Just trust in me di TyshaLannister (/viewuser.php?uid=704449)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Partenza ***
Capitolo 3: *** Notte alla locanda ***
Capitolo 4: *** Grande Inverno ***
Capitolo 5: *** Verso sud, verso nord ***
Capitolo 6: *** Labbra ***
Capitolo 7: *** Presentimento ***
Capitolo 8: *** Pregare per lui ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono(tranne quelli da me inventati), tutti i diritti sono della HBO.
Prologo
289° anno dopo la Conquista del continente
“Non riusciamo a trovarla da nessuna parte. Sono ore che è sparita”.
Non prestai
molta attenzione alla septa che si lamentava lungo il corridoio, sapevo
già a chi si riferiva e il motivo della sua scomparsa. Il corpo
di lady Payne era ancora caldo, mentre le Sorelle del silenzio la
preparavano per essere deposta nel tempio. Era tutti troppo presi da
quel triste lutto per prestare attenzione ad una bambina di otto anni
sconvolta dalla morte della madre e quindi si erano lasciati sfuggire
la piccola.
Scossi la
testa, chiedendomi come quelle persone potessero essere state
così superficiali. Sicuramente nessuno le aveva prestato
attenzione, tutti presi ad organizzare le esequie, piuttosto che
consolare la figlioletta di una dama senza più marito.
Lord Edwin
Payne era morto anni prima, durante la Ribellione, e mio padre aveva
accolto la vedova e il suo piccolo fagottino a Castel Granito, in segno
di rispetto per il prode cavaliere che aveva dato la sua vita per
seguire il suo signore.
Mi fermai nelle
cucine, dove feci preparare del latte caldo con miele e un piatto di
biscotti alle mandorle appena sfornati. Il cuoco mi guardò
incuriosito, visto che preferivo farmi portare le cose in camera,
invece di provvedere io stesso ai miei bisogni. Quel giorno, tuttavia,
avevo altre priorità.
Entrai nei miei
appartamenti e chiusi bene la porta, fermandomi a posare il vassoio sul
tavolo posto davanti alla finestra. Appartamenti molto grandi, forse
troppo, vista la mia statura, ma non sia mai che un Lannister viva in
ristrettezze.
Mi avvicinai
cauto al mio letto e mi inginocchia sul pavimento. Mi sorpresi del
silenzio che permeava la stanza, visto che avevo la certezza di non
essere solo. Posai entrambe le mani sul pavimento e sollevai le coltri
che toccavano terra. Due grandi occhi azzurri colmi di lacrime mi
scrutavano, mentre il resto del viso era coperto dalle manine infantili
premute sulla bocca. Sorrisi pieno di tenerezza a quella vista, quello
era il nascondiglio preferito di Lysandra, sapevano solo i Setti dei
perché.
“Vieni
fuori, Occhi di mare” le mormorai dolcemente allungando una mano
e chiamandola con il nomignolo che le avevo dato.
Lei
afferrò le mie tozze dita come se fossero un’ancora di
salvezza e strisciò fuori da sotto il grande letto a
baldacchino. Rimase in ginocchio davanti a me per qualche istante,
mentre calde lacrime rigavano il bel faccino dai lineamenti infantili,
poi senza preavviso mi si gettò fra le braccia singhiozzante.
“Lord
Tyrion, la mia mamma… la mia mamma…” la strinsi a
me come meglio potei, non certo aiutato dalle mie braccia corte.
“Lo so,
piccolina, lo so” la scostai da me e la fissai con sguardo serio
“Ora, Lysandra, dovrai essere ancora più forte. So che ti
fa paura essere rimasta sola e che la tua mamma ti manca, ma devi
essere coraggiosa”.
A quelle parole
la bambina nascose il volto con le mani e ricominciò a piangere
in modo silenzioso. Sicuramente si sentiva sola, orfana di entrambi i
genitori, ospite in una casa dove nessuno le prestava particolare
attenzione, timorosa di rimanere senza un tetto sulla testa. Come mi
sarei sentito io, al suo posto? Sospirai, accarezzandole le braccia e
cercando le parole per rincuorarla.
“Non sei sola. So che pensi di esserlo, ma tu non lo sei” dissi alla fine.
Le mani si abbassarono e i suoi occhi si puntarono nei miei, speranzosi, in cerca di altre rassicurazioni.
“Io non
ho nessuno al mondo” per essere una bambina aveva fin troppo
chiara la sua situazione “E se lord Tywin decidesse di mandarmi
via?”
“Non
succederà, farò in modo che non succeda” le promisi
con più sicurezza di quella che provavo “Non è vero
che non hai nessuno. Tu hai me. Chiaro?”
La piccola
annuì solenne mentre prendeva il fazzoletto che le porgevo e si
asciugava il viso. Era una bambina deliziosa che prometteva di
diventare una bella ragazza. Mio padre non l’avrebbe mandata via,
suo zio materno era l’ultimo dei Jast e un giorno Lysandra
avrebbe ereditato il Castello delle Rapide Nere. In caso di guerra con
i Tyrell quello sarebbe stato un punto nevralgico per la difesa
dell’Ovest e mio padre era abbastanza saggio da sapere che non
poteva alienarsi il signore di quel casato.
Fino al momento
in cui fosse diventata donna, la sua educazione sarebbe stata affidata
alle cure della septa di Castel Granito e questo era già stato
deciso. Poi sarebbe andata in sposa a qualcuno, un uomo adatto al suo
rango.
“Ora
vieni con me” le dissi riguadagnando a fatica la posizione eretta
e porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi “Devi nutrirti,
piccola mia”.
La feci
accomodare al tavolo e cercai di distrarla raccontandole le mie ultimi
birbonate. Non certo le mie avventure nei bordelli, quelle non erano
storie per le sue orecchie, ma di come mi divertivo a dare il tormento
a tutti gli abitanti del castello con i miei scherzi malandrini. Fui
soddisfatto quando la sentii ridere, mi assicurai che mangiasse tutti i
biscotti e bevesse tutto il latte.
Solo al
tramonto, dopo essere sicuro che non scoppiasse di nuovo a piangere o
non scappasse di nuovo a nascondersi, mi avventurai per primo fuori
dalla porta delle mie stanze. Sicuro che non ci fosse nessuno lungo il
corridoio la feci uscire e con un gesto la incoraggiai ad andarsene.
“Grazie, lord Tyrion” mi disse guardandomi ancora intensamente.
“Non devi ringraziarmi, Lysandra. Vai ora, prima che la septa si arrabbi veramente”.
Ero pronto a
rientrare, quando la vidi tentennare ancora un attimo prima di gettarmi
le braccia al collo e darmi un bacio su una guancia. Ero sempre stupito
dal fatto che lei non provasse repulsione per il mio aspetto o che non
si prendesse gioco di me, ma era la prima volta in assoluto che mi
dimostrava affetto in quel modo.
“Lord Tyrion, pregherò sempre i Setti perché vi proteggano” disse correndo via.
Cinque anni dopo
Mi guardai
nello specchio, quel vestito mi faceva sembrare una bambina che giocava
a fare la gran dama. Sbuffai indispettita, ero bassa per la mia
età e la septa non faceva che farmelo notare
Avevo
diligentemente piegato i miei vestiti e riordinato le mie cose,
passando l’intera giornata a sentire la septa che si lamentava di
come fossi troppo lenta, di come dovessi ancora imparare a stare ben
dritta con le spalle, di come dovessi smetterla di comportarmi come una
sciocchina. Recriminazioni, recriminazioni, sempre e solo
recriminazioni.
Nei miei
tredici anni di vita non avevo sentito altro da quella donna. Dopo la
morte di mia madre, se possibile, era diventata ancora più
dispotica e difficile da accontentare. Il suo compito era di fare di me
una vera lady e di martoriare il mio amor proprio facendomi notare come
non fossi mai all’altezza delle sue aspettative. Sorrisi pensando
che era un lord Tywin sotto mentite spoglie, visto che era quello il
trattamento che sua signoria riservava al figlio minore.
La notte era
ormai calata e tutto taceva nel castello. Avrei dovuto spogliarmi e
coricarmi, sia mai che dovessi essere rimproverata di non apparire
abbastanza riposata. Mi mordicchiai le labbra reprimendo una risata: i
rimproveri erano il mio pane quotidiano, non ero certa di riuscire a
vivere senza.
Abbandonai la
mia stanza e mi incamminai, silenziosa e circospetta, per i corridoi
del castello. La mia meta era situata all’estremità
opposta del palazzo, ma ormai conoscevo così bene quel luogo e
le abitudini dei suoi abitanti che non mi fu difficile evitare le
guardie e sgattaiolare inosservata dentro le stanze che dovevano
essermi precluse.
Lord Tyrion era seduto al tavolo, come se mi stesse aspettando, con una coppa di vino in mano.
“Allora, Occhi di mare, sai che non dovresti essere qui da sola con me?” mi chiese bevendo una lunga sorsata.
Abbassai gli
occhi, avvertendo il rimprovero implicito in quelle parole. Mi sembrava
impossibile che una cosa così insignificante potesse rendere
tutto così diverso. Quante volte ero sgusciata nella camera di
Tyrion nel cuore della notte, per passare qualche ora a chiacchierare e
sentire i suoi racconti sempre divertenti?
“Mio
signore, io…” rimasi ferma sulla porta a giocherellare con
la gonna del mio nuovo vestito “Ho forse fatto qualcosa che vi ha
offeso?” chiesi titubante.
“Lysandra,
ora sei una donna, una lady” mi ammonì lui senza guardarmi
“E’ inappropriato che tu entri nella camera di un uomo e
che rimanga con lui tutta sola”.
Sospirai scuotendo la testa “Perché non può rimanere tutto come prima?”.
“Te
l’ho appena spiegato” sembrava trovare più
interessante la sua coppa vuota di me “La tua reputazione
può esserne gravemente compromessa”.
“E il mio
promesso sposo potrebbe sentirsi offeso” aggiungi mettendo il
broncio “Mio signore… tu sai chi è
quest’uomo?” sapevo da sempre di essere destinata in
matrimonio a qualcuno, senza che nessuno lo dicesse esplicitamente.
Quella mattina,
quando il mio fiore rosso era finalmente sbocciato, la septa si era
mostrata quasi commossa, mentre mi ripeteva che presto mi sarei
sposata. Ma con chi? Perché nessuno mi diceva cosa era stato
deciso della mia vita?
“Tu non
lo sai?” Tyrion finalmente si girò verso di me, sembrava
sgomento quello sul suo volto “Nessuno ti ha mai detto nulla?
Sembra impossibile…”.
“Mio signore?” feci un passo avanti, spaventata da tutto quel mistero “Chi è?”.
“L’uomo
che nessuna nei Sette Regni vorrebbe come marito” disse lui
enigmatico, tornando a guardare il fondo del calice con
un’espressione triste.
“La
Montagna?!” esclamai spaventata “Ser Gregor Clegane? No,
non può essere! Lui è già sposato” meditai a
voce alta “Lord Frey?” un brivido mi percorse, mentre
nominavo quel vecchio.
“Peggio, piccola mia” allungò il corto braccio, afferrò la brocca e si riempi di nuovo la coppa.
“Chi
può esserci di peggio?” sorrisi sempre più confusa
“Secondo me non c’è nessuna promessa di matrimonio e
voi vi state solo burlando di me”.
“Volessero
gli Dei” sembrava così mesto mentre mi parlava “Ma
non temere. Sei solo una bambina. Il matrimonio non avverrà che
fra molti anni e, se i Setti ci assisteranno, non avverrà
mai”.
Rimasi ferma,
continuando a ripetermi che quello era il sogno più strano che
io avessi mai fatto. Perché tutto quel mistero? Perché
Tyrion mi stava cacciando via?
“Vai,
Lysandra” mi ammonì ancora, tornando a concentrarsi sul
vino “Non tornare qui. Ora ci è proibito più di
prima anche solo conversare senza un testimone”.
Quello era un addio, pensai mentre mi voltai e fuggii via, sopraffatta dalla perdita del mio unico amico.
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Capitolo 2 *** Partenza ***
1
298° anno dopo la Conquista del continente
Ero nella mia
camera, intenta a leggere, con la mia septa che sonnecchiava in un
angolo. Neanche nella mia camera la sorveglianza si allentava, come se
tutti temessero che potessi fuggire da un momento all’altro. Ma
fuggire dove? E, soprattutto, perché? Scossi la testa
infastidita da quei pensieri, incapace del trattenermi dal ridere di
tutti loro.
Da quando mi
era stato rivelato il nome dell’uomo che avrei dovuto sposare,
sembrava che tutti attendessero un mio colpo di testa, come se non
sapessi da sempre che altri avrebbero scelto per me l’uomo con
cui passare il resto della mia vita. Possibile che nessuno capisse che
non aveva importanza alcuna, visto che la scelta non sarebbe mai stata
mia?
