaraventò Mistagogo all’interno
della tela, tra le grida dell’Hero di Tifone, proprio
mentre sopraggiungevano per portargli aiuto i giovani guerrieri della Sesta
Legione: Lino di Orfeo, Lisitea del Vampiro, Mentore
della Stella Marina, Perseo della Testa di Medusa e Tespio dello Scudo.
“Che state facendo?!” –Urlò Perseo
della Testa di Medusa, osservando Dinaste
scaraventare in malo modo Mistagogo all’interno della tela. –“Dov’è il
Comandante Chirone?!”
“Il Comandante ha abdicato!” –Esclamò Ificile della Clava, facendosi incontro ai cinque giovani,
battendo con forza una Clava sul palmo aperto dell’altra mano. –“E adesso è a
me che dovrete obbedire!!”
“Puoi scordartelo, bestione!” –Affermò Tespio
dello Scudo. –“Questo è ammutinamento, Ificle, ed è punibile con la morte!
La tua invidia nei confronti di Chirone, il tuo senso di inferiorità, il tuo
sentirsi più bestia che uomo ti hanno infine spinto ad assassinare il
Comandante che tanto hai disprezzato, non trovando altre opportunità per
dimostrare il tuo valore?! O forse, più semplicemente, il tuo valore non è mai
esistito?”
“Hai la lingua lunga, ragazzo! Ma te la
taglierò!” –Sibilò Ificle, concentrando il suo cosmo sulla Clava e muovendola
dal basso verso l’alto, come per colpire il giovane che era parecchi metri
avanti a lui. Lo spostamento dell’arma generò una violenta onda d’urto che si
infranse con fragore contro lo scudo dell’Armatura di Tespio, dietro al quale
il ragazzo si rifugiò per proteggersi, stringendo i denti per la violenza
dell’assalto.
“Tespio!!!” –Intervennero gli altri
quattro Heroes, lanciandosi avanti, avvolti nelle loro scintillanti aure
cosmiche. Ma Dinaste di Antinous
si portò immediatamente tra loro e Ificle, generando un muro di energia
psichica che fermò l’avanzata dei giovani, prima di respingerli con una
violenta onda energetica, scaraventandoli parecchi metri addietro.
Immediatamente Lamia dell’Amazzone e Efestione di Erakles scattarono
avanti, travolgendo i quattro ragazzi e ferendoli con colpi decisi.
Lamia
dell’Amazzone liberò le proprie catene d’argento scuro, dirigendole contro il
corpo di Lisitea del Pesce Vampiro,
trafiggendo la sua corazza in più punti, prima di stringerlo in una stretta
morsa, facendo frammenti delle sue difese, mentre Efestione
di Erakles concentrava tutta la sua forza in un
poderoso pugno di energia cosmica con il quale spaccò il petto di Perseo della
Testa di Medusa, trapassandolo da parte a parte. Non contento, il corpulento
guerriero colpì il ragazzo, piegato in due a vomitare sangue, al collo con gli
spuntoni sporgenti del bracciale destro della sua corazza, con una violenza tale
da troncargli l’osso del collo e da trinciargli la testa, di fronte agli occhi
sgomenti dei suoi compagni Heroes.
Lino di Orfeo, indietreggiando a tale
orrida visione, rimase completamente scioccato, incapace di comprendere cosa
stesse accedendo, incapace di dare una giustificazione logica a così tanto
odio, a così tanta violenza. Chirone aveva addestrato i suoi guerrieri ad
essere freddi e risoluti in battaglia, a non lasciarsi dominare dai sentimenti
ma soltanto dalla propria missione, ma non aveva mai tollerato, né istigato,
simili riti barbarici. Cercando di reagire, il musico di Tirinto
bruciò il cosmo, sfiorando la cetra che portava con sé. Immediatamente una
mesta musica risuonò nella radura, una canzone triste che narrava di gesta
meschine.
“È dunque questa la follia?!” –Mormorò,
pizzicando le corde della cetra, mentre la musica scivolava nel vento,
giungendo alle orecchie di Dinaste, Efestione, Lamia e Ificle, i
quattro Heroes che avevano tradito Ercole e massacrato i loro compagni e che,
per tale abominio, meritavano una condanna peggiore della morte. –“Ascoltate il
canto che intono per voi, la musica che vi farà da guida nell’ultimo viaggio
della vostra vita, quello che vi condurrà verso l’ultima isola, verso la
follia! Uccidervi sarebbe troppo poco, non ripagherebbe Ercole né noi, suoi
fedeli guerrieri, del male che avete arrecato quest’oggi a molti! Al Comandante
Chirone e ai nostri compagni, e al Dio a cui avete giurato fedeltà! Per questo
vi punirò io, Lino, di corte musico, di stragi e battaglie cantore, di uomini
in preda alla follia aedo, e della vostra ingloriosa fine testimone!”
Le note della cetra piegarono in
ginocchio Efestione, Lamia
e Ificle, mentre i tre guerrieri si portavano le mani alla testa, per coprirsi
le orecchie, per sfuggire a quel diabolico suono che gli ronzava nella mente,
facendo cenere di ogni altro pensiero, diventando l’unica luce che i loro occhi
avrebbero potuto vedere. Non c’era fuga, non ve ne era possibilità alcuna.
Ascoltare la musica, cedere alla stanchezza, e quindi impazzire, o togliersi la
vita, con le loro stesse mani, e morire. Efestione
crollò a terra, battendo il braccio destro contro il suolo, cercando di
spegnere quel fischio che gli stava spaccando il cervello. Il suo bel viso
curato sembrava adesso deformato, stravolto nei lineamenti da un impeto di
folla a cui non sapeva opporre alcun controllo, alcun discernimento. Iniziò a
battere il braccio destro contro il proprio petto, per sentire le acuminate
punte degli spuntoni ferirgli il corpo, sperando di trovare la forza per porre
fine a quel martirio.
Ificle, dal canto suo, era la vittima
che maggiormente risentiva della musica delirante di Orfeo, sprovvisto di
barriere psichiche in grado di proteggerlo da attacchi di quel genere. Vagò
avanti e indietro nella radura, percuotendosi il cranio con le clave, fino a
spaccare le corna dell’elmo, e l’elmo stesso, mentre sangue scendeva sul suo
cranio deforme, dandogli un aspetto ancora più infernale. Lamia
stava impazzendo, strappandosi i capelli, avvolgendosi nelle sue catene,
stritolandosi il collo, fino a sentire le ossa schiantarsi all’interno, mentre
grida disperate non riuscivano a sovrastare il suono della cetra, che avvertiva
dentro il suo cervello.
Quando Lino convenne di essere riuscito
ad imprimere nella loro mente la continua ripetizione della melodia della
follia, allontanò le dita dalla cetra, smettendo di suonare ed osservando con
disprezzo, e anche con tristezza, gli Heroes traditori rantolare al suolo,
contorcendosi dalla pazzia. Mentore fece per urlargli qualcosa, ma il suono
della sua voce venne anticipato dal violento assalto alla velocità della luce
che Dinaste di Antinous
condusse contro Lino, travolgendolo con un’onda di energia. Il musico di Tirinto venne scaraventato contro un albero, ricadendo a
terra e perdendo la presa della cetra che si scheggiò, rimanendo con due corde,
e quando riuscì a rimettersi in piedi, con le ossa doloranti, osservò
l’imponente sagoma di Dinaste sovrastarlo a pochi
metri di distanza.
“Bella musica la tua! Ma avresti dovuto
impiegare il tempo a scrivere un canto di morte, poiché adesso il tuo trapasso
non sarà scandito da alcuna nota!” –Esclamò.
“Di.. Dinaste!!
Come puoi non aver risentito delle note della mia cetra? Il mio Requiem di
Follia non ha dunque avuto effetto?!” –Affermo Lino, sconvolto, recuperando
la propria arma.
“Mi sottovaluti, musico! Non
dimenticare i miei poteri mentali! Sono così estesi da suscitare l’ammirazione
persino di Pasifae del Cancro e di Tiresia dell’Altare, gli Heroes più psicodotati
di Tirinto!” –Spiegò Dinaste,
sollevando un braccio e volgendo il palmo a Lino. –“Perciò non mi è stato
affatto difficile prendere il controllo della tua musica e ordinarle di non
disturbarmi più! Il tuo Requiem di Follia non mi ha mai raggiunto!” –Aggiunge,
prima di paralizzare il corpo di Lino di Orfeo, bloccandolo a mezz’aria, mentre
la cetra gli scivolava di mano, schiantandosi sul terreno. Dinaste
di Antinous si mosse per avvicinarsi, ma Tespio dello
Scudo, Mentore della Stella Marina e Lisitea del
Pesce Vampiro, seppur feriti, si lanciarono contro di lui per proteggere il
compagno, venendo però respinti da una barriera invisibile, quasi trasparante,
di energia, che proteggeva l’Hero traditore. Gli
bastò un altro cenno della mano per travolgere Lino con un nuovo frangente di
energia e distruggere la sua corazza e la sua cetra. Al terzo, Lino era
schiantato contro un albero, boccheggiando a fatica, incapace di rimettersi in
piedi.
“Hai le gambe spezzate! L’onda d’urto
che ti ha investito ha massacrato le tue ossa!” –Spiegò Dinaste,
prima di avvolgere i suoi tre compagni con il suo cosmo, placando la follia che
albergava nella loro mente e riportandoli alla ragione. –“Ificle! Efestione! Lamia!” –Li chiamò l’Hero di Antinous, osservando i
suoi compagni accasciarsi a terra e ansimare, liberi finalmente da quella
melodia che gli ronzava in testa, liberi dalla pazzia che stava per
sopraffarli.
“Cosa.. è accaduto?!” –Domandò Efestione, osservando il pettorale della sua corazza
crepato in più punti, dove gli spuntoni del bracciale si erano conficcati,
senza scendere in profondità.
“Puoi chiederlo tu stesso al musico di
corte!” –Sogghignò Dinaste, facendosi da parte. Ormai
considerava concluso il suo intervento e non aveva intenzione di sporcarsi le
mani con quei ragazzini. Sarebbero bastati due colpi di clava ben assestati per
eliminarli tutti. Ma, passandogli accanto, Dinaste
non si lasciò mancare un sorriso malizioso nei confronti di Ificle,
ricordandogli chi fosse in fondo il vero capo tra loro.
Efestione,
appresa la verità, si incamminò a passo deciso verso l’albero ove giaceva Lino
di Orfeo, inerme e impossibilitato a sfuggirgli, e lo sollevò con il braccio
sinistro, sputandogli sul viso il suo disprezzo, mentre gli spuntoni sul
bracciale destro si allungavano ed egli li affondava nella faccia del musico,
sfigurandolo. Nello stesso tempo, Lamia dell’Amazzone
liberò le proprie catene, travolgendo Lisitea del
Pesce Vampiro, che correva per salvare Orfeo, e trapassandolo da parte a parte.
Mentore della Stella Marina,
approfittando della sua distrazione, incrociò le braccia avanti a sé,
caricandole di cosmo e dirigendo una croce di energia contro l’Hero traditore, che fu abile a richiamare le proprie
catene, disponendole intorno a sé per proteggersi. Quindi lanciò una catena
avanti, intrappolando le braccia di Mentore in una stretta morsa, prima di
scagliargli contro anche la seconda arma, afferrandogli la testa e
piegandogliela di lato, fino a spezzargli il collo.
“Sei rimasto solo!” –Commentò Ificle della
Clava, avanzando, con entrambe le armi in mano, verso il coraggioso Tespio
dello Scudo, il quale, pur in preda allo sgomento per l’atroce sorte dei
compagni, aveva ancora abbastanza carattere per non indietreggiare,
fronteggiando lo sguardo assassino di Ificle e caricando il suo scudo di tutto
il suo cosmo argentato. –“Clava distruttrice!” –Gridò Ificle, sollevando
un’arma con la mano destra e spostandola di lato, generando un’onda di energia
che si abbatté su Tespio, che dovette mettere tutto se stesso per non essere
travolto. –“Crolla!!!” –Sentenziò Ificle, calando la Clava con un colpo secco
sullo scudo di Tespio, che, per quanto resistente, andò in frantumi, spaccando
persino il braccio del ragazzo. Un secondo colpo raggiunse Tespio ad un fianco,
facendolo barcollare, ed un terzo lo colpì ad una spalla, distruggendogliela e
piantandolo a terra, incapace di reagire. Capace solo di attendere il quarto
colpo di clava, con cui Ificle gli spaccò il cranio, gettando via il corpo
sanguinante con un moto di disprezzo.
“E con questo abbiamo compiuto il
nostro lavoro!” –Commentò Ificle, piantando la Clava nel terreno, quasi fosse
una bandiera, in segno di vittoria. –“Chirone, Diomede, Mistagogo e Aureliano
sono rinchiusi nel dipinto, e gli altri cinque ragazzi sono stati massacrati!
Soltanto Druso e Tiresia rimangono in vita, degli
Heroes della Sesta Legione!”
“E sai chi ringraziare per questo!”
–Ironizzò Dinaste, incrociando le braccia al petto,
mentre Ificle lo fulminava con uno sguardo demoniaco.
“Guardate il dipinto!” –Esclamò Lamia, per distogliere l’attenzione tra i due rivali. –“Si
è già notevolmente rimpicciolito!”
“E nelle prossime ore l’immensa tela
diverrà sempre più piccola e soffocante, e in quell’angusto spazio, qualora non
siate massacrati prima da quel folle del Kouros, voi perirete, Comandante! Ah
ah ah!” –Rise sguaiatamente Ificle della Clava, prima
di recuperare le sue armi e incitare i compagni a seguirlo verso Tirinto.
L’uomo che per anni aveva maledetto il
suo altero Comandante, ritenendo di essere migliore di lui, di essere più forte
e più dotato, l’unico degno di guidare la Legione Furiosa, era stato anche
colui che l’aveva condannata a morte, decretando la sua estinzione. Aveva
ricevuto un’offerta che molto l’aveva allettato, spingendolo a radunare un
gruppo di vecchi compagni, insofferenti come lui all’idealismo di Ercole e di
Chirone, e a ribellarsi ai suoi stessi compagni, abbandonando la luce per
l’ombra. Da quel momento erano nati gli Shadow
Heroes, gli Eroi dell’Ombra, ed avevano prosperato in silenzio nelle sei
Legioni di Ercole.
Mai
come in quel momento si era trovato in difficoltà.
La
Legione Alata, da lui comandata, era stata spazzata via, schiacciata dalla
potenza dei Giganti di Pietra che Era aveva animato e che continuava a
proteggere anche da lontano. Il suo braccio destro, Damaste della Gura, continuava a guidare gli ultimi irriducibili
contro i Kouroi, ma ormai niente poteva rendere loro
la fiducia nella vittoria, messi di fronte all’ineluttabile certezza di non
essere capaci di fermare l’avanzata dei tre colossi. Deianira del Lofoforo, l’unica donna a cui era legato, era stata
colpita ed era precipitata a terra, cadendo in una ragnatela di energia
cosmica, tessuta da Caropo del Pappagallo,
da sempre innamorato non corrisposto della bella Sacerdotessa, ed egli giaceva
adesso ai suoi piedi: ferito, ansimante e con il viso sporco di sangue e
sconfitta. Ma era ancora lui, Adone dell’Uccello del Paradiso, il
Comandante della Prima legione, l’uomo più ammirato da tutte le Sacerdotesse di
Tirinto, il cui sguardo, anche solo per una volta,
tutte speravano di incontrare, per quanto poche fossero in grado, pur da dietro
la maschera che indossavano, di reggerlo per più di un minuto.
“Con tutto
il rispetto, Comandante!” –Esclamò Alexandros del Ramo e di Cerbero con
disprezzo, togliendo il ramo carico di energia dalla schiena di Adone. –“Siete
destituito! Ah ah ah!”
“Ale... Alexandros!!” –Balbettò Adone, sputando sangue e
bava.
“Pulisciti,
schifoso!” –Gridò Caropo, sferrando un calcio sul
viso di Adone, spaccandogli la mascella. –“Ah ah ah! Guardalo ora! Guardalo
adesso, Deianira! L’uomo che hai amato, per cui ti sei distrutta nelle tue
notti senza stelle, consumata dall’amore proibito che divorava il tuo cuore, è
un nulla di fronte a me, sporco di sangue e di bava, di terra e di sconfitta!
Guardalo adesso e ritratta i tuoi sentimenti, poiché tu, dolce fiore, meriti
qualcosa di meglio! Qualcuno di migliore!”
“E saresti
tu quel qualcuno?” –Sputò Adone, cercando di rimettersi in piedi, per quanto la
ferita alla spalla gli dolesse in maniera pazzesca. –“Un traditore, niente di
più! Un debole, che non esita a tradire il suo Comandante, il suo Dio, i
compagni a lui fedeli, vendendoli alla morte, solo per inorgoglirsi di un onore
che non gli appartiene?!”
“Come
osi, cane?!” –Avvampò Caropo, avanzando verso di lui,
ma Alexandros, a cui quei dialoghi strazianti tra loro non interessavano, lo
fermò, pregandolo di mantenere la calma. –“So quello che faccio!” –Lo zittì Caropo, con una luce rossa negli occhi.
“Lascia i
tuoi sentimenti fuori da questa guerra, Caropo!
Potrebbero essere controproducenti!” –Lo avvertì Alexandros, ma l’Hero del Pappagallo parve non prestargli alcuna attenzione.
L’unica cosa che gli interessava, l’unica da cui non toglieva gli occhi, era
osservare il suo Comandante, lo splendido Adone amato da Deianira, rantolare ai
suoi piedi, barcollare come uno zoppo, tastandosi la profonda ferita sulla
spalla. Avrebbe voluto trafiggere ancora il suo corpo e gettare la sua carcassa
agli avvoltoi, succulento banchetto per celebrare le sue nozze con Deianira.
“Ecco
che spira, o Citerea, il tenero Adonis! Che cosa
faremo? Battetevi il petto, fanciulle, e strappate le vostre tuniche!” –Esclamò
Caropo, facendo il verso a Saffo, poetessa di Lesbo.
“È
solo questo che vuoi?” –Domandò infine Adone, sollevando lo sguardo, triste ma
ancora determinato. –“Umiliarmi di fronte a lei? Ridicolizzarmi di fronte al
mio esercito?! È una magra soddisfazione per un uomo, ma può essere il paradiso
per un verme!”
“Taci,
maledetto!” –Gridò Caropo, lanciandosi contro di lui.
Lo afferrò per i fianchi con le sue robuste braccia e lo sbatacchiò contro un
albero, iniziando a tempestarlo di pugni. Uno dopo l’altro, come valanghe di
roccia, i massicci pugni cozzavano contro l’indebolito corpo del Comandante
della Legione Alata, incrinando ulteriormente la sua corazza e riempiendolo di
lividi e ferite, fino a farlo sanguinare copiosamente.
“Adoneee!!!” –Gridò Deianira, intrappolata nella rete di
energia, facendo voltare Alexandros verso di lei.
“Chiamalo,
sì! Urla il suo nome! La tua voce gli farà da guida nel trapasso verso la bocca
di Ade!” –Sibilò Alexandros, esplodendo in una risatina isterica. –“Aaah, quanto è saporito il sapore della vittoria!”
Un
violento destro di Caropo scaraventò Adone indietro,
sprofondandolo dentro il tronco di un albero, mentre l’elmo della sua corazza
schizzò via, scheggiato. L’Hero del Pappagallo si
avvicinò a passo lento al suo Comandante, concentrando il cosmo sul pugno
destro. Lo osservò ancora per un momento, dominato da un immenso sentimento di
goduria dei sensi, prima di calare il braccio su di lui.
“Fermati!!!”
–Gridò una voce, mentre un ciuffo di lunghe piume dorate si conficcava nel
braccio destro di Caropo, prendendo fuoco.
“Aaah!” –Urlò questi, guardando con orrore le fiamme
distruggere il bracciale della sua armatura, mentre Alexandros sollevava lo
sguardo verso il cielo, osservando due ragazzi scendere su di loro: Eumene
della Mosca e Antioco del Quetzal, giovani guerrieri fedelissimi di
Adone.
“Alexandros!!!
Caropo!!! Che state facendo?!” –Gridò Eumene,
sconvolto dalla scena. Quindi corse verso Deianira, per liberarla da quella
ragnatela di energia, ma Alexandros si lanciò contro di lui, balzando a piedi
uniti contro il petto del ragazzo e scaraventandolo indietro.
“Non
muovetevi, ragazzini!” –Li apostrofò l’Hero del Ramo
e di Cerbero. –“O vi uccideremo!” –E sollevò un ramo dal terreno, caricandolo
del suo cosmo verde scuro.
“Traditori!”
–Urlò Antioco. –“Cosa avete fatto al Comandante?”
“Niente!
Di peggio accadrà a tutti voi!” –Sibilò Alexandros, scattando avanti, con il
ramo in mano, e mirando al cuore di Antioco.
Il
ragazzo fu svelto a rotolare sul terreno, evitando l’affondo di Alexandros, che
agguantò soltanto un paio di piume della sua corazza, e a rimettersi in piedi,
bruciando il proprio cosmo. Fece per lanciare il proprio colpo segreto, ma
Alexandros fu più rapido, puntando il ramo energetico contro di lui ed espandendo
il suo cosmo, che animò l’intero bosco circostante. Centinaia di rami nodosi
spuntarono dal terreno, invadendo la radura e afferrando Antioco, stringendolo
in una presa poderosa. Eumene, nel vedere l’amico in difficoltà, si gettò
contro Alexandros, ma questi gli diresse contro un ramo carico di energia, che
si conficcò nel pettorale della sua Armatura, inchiodandolo a terra in un lago
di sangue.
“Guarda,
oh Adone, l’ultimo volo della Legione Alata!” –Sghignazzò come un folle
Alexandros, volgendosi verso l’Hero dell’Uccello del
Paradiso, che a fatica si era rimesso in piedi.
“È
soltanto per umiliare me che avete tradito Ercole?” –Domandò infine Adone.
–“Possono così tanto i vostri sentimenti di rivalsa nei miei confronti da
spingervi a tradire la causa che avevate accettato di servire?!”
“Adesso
non prenderti meriti che non hai!” –Esclamò Caropo,
afferrando Adone per il collo e tirandolo su, fino ad incrociare i suoi occhi.
Ostili, certamente, ma non pieni di odio nei loro confronti. –“Ci è stata fatta
un’offerta che non potevamo rifiutare!”
“Qua… Quale offerta?!” –Balbettò Adone, interessato.
“Un
posto in prima fila nel nuovo esercito che difenderà il Santuario di Era, il
nuovo Heraion che sorgerà sulle rovine di Tirinto, una città fiacca e poco dedita alla ricchezza!”
–Spiegò Alexandros. –“Non che mi interessino particolarmente le complicate
vicende tra Era ed Ercole, ma se c’è una qualità che non mi manca è quella di
saper ascoltare il vento, e mai come adesso mi accorgo che sta cambiando! Che
il mondo di Ercole, e i suoi rapporti di buon vicinato con gli uomini, sta
volgendo al termine ed un nuovo potere sta per insediarsi in Grecia, un potere
al quale non è opportuno far mancare il nostro sostegno!”
“Per potere,
quindi!!! Per potere e brama di gloria vi siete venduti alla mortale nemica del
nostro Dio!” –Avvampò Adone, a quelle parole. –“Forse, avrei preferito sentirvi
in collera con me, sapervi invidiosi di un tesoro che era in mio possesso,
piuttosto che sapervi dei traditori!!” –E nel dir questo, Adone bruciò al
massimo il suo cosmo, mentre incandescenti striature rosate si espandevano
attorno a lui, invadendo l’intera radura. Con un calcio colpì in pieno Caropo, roteando su se stesso ed atterrando compostamente
al suolo, prima di liberare i lacci della sua corazza. Li gettò nel folto del
mucchio di rami, moltiplicandoli con l’aiuto del suo cosmo, e quando sentì che
erano ben ancorati tirò con forza, sradicando decine e decine di rami e di
radici nodose, liberando Antioco dalla prigionia. Caropo
fece per rialzarsi, tastandosi il petto ancora fumante dove Adone lo aveva
colpito, ma venne letteralmente travolto, schiacciato dalla matassa
aggrovigliata di rami che piombò su di lui, tirata con forza dal Comandante
della Prima Legione.
“Uh?!”
–Esclamò Alexandros, irato. Ma non ebbe tempo di aggiungere altro che dovette
fronteggiare l’assalto di Antioco del Quetzal, che aveva caricato il braccio
destro del suo cosmo incandescente, ricreando l’infuocata sagoma di un
magnifico Serpente Piumato: il Dio Azteco Quetzalcoatl.
“Fuoco
del Serpente Piumato!” –Gridò Antioco, liberando il potere del possente
simbolo di cui era il custode.
“Brama
del Ramo e di Cerbero!” –Rispose Alexandros, puntando un ramo carico di
energia contro Antioco.
Il
Serpente Piumato, avvolto da mistiche fiamme, travolse Alexandros,
scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro un tronco d’albero,
abbattendolo, ma anche Antioco venne raggiunto dal ramo carico di energia di
Alexandros, che distrusse la protezione della sua Armatura, sulla spalla
sinistra, conficcandosi nella sua giovane pelle, e facendolo accasciare dal
dolore.
“Bastardi!
Vi ucciderò tutti!” –Ghignò Alexandros, rimettendosi in piedi, privo dell’elmo
della sua corazza, che aveva perso schiantandosi contro l’albero. Antioco ed
Eumene, seppure doloranti, si alzarono nuovamente, ansimando a fatica, ma Adone
pregò entrambi di starne fuori, poiché lui avrebbe affrontato l’Hero traditore.
“Lascia a me
costoro, Alexandros!” –Esclamò una nuova voce, mentre una figura bassa e minuta
sbucava fuori dalla foresta semidistrutta: Agelao
del Pigmeo. –“Farò in modo che non ti disturbino più!”
“Agelao!!” –Esclamò Adone, osservando il terzo Hero ribelle con un forte dispiacere, poiché lo aveva
sempre reputato fedele. –“Anche tu hai tradito Ercole?”
“Tradire
è una parola grossa, Adone!” –Si limitò a rispondere Agelao.
–“Direi piuttosto che so scegliere dalla parte di chi stare! Dalla parte del
più forte e che, come tale, vince!” –Rispose Agelao
del Pigmeo, prima di mettersi di fronte ad Antioco e ad Eumene, pronto per
affrontarli.
“Siete
disgustosi!” –Commentò Antioco. –“Soltanto dei viscidi serpenti, privi di spina
dorsale, possono vendersi in così malo modo al miglior offerente!”
“Chiudi
la bocca, ragazzetto, o ti taglierò la lingua!” –Esclamò Agelao
con un sommesso tono di voce. –“Le tue pompose orazioni forse avranno qualche
effetto su Alexandros o su Canopo, le cui reazioni sono molto più istintive e
primordiali delle mie! Ma a me, che non piace azzuffarmi come le bestie, non provocano
danno alcuno!” –E nel dir questo bruciò il proprio cosmo, creando una lunga
lancia di energia, che impugnò con la mano destra.
Antioco
ed Eumene sollevarono le braccia per difendersi, nel momento stesso in cui Agelao scattava verso di loro, brandendo la sua lancia
energetica. I due ragazzi si divisero, scattando in direzioni diverse, per
evitare gli affondi dell’Hero del Pigmeo, ma per
quanto l’avessero schivato dovettero constatare che le loro gambe presentavano
graffi e tagli, anche se non troppo profondi.
“Non
stupitevi!” –Esclamò Agelao, voltandosi verso i due
compagni, che si erano riuniti. –“Non dimenticate chi avete di fronte! Un
Pigmeo! Sono originario dell’Africa centrale, della fascia tropicale dei grandi
fiumi, dove vivono popolazioni antiche la cui altezza è notevolmente inferiore
a quella dei popoli mediterranei e del resto del pianeta! Voi greci, con
disprezzo, ci avete soprannominato pygmâios, ovvero
alti un cubito, e questa, ai miei occhi, è soltanto un’offesa! Ma è anche una
dote che mi permette di attaccare dal basso e colpire le parti scoperte delle
vostre gambe!”
“Capisco
bene la tua posizione, Agelao, e mi dispiace che un
simile nome sia stato affibbiato al tuo popolo, con la stessa noncuranza con
cui si mettono nomi agli animali domestici!” –Affermò Quetzal, cercando di
prendere tempo. –“Questo però non ha niente a che vedere con noi né con Ercole!
Egli ti ha sempre trattato come uno di noi, alla pari come tutti i tuoi
compagni!”
“Non è
questo il punto!” –Precisò Agelao, e ad Antioco parve
di percepire una certa tristezza nella sua voce. –“Il punto è che il vostro
Dio, che tanto adorate, non è diverso dal resto dei greci, che con noncuranza
hanno ridicolizzato noi, antichi popoli dell’Africa centrale, deridendo la
nostra mancata altezza! Era invece, la Grande Madre, ha sempre ammirato le
nostre origini, il nostro culto del Dio Creatore Kmvum,
signore supremo di tutte le cose! E ci ha promesso, in caso di vittoria su
Ercole, maggiore rispetto da parte di tutti gli altri popoli! Basta con le
derisioni, basta con gli epiteti volgari, presto non saremo più pygmâios, ma saremo soltanto i Danzatori degli Dei, nel
pieno rispetto delle nostre tradizioni!”
“Ma
non capisci, Agelao?! Era ti sta usando! Sta usando
tutto il tuo popolo per i suoi fini!” –Esclamò Antioco, cercando di convincere
l’Hero. –“A lei non importa niente di voi, come di
nessun altro popolo su questa Terra, poiché tutti i popoli, non appena cadrà
l’ultimo baluardo di libertà che ancora resiste al suo potere, presto saranno
uno soltanto, unito sotto la sua bandiera! Unito nel servirlo e nell’adorarla!”
“Chissà…” –Rifletté Agelao.
–“Forse così facendo, eliminando le differenziazioni, sarà possibile creare un
mondo dove siamo tutti uguali e dove nessuno è giudicato per la sua altezza o
per la sua forma fisica!”
“Agelao! Un mondo simile è auspicabile, ma non è fattibile
se dominato da Era!” –Esclamarono Antioco e Eumene con determinazione.
–“Ritorna in te, ritorna da Ercole! Egli saprà perdonarti e saprà comprendere
il dolore che alberga nel tuo cuore!”
“Perdonare
che cosa? Chi lotta in nome di un ideale? Chi lotta per riscattare un popolo
offeso e schernito dai tronfi greci e superbi?” –Rise Agelao,
caricando nuovamente una lancia di energia cosmica. –“Non è questo che ci ha
insegnato il vostro Dio? A lottare fino in fondo per quello in cui si crede?”
–E nel dir questo scattò avanti, lanciando la lancia di energia contro i due
ragazzi, che prontamente la evitarono, scattando in direzioni diverse. Ma Agelao non si arrese, bruciando il proprio cosmo ed
utilizzando il proprio potere nascosto. –“Moltiplicazione!” –Gridò,
chiudendo le braccia al petto e riaprendole poco dopo, sdoppiandosi.
“Che
cosa?!” –Sgranarono gli occhi stupefatti Antioco ed Eumene, osservando l’Hero essersi letteralmente duplicato. E la stessa cosa
avvenne un’altra volta, e poi un’altra ancora, finché davanti ai due compagni
non sorsero sedici uomini identici in tutto e per tutto ad Agelao
del Pigmeo, ognuno con la propria lancia di energia saldamente in mano.
“I
Pigmei sono un popolo antico!” –Esclamò una voce proveniente dal mucchio di Agelai. –“Antico e nomade, che frequentemente si sposta da
un accampamento all’altro! Per vivere abbiamo imparato a cacciare ed è questo
il mestiere degli uomini, che esercitano con l’arco.. e con la lancia!”
–Aggiunse, mentre tutti gli Heroes si lanciavano avanti, puntando le loro armi
contro Antioco ed Eumene.
“Detesto
queste situazioni!” –Ironizzò Eumene, caricando due sfere di energia
sull’indice e sul medio della mano destra. –“Occhi della Mosca!”
“Piume
di Quetzalcoatl!” –Lo seguì Antioco, liberando un
folto ciuffo di lunghe piume rosse e dorate, cariche di fiammeggiante energia.
Le due
sfere energetiche e le piume infuocate abbatterono un buon gruppo di Pigmei, ma
i rimanenti continuarono l’assalto, giungendo proprio davanti ai due ragazzi,
con le lance cariche e pronte a colpire. Antioco ne evitò un paio, prima di
afferrare un Pigmeo e ribaltarlo con forza, scaraventandolo addosso ad altri
che intanto stavano sopraggiungendo. Nella ressa qualcuno lo colpì alla
schiena, penetrando la sua Armatura con l’incandescente lancia, proprio nel
punto di attacco delle sue ali, facendolo accasciare in terra dal dolore.
“Antiocooo!!” –Gridò Eumene, preoccupato per l’amico, e si
liberò di un gruppo di Pigmei con due possenti sfere di energia. –“Occhi
della Mosca! Aprite la via!” –Altri Pigmei vennero scaraventati lontano, ma
ne rimasero tre, infervorati, resi ancora più feroci dalla sorte toccata ai
loro compagni. Si riunirono tra loro, puntando avanti le lance e scagliando violenti
raggi di energia dalla punta delle armi che si unirono a formare un fascio di
luce che trapassò Eumene da parte a parte, facendolo crollare in ginocchio, con
il pettorale della Mosca distrutto e sangue che colava copioso sul petto e
sulla schiena. –“Hai fallito! Hai imparato la lezione e adesso non provare
più!” –Commentò ironicamente Agelao, mentre la vista
di Eumene iniziò a calare, fino a vedere tutto sfuocato.
Gli
parve di vedere tutti i Pigmei alzarsi nuovamente in piedi e unirsi tra loro,
fino a scomparire, ricongiungendosi in un unico guerriero: Agelao,
che si avvicinò ad Eumene sollevando l’asta della lancia, pronto per sfondargli
il cranio.
“Io
non sono per la violenza! Detesto la violenza cruda e ingiustificata!” –Disse,
spostando lo sguardo. –“Per questo non guarderò!”
“Sbagli,
invece!” –Parlò una voce, proveniente dal lato opposto. –“Dovresti osservare
invece cosa significa combattere per un vero ideale! Un ideale di giustizia!”
–Un infuocato turbine di piume travolse in pieno Agelao
del Pigmeo, scaraventandolo in alto, mentre la sua armatura si crepava in più
punti e le sue vesti prendevano fuoco. Ricadde a terra molti metri lontano,
schiantandosi in malo modo eperdendo
l’elmo della sua corazza. Quando riuscì a rimettersi in piedi, con la testa che
gli doleva per averla sbattuta, osservò Antioco del Quetzal in piedi di fronte
a lui, avvolto in un cosmo caldo e incandescente. Tutto intorno a lui un grande
Serpente Piumato lo avvolgeva e sembrava stringerlo tra le sue spire, senza
soffocarlo, lasciandolo libero nei movimenti e nelle sue decisioni.
“Questo
che vedi, che mi consiglia e mi protegge, è il Dio Serpente Quetzalcoatl,
che nella lingua nahuatl, la lingua del mio popolo,
significa Serpente con le Piume, il Dio della Luce e del Mattino!” –Spiegò
Antioco, con orgoglio. –“Egli è la mia guida, il simbolo del potere, ciò che mi
rende un Eroe! Ma ciò che, al tempo stesso, mi rende libero! Quando arrivai
qua, dalla Nuova Spagna al di là del mare, Ercole mi concesse di continuare a
glorificare i miei Dei, poiché essi erano parte della mia cultura, ed egli,
signore giusto e onesto, comprese quanto per me fossero importanti, comprese
che nessun culto può essere imposto con la forza, ottenebrando tutti gli altri,
come la Regina a cui hai venduto l’anima vuol fare! Se non vuoi ancora capire,
sei libero di non comprendere! In tal caso, ti combatterò per l’onore del mio
popolo, poiché non permetterò che il Dio Serpente Piumato venga oscurato dal
servitore di una Regina dispotica!”
“Sia
come sia!” –Si limitò a rispondere Agelao, che aveva
compreso il senso delle parole di Antioco. Ciononostante avrebbe combattuto
comunque, poiché anch’egli voleva tener fede al simbolo che lo rappresentava,
al popolo che lo sosteneva. Concentrò nuovamente il cosmo nella mano destra,
creando una lunga asta di energia, e balzò avanti. –“Lancia di Kmvum!”
“Fuoco
del Serpente Piumato!” –Gridò Antioco, portando avanti entrambe le braccia,
mentre la maestosa sagoma di Quetzalcoatl sfrecciava
nell’aria diretta verso Agelao, in un turbine di
fiamme dorate. Lo travolse, sollevandolo verso il cielo, avvolgendolo in un
vortice infuocato, lacerandolo dall’interno, fino a farlo schiantare a terra,
in una pozza di sangue, tra i frammenti della sua corazza distrutta. Morto,
insieme a tutte le sue speranze di redenzione di un popolo dimenticato.
Ma
anche Antioco non uscì indenne dallo scontro, raggiunto dalla lancia di energia
alla spalla sinistra, la cui protezione, già danneggiata, andò del tutto in
frantumi. Il ragazzo si accasciò a terra, ansimando per lo sforzo sostenuto,
tastandosi la spalla dolorante. Venne raggiunto da Eumene, che si trascinava a
fatica sul terreno, in una pozza di sangue. Antioco lo tirò a sé,
abbracciandolo, provato dal duro combattimento, proprio mentre il cosmo del
loro Comandante esplodeva poco distante.
Adone
dell’Uccello del Paradiso infatti, dopo aver schiacciato Caropo
del Pappagallo sotto i rami e le radici nodose che aveva sradicato da terra,
era rimasto da solo, a fronteggiare Alexandros del Ramo e di Cerbero, un
ragazzetto così pieno di odio e di malvagità, che avrebbe potuto suscitare
l’invidia di Ares o di Ade. I due si erano scrutati per qualche minuto,
muovendosi in cerchio, come tigri pronte ad azzannarsi da un momento all’altro,
ed infatti Alexandros non aveva aspettato troppo, sollevando la mano destra e
facendo brillare l’indice di una sinistra luce verdognola. Immediatamente
centinaia di rami e di radici nodose erano sorti dal terreno ed avevano tentato
di avvilupparsi intorno alle gambe e al corpo di Adone, ma questi, che si
aspettava una mossa del genere, era balzato in alto, spalancando le splendide
ali dell’Uccello del Paradiso e fluttuando in aria, apparentemente leggero come
una piuma.
Ma
Alexandros non gli aveva dato tregua, aizzando i rami e le radici nodose a
crescere ulteriormente, sventrando il suolo erboso della radura, allungandosi
verso il cielo, fino ad afferrare una gamba di Adone. Ma il Comandante non si
fece trattenere a lungo, bruciando il proprio cosmo rosato nel tentativo di
liberarsi da quella stretta. Sciolse i lacci dalla cintura della sua Armatura e
li lanciò avanti, avvolgendoli alle gambe di Alexandros, prima di tirare con
forza. Il ragazzo venne scaraventato contro la coltre di rami e radici che lui
stesso aveva creato, mentre Adone si liberava dalla presa con un colpo secco di
reni, una capriola a mezz’aria e un perfetto atterraggio di fronte a lui.
“Ti odioooo!!!” –Gridò improvvisamente una voce, liberandosi
dal cumulo di rami crollati su di lui.
Adone
si voltò di scatto e lo stesso Alexandros sollevò il capo, prima di rimettersi
in piedi, ed entrambi osservarono Caropo del
Pappagallo riemergere dal mucchio di rami e radici nodose. Il viso, un tempo
candido e leggero, era solcato da profonde rughe di odio e di invidia, che
avevano roso il suo animo, fin quasi a trasfigurarlo.
“Ti
odio, maledetto, perché sembri non conoscere la sfortuna! Eri prostrato ai miei
piedi, sporco di sangue e di vergogna, con il bel viso graffiato e il sorriso
rovinato, eppure trovi ancora la forza per lottare, eppure trovi ancora la
forza per reagire! Ma dove la trovi tale energia? Perché non ti abbandoni alla
tua sorte, perché non accetti l’ineluttabilità della tua derisione, della tua umiliazione,
della tua sconfitta?!” –Esclamò Caropo, con rabbia.
“Perché
ancora non sono vinto, Caropo!” –Rispose Adone con
voce ferma. –“Perché sono il Comandante della Legione Alata e perché come tale
ho delle responsabilità nei confronti dei miei guerrieri! Infine…”
–Aggiunse Adone, sollevando lo sguardo verso la bella Deianira, ancora
intrappolata nella rete di energia di Caropo. –“…Perché molti credono in me e mi sostengono, anche restando
in silenzio!”
“Bastardooo!!!” –Gridò Caropo,
scagliando un violento pugno di energia cosmica contro Adone, che fu lesto a
saltare indietro, mentre un gigantesco cratere si apriva nel terreno di fronte
a lui. –“Cosa ti ha dato lei? Eh? Cosa ti ha dato quella sgualdrina? Invece di
servire Ercole, trascorreva le notti a pensare a te, in un amore morboso che
non lasciava spazio ad altro, a nessun altro che volesse anche soltanto
passeggiare con lei, o farle assaporare il profumo di un fiore!” –Iniziò a
singhiozzare Caropo, in preda ad una profonda
tristezza. –“Tu me l’hai portata via! Lei poteva amarmi ma tu non gliene hai
dato la possibilità!”
“Deianira
è una donna libera! Per quanto ti piaccia considerarla come un oggetto, e come
tale di tua proprietà e uso e consumo, Deianira è una donna libera, e lei
soltanto, ascoltando il suo cuore e le emozioni che prova, è in grado di
scegliere per sé!” –Commentò Adone, pulendosi le labbra sporche di sangue.
Quindi espanse il proprio cosmo, mentre onde di luce dal colore rosa sorgevano
intorno a lui, invadendo l’intera radura.
Caropo fece altrettanto, sostenuto e istigato da
Alexandros, il quale, ripresosi, era rimasto da una parte ad osservare la
scena. Non era più certo, come all’inizio, che Caropo
sarebbe riuscito a sconfiggere Adone, poiché i sentimenti eccessivi che
riversava in battaglia ottenebravano la sua capacità di agire lucidamente. E
questo, per un guerriero, era certamente un problema. Così incrociò le braccia
al petto, osservando lo scontro tra i due avversari, augurandosi in cuor suo
che entrambi perissero, risparmiandosi in quel modo un po’ di fatica.
“Questo
pugno contiene tutta la rabbia che provo verso di te, Adone! Tutti i sorrisi
che mi hai rubato, gli applausi che hai ricevuto al posto mio, l’ombra nella
quale mi hai relegato! Crepa, per Zeus e per Era!” –Gridò Caropo,
portando avanti il pugno destro e liberando un violento attacco energetico, che
sfrecciò nell’aria diretto verso Adone, il quale incrociò le braccia davanti a
sé, per proteggersi, venendo spinto indietro per parecchi metri, scavando
profondi solchi nel terreno. Ma rimanendo in piedi, seppur indebolito e
ansimante. –“Non può essere!” –Esclamò Caropo,
osservando il Comandante della Prima Legione avanzare a passo lento verso di
lui.
“Non
farti dominare dalle tue passioni, Caropo! Finiscilo
adesso! Con brutalità!” –Ringhiò Alexandros, ma Caropo
parve non ascoltarlo neppure, tutto intento ad osservare Adone in ogni suo
gesto, proprio come aveva fatto negli anni precedenti, con una curiosità
morbosa, quasi maniacale, che in realtà nascondeva soltanto i dubbi e le
insicurezze di un uomo che non riusciva a capire come tutte le donne, e anche i
suoi compagni, potessero essere così attratti dalla figura di Adone.
Il
Comandante sollevò il braccio destro e nella sua mano comparve un fiore, un
anemone bianco, dai riflessi rosati, simbolo di purezza e della dea Afrodite.
Nel mito infatti, raccontò l’Hero di Ercole, dopo la
morte del giovane Adone, figlio di Cinira e di sua
figlia Mirra e intensamente amato da Afrodite e da Persefone,
sorsero degli anemoni dal suo sangue, venendo da allora associati a lui.
“Fiore
del Vento!” –Gridò Adone, espandendo il proprio cosmo. –“Libera quest’uomo
dagli affanni del mondo e rendigli la pace! Dona a lui il conforto eterno!” –E
nel dir questo scagliò l’anemone avanti, insieme a migliaia di altri fiori
bianchi e rosa, che scivolarono nell’aria, carichi di energia cosmica, fino a
travolgere l’Hero del Pappagallo, per quanto questi
cercasse di colpirli, di cacciarli via, di distruggerli con i suoi pugni di
energia. Ma gli anemoni continuarono la loro corsa, circondando il corpo stanco
di Caropo e portandolo lentamente via, verso un mondo
nuovo, dove non sarebbero esistiti più l’odio né la violenza. Verso un paradiso
naturale dominato dal bello, un mondo nel quale Adone amava rifugiarsi
continuamente, ogni volta che soltanto odorava un Fiore del Vento. Caropo si accasciò a terra, socchiudendo lentamente gli
occhi, fino a crollare giù lungo disteso, sprofondato in un sublime sonno
d’incanto.
Adone
sospirò, soddisfatto per avergli evitato una fine più atroce, ma non ebbe il
tempo di gioire che sentì folgori incandescenti incendiare l’aria attorno,
facendo strage di anemoni, disintegrandoli con violente scariche di energia
cosmica.
“Dovrai
cambiare strategia, Comandante, se vuoi vincere Alexandros del Ramo e di
Cerbero!” –Sibilò il ragazzetto, circondato da accecanti lampi di energia.
–“Perché il sonno non si addice ad un guerriero del mio stampo! No, io vivo
soltanto per la guerra, e tu, Adone, sarai la mia prossima vittima!”
Capitolo 10 *** Capitolo nono: Seguendo il cuore. ***
CAPITOLO NONO: SEGUENDO IL CUORE.
Nella radura
a nord di Tirinto, dove la Prima Legione avrebbe
dovuto fermare i tre Giganti di Pietra risvegliati da Era, era in corso una
sanguinaria lotta tra il Comandante della Legione Alata e tre Heroes che lo avevano
tradito, vendendosi ad Era, nell’impero della quale miravano ad avere un posto
di primo piano. Uno di costoro, Agelao del Pigmeo,
era già caduto in battaglia, mentre un secondo, Caropo
del Pappagallo, era stato confinato in un limbo sconosciuto, dove avrebbe
dovuto dormire per l’eternità, grazie al potere del Fiore del Vento. Ma
ne era rimasto uno, il più pericoloso dei tre, Alexandros del Ramo e di
Cerbero, un ragazzetto di venti anni scarsi che aveva istigato i due
compagni alla ribellione.
“Siamo
stanchi, a quanto pare!” –Commentò, scontrandosi a mezz’aria con Adone,
circondati da aure cosmiche, accese al massimo.
“Restassi
anche senza fiato, ti combatterei comunque, traditore!” –Esclamò Adone,
ansimando per la fatica e per le ferite che gli dolevano.
“Non
senza fiato devi restare, Comandante, ma senza vita!!” –Gridò Alexandros,
portando la mano sinistra al petto di Adone e facendo esplodere una violenta
scarica di energia, che scaraventò il Comandante indietro di parecchi metri,
fino a schiantarsi contro un gruppo di alberi.
“La
mia vita appartiene ad Ercole, Dio dell’Onestà e protettore di tutte le cose
belle! Sarà un onore per me cadere per difenderne il nome!” –Commentò Adone,
rialzandosi a fatica e liberando i lacci della sua armatura, lunghi ed elastici
e con un cuore in punta. –“Lacci del Cuore, castigate il traditore di Tirinto!” –E li scagliò avanti, mentre Alexandros cercava
di deviarli con scariche di energie. Ma non ci riuscì e i lacci si
aggrovigliarono intorno al suo corpo, stringendo il suo collo e bloccando i
movimenti dei suoi arti, prima che Adone li caricasse di energia cosmica, che
fece avvampare l’Hero del Ramo e di Cerbero. –“Non
vorrei ucciderti, Alexandros, per quanto meriteresti di morire cento volte per
le colpe di cui ti sei macchiato! Ma la morte brutale è qualcosa che detesto,
qualcosa che deturpa i canoni di bellezza naturale, pietre miliari della mia
vita!”
“L’unica
colpa che ho, Adone, è di averti lasciato in vita finora, perché il mio animo è
ancora quello di un bambino a cui piace giocare!” –Esclamò Alexandros,
bruciando il proprio cosmo. Improvvisamente, centinaia di rami e di radici
nodose spuntarono dal terreno attorno a lui, iniziando a strappare, a
distruggere con rabbia, i lacci che imprigionavano il guerriero, permettendogli
nuovamente di muovere i propri arti.
“Incredibile!
Quale oscura potenza lo sostiene!” –Commentò Adone, osservando impotente la
distruzione dei Lacci del Cuore.
“Adesso
che hai compreso quanto futile sia la tua resistenza…
Muori!” –Gridò Alexandros, puntando un ramo carico di energia cosmica contro
Adone. Immediatamente una violenta folgore investì in pieno il Comandante della
Legione Alata, scaraventandolo contro un albero, con la schiena a pezzi,
pressato contro il tronco dalla devastante energia del Ramo e di Cerbero. Tentò
di urlare, ma le parole gli morirono in bocca, stritolato dalle folgori di
energia che Alexandros riversava su di lui. Con un disperato sforzo, sollevò
una mano, su cui apparve un Fiore del Vento, bianco e con le sfumature
viola, prima di lanciarlo contro il ragazzo.
Alexandros
rimase ad osservare l’anemone fluttuare nell’aria, con un percorso lento e
soave, e per un momento quasi scoppiò a ridere, avendo pena dell’ultima mossa
disperata del suo Comandante, che a niente aveva più da aggrapparsi se non ad
un patetico fiore di campo che mai avrebbe potuto recargli danno. Per
precauzione però, Alexandros sollevò il ramo carico di energia che reggeva in
mano e lo diresse contro l’anemone, disintegrandolo con un fascio di luce. Nel
far questo però dovette liberare Adone dalla morsa delle folgori, anche se solo
per una manciata di secondi. Ma quel tempo fu sufficiente al Comandante della
Prima Legione per recuperare le forze e liberare il suo colpo più potente.
“Volo
dell’Uccello del Paradiso!” –Gridò Adone, portando entrambe le braccia
avanti, mentre l’affascinante sagoma di un uccello dal piumaggio variopinto
scivolava nell’aria, travolgendo Alexandros e scagliandolo indietro, fino a
farlo ruzzolare al suolo con l’armatura crepata in più punti. Fatto ciò, Adone
crollò esanime a terra, stanco per la lunga sequenza di combattimenti. Ma anche
quel colpo, per quanto potente esso fosse, non bastò per uccidere Alexandros,
il quale si rialzò dopo pochi istanti, ridendo istericamente, quasi fosse
impazzito.
“Bel colpo,
Comandante! Hai scelto il modo migliore per concludere la tua carriera!”
–Esclamò, concentrando il cosmo sul braccio destro, mentre le dita della sua
mano si allungavano fino a diventare artigli di pura energia. –“Mai avrei
creduto che un damerino come te, sempre preso dalla cura del corpo e dall’amore
della natura, sarebbe stato disposto a sporcarsi le mani, a riempirsi di fango
e di sangue ma non di sconfitta! E ti ammiro per questo! Sì! Ti ammiro così
tanto che voglio regalarti un viaggio verso il Paradiso dei Cavalieri! Là,
avrai modo di cogliere tutti i fiori che vuoi!” –E sollevò l’artiglio
energetico, pronto per affondarlo nel corpo inerme di Adone. Ma mentre calò la
mannaia su di lui, venne colpito alla schiena da una raffica di pugni di
energia cosmica, il cui impeto fu tale da scaraventarlo lontano per parecchi
metri, facendolo rotolare al suolo. –“Chi osa?!” –Gridò, rialzandosi di scatto.
Di
fronte a lui, appena discesi dal cielo, vi erano gli ultimi Heroes della Prima
Legione sopravvissuti alla distruzione portata dai Kouroi:
Damaste della Gura, fedele luogotenente di
Adone, con Ascalafo della Civettae Laomene della Farfalla. Tutti e tre avevano numerose
crepe sulle armature e lividi e graffi sul viso e sul resto del corpo, ma una
luce di determinazione negli occhi che inquietò non poco Alexandros il ribelle.
“Comandante!”
–Damaste corse immediatamente verso Adone, mentre Ascalafo
e Laomene gli coprivano i fianchi, pronti per
contenere un eventuale attacco di Alexandros.
“Da… Damaste..” –Balbettò Adone, cercando di rialzarsi.
Aveva il volto stanco e chiazze di sangue sul viso e sulla corazza, in parte
danneggiata. –“Siete salvi?”
“Abbiamo
fatto il possibile, Comandante! Ma abbiamo fallito! I Kouroi
avanzano verso Tirinto, non siamo stati in grado di
fermarli! Icaro della Colomba, Briseide del Cardinale
e Adrastea del Toco sono
caduti, schiacciati dai Giganti di Pietra! Ma noi siamo ancora qua, al vostro
fianco!” –Commentò il fedele Damaste, sorreggendo il Comandante della Legione
Alata. –“Riposate adesso! Affronteremo noi il guerriero ribelle!”
“Deianira… Liberatela!” –Mormorò Adone, prima di pregarli di
fare attenzione. –“C’è la furia di Ares negli occhi di Alexandros!”
“Questo
non è un salotto, ma un campo di battaglia!” –Tuonò l’Hero
del Ramo e di Cerbero, espandendo il proprio cosmo e scagliando un violento
assalto di folgori incandescenti contro i quattro Heroes riuniti assieme. –“Per
conversare ci sono i salotti delle corti europee! Per morire invece è
sufficiente incontrare me! Ah ah ah!” –Detto questo,
balzò in alto, piombando sui quattro compagni avvolto da scintille di energia
cosmica.
Ascalafo e Laomene si
avvicinarono prontamente, per proteggere il Comandante che giaceva a terra
dietro di loro, pronti a fargli da scudo con i loro corpi, ma l’assalto di
Alexandros non andò in segno, venendo respinto con decisione.
“Pugno
di Ercole!!” –Tuonò una possente voce maschile, sovrastando le deboli grida
di Ascalafo e Laomene. Un
possente pugno di luce colpì Alexandros in pieno proprio mentre stava balzando
su di loro, scaraventandolo indietro e mandando in frantumi un coprispalla della sua Armatura. Damaste della Gura si fece spazio tra i due compagni, torreggiando come
un gigante sull’inginocchiato Alexandros.
“Damaste!”
–Sibilò questi. –“Il cagnolino da guardia di Adone! L’uomo senza il quale il
nostro pseudo-Comandante, dalle mancanti forze, non
sarebbe in grado di farsi rispettare nemmeno dai propri Heroes!”
“Bada
a come parli, rinnegato!” –Tuonò Damaste, caricando nuovamente il pugno destro
di frizzante energia cosmica, che sfrigolava nell’aria, come elettroni rotanti
intorno al nucleo di un atomo. E senz’altro aggiungere l’Hero
della Gura calò il colpo su Alexandros, il quale
riuscì ad evitare di essere distrutto soltanto rotolando velocemente sul
terreno, mentre un gigantesco cratere si apriva dove Damaste aveva colpito.
“Non è
uomo che ama perdersi in troppi discorsi!” –Rifletté Alexandros, rimettendosi
in piedi, a distanza di sicurezza. E ricordò brevemente tutto quello che sapeva
su di lui, sperando di trovare un punto debole da sfruttare per vincerlo,
approfittando magari dei suoi sentimenti.
Damaste
della Gura, alto e robusto, era uno degli Heroes di
più antica data, presente fin dagli anni precedenti alla costituzione ufficiale
dell’esercito di Ercole. Era nato presso Corinto, più di trent’anni prima, ma
era rimasto orfano all’età di quattro anni, a causa di un incendio che aveva
raso al suolo la fattoria in cui viveva, causando la morte dei suoi genitori.
Rimasto solo e abbandonato, fu proprio Ercole a salvarlo, trovandolo per caso
che si aggirava senza meta nei boschi circostanti. Da allora, Damaste era
sempre rimasto a fianco di Ercole, crescendo con lui, addestrandosi duramente,
insieme a Nestore dell’Orso, a Marcantonio dello Specchio e a tutti gli altri
guerrieri che presto avrebbero costituito gli Heroes del Dio dell’Onestà. Un
debito di riconoscenza lo legava quindi ad Ercole, un debito che aveva permesso
a Damaste di crearsi una vita. Di crearsi un futuro. E avrebbe lottato fino
all’inverosimile per riscattarlo.
“Pugno
di Ercole!!!” –Gridò l’Hero della Gura, interrompendo i pensieri di Alexandros ed
obbligandolo a rotolare sul terreno per evitare il suo attacco. Stufo di
scappare, l’Hero del Ramo e di Cerbero afferrò un
ramo e lo conficcò nel terreno, caricandolo della sua sfolgorante energia.
“Vi
invoco Spiriti del Ramo e di Cerbero!” –Esclamò, mentre folgori dal colore
verde scuro squarciavano l’aria attorno. Centinaia di rami e di radici nodose
spuntarono dal terreno, tutto attorno a Damaste, ma invece di intrappolare l’Hero, preferirono giocare con lui. Damaste venne afferrato
per una caviglia da una nodosa radice e fatto cadere in avanti, su un gruppo di
rami dalle punte aguzze, che ferirono il guerriero sul petto, nei punti
scoperti della sua Armatura non troppo protettiva. Quindi nuovi rami appuntiti
sfrecciarono verso di lui, per traforarlo e dilaniare le sue carni, mentre
Alexandros rideva istericamente, godendosi lo spettacolo.
Laomene e Ascalafo si mossero per
aiutare il compagno, lanciandosi contro Alexandros ma questi fermò i loro
movimenti con un’onda di energia che falciò loro le gambe, distruggendo parte
dei loro schinieri e facendoli cadere al suolo, mentre Alexandros aumentava il
suo cosmo a dismisura, evocando il suo potere nascosto.
“Furore
del Ramo e di Cerbero!” –Gridò, scagliando contro i due Heroes il proprio
attacco migliore. Migliaia di immagini di Cerbero, con le fauci digrignate, comparvero
attorno a loro, avvolti da folgori di inaudita potenza. Laomene
e Ascalafo vennero travolti e atterrati, con le
armature in parte danneggiate. –“A terra bestie! È luogo più congeniale a voi!
Ah ah ah!” –Sghignazzò, prima di voltarsi ed
osservare, con sommo piacere, quasi una sublime goduria, Damaste venire
sballottato a destra e a manca dai suoi rami e dalle sue radici, mentre sangue
colava da ampie ferite sul suo corpo. –“Desolato per non poter più giocare con
te! Ma il dovere mi chiama!” –Commentò, riunendo tutti i rami di fronte a
Damaste e dirigendo le loro acuminate punte verso il suo petto scoperto.
Ma l’Hero della Gura non rimase
immobile ad aspettar la morte, bruciando il cosmo al massimo. Lo fece per se
stesso, per il Comandante che Alexandros aveva tradito e ovviamente per Ercole,
il Dio al quale aveva giurato fedeltà e che adesso voleva ringraziare per
essersi preso cura di lui, per averlo aiutato a crescere e a diventare uomo.
Mostrando una poderosa forza fisica, Damaste sradicò le radici che lo tenevano
prigioniero, scaraventando quella massa di alberi e terriccio contro i rami
dalle punte acuminate che Alexandros gli aveva lanciato contro, facendoli
cozzare insieme ed esplodere, liberandosi da quella scomoda prigionia.
“Maledetto
bastardo! Hai così paura della morte, eh?!” –Gridò Alexandros, furibondo, e si
lanciò verso di lui, avvolto da scariche di energia dal colore verdastro. –“Furore
del Ramo e di Cerbero!”
“Pugno
di Ercoleee!!!” –Tuonò Damaste, portando avanti
il proprio pugno destro, carico di energia cosmica.
Il
contraccolpo tra i due poteri fu tremendo, scaraventando entrambi i contendenti
indietro di parecchi metri. Damaste si schiantò contro un albero, incastrandosi
nel tronco, pieno di graffi e di unghiate sul petto e di crepe nella sua
corazza, mentre Alexandros rotolò sul terreno, solcato da lividi su tutto il
corpo e con una gamba indolenzita, per l’onda d’urto generata dal Pugno di Ercole, la cui potenza era
talmente elevata che gli aveva distrutto la ginocchiera e i calzari che
indossava.
In
quel momento, forse per l’esplosione di energia che si era verificata, Caropo del Pappagallo si risvegliò, uscendo dal sonno cui
Adone credeva di averlo confinato. Stordito, e con la testa che gli doleva, l’Hero si rimise in piedi, osservando lo sfacelo intorno a
sé. Il cielo si stava coprendo di nubi e nonostante fosse soltanto mezzogiorno
l’aria era grigia e triste, carica di un’oscura energia che pareva opprimere
ogni forma di luce. Adone si stava rialzando a fatica, debole e pieno di
ferite, proprio come stava facendo Damaste, sollevandosi dal tronco in cui il
contraccolpo lo aveva scaraventato. L’Hero della Gura sputò sangue, tastandosi il petto indolenzito, e
barcollò un po’ ma riuscì a mantenersi in piedi. Non dovette fare neppure
troppi passi per incontrare lo sguardo torvo di Alexandros, rialzatosi nel
frattempo.
“Credevo
avesti intenzione di dormire ancora un po’, bestione!” –Lo derise questi,
facendo leva sui sentimenti dell’uomo, che detestava essere considerato uno stupido,
soltanto perché il suo addestramento e il suo stile di vita erano stati
improntati da un punto di vista esclusivamente fisico. –“Non era necessario che
tu ti alzassi! Poiché tra poco dormirai per sempre!” –Ghignò Alexandros,
espandendo il cosmo e avvolgendo un ramo che stringeva in mano di incandescente
energia.
“Perdonatemi
mio Signore! Ma credo che mancherò al nostro prossimo addestramento!” –Commentò
Damaste, con un mesto sospiro, bruciando il proprio cosmo e concentrandolo sul
pugno destro, sotto forma di una luminosa sfera dal colore biancastro. Per un
momento la sua mente volò via, ricordando una conversazione avuta con Ercole
poche ore prima, poco prima della sua partenza da Tirinto.
“Non fare
tardi! Abbiamo ancora molto da addestrarci insieme!” – Aveva ironizzato il Dio
dell’Onestà, riferendosi ai loro allenamenti, nella palestra della fortezza.
–“Voglio riuscire ad atterrarti almeno una volta!”
“Ooh, mio Signore! Vi burlate di me!” –Aveva riso Damaste.
–“Basterebbe un dito della vostra forza per piegarmi a voi! Basterebbe un dito
per avere tutta Tirinto, e forse anche la Grecia
intera, ai vostri piedi!”
“Forse!”
–Aveva commentato Ercole. –“Ma non lo farò! Né ora né mai! Perché non è nella
mia natura dominare i liberi! Ma è nella mia natura confrontarmi con loro, da
uomo a uomo! Proprio come sono io!”
Basterebbe
un dito! Rifletté Damaste, bruciando il proprio cosmo. Ma non l’ha mai
fatto! Non ha mai abusato del suo potere, né si è mai glorificato di ciò che ha
avuto! Anzi, ha trascorso la vita ad aiutare chi non è stato così fortunato!
Chi non è nato uomo e divenuto Dio, ma uomo è rimasto! Come lui continua ancora
a sentirsi!
“Per gli
uomini!” –Gridò infine Damaste, scagliando un pugno di energia lucente, che
generò una poderosa onda d’urto che sollevò erba e terra, travolgendo
Alexandros, che sopraggiungeva con il ramo carico di energia puntato su di lui.
–“E per voi, mio Signore!!! Pugno di Ercole!!!”
L’onda
d’urto spazzò via Alexandros, distruggendo quel che restava della sua corazza e
facendo a pezzi anche il suo corpo, lacerandolo in mille pezzi che esplosero
poco dopo. Ma il contraccolpo spinse anche Damaste indietro, facendogli scavare
un profondo solco nel terreno, prima di accasciarsi, sbattendo le ginocchia,
con il ramo pregno di energia incandescente piantato in mezzo al petto, a pochi
centimetri dal cuore.
“Da… Damaste!!!” –Gridò Adone, rimessosi finalmente in
piedi. E corse verso di lui, seguito da Laomene e Ascalafo, dalle gambe doloranti. –“Nooo!!!”
–Adone si chinò su di lui, per estrargli il ramo incandescente dal petto, ma
Damaste con un sorriso lo pregò di non farlo. Perché ormai il suo tempo era
giunto al termine.
“Portate..
i miei saluti ad Ercole, Comandante..” –Trovò la forza per pronunciare infine,
con molta lentezza. –“E ringraziatelo.. dite lui che Damaste lo… ringrazia!” –E cadde all’indietro, con un tonfo sordo
nel terreno smosso, privo ormai di vita.
Adone
scoppiò a piangere come un bambino, chinandosi sul corpo spezzato di Damaste,
accarezzandolo e chiamando più volte il suo nome, mentre Laomene
e Ascalafo volsero lo sguardo, per non mostrare le
lacrime che impietose solcavano i loro volti. Soltanto dopo pochi minuti, Adone
si fermò, sollevandosi a fatica dal corpo di Damaste, proprio per incrociare lo
sguardo muto e solingo di Caropo del
Pappagallo, in piedi a qualche metro da loro. L’Hero
ribelle aveva assistito alla fine del combattimento tra i due ex compagni e
adesso sembrava sinceramente triste per la morte di Damaste.
“Ecco
il potere!” –Commentò acidamente Adone, avvicinandosi a Caropo.
–“È questo che volevate? È in nome di questo che combattete per Era, maledetti
assassini senza scrupoli? Per uccidere uomini valorosi che darebbero la vita
per le persone che amano e per gli Dei che hanno scelto di servire?”
–Singhiozzò il Comandante, bruciando il proprio cosmo, caldo e luminoso, mentre
un circolo di Fiori del Vento
roteava attorno a sé, rinfrancando l’aria con la loro soave essenza. Ma anziché
dirigerli contro Caropo, sotto forma di attacco, li
usò per ricoprire il corpo di Damaste, augurandogli di trovare pace e riposo,
ovunque egli fosse. Allo stesso modo avrebbe voluto ricoprire i corpi di Icaro
e degli altri Heroes caduti, ma un grido spaventoso, che pareva uscire dalle
profondità dell’Inferno, distrasse tutti i presenti, proprio mentre il terreno
tremava sotto di loro.
Pochi
istanti più tardi, di fronte agli sguardi attoniti degli Heroes sopravvissuti,
un immenso Gigante di Pietra, uno dei tre che avevano tentato invano di fermare
in precedenza, comparve sopra di loro, sollevando e abbassando i piedi in
continuazione, per schiacciare tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Forse
Era lo aveva rimandato indietro o forse egli stesso aveva percepito, grazie al
cosmo divino che lo sosteneva, che dei fuggiaschi erano sopravvissuti, che
delle prede erano ancora disponibili per essere cacciate, come era desiderio
della sua Regina.
“Maledizione!”
–Strinse i pugni Adone, rendendosi conto di essere troppo debole per
affrontarlo.
“Adone!”
–Esclamò una voce di donna che egli ben conosceva: Deianira del Lofoforo, che corse in fretta verso di lui, perdendosi
nelle sue braccia, seguita da Antioco del Quetzal e da Eumene della Mosca.
“Deianira!
Stai bene?” –Si preoccupò subito il Comandante.
“Sì,
grazie a te, che hai rischiato la vita per proteggermi! E grazie al valore
degli Heroes che hanno combattuto per te e per Ercole!” –E sorrise ad Antioco e
Eumene che, complice anche la minor resistenza della
ragnatela di energia, l’avevano liberata.
Adone
la fissò per un momento, immaginando il volto che molte volte aveva
accarezzato, prima di sfiorarle la maschera argentata e staccarla leggermente,
quanto bastava per trovarle la bocca con la propria e baciarla, di fronte agli
occhi attoniti degli altri quattro compagni, e di Caropo
del Pappagallo.
“Oohooh, anch’io voglio essere il
Comandante di una Legione un giorno!” –Commentò Eumene,
scherzando con Antioco.
“Preoccupiamoci
intanto di sopravvivere a questo, di giorni!” –Rispose Antioco, proprio mentre
la gigantesca sagoma del Kouros torreggiava sopra di loro, oscurando i pallidi
raggi del sole.
Adone
sorrise, aiutando Deianira a coprirsi il volto con la maschera, prima di
incitare i compagni ad alzarsi in volo un’altra volta.
“Un’ultima
volta!” –Gridò il Comandante. –“Per la vita o per la morte! Per la fuga o per
la lotta! E cosa vi è di più bello di un cuore intrepido che sceglie una morte
in battaglia?!” –E spalancò le ali rosate della propria Armatura, mentre
l’immagine maestosa dell’Uccello del Paradiso appariva attorno a lui. –“In
volo, Heroes!” –Urlò, lanciandosi verso il Gigante, per quanto poche forze
ormai gli rimanessero.
Deianira
non esitò un momento, spalancando le ali grigie della sua corazza e seguendo il
suo Comandante, imitata prontamente da Laomene della Farfalla
e da Ascalafo della Civetta. Anche Eumene della Mosca spiccò il volo dietro ai suoi compagni,
lasciando Antioco del Quetzal a terra, a causa delle ali distrutte della sua
corazza. Ma questo non gli impedì di prendere parte all’azione, evocando il leggendario
Serpente Piumato che dentro di lui risiedeva.
“Ardi,
Fuoco del Quetzalcoatl!” –Gridò Antioco,
dirigendo l’immenso Serpente Piumato, avvolto da fiamme d’oro lucente, verso
una gamba del Gigante di Pietra, su cui andava convergendo anche l’assalto
aereo di Adone e degli altri quattro Heroes.
Ma
nonostante l’impeto e la determinazione dei guerrieri di Ercole, il Gigante non
venne scalfito, sopportando l’attacco come in precedenza e colpendo con
violenza gli Heroes in volo, scaraventandoli a terra e sbatacchiandoli con le
sue robuste braccia. Adone, deciso ormai a tentare il tutto per tutto, per
tenere alta la memoria di coloro che avevano combattuto ed erano morti quel
giorno, si sollevò in cielo, fino a porsi di fronte al sole, carico di tutta l’energia
cosmica che era riuscito a produrre, e poi si gettò in picchiata, splendendo
come una cometa di luce.
“Volo
dell’Uccello del Paradiso!” –Gridò, piombando ad ali spiegate sul Gigante,
che per difendersi portò avanti le braccia, contenendo l’esplosione del cosmo
di Adone, che ebbe comunque l’effetto di sbilanciarlo e spingerlo indietro,
senza riuscire ad intaccarne la superficie.
Gli
Heroes rimasti, riunitisi nuovamente nella radura, osservarono il loro
Comandante schiantarsi come una cometa sui palmi aperti delle mani del Gigante,
barcollare stordito per qualche secondo prima di iniziare a precipitare a
terra, venendo però afferrato in volo dallo stesso Kouros.
“È
dunque finita?” –Disse Deianira, con tristezza. –“Siamo giunti fin qua, solo
per non avere la forza di vincere un mucchio di pietra?!”
“Siamo
impotenti!” –Aggiunsero Ascalafo e Laomene.
“Ma
non lasceremo il Comandante nelle mani di quel colosso!” –Si infervorò Antioco,
bruciando la propria energia cosmica.
“No!”
–Esclamò una voce. –“Non lo faremo!”
Antioco
si voltò verso destra, stupefatto dalle parole appena udite, che non
provenivano da nessuno dei suoi quattro compagni. –“Caropo!!!”
Caropo del Pappagallo, ricoperto dalla sua armatura azzurra
e grigia, era di fronte a loro, con un’espressione decisa sul volto, priva di
quella rabbia che sembrava averlo divorato in precedenza. Fissò Deianira con
determinazione, avviandosi verso di lei, mentre Antioco e Eumene
prontamente si schieravano di fronte alla Sacerdotessa, con le braccia sollevate,
per prevenire un possibile attacco. Ma Caropo parve
aver perso ogni desiderio di ostilità, limitandosi ad accennare un sorriso alla
Sacerdotessa del Lofoforo, prima di spalancare le ali
blu del Pappagallo.
“Il
Comandante ha bisogno del nostro aiuto! Dell’aiuto di tutti noi!” –Esclamò con
voce decisa. –“Anche di chi non l’ha mai compreso!” –Aggiunse, spiccando in
volo. Rapidissimo, si portò di fronte al pugno del Kouros, all’interno del
quale Adone si dimenava, cercando di liberarsi, prima di essere stritolato dal
Gigante di Pietra. Caropo volteggiò di fronte al
volto senza tempo del colosso, attirando la sua attenzione, ronzandogli intorno
come un insetto, lanciando contro il suo viso sfere di energia, finché non
riuscì a farlo adirare. Emettendo un grido di rabbia, il Kouros mosse le
braccia per afferrarlo, ma Caropo fu più lesto di
lui, volando via, mentre il Gigante lo inseguiva goffamente, come era nelle sue
intenzioni. Improvvisamente si fermò, concentrando il cosmo sulle mani e
piombando in picchiata verso le gambe del colosso, che invano tentò di
afferrarlo.
“Ragnatela!”
–Gridò Caropo, liberando una maglia di energia
cosmica, con la quale legò assieme le gambe del Gigante e gli alberi e il
terreno sotto di lui. Il Kouros prontamente fece per girarsi all’indietro, per
continuare l’inseguimento, ma bloccato da quei fili di energia cosmica, in cui
l’Hero del Pappagallo stava mettendo tutto il suo
potere, venne sbilanciato e precipitò a terra, cadendo con un fragore immenso.
Nel farlo, spalancò il pugno sinistro, permettendo ad Adone di liberarsi dalla
presa e a Deianira, prontamente libratasi in volo, di recuperarlo prima che
precipitasse a terra. Caropo atterrò proprio accanto
a loro.
“Non
avevo capito!” –Esordì l’Hero del Pappagallo. –“Non
avevo capito da dove provenisse tutta la mia rabbia! Il furore represso che mi
ero tenuto dentro per troppo tempo! E ho pensato, erroneamente, che fosse a
causa vostra, Comandante, dando a voi la colpa della mia solitudine, dando a
voi la colpa dell’amore che non ho mai avuto da Deianira!”
“Caropo, io…” –Balbettò Deianira,
imbarazzata. Per lei, Caropo era sempre stato un
compagno di addestramento, come tutti gli altri, e per quanto fosse educato e
carino con lei, non lo aveva mai visto altrimenti, sia perché il suo cuore
ormai da anni batteva per l’affascinante Adone, sia perché lui, forse convinto
già in partenza del combattere una guerra persa, mai aveva dichiarato alla
Sacerdotessa i suoi sentimenti.
“Non
parlate, ve ne prego! Mia è la colpa! Mia è stata la rabbia che ho diretto
verso di voi, istigato da Alexandros e da Era, che hanno infiammato il mio
orgoglio di uomo sconfitto, trasformandomi in un demone senza pari che sperava
di trovare soddisfacimento nel vedervi riverso al suolo, umiliato e supplicante
perdono!” –Confessò Caropo, con gli occhi lucidi.
–“Ma non ho avuto pace nemmeno in quel momento! Perciò, permettetemi adesso di
rimediare ai miei errori e di morire con dignità! Come Damaste prima di me! In
suo nome, e nel nome di Ecuba e degli altri Heroes
morti a causa della mia cecità, abbatterò questo Gigante di Era!” –Esclamò con
determinazione, librandosi nuovamente in cielo.
Piombò
in picchiata sul corpo disteso del Kouros, che stava cercando di rimettersi in
piedi, strappando via quei legami flebili che lo tenevano imprigionato, e cercò
di avvolgerlo in una nuova maglia di energia, più potente, più resistente della
precedente, nel disperato tentativo di guadagnare tempo. Il Gigante,
imbestialitosi, iniziò a scalciare e a dimenarsi furiosamente, facendo tremare
il terreno circostante, obbligando Deianira, Adone e gli altri quattro Heroes
sopravvissuti a sollevarsi in volo, tenendosi gli uni agli altri, per non
precipitare in qualche faglia che si stava aprendo sul terreno. Caropo, sospeso in aria, sopra il corpo del Gigante,
aggrovigliato in una fitta ragnatela energetica, bruciò al massimo il proprio
cosmo, risplendendo come una piccola stella e rischiarando il cielo terso di
quel mezzogiorno. Sorrise, voltandosi per l’ultima volta verso Deianira e Adone,
annuendo con il capo al suo Comandante.
“La
affido a voi! Amatela e proteggetela, come io non sono stato in grado di fare!”
–Esclamò Caropo prima di gettarsi come una cometa di
energia incandescente contro il petto del Gigante.
“Tutte
le cose hanno un cuore!” –Gli aveva insegnato un tempo Ercole. –“E da esso
partono tutte le funzioni vitali! Trova il cuore del tuo nemico e troverai il
modo per sconfiggerlo!”
“Adesso
è venuto il momento di verificare se il cattivo alunno che sono stato non ha
forse trovato qualcosa di buono dai vostri insegnamenti!” –Mormorò Caropo, piombando sul cuore del Gigante di Pietra e
aggrappandosi ad esso, legandovisi con una ragnatela
di energia, prima di concentrare tutto il cosmo, tutta la potenza che aveva
dentro, e rilasciarla di colpo, con una grande esplosione di energia.
Il
boato fragoroso generò un’onda d’urto che spazzò via gli Heroes,
sbatacchiandoli in aria per qualche miglia, sollevando terra, polvere e detriti
nel raggio di una decina di chilometri. Quando Adone e gli altri riuscirono
nuovamente a stabilizzarsi in volo, e la nube di polvere si diradò, scoprirono
con orrore che della radura dove avevano lottato, del colle dove tutti e
quindici insieme avevano aspettato i Giganti di Pietra, e di Caropo e del Kouros non era rimasto niente.
Capitolo 11 *** Capitolo decimo: Sotto il cielo di Argo. ***
CAPITOLO DECIMO: SOTTO IL CIELO DI
ARGO.
Ai piedi della cittadina di Argo, uno
dei luoghi sacri ad Era per eccellenza, un gruppo di Heroes della Quarta
Legione, guidati dal secondo di Nestore, Agamennone del Leone, stava
resistendo disperatamente agli assalti di un Kouros immenso. Riunitisi tra di
loro, Agamennone, Niobe del Falco, Argo del Cane, Gleno
di Regula e Neleo del Dorado
avevano creato una cupola di energia per proteggersi dai colpi devastanti del
Gigante di Pietra, ma mantenere tale barriera costava loro troppa energia.
“Non possiamo rimanere inermi in
difesa!” –Esclamò Agamennone, concentrando il cosmo sul braccio destro.
–“Dobbiamo lanciarci all’attacco, o non ne usciremo mai!”
“Temo che i nostri poteri offensivi
siano piuttosto limitati!” –Commentò saggiamente Niobe, Sacerdotessa del
Falco. –“Tu soltanto possiedi un manufatto di origine divina in grado di
far breccia nella protezione del Kouros! Noi ti siamo soltanto di impiccio!”
“Nessun compagno è mai di impiccio
all’altro!” –Rispose Agamennone con un sorriso. –“Siamo tutti parte dello
stesso gruppo! Viviamo tutti nello stesso respiro!” –Aggiunse, mentre fulmini
incandescenti gli avvolgevano il pugno destro, guizzando incessantemente, di
fronte agli occhi affascinati dei giovani Gleno e
Argo. –“Togliete la barriera, adesso! Consuma troppa energia!” –Non aggiunse
altro e scattò avanti, da solo, attirando l’attenzione del colosso di pietra,
che smise di battere le proprie immense braccia sulla cupola che proteggeva gli
Heroes.
“Dobbiamo aiutarlo!” –Esclamarono Gleno e Argo, eccitati. Ma Niobe li frenò, pregandoli di
essere prudenti.
“Fermatevi! Non ricordate le parole di
Agamennone? Siamo tutti parte dello stesso gruppo! Perciò dobbiamo aiutarci a
vicenda, non intralciarci!” –Esclamò Niobe, prima di sollevare lo sguardo verso
il cielo, affiancata da Neleo del Dorado.
Agamennone era balzato in alto,
afferrando un dito del colosso di pietra e usandolo come leva per saltare
ancora più in alto, fino a portarsi di fronte al viso del Kouros, con il braccio
destro carico di energia cosmica, dalle sembianze di un gigantesco artiglio
incandescente. Lo stesso artiglio che Ercole aveva tranciato dal corpo esanime
del Leone di Nemea.
“Cadi!!!” – Gridò Agamennone, puntando
verso l’occhio ferito in precedenza. Ma il Gigante, aspettandosi un attacco
simile, si era premunito, sollevando il braccio sinistro e parando con quello
l’assalto energetico dell’Hero, che fu comunque
potente al punto da incendiargli una mano, avvolgendola nelle sue folgori.
Il Kouros emise tremendi suoni di
morte, colpendo violentemente Agamennone con un braccio e scaraventandolo in
basso. Niobe, vedendo il compagno in difficoltà, spalancò le decoratissime ali
della sua Armatura e spiccò il volo, raggiungendolo prima che toccasse terra, per
quanto l’impatto l’avesse fatta ondeggiare un poco.
Argo,
Gleno e Neleo concentrarono i loro cosmi sul palmo
della mano, creando sfere di energia incandescente che diressero contro il
volto del Kouros, per distrarlo, permettendo così a Niobe e Agamennone di
planare a terra e mettersi in salvo. Ma non appena fecero per spostarsi, per
evitare l’affondo del Gigante di Pietra, i tre compagni si accorsero
improvvisamente di non riuscire più a muoversi, di essere letteralmente murati
al terreno da un robusto strato di un materiale che, per quanto fosse scuro,
era molto simile al ghiaccio.
“Cosa diavolo è questa roba?” –Gridò Gleno di Regula,
non riuscendo a muovere le gambe, completamente ricoperte da scuro ghiaccio che
lo bloccava al suolo.
“È freddo! E lo sento penetrarmi
dentro, ghiacciare le mie vene fino al collo!” –Gli fece eco Argo del Cane,
in preda al panico, mentre una risata sottile e beffarda emergeva da dietro di
loro.
Un uomo si fece avanti sghignazzando,
camminando al loro fianco fino a portarsi di fronte ai tre Heroes paralizzati,
fino a permettere loro di vederlo in faccia. Una faccia nota, ma con un ghigno
che mai avrebbero creduto di vedervi.
“Tindaro di Cigno Nero!”
–Esclamò Argo, osservando il compagno con rabbia. –“Cosa stai facendo? Perché
usi i tuoi poteri per fermare i nostri movimenti?”
“Mi pare ovvio!” –Rispose l’Hero che fino a quel momento era rimasto in disparte.
–“Accelero la vostra inesorabile fine! Conciati in quello stato, quanto credete
di resistere? Il Kouros vi schiaccerà all’istante!” –Aggiunse Tindaro, prima di
voltarsi verso il cielo e scagliare un raggio di energia verso una gamba del
Gigante, il quale, avvedutosi di lui, si gettò nella sua direzione, travolgendo
tutto ciò che incontrava lungo il cammino. –“Vogliate scusarmi!” –Esclamò il
Cigno Nero, voltandosi verso i tre Heroes e spalancando le ali della sua
corazza. –“Ma non resterò qua a farmi schiacciare insieme a voi!” –E li superò,
volando sopra di loro.
“Maledizioneee!!”
–Gridò Gleno, in preda al panico, mentre l’amico Argo
lo incitava a non arrendersi, a bruciare il cosmo al massimo, sì da renderlo
incandescente e in grado di sciogliere il ghiaccio che li imprigionava. –“Non
ce la faremo mai, Argo!!”
“Tappatevi gli orecchi!” –Esclamò
infine Neleo, sorprendendoli entrambi.
Argo e Gleno
si voltarono verso il loro compagno e lo trovarono intento, con l’unico braccio
ancora libero dalla morsa del ghiaccio scuro, a soffiare dentro uno strano
oggetto, che a prima vista sembrò loro una conchiglia. Una splendida conchiglia
intarsiata, dalla forma di cornucopia, la quale poco dopo emanò un suono acuto,
quasi un fischio potentissimo, la cui intensità fece vibrare il ghiaccio che li
imprigionava, mandandolo in frantumi e permettendo ai tre compagni di liberarsi
proprio mentre il Kouros piombava su di loro.
Lo smottamento del terreno fece
rotolare Argo e Gleno per qualche metro, ma subito i
due giovani amici si rialzarono, tenendosi l’un l’altro e fuggendo via, mentre
il Kouros percuoteva il suolo con violenti pugni. In aiuto dei due compagni
giunsero Niobe e Agamennone, piombando dall’alto sulla testa del Gigante di
Pietra. Grazie alla Sacerdotessa del Falco infatti, Agamennone poté arrivare
fino al cranio del Kouros senza da lui essere visto, ed affondare nel lobo sinistro
del suo orecchio il suo distruttivo artiglio carico di energia cosmica.
“Con lo stesso artiglio mortale con cui
Ercole tagliò l’indistruttibile pelle del Leone di Nemea, così io, adesso,
Agamennone del Leone, lacero la tua indistruttibile corazza, Gigante! Torna al
sonno eterno! Ritorna pietra!” –Gridò Agamennone, scaricando all’interno del
Kouros una devastante energia cosmica, al punto da farlo vibrare interamente,
mentre sprazzi di energia e folgori lo percorrevano, schizzando fuori da crepe
che comparivano sul suo corpo. Pochi attimi più tardi, a causa dell’enorme
pressione che Agamennone aveva infuso nel suo corpo, il Kouros implose,
frantumandosi in migliaia di pezzi di pietra grezza, che piovvero a terra,
insieme al corpo stanco dell’eroe, che Niobe riuscì a fatica a recuperare in
volo, prima di essere colpita da qualche frammento di pietra e cadere
rovinosamente a terra.
“Capitano!!! Agamennone!!!” –Gridarono
Argo e Gleno, correndo verso i due compagni, per
sincerarsi delle condizioni dell’Hero del Leone. Si
chinarono su di loro, aiutando Niobe a rimettersi in piedi, ed osservarono il
volto pallido di Agamennone. Era bianco e pareva febbricitante. Per far
esplodere il Gigante, una creatura immensa e sorretta dal Divino Cosmo di Era,
Agamennone aveva dovuto imprimere all’Artiglio
del Leone di Nemea tutta la sua energia cosmica, trovandosi adesso
completamente svuotato. –“Sta male! Dobbiamo fare qualcosa per aiutarlo!”
“Ehi…”
–Balbettò Agamennone, tossendo. –“Visto che roba? Ce l’abbiamo fatta, amici!”
–Aggiunse, rivolgendosi ai suoi due giovani ammiratori, adesso inginocchiati
accanto a lui, con gli occhi gonfi di lacrime, per tutte le emozioni provate.
“Vi salveremo, capitano!” –Esclamò
Argo, proponendo a Niobe di condurre Agamennone fino alla città di Argo, per
medicarlo e farlo riposare un po’.
Niobe non seppe cosa rispondere, troppo
inesperta per prendere decisioni di quel genere. Fino a quel momento aveva
obbedito silenziosamente alle disposizioni del suo Comandante, Nestore, e della
Consigliera di Ercole, Penelope, e non si era mai trovata a dover compiere una
scelta del genere. Gli ordini ricevuti erano di distruggere il Kouros e tornare
immediatamente a Tirinto, ma Agamennone non era in
condizioni di spostarsi e se non lo avessero medicato in fretta sarebbe potuto
peggiorare.
Che
fare?! Mormorò Niobe. Seguire il dovere o aiutare un compagno, che
è per me anche un amico? Non ebbe tempo di rispondersi che dovette
sollevare il capo, distratta da un’aria gelida che aveva iniziato a spirare sull’intera
radura circostante.
“Voi non andrete da nessuna parte!
Morirete qua, ibernati per sempre nel silenzio del mio oscuro mondo di gelo!”
–Esclamò Tindaro di Cigno Nero, ergendosi a pochi metri da loro.
La sua armatura, da sempre
caratterizzata da toni più scuri rispetto a quelle degli altri Heroes, riluceva
sinistramente, di un bagliore tenebroso che niente aveva da invidiare a quello
della notte. Il suo cosmo, dal chiaro potere congelante, aveva invaso tutto lo
spazio attorno ai quattro compagni riuniti, creando una fredda corrente di aria
ghiacciata capace di limitare i movimenti umani.
“Ancora tu?!” –Ringhiarono Argo e Gleno. –“Si può sapere cosa vuoi? Già prima hai tentato di
ucciderci! Cosa diavolo ti è preso, Tindaro?”
“Cigno Nero!” –Esclamò Niobe, cercando
di richiamare a sé un po’ di autorità. –“Questo è un atto esplicito di
tradimento! Ercole ne sarà informato e prenderà seri provvedimenti!”
“Ahah! Vorrei
proprio sapere come! Dato che sto per trasformare tutti voi in silenti statue
di ghiaccio!” –Esclamò con un perfido sogghigno Cigno Nero, aumentando
l’intensità della corrente ghiacciata che soffiava attorno a loro.
Argo e Gleno
si scambiarono una rapida occhiata, prima di lanciarsi avanti, con il pugno
carico di energia cosmica, ma un’improvvisa raffica di vento li spinse
indietro, scaraventandoli a terra con forza, di fronte allo sguardo divertito
dell’Hero traditore.
“Morite adesso, ma non siate tristi!
Ercole e i vostri compagni presto verranno in Ade a farvi compagnia!” –Gridò,
lasciando esplodere il proprio cosmo. –“Bufera
Nera!” –E diresse contro di loro una violenta tempesta di fredda energia,
che travolse i guerrieri di Ercole, ricoprendo lentamente i loro corpi di uno
strato di ghiaccio, scuro come la notte, sempre più consistente.
“Maledizione!” –Brontolò Argo,
dimenandosi per non lasciarsi sommergere dalla bufera di ghiaccio. –“Io odio il
freddo!” –Ed espanse il suo cosmo, accendendolo di fiammeggianti bagliori, che
non riuscirono però a frenare l’avanzata della bufera di gelo nero.
Improvvisamente un suono acuto risuonò
nell’aria, disturbando l’udito di tutti i presenti e costringendo Tindaro ad
interrompere il proprio attacco e a voltarsi verso destra. Tra i ciottoli di
pietra crollata a terra, avanzava un uomo, ricoperto dalla propria Armatura
rosa e verde, con un mantello lungo la schiena: Neleo del Dorado,
Hero di Ercole.
“Neleo! Credevo che il Gigante ti
avesse schiacciato!” –Commentò Tindaro, un po’ stupito.
“Ero volutamente rimasto in disparte
per capire le tue mosse, Cigno Nero! E pare che per un traditore come te i
fatti contino più di mille parole!” –Rispose acidamente Neleo, con lo sguardo
ancora nascosto dall’elmo e dalla folta falda di capelli. –“Se tuttavia
perseguirai nel tuo sovversivo progetto, mi vedrò costretto a combatterti! Qui
ed ora! Perché il tempo stringe e non possiamo perderne altro!”
“Bene, Neleo! Vedo che anche tu non ami
perderti in troppi discorsi! Ti stimo per questo!” –Scoppiò a ridere Cigno
Nero. –“Scriverò personalmente l’epitaffio sulla tua tomba! Bufera Nera!” –Aggiunse Tindaro,
liberando una possente tempesta di congelante energia contro l’Hero del Dorado.
“Attento Neleo!” –Esclamarono Argo e Gleno, preoccupati per l’amico. Ma questi non sembrò
scomporsi minimamente al freddo sopraggiungere della nera bufera di energia.
Sollevò il braccio destro, portando alla bocca l’oggetto che teneva con sé, una
meravigliosa conchiglia di madreperla, e sembrò che vi soffiasse dentro. Ma
Argo e gli altri non udirono alcun suono. Dopo poco però si accorsero che la
tempesta di nera energia stava diminuendo di intensità, convergendo bruscamente
verso l’altra apertura, quella maggiore, della conica conchiglia di Neleo,
venendo risucchiata al suo interno.
“Che cosa?!” –Sgranò gli occhi
incredulo Cigno Nero, allo scomparire della propria bufera di congelante
energia nera.
Neleo non disse niente, limitandosi a
fissarlo finalmente con i suoi occhi, dal colore verde mare, e a soffiare nella
conchiglia con forza. Immediatamente, l’intera tempesta di fredda energia oscura
fuoriuscì, dirigendosi verso Tindaro con un’enorme carica aggressiva,
travolgendolo e scaraventandolo molti metri indietro, fino a farlo schiantare
al suolo, con l’elmo frantumato e numerose crepe sulla corazza, coperta da un
consistente strato di ghiaccio scuro.
“Non può essere!” –Gridò Tindaro,
rimettendosi in piedi. –“Mi hai rinviato contro la mia stesa tempesta nera,
potenziandola con il tuo cosmo! È stato come ricevere un doppio assalto nello
stesso momento! Come hai fatto? Come?!”
“Risiede nelle profondità dell’oceano
il segreto del mio trionfo su di te, Cigno Nero!” –Commentò pacatamente Neleo,
prima di rivolgersi a Niobe. –“Conduci Argo e Gleno
nella città! Là troverete certamente cure per Agamennone! E non appena riuscirà
a muoversi, correte via! Tirinto ha bisogno
dell’aiuto di tutti voi!”
“E tu?!” –Balbettò Niobe con un filo di
voce, mentre Argo e Gleno sollevavano il corpo stanco
del loro capitano.
“Affronterò quest’uomo, condannandolo
per il suo tradimento! E se le stelle lo vorranno ci incontreremo ancora prima
della fine di questa guerra!” –Esclamò Neleo, mettendosi in posizione di
attacco, di fronte al suo rivale.
“D’accordo!” –Annuì Niobe, facendo
cenno ai ragazzi di incamminarsi lungo la collina. –“Ma tieni bene a mente ciò
che hai detto! Tirinto ha bisogno anche di te!”
–Aggiunse con un sorriso, prima di correre via con Argo e Gleno.
“Tirinto
cadrà sotto i colpi dei Kouroi di Era e voi cadrete
con essa!” –Esclamò Tindaro, gettando via l’elmo danneggiato della sua corazza
e pulendosi con la mano il labbro inferiore sanguinante.
“Perché odi così tanto Ercole? Cosa ti
ha fatto? Cosa ti ha spinto a tradirlo, volgendo i tuoi colpi contro i tuoi
stessi compagni?” –Chiese Neleo, mantenendo lo sguardo fisso su di lui.
“Ercole è soltanto un cialtrone, un
nulla se paragonato alla celeste gloria divina! Era farà di me uno dei reggenti
di questo mondo che si appresta a conquistare ed io finalmente avrò la mia
vendetta!” –Tuonò Tindaro, bruciando il proprio cosmo, freddo ed oscuro.
“Quale vendetta?” – Domandò Neleo,
sollevando le braccia in posizione difensiva.
“Quella verso Atena, ed Ercole suo
amico e difensore!” –Rispose Tindaro, ricordando la peggior umiliazione della
sua vita. –“Sette anni fa mi recai in Siberia, nelle fredde terre della Russia
orientale, dove il sole è talmente lontano che soltanto una manciata di raggi
riesce a raggiungerti! Volevo diventare Cavaliere e sapevo che là, tra le
eterne cime ghiacciate, era conservata un’Armatura di Bronzo di Atena, quella
del Cigno, che da secoli nessuno aveva indossato! Ma quell’onore, quel
privilegio, che avevo rivendicato per me, per me soltanto, mi fu negato! Quel
bastardo, quel cane che avrebbe dovuto addestrarmi mi cacciò, apostrofandomi in
malo modo! “Non si diventa Cavalieri per gloria o per cercare la fama, ma
perché Atena e la sete di giustizia albergano nei nostri cuori!” mi disse, quel
debosciato! Sorrido ogni giorno al pensiero che sia morto nell’ultima Guerra
Sacra, e come vedi non ricordo neppure il suo nome, tanto inutile ed
insignificante era la sua presenza nel mondo!”
“Se di un Cavaliere di Atena si
trattava, allora la sua presenza era oltremodo utile! Fondamentale la
definirei, per garantire l’equilibrio su questa Terra ed impedire l’avvento di
un’epoca di ombra!” –Disse Neleo.
“Vedi! Anche tu ragioni come quel
bastardo! Anche tu mi irriti con i tuoi sciocchi sentimentalismi!” –Gridò
Tindaro, aumentando il proprio cosmo. –“Ma io sono diventato Cavaliere
ugualmente, ho ottenuto comunque l’Armatura, nell’unico luogo sulla Terra dove
non bisogna sudare troppo per averla! È sufficiente disporre di un potere così
vasto da sopraffare i propri avversari! Sull’Isola della Regina Nera!”
“Sull’Isola Nera?!” –Sgranò gli occhi
Tindaro, stupefatto ed un po’ spaventato. In quel momento le vestigia del Cigno
Nero brillarono di un’oscura luce di morte, la cui intensità aumentò
progressivamente fino ad intingere l’intera corazza di un colore scuro come la
notte.
“Adesso avrò la mia vendetta,
dimostrando al Cavaliere di Aquarius, ad Atena, sua
protettrice, e ad Ercole, sciocco idealista che con Atena va a braccetto, la
mia superiorità, la superiorità di un uomo che non ha bisogno di stupidi ideali
di giustizia in cui credere, né di recalcitranti maestri non in grado di
insegnare ad aumentare il proprio potenziale cosmico! Non ho bisogno di
nessuno, io, tanto meno di te!” –Esclamò Tindaro, chinandosi e poggiando il
palmo destro sul terreno, infondendovi tutto il suo congelante potere oscuro.
La terra si ricoprì istantaneamente di ghiaccio nero, che corse rapido verso
Neleo, immobilizzando le sue gambe e iniziando a ricoprirlo, sovrastando la sua
rosata Armatura e limitando i suoi movimenti.
“Cosa suonerai adesso, stupido
pescatore di conchiglie?! A quale arcano potere di appellerai per sconfiggere
il mio gelo portatore di morte?!” –Lo derise Tindaro, osservando l’Hero venire completamente ricoperto da ghiaccio, dalle
striature oscure come la notte. –“Come vedi, anche senza un maestro, ho saputo
trovare la via per plasmare il mio cosmo! La via per la vittoria!”
“Interessante punto di vista!” –Esclamò
Neleo, da sotto lo strato di ghiaccio. –“Dovremmo parlarne…
un giorno! Qualora tu riuscissi a sopravvivere al nostro scontro!”
“Che cosa? Hai ancora fiato per
sciocchi sermoni, Dorado?” –Domandò Tindaro, prima di
sentire il ghiaccio che aveva creato, l’immensa massa scura che lo separava da
Neleo, integrandolo al suo interno, vibrare. Subito dopo, un lampo di luce
squarciò l’oscuro strato di ghiaccio che aveva ricoperto la parte superiore del
corpo dell’Hero di Ercole, permettendogli di liberare
il viso e le proprie braccia, cariche di energia cosmica. Senz’altro
aggiungere, Neleo conficcò il braccio destro nella massa indistinta di
ghiaccio, di fronte agli occhi attoniti del suo avversario, scaricando in essa
tutto il suo cosmo, profondo come l’oceano.
“Risiede nelle profondità dell’oceano
il segreto del mio potere!” –Ripeté Neleo, sollevando lo sguardo verso
l’incredulo Tindaro. –“Nel profondo dell’oceano, dove l’acqua è fredda e scura,
proprio come questo ghiaccio, ma splendida e pulita al tempo stesso! Renderò lo
splendore a questo ghiaccio che hai sporcato, Cigno Nero, riportandolo al suo
stato iniziale!”
“Che cosa? Cosa vuoi fare?!” –Domandò
Tindaro, digrignando i denti ed osservando il cosmo di Neleo fluire nella massa
indistinta di ghiaccio che li circondava, scintillante come un fiume di luce.
“Il ghiaccio altro non è che acqua
solidificata! E dell’acqua, io che attingo i miei poteri all’oceano, sono
signore e padrone!” –Commentò Neleo, prima di estrarre con un gesto deciso il
braccio. Improvvisamente l’intera massa di ghiaccio si illuminò e immense
colonne di acqua si sollevarono verso il cielo, turbinando in aria sottoforma
di affascinanti pesci. –“Hai sporcato quest’acqua, Cigno Nero, adesso io le
renderò la sua linda immagine, liberandola dalla tua oscurità! Impeto delle Correnti!” –Gridò Neleo, e
tutto il ghiaccio si sciolse completamente, assumendo la forma di potenti
colonne di acqua che si abbatterono su Tindaro, travolgendolo.
L’Hero
ribelle tentò di congelare l’acqua che era attorno a lui, l’acqua che lo
sballottava continuamente, fermando il movimento dei suoi atomi, ma non vi
riuscì, percependo una forza profonda che impediva al suo potere oscuro di
aderire. Una forza che traeva origine dallo splendore dell’oceano.
Neleo portò nuovamente la propria
conchiglia alla bocca e, aspirando dolcemente, generò un mulinello di aria che
aspirò le immense colonne di acqua, dalla sinuosa forma di guizzanti serpenti,
al suo interno, prima di rilasciarle con forza, e con maggior impeto,
trasformate in un gigantesco gorgo che travolse Tindaro, risucchiandolo al suo
interno, in un vortice continuo ed inesauribile. Quando la potenza del gorgo
oceanico defluì, Cigno Nero venne scaraventato a terra, con la corazza in
frantumi, assieme a tutti i suoi sogni di gloria. Neleo gli si avvicinò,
fermandolo a terra con mano decisa, per chiedergli ulteriori informazioni.
“Quanti altri?” –Domandò, con voce
seria e preoccupata. –“Quanti altri, oltre a te, hanno venduto la loro anima ad
Era?”
“Eheheh..
perché non lo chiedi alle profondità del tuo oceano!” –Sghignazzò Tindaro,
prima di tossire violentemente e sputare sangue.
“Tindaro!! Ercole deve aspettarsi altri
tradimenti? O sei soltanto tu la serpe annidata nel suo seno?” –Lo scosse
Neleo, chino su di lui. Ma Tindaro non rispose, sollevando il braccio destro ed
afferrando quello dell’Hero con cui lo stava
stringendo. Con le ultime forze che gli rimasero, Cigno Nero sprigionò un
violento cosmo congelante, ghiacciando il polso dell’Hero
del Dorado, fino a strappargli una smorfia di dolore.
“Ho vinto comunque!” –Esclamò, prima di
spirare, mentre Neleo, tastandosi il braccio dolorante, si rimetteva in piedi,
riflettendo con preoccupazione.
“Ercole è in pericolo! Dobbiamo
rientrare a Tirinto quanto prima!” –Convenne,
sollevando lo sguardo verso le mura di Argo, all’interno delle quali Niobe,
Argo e Gleno avevano trovato riparo, portando seco il
corpo stanco di Agamennone.
I tre Heroes avevano infatti raggiunto il
kastro,
sulla sommità della collina di Larissa, alla ricerca
di cure per Agamennone. Nonostante indossassero armature, gli Heroes non erano
certo una novità agli occhi degli abitanti di quella zona, poiché da molti anni
ormai, da quando Ercole aveva riportato a nuova vita la splendida Tirinto, vi erano fitti rapporti di scambi di prodotti
agricoli e commerciali tra la città-fortezza del Dio e le cittadine
circostanti, rinfrancate dalla presenza di così valenti e coraggiosi
combattenti che vegliavano su di loro. Pur tuttavia, l’accoglienza che Niobe e
gli altri ricevettero quella mattina, dagli abitanti rifugiati nel kastro, sembrò loro molto tiepida, troppo tiepida se
commisurata al rischio che avevano corso per frenare l’avanzata distruttiva del
Kouros.
“Che strano!” –Mormorò Argo, entrando
dal grande cancello all’interno della fortezza medievale e guardandosi intorno.
–“La gente è nascosta nelle case e nei rifugi e tutti sembrano guardarci con
sospetto! Quasi come fosse colpa nostra delle loro disgrazie!”
“Prudenza, amici!” –Commentò Niobe a
bassa voce. –“Ercole ha sempre visto di cattivo occhio questa erma residenza!
La leggenda racconta che vi dimori una strega, bandita dalle città per aver
esercitato i suoi oscuri poteri, portando ovunque siccità e pestilenze! Non
credo molto alle leggende folkloristiche, ma credo ai miei sensi! Ed essi mi
dicono di stare in guardia! Questo non è un ambiente a noi favorevole!”
L’aria che si respirava sotto il cielo
di Larissa era molto pesante, resa greve da un sempre
più consistente strato di nuvole che si andava ammassando sulla costa orientale
del Peloponneso, falciando il sole di quel pallido mattino. Niobe, Argo e Gleno seguirono le guardie della fortezza per i vicoli del kastro, fino a
giungere ad un edificio, sulla cima più alta del colle, presidiato da un buon
numero di uomini armati.
“La Regina vi aspetta!” –Esclamò infine
una guardia, fermandosi di fronte al portone d’ingresso. –“Ella sapeva che
sareste giunti, e vi aspetta per conferire con voi!”
“Cerchiamo soltanto cure mediche per il
nostro compagno, capitano! Non è nostro ardire disturbare oltre!” –Commentò
Niobe, presa alla sprovvista, ma la guardia non aggiunse altro, facendo cenno
ad altri soldati di aprire il portone d’ingresso.
Titubanti, Niobe, Argo e Gleno varcarono la soglia dell’edificio, mentre il pesante
portone cigolava alle loro spalle, richiudendosi, e si ritrovarono in una vasta
stanza scarsamente illuminata. Avanzarono a passo lento fino al centro del
salone, mentre le loro ombre si allungavano sul pavimento decorato, rischiarato
dalla debole luce di candelabri accesi, affissi alle pareti laterali. Si
fermarono soltanto quando furono di fronte ad un palco, in cima al quale una
donna, avvolta da lussuose vesti di colore verde, sedeva su un trono, mentre un
braciere acceso crepitava al suo fianco.
“Vi aspettavo!” –Esclamò la donna,
alzandosi in piedi e smuovendo, con il mantello, le fiammelle del braciere.
–“Non siate timidi, avanzate! Al destino non si può certamente sfuggire!”
”Destino?!” –Balbettò Niobe, mentre
Argo e Gleno, ai fianchi della sacerdotessa, si
guardavano intorno con sospetto. Tutta quella situazione non piaceva loro
affatto. Tutto quel silenzio. Tutta quella solitudine. Sembrava non vi fosse
nessuno in quella stanza, nessuno in quell’ultima fortezza, tranne loro.
“E chi altri dovrebbe esserci?”
–Domandò infine la donna, scendendo i gradini del palco fino a fermarsi
sull’ultimo, leggermente sopra i suoi interlocutori. –“Non ho certo bisogno di
guardie! So difendermi da sola dai malintenzionati!”
“Noi non siamo malintenzionati! Siamo
Heroes di Ercole, in cerca di aiuto! Il nostro capitano, il valente Agamennone,
ha bisogno di cure immediate!” –Esclamò Gleno
agitatamente.
“Ma io so chi siete!” –Sorrise la
donna, e a Gleno quel sorriso parve un sogghigno.
–“Ma voi non sapete chi sono io! Ah ah ah!” –Ed
esplose in una goffa risata, che echeggiò tra le mura del palazzo. –“E ciò mi è
di enorme vantaggio! Perché altrimenti non sareste caduti in gabbia, come topi
di fronte ad un gatto famelico!”
“Che cosa?!” –Gridarono i tre compagni,
ma in quel momento la donna diede un colpo al braciere con il braccio destro,
rovesciandolo rumorosamente a terra, mentre tutte le braci ardenti si
spargevano sulla scalinata e sul pavimento. Con un altro gesto del braccio, la
donna sollevò colonne di fiamme, che scivolarono a terra come serpi,
circondando i quattro Heroes, rinchiudendoli in un muro di ardente energia.
“Che il fato si compia e che le mura in
cui adesso siete rinchiusi diventino per voi un’inesorabile morsa capace di
ardere i vostri miseri corpi e tramutarli in polvere!” –Esclamò la donna con
enfasi, gettando via il soprabito che indossava e rivelando la vera veste che
portava sotto: una Veste Divina, dagli scintillanti riflessi celesti. –“Siete
stati sciocchi! Sciocchi ed avventati vi siete precipitati incontro al vostro
destino! E sarò io a condannarvi a morte! Io, Didone,
Regina di Cartaginee Somma Sacerdotessa di Era e a lei soltanto seconda!”
Capitolo 12 *** Capitolo undicesimo: La furia dei venti. ***
CAPITOLO UNDICESIMO: LA FURIA DEI VENTI.
Erano caduti in trappola.
Niobe del Falco, Argo del
Cane e Gleno di Regula,
della Quarta Legione, erano giunti nel kastro di Argo per trovare riposo e medicamenti per curare
il loro comandante, ma vi avevano trovato una mortale nemica. Una donna alta e
bella, con una chioma fluente e un viso delicato, i cui lineamenti però
potevano cambiare continuamente, al punto da divenire una crudele e spietata
regina, fedele servitrice della sua Dea, la stessa che aveva dichiarato guerra
ad Ercole. Costei era Didone, Somma Sacerdotessa di Era e reggente della
città di Argo, che da secoli viveva rinchiusa nel kastro, dedita ai suoi studi di
astronomia e di meditazione, e adesso si ergeva di fronte ai quattro Heroes
intrappolati in una gabbia di infuocata energia, una gabbia che
progressivamente si faceva sempre più stretta, fino a chiudersi su di loro,
disintegrando le loro carni.
“È così che io servo la mia Signora, la
Grande Dea Madre, da cui il mondo è stato generato!” –Esclamò Didone, girando
intorno alla gabbia infuocata. E a Niobe sembrò che Didone parlasse più con se
stessa che con loro. –“Lei mi comprende! Sì, mi ha sempre compreso! Lei che ha
sofferto indescrivibili pene d’amore, per colpa di un disattento sposo, lei
capace di donare così tanto amore ad un uomo, pur sbagliato che sia! Lei ha
consolato le mie lunghe notti di lacrime, salvandomi dalla perdizione e
concedendomi una nuova vita, una vita dedita al suo servizio!”
“Lasciaci andare, Didone!” –Gridò Argo
improvvisamente. –“Liberaci! O la furia di Ercole ti travolgerà!” –A quelle
parole, Didone sembrò destarsi, quasi l’incantesimo delle sue parole fosse
stato spezzato.
“La sua furia?! Ah ah ah! Stupidi mortali, credete forse che io tema un così
zotico uomo? Ho imparato da tempo come trattare gli uomini, e non ve ne è
nessuno che meriti diverso trattamento!” –Rispose Didone, voltando loro le
spalle e incamminandosi verso il trono.
“Didone!” –La richiamò Niobe, con voce
calma. –“Conosco il tuo dolore! Il dolore di aver perso una persona cara! Il
dolore di aver visto partire l’uomo amato, senza poter far niente per fermarlo,
senza essere un motivo, una ragione sufficiente, per farlo rimanere! Per farlo
restare!”
“Cosa ne sai tu?!” –Gridò Didone,
scompigliandosi i capelli ed espandendo il proprio cosmo. Vasto, immenso,
capace di riempire quell’erma fortezza e traboccare fuori, dalle finestre alte
del palazzo, e avvolgere l’intero kastro sotto la sua protezione. Un cosmo dalle sfumature
divine, più grande di tutti quelli che Niobe, Argo e Gleno
avevano percepito fino ad allora. Secondo soltanto ad Ercole. –“Cosa ne sa di
sentimenti d’amore una donna che ha rinunciato alla sua femminilità, per
scelta, per una stupida scelta?! Tu, mortale ingrata, non dovresti neppure
parlare di emozioni che non conosci, che non hai mai provato, perché per tua
libera scelta le hai rifiutate, celandole dietro una maschera!”
“È vero! Non le conosco!” –Chinò il
capo Niobe, parlando con tristezza. –“Non so cosa significhi perdere un amore,
perché non ho mai avuto un uomo da amare e da osservare partire! Ma so cosa
significa portarsi dentro un cumulo di sentimenti, confusi e contrastanti, per
persone che non ricambieranno mai tali mie emozioni! Per persone troppo
lontane, o maledettamente troppo vicine, per raggiungere il nostro cuore! So
cosa significa trascorrere le notti in un letto vuoto, ad attendere che la
porta si apra e l’affascinante sagoma dell’amato compaia sulla soglia, prima di
sentirlo giacere al nostro fianco!” –Continuò, in ginocchio sul corpo ferito di
Agamennone. –“Perciò, Regina di Cartagine, sappi che
non sei sola nel dolore! Ma il tuo è lo stesso di molte altre donne che come te
sono state sconfitte dall’amore! Perché ad esso non sono state in grado di
opporsi!”
“Niobe!” –Balbettarono Argo e Gleno, osservando la Sacerdotessa del Falco carezzare il
volto ferito di Agamennone, sdraiato sulle sue gambe. E capendo.
“Se è per lenire la tua solitudine, la
tua frustrante esistenza di lacrime, che ci hai rinchiuso in questa gabbia,
allora puoi lasciarci andare! Perché essa non scomparirà con la nostra morte!”
–Concluse Niobe, appoggiando delicatamente Agamennone a terra, e rimettendosi
in piedi.
“Forse no! Ma avrò reso un piacere alla
Dea a cui la mia vita è adesso dovuta!” –Chiosò Didone, battendo poi le mani. In
quel momento, dalle alte finestre della fortezza, iniziarono a soffiare
violenti venti che smossero l’aria, facendo oscillare le fiamme dei candelabri,
accompagnati da giovanili risate. Dalla finestra rivolta a meridione entrò una
raffica di vento carica di pioggia, mentre un uomo ricoperto da una
meravigliosa armatura celeste, con colorate ali spiegate, faceva la sua
comparsa.
“È Austro il mio nome celeste,
Vento del Sud! Il mio cosmo è carico di pioggia, sempre pronto a scaricarla su
terre e mari, rendendo ardua la navigazione!” –Parlò l’uomo, planando sul
pavimento della sala.
Subito dopo una nuova raffica di vento,
calda e torrida, spirò dalla finestra rivolta ad occidente, mentre la leggiadra
voce di un uomo anticipava il suo arrivo. –“Veloce come i cavalli di Achille, e
particolarmente gradito agli uomini mortali poiché portatore di ristoro dopo i
tormenti dell’inverno, io sono Zefiro, o Favonio, il leggiadro Vento
dell’Ovest!” –Esclamò l’uomo, circondato da una calda aura lucente.
Terzo giunse il Vento dell’Est, avvolto
in un turbinar di brezza, che portava pioggia e sole, ombra e luce, come l’alito
impetuoso che egli dominava. –“Euro son io, giudice implacabile dei
comportamenti umani! Se fedeli e rispettosi agli Dei e alla via maestra,
tracciata da Ananke nel libro del destino, gli uomini
sono, io li ricompenso e ristoro con la mia brezza leggiadra! Altrimenti li
condanno a piogge torrenziali e patimenti!”
Ultima infine, dalla finestra rivolta a
Nord, giunse una violenta tempesta, un’aria fredda e gelida che parve incupire
ogni angolo del salone, accompagnata da cristalli di ghiaccio.
“Borea è il mio nome, Vento del
Nord, il soffio stesso degli Dei, e il più possente dei quattro figli di Eos!
Lodato dagli ateniesi, per aver reso loro un servizio nella battaglia contro Serse ed i persiani, appaio circondato da un turbinante
uragano di gelo! Lo stesso che calerà presto su tutti coloro che oseranno
mettere in discussione la volontà degli Dei!” –Esclamò vanaglorioso il quarto
Dio, scendendo al centro del salone.
“Siete i benvenuti, figli di Eos, Dea
dell’Aurora!” –Esclamò Didone, inginocchiandosi ai piedi del palco alle quattro
Divinità.
“I figli di Eos?!” –Balbettarono Argo e
Gleno. –“Ma questo vuol dire allora che…”
In quel momento, un’impetuosa raffica
di vento spalancò verso l’interno i portoni dell’ingresso principale,
scaraventando dentro anche un paio di guardie, e obbligando tutti i presenti a
coprirsi gli occhi con un braccio, per non esser travolti dal turbinare di
energia che accompagnò l’arrivo di colui a cui i Quattro Venti erano fedeli, il
loro Signore e Padre adottivo, che a Lipari da secoli risiedeva: Eolo, il
Dio supremo dei Venti.
Maestoso, rivestito della sua azzurra
Veste Divina, Eolo apparve cavalcando onde di turbinante energia, con le ali
della corazza spalancate, e discese dal cielo come un angelo, posizionandosi a
fianco della Regina Fenicia, di fronte alla quale si inginocchiò, baciandole la
mano.
“Eolo, Signore dei Venti, al servizio
della Grande Dea Madre!” –Esclamò l’uomo, dalla morbida barba grigia.
“Il mio regno è il tuo regno, Signore
dei Venti!” –Affermò Didone, prendendolo a braccetto. –“E il nostro regno, come
tutto ciò che al mondo è stato creato, appartiene ad Era, la Somma Regina degli
Dei, sorella e sposa del Signore dell’Olimpo, e Divinità Madre e protettrice!”
“Ad Era sono fedele da sempre, fin da
quando Ella mi concesse aiuto, permettendo a me, figlio di Ippote,
di salire all’Olimpo assieme alle altre Divinità! Fu sempre lei, millenni or
sono, ad affidarmi il controllo su tutti i venti, facendo di me la massima
autorità competente in materia, riempiendomi di continue lodi di approvazione
per il mio operato!” –Esclamò Eolo, volgendo lo sguardo verso la gabbia con i
prigionieri.
“La nostra Signora sa essere misericordiosa
e riconoscente con chi le dimostra fedeltà! Io ne sono la prova vivente!”
–Continuò Didone, ma le voci di Argo e Gleno
interruppero la conversazione tra i due.
“Già! Una gran misericordia quella
della vostra Dea! Dichiarare guerra al massimo protettore degli uomini, per
radere al suolo la sua città, sterminando centinaia di innocenti, e per fare
cosa? Per porsi come nuova sovrana del mondo, instaurando un regime di terrore
sull’intera superficie terrestre, abolendo ogni culto che non sia il suo! Un
po’ troppe pretese, forse, per una Divinità che ha trascorso secoli fuori dal
mondo degli uomini, venendo presto dimenticata!” –Esclamarono con decisione.
“Tacete, stupidi!” –Li zittì Borea,
balzando davanti alla gabbia di energia, circondato dal suo freddo cosmo,
capace di rendere gelida l’intera aria circostante. –“Esseri inferiori come voi
non dovrebbero neppure aprire la bocca per parlare!”
“Come osi?!” –Esclamò Gleno, facendosi avanti, ma le fiamme della gabbia si
avvolsero attorno a lui, strappandogli un grido di dolore.
“Lascia che parlino!” –Commentò Didone
con superficialità, osservando le maglie della gabbia di energia farsi sempre
più strette. –“Presto non avranno più la possibilità neppure per far quello, e
l’unico suono che udiremo sarà uno stridulo e patetico grido di aiuto!”
“Mai!” –Ringhiò Gleno,
rimettendosi in piedi, aiutato da Argo, ed espandendo il cosmo. Concentrò una
sfera di energia sul palmo destro e la scagliò avanti, facendola schiantare
contro la gabbia incandescente, su cui esplose, generando una leggera onda
d’urto che spinse Borea indietro di qualche metro, obbligandolo a pararsi gli
occhi dalle scintille di energia.
“Stupido mortale! Così tanto brami di
scendere in Ade?” –Ringhiò il figlio di Eos. –“Ebbene sarò io il tuo Caronte!”
–Gridò, espandendo il cosmo. Mosse appena le dita della mano destra, creando
una corrente di aria fredda che scivolò sul pavimento, lambendo i piedi di Gleno e avvolgendosi attorno al suo corpo, intorpidendo le
sue membra.
“Ma cosa?!” –Si chiese Gleno, prima di venir sollevato da terra e trascinato
avanti, con forza impetuosa, fino a schiantarsi contro la gabbia di energia. Le
maglie infuocate stridettero sul suo corpo, distruggendo parte della sua
corazza e bruciandolo in vari punti del corpo, mozzandogli anche un paio di
dita, mentre il ragazzo si abbandonava a grida di dolore.
“Prostrati!” –Esclamò Borea,
depositando il ragazzo ai suoi piedi, ustionato e con l’armatura rotta.
–“Adorami e rendi grazia a me, servitore di Era, Grande Dea Madre, tu che dalla
natura sei stato procreato!”
“Mai!” –Ringhiò Gleno,
con tutto il fiato che aveva in corpo. Gettato ai piedi del Dio, il ragazzo si
mosse, cercando di recuperare una posizione composta, e sollevò lo sguardo,
fissandolo con determinazione, senza paura alcuna. –“L’unica persona a cui devo
rendere grazia, oltre ad Ercole che mi ha accettato tra gli Heroes, è il mio
migliore amico, Argo del Cane! Non certo ad una regina dispotica e frustrata!”
“Maledetto!” –Gridò Borea, schiacciando
il ragazzo a terra con il cosmo. Sollevò il braccio destro, volgendo il palmo
verso il pavimento ed esercitando tramite esso un’indescrivibile pressione, una
fredda corrente che schiacciava Gleno a terra,
facendo tremare tutto il suo debole corpo.
“Smettila, bastardo!” –Esclamò Argo, da
dentro la gabbia. Ma non fece in tempo a muoversi di un passo che subito le incandescenti
fiamme furono su di lui, avvolgendolo in mortale abbraccio. –“Glenooo!!”
“Pochi attimi ancora!” –Sogghignò
Borea, di fronte allo sguardo compiaciuto di Didone e dei suoi fratelli.
–“Pochi attimi e il tuo corpo sarà polvere! La pressione che ti sta investendo
è un’aria congelata che paralizzerà ogni muscolo del tuo corpo, fino a renderti
rigido e a farti esplodere dall’interno! Perciò, ragazzo, accetta la sorte e
muori, tu che hai osato sfidare gli Dei!”
“Lascialo andare immediatamente!”
–Esclamò una decisa voce maschile, la cui fermezza e autorità apparvero così
grandi che Borea placò il suo cosmo ostile. Anche Didone, Eolo e i tre fratelli
di Borea rimasero sorpresi nell’udire tale voce, che proveniva dall’interno
della gabbia di energia, da un uomo, con l’armatura danneggiata e ferite sul
corpo, rimasto silenzioso per tutto quel tempo. Dal secondo ufficiale della
Quarta Legione. –“Lascia andare il ragazzo, Borea! O verrò io stesso a
liberarlo!” –Esclamò Agamennone del Leone, rimettendosi a fatica in piedi.
“Ma sentilo, lo sbruffone!” –Lo derise
il figlio di Eos. –“Ho riconosciuto le tue vestigia, Hero
del Leone di Nemea! Ma non credere che il solo fatto di avere un nome così
truce e battagliero ed un simbolo di forza ti metta in grado di fare la voce
grossa con me, un Dio figlio di Dei, un essere infinitamente superiore alla
gran massa di uomini comuni!”
“Io non sono un uomo, sono un Hero di Ercole, un Cavaliere dell’Onestà! E proprio per il
nome che porto, e per il simbolo che batte ardente nel mio cuore, io ti
combatterò!” –Esclamò fermamente Agamennone. –“Lascia quel ragazzo o gli
Artigli del Leone di Nemea ti dilanieranno il cuore! Questa non è una promessa,
è un giuramento!”
Borea mosse un piede all’indietro, per
un momento disturbato, quasi spaventato, dalla luce di determinazione che
splendeva negli occhi dell’Hero del Leone di Nemea.
Ma poi si riprese, toccandosi il naso e sbeffeggiando l’uomo ancora
prigioniero.
“Non dovresti promettere cose che non
manterrai, spergiuro! Non vedo come tu possa impedirmi di scortare in Ade
questo ragazzo, debole e inerme come sei e prigioniero di una gabbia che presto
si chiuderà su te!” –E nel dir questo portò nuovamente il braccio avanti,
volgendo il palmo verso il basso, per schiacciare Gleno
a terra con il suo freddo cosmo.
“Così!” –Gridò improvvisamente
Agamennone, bruciando tutto il cosmo che teneva dentro e concentrandolo sul
braccio destro, sotto forma di folgori incandescenti. Mosse il pugno con
straordinaria velocità, liberando quelle che ai figli di Eos parvero le fauci
aperte di un Leone e distruggendo la gabbia che lo teneva prigioniero,
dirigendosi verso Borea, il quale, per non essere travolto, fu costretto ad
incrociare le braccia avanti a sé, venendo comunque spinto indietro di qualche
metro.
Gleno, ai
piedi del Dio, riuscì a rotolare di lato, evitando l’assalto furioso del Leone
di Nemea, prima di essere raggiunto da Argo e da Niobe, che lo aiutarono a
rimettersi in piedi.
“Maledetto! Come osi?!” –Gridò Borea,
mentre l’attacco di Agamennone scemava. Concentrò il cosmo attorno a sé e poi
balzò avanti, in un turbinio di aria fredda e tempestosa.
Argo e Niobe, nel vedere il loro
capitano, in piedi ma debole, investito da tale potente energia fredda,
scattarono avanti, scagliando attacchi contro il figlio di Eos, ma vennero
intercettati dopo poco dai fratelli di Borea, che prontamente avevano preso
posizione di fronte a lui, deviando gli attacchi di Argo e Niobe e atterrando i
due Heroes.
“La vostra corsa termina qua!” –Parlò
Austro infine, osservando i due compagni rotolare inermi al suolo. –“Sarà
questa mia limpida corrente a spazzare via i vostri deboli corpi!” –Aggiunse,
sollevando l’indice destro al cielo, mentre cupe nubi si addensavano tutte
intorno a lui.
“Volevo soltanto aiutarti, fratello!
Affinché si compia in fretta l’ineluttabilità del fato!” –Rispose Austro,
abbassando il braccio e placando il proprio cosmo offensivo.
“Sono il più forte tra voi,
perfettamente in grado di occuparmi di questi traditori! Rivendico il diritto
di eliminarli dalla faccia della Terra, a cominciare da costui che ha osato
ferirmi!” –Esclamò Borea, indicando Agamennone, che stava faticando nel
rimettersi in piedi.
“Bel combattimento! Affronti un uomo
che ha già un piede nella Bocca di Ade!” –Rise Austro. –“Ma se tu hai scelto il
Leone come tuo avversario, io mi occuperò di questi tre ragazzini!” –E indicò
Argo, Gleno e Niobe, riuniti tra loro, ad un lato
della stanza.
“E noi ti daremo una mano!”
–Intervennero Euro e Zefiro, ma la possente voce di Eolo li sovrastò.
“No!” –Tuonò il Dio, facendo voltare i
figli di Eos. –“Non avete dunque orgoglio? In tre vorreste affrontare quei
miseri umani? Basterebbe un soffio di vento per spazzarli via tutti! Lasciate
ad Austro, che come Borea è desideroso di battaglia, tale compito e seguite
me!” –Esclamò Eolo, spalancando le lucenti ali della sua corazza. –“Voleremo
dove c’è la vera battaglia! Travolgeremo Tirinto con
un poderoso vortice di energia a cui nessuno potrà opporsi! E quando dico
nessuno intendo neppure il possente Ercole! Ah ah ah!”
–E volò via, sulle ali del vento, seguito da Zefiro ed Euro, dalle spalancate
ali colorate.
“E così siamo rimasti noi!” –Sorrise
Austro, volgendo lo sguardo verso i tre Heroes riuniti. –“Tanto meglio! Potrò
dedicarmi a voi con il massimo interesse!” –Ed espanse il proprio cosmo,
sollevando le braccia al cielo, mentre tutto attorno cupe nuvole si radunavano,
pronte per liberare un’immensa quantità di acqua. –“Piogge torrenziali! Spazzateli via!” –Gridò, e un oceano di acqua,
dal suo cosmo generata, travolse i tre compagni, sbattendoli con forza contro
il muro e sommergendoli in fretta.
La pressione esercitata dall’acqua
presto diventò insostenibile e le mura dell’edificio cigolarono, prima di
crollare e lasciare che le acque torrenziali si riversassero all’esterno.
Austro, a tale scena, si librò in aria, spalancando le variopinte ali della sua
armatura, ancora avvolto da scure nuvole che continuavano a buttar fuori
torrenti di pioggia, che scivolò in basso, lungo le vie del kastro, distruggendo mura e
palazzi, travolgendo guardie e genti nascoste, mentre Austro rideva, divertito
da tale apocalissi.
“Scendete, Piogge torrenziali!”
–Gridò, mentre lampi e saette schizzavano nel cielo attorno. –“E mondate questa
terra dagli uomini!”
Il crollo delle mura laterali fece
tremare l’intero edificio, e ben presto anche il soffitto e le altre mura
perimetrali cedettero, travolte dalla pressione dell’acqua e dal turbinio di
aria tempestosa generata da Austro.
“Austro! Che diavolo stai facendo?”
–Gridò Borea, impegnato ad affrontare Agamennone, mentre pezzi di muro
crollavano intorno a lui.
“Faccio il mio lavoro, Borea! Dovresti
farlo anche tu!” –Rispose laconico l’umido Vento del Sud, disinteressandosi
completamente alle sorti del fratello e della Regina Didone, la quale, non
appena il palazzo aveva iniziato a cadere, si era spostata nella parte alta del
palco, cercando di non rimanere coinvolta in quel crollo.
Per un momento, di fronte a
quell’atroce distruzione, la Regina Fenicia ebbe un moto di sgomento e di
preoccupazione per le genti della sua città. Per quegli innocenti che non
avevano colpa alcuna, e che avevano ubbidito alla sua autorità per molti anni.
Là, in quell’erma fortezza, si era rifugiata secoli addietro, dopo che la Somma
Era l’aveva salvata dall’inferno in cui Enea, discendente di Troia, l’aveva
precipitata. Dopo averlo amato così tanto, e così intensamente, ed essere da
lui stata abbandonata, come un oggetto dopo l’uso, Didone si era data fuoco,
nella sua antica città, la magnifica Cartagine. Arse
il suo corpo, arse la sua morbida pelle, come arso e distrutto era il suo
cuore, e di lei niente restò, soltanto le ceneri che il vento portò via. Ma
Era, che di Enea seguiva ogni mossa, maledicendolo con continui assalti, udì il
suo tormento, la straziante voce di una donna disperata, uccisa dall’amore di
un uomo, e ne ebbe pietà, comprendendo che lo stesso dolore albergava
frequentemente nel suo animo, quando Zeus la trascurava o, peggio ancora, la
tradiva. Così la salvò, portandola a sé, onorandola come sua ancella, e Didone
per secoli la servì, rimanendo al suo fianco, venerandola come una madre.
Perché era così che Didone si sentiva, la figlia minore, protetta dall’immenso
amore di una Divinità che aveva compreso i suoi tormenti e l’aveva salvata.
Da quel momento, Didone aveva dedicato
la vita a servire Era, dimenticando Enea, dimenticando l’amore, dimenticando
ogni uomo, e concentrandosi soltanto su di lei, sul suo futuro, divenendo in
breve Sacerdotessa della Regina degli Dei, pari soltanto ad Argo, il Sommo
Sacerdote, e a nessun’altro. Felice per tale nomina, onorata per
quell’onorificenza che mai ad altro mortale era toccata, Didone affiancò Era in
ogni battaglia, fisica o morale, finché non iniziò a sentire gli anni passare,
per quanto l’Olimpica quiete riuscisse a cacciar via ogni segno del tempo. In
quei giorni Era sembrava aver ritrovato un suo equilibrio, nel rapporto con
l’amato Zeus, e Didone credette fosse il momento per
salutarla. Discese sulla Terra e si insediò ad Argo, nell’erma fortezza di Larissa, dedicandosi a studi privati e personali, che
spaziavano dall’astronomia alla meditazione, dall’anatomia al misticismo. Studi
che ingenuamente alimentarono la diceria del popolino che vedeva in lei una
strega, preferendo tenersi alla larga. Ma a Didone del giudizio degli uomini
non importava molto. Aveva imparato da tempo a vivere in pace con se stessa, e
così rimase per vari secoli, fino a quella mattina, quando sentì avvampare come
mai era accaduto prima il cosmo della Signora, e si preparò. Per la guerra che
sarebbe giunta.
Mentre l’edificio in cui aveva trascorso
gli ultimi secoli crollò, e le immense piogge del Vento del Sud straripavano
dalla cima di Larissa lungo le vie e i pendii irti
della collina, Didone pensò che tutto ciò avveniva in nome di Era, poiché Ella
l’aveva voluto e quindi, come tale, doveva accadere. In nome suo la
Sacerdotessa avrebbe combattuto, per portare il suo messaggio, poco importava
se nel farlo sarebbero morti umani innocenti. In fondo, secondo Didone, nessun
uomo era realmente innocente.
“Come Poseidone,
Signore dei Mari, nel Mondo Antico fece piovere per quaranta giorni sull’intera
Terra, per spazzar via ogni essere vivente, così io, Austro, Vento delle
Piogge, spazzerò via voi, ridicoli mortali, la cui debolezza è pari soltanto a
quella delle bestie!” –Esclamò Austro, librandosi nel cielo tempestoso e
scagliando fulmini verso il basso.
Folgori incandescenti si schiantarono
contro edifici e palazzi, distruggendoli in pochi istanti, mentre le piogge
torrenziali, che scendevano dalle nubi, travolgevano ogni cosa e il popolo di
Argo si disperdeva nei fangosi flutti. Argo, Gleno e
Niobe cercarono di aiutare la gente a mettersi in salvo, proteggendola dai
fulmini di Austro e dalle impetuose ondate che scendevano dall’alto colle, ma
presto realizzarono di non avere la forza per opporsi a così tanta distruzione.
I loro poteri non potevano in alcun modo spazzar via tutte quelle acque
rovinose.
“Maledizione!” –Gridò Argo, scagliando
una sfera di energia contro una massa di acqua che calava dal colle. –“I miei
poteri sono inutili! L’energia cosmica che creo e che rilascio sotto forma di
sfere incandescenti viene dispersa dall’acqua, senza riuscire a far presa su di
essa!”
“Alcione e la Terza Legione si
troverebbero a loro agio in tutto quest’oceano!” –Commentò Niobe. –“In questo
oceano di disperazione!”
