You can't forget

di Alice_Jackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO   

La guerra era finita. Un'altra guerra era finita, la guerra contro Gea. I Sette erano sopravvissuti, ma alla fine erano morti Nico e Reyna, con il verso con l'ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere, loro hanno fermato la guerra tra Greci e Romani, avevano giurato di portare la statua di Atena in mezzo al campo di battaglia e l'avevano fatto fermando la guerra, ma una freccia lanciata prima del loro arrivo dall'ombra centrò in pieno Reyna, mentre Nico morì per il troppo sforzo causato dal viaggio nell'ombra. Solo Hedge era sopravvissuto. Avevano salvato tutti. 
I ragazzi ora stavano tornando a casa, ai rispettivi campi. Erano distrutti, gli incubi li divoravano ogni notte e stavano malissimo. 
Gli dei, sull'Olimpo pensavano a cosa fare per farsi perdonare e per migliorare le loro vite, non si meritavano più di soffrire, avevano sofferto troppo per dei ragazzi. Ad un certo punto Atena ebbe un'idea
–Potremmo fargli dimenticare tutto questo, fargli dimenticare di essere semidei, non potremmo mai cambiare la loro natura facendoli diventare mortali, ma potremmo fargli dimenticare tutto come un'amnesia. Dovremo togliergli momentaneamente i loro poteri, in modo che se dovessero scoprire chi sono realmente gli ritornino. Sarà necessario dividerli, non si dovranno incontrare all'inizio, poi ci penseranno le Parche.– spiegò. 
Zeus cominciò a ragionare, non era affatto una cattiva idea, anzi poteva essere l'unica possibilità per farli vivere almeno un po' meglio. Così decisero. Mandarono li sul posto un messaggio Iride al Campo Mezzosangue e al Campo Giove, mentre Artemide avvisava le Cacciatrici, dove spiegavano tutto a tutti i ragazzi dei campi e di diffondere la notizia a tutti gli spiriti della natura, oltre che informare i parenti ancora in vita dei ragazzi, cioè veramente pochi. Chirone ne fu distrutto, ma si convinse che era la soluzione miglior per i ragazzi. Così chiuso il messaggio separarono i ragazzi e li mandarono nelle varie parti d'America, più o meno da dove provenivano.


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Angolino miooo:
Questa è la mia prima storia che pubblico, quindi non saprei cosa dire... Vi prego recensite! Così magari faccio qualcosa di meglio :)
Alice;D

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Jason aveva 16 anni, catapultato in una vita che sapeva non essere la sua, due mesi prima. Viveva con quello che diceva di essere il suo migliore amico, Jack, ma Jason sapeva che non era lui. L'appartamento era nel Massachusetts, in un paesino sperduto e andava al terzo anno di una scuola sperduta. Si era svegliato una mattina in quello che doveva essere il suo letto, dopo si era accorto che non sapeva nulla di se tranne che si chiamava Jason, Jason Grace. Per lui non era una sensazione nuova, l'amnesia, lo sapeva. Ma non riusciva a capirne il motivo, però sapeva che era importante, molto importante. Stava andando a scuola mentre pensava queste cose. Aveva saputo che ci sarebbe stato un nuovo studente quel giorno, era curioso di sapere se fosse simpatico, aveva una strana sensazione, ma non ci fece troppo caso e arrivò a scuola, stranamente in anticipo.
Aspettò fuori, mentre il cortile che si riempiva di ragazzi, finché non arrivò anche Jack, quindi entrarono insieme, raggiunsero l'armadietto, e presero i libri. Arrivati in classe si sedettero al solito posto, infondo alla classe e vicino alla finestra, aspettando il professore della prima ora. 
Arrivò dopo pochi minuti insieme ad un ragazzo, capelli ricci spettinati, carnagione da latinoamericano, orecchie un po' a punta, sembrava proprio un folletto di babbo natale... A Jason sembrò subito familiare, ma si disse che non era niente e continuò a sentire quello che stava dicendo il prof che diceva come avrebbero dovuto accogliere il ragazzo. Ad un tratto Jason incrociò lo sguardo di quello del ragazzo nuovo ed ebbe una specie di flash. Vide di sfuggita un drago di bronzo, una nave di bronzo e del fuoco; il flash, che non aveva idea di cosa significasse, finì proprio mentre il professore stava chiedendo al ragazzo di presentarsi, quello rispose con un sorriso furbo, un sorriso che Jason non si sarebbe mai dimenticato. 
–Io sono...– cominciò il ragazzo, ma venne subito interrotto da Jason, a cui venne un altro flash-ricordo-intelligente. 
–Leo Valdez...– finì lui. Leo in quel momento sbarrò gli occhi fissandoli in quelli del ragazzo e i due si fissarono per vari secondi, fino a quando il prof li riscosse. 
–Bene, vedo che vi conoscete già, Valdez siediti là, vicino a Grace– il ragazzo, ancora stordito, andò in silenzio dove gli era stato indicato. Jason non sapeva cosa gli fosse preso quando ha detto il nome del ragazzo, ma era sicuro lui lo conosceva, non sapeva come e perché si conoscessero, ma ne era sicuro, lui lo conosceva.


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Leo, un ragazzo di 16 anni molto problematico, passato da una famiglia di affidamento all'altra, o così almeno gli avevano detto, non ricordava niente che riguardasse prima di due mesi prima. Era dislessico, iperattivo, affetto da deficit dell'attenzione, e molte altre cose: lui stesso si definiva un ragazzo problematico. Da quando si era risvegliato quel giorno in quella casa, da cui era subito scappato, aveva sempre avuto la sensazione che qualcosa non andasse, che qualcosa dentro di lui mancasse, ma si era imposto di non pensarci e andare avanti, come faceva sempre nascondendosi dietro la sua ironia. 
Era già stato espulso da due scuole e scappato da altrettante famiglie, ma ora doveva andare bene. Lì davanti allo specchio, mentre cercava di pettinarsi inutilmente i capelli ricci, pensava, sperava, doveva e gli importava che andasse tutto bene, lui SAPEVA che sarebbe andato tutto bene, eppure non riusciva a convincersene, era come una vocina che glielo diceva. 
Arrivò a scuola molto in anticipo, per essere sicuro di non avere problemi già il primo giorno, arrivato davanti a quella che sperava fosse la sua scuola fino, almeno, alla fine dell'anno, anche se sapeva sarebbe stato impossibile. Subito notò un ragazzo, appoggiato al muro dell'edificio che gli dava le spalle, aveva qualcosa di familiare... ma non avrebbe saputo dire cosa. Era alto, biondo e con gli occhi azzurri... Aspetta! Come faceva a sapere che aveva gli occhi azzurri se era girato di spalle? Beh, lo sapeva e basta, lo sentiva, era come se lo avesse sempre saputo, anche non conoscendolo. Al suono della campanella entrò nella scuola e si diresse verso la segreteria, per ricevere il numero del suo armadietto e l'orario delle lezioni. Ovviamente, però non sapeva dove fosse la sua classe, quindi finì per girovagare per la scuola in cerca dell'aula. Il suo giro finì quando andò a sbattere contro qualcuno, che poi scoprì essere il suo professore della prima ora e che lo accompagnò in classe. Quando entrarono il prof cominciò a dire come gli alunni avrebbero dovuto comportarsi con lui, essendo nuovo; rimanendo in disparte imbarazzato, ebbe il tempo studiare i nuovi compagni di classe, notando che c'era anche il ragazzo biondo, del quale incrociò lo sguardo,aveva davvero gli occhi azzurri! Il ragazzo fece una cose strana, lo fissò per qualche secondo e dopo sgranò gli occhi, rimanendo quasi a bocca aperta, come se si conoscessero. Lui notò solo che gli aveva procurato una fitta di dolore allo stomaco e che era incredibilmente familiare. 
–Ora, le dispiacerebbe presentarsi alla classe?– il professore li riscosse entrambi. 
Lui sorrise –Io sono...– venne interrotto dal ragazzo biondo.
–Leo Valdez– concluse al posto suo guadandolo negli occhi, lui in quel momento ebbe un flash assurdo. Un drago di bronzo, una nave di bronzo e un ragazzo che vola con un fulmine dietro è una bella ragazza con i capelli biondi e gli occhi castano chiaro. Non aveva idea di cosa significasse e si ritrovò a camminare verso il banco vicino al ragazzo biondo ancora stordito dopo che il professore gli disse di sedersi accanto a 'Grace', aveva subito capito che era il ragazzo di prima.


