The French teacher

di Alexiel94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***
Capitolo 4: *** Parte IV ***
Capitolo 5: *** Parte V ***
Capitolo 6: *** Parte VI ***
Capitolo 7: *** Parte VII ***
Capitolo 8: *** Parte VIII ***
Capitolo 9: *** Parte IX ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Note: Questa storia è completamente non programmata, ma unendo due mezze idee che avevo da inserire in altre storie è saltata fuori questa fanfiction. Per essere originale penso che lo sia, ma sarà una cosa molto più leggera della scorsa mini long. Anche qui i capitoli non saranno moltissimi (prevedo un massimo di cinque-sei), ma spero riescano a piacervi.
I nomi dei personaggi:
Isabel, si legge come in spagnolo (ovvero con l'accento sulla "I"). La scelta di questo nome verrà chiarita nel prossimo capitolo.
Jonathan, scelto completamente a caso. Mi piace come nome e penso si adatti al suo cognome.
Sophia, il nome significa "conoscenza" ed è più che adatto al personaggio.
A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura.

 
The French teacher
Parte I

 

Il momento della verità era giunto.
Mentre l'insegnante scorreva l'elenco chiamando alla cattedra i ragazzi per restituire il compito in classe, Isabel pregava di non avere ancora l'insufficienza. I patti con suo padre erano stati chiari: se non fosse riuscita ad alzare la media dei voti di francese avrebbe potuto benissimo dire addio agli allenamenti di karate fino a fine anno. 
Di solito non era un uomo tanto severo o esigente, ma quando, dopo aver letto la pagella di fine semestre, aveva scoperto che la figlia in tutto l'anno aveva preso solo F in quella materia era andato in escandescenze. La ragazza si era difesa dalle accuse usando come arma le A in latino e storia, ma non erano servite a mitigare molto l'ira del padre. Così erano giunti a quel compromesso. 
Isabel aveva passato tutta la settimana precedente al compito a studiare il francese partendo dalle basi, ma quando aveva letto le domande della verifica e le erano sembrate chiare come i linguaggi informatici che tanto appassionavano quella nerd della sua migliore amica, aveva capito che sarebbe stata dura riuscire ad arrivare alla sufficienza. Aveva provato a rispondere a tutte le domande come meglio poteva, consegnando al termine dell'ora con la consolazione di averci almeno provato.
-Grace- chiamò l'insegnante, riportandola alla realtà.
Isabel si alzò e raggiunse la cattedra col cuore in gola. Sentì quasi mancarle la terra sotto i piedi quando vide una grande F cerchiata in rosso in alto a destra sul suo compito. 
Addio karate, pensò affranta.
Afferrò il foglio con noncuranza e prima che potesse andarsene al posto la professoressa le disse -Vorrei che ti trattenessi qualche minuto dopo la fine dell'ora per parlare del tuo compito-.
-Sì, Miss McLean- mormorò Isabel. 
Attese la fine della lezione fissando il voto con aria abbattuta e quasi non si accorse del suono della campanella. Sistemò i libri e quaderni nello zaino e aspettò fino a che tutti gli altri non uscirono con gli occhi azzurro chiaro fissi sul foglio, senza in realtà vederlo, e il volto coperto dai capelli corvini. Fu la professoressa a sedersi di fronte a lei, prendendo la sedia del posto davanti e sedendosi a cavalcioni, con le braccia poggiate sullo schienale.
Era una donna giovane, non poteva avere più di trentacinque anni. Portava i capelli castani rigorosamente asimmetrici e aveva persino una piuma di aquila in una treccia che le ricadeva su un lato del viso. Non vestiva in modo appariscente, e nemmeno adatto ad un'insegnante. Portava dei jeans strappati al ginocchio e una camicia bianca a maniche corte aperta sul collo, che mostrava una collana con un ciondolo a forma di lupo. La parte più strana erano gli occhi, dai quali fissava Isabel con severità: ogni istante sembravano cambiare colore, da verde a marrone ad azzurro.
-Grace, io non so più che fare con te- esordì.
La ragazza si sentì avvampare di vergogna. Non era sufficiente la consapevolezza di essere negata in quella materia, doveva per forza essere necessaria la predica della professoressa.
-Se deve rinfacciarmi la mia incapacità, me ne vado anche ora- disse, alzandosi dal posto.
Miss McLean le afferrò il braccio, fermandola.
-Voglio solo dirti che non ho alcuna intenzione di bocciarti, ma se non cominci a impegnarti seriamente nella mia materia ciò sarà inevitabile-.
Isabel divampò di rabbia.
-Impegnarmi seriamente? Ha una vaga idea di quanto tempo ho passato a studiare per questo compito?! Se per lei non è abbastanza, è un problema suo, non mio!-.
L'insegnante la guardò con un cipiglio severo che non le aveva mai visto, ed effettivamente la ragazza non aveva mai visto nessuno rispondere alla professoressa in quel modo impertinente e irrispettoso. Cominciò a pentirsene, ma ormai il danno era fatto e di certo lei non si sarebbe abbassata a chiederle scusa.
-Dovresti portare un po' più rispetto per gli adulti, tua madre non te l'ha insegnato?-.
Questa ultima frase fu come una coltellata al petto. Per un attimo non riuscì a respirare e dovette farsi forza per ignorare il nodo alla gola.
Replicò, cercando di mettere quanto veleno possibile nelle sue parole -È piuttosto difficile che una persona morta ti insegni qualcosa, non crede?-.
L'insegnante assunse un'espressione mortificata, ma Isabel non rimase ad ascoltare la sua replica. Si liberò dalla sua presa, afferrò lo zaino e uscì più velocemente possibile dall'aula, sperando che la donna non avesse notato la lacrima traditrice che le scorreva lungo il volto.

Stava mangiando il suo panino quando una persona si sedette al suo fianco.
-Heylà cugina- la salutò il ragazzo biondo con un sorriso smagliante.
Jonathan Castellan aveva diciannove anni ed era uno dei ragazzi più ambiti della scuola, nonostante fosse ripetente. Era alto, pallido e dagli occhi azzurri; probabilmente il ragazzo più sfacciato dell'universo. Isabel non riusciva proprio a capacitarsi di come le altre ragazze potessero scambiare la sua sfacciataggine per simpatia, ma stava di fatto che era sempre circondato da gruppi urlanti di oche giulive, nonostante fosse fidanzato da un anno e mezzo.
-Ciao Jonny- rispose lei mogia, senza neanche guardarlo in faccia.
-Perché tutta questa tristezza?- chiese una voce femminile, seguita dall'arrivo di una ragazza che si sedette di fronte a lei.
Sophia Jackson era la sua migliore amica, nonché fidanzata di suo cugino, ma in quel momento non aveva proprio voglia di incontrare la sua allegria e il suo ottimismo. Questa si sistemò i capelli corvini e gli occhi grigi, nascosti dietro un paio di occhiali da vista, la guardavano con curiosità, in attesa di una risposta.
-Ho preso un'altra F in francese e adesso papà mi interdirà il karate fino a fine anno-.
-Ahia- commentò Sophia.
-Se vuoi, puoi chiedere asilo politico da me per tutta la settimana, o almeno finché zio Jason non si calma- propose subito suo cugino. 
Isabel sorrise a quell'idea. I suoi zii sarebbero stati più che felici di accoglierla per qualche giorno ed era sicura che zia Talia sarebbe riuscita a far calmare suo padre. Stava addentando un altro pezzo del panino quando vide entrare in mensa una donna che riconobbe fin troppo bene. Per poco non si strozzò col cibo, riuscendo a riprendersi abbastanza da nascondersi sotto al tavolo poco prima che la donna ci passasse di fianco. 
-Stai bene?- le chiese l'amica, quando finalmente Isabel riemerse dal tavolo e incontrò gli sguardi allibiti e perplessi degli altri due. -Hai preso un'insufficienza nella sua materia, ma non mi sembra il caso di nascondersi in quel modo dalla tua insegnante-.
-Ho litigato con la McLean- confessò.
-Come?! Miss McLean è la migliore! Avrei capito se fosse stata quella vipera della Tanaka, lei è un'insegnante che fa venire voglia di litigare- disse Jonathan.
La fidanzata lo guardò male.
-Miss Tanaka non è perfida come la definisci tu-.
-No, certo- replicò il ragazzo, per poi proseguire in falsetto -"Ciao a tutti, sono Drew Tanaka, la vostra insegnante di francese, e vi informo che solo un terzo di voi avrà la sufficienza nella mia materia". Sai che è stata lei a farmi bocciare al secondo anno? Quell'emerita...- definì l'insegnante con alcuni epiteti talmente volgari che Sophia, scandalizzata, gli tirò un calcio sugli stinchi.
-Sei violenta- si lametò lui in tono teatralmente addolorato. 
Isabel non poté fare a meno di scoppiare a ridere e in quel momento il pensiero dell'insufficienza e del litigio con la professoressa furono più lontani che mai.

Quel giorno suo padre era particolarmente gentile, il che la rese sospettosa.
Jason Grace era conosciuto per essere un buon uomo, sempre disponibile e pronto ad aiutare il prossimo, ma la cortesia di quel pomeriggio superava persino i suoi standard.
Era alto, dal fisico palestrato, biondo e con gli stessi occhi azzurri della figlia. Quando Isabel era tornata si era sorpresa di ritrovarlo a casa, anche se doveva essere arrivato da poco visto che portava ancora la divisa da ispettore di polizia. 
Isabel amava il suo lavoro. La aveva sempre affascinata l'idea di dare la caccia ai criminali, ma il padre non le permetteva di immischiarsi con i suoi casi. Riteneva che una ragazza di quindici anni fosse troppo piccola per avere a che fare con cadaveri, interrogatori e serial killer, ma lei cercava insistentemente di mettere mano nei vari referti che Jason portava a casa al fine di aiutarlo. Raramente qualcuno dei suoi tentativi andava a buon fine, mentre nella maggior parte dei casi era colta in flagrante da un a dir poco irritato Jason, che partiva in quarta con la filippica sul fatto che il materiale delle indagini non era adatto a lei.
Quel giorno invece le parlò del caso su cui stava lavorando e le permise addirittura di leggere la copia del verbale dell'interrogatorio di uno dei sospettati. Questo le aveva già fatto intuire che ci fosse sotto qualcosa e Isabel decise allora di metterlo alla prova, avvicinandosi a lui mentre era intento a leggere il giornale. 
-Ehm, papà- lo chiamò. 
L'uomo ripiegò il giornale sulle sue gambe. -Dimmi, tesoro-.
Male. La lettura del quotidiano era un atto quasi sacro per suo padre; il fatto che lo avesse interrotto e l'avesse inoltre chiamata "tesoro" era un pessimo segno.
-Ho preso un'altra F in francese- mormorò la ragazza, sedendosi al suo fianco.
-Mi dispiace, ma farai meglio la prossima volta- disse Jason, sorridendole con fare incoraggiante.
Questa era la conferma dei suoi sospetti. Si sarebbe aspettata come minimo una sfuriata che sarebbe stata sentita da almeno tutto il vicinato, oltre la revoca del karate alla quale sarebbero seguite quelle di cellulare, computer e lettore musicale.
-Va bene, confessa: cosa c'è sotto tutta questa gentilezza?-.
Jason rise. 
-Hai presente la donna con cui esco da qualche mese?-.
Isabel aggrottò la fronte. Suo padre le aveva detto di stare uscendo con una donna, il che non l'aveva resa molto entusiasta.
Era vero, Jason era un uomo affascinante e non vi era nulla di male se dopo dieci anni dalla morte della moglie avesse cercato di rifarsi una vita. Eppure il solo pensiero di suo padre di fianco ad una donna era sufficiente a  farle provare diverse fitte di gelosia.
-Ehm... quella che hai trattenuto erroneamente per un'interrogatorio lo scorso aprile?-.
-Sì, lei-. Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. -Ti darebbe fastidio se venisse da noi a cena stasera? Così la conoscerai, finalmente-.
La ragazza gli scoccò un'occhiataccia.
-Anche se mi desse fastidio, lei verrebbe qui comunque, giusto?-.
Jason alzò le braccia con aria colpevole.
-Mi hai fregato, miss Grace-.
Cercò di mettere quanto più entusiasmo possibile mentre aiutava il padre a preparare la cena. L'uomo sorrideva, con un'espressione contenta che raramente gli aveva visto e le sembrava ingiusto distruggere la sua felicità a causa della sua gelosia. Non poteva fare a meno di chiedersi come fosse questa donna; Jason le aveva raccontato che quando aveva detto di avere una figlia adolescente alla sua ragazza, questa inizialmente ne era rimasta colpita per via della sua giovane età, poi gli aveva annunciato che non vedeva l'ora di conoscerla. Per cui, nonostante i sentimenti di avversione verso questa fidanzata, non doveva essere una cattiva persona. Diede un'altra occhiata al viso sorridente del padre e decise che avrebbe provato ad essere bendisposta verso la donna per lui. 
Alle otto la tavola era apparecchiata e le pietanze già pronte. Mancava solo l'ospite, che non tardò ad arrivare.
Entrambi avevano accordato che sarebbe stato gentile ed educato se fosse andata Isabel ad accoglierla, che così l'avrebbe conosciuta fin da subito. Ma quando aprì la porta per poco non le venne un colpo.
-Miss McLean?-.
Sulla soglia di casa sua c'era l'insegnante di francese, che la guardava allibita. 
Isabel non l'aveva mai vista così: indossava un tallieur nero, la cui gonna le arrivava fino a poco sopra al ginocchio, e dei tacchi a spillo coordinati. Era anche truccata - non molto, solo eyeliner argentato e un po' di rossetto, ma abbastanza da essere evidente. L'unica cosa in comune che aveva con quando era in classe era la collana del lupo e la piuma d'aquila nella treccia.
Era davvero bellissima e non faticava a credere che suo padre fosse stato colpito da lei.
-Isabel Grace?- mormorò lei, incredula.
-Tesoro, hai invitato Piper a entrare?- chiese Jason, arrivando sulla soglia di casa con un panno da cucina ancora tra le mani. 
Notò gli sguardi che le due si lanciavano e intuì la situazione.
-Vi conoscete?-.
Isabel sentì le guance avvampare. Che fosse di imbarazzo, vergogna o rabbia, non sapeva dirlo. 
Poteva però dire con certezza che il suo proposito di essere carina con la donna di suo padre aveva ufficialmente fatto le valige ed era partito per la Thailandia.
-Papà, hai davanti la mia insegnante di francese-.

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Note: Cavolo, stavolta sono stata velocissima ad aggiornare. Non abituatevi, purtroppo questi tempi di aggiornamento sono un'eccezione. Colgo l'occasione per ringraziare i lettori.
I nomi dei personaggi:
Marcus, deriva da Marte.
Buona lettura.
The French teacher
Parte II


 
La situazione a cena non poteva essere più imbarazzante. 
Jason era seduto capotavola e le altre due ai suoi lati. Isabel cercava di evitare lo sguardo della donna, concentrandosi sul suo piatto. D'altro canto anche Miss McLean dimostrava di essere in disagio, evitando accuratamente di rivolgersi in qualche modo alla ragazzina.
-Ehm... oggi avete passato una bella giornata?- domandò l'uomo, nel vano tentativo di aprire una conversazione che potesse coinvolgere entrambe. Si beccò due paia di occhi che lo guardarono torvi, così ci rinunciò.
Ovviamente non sapeva del litigio avvenuto quella mattina e Isabel non era certo disposta a chiedere scusa all'insegnante, tantomeno davanti al padre. Sapeva che si stava comportanto in modo stupido e infantile, ma era troppo orgogliosa per ammettere di avere sbagliato. Inoltre si sentiva a dir poco tradita dal fatto che Jason stesse frequentando la donna che poteva essere la potenziale causa della sua bocciatura.
-Credevo che lei fosse già sposata- disse all'improvviso, rivolta alla donna.
Miss McLean le mostrò la mano sinistra, con le dita ben distanziate.
-Non porto alcuna fede- replicò pacatamente.
Uno a zero per l'insegnante. Eppure Isabel era certa che per i corridoi della Goode High School girassero delle voci su un marito della donna. Tentò un azzardo, impulsivo e soprattutto decisamente scorretto nei confronti di entrambi gli adulti presenti.
-Mi riesce davvero difficile credere che una donna bella come lei non sia mai stata sposata-.
Dall'espressione della donna comprese di aver fatto centro. Il suo volto era un misto di rabbia, dolore e incredulità ma la voce che replicò non fu la sua.
-Isabel, ti sembra questo il modo di comportarti?- la rimproverò suo padre.
-Tu quoque, Jason, pater mi?- pensò la ragazza, arrabbiata. O almeno, credette di averlo pensato.
Si accorse di averlo detto ad alta voce quando vide le iridi azzurre del padre lampeggiare d'ira.
A quel punto non poté più reggerlo e, furibonda, si alzò dal tavolo e andò in camera sua al piano superiore, sbattendo la porta con violenza. 
Non riusciva ad accettare che Jason le remasse contro in quella maniera. Insomma, lei lo stava solo mettendo in guardia da una donna che conosceva appena e la cosa le sembrava più che giusta.
In realtà la frequenta da otto mesi, non è che la conosce appena, le ricordò la parte più razionale di sé. Fu però quella istintiva a prevalere e tirò un pugno al muro dalla frustrazione, col risultato di farsi un gran male alle nocche. Imprecando e insultando suo padre e la donna, parte in inglese e parte in spagnolo, si lasciò cadere sul letto col cuore ancora martellante di rabbia. Possibile che Jason non riuscisse a capire come in realtà lei avesse ragione?
L'illuminazione fu talmente folgorante che si ritrovò in piedi senza neanche rendersene conto. C'erano delle persone che sarebbero state dalla sua parte e le avrebbero dato ragione. Il che, unito al rifiuto di passare in casa più tempo del necessario sapendo che sotto al suo stesso tetto c'era suo padre con quella donna, diede il via alla sua idea.
Prese il cellulare, compose in fretta il numero di Jonathan e premette il tasto verde di chiamata. Il cugino rispose dopo pochi squilli.
-Pronto, Isabel. Come mai chiami a quest'ora?-.
-Agli zii va bene se dormo da voi stanotte? Poi ti spiego tutto-.
-Certo, sai che puoi venire a casa nostra quando vuoi-.
Le sembrava quasi di vedere Jonathan sorridente davanti a sé, mentre le dava quella risposta in tono gioviale.
-Tra dieci minuti sono lì da te-.
Chiuse la chiamata. Prese la cartella e la svuotò dei libri che non le sarebbero serviti la mattina seguente, mettendoci invece il pigiama e il ricambio per il giorno successivo, scendendo poi le scale in fretta. Si bloccò quando vide due sagome in salotto e sentì le voci di suo padre e della sua insegnante fare il suo nome. Cautamente, si avvicinò alle loro spalle, nascondendosi dietro un mobile per non farsi vedere.
Jason e la donna erano seduti sul divano, sul cui tavolino di fronte erano presenti due bicchieri che l'uomo stava riempiendo da una bottiglia di vino rosso.
-Di solito non si comporta in questo modo- stava dicendo lui. -Penso sia molto gelosa di te-.
-Gelosa?- chiese Miss McLean, attonita.
-Quando Reyna è venuta a mancare, Isabel aveva solo cinque anni e credo che ancora oggi non abbia accettato del tutto la sua morte-.
Solo sentire il nome della madre fu come un pugno allo stomaco. Aveva ben pochi ricordi di lei, ma quando le parlavano di quanto somigliasse a Reyna Avila Ramirez-Arellano riusciva a richiamare le qualità che avevano in comune: la fierezza, l'orgoglio e la tenacia. 
Molto probabilmente era vero ciò che aveva detto Jason. Forse non era ancora riuscita a prendere atto della morte della madre, ma non lo avrebbe mai ammesso. 
-Capisco- mormorò l'insegnante.
No, tu non puoi capire, pensò Isabel, amareggiata.
-Sai, è stata lei a sceglierle il nome. Ha chiamato nostra figlia Isabel come la regina spagnola che finanziò il viaggio di Colombo-.
-Tua moglie era spagnola?-.
-Portoricana- precisò Jason. 
La ragazzina si sentiva bloccata. Oltre all'immenso fastidio che provava al fatto che suo padre stesse facendo tutte quelle confidenze a Miss McLean, solo parlare della madre, o sentirne parlare, riusciva a portare il carico di dolore che avevano i suoi ricordi e acutizzavano la sua mancanza. 
Quando però vide le labbra dei due adulti unirsi a seguito di una frase che le era sfuggita, una scossa di rabbia la ridestò dallo stato in cui si trovava. Uscì dal nascondiglio e annunciò freddamente -Papà, stanotte dormo a casa degli zii-.
Prima ancora di attendere una risposta uscì di casa, procurandosi di chiudere la porta alle sue spalle con quanta più violenza possibile. 

-Non ci vedo nulla di male se Jason frequenta una donna- disse zia Talia.
-Mi sembra più che giusto che esca con qualcuna, in fondo è un giovane vedovo ed è normale che cerchi un'altra donna con cui stare- rincarò la dose zio Luke.
Isabel era interdetta. Non riusciva a credere che persino loro stessero dalla parte di suo padre, essendo stata sicura fino a venti minuti prima che gli zii le avessero dato ragione appena raccontato della relazione tra suo padre e la sua insegnante. 
Jonathan non si era espresso, ma palesemente era d'accordo con i genitori.
-Cerca di comprenderlo, è un uomo solo e gli è capitato di innamorarsi. Inoltre la sua donna voleva conoscerti e cercare di instaurare un rapporto con te, il che è un'ottima cosa. Secondo me dovresti lasciare perdere la tua gelosia e accettare la loro relazione- continuò l'uomo.
Isabel soppesò le sue parole. Luke Castellan era un famoso avvocato e i suoi modi persuasivi sarebbero stati capaci persino di convincere un eschimese a comprare del ghiaccio, per cui la ragazza preferiva andarci cauta.
-Ma...- provò a replicare, per poi rendersi conto che non poteva farlo.
Quella di zio Luke non era retorica; aveva centrato in pieno il problema. Lei era troppo gelosa di suo padre per accettare la relazione con una donna che non fosse sua madre e ora cominciava anche a sorgere il senso di colpa. Miss McLean non aveva mai avuto cattive intenzioni nei suoi confronti, mentre lei la stava trattando come se fosse la peggiore persona dell'universo. 
Guardò suo cugino, in cerca di un sostegno.
-Jonny, tu che mi dici?-.
Sapeva che Jonathan sarebbe stato sincero e avrebbe detto esattamente quello che pensava.
-Zia Reyna era fantastica, ma è morta dieci anni fa! Fattene una ragione e non fare queste scenate da bambina se zio Jason esce con un'altra!-.
Tre paia di occhi lo fissavano torvi. Purtroppo la sua sincerità non andava d'accordo col tatto.
Isabel abbandonò il salotto e andò nella camera degli ospiti - che ormai poteva quasi definire sua, essendo lei l'ospite più frequente. Asciugò le lacrime che scorrevano sul suo volto e sobbalzò quando sentì qualcuno bussare alla porta.
-Posso entrare?- chiese la voce di Jonathan.
Per un attimo pensò seriamente di mandarlo a quel paese, ma il tono dispiaciuto e triste con cui le aveva appena chiesto il permesso di entrare la fece desistere. 
-Sì- mormorò.
Suo cugino entrò con aria abbattuta. Si sedette di fianco a lei sul letto e disse -Mi dispiace, a volte non penso a come dire le cose e che gli altri potrebbero rimanerci male-.
-Fa nulla- replicò lei, e lo pensava davvero.
Il ragazzo la abbracciò. 
-Grazie per essermi vicino- mormorò lei, abbracciando il cugino a sua volta.
-Di nulla. Ti aiuterò con la storia di zio Jason- per un attimo la sua espressione fu seria, ma aggiunse in tono sognante -...e poi pensa che fortuna, avere una donna come la McLean in giro per casa! Quanto ti invidio-.
Isabel scoppiò a ridere.
-Jonny, sei un pervertito! Cosa direbbe Sophia se sapesse che dici cose del genere?-.
-Non lo verrà mai a sapere, altrimenti terminerei la mia esistenza a diciannove anni-.

Il giorno successivo a scuola filò tutto liscio. 
L'insegnante di inglese blaterava qualcosa su una schiera di poeti che a Isabel non interessavano, passò l'ora di matematica a dormire sul banco e nell'ora di chimica un suo compagno causò un'esplosione tale che furono costretti a evacuare il laboratorio, finendo con un quarto d'ora di anticipo. Ma fu durante l'ora di educazione fisica che ebbe il lampo di genio: si procurò di farsi colpire in faccia da una potente pallonata a pochi minuti dalla fine dell'ora, facendo sembrare la situazione ben peggiore di quanto fosse in realtà in modo da passare quella di francese in infermeria.
Non capiva del tutto perché non volesse incontrare Miss McLean. Solo pensare a lei e suo padre le ribolliva il sangue di rabbia, ma sentiva anche un peso sul cuore. Era forse il senso di colpa e vergogna che provava per come si era comportata la sera prima?
Probabile.
Allora chiedile scusa, sembrò ordinarle la sua coscienza. Ma Isabel sapeva anche di essere troppo orgogliosa per prendere un'iniziativa del genere.
La giornata passò in fretta e dopo le lezioni raggiunse il dojo. La sensei Clarisse La Rue era una specie di idolo per lei: oltre al karate aveva praticato diverse arti marziali, tra cui kick-box, muai thai e jujitsu, raggiungendo alti livelli di professionalità. Aveva però fatto richiesta per l'abilitazione all'insegnamento solo per la prima disciplina, e svolgeva con passione il suo ruolo di sensei.
Quel giorno ebbe una sorpresa. Appena ebbe indossato il karategi sentì la voce della sensei chiamarla, e la raggiunse accanto altri tre ragazzi. 
-Non vi chiederei di farlo, ma il dojo è a corto di finanziamenti- stava spiegando.
-Di cosa sta parlando?- mormorò Isabel al ragazzo alla sua destra.
Marcus Rodriguez era il figlio di Clarisse La Rue, ma non per questo riceveva un trattamento favorito. Era alto e dai tratti ispanici. I capelli castani erano sempre scompigliati e gli occhi neri avevano spesso uno sguardo duro, ma non lo era mai con lei.
-Credo di averlo capito- replicò lui. -Oggi hai letto gli annunci sulla bacheca a scuola?-.
No, non lo faceva mai e nemmeno quel giorno aveva fatto eccezione. Non vedeva la necessità di guardare i vari annunci che ricercavano cheerleader o attori per lo spettacolo teatrale di fine anno.
-Vorrei che partecipaste al torneo interscolastico di karate per la Goode High School, ho già preso accordi per spartirci equamente i ventimila dollari di premio in caso di vittoria. Il torneo si terrà a maggio e se accettate vi aspettano duri mesi di preparazione fino ad allora. Siete sicuri di volerne prendere parte?-.
-Ce lo chiede? Certo che vogliamo partecipare!- esclamò Isabel, a cui seguì un coro di approvazioni. 
Clarisse sorrise.
-Mi aspetto il massimo da voi. Ora cinquecento giri di campo!-.
I quattro fecero un'esclamazione d'assenso, scattando successivamente. Dopo neanche quattro passi la donna parlò ancora.
-Grace, vieni qua-.
Quando la ragazza la raggiunse, notò che la sensei aveva un'aria leggermente preoccupata.
-Abbiamo un piccolo problema per questo torneo: i partecipanti devono avere una pagella almeno sufficiente-.
Isabel allora capì.
-Non si preoccupi, i miei voti alti in latino e storia compensano pienamente quelli disastrosi di francese-.
-Non hai capito- l'espressione di Clarisse si fece più seria. -Devi avere la sufficienza in ogni materia-.
Oh. 
Questo era decisamente un problema.
Mascherando il proprio nervosismo disse -Non si preoccupi, le prometto che riuscirò a colmare le mie lacune-.
La sensei sorrise.
-Bene, perché non ho alcuna intenzione di rinunciare a candidare uno dei miei allievi più promettenti. Ora fila a fare i tuoi cinquecento giri di campo-.
Cavolo, ora come faccio? pensò Isabel, disperata.