La gente comune stava annaspando in
quell’amara alluvione, lottando per non affogare, per non rimanere intrappolata
tra edifici frananti e masse di fango che precipitavano rovinosamente verso
valle. Cercava di reagire, di salvarsi dalla distruzione, di aiutarsi l’un
l’altro, tendendosi una mano. Ma tutti parvero allontanarsi dagli Heroes,
guardandoli con sospetto, accettando con titubanza il loro aiuto, quasi
volessero incolparli della loro rovina.
“Avete portato la distruzione!” –Disse
loro un uomo, sollevando il corpo esanime di sua moglie, morta schiacciata dal
crollo di un edificio. -“Siete i Cavalieri del Dio dell’Onestà o del Dio della
Guerra?!”
Niobe non ebbe cuore di rispondergli,
immaginando che niente di ciò che avrebbe potuto dire lo avrebbe fatto sentire
meglio. Che niente gli avrebbe ridato sua moglie, né avrebbe cancellato dal suo
cuore il ricordo di quel giorno. Di quell’oscuro giorno senza sole.
“Se tanto soffri per la perdita della
tua sposa, stupido mortale, io ti farò un prezioso dono!” –Esclamò Austro,
piombando dall’alto sull’uomo in lacrime. –“L’opportunità di abbracciarla
nuovamente! In Ade!” –Gridò, liberando fulmini che lacerarono il corpo
dell’uomo, facendolo urlare di dolore, prima di distruggere il suo corpo, di fronte
agli occhi increduli dei tre Heroes, che dal contraccolpo vennero spinti
indietro. –“Folgori di Austro!!”
–Urlò deciso il Vento del Sud, portando avanti il braccio destro.
Violente scariche di energia percorsero
l’aria, elettrificando l’immensa massa di acqua in cui erano immersi fino alle
cosce i tre Heroes che esplosero in disperate grida, mentre le loro corazze si
schiantavano in più punti. Argo cercò di reagire, stringendo i denti, ma bastò
uno sguardo di Austro per scaraventarlo indietro, facendolo schiantare contro
un muro e crollare a terra, travolto da una massa di detriti e di fango.
In piedi su una roccia affiorante sul
colle percorso da violenti torrenti di acqua, il Vento del Sud osservò
soddisfatto il proprio operato, la distruzione dell’antico kastro e la resa indiscutibile di
tre Heroes di Ercole.
“Chissà poi perché amano definirsi
eroi?! Cialtroni! È questo l’appellativo che meritano esseri così deboli,
adatti soltanto a sguazzare nel fango!” –Rifletté il Dio, osservando i goffi
tentativi di Niobe, Argo e Gleno di rimettersi in
piedi, aiutandosi l’un l’altro. Austro, deciso a farla definitivamente finita,
concentrò il cosmo sotto forma di scariche di energia che avvolsero il braccio
destro e fece per portarlo avanti, quando improvvisamente qualcosa attirò la
sua attenzione. Un fischio, leggero ma acuto, quasi il suono portato dal vento
quando entra in una conchiglia.
Stupefatto, Austro si voltò verso il
basso, verso il punto da cui sembrava che il suono provenisse, e assistette
sconvolto ad un fatto incredibile. Le acque torrenziali che aveva finora
riversato sul colle stavano turbinando intorno a lui, ribollendo di furore,
mentre una grande energia, vasta e profonda, le stava investendo, liberandole
dalla furia assassina del Vento del Sud e riportandole alla loro beatitudine
originaria. Pochi attimi dopo, immense colonne di acqua si sollevarono verso il
cielo, turbinando come vortici, quasi stessero danzando al richiamo del loro
padrone, mentre un uomo si faceva largo tra di esse: Neleo
del Dorado, la cui bocca stava intonando una
leggiadra melodia con la conchiglia che teneva delicatamente tra le labbra.
“Come puoi fare questo?!” –Sgranò gli
occhi Austro, sconvolto che un uomo potesse dominare a tal punto le acque,
simbolo della natura e creazione quindi divina.
“Le acque del mare sono come le genti
di questo pianeta! Amano essere libere! E non succubi di folli divinità!”
–Sentenziò Neleo con voce calma. –“Non puoi disporre
a tuo piacimento di questa immensa forza primordiale, poiché essa non è nata
per portare distruzione!”
“Taci, i tuoi sermoni non mi
interessano! Piogge torrenziali, spazzatelo via!” –Gridò Austro,
incollerito, sollevando l’indice destro al cielo e facendolo lampeggiare.
Ma quel comando, che avrebbe dovuto
consentirgli di scaricare immense onde di acqua su Neleo,
si ritorse contro di lui, incitando le colonne di acqua a dirigersi contro il
Dio, travolgendolo, sbattendolo a terra con vigore, immergendolo nel fango da
lui stesso creato, insudiciando la sua linda armatura. L’impatto scaraventò
Austro lontano, stritolandolo all’interno di quel maremoto che Neleo pareva controllare semplicemente con leggeri soffi
nella sua conchiglia, riuscendo a scuotere il profondo abisso dell’oceano, da
cui i suoi poteri traevano origine.
“State bene?” –Domandò Neleo, avvicinandosi a Argo, Gleno
e Niobe, che annuirono confusamente.
“Preoccupati per te, e non per chi ti
seguirà presto in Ade!” –Esclamò una voce isterica, facendo voltare di nuovo l’Hero del Dorado.
Austro, Vento del Sud, era in piedi di
fronte a lui, privo ormai dell’elmo della sua corazza, con il volto deturpato
dall’odio che provava per lui, per aver osato opporsi al suo castigo divino e
per essere riuscito a ritorcere contro di lui le sue stesse acque.
Capitolo 13 *** Capitolo dodicesimo: La legione del mare. ***
CAPITOLO DODICESIMO. LA LEGIONE DEL MARE.
Nesso del Pesce Soldato aveva
raggiunto i compagni della Terza Legione, l’unica che al momento dell’assalto
dei Kouroi era impegnata in una missione che non
aveva niente a che fare con l’eterno scontro tra Ercole e Era. La Legione del
Mare era infatti di stanza a Creta, nell’isola dove millenni prima regnava
Minosse. Nell’isola che da oltre un secolo non conosceva pace, continuamente
devastata da guerre violente.
Creta infatti era stata, nel
Diciassettesimo Secolo, al centro di un violento conflitto militare tra la
Repubblica di Venezia, che l’aveva occupata nel 1209, in seguito alla Quarta
Crociata, e l’Impero dei Turchi Ottomani, la cui espansione verso occidente
sembrava inarrestabile. I Veneziani, per difendersi, avevano costruito una
serie di fortezze lungo la costa, nelle piccole isole attorno a Creta, in modo
da controllare il traffico marino senza concedere possibilità di approdo. Ma
nonostante tutto l’impegno e la loro profonda dedizione alla causa, i Veneziani
erano stati sconfitti e dopo un lungo assedio Creta era caduta nelle barbare
mani dei Turchi Ottomani nel 1669, eccezion fatta per tre forti che Venezia era
riuscita a mantenere. Fino al 1715, quando la Guerra di Morea
aveva segnato la definitiva capitolazione della Serenissima.
In uno di questi forti, situato
sull’isola di Spinalonga, di fronte alle coste di
Creta, la Terza Legione di Ercole stava operando da qualche anno, nascosta
negli anfratti della fortezza e protetta dalle ombre degli imponenti bastioni.
Al riparo dagli sguardi dei Turchi, la Legione del Mare aveva garantito il
proprio appoggio alla popolazione cretese, stufa della barbara tirannia degli
Ottomani, che soltanto auspicava una rivolta per liberare il paese da tale
giogo e dichiarare la propria libertà. Ercole inizialmente era stato contrario
all’inserimento di propri uomini in un tale piano di cospirazione, non perché
osteggiasse la liberazione di Creta ma perché, come aveva sempre insegnato a
tutti i propri guerrieri, gli Heroes avrebbero dovuto rimanere al di fuori di
ogni conflitto scaturito tra i popoli della Terra, poiché i loro poteri, fisici
e spirituali, dovevano servire a pacificarli e ad aiutarli, tutti,
indipendentemente dalle loro posizioni ideologiche o da mere questioni di strategia
politica.
“Non siamo i mercenari di nessuno!”
–Aveva detto quel giorno d’autunno ad Alcione, quasi dieci anni prima. –“Né vi
ho addestrato perché utilizzaste i vostri poteri ad uso e consumo personale!”
“Questo è vero, mio Signore!” –Aveva
replicato Alcione, il Comandante della Terza Legione, in ginocchio nello
studio della Reggia di Tirinto. –“Ma ci avete
addestrato alla giustizia! Alla libertà! A combattere per tutto ciò che
riteniamo santo! E io credo che non vi sia niente di più sacro che lottare, con
tutte le nostre forze, per l’indipendenza di un popolo, per riscattarlo dalle
disperate condizioni in cui attualmente versa e condurlo verso la luce della
libertà!”
“Tieni molto a quella gente, non è
vero, Alcione?!” –Aveva mormorato il Dio, capendo che non sarebbe stato facile
smuovere l’Hero della Piovra dai suoi convincimenti.
“Io appartengo a quella gente, mio
Signore! Oltre che a voi!” –Aveva aggiunto Alcione, con tono diretto ed
efficace come sempre. –“E soffro nel sapermi inerme! Soffro nel restare qua,
mentre la pioggia cade su Creta e lava via le lacrime di un popolo coraggioso
ma vinto, senza poter agire! Concedetemi di andare, ve ne prego! Saprò
ricompensarvi!”
“Ricompensarmi?!” –Ercole era esploso
in una grossa risata, prima di voltare le spalle alla donna ed uscire sulla
grande terrazza, sotto la pioggia scrosciante. –“Se con i tuoi gesti riuscirai
a far cessare questa pioggia di lacrime che cade sull’intera Grecia, se con le
tue azioni salverai uomini o darai loro anche soltanto una speranza, io non ti
tratterrò!” –A quelle parole, Alcione era scattata in piedi, commossa di
felicità, ringraziando il Dio per l’enorme concessione di cui le faceva dono.
“Ma non potrai usare i tuoi poteri,
Alcione! Né potrà farlo nessuno degli Hero che ti
accompagnerà in questa missione!” –Aveva precisato Ercole. –“Siate degli Eroi,
non dei carnefici!” –E più non aveva parlato, rimanendo immobile, con le
braccia incrociate al petto, ad osservare la pioggia ricoprire la Reggia di Tirinto. Si era voltato soltanto quando aveva udito
richiudersi la porta dello studio, abbandonandosi ad una lenta riflessione, ad
un piccolo viaggio nella memoria che gli aveva ricordato Alcione e il maestro
di lei, il grande Linceo della Piovra.
Adesso, a distanza di anni, rifugiata
nei sotterranei della fortezza di Spinalonga, Alcione
ricordava quella conversazione avuta con Ercole e l’enorme bontà del Dio.
Sorrise, prima di incupirsi, al pensiero che, per quanti anni fossero
trascorsi, la ribellione contro i Turchi Ottomani ancora non aveva dato alcun
frutto. La popolazione era timorosa e difficilmente osava mostrarsi apertamente
ostile ai propri duci, preferendo agire con segretezza durante la notte. Spesso
erano stati effettuati degli agguati e degli assalti contro le truppe turche,
che avevano permesso di liberare nuovamente la fortezza di Spinalonga,
ma questo era ancora troppo poco per poter essere considerato una vittoria.
“Mia signora?!” –Domandò una candida
voce di donna, disturbando i pensieri del Comandante della Terza Legione.
Alcione si voltò e trovò la Sacerdotessa
del Cancro, sua fedele servitrice, in piedi sulla porta, con le mani giunte. I
lunghi capelli viola risplendevano alla debole luce delle candele dei lucernari,
mentre la sua voce, resa più fioca dalla maschera che le copriva il volto,
giungeva alle orecchie della sua Comandante, la donna che più di ogni altra
stimava.
“Nesso del Pesce Soldato è qua! Ed ha
una missiva per voi, da parte del Sommo Ercole!” –Parlò Pasifae.
“Ercole?!” –Rispose Alcione, facendole
cenno di condurre Nesso immediatamente al suo cospetto, immaginando si
trattasse di qualcosa di molto importante. Come infatti si rivelò.
“Il Sommo Ercole ci ha affidato un
incarico delicatissimo, mio Comandante!” –Spiegò il ragazzo, raccontando della
guerra in corso tra Era e il Dio dell’Onestà e degli assalti ripetuti dei Kouroi. –“Dobbiamo trovare la Lama degli Spiriti, poiché da
essa potrebbero dipendere i destini di questa guerra e le vite di molti
uomini!”
“I destini di una guerra! Umpf!” –Esclamò Alcione, riflettendo tra sé. E si avvicinò
alla finestra per guardare fuori, per lasciar vagare lo sguardo tra le robuste
inferriate e perderlo nelle onde del mare poco distante. Proprio in quel
momento che con i capi della ribellione era riuscita ad organizzare una serie
di moti da far esplodere contemporaneamente in tutta l’isola, per mostrare la
vitalità del desiderio di libertà cretese, avrebbe dovuto abbandonare tutto e
tutti. Abbandonare coloro che credevano in lei, che avevano accettato la sua
guida, ponendo le loro stesse vite, il destino stesso della loro patria, nelle
sue mani.
“Madre mia!” –Mormorò Alcione,
ricordando l’energica figura di sua madre. E la notte in cui la perse. La notte
in cui smise di credere nei sogni.
Era il 1711, la notte in cui Spinalonga venne conquistata dai Turchi Ottomani, che
affondarono l’ultima resistenza veneziana, dilagando come una marea nera
all’interno dell’isola. Era la notte in cui tutti i dissidenti vennero uccisi,
sterminati con un sol colpo di scimitarra. I genitori di Alcione furono tra
questi, e così altri amici e parenti di quella che all’epoca era solo una
precoce bambina di tre anni. Una bambina che fu caricata su una barchetta
insieme a pochi altri superstiti e affidata alle sorti del Mediterraneo, sperando
che le correnti favorissero la loro fuga dall’Inferno.
“Non ricordo quanto tempo rimasi in
mare! Forse un giorno, forse una settimana! Ricordo soltanto lo sguardo sereno
dell’uomo che mi trasse in salvo, conducendo a riva la nostra barca e consegnandoci
le chiavi di una nuova vita!” –Ricordò Alcione. –“Quell’uomo era Linceo della
Piovra! E sarebbe divenuto presto il mio Maestro!”
“Comandante?!” –Ripeté Nesso,
rendendosi conto che Alcione sembrava non ascoltarlo più.
“Perdonami! Stavo semplicemente
pensando!” –Rispose la donna, senza dare troppe giustificazioni, come era suo
solito.
“A cosa, se posso chiedere?” –Domandò
Nesso, fissando il Comandante della Terza Legione, che si voltò verso di lui e
gli puntò contro i propri occhi neri.
“Alla rotta migliore per l’Asia!”
–Sorrise Alcione, ritrovando fiera baldanza. –“Pasifae!
Raduna immediatamente tutti gli Heroes presenti a Spinalonga!
La Legione del Mare lascerà immediatamente questa fortezza, per veleggiare
verso Oriente, verso le terre sconfinate del Karakoram
alla ricerca della Lama degli Spiriti!”
“Abbandoniamo questa gente?!” –Domandò
poco dopo uno degli Heroes, quando furono tutti e dodici radunati nella sala
principale del bastione di Spinalonga. –“Ma la loro
rivolta dipende da noi! Si aspettano di vederci combattere al loro fianco,
contro gli oppressori Turchi!”
“E noi non lo faremo, Gerione! Non adesso!” –Tagliò corto Alcione. “Per quanto
grande sia il mio desiderio di lottare in mezzo alla folla, conducendo questi
uomini valorosi verso la liberazione, è ancora più grande la mia devozione ad
Ercole e alla causa da lui rappresentata! Rimanere qua, confinati su
quest’isola, noncuranti della tempesta che è stata scatenata contro Tirinto, non servirebbe a nulla se non a favorire Era,
mortale nemica del nostro Signore! E di tutti gli uomini!”
“Un non intervento significherebbe dare
ad Era la possibilità di creare non una, ma mille altre Crete! Mille altre
terre dominate dall’oppressione e dalla tirannide!” –Intervenne Nesso, per
sostenere le tesi di Alcione.
“Parli bene tu, che non sei nato a
Creta! Che non hai visto l’isola sprofondare nell’abisso della barbarie e
dell’oltraggiosa tirannia degli Ottomani! Che non hai un’eredità familiare e un
insieme di valori trasmessi dagli antenati a cui rendere conto!” –Lo zittì Gerione, Hero del
Calamaro e secondo ufficiale della Legione del Mare. –“Cosa ti importa in
fondo di quest’isola e della sua gente?”
“Non aggredirlo, Gerione!”
–Esclamò bruscamente Alcione. –“Nesso sta soltanto facendo il suo dovere,
servendo Ercole come tutti noi dovremmo fare! Come tutti noi faremo!”
“Sì, Comandante!” –Rispose Gerione, chinando il capo, ma continuando a guardare in
maniera curva l’Hero del Pesce Sodlato.
“Comprendo il tuo dolore, mio caro
amico!” –Esclamò la donna, avvicinandosi al suo primo ufficiale. –“È lo stesso
che alberga nel mio animo! È lo stesso desiderio di giustizia, lo stesso
anelito di libertà che ci ha legato a questa terra per tutti questi anni! E che
ci ha impedito di lasciarla naufragare a se stessa! Ma siamo Heroes di Ercole,
non semplici cospiratori, e dalle nostre azioni dipendono i destini di molti!
Se con i nostri gesti riusciremo a salvare delle vite umane, che siano di Creta
o che non lo siano, non avremo vissuto invano!”
Quindi Alcione incitò gli Heroes a
prepararsi. Avrebbero lasciato l’isola immediatamente, dirigendosi verso
Oriente, seguendo la mappa che Ercole aveva affidato a Nesso, redatta in base alle
sensazioni provate da Tiresia dell’Altare. Alcione li
osservò per un momento, mentre davano l’ultimo addio alla fortezza in cui
avevano vissuto per anni, e sorrise loro, agli Heroes della Terza Legione. Agli
Heroes della Legione del Mare.
Erano dodici, poiché due erano rimasti
a Tirinto a servire Ercole come aiutanti, Artemidoro della Renna e Anfitrione del Camoscio, e Alcione
ritenne che fossero un gruppo affiatato. Per lo meno alcuni di loro. Gerione del Calamaro era il suo secondo ufficiale, l’unico
a cui gli altri avrebbero dato ascolto in assenza di Alcione, ed era anche suo
amico di vecchia data, scampato anch’egli alla presa di Spinalonga,
dopo aver visto cadere tutti i suoi fratelli in quella guerra, e desideroso di
riscattarla, anche per onorare la loro memoria. Gli altri Heroes, oltre a
Nesso, erano Arsinoe dello Scoiattolo, un po’
scontrosa ma molto efficiente, Pasifae del Cancro,
Sacerdotessa fedelissima ad Alcione, da lei considerata Maestra e Dea, Proteus della Razza, un gran corteggiatore e fedele amico
di Gerione, Ettore della Gonostoma,
Galena del Pesce Angelo, Eretteo della Foca, Termero
del Pesce Picasso, Scilla di Cariddi, Lica della Seppia e Miseno del
Pesce Rombo.
Veleggiarono verso Oriente su una
grande galea, sul cui albero maestro garriva libera al vento la barriera con il
simbolo di Ercole. Una clava intarsiata d’oro, avvolta in una corona d’alloro,
simboli di potenza e di vittoria. Gerione era al
timone, dirigendo i compagni verso la rotta migliore, da esperto navigatore
quale era, mentre Alcione, seduta a poppa, osservava l’isola di Spinalonga farsi sempre più piccola, fino a diventare
un’immagine sfocata in lontananza. Un’indistinta chiazza marrone che presto
scomparve nel blu.
“Avete preso la decisione migliore, mio
Comandante!” –Esclamò una voce stridente, avvicinandosi alla donna. –“È
doloroso abbandonare i ricordi! Ma il nostro dovere di Cavalieri ci obbliga
anche a questi sacrifici!”
“Miseno
del Pesce Rombo!” –Affermò Alcione, riconoscendo uno dei suoi guerrieri. Un
ragazzo di vent’anni o poco più, ma che pareva averne almeno una trentina, a
causa del suo aspetto poco curato e di una leggera malformazione alla schiena,
che lo rendeva piuttosto gobbo. E poco veloce.
“Non curatevi delle voci del popolo
cretese! Non rattristatevi per le offese di vigliaccheria che ci rivolgeranno
contro!” –Continuò Miseno, strisciando fino ad
avvicinarsi ad Alcione. –“Se per qualcuno siamo dei codardi fuggitivi, per
altri saremo degli eroi!”
“Vorrei poter vedere le cose con il tuo
distacco, Miseno!” –Commentò Alcione, sospirando
sbadatamente. –“Ma l’affetto che nutro per la mia patria è grande, ed ha reso
molto difficile questa partenza!”
“Ma è l’affetto per Ercole che dovrebbe
dominare il cuore di un Hero! O sbaglio?” –Domandò
maliziosamente Miseno. Quindi aggiunse, al tacere
della donna. –“Se volete tornare a Creta siete sempre in tempo per ordinare a Gerione di invertire la rotta! Gli Heroes vi seguiranno
comunque, quale che sia la vostra decisione!”
“La decisione l’ho presa un’ora fa a Spinalonga, Miseno! E non intendo
cambiarla!” –Precisò Alcione, alzandosi in piedi. –“Andremo fino in fondo alla
nostra missione!”
Gerione guidò
la galea per le acque del Mediterraneo fino a raggiungere le coste meridionali
dell’Impero Ottomano, tenendosi sempre ad una certa distanza precauzionale.
Sfruttò una corrente favorevole, portandosi a ridosso di una piccola baia
disabitata, a una ventina di chilometri da Antiochia,
dove attraccò pochi istanti più tardi, con l’aiuto degli altri Heroes.
“Dobbiamo essere prudenti!” –Commentò Gerione. –“Era ha spie dappertutto! E se davvero questa
fantomatica Lama degli Spiriti è così preziosa per la guerra in corso, allora
sono certo che farà di tutto per impedirci di venirne in possesso! Anche
attraversare i deserti della Mesopotamia a dorso di cammello!”
“Parole scettiche le tue, Gerione! E un po’ sarcastiche!” –Gli rispose Alcione,
mentre Gerione terminava le manovre necessarie per
giungere a riva. –“Non credi forse che la Lama degli Spiriti esista?”
“Con tutto il rispetto, Comandante, io
credo solo a quello che vedo! Leggende ne ho sentite tante, miracoli che uomini
comuni avrebbero compiuto, lunghe marce nella notte, trasmutazioni di acqua in
vino, Divinità trasformate in uccelli per sedurre affascinanti donne sulle rive
di un fiume, eroi che giurano di difendere il loro paese fino alla morte, e che
poi lo abbandonano!” –Esclamò Gerione, un po’
bruscamente. –“Ma quali sono soltanto favole e quali contengono azioni reali?
Vogliate scusarmi se non sono più in grado di discernere il mito dalla realtà!
Ma la vita mi ha reso diffidente e preferisco credere a questa Lama soltanto
nel momento in cui la impugnerò!”
Alcione rimase in silenzio, ad
osservare il suo primo ufficiale, il suo più vecchio e caro amico, che per lei
valeva come un fratello, passargli accanto, dopo averle lanciato un’occhiata di
sbieco. Aveva capito a cosa si riferisse. Aveva percepito la collera e la
delusione di Gerione per aver abbandonato il suo
popolo. Il nostro popolo! Mormorò Alcione, sospirando, prima di radunare
tutti gli Heroes nella baia e indicare loro la direzione in cui procedere.
“Verso Est! Avanzeremo spediti, senza
mai fermarci! Fino alle montagne dell’Hindukush! Proteus della Razza e Termero del
Pesce Picasso saranno i nostri esploratori, che ci precederanno, indicandoci la
via!” –Esclamò Alcione, di fronte ai dodici Heroes. –“In marcia adesso! Ci
vorranno un paio di ore prima di scorgere le vette immortali dell’Hindukush e del Karakoram!”
“Quanto tempo impiegheremo, mia
Signora?” –Domandò timidamente Pasifae.
“Ogni minuto che riusciremo a
guadagnare sarà una vittoria nei confronti di Era, Pasifae!”
–Rispose Alcione, incitando tutti i suoi guerrieri ad avanzare. –“E sarà un
prezioso aiuto per i nostri compagni che in Grecia stanno già combattendo!”
La Legione del Mare avanzò nei deserti
della Mesopotamia, avendo cura di tenersi a distanza dagli insediamenti umani,
fino a lambire i confini meridionali della catena montuosa che dalla Persia si estendeva fino alla Cina. Un’unica grande catena
di rocce e di nevi millenarie, che soltanto osservarla metteva in soggezione. Senza
dire niente, Alcione guidò i guerrieri lungo irti sentieri, che salivano sempre
di più, snodandosi con coraggio lungo pendii scoscesi e baratri senza fondo,
percorsi da violente correnti ascensionali. L’Hindukush
e il Karakoram non erano territori facili da
attraversare nemmeno per i guerrieri di Ercole, che dovevano cercare di
limitare al massimo i loro poteri, onde evitare di essere scoperti da Era o da
suoi seguaci.
“Rimanete lungo la parete! Non
sporgetevi verso l’abisso!” –Gridò loro Alcione, continuando ad avanzare,
mentre la vegetazione scompariva, cedendo il posto a muschio e sterpaglia e a
sprazzi di neve
Dovettero arrampicarsi lungo ripide
pareti di roccia, poiché spesso i sentieri terminavano bruscamente, distrutti
da qualche improvvisa valanga o frana, e inoltrarsi in silenziose vallate dove
l’aria rarefatta rendeva altamente difficile la respirazione. Alcione utilizzò
i tentacoli della propria Armatura, per aiutare alcuni Heroes, soprattutto i
più giovani, a scalare tali vette, e Gerione fece
altrettanto, liberando le fruste dell’Armatura del Calamaro e impiegandole come
corde per arrampicarsi. Erano a seimila metri di altezza e a quattromila
chilometri di distanza dal Mediterraneo, dal loro Mare, sulle cui rive erano
nati e cresciuti e sulle cui onde si erano addestrati a vivere e ad essere
Cavalieri di Ercole.
“Mi manca il sapore del mare!” –Esclamò
Termero del Pesce Picasso, uno degli
Heroes più giovani, ma anche più veloci, scelto da Alcione come esploratore per
aprire le piste, arrampicandosi lungo una montagna.
“Manca molto anche a me!” –Rispose il
suo compagno, Proteus della Razza. –“Se
anni addietro mi avessero detto che un giorno avrei scalato le vette del Karakoram, avrei riso loro in faccia!” –Ironizzò Proteus, continuando a inerpicarsi sulla ripida parete di
roccia.
“Puoi ben dirlo!” –Concluse Termero, allungandosi per afferrare uno spuntone roccioso,
ma il terreno sotto i suoi piedi franò improvvisamente, facendogli mancare
l’appoggio e precipitandolo verso l’abisso, che gli strappò un grido disperato.
–“Aaaah!” –Gridò il giovane, di fronte agli occhi
attoniti degli altri Heroes, che stavano tentando di arrampicarsi, molti metri
più in basso degli esploratori.
“Termerooo!”
–Gridò Gerione, srotolando una frusta della sua
Armatura e allungandola fino ad afferrare un braccio del ragazzo, la cui
discesa venne bruscamente interrotta, facendolo schiantare malamente contro la
parete rocciosa. Dolorante, con il braccio sinistro fuori uso, Termero cercò di afferrare qualche spuntone sporgente, per
stabilizzarsi, raggiungendo a fatica una cavità della montagna che sembrava
offrire un momentaneo riparo. Liberò il braccio dalla frusta di Gerione, che si arrotolò nuovamente in mano al suo
possessore, e fece cenno ai suoi compagni di scendere lateralmente verso
l’incavatura, che era grande a sufficienza affinché potessero entrarvi tutti.
“Queste montagne sono insidiose!”
–Mormorò Proteus della Razza, discendendo a fianco di
Alcione. –“Spero di trovare la spada al più presto e di tornare al nostro
quieto Mediterraneo!”
“Perché il mare non è forse pieno di
pericoli, Proteus?!” –Ironizzò Alcione, raggiungendo
la cavità nella montagna.
“Ma quelli siamo ormai in grado di
affrontarli!” –Precisò Proteus.
“Affronteremo e supereremo anche
questi! Il nostro dovere di guerrieri del Dio dell’Onestà ce lo impone!”
–Concluse Alcione, prima di accertarsi delle condizioni di Termero,
rannicchiato all’interno della cavità.
“Come sta il tuo braccio, ragazzo?”
–Domandò Gerione, chinandosi sul soldato. –“Perdona
il mio modo brusco, ma non ho saputo trovare di meglio per salvarti!”
“Non preoccuparti, Gerione!
Preferisco essere vivo e con un braccio rotto, piuttosto che essermi schiantato
in fondo a quell’abisso!” –Rispose Termero, mozzando
a metà un sorriso tirato.
Pasifae
del Cancro, alla vista del dolore che dilaniava il giovane eroe del Pesce
Picasso, si chinò su di lui, avvolgendolo nel suo cosmo caldo e pieno di
rassicurante tepore. Avvicinò il braccio destro all’arto ferito del ragazzo,
sfiorandolo leggermente, di fronte agli occhi sgranati di Termero.
Vampate di energia scossero il braccio del ragazzo, che sembrò ritrovare una
certa vitalità.
“Il potere del cosmo deve servire anche
per curare le persone!” –Commentò Pasifae, con voce
calma e pacata. –“Forse non ti ridarà il braccio, ma allevierà il dolore,
rendendolo sopportabile!”
“Grazie!” –Sorrise Termero,
prima che le grida di Proteus attirassero
l’attenzione di tutti quanti.
“Venite a vedere! C’è un passaggio tra
le rocce!” –Esclamò, indicando un valico stretto che si apriva all’interno
della montagna stessa. –“Guardate! È un passaggio angusto e obbligato, ma
percorrendolo potremmo guadagnare tempo ed evitare di esporci al rigido clima
delle vette!”
“E come sappiamo che conduce
all’esterno e non si interrompe magari in qualche imprecisato luogo di questa
immensa montagna?” –Replicò una decisa voce di donna.
“Diffidente come al solito, Arsinoe, eh?!” –Esclamò Proteus,
toccandosi il naso un po’ scocciato. Ma in fondo gli piacevano quei continui
battibecchi con la Sacerdotessa dello Scoiattolo, una donna apparentemente
priva di qualsiasi interesse nei confronti del sesso maschile. –“Non senti
questa corrente d’aria che lambisce le nostre gambe? C’è un passaggio! E
conduce all’esterno!”
“Non mi fido!” –Ribatté Arsinoe, aprendo un dibattito tra i vari Heroes presenti.
“Neanch’io mi
fido!” –Esclamò Gerione. –“Ma ritengo che le scelte
siano piuttosto limitate!” –Aggiunse, affacciandosi nuovamente all’esterno e
osservando il cupo cielo sopra di loro, percorso da violente correnti
ascensionali. –“È in arrivo una tempesta! E renderà ancora più difficoltoso per
noi superare queste impervie montagne! Forse, addentrarci in questo cunicolo,
per quanto stretto e ignoto possa essere, è il male minore!”
“Gerione ha
ragione!” –Gli fece eco una voce finora rimasta inascoltata. Una voce gutturale
e profonda, quella di Lica della Seppia.
–“Il freddo clima del Karakoram non è adatto ai
nostri corpi, abituati al caldo sole del Mediterraneo! Ritengo opportuno
sfuggire alle tempeste esterne e ai disagi che la scalata di queste montagne
finora ci ha creato! Guardate Termero! Non possiamo
pretendere che continui ad arrampicarsi con un braccio rotto!”
“Ehi!” –Brontolò immediatamente Gerione, avvicinando l’Hero della
Seppia. –“Stai forse criticando le scelte decisionali del nostro Comandante?
Avevi tu una strada migliore da consigliarci per superare le vette del Karakoram?”
“Calmati, Gerione!
Non era mia intenzione criticare l’operato di Alcione! Ho semplicemente
espresso un’opinione sincera, basandomi sui fatti! È comprensibile che tu sia
nervoso, e forse tu ti senta colpevole, per il dolore causato a Termero, ma questo non deve impedirti di vedere i fatti con
lucidità!”
“Colpevole?! Ma brutto…”
–Esclamò Gerione, adirato, avventandosi sull’Hero della Seppia, ma la voce decisa di Alcione li richiamò
entrambi.
“Smettetela di litigare come bambini!
Non abbiamo tempo da perdere, né possiamo permetterci il lusso di concedere ai
nostri nemici la possibilità di rintracciare la Lama prima di noi!” –Esclamò
Alcione.
“Credete che siano sulle nostre tracce,
Comandante?” –Domandò Arsinoe.
“Ne sono più che sicura!” –Commentò
Alcione a bassa voce, tirando uno sguardo verso l’esterno. O verso Lica, che si stagliava proprio all’ingresso della cavità
nella montagna. Ma non aggiunse altro, incitando gli Heroes a rimettersi in
piedi e a proseguire. –“Attraverseremo la montagna! Io vi farò da guida,
sperando che la luce delle stelle giunga anche in questa oscurità per
rischiarare il nostro cammino!” –Ed infilò a passo deciso nello stretto
corridoio scavato all’interno della montagna.
Gerione la
seguì immediatamente, anticipando Pasifae e tutti gli
altri Heroes, fino a Miseno del Pesce Rombo. Lica della Seppia entrò per ultimo, voltandosi un’ultima
volta verso l’esterno, prima di sorridere con un ghigno sinistro. Il gruppo di
tredici guerrieri proseguì per una buona mezz’ora a passo svelto lungo il
sentiero che correva all’interno della montagna, un sentiero che
progressivamente pareva inclinarsi verso l’alto, talvolta restringendosi, in
modo da rendere difficoltoso il passaggio ai guerrieri corazzati, talvolta
allargandosi un poco, così da permettere a due uomini di proseguire affiancati.
Ma mai interrompendosi. Sembrava un vero corridoio nella montagna, leggermente
illuminato da un chiarore azzurro proveniente dalle pareti immortali che
correvano al loro fianco.
“Chissà chi lo ha creato!” –Mormorò Proteus, avanzando a fianco di Arsinoe.
“Potrebbe essere un fenomeno naturale,
magari dovuto all’erosione!” –Commentò la donna, senza troppa convinzione. –“O
forse è stato realizzato secoli addietro da qualche gruppo di monaci che vivono
in questi eremi dimenticati dal mondo?!”
Continuando ad avanzare, gli Heroes
raggiunsero un leggero avvallamento del terreno, uno spiazzo leggermente più
ampio i cui bordi erano delimitati da altissime pareti di ghiaccio, dal colore
azzurro e limpido come il diamante. Gerione pregò i
guerrieri di fare silenzio, poiché il soffitto era costellato di una miriade di
stalattiti e il minimo rumore avrebbe potuto farle cadere rovinosamente su di
loro. Lica della Seppia si fermò all’ingresso dello
spiazzo, osservando i suoi compagni procedere a passo lento davanti a sé.
Sogghignò, realizzando che quello era il momento che aveva aspettato. Concentrò
il cosmo sui palmi delle mani, appoggiandole alle pareti ai suoi lati e
lasciando che la sua energia vitale fluisse in quelle immense mura di ghiaccio
eterno, infiammandole. Un boato scosse improvvisamente la montagna, rompendo il
sepolcrale silenzio del Karakoram, mentre violente
scosse sismiche fecero tremare il corridoio e le mura intorno, anticipando il
rovinoso crollo di migliaia di stalattiti e dell’intero soffitto, che franò
come una slavina sui dodici Heroes di Ercole.
Lica della
Seppia, riparatosi all’interno del corridoio, osservò con soddisfazione la
carneficina da lui prodotta, spostandosi il folto ciuffo di capelli blu dal
volto con un gesto di vanitosa superiorità. Quindi balzò in alto, atterrando
sul cumulo di roccia e di ghiaccio franato sui compagni, e scattò avanti,
diretto verso l’uscita, determinato a ritrovare la Lama degli Spiriti e a
possederla. Era mi pagherà a peso d’oro per avere quell’arma! Rifletté
cinicamente il guerriero, prima di balzare verso il corridoio di uscita. Ma in
quel mentre venne afferrato al volo da una frusta, che si arrotolò attorno alla
sua caviglia destra, e tirato bruscamente a terra, fino a sbattere il viso
contro il freddo ghiaccio eterno e a perdere l’elmo dell’Armatura. Rimessosi in
piedi, Lica si voltò, trovando il volto adirato di Gerione del Calamaro fissarlo con occhi carichi di odio.
“Bastardo! Avevi forse intenzione di
lasciarci morire congelati qua dentro?!” –Domandò il primo ufficiale di
Alcione.
“Per la verità…”
–Esclamò Lica, tirandosi i capelli all’indietro. –“La
mia idea era di far crollare l’intera montagna su di voi! Ah ah ah!” –Rise di gusto, e quel suono metallico scosse nuovamente
il monte, facendo franare altri cumuli di neve e roccia.
Gerione non
perse tempo, lanciandosi contro Lica e sbattendolo a
terra, avvinghiandosi al soldato in un serrato corpo a corpo. I due avversari
rotolarono per parecchi metri nel corridoio di ghiaccio, finché un’improvvisa,
ma ben accetta, luce non rischiarò i loro occhi, separandoli per un momento.
Era l’uscita, ed era proprio a portata di mano. Lica
tentò di superare Gerione, ma l’Hero
del Calamaro lo afferrò al collo con una delle sue fruste, strattonandolo
bruscamente. Ma il guerriero traditore agguantò la frusta e tirò Gerione a sé, scontrandosi con lui a mezz’aria. Nella
colluttazione i due uomini rotolarono sul terreno ghiacciato, sbattendo
frequentemente contro le pareti, facendo vibrare l’intera montagna, quasi come
se piangesse, fino ad uscire all’aperto, su una terrazza che dava su una
meravigliosa valle. Così bella che a entrambi quasi sembrò un sogno. Una valle
illuminata dai caldi raggi del sole che tentava di farsi largo tra le nuvole
del cielo freddo del Karakoram.
“Considera questa valle come il tuo
paradiso Gerione, poiché qua morrai!” –Esclamò Lica, bruciando il proprio cosmo. Gerione
fece altrettanto, pronto per avventarsi sul suo avversario, quando
improvvisamente un raggio di luce sfrecciò nell’aria, separando i due
concorrenti. Stupidi, Gerione e Lica
videro un tridente dorato conficcarsi nel terreno in mezzo a loro, un tridente
che risplendeva di una luce profonda, quasi provenisse dalle stelle.
“Chi viene a disturbare l’incanto di
questa terra immortale?” –Esclamò una voce giovanile, mentre un ragazzo dai
capelli scuri, rivestito da un’Armatura dorata, compariva su una sporgenza
sopra di loro.
Capitolo 14 *** Capitolo tredicesimo: La lama degli spiriti. ***
CAPITOLO TREDICESIMO: LA LAMA DEGLI SPIRITI.
“Chi viene a disturbare l’incanto di
questa terra immortale?” –Esclamò una voce giovanile, mentre un ragazzo dai
capelli scuri, rivestito da un’Armatura dorata, faceva la sua comparsa su una
sporgenza della montagna. Gerione notò subito come nonostante la sua giovane
età, non superiore ai vent’anni, emanasse un’aura cosmica abbagliante.
“Chi sei tu, straniero?” –Domandò Lica, distanziandosi con un balzo all’indietro da Gerione.
“Straniero è chi invade una terra, non
chi vive in comunione con essa, assaporando ogni respiro della natura che lo
pervade!” –Rispose il ragazzo, richiamando a sé il Tridente dorato, che aveva
conficcato nel terreno per separarli.
“Sono Gerione del Calamaro, Hero di Ercole della Terza Legione!” –Si presentò il
secondo di Alcione. –“E questo traditore è Lica
della Seppia, responsabile di aver fatto crollare la montagna sopra i miei
compagni, rimasti adesso intrappolati all’interno del corridoio!”
“Il sentiero del silenzio? Erano secoli
che qualcuno non lo attraversava!” –Commentò il ragazzo.
“È dunque questo il suo nome?” –Domandò
Gerione, affascinato.
“Fu costruito dai monaci del Kashmir
secoli or sono, quando ancora avevano rapporti con le popolazioni delle valli
inferiori, prima di rinchiudersi nel loro ascetismo! Era un sentiero di
preghiera e di silenzio, un luogo mistico dove i monaci veneravano la grande
montagna sacra, entrando proprio all’interno del suo cuore!” –Spiegò il
ragazzo, prima di sollevare lo sguardo, adirato, verso Lica
della Seppia. –“E tu hai profanato tale luogo, rompendo il silenzio di questa
terra, facendo gridare la montagna sacra come mai aveva strillato finora!”
“Gri.. gridare?!”
–Balbettò Lica.
“Non avete sentito il grido delle
montagne immortali risuonare in quest’aria sepolcrale? L’urlo di una terra
violata e infangata da un tradimento!” –Tuonò il ragazzo, fissando Lica con crescente disprezzo.
“Ma si può sapere chi sei, tu?”
–Esclamò questi, sprezzante.
“Sono Dohko di Libra, Cavaliere di
Atena! E sono un profondo conoscitore e estimatore di questi luoghi, in cui
spesso ho passeggiato, temprando il mio fisico e il mio spirito nel gelido
silenzio di queste vette! Ero seduto nella mia valle, molte miglia a est da
qui, immerso nella mia meditazione, quando ho udito un grido di dolore lacerare
il mio animo! Il segnale che qualcuno aveva varcato le soglie del regno delle
nevi eterne e ne aveva sporcato l’immacolato ghiaccio! Così sono accorso per
punirvi! La montagna non lascia impunito chi si burla di lei, chi vuole usarla
per i suoi scopi, senza rispettarla!” –E nel dir questo liberò anche il secondo
Tridente dorato, scagliando entrambe le armi verso Lica
della Seppia, che venne spinto indietro, fino a schiantarsi contro la montagna,
quasi fosse un crocifisso, con le braccia bloccate tra le punte dei tridenti.
“Ehi! Che stai facendo? Lasciami
andare, maledetto!” –Gridò Lica, agitandosi per
liberarsi.
“Corri a liberare i tuoi compagni! La
montagna apprezza i visitatori che onorano la sua natura, ma sa essere anche
crudele! Non resisteranno a lungo sepolti nel ghiaccio eterno del Karakoram!” –Esclamò Dohko, rivolgendosi a Gerione, che si
tuffò nel corridoio, lasciando il Cavaliere di Libra di fronte a Lica della Seppia.
“Non osare metterti contro di me,
Cavaliere di Atena! Resta fuori da questa guerra se tieni alla tua vita!” –Gridò
Lica rabbioso.
“Ne farei volentieri a meno, guerriero
della Seppia, di un’altra guerra! Poiché quella che si è appena conclusa mi ha
distrutto nel profondo, ferendomi l’anima come niente prima di allora! I miei
compagni, il mio allievo, la mia Dea, tutti sono scomparsi, travolti da un
destino spietato che non ci ha lasciato scelta!” –Commentò Dohko, con una certa
tristezza nella voce.
“E tu li raggiungerai presto se oserai
intralciare i miei piani!” –Esclamò Lica, facendo
esplodere il proprio cosmo, che turbinò nell’aria sotto forma di un vortice
nero, che gli permise di liberarsi dalla prigionia, scagliando via i Tridenti
dorati e spingendo indietro lo stesso Dohko.
“Non osare infangare il ricordo dei
miei cari!” –Ringhiò Libra, mentre il suo cosmo dorato avvampava attorno a sé.
–“Uomini che hanno dato la vita per difendere la giustizia e la libertà di
questo mondo, impedendo che una perenne oscurità calasse su di noi!” –E nel dir
questo, mosse velocemente le braccia davanti a sé, mentre la maestosa sagoma di
un dragone verde, dalle scaglie dorate, scivolava intorno a lui. –“Colpo
Segreto del Drago Nascente!” –Gridò, liberando il proprio colpo segreto.
Il Drago di luce sfrecciò nell’aria,
dirigendosi verso Lica, il quale, per difendersi,
incrociò le braccia avanti a sé, mitigando in parte l’impatto, ma venendo
comunque spinto indietro, fino a schiantarsi contro la parete ghiacciata.
Crollò a terra, tra i frammenti di roccia e ghiaccio che cadevano su di lui,
respirando a fatica, e quando riuscì a rimettersi in piedi incrociò lo sguardo
accusatorio del suo Comandante e dei suoi compagni.
“Alcione!!!” –Ringhiò Lica a denti stretti, furibondo nel vedere che tutti si
erano salvati.
“Dispiaciuto?!” –Ironizzò il
Comandante, con voce rattristata. –“E dovresti esserlo, poiché il tuo stupido
gesto ha ucciso uno dei tuoi compagni!” –E si scostò leggermente, per
permettere a Lica di vedere Proteus
della Razza che sorreggeva con entrambe le braccia il corpo privo di vita di
Galena del Pesce Angelo, uno degli Heroes più giovani. –“Una stalattite gli ha
perforato la scatola cranica! È morto sul colpo! Senza un grido! Senza
un’invocazione di aiuto! Silenzioso come è arrivato tra noi, Galena se ne è
andato!” –Concluse Alcione, il cui tono di voce era molto gelido, prima di
portare nuovamente lo sguardo su Lica. –“Cosa devo
fare di te, Lica? Devo credere davvero che hai
venduto l’anima ad Era? Poiché nessun altro motivo, se non la pazzia, potrebbe
chiarire il tuo gesto!”
“Sei un bastardo!” –Ringhiò Gerione,
liberando le sue fruste e schioccandole con forza sul terreno. –“Pagherai per
il tuo tradimento! Il sangue di Galena non sarà stato versato invano!” –E fece
per avventarsi su Lica, ma Alcione lo fermò,
afferrandogli il braccio e chinando il volto.
“Gerione! Vorrei che tu vendicassi
Galena! Ma non c’è tempo! Se non troviamo al più presto la Lama degli Spiriti,
vi saranno altre vittime in questa folle guerra, altri caduti innocenti!”
–Spiegò Alcione, liberando il braccio dell’amico.
Gerione rimase combattuto tra
l’obbedienza al suo Comandante, e la veridicità delle sue parole, e il
desiderio di vendicare Galena, regolando una volta per tutte i conti con quello
sbruffone di Lica. Con quel traditore. Quindi abbassò
le braccia, richiamando le sue fruste, lasciandosi scappare un sospiro. In quel
momento, approfittando della situazione, Lica bruciò
al massimo il cosmo, generando un vortice di energia, scuro come la notte, nero
come l’inchiostro oleoso e denso che le seppie liberano, e al centro di quel
vortice sogghignò, prima di dirigerlo contro i suoi compagni.
“Vortice nero!” –Gridò con
rabbia, mentre il gorgo di energia corvina si abbatteva sui guerrieri di
Ercole, travolgendoli e scaraventandoli in alto, di fronte agli occhi
soddisfatti del soldato traditore. Improvvisamente però l’avanzata del vortice
venne interrotta ed esso sembrò schiantarsi contro un muro invalicabile, una
barriera di energia lucente che non era in grado di superare, sospinto indietro
da un potere crescente, la cui matrice, Lica era in
grado di percepirlo chiaramente, scaturiva dalla forza delle stelle. In un
luccichio dorato, Dohko della Libra si era piazzato di fronte ad Alcione e agli
altri Heroes di Ercole, proteggendoli con lo Scudo d’Oro della Bilancia
e con il suo ardente cosmo di luce. Con un colpo secco di braccio, deviò la
traiettoria del vortice, rinviandolo indietro e travolgendo il suo stesso
creatore. Lica venne risucchiato dal nero gorgo di
energia, stritolato dalla sua stessa creazione, fino a quando, comprimendosi su
se stesso, il vortice non esplose, scaraventando via il guerriero, che
precipitò nell’abisso della montagna ghiacciata emettendo un grido disperato.
“Per Ercole! Che orrore!” –Commentò Arsinoe dello Scoiattolo, osservando la sagoma di Lica della Seppia scomparire nelle nebbie della vallata
immortale.
“Ha avuto la fine che meritava!”
–Esclamò Gerione, prima di avvicinarsi al Cavaliere d’Oro e posargli una mano
sulla spalla. –“Hai difeso me e i miei compagni, nonostante tu non sappia
neppure chi siamo! Hai rischiato la vita per proteggerci! Grazie! Non lo
dimenticheremo mai!”
“Io so chi siete!” –Commentò Dohko,
ricambiando il sorriso. –“Uomini dal cuore puro! Come i compagni che hanno
combattuto con me nell’ultima Guerra Sacra! Vedervi, e sentire il vostro cosmo,
caldo e sincero, ha risvegliato in me sensazioni già note, emozioni che il mio
cuore aveva già provato!”
“Ti siamo doppiamente debitori,
Cavaliere di Atena!” –Intervenne Alcione. –“Ancora una volta dimostri di essere
degno del titolo che porti! Vorrei che anche noi riuscissimo ad esserlo!”
“Credo di potervi aiutare!” –Disse
Libra. –“Ho sentito che cercate la Lama degli Spiriti! Io so dove si trova!
Posso condurvi al luogo dove è custodita!”
“La riconoscenza di Ercole e di tutti
gli uomini liberi della Terra è con te, Cavaliere d’Oro!” –Affermò Alcione,
inginocchiandosi di fronte a Libra. A tale vista, gli altri Heroes fecero
altrettanto, imbarazzando non poco il Cavaliere di Atena. –“Conducici nel luogo
dove la lama è celata, ti prego! La guerra contro Era incombe ed essa è la
nostra unica speranza!”
“La speranza di tutti coloro che
combattono per la giustizia è un fuoco che nessun nemico riuscirà mai a
spegnere!” –Commentò Libra, prima di incamminarsi lungo il sentiero, seguito
dagli Heroes di Ercole. Il corpo di Galena del Pesce Angelo venne
momentaneamente sistemato all’interno del Sentiero del Silenzio, in un anfratto
di ghiaccio, dove nessuno avrebbe turbato il suo riposo. Pasifae,
Sacerdotessa del Cancro, recitò per lui alcuni versi di un antico poema
mortuario, prima di proseguire la cerca della Lama degli Spiriti.
Il sentiero scese verso valle, ampliandosi
in modo da permettere a tre uomini di camminare accanto, ma le raffiche di
vento che arrivavano dall’abisso erano ugualmente impetuose, obbligando i
dodici guerrieri a camminare con passo deciso, vicino alla parete rocciosa,
finché non giunsero ad un ampio spiazzo, nascosto tra immacolate cime di
bianco. Un tetto sull’intera Asia Centrale, da cui, nelle giornate di sole, si
poteva navigare nell’azzurro di quel deserto fin dove l’occhio poteva volare.
Libra si rivolse allora ad Alcione, proponendo che i suoi compagni si
accampassero in quel luogo, abbastanza riparato dai freddi venti ascensionali e
abbastanza largo per diventare un terreno di scontro. Anche lui, come Alcione,
aveva sentito due cosmi ostili avvicinarsi in fretta.
“I discendenti di Mu
non amano la compagnia!” –Sorrise Libra, pregando Alcione di seguirlo.
–“L’ultima sanguinosa Guerra Sacra ha raggiunto anche questi incontaminati
lidi, macchiando di rosso le bianche vette del Karakoram,
ferendo al cuore i sentimenti di uomini di pace e di cultura come essi sono da
secoli! Da quando Mu, il continente perduto,
sprofondò nel Pacifico, trascinando verso l’abisso tutta la sua conoscenza e
tutti i vizi di coloro che avevano contribuito a farlo affondare!”
Alcione seguì Libra lungo un irto
sentiero, correndo velocemente ma poggiando i piedi con attenzione al suolo.
Era friabile, molto scosceso, e Alcione temette che sarebbe franato in un
istante. Attraversarono una zona di nebbie, dove scheletri di migliaia di
cavalieri giacevano ammassati, mescolati alla neve e alla roccia, seppelliti
sotto la polvere del tempo. Come per magia, i secolari guardiani dello Jamir si animarono, mentre le ossa distrutte si univano tra
loro, ergendosi a difesa del passaggio, ma Libra, che ben conosceva quei luoghi
e i loro pericoli, incitò Alcione a proseguire in linea retta, caricando il
pugno del suo cosmo lucente. Il Drago Nascente aprì la strada lungo un
ponte stretto, avvolto dalle nebbie, il cui fondo era costellato di rocce
aguzze dove centinaia di corpi avevano trovato la morte. L’Hero
della Piovra inghiottì a fatica, alla vista di quel macabro panorama e si
chiese se anche qualche fedele di Ercole un tempo avesse osato attraversare il
Deserto dei Cavalieri e giungere fin là. Strinse i pugni e corse dietro a Dohko
di Libra, superando il ponte sul niente e giungendo su una rocciosa sporgenza
al termine della quale si ergeva un singolare palazzo a cinque piani.
“Il palazzo di Mu!”
–Esclamò Libra, avvicinandosi alla costruzione. Era un edificio a base
esagonale, composto da cinque blocchi sovrapposti, le cui dimensioni
diminuivano col procedere verticalmente. Aveva varie finestre ad ogni piano ma
nessun ingresso. –“Tutto ciò che rimane della saggezza e delle conoscenze
dell’antico popolo del continente dimenticato è racchiuso qua dentro, tra le
mura di questa torre!” –Commentò Libra, accennando un sorriso, travolto dai
ricordi.
“Sembra che tu conosca bene questo
popolo!” –Affermò Alcione, a cui parve di scorgere una nota di tristezza nello
sguardo del Cavaliere d’Oro.
“Un amico mi ha istruito al riguardo! Un
amico che, come me, è sopravvissuto agli indicibili tormenti della Guerra
Sacra!”
“Mi dispiace!” –Sospirò Alcione,
incapace di trovare altro da dire. Libra si scosse, accantonando i tristi
pensieri che, come sirene dall’incantevole voce, tentavano ogni volta di farlo
naufragare sull’isola dei suoi ricordi.
“Muoviamoci!” –Disse, avviandosi verso
la torre. –“Siamo attesi!”
Alcione avrebbe voluto dire qualcosa,
sorpresa dal fatto che Libra stava dirigendo i suoi passi verso il muro della
costruzione, ma ancor più sorpresa dal fatto che le sue gambe lo stessero
seguendo. Per un momento chiuse gli occhi, immaginando di sbattere il viso
contro il robusto muro, ma quando li riaprì scoprì di trovarsi all’interno del
palazzo, in una grande sala esagonale dove l’unica fonte di luce erano i raggi
del sole che debolmente entravano dalle finestre. Il Comandante della Terza
Legione sgranò gli occhi, guardandosi intorno stupefatta, mentre ad ogni passo
qualcosa scricchiolava sotto i suoi piedi.
“Sono pezzi e resti di Armature
distrutte!” –Commentò Libra. –“Questo posto è il laboratorio dell’esercito di
Atena e la suprema arte di riparare le corazze deriva proprio dal popolo di Mu!”
“È sempre un piacere rivederti Dohko!”
–Esclamò infine una voce, leggera come il vento, attirando l’attenzione di
Alcione. –“Ed è un piacere ancora maggiore sentire che parli bene di noi, i
discendenti di Mu!” –Aggiunse la voce, con un
sorriso, mentre una figura parve uscire dalle ombre della stanza e dirigersi
verso di loro, avvolta in una lunga tunica argentata. Era una donna, e il suo
viso era segnato da profonde rughe, simbolo di esperienza e di conoscenza del
mondo, e due nei violetti risplendevano sulla sua fronte, mentre lunghi capelli
grigi scivolavano sulla veste, rilucendo d’argento alla luce del sole.
“Venerabile Maestro dello Jamir!” –Si inginocchiò Libra, mentre la donna si
avvicinava, scivolando nell’aria quasi fosse una foglia, leggera come un
respiro, come gli occhi grigi che posò subito su Alcione della Piovra,
riconoscendo l’Armatura che aveva indosso. –“Perdonate la mia intrusione! Non
era mia intenzione disturbare il vostro operato ma…”
“Non essere infantile, Dohko! Il nostro
operato è l’operato di Atena! L’operato di tutti i cuori impavidi che
combattono per la giustizia!” –Rispose il Venerabile Maestro, titolo onorifico
che spettava al più anziano tra i saggi della colonia di Mu,
che perdeva il proprio nome per assurgere a guida dell’intera colonia.
“Questa ragazza…
questo Cavaliere…” –Esclamò Libra, non sapendo bene
come introdurre Alcione.
“So chi è!” –Commentò improvvisamente
la donna, puntando Alcione con i suoi penetranti occhi grigi, capaci di
scrutare a fondo l’animo di qualsiasi essere umano e leggere i segreti nascosti
dentro di lui. –“E so cosa sta cercando!”
“Davvero?!” –Esclamò Alcione, cui tutta
quella situazione la straniava non poco, per quanto l’alone di mistero e
saggezza che la donna e tutto il palazzo dello Jamir
parevano emanare la affascinassero e non la rendessero affatto inquieta, bensì
rilassata. –“Voi sapete dove si trova.. la Lama degli…”
–Ma Alcione non riuscì a terminare la frase che la voce della donna la
sovrastò, fermando ogni suo movimento.
“È qui!” –Esclamò il Venerabile
Maestro, sfoderando una lama lunga e sottile, nascosta tra le vesti argentee
che la ricoprivano. L’elsa era celeste, decorata con un diamante luminoso, che
la leggenda racconta sia stato bagnato dalle sincere lacrime di una donna, che
pianse così tanto per la perdita dell’amato, da riversare nelle lacrime tutta
la sua vita, tutto il suo dolore, al punto da cristallizzarlo dentro tale
gemma. La lama che era nata in seguito, all’interno della cui elsa il diamante
era stato incastonato, era imbevuta delle stesse qualità della pietra. Aguzza e
tagliente, ma carica di dolore e rancore, come soltanto un uomo sapeva provare.
Perciò, ammonì la Saggia dello Jamir, la Lama doveva
essere usata con parsimonia, senza farne eccessivo utilizzo, poiché ogni volta
che veniva brandita, era capace di assorbire i sentimenti del suo portatore,
fino a svuotarlo di ogni emozione, fino a svuotarlo di tutta la sua energia
cosmica. –“La Lama degli Spiriti attinge il cosmo del corpo dentro cui
affonda!” –Spiegò il Venerabile Maestro. –“Ma porta con sé qualcosa anche di
colui che la impugna! Non dimenticare mai, Alcione, la guerra è il Tao
dell’Inganno! Come scrisse il venerabile Maestro Sun,
autore dei più interessanti trattati militari sulla guerra che nell’Antichità
vennero redatti, e di cui qua, nella Biblioteca di Mu,
alcuni esemplari sono conservati!”
“Non abuserò del suo potere!” –Commentò
Alcione, chinando il capo. –“Non è per fare stragi di uomini che la userò, ma
per difenderli, per abbattere i Kouroi che la Dea
dell’Olimpo ha diretto verso la nostra città!”
“A quale città ti riferisci? Qual è la tua
città?” –Domandò il Venerabile Maestro. Ma prima che Alcione potesse
rispondere, l’Hero sentì lo sguardo della donna
trafiggerle il cuore e carpirne tutti i segreti. Il Saggio dello Jamir percepì l’ansia annidata nell’animo della giovane
Comandante, la frustrazione per aver assistito impotente alla perdita della sua
natia terra ed essere stata troppo debole e inesperta per organizzare la sua
riconquista. Un senso di colpa che si trascinava dietro da sempre, e che quel
giorno, dopo aver lasciato Creta, non aveva smesso di divorarle il cuore per un
solo momento, spingendola ad andare avanti tra le lacrime.
“Non possiamo salvare il mondo!” –Sorrise
la donna. –“Ma possiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per evitare che
sprofondi in una notte senza stelle! Ho visto troppi giovani armarsi e morire,
anche qua, davanti ai miei occhi stanchi, per poter credere ancora che non vi
saranno più guerre, che l’umanità possa vivere in pace, poiché spesso, quando
non sono gli Dei ad istigare gli uomini alla violenza, sono gli stessi uomini a
lanciarsi gli uni contro gli altri, spade contro spade, accecati dall’avidità
di ricchezze e della brama di gloria! Ma voi siete Cavalieri sinceri, fedeli
alle Divinità che vi hanno investito di tale titolo, e confido che la speranza
possa accompagnarvi e assistervi, molto più di quanto ha assistito me,
dimenticandomi tra la polvere di un tempo passato!”
“Venerabile Saggio…”
–Commentò Libra, rimettendosi in piedi.
“Lascia stare, Dohko! Non ascoltare le
farneticazioni di una vecchia sciocca! Fossimo nati in epoche diverse, o sotto
un diverso destino, avrei anche potuto provare l’ardire di lamentarmi per la
mia condizione! Ma siamo servitori di Atena, non fragili donne in attesa del ritorno
dell’amato! Dell’unico uomo che abbiamo mai amato!”
Alcione sorrise, ringraziando il
Venerabile Saggio dello Jamir, che voltò loro le
spalle, scomparendo nelle ombre della grande sala, prima che la candida voce di
Alcione lo richiamasse un’ultima volta.
“Chi era quell’uomo?”
“Si chiamava Linceo! Linceo della
Piovra!” –Sorrise il Venerabile Saggio, scomparendo in uno scintillio di luce.
Alcione sorrise, stupita dalla
rivelazione, ricordando l’energica figura del suo predecessore, del suo
maestro: Linceo della Piovra, il primo tra gli Heroes di Ercole. L’unico
che aveva seguito il Dio in ogni battaglia, restando al suo fianco e
proteggendogli le spalle, laddove la pelle del Leone di Nemea non bastava più.
Linceo era stato il precettore di Ercole, l’uomo che la sera, di fronte al
fuoco di bivacco, stimolava la fantasia del Dio narrando storie di tempi
antichi e di eroi leggendari. Storie di miti e credenze popolari, del
Mediterraneo e delle terre di Oriente, dove Linceo amava recarsi, affascinato
dalle civiltà sorte in quella regione del mondo. In uno dei suoi viaggi, in cui
si era spinto più ad Est di quanto mai avesse fatto in precedenza, giungendo a
lambire le terre monsoniche dell’India, aveva incontrato una donna, il cui
aspetto fisico, differente da quello del resto degli abitanti del continente
indiano, tradiva la sua diversa origine. Una donna affascinante, quanto
misteriosa. L’aveva seguita, l’aveva conosciuta e soprattutto l’aveva amata,
provando per la prima volta nella vita un sentimento simile. Un sentimento così
potente e devastante che sembrò quasi oscurare l’affetto e la lealtà che lo
legavano ad Ercole.
Linceo della Piovra e la discendente
del popolo di Mu si amarono intensamente ma, essendo
entrambi consapevoli dei loro rispettivi ruoli, convennero un giorno sulla
necessità di interrompere la loro relazione, poiché essa li avrebbe sviati dal
compito supremo. E l’ordine del mondo non poteva essere cambiato, neanche per
l’amore di due esseri mortali.
“Soprattutto per l’amore di due esseri
mortali!” –Gli aveva detto quel lontano giorno la discendente di Mu, prendendogli le mani tra le proprie. –“Cosa ne sarebbe
di tutti i nostri ideali, ai quali abbiamo prestato fede? Cosa ne sarebbe
dell’equilibrio del mondo, per il quale abbiamo sempre combattuto, con la forza
delle spade e con la potenza delle culture antiche? Condanneremmo tutto ad un
sempiterno rogo soltanto per soddisfare le nostre passioni, pur profonde e
sincere che siano?” –Gli aveva domandato, abbassando le mani e allontanandosi.
Ma Linceo l’aveva richiamata a sé,
sollevandola leggermente da terra, facendola danzare nel vento dello Jamir, prima di portarla di fronte al suo viso, prima di
cercarle la bocca con la propria e darle l’ultimo bacio, con la promessa di
rivedersi un giorno, quando i destini del mondo si sarebbero compiuti.
“Se esistesse davvero un Paradiso per
tutti coloro che combattono per la giustizia, allora io so che ci incontreremo
di nuovo!” –Si era congedato così, Linceo della Piovra. –“Che sia l’Elisio, o
il Paradiso dei Cavalieri, o il Dilmun dei Sumeri, o
il Giardino dell’Eden, noi ci incontreremo nuovamente, prima che l’ultima notte
scenda su questa Terra!” –Non si rividero mai più. Ma entrambi continuarono a
pensare l’uno all’altra, e quando ciò non accadeva deliberatamente avveniva
inconsciamente, poiché il loro stesso essere, il loro ruolo nel mondo, era così
intrecciato da renderli partecipi delle emozioni dell’altro. Da sentire che
l’altro viveva dentro il loro cuore. Ora e per sempre.
Rientrato in Grecia, Linceo aveva
trascorso gli anni successivi in una residenza nella campagna argiva, ad
addestrare giovani per farne guerrieri e a dispensare consigli all’amico
Ercole, il quale, per quanto fosse un Dio agli occhi di tutti, non poteva fare
a meno di sentirsi umano, e come tale bisognoso di confidarsi con un amico.
Forse l’unico che poteva davvero definire tale. Col tempo, Linceo iniziò ad
invecchiare, come è nel destino degli uomini, dapprima lentamente, poi
inesorabilmente, mentre Ercole, sempre al suo fianco, sempre attento ai suoi
consigli fraterni, rimaneva giovane e bello, aitante come una statua greca,
come anche Linceo era stato decenni prima. La vecchiaia portò all’antico Hero della Piovra molte soddisfazioni, soprattutto
riconoscimenti letterari ottenuti per alcuni componimenti epici che aveva
redatto, e per traduzioni dalle lingue orientali, di cui era ottimo
conoscitore. Ma gli regalò anche una figlia. Una bambina dagli occhi neri, e
dalle lunghe ciglia, che Linceo trovò per caso, in una malandata scialuppa
arenatisi lungo le rive del fiume che correva vicino alla sua villa.
Linceo si prese cura di lei, aiutato
dalle badanti al suo servizio, e rimase al suo fianco per tutti gli anni della
sua giovinezza e dell’adolescenza, osservandola crescere, osservandola
diventare bella. Diventare donna. Aveva tre anni Alcione, quando Linceo la
salvò dall’inferno, dalle fiamme di Spinalonga che
ardevano dentro i suoi occhi, dal ricordo e dal tormento dei genitori e degli
amici perduti. Adesso ne aveva trentasette, ma sembrava non dimostrarli
affatto. Aveva il fisico ben proporzionato di una ventenne: alta e slanciata,
con il petto all’infuori e fianchi stretti, aggraziata e atletica al tempo
stesso.
“Linceo ha regalato a me qualcosa della
sua immortalità!” –Amava ripetere Alcione, sorridendo all’anziano maestro, che
non soltanto le aveva insegnato le arti del combattimento, ma le aveva ridato
una vita, seguendo e indirizzando i suoi passi verso la giustizia e
l’altruismo, valori che Alcione vedeva incarnati in terra proprio dal
venerabile Linceo.
Ercole aveva ammirato la donna in tutto
il suo splendore, e nella sua aggraziata agilità, che ne faceva una degna
combattente, l’erede de facto dell’Armatura della Piovra, a cui Linceo
fece dono al termine dell’addestramento, tra le lacrime di Alcione. Lacrime di
gioia, dovuta alla soddisfazione per aver ottenuto un simile riconoscimento;
lacrime di speranza, poiché grazie a ciò che aveva imparato Alcione era
convinta di poter liberare nuovamente Creta; ma anche lacrime di dolore, poiché
la stanchezza sul volto di Linceo era indiscutibile.
Qualche giorno dopo Linceo si era
spento, con il sorriso sul volto, nella sua villa nell’Argolide,
circondato dalle persone di cui si era preso cura per tutti quegli anni. Da
Ercole e dagli Heroes, dalle badanti e dagli inservienti del podere, e da
Alcione, a cui parve di rivivere la morte dei suoi genitori, tanto grande era
l’affetto che aveva provato per Linceo in quegli anni. Ercole le aveva messo
una mano su una spalla, incitandola a continuare lungo la strada che Linceo le
aveva indicato.
“Sei una degli Heroes, adesso! La
Comandante della Legione del Mare!” –Le aveva detto, con un sorriso di fiducia,
prima di lasciarla da sola, al capezzale del padre perduto. Alcione gli aveva
sfiorato il volto, con una carezza, come egli era solito fare con lei quando
era una bambina, e aveva giurato di combattere anche per lui.
Quel ricordo accompagnò Alcione fuori
dal palazzo di Mu, dove sentì nuovamente avvampare i
cosmi di Gerione e degli altri Heroes della Terza Legione, impegnati duramente
in battaglia. Anche Libra aveva sentito due cosmi ostili piombare su di loro,
poco prima che giungessero alla colonia dei discendenti di Mu,
e Alcione convenne che il lungo braccio di Era si era esteso fino a quelle
montagne, mondandole con il sapore di un’amara battaglia.
“Andiamo!” –Le disse Libra, incitandola
a proseguire. Ma Alcione rispose con un sorriso.
“Hai già fatto abbastanza per noi! E le
parole non bastano per esprimere la riconoscenza che provo per te! Adesso torna
alla tua terra, Cavaliere di Libra! Torna al compito che Atena ti ha assegnato,
poiché esso è il tuo destino!”
“Vorrei aiutarvi ancora…”
–Rispose Dohko, improvvisamente incerto sul da farsi. Le parole che Alcione gli
aveva rivolto parvero turbinare tra le sue emozioni, rendendolo per un momento
insicuro. Aveva una missione, che Atena gli aveva affidato, che era costata la
vita a tutti i suoi compagni, e avrebbe dovuto eseguire tale incarico.
“Questa non è la tua guerra, Cavaliere
d’Oro! Hai già combattuto per difendere la giustizia! Lascia agli Heroes di
Ercole questa nuova battaglia!” –E sorrise, prima di sfrecciare via nel vento,
inseguendo le scie cosmiche dei suoi compagni. Dohko rimase ad osservarla
scomparire nella nebbia dello Jamir, prima di darle
malinconicamente le spalle e incamminarsi verso i Cinque Picchi.
Capitolo 15 *** Capitolo quattordicesimo: Battaglia nello Jamir. ***
CAPITOLO QUATTORDICESIMO: BATTAGLIA NELLO JAMIR.
Il cielo sopra lo Jamir
si accese di bagliori ardenti e le grida degli Heroes risuonarono per le
bianche vallate, rompendo l’ancestrale silenzio di quei luoghi lontani. Libra e
Alcione avevano lasciato il resto della Terza Legione a riposare in una piana
tra due montagne, una cinquantina di chilometri a sud del Palazzo di Mu. E là gli Heroes furono raggiunti da un violento attacco
nemico, che si presentò sotto forma di un turbinio di energia, costellato da luccicanti
piume su cui risplendevano occhi dorati.
Due figure apparvero sul terreno di
fronte ai dieci Heroes della Legione del Mare, avvolte in un’accecante aura
dalle sfumature divine. La prima figura era un uomo, alto e dallo sguardo
altezzoso, rivestito da un’armatura blu e gialla, simboleggiante il Pavone,
animale sacro ad Era. La seconda figura era una donna, più bassa e dall’aspetto
tozzo, simile a quello dell’animale che la sua corazza evocava: la Vacca. Erano
soltanto in due ma il loro cosmo era talmente vasto e potente che Gerionecredette di avere di
fronte un intero esercito.
“Abbassate pure le braccia! Ogni difesa
sarà vana!” –Commentò l’uomo, con voce altera e carica di disprezzo. –“Non
tentate neppure un solo passo in avanti! Risparmierete così le forze per il
sentiero dei morti, che dovrete percorrere fino alla Bocca di Ade!”
“È così importante conoscere il nome
del vostro carnefice? Di colui che di questa sozza feccia umana farà strage,
mondando la Terra dalla vostra inutile e pallida presenza?” –Continuò l’uomo,
deviando lo sguardo da quella sudicia marmaglia, sfiancata dal duro percorso
seguito per giungere fino in Jamir. –“Soltanto
guardarvi provoca in me un siffatto moto di disgusto, che preferisco non porre
il mio sguardo su di voi!”
“Co.. come?!” –Esclamarono Gerione, Nesso e Proteus.
“Vi ucciderò così, senza guardare,
perché è triste vedere i pesci che si dibattono dopo essere stati pescati dal
mare, alla boccheggiante ricerca dell’ultimo alito di vita!” –E nel dir questo
l’uomo con l’Armatura del Pavone sollevò il braccio destro verso il gruppo di
Heroes, volgendo loro il palmo della mano. Immediatamente un’onda di energia
travolse Gerione e i suoi compagni, scaraventandoli
lontano, schiacciandoli contro la millenaria parete rocciosa, che franò in
parte per la violenza dell’assalto. Alcune Armature andarono in frantumi in più
punti, mentre i corpi indolenziti dei guerrieri di Ercole ricadevano a terra
inermi.
“Contorcetevi un poco, suvvia!”
–Sospirò l’uomo, spostando la frangia di capelli dal viso, con snobistico
distacco. –“Assaporate questi ultimi momenti di vita, prima di scendere
nell’abisso infernale!” –E sollevò il braccio destro, per caricare una nuova
onda di energia.
A tale vista, Gerione
del Calamaro cercò di rialzarsi, barcollando sul terreno prima di piantare
i piedi con solidità. Srotolò le fruste in dotazione all’armatura, facendole
schioccare a terra con fragore, attirando l’attenzione dell’emissario di Era,
che gli rivolse uno sguardo di sdegno.
“Umpf! Verme
grigio, ancora rivolgi lo sguardo a Dio? Non sei stato accecato dallo splendore
della mia luce? Hai pertanto rifiutato la pace eterna di cui volevo farti
dono?” –Commentò l’uomo, con tono di scherno.
“Taci! Non parlare di pace tu che servi
una Dea dedita al culto della guerra e della morte! Non te lo concedo!”
–Ringhiò Gerione, muovendo un passo avanti. Ma l’uomo
lo fulminò con uno sguardo, carico di così tanta energia da scaraventare il
guerriero indietro, fino a schiantarlo contro la montagna, facendolo
sprofondare in essa, sommerso da cumuli di rocce. Senza però riuscire a
strappargli alcun grido di dolore.
“Gerione!”
–Urlarono i suoi compagni, cercando di rimettersi in piedi, succubi di un
misterioso potere, di una cupola di energia che stava premendo su di loro,
schiacciandoli a terra impotenti.
“È dunque questo il suo miserabile
nome?” –Commentò il sicario di Era. –“Figlio di Crisaore
e di Calliroe, re dell'isola Eritea,
Gerione era un gigante con tre teste, sei braccia e
sei gambe, cioè con tre corpi uniti su un unico ventre. Possedeva immensi
armenti di buoi rossi custoditi dal mostruoso cane Ortro,
figlio di Echidna. Nella sua decima fatica, Ercole raggiunse l'isola di Eritea, dove pose i confini del mondo conosciuto, le
cosiddette Colonne d'Ercole, sconfisse Gerione ed Ortro e portò gli armenti ad Euristeo,
umiliando in tal modo l’essere, mostruoso e vinto!”
“Sbagli!” –Parlò una voce maschile. Nesso
del Pesce Soldato si rimise in piedi, sfidando lo sguardo dell’uomo con la
corazza del Pavone. –“Gerione non è un mostro, né un
vinto! Egli è il miglior comandante, assieme ad Alcione, che questa Legione
possa vantare! Ed il nome che porta non è il suo vero nome, ma quello che egli
stesso scelse dopo aver messo la propria vita al servizio di Ercole, in omaggio
al Dio dell’Onestà!”
“Ridicole parole le tue, l’ultimo
fremito di un moscerino prima di essere schiacciato! Se proprio avesse voluto
cambiar nome, avrebbe potuto scegliere un nome regale, non il nome di un
mostro!” –Sorrise l’uomo, prima di sollevare nuovamente il braccio e volgere il
palmo verso Nesso.
Tutti gli Heroes tremarono
improvvisamente, preoccupati per la sorte dell’Hero
del Pesce Soldato, immaginando che sarebbe stato travolto in un batter di
ciglia dalla furia del guerriero di Era. Ma l’attenzione del sicario fu
attratta da un’esplosione di energia proveniente dall’interno della montagna,
cui fece seguito un boato che fece franare parte del millenario monte,
liberando Gerione dalla temporanea prigionia.
“Mi davi già per vinto, uccellaccio?”
–Esclamò Gerione, liberandosi dalle ultime rocce.
–“Il nome che ho scelto non vuole indicare un mostro, ma una sofferenza! Poiché
a Gerione, come a me, è stato strappato qualcosa di
molto caro! Al Gigante a tre teste furono portati via i suoi armenti, a me è
stato rubato un mondo intero! Il mio mondo! La mia terra!!!” –Gridò l’Hero del Calamaro, lanciandosi avanti, completamente
avvolto dal proprio cosmo dal color verde scuro.
Le fruste del Calamaro saettarono
nell’aria, generando scintille di energia, stridendo sul terreno e sollevando
polvere, prima di dirigersi verso il braccio teso del sicario di Era. Ma questi
rimase impassibile per tutti i brevi secondi dell’assalto di Gerione, aspettando che le fruste giungessero di fronte al
suo palmo aperto. Là si fermarono di colpo, irrigidendosi all’istante, di
fronte agli occhi sgranati di Gerione e dei suoi
compagni.
“Torna!” –Sibilò l’uomo rivestito
dall’Armatura del Pavone. E le fruste si rianimarono improvvisamente, saettando
indietro, scivolando nell’aria verso Gerione,
attorcigliandosi attorno al suo corpo fino a stringersi intorno al collo dell’Hero, come un tagliente cappio.
“Per Ercole! Gerione!!!”
–Gridò Proteus della Razza, alla vista
del compagno soffocato dalle sue stesse armi. Il volto di Gerione
sbiancò improvvisamente e, nonostante l’enorme sforzo che stesse conducendo,
non riuscì ad allentare la presa sulle fruste.
“Ma tu, chi diavolo sei?!” –Domandò
Nesso, con voce tremante.
“È Kyros
del Pavone il mio nome celeste, umile servitore della Dea del Matrimonio!”
–Rispose questi, fissando per la prima volta i dieci guerrieri di Ercole negli
occhi, con uno sguardo deciso e pieno di disprezzo, verso quel volgo così
lontano dalla perfezione celeste degli Dei. Di Era prima di ogni altro.
“Bene, caro il mio pavoncello,
non credere che ti permetterò di disporre di noi a tuo piacimento!” –Esclamò Proteus della Razza. –“Combatterò a fianco del mio
capitano!”
“Morirai a fianco del tuo capitano,
avresti dovuto dire!” –Commentò schivo Kyros, prima
di dirigere una devastante onda di luce contro Proteus.
Ma la poderosa energia del Pavone si schiantò contro una barriera invisibile,
disposta tutta intorno ai dieci guerrieri di Ercole, facendola vibrare con
forza, distruggendo la roccia tutta attorno e sollevando nubi di polvere, senza
però raggiungere né Proteus né Gerione,
il quale, privo del controllo psichico di Kyros, si
accasciò a terra esanime.
“Uh?!” –Kyros
inarcò un sopracciglio, voltandosi leggermente verso il gruppo di guerrieri,
per capire quale stupefacente potere avesse potuto fermare il proprio attacco,
distraendolo al punto da lasciar cadere la sua meditazione di controllo sulle
fruste di Gerione. Quando la polvere si diradò, e i
dieci guerrieri poterono muoversi con maggiore scioltezza, Kyros
osservò una donna ergersi di fronte a lui, con il viso ricoperto da una
maschera color avorio ed un’Armatura scura dai riflessi violacei.
“Detesto combattere!” –Esordì Pasifae del Cancro con timida voce. –“Ma devo farlo, per
proteggere i miei compagni! Poiché i tuoi attacchi sono di natura psichica,
credo di essere la persona più adatta per fronteggiarli!” –Spiegò la donna,
avvolta nel suo mantello marrone, che il vento faceva scivolare sulle sue forme
sinuose. Leggere e molto delicate.
“Uno stelo in un prato investito da una
tempesta! Ecco cosa sei! Fragile come un filo d’erba!” –Esclamò Kyros, disprezzando la ragazza. –“Quanto credi che ci vorrà
per piegarti? Di quanto tempo ritieni avrò bisogno per estirparti?” –E nel dir
questo sollevò il braccio destro, con noncuranza, dirigendo un’immensa onda di
energia contro Pasifae, la quale rimase immobile e
concentrata, con i sensi tesi al massimo.
Un attimo prima che l’onda di energia
la travolgesse, una frazione impercettibile di secondo prima di essere
investita, Pasifae eresse una barriera di energia
cosmica davanti a sé, estesa lungo i lati fino a coprire i propri compagni,
proteggendoli da quella furia devastatrice. Era una barriera irregolare, in parte
ondeggiante, simile ad un mantello scosso dal vento, ma resistente quanto basta
per neutralizzare l’effetto dell’assalto di Kyros, il
quale, stavolta, non riuscì a nascondere un moto di sdegno.
“Un’antica leggenda cinese racconta
che, durante una tempesta, un filo d’erba, essendo più piccolo e più ancorato
al terreno, abbia più possibilità di resistere di una grande quercia, la quale
è sì potente, ma è anche facilmente sollevabile in un brusco temporale!”
–Commentò pacatamente Pasifae, unendo i palmi delle
mani e concentrando all’interno il proprio cosmo in un’abbagliante sfera di
energia. Kyros, indispettito dalla imperturbabile
tranquillità della ragazza, la prima, dopo secoli, che osava tenergli testa,
sollevò una nuova onda di energia, potente come quella che aveva investito i
dieci Heroes la prima volta, dirigendola verso la Sacerdotessa.
“Pasifae!!!”
–Gridò Gerione, cercando di rimettersi in piedi, per
quanto le ferite al collo gli rendessero difficoltosa la respirazione.
Immobile, ancorata al terreno dalle
proprie convinzioni e dalla fiducia nelle proprie capacità, Pasifae
non parlò, liberando l’energia che aveva iniziato a raccogliere tra le mani.
Cerchi concentrici di luce dorata sorsero dalla sfera cosmica, frenando la
corsa dell’onda di energia di Kyros, annientandosi a
vicenda e generando una violenta esplosione che scaraventò entrambi i
contenenti indietro di parecchi metri. Kyros piroettò
in aria, roteando su se stesso, fino ad atterrare compostamente sulle gambe,
affiancato dalla donna con l’Armatura della Vacca, rimasta fino a quel momento
immobile e silenziosa. Come Emissario di Era, al pari dello stesso Kyros, la Vacca sapeva che egli avrebbe voluto combattere
da solo. Per orgoglio e per certezza di vittoria. Ed anch’ella, come lui, si
sarebbe sentita umiliata dall’intervento di un suo parigrado.
Pasifae venne
spinta indietro dall’onda d’urto, schiantandosi contro Gerione,
che cercò di afferrarla, finendo entrambi contro la roccia alle loro spalle. Proteus della Razza e Arsinoe
dello Scoiattolo corsero verso i due compagni, per aiutarli a rimettersi in
piedi, e percepirono chiaramente la debolezza del cosmo di Pasifae.
Per quanto fosse potente, la Sacerdotessa aveva contenuto per ben due volte
l’attacco di Kyros del Pavone, la cui potenza era
superiore a quella di qualsiasi Hero di Ercole.
“E lo ha fatto per noi!” –Commentò Arsinoe, aiutando Pasifae a
rimanere in piedi.
“Credo sia il momento di restituirle il
favore!” –Esclamò Gerione, adirato, incontrando lo
sguardo annuente di Proteus e di altri Heroes.
Senz’altro aggiungere, il secondo ufficiale della Terza Legione scattò avanti,
liberando le proprie fruste cariche di energia cosmica, subito seguito da Proteus della Razza, da Nesso del Pesce Soldato, da Scilla
di Cariddi, da Ettore della Gonostoma,
unitisi in un unico grande attacco.
“Pazzi suicidi! Vi gettate in un pozzo
di lava incandescente, con la speranza di uscirne vivi? È senza fine la follia
dell’uomo!” –Sogghignò Kyros del Pavone, muovendo il
braccio destro con un gesto brusco, quasi a fendere l’aria, creando un’onda di
energia, sulla quale si infransero i vari attacchi degli Heroes,
disintegrandosi completamente dopo poco. Ad un secondo cenno della mano di Kyros, l’onda sfrecciò nell’aria rarefatta travolgendo gli
Heroes e scaraventandoli lontano, con le Armature danneggiate. –“È tipico delle
bestie, degli animali senza raziocinio alcuno, non comprendere l’ineluttabilità
del proprio destino! E voi, pietosa feccia umana, dal volto rigato di sangue
bastardo e di sporca terra, fate parte della stessa cerchia!” –Sentenziò Kyros, strusciandosi le mani, quasi come volesse pulirle
per averle sporcate in quella battaglia. Quindi si voltò verso la sua compagna,
rimasta muta al suo fianco. –“Adesso dobbiamo soltanto trovare la Lama degli
Spiriti e la nostra missione sarà conclusa!”
“Conclusa, dici?! Ci sottovaluti,
Pavone divino!” –Una voce sprezzante distrasse Kyros,
obbligandolo a voltarsi verso lo spiazzo dove aveva abbattuto gli Heroes e a
trovarsi di fronte lo sguardo determinato e vivido di Gerione
del Calamaro, che si stava rimettendo in piedi. Nesso del Pesce Soldato era al
suo fianco, con l’armatura ammaccata e pieno di lividi, ma ancora vivo e deciso
a non arrendersi. Anche Arsinoe dello Scoiattolo e Proteus della Razza si sollevarono, scuotendosi la polvere
di dosso. E altrettanto fecero Scilla di Cariddi,
Ettore della Gonostoma, Eretteo della Foca, Miseno del Pesce Rombo e Termero
del Pesce Picasso.
“Che cosa? Ma voi... siete… vivi?!” –Kyros sgranò gli
occhi stupefatto. Aveva immaginato che gli Heroes di Ercole, per quanto uomini
mortali, non sarebbero stati avversari arrendevoli, ma mai avrebbe creduto che
sarebbero riusciti a resistere ad un’onda energetica di così vasta potenza come
quella che aveva scagliato loro contro.
“Lo dobbiamo a lei!” –Disse Nesso,
sollevando il corpo stanco della Sacerdotessa del Cancro dalle rocce frenate
attorno a loro. –“Pasifae ci ha difeso tutti quanti,
ricoprendo i nostri corpi di un sottile mantello di luce, che ci ha permesso di
attutire l’impeto devastante dei tuoi colpi!”
Gerione e gli
altri Heroes sospirarono per un momento, osservando l’indebolita e generosa
Sacerdotessa del Cancro e ringraziandola per averli difesi, per aver usato il
cosmo, che lei non è mai riuscita a tramutare in potenza offensiva, per
proteggere i suoi compagni, anche coloro che, troppo indolenti, non avevano
tentato di reagire all’attacco di Kyros. Lo sforzo
sostenuto le aveva fatto perdere i sensi, ma Nesso ritenne che la Sacerdotessa
avrebbe potuto comunque riprendersi.
“Dobbiamo vincere anche per Pasifae!” –Disse il Pesce Soldato, poggiando delicatamente
il grazioso corpo della Sacerdotessa a terra.
“E lo faremo!” –Gli andò dietro Arsinoe dello Scoiattolo, per la prima volta risoluta a
combattere. Espanse il proprio cosmo, presto seguita da Gerione
e da tutti gli altri, e si lanciò avanti, concentrando l’energia in piccole
bombe incandescenti. –“Ghiande esplosive!” –Gridò, scagliando contro Kyros una raffica di ghiande di energia. Dietro di lei,
Nesso, Gerione, Proteus e
gli altri Heroes univano i cosmi in un unico attacco.
Kyros, per
niente intimorito, ricreò la propria onda di energia, sulla quale si
schiantarono gli assalti di Arsinoe e di tutti gli
altri, prima di liberarla e travolgerli per l’ennesima volta. Ma
inaspettatamente i nove Heroes unirono i cosmi, creando una cupola di energia
su cui si infranse l’assalto di Kyros, rinviandolo al
mittente. Prima che potesse rendersi conto dell’accaduto, il guerriero del
Pavone venne afferrato per un braccio da una frusta di Gerione
e strattonato con forza, fino a perdere la presa e a rotolare avanti, dove le
robuste mani di Ettore della Gonostoma lo attendevano
per avvinghiarsi intorno al suo collo e stringerlo con forza.
“Lo tengo!” –Esclamò Ettore della Gonostoma, soffocando il respiro di Kyros
con le sue potenti mani, con le quali, in gioventù, si era allenato a
frantumare gli scogli delle coste greche.
“Non mollarlo!” –Gridò Proteus della Razza, osservando il cosmo di Ettore
incendiarsi e stritolare Kyros in una morsa che a
prima vista non lasciava scampo. L’aura attorno all’Hero
della Gonostoma si accese sempre più, divenendo una
vivida fiamma di energia che spinse indietro gli altri Heroes, stupiti che il
compagno possedesse una simile potenza, finora tenuta celata. Quando compresero
l’errore, era ormai troppo tardi.
“No!!!” –Gridò Gerione,
il primo ad accorgersi dell’orrore. –“Non è il cosmo di Ettore che sta
bruciando! È il suo corpo! È il cosmo di Kyros che lo
sta incendiando!” –E liberò una frusta, facendola saettare nell’aria, fino ad
afferrare un braccio di Ettore, nel tentativo di trascinarlo via. Ma non appena
la frusta si avvinghiò attorno all’arto dell’Hero,
una violenta esplosione di luce scaraventò indietro i Cavalieri di Ercole,
abbagliati da una così accesa manifestazione di cosmo.
Kyros del
Pavone aveva sormontato il cosmo di Ettore, incendiandolo con il proprio, le
cui origine divine gli permettevano di aver facilmente ragione di quello di un
mortale. Aveva afferrato le braccia dell’Hero, infondendo
dentro il suo corpo una fiamma che nessun gelo avrebbe potuto spegnere: la
fiamma della morte, che aveva divorato l’uomo dall’interno, fino ad annientarlo
completamente. In un secondo, la frusta di Gerione
andò in frantumi, disintegrandosi come polvere al vento, e stessa sorte toccò
al corpo di Ettore della Gonostoma, di cui rimasero
soltanto le ossa. Con un brusco strattone, Kyros
scaraventò via anche i suoi resti, ergendosi solitario a pochi passi dagli
Heroes, con uno sguardo iracondo, quasi satanico, negli occhi.
“Farete la fine del vostro compagno!
Pagherete per aver osato sporcarmi con le vostre luride mani!” –Tuonò Kyros, espandendo il proprio cosmo, al punto da avvolgere
l’intera pianura. Le ali dell’armatura del Pavone, affisse allo schienale della
corazza, si aprirono improvvisamente, in un ventaglio di meravigliosi colori di
primavera. Migliaia di occhi, disposti sulle piume dell’Armatura, fissarono gli
Heroes, e a loro parve che in quegli sguardi vi fosse tutto il disprezzo del
mondo. –“Occhi del Pavone!” –Sentenziò Kyros,
sollevando una mano al cielo.
Gli Occhi sulle sue piume si
illuminarono, liberando migliaia di migliaia di raggi di luce, in ogni
traiettoria, che si abbatterono sui nove Heroes rimasti, colpendoli in pieno,
trapassandoli da parte a parte, distruggendo le loro corazze, ferendo i loro
organi.
“Ci sta massacrando!!!” –Gridò Nesso,
cercando di sfrecciare in mezzo all’acuminata pioggia di raggi di energia,
venendo comunque colpito più volte, poiché la velocità di esecuzione di
quell’attacco superava quella della luce, di cui egli ancora non era padrone. Proteus della Razza si erse per proteggere Arsinoe dello Scoiattolo, venendo trapassato al basso
ventre e costretto ad accasciarsi, mentre la Sacerdotessa si lanciava avanti,
dirigendo una tempesta di Ghiande Esplosive contro Kyros,
il quale non ebbe alcun problema a distruggerle tutte con i suoi raggi di
energia.
“Eccolo, infine, il gran carro della
morte giunge per condurvi all’Inferno!” –Tuonò Kyros,
incrementando la velocità di esecuzione dei colpi. –“Salutate l’auriga nera e
morite!” – A quel punto, deciso a tentare il tutto per tutto, Gerione si lanciò in una folle corsa contro l’Emissario di
Era, sfrecciando nella pioggia di fasci energetici, incurante delle ferite, incurante
del sangue che stava perdendo e delle fiamme che sembravano divorarlo ad ogni
passo di più, mentre l’Armatura del Calamaro veniva sempre più danneggiata.
–“Per Era! Quest’uomo ha un demonio nel sangue!” –Dovette ammettere Kyros, di fronte a tanta determinazione.
Gerione
lanciò la Frusta che gli era rimasta, che scintillò nell’aria, liberando
scariche di energia, serpeggiando tra i raggi distruttori, fino a superarli
tutti e a conficcarsi nella ruota scintillante del Pavone, distruggendo un
gruppo di piume e interrompendo l’intero attacco.
“Com’è possibile?!” –Gridò Kyros, stupefatto da un simile prodigio. La sua compagna,
dal simbolo della Grande Vacca, sorrise tra sé, maliziosamente contenta
nell’osservare la sorpresa sul volto di Kyros.
–“Com’è possibileee?!” –Tuonò, incendiando il cosmo e
scaraventando Gerione indietro di qualche metro,
assieme alla sua frusta, che si attorcigliò nuovamente nella sua mano destra.
“L’eccessiva fiducia in te stesso ti ha
tradito, caro il mio pavoncello! Eri troppo intento a
dirigere i tuoi raggi distruttori su di noi che non hai provveduto ad alcuna
difesa, certo che nessuno avrebbe mai superato la tua fitta pioggia di
energia!” –Commentò Gerione. –“Il tuo cosmo, che ti
ha finora permesso di creare quella barriera energetica su cui tutti i nostri
assalti si sono vanamente scontrati, da difensivo è diventato offensivo, e la
barriera è caduta, permettendomi di raggiungerti!”
“Un’abile stratega, non c’è che dire!”
–Commentò Kyros, osservando alcuni frammenti della sua
Armatura Divina sparsi sul terreno roccioso. –“Abile e potente! Perché solo un
uomo dotato, come minimo, del settimo senso avrebbe potuto scalfire le mie
vestigia, la mia Armatura Divina, seconda soltanto alle Vesti degli Dei!”
“L’Armatura Divina?!” –Ripeté Gerione, magnificamente attratto dalle splendide vestigia
del Pavone.
“Esatto! Gli Dei Olimpici, di cui la
nostra Signora è Madre e Regina, indossano le Vesti Divine, da Efesto forgiate nelle fornaci del sacro Monte Etna, e noi,
Emissari preposti alla sua difesa, essendo nati come uomini mortali, indossiamo
le Armature Divine, per quanto in seguito ci sia stato fatto dono
dell’immortalità!” –Spiegò Kyros.
“Parli come se tu provassi disprezzo
per gli uomini! Non sei forse uno di loro? Perché odiare i tuoi pari?” –Domandò
Gerione, con biasimo.
“Taci, rozzo soldato! Nessun uomo può
dirsi pari a noi, creature predilette dagli Dei, al punto che Era,
impressionata dalle nostre capacità e dai nostri poteri, unici tra i comuni
mortali, ci ha elevato, facendoci dono dell’immortalità! Perciò non confondermi
con il branco di pecore che ti porti dietro, uomo, perché di fronte a te,
adesso, c’è un Dio! Un essere immortale, che il tempo non può scalfire, che la
vecchiaia non può atterrire! Che può trovare la morte soltanto in battaglia,
cadendo sconfitto da un avversario dotato di un cosmo superiore! Eventualità
impossibile al momento, poiché, come l’andamento di questo scontro testimonia,
il mio cosmo supera in vastità la somma dei vostri ridicoli poteri!”
“Sai cosa vedo io?” –Ironizzò Gerione, senza provare alcun timore per le parole
dell’Emissario. –“Un debole! Un uomo disadattato, incapace di provare amore per
i suoi simili, e per questo incapace di godersi pienamente la vita! Intimorito
dalla vecchiaia e dalla fragilità dell’essere umano, hai venduto l’anima a una
Divinità qualunque, solo per il guadagno che avresti potuto ottenere, solo per
saperti elevato al di sopra della massa! Per sentirti superiore! Senza
necessariamente esserlo!”
“Come osi criticarmi, tu che servi un
Dio che ha abiurato alla propria fede?!” –Tuonò Kyros,
mentre il suo cosmo, dai colori verde e giallo oro, sfolgorava attorno a sé.
“L’odio che nutri per Ercole è
ingiustificato, ed è frutto soltanto della tua invidia, delle tue sconfinate ambizioni!
Ercole era un uomo che, per le sue virtù e le imprese che ha compiuto nel mito,
assurse al pantheon degli Dei, diventando un Dio, per quanto non l’avesse
richiesto e per quanto desiderasse rimanere un uomo, fedele a se stesso, come è
rimasto per tutti questi secoli. Vivendo tra gli uomini, di cui comprende le
gioie e i dolori, i piaceri e i tormenti meglio di qualunque altro Signore
Olimpico, avendoli provati lui stesso in prima persona, e provandoli tutt’ora,
Ercole è cresciuto, ed ha fatto crescere gli uomini, che in lui vedono un amico
ed un compagno, una spalla su cui piangere nelle difficoltà! In lui gli uomini
vedono il fattore vicino, che non esita ad arare il tuo campo quando la tua
gamba è dolorante, senza chiederti alcun compenso, perché, e questo Ercole lo
sa bene, non esiste compenso migliore del portare la felicità agli altri,
soprattutto a chi ne è privo! Tu che hai rinunciato a tutto questo, all’amore
degli uomini, tuoi pari e fratelli, per avere un posto al banchetto degli Dei
non potrai mai comprendere il mio Signore né la sua natura, originariamente non
diversa dalla tua!” –Concluse Gerione, di fronte agli
sguardi ammirati dei compagni, che avevano potuto rimettersi in piedi nel tempo
della loro conversazione. –“Perciò, Kyros del Pavone,
ti combatterò e ti mostrerò quanto sia fasullo il mondo in cui credi, quanto
non abbia niente di divino né di immortale! Perché nella guerra, stanne certo,
non vi è niente di divino, soltanto eterno dolore!” –E nel dir questo, sollevò
la frusta, lasciandola roteare attorno al suo corpo, in tanti cerchi
concentrici, ad una velocità sempre maggiore, mentre l’Emissario puntava il
palmo della mano destra verso di lui, liberando una rabbiosa onda di energia.
“Gerioneee!!”
–Gridò Nesso, alla vista di quel devastante potere diretto contro il suo
capitano. Ma Gerione non si mosse, aumentando la
rotazione della frusta, raggiungendo la velocità della luce e impedendo
all’onda energetica di ferirlo, protetto da un’impenetrabile difesa circolare.
“Tu sia dannato, uomo!” –Ghignò Kyros, calando la mano destra.
“No! Tu sei il dannato, Kyros!” –Tuonò Gerione, lanciando
avanti la frusta, carica di folgori incandescenti. –“Tu che sei uomo ed hai
condannato la tua stessa stirpe alla morte! Sentirai sulla tua pelle quanto sei
mortale! Frusta del Tuono!” –Esclamò, mentre migliaia di folgori, dal
colore verde smeraldo, circondavano la frusta saettante verso Kyros.
L’Emissario di Era ricreò la barriera
di energia, su cui si infransero le saette roventi dell’Hero
del Calamaro, facendola vibrare vistosamente, di fronte allo sguardo
preoccupato di Kyros. Pochi secondi dopo, la barriera
cedette, schiantandosi come cristallo, e l’Emissario venne raggiunto da una
manciata di fulmini, che stridettero sulla sua armatura, graffiandola in più
punti e obbligandolo a balzare indietro per non essere travolto. Atterrò su una
sporgenza rocciosa poco distante, osservando il campo di battaglia dall’alto,
come era solito fare quando volgeva lo sguardo verso il mondo degli uomini, un
mondo da cui, per quanto tentasse continuamente di dimenticarlo, egli era stato
partorito. Rabbioso, Kyros sentì del sangue colare
lungo il suo viso, da un taglio che la Frusta del Tuono gli aveva
provocato, strusciandogli una guancia e strappandogli via l’elmo piumato della
sua corazza.
“Sangue?!” –Gridò istericamente,
osservando le dita con cui si era toccato la guancia destra, sporche di liquido
rossastro. –“Mai prima d’ora avevo provato un’umiliazione simile! Gli Occhi
del Pavone sarebbero una punizione troppo lenta per te! Ti farò morire!
Subito!” –Tuonò, puntando l’indice destro contro Gerione.
Una bomba di luce esplose improvvisamente, travolgendo l’Hero
del Calamaro e scagliandolo in alto di qualche metro, mentre parte della sua
Armatura andò in frantumi.
Gerione
ricadde a terra, ma anche in quell’occasione Kyros
non riuscì a strappargli alcun grido di dolore. L’Hero
pareva soffrire stoicamente in silenzio. Irato, Kyros
puntò nuovamente l’indice destro verso Gerione,
caricandolo di una nuova bomba di energia, mentre l’Hero
tentennava a rialzarsi, sputando sangue a terra. Kyros
attaccò di nuovo, ma l’attacco non raggiunse il capitano del Calamaro. Eretteo
della Foca infatti balzò rapidamente di fronte a Gerione,
per proteggerlo, venendo travolto in un attimo. La velocissima bomba di luce di
Kyros implose dentro Eretteo, scagliandolo in alto
tra i frammenti insanguinati dell’Armatura della Foca, prima di farlo
schiantare a terra, in un pozzo di sangue.
“Eretteoo!!”
–Gridò Gerione, chinandosi sull’amico per scuoterlo.
Ma comprese subito che l’Hero era morto sul colpo.
Con il sorriso sul volto, per aver protetto il proprio capitano.
“Prima Galena, poi Ettore ed Eretteo!
Quanti altri dovranno morire prima che noi addormentati Heroes ci risvegliamo
alla battaglia?” –Si schernì Proteus, rialzandosi,
seguito da Arsinoe dello Scoiattolo.
“Per troppo tempo siamo stati abituati
a lottare di nascosto, a compiere incursioni notturne, celando i nostri poteri,
fidandoci più dei nostri muscoli sviluppati o delle nostre strategie ben
pianificate!” –Spiegò Arsinoe. –“Ma questa non è
Creta! Questa non è la guerra contro l’Impero Ottomano, è una Guerra Sacra, tra
uomini e Dei, e abbiamo il dovere morale di accantonare ogni titubanza e
combattere! Sì, noi Heroes della Legione del Mare combatteremo!”
Capitolo 16 *** Capitolo quindicesimo: L'emissario del cielo. ***
CAPITOLO QUINDICESIMO: L’EMISSARIO DEL
CIELO.
Kyros del Pavone, uno dei tre
Emissari di Era, i cui poteri erano superiori persino a quelli dei sei
Comandanti delle Legioni di Ercole, a causa delle sfumature divine di cui Era
lo aveva intinto, era in piedi su una sporgenza rocciosa, in una terrazza tra
le montagne dello Jamir. Di fronte a lui, Gerione
del Calamaro piangeva la morte del suo compagno, Eretteo della Foca, terzo Hero caduto in quella spedizione così lontana dalle loro
calde terre di origine, senza che egli avesse potuto impedirlo.
“Un’altra morte si è consumata di
fronte ai miei occhi, ed io, attonito spettatore, nuovamente impotente per
evitarla!” –Commentò Gerione, mentre le lacrime gli solcavano il volto. –“Se
Alcione fosse stata qua, avrebbe saputo come affrontare questo avversario! Lei
ha avuto fiducia in me, ma io l’ho tradita! Non valgo molto come condottiero,
se non sono capace di proteggere i guerrieri che per me hanno dato la vita!”
“Non colpevolizzarti!” –La voce
profonda e sincera di Proteus della Razza lo rincuorò all’istante,
aiutando il capitano a rialzarsi. Proteus era un amico di vecchia data, suo
compagno di addestramento durante gli anni in cui aveva imparato a prendere
confidenza con il cosmo dentro di sé. Greco di origine, di famiglia ricca,
Proteus non aveva mai amato il vile denaro, preferendo dedicare la vita a
qualcosa che lo rendesse migliore, che lo gratificasse. Per questo aveva deciso
di unirsi agli Heroes di Ercole, contando molto sulla sua notevole forza
fisica. Fin da subito, Proteus era divenuto amico di Gerione, inizialmente non
troppo inserito a causa delle sue origini diverse, essendo cretese. Ma a
Proteus le differenze di provenienza, come quelle di ceto, non interessavano
affatto. Per lui contavano soltanto la fiducia reciproca e la dedizione alla
causa, doti che ammirava in Gerione. Ed infatti, quando Ercole formò le sei
Legioni di Heroes, fece espressa richiesta per essere affidato alla Terza, per
poter rimanere a fianco del compagno, e proteggere il suo capitano.
“Abbiamo fatto quello che abbiamo
potuto!” –Commentò Proteus, invitando Gerione a mantenere la calma e la
lucidità.
“Avremmo dovuto fare di più!” –Rispose
Gerione, sbuffando.
“Avremmo potuto fare molte cose, anche
rimanere a Creta a combattere una guerra a cui non abbiamo mai saputo imprimere
una svolta decisiva!” –Rispose Proteus, con sincerità. –“Ma adesso siamo qua,
sul tetto del mondo, a lottare per la vita o per la morte di fronte ad un
nemico incredibilmente potente, la cui forza sbaraglierebbe in un lampo le
flotte ottomane che infestano la tua amata isola! Cosa vuoi fare? Rimpiangere
ciò che non è stato fatto o reagire, come hai sempre fatto in questi anni? Non
sono stato al tuo fianco per vederti gettare via i tuoi ideali e la tua fede,
ma per sperare di poter essere così fortunato da riceverne un po’ anch’io!”
–Concluse Proteus, allungando una mano verso di lui.
Gerione sorrise, stringendo con forza
la mano dell’amico, prima di voltarsi verso Kyros, in cima alla sporgenza
rocciosa, e fissarlo con uno sguardo carico di determinazione e di compassione,
ma privo di odio, di cui era invece imbevuto quello dell’Emissario. Kyros non
disse niente, puntando nuovamente l’indice destro contro Gerione, che fece un
rapido cenno a Proteus e agli altri di rimanere indietro. Avrebbe concluso lui
il combattimento con Kyros, in un modo o nell’altro.
“La fine che meriti!” –Tuonò Kyros,
liberando una violenta bomba di luce, che esplose contro Gerione, che fu abile
a ricreare rapidamente la difesa circolare con le sua Frusta, attutendo in
parte il colpo ma venendo comunque spinto indietro, con l’Armatura danneggiata.
“Sembra che tu non riesca a fare
meglio!” –Commentò Gerione con un sorriso sardonico, rialzandosi e sputando
sangue. – “È tutto questo il tuo potere? Nessuno dei tuoi attacchi sembra
decisivo! O forse ad un uomo come te non è concesso disporre dell’immenso
potere degli Dei?” – Lo provocò Gerione, scatenando l’immediata ira di Kyros,
che espanse a dismisura il suo cosmo, concentrandolo sulle dita della mano
destra.
“Se un dito non è stato sufficiente per
mandarti in Ade, eccone tre! Siano per te la barca che ti conduca al di là dell’Acheronte,
stupido mortale! Dita del Cielo!” –E liberò un potere tre volte
superiore a quello che aveva colpito Gerione ed Eretteo in precedenza. Gerione,
per niente intimorito, scattò avanti, come se avesse intuito le intenzioni
dell’Emissario di Era.
“Frusta del Tuono! Colpisci!”
–Gridò, lanciando la propria Frusta, che risplendette di bagliori
incandescenti, avvolta in un nugolo di saette luminose che squarciarono l’aria
nella vallata dello Jamir.
“Incredibile!” –Mormorò Proteus della
Razza, riparando Arsinoe dello Scoiattolo con il suo
corpo. –“Quale maestria! Gerione ha diviso in due l’attacco energetico di
Kyros, tranciandolo con le folgori della propria frusta, che hanno proceduto in
linea spezzata fino a raggiungere il braccio dell’Emissario di Era e a
colpirlo!!!”
Ed infatti Kyros venne ferito al
braccio destro, teso per aver lanciato le Dita del Cielo, da un secco
colpo di frusta, che distrusse il bracciale della sua armatura, graffiando la
sua pelle e facendogli provare, per la prima volta dopo molti secoli ormai,
dolore. Ma anche Gerione non uscì indenne dallo scontro, venendo raggiunto di
sbieco dall’onda d’urto provocata dall’aver separato in due l’attacco di Kyros,
che lo strusciò su ambo i lati, sfrecciando verso l’esterno, e distrusse parte
dei suoi coprispalla, facendolo accasciare al suolo
dolorante.
“Stento a credere ai miei occhi!”
–Commentò Kyros, alla vista del bracciale distrutto e del sangue che colava
lungo il suo braccio destro. –“Quest’uomo… questo
misero Cavaliere di una Divinità inferiore, non soltanto è riuscito a ferirmi,
ma ha anche risvegliato in me una sensazione assopita! Una sensazione nota, che
avevo dimenticato! Il dolore!”
“Esatto, Kyros!” –Esclamò Gerione,
rialzandosi. –“Ti mostrerò quanto ancora sei uomo e quanto niente di divino tu
possegga! Nemmeno un attacco che possa fregiarsi di tale nome!”
“Bastaaaa!!!”
–Gridò Kyros, puntando le dita della mano destra contro Gerione e liberando un
potentissimo assalto, superiore persino alle Dita del Cielo scagliate
poco prima. La terra tremò, scavata in profondità dall’onda d’urto
dell’attacco, ma Gerione, incrociando le braccia di fronte a sé e caricandole
del suo cosmo color verde smeraldo, riuscì a contenere l’impatto distruttivo
dell’assalto, venendo spinto indietro, scavando solchi nel terreno. Esausto,
Gerione cadde a terra, sbattendo le ginocchia sul terreno scavato, ansimando a
fatica, con le braccia in fiamme e l’Armatura seriamente danneggiata, di fronte
agli occhi sempre più increduli di Kyros, la cui natura divina egli stesso non
riusciva più a percepire, quasi fosse scomparsa, travolta dalle parole di
Gerione, più che dai suoi stessi attacchi.
E allora, come un lampo nel cielo
sereno, Kyros realizzò. Che forse, quell’aura divina di cui credeva di essere
circondato, quel senso di superiorità che aveva sempre creduto di poter
manifestare, non era mai esistito. E che egli, come lo scontro con Gerione
aveva dimostrato, era soltanto un uomo. Niente di più. Quella era la sua
natura, la madre che lo aveva generato, e per quanto egli avesse messo la sua
vita nelle mani di Era, come di una qualsiasi altra Divinità che lo avesse
scelto nelle sue fila, non poteva negare ciò che era stato un tempo. Ciò che,
alla fin fine, le ferite subite nello scontro con Gerione avevano richiamato
alla sua mente. Memorie sepolte dalla polvere del tempo. Odori che aveva
dimenticato.
“Combatterò!”
–Esclamò Kyros, affannosamente. –“Combatterò per dimostrare la mia natura
divina! La superiorità della natura divina sulla sporca ed effimera vacuità
dell’essere umano!”
“Ed io ti combatterò per dimostrarti
quanto ardore, quanto coraggio, quanta emozione può esistere nell’animo di un
uomo! E farò provare a te, che hai dimenticato cosa significa essere mortali,
il significato della mia scelta!” –Commentò Gerione, rialzandosi per l’ultimo
scontro. –“Ti farò sentire cosa è realmente il dolore!”
“Vieni avanti, uomo! Kyros del Pavone
non ti teme!” –Gridò Kyros come un forsennato, aprendo la splendida ruota di
piume della sua corazza. Migliaia di occhi puntarono Gerione, fendendo l’aria
con i loro raggi energetici. –“Non temo nessuno io! Neppure Dio! Occhi del
Pavone! Massacrate quel viscido insetto! Riducetelo simile a larva,
affinché possa strisciare sul terreno, implorando la pietà divina!”
Migliaia e migliaia di raggi di energia
cosmica sfrecciarono nell’aria, dirigendosi su Gerione, che cercava di
difendersi con la propria Frusta, facendola roteare circolarmente attorno a sé.
Ma la violenza dell’attacco fu tale da distruggerla in parte, aprendo dei vuoti
nella sua barriera, così da permettere a numerosi fasci di energia, che
sfrecciavano alla velocità della luce, di penetrare all’interno e ferire
Gerione.
“Non posso restare passivo!” –Mormorò
Gerione, ripensando a quanto aveva lottato per tutti quegli anni. Al sogno che
lo aveva dominato in tutte le sue notti. Riportare la libertà a Creta, alla sua
gente, a coloro che credevano in lui. E se fosse morto adesso avrebbe deluso le
speranze di quegli uomini oppressi, le speranze di un popolo che vedeva in lui
e in Alcione il loro re e la loro regina. –“Per la mia reginaaa!!!”
–Gridò Gerione, bruciando al massimo il proprio cosmo.
Si lanciò avanti, abbandonando la
posizione di difesa, sfrecciando come un fulmine nella fitta pioggia di raggi
energetici che piovevano su di lui, schivando la maggior parte di quelli letali
e lasciando inevitabilmente che altri lo colpissero. Sui fianchi, sulle spalle,
sulle braccia ancora doloranti. Ma niente riuscì a farlo desistere dal suo
assalto. Quando giunse ai piedi della sporgenza rocciosa, balzò in alto,
aprendo il braccio destro e srotolando la Frusta del Tuono, mentre
l’aria sfrigolava attorno a sé, carica di fulmini verdi. Kyros, che ben si
aspettava un attacco di quel genere, sogghignò, sollevando la mano destra e
liberando una potente onda energetica da distanza ravvicinata, con l’intento di
annientare il capitano della Terza Legione, come aveva fatto con Ettore della Gonostoma in precedenza. Ma Gerione fu più astuto
dell’Emissario, buttandosi subito verso il basso, come aveva programmato, e
lanciando la frusta in quella direzione, in modo che schizzasse sul terreno di
fronte a Kyros, spaccando un po’ di rocce e sollevando pietre e polvere,
dirette verso gli occhi dell’Emissario di Era, che fu obbligato a coprirsi gli
occhi, accecato.
“Ora!!!” –Esclamò Gerione, lanciando la
Frusta del Tuono, mentre stava ricadendo verso terra. La frusta si
attorcigliò attorno alla gamba destra di Kyros, stringendolo con forza,
emettendo violente scintille energetiche, mentre un secco strattone tirava
l’Emissario di Era avanti, fino a fargli sbattere la testa sul suolo e cadere
giù dalla sporgenza rocciosa, schiantandosi malamente a terra, vicino a
Gerione. –“Questo è il luogo adatto a te! A terra, dove stanno gli uomini!
Lascia che siano le aquile a volare in alto, dove regnano gli Dei! Tu, che di
divino hai solo un titolo ricevuto in dono da una Regina malvagia, non
disprezzare il suolo su cui cammini ma sentiti onorato di far parte di questa
splendida natura!”
“Puah! Fetidi
discorsi di un alito che presto non soffierà più!” –Esclamò Kyros, rialzandosi
prontamente e concentrando il proprio cosmo sulle dita della mano destra. –“Dita
del Cielo!” – Tuonò, dirigendo il potente assalto verso Gerione, che non
rimase inerme ad attenderlo, ma balzò in alto, caricando la sua Frusta di tutto
il suo cosmo.
“Tentacoli predatori!” –Urlò
Gerione, lanciando la frusta avanti e moltiplicandola in centinaia di copie,
cariche di sfolgorante energia.
Il contraccolpo tra i due poteri spinse
entrambi indietro di parecchi metri, sollevando un’immensa nube di polvere.
Tossendo, Kyros si rialzò, certo di aver finalmente vinto, di aver superato
quel nemico così palesemente inferiore, per quanto lo avesse fatto dannare.
Gerione si contorse un poco, reprimendo un gemito a fatica, prima di riuscire a
rimettersi in piedi, di fronte agli occhi increduli di Kyros del Pavone.
“Perché ti rialzi, zotico? Perché non
ti abbandoni alla terra da cui sei nato?” –Domandò, indispettito dall’infinita
impertinenza del giovane. –“Guardati! Sei tutto sporco, la tua armatura cade a
pezzi, il sangue sgorga copioso dalle tue ferite, e ancora osi levare uno
sguardo ostile su di me?”
“Non c’è odio nel mio sguardo, Kyros!
Affatto! C’è soltanto pena!” –Commentò Gerione, riprendendo fiato. –“Pena per
un uomo che non ha capito i suoi simili, e soprattutto che non ha capito se
stesso!”
“Umpf! Non
sapevo foste anche ironici, voi Heroes!” –Ridacchiò Kyros. Ma nel sollevare il
braccio, per portarsi la mano alla bocca, fu costretto a reprimere un conato
improvviso, che gli salì dallo stomaco, facendolo tossire. –“Che.. succede?!”
–Gridò, osservando la sua armatura. All’altezza dello stomaco comparvero crepe
che prima non aveva visto, crepe che mandarono in frantumi la corazza del
Pavone in ben tre punti. I punti in cui le Fruste del Calamaro avevano
raggiunto il loro bersaglio.
“Tre soltanto!” –Commentò Gerione.
–“Delle centinaia di migliaia di fruste che ti ho lanciato contro, solo tre
sono riuscite a ferirti! Complimenti, Pavone del Cielo, i tuoi poteri sono
davvero grandi! Ho dato fondo a tutte le mie energie e non sono riuscito che a
procurarti tre miseri graffi!” –Ironizzò l’Hero,
accasciandosi al suolo, privo ormai di forze.
“Tre fruste?!” –Ripeté l’Emissario di
Era. –“Tre graffi?!” –E guardò d’istinto il bracciale destro della sua corazza,
distrutto durante un attacco precedente. Si toccò il viso, sentendo il sangue
coagulato sulla guancia destra. E urlò, maledicendo il nome di Gerione, per
aver osato incrinare la sua perfezione celeste. Sollevò il braccio,
concentrando il cosmo sulle dita della mano e caricò nuovamente il proprio
colpo segreto.
“Smettila, bastardo!” –Gridò Proteus
della Razza, correndo in avanti, seguito da Nesso e Arsinoe.
–“Vuoi colpire un indifeso? Che razza di Cavaliere sei? Non hai onore né
vergogna? Sei tu la vera feccia!!!”
“Taceteee!!!”
–Esplose Kyros, dirigendo le Dita del Cielo verso i tre Heroes, che
vennero travolti dalle potenti bombe di luce e scaraventati indietro, con le armature
danneggiate. –“Io non tollero essere interrotto! Io detesto essere
interrotto!!!” –Gridò nuovamente. –“Punirò quest’uomo! E punirò voi! Rendervi
simili a larve non sarà sufficiente! No, non mi basta più adesso! Annienterò le
vostre carni con le mie stesse mani!” –Esclamò, caricando nuovamente le dita
della mano destra.
Ma prima che potesse muoversi, venne
schiacciato al suolo da una forza improvvisa. Schiacciato al suolo e avvolto in
una nera spirale, la cui potenza fisica era terribilmente opprimente e
difficile da sopportare, soprattutto per un fisico come il suo, logorato dallo
sforzo sostenuto nella battaglia contro Gerione. Quando riuscì a vedere
nuovamente, quando le tenebre che lo avevano avvolto parvero scomparire, notò
soltanto la roccia contro cui stava per sbattere malamente la testa. Si
schiantò nella parete rocciosa con forza, sbattendo il naso e ricadendo a
terra, tra i detriti e i frammenti della sua Armatura crepata in più punti.
“Spero tu non abbia niente in contrario
se mi unisco ai giochi!” –Esclamò una decisa voce di donna. –“Dal momento che
stai massacrando la Legione di cui sono il Comandante!”
“A... Alcione…”
–Momorò Gerione, troppo debole per dire altro.
“Ogni distinzione viene abolita di
fronte alla morte!” –Esclamò Kyros, rimettendosi in piedi, e toccandosi il naso
rotto, da cui fiotti di sangue uscivano copiosi. –“Perciò, semplici soldati o
supremi comandanti vengono tutti destinati all’oblio! E tu, gambe lunghe, non
fai eccezione!”
“Invece di guardare le mie gambe,
difenditi!” –Esclamò la donna. –“Perché Alcione della Piovra non avrà
pietà di un uomo che ha rinnegato se stesso e la sua gente, invece di vivere
una vita insieme agli altri!”
Kyros la guardò e dovette ammettere che
era una splendida donna. Alta e slanciata, ricoperta da una scura Armatura i
cui colori e le cui sembianze non potevano far altro che richiamare le
pericolose profondità degli abissi oceanici, ove ignote creature riposavano tra
i silenzi di quei fondali. Attaccati ai bracciali dell’Armatura vi erano lunghi
tentacoli scuri, con robuste ventose, che ciondolavano e che, Kyros suppose,
erano le armi con cui l’Hero l’aveva immobilizzato
poc’anzi.
“Vivo la mia vita per me stesso e di
questo sono sazio!” –Rispose Kyros, aprendo nuovamente la coda del Pavone alle
sue spalle. Qualche piuma era stata distrutta dall’attacco di Gerione, ma la
composizione era ugualmente magnifica, al punto da attirare l’attenzione di
Alcione, che per un momento ne rimase affascinata. –“Occhi del Pavone!
Trafiggetele il cuore!” –E subito migliaia di raggi energetici partirono dagli
occhi delle piume del Pavone, diretti verso Alcione, la quale non rimase ad
attendere di essere bucherellata, ma sfrecciò nella fitta pioggia, prima di
balzare in alto e piombare su Kyros con i tentacoli sfoderati.
L’impatto fu disastroso e Kyros fu
spinto a terra, mentre i tentacoli della piovra lo stritolavano con forza,
schiantando la sua corazza in più punti, distruggendo la ruota di cui era
andato fiero e sbattendolo continuamente a terra. Quando Alcione allentò la
presa, della splendida Armatura Divina era rimasto ben poco. Tutte le
decorazioni e i copriarti erano stati distrutti e il
corpo centrale era crepato in più punti, da cui traboccante fuoriusciva il
sangue dalle ferite interne. Alcione non provò per Kyros alcun dispiacere,
alcuna compassione, guardandolo trascinarsi per qualche passo ancora, mentre
l’uomo che era in lui finalmente aveva ripreso coscienza di sé. Coscienza del
proprio essere fragile, del proprio essere mortale. Spirò così, Kyros del
Pavone, tra il delirio di aver perso la propria natura divina e il terribile
dubbio di non averla mai posseduta.
“Gerione!” –Esclamò Alcione, correndo a
sincerarsi delle condizioni dell’amico. –“Ti ha conciato per bene, eh?!” –Gli
sorrise.
“AAlcione...
La Lama?!” –Domandò Gerione, mentre anche Arsinoe,
Nesso e gli altri si avvicinavano ai due Heroes. Alcione annuì con il capo,
rincuorando lo spirito dei guerrieri sopravvissuti, e ordinò loro di stringere
i denti e resistere alle sofferenze, perché avrebbero dovuto mettersi subito in
cammino e la via del ritorno era altrettanto irta di pericoli quanto quella
dell’andata. Non fecero in tempo a muovere qualche passo che una donna si mise
di fronte a loro, sbarrandogli la strada.
“Dove avete intenzione di andare?”
–Domandò la donna la cui Armatura rappresentava la Grande Vacca, uno dei
simboli sacri ad Era. –“Non vi sarete dimenticati di me?!”
“Vista la fine che ha fatto il tuo
compagno, avresti dovuto ringraziarci per non averti riservato la stessa!”
–Commentò Alcione.
“Io non sono superba come Kyros!”
–Rispose la donna, il cui cosmo vasto ma tranquillo era diverso dall’ostentata
superiorità del Pavone. –“Ho imparato da tempo a conoscere gli uomini e, per
quanto li disprezzi, ammetto la mia umanità! Ma questa, ormai, è tale soltanto
fisicamente! A livello interiore non è più!”
“Chi sei?” –Domandò Alcione, pregando
gli Heroes di scansarsi.
“Boopis
è il mio nome, la Grande Vacca!” –Commentò la donna, gettando via il
mantello fermato dietro i coprispalla della sua
Armatura. Non era molto alta, anzi la sua statura era inferiore a quella di un
ragazzo come Nesso, e il suo fisico non era elegante, ma piuttosto tozzo, come
il profilo di una contadina che trascorre lunghe giornate negli orti.
“Boopis?! Non
è un appellativo che si usa per indicare Era?!”
“Esattamente! Boopis
deriva dal greco “dall’occhio di bovino”, in quanto Era, come Dea Madre, è
associata agli armenti, alle mandrie di bestiame da lei difese e sotto la cui
protezione crescono! Scelsi questo nome in suo onore, quando mi sollevò dalla
triste condizione di mortale e mi elevò all’Olimpo, insignendomi del titolo di
Emissario, un privilegio che, in millenni di storia del mondo, è toccato
soltanto a una donna! Me!”
“È così meritevole di disprezzo l’umanità?!”
–Domandò Alcione, che non riusciva a capire l’odio che gli Emissari provavano
nei confronti del genere umano. –“Cosa ti hanno fatto gli uomini di così
sbagliato per destinare loro tutto questo odio? Per combattere al servizio di
una Dea che vuole estirpare il genere umano e i pochi eroi che lo difendono?”
Boopis non
rispose, colpita dalla domanda del Comandante della Terza Legione. Una domanda
inaspettata e carica di tristezza. Sospirò per un momento, prima di invitare
Alcione a consegnare la Lama degli Spiriti. Quello era il suo compito, non
iniziare una conversazione che, tra l’altro, non aveva alcuna voglia di
sostenere.
“Spiacente, ma la Lama degli Spiriti
serve ad altro che alla vostra ben misera ambizione!” –Disse Alcione, mostrando
la Spada, riposta in uno splendido fodero intarsiato, che aveva finora nascosto
tra le pieghe del lungo mantello nero. Quindi, vedendo che Boopis
non accennava alcun movimento, né per avanzare né per farsi da parte, la
allungò a Nesso, porgendogliela con un sorriso. –“Porta la Lama degli Spiriti a
Tirinto!” –Ordinò, di fronte agli occhi sgranati del
giovane Hero. –“Ma non abusare del suo potere, o ti
divorerà! Il Venerabile Saggio che me la ha affidata è stato chiaro al
riguardo! La Lama, oltre che assorbire il cosmo di colui dentro al quale è
infilzata, attira a sé anche qualcosa di chi la impugna!”
“Io.. io..” –Nesso esitò per un
momento, non comprendendo le intenzioni del suo Comandante. –“Ma… non torneremo insieme?!”
“Tu vai! E voi scortatelo! Ercole vi
sta aspettando! Io vi raggiungerò dopo aver sconfitto Boopis!”
–Spiegò Alcione, mettendo la Lama nelle mani di Nesso e allontanandosi dal
gruppetto.
“Ercole aspetta anche te! Gliela
porteremo insieme!”
Alcione sorrise, alle ingenue parole
dell’Hero del Pesce Soldato. Parole che, lo sapeva,
provenivano dal cuore. Fissò uno ad uno gli otto Heroes sopravvissuti, prima di
bruciare il cosmo al massimo e lanciarsi verso l’Emissario di Era. I tentacoli
oscuri sfrecciarono nell’aria e, nonostante Boopis si
fosse scansata di lato, per evitarli, la raggiunsero comunque, afferrandola per
le gambe, arrotolandosi attorno al suo corpo, stritolandola con forza.
Approfittando di quel momento, Proteus della Razza, che aveva preso il comando
della pattuglia di Heroes rimasti, incitò i guerrieri a correre via,
rispettando gli ordini di Alcione. Seppur titubanti, Arsinoe,
Nesso, Pasifae, Gerione e gli altri lo seguirono,
sfrecciando via lungo il sentiero ripido, lasciandosi alle spalle la
pianeggiante distesa dove i cosmi di Alcione e di Boopis
esplosero poco dopo.
Con un gesto brusco, Boopis si liberò dei tentacoli della donna, rotolando sul
terreno fino a rimettersi in piedi. Alcione non parve sorpresa.
“Perché li hai lasciati passare?”
–Domandò, diffidente. –“Non era la Lama degli Spiriti il tuo obiettivo?”
“Il primo obiettivo!” –Precisò la
donna. –“Ma Era è stata molto chiara anche su un secondo punto! Sterminare
tutti gli Heroes di Ercole! Ed io non ho intenzione di deluderla!”
“Mi dispiace tradire le tue
aspettative, giovane Vacca, ma credo proprio tu abbia fallito! Otto Heroes
stanno correndo verso la Grecia e con loro viaggia la Lama degli Spiriti e tu,
che avresti dovuto recuperarla, sei impegnata in battaglia con me! Anche se tu
riuscissi a vincermi, sarei pur sempre un magro bottino!”
“Non sminuire le tue possibilità,
Alcione della Piovra!” –Sentenziò Boopis, con sguardo
deciso. –“Né le mie!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo, invadendo
l’intera vallata, scendendo nei profondi abissi dello Jamir
e risalendo fino alle alte vette innevate, di fronte agli occhi, per la prima
volta atterriti, di Alcione.
Cosa sta facendo? Si chiese la
Comandante della Terza Legione. Sta espandendo il suo cosmo, ma non
percepisco nessun istinto offensivo in lei! Come può essere? Se non sta attaccando
me, allora cosa sta facendo? Perché non riesco a sentire in lei una presenza
nemica? Le confuse domande di Alcione affollarono la sua mente per qualche
secondo, mentre il cosmo di Boopis, calmo e
rilassante, scivolava lungo le eterne vallate dello Jamir,
quasi fosse un torrente in piena. La Vacca socchiuse leggermente gli occhi,
fino ad entrare in intima connessione con la natura, come era nelle funzioni di
Era, la Grande Dea Madre, prima che l’intera vallata venisse scossa da un
violento terremoto. Uno smottamento così potente da far franare parte delle
montagne ai lati del piccolo terrazzo naturale ove Alcione e Boopis erano ferme.
“Che succede? Che stai facendo?” –Gridò
Alcione, iniziando a sentirsi inquieta, profondamente inquieta.
“Non ti ho forse rivelato il mio nome,
Alcione della Piovra? Non ti ho forse spiegato il motivo che mi ha spinto a
scegliere l’epiteto di Era che più mi si addiceva? La nostra Dea non è soltanto
la moglie di quel villano di Zeus, quel freddo amante che da anni non riscalda
più il cuore della nostra Regina! Ma è anche la Grande Dea Madre, principio
generatore di tutte le cose, signora della terra e delle messi, benedizione
della fertilità! A lei sono consacrati gli armenti e i campi di frumento, i
vigneti e i raccolti abbondanti! È lei la Dea Madre, invocata in ogni cultura,
in qualsiasi epoca storica, poiché è l’unica Dea portatrice di vita che gli
uomini non potranno fare a meno di adorare sempre!”
“La Dea Madre!” –Ripeté Alcione tra sé,
prima di comprendere, e sgranare gli occhi terrorizzata. –“E come tale ha il
potere su ogni espressione della natura!”
“Precisamente!” –Sorrise Boopis, mentre il suo cosmo si stringeva attorno ad
Alcione, per chiudersi in un abbraccio di energia. –“La Dea Madre vive nella
terra! La Dea Madre è la terra, unita ad essa da un legame eterno, per cui al
movimento di una si muove anche l’altra!” –E mentre Boopis
pronunciava queste parole, Alcione si sentì sollevata di qualche metro dal
suolo, mentre la terra sotto i piedi aveva preso a roteare, trasformandosi in
un mulinello di roccia e di energia, all’interno del quale la guerriera era
stata rinchiusa, prima di essere scaraventata via.
Alcione riuscì ad atterrare in
equilibrio sulle gambe, aiutandosi con i tentacoli dell’armatura, ma dovette
ammettere di aver sudato freddo. Era la prima volta, in trentasette anni, che
incontrava un nemico che non sembrava affatto tale. Un nemico il cui cosmo non
era ostile, ma in sintonia con la natura che la circondava, che pareva entrare
dentro di essa, scuoterla fino in profondità, e sollevarla per difendere se
stessa e la Dea, in un circolo chiuso, che Alcione non sapeva come spezzare.
Fece per muovere un basso avanti, ma il terreno si aprì improvvisamente sotto i
suoi piedi, e dovette usare i propri tentacoli per avvinghiarsi al bordo e per
non precipitare nell’abisso, da cui una gelida aria soffiava impetuosa per poi
trasformarsi in una fiamma ardente, le cui vampate lambivano le gambe di
Alcione, che si risollevò in fretta, uscendo dalla fenditura.
“Che ne è stato dei miei compagni?
Parla, Boopis!”
“Non essere in pena per loro, Alcione!
La natura sa essere caritatevole!” –Rispose la donna, ancora con gli occhi
chiusi e il cosmo concentrato attorno a sé, in un’aura dal colore giallo e
marrone. –“La valanga che li ha travolti non ha dato loro alcun dolore! Una
prigionia eterna nei ghiacci eterni del Karakoram li
attende! Dovresti essere felice per loro, per non doverli più vedere lottare,
per non doverli più soffrire e sanguinare! Il riposo eterno hanno incontrato,
qua, nelle vergini terre del tetto del mondo! Presto anche tu li raggiungerai,
ed io recupererò la Lama degli Spiriti e tornerò dalla mia Dea per adorarla!”
Poco prima infatti, mentre il cosmo di Boopis penetrava nel profondo delle montagne del Karakoram, Nesso, Proteus e gli altri Heroes di Ercole
stavano correndo lungo la disastrata mulattiera che li avrebbe condotti al
Sentiero del Silenzio, per poi passare al di là di quelle catene eterne.
Neppure cento metri prima dell’ingresso del Sentiero, il terreno iniziò a
tremare sotto di loro, con vigore, al punto che la mulattiera franò in più
punti, trascinando Gerione ed altri Heroes verso l’abisso, mentre cumuli di
roccia franava su di loro. Proteus, ultimo degli Heroes a rimanere in piedi sul
terreno, schiacciato contro la parete, sollevò lo sguardo verso l’alto, proprio
mentre un’immensa slavina di neve e di roccia crollava su di lui, travolgendolo
e precipitandolo a valle insieme a tutti gli altri Heroes. Dopodichè
tornò il silenzio, come mai aveva regnato prima, e Boopis
poté dirsi soddisfatta: aveva recuperato la Lama degli Spiriti e sgominato otto
Heroes con un unico gesto. Ciò che Boopis non poté
prevedere, né che fu in grado di vedere, fu un ragazzo emergere a fatica,
tossendo e sputando, dall’ammasso di roccia e neve franata. Scavò nel terreno
smosso aiutandosi con l’arma che stringeva in mano, ancora riposta nel fodero
intarsiato. Nesso del Pesce Soldato era stato incaricato da Alcione di portare
la Lama degli Spiriti ad Ercole e nessuna slavina al mondo avrebbe potuto
fermarlo.