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Angolino miooo:
Eccomi qua! Con il secondo capitolo! Ringrazio tutti quelli che hanno letto/recensito la storia!
Alice;D

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2


Hazel Levesque era nella sua stanza a New Orleans, nell'orfanotrofio. Aveva 14 anni, e non ricordava niente della sua vita passata. Le avevano detto che viveva con la madre, prima, ma ora era morta e Hazel era sola. Non si fidava della direttrice dell'orfanotrofio, ne di tutte le assistenti che ci lavoravano, ma non aveva un altro posto dove andare e si era rassegnata. 
Era li da due mesi, ma non ricordava niente che risalisse prima di arrivare in quel posto tanto odiato da lei. Era la più grande là, e non vedeva l'ora di essere abbastanza grande da andare via da quel posto. Ma dove sarebbe potuta andare? Non aveva nessuno e non conosceva nessuno, non era mai uscita dall'orfanotrofio. 
Sentì suonare una campanella e capì che era ora di andare a cenare. 
–Ehi Ellie vieni, andiamo a mangiare– si rivolse alla sua compagna di stanza, la sua unica amica, sola come lei. Aveva dieci anni, abbastanza alta con occhi azzurri e capelli biondissimi. 
Scendendo le scale pensava a qualcosa che le mancava come se le fosse stata tolta una parte importante di lei, la più importante e lei sapeva che riguardava la parte di passato che non ricordava. Non ne aveva mai parlato ad Ellie, pensava di annoiarla con le sue storie e sensazioni deprimenti.
Come tutti i giorni, tutti i ragazzini dell'orfanotrofio le prendevano in giro, dicevano che i loro genitori le avevano abbandonate per non doverle più sopportare. Spesso prendevano in giro Hazel per il colore della sua pelle oppure altre volte la accusavano di essere una strega: non ne capiva il motivo. Ma essendo abituate non ci fecero molto caso. 
A volte si chiedeva come facevano dei ragazzini senza genitori ad insultarle perché i loro genitori non c'erano? Bah, non lo avrebbe mai capito. Anche se ogni tanto le veniva voglia di farglielo notare, magari urlando... Ma non lo faceva mai, preferiva stare nell'ombra, e spesso la gente manco si accorgeva della sua presenza.
Quando quella notte andò a dormire, fece un sogno strano, per quanto ne sapesse non aveva mai sognato. Sognò di combattere, ma non come nelle guerre attuali che vedeva in televisione con bombe e fucili, era un combattimento con spade, archi e frecce! Intorno a lei c'erano sei figure non distinte; lei sapeva che erano importanti, quasi indispensabili per la sua vita, ma non le riconosceva. E questo le faceva male, molto male. Dopo si svegliò di colpo in un bagno si sudore.


****************

Percy Jackson era solo nella sua stanza in un appartamento di New York nell'Upper East Side. Era sabato sera quindi poteva stare tutto il tempo che voleva sveglio a guardare il soffitto della sua stanza. 
Da quando si ricordava, due mesi, la sua vita era monotona. Sempre la stessa storia tutti i giorni: la scuola, la dislessia, l'iperattività, le sgridate dei professori e le sere a pensare alla sua vita, della quale sapeva veramente poco. Insomma, la solita vita di un 17enne che non ricorda niente della sua vita. Era a dir poco emozionante! Eppure sapeva in qualche modo che non era sempre stato così. Sapeva di aver desiderato di avere una vita monotona.
L'unica cosa che aveva fatto un po' fuori dalla normalità era stata un weekend con sua madre Sally, che sembrava capirlo più di qualsiasi altra persona incontrata in quei due mesi, e il suo patrigno Paul a Montauk, dove avevano una casa al mare. Appena aveva sentito l'odore del mare si era subito sentito meglio, quasi completo, come se fosse stato il suo ambiente naturale. 
Infatti quasi, perché dentro di lui c'era come un vuoto enorme, era come se mancasse una parte di lui, la più importante. Non capiva come questo potesse essere possibile, sentire che una parte di se manca, ma non capire quale, cosa c'era di così importante che lo potesse svuotare così tanto? Lui non lo sapeva.
Durante i due mesi aveva pensato spesso che la sensazione di non sapere niente di lui non gli era nuova, ma pensarci gli provocava un enorme dolore che non riusciva a far smettere, quindi appena cominciava a pensarci, provava subito a smettere e spesso ci riusciva. Ma quella notte da solo nella sua stanza, non riusciva proprio a non pensarci.
E con questi pensieri felici in testa, si addormentò all'alba delle tre e mezza di notte. 
Quella notte ebbe un incubo, come al solito, ma non di quelli soliti, con strani mostri, uno in particolare che nel sogno diceva di chiamarsi Kelly, bensì del tutto nuovo. Sognò di correre, correre, e correre finché non si ritrovò del tutto senza fiato, però continuava a gridare un nome "Annabeth". Non ne capiva il motivo visto che non conosceva nessuna Annabeth, ma sapeva che era importante, che, in qualche modo, faceva parte del suo misterioso passato. Dopo un po' si ritrovò in una specie di campo di battaglia con in terra un sacco di armi, tipo spade e pugnali, bronzo celeste e oro imperiale pensò senza un motivo apparente, e delle monete che sembravano antiche di qualche secolo o addirittura millennio, dracme e denarii, pensò ancora senza motivo. Non si ricordava di aver mai sentito parlare di cose del genere. Cominciava a pensare un po' troppe cose senza motivo... Anche se in quel momento il motivo c'era eccome, e lui lo sapeva benissimo. Si accorse poi di avere intorno altre sei figure, completamente indistinte che combattevano con armi uguali a quelle in terra, le armi sembravano le uniche cose che si potevano  vedere in quel sogno, e a quella, si accorse dopo, che ne teneva una nella mano destra. Quella spada... Quella spada aveva un nome, forse anche qualche altro significato, ne era sicuro, ma era come se lo sapesse ma non riuscisse a dire quale fosse.
A quel punto si svegliò urlando ancora il nome della ragazza che non conosceva, Annabeth, nella sua stanza, bagnato fradicio di sudore. Arrivò sua madre di corsa aprendo la porta con un calcio, quasi si aspettasse un mostro, con una faccia tra lo spaventato, il sorpreso e il preoccupato –Percy! Che cosa è successo!? E perché hai urlato il nome di Annabeth!?– si fermò come se avesse detto qualcosa di sbagliato, ma continuò a guardarlo pretendendo una risposta.
–N-niente... Solo un sogno...– 
La madre fece per andarsene sperando che il figlio non avesse ascoltato la seconda domanda, ma...
–Aspetta!– Percy la richiamò indietro con gli occhi che chiedevano una spiegazione –T-tu conosci una ragazza che si chiama Annabeth?–
E ora che cosa gli diceva? Non poteva di certo mentirgli, ma neanche dirgli la verità tutta intera... –Lei... era una tua vecchia amica... di quando eri più piccolo. Ma non la vedi da un sacco di tempo.– Sally trasse un sospiro di sollievo nella sua mente, certo non era la verità vera e propria, ma ci si avvicinava parecchio, sempre abbastanza per non fargli sospettare troppo. "Tanto prima o poi, glielo dovranno dire, no?" si disse la donna fra se. 
–Ah... Ok... B-buonanotte ma'–
–Notte– detto questo uscì, lasciandolo di nuovo solo.
In tutto questo tempo però, Percy non si era mai chiesto il motivo per cui sua madre non gli avesse detto mai niente. Ma ora gli era chiaro che sapeva qualcosa, se non, forse, tutto. Ma decise che non le avrebbe chiesto niente, se non gli aveva detto niente ci sarà stato un motivo e anche parecchio importante, d'altra parte la madre non gli aveva mai nascosto niente.


****************

Frank, 16 anni, un ragazzo alto e muscoloso, ma con una faccia ancora da bambino, con negli occhi una tristezza infinita. Aveva una vita estremamente monotona, nella quale viveva da solo, in uno stupido orfanotrofio di Vancouver, in Canada. Sarebbe tanto voluto scappare da quello stupido posto! Ma dove sarebbe andato? Da quel che sapeva sua nonna e sua madre erano morte e non sapeva di un padre o qualcos'altro che poteva avere quella funzione. Ci aveva già rinunciato da tempo.
Sapeva che sua madre era morta in guerra, come facesse a saperlo era un mistero, infatti era la sola cosa che ricordava della vita prima di arrivare all'orfanotrofio, oltre alla nonna che gli moriva tra le braccia e il suo nome Frank Zhang, due mesi prima. 
La dentro non aveva amici, neanche uno, anzi, solo gente che lo prendeva in giro per quella sua faccia da bambinone cinese che si ritrovava. Ma lui sentiva che non era sempre stato così, gli amici li aveva avuti, magari anche una ragazza... Bah... Ma non li ricordava e questo era sempre un punto a suo sfavore. 
Ora si trovava nel giardino, sotto il solito albero, a pensare di poter ricordare qualcosa che, magari, non era mai successa. Mentre stava per rientrare più sconfortato che mai, sbarrò gli occhi e recitò qualcosa che somigliava ad una profezia:

Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno
Fuoco o tempesta il mondo cader faranno
Con l'ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere 
E alle Porte della Morte, i nemici armati si dovran temere.


Aveva pronunciato quei versi come se fosse posseduto da qualcuno-o-qualcosa. Appena ebbe finito si stupì e si chiese cosa volesse dire e perché il suo 'io interiore' lo riteneva così importante, così lo scrisse prima di dimenticarlo su un foglietto che aveva in tasca. 
Poco dopo arrivò Josh, un bulletto che divertiva a sfottere Frank, con la sua banda di mini-teppisti e, sebbene avessero due anni meno di lui e alti almeno la metà, continuavano a importunarlo e prenderlo in giro. Non dava mai molto peso a quello che dicevano, tanto erano sempre le stesse, ma quel giorno si era davvero stancato, quindi all'ennesimo insulto, quando Josh se ne uscì con il solito 'faccia da ciccione' con la smorfia di disgusto che gli caratterizzava quella faccia che tanto Frank aveva imparato ad odiare, esplose. Si alzò in piedi, sovrastandoli di ben 30/40 centimetri, si era accorto infatti, che lo prendevano in giro solo quando era seduto e quindi erano loro a sovrastarlo e non lui. La sua cosiddetta 'faccia da ciccione' si indurì e si fece feroce talmente tanto, che Josh e 
la sua banda cominciarono a tremare, soddisfatto del risultato sbraitò –SMETTETELA DI PRENDERMI IN GIRO E PENSATE A VOI STESSI CHE STATE TREMANDO E PIAGNUCOLANDO COME DELLE FEMMINUCCE DI GATTINI IN CALORE!!!!–. 
Quando ebbe finito la rabbia gli scivolò via da corpo come se fosse stata acqua e si accorse dei ragazzi che si erano accalcati intorno a loro per sapere che cosa stesse succedendo, fortunatamente nessuno di compromettente e 'spione'. Quando poi si accorse che avevano tutti la bocca spalancata dallo stupore si rese conto di non essere mai esploso in quel modo davanti a qualcuno. A quel punto i ragazzini scapparono terrorizzati da Frank e imbarazzati dal pubblico. 
Frank corse in camera sua per riflettere sul perché era appena esploso in quel modo e di quanto lo facesse sentire stranamente bene. Era come una parte di lui che nei due mesi non era ancora emersa, ma che lui sapeva essere giusto così. Ma soprattutto pensare a quella specie di profezia. Che lo aveva colpito tantissimo ed era stato come un flash, per un secondo si era ricordato tutto, perfino la profezia, e un secondo dopo era di nuovo tutto buio e non ricordava di nuovo niente.