Affrontare Jason quella sera fu imbarazzante, ma fecero pace quasi subito. Non erano in grado di portarsi rancore a vicenda.
Ordinarono una pizza per festeggiare la pace raggiunta ed evitarono accuratamente di tirare in ballo Miss McLean.
Ben peggiore fu invece affrontare lei. Durante il cambio d'ora venne trattenuta in presidenza per firmare i moduli di partecipazione al torneo di karate, col risultato che entrò nell'aula di francese quando la lezione era già cominciata. L'insegnante mostrò antipatia nel pronunciare il suo nome mentre faceva l'appello dei presenti e subì il suo sguardo freddo quando si sedette al banco. Per tutta la lezione cercò di prendere appunti, ma non fu facile - e nemmeno molto utile. La professoressa parlava troppo velocemente perché ella, non capendo la lingua, riuscisse a starle dietro. Alla fine dell'ora aveva scritti sul quaderno solo strascichi di frasi incompiute e non vedeva come avrebbe potuto imparare da queste.
Stava rimettendo a posto i libri per andare in mensa quando entrò in aula Marcus. Rimase molto sorpresa: egli aveva un anno più di lei e di solito, sebbene a karate fossero compagni inseparabili, a scuola preferivano frequentare ciascuno la propria cricca di amici.
-Isabel, ti cerca il preside- rivolse poi lo sguardo all'insegnante, che stava segnando alcune cose sul registro. -Miss McLean, sarebbe meglio se venisse anche lei-.
La donna gli rivolse un'occhiata perplessa, ma ripose il registro nella cartella e seguì i due alunni.
-Il preside Brunner non ha fatto il suo nome- disse ancora Marcus mentre percorrevano il corridoio -ma visto che c'è anche Miss Tanaka credo che lei sia l'unica in grado di tenerle testa-.
-Drew, quella stronza- sbottò la donna.
Isabel la guardò, sorpresa. Miss McLean non usava mai un linguaggio forbito e, a dire la verità, la ragazza era anche convinta che lei non conoscesse parolacce. 
Deve scorrere cattivo sangue tra loro due, pensò.
-Che sta combinando?- chiese Miss McLean.
Marcus alzò le spalle. -Non ne ho idea, ma se lei è coinvolta non penso sia qualcosa di buono-.
-Puoi giurarci-.
Questa premessa fece spaventare Isabel. Se era convocata dal preside con un'insegnante che tramava qualcosa contro di lei si prevedevano guai. Strinse i pugni per impedire alle mani di tremare e quando furono davanti alla porta della presidenza prese un profondo respiro prima di entrare.
-Buona fortuna- le mormorò il ragazzo. 
Lei cercò di sorridergli, ma molto probabilmente ciò che le uscì era più una smorfia. Col cuore in gola aprì la porta e varcò la soglia, seguita dall'insegnante.
Vi erano presenti una donna asiatica che aveva incrociato un paio di volte nei corridoi della scuola e il preside Brunner. Questi aveva un'aria particolarmente afflitta, come se in quel momento desiderasse ardentemente di trovarsi da qualsiasi altra parte. La loro attenzione era rivolta ad un documento sulla scrivania e non alzarono lo sguardo nemmeno dopo che Isabel richiuse la porta alle sue spalle.
-Immagino sia della classe di Piper, io a questo scritto avrei dato Inclassificabile. L'ho sempre detto, lei è troppo buona con le valutazioni...-
-Allora è una fortuna che io sia qui- la interruppe Miss McLean -così potrai discutere con me del mio metodo di insegnamento-.
La donna asiatica si voltò verso di loro, fulminando la collega con uno sguardo velenoso. Stava per replicare, ma intervenne il preside.
-Non è questa la sede per i litigi, adesso abbiamo altro di cui discutere-.
Nonostante fosse incanutito emanava un'aura di autorità. Le due donne si limitarono a guardarsi con più odio possibile, ma non dissero una parola.
Se gli sguardi potessero uccidere, queste due si sarebbero già ammazzate a vicenda, pensò Isabel.
Lo sguardo serio del preside si posò su di lei, facendola irrigidire.
-Signorina Grace, abbiamo dei problemi riguardo la sua iscrizione del torneo di questa primavera. Come ben sai bisogna avere la sufficienza in tutte le materie, mentre i tuoi voti in francese lasciano molto a desiderare-.
Ecco, avrebbe dovuto immaginarlo. 
Aveva la gola secca e il cuore martellava più furioso che mai, mentre il tremito delle mani era evidente. 
-Stavo giusto dicendo che non ha senso candidare un'alunna che è praticamente bocciata- disse Miss Tanaka.
Isabel si sentì mancare. Clarisse aveva scelto anche lei per partecipare al torneo che avrebbe rilanciato le finanze del dojo e lei aveva promesso la sua partecipazione. Non poteva deluderla in quel modo, senza neanche provare a recuperare la materia in cui era insufficiente.
-Mi sembra che le bocciature si effettuino a fine anno, mentre siamo solo a gennaio- replicò Miss McLean. -Non puoi dire che una mia alunna è bocciata già da ora-.
Sottolineò accuratamente la parola "mia", come a ricordare alla collega che lei non avesse nulla a che fare con Isabel. 
-Il succo del discorso è lo stesso, la ragazza è incandidabile- disse la donna asiatica.
-Se invece riuscissi ad alzare la media dei miei voti entro maggio?- intervenne Isabel.
Sapeva benissimo che quella era una battaglia disperata, ma non si sarebbe arresa senza combattere.
-Chi ci garantisce che ce la farai?- chiese Miss Tanaka, retoricamente.
-Io- intervenne Miss McLean. -Io garantisco che entro maggio Grace avrà voti decenti nella mia materia-.
Isabel la guardò, incredula. La donna fissava la collega con sguardo fiero e determinato, sicura di ciò che aveva appena affermato.
Mai come allora la ragazza l'aveva stimata tanto.
-Va bene allora- disse Miss Tanaka con un ghigno. -Il trenta aprile sottoporremo la ragazza ad un esame di francese, e se riuscirà a superarlo rappresenterà la scuola al torneo di karate-.
-Perfetto- disse freddamente Miss McLean. Si rivolse poi al preside, chiedendo -A lei va bene, signor Brunner?-.
-Mi sembra una condizione accettabile-.
-Oh, quasi dimenticavo- disse la donna asiatica, allargando ancora di più il suo ghigno. -Sarò io a valutare il tuo compito-.
Isabel deglutì, ma cercò di mostrarsi impassibile. 
-Non ci sono problemi-.
Brunner le congedò e la ragazza percorse alcuni corridoi in compagnia di Miss McLean, ma nessuna delle due disse nulla. Ad un tratto, Isabel si fermò. Quel corridoio era deserto, il posto migliore per chiedere quello che le premeva sapere.
-Perché si è esposta in quel modo per difendermi?- domandò. -Io sono probabilmente la peggiore studentessa che abbia mai avuto, non ha alcun vantaggio nel garantire per me. È perché sta con mio padre?-.
-Per chi mi hai presa?- sbottò l'insegnante con fare aggressivo. -Io non faccio favoritismi a nessuno!-.
L'insegnante dovette rendersi conto del tono da lei usato, visto che disse -Scusami, è che quando parlo con Drew riesce sempre a farmi saltare i nervi. Ti ho difesa perché penso che ti meriti una possibilità e che tu possa farcela-.
Isabel sentì uno strano calore all'altezza del petto. Ad eccezione di Jason e Clarisse erano davvero poche le persone che credevano nelle sue capacità, e mai avrebbe pensato che tra queste sarebbe rientrata la sua insegnante di francese.
-Grazie- disse sinceramente. Ritenne poi doveroso aggiungere -Senta, mi dispiace per l'altra sera...-
-Non fa niente- la interruppe la professoressa. Prese la sua cartella e trafficò per qualche secondo fino a prenderne un libro, che porse a Isabel. La ragazza lo prese, un po' titubante, e lesse il titolo. Les Fleurs du Mal. Provò a sfogliarlo, confermando i suoi timori: era completamente scritto in francese. 
-Ehm... lei si aspetta seriamente che io lo legga?-.
-Sì- rispose la donna, decisa. -Se non vuoi essere umiliata da Drew ti aspettano ardui mesi di studio-.
 

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Capitolo 3
*** Parte III ***


Note: So che questo capitolo è indecentemente corto, ma mi serve per gettare le basi di alcune cose che accadranno nei prossimi capitoli. Inoltre era anche troppo presto per inserire la scena centrale della storia, quella che darà una svolta definitiva al rapporto tra Isabel e Piper. 
Spero che nonostante sia corto, rispetti le vostre aspettative.
Buona lettura.



The French teacher
Parte III

Piper cominciava a sentirsi in colpa.
Aveva detto alla ragazzina di mettersi sotto con lo studio per non essere umiliata da Drew, quando in realtà sapeva benissimo di essere lei il suo bersaglio. Il loro odio durava da cinque anni ed era certa che la collega avesse proposto di porre la giovane Grace sotto esame solo per farle fare la figura dell'insegnante incapace. 
Strinse i pugni con ira. Pur di umiliare lei, Drew non si era fatta scrupoli a tirare in mezzo una ragazza che non c'entrava nulla. Nonostante lei e la studentessa non avessero un rapporto esattamente idilliaco, la cosa le sembrava inaccettabile.
-È inutile!- sbottò con rabbia Isabel, riportandola alla realtà. 
La ragazza lanciò la penna contro il quaderno con ira, che rimbalzò e cadde oltre l'orlo del tavolo, vicino ai piedi di Piper. La donna sospirò; erano passate due settimane da quando era stato proposto l'esame e da allora aveva preso l'abitudine di presentarsi a casa di Jason al fine di preparare quanto meglio possibile sua figlia. Questa però non le stava rendendo il compito facile, arrendendosi alla minima difficoltà.
Piper non sapeva esattamente come prenderla. Aveva avuto molti studenti durante i suoi sette anni di insegnamento, ma nessuno di loro era mai stato il figlio di un suo fidanzato che nutriva avversione nei suoi confronti. Non avendo figli la sua esperienza in questo campo si basava unicamente su sua nipote Mercy, che a differenza di Isabel aveva otto anni e la adorava.
Temeva costantemente di fare la mossa sbagliata con la figlia di Jason, ma d'altronde non le avrebbe permesso di sottovalutarsi o non portarle rispetto.
-Non è inutile- replicò, raccogliendo la penna da terra e porgendola alla ragazza. -Devi solo concentrarti di più e capire il senso della frase, se proprio non ce la fai a tradurre parola per parola-.
-Per lei è facile parlare, lei sa già molto bene il francese- borbottò la ragazza.
Piper non seppe se prenderlo come un complimento o come un insulto. Alle spalle di Isabel, Jason la guardò con aria severa. 
-Tesoro, cerca di non mancare di rispetto a Piper-.
-Non le sto mancando di rispetto!- protestò la ragazza.
La donna si ritrovò a sorridere davanti a quel bisticcio. Si chiese per l'ennesima volta come aveva fatto a non capire che la famosa figlia adolescente del suo uomo era lei: oltre a portare lo stesso cognome avevano gli stessi occhi celesti, e frequentando la loro casa aveva scoperto anche diversi atteggiamenti che li accomunavano. 
Pensò a come doveva essere stato per Jason crescere la figlia da solo e a cosa doveva aver provato lei vivendo senza madre, e sentì una sensazione di gelo all'altezza del cuore.
-Senta, lei come ha imparato il francese così bene? Magari potrei farlo anche io- la voce di Isabel la distolse nuovamente dai suoi pensieri.
-Ho studiato la lingua sia al liceo che al college e ho vissuto per sette anni a Parigi, ma temo che non avremo così tanto tempo-.
Dei ricordi insorsero involontari. Un bar affacciato davanti alla Tour Eiffel, il profumo di brioches appena sfornate e un giovane uomo che le riservava il suo sorriso più sincero.
Jacques.
Da quanto tempo non pensava a lui? 
Probabilmente da quando ne aveva parlato con Jason, mesi prima. Ricordava la paura di essere rifiutata dopo aver raccontato tutto in lacrime, e invece l'uomo l'aveva stretta a sé giurandole che con lui non sarebbe potuto accadere nulla del genere, per poi baciarla.
-Miss McLean, si sente bene?- domandò Isabel.
Piper si rese conto di essersi persa nei propri pensieri, di nuovo. 
-Sì, sto bene- rispose, per poi aggiungere -Tu invece hai risolto i tuoi esercizi?-.
Non dovette attendere nemmeno la sua risposta, le bastò guardare il quaderno, rimasto esattamente come la ragazza lo aveva lasciato. Sospirò, rassegnata.
-Per oggi basta così- disse, non essendo sicura di fare la cosa giusta.
D'altronde lei si stava distraendo troppo e la ragazzina non provava nemmeno a concentrarsi, per cui sarebbe stato inutile andare avanti. Ripose i suoi libri nella cartella, intenta ad andarsene ma la voce di Jason la fermò.
-Ormai è quasi ora di cena, resta qui a mangiare-.
Piper sorrise, felice dell'invito. Isabel invece non sembrò molto entusiasta della cosa, ma non disse nulla.
La donna riusciva a comprendere come si sentisse la ragazzina, ma ciò non le impedì di rimanere infastidita. Avrebbe voluto instaurare un rapporto con lei ma tutta quella avversione lo rendeva impossibile. Riusciva a leggere in quelle iridi azzurre la stessa frase che lei e sua sorella Silena avevano tanto ripetuto alle varie fiamme di Tristan McLean: Anche se stai con mio padre, ciò non fa di te mia madre.
Ora che si trovava dall'altra parte lo trovava terribilmente frustrante e ingiusto: lei amava Jason e non aveva cattive intenzioni verso la figlia. Non si meritava quello sguardo.
Isabel uscì dalla cucina, lasciando soli lei e il suo uomo. Lui la abbracciò teneramente e Piper si sentì come se il suo corpo fosse pervaso da una scarica elettrica.
-Mi dispiace per come si comporta mia figlia- mormorò -ma non posso costringerla ad accettare la nostra relazione-.
Lei gli portò le braccia dietro al collo, avvicinando il suo viso a quello del fidanzato. Si perse in quegli occhi dal colore del cielo, mentre sentiva le guance tingersi di rosso.
-Non preoccuparti, col tempo imparerà ad abituarsi al nostro amore-.
Lo baciò. Il cuore sembrava esploderle nel petto, come ogni volta che lo baciava. 
Mai era stata certa dei suoi sentimenti: lo amava. Con nessun altro uomo aveva avvertito le stesse emozioni che le faceva provare Jason, che in quegli otto mesi di relazione l'aveva fatta sentire la donna più felice del mondo. 
Si separò un attimo per riprendere fiato e lo baciò nuovamente. Mai si sarebbe stancata di farlo.
-Ti amo- disse lui, quando si separarono nuovamente.
-Ti amo- ripeté Piper.
Stretta tra le sue braccia e con la testa poggiata sul suo petto, desiderò non doverlo mai lasciare andare.

Aveva intenzione di andarsene dopo cena, ma il suo uomo la trattenne a chiacchierare. Seduti sul divano del salotto, l'uomo raccontava aneddoti divertenti sulla sua adolescenza e persino Isabel, nonostante l'aria crucciata, si faceva sfuggire qualche risata.
Piper si chiese se allora già conoscesse la moglie. Jason le aveva raccontato che si erano messi insieme a sedici anni e a venti, nonostante i genitori e le sorelle maggiori non fossero molto entusiasti della loro scelta, si erano sposati. Dopo qualche settimana Reyna aveva scoperto di essere incinta e Jason non avrebbe potuto essere più entusiasta.
Personalmente lei non avrebbe reagito in quel modo se avesse avuto un figlio a quell'età. Piper ricordava dei suoi venti anni che pensava solamente a uscire con il ragazzo di allora, stare con le amiche e studiare per gli esami del college; Non sarebbe riuscita a gestire quella che sarebbe stata una situazione più grande di lei. Del resto non si riteneva pronta ad avere figli neanche ora che di anni ne aveva trentacinque e il pessimo rapporto che aveva con Isabel ne era la prova.
Ad un tratto Jason si alzò dal divano. -Vado a preparare il caffè- annunciò, lasciando le due donne sole.
La ragazza lanciò un'occhiata carica di disprezzo a Piper, che non riuscì più a reggerla.
-Senti Isabel, so come ti senti vedendo un'altra donna che esce con tuo padre ma non mi guardare in quel modo. Io amo Jason e vorrei davvero provare ad avere un buon rapporto con te-.
-Anche tua madre è morta?- chiese Isabel quasi con tono di sfida.
Non avrebbe voluto dirglielo, ma la rabbia la spinse ad essere sincera.
-Non lo so e, sinceramente, non mi importa-.
La ragazzina la guardò con aria sconvolta, così aggiunse -Se n'è andata col suo amante quando avevo sette anni e non la vedo da allora, per cui smettila di atteggiarti come se fossi l'unica persona al mondo ad avere provato dolore in vita sua!-.
Adesso mi odierà ancora di più, pensò Piper.
Rimase molto sorpresa quando invece la ragazza abbassò lo sguardo, mortificata. 
-Mi dispiace- mormorò. 
Se si stesse scusando per il tono da lei usato poco prima o la stesse compatendo per il suo passato, Piper non sapeva dirlo. In ogni caso, apprezzò molto le sue parole.
Quasi non si accorse che Jason era arrivato e le stava porgendo una tazza di caffè, che afferrò e cominciò a sorseggiare.
-Mamma non se ne sarebbe mai andata- disse ancora Isabel, tenendo gli occhi ben fissi sul pavimento. 
Piper per un attimo non seppe cosa fare. Era curiosa di sapere di più su Reyna, ma d'altra parte temeva di fare del male alla ragazza con quella richiesta. Lanciò un'occhiata interrogativa a Jason, che rispose con un cenno di incoraggiamento.
-Doveva essere una donna fantastica- disse.
-Lo era- confermò la ragazza. -È morta troppo presto-.
Ecco una di quelle situazioni di stallo che Piper tanto odiava. Se avesse chiesto dettagli sulla morte della donna sarebbe passata per insensibile, mentre se invece non avesse ignorato la faccenda sarebbe stata menefreghista. 
Eppure... Jason non le aveva mai detto come era morta sua moglie. L'aveva solamente informata di essere vedovo ed evitava l'argomento, per quanto gli fosse possibile.
Prese la sua decisione.
-Come è morta?-.
Vide gli occhi di Isabel farsi lucidi, ma la sua voce era ferma quando rispose.
-È stata uccisa-.
Per un attimo le mancò il respiro. Si aspettava ogni genere di risposta, ma non quello. 
Lo shock fu tale che non riuscì nemmeno a parlare per qualche istante. Ebbe l'impulso di posarle una mano sulla spalla o di dirle qualche parola di conforto, ma non lo fece; aveva imparato a conoscere la ragazza abbastanza da sapere che era troppo orgogliosa per accettare la sua compassione.
-Si è fatto tardi- intervenne Jason. -Ti accompagno a casa-.
Piper salutò la ragazza, afferrò la borsa e seguì il suo uomo in macchina. Per tutto il tragitto tenne gli occhi fissi davanti a sé, con un'espressione indecifrabile sul volto. La donna continuava a fissarlo, cercando di leggere le sue sensazioni. Quando ci arrivò, si disse che non poteva essere possibile. Eppure era l'unica cosa che dava un senso al suo atteggiamento.
La macchina si fermò davanti casa sua, e fu allora che espose i suoi pensieri.
-Jason, sii sincero. Non mi hai mai parlato della morte di tua moglie perché ti senti in colpa?-.
Come temeva, vide il volto dell'uomo diventare una maschera di dolore. Quell'espressione le trasmise angoscia, ma non disse nulla.
-Reyna lavorava nel mio stesso dipartimento. Aveva messo le mani su un caso pericoloso... era riuscita a risalire ad un giro di corruzione che si estendeva fino alle alte sfere della politica e della finanza. Le avevo detto di rinunciare al caso, ma il suo spirito di giustizia fu tale che non pensò neanche per un secondo di interrompere le indagini. Tre giorni dopo alcuni sicari la uccisero-.
La sua voce si era fatta sempre più bassa e tremante, fino a quando le lacrime cominciarono a scorrere lungo il suo volto. Piper provò a dirgli qualcosa, ma lui tirò un pugno al volante e aggiunse -Se solo avessi insistito di più per farle lasciare perdere quel maledetto caso...-
-Credi seriamente che saresti riuscita a fermarla?- lo interruppe lei con pacatezza.
Jason si voltò a guardarla come se la vedesse per la prima volta e lei gli afferrò il volto.
-Non è colpa tua se Reyna è morta. Ha deciso di seguire fino in fondo il suo ideale ed è morta coraggiosamente, cercando di denunciare il marcio della nostra società. Non hai nulla di cui accusarti-.
Avvicinò il suo volto a quello dell'uomo per baciarlo. Le labbra di lui avevano il sapore salato delle lacrime, ma non ebbe modo di preoccuparsene; pensò piuttosto a infondere quanta più passione possibile in quel bacio per fargli capire che la confessione non aveva affatto cambiato l'amore che provava verso di lui. Anzi, casomai lo aveva rafforzato.
Fu Jason a separarsi lentamente da lei. 
-Forse è meglio che vada- disse.
Lei acconsentì. Gli diede un altro bacio prima di salutarlo e scendere dalla macchina, per poi vederlo ripartire alla volta di casa sua.
La serratura scattò quando lei girò la chiave nella toppa, immersa nel turbine dei suoi pensieri. Adesso aveva più chiaro il motivo per cui Isabel non accettava la sua relazione con Jason: doveva reggere il confronto con lo spettro di Reyna che, giustamente, doveva considerare alla stregua di un eroe.
Invece lei, Piper, cos'era? Semplicemente la sua insegnante di francese, che era messa in ombra da quella donna che non aveva mai conosciuto.

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Capitolo 4
*** Parte IV ***


Note: Mi dispiace se vi stavate abituando ad aggiornamenti regolari e ravvicinati. Purtroppo con l'avvicinarsi di settembre - e quindi sessione autunnale - gli aggiornamenti si faranno sempre più radi.
Passando al capitolo, questo si può dire come la chiave di volta della storia. Non vedevo l'ora di scrivere la scena finale.
Inoltre non faccio informatica dalla maturità, quindi se notate errori in quella parte di testo non fatevi problemi a segnalarli.
Buona lettura. 

The French teacher
Parte IV


Passare per la centrale di polizia le ricordava sempre il primo incontro con Jason. Sebbene allora non fosse stato affatto piacevole, ripensandoci col senno di poi la vicenda assumeva sfumature divertenti.
Era stata fermata da due agenti all'uscita della scuola, che l'avevano poi portata in centrale. Era stata condotta in una stanza spoglia, ad eccezione di un tavolo con una sedia per ciascun lato e un vetro a specchio lungo la parete alla sua sinistra. Fu fatta accomodare su una sedia, mentre sull'altra vi era un uomo della sua età con la divisa da ispettore, che la guardava torvo.
-Dove si trovava alle nove di mattina di due giorni fa?- le aveva chiesto rudemente.
Piper rispondeva con sincerità alle sue domande, ma le sue risposte sembravano irritare l'uomo. Non sapeva quanto tempo era passato, era certa solo del fatto che fosse troppo. 
-Signorina McLean, non menta! Sappiamo benissimo i suoi precedenti ed è accusata di rapina a mano armata-.
-Cosa?!- aveva urlato lei, incredula. 
Non capiva come potesse essere accusata senza alcuna prova di un reato che non aveva commesso. L'incredulità era stata soppiantata in fretta dalla rabbia e aveva strepitato quanto fossero infondate quelle accuse.
-Non sono affatto infondate- aveva replicato lui con decisione. -Più testimoni hanno dato il suo identikit e sappiamo anche che è stata già coinvolta in reati simili. Il furto di una BMW nera a Los Angeles...-
-È successo vent'anni fa!- aveva gridato Piper, sentendosi arrossire. -E non avevo rubato quella macchina, l'avevo solo presa in prestito-.
-Ti aspetti che io creda a simili idiozie?- aveva replicato severamente lui.
In quel momento la porta era stata aperta e un agente aveva fatto irruzione in sala. 
-Ispettore Grace, abbiamo ricevuto i risultati dalla scientifica e rintracciato i rapinatori grazie alle impronte digitali. Ci serve la sua firma sul mandato di arresto-.
Il viso dell'ispettore era improvvisamente diventato rosso e i suoi modi di fare da schietti e decisi si erano fatti imbarazzati. Piper aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per non scoppiargli a ridere in faccia.
-Mi scusi, pare che ci sia stato un errore- aveva borbottato, preda della vergogna. -Posso offrirle una cena per scusarmi del deprecabile equivoco?-.
Qualsiasi donna normale gli avrebbe tirato uno schiaffone, ma lei aveva accettato l'invito per puro sfizio. Non avrebbe mai immaginato che da allora avrebbero cominciato a frequentarsi e, a quasi nove mesi di distanza, stavano ancora insieme, più uniti che mai.
Sapeva che Jason stava per uscire e voleva fargli una sorpresa, difatti trovò l'uomo intento a discutere con un collega mentre veniva nella sua direzione. Quando la vide sgranò gli occhi, poi sorrise mentre lei gli veniva incontro e lo baciò. 
-Amore, non ti aspettavo- disse lui quando si separarono.
-Lo so- sorrise Piper, baciandolo ancora.
Tenendosi per mano arrivarono al parcheggio. Jason la guardò come se fosse stato colpito da un'idea.
-Questa sera Isabel è a mangiare da un'amica- disse con un sorriso malizioso. -Possiamo avere un po' di tempo solo per noi due-.
-Vieni da me- disse lei.
Si diedero un altro bacio prima di prendere ognuno la propria macchina e dirigersi verso la casa della donna. Piper aprì la porta di ingresso con impazienza e trascinò il fidanzato verso la propria camera, in un breve tragitto pieno di baci e coccole. Si lasciarono cadere sul letto e lei si perse negli occhi celesti di Jason, che la sovrastava.
Dei, quanto lo amava.
Le mani di lui si infilarono sotto la sua maglia e lei istintivamente gli afferrò il polso per bloccarlo. Se ne pentì quasi subito; sebbene non fosse certo la prima volta che facevano l'amore, di tanto in tanto Piper aveva l'istinto di fermarlo quando sentiva le sue dita sfiorarle la pelle, vedendo per pochi secondi in lui l'ombra di un uomo che ormai incontrava solo nei suoi incubi. 
-Mi dispiace- mormorò imbarazzata.
Lasciò andare il braccio di Jason, che prima le scostò una ciocca di capelli dal volto e poi le diede un lungo e passionale bacio. 
-Va tutto bene- le disse lui, con quel tono che riusciva a darle sicurezza. -Amore, con me puoi stare tranquilla. Io non ti farei mai del male-.
Piper lo sapeva, ma non poteva impedire al suo passato di tornare a galla. Prima di incontrare Jason aveva vissuto nel terrore per via di ciò che aveva vissuto in quattro infernali anni, ma lui era riuscito a farle capire che era diverso. Lui l'amava ed era disposto ad affronrare accanto a lei i suoi stessi fantasmi.
-Ti amo- gli disse baciandolo e finalmente lasciandosi andare alla passione e alla dolcezza.