Capitolo 17 *** Capitolo sedicesimo: Assalto a Tebe. ***
CAPITOLO SEDICESIMO: ASSALTO A TEBE.
Ila
del Tulipano stava osservando lo splendore dei giardini di Tebe, dall’alto
della terrazza della residenza degli Heroes di stanza in città. Adorava
svegliarsi ogni mattina con gli effluvi che i fiori da lui impiantati, nelle
aiuole e nei giardini di Tebe, emanavano nell’aria, contribuendo a migliorare
quella caotica e male amministrata città. Ila era il
giardiniere ufficiale di Ercole, colui che, grazie all’aiuto degli Heroes suoi
compagni, aveva curato la sistemazione dei fiori e delle piante all’interno
della Reggia di Tirinto, scegliendo alberi secolari, dal tronco grande e dal
fusto robusto e ombreggiante, a significare la potenza del Sommo Ercole e la
sua capacità di resistere al trascorrere del tempo, saldo nel terreno. Ma Ila, per quanto ammirate fossero le sue qualità dal Dio,
non amava vivere a Tirinto, poiché, secondo lui, vi erano troppi pochi
giardini, troppi pochi spazi verdi, e si sentiva soffocato dalle mura della
fortezza. Per questo, su approvazione di Ercole stesso, aveva seguito i suoi
compagni a Tebe, dove la Quinta Legione si era stabilita qualche anno prima.
Tebe, in Beozia, a sessanta chilometri
a nord-ovest di Atene, era una città molto animata e vitale, soprattutto da un
punto di vista economico e commerciale, con un alto numero di scambi di merci,
a causa della sua posizione centrale e strategica, che ne faceva un punto
obbligato per i traffici di prodotti tra il Mediterraneo e l’Europa centrale. Era
una città attiva, ma anche molto caotica, dove la popolazione, da sempre dedita
al culto degli Dei, quasi con una sfrenata passione maniacale, era facilmente
suggestionabile agli oroscopi e agli oracoli dei Sacerdoti degli antichi
templi, anche in un secolo in cui i culti ancestrali parevano scomparire,
travolti da questioni più importanti, di rilevanza internazionale, come la
dominazione Ottomana sulla penisola greca.
Grazie a questa suggestionabilità, in
passato numerosi Sacerdoti fasulli avevano estorto ingenti somme di denaro ai
cittadini inesperti, soprattutto a quelli facoltosi, che abitavano i quartieri
residenziali della città beota, per ingraziarsi i favori degli Dei, mentre la
povera gente era ridotta allo stremo e a fatiche continue per un pezzo di pane.
I sacerdoti prosperavano, costruendo torri e palazzi, protetti da soldati
scelti, e pagati con i soldi del popolo, mentre l’amministrazione della città
scadeva nel malcostume e nella corruzione, con poche risorse a disposizione per
intervenire a difesa dei ceti più bisognosi e nello sviluppo del territorio.
L’istruzione, in passato uno dei punti di forza della società tebana, era
limitata alle famiglie ricche e soggetta ad una rigida disciplina, che
prevedeva pesanti pene corporali. Per far fronte a questa grave situazione, di
abbandono di un popolo nelle mani di ricchi Sacerdoti, disinteressati a
qualsiasi miglioramento, Ercole aveva deciso di inviare una Legione di Eroi in
città, con il compito di smascherare gli Oracoli fasulli, di recuperare il
denaro ingiustamente estorto e amministrarlo in modo corretto, secondo principi
di onestà e giustizia.
Tereo di Amanita, Comandante della
Quinta Legione, era stato incaricato di questo compito, affiancato da Ermione
del Girasole, uomo dotato di una grande cultura e soprattutto di una raffinata
abilità oratoria, che gli permetteva di arringare vaste folle, suscitando
sempre il loro interesse. Da anni i due uomini vivevano nell’antica residenza
di Ercole, quella in cui il Dio aveva abitato durante la sua gioventù a Tebe, e
molto presto erano stati raggiunti da tutti gli altri Heroes della Quinta
Legione, compreso Ila del Tulipano, e il palazzo di
Ercole era cresciuto, diventando una piccola colonia, una roccaforte di
serenità nella caotica Tebe.
I terrazzi e i tetti erano ricoperti di
piante e di fiori, sul modello dei giardini pensili di Babilonia, che Ila del Tulipano aveva diligentemente studiato e cercato di
ricreare, estendendo tale pratica a molti altri edifici della città. Per la
gente comune, per la massa ignorante e bisognosa di aiuti economici, la
residenza degli Heroes era come un paradiso di ricchezze, un nuovo Eldorado,
che gli Dei avevano ricreato a Tebe, affidando a uomini scelti dalle stelle il
compito di governare su tutti loro, guidando le loro coscienze. Ma Tereo e gli
altri Heroes, uomini modesti e privi di qualsivoglia inclinazione battagliera,
ripetevano continuamente di non essere né signori né padroni della città, ma
semplicemente persone comuni che cercano, con le loro possibilità, di fare il
meglio per i loro concittadini. Non tutti i tebani però vedevano di buon occhio
la presenza di una guarnigione di Heroes di Ercole nella città e spesso
tentavano di sollevare la massa, presentandoli come dominatori, come brutali
guerrieri il cui unico scopo era sostituire l’attuale amministrazione con il
loro impero, prima di estenderlo al resto della penisola ellenica.
“Un altro impero Ottomano!”
–Esclamavano con enfasi costoro, puntando il dito contro le presunte ricchezze
di Tereo. –“Ecco cosa ci aspetterà! Se concediamo loro un margine ulteriore di
autonomia, diverremo sudditi e schiavi! Più di quanto lo siamo adesso!”
Ma la massa del popolo aveva problemi
ben più gravi da affrontare e le idee di restaurazione della vecchia classe
dirigente non trovavano mai molti consensi, poiché tutti vedevano di buon
occhio la presenza degli Eroi di Ercole, venerati quasi come Dei. Tutti avevano
modo di verificare l’utilità della loro presenza, i miglioramenti continui
della città, l’abbellimento estetico e ambientale, la saggezza da loro
dimostrata nell’amministrare e dispensare giustizia.
“È stato un Dio a portarvi tra noi!”
–Ripeteva spesso la povera gente, mentre gli Heroes scendevano nei quartieri
poveri della città.
“In un certo senso…”
–Sorrideva sempre Tereo di Amanita. –“Possiamo dire anche così!”
Quella mattina, Ila
del Tulipano, in piedi sulla terrazza panoramica della residenza degli Heroes,
respirava a fondo gli effluvi dei fiori che decoravano il giardino del palazzo
e degli edifici circostanti. Ogni mattina, spaziare con lo sguardo sui tetti
fioriti della città era il primo gesto che compiva, quasi un rito scaramantico.
Poi scendeva le scale esterne, portandosi sul retro della residenza, nel
giardino privato degli Heroes, dove Ila, con l’aiuto
dei suoi compagni, custodiva gelosamente i suoi segreti di giardiniere, in
serre appositamente costruite, per ospitare tantissime specie di fiori e di
piante, alcune molto rare nelle terre del Mediterraneo. Ila
ne era orgoglioso e dedicava molto tempo alla cura delle sue creature, quasi
fossero figli suoi, facendone spesso dono al Sommo Ercole o distribuendo vasi e
semi agli abitanti della città, sperando che i suoi bei fiori potessero portare
un po’ di colore nelle loro tristi vite.
Stava annaffiando con cura una
splendida orchidea, quando un rumore proveniente dal retro della serra lo
distrasse, obbligandolo ad interrompere la sua attenta opera. Si voltò e
incontrò lo sguardo di un uomo che non aveva mai avuto in simpatia: Partenope del Melograno, un Hero privo del culto della bellezza, privo dell’amore per i
fiori che Ila metteva al centro della sua esistenza.
L’Hero del Tulipano fece per rivolgergli parola, ma
si accorse che Partenope lo fissava con la sua solita
aria di superiorità, con il collo cinto da quella ridicola collana che Ila proprio detestava.
“Ho un dono per te!” –Lo sorprese Partenope, parlando con voce quasi estranea, e stupendo Ila, che non comprese a cosa si stesse riferendo.
Lo vide avvicinarsi lentamente,
sollevando il braccio destro e mostrando il palmo aperto verso l’Hero del Tulipano, che indietreggiò istantaneamente,
osservando ciò che Partenope sorreggeva con
noncuranza. Fece per voltarsi, per fuggire da quella spiacevole situazione, ma
si accorse di essere in trappola. Dietro di lui c’era un altro uomo, Pericle
dell’Abete, che gli sbarrò la strada, sollevando il sopracciglio destro, in
segno di disappunto. Ila sospirò, realizzando che
quel giorno non avrebbe potuto prendersi cura di nessuna orchidea, di nessun
giardino. Il pugno deciso di Pericle gli sfondò la cassa toracica, a poca
distanza dal cuore, proprio mentre Ila si chiedeva
quante altre famiglie povere avrebbe potuto far sorridere con i propri doni,
con i propri fiori. Cadde a terra, toccandosi il petto in fiamme, mentre il
sangue copriva la sua Armatura scarlatta, di fronte allo sguardo imperturbabile
di Pericle dell’Abete e di Partenope del Melograno,
due uomini che, seppure non vi fosse mai stato in confidenza, aveva sempre
creduto fossero suoi compagni. Aveva sempre creduto fossero fedeli ad Ercole.
Sbagliando.
“Accetta il mio dono, Ila del Tulipano! E muori!” –Esclamò Partenope,
mostrando uno splendido fiore rosso di melograno, ebbro del suo mortifero
cosmo. Quasi danzando nel vento, il fiore si sollevò, svolazzando nell’aria,
prima di posarsi sul cuore di Ila ed iniziare a
cibarsi della sua stessa vita, proprio come l’Hero
aveva temuto, riconoscendo la specie particolare di fiore che Partenope gli aveva mostrato.
“Ora, occupiamoci degli altri!”
–Esclamò Pericle, seguendo Partenope fuori dalla
serra e lasciando Ila sul pavimento, a contorcersi
dal dolore, prima che il fiore assassino divorasse il suo cuore.
In quello stesso momento, nell’atrio
del palazzo degli Heroes, Tereo di Amanita conversava preoccupato con Ermione
del Girasole, riguardo ad alcuni problemi di disciplina negli istituti
scolastici tebani.
“Un ragazzo stava parlando in classe e
il maestro lo ha fatto mettere in ginocchio, togliendogli il panno e bacchettandolo
sulle natiche più volte, davanti a tutta la classe! Il bambino è scappato via
in lacrime, e per tale gesto verrà sospeso dal corso di studi! Dobbiamo
intervenire oggi stesso! Mi chiedo quanti altri abusi perpetuati a danni di
infanti siano commessi nelle scuole della città!” –Sbuffò Ermione, prima di
rivolgersi a Tereo, notandone la disattenzione. –“Qualcosa non va?!”
“Una vibrazione!” –Rispose Tereo,
concentrando i propri sensi. –“Una vibrazione nel cosmo!”
In quel momento la porta d’ingresso
della residenza degli Heroes si aprì e un ragazzetto ne entrò, correndo a più
non posso. Piccolo e magro, con lunghi capelli grigi, Sileo
del Giglio si inginocchiò ansimando di fronte a Tereo, scusandosi per aver
interrotto la loro conversazione.
“Qualcosa si muove nel Peloponneso,
Comandante Tereo! Le acque del Canale di Corinto sono inquiete e molti
mercanti, giunti da sud, sostengono di aver sentito la terra rimbombare, come
se fulmini si fossero schiantati tutti attorno a loro, come se qualche demone
infernale stesse tentando di uscire dal suolo!” –Esclamò agitatamente Sileo del Giglio, l’informatore ufficiale della Quinta
Legione.
“Terre in movimento?!” –Commentò
Ermione. –“Sarà stato un terremoto! Mi auguro solo che non abbia provocato
troppi danni!”
“Un terremoto, dici?!” –Rifletté Tereo
di Amanita, toccandosi il pizzetto bruno, non troppo convinto. Cos’è questo
fremito che sento nel cosmo? Cosa stanno cercando di indicarmi le stelle che
io, troppo inesperto in tal senso, non riesco a comprendere?
Tereo di Amanita era un ottimo
Comandante, dal carattere pacato e modesto, un uomo che non amava affatto stare
al centro della scena, preferendo rimanere dietro le quinte, a muovere i fili
della rappresentazione, senza prendersi eccessivi meriti o lodi. Amava ciò che
faceva, perché gli permetteva di mettersi al servizio degli altri, perché era
convinto che il fine ultimo di un uomo, e ancora di più di un Cavaliere, fosse
servire i bisognosi, fosse aiutare chi non riesce a camminare da solo,
diventando il suo bastone d’appoggio. Per questo ammirava Ercole, un Dio che
aveva rinunciato agli agi e agli ozi olimpici per scendere sulla Terra e vivere
come un uomo, dividendo con i suoi simili le stesse sofferenze e le stesse
paure. Come se volesse scontare un martirio per tutta la vita! Rifletteva
spesso Tereo, anch’egli convinto, come altri Heroes, che il Dio intendesse
espiare la colpa che sentiva gravare su se stesso per aver abbandonato
Deianira, ed averla costretta alla pazzia e alla morte.
Ammirava Ercole e voleva essere come
lui. Anzi, Tereo voleva spingersi più in là dello stesso Ercole. Non per
essergli superiore, ma per portare all’estrema realizzazione gli ideali del
Dio, quegli ideali di giustizia e di onestà di cui Ercole, impegnato
quotidianamente con mille e più faccende, non aveva necessariamente tempo di
occuparsi. Tereo amava camminare per le strade di Tebe, fermandosi ad ogni
angolo, a parlare con gli uomini e le donne che gli si facevano incontro, per
scambiare sorrisi con persone con cui la vita era stata avara, per ascoltare le
sofferenze di chi, a differenza di lui, era stato meno fortunato. Tereo
trascorreva le sue giornate nei quartieri poveri della città, aiutando le
famiglie a costruire o a riparare le proprie case, per proteggerli dal vento e
dalla pioggia, per dare un tetto sotto cui allattare i figli. E insegnava loro,
aiutato spesso da Kore del Cipresso, botanico esperto, come coltivare la terra
che avevano a disposizione, per ottenerne i risultati migliori. Era un uomo
fatto per stare con gli uomini, e tutti gli Heroes della sua Legione lo
rispettavano, venerandolo più per la sua generosità che non per le sue doti
combattive.
In battaglia infatti Tereo non era un
campione, soprattutto se confrontato con il muscoloso e titanico Nestore
dell’Orso, o con l’atletica e brillante Alcione della Piovra, o con il
guerriero per eccellenza, Chirone del Centauro, guida
della Sesta Legione. Ma a Tereo non importava combattere, anzi si augurava
sempre di non doverlo fare, di non dover ricorrere all’uso delle armi, ma di
riuscire sempre, con la forza delle parole, a convincere gli altri a chiarirsi,
a parlarsi, ad aprire il cuore in modo da evitare conflitti, che nient’altro
provocano se non devastazione e morte, soprattutto a svantaggio del popolo.
“Una parola vale più di mille spade!”
–Amava ripetere ai suoi Heroes, e costoro, rifuggendo la battaglia come il loro
Comandante, concordavano con lui, vivendo in armonia tra loro, come in un
piccolo mondo perfetto, e sforzandosi di esportare all’esterno di tale circolo
l’armonia e l’affetto che sembravano caratterizzarlo.
Un boato improvviso disturbò la
conversazione tra i tre Heroes di Ercole, facendo tremare con forza i muri
dell’edificio. Un secondo tuono e la terra tremò sotto i loro piedi, mentre
grida disperate provenivano dalla città. I tre Heroes corsero all’esterno,
fermandosi in cima alla rampa di scale che conducevano alla strada, osservando
lo sconcertante spettacolo di fronte a loro. La gente stava scappando, fuggendo
in ogni direzione, mentre una gigantesca sagoma, non troppo definita, avanzava
per la città, distruggendo edifici e costruzioni, tra le grida impaurite degli
abitanti.
“Un Gigante?!” –Sgranò gli occhi
Ermione del Girasole, ritenendo che tali esseri fossero da tempo scomparsi
dalla Grecia.
“Non un Gigante qualsiasi!” –Precisò
Tereo, mentre la figura si avvicinava, illuminata dai raggi del sole che, quel
mattino, baluginavano fiochi, reticenti testimoni di una strage che presto si
sarebbe consumata.
Il Gigante era immenso, alto almeno
dieci metri, con un corpo tozzo e a tratti deforme, e costellato da tantissimi
occhi, disposti su tutto il corpo, che parevano risplendere di viva luce sotto
il cielo di Tebe. Giunto nella grande piazza ove sorgeva la residenza degli
Heroes, il Gigante rallentò la propria andatura, fermandosi proprio di fronte a
Tereo, Ermione e Sileo, che sentirono improvvisamente
su di loro il peso di cento occhi, quasi fossero trafitti da cento frecce
infuocate. In un attimo, i tre Heroes vennero attaccati da una miriade di raggi
energetici, diretti dagli occhi del Gigante, e furono obbligati a separarsi,
scattando ognuno in direzione diversa per non essere colpiti.
“Che succede? Da dove proviene questo
mostro?!” –Gridò Sileo del Giglio, impaurito nel
trovarsi in tale situazione.
“Dal mito, io credo!” –Commentò Tereo,
evitando i raggi energetici del Gigante. –“Se la memoria non mi inganna, questo
è Argo Panoptes, “colui che tutto vede”, il Gigante
dai cento occhi!”
“Argo?! E cosa ci fa qui? Perché non
riposa nel Tartaro ove fu confinato?” –Domandò Sileo,
schizzando come un fulmine nella fitta pioggia di dardi energetici, prima di
venir raggiunto ad una spalla ed essere scaraventato a terra, con il coprispalla danneggiato.
“Attento, Sileo!”
–Esclamò Ermione, correndo ad aiutare il ragazzo. Bruciò il proprio cosmo,
evocando una distesa infinita di girasoli, che dispose attorno a sé e all’Hero del Giglio, fino a creare una cupola difensiva, contro
cui far infrangere i raggi energetici del Gigante. Ma bastarono un paio di
colpi di media intensità, da parte di Argo Panoptes,
per annientare l’effimera protezione di Ermione del Girasole.
Non siamo abituati a combattere! Commentò Tereo, stringendo i pugni. Abbiamo
perso questa prerogativa, dedicando i nostri ultimi anni ad altro! E forse
abbiamo sbagliato, anche se credevamo di operare per il bene del popolo! Perché
così facendo ci siamo esposti a pericoli che adesso non siamo in grado di
affrontare, mettendo a rischio non solo la nostra vita, e quella di Ercole, ma
anche quella degli abitanti di Tebe che contano su di noi! A tali pensieri,
Tereo si scosse, espandendo il cosmo, dal colore giallo ocra, e sollevando il
bracciale sinistro della corazza.
Questo aveva l’aspetto vagamente simile
alla testa di un fungo e si caricò di tutto il potere del Comandante della Quinta
Legione, espandendosi, fino a divenire una barriera di energia, a forma di
arco, contro cui si infransero i raggi energetici del Gigante Argo. Tereo fece
un cenno ad Ermione e l’oratore e il ragazzo raggiunsero il Comandante,
ponendosi dietro di lui, riparati dal suo ombrello difensivo.
“Quale viltà!” –Esclamò una voce
all’improvviso, mentre il Gigante pareva rallentare il proprio attacco. –“Dei
guerrieri di Ercole che rifiutano la battaglia, difendendosi dietro una
barriera a forma di fungo! Ho sempre creduto che gli umani fossero inutili e
arroganti, ma mai prima d’ora avevo assistito ad una tale prova di
vigliaccheria!”
A quelle parole, cessando la pioggia di
raggi energetici, Tereo abbassò il braccio sinistro, desideroso di conoscere il
suo interlocutore. Questi lo sorprese, apparendo proprio di fronte a lui, a
pochi centimetri dal suo viso. Tereo non riuscì a pronunciar parola che venne
scaraventato via in un lampo di luce, assieme ad Ermione e a Sileo del Giglio, travolti da un’accecante onda di energia
che danneggiò le loro corazze.
“Bastava che Era mi affidasse il
compito di distruggere le truppe di Ercole! Lo avrei eseguito alla perfezione
in pochi attimi!” –Commentò l’uomo, osservando i patetici tentativi di Tereo di
rimettersi in piedi, ansimando per lo sforzo. Quando il Comandante riuscì a
rialzarsi, si perse nello sguardo carico di astio di Argo, Sommo Sacerdote
di Era, braccio destro e armato della Regina degli Dei.
L’uomo, rivestito dalla sua veste
bianca e verde, privo della sua Armatura Divina, lo fissava con aria superba,
quasi infastidito dal dover lottare contro esseri così inferiori, non
meritevoli neppure di uno sguardo. Con un gesto di distacco, Argo si spostò i
capelli bruni dal volto, rivelando un sorriso malizioso che impaurì Tereo,
prima di sollevare il braccio destro e puntare il dito indice contro il
Comandante della Quinta Legione.
“Addio!” –Mormorò semplicemente, mentre
un lampo di luce esplodeva dal suo indice destro.
Tereo, vistosi spacciato, per un
momento socchiuse gli occhi, attenendo la fine che, rapida quanto inaspettata,
sarebbe giunta. Ma li riaprì di scatto, alla vista di Sileo
del Giglio, scattato con un balzo a difesa del suo Comandante, colpito in pieno
dalla bomba di energia di Argo. Lo vide esplodere, urlando di dolore, mentre la
sua Armatura e tutto il suo giovane corpo venivano annientati dallo strapotere
del Sacerdote di Era.
“Sileooo!!!”
–Gridò Tereo, muovendosi per raggiungere il corpo distrutto del ragazzo, ma
Argo non gli concesse neanche il tempo per una lacrima.
“Non piangere! Adesso lo rivedrai!”
–Commentò, puntando l’indice contro l’Hero di Ercole.
“Ruota del Girasole!” –Esclamò
una voce, costringendo il Sacerdote di Era a voltarsi, mentre Ermione dirigeva
contro di lui un ridicolo assalto costituito da centinaia di girasoli di energia
che roteavano attorno a una linea retta immaginaria. Argo lo derise, senza
perdervi troppo tempo, annientando anche lui con un lampo dal suo dito. I
girasoli esplosero, disintegrati sul colpo, mentre il corpo ferito di Ermione
veniva scaraventato in alto, schiantandosi poco dopo in una pozza di sangue.
Tereo corse verso di lui, chinandosi
sull’amico, mentre ruscelli di lacrime gli solcavano il volto. Ermione lo sentì
stringerlo a sé e parlò al suo cosmo con le sue ultime forze.
“Sono un oratore io, non un guerriero!”
–Commentò Ermione. –“Perdonami per non aver saputo difenderti, né aver saputo
difendere Ercole! Ma tu sei il nostro Comandante, tu sei un Eroe, e credimi,
amico mio, adesso è il momento di esserlo fino in fondo!” –Quindi si spense,
con gli occhi aperti, fissando il cielo di Tebe.
“Ti ho concesso un minuto, stupido
mortale, per onorare coloro che chiami compagni! In realtà sono soltanto il
gradino più basso di un’infima comitiva di briganti che adesso annienterò!”
–Esclamò Argo, con freddezza assoluta.
“Ma cosa vuoi? Perché ci stai
attaccando?!” –Gridò Tereo, reprimendo violenti singhiozzi.
“Sono Argo, Sacerdote di Era, e tutto
ciò che faccio è onorare il legame che mi unisce alla mia Dea, portando nel
mondo la sua volontà! E, dimmi, tu, Tereo di Amanita, hai fatto altrettanto? Hai
onorato il tuo Dio, lottando anche per lui? O hai preferito una morte rapida e
misericordiosa, una morte dove la viltà ha piantato la sua pallida bandiera?!”
“Cosa stai dicendo? Non ti permetto di
insultarmi in questo modo!” –Esclamò Tereo di Amanita, bruciando il proprio
cosmo. –“Sono un Hero di Ercole, non un vigliacco, ma
un uomo che ha dedicato la vita a trasformare in realtà gli insegnamenti del
mio Dio!”
“Bravo! Riceverai i suoi complimenti
all’Inferno, ove presto vi ricongiungerete!” –Sibilò Argo, abbandonandosi ad
una risata maliziosa, prima di sollevare l’indice destro e puntarlo contro
l’uomo. –“Muori!” –E lanciò una violenta bomba di energia, a cui Tereo cercò di
opposi, caricando la mano di energia cosmica e dirigendola di scatto contro
Argo.
Lo scontro tra i due poteri elettrizzò
l’aria circostante, sollevando pietre e polvere. Tereo stava mettendo tutto se
stesso in quelle scariche di energia con cui tentava di contrastare lo
strapotere di Argo, mentre l’officiante di Era stava tenendo impegnato l’Hero con la sola forza di un dito, senza sforzarsi affatto.
Quindi, stufo di quel gioco, che nient’altro era per lui se non un ritardo,
sbuffò, spostandosi i capelli all’indietro con un soffio, prima di aumentare
l’intensità del suo attacco. L’onda di energia travolse Tereo, scaraventandolo
indietro, fino a farlo schiantare malamente sulla scalinata che conduceva
all’ingresso della residenza degli Heroes. In quel momento, il Gigante Argo Panoptes si agitò, sbattendo i suoi enormi piedi sul
selciato, attirando l’attenzione del Sacerdote di Era.
“Lo lascio a te, adesso, mia adorabile
creatura deforme! Annienta tutti gli Heroes di questa città ed Era perdonerà le
tue colpe, liberandoti dai tormenti dell’Inferno!” –Esclamò Argo, istigando il
Gigante ad avanzare verso Tereo di Amanita.
Proprio in quel momento, un dolce suono
si diffuse nell’aria, distraendo l’attenzione del Sacerdote di Era, e persino
del Gigante Panoptes. Era una nenia, una cantilena
leggera, accompagnata da un inebriante e delicato odore soffuso, che pareva
rilassare ogni muscolo, addolcire ogni parola, condurre lentamente verso il
riposo. Argo stesso, teoricamente immune ad ogni suggestione di tipo psichico,
si sorprese nel rendersi conto che persino i suoi occhi stavano chiudendo le
loro palpebre, vittime inconsapevoli di un arcano affascinante quanto
pericoloso. Scosse la testa, per distogliere l’attenzione da quella cantilena
soporifera, e squarciò l’aria con un grido acuto, invitando i nuovi arrivati a
rivelarsi.
“Nascondersi è inutile!” –Esclamò Argo.
–“Non esiste niente che possa sfuggire alla vista di Era e ai cento acuti occhi
di Panoptes!”
“Non esserne troppo convinto! La boria
in battaglia non aiuta a raggiungere la vittoria!” –Risposero due giovanili
voci, precedendo l’arrivo, dall’alto di un tetto vicino, di due Heroes dalle
figure lanciate.
“Non confondete l’umana vanagloria con
l’indiscussa superiorità degli Dei!” –Precisò Argo, prima di chiedere i nomi
dei due nuovi arrivati.
“Sono Eco della Margherita!” –Disse
il ragazzo dai folti capelli rossi, seguito dal compagno dalla cresta verde: Eumolpo della Spiga.
“Siete arrivati in tempo per condurre
il vostro miserevole Comandante nella Valle di Ade! Ringraziatemi, vi
permetterò di unirvi al suo ultimo viaggio!” –Esclamò Argo, incitando il
Gigante ad avanzare e a distruggerli. Ma Argo Panoptes
non si mosse, emettendo soltanto un lungo sospiro ed obbligando il Sacerdote di
Era a voltarsi verso di lui e a scoprire, con somma sorpresa, che il Gigante
aveva chiuso gli occhi.
“È caduto in un sonno eterno!”
–Commentò Eco della Margherita. –“Grazie al canto della mia voce! Un vellutato
incantesimo capace di assopire anche l’animo più irrequieto!”
“Dunque tua era la voce melodiosa che
poco fa è giunta al mio orecchio?” –Esclamò Argo. –“Una tecnica interessante,
te ne do atto! Eri quasi riuscito ad incantare anche me, che di natura sono
refrattario ad attacchi di tipo psichico!”
“Eumolpo ed
io siamo giunti pochi minuti fa sul tetto dell’edificio adiacente, attirati
dall’esplosione dei cosmi dei nostri amici! Con dolore e tristezza abbiamo
osservato l’uccisione di Sileo ed Ermione, abbattuti
dal pianto e dallo sconforto, e forse dalla consapevolezza di non poter essere
all’altezza di fronteggiare un nemico così potente, un nemico dal cosmo oscuro
e profondo come il tuo!” –Confessò Eco, con una certa tristezza nel cuore. –“Ma
poi, Eumolpo mi ha ricordato il mito di Panoptes e il modo in cui Hermes, il Messaggero degli Dei,
lo aveva vinto!”
“Argo Panoptes
era uno dei figli di Gea e possedeva cento occhi che
non dormivano mai, permettendogli di rimanere sempre all’erta! Era lo aveva
posto a sorvegliare Io, l’amante di Zeus da lui mutata in giovenca. Così il Sommo
Zeus affidò a Hermes il compito di liberarla, che l’astuto Dio portò a termine
con sottile astuzia! Hermes infatti si avvicinò ad Argo suonando la sua magica
zampogna, dai poteri soporiferi, obbligando quindi il Gigante a chiudere tutti
i suoi cento occhi! Una volta reso inerme, Hermes lo uccise, trafiggendo
ciascun occhio con la sua Spada, ed Era, per onorare la memoria di Argo, prese
i suoi cento occhi e li mise sulla coda del pavone, animale a lei sacro!”
–Spiegò Eumolpo.
“Così abbiamo agito noi, avvicinandoci
piano, con astuzia, e neutralizzando il Gigante!” –Terminò Eco. –“Per la
verità, avremmo voluto addormentare anche te, ma fin dall’inizio del mio canto
mi è stato chiaro che il tuo cosmo non avrebbe ceduto così facilmente, che non
sarebbe stato facile rilassarlo ed impedirgli di offendere! C’è tanto odio
dentro di te, Sacerdote di Era, così tanto che non basterebbero tutti gli
Inferni di questo mondo per contenerlo!”
“Tacete! La vostra astuzia vi ha
permesso di neutralizzare Argo, è vero! Ma non crediate che vi sarà facile
mettere a dormire me, il Sommo Sacerdote di Era!” –Gridò l’uomo, espandendo il
proprio cosmo, prima di chiamare il Gigante a gran voce.
“Non possiamo permetterlo! I cento
occhi di Argo sono stati chiusi e più non si riapriranno!” –Gridò Eumolpo della Spiga, bruciando il proprio cosmo, dalle
scintillanti sfumature argentee. –“Spighe d’Argento! Colpite nel segno!”
–E migliaia di spighe apparvero intorno a sé, saettando nell’aria come dardi
affilati, fino a penetrare i cento occhi di Argo, mentre il Gigante,
risvegliato bruscamente, emetteva un terrificante urlo di dolore.
Eco della Margherita, dal canto suo,
intonò nuovamente il canto che aveva assopito Panoptes,
aumentando l’intensità del suono, espandendo al massimo il proprio cosmo. Per
un attimo, i movimenti di Argo vennero nuovamente fermati e il Sacerdote sembrò
sentire un richiamo dal profondo del suo animo, un invito a riposarsi, a
rilassare il cuore agitato che da millenni non trovava pace. Quel richiamo, a
cui Argo non prestò ascolto, non durò che una manciata di secondi, ma fu
sufficiente per impedirgli di agire, di prestare aiuto al Gigante Panoptes, i cui occhi vennero trafitti da migliaia di
spighe argentate, prima di crollare al suolo, esanime, in una macabra pozza di
sangue.
A Tebe, di fronte alla residenza degli
Heroes, Argo, il Sommo Sacerdote di Era, stava massacrando i guerrieri del Dio
dell’Onestà, senza nemmeno impegnarsi più di tanto, poiché, convinto
dell’indiscutibile superiorità degli Dei sulla feccia umana, riteneva poco
opportuno degnarli di eccessiva considerazione. Così aveva annientato Sileo del Giglio e Ermione del
Girasole con un solo dito, e con lo stesso dito aveva abbattuto il Comandante
della Quinta Legione, Tereo di Amanita, sbattendolo
contro la scalinata della reggia un tempo appartenuta ad Ercole in persona.
Adesso stava fissando, con i suoi inespressivi occhi verdi, i due ragazzi
intervenuti per proteggere il loro Comandante, nonostante, secondo Argo, egli
non meritasse protezione alcuna, essendo stato perfettamente incapace di
proteggere i soldati della sua Legione. Costoro erano Eco della Margherita,
che aveva addormentato il Gigante Panoptes con
l’armonioso canto della sua voce, e Eumolpo della Spiga, che aveva
trafitto con le sue spighe argentate i cento occhi chiusi della creatura
deforme, abbattendola, di fronte agli occhi sinceramente stupiti del Sacerdote
di Era.
“Eumolpo!” –Lo chiamò Eco, espandendo
il cosmo. –“Con lui non possiamo esitare! Hai visto come ha fatto fuori Sileo ed Ermione! Non abbiamo
speranze! Ma dobbiamo tentare comunque!” –Esclamò il ragazzo, mentre il cosmo
che albergava nel suo petto esplodeva in un canto melodioso, creando
l’armoniosa immagine di un campo soleggiato, costellato di migliaia di
margherite in fiore. –“Canto della Margherita!”
“Spighe d’Argento!” –Gli andò
dietro il compagno, mentre tutto attorno a sé comparivano migliaia di spighe di
energia cosmica, che l’Hero diresse verso Argo a
guisa di frecce incandescenti.
“Umpf! Mi
offendete!” –Esclamò Argo, sdegnato. Ma, per quanto odiasse ritenerlo
possibile, dovette ammettere di aver subito un rallentamento nelle proprie
azioni, come se il canto intonato da Eco avesse prodotto in lui un
rilassamento, come se il canto avesse riportato alla mente del Sacerdote ricordi
dispersi nel labirinto del tempo che l’uomo aveva sommerso sotto secoli di
fedele servilismo ad Era. –“Credere che possa essere raggiunto da un simile
attacco, che a malapena supera la velocità del suono, significa sottovalutare i
poteri di colui che avete di fronte!” –Sentenziò, sollevando la mano sinistra e
mostrando il palmo aperto, su cui l’assalto combinato di Eco e di Eumolpo si
infranse. –“Significa dimenticare chi sono! Il Sommo Sacerdote di Era! Argo il
Grande!” –Gridò, lasciando che l’assalto vorticasse sul palmo della sua mano,
prima di prenderne il controllo e rinviarlo indietro, per travolgere i due
ragazzi. –“Secondo soltanto alla Regina degli Dei, di cui sono il più fidato
consigliere e stratega! La Bocca di Era! È così che anche potete considerarmi!
Messaggero tra la terra e il cielo sono io!!!”
“Ora!!!” –Gridarono Eco ed Eumolpo,
mentre la tempesta di energia veniva rinviata contro di loro. E i loro cosmi
uniti crearono una cupola difensiva su cui si schiantò l’assalto del Sacerdote
di Era, il cui unico effetto fu di spingere indietro i ragazzi di qualche
metro, incrinando in parte le loro corazze.
“Avete unito i cosmi per contenere il
mio attacco! Per questo motivo, poiché sapevate che sarei rimasto immune al Canto
della Margherita e alle Spighe d’Argento, e che ve le avrei
rimandate contro, avete impresso una forza minore al vostro primo assalto, per
conservare le forze per la difesa, per non essere travolti! Bravi, sì! Me ne
compiaccio!” –Sentenziò Argo, prima di avanzare a passo minaccioso verso i due.
–“Ma adesso cosa farete? Come riuscirete a difendervi dagli assalti che
verranno? Se con un palmo soltanto ho respinto il vostro attacco e con un dito
ho massacrato i vostri sterili compagni, cosa farete per impedire a me di
massacrare anche voi?” –E nel dir questo sollevò il braccio sinistro, puntando
tre dita verso i due Heroes, con un sorriso sardonico sul volto.
Eco ed Eumolpo avrebbero voluto
reagire, avrebbero voluto lanciarsi contro il Sacerdote, per vendicare i
compagni caduti, ma sentirono di non riuscire a muovere nemmeno un muscolo,
inchiodati a terra, terrorizzati dalla punta dei piedi al ciuffo più esterno
dei propri capelli da un sentimento così potente che mai avevano percepito
prima. Una paura che assalì entrambi nel profondo, trascinando le loro anime,
smunte e pallide, verso la Bocca di Ade.
“Dita del Cielo!” –Gridò Argo,
concentrando il cosmo sul pollice, sull’indice e sul medio, prima di
rilasciarlo sotto forma di una potentissima bomba di luce. L’attacco
distruttivo raggiunse Eco ed Eumolpo, danneggiandoli però solo di striscio,
poiché, sorprendendo i tre contendenti, un uomo si era posto di fronte ai due
ragazzi, proteggendoli con il suo scudo, rivestito di una scintillante energia
cosmica: Tereo di Amanita.
“Comandante!!!” –Urlarono Eco ed
Eumolpo, prima di venire spinti via dal contraccolpo, lasciando Tereo, da solo, a crollare inerme di fronte al Sacerdote di
Era.
L’attacco di Argo, che Tereo aveva subito da così vicino, per proteggere i suoi
ragazzi, aveva distrutto il suo bracciale a forma di scudo e gran parte della
corazza di Amanita, facendo esplodere qualche vena all’interno del corpo
dell’uomo, che ora giaceva sanguinante ai piedi del suo carnefice, per niente
turbato dal suo intervento. Quasi eccitato dall’odore aspro del sudore di Tereo, dal sangue che colava sul selciato polveroso, Argo
abbassò il braccio, osservando l’uomo che, respirando a fatica, cercava di
rimettersi in piedi, per opporsi nuovamente a lui. Divertito, il Sacerdote di
Era gli domandò perché era intervenuto, perché si era esposto a un attacco così
diretto, che poteva essere soltanto mortale.
“Dovresti saperlo, servitore di Era!
Perché tu me lo hai ricordato poc’anzi!” –Esclamò Tereo,
fissando Argo dritto negli occhi. –“Non mi hai forse chiesto se avevo lottato
per onorare il mio Dio? Non mi hai forse rimproverato per essermi lasciato
andare, cadendo a terra come un soldato qualunque, anziché ergermi a difesa
della Legione da me guidata, come un capitano rimane sulla nave mentre affonda?
Ebbene, eccomi! Io onoro sempre i miei giuramenti! Ho promesso ad Ercole di
combattere per lui e per i suoi ideali, e adesso sono qua, a difendere i miei
compagni! Forse la mia vita durerà meno dello sbocciare di un fiore, ma che
importa se potrò dire di averla intensamente vissuta!”
“Le tue parole rendono onore al tuo
grado, Comandante della Quinta Legione!” –Disse Argo, con tono solenne. –“E non
esistono parole migliori per rispondere che farti strada verso la battaglia,
dove incontrerai la morte che tanto brami! Perché a nient’altro può andare
incontro chi osa rivolgere i pugni verso il cielo!” –Esclamò Argo, espandendo
il proprio cosmo, che lo avvolse interamente, in un turbinar di stelle, prima
di sollevare il braccio destro e volgere il palmo verso Tereo.
Una devastante onda di energia annientò
la distanza che separava i due contendenti, travolgendo il Comandante della
Quinta Legione, che venne scaraventato indietro, fino a schiantarsi contro le
colonne del pronao della residenza degli Heroes, abbattendone un paio con
vigore, di fronte agli occhi sconcertati di Eco e di Eumolpo, che subito si
rimisero in piedi per correre a sincerarsi delle sue condizioni. Ma non appena
i loro piedi sfiorarono la scalinata di marmo, che conduceva all’ingresso del
palazzo, vennero scaraventati a terra da un violento cosmo, la cui aggressività
esteriore era superiore persino a quella di Argo. Quando i due si rialzarono,
boccheggiando a fatica, furono sorpresi di trovare Partenope del Melograno
di fronte a loro, in piedi qualche gradino sopra i due ragazzi, che li fissava
con un ghigno perverso, mentre con la mano destra carezzava la collana di perle
che portava attorno al collo.
“Partenope!!!” –Gridarono i due
ragazzi. –“Perché ci fermi? Dobbiamo correre ad aiutare Tereo!”
Ma Partenope non li degnò neppure di
uno sguardo, sputando loro in faccia mentre scendeva con superbia gli ultimi
gradini della scalinata, fino a portarsi di fronte al Sacerdote di Era, che lo
osservava con rinnovata attenzione.
“Salute a te, Sommo Argo!” –Si inchinò
Partenope, davanti al Sacerdote. –“L’antica residenza di Ercole è nostra,
adesso! Tutti gli Heroes che la proteggevano sono stati sconfitti e puniti per
la loro debolezza, che li ha resi sciocchi contadini anziché esperti
guerrieri!”
“Partenope!!!” –Lo chiamarono Eco ed
Eumolpo. –“Che stai dicendo? Ti sei alleato con il nemico?!”
“Nemico?!” –Ridacchiò Partenope tre sé,
prima di rialzarsi e voltarsi verso i due ragazzi, gettando loro un oggetto che
finora aveva stretto nella mano sinistra, senza che nessuno vi prestasse troppa
attenzione, a causa della noncuranza con cui l’uomo l’aveva trattato fino ad
allora. –“Era è la mia Signora! Da tempi immemori sono suo fedele servitore, il
primo tra gli Emissari della Dea!” –Aggiunse, tirando un’occhiata di
superiorità verso Argo, che non disse niente, limitandosi a spostare lo sguardo
sull’oggetto che Partenope aveva gettato ai piedi di Eco ed Eumolpo. Una testa
d’uomo, trinciata all’altezza del collo.
“Ma… ma
questo è…!!!” –La voce di Eco sembrava il grido di
un’oca in punto di morte adesso, così lontana dall’incantevole melodia che
aveva addormentato il Gigante e incantato persino il Sacerdote di Era. –“Liriope!!!” –Gridò, riconoscendo il volto di un compagno,
l’Hero del Narciso, barbaramente assassinato.
“Liriope del
Narciso è caduto poco fa, stritolato dalle piante a me così fedeli! E come lui
sono caduti Ila del Tulipano ed Eurialo
dell’Iris!” –Precisò Partenope, con voce fredda e distaccata; prima di cambiare
il tono, aggiungendo una sfumatura di perverso divertimento. –“Avreste dovuto
sentire le loro grida! Hanno gemuto come donne in calore!”
“Lurido bastardo! Come hai potuto
venderti ad Era?” –Esclamò Eumolpo pieno di rabbia, facendo avvampare il
proprio cosmo. –“Niente mi delude più di un traditore, di un fratello che, per
brama di gloria o di eternità, rinnega i propri ideali, sollevando il gladio
contro la gola dei suoi compagni! Hai tradito la nostra Legione, Partenope! Hai
tradito la nostra confraternita, la città perfetta che con tanto amore avevamo
costruito!”
“Finiscila con questa lagna!” –Lo
derise Partenope. –“Non ho bisogno né di gloria né di eternità, perché già le
possiedo da anni! Da quando Era, riconoscendo in me l’uomo adatto per guidare
le sue armate, mi sollevò dalla mia polvere di umana tristezza, ammantandomi di
una nuova vita, una vita dedita al culto di Era! E proprio per servirla le
proposi il più ardito dei piani: inserire delle spie, degli uomini fedeli
all’Olimpo, nelle Legioni di Ercole, per poterle un giorno sollevare contro lo
stesso Dio! Così, dall’interno della fortezza di Tirinto,
ho tessuto in silenzio la mia tela, allargando il campo dei miei alleati fino
ad inquinare le limpide acque di tutte le Legioni! Probabilmente, in questo
stesso momento, mentre il pallido sole di Tebe scalda il mio volto, i vostri
compagni sono stati tutti uccisi, massacrati da coloro con cui avevano
combattuto fino ad allora fianco a fianco! Com’è difficile colpire un uomo che
regge una spada, parandosi dietro uno scudo! Ma com’è facile, ooh, sì, è proprio facile, ferirlo al cuore, trapassandogli
la schiena, ove egli non guarda!”
“Neppure il più viscido dei serpenti
avrebbe potuto concepire un tale abominio, Partenope! Non sei degno di essere
uno degli Heroes di Ercole! Non sei degno di indossare l’Armatura degli Eroi!
Sei soltanto un codardo, un lurido vigliacco che non ha esitato a distruggere
un sogno pur di contentare i capricci di una Divinità assassina! Il sogno di
Ercole di portare pace e onestà nel mondo!”
“Onestà vuoi, Eco?” –Ironizzò
Partenope, sollevando il braccio destro al cielo. –“Allora la avrai! Ti
massacrerò! E aggiungerò la tua testa, pallido trofeo che misera soddisfazione
recherà al mio animo, alle conquiste di questa guerra! Preparati, uomo, perché
adesso taglierò lo stelo della tua vita!” –E fece apparire un fiore di
melograno sul palmo della mano destra.
“Non te lo permetterò!” –Gridò Eumolpo
della Spiga, lanciandosi avanti, dirigendo migliaia di spighe cariche di
energia cosmica contro Partenope. –“Spighe d’Argento, trafiggete il suo
cuore malato!” –Ma non appena si mosse, il fiore di melograno fluttuò
nell’aria, superando indenne la fitta pioggia di spighe energetiche e posandosi
sul petto di Eumolpo, proprio all’altezza del cuore. –“Ma.. cosa?!” –Esclamò il
ragazzo, mentre il fiore di melograno distruggeva la bianca corazza protettiva
della Spiga, avvinghiandosi al cuore posto sotto di essa.
“Eumolpo!!! Dei dell’Olimpo, è
terribile!” –Esclamò Eco, disperato, osservando il compagno crollare a terra,
mentre cercava di strappar via il fiore di melograno dal suo cuore. Ma ogni
volta che lo sfiorava, il fiore si moltiplicava, avvinghiandosi ad un nuovo
organo del corpo di Eumolpo, fino a divorarlo completamente, lasciando soltanto
una vuota carcassa priva di qualsiasi forma di vita.
“Che atrocità!” –Commentò Argo, finora
rimasto in disparte, alle spalle di Partenope, che sembrava voler concludere la
missione da solo, vanagloriandosene poi con Era.
“Non approvi i miei metodi,
Sacerdote?!” –Ironizzò Partenope, senza nascondere il tono malizioso con cui
accentò la parola “sommo”. Quasi a voler ricordare ad Argo che tale titolo non
gli spettava. Che sarebbe stato più giusto, e più opportuno, concederlo a lui,
a Partenope del Melograno, l’uomo adatto per dominare il mondo in vece di Era.
Per quanto entrambi fossero servitori
della Regina dell’Olimpo, tra Argo e Partenope non era mai corso buon sangue,
essenzialmente a causa dell’eccessiva superbia che lo spietato Emissario del
Melograno non aveva mai imparato a dominare. Un istinto di sopraffazione del
più forte sul più debole che Partenope aveva assurto come filosofia di vita,
anche nei suoi rapporti con gli altri Emissari di Era, Boopis
e Kyros, e con i Sommi Sacerdoti: Argo e Didone. Per Partenope, l’Oracolo era soltanto un ruffiano,
disposto a trascorrere un’eternità a strusciarsi alla lunga veste di Era, per
rimanere al suo fianco e mantenere il suo ruolo, mentre la Regina Fenicia, per
quanto fosse una bellissima donna e suscitasse gli appetiti sessuali
dell’Emissario, che più volte aveva sognato di possederla, non era adatta per
guidare un esercito, troppo sentimentale, troppo passionale, semplicemente
troppo donna. Ma vi era un altro motivo di contrasto tra Partenope e Argo, che
avrebbe potuto, in futuro, compromettere l’ascesa dell’Emissario del Melograno
al trono dell’Oracolo di Era: un ostacolo rappresentato da Kyros
del Pavone, allievo di Argo e sua stessa e mortale nemesi. Kyros
era stato addestrato da Argo stesso, diventando una sua perfetta copia, freddo
e distaccato, sdegnoso e superbo come il Sacerdote di Era, carico dello stesso
profondo odio degli uomini. Per quegli stessi uomini di cui Argo e Kyros avevano fatto parte un tempo, prima di rinnegare le
loro stesse origini.
Ma Partenope era diverso. Egli infatti
sapeva di essere un uomo e non aveva mai rinnegato la sua natura mortale e
terrena, neppure quando Era aveva elevato lui, Kyros
e Boopis al rango di Emissari Divini, facendone la
guardia scelta della Regina dell’Olimpo, caricando il loro cosmo, già potente
di suo, di sottili sfumature divine.
“Sarebbe sciocco rinnegare quel che
sono e che mi ha permesso di arrivare fin qua!” –Ripeteva frequentemente
Partenope, criticando Kyros, che ormai si considerava
un Dio. –“Poiché in battaglia siamo mortali come gli altri uomini! No, io non
rinnegherò le mie origini, ma saprò sfruttarle a mio piacimento, per dominare
gli altri uomini, a me inferiori, e per portarli alla guerra totale, ad uno
stato di guerra di tutti contro tutti!”
E così aveva fatto, scendendo sulla
Terra e facendo richiesta per essere ammesso nelle Legioni di Ercole, limitando
al massimo le sfumature del suo cosmo cariche di ambizione e mostrandosi, di
fronte al Dio, generoso e onesto, come Ercole pretendeva che i propri Heroes
fossero. Lo stesso Dio lo aveva personalmente scelto per aiutare Tereo a Tebe, conscio che, considerando la scarsa
propensione alla battaglia dell’Hero di Amanita e dei
suoi compagni, Tereo avrebbe potuto aver bisogno di
una mano forte, in caso di un conflitto. Ma neppure lo stesso Ercole, il cui
unico difetto era stato l’eccessivo amore e la fiducia che aveva dimostrato
verso i suoi Heroes, aveva potuto prevedere che una tale serpe venisse covata
in seno di uno dei suoi guerrieri più forti e su cui faceva maggiore affidamento.
“Adesso quel momento è giunto! Marcerò
su Tirinto, guidando gli Shadow
Heroes, gli Eroi silenziosi che hanno vissuto per anni nell’ombra, attendendo
il giorno in cui, da me esortati, avrebbero ribaltato l’idealistico regime di
Ercole, per dominare la Terra imponendo le loro condizioni! Gli uomini non
vanno aiutati, vanno semplicemente usati! Ah ah ah!”
–Sghignazzò Partenope come un pazzo.
“Il dominio sulla Terra sarà imposto in
nome di Era!” –Precisò Argo, pungente. –“Non dimenticarlo, Partenope! Era ti ha
messo sul trono ed Era saprà farti cadere se non onorerai i patti!”
“Non ho bisogno delle tue
puntualizzazioni, predicatore errante! Resta indietro e osserva come porrò fine
all’esistenza di questo ridicolo manipolo di mocciosi! Tutto ciò che resta
della Legione dei Fiori verrà estirpato con un solo gesto della mano!” –Gridò
Partenope, sollevando un nuovo fiore di melograno e caricandolo di tutto il suo
cosmo.
Il fiore volteggiò nell’aria,
conficcandosi nel suolo, proprio ai piedi di Eco, che subito sentì la terra
tremare sotto di sé. Fece per balzare indietro, ma venne afferrato in volo da
una moltitudine di fili verdi, resistenti come marmo, che sgorgavano dal
terreno, anticipando l’uscita di uno splendida pianta di melograno, alta e
maestosa, ma terribile al tempo stesso. Il colore del frutto era stranamente
bianco e Eco trasalì, intuendo il modo in cui Partenope lo avrebbe colorato.
“Con il rosso del tuo sangue! Ah ah ah!” –E aumentò la presa sul corpo di Eco, che si
dibatteva, espandendo il proprio cosmo, nel tentativo di liberarsi da quella
stretta mortale. Ma falliva, mentre gli stretti lacci, carichi di energia
cosmica, stridevano sulla sua corazza, schiantandola in più punti e lacerando
la sua pelle. –“Reagire è inutile! È mio il cosmo di cui il Melograno
Assassino è impregnato! È come se tu, stupido bamboccio, stessi lottando
contro di me! Contro di me capisci? Che speranze ha un contadino come te, che
ha trascorso gli anni del suo addestramento a cantare in un campo di
margherite, contro un guerriero mio pari? Nessuna! Perciò muori!” –Gridò
Partenope, stringendo la presa sul corpo di Eco, che venne lacerato dalle
mortali strette del melograno assassino e trinciato in tanti pezzi, che
sanguinarono sul terreno, mentre la pianta sembrava goderne, abbeverandosi a
tale demoniaca fonte.
“Sei soddisfatto, adesso?” –Esclamò
Argo, osservando l’accecante bagliore del cosmo di Partenope placarsi
progressivamente.
“Non ancora!” –Rispose questi, senza
degnare di eccessivo interesse il Sacerdote, sollevando lo sguardo verso
l’ingresso della residenza degli Heroes, dove Tereo
di Amanita stava rimettendosi lentamente in piedi. Era ferito gravemente, con
la corazza distrutta in più punti, privo dello scudo difensivo e dei compagni
che lo avevano protetto fino ad allora. Perché erano morti tutti.
Tereo,
rialzatosi, abbassò il capo con un sospiro, percependo con chiarezza la
scomparsa di tutti i cosmi degli Heroes della Quinta Legione, la Legione dei
Fiori, come la aveva ribattezzata affettuosamente. Ila
del Tulipano, Eco della Margherita, Eumolpo della Spiga, Ermione
del Girasole, Sileo del Giglio, Eurialo
dell’Iris, Liriope del Narciso, Kore del Cipresso.
Tutti erano stati annientati e del loro cosmo non rimaneva che un pallido
ricordo, una luce che baluginava fievole nel cuore del Comandante che non aveva
saputo proteggerli. Dell’uomo che, così si sentiva Tereo,
non aveva saputo guidarli alla vittoria, e alla salvezza.
“Perdonatemi!” –Disse Tereo, mentre lacrime gli rigavano il volto. –“Perdonatemi
amici miei! Ho creduto che fosse possibile vivere in un mondo senza guerre,
dove regnassero pace e giustizia, dove gli uomini potessero vivere in
concordia, pacificandosi gli uni con gli altri, privi di brama e di potere, e
per questo motivo non mi sono preoccupato di addestrarvi in battaglia, di
allenare il vostro cosmo affinché potesse servirvi per offendere, ma solo per
recare sollievo alle povere genti! Ma ho errato, me ne rendo conto! A causa mia,
della mia incompetenza, della mia incapacità di agire, di comportarmi come un
vero eroe avrebbe dovuto fare, vi ho condannato a morire, tra indicibili
tormenti, privandovi della possibilità di salvezza!” –Pianse, fissando i resti
dei corpi dei suoi compagni, abbandonati sul selciato. –“Possiate perdonarmi,
amici miei, e accogliermi nel Paradiso dei Cavalieri senza rimorsi!”
“Quale Paradiso? Tu, stupido inetto,
non avrai dimora alcuna dopo la morte, ma resterai per sempre confinato nel
limbo! Non ti sarà concessa pace, perché niente di eroico ed onorevole hai
compiuto in vita, né per la Legione che avevi giurato di guidare, né per il Dio
a cui ti eri inginocchiato! E allo stesso modo non ti sarà concessa la
sofferenza eterna, poiché non vi sono motivi per farti precipitare all’Inferno!
Non avrai né bene né male, perché nella vita non hai saputo scegliere, perché
nella vita non hai saputo osare, rimanendo sempre in disparte, incapace di una
qualsiasi azione incisiva!” –Lo condannò Partenope, incamminandosi a passo
lento lungo la scalinata. –“Soffrirai per l’eternità di fronte alle rive
dell’Acheronte, insieme agli ignavi tuoi compagni, gli inutili e gli indolenti,
coloro che hanno sprecato la vita, troppo deboli per fare del bene, troppo
forti per fare del male! I peccatori “che mai fur
vivi”, come li definì l’Alighieri Dante! E tu, che mai ti sei apertamente
schierato, sarai condannato a tale eterna prigionia!” –E sollevò al cielo un
fiore di melograno, che risplendette come un lampo nel cielo di Tebe. –“Vagherai
per sempre nel limbo, scivolando a tratti verso l’Acheronte, per provare anche
solo una volta le pene dell’Inferno, sperando di incontrarvi una seconda morte!
Ma non ti sarà concesso! Ti arrampicherai sulle irte scogliere del limbo, alla
ricerca di una luce lontana, per uscire da quella gabbia, in cui con la tua
indolenza ti ha rinchiuso, ed accedere al Paradiso! Ma ugualmente non ti sarà
concesso! Ho disprezzo di te, Tereo di Amanita! Ti ho
osservato per anni e non ho mai trovato niente di interessante in te, niente
per cui valga la pena lottare e soffrire, niente che valga la pena di ammirare,
come si dovrebbe osannare un Comandante, né credo vi abbiano trovato alcunché
gli Heroes che hai condannato a morte!”
“Ti.. ti sbagli! Amavo i miei compagni,
e loro avevano fiducia in me!” –Pianse Tereo,
stringendo i pugni per il dolore. E per la verità pungente delle parole di
Partenope.
“Così tanta fiducia che hanno preferito
morire piuttosto che continuare a vivere insieme a te, al fianco di un uomo che
non è mai esistito, di un guerriero soltanto di nome, privo delle qualità
necessarie per comandare una Legione! E non è certamente un caso che io,
Partenope, uno dei tre Emissari di Era, abbia scelto la Quinta Legione, guidata
dal più ingenuo tra i Sei Comandanti di Ercole, per iniziare a tessere la mia
tela!” –Esclamò l’Emissario del Melograno, fiero del suo trionfo, fisico e
morale. –“Muori adesso, e scendi nel Limbo ove soggiornerai per l’eternità,
inseguendo un sogno che non sei stato in grado di vivere da vivo!” –E puntò
contro Tereo il fiore di melograno, che brillò di
luce intensa, prima di fluttuare nell’aria e dirigersi verso l’Hero di Amanita, il quale scattò rapidamente di lato, per
evitarlo.
Il fiore si piantò allora nel terreno,
scuotendolo con vigore, prima di far sorgere una nuova pianta di melograno,
dalle lunghe radici nodose, come quella che aveva stritolato Eco.
Immediatamente, robusti filamenti verdi si arrotolarono attorno al corpo di Tereo di Amanita, che non cercò neppure di opporre resistenza,
straziando le sue carni e penetrando all’interno di quell’involucro privo di
ambizioni e di ardore. Partenope rimase in disparte, ad osservare la facilità
estrema con cui il Melograno Assassino, da lui evocato, dilaniava il
corpo inerme di Tereo, senza che questi reagisse in
alcun modo, neppure dimenandosi.
“Un Comandante del tuo livello, che,
almeno formalmente, possiede lo stesso cosmo di Alcione della Piovra e di
Marcantonio dello Specchio, dovrebbe essere in grado di reagire! Dovrebbe
essere in grado di concentrare il cosmo e farlo esplodere, per liberarsi da
questa effimera, seppur sanguinaria, prigionia!” –Commentò acidamente
l’Emissario di Era, prima di intuire le motivazioni di Tereo.
–“Vuoi suicidarti?! È questo che vuoi realmente? Versare il tuo sangue come
pagamento per gli Heroes morti a causa della tua incompetenza, a causa del
mancato addestramento che hai dato loro?! Sei patetico, Tereo,
e vali meno di un fiore estinto! La tua morte non riporterà in vita i tuoi
compagni, né aiuterà Ercole a vincere questa guerra contro Era, o i poveri
uomini dei bassifondi, che tanto adori e ove hai sprecato il tuo tempo, a
vivere una vita migliore! La tua morte sarà soltanto macchiata dal segno
dell’infamia e dalla mancanza di lode!” –E Partenope, a quelle parole, strinse
la presa sul corpo di Tereo, mentre i verdi fusti
della pianta strusciavano taglienti come lame sugli arti dell’uomo, producendo
vasti tagli, da cui copioso grondava il sangue.
“Il sangue che cola fuori dalle tue
ferite verrà assorbito dallo sterile suolo dell’Antinferno!
E mescolandosi al fango delle rive dell’Acheronte costituirà il letto ove
riposerai per l’eternità, fino a fonderti in quella stessa melma putrida di cui
il tuo animo è imbevuto!” –Esclamò Partenope, mentre le piante tagliavano le
dita di Tereo, strappandogli grida di dolore. –“Cibo
per vermi diverrai, e le carogne infami, che si annidano sulle rive del
lamentoso fiume, pasteggeranno ogni giorno con una parte di te, fino a
svuotarti completamente, a renderti un infimo scheletro destinato a non trovare
mai riposo alcuno!”
“Perdonami Ercole!” –Mormorò Tereo, con il viso rigato dalle lacrime. –“Perdonami per
non aver saputo essere l’uomo capace di guidare al meglio la Legione dei Fiori,
per non aver saputo essere l’eroe nel quale avevi riposto fiducia! Ho errato, e
me ne dolgo! Accetta la mia vita in cambio, prendila in segno di riscatto per
gli errori commessi e per il sangue che altri hanno versato a causa mia! Questa
sofferenza io la merito, per la mia indolenza, per il gran rifiuto nel
combattere che ho sempre dimostrato! E merito anche la fine che Partenope mi ha
predetto! Ma vi amo ancora, come il giorno in cui mi nominaste vostro Hero, come il giorno in cui vi promisi di tenere alto un
titolo che, adesso, sprofonderà con me nel fango dell’ignavia!” –Tereo socchiuse gli occhi, mentre le morse dei verdi fili
del Melograno Assassino si chiudevano su di lui, penetrando all’interno
del suo corpo e strappandogli gli organi vitali. –“Perdonatemi, per non aver
saputo essere uomo!”
Vi fu uno schianto e la testa di Tereo rotolò di lato, lungo tutta la scalinata antistante
la residenza degli Heroes di Tebe, giungendo fino ai piedi di Argo, il
Sacerdote di Era, rimasto impassibile ad osservare l’intera scena. Non disse
niente, limitandosi a volgere le spalle a Partenope, chiedendogli se adesso
potessero considerare chiusa la loro missione.
“Ho ucciso personalmente sette Heroes,
compreso il Comandante! Uniti ai due Heroes da voi massacrati, e agli Shadow Heroes raggiungiamo un totale di dodici! Gli altri
tre dovrebbero essere stati uccisi da Xenodicea e da
Pericle!” –Spiegò Partenope, ridiscendendo la scalinata, fino a raggiungere la
testa mozzata di Tereo.
“Dovrebbero? In battaglia il
condizionale non è consentito!” –Precisò Argo, continuando ad avanzare,
voltandogli le spalle.
“Quando li ho lasciati stavano
affrontando gli ultimi Heroes rimasti! Paride e Circe erano forse i migliori
tra i guerrieri della Quinta Legione, e non erano tipi da lasciarsi vincere
facilmente! Sarà stata una lotta molto dura, ma ho fiducia in Pericle e Xenodicea! Sono certo che li avranno sconfitti!” –Rispose
Partenope, per la prima volta non troppo convinto delle proprie parole.
“Se così fosse, perché non sono qua?
Perché non ci hanno raggiunto, per annunciare ad Era il nostro beneamato
trionfo, come tu stesso avevi affermato?!” –Domandò Argo, prima di scomparire
in un lampo di luce. Partenope fece per rispondere, ma realizzò che il
Sacerdote era già arrivato a Samo, e lo maledisse,
per l’eccessiva pressione di cui lo faceva carico in ogni missione.
Crede che sia un bambino? Sbuffò
Partenope. Ha fiducia soltanto nel suo Kyros! Ma
presto gli farò cambiare idea! Oh, sì, quando Tirinto
sarà caduta e con essa tutti gli Heroes e gli altri Emissari di Era, Argo dovrà
ricredersi sulla mia potenza e, in un modo o nell’altro, cedermi il posto di
Oracolo, un titolo che ad un vetusto combattente come lui non può spettare più!
Quindi corse via, sfrecciando lungo la scalinata della residenza degli Heroes e
nei corridoi dell’edificio, fino a giungere ai giardini retrostanti. Trovò il
cadavere di Kore del Cipresso, disteso sull’erba del parco, quindi i corpi
dilaniati di Eurialo dell’Iris e Liriope
del Narciso, privo della testa. Ma non trovò altro e ciò lo fece insospettire.
Corse fino alle serre, dove qualche ora
prima avevano massacrato il Giardiniere di Ercole, Ila
del Tulipano, e trovò i suoi resti gettati a terra, avvolti tra le pressanti
spire del Melograno Assassino. Ma di Xenodicea
e di Pericle non vi era traccia alcuna. Partenope perse quindi altro tempo a
cercare una traccia alcuna, che indicasse cosa fosse accaduto nel seguito della
battaglia, dopo che aveva lasciato i suoi complici ed era corso nel piazzale
antistante la residenza, per esprimere il suo trionfo su Argo, per aver
concluso la missione. Adesso, a mente fredda, realizzò che forse aveva corso
troppo, che avrebbe dovuto sbarazzarsi prima degli ultimi tre Heroes e poi
correre a sbattere in faccia all’Oracolo il suo successo. Un gemito richiamò la
sua attenzione, attirandolo verso uno spiazzo ai confini estremi del giardino,
ove alberi erano stati recentemente abbattuti, probabilmente nel corso di uno
scontro. Una voce sembrò chiamarlo.
“Pericle!!!” –Esclamò Partenope,
riconoscendo il corpo ferito del compagno che lo aveva aiutato nel suo progetto
sovversivo. –“Come hai potuto lasciarti sconfiggere? Erano solo tre ragazzini!”
–Lo rimproverò Partenope, per nulla addolorato per la sorte del compagno, che
giaceva a terra, con il corpo segnato da ferite e da tagli, uno dei quali lo
aveva privato di un occhio. –“Dov’è Xenodicea? E dove
sono gli Heroes mancanti? Li avete uccisi tutti?!” –Lo scosse Partenope,
afferrando il corpulento guerriero per le spalle.
“A.. Tirinto!”
–Mormorò a fatica Pericle dell’Abete, prima di spirare, privo ormai di
forze.
Partenope lo gettò a terra,
sfondandogli la cassa toracica con un pugno violento e tirandogli fuori il
cuore. Rabbioso lo gettò via, facendone cibo per uno splendido esemplare dei
suoi Melograni assassini. Pericle aveva fallito e Xenodicea
della Ciliegia era scomparsa, lasciando tre Heroes della Quinta Legione liberi
di rientrare a Tirinto ed informare Ercole. I suoi
progetti dovevano essere necessariamente modificati, poiché, era ovvio, non
poteva ritornare da Ercole presentandosi come unico superstite della strage di
Tebe, come aveva ipotizzato in precedenza. Maledisse l’intera città, prima di
scomparire in un turbinio di luce, maledicendo anche se stesso, che, tutto
sommato, aveva fallito.
Capitolo 19 *** Capitolo diciottesimo: Tra dei e coraggio. ***
CAPITOLO DICIOTTESIMO: TRA DEI E CORAGGIO.
Nel frattempo, mentre Alcione e la
Terza Legione erano giunti ai confini del Deserto dei Cavalieri, alla ricerca
della Lama degli Spiriti, in Grecia gli Heroes di Ercole stavano fronteggiando
i Kouroi e i servitori di Era su ben tre fronti, a
cui presto si sarebbe aggiunto il quarto, ed ultimo. Uno di questi fronti era
rappresentato dalla città di Argo, la cui fortezza sulla collina di Larissa era stata distrutta, travolta dalle piogge
torrenziali di Austro, Vento del Sud. Questi, in piedi sui resti di un edificio
crollato sotto l’impeto dell’acquazzone, osservava la distruzione attorno a sé,
fiero di quel temporale divino che aveva scaricato sugli uomini mortali,
tenendo fede al mito, che lo vedeva portatore di piogge. Suo fratello, Borea,
il Vento del Nord, era invece rimasto in cima alla collina, tra le macerie
del palazzo ove Didone aveva vissuto negli ultimi
secoli, in solitudine, ma con il cuore sempre dedito ad Era. E forse anche ad
Enea.
“Quello stupido di Austro si comporta
come un ragazzino!” –Esclamò l’altero Dio, avanzando nel fango e nelle acque
stagnanti che scorrevano attorno a sé, cercando il suo avversario. –“Non ha la
maturità degna di un Dio, il superbo atteggiarsi al di sopra delle umane genti!
Non possiede la freddezza necessaria per portare a compimento una battaglia!”
“E tu invece, Borea, la possiedi?”
–Domandò una voce maschile.
Di fronte al Dio, ricoperto dalla sua
Armatura, si ergeva Agamennone del Leone di Nemea, secondo ufficiale
della Quarta Legione e capitano provvisorio di quella spedizione ad Argo, che
aveva preso una piega inaspettata. –“La nostra missione era soltanto quella di
abbattere il Kouros! L’intervento di così potenti Divinità non era stato
calcolato!” –Rifletté Agamennone, realizzando che comunque non aveva
alternativa alcuna. Combattere, e quindi morire, o morire ugualmente. La furia
di Borea non avrebbe risparmiato nessuno.
“Io non sono monello come Austro!”
–Precisò Borea, espandendo il proprio cosmo. –“Lui è uno sciocco distruttore,
io sono un preciso calcolatore, una perfetta macchina da guerra! Freddo e
spietato al punto giusto!” –Commentò, mentre una luce azzurra riempiva l’intero
spazio attorno ai due contendenti. L’acqua stagnante si congelò all’istante,
fondendosi con il fango e i resti dell’edificio crollato, fino a creare
un’unica indistinta massa di gelo, all’interno della quale anche Agamennone
venne imprigionato per buona parte delle sue gambe.
“Ehi! Che succede?” –Esclamò l’Hero, cercando di muoversi, senza riuscire a spostare le
gambe, prigioniero di quella massa di sporca acqua congelata, dove finora aveva
sguazzato, seppur difficilmente.
“Come ti ho detto, so calcolare ogni
possibilità in una guerra! E non c’è vittoria più facile che quella contro un
avversario che non può muoversi!” –Ghignò Borea, aumentando il proprio potere
di glaciazione e concentrandolo sul corpo di Agamennone. –“Presto sarai
completamente ricoperto dal ghiaccio! E non da un ghiaccio qualunque, ma dal
gelo che ho generato io, il Vento del Nord, con il mio freddo cosmo! Lo stesso
gelo di cui gli uomini hanno timore, perché annienta le loro coltivazioni,
rende inabitabili le abitazioni e talvolta uccide!” –Sibilò Borea, mentre
Agamennone, per quanto si dibattesse, veniva ricoperto da uno strato di gelo
sempre più consistente, sempre più robusto, fino a diventare una rozza statua
di ghiaccio, priva di colore. –“Eccoti! Guarda, Austro! Guarda come si porta a
compimento una battaglia! Senza tutto il chiasso che tu vai producendo!”
–Commentò, all’udire le grida del popolino che sui versanti di Larissa cercava di fuggire le torrenziali piogge del Vento
del Sud.
Borea diede le spalle alla statua di
Agamennone, dopo averla sfiorata con un braccio e aver constatato la sua
solidità, per incamminarsi verso il luogo della battaglia. Avrebbe posto
termine ai giochi di Austro, congelando anche i rimanenti Heroes e incitando il
fratello a volare via, verso Tirinto, dove Eolo e i
loro fratelli già assediavano la fortezza di Ercole. Spalancò le ali arcobaleno
della sua corazza, ma prima di spiccare in volo fu distratto da un leggero
rumore. Un tintinnio quasi.
“Cos’è stato?” –Si chiese, abbracciando
con lo sguardo l’intera sommità di Larissa, senza
trovare nessuno. Fece per voltarsi ma lo udì di nuovo, questa volta più
chiaramente. E comprese da dove proveniva. Dalla statua di ghiaccio di
Agamennone. Avvicinandosi ad essa, con sguardo stupefatto, Borea realizzò che
la statua stava vibrando, sempre più incessantemente, e i cristalli che la
componevano stavano schiantandosi uno a uno. –“Non può essere!! Sei ancora
vivo?!” –Domandò, sgranando gli occhi a tale visione. Agamennone stava cercando
di distruggere il rozzo sarcofago di ghiaccio dall’interno. –“Rinuncia,
sciocco! Non riuscirai mai in tale impresa! Non riuscirai a distruggere un
manufatto divino!” –Gridò, ma la sua voce venne sovrastata dalla violenta
esplosione del cosmo del Leone di Nemea, che scaraventò Borea indietro di
qualche metro, fino a farlo schiantare contro un muro, mentre Agamennone,
circondato da folgori incandescenti, emergeva a fatica dal bozzolo di ghiaccio.
“Non sei un valido stratega, Borea!” –Notò
l’Hero, muovendo a fatica una gamba avanti, per
uscire dalla conca dove era stato bloccato. –“Dovresti sincerarti della morte
del tuo avversario prima di abbandonare il campo di battaglia! Non vorrai che
si dica che sei un codardo!”
“Stupido presuntuoso!” –Gridò Borea,
balzando in aria con le ali aperte della sua corazza. –“Non so come tu abbia
fatto, né quale artificio tu abbia messo in opera, ma ti assicuro che hai
soltanto ritardato l’inevitabile!” –E aumentò il suo cosmo, creando una
violenta tempesta di aria fredda, che soffiava impetuosa da Nord, travolgendo
l’intera sommità di Larissa. Agamennone chinò gli
occhi, cercando di proteggersi con la mano sinistra, mentre cristalli di
ghiaccio aderivano progressivamente alla sua pelle e alla sua corazza. –“Vento
del Nord!!! Spazzalo via!!!” –Gridò Borea, alimentando l’impetuoso uragano,
che travolse Agamennone, sollevandolo a gran forza e facendolo turbinare in un
mulinello di energia congelante, prima che si schiantasse al suolo, sul terreno
ghiacciato.
Borea planò, ergendosi a poca distanza
dallo sconfitto Hero del Leone, soddisfatto del
proprio successo. Se anche aveva commesso un errore, in precedenza, questo
secondo attacco aveva spento ogni velleità offensiva nel proprio avversario,
lasciandolo unico ed incontrastato signore della battaglia. Sorrise, prima che
un rantolo attirasse la sua attenzione. La mano di Agamennone, tremante,
apparve sulla cima della conca in cui si era schiantato, precedendo il corpo
del giovane Hero, che a fatica cercava di rimettersi
in piedi. L’armatura del Leone di Nemea era in parte danneggiata e sul suo
volto regnavano i segni della stanchezza, ma Agamennone era deciso a non
lasciarsi abbattere e a cercare di reagire.
“Ancora non dormi? Ancora non accetti
il silenzio immortale del mio mondo di ghiaccio? Avresti potuto soffrire meno,
ragazzo!” –Esclamò Borea, che stava iniziando ad agitarsi di fronte a tanta
ostinata caparbietà. –“Amo combattere! Ma soprattutto amo le battaglie che si
concludono in fretta, con la mia vittoria, non gli scontri che Austro mette in
scena ogni volta, devastando tutto sul proprio cammino e amando giocare al
famelico gatto che prova gioia nel torturare i topolini!”
“Invece dovrai cambiare la tua
strategia, Vento del Nord! Perché non avrai vittoria facile con me! Te lo
assicuro!” –Ma Agamennone non riuscì a terminare la frase che Borea saltò
avanti, afferrandolo per il collo e trascinandolo indietro, fino a farlo
schiantare contro una colonna e a fargli sbattere duramente schiena e testa,
finché non si accasciò a terra, sputando sangue, con numerose crepe sull’armatura.
Borea lo osservò un momento, preso
dall’istinto di sfondargli la schiena con un pugno secco. Ma si trattenne,
poiché non era quello il genere di battaglia che adorava. E perché, in fondo,
quel mortale che aveva l’ardire di resistergli e di tenergli testa, anche solo
a parole, lo affascinava. –“Sai qual è la cosa che maggiormente mi sorprende?
Più della tua stessa resistenza? La resistenza della tua corazza!” –Esclamò
Borea, camminando attorno ad Agamennone, fino a portarsi di fronte a lui,
ancora accasciato a terra. –“Non deve essere un’armatura come le altre, non è
vero? Hai subito due miei attacchi potentissimi, carichi di un’energia
congelante capace di paralizzare un’Armatura d’Oro! E ancora la tua corazza non
cede, per quanto disseminata di crepe e incrinature! Perché? Dimmi! Come può
una creazione umana resistere al potere di un Dio?!”
“Non solo mani umane hanno forgiato
quest’armatura, Vento del Nord!” –Spiegò Agamennone, cercando di rimettersi in
piedi. –“Tutte le nostre Armature degli Eroi sono state forgiate da Ercole in
persona, nelle fucine di Tirinto, aiutato da Druso di
Anteus, fabbro ufficiale del suo esercito,
utilizzando una lega di orialcon, polvere di stelle, xantos e un quarto materiale che nessun’altra corazza
terrestre possiede! Poiché questo minerale è un frammento della Glory di Ercole!”
“La Glory di
Ercole?! La mitica Veste Divina del figlio di Zeus?!” –Esclamò Borea, facendo
un passo indietro, tanta era l’autorità che lui stesso sembrava ritrovare in
quelle parole, in quell’immagine. Ercole ricoperto dalla sua Veste Divina, la Glory, con in mano la Clava avvolta in una luccicante
polvere di stelle.
“Egli ha ceduto un frammento della sua Glory a tutti noi, i suoi novanta Heroes, mescolandolo all’oricalco,
alla polvere di stelle e allo xantos! Tale lega è
stata poi lavorata con il materiale principale delle nostre corazze, che fosse
il bronzo, l’argento o l’oro, in relazione al grado raggiunto!” –Spiegò
Agamennone, ormai in piedi. –“Ogni Legione di Heroes è suddivisa in tre gradi,
molto simili a quelli in cui sono divisi i Cavalieri di Atena: Oro, Argento e
Bronzo, seppure le nostre corazze possiedano una resistenza maggiore, dovuta
alla presenza del frammento di Glory, che le rende
proiettate verso l’essere Armature Divine!”
“Capisco bene! Per questo la tua armatura,
verosimilmente resistente quanto una d’oro, ha resistito ai miei attacchi! Per
questo non si è schiantata, distruggendosi come ogni altro elemento attorno a
noi, durante la tempesta di ghiaccio che ti ha ricoperto e travolto!”
“Per questo…”
–Sorrise Agamennone, iniziando a bruciare il suo cosmo. –“E per un altro
motivo! Poiché io, unico tra i novanta Heroes di Ercole, ho ricevuto un dono
dal Dio! Un manufatto divino che mi ha permesso di abbattere persino uno dei Kouroi!”
“Cosa?!? Impossibile?! I Kouroi sono animati dal cosmo di Era! Sconfiggerli significherebbe…” –Borea indietreggiò di un passo,
atterrito dal cosmo incandescente che sorgeva da Agamennone. –“Sconfiggerli
significherebbe possedere un potere tale da ferire persino un Dio!!!”
“E tale potere alberga nel mio braccio,
Borea, e adesso te lo dimostrerò!!!” –Gridò Agamennone, mentre folgori
incandescenti, dorate e azzurre, circondavano il braccio destro dell’Hero di Ercole, mentre si lanciava avanti con forza. –“Artiglio
del Leone di Nemea!!!” –Gridò, mentre una cometa di infuocata energia
cosmica, avvolta in scintillanti fulmini, sfrecciava nell’aria, diretta verso
Borea, il quale, troppo tardi se ne avvide e non riuscì a volare via, per
evitarla. Poté soltanto muovere le braccia davanti a sé, con i palmi rivolti
verso l’esterno, e creare un muro di ghiaccio su cui lasciar infrangere
l’attacco di Agamennone.
“Non basterà!” –Tuonò Agamennone,
rinnovando l’assalto. Le saette incandescenti stridettero sulla barriera di
Borea, schiantandola dopo poco, mentre il Dio veniva scaraventato indietro dal
contraccolpo. Quando si rimise in piedi, trovò Agamennone che avanzava verso di
lui, mentre il braccio destro era illuminato da una vivida luce, carica di
riflessi divini.
“L’Artiglio del Leone di Nemea!!! La
mitica bestia uccisa da Ercole! Si diceva che la sua pelle fosse invulnerabile
e che soltanto usando un suo stesso artiglio Ercole sia riuscito a tagliarla!”
–Commentò Borea, mentre Agamennone avanzava ancora, incurante delle proprie
ferite.
“E tale pelle ricopre adesso la mia
corazza, rendendola più resistente di qualsiasi altra Armatura degli Eroi!”
–Sentenziò Agamennone, portando nuovamente il braccio destro avanti e liberando
un nuovo assalto. Borea quella volta fu lesto a saltare in alto, sollevandosi
in cielo grazie alle ali della sua copertura, mentre l’attacco di Agamennone
distruggeva resti dell’edificio crollato, frantumando terra e roccia.
“Quale potenza!” –Commentò Borea,
atterrando dall’altro lato della sommità. –“In lui rivive il mito del Leone di
Nemea! Lo stesso ardore, la stessa invincibile forza!” –Quindi espanse
nuovamente il proprio cosmo, creando un’impetuosa tempesta di gelo, che diresse
contro l’Hero di Ercole. –“Vento del Nord!!!
Spazzalo via!!!”
“Questa volta non sarà sufficiente!”
–Gridò Agamennone, bruciando il cosmo. Fulmini azzurri e dorati lacerarono
l’aria, schizzando attraverso il freddo vento del nord, ma soltanto pochi di
essi riuscirono a superarlo. –“Il potere di Borea è grande! Riesce persino a
congelare i miei attacchi energetici! Dovrò mettere tutto me stesso in questa
battaglia! Bruciare il mio cosmo più di quanto abbia mai fatto prima!”
–Rifletté Agamennone, portando il cosmo ai limiti estremi e caricando
nuovamente, nel mezzo del turbine di energia glaciale, l’Artiglio del Leone
di Nemea.
Borea, ad occhi sgranati, vide l’Hero portare nuovamente avanti il braccio destro, ma la
maggior parte dei suoi fulmini azzurri e dorati venne congelata, sconfitta dal gelo
del Vento del Nord. Alcuni però, contrariamente alle sue aspettative,
superarono lo scoglio e schizzarono verso di lui, con le loro zanne affilate,
pronti per ghermirlo, proprio mentre Agamennone veniva sollevato dall’impetuosa
tempesta e scaraventato lontano, con l’armatura ricoperta di brina. Borea mosse
le mani avanti a sé, per ricreare il muro di ghiaccio, ma venne anticipato e i
fulmini lo raggiunsero all’altezza della spalla destra, stridendo contro la sua
Veste Divina e raggiungendo la carne in profondità, facendolo urlare di dolore.
“Maledizione!” –Disse Borea, poggiando
un ginocchio a terra e tastandosi la spalla dolorante. –“La corazza è intatta
ma sento la pelle come se esplodesse! Tutto il mio corpo è percorso da fitte
allucinanti, che mi stordiscono e mi fanno tremare! Come è riuscito a superare
la mia barriera?”
“La fretta ti ha tradito, figlio di
Eos!” –Esclamò Agamennone, rialzandosi. Aveva numerosi lividi sul corpo e una
guancia gonfia, per le percosse subite, ma nel suo sguardo brillava una vivida
luce di vittoria. –“Avresti potuto saltare via, ed evitare i miei fulmini
azzurri, ma hai voluto esagerare, ricreando la barriera di ghiaccio, mentre eri
ancora intento a lanciare il Vento del Nord! Nessuno può controllare due
colpi energetici contemporaneamente, soprattutto uno di attacco e uno di
difesa! L’eccessiva fiducia nelle tue capacità ti ha tradito!”
È vero! Ringhiò Borea,
rimettendosi in piedi, per quanto la spalla sembrasse esplodergli dal dolore. Ma
non è stata volontà di trionfo, la mia! No! Quando ho visto i fulmini
scagliarsi contro di me, come zanne acuminate di una bestia del Mondo Antico,
ho provato un brivido per la prima volta! Una paura sopita che mai avevo
sperimentato prima! È stato come se le mie gambe si fossero bloccate, incapaci
di balzare in alto ed evitare l’assalto, e non ho potuto far altro che muovere
le braccia, sperando disperatamente di poter contenere quell’attacco! Se
Agamennone non fosse stato travolto dal Vento del Nord, se fosse stato
libero di agire, i fulmini azzurri e dorati del suo cosmo mi avrebbero trafitto
il cuore! Rifletté Borea, con una crescente agitazione nell’animo.
“È tempo di mettere fine a questa
battaglia! I miei compagni mi aspettano! Tirinto è
sotto assedio! Riesco a udire da qui le grida dei miei fratelli che lottano
disperatamente per proteggere la nostra città, e tutto quello che per gli
uomini rappresenta! Un paradiso sulla Terra!” –Esclamò Agamennone, avanzando
verso Borea, un po’ barcollando. –“Cedi il passo, figlio di Eos, o il Vento del
Nord più non soffierà!”
“Adesso sei tu ad avere eccessiva
fiducia nelle tue capacità! Il fatto di avermi colpito una volta non significa
che tu possa farlo di nuovo, né che io non riuscirò a renderti inerme!”
–Esclamò Borea, ritrovando il sorriso superbo sulle labbra. Sollevò il braccio,
evocando una corrente di ghiaccio, con cui congelò ogni cosa attorno ai due
contendenti. –“Se davvero la resistenza della tua corazza è superiore a quella
di un’Armatura d’Oro, io saprò comunque congelarla! Scenderò oltre i limiti cui
finora sono giunto, per dimostrarti che niente che esiste al mondo può sfuggire
alla Volontà Divina! Che il Dio tutto ha creato e il Dio tutto distrugge!”
A quelle parole, Agamennone sentì un
brivido e realizzò che lo strato di ghiaccio che Borea aveva creato stava
diventando sempre più consistente, avanzando ad una velocità maggiore rispetto
a quella dei suoi attacchi precedenti. Il cosmo freddo di Borea esplose nel
giro di un istante, diventando un vento così impetuoso e così glaciale al punto
da congelare ogni cosa fosse loro attorno, trasformando la sommità di Larissa in una terra priva di vita. I due rivali si
scambiarono un’ultima occhiata, prima di lanciarsi l’uno contro l’altro.
“Artiglio del Leone di Nemea!
Raggiungi il cuore del figlio di Eos!” –Esclamò Agamennone, avvolto in fulmini
azzurri e dorati.
“Che il possente Vento del Nord
si abbatta su quest’Hero, trasformandolo in una
statua di ghiaccio eterno!” –Gridò Borea, aumentando l’intensità della tempesta
di gelo.
Lo scontro tra i due poteri generò una
violenta esplosione, al punto da spaccare in due la sommità della collina e
scaraventare entrambi indietro, tra le folgori dilanianti e il freddo gelo che
penetravano dentro di loro. Quando tutto si calmò, il paesaggio apparve
completamente bianco, quasi fosse una distesa siberiana, avvolta da un perenne
turbinare di vento freddo. Le cronache raccontano che per decenni la vita non
tornò a Larissa, poiché il freddo pungente e i
fulmini infuocati avevano distrutto il terreno, rendendolo sterile. Borea era
disteso a terra, il corpo interamente percorso da fulmini azzurri e dorati, che
stridevano sulla sua Veste Divina, lacerando la sua carne fino in profondità.
Rantolò sul terreno ghiacciato per qualche metro, cercando un appiglio per
rimettersi in piedi, ma non vi era più niente, poiché tutto era stato
distrutto. Si voltò quindi, verso il cielo grigio sovrastante Argo e non vide
niente, sentì soltanto un tremendo dolore. Le zanne incandescenti del Leone di
Nemea avevano sfondato la sua corazza, raggiungendolo al cuore, dilaniando le
sue membra con le proprie folgori energetiche. Mormorò qualcosa, parole
indistinte che il Vento del Nord portò via, prima di chiudere gli occhi, con il
sorriso sulle labbra, soddisfatto per essere stato sconfitto da un uomo che,
seppur mortale, e come tale disprezzabile, aveva meritato tutta la sua stima.
Una lenta neve iniziò a cadere
sull’intero colle di Larissa, fino ai pendii
meridionali, dove Austro, impegnato in battaglia, comprese che il fratello era
morto. E lo rimproverò per essersi fatto sconfiggere da così deboli umani. La
neve raggiunse anche il volto di Agamennone, accasciato a terra, in un
avvallamento del terreno, con l’Armatura ghiacciata in più punti e numerosi
lividi sul corpo. Fece per muoversi ma non appena tentò di alzarsi, la corazza
del Leone di Nemea andò in frantumi, lasciandolo nudo, al freddo Vento del
Nord. Borea, si disse, aveva pareggiato i conti.
“Che stupido, mio fratello!” –Esclamò Austro,
Vento del Sud, aprendo una mano e lasciando che un fiocco di neve vi si
posasse. –“Farsi sconfiggere da esseri così inferiori! Tutta la sua boria non è
servita a niente!” – E volse lo sguardo a terra, dove quattro Heroes di Ercole
cercavano affannosamente di opporsi allo strapotere del figlio di Eos.
Costoro erano Niobe
del Falco, e i due giovani che Agamennone le aveva affidato, Argo del
Cane e Gleno di Regula,
feriti dagli attacchi dei Kouroi e dei Quattro Venti.
L’unico che ancora osava ergersi di fronte al Vento del Sud, nel tentativo di
proteggere i propri compagni, era Neleo del Dorado,
i cui poteri attingevano alle profondità oceaniche e ben potevano permettersi
di contrastare le torrenziali piogge di Austro.
“Ancora mi guardi, Eroe?!” –Lo derise
Austro, prima di balzare a terra e calpestare con rabbia la conchiglia dorata
che era riuscito a strappare a Neleo poco prima. –“Senza di essa, che poteri
hai? Quale controllo riuscirai ad avere sulle mie acque?! Nessuno! E la furia
di questo temporale si abbatterà su di te!” –Esclamò Austro, sollevando
entrambe le braccia in alto mentre il cielo plumbeo sopra Larissa
era squarciato da guizzanti saette e una continua e martellante pioggia cadeva
senza sosta. –“Piogge torrenziali! Mondate questa terra dagli uomini!”
–Gridò, dirigendo un violento acquazzone contro Neleo, il quale socchiuse gli
occhi, concentrando il cosmo e cercando di entrare in intimità con l’acqua che
lo circondava, l’elemento su cui poteva esercitare maggiore controllo.
Per un momento le Piogge torrenziali
di Austro parvero fermarsi, esitare di fronte ad un potere così simile, così
familiare, come l’energia degli abissi che Neleo stava evocando. Ma la collera
di Austro e la sua foga ebbero il sopravvento e l’impetuosa tempesta di acqua
scrosciante e di energia cosmica si abbatté sull’Hero
del Dorado, che rimase là, in piedi senza muoversi,
come il capitano di una nave in naufragio ancora ritto a prua, incurante della
marea montante. Quando fu completamente investito e circondato dalle acque, l’Hero del Dorado spalancò gli
occhi, liberando tutto il cosmo che portava dentro.
“Impeto delle Correnti!” –Gridò,
sollevando immense colonne di acqua, che vorticarono attorno al suo corpo,
roteando furiosamente, prima di dirigersi, ad un cenno dell’Hero,
verso il figlio di Eos, travolgendolo con i loro poderosi flutti.
Quando la burrasca cessò, Neleo si
accasciò al suolo fangoso di Larissa, respirando
affannosamente per lo sforzo sostenuto. Aveva lividi su tutto il corpo, per le
scosse ricevute dalle folgori di Austro, e aveva dato fondo a tutto il suo
cosmo per riuscire a prendere il controllo dell’enorme massa di acqua che il
Dio gli aveva rivolto contro.
“Se non l’ho sconfitto adesso…” –Mormorò Neleo, prima che i suoi pensieri fossero
interrotti da un’acuta voce, quasi uno strillo, che risuonò sul basso versante
di Larissa. Austro, Vento del Sud, si era appena
rimesso in piedi e, a parte qualche ammaccatura sulla Veste Divina e chiazze di
fango, sembrava non aver subito nessun danno apparente.
“Sei riuscito nell’impossibile,
guerriero di Ercole!” –Esclamò Austro, avanzando verso Neleo, con ponderatezza,
un passo dopo l’altro. –“Hai colpito un Dio e lo hai sbattuto con la faccia nel
fango!” –Aggiunse, fissando l’Hero, in ginocchio di
fronte a lui, con uno sguardo deciso. Prima di scoppiare a ridere
freneticamente. –“Ah ah ah! Non mi divertivo così dai tempi del mito, lo
ammetto! E per ringraziarti di avermi fatto sorridere, ti concederò di scendere
per sempre nei silenti abissi che tanto ami! Ti ci condurrò io stesso, sopra i
fluenti cavalloni delle mie acque!” –Esclamò Austro, mentre una violenta
tempesta di pioggia ed energia ricominciò a soffiare attorno a loro. –“Fai buon
viaggio, Eroe!” –Ironizzò il Dio, prima di scaricare l’immenso potenziale del
suo cosmo su Neleo.
Ma inaspettatamente il corpo stanco di
Neleo fu circondato da una barriera di energia cosmica, dal vivo colore
argenteo, la cui esistenza sorprese persino lo stesso Hero
di Ercole. Austro brontolò tra sé, prima di vedere i tre guerrieri
sopravvissuti, Argo del Cane, Gleno di Regula e Niobe del Falco,
rimettersi in piedi e lanciarsi verso di lui.
“Neleo ci ha protetto fino ad ora!
Adesso sta a noi proteggere lui!” –Gridò il coraggioso Gleno
di Regula. –“Insieme, amici!” –E scattò avanti,
concentrando il cosmo in una sfera di infuocata energia, seguito da Argo e da Niobe.
Ma Austro non si lasciò affatto intimorire,
deviando l’impetuoso attacco di energia acquatica e travolgendo con esso i tre
Eroi, che si ritrovarono scaraventati lontano, fino a sbattere contro i ruderi
degli edifici di Larissa, tra i frammenti
insanguinati delle loro Armature.
“Vi ho concesso di vivere fino ad
adesso! Non fatemi pentire di un mio stesso gesto!” –Esclamò Austro, prima di
posare nuovamente lo sguardo su Neleo del Dorado, il
quale, approfittando di quei momenti di distrazione di Austro, era riuscito a
rimettersi in piedi e ad espandere il proprio cosmo, dal colore verde-azzurro,
come il mare. –“Addio, Guerriero del Dorado! Possa il
tuo spirito trovare la via per l’oceano che tanto ami! Folgori di Austro,
strappategli il cuore!” – Gridò il Dio, caricando il braccio di folgori
incandescenti.
Neleo tentò di difendersi con un
vortice di energia acquatica, ma riuscì soltanto a limitare l’impatto del colpo
di Austro, la cui potenza offensiva era così grande da trapassare ogni difesa e
distruggere la sua Armatura, facendo a pezzi anche la sua carne. L’Hero del Dorado, che aveva
lottato contro il traditore Tindaro del Cigno Nero,
che aveva protetto i suoi compagni dall’impazzita furia di Austro, che aveva
fronteggiato fino all’ultimo il suo avversario divino, era infine crollato, vinto
da un potere infinitamente superiore alle proprie possibilità. Austro osservò
la carcassa di Neleo senza provar alcuna compassione per lui. Non era certo la
sua prima vittima, ma l’ultima di una lunga serie di stragi feroci a cui spesso
il Dio, il più instabile psicologicamente dei quattro fratelli, si abbandonava.
Austro adorava volare, solcando il
cielo spalancando le ali della sua Veste Divina, ma era ben consapevole che
tale capacità gli era concessa soltanto in virtù della corazza che aveva indosso.
Senza di essa, il Dio, come pure Eolo e i suoi fratelli, avrebbero soltanto
potuto levitare, volteggiare un poco nell’aria, senza eccedere, poiché lo
sforzo sarebbe risultato eccessivo e sfiancante. Per questo odiava gli uccelli
e tutte le forme di vita che, seppure inferiori, seppure effimere e mortali,
avevano ricevuto tale dono dal Dio creatore. E spesso, nelle sue cavalcate
attraverso le nuvole, gridava disperandosi per non poter essere come loro, e
mentre si lamentava scaricava fulmini e tempeste sul mare e sulla terra
sottostante, liberando scroscianti piogge torrenziali che rendevano ardua la
navigazione e travolgevano uomini ed edifici.
Un gemito distrasse la sua attenzione.
Si incamminò verso un mucchio di macerie dove, tra l’acqua stagnante e il
fango, scorse il corpo stanco di un Hero di Ercole,
lo stesso che aveva osato sfidare Borea nella sala del palazzo di Didone. Non troppo stupito da tale ostinato attaccamento
alla vita, Austro lo afferrò per un braccio e lo sollevò, sbatacchiandolo a terra
come un cencio. Gleno era pallido in volto, con i capelli
sporchi e strappati e l’armatura gravemente danneggiata. Alla mano destra
mancavano un paio di dita, che Borea gli aveva mozzato tirandolo fuori con
forza dalla gabbia energetica di Didone. Austro
sogghignò, mentre il suo braccio destro veniva circondato di incandescenti
folgori.
“Borea si è divertito a lungo con te,
ragazzino! Sei stato il suo passatempo più di quanto tu sia stato il mio! E non
è bello che un morto abbia goduto più di chi ancora è vivo!” –Esclamò, mentre
la sua mano destra sfiorava il pettorale dell’Armatura di Regula.
Immediatamente una scarica di energia percorse l’intero corpo del ragazzo,
strappandogli un urlo tale da squarciare l’aria stagnante di quel giorno,
mentre la corazza dell’Eroe cedeva, schiantandosi in più punti. Austro continuò
il suo gioco per qualche minuto, osservando il ragazzo contorcersi dal dolore,
mentre le folgori penetravano dentro di lui, dilaniando le sue vene e i suoi
organi dall’interno. Infine lo afferrò con il braccio sinistro, pronto per
lanciarlo in aria e distruggere quell’inutile carcassa umana con un ultimo
colpo, ma quando fece per muoversi fu distratto da una voce squillante.
“Frecce del Mare!” –Esclamò un
ragazzo, mentre una miriade di dardi azzurri composti d’acqua, sfrecciò nel
cielo plumbeo, trafiggendo Austro in varie parti del suo corpo. Immediatamente
il Dio gettò a terra il corpo inerme di Gleno,
voltandosi esterrefatto. Il suo corpo, nei punti in cui non era protetto
dall’Armatura, che erano effettivamente pochi, era stato trapassando da sottili
raggi di energia, simili ad aghi, e al suo interno, dove era stato ferito,
stava avvenendo un mutamento. Per un momento parve ad Austro che tutto il suo
sangue stesse gorgogliando, che si stesse muovendo, quasi all’impazzata,
obbligando il Dio a portarsi le mani alla testa e a gettarsi avanti, in preda
ad un improvviso attacco di pazzia.
Un attimo dopo, un ragazzo balzò sopra
di lui, avvinghiandosi alla sua schiena e sollevando una lama, che rischiarò
l’aria per un momento, prima di conficcarsi nel corpo del Vento del Sud. Austro
gridò, mentre l’affilata lama penetrava nella sua schiena fino a spuntare dal
basso ventre, prosciugando ogni goccia del suo prezioso cosmo, ogni stilla
della sua linfa vitale. Delirante, e incredulo, per essere stato privato del
suo bene più prezioso, Austro si accasciò a terra prima di implodere e
scaraventare indietro colui che lo aveva colpito.
Nesso del Pesce Soldato, Hero di Ercole della Legione del Mare, balzò agilmente sui
resti di un edificio crollato, contemplando l’operato della Lama degli Spiriti.
Annuì con il capo, senza troppa felicità, mentre il corpo delirante di Austro
esplodeva e il cielo sopra Larissa parve sgombrarsi
finalmente di nuvole.
Capitolo 20 *** Capitolo diciannovesimo: La storia di Nesso. ***
CAPITOLO DICIANNOVESIMO: LA
STORIA DI NESSO.
Nesso
del Pesce Soldato era appena arrivato ad Argo, avendo sentito, mentre si
avvicinava alle coste greche, i cosmi inquieti dei suoi compagni. Ed era giunto
in tempo per salvare Gleno di Regula
da morte sicura, poiché le Folgori di Austro non lo avrebbero
risparmiato. Niobe del Falco, Sacerdotessa di Ercole, si avvicinò al ragazzo,
ringraziandolo per il suo intervento, mentre Argo del Cane si trascinò a fatica
fino al corpo esanime dell’amico, per sincerarsi delle sue condizioni
disperate. Se non fosse stato curato entro breve, Gleno
sarebbe morto sicuramente.
“Quanti
altri?” –Domandò Nesso. –“Quanti altri Heroes erano con voi?”
“Altri tre!”
–Rispose Niobe, sospirando. Parlare, e ricordare i tragici eventi di quella
giornata interminabile le faceva stringere il cuore. –“Neleo
del Dorado, caduto difendendo noi, suoi compagni,
senza arretrare di un passo di fronte al suo superbo nemico! E Agamennone del
Leone, nostro capitano, il cui cosmo ho sentito calare d’intensità fino a spegnersi…” –Mormorò Niobe confusa, prima di scoppiare in
un pianto di sfogo. Argo la raggiunse, reggendo Gleno
in braccio, pregandola di essere forte e conservare le lacrime per i giorni che
verranno, poiché quello era un giorno di guerra, e il ricordo dei caduti
avrebbe soltanto fortificato il loro spirito. Ma non lo avrebbe piegato.
“E il
terzo?” –Domandò Nesso. E Argo e Niobe si scambiarono un’occhiata complice,
prima di sospirare con tristezza.
“Il
terzo era Tindaro del Cigno Nero, ma ha tradito la
causa di Ercole, ribellandosi a lui e attaccando noi, suoi compagni! Neleo lo ha sconfitto fuori dalle mura di Larissa, ma il ricordo di quel tradimento pesa ancora su
tutti noi, gli Heroes della Quarta Legione! Gli Heroes della Legione di Fede!”
–Commentò Argo, acidamente.
“Un
traditore, eh?!” –Rifletté Nesso, prima di raccontare a Niobe e ad Argo la sua
storia. –“Non è l’unico, a quanto pare! Poche ore prima, mentre con i miei
compagni della Legione del Mare ero sulle tracce della Lama degli Spiriti, un
altro Hero si è inaspettatamente ribellato, Lica della Seppia, e ha cercato di uccidere tutti noi!”
“Incredibile!”
–Esclamò Niobe, preoccupata per questo evento non preso assolutamente in
considerazione. –“Cosa sta accadendo? Perché costoro si ribellano ad Ercole?
Che sia sete di vendetta per qualche abuso che il Dio abbia involontariamente
commesso nei loro confronti?”
“Vendetta,
dici, Niobe del Falco?” –Commentò Nesso, prima di ricominciare a narrare. –“No!
Io credo che il loro tradimento non sia una questione personale, ma faccia
parte di un piano messo in atto da Era stessa per minare la solidità delle
Legioni di Ercole! Sì, ne sono convinto! Era ha corrotto un certo numero di
Heroes all’interno di ogni Legione, convincendoli a ribellarsi e a dare un
forte scossone alla sicurezza del suo rivale, colpito, oltre che fisicamente,
soprattutto negli affetti! Poiché, lo sappiamo certamente tutti, non esiste
altro che Ercole ami quanto ama i propri Eroi! E un attacco al cuore colpisce
molto più di un attacco fisico!”
Niobe
annuì con il capo, riflettendo sulle parole di Nesso, sinceramente preoccupata
che, in quello stesso momento, potessero esservi degli scontri in atto tra
Heroes che finora avevano marciato insieme, sotto la stessa bandiera, lottando
per lo stesso ideale. Scosse la testa per non pensarci, e per non pensare
neppure ad Agamennone, e tornò ad ascoltare il racconto di Nesso, che narrò le
vicende della Terza Legione nelle lontane terre dell’Asia.
Dopo
essere stato travolto dalla violenta slavina che Boopis,
la Grande Vacca, aveva provocato, semplicemente entrando in contatto con
l’ambiente circostante, Nesso era riuscito a liberarsi, a cacciar fuori la
testa da quel cumulo disordinato di neve e di pietra. E la Lama degli Spiriti
era ancora in mano sua, quasi come non volesse separarsi da quella confortevole
presa.
Nesso
guardò il caotico ammasso che era franato verso valle, trovando con lo sguardo
la maggior parte dei suoi compagni, sbattuti sulle sporgenze della montagna o
precipitati malamente verso valle. Con un balzo, raggiunse il sentiero
sottostante, dove il suo capitano, Gerione del
Calamaro, era crollato e lo avvicinò, sollevandogli la testa, per aiutarlo a
parlare. Il ragazzo era molto debole, ma vedendo che Nesso era sano e salvo,
privo di ferite profonde, gli disse solo poche parole, ma decise.
“Porta a
termine la missione, Hero del Pesce Soldato! L’onore
della Terza Legione è nelle tue mani adesso!” –Gerione
parlò a fatica, sputando sangue e tossendo violentemente, e incitò Nesso a correre
via, senza preoccuparsi di loro. –“Mentre perdiamo tempo a medicarci e a
recuperare i caduti, precipitati in chissà quale anfratto di quest’impervia
montagna, i Kouroi e i servitori di Era distruggono Tirinto e uccidono gli Heroes nostri compagni!”
Nesso
annuì, comprendendo bene le parole del suo capitano, ma esitò ancora un
momento, dispiaciuto dal dover abbandonare i suoi compagni in così estreme
difficoltà. Ma prima che Gerione lo incitasse
nuovamente gli diede le spalle, iniziando a correre lungo l’impervio sentiero
della montagna, gettando indietro i suoi compagni e tutte le sue incertezze.
Con agilità e destrezza, e molta prudenza, Nesso balzò da un sentiero
all’altro, grazie alle sue gambe scattanti e all’ottima forma fisica, fino a
ritrovare il tracciato verso il Sentiero del Silenzio, percorso obbligato per
superare la massiccia catena del Karakoram e portarsi
sul versante meridionale. All’ingresso del sacro percorso, si fermò per un
attimo a porgere il suo saluto a Galena del Pesce Angelo, primo Heroes della
Terza Legione caduto quel giorno. E, tremò Nesso, senza voltarsi
indietro, temo che non sarà l’ultimo! Commentò, prima di gettarsi nelle
profondità della montagna, sfrecciando lungo la galleria dalle pareti azzurre,
ove il suono dei suoi passi, per quanto veloci e leggeri fossero, risuonava
come un tamburo, grazie ad un gioco di echi.
Giunto nella
caverna dove gli Heroes si erano radunati di fortuna, per medicare le ferite di
Termero del Pesce Picasso, Nesso proseguì con
attenzione, sotto il tetto basso e spiovente, fino a portarsi all’apertura di
essa, dove il sentiero bruscamente terminava. Forti correnti ascensionali
sferzarono l’aria, scuotendo il suo viso da ogni torpore e ricordandogli le
difficoltà del percorso. Nesso strinse i pugni, determinato ad andare avanti,
per onorare la memoria e le gesta di tutti coloro che avevano contribuito al
compimento di quella missione. Per Galena, per Eretteo e per Ettore, uccisi a
tradimento o in battaglia. Per Gerione ed Alcione,
che avevano combattuto anche per loro, senza arretrare di fronte ai nemici, pur
superiori che fossero. E infine per tutti gli altri compagni che lo avevano
accolto, seppure egli, nonostante fosse un membro della Terza Legione, non
aveva mai avuto con loro alcun rapporto, alcun legame particolare.
Nesso
infatti non aveva fatto parte del gruppetto di Heroes che Gerione
ed Alcione avevano condotto a Spinalonga, per guidare
la ribellione contro i Turchi Ottomani, ma era stato un’aggiunta tardiva di
Ercole, per portare a quindici il numero di Heroes della Terza Legione,
equiparandola alle altre. La missione ricevuta, l’unica fino a quel giorno, lo
aveva portato nel Mar Tirreno, a controllare Eolo, sospetto alleato di Era, e
per qualche anno Nesso aveva creduto che essa si sarebbe rivelata l’unica della
sua vita. Confinato nell’Isola del Vento, schiavo malvisto dei figli di Eos,
esposto alle burle e alle buffonate di Borea e agli ordini oppressivi di
Austro, Nesso aveva inghiottito un boccone amaro dopo l’altro, subendo in
silenzio pesante umiliazioni. Per non compromettere la missione che Ercole gli
aveva assegnato. Per spirito di sacrificio e gioco di squadra, termine questo
che Nesso non aveva ben chiaro cosa rappresentasse fintantoché, quella mattina,
non era giunto a Spinalonga, e non aveva conosciuto
l’affiatato gruppo di Heroes guidato da Alcione della Piovra, il suo
Comandante. Una donna che, per Nesso, era più una leggenda che una guida reale,
avendola incontrata soltanto una volta, il giorno in cui ottenne l’Armatura
dell’Eroe del Pesce Soldato.
“Grazie
per essere venuta, Alcione!” –Aveva commentato Ercole, il giorno
dell’investitura di Nesso. –“Questo è il quindicesimo Hero!
L’ultimo della tua compagnia!” –E gli aveva presentato il ragazzo, allora
quattordicenne.
“Un po’
gracilino!” –Aveva sorriso Alcione, osservandolo. –“Ma ha negli occhi uno
sguardo di vittoria! E gli Dei soli sanno quanto tale impeto è necessario per
sopravvivere in questo mondo di guerra perpetua!”
“Non
turbarlo subito!” –Aveva scherzato il Dio dell’Onestà. –“Nesso, per l’età che
ha, possiede ottime qualità, non soltanto fisiche, ma anche psichiche! È per
questo motivo che l’ho assegnato alla tua Legione, poiché ritengo sia quella
nella quale si troverà più a suo agio!”
Alcione
non aveva aggiunto altro, troppo presa dai suoi problemi personali, troppo
coinvolta nell’imminente rivolta che avrebbe organizzato assieme a Gerione e ai capi della ribellione cretese contro l’Impero
Ottomano. Si era limitata ad un cenno di assenso, scomparendo poco dopo, avvolta
nel suo mantello. A Nesso, quella stessa sera, avevano riferito che era tornata
a Creta, dove aveva trascorso i suoi ultimi anni, lontana da Tirinto, lontana da Ercole e, adesso, lontana anche da lui.
Dispiaciuto, Nesso non aveva comunque avuto troppo tempo per pensare ad un
Comandante sbadato, incapace di guidare al meglio le proprie truppe, poiché
Ercole gli aveva assegnato una missione prioritaria, confinandolo sull’Isola
del Vento. Da quel giorno non si era più mosso dal Mar Tirreno.
“E
adesso mi trovo in cima al Karakoram!” –Ironizzò
Nesso, scuotendosi dal freddo glaciale che aveva iniziato a divorarlo. Non
mangiava da dodici ore e aveva percorso diecimila chilometri in mezza giornata,
attraversando mari e monti, torridi deserti asiatici e interminabili catene
montuose. Sorrise, cercando con lo sguardo un appiglio per tentare la discesa,
quando un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione. –“Cos’è?” –Domandò,
voltandosi di scatto e ricevendo un getto di liquido nero proprio sugli occhi.
Si agitò, incapace di vedere e capire cosa stesse accadendo, mentre un violento
calcio tra le gambe lo piegò in due, spingendolo indietro. Mise un piede sul
bordo dell’apertura della caverna e il terreno gli mancò sotto i piedi,
precipitando nell’abisso con un urlo, avvolto nelle fredde correnti
ascensionali.
Lica della Seppia raccolse la Lama degli
Spiriti, che Nesso aveva perso nella caduta, e la strofinò con il proprio
mantello strappato, stringendola in mano con passione, soddisfatto per essere
riuscito a recuperarla, proprio quando tutto sembrava perduto.
“Buon
viaggio verso l’abisso!” –Commentò Lica, fissando la
vallata solcata da grigie nuvole e impetuosi venti, che rendevano difficoltosa
la visualizzazione. Se avesse potuto vedere più in profondità, avrebbe notato
che Nesso non era ancora spacciato.
Il
ragazzo infatti, precipitato bruscamente verso l’abisso, aveva cercato di
afferrare qualcosa nella sua caduta, trovando però soltanto una grezza parete
di ghiaccio eterno, priva di appigli o di sentieri, su cui Nesso stava
scivolando sopra a gran velocità, venendo ferito da ogni spuntone o sporgenza
appuntita con cui si scontrava. Riuscendo a togliersi finalmente il nero di
seppia dagli occhi, sollevò lo sguardo verso l’alto, scorgendo soltanto un luccichio
spento, probabilmente il diamante della Lama degli Spiriti. Ritrovando lucidità
e determinazione, dopo lo spavento iniziale, sollevò il braccio destro, dal cui
bracciale emersero degli arpioni affilati, e lo sbatté contro la parete di
ghiaccio, su cui stava continuando a scivolare sopra, affinché frenasse la sua
discesa verso l’abisso. Stringendo i denti per lo sforzo e per il dolore, Nesso
riuscì a rallentare la sua caduta, fino a fermarsi completamente, centinaia di
metri più in basso rispetto all’uscita del Sentiero dei Sogni. Sollevando anche
il braccio sinistro, provvisto anch’esso di arpioni retrattili, lo conficcò
nella parete di ghiaccio, sopra il braccio destro, iniziando la scalata più
difficoltosa della sua vita.
Lica, nel frattempo, rimase ad ammirare per qualche secondo
lo splendore della Lama degli Spiriti, il meraviglioso lavoro di intarsio con
cui la fodera e l’elsa erano state decorate, al punto da far impallidire
qualsiasi manufatto divino. La avvolse nel suo mantello stracciato e si gettò
in basso, atterrando su un sentiero nascosto dalle nebbie e iniziando a
correre, proseguendo con attenzione lungo il fianco della montagna.
Probabilmente la vecchia mulattiera che conduceva al Sentiero del Silenzio era
crollata tempo addietro, travolta da una slavina improvvisa, ma Lica aveva potuto trovare il punto in cui essa
ricominciava. E lo aveva fatto per caso, sfruttando il destino che non era
riuscito a condannarlo a morte.
Dopo
che infatti aveva subito il proprio Vortice Nero, ribattuto dallo Scudo
d’Oro della Bilancia, nello spiazzo all’esterno del Sentiero del Silenzio, ed
era precipitato nell’abisso, sull’altro versante della Montagna Sacra, Lica si era visto spacciato, condannato a morte certa. In
quel momento di massima paura, l’Hero traditore si
era sorpreso di invocare il nome di Era, quasi fosse quello di una madre a cui
vanno gli ultimi pensieri di un figlio in procinto di scomparire dal mondo. Ed
Era, o forse le Moire, avevano ascoltato il suo grido disperato, allungando il
filo della sua vita. Di qualche ora ancora.
Precipitando
verso l’abisso, Lica aveva sbattuto violentemente
contro i fianchi della montagna, percorse da forti correnti ascensionali, ma
quelle stesse correnti, soffiando impetuosamente dal basso, avevano rallentato
la sua caduta, e grazie ai tentacoli della sua Armatura della Seppia era
riuscito ad aggrapparsi ad una sporgenza rocciosa, proprio prima di precipitare
nel vuoto. Usando le ventose dei suoi tentacoli, Lica
era scivolato lungo lo spuntone, con molta cautela, prima di trovare un
anfratto nella Montagna Sacra ove rintanarsi. Ferito, con graffi su tutto il
corpo e l’Armatura crepata in più punti, Lica si era
rannicchiato nell’oscurità per qualche ora, per recuperare le proprie forze e
per meditare vendetta. La sua missione era fallita, ed Era, che in lui tanta
fiducia aveva infuso, non sarebbe stata affatto felice nell’apprendere che gli
Heroes della Terza Legione erano ancora vivi.
Cosa
devo fare, adesso? Si era chiesto l’Hero
traditore, o ShadowHero,
come Partenope del Melograno aveva soprannominato lui
e gli altri guerrieri che avevano accettato di ribellarsi ad Ercole, divenendo
soldati di Era operanti nell’ombra. Tornare da Alcione e affrontarli
frontalmente sarebbe stato un suicidio! Non avrebbe certamente potuto
contrastare dieci guerrieri contemporaneamente! E poi c’era quel Cavaliere
d’Oro, Dohko della Bilancia, la cui forza era
decisamente superiore alla sua! No, Lica doveva
trovare un altro modo per portare a compimento la missione. E forse, si
disse, credo proprio di aver trovato la via migliore! Li lascerò fare! Sì,
lascerò che trovino la Lama degli Spiriti, che a me non sarà mai concessa, e
poi li pedinerò, approfittando del momento migliore per carpirla loro!
E il
momento migliore si era palesato quando un’improvvisa slavina aveva annientato
l’intera Legione del Mare, travolgendola alle porte del Sentiero del Silenzio.
Là, Lica, nascosto in un anfratto riparato, aveva
visto Gerione e gli altri rotolare caoticamente verso
il baratro, augurandosi che cadessero dritti all’inferno. Là, contrariamente
alle sue rosee previsioni, aveva visto Nesso emergere dall’ammasso di nevi e di
roccia, stringendo ancora in mano la Lama degli Spiriti. Lo aveva quindi
seguito, scivolando con le sue ventose adesive lungo le lisce pareti del
Sentiero del Silenzio, e lo aveva neutralizzato, recuperando la Lama. Adesso
doveva soltanto raggiungere Samo, dove Era lo avrebbe
ricompensato, ponendolo a capo del suo esercito. In quel modo, Lica avrebbe potuto finalmente emergere e dominare un suo
lembo di terra. Non aveva grandi pretese, né era interessato ad imperare sul
mondo; si sarebbe accontentato di un piccolo regno, magari un’isola come Creta,
dove farsi adorare come un Dio sceso in terra, dove i suoi sentimenti, di
gloria e potenza e di fasto imperiale, che Ercole aveva sempre disprezzato,
avrebbero potuto trovare completamento.
Mentre
correva lungo la mulattiera, sui bordi della Montagna Sacra, improvvisamente
udì un suono stridere nell’aria. Un fischio. Con la coda dell’occhio vide
qualcosa svolazzare nel cielo sopra di lui, uno stormo di aquile che girava in
cerchio. Non gli diede troppo peso e continuò a correre, anche quando le aquile
si avvicinarono, portandosi proprio a ridosso della parete rocciosa. Con le
loro immense ali diedero colpi alla Montagna Sacra, facendo cadere cumuli
confusi di pietra e di neve sull’Hero traditore,
obbligandolo a fermarsi e a sollevare le mani per ripararsi. Ma le aquile non
avevano intenzione di dargli tregua, continuando a colpire il fianco della
Montagna, quasi volessero risvegliare la sua furia sopita. Lica
tentò di cacciar via i rapaci, spruzzando dal bracciale destro dell’armatura un
liquido scuro, nero come la notte, ma a causa dei forti venti che percorrevano
l’aria l’oleosa sostanza tornò indietro, macchiandolo sul volto e sul petto,
mentre l’uomo imprecava, maledicendo le aquile e tutta la Montagna. In quella
un’allegra risata risuonò poco distante, mentre un’aquila più maestosa delle
altre, dallo splendido piumaggio argenteo, comparve sopra di lui, planando
verso l’Hero ribelle. Lica
ritenne fosse dovuto alla stanchezza o ad un gioco di luci, ma per un momento
gli parve di vedere un uomo a cavallo del rapace.
“Ci
rivediamo, Lica della Seppia!” –Esclamò una
squillante voce, mentre la grande aquila dava un brusco colpo d’ala alla
montagna sopra il servitore di Era, facendo cadere altra neve e altra roccia.
“Ma tu… sei ancora vivo?!” –Sgranò gli occhi Lica, riconoscendo Nesso del Pesce Soldato, a cavallo della
grande aquila.
“Potrei
dire lo stesso di te! L’ultima volta che ti ho visto stavi precipitando
nell’abisso! È un peccato che tu non sia caduto all’Inferno!” –Commentò Nesso,
carezzando il morbido tappeto di piume dell’aquila.
“I
gironi di Ade non sono posto adatto ad un dominatore come me! Ma è un luogo che
potresti raggiungere presto, ragazzino, se continui ad intralciare i miei
piani!” –Tuonò Lica, cercando di spaventare Nesso,
per quanto in quel momento la situazione del traditore fosse tutt’altro che
positiva. Era in piedi, a stento, su un sottile corridoio di terra, a ridosso
di una Montagna che più la guardava più sembrava incutergli paura, circondato
da uno stormo di aquile inferocite, guidate da un Hero
fedele ad Ercole. –“E a quanto pare anche molto abile!” –Rifletté il traditore.
“Pagherai
per tutti coloro che hai tradito, Lica! Pagherai per
il sangue che è stato ingiustamente versato!” –Esclamò Nesso, sollevandosi
sulla schiena dell’aquila. –“La Montagna Sacra non consente ai traditori di
transitare liberamente entro i propri confini!”
“Ma
davvero?! Ah ah, inventane un’altra, sbruffone! Se vuoi la Lama degli Spiriti
dovrai venire a prendertela, sconfiggendomi in battaglia, non raccontandomi
stupide fandonie!” –Rise Lica di gusto.
“Fandonie,
dici? Tutt’altro! Le mie parole sono verità! Poiché esse escono direttamente
dal cuore di questa Montagna, di cui le aquile sono custodi e servitrici! Loro
mi hanno salvato, scegliendomi come Cavaliere che le avrebbe condotte in
battaglia per punire chi ha offeso e oltraggiato la loro sacra terra! Ed io
onorerò il debito nei loro confronti, sconfiggendoti e recuperando la Lama
degli Spiriti!” –Esclamò Nesso, espandendo il suo cosmo.
“Non
farmi ridere, bamboccio!” –Ghignò Lica, sollevando il
braccio destro e evocando il cosmo. Attorno al braccio iniziò a roteare un
vortice di energia, nera come la notte, prima che Lica
lo dirigesse con forza verso Nesso e le aquile, per travolgerli. –“Vortice
Nero!”
Nesso, che
si aspettava un attacco di quel genere, balzò immediatamente in alto, scavalcando
il gorgo di energia, che travolse qualche aquila che non riuscì a fuggir via in
tempo, scagliandole con forza brutale contro il fianco della montagna.
Superando il vortice, e portandosi qualche metro in alto rispetto a Lica, Nesso puntò il bracciale sinistro verso i piedi del
traditore, lanciando un rampino che si arrotolò attorno a una gamba dell’uomo,
proprio mentre Nesso, non avendo trovato alcun appiglio, precipitava verso il
basso, sbattendo contro il fianco della montagna. Essendo legato al ragazzo, Lica venne trascinato in basso con lui, perdendo la presa
della Lama degli Spiriti, che cadde sulla mulattiera, mentre i due uomini
precipitavano lungo il versante della Montagna Sacra. Nesso, usando gli arpioni
sporgenti del bracciale destro, e avendo già in mente come procedere, frenò la
sua discesa, strusciando il braccio dentato contro la parete rocciosa, fino a
fermarsi completamente, mentre Lica, con la gamba
impigliata nell’arpione, penzolava a testa in giù sotto il ragazzo.
“Non
mi lasciareee!!!” –Gridò Lica,
consapevole che la sorte non avrebbe potuto arridergli due volte, ed un volo da
quell’altezza avrebbe significato morte certa anche per un Cavaliere. –“Ti
prego!!”
“Tu
preghi me?!” –Ironizzò Nesso, parlando piano e a fatica, per l’enorme sforzo
che stava sostenendo. Era aggrappato a un fianco della Montagna Sacra grazie
agli arpioni sporgenti del bracciale destro dell’Armatura del Pesce Soldato,
una delle poche con armi particolari in dotazione, e con il braccio sinistro
teneva una fune a cui Lica era appeso per una gamba.
–“Meriteresti davvero di cadere in quel baratro, traditore!!!” –Gli urlò contro
Nesso, prima di calmare il tono della propria voce. –“Ma io sono un Eroe di
Ercole, come il mio Dio e maestro prima di me, non un assassino!” –E iniziò a
ritirare la corda, facendola rientrare nel bracciale sinistro della corazza,
trascinando lentamente Lica verso l’alto.
Aiutandosi
anche con le braccia, dotate di ventose adesive, Lica
riuscì a mantenersi in equilibrio, fino a ritornare in posizione corretta,
liberandosi infine dell’arpione di Nesso. Adesso erano fianco a fianco, appesi
alla Montagna Sacra, sospesi su un indefinito baratro da cui soffiavano
violente correnti ascensionali, che facevano rabbrividire entrambi. Lica approfittò di un momento di distrazione di Nesso, in
cui il ragazzo aveva sollevato lo sguardo verso l’alto, per misurare la
distanza che li separava dal sentiero, per espandere il proprio cosmo e
sollevare il braccio destro, ricreando il nero vortice della seppia.
“Avresti
dovuto saperlo!” –Gridò l’uomo, abbassando il braccio sul ragazzo. –“Che non
esiste giustizia all’Inferno!” –Ma prima che il vortice raggiungesse Nesso,
questi staccò il braccio destro dalla parete, lasciandosi cadere verso il
basso, sorprendendo Lica per tale mossa,
apparentemente disperata.
Con
agilità, mentre precipitava verso l’abisso, Nesso lanciò subito un rampino dal
braccio sinistro, conficcandolo nella parete rocciosa sopra Lica
e fermando la sua caduta con le gambe, come un perfetto scalatore. L’Hero traditore, nuovamente giocato dalla maestria del
ragazzo, gridò di rabbia, bruciando il cosmo per travolgerlo dall’alto, ma
Nesso lo superò in velocità, puntando il braccio destro verso di lui e usando
per la prima volta il proprio colpo segreto.
“Frecce
del Mare!” –Esclamò, mentre il suo cosmo azzurro dava vita ad una raffica
impetuosa di dardi, apparentemente composti da limpida acqua di mare, che
saettarono nell’aria trafiggendo Lica in ogni parte
del proprio corpo. L’Hero traditore fece per dire
qualcosa, per balbettare parole sconce, ma sentì di non avere più forza neppure
per quello. Un possente potere, profondo come gli abissi del mare, era entrato
dentro di lui, facendo ribollire il suo sangue, mentre il suo corpo vibrava
senza che egli riuscisse a far niente per fermare tale agitazione.
“Cosa..
cosa mi succedeee?!” –Gridò Lica,
con voce spaventosa, mentre il suo volto iniziò a deformarsi, in preda a
violente convulsioni. Fece per chinarsi, mentre un conato saliva dal suo
stomaco, ma cadde in avanti, precipitando nell’abisso ed esplodendo tra le
nebbie del Karakoram pochi attimi più tardi.
Nesso
non lo compatì affatto, per la triste fine in cui era incorso. Le Frecce del
Mare erano un colpo mortale, per la stragrande maggioranza degli uomini,
poiché, a meno che uno non riuscisse a deviarle prima di essere colpito, una
volta che penetravano in un corpo, la combinazione di cosmo e di acqua, di cui
le Frecce erano composte, veniva iniettata direttamente nel sangue, agendo da
elemento estraneo e disturbatore. L’eccessiva quantità di liquido nel corpo
faceva esplodere progressivamente le vene, e poi le arterie, causando violente
convulsioni alla vittima, che spesso la portavano alla pazzia, prima di farla
esplodere dall’interno. Nesso non amava ricorrere a quel potere, poiché
detestava il macabro spettacolo degli uomini in preda a feroci spasimi mortali.
E perché, per quanto fosse un guerriero, preferiva sempre cercare un’altra
strada, che non fosse quella dello scontro fisico.
Ma Lica non gliene aveva dato la possibilità. Li aveva traditi
una volta, condannando a morte Galena del Pesce Angelo e, fosse stato per lui,
l’intera Legione, e anche dopo averlo salvato da morte certa aveva tentato
comunque di attaccarlo, confermandosi pericoloso. Nesso scosse la testa,
iniziando a risalire la montagna, facendo scorrere la corda dentro la cavità
interna del bracciale sinistro e aiutandosi con le gambe e i rampini sul
bracciale destro. Quando raggiunse la mulattiera, dove la Lama era caduta pochi
minuti prima, era molto debole e stanco, per lo sforzo sostenuto e reso più
faticoso dalle difficoltà respiratorie. Non si concesse comunque molto tempo
per riposare, ben consapevole delle proprie responsabilità. Raccolse la Lama
degli Spiriti, fissando il fodero alla cintura dell’Armatura, e fece per
correre via, quando un verso stridulo richiamò la sua attenzione. Le aquile,
custodi della Montagna Sacra, volavano sopra di lui e parvero sorridergli,
indicandogli la giusta via da seguire. Nesso scambiò un gesto di intesa con la
più grande delle aquile, il capo del branco, discendente delle antiche aquile
che un tempo abitavano nei nidi attorno al Sentiero del Silenzio, quando ancora
era trafficato dai monaci delle vallate interne, che spesso si fermavano a dialogare
con loro. Nesso era l’unico Hero, e forse uno dei
pochi uomini di quel secolo, a saper dialogare con le aquile, come sapeva
parlare con i delfini, i pesci e molti altri animali.
“Essere
guerrieri non significa soltanto saper maneggiare una spada!” –Amava ripetere
il ragazzo. –“Ma sapere per cosa lottiamo, sapere cos’è che vogliamo difendere!
E per farlo dobbiamo essere in grado di usare tutto ciò che può rivelarsi
utile, dall’ambiente alla natura circostante, dagli animali alla vegetazione,
poiché tutto può essere un alleato utile in battaglia!” –Per questo aveva
sviluppato forti capacità extrasensoriali che gli permettevano di ascoltare il
vento, di leggere i movimenti del terreno e di comunicare con gli animali.
Quando
Nesso ebbe terminato il racconto, Niobe del Falco si congratulò per l’ottimo
risultato conseguito, sicura che Ercole avrebbe apprezzato notevolmente. Quindi
incitò i compagni a correre a Tirinto, per portare la
Lama degli Spiriti dal Dio dell’Onestà, fermandosi sulla sommità di Larissa per constatare le condizioni di Agamennone, il cui
cosmo, parve ai presenti, era praticamente scomparso dopo lo scontro con Borea.
“Qualunque
cosa troveremo… devi essere forte!” –Esclamò Argo del
Cane, rivolgendosi a Niobe, mentre i tre guerrieri, con Gleno
sulle spalle di Argo, correvano verso la cima del colle, ove un tempo era sorto
il palazzo di Didone. Per un momento, Argo e Niobe si
chiesero che ne fosse stato della Regina Fenicia, poiché non avevano più
percepito il suo cosmo fin da quando la battaglia contro i Figli di Eos era
iniziata. Nonostante fosse loro nemica, e avesse tentato di venderli ad Era,
Niobe non riuscì ad augurarle alcun male, anzi, in fondo al cuore, si augurò
che la donna stesse bene e che riuscisse, se non ora magari in futuro, a
ritrovare quella serenità persa troppi secoli addietro.
“Agamennone!”
–Gridò Argo, alla vista del corpo esanime del capitano della Quarta Legione.
L’uomo era debolissimo, con l’Armatura distrutta, a causa della bassissima
temperatura di gelo raggiunta da Borea, in grado persino di distruggere una
corazza composta di oro e di frammenti di Glory, e il
volto era bianco e pallido. –“Sta morendo congelato!” –Commentò Argo. –“Se non
gli diamo subito calore, non resisterà!”
“Calore?!”
–Sgranò gli occhi Nesso. –“Non abbiamo niente qua per scaldarlo! Potremmo
accendere un fuoco! Ma non c’è niente che ci possa essere utile! Tutto è stato
congelato e lentamente si sta squagliando, diventando acqua e fango, come
l’intera collina! Non troveremo rami secchi a Larissa!
Dobbiamo condurlo a Tirinto!”
“Non
sopravvivrà così a lungo!” –Sentenziò Argo, fissando il volto emaciato di
Agamennone, così diverso da quel viso solare, carico di vita e di ardore, in
cui sempre aveva amato specchiarsi.
“Lasciate
che me ne occupi io!” –Commentò infine Niobe. –“Voi correte a Tirinto! Ercole ha bisogno di quella Lama! Adesso! Vi
raggiungeremo quando Agamennone si sarà ripreso!”
“Lasciarlo
a te? E come pensi di curarlo?!” –Gridò Argo, non capendo. Ma Nesso, che aveva
intuito le nobili intenzioni della Sacerdotessa, per quanto fossero tristi, gli
posò una mano su una spalla, incitandolo a proseguire, senza fare altre
domande.
“Andiamo!
Abbi fiducia nei tuoi compagni!” –Esclamò Nesso, incamminandosi.
Argo
esitò ancora un momento, combattuto sul da farsi, ma poi, sospirando, decise di
seguire l’Hero del Pesce Soldato, voltandosi
un’ultima volta verso Niobe.
“Il
Dio dell’Onestà non vuole il nostro sacrificio, Niobe! Ercole vuole la nostra
felicità! Almeno quanto noi vogliamo la sua!” –Commentò, con le lacrime agli
occhi, prima di correre dietro a Nesso, con Gleno
sulle spalle, con un triste presentimento nel cuore. La consapevolezza che
forse non si sarebbero rivisti mai più.
Niobe,
il volto nascosto dalla maschera d’oro bianco, sorrise, stringendo a sé il
corpo esanime di Agamennone, ed espanse il suo cosmo, portandolo ove mai lo
aveva portato prima. L’aria attorno ai due si tinse di un rosa acceso,
diventando calda e piena di vita, mentre la ragazza teneva a sé il capitano,
donandogli tutto il calore di cui aveva bisogno, grazie al proprio cosmo.
Restarono così per un tempo indefinito, finché Niobe non iniziò a barcollare,
stanca per la lunga prova, e già provata dalle battaglie precedenti. Sarebbe
caduta in avanti, distesa sul petto di Agamennone, se un poderoso sbatter d’ali
non l’avesse distratta.
Voltandosi
verso destra, verso il luogo dove giaceva il corpo di Borea, vide un uomo,
rivestito da una lucente armatura celeste, planare nell’aria e posarsi proprio
accanto al fratello sconfitto. Le ali arcobaleno si chiusero dietro di lui,
mentre un vivido cosmo, dal colore celeste e bianco, circondava il corpo
maestoso ed elegante di Euro, il Vento dell’Est, quarto dei figli di
Eos.