*****************

Piper aveva 16 anni, viveva con il padre, l'attore di Hollywood Tristan McLean, in una villa sulla spiaggia di Los Angeles. 
In pratica una vita normale, se non fosse stato che non ricordava assolutamente niente che precedesse gli ultimi due mesi. Era una ragazza molto bella, nativa americana, con la pelle scura e i capelli marrone scuro, ma a cui non piaceva farsi notare, tagliando quindi i capelli in modo asimmetrico e legandoli in delle treccine disordinate, e vestendosi in modo molto normale, jeans logori con scarpe logore e semplici magliette o felpe colorate, sperava di non essere riconosciuta come la figlia del famoso attore. 
Sentiva un vuoto dentro di se, qualcosa che aveva provato a colmare in tutti i modi: provando ad innamorarsi, cosa che stranamente, non era mai riuscita a fare, come se qualche strana forza maggiore glielo impedisse, o addirittura con del gelato, con il solo risultato di gelarsi lo stomaco. Non sapeva cosa stava e le stava succedendo, ma di sicuro non era una cosa normale. Era come se la parte importante della sua vita non ci fosse più, scomparsa dentro un labirinto, un labirinto nel quale doveva ritrovare la sua memoria e poi uscirne indenne. La cosa le sembrava fin troppo complicata anche solo da pensare. Ormai non sapeva più che fare, le aveva provate tutte, ma non riusciva ad uscire da quel maledetto labirinto in cui era entrata, con il solo risultato di incasinarsi ancora di più. 
Aveva provato a chiedere al padre, ma non le era sembrato che sapesse qualcosa più di lei, quindi aveva lasciato stare. Aveva anche provato a chiedere alla segretaria di suo padre, che però le aveva risposto sincera –So solo che quando ci siamo conosciute mi avevano appena licenziata dallo studio di un famoso meteorologo e tu mi hai offerto un lavoro qui, perché il mio ragazzo ti conosceva– e neanche Mellie era riuscita a darle una risposta.
Pensava sempre a queste cose, spesso pensando anche ad un cartello, tipo quelli dei cani smarriti, con la sua foto e la scritta: "dispersa: una ragazza persa nel labirinto della sua storia per ritrovare la propria memoria", era una cosa un po' buffa, ma la faceva sempre fare un sorriso e non ci pensava più per un po'. 
Ma quel giorno era diverso. Non riusciva proprio a smettere di pensarci, così si addormentò. 
Fece un sogno molto, ma molto strano, più del solito (sognava di volare, tutte le notti). Erano come dei piccoli flash uno dietro l'altro, velocissimi, vide prima un drago di bronzo, poi un coltello con delle incomprensibili immagini dentro e poi sei figure completamente indistinte, sedute insieme a lei attorno ad un tavolo di legno. Avrebbe giurato di aver visto una torta blu davanti ad una della figure... A quel punto si svegliò di soprassalto.


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Annabeth non sapeva più a cosa pensare e lei odiava non sapere qualcosa e adorava pensare, quindi era un grande problema. 
Aveva 17 anni, viveva a San Francisco con il padre, Frederik Chase, la matrigna e i fratellastri. Andava in una normalissima scuola, non aveva dei normalissimi amici e aveva i voti sempre straordinariamente alti. Non si fidava di nessuno, tranne del padre, non ne sapeva il motivo ma era convinta che se si fosse fidata di qualcuno l'avrebbe delusa; per questo non aveva amici, ne li desiderava, anche se sapeva che sarebbe stato bello averne... 
Anche se... a pensarci bene c'era una persona di cui si fidava, oltre al padre. Thalia. La sua migliore amica. Aveva capelli neri e corti e degli occhi blu elettrico che mandavano scintille. Era più piccola di lei di due anni, ma non era un problema per nessuna delle due, anche perché sembrava averne molti di più. Non andavano a scuola insieme, ma si vedevano ugualmente tutti i giorni.
Complessivamente Annabeth era una bella ragazza, la californiana per eccellenza, sempre abbronzata e bionda, tranne che per gli occhi, la cosa più strana in assoluto, grigi e intelligenti come una tempesta. 
Ma aveva un problema, un ENORME problema: non ricordava niente che riguardasse la sua vita precedente a due mesi prima, lei odiava non ricordare. 
L'unica cosa che sapeva per certo era che c'entravano due occhi verdi, come il mare come aveva pensato automaticamente la prima volta, che sognava tutte le notti, e dopo si risvegliava sempre piangendo e urlando di non lasciarla. Non ci capiva più niente, aveva un vuoto nello stomaco impossibile da colmare: mancava una parte importante di lei, la più importante, lo sentiva. 
Dopo due mesi pensava di essersi abituata a quei pensieri, a quelle sensazioni e a quegli strani sogni che faceva sempre e che aveva finito per chiamare incubi veri e propri, perché sapeva di essere ad un passo dalla verità, ma non ci arrivava in nessun modo. 
Pensava di dover andare avanti così all'infinito, che non avrebbe mai scoperto la verità su se stessa, sulla sua vita e sui sogni. Ormai se ne era convinta completamente.
Invece si sbagliava, e lo scoprì quel giorno, a due mesi di distanza dalla 'rovina della sua vita', come si divertiva a chiamarla lei, in cui il sogno cambiò, o meglio, si allungò. All'inizio c'erano sempre quei due occhi verdi stupendi che la facevano piangere tutte le notti, poi ne vennero altri, di occhi. Tutti così diversi tra di loro, ma così tremendamente familiari per Annabeth. Quelli dopo erano caleidoscopici, cambiavano continuamente colore: marrone, azzurro, verde... Poi degli occhi scuri, furbi e allegri. Dei fantastici occhi dorati, come oro liquido. Dopo vennero quelli più familiari azzurri e elettrici, sicuri come gli occhi di un'aquila; quelli dalla forma asiatica, così dolci e forti, duri e neri; e degli occhi neri come ossidiana, profondi e molto tristi. Poi vide i suoi occhi, grigi ed intelligenti, ma allo stesso tempo assolutamente e completamente terrorizzati e tristi. Alla fine però tornarono quelli verdi. Erano tutti familiari, troppo familiari. 
Quella notte risvegliò di nuovo piangendo e urlando più del solito, svegliando tutta la casa, che si riaddormentò subito, a conoscenza di quello che stava accadendo. Ormai nessuno si spaventava più se urlava in questo modo spaventoso durante la notte. Si erano tutti abituati. Non era passata una notte senza che la ragazza urlasse in preda al panico.


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Angolino miooo:
Ehilà! Ecco il terzo capitolo! Ringrazio tutti quelli che hanno recensito/letto/consigliato! Ci ho messo un po' di più perché si è rotto il PC e pubblicare con il tablet è un casino...
Ho cercato di descrivere molto la situazione dei vari personaggi... Non so se è uscito bene... 
Accetto tutte le critiche che avete da farmi! E se c'è qualche problema scrivete!!
Alice;D

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3     

Sull'Olimpo... 
–Niente sarebbe dovuto andare in questo modo!– urlò Zeus in preda ad una crisi isterica–Tutta colpa di quel Valdez! Se non fosse stato per lui sarebbero rimasti inconsapevoli tutti!– continuò accusando Efesto.
–Ehi! Mio figlio non ha fatto niente! Sono state le Parche o qualche altro strano tipo a mandarlo lì! E poi non è mica un grande problema, insomma non stanno vivendo troppo meglio... Si, non sono inseguiti dai mostri, ma è tutto qua. Stanno tutti male. Quindi grazie a mio figlio, tuo figlio è più felice.– rispose in modo più educato di Zeus, Efesto.
–Do ragione a Efesto, chi è con me?– sentenziò Atena.
Alzarono tutti le mani, compreso Zeus –Beh... Quindi non interverremo suppongo. Devo sbrigare cose importanti. Ci vediamo.– detto ciò tutti gli dei se ne andarono.


