Bellatrix

di Lorelie Black Lestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo LA BATTAGLIA DI HOGWARTS ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 SORELLE ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 OCCHI ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3, CRUCIO ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 RUMORE DI SOTTOFONDO ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 SENZA PAROLE ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 VITA ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 SORPRESA ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8, NOX ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9, LACRIME ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10, MELODIA ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11, RITORNO ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12, RIVELAZIONI ***



Capitolo 1
*** prologo LA BATTAGLIA DI HOGWARTS ***


LA BATTAGLIA DI HOGWARTS
“No!” strillò la signora Weasley a degli studenti che stavano correndo incontro a loro per aiutarla. “Tornate indietro! Tornate indietro! Lei è mia!”
 
Centinaia di persone adesso si addossarono ai muri, guardando i due combattimenti, Voldemort e i suoi tre avversari, Bellatrix e Molly. Harry era fermo tra i combattenti, invisibile, combattuto tra proteggere o attaccare, incapace di prendere una decisione per paura di colpire qualche innocente.

“Che cosa accadrà ai tuoi ragazzi, quando ti avrò uccisa?” la derise Bellatrix, folle come il suo maestro, saltellando per schivare gli incantesimi di Molly che le piovevano addosso. “Quando Mammina se ne sarà andata come il piccolo Fred?”
 
“Tu... non... toccherai... mai... più... i... nostri... ragazzi!” urlò la signora Weasley.

 Bellatrix rise, la stessa risata euforica di suo cugino Sirius mentre cadeva all'indietro oltrepassando il velo, e immediatamente Harry capì quello che stava per succedere ancor prima che accadesse.

L'incantesimo di Molly volò al di sotto del braccio disteso di Bellatrix e l'avrebbe colpita in pieno petto se un lampo rosso non si fosse levato dalla bacchetta di Voldemort toccando il braccio della più fedele Mangiamorte. Il corpo di Bellatrix balzò a qualche metro di distanza, l'Anatema che uccide la sfiorò di un pelo.

Visibilmente sconvolta la donna si tirò a sedere, guardò intensamente il suo signore per poi spostare gli occhi carichi di odio sulla signora Weasley. La bacchetta impugnata saldamente nella mano sinistra, un sorriso agghiacciante dipinto sul volto.

"NO" Harry urlò a squarciagola.

L'urlo di stupore, acclamazioni, le grida da ogni lato di: “Harry!”, “È VIVO!” s'interruppero immediatamente. La folla era spaventata, ed il silenzio cadde improvviso e completo non appena Harry e Voldemort si guardarono negli occhi, e cominciarono simultaneamente a muoversi in circolo fronteggiandosi.

 Bellatrix era attonita, osservava la scena ma la sua mente era altrove. Ascoltava a sprazzi la conversazione fra il ragazzo e il Signore Oscuro, cercava di rassicurarsi che Harry Potter sarebbe morto definitivamente quella volta. Eppure, rivelazione dopo rivelazione, un cupo presagio le intimava che si stava sbagliando, qualcosa non era andato secondo i piani.

“Avada Kedavra!”

“Expelliarmus”

L'esplosione fu come un colpo di cannone, e le fiamme dorate che eruppero al centro del cerchio che avevano tracciato con i loro passi, segnò il punto in cui gli incantesimi si erano incontrati.

Bellatrix si rese conto della sua morte prima che accadesse, sentì il desiderio di fare qualcosa, di poter intervenire. Corse, le lacrime le velavano gli occhi, ma non si fermava. Troppo tardi. La bacchetta sfuggì alla presa di Voldemort, Harry l'afferrò prontamente. I freddi occhi rossi dell'Oscuro Signore si spalancarono, volse lo sguardo alla sua Mangiamorte più fedele.

Un "Ti amo" sussurrato gli risuonò nella mente, occhi neri lo guardavano intensamente nonostante le lacrime, quella luce che vi aveva intravisto da quando l'aveva conosciuta era sempre vivida. Voldemort era stato temuto, rispettato dai suoi seguaci, ma nessuno l'aveva mai guardato così. Bellatrix lo comprendeva, si fidava ciecamente, i suoi occhi brillavano ardentemente quando lo guardava, sapeva di appartenergli e questo non la frenava.

 Egli non l'amava, non poteva, eppure provava qualcosa di diverso per lei, qualcosa che l'aveva spinto a salvarla dalla maledizione della signora Weasley, a smaterializzarsi con lei due anni addietro alla Battaglia del Ministero. Ne aveva bisogno, detestava ammetterlo, ma non poteva fare altrimenti. Non l'amava ma l'aveva sempre desiderata.

Si dice che prima di morire si possa rivedere la propria vita, la mente di Voldemort era un turbinare di pensieri, ricordi, fredde emozioni. Cessò tutto in un attimo, prima caos poi silenzio. Gli occhi rossi si spensero quando l'anima abbandonò definitivamente il corpo. Era morto, il suo cadavere giaceva a terra e Harry Potter aveva vinto.

 Mentre l'atmosfera si riempiva di urla, ristate, ruggiti, un urlo di dolore sovrastò la moltitudine di voci. Il corpo di una donna si accasciò accanto al cadavere del suo signore, le lacrime le oscuravano la vista, estranea a quella dimensione di felicità che non le apparteneva.



Bene, questo è il prologo. Come potete constatare ho riscritto molte della parti del libro, mi dava ancor più l'idea del "What If" come se avessi davvero la possibilità di cambiare la morte di Bellatrix. Spero di aver reso bene la psicologia di Bellatrix e Voldemort, voglio attenermi quanto più possibile ai personaggi originali.
Detto questo mi auguro che si comprenda la coppia : Bellatrix lo ama e questo lo dice anche la Rowling, Voldemort non può amare ma questo non significa che non possa desiderare, spero di averlo reso bene.

Fatemi sapere cosa ne pensate    :*

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 SORELLE ***


Capitolo 1, Sorelle
Andromeda, le braccia conserte, fissava Harry annuendo. Le lacrime sgorgarono senza ritegno non appena lo sguardo si posò sulla figlia morta, i cui capelli sarebbero rimasti rosa per sempre .

Minerva osservava la scena da lontano, quanto erano simili le due sorelle Black in quelle lacrime, due donne forti che crollavano di fronte alla morte della persona amata. Erano state entrambe sue alunne: Bellatrix, dai ricci capelli corvini, gli occhi scuri e profondi, era una delle streghe più brillanti che avesse mai conosciuto. Non c'era incantesimo che non le riuscisse perfettamente, una materia in cui non eccellesse. Andromeda d'altro canto era più dolce, i capelli erano castani e ricadevano in morbide onde sulle spalle, gli occhi color nocciola erano carichi di speranza, apprensione. Era brava in tutto ma senza eccellere, era più amichevole, paziente, ma allo stesso tempo forte e determinata.

 Era strano vederle insieme, a pochi metri di distanza, dopo anni in cui si erano dimenticate. Bellatrix ancora china sul corpo del suo signore, il pianto che continuava ininterrotto, nonostante fossero trascorse ore dalla morte di quest'ultimo. Andromeda teneva la mano della figlia, ne accarezzava dolcemente il dorso, poi si spostava sui capelli, sul naso, le labbra. Voleva imprimere l'immagine di Tonks nella sua mente, non riusciva a lasciarla andare.

"Ha sofferto tanto?" chiese al ragazzo sopravvissuto.

“Non so” mentì, i segni delle torture erano evidenti.

“La mia bambina... chi le ha fatto del male?” sapeva già la risposta.  

“Non lo so signora Tonks, quando sono arrivato lei e Remus erano già morti”mentì di nuovo, conosceva perfettamente l'assassina.  

“LEI è morta, non è vero?” anche Andromeda aveva capito.

 Harry si voltò verso il centro della sala, la indicò. La signora Tonks posò lo sguardo sulla sorella che piangeva silenziosamente, il corpo scosso da profondi tremiti. Mai nella sua vita aveva visto Bellatrix piangere, né quando si faceva male, né quando le arrivava uno schiaffo in pieno viso. Si chiudeva in se stessa, incrociava le braccia sulla difensiva e restava impassibile come se nulla fosse accaduto. Era strano vederla così, non riusciva a riconoscerla né a capacitarsi che potesse piangere per qualcuno, lei che nella vita aveva tagliato fuori perfino i parenti.

 Eppure le era dinanzi, i capelli arruffati, i segni della guerra e quelli più evidenti della prigionia: il fisico emaciato, il volto scarno. Le sottili dita erano intrecciate a quelle scheletriche e diafane di Voldemort, quasi temesse che potesse allontanarsi o, peggio, potessero portarglielo via.

Non solo Minerva osservava la scena con apprensione, in effetti i visi di molti nella Sala Grande erano rivolti verso quell'avvenimento singolare. Tuttavia, soltanto la Mc Granitt, Rodolphus Lestrange e Narcissa Malfoy sembravano cogliere l'essenza di quel quadro: una guerriera sconfitta giaceva accanto al suo generale, padrone, amante; una madre distrutta sedeva accanto alla donna che sarebbe sempre stata la sua bambina.

Narcissa aveva osservato abbastanza, la gioia della vittoria seppur nemica l'aveva contagiata. L'immagine di un futuro carico di speranza per suo figlio l'aveva fatta sorridere, esultare. La sofferenza di Bellatrix, invece,  si era impressa nella sua mente, le aveva preso il cuore quasi volesse ucciderla, tormentarla... doveva agire.

Si mosse con eleganza fino a raggiungerla, sovrastandola dalla sua posizione.  

“Alzati Bella”le intimò.

Nessuna risposta, i gemiti si fecero più acuti, la mano si strinse ancor di più a quella dell'Oscuro. Narcissa si sedette accanto alla sorella, prese ad accarezzarle con dolcezza i capelli, le cinse le spalle sottili, cercando di consolarla e convincerla ad alzarsi.

 Andromeda vide le due sorelle provando lo strano impulso di avvicinarsi, in quel momento così intimo, con una Bella così docile che le rammentava l'infanzia remota. Poi un pensiero: non lo meritava, aveva ucciso, torturato quella era la sua punizione. Ma allora come spiegare l'istinto di volerla raggiungere? Di stringerla forte come faceva lei quando da piccola aveva paura del buio? Quella volta era Bella ad aver bisogno di aiuto, perché non andarle vicino?

La raggiunse mettendosi alle sua destra, lo stupore generale non si fece attendere: Harry a bocca aperta, Minerva con un sopracciglio alzato, Lucius e Rodolphus con un'espressione contrariata.
Bellatrix si irrigidì al tocco di Andromeda, non se lo aspettava, ma non reagì violentementeì e si abbandonò a quelle carezze quasi fosse lei la sorella minore. Allentò la stretta alla mano del suo signore, le lacrime erano ormai esaurite, i gemiti si calmarono e lentamente scivolò nel sonno cedendo alle cure dell’amore.



Ecco, a poca distanza perché era già pronto. La storia sarebbe infatti cominciata così, ma era troppo confusionaria per questo ho deciso di aggiungere un prologo.
In questo capitolo ho voluto inserire il personaggio di Minerva perchè mi piaceva molto l'idea della spettatrice, di una donna forte, matura (non soltanto dal punto di vista anagrafico) che riusciva a cogliere, seppur ad anni di distanza, le analogie e le differenze fra le due sorelle. 
Il personaggio di Narcissa qui è un po' marginale, la sua interiorità non è approfondita ma in questo caso la trovavo perfetta come tramite fra Bellatrix e Andromeda che sono le protagoniste di questo capitolo.
Spero vi sia piaciuto, anche perchè è interamente mio al contrario del prologo.
Grazie mille. 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 OCCHI ***


Capitolo 2 , Occhi


Rodolphus Lestrange era seduto al tavolo Serpeverde della Sala Grande, i gomiti poggiati sulla superficie irregolare, la testa fra le mani, lo sguardo basso divagava nella memoria.

Era sempre stato il suo posto quello: abbastanza vicino da poter ascoltare quello che voleva, abbastanza lontano da occhi indiscreti. Lei si sedeva dall'altra parte, in corrispondenza delle grandi vetrate. Quante volte aveva usato la scusa del panorama quando invece voleva soltanto ammirarla?
 
Ne ricordava perfettamente ogni espressione, quel modo buffo di giocare con le sopracciglia senza che se ne accorgesse, la gamba sinistra che tamburellava leggermente, talvolta scontrandosi con la sua e tingendone il viso di color rosso porpora. Gli piaceva il modo in cui mangiava, giocando prima col cibo per poi portarlo con eleganza alla bocca. Parlava tanto con lui che era così taciturno ed egli si sentiva onorato che, fra tutti quanti, l'avesse designato come amico.

 Riusciva a ricordare l'esatta piega del sorriso, l'impercettibile modo di arricciare il naso, le dita sottili che correvano fra i capelli corvini. Arrivava poi il momento in cui, fra una ciotola di porridge e una porzione di uova, si perdeva nell'abisso dei suoi occhi. Conosceva alla perfezione la sfumatura che andava dal marrone scuro fino al nero e li osservava con avidità, come se attraverso essi potesse comprendere il suo mistero.

Ricordava ogni cosa, anche il minimo particolare, eppure non sapeva dire quando si era innamorato di lei, né perché.

Rabastan l'aveva rimproverato spesso per quell'amore, deriso il più delle volte.

"Io e Travers avevamo scommesso: lui diceva sarebbe rimasta stanotte. Invece a quanto pare è già uscita" gli risuonarono le parole della notte del suo matrimonio quando era andata via per una "missione" per conto di Voldemort.

 Aveva voluto ignorare le congetture, negarle come per convincere se stesso. La realtà, invece,  gli si era presentata servita su un piatto d'argento, cruda, apra, dolorosa. Il pianto di sua moglie e le sue urla gli avevano attanagliato la mente, riusciva ancora a sentirli. Il messaggio muto, ma chiaro, "Io non ti amo" risuonava come una cantilena.

 Afferrò un panino dal tavolo, lo avvolse con meticolosa cura in un tovagliolo, fece per metterlo nello zaino.

"Stai cercando di scappare?"

Sussultò, per un attimo gli era sembrata lei.

 "Meda, quanto tempo!" le disse

Ella gli si sedette accanto come facevano tanti anni prima. Osservò attentamente il cognato, l'espressione stanca, la barba sfatta, le occhiaie violacee.  

"Sono invecchiato, lo so" aggiunse con un sorriso debole.

"Non cambiare discorso, Lestrange" lo rimproverò lei, scherzosamente.

Sembravano anni addietro, con le cravatte verde e argento al collo, il libro di Trasfigurazione aperto fra le ciotole di zuppa e il pollo arrosto. L'espressione di Rodolphus si fece più dura e, in un attimo, la magia di quei ricordi svanì interamente.

"Si, voglio allontanarmi il prima possibile" ammise.

"Rod, non puoi scappare dalle tue colpe" gli rispose seria.

 "L'unica colpa che ho è di aver amato troppo, non sono quello che deve pagare per la guerra, stavolta" disse.

Andromeda si incupì, abbassò gli occhi che cominciarono a riempirsi di lacrime amare. Ancora l’immagine di sua figlia davanti, ancora il desiderio di vendicarla.

"Allora vattene! Lascia che la responsabilità degli eventi non se la prenda nessuno. Mi raccomando di' al Wizengamot che hai agito sotto la Maledizione Imperius o magari di' proprio che hai fatto tutto per la donna che ami!" le parole le uscirono dalla bocca cariche di veleno.

Si sentiva svuotata, l'accusa le aveva tolto le ultime energie non aveva niente a cui aggrapparsi, non poteva affrontare la consapevolezza della perdita. Il piccolo Teddy giocava ignaro con Harry Potter e i suoi amici, era in parte sollevata che avesse trovato una "famiglia" pronta ad accoglierlo. Eppure lei non ci riusciva, si sentiva spettatrice di un’esistenza vuota alla quale non poteva più prendere parte.

 Braccia forti le cinsero la vita, appoggiò la testa sulla sua spalla, il corpo profondamente scosso dal dolore.

 "Ti chiedo perdono, per tutto" disse Rodolphus "Hai ragione, devo prendermi le mie responsabilità e ti chiedo scusa, non posso fuggire. Non credo esista il perdono per quelli come me, mi piace pensare che una parte di te un giorno lo accetterà" aggiunse.

"Non sono arrabbiata con te, Rod. Lo so che non hai preso propriamente parte a questa guerra e, per quanto possa sembrare assurdo, comprendo le tue ragioni e accetto le tue scuse da questo momento" gli disse dolcemente.

"Grazie" le disse guardandola negli occhi ambrati.

Andromeda si sentì meglio, l'abbraccio, le scuse, quello sguardo, l'avevano risollevata.

 "Non saresti mai partito" affermò " La ami troppo" aggiunse staccandosi dalle sue braccia e asciugandosi le lacrime.

Si alzò e si incamminò verso il nipote, fermandosi a osservare la sorella che dormiva in mezzo alla sala. Avvertì nuovamente Rodolphus accanto.

"Hanno tutti paura di spostarla forse?" chiese lei sussurrando.

 "Non li biasimo" sorrise stanco.

 Egli si abbassò prendendola in braccio come una bambina. Il suo sguardo si soffermò sull'espressione serena, sulla finta innocenza che traspariva da quel sonno.

Andromeda li guardava e, in una frazione di secondo, il ritratto di Bellatrix si sostituì a una piccola Nymphadora addormentata sul divano davanti alla TV, Ted a prenderla in braccio con la stessa apprensione del cognato con sua sorella. Ricacciò indietro le lacrime, si raddrizzò e fece per andarsene.
 
"Mi accompagneresti nei sotterranei?" le chiese Rodolphus.

 Lo guardò perplessa, voleva forse ucciderla?

"Non mi perdonerà mai se la faccio dormire nel letto di qualche Grifondoro" le disse sorridendo.

Andromeda ricambiò il sorriso, divertita. Lo seguì nei corridoi, fra gli sguardi di disapprovazione generali, scesero nei sotterranei quasi deserti. Ricordava la sensazione opprimente che aveva provato entrandovi il primo giorno, quella mancanza di luce l'aveva inquietata, non si meravigliava che coloro che avevano preso parte alle battaglia preferissero dormire altrove.

Trovarono la porta spalancata, la sala comune in disordine, deserta, la luce del Lago Nero che filtrava fioca dalle vetrate. Percorsero la familiare strada verso i dormitori femminili, raggiunsero l'esatta porta e, per un momento, Andromeda vi vide scritto "Bellatrix Black" in cima a quei nomi, ma fu solo un lampo.

Il passato, si disse, ritorna sempre.

La adagiarono sotto le coperte del letto in corrispondenza della finestra, il più bello, quello che era sempre stato della sorella. Rimasero per un attimo a fissarla, in balia dei ricordi. Si riscossero entrambi nello stesso momento.

"Devo andare" sussurrò Andromeda

"Posso conoscere il piccolo Teddy? Mi dicono che ha gli stessi occhi della nonna" le disse dolcemente.

Lo prese per mano, chiusero piano la porta e ritornarono alla luce, ai festeggiamenti, al presente.












Mi ero dimenticata di aggiungere il mio commento a questo capitolo :D. Comunque qui siamo ancora in una fase statica, non succedono cambiamenti ed è introspezione dei due personaggi a fare da protagonista.
Rodolphus viene spesso rappresentato come un debole, una marionetta nelle mani di Bellatrix ma io ho voluto descriverlo diversamente. Egli non accetta il rapporto di sua moglie con Voldemort tanto da negarlo più; per convincersi che per convincere gli altri.
Per quanto riguarda Andromeda, non prova nulla nei confronti di Rod. Quello che sente è semplicemente un profondo legame di amicizia, come se il tornare ad Hogwarts l’avesse riportata in quegli anni. Anche il rapporto con Bellatrix risente dei ricordi (ma anche del fatto che stia dormendo) nel prossimo capitolo si sveglierà e a voi l’immaginazione… 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3, CRUCIO ***


Capitolo 3, Crucio

Crepuscolo, i raggi ramati accarezzavano dolcemente la sua pelle cerea. La luce rossastra si mescolava alle tinte del Lago Nero, i canti delle sirene in lontananza.
 