***


Il signor Jackson la accolse con un sorriso a trentadue denti.
-Isabel! Da quanto non vieni a trovarci!-.
La ragazza sorrise.
-Ho avuto da fare con la scuola e il karate- disse la ragazza.
Era vero: aveva passato le ultime tre settimane a studiare assiduamente il francese, in aggiunta ai compiti regolari e verifiche delle altre materie. Gli unici momenti liberi della settimana erano occupati dalle arti marziali: la sensei Clarisse aveva indetto allenamenti straordinari anche nel weekend, così che erano aumentati da tre a settimana ad almeno cinque o sei, uno dei quali alle sette e mezza di domenica mattina. Stava decisamente mantenendo la promessa di fare passare loro dei mesi di duro lavoro.
Appena entrata in casa Jackson venne quasi travolta da un ragazzino biondo, che urlò -Scusa!-.
-Fred, stai attento!- lo rimproverò il signor Jackson.
-Ho chiesto scusa- si giustificò il ragazzino.
Fredrick Jackson era il fratello dodicenne di Sophia, che soffriva di iperattività e dislessia. Ciò lo portava ad avere una scarsa concentrazione e a non riuscire a stare fermo un secondo.
Isabel abbandonò il salotto e andò verso la camera dell'amica; decisamente non voleva essere coinvolta in una lite tra padre e figlio. Sophia, come si aspettava, era intenta a smanettare al computer.
-Che fai? Programmi in Java?- le chiese avvicinandosi a lei.
Ciò che vide fu quasi peggiore di quel che si aspettasse: una lunga serie di codici su un foglio bianco e delle opzioni che riconosceva, sebbene non avesse ben chiara la loro funzione. Linguaggio C++.
-Aspetta, risolvo un piccolo problemino con l'apertura del programma- disse la sua amica, con lo sguardo determinato. 
Se lo era immaginato. Sophia aveva una vera e propria passione per l'informatica e da quando aveva scoperto la programmazione passava molto tempo al computer, creando programmi sempre più strani e improbabili. Sebbene avesse soli sedici anni aveva già deciso che dopo il diploma avrebbe scelto come facoltà universitaria ingegneria informatica.
Isabel stando a stretto contatto con lei aveva imparato anche qualche codice, ma non sarebbe mai stata in grado di riuscire a creare qualcosa da sola. Decise però di provare ad aiutare l'amica, per farla finire prima.
-Hai chiuso tutti i "while"?- chiese.
Sophia assentì.
-Anche tutti i cicli di "for". Non riesco a trovare il problema!-.
Isabel provò a esaminare i codici scritti dall'amica, sebbene solo leggere le prime due righe le avesse già dato un gran mal di testa.
-Perché sommi le matrici?-.
L'altra la guardò, i tempestosi occhi grigi traboccanti di entusiasmo e saccenza. Isabel si pentì immediatamente della domanda: Sophia si sarebbe lanciata in una lunga, prolissa e dettagliata spiegazione del programma, aggiungendo frasi di autocompiacimento e lodi alla sua genialità in un discorso di cui l'amica avrebbe capito al massimo un quarto di ciò che diceva. 
Disperata, diede un'altra occhiata al computer e finalmente lo vide. Mancava una parentesi graffa.
-Non hai chiuso la seconda matrice- disse.
Sophia la guardò scettica, prima di andare a controllare. 
-Hai ragione! Ora dovrebbe funzionare-.
Grazie al cielo, pensò Isabel. Sapeva che ora, dopo aver risolto il problema, l'amica sarebbe stata troppo intenta a provare il programma appena creato per perdersi in inutili spiegazioni. Difatti, soddisfatta del risultato, spense il pc pochi minuti dopo.
-Allora, dimmi di che volevi parlarmi-.
Isabel le raccontò della cena con Miss McLean della settimana precedente, di come avesse scoperto della madre della donna e di come lei avesse raccontato come era morta Reyna. 
Non vedeva l'amica da una settimana, causa compiti, karate e il fatto che non si facesse quasi più viva in mensa. Parlare con Sophia confidando tutto ciò che aveva provato era come sollevarsi di dosso un enorme peso, grazie anche alla sicurezza di ricevere una consolazione e dei consigli.
-Il fatto che tu sia stata in grado di dirglielo è un grande passo avanti- commentò la ragazza dagli occhi grigi. -Come vanno le cose tra di voi?-.
-Meglio- rispose Isabel.
In effetti il loro rapporto era cambiato un po', sebbene non eccessivamente. Lei si sforzava di non mostrare troppa ostilità nei confronti della donna, che d'altra parte sembrava apprezzare questo atteggiamento, dimostrandosi più gentile.
-Bene! Vedrai che un po' alla volta riuscirai ad avere un buon rapporto con lei-.
-Speriamo- borbottò Isabel.
Sophia le posò una mano sulla spalla.
-Non fare quella faccia. Sai cosa potrebbe tirarti su il morale?-.
L'altra scosse la testa.
-A fine mese i genitori di Jake partono ed egli darà una festa! Posso fare invitare anche te visto che sei mia amica-.
Jake Lightwood era la cotta non molto segreta di Isabel. Era un bel ragazzo dai corti capelli rossi che frequentava il corso di matematica con Sophia; l'altra ci aveva parlato al massimo un paio di volte in cinque mesi di scuola, ma si era innamorata di lui.
Si ritrovò ad arrossire istintivamente, ma non poté fare a meno di sorridere. 
-Grazie Sophia, sei la migliore!- urlò, abbracciando l'amica.
-Oh, ti prego, dimmi qualcosa che non so- rispose scherzosamente lei, abbracciandola a sua volta.
Isabel rise. Nonostante la sua saccenza e la tendenza all'autocompiacimento, era davvero felice di avere lei come amica.

Appena la campanella di fine lezione suonò gli alunni riposero i libri nello zaino e abbandonarono l'aula chiacchierando allegramente. Isabel avrebbe tanto voluto seguirli, ma da una settimana a quella parte passava la pausa pranzo a studiare francese. La sua situazione era decisamente disperata e il fatto che mancassero poco più di due mesi e mezzo all'esame aveva fatto nascere quella necessità.
I suoi progressi non erano molti, ma a Isabel sembravano enormi miglioramenti. Ora riusciva più o meno a cogliere il significato delle domande poste dalla professoressa, sebbene non fosse ancora in grado di formulare una risposta sensata e coerente. 
-Il problema più grosso è che Drew corregge il compito- le ripeté per l'ennesima volta Miss McLean. -Ha un metro di valutazione molto più rigido del mio e ti toglierà un sacco di punti al minimo errore-.
La ragazza lo sapeva già. Mangiò l'ultimo pezzo del panino, per poi prendere il quaderno e una penna in attesa che anche l'insegnante finisse il suo pranzo - un'insalata biologica. Aveva scoperto che Miss McLean era vegetariana la prima volta che era venuta a cena a casa sua, ma vederla mangiare cibi non derivati da carne le faceva sempre uno strano effetto.
-Stai leggendo I Fiori del Male?- le chiese improvvisamente.
Oh, cavolo.
La verità era che non aveva neanche toccato il libro da quando l'insegnante glielo aveva consegnato. Era stata troppo impegnata e svogliata per mettersi a leggere un centinaio di pagine completamente scritte in francese, senza nemmeno una nota in inglese.
-Certo- mentì.
La sua espressione doveva essere lo specchio della colpevolezza, visto che l'insegnante le elargì uno sguardo molto severo. Non aveva mai pensato di descrivere Miss McLean come minacciosa, ma quell'espressione lo era decisamente.
-Allora potrai commentare qualche poesia- disse candidamente.
-Sì, ecco... per prima cosa direi che Baudleaire ha uno stile molto... ehm... baudelaireiano...- balbettò Isabel.
Miss McLean inarcò un sopracciglio.
-Ma non mi dire-.
La ragazza abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello severo dell'insegnante. La sentì sospirare.
-Isabel, se ti dico di fare qualcosa è unicamente per il tuo bene. Ti ho chiesto di leggere I Fiori del Male per farti entrare in familiarità con la lingua francese, non per sadismo o perché mi diverte vederti fare qualcosa in cui hai difficoltà. Lo faccio per te-.
-Non si comporti come se fosse mia madre, perché non lo è- borbottò, credendo di averlo detto a voce abbastanza bassa da non farsi sentire.
Come al solito, si era sbagliata.
Gli occhi dell'insegnante furono percorsi da un lampo d'ira, ma replicò in tono piuttosto calmo.
-Lo so. Reyna è morta da anni-.
Isabel si sentì come se fosse stata colpita da una coltellata al cuore. Un'accecante ira insosrse nel suo petto e sputò con quanta più rabbia possibile -Come osa nominare mia madre?-.
Lo sguardo di Miss McLean cambiò e la ragazza vi lesse l'emozione che più detestava al mondo. Compassione.
Fu come gettare benzina sul fuoco. Isabel voleva prendere a calci i banchi, ribaltare sedie e urlare ingiurie. Non riuscì però nemeno a muovere un dito, tremante di rabbia e dolore.
-Come temevo. Quando finisci le lezioni raggiungi la mia macchina, devo portarti da una parte-.
-Se mi rifiutassi?- replicò acidamente la ragazza.
Miss McLean sorrise.
-Questo pomeriggio devo passare a casa tua visto che Jason mi ha invitata. Per cui mi dispiace, ma evitarmi sarà inutile-.

Per il resto della giornata Isabel pensò seriamente rifugiarsi a casa degli zii. Accantonò l'idea quando mancavano pochi minuti alla fine dell'ultima ora; non voleva che l'insegnante interpretasse la sua decisione come codardia. Il suo orgoglio si ribellava al pensiero di qualcuno che la riteneva una fifona, specie se questa persona stava con suo padre.
Così quando finirono le lezioni attese l'arrivo di Miss McLean seduta sul cofano della sua macchina. La donna non si fece aspettare molto, e quando la vide le disse solamente -Sali-.
Isabel entrò in macchina, mentre la proprietaria faceva lo stesso e partiva. La ragazza tentò di riconoscere le strade, ma non riuscì a dedurre la meta di quel viaggio.
-Dove stiamo andando?- chiese dopo venti minuti di viaggio, quando la macchina si era fermata davanti un semaforo rosso.
-Se te lo dicessi cercheresti di scappare- rispose Miss McLean.
La ragazza le scoccò un'occhiataccia. 
-Crede davvero che io sia così codarda da scappare via? Non mi conosce affatto-.
L'insegnante colse la provocazione. La guardò con aria di sfida e le chiese -Dimmi sinceramente, quante volte sei andata a trovare tua madre?-.
Isabel sbiancò. Aveva capito dove voleva portarla Miss McLean e pensò che avrebbe avuto ragione: se fosse stata da sola sarebbe fuggita. Eppure, non poteva mostrarsi debole davanti a lei. Doveva ignorare il cuore palpitante di terrore e il tremore delle mani, ma soprattutto evitare di parlare. La sua voce avrebbe tradito la sua paura e il suo dolore.
Decisamente troppo presto la macchina si fermò davanti all'entrata monumentale del cimitero. La ragazza riuscì nel suo intento di mostrarsi forte fino a quando non varcarono il cancello; allora la paura e il dolore presero il sopravvento.
-Perché mi sta facendo questo?!- attaccò la donna.
Miss McLean non si scompose, anzi, la sua espressione si addolcì.  
-Perché tu non hai ancora accettato il fatto che Reyna sia morta. Devi prendere atto di questo se vuoi continuare a vivere serenamente-.
La risposta la lasciò interdetta. Di certo non si aspettava una cosa del genere.
-Tu...- mormorò. -Tu...-.
-Non sei da sola- disse ancora l'insegnante, posandole una mano sulla spalla. -Sono qui con te-.
Isabel sentì una scarica di calore pervaderle il corpo, subito schiacciata dai propri sentimenti negativi. Il pensiero di liberarsi da quel grumo di rabbia e dolore che si portava dentro da fin troppi anni fu l'unica cosa che la spinse ad andare avanti in cerca della tomba di sua madre. 
Si bloccò quando lesse quel nome tremendamente familiare, il cuore che sembrava essersi fermato per qualche istante e un nodo alla gola. Sentì la mano di Miss McLean posarsi nuovamente sulla sua spalla in un muto incoraggiamento. Deglutì un paio di volte prima di compiere quei pochi passi.
Non era quasi mai stata al cospetto della tomba della madre: il dolore era troppo, per cui aveva spesso evitato di passare a meno di un isolato dal cimitero. Forse ci era stata solo al funerale e un paio di volte da bambina, per cui la sua tomba fu una vera scoperta.
La lapide era di marmo bianco, su cui era scritto in lettere dorate "Reyna Avila Ramirez-Arellano, leale amica, amata moglie e amorevole madre". Seguivano la data di nascita e quella di morte, terribilmente e dolorosamente vicine. Tra il nome e l'epitaffio vi era una foto scattata poche settimane prima della morte: una donna venticinquenne dalla pelle ambrata, i capelli corvini e gli occhi dello stesso colore sorrideva al fotografo. 
Isabel si avvicinò lentamente, tremando. Il nodo alla gola era più stretto che mai quando posò la mano sul bordo superiore della lapide.
-Ciao mamma- sussurrò. -Sono venuta a trovarti finalmente-.
Delle lacrime scesero dai suoi occhi prima che potesse fermarle. Fu come se si fosse appena riaperta una vecchia ferita nel suo petto, ma non riusciva a fermare il flusso delle parole adesso che aveva cominciato.
-Mi manchi molto, sai? Da quando non ci sei più le cose non sono più le stesse. Non sai quante volte desidero che tu sia qui a darmi consiglio o...- si interruppe con un singhiozzo. Il pianto le impediva di continuare col discorso, faticava a respirare e tremava tanto da non riuscire più a reggersi in piedi. 
Cadde in ginocchio, trovandosi alla stessa altezza della foto di Reyna. Cercò di fissare lo sguardo in quello sorridente della madre, cercando di ricordare quando le rivolgeva quello sguardo sorridente.
-Sebbene faccio tanto la dura ho bisogno della tua guida- disse tra i singhiozzi. -Ma non ci sei, per quanto io possa cercarti. Non te ne faccio una colpa, te ne sei andata da eroe...- tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con la manica della felpa sebbene le lacrime non accennassero a fermarsi -...Perché lo eri. Anzi, lo sei. Sono molto fiera di essere tua figlia-.
Un tocco delicato per poco non la fece sussultare; si era completamente dimenticata della presenza di Miss McLean. 
Prima ancora di rendersene conto si ritrovò abbracciata alla donna, intenta a piangere sulla sua spalla. L'insegnante, sorpresa, le passò un braccio attorno alla vita e con l'altra mano le accarezzava il capo. Non disse nulla, conscia che le parole sarebbero state di troppo.
Quando, un paio d'ore più tardi, Jason le vide entrare in casa con gli occhi arrossati, i capelli arruffati e gli abiti sporchi chiese insistentemente dove fossero state, ma le altre due evitarono l'argomento. 
Quella sera, dopo che lo shock e il dolore furono passati, Isabel fu arrabbiata a morte con la McLean per averla portata al cimitero e averle risvegliato il dolore per la dipartita della madre. Solo più avanti scoprì perché lo aveva fatto: non si era certo colmata l'assenza di Reyna, né tantomeno se ne era andata la malinconia legata ai suoi ricordi. Ma pensare a lei o parlarne non era più doloroso come una coltellata e sebbene non fosse diminuita la sua mancanza, portare avanti il suo ricordo era più facile.
Di questo era estremamente grata a Miss McLean.


 

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Capitolo 5
*** Parte V ***


Note: Penso di potermi candidare per il premio Autrice Degenere dell'anno. Vi chiedo perdono per non avere aggiornato per due mesi, ma diverse cose che non starò qui a spiegare mi hanno impedito di scrivere il capitolo fino ad ora.
A inizio della fanfiction avevo detto che sarei arrivata circa a cinque/sei capitoli, difatti quello era il piano originale. Da allora però la storia si è sviluppata più del previsto, quindi penso si arriverà a circa dieci capitoli. Possibilmente non aggiunti a tempi così indecenti.
Buona lettura.
 
Parte V


"Hypocrite lecteur – mon semblable – mon frère!"
Isabel desiderava davvero che quella fosse l'ultima poesia, ma purtroppo aveva solamente finito il prologo dei Fiori del Male. Aveva dovuto cercare quasi ogni parola sul vocabolario aperto alla sua sinistra, compito frustrante e persino stancante, ma doveva ammettere che la poesia in fondo le era piaciuta. Non che lei si intendesse di letteratura, ma era rimasta affascinata da quei versi.
-Ipocrita lettore, mio simile, mio fratello- ripeté.
Era strano come poche parole potessero colpirla tanto, eppure il poeta era riuscito a trasmetterle il suo stesso disgusto per la società nella quale anche egli era compreso suo malgrado. Si ripromise di leggere altre poesie prima di andare a dormire e scese in salotto.
Il giovedì era una serata speciale per lei e Jason: ordinavano una pizza che mangiavano seduti sul divano, intrattenuti dalla visione di un film sull'antica Roma. Era un modo per passare un po' di tempo inseme e, cosa più importante, era esclusivo. Isabel non sapeva come sentirsi riguardo il fatto che suo padre aveva invitato anche Miss McLean a fare parte di questa tradizione: certo, era infastidita di aver perso una serata da sola con Jason ma in piccola parte era contenta che ci fosse anche la donna con loro. 
-Le nostre pizze arrivano tra mezz'ora- disse Isabel prendendo posto sul divano. 
-Ti piacciono i film sull'antica Roma?- chiese Jason alla fidanzata. 
Miss McLean si grattò il collo, leggermente a disagio.
-In realtà preferisco quelli sull'antica Grecia-.
Gli altri due la fissarono come se avesse appena proferito una pesante bestemmia. Poi si guardarono sconvolti prima di tornare a fissare la donna, che dal canto suo era infastidita dalla reazione del suo fidanzato e della figlia di lui.
Jason si avvicinò a lei e la abbracciò.
-Amore, non sai quello che dici- le sussurrò.
-Per l'amor del cielo, Jason! Non ho detto nulla di grave!-.
-Papà, lascia perdere. Non comprende la grandezza di Roma, altrimenti la penserebbe diversamente- intervenne Isabel.
Davvero non comprendeva come una persona potesse preferire la Grecia all'impero romano; l'unico modo in cui riuscisse a spiegarselo era l'ignoranza su Roma. Certo, vi erano stati reggenti folli come Nerone o Caligola, ma rimaneva pur sempre il più grande impero mai esistito.
Miss McLean la guardò con una strana espressione. 
Non avevano una chiacchierata in privato da qualche giorno; l'insegnante aveva annullato gli appuntamenti nella pausa pranzo causa impegni con i colleghi, mentre in aula la trattava come qualsiasi altro dei suoi alunni - come testimoniava la nuova e fiammante F presa perché non aveva studiato l'ultimo argomento, su cui si era basata l'interrogazione. Ad eccezione delle ore di lezione non si erano ancora confrontate su quanto successo pochi giorni prima e Isabel un po' temeva il momento in cui sarebbe giunto. 
-Io invece credo che voi due non abbiate ben chiara l'importanza della Grecia, che ancora oggi costituisce le basi della nostra società- replicò la donna.
Andò a finire che non guardarono nessun film, ma rimasero a discutere tutta la serata su quale fosse la cultura migliore. Tentarono anche di coinvolgere il povero ragazzo delle consegne quando portò loro le pizze, ma riuscì a liquidarli quasi subito dicendo di avere altre ordinazioni. Due ore dopo, quando i cartoni erano ormai vuoti e abbandonati sul tavolino del salotto, la discussione era ancora accesa ma Jason disse che era ora di riportare Piper a casa. Andò ad accendere la macchina mentre la fidanzata si stava ancora infilando il cappotto.
Isabel la guardò, rendendosi conto che era la prima volta in cui si trovava da sola con l'insegnante dal pomeriggio del cimitero. Si ritrovava con la gola secca, ma prese la parola. In fondo non avrebbe potuto evitare il discorso per sempre, no?
-Senta Miss McLean, per quello che è successo al cimitero...- esordì, ma non riusciva a guardare in faccia la donna. Sapeva però di avere attratto la sua attenzione, visto che non udiva alcun rumore e le sembrava quasi di avvertire il suo sguardo curioso. -Ecco... io non sono così... debole, e mi dispiace che lei abbia dovuto vedermi in quel modo-.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e alzando gli occhi incontrò lo sguardo di Miss McLean, comprensivo e dolce.
-Mostrare le proprie emozioni non è segno di debolezza- le disse. -Non tutti hanno vissuto la tua stessa terribile esperienza di perdere un genitore. Ti assicuro che sei una delle ragazze più forti che io conosca-.
Isabel si sentì sollevata non poco dal complimento.
-La ringrazio molto, Miss McLean-. 
-Fuori da scuola dammi del tu- aggiunse la donna, sorridendo. -E chiamami Piper-.
-Va bene, Miss... ehm, Piper- disse Isabel.
La donna ridacchiò, ma la salutò con un abbraccio.
Fa' che non diventi un'abitudine, pensò la ragazza. Doveva ammettere però che non le dispiaceva affatto.

Man mano che si avvicinava San Valentino il clima a scuola si faceva sempre più romantico. Non era raro trovare ancora più coppiette del solito in giro per i corridoi e persino Sophia e Jonathan stavano diventando talmente dolci che Isabel era sicura le sarebbe venuto il diabete. Ormai non poteva fare più di tre passi senza incappare in una coppia di fidanzati intenta a baciarsi appasionatamente, compresi i suddetti amici, il che alla lunga cominciava a diventare irritante. 
D'altro canto anche lei non poteva negare di essere contagiata dall'atmosfera. Aveva scritto più e più volte una lettera che fosse capace di esprimere i sentimenti che provava per Jake, riuscendo ad arrivare a un risultato soddisfacente. Avrebbe consegnato la lettera al ragazzo il quattordici febbraio, si sarebbero baciati e poi messi insieme. Era perfetto.
-A me sembra una grandissima cazzata- disse Marcus. 
Isabel si mise in posizione difensiva e parò il suo pugno. Erano presenti nel dojo solo i quattro che avrebbero partecipato al torneo interscolastico, oltre alla sensei che sbraitava ordini e lamentele.
-Grace, cos'era quella? Mia nonna riuscirebbe a fare parate migliori!- urlò Clarisse.
La ragazza provò di nuovo la mossa, bloccando il colpo di Marcus con più decisione.
-Rodriguez, quello per caso era un pugno? A me sembrava più una carezza!-.
Il ragazzo sembrò scocciato, ma replicò il pugno con maggiore energia. Fu solo quando la sensei si allontanò che Isabel parlò di nuovo.
-Tu non sei molto romantico, vero?- disse con ironia.
-Non è questo. È che sei tu a non conoscere Jake: è un autentico coglione- replicò Marcus.
-E tu sei fine come uno scaricatore di porto-.
Isabel si impose di non tremare di rabbia. Il ragazzo non si comportava mai in modo tanto irritante, ma in quel momento lei era certa di non essere mai stata tanto furiosa con Marcus.
-Meglio scaricatore di porto che falso doppiogiochista come Lightwood- replicò lui.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. La ragazza, colma d'ira, non poté fare a meno di tirargli un potente pugno, centrando in pieno il suo naso. Sebbene Marcus la superasse in altezza di almeno quindici centimetri e fosse parecchio più grosso di lei, in quel momento cadde a terra reggendosi il volto sanguinante.
Isabel sbiancò vedendo ciò che aveva fatto. Si inginocchiò di fianco a lui, balbettando frasi sconnesse.
-Scusa, scusami tanto... non avevo intenzione...-
Attorno al ragazzo arrivarono anche gli altri presenti nella palestra, insieme alla sensei che guardava il figlio con aria preoccupata. Quando fu certo che il ragazzo non si fosse rotto il setto nasale, la donna si voltò verso Isabel con aria minacciosa.
Adesso mi ammazza, pensò terrorizzata.
-Ecco, questo è un pugno!- commentò invece Clarisse con aria soddisfatta.

Il panorama di Seattle era fantastico, ma Isabel avrebbe preferito di gran lunga trovarsi a San Francisco.
Era il giorno di San Valentino e i suoi programmi per dichiararsi a Jake erano andati in fumo tre giorni prima, quando il padre le aveva detto che sua zia sarebbe passata a prenderla la mattina del quattordici. Non che non le piacesse passare del tempo con lei, ma in quel momento avrebbe preferito di gran lunga essere tra le braccia di Jake.
-A che pensi?- udì la voce della zia. 
Isabel si voltò. Hylla somigliava talmente tanto alla sorella deceduta che alla ragazza veniva sempre un colpo ogni volta che la guardava; questa volta invece riuscì ad apprezzare quei tratti e quello sguardo così simili a quelli di Reyna, se pure con una nota di malinconia.
-Nulla di importante- tagliò corto.
Sapeva che la zia riteneva i maschi esseri inferiori, per cui non avrebbe avuto senso parlare con lei dei suoi tormenti. Hylla prese posto al suo fianco per ammirare dall'enorme vetrata del suo appartamento le luci che animavano la città di Seattle.
-Ho saputo che Jason sta uscendo con una donna- disse.
Isabel confermò, aggiungendo -È la mia professoressa di francese-.
-Era ora che si trovasse una fidanzata, non capisco sul serio come potesse un uomo crescere da solo la figlia- commentò Hylla con freddezza.
La ragazza sentì l'amaro in bocca, ma cercò di non rispondere in malo modo alla zia. Nella sua considerazione dei maschi come esseri inferiori Jason non faceva eccezione e a Isabel dava parecchio fastidio quando parlava male di lui. Aveva cercato di fare del suo meglio per crescerla da solo e lei lo considerava il migliore padre che si potesse desiderare. Non si meritava quegli insulti gratuiti da parte di Hylla.
Eppure lui non se la prendeva, nemmeno quando Isabel gli raccontava di tutte le parole usate dalla zia nei suoi confronti. Jason si faceva una grossa risata, la abbracciava e le diceva di non dare peso a ciò che diceva Hylla su di lui. 
Isabel si procurò di contare fino a dieci prima di rispondere alla zia.
-Papà è un uomo fantastico e mi piacerebbe che lo capissi-. 
-Non lo metto in dubbio- replicò con sarcasmo Hylla. -Altrimenti non vedo come avrebbe potuto fare colpo su mia sorella-. Isabel stava per rispondere con pungente ironia, ma la zia aggiunse -Ciò non toglie che abbia bisogno di una donna al suo fianco. Allora, com'è lei?-.
La ragazza rimase a riflettere, non sicura di cosa risponderle. 
-È una brava donna. Mi piace-.
La cosa che la sorprese era che lo pensava davvero.