“L’uomo
che nessuna nei Sette Regni vorrebbe come marito” le parole di
Tyrion mi risuonarono nelle orecchie, anche a distanza di quattro anni.
Allora non avevo saputo cosa rispondere a quell’affermazione, ora
potevo dire che era falsa e sciocca. Quale nobildonna poteva dire
“non voglio lui come marito”, visto che in realtà a
ben poche di noi era concesso conoscere veramente il proprio promesso
prima del giorno delle nozze?
Anche se vivevo
in una specie di clausura continua, non ero così stupida come
pensavano tutti. Leggevo molto e qualcosa del mondo avevo capito,
attraverso i libri di storia. Per quello che riguardava i fidanzamenti,
avevo imparato ancora di più dalle giovani figlie degli alfieri
dei Lannister. Tutte prese a parlare di quel giovane o di
quell’altro, basandosi solo sull’aspetto fisico, ignorando
come realmente fossero.
Ricordavo
ancora come sembrava felice Aaliyah Spicer quando era andata in sposa
al figlio di Lord Serret. Lo definiva “bello come un principe
delle favole”, peccato che la sua favola fosse finita prima di
cominciare. Già il giorno dopo il matrimonio, la sorpresi a
piangere fra le braccia di un’altra ragazza: il marito, la prima
notte di nozze, non era stato molto “gentile” e quando lei
aveva cercato di divincolarsi, l’aveva colpita con uno schiaffo.
Un perfetto principe delle favole, proprio.
Provavo pena
per quelle ragazzine con la mente piena di favole e ballate, incapaci
di distinguere la fantasia dalla cruda realtà del nostro stato
di “merce di scambio”. L’ultima moda, fra quel branco
di sciocchine, risaliva al recente viaggio di una delle figlie di Lord
Brax ad Approdo del Re. Ora sospiravano tutte per Loras Tyrell, il
Cavaliere di Fiore, il ragazzo “più avvenente dei Sette
Regni”. Mi chiesi oziosamente quale brutta sorpresa si celasse
dietro un matrimonio con il rampollo dei “Protettori del
Sud”.
Sorrisi,
pensando a quanto fossi cinica e che la cosa avrebbe divertito molto
una persona di mia conoscenza, che me lo avrebbe rinfacciato, prima di
sbottare con un’osservazione ancora più cattiva della mia.
Dopo tutto
questo, qualcuno ancora credeva che mi spaventasse la prospettiva di
sposare… Il mio pensiero fu interrotto da una serie di colpi
leggeri alla mia porta. Chi poteva essere? Alzai gli occhi al cielo e
sospirai. Quasi sicuramente una delle altre lady del castello aveva
deciso di invitarmi ad unirmi a loro per bere latte e miele, ingozzarsi
di pasticcini e sparlare delle persone che conoscevamo. Avrei dovuto
far notare a un paio di loro che tutti quelle chiacchiere farcite di
dolcetti avevano fatto perdere loro il fisico slanciato che tanto
piaceva ai cavalieri.
Sospirai di
nuovo e mi dissi che dovevo trovare una scusa convincente e cortese per
evitarle di nuovo. “Avanti” dissi, notando il leggero
ronfare della septa che non si era ancora destata. Mi alzai di scatto,
rovesciando la sedia, quando vidi sulla mia porta comparire non il viso
giocondo e sorridente di qualche sciocca dama, ma qualcuno che non
vedevo più molto spesso.
La septa si
svegliò per il trambusto e cominciò ad esclamare
“Cosa sta succedendo? Cosa… Lord Tyrion”.
“Mio
signore” mi sbrigai a salutare io, chinando rispettosamente il
capo. Non gli chiesi nulla, era una tale gioia poterlo vedere che non
pensai minimamente a rovinare quel raro evento con domande futili.
“Lady
Lysandra” mi salutò rispettosamente lui, chinando il capo
a sua volta “Potrei parlarvi in privato un istante”.
La septa si
impettì e sembrava pronta a un diniego deciso nei confronti del
figlio minore di Lord Tywin. Tyrion la prevenne girandosi verso di lei
e sorridendo “La porta rimarrà aperta, voi potrete
osservarci dalla soglia e ci sarà sempre il tavolo fra me e la
vostra protetta” le assicurò indicandole la porta.
Septa Chelle lo
accontentò, con il volto scuro di chi non approva ma non ha
l’autorità per impedire ad un Lannister di fare quello che
vuole. La richiesta di Tyrion mi sorprese alquanto e il cuore
cominciò a galoppare, poiché presagivo che fosse venuto a
darmi una notizia importante.
Per vincere
l’imbarazzo del momento mi chinai e raccolsi la sedia, ponendomi
dietro di essa, come a mettere ancora maggior distanza fra di noi. Non
volevo certo che Septa Chelle decidesse che eravamo troppo vicini e
ponesse fine al nostro incontro.
“Ditemi, mio signore” gli chiesi con un sorriso “Di cosa volevate parlarmi?”
Tyrion si
avvicinò al tavolo, voltò il libro verso di sé e
lesse il titolo “Lettura interessante. “Fuochi della
Fortezza”*, un libro che io stesso ho letto molte volte” mi
disse, approvando le mie letture “Lo troverete molto avvincente,
piccola mia. Peccato che non sia giunto integro fino a noi”.
“Siete venuto qui per informarvi delle mie letture?” il sorriso che gli regalai rese la mia battuta meno velenosa.
“No” convenne lui con un sorriso, per tornare subito serio “Lord Arryn è morto”.
“Il Primo
Cavaliere è morto?” chiesi, alzando un sopracciglio
“Certo non era più nel fiore dell’età, ma
come tale notizia riguarda questa “piccola” lady?”.
Tyrion
ignorò la mia rimostranza per il suo vezzo di chiamarmi
“piccola mia”, nonostante ormai fossi una donna di
diciassette anni, e riprese come se non lo avessi interrotto “Re
Robert ha deciso di partire con un seguito molto nutrito per andare a
visitare il suo vecchio amico, Lord Eddard Stark. Sono stato invitato
ad unirmi a loro e ho deciso di accettare. Non ho mai visto il Nord e
credo che sarà un viaggio interessante”.
Il mio sorriso
si fece sarcastico e gli feci l’occhiolino “Devo dedurne
che vostro padre ha proposto nuovamente una data per il
matrimonio?” gli chiesi resistendo a stento ad esplodere in una
risata. Ormai da quattro anni, Lord Tywin cominciava a parlare di una
probabile data di matrimonio e Tyrion partiva per qualche viaggio che
non poteva assolutamente rimandare.
“Non ho
la minima idea di cosa voi stiate parlando, mia signora” sorrise
lui, facendomi a sua volta l’occhiolino.
“Dove
siete andato l’ultima volta? Ah, certo. L’Altopiano era
così incantevole che non vi abbiamo visto per quattro mesi.
Quanto durerà ora, questo vostro viaggio?” non sorridevo
più. Sarebbero stati mesi bui per me. La sorveglianza di sarebbe
rafforzata ancora di più e non avrei più avuto un momento
di solitudine, costretta a sopportare la presenza di persone a me non
gradite.
Tyrion si
voltò per assicurarsi che la septa fosse ancora sulla porta e si
protese, per quanto la sua statura glielo consentisse, sul tavolo.
“Ti andrebbe di unirti a me? Ci sarà tutta la corte
e… non saremo noi due da soli. Nessuno potrebbe obiettare”.
Mi illuminai a
quella prospettiva. Io avevo sempre sognato grandi avventure, ma da
quattro anni non potevo neanche allontanarmi dalle mura di Castel
Granito. La mia fantasia si sbizzarrì, immaginando mille
situazioni nuove per me, cose che avevo letto solo nei libri. Poter
vedere il resto dei Sette Regni, poter respirare aria nuova, vedere
paesi che avevo solo sentito nominare. “SI!” esclamai
estasiata, battendo le mani come la bambina che sostenevo di non essere
più.
“Prepara i bagagli, Occhi di mare, voglio mostrarti il mondo” mi sorrise, ponendo fine al nostro colloquio.
Il giorno della
partenza il sole splendeva nel cielo terso e privo di nuvole. Il
cortile pullulava di cavalli e una grande carrozza veniva riempita con
i bauli dell’unica dama del seguito. Guardai septa Chelle
osservare con sguardo severo le serve che sistemavano i bagagli della
sua signora, come se si aspettasse un disastro da un momento
all’altro.
Sentii le
esclamazioni di alcune guardie al mio fianco e mi voltai verso
l’ingresso del palazzo, sorridendo alla vista di Lysandra che
sembrava ancora più graziosa del solito, nel suo vestito da
viaggio bianco e azzurro. La ragazza mi sorrise e si incamminò
verso di me con un sorriso radioso. I capelli, normalmente acconciati
con due semplici trecce ai lati del capo che si ricongiungevano in una
treccia più spessa sulla nuca lasciando i suoi boccoli scuri
sparsi sulle spalle, erano raccolti una grande treccia morbida che le
donava comunque.
“Mio signore” si fermò a pochi passi da me e mi fece un inchino degno di una vera lady.
“Mia signora” risposi con un sorriso birbante dipinto sul volto.
“Una
giornata splendida per viaggiare, non trovate?” aggrottai le
sopracciglia all’udirla usare un linguaggio così formale,
ma poi ricordai che non eravamo da soli e che non potevamo adottare
toni più intimi “Almeno alcuni di noi viaggeranno sotto
questo splendido sole” il sorriso le si spense sul volto.
Si voltò
verso la carrozza, dove le aperture erano chiuse da fitte grate che non
permettevano sicuramente di gustarsi il panorama “Altri
viaggeranno in una gabbia per uccellini” aggiunse preparandosi ad
essere nuovamente rinchiusa.
“Sicuramente
septa Chelle lo preferisce” le dissi io, facendo un gesto ad una
delle guardie che ci avrebbero scortato nel viaggio “Certo,
soffrirà un po’ la solitudine”.
Finalmente la
ragazza si girò di nuovo verso di me con uno sguardo
interrogativo, mentre io, con un gesto della mano, le mostravo il
mio regalo per lei: una splendida giumenta bionda, con la criniera e la
coda candide.
“Spero
che gradirete il mio presente, mia signora” lo stupore e la
felicità sul suo volto mi risposero per lei.
“Mio
signore, io… è magnifica” Lysandra sembrava senza
parole, mentre le accarezzava il muso e saliva sulla magnifica
cavalcatura, con l’aiuto di una delle guardie.
Mi feci issare
in sella, visto che la mia altezza non mi permetteva gesti atletici e
fluidi come quello dei cavalieri delle favole. Lei non sembrò
neanche notarlo, mentre accostava la sua cavalcatura alla mia e mi
sorrideva.
Il folto gruppo
si mise in marcia, guidato da me e dalla piccola Lysandra. Seguendo le
mie istruzioni, le guardi si tenevano a debita distanza, regalandoci
l’illusione di un po’ di intimità e permettendoci di
parlare più liberamente.
“Non so
come ringraziarvi, mio signore” esordì lei, guardando il
mondo intorno a sé con un’espressione di stupore dipinta
sul volto.
“Aspetta a ringraziarmi, il viaggio sarà lungo e faticoso” le ricordai, guardando dritto davanti a me.
“Non mi
potrei mai lamentare di poter vedere qualcosa di diverso dalle mura di
Castel Granito” sbottò lei, per subito rassicurarmi
“Non che non sia bello o che non mi trovi bene lì”.
“Non
preoccuparti, piccola mia, neanche io rimpiango Castel Granito e i suoi
abitanti quando sono lontano. Ad eccezione tua, naturalmente” mi
girai verso di lei e ne ammirai il profilo “Quanto tempo era che
non uscivi dalle mura del castello di mio padre?” aggrottai le
sopracciglia, chiedendomi come fosse la sua vita in realtà. Il
suo silenzio e il suo cercare di evitare di guardarmi mi
preoccupò un poco “Lysandra” l’ammonii.
“Quattro
anni, mio signore” rispose mesta lei “Da quando il fiore
rosso è sbocciato e il fidanzamento è stato
ufficializzato”.
Tornai a guardare davanti a me “Mi dispiace”.
“Non
dovete, mio signore. Non si può fare molto a tal proposito.
E’ inutile rammaricarsi per cose che non possono essere
cambiate”.
“Sei
saggia, nonostante la tua giovane età” dovetti ammettere
“Ma provo lo stesso dispiacere per questa situazione”.
“Con il matrimonio le cose dovrebbero cambiare. Dopo la cerimonia non avranno più motivo di temere”.
“Allora
le cose non cambieranno mai. Continuerò a fare in modo che il
matrimonio venga rimandato, non potrei mai sopportare che tu fossi
costretta a sposare un uomo come…”
“Ancora
con queste sciocchezze?” mi interruppe lei regalandomi uno
sguardo duro “Ancora con la storia dell’uomo “che
nessuna vorrebbe sposare”? Avete detto che sono saggia per la mia
età e non pensate che lo sia abbastanza per ringraziare i Sette
per la sorte che mi è toccata? Potevo essere promessa in sposa
ad un uomo bello, giovane e prestante che si sarebbe rivelato brutale,
violento e sciocco. Almeno il mio promesso è intelligente e
arguto, per non parlare della sua gentilezza”.