*****************

–Allora... Da dove vieni?– Jason provò a cominciare una conversazione con il ragazzo che aveva accanto, certo, di solito stava attento alla lezione, però quel Leo lo incuriosiva sempre di più, e, cosa peggiore, gli era molto familiare. 
–Huston. Dall'inizio della scuola ho cambiato due scuole e tre famiglie affidatarie. Tu sei...?– rispose lui con un tono un po' ironico, verso se stesso. 
–Jason Grace–
–Ma certo...! Ecco quale era il nome...– borbottò tra se e se.
–Come scusa?– chiese Jason un po' sorpreso, ma allo stesso tempo sollevato dal fatto che si conoscevano davvero. 
–Ecco io... Ho avuto un flash... Non mi è mai capitato... Ha visto delle cose strane... E ho quasi ricordato il tuo nome... Io so di averti già visto... Lo so mi prenderai per pazzo, non è certo una cose normale pensare di conoscere una persona che si è appena vista per la prima volta, raccontargli tutto... Ma il fatto è che io so di conoscerti, ma è come se il mio cervello non capisse... Capisci?– rispose Leo forse un po' troppo velocemente, era certamente confuso. 
Ma Jason era sollevato, anche lui pensava di conoscerlo già, magari riguardava il suo passato, magari poteva finalmente trovare delle risposte.
–Certo che lo capisco, forse meglio di quanto vorrei... Beh vedi... Anche io ho avuto un flash, è la stessa cosa per me, è come se ti conoscessi, sei così familiare...– gli rispose, poi aggiunse deciso –penso che tu riguardi il mio passato–
–Il tuo passato?– chiese un po' stupito/sorpreso/sollevato l'altro, con uno strano sorriso da pazzo.
–Beh vedi, è piuttosto strano... Io due mesi fa ho perso la memoria, non ricordo più niente prima di due mesi fa.–
–Non...non è possibile... È successo lo stesso anche a me...– rispose fin troppo serio Leo per i suoi standard
–Magari sono solo coincidenze! Non pensarci, se no ci deprimiamo!– riprese ridendo, Jason sorrise e a quel punto la campanella suonò.

Passarono i giorni, Jason e Leo si conobbero subito bene, come se sapessero già tutto l'uno dell'altro, ridendo e scherzando, senza pensare troppo alla conversazione del loro primo incontro, che lo sapevano entrambe ormai che non era il loro primissimo incontro, avevano la sensazione che sarebbe cambiato tutto da quel momento in cui si erano parlati per la prima volta.

Un giorno, ad una settimana esatta dal loro primo incontro, avvenne qualcosa di strano. Erano a casa di Jason intenti a cercare di fare i compiti di matematica. Quando ad un certo punto alzarono la testa dal foglio contemporaneamente, come attratti da una forza invisibile. Si guardarono negli occhi ebbero entrambi un flash, uguale: prima la nave di bronzo, poi otto ragazzi ad un tavolo, una ragazza nativa americana molto bella vicino a Jason, poi Leo, un ragazzo dark con occhi e capelli neri, oltre che ai vestiti, una ragazza di colore più piccola degli altri, un ragazzone cinese, un altro dai capelli neri e gli occhi verdi, e alla fine una ragazza bionda. Registrarono tutto questo in meno di un secondo. Poi realizzarono un'altra cosa, ancora più strana delle precedenti.
–Leo Valdez, figlio di Efesto– disse subito Jason indicando l'altro.
–Jason Grace, foglio di Giove– rispose Leo fissando l'amico.
Non era possibile, si erano appena dati come figli degli dei e sapevano che era così, quello era il modo in cuitutti li chiamavano prima di due mesi prima. Lo avevano appena capito.
Jason era sconvolto, quei volti, quei ragazzi del flash... Erano tutti in qualche modo familiari, non sapeva come gli fosse venuto in mente quell'appellativo per il suo amico, proprio non lo capiva, come non capiva come, il primo giorno in cui si erano incontrati si fosse alzato e avesse detto il suo nome dopo un'altro flash, gli era venuto così e lo aveva detto, subito, come se fosse la cosa più normale del mondo.
–Ma che...?– provò a chiedere. Ma non gli venivano neanche le parole.
–Non ne ho idea...– rispose Leo distante. –Forse avevi ragione sai?–
–Riguardo a cosa?–
–Il tuo passato... Magari io faccio parte del tuo e tu del mio.– spiegò Leo, sempre con un'espressione distante.
–Credo che tu abbia ragione...–


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Nei giorni seguenti Hazel continuò a fare lo stesso sogno, ma le figure erano sempre più nitide, fino ad assomigliare sempre di più a ragazzi; un giorno però, ad una settimana dal primo, il suo sogno si prolungò più del solito. Le sei figure intorno a lei furono, finalmente, completamente nitide, erano fermi immobili, come in una fotografia. Alla sua destra un ragazzo alto e muscoloso, sembrava cinese, che a tratti sembrava si stesse trasformando in un orso, strano. Sempre vicino a lei una specie di elfo latinoamericano con del fuoco sulla mano, molto strano, le vennero subito alla mente due nomi diversi, ma ne ricordava solo uno, Sammy. Vicino all'elfo una ragazza nativa americana, molto bella, un ragazzo biondo con una piccola cicatrice sul labbro, che impugnava una spada d'oro imperiale, ricordò, incrociata in aria con quella diversa, sembrava di bronzo, di un altro ragazzo con i capelli neri e dei bellissimi occhi verdi, per ultima vide una ragazza con dei bei boccoli biondi che combatteva con un pugnale. Quei ragazzi non le sembrava di averli mai visti, ma erano estremamente familiari. 
Poi venne la parte più strana. Il sogno cambiò come non aveva mai fatto: ora si trovava in una stanza, con gli stessi ragazzi di prima seduti ad un tavolo, sembrava che quello fosse l'unico momento in cui non c'era solo da piangere. Solo che ora tra lei e l'elfo si trovava un altro ragazzo, sembrava dark, le era più familiare degli altri, e il suo nome le venne in mente immediatamente.
–Nico!– gridò.–Nico Di Angelo, figlio di Ade, mio fratello– aggiunse a bassissima voce in modo che lui non potesse sentirla, ovviamente la sentì. 
Lui, a differenza degli altri che rimasero immobili, si girò e le rispose calmo –Ciao Hazel, vedo che ti ricordi di tuo fratello–. Si svegliò di colpo, urlando il nome di Nico. Lei aveva un fratello, un fratello a cui non assomigliava per niente, ma c'è l'aveva, ed era quello che le importava. 
Eppure... C'era qualcos'altro, vederlo le aveva provocato molto dolore, un dolore immenso, quel tipo di dolore che si prova solo quando si perde una persona cara. 
Quello era il suo passato, ne era certa.
–Tutto a posto?– questa era Ellie, seriamente preoccupata per lei, glielo si leggeva in faccia.
–Si si, tutto a posto. I soliti incubi.– le tremava la voce.
–Vuoi parlarne?– le chiese con calma l'amica.
Lei annuì e cominciò a raccontare i sogni che aveva fatto. Alla fine esclamò –La ragazza, quella mora, le ho insegnato qualcosa, siamo state molto tempo insieme, ne sono sicura... Ecco! Lei è Piper McLean, la figlia di Afrodite!– Quando ebbe finito la ragazza che aveva di fronte era più pallida del solito. –Tutto okay?–
–Si si, certo. Devo solo...– rispose lei confusa.
Hazel alzò un sopracciglio, come per chiederle di continuare, ma lei non ne aveva intenzione. Così decise di smettere di martellarsi la testa con quegli stupidi sogni. 
La sera precedente, a cena, avevano annunciato che sarebbero partiti per una vacanza con un'associazione il giorno seguente, per ben cinque giorni! Sarebbe, per la prima volta dopo due mesi, uscita da quel posto. Sarebbe andata per la prima volta a New York, sapeva che era importante, ma ovviamente non sapevacosa. Non aveva tempo per pensarci, era troppo eccitata! Avrebbe conosciuto il mondo esterno.       

*****************

Percy passò l'intera settimana successiva a pensare a quello strano sogno. Chi poteva essere Annabeth di così importante da farlo urlare con così tanta disperazione? Chi erano quelle figure e perché c'erano quelle spade? Un giorno, ad una settimana dal sogno si decise a rivolgersi alla sua migliore amica.
–Ehi Rachel! Posso parlarti un minuto?– la chiamò lui dalla panchina del parco.
–Certo, cosa devi dirmi?– gli rispose
Percy esitò un secondo, ma poi riprese –Vedi... Ho fatto un sogno strano, volevo sapere cosa ne pensi, anche se so già che è strano, molto.– lei gli fece cenno di continuare –Beh... All'inizio correvo e gridavo, poi quando mi sono fermato ho cominciato a gridare il nome di una ragazza, Annabeth, ma non so chi sia– a quel punto Rachel fece una faccia strana, come se sapesse chi fosse –Che c'è?–
–Niente, continua– ma non sembrava tranquilla, per niente.
–Okay. Dicevo che urlavo questo nome e piangevo, poi mi sono ritrovato in un campo di battaglia, con delle strane spade e delle figure... Non so cosa significassero... Ma in qualche modo so che sono importanti– disse lui titubante.
Rachel ci rifletté a lungo poi disse sottovoce –Devo parlargli–
–A chi devi parlare?–
–Nessuno di importante– rispose velocemente lei –Se mi viene in mente qualcosa ti chiamo, comunque non è una cosa troppo strana, non per te.– detto questo se ne andò via correndo pallidissima e lui rimase solo nel parco. Forse lei sapeva cosa significava.
Quella sera fece lo stesso incubo, solo che all'ultimo secondo nel campo di battaglia le figure si schiarirono, erano dei ragazzi come lui. Il sogno andò stranamente avanti, inquadrando un tavolo attorno al quale c'eranosette ragazzi, oltre a lui, che riconobbe come quelli della battaglia. Alla sua destra un ragazzo grande e grosso con la faccia da bambinone cinese, poi una ragazza più piccola degli altri dalla carnagione scura e i capelli ricci, un ragazzino molto magro un po' dark con occhi e capelli nerissimi. Poi veniva un ragazzino che assomigliava un po' ad un elfo latinoamericano con un sorriso furbo sul volto, una ragazza nativa americana molto bella e un ragazzo biondo con gli occhi azzurri che sembravano pieni di elettricità con una piccola cicatrice sul labbro. E per ultima lei, una ragazza, secondo lui la più bella del mondo, i boccoli biondi le ricadevano sulle spalle e degli occhi grigi tempestosi e intelligenti. Mentre la guardava si accorse di star sbavando e la ragazza disse
 –Quando dormi sbavi– poi tutto si dissolse. 
Si tirò in piedi e richiamando alla mente l'immagine della ragazza disse –Annabeth Chase, figlia di Atena–non capiva perché l'aveva detto o cosa significasse, ma sapeva per certo che era così. Decise di parlare con Rachel del sogno. Lei sapeva qualcosa, forse tutto, ne era certo. 
Il giorno dopo non la trovò a scuola, così le mandò un messaggio.