Jonathan somigliava talmente tanto a Jason che sarebbe potuto passare per il suo fratello minore anziché suo nipote. Non solo erano molto simili fisicamente, ma avevano tanti modi di fare in comune che ogni volta che Isabel cercava di immaginarsi il padre da giovane, lo vedeva esattamente come il cugino.
Avevano però diverse divergenze, soprattutto nel carattere. Jonathan aveva l'abitudine di essere irritante verso il prossimo, e non aveva alcun filtro tra ciò che pensava e cosa diceva. 
Quando entrò in casa e vide Piper, si rivolse a Jason per dire -Complimenti zio, hai fatto un'ottima scelta!-.
L'uomo gli tirò un buffetto sulla nuca.
-Non fare lo scemo, Jonathan-.
-Non sto facendo lo scemo, zio. Hai trovato una donna bellissima! Non sai quanto ti invidio!-.
-Jonny, se non taci immediatamente giuro che qualsiasi cosa uscirà dalla tua bocca verrà riferita a Sophia- intervenne Isabel.
Sapeva che il cugino per quanto parlasse non avrebbe mai fatto nulla di scorretto nei confronti della fidanzata, eppure non poteva fare a meno di sentirsi infastidita. Con sua sorpresa scoprì che non era solo la solidarietà verso l'amica a causarle fastidio, ma il fatto stesso che parlasse di Piper in quel modo. 
Nonostante fossero passate due settimane da quando glielo aveva chiesto, Isabel trovava ancora strano chiamare l'insegnante per nome. Anzi, le era sempre più difficile pensare alla donna come alla sua professoressa al di fuori dalle mura scolastiche, sebbene continuasse a farle imparare il francese. Il suo modo di comportarsi era sempre più simile a quello di un'amica piuttosto che quello di una professoressa. Piper una volta le aveva detto che era il suo modo di concepire la figura di insegnante: qualcuno che avesse un rapporto con gli studenti, non che li vedesse come perone da valutare. 
Eppure Isabel dubitava che la donna potesse rapportarsi con lei come una qualsiasi altra studentessa; Piper stava pur sempre con suo padre e sebbene questo non influisse con la valutazione dei compiti in classe aveva certo delle ripercussioni sul modo in cui la trattava. Lei dal canto suo cominciava ad apprezzare la compagnia della donna, sebbene non lo avrebbe ammesso apertamente.
La salutò con un cenno, poi la donna rivolse la sua attenzione a Jonathan che guardò sorpresa.
-Castellan?-.
-Si ricorda? Ha avuto la mia classe al secondo anno, dopo che sono stato bocciato- disse lui.
Nonostante ora Jonathan sorridesse Isabel sapeva che aveva sofferto molto la bocciatura, specie nelle prime settimane dell'anno scolastico. Si chiese come avesse affrontato Piper come insegnante quel periodo.
-Mi ricordo- confermò la donna. 
Lei e il ragazzo cominciarono a raccontarsi aneddoti dell'anno scolastico passato insieme e, con sua sorpresa, Isabel si ritrovò infastidita dal fatto che Piper prestasse più attenzione al ragazzo che a lei. Voleva inserirsi nella conversazione, ma non ne ebbe modo fino a quando Jason non annunciò che era pronta la cena. 
-Non avrai intenzione di andare alla festa vestita in quel modo- le disse suo padre mentre si sedeva a tavola.
Isabel si guardò. Indossava un corpetto nero, un coprispalle e una gonna lunga fino alle ginocchia dello stesso colore. Calzava dei pantacollant e dei tacchi bassi intonati.
-Lasciala in pace, Jason- intervenne Piper.
La ragazza la guardò sorpresa. Non credeva di avere la sua complicità per l'evento che aspettava da tutto il mese.
Quella sera finalmente si sarebbe tenuta la festa a casa di Jake Lightwood, e Isabel voleva sfruttare l'occasione per provarci con lui. Non era vestita in modo troppo scollato, ma di certo non si era mai addobbata in quel modo prima. 
Jason sospirò.
-Fai che nessun ragazzo si avvicini a te per tutta la festa-.
Isabel sbuffò.
Il fatto che suo padre fosse così iperprotettivo quando si parlava di ragazzi in parte la faceva sorridere, ma il più delle volte lo trovava molto fastidioso.
-Jonathan sarà l'unico essere maschile con cui parlerò per tutto il tempo. Contento?-.
Il ragazzo appena citato si affrettò a cambiare discorso, probabilmente temendo che dalla replica di Jason sarebbe nato un litigio. Portò l'attenzione sull'ultima giornata del campionato di baseball, lanciandosi in una discussione su punti, giocatori eliminati e classifiche. Lanciò uno sguardo a Piper, e lesse nella sua espressione ciò che pensava lei: uomini.
Quando finirono di cenare la ragazza si fiondò in bagno per truccarsi - rossetto e un eyeliner azzurro che si intonasse ai suoi occhi. Uscì di casa con il cugino, mentre le giungevano le parole di suo padre -Mi raccomando, non oltre l'una!-.
Tutto sommato era un buon compromesso. Era abbastanza certa che entro quell'orario si sarebbe fidanzata con Jake da un pezzo.
-Va bene, non farò tardi-.
Si chiuse la porta alle spalle e seguì Jonathan in macchina, che si affrettò a partire per passare a prendere Sophia. Quest'ultima aveva un vestito grigio lungo fin poco sotto al ginocchio e per l'occasione si era messa le lenti a contatto. Sorrise a entrambi quando li salutò, ma quando prese posto sui sedili dietro squadrò il fidanzato con aria critica.
-Ti sembra il modo di presentarti ad una festa?- chiese.
Jonathan diede un'occhiata ai jeans e alla maglia dei Metallica che indossava, prima di rispondere alla ragazza.
-Amore, se mi vestissi in modo più decente sarei conteso da un sacco di ragazze e tu saresti furiosa-. 
Sophia gli scoccò un'occhiataccia.
-Dubito che questo servirà a tenere lontane le oche giulive- replicò. 
-Scusate se interrompo la vostra lite da fidanzati, ma vorrei farvi notare che sono già le nove e venti- intervenne Isabel.
La festa era cominciata alle nove, e sebbene non fossero in ritardo esagerato lei non voleva sprecare un solo minuto da passare in compagnia di Jake.
-Non preoccuparti, cugina- disse Jonathan. -Fino a mezz'ora non è ritardo-.
Mise in moto e partirono a tutta velocità verso la villa dei Lightwood. 
La musica li raggiunse appena entrarono nella via. La casa era illuminata all'esterno da alcuni faretti blu e già si vedeva una discreta folla nel giardino. I tre si fecero spazio tra loro ed entrarono, ritrovandosi in un salotto trasformato in discoteca. I divani erano accantonati a una parete e delle casse trasmettevano della musica elettronica. Sebbene l'unica fonte di luce fosse una palla stroboscopica Isabel lo vide quasi subito; le sarebbe stato impossibile non riconoscere quella chioma rossa ribelle. 
Jake se ne stava appoggiato contro il muro, da solo, e lei si avvicinò.
-Ciao Jake- lo salutò. 
Egli le sorrise, facendo andare il cuore della ragazza a mille. 
-Ciao!-.
Jake mi sta considerando!, pensò.
La ragazza cercò di sorridere, nonostante sentisse il volto in fiamme. 
-Vieni con me?- chiese lui, affabile. 
Isabel era certa che sarebbe morta in quel momento. Non avrebbe mai immaginato che lui le avrebbe chiesto di rimanere soli già a inizio serata. Presero un paio di bicchieri di qualche alcolico che la ragazza non riconobbe e passarono molto tempo a parlare dei rispettivi interessi. Non le sembrava quasi vero; temeva che da un momento all'altro si sarebbe svegliata nel suo letto scoprendo che quello era stato un semplice sogno.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma Jake non le staccava gli occhi di dosso. 
-Sei bellissima- le sussurrò ad un certo punto, intterrompendo il suo commento su quanto fosse piacevole la festa.
Il respiro le si mozzò per un istante; credette di avere immaginato quelle parole, ma gli occhi verdi di Jake erano fissi nei suoi e la guardavano con tale intensità da farle capire che lo aveva detto per davvero. Lui si avvicinò, mentre Isabel era certa che il cuore le sarebbe scoppiato. Quando le labbra di lui sfiorarono le sue si sentì in paradiso e spinta da un impeto di passione ricambiò il bacio. Non seppe mai per quanto tempo rimasero a baciarsi, ma quando si separarono vide sul volto di Jake un ghigno di trionfo. 
-È stato più facile di quanto credessi- disse.
Quella frase fu un pugno allo stomaco.
-Cosa intendi dire?-. 
-Ho scommesso con Trevor che ti avrei baciata entro la mezzanotte, ma non credevo di farcela praticamente subito!- esclamò Jake.
Isabel sentì il volto in fiamme, ma stavolta non era per via del piacevole imbarazzo causato dall'amore. Era l'umiliazione a farla arrossire e farla sentire stupida come mai le era capitato.
-Stronzo!- urlò.
Fu un pugno fisico a centrare Jake nello stomaco, prima che la ragazza scappasse via. 
Casa sua distava parecchio da quella dei Lightwood, ma Isabel fece tutta la strada a piedi nonostante i piedi implorassero pietà per via dei tacchi. Sentiva il bisogno di scaricare la rabbia e la tristezza stando in movimento; inoltre sarebbe stato umiliante raccontare la storia a Jonathan e Sophia. "Sei tu a non conoscere Jake: è un autentico coglione" le tornò alla mente, non richiamata, la voce di Marcus.
Fantastico, oltre al danno anche la beffa pensò mentre apriva la porta di casa. Erano le undici passate da poco e credeva di potersi concedere il lusso di non annunciare la propria presenza, immaginando che il padre fosse a dormire. Scoprì invece di sbagliarsi quando si trovò davanti la scena che l'attendeva appena varcato l'ingresso.
Suo padre e Piper erano distesi sul divano, entrambi senza maglietta e intenti a baciarsi con passione. Isabel ebbe appena il tempo di realizzare la situazione che anche i due adulti la notarono, interrompendo il bacio. 
-Isabel!- esclamò Jason, impossibile dire se più sconvolto o imbarazzato.
La ragazza sentì il volto andare a fuoco per la seconda volta nel giro di mezz'ora. In fondo, una serata partita male poteva avere solo una conclusione peggiore.
-Scusate- disse solamente.
Isabel uscì sbattendo la porta di casa. Si sedette sui gradini dell'ingresso e, sebbene cercasse di evitarlo, inevitabilmente i suoi pensieri tornarono alla festa. 
Come aveva fatto a farsi trarre in inganno in quel modo? Era stata troppo cieca per notare che tutta quella perfezione non poteva essere vera. Più ci pensava più si sentiva idiota. Conosceva appena Jake Lightwood, sebbene le piacesse ciò non comportava che avrebbe dovuto fidarsi di lui come invece aveva fatto. Sentì un nodo alla gola al pensiero che lei provava sinceramente qualcosa per il ragazzo, mentre lui l'aveva semplicemente usata per una scommessa stupida.
Raccolse un sassolino da terra e lo lanciò con forza, guardandolo rimbalzare sul vialetto. Stava per farlo di nuovo quando il rumore di passi la fecero voltare. Piper - completamente vestita, grazie al cielo - si avvicinò a lei, per poi sedersi al suo fianco.
-Che ci fai qui?- le chiese Isabel.
Non era arrabbiata, ma in quel momento non se la sentiva di parlare con qualcuno. 
-Jason è troppo imbarazzato per parlarti, così ho deciso di farlo io-.
Isabel in quel momento fu contenta che fosse stata Piper a uscire per parlarle. Jason al suo posto avrebbe cercato di convincerla che lui e la fidanzata si erano tolti la maglia perché avevano caldo ed erano poi caduti sul divano, rendendo l'intera situazione ancora più imbarazzante di quanto fosse già.
Questo pensiero la fece sorridere, per poi tornare di malumore. Piper se ne accorse.
-È successo qualcosa alla festa?- domandò.
-No- mentì Isabel.
Non aveva voglia di raccontarle ciò che era successo, eppure... si rese conto che Piper era la persona adatta con cui parlarne. Sentiva bisogno del consiglio di una persona adulta e zia Talia probabilmente avrebbe cercato di uccidere Jake con le sue stesse mani, per non parlare di zia Hylla. L'insegnante di francese invece non avrebbe reagito in modo violento, ed era anche abbastanza esterna alla situazione da darle un parere più obiettivo di quello delle sue zie.
-Anzi, sì- si corresse, cominciando a raccontare alla donna ciò che era successo alla festa.
Scoprì che confidarsi con Piper le veniva naturale, specie perché questa la ascoltava con attenzione senza interromperla. Isabel non tralasciò nulla, a cominciare dai suoi sentimenti per Jake fino all'umiliazione di poco prima. 
Quando finì di parlare attese il giudizio di Piper, ma la donna la guardava con comprensione.
-Capita di fare cose stupide per amore, e ti assicuro che parlo per esperienza personale- esordì. Isabel la guardò con curiosità, ma evidentemente la donna dava per scontato che lei capisse a cosa si riferisse visto che continuò -So che sembra una frase fatta, ma solo un idiota potrebbe rifiutarti. E poi avrei voluto vedere il pugno che gli hai dato-.
La ragazza rise. 
-Non darti troppa pena per quel cretino, magari il ragazzo giusto è più vicino di quello che credi- aggiunse Piper, passandole un braccio attorno alle spalle.
Isabel la lasciò fare. Passò a sua volta un braccio attorno alla vita della donna, poggiando la testa sulla sua spalla.
-Piper- la chiamò. 
-Dimmi-.
-Questa cosa potrebbe rimanere tra noi? Non ho mai parlato di ragazzi con papà e ci terrei a non farlo fino al giorno del mio matrimonio-.
Piper ridacchiò, ma il suo tono fu serio quando disse -Ti prometto che non ne farò parola con nessuno, tantomeno con Jason-.
La strinse a sé più forte, e Isabel, che fino a poco prima si era sentita sola e vulnerabile, sentì di avere qualcuno su cui contare.

Il lunedì non era mai un bel giorno, specie quando l'ansia corrodeva le viscere della ragazza.
Quel giorno Piper avrebbe restituito i compiti in classe del giovedì precedente e Isabel sentiva il cuore in gola. Marzo era cominciato da pochi giorni e sebbene fosse passato più di un mese e mezzo da quando aveva cominciato a studiare francese per l'esame di fine aprile, la ragazza non era affatto sicura delle proprie capacità. Piper le aveva detto sbuffando che il suo problema principale era la facile resa di fronte agli insuccessi, ma lei non vedeva come risolvere il problema. 
-Grace- chiamò l'insegnante.
Isabel si alzò tremando, ma le bastò vedere il sorriso soddisfatto della donna per comprendere l'esito del compito. Invece della ormai tristemente solita F, c'era una C- cerchiata. Per poco la ragazza non si mise ad urlare. Aveva preso a malapena la sufficienza, ma per i suoi standard era come una laurea con lode. Si sarebbe quasi aspettata un'ovazione generale da parte dei suoi compagni di corso e tornò al posto gongolando. Stando attenta a non farsi notare dall'insegnante prese il cellulare e scrisse a Jason, Jonathan e Sophia dei messaggi completamente in maiuscolo e pieni di punti esclamativi per annunciare il lieto evento.
Quando giunse la fine dell'ora si avvicinò a Piper per darle indietro il campito.
-Non credevo di arrivare alla sufficienza!- disse.
-Credici invece- replicò la donna sorridendo. -Ti assicuro che non ho aggiunto nessun punto in più del dovuto-.
Isabel la salutò con un sorriso, prima di uscire dall'aula. Nei corridoi vide gli altri studenti indicarla e parlottare tra loro, ma non se ne curò. Uscì da scuola, diretta verso la macchina del suo cugino, dove Jonathan e Sophia l'attendevano. Gli altri studenti però continuavano imperterriti a borbottare verso la sua direzione, probabilmente convinti che lei non li notasse. 
-Che succede?- domandò appena salita in macchina. -Come mai tutti si comportano in quel modo?-. 
Vide i due scambiarsi un'occhiata preoccupata, il che la fece raggelare.
-Non hai sentito la voce che gira?- domandò cautamente Sophia.
Per un attimo Isabel sentì la terra mancarle sotto i piedi. 
-Jake sta raccontando a tutti ciò che è successo venerdì?-.
-Ti assicuro che se così fosse Lightwood sarebbe un uomo morto e io in carcere per omicidio- intervenne Jonathan.
In altre circostanze l'istinto protettivo del cugino l'avrebbe fatta sorridere, ma ora la fece preoccupare. 
-Allora cosa si dice?-.
Jonathan lanciò uno sguado carico d'ansia alla fidanzata, che si sospirò.
-Facciamo così, prima mangiamo e poi te ne parliamo- propose Sophia.
-Perché?-.
-Fidati, è meglio che la ascolti quando sei calma- ribadì la ragazza.  
Isabel accettò di buon grado, domandandosi cosa avrebbe potuto mai essere di tanto grave questa voce.

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Capitolo 6
*** Parte VI ***


Note: Davvero, io mi chiedo come fate a sopportare i miei lenti aggiornamenti. Chiedo nuovamente venia per il ritardo, ma ho avuto impegni, altre storie da completare e momenti in cui avrei preferito fare un viaggio nel Tartaro. 
Spero che il contenuto del capitolo valga la lunga attesa. 
Buona lettura.
The French teacher
Parte VI

-Che cosa?!- urlò Isabel, attirando l'attenzione di tutti i presenti del fast-food e probabilmente anche di un paio di persone dall'altra parte del mondo.
Jonathan sospirò.
-Noi sappiamo che non è vero, ma non possiamo convincere tutti che è un pettegolezzo infondato-.
La ragazza si sentiva sul punto di esplodere; cominciava a capire perché gli altri due avessero voluto aspettare che fosse calma prima di riferirle la voce che aveva preso ultimamente piede alla Goode High School. Eppure nemmeno questa precauzione era riuscita ad arginare il fiume d'ira che era scaturito a seguito delle parole di Sophia.
-Come diavolo fanno a pensare che io abbia una tresca con Piper?- ringhiò Isabel.
-Beh, è da più di un mese che passi molto tempo con lei. Il fatto che stiate per la maggior parte della pausa pranzo chiuse nel suo studio, o che la chiami per nome...- stava dicendo Jonathan, prima di venire interrotto dalla fidanzata. 
-Credo che quella fosse una domanda retorica-.
Isabel fulminò entrambi con lo sguardo. Riusciva a vedere il punto di vista degli altri studenti ma era talmente tanto infervorata che doveva aggrapparsi a qualcosa per imporre il suo.
-A scuola non la chiamo mai per nome!-.
-Ma non puoi negare che vi siete avvicinate molto da gennaio a oggi- replicò Sophia. -E purtroppo sai come funzionano le cose a scuola, i pettegolezzi nascono come funghi e le voci si ingigantiscono smisuratamente-.
Isabel non seppe cosa rispondere, così rimase in silenzio, tremante di rabbia. Jonathan si sporse in avanti, afferrandole un braccio.
-Forse è meglio se domani non vai a scuola- le disse.
Dapprima la ragazza fu talmente attonita e stupita dal gesto che per un istante si dimenticò persino della sua ira: mai aveva visto il cugino dimostrarsi sensibile nei confronti del prossimo. Poi l'onda di furia si abbatté nuovamente su di lei.
-No! Se lo facessi sarebbe come ammettere che la voce è vera! Fidatavi, saprò come affrontare la cosa-.

Il giorno dopo camminare per i corridoi della scuola fu un vero e proprio supplizio. Dovunque andasse Isabel sentiva mormorare gli altri studenti al suo passaggio, cogliendo qualche frammento di frase avente come soggetto lei e Piper. Reprimere l'impulso di tirare pugni contro persone e oggetti a caso fu la cosa più ardua che fu costretta a fare da diverso tempo a quella parte. 
Quando entrò in mensa lo fece accodata ad un gruppo di studenti, così che il suo ingresso non attirò particolare attenzione. Fece il giro della mensa passando vicino al tavolo degli insegnanti, bloccandosi quando sentì una voce fin troppo nota nominarla. Si nascose dietro un gruppo di studenti in coda per prendere il pranzo, lanciando occhiate al posto su cui stava seduta la donna asiatica che aveva un sorriso maligno.
-Non ci credo, Piper non mi sembrava il genere di donna in grado di fare certe cose!- stava dicendo uno degli insegnanti di matematica a cui Isabel sfuggiva il nome.
-Ora si spiegano molte cose- replicò Miss Tanaka con un ghigno. -Come ad esempio il fatto che si sia esposta tanto per difendere Grace. Pensateci: quella ragazzina andava malissimo nella sua materia fino a due mesi fa, che motivo avrebbe avuto Piper per garantire per lei? Inoltre mia figlia mi ha riferito che i suoi voti in francese ultimamente stanno migliorando, mi sembra ovvio che questa sia una prova della loro relazione-.
Isabel era certa che sarebbe esplosa dalla rabbia. Non le importava sapere se fosse stata proprio l'odiata insegnante a mettere in giro quella voce, ma il fatto che la incoraggiasse la faceva infuriare.
Inoltre è da più di un mese e mezzo che studio francese, sarebbe strano se non migliorassi!, pensò e dovette trattenersi dal ripeterlo ad alta voce. 
-Sinceramente questa mi sembra una supposizione campata per aria- disse un'altra insegnante seduta allo stesso tavolo di Miss Tanaka.
Finalmente qualcuno con un cervello!
La donna asiatica allargò il suo ghigno.
-Immagino tu non abbia mai sentito ciò che proviene dall'aula di francese quando vi sono solo Piper e la sua giovane amante-.
L'altra insegnante inarcò un sopracciglio. Isabel aveva i pugni talmente stretti che sentì le unghie conficcarsi nella carne.
-Cosa intendi?-.
-Intendo dire che probabilmente si udirebbero le stesse cose se Piper avesse un uomo con cui fare sesso- disse Miss Tanaka con perfidia.
Questa fu l'ultima goccia. Isabel si fece largo a gomitate per attraversare la fila e percorse i pochi metri che la separavano dal tavolo degli insegnanti a passo di marcia, mentre questi la guardavano sbigottiti. Abbatté un pugno sul tavolo e guardò Miss Tanaka con quanto più disprezzo possibile prima di dire -La smetta di dire fandonie!-.
La donna asiatica sospirò, sfoggiando un'aria compassionevole più finta di una banconota da sette dollari.
-Avrei dovuto immaginare che la ragazzina volesse difendere la sua amante visto che...- la frase non fu mai conclusa dato che Isabel, accecata dalla rabbia, prese il vassoio dell'insegnante e lo ribaltò contro la donna. Il cibo viscido della mensa imbrattò gli abiti firmati di Miss Tanaka, mentre questa urlava imprecazioni non molto femminili e maledizioni nei confronti della ragazzina. Gli altri professori si lasciarono andare ad esclamazioni sorprese e sconvolte, come quasi tutti gli altri studenti presenti.
Isabel si rese conto allora di avere catalizzato l'attenzione della mensa. Ebbe appena il tempo di arrossire che si sentì afferrare per un braccio e trascinare fuori. Comprese che la persona che la stava facendo uscire dalla mensa era Piper quando il tono di voce della scolaresca aumentò vertiginosamente e le frasi si fecero più concitate. Ciononostante seguì la donna, dubitando di possedere la forza necessaria a zittire tutte quelle persone.
Piper la guidò fino all'aula di francese, e fu solo quando la porta venne chiusa alle sue spalle che disse -Si può sapere che cosa ti è preso?-.
Per qualche ragione non riuscì a dirglielo. 
Isabel si sentiva a disagio al solo pensiero di riferire le curdeli parole di Miss Tanaka a Piper, così preferì stare in silenzio. Cercò di ignorare la sensazione che le pesava come un macigno sul petto, limitandosi a sostenere lo sguardo dell'insegnante. Lei però aspettava una risposta, per cui insisté in tono severo.
-Allora?-.
Intendo dire che probabilmente si udirebbero le stesse cose se Piper avesse un uomo con cui fare sesso, riecheggiò nella mente della ragazzina. Tenne la bocca serrata, sostenendo lo sguardo severo della donna, che pian piano si fece rassegnato.
-E va bene, non vuoi dirmelo- sospirò infine Piper. -Cercherò di inventarmi una scusa plausibile che possa spiegare il tuo comportamento di poco fa davanti al preside. Adesso vai-.
Isabel si sentì grata all'insegnate, ma invece di esprimere la sua gratitudine uscì dall'aula. 
Si diede mentalmente della cretina, ma non sapeva esattamente cosa l'avesse spinta ad agire in quel modo. Era solo certa di non volere stare ancora altro tempo nella stessa stanza con Piper, come se la donna potesse intuire solo dal contatto visivo ciò che tanto la tormentava.
-Ehi!- la chiamò la voce di Marcus. 
Lei si voltò a guardarlo. Egli la raggiunse in poche e brevi falcate, arrivando di fronte a lei ansimando. Il pensiero che si preoccupasse per lei la fece sentire più sollevata: allora la Goode High non era una scuola piena di cretini pronti ad additarla per una stupida voce. 
-Ho saputo che è successo in mensa-.
La ragazza fece un gesto noncurante.
-Non preoccuparti, non sono in punizione o sospesa-.
Vide sul volto di Marcus uno strano sorriso, prima che egli dicesse -Come hai fatto a convincere Miss McLean a farti uscire pulita? Te la sei scopata davvero?-.
Questo passava decisamente ogni limite. La mano di Isabel colpì con forza il volto dell'amico, dal quale si sentiva nientemeno che tradita. 
Marcus la guardò attonito, ma ciò non fece che fare ardere ancora di più la rabbia della ragazza.
-Sei un cafone!- urlò, prima di andarsene dal corridoio a passo di marcia.

Quando sentì bussare alla porta della sua camera Isabel sapeva perfettamente chi fosse. 
-Non voglio parlare- disse solamente.
-Tesoro, sei chiusa lì dentro da quando sei tornata da scuola. Sono preoccupato- replicò la voce di Jason.
La ragazzina sbuffò.
-Se sono qui in camera mia è perché non voglio parlare con nessuno, quindi non provare ad entrare a meno che tu non abbia un mandato di perquisizione!-.
Per un attimo dall'altra parte della porta ci fu silenzio. Poi la voce di suo padre disse con pacatezza -Ho la cioccolata calda-.
Maledizione, Jason sapeva sempre come prenderla. Era ben conoscio che la figlia non sarebbe stata in grado di rifiutare la sua bevanda preferita quando le veniva offerta, difatti Isabel lo invitò ad entrare.
La ragazza si sedette sul letto, sistemandosi in modo da lasciare abbastanza spazio al padre per sedersi. Questi le offrì una tazza di cioccolata ancora fumante, tenendo l'altra per sé. Aspettò che entrambe fossero svuotate prima di chiedere -Allora, che è successo per sconvolgerti tanto?-.
Isabel temporeggiò, fissando le ultime gocce di cioccolata come se fossero in grado di darle il coraggio che cercava. Col cuore che le batteva pesantemente contro le costole alzò lo sguardo per incontrare quello di Jason, incoraggiante e carico di aspettativa.
La ragazza sospirò. A suo padre avrebbe potuto dirlo: di lui si fidava ciecamente e inoltre aveva il diritto di saperlo, essendo la voce riguardante le due donne per lui più importanti.
-A scuola si dice una cosa orribile- esordì, rompendo subito gli argini dell'insicurezza e dell'imbarazzo.
Raccontò al padre della voce che aveva ultimamente preso piede alla Goode High School, di come l'avesse scossa quella scoperta e dell'episodio avvenuto in mensa quella mattina. Jason l'ascoltò con attenzione, decidendo di commentare solo quando la ragazza finì di parlare.
-Tesoro, sai che Piper non ti toccherebbe mai in quel senso, vero?- le disse in tono serio.
Isabel lo sapeva, ma sentirselo dire con tale sicurezza da Jason la rincuorò non poco. Forse inconsciamente aveva desiderato ardentemente quella conferma.
-Certo, ma non capisco come facciano gli altri a crederci. Potrebbe essere mia madre-.
Aveva detto quelle parole senza pensarci, usando un comune modo di dire. Si rese conto effettivamente del loro peso quando Jason la guardò con aria colpita.
-Intendo per l'età- si affrettò a specificare. Aggiunse poi, per evitare di indugiare sull'argomento -Non capisco nemmeno perché Miss Tanaka debba per forza incentivare quella stupida voce-.
Jason sospirò.
-Il rapporto tra Piper e Drew è un po' complicato. Diciamo che Drew la invidia perché Piper ha ottenuto subito la cattedra di ruolo appena tornò dalla Francia, mentre lei ha dovuto passare per tre licei diversi come supplente prima di essere assunta come insegnante a tutti gli effetti. Dal canto suo Piper non la può sopportare da quando le ha dato della raccomandata-.
Isabel inarcò le sopracciglia. Si era completamente dimenticata che Piper le avesse accennato di avere vissuto a Parigi per qualche anno, ma soprattutto avere davanti i motivi dell'odio tra le due donne l'aveva sorpresa. 
-Non lo sapevo- mormorò.
-Purtroppo ci sono un sacco di persone stronze- disse l'uomo, sorprendendo la ragazza: mai gli aveva sentito dire una parolaccia. -Di certo coloro che hanno messo in giro questa voce non saranno gli ultimi che incontrerai. L'importante è non dare loro la soddisfazione di cedere alle loro arringhe-.
A questo punto Jason l'abbracciò con fare protettivo e Isabel si abbandonò al contatto. Si sentiva come quando era più piccola ed era convinta che le forti braccia di suo padre l'avrebbero protetta dal resto del mondo.

-Miss Tanaka ha messo in giro la voce?- disse la voce di Sophia al telefono.
-No, aspetta, torna indietro- intervenne quella di Jonathan. -Miss Tanaka ha una figlia? Quella vipera è riuscita a trovare un uomo disposto a sposarla e a procreare con lei?-.
-A quanto pare- disse Isabel.
Sistemò meglio il telefono tra la spalla e l'orecchio mentre apriva il frigorifero e afferrava una bottiglia di Coca Cola. Fu mentre si versava la bevanda nel bicchiere che giunse la spiegazione di Sophia.
-Sì, ha l'età di Isabel e si chiama Helen Mason-.
Per poco la ragazza citata non rovesciò l'intero contenuto della bottiglia sul tavolo dalla sorpresa.
-Mason è la figlia di Miss Tanaka?!- domandò, allibita.
Non parlava molto con i suoi compagni del corso di francese, ma era impossibile non notare Helen Mason. Sempre vestita e acconciata in modo perfetto, non perdeva occasione per dimostrare la sua competenza nella materia rispondendo in modo esatto a ogni domanda di Piper e sfoggiando la sua serie di A+ ogni volta che si presentava l'occasione. 
Non si erano mai rivolte la parola, ma l'aveva chiacchierare con delle sue amiche abbastanza volte da farsi l'idea di che tipo di persona fosse: una ragazza interessata solo alle apparenze e al controllare gli altri. Negli ultimi giorni effettivamente l'aveva guardata con aria diffidente e un ghigno sornione, ma non se ne era mai curata.
Ora che l'amica le aveva comunicato che era la figlia di Miss Tanaka, Isabel riusciva a vedere le somiglianze con lei. Lo stesso taglio degli occhi, i lineamenti delicati e persino l'andatura le accomunavano.
-Chi è il folle che ha deciso di sposare e avere una figlia da Miss Tanaka?- domandò Jonathan.
-Si chiama Jake Mason, ma hanno divorziato qualche anno fa-.
-Sophia, come fai a sapere tutte queste cose?- domandò Isabel.
-Mr. Harris non si fa troppi problemi a parlare della vita privata dei suoi colleghi- spiegò con leggerezza lei. 
-Comunque penso abbia senso il fatto che Mason sia in classe con me- disse Isabel, cominciando a sorseggiare la Coca Cola. -Intendo dire, non esiste una regola che impone che non si possa insegnare ai propri parenti?-.
-Beh, la cosa dovrebbe valere anche per te in questo caso- intervenne Jonathan. -Insomma, Miss McLean non è la tua matrigna o una cosa del genere?-.
La bevanda andò di traverso a Isabel, che si ritrovò a tossire. Aveva sempre pensato a Piper come alla fidanzata di suo padre, mentre la prospettiva che le proponeva suo cugino le era del tutto nuova. Per quanto fosse banale, non le era mai passato per la testa il fatto che lei potesse essere la sua matrigna. 
-Tutto bene?- domandò Sophia, preoccupata.
-Benissimo- rispose con voce flebile. 
In quel momento Jason entrò in cucina con aria seria, che si fece preoccupata appena la vide.
-Stai bene?- domandò.
Isabel annuì. Suo padre non sembrò molto convinto, ma non insisté. 
-Devo parlarti-.
La ragazza salutò i due amici e chiuse la chiamata, chiedendosi cosa dovesse dirle Jason di tanto importante. 
-Domani devo raggiungere Luke a Washington e stare lì per tre giorni-.
I coniugi Castellan erano andati nella capitale per via di un importante caso che zio Luke aveva accettato. Isabel sorrise, immaginando di passare tre giorni da sola con il cugino. Lei e Jonathan si sarebbero svegliati a mezzogiorno, avrebbero fatto colazione con la pizza e passato il resto della giornata a giocare ai videogiochi o in giro con Sophia. L'unico impegno sarebbe stato non mancare gli allenamenti di karate, metre per il resto era prtaticamente in vacanza.
-Per questo ho dovuto trovarti una sistemazione che non fosse lasciarti da sola con Jonathan-.
Naturalmente avrebbe dovuto immaginare che suo padre non le avrebbe permesso di mettere in atto il suo programma.
-Vado da zia Hylla?- chiese.
Jason si passò una mano tra i capelli, imbarazzato.
-Hylla è impegnata. Spero che l'alternativa non ti crei problemi-.