Gli occhi si adattarono alla penombra della stanza, corsero celeri lungo le pareti, i drappeggi del letto, indugiarono sulla donna alla sinistra. Lunghi capelli color platino scendevano elegantemente sulle spalle, gli occhi di un azzurro vitreo, la pelle diafana.

Narcissa non si rese conto di essere osservata, smarrita com'era nelle sue riflessioni. Tormentata tra il bisogno della pace e il sentore di aver tradito sua sorella. Non aveva errato, si rassicurava. L'amore di una madre non potevi abbracciarlo se non lo conoscevi. Dopotutto, rifletté, lei e Lily Potter non erano tanto diverse, cosa cambiava che il suo sangue fosse più puro?

"Cissy" una voce la scosse dai suoi pensieri.

Si alzò rapidamente, un piccolo capogiro e si posò sul letto accanto alla sorella.

"Bella, come ti senti?"

Gli occhi onice la fissarono cupi, anche spogli di lacrime e gemiti, Narcissa intuiva la disperazione di quella donna. Il senso di colpa la annientava.

"La mia bacchetta, il mio pugnale" esclamò la Mangiamorte come se avesse appena concretizzato tutto.

"Rodolphus li ha presi prima che potessero farlo gli Auror. Adesso è di sopra... e... beh.. non importa. Lo vado a chiamare se vuoi" tremava.

 Bellatrix intuì che Narcissa le celava deliberatamente qualcosa, lo riusciva a comprendere dal suo volto. Raccolse le energie per un incantesimo non verbale, entrò agevolmente nella sua mente. La sorella non presentiva nulla.

 "LUI" alzò la voce "SPORCO TRADITORE CHE NON È ALTRO, COME OSA SOLO AVVICINARSI, COME OSA PARLARLE. SONO STATA CHIARA, CANCELLATA DA QUESTA FAMIGLIA, PER  S E M P R E" disse, scandendo le ultime parole con una furia lampante.

 "Bella non è il momento adatto per fare una scenata, credimi. Ringrazia che non ti consegui già incatenata e soprattutto di essere ancora viva" il tono era calmo.

"La morte, al momento, è la prospettiva che meno mi angustia" la voce risuonava lugubre.

Narcissa cedette, gli occhi azzurri si colmarono di lacrime, si aggrappò alla sorella maggiore. Non poteva perderla. Non dopo tutto quello che era accaduto.

Bellatrix la mandò via, rude. Il muro che aveva innalzato per tutta la vita si risollevò. Risoluta, si mise in piedi. Diede un bacio sulla fronte della sorella, un addio muto. Senza scrutarla si voltò, pronta a decretare il suo fato.

"Pietrificus totalus" l'incantesimo suonò preciso, il colpo impeccabile.

Narcissa si buttò a sedere di nuovo, provata per quell'ultimo sforzo.

 "Sai bene che la famiglia è la cosa più importante per me. Sebbene sia una Malfoy e, sebbene abbia messo Draco dinanzi a tutti voi, il mio amore per te mi ostacola dal lasciarti andare. Giacché, mia adorata sorella, per quanto tu possa essere ermetica, le tue intenzioni erano inequivocabili. Non ti lascerò morire" il tono era solenne, non ammetteva repliche, ma l'incantesimo non resistette data la spossatezza.

 Bellatrix la guardò, gli occhi carichi di odio, pronta a replicare a scagliare le peggiori accuse sulla sorellina. La porta si spalancò, il medesimo sguardo di odio si posò su suo marito, un sorriso tenebroso appena accennato.

 Con maestria si insinuò nella sua mente, come Lui le aveva insegnato.

Rodolphus la bloccò. Troppo tardi.

"Ora basta" le disse "È finita"

"Ma davvero? Sai caro non me ne ero accorta" il sarcasmo, una delle sue armi predilette.

"Bella sono serio, sei impazzita?" le chiese nervosamente.

"Sei arrivato in ritardo, lo dicono tutti da tempo ormai" rise, la stessa risata agghiacciante di quando uccideva.

 "Bellatrix Lestrange è pazza" "Quella donna è senza scrupoli" "Rodolphus perché non la lasci" imitava le voci, un sorriso bieco increspava le labbra sottili.

"Non è così ?" gelida sollevò un sopracciglio, gli occhi si posarono su di lui, divertiti.

 Le piaceva sfogarsi su suo marito, quasi potesse addossargli tutte le sue apprensioni. Vide Narcissa guardarla in preda all’orrore, come quando da piccola aveva massacrato il suo coniglietto.

La signora Malfoy si alzò, rapida. Scivolò fuori dalla stanza, decisa a raggiungere suo marito, ad allontanare la freddezza e il timore che circondavano Bellatrix da tempo.

"Spaventi anche tua sorella" l'accusò Rod.

 "Cissy si spaventa per nonnulla. Piange come quando aveva tre anni" disse con una voce da bambina.

 "Perché allontani tutti? Perché fai del male a chi ti ama?" le parole gli uscirono di getto.

"Male? Oh piccino piccolo... ma se ho appena cominciato" il sorriso sadico si allargò sulle labbra.

"Crucio" gli occhi neri lo fissavano perfidi.

 "Questo mio caro era per aver pensato di fuggire" interruppe la tortura.

"Crucio" nuovamente, più forte di prima.

"Questo invece era per averle rivolto la parola, e averla chiamata Meda" di nuovo cessò di torturarlo.

 "Crucio"

 Rodolphus gemeva, cercando di trattenere le urla. Non le poteva dare soddisfazione.

"Questo era per averla guardata negli occhi, per aver giocato con quella bestiolina" troncò il martirio, gli era vicina.

Le mani scivolarono sinuosamente sul volto, vezzeggiandogli le gote.

 "Crucio" gli mormorò provocante, le unghie si infilzarono nella carne del viso.

 Il sangue puro incominciò a erompere. Non urlare gli divenne inottenibile.

"Questo era per averla avvinghiata e confortata" sorrise, quella volta veramente

 "ho finito" aggiunse ponendo fine alla tortura.



Allora, lo so... non è normale ho aggiornato soltanto ieri però il capitolo era pronto. Stavo aspettando questa parte, avevo bisogno di questa parte.
Questa è la Bellatrix che amo e che non aveva ancora fatto la sua comparsa, quindi sono felicissima che sia arrivata finalmente.
Vi ringrazio per le recensioni! Spero che questa storia vi stia piacendo.  

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 RUMORE DI SOTTOFONDO ***


 Capitolo 4, rumore di sottofondo


 Sentiva le lacrime pungergli con forza, parevano battersi per sgorgare.

 Aveva ceduto alle urla, il dolore lo assaliva, darle la soddisfazione di piangere non poteva... era troppo.

Era disteso per terra,  rivoli di sangue correvano su entrambe le guance, avvertiva il calore, l'odore pungente di ferro. I muscoli erano ancora indolenziti, il dolore gli era penetrato fin dentro le ossa.

Mai come quel giorno aveva desiderato ucciderla, stringerle le mani intorno al collo per sentire la vita disgiungersi dal suo corpo. In genere era un pensiero fuggente. In quel momento, invece, sembrava non abbandonarlo, insinuato come un tarlo negli anfratti della coscienza.

Riusciva ad immaginare la scena, risuonava chiara nella sua mente, la vedeva resistergli e poi soccombere.

Era stanco, aveva sposato una donna che non lo amava, che non perdeva occasione per ferirlo, deriderlo.

 Basta, si disse, l'avrebbe abbandonata al suo destino, le avrebbe dato anche una mano ad uccidersi, se era quello che voleva.

 Bellatrix si sedette accanto a lui, avvicinò una mano al viso che lei stessa aveva leso.

Rodolphus fu rapido, la mandò via con forza.

 "Rod" la voce delicata, quasi innocente.

Non le rispose, non meritava neanche che sprecasse fiato per lei.

"Rod, mi odi?" gli disse di nuovo carica d'affetto.

No, era proprio quello il problema. Nonostante tutto l'amava ancora. Era un folle, percepiva la sua ragione che come un filo andava ad assottigliarsi, sempre di più fino al momento in cui si sarebbe recisa per sempre.

“L’amore è distruzione, volubilità” una litania che si ripercuoteva nella sua testa, un flash di suo padre che lo colpiva con brutalità.

Ella si avvicinò nuovamente.

"VA' VIA!" le gridò contro.

"Oh Rod, ma io stavo scherzando" la voce flebile.

"Sono stufo di te e dei tuoi giochi infantili, del modo che hai di sfogarti su di me" si alzò in piedi, sovrastandola di vari centimetri.

"È morto Bella e, se proprio vuoi saperlo, non ti ha mai amato. Ti ha solo usato" la sua voce carica di disprezzo.

Ci era riuscito, vide i suoi occhi neri diventare lucidi. Non riuscì a fermarsi la soddisfazione mista a eccitazione gli inebriava la mente.

 "E ora sei sola. Nessuno verrà più a cercarti, non ritornerà. È andato via per sempre" la guardava negli occhi, freddo.

Preferiva essere trattata male, preferiva essere odiata piuttosto che amata. L'aveva ottenuto. Lo affliggeva guardarla ed essere lui l’artefice di quella mera disperazione ma in fin dei conti, si disse, lo meritava.

 Si aspettava quasi di vederla piangere da un momento all'altro, lo desiderava ardentemente,  una bruciante frenesia che lo divorava, una scintilla di insania, di sadismo prendeva possesso dei suoi occhi.

 Bellatrix lo guardava, intensamente. Non avrebbe pianto, non più. Era di nuovo la donna forte che era sempre stata, le parole di suo marito non avevano fatto altro che scrollarla, ridestarla da quello stato di confusione e disperazione che aveva seguito la Sua morte.

"Gradirei la mia bacchetta e il mio pugnale, cortesemente" gli disse risoluta.

Rodolphus ci sperò, non aveva mai smesso di pensarci. Glieli diede senza fare storie, pregustando il momento, gli occhi che ormai divampavano completamente dalla smania.

 Lei si avvicinò, seducente, gli appoggiò una mano sulla spalla e le labbra vicino all'orecchio.

"Mi chiedevo se potessi aiutarmi" risuonò come un'ultima preghiera.

 Egli comprese che era giunto il momento, le loro mani si chiusero insieme sul pugnale, deglutì.

Bellatrix scoppiò a ridere, prima istericamente, poi di gusto.

"Rod volevi uccidermi?" gli chiese, ancora sogghignando.

Lui la fissava sconcertato e poi rise, si abbandonò al suono melodioso della sua risata, agli occhi sfolgoranti che lo guardavano, all’insensatezza e la follia che dominavano quell’istante.

Premette le labbra con forza contro le sue, i ricci si insinuavano fra i loro corpi, le mani di lei accarezzavano con leggiadria il viso sfregiato.

"Sei insopportabile" le disse lui, ancora rideva.

"Ti attraggo per questo" fu la sua risposta, seguita da una linguaccia.

 "Ti odio" la baciò, con più impeto.

 Gli era mancato il sapore delle sue labbra.

 "Uccidere tua moglie, che persona orribile" gli sussurrò lei, canzonandolo.

Risero di nuovo, le voci si mescolarono.

"Che cosa siamo diventati" le disse dopo poco.

Bellatrix sorrise, si specchiò nei suoi occhi, onice nell'ambra. Adorava fargli quell'effetto, essere l’astro più luminoso, avere la cognizione che lui non avrebbe avuto la capacità vivere senza di lei.

Rodolphus la toccò, con fervore. Si chiese se da quel momento lei avrebbe mai potuto amarlo, se quella notte gli dava il suo corpo per puro piacere o se forse ci fosse qualcosa di più.

 Le aveva dato tutto, ogni parte, da lei non aveva ottenuto niente. Eppure accettava quell'amore così assurdo, in cui era il suo cuore contro la sua completa impassibilità.

"Non puoi amare Bellatrix, ti ucciderà" le parole di Andromeda qualche giorno prima di fuggire risuonavano come un pronostico realizzatosi.

 Forse senza Voldemort la sua vita avrebbe avuto un rovesciamento, il pensiero lo trapassò fulmineo.  D'altra parte la consapevolezza che non sarebbe mai stato così, perché un pezzo di lei era morto quella notte, il quel pianto disperato, un pezzo di lei l'aveva già seguito all'Inferno. Fiera di essere con Lui ovunque andasse.

Si accontentava di quell'esistenza vuota fatta solo per assecondarla, di un amore malsano, ossessivo che lo struggeva riducendolo a niente.

“Non siamo niente Rodolphus, assolutamente niente" gli rispose con rimando alla domanda, quasi gli avesse letto nel pensiero.

Ed egli nonostante tutto continuava a compiacerla. Tentando invano di ricevere almeno un frammento del suo amore in risposta a quel tutto.

Quella notte cominciò a sperare che fosse possibile.

"Ti amo" le sussurrò.

 Bellatrix non si voltò come suo solito come per chiudersi definitivamente a lui, non lo schernì.

Gli diede un bacio sfuggente e per lui fu abbastanza, il sapore delle sue labbra impresso per sempre.

"Non ti odio comunque" gli disse e si voltò.

Rodolphus le prese la mano, non si scansò.

Fu la prima notte, nella sua vita, in cui il resto era rumore di sottofondo.



 Bene bene, nuovo capitolo. Sono stata indecisa per un bel po' se pubblicarlo o meno, non mi convinceva per niente. Ancora adesso, purtroppo, sono un po' scettica. Mi sembra di essere uscita troppo dai personaggi, mi sembra tutto eccessivamente statico in questi primi capitoli.
Ma non sta soltanto a me giudicare, quindi chiedo anche il vostro parere.
Vi ringrazio davvero per le recensioni. Qualsiasi cosa, anche negativa, è per me ben accetta. Se trovate delle incongruenze o se c'è qualcosa che non vi piace fatemelo sapere, ci tengo tanto.
:)

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 SENZA PAROLE ***


Capitolo 5, Senza parole.


I pallidi raggi del sole penetravano dalle vetrate della Sala Grande, il pavimento si tingeva delle luci dai mille colori. Il familiare ticchettio si fece strada nella sua mente, così babbano eppure irrinunciabile per lei: l’orologio da polso con la cinghia di pelle bruna.

Dopo aver sbattuto le palpebre e messo a fuoco la scena, gli occhi di Hermione si godevano l’immobilità. Quei giorni carichi di avvenimenti l’avevano spossata, osservava la Sala Grande in uno stato di estasi, contemplava la luce riflettersi su un frammento di vetro per poi colpire la lama di una spada.  Il russare di Ron le teneva compagnia, conferendo un ritmo cadenzato a quella pace onirica.

Gli era stata vicino tutta la notte, avevano parlato, aveva messo a nudo i suoi sentimenti, l’aveva consolato… la morte di Fred era un peso che avrebbero portato per sempre.

Si sollevò sui gomiti facendo attenzione a non svegliarlo ma, evinse dal suo ronfare, neanche una successiva battaglia avrebbe potuto.

Cominciò a camminare per il castello per destare i muscoli intorpiditi, pareva tutto fasciato da una luce magica, un’ aura di immobilità che gli conferiva un aspetto eterno.


I passi risuonavano delicatamente, le doleva tutto: le ossa, i tendini, la testa. Dormire a terra di certo non l’aveva aiutata, l’intera battaglia era stata spossante, l’ultimo duello con Bellatrix Lestrange le aveva tolto le energie che le rimanevano e, le briciole rimaste, erano sfumate con i festeggiamenti a cui aveva preso parte.

Hermione si rese conto quanto fosse maturata nel corso di un anno, era sempre stata più adulta rispetto ai suoi compagni, un po’ per il carattere, l’educazione, ma in realtà era stato principalmente un modo per riscattarsi dall’etichetta della “nata babbana”. I libri, i suoi primi migliori amici, i voti un obbiettivo.

Tutto questo, però, non l’aveva aiutata durante la sua avventura. Era stato principalmente l’aiuto dei suoi amici, il valore dell’amore, la fiducia… cose che non si imparano su volumi impolverati, ma vivendo.  Realizzò  che in un anno aveva cominciato a vivere davvero, si era scontrata con la realtà, con il mondo esterno. Aveva visto la luce e l’oscurità di ogni persona.

Finalmente, si disse, era diventata adulta.

L’essere cresciuta non l’aveva allontanata dalla sua infanzia, ripercorrendo i corridoi rivedeva le innumerevoli peripezie in compagnia dei suoi amici, sorrideva ai ricordi senza rimpianto, consapevole di essere pronta ad affrontare il presente e il futuro con fiducia.

Senza rendersene conto, come una radicata abitudine, i passi l’avevano condotta all’ingresso della biblioteca. Certi vizi, non ti abbandonano mai.

Inspirò profondamente l’odore dei libri, inebriata dal familiare profumo, gli occhi chiusi come se stesse sognando. Aprendoli si destò, un incubo si presentava dinnanzi a lei: la sua amata biblioteca nel caos più totale, tomi sparsi ovunque, pagine strappate, sangue secco sul pavimento, sedie e tavoli rovesciati.

Una lacrima solcò la sua guancia, si lanciò dal viso per toccare la clavicola e procedere il suo percorso indisturbata. Era ferita, qualcosa che aveva ritenuto immutabile in un attimo aveva cessato di essere tale. I Mangiamorte non avevano cuore.

“Scommetterei mille galeoni che le zampe Greyback sono responsabili” una voce risuonava dall’altra parte della stanza.

Hermione drizzò le orecchie e la mano si posò istintivamente sulla bacchetta, il suono era risultato decisamente familiare.

“Uomini, neanche il minimo rispetto per la cultura. Bestie, l’ho sempre detto. Mai una volta che ascoltino quello che gli si ordina”.

La ragazza riconobbe la compagna di stanza, la presa intorno alla bacchetta si fece più salda. Si nascose dietro agli scaffali polverosi, trattenendo uno starnuto che sembrava rovinare l’angosciosa attesa.

Bellatrix Lestrange era al centro della sala, la sua figura si stagliava imponente, luce macchiata di ombra. Indossava un lunga veste nera, il ticchettio dei tacchi alti era l’unico rumore. I capelli mossi in eleganti ricci, il trucco perfettamente in ordine, le unghie laccate.

Hermione comprese quanto affascinante e temibile fosse allo stesso tempo la sua avversaria. Era impressionata, Harry le aveva detto che prima di Azkaban era stata molto bella, in quel momento riuscì ad appurare quello che le aveva raccontato.

“Tana per Granger” canticchiò la donna.

Le nocche della strega si fecero bianche, la stretta sempre più solida.

“Expelliarmus” esclamò uscendo allo scoperto.

Bellatrix schivò con noncuranza l’incantesimo, scostò elegantemente i capelli dal collo  mentre con una mano prese ad intrecciare freneticamente le dita fra i ricci.  Mormorò una magia oscura, una frusta nera sfociò dalla bacchetta afferrando quella dell’avversaria e portandola direttamente in mano.

“Come siete prevedibili, bambini” le sorrise.

Hermione era paralizzata, si disse che quello era assolutamente il modo più banale di morire. Tentava di convincersi a fronteggiarla ma il corpo pareva non rispondere ai suoi comandi, levò un grido muto di aiuto.

“Credi che ti avrei lasciato anche la possibilità di urlare? Sciocchina” sembrava tremendamente divertita.

“Per tua fortuna Granger, oggi sono di buon umore. Non ho intenzione di torturarti benché meno di ucciderti. Ero venuta qui proprio come te, per questo posto” un occhiata nostalgica e la voce più rassicurante.

La ragazza ricominciò a respirare normalmente, il corpo si riprese dalla momentanea paralisi.

“Grazie” biascicò ancora timorosa.

La Mangiamorte le lanciò la bacchetta con poca cortesia.

“Adesso aiutami invece di startene lì impettita” le ordinò con un tono che non ammetteva repliche.

Hermione, ancora visibilmente sorpresa, la guardò interrogativa.