Ho bisogno di parlarti... Riguardo alle cose che ti avevo raccontato ieri         
Va bene. Ora non Posso parlare... 
Ti chiamo dopo.
Va bene... A dopo


*****************

Frank pensava a quella stupida profezia tutti i giorni da una settimana a quella parte, non la capiva, eppure era certo che facesse parte della sua vita, in qualche modo. Sapeva anche che c'entrava qualcosa anche la sua sfuriata della settimana prima, ma ovviamente non sapeva cosa.
Così quel giorno andò sotto l'albero dove andava sempre da quando era in quello stupido posto, a pensare a tutto quello che era successo di strano in quella settimana, la visione della profezia, la prima sfuriata e quelle che gli sono succedute, non gli era mai capitato di fare scenate del genere, poi la cosa più strana di tutte: un giorno si voleva nascondere dai soliti teppisti desiderando di diventare piccolo come una lucertola per non farsi vedere, tre secondi dopo si era ritrovato una lucertola per terra, aveva subito chiesto a se stesso di ritornare come prima, e subito era tornato il solito ragazzone. Era stata la settimana più strana della sua vita, aveva pensato.
Quella notte fece il sogno più strano e assurdo che potesse fare. C'era una voce che recitava di continuo una frase, che riconobbe subito, era il primo verso della profezia: sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Poi vide davanti a se sette figure, di cui una era lui stesso, li riconobbe erano i suoi amici e la sua ragazza. Non sapeva come si chiamassero o come facesse a saperlo, ma lo sapeva. In fondo a sinistra lui, una ragazza riccia con la pelle scura, la sua ragazza, un ragazzo alto con i capelli neri e una spada di bronzo, una ragazza alta e bionda con un computer. Un altro ragazzo alto e biondo con un fulmine collegato alla spada che teneva in mano, una ragazza nativa americana molto bella, e un ragazzo di quelli che danno sui nervi anche solo se sorridono, bassino e assomigliava ad un elfo latinoamericano con una strana cintura in vita. Poi si svegliò di colpo e andò davanti allo specchio in bagno e ripeté: –Frank Zhang, figlio Marte– poi richiamò alla memoria la ragazza con la pelle scura e disse –Hazel Levesque, figlia di Plutone– era sconvolto –Non è possibile! E poi che cavolo vuol dire– 
Si guardò dietro sentendo una presenza, era troppo, e svenne.


*****************

Era passata una settimana da quello strano sogno e Piper, per ora, non ne aveva fatti altri così strani e familiari, se con strani si esclude sempre volare abbracciati a qualcuno. 
Ovviamente si sbagliava, e di brutto questa volta. 
Quella notte, ad una settimana precisa dal primo sogno, ne fece un altro. Si trovava in una stanza, quella del tavolo di legno con intorno i ragazzi della settimana prima. Ora però riuscì a vederli bene tutti, sapeva esattamente chi erano ma non ricordava nessun nome, eccetto uno, che però non riuscì subito a collegare. A destra il suo ragazzo, alto biondo occhi azzurri e una piccola cicatrice sul labbro, dopo una ragazza bionda con intelligenti occhi grigi, la sua migliore amica, poi il ragazzo della sua migliore amica, alto capelli neri occhi verdi e una torta blu davanti, ecco dove l'aveva vista... poi un ragazzo grande e grosso cinese, lui era il mutaforma, accanto la sua ragazza, pelle scura, capelli ricci e occhi dorati, era la più piccola del gruppo, dopo di lei il fratellastro, un ragazzino pallido con gli occhi neri tristi e i capelli nero pece. Alla sua sinistra un ragazzino-elfo-latinoamericano, il migliore amico di Piper. Poi arrivò il nome come un flash e si svegliò di colpo. Subito disse –Jason Grace, figlio di Giove. E il mio ragazzo.–
Piper era sconvolta, come poteva una persona scoprire di avere un ragazzo in questo modo? E poi cosa diavolo voleva dire quel 'figlio di Giove'? Venne riscossa dai suoi pensieri da suo padre che ritornava a casa.
–Ciao Piper! Indovina? Mi hanno preso per quel film a New York! Ci trasferiamo! Mellie ti ha già trovato una scuola dove andare. Ci trasferiamo li tra due giorni. Non sei felice?– disse il padre entusiasta.
–Certo! New York è fantastica!– disse un po' distratta. Ma intanto pensava ad altro. New York... Era una città con un significato particolare, lo sentiva. 'Me ne occuperò una volta la' si disse.


*****************

Annabeth pensava allo strano sogno, nella settimana successiva non aveva fatto altro che pensarci, anche perché in quella settimana non aveva più sognato gli occhi verdi, quegli occhi che adorava e, lo sapeva, sarebbero stati la sua salvezza, e forse lo erano già stati. 
Durante la settimana aveva sperato sempre di più che i sogni le dessero qualche altro indizio, che ovviamente non arrivava. Quando stava per perdere la speranza, lasciando perdere tutto, arrivò il sogno che le cambiò la sua, ormai nuova, vita. Ritornarono gli occhi verdi, ma non erano soli, c'era anche un volto, era un ragazzo, a parer suo il più bello che avesse mai visto, con i capelli neri ribelli; poi venne il turno degli occhi caleidoscopici, erano di una ragazza molto bella, i tratti da nativa americana e i capelli marrone scuro tagliati asimmetrici; gli occhi neri e furbi di un ragazzo latinoamericano, a guardarlo bene sembrava un po' un elfo con quei capelli ricci e le orecchie a punta... Poi gli occhi dorati, appartenevano ad una ragazzina di colore con lunghi capelli marroni e ricci; quelli azzurri elettrici ad un ragazzo biondo con una strana cicatrice sul labbro superiore, era familiare assomigliava a qualcuno della sua nuova vita, Thalia; poi quelli dalla forma asiatica, un ragazzo con origini sicuramente cinesi e la faccia un po' da bambino, ma aveva il viso duro; per ultimi quelli neri e tristi, erano strani, quasi senza vita, un ragazzo pallidissimo e magrissimo con i capelli neri fino alle spalle tutti scompigliati. Infine di nuovo il ragazzo dagli occhi verdi. A quel punto si svegliò di colpo, piangendo come al solito, ma non urlò e basta questa volta. Gridò un nome –Percy!–. Poi arrivò di corsa suo padre, come non aveva mai fatto, con uno sguardo interrogativo negli occhi azzurri.
Lei chiarì senza pensare, rimanendo impassibile –Percy Jackson, figlio di Poseidone, nonché mio fidanzato–.
A quel punto suo padre quasi non si strozzò da solo, non poteva essere, lei non poteva ricordare. 
–Devo chiamare il campo– borbottò sottovoce sperando di non essere sentito. Ovviamente lei lo fece, ma non disse niente. –Tra due giorni andiamo a New York, preparati.– riprese ad alta voce, cominciando ad uscire dalla stanza. Poi si fermò e aggiunse –Ah, e chiama Thalia, così la saluti prima di partire–. 
Poi uscì, andando ad informare la moglie della loro partenza, lei e i figli sarebbero rimasti a San Francisco.

–... E mio padre ha detto che saremmo andati a New York... Non è strano?– Annabeth stava parlando con Thalia. Le aveva raccontato del sogno è di tutto il resto, all'inizio aveva fatto una faccia tra lo stupita e lo sconcertata, senza contare che era impallidita fino a diventare cadaverica, poi si era data un contegno, rimanendo impassibile fino alla fine del racconto.
–No... Cioè per te no, ne hai fatti tanti simili... Quello che voglio dire è che... Non avresti dovuto farli e... Devo parlare con tuo padre del viaggio, sai, anche io mi sto trasferendo a New York, volevo dirtelo– balbettò cercando di non andare nel panico.
–Cosa?– chiese, non ci aveva capito niente, a parte che sarebbe andata pure lei nella grande mela.
–Niente... Te lo spiegherò la.–


_______________

Angolino mioooo:
Prima di tutto mi scuso di non aver pubblicato per una settimana, ma durante le vacanze non ero a casa e ora sto avendo molte interrogazioni e verifiche... Quindi aggiornerò più tardi... Ma penso che la finirò ugualmente.
Per il resto non so che dire! Continuate a recensire anche se faccio un po' schifo!
Alice;D