Quando si svegliò l'orario sul suo telefono segnava le nove e mezza. Isabel lo guardò confusa, prima di alzarsi dal letto e dirigersi verso la cucina di quell'abitazione che le era ancora poco familiare.
-Credevo che mio padre mi avesse mandata qui per non farmi saltare giorni di scuola- disse, rivolta alla donna seduta al tavolo.
Piper alzò lo sguardo da un plico di fogli e la guardò con fare imbarazzato. 
-Mercoledì è il mio giorno libero e mi sono dimenticata di svegliarti-.
Isabel si lasciò cadere sulla sedia accanto alla sua, afferrando una fetta di pane tostato posata sul piatto davanti a lei. Diede un'occhiata ai fogli che stava leggendo Piper, scoprendo che erano dei compiti in classe ancora da correggere. 
Aveva creduto che affrontare l'insegnante dopo quanto successo il giorno prima sarebbe stato di gran lunga peggiore, invece dopo il primo momento di imbarazzo era riuscita a riprendere in relativamente poco tempo la confidenza e la leggerezza degli ultimi tempi. 
Convivere - sebbene per pochi giorni - con una donna che non fosse sua parente era un'esperienza completamente nuova e strana per certi versi, nonostante trovasse piacevole il fatto che Piper si preoccupasse per lei.
Un'ora e mezza più tardi si ritrovò seduta a quello stesso tavolo, intenta a studiare francese. Avrebbe dovuto aspettarsi che Piper avrebbe cercato di rifarsi dell'errore di non mandarla a scuola, specie con l'esame a meno di due mesi di distanza. Era riuscita a strappare una sufficienza con lei, adesso avrebbe dovuto conseguire lo stesso risultato con un'altra insegnante ben più severa.
Solo pensare a Miss Tanaka fece serrare la presa di Isabel sulla penna a tal punto che per un attimo temette di romperla. Le sembrava di sentirla sussurrare nel suo orecchio le perfide parole usate il giorno prima a proposito di Piper, mentre ormai non aveva più dubbi: l'obiettivo di quella donna era lei.
-A che pensi?- le domandò Piper, interrompendo i suoi pensieri.
La ragazza fremette e per pochi istanti si chiese se la donna sarebbe stata in grado di comprendere i suoi pensieri semplicemente scrutandole il volto. 
-A niente di importante- borbottò Isabel.
Tornò ai suoi esercizi, riuscendo a rispondere in modo abbastanza sensato a qualche domanda. Purtroppo continuava a distrarsi posando lo sguardo su Piper - intenta a correggere e valutare gli ultimi compiti in classe - chiedendosi come avrebbe reagito se avesse saputo il motivo del suo comportamento del giorno prima. Ad un tratto, causa troppe distrazioni, decise di prendersi una pausa di un paio di minuti, guardandosi attorno.
Il salotto era ben arredato secondo i suoi gusti, ma fu una cosa ad attirare la sua attenzione. Su uno scaffale della libreria erano posate alcune foto, che si alzò per andare a guardare più da vicino. Una ritraeva Piper, che allora doveva avere più o meno la sua stessa età, insieme ad una ragazza un po' più grande di lei. Quella successiva riguardava la donna il giorno della sua laurea e l'ultima, che doveva essere piuttosto recente, aveva ritratto Piper che abbracciava una bambina di non più di otto anni.
-È tua figlia?- non riuscì a trattenersi dal chiedere.
Non sapeva perché, ma il pensiero che Piper potesse avere una figlia le causava un enorme fastidio. 
La donna si alzò, raggiungendola al suo fianco. Guardò la foto di lei stessa e la bambina e sorrise prima di dire -No, lei è mia nipote Mercy. Io non ho figli-. 
Isabel si ritrovò a sorridere, ma si affrettò a dissimularlo in un'espressione vagamente interessata prima che l'insegnante potesse notarlo.
-Tua nipote?-.
-La figlia di mia sorella Silena- spiegò, indicando la ragazza dalla chioma corvina che posava con lei nella foto di quando erano adolescenti.
Isabel studiò la ragazza, non notando alcuna somiglianza con Piper.
-Non vi somigliate per niente- constatò.
-Ce lo dicono in molti-.
-Mia zia invece è praticamente identica a mia mamma- disse, senza rendersene conto. Dalla visita al cimitero aveva parlato solo un paio di volte di sua madre, ed entrambe lo aveva fatto solo con Jason. Era la prima volta che le capitava di parlare spontaneamente di Reyna con una persona che non fosse suo padre. Deglutì, cercando di ignorare il nodo alla gola che le portavano quei ricordi quando disse -Sai, quando mi hanno detto che era morta non mi sembrava vero. Quando zia Hylla, la sorella di mamma, è venuta a trovarci per darci le condoglianze l'avevo scambiata per lei. Per un attimo mi era sembrato che mamma fosse tornata e che la storia della sua morte fosse uno scherzo...-. Si interruppe, con la voce troppo incrinata per potere continuare. 
Si aspettava che Piper le passasse un braccio attorno alle spalle, o che le dicesse qualche parola di conforto come era solita fare. Invece la guardò con empatia per qualche attimo, prima di tornare a correggere i suoi compiti in classe.
Isabel era certa che una pugnalata avrebbe fatto meno male. 
Ancora ferita e arrabbiata con la donna si sedette di fronte a lei, ma non riusciva a concentrarsi sugli esercizi di francese. Continuava a scoccare occhiatacce a Piper; perché non le aveva detto neanche una parola? Sapeva che fino a un mese prima non riusciva neanche a parlare di sua madre, mentre adesso le aveva raccontato uno dei suoi ricordi peggiori e l'insegnante non aveva fatto nulla. 
-Che succede?- domandò Piper. 
Isabel per un attimo fu tentata di rispondere con un secco "nulla", lasciando in sospeso il motivo della sua rabbia. All'ultimo momento decise invece di usare le parole per ferire a sua volta la donna, sentendosi l'infantile impulso di farle provare ciò che stava provando lei in quel momento. In un attimo scelse la cattiveria peggiore che le venne in mente.
-Pensavo che non esiste nulla che provi che ami mio padre. Per quel che ne so potresti stare con lui solamente per paura di restare sola-.
Dallo sguardo addolorato e furioso di Piper si rese conto di avere esagerato. Quando vide la rabbia prevalere negli occhi della donna fu certa che le avrebbe tirato uno schiaffo per la sua impertinenza. Invece lanciò con furia la penna contro il tavolo, facendola scivolare quasi fino al gomito della ragazza, prima di alzarsi e lasciare la cucina.
Isabel rimase per diversi attimi interdetta, insultandosi mentalmente per avere detto quella frase tanto cattiva. Fece per raggiungere Piper, scoprendola in camera sua. La ragazza indugiò sulla soglia; non entrava mai nella camera di una persona adulta senza previo permesso. Non lo faceva nemmeno con Jason - e dopo ciò a cui aveva assistito pochi giorni prima aveva deciso di non farlo mai, a meno di non aver prima fatto ampiamente notare la propria presenza - ma questa volta doveva fare un'eccezione. Fece pochi passi in avanti  mormorando -Piper, mi dispiace...-.
-Esci!- ringhiò lei. 
Isabel avrebbe preferito ricevere davvero uno schiaffo. Piper non le aveva mai gridato contro prima, per quante potesse averne combinate. Fu in quel momento che la ragazza si rese conto del peso delle proprie parole. 
Vedendo che non si mosse Piper aggiunse -Non credi che io ami veramente Jason? Eccoti una prova!-.
Il tono con cui disse quelle parole era carico d'ira, ma nel suo sguardo era presente solo dolore. 
Le mani della donna afferrarono il lembo della maglia che indossava e lo sollevarono. Il cuore di Isabel balzò in gola.
-Se hai intenzione di provarci...-
-Non ho alcuna intenzione di provarci con te!- la interruppe Piper.
Isabel si pentì subito di avere dato più fiducia a una cattiveria infondata piuttosto che alla donna. Questa stava in piedi di fronte a lei senza più la maglia e la ragazza la guardò sconvolta.
Sottili ma inconfondibili segni bianchi attraversavano il corpo della donna: cicatrici. Erano in netto contrasto con la pelle di Piper e la ragazza non poteva che ammirarle in un misto di orrore e attonimento. 
-Questo è tutto ciò che mi rimane del mio ex marito- disse Piper. -Non starei con Jason se non fossi sicura di amarlo-.
Si mise nuovamente la maglia e uscì dalla stanza, lasciando Isabel da sola con la sensazione di stare annegando nei sensi di colpa. Dopo un tempo che le parve infinito decise di uscire e raggiungere la donna, per dirle quanto le dispiacesse avere usato quelle parole contro di lei. 
Piper era seduta sul divano e Isabel la raggiunse, sedendosi al suo fianco. La donna non aveva più alcuna traccia di rabbia, come se questa si fosse consumata dopo aver arso completamente. Il suo volto era scavato dal dolore, che la faceva sembrare diversi anni più vecchia.
-Mi dispiace, non sapevo del tuo ex marito- mormorò Isabel.
Piper non la guardò, ma continuò a fissare davanti a sé come se stesse ammirando qualcosa di molto lontano.
-Ero giovane allora- disse infine, e sebbene gli occhi fossero lucidi e arrossati la sua voce era ferma. Isabel si chiese se avesse pianto in sua assenza e il pensiero la fece sentire ancora peggio. -Vivevo in Francia da pochi mesi quando conobbi Jacques. Mi innamorai in breve tempo e quando eravamo fidanzati era tutto bellissimo: insegnavo inglese in una scuola del distretto, avevo un fidanzato che mi dimostrava ogni giorno il suo amore ed ero felice. Due anni dopo ci sposammo e fu allora che cominciò l'inferno. 
Jacques divenne sempre più geloso e possessivo, fino ad usare violenza su di me. Col passare del tempo non fece che peggiorare: a volte arrivava a picchiarmi perché convinto che lo tradissi col vicino di casa, al quale avevo rivolto un saluto. Altre volte... no, non credo siano il genere di cose da raccontare a una ragazzina. 
Riuscii a trovare l'occasione per scappare solo dopo quattro anni, tornando in America e chiedendo il divorzio una volta giunta in patria-.
La ragazza ascoltò sconvolta l'intera storia mentre la voce di Piper pareva incrinarsi sempre di più.
Isabel non sapeva bene come comportarsi. Le sembrava quasi come se i ruoi si fossero invertiti e Piper fosse la ragazzina in cerca di consolazione e lei l'adulta. Ma per quanto potesse fingere di esserlo, non era affatto adulta e matura. Non aveva idea di cosa dirle, come esprimere il disgusto e il disprezzo che provava per l'ex marito della donna, il dispiacere per ciò che aveva dovuto passare e trovare qualche parola per consolarla che non le risultasse banale. Fece l'unica cosa che le sembrava sensata: abbracciò Piper, sperando che quel contatto le trasmettesse ciò che provava. Sentì le braccia della donna attorno alla sua vita, e la sua fronte poggiarsi sulla spalla.
Finse di non notare che quella parte di tessuto fosse bagnata. 
Diverse ore più tardi raggiunse Piper in cucina, mentre questa era intenta a preparare la cena. Tremava e sentiva il cuore in gola, ma decise che doveva dirglielo. In fondo quella mattina la donna le aveva confidato uno dei suoi più intimi segreti e Isabel si sentiva disonesta a nasconderle qualcosa.
-Ehm, Piper- la chiamò. 
La donna si voltò verso di lei, lasciando ricadere nella scodella alcuni sedani. Reprimendo un brivido al pensiero di dovere mangiare cibo vegetariano per altri due giorni, Isabel continuò -Ecco, ieri mi chiedevi come mai mi fossi comportata in quel modo in mensa...-.
Si sedette di fronte a lei e le raccontò l'intera storia, nonostante evitasse il suo sguardo. Piper l'ascoltò con attenzione e quando parlò il suo tono non era freddo o arrabbiato, solo pragmatico. -Bene, ora che lo so domani mattina andrò a fare visita al preside Brunner, in modo che prenda provvedimenti-.
Un'altra cosa però tormentava la ragazzina, sebbene il fatto che Piper non se la fosse presa fosse abbastanza per farla sentire più sollevata.
-Perché quando oggi ti ho raccontato di mamma tu non hai fatto nulla? Mi aspettavo che mi abbracciassi o...- lasciò cadere la frase davanti allo sguardo dapprima attonito e perplesso di Piper, poi sospettoso.
-È per questo che stamattina eri arrabbiata con me? Il motivo per cui hai detto quella frase tanto stronza è perché ti aspettavi che io ti consolassi?-.
Isabel era certa che le sue guance sarebbero andate a fuoco. Detta in quel modo, la cosa sembrava ancora più stupida e infantile di quanto fosse.
-Sì- mormorò. 
Quando era certa che sarebbe morta di imbarazzo sotto lo sguardo stupito di Piper, questa rise. 
-Cosa c'è da ridere?- borbottò Isabel infastidita.
-Niente. Pensavo solo che fino a due mesi fa non volevi nemmeno che entrassi a fare parte della tua vita mentre adesso ti offendi se io non ti presto la giusta attenzione, e non posso fare a meno di trovare la situazione divertente-.
La ragazza si rese conto che ciò che aveva affermato era vero: non sopportava essere ignorata da Piper, né quando parlava con altre persone come Jonathan né tantomeno quando le confidava eventi tanto dolorosi.
-Non hai risposto alla mia domanda- cambiò argomento.
-Visto come mi guardavi ieri credevo che avessi respinto il mio contatto- rispose Piper, sorprendendola. -E conoscendo come sei orgogliosa pensavo non ti piacesse ricevere la mia compassione-.
-Mi vanno bene entrambe le cose se sei tu a farle- disse Isabel, senza pensarci. 
La donna sorrise, mentre lei si rendeva conto di stare affezionandosi più di quanto si rendesse effettivamente conto.

-Grace, concentrati! Ti ho chiesto di eseguire la mossa della gru, ma il tuo sembra più un fenicottero con l'artrosi!- urlò Clarisse.
Isabel si mise nella posizione iniziale, pronta a eseguire nuovamente la tecnica. Era però troppo distratta, col risultato che sbagliò nuovamente l'esecuzione della mossa.
Ora poteva dirlo ufficialmente: quello era il peggiore allenamento che avesse mai fatto. Dall'inizio continuava a sbagliare le varie mosse, tanto che la ragazza agognava la fine dell'ora e mezza di pratica, che sarebbe scaduta di lì a cinque minuti.
-Posso uscire un attimo?- domandò.
La sensei acconsentì e la ragazza uscì dal dojo, sentendo su di sé lo sguardo della persona che le impediva di concentrarsi. L'aria fredda fu tonificante, ma venne ben presto raggiunta da colui che non voleva vedere. 
Gli occhi di Marcus esprimevano dispiacere e tormento, ma le sue parole continuavano a risuonare nelle orecchie della ragazza.
-Senti, mi dispiace per ciò che ho detto l'altro giorno- disse lui. -Sono stato un totale coglione-.
Per un attimo Isabel fu indecisa se dargli un pugno o dirgli la verità. Optò per la seconda: probabilmente si aspettava che avrebbe reagito con violenza ed era quindi pronto a parare le sue mosse.
-Miss McLean sta con mio padre- disse, vedendo la sorpresa sul volto dell'amico. -È per questo che ci siamo avvicinate molto nell'ultimo periodo-.
Marcus sorrise, scaltro.
-Allora mi perdoni per la battuta?-.
Isabel fu davvero tentata di mandarlo a quel paese. Quel ragazzo era quasi più sfacciato di Jonathan, e ce ne voleva davvero per raggiungere il suo livello.
-Forse- borbottò. 
Voleva aggiungere che era stata più ferita dal fatto che fosse stato lui, un suo amico, a dirle quelle parole che non dalla battuta in sé, ma non ebbe tempo per aggiungere altro che vennero entrambi investiti da un fascio di luce. Portarono le mani sugli occhi per non venirne accecati, ma Isabel riconobbe una macchina familiare.
-Papà!- gridò entusiasta, correndo verso di lui e abbracciandolo appena scese dalla macchina.
Jason ricambiò la calorosa accoglienza, abbracciandola a sua volta e dicendole -Ti sono mancato, vedo-.
La ragazza non si era aspettata di vederlo tanto presto; quella mattina durante la quotidiana telefonata a suo padre questi l'aveva informata di stare per tornare quella sera sul tardi, difatti non pensava di vederlo tornare prima delle dieci. Inoltre in quei tre giorni Jason le era mancato più di quanto volesse ammettere.
Isabel si separò da lui giusto per andare a prendere il borsone che usava agli allenamenti e riporci in fretta il karategi, visto che ormai l'allenamento era finito. Quando uscì nuovamente era certa che suo padre stesse guardando male Marcus, ma quando la notò rivolse la sua completa attenzione a lei.
-Ci vediamo- disse al suo amico, prima di entrare in macchina.
Mentre il padre metteva in moto l'auto la ragazza seguì Marcus con lo sguardo, vedendolo salutare ancora con la mano nella sua direzione per poi rientrare nel dojo.
-Allora, come hai passato gli ultimi giorni?- domandò Jason, distogliendola dai suoi pensieri.
Isabel gli raccontò ogni cosa, soffermandosi principalmente come si fosse comportata in modo scorretto con Piper e di come lei le avesse parlato del suo ex marito.
-Tu lo sapevi?- gli domandò.
Jason annuì.
-Mi ha raccontato di Jacques diversi mesi fa- disse. -Aveva paura che la lasciassi dopo la sua confessione-.
Quest'ultima frase lasciò di stucco la ragazzina.
-Davvero?-.
-Davvero- confermò suo padre.
Isabel guardò il paesaggio scorrere dal finestrino della macchina, riconoscendo una via traversa a casa sua. La macchina venne parcheggiata nel box e quando entrambi scesero la ragazza chiese, con una nota di velata minaccia -Ma tu non hai intenzione di lasciarla, vero?-.
-Assolutamente no- rispose Jason risoluto. -Sai, io e Piper vorremmo tanto sposarci e avere tre o quattro figli-.
Isabel scoppiò a ridere. 
-Bella battuta, papà!-.
L'uomo sorrise, ma non disse nulla. Entrò in casa senza smentire o aggiungere altro. Allora un terribile sospetto colse Isabel, che si fiondò in casa alla volta di Jason.
-Aspetta! Era una battuta, vero?-.

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Capitolo 7
*** Parte VII ***


Note: Chi non muore si rivede, a quanto pare. Voglio rassicurarvi che non lascerò in sospeso la storia, ma la continuerò fino alla fine. 
In tal proposito: mancano ancora due capitoli più un epilogo, per cui non fatevi ingannare da questo capitolo. La storia di certo non finisce qua. 
Buona lettura.
 


Parte VII

Probabilmente non era così tesa dal giorno della laurea. Piper sentiva il cuore palpitare e le mani tremare come non le capitava da quando si era ritrovata davanti ai commissari che le avevano attribuito l'ambito titolo, ma stavolta la prova da superare era diversa.
Sperava che quel viaggio in macchina durasse più a lungo possibile, nonostante da mesi desiderasse conoscere la famiglia di Jason. Eppure ora le sembrava di essere tornata sotto esame, con l'ansia che potesse non andare a genio ai famigliari del suo fidanzato. Inoltre, la continua parlantina di Isabel dal sedile dietro non migliorava affatto la situazione.
-Cerca di non fare arrabbiare zia Talia, potrebbe essere l'ultima cosa che fai. Zio Luke è un noto avvocato e potrebbe persuadere chiunque a fare qualsiasi cosa. Sta' attenta quando parli con lui: un attimo prima state parlando delle vacanze al mare, l'attimo dopo ti ritrovi a firmare il contratto di ipoteca di casa tua senza sapere il perché-.
-Stai scherzando, mi auguro- disse Piper, lanciando un'occhiata preoccupata a Jason.
Egli stava al posto di guida, ma si voltò un attimo per sorridere. 
-Non preoccuparti, Luke non è terribile. Ma stai attenta a quello che dici-.
Oh, fantastico.
-Ah, e quando la mamma di Sophia comincia a parlare di architettura tu sorridi e annuisci anche se in realtà non stai capendo nulla- aggiunse Isabel, sporgendosi verso di lei. -E non chiamarla mai "signora Jackson", lei non ha preso il cognome di suo marito. Quando parli con il signor Jackson invece evita di tirare in ballo la pesca: ne è molto appassionato, ma non chiedergli mai di mostrarti i pesci che ha pescato. Li libera subito dopo averli presi perché gli fa pena vederli fuori dall'acqua-.
Piper era certa che tutte quelle informazioni le avrebbero dato l'emicrania. Guardò fuori dal finestrino mentre il primo sole di aprile si levava alto nel cielo garantendo un  tempo abbastanza sereno per la grigliata organizzata da poche settimane.
In quell'arco di tempo aveva passato la maggior parte dal fidanzato che non a casa propria. Ormai Jason e Isabel erano diventati parte della sua vita e, sebbene li avesse odiati quando il quindici marzo, per la ricorrenza delle idi, l'avevano costretta a guardare quattro film di fila sull'antica Roma, non avrebbe mai voluto rinunciare a loro.
Troppo preso la macchina venne parcheggiata davanti alla villa dei signori Jackson, e tutti scesero dall'auto. La villa dei Jackson non era molto grande, ma aveva l'aria accogliente e il giardino sul retro era molto esteso. Quando vi arrivarono era già presente una piccola folla di persone: Jonathan Castellan e quelli che dovevano essere i suoi genitori, insieme a una ragazza dell'età di Isabel, un ragazzino più piccolo, un uomo abbronzato e moro e una donna bionda. La famiglia Jackson, dedusse Piper.
La sorella di Jason fu la prima a presentarsi, nonostante avesse un'aria vagamente familiare. Probabilmente l'aveva incontrata ai colloqui quando era stata l'insegnante di suo figlio.
-Sono Talia Grace- le disse stringendole la mano. 
-Piper McLean- rispose lei.
Cominciò il giro di presentazioni in cui venne a conoscenza dei nomi dei presenti, e nei quali si sciolse la tensione che provava. Talia e Annabeth - così aveva scoperto chiamarsi la donna bionda - erano molto socievoli e bendisposte nei suoi confronti. Lasciarono Percy, Luke e Jason a occuparsi del barbacue, i ragazzi a parlare per i fatti loro e con la scusa di sistemare e apparecchiare i tavoli ne approfittarono per chiacchierare.
-Devi essere una tosta per tenere testa alla mia nipotina- disse Talia.
Piper sorrise al complimento.
-All'inizio è stata dura, ma ora stiamo imparando ad andare d'accordo-.
Il che a dire la verità era riduttivo: da quando aveva raccontato a Isabel di Jacques era stato come avere abbattuto l'ultima barriera tra lei e la ragazzina, con cui ormai non aveva più alcun segreto. Nell'ultimo mese si erano avvicinate ancora di più, cosa che avrebbe ritenuto quasi impossibile poco tempo prima. 
Era certa di essersi meritata tutta la sua stima tre settimane prima, quando Isabel le aveva proposto di mettere qualche F a Helen Mason e di tartassarla durante le interrogazioni.
-Perché dovrei farlo?- le aveva chiesto.
-Per fare pagare a Miss Tanaka la storia della voce- aveva risposto la ragazzina.
Piper aveva sospirato.
-Io non vendico sui figli i torti dei loro genitori-.
-Ma Miss Tanaka lo farebbe...-
-Hai ragione, Drew lo farebbe. Ma io non sono Drew-.
Allora Isabel l'aveva guardata con ammirazione, sguardo che non le aveva mai rivolto. Da allora il loro rapporto non aveva fatto altro che migliorare, tanto che aveva dato alla ragazzina il suo numero di telefono, dicendole di chiamarla o scriverle quandunque ne avesse bisogno.
-Il fatto è che non è cattiva, ma quando ci si mette può fartene passare di tutti i colori- aggiunse Talia, riportandola al presente.
Piper non poteva essere più d'accordo, così assentì. Il discorso fu sospeso quando cominciarono a mangiare e si ritrovò a parlare con un po' tutti, sotto gli sguardi incoraggianti e sorridenti di Jason. Le mani della donna si intrecciarono con quelle di lui una volta finito il pranzo, quando rimasero a tavola per il piacere della compagnia.
Verso le due Jonathan, Sophia e Isabel si alzarono dal tavolo, annunciando di andare al parco per via della bella giornata.
-Mamma, Sophia dice che non posso andare con loro- disse il piccolo Fred avvicinandosi ad Annabeth.
Gli occhi grigi della donna si fecero severi quando guardò la figlia.
-Sophia, porta tuo fratello con te- disse in un tono che non ammetteva repliche.
-Ma mamma!- protestò lei.
Piper distolse lo sguardo dal litigio famigliare quando sentì Jason chiamare la figlia.
-Torna per le sette- disse.
La ragazzina sbuffò, prima di rivolgersi a Piper. 
-Piper, posso tornare alle sette e mezza?-.
La donna fu sorpresa di essere stata chiamata in causa, ma disse -Non vedo perché no-.
-Grazie! Hai sentito, papà? Ci vediamo alle sette e mezza- si congedò Isabel, dando un bacio sulla guancia al padre e raggiungendo suo cugino e i fratelli Jackson.
Jason si voltò verso di lei.
-Da quando la tua autorità vale più della mia?- chiese, fingendosi offeso.
Piper rise, prima di dargli un bacio a stampo.
-Non fare così, sei pur sempre un ottimo padre- disse, e lo pensava davvero.
Quando aveva conosciuto Jason e la figlia era rimasta colpita dal loro rapporto, e una piccola parte di lei ne era stata invidiosa. Certo, Tristan McLean le voleva bene, ma non si poteva dire che fosse stato un padre esattamente presente nella sua vita. Aveva sempre dato molta importanza alla carriera tanto che Piper non aveva mai avuto confidenza con lui, difatti quando era tornata in America cinque anni prima aveva raccontato di Jacques solamente a Silena. Poi le era toccato raccontare l'intera storia a Jason dopo due mesi di fidanzamento e infine a Isabel, ma non una parola era stata riferita a suo padre. 
Era pronta a giurare che se una cosa del genere fosse capitata a Isabel, Jason sarebbe stato il primo a saperlo.
-Come hai fatto?- chiese Annabeth.
Piper ci mise qualche secondo ad accorgersi che stava parlando con lei.
-A fare cosa?- domandò.
-A diventare così amica con Isabel- rispose Talia. -Sapevo che stavate cominciando ad andare d'accordo, ma non pensavo che fosse cambiata così tanto nei tuoi riguardi-.
-O in generale- puntualizzò Annabeth.
Piper guardò entrambe con aria sorpresa.
-È cambiata molto?- domandò.
-Devi sapere che fino a pochi mesi fa lei guardava male me e mia figlia- spiegò Annabeth. -Aveva uno sguardo carico di invidia e rabbia, e posso comprenderla visto che ha perso Reyna quando era solo una bambina-.
Piper sentì quasi un dolore all'altezza del petto a quella rivelazione. Riusciva a immaginare Isabel da bambina, invidiosa della sua amica che aveva ciò che le era stato strappato via con crudeltà e fin troppo presto: una madre. Provò il desiderio di abbracciarla, sebbene non fosse lì con loro, per consolarla dei suoi dolori che aveva dovuto affrontare pur essendo così giovane.
-Mentre ora non ci guarda più in quel modo- continuò la donna bionda. -Anzi, ti tratta con molto affetto e ammirazione-. 
-Credevo fosse impossibile vedere mia nipote comportarsi così con qualcuno che non fosse Reyna- aggiunse Talia. 
Piper non poté fare a meno di sentirsi lusingata da quelle parole, sapendo quanto contasse per la ragazzina. Sorrise, sapendo di avere fatto breccia nelle sue difese e di essersi conquistata il suo affetto combattendo.
-È una lunga storia- disse. -Volete davvero che ve la racconti?-.
Mentre Piper raccontava della sua lunga e difficile lotta per abbattere le barriere tra lei e Isabel, sentiva di avere trovato due nuove amiche.
***