“Poi dicono che i purosangue non sono superiori” disse fra sé e sé la donna “Non penso sia tanto difficile comprendere il motivo per cui ti ho risparmiata” enunciò a gran voce.

“Mi scusi signora Lestrange potrebbe spiegarsi meglio? Temo di non aver capito” mormorò la ragazza.

“Ecco va già meglio così, però meno parole e più incantesimi. Non voglio rovinare la mia reputazione facendomi vedere con una sudicia sanguesporco mentre sistemo i danni dei miei compagni” disse accompagnando con una smorfia l’ultima parola.

L’insulto irritò profondamente Hermione, quella donna non sarebbe mai cambiata. Rivedeva se stessa a Villa Malfoy, le urla assordanti impresse nel cervello. Poteva ancora avvertire la fredda lama del pugnale sul suo braccio, la ferita bruciante, il sangue che scorreva, il dolore inferto maledizione cruciatus. Avrebbe dovuto farle pagare tutte le sue colpe, la bacchetta in mano mentre la donna era distratta e mettere tutto in ordine , l’incantesimo giusto e avrebbe posto fine alla sua vita vendicando la morte di tante persone. Eppure non ci riuscì, non era né vendicativa né tanto meno così vile dall’affrontare un’avversaria colpendola di spalle. Ma non erano solo i buoni propositi a fermarla, fu qualcos’altro: rivide se stessa in quell’amore per i libri, per quel rifugio sicuro.

Si avvicinò a lei, luce e ombra , magia pura e magia nera che lavoravano insieme.

Bellatrix era stranamente a disagio, aveva pensato di chiedere aiuto a Rodolphus o a Narcissa perché aveva ripiegato su Granger? Forse, si era detta, perché gli altri non potevano comprendere la predilezione che aveva per quel luogo. Era vero, in parte, ma vi era un altro motivo, più nascosto che la donna non avrebbe mai ammesso: la sangue sporco era brillante dopotutto, sveglia, furba, tra Potter e Weasley qualcuno se la doveva pure cavare, pensò.

Hermione, concentrata sugli incantesimi, non poteva perdere di vista la Mangiamorte. Qualcuno, osservando da lontano, avrebbe potuto pensare che giustamente non si fidasse dell’avversaria. C’era qualcosa, però, che ardeva negli occhi della giovane strega, qualcosa che andava aldilà della Battaglia, delle alleanze… ammirazione. Era allo stesso tempo stupita e delusa di se stessa, come si poteva solo provare qualcosa di diverso dall’odio e dal disprezzo per Bellatrix Lestrange? Eppure i suoi occhi erano incantati, osservavano gli antichi incantesimi, la maestria, la naturalezza di una magia che pareva essere parte  della donna stessa.

“Abbiamo finito” dichiarò a gran voce la rivale.

Lo sguardo di Hermione corse incantato sugli scaffali, sui libri, la luce era soffusa per non rovinarli. Si avvicinò a un ripiano del reparto proibito prendendo un libro familiare, secondo anno, pozione polisucco, bagno delle ragazze. L’accenno di un sorriso si dispiegò sul suo volto, l’effetto dei ricordi.

Più avanti Bellatrix aveva afferrato un altro volume, gli occhi lucidi, le mani affusolate accarezzavano le sue memorie. Il medesimo sorriso distese il suo volto, una ragazza dai folti riccioli neri.


“Credi che saranno sufficienti, Rod?”disse

“Certo Bella, ti aiuterò. Ci alleneremo insieme, vedrai il Signore Oscuro ci accetterà” le rispose un ragazzo dai capelli scuri.

“Ci dovrebbero essere i migliori incantesimi oscuri, potremmo nasconderci nella Stanza delle Necessità e provarli. Quanto ti invidio… tuo padre è già fra le sue schiere” si incupì.

“Invidiarmi? Tu? Bellatrix Black non ti rendi conto di quanto brillante tu sia? Ti sei mai accorta di essere una strega eccezionale? La più potente che abbia mai conosciuto” affermò guardandola con sicurezza.

Lei arrossì, impercettibilmente “Grazie Rodolphus. Significa tanto detto da te”.

Lo afferrò per il bavero della camicia, alzandosi sulle mezze punte e poggiando le labbra scarlatte sulle sue. Il ragazzo strabuzzò gli occhi, colto alla sprovvista, ma celermente ricambiò quel bacio da tempo desiderato.


La donna emerse dai suoi pensieri come da un dolce sonno,  nascose libro sotto il mantello nero e si avviò verso la porta di mogano.

“Bellatrix” la voce di Hermione risuonò sommessa.

La Mangiamorte si voltò, un misto di curiosità e sdegno. Alzò un sopracciglio leggermente contrariata.

“Signora Lestrange… mi scusi. Volevo ringraziarla per tutto questo” con un gesto percorse l’intera biblioteca.

“Non ho fatto un favore a te, mocciosetta. Al massimo ti ho sfruttato per scopi puramente personali” la repulsione si fece più marcata.

“Se per scopi personali vorrebbe occuparsi anche della Sala Grande più tardi, farò come se nulla fosse” disse Hermione con tono ufficiale.

La donna la squadrò senza celare completamente una muta promessa. Si accinse di nuovo verso la porta, mentre la ragazza la seguiva a qualche metro di distanza. Soltanto il rumore dei tacchi a rompere il silenzio spettrale.

“Celebreranno i funerali” bisbigliò la fanciulla.

Bellatrix si voltò per l’ultima volta dal volto impassibile trapelava un certo struggimento.

“Non il suo” la voce affranta non vacillò.

Hermione si morse il labbro, sul punto di dire qualcosa per consolarla. Ma si bloccò, per la prima volta nella sua vita era rimasta senza parole.




Come promesso aggiungo il nuovo capitolo oggi. Non so dove mi sia venuta l'idea di Bellatrix e Hermione che collaborano insieme, è una follia lo ammetto. Però Hermione è fra i miei personaggi preferiti, inoltre è una ragazza molto matura quindi trovo comprensibile che desiderasse metttere il bene della scuola (in questo caso soprattutto della biblioteca) davanti al suo.
Che dire mi ha divertito scrivere di loro due, due opposti. 
Spero che non sia risultato eccessivamente assurdo, Bellatrix ha dalla sua parte una buona dose di ricordi e ho pensato che attaccare la scuola fosse comunque per lei una sorta di sofferenza per questo la vedo rimediare ai vari danni.
Volevo ringraziarvi per lasciare anche una piccola recensione alla storia in particolare PrettyLittlePotterhead che ha commentato per tre volte e EcateCallisto che segue la storia sin dal prologo. 
:)

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Capitolo 7
*** capitolo 6 VITA ***


Capitolo sei, Vita


10.00  a.m.

La scritta luminosa lampeggiava a caratteri cubitali nella penombra della stanza. Appena in tempo per udire il pianto del piccolo Teddy accanto a lei.

Si erano addormentati, ancora vestiti come era usciti, sul letto matrimoniale. Il bimbo che giocava con i suoi capelli. Non capiva ovviamente, la morte è una prospettiva lontana per i bambini, alla sua età, inesistente. L’assenza, invece, gli pesava particolarmente, poteva avvertirla e piangeva come se in quel modo potesse richiamare a sé i suoi genitori.

Le braccia calde di Andromeda si chiusero attorno al corpicino, l’odore di talco le riempì le narici. Ancora assonnata scese con Teddy in cucina per preparargli del latte in polvere, il suo stomaco vuoto da molte ore era scosso da profondi brontolii. Afferrò un panino stantio dalla credenza, due fette di prosciutto avanzate dal frigorifero e assaporò quel pasto insipido come la sua esistenza.

Si ìgettò sulla poltrona con il bambino, dopo avergli dato da mangiare, la presa era salda, forte. Temeva che quell’ultima cosa bella della sua vita potesse abbandonarla da un momento all’altro.

Sospirò affranta, si chiese dove poter trovare la forza di andare avanti. Non poté fare a meno di provare astio nei propri confronti, per quel modo sciatto in cui stava vivendo, i suoi eleganti genitori non avrebbero approvato una colazione in quel modo, i vestiti del giorno prima, il viso provato e quel senso di sconfitta perenne. Aveva perso tutto.

Il rumore del campanello la riscosse, si sistemò i capelli e il vestito e, sempre stretta al piccolo Ted, aprì la porta.

Un’espressione di stupore si fece largo sul viso, gli occhi percorsero l’elegante figura che si stagliava di fronte a lei. I capelli di un biondo pallido perfettamente acconciati, l’abito rosa pastello che doveva valere quanto la sua casa, i ricchi gioielli che le adornavano il collo. Gli occhi freddi ma gentili.

“Cissy” si illuminò.

“Andromeda” un sorriso altrettanto cordiale seppur più distaccato.

“Prego entra dentro” invitò con dolcezza la sorella.

Narcissa varcò la soglia e gli occhi percorsero con curiosità l’abitazione della sorella, aveva conservato il suo buon gusto osservava soddisfatta con un misto di disappunto non appena lo sguardo si posava su qualche manufatto babbano.

“Gradisci una tazza di the?” chiese da brava padrona di casa.

L’ospite annuì ritrovandosi a fare qualcosa che non avrebbe mai immaginato.

“Ti tengo io il bambino mentre prepari.  Dove ci possiamo accomodare?”

Ad Andromeda mancò brevemente il respiro, prima la visita poi la proposta. Quasi si commosse per quella gentilezza, concedendosi di pensare a quando giocavano insieme con le bambole. Le passò Teddy con delicatezza e indicò alla sorella una porta in fondo al corridoio mentre si accingeva a servire un buon the.

Aprì uno scomparto della dispensa estraendo un pacchetto argentato “The bianco ai petali di rosa, bergamotto e fiori di ibisco”*, scaldò rapidamente l’acqua con la magia e versò nella tazza della sorella una notevole quantità di latte e zucchero, come lo preferiva. Afferrò una confezione di latta dal ripiano più alto e poggiò il tutto su un vassoio facendolo volteggiare fino alla sala da pranzo.

Narcissa si era seduta ammirando nuovamente l’ottimo gusto della sorella, era sicura che Ted Tonks non avesse preso molto parte nell’arredamento della casa.

Quel bambino era molto buffo, si disse, i capelli azzurri l’avevano rapita subito, era allegro, sveglio e rimase incantata dagli occhi, identici a quelli della sorella.

La porta color avorio si aprì, il leggero profumo di the si diffuse per la stanza. La signora Malfoy non poté trattenere un sorriso alla vista di quel vassoio volteggiante che Andromeda librava abilmente per la stanza proprio come quando da piccole si riunivano insieme ai pupazzi per la merenda.

La signora Tonks si sedette di fronte, appoggiandosi allo schienale cercando di mascherare la fatica che in quei giorni aveva preso possesso del suo atteggiamento.

“Con tanto zucchero e latte come piace a te” esclamò servendo la tazza bollente.

“Te ne sei ricordata!” Narcissa sorrise calorosamente.

“Non l’ho mai dimenticato, Cissy” le parole nascondevano qualcosa di più che la sorella afferrò prontamente.

Non le aveva mai dimenticate, anche se loro l’avevano esclusa dalla famiglia, anche dopo tanti anni.

“Mi dispiace” gli occhi azzurri si velarono.

“Alle volte le scuse non bastano sorellina, le scuse non riportano indietro le persone” disse
malinconicamente.

Narcissa avvertiva di nuovo quello sconforto, per la seconda volta, con la seconda sorella. Era fra tutti quella che aveva perso di meno nella guerra, si poteva ritenere abbastanza fortunata, ma avvertiva il peso del dolore delle due sorelle. Quegli anni l’avevano logorata, invecchiata e resa una donna più impassibile.

“Andromeda hai ragione. D’altronde non sono qui solo per delle scuse, sono qui per offrirti il mio aiuto, quello che ti avrei dovuto dare prima ma di cui mi son vergognata e non ho avuto coraggio. Voglio esse presente per te e per Teddy sia economicamente che, soprattutto, personalmente. Non possiamo portare indietro le persone ma possiamo recuperare il tempo perso” concluse, sorseggiando con calma la tazza di the.

La signora Tonks si sollevò dalla sedia e strinse le braccia con forza intorno alla sorella, scoppiarono entrambe in un pianto rotto, liberandosi di tutti quegli anni di forzata separazione.

“Grazie, grazie, grazie” le continuava a ripetere in un sussurro.

“Ti voglio bene Meda, mi sei mancata tanto” Narcissa sciolse la sua maschera di granito e si lasciò  cullare da quell’abbraccio.

Si staccarono continuando a ricambiare quell’affetto fatto di sguardi, ricordi, tempo perduto.

“Oggi alle sei ci saranno i funerali, ho fatto in modo di organizzare tutto” l’espressione di Cissy era seria ma comprensiva.

Andromeda annuì, sentendo di nuovo la tristezza prendere piede. Spostò lo sguardo sul nipote, sui suoi capelli blu, sul sorriso sdentato e si sentì meglio.

“Ti ringrazio” disse posando la mano sulla spalla della sorella.

Parlarono molto quella mattina, quante cose non si erano dette. Il tempo sembrò volare, si fece ora di pranzo ma Narcissa non si curò dell’espressione contrariata di suo marito quando vide varcare la soglia di villa Malfoy con una traditrice del proprio sangue e un bambino con i capelli blu.


*sembra assurdo ma questo the esiste davvero, non l'ho inventato ne ho un pacchetto a casa ed è la fine del mondo.

Avevo promesso il nuovo capitolo e ho deciso di metterlo relativamente presto perchè è abbastanza breve. Ho deciso di spostarmi un po' su Andromeda e Narcissa, era da un po' che non le vedevamo.
Ho sempre pensato che se non fosse stato per la famiglia Cissy avrebbe provato a ricongiungersi con la sorella, in Harry Potter e i Doni della morte è infatti Bellatrix a parlare per lei  "
 Noi, io e Narcissa, non abbiamo mai più guardato nostra sorella da quando ha sposato quello sporco Mezzosangue. Quella mocciosa di sua figlia non ha niente a che fare con nessuno di noi, e tantomeno ce l'hanno le bestie con cui si accoppia!". Quindi ho pensato che Cissy ci soffrisse veramente tanto da cogliere la prima occasione disponibile per andare dalla sorella.
Vi ringarazio per le recensioni, siete fantastici :)



 

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Capitolo 8
*** capitolo 7 SORPRESA ***


 
Capitolo sette, Sorpresa


Harry sorrise alla vista della Sala Grande ritornata all’antico splendore.  Le vetrate completamente riparate, i lunghi tavoli risistemati. Era stata una grande fatica per tutti, non erano certamente applicabili incantesimi semplici per un luogo così ricco di magia, la battaglia e i festeggiamenti, avevano spogliato chiunque. Ogni persona ere al contempo forte e distrutta.

Sui volti dei presenti si leggeva, oltre alla perenne stanchezza, una certa soddisfazione.

Il ragazzo notò che, con lo sfumare delle celebrazioni, molti erano andati via, tornati alle loro dimore, circondati dall’affetto della famiglia. Gli dispiaceva non avere nessuno per condividere la gioia della vittoria, aveva perso tutti ormai. Poi un barlume, si voltò, Ron e Hermione poco dietro di lui gli sorridevano, Neville gli venne vicino consolandolo con una pacca sulla spalla, Luna arrivò dall’altra parte con in mano un pasticcio di carne fumante.

“Per te Harry” gli disse porgendoglielo con un sorriso.

Non aveva perso tutti. La sua famiglia erano loro.

Percorse di nuovamente con gli occhi la Sala Grande, ammaliato dalla sua maestosità, lo sguardo si posava su tutti coloro che avevano offerto il loro aiuto alla scuola. Per ultimi gli occhi osservarono incuriositi i Lestrange, gli unici Mangiamorte che si erano impegnati fino in fondo per quell’impresa.

Si sentiva ancora ribollire per la morte di Sirius, di Dobby, di Tonks mentre la cicatrice di Hermione svettava ancora in bella vista sul suo braccio. Avrebbe voluto prendere la spada di Grifondoro e trafiggerla in quel momento, davanti agli occhi di tutti.

La mano si chiuse lentamente attorno alla bacchetta, lanciò a Neville un cenno di assenso come intimargli che era giunto il momento.
Procedeva lentamente, cauto verso la donna di spalle.

Una stretta da dietro lo frenò.

“Harry cosa credi di fare?” la sua migliore amica lo sgridava come ai vecchi tempi.

“Hermione lasciami stare” si scrollò.

La presa della strega si fece più forte.

“Capisco la tua sete di vendetta ma quello che vuoi fare non è nobile. Non è assolutamente giusto compiere un omicidio, anche nei suoi confronti” le parole risuonavano assolutamente indiscutibili.

Il ragazzo si lasciò cadere sospirando su una panca, lo sguardo che non mollava per neanche un secondo i due coniugi, l’odio ancora impresso negli occhi.
 

Bellatrix appoggiò gentilmente la testa sulla spalla del marito, abbassò leggermente le palpebre concentrandosi sul ritmo regolare dei loro respiri. Sentì il suo braccio passarle dietro la schiena e cingerle la vita, si irrigidì per il contatto per poi abbandonarsi alla quiete.

“Ti farebbe piacere se andassimo a pranzo dai Malfoy?” le chiese Rodolphus.

Soppesò un attimo la richiesta, sapeva che nessuno si sarebbe opposto poiché tutte le vie per fuggire erano strettamente controllate, il suo unico pensiero era lasciare Hogwarts. Avrebbe significato lasciare anche Lui, per sempre. Non resisteva più dinnanzi a quei continui sguardi di disprezzo, sguardi che aveva ignorato che in quel momento le pesavano come un macigno, il fardello della sconfitta da portare avanti.

“Dopo ritorniamo” percepì il braccio accarezzarla con leggiadria.

Annuì, quasi impercettibilmente mentre,come un animale mansueto, si lasciava cullare da quelle moine.

“Narcissa ha parlato con la Mc Granitt, non ci dovrebbero essere problemi per smaterializzarci a casa Villa Malfoy, ogni via è rigorosamente sorvegliata. Gli Auror resteranno sul perimetro dell’abitazione, ma almeno non siamo ancora in gabbia” le sussurrò.

 Bellatrix gli diede un bacio sfuggente, per poi voltarsi e raccogliere il mantello nero da uno dei tavoli. Gli occhi incrociarono per una frazione di secondo quelli di Potter avvertendo una sensazione di odio profonda.

“Me l’hai portato via per sempre” Harry non seppe dire se l’aveva solo immaginato o la voce di lei era veramente penetrata nella sua testa.

Tornò a fissare il tavolo, seguendo le eleganti linee del legno. Quando si voltò di nuovo udì lo schiocco di una smaterializzazione ed erano spariti.

Gli occhi impauriti cercavano un riferimento, qualcuno che si allarmasse tanto quanto lui, erano due assassini pericolosi, bisognava assolutamente fermarli.

“Potter non fare quella faccia, credi che li avrei mai fatti partire sotto il mio naso?” Minerva pareva divertita.

Harry si rilassò ancora turbato per l’avvenimento.

“Stanno tornando un po’ tutti a casa, ti consiglio di accettare l’invito dei Weasley. Hai bisogno di un po’ riposo” gli disse materna.
                                               

                                   *    *    *    *


Rodolphus teneva stretta sua moglie quasi temesse di perderla da un momento all’altro durante la smaterializzazione. Uno colpo secco ed erano davanti al cancello della dimora, un elfo li raggiunse aprendogli. Si inchinò prima dinanzi a Bellatrix e poi a lui, raccogliendo affannosamente i pochi bagagli che portavano con sé.

Narcissa era già sulla soglia, l’espressione austera tradiva una certa preoccupazione. Abbracciò la sorella e il cognato con affetto.

“Bella vedi…” cominciò a dire.

“Ho necessariamente bisogno di un goccio di Whisky Incendiario e poi possiamo parlare di quello che vuoi” la voce di Bellatrix l’aveva interrotta prima che potesse spiegarsi.

Un elfo arrivò rapido con un vassoio porgendole un bicchiere di cristallo.