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4    

Nico e Reyna, o per lo meno il loro spiriti, avevano trasportato i loro 'aiutanti' in una saletta tutta nera nel palazzo degli Inferi. Ellie e Mellie, le aure, Thalia, la Cacciatrice figlia di Zeus, e Rachel, l'Oracolo di Delfi. 
Illustrarono loro il piano e li rimandarono da dove erano venuti. Ellie da Hazel, Mellie da Piper, Thalia da Annabeth, e Rachel da Percy; mentre Nico si occupava di Frank e Reyna di Leo e Jason. 
Prima di farli andare li fermarono 
–Ricordatevi di non lasciarli mai soli una volta a New York. Ci vediamo al punto di ritrovo domenica alle quattro.–

*****************

–Ehi Jason!– lo salutò Leo non appena vide l'amico.
–Leo!– era il giorno seguente alla strana visione e a quando si erano dati come figli degli dei.
Si dettero il cinque e andarono in classe, pronti per una 'bellissima' lezione di storia.
Quando arrivò il professore fece un annuncio che li sconvolse del tutto.
–Bene ragazzi, siamo stati invitati in un'hotel a New York...– grida impazzite della classe e facce confuse di Leo e Jason –...dicevo, che ci ospiteranno per una settimana in questo hotel, ci hanno pagato sia il biglietto aereo, sia le stanze all'hotel. Dovete scegliere un compagno di stanza adesso e basta.– dette un foglio a una ragazza in prima fila che scrisse un paio di nomi e passò il foglio. Quando il foglio arrivò a Jason era già tutto compilato, mancava uno spazio solo, notò che Jake era con un altro ragazzo quindi scrisse il suo nome e quello di Leo. Poi riconsegnò il foglio al professore. 
Sarebbero andati a New York! Era incredibile, eppure c'era qualcosa in quella città, qualcosa che lo attraeva è che lo induceva a chiamarla 'casa'. Non c'è neanche da dire che Leo in quel momento pensava le stesse identiche cose, e che sarebbero tornati a 'casa'.
Il giorno dopo si ritrovò tutta la classe fuori dalla scuola alle sei del mattino, come previsto erano tutti mezzi addormentati sulle loro valige, tutti tranne Leo ovviamente. Era come se si bevesse due o tre tazze di caffè prima di arrivare lì, eppure non l'aveva fatto.
Quando i professori che li avrebbero accompagnati arrivarono, cominciarono a fare l'appello e a far salire i ragazzi sul pullman che li avrebbe portati all'aeroporto. 
Fecero il chek-in e presero posto sull'aereo, Jason vicino a Leo e il finestrino. Il viaggio fu tranquillo, senza neppure una turbolenza, cosa piuttosto strana visto che non c'era affatto bel tempo. 
Quando arrivarono li fecero portare subito in hotel, dove si sistemarono e si riposarono fino a pranzo. 
Dopo pranzo, insieme al resto della classe fecero un incontro con le persone che avevano permesso loro di andare a New York. La relatrice era Reyna Arellano, una ragazza alta dai capelli scuri raccolti in una treccia e gli occhi scuri. Era più giovane di quanto chiunque potesse immaginare, solo 17 o 18 anni. Entrambi i ragazzi rimasero imbambolati a guardarla, loro la conoscevano, ne erano assolutamente sicuri, tutti e due. Anche se... Se la guardavi di traverso sembrava quasi trasparente.
"Nah... Impossibile" pensarono i due vedendo che nessun altro sembrava averlo notato.

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Hazel era atterrata da poco all'aeroporto di New York, e si stavano dirigendo verso un hotel dove avrebbero dovuto incontrare il rappresentante dell'associazione con la quale erano andati là e che gli  aveva pagato il viaggio e l'hotel. 
Hazel non riusciva a togliersi dalla testa quello strano sogno con il suo presunto fratello e i suoi presunti amici. Soprattutto suo fratello, nel sogno aveva un'aura da morto dopo che si era girato verso di lei, fin troppo pallido per un essere umano, lo percepiva. Era abbastanza inquietante, ma non riusciva a toglierselo dalla testa.
–Tutto bene?– era Ellie che come al solito era preoccupata per lei.
–Si, non preoccuparti.– finì lì l'argomento.
Hazel era in stanza con Ellie e questo le andava bene. 
Il problema più grande erano le vicine di stanza, tre 'smorfiosette', come le chiamava amichevolmente Hazel, che se la tiravano in qualsiasi modo possibile e la prendevano in giro tutto il giorno. Così all'ennesimo insulto che la definiva come 'strega', continuando a non capirne il motivo, scappò dall'albergo e si diresse non-sapeva-dove.          

*****************

La mattina dopo Percy si svegliò con calma, era domenica. Decise di andare a fare un giro con Rachel dopo pranzo, così intanto mangiò i pancake blu che sua madre gli preparava tutti i giorni prima di andare a lavorare. 
–Ehi Rachel! Vieni al parco a fare un giro tra una mezzora, dobbiamo parlare.– la stava chiamando.
–Certo. Al solito posto?–
–Al solito posto– e mise giù il telefono.
Uscì di casa mezz'ora prima, per fare un giro anche da solo. 
Cominciò inconsapevolmente a pensare ai sogni fatti di recente. La ragazza, Annabeth. Gli altri ragazzi, quelli che ormai credeva che fossero suoi amici. Anche se in realtà non lo sapeva per niente, lo sentiva e basta. Il ragazzino, quello con i capelli e gli occhi neri, tristi, lo sentiva 'morto'. Poi le spade, tutte in qualche modo familiari, quella in mano a lui più di tutte, vortice, l'aveva chiamata.
–Percy!– Rachel lo riscosse dai suoi suoi pensieri.
–Ciao– Percy fece un sorriso spento.
–Stai bene?– fece lei.
–Si–
–Ok... Di cosa volevi parlami?–
–Dei sogni– fece una pausa per vedere la sua reazione, ma lei non fece trapelare niente –di quello che ho fatto questa notte– precisò cominciando a camminare fuori dal parco. Così le raccontò  l'ultimo sogno, lei impallidiva sempre di più ogni parola che pronunciava, anche se sembrava volerlo nascondere. Lui fece finta di non accorgersene e proseguì. –quindi tu sai qualcosa vero? Te lo si legge in faccia... Il ragazzino, quello con i capelli neri, è morto, non è vero?– fece tutte queste domande insieme, una dopo l'altra.
Rachel balbettò qualcosa di incomprensibile prima di rispondere in modo incerto e balbettando all'amico –Beh... Allora... È... È complicato. Quando sarà il momento, te lo dirò.– Percy non era soddisfatto della risposta, ma la ragazza era stata messa a disagio da quelle domande, quindi decise di non dire niente.
Intanto erano arrivati a Time Square e non appena Rachel vide una massa di ricci castani si riscosse e cominciò a sudare freddo.

*****************

Frank era rimasto steso a terra per una mezzora e Nico stava cominciando a stufarsi di aspettare, infatti quando si svegliò e lo guardò tentò di risvenire ma lui lo bloccò 
–Amico, ti prego, non ho tutto il giorno–
–Ok... Ma tu non eri...?– Frank notò che era leggermente trasparente...
–Si, ma è complicato. Lo stiamo facendo per voi, sappilo.–
–Tu sei in ragazzo del sogno?–
–Si. Dopo che Leo e Jason si sono incontrati è stato abbastanza semplice–
–Leo e Jason?–
–Si, il biondino e il latinoamericano. Ma non è questo il punto. Domani alle quattro dobbiamo essere a Time Square.– spiegò Nico.
–Perché?–
–Lo scoprirai domani. Verrò a prenderti domani alle quattro meno dieci.–
–Ma non è un po' tardi? Come facciamo in dieci minuti ad arrivare da Vancouver a New York?–
–Lo scoprirai domani– ripeté lui un po' scocciato da tutte le domande che gli stava facendo. 
–Va bene...– Frank fece uno sbadiglio e quando riaprì gli occhi il ragazzino era sparito. Quindi andò a letto.

Il giorno seguente, come previsto Nico si presentò alla porta alle quattro meno dieci.
Non appena entrò nella stanza Frank cominciò a parlare tipo parlantina –Ehiii... Ciao, sei molto puntuale... Ma non  mi hai ancora detto come ti chiami...–
–Prendimi la mano– tagliò corto Nico prendendogli la mano. 
Un secondo dopo si trovarono nel buio più assoluto, che fece contorcere lo stomaco di Frank come se soffrisse di vertigini, è stato solo un momento ma a Frank è sembrata un'eternità. Si ritrovò a New York, in mezzo ad una piazza enorme.
–Suppongo che siamo arrivati– disse Frank trattenendo il vomito provocato da quello strano viaggio. 
–Si. Ma gli altri non sono ancora arrivati.–
–Ok... Allora... Come siamo arrivati qua da Vancouver?–
–Si chiama viaggio nell'ombra, è complicato. Lo scoprirai con il tempo.– in quel momento Nico si immobilizzò guardando dall'altra parte della strada dove una ragazza dai capelli rossi si era fermata a guardare un'altra ragazza con i capelli ricci che piangeva insieme una con i capelli chiarissimi.

*****************

Piper era felice. Stava andando a New York, con suo padre, in una città che sapeva essere importante per lei, casa sua, più di quella sulla spiaggia di Los Angeles.
–Siamo atterrati– era Mellie l'assistente di suo padre.
Scesero dal jet privato dell'attore e si diressero verso la casa che avevano affittato per l'occasione. Avendo pranzato sull'aereo, in casa non c'era traccia di cibo e il padre di Piper chiese a Mellie se poteva andare a prendere qualcosa per la cena, la quale propose a Piper di accompagnarla e lei accettò, non aveva altro da fare.
Passarono vicino a Central Park e poi per Time Square. Quando stavano per uscire dalla piazza Mellie si fermò e disse –Ho dimenticato di prendere una cosa...– e si avviò dall'altra parte della piazza, diretta verso un negozio con Piper al seguito. 
Quando Piper stava per raggiungerla si scontrò con qualcuno.      