Capitolo 21 *** Capitolo ventesimo: L'assedio di Tirinto. ***
CAPITOLO VENTESIMO: L’ASSEDIO DI
TIRINTO.
Neottolemo del Vascello, nocchiero
della Seconda Legione, stava osservando gli ospiti improvvisati che aveva
caricato sulla Nave di Argo, salvandoli da morte sicura. Quella mattina, poco
dopo il ritorno di Ercole, Nestore e Penelope dall’Olimpo, ed essere stato
informato del litigio intercorso tra il Dio dell’Onestà e la Regina degli Dei,
era stato convocato nello studio del suo Comandante, il generoso Marcantonio
dello Specchio, uno degli uomini dallo spirito più integro e dal cuore più
puro di Tirinto.
Appena entrato nella stanza, Neottolemo
si era inginocchiato di fronte al suo Comandante, prima di incrociare,
rialzandosi, lo sguardo di Penelope del Serpente. Anche se non aveva
potuto vederne gli occhi, Neottolemo aveva sentito che l’affascinante Sacerdotessa
lo stava fissando e subito si era chiesto il motivo di quel consiglio segreto.
L’Hero del Vascello venne incaricato di sollevarsi in
volo con la sua Nave e dirigersi verso Tebe, al di là del Canale di Corinto,
per informare la Legione dei Fiori della possibilità di un’imminente attacco.
“Ercole non ha ancora preso una
decisione! Ma noi dobbiamo essere pronti a tutto!” –Aveva esclamato la
Sacerdotessa del Serpente. E anche Marcantonio aveva annuito, pregando
Neottolemo di fare in fretta.
“Il Dio dell’Onestà ama troppo i suoi
Heroes per vederli rischiare la vita per lui! È probabile che non prenderà
neppure in considerazione l’ipotesi di convocarci per discuterne insieme, come
abbiamo fatto per ogni altra questione riguardante Tirinto
o i problemi delle popolazioni confinanti! È probabile che pensi di affrontare
Era da solo! Ma noi non lo abbonderemo in questa guerra che la Regina
dell’Olimpo vuole scatenare! Noi combatteremo! Ma per farlo dobbiamo unire
tutte le nostre forze!” –Aveva spiegato Marcantonio, con tono calmo ma deciso
al tempo stesso.
Neottolemo aveva eseguito gli ordini,
sollevandosi in volo con il suo splendido vascello: la Nave di Argo, così
l’aveva chiamata, dopo che Druso di Anteus, fabbro di
Tirinto, aveva terminato di sistemarla, in onore alla
mitica nave che aveva condotto gli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro,
nella Colchide. E Neottolemo, che di cultura greca
era imbevuto, e che amava viaggiare con la fantasia, oltre i confini del moderno
materialismo, aveva sempre sperato che un giorno anch’egli avrebbe potuto
veleggiare alla ricerca di qualche oggetto misterioso, perso all’alba dei
tempi, e che, con i suoi compagni, sarebbe potuto entrare nel mito.
Era giunto a Tebe nel mezzo della
battaglia che gli Heroes della Quinta Legione stavano disperatamente
conducendo, brontolando perché Era li aveva preceduti, inviando dei sicari per
massacrare la Legione dei Fiori. Dall’alto, nascosto tra le nuvole del cielo
plumbeo, aveva osservato il succedersi degli scontri, indeciso sul da farsi:
nel piazzale antistante la residenza degli Heroes, Tereo
di Amanita stava affrontando un uomo con una veste a strisce verdi e bianche,
dotato di una spaventosa energia cosmica, che nessun Hero,
neppure il suo Comandante, avrebbe potuto eguagliare. Dietro all’edificio
invece, nei verdeggianti prati curati da Ila del
Tulipano, altri Heroes stavano combattendo. E Neottolemo era rimasto
meravigliato quando aveva realizzato che i guerrieri di Ercole stavano lottando
tra di loro. Compagni contro compagni.
Aveva impiegato qualche minuto per
comprendere le fazioni di quello scontro confuso, non capendo il motivo alla
base di così tanta ostilità. Invece di unirsi per correre in aiuto del loro
Comandante in difficoltà, questi Heroes si stanno uccidendo a vicenda! Aveva
pensato, con sdegno, prima di uscire dal suo nascondiglio tra le nuvole e
planare verso terra, proiettando l’ombra della Nave di Argo sul terreno
sottostante.
A tale visione, alcuni Heroes della
Quinta Legione ebbero un moto di sgomento, altri di sorpresa, e approfittarono
della distrazione degli avversari per sferrare un attacco risolutivo. Paride
della Rosa intrappolò Pericle dell’Abete in un groviglio di rovi, evocato dalla
terra grazie al suo graffiante cosmo, affondando le acuminate spine nella corazza
e nella pelle dell’avversario, mentre Morfeus del
Papavero balzava alle spalle di Xenodicea della
Ciliegia per immobilizzarla con l’aroma del suo papavero. Fu Circe della
Mandragola, uno dei tre Heroes sopravvissuti al massacro ordinato da Partenope, ad avvicinarsi per primo alla Nave di Argo,
salutando con calore Neottolemo e ringraziandolo per il suo intervento.
“Che sta succedendo?” –Chiese
l’ufficiale della Seconda Legione. –“Perché state combattendo tra di voi? Non
sapete che il pericolo è alle porte del vostro tempio? Non avete sentito il
cosmo di Tereo e degli Heroes vostri compagni
indebolirsi, sopraffatti da un potere ancestrale?”
“Lo abbiamo sentito, nobile
Neottolemo!” –Esclamò Circe, inginocchiandosi di fronte all’Hero.
–“Ma non è stato per nostra volontà che questo indecoroso scontro tra uomini
che portano il nome di Eroi, per quanto di fatto non lo siano, ha avuto luogo! Xenodicea della Ciliegia e Pericle dell’Abete, assieme a Partenope del Melograno, ci hanno attaccato improvvisamente,
massacrando i nostri compagni!”
“Come?!” –Sgranò gli occhi Neottolemo,
spostando lo sguardo da Circe al triste paesaggio dietro di lui. Nel prato
erboso giacevano altri cadaveri, ammassati confusamente. Riconobbe quelli di
Kore del Cipresso e di Eurialo dell’Iris, ma il terzo
non riuscì a riconoscerlo, perché ad esso era stata asportata la testa.
Neottolemo volse lo sguardo, disgustato da un simile atto barbarico, commesso
per giunta all’interno dei confini di una residenza di Heroes di Ercole.
Chiunque si fosse macchiato di un simile delitto sarebbe stato marchiato a vita
con il segno dell’infamia.
“Dov’è Partenope
adesso?!”
“È corso via! Prima di lasciarci in
balia di Pericle e di Xenodicea, ha blaterato
qualcosa riguardo al suo trionfo, riguardo al compimento del suo piano
perfetto! “Argo dovrà inchinarsi di fronte a me e riconoscere la mia indiscussa
superiorità! Sono lo stratega perfetto! Il guerriero perfetto!” ha gridato,
prima di scomparire all’interno della residenza!”
Argo! Realizzò Neottolemo.
Ecco chi era l’uomo contro cui Tereo stava
combattendo! Il Sommo Sacerdote di Era! L’uomo più vicino alla Dea stessa,
secondo soltanto a lei!
“Dobbiamo andarcene da qui!” –Esclamò
di scatto Neottolemo, voltando le spalle agli Heroes e ritornando al suo
vascello. –“Dobbiamo rientrare immediatamente a Tirinto!
Ercole deve essere informato e le sue Legioni devono essere ricompattate il
prima possibile!”
“E gli altri?!” –Singhiozzò Circe, a
voce strozzata.
Lentamente, Neottolemo si voltò verso
di lui, sospirando, prima di pregarli di salire a bordo della Nave di Argo.
Erano gli unici tre Heroes sopravvissuti della Quinta Legione e avevano il
dovere di continuare a combattere, per il loro Dio e per i compagni caduti.
“Dobbiamo aiutare Tereo!”
–Incalzò Circe, esitante. –“Il suo cosmo sta per esplodere! Lo sento!”
“Credimi, guerriero della Mandragola,
per il tuo Comandante non vi è più niente che io o voi possiamo fare! Argo è un
nemico che va al di là di ogni nostra possibilità! Persino i nostri quattro cosmi
uniti assieme potrebbero non bastare! Ed Ercole non può permettersi, adesso,
altre sconfitte!” –Rispose Neottolemo, analizzando con lucidità la situazione.
–“Se anche Partenope si è unito ad Era, e ai suoi
guerrieri, la situazione è più grave del previsto! Dobbiamo tornare a Tirinto e informare Ercole!”
Circe, Paride e Morfeus
si scambiarono un’occhiata non troppo convinta, quindi decisero di rispettare
gli ordini di Neottolemo che, per quanto non fosse un membro della loro
Legione, era comunque un loro superiore. Salirono quindi a bordo della Nave di
Argo, trascinando il corpo inerme di Xenodicea della
Ciliegia con loro. La donna infatti aveva perso i sensi, intorpiditi dall’aver
inalato l’odore del Papavero Diabolico di Morfeus,
ma Neottolemo ritenne opportuno condurla a Tirinto,
debitamente neutralizzata, affinché Ercole potesse interrogarla e comprendere
qualcosa di più riguardo a questo tradimento improvviso.
“Era ha dunque dichiarato guerra al Dio
dell’Onestà?!” –Domandò Circe a Neottolemo, durante il viaggio di ritorno.
“Pare che non vi sia altro che la
Regina dell’Olimpo brami se non di umiliare il nostro Signore, vederlo cadere
nel fango come soltanto gli uomini sono capaci di fare, senza possibilità
alcuna di rialzarsi! Una volta che Ercole sarà stato sconfitto, accusato di
aver offeso e oltraggiato la Regina degli Dei, non sarà difficile per Era
chiedere la sua condanna al Sommo Zeus!” –Commentò Neottolemo. –“Perché
nient’altro darebbe ad Era una soddisfazione maggiore del vedere il Dio Ercole
ritornare uomo!”
“Quello che non capisco è il
comportamento di Partenope!” –Disse Morfeus. –“È sempre stato schivo, ma anche molto generoso e
leale nei confronti di Ercole! Che abbia finto per tutto questo tempo? Che
abbia ingannato il Dio e noi suoi compagni per tutti questi anni?”
“Non dimenticare le sue parole, Morfeus!” –Esclamò Paride, stizzoso, ricordando la frase
pronunciata da Partenope prima di lasciarli in balia
di Xenodicea e Pericle. –“Argo dovrà inchinarsi di
fronte a me e riconoscere la mia indiscussa superiorità! Sono lo stratega
perfetto! Il guerriero perfetto!” Ha parlato di strategia! Forse progettava
questo tradimento da tempo!”
“No, io non ci credo! Partenope non può aver tradito Ercole! Gli Heroes sono
degli Eroi, non dei traditori!” –Pianse il giovane guerriero con i capelli a
caschetto.
“Purtroppo, mio giovane amico, gli
Heroes rimangono comunque uomini, e come tali dotati della facoltà di
scegliere! E temo, ahimé, che Partenope
abbia scelto la via più semplice, la via per il lato oscuro!” –Commentò Circe,
poggiando un braccio sulla spalla tremante di Morfeus.
Neottolemo rimase silenzioso, mentre
guidava la Nave di Argo sopra il Canale di Corinto, quasi teso ad ascoltare il
vento. C’era battaglia ovunque, lo sentiva nella terra sotto di loro. Sembrava
che l’intera Grecia fosse precipitata nel Mondo Antico, ove creature da tempo
dimenticate erano uscite dal baratro dell’oblio per marciare contro le libere
genti. E c’era sangue. Tanto sangue. Neottolemo lo percepiva chiaramente. Gli Heroes
stavano combattendo in luoghi diversi e molti di loro già erano caduti.
Sospirò, aumentando l’andatura del Vascello Alato, fendendo le nuvole con la
prua, su cui era intagliata un’armoniosa figura femminile, che alcuni
consideravano Atena, Dea della Guerra e della Giustizia, alleata ed amica di
Ercole,e che altri consideravano
un’immagine angelica. In realtà, come Neottolemo amava ricordare, era soltanto
la donna che aveva amato un tempo, e che il mondo gli aveva portato via.
“Mio Signore!” –Lo chiamò Morfeus, distogliendolo dai suoi pensieri. –“Credo che
siamo quasi arrivati!” –Ed indicò la terra sotto di lui, che sembrava esplodere
a causa del violento scontro cosmico in atto. Neottolemo e i tre Heroes si
affacciarono al parapetto della Nave di Argo, nascosti tra le nuvole di quel
plumbeo pomeriggio, per osservare sconvolti la guerra in corso mille metri
sotto di loro: l’assedio di Tirinto era iniziato.
La fortezza di Ercole si ergeva
massiccia al centro di una vasta piana, circondata da altissime mura di spessa
roccia, che lo stesso Dio aveva innalzato, aiutato da Marcantonio, Polifemo, Nestore ed altri Heroes di quella che
bonariamente definiva “prima generazione”, per indicare il maggior legame, da
un punto di vista temporale, che li univa. Tutto attorno alle mura correva un
fossato, collegato ad un corso d’acqua vicino da una rete di canali progettata
dall’ingegnere ufficiale di Ercole, Marcantonio dello Specchio, la quale rete forniva
anche la riserva idrica degli abitanti della fortezza. Per superare l’ampio
fossato vi era un unico ponte levatoio, il Ponte di Ercole, sul lato rivolto a
Oriente, verso cui tutta l’intera fortezza era stata costruita, per un motivo
simbolico ben particolare.
“Ad Oriente sorge il Sole!” –Aveva
spiegato Ercole inaugurando i lavori di ricostruzione della città. –“E noi da
oggi sorgeremo assieme a lui, in questa nuova vita che io, Ercole, vi
prometto!”
Di fronte al Ponte di Ercole partiva
una lunga strada sterrata, sporadicamente circondata da alberi e cespugli in fiore,
che conduceva alla principale strada di collegamento con le città della costa.
Su quella strada solitamente transitavano i carri che portavano rifornimenti
alla città e fuori da essa, verso gli abitanti che vivevano nei campi e nelle
cittadine vicine. Ma adesso, degli alberi e dei cespugli in fiore, e dei carri
carichi di merci abbondanti, non era rimasto niente. Vi era soltanto la guerra,
che aveva travolto Tirinto, sollevando un’immensa
nube di polvere nera.
Neottolemo e gli Heroes della Quinta Legione
osservarono impressionati lo spiegamento di forze che Era aveva messo in campo.
Ben quattro Giganti di pietra, alti come le mura di Tirinto,
ruggivano sul terreno circostante, battendo i piedi e facendo tremare il suolo
per chilometri, lanciando pietre, alberi e quant’altro, contro la roccaforte di
Ercole. Assieme a loro, avvolto da un’aura cosmica possente, un uomo dominava
la scena dall’alto, svolazzando sul campo di battaglia, rivestito da una
splendida armatura dotata di ali arcobaleno. Lo scintillio del suo cosmo era
così abbagliante che gli Heroes convennero che fosse un Dio. Così come una
Divinità era certamente la donna che era al suo fianco.
Alta e snella, con corti capelli verdi,
Iris, Dea dell’Arcobaleno, affiancava Eolo, Signore dei Venti,
osservando con piacere il violento assalto che i Kouroi
stavano conducendo alla fortezza di Tirinto. E
assieme a loro volava il quarto figlio di Eos, Zefiro, Vento di Primavera.
Per quanto le mura fossero alte e robuste, e il cosmo di Ercole avvolgesse quella
città in una cinta protettiva, nel tentativo di respingere il male annidato al
di fuori di essa, Iris era certa che nel giro di qualche ora il Dio avrebbe
ceduto e le porte di Tirinto si sarebbero aperte,
come la sua Regina aveva ordinato avvenisse.
“Guardate là!” –Esclamò Circe,
indicando un gruppo di uomini di fronte al Ponte di Ercole. –“Sono Heroes!”
Neottolemo sgranò gli occhi, seguendo
la direzione in cui puntava il dito di Circe. Con amarezza, dovette ammettere
che il ragazzo aveva ragione. Ben quattro Heroes si ergevano di fronte alla
fortezza di Tirinto, avvolti dalle loro auree da
battaglia, e stavano usando tali poteri per sfondare le difese del Dio
dell’Onestà, tradendolo proprio come Partenope,
Pericle e Xenodicea avevano aggredito i loro compagni
a Tebe.
“Ificle della
Clava!” –Commentò Neottolemo con sdegno, riconoscendo il guerriero della Sesta
Legione. A fianco del gigantesco soldato, armato delle sue terribili clave, vi
erano Lamia dell’Amazzone, Efestione
di Erakles e Dinaste di Anteus, tre Heroes dalle ottime abilità guerriere. E questo
fece trasalire Neottolemo. –“Dobbiamo scendere!!! Adesso!” –Esclamò l’uomo,
rendendosi conto di quanto azzardata fosse quella manovra. Ma Neottolemo sapeva
che non vi era altro da fare, non vi era neanche un minuto da perdere.
In meno di un attimo, la Nave di Argo
sbucò dalle nuvole, mentre l’aura cosmica di Neottolemo del Vascello, dalle
scintillanti sfumature color verde acqua, la avvolgeva, rendendo quasi divina
tale apparizione. Tutti i contendenti sollevarono per un momento lo sguardo al
cielo, perdendosi nel rimirare le splendide vele del bastimento, tessute da Pasifae del Cancro, su cui risplendevano i simboli di
Ercole: una clava avvolta in un turbinio di stelle e intrecciata con un ramo
d’alloro. Sulla vela dell’albero maestro troneggiava un’immagine di profilo del
Dio, mentre le altre erano decorate con scene ispirate alle imprese giovanili
di Ercole, ormai entrate nella leggenda. Neottolemo ordinò ai tre giovani
Heroes di prepararsi alla battaglia, tirando fuori tutto il cosmo che sarebbero
stati capaci di produrre.
“Poveri stolti! Uscire così allo
scoperto, in questo cielo percorso da violente correnti d’aria, significa
condannarsi a morte!” –Esclamò Eolo, aprendo le braccia e muovendo le labbra,
quasi come se stesse inspirando. Quindi soffiò con tutta la forza che aveva in
corpo, smuovendo l’aria attorno a sé fino a creare una piccola tempesta che
scosse il cielo sopra Tirinto, frenando l’avanzata
della Nave di Argo e facendola sobbalzare.
“Non resisteremo a questa pressione
micidiale!!!” –Gridò Circe, tenendosi con forza al parapetto della nave,
assieme ai suoi compagni.
Ma Neottolemo, incurante degli strilli
di protesta dei tre giovani e della tempesta montante, reggeva il timone con perizia,
fendendo l’aria con la prua luminosa del suo vascello, che riusciva comunque a
farsi strada grazie alla potenza del suo cosmo. Quando giunse sopra la città di
Tirinto, a mezza strada tra la roccaforte di Ercole e
il Dio dei Venti, che si era sollevato in aria per portargli un nuovo attacco,
Neottolemo fermò il vascello, sollevando l’indice destro al cielo e radunando
tutto il suo cosmo. Immediatamente una scia di nuvole vorticò nell’aria
circostante, roteando attorno alla Nave di Argo e al suo esperto timoniere,
mentre, quasi fossero ali di aquila, le vele del vascello si inarcarono
improvvisamente, rilucendo nel sole del pomeriggio.
“Lasciaci passare, possente Eolo!
Neppure tu, che dei Venti sei Signore, puoi contrastare la Nave di Argo, che
solca onde maestose, spinta dalle ali del mito!” –Tuonò Neottolemo, con un tono
tale da irretire persino il Dio del Vento, che si ritrasse un poco. –“Le stelle
benigne ed il cielo degli eroi ci assistono in battaglia, come hanno assistito
ed osannato Ercole nel Mondo Antico! Perciò non fare questo torto a lui, tu che
da questa guerra non riceverai guadagno alcuno, bensì evitabili turbamenti!”
–Continuò Neottolemo, mentre la Nave si impennava nel cielo, avvolta in strati
di nubi e di polvere di stelle. –“È così poca l’ammirazione che provi per il
Dio dell’Onestà, l’unico che da millenni difende gli uomini e i loro interessi,
anziché perseguire i lussuriosi fasti dell’Olimpo?!”
A quelle parole, Eolo esitò, ritenendo
che fossero giuste. Quella guerra, tra Era e Ercole, non lo riguardava affatto,
ed egli, da buon vecchio padre, come era stato in vita sua, provava una
discreta ammirazione per un uomo che si era fatto da solo, che era riuscito ad
ascendere all’Olimpo grazie alle proprie forze. Ma la riconoscenza che provava
verso Era lo legava come un giuramento inscindibile, obbligandolo a chinare il
capo e a concentrare il cosmo per un possente attacco. Zefiro, il Vento
dell’Ovest, osservò il volto serio del padre adottivo, al cui fianco destro
sempre volava, e comprese i turbamenti del suo animo. Ma Iris, la Messaggera
degli Dei, fu più rapida di entrambi, sorpassando Eolo e Zefiro come una
sfrecciante cometa multicolore nel cielo sopra Tirinto
e dirigendosi verso la Nave di Argo, sulla cui poppa Neottolemo si ergeva impassibile,
avvolto nel suo lucente cosmo color verde acqua, dalle sfumature dorate.
“Ali del Mito!!” –Gridò infine,
prima che la Messaggera degli Dei raggiungesse il vascello. Immediatamente le
scie di nuvole e di polvere stellata si impennarono nel cielo, generando
un’onda d’urto che spinse Iris indietro di parecchi metri, fino a farla
strusciare sul terreno sottostante, presto raggiunta da Eolo e da Zefiro, anche
loro respinti dall’impetuoso turbinare del cosmo di Neottolemo. Tossendo, il
Dio dei Venti si rialzò, sollevando lo sguardo verso l’alto ed incrociando
quello, fermo e impassibile, colmo di orgogliosa determinazione, di volontà di
lottare per una causa giusta, dell’Hero di Ercole. Un
vero capitano in grado di condurre il proprio bastimento attraverso oceani in
tempesta!
Eolo sorrise, congratulandosi
mentalmente per l’assalto che l’uomo aveva portato, che, anche se non aveva
provocato a lui, Zefiro e Iris alcun danno fisico, aveva contribuito a minare
le loro convinzioni sulla rapidità della guerra. Se tutti gli Heroes hanno
la sua forza e la stessa luce di determinazione del capitano della Nave di
Argo, questa non sarà una guerra! Sarà una strage! Commentò profeticamente
Eolo, prima di librarsi nuovamente in volo, seguito da Iris.
In quello stesso momento riprese con
vigore l’assalto dei Kouroi contro le mura di Tirinto, accompagnato dai violenti attacchi energetici che Ificle della Clava e i tre Shadow
Heroes suoi compagni stavano lanciando contro il cosmo protettivo di Ercole,
che impediva loro di avanzare. Riflettendo su quella situazione di stallo, Dinaste di Antinous,
il più calcolatore del gruppo, percepì che nel cosmo di Ercole vi era qualcosa
di strano, di anomalo. Non era il cosmo aggressivo che avrebbero immaginato di
trovarsi di fronte, l’aura battagliera che il possente Dio aveva sempre
ostentato nelle mitologiche imprese, ma un cosmo pacato, difensivo, preoccupato
soltanto di proteggere Tirinto e tutti i suoi
abitanti. Stupidamente, Dinaste e gli altri Shadow Heroes ritennero che tale atteggiamento fosse dovuto
all’improvvisa paura che il Dio aveva iniziato a provare, per il tradimento di
molti suoi guerrieri e per la morte di altri, con conseguente diminuzione del
numero di Heroes impegnati nella difesa della città sacra. Ma non riuscirono
neppure lontanamente ad immaginare i turbamenti che si agitavano impetuosi
nell’animo del Dio dell’Onestà.
Ercole si era rinchiuso nel suo studio
fin dal ritorno dall’Olimpo e ne era uscito soltanto una volta, per richiamare
le Legioni ed assegnare un compito a ciascuna, limitandosi per il resto ad
accogliere Penelope del Serpente, sua fida Consigliera, e i tre Comandanti, e
più tardi Nesso del Pesce Soldato. Da allora nessuno lo aveva più incontrato,
neppure Penelope. Nessuno dei pochi Heroes presenti aveva avuto l’ardire di
disturbare le sue meditazioni. Ma né Penelope, né Marcantonio dello Specchio,
ebbero alcun dubbio su cosa preoccupava maggiormente il loro Signore. La
possibilità che i propri guerrieri perissero in uno scontro che, per quanto
Ercole avrebbe voluto evitarlo, lo coinvolgeva in prima persona, impegnandolo
contro Era come ai tempi del mito.
Fin
dai tempi del mito! Ripeté Ercole, chiuso nel suo studio. Aveva chiuso
le tende sulla grande terrazza rivolta ad Oriente, lasciando soltanto che
qualche candela accesa rischiarasse i suoi pensieri, ed era sprofondato sulla
robusta seggiola di legno che Polifemo del Ciclope
aveva intagliato per lui. Fin dai
tempi del mito mi perseguiti! Commentò Ercole, provando una rabbia
profonda nei confronti di Era, nei confronti di una donna che lo aveva sempre
disprezzato, considerandolo solo il frutto proibito di un errore del marito,
senza mai cercare di amarlo, senza mai cercare di comprenderlo. Il prodotto di
un atto di dolore che la Dea, dopo millenni, non aveva ancora dimenticato.
Ma Ercole sapeva che c’era di più. Che
Era non lo odiava soltanto per questo, bensì per la vita che aveva avuto. Per i
successi e i traguardi raggiunti, le grandi imprese che aveva compiuto e per
cui era stato celebrato dagli aedi e dai cantori di storie, per le odi che
erano state declamate in suo onore, per le rappresentazioni sceniche che
avevano invaso la Grecia, inneggiando al Dio dalla personalità umana, e infine
soprattutto per l’amore di cui gli uomini lo avevano sempre fatto oggetto. Un
amore puro e sincero, completamente disinteressato, nato dal genuino sentimento
che legava Ercole alla gente comune, lo stesso modo speciale e sereno di vivere
la vita, godendo pienamente di ogni occasione, aiutandosi l’un l’altro e
tenendosi per mano, in un immenso girotondo di anime.
Era non aveva mai avuto tutto
quell’amore che tanto disprezzava. La venerazione di cui era stata fatta
oggetto, soprattutto ad Argo e Micene, era una venerazione puramente
celebrativa, ove uomini e donne si inginocchiavano di fronte ai simulacri di
una Dea per ottenerne misericordia e protezione, soprattutto per quel che
concerne l’agricoltura e i raccolti. Era una venerazione di facciata, genuina
certamente, ma non difforme da quella che provavano gli uomini per il Dio del
Fulmine e per il Dio della Morte, per il Signore dei Venti e per l’imperatore
del Mare. Non era un sentimento profondo, un legame sentito per un’entità che
aveva condiviso con gli uomini le stesse gioie e gli stessi dolori, gli stessi
tormenti e sacrifici, al punto da legare assieme la sua natura umana e la sua
origine divina, in un’eccezionalità mai più ripetutasi.
Ercole aveva pena di Era, provava
compassione per una donna insicura, data in sposa ad un uomo che non l’aveva
mai considerata unica. Ad un uomo che non aveva esitato ad approfittare di ogni
goliardica occasione che la vita gli aveva offerto, anche se ciò significava
oltraggiare la Dea Madre, la Regina dell’Olimpo. Ma per quanto questo frenasse
la sua rabbia verso di lei, Ercole non poteva dimenticare tutto il male che le
aveva fatto, fin da quando, ancora in culla, aveva inviato due serpenti contro
di lui, per ucciderlo. E le battaglie che erano seguite, che avevano segnato la
sua adolescenza e la sua età adulta, portandolo spesso al delirio e alla
sofferenza.
“E questa non fa alcuna eccezione!”
–Esclamò Ercole, alzandosi di scatto dalla sedia di legno di noce. Il cosmo
congiunto di Ificle della Clava e degli altri Shadow Heroes, accompagnati da Eolo e da Iris, si schiantò
con veemenza contro la Porta Principale, nascosta dal Ponte di Ercole,
momentaneamente sollevato, e protetta dalla barriera cosmica che il Dio
dell’Onestà aveva eretto per proteggere gli Heroes rimasti all’interno di Tirinto e per dare tempo ad Alcione e alla Legione del Mare
di completare la missione assegnata loro: ritrovare la Lama degli Spiriti.
Poteva avere dei dubbi su come affrontare il pericolo rappresentato da Era, ma
al riguardo il Dio era certo che sarebbero riusciti nell’impresa. –“Hanno soltanto
bisogno di un po’ di tempo!”
Per questo motivo aveva giocato in
difesa fino a quel momento, permettendo agli Heroes rimasti all’interno di Tirinto di riorganizzarsi, seguendo le direttive di
Marcantonio dello Specchio, Comandante della Seconda Legione, nominato da
Ercole come guida per tutti gli Heroes. Ma adesso sentiva che la difesa non
bastava più. Che il gioco avrebbe dovuto proseguire andando avanti, uscendo al
di fuori delle fortificate mura di Tirinto e
affrontando a petto duro Era e i suoi sicari. Adesso che troppi Heroes si erano
spenti per lui, adesso che li aveva sentiti invocare il suo nome, prima di
scomparire nelle tenebre di Ade, adesso che altri in cui aveva riposto fiducia
lo avevano tradito.
Ercole strinse i pugni con rabbia, mortificato
dal tradimento di uomini che lui stesso aveva cresciuto, che lui stesso aveva
contribuito a formare. A diventare i suoi stessi carnefici. Fece per muoversi,
verso un’incavatura nel muro, ove giaceva riposta la Glory,
quando un’immensa luce, calda e abbagliante come il sole, filtrò dalle tende
dello studio, rischiarando l’intera fortezza. Ercole sospirò e comprese che il
tempo dei tentennamenti e delle eccessive riflessioni doveva dirsi concluso.
In quello stesso momento infatti
Neottolemo del Vascello respingeva l’assalto di Eolo e di Iris, lasciando che
le Ali del Mito travolgessero le due Divinità, senza però atterrarle
definitivamente. Ificle della Clava allora condusse
un rinnovato assalto contro la barriera protettiva, unendo il suo cosmo a quello
dei compagni, facendo sussultare per un momento l’intera fortezza di Tirinto tanta era la potenza che gli Shadow
Heroes stavano dimostrando, mentre folgori incandescenti dilaniavano il cielo,
elettrificando l’aria sopra la città. Lo scontro tra i due poteri generò
un’onda d’urto che fece barcollare persino la Nave di Argo, obbligando
Neottolemo a resistere con determinazione alla tempesta di energia.
L’assalto non aprì agli Shadow Heroes le porte di Tirinto,
ma fece barcollare la fiducia dei guerrieri di Ercole di resistere ad oltranza
senza mai affrontare direttamente i loro nemici, come il Dio dell’Onestà aveva
finora pianificato di agire. Prima che Ificle ed Eolo
potessero coordinare le forze per un rinnovato assalto congiunto, una violenta
esplosione di luce accecò tutti i presenti, obbligandoli a pararsi gli occhi
con un braccio. L’accecante onda di energia luminosa travolse gli Shadow Heroes, Zefiro, Eolo ed Iris, scaraventandoli
indietro di parecchi metri, e bloccò per un momento persino i meccanici passi
dei Kouroi, prima che il bagliore diminuisse,
rivelando un uomo, seduto in posa meditativa, sospeso nel cielo sopra l’alta
torre di Tirinto.
Dinaste ed Ificle, rialzatisi immediatamente, non nascosero parole di
preoccupazione nel riconoscere l’uomo dai lunghi capelli scuri, ombrati di
verde, che fluttuava nel cielo senza battere ciglio. Uno dei compagni della
Legione che avevano tradito. L’unico, assieme a Druso il fabbro, che non aveva
lasciato Tirinto quando Ercole, qualche ora prima,
aveva ordinato a Chirone e ai suoi Heroes di fermare
l’avanzata dei Kouroi a sud. Con il cosmo concentrato
tra le mani, e i sensi tesi alla massima concentrazione, Tiresia
dell’Altare era appena entrato sul campo di battaglia.
Dopo che
quella stessa mattina Ercole aveva assegnato ad ogni Legione il proprio
compito, erano rimasti pochi Heroes all’interno della fortezza di Tirinto. L’intera Prima Legione, guidata da Adone
dell’Uccello del Paradiso, era infatti stata inviata a fermare l’avanzata dei Kouroi a nord della città, mentre la Sesta aveva marciato
verso sud, lasciando soltanto due uomini a Tirinto: Tiresia dell’Altare e Druso di Anteus.
La Quinta Legione era di stanza a Tebe, mentre la Terza, guidata da Alcione
della Piovra, operava da anni nel Mediterraneo, e soltanto Anfitrione del
Camoscio, cuoco di corte, e Artemidoro della Renna, maggiordomo
del Dio dell’Onestà, non avevano raggiunto Spinalonga,
rimanendo a Tirinto.
“A
questi quattro Heroes dobbiamo sommare la Consigliera di Ercole, Penelope del
Serpente, Teseo del Camaleonte, rientrato in seguito alla sconfitta subita a
Micene, e altri tre guerrieri della Quarta Legione che non hanno seguito
Nestore, ovvero Opi della Lepre, Dione
del Toro e Polissena della Strega!” –Aveva esclamato Polifemo del Ciclope, presentando la
situazione al suo Comandante, il valoroso Marcantonio dello Specchio.
–“Aggiungendo i quattordici Heroes al vostro diretto comando, a Tirinto risiedono attualmente ventiquattro guerrieri!”
“Ventitrè!” –Aveva precisato Marcantonio con un sorriso,
ricordando che Neottolemo del Vascello era stato
inviato a Tebe per condurre qua la Legione dei Fiori. –“Mi chiedo per quale
motivo Dione, Opi e Polissena non abbiano seguito Nestore a Micene!”
“Pare
che sia stato lo stesso Nestore a chiedere a Polissena
di rimanere a Tirinto! I poteri psichici del
guerriero, secondo il Comandante della Quarta Legione, sarebbero stati meno
utili di solide braccia contro i Giganti di Pietra!” –Aveva spiegato Polifemo.
“Tipico
di Nestore dell’Orso!” –Aveva ironizzato Marcantonio. –“Credere che i
combattimenti debbano svolgersi per forza corpo contro corpo! D’altronde, il
mio vecchio amico ha sempre prediletto gli scontri fisici!” –E aveva ricordato
per un momento il loro intenso allenamento, gli anni in cui avevano sudato per
modellare il loro fisico e per sviluppare il cosmo latente dentro sé, sotto
l’attenta guida del Dio dell’Onestà.
Marcantonio,
Nestore, Polifemo, Agamennone, Druso, Chirone, Neottolemo, Diomede e
Aureliano erano gli Heroes di Prima Generazione, uomini cresciuti letteralmente
a fianco di Ercole, da lui addestrati a diventare uomini, prima ancora che
Cavalieri. Prima ancora che Ercole decidesse di rifondare la città di Tirinto e istituire il corpo guerriero degli Heroes, i
Cavalieri al suo diretto servizio. Quando ancora Ercole viveva nei boschi,
cacciando la selvaggina a mani nude, abbeverandosi alle fresche fonti dei
ruscelli, dopo aver abbandonato l’Olimpo, stufo degli eccessivi fasti e del sapore
stordente dell’ambrosia, che mai lo aveva affascinato. L’unico nettare della
sua vita era l’esperienza, quella vera, che forgia gli uomini nel carattere e
tempra il loro spirito, preparandoli alla prima battaglia, quella che avviene
all’interno del loro animo, quella che permette loro di comprendere chi sono e
cosa vogliono ottenere dalla vita.
“Superata
quella…” –Amava ripetere Ercole nelle conversazioni
notturne attorno al fuoco di bivacco. –“…la via è
tutta in discesa!”
Era
stato il caso che li aveva fatti incontrare. Nestore, Polifemo
e gli altri erano figli di contadini o di allevatori delle regioni attorno ad
Argo e Micene, attratti da avventure da vivere in luoghi esotici e lontani,
cavalcando le onde del mito che, pareva a loro, presto sarebbero tornare a
sollevarsi. Marcantonio era figlio di una famiglia nobile, ma condivideva gli
stessi sogni degli amici, gli stessi ideali da inseguire. Ercole aveva esaudito
i loro desideri, portandoli via con sé, a vivere nei boschi e nelle radure
dell’interno, a cacciare animali solo per la sopravvivenza, mai per il gusto
omicida nel farlo, ad imparare a conoscere la natura attorno a loro, vivendo in
armonia con essa e cercando di ottenerne il massimo sfruttandola al minimo. Ne
aveva fatto degli uomini, forgiando i loro caratteri e dando un senso alle loro
vite, destinate a qualcosa di più significativo che non spingere l’aratro nei
vasti campi dietro casa.
“Presto
fonderemo la nostra casa! La casa di tutti noi!” –Aveva detto un giorno Ercole
ai suoi compagni. –“E ne faremo una grande corte, dove vivremo in armonia,
mettendo i nostri poteri, le nostre abilità, il nostro sapere, a disposizione
degli uomini! Ho già scelto il luogo dove fondare la nostrà
città! A Tirinto!”
Ed
erano iniziati i lavori di costruzione della fortezza, che avevano attirato l’attenzione
di molti, sia da regioni vicine che lontane, spingendo giovani e meno giovani,
persino donne, a lasciare le loro case per recarsi a Tirinto,
per osservare l’edificazione di quello che, agli occhi della gente comune,
sembrava davvero un nuovo mondo. Ercole aveva accolto tutti, senza distinzione
alcuna, considerando ogni uomo, donna o bambino che si era presentato alla sua
corte con lo stesso valore, dando ad ognuno la stessa attenzione che
meritavano. Quindi erano nati gli Heroes, le sei Legioni di Eroi che il Dio
avrebbe guidato, per portare onestà e giustizia in un mondo ove le tenebre
parevano continuamente strisciare fuori da abissi dimenticati, ove l’odio dei
popoli e degli Dei continuava ad essere covato, non essendovi abbastanza amore
per cancellarlo.
“Dobbiamo
imparare ad amarci, prima che scenda la notte!” –Aveva esclamato Ercole il
giorno della fondazione delle Legioni di Heroes, dispensando consigli ai vari
membri, che non riusciva a vedere come soldati ai suoi ordini, ma come amici,
come compagni con cui aveva condiviso un percorso. Con cui aveva condiviso
emozioni che da tempo il suo cuore, abituatosi agli smielosi
agi dell’Olimpo, non aveva più provato.
Marcantonio
ricordava con piacere i giorni del loro addestramento, delle fatiche fisiche a
cui Ercole li aveva sottoposti, non lesinando lezioni e nozioni di cultura
generale, sulle storie delle antiche civiltà, sulle lingue e sull’astronomia,
sui segreti ancestrali custoditi nel cosmo celato dentro ognuno di loro. Ercole
era convinto che esistesse un Eroe dentro ognuno di noi! E ha passato la vita
per permetterci di tirarlo fuori, di mostrarlo al mondo, senza mai ostentarlo!
Aveva riflettuto Marcantonio, programmando la strategia difensiva di Tirinto assieme a Polifemo, il
suo più stretto collaboratore. Quale momento migliore di questo? Quale
occasione migliore che non la difesa della nostra casa, della terra che noi
abbiamo costruito, tra fatica e sudore?!
Lo
scuotersi della terra sotto i loro piedi aveva fatto comprendere a Marcantonio
e a Polifemo che i Kouroi
erano arrivati, che il momento tanto temuto era infine giunto. Adone, Nestore e
Chirone dovevano aver fallito e non essere riusciti a
fermare la loro avanzata. Dopo aver osservato attonito un potente pugno di
energia, scagliato dal piazzale principale di Tirinto
da Polifemo del Ciclope, sfaldarsi come acqua sul
robusto petto del Gigante di Pietra, Marcantonio aveva compreso anche il motivo
del loro fallimento: l’impossibilità di ferire i Kouroi,
che obbligava gli Heroes di Ercole a giocare momentaneamente in difesa.
Ciò
che Marcantonio non aveva potuto prevedere era stato il tradimento di alcuni
Heroes, guidati dal robusto e rozzo Ificle
della Clava. Il modo sarcastico con cui Ificle lo
aveva sbeffeggiato, chiamandolo a gran voce dall’altro lato del fossato fuori Tirinto e definendolo un “vigliacco che si fa scudo di
quattro mura di pietra per evitare uno scontro in cui sa di perdere”, lo aveva
offeso, ma Marcantonio aveva tanta potenza nel suo cosmo quanto calma e
signorilità, e questo suo carattere composto gli aveva permesso di non reagire
istintivamente alle ingiurie del compagno traditore, lasciando che continuasse
con i suoi sproloqui dissennati. In fretta, Marcantonio aveva radunato gli
Heroes rimasti, indicando loro come disporsi lungo la cerchia muraria della
fortezza. Il cosmo di Ercole li avrebbe protetti per un po’, impedendo ai
violenti assalti dei Kouroi, degli Shadow Heroes e delle Divinità che li supportavano, di
raggiungerli.
“Ma la
barriera non durerà in eterno! Ercole certamente si stancherà e allora dovremo
combattere!” –Aveva esclamato il Comandante della Seconda Legione, incitando i
suoi compagni, e gli altri Heroes rimasti, a non arretrare mai, neanche di
fronte ad un nemico superiore. –“La viltà non vi sia amica, bensì la forza
delle stelle, che sgorga dal profondo del vostro animo!”
Adesso
era in piedi di fronte al Portone Principale, su cui era scolpita una clava
cinta da una corona d’alloro, simboli di potenza e di vittoria, con Polifemo del Ciclope al fianco destro e Arcadio
della Corona Reale al fianco sinistro, la sua guardia del corpo e il suo
tattico stratega, entrambi con il cosmo ardente e desideroso di esplodere in
una battaglia frontale. I rimanenti undici Heroes della Seconda Legione erano
distribuiti alle sue spalle e sui lati della cinta muraria, accompagnati dai
guerrieri rimasti delle altre legioni, che non avevano avuto alcun problema ad
accettare l’autorità di Marcantonio, considerato da molti come il vero erede di
Ercole, degno di comandare l’intera sua armata.
L’esplodere
improvviso del cosmo di Tiresia dell’Altare
prese Marcantonio di sorpresa, poiché con tale gesto l’Hero
aveva violato un suo diretto ordine, proveniente da Ercole stesso, che vietava
per il momento qualsiasi gesto offensivo personale. Ma Marcantonio non faticò
molto per comprendere che l’atto di Tiresia era stato
necessario per permettere a Neottolemo del
Vascello di liberarsi della prigionia di Eolo, Iris e Zefiro, superare la
barriera protettiva di Ercole ed entrare a Tirinto,
atterrando nel piazzale principale della fortezza al timone della Nave di Argo.
“Neottolemo!” –Esclamò il Comandante, correndo incontro
all’amico, seguito da Arcadio e da Polifemo. –“Solo questi?!” –Sospirò con dispiacere,
incontrando lo sguardo di Paride, Circe e Morfeus.
“Sono
i sopravvissuti della Legione dei Fiori!” –Commentò Neottolemo.
–“Un grave evento ha sconvolto Tebe ed ha macchiato la storia e l’onore delle
Legioni di Ercole! Un tradimento!”
“Un altro?!”
–Rispose Marcantonio, chiedendo a Neottolemo e a i
tre superstiti di raccontargli l’accaduto nella sua interezza. Quindi si toccò
il pizzetto con aria sospettosa, prima di rivolgersi ai presenti con un tono di
voce basso. –“Un tradimento nella Quinta Legione, un altro nella Sesta, come
possiamo sentire dal cosmo ostile di Ificle che cerca
di distruggere queste mura! E Nestore e Adone non sono ancora rientrati!”
“Temete
che anche qua, a Tirinto, possa verificarsi una tale
possibilità?!” –Esclamò Arcadio della Corona Reale,
sgranando gli occhi, sconvolto da una simile eventualità.
Marcantonio
sollevò l’indice di fronte al naso, pregandolo di fare silenzio. Erano soltanto
sette i presenti, ma al Comandante sembrò di percepire decine di orecchi e di
occhi indagatori puntare su di loro. Con un profondo dispiacere per una simile
eventualità, passò in rassegna mentalmente i guerrieri della propria Legione.
Li conosceva tutti personalmente, avendo seguito parte del loro addestramento,
e aveva dimostrato fiducia anche per gli Heroes nominati in seguito, nonostante
non fossero stati allenati a Tirinto o da Ercole. Ma,
da Comandante prudente ed efficiente quale era, aveva il dovere morale di
vagliare l’ipotesi di un tradimento anche all’interno delle proprie fila.
“Se
persino Partenope, che aveva sempre dimostrato
affetto per Ercole, ascoltando ciecamente i suoi consigli, è riuscito a
dissimulare per tutti questi anni il suo legame di appartenenza ad Era, chissà
quanti altri potrebbero aver fatto lo stesso?!” –Si domandò il Comandante,
prima che una nuova esplosione cosmica lo rubasse ai suoi pensieri.
“Hai
imparato bene la lezione!” –Commentò una voce, proveniente dall’interno della
rocca di Tirinto. Telemaco del Telescopio, uno
degli Heroes della Seconda Legione, stava spiando il suo Comandante da un
pertugio nel muro, leggendo i movimenti labiali della sua bocca, per
comprendere il senso del discorso che non riusciva ad udire, a causa del
frastuono degli scontri all’esterno.
“Quali
nuove?!” –Domandò Entelide del Microscopio,
in piedi accanto a lui.
Suo fratello
sollevò la visiera dell’elmo, esprimendo ad Entelide
i suoi dubbi riguardo a Marcantonio. Le lenti speciali di cui era composta la
visiera gli permettevano di ingrandire le immagini che vedeva, riuscendo persino
a leggere i movimenti delle labbra delle persone.
“Marcantonio
ha ripreso il suo posto, assieme a Neottolemo e a Polifemo, di fronte al Portone Principale, quasi come se si
aspettasse di vederlo crollare tra pochi istanti e di ritrovarsi gli occhi
indemoniati di Ificle a fissarlo con rabbia!” –Spiegò
Telemaco.
“Non
dubito che questo accadrà tra breve! Ma l’intervento di Tiresia
mi ha spiazzato! Credevo che l’ordine di non intervento di Ercole avrebbe
impedito a chiunque di agire!” –Esclamò Entelide.
“Questo
allora può significare una cosa soltanto! Il piano deve scattare adesso!”
–Esclamò una voce decisa, raggiungendo i due fratelli nella stanza, quella del terzo
dei tre traditori della Seconda Legione.
Senza
aggiungere altro, Euristeo di Reticulum
fece strada ai due guerrieri suoi compagni, scendendo in fretta le scale
interne della fortezza, prima di sbucare nella piccola corte sul retro. Sul
lato rivolto a nord, lungo il muro di cinta, vi era un’enorme grata che serviva
a bloccare il passaggio sul canale che scorreva all’interno di Tirinto, e che forniva acqua alla città. Marcantonio, per
paura che qualche nemico si servisse dal canale per penetrare all’interno della
fortezza, aveva ordinato a due guerrieri della sua legione di controllarlo a
vista, impedendo a chiunque di avvicinarsi.
“Fermatevi!”
–Esclamò Sidone di Augia,
rivolgendosi ai tre guerrieri che correvano verso di lui. –“Marcantonio ha
vietato a chiunque di avvicinarsi, anche ai nostri compagni!”
“Oh,
bene!” –Sogghignò Reticulum, spostando lo sguardo
verso Telemaco e Entelide, che sorridevano
maliziosamente ai suoi lati. –“Allora questa regola non vale per noi, che non
siamo affatto vostri compagni!” –E sollevò entrambe le braccia al cielo,
caricandole del proprio cosmo scintillante di riflessi blu.
“Co..
come?!” –Ripeterono Sidone di Augia
e il suo compagno, Astrea di Polophilax,
stupiti da tale improvvisa ostilità manifesta. Ma non riuscirono ad aggiungere
altro che vennero travolti da un reticolato di energia, generato da Euristeo, che aveva abbassato le braccia, liberando due
fendenti che si erano moltiplicati in migliaia di altri, sfrecciando
orizzontalmente e verticalmente verso i due Heroes, tranciando le loro
protezioni e le loro carni, fino a farli stramazzare al suolo in un lago di
sangue.
“Possiamo
procedere, adesso!” –Disse Euristeo, abbandonandosi
ad una risata compiaciuta. Ricordava ancora con piacere il giorno in cui si era
presentato ad Ercole, affinché lo ammettesse all’addestramento per divenire uno
dei suoi Heroes, e l’espressione sgomenta del Dio quando il ragazzo aveva
pronunciato il nome che tanto detestava, il nome che tanto gli ricordava un
passato che gli aveva indubbiamente dato gloria, ma portato anche altrettanto
dolore e pazzia: Euristeo.
L’Hero del Reticulum sogghignò,
fiero di aver scelto quel nome quando si era presentato a Tirinto,
mettendo da parte il suo passato e le sue vere origini, prive ormai di
importanza. In quel momento infatti, dopo anni passati a nascondersi nelle
colline intorno ad Argo, insieme ad un gruppo di briganti di cui faceva parte,
non avrebbe più avuto bisogno di nascondersi né di rubare. In quel momento
aveva accettato l’offerta di Partenope, Emissario di
Era, ricevendo in cambio la promessa di onori e tesori futuri, che aveva acceso
notevolmente la sua brama di potere. E adesso, aprendo le porte laterali agli
invasori di Tirinto, Euristeo
aveva la possibilità di portare a compimento il suo progetto sovversivo.
In
fondo, si disse sollevando nuovamente le braccia per dirigere due fendenti
di energia contro la grande grata sul canale di scolo, non ho legami con
questa città! Ho vissuto per anni come un brigante, rubando e depredando uomini
e villaggi, per avere cibo e danaro! Cosa significa per me questa fortezza? È
uno dei tanti luoghi in cui ho riposato le mie stanche membra! Niente di più!
Ma esitò un momento, prima di colpire con forza la grata del canale, quasi come
non fosse completamente convinto dell’esattezza delle sue parole.
Quell’esitazione fu però fatale alla riuscita del suo piano.
In quel
momento infatti Telemaco ed Entelide, alle sue
spalle, caddero a terra, emettendo un suono soffocato, quasi qualcuno li avesse
infatti privati del respiro. Si accasciarono, portandosi una mano al cuore,
prima di ritirarla macchiata di sangue. Rantolarono per qualche secondo sul
terreno sabbioso, abbandonati ad una lenta agonia, prima di spirare. Euristeo fissò sconvolto i loro corpi, notando un sottile
foro all’altezza del cuore, da cui proveniva una luce dorata che sembrava aver
trapassato l’intera cassa toracica dalla schiena. Spaventato, l’Hero del Reticulum sollevò lo
sguardo verso la fortezza di Tirinto, dalla cui
uscita posteriore pochi minuti prima Euristeo,
Telemaco ed Entelide erano passati, ed incontrò lo
sguardo accusatorio di Leonida della Spada, uno dei suoi compagni della
Seconda Legione.
Bello,
alto ed elegante, con l’Armatura della Spada ornata da un delicato mantello di
seta purpurea, Leonida si avvicinò di qualche passo ad Euristeo,
fissandolo con aria sdegnata e piena di disapprovazione, mentre l’indice destro
della sua mano ancora brillava di un’accecante luce dorata.
“Hai
tradito la fiducia del nostro Signore, schernendolo con un nome che tanto
dolore rievoca ogni volta che lo udisce! Hai ucciso
due miei compagni, ferendoli nel pieno svolgimento delle loro mansioni
difensive! E adesso vorresti aprire le porte di Tirinto,
vanificando gli sforzi fatti da Ercole e da tutti noi per dare vita a questa
colonia di felicità, che tanto affetto ha recato al cuore delle povere genti
che vivono qua attorno?” –Esclamò con voce leggera ma decisa l’Hero della Spada, puntando l’indice destro contro Euristeo. –“Per quanto detesti l’eventualità di un
combattimento contro un uomo che ho considerato un compagno fino a pochi minuti
or sono, l’ineluttabilità di questo gesto è quanto mai necessaria!” –Aggiunse,
prima di dirigere un sottile, ma potente, raggio di luce contro il corpo di Euristeo.
L’Hero del Reticulum fu agile a
balzare di lato, piroettando sul terreno sabbioso, fino a portarsi di lato a
Leonida, il cui volto sembrava non esprimere alcun moto di sorpresa o di
stupore, abituato alle agili acrobazie del compagno. Convinto di non aver
riportato danno alcuno, Euristeo espanse il proprio
cosmo, sollevando il braccio destro, ma non appena fece per caricare il proprio
assalto sentì una fitta allucinante al fianco sinistro. Toccandosi, notò che
nella parte del corpo non protetta dall’Armatura, tra il pettorale e la
cintura, il sangue sgorgava fuori copioso da un foro sulla sua pelle, sottile
ma profondo.
“Maledizione!!!
Credevo di aver evitato il suo assalto!” –Esclamò Euristeo,
cercando di rimettersi in piedi, per quanto il dolore al fianco lo infiammasse.
Senza perdersi d’animo, l’Hero traditore sollevò il
braccio destro al cielo, caricandolo di energia cosmica, prima di abbassarlo di
colpo, generando un fendente che sfrecciò nel suolo arido della corte,
moltiplicandosi in infinite copie fino a creare un fitto reticolato di energia.
–“Non riuscirai ad evitarlo, Leonida! I raggi energetici da me generati formano
una gabbia mortale, poiché sfrecciano in ogni direzione, fuori da ogni
schematismo! È impossibile soltanto pensare di….” –Ma
le parole gli morirono in bocca quando vide Leonida lanciarsi a capofitto
all’interno del reticolato di energia, sfrecciando nella fitta gabbia, evitando
tutti i raggi che Euristeo dirigeva contro di lui,
fino a portarsi ad un metro dall’Hero traditore, di
fronte ai suoi occhi sconvolti e sconcertati per l’abilità e l’agilità
dimostrate.
Senz’altro
aggiungere, Leonida puntò l’indice verso la cintura di Euristeo,
liberando un nuovo sottile ma preciso raggio di energia cosmica, che trafisse
l’uomo nel basso ventre, distruggendo la gemma di smeraldo che decorava la sua
corazza e facendolo accasciare al suolo, con le mani sulla ferita che
sanguinava copiosamente.
“Quante
volte ancora dovrò colpirti, Euristeo?!” –Domandò
Leonida con voce flemmatica, osservando il vecchio compagno barcollare,
macchiando di sangue il polveroso suolo della corte. –“Vuoi scontare fino in
fondo la tua colpa o preferisci una morte rapida e violenta?”
“Non ho
nessuna colpa, Leonida, se non quella che mi potrà essere imputata se non
riuscirò a vincerti!” –Esclamò rabbioso Euristeo, con
gli occhi infuocati di brace, lanciandosi contro Leonida, ma l’Hero della Spada, senza proferir parola, puntò nuovamente
l’indice contro di lui, colpendolo con ben quattro raggi di energia in un colpo
solo.
“Croce
della Lama!” –Ordinò, mentre Euristeo veniva
spinto indietro, fino a sbattere contro il muro di cinta, crocifisso ad esso da
quattro raggi energetici che lo avevano raggiunto alle caviglie e ai polsi.
–“Meriti di languire in croce come un martire! Tale è la punizione che dovrebbe
spettarti, traditore del tuo Dio e dei tuoi compagni!” –Sentenziò Leonida,
rivelando per la prima volta una passione sdegnata. –“Ma sarà Ercole a
condannarti, giudice supremo delle vite dei suoi Heroes! Ti lasciò così,
crocifisso e umiliato per le tue colpe, a languire sotto il pallido sole di Tirinto, ad osservare il tuo stesso sangue scivolare via,
finché avrai la forza per mantenerti in vita!” –E si mosse per andarsene,
abbandonando Euristeo in quella posa soffocante.
“A… aspetta.. Leonida!!!” –Gridò Euristeo,
bruciando il suo cosmo al massimo, che si accese di violente sfumature
rossastre, attirando l’attenzione di Leonida, che frenò i suoi passi,
voltandosi ad osservare il disperato sforzo dell’Hero
del Reticulum. Espandendo il suo cosmo al massimo, Euristeo sforzò i propri muscoli oltre ogni limite, fino a
strappare i chiodi di energia che lo avevano crocifisso e a ricadere a terra,
in una pozza di sangue.
“Se tutte
queste energie tu le avessi impegnate al servizio del bene e del Dio che ha
riposto fiducia in te…” –Commentò Leonida, con un
sospiro, prima di sollevare nuovamente l’indice destro verso di lui. –“Peccato,
adesso è tardi per i ripensamenti! Adesso è tardi per tutto!”
Ma prima che
potesse colpire il corpo esanime di Euristeo, a terra
di fronte a lui, Leonida venne raggiunto in pieno collo da un attacco
improvviso. Due piedi agili e scattanti lo avevano centrato in pieno,
scaraventandolo contro il muro poco distante, facendogli sbattere la testa, non
riparata dall’elmo, mentre una snella figura, con i fluttuanti capelli verdi,
atterrava sul selciato.
“Immobilizzalo,
Dione!” –Esclamò una decisa voce di donna, mentre la
corpulenta figura di Dione del Toro si
faceva largo dietro di lei, avvicinandosi a Leonida e colpendolo sulla testa
con un secco pugno. –“Vuoi restare a terra per sempre, Reticolo, o credi di
essere in grado di rialzarti da solo?!”
“Opi della Lepre!” –Ringhiò Euristeo,
rialzandosi e sputando sangue. –“Non avevo bisogno del tuo intervento! Me la
sarei sbrigata da solo!”
“Può darsi!
Ma se non fosse stato per noi a quest’ora Leonida ti avrebbe ucciso e il piano
della Regina degli Dei sarebbe fallito! Non siamo intervenuti per proteggere
te, della cui vita poco m’importa, ma per garantire il successo della
missione!” –Precisò tagliente Opi della
Lepre, ordinando a Dione di gettarsi nel canale e
distruggere l’enorme grata protettiva, così da aprire un varco ai loro alleati.
“Lo tratti
proprio come un burattino!” –Commentò Euristeo.
“Così devono
essere trattati gli uomini!” –Rispose Opi della
Lepre. –“La mia maestra, la possente Boopis, Sacra Vacca
di Era, mi ha insegnato a non fidarmi di alcun uomo, ma solo di me stessa e
della natura, madre misericordiosa e regina terribile, dentro la quale trovare
rifugio e consolazione dai dolori del mondo attuale e forza per combattere!”
“Hai
avuto una vacca come maestra!” –Ironizzò Euristeo,
prima di scoppiare in una risata sghignazzante. Ma Opi
lo redarguì all’istante, balzando contro di lui a piedi uniti e colpendolo in
pieno petto, fino a scagliarlo contro il muro laterale.
“Non
permetto a nessuno di prendersi gioco della mia maestra, Sacro Emissario di
Era, tanto meno ad un brigante!” –Esclamò Opi,
incitando Dione a distruggere tutto. –“Sbrigati,
stupido bestione! La tua indolenza vanifica i miei sforzi!”
“Opi!” –Esclamò Dione, con voce
titubante, afferrando le sbarre di ferro della grata. –“Credi davvero che
stiamo facendo la cosa giusta?!”
“Dione! Come osi rifiutare i miei ordini? Essi provengono
dalla Divina Era, a cui tu stesso hai giurato fedeltà!” –Esclamò Opi, irata.
“Questo
è vero, ho giurato fedeltà ad Era! Ma è stato molto prima di scoprire le
meraviglie di questa città, e l’amore che Ercole è stato in grado di donare a
tutti noi!” –Disse Dione, in piena crisi di
coscienza. –“In fondo, eravamo degli sconosciuti, ma lui ci ha accolto a braccia
aperte, donandoci un letto su cui dormire e cibo caldo per rifocillarci! Ci ha
ospitato a Tirinto senza farci domande, come esuli di
città lontane, e ci ha accettato nelle sue Legioni, premiando i nostri sforzi
per farne parte! Non lo ritengo in fondo quel mostro di cattiveria che Era ci
aveva descritto!”
Opi non rispose, ringhiando rabbiosa sotto la maschera
argentata che le copriva il volto. Saltò in alto, lanciandosi su Dione a piedi uniti e colpendo il corpulento guerriero
all’altezza del collo, facendolo crollare all’indietro, nel canale di scolo,
mentre la donna balzava nuovamente a terra, disgustata da una simile indolenza.
“Che
ti serva da lezione!” –Commentò Opi, mentre Dione si rimetteva in piedi, cercando di avvicinarsi al
bordo del canale. –“Era non accetta traditori tra le fila dei suoi guerrieri?!”
“Ed
Ercole dovrebbe farlo?” –Domandò Dione del Toro,
soffocando un singhiozzo.
“Ben
detto, Dione del Toro! La tua onestà sarà premiata da
Ercole, che riconoscerà i tuoi peccati, annullandoli!” –Esclamò la voce di
Leonida della Spada, che si stava rimettendo in piedi a fatica. Gli doleva la
testa, e chiazze di sangue avevano macchiato i suoi capelli e il suo mantello
di seta, ma aveva le idee abbastanza chiare sulla situazione.
“Resta
a terra, Leonida! Non obbligarmi ad umiliarti ancora, abbattendoti con la mia
indiscussa agilità!” –Affermò Opi, bruciando il
proprio cosmo. –“Sono la Lepre Oscura, agile e ostile!” –E si lanciò contro l’Hero della Spada, con le gambe tese avanti a sé, per
colpirlo al collo come aveva fatto poco prima a sorpresa.
Ma
Leonida, che aveva imparato il trucco, non si fece sorprendere nuovamente,
limitandosi a scansarsi di lato, più veloce di lei, e a colpire la donna al
seno con un sottile raggio di energia scatenato dal suo indice destro. Opi della Lepre venne scaraventata indietro, da tanta
inaspettata violenza, fino ai margini del canale di scolo, prima di accasciarsi
a terra, tenendosi il petto in fiamme, da cui fiotti di sangue uscivano
copiosi, e gridando di rabbia e di dolore.
“Hai
visto Dione? La guerra porta soltanto sofferenza e
morte!” –Esclamò Leonida, con voce decisa e nobile. –“Per questo dobbiamo
combattere, per evitare che questo affamato spettro ritorni nuovamente a
sorvolare i confini della nostra bella terra! Ercole a nient’altro anela se non
a esportare onestà e giustizia nel mondo! Se tu vuoi condividere questo
messaggio di pace con noi, sarai sempre il benvenuto!”
Non
riuscì ad aggiungere altro che dovette fronteggiare l’assalto congiunto di Opi della Lepre, che balzò su di lui a gambe tese, e di Euristeo di Reticulum, che aveva
scagliato un violento fendente di energia, subito moltiplicatosi in migliaia di
altri. Con abilità e destrezza, Leonida schivò l’assalto di Opi,
afferrandola per le orecchie della sua Armatura della Lepre e gettandola
d’istinto contro il reticolato di energia di Euristeo,
su cui il corpo di Opi si infranse con un grido
disperato, venendo lacerato all’istante e precipitando a terra in un’atroce
pozza di sangue.
“È
così che muoiono i traditori!” –Commentò Leonida con amarezza, prima di volgere
lo sguardo verso Euristeo, i cui occhi sembravano
persi nel cadavere massacrato di Opi.
In
quel momento esplose nuovamente il cosmo di Tiresia
dell’Altare e i tre Heroes, sollevando lo sguardo verso l’alto della torre,
videro una violenta tempesta di fuoco abbattersi sull’Hero
dell’Altare. Una cometa di energia infuocata, le cui fiamme parevano sospinte
da un caldo vento desertico. Zefiro, figlio di Eos e Vento dell’Ovest,
aveva appena abbattuto l’uomo più vicino agli Dei dell’esercito di Ercole.
Capitolo 23 *** Capitolo ventiduesimo: Fuoco nel cuore. ***
CAPITOLO VENTIDUESIMO: FUOCO
NEL CUORE.
Tiresia
dell’Altare aveva atteso l’inizio delle ostilità nella sua stanza, nella
più alta torre di Tirinto. L’aveva scelta deliberatamente, chiedendola ad
Ercole in persona, poiché amava la vista che si apriva di fronte ai suoi occhi
dall’alto di quella costruzione. Nelle giornate di sole, quando il cielo era
terso, era possibile persino vedere lo spumeggiare del mare, a chilometri di
distanza ad Oriente, e sentirne il sapore scivolare nel vento, fino a poterne
respirare anche solo un refolo. Non era per un mero soddisfacimento estetico
che Tiresia aveva fatto richiesta per quella stanza, ma per onorare il ricordo
del suo maestro, per sentirlo sempre dentro di sé, rivivendo continuamente le
emozioni finali del suo giovane cuore.
Tiresia
era stato infatti uno dei discepoli di Asmita della
Vergine, Cavaliere d’Oro di Atena, morto durante l’ultima Guerra Sacra
combattuta contro Ade, sotto un cielo stellato in cui Asmita
per la prima volta aveva sorriso, realizzando quanto fosse bello il mondo. Quel
mondo che, cieco fin dalla nascita, non aveva mai potuto osservare
direttamente, ma soltanto sentire, percependolo attraverso il cosmo, diventando
testimone del dolore e della sofferenza annidate nell’animo umano. Questo
atteggiamento di scarsa fiducia nei confronti della vita, Asmita
l’aveva trasmesso a Tiresia e agli altri suoi discepoli, auspicando che loro,
anche in un futuro, riuscissero a trovare una risposta all’interrogativo che lo
aveva spinto a dubitare persino di Atena, la sua Dea.
“Se la
vita è eterno dolore, come io lo percepisco tramite il cosmo, se la vita è
soltanto sofferenza per gli uomini, che senso ha allora vivere?” –Ripeteva
spesso il Cavaliere d’Oro della Vergine. –“Non sarebbe meglio morire, affidando
l’anima alla pacata tranquillità della morte piuttosto che condannarla ad una
vita di patimenti?”
Soltanto
in punto di morte, riuscendo per un momento a vedere il mondo con i suoi occhi,
e a coglierne la luce, la gioia, le risate degli uomini di cui finora aveva
colto soltanto il dolore, Asmita aveva compreso che
in fondo esiste sempre una ragione per vivere, e per lottare, pur essa sia. E
questa consapevolezza Tiresia voleva ricreare, inseguendo gli ideali del suo
precettore, al punto che, per sua libera scelta, teneva gli occhi chiusi. In
questo modo raccoglieva il cosmo dentro sé e riusciva ad entrare in intima
connessione con il mondo in movimento attorno a lui, molto di più di quanto gli
uomini comuni riuscissero a fare con i loro occhi.
“Gli
occhi dell’anima riescono a scavare nel profondo più di quanto possano fare
quelli del viso, pur belli che siano!” –Aveva detto Tiresia a Penelope, un
giorno in cui la Sacerdotessa del Serpente gli aveva chiesto per quale motivo
tenesse gli occhi chiusi.
E
Tiresia al riguardo era maestro, riuscendo a percepire dubbi e tensioni
annidate nell’animo dell’uomo. Era stato proprio lui, poche ore prima, ad
ascoltare una conversazione tra Opi della Lepre e Dione del Toro, i cui cosmi ardevano di una tenebra sopita
da cui era necessario stare in guardia. Per questo aveva informato Ercole,
prima di salire nelle sue stanze, chiudendosi in meditazione e raccogliendo il
cosmo attorno a sé, rimanendo così, immobile ma sempre attento al mondo
circostante, finché non aveva sentito l’acceso cosmo di Neottolemo
del Vascello fendere l’aria con la Nave di Argo, decidendo quindi di
intervenire.
“Abbandono
dell’Oriente!!!” –Gridò adesso Tiresia dell’Altare, sospeso in volo sopra
l’alta torre di Tirinto, mentre dietro di lui comparivano immagini di angeli e
di teschi con una falce, attornianti una fanciulla incappucciata in groppa ad
un cavallo.
L’energia
da lui liberata esplose a ventaglio, generando un’immensa onda cosmica che spinse
indietro di qualche metro Ificle della Clava e gli
altri tre Shadow Heroes suoi compagni, giungendo
persino a sbattere a terra Eolo, Iris e Zefiro. Ma neanche il suo potere fu in
grado di scalfire la superficie di pietra dei Kouroi,
rivestita dal cosmo di Era, non riuscendo ad impedire che i Giganti lanciassero
pietre e sassi contro la barriera protettiva di Tirinto e sconquassassero il
suolo con forti pedate.
“Quel
damerino ci ha disturbato fin troppo!” –Esclamò Ificle
della Clava, sollevando una delle sue rozze armi e puntandola verso
Tiresia, concentrando su di essa tutto il suo cosmo. Una cometa di energia
sfrecciò nel cielo, dirigendosi verso il volto dell’Hero
dell’Altare, ma non riuscì a raggiungerlo, poiché un attimo prima dell’impatto
Tiresia creò una cupola di energia atta a proteggerlo, con un semplice
schioccare di dita.
“Kaan!” –Gridò Tiresia, e la sua voce risuonò come un
grido di guerra su tutto il piazzale di Tirinto e sul campo al di fuori di
esso, rincuorando l’animo degli Heroes che ancora resistevano, fieri del suo
coraggio e istigati dalla sua determinazione.
Il colpo
energetico di Ificle si infranse contro la cupola
protettiva del Kaan, venendo rimandato
indietro ad un semplice accigliarsi dell’Hero
dell’Altare, obbligando lo ShadowHero
a difendersi con la sua stessa Clava, con la quale parò l’assalto, venendo
comunque spinto indietro, scavando solchi nel terreno con i piedi robusti.
“Ha
del fegato!” –Si limitò a commentare Ificle, di
fronte allo sguardo divertito di Dinaste di Antinous e degli altri Heroes, contenti nel vedere qualcuno
in grado di zittire il tono brusco del loro Comandante. –“Ma non basterà quella
cupola a trattenere la foga della mia Clava! Neppure Ercole potrebbe opporsi a
me! Ooh, quanto vorrei che il Dio abbandonasse quella
stupida posa difensiva ed uscisse fuori, mostrando la sua virilità, per poter
confrontare la sua clava con la mia! Allora, con il nostro sangue, sarebbe
decretato il più forte e il più degno di comandare gli Heroes! Oh ohoh!” –Rise sguaiatamente Ificle.
“Stai
attento a cosa chiedi, Ificle!” –Lo ammonì Dinaste di Antinous.
–“Spesso i desideri trovano la via per essere esauditi!”
La loro
conversazione fu interrotta da un nuovo attacco di Tiresia dell’Altare, che
diresse nuovamente il suo ventaglio di energia contro gli Shadow
Heroes ribelli, obbligandoli a difendersi con il proprio cosmo. Prima che Ificle e gli altri potessero reagire, un’ombra li superò,
balzando nel cielo sopra di loro in uno scintillio di luce dai colori
dell’arcobaleno.
“Spegnerò
io la sua fiamma vitale!” –Tuonò Zefiro, il Vento dell’Ovest, librandosi
in volo sopra Tirinto, fino a portarsi a pochi metri dal volto di Tiresia
dell’Altare, che sembrava non degnarlo di alcun interesse. –“Così tanto sei
convinto della tua superiorità, stupido mortale, che non ti degni neppure di
osservare il tuo avversario?”
“Non
ho bisogno degli occhi per vedere il mio nemico! Mi basta soltanto percepire la
sua presenza e l’ostilità del suo cosmo, che è ardente come fiamma pura!”
–Precisò Tiresia, con voce calma e pacata, mentre Zefiro piroettava nel cielo,
sbattendo le ali multicolori della sua corazza, avvolto in un turbinio di cosmo
incendiario.
“Mi
intrighi, lo ammetto! Sono proprio curioso di vedere quanto riuscirà, un uomo
superbo come te, che non ha esitato a scendere in battaglia da solo per fare
sfoggio del suo potere, a resistere all’impeto del mio cosmo infuocato!”
–Esclamò Zefiro, creando una tempesta di aria calda. –“Ascolta il mio nome,
uomo, poiché esso ti farà da guida nella tua discesa verso gli Inferi! Io sono
Zefiro, il Vento dell’Ovest, il più gradito agli uomini dei quattro Venti miei
fratelli, poiché il mio arrivo annuncia la primavera, la fine della stagione di
gelo e di piogge, che Austro e Borea non risparmiano durante l’inverno, e la
calda stagione! Ma posso divenire anche mortale nemico, aumentando l’intensità
di calore delle mie raffiche e portare siccità e fiamme distruttive, anziché
sereni giorni di sole!”
Tiresia
dell’Altare non rispose, seguitando a rimanere nella sua posa meditativa, con
le gambe incrociate e le braccia conserte, intente a
disegnare con le dita qualche simbolo arcano che Zefiro non conosceva, in una
calma imperturbabile, che il Vento dell’Ovest interpretò come superba
arroganza. E questo lo fece imbestialire.
“Non
sopporto che non si presti ascolto alle mie parole!” –Gridò Zefiro, sollevando
una tempesta di aria calda e torrida, come il pesante clima desertico, e
dirigendola in un vortice di potenziata energia contro l’Hero
dell’Altare, il quale, per non essere spazzato via, ricreò la sua cupola
protettiva, lasciando che la tempesta di torrida energia si infrangesse su di
essa, come onde su uno scoglio. Ma Zefiro, irritato da tanta serena
dimostrazione di superiorità e fermezza, aumentò l’intensità del suo assalto,
trasformandolo in una vera e propria bufera di fuoco.
“Primavera
infuocata!” –Gridò Zefiro, creando un movimento vorticoso del vento,
violento e carico di torride fiamme, che diresse contro la barriera energetica
di Tiresia, obbligando il guerriero di Ercole ad impegnarsi al massimo, per
difendersi da tale tempesta divina.
“Dei
delle stelle!!!” –Commentò Polifemo del Ciclope, dal basso della corte,
osservando l’impetuoso abbattersi di fiamme sulla barriera di Tiresia e
chiedendosi quanto ancora il compagno avrebbe resistito. Concentrò il cosmo sul
pugno destro, muovendosi per colpire il Dio, ma Marcantonio dello Specchio lo
fermò, afferrandogli il polso con fermezza. Bastò uno sguardo del Comandante,
per far capire a Polifemo che Tiresia avrebbe combattuto da solo, trovando
dentro di sé, nella meditazione a cui aveva dedicato anni interi della sua
vita, la forza per reagire.
“Sarebbe
un disonore se intervenissimo!” –Esclamò Marcantonio, avviandosi verso il
Portone Principale. –“Inoltre, temo che Ificle e i
suoi compari stiano preparando l’assalto finale! Raduna tutti gli Heroes!”
Polifemo
annuì, prima di sollevare nuovamente lo sguardo verso l’alto. Tiresia resisteva
ancora, riparato dalla barriera circolare che lo attorniava come una sfera,
mentre le devastanti fiamme di Zefiro, le cui scintille cadevano come stelle su
tutta la corte di Tirinto, incendiando tetti e costruzioni di legno,
continuavano a turbinare imperterrite attorno a lui, in un’immagine a tratti
soffocante. Stufo di giocare, Zefiro riunì le forze per un poderoso assalto,
più potente di tutti quelli che aveva condotto finora, con il quale era certo
di riuscire a sfondare la barriera dell’Hero, che,
rifletteva il Dio, in fondo era soltanto un uomo.
“E
nessun uomo può opporsi alla furia di un Dio!” –Esclamò a gran voce, mentre il
turbinante movimento di aria infiammata si abbatteva sul Kaan,
facendolo vibrare sinistramente e obbligando Tiresia a mettere tutto se stesso
nella difesa.
Proprio
quando Zefiro fu certo della sua vittoria, convinto che la barriera avrebbe
ceduto entro breve, vide un breve gesto di Tiresia che inizialmente non riuscì
a comprendere. Dopo aver trascorso tutta la durata dell’assalto in posizione
ferma e meditativa, l’Hero dell’Altare mosse per la
prima volta le mani, giungendole insieme, e in quell’unione generò una sfera di
energia cosmica, un ammasso indistinto di cosmo che andò facendosi sempre più
grande. In quel momento il Kaan andò in
frantumi, schiantandosi con un rumore secco, mentre il cosmo che Tiresia aveva
concentrato tra le mani fino a quel momento venne liberato, generando un’onda
di energia che scaraventò Zefiro indietro di parecchie decine di metri,
facendolo roteare confusamente in aria. Affannato e sorpreso, il Vento
dell’Ovest si raddrizzò, sbattendo le ali della sua Armatura, non ancora
danneggiata, osservando stupito l’uomo che aveva ardito respingerlo in così
malo modo, dovendo tutto sommato applaudirlo.
Quale
raffinata maestria! Confessò Zefiro. Ben sapendo che non è possibile
lanciare due attacchi simultaneamente, poiché nessuno possiede l’energia e la
concentrazione necessaria, quest’uomo ha racchiuso il cosmo offensivo tra le
mani, liberandolo soltanto nel momento in cui la barriera ha ceduto, svincolato
quindi da qualsiasi legame mentale su di essa! Con estrema abilità e acume è
riuscito a calcolare il momento esatto in cui abbandonare la difesa per passare
all’offesa! Sarebbe bastata un’esitazione, anche soltanto di un centesimo di
secondo, e la Primavera Infuocata lo avrebbe travolto annientandolo!
“Ora
so come vincerti, cavaliere senza nome!” –Esclamò Zefiro, puntando l’indice
destro contro il guerriero di Ercole. –“Tu stesso me lo hai indicato!”
“È
Tiresia dell’Altare il mio nome celeste, discepolo di Asmita
della Vergine, e Guardiano della Porta Eterna di Ade! Come il mio maestro
infatti, il mio cosmo ha il potere di sigillare le anime dei defunti, per
impedire loro di tornare in vita!” –Rispose l’uomo, mostrando per la prima
volta segni di affaticamento, dal tono della voce.
“Presto
il tuo cosmo sarà così debole da permettere alle anime di coloro di cui sei
fine aguzzino di tornare alla vita!” –Ridacchiò Zefiro, espandendo il cosmo,
preparandosi per una nuova tecnica d’assalto.
“Questo
non accadrà!” –Sentenziò Tiresia, ma per la prima volta sentì l’insicurezza
nelle sue parole, dovuta alla posa assunta da Zefiro, alla sua rinnovata
sicurezza, che lo faceva presagire un potere al quale non sarebbe stato in
grado di opporsi.
“Come ho
avuto modo di verificare, il tuo cosmo è vasto e potente! E la funzione che
assolvi, all’interno della cerchia dei guerrieri di Ercole, ne spiega anche il
motivo! Perciò sarebbe vano per me cercare di annientarti con un attacco
diretto, poiché per quanto potente possa essere il turbinare delle mie fiamme,
con altrettanta potenza ti opporresti a me, come hai fatto finora!” –Spiegò
Zefiro, sollevando il braccio, attorno al quale presero a radunarsi strati di torrida
aria infernale, che rotearono attorno ad esso prosciugando l’aria di ogni freschezza,
di ogni energia vitale. –“Per questo non ti attaccherò apertamente, ma aggirerò
l’ostacolo, privando te dell’energia necessaria per opporti a me, rendendoti un
mero fantoccio, un vuoto involucro umano incapace di difenderti! Preparati,
Tiresia dell’Altare, perché io ti vincerò! E questa è una promessa!”
“Ascolto
le tue parole, figlio di Eos, e le rigiro a te, promettendoti che sarò in grado
di oppormi al tuo potere, dovessi dar fondo a tutte le mie risorse!” –Replicò
Tiresia, radunando il cosmo tra le mani, pronto per scagliare nuovamente il
potere dell’Ohm, l’energia allo stato puro.
“Siccità
del Cosmo!!!” –Esclamò Zefiro, incanalando gli strati di aria torrida
raccoltasi attorno al suo braccio destro in una cometa di apparente energia
cosmica, che diresse contro Tiresia, il quale liberò l’energia raccolta per
ricreare la sua cupola protettiva, proprio come Zefiro aveva previsto. Non
resistette che un secondo e poi il Kaan andò
in frantumi, e la sua energia apparentemente dispersa.
“Cosa?!” –Tiresia
si lasciò scappare un moto di sorpresa, inarcando entrambe le sopracciglia
scure. –“Com’è possibile? Il colpo che ho ricevuto era di potenza inferiore
alla tremenda Primavera Infuocata che poc’anzi aveva quasi rischiato di
travolgermi, eppure il Kaan è stato annientato
come fosse di carta!!!”
“Non ho
distrutto la tua barriera, Hero dell’Altare! L’ho
soltanto fatta mia!” –Esclamò Zefiro, con un sorriso soddisfatto sul volto,
mentre gli strati di aria torrida che aveva disperso con la sua cometa ritornavano
verso di lui, vorticando attorno al suo braccio, come fosse vapore acqueo.
–“Ecco dove è finita la tua bella barriera! Ah ah ah!”
–Affermò, dirigendo un violento raggio di energia contro Tiresia, il quale non
riuscì ad evitarlo, ancora stordito per l’accaduto, e venne investito in pieno
e spinto indietro, perdendo la posa meditativa e la concentrazione che gli
permetteva di levitare e precipitando sul pavimento della torre di Tirinto.
–“Che te ne pare? Non è forse il modo migliore per vincere un uomo dotato di un
cosmo vasto come il tuo? Rendere inutile il suo cosmo!”
“Adesso ho
capito!” –Mormorò Tiresia, rialzandosi e ansimando per lo sforzo. –“Non hai
distrutto la mia barriera, l’hai semplicemente assorbita! Hai catturato la sua
energia e poi me l’hai rinviata contro!”
“Analisi
acuta e intelligente, degna della tua mente!” –Commentò Zefiro, volteggiando in
aria fino a planare a piedi uniti sui merli della torre di Tirinto, a pochi
metri dall’Hero dell’Altare. –“Perciò, adesso che hai
compreso l’inutilità dei tuoi poteri e di ogni tuo misero gesto, fatti da parte
e lascia che l’esercito di Era entri a Tirinto! Non sei più in grado di
impedirmi di avanzare! Hai perso!”
Hai perso!
Quelle parole ferirono Tiresia nel profondo del cuore, colpendolo come il taglio
di una spada acuminata. Avrebbe preferito ardere all’inferno, nelle tombe degli
eretici del Quinto Cerchio, piuttosto che dover ammettere la sua sconfitta,
piuttosto che dover ammettere di non essere in grado di fermare l’avanzata di
un invasore, non potendo onorare la memoria del suo maestro. Asmita! Pensò Tiresia, radunando il cosmo attorno a
sé. Non vi deluderò, maestro mio! Farò tesoro dei vostri insegnamenti! Voi
avete dato la vita per dare una possibilità agli uomini! Lo stesso farò io, se
ciò mi sarà richiesto, per difendere il mio Signore!
“La tua
tecnica è ottima, lo ammetto! E apparentemente non lascia possibilità alcuna!
Sferri attacchi di energia che, anziché offendere direttamente, riescono ad
assorbire il cosmo del tuo avversario, come il sole caldo delle torride regioni
desertiche priva il terreno di ogni frescura, rendendolo arido e sterile
all’inverosimile!” –Esclamò Tiresia, sedendosi nuovamente in posa meditativa,
mentre il cosmo dall’accecante color oro cresceva tra le sue mani. –“Ma sarà
utile anche per difenderti? Riuscirai a fermare il mio attacco, assorbendolo
prima che esso ti annienti?! Ohm!!!” –Gridò infine Tiresia, liberando un
ammasso di energia sotto forma di ventaglio che si chiuse sul torrione merlato,
puntando su Zefiro.
Il Vento
dell’Ovest non si scompose affatto, aprendo entrambe le braccia lateralmente,
mentre consistenti strati di aria calda e torrida ricoprivano la sua Veste
Divina, lasciando che il ventaglio di energia lo travolgesse e poco dopo si
estinguesse, senza recargli danno alcuno.
“Che cosa?!”
–Esclamò stupefatto Tiresia, mentre Zefiro balzava in alto, puntando il braccio
verso di lui e liberando un possente assalto di energia, composto dallo stesso
cosmo che Tiresia gli aveva gettato contro. L’Hero
dell’Altare venne colpito in pieno e scaraventato contro i merli della torre,
sfondando la cinta muraria e precipitando verso il basso, di fronte agli occhi
sconvolti degli Heroes radunati nel cortile della fortezza.
Neottolemo del Vascello corse istintivamente
verso la Nave di Argo, per sollevarla in volo, ma realizzò di non riuscire a
fare in tempo a salvare Tiresia. Non potrò salvarlo come lui ha salvato me! Commentò
tristemente l’Hero, salendo comunque a bordo della
sua Nave e afferrando il timone. Ma proprio in quel momento il corpo di Tiresia
dell’Altare sfondava il tetto di un edificio adibito a stalla, schiantandosi al
suo interno, mentre un paio di asini e di cavalli, rimasti legati fino a quel
momento, strapparono i lacci che li tenevano prigionieri, scappando via
spaventati.
Zefiro planò
sulla corte interna di Tirinto, cercando un punto ove appoggiare, ma
incontrando continuamente la strenua resistenza del cosmo di Ercole, che gli
impediva di proseguire, quasi fosse una ragnatela di energia, sottile ma al
tempo stesso resistente e noiosa da abbattere, anche per una Veste Divina
dotata dei suoi poteri. Indispettito, Zefiro atterrò in cima alle mura
laterali, di fronte allo sguardo interessato di Marcantonio dello Specchio, di
Polifemo del Ciclope, di Neottolemo del Vascello e
dei tre Heroes della Quinta Legione scampati al massacro di Tebe: Paride della
Rosa, Circe della Mandragola e Morfeus del Papavero.
“Questa
barriera ha disturbato fin troppo i progetti espansivi della Regina degli Dei!
È ora di estinguerla!” –Esclamò Zefiro, aprendo entrambe le braccia di lato,
quasi volesse abbracciare l’intera Tirinto.
Socchiuse
gli occhi e lasciò che strati di aria torrida e calda si radunassero attorno al
suo corpo, iniziando ad assorbire l’energia del cosmo di Ercole, indebolendo la
barriera protettiva. Tale diminuzione venne avvertita anche da Ificle e dagli altri Shadow
Heroes, e da Iris ed Eolo, all’esterno delle mura, i quali decisero di tentare
un assalto diretto contro il sollevato Ponte di Ercole, riuscendo infatti ad
abbatterlo e a farlo cadere in malo modo sopra il fossato. I Kouroi, a tale esplosione cosmica, agitarono convulsamente
le braccia, gettandosi a capofitto contro le mura della fortezza. Per la prima
volta, da quando l’assedio di Tirinto era iniziato, i Giganti di Pietra
riuscirono a distruggere parte di esse, spaccando la roccia con le loro robuste
mani. A tale visione, Ificle e gli altri gridarono
sovraeccitati, credendo che il potere di Ercole fosse giunto all’esaurimento,
ma Eolo, Signore dei Venti, che ben conosceva la particolarità di cui la
veste di Zefiro era dotata, sperò che il figlio adottivo, che aveva cresciuto
assieme ai suoi tre fratelli, sentendoli ormai come figli loro, non abusasse
del suo potere. O avrebbe potuto essergli fatale.
“La barriera
di Ercole sta cedendo!” –Notò Polifemo, osservando strisce sfilacciate di
energia sovrastare Tirinto e convogliare verso il figlio di Eos, il quale, in
piedi sulla cinta muraria, a braccia aperte, stava prosciugando l’energia del
Dio, convogliandola all’interno del suo corpo.
“Al
Portone!!!” –Gridò Marcantonio improvvisamente, sentendo lo schianto del Ponte
esterno, mentre un altro gruppo di Heroes della Seconda Legione abbandonava le
sue precedenti postazioni per raggiungere il Comandante di fronte al Portone
Principale.
Ma gli
Heroes non riuscirono a raggiungere il portone, investiti da una tempesta di
energia cosmica che Zefiro aveva diretto verso di loro, canalizzando l’intera
energia liberata da Ercole fino a quel momento per proteggerli. Quindi il Vento
dell’Ovest balzò a terra, incontrando adesso minori impedimenti nel muoversi
all’interno della fortezza, come se essa fosse stata svuotata della sua forza
vitale. Di fronte a sé, ammassati in un immenso cratere che la potenza del suo
assalto aveva scavato, vi era una decina di Heroes, prevalentemente della
Seconda Legione, che erano stati travolti e scaraventati via inermi. Soltanto
un uomo aveva osato resistere.
“Chi
sei tu?!” –Lo fissò Zefiro, e per un momento gli parve di vedere uno specchio
di luce proteggere il guerriero alto e maschile.
“Marcantonio
dello Specchio, Comandante della Seconda Legione!” –Si presentò l’uomo,
togliendosi il mantello che aveva portato con cura fino a quel momento. –“Il
tuo prossimo avversario!”
“Avversario?!
Non hai dunque visto l’orrenda fine che ho fatto fare ai tuoi compagni? Senza
neppure utilizzare un briciolo della mia forza, ho annientato una Legione
intera e massacrato l’uomo che levitava sopra le vostre teste, per quanto, lo
ammetto, la sua imperturbabilità mi abbia allibito e infastidito!” –Esclamò
Zefiro, prima che una voce conosciuta lo richiamasse.
“Accertati
della fine del tuo nemico prima di cantare vittoria!”
Zefiro,
voltandosi verso le stalle di Tirinto, vide Tiresia farsi strada tra le macerie
e i mucchi di fieno, con l’Armatura danneggiata in qualche punto e il peplo
strappato. Per la prima volta inoltre Tiresia aveva gli occhi aperti, ed erano
splendidi, azzurri come il mare, immacolati come quelli di una Vergine. E
questo spaventò Zefiro, che si sentì bloccato per un momento, incapace di
muovere i piedi anche solo di un passo. Superata l’incertezza iniziale, dovuta
più alla sorpresa di ritrovare l’avversario vivo e con il cosmo ancora carico,
Zefiro ritrovò la sua superba calma.
“Non
ne hai avuto abbastanza? I tuoi poteri sono inutili, già te l’ho detto! Vuoi
che ti prosciughi completamente? Vuoi che svuoti il tuo inutile corpo di tutta
la sua energia vitale, riversandola infine contro di te?” –Esclamò Zefiro con
baldanza, aprendo le braccia lateralmente.
“Se ne
sarai in grado…” –Commentò semplicemente Tiresia,
sedendosi in posizione meditativa.
“Tiresia!!!
No!!!” –Gridò Marcantonio, ma l’Hero dell’Altare
neppure gli prestò ascolto, iniziando a radunare tutto il cosmo che portava
dentro, concentrandolo tra le mani, in una informe massa di energia.
“Siccità
del Cosmo!!!” –Esclamò Zefiro, iniziando ad attrarre a sé ogni particella
di energia, anche la più piccola, che Tiresia pareva produrre, e a farla
propria.
“Abbandono
dell’Oriente!!!” –Gridò Tiresia, liberando il suo principale attacco, a
forma di un possente ventaglio di energia dorata che travolse Zefiro, il quale
rimase comunque stabile di fronte a lui, fermo su due piedi, ad attrarre tutta
l’energia cosmica che l’Hero dell’Altare stava
liberando per lui, donandogli indirettamente la forza per annientarlo. Ciò che
sorprese Zefiro, e che lo fece preoccupare, fu la stanchezza crescente che il
Dio stava iniziando a provare, e che lo rendeva sempre più debole, sempre più
incapace di rimanere in piedi, mentre una pesantezza senza limiti, che mai
aveva provato prima, pareva invadere il suo animo, rendendo ogni suo singolo
movimento pari ad una fatica spropositata.
“Aaargh!!!” –Urlò il Dio, attorniato dalle fiamme che il suo
cosmo aveva prodotto, incendiando l’aria circostante. –“Cosa mi succede? Perché
non riesco più a controllare l’energia?! Mi sento…
esplodere!”
“Hai
abusato del tuo potere, figlio di Eos, e ciò ti sarà fatale!” –Tuonò la decisa
voce di Tiresia, fissando il Dio con severo sguardo e aumentando l’intensità
dell’assalto, fino a portarlo ad un punto massimo che Zefiro non fu più in
grado di contenere, venendo scaraventato indietro, schiantandosi contro il muro
di confine e ricadendo a terra.
A fatica, il
Vento dell’Ovest si rimise in piedi, barcollando per un momento, prima di
osservare la sua corazza, la splendida Veste Divina forgiata da Efesto, bruciare come mai aveva scottato prima ed emanare
un bagliore terribile. Improvvisamente l’armatura venne percorsa da un fremito
violento, che scosse Zefiro fino al profondo delle sue ossa, prima di
esplodere, liberando tutta l’energia che il figlio di Eos aveva immagazzinato
al suo interno. La gigantesca bomba di luce scaraventò Zefiro indietro,
facendolo schiantare contro le mura di Tirinto e ricadere a terra in una pozza
di sangue, e spinse lontano anche Tiresia, Marcantonio e gli altri Heroes che
nel frattempo si erano rialzati. Qualche edificio poco distante crollò e nuvole
di polvere si sollevarono, vorticando nell’aria satura di scariche energetiche,
che presto vennero disperse dal vento.
Quando
Zefiro si rimise in piedi, con il corpo pieno di lividi e la fronte sanguinante,
trovò Tiresia dell’Altare in piedi di fronte a lui, con uno sguardo carico di
dispiacere, ma al tempo stesso di fierezza.
“Cos’è
successo?!” –Domandò il figlio di Eos, rabbioso.
“Hai chiesto
troppo alle tue forze, Vento dell’Ovest, più di quanto fossero in grado di
offrirti!” –Spiegò Tiresia, che aveva ben capito il funzionamento del potere
del Dio. –“Era la tua Veste Divina, non il tuo cosmo, che ti permetteva di
assorbire l’energia circostante! L’ho capito quando ti ho visto aprire le
braccia nel cortile di Tirinto e quando ho notato la tua corazza ardere, come
se fosse stata lasciata su tizzoni ardenti! Quel vapore che circondava le tue
braccia altro non era dovuto che al surriscaldamento della Veste stessa, capace
di incendiare persino l’aria circostante! Ma quando hai tentato di
immagazzinare l’energia cosmica di Ercole, per eliminare la barriera
protettiva, hai fatto un passo più lungo di quanto le tue gambe potessero
reggere! Poiché essa era troppo vasta, troppo potente, perché tu potessi
prosciugarla senza risentirne! Per questo ti ho provocato con l’Abbandono
dell’Oriente, obbligandoti ad assorbire ancora energia, per portare la tua
Armatura al punto di rottura, al punto oltre il quale non avrebbe potuto
proseguire, incapace di immagazzinare ancora energia senza esserne divorata
essa stessa!”
“Perversa
mente la tua, Tiresia dell’Altare! Ma vittoriosa, lo ammetto!” –Ringhiò Zefiro,
radunando le ultime energie che ancora gli rimanevano. –“Mi hai spogliato della
Veste Divina, hai ferito il mio volto e il mio orgoglio, ma ancora non hai
falciato le mie gambe! Ancora mi reggo in piedi e saprò vincerti anche senza le
mie ali!” –Ed espanse il proprio cosmo, evocando un violento turbinio di
fiamme, che diresse contro l’Hero dell’Altare. –“Primavera
Infuocata!!!”
Ma Tiresia,
che aveva previsto un nuovo assalto del figlio di Eos, giunse le mani a sé,
concentrando un ammasso di energia allo stato puro tra di esse, prima di
liberarla con un immenso boato. –“Ultima luce dell’Oriente!” –Gridò,
lanciando il colpo massimo appreso da Asmita. Una
gigantesca onda di energia, simile ai frangenti che si rovesciano sulla costa,
travolgendo persino gli scogli, annientò il vorticoso roteare delle fiamme di
Zefiro, inghiottendo anche il corpo indebolito del figlio di Eos, di cui niente
rimase se non un pallido bagliore che presto scomparve.
Soddisfatto,
Tiresia dell’Altare si lasciò cadere a terra, distrutto e privo di energia,
lasciando volare la mente oltre le mura della sua città, nel desiderio di
abbracciare nuovamente il maestro che tanto gli aveva insegnato. Maestro Asmita! Mormorò Tiresia. Presto saremo di nuovo
insieme! E perse i sensi.
Nesso del Pesce Soldato stava
correndo verso Tirinto, con la Lama degli Spiriti alla cintura della sua
corazza, seguito da Argo del Cane, un giovane della Quarta Legione, che
portava sulle spalle il corpo debole e ferito di Gleno
di Regula, il suo più caro amico, massacrato da
Austro a Larissa. Nesso procedeva spedito,
sfrecciando ad una velocità superiore a quella del suo parigrado, e Argo
faticava a tenere il passo. Quando tentò di dirgli di proseguire senza di lui,
portando la sacra arma ad Ercole, Nesso gli fece cenno di zittirsi. Aveva già
dovuto abbandonare il Comandante e i compagni della sua Legione, reprimendo le
lacrime al pensiero di quell’arrivederci, e non aveva intenzione di lasciare
anche lui da solo.
La loro conversazione fu interrotta da
un fischio, che fendette l’aria del pomeriggio greco. Un suono pallido e
stridente, trasportato dal vento, che smuoveva i fili di erba dei campi ove
Nesso e Argo stavano correndo. Ai due Heroes parve di udire il suono provocato
da un bambino che suonava per la prima volta la cetra.
“Da questa parte!” –Esclamò Nesso,
tendendo i sensi ed ascoltando il vento, da cui riuscì a comprendere da dove
provenisse il suono: da una radura poco distante. Incitò Argo a proseguire,
facendo attenzione, poiché, considerando i tradimenti che già si erano
consumati nella giornata, avrebbero potuto cadere dentro una trappola. E non
potevano assolutamente permettersi di sbagliare. –“Non adesso! A un passo dalla
meta!” –Avrebbero probabilmente voluto ignorare quel suono, ma era dovere di
ogni uomo, prima ancora che di ogni Cavaliere, verificare che non vi fosse
qualcuno bisognoso di aiuto. E quel suono sembrava proprio una richiesta
disperata.
Quando giunsero nella radura, Nesso e
Argo sgranarono gli occhi di fronte alla devastazione che si apriva attorno a
loro. Al di là della prima cerchia di alberi, che aveva a loro nascosto lo
strazio retrostante, il bosco sembrava essere stato annientato completamente. Alberi
abbattuti, fosse profonde nel terreno, segni di una lotta continua marchiavano
a fuoco il terreno, segno evidente di una battaglia che si era consumata da non
molto tempo, e del passaggio dei Giganti di Pietra di Era. Con circospezione,
Nesso e Argo ispezionarono il terreno, facendo attenzione a non cadere nelle
fosse che periodicamente si aprivano sul suolo, finché non trovarono una
distesa di corpi sparsi, massacrati con brutalità e ferocia.
“Ma questo…”
–Commentò Nesso, voltando un cadavere e riconoscendo il volto pieno di ferite
di Mentore della Stella Marina, uno degli Heroes della Sesta Legione.
–“Mentore! Amico mio! Correvamo spesso sulle spiaggie
attorno a Nauplia, tuffandoci ad osservare i fondali costellati di conchiglie e
di animaletti marini!” –Ricordò l’Hero del Pesce
Soldato, mentre un filo di lacrime gli rigava il volto.
Poco più avanti, Argo rinvenne i corpi
di Lisitea del Pesce Vampiro e di Tespio
dello Scudo, con il braccio sinistro distrutto e lo scudo annientato. Per
ultimo trovò un quarto corpo, ma inizialmente non riuscì a ricordare chi fosse,
poiché all’uomo era stata strappata la testa, e l’armatura che indossava era
stata praticamente distrutta.
“È Perseo della Testa di Medusa!”
–Esclamò Nesso, avvicinandosi. –“Riconosco il bracciale sinistro con il volto
di donna!”
“Dunque questo è quel che rimane della
Sesta Legione!” –Commentò Argo, continuando a guardarsi intorno, con
circospezione.
Un nuovo suono attirò l’attenzione dei
ragazzi, che attraversarono una fila di alberi abbattuti, per imbattersi nel
corpo stanco di un uomo che a stento era riuscito ad appoggiarsi ad un tronco.
Era Lino di Orfeo, il musico di Ercole, che ancora stringeva in mano
quel che rimaneva della sua cetra: due pezzi di metallo uniti da un’unica
corda. E aggrappandosi a quell’ultimo filo di speranza, Lino aveva continuato a
suonare.
“Le mie preghiere sono state esaudite!
Nesso del Pesce Soldato! Argo del Cane! Riconosco le vostre voci!” –Lino,
mentre i due ragazzi si inginocchiavano su di lui, per sincerarsi delle sue gravissime
condizioni.
“Lino ma tu…
non vedi?!” –Disse Argo, con un groppo al cuore, notando che il cantore aveva
due profonde ferite sugli occhi, da cui sangue era uscito per molte ore, fino a
raggrumarsi tutto intorno, conferendo un aspetto infernale a colui che un tempo
era stato un avvenente musico.
“Purtroppo no, amici!” –Tossì Lino,
parlando a fatica. –“Ificle! È stato Ificle della Clava! Si è ribellato all’autorità di Chirone
e assieme a Dinaste, Lamia
e Efestione ha massacrato noi Heroes suoi compagni!”
“Ificle!!!
Dunque altro sangue di eroi è stato versato!” –Rifletté Nesso, prima che Lino,
con un alito di voce, li pregasse di salvare il loro Comandante.
“Chirone è ancora vivo! Dovete
salvarlo! La sua anima.. il suo spirito.. prigioniero..” –Mormorò Lino,
vomitando sangue, prima di crollare esanime a terra, indicando un punto
imprecisato della radura.
Con tristezza, Nesso ed Argo seguirono
la direzione della sua mano, fino a ritrovarsi di fronte la tela di un quadro.
Un magnifico quadro raffigurante un paesaggio boscoso, simile a quello che un
tempo sorgeva in quel luogo, con cascate e alberi frondosi. Argo si chiese
immediatamente cosa ci facesse un quadro in quel luogo, ma Nesso parve non
ascoltarlo, intento ad osservare con attenzione il paesaggio riprodotto. Il suo
sguardo fu attratto da un gruppo di figure presenti al centro della
raffigurazione, piccole se paragonate alle dimensioni del quadro, che superava
i due metri di altezza e i quattro di larghezza, e si stupì nel riflettere che
pochi attimi prima gli era parso che fossero sulla destra.
“Guarda!” –Esclamò Nesso, indicando le
figure al centro del dipinto. –“Si muovono!” –E Argo dovette dargli ragione,
avvicinando il viso alla tela per osservare meglio. Ma bastò che il ragazzo
sfiorasse soltanto leggermente la superficie della tela che essa si increspò,
distorcendo lo spazio, mentre la robusta mano di un Gigante di Pietra usciva da
essa, afferrando Argo in una stretta morsa e trascinandolo all’interno del
quadro, tra le grida impaurite del ragazzo.
Gleno
di Regula, sulle spalle di Argo, cadde a terra,
borbottando qualcosa, febbricitante e molto debole, mentre Nesso balzò subito
all’indietro, per evitare di essere afferrato. Prima che la mano del Gigante di
Pietra rientrasse all’interno del dipinto, Nesso caricò l’arpione del bracciale
sinistro, scagliandolo contro di essa e lasciando che la fune si arrotolasse
intorno ad un dito. Vi fu un violento strattone e anche Nesso venne attirato
all’interno del dipinto, ritrovandosi sospeso, grazie al cavo della sua
corazza, alla mano di un Kouros, che avanzava nel bosco circostante
distruggendo ogni cosa.
Delle grida improvvise attirarono la
sua attenzione e Nesso, voltandosi verso il basso, vide Chirone del Centauro e
altri Heroes della Sesta Legione che lo chiamavano, stando attenti a non essere
schiacciati dalla corpulenta massa del Gigante di Pietra. Nesso non riusciva a
comprendere dove si trovasse, cosa fosse quel mondo fittizio, così simile al
proprio, in cui era precipitato, ma sentì le grida di Argo, stretto dalla
violenza del pugno del Kouroi, e decise di agire.
“Non credo vi sia occasione migliore
per inaugurare la Lama degli Spiriti contro questi Giganti di Pietra!” –Esclamò
Nesso, afferrando la Spada e sollevandola con la mano destra. Fece rientrare il
cavo nel bracciale dell’Armatura, salendo in fretta verso il pugno del Kouroi, e quando vi giunse conficcò nel suo braccio,
all’altezza del polso, la Lama degli Spiriti, infondendogli tutto il potere del
suo cosmo.
D’istinto il gigante si fermò, aprendo
la mano destra e lasciando che Argo precipitasse al suolo, prima di esplodere
in un violento grido, che risuonò per l’intero paesaggio del dipinto. Fece per
battere le mani contro il petto, facendo barcollare Nesso che era appeso con un
cavo ad un dito e dovette sganciare l’arpione e lanciarsi verso il basso, dove
rotolò per qualche metro sul terreno. Una mano amico gli si avvicinò per
aiutarlo a rialzarsi. Era Chirone del Centauro, fiero Comandante della
Sesta Legione.
“È stato un onore assistere al tuo
intervento, Nesso del Pesce Soldato!” –Esclamò con risolutezza. –“Alcione della
Piovra deve essere fiera di averti nella sua legione!” –Aggiunse, aiutandolo a
rimettersi in piedi, prima di essere raggiunti dagli altri Heroes sopravvissuti
della Sesta Legione, che portavano il corpo stanco di Argo, recuperato in tempo
prima che venisse schiacciato dal Kouros. Costoro erano Diomede della Balestra,
Aureliano del Pittore e Mistagogo di Tifone.
“Comandante!” –Esclamò Diomede della
Balestra. –“È successo qualcosa al Kouros! Sembra spiazzato! Sembra non
riconoscersi più!”
“Qualcuno vuole spiegarmi cosa sta
accadendo? Tanto per cominciare… dove siamo?” –Chiese
Nesso, stranito da quella situazione.
“In un dipinto di Aureliano! Siamo
stati ingannati da Ificle e dai suoi compagni che ci
hanno rinchiuso qua dentro, privandoci della via di uscita!” –Rispose Chirone,
prima di raccontare a Nesso e ad Argo il piano astuto che avevano ideato per
eliminare la minaccia dei Kouroi. –“Dato che non
potevamo distruggerli, abbiamo pensato di renderli inoffensivi! Così avevo
chiesto ad Aureliano di dipingere un immenso paesaggio, identico a quello in
cui ci trovavamo questa mattina, che avremmo usato come sfondo verso cui
attirare i Kouroi! Una volta rinchiusi all’interno
del dipinto, essi sarebbero stati prigionieri per sempre!”
“Ma non ci saremmo mai aspettati il
tradimento di Ificle e dei suoi compari!” –Intervenne
Diomede della Balestra. –“Quel bastardo di Lamia
dell’Amazzone avrebbe dovuto rimanere all’esterno, per mantenere aperta la via
di uscita, ma se ne è andato, lasciandoci a marcire qua dentro, condannandoci
ad una prigionia perpetua all’interno di questo dipinto!”
“Se ho ben capito, siamo destinati a
rimanere per sempre dentro questo quadro?” –Domandò Nesso. –“Non vi è modo per
aprire il portale che ci riconduca in Grecia?!”
“Non dall’interno! I miei quadri sono
realizzati per non essere modificabili da chi viene intrappolato dentro di
essi; soltanto dall’esterno è possibile aprire la porta!” –Spiegò Aureliano.
–“Ma la nostra prigionia non è destinata a durare ancora per lungo! Il Kouros
ci annienterà prima o poi, poiché non possiamo distruggerlo e lo spazio di
movimento del quadro va restringendosi sempre di più! Tra poco sentiremo l’aria
mancarci e allora invocheremo la morte gettandoci sotto i piedi di quel
colosso!”
“Ehi!” –Disse Nesso. –“Un po’ di
contegno! Siamo pur sempre guerrieri di Ercole! Il problema del Kouros
consideriamolo già risolto! Essendo stato colpito dalla Lama degli Spiriti,
l’essenza divina che lo ricopriva dovrebbe essere stata assorbita! Adesso è
soltanto un mucchio di pietra!”
“La Lama degli Spiriti?!” –Ripeté
Chirone, interessato. Quindi, dando fiducia al ragazzo, ordinò a Diomede di
scagliare due frecce di energia verso il collo del gigante, per verificarne la
resistenza. Diomede caricò la sua balestra e mirò all’attaccatura tra collo e
spalle, centrando in pieno il bersaglio e facendo esplodere la testa del
Gigante, che andò in mille frammenti di roccia, di fronte allo sguardo
esultante degli Heroes.
“Meraviglioso!” –Commentò Diomede,
prima di caricare nuovamente la sua balestra, mirando questa volta al cuore del
colosso, con un colpo che lo distrusse completamente, lasciando soltanto un
insieme confuso di ciottoli e pietrisco e risolvendo la prima parte del
problema.
“Occupiamoci del seguito, adesso!”
–Esclamò Nesso, che non voleva affatto perdersi d’animo. Tirinto era vicina e
non poteva credere che la sua strada potesse terminare lì, in quell’angusto
spazio che andava restringendosi ogni minuto di più. Presto la tela sarebbe
divenuta troppo piccola per contenerli tutti, e le energie dei loro cosmi,
collidendo tra di loro, avrebbero generato una potente esplosione,
disintegrando il quadro e tutti i suoi abitanti.
“Non possiamo aprire la porta! Non
sappiamo neppure dove si trovi!” –Spiegò Aureliano, mentre Nesso conferiva con
Argo del Cane, esponendogli la sua idea. L’unica possibilità che avevano per
uscire da quel dipinto era aprire il portale dall’esterno e vi era un solo
uomo, in quel momento, così vicino alla tela da poter udire le loro grida, da
poter percepire la voce di un amico attraverso il cosmo.
“Gleno di Regula giace riverso al suolo, fuori da questa tela!”
–Esclamò Nesso, mentre Argo si allontanava di qualche metro dal gruppo di
Heroes, per concentrare i sensi ed entrare in meditazione. –“Non è cosciente,
anzi, temo che le sue speranze di sopravvivenza siano inferiori alle nostre di
uscire da questa gabbia!” –Ironizzò il ragazzo, prima di voltarsi verso Argo e
fissarlo, senza proferire parola.
Diomede fece per brontolare, ritenendo
quella soluzione sciocca e futile per poter funzionare. Ma il severo sguardo di
Chirone lo zittì, ricordandogli di non avere alternative. Affidarsi al sogno di
un ragazzo, in grado di richiamare la moribonda attenzione dell’amico e
spingerlo ad allungare una mano avanti, lasciandola sporgere nella tela, era
l’unica possibilità di salvezza offerta loro.
Argo si era seduto qualche metro avanti
a loro, concentrando i sensi ed espandendo il cosmo, giovane e fresco, ancora
carico di sogni e belle speranze, molto diverso dai cosmi maturi di Chirone e
dei suoi Heroes, uomini certamente dediti al bene, ma con una maggiore
esperienza alle spalle, sia in battaglia che nella vita, che aveva ucciso parte
dei loro sogni, rendendoli a tratti un po’ cinici e poco idealisti. Argo lasciò
che il cosmo lo portasse via, che lo cullasse, aprendogli le porte di un mondo
lontano e distante, dove aveva trascorso molto tempo da bambino, assieme
all’amico Gleno, un luogo esistente soltanto nella
loro mente dove i sogni diventavano realtà. Quell’isola felice dove Argo e Gleno erano cresciuti.
Aggrappandosi a quel ricordo, Argo
cercò l’amico, chiamandolo a gran voce, espandendo il cosmo, fino a sfiorare i
limiti dell’universo, perdendosi nel tempo e nello spazio, inseguendo il
ricordo di ciò che erano stati, le esperienze che avevano vissuto insieme, i
sorrisi e gli sguardi che li avevano legati fin dall’infanzia. Perché tutto
questo non finisca, Gleno, amico mio, ho bisogno dite! Mormorò Argo, dando fondo a tutte le risorse del suo cosmo,
bruciandolo come mai aveva fatto prima. Come mai aveva avuto occasione, o
motivazione, per farlo. D’un tratto, proprio quando credette di non farcela
più, di non riuscire a vincere la distorsione spaziotemporale che li separava,
Argo sentì una voce chiamarlo, dapprima debolmente poi con maggiore intensità,
finché non udì chiaramente la voce di Gleno, che lo
cercava a sua volta. L’amico, febbricitante di fronte alla tela di Aureliano,
aveva sentito il cosmo di Argo chiamarlo da lontano e, quasi delirante, aveva
allungato la mano avanti, mentre stava scomparendo, per afferrarlo, per
trattenerlo a sé, per non lasciare che i ricordi che li avevano legati per
tutta la vita scomparissero nel nulla.
“Guardate!” –Esclamò Diomede, dotato
della miglior vista tra i presenti. E tutti sollevarono lo sguardo verso un
punto sopra la testa, ove apparve, quasi strappando il cielo, un braccio teso.
–“L’uscita! Eccola!”
Nesso corse avanti, lanciò un rampino
verso il cielo, mirando alla fessura, seppur piccola, che si era aperta attorno
al braccio di Gleno, afferrò Argo per un braccio,
stringendolo a sé, e poi si lasciò sollevare dall’arpione, conficcatosi
probabilmente in qualche albero della circostante radura. Chirone, Diomede,
Aureliano e Mistagogo vennero sollevati da una tromba d’aria generata dall’Hero di Tifone, raggiungendo la fessura e gettandovisi
dentro, ritrovandosi immediatamente nella radura, accanto a Nesso e ad Argo, chino
sul sofferente corpo di Gleno.
“Grazie!” –Esclamò Chirone del
Centauro, rivolgendosi ad Argo, che quasi non riuscì a udirlo, soffocato dalle
lacrime per la salute precaria dell’amico, il cui volto era sempre più pallido
ed emaciato.
Nesso fece per dire qualcosa, forse che
avrebbero dovuto correre a Tirinto, per consegnare ad Ercole la Lama degli
Spiriti, ma si sentì incapace di parlare in quel momento. Anche Chirone e i
suoi, piuttosto schivi e burberi di natura, chinarono il capo, in segno di rispetto
verso i due ragazzi che li avevano salvati. Così diversi da loro, così fragili,
così bambini, così ancora umani.
“Io… devo
andare!” –Esclamò infine Nesso a bassa voce, obbligando Argo a sollevare lo
sguardo, rivelando due occhi luccicanti di lacrime. Chirone del Centauro annuì
silenziosamente ma prima che potesse ordinare ai suoi Heroes di mettersi in
marcia, un potentissimo cosmo invase l’intera radura, presentandosi sotto forma
di striature di energia dal colore violaceo che lambivano i piedi dei guerrieri
presenti.
“A chi appartiene questo cosmo così
vasto? Così ostile?!” –Borbottò Diomede della Balestra, guardandosi attorno.
“Così familiare?!” –Aggiunse Chirone,
fendendo l’aria con i suoi ben affinati sensi.
Prima che potessero riconoscere il cosmo
che aveva iniziato ad aggredirli, notarono un fiore di melograno fluttuare
nell’aria e posizionarsi proprio ai piedi di Diomede della Balestra, che lo
osservò con occhi sgraniti. Chirone non fece in tempo
ad avvertirlo del pericolo, riconoscendo il fiore che si era conficcato nel
terreno, che il suolo vibrò e un’immensa pianta, dalle radici lunghe e sinuose,
simili a verdeggianti liane, emerse dalla terra, avvinghiandosi con rabbia e
violenza attorno al corpo di Diomede, che si dimenò a più non posso per
liberarsi da quella stretta sempre più pressante.
“Diomede!!” –Gridò Mistagogo, avanzando
verso la pianta, per estirparla con violenza. Afferrò una liana che roteava in
aria, iniziando a tirare con tutta la forza che aveva in corpo, per strappar
via quella pianta bastarda dal suolo, ma per quanta forza il gigantesco Hero mostrasse non riuscì a smuovere il melograno neppure
di un centimetro.
“Non è certamente un potere che può
esser vinto da mani indegne come le vostre!” –Esclamò una voce, mentre una figura,
rivestita da un’Armatura blu notte, appariva al centro della radura,
completamente avvolta nel suo cosmo incandescente. Chirone lo riconobbe
all’istante, trovando conferma ai propri sospetti. Quell’uomo era Partenope
del Melograno, ufficialmente uno degli Heroes più fedeli ad Ercole.
“Partenope!!!” –Esclamò Chirone,
avanzando verso di lui. –“Libera immediatamente Diomede!”
“E perché dovrei farlo? Per condannarlo
ad una morte violenta, come quella che potrebbe spettarvi in battaglia? Non è
forse meglio abbandonarsi e lasciarsi stringere in un fatale abbraccio dal mio Melograno
Assassino, dalla splendida creatura che io, Partenope, per Era ho ideato?!”
–Sogghignò Partenope, con il suo tono di voce superbo e al tempo stesso un po’
pazzo.
“Melograno Assassino?! Hai
dunque tradito anche tu la causa del tuo Signore?” –Domandò Nesso, furibondo.
“Per essere precisi, io non ho tradito
nessuna causa, anzi, ho felicemente sposato la mia anni addietro, quando
iniziai ad ordire le trame di questo complotto, per massacrare le Legioni di
Ercole dall’interno!” –Esclamò Partenope, raccontando a Chirone e agli altri il
piano da lui intessuto. –“Mi stavo dirigendo verso Tirinto, per assistere al
crollo della Reggia, quando ho sentito i vostri cosmi apparire in questa sterile
radura! E affinché la mia missione possa dirsi conclusa, e il mio sogno di
dominio realizzarsi, non devono rimanervi superstiti! No! Questa non sarà una
guerra tra stati sovrani, in cui al termine della stessa i prigionieri verranno
restituiti e i confini stabiliti a tavolino! Questa guerra non vedrà alcun
prigioniero né alcun superstite, tranne coloro che la vinceranno!” –E aumentò
la stretta sul Melograno Assassino, i cui fusti nodosi stritolarono
maggiormente il corpo stanco di Diomede della Balestra. Nesso fece per
intervenire, ma Chirone lo fermò, incitandolo ad andarsene.
“Tu e i tuoi amici avete già fatto
anche troppo per noi!” –Esclamò Chirone, dando le spalle al ragazzo. –“Vattene
adesso! Hai una missione più importante di cui occuparti, poiché da essa
dipendono molte vite, tra cui quella del nostro Signore!”
“Ma…” –Nesso
fece per replicare ma Mistagogo di Tifone gli si parò davanti, con aria
minacciosa.
“Questa è una guerra, ragazzo, e i “ma”
non sono ammessi!” –Quindi gli voltò le spalle, affiancando il suo Comandante,
pronti per lanciarsi contro Partenope.
Nesso strinse i pugni, inspirando
profondamente, prima di dare l’ultimo saluto ad Argo e a Gleno
e sfrecciare via, tra gli alberi abbattuti della radura, diretto verso Tirinto.
Alla vista della Lama che pendeva dalla sua cintura, Partenope si infiammò,
lanciandosi al suo inseguimento. Con il cosmo, evocò migliaia di Melograni
Assassini, facendoli fluttuare nell’aria, dirigendoli verso il corpo di
Nesso, per fermarne l’avanzata, ma il ragazzo fu abile a difendersi, creando
delle frecce di energia acquatica, sempre continuando a correre via, che
scagliò contro i melograni di Partenope, distruggendoli tutti.
“Frecce del Mare!” –Gridò Nesso,
prima che l’imperiosa voce di Chirone e di Mistagogo lo sovrastasse.
“Yaaah!!!”
–Gridarono i due robusti Heroes, lanciandosi avanti, con il cosmo acceso
intorno ai loro corpi e fasci di energia che continuamente dirigevano contro
Partenope, che fu costretto ad interrompere l’attacco e a lasciar andare Nesso.
Aureliano del Pittore si chinò su Argo,
pregandolo di rimanere indietro, perché ancora troppo debole, prima di correre
ad aiutare Diomede, sempre intrappolato in quel groviglio selvaggio di liane.
Aureliano cercò di strappar via le radici o quanto meno di tagliarle, ma la
furia del Melograno Assassino sembrava veramente incontenibile,
obbligando entrambi gli Heroes ad un colossale sforzo. Diomede espanse il
proprio cosmo, concentrando un mucchio di frecce di energia sul braccio destro,
dirigendole nel groviglio intricato di liane che lo avvolgeva, trinciandone
qualcuna e riuscendo a liberare un braccio e parte dell’anca. Ripeté
l’operazione un paio di volte, fino ad essere completamente libero.
“Al cuore! Mira al cuore!” –Lo incitò
Aureliano, che adesso stava fronteggiando lui stesso la marea montante di liane
selvatiche, che stavano cercando di stritolargli una gamba.
Diomede concentrò tutto il cosmo in
un’unica freccia energetica, mirando con attenzione al centro del fiore, dove i
petali si univano gli uni agli altri, dove la vita del Melograno pulsava con
violenza. Quindi la scoccò, osservandola con soddisfazione mentre si conficcava
al centro della corolla, annientando la pianta carnivora pochi istanti più
tardi e permettendo ad Aureliano di liberarsi.
“Un punto a nostro favore!” –Esclamò
Diomede, avanzando a fatica, verso il centro della radura, dove Chirone e
Mistagogo stavano affrontando Partenope del Melograno. Le ferite provocategli
dalle strette della pianta gli dolevano e avevano crepato parte della sua
corazza, ma Diomede strinse comunque i denti, unendo il suo cosmo a quello dei
suoi compagni.
“Siamo in quattro, Partenope!” –Affermò
Chirone con voce ferma, puntando il dito contro l’Hero
traditore. –“E tu sei da solo! Come è giusto che tu sia, nella tua fangosa
solitudine!”
“Foste anche in cento per me non fa
alcuna differenza!” –Rise Partenope di gusto, espandendo il proprio cosmo, che
si diffuse attorno a sé sotto forma di cerchi concentrici di energia dal colore
violaceo. –“A Tebe, quest’oggi, ho massacrato sette vostri compagni, compreso
l’uomo che si faceva chiamare Comandante!”
“Tereo è
caduto?!” –Esclamò Chirone, sinceramente sorpreso. Non aveva mai avuto
eccessiva simpatia per Tereo di Amanita, né per gli
altri Heroes della Quinta Legione, considerandoli, forse con disprezzo, dei
giardinieri e dei contadini, piuttosto che dei guerrieri. Ma se Ercole aveva
avuto fiducia in loro, conferendo a Tereo il titolo
di Comandante, allora queste potevano essere soltanto sue impressioni, rifletteva
spesso l’Hero del Centauro.
“Avreste dovuto vederlo! Impotente e
supplichevole! Mi ha implorato, quasi piangendo, di risparmiargli la vita,
mentre la stretta morsa del mio Melograno Assassino si chiudeva sul suo
collo, trinciandogli la testa seccamente!” –Esclamò Partenope, con voce
soddisfatta.
“Questo è impossibile!” –Lo zittì
Chirone. –“Tereo era un Hero,
non un codardo! Non avrà mai supplicato la tua pietà, invocando piuttosto la
morte!”
“Pare che le Moire lo abbiano
accontentato!” –Sibilò Partenope, prima di sfiorare la collana di perle che
portava attorno al collo. –“State attenti, che non accada anche a voi! Ihihih!”
“Vuoi spaventarci con i resoconti delle
tue atrocità?! Non basterà a frenare la mia collera! Né il mio Tifone di
Energia!!!” –Gridò Mistagogo, generando un violento mulinello di energia
cosmica, che diresse contro Partenope, il quale cercò di evitarlo spostandosi
lateralmente, ma poi, resosi conto che il Tifone seguiva ogni suo spostamento,
decise di affrontarlo di petto, gettandovisi dentro, di fronte agli occhi
stupefatti degli Heroes della Sesta Legione.
All’interno del mulinello, Partenope
riuscì a non essere sollevato e presto ne prese incredibilmente il controllo,
roteando attorno a sé la collana che portava al collo, fino a far calare
d’intensità l’irrequieto vortice di energia, assorbendolo al suo interno.
“Incredibile!” –Commentò incredulo
Mistagogo, mentre Partenope si avvicinava ai quattro guerrieri, sorridendo
soddisfatto.
“Conoscete la leggenda del Melograno?
Sapete perché questo fiore, così apparentemente insignificante, rispetto ad
altri più nobili e profumati, come la rosa per esempio, è primo nel cuore di
Era?” –Esclamò Partenope, narrando il mito che lo riguardava. –“Il melograno è
una pianta originaria della Persia, ma esportata ben
presto anche nel Mediterraneo! Nell'Antico
Testamento viene utilizzato per indicare la femminilità, la fecondità e la
prosperità! Esso è anche il segno della Benedizione divina, ricamata sulla
veste per le funzioni sacre di Aronne e scolpita sui capitelli della reggia di
Salomone! I cristiani la considerano una pianta proibita, perché
secondo un'antica tradizione era il frutto che fu offerto dal serpente ad Eva
nel Paradiso Terrestre! Ma anche per i suoi legami pagani! Nell’Antichità era
infatti usuale il suo impiego in medicina, per le sue qualità disinfettanti e
toniche!”
“Ma ciò che rende diabolicamente
attraente questo fiore è il suo legame dualistico con la fertilità e la morte!
Nel mito greco infatti il melograno nasce da una morte, dal sangue di Dioniso,
Dio del Vino e dell’Ebrezza, ucciso dai Titani, dando
il via ad una tradizione che si diffonde in ogni cultura! Numerosi
e sorprendenti sono i significati che l’uomo ha attribuito nel tempo a questo
frutto: dall’amore alla fecondità, dall’idea di rinascita a quella della
concordia. Ancora una volta la scelta di un frutto o un albero come simbolo di
sentimenti ed emozioni così grandi testimonia lo stretto rapporto tra l'uomo e
la Natura, il bisogno di attribuire agli elementi vegetali che la Madre Terra
ci dona i valori fondamentali per la vita di ogni essere umano! Alla Madre
Terra, a colei che dona la vita! Alla Grande Vacca! A Era!” –Gridò Partenope,
lasciando esplodere il suo cosmo con violenza. –“Annichilamento dell’Anima!!!”
–E scosse la collana di perle sopra di sé, generando una devastante esplosione
di energia che si diffuse a raggio attorno a sé, travolgendo in un attimo
l’intera radura, sprofondandola in un universo di luce.
“Per Ercole!!! È un bagliore
intensissimo!!!” –Gridarono Aureliano e Chirone, coprendosi il volto con un
braccio per riparare lo sguardo da quell’accecante luce, che non riuscivano a
comprendere da dove provenisse.
“Mi sento…svuotare…” –Mormorò Diomede, cercando di avanzare. Ma ad
ogni passo la forza che aveva dentro sembrava scomparire un po’ di più, fino a
piegarlo a terra, ginocchia sul suolo, prosciugato della sua essenza vitale. –“Devo… devo reagire!” –Si disse, sollevando il braccio
destro e caricandolo di un paio di frecce energetiche, stringendo i denti per
lo sforzo che solo un così semplice gesto pareva costargli. Le scagliò avanti,
nel nulla luminoso che lo circondava, prima di crollare a terra sfinito.
Capitolo 25 *** Capitolo ventiquattresimo: Il melograno assassino. ***
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: IL MELOGRANO ASSASSINO.
Nella radura ai margini del bosco
abbattuto, a sud di Tirinto, dove quella mattina Chirone del Centauro e la
Sesta Legione avevano affrontato i Kouroi, tentando
di intrappolarli in una tela di Aureliano, adesso, nel pomeriggio di quel lungo
giorno, il Comandante della Legione Furiosa stava fronteggiando la follia di Partenope
del Melograno, un tempo uno degli Heroes più fedeli ad Ercole, ma in realtà
il suo più acerrimo nemico, avendo tessuto per anni le fila di un piano per
distruggere le Legioni dall’interno. A fianco del Comandante vi erano Mistagogo
di Tifone, Diomede della Balestra e Aureliano del Pittore,
che nascondevano i corpi feriti di Gleno di Regula e di Argo del Cane, due giovani guerrieri della
Quarta Legione, che li avevano aiutati ad uscire dalla tela di Aureliano.
“Quanta sofferenza alberga nell’animo
di Era, voi non potete capire!” –Esclamò Partenope, abbassando lo sguardo,
quasi volesse rendere Chirone e gli altri partecipi di un dolore universale. Il
dolore di Era, e anche il suo. –“Quanto il suo orgoglio di donna ha dovuto
sopportare in questi lunghi secoli in cui ha vissuto a fianco di un uomo che
non l’ha mai capita! Di un uomo che continuamente le ha recato offesa,
disinteressandosi di lei, ricevuta in dono come si offre un oggetto, e
affondando per passione nel corpo di un’altra Divinità o, peggio ancora,
possedendo il mortale corpo di un umano! Per una donna sarebbe difficile
sopportare tutto questo, ma per lei, che è la Regina dell’Olimpo, la Signora
degli Dei, è stato ancora più grave sostenere questo peso! Quanti sguardi
maliziosi ha dovuto incontrare! Quanti sorrisi beffardi le ninfe e i satiri le
hanno rivolto, ogni volta in cui Era scendeva dal suo Tempio, per bagnarsi
nelle acque dello stagno di Dioniso o per assaporare qualche accattivante
grappolo d’uva delle vigne sacre del Dio del Vino! E quante voci sul suo conto,
circolate senza tregua per i corridoi di marmo bianco dell’Olimpo, le hanno
ferito il cuore come la lama di un coltello! E quante notti, senza luna né
stelle, ha trascorso a singhiozzare nella sua camera, rinchiusa tra le lenzuola
che le adoratrici di un tempo avevano intessuto per lei sull’Isola di Samo! Ora voi, stupidi uomini, riuscite a comprendere
quanto dolore si cela dietro tutto questo?!” –Gridò Partenope, voltandosi di
scatto verso i quattro Heroes e spingendoli indietro, con un’accecante onda di
energia.
“Riuscite a comprendere cosa vuol dire
aver vissuto mille anni sperando che l’uomo a cui era stata data in sposa,
l’uomo che l’aveva sedotta con malizioso inganno, si accorgesse di lei, di
quanto fosse bella e donna? Riuscite a comprendere cosa significhi vivere mille
anni struggendosi in una logorante attesa, per poi giungere all’unica maledetta
conclusione? Che quel giorno, che Era tanto aveva atteso, forse non arriverà
mai! Che ha trascorso una vita intera, la vita di una Divinità, non l’effimera
vita di un uomo, ad inseguire un sogno che non diverrà mai realtà!” –Esclamò
Partenope, e a Chirone parve quasi di notare i suoi occhi bagnarsi di lacrime.
–“Soltanto noi, che di Era siamo servitori ed Emissari, e come tali portatori
della sua fede, possiamo comprenderne il dolore! Noi, che da Era siamo stati
scelti, tra gli uomini mortali, per elevarci e portare nel mondo il suo credo!
Il credo di una donna a cui sono stati portati via l’amore e i sogni, e a cui
nient’altro da credere resta se non alla vendetta! E a cui nessun altro motivo
per cui lottare resta se non dimostrare a Zeus di aver vissuto per secoli in un
errore, mostrando al Dio il frutto dello sbaglio fatto tempo addietro, vederlo
inchinarsi di fronte a lui, implorando perdono, strisciando come un uomo, privo
ormai del suo Cosmo Divino!”
“Sei pazzo Partenope!” –Gridò Chirone
del Centauro. –“Ercole non si inginocchierà mai di fronte ad Era! Né perderà il
suo rango di Divinità per soddisfare i capricci di una donna sessualmente
frustrata!”
“Taciiii
blasfemo!!!” –Ringhiò Partenope, scaraventando Chirone contro un albero,
schiacciandolo con un’onda di energia che disintegrò l’elmo del Centauro,
rivelando gli occhi accesi del Comandante della Legione Furiosa. –“Cosa ne sai
tu delle donne? Cosa ne sai di quanto soffrono e piangono? Credi che l’amore
debba risolversi tutto nel sesso, in uno sterile incontro di corpi freddi che a
nient’altro mirano se non ad un piacere effimero e momentaneo? E non pensi
all’eternità, alla gloria di un sentimento capace di vincere persino il
trascorrere inesorabile del tempo?! No, Chirone, tu non puoi comprendere le
sofferenze della mia Regina! Tu sei soltanto un uomo, un vuoto corpo, privo di
spirito e di eternità, ed io, che sono asceso al cielo degli Dei, ti infliggerò
così tanto dolore che rimpiangerai di non aver mai provato amore in tutta la
tua vita!”
“Lascia che sia io a decidere come
vivere la mia vita!” –Replicò Chirone, rimettendosi in piedi e avanzando con
baldanza, mentre l’aura rossastra del suo cosmo lo circondava. –“Lascia a me
l’onore e l’onere dei rimorsi e dei rimpianti!”
“Bastardo! Ti fai gioco di me!”
–Ringhiò Partenope, espandendo il proprio cosmo e sollevando la collana che
teneva in mano. –“In queste perle è racchiuso tutto il dolore delle persone a
cui ho rubato la vita, punendole per non aver compreso la sofferenza della
Regina degli Dei! Queste perle un tempo erano chicchi di melograno, su cui Era
pianse nelle sue lunghe notti insonni, nelle veglie trascorse ad attendere
l’uomo da cui credeva di ricevere amore, ma da cui ebbe soltanto un titolo
onorifico e tanti dispiaceri! Piangendo, questi chicchi sono stati infusi del
suo cosmo, trasformandosi in splendide perle, capaci di attrarre a sé tutti gli
spiriti degli uomini che si abbandonano al dolore! Che sono vittime del dolore!
E di tutte le emozioni negative che ad esso si accompagnano! Rancore, odio,
frustrazione, vendetta, invidia, gelosia, amori non corrisposti! Ogni anima trova
il suo giusto posto all’interno di questa collana, di questo nido ove dimorerà
per l’eternità! Poiché non esiste anima, non esiste uomo, che non abbia provato
almeno una volta sentimenti negativi! E la dimostrazione di questo potere
l’avete avuta poc’anzi, quando, liberando il mio potere, vi ho prostrato in
ginocchio, prosciugando parte delle vostre energie!”
“Cosa stai farneticando? Quale follia
ha partorito la tua mente?”
“Non ti senti fiacco e vuoto, Chirone?
Non senti le gambe pregarti di non sforzarle più, di non obbligarle ad avanzare
ulteriormente, abbandonandoti al riposo e alla quiete?!” –Sogghignò Partenope.
