Afterfire

di Sasita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jacinda - Hawaii ***
Capitolo 2: *** Cassian - Route 66 ***



Capitolo 1
*** Jacinda - Hawaii ***


 
Jacinda


Hawaii




 
Forse abbiamo esagerato. Effettivamente la nonna di Will era più ricca di quanto mi immaginassi, per cui non si è fatta problemi quando lui le ha detto che avrebbe voluto visitare le Hawaii. Io non ci ho creduto finché non mi ha portata in aeroporto, ovviamente. E perché avrei dovuto? Da quanto abbiamo lasciato il clan ci stiamo arrangiando come meglio possiamo per tirare avanti, e ce la stiamo cavando bene, anche grazie alla mamma che ha trovato un ottimo lavoro in ospedale. Ormai sono passati un paio d’anni da quando la mamma è stata esiliata e nel frattempo ha preso una laurea in farmacologia nel mondo degli umani, così può sfruttare le sue incredibili doti innate di draki verda anche al di fuori del Clan, e guadagnarci decisamente di più. Io e Will studiamo, e lavoriamo un po’ part time. E’ una vita normale, umana, ma ovviamente non lascio mai perdere la mia vera natura. Di notte, spesso, io e Will ci appartiamo in un boschetto con fitti alberi alti, nel mezzo al quale c’è una piccola radura coperta di brillanti fiori lillà. Lì spesso mi manifesto, e Will mi guarda attonito e ammirato mentre mi alzo in volo e danzo tra le foglie e faccio piroette su me stessa andando su e giù. Anche lui cerca di sfruttare le sue doti draki quando può: la nostra teoria è che, come per me se tengo vivo il draki che ho dentro continuerò a invecchiare lentamente come è mia natura, forse sarà lo stesso anche per lui. Mentre rimugino guardo il sole che si tuffa nell’orizzonte rosso fuoco. Con le dita giocherello distrattamente con la cannuccia del cocktail al cocco che ho tra le mani. In questo posto mi sento stranamente viva. L’aria è così umida e calda che la mia pelle è sempre appiccicosa e bagnata, un balsamo per il mio corpo che reclama costantemente idratazione. Anche se non lo vedo, so che Will sta guardando me. Sento i suoi occhi che si posano sui miei capelli infuocati, resi lucenti e ancora più ignei dai raggi caldi del sole. So che mi sta mangiando con gli occhi e la cosa mi lascia sfuggire un sorriso compiaciuto.
«Che c’è?», mi chiede.
Mi volto a guardarlo con un piglio malizioso stampato in volto. «Mi guardi»
«Già», ammette. Dà una sorsata al suo mojito tropicale e mi trapassa con lo sguardo. «Sei bella».
Il complimento mi fa arrossire. Nonostante il tempo passato Will non smette mai di farmi sentire bellissima, come mi disse quella prima volta dentro a una grotta, quando credevo che mi avrebbe consegnata ai cacciatori. Il mio corpo, che era girato verso il mare infuocato, si gira verso di lui così da trovarmelo completamente davanti, dall’altra parte del tavolino.
«Alla fine ci siamo riusciti ad avere un bell’appuntamento, eh?»
«Vero, anche se nonostante i due anni che sono passati non siamo ancora andati in quel famoso ristorante greco di cui avevo parlato...»