“A sentirti parlare così, qualcuno potrebbe pensare che tu sia felice di questa follia” sbuffai indispettito.
“Tu sei
l’unico che si sia mai preso cura di me, l’unico a cui
interessi veramente la piccola Lysandra Payne” fece spallucce
“Viste le disavventura delle altre giovani che conosco, io sono
fortunata”.
Aggrottai le
sopracciglia e mi oscurai in volto. Come potevano pretendere che la
sposassi? L’avevo vista nascere e crescere, per me sarebbe sempre
stata la dolce bambina che si nascondeva sotto il mio letto. No,
finché mi fosse stato possibile non avrei sporcato la sua
purezza con la disgrazia di sposare me.
* Fuochi della fortezza è scritto da Galendro e racconta la storia di Valyria. Menzionato nella Danza dei Draghi.
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Capitolo 3 *** Notte alla locanda ***
2
Non
avevo resistito alla tentazione. Avevamo deciso di fermarci la notte in
una locanda vicino Harrenhal per poi incontrare il convoglio al seguito
del Re, mio cognato, il giorno dopo. Appena giunti, avevo notato una
bella ragazza bruna dagli occhi chiari, fisico procace e sorriso
invitante che prometteva mille piaceri. Nonostante tutti i miei buoni
propositi di andare nella mia stanza e dormire tutta la notte, invero
ero uscito quando pensavo che tutti dormissero e avevo comprato i
favori della bella sconosciuta.
Non le avevo
chiesto neanche il nome, sapendo che sarebbe stato come sempre. Un
incontro fugace, scambio di monete, estasi dei sensi: nessun legame,
nessuna possibilità di trovare qualcosa di diverso da uno
scambio economico. Io avevo i soldi dei Lannister, lei un corpo caldo e
accogliente da vendere. Avevo incontrato molte donne con cui avevo
intrattenuto quel tipo di “affari”. Tutte quelle
donne… per loro non ero stato altro che un cliente, uno di cui
ci si dimentica subito dopo che se ne era andato. Avrei desiderato
qualcosa di più stabile, ma quale donna avrebbe scelto
liberamente di dividere il letto con me, se non dietro un lauto
pagamento?
Osservai le mie
tozze mani e le strinsi a pugno. Ero un mostro deforme, mia sorella
Cersei non smetteva mai di ripetermelo perché io non lo
scordassi mai. Cosa superflua. Non era certo lei a dover vivere in quel
involucro inutile che mi portavo dietro come una condanna. Come se solo
per un momento potessi dimenticare chi ero. Certo, dopo un adeguato
rifornimento di buon vino… ma anche allora la mente non era
abbastanza ottenebrata da scordare la prigione che era il mio corpo.
Sentii qualcuno scendere le scale ed alzii lo sguardo, preparandomi ad impersonale il Folletto irriverente e pronto a prendersi gioco di tutti. Era quello il mio ruolo, il personaggio che mi ero scelto, e devevo interpretarlo fino in fondo anche quando dentro mi sentivo morire.
Fortunatamente
era un volto amico quello che apparve ai miei occhi. Lysandra
sgranò gli occhi alla mia vista e poi mi regalò uno dei
suoi sorrisi birbanti. “Cosa ci fa una così bella dama,
fuori dalla sua stanza in piena notte tutta sola?” chiesi
sorridendole di rimando.
Si morse il
labbro, scendendo un altro paio di gradini per avvicinarsi di
più, prima di bisbigliare “Septa Chelle mi sgrida sempre
perché dice che mangio troppo e ciò non si addice ad una
vera lady” mi confessò con le labbra imbronciate
“Quindi, questa sera, per non sentirla, ho mangiato appena quello
che ci hanno servito… ora muoio di fame e stavo andando a vedere
se c’è qualcosa da mangiare”. Povera la mia piccola
Lysandra, sempre sgridata perché faceva cose “non da vera
lady”. Sorrisi e la presi per mano, mentre tornavo sui miei passi
e le facevo scendere le scale.
Nella taverna
sotto alla locanda, non c’era quasi più nessuno, se non un
vecchio ubriacone che la locandiera stava rimbrottando perché
pagasse il conto e si togliesse di torno. Al vedermi, l’attempata
e procace donna sgranò gli occhi e subito si prodigò in
mille moine chiedendomi in cosa poteva essermi utile a quell’ora
della notte. “La mia dama è affamata” risposi
indicando con un gesto della testa Lysandra, che taceva al mio fianco e
non toglieva la mano dalla mia “Portaci qualcosa da mangiare e
vino per mandarla giù meglio”.
Scortai la mia
promessa sposa fino ad un tavolo e la feci sedere, per poi accomodarmi
sulla panca accanto a lei. Alzai un sopracciglio, piuttosto seccato
perché la donna rimaneva lì ferma a spostare il peso da
una gamba all’altra.
“Dunque?” il mio tono era alquanto seccato.
“Mio
signore, la cuoca dorme… non c’è nulla di
pronto” cercò di giustificarsi la donna, guardando ora me
ora Lysandra.
“Vuoi
farmi credere che non c’è pane, formaggio, qualche pezzo
di arrosto avanzato?” esasperato, frugai nella borsa che tenevo
legata alla cintura e le gettai un pezzo d’argento davanti ai
piedi “Sono sicuro che puoi rimediare qualcosa per non far morire
di fame la promessa sposa di Tyrion Lannister”.
La donna
raccolse in fretta e furia la moneta, prima di dileguarsi in cucina per
cercare di mettere insieme un pasto per noi due. Io tamburellavo con le
dita sul tavolo, osservando il vecchio ubriaco che si alzava
barcollando, lasciava qualche moneta di rame sul tavolo e poi si
trascinava, con andatura alquanto instabile, fino all’uscita. Era
la prima volta da tanto tempo che restavamo completamente soli, senza
la sorveglianza di septa Chelle, di qualche dama o di una delle guardie.
“Non mi
chiedi dove sono stato?” chiesi guardando le mie tozze dita che
continuavano a tamburellare sul legno ruvido del tavolo.
“Mio
signore, pensate forse che non conosca le vostre abitudini o che ignori
cosa fanno gli uomini di solito?” la mia Occhi di mare sorrise
furba e mi fece l’occhiolino “Non basta tenere segregata
una giovane all’interno di un castello, se poi le si dà la
possibilità di parlare con altre donne. Se volevano che
ignorassi completamente le… “necessità” di un
uomo, avrebbero fatto meglio a murarmi nella mia stanza” rise,
evidentemente divertita dell’espressione stupita che mi si era
sicuramente dipinta sul volto.
“Lady Lysandra!” esclamai, fingendomi scandalizzato.
“Ottima
imitazione di septa Chelle” reclinò leggermente il capo e
mi guardò dritto negli occhi. Quando eravamo seduti, non
c’era differenza di altezza alcuna e, quindi, ero libero di
scrutare quelle iridi blu come il mare, senza dover piegare il collo
fino a farmelo dolere. In realtà la ragazza in questione non era
molto alta neanche quando stava in piedi: avevo sentito quella stupida
septa rimproverarla anche per questo. Come se ci fosse dato di
scegliere l’altezza, il peso e il colore degli occhi, quando
venivamo al mondo.
La osservai e
sorrisi nel trovarla la bellissima ragazza che prometteva di diventare
da piccola “Occhi di mare” sussurrai “credo che tu
sia la più bella dama di tutti i Sette Regni” distolsi
subito lo sguardo, costernato da quella mia infelice uscita.
“Così
bella che il mio promesso sposo negli ultimi quattro anni ha trovato
scuse su scuse, arrivando persino a partire senza informare nessuno,
appena suo padre gli ricordava il matrimonio” mi rispose lei
osservando la locandiera venire verso di noi con un vassoio pieno di
cibo e una brocca colma di vino.
La corpulenta
donna fece scivolare il cibo davanti a noi, poggiò la brocca sul
tavolo e poi corse a prendere due bicchieri “Pane, formaggio,
verdure, patate e del pesce” elencò, mentre ci forniva
anche due piatti e le posate “Non ho trovato altro mio
signore” aggiunse rigirandosi la moneta d’argento fra le
dita.
“Tienila
pure” le concessi con un cenno della mano “Solo…
porta un’altra brocca di vino, questo basta appena per me”.
Il donnone non se lo fece ripetere due volte e corse a cercare altro
vino. Un pezzo d’argento per un pasto che, normalmente, le
sarebbe fruttato un paio di pezzi di rame… un vero affare, visti
gli avventori che si fermavano lì di solito.
In sua assenza
fra me e la mia bella dama calò il silenzio, mentre Lysandra
cominciava a piluccare il cibo con gesti aggraziati e femminili. Lei
trovava divertente tutta quella storia del fidanzamento, mentre avrebbe
dovuto inveire contro suo zio materno, se avesse avuto un minimo di
sale in zucca. Come diavolo era venuto in mente a lord Jast di proporre
un’alleanza matrimoniale a mio padre, in cambio di un matrimonio
della figlia della sua unica sorella con un Lannister?
Il fatto che le
sue tre mogli fossero tutte morte senza dargli eredi era chiaramente
colpa sua, visto che l’ultima delle sventurate spose era una
vedova con già tre figli maschi avuti dal precedente marito.
Ecco spiegato il perché mio padre avesse accettato quel
“vile ricatto”, come sicuramente l’aveva chiamato
nella sua mente un centinaio di volte. Lord Jast si era impegnato a non
adottare nessuno dei suoi tre figliastri, nati da un padre fedele ai
Tyrell, in cambio di quel matrimonio combinato.
Il fatto che
Rapide Nere, le terre del suo castello, fossero proprio
all’incrocio fra l’Altopiano, le Terre dell’Ovest, le
Terre dei fiumi e le Terre della Corna, rendevano quel titolo molto
ambito. Chiunque fosse entrato in possesso di quel piccolo seggio senza
alcuna rilevanza economica, sarebbe stato in vantaggio nel caso di una
guerra fra quei quattro regni. Così mio padre, lord Tywin
Lannister, aveva deciso di vendicarsi dell’affronto subito
proponendo il suo figlio secondogenito, nano e disprezzato da tutti.
“Avresti
potuto andare in sposa a qualunque altro Lannister” meditai a
voce alta “Tu e Lancel, per esempio, siete coetanei”.
La vidi
afferrare il tavolo, alzare gli occhi al cielo e scuotere vigorosamente
la testa “Siano lodati i Sette Dei, questa sventura mi è
stata risparmiata! Vostro cugino è l’essere più
irritante che io abbia mai conosciuto e sono lieta che abbia lasciato
Castel Granito, in modo da non dover sentire più tutte le
stupidaggini che escono da quella bocca”. Lysandra aveva chiarito
perfettamente il disprezzo che nutriva per il figlio di mio zio Kevan e
la cosa mi fece quasi ridere, se non mi fosse venuta in mente
un’altra cosa.
La scrutai ben
bene in viso e poi mi decisi a chiederle “Lady Lysandra Payne,
non avrai avuto un qualche ruolo nella partenza di Lancel, che ha
spezzato il cuore della mia povera zia, lady Dorna?”. La ragazza
spalancò occhi e bocca prima di aprire bene le mani e puntarsele
al petto.
“Io, mio
signore?” sembrava quasi scandalizzata “Cosa vi viene in
mente?”. La vidi recitare benissimo la parte dell’innocente
ragazza che si vede attribuire un reato di cui è innocente.
“Vostro
cugino aveva la mania di andare in giro per il castello millantando il
grande futuro che l’attendeva, vista la sua somiglianza con ser
Jaime” mi rivelò scuotendo la testa con l’innocenza
dipinta sul volto “Probabile che qualcuno gli abbia fatto notare
che la mera somiglianza fisica non l’avrebbe portato da nessuna
parte e che le similitudini fra di loro si fermavano solo
all’aspetto. In fin dei conti, ser Jaime a diciassette anni era
già cavaliere e membro della Guardia Reale, mentre Lancel non
è neanche uno scudiero” schioccò le dita come se le
fosse venuta in mente la soluzione dell’enigma “Forse
questa persona gli ha fatto notare che ad Approdo del Re, presso vostra
sorella, avrebbe avuto la possibilità di entrare al servizio di
un grande condottiero, mentre a Castel Granito avrebbe solo potuto
continuare ad andare in giro impettito come una papera”.
Scoppiai a
ridere “E quel qualcuno non sarai per caso tu, mia dolce Occhi di
mare?” la redarguii fra una risata e l’altra.
“Il che
comporterebbe che io sia intelligente e manipolatrice” mi fece
notare lei, fintamente offesa “mentre sono solo una sciocca dama
che pensa a ricamare e spettegolare. Chiunque sia l’artefice
della partenza di vostro cugino, ha la mia gratitudine”.