“Padrona Bellatrix, a lei” la donna afferrò e buttò giù velocemente il liquido avvertendo un  leggero pizzicore alla gola, allungò la mano verso un successivo bicchiere con cui si bagnò le labbra scarlatte.

“Ti trattano meglio di me a quanto pare ” costatò la sorella con un pizzico d’invidia.

La Mangiamorte scrollò le spalle con noncuranza, in mano ancora il bicchiere, giocava facendo muovere il liquido. Con passo deciso si diresse alla sala da pranzo, senza aspettare un invito conscia ormai di fare da padrona ovunque andasse.

Narcissa e Rodolphus la seguivano da dietro. La signora Malfoy si torceva le mani con un’ansia lampante mentre tentava di trovare le parole giuste per spiegare la visita di quel giorno.

Un rumore di vetro infranto la scosse, non c’era più modo di chiarire.

“TU” la sentì urlare correndole alle spalle “COSA CI FAI QUI, PER SALZAR!” l’ira era a dir poco evidente.

“Cissy mi ha invitato per pranzo, se avessi saputo che la mia presenza era così sgradita non avrei accettato” Andromeda rispose con calma.

Bellatrix si voltò verso Narcissa guardandola in cagnesco, gli occhi neri ardevano di odio mentre la sorellina guardava imbarazzata il pavimento.

“Lucius vorrei avere una chiacchieratina con te, da Mangiamorte a Mangiamorte” disse ponendo una certa enfasi sull’ultima parola, lanciando un ultimo sguardo alle sorelle.

Trascinò il cognato in una stanza accanto, i muscoli contratti e i pugni serrati si appoggiò contro lo stipite della porta per impedirgli la fuga.

Il signor Malfoy era una maschera dell’orrore, il sudore gli imperlava la fronte, gli occhi guardavano imploranti la donna, quasi temesse una reazione come quelle del Signore Oscuro.

“Non l’ho invitata… io se è qu... qu… quello che ti… st..ai chiedendo” le disse tremante.

“No di certo, non l’avresti mai fatto” un sorriso sulle labbra, così simile al suo signore in quel momento.  La bacchetta in mano mentre giocava distrattamente con i suoi capelli.

“Si s… so… sono presentate qui” balbettava fortemente “insieme” aggiunse con più sicurezza.

“E tu non hai potuto fare niente” mostrò una finta comprensione, le labbra si incurvarono.

Lucius annuì con convinzione.

“Vile, codardo, traditore. Ho più spina dorsale di te e sono una DONNA” gli sputò gli insulti calcando sull’ultima parola, la voce carica di disprezzo.

Gli si avvicinò, le pupille dilatate, gli occhi due pozzi neri in cui ardeva l’Inferno, la bacchetta puntata in corrispondenza della trachea .

“Ringrazia che questa casa è circondata da Auror che aspettano solo un mio passo falso per entrare, altrimenti saresti già per terra a implorare che, con misericordia, io ti uccida” le parole taglienti come un milione di coltelli gli penetravano nella carne, fin dentro le ossa.

Bellatrix si voltò con un fruscio di abiti, i tacchi pestarono la superficie di legno, si chiuse la porta dietro quasi volesse scardinarla.

Il signor Malfoy si passò una mano fra i lunghi capelli, si sbottonò leggermente la camicia ed estrasse un tovagliolo dal taschino asciugandosi il sudore visibilmente provato dall’accaduto. Con calma si ricordò come respirare, acquietandosi.
Uscì dalla stanza indossando la maschera di perfetto gentiluomo e padrone di casa e si accinse con passo sicuro alla sala da pranzo.

Non era un codardo, cercava solo di tenere insieme la sua famiglia. Amava Narcissa con tutto sé stesso.


                                      *   *   *


Bellatrix era rientrata con fierezza nella sala da pranzo, il mento leggermente sollevato, gli occhi puntati prima su Narcissa poi su Lucius. Lo sguardo rapido si rivolse a Draco che giocava amorevolmente con il bambino, non esitò a nascondere il disprezzo di fronte a quel tradimento.

La stanza era la stessa in cui si svolgevano le riunioni dei Mangiamorte, il tavolo scuro di ebano, le sedie imponenti intarsiate, il tappeto persiano ricopriva gran parte del pavimento ombroso, i candelabri piovevano dal soffitto in migliaia di cristalli che catturavano la luce infondendola nell’ambiente, il camino svettava proprio al centro in quel momento spento.

Lo sguardo si posò sulla sedia vuota a capotavola senza mascherare, la nostalgia le abbrancava il cuore. Lo immaginò seduto lì.


“Bellatrix da oggi, se non mi deluderai, siederai alla mia destra”il tono austero e freddo mentre l’intera sala era scossa da mormorii di sorpresa.

Un’espressione di lieve disappunto emergeva dai volti di alcuni Mangiamorte, altri invece si mascheravano consci che l’indignazione non avrebbe fatto altro che suscitare l’ira del proprio signore.

Gli occhi neri si illuminarono accompagnati dalla febbricitante eccitazione che conseguiva alla sua presenza. La richiesta, inoltre, non aveva fatto altro che peggiorare quello stato in cui la donna si trovava con egli.

“Non accadrà Mio Signore” gli promise protraendosi elegantemente verso di lui.

Si crogiolava nell’invidia bruciante dei suoi compagni, una donna migliore di tutti loro. Un sorriso soddisfatto si allargò sul volto.

Sedici anni e aveva scalato rapidamente tutti gli altri, il marchio ricevuto soltanto da un anno ed eccola là, alla sua destra, il posto destinato alle persone di massima fiducia.

Gli occhi corsero a cercare quelli del fidanzato che ricambiò il suo sguardo con orgoglio, era fiero di lei anche se con un lieve pizzicore di gelosia. L’amava per il suo carattere, ambiziosa, determinata, perfezionista la donna più forte che avesse mai conosciuto. Si scambiarono un sorriso appena accennato.

 Rodolphus cominciava a perderla ogni giorno di più.
 

Si sedette nuovamente al suo posto, poggiando la mano sinistra in quello spazio che sarebbe rimasto vuoto per sempre. Nessuno avrebbe potuto colmarlo. Si deliziava ancora nella bellezza dei ricordi.

Rodolphus si sedette accanto a lei, riprendendo il suo vecchio posto così come fece anche Lucius, inconsapevolmente, o forse, un gesto dettato dal terrore che la donna potesse infuriarsi con lui.

Erano tutti seduti quando il campanello suonò nuovamente, interrompendo il silenzio spettrale.

“Ho invitato anche Rabastan” esordì Narcissa.

I coniugi Lestrange si guardarono in complice intesa, che la signora Malfoy avesse architettato un piano nel momento in cui Andromeda era vedova. Bellatrix sorrise al marito maliziosamente come fosse ancora la ragazzina con cui rubare i libri al reparto proibito.


Rabastan varcò la soglia i capelli più chiari del fratello, il fisico più muscoloso, gli occhi sicuri sventava una certa sicurezza e non curanza.

“Perdonate il ritardo” proclamò “Lei è Violette De Lanoblesse” si voltò annunciando l’ingresso di una giovane donna.

Alta ben vestita, lunghi capelli castano chiaro, sottili, gli occhi piccoli e ravvicinati  erano color verde chiaro. Il viso un po’ smunto, le labbra carnose di un delicato rosa pallido. Doveva avere massimo trent’anni, trapelava un misto di innocenza e eleganza nelle sue movenze.

“Piasciore di conoscervi” disse con voce sommessa e un marcato accento francese.

Bellatrix si morse un labbro nel vano sforzo di trattenere una risata, voltandosi verso il marito con marcata ilarità. Lui ricambiò tra il divertito e l’inefficace tentativo di rimproverarla, le accarezzo fugacemente la mano.

Narcissa si alzò presentando prima il marito, poi sé stessa e infine tutti gli altri.

“Felice che tu ci abbia onorato con la tua presenza” disse con la tipica freddezza che la caratterizzava.

“Si sarebbe possibile di usuare la toilette?” chiese la donna.

La padrona di casa chiamò un elfa domestica, che condusse la francese con sé. Appena in tempo che Bellatrix scoppiò in una fragorosa risata alla quale il marito si aggiunse dopo poco.

Draco aveva un sorriso divertito mentre i Malfoy e Andromeda erano leggermente imbarazzati, le risa sul punto affiorare.

“A quante siamo, Rod?” chiese la Mangiamorte fra le risate.

“Ho perso il conto, cara” si sentiva così bene in quel momento, sembrava essere tornati indietro di anni.

Rabastan li fulminava con gli occhi, cercando di mantenere il contegno.

“Pensa a tua moglie” biascicò a denti stretti. Lo sguardo carico di odio verso il fratello, l’invidia lo lacerava, il primogenito che poteva avere tutto compresa la moglie dei suoi sogni.

Il destino lo aveva ripagato, crudele, e il fratello minore non poteva che gioire di ciò,  una felicità perversa nell’aver visto quel volto consumato dall’amore non corrisposto, il sorriso offuscato da una tristezza imperitura, la disperazione che bruciava come una lingua di fuoco l’anima dannata.

Violette rientrò nella sala da pranzo, un sorriso ingenuo si fece spazio sul viso. Si sedette accanto ad Andromeda osservando affascinata il bambino dai capelli blu.

“È suo figlio?” chiese cordialmente.

“Oh no è mio nipote” rispose la donna con tenue distacco.

“I genitouri siete voi?” disse rivolgendosi ai Lestrange.

Bellatrix non poté trattenere una risata, più macabra e temibile della prima.

“No per carità” rise, sul volto un’espressione di disgusto “sono morti” aggiunse con freddezza.

Andromeda sentì un groppo in gola, sull’orlo delle lacrime, le nocche sbiancate mentre impugnava il coltello per tagliare la carne. Abbassò lo sguardo decisa a mantenere la calma per non dare alla sorella la soddisfazione di quel momento.

“Mi dispioce tantissimo” si scusò Violette. Si sentiva in imbarazzo per l’avvenimento, decisamente combattuta tra le reazioni discordanti di quelle donne così simili.

“Non ti crucciare, è stato meglio così. Erano solo feccia” ribatté Bellatrix con un sorriso sadico, avvertendo impercettibilmente un pizzico all’altezza dei fianchi. Non si sarebbe mai fermata di fronte alla possibilità di un tale divertimento, ogni occasione era perfetta per provocare.

L’insulto colpì la signora Tonks come uno schiaffo in piena faccia, come se un secchio di acqua gelida le si fosse riversato addosso. Si alzò seguita dal tintinnio delle posate, il coltello ancora stretto nella mano. Le braccia di Lucius arrivarono da dietro costringendola a risedersi, il petto si alzava rapidamente mentre il cuore batteva come se potesse esplodere da un momento all’altro, le guance avvampavano come un incendio.

“Ho vinto io, vinco sempre” canticchiò la sorella nella sua mente accompagnando tutto con un sorriso tronfio.

Andromeda serrò i pugni vinta dalla rabbia per quella sorella viziata, crudele, spietata desiderando mai come prima di rivendicare la morte della figlia, certa che Bellatrix ne fosse pienamente responsabile.

Gli animi si acquietarono e il pranzo procedette in un’atmosfera di semitranquillità, con qualche sporadico discorso su argomenti piuttosto futili. Sembrava che tutto potesse guastarsi da un momento all’altro, le parole erano misurate, le risate contenute.

Quasi al termine del pasto, Rabastan si schiarì la voce per attirare l’attenzione “Io e Violette ci sposiamo” annunciò.

Draco continuava noncurante a giocare con Teddy, Lucius e Narcissa strabuzzarono gli occhi per poi sorridere appoggiando i due fidanzati, Andromeda li guardò con lieve disinteresse mentre Rodolphus cominciò a tossire rischiando di affogarsi con l’acqua e un boccone andò di traverso a Bellatrix nel mezzo di una risata.

La donna si schiarì la voce riprendendosi “Da quanto è incinta?” domandò secca.

Il volto di Violette si tinse rapidamente di porpora, abbassò gli occhi sulle verdure stufate martoriandosi le mani dall’ansia, la vergogna e il turbamento.

“Due mesi” la risposta di Rabastan arrivò sicura
“Sperando che sia maschio, a quanto pare qualcuno non è stato in grado continuare la dinastia dei Lestrange” gli occhi si posarono crudeli sulla cognata.

Andromeda si sentì sollevata da quella scoccata, quando erano piccoli, Rabastan aveva fatto possibile per difenderla dagli attacchi di Bella e, anche se forse non era sua intenzione,  la fece stare meglio. I figli erano il punto debole della Mangiamorte, nonostante fosse stata in disparte dai pettegolezzi del mondo magico per molto tempo, la signora Tonks era venuta a conoscenza degli innumerevoli aborti  della sorella, d’altronde non si stupiva che ci potesse essere vita in una donna come lei.

Rodolphus le strinse la mano, intrecciando le dita alle sue. “Non ha importanza” voleva dirle, quando era il primo che aveva pianto di fronte a quella culla vuota, in cima alle scale della loro villa, circondata da giochi che nessuno avrebbe mai toccato. Aveva visto il barlume della speranza sostituirsi alla follia negli occhi della moglie, non doveva importare eppure pesava come un macigno sul suo cuore.

Bellatrix si alzò “Si è fatto tardi, dobbiamo andare” gli elfi si avvicinarono con i bagagli
“Grazie dell’ospitalità e del pranzo, torniamo ad Hogwarts adesso” aggiunse salutando con imperturbabilità gli altri ospiti.

Erano sulla soglia dell’abitazione, Rodolphus si avvicinò dandole un bacio, una mano correva fra i capelli sorreggendole la nuca.
 

“Je ne peux pas t’avoir mais,                             
comme je t’aime,
je peux t’être”*


Le sussurrò in un orecchio baciandola con fervore, si strinsero e smaterializzarono lontano da tutti.
 
 
*Non posso averti ma,
visto che ti amo,
posso esserti.


Capitolo eccessivamente corposo, lo so. Non doveva essere così lungo, avevo pensato di tagliare qualche parte e, inizialemente di dividerlo in due. So che magari alcuni speravano in una riappacificazione Bellatrix Andromeda ma è passato poco dalla battaglia, immaginate come si sentono queste due. 
Poi Rabastan, un personaggio di cui si parla veramente pochissimo però secondo me ha il suo fascino, lo vedo come l'eterno secondo del fratello e, non essendo sposato, l'ho immaginato come una persona da relazioni continue (come si vede nel commento tra Bellatrix e Rodolphus). Dato che sia lui che il nuovo personaggio, Violette, sono due famiglie purosangue ho pensato che un matrimonio sarebbe stato necessario per evitare lo scandalo.
Bella e Rod mi piacciono tanto qui, li vedo molto complici.
Lucius e Narcissa invece li trovo davvero teneri, innamoratissimi l'uno dell'altra e con molti valori legati alla famiglia.
Andromeda è un po' marginale e mi scuso ma non avrei potuto inserire di più.


Vi ringrazio tantissimo per le recensioni che stanno arrivando, sono una bella soddisfazione. Come sempre mi interessa il vostro parere, se la storia vi sta piacendo, se preferite capitoli lunghi o più brevi. Per me conta davvero tanto la vostra opinione.
A presto :)

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8, NOX ***


Capitolo otto, Nox
 

La professoressa Mc Granitt, una delle poche persone ad essere rimaste, accolse con un mezzo sorriso l’arrivo dei coniugi aspettandosi, invece, di vederli insieme ai Malfoy. Gli occhi determinati e gentili si spostarono sulla sua allieva ricordandola con un certo affetto e non come una spietata assassina.
 

Una ragazzina di dodici anni si tratteneva nella sua aula tardando a prepararsi, come si poteva intuire dalla lentezza dei movimenti.  Lanciò uno sguardo eloquente al compagno Serpeverde, appoggiato allo stipite della porta, che seguiva tutti i suoi movimenti con marcato interesse, quando gli occhi lo squadrarono abbassò la testa e uscì silenziosamente.

“Abbiamo un ammiratore signorina Black?” chiese la professoressa.

Bellatrix fece una smorfia di disgusto incrociando le braccia al petto e scuotendo con enfasi il capo.

“No che schifo” esclamò impettita.

Minerva sorrise, i giovani amori, quanto tempo era trascorso da allora?

La giovane parve d’un tratto farsi seria, sistemandosi la divisa come per avere maggior contegno, alzò la testa gli occhi che sventavano sicurezza.

“Professoressa mi chiedevo, per pura curiosità, se fosse stato proprio il nostro guardiano ad aprire la Camera dei Segreti” il tono non tradiva alcuna emozione se non un certo interesse.

La Mc Granitt si irrigidì domandandosi come avesse fatto la piccola a conoscere non solo l’esistenza di quel luogo, ma, anche il sospettato di una cosa accaduta tanti anni addietro.

“Signorina Black non dove tu possa aver sentito una cosa del genere, sono soltanto leggende. La scuola è stata ispezionata da ogni insegnante e nessuna Camera è stata trovata. Hagrid è un uomo degno di fiducia, se è questo a turbarti”

Bellatrix si accigliò, turbata? Lei? Non aveva paura di un mezzogigante, sapeva che tutte le leggende dei maghi avevano un fondo di verità, così decise di sfoderare la sua arma migliore: un misto di bugie e finta innocenza.

“In realtà professoressa non temo per la mia incolumità, sono certa che se Silente stesso ha deciso di assumere Hagrid non può che essere una garanzia. La mia curiosità nasceva, tuttavia, da una conversazione avvenuta durante le vacanze di Natale, fra mio padre e il signor Lestrange. Quest’ultimo, infatti, studiava in questa scuola al tempo dell’accaduto e ha fatto parola di un certo Tom Riddle… sono sicura di averlo sentito altrove ma non riesco a ricordare” lo sguardo mostrava una profonda sincerità.

La sicurezza della professoressa vacillò di fronte a quella richiesta, agli occhi neri che la guardavano ansiosi di conoscere, le ricordava sé stessa con quella brama di conoscere che aveva fatto vacillare perfino il Cappello Parlante.

“Tom Riddle è stato uno dei migliori allievi che questa scuola abbia mai avuto, non fu mio studente, la sua fama è aumentata notevolmente con gli anni così come le dicerie. Diverse persone sostengono che egli fosse l’erede di Salzar Serpeverde, intuendolo  dall’innata capacità di rettilofono, cosa che comunque non è stata appurata. Per quanto concerne me, non credo alle voci e ti invito a  fare altrettanto, sei una ragazza molto intelligente” fece per andarsene.

“Che ne è stato di lui?” chiese la giovane in un sussurro.

“Il Tom che tutti conoscevamo è stato divorato da qualcosa più grande di lui: la brama di potere e la Magia Oscura. Adesso si fa chiamare con il nome di Lord Voldemort. Ora basta è tempo di pranzare” il tono austero e con il passo deciso la donna si avvicinò alla porta.

“La ringrazio professoressa per aver soddisfatto la curiosità che, ahimè, è un mio grave difetto. Prometto che non farò mai più domande e ascolterò il suo consiglio, mi dispiace di averle fatto perdere tempo” uscì a testa bassa con un sorriso di puro trionfo.


Minerva pensava ancora a quel momento, quando aveva visto la sua allieva nelle braccia dei Mangiamorte si era particolarmente incolpata per l’accaduto. Forse se non le avesse fornito tutte quelle informazioni il suo destino sarebbe stato diverso?

Non lo sapeva. Ma, come Silente le aveva insegnato, credeva fermamente nell’amore. Che Bellatrix potesse amare una persona come Voldemort? Oppure era solo una cieca devozione, un’assoluta ossessione? Eppure aveva assistito al pianto di un animale ferito, alla disperazione più totale, in quel momento la donna dinnanzi a lei non era più la stessa.

Gli occhi di quest’ultima si spostavano disperati verso il centro della sala, il corpo non giaceva più lì, il volto era esangue, fremeva di agitazione.

Rodolphus si avvicinò alla professoressa, un po’ titubante, mentre la moglie era paralizzata, in balia delle emozioni.

“Signora” esordì “mi chiedevo… insomma” non sapeva come continuare quel discorso, la sua richiesta era qualcosa di fuori dal comune.