La lezione di matematica era tanto noiosa da farla quasi addormentare.
Isabel guardò la lavagna, su cui erano segnati alcuni numeri e delle lettere, e la professoressa Dodds che spiegava con lo stesso entusiasmo di un bradipo morto. Represse uno sbadiglio e prese il cellulare per controllare l'ora, scoprendo che erano passati solamente due minuti dall'ultima volta che lo aveva fatto.
Automaticamente aprì la casella dei messaggi e cercò la conversazione con Piper, che sapeva avere un'ora libera. Scrisse un saluto e mandò il messaggio, aspettando impazientemente la risposta. 
Ormai lo faceva sempre più spesso: si poteva praticamente dire che messaggiava con la sua insegnante per la maggior parte del tempo in cui non era con lei. Ancora le sembrava incredibile avere acquisito in poco più di tre mesi una tale confidenza con una donna che prima sarebbe quasi arrivata ad odiare per essere la probabile causa delle sua bocciatura. 
Una leggera vibrazione la informò che Piper le aveva risposto e prese il cellulare per leggere il messaggio.
Non hai lezione adesso?
Isabel sorrise.
Ho matematica con la Dodds, un mortorio.
Premette invio e nascose il telefono sotto al banco, giusto in tempo prima che l'insegnante citata passasse al suo fianco. Quando tornò alla cattedra Isabel lo riprese trovando già la risposta di Piper.
Oh Dio, quella donna mi fa sempre venire sonno durante i consigli di classe.
La ragazza ridacchiò, attenta a non farsi notare dalla professoressa di matematica. Scrisse poi velocemente a Piper l'onomatopea delle risate e aggiunse: Ma stasera sei a cena da noi?
Avere la donna a casa per cena era ormai un'abitudine irrinunciabile per Isabel, e questo pensiero riportò la sua mente a qualche giorno prima, quando Jonathan le aveva chiesto -Zio Jason che intenzioni ha con Miss McLean? Intendo, ha intenzione di sposarla?-.
Lei non aveva avuto idea di come rispondere, visto che dopo la battuta di un mese prima né il padre né la fidanzata avevano accennato ad un probabile matrimonio, ma si era ritrovata a pensare a quanto le sarebbe piaciuto potere dire che Piper faceva ufficialmente parte della sua famiglia.
Ancora col sorriso sulle labbra derivato da questo pensiero prese il cellulare, trovando un nuovo messaggio.
Sì, ma arrivo tardi. Oggi ho un consiglio di classe.
In fretta la ragazza scrisse la risposta.
Mi sa che arriviamo insieme. Oggi esco con i miei compagni di karate.
In quel momento fortunatamente la campanella suonò, ponendo fine a quella giornata scolastica. Gli alunni riposero i libri in cartella e uscirono disordinatamente dall'aula, diretti all'uscita della scuola. Quando fu finalmente fuori Isabel controllò un'ultima volta il cellulare, scoprendo un nuovo messaggio di Piper. 
Divertiti e non fare tardi.
Isabel sbuffò per l'ultima parte della frase, ma parte di sé non poté fare a meno di sentirsi contenta per il fatto che l'insegnante si preoccupasse tanto per lei. 
Sì, tranquilla. A dopo.
Spense il cellulare, diretta verso il luogo d'incontro che aveva prefissato con i suoi compagni. Questo era un bar di recente apertura a un quarto d'ora di cammino dalla Goode High, davanti al quale si aspettava di trovare almeno sei persone e invece vi trovò solamente Marcus. Controllò l'orario, scoprendo di essere leggermente in ritardo, indi per cui dovevano essere tutti presenti.
Salutò Marcus prima di chiedergli -Sai come mai non ci sono gli altri?-.
Non provava più alcun risentimento per l'amico visto che nell'ultimo mese aveva cercato in ogni modo di guadagnarsi il suo perdono. Si offriva spesso di accompagnarla a casa dopo gli allenamenti, passaggi che lei accettava di buon grado, e a scuola si aggirava spesso al suo fianco come una guardia del corpo, pronto a zittire chiunque accennasse all'ipotetica relazione tra lei e Piper. 
A quel pensiero Isabel non poté fare a meno di provare una fitta di imbarazzo e disagio. Nonostante l'insegnante avesse parlato con il preside e dato prova che quella sulla loro relazione era una voce infondata e sostenuta da colleghe invidiose e questi avesse imposto il divieto di farne parola, molti studenti ancora la additavano come l'amante di Miss McLean. Lei, Jonathan e Sophia cercavano di mettere a tacere le persone che la pensavano in questo modo, il che era piuttosto difficile.
Scoprire di avere un alleato almeno in questo era stato confortante. Marcus era conosciuto per essere rude e aggressivo, per cui se intimati da lui gli studenti smettevano immediatamente di parlare. Sebbene Isabel gli dicesse spesso di non avere bisogno di essre difesa da lui, sapeva che senza Marcus sarebbe stato molto più difficile resistere alle voci. 
-Kayla e Mike hanno un compito domani, quindi ci hanno dato buca. Tai è malato e Louis ha l'esame della patente, quindi siamo solo noi due- spiegò il ragazzo, distogliendola dalle sue riflessioni.
Insieme entrarono nel bar e Isabel si sentì un po' in imbarazzo al pensiero che quella fosse la prima volta in cui si ritrovava da sola ad uscire con Marcus. Di solito, fuori da scuola o dalla palestra si vedevano solamente insieme all'intero gruppo di karate. Era strano e piacevole essere sola in compagnia del ragazzo, che solo con lei lasciava cadere la maschera di aggressività e arrivava persino a fare battute.
-Hai mai pensato a cosa fare dopo il diploma?- le chiese dopo che la cameriera portò le ordinazioni.
Isabel afferrò la cioccolata calda, pensierosa. In realtà non ci aveva pensato molto, essendo solo al primo anno, ma da qualche settimana una folle idea si era fatta largo nella sua mente.
-Stavo pensando di fare Letteratura Straniera- rispose.
Era la prima volta che lo diceva ad alta voce a qualcuno, ma da quando Piper le aveva prestato I Fiori del Male aveva scoperto quanto le piacessero le poesie in francese. L'idea di studiarle per comprenderne a fondo il significato metaforico la allettava e affascinava, e recentemente stava prendendo in considerazione questa ipotesi per la scelta del college.
Marcus per poco non si strozzò con il ginseng, tossendo e subito dopo rilasciando le risate. Isabel lo guardò sorpresa: era la prima volta che vedeva il ragazzo ridere ed era un suono rude e diaframmatico. Non poté non infastidirsi quandi si rese conto che erano i suoi progetti per il futuro ad averlo fatto reagire in quel modo. 
-Cosa c'è?- sbottò.
-Scusa, ma se non sai neanche chi è Chaucer cosa vai a fare Lettere Straniere?- domandò lui con ironia. 
La ragazza provò un moto di fastidio, ma preferì bere la sua cioccolata e aspettare che Marcus finisse di ridere prima di porre la domanda a sua volta. 
-Tu invece che vuoi fare dopo il liceo?-.
-Il medico-.
Isabel non poté resistere all'impulso di afferrare una delle bustine di zucchero posate sul centrotavola e lanciargliela contro. Il ragazzo la guardò perplesso e sorpreso.
-Il mio piano sarebbe ridicolo? Tu sei la persona meno empatica che io conosca, e i medici devono essere in grado di comprendere i loro pazienti!-.
Marcus sorrise, il ghigno furbo che la ragazza conosceva bene. 
-Vuoi la guerra?-.
Prima che lei potesse replicare si ritrovò contro un'altra bustina di zucchero. Cominciarono a lanciarsele contro finché non giunse da loro una a dir poco adirata cameriera che li scacciò via dal bar.
-Non tornate mai più!- urlò.
Quando si sbatté la porta alle spalle indignata i due ragazzi scoppiarono a ridere, e nonostante l'uscita fosse stata un completo disastro Isabel la trovò fantastica.

***

Svegliarsi avendo tra le braccia la donna che amava era ancora una strana sensazione per Jason.
Da quando Reyna era morta non credeva di potere provare nuovamente certe sensazioni per una donna, ma Piper l'aveva fatto tornare un sedicenne impacciato alla sua prima cotta. 
Non sapeva quando si fosse reso conto di essersi innamorato di Piper, l'unica cosa che sapeva era che in poche settimane era riuscita a rubargli il cuore. Ricordava ancora il loro primo bacio, avvenuto durante una passeggiata romantica. Lui le stava parlando di come si era sentito quando aveva preso in braccio sua figlia per la prima volta, della gioia che aveva provato e della strana ma entusiasmante sensazione che gli aveva dato il pensiero che quella fosse la sua bambina, bellissima e viva.
Aveva notato allora lo sguardo strano di Piper e si era lentamente interrotto.
-Ti sembra una cosa stupida, vero?- domandò.
Aveva pensato che forse avrebbe dovuto scegliere un argomento diverso da Isabel, ma avendo poca esperienza con le donne - essendo stata sua moglie l'unica nella sua vita - non ci aveva pensato.
-No, al contrario- aveva risposto Piper, distruggendo le sue aspettative. -Penso che sia una cosa molto dolce-.
Allora lei aveva cinto il suo collo con le braccia, baciandolo. Il contatto delle loro labbra era stata una scarica elettrica per Jason, che aveva afferrato la donna per i fianchi e aveva ricambiato il bacio con passione. 
Pensare che fosse passato quasi un anno da quel momento gli sembrava incredibile. Da quando era con lei si sentiva felice e completo come non lo era dalla morte della moglie. 
A questo pensiero scacciò i dolorosi ricordi che riguardavano l'avvenimento, sebbene contemplasse con piacere quelli dei bei momenti passati con lei. Non avrebbe mai potuto dimenticare Reyna, che sarebbe stata per sempre parte di lui, ma doveva andare con la sua vita anche per lei. Era certa che avrebbe approvato la sua scelta di fidanzarsi con un altra donna che rendesse felici lui e Isabel.
Istintivamente portò la sua mano sulla spalla della fidanzata, ancora addormentata, e percorse il profilo del suo corpo. Pensò a come inizialmente non volesse concedersi a lui, sebbene egli non avesse mai voluto insistere su questo punto per timore che lei credesse che volesse solamente portarla a letto, e di come le avesse assicurato che era disposto ad aspettare quanto tempo Piper volesse prima di andare oltre il bacio. Lei poi gli aveva raccontato del suo ex marito tra le lacrime, chiedendogli se non volesse lasciarla ora che sapeva tutto. Invece Jason l'aveva abbracciata, assicurandole che lui non le avrebbe mai fatto del male. Dopo interminabili minuti passati tra le sue braccia, Piper si era separata da lui e si era spogliata dicendo che lo avrebbe capito se avesse voluto respingerla. Ma persino i segni che le aveva inferto Jacques, nella sua opinione, erano riusciti a scalfire la bellezza della donna, che ai suoi occhi era semplicemente perfetta.
Un basso lamento lo riportò alla realtà, mentre la fidanzata si voltava verso di lui. I suoi occhi multicolore gli fecero perdere un battito, e non perse tempo a baciarla.
-Buongiorno- sussurrò quando si separarono. 
Piper sorrise, e Jason pensò che svegliarsi ammirando quell'espressione della fidanzata era la maniera migliore per iniziare la giornata.
Si baciarono nuovamente, e le mani della donna correvano sui suoi addominali e il suo petto nudo, mostrando la chiara intenzione di andare oltre. In quel momento udirono una brusca sgommata e dei freni tirati con forza, interrompendo il momento passionale.
Jason afferrò i primi pantaloni e la prima maglietta che gli capitarono sotto tiro, li indossò e si avvicinò alla finestra della camera dalla quale vide Isabel parlare con il figlio di Clarisse, davanti a quella che doveva essere la macchina di lui.
Rammentò che la ragazza aveva gli allenamenti anche la domenica mattina da qualche mese, ma gli era del tutto sfuggito il fatto che ultimamente si facesse accompagnare a casa da un ragazzo. Vedendoli parlare non poté fare a meno di provare una fitta di gelosia: Isabel era la sua bambina e si rifiutava di vederla con un ragazzo che molto probabilmente l'avrebbe fatta soffrire e basta. Quando lo vide avvicinarsi a lei fin troppo per i suoi gusti non si trattenne più.
Aprì la finestra e disse a voce alta -Isabel, finalmente sei tornata! Piper ti cercava perché ha bisogno di te-.
Sentì qualcosa colpirlo alla schiena dopo quella frase, e voltandosi scoprì che la fidanzata gli aveva lanciato contro un cuscino.
-Sei terribile!- gli disse, ma non poteva fare a meno di sorridere.
-Cerco solo di proteggerla: sai come sono i ragazzi alla sua età-.
-Ti vorrei ricordare che tu avevi solo un anno in più di lei quando ti sei fidanzato con Reyna- replicò lei.
Jason storse le labbra.
-Io ero un ragazzo serio-.
Difatti era vero: nonostante a scuola molte ragazze volessero stare con lui, Jason le aveva rifiutate tutte per fidanzarsi con l'unica di cui fosse innamorato. Reyna era stata la sua prima ragazza e non aveva mai visto la loro relazione come una storiella adolescenziale. Loro erano arrivati al matrimonio, cosa che dubitava volesse fare quell'imbusto che girava attorno a sua figlia.
-Non ne dubito- disse Piper, alzandosi dal letto e baciandolo. -Ma non pregiudicare i ragazzi che escono con Isabel, magari sono più seri di quanto tu creda-.
La donna aveva avuto intenzione di consolarlo, ma le sue parole fecero insorgere un sospetto a Jason.
-Isabel ha un ragazzo? Tu ne sai qualcosa?-.
-Devo andare, come hai detto tu ho bisogno di tua figlia- disse evasivamente lei, baciandolo e uscendo fuori dalla camera da letto. 
Il povero uomo, rimasto solo, sospirò. 
Aveva sempre desiderato che la fidanzata e la figlia andassero d'accordo, non che si coalizzassero contro di lui.

***

Forse era semplicemente una sua impressione, ma il tempo sembrava trascorrere decisamente più velocemente mano a mano che la fine di aprile si avvicinava.
Isabel si sentiva sempre più in ansia al solo pensiero che la distanza dall'esame di francese si accorciasse sempre di più, nonostante Piper non facesse che rincuorarla. Era riuscita ad avere e mantenere la media di C+ con lei, risultato a dir poco straordinario se comparato a pochi mesi prima, ma lei era sempre timorosa di non riuscire a passare la prova di Miss Tanaka. 
-Devi solo impegnarti come stai facendo da tre mesi e mezzo- le disse Piper il giorno prima dell'esame.
Isabel annuì, non molto convinta. Sentì un braccio della donna passarle sulle spalle, e si ritrovò a chiedersi come mai quel contatto la facesse sentire così rassicurata.
-Io credo che tu possa farcela- aggiunse con decisione. -Sei tu ad avere poca fiducia in te stessa-.
La ragazza alzò lo sguardo, incontrando gli occhi multicolori dell'insegnante. Se c'era un momento adatto per esprimere ciò che le aveva dato da pensare nell'ultimo mese era quello: il giorno dopo sarebbe stato troppo tardi e prendere allora in considerazione il fatto che potesse non farcela sarebbe stato controproducente.
-Piper- esordì. -Se l'esame dovesse andare male tu passeresti per un'incapace. È questo che vuole Miss Tanaka, vero?-.
La donna sospirò.
-Sì, immagino sia questo il suo obiettivo- disse.
-Ma non andrai male- intervenne Jason.
Era appena rientrato dopo avere preso del cibo thailandese da asporto, e la ragazza si sorprese di non avere sentito il suo ingresso.
-Sono certo che passerai l'esame e farai un figurone- disse ancora l'uomo, sedendosi al suo fianco sul divano. 
Mentre mangiavano seduti sul divano e durante la trasmissione di un film fantascientifico, Isabel ripensò a ciò che era successo sin da quando Piper era passata da essere solamente una insegnante per cui provava avversione alla fidanzata di suo padre e a quanto riuscita a insegnarle, non solo nel campo strettamente riguardante la sua materia.
No, si disse Isabel. Piper non era affatto un'incapace e sarebbe morta piuttosto che farla passare come tale.

Era certa che le sarebbe venuta una tachicardia, tanto le batteva forte il cuore mentre seguiva la donna asiatica. 
L'aula dell'esame si rivelò essre quella dove gli alunni dell'ultimo anno tenevano le lezioni di francese, davanti alla quale Isabel fu sorpresa di trovare alcune persone.
-Buona fortuna, cugina- le disse Jonathan, stringendola in un abbraccio da orso.
La ragazza gli passò le braccia attorno alla vita, grata per il suo sostegno. Fu poi la volta di Sophia, che le gettò entusiasticamente le braccia al collo augurandole la buona sorte.
Quando anche l'amica la lasciò andare fu Piper ad avvicinarsi a lei. Le posò una mano sulla spalla, dicendole di stare tranquilla e di dare il massimo. 
Isabel avrebbe preferito che la abbracciasse a sua volta, ma si ricordò che nelle mura scolastiche erano semplicemente insegnante e studente.
In ultimo si fece avanti Marcus, con sorpresa della ragazza.
-In bocca al lupo- disse. 
Isabel sentì il sangue affluire alle guance e il cuore battere forte per un motivo che era certo essere diverso dall'ansia. Nelle ultime settimane lei e Marcus erano diventati molto più amici, ma non si aspettava che venisse a incoraggiarla. Anzi, a dire la vertità non credeva nemmeno che si ricordasse la data dell'esame.
-Grazie- rispose. 
-Date un taglio a questi convenevoli- intervenne Miss Tanaka. -Deve affrontare un esame, non andare in guerra-.
Parecchio infastidita la ragazza lanciò un ultimo sguardo ai suoi sostenitori, prima di seguire la donna asiatica all'interno dell'aula. Credette di morire d'ansia appena la porta si cuise alle sue spalle, ma la donna la guidò fino a uno dei banchi della prima fila. 
Quando Isabel si sedette Miss Tanaka le porse dei fogli protocollo immacolati e un altro stampato.
-Hai novanta minuti- le disse solamente.
La ragazza guardò la scheda: erano quattro domande, ognuna delle quali pretendeva dieci righe di risposta. Isabel le lesse tutte, scoprendo con sollievo che nessuna le causava immediate difficoltà. 
Cominciò a scrivere sul foglio di brutta, sentendo piano piano la tensione sciogliersi nel suo petto. Passò tutta la prima ora a scrivere una risposta soddisfacente, per poi aggiungere o togliere frasi e correggere gli errori che trovava. Quando mancava un quarto d'ora alla fine cominciò a trascrivere su un altro foglio in bella calligrafia, consegnando il compito a Miss Tanaka appena questa le disse che era scaduto il tempo.
Si alzò dal posto decisamente più leggera di quando era arrivata, consapevole che l'evento che tanto l'aveva tornemtata era finalmente passato. Uscì dall'aula, dove vi trovò solamente Piper.
-Come è andata?- le chiese.
Isabel rispose evasivamente, chiedendo piuttosto dove fossero finiti gli altri.
-A lezione- disse solamente l'insegnante.
La ragazza si rese allora conto di non avere pensato che quel giorno gli altri alunni facessero regolare lezione, talmente era concentrata su ciò che lei invece avrebbe dovuto affrontare. 
Entrambe attesero diversi minuti col cuore in gola, prima che Miss Tanaka uscisse dall'aula con il risultato dell'esame.
-Grace, l'esito della tua valutazione è C. Congratulazioni- disse con l'aria di una che avrebbe preferito passare le pene dell'Inferno piuttosto che pronunciare quelle parole. 
La gioia esplose come una bomba nel cuore di Isabel, che non poté fare a meno lasciarsi andare ad un urlo di vittoria. Non era un voto alto, ma le importava solo che fosse abbastanza da farle passare l'esame.
Si voltò verso Piper, il cui volto esprimeva la più pura felicità. Non le importò che fossero a scuola e che in teoria non avrebbe dovuto vedere la donna in un modo che non fosse la sua professoressa, la abbracciò forte e affondò la testa nel suo petto.
-Grazie Piper- disse. -Senza di te non ce l'avrei mai fatta-.
Era perfettamente consapevole di quanto fossero veritiere quelle parole. Se l'insegnante non avesse avuto la pazienza di farle imparare il francese e di sopportare i suoi momenti di sconforto, continuando a incoraggiarla nonostante tutto, non sarebbe mai riuscita a prendere la sufficienza in quell'esame.
Piper la abbracciò a sua volta, stringendola forte a sé.
-Ho sempre creduto che potessi farcela- disse. -Sono molto fiera di te-.
Isabel non aveva mai avuto la fortuna di sentire pronunciare quelle parole da Reyna, ma immaginò che la calda sensazione che provava al petto era ciò che si sentisse ad avere una madre orgogliosa di lei. 

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Capitolo 8
*** Parte VIII ***


Note: Aggiornamento lampo rispetto ai miei ultimi. Non spaventatevi, nonostante sia giunto in poco tempo il capitolo è ricco di avvenimenti importanti.
Non ho idea di quando sia il compleanno di Piper, per cui ho tirato completamente a caso. Se sapete darmi delucidazioni fatevi pure avanti.
 
The French teacher
Parte VIII

Non faceva quel sogno da diverso tempo, ma le sarebbe stato impossibile non riconoscerlo. 
Camminava tra gli invitati vestiti con abiti scuri, che entro poco avrebbero preso parte alla cerimonia funebre. Trovò suo padre piangere sulla spalla del signor Jackson; ricordava bene che quella era la prima volta in cui aveva visto Jason in lacrime, e quell'immagine l'aveva turbata tanto che tornava spesso nei suoi sogni.
Riconobbe la signora Chase, che aveva in braccio il piccolo Fred e Sophia al suo fianco. Non si fermò a parlare con loro; in primis poiché non voleva essere compatita, secondo: la sua amica nel sogno aveva ancora sei anni. 
Non riusciva a spiegarsi poiché lei avesse invece conservato la sua attuale età, ma le sembrava tutt'altro che importante. La folla intorno a lei pareva quasi non notarla, scivolandole accanto senza rivolgerle uno sguardo.
Isabel si sedette sul divano, sperando di svegliarsi prima che il sogno proseguisse. Non le andava di affrontare nuovamente il funerale di sua madre; da piccola l'esperienza l'aveva segnata tanto che aveva avuto incubi per settimane, e a distanza di anni tornavano a tormentarla. 
-Non essere così triste- disse una voce alla sua sinistra.
Isabel sobbalzò. Questa parte del sogno era completamente nuova e diversa dal ricordo da cui era tratto, e inoltre la voce le era stranamente familiare. Si voltò, trovandosi di fronte una giovane donna dai tratti ispanici, gli occhi neri come la pece e i capelli dello stesso colore raccolti in una treccia. 
La ragazza non poté che provare un nodo alla gola. 
-Mamma?- sussurrò.
Reyna era esattamente come se la ricordava; dati i soli venticinque anni che dimostrava sarebbe potuta passare per sua sorella maggiore anziché per sua madre.
Il cuore della ragazza fu scosso da emozioni contrastanti. La gioia per avere davanti la madre fu ben presto soppiantata dalla delusione causata dalla consapevolezza che quella fosse solo una proiezione della sua mente, solamente un effimero sogno.
-Come faccio a non essere triste?- domandò. -Tu sei morta e quando mi sveglierò non ci sarai più-.
Reyna si avvicinò a lei, tanto che le loro gambe si sfioravano. 
-Tesoro, non devi struggerti per me- disse lei. -Io vivo ancora nei tuoi ricordi, nei tuoi gesti, nei tuoi modi di fare. Non lasciare che nulla di tutto ciò scompaia-.
Isabel non poté fare a meno di sentire un nodo alla gola. Avrebbe voluto dirle che non era come avere ancora lei al suo fianco, voleva parlarle di come in quei dieci anni la sua assenza l'aveva fatta soffrire tanto da toglierle il respiro e il sonno e quanto avrebbe desiderato che quello non fosse solo un sogno, ma di potere averla realmente ancora con sé.
Le parole che uscirono dalla sua bocca però furono altre.
-Non voglio che tu te ne vada. Mi manchi tanto, mamma-.
Reyna la abbracciò, e la ragazza nascose il viso nel suo petto, con la sensazione di essere tornata bambina e di rifugiarsi tra le braccia di sua madre, unico appiglio sicuro in un mondo crudele.
-Sei una ragazza forte, piccola mia- mormorò la donna, accarezzandole il capo. -So che è dura, ma non sei da sola-.
Isabel si strinse più forte a lei, desiderando che quell'attimo fosse eterno. La presa della donna si era fatta più salda e la sua mano non aveva smesso un secondo di carezzarle la testa.
-Non sei da sola, Isabel- ripeté, ma la voce non era quella di Reyna.
La ragazza alzò lo sguardo, scoprendo che la donna a cui era abbracciata non era niente altri che Piper.

Si svegliò bruscamente, scoprendo che qualcuno le stava scuotendo delicatamente la spalla. Comprese chi fosse quando incrociò quello sguardo multicolore carico di preoccupazione, mentre si sedeva per essere all'altezza degli occhi della donna.
-Stavi sognando qualcosa di brutto?- le chiese Piper con apprensione.
Isabel non comprese il motivo di quella domanda finché non si portò una mano sul volto, scoprendolo bagnato. Si chiese da quanto stesse piangendo, asciugandosi le lacrime con la felpa del pigiama. 
-Sognavo mamma- mormorò con voce sommessa.
Non si sorprese neanche più della confessione, ormai confidarsi a Piper era naturale quanto respirare. 
Si ritrovò avvolta in un abbraccio, e poggiò la testa sulla spalla della donna. Adorava quando Piper l'abbracciava in quel modo, come se volesse proteggerla dai suoi stessi fantasmi, ed effettivamente lei si sentiva più sicura tra le sue braccia. 
Quando si rese conto di quanto quella situazione fosse simile al sogno un brivido le percorse la schiena, ma non aveva alcuna intenzione di sciogliersi da quell'abbraccio.
-Andiamo a fare colazione, Jason ci aspetta- mormorò la donna.
Isabel, riluttante, la lasciò andare. La seguì fino alla cucina, situata al piano inferiore, e si sedette di fronte a lei al tavolo. Jason posò dei pancakes a centro tavola, insieme a dei brownies. La ragazza ne afferrò uno e cominciò a mangiare ancora immersa nei propri pensieri, mentre vide suo padre e Piper darsi un veloce bacio a stampo.
Forse era ancora troppo assonnata per controllare ciò che sarebbe stato meglio pronunciare o meno, ma sta di fatto che pose quella domanda.
-Piper, perché non ti trasferisci qui da noi?-.
Entrambi gli adulti furono attoniti da questa sua richiesta, eppure secondo Isabel era ben più che sensata: Piper era a cena da loro almeno cinque volte a settimana e spesso nei weekend si fermava a casa loro. A questo punto avrebbe fatto prima ad andare a vivere in casa Grace.
-Ne stavamo parlando- intervenne Jason. -Temevamo fosse una mossa affrettata-.
La ragazza si chiese come fosse possibile, dato che era certa che Piper passasse più tempo a casa loro che nella propria.
-State insieme da un anno, non sarebbe strano se lei venisse qui da noi. Inoltre già vive nella tua camera, no?-.
Isabel si rese conto del doppio senso dell'ultima frase solo una volta pronunciata, arrossendo terribilmente. Vide padre e la fidanzata fissare il pavimento, entrambi rossi in viso.
-Devo andare- borbottò la ragazza, correndo in camera propria per fuggire all'imbarazzo.
Scrisse a Marcus un messaggio in cui chiedeva se gli andasse di uscire. Il ragazzo rispose quasi subito con una affermazione, e Isabel ri ritrovò a sorridere al pensiero di passare una mattinata con lui. 
Ormai era da più di un mese che avevano preso l'abitudine di uscire da soli un paio di volte a settimana, e lei aveva scoperto quanto le piacesse la compagnia del ragazzo. Da quando era riuscita a farlo ridere per la prima volta, inoltre, cercava di replicare l'impresa sempre più spesso. Non solo perché la consapevolezza di essere una dei pochi a riuscire a farlo le facesse provare un piacevole tepore al petto, ma perché col passare del tempo si era accorta che Marcus era bellissimo mentre rideva.
Con il passare delle settimane aveva cominciato a sentire uno strano imbarazzo ogni volta che era in compagnia del ragazzo, e quando lui si avvicinava troppo sentiva il proprio cuore accelerare furiosamente. 
Un leggero rumore di nocche contro la porta della sua camera la fece tornare alla realtà. Aprì la porta, trovandosi davanti Jason.
-Posso entrare?- le chiese.
La ragazza lo accolse nella propria camera, ed egli si chiuse la porta alle spalle. Si sedette sul suo letto e fece cenno alla figlia di fare altrettanto.
Isabel prese posto di fianco a lui, che aveva l'aria solenne e seria di quando stava per annunciare qualcosa di importante. Per un terribile e imbarazzante momento temette che il padre facesse qualche commento sulla sua battuta di prima, invece se ne uscì con qualcosa di completamente inaspettato.
-Tesoro, sai che il ventisette è il mio anniversario con Piper, vero?-.
-Sì-.
Jason la guardò con aria importante.
-Quel giorno è un venerdì, e vorrei portarla a Los Angeles per tutto il weekend-.
Isabel ne fu sorpresa: non si aspettava un gesto tanto romantico da parte di suo padre, anche se avrebbe dovuto prevedere che l'uomo avrebbe voluto festeggiare l'anniversario con qualcosa di particolare. 
-Volevo sapere cosa ne pensi, prima di fare la sorpresa a Piper- aggiunse Jason di fronte al suo silenzio.
La ragazza guardò il padre con orgoglio.
-Penso che sia una fantastica idea, a Piper piacerà tantissimo! Prometto che non le dirò nulla-. 
Gli diede un bacio sulla guancia, prima di precipitarsi fuori dalla camera. Scendendo le scale per poco non andò a sbattare contro Piper.
-Dove vai?- le chiese.
Isabel alzò le spalle. La donna aveva preso da qualche settimana l'abitudine di chiederle dove andasse e con chi ogni volta che usciva di casa, e sebbene la ragazza si fingesse spesso infastidita, era spesso contenta di essere l'oggetto dell'interesse e dell'attenzione di Piper. 
-Esco con Marcus-.
La donna le rivolse uno sguardo complice e un sorriso di chi la sa lunga.
-Capisco-.
La ragazza si ritrovò il volto di Piper a pochi centimetri dal proprio orecchio, udendo perfettamente il suo sussurro.
-Stai tranquilla, non dirò a Jason che hai un appuntamento-.
Isabel rimase interdetta a quelle parole. Scoprì di avere le guance avvampate quando urlò -Non ho un appuntamento!- e uscì di casa sbattendo la porta.
Era certa che prima che questa si chiudesse Piper stesse ridendo.