–“Eppure hai già subito l’Annichilamentodell’Anima, seppur non
al suo massimo potere! Vuoi forse farmi credere di esserne rimasto immune?!”
Chirone strinse i pugni, brontolando
tra sé, incapace di ammettere che le parole provocatorie di Partenope erano
vere. L’assalto che aveva scagliato contro tutti loro, pochi minuti prima,
l’abbagliante luce che li aveva accecati, aveva sottratto parte della loro
energia, palesandosi come un ventaglio scintillante che si era richiuso,
portando con sé una parte della loro essenza vitale. L’anima era davvero stata
intaccata, e il fatto che Diomede e Aureliano fossero crollati in ginocchio e
che suo fratello Mistagogo, ardito e temerario in battaglia, avesse bisogno di
appoggiarsi a un albero, per respirare di nuovo, ne erano palese dimostrazione.
Eppure Chirone continuava a reggersi sulle gambe, indebolito ma non spossato
come i suoi compagni. Perché? Si chiese il Comandante, ringhiando contro
l’Hero traditore.
“Non lo immagini?!” –Sogghignò
Partenope. –“Che delusione ho provato nell’affrontare quell’inetto di Tereo! Una vera pena! Un vero fungo andato a male! Non ha
neppure tentato di liberarsi dalla morsa del mio Melograno Assassino!
Come può una vittoria così schiacciante, così umiliante, soddisfare il mio
smisurato ego, il mio smisurato bisogno di confrontarmi con un uomo vero e
vincerlo?!”
“Se è uno scontro diretto che brami,
tale scontro avrai! Chirone del Centauro non si tirerà mai indietro di fronte
ad una battaglia!” –Gridò con fierezza l’Hero di
Ercole, espandendo il cosmo fino ad avvolgere se stesso in una sfera infuocata,
prima di sollevare lo sguardo verso Partenope. Una frazione di secondo dopo, la
potente sfera energetica sfrecciava già verso l’Emissario di Era, come una vera
e propria bomba umana, dalla forza immane. Partenope non riuscì ad evitare di
essere travolto e venne spinto indietro, prima di scaraventare lontano Chirone
e il suo cosmo ardente con una poderosa onda di energia. Ma il Comandante della
Sesta Legione fu abile a balzare in alto, atterrando a piedi uniti sul terreno,
a fianco degli esausti Diomede, Aureliano e Mistagogo.
“Quando il mio corpo è avvolto dalla
fiamma astrale che dimora dentro di me niente è in grado di raggiungermi,
neppure i tuoi anelli di energia!” –Esclamò Chirone, le cui sembianze parevano
quelle di una stella, tanto vivo e acceso era il rossore che emanava.
“Lo vedremo! Anelli di Luce!!!”
–Gridò Partenope, scatenando con rinnovata intensità il suo assalto, la cui
forma molto ricordava i cerchi concentrici generati da un sasso cadendo in
acqua. Ma Chirone mise tutto se stesso nel cosmo che lo attorniava, riuscendo a
contrastare l’impeto di quei cerchi energetici. –“Una sfida appassionante! Ma
che saprò vincere!” –Sibilò l’Hero traditore,
placando il suo assalto ed evocando una miriade di rossi fiori di melograno,
che apparvero attorno al suo corpo prima di essere scagliati con forza avanti,
verso i guerrieri di Ercole. –“Melograni Assassini!!! Saziatevi della
loro energia!!!” –Gridò Partenope, dirigendo i suoi fiori contro la sfera che
attorniava Chirone e, in numero minore, contro gli altri Heroes, di cui ben
poco ormai si interessava, convinto che, come gli Heroes della Legione dei
Fiori, fossero ormai fiacchi e sconfitti.
Diomede tentò di difendersi, colpendo i
melograni in volo con le sue frecce, mentre Mistagogo ricreò il suo Tifone
di Energia, seppure di intensità inferiore al solito, per travolgere i
rimanenti. I fiori che si diressero contro Chirone sfiorarono a malapena la sua
barriera di fiamma ardente, prima di essere carbonizzati, annientati con un
colpo solo dalla devastante esplosione di energia che sorse dalla sfera stessa,
raggiungendo persino Partenope e scaraventandolo indietro di qualche metro.
“Meraviglioso!!!” –Commentò Partenope,
sorridendo maliziosamente a Chirone. –“Una tale dimostrazione di forza,
resistenza ed energia non può che far gioire il mio cuore annoiatosi per la
facilità riscontrata nel massacrare gli Heroes tebani! Tu, Chirone, sei la mia
ancora di salvezza dalla monotonia di questo mondo! Ah ah ah!!!”
“Smetti di parlare e combatti,
ipocrita!” –Ringhiò Chirone, scattando avanti come una bomba di energia,
avvolto ancora nel suo cosmo ardente. Ma non riuscì a travolgere Partenope come
aveva fatto in precedenza, poiché non appena si mosse, l’Hero
traditore sollevò la collana di perle al cielo, espandendo il suo cosmo e
generando una violenta esplosione di luce che abbagliò nuovamente l’intera
radura.
Pallido, e grigio a tratti, quasi una
luce carica di malinconia e tristezza, il bagliore generato da Partenope accecò
nuovamente tutti gli Heroes presenti, mentre l’Emissario di Era roteava sopra
di sé la sua arma e gemiti di dolore parevano risuonare nella radura macchiata
di sangue.
“Udite queste voci? Sono i lamenti
delle anime di cui mi sono cibato! Sono le grida strazianti degli uomini a cui
ho rubato il futuro, condannandoli ad un’eterna agonia nel limbo!” –Esclamò
Partenope, osservando con piacere le smorfie di disgusto sui volti dei suoi
avversari. –“Ogni perla, ogni chicco di melograno che compone questa collana
rappresenta una vittoria e presto anche voi farete parte della mia collezione
di trofei!” –Aggiunse, prima di scatenare la potenza del suo attacco. –“Annichilamento
dell’Anima!!!” –Gridò, liberando il potere racchiuso nella collana di
melograno, simbolo di fertilità ma anche di morte.
Diomede e Aureliano crollarono a terra,
cercando di avanzare a tastoni sul suolo, mentre le forze sembravano
abbandonarli, svuotati dall’interno, quasi prosciugati della loro energia
vitale. Chirone cercò di resistere, scagliandosi come una valanga contro
Partenope, ma la sfera di infuocata energia che lo rivestiva si dissolse pochi istanti
dopo, svanendo nell’immensa luce, venendo assorbita dalla collana.
“È vano ogni tuo movimento, Chirone!
Non hai udito la mia spiegazione? La collana del melograno è nata dal dolore
della Grande Dea, è intrisa di sofferenza e figlia del peccato, e attira a sé
tutti i rancori e le sofferenze degli uomini! Perché, in fondo, cos’altro è la
vita di un uomo se non un’esistenza di dolore e peccato?”
“Sbagli! Esistono anche uomini giusti,
che non errano e dedicano la loro vita al bene, ad aiutare gli altri!” –Rispose
Chirone, ma Partenope lo interruppe nuovamente.
“Idiozie! La vita degli uomini è fin
dalla nascita dominata dal dolore e dall’errore! Qualsiasi uomo durante la
propria vita commette sbagli, anche nelle scelte più semplici che compie!
Qualsiasi uomo durante la propria vita prova rancore, tristezza, gelosia,
sconforto, nei confronti degli altri o di se stesso, macchiando il suo cuore di
sentimenti negativi! E tu ne sei un esempio, oh mio orgoglioso capitano della
Legione Furiosa! Quanti uomini hai ucciso? Quanti ne hai massacrati per
soddisfare la tua brama di gloria in battaglia, la tua sanguinaria fame di
vittoria?”
“Ho combattuto per ciò che ritenevo
giusto, affrontando briganti e i Turchi invasori, e lottando spesso a fianco di
Ercole!” –Rispose Chirone.
“E puoi dire a te stesso di non aver
mai lottato per il piacere innato di scendere in battaglia e far sfoggio delle
tue abilità guerriere? Puoi ammettere di fronte a Dio di non aver mai peccato
nell’uccidere altri uomini e che farlo significa portare giustizia?” –Ironizzò
Partenope, zittendo Chirone, che abbassò il capo, non sapendo come rispondere.
Avrebbe potuto anche mentirgli, ma
questo non avrebbe cambiato la realtà dei fatti. Il Comandante della Legione
Furiosa, lui stesso lo aveva ammesso più volte, era un soldato, che aveva dato
la vita alla guerra, sentendola ribollire nel sangue, venendo spesso ingaggiato
fin da ragazzo come mercenario al servizio del miglior offerente. Soltanto in
seguito al suo incontro con Ercole, Chirone aveva compreso che la guerra non
poteva essere l’unico modo per risolvere i problemi, né tra uomini né tra Stati
sovrani, ponendo quindi i suoi servizi a disposizione del Dio dell’Onestà.
“Non ascoltarlo, Chirone!!!” –Gridò una
voce, rubando l’Hero ai suoi pensieri. –“Nostro padre
sarebbe fiero di te! Io sono fiero di te!!!” –Si fece avanti Mistagogo di
Tifone, accendendo il cosmo di bagliori rosati e argentei. –“Non lasciare
che quest’uomo menzognero insinui il dubbio dentro di te, ma valuta il tuo
operato senza paura del giudizio finale!”
“Mistagogo!” –Mormorò Chirone,
osservando il fratello avanzare fino a porsi al suo fianco, incurante delle
forze che gli venivano meno, assorbite dalla collana di Partenope.
“Ricordi quando abbiamo assalito quella
nave ottomana in Tessaglia? Ne uccidemmo la metà, questo è vero! Ma se non
l’avessimo fatto, se non fossimo intervenuti, quanti bambini, donne o anziani
di quel villaggio di pescatori sarebbero morti, massacrati senza possibilità di
difendersi? Quante vite abbiamo salvato, sia pur peccando e macchiando le
nostre mani di sangue?! Se un giorno dovremo pagare per aver combattuto per
difendere degli innocenti, allora affronteremo il giudizio a testa alta! Ma
nell’attesa…” –E volse lo sguardo verso Partenope,
infastidito da quell’intervento. –“…nell’attesa
lotteremo con tutte le nostre forze per difendere ciò che ci è caro! Tifone
di Energia!!!” –Gridò, lanciandosi avanti e travolgendo tutto con il suo
mulinello di energia cosmica, di potenza incredibilmente superiore ad ogni
assalto lanciato in precedenza. –“Ricordalo fratello!!! Ricorda…
mi!” –Aggiunse, prima che un’onda devastante di luce pallida lo investisse,
cancellando la sua anima.
“Stolto!” –Mormorò Partenope,
arrotolando la collana di melograno attorno al braccio destro e placando la sua
offensiva. –“Quali speranze aveva un assassino come lui, barbaro dedito
soltanto alla guerra, di opporsi all’Annichilamentodell’Anima?
Nessuna! E credo anch’egli lo sapesse! Vigliaccamente ha rinunciato a
combattere, gettandosi senza speranza alcuna verso la fine, impaurito dalla
sofferenza e dai tormenti di una morte crudele che gli avrei destinato,
credendo di poter incontrare la salvezza! Ma ha errato, poiché il mondo in cui
la sua anima è precipitata adesso è un mondo di sofferenza continua, ove egli
proverà su se stesso le terribili pene che ha comminato ai suoi avversari in
vita!”
“Sbagli! Mistagogo non aveva paura
della morte, né di te, che ti atteggi a Dio degli Inferi, quando in realtà sei
soltanto un pavido cialtrone!” –Esclamò Chirone, con rabbia. –“Mistagogo era un
guerriero ed è caduto con onore, come tutti gli Heroes della mia Legione, che
tu e quel barbaro di Ificle avete contribuito a
distruggere! Perciò ascoltami bene, scagnozzo di Era, come tu hai giurato di
combattere per difendere l’onore di una donna stuprata nei sentimenti, io
combatterò per l’onore mio e dei guerrieri che hanno creduto in me, al punto da
morire al mio fianco, senza arretrare di un passo! Questo per me è il coraggio!
Questo per me significa vivere la vita fino in fondo, diventando immortali!
Poiché gli spiriti degli uomini caduti quest’oggi rimarranno dentro di me per
l’eternità e si uniranno alle anime di tutti coloro che hanno vissuto per
qualcosa, lottando con coraggio, inciampando e cadendo nel fango e trovando
ogni volta la forza di rialzarsi, anche se sporchi e stanchi, con lo sguardo
limpido di chi non si arrende!” –Detto questo, Chirone si lanciò come una bomba
contro l’Hero del Melograno, incurante dell’energia
che gli veniva sottratta ad ogni attimo in cui si avvicinava a lui.
La potenza dell’assalto di Chirone fu
tale da spingere Partenope indietro, facendolo barcollare per qualche istante,
prima che riuscisse a piantare di nuovo i piedi nel terreno, spazzando via il
Comandante della Legione Furiosa con un’abbagliante onda di pallida luce,
assorbendo ancora un po’ della sua rabbia, un po’ del suo dolore, un po’ della
sua natura guerrafondaia.
“Abbraccerai presto le anime di coloro
che sono morti, Chirone, poiché tra poco li raggiungerai! Ah ah ah!” –Esclamò Partenope, roteando la collana di melograno,
mentre Diomede e Aureliano, seppur deboli, affiancavano il loro Comandante,
pronti a dare la vita per proteggerlo. –“Ascolta tuo fratello! Ascolta le grida
di un peccatore, la cui anima è corrosa dal male e intrisa da un senso di
morte!!!”
Per un attimo a Chirone e agli altri
due Heroes parve vedere evanescenti figure fluttuare nell’aria circostante,
mentre strilli acuti, simili a implacabili lamenti, anticipavano visioni atroci
ai loro occhi. A Chirone sembrò di vedere Tereo di
Amanita, Liriope del Narciso, Ila
del Tulipano, Eumolpo della Spiga, Kore del Cipresso
e altri Heroes uccisi da Partenope disperarsi selvaggiamente, segnati da
tormenti indescrivibili, precipitati nei gironi dell’Inferno, mentre pene
terribili venivano loro inflitte. Infine, solitario ed errabondo, Chirone
rivide lo spirito di suo fratello, del fratello al cui fianco aveva a lungo
lottato, camerati della stessa Legione impegnati in una guerra continua contro
la vita. Sospirò per un momento, mentre lacrime brillarono sui suoi occhi per
la prima volta, sugli occhi dell’uomo che non aveva mai pianto, neppure quando
erano morti i suoi genitori, massacrati davanti ai suoi occhi durante un
attacco ottomano.
“Grazie!” –Mormorò Chirone, ripulendo
dal dubbio il suo cuore, e preparandosi per l’ultimo attacco, proprio mentre
Partenope sollevava la collana di melograno, con un ghigno perverso sulle
labbra. Mosse la bocca, per scatenare l’Annichilamento dell’Anima, ma
un’mprovvisa luce lo travolse, sovrastando il pallido
bagliore di morte delle anime erranti che aveva imprigionato. –“Cosa?!”
Argo del Cane e Gleno di Regula, i
due Heroes della Quarta Legione, avanzarono a passo deciso, tenendosi per mano,
verso il centro della radura, passando accanto ai corpi stanchi di Chirone,
Diomede e Aureliano, con il volto calmo e sereno, privo di quell’ansia e di
quella rabbia che sembravano tratteggiare gli Heroes della Legione Furiosa.
“Ragazzi! Cosa fate? Allontanatevi! È
pericoloso!!!” –Gridò Aureliano del Pittore, ma la risposta di Argo gli tolse
ogni dubbio.
“Nient’affatto! Per noi non lo è!”
–Sorrise il giovane Hero del Cane. –“La collana di
melograno agisce sui sentimenti negativi che dominano l’uomo: rabbia, dolore,
collera, gelosia, brama di gloria! Ma noi, che di tali emozioni siamo privi,
poiché non abbiamo mai permesso loro di dominare il nostro animo, non
risentiamo del suo oscuro influsso!”
“Sciocchezze! Siete uomini come tutti
gli altri, e possedete un cuore impuro, macerato dalle sofferenze che hanno
segnato la vostra vita! Orfani, deboli e feriti, avete assistito impotenti al
massacro dei vostri compagni, incapaci di far qualsiasi cosa per aiutarli! Il
senso di colpa domina il vostro animo e vi abbatte nello sconforto, nella
disperazione dell’inutilità della vostra esistenza!” –Esclamò Partenope,
sollevando la collana di perle e dirigendo la luce verso i due, avendo però
un’amara sorpresa. Il bagliore di morte della sua arma sembrava tentennare di
fronte al limpido cosmo dei due giovani, quasi avesse paura, quasi provasse
incertezza, davanti a un’anima così immacolata. –“Come può essere?!”
“Il profilo con cui ci hai descritto,
Partenope del Melograno, non ci si addice!” –Rispose calmo Argo del Cane, chiudendo
gli occhi, assieme all’amico, e lasciando che i loro cosmi si unissero,
aprendosi come il calice di un fiore. –“Non c’è dolore nel nostro animo,
soltanto felicità e speranza! Felicità perché abbiamo avuto la fortuna di
conoscerci e vivere insieme in quest’epoca, amici sinceri, quasi fratelli!
Felicità perché siamo stati investiti dall’onore di marciare con le Legioni di
Ercole, servendo uomini valorosi come il capitano Agamennone o la premurosa Niobe, mettendo la nostra vita al servizio di una causa
giusta, come quella incarnata dal Dio dell’Onestà! Felicità, infine, poiché
daremo la vita per salvare quella di tre nostri compagni, impedendo che a loro
sia fatto del male! Come possiamo provare dolore per aver vissuto una vita così
intensa, così bella, così dedita agli altri e al futuro?” –Sorrise Argo del
Cane, prima di liberare assieme all’amico tutto il loro cosmo. –“È la speranza
del futuro che ci darà la forza per sconfiggere il rancore e l’odio che
dimorano nella tua collana, Partenope!!!”
Un’abbagliante esplosione di luce
travolse la radura, mentre i cosmi incontaminati di Argo e Gleno
sopraffacevano gli strazianti lamenti dei dolenti spiriti del Melograno,
spingendo via Partenope e danneggiando persino un coprispalla
della sua corazza. Chirone, Diomede e Aureliano furono spinti indietro,
accecati da tale angelico splendore, che distrusse la collana di perle,
liberando le anime di coloro che troppo a lungo vi avevano dimorato e sofferto.
Decine e decine di spiriti parvero dissolversi nel vento, finalmente liberi da quegli
immani patimenti, finalmente pronti per ascendere al Paradiso dei Cavalieri,
ove insieme si sarebbero ritrovati.
“Comandante Chirone! È stato un onore
dare la vita per salvare voi e i vostri Heroes, uomini coraggiosi che non hanno
indietreggiato di un passo per difendere i loro ideali e i nostri corpi!” –Fu
l’ultima frase di Argo del Cane che Chirone udì nella propria mente, prima che
la luce si attenuasse, lasciando soltanto una leggera foschia.
Chirone, Diomede e Aureliano si
rimisero in piedi, finalmente liberi, svincolati da quel potere malefico che
prosciugava le loro forze. Un rumore di rami spezzati li fece voltare, per
trovarsi di fronte l’irato volto di Partenope del Melograno che li fissava con
disprezzo. La sua armatura aveva subito qualche graffio e al collo non portava
più alcuna collana, distrutta dall’idealismo puro e sincero di due giovani. Forse
i più adatti, sospirò Chirone, per vincere il rancore e il cinismo degli
uomini adulti!
“Mai avrei creduto di incontrare uomini
dotati di un animo così puro, uniti da un affetto così sincero da divenire un
potere superiore al dolore che caratterizza la vita umana!” –Confessò
Partenope, stringendo l’aria con la mano destra, ancora incredulo di aver perso
la propria collana.
“Vivi in un errore, Partenope, se credi
che la vita sia solo dolore e morte! E forse… vivi
anche male con te stesso!” –Commentò Chirone. –“La vedi questa nebbia che
adesso si va diradando? Io credo sia la stessa che ottenebra il tuo cuore,
impedendoti di vedere la realtà e mostrandoti soltanto uno squarcio inquinato
di essa! Una nebbia sì fitta o un muro sì grosso che, non vi penetrando
l’occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello
che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in
India!”
“Che stai dicendo?” –Domandò Partenope,
senza comprendere.
“Citavo un poeta fiorentino del ‘500!
Francesco Guicciardini!” –Spiegò Chirone, con un sorriso soddisfatto. –“Mio
padre era un guerriero e ha insegnato a me e a mio fratello il culto della guerra,
supremo compimento dei doveri di un maschio, per la protezione della famiglia e
della patria; ma mia madre era una poetessa, e amava trascorrere le giornate a
leggere nei prati! La sera, prima di coricarmi, mi leggeva brani di autori
italiani e greci, considerandoli i migliori del mondo, poiché i più adatti a
cogliere la realtà circostante! E tu, con quel velo di nebbia sul cuore, mi hai
ricordato una massima dei Ricordi del Guicciardini!” –Commentò Chirone,
prima di lasciarsi scappare un moto ironico. –“È strano! Aver vissuto per così
tanti anni pensando alla guerra, a quanto fosse eroico scendere in battaglia, a
quanto in essa avrei potuto trovare pace e realizzazione dei miei ideali, e
aver dimenticato tante altre cose, come le poesie che mi legavano a mia madre!”
“Non disperarti per lei, poiché presto
la incontrerai di nuovo! L’Inferno è un luogo ospitale e sono certo che tua
madre ti avrà riservato un letto accanto a lei!” –Sghignazzò Partenope,
espandendo il suo cosmo. –“Le madri sanno sempre cosa è meglio per i loro
figli!”
“All’Inferno finirai tu, Partenope!”
–Esclamò Chirone, ritrovando tutta la sua grinta combattiva. Balzò in alto,
lasciando esplodere il suo cosmo, che avvolse il cielo con un’aura cosmica
rossastra, prima che una fitta pioggia di lava scendesse sulla radura,
convergendo su Partenope. –“Lapilli di lava, cadete!!!”
Partenope schizzò come un fulmine nella
radura, cercando di evitare la fitta pioggia di magma ardente, con gran
difficoltà. E maledisse per la prima volta le sue origini umane, e il mancato
riconoscimento del suo status divino. –“Ercole! Io ti odiooo!!!”
–Gridò, fermandosi e facendo esplodere il suo cosmo, che si presentò sotto
forma di un unico violento anello di luce, che travolse i lapilli infuocati che
cadevano, estinguendo il magma di Chirone e facendo precipitare l’intera radura
nel silenzio.
Indebolito per lo sforzo, Partenope si
lasciò cadere a terra, sentendosi stanco per la prima volta dall’inizio di
quella lunga giornata. Aveva massacrato Tereo di
Amanita e altri sei Heroes a Tebe, intrappolato Nestore dell’Orso e Giasone del
Cavallo, ucciso Mistagogo di Tifone e adesso avrebbe annientato anche Chirone
del Centauro e i suoi compagni, prima di fare ritorno a Samo.
Là, tra le mura del nuovo Heraion, la Regina degli
Dei lo avrebbe accolto con l’affetto di una madre, lodandolo per la sua
iniziativa e per i risultati conseguiti, superiori a quelli di Kyros del Pavone e di Boopis
della Vacca, indegni parigrado da cui Partenope aveva sempre cercato di
differenziarsi. Soprattutto da Kyros, che godeva
della benedizione di Argo, mentre lui, che si era formato da solo, senza
maestri né addestramento, tranne quello che si era imposto, veniva confuso
assieme agli altri. Lui, che avrebbe dovuto sedere alla destra di Era come suo
Oracolo, l’unico in grado di comprenderla completamente, più di quanto persino
Argo poteva fare. Poiché Argo, per quanto vicino alla Dea, non poteva conoscere
il segreto che lo riguardava, il legame profondo che univa Partenope ad Era, di
cui soltanto loro due erano a conoscenza.
Facendosi forza, Partenope si rimise in
piedi, accorgendosi di essere rimasto solo. Infastidito e sospettoso,
l’Emissario fendette l’aria con i sensi, cercando i cosmi di Chirone e degli
altri due Heroes, senza riuscire a trovarli. Insistette, nel tentativo di
cogliere ogni minimo movimento, ogni minimo suono che pervadesse la radura, ma
dovette ammettere, con sommo stupore, di aver perso ogni traccia dei suoi
avversari. Non troppo convinto, iniziò a camminare, dirigendosi verso il
limitare della radura, ove il gruppo di Heroes stava sostando quando li aveva
scovati, ove i corpi degli altri Heroes della Sesta Legione massacrati da Ificle giacevano.
Con stupore, raggiunti i margini della
natura, non trovò niente, soltanto erba, e un senso soffocante di inquietudine,
come se lo spazio si fosse all'improvviso ridotto, come se l’aria avesse
iniziato a mancargli. Sconvolto, si guardò intorno con rabbia e con il sospetto
crescente di essere caduto in trappola, anche se ancora non riusciva a
comprendere in che modo. Corse di lato, tornò indietro, ritornò sui suoi passi,
finché non fu costretto ad ammettere di essere stato intrappolato. Adesso
sapeva dove si trovava, adesso aveva ben chiaro il motivo per cui non riusciva
a trovare né Chirone né alcun altro all’interno di quello spazio. Perché non
era più nella radura dove aveva combattuto, ma nella radura fittizia, dipinta
da Aureliano del Pittore su tela e nella quale l’Hero
traditore del Melograno era condannato a rimanere per l’eternità.
Niobe del Falco, Sacerdotessa di
Ercole, giaceva inginocchiata a terra, sulla cima del colle di Larissa, sorreggendo il corpo ferito del suo capitano, il
valoroso Agamennone del Leone, che si era battuto per tutta la durata della
missione, anche per lei, che era rimasta piuttosto in disparte. Prima contro il
Kouros, poi contro Borea, Vento del Nord. Adesso, esausto e privo della corazza
del Leone di Nemea, frantumata dal figlio di Eos, Agamennone era tenuto in vita
dal caldo cosmo di Niobe, che si era chiuso su di lui, ricreando un piccolo
guscio protettivo ove regnavano il calore e l’affetto. L’affetto che da anni la
Sacerdotessa provava per il valente capitano, l’uomo che le aveva emozionato il
cuore fin dal primo giorno in cui aveva posato il suo sguardo su di lei, ancora
fanciulla. Niobe sorrise, arrossendo sotto la maschera d’oro bianco, ricordando
quei momenti.
Era ancora una bambina di sei anni,
cresciuta prendendosi cura dei due fratelli minori, a causa della perdita dei
genitori avvenuta quando era molto piccola. Sua madre, affascinata dalle
leggende dell’Antica Grecia, le aveva dato il nome di Niobe, quasi volesse
sfidare il destino e la sorte in cui era incorsa la Regina di Tebe. Questa
infatti, sposa di Anfione, da cui aveva avuto sette
figli e sette figlie, era così orgogliosa della sua prole che aveva osato
burlarsi persino della Dea Latona, che di figli ne
aveva avuti soltanto due, Apollo e Artemide. Per vendicarsi, la Dea incaricò
allora Apollo e Artemide di uccidere i figli di Niobe, con le loro frecce, che
vennero quasi tutti massacrati, ad eccezione di due. La Regina Niobe, in
lacrime per il dolore, e sentendosi colpevole, si tramutò in un blocco di
marmo, da cui scaturì una fonte, rimanendo per l’eternità con il suo dolore.
Ciò che la madre di Niobe aveva quindi voluto sperare, donando alla figlia il
nome dell’antica Regina di Tebe, fu che ella non fosse altezzosa né orgogliosa,
ma umile, come una vera regina dovrebbe essere, e che vivesse la vita fino in
fondo, nella gioia e nel dolore, nell’odio e nell’amore, senza trascorrerla a
piangere nei rimpianti.
Niobe e i suoi fratelli crebbero in un
podere nei dintorni di Tebe, dove un vecchio filantropo raccoglieva orfani da
tutta la Grecia, cercando di dare loro del cibo. In cambio chiedeva che i
ragazzi lo aiutassero nella cura dei suoi campi e dei suoi vasti orti. Fu
proprio in quel podere, ove era giunto per caso, dopo aver cacciato nelle
pianure della Tessaglia, che Niobe incontrò un giorno il giovane Agamennone,
che aveva chiesto al vecchio un posto per riposare una notte. Rimase subito
folgorata dal suo bell’aspetto, indubbiamente piacente, e dai racconti delle
sue avventure, delle cacce a cui aveva partecipato, delle spedizioni contro gli
Ottomani a cui aveva segretamente aderito, che le sembrò di vedere in lui un
eroe del Mondo Antico, il protagonista dei racconti e delle leggende che sua
madre le raccontava da piccola, cullandola sulle ginocchia assieme ai
fratellini.
Fu così che prese la decisione di seguirlo,
nonostante fosse solo una bambina ed egli avesse quasi diciotto anni. Ma, per
quanto duri furono gli anni successivi, Niobe non rimpianse mai quel giorno,
perché in quel momento, anche se ancora non ne era cosciente, aveva messo la
sua vita al servizio di un ideale, lo stesso per cui anche Agamennone lottava:
servire il Sommo Ercole ed entrare a far parte delle Legioni di Heroes. Niobe
rimase affascinata dallo splendore della reggia di Tirinto, che le ricordava
una versione molto ingrandita del podere in cui aveva vissuto e dove aveva
lasciato i due fratelli, con la promessa un giorno di ritornare, per poter
offrire loro un futuro migliore, che non fosse aiutare un vecchio nei campi.
Niobe mantenne la promessa e dieci anni
dopo, ottenuta l’investitura a Sacerdotessa del Falco e un posto nella Quarta
Legione di Ercole, tornò a Tebe, con quattro carri pieni di viveri e di beni di
consumo, per ringraziare il vecchio per averla ospitata anni addietro e per
portare via i fratelli. Ma non trovò nessuno, neppure l’antico podere, soltanto
un cumulo di rovine e campi isteriliti. Soltanto in seguito venne a sapere che
gli Ottomani avevano assalito la campagna fuori Tebe, massacrando i giovani che
rifiutavano l’autorità del sultano e portando via tutte le donne.
“Come la Regina Niobe, anch’io ho
peccato, sacrificando la vita di altri per egoismo personale!” –Si era ripetuta
Niobe negli ultimi anni, colpevolizzandosi per aver abbandonato i fratelli. Per
quanto Penelope del Serpente, sua intima confidente, e lo stesso Ercole più
volte le avessero detto di non sentirsi in colpa per eventi andati al di là da
ogni previsione.
“Avresti voluto un futuro per loro!”
–Le aveva detto un giorno Penelope. –“E loro lo hanno certamente voluto per te!
Non privartene adesso! Non privarli di questa speranza!”
“Sono stata causa della morte dei miei
fratelli, ma farò il possibile per salvare te!” –Mormorò Niobe, stringendo tra
le mani, in un caldo abbraccio, il corpo freddo di Agamennone, che lentamente,
grazie al calore del cosmo che veniva infuso dentro di sé, parve riacquistare
un po’ di colore, al punto da riuscire a muovere, forse istintivamente, le
dita.
Neppure Niobe seppe quanto tempo rimase
così, stretta all’uomo che aveva sempre ammirato e di cui aveva applaudito le
gesta da lontano. Fu un battito d’ali a distrarla, obbligandola a sollevare lo
sguardo verso il luogo ove giaceva il corpo esanime di Borea, per vedere un
uomo, dallo sguardo nobile e dal portamento fiero, scendere dal cielo con la
sua Veste Divina e atterrare proprio accanto al fratello.
Era Euro, Vento dell’Est, e
Niobe sospirò, credendo che la sua ora fosse giunta.
“Fratello!” –Mormorò Euro,
inginocchiandosi sul corpo di Borea, la cui Veste Divina era schiantata in più
punti, soprattutto al petto, ove i fulmini di Agamennone lo avevano raggiunto,
dilaniandogli il cuore. –“Ho fatto bene a preoccuparmi per il tuo ritardo! Pur
grande e potente, e forse il miglior guerriero tra noi, sei dunque caduto,
Borea? Ha smesso infine di spirare il gelido Vento del Nord?! Non sono riusciti
questi uomini ad opporti parole di pace, per impedirti di spargere
ulteriormente il seme della guerra che da secoli germoglia dentro tutti noi?!”
“Tuo fratello è caduto con onore!”
–Esclamò Niobe, attirando l’attenzione del Dio. –“Ha lottato contro il mio
capitano, Agamennone del Leone, fino allo stremo delle forze, annientandosi a
vicenda!” –Aggiunse con sofferenza, prima di sfiorare lievemente il viso dell’Hero ai suoi piedi.
A Euro quel tenero gesto non sfuggì, e
ne sorrise, prima che il suo volto tornasse ad adombrarsi alla vista del corpo
esanime di Borea. Si chinò nuovamente su di lui e tastò il suo cuore,
concentrando i suoi sensi, avvolgendo il fratello in un abbraccio confortevole
e profondo, mentre la sua aura cosmica invadeva l’intera collina di Larissa. Niobe trasalì, riconoscendo quanto fosse diversa
dall’aura battagliera del Vento del Nord e da quella sadica e assetata di
sangue del folle Austro, Vento del Sud.
Euro, figlio di Eos, è come il vento
relativamente moderato, che spira dalle coste africane del Mediterraneo
orientale, fino a lambire le coste ioniche, portando con sé aria calda e tepore! Rifletté la donna, osservando gli aggraziati
movimenti del Dio.
“Mio fratello ha sempre amato la
battaglia!” –Commentò Euro, con un sospiro. –“Come Zefiro e Austro! Nessuno di
loro avrebbe rifiutato una chiamata alle armi da parte dei Signori
dell’Olimpo!”
“E tu?”
“Non la cerco, se è questo che vuoi
sapere! Ma sono un Dio, non un vigliacco, per cui la affronterò, se è nel mio
destino!” –Disse Euro, fissando Niobe, che si strinse istintivamente contro
Agamennone.
“Il destino non è ciò che gli uomini
strappano agli Dei combattendo?!” –Domandò Niobe retoricamente, prima di
anticipare ogni risposta di Euro. –“Se vuoi attaccarmi fai pure, mi difenderò!
Ma sappi che io, come te, non bramo guerra alcuna! Sono qua per prendermi cura
del mio capitano, per donargli un po’ di quell’affetto che lui ha dimostrato
così tante volte per noi suoi guerrieri, al punto da sacrificarsi per impedirci
di combattere e di rischiare la vita! Non anelo una battaglia, ma non sarò così
codarda da rifiutarla, fuggendo via e abbandonando un uomo che così tanto ha
rischiato per me! Che così tanto conta per me!”
“L’amore che provi nei confronti del
tuo capitano è un sentimento nobile, Sacerdotessa di Ercole!” –Precisò Euro,
alzandosi in piedi. –“Ma basterà a salvarti? Sarà sufficiente combattere per
riconoscenza verso un uomo caduto o per onorare il legame che ti unisce ad Ercole,
senza esserne pienamente convinta?” –Chiese il Dio, prima di espandere il suo
cosmo, celeste e bianco come il cielo terso, sollevando una tempesta d’aria che
scosse la sommità di Larissa. –“Quanto saranno forti
i tuoi sentimenti per impedire alla mia corrente d’aria di spazzarti via?
Quanto saldi nel terreno sono gli ideali che ti sorreggono, che ti muovono nel
tuo recalcitrante agire?”
Niobe venne sbalzata in aria, mentre
Agamennone rotolava sul terreno, schiantandosi poco distante, ma la donna
riuscì a mantenersi in posizione eretta, all’interno della corrente d’aria,
spalancando le ali della corazza e bruciando il cosmo, che la avvolse in un
luccichio di stelle.
“Credevo tu fossi diverso, Dio del Vento
dell’Est, che tu rifiutassi la guerra violenta e che provassi onore e
ammirazione per chi lotta per un ideale, disposto persino a dare la vita per
esso e per gli altri! Ma forse mi sono illusa!” –Esclamò Niobe, tuffandosi in
picchiata, all’interno della tempesta impetuosa, sbattendo le splendide ali
rosate della tua corazza. –“Mi sono illusa che tu potessi comprendere i
sentimenti umani, gli stessi che provi per tuo fratello! Se così è, allora
rinuncia a questa lotta, Euro! In caso contrario sappi che Niobe del Falco non
si tirerà indietro! Volo del Falco!!!” –Gridò la Sacerdotessa, piombando
su Euro, avvolta nella luccicante sagoma di un rapace imperiale. –“Artigli del
falco, ghermite!” –E liberò rapidi e taglienti fasci di luce, simili a fendenti
di spada, che tagliarono l’aria attorno al Dio, abbattendosi al suolo ai suoi
piedi, mentre Euro compiva veloci spostamenti laterali per evitarli, finché non
sollevò entrambe le mani, aumentando il soffio del Vento dell’Est e
scaraventando via la Sacerdotessa di Ercole.
“Coraggiosa e onesta!” –Esclamò Euro,
osservando Niobe venir sballottata in aria per parecchi metri, prima di
schiantarsi a terra. –“Doti che ti fanno onore, Niobe del Falco!”
“Doti che avrei voluto incontrare anche
in te, figlio di Eos! In te che sembravi essere davvero interessato e
sofferente per le condizioni degli uomini e che rifiutavi i castighi divini che
i tuoi fratelli spesso ci infliggevano, sotto forma di neve, pioggia o
siccità!” –Affermò Niobe, rialzandosi e sistemandosi di fronte ad Agamennone,
per proteggerlo. –“Te lo ripeto, Dio del Vento, io non voglio lottare, non è
nella mia natura! Ma sono disposta a farlo se…”
“Se
non è nella tua natura, allora perché combatti? Cosa ti spinge a scendere in
campo, indossando un’Armatura che senti di non meritare?”
“Sono diventata Sacerdotessa di Ercole
quasi per caso! Per inseguire un sogno di felicità, che ancora, dopo dodici
anni, non si è avverato!” –Commentò Niobe, con un leggero sorriso. –“Eppure
persisto nel credervi! E nel credere nel mio Signore, per il quale non importa
chi sei o cosa hai fatto nel passato, da dove provieni o se sei ricco o povero!
Ad Ercole importa soltanto del cuore di un uomo! È in esso che si gioca la
partita più importante della sua via! Io non lo conoscevo personalmente, ne
avevo sentito parlare soltanto nelle leggende che mia madre mi narrava da
piccola, ma credevo fosse un Dio! Lo avevo idealizzato, come i bambini fanno
con i loro idoli, e credo proprio di non essere rimasta affatto delusa il
giorno in cui mi sono trovata di fronte a lui, il giorno in cui ha accolto
nella sua vita, come si accoglie un mendicante affamato alle porte di un
castello! Da quel giorno ho vissuto con lui, a Tirinto, insieme agli Heroes che
sono divenuti i miei compagni, ed ho capito i suoi ideali, la sua concezione
del mondo e mi ha stupito realizzare che non sono molto diversi dai miei, né da
quelli degli uomini di pace! Perché Ercole, prima ancora di essere un Dio, è un
uomo!”
“Perciò tu combatti per lui!”
“Combatto perché questi ideali non
vadano perduti né vengano soverchiati! Combatto perché in futuro non vi siano
più orfani come me, né schiavi, ma persone capaci di amare e di vivere liberi
in armonia! Combatto per insegnare alle generazioni che verranno che nella vita
è possibile sbagliare, ma bisogna avere la forza per ammetterlo e la decisione
di andare comunque avanti, imparando dagli errori e cercando di non commetterli
più!” –Affermò Niobe con decisione. –“Infine, combatto per un mondo d’amore,
poiché io credo che non vi sia sentimento più grande e potente, capace di fare
e disfare uomini e mondi a suo piacimento!” –Aggiunse, ricordando il dolore e
la sofferenza che aveva sentito nel cuore della Regina Fenicia Didone, ancora carico di rancore a distanza di secoli.
“Ottime ragioni, Niobe del Falco!”
–Esclamò Euro, abbozzando un sorriso. Prima di darle le spalle e tornare a
prendersi cura del fratello, chinandosi su di lui. –“Ma tieni presente che al
mondo esistono anche persone che non lottano per cause giuste e nobili, ma per
motivi personali! Per gloria o per fama, per ricchezza o avidità, per ascendere
al potere o per conquistare il trono di un regno! Persone disposte a calpestare
ogni sentimento, ogni legame familiare, ogni emozione, pur di raggiungere lo
scopo ultimo della loro missione in terra: il potere! Guardati da loro, ma sii
in grado di difenderti, perché loro non ti chiederanno il permesso di passare
dalla tua terra! Loro se la prenderanno! Come prenderanno coloro che oseranno
opporsi al loro strapotere!” –Commentò Euro, istigando la Sacerdotessa ad
essere forte. –“È un mondo sbagliato questo, dove i deboli vengono sottomessi
dai più forti! Perciò, se vuoi proteggerli, cerca di non diventare debole a tua
volta, o perirai insieme a tutti i tuoi ideali!” –Aggiunse, espandendo il suo
cosmo.
Quindi colpì con l’indice e il medio
della mano destra il cuore di Borea, conficcando le dita, cariche del suo cosmo
lucente, nell’organo sacro, mentre un fiotto di sangue sgorgava fuori dalla
bocca del fratello, che iniziò ad ansimare, a tremare nervosamente, a
borbottare parole incomprensibili. Euro lo calmò con il suo cosmo, di fronte
allo sguardo interessato di Niobe, prima di lasciare che tutta la sua energia,
tutta la sua potente aura cosmica, scivolasse come pioggia sul suo corpo per
entrare nel cuore di Borea e riportarlo alla vita.
L’operazione durò qualche minuto,
durante i quali Niobe si rannicchiò assieme ad Agamennone, per concedere
ulteriore calore al capitano. Quando rialzò lo sguardo verso Euro, che pareva
ormai disinteressato da lei, Niobe vide con sorpresa, e con una certa
apprensione, che Borea, il Vento del Nord, stava cercando a fatica di
rimettersi in piedi, aiutato dal fratello, che lo pregava di non sforzarsi
troppo.
“Euro!” –Esclamò Borea, un po’
stordito. –“Cosa è successo?! Dove.. siamo?! Ho vaghi ricordi annebbiati… L’ultima cosa che ricordo…
l’ultima immagine davanti ai miei occhi…” –Balbettò
Borea, prima di accusare una violenta fitta al cervello, che lo portò a
sollevare le braccia per stringersi la testa, mentre i suoi occhi parevano
ipnotizzati di fronte alla maestosa immagine di un possente leone dalle fauci
aperte, circondato da fulmini dorati e azzurri, che puntava verso il cuore. –“Il
mio cuore…” –E mosse la mano per sfiorare l’organo e
solo allora si accorse che la sua Veste Divina si era riformata sul suo corpo,
riparata autonomamente, grazie al cosmo di Euro, quasi non avesse subito
neanche un graffio durante lo scontro con Agamennone, il ricordo del quale
stava lentamente tornando ad emergere nella mente di Borea.
“Stai bene!” –Commentò Euro con un
sorriso, prima di accasciarsi, debolissimo e pallido.
“Fratello!” –Esclamò Borea,
afferrandolo prima che cadesse a terra e tenendolo tra le braccia.
“Non…
preoccuparti per me!” –Parlò il Vento dell’Est, con voce pacata. –“Hai sempre
avuto ragione, sai? Quando sostenevi che la guerra non era adatta ad uno
spirito mite come il mio! Infatti non riesco a comprenderne a pieno le
motivazioni! Non riesco a capire cosa spinga gli uomini a lottare tra loro, a
uccidersi a vicenda, rinunciando all’effimera mortalità della loro esistenza,
soltanto per soddisfare un debole capriccio! E forse, in fondo…”
–Aggiunse, tirando un’ultima occhiata verso Niobe del Falco. –“Non riesco
neppure a comprendere tutta questa indifferenza, tutta questa ostilità degli
Dei, nei confronti degli uomini, né a condiverla!”
“Euro!!! Euro!!!” –Esclamò Borea,
strattonando il fratello, per risvegliarlo. Ma Euro gli tolse la mano,
facendogli cenno di andarsene. Adesso, privato del suo Cosmo Divino, con cui
aveva restituito energia al fratello sconfitto, era diventato un uomo come
tanti, e come tale non avrebbe accettato di morire tra le braccia di un Dio.
–“Stupido, Euro! Tu non morirai quest’oggi! Non adesso! Ti porterò da Era! Lei
è la Grande Dea Madre e saprà ridarti le forze!”
“Non ho bisogno di un’altra vita,
fratello! Perché in questa ho già ottenuto tutte le risposte alle domande che
mi ero posto!” –Commentò Euro, prima di chiudere gli occhi. –“Il cosmo, oltre
che per offendere, serve per aiutare gli altri! È buffo che proprio dagli
uomini abbiamo dovuto imparare questa lezione! Non credi, fratello? Non credi
che vi sia qualcosa di giusto e di meritevole, nelle loro azioni?!” –E più non
parlò il Vento dell’Est, spegnendosi in pace tra le braccia del fratello per
cui aveva dato la vita.
Borea rimase per qualche minuto in
silenzio, con il corpo di Euro tra le braccia e le lacrime che gli rigavano il
volto maschile, prima di sospirare, ritrovando il suo sopito coraggio. Depositò
il corpo di Euro a terra, osservando la Veste Divina del Vento dell’Est
separarsi da lui, privata ormai del suo Cosmo, e ricomporsi sotto forma di
totem, prima di voltarsi verso Niobe, che aveva assistito a tutta la scena, con
il cuore che le palpitava follemente.
“Tu!” –Ringhiò Borea, il cui sguardo
assunse nuovamente i tratti arroganti che aveva avuto quando era disceso nel
salone del palazzo di Didone. –“Hai avvelenato tu la
mente di mio fratello! Lo hai incantato con i tuoi sciocchi discorsi,
approfittando del suo nobile cuore, portandolo a preferire la morte piuttosto
che ad una vita guerriera!”
“Sbagli, Vento dell’Ovest, e anche di
molto! Non soltanto accusi un innocente per una morte che non sei stato in
grado di evitare, ma dimostri anche di non aver affatto compreso il senso
ultimo del gesto del tuo nobile fratello!” –Rispose Niobe, con voce ferma,
ergendosi di fronte a Borea, che non la fece terminare di parlare, scagliandole
contro un violento assalto di energia fredda.
“Taci, strega! Mi hai portato via mio
fratello! Non basterà ucciderti mille volte per questo!!” –Gridò Borea, con il
volto rovinato dalle lacrime e da un dolore che neppure lui avrebbe mai
immaginato di provare un giorno. Un dolore che lo faceva sentire più umano che
divino, e che, come tale, detestava. –“Lacererò il tuo cuore tra indicibili
tormenti! Vento del Nord!!!” –E le diresse contro un’impetuosa corrente
fredda, che travolse Niobe, scaraventandola contro un mucchio di roccia poco
distante, iniziando a ricoprirla lentamente di ghiaccio, per bloccare i suoi
movimenti.
“Cosa credi? Che a me non dispiaccia?
Tuo fratello è stato il primo, e l’unico, tra tutti i nemici, a dimostrare
rispetto e comprensione nei confronti degli uomini! Quella comprensione a cui
tu non arrivi! E nel far questo infanghi il ricordo di tuo fratello Euro!”
–Esclamò Niobe, mentre il freddo le penetrava nelle ossa, rendendole difficile
ogni singolo movimento. Ma stringendo i denti cercò di rimettersi in piedi,
spalancando le ali della sua corazza e schiantando la morsa di ghiaccio che si
stava chiudendo su di lei. –“Io combatterò, anche per onorare la sua memoria,
che tu hai tradito!” –E si sollevò in volo, assumendo la forma di un magnifico
falco ricoperto di argentei e rosati bagliori. –“Volo del Falco!”
–Gridò, piombando in picchiata su Borea, scagliando contro di lui, con tutte le
poche forze che le rimanevano, violenti fendenti di energia, che il Dio non
ebbe alcun problema ad evitare.
“Non ti permetterò più di parlare di
lui! No! Non ne hai alcun diritto, donna! A causa tua Euro si è spento!
Bastarda!” –Ringhiò Borea, intensificando la corrente glaciale, fino a generare
un vero uragano che travolse Niobe, scaraventandola in cielo, avvolta da un’impetuosa
tormenta di gelo, prima di farla schiantare a terra, dolorante.
Con sdegno, Borea si avvicinò a lei,
osservandola rantolare sul terreno ghiacciato, con le ali fracassate e numerose
crepe sulla corazza, mentre tentava di rimettersi in piedi. La guardò
dall’alto, senza provare per lei alcun sentimento di comprensione, nemmeno un
minimo di pietà, soltanto un odio profondo che la morte di Euro aveva
incrementato. Sollevò il braccio destro, volgendo il palmo verso di lei, che a
terra gemeva, mormorando parole indistinte, e vi concentrò il suo cosmo, freddo
come il ghiaccio eterno, prima di sbatterlo verso il basso.
Ma sorprendentemente l’attacco glaciale
non riuscì a raggiungere Niobe, protetta da una cupola di energia, un
avvolgente guscio di calore che respinse le fredde correnti del Vento del Nord,
liquefacendole all’istante. Borea, sorpreso, osservò Agamennone rimettersi in
piedi, dietro il corpo stanco di Niobe, ansimando per la fatica, ma con una
fiera luce di determinazione negli occhi.
“Ancora ti sollevi, Agamennone del
Leone? Sei dunque immortale come la bestia del mito da cui trai potere?”
–Esclamò Borea, per la verità non troppo sorpreso.
“Ho ancora la forza per proteggere chi
mi è caro!” –Commentò Agamenone, avvicinandosi a
Niobe e osservandola, sdraiata a terra e ferita. –“Per proteggere chi non ha
temuto di rischiare la vita per me, nell’infondere nuovamente calore al mio
corpo infreddolito!”
“La nostra battaglia già si è conclusa!
Perciò spostati, non sei tu l’oggetto della mia vendetta! Ma la donna che giace
prostrata ai tuoi piedi, sporca di sangue e di vergogna!” –Ordinò Borea,
aumentando l’intensità del suo cosmo.
“Per avere lei, dovrai prima avere me!”
–Rispose Agamennone, bruciando quel che restava del suo cosmo, ripresosi grazie
al caloroso apporto di Niobe.
“Sia!” –Si limitò a commentare Borea,
prima di sollevare il braccio destro verso il cielo, mentre fulmini blu,
limpidi come il ghiaccio più puro, si schiantavano sul palmo della sua mano,
elettrificando l’intero suo corpo. –“Fulmini di ghiaccio! Penetrate
nella carne di questo misero uomo, saziandovi con il suo sangue!” –E scagliò le
violenti folgori contro Agamennone, il quale tentò di difendersi con il suo
cosmo, ma essendo molto debole non poté evitare di essere trafitto, sentendo il
corpo dilaniato da scosse violente, da un freddo improvviso che raggiunse le
sue vene, congelando il sangue che scorreva all’interno.
“Non vi è modo di sfuggire a questo
colpo! I Fulmini di Ghiaccio raggiungono il sangue dentro le vene,
congelandolo all’istante e arrestandone la circolazione all’interno del corpo
umano, uccidendo così, in maniera bruta e schietta, la mia vittima! Perdonami,
Agamennone, se ho usato contro di te tale tecnica perversa, contro un uomo che,
seppure tale, si era dimostrato degno della mia stima! Ma tu mi ci hai
costretto! Tu che non hai voluto cedermi il corpo della donna rea di aver
condotto mio fratello alla morte!” –Esclamò Borea.
“Tuo fratello è morto per nulla!”
–Commentò Agamennone, con le ultime forze che gli rimanevano. –“Se tu
continuerai nei tuoi accecati propositi di vendetta! Non hai sentito le sue
ultime parole? Io le ho udite, dall’abisso in cui ero precipitato, e ancora
risplendono nella mia mente, come la luce calda delle stelle! “Non credi vi sia
qualcosa di giusto e di meritevole, nelle azioni degli uomini mortali?” ti
chiese! Ma tu non hai saputo rispondergli! Perché? Forse perché ti pesa
ammettere che lui, come Niobe ha fatto con me, è stato in grado di provare
sentimenti umani, e che proprio sulla spinta di quei sentimenti ha sacrificato
se stesso per salvare qualcuno a cui voleva molto bene, cedendogli la propria
fiamma vitale?!”
Borea non rispose, concentrando il
cosmo sul pugno destro, pronto per un nuovo attacco, mentre Agamennone, le cui
vene stavano congelandosi all’interno del suo corpo stanco e pesante, lo
anticipava travolgendolo con il suo ultimo assalto.
“Dicono che la forza del nostro cosmo
sia intinta di luce e di speranza, che ci provengono dalle stelle, nostra guida
nella vita! Se davvero è così, ascolta la lucentezza della mia anima, e sappi
trovare in essa un insegnamento! Artiglio del Leone di Nemea!” –Gridò
Agamennone, scagliando il suo ultimo assalto contro Borea, il quale, più in
forze rispetto a lui, non ebbe problemi a pararlo incrociando le braccia di
fronte a sé e congelando i fulmini incandescenti di Agamennone.
Quando abbassò le braccia, esaurita la
potenza dell’attacco del guerriero di Ercole, Agamennone era già morto, proprio
come immaginava. Il corpo distrutto dall’interno. Uno strato di brina che
separava gli strappi sulla sua pelle emaciata. Niobe, distesa accanto a lui,
pareva allungare una mano verso il corpo dell’uomo che aveva amato per anni in
silenzio, dell’uomo che non era riuscita a salvare. Borea li osservò entrambi
dall’alto del suo orgoglio ma non provò niente, neppure un minimo di
soddisfazione, neanche un moto di piacere per la vittoria ottenuta. Concentrò
il cosmo sulle mani, per liberare una violenta raffica di vento freddo che li
avrebbe spazzati definitivamente via, ma esitò. E neppure lui seppe spiegarsi
perché.
Agamennone era morto e Niobe, il cui
cosmo era stato indebolito per averne ceduto una parte all’Hero
del Leone e per i brevi scontri con Euro e con Borea, sarebbe morta assiderata
nel giro di pochi minuti. Non aveva senso sporcarsi ulteriormente le mani,
sprecando preziose energie, che Euro li aveva ceduto spontaneamente.
Sì, spontaneamente! Rifletté Borea, capendo infine le parole di
suo fratello e degli Heroes di Ercole. Non vi era stato alcun inganno, alcun
avvelenamento della mente di Euro da parte di Niobe o di chiunque altro. Euro,
nel pieno della sua magnanimità e della sua nobiltà d’animo, aveva sacrificato
la sua vita per salvarlo e per salvare anche se stesso, rifuggendo così una guerra
che non sentiva di dover combattere, di cui non sentiva le motivazioni. Ti
ho sempre creduto un debole, fratello! Commentò Borea, avvicinandosi al
corpo inerme di Euro e sollevando il braccio destro, volgendo il palmo verso di
lui. Ma credo che tu fossi più forte di tutti noi! La tua forza d’animo, la
potenza dei sentimenti che albergava in te, e che noi ottusamente criticavamo
come fanciullezza, come romanticherie o deboli frivolezze, ti ha permesso di
uscire a testa alta da questa guerra, senza sporcarti le mani, né macchiare il
tuo spirito di gesti che non avresti mai saputo giustificare, poiché mai
avresti potuto condividerli! Perciò ti stimo, e forse ti invidio! Rifletté
il Dio, ricoprendo il corpo di Euro con un freddo strato di ghiaccio, fino a
creare un involucro simile ad una bara di gelo, ove il corpo del fratello
avrebbe riposato per secoli. Porterò adesso le tue spoglie nell’Isola del
Tirreno, ove dimorerai per l’eternità, cullato dai venti del nostro padre
adottivo e sempre libero di viaggiare con la mente lungo i sentieri del cosmo!
Grazie, fratello mio, e addio! Pianse infine Borea, caricando la bara di
ghiaccio sulle proprie mani e sollevandosi in volo.
Prima di partire tirò un ultimo sguardo
ai corpi di Agamennone e di Niobe, sicuro che un giorno li avrebbe incontrati
nuovamente. Forse anche loro, degni dei nomi eroici che portavano, si sarebbero
reincarnati in qualche giovane futuro, in qualche Eroe delle generazioni che
verranno, per continuare a combattere a fianco di Ercole per la giustizia.
Sospirò un momento, riflettendo che la guerra non era ancora finita e che
avrebbe dovuto comunque presentarsi al cospetto di Era. Nonostante tutto era
ancora un guerriero, il migliore dei figli di Eos, e aveva un vincolo di
fedeltà da onorare e, per quanto le parole di Euro risuonassero imperterrite
nel suo cuore, Borea non era tipo da venir meno a un giuramento. Sbatté le ali
e volò via, trasportato da una freddo vento del Nord.
A Tirinto l’assedio era in pieno svolgimento. Approfittando
del cedimento della barriera di Ercole, il cui cosmo era stato risucchiato da
Zefiro, Vento dell’Ovest, gli Shadow Heroes, Eolo, Iris e i quattro Kouroi
avevano ripreso ad attaccare con maggior vigore, facendo crollare il Ponte e
puntando sul Portone Principale, verso il quale stavano convergendo tutta la
loro potenza d’attacco, contrastati, dalla corte interna della città, dagli
Heroes riunitisi assieme, guidati da Marcantonio dello Specchio.
Al suo fianco vi erano gli Heroes della
Seconda Legione, da lui comandata: Polifemo del Ciclope, Neottolemo del
Vascello, Aiace del Gladiatore, Crisore di Procuste, Tersite della Mongolfiera,
Odysseus di Ecatonchirus e Temistocle del Pentagono, sostenuti anche da Teseo
del Camaleonte e dai tre Heroes della Quinta Legione che Neottolemo aveva
salvato dalla devastazione di Tebe: Circe della Mandragola, Morfeus del
Papavero e Paride della Rosa. E fu proprio Paride, intento ad unire il cosmo a
quello dei compagni, ad accorgersi che Xenodicea della Ciliegia, la
donna che avevano condotto a Tirinto, affinché fosse processata per il
tradimento perpetuato ai danni dei compagni, stava riprendendo i sensi.
La donna scosse la testa, guardandosi
attorno con sorpresa, per capire dove si trovasse. Sentì rumori assordanti
provenire da poco distante, mentre cosmi di enorme vastità si scontravano l’un
l’altro nel cielo sopra di lei. Sollevò lo sguardo e riconobbe il vessillo di
Ercole sventolare sul pennone della torre più alta, ove Tiresia dell’Altare
aveva affrontato Zefiro poco prima, comprendendo di essere a Tirinto.
Immediatamente si sollevò, ancora incerta sul da farsi, ma prima che riuscisse
a ideare un piano venne raggiunta da Paride della Rosa, che le si
rivolse con aria altezzosa.
“Avevo detto a Morfeus che il suo
Papavero non avrebbe avuto effetto prolungato!” –Esclamò il giovane dai lunghi
capelli scuri, fissando la donna con sdegno e disprezzo.
“Evitami quello sguardo, Paride!” –Fu
la risposta di Xenodicea, rimessasi completamente in piedi.
“E in quale altro modo dovrei
guardarti? Non credi di meritare lo sdegno di Ercole e dei suoi Heroes per
l’atto di tradimento di cui ti sei macchiata, ribellandoti a lui e collaborando
con Partenope per massacrare i tuoi stessi compagni, gli Heroes miei fratelli,
amanti e cultori della bellezza della natura e dello splendore dei fiori?!”
–Replicò Paride, mentre una rosa blu compariva nella sua mano destra.
“Tu mi odi soltanto perché ho distrutto
le tue serre e le tue specie pregiate! Non ti importa niente dei tuoi compagni!
Sei soltanto un narcisista, fiero e tronfio della sua bellezza, che prova lo
stesso disprezzo per la battaglia che io ho mostrato per i tuoi compagni!”
“Forse!” –Rispose Paride, scagliandole
contro la rosa blu, che Xenodicea colpì con un pugno, sfaldandola in mille
petali, prima di ritirare istintivamente la mano.
“Rilassati! In quella rosa non c’è
veleno!” –Commentò Paride, prima di bruciare il suo cosmo. –“Di ben altri
poteri il custode della Rosa Reale di Tirinto è dotato! Inginocchiati e chiedi
il perdono di Ercole, supplica la sua misericordia, o ti massacrerò io stesso,
qua, adesso! Ti infliggerò una pena così umiliante che preferiresti morire
piuttosto che sopportare tale vergogna!”
“Sei un bastardo!” –Gridò Xenodicea,
lanciandosi all’assalto, mentre Paride, per evitare i suoi affondi si spostava
indietro, portandosi al centro della corte e chiedendo a Circe e agli altri
Heroes di non interferire. Avrebbe regolato lui i conti con colei che aveva
osato tanto, distruggendo la sua piantagione di rose, le specie pregiate che
aveva importato dall’Oriente. –“Ciliegie oscure! Colpite!” –Gridò
Xenodicea, scagliando contro Paride un mucchio di piccole bombe di energia a
forma di ciliegia.
“Proprio non riesci a fare di meglio,
eh?!” –La derise Paride, balzando di lato e atterrando con le mani, prima di
scagliarsi di nuovo in alto, danzando all’interno della pioggia di ciliegie
esplosive che Xenodicea gli stava scagliando contro. –“In tal caso, giocherò
anch’io!” –Esclamò, lanciando nuovamente una rosa blu contro Xenodicea, che la
distrusse con le sue ciliegie di energia, senza accorgersi però che in quello
stesso momento il suolo sotto di lei aveva iniziato a tremare, anticipando
l’uscita di un mucchio di rovi dalle spine aguzze e selvagge, che si chiuse su
di lei bloccandole i movimenti. –“Rovi di Spine!” –Gridò Paride,
atterrando proprio di fronte alla donna e osservandola contorcersi all’interno
del groviglio di rovi, mentre le spine acuminate le ferivano il corpo,
tagliandole le vesti e stridendo sulla sua corazza.
“Non sei molto coperta, vero?!”
–Ironizzò Paride, alludendo alla scarsa protezione offerta dall’Armatura della
Ciliegia. –“Molto meglio! I Rovi di Spine dovranno faticare meno per
finirti!” –Commentò sadicamente, rimanendo ad osservare le ferite che si
aprivano continue sul corpo di Xenodicea, le cui veste lacere e macchiate di
sangue non erano più in grado di nascondere la morbida pelle del suo corpo.
“Perché mi stai torturando?!” –Gridò
Xenodicea, mentre i rovi cingevano il suo volto, quasi a ricreare una corona di
spine, strappandole i lunghi capelli. –“Godi così tanto nel vedermi soffrire e
perdere sangue?!”
“E tu non hai provato piacere quando
hai estirpato il mio giardino? Quando hai distrutto la pregiata coltivazione
delle mie rose, che con tanto amore avevo accudito in questi anni?!” –Ringhiò
Paride, il cui volto, per la prima volta, mutò i tratti, caricandosi di acceso
odio. –“Mi hai offeso, burlandoti di me, e questo non posso accettarlo! Perciò,
prima di ucciderti per il tuo tradimento, ti umilierò, realizzando la mia
vendetta!” –Affermò, stringendo la morsa di rovi contro il volto di Xenodicea.
La maschera che le copriva il viso andò
in frantumi, mentre le spine acuminate affondavano nella sua pelle, nutrendosi
del suo sangue, che colava sull’arido suolo della corte, di fronte al
soddisfatto, quasi divertito, sguardo di Paride, che poté finalmente guardarla
negli occhi. Xenodicea, imbarazzata, lo maledisse per la sua crudeltà,
incendiando il cosmo oscuro che covava nel cuore, umiliata nel peggior modo in
cui una donna che sceglieva di diventare Cavaliere avrebbe potuto essere.
“Avrei preferito che tu mi avessi
posseduto su un letto di spine!” –Commentò Xenodicea, fissando Paride con
disprezzo, mentre il suo cosmo violaceo si raccoglieva attorno a sé. –“Ma non
credere che la mia sconfitta ti renderà soddisfatto! Perché così non sarà! La
malvagità che hai dimostrato, che rasenta il sadismo puro della vendetta, non
si addice agli Eroi di Ercole, ed un uomo come te, che nient’altro ha a cuore
se non se stesso e la sua bellezza apparente, che a nessun’altro pensa, neppure
ai compagni caduti, ma solo al soddisfacimento del proprio ego, incontrerà presto
la collera celeste! La maledizione degli Dei tutti cada su di te e deturpi il
tuo viso!” –Gridò Xenodicea, prima di lasciar esplodere il suo cosmo, incapace
di sopportare l’umiliazione subita, incapace di continuare a reggere lo sguardo
di un uomo che l’aveva vista nuda nell’anima.
Circe della Mandragola accorse
immediatamente, dopo aver udito l’esplosione, sincerandosi delle condizioni del
suo compagno. Ma Paride sembrò non accorgersi di lui, rimasto assorto nei suoi
pensieri. La maledizione di Xenodicea sembrava aver raggiunto il suo cuore ed
egli, che aveva posto la bellezza del suo corpo al primo posto tra gli
obiettivi della sua vita, sentì per un momento l’affanno della vecchiaia, la
rovinosa discesa verso la fine. Si tastò il viso, immaginando di sentirlo
rugoso, ma lo trovò soltanto ruvido, come il suo cuore era sempre apparso agli
altri.
Circe incitò Paride a recuperare il
controllo su di sé e a correre al cancello per aiutare Marcantonio, quando una
nuova esplosione distolse l’attenzione dei due ragazzi, che si voltarono verso
la fortezza di Tirinto.
Nella piccola corte sul retro due cosmi
si stavano fronteggiando violentemente e Circe, nonostante non li conoscesse
approfonditamente, li riconobbe subito. Erano Euristeo del Reticulum e Leonida
della Spada.
“Rinuncia, Euristeo! Non hai visto la
fine che hanno fatto i tuoi compagni? Perché oltraggiare in questo modo l’uomo
che ti ha accolto alla sua mensa come un padre? Questa impertinenza è fuori
luogo!”
“Smettila di parlare di sentimenti che
non mi riguardano, Leonida! Io sono un brigante, lo sono sempre stato, la vita
mi ha reso così! Ed entrare a Tirinto ha soltanto placato il mio istinto
mercenario per un momento, finché i tesori e gli onori promessi da Era non lo
hanno risvegliato!” –Spiegò Euristeo, in piedi di fronte all’Hero della Spada.
“Tu credi di valere davvero così poco?”
–Domandò con voce seria e flemmatica Leonida. –“Hai così poca considerazione di
te? E così poca fiducia nel Dio che ti ha scelto come suo difensore, come suo
rappresentante presso gli uomini?!”
“Ercole mi ha insegnato molte cose e grazie a lui la mia
abilità in battaglia è aumentata! Adesso sarò io ad insegnare qualcosa a lui e
a te! Non fidarti mai di nessuno, poiché più lo farai più resterai scottato!”
–Esclamò Euristeo, espandendo il cosmo e sollevando il braccio destro.
“Soltanto un uomo che ha perso ogni
fiducia nella vita, a causa di una profonda delusione subita, può permettersi
un simile pessimismo, un simile atteggiamento di fatalistica rassegnazione!”
–Commentò Leonida, bruciando a sua volta il cosmo. –“Vorrei guarirti, Euristeo!
Mi piacerebbe davvero! Ma non mi lasci altra alternativa che condannarti a
morte!”
“Questo è da vedersi!!!” –Gridò
Euristeo, abbassando il braccio e creando un fitto reticolato di energia, che
si abbatté su Leonida, cadendo come fitta pioggia da ogni direzione. Ma l’Hero
della Spada non si scompose minimamente, lasciando partire un violento raggio
di luce dalla punta dell’indice destro, che trinciò a metà la gabbia di energia
che si stava chiudendo su di lui, raggiungendo Euristeo alla spalla sinistra,
facendolo accasciare dal dolore. –“Come.. come hai fatto? Hai evitato il mio
assalto, rimanendo immobile? E con un solo colpo sei riuscito a colpirmi?!”
“Non ho evitato il tuo attacco, per
quanto avrei potuto farlo poiché viaggiava ad una velocità inferiore a quella
con cui sono solito spostarmi! Ma l’ho annientato, colpendolo nel suo fulcro,
nel suo punto vitale!” –Spiegò Leonida, avvicinandosi a Euristeo, ancora
accasciato a terra, con il sangue che sgorgava copioso dalle sue ferite. –“Tu
credi che la direzione dei raggi energetici del tuo reticolo sia casuale! Ma
non è esatto! Esiste una maggioranza di raggi, i più pericolosi, che occupano
lo spazio centrale che ti separa dal tuo avversario, i raggi che hanno la
maggiore possibilità di raggiungerlo e ferirlo! Tali fasci di energia
possiedono un baricentro comune, attorno al quale sfrecciano, che è la distanza
ideale che separa te e il tuo nemico in linea retta! Perciò, è bastato generare
un raggio di energia dall’intensità sufficientemente potente per distruggere
tutti i fasci che gli roteavano attorno, lasciando che gli altri, più esterni,
si infrangessero sulla mia corazza, causandomi danni marginali!”
“Sei intelligente!” –Notò Euristeo,
prima di rialzarsi con foga e scagliare un violento attacco da vicino. –“Ma non
ti servirà per vincere!”
Ma Leonida lo anticipò, spostandosi di
lato e colpendolo, questa volta al cuore, con l’indice della sua mano destra,
prima di sprigionare un violento raggio di energia, sottile ma potente, in
grado di distruggere l’Armatura del Reticolo e di trapassare il suo corpo,
forandogli il cuore. Euristeo barcollò per qualche passo, toccandosi il petto
sanguinante, prima di accasciarsi al suolo e cadere giù lungo disteso, privo di
vita.
“Onore a te, Cavaliere! Hai combattuto
fino in fondo, incurante delle tue ferite!” –Commentò Leonida, rilassando
finalmente la sua posa e rivelando tutti i tagli che il suo corpo e la sua
Armatura avevano subito in quello scontro, le ferite che aveva nascosto tramite
il cosmo. Ma adesso, stanco per lo scontro, dovette rivelare la corazza
danneggiata in più punti e la pelle ferita, a tratti ustionata, sotto di essa.
–“Gli altri esterni mi hanno causato danni marginali!” –Mormorò tra sé,
ridacchiando, prima di crollare sulle ginocchia. L’ultima cosa che vive, prima
di perdere i sensi, fu la sagoma robusta di Dione del Toro, l’Hero che
aveva tentato di tradire Ercole ma alla fine non ne aveva avuto il coraggio,
torreggiare sopra di lui.
In quel momento gli Shadow Heroes
diressero un violento assalto contro il Portone Principale, sostenuti dai cosmi
di Eolo e Iris e dal Cosmo Divino di Era che impregnava e faceva ardere i cuori
dei Giganti di Pietra. All’interno della fortezza di Tirinto, gli Heroes
strinsero i denti, mettendo tutta la loro energia cosmica nel contrastare
l’assalto nemico. Ma quando tutto sembrò perduto, un nuovo sole parve sorgere
nel cielo, nonostante la giornata stesse volgendo al termine e già le prime
ombre si allungassero dal mare lontano. Un’improvvisa e ritrovata potenza sorse
nel cuore di Tirinto, generando un’immensa onda di luce che rinfrancò il cuore
dei suoi guerrieri e paralizzò, impaurendo, gli animi dei nemici annidati
all’esterno.
Un fulmine si schiantò sulla terrazza
panoramica della reggia e quando tutti sollevarono lo sguardo osservarono la
maestosa sagoma del Sommo Ercole in piedi sopra di loro. Splendido,
ricoperto dalla sua scintillante Glory, il Vindice dell’Onestà appariva
circondato dal suo cosmo dorato, avvolto in un cielo di fulmini e di potenza
che destava impressione nel cuore di chi lo osservava. La clava rifinita d’oro
lucente nella mano destra, lo sguardo fisso su Tirinto e sul male radunatosi
all’esterno, l’ammirazione per i propri Heroes, che avevano lottato, dannandosi
nel fango, per tutta quella lunga giornata che sembrava non volgere mai a
termine, la delusione per il tradimento di uomini che lui stesso aveva
contribuito a far crescere e a forgiare nel carattere, il rancore per Era e per
i suoi sicari. Ercole ruggì improvvisamente, con la possanza di un leone,
liberando il cosmo, ardente come le fiamme di una cometa.
Senza proferir parola, il Dio
dell’Onestà saltò in alto, balzando nel cielo sopra Tirinto ed Eolo e Iris
immediatamente sfrecciarono verso di lui, con i corpi avvolti dalle loro aure
cosmiche, ma bastò un semplice movimento della Clava del Dio per respingere
entrambi, travolgendoli con un’onda d’urto che li scaraventò lontano. Con un
balzo, Ercole atterrò sulle mura robuste della città, mentre tutto il cosmo
finora tenuto dentro, con il quale si era torturato in lunghe meditazioni,
invadeva la fortezza, traboccando dalle mura e paralizzando i muscoli degli
Heroes traditori, che mai avevano avvertito una tale vitalità nel cosmo del
loro Signore.
Con un veloce movimento della mano,
Ercole mosse la Clava, generando un’onda d’urto che distrusse Efestione di
Erakles e Lamia dell’Amazzone, annientando i loro corpi all’istante,
quasi fossero fatti di carta. Dinaste di Antinous, a tale visione, cercò
di scappare ma venne fermato dai poteri mentali del Dio, che lo trafissero
sotto forma di fulmini dorati, dilaniando il suo corpo e riducendolo a cenere.
Quindi il Dio posò lo sguardo su Ificle della Clava, che ruggiva furibondo e
impaurito, ai piedi delle mura di Tirinto, tremante di fronte a quello scontro
che tanto aveva cercato e che adesso avrebbe voluto evitare.
“Volevi confrontare la tua clava con la
mia, Ificle?! Ebbene, questo è il momento!” –Esclamò il Dio, balzando in alto e
gettandosi contro l’Hero traditore. Con un colpo secco di clava lo spinse
indietro, distruggendo l’arma del suo avversario, prima di rincarare la dose
sfondando un fianco dell’Hero della Clava, che si gettò a terra gemendo come un
disperato, supplicando Ercole di risparmiarlo.
“Un demone!!! Un demone si è impossessato del mio cuore!”
–Pianse vigliaccamente Ificle. Ma le lacrime non intenerirono il cuore di
Ercole, che quel giorno troppo aveva sofferto, anche a causa degli errori e dei
tradimenti che avevano avuto luogo all’interno delle sue Legioni e che egli,
pur non essendone in precedenza a conoscenza, aveva percepito grazie al suo
cosmo. Non aggiunse altro, scaraventando indietro Ificle, con un secco colpo di
Clava, che distrusse la sua corazza e spezzò il suo corpo, lasciandolo a terra
vinto, nella polvere e nel sangue di un traditore.
In quella, i Kouroi si gettarono su
Ercole, mentre Eolo ed Iris, per quanto indolenziti dall’assalto ricevuto, si
libravano in volo, per assistere allo spettacolo, quasi avessero di fronte un
gladiatore in un arena. Ma l’avanzare dei Giganti di Pietra venne interrotto
infine da un rumore acuto, uno squillare di trombe, proveniente dall’interno di
Tirinto. Il Portone del Cancello Principale si aprì improvvisamente, mentre le
Legioni di Heroes di Ercole marciavano all’esterno, guidate dal nobile Marcantonio
dello Specchio. Dietro di lui Penelope del Serpente, Teseo del Camaleonte,
Polifemo del Ciclope e tutti gli altri Heroes della Seconda Legione, pronti a
combattere e a morire a fianco del loro Signore.
La Nave di Argo si sollevò nell’aere
sopra Tirinto, mentre Neottolemo del Vascello reggeva il timone con
maestria, e i tre ragazzi che aveva salvato a Tebe, Paride della Rosa, Circe
della Mandragola e Morfeus del Papavero, si ergevano decisi sul ponte di
comando, pronti a riscattare il valore della Quinta Legione.
A tale vista, il Dio Eolo si
librò in aria, spalancando le immense ali della sua Veste Divina, mentre il
cosmo celeste che lo circondava dava vita a possenti correnti di aria che il
Dio diresse contro il Vascello Alato, colpendolo con la stessa intensità sia da
destra che da sinistra, al fine di spezzarlo in due. Ma Neottolemo, espandendo
il proprio cosmo, riuscì a resistere, aiutato anche dai tre Heroes della Quinta
Legione, che si sentivano legati a lui da un vincolo di riconoscenza, per
averli salvati, soprattutto Circe e Morfeus. Fu proprio l’Hero della Mandragola
a sporgersi a prua, concentrando il cosmo sulle dita delle mani e volgendole
verso il Dio, intento a generare quella violenta bufera.
“Pianto della Mandragola!”
–Gridò Circe, mentre gocce di energia si distaccavano dalle sue mani, cadendo
proprio nelle correnti di aria, senza risentire eccessivamente della loro
pressione, e scivolando all’interno di esse, dirette verso Eolo. –“Assaggia,
Dio del Vento, le proprietà venefiche della Mandragola, che gli alchimisti del
Medioevo tanto hanno esaltato e tanto hanno temuto!” –Esclamò Circe, in piedi
sulla prua della Nave di Argo, con le mani incrociate, rivolte avanti a sé.
Eolo cercò di scansare quella gocce di
energia, ma si accorse di non essere in grado di farlo, poiché quelle lacrime
sembravano seguire il flusso delle sue correnti d’aria, percorrendole
all’indietro, fino a schiantarsi contro il suo corpo e contro la sua Veste
Divina, generando delle piccole esplosioni. Per quanto una singola goccia
avesse una portata d’attacco limitata, la pioggia continua a cui Eolo era
sottoposto iniziava ad infastidire considerevolmente il Dio del Vento, che dovette
espandere ulteriormente il suo cosmo, per generare una corrente d’aria fredda
capace di congelare le gocce di cosmo e frantumarle.
“Chi praticava le arti oscure faceva
una brutta fine, non ricordi, ragazzo?!” –Tuonò il Dio, aumentando l’impeto
delle sue correnti d’aria, fino a scuotere il Vascello Volante, sbalzando Circe
al di fuori di esso. Con abilità e fortuna, l’Hero della Mandragola riuscì ad
afferrare una fune sporgente, rimanendo sospeso nel cielo percorso da violente
tempeste d’aria. Morfeus del Papavero si sporse per aiutarlo, mentre
Neottolemo cercava di raddrizzare la Nave, mantenendo una salda presa sul
timone.
A tale vista, Eolo puntò l’indice
contro l’Hero del Papavero, generando un vortice d’aria che si abbatté sulla
sua schiena, sbattendolo con forza contro il parapetto e mozzandogli il
respiro.
“Lascialo cadere!” –Esclamò il Dio,
avvicinandosi al Vascello Volante. –“O ti perderai nell’abisso insieme a lui!”
“Mai!” –Esclamò Morfeus, continuando a
sopportare il mulinello d’aria che Eolo gli stava dirigendo contro, al punto da
crivellargli la schiena, distruggendo la sua corazza e facendo schizzar via
sangue a fiotti. –“Non lascerei mai un compagno! Soprattutto se è un amico!”
–Confessò Morfeus, mentre lacrime rigavano il suo volto, venendo disperse
nell’aria dalla violenta tempesta. –“Già una volta ho dovuto abbandonare il mio
Comandante, e forse anche altri compagni che hanno continuato a lottare anche
per noi! Ma adesso non lo farò! No! Puoi uccidermi se vuoi, sollevarmi in aria
con le tue correnti e sbattermi a terra! Ma continuerò a rialzarmi finché avrò
anche solo una goccia di forza, che mi sia sufficiente per tendere una mano
verso un amico!”
Quale nobiltà d’animo! Rifletté
Eolo, continuando ad osservare gli sforzi di Morfeus, schiacciato dal suo
mulinello d’aria, boccheggiante, sanguinante, ma ancora con la mano tesa verso
il basso, cercando di afferrare quella di Circe, sballottato contro lo scafo.
Le stesse riflessioni accesero il cuore di Paride della Rosa, rimasto in disparte,
sul ponte di comando, ad osservare Morfeus e Circe che venivano abbattuti da
Eolo, senza muovere un dito in loro soccorso. Era sempre stato un solitario,
interessato più a se stesso che agli altri, al punto da venir etichettato come
narcisista, vanaglorioso ed egoista. Ed in effetti Paride era come lo
dipingevano, un amante della bellezza, un cultore del corpo perfetto, come le
statue di Fidia nell’età classica. Amava tutto ciò che in natura era bello, e
detestava ogni elemento che potesse rovinare l’armoniosa primavera di una
composizione, ricercando sempre, all’interno di uno scontro, l’effetto scenico,
che potesse rendere grazie alla sua bellezza. Che considerava unica, come
ognuna delle rose che amava coltivare. Come le rose che Xenodicea della Ciliegia
e Pericle dell’Abete avevano distrutto a Tebe.
Ma adesso è così che mi sento! Come
una rosa appassita! Come un fiore bello e regale ma che, senza la giusta terra,
e la giusta acqua, senza il giusto nutrimento, diventa soltanto un emblema
ideale, simbolo di una bellezza pura ed intangibile, ma incapace di trasmettere
qualcosa agli altri! Esclamò Paride, avvertendo un moto insolito nel suo
cuore, un sentimento difforme dal narcisismo che aveva provato fino ad allora.
Un sentimento diretto non verso se stesso, ma per la prima volta verso qualcun
altro. Sorrise per un momento, come un bambino che si affaccia al mondo,
realizzando che forse, nella vita, valeva davvero la pena di perdersi in gesti
caritatevoli nei confronti di qualcun altro. E, mentre lo pensava, allungò la
mano, per afferrare una gamba di Morfeus, che stava precipitando nel vuoto,
sospinto dalle violente correnti d’aria di Eolo.
“Paride!!!” –Esclamò Morfeus, quasi
sorpreso dall’avvertire il tocco della mano del compagno, che mai aveva percepito,
dato che, fino ad allora, Paride aveva rifiutato qualsiasi contatto fisico,
oltre che umano.
“Resisti, Morfeus!!!” –Gridò il
ragazzo, evocando lunghi rovi di spine che sorsero dal ponte della Nave di Argo
e si snodarono nell’aere, seguendo le correnti di Eolo, fino ad arrotolarsi
attorno al corpo di Morfeus, che, stanco per la pressione a cui era stato
sottoposto, stava per lasciarsi cadere. I rovi lo afferrarono per una gamba,
annodandosi attorno al polpaccio, avendo cura di non ferirlo con le loro spine
acuminate, e lo tirarono su, issandolo a bordo della Nave, assieme al compagno
Morfeus.
“Gra… grazie!” –Balbettò Circe,
cercando di rimettersi in piedi, preso un po’ alla sprovvista poiché, per
quanto fossero compagni di Legione, i suoi rapporti con Paride erano fino ad
allora rimasti piuttosto limitati e formali, ritenendo che il ragazzo fosse un
solitario, innamorato soltanto di se stesso e delle sue rose e poco amante
della compagnia. Forse, si disse, non sono andato troppo lontano
dalla verità! Ironizzò Circe, allungando una mano verso Paride, il quale,
seppur per un momento titubante e imbarazzato, ricambiò il gesto, stringendole
insieme.
“Hai visto, Eolo? Hai assistito, Dio del Vento, alla nobiltà
che muove questi ragazzi? Hai percepito, tramite il tuo cosmo possente e capace
di sentire sensazioni profonde, oltre che suoni lontani, l’affetto e la
riconoscenza che lega compagni della stessa legione, disposti a sacrificarsi e
a rischiare anche la vita per la salvezza di un amico?!” –Esclamò Neottolemo,
con voce possente, rivolgendosi al titubante Signore dei Venti che ancora
sostava nel cielo di fronte alla Nave di Argo, incapace di scagliare contro i
suoi avversari il colpo definitivo. –“Sono dunque questi i mostri che Ercole ha
covato in seno? È dunque questo il pericolo da cui il mondo deve difendersi e
che Era vorrebbe estirpare sul nascere? Generosità, affetto, amicizia, spirito
di sacrificio, purezza d’animo! È davvero così sbagliato e così distante dagli
Dei il mondo degli uomini?!”
Eolo non seppe cosa rispondere,
voltando il capo con amarezza, quasi sdegnato da parole a cui non sapeva
opporsi, o forse sdegnato dal suo comportamento succube alla Regina degli Dei,
che lo obbligava in prima persona in una guerra che non sentiva come propria. Neottolemo
del Vascello, approfittando di quel momento di disorientamento del Dio, sollevò
il braccio destro al cielo, puntando con l’indice la volta stellata, mentre
tutto attorno a sé si radunavano cumuli di nubi, sospinte da un vento impetuoso
e carico di energia cosmica.
“Ali del Mito!!!” –Tuonò,
dirigendo il suo attacco verso Eolo, a cui parve di vedere la maestosa sagoma
di un rapace imperiale piombare su di lui e travolgerlo, mentre il turbinoso
sbattimento d’ali lo scaraventava indietro, incrinando le ali della sua Veste
Divina, fino a schiantarlo a terra in malo modo. Rialzatosi a fatica, e
spuntando il sangue dal labbro spaccato, Eolo poté assistere all’ultimo assalto
congiunto delle Legioni di Ercole contro i Kouroi di Era. Sospirò un momento, di
fronte a tanto eroismo, di fronte a tanta generosa abnegazione, prima di
spalancare le ali della sua corazza e di volgere le spalle a Tirinto, a Ercole,
a Era, a tutta quella devastazione che non gli apparteneva. Spiccò in aria e
volò via, diretto verso la sua isola nel Mar Tirreno.
Ercole se ne accorse con la coda
dell’occhio, mentre evitava di essere schiacciato da un piede enorme di un
Kouroi, colpendolo con un secco colpo della sua Clava carica di energia
incandescente. La violenza dell’attacco spinse il Gigante di Pietra indietro,
facendolo gridare di rabbia, ma non fu sufficiente per distruggerlo, ancora
protetto dal Cosmo Divino di Era. Iris, la Dea dell’Arcobaleno, danzava
nel cielo sopra i Kouroi, scendendo spesso in picchiata per lanciare i suoi colorati
raggi di energia contro gli Heroes, trafiggendoli e gettandoli a terra
doloranti.
“Quella strega mi ha stufato!”
–Brontolò Polifemo del Ciclope, alla vista dei suoi compagni cadere a
terra, sotto i colpi di Iris, e concentrò il cosmo su entrambi i pugni chiusi,
aprendo il petto come per inspirare, prima di dirigerli contro la Messaggera
degli Dei, ancora in volo sopra di loro. –“Tuono di Eracle!!!”
Iris riuscì ad evitare di essere
travolta, per quanto l’onda d’urto generata la spinse un po’ indietro, ma,
convinta di essere in salvo, venne invece afferrata per una gamba da una
frusta, saldamente impugnata da Teseo del Camaleonte, che le sorrise
maliziosamente, prima di liberare una violenta scarica di energia dal color
argenteo. Iris accusò il colpo, sentendo il suo giovane corpo femminile
fremere, prima di liberarsi dalla presa con un violento strattone, con il quale
riuscì a togliere la frusta dalle mani di Teseo e a sbatterlo a terra, prima di
scendere su di lui.
“Ti riconosco, uomo! Avevi già osato
oltraggiarmi di fronte alle mura di Micene!” –Gridò la Dea, con rabbia. –“E
anche adesso, sfuggito per codardia alla morsa del mio arcobaleno, hai la
presunzione di volgermi i tuoi colpi contro! Tanta presunzione merita la
morte!” –Ed espanse il cosmo, mentre uno scintillante arcobaleno scivolava
addosso al suo sinuoso corpo, prima di impennarsi e puntare verso Teseo del
Camaleonte.
Ma l’assalto della Dea venne interrotto
dalle grida disperate di uno dei Giganti di Pietra, che iniziò a battersi il
petto con violenza, come fosse in preda ad un impeto di follia. Voltandosi
verso la creatura, ad Iris parve di vedere un normale ammasso di roccia che
emetteva suoni gutturali, privo ormai di qualsivoglia protezione divina.
Intimorita, Iris fece un passo indietro, mentre il corpo del Gigante di Pietra
esplodeva in mille frammenti ed un giovane moretto, con una spada in pugno,
balzava a terra, sorridendo ad Ercole, felice per il compimento della sua
impresa.
Nesso del Pesce Soldato venne accolto
con grida entusiaste da tutti i compagni superstiti, mentre la Lama degli
Spiriti, che il giovane stringeva in mano, risplendeva di una luce accesa,
essendo appena stata intinta nel Divino Cosmo di Era. Soltanto Penelope del
Serpente, unica tra tutti gli Heroes, sembrò notare un’ombra oscurare
l’animo di Nesso, facendo sbiancare la Sacerdotessa a tale visione. Dietro di
lui, in volo, arrivò la Prima Legione, guidata dall’affascinante Adone
dell’Uccello del Paradiso, seguito da Deianira del Lofoforo, da Antioco del
Quetzal, che aiutava l’amico Eumene della Mosca a volare, da Laomene della
Farfalla e da Ascalafo della Civetta. Iris strinse i pugni con rabbia, prima di
voltarsi verso il sole che stava ormai tramontando. L’assedio di Tirinto poteva
dirsi concluso ma la Regina dell’Olimpo non aveva affatto vinto.
Capitolo 28 *** Capitolo ventisettesimo: Per amore degli uomini. ***
CAPITOLO VENTISETTESIMO: PER AMORE DEGLI UOMINI.
Nestore dell’Orso, Comandante
della Quarta Legione, e Giasone del Cavallo erano stati imprigionati da
Iris, Messaggera della Regina dell’Olimpo, e rinchiusi nei sotterranei dell’Heraion di Samo in un’ampia stanza, dall’alta volta, simile
ad un’immensa serra, progettata per ospitare un rigoglioso giardino, curato
dall’uomo che aveva tradito Ercole e che li aveva intrappolati semplicemente
con un fiore: Partenope del Melograno. Da ore ormai i
due Heroes giacevano agonizzanti, stritolati dai lunghi steli verdi del Melograno
Assassino, impregnato del cosmo di Partenope, che
aveva come scopo principale quello di logorare le loro difese, assorbendo
goccia a goccia il loro sangue e il loro cosmo.
Nestore riaprì gli occhi, credendo di aver fatto un brutto
sogno, ma la vista del sangue che colava lungo il suo corpo, zampillando sul
terreno, lo riportò alla realtà. Cercò di reagire, ma ogni movimento che
compiva non faceva altro che aumentare la morsa dei robusti fusti verdi, che si
avvinghiavano alla sua carne, desiderosi di succhiare via tutto il sangue.
Giasone del Cavallo era imprigionato vicino a lui, con il volto macchiato dal
sangue che fuoriusciva da una ferita sulla fronte, privo di sensi, indebolito
dalla lunga agonia a cui erano stati sottoposti.
“Giasone! Giasone!” –Lo chiamò Nestore,
con voce un po’ rauca. Ma il compagno parve non udirlo. Così Nestore dell’Orso
decise di agire autonomamente, stufo di quella situazione di stallo, espandendo
il proprio cosmo nel tentativo di liberarsi, ma immediatamente migliaia di
steli e di fusti resistenti sorsero dal terreno, moltiplicandosi a dismisura,
avvolgendosi intorno al suo corpo robusto. E più Nestore cercava di dimenarsi,
più le piante parevano stringere la loro fatale morsa, prosciugando le risorse
energetiche del Comandante di Ercole.
“Ne.. Nestore!” –Balbettò una fievole
voce e, voltandosi, Nestore riuscì a scorgere il volto sporco di Giasone del
Cavallo fissarlo a poca distanza. –“Non avrà dunque fine questo lungo
martirio?!” –Si domandò Giasone, con un tono che non faceva niente per
nascondere un’amara rassegnazione.
“Giasone! Hai ripreso i sensi, per
fortuna!” –Cercò di incalzarlo Nestore. –“Dobbiamo liberarci da questa presa!
Forse, coordinando le nostre azioni, riusciremo a strappar via quest’erbaccia!”
“Ormai è tardi, Nestore! L’ora è
giunta, e forse non me ne dispiace neanche troppo!”
“Ma che stai dicendo?!” –Domandò
Nestore, continuando a dimenarsi nel mucchio di erbe affamate. –“Possiamo
ancora farcela! Siamo Heroes di Ercole! Il nostro Signore ha bisogno di noi!
Non possiamo cedere alla stanchezza!”
“Non è la stanchezza fisica che mi
impedisce di agire, Nestore, ma la stanchezza del mio cuore, la pesantezza del
mio animo, che grava come un macigno sul mio corpo stanco!” –Commentò
pacatamente Giasone, sollevando lo sguardo, nascosto dai folti capelli
rossastri.
È strano! Pensò Nestore. Come
per tutti questi anni vissuti insieme non abbia mai avuto occasione di
conversare con Giasone, di conoscerlo un po’! È sempre stato un tipo solitario,
avvolto nel suo mantello di misantropia e poco disposto a rivolgere sguardi e
sorrisi agli altri, sia nella vita privata che in battaglia!
“Giasone! Di cosa stai parlando? Non
cedere allo sconforto, te ne prego! Dobbiamo essere uomini e resistere!”
–Esclamò Nestore, ma l’amico parve non trovare conforto nelle sue parole.
“Essere uomini! Già!” –Commentò Giasone
con un sospiro. –“E cosa significa davvero? Cosa ci rende uomini realmente?!”
–Domandò, prima di scuotere il capo. –“Io non ho mai avuto fiducia in costoro,
da quando mi abbandonarono anni addietro, con un bambino in fasce tra le
braccia, senza darmi né aiuto né affetto! Perché io, adesso, dovrei essere come
loro?!”
Quelle parole stupirono Nestore, che
mai aveva conosciuto notizie riguardo al passato di Giasone, riguardo al
periodo della sua vita antecedente al suo arrivo a Tirinto. Con voce decisa, ma
educata, Nestore lo spinse a liberarsi di quel peso che tanto gravava sul suo
cuore, sperando che potesse essergli di aiuto per reagire, e intanto lasciò
scivolare la mente indietro, ricordando quel giorno di dieci anni prima in cui
Giasone si era presentato a Tirinto. Lo ricordava bene, poiché quel giorno era
di guardia assieme ad Agamennone del Leone, entrambi ritti sul Cancello
Principale, rivestiti soltanto delle loro cotte di rame e di cuoio, tipiche dei
momenti non di battaglia.
Lo avevano visto avvicinarsi e ad
entrambi era sembrato un brigante, avvolto in stracci logori e male rammendati.
Reggeva in mano un fagotto, stringendolo a sé come un tesoro, e camminava
piano, curvo su se stesso, come un vecchio di cent’anni. Cercava soltanto un
riparo e un tetto dove pregare gli Dei, e Nestore lo aveva fatto entrare,
facendolo accomodare nella corte di Tirinto, di fronte allo sguardo sospettoso
di Agamennone, che temeva fosse un ladro o un nemico. Ma Nestore aveva pregato
l’amico di calmarsi, poiché aveva percepito, grazie al cosmo, che quell’uomo
non aveva affatto intenzioni malvagie. No, il suo cosmo, seppur debolmente
percettibile, trasudava invece di dolore, di una grande sofferenza che portava
sulle spalle come una croce.
Quella notte Giasone aveva dormito a
Tirinto, in una stanza vicino alle stalle che Nestore aveva fatto assegnare a
lui, da solo, stringendo a sé il suo fagotto, e ad un certo punto della notte
si era alzato, portando un po’ di paglia con sé ed aveva camminato
nell’oscurità fino a giungere nella corte posteriore della fortezza, nascosto
agli sguardi dei dormienti. Là aveva acceso un piccolo fuoco di bivacco, di
fronte al quale si era inginocchiato, pregando e mormorando parole confuse,
alternandole a violenti singhiozzi. Quindi si era reciso i polsi con una
pietra, lasciando che il sangue sgorgasse fuori dalle ferite, e con esso aveva
bagnato la fiamma, accendendola di un inquietante rosso scarlatto. Sospirando,
aveva stretto il fagotto a sé e fatto per muoversi, per entrare insieme ad esso
nel falò, finché una voce non lo aveva fermato.
“Quale sofferenza grava sul tuo animo?
Quale dolore può essere così grande da spingere un uomo di così giovane età a
gettarsi vivo tra le fiamme, per porre fine alla sua vita, anziché continuare a
viverla, come gli spetta di diritto?!” –Aveva esclamato una decisa voce
maschile, mentre un uomo, dai corti capelli neri e dal fisico muscoloso, usciva
dalle tenebre, avvicinandosi al falò.
“Il desiderio di mettere fine alla
sofferenza dovrebbe essere un motivo sufficiente! Non credete, Sommo Ercole?!”
–Aveva risposto Giasone, voltandosi verso il Dio.Nonostante non l’avesse mai incontrato,
Giasone non ebbe problemi a riconoscere la sua aura cosmica, poiché soltanto un
Dio poteva possederne una di così vaste dimensioni, di così ampia portata. Si
sorprese soltanto di riconoscere in essa sfumature che non avrebbe immaginato,
che la rendevano ben diversa dall’aura cosmica degli Dei e molto più simile a
quella degli uomini.
“Possono esserci altri modi per mettere
fine al dolore! Per vincere l’agonia che ci attanaglia!” –Aveva commentato il
Dio, avvicinandosi. –“Perché ricordati, la vita è fatta anche di sofferenza e
di lacrime, non soltanto di gioie! Ma se per ogni sofferenza dovessimo
toglierci la vita allora non vivremmo abbastanza per godere appieno di tutto il
suo splendore!”
Giasone non aveva saputo rispondere,
esitando per un momento di fronte al fuoco, su cui le gocce del suo sangue
continuavano a cadere. Finché Ercole non gli aveva chiesto cosa portava con sé.
“Il frutto del mio dolore!” –Aveva
esclamato Giasone, aprendo il velo del suo fagotto e rivelando, di fronte agli
occhi atterriti di Ercole, il corpo senza vita di un bambino. –“Questo era mio
figlio! Il figlio che non sono riuscito a salvare! Il figlio che gli uomini non
mi hanno permesso di salvare!” –Aveva pianto Giasone, accasciandosi a terra,
davanti al fuoco, prima che Ercole gli si avvicinasse, calmandolo con il suo
caldo e confortante cosmo.
Anni addietro Giasone era stato un
imbattibile atleta, veloce e scattante, e aveva partecipato a numerose gare in
tutta la Grecia. In queste trasferte aveva incontrato Petra, una donna
affascinante, con la quale aveva avuto uno splendido bambino. Ma una notte, di
ritorno da una vacanza trascorsa assieme, nelle isole del Peloponneso, la barca
su cui viaggiavano aveva fatto naufragio a una ventina di chilometri dalla
costa e Giasone, Petra e il bambino erano caduti in mare, tra le grida
disperate della comitiva. La donna era subito scomparsa tra gli agitati flussi,
mentre Giasone, stringendo a sé il bambino in lacrime, aveva cercato di trovare
un rifugio, facendosi ospitare da una scialuppa. Ma gli uomini sulla barchetta
gli negarono di salire a bordo, poiché sostenevano che la scialuppa fosse già
piena e ulteriore peso avrebbe potuto farla ribaltare. A niente servirono le
suppliche e le lacrime di Giasone, che fu lasciato in balia dei flutti,
costretto a rientrare a nuoto fino in Grecia. Maledisse gli uomini quella notte
Giasone, e il destino che lo aveva aggredito, ma cercò di farsi forza e
nuotare, stringendo a sé il bambino che non voleva abbandonare. Quando finalmente
riuscì a toccare terra, alle luci dell’indomani, era pallido ed emaciato, il
ricordo dello splendore che l’atleta era stato un tempo. E il figlio, che
ancora stringeva tra le mani, era morto.
Qualcosa di irreparabile accadde in lui
quel giorno, qualcosa che lo portò alla pazzia, a stringere visceralmente a sé
il figlio che non era stato in grado di salvare, quasi come volesse punirsi per
la sua morte e per la scomparsa della moglie. Visse in solitudine per molti
mesi, cibandosi di bacche e di radici nei boschi, rifiutando qualsiasi contatto
umano e continuando a parlare con il bambino che teneva avvolto in un logoro
mantello, come se volesse proteggerlo dai mali del mondo, come se potessi
dargli ora quel calore che gli era mancato in mare.
“Ti stai uccidendo da solo!” –Gli aveva
detto Ercole quella notte, davanti al fuoco di bivacco. –“E non meriti questa
punizione! No, non la meriti affato! Hai già sofferto
troppo e scontato pene infernali per colpe che non ti appartengono! Liberati di
questo peso, liberati di questo rimorso, o ti legherà ad esso per l’eternità,
impedendoti di trovare pace!”
Giasone aveva pianto, sciogliendosi in
lacrime come un bambino, e a fatica aveva accettato le parole di Ercole, pur
sapendole vere. Aiutato dal caldo cosmo del Dio, aveva accettato la sua
offerta, il suo tentativo di rendergli un po’ di fiducia nei confronti della
vita, che bastarda era stata con lui, e degli uomini, che lo avevano ucciso, in
tutti i modi possibili. Aveva cremato il figlio, spargendo le ceneri dalla
torre più alta di Tirinto, sperando che il vento le portasse lontano, in un
campo di fiori dove un giorno lo avrebbe ritrovato, e da allora aveva vissuto a
Tirinto, cercando di rifarsi una vita, aiutato anche dagli altri Heroes che,
pur non conoscendo il suo passato, lo accettarono fin dall’inizio come uno di
loro. Del resto, le Legioni erano piene di contadini, di allevatori, di orfani,
di giovani sfortunati ma ricchi di talento e di belle speranze, ed Ercole
sperava che, vivendo nella città, Giasone avrebbe potuto dimenticare l’orrore
del passato, nella prospettiva di farsi un futuro. In realtà, negli anni a
seguire, Giasone era rimasto sempre distaccato, preferendo non farsi
coinvolgere troppo dai sentimenti umani, rinchiudendosi in un suo mondo perfetto
dal quale difficilmente emergeva, per quanto tentativi di socializzazione
venissero portati avanti da Nestore, Agamennone e Penelope.
“Mi dispiace!” –Commentò Nestore
dell’Orso, ascoltando la triste storia di Giasone. –“Mi dispiace per il male
che gli uomini ti hanno recato, e per non essere stato in grado di aiutarti in
questi anni difficili, non capendo mai cosa gravasse sul tuo cuore! Sono stato
uno sciocco! Come Comandante non valgo poi molto!”
“Non dire così, sei il Comandante..”
–Balbettò Giasone, preso alla sprovvista da quella spontanea confessione di
Nestore, che lo interruppe bruscamente.
“Ho fallito in tutto, Giasone! Il
Kouros non è stato abbattuto e forse gli abitanti di Micene sono stati
massacrati! Ercole sta lottando contro Era ed io non sono al suo fianco, e gli
Heroes da me comandati sono stati uccisi e giacciono dispersi in attesa
dell’ordine di un Comandante che non merita questo titolo! Ma se Era crede che
tutto questo sia sufficiente per abbattere Nestore dell’Orso, allora ha sbagliato
i suoi conti!” –Ruggì il possente Hero, espandendo al massimo il cosmo. –“Non
avevo mai compreso cosa albergasse nel tuo cuore, Giasone, ma adesso che mi hai
reso partecipe del tuo dolore, io combatterò anche per te! Per dimostrarti che
gli uomini non sono tutti malvagi ed egoisti, ma che al mondo esiste ancora
bontà, anche se nella misura di un palmo!”
L’ardente cosmo di Nestore, dallo
scintillante color azzurro, invase la stanza sotterranea, mentre i muscoli
dell’uomo strappavano via con forza gli steli e le nodose radici della pianta
che li aveva fino a quel momento tenuti prigionieri. Giasone rimase interdetto
di fronte a così tanta esplosiva energia, che gli sembrò quasi di vedere un
orso ruggire, liberandosi con foga dagli sterili lacci che la opprimevano. Per
un momento si sentì infiammare, sentendosi un vigliacco, sentendosi un vinto,
un uomo che aveva rinunciato a tutto, accettando candidamente la morte, per
levar via le sue sofferenze. Poi ripensò a Petra, all’amore che l’aveva
infiammato, alle vittorie nelle gare atletiche, al figlio che aveva amato, ai
momenti belli che avevano costellato la sua vita e che erano giunti malamente a
termine. E si chiese se forse, con i propri gesti, non avrebbe potuto farli
rivivere. Se forse non avrebbe potuto ritrovare quelle stesse emozioni perdute.
Lasciandosi dominare da tali sentimenti, Giasone espanse a
sua volta il cosmo, caricandolo del rancore covato fino a quel giorno, che fece
cenere di tutti gli steli, le radici e i fiori di melograno che tentavano di
opprimerlo. Nestore, al suo fianco, osservò il compagno sotto una luce diversa
rispetto a come lo aveva guardato prima, notando nei suoi occhi una fiamma che
pareva essersi risvegliata dopo aver dormito per anni. La fiamma in cui era
impressa una ragione per vivere.
La loro conversazione fu interrotta da
un rumore di passi, che scendevano gli scalini della gradinata che conduceva
alla parte superiore dell’Heraion, che anticiparono
l’arrivo di una figura rivestita da una lucente corazza. Era una donna, anche
se dalle forme poco aggraziate, bensì piuttosto bassa e tozza, con un viso poco
curato, ricoperta da un’Armatura che rappresentava uno dei simboli cari ad Era:
la Grande Vacca, da cui si riteneva fosse derivata l’etimologia del suo nome.
“Siete ancora vivi?!” –Esclamò stupita Boopis,
la Grande Vacca. Ma poi, pensandoci bene, si corresse. –“Perché mi
sorprendo? I vostri compagni hanno già dato prova di miracolose imprese e non
c’è motivo per credere che voi siate a loro inferiori!” –Commentò, ricordando
la sconfitta subita da Kyros e indirettamente anche
da lei sui monti dello Jamir, poche ore prima.
Dopo aver generato una valanga, con
l’ausilio del suo cosmo, Boopis aveva ingaggiato battaglia con Alcione della
Piovra, il Comandante della Terza Legione, una donna che non provava remore
alcuna nel lanciarsi decisa in combattimento. Agile, snella, molto
intelligente, Alcione aveva saputo spingere Boopis contro un fianco della
montagna e prima che l’Emissario di Era avesse potuto comprendere il disegno
dell’Hero, le aveva lanciato contro i propri sinuosi tentacoli,
immobilizzandola, mentre con altri tentacoli aveva scosso la montagna, facendo
crollare un mucchio di neve e pietra su di loro. A fatica, Boopis era riuscita
a salvarsi, sentendosi soffocare da quel mucchio indistinto di terra e
ghiaccio, su cui aveva iniziato ad esercitare i suoi poteri. Riuscita a
liberarsi, era uscita fuori da quell’improvvisata trappola, solo per constatare
di essere rimasta sola. Alcione se ne era già andata.
“Se il Melograno di Partenope
non ha adempiuto al suo dovere, penserò io a ristabilire le sorti della
battaglia, dando il colpo di grazia ai vostri deboli corpi!” –Esclamò infine
Boopis, scendendo gli ultimi gradini e atterrando sul suolo della serra.
“Deboli corpi?!” –Ruggì Nestore
dell’Orso, che si sentiva più determinato che mai, lanciandosi all’assalto con
il cosmo ardente attorno al suo corpo. Ma il suo procedere venne fermato da
nuovi filamenti e da nuovi lunghi rami nodosi che sorsero dal suolo,
moltiplicandosi ad ogni passo dell’Hero, che il pacato cosmo di Boopis pareva
evocare, semplicemente con un gesto della mano.
“Ripeto, deboli corpi!” –Precisò la
donna, osservando Giasone e Nestore dibattersi all’interno di quella selva di
liane, steli e rami che aveva creato. –“Partenope in
battaglia fa ampio uso dei suoi adorati Melograni, ma io, che di Era ho saputo
imitare la sua intima connessione con la natura, al punto da diventare un
unicum con essa, posso sfruttare qualsiasi fenomeno naturale e farlo mio! Come la
Grande Dea Madre tutto crea e tutto distrugge!”
“Adesso mi sono stufato!” –Ringhiò
Nestore dell’Orsa, dibattendosi selvaggiamente in mezzo a quel groviglio di
sterpi. Espanse il proprio cosmo ed evocò il potere sopito dentro di sé, l’Ursus
arctosmiddendorffi, con
il quale aumentò di colpo la propria massa corporea, diventando un immenso Orso
Kodiak, che strappò via come erbacce tutti i rami e
gli steli, ringhiando furiosamente, mentre Giasone, dal canto suo, lo aiutava
con il suo cosmo incendiario.
In quello stesso momento, ai piani
superiori dell’Heraion, la Regina dell’Olimpo, assisa
sul trono di Samo, chiamò Argo a sé, chiedendo la ragione di quel frastuono
improvviso. Il Sacerdote rispose che il Comandante della Legione di Ercole
aveva risvegliato lo spirito sopito dell’Orso Kodiak,
ma che Boopis era già intervenuta per estinguere nel giro di pochi minuti
quella puerile minaccia.
“Me lo auguro sinceramente!” –Esclamò
Era, indispettita. –“Ho già avuto modo di restare delusa da lei e dal tuo
allievo quest’oggi! E non sono affatto disposta a tollerare una seconda
sconfitta!”
A quelle parole, Argo chinò il capo in
segno di ossequioso silenzio, non trovando sul momento le parole adatte per
giustificare il fallimento di Kyros del Pavone, che
aveva considerato improbabile quanto quello di non recuperare la Lama degli
Spiriti. Che invece è finita nelle mani degli Heroes! E che questi bastardi
stanno già usando contro i nostri Kouroi! Rifletté il Sacerdote, mordendosi
il labbro inferiore dalla rabbia repressa, prima di sollevare lo sguardo verso
il grande arazzo appeso al muro, su cui erano stati intessuti i novanta simboli
degli Heroes di Ercole. Sorrise maliziosamente, osservando che ben quarantasei
erano stati disfatti. La metà dell’esercito di Ercole era già stato annientato.
E le Moire continuavano a filare.
Nella sala sotterranea la devastante
furia dell’Orso Kodiak dilagava, disintegrando gli
steli e i rami che Boopis faceva sorgere dal terreno, prima di lanciarsi con
rabbia contro di lei, sorretto dalle incandescenti fiamme emanate da Giasone.
L’Emissario di Era, per difendersi, aprì le mani avanti a sé, utilizzando le
molecole dell’aria per creare una barriera invisibile contro la quale si
schiantò l’assalto dei due Heroes, rimandandolo indietro e potenziandolo, prima
di muovere le dita nell’aria, disegnando un mulinello di cerchi concentrici,
che subito assunse la forma di un gorgo energetico, che sfrecciò contro i due
Heroes travolgendoli e scaraventandoli indietro, fino a farli schiantare contro
la vetrata retrostante. Questa andò bruscamente in frantumi, sbattendo Nestore
dell’Orso, ritornato alle sue sembianze umane, e Giasone del Cavallo, nel
giardino al di fuori della serra.
I due Heroes si guardarono velocemente
intorno, realizzando di trovarsi su un versante interno della collina ove
sorgeva l’Heraion di Samo, che poterono ammirare
qualche decina di metri sopra di loro, stagliarsi contro il sole del
pomeriggio, in un vasto prato pieno di fiori profumati e qualche albero sparso.
Boopis apparve poco dopo dal pertugio della vetrata crollata, fissando i due
uomini con commiserazione, ritenendo che qualunque difesa avessero adottata
sarebbe stata vana e qualunque attacco avessero messo in atto non sarebbero mai
riusciti a sconfiggerla.
“Voi non avete l’imperturbabile calma
di Alcione della Piovra, né la sua saggezza!” –Commentò la donna infine.
–“Siete due uomini, e come tali siete barbari e un po’ zotici, poco attenti
alla natura, poco inclini a coglierne il senso profondo!”
“Siamo uomini atti a combattere,
Sacerdotessa di Era!” –Esclamò Nestore, senza dar troppo peso ai suoi discorsi.
E concentrò il cosmo sul pugno destro, pronto per scagliarsi di nuovo contro
Boopis, ma Giasone lo fermò, afferrandogli un braccio e pregandolo di contenere
la propria furia.
“Osservala! Questa donna dispone di
qualche potere che non siamo in grado di comprendere appieno! La sua voce calma
e pacata mi fa sospettare!” –Gli disse, prima che la voce di Boopis sovrastasse
la propria.
“Esatto! I poteri di cui dispongo sono
quelli della Grande Vacca, Madre e Origine di tutte le cose, e attingono alle
forze presenti liberamente in natura, il cui respiro avverto caldo dentro di
me, uniti in un cerchio indistruttibile! In un legame mistico che nessuna forza
esterna potrà mai spezzare!” –Esclamò Boopis, chinandosi per prendere in mano
una manciata di terra, prima di scagliarla contro i due compagni. –“Posso usare
della semplice terra di campo per schiacciarvi al suolo!” –Spiegò la donna,
mentre la terra che aveva lanciato aumentava la propria massa, diventando una
rozza valanga di terriccio che franò sui due Heroes, sbattendoli a terra.
–“Posso muovere il suolo, aprendo ampie fenditure nel terreno ad ogni vostro
passo!” –Aggiunse, mentre una faglia si apriva sotto i corpi di Giasone e
Nestore, ancora intenti a liberarsi dal terriccio franato. I due Heroes caddero
nella fenditura del terreno, da cui spiravano torride correnti dal basso,
riuscendo ad aggrapparsi a sporgenze laterali e faticando per risalire l’irto
pendio, prima che una tempesta di aria calda li sollevasse con forza,
scaraventandoli nel campo di fiori, mentre la faglia si richiudeva accanto a
loro.
“O posso ordinare le molecole
dell’aria, per creare tempeste e vortici o per farne muri invalicabili che
neppure la potenza di una fiera devastatrice potrebbe superare!” –Spiegò ancora
Boopis, avvicinandosi ai due uomini, piuttosto malconci, che cercavano di
rimettersi in piedi. –“Perciò, se avete capito, non opponete alcuna resistenza,
poiché sarebbe vana! Cosa potrebbero mai fare degli uomini di fronte alla furia
scatenata della natura? Come potrebbero dei semplici mortali arginare
l’avanzare indomito delle potenze naturali loro progenitrici?!”
“Con la forza di volontà!” –Esclamò
Giasone, rialzandosi e fissandola con determinazione, prima di espandere il
cosmo dai bagliori infuocati. –“Ho notato, Boopis, che vi è un elemento che non
controlli! Come mai? Non rientra nei tuoi poteri o hai paura di scottarti con
qualcosa che non conosci?” –Ironizzò, evocando luminose e iridescenti fiamme,
che avvolsero il suo corpo, scivolando su esso, prima di brillare nei palmi
delle sue mani. –“Correte libere, Cavalle di Fuoco!” –Gridò l’Hero,
scagliando contro la donna un attacco infuocato sotto forma di maestose cavalle
sprizzanti fiamme, che parevano danzare al suono della sua voce.
Boopis, sorpresa dal repentino attacco,
ebbe comunque la prontezza di erigere una barriera di aria di fronte a sé,
sulla quale si schiantarono le Cavalle di Fuoco di Giasone, incendiando
il terreno antistante, ma non riuscì a prevedere che Nestore avrebbe richiamato
immediatamente l’Ursus arctosmiddendorffi,
divenendo un immenso Orso Kodiak e scagliando un
potente pugno energetico contro la sua barriera protettiva, distruggendola e
scaraventando l’Emissario di Era indietro. Boopis sbatté la faccia a terra,
perdendo l’elmo cornuto, ma subito si rialzò, con il volto per niente irato,
espandendo il proprio cosmo, lasciandolo scivolare lungo i versanti della
collina, quasi come volesse abbracciarla nella sua interezza e fondersi con
essa.
“Vi ho sottovalutato, Heroes di Ercole!
Siete coraggiosi e degni del nome che portate! Ma ciò, in ogni caso, sarà
ininfluente!” –Aggiunse, disegnando nell’aria un vortice che immediatamente
aumentò di grandezza e di intensità, sfrecciando contro i due Heroes e
travolgendoli. –“Rimarrete così, a girare su voi stessi per l’eternità, ad
osservare i giorni che lenti vi scorreranno davanti senza che possiate fare
niente per afferrarli e per prendervi parte! Il vostro ruolo nella storia
termina qua! Addio, Eroi! Quando i vortici smetteranno di girare sarete morti!”
–Commentò Boopis, volgendo le spalle ai due guerrieri e lasciandoli lì, avvolti
in un mulinello di energia che sfrecciava a velocità altissima, roteando
continuamente i corpi inermi dei due Heroes.
Giasone e Nestore bruciarono i loro
cosmi, nel tentativo di liberarsi, ma ogni movimento, seppur piccolo esso
fosse, era reso impossibile dal continuo roteare del loro corpo, stritolato da
una pressione altissima, che faceva scricchiolare sinistramente le loro
corazze, già in parte danneggiate dai precedenti scontri. Il Comandante era
anche il meno adatto ad uscire da una situazione del genere, essendo di stazza
robusta e meno agile, rispetto alla scattante velocità dell’Hero del Cavallo,
che veniva osannato come capace persino di superare la velocità della luce.
Giasone sorrise al ricordo dei complimenti ricevuti quando gli altri Heroes e
le Sacerdotesse di Tirinto avevano scoperto che un tempo era stato un corridore
e aveva vinto numerosi premi in tutta la Grecia. Si scosse per un momento,
incendiando il proprio cosmo, infiammando l’orgoglio sopito di ciò che era
stato un tempo. Del campione che aveva dimenticato.
“Credo sia il momento di verificare
davvero quanto valgo!” –Esclamò Giasone, mentre il suo cosmo ardeva come
accecante fiamma. –“Se davvero sono in grado di superare la velocità della
luce, non credo avrò altra occasione per dimostrarlo!” –Si disse, cercando di
muoversi, con tutta la forza che aveva dentro, per quanto il vorticare
impetuoso e continuo paralizzasse ogni suo movimento. Non si arrese e tentò di
nuovo, spinto anche dal desiderio di salvare il suo Comandante, ed iniziò a
muoversi all’interno del vortice, prima lentamente poi, sostenuto dal suo cosmo
ardente, in maniera sempre più veloce, sfrecciando nella direzione opposta
rispetto al movimento d’aria.
Boopis si fermò, attratta
dall’improvvisa espansione del cosmo del guerriero, e voltandosi vide un
turbinio di fiamme avvolgere il vortice che lei stessa aveva generato, il
vortice che Giasone stava estinguendo, correndo velocemente nella direzione
opposta ad esso, fino a spegnerlo. Barcollando, e un po’ stordito, l’Hero del
Cavallo cercò di mantenersi in piedi, prima di lanciarsi con tutto il suo
infuocato cosmo verso la Grande Vacca, che quella volta non fece in tempo a
ricreare la barriera protettiva, venendo atterrata dall’impeto delle Cavalle
di Fuoco di Giasone, schiantandosi a terra, avvolta da un turbinare sinuoso
di fiamme ardenti.
“Nestore! Corri, amico mio!” –Esclamò Giasone, rivolgendosi
al compagno che era appena caduto a terra, liberatosi dal vorticare continuo di
Boopis. –“Approfitta di questo momento per tornare da Ercole! Non riuscirò a
trattenerla per molto!”
“Cosa stai dicendo?! Non ho intenzione
di lasciarti da solo a combattere! La affronteremo insieme..” –Ma Giasone non
lo fece terminare, incitandolo ad andarsene, con gli occhi carichi di lacrime.
“Non farmi ripetere! Sprecherei energie di cui ho bisogno!
Vattene ora, finché sei in tempo, tu che mi hai ricordato che gli uomini non
sono tutti malvagi ma una fonte inesauribile di amore, come anch’io lo credevo
un tempo, quando il mio cuore batteva per Petra!” –Esclamò Giasone, prima di
scagliare un nuovo assalto infuocato contro Boopis, che quella volta lo evitò,
circondando il suo corpo da una violenta corrente d’aria, che poi diresse
contro le fiamme, disperdendole nel giardino ormai devastato, e infine piombò
contro Giasone sotto forma di una possente tromba d’aria. L’Hero del Cavallo venne
spinto a terra, mentre il mulinello di energia gli frantumava il pettorale
della corazza, trapanando il suo corpo stanco, per distruggerlo. A tale vista,
Nestore reagì d’istinto, maledicendosi per il dubbio e l’incertezza che lo
aveva dominato per una manciata di minuti. Concentrò il proprio possente cosmo
nelle braccia e poi scagliò il più devastante dei suoi attacchi.
“Ruggito dell’Orso Bruno!”
–Tuonò il Comandante, mentre alle sue spalle appariva la splendida immagine di
un imponente orso, la cui zampata devastante generò un attacco di energia che
travolse Boopis in pieno, scaraventandola contro il fianco della collina di
Samo, schiacciandola in essa e danneggiando parte della sua corazza. Quindi,
Nestore corse immediatamente da Giasone, per aiutarlo a rimettersi in piedi.
–“Non crederai davvero che ti lasci qua, a combattere da solo! Adesso che ho
trovato un amico, non ho affatto intenzione di abbandonarlo!” –Gli disse,
allungandogli la mano destra. Giasone lo fissò per un momento, con gli occhi lucidi,
e poi la afferrò, aiutandosi con essa e rimettendosi in piedi.
“Quante nobili parole! Peccato che le
vostre azioni tradiscano tale vuota retorica! A parole vi proclamate santi ed
eroi, ma siete soltanto dei distruttori! Uomini che non hanno fede nella
natura, che rifiutano il caldo abbraccio della Grande Dea Madre, preferendo
rufolare tra le bestie!” –Esclamò Boopis, per la prima volta con un tono irato.
–“Essa può portare la vita, così come la morte! Può far fiorire campi e
renderli sterili, ed io, adesso, isterilirò il vostro cosmo! Spiriti della
Grande Madre!!!” –Gridò, mentre evanescenti figure, quasi fossero composte
di aria, scivolavano attorno al suo corpo, prima di sollevarsi verso il cielo e
dirigersi contro i due Heroes.
Nestore e Giasone, per quanto
impressionati da tali ancestrali figure, che sembravano evocare sensazioni di
nascita e di morte, cercarono di reagire, bruciando al massimo il cosmo, mentre
gli Spiriti della Grande Madre piombavano su di loro, trapassando i loro
corpi e distruggendo le corazze degli Eroi. I due amici sentirono di perdere
qualcos’altro, assieme alle loro armature. Qualcosa di intangibile, qualcosa di
interiore, forse la vita stessa, che sembrò loro di sentir scivolare via.
“È il tributo da pagare per la vostra ribellione ad Era, la
Grande Dea Madre! Questo tributo è l’essenza stessa della vostra forza vitale,
ciò che muove i vostri passi!” –Esclamò Boopis, prima di dirigere un nuovo
assalto verso i due Heroes. –“Addio!!”
“I nostri passi sono mossi dall’amore
per Ercole!” –Tuonò Giasone, espandendo il suo corpo oltre ogni limite
possibile. –“E dal ricordo di ciò che siamo stati un tempo, della felicità di
cui il nostro animo è stato imbevuto e dalla speranza che quei sentimenti
possano un giorno ritornare! Sfrecciate nel vento, Cavalle di Fuoco!!!”
–Esclamò l’Hero, liberando l’assalto al massimo della potenza, mettendo tutto
se stesso, tutti i suoi ricordi, tutta la sua vita in un unico cosmo, dalla
potenza così esplosiva, che riuscì a bruciare persino gli Spiriti della
Grande Madre e trapassare il corpo di Boopis, riducendolo in polvere. Ma
uno Spirito rimase libero nell’aria e in esso Giasone riconobbe il volto della
morte. Chiuse gli occhi, soddisfatto per aver saputo reagire al proprio dolore,
per aver saputo credere in un futuro di felicità, per sé e per i propri
compagni, e si lasciò trafiggere, spirando poco dopo, con un sorriso sincero
sul volto.
Era l’ora del tramonto, quando il sole
scivolava al di là delle montagne occidentali e le ombre della sera si
allungavano sulla piana di Tirinto, quando l’assedio della fortezza ebbe
termine, dopo aver impegnato le Legioni di Ercole per dodici ore. E averle
numericamente dimezzate.
“Cos’è rimasto?” – Si chiese
Marcantonio dello Specchio, il Comandante della Seconda Legione di Heroes,
osservando lo sfacelo attorno a lui. –“Molto si miete in guerra, ma il raccolto
è sempre scarsissimo!” –Commentò, citando Omero.
La piana di Tirinto era completamente
devastata, solcata da enormi crateri e fenditure nel terreno, ove giacevano
alberi abbattuti, frammenti di corazze o corpi ammassati e sanguinanti. Il
Ponte Principale era stato abbattuto e parte delle mura anteriori gravemente
danneggiate dagli assalti dei Kouroi, franando all’interno e abbattendo altri
edifici che sorgevano al riparo di esse. La città di Argo era stata distrutta e
la sua popolazione decimata, piegata in ginocchio da piogge alluvionali che
avevano raso al suolo ogni edificio, falciando vite e speranze di innocenti.
Tebe era stata messa a ferro e fuoco da Argo e dal Gigante Panoptes e l’antica
residenza di Ercole era stata violata. Soltanto Micene era stata risparmiata,
più per un capriccio di Iris, Messaggera di Era, che aveva voluto vanagloriarsi
davanti alla Regina di Samo di aver catturato due Heroes del suo mortale
nemico: Nestore dell’Orso, il Comandante della Quarta Legione, e Giasone del
Cavallo, dopo averne massacrati altri due.
Ma al di là dello sfacelo fisico, delle
città da ricostruire, ciò che maggiormente aveva turbato Ercole e coloro che
ancora lottavano al suo fianco era la stanchezza che gravava sul loro animo,
per la perdita dei compagni con cui erano cresciuti. Poiché quella lunga
giornata non aveva risparmiato alcuna legione, non facendo sconti a nessuno.
Uomini o donne, compagni storici di Ercole o novizi, anziani o cadetti, la
guerra non aveva guardato in faccia nessuno, lasciando che le Moire recidessero
il filo della vita della maggior parte degli Heroes del Dio dell’Onestà, mentre
Era, seduta sull’alto trono intarsiato di Samo, osservava i simboli
corrispondenti disfarsi sullo splendido arazzo appeso al muro. Un arazzo il cui
colore andava macchiandosi ulteriormente di sangue.
Ne erano morti cinquanta, di Heroes di Ercole, ed Era poteva
dirsi soddisfatta, poiché quella prima fase della guerra l’aveva vista
vincitrice, per quanto avesse subito due perdite che un po’ la infastidivano.
Kyros del Pavone, discepolo di Argo e candidato a prendere il posto del maestro
come Oracolo di Era, era stato inaspettatamente sconfitto da Alcione della
Piovra, fallendo la missione di recuperare la Lama degli Spiriti, e Boopis, la
Grande Vacca, che Era tanto aveva in considerazione per la sua intima
connessione con la natura, non aveva saputo fare di meglio, venendo uccisa
proprio sotto il suo palazzo. Dei tre Emissari di Era, ne rimaneva soltanto
uno, Partenope del Melograno, di cui aveva perso le tracce.
“Mia Signora!” –Le aveva detto Argo,
inginocchiato di fronte al trono assieme a Didone, la Regina Fenicia, quando
aveva percepito lo spegnersi del cosmo di Boopis.
“Ho sentito!” –Aveva risposto Era un
po’ scocciata, prima di concentrare al massimo i suoi sensi, per vedere ciò che
ai suoi occhi era al momento celato. Così, sfruttando i suoi enormi poteri, la
Dea aveva mostrato il suo lato di Grande Madre, ascoltando i fremiti e i
sussulti della natura, che tutto le avevano narrato, dalla liberazione di Giasone
e Nestore alla caduta di Boopis lungo il crinale interno della collina di Samo.
Era aveva sospirato, dispiacendosi
sinceramente per la morte della donna, in cui molto aveva riposto fiducia,
prima che Argo le rivolgesse nuovamente parola.
“Volete che lo faccia uccidere?
Possiamo eliminarlo adesso, con un solo dito!” –Aveva spiegato il Sacerdote,
alludendo a Nestore e alle sue deboli condizioni fisiche.
“No!” –Aveva risposto infine la Dea,
mentre al suo orecchio giungevano i sospiri del vento che spirava da Tirinto.
Un vento che le annunciava la discesa della Lama degli Spiriti in campo, e la
prossima sconfitta dei suoi Kouroi. –“Lascialo andare!”
“Come?! Mia Signora?!” –Aveva
balbettato Argo, senza comprendere le intenzioni della sua Regina.
“Lascia che il buon cane torni dal suo
padrone, che recuperi le forze e che lo conduca qua!” –Aveva sogghignato Era.
–“Sapremo riservare loro un’accoglienza divina! Ah ah ah!” –E aveva riso, dando
avvio alla fase finale della guerra, quella in cui Ercole avrebbe condotto gli
Heroes a Samo, per estirpare definitivamente la minaccia rappresentata dalla
Regina dell’Olimpo. Era questo lo sapeva, ne era certa, e adesso poteva sedere
sul trono in placida attesa, lasciando che gli eventi seguissero il loro corso.
Nestore dell’Orso infatti, dopo
aver pianto sul corpo esanime di Giasone del Cavallo, e averlo abbracciato
un’ultima volta, riluttante ad abbandonarlo, se ne era andato, scendendo in
fretta verso la costa. Avrebbe voluto arrampicarsi fino alla cima del colle,
abbattere le porte dell’Heraion con un pugno secco ed affrontare Era,
vendicando Giasone e gli altri Heroes caduti. Ma sentiva che le forze di cui
disponeva erano sufficienti a malapena per permettergli di rimanere in piedi,
senza fare uso del suo cosmo, e per questo dovette rinunciare. Raggiunse la
riva dell’isola di Samo, recuperando una barca ed iniziando con essa la
traversata del Mar Egeo, affidandosi alla fortuna, troppo stanco persino per
remare. Probabilmente avrebbe terminato la sua navigazione solitaria su
un’isola fuori rotta, se Pasifae del Cancro non avesse avvertito il cuo cosmo.
La Terza Legione stava infatti
ritornando da Oriente, a bordo della nave timonata da Alcione della Piovra, a
causa della debolezza di Gerione del Calamaro, dovuta al suo scontro con Kyros,
e fu la Sacerdotessa del Cancro, i cui poteri di percezione sensoriale erano
tra i più elevati tra gli Heroes di Ercole, ad avvertire il debole baluginare
del cosmo del Comandante della Quarta Legione. Quando Nestore salì a bordo della
nave, non fu troppo sorpreso di vedere la Legione del Mare decimata, poiché
anch’essa aveva subito dure perdite.
Galena del Pesce Angelo era morto
all’interno del Sentiero del Silenzio, soffocato da una valanga provocata da
Lica della Seppia, che Alcione e gli altri immaginavano morto in seguito allo
scontro con Dohko di Libra, al di fuori del Sentiero del Silenzio, ignorando il
suo successivo scontro con Nesso. Ettore della Gonostoma e Eretteo della Foca
erano stati uccisi dal potente Emissario di Era, Kyros del Pavone, mentre
Termero del Pesce Picasso era morto durante la slavina provocata da Boopis, la
Grande Vacca, spaccandosi il cranio contro uno sperone sporgente di roccia.
Escludendo Nesso, che era sfrecciato verso Tirinto portando con sé la Lama degli
Spiriti, e Anfitrione del Camoscio e Artemidoro della Renna, che erano rimasti
nella città sacra, la Terza Legione poteva adesso contare su soltanto sette
componenti, di cui uno, Gerione del Calamaro, ancora debole per le ferite
riportate.
Quando la Legione del Mare giunse a
Tirinto, quella notte di dolore, Alcione dovette arrendersi all’evidenza e
ritenersi fortunata, poiché alle Legioni dei suoi compagni era toccata sorte
peggiore. La Quinta Legione, di stanza a Tebe, era stata completamente massacrata,
e persino il suo Comandante, Tereo di Amanita, aveva incontrato la morte.
Soltanto tre guerrieri si erano salvati, grazie all’intervento fortuito di
Neottolemo, e adesso servivano l’Hero del Vascello quasi fosse il loro nuovo
Comandante, in parte per riconoscenza e in parte per lenire la loro solitudine.
Erano il coraggioso Circe della Mandragola, il narcisista Paride
della Rosa e l’emotivo Morfeus del Papavero.
Alcione aveva chinato il capo,
trattenendo rabbia e lacrime, nell’apprendere che il responsabile della caduta
di Tebe, e di tutti i tradimenti perpetuati dall’interno delle Legioni dagli
Heroes ribattezzati Eroi dell’Ombra, era un loro compagno, un uomo a cui Ercole
aveva dato grande fiducia, Partenope del Melograno. Un uomo che altro non era se
non un assassino.
Chirone del Centauro raccontò ad
Ercole e agli altri Comandanti del suo scontro con l’Hero del Melograno, e dei
nobili sacrifici di Argo del Cane e di Gleno di Regula, due amici che, Chirone
ne era certo, si sarebbero finalmente riuniti nell’aldilà, ricordandoli con
onore, poiché doveva loro la vita. Come la doveva al fratello, Mistagogo di
Tifone, ucciso da Partenope, a cui forse avrebbe voluto concedere una carezza
in più, senza riservarla al momento dell’addio. Anche la Sesta Legione infatti
era stata decimata e il Comandante non poté nascondere l’odio che covava nei
confronti di Ificle della Clava e dei suoi tre compagni, che avevano massacrato
gli altri Heroes della Legione Furiosa, i cinque ragazzi che avevano cercato di
affrontare Ificle per aprire nuovamente il portale dimensionale e permettere a
Chirone, Mistagogo, Diomede e Aureliano di ritornare nella radura ove stavano
affrontando i Kouroi: Lino di Orfeo, privato barbaramente della vita, Lisitea
del Pesce Vampiro, Mentore della Stella Marina, Tespio dello Scudo e Perseo
della Testa di Medusa. Considerando anche Tiresia dell’Altare e Druso di
Anteus, il fabbro di corte, rimasti quel giorno a Tirinto, la Sesta Legione
poteva contare adesso soltanto su cinque guerrieri, compreso il Comandante
Chirone.
L’Hero dell’Altare era stato tra i combattenti più arditi
della giornata, impegnandosi in prima persona per permettere a Neottolemo del
Vascello di liberarsi della stretta morsa del Dio dei Venti e affrontando poi
direttamente Zefiro, il Vento dell’Ovest, riuscendo a vincerlo, seppur a
fatica. Penelope del Serpente, la Consigliera Privata di Ercole, era subito
corsa ad aiutarlo e a prendersi cura di lui, ordinando ad Artemidoro, che oltre
ad essere il maggiordomo privato del Dio dell’Onestà era anche un esperto
medico, di curare subito le sue ferite.