“L’abbiamo messo in una stanza dei sotterranei, penso fosse il posto più adatto, lontano da occhi indiscreti” disse lei, intuendo le sue intenzioni.

L’uomo abbozzò un sorriso, felice che gli fosse risparmiata la difficoltà di esprimere quell’interrogativo. Prese per mano Bellatrix mentre la Mc Granitt li scortava nel sotterraneo.

Giunti dinnanzi ad una pesante porta scura con un pomello di metallo intarsiato, la donna estrasse una chiave arrugginita dalla tasca dell’abito verde, la porta si aprì emettendo un rumore sinistro, la stanza immersa nel buio profondo.

La Mangiamorte si lanciò dentro, farfugliando un misero ringraziamento alla donna che li aveva accompagnati, Rodolphus si allontanò, non intenzionato ad entrare. La porta si chiuse tremando leggermente.

Minerva si strofinò le mani nel freddo dei sotterranei, l’umidità penetrava nelle sue ossa, pungente.

“Non entri?” la sua curiosità aveva avuto il sopravvento.

“No, lei è l'unica che potrebbe farlo” rispose lui con una punta di amarezza che gli incrinava la voce.

“Mi ricordo così bene di voi due, nonostante non foste studenti della mia casa. Eravate davvero due giovani molto promettenti, peccato…” si sentiva nella posizione di poter affrontare quel discorso.

“Non si incolpi per non averci potuto salvare, abbiamo fatto le nostre scelte. Deciso da quale parte stare proprio come lei, seguendo un diverso ideale… ma schierandoci”

“Tu hai scelto lei, non un ideale” ribatté prontamente la donna.



Bellatrix era immersa nell’oscurità che tanto amava e per la prima volta si sentiva oppressa da quel buio, eppure non l’aveva mai temuto. Gli occhi adattandosi all’ombra scorsero la Sua figura a qualche metro di distanza, i piedi parevano incollati al pavimento, incapace di muovere un solo passo.

I loro incontri erano sempre stati così, distanti in attesa che il desiderio li divorasse, ogni senso di
lei che si ubriacava della Sua presenza.

“Lumus” la bacchetta le illuminò i tratti induriti dal tempo.

“Adesso capisco perché hai sempre odiato il buio totale, significava tutto questo. Significava morte, l’unica cosa che temevi. Un giorno mi chiedesti se avevo paura di qualcosa, ti meravigliava il fatto che non avessi il terrore della tua ira, della tua violenza. Il modo in cui mi adattavo alla completa oscurità, facendola mia. Correvo incontro alla mietitrice ridendole in faccia, ti ha sempre stupito vero? Forse era una di quelle cose per cui provavi un pizzico di gelosia, come per il sangue puro che mi scorre nelle vene” gli si era avvicinata con passo lento.

“In realtà è questa la mia paura. La tua morte è ciò che ho sempre temuto ti più. Vorrei che mi avessi lasciato qualcosa, un indizio, una lettera, invece mi è rimasto solo il vuoto, nient’altro. Questa volta te ne sei andato per sempre, non tornerai di nuovo. Non avvertirò più la sensazione di combattere al tuo fianco, di poterti servire fino allo strenuo, la soddisfazione nel ricevere i tuoi apprezzamenti” le mani si strinsero attorno alla sua.

“Mi mancherà tutto quello che condividevamo solo noi due, quando mi chiamavi nel cuore della notte, quando i tuoi sguardi si facevano più intensi, prendendoti me in ogni modo possibile. Lo so che non mi hai mai amato, mi hai insegnato a disprezzare questo sentimento con ardore. Mi scuso ma è stata l’unica cosa che non ho potuto apprendere da te, ho sempre odiato tutti eppure non ho potuto fare altro che amarti e darti tutta me stessa”  prese ad accarezzargli con dolcezza il dorso della mano.

“Non ti ho mai detto nulla ma d’altronde che futuro potevamo avere noi due? Mi sono abbandonata alla rassegnazione che non avresti mai ricambiato, ho ceduto ad un sentimento che mi ha divorato scavando fino al profondo della mia anima, l’unica persona in grado di accedervi” una lacrima muta le solcò la guancia.

Aprì la mano sinistra, che era libera da quella stretta, si lasciò andare a un pianto di addio, gli occhi chiusi.

Percepì un lieve calore sul palmo pallido, come cadenzati da un antica melodia sbocciavano fiori simbolo di quella passione tormentata.

 L'Acacia per l'amore segreto celato agli occhi di tutti, nell'abisso del suo cuore.

L'Achillea il dolore e la guerra.

L'Amaranto dell'immortalità agognata, che l'aveva portato via.

Un Dianto bianco simbolo di quella fedeltà eterna.

Un Girasole che svettava nel mezzo, la devozione, il sole verso cui era rivolta.

Il Giglio bianco, piegato su di un lato, la purezza a cui ambivano.

Le foglie di quercia che fasciavano il tutto, simbolo di quella forza.

L'Orchidea, il fiore della totale dedizione, il più grande fra tutti.

 Una Rosa nera come un muto addio.

“Ti amo, ti amerò sempre”

Appoggiò con delicatezza il mazzo di fiori accanto al Suo corpo esanime lo baciò con passione un'ultima volta. Si strinse le gracili spalle come per impedire a quel dolore di logorarla, la sua anima ridotta in frantumi l’utilizzo di alcun incantesimo, devastata dalla perdita.

“Addio” sussurrò fra le lacrime.

 Si voltò, con passo deciso raggiunse la porta, la mano invece incerta sul pomello, il metallo freddo come ogni cosa in quella stanza, freddo come la vita che abbandona un corpo quando in un sospiro tutto scivola via inesorabilmente. Non lanciò un ultimo sguardo.

“Nox” la luce si spense.
 


Rodolphus ingannava il tempo discorrendo con quella che un tempo era stata la sua professoressa,  erano sull’altro lato del corridoio , di fronte alla porta che svettava imponente come un volta facevano le due persone che si trovavano all’interno della stanza.

 Che cosa era rimasto di un grande generale e della sua fiera guerriera?

Cocci sparsi per terra, di una vaso che non avrebbe più potuto riparare.

Perché si ostinava a raccogliere i pezzi di qualcosa che non gli apparteneva?

Per lei. La risposta non cambiava. Per lei si era svuotato fino all’ultima goccia, per lei sarebbe morto. Senza di lei la vita perdeva sapore,  i colori perdevano intensità fino a divenire un susseguirsi di grigi.

“Penso ci vorrà un po’ di tempo al processo per Azkaban. Mi stai ascoltando Lestrange?” le parole giunsero al suo orecchio ovattate, come se i pensieri potessero annebbiare tutto il resto.

“Si signora Mc Granitt” rispose prontamente.

La porta si aprì lentamente, percorse con avidità la figura dinnanzi. Gli occhi scuri cercarono i suoi, l’espressione addolcita aveva perso la consueta durezza. La prese per mano, in silenzio, talvolta non si necessitano molte parole. A Rodolphus bastava il suo sguardo.

“Nel frattempo potreste trattenervi ad Hogwarts” disse la donna, suonava più una richiesta dettata dall’educazione. Nessuno avrebbe tollerato la presenza di due Mangiamorte così pericolosi nel castello.

“Credo rimarremo dai Malfoy nell’attesa del processo. Saprebbe dirmi per caso quando avverrà?” disse il signor Lestrange.

“Questa volta i tempi saranno molto più lunghi, Azkaban è quasi interamente distrutta molti dei vostri compagni sono fuggiti nel caos della vittoria. Forse addirittura due mesi”

Vittoria. La parola faceva eco nella sua testa,  aveva sempre avuto un sapore così dolce, ma in quel momento risuonava amara come qualcosa che non le apparteneva. Come sarebbero stati quei due mesi? Attendeva il bacio del Dissennatore, l’ultima parte della sua anima sarebbe stata strappata via. Bellatrix chiuse gli occhi pregustando quel momento in cui sarebbe tutto finito.

Minerva si incamminò, voleva abbandonare quei sotterranei, si sentiva a disagio assieme ai due coniugi, nonostante di quel pericolo incombente non sembrava rimasta neanche una briciola.

“Possiamo tornare a casa nostra?” mormorò la Mangiamorte al marito mentre camminavano distanti dalla loro guida.

“Bella, sei sicura? Sono anni che non ci mettiamo piede, chissà come si sarà ridotta”

“Rod non ho voglia di stare con gli altri, ho bisogno di essere sola” gli rispose, la voce stanca.

“Ah vuoi rimanere da sola…” costatò con malinconia.

“Ho detto: possiamo tornare a casa nostra? Voglio essere sola, ma insieme a te” lo guardava con speranza.

Rodolphus si illuminò alla prospettiva di quella richiesta, annuì con entusiasmo avvicinando a sé la moglie.

Ella non oppose resistenza facendosi trasportare dalla dolcezza del momento che, per una volta, non le dispiaceva.


“Mon coeur va disparaître
Et tout mon sang va s’en aller
S’en aller à ta recherche
Mon amour
Ma beauté
Et te trouver
Là où tu es”*


Le disse lui stringendola con forza, immersi nella loro solitudine, il resto sullo sfondo.
 






*Il mio cuore scomparirà
e tutto il mio sangue se ne andrà
se ne andrà a cercare te
Amore mio
bellezza mia
e ti ritroverà
ovunque tu sia.
 

Salve gente, ringrazio l'ipirazione delle 4 di notte per avermi sorretto in questo capitolo e la musica di Lorde in sottofondo alternata alle canzoni di Sweeney Todd (con la mia cara Helena che canta).
Non mi aspettavo di terminarlo così presto, è più breve del precedente ma in generale si mantiene sul lungo ;) anche se non sono pienamente soddisfatta, forse è un po' troppo romantico e sdolcinato per i miei gusti. Ma fatemi sapere anche la vostra, è un capitolo molto carico di Belladolphus con accenni alla Bellamort (dal punto di vista di Bellatrix), la Mc Granitt di nuovo ha la sua parte, la trovo un'ottima spettatrice per i capitoli incentrati a scuola.
Al più presto completerò il prossimo capitolo, è uno dei miei preferiti perché ci saranno un po' tutti.
Qui non accade nulla di particolare, non ci sono sorprese ma forse nel prossimo... staremo a vedere.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9, LACRIME ***


Remembering you
Fallen into my arms
Crying for the death of your heart
You were stone white
So delicate
Lost in the cold
You were always so lost in the dark
Remembering you
How you used to be
Slow drowned
You were angels
So much more than everything
Hold for the last time then slip away quietly
Open my eyes

But I never see anything.

Pictures of you- Cure






Capitolo nove, Lacrime
 

Deglutiva nel vano tentativo di trattenere i singhiozzi, lo sguardo puntato verso il basso seguiva le linee del tessuto, come per cogliere ogni singola fibra.

Non indossava mai il nero, pensava di averlo riposto nell'armadio dopo la morte di Ted, invece era là.

Sedeva in penultima fila, in disparte.

 Odiava profondamente il nero, era la morte, la disperazione. Sua figlia non c’era più. Non ci sarebbe mai stata.

Ripugnava il nero, sembrava così simile a sua sorella che, quel pomeriggio guardandosi allo specchio, aveva cessato di respirare. Aveva chiuso gli occhi, stretto il nipote al petto quasi potesse tenere lontano il dolore.

 Invece era sempre là, in penultima fila.

Le lacrime che sgorgavano senza ritegno, Narcissa alla sua sinistra le stringeva le spalle. A destra il posto vuoto la guardava sprezzante facendosi beffe del suo dolore.

 Il coro intonava una canzone malinconica, faceva da sottofondo ad un silenzio spettrale che aleggiava fra i presenti.
 

Bellatrix osservava la scena da lontano, un vestito di un nero profondo la avvolgeva completamente, i capelli raccolti in alto e i suoi riccioli che si ribellavano. I lineamenti in evidenza tradivano un certo contegno, il barlume della bellissima donna che avrebbe potuto essere.

"Avviciniamoci" le disse lui.

Gli occhi di tenebra lo scrutavano, imperturbabili. Così fredda e distante dalla realtà.

"Non voglio" ribatté imponendosi. La voce dura, una statua di marmo.

Rodolphus la guardò intensamente, la luce che giocava sui capelli donandogli una delicata sfumatura rossa in mezzo all'oscurità.

"Io vado, con o senza di te" affermò, ma senza troppa convinzione.

 Lei sollevò un sopracciglio, spostando gli occhi spietati su di lui per una breve frazione di secondo. Le labbra scarlatte si incrinarono leggermente.

 "Fai come vuoi"

 Eppure Rodolphus non riusciva a muovere un passo, si sentiva inchiodato al suolo. L'impulso di prenderla per l'avambraccio e trascinarla con sé, scuotendola da quell'impassibilità che faceva da regina. La freddezza di un'assassina di fronte alla morte, quello che era tutto sommato... una spietata assassina.

"Possibile che tu non senta niente?" la scoccata arrivò con un briciolo di cattiveria, ma dettata principalmente  dalla bruciante curiosità.

No, sentiva anche lei qualcosa. Un pensiero che l'aveva tormentata da quando si era lasciata la pesante porta alle spalle. Rimorso forse? Compassione? Non poteva, eppure era quello che si era chiesta mentre il rumore dei suoi passi echeggiava nei sotterranei.

 Allora è questo quello che sentono tutti? Una domanda che risuonava nella sua mente.

Debole, poteva avvertire quasi la Sua voce in un sussurro.

 Le era capitato solo un'altra volta di sentirsi in quel modo, era stato come un lampo quasi impercettibile. In quella occasione era sopraggiunto il tuono, lo scoppio, rumore che si propagava con furia.
 

Quella notte era stato particolarmente accomodante con lei, l'aveva quasi lasciata più libera trattata con velata dolcezza.

 Erano anni che si vedevano e Bellatrix, allora ventottenne, l'aveva raramente visto così senza un apparente motivo. Una parte di lei era sospettosa l'altra, più irrazionale, approfittava di quel momento con desiderio.

"Tuo cugino è morto" le disse freddamente.

 La donna parve inizialmente non badarci, rielaborò la frase nella mente ancora annebbiata.

"Sirius?" nella testa si era fatto strada un sospetto infondato, qualcosa le diceva che si sbagliava.

"Regulus" la voce le rispose, con la solita impassibilità.

 Sentì una morsa stringerle il petto, dimenticando per un attimo come respirare. Aveva solo diciott'anni, era un ragazzino, non avrebbe mai avuto una moglie, dei figli. La discendenza dei Black era ferma. Non parlò aspettando che egli aggiungesse altro.

 Voldemort aspettava di rimando, sadico gustava l'attimo in cui gli avrebbe chiesto ulteriori informazioni.

Non lo fece. Si girò sull’altro lato dell’imponente baldacchino dandogli le spalle come non avrebbe mai fatto in circostanze normali. Abbassò le palpebre avvolta dalla completa oscurità, le mani si strinsero infilzando le unghie nella carne. Cominciò a chiedersi come si sentivano i parenti delle sue vittime alla prospettiva della morte delle persone che amavano, fu solo un attimo, fulmineo.

Altrettanto veloce fu lo schiaffo in pieno viso, come a riscuoterla da quei pensieri. Rimase immobile, la pelle che pizzicava avvertendo il rossore anche senza poterlo vedere.

Voldemort la afferrò per la nuca, alle radici dei capelli corvini, volse il suo viso a pochi centimetri dal suo infliggendole quanto più sofferenza possibile.

"Guardami" le ordinò ed ella ubbidì prontamente aprendo gli occhi, dettata dall'ossessiva devozione nei Suoi confronti.

Gli era così vicina da avvertire il Suo respiro sulla pelle, gelido in contrasto con il bruciore della guancia.

"Non pensare mai più una cosa del genere, la compassione è per i deboli" calcò sull'ultima parola carico di disprezzo, tirando con più forza i capelli.

"Non sono debole. Non accadrà più, Mio Signore" gli disse con voce sicura, gli occhi puntati nei suoi con fierezza.

Un ghigno attraversò il volto impassibile. "Bene Bellatrix, è così che ti voglio"
 

Rodolphus si mosse in direzione della penultima fila, i passi pesanti, arrancava. Cedette all’impulso di voltarsi, gli occhi lo trafiggevano. Poi qualcosa di inaspettato: Bellatrix lo seguì, mettendosi al suo fianco. Era sbalordito, la prima volta che una provocazione era riuscita a smuovere sua moglie. In genere era lei ad infiltrarsi nel suo profondo, come un’abile stratega, toccava le corde giuste della sua anima piegandolo al proprio volere.

Non era mai accaduto il contrario. Per anni aveva atteso di poterla ripagare, di vedere anche lei vacillare, scossa da un pensiero che lui stesso le aveva inculcato. Quella vittoria non aveva sapore, era semplicemente struggente sapere in che stato fosse ridotta la donna, incapace di difendersi e usare le sue armi. Dov’era la sua guerriera?

Bellatrix prese il posto vuoto accanto alla sorella sedendosi silenziosamente, senza dare nell’occhio. Non proferì parola, non un solo gesto, immobile, gli occhi guardavano dinnanzi senza sbirciare.

Andromeda la guardò sottecchi, abbozzò un lieve sorriso, ancora una volta sua sorella le insegnava a non aver paura del buio, le mostrava come essere forte e non lasciarsi scalfire.

Ma io non sono come te Bella, pensava da bambina e in quel momento. Lei aveva bisogno di sicurezze, di essere guidata dalle stelle della sua vita che mano a mano si spegnevano, morendo fra le sue mani.

Teddy era troppo piccolo per afferrare il senso di tutto, eppure avvertiva la mancanza della chioma color gomma da masticare, il sorriso e gli occhi luminosi del padre. I capelli erano più scuri in quel momento, un blu notte che aveva preso il posto di un cielo sereno.

La manina si protese verso un ricciolo scuro, tirandolo con debolezza. Bellatrix non si mosse, avvertì la stretta leggera e gli occhi vacillarono nella direzione del bambino, le ricordava terribilmente la sorellina quando nacque in un’uggiosa giornata di febbraio. Lo stesso sguardo, sincero e dolce, ma forte.

Eri proprio una bella bambina Meda, ricordò con affetto. Il suo cuore di pietra che pareva sciogliersi, la bellezza della vita la travolgeva con la danza dei suoi colori decisi.
 

La cerimonia terminò dopo quella che era sembrata un’eternità, gli sguardi dei presenti ancora immersi in una dimensione senza tempo, persi nella contemplazione della natura sotto il peso schiacciante dei sentimenti. I respiri corti, nulla che disturbasse quella quiete onirica, in un universo in cui la morte e la vita si miscelavano con cura.

Alcuni ruppero quell’immobilità alzandosi con immensa fatica, ne susseguirono altri e molti ancora, finché le panche si svuotavano, le persone tornavano al presente.

Rimaneva un ragazzo, in prima fila. Lo sguardo spento, l’anima completamente inaridita giaceva davanti a una bara. Non aveva proferito parola, chissà quando l’avrebbe fatto, se l’avrebbe fatto.

Non ha senso parlare Fred se non ci sei tu a continuare le mie frasi, come non ha senso continuare a vivere la mia vita senza l’anima.
Svegliati fratello, coinvolgimi in questo scherzo mortale.
Andiamo via, andiamo via insieme.
Prendimi, portami via con te.
Dimmi che è soltanto un incubo, dimmi che ci sarai sempre.
Fred mi senti? Non prendermi in giro, torna da me.
Fred non andartene.
Fred ti supplico, non esisto se non ci sei tu.
Fatto… di’ il misfatto, dillo Fred.
Fred fa così freddo e tu non ci sei.
Possiamo tornare alle risate Fred?
Possiamo piangere perché ci divertiamo?
È terminata la commedia fratello mio?
 È terminata senza di te.
È una tragedia, Fred, aiutami. Poni fine a questo tormento, voglio ridere di nuovo.
 

Ma il tormento di George Weasley non sarebbe finito quel giorno, né il successivo, né dopo mesi, anni, decenni. Il tormento della morte del gemello l’avrebbe accompagnato tutta la vita, senza terminare mai.
 