Finalmente il giorno del torneo era giunto. 
Gli sforzi di cinque mesi di allenamenti sfiancanti dovevano dunque dare i loro frutti. Isabel strinse con maggiore forza la cintura nera, guardando i suoi compagni fare lo stesso. 
Erano riuniti ai margini della palestra della Goode High School, e intorno a sé vide i partecipanti delle altre sette scuole. Essendo una domenica sul calar di maggio, molti studenti avevano avuto la possibilità di andare ad assistere, tanto che gli spalti erano pieni.
Tra il pubblico Isabel sapeva esserci Jonathan e Sophia, ai quali aveva tassativamente vietato di portare con loro un imbarazzante striscione di incoraggiamento. Da qualche parte doveva esserci anche Piper; Jason era stato chiamato all'ultimo secondo per presiedere ad un interrogatorio, ma la sua assenza era resa più sopportabile dalla presenza della fidanzata.
Furono sorteggiate un paio che conosceva solo di nome per aprire le danze, i cui partecipanti si presentarono al centro della palestra.
Isabel scoprì che all'incirca tutti erano ostici avversari, dimostrando la loro straordinaria abilità nel combattimento. Ma d'altra parte anche la sua squadra non era da sottovalutare: l'agilità di Mike e l'intelligenza di Louis erano in grado di mettere in difficoltà parecchi oppositori, mentre la sua tecnica riusciva a tenere testa a molti avversari. Il punto di forza della squadra era però Marcus: spinto dalla madre a praticare le arti marziali sin dalla più tenera età, ora dimostrava essere un vero portento mandando al tappeto chiunque gli si parasse davanti senza il minimo sforzo. 
La sensei ruggì di approvazione quando sconfissero i quattro avversari della prima scuola avversaria, mentre fu meno contenta quando Mike perse contro una ragazza ben più piccola ed esile di lui. Gli altri tre vinsero, garantendo comunque un passaggio per l'incontro successivo.
I problemi iniziarono con la semifinale. Isabel vide i propri compagni vincere con relativa facilità i rispettivi incontri, così che commise il suo errore: sottovalutò l'avversario.
Si accorse di questa grave lacuna solo quando un portentoso calcio la raggiunse alla spalla destra. Ringhiò di dolore, ma usò il braccio sinistro per deviare il pugno del ragazzo e colpirlo successivamente sotto il mento con quanta più forza possibile. Un calcio nello stesso punto riuscì a mandare al tappeto l'avversario, declamando Isabel vincitrice dell'incontro. Si ritirò reggendosi ancora la spalla, ritrovandosi circondata dai compagni che le chiesero insistentemente come si sentisse.
-Sto bene- asserì lei, lasciandosi cadere su una panchina.
Doveva resistere solo per un ultimo incontro, quello che bastava per fare proclamare la Goode High vincitrice del torneo.
Assistette invece alla sconfitta di Louis, e alla stentata vittoria di Mike. Quando fu il suo turno, Isabel entrò in campo con aria baldanzosa sebbene non fosse sicura di vincere. 
Quando l'incontro cominciò per un attimo la ragazza fu sicura di avere la vittoria a portata di mano. Il suo pugno sinistro andò a segno, facendola andare anche col destro. Questo fu il suo errore: l'avversario non aspettava altro. Scartò di lato per evitarlo e mentre Isabel aveva il braccio ancora teso la colpì con tutta la sua forza sulla spalla ferita.
Un dolore che non aveva mai provato le percorse tutto il braccio, facendola urlare e cadere in ginocchio. Per un attimo le parve di svenire, in quanto la sua vista non era in grado di distinguere nient'altro che ombre, ma dopo qualche istante riuscì a mettere a fuoco i volti accanto a sé.
-Penso sia lussata- borbottò una voce, ma non riuscì a comprendere di chi fosse.
Si sentì sollevare e le fu passato un braccio sotto quello sano mentre veniva portata via.
Sentì le lacrime di rabbia e frustrazione rigarle il volto, ma non avrebbe avuto senso negarlo: era impossibilitata a continuare l'incontro. Ad ogni passo il dolore dal braccio sembrava diffondersi in tutto il corpo, tanto che si chiese come facesse a restare cosciente. Scoprì di essere guidata verso lo spogliatoio quando la porta venne spalancata e quella dalla parte opposta della stanza venne aperta da Piper. 
-Miss McLean!- esclamò sollevata una voce maschile, e in quel momento Isabel si rese conto che era stato Marcus a portarla via dal campo.
Il volto dell'insegnante era una maschera di ansia e preoccupazione, e la ragazza non poté non provare una piccola fitta di senso di colpa al pensiero di essere lei a causarle quelle emozioni.
-Lascia fare a me- disse Piper, mentre il ragazzo usciva dalla porta urlando una frase che Isabel non capì.
Sentì il tocco delicato della donna sul braccio, seguito dalla sua voce.
-Stai tranquilla, farà male ma dopo sarà tutto a posto-.
Le inclinò il braccio verso l'alto e lo spostò verso la spalla, facendo provare un dolore indescrivibile alla ragazza... che con sua sorpresa si ritrovò a smettere di urlare, guardando Piper con sorpresa e ammirazione. Continuava a provare delle fitte dolorose alla spalla, ma era una sofferenza decisamente sopportabile.
-Come facevi a sapere cosa fare?- le chiese.
Lo sguardo dell'insegnante si incupì.
-Ho fatto delle ricerche su internet anni fa. Era più facile rispetto a dare spiegazioni in ospedale ogni volta-.
Isabel si sentì come colpita da un pugno allo stomaco. La donna non parlava mai degli abusi subiti quando era ancora alla mercé del suo ex marito, ma il pensiero che le capitasse subire quel dolore tanto spesso da non potersi recare in ospedale per non destare sospetti le fece provare una primordiale e istintiva rabbia.
Si avvicinò a lei, giusto in tempo per sorreggere Piper quando questa per poco non perse l'equilibrio. La aiutò a sedersi su una panchina mentre questa respirava affannosamente.
-Che hai?- domandò Isabel, preoccupata.
-Niente- borbottò la donna, pallida come un lenzuolo. -Solo un calo di zuccheri, credo-.
La ragazza si affrettò a cercare il proprio borsone tra quelli sparsi per lo spogliatoio, estraendone poi una bottiglietta d'acqua che porse a Piper. Questa accettò di buon grado e cominciò a sorseggiare l'acqua sotto lo sguardo apprensivo di Isabel.
-Devo andare ai distributori automatici a prenderti qualcosa?- domandò.
Piper scosse la testa.
-No, grazie. Mi sento già meglio-.
Un forte chiacchiericcio giunse a loro, seguito dalla porta che si spalancava. Entrarono Marcus e un uomo alto e abbronzato, dalla chioma bionda e gli occhi azzurri con indosso un camice bianco.
-Dottor Solace- si presentò, porgendo una mano a Isabel. -Sono qui per la tua spalla
La ragazza gliela strinse annunciando il proprio nome a sua volta, prima di lasciarsi visitare da lui. Egli le controllò il braccio, tastando con maestria e abilità muscoli e ossa. Isabel gemette di dolore, ma egli non la sentì.
-Mi sembra abbastanza a posto- concluse. -Ovviamente dovrai venire in ospedale a fare una lastra per avere la conferma e per prescrivere un antidolorifico. Cerca di non sforzare il braccio destro per almeno una settimana o due-.
-Sì, dottore-.
Il dottor Solace rivolse poi la sua attenzione verso Piper, che ancora era pallida sebbene non sembrasse più sul punto di perdere i sensi.
-Ha avuto un calo di zuccheri- disse Isabel, mentre l'uomo aggrottava le sopracciglia con aria pensierosa.
-Signorina, è allergica a qualche cosa?- chiese a Piper.
Il suo tono era un misto di curiosità ed entusiasmo, come se non vedesse l'ora di scoprire ciò che avesse la donna per curarlo il prima possibile. Gli occhi azzurri del medico ardevano di passione, facendo comprendere a Isabel quanto amasse il suo lavoro.
-No-.
-Se non sono scortese potrei sapere quanti anni ha?-.
-Ne compio trentasei a fine agosto-.  
Il dottor Solace rifletté per qualche attimo. 
-Penso debba presentarsi in ambulatorio per effettuare degli esami del sangue. Non si preoccupi- aggiunse davanti all'espressione angosciata di Piper. -È solo che alla sua età si possono contrarre nuove allergie, motivo per cui è plausibile che si senta spossata-.
L'insegnante sospirò di sollievo, e anche Isabel si ritrovò a farlo. L'ansia che Piper potesse avere qualcosa di grave si era presentata al referto del dottore, ma scoprire che non doveva avere nulla di grave era liberatorio.
Marcus si avvicinò a lei e la abbracciò con forza, cogliendola di sorpresa e facendola arrossire fino alle punte dei capelli. Ringraziò il cielo che fosse parecchio più alto di lei e che quindi non potesse scorgerle il volto, poggiato alla sua spalla.
-Ero così preoccupato per te- le disse, e il cuore di Isabel parve farle delle capriole nel petto. 
Si strinse a lui, mormorando -Marcus, sei...-
-Marcus, sei un idiota!- tuonò un'altra voce carica d'ira. 
I due si separarono mentre Clarisse faceva irruzione nello spogliatoio. Procedette a passo di marcia verso il ragazzo, con sguardo minaccioso e i pugni stretti. Isabel sarebbe fuggita davanti alla sensei arrabbiata, ma Marcus sostenne il suo sguardo sebbene fosse preoccupato.
-Perché sei così arrabbiata, mamma?- disse egli in tono relativamente calmo.
Isabel ne rimase sorpresa: durante il karate Marcus e Clarisse avevano un rapporto tra allievo e maestro; se era arrivato a chiamarla in quel modo significava che si stava giocando la carta dell'affetto filiale per sfuggire alla sua furia.
-Perché ci hai appena fatto perdere il torneo, idiota!- urlò la sensei. 
Marcus sbiancò.
-Cosa?-.
-Non eri presente quando ti hanno chiamato! Hai preso l'incontro a tavolino!-.
Il ragazzo assunse un'espressione avvilita che fece provare un senso di colpa a Isabel. Marcus aveva abbandonato il campo a causa sua, invece di essere lì a combattere.
Provò l'impulso di difenderlo dall'ira di Clarisse, ma la sua espressione iraconda le impedì di fare qualsiasi cosa.
-Questo è perché non pensi prima di agire!-.
-Non ti sembra di essere troppo severa con tuo figlio?- intervenne il dottor Solace con tranquillità.
Quest'uomo desidera porre fine alla sua vita, pensò Isabel. 
Solo allora Clarisse parve notare la sua presenza, e gli rivolse uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque. La calma dell'uomo, invece, non ne venne minimamente scalfita e continuò a fissare Clarisse come se fosse un interessante esperimento.
-Solace! Avrei dovuto immaginare che eri coinvolto anche tu, sempre a importunare Marcus...-
-Ho dovuto chiamare un medico!- la interruppe il ragazzo.
-Non rivolgerti a me con quel tono, signorino! Ti aspettano diecimila flessioni!-.
Marcus uscì dallo spogliatoio, mentre la donna continuava a sbraitargli contro. Isabel incrociò lo sguardo sconvolto di Piper e si affrettò a rassicurarla.
-Stai tranquilla, è normale. Anzi, è già tanto che non gli abbia dato quindicimila flessioni-.
-Clarisse è piuttosto intrattabile- commentò il dottor Solace. Guardò l'orologio prima di aggiungere -È meglio che vada, tra poco comincia il mio turno in ospedale. Mi aspetto di vedervi in ambulatorio entro poche ore-.
L'ultima frase fu pronunciata in tono gentile, ma conteneva un velo di severità non ignorabile. Dopo averlo assicurato che si sarebbero recate in ospedale il prima possibile, Piper e Isabel uscirono dallo spogliatoio, ritrovandosi in palestra e un altro uomo biondo dagli occhi azzurri che corse loro incontro.
-Jonathan mi ha appena chiamato per dirmi cosa è successo- spiegò Jason, rivolgendosi poi alla figlia in tono preoccupato. -Come stai?-.
Isabel gli disse di non stare eccessivamente male, e riferì le raccomandazioni del dottor Solace. Il padre sembrò decisamente sollevato dalle sue parole, e disse -Andiamo subito in ospedale allora-.
La ragazza seguì lui e Piper nella palestra semideserta, salutando Mike e Louis quando le passarono accanto con aria mogia. Venne poi raggiunta dal cugino e dall'amica, che non la lasciarono andare fino a che non furono certi che non avesse subito un grave infortunio. Fu solo allora che la salutarono, rivolsero un cenno a Jason e Piper e uscirono. Tutti i presenti stavano abbandonando la palestra per andare fuori a festeggiare i vincitori del torneo, ad eccezione di un ragazzo impegnato a fare delle flessioni ai piedi delle gradinate.
Fu una scelta istintiva. Prima ancora di rendersene conto stava già pronunciando quelle parole.
-Vi dispiace se mi fermo a salutare Marcus?-.
-Certo che ci disp...- cominciò Jason, venendo interrotto dalla fidanzata.
-Ma se andassimo a prenderci un caffé, io e te da soli?-.
La mano di Piper si intrecciò con quella dell'uomo, trascinandolo fuori dalla palestra. Isabel rise davanti a quella scena, prima di dirigersi dal ragazzo. 
Marcus parve non notare il suo arrivo, fino a che lei non gli parlò.
-Mi dispiace che tu sia stato eliminato per colpa mia-.
Il ragazzo alzò lo sguardo, facendole provare la sensazione di volersi perdere in quegli occhi castani.
-Non è colpa tua. Non potevo lasciarti in quello stato e sapevo che se avessi chiamato Will sarebbe accorso subito-.
Per un attimo Isabel non capì di chi parlasse, ma poi si rese conto che Will doveva essere il nome del dottor Solace.
-Lo conosci personalmente?- gli chiese.
Il ragazzo annuì, tornando a dedicarsi alle flessioni. Poco dopo il passo pesante e irato di Clarisse fece loro intendere che li teneva d'occhio, ed entrambi sapevano bene che non sarebbe stato conveniente farsi ritrovare a non fare niente.
-Will è il mio vicino di casa- spiegò Marcus. -Come avrai potuto notare lui e mamma non vanno esattamente d'amore e d'accordo-.
-Perché?-.
-Per una cosa che è successa quando erano adolescenti. Non ricordo che è successo esattamente, ma sono sicuro che c'entri una macchina. Ah, e inoltre mamma non lo può sopportare da quando ha saputo che voglio fare il medico-.
Isabel comprendeva benissimo. Era certa che Clarisse avrebbe voluto che il figlio seguisse le sue orme sulle arti marziali, e non doveva essere stata per nulla contenta della sua scelta di fare la stessa carriera del vicino che non poteva sopportare.
-È stato lui a spingerti a fare questa scelta?-.
-No, Will ha semplicemente abbastanza pazienza da rispondere a tutte le mie domande- rispose Marcus. -A volte mi presta dei libri, ma non mi ha mai fatto pressioni affinché scegliessi la sua stessa professione-.
-Capisco- disse la ragazza.
In quel momento il suo cellulare squillò, e vide il numero di Jason. Sbuffando rifiutò la chiamata.
-Devo andare- disse a Marcus.
Per salutarlo gli diede un veloce bacio sulla guancia, ma poi sentendosi arrossire furiosamente abbandonò la palestra senza nemmeno voltarsi a guardare la reazione del ragazzo.

Come previsto da Isabel, Piper reagì entusiasticamente all'idea di passare l'anniversario con il fidanzato a Los Angeles. La mattina in cui lei e Jason partirono riempirono così tanto di raccomandazioni la ragazza che questa non poté non esserne infastidita: sarebbe stata tre giorni dagli zii Thalia e Luke, e loro si comportavano come se fosse stata sul punto di dare potenzialmente fuoco alla casa.
Si sistemò nella camera degli ospiti e per i primi due giorni fu tutto fantastico. La domenica gli zii uscirono, e rimasero in casa solo lei e Jonathan.
-Scusa, non è che potresti uscire anche tu?- le chiese il cugino.
-Perché?-.
Lui la guardò con aria maliziosa.
-Sai, è la prima volta da settimane che ho finalmente la casa libera. Voglio invitare Sophia, andare in camera e...-
-Ti giuro che starò fuori fino a tarda notte se mi eviti una dettagliata descrizione di ciò che hai intenzione di fare con lei- lo interruppe Isabel.
Un quarto d'ora dopo era già fuori casa, a passeggio per le intricate vie della città. Senza una meta, decise di andare verso il luogo che avrebbe evitato fino a qualche mese prima. Da quando vi era stata con Piper, Isabel si recava al cimitero almeno una volta al mese per rendere omaggio alla madre. Era spesso da sola, considerandola una cosa personale. 
Quel giorno però il destino aveva altri piani. Una voce la chiamò, e voltandosi scorse la figura di Marcus. Il suo cuore accelerò furiosamente i battiti quando egli la raggiunse, chiedendole dove fosse diretta.
-Vado da mia madre- disse semplicemente.
Lo sguardo di lui si fece sorpreso; sapeva che Reyna era morta poiché la ragazza glielo aveva detto anni prima, in risposta alla domanda di Marcus del perché venisse sempre a prenderla dagli allenamenti suo padre e non sua madre. Sapeva però altrettanto bene quanto lei fosse sensibile sull'argomento.
-Ti va se vengo con te?- le chiese.
La ragazza accettò di buon grado la sua presenza, e durante il tragitto fino al cimitero egli la intrattenne su come cercasse ogni scusa per non restare in casa con Clarisse, che da quando aveva fatto perdere la squadra al torneo di karate si dimostrava sempre più severa nei suoi confronti. Le raccontò di come si rifugiasse spesso all'ufficio postale di suo padre, Chris, che lo mandava a consegnare le missive.
-Praticamente mi sfrutta perché sa che farei di tutto pur di non stare a casa con mamma, e ovviamente senza compenso!-.
Isabel rise, e dopo qualche minuto di camminata giunsero all'entrata del cimitero, dove la ragazza si fermò a comprare dei fiori. Katie, la fiorista, le sorrise mentre porgeva dei giacinti e le consegnava il resto. Dopo aver contato che fossero giusti - non perché non si fidasse della donna, ma era un'abitudine che zio Luke le aveva inculcato fin da quando era piccola - entrò insieme a Marcus, andando in cerca della tomba di Reyna.
La ragazza prese i fiori secchi posati sul vaso vicino alla lapide della madre, gettandoli via e sostituendoli con quelli freschi. Isabel guardò la foto di Reyna, provando l’ormai familiare senso di tristezza e nostalgia da cui aveva deciso di non fuggire più.
Inoltre c’era la presenza di Marcus a renderla più sicura di sé, a impedirle di crollare a piangere come spesso aveva fatto in passato. Si alzò in piedi e si avvicinò a lui, che le passò un braccio attorno alle spalle.
Non distolse lo sguardo dalla lapide quando mormorò –Ti ho sognata un paio di settimane fa, sai? Volevo dirti che va tutto bene, adesso papà sta con una donna che lo rende felice. E anche a me piace molto: è grazie a lei se riesco a farti visita-.
La presa di Marcus si era fatta più salda sulle sue spalle, mentre lei lasciava andare la sua testa contro la spalla di lui. Non avrebbe mai voluto togliersi da quella posizione.
Voltandosi vide che anche egli aveva lo sguardo fisso sulla foto della lapide, probabilmente in cerca di una somiglianza con Isabel.
-Signora Grace- esordì invece, sorprendendo la ragazza. 
Non aveva mai pensato a Marcus come una persona sensibile, ma vederlo davanti alla tomba di sua madre a parlare come se si stesse rivolgendo ad una rispettabile persona la fece quasi commuovere.
-Signora Arellano- lo corresse Isabel. -Non ha mai preso il cognome di papà-.
-Va bene. Signora Arellano, sua figlia è una persona energica e sempre pronta a farsi in quattro per le persone che ama. Immagino che tutto ciò sia dovuto a lei. A volte è un po' stupida... ahia!- si finse dolorante quando lei gli pestò un piede. -Ma se potesse vederla, sono certo che sarebbe molto fiera di lei-.
Il cuore della ragazza accelerò smisuratamente a quelle parole. Disse un ultimo saluto a Reyna e uscì dal cimitero, seguita da Marcus. 
-Pensavi davvero alle cose che hai detto prima, davanti alla tomba di mamma?- chiese, dopo diversi minuti di cammino.
Lui annuì, deciso. 
-Certo che sì-.
Mentre il suo cuore martellava contro le costole, alla mente di Isabel tornarono le parole che Piper le aveva detto mesi prima. 
Magari il ragazzo giusto è più vicino di quanto tu creda.
Era una mossa avventata, afferrò la mano di Marcus e lo fece voltare verso di sé. Senza pensare gli cinse il collo con le braccia e sentì le mani di lui afferrarle i fianchi mentre i loro visi si avvicinavano e le loro labbra finalmente si incontrarono.
Non era nulla di simile a quando aveva baciato Jake. Baciare Marcus la fece sentire come se fosse in Paradiso, con la sensazione di volare nonostante i suoi piedi fossero ben piantati al suolo. Quando si separarono, ancora con i cuori palpitanti e le guance arrossate, lui la guardò negli occhi.
-Finalmente, cominciavo a chiedermi quando ti saresti decisa a farlo-.
Lei si finse offesa; era vero che riconoscere i sentimenti altrui non era esattamente il suo forte, ma era impossibile arrabbiarsi con Marcus, per quanto la prendesse in giro.
-Allora adesso stiamo insieme?- chiese lei.
-Non so, tu che diresti?-.
Si baciarono nuovamente, e si tennero per mano fino a che non arrivarono nella via dove vi era la casa di Isabel, che si sorprese di trovare parcheggiata nel vialetto la macchina del padre. Si ritrovò entusiasta all'idea di annunciare a Piper il fatto di essersi appena fidanzata, e quando Marcus la salutò con un ultimo bacio entrò in casa di corsa. Nel salotto vi era Jason, con un'aria abbattuta che fece gelare il sangue a Isabel.
-Ciao, stavo per chiamarti- disse lui.
La ragazza rabbrividì per il tono da lui usato, un misto di tristezza e rassegnazione.
-Credevo che tu e Piper tornaste stasera-.
Jason evitò il suo sguardo.
-C'è stata una... complicazione-.
Isabel deglutì, nonostante sentisse il cuore in gola.
-Che tipo di complicazione?-.
Jason si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla, guardandola finalmente negli occhi. In quelle iridi celesti vi era il più profondo dolore, che fece comprendere la situazione alla ragazza prima che lo facessero le sue parole.
-Io e Piper ci siamo lasciati-.

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Capitolo 9
*** Parte IX ***


Note: eccoci quasi alla fine di questa storia, questo si può considerare l'ultimo capitolo in quanto il prossimo sarà un epilogo. Non ho idea di quando verrà postato, visto che a breve mi spetta un'orribile sessione di esami. 
Cercherò di agggiornare entro giugno, ma non garantisco nulla.
Buona lettura.
The French Teacher
Parte IX

Isabel sperò che Jason scoppiasse a ridere svelando che quella era solamente una battuta, prendendola in giro per averci creduto.
Eppure suo padre non mentiva mai, tantomeno su argomenti tanto delicati. Come ulteriore conferma vi era il dolore che traspariva da ogni poro dell'uomo, che fece precipitare addosso alla ragazza il peso della situazione.
-Come...- esordì, ma si rese conto di avere la gola secca. -Come diavolo è possibile che tu e Piper vi siate mollati?!-.
Non era sua intenzione mettersi ad urlare, ma la sua voce era di parecchie ottave più alta del normale. Il suo cuore era pieno di rabbia e, scoprì con sorpresa, anche dolore.
Jason sospirò, confermando che lei stava agendo esattamente come aveva temuto.
-Sono cose da adulti. È complicato da spiegare...-
-Allora non farlo!- gridò Isabel.
Gli occhi celesti di suo padre furono attraversati da un'onda di dolore mentre lei gli dava le spalle per andare di fretta in camera sua, ma la ragazza era troppo sconvolta e arrabbiata per sentirsi in colpa. Chiuse la porta con violenza, buttandosi poi sul letto e afferrando il cellulare. Cercò il numero di Piper e cominciò a scrivere di fretta.
Ciao Piper, come stai? Papà mi ha detto che vi siete lasciati, ma non vuole dirmi il perché.
Cosa è successo?
P.S.: Anche se adesso non state più insieme noi siamo ancora amiche... giusto?

Inviò il messaggio, aspettandosi una risposta dalla donna in breve tempo. Controllò dopo cinque minuti, ma non le era ancora arrivato nulla. 
Dopo dieci nemmeno. E anche un quarto d'ora dopo Piper non si era ancora fatta viva.
Isabel si rassegnò all'idea di dovere attendere, mentre ansia, rabbia e dolore minacciavano di sopraffarla. Provò a rileggere I Fiori del Male, ma non riusciva a concentrarsi per più di due versi di fila senza che i suoi pensieri tornassero alla situazione che stava passando. Frustrata, si ritrovò a lanciare il libro dall'altra parte della stanza. Non poté che provare una nuova fitta di dolore al pensiero che era stata Piper a donarglielo, la stessa donna che in quel momento preferiva ignorarla.
Magari non mi sta ignorando, provò a convincersi. Potrebbe benissimo essere andata a dormire.
Aggrappandosi a questa considerazione, prese il cellulare e cominciò a scrivere a Marcus, Jonathan e Sophia della rottura tra suo padre e la fidanzata. Come si aspettava, le loro reazioni furono sconvolte e amareggiate, e ognuno di loro si offrì di precipitarsi a casa sua per consolarla.
Isabel rifiutò tutte le proposte, scoprendosi sorprendentemente desiderosa di vivere quel momento di dolore da sola, ma li ringraziò per il sostegno. Era inoltre arrabbiata con Jason, poiché aveva tentato di tergiversare sul motivo che lo aveva portato a lasciarsi con la fidanzata proprio quando avrebbe dovuto festeggiare con lei il loro anniversario. Le doveva almeno la verità, se non poteva fare nulla per tornare con Piper.
Non scese per la cena, e rimase in camera sua fino a che non udì i passi di suo padre dirigersi verso la propria camera. Solo allora uscì furtivamente e si recò in cucina, dove si preparò un sandwich con le prime cose che ritrovò in frigo. Dopo avere mangiato tornò in camera sua, dove scoprì con amarezza che Piper non le aveva ancora risposto.
Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi, che riuscì almeno in parte a rassicurarla, fu che l'indomani avrebbe almeno rivisto la donna a lezione.

La prima cosa che notò appena sveglia fu che Piper non aveva risposto al messaggio, cosa che fece partire male la giornata. Si preparò in fretta ad andare a scuola, procurandosi opportunamente di evitare Jason, e uscì di casa in tutta fretta.
Non aveva pensato che le cose potessero peggiorare, ma così fu. Arrivò giusto in tempo per la lezione della prima ora, così che non poté fermarsi fuori a parlare con i suoi amici. Assistette senza prestare la minima attenzione alle prime ore, attendendo con ansia quella di francese. Eppure, quando questa finalmente giunse, accadde qualcosa che Isabel non si sarebbe certo aspettata-
Un giovane uomo, che non poteva avere più di ventidue anni, entrò in aula, andando fino alla lavagna sotto lo sguardo sconvolto e deluso di Isabel.
-Sono Evan Walsh, e per queste ultime due settimane sarò il vostro supplente di francese- si presentò.
Aveva l'aria entusiasta di un giovane uomo alle prese con il lavoro che amava, e dagli occhiali da vista il suo sguardo trasmetteva la passione e la voglia di fare, sebbene quella molto probabilmente fosse la sua prima esperienza con l'insegnamento. Nonostante ciò, Isabel si ritrovò a non sopportarlo affatto, nonostante la buona impressione.
La sua mano scattò in aria.
-Come mai non c'è Miss McLean?-.
Mr. Walsh fece per rispondere, ma un'altra voce lo precedette.
-Nemmeno tu hai idea di dove sia la tua amante?- domandò Helen con cattiveria. 
Isabel si alzò con furia dal posto e si avvicinò all'altra ragazza a passo di marcia.
-Miss McLean non è la mia amante, non credevo ci fossero persone così stupide da non avere ancora afferrato il concetto. Evidentemente devo ricredermi-.
Helen si alzò a sua volta e fece per darle uno schiaffo, ma Isabel prontamente parò il colpo e stava per rifilargliene uno a sua volta quando una presa ferrea la bloccò.
Mr. Walsh era livido di rabbia.
-In detenzione, tutte e due!-.
A questo punto della giornata Isabel era convinta che nulla potesse andare peggio, ma dovette ricredersi quando Helen aprì la porta dell'aula di detenzione e le sue orecchie furono raggiunte da una voce che aveva imparato ad odiare in quegli ultimi mesi.
-Cara, ma cosa ci fai qui?-.
La pelle di Isabel accapponò nell'udire quel tono stranamente dolce da una persona che sapeva essere crudele come poche. Quando fece il proprio ingresso alle spalle della compagna, vide lo sguardo di Miss Tanaka studiarla quasi con disgusto.
-Capisco- disse alla figlia, per poi tornare a rivolgersi a lei con tono duro. -Grace, metti sulla cattedra cellulare, lettore musicale, cuffie, orologio e qualsiasi altro oggetto che hai portato dietro dalla classe-.
Riluttante e più arrabbiata di prima, Isabel eseguì l'ordine, posando i propri effetti personali davanti a Miss Tanaka sentendosi come una detenuta che veniva perquisita prima dell'ingresso in carcere. 
-Vai in fondo alla classe, non muoverti e non parlare fino alla fine dell'ora- aggiunse ancora.
"Posso respirare?" avrebbe voluto sbottare la ragazza irritata, ma ci ripensò rendendosi conto che probabilmente l'unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato rimanere un'altra ora in detenzione. Così, frustrata e furiosa, si diresse verso l'ultima fila di banchi, sedendosi poi su quello più isolato. 
Dalla sua postazione Isabel si ritrovò a fissare furiosa quella vipera di Miss Tanaka e la figlia, divenendo poi sempre più addolorata e invidiosa. Non aveva mai pensato di provare tali sentimenti verso Helen Mason, ma vedere che persino una donna tanto spregevole come l'insegnante che presenziava in aula riusciva ad avere un bel rapporto con la figlia non poté che fare pesare maggiormente l'assenza di Piper.