“Dolce,
piccola Lysandra” dissi io continuando a sghignazzare “Sei
tremenda”. La vidi tornare seria, mentre si girava a prendere un
altro pezzo di formaggio e lessi la tristezza nei suoi occhi
“Cosa c’è che non va’?” domandai,
perplesso dal suo rapido cambiamento d’umore.
“Domani
incontreremo il corteo reale… La septa dice che dovrò
viaggiare con la regina, visto che è vostra sorella e mia futura
cognata” tacque, giocherellando con un pezzo di pane
“Dovrò tornare in gabbia”.
Tornai serio
anch’io, rendendomi conto che il resto del viaggio non sarebbe
stato piacevole come quel tratto già percorso. L’avevo
vista quasi rinascere, mentre cavalcava libera e felice, ansiosa di
vedere quell’immenso mondo che mai in vita sua le era stato
concesso di ammirare. Non trovavo giusto che una ragazza così
piena di vita e voglia di avventura dovesse essere rinchiusa fra
quattro mura, in nome del mio onore. Onore… rivolta alla mia
persona quella parola aveva ben poco significato.
“Dovrai
viaggiare con mia sorella, sì” convenni contro voglia
“Ma, vedrai, qualche volta cavalcherai al mio fianco come in
questi giorni… la cavalla che ti ho regalato è molto
veloce, volendo potresti anche fuggire” buttai lì, senza
guardarla.
“Fuggire?
Dove? E, soprattutto, perché?” corrugò la fronte,
sinceramente sorpresa da quel mio suggerimento.
“Fuggire
lontano, per evitare di doverti sposare con me” ammisi,
fortemente a disagio nel dover ricordare a me stesso che era una
sciagura sposare un nano come me.
“Mio
signore, parlate come se le donne nella mia posizione abbiano qualche
scelta nella vita” la sua risata argentina riempi
l’ambiente e mi fece temere che qualcuno venisse ad indagare,
ponendo fine al nostro incontro fortuito “Voi continuante a non
capire: io mi reputo fortunata, in confronto a tante dame che conosco e
se non capite perché… non siete furbo ed intelligente
come vi vantate di essere”.
Sbuffai e feci
per risponderle, quando una voce alle mie spalle concretizzò i
miei timori di poco prima. “Lady Lysandra!” septa Chelle
era in fondo alle scale e ci guardava scandalizzata “A
quest’ora della notte, fuori dalla vostra stanza! In compagnia di
un uomo!”.
Sorseggiai dal
mio calice e la guardai in tralice “Odio bere da solo e lady
Lysandra ha acconsentito a farmi compagnia. Visto che sarebbe
disdicevole che la tua signora beva come un ubriacone, ho ordinato del
cibo” la comparsa della locandiera, che portava finalmente la
seconda brocca di vino, mi diede modo di cercare di cavarci dagli
impicci “Come puoi vedere, donna, non siamo stati soli che il
tempo necessario a riempire una brocca di vino”.
La septa
sbuffò indispettita e per nulla convinta dal mio discorso; con
un gesto imperioso della mano, indicò le scale, battendo un
piede. “Credo, mia dolce signora, che tu sia nei guai” le
feci notare, dispiaciuto.
“Io sono
sempre nei guai con quella brontolona di septa Chelle” mi
bisbigliò lei “E parlare un poco con voi, mio signore,
vale sempre la contropartita”. Si allontanò, con
un’espressione mortificata e dispiaciuta. Ero sicuro che non
fosse nessuna delle due cose: Lysandra sapeva prendersi gioco della sua
septa in modo spettacolare. Se non avessi conosciuto bene quella
piccola bambina testarda, avrei finito io stesso per credere a quella
sua espressione contrita.
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Capitolo 4 *** Grande Inverno ***
3
Ero
diretta al Giardino degli Dei, l’unico luogo dove potessi trovare
un po’ di pace e di tranquillità. Dividevo la camera con
le dame di compagnia di Cersei ancora nubili e con la mia septa: tutte
troppo desiderose di farsi i fatti miei e di parlare a vanvera. Non
riuscivo ad immaginare cosa più odiosa di tutto quel cicalare,
nella speranza che io abboccassi e mi mettessi a parlare con loro di
lord Tyrion o della mia situazione di “sposa evitata”.
Sentii delle
voci maschili appena dietro l’angolo e mi immobilizzai, sentendo
fare il nome di Tyrion. “Vi rendete conto che persino il Folletto
si rifiuta di sposarla?” rise un ragazzo, che dal timbro non
sembrava molto più vecchio di me.
“La donna
più indesiderabile di Westeros” aggiunse un secondo, con
tono più serio “Avevo sentito parlarne come di una specie
di mostro e, invece, è piuttosto graziosa invero” dal
linguaggio usato lo classificai come un nobile, ma non potevo essere
sicura di chi fossero senza svoltare l’angolo e guardarli in
faccia… che gli estranei mi portassero se avessi permesso a quei
ragazzi di sapere che avevo sentito tutto e che mi aveva umiliata.
“Da
quello che si può vedere, almeno” intervenne un terzo uomo
“Potrebbe nascondere di tutto sotto la gonna voluminosa e le
maniche lunghe e strette”. Ero diventata l’argomento di
conversazione preferito, dopo che l’incidente di Bran Stark,
occorso due settimane prima, aveva perso il sapore della novità.
Cosa c’era di meglio del disquisire sulle motivazione che
inducevano lord Tyrion Lannister, un nano con scarse attrattive se non
il nome altisonante del suo casato, a rimandare continuamente il
matrimonio con la sua promessa sposa?
“Forse
è una questione di carattere” argomentò la prima
voce “Non potrebbe essere una donna graziosa ma petulante, oppure
stupida e noiosa. Il Folletto adora le donne, specialmente le puttane,
quindi deve esserci per forza qualcosa che non va’ in lei”
concluse fra l’approvazione degli altri due.
Tornai sui miei
passi e faci la strada più lunga, camminando impettita e a testa
alta. Non avrei mai permesso a nessuno di sapere come ero ferita e
umiliata da tutte quelle congetture su di me. Se solo si fossero
fermati a pensare che forse Tyrion aveva motivazioni meno egoistiche,
forse sarebbero riusciti ad arrivare vicino alla verità.
Il mio promesso
sposo era convinto che non ci fosse nulla di peggio che diventare sua
moglie e, essendomi molto affezionato, avrebbe rimandato quel
matrimonio più che poteva onde scongiurare quella disgrazia.
Perché era così che lui si vedeva, un orrendo
mostriciattolo deforme e vizioso: quale donna avrebbe potuto sposarlo
senza esserne umiliata? Come poteva condannarmi ad una simile
mortificazione quando mi aveva vista crescere e mi considerava la sua
unica amica?
Passai sotto
l’architrave di una apertura a volta, che immetteva nel giardino
dedicato agli Dei. Era molto grande, nonostante fosse circondato da
solide mura di pietra, e gli alberi crescevano rigogliosi e forti.
Camminai speditamente, anche se era la prima volta che lo visitavo. La
mia meta si vedeva da qualsiasi punto mi fossi trovata: bastava alzare
gli occhi e vedere gli alti rami bianchi adornati da rosse foglie.
Non avevo mai
visto un albero diga, visto che al sud erano stati abbattuti da tempo
remoto in virtù della leggenda che volesse i figli della foresta
in grado di spiare il mondo tramite i volti scolpiti sui tronchi di
quegli alberi. L’avevo notato subito, mentre ammiravo
l’estensione di Grande Inverno. Mai mi sarei aspettata un
castello così ampio nel Nord del continente, più grande
di Castel Granito, nonostante le dimensioni rispetto ad Harrenhall
fossero esigue. Sorrisi, ricordando la risata di Tyrion alla mia
espressione sbalordita, quando ammiravo quel rudere mentre cavalcavamo
fianco a fianco durante la prima parte del nostro viaggio.
In fin dei
conti non avevo mai lasciato le alte e massicce mura di Castel Granito
e tutto mi sembrava degno di stupore e ammirazione. Durante quel
viaggio mi ero resa conto di quanto poco sapevo del mondo, nonostante
avessi sempre che i libri che avevo letto mi avessero insegnato
abbastanza. Chiusa nel mio piccolo mondo sicuro, ero così
sciocca e piena di me da non capire che la corte dei Lannister non era
che un’infinitesima parte di quello che si celava al di fuori dei
confini dove ero stata rinchiusa fino a quel momento.
Finalmente
arrivai in prossimità di un piccolissimo specchio d’acqua
dove il volto, scavato nel tronco bianchissimo, si rifletteva. Carezzai
quei lineamenti lignei con la punta delle dita, mentre l’angoscia
mi attanagliava il cuore. Tyrion aveva espresso l’intenzione di
recarsi alla Barriera in compagnia del Primo Ranger, Benjen Stark,
fratello del lord i Grande Inverno e del figlio bastardo di questi, Jon
Snow.
Girai su me
stessa e appoggia la schiena contro l’albero secolare, sentendo
che mi mancava il respiro con il crescere della mia paura. Voleva
entrare nei Guardiani della Notte, pur di non sposarmi? Si sarebbe
privato di una vita normale, sacrificandosi per quello che riteneva il
mio bene? Possibile che non capisse il male che mi avrebbe fatto? Sarei
stata inconsolabile, perché avrei perso tutta la famiglia che
avessi mai avuto. Dopo la morte di mia madre, lui era stato
l’unico amico che avessi, l’unico confidente, il mio tutto.
Cosa ne sarebbe stato di me? Come potevo continuare a vivere sapendo a
quale genere di vita si stava per condannare?
Era impossibile
riuscire a parlare con lui da sola e questo mi impediva di urlargli in
faccia la sua follia. Nonostante fossi più libera lì che
a Castel Granito, troppi occhi ci sorvegliavano, troppi possibili
testimoni di un nostro incontro che non avrebbe dovuto avvenire.
Potevamo parlare solo sotto gli occhi di septa Chelle o di qualche
guardia che si assicurasse che nulla di sconveniente potesse avvenire
fra di noi. Come se Tyrion avesse potuto saltarmi addosso
disonorandomi. Sbuffai, asciugandomi una lacrima: nessuno di loro lo
conosceva veramente, non sapeva che uomo gentile e altruista fosse in
realtà. Non mi avrebbe mai fatto intenzionalmente del male.
Sentii il
rumore di foglie calpestate e mi girai, pronta a fuggire di fronte al
nuovo arrivato. Non volevo che qualcuno mi vedesse sull’orlo
delle lacrime, non accettavo di mostrare la parte debole di me agli
altri. Troppo orgogliosa, mi rimproveravo di continuo, Finirò per pagare questo mio grandissimo difetto.
Ma, in realtà, l’orgoglio era l’unica cosa che
rimaneva ad una ragazza come me. Ero orfana e promessa ad un uomo che
non aveva la minima intenzione di onorare quel patto, tutti ridevano
alle mie spalle, anche se nessuno osava farlo apertamente. Il mio
orgoglio mi aiutava a tirare avanti, senza mostrare mai la mia
mortificazione.
Con mio
grandissimo sollievo, era proprio il mio signore che si avvicinava con
passo ondeggiante. Lo osservai attentamente, notando il sorriso
compiaciuto che gli aleggiava sulle labbra. Sapeva che era sbagliato
incontrarci di nascosto, ma si divertiva troppo ad infrangere le
regole. Sorrisi a mia volta, sicura che quel lato del suo carattere non
sarebbe mai cambiato.
“Mio
signore” esordii facendogli una riverenza “cosa vi porta
qui? Non mi sembra che voi siate il genere di persona che si rivolge
agli Dei”.
“Non eri
nella biblioteca” mi rispose, sedendosi su un grosso tronco steso
vicino all’acqua, dandomi le spalle “e ho pensato che
avresti cercato un posto silenzioso per sfuggire alle altre dame. Come
darti torto? Sei troppo intelligente e arguta per passare il tuo tempo
con quelle sciocche chiacchierone”.
“Come mai
mi stavate cercando, mio signore?” rimasi vicino
all’albero, un rifugio sicuro in quel momento, se mi stava
cercando non era sicuramente per darmi una buona notizia.
“Dovevo
parlare con te, prima della partenza di domani” ammise,
leggermente a disagio “Non avremo tempo sulla strada del ritorno,
anche perché abbiamo due destinazioni diverse. Tu ti dirigerai a
sud con il resto del corteo reale e io andrò ancora più a
nord, fino alla Barriera”.
Mi leccai le
labbra, cercando di ingoiare il nodo che sentivo stringermi la gola
“Avete intenzione di prendere il nero?” chiesi con il
pianto nella voce.
“E accettare il celibato?” rise lui “Le puttane sarebbero in lutto da Castel Granito fino a Dorne”.
Le puttane,
pensai mandando giù l’ennesima mortificazione. Le puttane,
il suo passatempo preferito, sarebbero state in lutto; non certo io.