Rido di gusto. Come se mi interessasse ormai. All’epoca era tutto incerto, e poi ci siamo ritrovati in una parabola discendente che ci ha fatto credere ad entrambi di non potercela fare. E invece ce l’abbiamo fatta, ben oltre le nostre aspettative, oltretutto. Lui risponde alla mia risata con un pizzicotto lieve sulla mano, ed entrambi ci sporgiamo per scambiarci un bacio che sa di menta, cocco e sale marino. Siamo entrambi ancora in costume, dopo una giornata passata ad abbrustolirci al sole. In realtà non ci avevo mai provato, per cui non avevo idea che la mia pelle potesse assumere un colorito così tanto scuro, rispetto al mio normale incarnato pallido di quando stavo tra le nebbie del clan. La mia pelle abbronzata ha un colore caramellato che tende al rosa, piuttosto scuro, e ricorda molto di più il tono di certe scaglie della mia pelle di draki. Mi piace. Mi fa sentire più vicina alla mia me sputafuoco, anche in forma umana. Anche Will è abbronzato, ma il suo colorito è più bruno, più terra bruciata che caramello. E’ ancora più bello con quella pelle calda e scura e i capelli resi più chiari dal sole. Oppure semplicemente sono le novità che mi fanno piacere di più questa versione di me e lui.
Nel frattempo si avvicina una cameriera. Indossa un gonnellino di foglie di palma e un top rosa su cui troneggia un’immensa collana di fiori. Veri. I suoi capelli e il suo viso mi ricordano moltissimo un film d’animazione che vidi tanto tempo fa con mio padre, quando ancora né io né Tamra ci eravamo manifestate, e la nostra sembrava ancora una famiglia la cui felicità era perfetta e intoccabile. Lilo e Stitch, mi pare si chiamasse.
«Desiderate qualcos’altro da bere?», chiede cordialmente. Io e Will ci guardiamo, e leggo nei suoi occhi dorati da sole lo stesso che penso io.
«In realtà avremmo fame, ma non abbiamo ancora capito come funziona qui...», dice lui, in tono sommesso.
La cameriera sorride, dopotutto sa che siamo appena arrivati e che non abbiamo aspettato neanche un attimo da stamattina per fare domande: è la stessa a cui appena arrivati, dopo sei ore di volo e il check-in in albergo, abbiamo chiesto quale fosse il nostro ombrellone. Dopo di che ci siamo bloccati sotto il sole e non ci siamo più mossi. Non è sorpresa che abbiamo fame e non sappiamo niente di come funzioni questo posto.
«Allora», comincia, «Il nostro resort offre un’ampia scelta. C’è il ristorante con buffet, il bistrot che offre specialità di pesce nouvelle cousine, la braceria sul mare e abbiamo anche il supermercato con tutti i prodotti tipici, nel caso in cui voleste provare voi a prepararvi qualcosa nel vostro bungalow».
Tra me e Will c’è un’altra occhiata. Siamo sicuri che nei prossimi sei giorni proveremo qualsiasi cosa il nostro resort possa offrirci, e sicuramente vedremo anche qualcos’altro sull’isola, ma nel frattempo con lo stomaco che brontola e reclama cibo dopo 23 ore di digiuno, non disdegniamo di sicuro la possibilità di mangiare a volontà con il buffet.
«Il buffet per stasera va benissimo», dico dopo il cenno d’intesa che ci siamo scambiati.
«Perfetto, allora quando volete potete accomodarvi a un qualsiasi tavolo sulla spiaggia, pochi metri più avanti sulla sinistra».