Quando entrò in casa Jason era ai fornelli. 
Parlare con i suoi amici durante la pausa pranzo era riuscita a convincera di smettere di fare l'offesa con il padre; la sera prima era stata troppo sconvolta e addolorata dalla notizia della rottura con Piper per pensarci, ma quella mattina Sophia, Jonathan e Marcus l'avevano costretta a riflettere sul fatto che Jason stesse soffrendo almeno quanto lei, e che fare l'arrabbiata con lui non avrebbe di certo riportato indietro la sua fidanzata. Ex-fidanzata, si corresse Isabel a malincuore.
Si avvicinò al padre cautamente, ma egli si accorse della sua presenza e si voltò. Isabel lo abbracciò forte, sia per fargli capire quanto fosse pentita del comportamento tenuto la sera precedente, sia perché desiderava ardentemente il conforto del genitore.
Jason la strinse a sé a sua volta, accarezzandole il capo con una mano. Isabel sentì un nodo alla gola, ma cercò di non esternare le lacrime. 
Si chiese come avesse fatto a resistere tutta la giornata senza alcun contatto con il padre. Per superare la rottura con Piper aveva bisogno di tutto il suo sostegno, come Jason aveva bisogno di quello di lei. Ce l'avrebbero fatta insieme, come avevano sempre fatto.
-Tesoro, gli hamburger si stanno bruciando- la avvertì Jason, e la ragazza lo lasciò andare ridacchiando.
Eppure il breve momento di ilarità venne ben presto soffocato dal silenzio. Negli ultimi mesi cenare in tre era diventata la quotidianità e quella era la prima volta in cui si ritrovavano a cena senza Piper con la consapevolezza che sarebbe stata solo la prima di una lunga serie. 
Per un attimo Isabel immaginò le sue proteste se le avessero offerto di mangiare carne insieme a loro, ma ciò non riuscì a colmare il vuoto che provava nel petto. Non se la sentiva di parlare di quanto le mancasse l'insegnante, e tantomeno Jason sembrava volenteroso di farlo. A tavola regnava il silenzio, non vi era un'aria così cupa e triste da quando...
Da quando mamma è morta, si ritrovò a pensare Isabel.
Provò un moto di rabbia al pensiero che Piper, a differenza di Reyna, fosse ancora viva e che quindi si potessero sistemare le cose. Solo che non aveva idea di cosa poteva essere andato storto, e quindi non aveva idea di come porvi rimedio.
Guardò Jason, che stava fissando il tavolo con aria assorta nei propri pensieri e l'aria affranta. La ragazza desiderò riuscire a leggere i pensieri che si celavano dietro quell'espressione, per poter finalmente scoprire il motivo della rottura tra i due.
Lo avrebbe scoperto, giurò a se stessa. Fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto.

L'occasione per scoprire cosa era successo a Los Angeles si presentò in maniera completamente inaspettata. 
Cinque giorni dopo la scoperta della rottura tra Jason e Piper, questa ancora si ostinava a non risponderle. Isabel ci aveva sofferto molto, ma non si era ancora presentata a casa della donna a chiedere spiegazioni per quanto desiderasse farlo. Aveva pensato che sarebbe stato meglio scoprire cosa poteva avere spinto suo padre e l'insegnante a mandare all'aria una relazione di quasi un anno e fare capire a entrambi che stavano facendo un grosso errore, e il fatto che questa decisione fosse supportata dai suoi più cari amici e dal ragazzo aveva spinto Isabel a sopportare il dolore e la frustrazione per essere ignorata da Piper.
Quel pomeriggio era a casa dei suoi zii in cerca di Jonathan, per poi scoprire che il cugino le aveva lasciato un biglietto in cui diceva di essere da Sophia e di non cercarlo se non per questioni di vita o di morte. Irritata, sbuffò e maledisse Jonathan. 
Prima di uscire dalla sua camera prese il cellulare e controllò per l'ennesima volta se Piper le avesse risposto, più per abitudine che per vera e propria speranza. Difatti non le era ancora giunto alcun messaggio da parte della donna.
Ignorando il dolore e la delusione, Isabel scese e udì la voce di suo padre provenire dalla cucina, seguita da quella di zia Thalia.
-Sei un idiota!-.
Presa dalla curiosità, Isabel si avvicinò alla porta socchiusa.
-Forse avrei dovuto evitare...- borbottò Jason.
-Certo che avresti dovuto farlo! Non hai pensato a parlarne con tua figlia prima?!-.
La ragazza citata si avvicinò ancora di più, col cuore in gola. Evidentemente suo padre e la sorella credevano di essere soli in casa, il che fece desistere Isabel dall'aprire la porta, ma rimase davanti ad essa a origliare.
-No- rispose la voce di Jason, palesemente imbarazzato e mortificato. -Non pensavo di perdere Piper, credevo che lo avremmo detto a Isabel una volta tornati a casa-.
Isabel per un secondo si scordò persino come respirare; forse sarebbe riuscita finalmente a scoprire ciò che da diversi giorni la tormentava.  
-Ma secondo te si può dire una cosa del genere mentre si fa sesso?!- urlò ancora zia Thalia. 
Isabel arrossì violentemente, ma il pensiero di scoprire il motivo per cui suo padre avesse rotto con Piper la tenne inchiodata lì.
-No, ma...- borbottò Jason, e la ragazza non fece fatica a immaginare il volto di suo padre rosso almeno quanto il suo. 
-Stupido fratellino- sospirò la donna. -Non puoi chiedere alla tua fidanzata di sposarti mentre sei a letto con lei-.
La ragazza sentì la sua mente svuotarsi a quella rivelazione. Immaginò cosa fosse successo dopo; Piper doveva essersela presa per quella proposta, specie se posta in modo tanto indelicato, e Jason doveva averlo interpretato come il fatto che la fidanzata considerasse poco importante la loro relazione. La lite doveva poi essere degenerata fino alla rottura del fidanzamento.
Isabel si chiese come mai suo padre, sempre così attento ai sentimenti altrui, non avesse tenuto conto di come avrebbe dovuto sentirsi la fidanzata nel ricevere una proposta di matrimonio dopo la sua esperienza in Francia. Decise che non avrebbe avuto una risposta, e corse verso l'uscita della casa più velocemente che poté. 
Piper abitava dall'altra parte della città, ma Isabel corse quasi senza fermarsi fino all'abitazione della donna. Si fermò ansimandò davanti al portone, riprendendo fiato per qualche minuto e asciugando il sudore dal volto. 
Suonò insistentemente al campanello, decisa a non accettare di essere nuovamente ignorata.
-Piper, apri questa porta o giuro che la butto giù a calci!- urlò.
La porta venne aperta, ma non era stata Piper a farlo. Davanti a lei vi era una bella donna di mezz'età, dai capelli corvini e gli occhi azzurri che sorrise vedendola. 
Isabel inizialmente non capì chi fosse, ma poi le venne in mente una foto che Piper le aveva mostrato tempo prima. La donna doveva essere Silena, la sorella maggiore dell'insegnante.
-Piper, credo che qualcuno ti stia cercando- disse, spostandosi di lato e facendo entrare Isabel.
La ragazza fece il suo ingresso con irruenza, ma si bloccò quando vide la donna in piedi davanti al divano, sul quale era poggiata una valigia quasi piena. Una sensazione di gelo si fece strada nel petto di Isabel.
-Te ne stai andando?- domandò, senza alcuna emozione.
Lo sguardo di Piper evitò il suo volto, mentre rispondeva con voce atona.
-Mi trasferisco a Chicago, da Silena-.
Una pugnalata al petto avrebbe fatto meno male.
Isabel sentì il dolore e la rabbia esplodere a quelle parole.
-Sei un'ipocrita!- urlò. 
Piper la fissò con un misto di confusione e dolore.
-Hypocrite!- ripeté Isabel in francese. -Sei stata tu a insegnarmi a non scappare dal passato, ma sei la prima a farlo!-.
-Cosa...- cominciò la donna, ma venne subito interrotta.
-Hai paura di sposarti perché temi di rivivere ciò che è successo in Francia, ma papà non è Jacques! Lui non ti farebbe mai del male perché ti ama davvero! Sono sicura che anche tu lo ami, e penso che tu lo abbia lasciato per un motivo stupido!-.
Gli occhi multicolore di Piper assunsero uno sguardo simile a quello che le aveva visto tempo prima, quando le aveva parlato del suo ex marito. La rabbia e il dolore erano traboccavano anche da ogni parola della donna.
-Non parlare di cose che non conosci!-.
-Allora guardami negli occhi e dimmi che non ami mio padre!- urlò Isabel.
Piper distolse lo sguardo, confermando le supposizioni della ragazza.
-Da quando papà sta con te sorride più spesso, sai fare emergere la sua parte migliore. Non vedi quanto lui ha bisogno di te... quanto io ho bisogno di te?!-.
La ragazza dovette prendere dei respiri profondi dopo quella frase, sotto lo sguardo grave di Piper. Era rimasta colpita dalle sue parole, ma che fosse in negativo o in positivo non sapeva dirlo.
Ignorando il nodo alla gola che era insorto, continuò a parlare, esternando ciò che non aveva mai confidato ad anima viva.
-Non ho mai voluto che mio padre si fidanzasse, da quando mamma è morta speravo che si tenesse lontano dalle altre donne. Io... sai cosa si prova a crescere senza una madre, vero? Mi sentivo così sola e non volevo perdere le attenzioni dell'unico genitore che mi era rimasto.
Quando mi ha detto di stare frequentando una donna ne sono rimasta molto infastidita, ti ho odiata ancora prima di conoscermi perché avevo così paura che mi portassi via papà. Poi quando ti ho vista sulla soglia di casa mia cinque mesi fa non ci ho visto più dalla rabbia, la scoperta che mio padre stesse frequentando la professoressa che molto probabilmente mi avrebbe bocciata era troppo da sopportare.
Ma tu non ti sei arresa, hai sempre cercato di costruire un rapporto nonostante tutto. Ti sei conquistata prima la mia fiducia, poi il mio affetto. Non pensavo che mi sarei affezionata tanto in fretta a una pesona che prima avevo tanto odiato.
Da quando ci sei papà è più felice, e io... quando sono con te mi chiedo se è così che ci si senta ad avere una madre. Mi sembra di non essere più così sola-.
Si interruppe, vedendo gli occhi lucidi di Piper. La guardava come se volesse muoversi verso di lei, ma Isabel la precedette. 
La abbracciò con forza, poggiando la testa sul petto della donna.
-Ho già perso mia madre. Ti prego, non lasciarmi anche tu-.
Non avrebbe mai voluto implorarla, ma l'idea che Piper se ne andasse era troppo dolorosa per potere essere presa in considerazione. Sentì le proprie lacrime scendere sul viso, mentre le braccia della donna la circondavano. 
-Non me ne andrò- sussurrò. -Te lo prometto-.
Isabel alzò lo sguardo, incrociando quello di Piper e scoprendo che si era commossa fino alle lacrime. Un singhiozzo le fece capire che il suo discorso doveva avere colpito anche Silena, della quale si era scordata la presenza. 
Piper la strinse a sé con più decisione e Isabel si abbandonò a quel contatto, contenta di essere ancora tra le braccia della donna.
-Ti avevo detto che andartene non sarebbe stata una buona idea- commentò Silena. 
Non sapeva da quanto tempo fosse abbracciata a Piper, e nemmeno le interessava. Sapeva solo che a un certo punto le sue lacrime si erano asciugate dal suo volto e che la sorella della donna aveva proposto di andare a preparare un thé per fare calmare entrambe, e aveva sentito i suoi passi andare verso la cucina. Solo allora aveva finalmente sciolto l'abbraccio dalla donna, andando a sedersi sul divano al suo fianco.
-Sono stata un'idiota- mormorò Piper, affranta. -Ho allontanato l'uomo che amo per paura dei miei fantasmi, e ho cercato di fare lo stesso con te-.
Isabel in quel momento provò emozioni contrastanti; da una parte era contenta che la donna avesse ammesso di amare Jason, dall'altra si sentiva dispiaciuta per lei e provava il desiderio di consolarla dai suoi tormenti, sebbene pochi minuti prima la stesse accusando degli stessi motivi.
-Anche papà ti ama- le disse, sicura. -Secondo me sarebbe disposto a perdonarti-.
-Tu invece?- domandò la donna. -Tu mi perdoneresti?-.
-Solo a patto che non pensi mai più di andartene-.
Piper sorrise, mentre la ragazza estraeva il cellulare e scriveva un veloce messaggio.
-A chi scrivi?- le domandò Piper.
-A Marcus- mentì Isabel. -Sai, adesso stiamo insieme-.
Il volto della donna si illuminò.
-Davvero? Racconta-.
La ragazza cominciò a raccontarle di come si era fidanzata col ragazzo, ed era appena giunta al termine quando qualcuno suonò insistentemente al campanello.
-Certo che sei una donna ricercata- commentò Silena, giunta in quel momento dalla cucina con due fumanti tazze di thé.
Isabel ne prese una e ringraziò la donna, mentre Piper andava ad aprire la porta dalla quale fece il suo trafelato ingresso Jason. Per poco non finì addosso alla donna, ma nel vederla per un attimo la sua espressione mutò in un'espressione di pura gioia.
-Mia figlia mi ha scritto dicendomi di stare malissimo- disse cercando di mantenere un tono distaccato, lanciando poi un'occhiata verso Isabel che lo salutò con la mano.
-E a quanto pare non è vero- aggiunse.
Per un imbarazzante attimo lui e Piper rimasero a fissarsi senza sapere che fare, come se ognuno stesse trattenendo il proprio istinto di avere l'altro tra le braccia. Fu Piper a fare la prima mossa e a baciare con passione il fidanzato, che ricambiò portandole le mani sui fianchi. 
-Sono una bella coppia, non è vero?- disse Silena.
-Fantastica- confermò Isabel.

Marcus posò la scatola a terra, sbuffando. 
-Non credevo che dare una mano per il trasloco di Miss McLean sarebbe stato tanto faticoso-.
Isabel posò a sua volta un'altra scatola sul pavimento della camera matrimoniale, accanto a quella del ragazzo. Erano passati pochi giorni da quando Jason era tornato con la fidanzata dopo la breve rottura, e dopo essersi chiariti sulle ragioni che avevano portato a questa, il rapporto tra i due sembrava esserne uscito rafforzato. Forse era per quello che quando Isabel aveva suggerito di approfittare dei bagagli quasi pronti di Piper per farla trasferire a casa loro i due adulti avevano subito approvato l'idea, e ora erano tutti in ballo tra scatoloni e scartoffie burocratiche per il cambio di residenza.
Marcus si era offerto di aiutarla formalmente per darle una mano, ma Isabel sapeva che lo faceva per passare un po' di tempo con lei. Si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulle labbra.
-Dai, abbiamo quasi finito- gli disse. -Ancora poco e potremmo stare da soli-.
-Marcus!- chiamò Jason, entrando in camera. -Ho bisogno del tuo aiuto per portare alcune cose dalla casa di Piper-.
Isabel dovette cercare di non alzare gli occhi al cielo. Era certa che suo padre stesse chiamando Marcus solo per impedirgli di stare da solo con lei in una camera da letto, e questo atteggiamento protettivo non faceva che infastidirla.
-Arrivo- disse il ragazzo, dandole un altro bacio a stampo appena Jason si voltò.
Isabel guardò i due maschi uscire dalla camera, seguita dal motore della macchina di suo padre. Fece per mettersi a ordinare il contenuto delle scatole, mentre Piper faceva il suo ingresso. Non parve notarla, il volto preoccupato incentrato su alcune lettere che aveva in mano, e si lasciò cadere sul letto.
-Cosa ti preoccupa?- le domandò Isabel.
La donna sobbalzò, sorpresa che ci fosse qualcuno nella camera. La ragazza prese posto al suo fianco, mentre Piper voltava le buste in modo che lei non potesse leggerne il mittente.
-È la prima volta che ne parlo con qualcuno- disse, guardando Isabel negli occhi. -Mi fido di te, quindi posso chiederti di mantenerlo segreto fino a quando non sarò pronta a parlarne con Jason?-.
-Certo- promise la ragazza. 
Piper le mostrò la busta, che recava il logo dell'ospedale e la firma del dottor Solace. In un attimo il cuore balzò in gola a Isabel.
-Hai una malattia incurabile?-.
-No!- esclamò Piper. -Non preoccuparti, sono sana-.
La ragazza si tranquillizzò a quelle parole, ma non poté fare a meno di esternare la sua persistente curiosità.
-Allora perché l'ospedale ti ha mandato questa?- chiese accennando alla busta ancora chiusa.
-Hai presente quando al torneo di karate il dottor Solace mi ha consigliato di sottopormi ad alcuni esami perché pensava che fossi allergica a qualcosa?-.
Isabel annuì.
-Questo è il resoconto degli esami del sangue, e non credo proprio si tratti di allergia-. Piper prese un profondo respiro prima di continuare. -Ho un ritardo di tre settimane-.
Una nuova emozione pervase il corpo di Isabel. In tutti quei mesi non aveva mai pensato di espandere la propria famiglia oltre Piper, ma, soprattutto da piccola, si era chiesta se un fratello o una sorella non l'avrebbero aiutata a superare meglio la morte di Reyna e a sentirsi meno sola. 
-Sei incinta?- chiese con la voce tremante dall'emozione.
-Immagino che qui ci sia la conferma- rispose Piper, accennando alla lettera. -Ho un po' paura di scoprirlo... e se non fossi all'altezza?-.
Isabel le diede un bacio sulla guancia, per poi passarle un braccio attorno alle spalle.
-Sarai un'ottima madre- le disse. -E poi se non apri quella busta rimarrai con l'ansia del dubbio, che è decisamente più stressante di risposta certa-.
Piper la strinse a sé per qualche attimo, prima di aprire la busta con mani tremanti. Isabel, al suo fianco, lesse il riferto in cui si parlava di alcuni parametri alterati, le cui alterazioni erano attribuite ad uno stato di gravidanza.
-Auguri!- disse Isabel, abbracciando la donna.
Solo una settimana prima ritrovarsi in una situazione del genere sembrava più lontano e improbabile che mai, avrebbe detto che lei e Jason erano destinati a tornare ad essere da soli. Ma ora Piper era tornata con loro, riportando nel posto mancante un pezzo del puzzle delle loro vite, e d'ora in poi con lei ci sarebbe stato anche il bambino.
Isabel e Jason non sarebbero più stati da soli. 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Note: finalmente riesco a trovare il tempo di correggere e postare l'epilogo di questa storia. Quasi non mi sembra vero, è da quasi un anno che mi sono lanciata in questa "avventura" che è ora giunta al termine.
Ringrazio tutti i lettori, in particolare i cinque poveretti che hanno recensito lo scorso capitolo e a cui devo ancora rispondere, per avermi sostenunta fin qui. 
Vi lascio alla conclusione di The French teacher.
 
Epilogo

-Assolutamente no! Voi due siete fuori di testa!- sbottò Piper, alzandosi dal divano sul quale era seduta.
Jason e Isabel si scambiarono un'occhiata perplessa. 
-Ma Piper...- cominciò l'uomo, venendo interrotto dalla fidanzata.
-Vi ho già detto che non ho alcuna intenzione di chiamare mio figlio Diocleziano!-.
Padre e figlia sospirarono, esasperati. 
-Diocleziano è stato un grande imperatore...- cominciò Isabel, ma lasciò cadere il discorso dopo un'occhiata particolarmente fulminante di Piper.
Erano passate tre settimane da quando aveva annunciato al fidanzato di essere incinta, e quasi altrettanto tempo che litigavano sul nome da dare al futuro nascituro. Erano tutti abbastanza concordi sul nome Arya se fosse stata una femmina, ma su quelli maschili vi era il conflitto più totale. Jason e la figlia tentavano continuamente di convincerla a scegliere il nome di un imperatore romano, quello del loro preferito con particolare insistenza.
Piper capiva la loro ammirazione per la cultura romana, ma non era disposta ad accettare un nome arcaico per suo figlio, specie se questo si rivelava quasi impronunciabile. Cercava di mettere i due di fronte a scelte più comuni come Scott o Tyler, ma il suo fidanzato e Isabel sembravano irremovibili. 
Jason si alzò dal divano e la raggiunse, abbracciandola. 
-Se questo è un modo per convincermi a chiamare il bambino Diocleziano, giuro che...-
-Anthony- disse invece l'uomo. 
Piper rimase spiazzata dalla parola.
-Cosa?-.
-Non ti piace Anthony come nome per nostro figlio?- le domandò.
Piper doveva ammettere che quello era il primo nome proposto dal fidanzato che non trovava abominevole. Anzi, era piuttosto carino.
-Ma non ti sembra un po'... come dire?... vuoto chiamarlo solo Anthony?- intervenne Isabel.
-Cosa intendi?- domandò sospettosa Piper.
-Che ha bisogno di un altro nome- spiegò la ragazzina. -Qualcosa tipo Mark-.
-A me piace molto come suona Mark Anthony- disse Jason.
Piper li guardò entrambi per qualche secondo, nonostante anche lei trovasse piacevole e azzeccata quella combinazione di nomi. 
-Mi piace- disse, vedendo padre e figlia esultare a quella risposta. 
Piper sorrise, contenta della scelta del nome e di vedere gli altri due contenti della loro piccola vittoria personale.
In fondo avrebbe dovuto aspettarsi che non riuscendo a imporre nomi di svariati imperatori, Jason e Isabel avrebbero puntato su quello di Marco Antonio.

Nonostante settembre fosse cominciato da un pezzo, il caldo estivo non accennava ad andarsene. Di solito era bello potere godere ancora delle belle giornate, ma per le persone radunate davanti alla chiesa era un'autentica agonia. 
Il giovane uomo davanti all'entrata non faceva che torturare i plosini della camicia che fuoriuscivano dalla giacca dello smoking, guardandosi attorno con espressione ansiosa.
-Stai tranquillo, Jason- gli disse Thalia, dandogli delle pacche sul braccio.
-Facile parlare per te, non sei tu quella che si sta sposando- replicò l'uomo.
-Zia, papà era così nervoso anche quando doveva sposare mamma?- chiese Isabel.
Thalia la guardò con l'aria di chi la sa lunga.
-Scherzi? Quando si stava per sposare con Reyna era sul punto di svenire!-.
Entrambe scoppiarono a ridere, ma solo una persona sembrò supportare il povero Jason, che le guardava male.
-Zio, non ti preoccupare- disse Jonathan, anche egli in giacca e cravatta. -Pensa che sposerai una gran gnocca e tutto andrà bene-.
-Cosa hai appena detto?- chiese Sophia, ma il suo tono era scherzoso. 
Il volto del ragazzo si illuminò quando la vide, e la trasse a sé per baciarla. Al seguito della ragazza vi era il resto della famiglia Jackson, che andò a congratularsi con Jason.
Isabel salutò Fred e i genitori, andando poi a fare lo stesso da Silena e la sua famiglia. Conobbe Charles, suo marito, e Mercy, la sua bambina di nove anni. Per un attimo sorrise ricordando quando, mesi prima, si era ritrovata infastidita al pensiero che lei potesse essere la figlia di Piper, sentendosi un po' gelosa di quella ragazzina che aveva la fortuna di ritrovarsi Piper come madre.
Tornò dai suoi amici, che erano stati raggiunti anche da Marcus. Jonathan si era finalmente diplomato ed entro pochi giorni sarebbe partito per il college, così Isabel e Sophia cercavano di trascorrere quanto più tempo possibile assieme a lui. Parlarono per diversi minuti, fino a che un'auto non si fermò davanti a loro.
Le portiere si aprirono, e da quella sulla parte dietro della macchina ne uscì Piper, più bella che mai. L'abito bianco le calzava a pennello, con il pancione di quattro mesi che si notava appena. Di fianco a lei si presentò un uomo dai capelli brizzolati e dai tratti vagamente simili a quelli della donna: doveva essere Tristan McLean. 
Quando la donna arrivò di fianco a Jason si diedero un casto bacio sulle labbra, sufficiente a fare mormorare i presenti.
Isabel lascià andare la mano di Marcus, le cui dita erano intrecciate con le sue, per andare a salutare Piper, congratulandosi con lei e facendole i complimenti sul vestito. Non la vedeva da un paio di giorni, in nome della tradizione che impone agli sposi di non vedersi le ventiquattro ore prima del matrimonio, ma per la ragazza era già troppo. Da quando viveva con loro, era stata lontana da Piper solo per le due settimane che aveva trascorso al mare con gli amici a inizio estate, e non le piaceva molto l'idea di passare più di qualche giorno senza di lei senza una valida ragione.
-Lui è Tristan, mio padre- lo presentò, riportando Isabel alla realtà. -Papà, lei è la figlia di Jason, Isabel-.
La ragazza gli strinse la mano, e aggiunse -Posso chiamarti "nonno"?-.
Tutti i presenti scoppiarono a ridere, con l'eccezione di Tristan che la guardò un po' imbarazzato e attonito.
-Tesoro, non cominciare già a tormentare il padre di Piper- le disse Jason scherzosamente.
-Nessuna offesa- intervenne Tristan. -Non mi aspettavo una battuta del genere-.
Piper le passò un braccio attorno alle spalle.
-Devi sapere che la mia figliola ha un umorismo un po' becero- le disse.
Isabel fece per commentare, ma in quel momento la donna venne raggiunta dalla sorella e si abbracciarono. Piper salutò anche il cognato e la nipote, mentre la ragazzina attendeva impazientemente di avere la sua attenzione di nuovo.
Dei passi alle loro spalle annunciarono l'arrivo di una persona, che si rivelò essere il prete.
-Allora, siete pronti per cominciare la cerimonia?- domandò.
-Certo- disse Jason, mentre alcuni invitati cominciavano a entrare in chiesa.  
L'uomo guardò Isabel, come in cerca di una conferma. Lei lo abbracciò; aveva sempre approvato le sue scelte, ma mai nulla era stato paragonabile a sposare Piper.
Non esistevano parole per dirgli quanto fosse grata di avere fatto entrare una donna tanto meravigliosa nella loro famiglia, ma Jason sembrò capirlo comunque.
-Forse è meglio che cominci a entrare- disse lui, sciogliendosi dall'abbraccio.
-Vai- lo incoraggiò Isabel. -E non svenire sull'altare!-.
Jason rise, entrando nella chiesa. La ragazza notò che fuori erano rimasti solo lei, Piper e Tristan. La sposa, il padre della sposa e la damigella d'onore.
-Piper- la chiamò, consapevole che quello probabilmente sarebbe stato l'ultimo momento di privacy della giornata. -Cosa hai detto prima?-.
-Che hai un umorismo un po' becero?- domandò lei.
-No, prima. Quando mi hai presentata come tua figlia-.
Un'espressione di comprensione passò sul volto di Piper.
-Beh, ti voglio bene come ad una figlia e ora che Jason sta per diventare mio marito, tu sarai ufficialmente mia figlia adottiva. Se ti dà fastidio...-
-Nessun fastidio- la interruppe lei. -È bellissimo quando mi definisci tua figlia-.
Abbracciò forte Piper, che la strinse a sé a sua volta. Mai aveva pensato di essere tanto felice a causa di una donna che stava per sposare Jason, men che meno dalla sua insegnante di francese.
-Scusate ragazze- intervenne Tristan. -So che siete molto affezionate l'una all'altra, ma temo che stiano tutti aspettando noi per celebrare questo matrimonio-.
Piper e Isabel si lasciarono, compiendo quei pochi passi che avrebbero segnato l'inizio di un nuovo capitolo delle loro vite.

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