“E
poi…” proseguì voltandosi a guardarmi “non ho
dimenticato la mia promessa. Non ti lascerò mai da sola e non
potrei certo vegliare su di te se mi unissi ai Guardiani della
Notte”.
Mi morsi il
labbro inferiore, cercando di trattenere un sorriso. Ero proprio una
stupida che si vantava di conoscerlo bene e poi non ricordava che mai
sarebbe venuto meno a quella promessa.
“Ti
troverai bene ad Approdo del Re” mi comunicò, tornando a
guardare l’acqua del piccolo stagno “E’ una grande
città e la corte è piena di vita, potresti persino
divertiti”.
“Approdo
del Re?” esclamai stupita “Non tornerò a Castel
Granito?” non capivo cosa stesse succedendo.
Mi misi a
sedere accanto a lui e cercai di scrutare nei suoi occhi, ma Tyrion
faceva di tutto per evitare il mio sguardo. Era strano, noi parlavamo
sempre di tutto e non esisteva argomento che ci mettesse in
difficoltà l’uno nei confronti dell’altra, se non i
bordelli e il nostro futuro matrimonio.
“Mio
padre mi ha inviato un corvo” mi disse estraendo una piccola
pergamena da una tasca “Il mantello dei Lannister è
diretto verso la capitale del regno e quindi anche noi andremo
là. Appena ti raggiungerò, si celebrerà il nostro
matrimonio” mi guardò con aria mesta e sospirò
“Non posso più rimandare, ora che mio padre me lo ha
ordinato. Finché parlava solo di stabilire una data, potevo far
finta di non capire e partire per un lungo viaggio. Ma ora… non
posso più tergiversare. Mi dispiace di averti potuto concedere
solo quattro anni, speravo in qualcosa di meglio”.
Io annuii seria
e cercai di consolarlo come meglio potevo “Mio signore, voi siete
stato molto gentile a preoccuparvi in questo modo per me, ma sapevamo
entrambi che prima o poi ciò doveva avvenire” mi inumidii
le labbra cercando le parole migliori per fargli capire cosa pensavo
“Ve l’ho ripetuto tante volte: mi sento fortunata in
confronto alle altre dame. Vi conosco, vi stimo e rispetto, noi…
noi siamo amici, giusto? Questo mi fa pensare che mai mi fareste
del male”.
Mi
afferrò la mano con quanta forza potessero le sue tozze dita
“Mai, Lysandra, mai ti farò del male. Questo è un
giuramento più solenne della promessa che ti feci tanti anni
fa” mi guardò negli occhi, annuendo più a sé
stesso che a me.
“Conto di raggiungerti entro tre settimane dal vostro arrivo” precisò lasciando andare la mia mano.
Annuii con un
sorriso, volgendo gli occhi verso lo stagno “Quindi ci sposeremo
fra due mesi. Abbastanza per farmi cucire un abito da sposa degno della
futura Lady Lannister” il mio sguardo era triste “Un mese
di viaggio… senza mai vedere altro oltre l’interno della
casa mobile”.
“Ho fatto
promettere a Jaime di prendersi cura di te, in mia assenza”
sorrise “Cavalcherai al suo fianco. Almeno potrai dire di aver
viaggiato con il cavaliere più bello del regno”.
Risi divertita
da un nuovo pensiero “La donna più indesiderabile di
Westeros che sposa l’uomo che nessuna nei Sette Regni vorrebbe
come marito” risi ancora più forte “Sarà una
cerimonia piena di curiosi. Un’unione perfetta”.
Tyrion scoppiò a ridere dopo di me “Siamo fatti l’uno per l’altra”.
Mi asciugai le
lacrime, nate dal troppo ridere. “Ora sarà meglio che
torni nei miei alloggi, prima che septa Chelle mi venga a
cercare” gli riferii, conscia che quel momento di spensieratezza
era finito.
“Oh, non
ti angustiare troppo, mia cara” Tyrion indicò con il
pollice la sua destra “Eccola laggiù, ci ha controllato
per tutto il tempo”.
In effetti la
mia septa si trovava a circa venti metri da noi, appena oltre gli
alberi, con un cipiglio contrariato dipinto sul volto. Sbuffai
scuotendo la testa, quella donna era perennemente di cattivo umore.
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Capitolo 5 *** Verso sud, verso nord ***
4
“Eccoci giunti al bivio” mi informò Tyrion, mentre
cavalcavo fra lui e suo fratello maggiore. Eravamo partiti da Grande
Inverno da mezza giornata ed era giunto il momento di separarci. Alzai
gli occhi sul Folletto, fermo con la sua cavalcatura nel punto in cui
la strada si biforcava, mentre lui non guardava me, ma Jaime.
“Non
temere, si troverà bene ad Approdo del Re” gli disse lo
Sterminatore di Re “Vedi, piuttosto, di non farti tentare a
prendere il nero e a tornare presto”.
Il Folletto
scoppiò a ridere “Te l’ho già detto,
fratello, non potrei mai accettare il celibato” a quella parola
tornò serio e si voltò verso di me “Ci rivedremo
presto. Due mesi passano in fretta” mi regalò il suo
sorriso più sarcastico “Non dovrei fare fatica a
riconoscerti, al nostro nuovo incontro. Immagino che tu sarai quella
vestita di bianco che cammina verso l’altare”. Almeno, ora,
riusciva a scherzarci su.
“Vi
prego, mio signore, siate prudente” non riuscivo a togliermi di
dosso la sensazione che sarebbe passato molto tempo prima che ci
rincontrassimo. Avevo il presentimento che qualcosa di brutto sarebbe
successo.
“Abbi
cura di lei, fratello” con queste parole si accomiatò da
me e Jaime, incitando il cavallo al trotto, diretto verso la Barriera.
Mi ero voltata
più e più volte, seguendo con lo sguardo Tyrion che si
allontanava con un manipolo di soldati dei Lannister, Benjen Stark e
Jon Snow. Cavalcavo al fianco di ser Jaime, ma non riuscivo a prestare
attenzione a nulla che non fosse il mio brutto presentimento.
“Non
siate triste, mia signora” mi apostrofò il mio
accompagnatore, con la risata nella voce “Due mesi passano molto
presto e voi avrete appena il tempo di finire i preparativi per il gran
giorno”.
Fermai il
cavallo e, di nuovo, mi voltai verso la collina oltre la quale era
sparito il mio amico. Mi dicevo che era solo perché quelle nozze
erano state rimandate per così tante volte che non riuscivo a
credere che presto avremmo prestato solenne giuramento davanti ad un
septor.
“Lady
Lysandra” mi chiamò Jaime, tornando indietro per
accostarsi al mio cavallo “Tyrion non è fatto per entrare
nei Guardiani della Notte e non disubbidirebbe mai ad un ordine di
nostro padre”.
“Non
volontariamente, almeno” aggiunsi io in un sussurro. Sospirai e
girai nuovamente il cavallo verso la nostra destinazione ultima
“Perdonatemi, mio signore. Non fate caso al mio
comportamento”.
Incitammo i
cavalli al trotto, cavalcando fianco a fianco, circa a metà del
convoglio, proprio dietro la casa mobile della regina. Mi ero sentita
soffocare, durante il viaggio di andata, in quelle quattro pareti di
legno, con finestre così piccole e dalle grate così fitte
che non lasciavano passare neanche l’aria. La compagnia lì
dentro, poi, non era stata delle migliori: tutte dame ansiose di
interrogarmi circa il mio lungo fidanzamento. Pettegole senza cervello!
Avevo visto Cersei storcere la bocca in più di
un’occasione, mentre le sue dame di compagnia parlavano a tal
proposito.
Cavalcammo in
silenzio per un lungo tratto di strada, finché non fu nuovamente
lui a parlare. “Mi signora, desiderate che mio fratello non torni
più?”.
Rimasi allibita
da quella domanda e spalancai la bocca, incapace di credere a quelle
parole “Certo che no!” mi indignai “Vostro fratello
è…” mi interruppi, abbassando lo sguardo sulla
terra battuta. Come potevo spiegare cosa pensavo e provavo per Tyrion a
qualcuno? Sembravano tutti così sicuri che io non volessi quel
matrimonio.
“Siete
dunque felice di sposarlo?” mi incalzò lui, fissandomi
insistentemente “Siete molto graziosa, potreste essere chiesta in
sposa da un giovane forte e aitante”.
“Un
giovane forte e aitante” sbuffai esasperata “Tutti
così propensi a credere che una persona si giudichi
dall’aspetto. Bell’affare fanno quelle sciocche che si sono
basano solo sull’esteriorità al momento di scegliere un
pretendere” scossi la testa. Possibile che fossero tutti
così stupidi e ciechi?
“Una
nobile non può scegliere liberamente chi sposare, sarà
sempre legate alla decisione che altre persone prenderanno per
lei” era così difficile trovare le parole per farmi capire
“Il massimo a cui possiamo aspirare è un uomo che ci
rispetti e non ci maltratti o alzi le mani su di noi. Vostro fratello
non sarà perfetto, ma non mi farebbe mai del male. Quindi,
sì, sono felice di sposarlo”.
“E non pensate all’amore?” mi chiese, riservandomi il classico sorriso sarcastico dei Lannister.
“Amore?
E’ un lusso che quasi nessun nobile si può
permettere” sorrisi in modo ironico a mia volta “Scommetto
che conoscete tantissime donne che hanno sposato il proprio marito per
amore”.
Parve
soddisfatto della mia risposta, perché mi sorrise e tornò
a guardare davanti a sé, prima di aggiungere “Non conosco
molte donne”.
Jon Snow
continuava a fissarmi, mentre io fingevo di concentrarmi nella lettura.
Non avevo voglia di parlare, quella sera. Troppi pensieri occupavano la
mia mente.
Avevo visto
nascere Lysandra. Mi ricordavo quel fagottino che lady Payne portava
sempre con sé, senza mai permettermi di guardare o toccare la
sua creaturina, come se la mia sola presenza potesse trasformare quella
bimba paffuta in un mostro. Le donne a Castel Granito erano
così, o mi ignoravano o ridevano di me o erano disgustate dal
mio aspetto. Ero poco più che un bambino, ma avevo imparato che
faceva parte della mia vita essere trattato in quel modo dal gentil
sesso.
Il nostro primo
vero incontro avvenne nel salone dove si radunava la corte di mio
padre. Lysandra aveva poco più di un anno e andava in giro
barcollando, ancora non perfettamente salda sulle gambe. Io stavo
attraversando la stanza, quando la bambina, sfuggita alla vigilanza
della madre tutta presa a parlare con le altre donne presenti, mi si
avvicinò e cominciò a barcollare. Allungai una mano,
sicuro che sarebbe caduta, e lei afferrò saldamente le mie tozze
dita, regalandomi un sorriso mentre recuperava l’equilibrio
precario.
Ero convinto
che fu in quel preciso istante che rubò il mio cuore,
diventandomi cara. Una bimbetta così graziosa e solare che non
mi temeva, anzi che rideva felice e allungava le braccine verso di me,
ogni qualvolta ci incontravamo.
La prima volta
che le parlai aveva circa quattro anni. Ero rientrato dopo una
cavalcata e mi ero buttato, esausto, su un piccolo divano nelle mie
stanze. Un rumore, proveniente da sotto il mio letto, aveva
attirato la mia attenzione. Mi inginocchiai e sollevai la coperta,
scena che negli anni a venire si sarebbe ripetuta sempre uguale, e due
grandi occhi blu mi fissarono.
“Cosa ci
fai tu qui?” chiesi, allarmato dal fatto che qualcuno poteva
pensare che fossi stato io stesso a far entrare la bambina in camera
mia, chissà con che fine.
Lysandra mi
aveva sorriso ed era sgattaiolata fuori dal suo nascondiglio “La
mamma è arrabbiata con me” mi rivelò in un sussurro
“Dice che sono una bambina cattiva e che meriterei di essere
battuta”.
“Quindi
sei scappata?” alzai gli occhi al cielo, quando la bambina
annuì tutta seria “Ma perché ti sei rifugiata
qui?”.
Rise, quella
bella risata infantile che si perde con il trascorrere degli anni,
quella che si regala agli adulti quando ci fanno una domanda che per
noi è stupida “Tutti hanno paura di lord Tyrion”
rise, portandosi le manine sulla pancia “Mamma non verrebbe mai
qui”.
Un ragionamento
che non faceva una piega, mi trovai costretto a concordare. Quale donna
si sarebbe introdotta spontaneamente nei miei alloggi? Specialmente
lady Payne che sembrava nauseata solo a vedermi.
“C’è
un motivo se nessuno viene qui” l’ammonii cercando di
apparire ancora più spaventoso “Io sono un mostro”.
Lei smise
subito di ridere e cominciò a battere ripetutamente le palpebre.
Temetti che scoppiasse a piangere, richiamando tutta la servitù.
Invece proruppe in una risata argentina “Non è vero,
bugiardo! Tu non sei un mostro, i mostri sono cattivi”.