*****************

Annabeth non sapeva di avere un appartamento a Manhattan, ma a quanto pare ne aveva uno a suo nome vicino al fiume. Chi lo avrebbe mai detto. 
Era arrivata con Thalia e suo padre proprio il giorno dopo l'ultimo sogno, sembravano avere molta fretta di partire. Lei sentiva che il famoso 'ragazzo dagli occhi verdi' che in qualche modo le mancava, sapeva che ora era più vicino.
–Ehi Annie, andiamo a fare un giro?– era Thalia.
–Si arrivo. Dove andiamo?–
–Non saprei...–
–Ok. Allora usciamo. Ma non ho ancora capito il motivo per cui siamo venuti qui con tanta fretta...–
–Lo so...– Thalia si voltò a guardarla negli occhi –Ma ti prometto che tra poco saprai tutto quello che vorrai– Annabeth annuì con poco entusiasmo e uscirono di casa.
Camminarono fino all'Empire State Building, Central Park e Time Square con Annabeth che commentava l'architettura di qualsiasi edificio. 
Però una volta a Time Square mentre Annabeth diceva qualcosa a proposito di un qualche edificio, Thalia si bloccò. Annabeth non capendone il motivo seguì con lo sguardo dove guardava e vide una cosa che non si sarebbe mai aspettata di vedere. 
Una familiare ragazza con i capelli rossi e il famoso 'ragazzo dagli occhi verdi' camminavano tra la folla. Spalancò gli occhi e s'incamminò verso di lui senza neanche accorgersene. 
Ad un tratto si ritrovò a terra, aveva scontrato qualcuno. Quando riaprì gli occhi la scena che si ritrovò davanti le fece venire un colpo. Non era una sola persona, ma sei ragazzi, di cui uno svenuto. Ma i sei ragazzi. Quelli del sogno. Lei fu la prima a riscuotersi a parlare.
–Non è possibile! E voi chi sareste? E perché eravate nei miei sogni!?– stava letteralmente sclerando.

*****************

Leo e Jason avevano seguito Reyna e il resto della classe nelle vie di New York, mentre lei spiegava curiosità sui vari palazzi. 
Però ad un certo punto Reyna li aveva presi da parte e li aveva portati nel mezzo della piazza di Time Square. Quando Leo stava per chiedere cosa ci facessero li, soltanto loro due, la ragazza si era fermata e aveva cambiato direzione, facendoli scontrare entrambe contro qualcuno. Si erano scontrati con altri cinque ragazzi. I ragazzi delle visioni di Leo e Jason. 
Poi Jason era svenuto e caduto a terra, privo di sensi, lo avevano colpito alla testa. Poi la ragazza bionda aveva cominciato a urlare come una pazza. Aveva avuto anche lei i sogni e le visioni. Poi toccò a Leo a parlare, con il suo solito sorriso da pazzo.
–Ehi! Stai calma. Anche io vi ho già visto. Ne sono sicuro. Oltre che nelle visioni.–
–Ok... Quindi non sono l'unica!– questa era la ragazza nativa americana, che intanto era andata a soccorrere Jason.


_____________

Angolino miooo:
Ehiii!!! Mi dispiace moltissimo di non aver aggiornato prima, ma le verifiche fanno male... Comunque spero che vi piaccia il nuovo capitolo, non è molto lungo ma è già qualcosa... Vi prego recensite... Sono a corto di idee
Alice;)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
       
Dalle Parche.
Parca 1: Voi ne sapete qualcosa di quei sette?
Parca 2: Io no e tu?
Parca 3: No
Parca 1: Ok ma sembra che il ragazzo tenebroso se la stia cavando bene

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Ok. Tutto ciò era assolutamente pazzesco. Piper stava dando di matto e aveva cominciato a dire ai ragazzi chi erano per gli altri, e questi erano a dir poco sconvolti.
–Tu– disse indicando il ragazzone cinese –sei il suo ragazzo– indicò la ragazza riccia di colore.
–Cosa!?– dissero loro all'unisono arrossendo.
–Si si, ne sono sicura. E poi voi due– indicò la ragazza bionda e il ragazzo con gli occhi verdi –state insieme e siete inseparabili!– i due arrossirono ma non dissero niente, sapevano qualcosa. –Tu– ora era il latinoamericano –sei il mio migliore amico!– riprese tutta sorridente. –Poi...– si guardò attorno alla ricerca di qualcosa –tu e tu! Siete fratelli! E anche voi due!– indicò Thalia, che se ne stava dietro con gli altri 'aiutanti', e il biondo e poi la riccia e Nico. Thalia sorrise e annuì a Jason.
–Io lo sapevo...– disse Hazel rivolta a Nico, che le sorrise tristemente.
Poi Piper riprese un po' meno sicura –E... Beh noi due... Eravamo... Beh stavamo insieme...– guardò Jason imbarazzatissima.

Annabeth era terrorizzata e, soprattutto imbarazzata. Il ragazzo con i capelli neri e gli occhi verdi era il suo ragazzo, non ci poteva credere. Anche se sapeva che era vero, ne era sicura e si fidava di quello che diceva Piper. Quindi lo prese da parte per parlargli.
–Io ti conosco. Per forza. Se no non ti avrei sognato tutte le notti da due mesi... No?– parlò in fretta.
–Aspetta! Due mesi? Mi hai visto nei tuoi sogni? Anche io ti ho visto nei miei...–
–Si sono due mesi che ho perso la memoria–
–Anche io...–
–Tu hai già visto anche gli altri ragazzi, vero?–
–Si, suppongo che anche tu li abbia sognati. Abbiamo avuto quasi tutti la stessa reazione–
–Già– rispose Annabeth pensierosa.
Calò un silenzio pesante e imbarazzante per qualche minuto. Non sapevano cosa dire, era davvero imbarazzante. E soprattutto si fissavano negli occhi, Percy li aveva già visti, quando si incantava pensando alla sua vita, non aveva mai capito di chi fossero fino a quel momento. Fu lui a romperlo per primo.
–Quindi... Stavamo insieme–
–Già– tagliò corto lei –Ho un'idea. Ci confronteremo con gli altri per capire la nostra storia. È abbastanza ovvio che anche loro sanno qualcosa–
Andarono dagli altri ragazzi e dissero loro l'idea di Annabeth. Così decisero di sedersi ad un bar li vicino. 
Ora erano tutti insieme, seduti ad un banalissimo bar, a parlare come normalissimi adolescenti. In ordine erano alla destra di Annabeth c'era Percy, a sinistra Thalia, Nico, Frank, Hazel, Ellie, Mellie, Piper, Jason, Leo e Reyna, tra Reyna e Percy c'era Rachel.
Gli 'aiutanti' fecero un accordo muto: non avrebbero detto una parola fino alla fine.
–Comincio io– era Annabeth –Mi chiamo Annabeth. Ho perso la memoria due mesi fa.– raccontò tutto quello che sapeva e che aveva visto, evitando di dire che aveva sognato dei fantastici occhi verdi di un certo ragazzo accanto a lei –Quando mi sono svegliata ho urlato 'Percy'– disse arrivata alla fine, il ragazzo trasalì –poi... Poi mi è venuto tutto il nome, cioè il nome completo: 'Percy Jackson, figlio di Poseidone'... Pensavo fosse assurdo... Poi ho aggiunto che... che eri il mio fidanzato– aggiunse guardandolo, leggermente rossa in viso. Nessuno l'aveva interrotta durante tutto il tempo in cui aveva parlato, erano tutti molto attenti. D'altra parte riguardava loro e la loro memoria, avevano bisogno di ricordare.

Percy deglutì e disse –Ok. Ora penso che sia il mio turno. Sono Percy, a quanto pare figlio di Poseidone. Anche io ho perso la memoria due mesi fa, ma è come se avessi già provato questa sensazione. Non è successo niente neanche a me per due mesi. Se non contiamo il sogno ricorrente con il mostro Kelly che promette di uccidermi... – continuò a raccontare anche lui –Una volta sono finito in un campo di battaglia pieno di armi di 'Bronzo Celeste e Oro Imperiale', ne avevo una anche io 'Vortice'– ricordò in quel momento e tirò dalla tasca una penna a sfera, tutti i presenti spalancarono gli occhi, la stappò e rimase con una spada greca lunga un metro –Incredibile... Continuiamo, c'erano anche delle monete Dracme e Denarii.– raccontò ancora i sogni, ad un certo punto indicò Annabeth –Lei mi ha detto 'quando dormi sbavi'.– risata generale –Dopo essermi risvegliato mi è venuto in mente il nome della ragazza: 'Annabeth Chase, figlia di Atena'– concluse fissando intensamente la ragazza, e a quel punto erano talmente vicini, che i ragazzi che sapevano già tutto e quelli che sapevano poco o niente ancora qualche secondo e li spingevano uno contro l'altro, e si allontanarono imbarazzati.