La ringraziamo e lei se ne va, lasciandoci al nostro tavolino ad assaporare ancora un po’ il relax che ci dona la musica hawaiana in sottofondo, unita al prepotente rumore delle onde che si infrangono sulla battigia. Il sole ormai non si vede più all’orizzonte, ma i suoi raggi dorati continuano a inondare di luce la linea dritta del mare, trasformandola in lava incandescente all’occhio.
«Com’era il mojito tropicale?»
«Buono! Scusami se non te l’ho fatto assaggiare, ma so che gli alcolici non ti fanno impazzire...»
«Hai fatto bene. D’altronde nemmeno io ti ho fatto assaggiare questa... come si chiamava?»
«Virgin Colada»
Ah, ecco. Will mi aveva fatto tutto un panegirico sul fatto che si chiamasse virgin colada perché non c’era l’alcool, mentre la versione alcolica si chiamava...
«Pina colada». Come al solito, sembra leggermi nel pensiero. E per un attimo penso che lo possa fare davvero, ma poi ricordo che in realtà, l’unico che possa leggermi nelle emozioni sarebbe Cassian. Ma è troppo lontano perché ci riesca. Almeno lo spero per lui, perché posso solo immaginare come sarebbe disgustante per lui sentire tutte queste emozioni stucchevoli dentro di me. Cassian. E’ tantissimo che non lo vedo e non lo sento, chissà che fine ha fatto. In quel momento, decido che appena torneremo a casa, in Oregon, gli scriverò. Ma non adesso. Adesso non mi va di pensarci, perché sono esattamente dove voglio essere, e con chi voglio essere.
«Come ci riesci?», chiedo allora.
«A fare cosa?»
«A sapere esattamente cosa sto pensando»
Ride. «Non è difficile», esclama allargando le braccia, «Quando pensi a qualcosa che non ricordi, o che non ti torna, aggrotti leggermente la fronte, e le tue sopracciglia si avvicinano un po’. Visto che non ricordavi il nome di ciò che hai bevuto, ho dedotto che non ricordassi come si chiamava la sua copia alcolica. Tutto qui»
«Confermo che sei intelligente». Anche troppo per me. Scaccio subito quel pensiero ostile, ormai non c’è più niente che ci metta in pericolo, né alcun motivo per dover pensare che non dovremmo stare insieme. Per ora.
Il modo in cui la mia mente ha voglia di fare la disfattista, stasera, è intollerabile. Per cui scaccio ogni possibile triste pensiero e mi concentro su Will, sui suoi occhi, i suoi capelli, le sue mani grandi e su quello che sono capaci di fare. E in un momento penso a quando mi accarezza, come riesce ad accendermi, a rendere vivo non solo il mio desiderio umano, ma anche il mio desiderio draki. E’ una sensazione incredibile. Sorrido a questo pensiero che mi accende, e non posso fare a meno di desiderare per un attimo che la cena finisca presto, per poter assaporare una notte tutta per noi, lontano davvero da tutto e da tutti, in una vacanza tutta nostra. Lui sembra intuire e un guizzo di rossore gli tinteggia le guance. Ci guardiamo, ci scambiamo sorrisi sciocchi, intrecciamo e strecciamo le dita come se non ci fosse nient’altro a cui pensare al mondo.
E per una volta non mi sorprende rendermi conto che, effettivamente, non abbiamo nient’altro a cui pensare.