“E come fai a sapere che io non sono cattivo?” fu il mio turno di battere le palpebre, interdetto.
“Lo so
perché lo so, e basta” disse la bimba alzandosi e
cominciando a saltellarmi intorno “Tu sei buono”.
Cara, dolce,
piccola Lysandra Payne. Era divenuta così importante nella mia
vita, in così poco tempo. Lei che fra tutte non aveva paura di
me, lei che in me vedeva del buono e non il nano deforme.
Ma si era
sbagliata, in modo crudele. Ero un mostro e me ne rendevo conto ogni
giorno di più. Chi, se non un mostro, poteva pensare e provare
quello che pensavo e provavo? Avrei dovuto tenerla al sicuro, ma
l’unico posto sicuro era lontano da me. C’era una soluzione
a tutta quella mostruosità che albergava in fondo al mio cuore:
invece di pisciare dall’altra parte della Barriera, avrei dovuto
gettarmi di sotto.
E dopo? Chi si
sarebbe occupato di lei? E se mio padre, in seguito alla mia dipartita,
avesse deciso di darla in sposa ad un uomo che l’avrebbe
maltrattata? No, dovevo riuscire a domare me stesso e la mia follia, se
volevo aiutarla come lei aveva aiutato me, dandomi la consolazione di
una persona che vedeva solo il buono in me.
Era così
sbagliato, tutto sbagliato. Perché non riuscivo a trattenermi?
Perché quei pensieri continuavano a tormentarmi? I suoi occhi
blu come il mare, in cui mi piaceva specchiarmi, sicuro che mi
avrebbero rimandato un’immagine migliore di me. Quei boccoli
scuri come la notte, in cui mi sarebbe piaciuto affondare le tozze dita
per appurare se erano soffici e setosi come apparivano. Quelle labbra
rosse e piene come fragole mature, che avrei avuto piacere di sciupare
fino a renderle ancora più rosse tumide.
Quale mostro poteva provare tutto questo per una bambina che aveva visto crescere? Quale pazzia attanagliava la mia mente.
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Capitolo 6 *** Labbra ***
5
Qualcosa di morbido premeva sulle mie labbra e, a fatica, aprii gli
occhi, ancora avvinto dal sonno. Due occhi blu come il mare mi
fissavano divertiti, come se riuscissero a leggere nel profondo della
mia anima, mentre morbide labbra rosse e tumide sfioravano le mie.
“Lysandra” dissi sbigottito “Tu dovresti essere ad
Approdo del Re!”. Una risata argentina mi riempì le
orecchie, mentre le si tirava su sulle braccia bianchissime.
“Tu vuoi
che io sia qui con te” mi rispose con quel sorriso birbante che
tante volte mi aveva rivolto, dopo aver combinato qualcosa che le era
costata la reprimenda di septa Chelle. Perché era con me?
Soprattutto, perché era nella mia camera da letto, carponi sopra
di me? “Tu vuoi che io stia con te” disse di nuovo, ridendo
“ecco perché sono qui”.
Le sue morbide
mani dalle lunghe dita affusolate, cominciarono a scorrere sul mio
torace, completamente nudo. Vidi la sua testa piegarsi verso quel corpo
deforme e avvertii un brivido mentre le sue labbra si posavano sul mio
torace. “Non negarlo. Io so cosa desideri” disse ancora,
prima di cominciare a scendere verso la parte più sensibile di
me.
Ero
profondamente sconvolto da tutto ciò e cercai di dirle di
fermarsi, senza riuscire ad emettere suono. Lei che faceva questo con
me? Che faceva questo a me? Sbarrai gli occhi e finalmente la mia voce
rispose ai miei comandi, prorompendo in un sonoro “NO!”.
Finalmente mi destai dal sogno più sconcertante che avessi mai
fatto su di lei.
Cercai di
deglutire mentre la puttana al mio fianco si destava a sua volta,
guardandosi intorno, allarmata dal mio grido. “Un incubo”
la rassicurai, aggrottando la fronte. Solo così potevo
descrivere quella rivelazione di quanto fossi perverso. Sognarla in
quel modo, sognare che dicesse quelle cose e facesse quelle
cose… Che razza di mostro ero?
La donna dai
capelli rossi, che aveva detto di chiamarsi Ros, sbuffò,
tornando a coricarsi. Non avrebbe potuto essere più diversa da
Lysandra, ma il motivo per cui l’avevo scelta era un
altro… qualcosa che mi fece vergognare ancora di più. La
puttana usava essenza di gelsomino, lo stesso profumo che era solita
portare la mia promessa sposa.
Mi lasciai
andare a mia volto contro i morbidi cuscini, mentre Ros si spostava per
adagiarsi sul mio petto. Le misi una mano fra i capelli e guardai fuori
dalla finestra, da cui si poteva ammirare una splendida luna piena.
Provavo vergogna di me stesso, come mai mi era successo in vita mia. Un
conto era trovarla bella, cosa che non era opinabile, visto che avevo
notato più di un uomo soffermare il proprio sguardo su di lei e
ammirarla; tutt’altro era provare quello che provavo io. Un
desiderio che bruciava dentro, come fuoco liquido.
Nonostante mi
stordissi di vino e mi consumassi con le puttane fino a cadere
distrutto nel sonno, non riuscivo a tenere a bada il mostro che
albergava dentro di me. Da un anno, ormai, ero dolorosamente conscio di
non essere l’uomo che credevo di essere. Tutto era cominciato al
mio ritorno dall’Altopiano, ritorno che avevo affrettato per
essere a Castel Granito il giorno del compleanno di Lysandra.
Come al solito
lei era apparsa nel cortile interno appena vi ero giunto con la mia
cavalcatura, ancora prima che i miei uomini mi aiutassero a scendere
dal destriero. Mi era corsa incontro indossando un vestito bianco, che
metteva in risalto i boccoli neri e lucidi. I capelli erano acconciati
con una treccia che partiva da un capo della testa per terminare dietro
l’orecchia dall’altra parte e lasciando quegli splendidi
boccoli liberi di muoversi nel vento. Mi ero reso conto che il viso
aveva perso i tratti infantili, per adattarli a quelli di una donna in
età da marito. Le labbra erano più rosse e piene, per non
parlare della stoffa del vestito che ora si tendeva sotto la pressione
di un seno che non era più acerbo e adolescenziale.
Mi ero
ritrovato a perdermi in quegli occhi blu, che brillavano al sole,
desiderando di specchiarmi in essi e trovare il riflesso di un uomo
diverso: qualcuno che avesse potuto catturare lo sguardo di quella
bella fanciulla e tenerlo incatenato; un uomo bello che avrebbe potuto
farle battere il cuore. Invece mi ero ritrovato a ricordare a me stesso
ciò che ero: un nano deforme che nessuna donna sana di mente
avrebbe voluto per marito. Tutto questo mentre rigiravo nelle mie tozze
dita il regalo che avevo fatto forgiare da un orafo bravissimo,
appositamente per il suo compleanno: un anello che rappresentava due
fiori di gelsomino stilizzati, con al centro una pietra per ciascun
fiore; uno smeraldo e uno zaffiro. In quel momento era nata la mia
ossessione per lei, il mio tormento.
Annusai i
capelli di Ros, immaginando che ci fosse Lysandra addormentata sul mio
cuore. Sarebbe stato bello stare così con lei, ad osservare la
luna piena, magari raccontandole una delle tante leggende che avevo
sentito su quel astro che rischiarava la notte. Sì, sarebbe
stato magnifico affondare la mia mano nei suoi boccoli scuri come la
notte… neri come la mia anima corrotta.
Mi passai
furtivamente un dito sulle labbra, ricordando il sogno che avevo fatto
quella notte. Un sogno che ultimamente facevo spesso: capelli biondi,
occhi verdi che mi fissavano intensamente, labbra atteggiate in un
sorriso ironico che delicatamente si posavano sulle mie. Battei le
palpebre, riportando la mano sulle redini e cercando di concentrarmi su
quello che mi circondava.
Eravamo appena
entrati ad Approdo del Re, accolti da due ali di cittadini esultanti
che acclamavano il ritorno del loro Re. Robert era molto amato, anche
se non capivo il fascino che un ubriacone del genere avesse sul popolo.
Forse, mi dissi, sollevando un sopracciglio, il suo ascendente su
quella povera gente era dovuto al fatto che quelli che non facevano
parte della sua corte non sapevano che razza di uomo volgare fosse.
Fra tutta
quella gente, notai, in particolar modo, un gruppo di donne vestite
succintamente, che salutavano il sovrano con ammiccamenti scandalosi.
Distolsi lo sguardo, arrossendo leggermente. Non avevo mai visto una
puttana dal vivo, anche se sapevo che esistevano donne che vendevano il
proprio corpo in cambio di denaro. Tyrion si rivolgeva spesso a loro;
anzi, nell’ultimo anno, era diventata una routine quotidiana far
visita ai bordelli di Lannisport, per lui.
“Tutto
bene, mia signora?” mi chiese premurosamente ser Jaime. Era stato
molto caro con me, per tutta la durata del viaggio, cercando di farmi
ridere e trattandomi sempre con molta deferenza. Era così che
venivano descritti i cavalieri delle favole… peccato che io non
credessi più nelle favole da quando ero una bambina di appena
otto anni.
“Nulla,
mio signore” gli risposi con un sorriso timido “Non sono
avvezza a certe… come dire?” arrossii ancora di
più, mentre il più vecchio dei figli di lord Tywin alzava
lo sguardo e lo puntava sul gruppo di prostitute.
“E
indecoroso che quelle donne vadano in giro con così pochi
vestiti addosso” sentenziò lui, visibilmente contrariato
da quello spettacolo “Mi dispiace molto che voi abbiate dovuto
assistere a una tale dimostrazione di cattivo gusto”.
“Non
è certo colpa vostra, mio signore” abbassai lo sguardo sul
selciato, per evitare di guardare quelle donne e i loro seni in bella
mostra “So della loro esistenza, ma non ne avevo mai vista una
dal vivo, ecco tutto”.
“Lady Lysandra” Jaime sembrava in difficoltà “Voi sapete, vero, che mio fratello…”
Sorrisi,
annuendo. “Non vivo fuori dal mondo, mio signore, anche se hanno
cercato di segregarmi in una gabbia dorata. So perfettamente cosa
avviene al di fuori delle mura sicure dove mi hanno rinchiuso e conosco
le… inclinazioni di vostro fratello”.
“Inclinazioni…”
ripeté lui, evitando il mio sguardo “Pensate di riuscire
a… modificare queste sue inclinazioni, una volta sposati?”
Scoppiai a
ridere, attirando gli sguardi di più di una persona del seguito
reale “Non sono una sciocca, ser Jaime” era la prima volta
che lo chiamavo per nome “Qualunque donna pensa di poter cambiare
le inclinazioni di un uomo è destinata a fallire miseramente. Un
uomo non cambia perché gli viene chiesto di farlo. Solo se ha
motivazioni personali può arrivare a cambiare se stesso, ma
dipende da cosa lo porta ad avere certe inclinazioni”.
“E voi
sapete a cosa sono dovute quelle di mio fratello Tyrion?”
finalmente punto i suoi occhi su di me e mi sorrise, il classico
sorriso ironico dei Lannister.
“Vostro
fratello…” abbassai la voce, accostando il mio cavallo al
suo, sperando di non essere sentita da orecchie indiscrete “cerca
qualcosa in quelle donne, convinto che nessuna glielo darebbe mai
liberamente o senza essere pagata”.
Jaime
tornò a guardare dritto davanti a sé, come meditando su
quello che gli avevo detto. “Quindi cerca cosa, esattamente?
L’appagamento dei sensi?”.
Scossi la testa
“Qualcosa che nulla ha a che vedere con quello che quelle donne
danno agli uomini. Il mio signore cerca qualcosa che non si trova nel
concedere il proprio corpo, ma che può essere trovato solo nel
cuore”. Tanti giri di parole, per non parlare apertamente
d’amore… la cosa era grottesca, in un certo senso.
“E, che mi dite del vino?” chiesi di nuovo lui.
“Ottenebra
la mente e rende più tollerabile la negazione di ciò che
cerca”. Sapevo perché Tyrion faceva quello che faceva, non
lo approvavo, ma capivo le sue motivazioni più profonde: quando
si è convinto di non poter ottenere ciò che si desidera,
ci si accontenta di qualcosa che una mente intontita dal vino
può scambiare per amore e accettazione.
“Conoscete
molto bene mio fratello” tornò a sorridermi, un sorriso
smagliante “Tyrion mi ha sempre parlato con stima di voi, ora
capisco perché gli siete così cara. Siete colei che lo
conosce meglio e il suo più grande affetto”.
Scossi la
testa, estremamente seria “Conoscete così poco vostro
fratello e la cosa mi duole molto”. Spostai lo sguardo sulle
torri della Fortezza Rossa che si vedevano in cima alla salita che
stavamo percorrendo.