–Ok... Ora suppongo che tocchi a noi– intervenne Jason per spezzare la tensione creata dai due piccioncini, indicando sé stesso e Leo.– io sono Jason e lui è Leo.–
–Vorresti dire il magnifico e fantastico Leo!– Jason roteò gli occhi per l'esasperazione.
–Dicevo che abbiamo entrambi perso la memoria due mesi fa, io come Percy avevo la strana sensazione di aver già perso la memoria– ’deve essere un fatto ricorrente due mesi e perdere la memoria', pensò Piper.
–Io sono scappato, con molta abilità devo dire, da ben due famiglie adottive e altrettante scuole in questi due mesi– lo interruppe Leo con non troppa modestia.
–Dicevo che io mi sono ritrovato in questo posto sperduto da qualche parte nel Massachusetts senza alcun ricordo e la settimana scorsa è arrivato Leo. Qua sono cominciate le cose strane.– riprese il biondo. –Quando è entrato in classe per la prima volta mi sembrava familiare, ma non ci feci molto caso, però quando incrociammo lo sguardo è stato come se qualcosa si sbloccasse dentro di me. E ho avuto questa strana visione. Un drago di bronzo, una trireme-nave-greca di bronzo e del fuoco.–
–Io ero solo scappato per l'ennesima volta e per questa volta volevo impegnarmi sul serio, diciamocelo non è bello essere espulsi...– continuò Leo.
–Ehi bello, non dirlo a me...!– era Percy, aveva parlato d'istinto senza quasi accorgersene, come se avesse ripetuto quella frase un milione di volte.
–Anche tu sei stato espulso da scuola più volte?– chiese curioso Leo.
–Si... Almeno credo...– i suoi occhi si fecero immediatamente vuoti, persi nei ricordi, che probabilmente non aveva.
I due ragazzi presero a raccontare quello che gli era successo completandosi le frasi a vicenda e scherzando fra di loro, quasi tutti pensarono che dovevano essere davvero molto amici.
–Durante al scorsa settimana abbiamo trascorso molto tempo insieme, ma ieri ci siamo riguardati e abbiamo visto altre immagini, uguali: la stessa trireme-nave-greca di bronzo. Poi dicemmo delle frasi del tutto scollegate dal resto, ma molto simili, a quelle che avete detto anche voi. Io a quanto pare dovrei essere Jason Grace il figlio di Giove, e rappresenterei il ragazzo che ha visto Leo la prima volta, quello che volava con il fulmine.– disse Jason alla fine.
–Io invece dovrei essere il comandante supremo della nave, il fantastico Leo Valdez il figlio del magnifico Efesto. E nella visione di Jason sarei il fuoco.– disse un po' esaltato l'altro con un sorriso leggermente folle. Jason alzò gli occhi al cielo esasperato, come tutti gli altri. 

–Ora è il mio turno!– Piper sembrava esaltata all'idea di raccontare tutto a tutti... –Sono Piper e come tutti voi altri ho perso la memoria due mesi fa.– anche lei si mise a raccontare i suoi sogni e le sue esperienze arrivò al punto della torta –una di queste con una torta blu davanti...–
Percy saltò in piedi –Ero io!- poi si accorse che lo fissavano tutti e si risedette –continua...–
–Lo so, e penso che ora tutti lo sappiano, che eri tu, comunque ci stavo arrivando...–
–Io lo sapevo.– intervenne Annabeth –cioè non l'ho sognato ma l'ho sempre saputo. Il tuo primo patrigno aveva detto che non esisteva il cibo blu e così nelle occasioni importanti tua mamma cucina sempre di blu, come a dimostrare che niente è impossibile– non sapeva neanche lei quello che stava dicendo.
–Ma come fai a saperlo?– chiese Percy guardandola.
–Io... Non lo so– Annabeth era confusa, aveva parlato senza neanche accorgersene –lo so e basta, è coma se l'avessi sempre saputo, ma l'ho realizzato solamente adesso.– Percy sotto il tavolo le prese la mano di nascosto, per rassicurarla, in modo che nessuno se ne accorgesse. Ovviamente se ne accorse Piper, lei le capiva subito queste cose e fece un sorriso, e sempre ovviamente non ne sapeva il motivo.
–Ok, tutto ciò è strano...– borbottò Piper, poi riprese –Continuiamo. Poi ieri ho sognato di nuovo la stessa cosa, ma più chiara. C'eravate tutti voi– indicò i Sette –e anche lui– ora indicò Nico –e mi sono venute in mente tutte tutte le cose che vi ho detto prima, e un nome, quello di Jason, cioè il tuo nome completo: Jason Grace, figlio di Giove.– disse guardandolo.
–Ok. Tutto questo è sempre più strano...– disse Percy sottovoce mangiando dei biscotti blu. 
'Aspetta, dei biscotti? Blu? Da dove sono saltati fuori?' Erano i pensieri di tutti in quel momento, pure quelli degli 'aiutanti'. Tutti tranne Annabeth, per qualche motivo a tutti sconosciuto, compresa lei.
–Da dove hai preso quei biscotti adesso!?– Thalia aveva dato voce ai pensieri di tutti. Non aveva ancora aperto bocca fino ad allora. Sembrava famelica.
–Li porto sempre con me...–
–Che aspetti!? DAMMELI!– Thalia prese a rincorrerlo.
–Ragazzi, per favore staremmo facendo qualcosa di serio qui– li riprese Rachel, anche lei in silenzio fino ad allora. 
I ragazzi si risedettero, ricevendo occhiate parecchio divertite da tutti. Particolarmente da Leo che scoppiò letteralmente a ridere davanti a tutti, questo portò i due ragazzi che si erano alzati a lanciargli occhiatacce.
–Ragazzi smettetela! Subito.– tutti si risedettero e si misero ad ascoltare di nuovo. Reyna aveva questo effetto alle persone, anche da spirito.

–Meglio se continuiamo...– Hazel riscosse tutti con la sua calma –io sono Hazel, e come d'altra parte tutti voi a quanto ho capito, ho perso la memoria due mesi fa, mi sono svegliata un giorno, che mia hanno detto essere il 19 di agosto, in un odioso orfanotrofio dove tutti mi prendevano in giro...-
–Aspetta. Hai detto il 19 agosto?– chiese Percy un po' turbato.
–Si. Perché?–
–Il 18 agosto è il mio compleanno, e alla reazione di mia madre quando me l'ha detto è successo qualcosa di molto brutto quel giorno, forse per più di una volta.–
–Ne sei sicuro?– chiese Annabeth.
–Sicurissimo. Mia madre non reagisce mai così male– le rispose lui.
–Ok, continua– Annabeth guardò Hazel per incitarla a continuare.
Lei annuì e riprese il racconto arrivando fino alla visione con il tavolo –C'eravate tutti voi– indicó anche lei i Sette –e lui– indicò Nico che pensò 'oggi mi sento indicato' visto che lo aveva fatto anche Piper ... Poi Hazel riprese –sapevo come si chiamava, Nico di Angelo figlio di Ade, e ho aggiunto che è mio fratello, nonostante non ci somigliamo per niente. Poi quando mi sono svegliata ho ricordato un altro nome quello di una ragazza alla quale avevo insegnato a combattere e che, per un motivo particolare che non ricordo, mi aveva fatto compagnia per molto tempo, Piper McLean figlia di Afrodite.– concluse.
–Afrodite!? perché tra tutti gli dei proprio lei?– Piper era esasperata, evidentemente a guardarla i ragazzi notarono che non era proprio una ragazza a cui piace essere vista.

–Direi che sono rimasto solo io– esclamò Frank –sono Frank inutile dire che ho perso la memoria due mesi fa e che è cominciato tutto la settimana scorsa. Un pomeriggio mi è venuta in mente una specie di profezia e sono sicuro che c'entri con tutto ciò. Fa così:– tirò fuori un foglietto di carta dala tasca e cominciò a recitare:
–Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno
Fuoco o tempesta il mondo cader faranno
Con l'ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere 
E alle Porte della Morte, i nemici armati si dovran temere– recitò, ne seguì un silenzio di tomba. questa era la cosa, forse, più significativa e importante di tutto quello che si erano detti fino a quel momento.
–Allora– Frank riscosse tutti –finisco di raccontare il resto, poi ne parliamo... Ok?–
–Si si, continua– gli risposero Hazel e Piper insieme.
Frank finì di raccontare le sue 'esperienze di vita' mentre regnava il silenzio. Arrivò alla fine –Poi il solito nome di fine visione 'Hazel Levesque, figlia di Plutone'– disse guardando la ragazza e sorridendole, mentre lei arrossiva –e ne ho aggiunto anche un altro, il mio 'Frank Zangh, figlio di Marte'– finì con un tono un po' ironico, come se non credesse a quello che aveva appena detto.

–Perfetto direi. Ora vorremmo sapere chi siete tutti voi che nessuno ha sognato e che non avete parlato.– disse Annabeth.
–Penso che Annabeth abbia ragione. Io sono Thalia, figlia di Zeus, luogotenente di Artemide e come ha detto prima Piper, la sorella di Jason.–
–Io sono Rachel, mortale e Oracolo di Delfi.– si presentò la rossa.
–Reyna, figlia di Bellona, ex pretore del campo Giove e sono morta nella guerra contro Gea.–
–Mellie sono un'aura del vento.–
–Ellie anche io sono un'aura.–
–Nico di Angelo, come hanno detto prima Hazel e Piper, il fratello di Hazel e figlio di Ade. Anche io sono morto nella guerra contro Gea.– disse il ragazzino, e poi aggiunse –e noi tutti siamo qui per aiutarvi a ricordare.–



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Angolino miooo:
Eccomi qui con ben il quinto capitolo! -in ritardo di mesi e mesi, ma non fa niente, credo e spero...-
Spero che vi piaccia l'incontro, fatemi sapere se c'è qualcosa che non va o se non vi piace, vi ascolterò tutto, sempre che vogliate fare una piccola recensioncina...
Alice ;)

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