dice l'autrice:
Non ho mai scritto niente di fantasy. Non che questo lo sia, al momento, ovviamente, ma ispirandosi a una storia fantasy probabilmente lo diventerà. In ogni caso, il fantasy e le storie che riguardano la magia, o la mitologia, o creature fantasiose come appunto i draghi mi hanno sempre affascinata. In questa raccolta cercherò di immaginare come può essere la vita di tutti i personaggi della storia di firelight dopo la fine dell'ultimo libro, Hidden. Questa saga è una delle poche che mi ha lasciato addosso il desiderio di scriverci sopra qualcosa che ne riguardasse il continuo. Questo perché apre talmente tante possibilità su tutti i personaggi, da essere una miniera d'oro per i miei neuroni fantasticanti. Spero che abbiate goduto la lettura, e nel caso vi fosse particolarmente piaciuto ciò che ho scritto, non siate timidi e commentate.
Un caso saluto

Sasy

 

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Capitolo 2
*** Cassian - Route 66 ***



Cassian
Route 66


La strada mi sfreccia intorno come una macchia indistinta. Sono ormai mille chilometri che intorno a me non c’è altro che pianure che sfumano dal verde, al giallo, a qualche punteggiato colore di fiori. Non ho una meta precisa, se non l’obiettivo di attraversare tutta la route 66 e arrivare nella caotica New York. Non ci sono mai stato, ma dopotutto non è strano, considerando che ho passato tutta la mia vita tra le nebbiose montagne californiane, nel mio clan. Quasi tutti i draki una volta nella vita escono dal clan e vanno a fare “un giro” nel mondo degli umani, ma non è questo il mio caso. Dubito che tornerò a casa per restare, magari qualche volta a trovare chi mi sono lasciato dietro, ma non ho più niente che mi lega a quel posto, da quando ho perso Miram. Il viaggio procede lento da un paio di giorni: finché il sole lambisce la strada e il panorama, guido. Mi sono fermato qualche volta giusto per mangiare. Di notte mi fermo in un motel, se ne trovo uno. Altrimenti parcheggio la vecchia Cadillac in uno spiazzo, chiudo il tettuccio e mi alzo in volo per sgranchire le ali. E’ una sensazione meravigliosa potermi manifestare, e volare senza essere controllato. Qui non sono il principe onice, né il futuro alfa. Sono solo Cassian, un draki all’avventura. In questi casi comunque non mi allontano mai dalla macchina, per evitare che possa accadere qualcosa. Qualsiasi cosa. Un paio di settimane fa, mentre tornavo dall’Ontario dopo un giro in un clan che un tempo avrei considerato rivale, sono stato beccato da dei cacciatori. Li ho visti arrivare da lontano così in fretta e furia mi sono demanifestato e sono tornato in macchina, continuando il mio viaggio inosservato. I cacciatori poi mi sono sfrecciati accanto, ad armi spianate, ma ovviamente non hanno intuito niente. E’ stato un colpo di fortuna, e non sarebbe così facile se mi allontanassi dalla macchina.
Alzo il volume della radio, stanco di elucubrare. Mandano una vecchia canzone di Elvis, “I can’t help falling in love with you”, e senza preavviso mi viene in mente Jacinda. Scaccio il pensiero come una mosca, consapevole che se anche per un momento mi concedessi di pensare a lei, le sue emozioni che cerco così insistentemente di tenere lontano mi invaderebbero, buttandomi nello sconforto e facendomi schiumare di rabbia. Cambio stazione e mi concentro sui due speaker che si lanciano battute sul nuovo stile dell’anno: il floreale. I miei pensieri però non si lasciano comandare e mi fermo a chiedermi come stia Jacinda. Sono due anni che non so niente di lei. Non l’ho mai vista le poche volte che sono tornato al clan, eppure mi hanno detto che ogni tanto passava. Forse studiava le mie emozioni per capire se ci saremmo incontrati o no, e di conseguenza per evitarmi. Non che lo facesse perché lei non mi volesse vedere, anzi. Ero più che sicuro che lo facesse per me. Perché non la vedessi di nuovo con Will. Il poco tempo che avevo passato con loro assieme era stato devastante per me: tutte quelle emozioni, tutto quel desiderio, quell’ardore. Per me erano come sferzate di dolore. Frustate. Qualcosa al limitare del mio campo visivo, davanti a me, mi distoglie e mi distrae. E’ un furgoncino giallo limone. Piano piano che mi avvicino distinguo una figura che si muove freneticamente davanti al cofano.