“Come
potete dire che non lo conosco?” si risentì lui
“E’ mio fratello e io gli sono affezionato”.
“Eppure
non lo conoscete bene come pensate” rimarcai “Altrimenti
sapreste che il suo più caro affetto non sono io, ma voi, mio
signore”.
Jaime mi
fissò, la fronte aggrottata, come se solo studiando
scrupolosamente la mia figura potesse trovare la verità nelle
mie parole “Siete una strana creatura, Lysandra Payne”
proruppe in una fragorosa risata “ma devo ammettere che vi trovo
affascinante”.
Arrossii, sorpresa dell’implicito complimento.
Voglio ringraziare chi ha messo questa storia fra le preferite e le seguite: Lestrange_88, SLVF, _Lethe, Adelasia, Alexia Dubhe Black, Elodie90, Fauna96, RachelElizabethHolmes, Summer22, Bonnie
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Capitolo 7 *** Presentimento ***
6
A differenza di quanto Tyrion aveva ipotizzato, mi annoiavo da morire a
corte. Non conoscevo nessuno al di fuori della mia septa e di ser
Jaime, le dame erano anche più stupide di quelle che riempivano
le sale di Castel Granito e avevo scoperto che la regina mi detestava
senza far nulla per nasconderlo. Le sue occhiate, le sue frecciatine,
il suo ignorarmi appena ne aveva la possibilità…
Nonostante le insistenze di septa Chelle, che continuava a ripetermi
che come futura sposa di Tyrion era mio dovere stringere un buon
rapporto con Cersei e cercare di diventare una delle sue noiosissime
dame di compagnia, preferivo fare lunghe passeggiate per i giardini in
fiore e chiudermi nella mia stanza a leggere.
Non sapevo da
dove nascesse quell’antipatia nei miei confronti, ma
perché comportarmi stupidamente e stare al suo cospetto,
correndo il rischio che finisse con l’odiarmi? Molto meglio
limitare i nostri incontri al minimo, fare un profondo inchino,
pronunciare qualche frase di circostanza e poi eclissarmi, in modo da
non urtare quella donna che sembrava in grado di strapparmi gli occhi
solo perché quel giorno era di cattivo umore. Avevo uno spiccato
senso di sopravvivenza che mi portava ad evitare di mettermi nei
pasticci con le persone influenti.
Aggrottai le
sopracciglia, imboccando un vialetto che sembrava poco frequentato.
Quella poteva essere una virtù nella sposa di quello che si
supponeva essere l’erede di Castel Granito. Jaime aveva prestato
solenne giuramento come guardia reale e non poteva prendere moglie,
quindi sembrava ovvio che tale importante titolo fosse destinato al
terzogenito di lord Tywin. Come lady Lannister avrei dovuto prestare
attenzione a queste cose: chi era meglio non irritare, cercare di
comportarmi come si deve in società, non prestare il fianco a
critiche che avrebbero potuto nuocere al buon nome dei Lannister. Un
mucchio di doveri, farcito da quelli che molte dame avrebbero percepito
come privilegi.
Privilegi…
certo! Essere continuamente studiata, osservata, giudicata e criticata.
Avrei fatto volentieri a meno di tutti quei privilegi. Sospirai,
rendendomi conto che non facevo altro che compatire me stessa, pensando
in quel modo. Non era qualcosa che potevo mutare, non era in mio potere
decidere del mio futuro o di come mi sarebbe piaciuto vivere.
Ultimamente ero
sempre più propensa a vedere solo i lati negativi del titolo che
stavo per assumere. Forse era il normale nervosismo dovuto
all’imminenti nozze, che si avvicinavano sempre di più. Il
vestito, fatto cucire appositamente da uno dei migliori sarti di
Approdo del Re, era quasi pronto. Ricche sete bianche, ricamate in oro
e argento, con gli stemmi dei Lannister e dei Payne. Bellissimo, non
c’erano altre parole per descriverlo, eppure quando l’avevo
provato quella mattina avevo sentito di nuovo quella brutta sensazione
alla bocca dello stomaco.
Giunsi alla
fine del viale e mi appoggiai contro il muro che si affacciava a
strapiombo sulla scogliera. Era un posto isolato, dove non si udivano
le risatine e i commenti squisitamente stupidi degli altri membri della
corte che amavano passeggiare per i giardini, con il solo scopo di
essere visti e ammirati. Li consideravo un branco di sciocchi, che non
si rendevano conto di essere solo abbellimenti umani. A nessuno
interessava nulla di nessuno. Erano tutti lì per ingraziarsi i
sovrani, nella speranza di un posto migliore, un titolo migliore, un
incarico di risonanza. Praticamente erano il sunto di tutto ciò
che odiavo.
Decisi di non
pensare a loro e spostare la mente su cose più importanti, in
quel momento. Tyrion stava per giungere a corte e i preparativi non
erano ancora conclusi. Feci una smorfia, indispettita dal dover
ritenere importante le pietanze che sarebbero state servite, il tipo di
vino che avrebbe aiutato gli uomini a sbronzarsi, il tipo di
decorazioni floreali per i tavoli… Non potevano decidere altri,
visto che a me non interessava? No, secondo septa Chelle era un mio
preciso compito occuparmi di quelle cose tediose.
Se solo Tyrion
fosse stato presente! Avrebbe buttato tutto in burletta e mi avrebbe
fatto sorridere con il suo pungente sarcasmo. Non riuscivo neanche
più a vedere il lato comico delle cose, quel posto aveva
risucchiato via tutto il mio buonumore. Mai avrei creduto di poter
rimpiangere la mia gabbia dorata, dove, quantomeno, avrei potuto
sentirmi a casa.
E poi
c’era quel sogno. Il sogno che mi perseguitava dall’inizio
del viaggio verso Approdo del RE. Mi sfiorai di nuovo le labbra con i
polpastrelli della mano sinistra, un gesto che mi ritrovavo a fare
più volte al giorno, di nascosto perché nessuno intuisse
cosa mi si agitava dentro. Mi morsi il labbro inferiore, poggiando la
mano sul muretto. Era bello, quel sogno, era dolcissimo. Il modo in cui
lui mi guardava e sorrideva in quel modo ironico, poco prima di posare
le sue labbra sulle mie. Mi ero ritrovata a desiderare che avvenisse
anche nella realtà.
Era forse
questo l’amore di cui tutti parlavano? Io non lo sapevo, non mi
ero mai interessata a queste cose, certa che mai mi sarebbe capitato.
In fin dei conti, Tyrion, che mi conosceva meglio di chiunque altro, mi
aveva definito pragmatica. Per me era scontato lo sposare un uomo
scelto da altri e vivergli accanto, dandogli dei figli, senza chiedere
altro. Ora qualcosa era cambiato dentro di me, ma non capivo quando o
perché.
Qualcuno
poggiò una mano sul muro, alla mia destra, e mi ritrovai a
sobbalzare, mentre piegavo il collo per guardare il nuovo arrivato
negli occhi. Sorrisi, il primo sorriso sincero che facevo da molto
tempo, mentre guardavo gli occhi verdi di Jaime, l’unico che
riuscisse a strapparmi una risata in quel posto che aveva assunto i
contorni di una prigione, ai miei occhi. Mi aspettavo che ricambiasse
il mio sorriso e mi dicesse qualcosa di gentile, come faceva sempre,
invece guardai perplessa il suo viso così serio e cupo.
“Mio
signore?” ero sconcertata dal suo umore tetro. Lui non mi
rispose, limitandosi a porgermi un messaggio che, dalla grandezza della
pergamena, doveva essere stato portato da un corvo. Guardai quel foglio
arrotolato e aggrottai la fronte, non mi piaceva quell’aria
pesante che si respirava. Deglutii, allungando una mano e srotolando il
colpevole di tutto quel mistero.
Appena lessi la
prima frase, mi sembrò che il mondo perdesse di consistenza e
lasciai andare la pergamena, portandomi una mano al petto, incapace di
respirare. Alzai di nuovo gli occhi e scrutai quegli occhi verdi,
mentre l’apprensione cresceva in me. “Perché lady
Stark avrebbe fatto una cosa del genere?” quasi gridai, mentre mi
affrettavo a recuperare il pezzo di carta.
“Sostiene
che Tyrion abbia attentato alla vita di suo figlio Bran”
mormorò Jaime, non staccandomi gli occhi di dosso “Almeno
questo è quello che si evince dal messaggio che arrivato poco
fa, ma non importa il perché”. Scossi la testa, non
riuscendo a trattenere le lacrime: il mio brutto presentimento si era
rivelato corretto, qualcosa di terribile stava succedendo a Tyrion e io
non potevo aiutarlo in nessun modo.
“Lui non
farebbe mai una cosa del genere” gridai fra le lacrime,
abbassando la testa e asciugandomi gli occhi con la mano sinistra,
accartocciando istintivamente la missiva che tenevo nella destra
“Lo conosco, non ne sarebbe capace e, soprattutto, non avrebbe
motivo per farlo!”.
Mi sentivo
schiacciata da quella notizia, sopraffatta dal senso di impotenza. Poi,
improvvisamente, alzai il viso verso l’uomo: io non potevo fare
nulla, ma forse lui… “Mio signore” gli misi la mano
destra sul braccio, guardandolo dritto negli occhi “Vi supplico,
vi scongiuro. Voi… salvatelo” mi appoggia al suo petto,
mentre i singhiozzi mi scuotevano il corpo “Salvate il mio
migliore amico”.
Jaime mi
abbracciò, solo per un momento e poi mi scostò da
sé “Ho intenzione di affrontare Ned Stark” mi
informò “Sarà meglio che convinca sua moglie a
restituirci mio fratello, altrimenti…” non finì la
frase, fece un passo indietro e mi onorò con un inchinò
“Vado a salvare il vostro promesso, mia signora”.
Mi diede le
spalle e cominciò a ripercorrere il vialetto. Di nuovo ebbi una
brutta sensazione, come il giorno in cui Tyrion mi salutò per
andare a vedere la Barriera. “Jaime!” era la prima volta
che chiamavo un uomo per nome, che osavo prendermi tutta quella
confidenza con qualcuno “fai attenzione”.
Si voltò
per sorridermi “Devo dedurne che consideriate anche me un
amico?” mi regalò il suo classico sorriso malandrino e mi
ritrovai a contraccambiare, sperando di essermi sbagliata.
“Voglio vedervi tornare entrambi sani e salvi” gli dissi, cercando di farmi coraggio.
“Ci
rivedremo prima del tramonto, mia signora” e con questo si
congedo. Non credetti neanche per un momento a quelle parole, sentivo
che non ci saremmo rivisti per molto tempo.
Stavo
letteralmente impazzendo, chiuso in quella trappola mortale che
chiamavano cella del cielo. Mi ero svegliato poco prima con un braccio
che dondolava nel baratro e mi ero rifugiato contro il muro vicino alla
porta, tremando al pensiero di cosa sarebbe successo se non mi fossi
destato in tempo. Un bel volo, nulla da eccepire, peccato che io non
fossi un uccello.
Aderii con
tutta la schiena e la testa al muro, prendendo un profondo respiro, e
guardai il cielo. Era di un azzurro mozzafiato e mi ricordò due
occhi sorridenti che conoscevo fin troppo bene. “Occhi di
mare” mormorai, chiamandola con quel nomignolo affettuoso che le
avevo dato svariati anni orsono, quando non era che una bambina dai
grandi occhi perennemente sgranati, come se il mondo fosse pieno di
meraviglie pronte per essere scoperte e ammirate.
Cosa sarebbe
successo se non fossi riuscito a cavarmi di impiccio? A chi
l’avrebbe data mio padre? Jaime sarebbe stato l’uomo
perfetto per lei: alto, bello, valoroso. Purtroppo il giuramento che
aveva fatto come guardia reale gli impediva di prendere moglie. Lancel?
Lei detestava Lancel e la sua intelligenza sarebbe stata sprecata con
un marito così idiota. Non c’erano altri Lannister con la
giusta età per sposarla. Mi ribolliva il sangue al pensiero di
Lancel che osava anche solo sfiorarla, figurarsi se potevo accettare
che ne divenisse lo sposo. Chiunque, ma non lui. Sorrisi, trovandomi
estremamente ridicolo nella mia gelosia.
Non era il
momento per quei pensieri, dovevo concentrarmi per tornare da lei e
proteggerla. Non mi piaceva l’idea di morire, preferivo vivere e
vedere come andava a finire. Così tante possibilità e
avventure che aspettavano solo di essere vissute. No, sentenziai, io
non sarei morto in quella cella e, sicuramente, non avrei permesso a
quella pazza di Lysa Arrin di godere nel farmi uccidere.
Pensa, Tyrion,
pensa! Me lo ripetevo senza sosta. Se era vero quello che avevo detto a
Jon Snow, la mia mente era un’arma affilata quanto la spada di
mio fratello ed ora era il momento che colpisse per liberarmi.