Andromeda si asciugò le ultime lacrime con il fazzoletto che Narcissa le aveva porto, la sorella le si avvicinò.

“Meda, vuoi rimanere da me? Almeno per un po’, ti voglio essere vicina” le disse con sicurezza, gli occhi azzurri colmi di speranza e apprensione.

La donna era incerta sulla risposta da dare, si sentiva combattuta: una parte di lei voleva rimanere a casa, intrappolata fra i ricordi, in un ambiente familiare; l’altra aveva bisogno di appoggio, di allontanarsi dalla sofferenza, riavvicinarsi alla sorella.

Sono trascorsi tanti anni, è tempo di perdonarci a vicenda. Pensava, lo sguardo si volse al piccolo, chiedendosi cosa sarebbe stato meglio per lui, il bambino sollevò il visino e le sorrise.

“Va bene Cissy, ti ringrazio. Vorrei solamente tornare a casa a prendere le mie cose, poi sono da te”

La signora Malfoy si illuminò, facendosi scappare un gridolino di gioia, come se la sorella avesse accettato il suo invito a giocare. Senza pensarci due volte le stampò un sonoro bacio sulla guancia, per poi voltarsi verso Bellatrix che camminava in lontananza.

“Bella” la chiamò a gran voce, ancora entusiasta cominciò a correre verso di lei, maledicendo per una volta le buone maniere.

“Narcissa, noi andiamo. Torniamo a Lestrange Manor, credo sia meglio per tutti. Addio” afferrò il braccio di Rodolphus, pronti a materializzarsi.

“Aspetta” la sorellina la trattene  “Come Addio?” lo sguardo si fece buio, si mordeva le labbra rosee con nervosismo.

“Voglio salutarti qui, nei mesi che precedono il processo vogliamo stare soli” disse, imponendo, come sempre, le sue idee.

“No” Narcissa pareva fuori di sé, mai nella sua vita aveva contraddetto sua sorella.

“No? Sei patetica, come pensi di fermarmi, di farmi cambiare idea. Vuoi mostrarmi una famiglia unita? Vuoi che tutto torni come prima come se nulla fosse? No Cissy non voglio trascorrere due mesi così, addio. Organizzami un bel funerale quando morirò”

“Faremo il possibile per evitare spiacevoli conseguenze, rimani con noi ti prego, non lasciarmi di nuovo Bella!” scoppiò in un pianto disperato.

“Il possibile per evitare spiacevoli conseguenze? Ti rendi conto che stiamo parlando di me? Non hai neanche idea dei crimini che ho commesso Cissy, avresti un buon motivo per piangere almeno, invece che lagnarti come una bambina” la voce divenne fredda e sprezzante, gli occhi scuri una maschera inaccessibile, tutto nel suo comportamento ritraeva perfettamente Voldemort, ogni gesto, espressione.

“Ti lascio andare, promettimi che non sarà questo il nostro addio. Non voglio ricordarti così, ti prego promettimi almeno questo Bella. Fallo per me ti supplico” si inginocchiò davanti a lei, le lacrime che le rigavano completamente il volto.

Bellatrix si soffermò prima sulla sorellina ai suoi piedi, poi guardò anche Andromeda che era rimasta distante incrociando per una breve frazione di secondo gli occhi, la stretta di Rodolphus la incoraggiava.

“Te lo prometto Cissy, ci rivedremo prima di dirci addio” la cattiveria abbandonò per un attimo il viso, i lineamenti si ingentilirono.

I Lestrange si strinsero e con uno schiocco sparirono senza poter dare alla sorellina il tempo di rendersi conto della dolcezza di quel momento.

 


Questa volta ci ho messo più tempo ad aggiornare, volevo che il capitolo e i vari personaggi fossero ben legati fra loro. Sono abbastanza soddisfatta, scrivere con musica deprimente in sottofondo avrà dato i suoi frutti.
Mi auguro che vi sia piaciuto, ho inserito anche George perché mi adoro il suo personaggio e la morte di uno dei gemelli è stata una cosa orribile per me.
Fatemi sapere cosa ne pensate, nel frattempo mi ritiro in un angolino :'(

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Capitolo 11
*** Capitolo 10, MELODIA ***


PREMESSA DELL'AUTRICE: QUESTO CAPITOLO L'HO SCRITTO ASCOLTANDO A RIPETIZIONE LA STESSA CANZONE, ED E' PROPRIO A QUESTA CHE MI SONO ISPIRATA PER UN MOTIVO CHE CAPIRETE PIU' AVANTI :) LA CANZONE E' VICTOR PIANO SOLO CORPSE BRIDE, FA PARTE DELLA COLONNA SONORA DELLA SPOSA CADAVERE DI TIM BURTON (UNA DELLE MIE PASSIONI).


Capitolo dieci, Melodia


Le mani affusolate si posarono sulla porta di ebano, mormorava incantesimi antichi, scioglieva le protezioni che avevano impedito a chiunque di entrare fino a quel momento. Sentiva gli occhi degli Auror alle sue spalle, senza poterli vedere. Percepiva l’astio nelle loro menti, erano in molti, pronti a scattare alla minima stranezza.

“Sono stupidi incantesimi di protezione, si imparano leggendo qualche libro in più anziché della Guida per marionette del ministero” gridò verso di loro divertita.

Rodolphus avrebbe voluto tranquillizzarla ma, dovette ammettere che non aveva tutti i torti, gli scappò una risata. Nessuno al di fuori di Bellatrix avrebbe mai potuto provocare gli Auror senza il minimo timore.

Si chiusero la porta alle spalle prima che essi, stizziti, potessero rivolgergli qualche incantesimo, era tutto immerso nella penombra, quel poco di luce che entrava proveniva dall’esterno, le tende leggermente scostate, il chiarore della luna si rifletteva su due calici di cristallo. La donna starnutì, la polvere le penetrava nelle vie respiratorie, avvolgeva ogni cosa, ricopriva uno spesso strato del mobilio.

“Non torniamo da…” disse.

“La notte della nostra cattura” completò il marito.

“Già” sussurrò lei, l’angolo della bocca si alzò impercettibilmente, abbozzando un sorriso.

Erano immobili sulla soglia a percorrere con lo sguardo l’ultimo luogo che avevano visto prima di abbandonare la casa per molti anni, la villa era enorme, completamente vuota, avendo trasferito gli elfi domestici a casa dei Black negli ultimi tempi, in cui non si potevano fidare di nessuno.

Bellatrix cominciò a camminare, si avvicinò al tavolino sfiorando con le dita i bicchieri, chiuse le tende e accese le luci, nuvole di polvere fluttuavano nell’aria. Si avvicinò ad un mobile scuro, aprì le ante, costatando con gioia che nessun animale fosse presente al suo interno. Afferrò una bottiglia di Whisky Incendiario versandone il contenuto nei calici.

Rodolphus si avvicinò “A noi e a questa polverosissima casa” disse brindando con la moglie.

Ella ricambiò con un sorriso, divertita da quella situazione assurda, bevendo avidamente, versò nuovamente per entrambi.

Dopo alcuni bicchieri, continuarono ad esplorare le varie stanze per valutarne le condizioni. La libreria, dove alloggiavano i numerosi volumi di Arti Oscure, magie antiche, rune, libri di pozioni, Legilmanzia, Occlumanzia… la donna osservava con ardore l’inestimabile collezione.

“Mi trattengo qui, tu vai avanti. Ti raggiungo dopo, non aspettarmi” più che un invito suonava come un ordine, esprimendo il desiderio di voler restare sola.

Rodolphus annuì uscendo dalla stanza silenziosamente, i corridoi lo opprimevano facendo affiorare numerosi ricordi di infanzia, spesso non molto piacevoli.

Aprì la porta di quella che era stata la camera dei genitori, condivisa poi con Bella. Insieme avevano reso la casa più spartana, la dimora di due guerrieri che trascorrevano poco tempo in quel luogo, la loro vita era fuori.

Cambiò stanza, entrando nell’ambiente più ostile dell’intera casa.

Le pareti un tempo immacolate coperte da uno spesso strato di polvere, che rendeva tutto grigio. La moquette morbida emetteva ad ogni passo uno sbuffo che andava dissolvendosi pian piano. Le mensole biancastre correvano su due pareti, sopra ognuna di esse, i volti del passato lo guardavano sogghignando.

Una bambola di porcellana dai capelli color oro e gli occhi vitrei, un drago dalle squame scure e gli occhi accesi di rosso fuoco, bacchette giocattolo abbandonate come corpi morti, una scatola di colori perfettamente intatta, la riproduzione di Hogwarts poggiata in un angolo.

Al centro svettava la culla, la più costosa che avessero trovato, il legno di betulla intarsiato, i piedi che si aprivano in ampie volute, le lenzuola di seta mentre l’esterno decorato con elegante pizzo. Sopra di essa un velo bianco avvolgeva il tutto in un’atmosfera chimerica, Rodolphus respirava pesantemente, appoggiò le mani sulla superficie.
 
 

“Rod, devo dirti una cosa” Bellatrix lo guardava senza lasciar trapelare alcuna emozione, non era per lei la notizia più gradevole che potesse ricevere, ma sapeva che a lui avrebbe fatto piacere.

Il marito sollevò lo sguardo con un po’ di preoccupazione, chiedendosi quale missione suicida avesse deciso di affrontare la donna quella volta.

“Aspetto un bambino” farfugliò ella a mezza voce, con lo sguardo basso giocava con le pieghe del vestito.

Rodolphus non afferrò subito la notizia, poi realizzò senza riuscire a dire o fare qualcosa ed infine, sbloccatosi dall’iniziale stupore, la sollevò fra le braccia baciandola.

“Non cominciamo con queste smancerie, Lestrange” lo canzonò ricambiando, però, il gesto.

“Chiariamo una cosa, caro, parteciperò alle missioni come ogni volta, questo bambino non intralcerà la mia carriera e non aspettarti che mi metta a fare la brava mogliettina a casa, al massimo quello puoi farlo tu” aggiunse con lieve aggressività.

Lui sorrise, niente gli avrebbe tolto la gioia di quel momento “Ai suoi ordini Madame” le disse inchinandosi. Bellatrix lo guardò con rimprovero ma gli occhi ridevano con lui.
 

Trascorsero tre mesi, avevano informato entrambe le famiglie continuando al contempo la vita di tutti i giorni, la donna dava il meglio di sé per essere forte, per il momento la gravidanza non le pesava.

Andromeda aveva appena terminato il suo ultimo anno di scuola quando abbandonò la sua famiglia per sempre aspettando anche lei un bambino che, però, nessuno avrebbe mai accettato. La notizia provocò un tale subbuglio nella famiglia Black, tra i pianti di Narcissa e Druella e la furia di Bellatrix e Cygnus.

Quella stessa notte perse il primo figlio.

Rodolphus la trovò accasciata in bagno, il sangue per terra, le ginocchia al petto strette tra le braccia sottili, lo sguardo perso nel vuoto. Si sedette accanto a lei, trattenendo lo sconforto, la cinse con apprensione. Bellatrix appoggiò la testa sulla sua spalla, una sola lacrima le attraversò il volto cereo.

“Capita Bella, non importa. Non è colpa tua, ne verranno di altri” la cullava come se fosse quel bambino mai nato.
 

Represse una lacrima al ricordo del primo episodio a cui ne susseguirono altri cinque simili, altre volte non ci riuscivano proprio, l’utero di Bella rimaneva vuoto e arido. Col passare del tempo a quella tristezza si sostituì la rabbia cieca, quando tornava coperta di sangue non suo e gli occhi brillavano di follia.

Si allontanò da quella stanza, dai pensieri del passato che trascinavano verso la pazzia anche lui. I giocattoli lo fissavano beffeggiandolo, si chiuse la porta alle spalle. Chiuse la morte dietro di lui e si sentì meglio.

Rodolphus avvertiva il peso di quell’ambiente, non approvava molto l’idea della moglie, la villa aveva fatto riaffiorare troppi ricordi. La sua infanzia, il matrimonio con Bella, non riusciva a recuperare la felicità nella sua vita.

Scese l’ampia scalinata di marmo che conduceva ad una sala molto estesa, dove i Lestrange avevano sempre tenuto i loro ricevimenti. Vi erano numerosi tavoli geometricamente disposti, un enorme lampadario perfettamente al centro della stanza composto da innumerevoli cristalli e diamanti. Era un luogo sfarzoso ma al contempo semplice, lineare, la sua famiglia detestava gli eccessi.

Nell’angolo a destra era posizionato un pianoforte a coda nero laccato, suonare era una delle sue passioni. Si sedeva, poggiava le mani sui tasti e sprigionava la sua anima, a seconda di come si sentiva il suono si diversificava, avvertiva come una voragine e il respiro si faceva più ampio in sintonia con le note.

Sorrise debolmente, si lasciò andare sullo sgabello e, senza pensarci, si abbandonò alla musica, le dita correvano sui tasti con eleganza, l’armonia lo attraversava diffondendosi in quel silenzio lugubre. Non avvertì dei passi che si avvicinavano lentamente.

Bellatrix era in piedi dietro di lui, gli occhi socchiusi mentre cedeva alla melodia. Non aveva mai imparato a suonare, ma le piaceva ascoltare, intravedeva la perfezione in ogni suono, lasciandosi cullare con dolcezza, avvolta dalle note.

Avvertiva una malinconia accompagnata da un velato senso di pace, la musica le artigliava l’animo, percepiva il peso di ogni cosa e al contempo si sentiva sollevata. La tristezza prese il sopravvento di quel momento, come un enorme macigno sul petto, il respiro corto, la testa che dondolava al ritmo di quella canzone.

Si sedette accanto a lui senza fare il minimo rumore, fu come se attraverso la musica stessa raccontando una storia, la loro storia. La vita, le rinunce, fu avvolta dalle memorie, dai sentimenti. Sfiorò il suo corpo con leggerezza.

“Non smettere” un sussurro coperto dalla musica, ma lui la sentì e continuò a suonare quella melodia malinconica.

Poi lentamente, come un bambino che scivola nel sonno al ritmo di una ninna nanna, terminò, mentre l’aria era ancora impregnata delle note. La donna aveva poggiato la testa sulla sua spalla, gli occhi ancora chiusi poteva avvertire il ritmo del suo cuore.

“È struggente ma è incantevole” mormorò.

Rodolphus abbozzò un sorriso spostando il braccio dietro la sua schiena per cingerle le spalle.

“Un po’ come te” le bisbigliò.

Bellatrix aprì gli occhi volgendo lo sguardo a lui, alzo un angolo della bocca in un sorriso tenue.

“Sono così per te Lestrange?” lo punzecchiò.

“Si, sei anche questo” le sollevò il mento baciandola con trasporto.

“Allora non sono stata sufficientemente brava a farmi odiare anche da te, forse avrei dovuto torturarti un po’ di più” gli disse con voce flebile.

Rodolphus non le rispose, la attirò a sé mentre le mani correvano lungo il corsetto slacciandolo con eleganza.

“I tuoi genitori non approverebbero l’utilizzo di questa stanza per i nostri scopi” gli disse divertita mentre sbottonava la sua camicia.

Non importa pensava, avvertiva il suo respiro che gli solleticava il collo mentre con gli occhi, con le dita, assaporava quel corpo che conosceva meglio del suo. Cercava di lasciare la sua orma, il segno di un passaggio su ciò che non poteva essere suo, non lo era mai stato.

Lui ti ha lasciato troppo, e io Bella? Significo qualcosa oppure sono semplicemente una fiamma che si consuma fino a diventare cenere? Quando mi guardi è davvero a me che pensi?

Posava le mani sui fianchi scarni, toccandola come i tasti del pianoforte, delicatezza e decisione, come l’accostarsi dei colori, del latte e dell’ebano come la sua pelle e i suoi capelli, come la tenebra dei suoi occhi nel viso cereo.

Bellatrix era l’eterno contrasto della sua vita, l’amore e l’odio nei suoi confronti si alternavano a vicenda lottando per prevalere, la vita e la morte, il bianco e il nero.

In quel momento la amava e per un attimo gli sembrò che lei facesse altrettanto, così diversa dal solito, prendendo il comando della situazione e al contempo attenta anche ai suoi desideri.

Quando si separarono gli rimase vicina, poteva osservare il viso nella penombra, il rossore accennato sulle guance, un goccia di sudore che le imperlava la pelle, all’altezza della clavicola.

“Io ti conosco anche così” affermò Rodolphus e vorrei essere l’unico ma non lo disse, lasciandolo intendere.

“Chi ti dice che Lui mi conoscesse?” era la prima volta che lo nominava in un momento del genere, gli occhi lo scrutavano trapassandolo con lo sguardo.

Egli soppesò per un po’ la domanda, chiedendosi quale fosse il miglior modo per risponderle indugiò un po’.

“Mi sbaglio forse?”

Quella volta fu lei a esitare non sapendo come rispondere a quella richiesta, suo marito teneva per la prima volta il coltello dalla parte del manico. Si affrettò a riprendere in mano la situazione, a dominare come aveva sempre fatto.

“Non vi posso paragonare” replicò con secchezza con l’intenzione di non parlarne più.

Rodolphus si sentì schiacciato dalla verità, sapeva che Bellatrix non gli avrebbe mentito, proprio per quel motivo non aveva mai avuto il coraggio di porle numerose domande. Si allontanò leggermente da lei, il respiro ancora corto.

“Roddie non sopporto queste conversazioni lo sai. Sempre la stessa storia, sempre a fare la vittima della situazione. Perché tu lo sappia, la tua coscienza non è tanto più pulita della mia. Ti ho detto di non innamorarti di me, se davvero hai la presunzione di conoscermi dovresti sapere come tratto le persone. Invece hai avuto anche l’arroganza di pensare che se avessi portato il tuo cognome sarei stata tua, hai pensato di poter vincere contro di me. Io non perdo mai, M A I” scandì le ultime parole con la voce carica di veleno.

Quel veleno che l’uomo sentì penetrargli attraverso l’epidermide, farsi spazio tra le fibre dei muscoli, consumargli le ossa, propagarsi nel sangue puro e penetrargli gli anfratti dell’anima, rivoltarla fino a lasciare solo un’ombra, lo spettro della persona che sarebbe potuta essere se solo non l’avesse conosciuta.  

Decise di reagire, i Lestrange non si arrendevano mai, era stato uno spietato assassino, freddo, calcolatore, sadico tanto quanto sua moglie. L’aveva imitata nella spasmodica speranza di avvicinarsi a lei, di decifrarla. Solo in seguito, attanagliato dalla sconfitta, dall’incapacità di raggiungere quel cuore di tenebra, aveva cominciato a provarci gusto, a riversare in quelle torture la sua sofferenza,  talvolta figurandosi lei, la sua risata agghiacciante.

“Mi sembra, mia cara, che tu l’abbia perso. E questa volta per sempre. Ma è bene che tu lo sappia, non l’hai mai avuto, non è mai stato tuo. Credi che ti avrebbe riservato tutte quelle attenzioni se fossi stata un strega peggiore? Credi che una persona con una brama di potere come la sua non fosse attratta da quello che rappresentavi? Da quello che eri in grado di fare, spesso senza accorgertene neanche? Andiamo Bella, lo sappiamo entrambi. Conosci tutte queste risposte, per lui non valevi molto più di tutti noi” fu lui a ridere quella volta, imitando la medesima risata della moglie, vittorioso di quel colpo perfettamente andato a segno.

Bellatrix spalancò gli occhi dinnanzi agli insulti che non si era aspettata di ricevere, prostrata ai piedi degli interrogativi che avevano lacerato la sua anima fino a perderla completamente. Non si aspettava una risposta del genere da Rodolphus, fu come se quell’incondizionato sentimento, di cui lei era sempre stata il centro, avesse vacillato pericolosamente.

Oh si che l’hai notato Roddie, ti sei accorto dell’incertezza che pervade i miei occhi. Ti avevo sottovalutato, non pensavo potessi spingerti a tanto.