Mi torna in mente una scappatoia che usammo due anni fa per scappare dai cacciatori dopo aver salvato Miram. Una volta arrivato accanto al veicolo, mi fermo. Quella che armeggia è una ragazza.
«Ehi», esordisco per attirare la sua attenzione. Lei si volta, guardinga. «Hai bisogno d’aiuto»
Sorride, ma sembra in imbarazzo. «Non ti preoccupare, grazie lo stesso».
Non mi fido. Così parcheggio la macchina davanti al suo pic-up e scendo. «Sembra di sì, sai?»
Lei si arrende. Si alza dal cofano e lascia cadere le braccia lungo i fianchi. Sembra una bella ragazza, anche se è tutta sporca di grasso. I capelli biondo rame le cadono sulle spalle lisci e folti, è alta ed ha grandi occhi blu accesi.
«Effettivamente...», sbuffa.
«Fammi vedere»
«Te ne intendi?»
La guardo di sottecchi e decido di dire la verità: «In realtà no, ma in due si fa meglio»
«Sembra ragionevole»
«Che ti è successo?»
«Non lo so, all’improvviso si è fermato»
«Sei da sola?»
«Sì. Perché?»
«Immaginavo che magari avessi mandato qualcuno a chiedere aiuto...»
«Ci sono solo io. E la mia casa»
Mi alzo e la guardo con un punto interrogativo stampato in faccia. «In che senso?»
«Me ne vado. Via. Da tutto.», dice lei a spezzoni.
Mi sta già simpatica. «Siamo in due allora».
Lei lancia uno sguardo alla mia Cadillac. «Ma tu non hai una casa»
«Perché tu sì?»
«Ovviamente». Fa un cenno con la testa verso il retro del furgone, così con uno sguardo le chiedo se posso guardare e lei annuisce con un’alzata di spalle. «Fai pure», dice.
Mi pulisco le mani sui jeans e mi avvicino al retro del pic-up. Sono incerto: e se fosse una trappola? Se fosse una cacciatrice? Ma mi tolgo subito dalla testa questa idea: non esistono cacciatrici donne e soprattutto nessuno sa che i draki possono prendere forma umana. Così apro lo sportello posteriore e guardo dentro. Non è poi così folgorante ciò che trovo. Un grande materasso. Una tv, una radio e un minifrigo a batteria. In fondo un’asta che va da una parte all’altra sostiene tutti i vestiti.
La sento affiancarmi, «Beh, è una sistemazione momentanea, in attesa di trovare i soldi per comprare una roulotte»
Annuisco, chiudo lo sportello e torno al cofano. Ma non riesco a non notare che il motore è evidentemente fuso. Anche se ne capissi di più, non ci sarebbe niente da fare per questo catorcio. Provo comunque ad armeggiare qualcosa. Apro il serbatoio, controllo la batteria. Ma niente. Il problema è che il motore è del tutto andato.
«Ascolta…»
«Non c’è soluzione. Ecco. Lo sapevo» Sbuffa e tira un calcio a un sasso sul limitare della strada. «Io da loro non ci torno!», esclama con rabbia.
«Senti», riprovo, «Se vuoi posso darti uno strappo fino alla prossima stazione di servizio. Prendi le tue cose e montale nella mi auto, lì magari puoi trovare una roulotte a buon prezzo»
La vedo annuire distrattamente. Dopotutto siamo due persone in fuga, e se non ci fidiamo l’uno dell’altra non abbiamo niente su cui contare.
«Va bene», esclama. «Come so che non sei un maniaco omicida?»
Ridacchio «Potrei farti la stessa domanda», rispondo.
Lei ci pensa su e poi sorride. «D’accordo. Tanto so come difendermi». Lo dice con un tono talmente convinto che mi si gela il sangue, al pensiero di cosa potrebbe nascondere una ragazza sola in mezzo al nulla pur di difendersi. Non ci penso e la aiuto a caricare sul retro della macchina i suoi vestiti. Non avevo notato che avesse anche molti libri, così non fiato mentre li prende e li posa un po’ per volta tra i sedili, per evitare che si sciupino durante il viaggio. Quando ha caricato tutto, monta sul sedile anteriore accanto a me.
«Come ti chiami?», le chiedo.
«Taylor», risponde con sufficienza.
«Cassian», replico.
«Bene, Cassian. Fermiamoci alla prima stazione», mi dice, «Ho bisogno di lavarmi».
Lo dice con una tale nonchalance che qualcosa mi scatta dentro. E so già che probabilmente saremo compagni di viaggio per molto, molto tempo.





dice l'autrice:
Ed eccoci alla seconda shot. Questa volta su Cassian... spero che, a chiunque dovesse leggere, questa storia piaccia. 
Alla prossima!

Sasy

 

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