“Ti prego di fare in fretta,
Artemidoro!” –Gli aveva detto Penelope. –“Poiché temo che questa sera
l’infermeria sarà piena di guerrieri bisognosi di cure!”
E la Sacerdotessa del Serpente aveva
visto giusto, poiché al termine della lunga giornata di combattimenti la fila
degli Heroes feriti era notevolmente aumentata, annoverando al suo interno
anche il coraggioso Comandante della Prima Legione, il bellissimo cipriota Adone
dell’Uccello del Paradiso, sostenuto dall’affascinante Deianira del
Lofoforo, le cui condizioni erano assai deboli. La Legione Alata aveva
infatti sostenuto una dura prova, scontrandosi contro i Kouroi a nord di
Tirinto e fallendo nell’impresa, venendo colpita duramente negli affetti da un
tradimento inaspettato, operato da Alexandros del Ramo e di Cerbero, a cui si
erano uniti Agelao del Pigmeo, per rivendicare la non subordinazione della sua
razza, e Caropo del Pappagallo, per motivi sentimentali. Nello scontro erano morti,
oltre ai tre ribelli, anche cinque Heroes: Briseide del Cardinale, Ecuba di
Antlia, Icaro della Colomba, Adrastea del Toco e il caro amico di Adone, nonché
suo braccio destro, Damaste della Gura, massacrato da Alexandros di fronte ai
suoi occhi. Anche Pandaro del Corvo, inviato da Adone a Tirinto per informare
Ercole del pericolo, era stato ritrovato morto, con il cranio sfondato da un
secco colpo di clava, probabilmente ad opera di Ificle e dei suoi tre compagni,
riducendo a sei il numero di Heroes membri della Prima Legione.
Eumene della Mosca e Antioco
del Quetzal, di origini centroamericane, erano riusciti a salvarsi,
aiutandosi l’un l’altro e sorreggendosi a fatica nel lungo scontro, e adesso
erano al capezzale del loro Comandante, per il quale provavano una sconfinata
ammirazione. La stessa che aveva animato per anni il cuore di Argo del Cane e
di Gleno di Regula, dirigendola verso il valoroso Agamennone del Leone, il
secondo ufficiale della Quarta Legione, le cui gesta avevano tanto sentito cantare.
Gesta che corrispondevano alla realtà, poiché Agamennone non aveva esitato a
scendere in campo in prima linea, affrontando il Kouros di Argo e vincendolo
con il manufatto divino che albergava nel suo braccio destro, l’Artiglio del
Leone di Nemea, e poi scontrandosi con Borea, il freddo Vento del Nord. Ma
adesso Agamennone era morto, e il suo corpo era stato ricondotto a Tirinto
dalla Legione del Mare, assieme a quello febbricitante di Niobe del Falco, la
Sacerdotessa che aveva provato a dare la vita per il suo capitano, per l’uomo
che aveva segretamente amato per anni, fallendo nel progetto. Le sue condizioni
fisiche non erano peggiori di altri Heroes, ma la sua anima era il riflesso
pallido di ciò che Niobe era stata un tempo.
“Sta morendo!” –Disse Artemidoro a Penelope, che sedeva sul
letto al fianco dell’amica. –“La sua anima si sta dissolvendo, tra mille
rimorsi e rimpianti! Sembra che abbia perso la voglia di vivere!” –Mormorò
l’Hero della Renna, a bassa voce, mentre Penelope cercava di reprimere i singhiozzi
che le dilaniavano il cuore.
“Se fosse possibile…” –Mormorò la
Sacerdotessa del Serpente, avvicinando il viso a quello dell’amica, adesso
priva della maschera. –“Chiederei al tempo di tornare indietro! E ti porterei
con me, a cavallo fino a Tebe, per farti vedere un’ultima volta i fratelli che
tanto amavi, e che per anni ti sei colpevolizzata di aver ucciso! E poi ti
porterei oltre, fino a inoltrarci nei verdi boschi della Tessaglia, inseguendo
Agamennone in una delle sue audaci caccie, rischiando la vita con lui, sulle
tracce di un’agile fiera, per entrare nel mito ed essere cantati nelle
leggende! Ma tu, Niobe, amica mia, sei ormai già parte del mito, come lo sono
tutti gli Heroes caduti in questa lunga giornata! Il sole è tramontato su
Tirinto, ma la luce della vostra anima risplenderà sempre all’interno di queste
mura!” –Singhiozzò Penelope, prima di ritirare il viso, e scoprire che Niobe
era spirata proprio in quel momento.
Assieme alla Sacerdotessa del Falco,
durante gli scontri ad Argo erano caduti anche Neleo del Dorado e Tindaro del
Cigno Nero, che, sommati ad Agamennone, Argo e Gleno, a Priamo della Lucertola
e ad Asterione della Giraffa, caduti a Micene, a Giasone del Cavallo, ucciso a
Samo, e a Opi della Lepre, traditrice morta nella corte sul retro di Tirinto,
riducevano il numero dei membri della Quarta Legione a cinque: il Comandante
Nestore dell’Orso, Penelope del Serpente, Teseo del Camaleonte, Polissena della
Strega e lo Shadow Hero redento, Dione del Toro.
Nestore aveva stretto i pugni,
trattenendo a stento le lacrime, nell’apprendere da Penelope della morte di
Agamennone e di tutti gli altri cinque Heroes che aveva inviato ad Argo. Aveva
ricordato lo sguardo orgoglioso e sorridente di Agamennone, quando quella
mattina lo aveva incaricato di guidare i ragazzi in missione contro i Kouroi, e
i timori che lo avevano assalito. E che adesso erano diventati tremenda realtà.
L’ho mandato a morire! Aveva pensato con rabbia, tirando un forte pugno
in un muro, spaccandolo all’istante, mentre il suo cuore era in preda a forti
tumulti, divorato da carogne onnivore chiamate rimpianti.
“Non sentirti in colpa!” –Gli disse
Penelope, di fronte alla salma di Agamennone. –“Né per lui, né per Niobe! Né
per nessun altro! Non li hai uccisi tu, ma la guerra! Un’immensa onda di odio e
di sangue che tutto travolge!”
“Forse non li ho uccisi io…” –Rispose
Nestore, allontanandosi. –“Ma avrei potuto salvarli, se fossi stato presente,
come un Comandante avrebbe dovuto fare!”
Anche Dione del Toro aveva cercato di
avvicinare Nestore, ma Penelope lo aveva consigliato di rimandare, poiché la
tristezza e il nervosismo del loro Comandante lo spingevano a voler rimanere da
solo, nel disperato tentativo di sfogarsi un po’.
“Vorrei solo che riuscisse a
perdonarmi!” –Mormorò Dione, il cui ripensamento aveva permesso a Leonida della
Spada di sconfiggere Euristeo del Reticulum, poiché altrimenti l’Hero della
Seconda Legione avrebbe dovuto affrontare anche Dione, come era nei piani di
Opi.
Leonida infatti aveva dovuto affrontare
sia la Lepre Oscura, che Euristeo e i suoi compagni, Telemaco del Telescopio e
Entelide del Microscopio, riuscendo ad impedire che aprissero un passaggio
laterale per permettere a Ificle e agli altri di accedere all’interno di
Tirinto. La Seconda Legione, rimasta nella fortezza per difenderla, per tutta
la lunga giornata di sangue, rimaneva, assieme alla Terza, la più consistente,
annoverando ben otto guerrieri tra le proprie fila: oltre al Comandante,
Maracantonio dello Specchio, ancora in splendida forma, e al suo primo
ufficiale, il generoso Polifemo del Ciclope, la Legione d’Onore poteva contare
su Leonida della Spada, anche se indebolito dagli scontri, Tersite della
Mongolfiera, il possente Neottolemo del Vascello, Odysseus di Ecatonchirus, Crisore
di Procuste e Temistocle del Pentagono. I caduti erano stati soltanto quattro,
Sidone di Augia e Astrea di Lolofilax, uccisi da Euristeo, Aiace del Gladiatore
e Arcadio della Corona Reale, uccisi da un assalto di Iris di fronte alle porte
di Tirinto, ma ciò non faceva sentire Marcantonio meglio di nessun altro dei
sei Comandanti di Ercole.
Nessuno infatti sentiva di aver vinto.
Nemmeno Nesso del Pesce Soldato, l’eroe di quella giornata
interminabile, portato in trionfo da Marcantonio e dagli altri Heroes
sopravvissuti, per aver abbattuto i Kouroi, tenendo fede alla promessa che
aveva fatto ad Ercole quella mattina, ed elogiato da Chirone di fronte al Dio
dell’Onestà, senza risparmiare i meritati encomi per le acrobazie che aveva
visto eseguire al ragazzo, che li aveva liberati dalla prigionia del quadro di
Aureliano. Anzi, forse proprio Nesso accusava la stanchezza più di tutti gli
altri Heroes suoi compagni, una fiacchezza che non era soltanto fisica, ma
soprattutto spirituale. La Lama degli Spiriti, come il Vecchio Saggio dello
Jamir aveva riferito ad Alcione, era un’arma a doppio taglio e stava
prosciugando la sua anima.
“Ti ho dato la vittoria e la gloria!
Adesso pagherai questo trionfo con la vita!” –Sembrava che la lama dicesse al
corpo stanco di Nesso, adagiato su un letto poco distante da Niobe del Falco.
Chirone e gli altri Heroes credettero
che la stanchezza di Nesso fosse squisitamente fisica, ma Alcione, che ben
ricordava le parole del Saggio dello Jamir, sapeva che non poteva essere
soltanto così. Quando la notte calò su Tirinto, e gli ultimi fuochi di bivacco
si spensero, l’Hero della Piovra scese nell’infermeria e sedette accanto al suo
eroico guerriero, rivolgendogli un sorriso sincero e preoccupato.
“Quella lama ti sta portando via, Nesso!”
–Esclamò tristemente. –“Smetti di usarla, o svanirai nel vento, rimanendo
soltanto un ricordo! Uno splendido ma intangibile ricordo!”
“Ho ancora la forza per usarla una
volta ancora!” –Mormorò Nesso, con un filo di voce. –“Lo farò domani! In
battaglia! Per Ercole e per te, mio Comandante!”
“Ercole non vuole il sacrificio dei
suoi Heroes, che disperatamente inseguono la morte in una guerra continua, e
nemmeno io lo voglio, né lo vuole nessun’altro Comandante!” –Precisò Alcione,
prima di chiedere a Nesso cosa avesse, cosa celasse nel cuore. –“Perché sei
così insofferente? Perché sei così inquieto? Cosa devi dimostrare al mondo,
Nesso, al punto da non trovare mai pace né riposo?”
“Sto cercando il mio altrove…” –Mormorò
Nesso, prima di chiudere gli occhi e scivolare in un meritato sonno.
Alcione rimase a fissarlo ancora per un
po’, carezzando il volto stanco del ragazzo, ben diverso dal vivace colorito
che l’aveva abbagliata quella mattina, quando aitante e pieno di vita si era
presentato a lei, a Spinalonga, con la missiva di Ercole. Adesso Nesso sembrava
il fantasma di quel ragazzo, debole e pallido, consumato nel corpo e nello
spirito da un potere da cui non riusciva a privarsi. La Lama degli Spiriti
sembrava averlo drogato, al punto da spingerlo a non cederla a nessun altro,
chiedendo che fosse soltanto lui ad utilizzarla, lui a cui Alcione l’aveva
ceduta.
Il Comandante della Terza Legione
sospirò, capendo che Nesso, ben prima di chiunque, aveva compreso il pericolo
nascosto in quella Lama e aveva scelto, avendola impugnata la prima volta
contro Austro, ad Argo, di continuare a stringerla in mano, cosicché essa
potesse cibarsi del suo cosmo, senza intaccare quello di altri Heroes, generoso
e nobile come Alcione lo aveva sempre considerato. La donna lo salutò con un
bacio sulla fronte, prima di raggiungere l’altro ragazzo a cui era molto
legata, da un affetto profondo che risaliva a trent’anni prima, quando ancora
giocavano bambini, rincorrendosi per le colline erbose di Creta. Gerione del
Calamaro, il suo primo ufficiale, nonché carissimo amico e fedele compagno di
lotta per la liberazione dell’isola greca dalla dominazione ottomana.
Gerione era stato duramente ferito da
Kyros del Pavone, nello Jamir, ma ancora stringeva i denti, lottando contro il
dolore, come aveva lottato per tutti quegli anni a Creta, conducendo spedizioni
in gran segreto, istigando il popolo alla rivolta, inseguendo un sogno che non
lo aveva lasciato un attimo, fin da quando era salito su quella barchetta,
trent’anni addietro, in quella notte di fiamme, dove i suoi genitori ed amici
erano morti. Per Alcione era stato lo stesso, ma Gerione sembrava avere un
motivo in più per riconquistare Creta, portandolo spesso ad azioni impulsive e
rischiose, ma che Alcione non riusciva mai a condannare definitivamente perché
sapeva che provenivano dal cuore. Un cuore sincero ma ferito.
Il Comandante della Terza Legione si
sdraiò sul letto accanto a Gerione, poggiando il viso sul petto dell’amico,
rimanendo così finché i primi raggi dell’alba non fecero capolino dalle
feritoie dell’infermeria, e l’odore di una nuova battaglia non invase le sue
narici, spingendola ad alzarsi. Sospirando, Alcione tirò uno sguardo fuori
dalla finestra, incrociando i raggi del sole che sorgeva da Oriente. Lo fissò
con forza, ma anziché del solito cerchio giallo quella mattina il Sole le parve
tinto di rosso. Quella era un’alba marchiata di sangue.
Capitolo 30 *** Capitolo ventinovesimo: Verso Samo. ***
CAPITOLO VENTINOVESIMO: VERSO SAMO.
Ercole trascorse buona parte della
notte a conversare di fronte a un caldo fuoco di bivacco, nel piazzale di
Tirinto, con i quattro Comandanti superstiti delle sue Legioni: Marcantonio
dello Specchio, Alcione della Piovra, Nestore dell’Orso e Chirone del Centauro,
raggiunti dopo qualche ora da Adone dell’Uccello del Paradiso, stufo di giacere
su un letto nell’infermeria, sorvegliato a vista dalla premurosa Deianira del
Lofoforo. Il Dio e i cinque Comandanti parlarono degli scontri avvenuti in
quella lunga giornata, di Eolo e di Iris, di Partenope e degli Shadow Heroes,
ricordando con affetto e con onore i caduti che avevano dato la vita affinché
una nuova alba potesse nascere sulla città di Tirinto.
“E al sorgere di quell’alba marceremo
su Samo!” –Esclamò Ercole, alzandosi in piedi e tirando uno sguardo verso
Oriente, mentre una fresca brezza gli solleticava il viso. Per un attimo, al
Dio parve di udire il suono sgradevole della sghignazzata di Era fluttuare nel
vento e giungere fino a lui, superando le porte della città. Si incupì,
pensando al massacro che avrebbe avuto luogo l’indomani, prima di scuotere la
testa e allontanarsi, lasciando i cinque Comandanti in una nuvola di silenzio.
“Cosa troveremo sull’Isola di Samo?”
–Mormorò infine Alcione della Piovra, alzandosi a sua volta, per
scendere nell’infermeria e controllare la salute di Nesso e di Gerione. Nessuno
rispose, poiché era chiaro a tutti i Comandanti che a Samo avrebbero trovato la
morte. Per loro e per tutti i loro guerrieri.
L’indomani, mentre i primi raggi del sole illuminavano il
Portone Principale di Tirinto, le Legioni di Heroes ricomponevano le loro fila
nel piazzale della fortezza, forse per l’ultima volta. Erano rimasti in
trentanove, ma a tutti sembrò di essere ancora meno, abituati all’ammasso,
seppur sempre ordinato, di guerrieri incolonnati di fronte al loro Signore. La
stessa sensazione invase l’animo di Ercole quando uscì fuori dalla fortezza,
rivestito dalla splendida Glory, con il mantello che frusciava lungo la schiena
e la Clava solidamente nelle sue mani. Guardò per un momento gli Heroes negli
occhi, prima di rivolgere loro parole di incoraggiamento.
“Non vi dirò più di difendere Tirinto,
miei fidati Heroes, poiché oggi, per la prima volta, esporteremo un conflitto
al di là delle mura della nostra città! Non vi dirò più di rimanere in attesa,
ad attendere che il nemico avanzi fino a portarsi di fronte a noi, poiché oggi
saremo noi ad avanzare! Non vi dirò più di comportarvi da Eroi, poiché già lo
siete! Nell’animo, io lo sento, lo siete sempre stati!” –Esclamò Ercole,
spostando lo sguardo su ognuno dei suoi trentanove guerrieri. Dei suoi
trentanove compagni. –“Oggi vi dirò di seguire il cuore e fare ciò che ritenete
giusto! Vi ho insegnato per anni che la guerra non è l’arma migliore a cui
ricorrere, per risolvere problemi e controversie, ed oggi vi guiderò verso la
peggiore in cui mai avreste potuto essere coinvolti! Per questo voglio che
sappiate che se qualcuno tra voi non condivide questa mia decisione, avrà tutta
la mia comprensione e la mia benevolenza! Rimarrà qua, a Tirinto, a difendere
il passato e il ricordo di cui le mura della nostra città sono impregnate, e
nessuno oserà dire niente contro di lui!”
Nessuno dei trentanove Heroes parlò e
nessuno spostò lo sguardo da dove aveva guardato fino a quel momento: negli
occhi ardenti di vita di Ercole, che sorrisero, luccicando nella timida alba,
prima che il Dio dell’Onestà sciogliesse le righe, ordinando di prepararsi per
la partenza.
“Grazie!” –Mormorò soltanto il Dio,
prima di dirigersi verso la Nave di Argo, seguito da Marcantonio dello Specchio
e dagli altri Heroes della Seconda Legione.
La notte stessa aveva già dato
disposizioni, in accordo con i suoi Comandanti, sulle modalità della partenza e
non ebbe bisogno di ripetersi, che tutti sapevano già come procedere.
Artemidoro della Renna e Anfitrione del Camoscio, due Heroes della Terza
Legione, rimasero a Tirinto, non essendo abili in combattimento, incaricati da
Ercole stesso di recuperare i corpi di tutti i caduti e preparare le salme per
la cremazione, aiutati dagli altri abitanti di Tirinto: contadini, artigiani e
giovani allievi. Tutti gli Heroes morti, compresi coloro che avevano tradito,
avrebbero avuto diritto ad un rito funebre e nessuno sarebbe rimasto in balia
degli avvoltoi e della dimenticanza.
Pochi istanti più tardi la grande Nave di Argo si sollevò in
aria, con la bandiera di Ercole che garriva sull’albero maestro, veleggiando
nel cielo del mattino, mentre i raggi del sole scivolavano sulla figura
femminile incisa a prua del vascello e gli Heroes, voltando lo sguardo verso il
basso, osservarono la fortezza di Tirinto farsi sempre più piccola, fino a
scomparire. Le sorrisero, sperando di potervi un giorno fare ritorno. Marcantonio
mise una mano sulla spalla di Polifemo del Ciclope, annuendo con il capo e
incitandolo ad essere forte, poiché quel giorno avrebbero dovuto lottare anche
per loro, non soltanto per Ercole. Bensì per difendere un mondo in cui avevano
vissuto per anni, un mondo in cui erano cresciuti e diventati uomini, un mondo
che ormai apparteneva anche a loro. Era loro. E per esso avrebbero
lottato fino a morire.
In quello stesso momento, Era,
Regina dell’Olimpo, seduta sull’alto trono intarsiato nella terza cella
dell’Heraion di Samo, sorrideva soddisfatta, avendo sentito i cosmi di Ercole e
degli Heroes mettersi in movimento e lasciare Tirinto. Di fronte a lei, in
ginocchio ai piedi della scalinata di marmo grigio, i due Sacerdoti di Era,
Argo e Didone, attendevano le sue disposizioni, assieme a Iris, la Messaggera
degli Dei. All’esterno dell’Heraion, con lo sguardo proteso verso occidente,
l’ultimo Kouros fissava il mare, immobile come una statua greca, certo che
presto Ercole e gli altri Heroes sarebbero giunti. E allora avrebbe avuto luogo
l’ultima battaglia.
“Li ho persi!” –Mormorò improvvisamente
Era, scuotendo la testa. –“Non riesco più ad avvertire il cosmo di Ercole e
degli Heroes!”
Argo e Didone non dissero niente, per
paura di scatenare l’ira della loro Regina, ma si limitarono a scambiarsi
un’occhiata di sorpresa, quasi di smarrimento, prima di sollevare nuovamente lo
sguardo verso il trono, osservando Era recuperare la concentrazione perduta,
nel tentativo di individuare Ercole e i suoi guerrieri.
Il Dio dell’Onestà e i suoi Comandanti
avevano ideato infatti un piano intelligente, dettato dalla prudenza e
soprattutto dal tentativo di nascondere il più possibile la loro presenza, fino
a portarsi a ridosso dell’isola di Samo. Ercole aveva appreso da Nestore
dell’Orso l’esatta localizzazione del nuovo Santuario della Regina degli Dei e
sapeva che Era li stava aspettando; ciononostante volle comunque offrirle le
minori possibilità per ostacolare il loro arrivo. Per questo motivo aveva
chiesto a tutti gli Heroes di ridurre al massimo il loro cosmo, in modo da
renderlo quasi impercettibile, mentre Tersite della Mongolfiera
avvolgeva i loro corpi in cumuli di nembi e nuvole, sì da renderli
ulteriormente nascosti al penetrante sguardo della Grande Dea Madre, e aveva
diviso gli Heroes superstiti in gruppi, che avrebbero raggiunto Samo in
modalità differenti.
Splendido, con lo sguardo fisso avanti
a sé, verso il tempio greco che si stagliava sulla sommità dell’alto colle
dell’isola di Samo, Ercole risplendeva nel sole del mattino, sul ponte della
nave di Alcione, abbracciando con il suo caldo cosmo tutti gli Heroes presenti,
per confortarli e dare forse loro l’ultima carezza prima della guerra. Vicino a
lui, Alcione della Piovra e gli altri cinque Heroes della Legione del Mare,
assieme ai cinque guerrieri della Sesta Legione, veleggiavano verso Oriente,
fendendo le onde dell’Egeo orientale con la nave con cui Alcione e i suoi
compagni erano salpati il giorno precedente. Attorno a loro, nelle fresche
acque del Mar Egeo, un gruppo di delfini apriva loro la via nella fitta cortina
di nubi che Tersite aveva creato, mentre Nesso del Pesce Soldato e Pasifae del
Cancro cavalcavano sul dorso di due di loro, guidando il resto del branco.
Nel cielo sopra di loro, avvolta tra le
nuvole, la Nave di Argo, guidata da Neottolemo del Vascello, scivolava
silenziosamente verso Oriente, conducendo verso Samo l’intera Seconda Legione e
i tre Heroes della Legione dei Fiori sopravvissuti, affiancati da una
mongolfiera su cui viaggiavano Tersite, creatore delle nuvole artificiali che
permettevano loro di non essere percepiti, e Nestore dell’Orso, assieme agli
altri quattro Heroes della Quarta Legione: Penelope, Dione, Teseo e Polissena.
In testa, di fronte alla Nave di Argo e alla mongolfiera, aprivano la via i sei
Heroes della Prima Legione, capitanati da Adone dell’Uccello del Paradiso,
che sbattevano nel cielo le loro scintillanti ali colorate. Anche Antioco
del Quetzal volava con i suoi compagni, essendo le sue ali state riparate
in nottata dall’abile maestria di Druso di Anteus, che non aveva riposato un
momento per cercare di sistemare alla meglio i danni subiti dalle corazze dei
suoi compagni.
“Ci siamo!” –Esclamò Adone, il cui sguardo acuto era capace
di trapassare persino le nuvole. –“Samo è sotto di noi!” –Aggiunse, disponendo
i suoi Heroes per un primo assalto frontale.
Accadde tutto in un attimo, più veloce
della luce. Ercole sollevò la clava, spostandola con un colpo secco da sinistra
verso destra, generando una gigantesca onda di energia che sfrecciò nel mare,
increspandolo, schiantandosi contro Samo e scuotendo l’intera isola. Soltanto
Era, assisa sul suo trono intarsiato, parve non barcollare, anche se si passò
sensualmente un dito sulle labbra, sentendo il sangue fuoriuscire da un leggero
taglio sul labbro inferiore.
“Sono qui!” –Esclamò il Sacerdote Argo,
rialzandosi, dopo essere stato atterrato dall’onda di energia generata da
Ercole.
Nello stesso momento Adone dell’Uccello
del Paradiso si lanciò in picchiata, seguito dai cinque Heroes della sua
Legione, sfrecciando verso l’Isola di Samo avvolto nel suo cosmo lucente e
scagliando violenti assalti energetici dall’alto, sotto forma di bombe di
energia che distrussero il terreno sottostante. La Nave di Argo squarciò le nuvole,
guidata con epica maestria da Neottolemo, risplendendo come un lampo nel sole
del mattino, mentre gli Heroes della Seconda Legione gridavano eccitati, con i
cosmi che sferragliavano di pura energia, gettandosi all’inseguimento dei loro
compagni alati, mentre dal basso Nesso e Pasifae cercavano un luogo sicuro ove
la nave di Alcione potesse attraccare. Ma la risposta di Era non tardò ad
arrivare.
Con una potenza da non aver niente da
invidiare all’assalto di Ercole, la Regina dell’Olimpo generò un’immensa bomba
di energia, che si espanse circolarmente dall’Heraion di Samo, inghiottendo
tutto ciò che incontrò nel suo rapido cammino. Gli Heroes della Legione Alata
cercarono di mettersi in salvo, ma non riuscirono ad evitare di essere travolti
dalla potentissima esplosione di luce. Ascalafo della Civetta e Laomene della
Farfalla vennero disintegrati in un solo istante, mentre Deianira del Lofoforo
faceva da scudo al Comandante Adone, per proteggerlo dall’onda devastante,
venendo entrambi scaraventati a terra, con le corazze danneggiate. Anche Eumene
della Mosca e Antioco del Quetzal furono sospinti indietro, schiantandosi
malamente sul terreno roccioso del basso versante della collina di Samo, con le
ali delle Armature distrutte. Neottolemo del Vascello dovette mettere tutto se
stesso per tenere saldamente il timone, mentre i suoi compagni creavano una
cupola di energia cosmica attorno alla Nave di Argo, per evitare che lo scafo
si schiantasse per la pressione generatasi.
A causa della potente esplosione energetica,
il mare attorno a Samo si increspò improvvisamente e molti delfini furono
uccisi all’istante, mentre Nesso e Pasifae vennero scaraventati in alto,
schiantandosi sulla spiaggia poco dopo. La nave di Alcione esplose, annientata
dallo strapotere della Regina dell’Olimpo, mentre Ercole cercava di contrastare
il cosmo di Era opponendovi il proprio e dava ordini ai suoi Heroes di
proseguire nuotando.
“Buona fortuna, ragazzi!” –Mormorò il
Dio, prima di respingere con forza l’assalto di Era, rinviandolo al mittente ed
osservandolo schiantarsi sulla collina ove sorgeva l’Heraion.
“Ad Ercole piace il gioco duro!”
–Commentò la Regina dell’Olimpo, dall’alto del trono. –“E il gioco duro avrà!
Uccideteli tutti! Nessuno escluso!” –Tuonò, ordinando ai suoi servitori di
prendere posizione. –“Ma lasciate Ercole a me soltanto! Lui è mio!” –Sibilò,
con un sorriso che sembrò per un momento sfigurare la sua bellezza.
In quel momento il Gigante di Pietra
ruggì, risvegliando le acque del Mar Egeo con un boato fragoroso, prima di
dirigersi verso i piedi della collina di Samo, ove Nesso, Pasifae e gli altri
Heroes della Prima, Terza e Sesta Legione si stavano radunando. Non appena lo
videro, i guerrieri di Ercole diressero contro di lui i loro attacchi, per
rallentarne l’avanzata, sortendo l’unico effetto di farlo imbestialire, senza
scalfirne la superficie, sorretto dal divino cosmo di Era. Il Kouros sbatteva
con rabbia i suoi enormi piedi, creando fenditure nel terreno e obbligando i
guerrieri di Ercole a muoversi continuamente, per non cadere nelle faglie o non
essere schiacciati dalla sua mole robusta.
Ripresosi dallo stordimento, Nesso
del Pesce Soldato si rimise in piedi, lanciando uno sguardo verso Alcione,
la quale, seppur sospirando, annuì con il capo, prima di richiamare gli Heroes
della Legione del Mare, portandoli via da quello scontro.
“Gerione! Arsinoe! Proteus!” –Li chiamò
Alcione. –“Non sprecate energie contro un muro che non siete in grado di
abbattere! Procediamo oltre!” –Esclamò il Comandante, iniziando ad inerpicarsi
lungo l’erto pendio di Samo.
Gerione e gli altri cinque Heroes della
Legione del Mare inizialmente non compresero l’ordine di Alcione, ma mentre
erano ancora intenti a rifletterci sopra videro Nesso scattare come un fulmine
verso il Gigante di Pietra, evitando di essere schiacciato dai suoi robusti
piedi e piazzandosi proprio sotto di lui. Mentre il Kouros chinava un braccio a
terra, per afferrare il ragazzo, Nesso fu abile a balzare sulla mano stessa,
usandola poi come trampolino per saltare ancora più in alto e scagliare un
arpione dal suo bracciale sinistro. Questo, legato ad una fune, si arrotolò
attorno al collo del Gigante di Pietra e Nesso lo usò come leva per tirarsi su,
fino ad atterrare sulle spalle dell’immensa creatura, di fronte agli occhi
pieni di spavento e di ammirazione dei suoi compagni. Poco distante, Chirone
del Centauro, che già aveva assistito alle acrobazie del Pesce Soldato,
sorrideva con fierezza.
“Stai attento, ragazzo! Avrei voluto
averti nella mia legione, per combattere al tuo fianco! A fianco dell’eroe che
mi ha ricordato me stesso da giovane! Temo però che non ci vedremo mai più!”
–Commentò, prima di ordinare agli Heroes della Legione Furiosa, Diomede,
Aureliano e Druso, di seguirlo lungo il pendio, dietro ad Alcione e alla Terza
Legione.
Pochi minuti più tardi un gruppo di
guerrieri armati di spade e di scudi iniziò a scendere la collina, lanciandosi
contro gli Heroes di Ercole. Erano i soldati semplici di Era, una minima
barriera che la Regina dell’Olimpo aveva sollevato contro i guerrieri di
Ercole, per ritardare la loro avanzata e soprattutto per obbligarli a sporcarsi
le mani. Costoro erano infatti soltanto degli uomini, come gli Heroes erano
stati in origine, privi di qualsiasi potere o di cosmo, sorretti soltanto da un
ordine imperioso che la Grande Dea Madre aveva dato loro. Un ordine al quale,
anche volendo, non avrebbero potuto sottrarsi. Erano ragazzi o adulti, abitanti
di Samo e delle isole circostanti, a cui Argo si era presentato quella notte,
intimandoli di servire la Grande Dea Madre, per non incorrere nel suo castigo.
“Cosa ne sarebbe dei vostri raccolti
senza il tepore benevolo della Madre Terra?!” –Aveva tuonato il Sacerdote di
Era. –“Cosa ne sarebbe dei vostri armenti senza la calda protezione di Era, che
come una Madre difende i propri figli? In cambio, lei chiede soltanto a voi di
difendere lei, dai mostri che verranno! Uomini senza cuore né fede, determinati
soltanto a distruggere e a portare il caos, facendo strage di donne e bambini,
rubando le vostre mandrie e distruggendo i vigneti e gli uliveti ove lente e
faticose sono trascorse le ore della vostra vita, infangando il rinato tempio
di Era Argiva!”
Le parole di Argo avevano spaventato
buona parte degli uomini, intimoriti al pensiero di perdere la famiglia o il
lavoro della propria vita, spingendoli ad abbracciare le armi senza remore
alcuna. Ma la maggioranza, che ben conosceva la leggenda della Gelosia di Era,
e che ben compreso aveva l’ostilità che da millenni la opponeva ad Ercole, chinò
il capo sconfitta, accettando l’ingrata sorte che pareva essersi palesata loro.
Nessuno di questi uomini era certo che Ercole e i suoi Heroes fossero dei
distruttori, e venissero a portare la guerra, ma tutti erano ben consapevoli
che sia obbedendo agli ordini dell’Oracolo sia rifiutandosi avrebbero
incontrato comunque la morte. Per tale motivo scelsero di cadere da eroi, come
gli uomini che avrebbero affrontato in battaglia. Senza contare i rischi a cui
andavano incontro, i soldati semplici si lanciarono lungo il pendio della
collina di Samo, contro gli Heroes di Ercole, sollevando le spade e le lance
che reggevano in mano.
Diomede della Balestra incoccò
un paio di frecce, puntando il braccio contro di loro. Ma Chirone lo fermò
prima che le scoccasse.
“Ne basterebbero un paio per
abbatterli!” –Commentò Diomede.
“Siamo degli Eroi, non degli
assassini!” –Rispose Chirone, con lo sguardo fiero, ricordando le parole del
Dio dell’Onestà.
“Dici il vero, Chirone del Centauro!”
–Intervenne Alcione della Piovra. –“E gli eroi combattono senza trucchi!” –E si
lanciò avanti, evitando le lance che i soldati le lanciavano contro. Sfrecciò
in mezzo a loro, senza colpirli con i suoi tentacoli o con il suo colpo
segreto, cercando soltanto di non essere ferita, quindi li colpì alla nuca,
afferrandone un paio e lanciandoli contro gli altri. Gerione la seguì
all’istante, iniziando un violento corpo a corpo contro altri soldati semplici,
presto imitato dai compagni della Terza e Sesta Legione.
Intanto, sulle spalle del Kouros, Nesso
sollevò la Lama degli Spiriti, che portava legata alla cintura, bruciando il
suo cosmo e caricandone l’arma, prima di affondarla nel tozzo collo di pietra
del Gigante, che emise un grido disperato, quasi un lamento proveniente dalle
profondità infernali. A tale vista, gli Heroes della Seconda e della Quinta
Legione, che stavano scendendo dal cielo sulla Nave di Argo, concentrarono il
loro cosmo in una potente sfera di energia, che diressero contro il corpo del
Gigante, facendolo esplodere pochi istanti dopo, riducendolo ad un mucchio di
ciottoli e pietra. Nesso fu svelto a balzare a terra poco prima che il Kouros
venisse distrutto, rotolando sul versante scosceso, sentendosi improvvisamente
debole.
Ruzzolò per qualche metro, prima di
fermarsi, e faticò qualche minuto prima di riuscire a rimettersi in piedi. Gli
doleva la testa, sentendola sul punto di scoppiare, come se mille tamburi
stessero suonando dentro di lui. Allungò una mano sul terreno e vide la Lama
degli Spiriti a pochi metri brillare sinistramente. Non aveva più la lucentezza
e lo splendore del primo momento in cui l’aveva impugnata, del primo momento in
cui, per salvare Gleno di Regula dal massacro operato da Austro, Vento
dell’Ovest, l’aveva sfoderata, tenendola stretta nella sua mano. Adesso emanava
un pallido bagliore, quasi uno spettrale riflesso di morte, in cui Nesso, per
la prima volta, con preoccupazione e dolore, riuscì a vedere il suo volto.
Avrebbe voluto lasciarla lì, a marcire
sul terreno, ad attendere una frana che presto l’avrebbe seppellita, cadendo in
un profondo dimenticatoio, ove nessuno più avrebbe potuto ritrovarla. Ove
nessuno più avrebbe potuto impugnarla, osservando la sua vita venire
risucchiata via, in un turbine di dolore e di lamenti. Ma Alcione l’aveva avvisato.
La Lama degli Spiriti era nata dalle lacrime di una donna, ed era imbevuta di
sangue e di morte, e soprattutto di tanta sofferenza. La stessa che avrebbe
provato chi l’avesse impugnata, anche per fare del bene. Scuotendo la testa,
Nesso si chinò ed afferrò la spada, iniziando ad inerpicarsi lungo un sentiero
scosceso, diretto verso l’Heraion, conscio che non vi fossero altre
alternative.
Sopra di lui, Neottolemo del Vascello
stava guidando la Nave di Argo verso terra, per atterrare in un piccolo spazio
sul medio versante della collina di Samo, quando un’improvvisa raffica di vento
freddo investì il vascello, facendolo tremare e obbligando tutti i passeggeri a
stringersi nei loro mantelli e a coprirsi gli occhi. Borea, figlio di Eos e
Vento del Nord, apparve nel cielo di fronte a loro, volando ad ali spiegate
in un turbine di gelo.
“Spazzali via, Vento del Nord!” –Gridò
il Dio, generando una violenta tempesta di energia fredda, che spinse indietro
la Nave di Argo, iniziando a ricoprirla lentamente di ghiaccio. Di un
consistente strato di ghiaccio che rese il vascello sempre più pesante, al
punto da rendere impossibile continuare a governarlo e a mantenerlo in aria.
Neottolemo fece il possibile ma la Nave iniziò a scricchiolare sinistramente,
appesantendosi sempre più e precipitando verso terra, dove Borea li stava
dirigendo con un potentissimo vento freddo.
Improvvisamente l’infuocata sagoma di
un serpente piumato sfrecciò nel cielo sopra Samo, trinciando a metà la
tempesta di ghiaccio di Borea e liberando il vascello dalla corrente
distruttiva del Dio. Neottolemo riuscì a riprenderne il controllo, anche se
solo per pochi istanti, impedendo che la Nave di Argo si schiantasse contro il
fianco della montagna, ma vi sbattesse soltanto con gran rumore. Marcantonio
ordinò ai sette Heroes della Seconda Legione e ai tre Heroes della Legione dei
Fiori di balzare a terra, prima di entrare in collisione con il colle, proprio
mentre Antioco del Quetzal, Hero del Serpente Piumato, balzava in alto,
dirigendo un nuovo assalto contro Borea.
“Un serpente di piume?!” –Esclamò Borea, evitando l’attacco
e rimanendo sospeso in aria, avvolto in un turbine di energia fredda.
“Tale è il simbolo che mi rappresenta!
Il Dio Azteco Quetzalcoatl!” –Spiegò Antioco, presentandosi al Dio. –“Nella
terra di cui sono originario, quella che gli spagnoli chiamano il Vicereame
della Nuova Spagna, il Dio Quetzalcoatl è venerato come il Serpente con le
piume ed è stato spesso considerato come il Dio della stella del mattino,
portatore di luce! Le fiamme che lo avvolgono sono le fiamme di una nuova alba,
come il mondo che Ercole sta cercando di costruire!”
“Mi sorprende che Ercole abbia accolto
uno straniero nelle sue fila! Un ragazzo proveniente addirittura dalle lontane
terre al di là dell’oceano!” –Commentò Borea. –“Forse l’abilità di voi
americani è superiore a quella dei valenti greci?!”
“Non è la provenienza a determinare
l’abilità di un uomo, ma la fede che lo muove e la determinazione che in essa
egli pone!” –Rispose Antioco, bruciando il proprio cosmo, carico di fiamme
accese. –“Ed io non ne sono certo sprovvisto! Fuoco del Serpente Piumato!!!”
–Gridò, dirigendo un nuovo assalto contro Borea, il quale non ebbe alcun
problema ad incrociare le braccia avanti a sé, creando con le correnti fredde
da lui dominate un muro di energia glaciale sulla quale l’assalto si infranse,
senza riuscire ad abbatterlo.
“Miseri poteri! Ben più ardente fiamma
dovrai accendere se vorrai sconfiggere me, il Vento del Nord!” –Tuonò Borea,
sollevando il ragazzo dal suolo, avvolto in un turbine di gelo, e scagliandolo
lontano.
“Quetzal!!!” –Urlarono gli Heroes della
Seconda Legione, pronti per affrontare Borea al posto del compagno che li aveva
aiutati a scendere a terra. Ma una voce decisa li fermò, mentre un’ombra veloce
passava sopra le loro teste.
“Lasciate a noi costui! Egli è
avversario adatto alla Legione che sfreccia libera nei cieli!” –Esclamò Adone
dell’Uccello del Paradiso, accendendo il cosmo di bagliori luminosi. –“Lacci
del Cuore!” –Gridò, liberando i lacci elastici della sua corazza, che
scivolarono nell’aria fino ad arrotolarsi attorno al braccio di Borea. –“Adesso
andate! Seguite Alcione e Chirone! Noi vi raggiungeremo!” –Ordinò il Comandante
della Prima Legione a Marcantonio e agli altri Heroes, che annuirono, seppure
restii ad abbandonare la battaglia.
“Li lascio passare poiché so che altri
estirperanno l’erbaccia che rappresentate!” –Commentò Borea, osservando gli
Heroes della Seconda e della Quinta Legione correre avanti, lungo il pendio
della collina. –“Non certo perché non sarei in grado di fermarli!” –Aggiunse,
tornando a fissare Adone.
In un attimo, il Comandante della Prima
Legione sentì un brivido correre lungo la sua schiena, mentre una fredda
corrente di energia spazzava via l’aria, travolgendo Deianira del Lofoforo che
stava correndo in suo aiuto e sbattendola a terra, poco distante da Antioco del
Quetzal e da Eumene della Mosca, che aveva raggiunto l’amico per sincerarsi
delle sue condizioni. Borea posò lo sguardo sui lacci che avevano
momentaneamente fermato il suo braccio destro, dirigendovi il suo freddo cosmo,
e Adone rimase sconcertato nell’osservare le sue corde speciali congelarsi
all’istante, prima di andare in frantumi. Definitivamente.
“Incredibile!!!” –Sgranò gli occhi sbalordito.
–“Ha congelato i miei Lacci! Eppure sono composti dallo stesso materiale della
mia corazza, che è pari, in proporzione, alle corazze dei Cavalieri d’Oro di
Atena, ulteriormente potenziata dal frammento di Glory, di cui Ercole ci ha
fatto dono!! La potenza del Vento del Nord è immensa!”
“Voglio che tu sappia che per quanto
grandi siano le tue difese, e per quanto resistenti le corazze che ti
proteggono, non saranno mai abbastanza per consentirti di rimanere immune al
mio gelo! Esso tutto paralizza, tutto annienta! Non vi è materiale sulla Terra
che possa resistervi! Inoltre, mio fratello Euro ha donato la sua vita ed il
suo cosmo per permettermi di salvarmi dagli abissi di Ade! Perciò adesso siamo
in due nello stesso corpo! Il mio potere è doppio e il mio gelo è due volte
pericoloso!” –Spiegò Borea, con orgoglio. –“Se Agamennone del Leone fosse vivo,
potrebbe confermarlo!”
“Agamennone?!” –Replicò Adone, irato.
–“Sei stato dunque tu il suo carnefice?”
“Agamennone del Leone è stato un
valoroso! Si è battuto con onore per tutta la durata del nostro scontro, pur
essendo un uomo, e come tale a me inferiore! Non si è tirato indietro neppure
di fronte alla morte! Ma l’ha accettata, andandole gloriosamente incontro!”
–Commentò Borea, prima di aggiungere tra sé, quasi ancora riflettesse sulle
ultime parole dell’Hero caduto. –“Forse per insegnarmi qualcosa che ancora non
sono riuscito a comprendere!” –Poi recuperò il suo tono orgoglioso e superbo.
–“Egli era difeso da un’impenetrabile corazza, resa ancora più resistente dalla
pelle del Leone di Nemea, ma io, Vento del Nord, sono riuscito ad abbassare il
mio gelo fino a distruggerla! Perciò tu, uomo, che hai difese inferiori
rispetto a quelle del possente Leone, che speranze nutri? Le speranze di uno
stolto!” –Aggiunse, dirigendo contro Adone una violenta tempesta di energia
fredda, che travolse il Comandante della Prima Legione, scaraventandolo
indietro, fino a farlo schiantare al suolo.
Quando si rialzò, presto raggiunto da
Deianira, Antioco e Eumene, Adone si accorse con orrore che la sua corazza era
ricoperta da un leggero strato di ghiaccio. Superficiale, per il momento,
si disse. Ma quanto scenderà? Basterà la fiamma che alberga nei
nostri cuori a fronteggiare un gelo così impetuoso? Così penetrante? Così mortale?!
Sospirò, prima di lanciarsi nuovamente contro il suo avversario. Ma la
giovane voce di Antioco ed Eumene lo fermò.
“Comandante! Non da solo!” –Esclamarono
i due amici. –“Lasciateci combattere al vostro fianco! Sarebbe un onore, per
noi!” –Aggiunsero, affiancati da Deianira, il cui volto, se Adone avesse potuto
vederlo, nascosto dall’argentea maschera, tradiva un’ansia crescente per l’uomo
che amava.
“No!” –Rispose Adone, con tono deciso,
prima di abbandonarsi ad un sorriso orgoglioso. –“Sarebbe un onore per me!”
–E incitò i tre guerrieri ad espandere il loro cosmo, più di quanto avessero
fatto fino ad allora. –“Che la fiamma della giustizia e dell’onestà, che Ercole
ha in noi instillato, come seme in un fertile campo, infiammi la nostra anima,
ardendo all’infinito!!!”
I quattro Heroes della Prima Legione
unirono i loro cosmi, generando un assalto simile ad un’incandescente cometa di
energia, che sfrecciò sul basso versante della collina di Samo, incendiando
l’erba e i pochi arbusti presenti e obbligando Borea ad incrociare le braccia
di fronte a sé, creando un muro di ghiaccio contro il quale l’attacco si
schiantò. Ma l’impeto di tale assalto spinse il Dio indietro di qualche metro e
quando la sua potenza si esaurì e Borea poté controllare i bracciali della sua
Armatura, notò con orrore che essi stavano fumando, surriscaldati enormemente
dal calore generato dai quattro cosmi congiunti. Cosmi accesi da un fuoco
ardente, che Borea ben conosceva, poiché era la stessa fiamma, carica di
passione e di desiderio di giustizia, che aveva intravisto negli occhi e nelle
azioni di Agamennone. Borea si scosse, cercando di liberarsi dai pensieri
dell’Hero del Leone di Nemea, che sovente tornavano a colpirlo, circolando
attorno a lui in una serie infinita di anelli concentrici. Prima di adottare
qualsiasi contromossa, il Vento del Nord dovette affrontare un rapido assalto
di Antioco del Quetzal, balzato in aria con un salto acrobatico, che diresse
contro di lui una manciata di lunghe e affusolate piume infuocate, che si
conficcarono nel terreno, incendiandolo, mentre il Dio saltava in alto per
evitarle.
“Occhi della Mosca!!!” –Gridò
allora Eumene, dirigendo le due comete di energia contro Borea, appena balzato
in aria, che dovette muoversi rapidamente per schivare l’assalto, prima di
ritrovarsi di fronte Antioco, con il pugno carico di energia infuocata.
Stufo di giocare, il Dio del Vento del
Nord bloccò l’attacco di Quetzal fermandogli il pugno con la propria mano
carica di fredda energia, congelando all’istante la fiamma che sgorgava da
Antioco, prima di lanciarlo indietro con forza, avvolto in un turbine di gelo,
facendolo schiantare contro l’amico e abbattendoli entrambi.
Nuovamente atterrato sul selciato,
Borea serrò i pugni, prima di voltarsi all’indietro, ove sapeva che avrebbe
trovato Adone dell’Uccello del Paradiso che lo fissava. Borea si mosse per
travolgerlo con il suo gelo, ma improvvisamente si accorse di non riuscire più
a muoversi. Il suo corpo era bloccato, i suoi centri nervosi parevano sussultare
al ritmo di una musica che lentamente stava penetrando dentro di lui,
paralizzando i suoi muscoli. A fatica, Borea volse lo sguardo a terra, ove vide
migliaia di piume disposte a cerchio attorno a lui, in modo da formare una
piccola gabbia, mantenuta in forza dal canto congiunto di Deianira del Lofoforo
e di Adone dell’Uccello del Paradiso. Erano soltanto in due, ma avrebbero fatto
il possibile per garantire l’eternità alla Danza di Piume.
Adone dell’Uccello del Paradiso
era nato a Cipro venticinque anni prima ed era giunto a Tirinto da giovane,
pochi mesi dopo che Ercole, Marcantonio e Nestore avevano iniziato i lavori di
costruzione della città. Non aveva mai avuto una vocazione per la battaglia,
preferendo la pura contemplazione della natura, l’immersione in un mondo di
quiete e di sereno splendore, di cui era acceso ammiratore, poiché la natura,
come gli Dei l’avevano creata, per Adone era lo specchio della bellezza. Sua
madre lo aveva chiamato come il fanciullo nato dal rapporto incestuoso tra Ciniro, re di Cipro, e sua figlia Mirra. Dotato di una
bellezza superiore a quella di qualsiasi altro mortale, Adone era stato amato
da Afrodite, Dea della Bellezza, e da Persefone, al
punto da divenire motivo di contenzioso tra le due Divinità. Ucciso da un
cinghiale durante una caccia, dal sangue del giovane erano nati gli anemoni,
anche noti come Fiori del Vento.
E Adone, come il suo mitologico
corrispettivo, era indubbiamente tra i più belli di tutti i mortali, principe
incontrastato della bellezza a Tirinto, osannato e guardato da tutte le
Sacerdotesse di Ercole, persino dalla seria e timida Penelope del Serpente,
Consigliera del Dio dell’Onestà. Della sua bellezza andava fiero, del suo
splendore era orgoglioso, dell’aroma che lasciava passando tutti sembravano
beneficiarne, e sorriderne un po’. E indubbiamente provava un certo malizioso
piacere nel notare le premurose attenzioni di cui le fanciulle e le Sacerdotesse
di Tirinto lo facevano oggetto e gli sguardi un po’ gelosi degli altri Heroes
di Ercole, che spesso gli ricordavano di essere un guerriero, e non un
cicisbeo, per quanto in fondo gli volessero bene, incantati anch’essi
dall’ambiguo fascino del giovane Cretese.
Per tutti gli anni della sua permanenza
a Tirinto, Adone era stato corteggiato da molte fanciulle, e ne aveva accolte
parecchie tra le sue braccia, giacendo assieme a loro ad un caldo fuoco di
bivacco. Ma ve ne era stata soltanto una che non era riuscito a possedere, non
completamente, non come avrebbe voluto possederla lui: per l’eternità. Quella
donna era Deianira del Lofoforo, unica Sacerdotessa della Legione Alata,
amata e rispettata da tutti i suoi compagni, che vedevano in lei una sorella
maggiore, sicura e protettiva, ma anche molto dolce, capace di dare loro
conforto dagli affanni del mondo. Per molti, inoltre, Deianira era la naturale
compagna di Adone, nonostante i due, in ottemperanza alle leggi che regolavano
la vita degli Heroes di Ercole, così come dei Cavalieri di Atena, non si
facessero mai vedere assieme pubblicamente, obbligati a nascondere il loro
amore alla luce del sole, aspettando con ansia il tramonto per scivolare l’uno
nelle braccia dell’altra. Era successo più volte negli ultimi mesi, senza però
che il loro rapporto fosse in grado di concretizzarsi in qualcosa di più
profondo, in qualcosa di più duraturo. Adone dava la colpa alle regole di
condotta degli Heroes, che impedivano alle Sacerdotesse di mostrare la loro femminilità
e che facevano cenere delle storie d’amore. Ma la verità, nascosta dietro una
maschera di orgoglio, era che Adone temeva di affezionarsi troppo a Deianira,
al punto da risultarne dipendente. Ed egli, principe della bellezza,
corteggiato oltre ogni limite, non avrebbe mai potuto permetterlo.
“Sei soltanto impaurito da te stesso e
dai tuoi sentimenti!” –Gli aveva detto una notte Deianira, allontanandosi da
lui, dopo aver giaciuto insieme in una radura fuori dalle mura di Tirinto.
Adone non aveva risposto, colpito al
cuore dalla freccia di dura realtà, dovendo ammettere che in fondo a quella
donna era davvero legato, che in fondo quella donna era colei che aveva sempre
cercato. Bella e sensuale, cortese e raffinata, premurosa ma non invadente, la
compagna perfetta per esaltare e al tempo stesso frenare il suo innato senso di
bellezza. Una bellezza che aveva sempre cercato di difendere, anche in
battaglia, lanciandosi a capofitto in tutte le imprese e le missioni che gli
furono assegnate. Adone amava la bellezza e la pulizia del corpo, espressione
perfetta dell’armonia della natura, ma non sarebbe mai indietreggiato di un
passo per paura di sporcarsi, di fronte ad un ordine di Ercole, che considerava
il massimo garante dell’equilibrio della natura.
E adesso era lì, sul versante
meridionale della collina di Samo, a intonare un canto assieme alla dolce
Deianira del Lofoforo, per fermare i movimenti di Borea, il Vento del Nord,
e intrappolarlo all’interno di un cerchio, mettendo in pratica l’antico rito dell’Eterna
Danza di Piume. Ma il rito, per essere efficace, avrebbe dovuto essere
messo in atto dall’intera Legione Alata, unendo i cosmi dei quindici
componenti. Questo Adone lo sapeva perfettamente, e lo sapeva anche Deianira
quando aveva accettato di unirsi a lui, ma aveva deciso di tentare comunque,
poiché il loro nemico era un Dio, e qualsiasi strategia volta a neutralizzare
anche solo in parte i suoi poteri avrebbe dovuto essere messa in atto.
Qualunque fosse il costo.
“Una gran sonnolenza si sta impadronendo di
me!” –Mormorò Borea, sentendo le gambe cedergli, desiderose di quiete. –“Un
desiderio che pervade tutta la mia anima, spingendomi ad abbandonare ogni
rancore, ogni volontà bellica, per accettare la serena pace della natura, la
dolce armonia di una primavera di fiori!” –Cercò di rimanere in piedi, mentre
Adone e Deianira continuavano a girare attorno a lui, su un tappeto di piume,
cantando con le loro melodiose voci e unendo i cosmi.
“Abbandona i tuoi propositi di guerra,
Vento del Nord, e accogli dentro di te la quieta armonia della natura!”
–Mormorò Adone, con voce suadente. –“Lascia che il canto della nostra voce ti
culli, e permetta alla tua mente di scivolare via! Tornerai a Lipari,
nell’Isola del Tirreno, ove per secoli hai vissuto assieme ai tuoi fratelli e
al tuo padre adottivo, il Sommo Eolo, Signore dei Venti! Tutti e cinque insieme
sarete ancora liberi di volare via, nell’azzurro del cielo, librandovi con le
vostre ali e rincorrendovi tra le nuvole, fino ad abbracciare il mondo con un
solo sguardo! Lascia che tali ricordi diventino forza dentro di te, Borea!
Lascia che il sapore della libertà guidi nuovamente le tue azioni, spingendoti
a volare via, lontano, fuori da questa guerra che non ti appartiene!”
“Urgh!”
–Borea barcollò, mentre i suoi occhi sembravano chiudersi, ma riuscì comunque a
rimanere in piedi, scuotendo la testa con forza e schiaffeggiandosi per
rimanere sveglio. Ma comprese che la malia di quell’incantesimo andava al di là
delle sue difese fisiche, attaccando direttamente l’anima, risvegliando sopiti
ricordi di pace e di libertà su cui Adone sperava di fare presa per spingerlo a
ritirarsi o a dormire per sempre. –“L’eternità è un periodo troppo lungo,
persino per me!” –Esclamò infine il Dio, recuperando una posizione eretta ed
espandendo il suo cosmo. –“Il vostro cerchio di piume non basterà per
addormentare l’irrefrenabile desiderio di vita che ribolle nel mio sangue,
Heroes! Come una tempesta, la vera natura del Vento del Nord adesso vi
travolgerà, spazzando via piume e canti soavi e lasciandovi nudi di fronte al
gelo! Soffia, impetuoso Vento del Nord!!!” –Gridò infine Borea, sollevando il
braccio al cielo e liberando una tempesta di fredda energia, che congelò
all’istante le migliaia di piume sparse attorno a lui, prima di abbattersi su
Adone e Deianira, spezzando la loro unione cosmica e scaraventandoli molti
metri indietro, ricoperti da un consistente strato di gelo.
“Comandante!” –Gridò Antioco del
Quetzal, bruciando il cosmo e circondandosi di ardenti fiamme, che subito
diresse verso il Dio. –“Fuoco del Serpente Piumato!” –Ma Borea respinse
l’assalto, congelando le fiamme e distruggendole poco dopo, mentre una fredda
corrente continuava a spirare da dietro di lui, abbattendosi su Antioco e
schiacciandolo a terra. Il giovane cercò di rimettersi in piedi, faticando non
poco, mentre il turbine di gelo lo pressava sul terreno, ricoprendo il suo
corpo e congelando la sua corazza, schiantandola in più punti.
“Misera cosa le tue protezioni! Valide
quanto un’Armatura d’Argento!” –Commentò Borea, con aria di superiorità. –“Un
niente per un Dio che ieri ha superato i suoi stessi limiti!” –Aggiunse,
aumentando l’intensità della tempesta di gelo. Improvvisamente un corpo
estraneo si interpose al suo attacco, lanciandosi con furia verso il Dio e
frenando l’impetuoso abbattersi della tempesta di ghiaccio su Antioco.
“Occhi della Mosca, puntate sul
bersaglio e colpite nel segno!” –Gridò Eumene, dirigendo le due comete
energetiche contro Borea.
“Hai firmato la tua condanna a morte, ragazzo!” –Sibilò il
Dio, per nulla intimorito, congelando l’attacco di Eumene e frantumandolo poco
dopo, prima di sollevare il ragazzo con un violento turbine di gelo e
scaraventarlo molti metri addietro, fin quasi sulla riva del mare.
“Eumene!!!” –Gridò Antioco, nel vedere
l’amico schiantarsi a terra, con l’armatura danneggiata in più punti. E questo
gli diede la forza per espandere ulteriormente il proprio cosmo, accendendolo
di guizzanti fiamme capaci di sciogliere il ghiaccio del Dio del Vento del Nord.
Stringendo i denti, Antioco ripensò
agli insegnamenti avuti dal suo antico maestro, il sacerdote azteco Axayacatl, che si era occupato della sua formazione fin
dalla giovane età. Essendo infatti orfano, Antioco era cresciuto con il
fratello di suo padre, un tlatimine, un
insegnante di scuola, che si occupava anche di teologia, astronomia, medicina e
altre discipline teoriche e intellettuali. Lui lo aveva formato e gli aveva
fornito i rudimenti basilari per approfondire la conoscenza del potere che celava
dentro di sé, che Axayacatl aveva percepito in lui
fin dall’infanzia. Un potere che il Sacerdote sosteneva derivasse proprio dal
Dio Quetzalcoatl, leggendario re tolteco che aveva
introdotto numerose innovazioni nella società Azteca, secoli addietro. Secondo
la leggenda Quetzalcoatl sarebbe infine migrato
dall’America Centrale a bordo di una nave con la promessa di ritornare a
guidare i popoli dopo un certo periodo di tempo. Per questo motivo, poiché Axayacatl era sicuro di vedere nel nipote lo stesso sguardo
studioso e innovatore del Dio Quetzalcoatl, un giorno
lo aveva caricato su un bastimento in partenza per l’Europa, per mandarlo a
crescere e a fare esperienze, sicuro che in futuro sarebbe tornato e avrebbe
guidato il suo popolo verso il riscatto e verso la felicità.
“Tornerò!” –Aveva detto Antioco, quel
giorno di otto anni prima, lasciando il suo paese natio. E per tutti gli anni
successivi, in cui aveva subito un duro allenamento, addestrando sia il fisico
che la mente, alla corte di Ercole a Tirinto, non aveva mai dimenticato la
promessa fatta al suo mentore, desiderando che si avverasse con tutto se
stesso.
Fin da subito Antioco aveva trovato un
valido amico in Eumene, futuro Hero della Mosca, un orfanello dai capelli
rossicci giunto a Tirinto in quel periodo, attratto dalla possibilità di
diventare un guerriero di Ercole, di cui aveva tanto sentito parlare nelle
leggende, per combattere un giorno al suo fianco e a quello degli Heroes, le
cui gesta cortesi erano cantata in tutta la Grecia. Per bambini come Eumene e
Antioco o come Argo del Cane e Gleno di Regula,
guerrieri adulti e con più esperienza come Agamennone del Leone o Nestore
dell’Orso o l’inarrivabile Marcantonio dello Specchio rappresentavano il mito a
cui aspirare, la fine del loro percorso di studi e di duro allenamento, il
sogno di un’intera generazione.
“E non permetterò che tutti quei sogni
vadano in fumo!” –Si disse Antioco, bruciando il suo caldo cosmo e rialzandosi
a fatica. –“Per me, e per tutti gli orfani che hanno creduto in Ercole, nella
prospettiva di una vita migliore! Vola, Serpente Piumato!” –Gridò, rialzandosi,
mentre l’infuocata sagoma di un Serpente con le piume scivolava addosso al suo
corpo, liberandolo dalla stretta morsa del ghiaccio di Borea, prima di dirigersi
verso il Dio ad una velocità quasi pari a quella della luce.
Il figlio di Eos fu abile ad incrociare
le braccia di fronte a sé, parando l’attacco con una barriera di energia
fredda, che spense progressivamente le fiamme di Antioco, impedendogli di
raggiungere l’obiettivo. Ma quando Borea sollevò il braccio destro, per
generare una nuova impetuosa corrente di gelo, notò che tutto attorno ad esso
stavano svolazzando degli anemoni bianchi, candidi come la neve. Svolazzavano
attorno al suo braccio, chiudendosi sempre di più in una stretta morsa, prima
di esplodere con forza, danneggiando l’Armatura di Borea e spingendolo
indietro, in un grido furibondo di dolore.
“Chi osa? Dannato!!!” –Ringhiò il Dio,
toccandosi il braccio dolorante, mentre la sagoma di Adone si avvicinava a lui,
con il volto un po’ sporco e crepe sulla corazza, e con un anemone bianco in
mano.
“Fiore del Vento!!!” –Esclamò il
Comandante della Prima Legione, lanciando una nuova manciata di anemoni,
carichi della sua potente energia cosmica, contro il Dio del Vento del Nord, il
quale, irato come non mai, balzò in alto, spalancando le ali della sua Veste
Divina e generando con esse una fredda corrente di energia fredda, che congelò
tutti i fiori, facendoli cadere al suolo e distruggendoli.
“Puoi sorprendermi una volta, Adone! Ma non più di una!”
–Affermò Borea, dirigendo una tempesta di aria fredda contro il Comandante
della Prima Legione, che tentò di lanciare nuovamente i suoi anemoni da
battaglia, osservandoli con orrore ricoprirsi di gelo e andare in frantumi.
–“La tua strategia è fallimentare!” –Sentenziò Borea, aumentando l’intensità
della corrente di energia fredda.
“Ne convengo!” –Mormorò Adone,
espandendo il proprio cosmo, dall’acceso color rosato, che si manifestò sotto
forma di calde onde di luce, che frenarono l’impeto congelante del Vento del
Nord. –“Per questo userò il mio colpo massimo! Volo dell’Uccello del
Paradiso!!!” –Gridò il Comandante, scatenando la luminosa sagoma di un
uccello di energia dalle variopinte ali, che fendette l’aria, vincendo la
resistenza della corrente fredda di Borea, il quale fu obbligato a difendersi
incrociando le braccia avanti a sé. Ma la potenza del colpo danneggiò
notevolmente i bracciali della Veste Divina del Vento del Nord, facendo
zampillare gocce di sangue dalla carne ferita, spingendo Borea ad atterrare,
poggiando un ginocchio sul terreno. Dolorante, e furioso per essere stato
ferito, il figlio di Eos evocò il suo massimo potere congelante, generando una
potente tempesta di energia fredda che diresse verso la vallata sottostante.
“Inverno di desolazione!” –Gridò
Borea, spingendo l’impetuosa tempesta di ghiaccio contro gli Heroes. –“Giunge
per voi l’inverno, la fine dell’anno, la notte più fredda! Si oscura il cielo
stellato e rimane soltanto un forte vento che spira con forza, facendo strage
di fuochi e di calore! Nessun cuore palpiterà più in mezzo a tale tormenta!
Nessun ideale sarà abbastanza forte da sopravvivere alla gelida tormenta
invernale! Tutto sarà ghiaccio, tutto sarà rovina, tutto sarà silenziooo!!!” –Urlò Borea, scatenando l’immane violenza
del suo massimo colpo segreto.
Adone cercò di resistere, coprendosi il
volto con il braccio destro, mentre le raffiche di gelo si abbattevano su di
lui, spingendolo indietro, stridendo sulla sua pelle, ghiacciando la sua
corazza, al punto da appesantire ogni singolo movimento, persino un gesto del
capo. Deianira, dietro di lui, tentò con tutta se stessa di seguire il suo
Comandante, ma venne spinta via, travolta dalla brutale bufera, che investì in
pieno anche i giovani Antioco e Eumene, sradicandoli come piante dal terreno. A
tale vista, il cuore di Adone si infiammò e il suo orgoglio di Comandante
prevalse sulla prudenza, spingendolo a lanciarsi a testa alta nella tormenta,
per puntare verso il cuore di quell’inverno senza luce.
“Volo dell’Uccello del Paradiso!!!”
–Gridò il Comandante della Prima Legione, scagliando il suo colpo segreto, che
cozzò con l’assalto di Borea, provocando una violenta esplosione, che
scaraventò entrambi i contendenti indietro, rilasciando tutta l’energia
generata dai due.
Adone venne spinto indietro, rotolando
sul pendio per parecchie decine di metri, avvolto in una morsa di gelo che
distrusse parte della sua corazza, strusciando con forza sulla sua pelle
curata, quasi volesse romperla e penetrare al suo interno, per portarvi la
morte. Sbatté la testa contro un masso sporgente, frantumando l’elmo della sua
corazza e perdendo sangue, ma prima che potesse muoversi sentì due calde mani
sollevarlo delicatamente, le stesse che lo avevano accarezzato nelle loro notti
insieme. Deianira gli spostò i capelli dalla fronte, pulendola dalle macchie di
sangue, con il cuore che le batteva all’impazzata, per quanto facesse di tutto
per controllare le sue emozioni, impaurita come mai era stata prima.
Borea, dal canto suo, era stato
raggiunto all’addome dal Volo dell’Uccello del Paradiso, che aveva
sfondato le sue difese, danneggiando ulteriormente la Veste Divina. Adesso
stava cercando di rimettersi in piedi, tenendosi lo stomaco con il braccio
destro, da cui sangue sgorgava copioso. Stringendo i denti, il figlio di Eos si
alzò nuovamente, sfruttando il suo potere raffreddante per fermare l’emorragia
delle ferite, congelandole e richiudendole. Quindi tirò lo sguardo verso il
basso, dove vide Adone giacere ai piedi della Sacerdotessa, che gli carezzava
il volto, come per lenirlo dai lunghi affanni. Si sorprese nel vederli così
intimi, avvolti da un tepore che pareva vincere persino il freddo gelo del suo
cosmo, uniti in un rapporto stretto che, Borea comprese, andava al di là
dell’amicizia o del cameratismo che univa i guerrieri. Sospirò per un momento,
mentre le ultime parole di Euro gli tornarono in mente.
“Non credi che vi sia qualcosa di
giusto e di meritevole, nelle azioni degli uomini?!” –Gli aveva chiesto Euro.
Ma Borea non aveva mai ritenuto possibile che qualcosa di giusto albergasse in
esseri così palesemente inferiori, esseri destinati a durare ancora meno di un
soffio di vento, agli occhi di una Divinità. Eppure, in quelle carezze, in quel
confortevole tepore che pareva avvolgere Adone e Deianira, Borea parve scorgere
qualcosa di buono, qualcosa che meritava, al pari del coraggio e
dell’abnegazione di Agamennone del Leone, la sua attenzione e forse il suo
rispetto. Mosse un piede per avanzare verso di loro, con il chiaro intento di
chiudere quella partita, quando una snella figura si pose di fronte a lui,
aprendo le braccia lateralmente, con un chiaro messaggio.
“Non raggiungerai il Comandante Adone!”
–Esclamò Antioco del Quetzal, ansimando per lo sforzo.
“Non seccarmi ragazzino!” –Disse Borea,
fermandosi di fronte a lui e lanciandogli un freddo sguardo pungente.
Antioco sentì un brivido corrergli
lungo tutto il corpo, alla vista di quello sguardo, di quegli occhi blu che parevano
penetrarlo in profondità. I muscoli si irrigidirono, impedendogli ogni
movimento, mentre la corazza colorata che lo ricopriva iniziò a scricchiolare,
ricoperta da un gelo intenso, prima di iniziare ad andare in frantumi.
“Osserva la tua corazza, ragazzo!
Presto del tuo corpo, come di essa, resteranno soltanto frammenti!” –Esclamò
Borea, ricominciando a muoversi per superarlo. Ma Antioco, con enorme sforzo,
tentò comunque di ostacolargli il passaggio, mentre l’Armatura del Quetzal
andava sempre più in frantumi e un gelo mortale gli entrava nelle ossa,
ghiacciandolo nel profondo. –“Insisti? Allora ucciderò prima tu e poi il
Comandante che tanto ami!” –E sollevò il braccio destro in alto, avvolgendolo
in fulmini blu. –“Fulmini di Ghiaccio! Cibatevi del corpo stanco di
quest’uomo e fatene frammenti che il Vento del Nord spazzerà via!!!” –E abbassò
il braccio, lanciando contro Antioco il suo assalto mortale.
Ma l’Hero del Quetzal non venne
raggiunto dai laceranti fulmini blu di Borea, che squarciarono il corpo di
Eumene della Mosca, alzatosi di scatto e corso davanti all’amico, per
proteggerlo dall’attacco mortale del Vento del Nord. Il giovane corpo dell’Hero
della Mosca venne penetrato con forza dai Fulmini di Ghiaccio, che
lacerarono la sua corazza e la sua pelle, ghiacciando il sangue dentro di lui e
bloccando la sua circolazione, fino a distruggere tutto il suo corpo. Con le
ultime forze, prima che il flusso sanguigno si arrestasse, Eumene diede
l’ultimo saluto al suo amico più caro, il compagno di molte avventure nei cieli
di Grecia.
“Sa.. salvati amico, e vola via!”
–Quindi il suo corpo venne disintegrato, sbriciolandosi di fronte agli occhi di
Antioco, carichi di lacrime e di dolore. Il ragazzo, come reazione istintiva,
bruciò al massimo il proprio cosmo, generando fiamme guizzanti che percorsero
tutto il suo corpo, liberandolo dalla pungente prigionia del gelo di Borea.
Quindi si lanciò avanti, scagliando il suo colpo massimo da distanza
ravvicinata.
“Fuoco del Serpente Piumato!!!”
–Gridò Antioco, dirigendo le fiamme contro il cuore di Borea, che fu svelto a
balzare in alto, piroettando su se stesso e atterrando con le braccia dietro di
sé, prima di spalancare le ali della Veste Divina e librarsi in volo,
travolgendo l’Hero del Quetzal con una potente corrente fredda, che lo
scaraventò indietro, facendolo ruzzolare lungo il pendio della collina, fino
alla riva del mare.
Antioco rimase sul terreno pietroso
vicino alla spiaggia per qualche minuto, o forse per ore intere, stordito e
confuso, triste per la morte dell’amico e con il corpo percorso da forti
brividi. Il gelo di Borea era penetrato dentro di lui, congelando le sue ossa e
i suoi muscoli, al punto che ogni singolo movimento, seppur minimo, gli
strappava un grido di dolore. Ma Antioco tentò di avanzare comunque,
trascinandosi sul terreno, cercando di raccogliere le ultime tracce del suo
cosmo, gli ultimi bagliori di fuoco e di luce, che potessero scaldarlo e
accendere nuovamente in lui la fiamma della vita. Lentamente perse conoscenza,
lasciando vagare la mente indietro, ai giorni spensierati dell’addestramento,
quando era ancora un adolescente alle prime armi, affascinato da Ercole e da
Tirinto e dalle storie che sentiva raccontare da Agamennone nelle lunghe notti
attorno al fuoco. Eumene era al suo fianco, come lo era stato fin dall’inizio,
da quando si erano conosciuti nel polveroso piazzale di Tirinto, quando
Marcantonio li aveva presentati, affidandoli entrambi alle cure di Pandaro del
Corvo e dello stratega della Legione Alata, Ecuba di Antlia,
il quale li avrebbe istruiti sui rudimenti basilari del volo e su alcune
tattiche particolari di guerra e di accerchiamento. Ecuba era il teorico e
Pandaro dava loro dimostrazioni pratiche, e ai ragazzi piaceva molto volare con
lui, poiché era buffo e spiritoso, con un curioso accento che lo rendeva uno
degli Heroes più divertenti, per quanto la sua forza fisica non fosse affatto
grande, né le sue imprese cantate dagli aedi.
Ma Antioco ed Eumene amavano viaggiare con Pandaro, che
spesso li conduceva in volo nelle piane e nei boschi sopra Tirinto, assieme a
Icaro della Colomba, a Ascalafo della Civetta e a Briseide del Cardinale, i più giovani Heroes della Prima
Legione, insegnando loro a volteggiare e a scendere in picchiata, a frenare e a
mantenersi in equilibrio, cosa tutt’altro che semplice. Erano giorni
spensierati, così li ricordava Antioco, prima che i problemi dell’età adulta
iniziassero a farsi sentire, ombreggiando l’allegria dell’adolescenza. Voci
giunsero a Tirinto di una guerra tra Atena e Ade, e della morte di quasi tutti
i Cavalieri di Bronzo, d’Argento e d’Oro. Voci che rattristarono Ercole,
incupendo il sole sempre radioso sulla fortezza. E infine era giunto il
messaggio di Era, portato da Iris, sua fidata messaggera, in cui la Regina dell’Olimpo
invitava Ercole alla sua reggia. Da lì tutto era cambiato, il sole aveva smesso
di brillare e al suo posto una cappa di nubi aveva ricoperto il cielo, segnando
la fine delle fresche speranze di pace e giustizia e obbligando Antioco, Eumene
e i loro compagni a dire addio all’adolescenza. Adesso, quella mattina, sulla
riva del mare, Antioco aveva dovuto dire addio anche al suo più caro amico, il
migliore che aveva trovato da quando aveva lasciato il Vicereame di Nuova
Spagna. Cercando di farsi forza, l’Hero del Quetzal sollevò il capo, volgendo
lo sguardo verso l’alto. Vide il suo Comandante lanciarsi contro il figlio di
Eos e poi crollò a terra, privo di forze.
Adone dell’Uccello del Paradiso si era infatti rimesso in
piedi, rabbioso per la sorte a cui Borea aveva condannato Eumene e Antioco.
Aveva scansato Deianira, pregandola di rimanere indietro, determinato ad
affrontare lui il Vento del Nord. Ma la Sacerdotessa gli aveva afferrato una
mano, stringendola nella propria, infondendogli con poche parole tutto l’amore
che le era stato negato provare.
“Sono con te!” –Esclamò Deianira. Ma Adone scosse la testa,
pregandola di restare fuori da quel sanguinoso conflitto. –“Chi un esercito di cavalieri, chi una schiera di fanti, chi
una flotta di navi dirà che sia la cosa più bella, sopra la terra nera! Io dico
ciò che uno ama!” –Sussurrò Deianira, citando una poesia di Saffo, che la donna
amava spesso declamare. –“Se non mi è concesso di lottare per l’uomo che amo,
che mi sia concessa la morte allora!” –Aggiunse, togliendosi la maschera e
gettandola a terra, mostrando il suo volto ad Adone. Un volto che l’uomo
conosceva bene, avendo giaciuto al suo fianco in notti piene di passione.
“Questo amore ci ucciderà!” –Commentò
deciso il Comandante.
“Lo ha già fatto!” –Aggiunse Deianira,
voltandosi e dirigendo lo sguardo verso Borea, rimasto interdetto dall’uscita
della Sacerdotessa.
“E sia allora! Preparati, Vento del
Nord, perché questo sarà l’ultimo atto! L’ultimo canto di Adone!” –Gridò
l’Hero, espandendo al massimo il suo cosmo, mentre la variopinta sagoma di un
Uccello del Paradiso compariva dietro di lui. Deianira fece altrettanto,
rivelando la graziosa figura di un Lofoforo, dal piumaggio bianco e argenteo,
come il colore dei suoi occhi. –“Volo dell’Uccello del Paradiso!!!”
“Canto del Lofoforo!!!” –Gridò
Deianira, unendo il proprio cosmo a quello del suo Comandante ed osservando
l’imponente assalto dirigersi con forza contro Borea, il quale generò una
violenta corrente di aria fredda, usandola come muro per difendersi.
Ma il calore dell’amore dei due Heroes
rese l’assalto così incandescente da permettergli di fondere il muro, spingendo
Borea indietro. Schizzi di energia stridettero sulla Veste Divina del Vento del
Nord, schiantandola in più punti e lacerando la carne al di sotto di essa,
mentre Borea stringeva i denti dal dolore, invaso da un calore mai sentito
prima. Un calore che ai suoi occhi sembrava un fuoco così ardente come potevano
essere i raggi del sole. Un calore che era semplicemente umano, come quello che
Euro aveva tanto ammirato. Terribilmente umano.
“Inverno di desolazione!!!”
–Gridò Borea, comprendendo finalmente la verità insita nelle parole del
fratello e ammettendo che gli uomini, con tutti i loro turbamenti e tutte le
loro emozioni, meritavano stima e rispetto. Poiché quelle stesse emozioni, di
gioia o di dolore, di orgogliosa difesa dei loro ideali, di amicizia e di
sacrificio, di amore, li rendevano grandi e in grado di spingersi sempre oltre,
fino a compiere miracoli. –“Forse lo avevo sempre saputo, e per questo li avevo
sempre disprezzati! Invidioso per le possibilità di cui gli uomini hanno sempre
potuto fruire, liberi da vincoli, liberi da ruoli precostituiti, liberi di
costruire il loro incerto futuro giorno dopo giorno, sbagliando e cadendo, e
trovando sempre la forza di rimettersi in piedi! Agamennone con la sua
determinazione, Niobe con il suo silenzioso sacrificio, Eumene e Antioco con la
loro amicizia, Adone e Deianira con il loro malcelato amore! Questi uomini
hanno riscaldato il mio cuore, liberandolo dallo strato di ghiaccio e di
insofferenza che finora avevo dimostrato e dandogli la possibilità di godere
del tepore di un’umanità che non ho mai conosciuto! Di un’umanità di cui forse
avrei voluto far parte!” –Mormorò il Dio, mentre l’assalto congiunto dei due
Heroes sfondava il suo petto, distruggendo la Veste Divina e spezzando il corpo
del Vento del Nord.
La tempesta di gelo generata da Borea
travolse Adone e Deianira, congelando le loro corazze e dilaniando la loro
pelle nel profondo, fino ad avvolgerli in un mortale e silenzioso abbraccio di
ghiaccio. Caddero a terra, i due mai confessati amanti, e non più si
rialzarono, vittime di un gelo che fece strage del loro amore e che al tempo
stesso li liberò di tutti i loro obblighi, donando loro la possibilità di stare
finalmente insieme per l’eternità. Prima di spirare, Adone dell’Uccello del
Paradiso afferrò la mano di Deianira, stringendola nella propria, mentre un
sorriso illuminava il suo volto, perdendosi negli argentei occhi del suo unico
amore.
La scomparsa dei cosmi degli Heroes
della Prima Legione venne avvertita su tutta l’Isola di Samo, sia da
Marcantonio, Alcione e Chirone, che stavano affrontando i soldati semplici di
Era, assieme agli Heroes delle loro Legioni, sul medio versante della collina,
sia da Nesso del Pesce Soldato, che aveva scelto una strada laterale,
per aggirare l’ostacolo e giungere direttamente alla Reggia di Era. Avanzava a
fatica, un passo dopo l’altro, con la vista che pareva annebbiarsi ad ogni movimento
che compiva, ma Nesso aveva ben chiaro cosa avrebbe dovuto fare, per quanto
fosse certo che né Alcione né Ercole avrebbero approvato. Trascinandosi sul
terreno, sollevò lo sguardo verso l’Heraion,
chiedendosi dove fosse Era, dove fosse nascosta la donna che aveva causato
tutto quel massacro. La donna dentro la quale l’Hero voleva affondare per
l’ultima volta la Lama degli Spiriti, consumandosi con lei.
Prima che riuscisse a fare un altro
passo avanti, Nesso vide un fiore di melograno, dal colore bianco neve,
fluttuare nell’aria, ma stanco com’era non riuscì a collegarlo ad un nemico
finché esso non si conficcò nel terreno ai suoi piedi, generando una grande
pianta dai lunghi filamenti verdi, che si attorcigliarono tutto attorno al suo
corpo, immobilizzandolo e stritolandolo con forza. Nesso tentò di liberarsi da
quella stretta prigionia, mentre le liane e i fusti verdastri strusciavano
sulla sua pelle, aprendo tagli e ferite e cibandosi succosamente del sangue che
fuoriusciva.
“Quale sorpresa! Il portatore della
Lama degli Spiriti in persona!” –Esclamò una voce maschile, obbligando Nesso a
sollevare lo sguardo sopra di lui. –“Quale occasione migliore di recuperarla,
dimostrando ad Era e a quel pagliaccio di Argo quanto poco valessero i loro due
scagnozzi e quanto meritevole son invece io, il più grande tra gli Emissari,
l’unico degno di prendere il posto dell’Oracolo a fianco della Dea Madre!”
Nesso lo aveva visto una sola volta, il giorno prima, nella
radura nel bosco a sud di Tirinto, ed era scappato da lui grazie all’aiuto di
Chirone del Centauro e della Sesta Legione. Quell’uomo dallo sguardo perverso
era il traditore di Tirinto, l’uomo che aveva venduto gli Heroes e lo stesso
Ercole, condannandoli ad un tramonto di sangue.
“Quanto sangue!” –Esclamò Partenope del Melograno, leccandosi il labbro inferiore
alla vista del sangue che sgorgava copioso dalle ferite di Nesso, provocate dal
continuo strusciare dei fusti e dei filamenti verdi della pianta di melograno
che lo stava stritolando. –“Non preoccuparti, non andrà sprecato! La mia
creatura adora il sangue degli uomini, soprattutto il fresco nettare dei
giovani, così pieno di vita! Così pieno di cosmo! Ah ahah!” –Sghignazzò Partenope,
stringendo la morsa su Nesso e strappandogli un grido di dolore. –“Nutriti
della linfa vitale di questo fanciullo, mio adorato melograno, e cresci! Cresci
ancora! Fino a sovrastare il cielo con la tua bellezza! Fino ad oscurare il
sole con il rossore acceso del tuo colore!!!”
“Sei.. pazzo!” –Mormorò Nesso,
stringendo i denti per il dolore, mentre cercava di raccogliere le forze ed
espandere il suo cosmo.
“Forse!” –Sibilò Partenope.
–“Ma tu, ragazzino agonizzante, non sei in condizioni di accusare nessuno!” –E
sogghignò, mentre un secco colpo dei filamenti del melograno falciava via un
dito della mano sinistra di Nesso. –“Cosa ti lamenti? È soltanto il mignolo! Ne
hai ancora nove! Ah ah!”
“Spiacente di deluderti! Ma non rimarrò
ad aspettare di essere seviziato da quest’orrida pianta, per soddisfare i tuoi
perversi giochetti! No, sono un Hero e ho una missione da compiere!” –Esclamò
Nesso, bruciando il cosmo, fresco e profondo come l’oceano, e iniziando a
tirare con forza i filamenti che lo intrappolavano, strappandoli uno dopo
l’altro, con enorme sforzo. Liberatosi un poco, Nesso iniziò a roteare su se
stesso, come una trottola, aprendo le braccia verso l’esterno e tirando fuori i
denti arpionati dai suoi bracciali, usandoli per falciare i fusti e i filamenti
della pianta, fino a liberarsi completamente, di fronte agli occhi sorpresi e
irati di Partenope, che evocò centinaia di fiori di
melograno, dall’acceso color rosso sangue, dirigendoli contro il ragazzo in una
fitta pioggia. Ma Nesso liberò il suo colpo segreto, distruggendo tutti i fiori
assassini.
“Frecce del Mare!!!” –Esclamò,
dirigendo i dardi di energia acquatica contro i fiori, annientandoli uno ad uno
e cercando di evitare i pochi che non era riuscito a colpire. Terminata la
pioggia di fiori di melograno, Nesso barcollò, prima di crollare sulle
ginocchia, sentendosi terribilmente debole, terribilmente stanco, quasi fosse
stato svuotato di ogni forza. Partenope approfittò di
quel momento per colpirlo con un’impetuosa onda di energia, falciando le gambe
di Nesso e distruggendo la sua corazza, spingendolo indietro, fino a farlo
ruzzolare sul pendio.
“Dammi adesso la Lama degli Spiriti!”
–Esclamò infine, avanzando verso Nesso, che rantolava sul terreno, cercando di
afferrarsi alle pietre sporgenti e rimettersi in piedi. –“Cedimi ciò che mi
spetta, ciò che mi permetterà di elevarmi al di sopra di questa marmaglia di
uomini mortali e conquistare il rispetto di una Dea che ha sempre visto noi
esseri umani come semplice feccia! Cedimi ciò che mi consentirà di farle
cambiare opinione, perlomeno su di me!”
“Mai!!! Non mi arrenderò al volere di
una divinità dispotica, nemmeno se il mio corpo fosse fatto a pezzi o cadessi
vivo nei gironi di Ade! Il mio cosmo continuerà a bruciare! Per Ercole!!!”
–Ringhiò Nesso, rialzandosi di colpo e trovando la forza per lanciarsi avanti, caricando
nuovamente le Frecce del Mare. Ma un nuovo assalto di Partenope lo travolse, distruggendo la cintura della
corazza del Pesce Soldato e facendogli sputare sangue, prima di crollare a
terra. Partenope fu subito su di lui, calpestando la
mano mutilata con il tacco dell’armatura e sputando sul volto stanco e ferito
del giovane custode della Lama degli Spiriti.
“Ricordi le parole di Omero? I doni
degli Dei nessuno può sceglierseli!” –Esclamò Partenope,
prima di sogghignare. –“E a te faranno dono della morte!” –E calò il tacco
nuovamente su di lui, per sfregiargli il viso. Ma prima che potesse colpirlo, Partenope venne raggiunto da un attacco energetico di
discreta potenza, che fu sufficiente per spingerlo indietro di qualche metro.
–“Chi osa opporsi al volere degli Dei?!” –Ringhiò, sollevando lo sguardo verso
il cielo e osservando una mongolfiera, con ben sei Heroes di Ercole, scendere
su di lui. La Legione di Fede era arrivata.
Capitolo 32 *** Capitolo trentunesimo: Il saluto del figlio. ***
CAPITOLO TRENTUNESIMO. IL
SALUTO DEL FIGLIO.
Avvolto
da una coltre di nuvole, che lentamente andava svanendo, un pallone aerostatico
sovrastava il medio versante di Samo, guidato da Tersite della Mongolfiera,
Hero della Legione d’Onore. Era rimasto nascosto tra le nuvole, create dal
cosmo del guerriero, riuscendo a superare gli ostacoli rappresentati dal Kouros
e da Borea, e Tersite avrebbe voluto condurlo fino alle porte dell’Heraion, nel
tentativo di sorprendere Era con un attacco diretto, ma alla vista di Nesso in
pericolo di morte aveva concordato con gli altri Heroes di uscire allo scoperto
e affrontarlo coraggiosamente. Nestore dell’Orso, Comandante della
Quarta Legione, balzò agilmente a terra, seguito da quattro compagni: Teseo
del Camaleonte, sopravvissuto all’attacco del Kouros a Micene, Penelope
del Serpente, Consigliera di Ercole, Dione del Toro e Polissena
della Strega, fissando Partenope con profondo disprezzo e aria di condanna.
“Mi sorprende che tu
sia ancora vivo, stupido bestione!” –Esclamò Partenope, con disprezzo.
–“L’ultima volta che ti ho visto eri aggrovigliato in un fitto problema! Ah ah
ah!”
“Potrei
dire lo stesso di te, traditore! Come hai fatto a salvarti? Chirone ci ha
raccontato di averti imprigionato in un quadro di Aureliano! Come ne sei
uscito?” –Tuonò Nestore, mentre Penelope si chinava su Nesso, per curare le sue
ferite. Bastò un lieve tocco delle sue mani delicate per richiudere i tagli e
le abrasioni sul corpo dell’Hero del Pesce Soldato.
“Il
siero del serpente può essere veleno per i nemici o sollievo per gli amici!”
–Sorrise la Sacerdotessa, mentre Nesso si rimetteva in piedi.
“L’angusto
spazio di una tela è misera cosa rispetto all’universo su cui bramo imperare,
ottuso di un orso! Grazie al mio cosmo, ornato da striature divine, sono
riuscito a richiamare i fiori di melograno disseminati nella radura attorno al
dipinto di Aureliano, allungando i loro steli, srotolando i loro lunghi
filamenti fino ad entrare nella tela stessa, creando un ponte verso l’esterno e
permettendo a me, Partenope il Sommo, l’ultimo degli Emissari di Era, di uscire
a riveder le stelle! A rivedere l’universo sui cui presto la mia Regina
impererà!” –Sibilò Partenope. –“Un universo di uomini come voi, dominato
dall’unico esemplare che sia riuscito a cogliere il senso profondo dell’umana
natura, piegandolo ai suoi scopi! La sottomissione!”
“Che
stai dicendo Partenope? Anche tu sei un uomo come noi, dovresti combattere al
nostro fianco, non contro di noi!” –Rispose Teseo.
“Parole
ridicole le tue! Parole che rasentano la follia!” –Strillò Partenope, prima di
espandere il cosmo, generando violenti cerchi concentrici di luce che spinsero
indietro gli Heroes della Quarta Legione, facendo dondolare anche la
mongolfiera di Tersite, in balia dell’onda d’urto creata da Partenope. –“Come
posso essere un uomo come voi, io che ho raggiunto vette che nessun altro uomo
ha mai scalato?! Sentite il cosmo dentro di me, udite di quali incredibili
poteri è dotato?!” –Gridò, lanciando una manciata di rossi fiori di melograno
contro la mongolfiera, che subito si moltiplicarono divenendo centinaia,
avvinghiandosi con voracità alle corde, alla cesta e al pallone e divorandoli.
–“Melograni di sangue!!! Che il vostro tocco porti morte e distruzione!”
“Bastardo!
Fermati!” –Gridò Teseo, alla vista della mongolfiera distrutta dai fiori di
melograno e di Tersite in procinto di precipitare a terra. D’istinto, liberò la
sua frusta e la scagliò avanti, afferrando il polso sinistro di Partenope,
strattonandolo con forza. –“Oggi pagherai per tutti gli Heroes caduti a causa
dei tuoi folli piani di conquista!”
“Teseo!”
–Sibilò Partenope. –“Ti ho già detto che sei ridicolo e folle! E oltremodo
imprudente a lanciarti a braccia aperte verso la morte!” –Aggiunse, avvolgendo
la frusta di Teseo da centinaia di fiori di melograno, dal color rosso sangue,
che le rotearono attorno, cibandosene e disintegrandola completamente,
lasciando l’Hero ammutolito a stringere la polvere. Ma i Melograni assassini
di Partenope continuarono la loro avanzata, avvolgendo Teseo in un rosso
abbraccio di sangue, divorando la sua corazza e la sua stessa pelle, di fronte
agli occhi straziati di dolore dei suoi compagni, attoniti e ammutoliti da tale
orribile spettacolo. –“Questa è la punizione per chi osa levare la mano contro
Era, arrogandosi il diritto di combattere per gli uomini, il cui animo è
infetto e corroso dal dolore esistenziale! La vera purezza risiede nell’animo
degli Dei! E tra tutti gli Dei, soprattutto in quello di Era, mia Signora e
Grande Dea Madre, dispensatrice di affetto e maternità! Voi uomini arroganti
dovresti inchinarvi a lei e venerarla! È cosa buona e giusta avere timore degli
Dei e dei loro servitori!”
“Non
ascolterò un minuto di più le tue idiozie!” –Gridò Nestore, scatenando il suo
attacco devastante. –“Ruggito dell’Orso Bruno!!!”
L’assalto
infatti, portato con rabbia e fretta, risultò impreciso e l’Emissario riuscì ad
evitarlo, balzando in alto e sorpassando tutti gli Heroes, fino ad atterrare
dietro di loro. Si voltò di scatto, scagliando contro di loro una manciata di
fiori di Melograno, dal color bianco neve, che si conficcarono nel terreno,
diventando all’istante grandi piante dai lunghi filamenti sinuosi che danzarono
in aria, avvolgendosi attorno ai corpi degli Heroes, bloccando i loro
movimenti. –“Riconosci questa tecnica, Comandante? Già una volta ti ho
imprigionato in questo modo!”
“E già
una volta mi sono liberato dalla tua prigionia, Partenope!” –Ringhiò Nestore,
bruciando il suo cosmo e iniziando a tirare con forza con le braccia,
strappando i filamenti e i robusti steli. –“Non vorrai usare le stesse tecniche
per l’eternità?”
“Tutt’altro!
Ho ben pensato di combinarle!” –Esclamò Partenope con un ghigno malvagio, sollevando
il braccio destro verso gli Heroes e mostrando un fiore rosso di melograno,
prima di scagliarne a migliaia contro di loro. –“I melograni dal fiore bianco
servono per catturare le prede, fermandone i movimenti e succhiando la loro
energia, linfa vitale di cui i fiori si nutrono, accendendosi di un color rosso
scarlatto! Rosso sangue!!! Ma i fiori dai petali scarlatti sono già maturi, già
adulti, non hanno bisogno di crescere ancora! Soltanto di distruggere! È questo
il vero potere del Melograno Assassino, a cui nessuno può sfuggire! Se
Tereo di Amanita e Eumolpo della Spica potessero parlarvi, dall’Ade in cui li
ho precipitati, lo testimonierebbero!” –Ironizzò, osservando i rossi fiori
danzare in aria, prima di posarsi sui petti dei sei Heroes intrappolati.
Ma i Melograni
di Sangue furono raggiunti improvvisamente da una fitta pioggia di energia,
simile a lacrime di un uomo, che sfrecciò nell’aria disintegrando i petali dei
fiori, che appassirono di colpo, cadendo a terra, stupendo lo stesso Partenope,
che si voltò di scatto verso la direzione da cui tale pioggia pareva provenire.
E là incontrò i volti seriosi e accusatori di tre ragazzi che un tempo erano
stati suoi compagni: Circe della Mandragola, Paride della Rosa e Morfeus
del Papavero, gli Heroes superstiti della Quinta Legione.
“Non
permetterti di nominare il Comandante Tereo o alcuno dei compagni che hai
tradito! Che hai vigliaccamente massacrato, recidendo ogni legame di fedeltà
con la Legione dei Fiori!” –Esclamò Circe.
Approfittando
di quel momento di confusione, Nestore dell’Orso bruciò al massimo il cosmo,
liberandosi di quel groviglio di liane e fusti, disintegrandolo con ardente
energia, prima di rivolgersi a Penelope, incitandola a correre da Ercole,
assieme a Tersite, Nesso e Dione.
“Polissena
e io ci occuperemo di questo traditore! Voi proteggete il portatore della Lama
degli Spiriti e raggiungete Ercole nell’Heraion!”
“Resterò
al tuo fianco, Comandante!” –Rispose Dione del Toro. –“Combattere contro gli
errori del mio passato sarà il modo migliore per riscattarmi e liberarmi dei
loro fantasmi!” –Aggiunse, mentre Penelope annuiva e iniziava a correre via,
seguita da Tersite della Mongolfiera e da Nesso del Pesce Soldato.
“Non
sarai da solo, Nestore dell’Orso!” –Dissero Circe, Paride e Morfeus, balzando
in avanti, fino ad affiancare i tre Heroes della Quarta Legione. –“Anche noi
abbiamo un conto in sospeso con quest’uomo, un credito che neppure la sua vita
sarà sufficiente per poterlo estinguere! Poiché egli ci deve il nostro Comandante,
i nostri amici, la città ideale in cui abbiamo vissuto per anni, cullati dal
nettare dei nostri fiori e sprofondati in un’armonia interrotta dalla
distruzione da egli portata!”
“La
vostra non era un’armonia, Circe! Era un’utopia! Un mondo fuori dal reale ove
vi siete confinati, stanchi e delusi dal materialismo del presente, rifiutando
di affrontarlo! Voi siete i veri codardi! Voi siete i responsabili della morte
di Tereo e dei vostri compagni, come lo sarete della vostra rovinosa caduta
verso gli abissi di Ade!” –Tuonò Partenope, sollevando un fiore rosso di
melograno. –“Avete rinunciato a combattere, rifugiandovi in un paradiso di
oppio e di assenzio, con la pretesa di continuare a definirvi guerrieri di
Ercole! Eroi! Del cui titolo tanto amate gloriarvi! Ah ah ah! Siete pietosi!!!”
–Gridò, scagliando contro di loro una manciata di Melograni di Sangue,
ma Circe fu svelto a rispondergli con il suo attacco sotto forma di piccole ma
veloci gocci di energia.
“Pianto
della Mandragola!” –Esclamò l’Hero, colpendo con le sue lacrime energetiche
i fiori di melograno, facendoli appassire e cadere a terra privi di vitalità.
–“La mandragola nel Medioevo veniva considerata una pianta dalle virtù
fantastiche, a tratti miracolose, a tratti velenose! Così le mie gocce, simili
alle lacrime della virtuosa pianta, sono portatrici di veleno e di morte, la
stessa morte che ho riservato ai fiori a te tanto cari!”
“Risparmiami
le lezioni di storia!” –Lo zittì Partenope. –“Per quanto sia un guerriero, ho
ricevuto anch’io un’istruzione e conosco bene le virtù della mandragola! E so
per certo che, per arrestare il suo potere, come per tutte le altre piante,
bisogna reciderla alla radice!” –Ghignò, espandendo il proprio cosmo e
generando violenti cerchi concentrici di energia, che falciarono le gambe di
Circe, piegandolo a terra, chino sulle ginocchia sanguinanti. –“Ah ah! Non ti
atteggi più a precettore? Si è già esaurita la tua profondità filosofica?”
–Ironizzò, osservando gli sforzi di Circe di rimettersi in piedi, ansimando e
perdendo sangue.
“Adesso
basta, sbruffone! Abbiamo sopportato anche troppo i tuoi oltraggi!” –Esclamò
Paride della Rosa, facendosi avanti con baldanza. –“Io stesso ho imparato che
la boria in battaglia non aiuta, anzi rende sempre più soli! Una lezione di
umiltà dovrebbe essere impartita pure a te!” –Aggiunse, espandendo il cosmo,
mentre l’immagine di una rosa regale compariva dietro di lui. –“Rovi di
Spine! Affondate nella sua pelle! Che paghi con il sangue le colpe di cui
si è macchiato!” –E centinaia di rovi dalle spine affilate sorsero nel terreno
attorno a Partenope, sollevandosi a gabbia attorno a lui e stringendosi sul suo
corpo, per stritolarlo e penetrarlo con i loro aculei. Ma Partenope,
nient’affatto impressionato, bruciò il suo cosmo, iniziando a distruggere il
groviglio di rovi che si chiudeva su di lui, finché un papavero non sfrecciò
nell’aria, piantandosi proprio di fronte a lui, diffondendo il suo inebriante
profumo.
“In
questo modo non potrai reagire!” –Disse Morfeus, affiancando i due compagni.
–“Perderai i sensi, sotto l’effetto delle fragranze del mio papavero
paralizzante, naufragando alla deriva, come Ulisse incantato dalle sirene!
Incontrerai una morte serena, senza accorgerti neppure dei rovi di Paride che
penetreranno il tuo corpo, affondando nei rimorsi della tua vita!”
“Farneticanti
ciance!” –Commentò Partenope, riprendendosi dal momentaneo stordimento, causato
più dalla sorpresa che non dall’effettivo potere del papavero paralizzante su
di lui. E bruciò il cosmo al massimo, disintegrando rovi, spine e papavero, di
fronte agli occhi allibiti di Paride e di Morfeus, che vennero persino spinti
indietro dall’onda d’urto generata, cadendo a terra, a fianco di Circe. –“La
lezione impartita a Tebe ai vostri compagni non vi ha insegnato niente! Siete
dei deboli, e come tali morirete, incapaci di comprendere la vera natura del
potere! Quella che risiede nel profondo del cosmo! Ho pena di voi e della
vostra misera esistenza! Pensare che qualche fiorellino possa fermare Partenope
del Melograno, Emissario di Era, servitore supremo della Regina dell’Olimpo, è
pura follia! È mettere in atto un suicidio, per concludere la patetica
rappresentazione della vostra vita! Morirete adesso e trascorrerete il resto
dei vostri giorni in Ade a riflettere sugli errori compiuti! Annichilamento
esistenziale!” –Gridò, aprendo le braccia al cielo e concentrando il cosmo
su di sé, prima di liberarlo sotto forma di una devastante ondata di energia,
che travolse in pieno i tre Heroes della Quinta Legione.
Anche il massiccio
Nestore dell’Orso venne spinto indietro, accecato da tale abbagliante
manifestazione di energia, mentre Dione del Toro si lanciava avanti, per
afferrare uno dei ragazzi, il più vicino a lui, e sbatterlo a terra, per
coprirlo in parte da quel devastante attacco. Quando la luce si diradò, Dione
comprese di aver salvato Paride della Rosa, svenuto e indebolito tra le sue
braccia, mentre di Circe della Mandragola e di Morfeus del Papavero non era
rimasto niente.
“Quegli
stupidi di Argo del Cane e di Gleno di Regula hanno dato la vita per
distruggere la mia collana di melograno, vincendo il dolore della mia anima con
la purezza dei loro cuori!” –Commentò Partenope. –“Ma non sapevano che non ho
bisogno della collana per far strage dei miei nemici! Con essa catturavo le
anime, separandole dal resto del corpo che diveniva un vuoto simulacro, morendo
istantaneamente, come una rosa privata dalla luce del sole! Ma sono sufficienti
i miei immensi poteri per annichilire soltanto il corpo! E cosa resta ad un’anima
ormai priva del corpo? Niente, se non disperdersi nel vento, fatua ed
evanescente!”
“Sei
un bastardooo!!!” –Gridò Dione del Toro, lanciandosi avanti, avvolto nel suo
cosmo dal colore blu notte. Partenope, a tale vista, gli scagliò contro una
manciata di Melograni di Sangue, ma Dione li travolse con la propria
ardente energia, incenerendoli e sfrecciando nel mucchio fino a buttarsi contro
Partenope, il quale riuscì a spostarsi di lato, evitando di essere spinto
indietro, e ad afferrare un braccio dell’Hero, sollevandolo di peso e
ribaltandolo sul posto.
Quel
gesto fece imbestialire Nestore dell’Orso, che liberò il potere sopito dentro
sé, richiamando l’Orso Kodiak, il più grande mammifero esistente al mondo. L’Ursusactos middendorffi si erse di fronte a Partenope, lasciando risuonare
sull’intera isola il suo profondo ruggito, carico di risentimento verso un
nemico spietato. Rapido e furioso, Nestore si chinò su Partenope, muovendo gli
affilati artigli, e l’Emissario dovette essere molto veloce per scattare di
lato in lato e non essere colpito. Una zampata di Nestore lo raggiunse alla
schiena, strappandogli un grido di dolore, mentre sangue sgorgava dalla ferita
sotto l’armatura crepata.
“Non
crederai di vincermi con una tecnica così rozza!” –Sibilò Partenope,
rimettendosi in piedi e bruciando il cosmo, mentre un fiore di melograno dai
lunghi steli verdi compariva sulla sua mano destra. –“Le dimensioni contano, ma
solo se si possiede altrettanta agilità e riflessi!” –Aggiunse, liberando i
lunghi filamenti del fiore, che si avvolsero alle gambe dell’Orso, fermando i
suoi movimenti, prima che Partenope balzasse proprio in mezzo ai robusti arti,
atterrando dietro l’Orso.
Nestore
si voltò di scatto, per gettarsi su Partenope, ma i robusti filamenti lo impacciarono,
mozzandogli i movimenti e facendolo barcollare, mentre l’Emissario balzava in
aria, colpendolo al petto con un destro carico di energia cosmica, e
abbattendolo, facendolo crollare giù lungo disteso, con il pettorale crepato.
Atterrato nuovamente al suolo, Partenope sogghignò soddisfatto per i risultati
ottenuti fino a quel momento. Fece per voltarsi per dare a Nestore il colpo di
grazia quando si accorse di non riuscire più a muoversi, di non poter muovere
neppure un muscolo, irrigidito in una posizione innaturale da un improvviso
campo di forza che era piombato su di lui senza che egli se ne accorgesse. Con
la coda dell’occhio, sforzandosi di roteare la testa, osservò Polissena della
Strega, rimasto fino a quel momento in disparte, avvicinarsi a lui.
“Credevi
davvero che non sarei intervenuto? Che avrei assistito alla sconfitta dei miei
compagni?” –Esordì l’Hero, ponendosi di fronte a Partenope, circondato da onde
di energia psichica.
“E tu
credi davvero di potermi trattenere per molto? Di quanto tempo credi che abbia
bisogno per liberarmi di questa morsa?” –Rispose Partenope, bruciando il
proprio cosmo, senza però riuscire a muovere il corpo di un millimetro, ancora
paralizzato dalle onde psichiche di Polissena. –“Come è possibile?! È così
grande la tua forza?!”
“Là
dove non arriva la forza bruta, arriva l’astuzia, Partenope!” –Commentò
Polissena, con voce ferma ma tranquilla. –“Ti ho osservato per tutto il
combattimento contro Nestore e gli altri, liberando le mie onde di energia
psichica fin dall’inizio, lasciando che si posassero su te, come vampiri,
aderendo al tuo spirito, entrando progressivamente dentro di te, ogni minuto un
po’ di più, fino a prendere il completo possesso del tuo corpo e del tuo animo,
impedendoti adesso qualsiasi movimento! Da solo non sarei mai riuscito a
conseguire tale risultato, data le tue robuste difese mentali, ma in questo
modo, approfittando del tuo continuo guerreggiare contro i miei compagni, ho
trovato campo libero, non essendo tu in grado di proteggerti sia dai loro
attacchi che dai miei, ben celati e nascosti!”
“Ti
sei finto disinteressato alla battaglia, ma in realtà stavi già lottando!
Aaaargh!!!” –Gridò Partenope, sentendo fitte di dolore, pari a grida
strazianti, lacerargli l’animo nel profondo. –“Ti credevo un burattinaio, un
creatore di sogni e di incubi! Ma non in grado di prendere il possesso completo
di un animo!!!”
“Non
ho ancora il completo possesso del tuo animo, poiché vi è una forte resistenza
in te, la cui matrice non sono riuscito a comprendere!” –Rispose Polissena,
continuando ad emettere onde di energia psichica, continuando a sondare l’animo
di Partenope, per carpirne i segreti più intimi. –“Cosa ti fa odiare così tanto
gli uomini, al punto da considerarli pedine da utilizzare per i tuoi scopi? E
cosa ha fatto Era, Dea che gli uomini disprezza, per meritare tutta la tua
fiducia, tutto l’amore che mostri per lei, pari soltanto a quello che un figlio
prova per la propria madre?!”
“Era è
la Grande Dea, signora e madre di tutti i viventi! A lei ogni uomo deve amore e
fiducia!” –Rispose Partenope, le cui difese psichiche venivano progressivamente
erose, obbligato a parlare anche contro la sua volontà. Nestore, ritornato alle
sue dimensioni originarie, e Dione affiancarono Polissena in quel momento, che
li pregò di rimanere in silenzio, per non disturbare l’operazione, di per sé
altamente difficile.
“Ma tu
sembri avere un motivo più degli altri, Partenope! È la brama di gloria? È la
prospettiva di immortalità? È il desiderio di soddisfare una tua intima
passione che ti ha istigato a ordire questo complotto contro Ercole e i suoi
Heroes?!” –Domandò Polissena, fissando Partenope negli occhi, senza che egli
potesse opporre più alcuna resistenza, succube delle onde psichiche dell’Hero
della Strega.
“La
mia vita e il mio operato sono nelle mani della Dea Madre! Tutto ciò che ho
fatto l’ho fatto per incontrare il suo compiacimento, per far sì che ella mi
guardasse con occhi diversi, senza disprezzarmi per essere uomo, ma
considerandomi come l’unico degno delle sue attenzioni! L’unico degno di sedere
al suo fianco! Era disprezza infatti gli uomini, tanto quanto Ercole li ama! La
prima è una Dea, il secondo, anche se figlio di Zeus, rimane un uomo
nell’animo, e come tale in grado di comprendere i loro affanni! Ma un giorno,
anche Era volle avvicinarsi a quel mondo terreno che aveva sempre disprezzato,
poiché nient’altro aveva rappresentato che una distrazione da parte di Zeus,
rispetto alle totali attenzioni di cui avrebbe dovuto fare oggetto la sua
sposa! Così scese sulla Terra, dove conobbe un uomo, rimanendo abbagliata dal
suo splendore, dalla sua piacenza, dai suoi modi affabili e cortesi, stupendo
persino se stessa nell’ammettere che così tanta bellezza riluceva nel mondo
terreno! Quella stessa bellezza che Era avrebbe voluto trovare nel mondo
divino, sull’Olimpo e soprattutto in Zeus! In lacrime, travolta dall’emozione
del momento, Era si unì con l’uomo in una caverna ai margini di un bosco,
mentre la pioggia battente all’esterno la faceva sentire come Didone quando
aveva accolto Enea dentro di sé. Dalla loro unione nacque un figlio, che il
padre mai riconobbe, scomparendo tra le tenebre del mondo, e che Era non poté
mai confessare a Zeus né a nessun’altro, neppure ad Argo, suo fedele Oracolo, o
a Didone, che aveva salvato millenni addietro dalla furia di un amore! Poiché
nessuno di loro avrebbe compreso! Poiché ai loro occhi, per la prima volta, Era
sarebbe apparsa debole e sconfitta!
Quel
figlio, nato da uno sbaglio, non fece altro che aumentare l’ira di Era nei
confronti degli uomini, di quei bastardi che l’avevano lasciata sola, a
crescere un bambino che non doveva nascere! Così, sotto mentite spoglie, lo
affidò alle cure di una nutrice, che lo portò a Tirinto, alla reggia di Ercole,
ove il figlio crebbe, divenendo un uomo forte e maturo, dotato di immensi
poteri, ma continuando a covare nel cuore un profondo risentimento nei
confronti degli uomini, instillatogli dal cosmo e dal sangue di Era presenti
dentro di lui! Infatti, diciotto anni dopo, ottenuta l’investitura, il giovane
si mise sulle tracce dei genitori e riuscì a trovare il padre, nascosto in
un’isola dell’Egeo, massacrandolo senza pietà alcuna, realizzando la vendetta
che credeva avrebbe lenito il suo animo ferito! Ma così non accadde! Perché anche
dopo la morte dell’uomo, il giovane continuò a soffrire, a tirare pugni contro
il terreno, maledicendo una sorte che non riusciva a comprendere! Fu in quel
momento che Era gli apparve, un angelo disceso dal cielo, aprendo le braccia
con un gesto affettuoso che al giovane parve l’invito di una madre a giacere
nel suo grembo. In lacrime, la Regina degli Dei chiese perdono al figlio, per
averlo abbandonato, affermando di non aver avuto alternative, poiché egli non
avrebbe potuto rimirare gli splendidi fasti dell’Olimpo, ma soltanto ammirare
da lontano un mondo di cui mai avrebbe potuto fare parte. Mai come figlio.
Così, il giovane, deciso a mostrare alla Grande Dea Madre di essere diverso
dalla totalità degli uomini, di essere a loro superiore e in grado di usarli
per i suoi fini, le promise che un giorno avrebbero seduto insieme, ai tavoli
imbanditi dell’Olimpo, lei come Dea Madre e lui come suo Oracolo! Capite
adesso?!” –Urlò Partenope, tra le lacrime. –“Io ero quel giovane! Io sono quel
figlio abbandonato che ha dedicato la sua intera vita a conquistare l’amore di
una Madre, l’amore di una Dea che disprezza gli uomini! Per lei, soltanto per
lei, per dimostrarle di essere migliore della massa, ho ordito il più grande
piano che neppure Era avrebbe saputo tessere, distruggendo le Legioni
dall’interno! E sarei quasi riuscito nel mio intento se quel ragazzetto non
avesse trovato la Lama degli Spiriti, una leggenda a cui né Era né io prestammo
mai troppo ascolto, sbagliando!”
“Partenope…”
–Mormorò Nestore, nel cui animo turbinavano emozioni diverse, in contrasto tra
loro. Dal rancore verso l’uomo che aveva distrutto il mondo ideale creato da
Ercole, al dispiacere per la sorte dei compagni, alla tristezza per l’errore in
cui Partenope era caduto, all’odio viscerale per la Regina degli Dei, rea non
soltanto di aver sempre disprezzato gli uomini ma di aver abbandonato l’unico
verso il quale avrebbe dovuto dimostrare reale e sincero amore, l’amore di una
madre.
“Non
guardarmi con quegli occhi, Nestore! Non merito la tua pietà né quella di alcun
altro!” –Ringhiò Partenope.
“Non è
pietà la mia, ma disprezzo! Comprendo il tuo dolore, il sentimento che hai
provato nell’apprendere di essere solo al mondo, e non voluto dai tuoi
genitori, poiché è lo stesso che ho provato anch’io quando realizzai di essere
stato abbandonato! Ciò che non comprendo, e che non approvo, è invece il
tentativo di mostrare ad Era quanto sia facile e pieno di soddisfazione
l’utilizzare gli uomini per i propri scopi, soltanto per ottenere lo sguardo
compiacente di una madre! Ti illudi di poter comprare il suo amore vendendo la
tua stessa stirpe, ma in realtà servi soltanto ai suoi scopi di dominio, utile
solo per corrodere le Legioni di Ercole e avvilire il Dio dell’Onestà,
favorendo la Dea nella battaglia finale! A nient’altro, Partenope! Per questo
provo disprezzo per te, per il modo meschino in cui hai agito, per il
servilismo che hai accettato di subire soltanto per ingraziarti una Dea che non
ti ha mai voluto, una madre che non ti ha mai amato, regalandoti ad una
sconosciuta nutrice di Tirinto!”
“Taci,
bastardo! Tu non puoi sapere quante lacrime Era ha versato per il suo errore!”
–Gridò Partenope, bruciando il proprio cosmo, nel tentativo di liberarsi.
–“Quanto ha pianto nelle sue notti solinghe per placare l’animo addolorato per
la sua sorte e per quella del figlio che non aveva chiesto, ma che aveva
comunque avuto, senza disporre assieme della possibilità di crescerlo!”
“Della
volontà di crescerlo!” –Precisò Nestore.
“Era è
la Regina dell’Olimpo, sorella e sposa del Sommo Zeus! Come avrebbe potuto
giustificare la nascita di un figlio illegittimo? Con quali parole avrebbe
potuto spiegarlo a Zeus, che tanto aveva combattuto e odiato nei secoli
precedenti per le poche attenzioni e il poco amore di cui l’aveva fatta
oggetto? Avrebbe dovuto mostrare a tutti il suo errore, la sua fragilità, la
sua umanità!” –Esclamò Partenope, espandendo al massimo il suo cosmo e
liberandosi dalla prigionia psichica di Polissena.
“Mi
sorprende che tali parole provengano dalla tua bocca, dalla bocca del figlio
abbandonato, che dovrebbe provare per la madre lo stesso odio che ha provato
per il padre, colpevoli entrambi di non averti saputo donare amore!” –Sospirò
Nestore, preparandosi alla battaglia. –“Ma per dimostrarti che sei nel torto e
che combattere i nemici di Era non significa conquistare il suo amore, io ti
combatterò!” –E liberò il Ruggito dell’Orso Bruno, a cui l’Emissario di
Era cercò di opporsi con gli Anelli di Luce. Lo scontro tra i due poteri
spinse entrambi indietro di qualche metro, ammaccando le loro corazze, mentre
Polissena della Strega cercava di recuperare il controllo su Partenope, grazie
alle onde di energia psichica.
“È
inutile, Polissena! Non riuscirai più a fermarmi! Adesso che hai risvegliato in
me sopiti ricordi che avrei voluto dimenticare, adesso che mi hai obbligato a
mettervi al corrente del mio segreto, non c’è più niente che tu possa fare,
soltanto combattere per la tua vita! Perché non vi lascerò fuggire! No, vi
ucciderò io stesso, elevandovi a trofeo della mia indiscussa superiorità! Come
Polissena, la più giovane figlia di Priamo, fu sacrificata sulla tomba di
Achille, così io sterminerò tutti voi, che avete violentato la mia anima,
osservando le vostre carcasse ardere sul rogo purificatore, in onore della
Grande Dea Madre!” –Ringhiò Partenope, dirigendo migliaia di rossi fiori di
melograno contro i tre Heroes. –“Melograni di Sangue!!! Riprendetevi il
segreto che ci è stato estorto con l’inganno!!!”
“Onde
psichiche!” –Esclamò Polissena, liberando onde di natura mentale che
travolsero i fiori di melograno, fermando la loro avanzata e distruggendoli con
un’esplosione di luce, che irritò Partenope, ormai privo di ogni razionale
controllo.
“Bel
colpo, Polissena! Adesso è mio! Armenti di tori furiosi!!!” –Gridò Dione
del Toro, balzando avanti e liberando il suo violento attacco. Mandrie di tori
scatenati, composti da pura energia cosmica, sfrecciarono sul selciato del
colle di Samo, calpestandolo con duri zoccoli, con le corna impregnate di una
potente energia e puntate verso il nemico. Partenope tentò di opporsi
travolgendo la mandria di tori con i suoi Anelli di Luce, ma questi
riuscirono a falciarne soltanto un gruppo, senza evitare che il resto degli
armenti travolgessero l’Emissario, spingendolo molti metri addietro, con la
faccia a terra e l’Armatura Divina macchiata di sangue.
“Maledetti!!!”
–Ringhiò Partenope, rimettendosi in piedi, pulendosi con la mano il sangue che
colava dal suo labbro rotto. –“Vi ridurrò in cenere di cenere, annichilando i
vostri corpi fino a che non rimarranno neppure le ombre di ciò che siete stati
un tempo!”
“E
cosa siamo stati, Partenope?” –Domandò Nestore con tono malinconico. –“Cosa
siamo stati per tutti questi anni? Per questi lunghi anni in cui hai vissuto a
Tirinto e camminato al nostro fianco, mangiando alla nostra tavola, dormendo
sotto il nostro tetto, e continuando a tessere nell’ombra la tela del tuo
triste inganno?”
“Un manipolo di
esaltati, che credono di poter salvare il mondo dalla rovina che comunque
pioverà su tutti loro! Una mandria di contadini, derelitti, rifiuti umani,
orfani e abbandonati, che nient’altra soddisfazione ha avuto se non vantarsi di
aver servito Ercole nelle stalle di Tirinto! Un cumulo di rovine umane che ha
perso tempo nel sollevare una perduta città del passato, che i Kouroi di Era
hanno nuovamente distrutto! Un gruppo di falliti!” –Tuonò Partenope, fissando
gli Heroes con occhi colmi di sangue.
“Io
credo che tu ti stia sbagliando!” –Affermò Nestore, con voce calma. –“Noi
Heroes siamo semplicemente uomini! E come tali abbiamo vissuto al meglio la
vita, impegnandoci per ciò che credevamo santo, per ciò che ritenevamo
importante per noi e per le genti di questo mondo! Cosa ne sarebbe stato dei
popoli dell’Argolide e del Mediterraneo se in questi anni Tirinto non fosse
esistita? Essi ne hanno trovato giovamento, sia in termini di scambi di
prodotti agricoli e commerciali, sia in termini di difesa, sia in termini più
intimi, più personali, vedendo infatti in essa la prospettiva di un futuro! La
prospettiva di una rinascita che prima di tutto è una rinascita interiore,
mettendo in pratica uno dei dettami fondamentali di Ercole, uno dei più
semplici: un inno alla vita e alla gioia di far parte del mondo. Anche se
imperfetti, anche se mortali, anche se consapevoli di poter sbagliare. E Dione
ne è la dimostrazione più evidente!”
“Belle
parole, Nestore! Ma non cambieranno la realtà dei fatti né vi salveranno da
fine certa ed inevitabile!” –Urlò Partenope, chiudendo le braccia a sé per poi
aprirle di colpo, raccogliendovi tutto il suo cosmo carico di rancore, pronto
per scagliare il suo massimo attacco.
“I
fatti non devono essere cambiati, soltanto essere interpretati nella giusta
prospettiva, Partenope!” –Intervenne allora Dione del Toro. –“Credimi, anch’io,
come te e Nestore, ho provato il dolore dell’abbandono, a causa di una donna da
cui credevo di essere amato! Quella donna l’hai conosciuta anche tu, poiché
lei, come me, accettò la tua proposta di inserirsi nelle Legioni di Ercole per
distruggerle dall’interno! Era Opi della Lepre, uccisa da Euristeo a Tirinto!”
–Confessò, chinando il capo, rattristato. –“Opi ed io ci conoscemmo anni
addietro, quando trainavo carri al mercato di Atene, iniziando a frequentarci
con costanza, condividendo interessi comuni, soprattutto un forte senso di
diversità rispetto ai nostri coetanei! Ancora non sapevamo cosa fosse, era il
cosmo che portavamo dentro di noi, e che grazie all’istruzione di Argo, Oracolo
di Era, che posò il suo sguardo su di noi per farne pedine di un gioco sporco
che non aveva mai rinunciato a condurre, riuscimmo a far emergere! Diventammo
guerrieri abili e potenti, scattanti nella corsa e resistenti nei
combattimenti, ma ancora non avevamo chiaro a cosa dovessero servire tutti questi
nostri poteri, tutte queste doti che rendevano concreti i pensieri sulla nostra
diversità, provati fin dalla tenera età! Fu l’incontro con Era, e con te, suo
Emissario, a segnare una svolta nelle nostre vite! Quando accettammo l’incarico
che ci proponesti, indubbiamente fu Opi la più convinta e fedele, non io,
abbagliato dall’amore che provavo per lei e incapace di elaborare un mio
pensiero in contrasto con il suo! Succube di questo amore che mi ero illuso di
trovare, ho vissuto per anni a Tirinto, nella speranza che la serenità della
città potesse offrirgli un’occasione per sbocciare! Ma mi ero sbagliato, poiché
ogni giorno trascorso insieme agli Heroes e ad Ercole, non faceva che accendere
la brama di potere negli occhi di Opi, convincendola sempre più della necessità
di mettere in atto il progetto di Era! Per questo motivo mi era vicina, per
usarmi per i suoi scopi, soltanto per quello! Forse Opi si era accorta, ancora
prima di me, che i miei giorni a Tirinto erano giorni di vera felicità, che il
male annidato tra quelle quattro mura, di cui Argo ed Era ci avevano parlato,
era in realtà soltanto la paura dell’ignoto di una vecchia Divinità dimenticata
da uomini che non ha aveva mai compreso e l’isterico servilismo del suo
Oracolo, ma niente di più! A Tirinto non c’è il male, Partenope, ma vi regnano
amore e comprensione! La stessa comprensione che Ercole ha dimostrato per me,
ieri notte, quando mi sono inginocchiato di fronte a lui, per invocare il suo
perdono! Avrei accettato anche la morte, per pulirmi il cuore dai rimorsi del
passato, ma Ercole, magnanimo e comprensivo come soltanto un Dio che ha vissuto
mille anni tra gli uomini può essere, mi ha concesso il suo perdono,
sorridendomi serenamente! ‘Hai già sofferto abbastanza!’ Mi ha detto, poggiandomi
una mano sulla spalla e ascoltando il mio cuore. ‘Credo sia ora che tu inizi a
perdonarti!’ E io ho cercato di ascoltare il suo consiglio, anche se tutt’ora,
mentre lotto a fianco del mio Comandante, continuo a torturarmi per il male che
avrei potuto causare se fossi andato fino in fondo, se avessi avuto il coraggio
di portare a compimento il piano ideato da Opi, aprendo le porte di Tirinto a
Eolo e a Iris!”
“Tu
hai dimostrato più coraggio di qualunque altro Heroes, Dione!” –Sorrise
Nestore. –“Un coraggio che appartiene soltanto agli uomini, artefici assoluti
del proprio destino! Il coraggio di scegliere!”
“Sei
soltanto un vigliacco e un menzognero, Dione!” –Ringhiò Partenope.
–“Doppiamente traditore, poiché hai tramato sia contro Era che contro Ercole!
Se questo sfogo era il tuo patetico tentativo di chiedere scusa alla Regina
dell’Olimpo allora sappi che non è riuscito! E pagherai!”
“Allora
non hai capito niente, Partenope! Non ad Era devo delle scuse, ma ad Ercole e
ai miei compagni, per essere stato cieco, abbagliato da un amore che credevo di
vedere nei gesti interessati di una donna che mirava soltanto a servirsi di me!
Nello stesso identico modo in cui Era ha usato te per tutti questi anni!”
“Taci!”
–Gridò Partenope, dirigendo un feroce attacco di energia contro Dione,
sbattendolo al suolo e crepando il suo elmo e i coprispalla. –“Non osare ancora
nominare invano il nome della Grande Dea Madre o…”
“Continui
a chiamarla Dea o Era, ma non l’hai mai chiamata madre! Mai ti sei rivolto a
lei come suo figlio, privando te stesso persino di questo diritto!” –Ansimò
Dione, rialzandosi. –“Io credo che, come io mi ero convinto di vedere un amore
che non c’era nei gesti interessati di Opi, tu abbia convinto te stesso di non
essere degno dell’amore di Era soltanto perché sei un uomo! Ti sei torturato
per anni per una colpa che pensavi di portare nel cuore, infetto dal sangue e
dal cosmo di una Divinità che altro non è se non la suprema fonte di disprezzo
verso gli esseri umani!”
Partenope
non rispose, stringendo i pugni con rabbia, mentre attorno a sé esplodeva il
suo cosmo, obbligando Nestore e Polissena a sollevare le braccia. Ma Dione del
Toro avanzò davanti al suo Comandante, voltandosi verso di lui e rivolgendogli
un sorriso.
“Alla
vostra comprensione, Comandante Nestore, io dedico il mio ultimo attacco!”
–Esclamò Dione, bruciando al massimo il proprio cosmo e liberando le furibonde
mandrie di tori energetici. –“Armenti di tori furiosi!!!” –Gridò,
scagliando l’attacco contro Partenope, che tentò di contrastarlo con il suo
massimo potere: l’Annichilamento esistenziale, con cui aveva ucciso
Circe e Morfeus poco prima.
L’onda di luce
prodotta da Partenope annientò lo scalpitio degli zoccoli furiosi delle
giumente di Dione, inghiottendole in un’esplosione di luce, che abbagliò
Nestore e Polissena, e lo stesso Emissario di Era, obbligandoli a coprirsi gli
occhi con un braccio. Quando la luce calò di intensità, Partenope notò che di
Dione non vi era più traccia e per un momento sogghignò, credendo di averlo eliminato,
come aveva fatto con gli altri suoi avversari precedenti. Ma improvvisamente
due robuste mani lo afferrarono da dietro, stringendo con forza le sue braccia
contro il busto, facendo scricchiolare la corazza e le ossa al di sotto di
essa.
“Dione!
Zotico ignorante! Come osi? Togli le tue mani da me!!!” –Strillò Partenope,
facendo esplodere il suo cosmo.
“No!”
–Rispose candidamente Dione, stringendo sempre di più la presa, mentre Nestore
e Polissena arrivavano preoccupati di fronte ai due. –“Ho tentato di
dimostrarti che Ercole è nel giusto, che gli uomini meritano di vivere la loro
vita, pur con tutti gli sbagli che compiono! Del resto, non ci è mai data la
possibilità di sbagliare, senza che ci sia data anche l’opportunità di
rimediare ai nostri errori! Di dare la vita affinché i nostri errori possano
tramutarsi in speranza per le libere genti!”
“Dione!!!”
–Gridò Nestore, mentre il cosmo di Dione cresceva oltre ogni limite,
sovrastando quello di Partenope, che scalciava furibondo, nel tentativo di liberarsi
da una morsa che ormai lo stava sopraffacendo. –“Non farlo, ti prego! Ercole ti
ha perdonato! Liberati dal senso di colpa!”
“Ercole
e voi tutti, Heroes e amici, mi avete perdonato, ma io non l’ho ancora fatto!
Opi forse aveva ragione, a considerarmi un debole, poiché effettivamente lo
sono! Fossi stato più forte non mi sarei mai prestato ad un simile inganno, ma
avrei saputo reagire!” –Confessò Dione, mentre il suo luminoso cosmo avvolgeva
Partenope e se stesso, fin quasi ad inghiottirli. –“Con questo gesto,
eliminando l’uomo che aveva instillato in me il male, riuscirò forse a
perdonare me stesso! Riuscirò forse a trovare pace! Addio compagni miei, addio
amici con cui ho avuto la fortuna di condividere un sogno!”
“Fermatiii!!!
Ci perderemooo!!!” –Gridò Partenope, ma la sua voce venne sovrastata dalla
violenta esplosione del cosmo di Dione, che avvolse il proprio in una stretta
mortale, liberando un’enorme quantità di energia che spinse indietro Nestore e
Polissena. –“Io… volevo soltanto il tuo amore, Era! L’amore… di mia madre!”
Quando
Nestore e Polissena, ammaccati e feriti, riuscirono a rimettersi in piedi,
trovarono soltanto i resti delle corazze del Toro e del Melograno, quasi
incenerite dall’enorme potere scatenato da Dione. In mezzo a quel che rimaneva
delle Armature degli Eroi, Nestore notò infine un fiore di melograno, bianco e
puro, come la neve, e si augurò che anche Partenope adesso avesse potuto
trovare la pace dell’anima.
Capitolo 33 *** Capitolo trentadueesimo: La Dea dell'Arcobaleno. ***
CAPITOLO TRENTADUEESIMO: LA DEA DELL’ARCOBALENO.
Mentre Adone e Deianira si lanciavano
insieme per l’ultima volta contro Borea, i rimanenti Heroes erano impegnati ad
affrontare i soldati che Era aveva inviato contro di loro. Uomini comuni,
contadini, pescatori delle isole dell’Egeo, maniscalchi, obbligati ad accettare
una volontà divina a cui non potevano opporsi in alcun modo, per non incorrere
nelle ire del potente Argo. Alcione della Piovra, Marcantonio dello Specchio e
Chirone del Centauro, i tre Comandanti delle Legioni di Ercole, avevano
suggerito ai loro compagni di non utilizzare armi né colpi segreti contro
queste persone, vittime involontarie di un potere che non erano in grado di
contrastare. Ma così facendo la battaglia pareva destinata a procrastinarsi a
lungo tempo, logorando anche le attese degli Heroes, determinati ad incontrare
Era e regolare i conti con lei. Anche Tersite della Mongolfiera e Penelope del
Serpente avevano raggiunto i compagni, dopo aver lasciato Nestore dell’Orso,
con Dione e Polissena, ad affrontare Partenope.
“Fermatevi, uomini liberi di Samo!”
–Esclamò infine una voce, distraendo tutti i contendenti dallo scontro e
obbligandoli a voltarsi verso il sentiero che dalla spiaggia conduceva su per
la collina, fino all’Heraion di Era. Là, tra gli arbusti incolti e macchiati
dal dolore, apparve Ercole, Dio dell’Onestà, subito riconosciuto dai
soldati di Era, che impauriti indietreggiarono. –“Non avete motivo per
arretrare, uomini liberi di Samo! Questa è la vostra terra, non la mia, ove
sono giunto in veste di visitatore, per incontrare la Signora dell’Olimpo! Non
la guerra muove i miei passi, né quelli dei miei compagni, che hanno avuto buon
cuore e intelligenza di non usare i loro poteri contro avversari al di sotto
delle loro possibilità, ma soltanto il desiderio di confrontarmi con colei che
questo conflitto ha iniziato! Scansatevi dunque e avrete salva la vita!
Scendete a Samo, salite sulle navi e veleggiate via, verso le vostre famiglie e
le vite che avete abbandonato, obbligati ad imbracciare le armi contro la
vostra volontà!”
“La nostra volontà è di combattervi, possente Ercole!”
–Esclamò un gruppo di uomini, avanzando uno al fianco dell’altro, mentre gli
Heroes si aprivano a ventaglio attorno al loro Dio, senza reagire.
“Non è vero! E questo io lo sento!”
–Precisò Ercole, fissando gli uomini con sguardo deciso, ma pieno di tristezza.
–“Non ho bisogno di prestare ascolto alle vostre parole, dettate dalla paura
della rappresaglia che temete possa travolgervi! Non riuscirete ad ingannare il
mio cuore, che riconosce la purezza del vostro animo e il grido disperato di
liberazione che da esso si leva! Andatevene, e non vi farà fatto alcun male!”
I soldati di Era esitarono per un
momento, guardandosi smarriti tra di loro, mentre Ercole e gli Heroes rimasero
immobili di fronte ad essi. Ma prima che potessero prendere una qualsiasi
decisione, vennero tutti travolti da un possente attacco energetico, che si
materializzò sotto forma di dirompenti fasci di luce dai mille colori, che apparvero
dall’alto del colle, abbattendosi sui soldati e sugli Heroes e scatenando il
panico.
“No!!!” –Esclamò una squillante voce di
donna, mentre una veloce sagoma balzava nel cielo sopra di loro, proiettando la
sua ombra su tutti i presenti. –“È tardi ormai! In guerra non sono ammessi
dubbi o esitazioni! Quando si verificano, quando non è chiaro il motivo per cui
un soldato combatte, allora non è degno del nome che porta, egli è soltanto un
vigliacco, un uomo inconcludente, incapace di portare a termine la missione di
cui la sua Regina lo ha investito!” –Affermò con enfasi, Iris, la Messaggera
degli Dei, comparendo sul campo di battaglia, sollevata da un luminoso
tappeto di sette colori, prima di investire i soldati di Era, e qualche Heroes
troppo vicino, con un devastante flusso energetico, facendo strage di tutti i
loro dubbi e delle loro umane incertezze.