“Tu non immagini quello che io, Bellatrix Black, potessi avere. Non immagini quanto fossi molto al di sopra di tutti voi, deboli che non siete altro” lo guardò fisso negli occhi, la crudeltà che divampava nell’onice del suo sguardo, il calcare così intensamente sul suo cognome come a rimarcare la sua indipendenza.

L’uomo la tirò a sé aprendole la bocca con violenza, infiltrandosi in lei che ricambiò il gesto con più forza spingendolo contro la superficie del pianoforte, le unghie che gli perforavano il petto.

“Sbagli ad amarmi, Rodolphus Lestrange. Sono la cosa peggiore che ti potesse capitare”
 
 
 
Tout ce que je sais
c’est qu’il m’a blessée
peut-être avec une flèche
peut-être avec une chanson
Tout ce que je sais
c’est qu’il m’a blessée
blessée au coeur
et pour toujours
Brûlante trop brûlante
blessure de l’amour.*



*Tutto quello che so
è che mi ha ferito
può essere con una freccia
può essere con una canzone
tutto quello che so
è che mi ha ferito
ferito al cuore
e per sempre
bruciante, troppo bruciante
ferita d’amore.

Sono tornata da una breve pausa scrittura :) per un capitolo decisamente Belladolphus, ho voluto descrivere sotto un'altra chiave il loro rapporto, non voglio che si pensi che Rodolphus non tenesse testa a Bellatrix, anzi, penso sia uno dei motivi per cui lei abbia accettato di sposarlo. 
Per quanto riguarda la canzone, io ho pensato subito a quella, l'intero capitolo l'ho cucito attorno a questa canzone, voi potete scegliere quella che più vi piace e che vi sembra rispecchi meglio l'atmosfera.
Vi voglio ringraziare un mondo per le recensioni, siete davvero fantastici.
Al prossimo capitolo :)

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11, RITORNO ***


Capitolo undici, RITORNO


Le scarpe nuove erano completamente zuppe, impregnate del sangue che scorreva nei sotterranei. Era interamente buio, il ragazzo affannava nel vano tentativo di reprimere le lacrime e il disgusto.
 
“Aiutami, ti prego” un rantolo soffocato, una mano gli artigliò con debolezza la caviglia mentre due occhi verdi lo fissavano in preda al terrore.
 
Serrò i pugni, fece per soccorrerla, una fitta lo gettò con violenza a terra mentre il dolore si faceva strada nelle membra del giovane corpo, troppo giovane per sopportare.
Urlò, il sangue dei prigionieri gli aveva inondato la camicia, insinuato nei pantaloni, così come quello struggimento. La tortura terminò fulminea.
 
“Non provare pietà” la voce risuonò gelida dall’altro lato della stanza, i capelli del ragazzo si rizzarono sulla nuca in un brivido di terrore.
 
Le unghie lunghe gli lambivano la carne del volto, teneva lo sguardo basso per nascondere le lacrime. Fu rigettato con noncuranza sul pavimento, la testa sbatté violentemente diffondendo un senso di stordimento per una manciata di secondi.
 
“Avanti finiscila, mi sta annoiando” le labbra si incurvarono mimando la delusione di una bambina che vuole cambiare gioco.
 
Il pianto risuonava nella sua mente impedendogli di pensare ad altro che non fossero quegli occhi, la sofferenza.
 
“Conosci l’incantesimo, non farmi spazientire. Detesto aspettare… sta zitta tu!” colpì con forza la ragazza agonizzante ai suoi piedi, un rantolo e poi nulla.
“Questa feccia è così debole che basta poco a farla morire” aggiunse, sul volto impresso disprezzo e divertimento.
 
Il ragazzo continuava a fissare in basso, incapace di sollevare gli occhi chiari verso quelle tenebre senza anima. Non potendo reggere altrimenti cominciò a singhiozzare, la vista completamente offuscata dalle lacrime amare.
 
“Quanto sei debole, come pensi di essergli degno? Non riceverai il Marchio Nero se continui a piagnucolare come un bambino, non rivedrai il tuo amato paparino” la voce si insinuò nella sua testa, martellante, canzonatoria, facendosi beffe della sua umanità.
 
La donna si spostò sinuosamente afferrando per i capelli un ragazzo che doveva avere all’incirca la sua età, sentiva le sue richieste cercando col barlume della volontà rimasta di ignorarle. Il rumore delle ossa che si rompevano una ad una, un lavoro pulito dato dalla metodicità di un’assassina spietata.
 
“Aiutami Draco” lo conosceva e quella richiesta si ripeteva come una cantilena e a quel sangue si sostituivano le fiamme, alla voce quella di un amico, le lacrime però rimanevano e chiudeva gli occhi cercando di allontanare l’angoscia che gli straziava l’animo.
 
 
 
 
Draco si svegliò di soprassalto, madido di sudore freddo, i brividi che correvano lungo la schiena. Si tirò a sedere spostando gli occhi sulla luce che brillava in fondo alla sua stanza, come a tenere lontano gli incubi che non cessavano di abbandonarlo. Respirava affannosamente, fu colto da un attacco di tosse, appoggiò la testa contro lo schienale del letto socchiudendo gli occhi.
 
Uno. Due. Tre. Contava i respiri nel tentativo di calmarsi. Quattro. Cinque. Sei. Le immagini che popolavano i suoi incubi erano ancora vivide nella mente. Sette. Aprì gli occhi, il respiro si era acquietato, lasciando scivolare via gli ultimi ricordi.
 
Non era più un bambino, doveva essere forte. Guardare avanti, al futuro roseo che si proiettava dinnanzi a lui. Era coraggioso, nonostante gli avessero dato del codardo, lui era coraggioso.
Voleva cominciare a fare le SUE scelte, non sopportava che fossero gli altri ad imporgliele, ora che la minaccia sulla sua famiglia era scomparsa per sempre.
 
La porta si aprì cigolando, la luce di una bacchetta si aggiunse in quella stanza. Illuminava il volto di sua madre, il viso stanco e provato dagli avvenimenti che si erano succeduti, le rughe improvvisamente evidenti.
 
“Draco, stai bene?” era preoccupata, gli occhi azzurri erano leggermente spalancati, le occhiaie evidenti come se non avesse dormito affatto.
 
“Si mamma, tutto bene” le sorrise con dolcezza cercando di nascondere come meglio poteva i suoi sentimenti.
 
Narcissa lo scrutò, come solo una madre può fare, nella mente si era fatto largo il presentimento che il figlio non fosse più lo stesso, qualcosa più grande di lui lo stava cambiando.
Si sedette sul bordo del letto, avvolta nella sua vestaglia di un celeste pallido. Lasciò scivolare una mano sui capelli del figlio, così simili ai propri e a quelli del marito, lo sguardo carico di apprensione e affetto.
 
“Mamma sto bene, davvero” si scostò da quelle carezze che lo facevano sentire in colpa per la verità celata a quegli occhi che lo conoscevano così bene. “Non sono più un bambino” aggiunse mettendo un po’ di durezza nella voce.
 
“Me ne sono accorta, è trascorso un mese dalla battaglia e sei cresciuto improvvisamente. Ma c’è qualcosa che ti turba, altrimenti non urleresti tutte le notti” come ogni Black sapeva fare, Narcissa aveva affondato la sua scoccata.
 
Draco abbassò gli occhi, messo a nudo da quelle parole, dalla verità nella sua forma più pura. Vacillò.
 
 “Non sei cresciuto abbastanza da poter mentire a tua madre, Draco?Sei debole, esattamente come tuo padre” un paio di occhi neri senza anima lo fissavano deridendolo, le labbra scarlatte erano un misto di divertimento e delusione.
 
Si riscosse, non voleva ricordare quei momenti. Dovevano rimanere segregati nei suoi incubi, non potevano sconvolgere anche la sua vita.
 
Narcissa lo attirò a se, appoggiando il capo del suo bambino sulle ginocchia, la mano passava fra i capelli sottili segnando il profilo del viso di un uomo.
 
“Non si è mai troppo grandi per amare, Draco. Non dimenticarlo mai, non siamo dei codardi in questa battaglia. Non sei debole, abbiamo messo al primo posto l’amore. L’amore ha vinto, noi abbiamo vinto” gli sussurrò.
 
Il ragazzo si sentì meglio, il sollievo si fece spazio nel suo cuore tormentato come una medicina stava curando la sua anima. Chiuse gli occhi abbandonandosi alle carezze, il groppo in gola si sciolse lentamente.
 
“Continuo a rivedere il buio, mamma, il suo buio. Continua a guardarmi, sento la sua risata e vedo tutto quel sangue sul pavimento, vedo quei corpi agonizzanti, gli occhi che mi implorano. Nei suoi non ho mai visto niente, solo l’oscurità.  E poi quel rosso, il rosso del sangue e del fuoco e in quel momento rivedo la morte di Tiger, lo vedo cadere nella fiamme. Ho chiuso gli occhi, mamma, li ho chiusi in entrambi i casi per non vedere. Sono debole, sono dannatamente debole” si era voltato verso di lei, mentre una lacrima gli scivolò sul viso contratto dal dolore.
 
La donna lo guardò fisso negli occhi, con tutta la forza che sentiva in quel momento, forza che non sapeva di possedere. La mano scivolò rapida a raccogliere quella lacrima, le labbra ne presero il posto sulla guancia del figlio.
 
“Non sei debole, sei umano. Lo capisci? È normale chiudere gli occhi, significa che il tuo cuore batte ancora. Soffri, Draco, hai ancora un’anima. La ha anche lei da qualche parte, lo so. L’ho visto quando lui è morto, in quel momento ha pianto esattamente come stai facendo tu. Ho capito di non averla persa completamente, vedila anche tu sotto questa luce e gli incubi ti faranno meno paura. Sappi che le persone che ti amano sono sempre qui per te, sappi che io ci sarò sempre. Essere forti significa ammettere le proprie debolezze” gli sorrise con coraggio, infondendogli l’energia che mai come in quel momento sentiva di avere.
 
Draco le sorrise di rimando, sollevandosi e stringendola fra le braccia forti. Lo sguardo più luminoso, era più consapevole.
 
“Grazie mamma” le mormorò prima di lasciarla andare.
 
“Sei diventato un bellissimo uomo, e non mi riferisco solo all’aspetto ma anche, e soprattutto, a quello che hai dentro” una consapevolezza si faceva strada nei suoi pensieri, si rendeva conto dello scorrere veloce del tempo.
Si allontanò con un ultimo sorriso, un’ultima occhiata e chiuse la porta dietro di sé.
 
Dopo quella notte Draco non ebbe più paura del buio.
 
 
 
La luce del giorno si fece strada attraverso le tende sottili, i raggi del sole accarezzavano il viso di Andromeda, ancora addormentata con il piccolo perennemente al suo fianco. Non si separava mai da quello sprazzo di vita, l’unica cosa che la tenesse ancorata a sua figlia e suo marito.
 
Andromeda devi lasciarli andare, è morto, è morta. Sono andati via per sempre, hai Teddy, hai ancora lui. Hai ritrovato tua sorella, è abbastanza per tenerti in vita?
 
I sogni le giocavano brutti scherzi, si destò abbandonando quella voce che la tormentava come un tarlo tutte le notti da due settimane. Posò il nipote nella culla sul lato destro del letto nella beatitudine del sonno infantile, recandosi al piano inferiore con lo stomaco che reclamava la colazione.
 
All’enorme tavolo trovò seduti Draco e Narcissa che parlottavano sommessamente, entrambi segnati da profonde occhiaie violacee sotto gli occhi chiari.
 
“Buongiorno” esclamò richiamando l’attenzione dei due.
 
Seguirono i loro sguardi e sorrisi affettuosi, le sembrava strano, in genere il ragazzo la ignorava deliberatamente, talvolta osservandola con un disprezzo che non sapeva da dove emergesse. Quella mattina il volto pareva più rilassato e sereno.
Si sedette e in breve tempo degli elfi sgambettanti le si avvicinavano, chiedendo le ordinazioni con un ansia palpabile. La sua prima mattina in casa Malfoy aveva visto Lunny, una delle elfe di casa Black ed entrambe  non avevano potuto trattenere la meraviglia, dopo quel giorno non l’aveva vista più. Non le era accaduto nulla di grave non proprio si corresse, aveva appreso che gran parte della servitù apparteneva a Bellatrix e pertanto era stata mandata a Lestrange Manor.
Il giovane Malfoy spostò gli occhi su quella donna così simile alla temuta zia, eppure col tempo si era abituato alla presenza e poteva facilmente cogliere le differenze.
 
“Mia madre è impazzita” costatò con rassegnazione continuando a guardare Andromeda.
 
“Suvvia Draco, è solo un’idea. Ho mandato tuo padre che è molto persuasivo, so come sia difficile ottenere qualcosa” ribatté la madre leggermente spazientita.
 
La signora Tonks si sentiva un’intrusa in quella conversazione ma era sempre stata profondamente curiosa quindi non esitò a guardare interrogativa i familiari, esigendo una spiegazione.
Draco sorrise a quello sguardo, vittorioso, sapeva di aver trovato qualcuno dalla sua parte che si sarebbe schierato con lui. I Black, poi, erano incredibilmente testardi ed egli aveva bisogno di qualcuno che potesse sovrastare la cocciutaggine della madre.
 
“Mamma vorrebbe risparmiare la pena a Zia Bella” il tono sembrava quasi un bambino capriccioso, ma in quel momento era necessaria quanta più enfasi possibile sulle parole.
 
Andromeda tossì ripetutamente, il dolce le era andato di traverso, sgranò gli occhi color ambra e guardò la sorella con insistenza e preoccupazione.
 
“Sei impazzita, mi stai prendendo in giro?” disse a bassa voce, tossendo tra una parola e l’altra.
 
“È cambiata Meda, l’ho incontrata quando le ho portato gli elfi e l’ho vista anche dopo. È diversa, è la nostra Bella” Narcissa era al contempo dolce e sicura.
 
Il ragazzo studiava con attenzione le mosse delle due sorelle, attendendo che la maggiore si imponesse, era una follia.
 
“Cissy ha ucciso delle persone, troppe” mormorò ha ucciso mia figlia non lo disse, lasciando in sospeso la frase.
 
“Lo so ma è diversa, ora che Lui è morto, può ritornare ad essere libera” la voce si affievolì.
 
Gli occhi di Andromeda erano lucidi dalle lacrime, mentre il corpo era scosso dalla rabbia, si controllava stringendo il bordo del cucchiaino fino a sentire il metallo nel palmo della mano, con violenza.
Prima che potesse aggiungere qualcosa sentì la porta dell’ingresso spalancarsi con forza e sbattere contro le mura in un tonfo sordo, al rumore si sostituì il martellante suono di un paio di tacchi, non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi fosse l’ospite.
Si ritrovò davanti alla colazione una copia della Gazzetta del Profeta mentre lo sguardo era catturato dalle mani affusolate, le unghie dipinte di un rosso accesso.
 
“Sono impazziti, totalmente impazziti” tuonò la voce sopra di lei, non mosse un muscolo conoscendo le sfuriate della sorella.
 
“Buongiorno zia” il tono piatto, Draco la osservava un po’ divertito non comprendendo il senso di quella rabbia.
 
“Oh chiudi il becco Draco e levati quel sorrisetto ebete dalla faccia altrimenti ci penso io” gli rispose acida, notando l’espressione del nipote cambiare repentinamente.
 
Dal piano di sopra si sollevò un pianto acuto, Andromeda si alzò urtando con la sedia la sorella che troneggiava dietro di lei che ricambiò guardandola in cagnesco alzando gli occhi al cielo.
 
“Ogni volta che vengo qui quella bestia piange solo” sbuffò, un ricciolo si sollevò dalla fronte per poi ricadere con leggerezza.
 
“Tutti i bambini piangono, lo sapresti se avessi figli” replicò la signora Tonks seccata dagli insulti gratuiti verso il nipote.
 
Bellatrix piegò la testa di lato, gli occhi gelidi perforarono quelli della sorella che in un attimo si trovò a terra sbalzata da un incantesimo muto. Si alzò sulle gambe malferme e corse al piano superiore prima che la collera della donna potesse sfociare in molto peggio.
 
Narcissa era rimasta ad osservare nella totale immobilità, così come il figlio, non aveva mosso un dito, lo sguardo si spostò con rimprovero sulla Mangiamorte.
 
“Dovrebbe imparare a calibrare le parole che dice” si giustificò quest’ultima.
 
“Non è l’unica” replicò in un sussurro la signora Malfoy.
 
“Che cosa hai detto Cissy?” la voce roca e allo stesso tempo acuta, come quando torturava le sue vittime.
 
“Niente” disse immediatamente con rassegnazione “Cosa è successo comunque?” aggiunse spostando l’attenzione sul motivo della visita.
 
“Hanno deciso di rimuovere i Dissenatori da Azkaban” rispose nuovamente accesa dall’indignazione.
 
Narcissa la guardava interdetta, non capiva cosa disturbasse la sorella. Doveva essere una buona notizia eppure la donna pareva infervorata, un guizzo di paura negli occhi.
 
“Bella non capisco” scuoteva la testa con debolezza.
 
“Draco lasciaci sole” ordinò la Mangiamorte, perentoria.
 
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte uscendo dalla stanza e richiudendo l’ampia porta con sollievo.
 
“Ti spiego chiaramente: non ho intenzione di marcire ad Azkaban per i miei restanti giorni sotto un branco di burattini che eseguono gli ordini del Ministero. Shacklebolt ha avuto la brillante idea di mettere gli Auror a sorvegliare le celle. Come se non fosse abbastanza averli perennemente sotto casa mia, ogni volta che esco, ogni stramaledetta volta che rimango sul terrazzo di notte, storcono il naso a tutti gli incantesimi che faccio e non hai idea di quanto voglia farli soffrire, dell’impellente bisogno che ho di combattere, di torturare davanti a quelle faccette di cazzo che si ritrovano” sputò quelle parole con rabbia crescente, usava raramente volgarità se non quando era realmente arrabbiata, l’educazione e il contegno della Purosangue erano svaniti in un attimo.
 
Narcissa non aggiunse niente, non sapendo come calmare la sorella preferì appoggiarla con lo sguardo, poteva capire la frustrazione della donna pur non condividendo le sue idee decisamente estreme.
 
Bellatrix si buttò su una sedia, prendendo il suo posto, svuotata. I gomiti sul tavolo, la testa fra le mani mentre la massa di capelli le copriva completamente il volto.
 
Che fine ha fatto la mia guerriera? La coscienza le giocava brutti scherzi, prendendo la Sua voce, martellava nella testa come una nenia. Si strofinò gli occhi quasi a cavarseli, si portò i capelli indietro tirandoli con forza, alcune ciocche si staccarono alla presa. Si infliggeva dolore consapevole di averlo deluso, se Lui non poteva più farlo ci avrebbe pensato personalmente.
 
“Volevo che i Dissennatori mi risucchiassero l’anima fino a ridurre il mio corpo ad un guscio vuoto, fino a lasciarmi andare come una bambola con cui non si vuole più giocare” risuonò tetra, avvolta dalla disperazione.
“Voglio porre fine a questo tormento Cissy, mi devi aiutare ti supplico!” si avvicinò alla sorella inginocchiandosi ai suoi piedi, gli occhi completamente folli, la lucidità scomparsa dalla sua mente.
 
Narcissa si ritrovò dinnanzi l’ombra di quello che la sorella era stata, la donna forte di una volta era stata sostituita dalla debolezza, la pazzia, lo struggimento. Era suo compito portare avanti la famiglia, la più piccola delle tre sorelle, la docile moglie di Lucius Malfoy, era diventata le spalle su cui tutti si poggiavano, la stella polare a cui facevano riferimento.
 
“No Bella, non puoi volere questo. Lui non avrebbe mai approvato questo rifiuto così sfacciato alla vita, Lui ti avrebbe voluto forte e combattiva come sei sempre stata. Mi dispiace giocare questa carta, lo detesto, ma non mi lasci altra scelta” il tono si era alzato, non ammetteva repliche.
 