L’immagine della spada mi si fissò nella mente, portando
con sé tutto quello che sapevo della “giustizia del
Re”. Era una mossa avventata, ma cosa avevo da perdere?
Un’altra notte in quel posto e avrei finito per volare di sotto.
Tentare la sorte era la mia unica via d’uscita e sperai che gli
dei fossero con me.
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Capitolo 8 *** Pregare per lui ***
7
Alzai gli occhi verso il cielo, mentre i piccioni volavano
spaventati, come se anche loro capissero l’immensità del dramma che si stava
consumando alle mie spalle. Mio cugino, ser Ilyn Payne, si accingeva ad
eseguire l’ordine di Joffrey, mentre intorno a me il mondo sembrava fermarsi,
come cristallizzato in un momento che avrebbe cambiato per sempre le vite di
tutti noi.
Udii un tonfo sordo e il boato della folla, mentre mi
sembrava di far fatica a respirare. Sentii qualcuno gridare che Sansa Stark si
era sentita male. Come darle torto? Suo padre era stato appena ucciso davanti
ai suoi occhi; persino io, che non avevo motivi per amare quell’uomo, ero
sgomenta per l’atrocità di quel gesto.
Cominciai a scendere le scale del piccolo palco, alle spalle
della famiglia reale, indifferente a tutti loro. I cinque soldati Lannister che
mi erano stati assegnati come scorta, si mossero all’unisono, per circondarmi e
scortarmi. Feci un gesto imperioso con la mano, non li volevo intorno a me in
quel momento, mentre mi apprestavo a salire la scalinata del tempio di Baelor.
Volevo rimanere sola e attraversai il grande portone della struttura, per poi
ridiscendere le scale che mi avrebbero portato al centro di quel luogo sacro.
Mi inginocchiai davanti alla statua della Vergine e scoppiai
a piangere. Uccidendo Eddard Stark, Joffrey aveva firmato la condanna a morte
di suo zio. Le speranze che Tyrion tornasse sano e salvo si erano drasticamente
ridotte e io mi sentivo persa. Avevo pregato così tanto, fino a farmi venire
male alle ginocchia, eppure a nulla era valso tutto il tempo che avevo
trascorso davanti a quella statua.
Ma il nuovo Re non aveva solo ucciso il Lord del Nord e
firmato la condanna a morte di suoi zio; aveva condannato tutto il regno ad una
realtà ineluttabile: la guerra era alle porte. Nulla oramai sembrava in grado
di arrestare quella follia che era stata messa in moto dal rapimento del mio
promesso.
Jaime era fuggito da Approdo del Re e si era unito a suo
padre, che aveva deciso di non far passare impunito un affronto del genere. Si
era mosso con tutte le sue truppe alla volta di Delta delle Acque, per
costringere Catelyn a ridargli il figlio minore.
Tyrion era disperso, di lui non si sapeva più nulla, così
come della sua rapitrice. Robb Stark marciava verso la capitale per liberare un
padre ormai morto. Follia, pura e semplice follia. Persino io, che non ero che
una ragazzina cresciuta in una gabbia dorata, vedevo in che situazione ci
avesse messo l’arroganza e la scarsa lungimiranza di quel ragazzino viziato,
che non sarebbe mai stato un vero Re.
Cercai di riprendere il controllo di me stessa e tornai a
inginocchiarmi, come avevo fatto nelle ultime settimane. Se c’era una sola
speranza che Jaime e Tyrion tornassero, io avrei pregato fino alla fine dei giorni
per la loro salvezza.
Avevo appena finito di raccontare di Tysha, la ferita mai
del tutto cicatrizzata aveva appena ricominciato a sanguinare, quando Bronn, il
mercenario a cui dovevo la vita, rivelò quanto i soldati di mio padre fossero
dei chiacchieroni perdigiorno.
“E com’è la donna meno desiderabile dei Sette Regni?” chiese
bevendo un altro calice di vino “Alcuni dicono che sia molto bella”.
“La donna meno desiderabile dei Sette Regni?” Shae si
sollevò dai cuscini, girandosi verso l’uomo, incuriosita da quella novità.
“La promessa sposa del nostro lord” spiegò lui, tutto
tronfio di aver raccolto informazioni così succose, neanche fosse lord Varys,
il Maestro dei Sussurri “Negli ultimi quattro anni hai fatto di tutto pur di
non sposarla, deve pur esserci un motivo. E’ così brutta?” si rivolse a me,
mentre io battevo ripetutamente le palpebre, cercando un modo per cavarmi di
impiccio.
Shae si voltò verso di me, evidentemente interessata alla
questione. “Deve essere veramente orribile, se preferisci la compagnia delle
puttane al matrimonio con lei” cominciavo a non sopportare il suo accento e le
loro illazioni su di lei.
“Lysandra è...” mi interruppi non trovando le parole adatte
e sorrisi, era ironico che fossi in grado di usare l’eloquio per tirarmi fuori
dai guai e non riuscissi a descrivere la donna che avrei dovuto sposare
“Bellissima” dissi infine, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Allora è molto noiosa” sentenziò la puttana straniera,
tornando a sdraiarsi.
“E’ intelligente e
spiritosa” risposi sorridendo e inarcando le sopracciglia “In tutti i Sette
Regni non c’è donna che possa compararsi a lei”.
“E allora cos’ha che non va? Deve pur esserci un motivo se
non vuoi sposarla” Bronn tornò ad afferrare la caraffa di vino “Se è veramente
così bella, intelligente e spiritosa, per non parlare della sua consistente
dote, io l’avrei già sposata da molto tempo”.
Già, lui non capiva, nessuno capiva, come spiegarlo senza
cadere nel vittimismo? Come spiegare che ero un mostro dentro e fuori, e non
volevo che lei sposasse un uomo come me? Come potevo far capire al resto del
mondo che non potevo sposare una bambina che avevo visto crescere e che mi
considerava il suo migliore amico?
“Lui non la sposa per un motivo semplice” Shae tornò a
tirarsi su inginocchio, guardandomi in un modo strano “Tu la ami”. Rimasi a
bocca spalancata davanti all’insinuazione della donna. Ero attratto da Lysandra,
in modo perverso come uno come me poteva essere attratto da una ragazzina, ma
amarla? Feci una smorfia e provai ad aprire bocca per dissentire, mentre lei
gattonava verso di me sorridendo “Sei giovane e sciocco” disse, prima di
baciarmi e spingermi con le mani sul petto, fino a costringermi a sdraiarmi
sulla schiena. Sperai che Bronn fosse così discreto da andarsene senza assistere
al nostro accoppiamento.
Avevo finalmente una cameriera personale. Non che septa
Chelle non avesse insistito fino alla nausea perché ne scegliessi una tra le
serve che entravano ed uscivano dai miei appartamenti, ma ero stata restia a
farlo, cercando qualcuno di cui potessi fidarmi. Avevo visto cosa succedeva
all’interno della corte e l’ultima cosa che mi serviva era una spia di Cersei o
di Varys al mio servizio.
Era successo per caso, al di fuori della Fortezza Rossa ed
era questa la prima cosa che mi aveva indotto a scegliere lei. Mi dirigevo
verso il tempio come ogni giorno, quando una bella bambina bionda dagli occhi
verdi, aveva allungato una manina verso di me, con gli occhi colmi di lacrime.
Aveva un vestito lacero, ma era pulita e pettinata, cosa strana per una
mendicante.
Uno dei soldati aveva alzato una mano per colpirla, ma io
l’avevo fermato. Era solo una bambina affamata, che aveva visto in una nobile
la possibilità di poter mettere un pezzo di pane fra i denti. Una bella donna
bionda, di pochi anni più vecchia di me aveva urlato il nome della bambina
“Becca!”. Il grido di una madre disperata, mentre abbracciava la piccola dando
le spalle al soldato che sembrava ancora intenzionato a colpire la piccola.
“Vi prego, vi scongiuro, mia signora, è solo una bambina”
piangeva la donna, cercando di nascondere la piccola ai nostri occhi “Non lo
farà mai più, non vi importunerà mai più”. Feci un passo avanti e sorrisi alla
donna, mentre facevo cenno alla mia guardia di allontanarsi.
Scrutai la donna, che sembrava mal messa. Mentre la bambina
era linda e pulita, nonostante i poveri indumenti, lei era sporca. Segno
evidente che le interessava più il benessere della figlia che il suo. “Ho fame,
mammina” intervenne la piccola, piangendo disperata.
Provai una pena infinita per quelle poverine, mi sentii il
cuore stringersi ad una vista così straziante e dolce. “Non temere, piccola”
dissi, accucciandomi vicino a loro “Non avrai fame mai più” annunciai decisa.
La donna doveva aver male interpretato le mie parole, perché scoppiò in un
pianto dirotto stringendosi al cuore la bambina. “Non voleva importunarvi, non
voleva” gridava disperata.
“Tu” dissi indicando uno degli uomini della mia scorta
“Accompagnale a casa e aiutale a fare i bagagli” mi alzai, decisa ad aiutare
quelle due sventurate “Non temere” sorrisi alla donna “non mi ha importunata,
anzi mi ha reso un grande servizio. Mi ha fornito la mia nuova cameriera
personale”.
Era così che avevo conosciuto Becca e sua madre Elaine. In
seguito venni a conoscenza della loro storia: il marito di Elaine era un
marinaio su un mercantile e loro se la cavavano piuttosto bene. Sfortunatamente
la nave, di ritorno da Pentos, era stata attaccata dai pirati e l’uomo era
morto durante la presa della nave. Rimasta vedeva e con una bambina a carico,
Elaine non aveva trovato nessuno disposta a darle lavoro e così aveva finito
tutti i soldi e aveva dovuto vendere tutti i mobili e le suppellettili, per
cercare di dare da mangiare alla figlia. Erano ormai disperate, quando le nostre
strade si erano incrociate.
Mi fidavo di Elaine, perché mi era riconoscente, questo la
rendeva una persona fedele. Becca, poi, aveva portato allegria nella mia vita.
La piccola, di appena sei anni, era sempre allegra e sorridente. Non c’era
giorno in cui non mi chiedesse di giocare con lei, fra i rimproveri di sua
madre che le diceva di non disturbare “sua signoria”. Erano momenti di svago,
in cui non pensavo continuamente a Tyrion e Jaime, o alla guerra.
Quella mattina ero seduta davanti allo specchio, mentre
Elaine mi pettinava. Becca posò un piatto colmo di dolcetti al limone sul
tavolo e venne tutta contenta verso di me. Le carezzai una guancia paffuta e le
sorrisi di rimando “Molto bene, Becca, per stamattina hai finito il tuo lavoro”
le dissi, notando lo sguardo fiero della piccola che cercava di aiutare la
madre nel suo lavoro “Perché non vai nel cortile antistante le cucine? Ho
sentito che ci sono sempre bambini a giocare lì”.
La bambina guardò prima me e poi la madre “Posso?” chiese
speranzosa. Elaine sorrise dolcemente alla figlia “Ma vedi di essere di ritorno
per l’ora di pranzo”. “Sì, mammina” urlò la piccola, già correndo fuori dalla
porta.
“Devi essere molto orgogliosa di lei, Elaine” constatai,
tornando a voltarmi verso lo specchio.
“Lo sono, mia signora, lo sono” ammise lei, canticchiando,
mentre intrecciava i miei boccoli scuri “Cosa avete intenzione di fare oggi?”.
“Visto che i Sette non sembrano propensi ad ascoltare le mie
preghiere, credo che mi rivolgerò ai vecchi Dei” tornai seria, mentre la
preoccupazione tornava ad attanagliare il mio cuore.
“Pregate per il suo ritorno o perché non torni più?” mi
chiese impertinente la donna.
Mi voltai verso di lei con gli occhi sgranati, inorridita
dalle sue parole “Elaine!” esclamai, scandalizzata.
“Beh, è il mostro di Castel Granito, gli piacciono il vino e
le donne di piacere, negli ultimi quattro anni vi ha resa lo zimbello dei Sette
Regni” ricapitolò lei, alzando le spalle “Io al vostro posto sarei piuttosto
risentita, mia signora”.
“Ma non sei al mio posto” il mio sguardo si fece duro “Non
sei me e non lo conosci, ignori le circostanze e le motivazioni delle persone
coinvolte”.
“Insomma non so niente” ammise lei guardandomi seria “Mia
signora, se c’è qualcosa che posso fare per voi… anche solo se necessitate di
qualcuno con cui parlare e che non riferisca a nessuno le vostre parole”.
“Grazie, Elaine, ma ora preferisco rimanere sola” mi alzai e
mi diressi verso la porta “Vado a pregare per i figli di lord Tywin”.
Lei mi salutò con una delle sue solite domande impertinenti,
ma che mi costringevano a guardare dentro di me “E se ne potesse riavere sano e
salvo solo uno? Per chi preghereste?”. Non risposi, limitandomi a lasciarla ai
suoi doveri e dirigendomi a passo sicuro verso il Giardino degli Dei, mentre il
mio cuore sapeva già la risposta.
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