“Iris!!!” –Ringhiò Ercole, alla vista
del massacro operato dalla Messaggera di Era. –“È così grande e cieca la fede
che riponi nella tua Dea da spingerti ad uccidere i suoi stessi servitori con
tale noncuranza?!”
“Di quali servitori stai parlando?
Soltanto i Sommi Sacerdoti Argo e Didone separano ormai voi Heroes da Era!
Costoro erano soltanto un gruppo di derelitti infedeli, incapaci di cogliere la
profonda essenza dell’animo di Era, incapaci di meritare la gloria di cui la
mia Regina avrebbe fatto loro dono! Hanno esitato, prestando ascolto alle tue
parole, hanno lasciato che il dubbio li cogliesse, perdendo di vista lo scopo
della loro missione, lo scopo primario della loro stessa esistenza!” –Li accusò
Iris, osservando con disprezzo i cadaveri dei soldati sparsi al suolo.
“Le tue parole sono deliranti e
fanatiche, Iris, e offendono il ricordo di questi uomini che sopraffatti dal
terrore hanno dovuto muovere guerra contro di noi!” –Tuonò Ercole, ma Iris non
lo prese sul serio.
“Ricordo?! Un soldato che non sa essere
tale, che tradisce la causa per cui deve lottare, non merita che i posteri
ricordino il suo nome! No, merita soltanto di perdersi nella dimenticanza,
gettato via in una fossa anonima e punito per il peccato supremo di cui si è
macchiato. Il rifiuto di servire il Dio a cui tutto deve!” –Sentenziò Iris.
–“Ma se davvero vuoi farti portatore delle cause perse degli uomini, Sommo
Ercole, vieni avanti e mostrami l’ardore che anima questi esseri inferiori! Io
ti aspetterò a testa alta e saprò oppormi strenuamente per difendere il mondo
divino che hai rinnegato! Il mondo olimpico che hai accantonato!”
Ercole non rispose alle provocazioni di
Iris, scuotendo la testa e sospirando, prima di sollevare la possente clava e
generare una devastante onda di energia, che squarciò il terreno di fronte a
lui, abbattendosi sulla Messaggera degli Dei. Ma Iris sfrecciò via, lasciando
dietro di sé una scia di sette colori: rosso, arancione, giallo, verde,
azzurro, indaco e violetto, i colori dell’arcobaleno, che si ricomposero alle
spalle di Ercole, mostrando nuovamente l’avvenente figura della figlia di
Taumante e Elettra.
“È veloce!” –Commentò Ercole, riconoscendo
che Iris aveva schivato il suo assalto, frammentando il suo cosmo in sette scie
di colore che avevano superato persino la velocità della luce, prerogativa
riservata soltanto agli Dei. Quindi si voltò, sollevando nuovamente la clava
per battersi con lei, ma il suo braccio fu fermato dalla mano di Polifemo
del Ciclope, Hero della Seconda Legione e storico compagno di avventure del
Dio, che lo incitò a correre avanti, assieme alla Terza e alla Sesta Legione.
“Non perdere tempo con i pesci piccoli, mio Signore!”
–Esclamò Polifemo, affiancato dagli altri Heroes della Seconda Legione.
–“Lasciali a noi, che saremo ben lieti di pescarli! Tu corri da Era e dalle la
lezione che merita!”
Ercole esitò, titubante a lasciare i propri soldati alla
mercé di quella fanatica servitrice della Regina dell’Olimpo, ma poi convenne
che fosse la soluzione migliore e si incamminò verso la cima dell’Heraion,
seguito da Alcione della Piovra e da Chirone del Centauro, con gli Heroes della
Terza e Sesta Legione al seguito, e da Marcantonio dello Specchio, che Polifemo
insistette per togliere dallo scontro. Ma Iris, a tale vista, balzò in sella
all’arcobaleno di luce, sfrecciando nel cielo fino a piombare contro Ercole e
gli altri Heroes, per impedire loro di procedere oltre.
“Non ti permetterò di andartene, uomo
meschino che hai offeso gli Dei!” –Ringhiò Iris, scatenando le sue furiose onde
di energia. Ma improvvisamente una violenta tempesta si abbatté su di lei,
mentre turbini di nuvole la avvolsero, sbattendola al suolo e permettendo ad
Alcione, Chirone, Marcantonio ed Ercole di proseguire.
“Ali del Mito!” –Gridò Neottolemo
del Vascello, con il corpo interamente avvolto da strati vorticanti di
nubi.
“Come osate, opporvi al potere degli Dei? Siete forse così
folli da aver perso il senno, dopo anni trascorsi barricati dietro le vetuste
mura di Tirinto?!” –Ringhiò Iris, rialzandosi e balzando in aria, per osservare
coloro che avevano osato sfidarla. Erano sette uomini, tutti appartenenti alla
Seconda Legione: oltre a Polifemo del Ciclope e a Neottolemo del Vascello,
erano rimasti al loro fianco Odysseus di Ecatonchirus, Tersite della
Mongolfiera, Crisore di Procuste, Leonida della Spada e Temistocle del
Pentagono, l’intera Legione d’Onore, priva del suo Comandante, il cui ruolo gli
altri ritenevano fosse necessario a fianco del Sommo Ercole.
“Ti affronteremo noi tutti!” –Esclamò Crisore di Procuste,
avanzando con baldanza.
“In sette siete? Bene, a voi opporrò i sette colori
dell’arcobaleno, di cui sono Signora e Dea! Chi vuol essere il primo a morire?
Scegliete voi o vi ucciderò tutti con un colpo solo!”
“Pecchi di umiltà, Messaggera dell’Olimpo!” –Esclamò
Crisore, andandole incontro e sollevando la sua ascia con la mano destra.
–“Difetto imperdonabile se si vuol vincere una guerra!” –Aggiunse, bruciando il
cosmo, prima di scattare contro la Dea, con l’arma sollevata, e calarla di
colpo, liberando centinaia di fendenti energetici. –“Ascia da battaglia!!!”
–Ma Iris non sembrò impressionata dalla tecnica dell’Hero, che definì rozza e
piuttosto lenta, riuscendo ad evitare gli affondi di Crisore con semplici
spostamenti laterali, prima di contrattaccare. Sollevò il braccio destro al
cielo e poi lo abbassò di colpo, generando un fendente di energia cosmica che
attraversò l’Hero verticalmente, da capo a piedi, spingendolo indietro di
parecchi metri, con l’armatura danneggiata e ferite sanguinanti, di fronte agli
occhi preoccupati dei suoi compagni.
“Quanto spreco di forze!” –Commentò la
Dea, mentre Crisore tentava di rimettersi in piedi, sputando sangue e bava.
–“Tanti colpi dati a casaccio e neppure uno che mi abbia raggiunto! Ne avresti
di strada da fare ragazzo, per raggiungere un miserabile livello tale per cui
tu possa anche soltanto ardire di combattere con me! Peccato che quel giorno
non arriverà mai, perché morirai prima!” –Aggiunse Iris, sollevando nuovamente
il braccio al cielo e caricandolo del suo cosmo violaceo.
“Continui a peccare di superbia,
maledetta! E tutta questa presunzione ti perderà!” –Intervenne il giovane Temistocle
del Pentagono, lanciandosi avanti, mentre tutto attorno a lui comparivano
spuntoni di energia. –“Aculei pungenti!”
Iris si limitò a sorridere prima di
volgere il palmo della mano destra verso Temistocle, lasciando che un’accesa
luce gialla lo illuminasse trasformandosi in sottili linee di energia, che
distrussero tutti gli aculei del ragazzo, trafiggendo il suo corpo. Gridando di
dolore, Temistocle si accasciò a terra, mentre un raggio gli trapassava un
polmone, mozzandogli il respiro, prima che Polifemo fosse su di lui per
trascinarlo indietro.
“Quale potenza!” –Disse Leonida e anche
Odysseus non poté che dargli ragione.
“Allora, chi sarà il prossimo? Venite
pure tutti insieme! Non vi temo! Un Dio non ha niente da temere dagli umani!”
–Esclamò Iris.
“Se così fosse, per quale motivo Borea e i Venti sono stati
sconfitti? Sono stati gli uomini a far provare loro la paura di perdere una
battaglia e di cadere in Ade!” –Commentò Neottolemo, avanzando a passo lento di
fronte ai compagni, unico tra i sette a non essere rimasto eccessivamente
impressionato dai poteri di Iris. –“Se gli uomini fossero esseri così inferiori
come tu li dipingi, con cinico disprezzo, come hanno potuto sconfiggere tali
Divinità?!”
“Borea e i suoi fratelli erano Divinità
inferiori, figli di colei che rifiutò l’Olimpo e il suo sposo Astreo per
scegliere l’amore di un mortale! Il loro cosmo e il loro nome sono infetti
dall’abbandono da parte di Eos della sua natura divina e questo li ha portati
alla sconfitta!” –Commentò Iris, raccontando ai sette compagni la storia della
Dea dell’Aurora e del principe troiano Titone, da lei così tanto amato al punto
da abbandonare l’Olimpo. –“Come possono i figli di una Divinità che ha
rinunciato alla sua divina essenza essere degni di sollevare la palma della
vittoria?!”
“Disprezzi gli uomini, disprezzi gli
Dei che giudichi inferiori, disprezzi Ercole ed Eos perché hanno trovato amore
e felicità negli uomini! C’è qualcuno al mondo che meriti le tue lodi, Iris? O
sei soltanto una zitella inacidita incapace di comprendere tutto ciò che non
conosce soltanto perché non l’ha mai provato?!” –Domandò Neottolemo, con tono
sarcastico, facendo infuriare la Messaggera degli Dei.
“L’unica che merita le mie lodi è la
mia Signora, Regina dell’Olimpo! A lei sola devo rispondere delle mie azioni!
Non certamente a te, soldato presuntuoso!” –Lo zittì lei, messa a disagio dalla
calma imperturbabile dell’Hero, prima di chiedergli chi fosse.
“È Neottolemo del Vascello il mio nome
celeste, timoniere della Nave di Argo! Ho avuto modo anch’io di arrabbiarmi con
la vita, di imprecare contro il destino e contro gli uomini, poiché anni
addietro, quando ero giovane e convinto di avere il mondo in mano, persi la
donna che amavo, la donna con cui ero cresciuto e con cui avrei voluto stare
per l’eternità! Ironia della sorte, fu l’amico migliore che avevo, compagno di
addestramento e di emozioni fin dalla più tenera età, a portarmela via! Fui
triste, questo è vero, ma non mi arresi! Non gettai via la vita e le mie
speranze nel futuro, rifugiandomi nel cinismo e nella frustrazione, che mi
avrebbero reso un disprezzatore di cose belle! Anche se forse sarebbe stato mio
diritto! No, continuai ad andare avanti, accantonando la delusione e poi
superandola, grazie ad Ercole, grazie ai miei compagni, grazie alla vita di
gruppo che abbiamo sempre vissuto assieme a Tirinto, che ci ha permesso di
condividere gioie e dolori, usando le prime per vincere i secondi!” –Rispose
l’uomo, prima di sollevare il braccio, attorno al quale turbini di nubi e di
cosmo iniziarono a radunarsi, di fronte allo sguardo inquieto della Dea, che
decise di anticipare l’avversario e scagliargli contro le devastanti onde
dell’iride. –“Ali del Mito!” –Tuonò Neottolemo, liberando il possente
turbinio del suo cosmo, che si schiantò contro le onde di Iris, generando una
violenta esplosione che spinse entrambi indietro.
Polifemo e gli altri furono subito su
Neottolemo, che aveva perso l’elmo per l’onda d’urto, per aiutarlo a rialzarsi,
e subito notarono che Iris era già in piedi, balzata con uno scatto veloce
sulla cima di una sporgenza rocciosa sopra di loro, a pochi metri dall’ingresso
dell’Heraion di Era, dentro al quale cosmi accesi stavano già fronteggiandosi.
Prima che potessero muoversi, la Messaggera degli Dei mostrò loro il palmo
della mano destra, che si illuminò di un’accesa luce gialla, simile al bagliore
del sole, prima che la Dea dirigesse contro di loro il suo attacco.
“Giallo di sole!” –Mormorò Iris,
mentre una fitta pioggia di raggi energetici piombava sui sette compagni,
obbligandoli a separarsi e a scattare via, in direzioni diverse, per evitare di
essere trafitti da quei dardi sottili ma penetranti, capaci di sfondare le
difese avversarie e ferire gli organi interni. Nel tentativo di reagire,
Temistocle del Pentagono si lanciò nuovamente avanti, dirigendo i suoi Aculei
pungenti contro i raggi di Iris, riuscendo a neutralizzarne parecchi, ma
non tutti, che scendevano ad una velocità superiore rispetto a quella con cui
poteva muoversi. In suo aiuto venne allora Leonida della Spada, che puntò
l’indice destro verso Iris, sprigionando decisi raggi energetici, che si
scontrarono con quelli prodotti dalla Dea, annullandosi a vicenda, di fronte
agli occhi stupefatti di Iris.
“Come puoi?” –Ringhiò furiosa,
osservando la nobile calma dell’Hero della Spada.
“Ti ho osservato quando hai scagliato il tuo colpo la prima
volta, Messaggera degli Dei! E ho notato l’andamento dei tuoi raggi! Essi
partono da un nucleo centrale, il palmo della tua mano, e si diffondono
attorno, espandendosi progressivamente ma sempre concentrando la maggioranza
dei raggi al centro! Solo pochi, in effetti, colpiscono le aree laterali! Ed
io, che ho occhio acuto, grazie all’allenamento di spada che ho ricevuto, sono
riuscito a neutralizzare il mucchio centrale dei tuo colpi, vanificando gli
altri di conseguenza!” –Spiegò Leonida della Spada, senza ammettere di essere
stato raggiunto da una decina di raggi energetici, che lo avevano perforato e
ferito. –“Il tuo colpo segreto è ormai vano!”
“Umpf! Credi davvero di aver visto
tutto?” –Ironizzò Iris. –“Hai già dimenticato le mie parole? Sette colori per
sette guerrieri! Avete neutralizzato soltanto il primo, il giallo, che dal sole
prende il suo potere, ma ne rimangono ancora sei, e le vostre difese vacillano
ad ogni gesto che compio! Riuscirete a sopportarli tutti? Riuscirete a
resistere alla foga dell’arcobaleno o sarete spazzati via?! Ih ih ih!” –Rise la
Dea, prima di concentrare il suo cosmo, dal color violetto, sul braccio destro
e generare un violento fendente di energia, che spaccò il suolo di fronte a
lei, abbattendosi sugli Heroes e spingendoli di lato, prima di attraversare il
braccio destro di Leonida, distruggendo la protezione della sua Armatura.
–“L’antilope è morta! Il prossimo sarai tu!” –Ironizzò, riferendosi
all’immagine scolpita sul bracciale dell’armatura della Spada. –“Viola di
lama!” –Esclamò, ripetendo l’attacco. Un nuovo fendente di energia sfrecciò
verso i sette Heroes, che dovettero lanciarsi verso ogni lato per non essere
travolti, ma ebbero un’amara sorpresa quando costatarono di essere comunque
stati feriti tutti quanti. Il fendente infatti si era separato all’ultimo in
sette fendenti minori, trapassando ciascuno dei guerrieri di Ercole, che ormai
credeva di aver evitato l’attacco.
“Una buona tecnica non credete? È il
viola, il colore della metamorfosi, del mistero, del mistico! Il colore che non
può essere percepito da occhio umano, poiché è capace di cambiare
improvvisamente e ferire al cuore!!!” –Gridò Iris, lanciandosi avanti, con il
braccio teso e un fendente di energia diretto verso il corpo ferito di
Temistocle del Pentagono. Ma Crisore di Procuste balzò davanti al compagno,
sollevando l’ascia di scatto e poi abbassandola su Iris, per colpirle il
braccio. Ci riuscì, ma l’attacco poco coordinato scheggiò soltanto la corazza
della Dea, che affondò il braccio destro nel cuore di Crisore, prima di
liberarsi di lui con una brusca spinta, di fronte agli occhi sconvolti dei
compagni. –“Ahia! Hai scalfito la mia Veste Divina, danneggiando le splendide
rifiniture che il gobbo Efesto decorò per me!” –Mormorò, tastandosi il braccio.
“Scalfire è poca cosa rispetto alla
punizione che meriteresti per aver ferito un nostro compagno! Tuono di
Eracle!!!” –Gridò Polifemo, concentrando il cosmo sulle braccia e dirigendo
due potenti comete contro Iris, che fu presa in pieno petto e spinta indietro,
ma riuscì ad evocare il suo arcobaleno di energia, che la avvolse e la sollevò
in aria, impedendole di schiantarsi contro la parete di roccia dietro di lei.
Ma non riuscì a rimanervi in sella per molto che dovette fronteggiare il nuovo
assalto di Neottolemo, che scatenò un possente turbinio di nubi e di venti
contro di lei, avvolgendola in un vorticare impetuoso che la scaraventò a
terra, facendole sbattere la testa sul selciato e perdere persino l’elmo
protettivo.
“Maledetti! Siete dei temerari o siete
dei folli!” –Ringhiò la Dea, sollevandosi di nuovo in piedi. Solo allora si
accorse che l’intero spiazzo al di fuori dell’Heraion, ove avevano combattuto
fino a quel momento, era piombato in una valle di nebbia, che andava aumentando
sempre di più, fino a divenire un muro così fitto da rendere difficoltoso
vedere anche a pochi metri di distanza. –“Quale ridicolo trucco è mai questo?
Credete che anche senza vedervi io non riesca a percepire la vostra presenza?!”
–Mormorò la Dea, socchiudendo gli occhi e usando il cosmo per localizzare i
suoi avversari, senza però riuscire a trovarli. –“Com’è possibile? Non può una
nebbia essere così fitta da neutralizzare i sensi di un Dio!!!”
“Le tue certezze di vittoria presso
svaniranno, Iris!” –Esclamò una voce, che alla Dea parve quella di Neottolemo
del Vascello. –“Così forse imparerai che nella vita non esistono certezze
assolute, ma tutto è mutevole, come l’ondeggiare del mare!” –Aggiunse un’altra
voce, o forse la stessa, che Iris non era in grado di localizzare, prima che
una raffica di fasci luminosi e di attacchi di vario genere piombasse su di
lei, colpendola su tutto il corpo e sbattendola a terra.
“Ho capito, adesso!” –Si disse,
rialzandosi. –“La nebbia è composta da cosmo e non soltanto mi impedisce di
trovarvi ma anche di capire da quale direzione provengono i vostri attacchi!
Intelligente tecnica, non c’è dubbio! Ma saprò superarla!” –Esclamò, balzando in
alto, in sella al suo lucente arcobaleno, fino a portarsi al di sopra della
cortina di nebbia e sollevare il braccio destro, volgendo il palmo verso il
basso. Subito una luce gialla iniziò a brillare e migliaia di migliaia di fasci
energetici, sottili come raggi di sole, caddero dalla sua mano, abbattendosi
come fitta pioggia sulla cortina di nebbia che circondava la piccola radura
dove Iris era stata accerchiata, l’unica zona scoperta in quella scura foschia.
–“Che ne pensi adesso, Leonida della Spada? Ho migliorato il mio Giallo di
Sole, eliminando il centro e concentrando tutto il mio potere verso
l’esterno, verso il cerchio di nebbia ove siete nascosti, uomini vigliacchi!”
Ma Iris non riuscì a terminare la frase
che, con sua somma sorpresa, venne scaraventata indietro, dall’onda d’urto
generata dal sollevarsi della Nave di Argo, che sbucò fuori improvvisamente
dalla cortina di nebbia, avvolta nell’ardente cosmo del suo Comandante
Neottolemo. Raggiunta l’altezza a cui si trovava Iris, Crisore di Procuste, con
le sue ultime forze, fu il primo a lanciarsi al di fuori, con l’ascia sollevata
e diretta verso il fianco di Iris, ma la Dea, più rapida, lo trafisse con una
fitta pioggia di fasci energetici, trapassando il suo corpo martoriato che
precipitò a terra, con il sorriso sul volto, poiché tutto era andato come
avevano concordato. Distratta da lui infatti, Iris non poté evitare la fitta
pioggia di Aculei pungenti di Temistocle, che la raggiunse al braccio
sinistro, proprio mentre il possente Polifemo del Ciclope si lanciava su di
lei, afferrandola e stringendola a sé con le sue robuste braccia.
“Lasciami, maledizione! Lasciami,
stupido!!!” –Gridò Iris, che stava precipitando a terra assieme a Polifemo,
incapace di liberarsi da quella stretta morsa che le soffocava persino i
polmoni, facendo scricchiolare la Veste Divina.
“Hai avuto un’ottima idea, Tersite!”
–Commentò Neottolemo, rivolgendosi all’Hero della Mongolfiera, in piedi a
fianco al timone. –“Le tue nebbie ci hanno protetto e garantito l’effetto sorpresa!”
“Lieto di essere stato utile,
comandante!” –Rispose a fatica l’Hero, che aveva dovuto utilizzare gran parte
del cosmo per generare una barriera così fitta da poter resistere, anche se
solo per pochi minuti, al cosmo di Iris. In tutta risposta, Neottolemo virò la
Nave di Argo verso il basso, inseguendo i corpi di Polifemo e Iris in caduta
libera, mentre Temistocle, Leonida e Odysseus si sporgevano sul ponte per
osservare.
Iris riuscì ad avvolgere il suo corpo
nel lucente arcobaleno, che frenò in parte la caduta dei due, ma non fu in
grado di liberarsi della presa robusta di Polifemo, abituato a sradicare
tronchi di alberi e a trasportare grossi massi, gli stessi con cui anni
addietro, assieme a Marcantonio, a Nestore e ad Ercole, aveva edificato le mura
di Tirinto, le mura della sua casa. Si schiantarono così malamente, ruzzolando
per diversi metri sul selciato, prima che potessero entrambi rimettersi in
piedi, lui con il coprispalla destro distrutto e con parecchie contusioni sul
corpo, lei piena di lividi ma con la Veste Divina ancora intatta. Subito,
mentre la Nave di Argo planava su di loro, Polifemo caricò il braccio del suo
incandescente cosmo, per scagliare un destro contro la Dea da distanza
ravvicinata, ma questa lo sorprese, avvolgendolo nel suo cosmo color arancione.
“Arancio di nettare!” –Commentò
la Dea, ansimando a fatica, fisicamente indebolita dagli sforzi sostenuti.
Polifemo cercò di resistere a quella strana magia, a quella malia che pareva
incantarlo, che pareva inebriarlo, quasi fossero intriganti odori capaci di
paralizzare i propri sensi. Cercò di non respirare, di tapparsi il naso, di
coprirsi con una mano, ma Iris, sorridendo maliziosamente, lo pregò di non
sforzarsi troppo, poiché il nettare di cui era intriso il suo attacco penetrava
attraverso la pelle, fondendosi con essa e conducendo alla paralisi completa.
“Se poco ancora mi resta da vivere,
voglio almeno usare questi ultimi minuti per strapparti quel maledetto sorriso
da carogna infame e per mostrarti come sei realmente! Una donna sola e
impaurita da tutto ciò che non conosce! Dagli uomini soprattutto, intesi sia
come esseri viventi sia come sesso maschile, da cui ti tieni vigliaccamente
lontana! Muori! Tuono di Eracle!!!” –Gridò Polifemo, scatenando la furia
del suo attacco e investendo la Dea in pieno petto, scaraventandola indietro e
strappandole un grido, proprio mentre Neottolemo e gli altri atterravano vicino
ai due contendenti, balzando immediatamente fuori.
“Procuste!!! –Gridò Leonida, osservando
il corpo distrutto dell’amico schiantatosi poco distante da loro. –“La corsa
verso il Tempio di Era è fonte di troppe lacrime per noi Heroes! Troppo a lungo
abbiamo vissuto insieme, troppe esperienze ed emozioni abbiamo condiviso da
poter rimanere inermi ad osservare una simile strage perpetuata con arroganza e
senza alcuna motivazione! No, non esistono valide motivazioni per uccidere
degli amici, degli uomini che insieme sono cresciuti e hanno imparato ad
apprezzare le cose semplici della vita! E tu, gretta Divinità, che niente del
mondo apprezzi se non il fanatismo integralista della tua Dea gelosa, sentirai
sulla tua pelle quanto potente sia il sentimento d’affetto che lega questi
Heroes! Che lega la Legione d’Onore!” –Esclamò Leonida, sollevando il braccio
destro e concentrando il cosmo sulla punta dell’indice. –“Lama dell’Onore!!!”
–Gridò, liberando il suo attacco, sotto forma di sottili raggi energetici, come
quelli che la Dea utilizzò per contrastarlo, sfoderando il suo Giallo di
Sole.
“Maledizione! L’abilità di questo guerriero nel dirigere i
suoi raggi è spaventosa! Riesce a colpire ciascuno dei trecentomila fasci
energetici che gli scaglio contro ogni secondo con i suoi tocchi di lama! E
sembra migliorare col passare del tempo!” –Rifletté Iris, riconoscendo la precisione
d’attacco di Leonida e decidendo quindi di cambiare tecnica. Con un abile
balzo, saltò in alto, compiendo una capriola su se stessa e atterrando in cima
ad una sporgenza rocciosa, prima di sollevare entrambe le mani al cielo e
abbassarle poi con forza, invadendo lo spiazzo con il suo cosmo, carico di
luminose striature verdi. –“Verde di campo!” –Esclamò, con un sorriso
malizioso, osservando le facce stupite degli Heroes sotto di lei, che non
notarono nessun apparente cambiamento nel paesaggio né alcun attacco dirigersi
verso di loro.
“Beh? Hai esaurito le tue forze,
Messaggera degli Dei? O i tuoi trucchi più non funzionano?!” –Ironizzò
Temistocle del Pentagono, facendosi avanti.
“Perché non provi a scoprirlo da solo,
ragazzino!” – Ridacchiò la Dea, balzando indietro e iniziando a correre. A tale
vista Temistocle le si gettò dietro, subito seguito da Leonida, Odysseus e
Neottolemo, mentre Tersite rimase a prendersi cura di Polifemo, che respirava a
fatica per le velenose essenze di cui il suo corpo era stato inebriato. Ma
Neottolemo, mentre correvano dietro a Iris, che sfrecciava felice nel vento,
sorretta dal suo leggiadro arcobaleno, fu il primo a rendersi conto che
qualcosa non andava. Che qualche potere misterioso aveva mutato lo spazio
attorno a loro.
“Fermi! Non andate oltre!” –Gridò, frenando l’avanzata dei
tre compagni. –“Non vi accorgete che qualcosa è cambiato? Non siamo più in cima
al colle di Samo!”
“Che stai dicendo, Neottolemo?”
–Domandò Temistocle, indicando la cima della collina. –“Non vedi l’Heraion
ergersi sopra di noi! Pochi metri e saremo arrivati!”
“E tu non ti accorgi che abbiamo corso
per cinque minuti, senza mai muoverci dallo stesso punto, quando avremmo avuto
bisogno soltanto di un balzo per raggiungere l’ingresso del Tempio di Era?!”
–Ribatté Neottolemo, prima che la risata beffarda di Iris richiamasse la loro
attenzione, obbligandoli a voltarsi verso la sporgenza rocciosa ove la Dea
faceva capriole sul suo arcobaleno, completamente disinteressata a loro.
“Adesso mi ha stufato! Aculei
pungenti, trafiggetela!!!” –Gridò Temistocle, lanciandosi avanti e
dirigendo contro di lei il suo attacco energetico. Ma Iris non se ne curò
neppure, continuando a rotolarsi sul suo arcobaleno, mentre gli spuntoni di
energia di Temistocle si conficcavano nel suolo, qualche metro avanti a lei.
–“Com’è possibile che non l’abbiano raggiunta?” –Si chiese il ragazzo,
riprovando. Ma anche quella volta i suoi aculei di energia non arrivarono fino
alla Dea, che sembrava sempre lì, vicino a loro, eppure irraggiungibile.
“Lascia provare me stavolta!”
–Intervenne Leonida della Spada, sollevando l’indice destro e dirigendo verso
la Dea i suoi sottili raggi energetici. Ma Iris non si curò neppure di quella
fitta pioggia, che sembrò abbattersi ai suoi piedi, o forse qualche metro
prima, senza che gli Heroes riuscissero a quantificare la distanza. –“Com’è
possibile? Lo spazio è stato allungato? È stato distorto? Lei… lei sembra così
vicina a noi, ma non riusciamo a raggiungerla!”
“E non ci riuscirete mai, poveri sciocchi!”
–Esclamò infine la Dea, ergendosi sul pinnacolo roccioso, avvolta dal suo
luminoso cosmo che risplendeva di sette accesi colori. –“Resterete per sempre
prigionieri del mio Verde di campo, il cui potere è quello di allungare
lo spazio che circonda i miei avversari, rendendolo simile ad un immenso campo,
ove la meta finale sembra illusoriamente vicina, quando invece è infinitamente
lontana! Ah ah ah!” –Rise la Dea, montando in sella al suo arcobaleno e
portandosi sopra gli Heroes, prima di sollevare il palmo al cielo e dirigere
violenti raggi energetici verso di loro. –“Giallo di sole!” –Una fitta
pioggia di fasci di luce iniziò a cadere da ogni direzione, non soltanto dal
luogo in cui la Dea sembrava ergersi, ma anche da tutte le altre direzioni, trapassando
i guerrieri, che non riuscivano a contrastare tutti quegli assalti continui.
Neppure Leonida della Spada, la cui precisione nel colpire era nota tra tutti
gli Heroes, poté sopportare una simile pressione, cadendo trafitto assieme ai
suoi compagni.
“Ali del Mito!” –Gridò
Neottolemo, caricando il suo turbinante attacco di nuvole e vento, ma anch’esso
servì soltanto per spazzar via un gruppo di fasci energetici, permettendo agli
Heroes di respirare per una manciata di secondi, prima che la pioggia continua
riprendesse con maggiore intensità.
Temistocle del Pentagono, la cui armatura era la meno
coprente tra i quattro Heroes, venne trafitto in varie parti del corpo,
schizzando sangue attorno a lui, ma decise comunque di tentare l’ultimo
assalto, facendo esplodere il suo cosmo e dirigendolo interamente contro la Dea
sotto forma di migliaia di spuntoni energetici. Iris sorrise maliziosamente,
senza che nessuno di essi riuscisse a raggiungerlo, mentre un violento raggio
di sole giallo trapassò Temistocle al cuore, gettandolo a terra. Leonida si
chinò su di lui, solo per sentirsi stringere la mano un’ultima volta e vederlo
spegnersi tra le sue braccia. Questa sarà la fine di tutti noi! Mormorò
l’Hero della Spada, mentre i raggi di energia lo trafiggevano alle spalle e al
braccio destro. Improvvisamente una luce calda e abbagliante invase l’intero
spiazzo ove gli Hero e la Dea si trovavano, una luce che, come la pioggia di
Iris, pareva provenire da ogni direzione o da nessuna direzione particolare. I
raggi energetici della Dea dell’Arcobaleno vennero spazzati via, mentre un
mantello protettivo sembrò ricoprire i quattro Eroi di Ercole, proteggendoli
dai violenti attacchi del mondo esterno e recando loro una confortevole
sensazione di sollievo.
“Questo cosmo!” –Mormorò Leonida,
socchiudendo gli occhi e lasciandosi inebriare da quell’atmosfera di pace, di
quiete serena che pareva provenire da profonde meditazioni. –“Io lo conosco!”
–Quindi riaprì gli occhi all’improvviso, mentre una luce squarciava lo spazio attorno
a loro e Tiresia dell’Altare e Pasifae del Cancro apparvero sul
campo di battaglia.
Capitolo 34 *** Capitolo trentatreesimo: Colori di speranza. ***
CAPITOLO TRENTATREESIMO: COLORI DI SPERANZA.
Tiresia dell’Altare, della Sesta
Legione, e Pasifae del Cancro, Sacerdotessa della Terza Legione, erano
appena comparsi all’interno del verde campo illusorio creato da Iris,
Messaggera degli Dei, salvando i tre compagni della Seconda Legione. Grazie
ai loro poteri mistici infatti, non fu difficile per entrambi comprendere la
natura del luogo ove Neottolemo e gli altri erano precipitati, uno spaziotempo
distorto, così simile al mondo esterno, ma al tempo stesso così diverso e
lontano: un paesaggio identico all’ultimo che si era presentato di fronte agli
occhi degli Heroes ma che non sarebbe mai cambiato, neppure se fossero
sfrecciati via, correndo per miglia e miglia, ritrovandosi sempre nello stesso
punto.
“Chi siete voi che avete osato
penetrare nel mio campo?” –Tuonò Iris.
“Tiresia dell’Altare Sacro!” –Si
presentò l’uomo dai lunghi capelli blu, tenendo gli occhi chiusi. –“Pasifae del
Cancro Celeste!” –Aggiunse la ragazza dal volto coperto da una maschera di oro
bianco. Erano rimasti indietro rispetto ai loro compagni, poiché Pasifae era
stata travolta dalla bomba di energia scagliata da Era e scaraventata contro
gli scogli della spiaggia, battendo la testa e perdendo i sensi. Tiresia era
rimasto al suo fianco, accudendo la Sacerdotessa con il suo cosmo finché non si
era sentita nuovamente in forze per procedere. Avevano alleviato anche i dolori
di Antioco del Quetzal, trovandolo lungo la loro strada. Ma per Adone e
Deianira non vi era stato niente da fare.
“Altare e Cancro?!” –Sbuffò Iris,
denigrando gli Heroes. –“Ercole non ha saputo scegliere simboli migliori per i
suoi guerrieri, ricopiando in così palese maniera le costellazioni dei
Cavalieri della sua cara Atena?!”
“Sei in errore, Messaggera degli Dei!” –Rispose
Pasifae con voce calma. –“Tutti i simboli degli Heroes sono da Ercole stati ben
studiati, poiché si riferiscono a personaggi o creature a cui egli stesso è
legato! E tu, che ad Era sei molto legata, dovresti ben conoscere l’origine del
simbolo che mi è proprio: il cancro! Il suo nome deriva dal greco “gambero” e
rappresenta il mostro che nel Mondo Antico la tua Regina inviò contro Ercole,
per attaccarlo alle spalle, mentre questi era impegnato a lottare contro l’Idra
nella palude di Lerna! Per questo suo modesto contributo, Era lo elevò a
costellazione ed Ercole, nello scegliere i simboli dei suoi Heroes, lo inserì
nell’elenco, poiché anch’esso faceva parte delle imprese che avevano segnato la
sua vita!”
“Che storia commovente!” –La derise
Iris, non trovando niente di interessante nelle parole di Pasifae. –“Un modo
come un altro per avere sempre sotto mano i trofei e i simboli delle sue
vittorie?! Lo trovo un gesto pieno di egocentrismo e tronfia superbia, simbolo
di un eccesso di lode e di autocompiacimento!”
“Forse non hai prestato ascolto alle
mie parole, Messaggera degli Dei, o forse non sono stata in grado di esprimermi
nel modo migliore! In tal caso ti chiedo perdono!” –Commentò Pasifae, con la
sua naturale calma. –“Ma Ercole non ha scelto i simboli degli Eroi perché
esaltino le sue vittorie, ma perché fanno parte delle sue imprese, delle sue
esperienze, della lunga vita che ha vissuto fino ad oggi! Ogni esperienza si
lega all’altra e ognuna insegna qualcosa alla successiva, unendosi in un’immensa
tela che diventa sempre più solida con il passare del tempo! Ercole è un uomo
che sa imparare, sia da se stesso che dagli altri, e sa fare tesoro delle
esperienze accumulate! Per questo ha scelto questi simboli, poiché
rappresentano lui stesso e la sua intera vita, dispiegata attorno a sé a
formare sei legioni di Eroi, sei legioni di fratelli!”
“Ercole ha dimenticato di insegnarvi
una cosa, che neppure lui ha mai ben compreso! Che non esiste vittoria quando
si affronta un Dio, un essere il cui potere è infinitamente superiore a quello
di un mortale!” –Tuonò Iris, sollevando il braccio destro al cielo e
caricandolo del suo cosmo. –“Viola di lama!” –Aggiunse, liberando un
violento fendente energetico, che sfrecciò verso i due Heroes.
“Attenti!!! Si dividerà!” –Gridò
Neottolemo, avvertendo i compagni. Ed infatti il fendente, a pochi metri da
Pasifae e Tiresia, si divise in due fendenti minori, che sfrecciarono verso
ciascuno degli Heroes. Senza però riuscire a raggiungerli. Tiresia infatti
evocò una barriera difensiva di forma sferica, su cui l’attacco si infranse,
mentre Pasifae sollevò le braccia, generando un mantello protettivo di energia
cosmica, lo stesso che aveva calato su Neottolemo e gli altri poco prima.
“Quale affronto!” –Esclamò Iris,
indignata, prima di espandere il proprio cosmo. Ma la voce decisa di Tiresia la
colpì improvvisamente.
“Non hai ancora capito, Messaggera
degli Dei?” –Domandò l’uomo con gli occhi chiusi. –“Non puoi trattenerci in
questo spazio distorto, nel quale siamo giunti di nostra spontanea volontà! Hai
perso le chiavi della vittoria e adesso libereremo i nostri compagni! Ohm!!!”
–Aggiunse, concentrando il cosmo tra le mani e poi rilasciandolo, in modo da
generare un’accecante esplosione di luce, che abbagliò tutti i presenti. Quando
la luce calò d’intensità, Iris e gli altri si accorsero di essere tornati al di
fuori dell’Heraion, ove avevano combattuto fino a poco tempo fa, fuori da
quello spazio distorto in cui Iris li aveva confinati. –“Occupati di Polifemo!
Le sue condizioni sono preoccupanti!” –Commentò l’Hero, rivolgendosi a Pasifae
e muovendo un passo avanti, in segno di sfida verso Iris.
“Non esagerare, Tiresia! Le tue
condizioni, dopo lo scontro con Zefiro, sono sempre preoccupanti! Non chiedere
troppo a te stesso!” –Rispose lei, con voce vellutata, prima di correre da
Tersite, chino sul corpo di Polifemo.
Chiedo a me stesso ciò che ognuno di
noi dovrebbe domandare per la riuscita di questa impresa! Commentò Tiresia, perfezionista come sempre. E se
la morte dovrà cogliermi in questa battaglia, come ha raggiunto il mio maestro
Asmita, durante la Guerra Sacra, io non scapperò ma la affronterò a testa alta,
come ogni guerriero devoto alla sua Divinità dovrebbe fare!
“Se il giallo, il viola e il verde hanno
fallito, su di te scatenerò il più ruggente dei miei attacchi! Il Rosso di
fuoco!!!” –Esclamò Iris, espandendo al massimo il proprio cosmo, avvolgendo
se stessa in ruggenti fiamme che diresse subito contro Tiresia e gli Heroes
intorno a lui.
“Kaan!!!” –Gridò Tiresia,
ricreando la sua cupola di energia, che avvolse anche Leonida, Odysseus e
Neottolemo, proteggendoli dalla furia devastante della Messaggera degli Dei,
che parve riversare tutto il suo cosmo in quei potenti globi di fiamma che
dirigeva contro di loro. Immensi, si schiantavano contro la cupola dorata che
attorniava Tiresia, senza che egli muovesse un muscolo, intento nella sua
meditazione silenziosa, con la quale riusciva a mantenere la barriera
protettiva.
Neottolemo e gli altri si guardarono
sconvolti, mentre l’inferno pareva essere emerso dagli abissi della terra,
riversando tutte le sue fiamme intorno a loro, intorno alla cupola che li
separava da quel fuoco devastante. Anche il corpo di Temistocle del Pentagono
venne travolto, arso sul colpo dal rosso incendiario di Iris, che raggiunse
anche Pasifae, Polifemo e Tersite, ad una decina di metri di distanza,
obbligando la Sacerdotessa del Cancro a ricreare il mantello di energia per
proteggerli. Non resisteranno a lungo! Mormorò Neottolemo, stringendo i
denti e desideroso di intervenire, per togliere ai loro compagni il peso di
quello scontro che a dura prova metteva la loro resistenza fisica. Glielo
devo! A Tiresia! Aggiunse, ricordando che era stato proprio l’intervento
dell’Hero dell’Altare, che aveva attirato su di sé l’attenzione di Eolo e di
Zefiro, a permettere alla Nave di Argo di atterrare all’interno di Tirinto, il
giorno precedente. Stufo di aspettare, Neottolemo fece per muoversi, ma Tiresia
lo afferrò per un braccio, parlando al suo cosmo e chiedendogli di avere
fiducia in lui. Quindi giunse le mani, in segno di preghiera, e liberò il cosmo
accumulato fino a quel momento, che travolse le fiamme all’esterno,
inghiottendole nella sua luce accecante.
“Abbandono dell’Oriente!!!” –Tuonò Tiresia, mentre
l’abbraccio del suo colpo segreto estingueva la maggior parte delle fiamme che
avevano distrutto il terreno attorno a loro, spingendo persino Iris indietro di
qualche metro, a causa dell’onda d’urto. Quindi, indebolito anche per lo
scontro del giorno prima, nel quale aveva dovuto dare fondo a tutte le sue
risorse, Tiresia dovette appoggiare un ginocchio a terra, storcendo le labbra
per la sua debolezza. Ma a Neottolemo quel gesto segnò la fine delle sue
esitazioni. Nel vedere Iris che concentrava nuovamente il rosso del fuoco tra
le mani, pronta per liberare un secondo incendio, l’Hero del Vascello trasalì,
espandendo il suo cosmo oltre ogni limite, fino a generare una violenta bufera
di nuvole, acqua e vento, che diresse istantaneamente contro Iris.
“Ali del Mito!!!” –Gridò
l’eroico timoniere, mentre il devastante assalto obbligava Iris ad una risposta
frettolosa, con bombe di fuoco che vennero spente dalla fresca energia evocata
da Neottolemo, simile alle bufere che scuotono le navi in mare aperto durante i
giorni di burrasca. –“Forze della natura, che trovate origine nell’unione del
mare e del cielo, che trovate potenza nel soffio delle tempeste e nei marosi
che imperversano negli oceani al di là delle colonne d’Ercole, abbattetevi
impetuose contro la cinica Dea e dimostratele che al mondo esistono poteri ben
più grandi dei frustranti limiti che la sua Regina vorrebbe imporre!
Dimostratele cos’è la libertà e quale distruttiva forza è insita in essa!!!”
L’impetuoso assalto di acqua, nubi ed
energia si abbatté su Iris, inghiottendo le fiamme da lei generate, che vennero
spente, soffiate via, estinte sul nascere da quel potere così fresco, così
virtuoso, carico della resistenza vittoriosa che i marinai e gli eroi del mondo
antico avevano dimostrato sulle loro navi, opponendosi alle tempeste e ai
marosi. I loro spiriti, come quelli di Ulisse e di Enea, che mari avversi
avevano solcato, risuonavano in mezzo a quel devastante sfogo delle forze della
natura, al punto che Iris pensò di avere di fronte il mito stesso, deciso ad
abbattersi su di lei con inusitata violenza. E capì che il rosso era stato
sconfitto, travolto da una tempesta a cui non poteva opporsi. No! Commentò
la Dea, espandendo ulteriormente il proprio cosmo e caricandolo di accesi
riflessi blu. A queste acque non posso oppormi, ma posso cercare di farle
mie! Pensò, lasciandosi trascinare via dalla bufera, fino ad essere
sollevata da terra e a portarsi in alto, nel cielo sopra gli Heroes, dove
liberò il cosmo divino che aveva accumulato.
“Cosa succede?!” –Domandò Neottolemo,
percependo movimenti ambigui nelle correnti. –“Non riesco più ad esercitare
alcun controllo sulle forze da me scatenate!” –Esclamò, di fronte agli occhi
attoniti dei compagni, mentre Iris torreggiava nuovamente sopra di loro,
avvolta da un’accecante luce color blu.
“Il sesto colore! Il Blu di mare!”
–Sibilò la Dea, il cui cosmo pareva fondersi con quello delle acque evocate in
precedenza da Neottolemo, privandole del controllo dell’Hero e facendole sue.
–“Travolgete i mortali uomini che hanno osato sfidare la vostra ira,
pretendendo di dominare i mari e le forze che in essi imperversano!” –E scatenò
la furia del mare, che travolse la bufera generata da Neottolemo, abbattendosi
sugli Heroes e spingendoli via. –“Ah ah ah!” –Rise sonoramente la Dea,
osservando dall’alto la distruzione da lei operata. I flussi di acqua
investirono in pieno i quattro Heroes, abbattendosi poi su Polifemo, Pasifae e
Tersite e spingendoli indietro, facendoli cadere verso il basso, rotolare come
fossero burattini nelle sue mani. Quindi, convinta della sua vittoria e fiera
della superiorità che aveva dimostrato, Iris spalancò le ali della sua Veste
Divina e planò verso il basso, discendendo proprio accanto a Neottolemo del
Vascello che tentava di rimettersi in piedi. Gli calpestò il polso con un
piede, prima di colpire l’uomo con un calcio in pieno viso e gettarlo indietro,
nel fango che si era generato. –“Hai avuto ciò che meritavi! Adesso sguazza nel
fango della tua vita! Sei ancora convinto che meriti davvero di essere
vissuta?”
“Ne sarò sempre convinto! Anche se
restassi da solo e dovessi vivere e morire in solitudine, crederò sempre nella
vita e nel futuro! Per me e per tutti coloro che poi verranno, per cui abbiamo
il dovere di lottare!” –Esclamò Neottolemo, rialzandosi a fatica.
“Non vi sarà era alcuna su questa terra
senza che essa non sia controllata dagli Dei! Loro soltanto, dall’alto della
loro eternità, hanno il diritto di discernere la vita e la morte degli esseri
viventi, proprio essi che il mondo hanno creato!” –Precisò Iris, prima di
concentrare il cosmo sul palmo della mano, pronta per l’ultimo assalto. Ma in
quel momento le sembrò di sentire un fischio, un suono indistinto che la
avvolse, incapace di distinguere da dove provenisse. D’un tratto, l’acqua
stagnante in cui stava camminando iniziò a muoversi, a vorticare su se stessa,
avvolgendo la Dea in un abbraccio che pareva farsi sempre più stretto, di
fronte agli occhi stupiti di Neottolemo e della stessa Iris. Una melodia iniziò
a risuonare lungo il versante distrutto della collina di Samo, una melodia
leggiadra e profonda, simile al canto delle sirene che ingannavano i marinai,
che incantò l’animo degli Heroes presenti, obbligandoli a sollevare la testa e
a rialzarsi, sia pure a fatica, mentre Pasifae del Cancro camminava lungo il
sentiero dirigendosi verso Iris, avvolta nel suo cosmo, dal profondo colore blu
mare.
“Sinfonia degli abissi!”
–Mormorò la Sacerdotessa dalla voce gentile. –“Essa nasce dalle profondità
dell’oceano, che gli uomini temono poiché non conoscono! Miti raccontano che
esseri mostruosi le popolino e che talvolta tali creature escano dalle grotte e
dagli abissi sotterranei ove dimorano per portare distruzione e spavento sul
mare e lungo le coste, aggredendo i marinai e le navi di passaggio! Questo è il
fascino degli abissi, dei silenziosi abissi ove la nostra Comandante, Alcione
della Piovra, ci ha condotto a nuotare molte volte, per mostrarci la bellezza
di quei luoghi incontaminati, dove la lunga mano dell’uomo ancora non è giunta!
La bellezza di luoghi di cui neppure le Divinità hanno memoria! Dovreste
vedere, Messaggera degli Dei, lo splendore e l’eleganza delle conchiglie che
costellano il fondo marino, simili a stelle che risplendono nel firmamento! E
fermarvi ad ascoltare il mormorare ancestrale del mare, i cui antichi ricordi
nessuno può permettersi di vantare!”
Mentre Pasifae parlava, il suo cosmo
invase l’intero spiazzo attorno a sé, cingendo in un caldo abbraccio
Neottolemo, Odysseus, Polifemo, Tersite e Tiresia, lenendo le loro ferite, come
aveva fatto nello Jamir con Gerione e i suoi compagni della Terza Legione. Le
acque stagnanti parvero liberarsi della terra che le aveva sporcate e
sollevarsi nuovamente verso il cielo, fino a creare immense barriere di un blu
sconfinato che si chiusero attorno a Iris, stringendosi sempre di più. La Dea
gridò, impaurita, ma si sorprese nell’ammettere che, per quanto si trovasse in
un’immensa vasca di acqua, riusciva ancora a respirare, a non annegare, e che
l’acqua era quasi eterea ed intangibile. Ad un cenno di Pasifae, la melodia
aumentò d’intensità e le acque penetrarono nel corpo di Iris, superando la sua
Veste Divina e crepitando al suo interno, quasi fossero scintille. Iris cacciò
un grido, sentendo il suo sangue esplodere, ma le parve di non udire nemmeno la
sua voce, poiché l’unica cosa che riusciva a udire, l’unico suono che
rimbombava nella sua mente era il canto del mare.
“Sinfonia degli Abissi!” –Ripeté
Pasifae, intensificando il suo potente assalto e penetrando ulteriormente il
corpo di Iris, che si contorceva dal dolore. Quindi generò un’onda azzurra di
energia e scaraventò la Dea contro una parete rocciosa, danneggiando la sua
Veste Divina e facendola crollare a terra esanime, tra lo stupore e
l’ammirazione degli altri Heroes. –“Come state compagni?” –Domandò Pasifae,
rivolgendosi a Neottolemo e agli altri, ma la voce stridula di Iris la
costrinse a voltarsi nuovamente verso di lei.
“Preoccupati per la tua salute, poiché
presto saranno gli altri a disperarsi per te!” –Disse la Dea, rimettendosi in
piedi e bruciando il suo cosmo, fino a generare un’accesa fiamma che la avvolse
interamente. –“Ma non temere, non avranno molto tempo per piangere, perché ti
seguiranno in Ade!”
“Come puoi ergerti ancora dopo aver
subito la Sinfonia degli Abissi? È un attacco mortale, per il quale non
vi sono difese!” –Esclamò Pasifae, sinceramente sorpresa.
“Hai dimenticato, Sacerdotessa del
Cancro, che tra i colori dell’arcobaleno vi è il rosso del fuoco? Esso ha fatto
strage della tua leggiadra melodia, ardendo dentro di me e facendo evaporare
l’energia acquatica che vi avevi immesso!” –Spiegò la Dea, prima di liberare
tutto il suo potere. –“Ma mi hai ferito! E pagherai per questo! Turchese di
sogno o di incubo!” –Tuonò, scatenando un potentissimo attacco contro
Pasifae, che non riuscì a ricreare il suo mantello protettivo in tempo, venendo
investita da un cumulo di fiamme, acqua ed energia allo stato puro e
scaraventata indietro, mentre parti dell’armatura del Cancro andavano in frantumi.
“L’elmo, la maschera, i coprispalla!”
–Rantolò Pasifae, cercando di rimettersi in piedi, mentre Neottolemo e gli
altri correvano da lei. –“Come hai potuto generare un potere così potente da
frantumare le corazze che contengono il frammento di Glory?”
“La Glory?!” –Mormorò Iris, non
comprendendo.
“Sì! Un frammento della Veste Divina di
Ercole, l’armatura totalmente nera che Ercole indossava ai tempi del mito! Egli
ne fece dono a Druso il fabbro al momento della forgiatura delle Armature degli
Eroi e tale frammento, oltre che rendere scuri i colori di tutte le nostre
corazze, conferisce loro una maggiore protezione! Ma se tu, con un solo
attacco, sei riuscita ad infrangerla significa che il tuo cosmo ha raggiunto
limiti inverosimili!” –Commentò Pasifae, rialzandosi infine.
“Il colpo che ti ha raggiunto infatti è il settimo colore
dell’arcobaleno, il turchese, l’unico che racchiude in sé tutti gli altri
poteri! Il più terribile, il più inquietante dei miei attacchi, poiché
comprende tutti i colori e tutti gli assalti che finora vi ho rivolto contro!
Ah ah ah!” –Rise Iris, mentre una vivida fiamma color turchese la circondava
interamente. –“Non avrei creduto di giungere ad utilizzarlo, ma grazie ad esso
otterrò la vittoria che, in quanto Divinità, mi spetta su voi mortali!”
“Maledetta! Non osare levare ancora la
mano su Pasifae!” –Gridò Odysseus dell’Ecatonchiro, lanciandosi avanti. Ma non
riuscì a fare neppure quattro passi che venne investito dal devastante assalto
della Messaggera degli Dei, la cui potenza fu talmente elevata da polverizzare
corpo e corazza dell’Hero in un sol colpo.
“Qualcun altro?!” –Ironizzò Iris,
osservando i volti sconcertati dei guerrieri rimasti, riunitisi tra loro per
contrastare i furibondi attacchi della Dea. –“No? Orbene, discenderete insieme
i gradini verso l’Ade! Turchese di sogno o di incubo! Diventa per i
nemici di Era il più spaventevole degli incubi!” –E scatenò il suo assalto che
combinava tutti i colori e i poteri dell’arcobaleno, in un turbine di fuoco,
acqua, nettari inebrianti ed energia, a cui gli Heroes cercarono di resistere
unendo i loro cosmi a quello di Tiresia dell’Altare, che ricreò nuovamente la
sua barriera cosmica, circondando i corpi dei cinque compagni.
Il Kaan resistette soltanto per
una manciata di minuti, sottoposto ad indescrivibile pressione da parte del
Cosmo Divino di Iris, e quando andò in frantumi Tersite della Mongolfiera fu il
primo ad essere scaraventato via, disintegrato letteralmente dalla violenta
esplosione che si abbatté su di lui, quarto a cadere dei sette compagni della
Legione d’Onore, dopo Crisore di Procuste, Temistocle del Pentagone e Odysseus
di Ecatonchirus. In quel momento, gli Heroes superstiti della Seconda Legione
unirono i loro cosmi per un attacco congiunto, che combinò l’impetuoso battere
delle Ali del Mito di Neottolemo, con il possente Tuono di Eracle,
scagliato da Polifemo, e con i raggi energetici di Leonida, permettendo ai tre
di contrastare l’assalto dei sette colori di Iris. Ma anche tale combinazione
di poteri non fu sufficiente per spegnere l’ardente fiamma che animava
l’arcobaleno della Messaggera degli Dei, obbligando Tiresia a portarsi un passo
avanti rispetto ai compagni e ad aprire gli occhi.
Il cosmo che aveva celato dentro sé
fino a quel momento esplose improvvisamente, aggiungendosi all’energia prodotta
dai suoi compagni, divenendo un’immensa onda energetica che travolse Iris,
scaraventandola indietro e danneggiando la sua Veste Divina, mentre Neottolemo,
Leonida e Polifemo proteggevano Pasifae, anch’essa allo stremo, dietro di loro.
Senza aggiungere altro, né volgersi indietro per un ultimo saluto, Tiresia
dell’Altare fissò Iris con i suoi occhi blu, e per un momento gli parve di
ritrovarsi in India, vicino al Tempio del suo maestro Asmita della Vergine,
ove egli era cresciuto e ove Asmita lo aveva addestrato ai rudimenti del cosmo,
affinando l’incantevole arte della meditazione, una tecnica che poteva essere
perseguita soltanto con impegno e dedizione assoluta, da una mente sgombra di
pensieri e libera di volare verso cieli nuovi.
“Non raggiungeremo mai la perfezione se
continueremo a rimanere legati all’arido materialismo di questo mondo!”
–Ripeteva sempre Asmita. –“Se voi possedeste il dono di cui io dispongo, se
anche voi foste privi della vista dalla nascita, sareste in grado di ascoltare
i lamenti di dolore che scuotono gli animi degli uomini e a cui essi devono
tentare di opporsi ogni giorno! Poiché secondo la dottrina buddista l’anima è
destinata a reincarnarsi, questo significa che gli uomini saranno dannati a
soffrire per l’eternità! Talvolta, allora, mi chiedo se non sia meglio morire,
se non sia meglio lasciare che la nostra anima venga cancellata, per ottenere
così quel riposo e quella quiete eterna che in vita ci è negata!”
“Lo credete davvero, maestro Asmita?!”
–Aveva chiesto un giorno Tiresia, durante la loro meditazione.
“In verità… spero un giorno di arrivare
a credere che vi sia anche gioia e felicità nella vita, poiché adesso dubito
fortemente che valga davvero la pena viverla!” –Aveva sorriso Asmita, per la
prima volta sinceramente.
E adesso, maestro, sono qua, per
dimostrarvi che quel giorno che avete a lungo aspettato, quel giorno in cui vi
saranno motivi per vivere la vita, è finalmente giunto anche per me, vostro
umile discepolo! Assistetemi dal paradiso dei Cavalieri! Esclamò Tiresia,
concentrando il cosmo tra le mani. E aspettatemi! Presto ci abbracceremo
nuovamente e siederemo assieme, sotto gli alberi di Sala, cullati dal leggero
soffio del vento!
“Preparati, Messaggera degli Dei!
Tiresia dell’Altare spegnerà i colori del tuo arcobaleno, per non permetterti
di utilizzarlo mai più!” –Esclamò l’Hero, espandendo ulteriormente il proprio
cosmo, mentre Iris, di fronte a lui, veniva quasi spinta indietro dalla
pressione energetica sprigionata dall’uomo.
“Di quali sciocchezze vai cianciando,?
La paura della morte ti ha reso folle? Tanta pomposa vanteria merita la morte!
Risplendi Turchese di sogno o di incubo!!!”
“Estinguerò i colori del tuo iride con
l’abbagliante luce dell’Oriente!” –Esclamò Tiresia, lasciando esplodere tutto
il cosmo che aveva accumulato. –“Ultima luce dell’Oriente!!!” –Gridò,
mentre i due poteri collidevano, spingendo indietro gli Heroes rimasti alle
spalle di Tiresia. Quando l’abbagliante luce calò d’intensità, Neottolemo e gli
altri riuscirono a vedere Iris scaraventata contro una parete di roccia, con la
Veste Divina danneggiata in più punti e per la prima volta opaca, priva di
quella brillantezza multicolore che l’aveva sempre caratterizzata, e Tiresia,
sospeso in aria, in posizione meditativa, quasi come nulla fosse realmente
accaduto. In fretta, Neottolemo, Polifemo, Leonida e Pasifae raggiunsero il
compagno, che abbassò lo sguardo su di loro, sorridendo con sincero affetto,
prima che la sua immagine iniziasse a dissolversi, spargendosi nel vento come
polvere.
“Tiresiaaa!!!” –Gridò Pasifae,
gettandosi a terra in lacrime e cercando di afferrare quegli sprazzi di luce
che il vento dell’Egeo pareva dispettosamente spazzar via.
“Soltanto la sua anima era rimasta, per
rivolgerci l’ultimo sorriso! Un gesto di cui è sempre stato avaro in vita e di
cui adesso ha sentito il bisogno!” –Commentò Neottolemo, a testa bassa,
reprimendo il dolore. –“Possa la tua anima ricongiungersi con il maestro che
tanto hai amato e con cui hai condiviso dubbi e dolori, e possa la tua prossima
vita dispensarti maggior felicità di quella di cui ti è stato fatto dono in
questo squarcio di secolo!” –I pensieri dei quattro Heroes sopravvissuti furono
interrotti dal rumore dei passi di Iris, rimessasi in piedi dopo essersi
schiantata contro una parete rocciosa. La Dea, con i capelli bruciati e
numerose ferite sul volto e sul corpo, osservò l’opacità della sua Veste
Divina, incredula e al tempo stesso tremendamente incollerita per l’affronto che
aveva subito. Tiresia dell’Altare aveva spento i colori del suo arcobaleno. E
per lei, questo aveva lo stesso significato di ritrovarsi nuda. Con rabbia,
bruciò il proprio cosmo, dirigendo un furioso sguardo verso gli Heroes,
immobilizzandoli con la sola forza del pensiero.
“Il vostro compagno è morto ma il
debito che aveva nei miei confronti voi lo estinguerete!” –Esclamò Iris
rabbiosa, prima di generare violente onde di energia. –“Non crediate che priva
dei poteri dei sette colori io sia inerme e sconfitta, tutt’altro! Ho ancora la
forza, e anche un motivo in più, per eliminarvi tutti! Prigionia
dell’Arcobaleno!” –Gridò, mentre le onde di energia scivolavano nell’aria,
avvolgendo i quattro Heroes in una morsa stritolatrice. –“Non sarà elegante, ma
rimane la tecnica migliore per soffocare un rivale e costringerlo alla resa!”
“Aargh!” –Esclamò Leonida della Spada,
mentre la morsa dell’iride si chiudeva sempre più su di lui e sui suoi
compagni, crepando le loro corazze e stritolando i loro muscoli e le loro ossa,
fino a mozzare il respiro. –“Mi sento cedere! Mi manca il fiato! È come se una
montagna intera fosse caduta sul mio stomaco!”
“Resisteteee!!!” –Li incitò Neottolemo,
cercando di reagire, bruciando il proprio cosmo, come Polifemo e Pasifae
stavano cercando di fare. Ma la morsa di Iris si fece sempre più soffocante,
con la Dea decisa ad andare fino in fondo, una volta per tutte.
“C’è battaglia nelle celle di Didone e
di Argo!” –Commentò Iris, sollevando lo sguardo verso l’Heraion, che pareva
avvolto da cosmi inquieti in atto di scontrarsi tra di loro. –“Devo raggiungere
la mia Signora! Non posso più perdere tempo con voi! Morite! Prigionia
dell’Arcobaleno!!!” –Gridò, aumentando il potere della stretta.
Vi fu un lampo di luce e i cosmi degli
Heroes esplosero improvvisamente, spinti al massimo del loro fulgore.
Neottolemo liberò il possente turbinio di venti, nuvole e marosi, che nel mito
avevano perseguitato Ulisse ed Enea, con cui distrusse le onde energetiche che
lo intrappolavano, mentre Polifemo concentrò il cosmo sulle sue robuste
braccia, liberandosi con foga dalla prigionia. Anche Leonida della Spada,
bruciando al massimo il proprio cosmo, traforò la morsa di migliaia di raggi
energetici, annientandola a sua volta, mentre Pasifae intonava nuovamente la Sinfonia
degli Abissi, lasciando che gocce di energia penetrassero all’interno delle
onde dell’iride e le annichilissero.
“Ancora resistete?!” –Ringhiò Iris furibonda, dirigendo
contro di loro le devastanti onde energetiche dell’arcobaleno, prive ormai del
loro acceso bagliore.
“Insieme, Heroes!!!” –Gridò Neottolemo,
mentre attorno a sé turbinavano le immense onde del mito, sospinte dai venti
del mare in tempesta. –“Ali del Mito!!!”
“Tuono di Eracle!!!” –Gli andò dietro Polifemo del
Ciclope, scatenando il suo assalto con entrambe le robuste braccia.
“Lama dell’Onore!” –Esclamò
Leonida, dirigendo dall’indice destro un unico grande fascio di energia.
“Mantello protettivo!” –Aggiunse
Pasifae, ricoprendo i corpi dei tre compagni di un luccicante mantello,
composto da polvere di stelle, per proteggerli dal devastante assalto di Iris,
che non si fece attendere troppo, schiantandosi contro di loro e spingendoli
indietro di parecchi metri. L’attacco congiunto raggiunse Iris in pieno petto,
sfondando la sua Veste Divina e dilaniando la carne al di sotto di essa,
scaraventando indietro la sua carcassa fino a farla ruzzolare sul suolo, in una
macchia di sangue, che tinse gli splendidi colori della sua veste di un unico
rosso, un rosso di sangue.
L’esplosione
dei cosmi di Partenope prima e di Iris poi fu avvertita sull’intera isola di
Samo, sia da Ercole, che in quel momento varcava la soglia della terza cella,
sia dalla stessa Regina dell’Olimpo, che ancora sedeva sull’alto trono del
Tempio. Distratta, Era tirava ogni tanto lo sguardo verso l’arazzo appeso al
muro, ove i simboli degli Heroes di Ercole andavano dissolvendosi uno dopo
l’altro, come era stato suo desiderio fin dall’inizio. Ai suoi piedi, le Moire
continuavano a filare, a svolgere i fili della vita e quindi a reciderli. Più
che sconfiggere Ercole fisicamente, della cui certezza la Regina degli Dei
sapeva di non poter disporre, Era voleva vincerlo sul piano dei sentimenti,
abbattendo la sua sicurezza, ferendolo dove sapeva fosse più debole, facendo
strage di quel branco di uomini che il Dio amava al punto da considerarli come
suoi fratelli.
Colpito al cuore, qualsiasi uomo, anche
il più forte, è costretto a cedere, vinto dal potere più grande che abbia mai
sorretto il mondo. L’amore! Rifletté
Era. Quel potere che, suo malgrado, la stessa Era aveva avuto occasione di
sperimentare, con effetti distruttivi. Quel potere che le aveva permesso di
procreare Partenope.
Non pensava spesso a Partenope come suo
figlio, e quando accadeva si riprometteva di cacciare quei pensieri che tanto
la disturbavano, che tanto la facevano sentire debole e umana. Partenope, per
lei, era semplicemente uno dei suoi servitori, un fedelissimo, quanto lo era
Argo, o forse anche più dell’Oracolo, legato a doppio filo alla Regina
dell’Olimpo. Dei tre Emissari era indubbiamente il più fedele ed era l’unico
che agiva non soltanto per dovere, non soltanto per obbligo gerarchico verso la
Divinità che serviva, ma perché spinto da motivazioni personali, da una
profonda volontà di emergere. Era non aveva mai compreso cosa Partenope avesse
di così importante da dimostrarle, non aveva mai capito quanto radicate fossero
in lui le convinzioni di cui voleva farsi portatore, credendo che l’uomo
cercasse soltanto potere e gloria, sopraffacendo esseri inferiori come gli
uomini, senza scrupoli nell’usarli come burattini, ambendo al trono di Oracolo
della Dea in quanto titolo e riconoscimento onorifico. E neppure in quel
momento, quando avvertì scomparire il cosmo di Partenope, inghiottito da un oceano
di luce, Era riuscì a comprendere. Che il suo unico desiderio, per tutti quei
trent’anni vissuti soffrendo, con il veleno nel cuore, infetto da una colpa che
gli era stata tramandata come sua, era stato quello di ricevere l’affetto della
madre, lo sguardo tenero e pieno di amore che una madre avrebbe dovuto dedicare
ai propri figli.
Era sospirò, brontolando per la nuova
perdita del suo esercito che riduceva i suoi servitori a due soltanto, per
quanto fossero i migliori e indubbiamente i più potenti. Per superare gli
Oracoli, Didone e Argo, e raggiungere il trono di Era, Ercole infatti avrebbe
dovuto assistere alla morte di tutti i suoi Heroes, alla morte di tutti i suoi
fratelli. Un’unica cosa infastidiva la Regina dell’Olimpo: la defezione di Eolo,
che, da ciò che Iris le aveva raccontato il giorno prima, aveva abbandonato il
campo di battaglia, dopo un breve scontro con Neottolemo del Vascello, senza
neppure avere il coraggio di presentarsi di fronte a lei, tradendo l’antico
patto di riconoscenza che lo legava ad Era.
Ho altre cose di cui occuparmi
adesso, Signore dei Venti! Ma stai pur certo che la mia vendetta raggiungerà
presto anche te! Commentò Era, mentre i suoi occhi brillarono di un’accesa
luce rossastra, un fulmine che squarciò il cielo sopra Samo.
In quello stesso momento il Dio dei
Venti sentì un brivido lungo la schiena, e per questo tremò. Inghiottendo a
fatica, il Domatore dei Venti crollò a terra, sul pavimento di marmo bianco,
ansimando per riprendersi dallo spavento. Forse era soltanto la sua
impressione, forse era solo il timore di una possibile rappresaglia, ma per un
momento Eolo si convinse che quel fulmine fosse di cattivo auspicio e che Era
avrebbe condannato la sua defezione, punendolo severamente. Esitò un attimo, di
fronte all’immenso portone d’oro rifinito di gemme e di avorio, prima di udire
dei passi decisi dall’altro lato. E allora si convinse di non avere più tempo
per cambiare idea. Austro, Zefiro, Euro e Borea, suoi figli adottivi, erano
caduti tutti e quattro, in un conflitto che, ricordando le parole di Iris,
quando la mattina precedente li aveva raggiunti a Lipari, avrebbe dovuto
portare loro gloria e onori, assurgendo a difensori supremi dell’Olimpo, e che
invece aveva soltanto aperto loro le porte di Ade.
“I combattenti del Monte Olimpo il cui nome sarà inciso
nelle stelle per aver eliminato colui che agli Dei ha osato ribellarsi!” –Così
Iris li aveva eccitati, accendendo le brame di Dei considerati fino a quel
momento inferiori, semplici figli di una Divinità dimenticata, quale Eos pareva
agli occhi dei Signori Olimpici.
La Dea dell’Aurora infatti, figlia dei
Titani Iperione e Tia, aveva trascorso millenni ad annunciare agli uomini
l’arrivo del carro del Sole del fratello Elio, sorgendo dal mare su un carro trainato
da cavalli bianchi, finché un giorno, per caso, non aveva conosciuto un uomo,
Titone, figlio di Laomedonte e fratello di Priamo, re di Troia, che diventò il
suo amante, soppiantando Astreo, il padre dei Quattro Venti, nel suo cuore. Con
Titone Eos ebbe un figlio, Memnone, che partecipò alla guerra di Troia, e in
lui si perse, dimenticando la sua natura divina e giungendo a domandare a Zeus
l’immortalità dell’uomo, il quale, seppur riluttante, acconsentì. Titone non
ottenne però l’eterna giovinezza ed Eos trascorse i lunghi secoli successivi
accanto a un vecchio sempre più pallido e con sempre meno forze, finché,
comprendendo che tale eterna prigionia non era altro che una sofferenza
disperata, non chiese a Zeus di tramutarlo in cicala, liberandolo da
quell’infinita agonia. Così lo perse, ma il ricordo di lui rimase per sempre
nel suo cuore, ormai il palpitante cuore di una donna, non di una Dea. Stanca e
avvilita, Eos abbandonò l’Olimpo, rifugiandosi in Tracia, in una caverna
solitaria, ove continuò a vivere tra i ricordi dell’amore perduto, recidendo
ogni contatto con il mondo esterno. Prima di partire, Eos affidò i suoi figli
ad Eolo, l’unico fidato amico su cui poteva contare tra gli Dei, pregandolo di
prendersi cura di loro, come lei non era stata in grado di fare, sacrificando
il loro amore per il proprio soddisfacimento personale.
Era, fin da principio, non aveva mai
provato comprensione per Eos, ma una netta condanna, non riuscendo a capire
come una Dea potesse provare attrazione verso un mortale, verso una stirpe così
palesemente inferiore. Per questo aveva sempre criticato Zeus e le sue caccie
amorose, ritenendo che nessuna delle sgualdrine che avrebbero potuto
accoglierlo in grembo sarebbe mai stata in grado di dargli l’eternità che lei
soltanto, Regina dell’Olimpo e Grande Dea Madre, poteva concedergli. Per questo
aveva espresso la propria disapprovazione, quando lo sposo aveva accolto la
richiesta di immortalità di Titone avanzata da Eos, ritenendo scandaloso che un
semplice uomo potesse ambire a respirare l’aria eterna dell’Olimpo, anche se
soltanto per un soffio. Ed aveva condannato con disprezzo i comportamenti di
Eos, avvilitasi e imbarbaritasi al punto da dire addio alle sontuose sale del
Monte Sacro per rinchiudersi in una squallida grotta della Tracia, assieme a
tutti i suoi rimpianti.
“Ho fallito!” –Si disse Eolo,
rimettendosi in piedi. –“Perdonami Dea dell’Aurora! Non sono stato un buon
padre per i tuoi figli, poiché li ho portati in guerra, a morire per qualcosa
che nessuno di noi aveva ben chiaro cosa fosse, se non la disperata volontà di
raggiungere un soffio di infinito, un abbraccio di eternità a cui il nostro
animo aspira continuamente! Non vi saranno canti e odi per Zefiro e per Austro,
né i nomi di Borea e di Euro saranno scolpiti nella leggenda, ma risuoneranno
tra le grida dei dannati che ammassano le fosse del Tartaro! Perdonami per non
aver saputo dare loro una ragione maggiore di vita, per averli coinvolti nel
pagamento di un debito che non sono mai stato in grado di estinguere!”
Eolo sospirò, asciugando le lacrime che
gli cadevano dagli occhi, proprio mentre i portoni della Sala del Trono della
Reggia Olimpica si aprivano e il Messaggero degli Dei appariva di fronte a lui.
Alto e snello, ricoperto dalla sua decorata Veste Divina, Ermes sorrise ad
Eolo, con i suoi luccicanti occhi argentati, prima di farsi di lato e
indicargli la via.
“Prego! Il Sommo Zeus adesso può
riceverti!” –Esclamò Ermes, incamminandosi con Eolo all’interno della Sala del
Trono e richiudendo con forza il robusto portone alle loro spalle. In quel
momento Eolo comprese di non aver più tempo per i dubbi, soltanto per esporre i
fatti al Signore dell’Olimpo, che lo fissava interessato dall’alto del suo
Trono del Fulmine.
Nesso del Pesce Soldato stava
avanzando lungo il versante più esterno della collina di Samo. Dopo essere
scampato per miracolo alla violenza di Partenope del Melograno, grazie
all’intervento della Quarta Legione, il ragazzo era rimasto per una mezz’ora
sdraiato in una rientranza del terreno, approfittando di quel momento per
recuperare le forze e lenire quella stanchezza che lo andava sopraffacendo
minuto dopo minuto, portandogli via la vita oltre che la sicurezza in se
stesso. Sorrise, per un momento, ricordando le spettacolari acrobazie che aveva
compiuto il giorno prima, arrampicandosi lungo i pendii ghiacciati del
Karakoram, volando sul dorso delle aquile, cavalcando gli amici delfini con cui
amava conversare. Adesso, tutti quei momenti emozionanti gli sembravano caduti
in un lontano passato, di cui era rimasto soltanto un ricordo annebbiato. Come
la vista che pareva spegnersi ogni momento un po’ di più.
Facendosi forza, Nesso si rimise in piedi, udendo il
clangore della battaglia combattuta poco lontano e prese un sentiero laterale,
lungo il versante esterno, nascosto tra cespugli e vigneti, fino a portarsi
proprio davanti all’entrata del Tempio di Era. Penelope del Serpente, studiosa
di arte e di architettura classica, aveva spiegato agli Heroes la composizione
dell’Heraion di Era, che immaginava rimasta immutata dall’antica struttura
eretta due millenni addietro. Il Tempio era di tipo dittero, circondato cioè da
una doppia fila di colonne, con un profondo pronao a tetto quadrato e una vasta
cella interna dietro di esso, entrambi divisi in tre spazi uguali, occupati i
primi dagli Oracoli e il terzo da Era stessa.
Nesso scivolò tra la doppia fila di
colonne esterne, prestando la massima attenzione, senza però trovare nessun
soldato di guardia all’edificio. E questo lo insospettì, spingendolo ad essere
ancora più prudente. Raggiunse il portone principale, che permetteva l’accesso
alla prima cella, e lo trovò leggermente aperto, non molto, ma quanto bastava per
permettere a un po’ di luce di filtrare all’interno. E al ragazzo di scivolarvi
coraggiosamente in mezzo, senza doverlo aprire del tutto.
L’interno della prima cella si rivelò
un ampio stanzone, dai soffitti alti e non troppo luminoso, dove l’aria circolava
con difficoltà, a causa delle scarse aperture laterali. Non vi erano mobili né
alcun tipo di arredamento, eccezion fatta per un baule collocato sul fondo
della stanza, vicino ad una cassapanca su cui erano poggiate una brocca d’acqua
e della frutta. Nesso sgranò gli occhi, un po’ sorpreso da tale inusitata
austerità, avendo immaginato un interno lussuoso e ben decorato. Persino la
mia stanza sull’Isola del Mar Tirreno era arredata in miglior modo! Ironizzò,
scivolando tra le ombre delle colonne laterali, nel tentativo di dirigersi
verso il portone d’uscita e accedere così alla seconda cella.
“Vuoi già andartene?!” –Esclamò
improvvisamente una voce di donna, fermando i movimenti di Nesso, che subito si
voltò verso l’interno della cella, cercando con lo sguardo colei che aveva
parlato.
“Chi sei?!” –Domandò, sudando freddo.
“Una donna sola!” –Rispose la voce,
mentre una sagoma dai contorni indistinti prendeva forma di fronte a Nesso, tra
le ombre dell’altro lato del salone. –“Cerco soltanto compagnia! Vuoi già
andartene?!”
Nesso osservò con attenzione la donna
incamminarsi verso di lui a passo lento, priva apparentemente di intenzioni
ostili. Era alta e col viso magro, con lunghi capelli verde sporco che le
scendevano lungo la schiena, e indossava un mantello color marrone, dentro al
quale si stringeva, rendendo difficile distinguere le sue forme. Ma da sotto il
mantello a Nesso parve di riuscire a distinguere un verde luccichio.
“Io…” –Balbettò Nesso, preso alla
sprovvista da quell’anomala apparizione. –“Chi siete?”
“Dovrei essere io a chiedertelo,
giovane Hero, poiché tu sei l’ospite giunto inatteso nella mia casa!” –Commentò
la donna, prima di aggiungere con un sospiro. –“Ma la tua venuta non è affatto
inattesa! Né posso ammettere decisamente che questa sia la mia casa!”
–Aggiunse, notando lo stupore negli occhi di Nesso. –“Non avrai davvero creduto
di poter nascondere la tua presenza fin qua, alla prima cella dell’Heraion di
Samo? Ti ho osservato fin da quando sei giunto sull’isola, andando incontro al
tuo destino a cavallo di un delfino! Ami il mare, anche tu? Lo amavo anch’io!
Un tempo!” –Sospirò nuovamente la donna.
“Il mare è il mio elemento naturale!
Solo in esso mi sento completamente soddisfatto e pieno di me!” –Commentò
Nesso.
“Ottimo! Coltiva questa tua passione,
ragazzo, e non permettere a nessuno di portartela via! Gli uomini col tempo
diventano cinici e avidi di gloria e potere! Sono soltanto i giovani a
possedere un cuore puro, capace di emozionarsi ancora, prima che la monotonia
dell’età adulta e i deliri della vecchiaia spazzino via tutti i loro sogni e le
passioni che hanno dimenticato, seppellendole sotto polverosi rimpianti!”
–Esclamò la donna, con malinconia, prima di scuotersi improvvisamente. –“Ma
adesso basta parlare! Dammi la Lama degli Spiriti e vattene! Torna a giocare
con i tuo amici delfini e lascia questa battaglia! È l’unico modo che hai per
poter coltivare ancora le tue passioni!”
“Non posso! Mi dispiace! Sono un Hero
di Ercole ed è mio dovere combattere!” –Esclamò Nesso, con voce decisa.
“Dovere?! Puah, nessun dovere può
valere quanto una passione!” –Rispose la donna, alzando il tono di voce, e
parlando adesso con disprezzo. –“Dunque sei uguale a tutti gli uomini? Avido di
potere e ostinato nei tuoi propositi, pur folli e privi di speranze che siano?”
“La follia maggiore è non avere la
determinazione per perseguire i propri propositi! È in questo modo che le
passioni si affievoliscono e gli ideali vengono dimenticati!” –Commentò Nesso,
con voce decisa.
“Mi ricordi un uomo che avrei voluto
dimenticare… un uomo che non ho mai dimenticato!” –Sospirò la donna, prima di
esclamare a gran voce. –“Un uomo che ha meritato l’Inferno!!! Lo stesso a cui
egli mi ha destinato!!! Vuoi forse tu, ragazzo, incorrere nella mia ira e conoscere
la vendetta di Didone, la grande Regina di Cartagine?!” –Esclamò con
enfasi, gettando via il mantello logoro che la rivestiva e rivelando le sue
fattezze.
Alta e snella, Didone indossava
un’armatura dai colori bianchi e verdi, che le copriva la parte superiore del
corpo, dal bacino alle spalle, braccia comprese. Le gambe erano protette da una
lunga gonna marrone, che nascondeva probabilmente delle protezioni per i lunghi
arti. Sul capo portava una piccola corona intarsiata di gemme, dai luccicanti riflessi
verdi e argentati, che parevano fondersi con gli occhi della donna.
“Di… Didone?!” –Mormorò Nesso,
ricordando il mito della Regina Fenicia, morta sul rogo in preda alla
disperazione per essere stata abbandonata dall’amato Enea, fondatore di Roma. Nesso
scosse il capo, ritenendo impossibile che potesse trattarsi dell’antica Regina,
vissuta molti secoli addietro e priva di qualsiasi origine divina.
“Leggo lo stupore nei tuoi occhi, Nesso
del Pesce Soldato!” –Esclamò Didone, rivelando il suo cosmo, vasto e potente,
superiore a quello dei sei Comandanti degli Heroes. –“Eppure non ho motivo di
mentirti! Didone sono io, con tutti i miei rimpianti!” –Commentò la donna,
prima di sollevare il braccio destro e tendere la mano avanti.
Nesso si ritrovò sospeso a mezz’aria,
con il corpo paralizzato da un potere schiacciante, che sembrava scuoterlo nel
profondo, facendo vibrare ogni muscolo e ogni ossa. La Lama degli Spiriti si
staccò dalla sua cintura, cadendo con clangore sul pavimento di marmo grigio. E
a tale vista, gli occhi di Didone brillarono, come le gemme della sua corona,
accendendosi di un forte desiderio di possederla. L’Hero del Pesce Soldato
bruciò il cosmo, cercando di reagire alla stretta prigionia di Didone,
superando i suoi stessi limiti, fino a portare la sua energia cosmica al punto
massimo e lasciarla esplodere. L’onda d’urto scaraventò Nesso contro una
colonna del tempio, abbattendola con un gran fracasso, e riuscì persino a
spingere Didone indietro di qualche metro, obbligandola a ripararsi il viso con
il braccio destro.
“Coraggioso!” –Mormorò la donna,
osservando il corpo esausto di Nesso giacere in mezzo a cumuli di pietra e
polvere. –“Ma inutile!” –E si incamminò verso la lama, caduta poco distante
dall’Hero, per afferrarla.
Ma quando fece per chinarsi sull’arma
si accorse di non riuscire a raggiungerla, poiché tutto intorno ad essa
splendeva una lucente aura azzurra, dalle sfumature simili ad onde di mare. Era
il cosmo di Nesso, che stava impedendo a Didone di prendere la Lama degli Spiriti.
Stupita, la Regina Fenicia mirò con somma ammirazione l’ardimentoso sforzo del
giovane, con l’armatura quasi completamente distrutta, che si trascinava sul
freddo pavimento, per tornare a stringere a sé l’arma di cui era, nel bene e
nel male, il portatore.
“Così tanto hai legato la tua vita a
quella spada?!” –Chiese, con tono provocatorio, per nascondere l’ammirazione
che invece provava per il ragazzo. –“Al punto da preferire la morte a una
sconfitta?”
“Questa lama… la affonderò nella gola
di Era!” –Mormorò Nesso, tossendo e tentando di rimettersi in piedi. –“E nessun
fantasma di nessuna regina potrà fermare questo mio proposito!”
“Umpf! Fantasma, mi hai definito?!”
–Esclamò Didone, sospirando. –“Non sei così distante dalla verità! Poiché è
così che mi sento da anni, ormai! Il fantasma di ciò che ero un tempo, della
donna capace di mettere tutta se stessa in un amore che l’ha uccisa!”
“Didone…” –Mormorò Nesso, percependo il
dolore nelle parole della donna. –“Sei veramente tu?!”
“Dammi la Lama degli Spiriti!!!” –Gridò
infine la donna, buttandosi sul ragazzo, ma Nesso fu svelto a rialzarsi e a
colpire Didone con centinaia di calci con la sua gamba destra, balzando
indietro e atterrando in piedi, poco distante dalla fila di colonne.
La Regina Fenicia venne spinta indietro
dall’attacco di Nesso, un attacco multiplo in cui il ragazzo era riuscito a
scagliare centinaia di calci contemporaneamente. Anzi no! Si disse
Didone, ammettendo i progressi del giovane. Forse migliaia! Decine di
migliaia! Il suo colpo era vicino alla velocità della luce! E si tastò il
braccio destro, osservando la veste che lo ricopriva prendere fuoco e diventare
cenere, a causa dell’onda d’urto generata da Nesso. Sorrise, con soddisfazione,
prima di espandere il cosmo, dirigendo uno sguardo tagliente verso l’Hero del
Pesce Soldato.
“A te che non credevi nella mia natura
umana, io farò sentire il mio dolore, io farò udire le alte grida levate dalle
ancelle dopo la mia morte sul rogo, io farò provare la disperazione
dell’umiliazione! Muori, Nesso, sul Rogo di Didone!!!” –Gridò la donna,
dirigendo un turbinante assalto di fiamme mortali contro l’Hero di Ercole, che,
privo ormai di forze, non poté far altro che chiudere gli occhi e attendere la
fine.
“Specchio delle Stelle!”
–Esclamò improvvisamente una voce, mentre una barriera sottile, trasparente
come un vetro pregiato, compariva davanti a Nesso, lasciando che l’infuocato
assalto si schiantasse su di essa, venendo disperso nella sala attorno.
“Chi interrompe il mio rito funebre?!”
–Domandò stizzita la fedelissima di Era, voltandosi verso l’ingresso, ove le
sagome di una dozzina di uomini erano apparse.
Marcantonio dello Specchio entrò
per primo nella cella, seguito da Alcione della Piovra e dagli Heroes
della Legione del Mare: Gerione del Calamaro, Miseno del Pesce Rombo, Scilla di
Cariddi, Arsinoe dello Scoiattolo e Proteus della Razza. Dietro di loro
giunsero Penelope del Serpente, della Quarta Legione, Chirone del Centauro,
Druso di Anteus, Aureliano del Pittore e Diomede della Balestra, della Sesta. E
per ultimo entrò il Dio dell’Onestà, la cui Glory risplendeva di una
scintillante luce che parve per un momento rischiarare l’oscurità e l’abbandono
della cella della Regina Fenicia.
“Il Sommo Ercole in persona! Quale onore!” –Esclamò Didone,
posando lo sguardo sul muscoloso uomo, disinteressandosi completamente del
resto dei guerrieri.
“Stai lontana da Nesso, Didone!”
–Affermò Ercole con decisione, sollevando la Clava e puntandola verso la Regina
Fenicia.
“Non è lui che voglio! Ma ciò che porta
con sé!” –Commentò Didone, mentre Arsinoe e Proteus correvano dal ragazzo, per
verificare le sue condizioni e aiutarlo a rialzarsi.
“Non avrai né l’uno né l’altra!”
–Rispose schiettamente Ercole, avanzando verso il centro della sala. Ma la voce
di Alcione lo richiamò, obbligandolo a voltarsi.
“No! Ci occuperemo noi della
Sacerdotessa di Era!” –Commentò il Comandante. –“Questo scontro è stato
iniziato da un Hero della Legione del Mare e sarà un Hero di tale Legione a
concluderlo!”
“Come preferisci!” –Si limitò a
rispondere Ercole, con tono preoccupato, ma accondiscendente. Quindi avanzò
nella sala, dirigendosi verso il portone di collegamento con la seconda cella,
seguito da Marcantonio e dagli Heroes della Quarta e Sesta Legione. Ma Didone,
a tale vista, espanse il proprio cosmo, dirigendo un violento assalto infuocato
contro di loro, nel tentativo di fermarli.
“Ercole!!! Non passerai!!! Brucerai
anche tu sul Rogo di Didone!!!” –Ma la violenza devastante del fuoco non
raggiunse il Dio dell’Onestà, schiantandosi sul corpo di Scilla di Cariddi,
uno degli Heroes della Legione del Mare, che si pose di fronte a Ercole e ai
suoi compagni, per proteggerli, venendo arso in un solo istante, inghiottito da
quel rogo di fiamme amare e di odiati rimpianti.
“Scilla!” –Mormorò Alcione, con le
lacrime agli occhi, sentendosi nuovamente colpevole, nuovamente inutile. Da
quando era iniziata quella guerra aveva assistito impotente alla morte di sei
guerrieri della sua Legione ed ogni volta si era ripromessa di essere più
forte, di diventare più determinata, di sconfiggere il crudele gioco del
destino che mirava a colpirla dove era più debole. Negli affetti. Ma fino a
quel momento aveva continuamente fallito.
Ercole e gli altri Heroes continuarono
ad avanzare nella cella, scomparendo al di là del portone, sull’altro lato
della stanza, senza mai voltarsi indietro. Se lo avessero fatto avrebbero
pianto per i loro compagni caduti e per quelli da cui erano costretti a
separarsi. E la missione sarebbe fallita. Leggera, come un sussulto, Alcione
udì la voce di Marcantonio dello Specchio raggiungerla tramite il cosmo, prima
di scomparire all’interno della seconda cella.
“Fai attenzione!” –Le disse il
Comandante della Legione d’Onore. Nient’altro.
“Bene!” –Esclamò Gerione del
Calamaro, liberando le sue fruste e schioccandole a terra, con un suono
acuto, deciso ad iniziare il combattimento, ardito e impulsivo come sempre.
–“Vediamo di cosa è capace, questa donna!” –Aggiunse, lanciandosi avanti, con
il cosmo acceso di riflessi verde smeraldo. –“Frusta del Tuono!” –E
liberò le sue fruste, che saettarono a zig zag, avvolte in luccicanti fulmini
che incendiarono l’aria, fino a fermarsi di fronte al volto imperturbabile di
Didone. –“Co.. cosa?!?”
Didone girò la testa verso Gerione,
osservando lo stupore dipingersi sul volto dell’Hero del Calamaro, alla vista
delle Fruste del Tuono fermatesi di scatto di fronte al viso della
Regina Fenicia. E lo stupore andò aumentando quando la donna mosse il braccio
sinistro, afferrando con la mano le Fruste e spostandole verso il basso, con un
gesto che trasudava una palese superiorità.
“Non stupirti mai! C’è sempre qualcosa
di superiore rispetto a tutto ciò che conosciamo!” –Esclamò la donna, con voce
tranquilla, prima di espandere il suo cosmo e caricarvi le Fruste di Gerione.
“Incredibile!!! Non soltanto non prova
alcun danno dallo stringere in mano le mie Fruste, cariche di fulmini
guizzanti, ma riesce persino ad invertire la direzione del mio assalto,
rivolgendolo contro di me! Contro di meee!!!” –Gridò Gerione, il corpo percorso
da folgori distruttrici, che come zanne stavano massacrando le sue difese,
schiantando la sua corazza e la sua pelle.
“Non potrai mai recarmi danno alcuno, Hero del Calamaro! Né
tu né nessun altro nemico che si parerà davanti al mio cammino!” –Commentò
Didone, liberando, dal palmo della mano sinistra, una violenta esplosione di
luce infuocata, che disintegrò le Fruste di Gerione, abbattendosi quindi
sull’Hero del Calamaro e scaraventandolo indietro, fino a schiantarsi contro il
muro laterale.
“Gerione!” –Gridò Proteus della
Razza, osservando l’amico cadere rovinosamente a terra, con l’armatura
distrutta in più punti e macchiata di sangue. –“Bastarda! Prova con me, adesso!
Grande Razza!!!” –E le scagliò il suo attacco energetico, dalla sagoma
simile a quella di una razza oceanica.
“Ghiande Esplosive!” –Gli andò
dietro Arsinoe dello Scoiattolo, dirigendo migliaia di piccole bombe di
luce contro la Regina Fenicia, la quale, per evitare entrambi i colpi, si nascose
all’interno di un mucchio di fiamme, che divennero una specie di muro
invalicabile dentro il quale si schiantarono gli assalti nemici. Per quanto
Arsinoe e Proteus potessero insistere, i loro colpi non riuscirono a superare
né ad estinguere il tenebroso rogo, all’interno del quale la Regina Didone
continuava ad ergersi, senza rimanerne minimamente scottata. Stufa infine di
perdere tempo con i pesci piccoli, come li definì con disprezzo, Didone sollevò
le braccia al cielo, trasformando il rogo in una turbinante spirale di fuoco,
che roteò attorno al suo corpo come un guizzante serpente, prima di dirigersi
verso i suoi nemici.
“Turbinio di fiamme amare!”
–Gridò Didone, travolgendo Arsinoe, Proteus, Nesso e Gerione con un gigantesco
vortice di fuoco e scaraventandoli contro le colonne, facendole crollare poco
dopo. Fatto questo, si scosse le mani e si voltò verso Alcione della Piovra,
rimasta ammutolita dalla violenza di quel colpo e dalla facilità con cui Didone
aveva evitato gli assalti dei suoi compagni. –“Finalmente posso dedicarmi a te!
Perdonami, cara, se ti ho fatto attendere!”
“Attendere?!” –Domandò Alcione, non
capendo. –“Vuoi forse dire che fin dall’inizio desideravi combattere con me?!”
“Senza alcun dubbio! Chi, meglio di una
donna, può comprendere un’altra donna? E chi, se non una donna, può anche solo
pensare di rivaleggiare con me, Didone, Regina di Cartagine?!” –Esclamò la
donna, rivelando un certo orgoglio sopito.
“Sembra che tu non abbia una buona
considerazione degli uomini!”
“Li detesto, gli uomini!!!” –Ringhiò
Didone, irritandosi improvvisamente. –“Sono arroganti, presuntuosi, convinti
della loro maschile e patriarcale superiorità! Sono falsi, infidi e ipocriti,
disposti a recitare qualsivoglia incantesimo pur di entrare nel letto di una
donna e coglierne il fiore più prezioso che tiene, per poi reciderlo e gettarlo
via, abbandonandolo alle carogne infami dei rimorsi! Credono di essere saggi ma
sono soltanto un mucchio di stolti! Credono di essere grandi, si vantano di
poter toccare il cielo con un dito, come Atlante, ma sono soltanto dei
minuscoli e insignificanti insetti, che non sarebbero neppure al mondo se non
fosse stato per le sofferenze di una donna! Tendono sempre a dimenticare chi li
ha portati in grembo per nove mesi!”
“La tua ostilità è eccessiva, Regina
Didone!” –Commentò Alcione, con voce pacata. –“C’è verità nelle tue parole, ma
anche tanta tristezza e dolore! Cosa ti ha reso così furiosa? Cosa ha
avvelenato il tuo cuore al punto da spingerti a covare così tanto odio e ripudio
nei confronti dell’universo maschile?! I libri e le leggende parlano di te come
di una sovrana amata e benvoluta dal suo popolo, come di una donna decisa e
ferma nelle sue convinzioni, una donna con il coraggio di un uomo!”
“Che tu ci creda o meno, è bastato un
uomo! Un uomo soltanto! Ma che ho amato con tutta me stessa!” –Confessò Didone,
rattristandosi per un momento, dimentica di essere nel mezzo di un
combattimento.
Alcione osservò la Regina Fenicia da
lontano, con un misto di preoccupazione e dispiacere, poiché, per quanto fosse
una nemica, non riusciva a provare per lei l’ostilità che aveva invece provato
per gli Emissari di Era: Kyros e Boopis. Quelli erano degli avversari,
intenzionati a sconfiggere, e magari ad uccidere, gli Heroes di Ercole. Didone
era invece, agli occhi di Alcione, soltanto una donna sofferente. Eppure, si
disse il Comandante della Legione del Mare, i libri e il mito parlano di lei
come di un personaggio affascinante, degno di entrare nella leggenda! Cosa è
accaduto a questa donna? Cosa l’ha resa così emotiva, caricandola di odio?
Alcione ripensò alle lezioni di storia
e mitologia che aveva seguito a casa di Linceo e ricordò che Didone era una
donna di una bellezza trionfante, osannata dai potenti e continuamente chiesta
in sposa. Regina di Cartagine, fondò una città che nel corso dei secoli sarebbe
cresciuta, espandendo la sua influenza sul Mediterraneo e rivaleggiando con le
città greche prima e con Roma poi, una città che i greci odiarono e che i
romani distrussero. Didone, la “pulcherrima” cantata da Virgilio nell’Eneide,
era una donna di potere, forte e decisa, e al tempo stesso astuta e
intelligente, capace di mettere gli uomini in riga, compresi i soldati e i
riottosi marinai, e da loro farsi rispettare.
“Ha potuto così tanto, quell’uomo?!”
–Chiese infine Alcione.
“Me lo chiedo anch’io da anni! Da
secoli ormai!” –Sospirò Didone. –“Da quando Era mi salvò dal rogo a cui io
stessa mi condannai, dopo essere stata abbandonata, dopo essere stata
defraudata del mio amore e della mia vita!”
“Era ti salvò?!” –Domandò Alcione,
iniziando a capire. Didone annuì col capo.
“Distrutta nello spirito, mi lasciai
cadere sulla spada appartenuta all’uomo che avevo amato con tutta me stessa,
all’uomo che avevo accolto in casa, donandogli ogni bene, aiutando lui e la sua
gente nella disperata ricerca di un posto nel mondo ove edificare la nuova
Troia! In fiamme, il mio corpo a pezzi venne raccolto più volte dalla mia amata
sorella Anna, che mi chiamava, urlava il mio nome, straziata dal dolore e
dall’impossibilità di raggiungermi! Era, dall’alto dell’Olimpo, impegnata a
seguire le imprese dell’uomo che tanto dolore mi aveva recato, condannandomi a
morte, ebbe pietà di me e inviò Iris, sua Messaggera, avvolta nell’incanto
dell’arcobaleno, a Cartagine, e la Dea, con la solennità di un atto rituale,
recise il mio capello a cui era legata la vita! In quel modo, la mia anima fu
libera di sciogliersi dal corpo e dileguarsi nel vento, cullata da esso fino
alle porte dell’Olimpo, ove Era mi attendeva per esprimermi tutta la sua
comprensione! Tutta la sua compassione! L’amore di una madre per la figlia che
non aveva mai avuto!” –Confessò. –“Così rimasi sull’Olimpo, servendo Era per
secoli come sua ancella, dimenticando Cartagine, mia sorella e il mio popolo, e
l’uomo che mi aveva ucciso! Finché un giorno, stufa dei lussuosi fasti del
Monte Sacro, chiesi alla Dea il permesso di congedarmi, scendendo sulla terra e
rifugiandomi nel kastro di Larissa, ove trascorsi gli anni successivi a
studiare, documentandomi su astronomia, medicina e botanica, mettendo in atto
ogni marchingegno possibile per distrarre la mia mente! Per non tornare a
pensare a lui! Ma ho fallito!!!” –Gridò improvvisamente la Regina, accendendo
il suo cosmo di ardenti fiamme. –“E il suo ricordo non mi ha mai abbandonato,
non mi ha mai lasciato neppure per un istante, continuando a ronzare nella mia
mente come un suono fastidioso che non sono in grado di scacciare!”
“Deve essere stato terribile!”
–Commentò infine Alcione.
“Non lo è stato! Lo è tuttora!”
–Precisò Didone. –“Talvolta penso che Era più che una grazia mi abbia fatto un
torto a concedermi questa vita immortale! A concedermi di continuare una vita
che realmente avrei voluto concludere tremila anni fa! Ma poi penso all’affetto
che la Regina dell’Olimpo mi ha dimostrato per tutto questo tempo, alle cure di
cui mi ha fatto oggetto, e mi convinco che l’unico colpevole in questa tragica
storia di dolore mai sopito è stato l’uomo che ho amato e che mi ha
abbandonato! Enea mi ha ucciso due volte, condannandomi ad un’eterna prigionia
tra i miei ricordi! I nostri ricordi!!!” –Gridò furiosa la Regina Fenicia,
mentre le fiamme oscure del suo cosmo vorticavano attorno a lei, accendendosi
al nome che tanto detestava, il nome che lei stessa si era preclusa per secoli.
–“Puoi comprendere Alcione? Puoi capire cosa significhi vivere tremila anni con
il dolore nel cuore? Con una spada pronta sempre a ferirti quando meno te lo
aspetti, quando credi di stare bene, quando ti illudi che il fantasma dell’amore
perduto sia scomparso, svanito nel cielo terso della tua nuova vita, e invece
sei obbligata ad ammettere che è ancora là! Onnipresente!!!” –Urlò, dirigendo
un turbinoso assalto di fuoco contro Alcione, che fu svelta ad evitarlo,
saltando lateralmente, prima di scagliare contro di lei i suoi lunghi e sinuosi
tentacoli.
Didone non si fece prendere alla
sprovvista, balzando in alto ed evitando tutti i tentacoli che Alcione le
dirigeva contro. Erano tantissimi e aumentavano progressivamente, ma Didone era
fisicamente scaltra e agile, a dispetto delle sue condizioni interiori, che
spingevano a considerarla una vecchia donna che si è arresa alla vita. Atterrò
qualche metro indietro, sull’altro lato della stanza, prima di portare le
braccia avanti a sé, con i palmi delle mani rivolte verso Alcione, e fermare
con il suo cosmo il furioso assalto dei suoi tentacoli.
“Dovrai fare di meglio se vorrai
raggiungermi, Alcione della Piovra!” –Esclamò Didone, rimandando indietro i
lunghi tentacoli dell’Hero con un solo gesto delle braccia. –“Ma non credere
che ti sarà facile recarmi danno! Anzi, ti sarà impossibile!” –Precisò la
Regina, con un sorriso malizioso sul volto, che Alcione non seppe interpretare.
–“Non esiste arma o colpo segreto che possa ferirmi, perché il mio corpo è
morto secoli addietro, arso sul rogo di Cartagine da un amore per cui non sono
stata forte abbastanza da resistere, da un amore che forse non è stato forte
abbastanza da trattenere l’uomo con cui mi ero unita in una battuta di caccia!
Da un amore che probabilmente non valeva quanto un pezzetto di terra sulle rive
di un fiume paludoso!” –Ironizzò infine, espandendo il proprio cosmo infuocato.
“È qua che sbagli, Regina Fenicia! È
questo che non riesci ad accettare, che il tuo orgoglio di donna ferita
continuamente rifiuta!” –Esclamò infine Alcione, facendosi forza. –“Enea ti ha
amato, lo sai anche tu, in fondo al cuore! E avrebbe voluto rimanere con te per
l’eternità! Ma gli Dei avevano in serbo per lui un destino diverso, una strada
che egli non aveva la possibilità di eludere, obbligato a seguire quella rotta
pur tra privazioni e sofferenze!”
“Taciii!!!” –Gridò Didone, dirigendo un
poderoso assalto infuocato contro Alcione. –“Tu dunque lo difendi?! Non hai
onore né dignità, femmina che ha rinunciato alla propria natura per abbracciare
il maschilistico campo d’azione della guerra?! Perirai, per l’insulto che mi
hai rivolto! Sullo stesso rogo su cui le mie spoglie mortali sono divenute
cenere!!! Rogo di Didone!!!”
La Regina Fenicia scatenò il suo possente attacco, una sfera
di fuoco che avvolse Alcione, stringendola in un caldo abbraccio, mentre i
tentacoli guizzanti del Comandante della Legione del Mare cercavano di spegnere
quelle fiamme scure, nel cui baluginare Alcione sembrò percepire lo spettrale
riflesso della morte. Con abilità, sollevò i tentacoli che sporgevano dalle sue
braccia, iniziando a rotearli attorno a sé, circolarmente, fino a generare un
turbine di aria che travolse le fiamme, spargendole per la sala e spegnendo
quel rogo mortale. Didone sorrise maliziosamente, ritenendo che il loro scontro
fosse appena all’inizio e riconoscendo di aver fatto un’ottima scelta
nell’indicarla come avversaria. Lei forse avrebbe potuto lenire le sofferenze
che la sua anima provava ormai da molti secoli. Da troppi secoli.
Capitolo 36 *** Capitolo trentacinquesimo: Donne a confronto. ***
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: DONNE A CONFRONTO.
All’interno della prima cella dell’Heraion di Samo, Alcione della Piovra stava
affrontando Didone, la Regina Fenicia che si era gettata su un rogo di
fiamme, trafiggendosi il petto con la spada di Enea, dopo essere stata
abbandonata dall’eroe troiano. Era, mossa a compassione dalle sue grida, e
profondamente invisa ad Enea, l’aveva salvata, facendola salire all’Olimpo come
sua ancella. Ma per tutti quei lunghissimi anni, quasi tre millenni, Didone non
era mai riuscita a dimenticare il dolore e l’umiliazione subite da un uomo a
cui aveva offerto tutto, persino la vita.
“Come puoi difenderlo? Tu sei donna,
anche se hai rinunciato a parte della tua femminilità! Dovresti comprendere il
mio dolore, il sentimento di abbandono in cui la mia anima è sprofondata!!!”
–Gridò Didone, scatenando un fiammeggiante assalto contro l’Hero della Piovra.
“Ed infatti lo capisco, Regina di
Cartagine, e me ne dolgo, poiché sento che il tuo cuore è sincero e che il tuo
amore per Enea è stato puro e autentico, e come tale difficile da dimenticare!”
–Disse Alcione, balzando da un lato all’altro della stanza, per evitare le
fiamme mortali. –“Pur tuttavia, dall’alto della mia posizione di distacco, ti
invito a valutare tutte le forze in gioco, che, lo sai bene anche tu, andavano
al di là del semplice rapporto tra di voi! Enea, ne sono certa, avrebbe voluto
rimanere con te, ma su di lui gravava il destino di un popolo intero, forse di
un mondo intero, ed egli, sostenuto dagli Dei, quegli stessi Dei che lo avevano
salvato all’inferno di Troia, aveva la responsabilità di andare avanti, per
dare una terra a un popolo disperso sulle onde di un mare ostile!”
“Idiozie! Sarebbe potuto rimanere con
me, se avesse voluto! Se io fossi stata davvero importante per lui! E non un
oggetto, uno squallido e sterile oggetto da gettare via quando la sua utilità
era giunta a termine!” –Gridò Didone, ergendosi tra le fiamme che la
circondavano. –“Osservami ora, Alcione della Piovra, e guarda questo senso di
morte che mi avvolge! Guarda come sinuose le lingue di fuoco si allungano sul
mio corpo, quasi volessero strappar via le vesti che mi proteggono! Guarda come
fremono le fiamme di Ade al mio cospetto! Fremono e tremano, poiché sanno che
non possono ferirmi, sanno che non possono raggiungermi e che io, in tremila
anni, ho acquisito un potere tale da controllarle e farle mie!”
“Sei dunque immortale, Didone? Era ti
ha fatto dono della vita eterna?!” –Chiese Alcione, con una preoccupazione
montante. Se Didone è realmente immortale, come posso sconfiggerla? Come
posso ferirla? I miei colpi, per quanto potenti possano essere, non riusciranno
mai ad ucciderla! Rifletté la donna, prima di schizzare di lato, evitando
un nuovo fiammeggiante assalto della Regina Fenicia.
“Era ha salvato la mia anima, ed essa
si erge adesso di fronte a te, in queste spoglie umane che di umano hanno solo
la parvenza! Poiché l’essenza, da cui traggo forza ed energia cosmica, è eterna
e capace di vincere il trascorrere del tempo!” –Spiegò Didone, confermando i
terribili sospetti dell’Hero. –“Immagina un’anima che ha vissuto tremila anni
con l’odio nel cuore, ferita dalla persona in cui maggiormente aveva riposto
fiducia, delusa dal più grande e potente sentimento che mai una persona possa
provare: l’amore! Immaginala, Alcione, e temi il mio rancore, temi la mia
collera, poiché adesso la riverserò su di te!!! Rogo di Didone!!!”
Una gigantesca palla infuocata sfrecciò
verso l’Hero alla velocità della luce, obbligando Alcione a difendersi con un
secco colpo dei suoi tentacoli, che spaccarono la sfera, lasciando che le
fiamme si schiantassero al suolo. Ma subito dovette fronteggiarne un’altra, e
un’altra ancora. Saettavano verso di lei come globi infuocati, generate dal
cosmo di Didone, imbevuto di odio e rancore, di un’ira sconfinata che il tempo
non era riuscito a cancellare. Alcione cercava di difendersi, roteando i suoi
lunghi tentacoli, usandoli come catene difensive per impedire alle bombe di
fuoco di raggiungerla, ma così facendo disperdeva le fiamme, che continuavano
ad ardere attorno a lei, scivolando sul pavimento di marmo, anime erranti
partecipi dello stesso dolore della loro Regina.
“Hai creato con le tue stesse mani il
rogo su cui il tuo corpo verrà offerto in sacrificio!” –Ironizzò Didone, osservando
l’oceano di fiamme che si estendeva attorno all’Hero della Terza Legione, un
oceano che sembrava vivo, che pareva avvicinarsi sempre di più alla donna, che
ancora si ergeva, a fatica e sudando, al centro di esso, roteando i suoi
tentacoli. Li sbatté più volte a terra, cercando di spegnere con essi le fiamme
mortali, ma fallì, facendole soltanto schizzare in aria, per osservarle poi
ricadere a terra, unendosi con le altre lingue di fuoco loro sorelle e
stringersi sempre di più attorno ad Alcione.
“Didone! Riesco a sentire le tue
fiamme, riesco a percepire l’ardente ira che ancora ti muove! La sento
chiaramente emergere in questo oceano sconfinato di dolore!” –Gridò Alcione,
sudando sempre più, a causa dell’elevata temperatura. –“E me ne dispiaccio, perché
credimi, nell’ascoltare la tua storia, e nel sentire la bontà del tuo cuore
ferito, hai diritto a tutta la comprensione di una donna! E forse di un’amica!”
“Risparmiami la morale, Alcione!”
–Commentò seccamente Didone, sollevando il braccio destro e aizzando le fiamme
nell’ultima avanzata verso l’Hero di Ercole. –“In questa vita, perso l’amore,
persa la mia città, persa la mia gente, mi è stato negato tutto, persino
l’affetto di un amico! E non saranno le tue deboli parole, pronunciate soltanto
per aver salva la vita, a mutare le mie opinioni su Enea o su me stessa!”
“Le mie parole sono sincere, prive di
ogni velleità opportunistica! Ma se ad esse non vuoi prestare ascolto…”
–Esclamò Alcione, espandendo il suo cosmo, profondo come gli abissi dell’oceano.
–“Presta ascolto alla purezza del mio cosmo!!! Alti flutti spumeggianti !!!”
–Gridò, liberando il suo immenso potere.
Onde alte, simili ai marosi che
imperversano negli oceani, sorsero dietro di lei, abbattendosi con veemenza
sulle fiamme circostanti, spegnendole all’istante, prima di continuare la loro
corsa verso la Regina Fenicia, che tentò di difendersi avvolgendosi in una
sfera di fuoco, senza riuscirvi. Le fiamme di Didone vennero spente e la donna
spinta indietro, travolta dai cavalloni di energia acquatica di Alcione, che
crollò sulle ginocchia poco dopo, per riprendere fiato, stanca per la lotta
continua.
L’acqua nel frattempo prese a scorrere
via, scivolando fuori dalla prima cella dell’Heraion
e lasciando una pozza al centro della quale Didone si rimise in piedi poco
dopo, con le vesti ed i capelli inzuppati, ma nient’altro segno visibile di
danni subiti. I flutti spumeggianti raggiunsero anche Gerione e gli altri
Heroes della Terza Legione, ammassati sul lato settentrionale della cella, tra
i detriti del muro e delle colonne crollate in precedenza, risvegliandoli dallo
svenimento. A fatica, il secondo ufficiale della Legione del Mare riuscì a
rimettersi in piedi, scuotendosi dal torpore in cui era precipitato. Aveva
l’armatura gravemente danneggiata e una brutta ferita sopra la tempia ed era
privo delle fruste, distrutte da Didone mezz’ora prima. Proteus
e Arsinoe si risollevarono poco dopo, aiutando Nesso,
ancora troppo debole. Impiegarono qualche secondo per focalizzare la scena, restando
impressionanti dal poderoso assalto di fiamme che Didone stava dirigendo contro
la loro Comandante.
“Ti credevo di un’altra pasta, Alcione
della Piovra!” –Esclamò la Regina Fenicia. –“Diversa indubbiamente! Forse
migliore!”
“Perché come sono in realtà? Non
soddisfo i tuoi canoni di perfezione femminile?” –Ironizzò Alcione, rispondendo
all’assalto di Didone con un violento maroso.
“Non è questo il punto! Non è soltanto
l’esteriorità a rendere una donna tale! Non basta un paio di belle gambe a
conquistare lo sguardo di un uomo! Esse servono ad attirarlo, ma per tenerlo a
sé, per sempre, una donna deve essere in grado di mettere tutta se stessa nelle
mani dell’uomo con cui vuole trascorrere il resto della vita, dell’uomo che ha
scelto come padre dei suoi figli!” –Disse Didone, ricordando con dolore, e con
rabbia, i pensieri sul futuro che l’avevano invasa tremila anni prima, quando
passeggiava con Enea lungo le operose strade di Cartagine e sognava il figlio
che avrebbe voluto avere da lui. –“Tu, che difendi le mancanze di Enea, che
giustifichi l’abbandono e l’oblio, e la morte a cui mi ha condannato, dimostri
di non provare comprensione per me, donna al pari tuo, e forse anche di più!”
–Concluse seccamente Didone, scatenando un turbinante assalto di fuoco che
schiacciò Alcione contro il muro anteriore, facendola ricadere a terra poco
dopo.
“Sei nel torto!” –Esclamò Alcione,
rialzandosi, ma Didone la fulminò con uno sguardo, inchiodandola alla parete
con i suoi poteri.
“Non sei nella posizione adatta per
giudicare la mia sofferenza!” –Sentenziò la donna, sollevando immense colonne
di fuoco, dagli spettrali riflessi, che avvolsero Alcione, chiudendosi su di
lei fino a formare una gabbia di incandescente energia. –“Questa sarà la tua prigione,
Alcione! Durerà poco, molto poco rispetto al dolore che ho provato io per
tremila anni, ma almeno servirà per ricordare anche a te, che hai avuto
l’ardire di giudicarmi, cosa significa la sofferenza! Ogni minuto la gabbia si
stringerà su di te, aumentando inesorabilmente ad ogni movimento brusco che
farai, fino a stridere sulla tua corazza, frantumandola e dilaniando le tue
giovani carni! Diverrai cenere ed io la spargerò al vento, dall’alto dell’Heraion di Samo, facendoti il dono che io non ho avuto! Il
riposo eterno!” –Sospirò Didone, con un tono di voce più calmo, quasi
fatalistico e rassegnato.
“Liberala immediatamente!!!” –Esclamò
una decisa voce maschile, che obbligò la donna a voltarsi verso nord, ove
incontrò lo sguardo irato di Gerione del Calamaro.
“Vuoi provare anche tu le sofferenze a
cui ho destinato il tuo Comandante, stupido concentrato di ormoni maschili?!”
–Ironizzò Didone, bruciando il proprio cosmo, fino a circondarsi di guizzanti
fiamme, che subito diresse contro Gerione, il quale fu abile a gettarsi a
terra, rotolando sul pavimento scivoloso ed evitandole. –“Credi che le tue
abilità circensi bastino per arrivare a me?” –Esclamò la donna, liberando
un’immensa fiamma che fece ribollire il pavimento, trasformandolo in un
camminamento di tizzoni ardenti.
“Aaargh!!”
–Gridò Gerione, cercando di fuggire da quella brace assassina che pareva
comparire ovunque egli ponesse piede.
“Gerione!!!” –Intervennero Arsinoe dello Scoiattolo e Proteus della Razza. –“Grande Razza!!!
Ghiande Esplosive!!!” –E scagliarono i loro colpi contro Didone, che li
fermò, lasciandoli schiantare su una sfera di fuoco con la quale si difese,
prima di spingerla verso di loro con un secco colpo del braccio destro. Proteus, Arsinoe e Gerione
vennero travolti dal vorticar di fiamme della Regina di Cartagine e
scaraventati nuovamente contro il muro settentrionale, sfondandolo e
precipitando all’esterno, sotto il cielo di quella mattina greca ormai tinta di
sangue.
“Voi non siete Alcione! Non avete la
sua forza né siete degni di attenzione alcuna!” –Commentò Didone acidamente,
prima di concentrare una nuova sfera di fuoco tra le mani e dirigerla verso i
tre Heroes, i quali però furono abili e svelti a balzare lateralmente per
evitarla, lasciando che si schiantasse sul pendio dietro di loro,
incendiandolo.
“Noi non siamo Alcione, questo è vero!
Ma da anni ci impegniamo ad esserlo! A fare tutto il possibile per avvicinarci
a lei!” –Esclamò Gerione, correndo dentro la cella, avvolto in un’aura color
verde smeraldo. –“Per avere un minimo della sua forza d’animo, della sua
volontà! Per poter sperare di essere un giorno grandi come lei!”
“Gerione!” –Disse Alcione, commossa
dalle parole dell’amico.
“Nobili parole le tue, Gerione del
Calamaro! Se tu non fossi un uomo quasi le prenderei per vere!” –Ironizzò
Didone, lanciandogli contro una nuova sfera infuocata, che Gerione evitò
balzando in alto ed aggrappandosi ad una colonna con le mani, sfruttando le
ventose speciali di cui la sua corazza del Calamaro era dotata, che gli
permettevano di aderire alle superfici lisce.
“Dovresti farlo invece, perché è così! Fruste
del Tuono!!!” –Esclamò Gerione, staccandosi dalla colonna e lanciandosi
dall’alto contro Didone, scatenando i guizzanti fulmini verdi di cui era
padrone. –“Non ho bisogno delle mie fruste per scagliare il mio colpo segreto!
Ciò che mi serve è solo la forza di volontà!”
“No!” –Affermò Didone, fermando
l’assalto di Gerione con un muro di fiamme e bloccando i movimenti del ragazzo
a mezz’aria. –“Ciò che ti serve è una buona dose di fortuna, che tu non hai!!!”
–Aggiunse, scatenando un inferno di fiamme contro l’ufficiale della Legione dei
Mari, che venne travolto da distanza ravvicinata e scaraventato indietro, con
la corazza completamente distrutta e numerose ustioni sul corpo.
L’Hero del Calamaro si schiantò
malamente molti metri addietro, debole e incapace di rialzarsi, di fronte agli
occhi sconcertati dei suoi compagni e di Alcione, che reagì istintivamente
espandendo il proprio cosmo e cercando di liberarsi da quella stretta morsa che
stava diventando sempre più piccola. Mosse con forza i suoi tentacoli, nel
tentativo di scardinare le maglie della gabbia di fuoco, ma non vi riuscì,
osservando con orrore la distruzione delle sue protesi al contatto con
l’incandescente energia di Didone.
“Non possiamo esitare con lei!”
–Esclamò Proteus della Razza, bruciando il proprio
cosmo e lanciando il suo colpo avanti, sotto forma di un’enorme razza
energetica.
“Ghiande esplosive!!!” –Lo seguì
Arsinoe, scagliando migliaia di piccole bombe di
energia contro la donna, la quale scosse la testa scocciata, prima di parare il
loro assalto congiunto con un muro di fiamme, prima di disperderlo con un secco
colpo del braccio.
“Non avete imparato proprio niente!”
–Commentò Didone, prima di bloccarsi d’istinto, accorgendosi che Arsinoe e Proteus non erano più
davanti a lei. Li cercò con il cosmo, ma li trovò troppo tardi, quando ormai
erano alle sue spalle, ad una distanza troppo vicina da non aver il tempo di
voltarsi e travolgerli.
“Tu dici?!” –Esclamò Proteus, con voce fiera, unendo il proprio cosmo a quello
di Arsinoe e dirigendo il loro assalto energetico
contro Didone, che venne colpita alla schiena e scaraventata avanti, sbattendo
la faccia sul marmo distrutto della cella.
“Potrei
quasi abituarmi a lavorare in coppia con te!” –Ironizzò Arsinoe,
atterrando a fianco dell’Hero della Razza. Dopo aver lanciato i loro colpi
segreti infatti, i due, sicuri che Didone li avrebbe parati e dispersi con il
fuoco, come aveva fatto in precedenza, erano schizzati di lato, superando il
loro stesso assalto e portandosi dietro di lei, per caricare un nuovo attacco
congiunto, sperando che quella tattica potesse servire loro per portarsi in
vantaggio.
“Temo che dovremo abituarci alla
prospettiva di morire assieme!” –Commentò Proteus con
un sospiro, alla vista della Regina di Cartagine alzarsi nuovamente e voltarsi
verso di loro, rimasti in piedi al centro della cella, senza aver subito alcun
danno apparente.
“Una strategia notevole!” –Esclamò la
donna, allungando una mano dietro di sé, per tastare il punto della schiena
dove i due l’avevano colpita e sentendo una crepa nella sua Veste Divina. –“Se
l’avversario fosse stato un altro, magari uno di quegli sciocchi principi
mortali che si atteggiano a signori dell’universo, investiti dal sommo Dio
creatore di una missione a cui non possono sottrarsi, forse avreste avuto la
vittoria! Ma da me, l’immortale Regina Fenicia, avrete soltanto la morte!”
–Sentenziò Didone, espandendo il proprio cosmo e concentrandolo sotto forma di
un globo di energia infuocata che diresse con forza e alla velocità della luce
contro i due Heroes, che, indeboliti per lo sforzo sostenuto, non riuscirono ad
evitarlo, venendo investiti in pieno. –“Rogo di Didone!!!” –Le corazze
dello Scoiattolo e della Razza andarono in frantumi e i corpi nudi di Arsinoe e Proteus si incenerirono
pochi istanti dopo, tra grida disumane di dolore, travolti dalla devastante
fiamma infernale che Didone aveva evocato. –“Così, sul rogo di Didone, altri
mortali hanno incontrato la morte, trovando infine sollievo dalle sofferenze di
questo mondo!” –Commentò la Regina, volgendo lo sguardo verso la sua
prigioniera.
“Da come ne parli, sembra che la morte
sia un premio, un rifugio per chiunque voglia sottrarsi al dolore della vita!”
–Esclamò Alcione, con gli occhi carichi di lacrime per aver assistito,
impotente spettatrice, alla tragica morte di Arsinoe
e Proteus. –“Non pensi che in realtà sia la fine
della felicità e della vita di un uomo? Non credi di arrogarti un diritto che
spetta soltanto a Dio?!”
“No, Alcione della Piovra! Non lo
credo! E non lo penseresti neanche tu se avessi vissuto tremila anni con
l’angoscia nel cuore, con uno spettro da cui non sei in grado di liberarti e
che sei obbligata ad osservare ogni notte, quando cinico e soddisfatto si
distende sul letto accanto a te, senza mai lasciarti, tormentando la tua anima
e legandosi ad essa in un legame indissolubile!” –Esclamò la Regina, slacciando
i bracciali protettivi della sua Veste Divina e rivelando i suoi polsi al
Comandante degli Heroes. Erano sfregiati, pieni di tagli e di ferite, anche
profonde, segni evidenti del male che la donna aveva deciso di infliggersi in
quegli anni in cui, dopo aver lasciato l’Olimpo e essersi rifugiata ad Argo,
aveva dovuto ammettere di aver fallito, di non essere riuscita a dimenticare se
stessa e il suo passato. Di non essere riuscita ad andare oltre.
“Didone… tu…” –Mormorò Alcione,
sconvolta. Ma la stridente voce di un uomo distrasse entrambe le donne,
obbligando il Comandante della Legione del Mare a sollevare lo sguardo al di là
della snella figura di Didone.
“Perdonatemi, mia regina!” –Esclamò Miseno
del Pesce Rombo, uno degli Heroes della Legione del Mare, afferrando Didone
da dietro in modo da bloccarle le braccia e avvolgerla nel cosmo che stava
concentrando attorno a sé. –“Perdonate la mia inutilità! Non sono servito a
molto come Heroes!” –Commentò l’uomo, riferendosi alle sue scarse capacità in
battaglia, di cui sia Alcione che gli altri compagni erano a conoscenza, per
quanto nessuno lo avesse mai rimproverato per questo.
Dopo che Didone aveva travolto Gerione
e gli altri con il suo Turbinio di fiamme amare, Miseno si era nascosto
dietro un gruppo di colonne crollate, incapace di decidere cosa fare. Avrebbe
potuto lanciarsi contro Didone, ma certamente lei lo avrebbe ucciso prima
ancora di scagliare il proprio colpo segreto, lento e debole come era. Avrebbe
potuto andarsene, sgattaiolare fuori dal tempio, silenzioso e abile a non farsi
notare negli spostamenti, e lasciare una battaglia in cui non c’era posto per
lui. Ma alla fine aveva preferito aspettare, concentrando il cosmo dentro di
sé, per liberarlo in una sola volta, nell’unico modo che aveva per poter recare
danno all’invincibile Regina Fenicia.
“Miseno!!! Che cosa stai dicendo?!”
–Gridò Alcione, spaventata.
“Perdonatemi, mia regina! Vi chiedo
soltanto questo! Sono sempre stato inutile e scarso in battaglia, abile
soltanto a penetrare le linee nemiche senza farmi scoprire, abile soltanto a
strisciare nell’ombra e là rimanervi, ad attendere la quiete dopo la tempesta,
incapace di affrontarla a testa alta come Gerione e i miei compagni hanno
sempre fatto!” –Spiegò Miseno. –“Attirato dalla gloria e dalla possibilità di
acquisire un potere maggiore, accettai l’offerta di Lica della Seppia,
divenendo uno Shadow Hero, che avrebbe dovuto
ribellarsi a voi e recuperare la Lama degli Spiriti! Ma non ce l’ho fatta! È
ironico, quasi ridicolo! Sono stato troppo debole persino per tradirvi! Mi è
mancato il coraggio! O forse non ho mai desiderato completamente farlo perché a
voi devo la mia investitura, a voi devo la sincerità con cui mi avete guardato
nonostante fossi inferiore alla media dei miei compagni! Questo è il mio dono,
per ringraziarvi della vostra onestà e per pagare le mie colpe e le mie
debolezze! Per voi, Comandante Alcione, soltanto per voi!!!” –Esclamò Miseno,
lasciando esplodere tutto il suo cosmo, stretto al corpo esile di Didone.
Vi fu una violenta esplosione di luce,
che fece tremare le mura e le colonne dell’Heraion,
abbattendone alcune e scuotendo persino la gabbia di fuoco in cui Alcione era
rinchiusa, spingendo indietro la donna, fino a farla schiantare contro alcune
maglie ardenti, danneggiando la sua corazza. Quando la luce cessò, e la polvere
iniziò a diradarsi, Alcione poté osservare la sagoma diDidone emergere dalle rovine, con la Veste
Divina danneggiata e i coprispalla distrutti, con
ciocche di capelli bruciati e strappati e un taglio lungo il viso. Di Miseno
non vi era più traccia alcuna.
“Quanti altri dovranno morire?”
–Domandò la donna, avvicinandosi ad Alcione. –“Perché tu possa trovare la forza
di uscire da quella gabbia e impugnare l’unica arma che possa uccidermi,
l’unica arma che possa liberarmi da questa eterna prigionia?!”
Alcione si irrigidì, comprendendo le
volontà della Regina, troppo legata ad Era, troppo grata alla Dea Madre per
averla salvata e accolta nella sua casa, avendo compassione e comprensione per
una donna che aveva provato i suoi stessi patimenti, per ammettere di voler
rinunciare a quel premio, a quell’immortalità che col tempo e con il continuo
ritornare del fantasma di Enea e del loro amore perduto, era divenuta una
punizione. Un tormento indescrivibile.
“Onorerò il mio patto con Era fino in
fondo, Alcione! Sappilo!” –Tuonò Didone, ergendosi di fronte all’Hero, avvolta
in un turbinar di fiamme che rendeva la sua figura un’infernale apparizione.
–“Molto di più dovrai impegnarti se vorrai oltrepassare la soglia che ti separa
dalla seconda cella! Molto di più dovrai impegnarti per impedirmi di uccidere
gli ultimi due compagni della tua brigata!” –Aggiunse la donna, riferendosi a
Nesso e a Gerione che, seppur debolissimi, giacevano ancora vivi in mezzo a
cumuli di detriti e mucchi di rimpianti.
“Io… saprò vincerti!!!” –Gridò infine
Alcione, bruciando il suo cosmo,lasciandolo scivolare
fuori dalla stretta morsa di quella gabbia infernale, come freschi flutti
spumeggianti, prima di concentrarlo e liberarlo di colpo. –“Esplosione dei
Silenti Abissi!!!” –Urlò la donna, disintegrando la prigione in cui era
reclusa e travolgendo Didone, che venne scaraventata indietro con una violenza
immane, abbattendosi sul muro dall’altro lato della stanza e facendone crollare
un pezzo sopra di lei. –“Vuoi che mi impegni? Vuoi un combattimento all’ultimo
sangue, senza tregue né rispetto per il proprio avversario? Allora lo avrai,
Didone! Ti giuro che lo avrai! La cattiveria che hai dimostrato, massacrando
gli Heroes miei compagni, era ingiustificata, poiché deriva soltanto dall’odio
che provi per te stessa, per non essere stata abbastanza forte da dimenticare
Enea, per non essere stata in grado di andare oltre e rifarti una vita! Sei
stata debole e indolente, naufraga solitaria in un oceano di ricordi, a cui hai
permesso di affogarti, abbandonando ogni speranza nel futuro!!!” –Esclamò
Alcione, sollevando il braccio destro ed evocando alte onde di energia
acquatica, che subito si abbatterono su Didone, schiacciandola a terra. –“Alti
flutti spumeggianti!!!”
I cavalloni di acqua ed energia
sballottarono Didone per l’enorme sala, schiantandola contro la parete
meridionale con una pressione immensa, tale da impedire alla Regina qualsiasi
movimento. Uno dopo l’altro, uno di seguito all’altro, senza darle tregua,
senza darle la possibilità di reagire. Un maremoto di energia che distrusse il
muro, aprendo una breccia verso l’esterno, da cui l’acqua scrosciò fuori con
impeto devastante. Alcione scattò avanti, lanciando i tentacoli del suo braccio
sinistro, quelli ancora intatti, e afferrando con essi la Regina Fenicia,
fermando ogni suo movimento ed iniziando a stritolarla con forza, schiantando
la sua corazza.
“Era questo che volevi, Didone? Era
questa la forza che volevi che io mostrassi?” –Ringhiò Alcione, furiosa come
non era mai stata prima. –“Hai tirato fuori il lato peggiore di me, inquinando
le fresche acque di cui sono signora e padrona! E adesso ne pagherai le
conseguenze! Adesso vendicherò Miseno, Arsinoe, Proteus e tutti gli altri Heroes caduti in questa sporca
guerra!!!” –Gridò, sollevando il braccio destro al cielo, evocando immense onde
che sorsero dietro di lei, mentre con i tentacoli del sinistro teneva ancora
Didone prigioniera. Ma prima di scagliare il poderoso assalto le tornarono alla
mente le parole di Ercole, Dio dell’Onestà, e di Linceo, precedente Hero della
Piovra e suo mentore.
“Siamo Eroi, non assassini! E come
tutti gli Eroi, siamo destinati a rimanere soli!” –Alcione sorrise, ricordando
Linceo con ammirazione e tristezza, prima di abbassare il braccio destro,
placando la furia offensiva dei cavalloni di energia. Didone approfittò di
quella momentanea incertezza della sua avversaria per far esplodere il suo
cosmo, in un turbine di fuoco, che spazzò via i tentacoli che la tenevano
prigioniera, rinviandoli contro Alcione, che barcollò non poco per rimanere in
piedi.
“Hai sprecato l’unica occasione per
vincermi! Adesso non ti sarà facile sorprendermi di nuovo! Ed io potrò
finalmente giustiziarti per aver preso le difese di Enea, per aver avallato la
tesi secondo cui per un destino di gloria e per ambizioni di potere un uomo
debba rinunciare all’amore, al vero amore!” –Esclamò Didone, espandendo al
massimo il suo cosmo, che riempì l’intero salone di fiamme. –“Turbinio di
fiamme amare!!!” –E scagliò contro Alcione il massimo dei suoi colpi,
avvolgendola in un vortice di fuoco, facendola roteare su se stessa, mentre
lingue fiammeggianti le danneggiavano l’armatura, bruciandole la veste e la
pelle al di sotto di essa, fino a farla schiantare malamente contro quel che
restava della parete sul lato nord, che crollò su di lei, schiacciandola.
Didone rimase ad aspettare che l’Hero
si rialzasse, contando i minuti che scandirono il tempo, certa che Alcione
avrebbe trovato la forza per mettersi nuovamente in piedi. A fatica, tossendo e
ansimando, l’Hero della Piovra sollevò i detriti e i pezzi di muro caduti su di
lei, aiutandosi con i suoi robusti tentacoli, prima di emergere e incamminarsi
a passo stanco verso la Regina Fenicia, che la osservò con stizza, trovandola
sporca e debole, incapace di sopportare un altro assalto. A sorpresa, invece,
Alcione scattò avanti, lanciando i tentacoli della Piovra contro di lei, che fu
agile a balzare in alto, evitandoli, e poi a tuffarsi contro l’Hero, colpendola
con un calcio sulla mascella, spingendola indietro, prima di travolgerla con
un’onda di pura energia, che sbatté Alcione contro una colonna, danneggiando
ulteriormente la sua corazza.
“Il tempo di combattere è finito!
Adesso è giunto il momento dell’ultimo rito!” –Esclamò Didone, sollevando
immense colonne di fuoco, che accerchiarono Alcione, delimitando lo spazio
dentro al quale l’atto rituale avrebbe avuto luogo. –“Rogo di Didone!!!”
–Gridò la donna, concentrando il cosmo in una sfera infuocata e lanciandola
contro Alcione, dandole l’ultimo saluto. Subito una figura sfrecciò in mezzo al
cerchio di fiamme, intercettando l’attacco di Didone e ricevendolo in pieno
petto, stringendo i denti per il dolore, ma senza emettere alcun grido. Stoico,
come soltanto un Eroe sapeva essere.
Gerione ricadde a terra in una pozza di
sangue, con il corpo ricoperto di ustioni e il bel viso sfregiato. Alcione fu
subito su di lui, chinandosi in lacrime sull’amico al cui fianco aveva
trascorso la vita.
“A.. Alcione..” –Balbettò Gerione,
mentre i sensi lo abbandonavano. –“Alcione! Promettimi… promettimi che tornerai
a Spinalonga! Che combatterai per il nostro popolo,
per dare loro la libertà! La libertà che abbiamo sognato insieme!”