Bellatrix parve rinsavirsi, respirò con calma e, sedendosi nuovamente, si abbandonò al suono del suo cuore che batteva con ritmo sempre più regolare.
 
“Hai ragione” sospirò, il volto chiazzato di cremisi impallidì rapidamente.
 
Fu travolta da un’improvvisa ondata di disgusto, si piegò in due reprimendo un conato di vomito.
 
“Scusami, non è un bel periodo” mormorò scuotendo la testa.
 
La signora Malfoy si sentiva altrettanto debole, infuriarsi con la sorella la svuotava di ogni energia, le costava uno sforzo immane.
 
“Pensavo che la compagnia di Rodolphus ti potesse aiutare” disse semplicemente, senza cattiveria, una semplice costatazione.
 
La Mangiamorte sorrise le guance ripresero un po’ di colore “Oh lo fa” affermò “Se la cava piuttosto bene” aggiunse “Il problema sono io” disse con amarezza.
 
Narcissa si alzò circondandola con le sue braccia “Ce la farai, si sistemerà tutto. Voglio che tu lo sappia adesso, che non sia una sorpresa: io e Lucius stiamo facendo il possibile per evitarvi Azkaban, lo so che lo reputi da vigliacchi, da traditori, non prenderti la responsabilità delle tue azioni. Ma so che una seconda incarcerazione non era quello che voleva Lui per te, ne tantomeno è quello che potresti affrontare in questo stato” le sussurrò.
 
La Mangiamorte tremò sotto quell’abbraccio, tremò alla prospettiva di una vita in cui non ci fosse Lui a guidarla, ben consapevole di dover prendere le redini prima che fosse troppo tardi, prima di affogare nella disperazione più totale che la avvolgeva a sprazzi. Era ora di sfoggiare la determinazione che l’aveva contraddistinta, quando ancora non lo conosceva e la brama di potere era limitata al suo interesse e non a quello di Voldemort.
 
Sorrise, era tempo di combattere sfoderando come una spada quel piano che avevano tessuto insieme.
Bellatrix era tornata.
 
 

Con questo capitolo, pubblicato ad un anno di distanza, ritorno anche io. Mi scuso per l'assenza e mi sento in dovere di ringraziare la recensione di bltxcla_black (letta recentemente) che mi ha spronato a scrivere di nuovo, a non abbandonare la storia.
Non so chi la leggerà, né se vi piacerà ancora. Ci tengo che per qualunque cosa mi scriviate, se non vi interessa, se ci sono errori o incongruenze, se i personaggi vi sembrano troppo lontani dal libro. 
Al prossimo capitolo (che arriverà a breve) 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12, RIVELAZIONI ***


Capitolo dodici, RIVELAZIONI


Il fuoco scoppiettava nel camino del vasto studio, era circa metà luglio, eppure aveva freddo, dopo Azkaban il calore sembrava abbandonare puntualmente il suo corpo.

Era quasi ora di pranzo ma non aveva fame, lo stomaco si era chiuso. Sedeva con la schiena incurvata mentre si massaggiava le tempie in preda ad un attacco di emicrania, allungò la mano verso il bicchiere sul tavolino alla sua destra.

La porta si aprì con la tipica calma che cadenzava ogni movimento del fratello maggiore, odiava quel modo di muoversi che si contrapponeva al suo essere burbero, ignorando le buone maniere.

“Scusa se ci ho messo tanto, certo, non sarebbe stato male se mi avessi avvisato prima di presentarti a casa mia” lo rimproverò come faceva sempre.

È anche casa mia, ti ricordi? Ci siamo cresciuti. Si trattenne, preferiva lasciarsi scivolare tutto destando ancora più l’ira del fratello. Gli rodeva come, da primo figlio, avesse diritto a tutto, mentre lui doveva accontentarsi del rimanente, dei giocattoli meno divertenti, di una donna meno bella, di una casa più piccola.

Rodolphus prese posto nella sedia accanto, si accese un sigaretta inspirando a fondo ad ogni boccata ed allungò le gambe ancora immerso nel sonno.

“Fatto tardi con Bella o sbornia?” gli chiese Rabastan con quel sorrisetto sulle labbra che non cancellava mai, sapendo quanto lo irritasse.

“Uhm entrambi” teneva lo sguardo basso, sbuffò un po’ di fumo.

“Ah le sbronze post Bella, devo ammettere che mi era mancato vederti così” lo squadrava da capo a piedi con un ghigno.

Il maggiore grugnì stizzito.

“Senti Rab se sei venuto qui a prendermi in giro puoi anche andartene, se non lo fai tu me ne occupo io. A te la scelta fratellino” lo avvertì con la voce fredda e tagliente.

“In realtà ero venuto qui per qualche consiglio da fratello più grande” ribatté, con una punta di sarcasmo.

“Ti sposi fra una settimana e hai già problemi coniugali?” gli chiese, ricambiando la risata.

Tu poi non potresti parlare pensò il minore.

“Lei non è male, è bella, ha quasi venti anni meno di me. Però mi conosci, non ho la tua pazienza, non reggerei un matrimonio, una famiglia. Insomma non sono famoso per rapporti che durino più di una notte” costatò continuando a guardare le fiamme.

Rodolphus non rispose subito, immerso nei suoi pensieri. Aveva invidiato profondamente la condizione del fratello una volta accortosi che il suo matrimonio era una facciata. Rabastan poteva fare tutto in assoluta tranquillità, senza che lo giudicassero, egli invece, doveva ricorrere a sotterfugi, scuse, attento a non essere visto, non solo dalla moglie, ma dall’intera comunità magica. Purtroppo rispettare il suo cognome aveva la precedenza.

“Ah beh, ti serve il mio aiuto in questo senso. Divertente come si capovolgano le situazioni” terminò la sigaretta accendendosene subito un’altra.

Sentirono i passi risuonare per il corridoio che precedeva lo studio, la porta si aprì con decisione.

“Rod” si interruppe “Oh guarda chi abbiamo qua, Lestrange numero due, che puntualmente non avvisa mai quando si presenta. Poteva entrare con una mise succinta per mio marito” sorrise mordendosi le labbra rosse.

Gli occhi di Rabastan indugiarono su quella bocca, percorsero famelici il suo viso cedendo a quello sguardo fatale.

“Non credo mi sarebbe dispiaciuto” mormorò con un sorriso sbilenco osservando le fiamme.

“Non avevo dubbi. Peccato che non è il tipo di cose che riserverei a te” stava appoggiata allo stipite con il mento sollevato e un sopracciglio inarcato “comunque a cosa dobbiamo la tua presenza?” aggiunse.

“Chiacchierata fraterna” rispose il marito guardandola negli occhi.

La donna non abbassò lo sguardo, sostenendolo con la fierezza che la contraddistingueva.

“Ti avviso, mio caro cognato, che se cerchi qualcuno che ti spieghi come avere relazioni extraconiugali, Lestrange numero uno non è proprio la persona più adatta” scrutava il marito, sulle labbra l’ombra di una risata.

Si avvicinò a Rodolphus scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia.

“Comunque vi lascio ai vostri discorsi” disse con noncuranza “Dopo parliamo Roddie” gli sussurrò canzonandolo con quel soprannome che tanto odiava.

Uscì dalla stanza prima che i due fratelli, esterrefatti, potessero replicare. Appena i passi si allontanarono tirarono un sospiro di sollievo.

“Dopo ti insulta oppure ti Crucia?” il minore sorrideva.

Rodolphus sbuffò certe volte Rabastan ti ucciderei volentieri.

Rimasero a lungo senza parlare, entrambi persi nei loro pensieri.

“Come farai con Azkaban? Io, te e Bella siamo i primi in lista” chiese d’un tratto il maggiore, come per dare voce alle proprie riflessioni.

Rabastan si portò indietro i capelli, continuando a fissare il fuoco in attesa di chissà quale risposta dalle fiamme, afferrò nuovamente il bicchiere.

“Il Wizegamot è abbastanza misericordioso in caso di figli e io, quanto pare, sarò… padre. Insomma questo potrebbe cambiare poco le sorti, ma in ogni caso la famiglia di Violette è nel Ministero della Magia da tanti anni che dubito possano farle qualcosa. Denaro ne abbiamo entrambi a sufficienza, dunque non vedo problemi” sussurrò mandando giù un altro sorso

“Voi, invece, siete fottuti” aggiunse con un ghigno soddisfatto.

Rodolphus sospirò tenendo lo sguardo basso, aspirò una boccata quasi a distruggersi i polmoni, tutto sommato era felice per il fratello, eppure non poteva non odiarlo in quel momento. C’era stato un periodo in cui aveva desiderato ardentemente che Voldemort morisse così da avere la vita che aveva sempre sognato con la donna che amava, ora gli restavano pochi mesi e poi la condanna eterna.

“Non ne avete parlato proprio tu e Bella? Quella donna ne sa una più del diavolo, potrebbe avere qualche idea” aggiunse Rabastan interrompendo il flusso dei suoi pensieri.

“Diciamo che abbiamo avuto altro da fare. Non mi sembra, però, riluttante a tornare ad Azkaban, soltanto stamattina ha fatto un’inspiegabile scenata al nuovo decreto che pone gli Auror al posto dei Dissenatori” rispose leggermente perplesso per l’accaduto di quella giornata, ci aveva meditato a lungo.

Rabastan lo squadrò con un’occhiata eloquente, piegando le labbra in un sorriso che non aveva nulla di allegro.

“Certe volte, fratello mio, dubito seriamente della tua intelligenza e perspicacia. Secondo te perché non si preoccupava affatto dell’incarcerazione e poi, in seguito alla notizia, si è arrabbiata? Eppure dici sempre di conoscerla bene ma, quando si tratta di lei, hai l’abitudine di negare l’evidenza” costatò con amarezza.

Rodolphus respirò a fatica, sentiva improvvisamente caldo, la stanza seppur grande lo opprimeva.

Certo che la conosco, ho notato lo sguardo privo di quella luce che l’animava, quanto sembrasse non veder l’ora per il processo, ma hai ragione voglio negare costantemente la verità non potendo accettare qualcosa di così amaro come una moglie che desidera morire.

Non riuscì a dire quello che pensava, dare voce ai pensieri significa dargli concretezza, concedergli di esistere, lui non voleva permetterlo. Lo sguardo al fratello fu eloquente, fu forse la prima volta in cui erano vicini senza insultarsi, la prima volta in cui si compresero senza parole.


******************************************************


Il sole stava calando, le sfumature pastello del cielo cedevano il posto al mantello della notte che copriva il paesaggio con la sua tenebra.

Bellatrix amava intensamente quel momento di attesa per il buio, chiudeva gli occhi e in una manciata di minuti poteva contemplare l’oscurità che trionfava sulla luce.

“Un’immagine forse troppo poetica per te, Bella” udì alle sue spalle.

“Mio Signore” la voce carica di sorpresa e ammirazione “Le ho forse detto quale onore averla qui, al mio matrimonio, nella villa mia e di mio marito” aggiunse.

“Almeno una ventina di volte solo stasera” fece un sorriso gelido mentre la scrutava avidamente.

Bellatrix volse nuovamente il suo sguardo alle stelle, conscia di aver posato gli occhi troppo a lungo sul suo maestro. Mantenne il silenzio per un po’, non sapendo cosa dire, avvertiva la Sua presenza poco dietro.

Voldemort si avvicinò sovrastandola di vari centimetri, la donna poteva sentire il fiato sul collo, la pelle fredda di lui che sfiorava la sua, ardente come il suo cuore.

“Ti facevo più concreta” le sussurrò.

La Mangiamorte sorrise “Ci sono molte cose che le persone ignorano di me”

“Ma io non sono come gli altri, o erro?” le domandò.

Bellatrix tacque, riprese ad osservare il cielo, nel vano tentativo di calmarsi, di frenare quel cuore che batteva furioso.

L’uomo le spostò i capelli con una mano, lasciandole scoperto il collo dalla pelle d’avorio.

“Perché non sei dentro, accanto a tuo marito, a fare i convenevoli, sorridere agli ospiti e conversare, come ogni moglie purosangue che si rispetti?” la voce era poco più che un sussurro, le labbra a pochi centimetri dall’orecchio.

La donna si voltò, piantando gli occhi onice in quei pozzi neri con un po’ troppa sfacciataggine.

“Ma io non sono come gli altri, o erro?”

Voldemort si sorprese alla risposta, a quello sguardo schietto che nulla temeva. La attirò a se baciandola con violenza, avvertendo quel sangue puro pulsare velocemente. Si distaccò, rapido, quasi la cosa lo ripugnasse.

“Hai una missione da eseguire, stanotte” le ordinò, come se nulla fosse accaduto.

La Mangiamorte sorrise mentre una goccia scarlatta percorse le labbra, il mento, cadendo sul corpetto bianco. Innocenza macchiata di sangue.

“Felicitazioni Signora Lestrange” le sussurrò allontanandosi.

“Bellatrix. Sono sempre Bellatrix” e si voltò, tornando a guardare la stella che portava il suo nome.

Un tocco delicato le sfiorò i fianchi, sussultò ritornando al presente.

“Ti ho spaventata?” le chiese in un sussurro.

Rodolphus la guardò negli occhi: un turbinare di emozioni, la paura, lo sconforto, la malinconia, la tristezza, forse qualcosa di più… all’improvviso nulla, il vuoto più totale, impenetrabili come sempre.

“No. Stavo solo pensando” si affrettò a rispondere Bellatrix, liquidandolo con un’occhiata fugace.

A cosa? A cosa pensi con quegli occhi? A cosa pensi quando sei te stessa, nuda davanti alla vita? L’avrebbe afferrata per le spalle sottili, per riscuoterla da quel silenzio che tutto gli taceva.

“E poi credevo fossi con Rabastan” aggiunse ella, forse intuendo troppi interrogativi.

“Se n’è appena andato, ti saluta” ribatté freddamente.

“Che c’è gli faccio troppa paura per presentarsi?” incrinò le labbra in una smorfia.

Non gli fai paura, è questo il problema. Rodolphus abbassò lo sguardo poggiando la mano su quella della moglie. Ella si irrigidì al tatto, senza scostarsi.

“Beh diciamo che per come ti eri presentata…” le mormorò.

Bellatrix sorrise stanca, quasi le costasse uno sforzo sovrumano “Oh se è per la faccenda delle tue… chiamiamole relazioni, non me ne frega più di tanto”

Possibile che nulla potesse smuoverla? Perché non poteva avere una reazione da parte sua?

“Da quanto tempo lo sai? Perché non hai mai detto niente?” le chiese a bruciapelo.

“Da sempre” si sentì rispondere, lo guardava con schiettezza “E me lo sono sempre aspettato, d’altronde voi uomini siete tutti uguali… Almeno le tue non hanno dieci anni” aggiunse.

Gli occhi presero a scrutare l’orizzonte, in realtà guardavano molto più lontano e allo stesso tempo non vedevano nulla. Persa non era l’espressione più adatta, ma decriveva appieno lo smarrimento che provava.

Rodolphus tacque osservandola: in quel momento poteva leggerle l’anima e poteva, al contempo, non scorgervi niente se non il vuoto assoluto. Si rese conto di quante cose ignorasse sul suo conto, di quanto misteriose fossero la maggioranza delle sue frasi, di come alludesse a cose che lui non poteva conoscere.

“Che ne sai di… loro?” dopo una lunga pausa che sembrò durare ore.

Ella sollevò un sopracciglio “oh non ho mai detto di non aver fatto niente” gli disse con una punta di sarcasmo “diciamo che quelle donne hanno imparato quali sono i… rischi di andare al letto con il marito di Bellatrix Lestrange” le labbra increspate in un sorriso sadico.

“Quindi potremmo chiamarla gelosia” dedusse l’uomo pienamente soddisfatto, riducendo le distanze fra i loro corpi.

Ella alzò gli occhi al cielo “suvvia Lestrange, non credere che lo abbia fatto per te” disse seccata “piuttosto ci tengo a mantenere la mia reputazione” soggiunse squadrandolo divertita.

Rodolphus la spinse contro la balaustra, i corpi che aderivano perfettamente, le labbra premute con forza.

“Non ti credo, Black” sussurrò prendendo fiato.

“Pensavo l’avessi capito che non me ne frega niente di te” ribatté lei, tra il serio e il divertito.

Le sollevò il mento guardandola dritta negli occhi.

“Allora perché mi hai sposato?” le chiese sfacciatamente.

“Per ambire ad un perfetto matrimonio che potesse preservare la mia stirpe pura e blah blah blah” ripeté, recitando come un mantra, quello che le tutte bambine purosangue devono sapere sin dalla tenera età.

“Quindi perché proprio io? Perché non Malfoy, mio fratello o tanti altri?” chiese in un misto di stizza e curiosità.

Bellatrix sembrò pensarci, abbassò lo sguardo mentre con una mano si attorcigliava i capelli, appariva quasi nervosa.

“Eri la migliore scelta peggiore” disse così, su due piedi, quasi le fosse venuto al momento. L’espressione era seria anche se l’angolo della bocca era leggermente sollevato come se la cosa, al contempo, la divertisse.

Rodolphus sorrise scuotendo la testa rendendosi conto che quell’affermazione, seppur assurda, era la descrizione perfetta di quello che provava per lei.

La strinse a sé “E tu cosa sei per me?” le chiese in un sussurrò, nonostante conoscesse la risposta, avvicinando le labbra alle sue.

La donna si scostò, respirava a fatica mentre il volto era diventato improvvisamente cereo, una sensazione di freddo nelle ossa. La mente vagava in un alternarsi di passato e presente ed ella cercava di allontanare il primo, di cancellare i ricordi.

Cosa ti resta poi? la coscienza prendeva il Suo tono.

La voce del marito le giunse ovattata, si mescolava ad un coro di altre.

Resto io, Bellatrix.

“Forse sono abbastanza” mormorò riuscendo a vincere quella sensazione che in quei due mesi non faceva altro che perseguitarla.


*************************************************************



 

I due coniugi stavano seduti l’uno di fronte all’altro sull’enorme davanzale dello studio. Bellatrix, il viso struccato e le ginocchia al petto, aveva quasi un’aria indifesa.

Entrambi bevevano una cioccolata calda, un rituale che condividevano ogni volta che c’era da parlare di questioni importanti, nel frattempo il fuoco scoppiettava nel camino. Nonostante fosse luglio la notte era particolarmente fredda.

“Dunque” la donna si schiarì la gola “ te lo dico senza troppi preamboli: io non voglio morire Rod” fece una pausa per gustare l’espressione sollevata del marito, tuttavia egli sapeva che sarebbe seguito dell’altro.

“Ma?” si limitò a chiederle.

“Ma non ho intenzione di marcire in una prigione per il resto dei miei giorni, né tanto meno sono disposta a scappare, non è vita neanche quella” bevve un sorso di cioccolata.

“Sono due mesi e mezzo che viviamo in questa situazione e sappiamo entrambi che non durerà per molto, dunque dobbiamo agire, il come mi è ancora incerto. L’unica cosa che so è che se dovessi tornare ad Azkaban non esiterei ad uccidermi, non potranno avermi MAI” scandì l’ultima parola guardandolo con sicurezza.

Rodolphus si sentì meglio per quelle parole, le condivideva in tutto e per tutto ed avvertiva, in esse, ogni sfumatura della Bellatrix che conosceva bene… tuttavia c’era una nota dolente.

La donna si avvicinò, senza che gli occhi lo mollassero un secondo.

“Rod io non so come…” si morse le labbra “insomma non pensavo neanche che…” farfugliò e poi tacque per riordinare i pensieri.

“Sono incinta”



 

Ebbene sì, torno con un altro capitolo. Dopo un mese, lo so, ma ero in vacanza e scrivere dal telefono è un’impresa. Spero vi piaccia, è molto lungo ma volevo concentrare il tutto in un solo capitolo. Ora che ho il mio pc pubblicherò più frequentemente.

A presto :*

P.S. Rod e Bella sono la mia vita ma un pizzico di Bellamort ci voleva (spero di averli resi bene)

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