“Gerione… perché? Perché?!” –Pianse
Alcione, lasciando cadere fresche lacrime sul volto incenerito dell’amico,
stringendolo a sé come un fratello.
“Un giorno… ci rivedremo… e torneremo a
correre insieme per i viottoli sterrati di Creta, alla ricerca del Minotauro e
dei tesori di Cnosso… torneremo a nuotare nelle verdi
acque intorno all’isola, assieme agli amici e ai genitori che abbiamo perduto!
Alcione…” –La chiamò nuovamente Gerione, chiudendo gli occhi. –“Promettimelo,
Alcione! Spinalonga ha bisogno… di te!”
Alcione rimase a piangere per qualche
minuto, sul corpo spento di Gerione, sul corpo dell’amico più vecchio e sincero
che mai avesse avuto. L’amico che, come lei, era scampato alla conquista di Spinalonga e al massacro degli Ottomani. L’amico insieme al
quale aveva sognato per anni di liberare l’isola cretese e restituirle la
libertà, come i loro avi avrebbero desiderato. L’amico che aveva condannato a
morte per la sua debolezza, per la sua ritrosia ad uccidere una donna il cui
dolore aveva cercato di comprendere, al punto da interiorizzarlo e farlo
proprio. Ma adesso, quel dolore aveva mietuto un’altra vittima, l’unica che
Alcione non avrebbe mai voluto stringere tra le braccia.
Facendosi forza, Alcione si rialzò ed
espanse il suo cosmo, che si palesò attorno a lei come immense onde di energia
che sfrecciarono impetuose contro la Regina Fenicia, rimasta silenziosa ad
assistere alla scena, all’ultimo saluto tra due vecchi amici, rivedendo per un
momento le lacrime di Anna, sua amata sorella, di fronte al suo corpo
straziato. Riprendendosi, Didone liberò le guizzanti fiamme del suo cosmo,
fermando l’avanzata dei cavalloni di energia, scontrandosi nel bel mezzo della
cella, che ribolliva dall’energia scatenata.
“Turbinio di Fiamme Amare!!!”
–Gridò Didone, liberando il suo devastante assalto. Ma quella volta Alcione
seppe resistere, piantandosi nel terreno con i tentacoli della sua corazza, che
spaccarono il marmo incrinato, impedendo alla donna di venir sbattuta via,
prima di scatenare l’immenso potere dell’oceano.
“Esplosione dei Silenti Abissi!!!”
–Urlò Alcione, travolgendo Didone con una vera e propria deflagrazione di
energia, che spazzò via tutte le fiamme della Regina Fenicia, scaraventandola
indietro e disintegrando la sua Veste Divina. Per la potenza dell’impatto,
Didone ricadde a terra sbattendo la testa e perdendo sangue dal cranio, ma
riuscì comunque a rimettersi in piedi, dolorante e con il fisico duramente
provato, schiava di quell’immortalità che la condannava ad un eterno dolore.
Con rabbia si lanciò verso Alcione, accorgendosi soltanto all’ultimo che l’Hero
si era chinata sul corpo inerme di Nesso, per raccogliere l’unica arma che
avrebbe potuto ucciderla.
Si scontrarono a mezz’aria, Alcione e
Didone, in un turbine di fiamme e di acqua, con lividi sul volto e nel cuore,
per darsi l’ultimo saluto. La Lama degli Spiriti affondò nel petto di Didone,
trapassandole il cuore e strappandole un gemito di dolore fisico, il primo che
riusciva a provare fin da quando si era lasciata cadere sulla spada di Enea.
Satura di cosmo e di energia, la Lama degli Spiriti si disintegrò nelle mani di
Alcione, spingendo l’Hero indietro con una piccola esplosione, che ferì il suo
braccio destro, mentre Didone, boccheggiando per qualche istante, riuscì
soltanto ad emettere un ultimo suono prima di svanire.
“Gra…
Grazie!” –E la sua anima si dissolse completamente. Alcione crollò a terra, sui
frammenti sbriciolati della Lama, e le tornarono in mente le parole di Ercole e
del Saggio dello Jamir al riguardo. La Lama degli
Spiriti era nata dalle lacrime di una donna, che tanto aveva pianto e sofferto
per amore al punto da dare la vita, e sarebbe stata distrutta soltanto a causa
di un’altra donna che avrebbe portato in grembo la stessa sofferenza. Come
infatti era accaduto.
Capitolo 37 *** Capitolo trentaseiesimo: Il Sacerdote di Era. ***
CAPITOLO TRENTASEIESIMO: IL SACERDOTE DI ERA.
Non appena gli Heroes misero piede
nella seconda cella dell’Heraion di Samo, Aureliano del Pittore venne
investito da una potente bomba di luce e scaraventato contro il muro
retrostante, crollando a terra con l’armatura danneggiata e numerose ferite sul
corpo. Ercole e gli altri Heroes che lo accompagnavano si voltarono verso
l’altro lato della sala, ove, sopra un palco rialzato, si ergeva tronfio e
superbo l’ultimo ostacolo che avrebbero dovuto superare prima di giungere al
cospetto della Regina degli Dei. Argo, Sacerdote di Era, li osservava
imponente dall’alto del disprezzo che provava verso il Dio dell’Onestà e i suoi
mortali combattenti, esseri da lui considerati inferiori e degni soltanto di
baciare la terra su cui camminavano per grazia e per volontà divina.
“Ben arrivati al termine del vostro
lungo penare! Qua incontrerete una fine orribile, la morte per massacro delle
tiepide speranze che avete finora coltivato!” –Commentò Argo, con il braccio
ancora puntato verso gli Heroes e l’indice della mano destra carico di una
inquietante luce, che si accese nuovamente nel mezzo secondo susseguente alla
sua dichiarazione.
“Attenti!!!” –Gridò Marcantonio
dello Specchio, lanciandosi di lato, assieme a Penelope del Serpente,
e ruzzolando sul pavimento per uscire dal campo d’azione dell’attacco di Argo.
Chirone del Centauro e gli Heroes della Sesta Legione fecero altrettanto,
venendo però raggiunti dall’onda d’urto e sbattuti a terra, dove non ebbero
molto tempo per rimanere, obbligati a scattare nuovamente, per non essere
travolti dai continui attacchi dell’Oracolo di Era. L’unico che rimase immobile
di fronte al portone d’ingresso fu Ercole, che sollevò la Clava,
opponendosi con fermezza e divina fierezza agli assalti energetici del
Sacerdote.
“Ti ringrazio per la calorosa
accoglienza, Argo!” –Ironizzò Ercole, avanzando verso il centro della cella.
–“Il tuo viscido servilismo non è cambiato in questi secoli, da quello che
vedo!”
“Neppure la tua maleducata arroganza,
zotico contadino di uomini!” –Tuonò Argo, con disprezzo. –“Il tempo non ti ha
cambiato, né ti ha reso più maturo! Sei sempre il solito oltraggioso e
irriverente nei confronti delle Divinità, incapace di comprenderne la celeste
pienezza e dedito soltanto a scavare tra i rancori degli uomini, dirigendo le
loro frustrazioni verso gli Dei che non sono in grado di capire!”
“Sarebbero dunque gli uomini a non
capire gli Dei?!”
“Precisamente! Come creature inferiori
dovrebbero essere consapevoli della loro inutilità, del loro affannarsi su
questa verde terra che hanno ricevuto in dono dagli Dei! Eppure, dimentichi di
coloro che hanno soffiato l’alito della vita entro i loro corpi vacui, osano
oltraggiare gli Dei, disonorandoli, disprezzandoli e persino rivoltandosi
contro di loro, invece di prostrarsi umili al loro cospetto, invocando uno
sguardo di pietà che mai arriverà! No, gli uomini non meritano la celeste
pietà! Meritano soltanto di servire gli Dei e di rendere grazie per tale onore
che è a loro concesso!” –Rispose Argo, caricando le dita della mano destra. –“Dita
del Cielo!!!” –La violenta bomba di luce si abbatté su Ercole, che sollevò
la Clava, caricandola del suo cosmo lucente, riuscendo a contrastare l’impeto
di quell’attacco, che si disperse lateralmente, spingendo via gli altri Heroes,
prima che il Dio dell’Onestà rispondesse, con un brusco movimento della Clava.
L’onda di energia generata sfrecciò verso Argo alla velocità della luce ed egli
fu abile a balzare in alto, uscendo dal suo raggio di azione, e ad atterrare
compostamente a terra, mentre l’attacco si schiantava sulla parete retrostante,
abbattendone una parte.
“Pagherai per aver osato volgere i
pugni verso il cielo, Ercole!” –Tuonò Argo, espandendo il suo oscuro cosmo. Ma
una voce lo interruppe, parlando direttamente al suo spirito e pregandolo di
far passare Ercole, senza combattere con lui. –“Ma… Mia Signora?!” –Mormorò
Argo, riconoscendo il cosmo della Regina degli Dei.
“I patti erano chiari, Argo! A voi gli
Heroes e il diritto di giustiziarli, colpevoli di aver levato la mano contro
gli Dei! A me Ercole, per vendicare i torti che nel corso dei secoli il mio
animo ha subito!” –Concluse Era, invitandolo a lasciar passare Ercole.
“A quanto pare, la mia Signora ha
deciso di occuparsi personalmente di te, sporcando le sue divine mani!”
–Esclamò l’Oracolo, abbassando le braccia e facendo cenno ad Ercole di passare
oltre, verso l’ultima porta. –“Per quanto il mio desiderio di confrontarmi con
te e impartirti l’umiliante lezione che meriti sia immenso, ancora più grande è
la fede che nutro verso la mia Regina, a cui sono tenuto ad obbedire!”
“Prendila dal lato positivo!” –Ironizzò Ercole,
incamminandosi verso l’altro lato della cella. –“Ti ha risparmiato una brutale
fine!” –E scomparve, oltrepassando la soglia che lo avrebbe condotto di fronte
alla Signora dell’Olimpo, davanti allo sguardo astioso di Argo, a cui
nient’altra soddisfazione rimase se non dirigere i suoi attacchi contro gli
Heroes, dando così libero sfogo al suo mai sopito odio verso gli uomini.
“Morite, cani randagi! Ansimate a
terra! Gemete! Implorate la misericordia degli angeli e di tutto il cosmo!
Voglio sentirvi gridare il mio nome, invocare la mia divina comprensione, prima
che la vostra anima discenda tra le fiamme di Ade!” –Esclamò, spingendo Chirone
e Marcantonio indietro, fino a farli schiantare contro le colonne laterali
della seconda cella.
Diomede della Balestra scagliò
un nugolo di frecce energetiche contro il Sacerdote di Era, ma questi,
impassibile, le fermò a pochi centimetri dal suo corpo, bloccandole a
mezz’aria, quasi fossero tolte dal tempo, prima di posare il suo sguardo privo
di compassione su Diomede e rinviarle al mittente. L’Hero fu trafitto in varie
parti del corpo e la sua Armatura subì parecchi danni, obbligando Druso di
Anteus a correre in difesa del compagno, sollevando il suo falcetto e
scagliandolo contro Argo, per mozzargli la testa. Ma anche quell’arma venne
fermata dall’enorme potere dell’Oracolo, che la rimandò indietro con un
semplice movimento di occhi, facendola strusciare con forza contro un bracciale
dell’armatura di Anteus e roteare sul suo corpo, fino a schiantarsi sulla
schiena, distruggendo parte della corazza e facendo schizzar via sangue.
“Il potere del Sacerdote di Era è
temibile! Ci sta massacrando!” –Disse Marcantonio dello Specchio. –“L’odio che
prova verso gli uomini è smisurato, al punto da permettergli di non avere
dubbio o esitazione alcuna! Fanatico e integralista come una perfetta macchina
da guerra!”
“Non mi spaventa!” –Rispose con
fierezza Chirone del Centauro, distanziandosi da Marcantonio e bruciando
il suo cosmo ardente. –“Nessuna fede può essere così cieca da non offrire
neppure un dubbio, un appiglio a cui aggrapparsi e da sfruttare per vincere!!!”
–E avvolse il suo cosmo in un’incandescente sfera di fuoco, prima di lanciarsi
come una bomba contro il Sacerdote di Era. –“No!!! Non ci credo!!!” –Ringhiò
Chirone, osservando Argo che, utilizzando soltanto un dito, aveva fermato la
sua devastante avanzata, senza scomporsi affatto.
“Ho osservato troppe ere di questo
mondo per rimanere sorpreso dagli uomini! In tutte infatti li ho trovati
uguali, identici tra loro, pur se separati da secoli di storia! Li ho trovati
tutti deboli e fragili! E destinati a cadere!” –Affermò Argo, con voce decisa,
sollevando con il dito Chirone, ancora avvolto nella sua sfera di infuocata
energia. –“Foglia caduca in balia del vento, l’uomo attende l’estinzione della
propria razza, disseminato per questo strano globo e impegnato soltanto a
regredire al livello delle bestie! Lasciate che io vi sia d’aiuto, guerrieri di
Ercole! Accogliete il dono del cielo! E morite!” –Sentenziò Argo, liberando una
violenta esplosione di luce, che travolse Chirone, scaraventandolo contro i
suoi tre compagni, Druso, Diomede e Aureliano, e schiacciandoli contro la
parete laterale che crollò a terra. Quindi, soddisfatto, Argo diede loro le
spalle, richiamando a sé un motivo che ben conosceva. –“La natura limitata
degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte!”
“Tu te le determinerai da nessuna
barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai!”
–Lo seguì una voce, obbligando Argo a voltarsi nuovamente e a incontrare il
nobile sguardo di Marcantonio dello Specchio, in piedi al centro del salone.
–“Pico della Mirandola! De hominis dignitate!”
“Voi bestie ignoranti siete dunque in
grado di leggere e comprendere i testi antichi?” –Ironizzò Argo, con una certa
sorpresa. Ma Marcantonio non si fece intimidire, avanzando di un altro passo e
continuando a recitare uno stralcio della concezione dell’uomo nel cosmo
elaborata da Pico della Mirandola.
“Non ti ho fatto né celeste né terreno,
né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti
plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto! Tu potrai
degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo
volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine!” –Concluse
Marcantonio, con soddisfazione. Adorava quel passo, il cuore del pensiero di Pico,
uno degli intellettuali del Rinascimento italiano, e adorava leggerlo,
ritrovandovi forza e speranza, la forza e la dignità degli uomini, ogni volta
che vi posava gli occhi. Ogni volta in cui, nelle tiepide notti di Tirinto,
sfogliava gli antichi testi della biblioteca del Palazzo Reale, a fianco di
Penelope, interessata anch’ella allo studio dei manoscritti che Ercole aveva
riunito, grazie all’aiuto degli antichi compagni, primo tra tutti Linceo della
Piovra, maestro di Alcione. –“Non senti l’aria di libertà che spira da queste
pagine, Oracolo di Era? Non senti l’assenza di condizioni e di costrizioni, che
ironicamente è l’unica condizione tipica degli uomini? L’uomo è tutto, perché
può essere tutto! Angelo o demone!”
“Taci! Blasfemo!” –Lo zittì Argo, con
uno sguardo di pietra, che spinse Marcantonio indietro di qualche metro,
facendogli scavare con i piedi profondi solchi nel terreno. –“Dio soltanto è
tutto! L’uomo non è niente, se non obbligato a muoversi in quei limiti che gli
Dei hanno fissato! Ma, forte dell’arroganza che gli è propria, continuamente
tenta di superare i suoi stessi limiti, ambendo sempre a qualcosa di maggiore,
a qualcosa di più alto, di divino! Offendendo in questo modo l’ordine
costituito!”
“Ti sbagli, Argo! Non è l’arroganza che
muove gli uomini, ma il libero arbitrio, la possibilità di scegliere, la
volontà di scoprire e conoscere e di andare avanti, mirando continuamente a ciò
che vogliono!”
“La volontà degli uomini, dici
dunque?!” –Mormorò Argo, con voce bassa, prima di esplodere in uno strillo
acuto. –“È forse quel demone annidato nel vostro animo, che da millenni vi
porta a muovervi guerra continuamente, massacrandovi l’un l’altro, incapaci di
comprendere voi stessi e i vostri vicini e desiderosi soltanto di sopraffarvi ed
ergervi dominatori incontrastati della vostra specie?! Il libero arbitrio non è
la possibilità di scegliere, Marcantonio dello Specchio! Non più! È divenuto
l’abuso di scegliere, di decidere egoisticamente, anche a costo di prevaricare
sugli altri! È la storia che lo insegna, la storia di voi uomini, fatta di
guerre e di morti continue, di civiltà che giungono al loro apogeo,
sopraffacendo le altre, e poi crollano, travolte dall’invidia di nuove! E
questo vi avvicina più alle bestie, alle cose inferiori di cui Pico parla nel De
hominis dignitate, che non al celeste candore divino!” –Esclamò, prima di
puntare tre dita della mano destra contro Marcantonio: il pollice, l’indice e
il medio, caricandole del suo cosmo. –“Dita del Cielo!!!”
Marcantonio, che si aspettava un
attacco diretto, e aveva avuto tempo a sufficienza per preparare la difesa,
aprì improvvisamente le braccia, creando un muro sottile di energia,
trasparente come limpido cristallo, su cui l’assalto di Argo si infranse,
scuotendolo fino alla base.
“Specchio delle Stelle!”
–Esclamò il Comandante, concentrando i sensi al massimo per riuscire a
mantenere quella barriera che a dura prova veniva messa dai potenti attacchi
del Sacerdote. Marcantonio sorrise, bruciando il proprio cosmo e osservando la pacatezza
di Argo che si limitava a volgere tre dita verso di lui, costretto invece ad
impegnarsi con tutto se stesso per non soccombere. –“È così grande il tuo
potere, Argo? Da cosa nasce? Dalla fede cieca che mostri per la tua Dea? O
dall’odio che, per motivi a me ignoti, covi nel cuore verso gli uomini?”
“Una buona tecnica, degna della mia
lode! Ma sarà sufficiente per evitarti la triste fine occorsa ai tuoi compagni?
Novanta eravate un tempo, le sei Legioni di Eroi! E cosa resta di quei
guerrieri? Cosa rimane di tutte le vostre ambizioni? Felice di aver contribuito
a farle crollare, a demolire le vostre ridicole speranze, consegnandovi alle
tenebre dell’oblio! Dita del Cielo!!!” –Tuonò, ripetendo l’assalto. E
un’altra volta. E una volta ancora. Aumentando l’intensità dei suoi attacchi,
obbligando Marcantonio a mettere tutta la sua energia cosmica nella sua tecnica
difensiva.
“Lo Specchio delle Stelle non
serve soltanto a proteggermi!” –Commentò l’Hero. –“Ma ha anche il potere di
respingere i colpi degli avversari, riflettendoli come uno specchio riflette la
luce! E tale potere adesso ti mostrerò!!! Riflesso dello Specchio!!!”
–Gridò, scaricando contro Argo la mostruosa potenza dei suoi stessi attacchi,
obbligando il Sacerdote a balzar via, mentre essi distruggevano il palco e le
colonne retrostanti, facendo tremare le mura della cella e crollare pezzi di
intonaco. –“Uh? Dov’è finito?!” –Commentò Marcantonio, osservando che Argo non
era più di fronte a lui.
“Sarei stato un folle, o uno stupido, a
cadere sotto il mio stesso assalto!” –Esclamò una voce alle sue spalle, facendo
sussultare l’Hero e obbligandolo a voltarsi, ritrovandosi il volto di Argo a
pochi metri dal suo, con un sorriso beffardo e superbo. –“Stupor Mundi!”
–Gridò il Sacerdote, aprendo un ventaglio di energia cosmica, che travolse
Marcantonio, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare malamente sui
resti del palco di Argo, con la corazza danneggiata e numerose ustioni sul
corpo.
“Co… Come hai fatto? Eri impegnato a lanciare il tuo assalto,
e poi... sei riuscito a portarti…” –Balbettò Marcantonio, cercando di
rimettersi in piedi e sputando sangue.
“A portarmi nell’unico punto ove la tua
barriera, di ottima fattura, devo ammettere, non aveva effetto! Ovvero dietro
di te! È stato facile distrarti con i miei attacchi, il cui scopo non era
soltanto quello di farla crollare, ma anche di impegnarti duramente, fino a
limitare le tue capacità percettive! Per un Sacerdote come me, eletto dalla
Regina degli Dei a Oracolo e Bocca della sua Divina Volontà, muoversi ad una
velocità superiore rispetto a quella della luce è una prerogativa, non una
dolorosa conquista!” –Spiegò Argo, forte del suo vantaggio, prima di puntare
nuovamente le tre dita della sua mano destra contro Marcantonio, caricandole del
suo cosmo lucente.
Ma prima che potesse scagliare
nuovamente le Dita del Cielo, Argo fu distratto da un rumore violento e
obbligato a voltarsi, giusto in tempo per osservare la maestosa sagoma della
Nave di Argo sfondare il muro anteriore della cella, facendo crollare macerie
dappertutto, e piombare su di lui, avvolta da un turbinio di venti.
Immediatamente, dal ponte del vascello, Leonida della Spadae
Polifemo del Ciclope si lanciarono sul Sacerdote di Era, sfoderando i loro
colpi segreti.
“Lama dell’Onore!” –Gridò
Leonida, dirigendo sottili ma precisi raggi energetici contro Argo, subito
seguito dal possente Tuono di Eracle di Polifemo.
“Stolti!” –Esclamò il Sacerdote,
svanendo e lasciando soltanto il mantello verde che aveva indosso a lasciarsi traforare
dai raggi di Leonida e poi a farsi spazzar via dalla furia dell’assalto di
Polifemo.
“Attenti! È dietro di voi!” –Gridò
Marcantonio, mentre la sagoma di Argo appariva nuovamente alle spalle dei due
Heroes, con il cosmo carico tra le mani.
“Stupor Mundi!” –Esclamò Argo,
aprendo il ventaglio di energia e scaraventando via Leonida e Polifemo,
danneggiando ulteriormente le loro già crepate corazze. –“Quale miseria!
Scampati per miracolo alla morte riservatavi dai sette colori dell’arcobaleno,
ardite persino attaccare l’Oracolo della Dea, incuranti del fatto che il vostro
stesso Comandante, a voi indubbiamente superiore, giace riverso di fronte a me!
Osate forse elevarvi al di sopra di lui?”
“Nient’affatto!” –Ansimò Polifemo,
rantolando sul pavimento tra il sangue e i frammenti dell’armatura. –“Aneliamo
soltanto di salvare il nostro Comandante!”
“E trasformeremo questo sogno in
realtà!” –Aggiunse una terza voce, proveniente dal ponte di comando della nave,
che attirò l’attenzione di Argo, per l’epicità di cui il cosmo dell’uomo era
intriso. Era Neottolemo del Vascello, che reggeva tra le braccia il
corpo stanco di Pasifae del Cancro. –“La Sacerdotessa della Legione del
Mare ha fatto a noi dono di tutto il suo cosmo, difendendoci dall’ultimo
assalto di Iris e permettendoci di sopravvivere, di poter solcare nuovamente i
cieli sulla Nave di Argo ed essere ancora utili in questa Guerra Sacra! Per
lei, per onorare la fiducia che ha riservato a noi, suoi amici e compagni
d’arme, e per difendere il nostro Comandante, a cui siamo legati di un vincolo
di riconoscenza, noi, gli Heroes della Legione d’Onore, combattiamo!”
“È dunque questo il vostro libero
arbitrio? Lanciarvi a testa alta tra le fiamme dell’Inferno, sperando di
uscirvi privi di ustioni? Quando sarete puro spirito nella valle di Ade, in che
modo onorerete i vostri compagni e il vostro Comandante?” –Esclamò Argo,
sollevando il braccio destro e puntando tre dita contro Neottolemo. –“Perché,
vi assicuro, con impeccabile certezza divina, che soltanto questa sarà la
vostra fine! Morte!” –Aggiunse, prima di liberare le Dita del Cielo.
Neottolemo non rimase inerte ad
aspettare l’assalto di Argo, espandendo il cosmo e circondandosi di violenti
turbini di aria e di cosmo, che diresse come enormi frangenti contro il potente
attacco avversario, contrastandolo a mezz’aria. Argo fu stupito nel vedere due
immense ali, che trasudavano di epicità, schiantarsi contro le sfere
energetiche da lui create, riuscendo a fermarle e a resistere alla loro immane
potenza. Indispettito da quell’ostinata e irragionevole resistenza umana
all’ineluttabile destino imposto dagli Dei, Argo aumentò l’intensità del suo
assalto, come aveva fatto in precedenza contro Marcantonio, obbligando
Neottolemo a tirare fuori tutto il suo potere, tutto il suo potenziale.
“Ali del Mito!” –Tuonò il
timoniere della Nave di Argo, sollevando due immense ali di nubi e di energia
acquatica, che si chiusero attorno alle comete energetiche dell’Oracolo,
soffocandole, prima di abbattersi su di lui e obbligandolo a balzare indietro,
roteando agilmente su se stesso, e ad atterrare sulle macerie del palco, a
pochi metri da Marcantonio dello Specchio, che subito si voltò su di lui.
“Disprezzi ancora gli uomini, Sacerdote?” –Domandò il
Comandante. –“Non ritieni che valga la pena comprendere cosa anima il loro
turbinante cuore? Può accadere, come hai giustamente sottolineato, che le
decisioni di molti uomini portino al male e alla guerra di tutti contro tutti,
ma anche tali scelte, pur sbagliate che siano, rientrano nel libero arbitrio
del genere umano, nella possibilità di scegliere ed imparare dai nostri errori!
Non sempre questo accade, poiché non tutti sanno cos’è l’autocoscienza, non
tutti riescono a guardare dentro di sé e a migliorarsi, rimediando ai propri sbagli!
Ma è un’opportunità che ci è data e che meglio indubbiamente dovremmo
sfruttare! Perché vorresti negarcela? Non credi che rientri nella nostra
natura?!”
“No, non lo credo!” –Tuonò Argo, stufo di quegli sterili
discorsi su un’umanità corrotta e peccatrice. –“Credo che gli uomini meritino i
patimenti che loro stessi si impongono, le sofferenze di cui loro stessi, con i
loro errori, sono responsabili! È la punizione divina per aver abbandonato il
culto degli Dei e aver avuto l’ardire di arrivare a loro, ambendo ad un
abbraccio di infinito!” –E mosse il braccio verso Marcantonio, caricando le
dita di cosmo, ma gli altri Heroes prontamente intervennero, affiancando il
Comandante, e dirigendo assalti energetici contro l’Oracolo, obbligato a
spostarsi di lato per evitarli. –“Cos’è Dio? Tutto! Contro il destino non c’è
fuoco o muraglia di ferro che tenga!” –Esclamò Argo, rivolgendosi a
Marcantonio, che comprese la citazione del Sacerdote.
“Pindaro!” –Mormorò, prima di ricreare lo Specchio delle
Stelle, su cui si schiantò il fragoroso assalto, e bruciando al massimo il
cosmo, per contenere la furia distruttiva dell’Oracolo di Era. Leonida, Neottolemo
e Polifemo affiancarono il Comandante, come nelle tante imprese e avventure che
avevano vissuto assieme negli anni precedenti, fin da quando si erano riuniti
attorno ad Ercole. Marcantonio sorrise, ritrovandosi nei volti dei compagni,
ritrovando quei giorni, così pieni di speranze, così carichi di sorrisi,
proprio mentre Argo caricava un violento nuovo assalto.
“Stupor Mundi!” –Gridò il Sacerdote, mentre il
ventaglio di energia da lui generato si chiudeva sullo Specchio delle Stelle,
che vibrò profondamente, percorso da una pressione insostenibile, per quanto i
quattro Heroes cercassero di infondere in esso tutto il loro cosmo, fino a
schiantarsi, spingendo tutti i contendenti indietro di parecchi metri.
Marcantonio fu il primo a rialzarsi, respirando
affannosamente e accorgendosi delle numerose crepe che ornavano la sua
splendida armatura. Non era la prima volta in cui era impegnato in battaglia,
poiché aveva affiancato Ercole in molte imprese, contro briganti o pirati o
contro i Turchi Ottomani, o facendo strage di Giganti e di orride creature che
infestavano i boschi e le alture della Grecia, retaggi di un’ombra che il Dio
riteneva non fosse mai scomparsa dalla Terra. Di tutte le esperienze vissute
assieme, la costruzione di Tirinto occupava la maggior parte dei ricordi,
poiché ad essa Ercole aveva dedicato anni interi, fin dalla progettazione
iniziale, vedendovi la possibilità di realizzare un sogno, di costruire una
casa per l’umanità, asilo e ideale per tutte le genti. Marcantonio, Polifemo,
Leonida, Neottolemo, Nestore, Agamennone, Chirone, Damaste, Mistagogo,
Aureliano, Diomede, Druso, tutti gli Heroes della Prima Generazione, i più
anziani e con maggior esperienza, avevano collaborato al progetto di Ercole,
credendoci con sincera fede. Quello, per Marcantonio, e per gli Eroi della
Giustizia, era il libero arbitrio, la possibilità di elevarsi e compiere nobili
imprese. Ed egli era fiero di averne fatto parte.
Di nobili origini, discendente di famiglie ateniesi che a
lungo avevano avuto un ruolo di rilievo nell’organizzazione politica della
Grecia ellenistica e poi di dominazione romana, Marcantonio si era sempre
sentito stretto nei panni del politico, covando nel cuore l’ambizione a
qualcosa di più. Suo nonno, che a differenza degli altri membri della famiglia,
aveva viaggiato molto, spingendosi nelle germaniche terre del Nord Europa e
nelle lontane sabbie del deserto africano, lo aveva incoraggiato fin da piccolo
a coltivare la passione per l’arte, sicuro che ciò avrebbe affinato la sua
sensibilità e le sue capacità percettive, come infatti accadde. Da lui, e non
dal padre, troppo preso dalle sue questioni burocratiche, Marcantonio ereditò
il sapere, quella piccola base di conoscenza, storica, letteraria e
linguistica, che, come suo nonno ripeteva sempre, egli avrebbe dovuto ampliare
con l’esperienza nel corso della vita, imparando con mano tutto ciò che sui libri
non poteva trovare scritto.
“Mio nonno credeva negli uomini, e soprattutto in me!
Credeva che fossi destinato a cose grandiose, alle cose divine! E morì con
questo pensiero sorridente sulle labbra!” –Commentò Marcantonio, ricordando la
figura che tanto aveva contribuito a formarlo, ponendo le basi dell’uomo che
sarebbe divenuto in seguito un fedele compagno di Ercole, e suo Comandante.
–“Non sono certo di essere asceso alle cose divine, nonno! Ma so per certo che
non ho mai tradito i tuoi ideali, i nostri ideali! Gli ideali di Pico, le cui
parole ogni notte non ti stancavi mai di rileggermi prima di coricarti!”
–Rifletté, prima di gridare ad Argo. –“L’uomo può tutto, Argo! E il tuo cinismo
non vincerà!”
“Un sogno d’ombra è l’uomo!” –Rispose l’Oracolo, citando
nuovamente Pindaro e concentrando il cosmo tra le mani, fino ad aprirlo
nuovamente a ventaglio attorno a sé, in modo da abbracciare l’intera cella. –“Stupor
Mundi!” –Gridò, liberando la devastante potenza del suo attacco. Ma questo
non riuscì a raggiungere Marcantonio, che stava per ricreare lo Specchio
delle Stelle, perché gli Heroes suoi compagni si rialzarono
tempestivamente, lanciandosi contro Argo, avvolti nei loro cosmi lucenti.
“Lama dell’Onore!” –Esclamò Leonida, dirigendo un
unico potente fascio energetico, che racchiudeva in sé tutti i colpi della sua
lama. –“Tuono di Eracle!” –Ringhiò Polifemo, scagliando due comete di
energia cosmica verso Argo, subito seguito da Neottolemo, che liberò nuovamente
le Ali del Mito. Il contraccolpo tra i vari poteri spinse Argo indietro
di qualche metro, facendolo barcollare per un istante solo. Un istante che al
Sacerdote parve un’eternità. Indispettito dalle parole di Marcantonio, irritato
per il tempo che stava sprecando per liberarsi di quella debole feccia umana,
adesso aveva dovuto subire anche l’umiliazione di essere spinto indietro,
perdendo per un momento la solidità che tanto lo caratterizzava. Se lo avessero
ucciso con un colpo solo forse avrebbe provato una vergogna minore. A tale
disonore avrebbe potuto reagire soltanto in un modo, riaffermando l’ordine
gerarchico della sfera celeste, in cui egli, come rappresentante Divino e Bocca
della Verità della Regina dell’Olimpo, era superiore a quei semplici soldati,
sporchi di sangue, di sudore e di peccato.
“Attenti!” –Esclamò Marcantonio, mettendosi di fronte ai
compagni e preparando le braccia, per creare lo Specchio delle Stelle,
alla vista di Argo che pareva ritrovare la sua intoccabile calma, il suo senso
di indiscussa superiorità, dettata dall’immutabile cosmogonia dell’universo.
“Erigi pure la tua difesa, Comandante della Seconda Legione!
Ciò mi è indifferente! Poiché né il tuo scintillante specchio, né alcuna difesa
umana potrà mai respingere, o anche solo contenere, l’incommensurabile potere
del Tesoro del Cielo!” –Commentò Argo, espandendo il cosmo al massimo,
portandolo al parossismo. Nello spazio attorno gli Heroes videro comparire un
immenso cielo azzurro, ove stelle brillavano lontane, ed uno scrigno dorato,
che pareva sprigionare una luce abbagliante.
Argo afferrò lo scrigno, stringendolo tra le mani, con
sguardo carico di avarizia e di maliziosa superbia, prima di aprirne il
coperchio. Dapprima lentamente, lasciando che la luce accecante del suo
contenuto abbagliasse gli Heroes, obbligandoli a coprirsi gli occhi, poi in
maniera brusca, svelando l’arcano potere che vi era celato. Energia allo stato
puro. –“Tesoro del Cielo!” –Gridò l’Oracolo, di fronte allo sguardo
pieno di terrore degli Heroes, dalle gambe immobilizzate, quasi fossero stati
incantati da quel rito a cui non avevano potuto sottrarsi.
L’energia contenuta nello scrigno dalle rifiniture d’oro
esplose in tutta la sua potenza, annientando in un lampo di luce Leonida della
Spada e Polifemo del Ciclope, che si ersero di fronte ai loro compagni, per
proteggerli da tale infinito potere, che sembrava racchiudere in sé un intero
universo. Marcantonio e Neottolemo vennero spinti indietro, le loro armature
crepate in alcune parti, mentre Argo, soddisfatto del suo operato, richiudeva
infine lo scrigno dorato, pronunciando frasi da Pizia di Pindaro, il suo
autore preferito. –“Pianta effimera, cos’è il vivente?” –E rise, a bocca
aperta, lasciando risuonare il suo sghignazzo per l’intera cella.
Grande fu indubbiamente il suo stupore quando vide
Marcantonio dello Specchio rialzarsi ancora, ma anziché adirarsi si sentì per
la prima volta esaltato, quasi eccitato da una sfida che ormai non era più tra
il servitore di Era e il guerriero di Ercole. No, ormai era divenuta una guerra
di ideali, tra la Volontà Divina e il libero arbitrio dell’uomo, incarnato dal
più nobile e raffinato tra tutti gli Heroes di Tirinto. Chiudendo i pugni e
trattenendo le lacrime, Marcantonio osservò Neottolemo steso a terra, con la
splendida corazza scura distrutta in più punti, quindi si voltò verso Argo,
cercando di dimenticare il fatto che i corpi di Leonida e Polifemo non
giacevano di fronte a lui. Non era il tempo delle lacrime né dei campi funebri.
Per quelli avrebbe dovuto aspettare. Adesso devo soltanto lottare! Si
disse, bruciando il proprio cosmo, che si materializzò sotto forma di una lunga
corda, di un laccio di energia, che l’Hero diresse verso Argo nel momento
stesso in cui il Sacerdote liberò nuovamente le Dita del Cielo.
“Spirale dell’Onore!” –Tuonò Marcantonio, mentre i
lacci energetici, a forma di spirale, avvolgevano le tre comete lanciate da
Argo, deviandole verso il soffitto con un brusco movimento, che distrusse
l’alta volta della cella, facendola franare attorno a loro, ancora pronti per
darsi battaglia. Il Sacerdote scagliò un nuovo assalto, ma Marcantonio quella
volta lo evitò lanciandosi di lato e ruzzolando sul suolo, prima di rimettersi
in piedi e bruciare il cosmo fino a circondare Argo con una fitta cintura di
specchi. Di fronte ad ogni specchio, o forse al suo interno, l’Oracolo vide la
sagoma di Marcantonio che pareva fissarlo con determinazione e un sorriso
burlesco, realizzando di averlo messo finalmente in difficoltà.
“Sciocco! Se speri di sorprendermi con questi giochetti
infantili, temo di dover deludere le tue aspettative! Come Oracolo di Era, sono
immune a questi trucchi illusori!” –Esclamò Argo, socchiudendo gli occhi e
cercando il cosmo del suo avversario, sorprendendosi di non riuscire a
percepirlo. O meglio di percepirne non uno, ma tanti quanti erano gli specchi
che lo circondavano. –“Com’è possibile?!”
“Sei in difficoltà, Sacerdote?!” –Sorrise Marcantonio. E
tutti i Marcantoni attorno ad Argo mossero le labbra, quasi come se la voce
provenisse da tutti loro contemporaneamente. –“Eppure il trucco è più semplice
di quanto tu creda! Cosa fa uno specchio? Riflette l’immagine che ha di fronte,
e quindi la duplica, creandone una copia perfetta, identica in tutto e per
tutto all’originale! Ugualmente lo Specchio delle Stelle crea una copia
del suo Comandante, completa del suo cosmo, portato ormai all’apice! All’apice
della distruzione!” –Esclamò Marcantonio, sollevando il braccio verso Argo. –“Spirale
dell’Onore!” –Gridarono tutte le figure attorno al Sacerdote, liberando il
loro sinuoso attacco.
Argo cercò di evitarlo, di respingerlo con la sola forza del
pensiero, ma non poteva esercitare contemporaneamente i suoi poteri su ogni
attacco che le figure attorno a sé gli dirigevano contro, venendo infine
colpito, avvolto dai lacci di energia, che come spire lo strinsero in un
abbraccio carico di incandescente energia cosmica, bruciando le sue vesti e
crepando la sua corazza. –“Basta!” –Tuonò infine il Sacerdote, sollevando le
braccia verso l’alto e liberando lo Stupor Mundi, il suo devastante
ventaglio di energia, che si espanse circolarmente attorno a sé, fagocitando
l’attacco a spirale di Marcantonio. –“Mi hai sorpreso! E sia, te ne do atto! Ma
a lungo andare nessuno può spuntarla, neppure tu, uomo!” –Aggiunse, caricando
un dito della mano destra del suo cosmo e dirigendo un robusto fascio
energetico contro uno dei tanti Marcantoni che aveva intorno, colpendolo e
distruggendolo, assieme all’illusione che lo aveva generato, prima di iniziare
a roteare su se stesso, circolarmente, e distruggere tutte le altre sagome che
lo circondavano. Tutte vennero distrutte, frantumandosi come cristalli di
vetro, tranne una, posizionata proprio sul suo lato destro, al centro del
salone, protetta da una trasparente barriera di energia.
“Il risultato è adesso nelle mani di Dio!” –Esclamò Argo,
citando nuovamente Pindaro, prima di concentrare il cosmo tra le mani,
ricreando attorno a sé l’immenso cielo azzurro, rischiarato dall’abbagliante
luce dello scrigno d’oro che apparve tra le sue mani.
“No! Il risultato è nelle mani degli uomini! Da loro
soltanto dipende il loro futuro!” –Ribatté Marcantonio, espandendo al massimo
il suo cosmo, fino al suo parossismo, mentre Argo apriva lo scrigno di fronte a
sé, liberando il distruttivo potere del Tesoro del Cielo. –“Specchio
delle Stelle!!!” –Tuonò, parando con abile maestria l’immensa onda di
energia e di luce che parve inghiottire ogni altra cosa attorno a sé.
–“Aaaaaah!!!” –Gridava il Comandante, mentre Argo, dal canto suo, teneva i
sensi concentrati al massimo, per mettere tutto se stesso, tutto il rancore che
provava verso gli uomini e verso i loro patetici tentativi di innalzarsi al
livello di Dio, in quell’ultimo assalto.
Marcantonio sentì l’enorme pressione di cui lo specchio si
stava facendo carico, vibrando fino in profondità, obbligandolo ad uno sforzo
enorme. Tutto il suo corpo andò in tensione, i muscoli si contrassero, le vene
sembravano sul punto di esplodere, mentre la corazza dello Specchio si
schiantava in più punti. D’un tratto, convinto che non sarebbe riuscito ad
arginare quell’immensa ondata di odio, Marcantonio ricordò la figura energica
di suo nonno, un uomo che non si era mai arreso, neppure quando la malaria lo
aveva infettato, di ritorno da un viaggio in Africa. Ripensò alle loro
conversazioni notturne, quando l’anziano gli aveva insegnato a interpretare la
volta celeste, alla scoperta delle costellazioni, o quando gli leggeva poesie o
romanzi della letteratura greca, di cui la sua educazione era stata infarcita.
Infine, Marcantonio pensò ad Ercole, impegnato a combattere contro Era per
difendere tutto ciò che aveva costruito negli anni precedenti, tutto ciò a cui
anch’egli aveva preso parte, assieme ai suoi compagni. Vide il corpo esanime di
Neottolemo a pochi passi da lui, che sarebbe stato annientato se non avesse
fermato quella devastante onda. E vide Leonida e Polifemo, Tersite e Crisore,
Arcadio, Temistocle, Odysseus e tutti gli Heroes della Legione d’Onore
sorridergli dal Paradiso dei Cavalieri, fiduciosi in lui e nel suo successo.
Poi non vide più nulla, perché chiuse gli occhi, lasciando esplodere il suo
cosmo e respingendo il Tesoro del Cielo. –“Riflesso dello Specchio!!!”
–Gridò, riflettendo tutto il potere che Argo aveva liberato contro di lui,
aggiungendovi qualcosa di proprio, fino a travolgere il Sacerdote di Era,
investendolo con la sua stessa devastante onda di energia e polverizzandolo in
un colpo solo.
Soddisfatto, per aver saputo dimostrare che l’uomo può, se
realmente lo vuole, se realmente ci crede, tutto, anche trasformare i sogni in
realtà, il Comandante della Seconda Legione crollò sulle ginocchia, debole e
stanco, prima di schiantarsi a terra, mentre la sua mente tornava indietro, ai
tempi in cui sedeva sulle ginocchia del nonno, ascoltando Pico della Mirandola
celebrare la dignità dell’uomo. Dignità che egli era riuscito a tenere alta.
Capitolo 38 *** Capitolo trentasettesimo: La regina degli Dei. ***
CAPITOLO TRENTASETTESIMO: LA REGINA DEGLI DEI.
Quando Ercole varcò la porta
dell’ultima cella, abbandonando i suoi Heroes in battaglia, una strana
sensazione si impadronì di lui. Un senso di colpa per aver condannato a morte
gli uomini che aveva istruito e addestrato negli anni precedenti, alla vita,
prima ancora che alla guerra. Il suo cosmo ascoltò le lacrime degli eroi che
aveva condotto al tramonto. In quel momento, Chirone del Centauro caricava
furiosamente Argo, Oracolo della Dea, mentre nella cella precedente Alcione e
la Legione del Mare affrontavano Didone e, poche decine di metri fuori
dall’Heraion, Neottolemo del Vascello e Pasifae del Cancro guidavano l’ultimo
assalto contro la Messaggera degli Dei. Quanti cosmi sono rimasti? Si
chiese il Dio, spalancando l’ultima porta, gettando via tutti quei foschi
pensieri e trovandosi di fronte alla causa di tutto quel dolore immeritato.
Era, Regina dell’Olimpo, Grande
Dea Madre e Signora dell’Isola di Samo, sedeva sul trono in cima ad una lunga
scalinata di marmo sporco, tranquilla e rilassata, come una padrona di casa in
attesa dell’ospite. Senza troppi convenevoli, Ercole richiuse sbattendo
l’enorme portone alle sue spalle, incamminandosi al centro dell’ampia cella,
lasciando che il rumore dei suoi passi risuonasse per quelle quattro mura.
Quando fu di fronte ad Era, di fronte al disprezzo che la Dea aveva accumulato
per secoli, schiava di un’invidia di cui non era mai riuscita a liberarsi, il
Vindice dell’Onestà comprese che il tempo per loro non era mai passato e che
ancora, nella seconda metà di quello che in Grecia veniva chiamato diciottesimo
secolo, il loro scontro era nel pieno della sua furia devastante, come lo era
stato nel Mondo Antico. Iniziato quasi per scherzo, quando la Dea aveva tentato
di impedire ad Alcmena il parto del figlio, facendole annodare le gambe della
puerpera. Da quel momento per Ercole non era stata pace, costretto
continuamente a difendersi da Era, sposa del Padre che lo aveva concepito.
“Ben arrivato, eroe!” –Esclamò la Regina
di Samo, ridacchiando. –“Quanti guerrieri hai dovuto sacrificare? Quante anime
hai condannato all’oblio dell’Ade per arrivare fin qua? Per specchiarti ancora
una volta nei miei occhi e sentirti colpevole di tradimento nei confronti degli
Olimpi?!”
“Nei tuoi occhi vedo soltanto l’odio
che provi per tutto il genere umano, Era! Lo stesso che covi da secoli, da
quando, incapace di accettare il tradimento del tuo sposo, hai esternato il
rancore per il fallimento del tuo amore sul genere umano, divenendo una
Divinità crudele e vendicativa, dedita soltanto alla distruzione!” –Commentò
Ercole, per niente intimidito.
Solo allora, volgendo lo sguardo verso
sinistra, Ercole si accorse di tre figure, vestite di abiti neri, che filavano
in silenzio, sotto un arazzo in decomposizione. Il Dio dell’Onestà trasalì,
riconoscendo le donne, e in quel momento Atropo tagliò con lucide cesoie un
filo che teneva tra le mani. Ercole, terrorizzato, sollevò lo sguardo
sull’arazzo, che si sfaldò ulteriormente, lasciando soltanto una ventina di
simboli disposti alla rinfusa attorno ad un simbolo che il Dio conosceva bene,
essendo quello che aveva adottato secoli addietro: una clava cinta da una
corona d’alloro, simbolo di forza e vittoria. I simboli che rimanevano, che
ancora potevano essere osservati erano la Renna, il Camoscio, il Serpente,
l’Orso, la Strega, la Piovra, il Calamaro, il Cancro, la Razza, il Pesce Rombo,
lo Scoiattolo, lo Specchio, la Spada, la Nave di Argo, il Ciclope, il Centauro,
la Balestra, il Pittore e Anteus, affiancati da quelli del Quetzal, della Rosa
e del Pesce Soldato, che parevano disgregarsi da un momento all’altro.
“Cosa stai facendo?!” –Gridò Ercole,
fulminando Era con uno sguardo di fuoco.
“Assisto alla fine del mondo che hai
creduto di creare!” –Rispose la Dea, sollevandosi in piedi, ergendosi in cima
alla scalinata. –“Tu non sei un Dio, Ercole! Hai rinunciato ad esserlo molti
secoli fa, prima ancora di lasciare l’Olimpo e vagare solitario per le selve
della Tessaglia alla ricerca di chissà quale verità! No! Tu non lo sei mai
stato, per quanto il sangue del mio fratello e sposo scorra dentro di te, e
quindi non possiedi il diritto della creazione che è insito nella natura
divina!”
“Cosa vuoi che m’importi Era della
natura divina o dell’essere un Dio! Non ho mai chiesto di esserlo!” –Tuonò
Ercole, reggendo lo sguardo della Dea. –“Che ti piaccia o meno, che tu voglia
accettarlo oppure dimenticarlo, io sono figlio di Zeus! Figlio del Dio che ha
scelto il grembo di mia madre per generarmi! Ercole, figlio di Alcmena e Dio
dell’Onestà!”
A tali parole la Dea volse il palmo della mano destra
verso Ercole, furibonda nell’udire la verità che tanto detestava e che mai
avrebbe accettato, e liberò una violenta onda di energia, per schiacciare il
Dio a terra, senza comunque riuscire a piegarlo. Le gambe ben salde sul
pavimento e la determinazione che lo sorreggeva, alimentata dallo spirito dei
compagni e dei fratelli caduti, permise ad Ercole di resistere, ergendosi
ancora in piedi, con la clava in mano, pronto a dare battaglia. Ma prima che
potesse rispondere, un’evanescente figura comparve di fronte a lui, dandogli le
spalle e incamminandosi verso la scalinata di marmo, alla fine della quale si
inginocchiò. Ercole sgranò gli occhi, riconoscendo Penelope del Serpente, la
sua fida Consigliera. Per un attimo si chiese come era stato possibile che
fosse rimasta nascosta al suo fianco per tutto quel tempo, senza che egli se ne
fosse accorto, o forse senza che neppure Era se ne rendesse conto, a giudicare
dalla faccia sorpresa a cui si abbandonò. Ma poi il Dio ricordò che era nei
poteri di Penelope divenire così evanescente, così fatua, come polvere nel
vento, da risultare impercettibile.
“Signora dell’Olimpo!” –Esordì Penelope, in ginocchio ai
piedi della scalinata. –“Vengo da voi per chiedervi un favore, un’opera che voi
soltanto, Grande Dea Madre, potete compiere!” –Esclamò, stupendo sia Era che
Ercole, preoccupato per una possibile ritorsione da parte della Dea. –“Divina
Era, rinunciate a questa guerra! Rinunciate a combattere contro il mio Signore,
che da secoli torturate invano, impedendo a lui e anche a voi di godere
pienamente della felicità della vita!”
“Come osi?!” –Tuonò Era, sollevando il braccio carico di
energia cosmica. Ma Penelope non si arrese, alzando lo sguardo verso di lei e
togliendosi la maschera d’oro bianco che le copriva il volto, rivelando due
occhi nocciola, due occhi che parevano scaturire dal cuore della terra.
“Non vorreste poter vivere in pace, senza guerre né invidie
che inquinano la vostra anima? Non vorreste un’epoca in cui gli uomini possano
finalmente sorridere, alzando lo sguardo al cielo e ringraziare gli Dei per i
favori che hanno loro concesso, anziché maledirli per le privazioni o per le
devastazioni che hanno operato, sia in prima persona, sia per mezzo delle forze
della natura che gli Dei controllano?!” –Continuò Penelope. –“Io so che voi
potete farlo, perché in fondo al cuore lo desiderate realmente!” –Aggiunse,
stupendo la Dea per tale affermazione, che, in tutta risposta, la travolse con
una potente onda di energia, scaraventandola a terra e spaccandole la maschera.
Ercole fu subito su di lei, per aiutarla a rialzarsi, ma la
donna lo allontanò con un gesto garbato, continuando a dirigere ad Era le sue
preghiere, incurante del dolore e del disinteresse apparente della Dea.
“Ascoltatemi, Divina Era! So che potete contribuire ad un
mondo di tale sorta, poiché è nella vostra natura, buona e misericordiosa! Io
non credo che voi siate una Dea malvagia e crudele, ma soltanto una donna che
tanto ha sofferto! Una Divinità che sovrintende alle forze della natura, che ha
il potere di far spuntare orgogliose messi e rendere fertili i terreni,
venerata da popoli in tutto il Mediterraneo, come Dea degli Armenti, come
Signora della Fertilità, come Dea dalle bianche braccia o dagli Splendidi
capelli, non può essere malvagia!”
“Quel tempo a cui fai riferimento, Hero del Serpente, è
ormai trascorso! Gli uomini, che nel Mondo Antico mi avevano tanto lodato,
caricandomi di encomi e di epiteti che inneggiavano alle mie doti e alle
attenzioni di cui li ricoprivo, mi hanno dimenticato, sostituendomi con
Divinità inferiori o locali e cancellando il ricordo dei frutti che avevo
donato loro!” –Rispose la Dea, con una stretta di malinconia nel cuore.
“Gli uomini tendono sempre a dimenticare chi non si prende
cura di loro, mia Signora! Ma sono altrettanto propensi a ricordare chi li
aiuta e cammina al loro fianco, come uno di loro!”
“Non vi è motivo per cui debba prendermi cura di quei
cialtroni, di quella maledetta stirpe di esseri inferiori che mira soltanto al
proprio soddisfacimento personale!” –Tuonò Era, infiammandosi. –“Sono atei,
sono ignoranti, sono dei traditori! Come il Dio che ti ha addestrato,
rinchiudendoti nella sua gabbia dorata per servire ai suoi interessi!”
“Voi sbagliate!” –Disse Penelope, avanzando verso la
scalinata, ma Era non le diede più possibilità di parlare, travolgendola con
un’onda di energia cosmica. Ercole, a tale vista, si gettò su Penelope,
proteggendola con il suo corpo e offrendo la schiena all’attacco della Dea, che
raggiunse entrambi, scaraventandoli lontano, fino a farli ruzzolare sul freddo
pavimento. Subito, Ercole si rimise in piedi, bruciando il cosmo e
concentrandolo sulla clava, muovendola con un gesto brusco fino a generare un
fendente di energia che scavò il pavimento e la scalinata, abbattendosi sul
trono della Regina dell’Olimpo, che fu svelta a spostarsi di lato, perdendo
soltanto un ciuffo dei suoi morbidi capelli. Rabbiosa, Era si lanciò in alto,
tuffandosi sul Dio, ed Ercole fece altrettanto, scontrandosi a mezz’aria con la
Signora di Samo e liberando una violenta esplosione di energia, che scaraventò
entrambi indietro, facendoli schiantare a terra.
Dopo quel breve scontro, l’intera cella
versava già in uno stato rovinoso, con il pavimento, la scalinata e il muro
dietro al trono squassati dall’impeto dei cosmi che si scontravano tra loro.
Ercole ed Era si misero nuovamente in piedi, lei in cima alla scalinata
distrutta, lui al centro del salone, ma prima che potessero muoversi la voce
decisa ma candida di Penelope li interruppe nuovamente, avanzando verso di
loro.
“Divina Era! Ascoltatemi!” –Parlò la
Sacerdotessa del Serpente. –“Osservate il mio volto! È il volto di una donna
che ha rinunciato alla sua femminilità per entrare a far parte di un mondo
prettamente maschile, un mondo di guerrieri, di cui ho desiderato essere parte
per condividere assieme ai miei compagni ideali e speranze. Adesso, faccio dono
a voi di questo sentimento, mettendo a nudo la mia anima, e mi inginocchio per
chiedervi di fermare questa guerra priva di ogni significato, questa guerra che
potrebbe essere evitata se ci fermassimo a comprenderci l’un l’altro!”
“Taci donna! Il tuo blaterale blasfemo
offende le mie divine orecchie!” –La zittì Era, pronta per travolgerla ancora.
Ma poi, fissando la Sacerdotessa negli occhi, trovò qualcosa in quello sguardo
che le sembrava familiare. Qualcosa di suo, che aveva dimenticato anni
addietro, chiudendolo in un cassetto della memoria. La fragilità di essere
donna. In tutta la sua semplicità.
“Mia madre è stata una Sacerdotessa dedita al culto di Era!”
–Confessò infine Penelope, stupendo lo stesso Ercole, che non ne era a
conoscenza. –“Ad Argo, ove Didone ha dimorato negli ultimi secoli, è stata la
fondatrice di un Tempio a voi dedicato, ove periodicamente venivano offerti
doni in vostro onore, Hera Argeia, o Hera eukomos, come adorava chiamarvi, per
risaltare lo splendore dei vostri capelli! Mia madre era una donna giusta e
devota e non avrebbe mai servito o venerato una Divinità malvagia! Per questo
motivo mi riesce difficile di credere che non vi sia purezza né volontà di
essere felice nel vostro cuore!”
“Le tue chiacchiere da mercato mi hanno stufato! Questo è
stato il tuo ultimo sermone!” –Sentenziò Era, travolgendo Penelope con un
violento attacco energetico, che scaraventò la donna indietro, frantumando la
sua corazza e lasciandola ricadere a terra in una pozza di sangue. –“Se davvero
tua madre era solita offrirmi doni, adesso io ho preso la tua vita, offerta in
sacrificio in mio onore, per compensare le colpe del tuo Signore che ha osato
offendermi!”
“L’unica persona che ha una colpa, qua tra noi, sei tu, Era!
E la tua colpa è quella di non riuscire ad accettare il corso degli eventi, di
non essere in grado di percepire il mutare del vento, aggrappata, quasi
fossilizzata, alle tue idee e a sentimenti vecchi di secoli!” –Tuonò Ercole,
sollevando la Clava e caricandola del suo cosmo Divino. –“Non hai mai perdonato
Zeus per avermi generato con un’altra donna e per questo motivo odi l’intero
genere umano, che io sempre ho difeso!”
“E per cui adesso morrai!” –Esclamò Era, sollevando le
braccia al cielo, recitando un antico rito, mentre tutto il suo cosmo scivolava
lungo la terza cella, abbracciando Ercole e impedendogli di muoversi. –“Ceneri
del Tempo! A voi affido l’alto incarico di far strage dell’uomo che osò
sfidare gli Dei, pretendendo di ergersi al di sopra di essi!” –Gridò, mentre
una luccicante polvere di stelle avvolse il Dio dell’Onestà, fermando i suoi
movimenti e provocando in lui una profonda sonnolenza. Ercole cercò di reagire,
agitando la clava per cacciar via quel torpore innaturale che lo stava
sopraffacendo. Ma fallì, crollando a terra, ricoperto dalle ceneri del tempo,
dalle ceneri della vita vissuta fino ad allora. Prima di chiudere gli occhi,
tirò uno sguardo verso l’arazzo appeso al muro e vide che i simboli del
Calamaro, dello Scoiattolo e della Razza erano scomparsi.
“Mio Signore!” –Singhiozzò Penelope, cercando di rialzarsi.
Ma le dolevano così tanto le ossa, da non riuscire neppure ad appoggiarsi sulle
braccia. Era, dall’alto della scalinata, decise di mettere fine alla sua
agonia, dirigendole contro una violenta onda di luce, che però non la
raggiunse, venendo deviata da una barriera di forma sferica, avvolta da
ruggenti fiamme. –“Chi siete?!” –Domandò la Dea, alla vista di quattro Heroes
appena entrati nella cella per difendere la loro compagna.
“Non hai udito il mio ruggito? Sono Chirone del Centauro,
Comandante della Sesta Legione!” –Si presentò l’uomo, affiancato da Druso di
Anteus, Diomede della Balestra e Aureliano del Pittore.
Quindi lanciò uno sguardo verso il Dio disteso in terra, ricoperto da quella
polvere luccicante, e intuì che fosse prigioniero di un’illusione generata da
Era. Così, mentre Diomede, Druso e Aureliano si lanciavano verso la Regina
dell’Olimpo da tre direzioni diverse, Chirone si chinò su Penelope, pregandola
di essere forte e rimettersi in piedi, poiché era l’unica, con i suoi poteri,
in grado di sondare l’animo di Ercole per capire cosa Era avesse provocato in
lui e per poterlo riportare lì, assieme a loro. –“È tempo che ognuno affronti
il suo destino a testa alta!” –Commentò Chirone, rialzandosi e volgendo lo
sguardo verso i suoi compagni, tutti e tre respinti nello stesso istante da una
violenta onda di energia della Dea.
I quattro Heroes avevano lasciato poco prima Marcantonio
dello Specchio ad affrontare Argo nella seconda cella, non per codardia, ma per
la fiducia che nutrivano nel Comandante della Legione d’Onore e per la
necessità di correre in aiuto di Ercole contro Era. Prima di uscire dalla cella
infatti Chirone si era voltato un’ultima volta verso il suo parigrado,
facendogli un cenno d’intesa. E in quello sguardo complice, forse per la prima
volta, i due si erano lasciati un messaggio.
Approfittando di quell’istante, in cui Era abbassò le
braccia, dopo aver sbattuto a terra Druso, Diomede e Aureliano, Chirone accese
il suo cosmo, lanciandosi contro la Dea sotto forma di una violenta sfera
infuocata, avvolta da turbinanti fiamme. Ma Era, anziché evitarla, lasciò che
sfrecciasse contro di lei, fermandola con il suo immenso cosmo a pochi
centimetri dal corpo e penetrandola con la sua energia, in modo da sovrastare
le fiamme del Centauro e ardere Chirone nel suo stesso inferno.
“Aaargh!” –Gridò il Comandante della Legione Furiosa,
intrappolato nella sua stessa sfera protettiva e stritolato dal divino cosmo di
Era. –“Comandante!!!” –Urlarono Druso, Diomede e Aureliano, rimettendosi in
piedi e scattando verso la Dea. –“Tu sia maledetta, Era! Frecce di Diomede,
trafiggetela!” –Esclamò Diomede, scagliando contro Era una fitta pioggia di
dardi incandescenti, che la Dea deviò soltanto volgendo loro il palmo,
rimandandole indietro e osservandole con soddisfazione piantarsi nei corpi di
Diomede e di Aureliano, distruggendo le loro corazze e prostrandoli a terra,
feriti e ansimanti. Soltanto Druso di Anteus, il fabbro di Tirinto, rimase in
piedi ad osservare il proprio Comandante ardere nella sfera di fuoco da lui
stesso generata, sospeso, grazie al potere di Era, a pochi metri da terra, di
fronte allo sguardo divertito della Dea. Allora, carico di rabbia ma anche di
volontà di correre in suo aiuto, Druso sollevò la sua arma da battaglia, un
falcetto dalla lama ricurva, e lo lanciò contro Era, moltiplicandolo in
centinaia di illusorie copie, sì da disorientarla. Ma la Dea non ebbe problemi
a sbarazzarsi di tutte le armi, annientandole con un’esplosione di luce, che
scaraventò indietro anche il Comandante della Sesta Legione, schiantandolo nel
pavimento distrutto della terza cella, poco distante dai suoi due compagni.
Soltanto all’ultimo istante, Era si accorse che ne mancava uno, Druso di
Anteus, che spuntò di fronte a lei, con un martello di puro cosmo in mano.
“Cadi! Strega!!!” –Gridò Druso, calando il martello di cosmo
su Era, la quale, per niente impressionata, si limitò a scaraventarlo via con
un gesto della mano, facendolo schiantare sul muro anteriore della cella e
ricadere a terra, con la corazza gravemente danneggiata.
“Di nient’altro siete capaci, stupidi umani? Soltanto di
agitare i pugni contro il cielo, per maledire un’eternità a cui non sarete mai
in grado di giungere?!” –Li derise Era, osservando la disfatta degli Heroes. Ma
prima che potesse dare loro il colpo di grazia, dovette ammirare Chirone del
Centauro, ustionato da profonde ferite, rimettersi in piedi, presto seguito da
Diomede e Aureliano, incuranti delle grida di dolore dei loro corpi stanchi.
“Puoi dire di noi ciò che vuoi!” –Esordì
Chirone, bruciando il suo cosmo. –“Che siamo deboli, che siamo mortali, che
siamo peccatori! Accetteremo ogni infamia di cui vorrai macchiare la nostra
anima! Ma che non si dica che siamo dei vigliacchi o dei rinunciatari, poiché
non è nella nostra natura! Nessun indolente avrebbe mai scalato il colle di
Samo! Nessun indolente avrebbe mai avuto il coraggio di marciare con le sue
legioni verso una morte certa! Ma noi siamo qua, di fronte a te, a sfidare il
destino che vuole farsi beffe di noi!” –Aggiunse Chirone, con un sorriso
soddisfatto sulle labbra. –“Un tempo, ostinato e cocciuto, avrei sostenuto che
avremmo certamente vinto il destino, che lo avremmo piegato a noi, come i
guerrieri sconfitti nelle tante campagne combattute a fianco di mio fratello!
Adesso, forse più maturo, forse più realista, ammetto che non sempre la
vittoria può arridere in battaglia, soprattutto se si affronta una Divinità che
a nient’altro anela se non alla distruzione dell’intero universo degli uomini!
Ma questo non significa che ci fermeremo o che arretreremo di un passo! Avanti!
Heroes! Per la guerra o per la morte, fino alla fine del mondo!!!” –Ringhiò
Chirone, espandendo al massimo il suo cosmo e liberando il suo potere, capace
di ricreare la lava colante dai vulcani in eruzione. –“Magma ardente!”
–E diresse verso Era fiotti di magma allo stato fuso, che colarono sulla
scalinata, zampillando sulle mura attorno, incenerendo tutto ciò che
incontravano nel loro cammino.
La Dea cercò di contrastare tale
immensa esplosione lavica con il suo cosmo, creando una barriera energetica con
cui preservare lo spazio al di sopra della scalinata, dove lei stessa si
ergeva, ma ben presto si rese conto che la pressione di quella massa di magma
ardente era insopportabile e che la temperatura che era capace di raggiungere
superava le sue previsioni. Così abbassò la sua barriera protettiva,
chiudendola come un guscio attorno a sé, mentre l’ardente magma di Chirone la
travolgeva, invadendo tutto lo spazio del palco e spingendo con forza contro le
mura esterne, scuotendole e facendole vibrare, prima di solidificarsi. Con
interesse, Chirone osservò la distesa di magma compattato di fronte a sé,
simile al versante di un piccolo vulcano, che ancora fumava della furia del suo
assalto, mentre Diomede e Aureliano aiutavano Druso a rialzarsi. Un rumore
improvviso spezzò il silenzio di quel momento, seguito da una violenta
esplosione di luce che distrusse il solido strato di magma, rivelando la figura
di Era, Regina dell’Olimpo, completamente circondata da una sfera di energia
cosmica, il guscio che l’aveva protetta dal magma ardente di Chirone.
“Non ne sono affatto sorpreso!” –Disse
Chirone, avvolgendo il suo corpo in una sfera infuocata e lanciandosi avanti,
fino a schiantarsi contro la cupola che proteggeva Era, scaraventando con
violenza la Dea contro il muro retrostante. –“Vogliate scusarmi… Ma io non sono
delicato come i miei compagni! No! Quando ho un nemico di fronte, che sia uomo
o donna, mortale o Dio, lo affronto comunque, a testa alta! E non esito a
riempirlo di pugni!” –Ironizzò, portando il braccio destro avanti, per colpire
la Dea con un destro diretto. Ma Era, ripresasi dalla velocità dell’assalto,
fermò il pugno dell’Hero del Centauro semplicemente aprendo il palmo della mano
e lasciando che la sua energia cosmica lo avvolgesse, prima di scaraventarlo
via, facendolo rotolare sul suo stesso magma solidificato. Diomede e Aureliano
intervennero immediatamente in soccorso del proprio Comandante, ma l’Hero della
Balestra non fece in tempo ad incoccare un paio di frecce che vennero raggiunti
da una violenta onda di energia, generata da Era, che li investì in pieno,
disintegrando le loro corazze e lasciandoli stramazzare al suolo, privi ormai
di vita.
“Hai visto, Comandante?” –Esclamò fiera la Regina
dell’Olimpo, camminando sul magma solidificato di Chirone. –“Non sarete
vigliacchi, forse, ma siete comunque degli sconfitti!” –Aggiunse, sollevando
Chirone e Druso con la sola forza del pensiero e portandoli di fronte a sé,
pronta per annientarli con un’ultima onda di luce. Ma mentre stava per
sollevare un nuovo frangente di energia, sentì un immenso calore liberarsi
vicino a lei. Sconvolta, assistette all’esplosione del cosmo del Centauro, che
il Comandante della Legione Furiosa portò al suo culmine, riversandolo
all’esterno sotto forma di violenti lapilli infuocati, simili a pioggia di lava
che dal cielo cadeva, distruggendo e fondendo tutto ciò su cui precipitava.
“Lapilli di lava!” –Gridò
Chirone, dirigendo i violenti schizzi di magma contro Era, la quale dovette
muoversi all’indietro con enorme rapidità per evitare la fitta pioggia che
cadeva su di lei, distruggendo il terreno, sciogliendo il magma solidificato in
precedenza e disintegrando le pareti laterali della cella fino a creare una
vasta apertura sul muro retrostante. Da essa il magma fondente prese a colare
fuori, riversandosi sulla pianura dietro il Tempio di Era e estirpando i bei
giardini che la ornavano. –“Magma ardente!!!” –Esclamò il Comandante
della Sesta Legione, portando avanti entrambe le braccia, da cui diresse
violenti getti di massa lavica contro la Regina degli Dei, che si difese
sollevando una cupola di energia, simile alla bolla che l’aveva protetta in
precedenza, prima di spingerla con vigore contro Chirone, usandola come scudo
per sfondare le difese dell’Hero e spingerlo indietro.
“Così irritante!” –Commentò la Dea,
lanciandosi in alto e piombando come un fulmine sul Comandante della Sesta
Legione. –“Così irritante e umano appari ai miei occhi, come ho sempre visto
Ercole a cui tanto somigli!” –Aggiunse, scatenando la furia del suo assalto su
Chirone, che si difese avvolgendo il suo corpo in una sfera incandescente,
rannicchiandosi su se stesso e costretto a posare un ginocchio a terra, per
sopportare il peso di quell’attacco che veniva dall’alto. Nonostante la
violenza e la ferocia che Era stava riversando su di lui, Chirone non poté fare
a meno di sorridere, poiché le parole che la Dea gli aveva rivolto erano le
stesse che avrebbe sempre voluto sentirsi dire. Forse da Ercole stesso.
–“Muori!!!” –Gridò Era, travolgendolo con una devastante onda di energia, che
distrusse la sfera infuocata dell’Hero, scaraventandolo a terra e crepando la
sua corazza. Quindi Era gli si avvicinò, concentrando il cosmo sul palmo della
mano destra, pronta per calarla su di lui e disintegrarlo, ma quando si mosse
per colpirlo si accorse di essere paralizzata, di non riuscire più ad abbassare
il braccio o ad azionare qualsiasi altro muscolo. –“Che succede?” –Mormorò
stizzita la Dea, chiedendosi di quali altri poteri fosse dotato l’Hero del
Centauro. Ma quando comprese che non era stato lui a paralizzarla, immobile e
sanguinante ai suoi piedi, era già troppo tardi. La cavernosa voce di Nestore
dell’Orso l’aveva già raggiunta.
“Ruggito dell’Orso Bruno!”
–Tuonò il Comandante della Quarta Legione, investendo in pieno la Dea del
Matrimonio e scaraventandola lontano. Nestore fu subito su Chirone, seguito da Polissena
della Strega, per aiutarlo a rimettersi in piedi.
“Non avrei mai creduto che un giorno sarei
stato contento di vederti, bestione!” –Chiosò Chirone, osservando Nestore, in
piedi vicino a lui, con l’armatura ammaccata e numerosi tagli sul viso e sul
corpo.
“Potrei dire lo stesso di te! Ma sono
felice tu sia sano e salvo!” –Affermò Nestore, osservando lo sfacelo attorno a
loro. Il Dio dell’Onestà giaceva riverso a terra, sprofondato in un misterioso
sonno, guardato a vista da Penelope del Serpente, priva della maschera d’oro
bianco e piena di ferite sul corpo, protetti entrambi da una gabbia quasi
metallica che li sovrastava, mentre Druso di Anteus ansimava vicino al suo
Comandante. Poco distante, i corpi senza vita di Diomede e Aureliano erano
stati raggiunti da lapilli infuocati e avevano iniziato ad ardere. Soltanto le
Moire erano ancora al loro posto, intente a filare e a disfare l’arazzo con gli
emblemi degli Heroes, costellato ormai da soltanto quattordici simboli.
“La gabbia che protegge Ercole e
Penelope è opera di Druso, realizzata con il frammento di Glory della sua
Armatura! È impenetrabile! È la protezione migliore per difendere entrambi il
tempo necessario affinché Penelope non riesca a risvegliare Ercole dal sonno
innaturale che Era le ha provocato!” –Commentò Chirone, e Nestore annuì con il
capo, prima che la strillante voce di Era li richiamasse entrambi.
“Non è un semplice sonno!” –Spiegò la
Dea, ergendosi in cima alla piccola montagna di magma e detriti. –“È un incubo
casomai! Ah ah ah! Sono spiacente ma ho la netta impressione che non sentiremo
più parlare di Ercole né degli Heroes, per molto tempo a venire!”
“Cosa gli hai fatto strega?!” –Ringhiò
Nestore, ma Chirone lo pregò di controllarsi, poiché la rabbia li avrebbe
soltanto resi vulnerabili.
“Gli ho offerto un’opportunità unica!
Qualcosa che nessuno di voi, stupidi mortali, avrebbe mai potuto donargli! La
possibilità di cambiare il suo passato, facendo strage di vecchi rimpianti e
abbandonandosi ai piaceri della vita, ritrovando l’abbraccio dell’unica donna
che il vostro amato Ercole abbia mai amato!” –Spiegò Era.
“Vuoi dire… Deianira?!” –Balbettò
Nestore.
“Precisamente! La donna che Ercole
tanto amò ma che da lei fu involontariamente condannato! Dopo che il vostro
amato Dio ebbe indossato la pelle del centauro Nesso, iniziò a sentire violenti
dolori che lo condussero alla morte, sul monte Eta! Venne però salvato da Zeus
che lo elevò dal rango di uomo mortale a quello di Dio, concedendogli un posto
sul Monte Sacro, privilegio fino a quel momento riservato alle creature di
origine divina! Dall’alto dell’Olimpo, Ercole ha trascorso secoli a sospirare,
ricordando l’amore perduto della bella Deianira! E quando un giorno, voi lo
saprete certamente bene, decise di scendere nuovamente sulla Terra, lo fece
sapendo che non l’avrebbe mai trovata, poiché la donna era morta secoli prima,
versando tutte le sue lacrime sulla Lama degli Spiriti! Perciò…” –Tuonò Era,
forte del maleficio a cui si era abbandonata. –“Se Ercole non avesse mai
indossato quel mantello, ma fosse rimasto con Deianira, stufo come era a quel
tempo di guerre e di imprese, di leggende e di mostri da affrontare, avrebbe
vissuto una lunga vita al suo fianco, dimenticandosi dell’Olimpo e degli Dei e
concentrandosi soltanto su se stesso! Così facendo non sarebbe mai divenuto una
leggenda, né gli uomini avrebbero visto in lui un modello da imitare, poiché
nient’altro aveva ottenuto se non una donna e un caldo focolare! La Lama degli
Spiriti non sarebbe mai stata forgiata e il presente in cui avete vissuto,
riuniti alla corte di Tirinto, non avrebbe mai avuto luogo! Applaudite, stolti,
il piano perfetto della Regina dell’Olimpo! È l’ultimo gesto di cui vi lascio
padroni prima di cancellare dalla faccia della Terra la vostra ridicola
presenza!” –Esclamò Era, bruciando il suo cosmo divino. –“Sarebbe sufficiente
aspettare, per vedervi scomparire, cancellati da un futuro che non è mai
esistito! Ma per l’ardore che avete dimostrato, per le offese che avete osato
recarmi, sarò io stessa a togliervi per sempre dalla storia! Ora!” –Gridò,
generando un’immensa onda di energia, che si abbatté con foga contro i quattro
Heroes riuniti tra di loro, che cercarono di contrastarla portando le mani
avanti e unendo i loro cosmi.
Druso e Polissena vennero scaraventati
via poco dopo, schiantandosi contro le pareti retrostanti, tra i frammenti insanguinati
delle loro corazze, mentre Chirone e Nestore cercarono di resistere, di opporsi
a quel potere devastante che pareva distruggere ogni cosa. Il magma
solidificato, la scalinata, i corpi di Diomede e Aureliano, persino il soffitto
e le mura laterali vennero inghiottiti all’interno di quell’onda annientatrice.
I due Comandanti, che per tanto tempo si erano scherniti a vicenda, gareggiando
per entrare nel cuore di Ercole, unirono i loro cosmi, dirigendo contro Era i
loro assalti finali. Alle spalle di Nestore apparve l’imponente sagoma di un
immenso Orso Kodiak, mentre l’Hero liberava il suo colpo segreto, subito
imitato da Chirone, che sollevò le mani verso l’alto, assumendo la forma di un
vulcano in procinto di eruttare. Lapilli di lava parvero cadere dal cielo,
penetrando l’onda di energia prodotta da Era, traforandola e aprendo la strada
alla devastante furia dell’Orso Bruno, che generò una potente esplosione che
distrusse l’intero Tempio di Samo.
Il primo a liberarsi dai detriti che
erano crollati su di lui fu Nestore dell’Orso, il quale, tossendo per la
polvere e lo sforzo, si fece strada tra le macerie dell’Heraion, guardando lo
sfacelo attorno a lui. Della terza cella restavano soltanto pezzi del muro
settentrionale, ai piedi del quale le Moire continuavano imperterrite a filare
i fili della vita, e di quello occidentale, mentre a oriente tutto era
crollato, rivelando una pianeggiante distesa, un tempo coperta di fiori di
giglio, e un cielo plumbeo che sovrastava tutti loro in un rigoroso silenzio,
rotto soltanto dai rumori provocati dai superstiti che cercavano di emergere
dalle macerie crollate. Chirone del Centauro apparve poco distante, con
l’armatura crepata e un occhio che perdeva sangue, mentre Druso e Polissena,
ansimando, riuscirono a liberarsi dai detriti franati su di loro. Di Era,
apparentemente, non vi era alcuna traccia. Ma sia Nestore che Chirone
convennero che gioire avrebbe significato soltanto un’apparente facile
vittoria. Un attimo più tardi infatti, una bomba di luce esplose una decina di
metri avanti, scagliando via mucchi di pietra e di magma solidificato e
rivelando la snella sagoma di Era ergersi dirimpetto a loro, con determinazione
e senso di superiorità negli occhi.
“Avete provato ma avete fallito!”
–Commentò la Dea, osservando con dispiacere il tempio che aveva ricostruito
soltanto il giorno prima. –“Userò il vostro sangue per lucidare le colonne del
nuovo Heraion!” –Aggiunse, volgendo il palmo della mano verso di loro e
schiacciandoli a terra, con una forte pressione psichica. Nestore e Chirone
crollarono sul terreno, boccheggiando a fatica, quasi come sentissero l’aria
venire meno, pressati al suolo da un potere che faceva scricchiolare tutte le
loro ossa.
“Questa pressione… è allucinante!”
–Gridò Nestore, mentre la sua corazza si schiantava in più punti.
“Resisti, bestione!” –Commentò Chirone,
bruciando il cosmo. –“Non vorrai farti uccidere proprio adesso, che sei ad un
punto dall’aiutare Ercole e combattere al suo fianco come hai sempre
desiderato!”
“Quel desiderio dovrebbe essere anche
il tuo, Chirone!” –Brontolò Nestore, stringendo i denti e bruciando il proprio
cosmo.
“Credo che in fondo tu lo meriti più di
me!” –Esclamò l’altro, abbandonandosi per la prima volta ad un sorriso, che
sorprese Nestore, lasciandolo in silenzio ad osservare gli sforzi del
Comandante della Sesta Legione che, con fatica, riuscì a risollevarsi in piedi,
prima poggiando un ginocchio e poi alzandosi del tutto, avvolto nel suo cosmo
incandescente. –“È strano! Non avrei mai pensato di dover morire fianco a
fianco con l’uomo che ho detestato più di ogni altro in questi anni di
permanenza a Tirinto! Ma forse, tutta quest’invidia che provavo per te, era
nata solo dal fatto che eravamo simili, provavamo lo stesso ardore, lo stesso
desiderio di servire Ercole, sia pure con modalità diverse! Io sono sempre
stato un individualista, cresciuto con i valori che mio padre, un soldato
figlio di una generazione di soldati, è stato capace di trasmettermi! Valori
come l’onore, la tenacia, la determinazione a non arrendersi anche a costo di
camminare nel fango, valori di uomini soli, di individui, i cui unici legami
erano legami di cameratismo, di unione militare! Soltanto adesso, dopo anni
trascorsi a Tirinto, dopo anni in cui ho logorato me stesso per impormi di
essere sempre migliore e sempre all’altezza della situazione, per conquistare
le onorificenze di Ercole, mi accorgo che quel legame che ti ha sempre unito ai
tuoi compagni della Quarta Legione, e agli altri Heroes, era ben diverso da
quello che legava me e i miei guerrieri! Il nostro era cameratismo, il tuo era
amicizia!” –Spiegò Chirone, espandendo al massimo il suo cosmo e concentrandolo
sulle mani, sotto forma di lava incandescente. –“È stato un onore per me
combattere e morire a fianco di un compagno! A fianco di un amico, Comandante
Nestore!” –Esclamò l’Hero del Centauro, liberando tutto il suo potere. –“Magma
ardente!!!”
Era venne raggiunta dai caldi getti di
lava del guerriero, che le cementificarono i piedi al terreno, iniziando a
ricoprirla, ma prima che fosse interamente rivestita riuscì a sollevare le
braccia al cielo e ad avvolgere Chirone con le sue pericolose ceneri. –“Ceneri
del Tempo!” –Gridò la Dea, mentre l’Hero veniva sommerso dalla scintillante
polvere. –“A te non darò la possibilità di tornare indietro, per poter
rimediare a qualche errore commesso, per poter cambiare in meglio il futuro che
hai avuto l’onore di vivere! Tutt’altro! Le Ceneri del Tempo porteranno
via il tuo futuro, estirpandolo alla radice, facendo strage del tuo passato!”
–Aggiunse Era, osservando con un ghigno sul volto le polveri che si posavano su
Chirone, divorando la sua corazza e il suo corpo, che lentamente parve farsi
sempre più evanescente, di fronte agli occhi sconvolti di Nestore dell’Orso.
“Chirone!!! Nooo!!!” –Gridò, e il suo ruggito risuonò
sull’intera isola di Samo, tra le lacrime che gli scendevano sul viso. Quando
si placò, crollando a terra sulle ginocchia, ormai libero dal potere di Era,
notò con orrore che Chirone era scomparso, cancellato dalla storia come se mai
fosse esistito.
Capitolo 39 *** Capitolo trentottesimo: Le lacrime di Ercole. ***
CAPITOLO TRENTOTTESIMO: LE LACRIME DI ERCOLE.
Era una bella giornata di sole quella
che accompagnò il risveglio di Ercole, disteso sul morbido letto di piume della
sua casa in Tessaglia. Il canto degli uccellini, sui rami degli alberi in
giardino, richiamò la sua attenzione, obbligandolo a voltarsi e poi a
sollevarsi, ancora assonnato, proprio mentre la sua dolce sposa entrava in
camera senza fare troppo rumore. La donna depose un vassoio pieno di
prelibatezze sul mobile accanto al letto e sedette vicino all’uomo di cui era
innamorata. Era il suo eroe, prima ancora che di Euristeo e dei ricchi
anfitrioni greci che spesso ardivano offrirgli qualche ricompensa per i suoi
servigi. Lei era Deianira, figlia di Oineo, Re di Calidone, una città
sul Golfo di Corinto. Ed era la sposa di Ercole, la sposa più felice che avesse
mai incontrato.
I due innamorati trascorsero l’intera giornata sulle rive
del fiume vicino, mangiando sui prati attorno e riposandosi sull’erba fresca,
cullati dal vento. Distesi sul morbido velluto verde, Ercole stringeva Deianira
a sé, la testa poggiata sul robusto petto scolpito, i capelli di lei che
odoravano di fresche fragranze, capaci di inebriare i sensi e accendere la
passione nello sposo. Sorrisero, scambiandosi baci e carezze, mentre Deianira
felice ricordava l’eroica impresa con cui Ercole l’aveva conquistata. L’aveva
vista un giorno passeggiare per le strade dell’acropoli di Calidone e subito
l’aveva chiesta in sposa a Re Oineo, il quale aveva acconsentito a patto che
Ercole sconfiggesse il Dio fluviale Acheloo, anch’egli promesso sposo alla
principessa Deianira. Ercole sconfisse il Dio ed egli gli cedette il diritto di
sposare Deianira, donandogli un corno della capra Amaltea, ossia la cornucopia,
simbolo di abbondanza.
Così Ercole l’aveva conquistata,
strappandola ad un animalesco Dio per cingerla in un caldo abbraccio, tra le
sue braccia robuste, che molti nemici avevano vinto e che sicurezza e
protezione avrebbero potuto darle. Felice, Deianira aveva sorriso alla sua
nuova vita, trasferendosi in Tessaglia col novello sposo e dandogli due figli:
Abia e Illo. Adesso erano trascorsi vent’anni, durante i quali i due erano
rimasti insieme, nella casa vicino al fiume, e i figli erano cresciuti ed erano
andati a vivere nelle città del sud. Ma loro erano ancora lì, uguali ad allora,
identici al primo giorno in cui si erano incontrati, per le affollate vie di
Calidone, come se il tempo non li avesse scalfiti, come se il tempo si fosse
fermato, inquadrandoli in un momento della loro vita e lasciando che durasse
per sempre.
Sdraiata sul petto di Ercole, Deianira
osservava le nubi portate dal vento, bianche e leggere, e si divertiva
nell’individuare le loro forme, vedendovi talvolta una farfalla, talvolta un
cavallo, talvolta il viso di una persona conosciuta. Ercole sorrideva,
carezzandole i capelli e lasciandosi inebriare dal suo profumo di donna,
amandola come l’aveva amata per tutti quegli anni. D’un tratto, volse lo
sguardo al cielo e lasciò che il vento lo cullasse, mentre le nuvole correvano
via, lontano. Nuvole bianche, nuvole leggere, nuvole improvvisamente rosse di
sangue.
“Che succede?!” –Domandò Deianira,
mentre Ercole si sollevava di scatto, ansimando a fatica e scansando la sposa.
–“Ercole, mio adorato, cosa ti turba?!”
“Io...” –Balbettò per un momento
l’uomo, incapace di trovare le parole per rispondere, incapace di spiegare
qualcosa che neppure lui aveva ben chiaro cosa fosse. Come poteva mostrare alla
donna che amava di aver visto una nuvola tinta di rosso nel cielo bianco di quel
giorno? Una nuvola che somigliava ad un centauro. –“Sto bene!” –Mormorò, mentre
Deianira lo abbracciava preoccupata. –“Sto bene! Si è trattato soltanto di uno
scherzo del sole!” –Sorrise, distendendosi di nuovo a fianco della donna.
I due continuarono ad osservare le
nuvole per un’oretta, cullati dal vento e dal sole, prima che Deianira si
addormentasse ed Ercole rimanesse da solo, con tutti i suoi pensieri. Per un
momento provò la spiacevole sensazione di voltare lo sguardo e di non fissare
più il cielo, impaurito da cosa avrebbe potuto trovarvi. Ma poi vinse tale
repulsione, sollevando gli occhi e trovandola ancora lì, quella maledetta
nuvola rossa, quella maledetta nuvola tinta di sangue. Ercole tremò,
rabbrividendo al sole, mentre la nuvola mutava forma, diventando un immenso
centauro, un essere metà uomo e metà cavallo, che trottava su un fiume,
molestando tutti coloro che tentavano di attraversarlo. Per un attimo, Ercole
credette che il centauro si fosse voltato verso di lui e gli avesse sorriso, digrignando
i lunghi denti sporchi, prima di correre via e lasciare che l’immagine
cambiasse nuovamente, divenendo un fuoco, un’alta pira di fiamme, le cui cime
parevano lambire il cielo. Vi fu un lampo e l’immagine svanì.
Deianira si svegliò poco dopo, incitando
Ercole a seguirla fino a casa, dove iniziarono i preparativi per il pasto
serale. Ma in tutto quel tempo, per quanto distratto dall’amore e dalla
spensieratezza di Deianira, che spesso ad Ercole appariva ancora la stessa
ragazzina di quando l’aveva incontrata la prima volta, l’uomo non riuscì a
togliersi dalla mente l’immagine di quella nuvola. Stanco infine di pensarci,
aiutò la compagna a preparare la cena, uscendo nel cortile a spaccare legna e
gettandola poi nel fuoco. Non appena la legna iniziò ad ardere una sinuosa
lingua di fuoco si allungò nell’intera stanza, spingendo Ercole indietro, di
fronte agli occhi inorriditi di Deianira, che iniziò a urlare, mentre le fiamme
volteggiavano attorno al corpo del marito.
“Aaah!!! Ercole! Cosa succede? Cosa
sono queste fiamme?” –Strillò la donna, mentre Ercole, incantato da
quell’arcano rito, sembrava impassibile, incapace di muoversi. D’un tratto,
veloci come erano apparse, le fiamme scomparvero, senza lasciare traccia.
–“Cosa sta succedendo, Ercole? Quale maleficio tiene le redini di
quest’agitazione?” –Ma l’uomo non seppe risponderle, limitandosi a baciarla in
fronte e ad uscire dalla casa. Là, fuori dal felice nido d’amore in cui aveva
vissuto per vent’anni, in cui si era cullato lontano dai problemi del mondo,
dagli intrighi degli uomini e degli Dei, apparve una sagoma di donna, leggera
ed eterea, quasi fosse composta di nebbia. Ercole rimase immobile, sulla soglia
di casa, ad osservare la donna dai lunghi capelli arancioni avvicinarsi senza
proferire parola. Quando gli fu vicino, la osservò togliersi la maschera di oro
bianco che le copriva il volto e rivelarlo a lui, a cui voleva rivolgersi,
senza riuscire però a raggiungerlo. Ercole inorridì, facendo un passo indietro,
quando ritrovò, nel volto della sconosciuta, il viso che aveva fissato negli
ultimi vent’anni. Quello della sua amata Deianira.
D’un tratto la scena cambiò e la donna,
la casa, il paesaggio a lui noto vennero spazzati via, da un vento carico di
fiamme nere, prima che una pira di legna comparisse di fronte a lui. Una
catasta sulla cima di un colle, che Ercole parve riconoscere come la sommità
del monte Eta. Di fronte ad essa, alla pira che sembrava attendere l’agnello
sacrificale, due giovani piangevano lacrime amare, incapaci di trattenere i
singhiozzi che mozzavano il loro cuore. Ercole, a passo lento, si avvicinò e
non poté trattenere un grido nel riconoscere il suo amato figlio, Illo, e il
nipote Iolao. Immediatamente Ercole fu su di loro, li chiamò, li scosse, ma
questi sembravano non percepire la sua presenza, quasi fosse fatua evanescenza,
limitandosi a piangere, a continuare a piangere, incapaci di accendere quel
rogo. E allora, in quel momento, mentre un fulmine si schiantava sulla catasta
di legna, iniziando a bruciarla, Ercole comprese che non vi sarebbe stato alcun
agnello da offrire in sacrificio. Soltanto un uomo. Lui.
A tratti, immagini confuse della sua
vita iniziarono a scorrergli davanti, mentre si incamminava verso il fuoco che
divorava ormai la pira di legna, immagini della vita che aveva vissuto in quei
vent’anni con Deianira e immagini di una vita che non aveva vissuto, per quanto
ne fosse stato il protagonista. Confuso, tenendosi la testa e gridando,
lasciando che il suo ruggito risuonasse per tutta la vallata del monte Eta,
Ercole salì sul rogo, mentre Illo e Iolao intonavano i lamenti funebri e
Deianira apparve correndo nella nebbia, in lacrime, diretta verso di lui, per
fermarlo.
“Ercoleee!!!” –Gridava la donna,
disperandosi per non poterlo raggiungere, poiché più correva più il destino
pareva alimentare le fiamme che glielo avrebbero portato via. Le fiamme della
realtà. –“Resta con me!!! Resta con me, Ercole!!!”
Mentre Ercole cominciava a bruciare, un
tuono scosse l’intera valle e la lucente sagoma del Dio del Fulmine squarciò le
nubi, posando il suo sguardo sul figlio avuto anni addietro da una mortale.
Zeus allungò una mano e lo trasse in salvo, conducendolo sull’Olimpo e
elevandolo al rango di Divinità. Così, tra le grida di Deianira e i pianti del
figlio, Ercole ascese all’Olimpo per la seconda volta. Accecato da tale
bagliore, il Dio chiuse gli occhi e quando li riaprì si accorse di essere sulla
sommità dell’Isola di Samo, nel luogo ove fino a poco prima sorgeva il
ricostruito Heraion di Era. Stordito, il Dio cercò di mettersi in piedi, ma una
voce di donna lo pregò di non affaticarsi, poiché era ancora debole. Ercole si
voltò e trovò il viso che le era parso di scambiare per l’amata Deianira, il
volto di Penelope del Serpente, della Quarta Legione.
“Bentornato, mio Signore!” –Sorrise la
Sacerdotessa, visibilmente affaticata. –“Non è stato facile richiamarvi dal
mondo fatuo in cui Era aveva precipitato la vostra anima! Ho dovuto faticare
per superare le difese del tempo e trovare l’isola felice in cui eravate precipitato!”
“L’isola felice?!” –Mormorò Ercole,
cercando di rialzarsi. –“Il tuo volto?! Erano i tuoi segnali?!”
“Era voleva distruggere il vostro
passato, facendone cenere con il suo potere e impedendovi di assurgere
all’Olimpo come Divinità! In tal modo, continuando a vivere felice con
Deianira, avreste dimenticato Zeus e gli uomini, non avreste mai fondato
Tirinto e le Legioni di Heroes non sarebbero mai state costituite!” –Spiegò
Penelope, pallida in volto. –“Raggiungervi è stato molto difficile… ho provato
ad inviarvi qualche segnale, qualche riferimento a come la vostra vera vita
avrebbe dovuto essere... Ho dovuto sforzarmi per superare le resistenze del
vostro animo! Le resistenze di un uomo che, forse, avrebbe realmente voluto che
la sua vita fosse stata diversa… magari migliore!” –Mormorò Penelope, prima di
accasciarsi tra le braccia del Dio, che la depose a terra con cura.
Perdonami, Penelope, se ti ho fatto
penare! Commentò questi. E perdonatemi voi tutti, Heroes, per avervi
lasciato da soli, ad affrontare un nemico infinitamente superiore! Ma ho avuto
bisogno di un momento per me stesso! Il dono che mi hai fatto, Era, il dono con
cui volevi togliermi dal presente e relegarmi in un passato fuori dai destini
del mondo, sinceramente l’ho apprezzato! Perché per una volta ho potuto vedere
la vita che mi sarebbe spettata se molte cose fossero andate diversamente, se
non avessi combattuto con Nesso, o se Deianira non avesse accettato la pelle
avvelenata del centauro, impaurita dalla prospettiva di perdermi per un’altra
donna! Per una volta ho provato a vivere uno dei tanti se che mi hanno segnato
la vita, assaporandolo come fosse il mio vero presente! Non cadrò nel tuo
inganno! No, non rimpiangerò la vita che avrei potuto avere! Ma ti ringrazio
per avermi dato la possibilità di prenderne parte, anche solo in un sogno!
Si disse, incamminandosi verso l’esterno del crollato Heraion, ove i cosmi dei
suoi Heroes e quello di Era si stavano scontrando.
Annientato Chirone del Centauro, il
terzo Comandante a cadere dopo Tereo di Amanita e Adone dell’Uccello del
Paradiso, Era aveva rivolto la sua ira celeste contro Nestore dell’Orso,
travolgendolo con le sue devastanti onde di energia. In aiuto del Comandante
della Quarta Legione però erano apparsi alti flutti spumeggianti, carichi di
frizzante energia cosmica, che lo avevano sollevato, prima di abbattersi con
vigore contro la Regina degli Dei, spazzandola momentaneamente via. Sopra di
essi, Alcione della Piovra aveva sorriso al compagno, affiancata da Marcantonio
dello Specchio e dalla Nave di Argo, guidata da Neottolemo del Vascello, che
ospitava i corpi stanchi di Pasifae del Cancro e di Nesso del Pesce Soldato.
Tutti gli Heroes erano finalmente riuniti e, per quanto deboli e stanchi
fossero, adesso erano insieme.
“Da soli le nostre possibilità sono
minime, ma insieme avremo maggiori speranze di colpirla!” –Commentò
Marcantonio, circondato da Alcione, Nestore, Neottolemo, Druso di Anteus e
Polissena della Strega.
“Speranze?!” –Tuonò la Dea,
sollevandosi nel cielo sopra di loro. –“Quali speranze può nutrire un gruppo di
guerrieri mortali come voi? Stanchi, sudici di fango e di vergogna, vi
trascinate a fatica su questo sentiero dissestato, così simile alla vostra
stessa esistenza! Un altro passo e il baratro dell’Inferno si aprirà sotto di
voi e sarò io, Era, Regina dell’Olimpo, a precipitarvici!” –E sghignazzò,
espandendo il suo cosmo.
“Così tanto disprezzo verso la razza
umana è difficilmente comprensibile da chi ha avuto l’ardire di generare un
figlio con un esponente di tale razza!” –Esclamò infine Nestore dell’Orso,
avanzando di qualche passo, di fronte allo sguardo stupito di Alcione e degli
altri Heroes, Polissena escluso, e a quello ancor più stordito, e decisamente
irato, di Era. –“Nessun segreto è tale per l’eternità, Signora dell’Olimpo!
Neppure quello che indica in Partenope del Melograno il vostro figlio!”
“Partenope?!” –Sgranarono gli occhi gli
altri Heroes, stupefatti, mentre Era, col volto acceso di collera, piombava
come una saetta su Nestore, obbligando l’Hero a bruciare al massimo il suo
cosmo per opporsi a quel violento assalto, che lo spinse comunque indietro di
qualche metro, prima che un attacco congiunto degli altri compagni respingesse
Era.
“Cosa ne sai tu, uomo, della mia vita
privata?” –Domandò infine la Dea, atterrando a pochi metri di distanza dal
gruppo.
“Tutto ciò che avete sempre cercato di
tenere celato! Partenope, sotto l’effetto delle onde psichiche di Polissena, ci
ha raccontato la vostra storia, Dea dell’Olimpo, il vostro recondito desiderio
di voler conoscere un mondo, quello degli uomini, che avete per millenni
disprezzato, trovandovi infine serenità e piacere!” –Rispose Nestore.
“Così tanto piacere da essere gettata
via come un oggetto!” –Commentò amaramente Era. –“Come Zeus aveva fatto per
tanti secoli sull’Olimpo, così, quel giorno di trent’anni fa, accadde di nuovo!
E cosa mi ha insegnato questo? A odiare ulteriormente il vostro mondo,
desiderandone ardentemente la distruzione! Sarà il divino fuoco purificatore
del mio cosmo a portare una nuova epoca sulla vostra Terra! Un fuoco che farà
strage di tutti i vostri errori!”
“Può accadere…” –Intervenne Alcione,
facendosi avanti coraggiosamente e affiancando Nestore. –“Che gli uomini
sbaglino! Come ha indubbiamente errato l’uomo che vi abbandonò, incinta di
vostro figlio! Ma rientra nell’imperfezione del genere umano la possibilità di
sbagliare, per imparare dagli errori commessi e spingersi a non ripeterli più!”
“L’uomo è troppo lento ad imparare!
Anzi, io credo che l’uomo non sappia imparare! Tutt’altro! L’uomo è portato a
ripetere i suoi errori, a perseverare diabolicamente negli sbagli e nel dolore
esistenziale di cui il suo animo trabocca!” –Rispose Era, bruciando il suo
cosmo. –“Ma guardatevi! Siete il residuo delle Legioni di Ercole, sporchi di
sangue e di vergogna, e pretendete di insegnare a me, la Regina dell’Olimpo,
Grande Dea Madre, come comportarsi nei confronti di una razza che non merita
sguardo alcuno se non lo sguardo che porrà termine al suo inutile barcamenarsi su
quest’angolo di universo?! Patetici siete, e patetici morrete!!!” –Gridò Era,
espandendo il proprio cosmo e generando un’immensa onda di luce, che diresse
contro gli Heroes.
Marcantonio tentò subito di creare lo Specchio
delle Stelle, ma la pressione del cosmo divino di Era lo mandò
immediatamente in frantumi, mentre Nestore afferrava Alcione per portarla fuori
dal distruttivo raggio di azione dell’attacco e Neottolemo riusciva a balzare
indietro, assieme a Druso. Polissena, indebolito dall’enorme utilizzo dei suoi
poteri mentali contro Partenope, non riuscì a schivarlo in tempo, venendo
disintegrato sul colpo, di fronte agli occhi carichi di dolore e di lacrime
degli altri compagni. Riuniti tra di loro, i cinque Heroes sopravvissuti
bruciarono al massimo i loro cosmi, unendoli in un unico attacco.
Druso di Anteus utilizzò il
potere del frammento di Glory, da lui custodito, per creare una gabbia
protettiva, che calò sugli Heroes, per difenderli dal prossimo assalto della
Dea. Una gabbia la cui resistenza era pari a quella della Veste Divina di
Ercole. Nestore, Alcione, Marcantonio e Neottolemo diressero i loro colpi
segreti verso Era, combinando il Ruggito dell’Orso Bruno con l’Esplosione
dei Silenti Abissi, la Spirale dell’Onore e le Ali del Mito.
L’impeto dell’attacco stupì la stessa Era, che dovette impegnarsi per non
essere spinta indietro da quella straordinaria offensiva, la cui matrice era
rinchiusa nell’amicizia che legava quegli uomini, nella volontà di difendere il
loro Signore e tutto ciò che egli rappresentava, tutto ciò in cui loro stessi
credevano e a cui avevano consacrato la loro esistenza: la speranza di un
futuro. Qualcosa che Era non riusciva a comprendere, considerandola una
bassezza, un sacrilego atto di offesa verso l’immutabilità dei destini umani
fissati dagli Dei.
Lo scontro tra i due poteri spinse Era
indietro di parecchi metri, finchè non riuscì a respingere l’assalto,
rivolgendolo contro gli Heroes, protetti dalla gabbia di Glory, in cui Druso
stava riversando tutto il suo potere. Imbestialita, con il volto straziato
dall’offesa recata alla sua persona, la Dea scatenò l’assalto più potente fino
ad allora, scardinando le difese degli Heroes e spazzando via persino la gabbia
costruita con il frammento di Glory, assieme ai cinque compagni che si
schiantarono a terra. Anche Era accusò comunque il colpo, pur senza barcollare
né cadere al suolo, ansimando a fatica, e prima che potesse attaccare
nuovamente, approfittando della momentanea debolezza degli Heroes, si trovò
bloccata da lunghi e sinuosi rovi che sorsero improvvisamente dal terreno
attorno a lei. Allungati fusti di spine, aridi e polverosi, si chiusero su Era,
attorcigliandosi al suo corpo, per dilaniarne le membra e bere del suo sangue,
come lei aveva goduto che il sangue degli Heroes venisse versato.
“Rovi di Spine!” –Gridò Paride
della Rosa, unico sopravvissuto della Legione dei Fiori, emergendo tra le
macerie dell’Heraion, con l’armatura danneggiata e numerosi lividi sul corpo.
Era bruciò il proprio cosmo, liberandosi con una fiammata di quella miserabile
prigionia, quindi sollevò il braccio destro, raccogliendovi l’energia cosmica
per spazzar via quel ragazzetto dalla faccia della Terra, ma vicino al polso,
nelle giunture della sua Veste Divina, si insinuò una manciata di piume, lunghe
e affusolate, che presero istantaneamente fuoco, stridendo sulla sua corazza. Antioco
del Quetzal balzò agilmente di fronte alla Regina dell’Olimpo, concentrando
il cosmo ardente sulle braccia e liberando un attacco dalla forma simile a
quella di un serpente di piume, avvolto dalle fiamme.
“Fuoco del Serpente Piumato!”
–Gridò Antioco, mentre Era spostava le braccia di fronte a sé, volgendo il
palmo avanti, per creare una barriera su cui si infranse l’assalto di Antioco,
rimandandolo indietro e travolgendo il suo stesso creatore. Ma proprio mentre
la Signora di Samo mosse un passo avanti, per raggiungere l’Hero del Quetzal,
un nugolo di frecce cariche di energia acquatica si piantò nel terreno di
fronte a lei, obbligandola ad un balzo indietro, mentre il suolo esplodeva e Nesso
del Pesce Soldato avanzava a fatica tra le macerie, avvicinandosi ai
compagni.
“Cotanto giovanile ardore sarà
sradicato sul nascere!” –Tuonò Era, volgendo il palmo della mano contro Paride,
Antioco e Nesso e travolgendoli con un poderoso attacco energetico che
distrusse quel che restava delle loro corazze, scaraventandoli a terra, pieni
di tagli e ferite.
“Nesso!!!” –Gridò Alcione, alla vista
del compagno crollare al suolo inerme. Ma Marcantonio la trattenne per un braccio,
pregandola di non perdere il controllo della situazione. Ciò che Era voleva
infatti, che aveva sempre voluto, era ferirli nei sentimenti, al punto da
logorare la loro calma e la loro coscienza in battaglia e renderli vulnerabili
e sconfitti. Fu in quel momento che riapparve Ercole, sollevando la Clava e
generando un fendente di energia che squarciò il terreno di magma solidificato,
abbattendosi su Era e spingendola indietro, fino ad obbligarla a poggiare un
ginocchio a terra per contenere la violenta pressione esercitata su di lei.
“Se i giochi sono ancora aperti, vorrei
partecipare!” –Esclamò il Dio dell’Onestà, avvicinandosi ai suoi Heroes e
ringraziandoli per tutto ciò che avevano fatto. Anche combattere per lui. –“Ho
cercato di evitare fin troppo questa guerra, perché ogni volta in cui pensavo a
lottare con te, Era, venivo rapito dai fantasmi del mio passato e trascinato
addietro, in un’epoca in cui tanto male mi hai inferto, ostacolando ogni mia
missione, cercando di rovinare ogni singolo momento di felicità che la vita
pareva offrirmi! Quando mio Padre mi salvò dal rogo del Monte Eta, facendomi
salire sull’Olimpo, credetti davvero che le nostre divergenze avessero termine!
Ma mi sbagliai, continuando ad osservare il modo malfidato con cui mi guardavi,
come fossi l’errore più grave che il tempo non riusciva a cancellare! Non mi
hai mai offerto amore né comprensione, né mai ti sei sforzata di provarlo,
accusando me per una colpa commessa da Zeus o da te, che non hai saputo dargli
abbastanza amore per tenerlo a sé!”
“Taci, bifolco!” –Tuonò Era, ferita da
quelle parole più che dal taglio di una lama. –“Tu rappresenti un errore! Ma
non soltanto quello di Zeus, bensì l’errore di un’intera razza, la tua, che ha
perso ogni diritto di vivere! Ade e mio figlio Ares, in questi millenni in cui
hanno cercato di dominare la Terra, per sottometterla al loro dominio, non
avevano poi motivazioni così sbagliate! Dopo tutto, non vi sono motivi per cui
una razza così debole ed insignificante abbia il diritto di esistere!”
“Lo credi davvero? E allora perché hai
dato un figlio proprio ad uno di loro? E perché provavi così tanta
soddisfazione, quando nel Mondo Antico gli uomini di Samo e di Argo ti
offrivano doni per onorarti? Forse che quei doni non erani figli di una razza
inutile e bastarda, inutili a loro volta? O forse la verità è un’altra, ed è
più semplice! Che la tua frustrata esistenza sull’Olimpo, di Dea e donna
dimenticata, ha generato in te così tanto odio e un’invidia così grande da
voler l’annientamento di Tirinto, dei miei Heroes e di quel mondo di amore e
felicità che sono riuscito a costruire, quel mondo che tu hai sempre anelato e
mai ottenuto?!”
Era non rispose, concentrando il cosmo
in un’immensa sfera energetica che diresse contro Ercole, il quale fu abile a
colpirla con la Clava e a deviarla, venendo però spinto indietro dal violento
contraccolpo. Fu un attimo, ma Era fu subito su di lui, scendendo dall’alto con
le mani, a guisa di artigli, cariche della sua energia cosmica strapiena di
rancore e di invidia. Afferrò il collo di Ercole, per soffocarlo, ma questi la
spinse via con una ginocchiata in pieno petto, che fece ruzzolare la Dea sul
terreno distrutto, prima che questa si rialzasse e fissasse l’eroe con occhi di
brace.
“Non sono riuscita a cambiare il tuo
passato e forse mi merito questo fallimento! Perché sono stata troppo buona con
te! Darti la possibilità di vivere la vita che avresti voluto, anche se questo
significava togliere dalla scena Tirinto e gli Heroes, sarebbe stato un premio
anziché un tormento!” –Tuonò Era, evocando le Ceneri del Tempo.
–“Adesso, anziché cambiarlo, estirperò il tuo passato, riducendolo in
cenereee!!!” –Gridò, dirigendo le lucenti polveri verso Ercole. Ma con un agile
balzo Marcantonio si interpose tra il Dio e la Regina dell’Olimpo, aprendo le
braccia e creando lo Specchio delle Stelle, su cui si depositarono le Ceneri
del Tempo, annientate sul momento da una violenta esplosione di luce.
Quelle che si salvarono vennero travolte dagli alti flutti spumeggianti di
Alcione e poi diretti contro Era da Neottolemo del Vascello, che vi unì le
proprie nubi, sì da creare due immense Ali del Mito che investirono in
pieno la Dea. Per opporsi a tale pressione, Era generò una barriera cosmica,
spingendo via l’immensa massa di acqua, aria ed energia, ma nel farlo offrì il
lato sinistro a Nestore, che era già di fronte a lei, torreggiando come un orso
sulla preda, per travolgerla con il Ruggito dell’Orso Bruno.
Il colpo raggiunse Era su un fianco, spingendola indietro e
facendola ruzzolare a terra, facendole perdere il polos, il copricapo divino.
Quando si rialzò, la Dea fissò Nestore con ira, paralizzandolo con lo sguardo,
prima di colpirlo con una sfera energetica che esplose su di lui, sollevandolo
e facendolo schiantare al suolo, con la corazza distrutta. Prima che potesse
dargli il colpo di grazia, Ercole scattò avanti, roteando la clava tra le mani
e portandosi di fronte a lei, colpendola sul fianco già ferito da Nestore e
scaraventandola indietro. Nuovamente a terra, nuovamente con la faccia sul
suolo sporco. Rialzandosi, Era notò che la Veste Divina era crepata e sangue
sgorgava dalla ferita aperta. Lo tastò, imbrattandosi le mani con il suo Ichor,
prima di sogghignare, accendendolo con il suo cosmo. L’intero corpo di Era
parve bruciare in un’unica fiammata e quando la luce calò d’intensità, Ercole
poté notare che la Veste Divina, che oltre al fianco aveva subito crepe in
altri punti del corpo, era di nuovo integra, come se fosse stata appena
forgiata.
“Il potere degli Dei è qualcosa che voi mortali non
giungerete mai a comprendere! Il nostro Ichor, il sangue divino, ci permette di
forgiare nuovamente le corazze da noi indossate, rendendo impossibile a
chiunque, che non sia un Dio nostro pari, sconfiggerci!” –Spiegò la Dea, camminando
a passo deciso verso Ercole, e rimarcando la sua espressione finale, per
sottolineare ciò che aveva sempre sostenuto: che Ercole fosse un uomo, ma non
un Dio. –“E per dartene una prova, ti ucciderò adesso, figlio di Alcmena,
dandoti la possibilità di rivedere tua madre e la tua adorata sposa! Addio,
Ercole! Giudizio divino!” –Tuonò Era, abbattendo sul Dio dell’Onestà una
tempesta di folgori strazianti e di massa di energia cosmica, che turbinarono
sul corpo dell’eroe, prima di scaraventarlo indietro, privo dell’elmo e della
Clava e con la Veste danneggiata in più punti. –“Efesto le ha forgiate
entrambe, e forse, bruciando al massimo il tuo cosmo, potresti ripararla tu
stesso, con il tuo proprio sangue, in virtù del cosmo di Zeus! Ma essendo Dio
soltanto per metà, e avendo rifiutato quella metà da secoli ormai, sei
destinato alla sconfitta!”
Incurante delle parole della Dea, Ercole si rimise in piedi,
ansimando per lo sforzo, mentre gli Heroes correvano al suo fianco, per
aiutarlo. Ma questi li allontanò con un gesto, intimando loro di non
intromettersi. Il tempo degli Eroi si era concluso. Adesso avrebbe dovuto
trovare la forza per entrare nel tempo degli Dei, per quanto l’idea non lo
allettasse. Bruciò il cosmo, scontrandosi a mezz’aria con Era, prima di portare
entrambe le braccia avanti, per contenere il nuovo attacco della Regina
dell’Olimpo, il cui Giudizio Divino pareva uno spartiacque tra due
mondi. Dietro di lui vi erano gli Heroes, Tirinto e tutto ciò che
rappresentavano, il futuro ideale che aveva promesso alle libere genti. Davanti
a lui si ergeva Era, sposa di suo Padre, Signora dell’Olimpo, determinata a
coprire il dolore per essere stata abbandonata, ricoprendo il mondo con un velo
di rancore. Le braccia tese avanti, per contrastare lo strapotere della Dea, le
gambe solidamente piantate nel terreno, lo sguardo fisso su di lei, forse per
farle capire che in cuor suo avrebbe voluto evitare di combattere proprio con
lei, nella speranza che potesse offrirle un po’ di quell’amore che una madre dovrebbe
dare al figlio. Il rinnovato assalto di Era piegò le braccia di Ercole,
spingendolo indietro e schiacciandolo a terra, tra i frammenti della Glory e
schizzi di sangue.
“Mio Signore!!!” –Gridò Alcione, lanciandosi avanti e
srotolando i suoi tentacoli, per afferrare Era, che si divincolò alla svelta,
contrattaccando con un’onda di luce, che schiacciò l’Hero a terra, falciandone
i tentacoli. Identica sorte incontrarono Marcantonio, Nestore e Neottolemo,
sorretti ormai soltanto dal fioco baluginare del loro cosmo.
Vedendoli crollare a terra, nel fango da cui provenivano,
Era si abbandonò ad una risata soddisfatta. Li osservò rantolare al suolo,
incapaci di trovare la forza per rimettersi in piedi, incapaci persino di
alzare lo sguardo verso il cielo, verso un potere così infinito che li aveva
svuotati di ogni forza. Era mosse i suoi occhi al di là di quella pianura
distrutta, verso l’unico muro rimasto in piedi dell’Heraion ricostruito il
giorno prima, ai piedi del quale le Moire ancora filavano. L’arazzo sopra di
loro era quasi del tutto disfatto, sarebbe bastata la fiamma di una candela per
estinguerlo completamente. E per questo Era sorrise. Poco importava se per
realizzare quel progetto di sofferenza ordito ai danni di Ercole, altri avevano
sofferto. Poco importava se Didone e Argo fossero stati uccisi, o se Partenope
fosse morto invocando il nome della madre che non l’aveva mai amato. In fondo
gli Oracoli e gli Emissari, al pari dei Kouroi, dei soldati e di tutti gli Dei
inferiori, erano soltanto pedine da manovrare, come aveva fatto per tutti
quegli anni, incapace di provare per loro un genuino sentimento di affetto. Si
ritenne soddisfatta, prima di volgere lo sguardo verso Ercole.
Il Dio intanto, schiantato nell’arido suolo, stava
lentamente perdendo conoscenza, mentre il sangue sgorgava copioso dalle sue
ferite. Travolto dal suo passato, colpevole del futuro che aveva tentato di
donare agli uomini e causa della sconfitta e della morte, nel presente, di
tutti i suoi Heroes. Ercole li sentiva, i cosmi dei suoi compagni che giacevano
attorno a lui, spegnersi lentamente, uno ad uno, come aveva sentito spegnere
tutti i cosmi di coloro che avevano combattuto per lui in quella Guerra Sacra.
Adone, Damaste, Chirone, Dione, Tereo e la Legione dei Fiori, Agamennone e i
giovani Argo e Gleno. Tutti avevano invocato il suo nome, in punto di morte,
come se egli potesse impedire ad Atropo di calare le sue forbici sul filo della
loro vita. In quel momento provò la stessa sensazione di spaesamento che gli
altri avevano dovuto provare in punto di morte, così privi di ogni riferimento.
Facendosi forza e raccogliendo il suo cosmo, Ercole iniziò a muovere le dita,
poi le braccia, infine le gambe, per tentare di rimettersi in piedi.
“Posso aiutarti, mio vecchio compagno?! Mio buon amico!”
–Esclamò una figura, abbagliando l’intero spiazzo in cima alla collina. Ercole
sollevò la testa, perdendosi nel fiero sguardo di un uomo anziano, ammantato da
un’aura di luce, al punto da sembrare un angelo.
“Tu…” –Mormorò il Dio, accennando un sorriso stanco.
“Il mio venerabile maestro…” –Esclamò Alcione, cercando di
rimettersi in piedi. –“Linceo della Piovra!”
“Alzati, Alcione! Alzati e combatti con me!” –Le tese una
mano Linceo, incitando l’allieva a dare fondo a tutto il suo cosmo. Alcione
sorrise, afferrando la mano dell’Hero della Piovra e venendo bagnata dal suo
confortevole cosmo. Insieme i due si voltarono verso Era, rimasta piuttosto
stupita da tale apparizione, pur senza esserne troppo preoccupata.
“Cosa dovrei temere? Uno spettro? Uah ah ah!” –Rise
beffarda.
“Parole violenti le tue! Che non rendono
onore alla Regina dell’Olimpo! Spettri sono le carogne annidate nel tuo animo!
Spettro è il rancore che ti trascini dietro da tutta una vita, come una vecchia
in punto di morte incapace di godere ancora della luce del sole che le resta da
vedere!” –La zittì Linceo, la cui autorità era tale da far ammutolire persino
la Signora degli Dei. –“Io sono puro cosmo! E continuerò a vivere fintantoché
il mio cuore continuerà ad ardere!” –Gridò Linceo, espandendo il cosmo, vasto e
profondo, come le distese oceaniche. –“Con me, Alcione!!! Esplosione dei
Silenti Abissi!!!” –Esclamò l’uomo, subito seguito da Alcione, che sommò il
proprio cosmo a quello del maestro, dirigendo l’assalto contro Era, la quale,
per difendersi, dovette portare le mani avanti e volgere loro i palmi, per
contrastare quella violenta pressione che pareva spingerla indietro ogni
secondo che trascorreva.
“Maledetti!!! Sterminerò la vostra arroganza!” –Tuonò Era,
espandendo il proprio cosmo e frenando l’avanzata dei due Heroes. Ma subito
altri cosmi si unirono a quelli di Alcione e Linceo, aumentando la massa
energetica che premeva contro la Regina dell’Olimpo.
“Ruggito dell’Orso Bruno!” –Esclamò Nestore, subito
seguito da Marcantonio e Neottolemo. –“Frecce del Mare!!!” –Aggiunse
Nesso, rimessosi in piedi per miracolo. –“Fuoco del Serpente Piumato!!!”
–Gridò Antioco, che sorreggeva Paride della Rosa. E agli otto cosmi si
aggiunsero anche quelli di Druso di Anteus, di Penelope del Serpente e di
Pasifae del Cancro, avvicinatisi a passo lento ai loro compagni. –“Insieme,
Heroes!!!” –Gridò Marcantonio, mentre i loro cosmi congiunti divenivano
un’immensa sfera energetica che puntava su Era, la quale, per difendersi,
dovette far esplodere il proprio cosmo, portandolo al suo parossismo.
“Giudizio Divino!!!” –Tuonò la Dea, liberando una
tempesta di folgori che squarciarono la sfera, generando un’immensa
deflagrazione che risuonò sull’intera Samo, spingendo tutti i contendenti
indietro, facendoli schiantare sul terreno e spaccando persino il suolo. Lo
spirito di Linceo, apparso per aiutare Ercole, scomparve, dissolvendosi come
polvere nel vento, ma le sue parole risuonavano ancora nell’animo del Dio
dell’Onestà, che fu l’unico, terminato lo scontro tra Era e i suoi Heroes, a
potersi alzare nuovamente. Si guardò intorno, osservando la desolazione di quel
paesaggio, i lividi e le ferite sui corpi distrutti dei suoi compagni, e poi
bruciò al massimo il suo cosmo, chiamando Era a gran voce.
La Dea apparve tra le rovine, scuotendosi il terriccio dalla
Veste Divina, che nuovamente presentava qualche crepa, dovuta all’assalto
congiunto degli undici Heroes. Boccheggiò per un momento, non credendo
possibile che dei miseri esseri umani, la specie più infima di tutto il creato,
potessero tanto. Ma l’espressione determinata sul viso di Ercole le fece capire
di non aver tempo per chiedersi altro, neppure per riprendere fiato. Con un
balzo il Dio dell’Onestà fu su di lei, muovendo la Clava da sinistra a destra e
colpendola su un fianco, prima di muoverla nella direzione opposta e colpirla
nuovamente, atterrandola. Prima che potesse rimettersi in piedi, Ercole la
schiacciò a terra con un poderoso colpo del piede, sagomando il suolo con la
sottile figura della Dea, la quale, adirata per un simile affronto, bruciò il
suo cosmo, rilasciandolo in una violenta esplosione, che spinse Ercole
indietro, sbattendolo a terra e facendogli perdere la presa della Clava.
“Hai resistito alle Ceneri del Tempo! Hai resistito
al Giudizio Divino! Ma non resisterai al potere del cosmo!” –Gridò Era,
avvolgendo Ercole con la propria energia. –“Ti sono superiore, Ercole!!!
Ammettilo!”
“Non ho mai avuto la pretesa di negarlo! Ma forse sei sempre
stata troppo accecata da te stessa e dalla tua frustrata esistenza per
notarlo!” –Sibilò il Dio, stretto nel soffocante abbraccio cosmico della Dea,
prima di lasciar esplodere l’energia che portava dentro, energia che gli
proveniva dal cuore e dall’amore per gli uomini, di cui sentiva di fare parte.
–“Fede negli Uomini!!!” –Gridò Ercole, dirigendo la sua immane tempesta
contro Era, che contrattaccò con il suo assalto, generando una violenta
esplosione che abbagliò la sommità dell’intera Isola di Samo.
Ricaddero a terra, Ercole ed Era,
schiantandosi tra i frammenti delle loro danneggiate Vesti Divine. Era chiaro a
entrambi, fin da prima di quell’ultimo attacco, che quello scontro non avrebbe
potuto risolversi se non nella distruzione reciproca, poiché nessuno dei due
poteva essere così forte da prevalere in maniera netta sull’altro. Né Ercole,
l’unico uomo che aveva ricevuto l’onore, per le imprese compiute e per essere
figlio di Zeus, di assurgere all’Olimpo come Dio degli uomini; né Era, Regina
degli Dei, che Ercole e gli uomini aveva sempre disprezzato. Imperterriti,
Ercole ed Era si sollevarono nuovamente in piedi, mentre gli Heroes superstiti,
i dieci che erano riusciti a sopravvivere alla distruzione portata dagli Shadow
Heroes e dai servitori di Era, rantolavano a terra, cercando uno spiraglio di
sole in quel cielo che ormai era carico di nuvole grigie.
D’un tratto, mentre i cosmi di Era e di
Ercole nuovamente si accendevano sulla sommità dell’Isola di Samo, un fulmine
squarciò il cielo plumbeo, conficcandosi nel terreno tra le due Divinità. Gli
Heroes sollevarono lo sguardo verso il cielo, cercando di rimettersi in piedi,
proprio mentre una figura ricoperta da una scintillante Veste Divina,
circondata da saettanti fulmini, appariva sopra di loro. Una figura che Era ed
Ercole conoscevano bene, essendo loro sposo e Padre: Zeus, Dio del Fulmine e
Signore supremo dell’Olimpo.
“Zeus, marito mio!” –Mormorò Era,
arrossendo improvvisamente, quasi fosse stata sorpresa in un atto sacrilego. La
stessa sorpresa comparve sul volto di Ercole, che chinò il capo,
inginocchiandosi di fronte al sommo Padre, che fissava entrambi in silenzio,
con aria imbronciata. Al suo fianco apparvero Ermes, il Messaggero degli Dei,
avvolto nella sua candida Veste Divina, e Eolo, Signore dei Venti, che cercò di
evitare l’irato sguardo che subito Era gli rivolse.
“Ercole! Era!” –Esclamò il Dio,
parlando con voce calma ma inflessibile. –“Sono profondamente deluso dal vostro
comportamento! Lo spettacolo a cui ho assistito in questi due giorni, e di cui
sono stato prontamente informato dai miei fidati collaboratori, non si addice
al rango di Divinità, quali voi siete! Che lo vogliate o no!” –Aggiunse,
tirando un’occhiata di rimprovero verso Ercole
“Padre, io… vorrei spiegarti…” –Ma Zeus
lo zittì con un cenno della mano e con uno sguardo che non lasciava spazio a
dubbi.
“È questo l’amore per gli uomini che
tanto hai professato per tutta la vita, Ercole?” –Domandò Zeus, osservando la
rovina di Samo e le ferite degli Heroes. –“È per questo motivo, per condurli ad
una rovinosa guerra, priva di qualsiasi ragione d’essere, che hai fondato
Tirinto e addestrato per anni i tuoi guerrieri? Come possono nominarsi Eroi dei
soldati che combattono soltanto per difendere il loro Signore che, minacciato,
non è in grado di cavarsela da solo? Vuoi ergerti a protettore delle umane
genti, presentando un modello di comunità ideale e di futuro, quando non sei in
grado neppure di prenderti cura di te stesso e dei tuoi guerrieri, che hai
condannato ad una triste morte? No, figlio! Hai ancora molto da imparare! Hai
ancora molta strada da percorrere prima di giungere alla perfezione delle
Divinità!”
“Ma io non sono un Dio, Padre! Sono
anche un uomo!” –Rispose Ercole, alzandosi in piedi.
“Purtroppo lo sei!” –Sospirò Zeus. –“Ed
è stata la tua natura umana, passionale e carica di emozioni, a privarti di
ogni divino discernimento, ad azzerare la tua lucidità e a precipitarti nel
fango di questa guerra, ove hai trascinato anche i guerrieri a te fedeli, uccidendoli!”
“È
stata la fine che meritavano, marito mio! Tale deve essere la punizione per chi
volge i pugni contro gli Dei, pretendendo di emulare le loro gesta!”
–Intervenne allora Era, volgendo lo sguardo rabbioso verso Ercole. Ma Zeus
zittì anche lei.
“Gli Dei sono sempre stati un modello
per gli uomini, Era! Gli Dei esistono in funzione degli uomini, poiché servono
per dare loro qualcosa in cui credere! Il sole, la luna, il fulmine… tutte le
forze della natura e tutti i comportamenti che gli umani venerano non sono
altro che la proiezione della nostra divina essenza!” –Rispose Zeus. –“Ma tu,
che gli uomini mai hai compreso, pur avendo avuto un figlio da loro, non potrai
mai essere un modello o un ideale da raggiungere, rimanendo una reliquia
dimenticata, di un tempo in cui ti pavoneggiavi della loro venerazione!”
–Aggiunse, obbligando Era a chinare il capo e a scansare lo sguardo, piena di
vergogna. Anche il marito era a conoscenza del suo tradimento e questo avrebbe
macchiato il suo animo e pregiudicato tutto ciò per cui aveva lottato finora.
Come poteva, adesso, rinfacciare a Zeus i suoi tradimenti con le ninfe e
Ganimede, quando lei a sua volta aveva peccato di lussuria?
“Alzatevi adesso e salite all’Olimpo
con me! Passeremo un po’ di tempo insieme e forse questo servirà per insegnarvi
molte cose, nella speranza di rendervi migliori! Più degni del vostro essere
Divinità, che troppo spesso osteggiate…” –Esclamò Zeus, rivolgendosi ad Era.
–“O troppo spesso tendete a dimenticare!” –Aggiunse, voltandosi verso Ercole.
Quindi, sentendo le resistenze dei due ad abbandonare il campo di battaglia,
mosse un dito, sollevando entrambi con il cosmo, avvolti in una spirale di
energia, dentro la quale né Ercole né Era potevano muoversi.
“Padre! Fermati! Ti prego!” –Esclamò
Ercole, per quanto doloroso fosse per lui parlare. –“Devo tornare sulla Terra!
Tirinto ha bisogno di me! Gli Heroes hanno bisogno di me!”
“Se la caveranno ugualmente!” –Commentò
il Dio, volgendogli le spalle e iniziando a scomparire all’interno di uno
squarcio nel cielo, subito seguito da Eolo e da Ermes. –“Forse sapranno fare
meglio, senza un capitano incapace di condurre le proprie truppe alla
vittoria!”
“Ercole! Mio Signore!” –Gridarono
allora gli Heroes, dal basso, correndo avanti, pregando Zeus di non portare via
il loro Dio.
“Lasciami andare, Padre!” –Esclamò
Ercole, cercando di liberarsi. Ma Zeus fulminò il figlio con folgori dilanianti
che penetrarono nella sua pelle, facendolo gridare dal dolore.
A quella vista, gli Heroes decisero di
intervenire, scagliando contro il cielo i loro colpi segreti, seppur indeboliti
dalle lunghe battaglie sostenute. Ma Zeus neppure si curò di evitarli,
lasciando che si infrangessero su di lui come aria fresca. Quindi puntò un dito
verso di loro, minacciandoli con sguardo severo, prima di scaricare un fulmine
contro Paride della Rosa, incenerendolo sul colpo.
“Che vi serva da ammonimento!”
–Aggiunse, voltando definitivamente le spalle a Samo, agli Heroes e alla Terra
intera e scomparendo nello squarcio tra le nubi.
Nesso, Alcione, Marcantonio, Nestore,
Neottolemo, Pasifae, Druso, Antioco e Penelope si lanciarono avanti, allungando
le mani verso il cielo, ma un soffio di vento, generato da Eolo, li spinse
indietro, con la faccia nella polvere. Riuscirono a sollevarsi soltanto quando
lo squarcio tra le nubi si era ormai richiuso e, seguendo Zeus, Eolo, Ermes ed
Era, anche il corpo di Ercole scompariva al suo interno. Con un ultimo sguardo,
carico di amore e di tutto il futuro che non era stato in grado di garantire
loro, Ercole sorrise loro, tra le lacrime di quel giorno, lasciando gli Heroes
a languire nella polvere carica di dubbi di tutto ciò che avevano vissuto.
CHIRONE
DEL CENTAURO: Comandante della Sesta Legione.
Forte
e orgoglioso, figlio di un soldato di ventura, è stato addestrato a combattere
fin dalla giovane età.
(Colpi
segreti: Lapilli di lava, Magma ardente)
MISTAGOGO
DI TIFONE: Secondo di Chirone, nonché suo fratello.
(Colpi
segreti: Tifone di energia)
AURELIANO
DEL PITTORE: Pittore di Tirinto.
La
sua forza sta nella particolarità dei suoi dipinti, che possono animarsi o
divenire luoghi ove rinchiudere i propri avversari.
DIOMEDE
DELLA BALESTRA: Abile arciere.
(Colpi
segreti: Frecce di Diomede)
PERSEO
DELLA TESTA DI MEDUSA
LINO
DI ORFEO: Musico da guerra.
(Colpi
segreti: Requiem di follia)
TESPIO
DELLO SCUDO
MENTORE
DELLA STELLA MARINA: Esploratore.
LISITEA
DEL PESCE VAMPIRO
TIRESIA
DELL’ALTARE SACRO:
Allievo
di Asmita della Vergine, trova la forza nella meditazione. Possiede limitati
poteri di chiaroveggenza.
(Colpi
segreti: Abbandono dell’Oriente, Kaan,
Ohm, Ultima luce dell’Oriente).
DRUSO
DI ANTEUS: Fabbro di Tirinto.
IFICLE
DELLA CLAVA: Shadow Hero.
(Colpi
segreti: Clava distruttrice)
DINASTE
DI ANTINOUS: Shadow Hero.
Possiede
grandi poteri mentali.
LAMIA
DELL’AMAZZONE: Shadow Hero.
EFESTIONE
DI ERAKLES: Shadow Hero.
EMISSARI
DEL CIELO:
KYROS
DEL PAVONE:
Allievo
di Argo, tronfio della propria superiorità sugli umani.
(Colpi
segreti: Occhi del Pavone, Dita del Cielo)
BOOPIS,
LA GRANDE VACCA:
I
suoi poteri sono in intima connessione con la natura.
(Colpi
segreti: Spiriti della Grande Madre)
PARTENOPE
DEL MELOGRANO: Shadow Hero.
SACERDOTI
DI ERA:
ARGO:
Custode dell’Heraion e braccio destro e armato di Era.
Maestro
di Kyros, integralista sostenitore della superiorità degli Dei.
(Colpi
segreti: Dita del cielo, Stupor Mundi,
Tesoro del Cielo)
DIDONE:
Antica Regina di Cartagine, amata e abbandonata da Enea, di cui Era ha
sfruttato, distorcendola in odio verso gli uomini, la sofferenza.
(Colpi
segreti: Rogo di Didone, Turbinio di
fiamme amare)
DIVINITA’:
ZEUS,
SIGNORE DEL FULMINE e RE DELL’OLIMPO
ERMES,
MESSAGGERO DEGLI DEI
EOLO,
DIO DEI VENTI
BOREA,
VENTO DEL NORD:
Il
suo potere risiede nel gelo.
(Colpi
segreti: Vento del Nord,Fulmini di ghiaccio, Inverno di desolazione)
AUSTRO,
VENTO DEL SUD:
Il
suo potere risiede nell’acqua e nel fulmine.
(Colpi
segreti: Piogge torrenziali, Folgori di
Austro)
ZEFIRO,
VENTO DELL’OVEST:
Il
suo potere attinge al calore.
(Colpi
segreti: Siccità del cosmo, Primavera
infuocata)
EURO,
VENTO DELL’EST:
(Colpi
segreti: Soffio del Vento dell’Est).
IRIS,
MESSAGGERA DI ERA:
(Colpi
segreti: Onde dell’iride, Prigionia
dell’Arcobaleno, Giallo di Fuoco, Rosso di Fuoco, Verde di Campo, Blu di Mare,
Arancio di Nettare, Viola di Lama, Turchese di Sogno o di Incubo)
ERA,
REGINA DELL’OLIMPO e GRANDE DEA MADRE:
Ricrea
l’Heraion di Samo, da cui assiste alla caduta e degli Heroes e degli ideali che
li sostenevano, solo per fare un torto a Eracle.
(Colpi
segreti: Ceneri del Tempo, Giudizio
Divino)
ERCOLE,
DIO DEGLI UOMINI e VINDICE DELL’ONESTA’:
Figlio
di Zeus e Alcmena e protettore degli uomini.
(Colpi
segreti: Fede negli uomini. Possiede
una clava).